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Full text of "Antologia. Giornale di Scienze, Lettere e Arti"

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ANTOLOGIA 


OTTOBRE, NOVEMBRE, DICEMBRE. 


1024. 


TOMO DECIMOSESTO 


FIRENZE 


AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO 
DI G. P. VIEUSSEUX 


DIRETTORE E EDITORE 


TIPOGRAFIA 
DI LUIGI PEZZATI. 


MDCCCXXIV 


ANTOLOGIA 


N° XLVI. Ottobre, 1824. 


Les Hermites en liberte par E.Jour et A.Jar— tome 
premier — Paris 1824 in 8° 


À egri, caro lettore! Se i nostri buoni eremiti hanno 
saputo divertirci sì bene stando in prigione -(*), che non 
faranno or che sono in libertà? Appena il 20 maggio 
dell’anno scorso il custode di s. Pelagia di Parigi ebbe 
lor riaperti certi usci massicci, con fronte un po’ meno 
rannuovolata di quel che un mese prima glieli avesse 
chiusi alle spalle; ambidue si ridussero, per respirare un’ 
aria più pura, a certi lor ritiri campestri, l’ uno cioè a 
Chénevières, l’altro ad Ivry sulle due opposte rive della 
Senna. Ivi passarono tutta l’estate, il primo coltivando 
fiori naturali, l’altro fiori artificiali, chiamati poetici; ed 
io non voglio adesso cercare chi vi trovò maggior gusto. 
In autunno ciascun di loro tornò al suo romitorio di cit- 
tà, parimente sulle due opposte rive di quel fiume, che 
l’attraversa, e riprese le sue abituali occupazioni. Ma 
avendoli una festa di famiglia accidentalmente riuniti il 
primo gennaio di quest'anno, ed essendosi dopo sette e 
più mesi rinnovata fra loro una piacevolissima conversa- 
zione, in cui si riconobbero per que’ due buoni uomini 
ch’ erano prima (l’uno entusiasta del bene , l’altro paci- |’ 


(*) Veggansi i volumi XI. e XIII. dell’ Antologia. 


4 


fico aspettatore di questo bene che dice essere in viaggio) 
rinacque fra loro un furioso desiderio delle dolci chiacchiere 
antiche. E come il trovarsi insieme di frequente è loro 
impossibile, risolsero di comunicarsi scrivendo le loro 
osservazioni su quello che accade alle due estremità di 
Parigi; e dal giorno medesimo, in cui la fecero, comin- 
ciaroro a mantenere la lor reciproca promessa. Noi ri- 
ceviamo ora in istampa poco meno del primo semestre 
della loro corrispondenza epistolare; e com'essa racchiude, 
al pari di tutti gli altri loro scritti, coserelle curiose , ap- 
plicabili o leggibili con diletto anche su’ altre rive che 
quelle della Senna, abbiamo intenzione di estrarle e di 
presentarvele. Credo , lettor mio che non vi lagnerete di 
noi, se non perchè forse estrarremo troppo poco, e finiremo 
troppo presto. 

La prima lettera (del primo gennaio come si diceva) 
è dello spiritoso Iouy , ed ha per titolo Za riva destra, di 
che fiume già lo sapete . 

Eremita della riva sinistra, vi si legge (e noi.lo trascriviamo 
perchè si conoscano i luoghi d’ onde scrive ciascuno dei corri- 
rispondenti ) voi avete nella vostra giurisdizione le academie , 
l’ università, i collegi, i ministeri, l'antica nobiltà, le catacombe, 
cioè a dire tutti gli avanzi, tutti i gotici pregiudizii , tutte le 
illustri ridicolezze della vecchia Francia. Io, nella mia qualità 
d’ eremita della riva destra, stendo il mio scettro , cioè la mia 
ferula, sul sobborgo s. Onorato , il Louvre , la Chaussée d’An- 
tin, il palazzo reale e il Marais. Però vi debbo le mie osser- 
vazioni su la nobiltà nuova , l’ industria , le belle arti, gli spet- 
tacoli, le mode, in una parola sui progressi, i vantaggi, gli erro- 
ri, le bizzarrie della moderna società. 

Dopo queste parole voi già congetturate che la 
sua riva destra deve avere a’ suoi occhi altro pregio 
che non quella abitata dal suo confratello. In fatti 
non dubita di asserire che sovr’ essa, specialmente, 
Parigi mostra quelle tante sue maraviglie, che le as- 
sicurano un’ assoluta superiorità sopra tutte le capitali 
d’ Europa. Ma noi lasceremo che questa disputa di pre- 


, 


î Fo, 


d 
mivenza si decida fra i due romiti. Ciò ch’ io posso dirvi 
i ARA » è i 
Intanto sì è che questo nostro della riva destra, per quanto 
si mostri prevenuto in favore di essa, non ci perde nulla 
della sua naturale ingenuità. Ve ne sia di prova il ritratto 
ch’ ei fa de’ suoi cari coabitanti, e che siccome potrebbe 
pur esser quello de’ vostri (se è vero che tutto’ il mondo 
è paese come si dice proverbialmente in alcune nostre 
parti ) voglio tradurvi con particolar diligenza. 

I parigini, dice Rabelais , sono tanti ciuchi, tanti babbei , 
tanti sventati, che un cantanbanco , un rivendugliolo, un mulo 
co’ sonagli, un orbo colla ghironda se ne tira intorno in un 
erocicchio di vie più che non farebbe un santo predicatore. 

Senza pretendere che più non rimanga alcun tratto di ras- 
somiglianza fra i parigini del suo tempo e i parigini de’nostri 
giorni, deve però concedersi che la rassomiglianza di questi coi 
dipinti dal curato di Meudon non è maggiore che con quelli 
dipinti dall'imperatore Giuliano. Gli odierni parigini non sono 
nè sì sventati come li fà il primo , nè sì assennati come li fa 

il secondo. Pure un poco di gaglioffaggine è ancora uno dei 
tratti caratteristici della loro fisionomia ; e per caso singolare 
questa gaglioffaggine è più notabile nella nuova città ch’io abito 
che nell’ antica, ove avete posto i vostri penati. Certo che un 
forestiero vestito a modo del suo paese, un uomo di figura 
un pò bizzarra, una donna o più brutta o più bella dell’ or- 
dinafio passeggeranno al Lussembourg senza sperare o senza te- 
mere l’ altrui attenzione, mentre alle Tulieries non potranno 
difendersi da una curiosità, che d’ im ortuna diventa spesso 
? P P 
insolente. 

Tay nella risposta ( ch’è del G dello stesso mese } 
dopo essersi un pò rimbeccato riguardo a’ pregiudizii go- 
tici attribuiti agli abitanti della riva sinistra, e aver un 
pò ribattuta la vanità di quei della destra, che si credono 
ì più raffinati e i più illuminati, prosegue con questo pas- 
so curioso che sono per riferire. 

Quanto a noi, l’ aspetto stesso de’ nostri monumenti, e l’og- 
getto a cui furono destinati, provano che siamo i vostri mag- 
giori, e che a questo riguardo alineno voi ci dovete rispetto. 

‘ Venite a contemplare il nostro palazzo delle Terme , ove già 
visse quell’imperadore, che presentato da voi in una trage- 


i L. 
dia a’ suoi buoni amici di Lutezia non trovò più indulgente 
la censura teatrale di quello che altra volta un tribunale più 
grave. Queste Terme , ove si pesarono un tempo i destini del 
mondo , attestano ancora il genio di Roma. Fanno veramente 
sorpresa i grandi loro archi, i quali si curvano maestosamente, 
e con sì elegante semplicità. Nè la fanno minore le sue volte 
a canto vivo e a tutto sesto, ma di tanta solidità che sostengono 
giardini pieni d’alberi, e già da quindici secoli combattono 
col tempo, e appena cessarono di combattere coll’ istinto di- 
struttore della barbarie. Vi dirò per altro in confidenza e con 
un pò di rossore che questo monumento architettonico , solo 
del suo genere che si trovi in Parigi; che questo palazzo ove 
Giuliano Cesare fu proclamato imperadore tra gli applausi de’ 
venerabili mostri avi, era ancora pochi anni addietro proprietà 
di un bottajo. Lo è poi divenuto del governo, che pensò a 
farvi degli scavi e a restaurarlo. Se non che altre cure più im- 
portanti ne distrassero i nostri grand’ uomini di stato ; e Mon 
terosso fece loro obliare il palazzo delle Terme. 

S'io vi dicessi che i suoi giardini si estendevano fino alla 
Senna , e servivano di passeggio alla regina Ultrogota , sposa 
del re Childeberto, voi mi accusereste di pedantismo, e mi 
chiamereste sotto l’influsso della regione scolastica. Bisogna però, 
onde far valere la mia riva destra , ch'io risalga un poco verso 
il passato. I nostri antichi monumenti sono i nostri titoli di no- 
biltà, e ben sapete qual prezzo abbia questa per noi. Voi ave- 
te forzieri ben provveduti; e noi abbiamo vecchie pergamene; 
e mentre i vostri finanzieri vanno facendo tristi computi , noi 
ci deliziamo nella polvere de’ nostri archivii. Già di gusti non 
è a disputarsi. 

Vedete voi quest’ edifizio , ove si trovano radunati tutti i 
vini del regno; ove quelli di Champagne, di Bourgogne, di Medoc 
si disputano la preminenza? Credo che difficilmente ne indovi- 
nereste l’ antica origine. Pure qui fu la culla della nostra glo- 
ria letteraria; qui sorgeva quella badia di. s. Vittore, ove 
Santeuil compose i suoi inni, e più secoli innanzi Abelardo diede le 
sue lezioni di dialettica e d’ eloquenza ; qui trionfava la voce 
seduttrice che intenerì Eloisa, e costò sì cara al galante professore. 


Ci è piaciuto di riportare questo passo , per farci un 
poco benevoli gli eruditi se mai ci leggono, ed anche i 
filosofi che da tutto cavano materia di riflessione. Ma per 
questi ne abbiamo qui in pronto un altro, meno lungo 


7 


ma più secondo le loro idee, e che crediamo sarà per tut- 
ti di qualche importanza . 

Tutti gli edifizii, voi dite , destinati ai piaceri de?’ cittadini 
si trovano dalla vostra parte , mentre dalla nostra son gli os- 
pedali, le prigioni, i collegi, le academie, gli amfiteatri. Questa 
differenza voi l’ascrivete ai caratteri e ai costumi differenti 
degli abitanti, mentr’ io inclino a crederla il risultato neces- 
sario de’ progressi della civiltà. Fa d’ uopo, voi ben l’intendete, 
sodisfare ai bisogni reali o imaginari degli uomini prima di 
poter pensare ai loro piaceri. Quindi ogni epoca ha i suoi mo- 
numenti caratteristici. Le prigioni sono i più antichi di tutti; 
poichè il bisogno di reprimere il ladroneggio e la violenza è 
il primo di tutti a farsi sentire. Esse portano l’ impronta (e 
noi ben possiamo parlarne con qualche conoscenza ) dell’ anti- 
ca barbarie del potere e de’ costumi; sono i veri monumenti 
d’un’età feroce e servile. No queste torri anguste , ove l’aria 
è dispensata con sì crudele parsimonia ; questi schifosi ricet- 
tacoli ove si confonde insieme ogni specie di vizii, e mon si 
meditano che futuri delitti; questi, non asili di sicurezza , ma 
luoghi di tormento e di pensieri disperati, non sono del nostro 
secolo, non appartengono ai nostri costumi. Voi oggi udite 
d’ogui parte invocarne la riforma, o mover doglianza che non 
sia più celeremente proseguita. Pur molto sì è già fatto per 
essa ovunque è maggiore l’ incivilimento , come già molto si è 
fatto per quella degli spedali, che ispiravano un tempo una spe- 
cie di ribrezzo. I collegi, le acàdemie si videro sorgere a misu- 
ra che si avanzava la società. L’ istruzione, è vero, si cercava la- 
boriosamente ove non è ; ma il solo cercarla ci attesta i nuovi 
bisogni dello spirito umano; e gli edifizi pur dianzi nominati ne 
sono i monumenti. 


Vi ricorderete ( non è molto che ne abbiamo parla- 
to, ma la memoria è sì labile! ) con che ingenuità l’altro 
buon eremita dipinge la gaglioffaggine de’ suoi cari coa- 
bitanti della riva destra. Questo della sinistra , per non 
sembrare meno ingenuo, lo avvisa che la terra classica 
della gaglioffaggine gli sembra proprio la riva da cui gli 
scrive, tanto i ciarlatani vi fanno fortuna. 

Noi siamo babbei d’ un’altra maniera , egli dice, che i vo- 
stri sfaccendati del baluardo di Coblentz. Noi non corriamo die- 
tro alle donne un po’ troppo liberalmente provvedute dalla na- 


x 


8 


tara ( allude ad un fatterello raccontatogli dall’ altro eremita ) ; 
chè al Lussembourg ciò parrebbe una villania. Ma se voi visi- 
tate le nostre scuole pubbliche, troverete una prodigiosa affluen- 
za ove si spacciano luoghi comuni con molta gravità ; ove da 
uomini burlescamente vestiti si danno furiosi assalti alla ragione 
e alla verità. Come spiegar ciò se non colla nostra invincibile in- 
clinazione alla gaglioffaggine ? 

Questo passo, malgrado le forme , non è meno serio 
dell’antecedente. Rechiamone un altro più piacevole, ben- 
chè conduca anch’ esso ad una seria conchiusione , ch'io 
per altro non voglio tacere perchè può essere di qualche 
utilità . 

L’incivilimento va sì rapido, che ormai sulle due rive non 
si trovano più differenze. Da lungo tempo anche sulla vostra si 
va dicendo che non vi sono più vecchi, che la classe rispettabile 
delle matrone è scomparsa dalla Chaussée d’Antin e da suoi dintorni, 
che più non vi si riconoscono le età. I ghiacci del verno visi 
coronano de’ fiori della primavera; grazie all’ arte de’dentisti e 
de’ profumieri più non vi si veggono che bocche e capigliatu- 
re di quindic’ anni; il tempo non vi fa più oltraggi irrepara- 
bili; e le generazioni vi si succedono incognito. Singolarità nota- 
bilissima, eppure appena osservata! Dal baluardo della Mad- 
dalena alla porta S. Antonio non si troverebbe un solo. capel 
bianco. Noi abbiamo abolita la vecchiaja. 

Questa specie di orrore , che si ha per essa, influisce in- 
tanto sui nostri costumi. Non vi è più gravità nelle maniere , 
non vi è più distinzione tra le professioni, come non vi è più 
fra le età, Oh! chi rinnova quelle saggie conversazioni, in cui 
l’esperienza unita alla bontà istruiva la giovinezza, da cui sapeva 
farsi amare? In mezzo a tanti Velemuchi mi saria pur caro 
di udire talvolta la voce d’un Mentore! 


La lettera finisce con un confronto fra la morale 
pubblica e la morale privata , ch’ è veramente una cosa 
bellissima ed eloquentissima. E se potessimo distaccarlo 
di dov’ è, per offerirlo qui alle vostre considerazioni ; lo 
faremmo assai volentieri. Ma la sua lunghezza , se altro 
non fosse, contrasta col nostro desiderio, onde ci è d’ uo- 
po contentarci d’avervelo lodato. Troppo altre cose ab- 
biam dinanzi, di cui non possiamo privarvi senza gran 


9 
biasimo, poichè ci siamo proposti di darvi insieme utile 
e piacere. 

Per esempio da questa terza lettera (del 13 gennajo) 
intitolata Ze contradizioni , non è egli vero che al solo 
udirla annunciare, ve ne aspettate moltissimo? Tanto 
più ve ne aspetterete all’ udire ch'è del più leggiadro 
\ pittore de’ costumi dell’ epoca nostra , la vera epoca delle 
contradizioni . 

Questa capitale ( scrive da Parigi il nostro buon eremita del- 
la riva destra) è oggi più che mai la città delle antitesi e delle 
contradizioni ; e, parlando il linguaggio del giorno, il moralista 
meno. severo ha spesso occasione di ripetere quel motto d’un si- 
gnorino alla sua amante che si beffava della sua sposa: aimable 
vice, respecte la vertu. 

Per poco che sappiate de’ costumi di questa nostra 
Europa; voi vedete di quante capitali e capiluoghi egli 
ha fatto spiritosamente il ritratto in un solo. Quindi pre- 
vedete che nella serie delle contradizioni parigive, ch’ ei 
registra , sarà facile trovarne delle milanesi, delle fioren- 
tine o delle napoletane. Guardate anzi se taluna non cor- 
rispondesse letteralmente a qualch’ altra, che voi avete 
avuto sotto gli occhi nella vostra città o nel vostro 
villaggio. 

Il nostro buon eremita aveva il bene di veder spes- 
so una di quelle care angiolette, fate conto, che ci capitano 
talvolta dalle rive del Tamigi, e che colla loro grazia 
modesta e la loro indefinibile soavità rubano proprio il 
cuore e i pensieri a un buon eremita. Oggi la trova bella, 
fresca, piena di salute, domani sente ch’ è presa da un 
vaiuolo maligno; posdomani gli sì reca la terribil notizia 
che è morta! Ei va, con che ambascia potete immaginarlo, 
per confondere le sue lagrime con quelle della desolata fa- 
miglia della giovinetta; e si avviene, prima che in altri, 
nel di lei genitore, tornato pocanzi d’ Inghilterra , ove si 
era trattenuto più anni. 


Intendo intendo , gli dice al primo incontrarsi questo brav' 
\ 


TO 

uomo , i rimproveri che voi mi fate internamente, e che la pietà 
non vi lascia uscir dalle labbra. Ma no, caro amico , non ac- 
cusate della mia fatale sciagura la mia imprevidenza , ma piut- 
tosto la mia debolezza pei pregiudizi di mia moglie. Io volli far 
vaccinare la seconda delle mie figlie, come già feci la prima, 
alcuni mesi dopo la sua nascita: ma non ci: fu nè ragionamento 
nè preghiera che potesse vincere la ripugnanza di sua. madre. 
Due persone , il suo medico e il suo direttore, hanno profittato 
della mia assenza per impadronirsi del suo spirito , e provarle, 
l'uno che questa specie d’ inoculazione , mentre preserva dal 
vajuolo , può esser causa d’altri mali assai più pericolosi; l’altro 
che offende la Provvidenza il volersi sottrarre ad un male da 
lei imposto all'umanità per disegni che noi non conosciamo. In- 
darno io mi sono studiato di opporre l’ autorità d’ un’ esperien- 
za di più d’us quarto di secolo ai chimerici terrori d' una 
doppia superstizione ; indarno ho presentato più volte a mia 
moglie l’ esempio della sua figlia maggiore, ch'era stata sì 
felicemente preservata da ciò che minacciava la seconda. Non 
sapendo resistere a’ suoi pianti , io andava aspettando dal tempo 
un’ occasione propizia di ridurla alla ragione. Ma il vaiuolo 
l’ha prevenuta ; e la mia cara figlia — la mia carissima figlia, 
ch’ io poteva salvare, non è più. Mia moglie, come fanno le 
donne , si è nella sua disperazione gettata da un estremo al- 
l’altro. Essa abjura la medicina e quasi diffida della Provvi- 
denza : la saggezza voleva che ella si contentasse di cangiare a 
tempo il suo medico e il suo direttore. 


Quasi cercando distrazione alla tristezza, che la per- 
dita dell’amaDile giovinetta gli avea lasciata in cuore , il 
nostro eremita volle assistere nel medesimo giorno a due 
sedute , l’ una dell’ ateneo , l’altra della società delle buo- 
ne lettere. L'esistenza degli oratori e degli uditori del- 
l’ uno e dell’ altra nella medesima città e nella medesima 
epoca, egli dice, è veramente una cosa inconcepibile. Noi 
recheremo anche la pittura di questa seconda contradi- 
zione, perchè, con piccole varietà, è pur quella dell’ esi- 
stenza contemporanea d’ uomini i più illuminati e i più 
pregiudicati in quasi tutte le città d’ Europa, se pur non 
volesse dirsi d’uomini i più leali e i più scaltri, d’uomini, 
che sagrificano il loro interesse personale all’ amore della 


i rI 
verità, e d’ uomini, che, altro non amando che sè stessi, 
fanno servire indifferentemente la verità e l'errore alle 


viste della loro cupidigia o della loro ambizione. 

Entro nell’ ateneo , egli dice : vi trovo adunata una scel- 
ta e numerosa assemblea ; vi ascolto successivamente e collo stesso 
piacere due abili ‘professori. L'uno, profondamente istrutto nelle 
scienze fisiche, invoca l’ esperienza de’ secoli e il progresso de’ 
lumi, di cui è instancabile propagatore , per adattare all’ intel- 
ligenza di tutti le grandi scoperte, e le belle verità, su cui si 
fondano le scienze medesime ; l’altro , orgoglioso di tutte le con- 
quiste dell’ umana ragione , ch’ egli si è appropriate collo studio, 
dà la morale per base alla politica, e fonda così l’arte di go- 
vernare i popoli su quella coscienza universale, in cui le leggi 
umane banno il loro principio , il loro mallevadore e il lor giu- 
dice. I discorsi d’ambidue questi oratori portano l’ impronta d’un 
animo, forte, d’ un senso retto, e d’un ingegno coraggioso. 

Pieno lo spirito e il cuore delle cose ascoltate giungo alla 
società delle buone lettere, e mi credo trasportato ad immensa 
distanza dal paese e dall’ epoca in cui mi trovo. Un discepolo di 
Galeno, abusando del dono della parola , sento che definisce la 
ragione una luce oscurata, e si affanna a combattere le dottrine 
di Loke e de’ migliori della sua scuola, cui predicava altra volta 
con tutta l’ eloquenza che viene dalla convinzione . . . Un più 
vecchio adepto della scienza dell’ assoluto prende in seguito a 
trattare la storia, cui riduce all’arte di lusingare il potente, e di 
mostrare sempre bella e sempre giusta la causa del vincitore. 

Un’ occhiata alle scuole di reciproco insegnamento e 


ad altre di vecchia data, confrontandone gli effetti, offre 
materia alla pittura di nuove contradizioni; e chiunque 
sente di che importanza sia la prima istruzione , il modo 
di facilitarla e di propagarla a tutte le classi; di farla 
servire alla moral sociale , cioè all’ acquisto di quelle abi- 
tudini d’ ordine e di giustizia scambievole , che formano 
della società una vera famiglia , comprende che quest’ul- 
tima pittura merita fra l’altre una particolar attenzione. 
La quarta lettera (che porta la data dei 20 del mese) 
€ s'intitola notizie de’ campi Elisi credo che ci tratterrà 
un poco più a lungo delle antecedenti. Gi pervengono così 
di rado notizie da que campi; le poche finor pervenuteci 


L2 


La 


sono sì incerte; noi abbiamo là tante conoscenze e tante 
care amicizie , che ...! Ma l’eremita della riva sinistra , 
voi mi chiedete; come ebbe egli tali notizie? — Vera- 
mente per una via un po’ singolare e quasi senza alcun 
merito. Andò una notte a fare un giro pel cimitero Lache- 
se, non con quelle disposizioni con cui vi ha fatte le sue 
passeggiate diurne il bravo di lui compatriota Vienpet, 
ma per farvi provvista di delirj malinconici e acqui- 
starsi la gloria di scrittor romantico. Ei vi cercava dei 
lemuri, degli spettri, dei demoni ( vi risparmio tutte le 
altre piacevolezze della sua satira, che ormai son dive- 
nute luoghi comuni, e che dirette contro la società pari- 
gina delle buone lettere possono aver sale’, dirette contro 
il romanticismo cioè la filosofia delle lettere son poco 
degne d’un uomo di spirito ) e v' incontrò l'ombra del 
celebre Suard, che gli consegnò un rotolo di carte e spa- 
ri. Queste carte erano una piccola serie di giornali de’ 
campi elisi ( non si dice se stampati o manoscritti, ma 
come vedrete assolutamente officiali ) in cui si rendea 
conto di grandi avvenimenti occorsi in quel mondo che 


noi crediamo così pacifico. 

Una rivoluzione era pur dianzi scoppiata nalla società par- 
ticolare dei re. Nessuno di quegli augusti personaggi voleva star 
soggetto; gli eroi in ispecie e i conquistatori, che si trovano fra 
essi, si credevano al disopra delle leggi comuni; e le loro pre- 
tese aveano turbata la pubblica pace del regno di Plutone. In- 
vano Mercurio mise in opera tutte le forze della sua eloquenza 
per ricondurli alla ragione. Il monarca de’ morti, vedendo cre- 
scere ad ogni istante l’ agitazione, fu costretto di convocare il 
suo consiglio privato, per deliberare sui mezzi di calmarla , e 
Radamanto era stato incaricato del rapporto. 

Questo degno magistrato espose con rara imparzialità |’ ori- 
gine e i progressi dell’ insurrezione. In ogni tempo, disse, la s0- 
cietà particolare dei re, a cui si aggiungono i conquistatori e gli 
eroi, è stata minacciata d’ anarchia. Era naturale il pensare che 
un governo monarchico fosse quello che più convenisse a que- 
st' ombre regali; ma l’esperienza ce ne ha disingannati. Il mi- 

imo regolo ambisce di stringere lo scettro; e, tranne pochissimi 


13 
filosofi, non è tra loro chi si contenti delle dolcezze d’ una vita 
privata. Si è creduto «di prevenire tatte le gare, dando loro per 
turno l'impero; ma il momento dell’ abdicazione è sempre un 
difficilissimo momento. Ben vi sovviene come a gran pena si potè 
indurre Alessandro, Costantino , Carlomagno, Luigi quartodecimo, 
Pietro l’iperboreo ; Federigo di Prussia a cedere il trono, e im- 
pedir Giulio Cesare dall’ usurpare una seconda volta la saprema 
autorità. Or ci arriva da uno scoglio del mare d’ Africa un nuovo 
conquistatore d’umor ben più difficile , e che affetta non so qua- 
le superiorità su tutte l’ ombre coronate. Egli intima loro i suoi 
ordini, come se fosse ancora sulla terra in mezzo a tutto lo splen- 
dore de’ suoi trionfi. Parole alte e brevi: sguardo, che somiglia 
quello dell’ aquila: gesti arditi e risoluti: tutto annuncia in lui 
l'abitudine della dominazione. Ei non aspira niente meno che a 
divenire il capo dell’impero : il suo nome di guerra è Bonaparte: 
ei si fa chiamare l’imperator Napoleone. 

Dal suo arrivo in poi la società regia degli Elisi è in preda 
alla più violenta agitazione. Voi sapete qual calma profonda re- 
gni in tutte |’ altre parti di questi campi avventurati. Nessuna 
doglianza noi possiamo fare de’ filosofi , che si nutrono tranquil- 
lamente di metafisica ; gli scienziati si deliziano fra le loro ri- 
cerche intellettuali, e appena si fanno sentire ; gli oratori e i 
poeti stessi vivono in pace. Ho veduto con piacere, nel mio ul- 
timo giro , Platone e Aristotile, Omero e Virgilio, Euripide e 
Aristofane , Demostene e Cicerone, Cartesio e Newton, discor- 
rere insieme amichevolissimamente. Mirabeau e Maury non si 
lasciano mai; e quello, che mi è sembrato più edificante, é 
l’ intima unione che regna fra Bossuet e Fénélon, Pascal e 
Bourdaloue . 

Ma noi dobbiamo temere il contagio dell’ esempio, Se le 
turbolenze civili, di cui vi ho parlato, si estendessero all’ altre 
parti degli Elisi, l'impero de’ morti sarebbe tatto sconvolto. Bi- 
sognerebbe , per ristabilir l’ordine , ricorrere a de’ co/pi di stato, 
i quali di rado son d’ accordo colla giustizia, e di cui il destino 
ci interdice di far uso. Ecco di che modo vanno oggi le cose 
quaggiù: or non si tratta che di trovar rimedio all’ anarchia re- 
gia , che ci tiene giustamente in pensiero. 

Radamanto depose il suo rapporto sulla tavola del consiglio, 
e Minosse domandò la parola. Ciascuno sente, egli disse, quanto 
importi il comprimere senza indugio lo spirito rivoluzionario che 
fermenta nella società dei re. Questo spirito è di sua natura con- 


tagioso: accende tutte le passioni, lusinga gl’ interessi del mag- 


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gior numero ; e se noi stiamo indolenti spettatori de’ suoi progressi, 
gli darem tempo di propagarsi a tutto l’Averno. Gran danno per. 
noi che l'ordine del destino ci vieti di spiegare le nostre forze, 
e che la porta degli Elisi sia chiusa per sempre al nostro cer- 
bero e alle nostre furie! Ma poichè tutto non si può , usiamo 
almeno de’ mezzi che ci sono concessi onde assicurare il nostro 
riposo. Prima però di determinarci in caso sì grave , sarei d’ av- 
viso che sì chiamassero presso di noi alcuni di que’ re, di cui 
la storia ci vanta i lumi e la saggezza ,; come Marco Aurelio, 
Antonino Pio, Alfredo d’ Inghilterra, Enrico quarto di Francia: 
essi potrebbero darci de’ buoni consigli. 

L’ opinione di Minosse fu adottata all’ unanimità . Plutone 
incaricò Mercurio , primo messaggiero di stato , d’andar in cerca 
di que’ personaggi; e la seduta fu un istante sospesa. 

Bentosto giunsero i quattro monarchi ammessi al consiglio 
di Plutone. L'affare fu di nuovo esposto, perch’ essi ne dicessero 
il lor parere. Non volendo parlar tutti; poichè non pensavano 
diversamente .l’ uno dall’ altro , pregarono Marco Aurelio d’essere 
il loro interprete comune, come quegli tra loro, che avea col- 
livato con miglior successo l’ eloquenza e la filosofia. 

Il male , di cui vi lagnate , cominciò egli adunque, non avrà 
fine senza un’ assoluta riforma della nostra regia società. Voi 
avete creduto che l’ essere noi stati sovrani sulla terra debba 
farci preferire ad ogn’ altro il governo monarchico ; e questo è 
un grande inganno. Certo un tal governo piace grandemente a 
ciascun di noi, ma a condizione che sarà egli il monarca . Do- 
mandatelo a Giulio Cesare , che avrebbe amato meglio essere il 
primo nel suo villaggio che il secondo in Roma. Le nostre re- 
gine stesse mostrano gran ripugnanza per la subordinazione. Se- 
miramide, Zenobia, Elisabetta, Caterina mi hanno dato più 
pensieri nelle varie epoche del mio comando , che non gli eroi 
più turbolenti. Sempre erano esse pronte alla rivolta ; e ove in- 
fatti alcuna se ne operasse vi prendevano parte col massimo ar- 
dore. Nessun eccesso lor sembra riprovevole ove si tratti di con- 
seguire o di conservare il potere. Ciò che maggiormente le irrita 
è il non regnar mai; il che è pur necessario, poichè se lo scet- 
tro si convertisse in conocchia , chi più frenerebbe i nostri con- 
fratelli conquistatori ? Divorate intanto dall’ ambizione , vivono 
esse malissimo contente, e minacciano ad ogni istante di turbare 
il nostro riposo. 

Malgrado tutto il rispetto che debbo al possente monarca 
d’ Averno , io non posso rattenermi dal rimproverare a’ suoi mi- 


15 


nistri un atto singolare d’ imprevidenza. ( Mormorio nel centro 
dell’ assemblea). Non ignoro che la verità offende i depositari del 
potere , i quali preferiscono il linguaggio della lusinga a quello 
della lealtà. Avvezzo però, come imperatore filosofo , a non met- 
tere mai alcun velo al mio pensiero , io mi spiegherò al mio 
solito franchissimamente . 

Quando le ombre de’ poveri mortali scendono a queste rive 
sotterranee si fa loro bere una tazza dell’acqua di Lete. Ciò ba- 
sta, per vero dire, al volgo dell’ ombre ; ma non già a quelle 
de’ pari nostri che portarono diadema. Le abitudini del comando, 
le rimembranze dell'impero, sono mille volte più profonde, più 
tenaci che qualsiasi affezione dell’ anima. Esse mai non ci abban- 
donano finché dura la vita, e ci seguono dopo morte, al di là 
de’ nostri fastosi sepolcri , coperti di corone e di trofei. Una sola 
tazza dell’ acqua letèa non basta a farcele obliare. E se i mini- 
stri del supremo monarca, che qui ci regge , avessero pensato 
a raddoppiarci o triplicarci così salutevole bevanda, or non a- 
vrebbero a lagnarsi delle agitazioni che turbano la nostra società. 
( Segno d° approvazione. ) Consoliamoci per altro che la loro im- 
previdenza non è senza riparo. 

Or torno alle agitazioni, di cui si favellava. Ammettendo 
come cosa di fatto l’avversione dei re, non dico al sistema mo- 
narchico, ma alla sommissione a cui li riduce questo sistema, è 
facile conchiudere che alla loro società non convenga altro go- 
verno che il repubblicano. Ho spesso udito dei re, che eserci- 
tarono sulla terra il più assoluto potere ; tener qui il linguaggio 
de’ democratici più infervorati, e, non potendo dominare , chie- 
dere ad alta voce | uguaglianza de’ diritti e i beneficii della. li- 
bertà. Penso adanque che l’ unico mezzo di mantenerci in pace 
sia di costituire in repubblica la nostra riunione. 

Gioverebbe peraltro grandissimamente separare di lungo trat- 
to il nostro recinto da quello de’poeti e de’cortigiani. Queste due 
specie di schiavi, fedeli alle loro antiche abitudini, lusingano 
ancora in versi e in prosa le ombre de’ loro signori, e nutrono 
in essi un orgoglio pericoloso. Già non vi è regolo indolente, che 
non abbia a’ suoi ordini qualche facitore di rime, e che sulla 
fede di queste rime non si creda un eroe magnanimo od un se- 
mideo. Se tal sentimento possa accordarsi colla sommissione al- 
l’ autorità legittima e col rispetto alle leggi, voi lo vedete. 

Infine, onde evitar di qui innanzi le turbolenze, che sempre 
insorgono tra noi all’arrivo di qualche nuova ombra coronata, 
sarei d’avviso ove ciò non si opponga ai voleri del destino, che si 


16 


stendesse un ragguaglio officiale della rivoluzione republicana, 
che già suppongo avvenuta , e si trasmettesse agli abitanti della 
terra. Allora ciascuno porterebbe fra noi le disposizioni d’ un pa- 
cifico cittadino . 

Così si espresse Marco Aurelio , annuendo i suoi colleghi 
Antonino , Alfredo ed Enrico. Minosse lo ringraziò , a nome di 
Plutone , de’ suoi saggi consigli ; e poichè non venne loro fatta 
alcuna obbiezione fu stabilito : 1. che la società dei re avrebbe 
una costituzione republicana; 2. che sarebbe trasferita nell’ isola. 
degli Asfodilli all’estremità occidentale del Lete, ove a nessun poeta 
sarebbe permesso di penetrare; 3. che ogni regia ombra entran- 
dovi berebbe un'altra tazza dell’acqua del fiume; 4. che un a- 
bile giornalista stenderebbe le notizie di quest’avvenimento, e che 
si penserebbe al mezzo di dar loro nel mondo de’ viventi la più 
grande publicità. Mercurio, Minosse, Eaco e Radamanto furono 
incaricati dell’ esecuzione di queste cose ; e così terminò la se- 
duta:. 

Come bisognava eleggere senza indugio un segretario redat- 
tore, Eaco si recò al quartiere degli scrittori periodici, e , prese 
esatte informazioni, preferi Suard a tutti gli altri, come il più 
proprio alle fatiche del segretariato e all’eloquenza delle relazioni. 
Marmontel avrebbe voluto esser egli il prescelto ; ma si dubitò 
che l’ abitudine di comporre novelle potesse nuocere alla storica 
veracità, che gli sarebbe stata necessaria. 

Nel giorno medesimo, poichè tutto si fa prestissimo nell’ al- 
tro mondo, Mercurio, qual messaggiero di stato, convocò i re e 
loro compagnia in una vasta pianura, e comunicò loro il decreto 
di riforma, così concepito: 

PLUTONE , per la grazia del Destino, autocrata dell’ impero 
de’ morti , udito il rapporto del nostro ministro di giustizia se- 
gretario di stato, e l’ avviso del nostro consiglio particolare, ab- 
biamo ordinato ed ordiniamo quanto segue: 

Articolo x. I cittadini della nostra provincia, detta il recinto 
dei re, sono eguali in diritto. I titoli onorifici, come quelli di 
maestà, di figlio del sole, di cugino della luna, di re de’ re so- 
no aboliti per sempre. 

Articolo 2. Tutte le ombre coronate passeranno nell’ isola 
degli Asfodilli ove è fissata dal destino la loro sede futura; e, a 
norma del pubblico voto, sarà loro data una costituzione repu- 
blicana . 

Articolo 3. Giunte nell’ isola si riuniranno tosto nel foro, 
onde procedere all’ elezione del presidente della loro repubbli- 


E} 
ca : questo magistrato non potrà nominarsi che per cinque mi- 
la anni. 

Articolo 4. Appena eletto, egli riceverà in deposito il codi- 
ce costituzionale della repubblica , e si darà cura di ordinare i 
diversi poteri che debbono governarla . Non si prenderà da essi 
alcuna risoluzione , che non sia determinata da una maggiorità 
assoluta di voti. 

Articolo 5. Le disposizioni della nuova costituzione, data di 
nostra piena e libera volontà , saranno tutte obligatorie egual- 
mente. Se qualche ombra si avvisasse di far tra esse qualche te- 
meraria distinzione, turbando così la publica sicurezza , sarebbe 
immediatamente cacciata dell’ isola, e condannata ad errare sulle 
rive dello Stige per quello spazio di tempo che si stabilirà dal- 
la legge. 

Articolo 6. Il nostro ministro della marina, Caronte, è in- 
caricato di provedere al trasporto delle ombre regali nell’ isola 
indicata, e di far bere a ciascuna di esse una nuova tazza del- 
l’ acqua di Lete. Quelle sole de’ principi, che hanno amato i lo- 
ro popoli (di cui Ascalafo nostro grande archivista dell’ impero 
ci presenterà il breve elenco) saranno dispensate da questa se- 
conda bevanda, che sarebbe inopportuna, poichè toglierebbe loro 
nella più dolce delle rimembranze gran parte della loro felicità. 


Firmato PruTOoNE 
Sottoscritto MinossE 


Questo proclama fu accolto con applauso generale. Il volgo 
dei re non aspirava che alla tranquillità: le regine , vedendo di 
non essere escluse dalla presidenza, furono contentissime, speran- 
do di ottenere colla seduzione gran numero di suffragi: i conqui- 
statori veramente non erano molto sodisfatti, ma si consolarono 
pensando alla poca stabilità de’ governi popolari, alla facilità di 
assoggettarsi la moltitadine lusingandone le passioni, e alla pro- 
pria esperienza nell’ arte di opprimere la publica libertà. 

Preparato quanto occorreva per l’ emigrazione , Mercurio, 
col suo caduceo in mano, ripartì le ombre in tre schiere. La de- 
stra, composta di eroi e di conquistatori, formava una sola linea, 
non volendo alcun d’ essi lasciarsi precedere da un altro, A man- 
ca erano { buoni re cinti d’ un’ aureola risplendente , e fra essi 
distinguevansi Luigi VI, Luigi IX, Carlo V, Luigi XII , Enrico 
IV, Luigi XVI, Giuseppe II , Leopoldo I, e pochi altri, lie- 
tissimi di trovarsi insieme riuniti. Nel centro si trovavano tutti 

T. XVI. Ottobre 2 


18 


i principi obliati ed oscuri; tutti quelli che avevano servito di 
stromento ad una fazione od obbedito da schiavi a cortigiani e 
cortigiane insolenti; tutti quelli la cui esistenza non è storica- 
mente provata; e li guidava quel buon regolo d’ Ivetot , la cui 
ombra poco maestosa somigliava un poco a quella di Sancio 
Pancia . 

Un’immensa moltitudine d’ abitanti degli Elisi, ai cui occhi 
mai non si offerse nulla di più magnifico e di più solenne, era 
accorsa per vederli passare. Ogni volta che presentavasi l’ ombra 
d’ un monarca , rinomato per la sua giustizia , la sua clemenza, 
il suo amor della pace, il suo orrore della tirranide; l’ arpe dei 
bardi, le lire dei poeti, facevano risuonare ai loro orecchi suoni 
divini ; nembi di fiori si spargevano sotto i loro piedi; inni di 
benedizioni s’ alzavano d’ ogni parte. Ma all’ aspetto de’ re, che 
fecero spargere flatti di sangue , e la cui ambizione desolò la 
terra , si faceva d’ improvviso un cupo silenzio; nessuna voce, 
nemmeno quella de’ lor poeti laureati, si alzava a consolarli di 
un meschino applauso, chè ciò era vietato da Minosse, il giudi- 
ce tremendo de’ trapassati . 

Le regine procedevano con fronte corrucciata , e gettavano 
di tempo in tempo sulla folla uno sguardo d’ alterezza o di sde- 
gno. A un tratto Elisabetta abbassò gli occhi e rabbrividì alla 
vista dell’ ombra di Essex che si trovava fra gli spettatori. Se- 
miramide e Caterina si tenevano per mano, come se una per- 
fetta conformità di carattere avesse stretti fra loro i legami del- 
l'amicizia. Giovanna di Napoli e Maria Stuarda andavano sole, 
immerse in una profonda melanconia. 

Le barche pel trasporto della regia colonia erano preste. 
Caronte, che n’ era il pilota, dava a bere a ciascun’ ombra, pri- 
ma dell’imbarco , una coppa d’acqua di Lete; e, poichè questo 
era |’ ordine espresso del Destino , nessuna la ricusava. Come 
tutte le ombre furono tragittate all’ isola degli Asfodilli, si os- 
servò in esse un mirabile cangiamento. Poichè tutte, ormai di- 
mentiche delle loro terrene passioni , purgate d' ogni orgoglio 
e d’ogni gelosia, cominciarono a trattenersi a vicenda con lea- 
lissima amicizia. Allora Mercurio, adunatele nel foro, ordinò loro 
di procedere all’ elezione del presidente della lor nuova repu- 
blica. 

Qui rinacquero veramente alcune gare; ma piuttosto nazio- 
nali che individuali. Perocchè i re asiatici proponevano Ciro ; i 
greci Alessandro; i romani eran indecisi fra Nama, Mareo Aurelio 
e Giuliano il filosofo; gli alemanpi presentavano Federigo di 


| 19 
Prussia e Giuseppe d’ Austria; gli svedesi Gustavo Adolfo; i po- 
lacchi Sobieski; i russi Pietro primo; i turchi Solimano il ma- 
gnifico; gli italiani Teodorico; gli spagnuoli Carlo quinto; e i fran- 
cesi Enrico quarto. Vari oratori di non volgare eloquenza si 
erano già fatti sentire dalla ringhiera, quando Napoleone Bona- 
parte chiese la parola. (Curiosità e profondo silenzio ) 

Cittadini, egli disse, non vi faccia sorpresa se appena giun- 
to fra voi salgo alla ringhiera della vostra assemblea. Avvezzo 
a parlare ai re conosco più d’ogni altro il modo di persuaderli; 

‘-@ posso dire senza orgoglio che più volte ne ho fatto uso sulla 
terra con ottimo successo . ( Mormorio a destra.) Conosco pure 
come si acquietino le rivoluzioni, e si guariscano i popoli dall’anar- 
chia: però i miei consigli non sono da rifiutarsi. Voi avete una- 
nimemente risoluto di costituirvi in republica, e siete divisi in- 
torno alla scelta d’un presidente. Questa divisione , di cui è dif- 
ficile assegnare il termine, potrebbe avere effetti spiacevoli. A 
ciò si aggiunga ( e quest’osservazione ben debb’ essermi per- 
messa ) che, avendo noi tutti esercitato il potere assoluto, sia- 
mo per abitudine mal disposti a quella sommissione alle leg- 
gi, che il capo d’una republica deve riguardare come il suo 
primo dovere. Voi confesserete meco che, a ben dirigere una 
nascente republica, è d’ uopo d’un magistrato amico dell’ egua- 
glianza e della libertà , puro d’ogni ambizione, persuaso che il 
supremo potere non è un godimento ma un peso, ma un sagri- 
ficio della propria indipendenza all’ utile comune. Troppo tardo 
ho conosciuto queste verità; e se avessi a cert’epoca pensato 
com’ oggi penso , istruito dalle mie sciagure, e purgato d’ogni 
passione per l’acqua una seconda volta bevuta del fiume dell’oblio, 
sarei stato più che un conquistatore ; il salice di S. Elena non in- 
curverebbe le sue frondi ospitali sull’agreste mia tomba; le mie 
ceneri esiliate riposerebbero in seno della patria. ( iva appro- 
vazione a sinistra.) 

33 Pur io aveva un modello innanzi agli occhi: ( raddop- 
piamento d’ attenzione ): questo modello voi tutti lo conosce- 
te: la sua gloria brillerà in tutti i secoli d’ una luce purissima : 
appena fa d’uopo ch'io ve lo nomini: esso è il gran Washing- 
ton, fondatore dell’americana libertà. Un istante fui tentato dî 
seguire le sue tracce; e feci pronunciare il suo elogio da uno 
de’ miei oratori più eloquenti. Ma una falsa politica; 1’ amore 
smoderato delle conquiste; l'abitudine della guerra; le parole 
dell’ adulazione; i perfidi consigli di chi dovea un giorno tradir- 
mi, traviarono il mio giudizio. In luogo d'essere il primo citta_ 


20 
dino d’una nazione libera, volli fondare una dinastia, volli domi- 
nare i re; e la mia punizione è stata severa. ( Mormorio gene 
rale d’ approvazione. ) ] 

,3 Udite ciò ch'io sono per proporvi, da null'altro mosso 
che dall’interesse generale, e dal desiderio di veder cessare fra 
voi ogni divisione. Ciascuno oblii le sue personali pretese; tutti 
sì riuniscano per offerire a Wasinghton la presidenza della nostra 
republica. Noi profitteremo della sua esperienza; seguiremo i 
suoi consigli; ci studieremo d’imitare le sue virtù; e forse ci 
renderemo degni di potergli un giorno succedere, ,, ( Applauso 
generale . ) 

»» Questa proposta inaspettata, che imponeva silenzio a tutte 
le rivalità, eccitò un entusiasmo, di cui mai negli Elisi non si 
provò il somigliante. Napoleone, scendendo dalla ringhiera, rice- 
vette da tutti le più sincere congratulazioni. Mercurio , vedendo 
i loro animi così concordi, in virtù de’ suoi pieni poteri, dichia- 
rò che si recava all'istante al quartiere de’ cittadini per annun- 
ciare il risultato della deliberazione della nuova repubblica . 
Ei ricomparve bentosto seguito da Wasinghton, la cui mode- 
stia fa a prima giunta intimorita dalle parole del divino mes- 
saggiero, ma poi si arrese al volere immutabile del destino. 

Vive ed unanimi acclamazioni si alzarono all’ aspetto del 
venerabile patriota americano; le regie ombre s’inchinarono di- 
nanzi a lui; e Mercurio stesso lo ripose nel seggio, d’onde 
doveva presiedere alla loro repubblica. ,, 

Ora, lettor mio, se vi divertite a far confronti, as- 
segnate al nostro nuovo dialogista de’ morti il posto che 
vi piace tra Luciano e Fontenelle, o tra Wieland e Fé- 
nélon. Se avete lette le memorie di Las Cases, già non 
troverete fuori delle regole della verosimiglianza la 
proposta fatta negli Elisi da chi andò sulla terra tanto 
fuori della strada di Washington. Abilissimo a trovar scu- 
se per tutto quello , di cui la coscienza gli rimordea, si 
vede da quelle memorie com’ era imbarazzato a scusarsi 
di questa deviazione. Egli sentiva intimamente di aver 
sacrificato per essa la più bella parte della sua gloria. 

Il dialogista non dispera di ricever muovi ragguagli 
dal mondo invisibile, o ideale, con cui vorrebbe stabilire, 


se gli riesce, una corrispondenza regolare. Io non so, let- 


21 
tor mio caro, se voi troviate una simile corrispondenza 
molto importante. « Ma è sempre un gran guadagno, egli 
dice (ed io sono perfettamente del suo parere ) il distrar- 
re l’anima e il pensiero dal mondo reale ». 


M. 


. 


t—T—T———_—__—__—_—_—_—_—_____————_——————@—7@@————— | 


Della vita di Antonio Canora, libri quattro compilati da MEL- 

cHior Missirini — Prato 1824. un vol. in 8. 

La mattina del primo settembre io tornava con alcuni rag- 
guardevoli amici da una visita fatta ai due egregi dipintori, che 
adornano di nuove meraviglie il real palazzo di Pitti, e a quello, 
che ormai ha convertita in vero paradiso la volta dell’ elegante 
cappella del vicin Poggio imperiale. Dell’ uno lodavasi principal 
mente la grazia e la verità, dell’ altro la vivezza e la forza, del 
terzo la saggezza e l’ elevato sentimento. Quindi paragonavasi la 
presente condizione dell’arte loro, che tanto lor deve, con quella 
dell’ altre arti sorelle, € della scultura particolarmente. Nè, ra- 
gionandosi di questa , era possibile non rinnovare le nostre do- 
glianze per la perdita da noi fatta, or già sono due anni, di chi 
ne fu tra’ moderni lume principalissimo, e appena comparve nel 
mondo colle opere giovanili del suo scarpello fu chiamato un an- 
tico. E un antico, disse l’ uno degli amici che molto avea con 
lui conversato, ben' potea chiamarsi per l’ integrità dell'anima e 
la semplicità de’ costumi, senza di cui forse l’opere del suo scar- 
pello non avrebbero avuto sì gran bellezza e perfezione . Ed io 
spero, proseguì, che il Missirini, da cui ne è stata recentemente 
descritta la vita, avrà voluto porre in chiara luce il mirabile ac- 
cordo delle sue morali qualità, e delle doti del suo ingegno, ch” e- 
gli potè contemplare sì a lungo e sì da vicino. Ciò infatti si pro- 
pose il biografo, soggiunse altro degli amici che avea letto quel- 
la vita; ed ove qualche cosa lasci a desiderare, a voi tocca it 
supplirvi. Egli dice modestamente che non avrebbe preso la 
penna, se voi uno de’ primi restauratori del nostro culto ser- 
mone (uso le sue frasi) aveste adempito per la gloria del vo- 
stro Canova, che tanto amaste, quello che da gran tempo avevate 
incominciato, e a cui vi sospingevano gli inviti e i voti di tutti 
gli animi generosi della nazione. 

A queste parole, che da qualche motto dell'amico a cui sì 


22 

dirigevano parmi di non dover credere pronunciate invano, la 
compagnia si divise; ed io mi ridussi con chi le pronunciò ad 
un suo picciolo giardino , divenuto in questa bella stagione la 
stanza de’ suoi studii geniali, onde veder la vita, di cui si fa- 
vella. Se non che, entrati che vi fummo, e seduti all’ ombra 
d’un vago pergolato intorno ad un deschetto marmoreo, su cui 
quella vita posava fra varii altri libri, un giovane ch'era con 
noi : non potreste gli disse, trarre dalla vostra memoria quello 
che più vi lasciò impresso la vostra lettura , e col dolce della 
vostra narrazione accrescere per noi il piacere di questa de- 
liziosa mattina ? L’ amico non fu tardo a secondare un deside- 
rio che si manifestò comune a quanti eravamo presenti, e parlò 
presso a poco del modo ch’ io riferirò. 

Debb’ io, fedele compendiatore, cominciare dai primi istanti 
della vita del nostro sommo artefice? L’ accidente d’ alcuni a- 
morosì ragionamenti descritti dal Bembo facea rinomata in Ita- 
lia ana picciola città della provincia trivigiana ond’ egli li in- 
titolò. La nascita del Canova, che fu comé sapete il primo 
novembre del 1757, ha reso famoso in tutto il mondo ilpiccio- 
lo Possagno nel distretto di quella città. Di quattrg anni il 
bambino rimasto orfano del padre, ch’ era un giovane melto buono 
e molto abile nella sua arte dello scarpellino (arte si può dire 
a lui domestica ) fa lasciato alle cure del nonno, che di scar- 
pellino s’ era voluto fare mercante e avea mandato a male quanto 
possedeva . Ciò forse lo rendea più aspro che naturalmente non 
sarebbe stato; e il povero bambino, di tempra delicatissima, ne 
venne in tanta malinconia, che una volta fa per gettarsi d’un 
balcone , se il vecchio nol tratteneva. Comincia presto , come 
vedete, a sertirsi infelice chi è più particolarmente privilegiato 
dalla natura : la bontà e la gloria non sono concedute all’ uo- 
mo che a prezzo di dolori. Appena in stato di reggere lo scal- 
pello ed il maglio il nostro Canova fu posto a lavorare la pie- 
tra; se non che, riflette il Missirini, quella che parve asprezza 
fu sua fortuna, poichè per essa contrasse una facilità di taglia- 
re e ridurre i marmi a piacer suo, che riascì maravigliosa. 
Giunto a quattordic’ anni tu dal nonno presentato al senatore 
Falier amantissimo delle arti, che villeggiava in vicinanza. In- 
vaghitosi questi dell’ ingegno e della modestia del giovinetto, di 
cui tutti i possagnesi altronde diceano un gran bene, pensò di 
raccomandarlo allo scultore Torretti, ch’ era venuto a stabilirsi 
in un villaggio di que’ contorni detto Pagnano Qui i begli occhi 
d'una leggiadra forosetta portarono i primi strali amorosi nel tene-. 


23 
ro cuore del nostro Fidia sorgente, che negli ultimi anni del vi- 
wer suo ancor ricordava i dolci tremiti allora provati. Care me- 
morie d’ un primo amore innocente! E tale fu quello dell’ ot- 
timo giovinetto, che aveva il cuore d’una vergine e ricevea dal 
Torretti i migliori avviamenti alla virtù. Allorchè questi si 
restituì) a Venezia ond’era venuto, lo seguì egli in quella capitale 
ove fu lieto di trovare sufficente opportunità di buoni studii 
per l’arte sua. Il ‘Torretti gli dava qualche agio di approfit- 
tarne; ma come, indi ad un anno, fu morto; il suo nipote Fer- 
rari, con cui il Canova si acconciò per tenuissima mercede, lo 
ridusse a condizione affatto servile. Però il giovinetto se ne 
dolse coll’ avo, che, sentendo le meraviglie de’ suoi progressi, 
vendè il-solo poderetto che gli rimaneva, onde aiutarlo col po- 
co che ne ritraesse. Questo infatti diè mezzo al nipote di po- 
tere per qualche tempo (presi nuovi accordi col maestro ) de- 
dicare metà delle sue giornate agli studii del disegno , e del 
modellare sul vivo. Il Falier, intanto, che mai nol perdeva 
d’ occhio, gli commise per primo lavoro quei due canestri di fiori 
e di frutta che si veggono sulle scale del palazzo Farsetti in 
Venezia ; e rimastone contentissimo gli allogò poi l’ Orfeo e |’ Eu- 
ridice, che stanno nella sua villa dei Pradazzi (quella stessa di 
cui si è parlato ) e furono il cominciamento della fortuna del- 
l'artefice, e della riforma dell’ arte sua. Mal pago degli esem- 
pi de’ contemporanei, e sprovveduto di migliori, egli credette 
di non poter fare più saviamente (la bontà del suo intelletto 
e l’ ingenuità del suo cuore glielo eonsigliavano del pari) che 
proporsi l’ imitazione della schietta natura. Quindi ridottosi alla 
nativa campagna , e trovati un giovinetto ed una fanciulla di 
graziosissime forme quali convenivano al suo intento, si diede 
a modellare sopra loro le due statue, Al qual proposito il Mis- 
sirini ci narra come posto fra il bisogno dell’ arte e la natural 
verecondia, onde salvar questa dalla seduzione, scrisse sulla base 
della creta destinata per |’ Euridice un ricordo di morte; il 
che non è possibile leggere senza un sentimento di venerazione. 
Frattanto egli veniva spesso pedestre a Venezia onde seguitare 
i suoi studi all’ accademia; e pedestre se ne tornava . Finchè 
compiuti i modelli, che molto piacquero al Falier, li recò seco 
alla capitale, ove in un piccolo studio, aperto ne’ chiostri di S. 
Stefano | quello del Ferrari gli era venuto a noia così per la 
servitù a cui lo assoggettava come per la nuova licenza di co- 
stumi che vi si era introdotta ) si diede a lavorarle in pietra 
dolce, ivi appellata costosa vicentina. Il nuovo stile di queste 


24 
statue, Ja grazia , l’ affetto che spiravano destarono la comune 
ammirazione . Il nobil uomo Querini volle da lui subito un 
busto del doge Renier, e il senator Grimani una replica del- 
l’ Orfeo in marmo di Carrara; e questo secondo Orfeo , meglio 
eseguito del primo, piacque tanto al procuratore Morosini, che 
gli diede l’ onore della publica esposizione nell’ accademia , ove 
per riguardo al soggetto che rappresentava fu festeggiato con 
musica del Bertoni. Allora tutti cominciarono a desiderare qual- 
che cosa del Canova. La marchesa Spinola, pei conforti del 
Memmo, gli ordinò un Esculapio che rappresentasse in volto 
il senator Valleresso. Doveva quest’ Esculapio essere collocato 
nel prà della Valle in Padova, ma nol fu; di che l' autore si 
consolava , essendogli mal riescito nelle pieghe de’ vestimenti, 
per mancanza di antiche norme; e fu dolente quando sentì che 
l'avvocato Cramer ne avea fatto l’ acquisto, poichè 1’ avrebbe 
volentieri ridotto in pezzi. Il procurator Rezzonico gli affidò 
ad un tempo sei altre statue, per eseguir le quali il Canova 
trasferì lo studio in più comodo luogo, presso S. Maurizio su 
canal grande. Ma come n° ebbe abbozzate due, l’ Apollo cioè e 
la Dafne, il Rezzonico mancò di vita, e la commissione gli fu 
tolta. Il Falier, per compensarnelo, gliene fece dare una nuova 
dal procuratore Pisani, che bramò i modelli di due gruppi, 
fra’ quali poi sceglierebbe. Presentatigli quindi il Dedalo e l’ f- 
caro, e la morte di Pocri, si attenne al primo, ch’ era più caro 
anche all’ autore. Questi, non conoscendosi allora in Venezia la. 
facil via del retieolamento, e dovendo valersi della sola misura 
dell’ occhio , siccome pur dicesi che facesse talvolta il Bonar- 
roti, sostenne gravi difficoltà nell’ eseguirlo in marmo. Pure vi 
riuscì sì bene, che se ne alzò un tal grido, (avuto riguardo 
specialmente ai pochi anni dell’ artefice) che non poteva il mag- 
giore. Del quale applauso, in tanta perversità di gusto qual do- 
minava allora generalmente nella scultura , il Missirini trova ra- 
gione in quel correttivo che avevano i veneti nelle opere insi- 
gni della loro scuola pittorica, piena di facilità, di naturalezza, di 
semplicità. Queste doti, che giovarono ai giudici del Canova, gio- 
varono probabilmente al Canova medesimo , il quale mi figuro 
avrà detto a sè stesso: perchè non si potrebbe scolpire come Ti- 
ziano e i migliori della sua scuola hanvo dipinto? 

Dopo il Dedalo e l’ Icaro, resistendo ad infinite richieste, e- 
gli non accettò di fare che la statua del Poleni, per compiacere 
al Venier, Ma, modellandola, si accorse d’ aver l'animo distratto 
pa un desiderio che in lui prendeva ogni giorno più vigore , di 


25 


recarsi cioè a visitar la sede deli’ arti belle, e a studiar l’ opere 
degli antichi, di cui udiva meraviglie. Aveva allora ventidue an-. 
ni; era stato eletto socio e professore della veneta accademia, 
ma il piacere di brillarvi, insegnando agli altri, fu da lui pospo- 
sto a quello di perfezionarsi, facendosi discepolo di quelli a cui 
poi doveva essere uguagliato . Il Falier, vedendolo risoluto , io 
raccamandò al cavaliere Zulian che andava a Roma ambasciato- 
re, e da cui gli fu data speranza di una provisione publica per 
quattro anni, a patto che in quel tempo non facesse che copie 
dall’ antico, da mandarsi a Venezia. Il giovane rispose mode- 
stamente, che nè acconsentirebbe che fosse fatta per lui veruna 
spesa , nè potrebbe obbligarsi a fatica del tutto materiale, che 
non tanto giova a chi voglia formare il gusto, quanto nuoce a 
chi brami esercitare le forze dell’ ingegno . La risposta parve 
superba all’ ambasciatore, che /precedendolo nella sua andata, e 
parlando di lui con molta freddezza a quelli che lo interroga- 
vano, mai non avrebbe fatto presagire che diverrebbe il suo 
più caldo fautore. Come il Canova fu in Roma ( nell’ ottobre 
del 1779) e si diede a contemplare i prodigi dell’ antica scul- 
tura , per cui era venuto , si senti trarre fuor di sè stesso pel 
piacere e l’ ammirazione. Passava le ore e le ore dinanzi all’ A- 
pollo, al Laocoonte, al Torso; visitava ogni mattina sull’ albeg- 
giare i colossi del Quirinale, misurandoli, disegnandoli, meditan- 
doli, e diceva di rabbrividire ogni volta che li vedeva. Il cava- 
liere Zulian, mosso dall’ ardore del suo studio , e dalla dolcezza 
delle sue maniere cominciò ad affezionarsegli, e gli consigliò, per 
giustificare le lodi con cui parlava di lui, di far venire il 
gesso del suo ultimo lavoro, il gruppo cioè del Dedalo e Icaro, 
che si trovò giunto a Roma da Venezia, quando il giovane scul- 
tore vi tornò da Pompeia ed Ercolano. Il Lanzi scrisse , come 
ricorda il Missirini, che la scuola romana, per la presenza de’ su- 
perbi monumenti dell’ antichità, non avea mai nelle belle arti per- 
duto interamente il buon senso. Ma il fatto è che se la pittura, 
în grazia specialmente del Mengs, che faceva cose degne dei mae- 
stri passati; e del Volpato, che moltiplicava coll’ incisione gli 
\esempi delle loro opere, andava risorgendo; la scultura era in i- 
stato assai più basso che non l’avesse lasciata il Bernini. A_man- 
tenerla nel quale contribuivano gli stessi intelligenti , che non 
volevano se non opere greche e romane (il solo Pio VI avea com- 
perato ben due mila statue antiche ); e non incoraggiavano punto 
gli artisti a farsi migliori. Questi dunque, e per cattive abitudini 
e per amor proprio, dovevano essere poco disposti a riconoscere 


26 


il inerito del lavoro di un giovane che useiva affatto dalle loro 
vie, poichè essi tendevano al licenzioso e al manierato, egli al cor- 
retto e al naturale . Radunati infatti in casa dell’ ambasciador 
veneto per giudicarne , si guardavano in volto , ed esitavano a 
proferir sentenza. Ma un pittore, che si trovava nell’ adunanza; 
prese la parola per loro, lodò grandemente il gruppo che avea 
dinanzi, e aggiunse che l’autor suo prometteva grande eccel- 
lenza nell’ arte, ove alla sua naturalezza avesse aggiunto quella 
sceltezza che viene dallo studio dell’ antichità. Chi tenne questo 
linguaggio fu lo scozzese Amilton molto stimato dall’ ambascia- 
tore, e che in molti colloqui che poi ebbe col Canova lo con- 
fermò nel suo buon proponimento, recandogli esempi di Niccola 
Pisano, di Iacopo della Quercia, di Lorenzo Ghiberti; e si mo- 
strò poi sempre sì tenero de’ suoi progressi, aiutandolo col suo 
ottimo giudizio e il suo vasto sapere, ch’ei l’ ebbe in luogo di 
padre, L’ ambasciadore, da lui consigliato , avrebbe voluto che 
il giovane si trattenesse ov’ era, per fare qualche nuova opera 
corrispondente alla nuova istruzione che avea ricevuta; ma questi 
volle prima tornar a Venezia, onde finire la statua del Poleni, 
ch’ ora è nel prà della Valle di Padova. Restituitosi a Roma (e 
l’impazienza forse d’ essere al più presto in questo campo, ove 
sì era aperta novissima carriera al suo ingegno, gli fece preci- 
pitare il compimento della povera statua ) si dispose a quel la- 
voro, dice il Missirini, che dovea stabilir per sempre la sua gloria 
e ridestare quella di tutte le arti imitative. 

Già prima di partir da Roma egli avea con una statuetta 
(l’Apollo che s’ incorona ) che or trovasi in Francia presso il ba- 
rone Daru , provato alcun poco e quasi in segreto le sue forze 
nel nuovo genere di scultura che si proponeva; ma non soddi- 
sfece a sè stesso. Il gruppo, a cui ora si accinse, del Teseo se- 
dente sul Minotauro dovea rivelare al mondo e a lui stesso ciò 
che possa l’arte, procedendo fra la natura e gli antichi verso 
un genere di bello,che l’idea si propone e che invano l’ oc- 
chio ricerca fra quello che esiste. Mentr’ egli, lottando colle in- 
finite difficoltà che le pratiche e le opinioni de' tempi oppo- 
nevano al suo assunto, faticava a sì nuova opera, gli venne 
(questo fa sulla fine del 1781) dalla sua republica onoratissi- 
ma provisione per tre anni, accompagnata di molto lusinghevoli 
espressioni . Quest’ incoraggimento, procuratogli specialmente dal- 
la benevolenza dell’ ambasciadore, non fu inutile pel suo lavoro, 
che a capo appunto di quei tre anni (cioè nel 1785) si trovò 
compito, e venne esposto alla publica osservazione. Per quanto 


#7 
io possa ricordarmi del disegno, che ne ho veduto del nostro 
Morghen, e della descrizione che ne fa il Missirini, sento di 
non dover trattenermi a ragivnarne . Così bisognerà che mi ac- 
contenti di accennare di mano in mano gli altri lavori, che ci 
saranno forse qualch’ altra volta soggetto di piacevole discorso. 
Vi basti frattanto, che il Teseo cominciò una nuova epoca per 
la scultura; e lo videro non meno gli uomini di gusto, che i 
manieristi, che allora avean nome di statuari: i primi alzando- 
ne voci di gioia ; gli altri d’ invidia. Come queste furono un 
poco acquietate, prevalendo le altre ; e il Teseo, offerto prima 
all’ ambasciadore dalla gratitudine dell’ artefice, fu mandato a 
Vienna al conte di Fries che lo acquistò; nacque per l’ artista 
medesimo bellissima occasione di vie più mostrarsi quel ch’ e- 
gli era. L’ amicizia di Amilton gli avea procurata quella del 
Volpato, con cui il primo vivea, dice il Missirini, come il Ci- 
mabue col Gaddi, tanto erano fra loro conformi le idee e la 
boutà. Famigliare del Volpato era certo Giorgi che gli mani- 
festò il pensiero di erigere nella chiesa de’ Ss. apostoli un mo- 
numento al papa Ganganelli in riconoscenza de’ benefici che ne 
aveva ricevuti; e Volpato pensò subito di affidarlo al Canova. 
Questi era promesso sposo ad una sua figlia bellissima, che poi 
nol volle (sa Dio perchè?) e si maritò col Morghen. Ma Vol- 
pato, che non pensava a render servigio al futuro genero, ma 
a far fare una bella cosa a chi ‘solo era abile di farla, non 
per questo mutò intenzione. Il Canova, che avea per onestà 
rinunciato facilmente al matrimonio, ma non era guarito dall’ a- 
more, prese il pretesto della compera de’ marmi pel monumento, 
e fece un viaggetto di distrazione a Carrara ed a Genova, nè 
fu di ritorno a Roma che pel natale del 1784. Allora più tran- 
quillo si diede a modellare il suo monumento, e cominciò dalla 
statua colossale del pontefice. Prima di tradurla dalla creta 
nel gesso, pregò l’ Amilton di mostrarla al Battoni, che aveva 
allora infinita reputazione, onde sentirne il suo parere. Questi 
venne. e sentenziò che il giovane artista era nella cattiva stra- 
da; e il giovine artista, a cui pareva d’ essere nella buona, se 
ne afflisse grandemente. Ma tornò l’ Amilton, che aveva altro 
senno di quel del suo collega, e lo confortò; e il mm onumento, 
che fu presto finito di modellare, fu anche presto scolpito; e 
quando nel 1787 venne scoperto fece gridare al prodigio. I cat- 
tivi scultori, cioè a dire tutti gli scultori del tempo, ne ar- 
rabbiarono più che mai; gli architetti questa volta (poichè il 
monumento univa un’ insolita architettura ad una nuova scul- 


28 


ura ) sì collegarono con loro a dire improperi è a far pasqui- 
nate. Ma invano. Milizia (di cui il Missirini cita la nota let- 
tera al Sangiovanni e un’ altra inedita e poco nota al Zulian) ba- 
stava contro tutti loro; e il publico illuminato, di cui egli era 
alla testa, proclamava il giovane Canova principe della vera arte 
statuaria. 

Fin da quando egli espose agli sguardi del publico il Teseo 
sul Minotauro, venne in pensiero al senator Rezzonico di far- 
gli erigere un monumento nella basilica vaticana a suo zio il 
pontefice Clemente XIII; e, gliene fece motto. Or, come vide 
questo del Ganganelli, fa impazientissimo di dar effetto a quel 
suo pensiero. Canova, che voleva superare sè stesso, e dare dal 
maggior tempio del mondo il maggiore esempio dell’arte per 
lui risorta, sudò e ghiacciò lungo tempo nell’ opera, combat- 
tuto fra l’ ardire e il timore. Alfine, dopo quasi otto anni di 
fatica ( piccola cosa peraltro se si guardi alla grandezza dell’ o- 
pera stessa ) la scoprì nel mercoledì santo del 1795 al lume della 
gran croce che in que’ giorni splende nel mezzo della basilica; 
e l’effetto che produsse nella moltitudine fu maraviglioso. Egli 
stesso , in abito di abate, si aggirava fra questa, onde racco- 
glierne i votì, non gonfiandosi per lodi, non scoraggiandosi per 
censure , se pur dai malevoli ardiva ancora farsene alcuna ad 
alta voce. L’affetto publico cresceva per lui colla publica am- 
mirazione ; la fama dell’ opere sue già andava fuori d’ Italia; e 
mentre qui Morghen le incideva , Gio. Gherardo de’ Rossi le 
descriveva, Cunick e Pindemonte le cantava, Quatremère de 
Quincy gliene mandava di Francia sincerissime congratulazioni. 
Io vi ho parlato dell’ opere maggiori, e voi Bu Rdiidofe di quel - 
la mole e di quella perfezione che sa ormai tutto il mondo, 
v'imaginerete che mentre le lavorava non si occupasse d' altre, 
Pure (tanta era la sua instancabilità e la potenza del suo in- 
gegno) che le opere minori eseguite contemporaneamente vi sem- 
breranno esse sole oltrepassare la forza di qualunque altro ar- 
tista. Accanto infatti alle statue de’ due pontefici , e fra quelle 
della Temperanza e della Mansuetudine che adornano il monu- 
mento dell’ uno, e il Genio e i leoni famosi che adornano quel- 
o dell’ altro, sorsero a mano a mano l’ Amorino rappresentante 
il principe Czartoriscky , l’ altro Amorino con testa ideale per 
lord Cadwor, il modello dell’ Adone inghirlandato da Venere, la 
Psiche fanciulla pel cavaliere Blundel, la seconda Psiche donata 
al Zulian, già visibile in casa Mangili a Venezia , ed ora nella 
corte di Monaco, per omaggio fittone da Napolecne alla regina di 


29 
Baviera; i due Amori pel la Touche irlandese e pel principe Au- 
sberg di Vienna; il gruppo d’ Amore e Psiche pel colonnello 
Campbell, ch’ or si trova a Compiegne, opere che gli meritarono 
universalmente il titolo di scultore delle grazie . Aggiugnete ad 
esse i modelli in creta di molti bassi rilievi: la morte di Pria- 
mo; Briseide consegnata agli araldi; il ritorno di Telemaco in I- 
taca ; Ecuba colle matrone troiane al tempio di Minerva; la dan- 
za de’ figli d’ Alcinoo ;; l’ apologia di Socrate davanti ai giudici; 
Socrate che beve la cicuta ; Socrate che congeda la famiglia; 
Critone che chiude gli occhi a Socrate ; i quali ultimi quattro 
sono i più elaborati ed erano i prediletti dell’ artefice. Or, mentre 
questi tanto operava, proseguiva i suoi studi sul vero, di cui ab- 
biamo una raccolta che può servire di scuola; illustrava i colossi 
del Quirinale, indovinando col suo intendimento ciò che poì do - 
veano mostrargli i marmi del Partenone; studiava le lingue, stu- 
diava le lettere; vero pascolo degli artisti, come egli pensava, si 
accendeva la fantasia cogli eroi d’ Omero , si sublimava |’ anima 
cogli uomini illustri di Plutarco , e specialmente con Focione, 
alla cui anima sentiva corrispondere la sua ; e non volendo la- 
sciar scorrere minuto, che non fosse profittevole al suo spirito, 
prese. l’ abitudine di farsi leggere mentr’ egli lavorava, qualche 
prosatore o qualche poeta; abitudine che mantenne fino all’estremo 
della vita. Tanta applicazione intanto fu per divenirgli fatale; e non 
uscì dalla pericolosa malattia, a cui soggiacque, che per la bontà 
della sua complessione e le cure di un amico e di un’ amica An- 
tonio d'Este e Luisa Giuli, nei quali collocò poi illimitata con- 
fidenza , di cui erano ben degni. Ristabilito in salute fece per 
necessario sollievo , scongiurandolo d'ogni parte gli amici, un 
viaggio a Venezia, ove ricevette dal senato, dagli artisti, da quan- 
te vi si trovavano persone distinte le più onorevoli accoglienze. 
In quell’ vccasione volle riveder la madre, che passata a seconde 
nozze abitava un villaggio detto Crespano, e stette alcuni giorni 
con lei, dandole e ricevendone testimonianze di grandissima te- 
nerezza. Ivi trovò pure maritata la Bettina Biagi, quella che già 
gli fece provare il primo sentimento d’ amore, e che il nonno 
non sarebbe stato alieno dal concedergli in isposa; e vedendola più 
bella e più contenta che mai, n’ ebbe grandisiima consolazione. 
Si avviò quindi con ansietà .al nativo Possagno , ove la. fama 
della sua venuta avea destato straordinario movimento. Però al- 
l’avvicinarsegli si vide incontrato da giulivi drappelli difigiovani 
e di fanciulle , a cui s unì indi a poco tutto il popolo che per 
sevtiere infiorato di lauro, di mortella e di rose, frà musiche e 


30 


canti e grida di gioia, al suono delle campane e allo scoppio 
de’ mortaletti, lo condusse in trionfo sino alla paterna sua casa, 
A lungo forse ei si sarebbe trattenuto in questa, arrossendo in- 
sieme e compiacendosi delle ingenue dimostrazioni d'amore dei 
suoi paesani, se l’ ardore dell’ arte nol richiamava a Roma. Qui 
ritornato fece per prima cosa, e prestissimamente , quel famo- 
so monumento dell’ Emo ch’ è nel arsenale di Venezia , e di 
cui fu pregato da’ capi della repubblica nel suo passaggio. Co- 
m° egli si astenne da qualunque domanda di prezzo , e mostrò 
desiderio che quello di cui si volesse rimeritarlo, fosse con- 
vertito in un periodico assegno , il senato gli decretò cento du- 
cati annui per tutta la vita, e gli fece coniare una medaglia 
d’oro del valore di cento zecchini, la qual porta nel diritto 
il monumento dell’ Emo e nel rovescio un’ iscrizione onorevolis- 
sima. Un’ altra medaglia , colla Psiche dall’ una parte e un’ i- 
scrizione dall’ altra, era già stata ordinata dèl Zulian (la cui ca- 
sa finchè fu ambasciatore in Roma era la casa dell’ artefice ); 
ma per la sua morte, avvenuta prima che la Psiche gli giunges- 
se in Venezia, la medaglia fu poi fatta battere da altri. Allora 
ebbe il Canova il dolore di quella morte; or n’ ebbe un altro 
non così grave al suo nobile animo , e nondimeno ‘abbastanza 
molesto Usava egli molto volentieri col conte Alessandro Ver-. 
ri (lo scrittore delle Notti Romane) a cui confidò d’ avere in 
serbo quattromila scudi, frutto de’ suoi sudori, Quegli il con- 
sigliò d’ impiegarli nell’ acquisto di un fondo; e il Canova ac- 
consentendovi si mise in mano di un tristo leguleio che con 
astuzie glieli rapì. La perdita non era indifferente; ma egli la 
sostenne con quella grandezza ch’ era degna ‘di lui. E poichè 
nessuno poteva involargli il suo vero tesoro, vale a dire il suo 
genio, si diede alacremente ad impiegarlo, e a cercare in esso il 
suo compenso. Già d’ ogni parte gli venivano richieste delle 
sue opere, La prima che eseguì fu il gruppo bellissimo ‘di Ve- 
nere e d’ Adone pel marchese Berio di Napoli, acquistato poi dal 
sig. Favre di Ginevra, e ritoccato dall’ autore prima che uscis- 
se d’ Italia. Questo gruppo ebbe per onorifico decreto del re l’ e- 
senzione dalla tassa d’ introito ; e fu festeggiato con musiche, 
con poesie e con ragionamenti accademici , | uno de’ quali per 
altro fa oggetto di tali censure, che abbreviò, dicesi, i giorni al 
suo autore , il conte della "Torre di Rezzonico . Mentre il Ca- 
nova lavorava al gruppo, modellò i due bassi rilievi, la Carità, 
e la Scuola dei fanciulli, che poi furono denominati le Opere 
della misericordia . E come non era interamente soddisfatto del 


3I 


gruppo d’ Amore e Psiche , di cui già si parlò, fece quell’ altro 
più.gentile e più puro, ch’ ora è a Compiegne col gruppo d’ A- 
more e Psiche giacenti ; e furono prima in una villa del gene- 
rale Murat. Se ne dissero in Francia e se ne scrissero gran 
cose , fra le quali vi fu pure qualche critica, per cui il sa- 
vio Canova non mostrò risentimento ma riconoscenza . Intanto 
ei modellò per suo studio, e secondo che gliene suggeriva l’ i- 
dea la lettura de’ classici, vari bassi rilievi: una Roma; una 
danza di Venere colle Grazie in presenza di Marte; una morte 
di Adone; la nascita di Bacco; un Socrate che difende Alci- 
biade nella battaglia di Potidea, alcuni de’ quali or si trova- 
no in Bassano nella villa Rezzonico, A questi si aggiungano due 
altri assai più diligenti ; una deposizione dalla croce che poi 
fa eseguita dal suo Antonio d’ Este pel cavaliere Widiman di Ve- 
nezia; e una Padova, che poi tradotta in marmo fu onorata con ver- 
si e con prose dall’ università degli studi della città in essa rappre- 
sentata. Ma la statua , che figura il grande artefice in atto di 
scolpire il busto del procuratore Capello, e che gli fu poco do- 
inalzata per publico decreto , contro i publici statuti, nel 
prà della Valle, dovette passare ogni sua speranza di applauso. 
Eravamo all'anno 1796; quando cominciarono per le vitto- 
rie dell’armi francesi le commozioni d’Italia. Mo nsignor Priuli 
avea commesso al Canova quella famosa Maddalena, ch’ ora è 
posseduta dal conte Sommariva; ma avendo poi segu ito Pio VI 
nel suo esiglio, la lasciò all’artefice, che la vendette ad un 
commissario della francese republica. Anche per questa furo- 
rono grandi gli applausi in Parigi, che pur aveva allora sì gran 
distrazioni. Il principe Eugenio fu poi vago d’averne una re- 
plica e l’ebbe; come l’ebbe l'imperatrice Giuseppina del se- 
condo gruppo d'Amore e Psiche, or posseduto dall’ imperatore 
delle Russie,. Unitamente alla Maddalena il Canova lavorò quell’Ebe 
carissima ch'è in casa del sig. Vivente Albrizzi a Venezia, e 
per cui Pindemonte compose un gentile sonetto, che il M issirin 
accompagna all’altro fatto per la Psiche: ciascun di noi facil- 
mente li sa a memoria. La bellezza di tale statua ne fece in 
seguito bramare diverse repliche dalla nobil donna Guarini, da 
milord Cadwor e dall’imperatrice Giuseppina. Questa terza re- 
plica diede luogo in Francia a forti dispute sull’ encausto o li- 
nimento usato dall’ artista per anticipare alle statue un favore- 
le colore d’ antichità; e fu chi pensò cl’ egli usasse il minio 
per alcune parti, che quasi comparivano rosee. Ma il fatto 
è, dice il Missirini, che avendo vissuto molt’anni col Canova 


32 


può essercene buon mallevadore, che il suo encausto. era un 
po’ d’acqua di rota; e il suo minio era la sua lima, che 
quasi trasformava il marmo in carne vera e viva. Il Canova 
aveva fatto, per compiacere al principe Poussoupoff, una re- 
plica del gruppo di Psiche, colta dal veleno del vaso di Per- 
senofe. Ora, per compiacere a lui e a sè stesso, gliene fece 
un’altra di quel suo Amore, lavorato ne’ primi anni e di cui 
non era contento. Questa volta egli diè forme ad un Amore 
vero; il quale, avendo le ali che prima non aveva, par pro- 
prio che sia per volare. Nel tempo stesso lavorò l’ Apolline, 
ch’è uno degli altri tesori posseduti dal conte Sommariva . 
Fin da quando il Canova operava intorno al monumento 
di Ganganelli, avendogli un giovine pittor veneziano, ch'ei si te- 
neva'in casa; parlato dell’ arte propria come di cosa d’ incredibile 
difficoltà, sentì desiderio di provarvisi. Quindi (e non prima, 
com’ altri suppose, attribuendo ciò alle esortazioni dell’Amilton ) 
cominciò a dipingere dal nudo un’accademia al chiaro di lu- 
cerna; indi si accinse ad un'altra, che rappresentava un En- 
diminione dormiente e la compì a lume di giorno. Questo 
primo tentativo piacque molto per l’agevolezza dell’ esecuzione , 
la quale, sembrando soverchia all’ autore, fu da lui abbandonata, 
ed indi ripresa per più matura riflessione, Frutto di questa fu 
una Venere giacente con una spera in mano ove si specchia, 
da lui lasciata per più anni in un angolo del suo studio ; fin- 
chè la polvere le ebbe dato sembianza di cosa vecchia. E per 
tale ei la mostrò al pittor Tofanelli e al senator Rezzonico, 
i quali l’ attribuirono alla scuola veneziana, dicendola, peral- 
tro, d'una correzion di disegno insolita a tale scuola. È quella 
Venere incisa dal Vitali, che porta l’appellativo di trasteve- 
rina. Canova allettato da questa prima pensò ad un’altra bef- 
fa ancor più sottile, di cui non mise a parte che l’amico 
Rezzonico. Aveva letto d’un ritratto di Giorgione dipinto da 
lui. medesimo, che trovavasi presso i Widiman in Venezia. 
Presto ei fa sopra una tela vecchia e già dipinta non so che 
di approssimativo a quel ritratto, traendolo dalle indicazioni dei 
biografi e da alcune stampe; e vede se gli riesce di farlo pas- 
sare per l’originale. Un giorno infatti ei convita la Kauffman, 
Gio. Gherardo de’ Rossi, con varj altri artisti ed amatori: ed 
alle frutte sel fa recare dinanzi incassato e sigillato , come giu- 
gnesse allora dalla regina dell'Adriatico. Ah il bel Giorgione! 
gridarono tutti al primo trarlo fuori. Un restauratore 8’ arri- 
schia a dire d'un ritocco infelice, che gli par di vedere nell’oc> 


33 
chio destro. Ma la Kauffman ne prende la difesa, e soggiun- 
ge: eccovi, signori, in questo quadro una gran prova che i 
sommi maestri della scuola veneta non solo colorivano mirabil- 
mente, ma ogni volta che ne avevano voglia dipiugevano an- 
che egregiamente. Il fatto ha testimonj viventi, i quali ancor 
si ricordano del gran ridere che ne fece il senator Rezzonico, a 
cui fa donato il quadro, e da cui fu legato al cav. de Ros- 
si che ancor lo possiede. Simile spasso si prese il Canova a 
Napoli per mezzo d’Antonio d’ Este con quel suo Ezzelino da 
Romano, che lasciò poi per testamento al cardinal Consalvi. Ol- 
tre queste pitture fece di que’ tempi il Canova un’altra Venere 
giacente più bella della prima, e una terza Venere sedente 
con Amore in braccio; e le tre Grazie; e una Carità; e una 
Giovinetta ch'esce dal letto, e si copre pudibonda co’ panni, 
e fu poi denominata la Sorpresa; e nna morte di Cefalo e Procri 
molto lodata dall’ austero Milizia. Molto pur si lodò il ritratto 
d’un Meo Carlucci, uomo del volgo, che molto avea colpita 
la fantasia dell’artista colla singolarità del suo aspetto. Più 
ancora fu lodato il ritratto ch’ei fece e replicò di sè stesso, 
inviandone per segno d’amicizia una copia originale al sena- 
tor Alessandri, clie l’ha posta nella sala de’ritratti della nostra 
accademia di cui è direttore. 

E mentre facea tante statue bellissime e non poche belle 
pitture, il nostro Canova faceva pure molte buone opere, che 
meritano egualmente d'essere conosciute. Erano, per la stra- 
niera invasione, sopravvenuti a Roma giorni ben calamitosi. 
Egli allora fu, per gli artisti specialmente, una seconda pro- 
videnza. Facea girare occulte polizze di banco a loro sollievo ; 
dava lavoro agli uni; comperava le opere degli altri; sorpren- 
deva gli ammalati nel sonno e lasciava loro non isperate con- 
solazioni pel risvegliamento; assisteva ogni sorta di bisognosi 
che avesse a lui ricorso; il che divenne pietosa abitudine di 
tutta la sua vita. Tanta eccellenza nell’ arte e tanta bontà do- 
veano farlo adorare dai vicini, e venerare dai lontani. Però 
Murat, raccomandandogli un pittor francese, gli scrisse parole 
le più lusinghevoli; vd altrettanto fece Bonaparte, quando 
sentì per caso che i suoi pagamenti della pensione vitalizia pel 
monumento dell’ Emo incontravano qualche difficoltà. Ma Ca- 
nova era troppo afflitto di quel che vedeva in Roma: e mal- 
grado le parole, di cui ho fatto cenno; malgrado le distinzioni 
che riceveva dai nuovi signori, niente adontati dal suo rifîà- 
to al giuramento eivile, risolse di tornare, conducendo  se- 

N. AVI, Ottobre 3 


34 


so d’ Este, la Giulj e suo marito (che componevano la sua 
famiglia, non avendo potuto rimaner seco una zia per motivi 
di salute ) al nativo Possagno, il che eseguì inoltrandosi il 
1798. 

Nella quiete di questo ritiro, ove potete immaginarvi se 
la sua presenza fu di conforto a tutti i suoi consanguinei da 
lui molto amati, riprese in mano i pennelli per figurare un 
Ercole furioso che uccide i propri figli, traendone l’idea da 
Euripide. Se non che presto lo abbandonò per accompagnare 
il Rezzonico in un viaggio di Germania, ove trovò accoglienze 
corrispondenti alla sua fama, Si trattenne alcun poco a Mo- 
naco, a Dresda, a Berlino, a Vienna da tutti accarezzato, e 
in quest’ultima capitale festeggiato dall’accademia, e onorato 
particolarmente dal duca di Saxe Teschen, che gli commise un 
monumento per la defunta sua sposa Maria Cristina d’Au- 
stria. In questo mezzo, essendo stati ceduti all'impero i do- 
mini veneziani, ei fece pratiche per l’assicurazione della sua 
pension vitalizia, di cui gli erano di nuovo sospesi i paga- 
menti; e trovò facili al suo desiderio il ministro Thugut e 
l’ imperadore, a condizione però che rimanesse per domicilio 
ove si trovava per diporto. Ma egli avea il cuore a Roma 
sua patria d’elezione, poi ch’è patria dell’arti belle, ove ap- 
pena si fossero aquietate le cose d’Italia intendeva di restituir- 
si. Pregò quindi d'essere sciolto dalla impostagli condizione; 
e dopo qualche anno d'incertezza , offerendosi a dirigere gra-. 
tuitamente gli alanni imperiali dell'accademia romana, ottenne 
il suo intento, e ne fa avvisato per lettera del conte di Co- 
bentzel. Era intanto ritornato e Possagno, ove lavorava inde- 
fessamente alla gran palla della Deposizione dalla croce, di 
cui fece dono alla chiesa, e che dopo vent’ anni ( non avendo 
nel frattempo quasi più toccato pennelli) riformò in varie 
parti e ridusse a quella perfezione, che gli avrebbe datof nome 
di gran pittore , se non avesse avuto quello di scultore mi ra- 
coloso. "Trovo nel catalogo cronologico delle sue opere stampato 
dal Cicognara, e aggiunto dal Missirini alla sua vita, come 
ultima fra le anteriori al 1800 il bassorilievo scolpito in marmo 
in onore del vescovo Giustiniani e collocato in Padova nel 
luogo, ove risiede la congregazione di carità . Fu esso lavora- 
to in Roma o qui in Possagno? 

L’ esaltazione intanto di Pio VII al trono pontificio pro- 
metteva a Roma giorni più tranquilli e alle arti nuovo favore. 
Canova, già preceduto dal suo d’Este (che prendeva cura dei 


30 
suoi affari domestici, e che tutto d’indi in poi si conseerò 
alle occorrenze del suo studio) non tardò a recarsi là ond’ era sì 
dolente di star lontano. Ivi il suo primo pensiero fu il monu- 
mento di Cristina, di cui trasse in parte l’idea da un altro 
già imaginato per Tiziano, e che ora si eseguisce in Venezia 
per lui. Indi concepì e lavorò .quel suo Ercole e Lica, in cui 
volle mostrare che lo scultor delle grazie era pure lo scultor 
della forza, e di cui egli medesimo intitolò la prima incisione 
all’ amico Cesarotti. Quando il duca di Bracciano , per cessione 
del Gaetani di Napoli a cui istanza era fatto, lo acquistò dallo 
scultore , dovette promettere al governo pontificio, che mai non 
avrebbe privato Roma di sì bell’ornamento. Fu scolpita una 
gran medaglia, che lo rappresenta nel rovescio. Gran pia- 
cere ebbe il Canova dal nuovo genere d’ammirazione che de- 
stò ivi il suo gruppo; e ad accrescerlo si aggiunse |’ inaspet- 
tata presenza della madre, rimasta vedova, e del fratello, che 
usciva dagli studi ecclesiastici, venuti in tempo di parteciparvi . 
Lieto della sua accresciuta famiglia egli allora penso ad allar- 
gare la propria abitazione, e dalla via de’ Greci si trasferì sulla 
piazza di Spagna ove poi sempre rimase. La madre ( donna 
d’antica innocenza e di seinplicissimo costume ) stette qualche 
anno con lui; indi, tratta da antico affetto a visitare la patria, 
poco dopo vi morì. Il fratello ( uomo dotto e di somma inte- 
grità ) si strinse a lui di tanta amicizia che più non potè ab- 
bandonarlo, e n’ebbe il premio più lusinghiero sentendo d'’ es- 
sergli divenuto necessario. Sotto gli occhi di queste care per- 
sone il buon Canova si diede a faticare più alacremente che mai. 
Aveva, fin dal tempo che lavorava il monumento di Ganga- 
nelli, formato l’ abbozzo di un Marte, che poi lasciò in abban- 
dono. Or pensò di farne un Perseo colla testa della Gorgone in 
mano, il quale fa già illustrato da. molti e prima di tutti dal 
nostro Rosini, ed è forse una delle sue opere più conosciute. 
Il Bossi, allora segretario dell’accademia di belle arti in Mila- 
no, fece che il governo cisalpino s’invogliasse di acquistarlo ; 
ma il pontificio, geloso di conservarlo, si oppose a tal desiderio. 
Cosa sostituire, dicevasi in Roma, alle insigni opere antiche di 
cui fummo spogliati, se non quelle di cui ci arricchisce il nostro 
Canova! Quindi il Perseo fu collocato nel museo vaticano rin- 
petto al gesso dell’A pollo di Belvedere sul piedistallo stesso (ri- 
pugoandovi invano la modestia dell’artefice ) da cui sorgeva 
l’Apollo di marmo. E quando questo, per la nota restituzione , 
che si deve principalmente all’ artefice medesimo, fu di ritorno 


36 


l'altro non fu tratto dal piedistallo che per accondiscendere alle 
vive sue istanze, come gli scriveva Consalvi, e posto nel luogo 
chefoccupava il gesso ch' io diceva. Dopo l’acquisto del Perseo 
il papa volle vedere Canova , a cui, rialzandolo mentre gli si in- 
chinava, pose di sua mano al petto l’ordine equestre dello speron 
d’oro. Indi il Consalvi, bramoso di ristorare il museo, propose 
al sovrano la compera di due Pugillatori intorno a cui l’ artefi- 
ce lavorava con cura speciale. Come questi ebbe compito il pri- 
mo ne mandò in dono un gesso all’ istituto di Francia, che in 
quell’occasione, credo, lo nominò suo socio. Il gesso espo- 
sto nel museo di Parigi ebbe gran lodi e censure proporzionate . 
Il Canova, dicendo che ringrazierebbe il cielo, se i difetti del 
suo lavoro fossero que’ soli che si notavano , pregò che l’ istituto 
ne pronunziasse un giudizio imparziale ; e questo giudizio , steso 
con somma dottrina dal Quatremère de Quincy , fu un magni- 
fico encomio e dell’opera e dell’artefice. Questi intanto avea 
compito anche il secondo panefaziaste, che passò col primo ad 
adornare il museo, ove la gente prendeva nel contemplarli ma- 
raviglia insieme e consolazione. Di lì ad alcuni giorni (il 10 
agosto 1805 ) il Canova si vede comparire una lettera del cardi- 
nale Doria procamerlingo , il qual gli siguifica averlo il papa, e 
per riguardo alla sua eccellenza nell’ arte, e per riguardo alla 
sua bontà, eletto ispettor generale delle belle arti in Roma e 
in tutto lo stato, colla provvisione annua di 400 scudi ; carica e 
provvisione che gli rimarrebbe finchè vivesse, ma che non pas- 
serebhe ad altri dopo di lui; perchè dopo un Canova era impos- 
sibile trovare un Canova. Pio VII, aggiungeva la lettera, ha 
voluto comportarsi verso il sommo artista de’ nostri giorni come 
Leon X verso il sommo artista de’ suoi, l’incomparabile Raf- 
faello. AI quale esempio, domestico per un pontefice , il bio- 
grafo contrappone quello di Pericle, che diede a Fidia ispezione 
suprema non solo sull’ arti belle, ma anche su tutte le altre, 
che così si imparentarono colle belle a gran decoro dell’ ateniese 
republica. Bisogna leggere la risposta del buon Canova, per farsi 
idea d’ una gratitudine , che giunge alla tenerezza. Ma, mentre 
ringrazia, supplica (e supplica sinceramente ) d’ essere sollevato 
da un onore che gli pesa. Non è ch'io ricusi fatiche , egli dice : 
come privato farò tutto quello che si vorrà: ma an’ autorità 
qualunque non sono assolutamente buono di esercitarla . Mi sono 
sempre astenuto d’andar dal papa, perchè non si credesse che 
vi andassi per secondi fini. Ora, che si saprà che non voglio 
niente , vi andrò spesso , e gli aprirò l'animo mio, ed egli maui- 


97 
festandomì il suo volere, mì troverà sempre disposto ad eseguir- 
lo. Intanto, per dar visibile contrassegno di ciò che sentiva pel 
suo generoso benefattore, si pose a scolpirne il ‘busto, onde 
fargliene dono. Ma il benefattore che non voleva tanto gio- 
vare a lui, come alle arti, volle assolutamente che il beneficio 
fosse accettato . Ed ecco il nostro Canova, divenuto ispettore, 
suggerire per prima cosa l’ampliazione del museo, 0 voglia 
dire la costruzione di quella parte che porta il nome di museo 
Chiaramonti, e che per sua cura fu poi empito di magnifiche 
sculture. Le prime ad entrarvi credo che fossero gli ottanta 
cippi e le tre urne, che si scoprirono allora nella villa Giusti- 
niani, e che il Canova acquistò per esso col proprio peculio . AI- 
tri buoni suggerimenti egli diede per la conservazione de’ monu- 
menti dell’arti, ma sempre avendo riguardo al bisogno degli 
artisti; diresse i famosi scavi ordinati fra l’ arco di Settimio Se- 
vero ed il Colosseo; propose che si traessero esatte copie de’ fre- 
schi di Raffaello nelle camere vaticane, ingegnandasi. intanto 
di soccorrerli contro nuovi oltraggi.del tempo, e. porse utili 
consigli per l’ ornamento della vaticana basilica , facendo ordinare 
a quest’ uopo, fra l’altre cose, la copia ad olio d'un celebre qua- 
dro ormai deperito del Ricciarelli volterrano ch’è alla Trinità 
de’ Monti, e nominando egli stesso ad eseguirla il cav. Camuc- 
cini. 

In mezzo a queste eure egli andava lavorando ad una statua 
colossale del re Ferdinando di Napoli, e ad una replica del 
Perseo , che eseguì con qualche variazione per la contessa Tar- 
nowshw di Polonia. Quando il ministro Cacault di Francia lo in- 
vitò a nome del primo console a recarsi a Parigi per eseguirvi 
alcune opere dell’arte sua. Egli innamorato di Roma, e timo- 
roso d’ uscire dalle sue tranquille abitudini, esitò lungo tempo: 
alfine, esortatovi dai più distinti amici, e dall’istesso pontefice, 
vi si decise. Ma qui non è bene che la mia narrazione si usur- 
pi il luogo di quella del biografo, e però vi sia a grado ch’io 
vi legga la sua. 

», Egli dunque partì per la Francia, e il ministro francese 
presentollo d’una carrozza di viaggio bellissima: il santo padre 
lo muvì di raccomandazioni al suo legato presso la republica fran- 
eese: Bonaparte gli inviò da Saint-Cloud amplissime credenziali; 
perchè senza esser ritardato dagli officiali della finanza, fra gli 
onori di tutte le autorità della republica, continuasse il viaggio a 
Parigi. 

», Eccolo adunque come di volo nella capitale della Francia, 


58 
accolto con ogni benignità dal cardinal legato pontificio, e da 
esso al ministro dell’interno raccomandato, il quale subito lo fe- 
ce al castello di Saint-Cloud accompagnare. 

s» Quivi dal segretario Bourienne, e dal governatore gene- 
rale fu introdotto innanzi Bonaparte , il quale benignamente lo 
accolse, e sempre che si trattenne seco, con dolci e parentevoli 
maniere su molti particolari lo consultò . 

3 L’ingenuo artista implorava libertà di usare del candore 


e della semplicità propria del suo carattere; egli andava espo-, 


nendo: come Roma languisse nell’ indigenza, causa de’ tempi 
fortunosi. come fossero spogliati i palazzi pontifici e gli anti- 
chi monumenti romani abbandonati alla ruina, il numerario ri- 
dotto ad una straordinaria incompetenza di valore e ogni com- 
mercio interrotto . 

3» Io ristorerò Roma, rispondea il primo console: amo il 
bene dell’ umanità e quello voglio: ma intanto che abbisogna a 
voi ? Nulla, soggiunse lo scultore; altro che ubbidire agli or- 
dini vostri. Farete la mia statua, replicò Bonaparte, e acco- 
comiatollo . 

33 Dopo tre giorni ritornò il Canova a Saint-Cloud , facen- 
dovi recare la creta per le forme opportune; ed ammesso alla 
colazione di Napoleone e delia Giuseppina, disse: essergli do- 
glia all’animo, che personaggio, come il primo console, così 
colmo d'affari dovesse starsene ozioso mentre si operava il ri- 
tratto. 

3, Non ci mancherà a fare alcuna cosa, soggiunse Bonapar- 
te: onde postosi il Canova di fermo piede a modellare, ebbe 
tosto in cinque giorni compiuta l'effigie in dimensione alquanto 
gigantesca . 

33 In quella che il Canova operava, il console ora leggeva; 
or prendeva diletto a scherzare colla Giuseppina , or favellava 
coll’ artista medesimo sui particolari. politici , 

», Fra l’altre cose si venne allo spoglio fatto a Roma 
de’ monumenti dell’ arti greche, e il Canova non potè sì fre- 
nare il suo zelo, che non manifestasse il dolor suo per quella 
enorme jattura di Roma, dicendo: non si creda che questo 
rammarico sia solo il mio e degli italiani; li francesi medesi- 
mi, che hanno alto senso per la dignità dell’ arti, entrano a 
parte del nostro cordoglio. E quindi accennò uno serîtto pub- 
blicato in Parigi su tale argomento dal valente Quatremère de 
Qainey . 

s; Poscia cadendo il discorso sull’esportazione dei Cavalli 


39 
di bronzo da Venezia, disse Canova: signore, la sovversio- 
ne di quella repubblica mi affliggerà per tutto il corso della 
mia vita. 

3» Quell’ ardente amore della patria , e soprattutto la schiet- 
tezza che traspariva da ogni parola dello scultore, andarono 
sì a verso di Bonaparte, che parve mettesse diletto ad usar 
seco con una famigliarità, che non praticava con alcun altro , 
e della quale già tutti erano gelosi. 

3) In quanto alla testa di Napoleone, che Canova modella- 
va: conviene confessarlo , egli disse, questa fisionomia è tal- 
mente favorevole alla scultura, che, scoprendola in ‘una statua 
antica, saria creduta sempre appartenere ad uno dei più va- 
lenti uomini, di che le antiche storie s’ onorano : se fosse ri- 
tratta da uomo prode, penso che riuscirebbe a meraviglia ; ma 
non parmi però tale da dovere piacer molto al sesso gentile : 
e Bonaparte sorrise . 

» Terminata l’opera fu il nostro scultore festeggiato a 
gara dai più ragguardevoli soggetti della capitale e dai mi- 
nistri esteri, sì per l’alta sua fama, che per la straordinaria 
benevolenza dimostratagli dal primo console, di cui ragionava 
tutto Parigi. 

35 Il celebre David dipinta volle unirsi seco in stretta 
consuetudine, e più volte a lauto banchetto lo accolse, ove ei 
conobbe li più illustri artisti francesi, e fra questi il famoso 
Gerard volle dipingerlo in tela. 

so Il Canova fu sempre leale assertore del merito insigne 
di que’ bravi uomini, e schiettamente lodò, visitando la galle- 
ria, un quadro di Gerard, rappresentante Belisario mendico, 
e l’ Ippolito del Guerin, giovine allora di sorprendente aspet- 
tazione, ed altre opere sublimi; e disse ‘pubblicamente esser- 
vi in Francia artefici sommi e di un merito superiore alla loro 
fama. 

3» Venne poscia onorevolmente . presentato all'istituto na- 
zionale, di cui era socio, e a Neully, villa del general Mu- 
rat, rivide li due gruppi suoi della Psiche e di Amore, e vi 
lavorò tuttavia per qualche tempo con molto affetto : ed in- 
fine togliendo congedo dal primo console nel giorno, in ch'egli 
ricevea l'inviato di 'Funisi, Napoleone gli disse: andate, sa- 
lutatemi il papa, e ditegli avermi udito raccomandare la li- 
bertà de’ cristiani. 

» Di tutti questi particolari fece ricordo lo scultore me- 


Vi) 


desimo in alcuni suoi palimpsesti, che ora rimangono cone 
deposito prezioso nelle mani del fratello. 

ss Il Canova era stato annunziato a Parigi dal publicista, 
come il più celebre scultore, onde partendo esso dalla capita - 
le, lo stesso foglio disse, che il busto operato in modello dal 
Canova era una vera apoteosi. 

; Nel suo ritorno fa albergato a Lione dall’ arcivescovo 
cardinal Fesch, fratello di madama madre di Bonaparte, di 
quelta donna d’ alto animo, che con eguale imperturbabile co- 
stanza seppe degnamente comporsi alla prospera e all’ avversa 
fortuna * 

» Alloggiò a Torino dalla marchesa di Priè ; e segnalati 
onori ebbe a Milano dal general Murat, e da Francesco Melzi 
a’ Evil, vicepresidente della republica italiana; e può dirsi che 
il suo ritorno procedesse in mezzo un trionfo, con un uni- 
versale consentimento di onorare in esso le belle arti, lo che 
mostrò come il secolo sia volto alla gentilezza e nobiltà dei 
buoni costumi e delle generose istituzioni. 

»» Giunto a Firenze, altri singolari argomenti di stima e 
d’onore ebbe da quell’ insigne accademia, e la maestà di Lo- 
dovico re dell'Etruria, con nuovo accoglimento di onorificen- 
za e di lode, fece che al suo arrivo in Roma ei trovasse un 
bobilissimo suo dono: intendo tutta l’opera dell’ ampio Museo 
Fiorentino, col frontispizio cangiato a stampa in una dedica , 
che il re medesimo ne faceva al degno scultore. ,, 

Come al suo ricomparire nella capitale delle arti fosse ac - 
eolto, dagli artisti specialmente, potete imaginarvelo» Fra questi 
la Kauffman, Landi, Camuccini e il nostro Benvenuti gareggia+ 
rono con più affetto a rendergli onore. Venivano intanto com- 
missioni d’ opere da tutte le parti: Milano volea un monumento 
el primo console ; la Russia una statua di Caterina II; Catania 
un simulacro di Ferdinando IV; lord Ferguson la figura di mis- 
ter Dundas; il celebre Fox quella del duca di Bedford. Ma 
Canova avea l’ animo al colosso di Napoleone e al monumento 
di Cristina; opere che bastavano a dargli una lunga occupazione; 
e poi desiderava, se fosse possibile , di secondare quindi innanzi 
il proprio genio e non l’ altrui volontà. 1] colosso, come fu fatto 
e inviato a Parigi (nel 1811), fece stupire come sapete, e diede 
poi materia a encomj e a dispute in tutta Europa. La principale 
su quella tra il Denon e il principe degli archeologi il nostro 
E. Visconti intorno alla sua nudità, L’ avrete letta nella sto- 


41 


ria del Cicognara, e potrete a vostr’ agio rileggerla qui nella 
vita di cui si ragiona. Ad alcune censure sulla mole il nostro 
Canova credette, contro il suo costume, di dover rispondere , 
scrivendo al ministro Marescalchi suo amico, il quale gliene fè 
motto. Quatremère de Quincy e David, del cui suffragio in is- 
pecie fu lusingatissimo, concorsero a dirgli che il suo Napoleone 
era quanto far si potea da umano valore. Questo colosso già sa- 
pete “che ora è posseduto dal duca di Wellington. Una copia in 
bronzo sta chiusa nel palazzo delle arti in Milano. 

Mentre il Canova lavorava a sì grand’ opera non dimenticava 
il suo officio di generale ispettore delle arti. Vedeva l’accademia 
di s. Luca abbondante di valentuomini, ma scarsa di mezzi di 
studio e mal collocata. Propose quindi che fosse arricchita de’ 
mezzi che le mancavano, e trasferita in luogo , ove potessero 
adunarsi comodamente a ricevere istruzione tutti gli artisti europei. 
Tanto bene, che or sento esserle tolto, nol conseguì per lei che 
più tardo. Ma ottenne intanto una sala d'esposizione e alcune 
scuole pel nudo, che gli davano speranza di cose migliori. Di- 
chiarato con bolla dei 9 aprile 1809 presidente perpetuo di quelle 
scuole , egli consecrò loro in perpetuo il suo onorario annuo di 
generale ispettore. Compiuto appena il colosso pose mano a scol- 
pire il monumento di Cristina , soggetto commoventissimo in cui 
si compiaceva l’indole sua, e nella cui esecuzione pare ch’ ei si 
proponesse di rispondere alle censure pubblicate sui suoi marmi 
in Alemagna. Si recò egli stesso a Vienna per collocarlo nella 
gotica chiesa degli agostiniani a cui era destinato ; ed ivi, come 
trovò munifico il duca Alberto, sposo della defunta principessa, 
così trovò il pubblico liberale di lodi. Solo un giornale , mostran- 
do far eco a queste, vi andò pure intessendo una sottile censurà, 
che riguardando l’ economia e la filosofia dell’ opera diede moti- 
vo ad un dotto ragionamento dell’ autore , che il Missirini rife- 
risce in quel capo ove racchiude l'esame che fa l’autor medesimo 
dell’ opere sue. Tornato da Vienna, il nostro Canova si trattenne 
alquanto a Treviso , ove fu onorato distintamente dal pubblico 
ateneo. Di que’ giorni, credo, un professore dell’ archiginnasio 
varadino gli chiese per lettera i documenti opportuni a scrivere 
la sua vita; inchiesta che voi ben v' immaginate come fosse ac- 
colta dal più grande forse e dal più modesto di tutti gli artisti, 
Come fa'a Roma si ricordò della proinessa fatta al re d’Etroria 
d’una Venere che tenesse il luogo della medicea ; e tutto quello 
ch'io v' aggiugnessi sulla sua Venere italica sarebbe superfluo. 
La festa con cui essa fu qui ricevuta è troppo. impressa nella 


vostra memoria. Nè obliate la modestia dell’ artefice , che 1’ ac- 
compagnava , e non volle che fosse collocata sul piedistallo 
dell’ antica, ma bensì di fianco per riverenza all’ esule divina. 
Allorchè questa fu di nuovo nel suo tempio, voglio dire nella 
tribuna della nostra galleria , già sapete qual seggio onorato diede 
all’ italica nella sua reggia il nostro buon Ferdinando che pian- 
giamo perduto. Di questa sua Venere fece il Canova due repliche, 
una pel re di Baviera, l’altra pel principe di Canino. Ma richie- 
sto d’ una terza da [ord Stope, e quasi vergognandosi di copiare 
‘ più volte sè stesso, ne fece un’altra di forme vie più celesti e 
senza panno che , secondo la sua maniera di vedere, più non 
bisognava, poichè la perfetta beltà è per sè medesima vereconda 
e sforza all’ adorazione. In quel tempo, circa, scolpì per la ve- 
neta biblioteca di S. Marco quel busto dell’imperatore d'Austria 
che fu poi trasportato a Vienna, e pel conte Sommariva quel 
Palamede che si ammira nella sua villa sul lago di Como, e che 
prima d’ esservi spedito patì nello studio dell’ artefice sì deplo- 
rabile frattura. Due opere ancor più mirabili succedettero a 
queste, la statua della madre di Napoleone, e l’altra di sua so- 
rella , la principessa Paolina Borghese. Furono soggetto di molto 
discorso ai dotti e agli artisti, a cui parve di vedere nell’ una 
l’ ideale della femminil dignità, nell’ altra quello della femminile 
amabilità . i 
Il corpo legislativo della repubblica settinsulare avea decre- 
tato una statua all’ imperatore Alessandro, da eseguirsi per mano 
del Canova ; ma questi, occupato da troppi altri lavori, non 
potè accettar. questo nuovo. Era morto il Volpato , che gli era 
carissimo e gli avea fatto del bene ; ed egli volle rimeritarnelo 
con quel cenotafio, che si vede negli atri della chiesa de’ ss. 
Apostoli in Roma. bra morto il Falier, dalla cui amorevolezza, 
mostratagli nell’ adolescenza, ripeteva ogni sua fortuna; e volle 
porgli un monumento: che ciascuno può vedere in Venezia . Un 
imonumento , com’ egli scriveva al figliuolo del Falier , avrebbe 
pur voluto inalzare, in cui fossero espresse le sembianze di tutte 
l'anime gentili che lo .beneficarono; e l’ avrebbe fatto se più fosse 
vissuto. Altri ne eseguì per commissione: quello del conte. di 
Sousa, che mandò a Lisbona, e di cui fece una replica per la 
chiesa de’ portoghesi in Roma : quello del principe d’ Orange 
eretto in Padova: quelli per la consorte e .pet. zio del conte 
Mellerio, che trovansi nella sua villa del Gernietto alle falde 
della Brianza ; quello del cavalier Trento, ch’ è in Venezia : e 
quello finalmente del Manzoni ch’ è in Forlì, e in proposito del 


43 
quale lo Schiassi chiamò con applaudita frase Ja. scultura arte 
canoviana. Tali monumenti sono tutti di mezzo rilievo; e pa- 
recchi adorni d’ una figura muliebre che piange sull’ urna o presso 
l'effigie dei defunti. Ma il monumento in cui, dopo quelli dei 
due pontefici , risplende maggiormente il suo magistero è quello 
della giovane marchesa di S. Croce , pur di mezzo rilievo , ri- 
masto nello studio dello scultore. È impossibile che non ne ab- 
biate veduto il disegno e letta qualche descrizione. Il Cicognara 
dice , ed è forza crederglielo, che la prima volta che lo vide 
gli caddero le lagrime. Il modello in piccolo d’ un monumento 
di Nelson fatto dallo scultore per proprio piacere credo che sia 
contemporaneo a quelli che ho enumerati. 

Ricominciavano intanto per Roma giorni di nuovo turba- 
mento. Il Canova, a distrarsi, prese a modellare opere di gra- 
zioso soggetto, segnando nella base della creta: a conforto de’ 
tempi infelici. Furono queste le tre Danzatrici famose , a cui 
tenne dietro il simulacro della musa Terpsicore. La prima fa da 
lui lavorata in marmo per l’ imperatrice Giuseppina ; la seconda 
pel Manzoni, a cui poi fece il monumento; la terza pel principe 
Rosamowski. Della Musa, scolpita pel conte Sommariva, fece poi 
replica pel cavaliere Clarcke. Avvenne che la Musa e la. prima 
delle Danzatrici fossero esposte contemporaneamente in Parigi » 
ove forse erano necessarie a stabilir meglio la fama dell’autore. 
La Terpsicore, gli scrisse Quatremère , è da tutti ammirata co- 
me merita ; la Danzatrice fa impazzar tutti. Mai non conceden- 
dosi un’ istante di riposo , il nosto Canova lavorò fino a tutto il 
1809 molte altre sculture, che vanno qui ricordate. Primo in 
ordine di tempo è il vaso sepolcrale adorno d’ un basso rilievo, 
che fu posto in Padova alla baronessa Deede. Viene in seguito 
la statua sedente della principessa Esterhasy Lictenstein di Vienna, 
della quale 1’ autor medesimo parve soddisfattissimo, Quindi egli 
pose la mano al gran monumento del nostro tragico immortale, 
recando in tondo ciò che già avea modellato in basso rilievo , e 
riducendo il tutto a più grandiose dimensioni , con molta con- 
tentezza della duchessa d’ Albany; che gliel commettea onde 
onorar la memoria di chi ha resa lei medesima memorabile ai 
posteri. L’ idea del monumento per Nelson, di cui si dicea , par 
che nascesse da quella del monumento d’ Alfieri. La.sua esecu- 
zione, fatalmente impedita dalle guerre, sarebbe stata, dice il 
Cicognara citato dal Missirini, il trionfo dell’ arte , presentando 
unite insieme la greca eleganza e la romana magnificenza. Questo 
dell’ Alfieri ad ogni modo parve a tutti una gran cosa; e più appa- 


44 
rirebbe se fosse in più largo spazio collocato. Vi ricorderete clié 
quando lo scultore venne qui ad erigerlo nel luogo destinatogli nel 
nostro panteon, trovandosi una mattina ad una distribuzione di pre- 
m)j nell’ accademia , i principi allor regnanti, avendolo scoperto, lo 
chiamarono e il fecero sedere al loro fianco. Tornato a Roma 
modellò e scolpì quel suo Ettore e quel suo Ajace, pievi di spi- 
rito omerico , i quali a giudizio del Bossi sono un canone del- 
l’ arte ; ciò che infatti l’ autore si era proposto astringendosi in 
essi alle regole più rigorose. Fra queste opere debbono collocarsi 
molti busti, che la sua amicizia o la sua condiscendenza gli fa- 
cea lavorare pei tanti desiderosi delle sue opere. Altri di tali 
busti sono ideali: quello di Paride per l’ ambasciator di Franci?; 
quello pur di Paride mandato in dono al Quatremère; quello 
d'una Musa per la contessa d’ Albany; d’ una seconda Musa pel 
professor Rosini; d’una terza pel conte Pezzoli; d’ un nuovo 
Paride pel principe ereditario di Baviera ; della Pace per lord 
Cadwor; d’una quarta Musa pel conte Rasponi; di Saffo per 
lord Bethel, di Beatrice pel conte Cicognara, di Laura pel duca 
di Devcnshire , d’ Eleonora d’ Este pel conte Tosi ; d’ Elena pel 
conte Pac; quei due di donne greche per la marchesa Grollier, 
che uno ne donò al Quatremére e un altro al Sommariva; e quelli 
(lavorati più tardi) di quattro ninfe per lord Wellington, il ministro 
Castelreag, e i cavalieri Hamilton e Long in riconoscimento del loro 
impegno per la restituzione all’ Italia de’ suoi antichi monumenti. 
Fra questi busti, fatti d’ idea, nomineremo per ultimi quei due 
colossali d’ Elena e della Filosofia, il primo per la contessa Al- 
brizzi, che l’illustrò leggiadramante con tutte l’altre opere dello 
scultore ; e il secondo per Pio VII, che se lo tenne finchè visse 
per cosa preziosa, el’ avrà forse, morendo , lasciato al suo mu- 
seo. I busti rappresentanti vere sembianze , oltre quello del pon- 
tefice suo benefattore a lui donato , sono un altro del pontefice 
medesimo donato dallo scultore a Napoleone ; uno dell’ im perator 
d’ Austria ; uno del re Gioachino; di Carolina sua sposa ; della 
granduchessa Elisa; del cardinal Fesch ; della principessa di Ca- 
nino ; della principessa Borghese; di madama Letizia pel duca di 
Devonshire; del proprio fratello G. Batista ; del celebre Cima- 
rosa; e di madama Recamier, riputata la più bella donna d’Eu- 
ropa. À questi aggiugneremo alcuni busti colossali, quello di 
Napoleone, ripetuto poi per la marchesa d’ Auhercorn; quello 
dell’ imperatrice Maria Luisa ; quello del Genio di Rezzonico pel 
principe Esterhasy ; il proprio ; quelli degli amici Bossi e Cico- 
nara; e infine quelli di Bonarroti , Coreggio, Tiziano e Palladio, 


45 
da lui posti a proprie spese nella Rotonda , ove poi fece collo» 
care le immagini dell’ Alighieri, del Petrarca, dell’ Ariosto, del 
Tasso, dell’ Alfieri, del Goldoni, di Galileo, di Colombo, di 
Marcello, come in vero Panteon della gloria italiana . Per rit- 
graziarlo degnamente di sì nobile atto, che tanto potrebbe in - 
fiammare i nostri petti, si volle consecrargli un busto in Va- 
ticano in faccia al Perseo e ai Pugillatori; ma la modestia del 
Canova nol sostenne. Ben gradì che gli artisti suoi amici lo 
ritraessero, per averne memoria presso di sè; e per tacere della 
Kauffman, che lo precedette nel soggiorno de’ giusti, il suo 
d'Este, Hamilton, Wiks, Gerard, Girodet, Rosaspina, Wicar, 
Fabre, Landi, Sabatelli, Heater, Jakson, Laurence, e gli al- 
tri valenti che sarebbe lungo il nominare debbono pur oggi da 
quei pochi tratti o di scalpello, o di pennello, o di hulino, o 
di imatita trarre nella comune perdita non picciolo conforto. 

I ritratti ch’ ei fece de’ suoi amici, e quelli che gli amici 
hanno fatto di lui provano qual dolce reciprocità di affetti 
passasse fra l’uno e gl’altri. Nota il suo biografo ch'egli sem- 
pre solea commoversi quando parlava della benevolenza che il 
divino Raffaello avea posta ne’ suoi compagni dell’arte, e rac- 
conta com’ era una del'e sue massime favorite: fa bene agli 
amici, e de’ nemici fanne amici. Con tali disposizioni in cuore 
già v'immaginate s’ egli in sua vita giovò a molti e in molte 
maniere. Fra i benefizi di cui parla il biografo, me n° è rima- 
sto particolarmente uno nella memoria, e parmi di doverlo qui 
riferire. Roma era andata per la seconda volta soggetta alla 
straniera invasione. I giovani. pensionati spagnuoli, ch’ivi si 
trovavano a quell’ epoca, cioè nel 1809, avendo negato di pre- 
star giuramento al nuovo governo, furono messi prigioni in 
castel S. Angelo. Canova commosso corre tosto dal generale 
governatore Miollis; ed ottiene la loro libertà. Ma essi , dispo- 
gliati delle loro pensioni, non hanno di che vivere; Canova non 
ha bisogno ch’essi gliel dicano; nè ad essi pure il dirlo abbi- 
sogna, poich’ egli fa che non se ne accorgano. Ma uditene altra 
vie. più delicata. Il cav. Alvarez scultore spagnuolo , al tempo 
che i francesi occupavano Madrid, mancava d’ ogni ajuto dalla 
patria. Fu da un ministro proposta al vicerè d’ Italia la compera 
delle sue sculture. Il principe scrisse riservatamente al Canova 
per sentirne il suo parere; e questi gli riscrisse : ,, Le opere 
dell’ Alvarez rimangono ancora invendute nel suo studio perchè 
non sono nel mio. ,, L’ Alvarez seppe col tempo questa rispo- 
sta; ed avendo |’ accademia di s. Luca decretato un simulacro 


46 

al Canova s'è offerto a modellarlo gratuitamente. Se un altro 
gliene decretasse la Biblioteca di S. Marco, la qual voleasi di 
que’ giorni convertire in sala di piacere, e fu da lui preser- 
vata , credo che si troverebbe facilmente in Venezia qualche 
scultore da lui beneficato che farebbe ciò che fa 1’ Alvarez in 
Roma. Vi sarà noto, come poco dopo la seconda invasione di 
questa città , ond’egli era afflittissimo , gli fu mandata Ja no- 
mina di senatore dell’ impero, ch’ egli ricusò costantissimamen- 
te. In seguito egli cercò pure la dimissione dalla carica d° is- 
pettore , dichiarando che il solo motivo onde l’ avea fino allor 
sostenuta era un motivo di gratitudine, dovendo dar compi- 
mento al nuovo museo da lui medesimo proposto . Questa 
dimissione era cosa che sì udiva da tutti mal volentieri, ma 
persistendo egli nel domandarla , hisognò pure concedergliela . 
Si volle almeno ch’ ei ritenesse la direzione de’ musei; e ad 
obbligarvelo gli si promise, che s’ egli aderiva, più non si sa- 
rebbe levata da essi cosa alcuna. Egli allora sacrificò al suo 
amore per le arti ogni contrarietà dell’ animo ; ed ebbe la 
promessa fattagli in luogo di emolumento cui rifiutò ! Poco do- 
po o poco innanzi fu chiamato a Napoli dal re Giuseppe pel 
modello d’una statua equestre di Napoleone, da fondersi in 
bronzo , convertita poi come sapete in una statua di Carlo III 
La accoglienze della corte e dell’accademia di belle arti di 
quella capitale furono per lui festevolissime. La seconda de- 
cretò che non potendo averlo sempre presente , voleva alme- 
no averne sempre innanzi agli occhi l’immagine. ‘Tornato di 
nuovo a Roma compì il Paride famoso per l’ imperatrice Giu- 
seppina; l’ ultima risposta decisiva ch’ egli intendeva fare alle 
critiche degli stranieri e de’ francesi specialmente. Quand’ esso 
fu esposto alla Malmaison, non parve più dubbia nè la supe- 
riorità dell’artefice nè quella del genio italiano nell’arti belle. 
Il Paride, gli scriveva Quatremère, facendo eco alla voce ge- 
nerale, è un insigne lavoro, che va a pari col bello antico. 

Da gran tempo si desiderava a Parigi ch’ egli trasferisse colà 
o stabilmente o temporariamente la sua dimora. Fino dal settembre 
del 1809 la duchessa di Bracciano, trovandosi in quella capitale, 
ne scrisse al consorte, aggiugnendo che madama madre avreb- 
be accolto sì volentieri nel sno palazzo il grande scultore. 
Mentre questi era qui per la sua Venere ricevette formale in- 
vito dall’ intendente della casa imperiale a nome di Napoleone, 
che si trovava in Olanda; egli furono fatte sperare gran cose 
se aderiva, Egli si scusò in bella maniera , adducendo fra l’al- 


47 
tre ragioni, che ove dovesse cangiare il suo sistema di vivere 
morrebbe a sè stesso e all’ arte sua, per cui solo respirava ; 
pregò il card. Fesch e il cav. Denon ad operare che non gli 
fosse fatta nessuna ulteriore istanza; e alfine si risolse di andar 
egli stesso a dichiarare i suoi sentimenti all’ imperatore. Il suo 
arrivo in Parigi fu annunciato come quello d°’ altissimo per- 
sonaggio. La sera degli r1 ottobre 1810 egli giunse a Fon- 
taineblau; e all’indomani fu presentato a Napoleone. Questi , 
dice il biografo, si attirava in quel tempo l’ attenzione di tutta 
Europa; e quanto apparteneva a uomo sì straordinario ecci- 
tava l’ universale curiosità. Quindi Canova, avendo con lui 
intrinseci abboccamenti, pensò di registrarli, immaginando che 
sarebbero forse di qualche importanza. Sperò anche, egli sog- 
giunge , che avrebbero fatto prova dell’ animo suo interissimo , 
che nè allettato dalle offerte nè spaventato dai pericoli , si ri- 
mase mai dall’ aprire il nudo vero in faccia ad un sovrano sì 
possente. Quindi, valendosi del prezioso manoscritto che li 
contiene, vuol, dice, adornarne il suo libro, onde i pusilla- 
mini imparino a non mascherare mai il proprio sentimento per 
basse mire di vanità o d'interesse. Accettiamo la lezione e 
leggiamo . 

3» Dice adunque il manoscritto : Il dì 12 ottobre in sul- 
lora del mezzogiorno dal maresciallo Duroc fui presentato a 
Napoleone. Egli era sull’ incominciare la colazione coll’ impera- 
trice, e niun altro era presente. La prima parola, ch’ ei mi 
disse, fu di trovarmi alquanto dimagrito , ed io risposi esser 
quello 1° effetto delle mie continue fatiche, e ringraziailo alta- 
mente dell’ onore che mi compartiva di chiamarmi a sè vicino, 
perchè v’adoperassi l’opera mia e il mio parere sugli oggetti 
di helle arti: e nel tempo stesso non dissimulai subito con 
franchezza |’ impossibilità di traslocarmi da Roma, e. gliene 
esposi i motivi. 

» Questa è, diss’ egli, la capitale : conviene che restiate 
qui, e starete bene. — Voi siete, o sire, il padrone della mia 
vita ; ma se piace a vostra maestà ch’ essa sia spesa ed impie- 
gata a suo servizio, mi conceda ritornarmene a Roma dopo i 
lavori per cui sono venuto. 

3» Sorrise a queste parole, e replicò : questo è il vostro 
centro: qui sono tutti i capi d’arte antichi; non. manca che 
’ Ercole Farnese ; ma avremo’ anche questo. 

»,) Lasci vostra maestà , risposi, lasci almeno qualche cosa 
all’ Italia. Questi monumenti antichi formano catena o collezione 


48 
con infiniti altri, che mon si possono trasportare nè da Roma 
nè da Napoli. 4 

», L’ Italia potrà rindennizzarsi cogli scavi, egli disse : io 
voglio scavare a Roma: ditemi ha egli il papa speso assai ne- 
gli scavi? 

»» Allora gli resi conto come poco avesse speso, perchè 
povero era in quel momento , benchè avesse il cuor generoso 
e disposto a cose maggiori: ma che tuttavia con infinito amo- 
re per l’ arti, e con industre economia avea potuto formare 
un nuovo museo . 

», Qui mi domandò se la famiglia Borghese avesse incon- 
trato grandi spese nelle sue escavazioni: ed io risposi la spesa’ 
essere stata modica assai; conciosiachè ordinariamente scavava a 
metà con altri, e poi l’altra metà comprava dal compagno. 
In questa occasione gli mostrai come il popolo romano abbia 
un sacro dritto sopra tutti i monumenti che si discoprono nel 
suo terreno, e come questo sia. un prodotto intrinsecamente 
unito alla terra, così che nè le famiglie gentilesche , nè il 
principe stesso potrebbero quelle cose mandar fuori di Roma, 
alla quale appartengono come eredità de’ maggiori, e premj di 
vittoria degli antichi. — Io pagai, soggiunse , le statue Borghese 
quattordici milioni. ... Quanto spende il papa all’ anno per le 
belle arti? cento mila scudi? — Non tanto perchè è miserabi- 
le. — Dunque anche con meno si possono far belle cose? — 
Certamente. , 

» Poscia si venne a parlare della \statua colossale che lo 
rappresentava operata da me, e parve che avrebbe amato che 
fosse stata vestita. — Nemmeno Iddio, risposi, avrebbe potuto 
far mai una cosa bella, se avesse voluto ritrarre vostra mae- 
stà così vestita coi calzoni e gli stivali e alla francese. Noi, 
come tutte le altre belle arti, abbiamo. il nostro linguaggio 
sublime ; e il linguaggio dello statuario è il nudo, e quel tale 
panneggiamento che è proprio della nostra arte. — E qui gli ad- 
dussi molti esempi tratti dalla poesia e dai monumenti antichi, 
e l’imperatore parve ne restasse persuaso. Se non che, pas- 
sando a parlare dell’ altra statua equestre, che per esso io 
stava modellando, e sapendo che quella era panneggiata, disse: 
e perchè questa ancora non la fate nuda? — Conviene rappre- 
sentarla nel costume eroico , risposi, osservando disconvepnirsi 
che fosse ignuda nell’ atto di comandare l’armata a cavallo : 
tale esser stato il costume degli antichi e de’ moderni ancora : 
li re antichi della Francia essere figurati a cavallo in questo 


49 


modo :. così anche Giuseppe II a Vienna. — Avete veduto, mi 
disse , la stotua del general Dessex in bronzo? mi sembra mal 
fatta: ha una cintura ridicola. 

1» Mentr’ io voleva rispondere , soggiunse: voi fondete la 
mia statua in piedi? — È già fusa, maestà, e con buon suc- 
cesso, e se n’è fatta un’ incisione; e l’ incisore vorrebbe aver 
l’ onore di dedicarla a vostra maestà. È un bravo giovane; ed 
è degno della munificenza vostra dar coraggio a questi giovani 
artisti in tempi così per essi calamitosi. — Voglio venir a Roma, 
soggiunse. — Ed io: quel paese merita esse veduto da vostra 
maestà, e vi troverà materia da riscaldarsi la fantasia; rimi- 
rando il campidoglio , il foro trajano, la via sacra, le colonne, 
gli archi.... Gli descrissi a questo proposito alcune antiche 
romane magnificenze, e specialmente la via appia da Roma a 
Brindisi tutta piena di sepolcri che la cingevano da due lati, 
come pure l’ altre vie consolari. — Che meraviglia ? disse : li 
romani erano padroni del mondo. — Non fu solo la potenza, 
soggiunsi, ma il genio italiano, e il nostro amore per le cose 
grandi. Guardi vostra maestà a quello che hanno fatto i soli 
fiorentini con sì picciolo stato; a quello che hanno fatto i soli 
veneziani. Li fiorentini ebbero animo di erigere quel loro duomo 
maraviglioso col solo accrescimento d’un soldo per libbra all’arte 
della lana ; e quel solo aumento bastò ad una fabbrica superiore 
alle’ forze di ogni potenza moderna. Fecero pure eseguire al Chi- 
berti le porte di S. Giovanni in bronzo col prezzo di quaranta- 
mila zecchini, che ora varrebbero più milioni di franchi. Veda 
quanto erano industriosi , e nel tempo stesso magnanimi ! 

», E questo fu il primo colloquio, prendendo l’ ordine op- 
portuno per incominciare i lavori per la statua dell’ imperatrice. 

,,) Li 15 ottobre sì cominciò il lavoro , e seguì per alcune 
sedute, nelle quali sempre ebbi motivo di parlare su var] og- 
getti coll’ imperatore , giacchè ei destinava quel tempo alla sua 
colazione e rimaneva libero. 

», Voglio qui avvertire le cose principali sulle quali cadde 
il ragionamento. — Come è l’aria di Roma ? mi disse: era forse 
cattiva e malsana anche a tempo antico? — Pare che fosse così, 
risposi »"tnggglere le storie, e sapersi che gli antichi preudeva- 
mo precauz ipari con boschi e selve che si dicevano sacre 
e colla popolazione immensa che copriva il paese. Ricordomi 
aver letto in Tacito all’ occasione delle truppe di Vitellio ritor- 
nate di Germania, che ammalarono per aver dormito nel vatica- 
‘no. — Suonò il campanello perchè il bibliotecario gli portasse 


T. XVI. Ottobre 


50 
Tacito: non fu trovato il passo, ed io poi glielo mandai . Se- 
guitò a dirmi che i soldati , traslocandosi da regioni lontane, 
sempre ammalavano nel primo anno, ma poi si trovavano bene. 
Parlando di Roma gli esposi la desolazione di quella capitale : 
senza la sua gran potenza quel paese non poter risorgere perchè 
privo d’ ogni ajuto: dopo la perdita del papa tutti li ministri 
partiti, e quaranta cardinali, e più di duecento prelati , oltre 
una gran turba di canonici e d’ altri ecclesiastici; esser già ac- 
caduta una grande emigrazione, e fra poco nascer l’erba per le 
strade ; e la sua gloria farmi diritto di parlargli liberamente,, e 
supplicarlo a riparare al difetto di tanto danaro, che da tutte le 
parti colava in Roma, ed ora più non vi veniva. 

,) Era ben poco ultimamente questo danaro, mi disse; e la 
istituzione della coltivazion del cotone deve portar qualche 
beneficio. — Scarso assai, risposi: il solo Luciano ne ha fatto 
qualche prova; del resto tutto manca a Roma, altro che la 
protezione di vostra maestà. — Sorrise, e disse : la faremo ca- 
pitale d’Italia, e vi uniremo anche Napoli: che ne dite? sa- 
rete contenti ? 

» Le arti ancora, soggiunsi, potrebbero d’ una grande pro- 
sperità esserle cagione; ma le arti ora sono abbattute, ed ec- 
‘cetto gli splendidi lavori che la maestà vostra commette e tutta 
la famiglia imperiale, niuno fa lavorare le arti, poichè sì va 
molto intepidendo la religione che le alimenta . E qui gli esposi, 
cogli esempi degli egizi, de’ greci e de’ romapi, la religione sola 
aver fatto fiorire le arti: le immense somme impiegate nel par- 
tenone, nella statua di Giove in Olimpia, nella Minerva ;le i. 
magini proprie, che i vincitori de’ giuochi dedicavano alle di- 
vinità, non eccettuate le stesse cortigiane, che offrivano le pro- 
prie statue in dono ai numi: non altrimenti aver fatto lì ro- 
mani, i quali in tutte le opere loro posero il sigillo della re- 
ligione, per renderle più auguste e rispettate, come monument! 
sepolcrali ed onorari, e statue e veatri: questa benigna influen- 
za della religione sull’ arti aver anche salvate le arti stesse e 
i loro monumenti dai barbari. E qui citai ancora i capi d’ o- 
pera dell’ arti moderne eseguiti per la religione: la chiesa di 
S. Marco in Venezia; il duomo di Pisa, d’ Orvieto ; il campo 
santo di Pisa, e le infinite altre maraviglie ripiene di marmi 
e di pitture bellissime. Tutte le religioni, conchiusi, benefica- 
no le arti, ma specialmente la nostra cattolica romana più delle 
altre. Li protestanti si contentano d’ una semplice cappella e 
d’ una croce, e perciò non danno motivo alle opere dell’ arte. 


pe 
DI 


L’ imperatore allora, guardando a Maria Luisa, soggiunse: dice 
il vero: la religione ha nutrito sempre le arti e li protestanti 
non hanno niente di bello. 

», Un altro giorno si venne a un discorso più delicato, 
cioè sul sommo pontefice, e sui papi e il loro governo; e qui 
mi ardii dire cose forti, e mi maravigliai assai che Napoleone 
mi ascoltasse con pazienza, e mi parve che veramente l’ animo 
suo non fosse tirannico : solo che era guastato da quelli che 
lo adulavano e gli nascondevano la verità. 

»» Caduto il discorso sulla persona del mio benefattore Pio 
VII, mi credetti in dovere di dire : ma perchè vostra maestà 
non si riconcilia col papa in qualche modo? — Perchè i preti 
vogliono comandare per tutto, rispose; vogliono immischiarsi in 
tutto, ed esser padroni di tutto, come Gregorio VII. — Mi pa. 
re che adesso non si debba temer questo, se vostra maestà è 
quella che è padrone di tutto .—I papi, soggiunse, hanno te- 
nata bassa la nazione italiana, mentr’ essi non erano nemmeno 
gli assoluti padroni di Roma, per le fazioni de’ Colonnesi e degli 
Orsini . 

3 Certo, ripigliai, sei papi avessero avuto l’ardire di vostra 
maestà, ebb ero belle circostanze di farsi padroni di tutta Ita- 
lia. — Vi vuol questa, ei disse, ponendo la mano sulla spada; 
questa ci vuole. — È vero risposi: abbiamo veduto che se fosse 
vissuto Alessandro VI, il duca Valentino col suo aiuto avea 
cominciato ad operarla assai bene ; ed anche Giulio II, e Leone 
X. ne fecero buone prove, ma per lo più i papi si eleggeva- 
no molto vecchi, e se l’ uno avea spiriti intraprendenti, un 
altro era riposato. — Ci vuole la spada! replico. — Non la sola 
spada, soggiunsi ; ma anche il lituo : lo stesso Machiavelli sta 
dubbio a decidere, se abbian contribuito all’ ingrandimento di Ro- 
ma più le armi di Romolo o la religione di Numa : tanto è 
vero che questi due mezzi vogliono andare uniti: se li pon- 
tefici non si sono segnalati nell’ armi, hanno però fatto tante 
altre cose bellissime, che faranno sempre lo stupore di tutti, 

3» Gran popolo che fu quello de’ romani! esclamò. — Certo 
fa gran popolo sino alla secorda guerra punica. — Cesare, Ce- 
sare fu l’uomo grande! seguì egli. — Non Cesare solo; ma qual- 
che altro imperatore ancora, come Tito, Traiano, Marc’ Aure- 
lio. — Sempre, sempre furono grandi, ei disse , i romani fino 
a Costantino. Li papi fecero male a mantenere le discordie in 
Italia, ad esser sempre i primi a chiamare i francesi e i te- 
deschi; non erano capaci di essere soldati da sè, ed hanno per- 


52 


duto assai. — Or ch’ ella è pur ita così, soggiunsi, non permet- 
ta vostra maestà, che 8’ accrescano i mali nostri: e questo le 
dico, che sa la maestà vostra non soccorre a Roma, ella di- 
verrà qual fa ai tempi, ne’ quali i papi si erano trasferiti in 
Avignone. Malgrado l’ immensa quantità di acqua e di fontane, 
che v’ erano prima di quell’ epoca, li condotti si ruppero, e si 
vendeva per le strade l’acqua del Tevere ; e la città era un 
deserto. : 

,3 Parve a queste parole alquanto commosso; poi disse con 
forza: mi si fanno delle resistenze : e che? io sono padrone 
della Francia, dell’ Italia, e di tre. parti della Germania: sono 
il successore di Carlo Magno: se i papi fossero come i papi d’al- 
lora, tutto sarebbe accomodato: anche i vostri veneziani la rup- 
pero col papa. — Non così, risposi, come vostra maestà . Ella 
è già SÌ grande, che ben può atcordare al pontefice un luogo, 
ove si vegga ch'egli è indipendente, e dove possa liberamente 
esercitare il suo ministero. 

,, E che? disse: io lo lascio far tutto, quando non coman- 
da che nella religione. — Eppure i ministri imperiali non fanno 
così: appena ei publica una carta che non piaccia al governo 
francese, ecco che viene subito strappata. — Come ? replicò: non 
lascio io forse che i vescovi comandino qui come vogliono ? 
Non è forse. religione qui? Chi ha rialzato gli altari? Chi ha 
protetto il clero? — Se vostra maestà, dissi, avrà sudditi re- 
ligiosi , saranno ancora più affezionati ed obbedienti alla sua 
persona. — Io lo voglio, rispose , ma il papa è tutto tedesco; 
e in così dire guardava l’ imperatrice. — Ed essa: posso assicu- 
‘rarvi, che quando io era in Germania, si diceva che il papa 
era tutto francese. — Non ha voluto, soggiunse Napoleone, cac- 
ciare nè i russi nè gli inglesi dal suo stato, e per questo l’ab- 
biamo rotta. 

,, Allora mi feci ardito di dire, aver letto le carte e le 
giustificazioni stampate dal pontefice con documenti officiali, e 
che pareami egli avesse delle ragioni forti. In questo mentre 
entrò il maresciallo Duroc ; ma tuttavia Napoleone seguitò a 
dirmi: anche ha preteso scomunicarmi ! Non sa egli che alla fine 
potremmo essere come gli inglesi e come i russi? — Chieggo 
umile scusa a vostra maestà, dissi, ma lo zelo che ho da tanti 
anni per lei mi spira la fiducia di parlarle con libertà: via, me 

lo conceda, non mi pare che in ciò sia l’ interesse della mae- 
stà vostra: Iddio le doni molti anni, ma se un giorno accade 
mai qualche sventura, si potrebbe temere che uscisse alcuno, 


mente 


( 53 

il quale, pei propri fini, prendendo il partito del papa, potreb- 
be cagionare gran disturbi. In breve vostra maestà sarà padre; 
bisogna pensare a cose stabili. Di grazia, sire, si accomodi in 
qualche modo. — Voi vorreste dunque che ci accomodassimo? 
È anch'io lo vorrei; ma guardate cosa furono i romani senza 
i papi. — Pensi ancora, o sire, qual religione avevano quando 
erano grandi: quel Cesare, che tanto si decanta, saliva gino&- 
chione le scale del Campidoglio al tempio di Giove : non si da- 
vano battaglie se non con favorevoli auspici religiosi: o se al- 
trimenti si fossero date e guadagnate battaglie, si castigava il 
generale. Si sa che fece Marcello per le cose sacre; come fu 
condannato ‘il console per aver levato le tegole dal tempio di 
Giove nella Magna Grecia: per carità protegga la religione e 
il suo capo: conservi le belle chiese d’ Italia e di Roma: ella 
è cosa molto dolce al cuore farsi adorare più che temere. — Noi 
vogliamo questo, disse, e ruppe ogni discorso. 

3, Un altro giorno si entrò e parlare di Venezia, di que- 
gli artisti e di que’ monumenti, e disse aver trovato in Italia 
buone mappe; e chiestomi degli architetti, ‘gli mominai i prin- 
cipali col debito elogio, come pure gli parlai dell’ architetto So- 
li, che dirigeva le nuove opere di Venezia, e che impedito a- 
vea si gettassero a terra le belle fabbriche, come si era proget- 
toto : parlai del Palladio e delle sue tavole, colle quali avea il- 
lustrato li commentari di Cesare ; e delle sue opere bellissime 
sparse per tatto lo stato veneto. E tanto gli raccomandai Vene- 
zia, che mi cadevano le lacrime per commozione , e seguitai: 
giuro a vostra maestà che i veneziani sono buoni. — È vero so- 
no buona gente. — Ma stanno male, maestà ; il commercio è 
arrestato , le imposizioni sono grandi , vi sono dipartimenti che 
più non hanno mezzo di esistenza , come quello del Passeriano, 
del quale gira intorno un famoso scritto, che non so se sia giun- 
to nelle mani di vostra maestà. — No, egli disse. — Io mi feci 
animo e soggiunsi: ne tengo copia se vostra maestà la vuol ve- 
dere. E così apersi il portafoglio e gliela presentai. . . . 

»» Napoleone, nel vedere quel foglio, disse: è corto — e la- 
sciando di mangiare lo lesse e soggiunse: ne parlerò con Aldi- 
ni — e se lo pose vicino e lo portò via. 

3» Seguendo poscia a-ragionare di Venezia , mi estesi alcun 
poco sulla forma e spirito del governo de’ veneziani , e feci os- 
servare che dopo la pubblicazione delle opere di Machiavelli, 
Venezia non parea possibile che cadesse . Quel politico grande, 
andando ministro di Firenze all’imperator di Germania; scrisse 


94 

a Vettor Vettori: Amico mio, parmi che i veneziani si dispon- 
gano ad intenderla per bene , vedendo che hanno fatto dipin- 
gere S. Marco colla spada, perchè il libro solo non basta. Sog- 
giunsi che i veneziani ebbero timore di veder sorgere fra loro 
un Cesare , e perciò furono ritenuti d’avere un generale pro- 
prio in terra ferma: che se lo avessero avuto, senza però con- 
ceder mai prorogazioni di governo , avrebbero fatto più felice 
prova di loro. 

», Certo, replicò l’ imperatore; la prolungazione de’ comandi 
è cosa di gran pericolo : io stesso diceva al direttorio, che se 
voleva sempre la guerra, sarebbe venuto uno che avrebbe loro 
comandato, 

»» Altra volta si parlò de’ fiorentini all’ occasione che doman- 
dò ove avessi collocato il monumento d’ Alfieri. — In Santa Cro- 
ce, risposi, dove è anche quello di Michelagnolo e di Machia- 
velli. — Chi |’ ha pagato? — La contessa d’ Albany. — Chi pa- 
gò il monumento di Machiavelli? — Una società, per quello che 
io credo. — E quello di Galileo ? — I suoi parenti, se non mi 
inganno. — Quellà chiesa di Santa Croce, soggiunsi , è in assai 
cattivo stato: dal tetto vi piove, ed ogni parte abbisogna di ri- 
pari. E’ della gloria della maestà vostra il conservare que’ bei 
monumenti, e se il governo va al possesso delle rendite , è ben 
giusto che lasci la dote pel mantenimento delle fabbriche. Anche 
il duomo di Firenze comincia a deteriorare per mancanza di as- 
segni ordinati al suo ristauro. Anzi, in proposito delle chiese ri- 
piene di oggetti bellissimi, ho una supplica per implorare da 
vostra maestà, che non permetta che i monumenti dell’ arte sia- 
vu venduti agli ebrei. — Come venduti? Le cose belle tutte le 
faremo portar qua. 

» Via le lasci a Firenze; ove fanno accompagnamento colle 
opere a fresco che non si possono portare altrove; e sarebbe be- 
ne che il presidente dell’ accademia di Firenze potesse disporre 
liberamente per la custodia e conservazione delle belle opere di 
architettura e di affresco. — Io lo voglio, disse: — Questo fa glo- 
ria alla maestà vostra, tanto più che sento che la di lei fami- 
glia sia originaria fiorentina. — A questo passo l’ imperatrice si 
voltò, e disse: non siete corso? — Sì, ma di origine fiorentina. 
— Allora soggiunsi che il presidente dell’ accademia di Firenze, 
che tanto avea amore alla conservazione de’ monumenti dell’ ar- 
ti, era il senatore Alessandri di una delle più illustri case di 
Firenze, che anticamente maritò una dama ad uno della fami- 
glia di vostra maestà : dunque ella è italiano e noi ce ne van- 


55 
tiamo . — Lo sono certamente, rispose. — Così gli raccomandati 
instantemente l’ accademia fiorentina. 

,; Anche un altro giorno parlai lungamente a favore della 
romana accademia di S. Luca: senza scuole; senza convenienze; 
senza rendite , esser quindi necessario porla sul piede di quella 
di Milano . Ed altra volta ritornai su questo discorso e destra- 
mente dissi : faccia conto vostra maestà di avere un cantore ed 
una cantarina di meno, e doti l’ accademia di S. Luca: e questo 
Jo dissi perchè sapea che rimunerava il Crescentini di trentasei 
mila franchi all’ anno . Al che lo trovai assai propenso ; onde 
scrissi lettera al Manneval segretario particolare dell’ imperatore, 
informandolo che sua maestà era benissimo disposta a soccorrere 
alle arti in Roma, e avea promesso un decreto, e che quello 
bramavo portar meco a Roma. E il di 8 novembre il Manneval 
mi fece avere una lettera col mezzo del ministro Marescalchi 
contenente le disposizioni di sua maestà per l’ accademia romana, 

») Parlando dell’ accademia e degli artisti romani, disse Na- 
poleone : in Italia state male a pittori: noi ne abbiamo de’ mi- 
gliori in Francia. — Risposi esser molti anni ch'io non aveva veduto 
le opere de’ pittori francesi e non potea far confronti; ma che 
tuttavia noi avevame uomini valenti : a Roma il Camuccini e 
il Landi: a Firenze il Benvenuti: a Milano |’ Appiani e il Bossi 
erano tutti valentissimi. — Disse che li francesi mancavano un 
poco nel colorito, ma che nel disegno erano superiori ai nostri. 
— Non trascurai di osservare che anche i nostri disegnavano bene: 
che lasciando stare il Camuccini, il cui merito era noto ed esiì- 
mio, il Bossi avea fatto contorni divini, e l’ Appiani avea dipin- 
to a fresco le sale del palazzo di sua maestà a Milano, in modo 
che non avrei saputo trovare meglio. — A fresco dite bene, ma 
non a olio. — Presi la difesa de’ nostri e dissi, che bisognava 
pensare ancora quali incoraggimenti maggiori aveano gli artisti 
in Francia: che se si volessera memorare tutti i pittori di Fran- 
eia, sorpasserebbero tutti gli altri pittori. d’ Europa. 

3» Mi domandò del salone e dell’ opere di architettura di 
Parigi che stavansi erigendo , ed io feci i dovuti elogi de’ su- 
blimi artisti francesi e de’ loro monumenti. — Avete veduto la 


colonna di bronzo ? — Mi par cosa bella — Quelle aquile agli 
angoli non mi piacciono. — Eppure anche la traiana, d’ onde fu 
imitata quella di Parigi, ha quell’ ornamento. — Quell’ arco, che 


si costruisce al Bois di Boulogne, sarà bello? — Bellissimo: tante 
opere si fanno da vostra maestà, degne veramente degli antichi 
romani, e specialmente le strade magnifiche. — Nell’ anno ventu- 


56 
ro sarà finita, ei disse, la strada della Garnice, per cui si potrà 
andare da Parigi a Genova senza neve , e voglio farne un? altra 
da Parma al Golfo della Spezia , dove intendo formare un gran 
porto .— Sono tutti progetti degni, risposi, del vasto animo di 
vostra maestà; ma conviene ancora pensare alla conservazione 
delle insigni opere antiche . 

3) Alla sera dei 4 novembre mi recai dall’ imperatrice col 
busto già posto in gesso, ed ella si mise all’azione per farlo ve- 
dere alle dame, che giuocavano con lei, e tutte ne approvarono 
la somiglianza. Napoleone non v° era, onde l’ imperatrice disse, 
che all’indomane volea mostrarglielo all’ ora della colazione. — 
E poi, soggiunse, non volete veramente restar qui? — Voglio 
andare subito a Roma per farle trovare al suo arrivo colà, che 
spero presto, il modello bell’ e fatto della statua nella sua gran- 
dezza. — Qui l’ imperatrice mi fece molte interrogazioni sulla 
maniera del modellare, del formare il modello, dell’ eseguirlo nel 
marmo, e si parlò della mia statua della principessa Leopoldina 
Linctestein, e disse: quella è veramente una bellezza ideale. 

3; Il giorno dopo , cioè li 5 novembre , fui pronto a recare 
il busto nel gabinetto della colazione, dove le loro maestà ven- 
nero poco tempo dopo. Fui chiamato, che già eransi posti a se- 
dere; e mentre voleva scoprire il gesso, Napoleone mi trattenne 
dicendo: ora non posso: conviene che mangi: sono stanco, affati- 
cato, perchè ho scritto finora. — Ha ragione, risposi ; ed io mi 
faccio sorpresa come vostra maestà possa reggere a tante e così 
alte occupazioni. — Ho, disse, settanta milioni di sudditi; otto in 
nove cento mila soldati; quante forze non ebbero mai nemme- 
no i romani: ho dato quaranta battaglie; e a quella di Wagram 
ho tratto cento mila colpi di cannone; e questa signora, volgen- 
dosi all’ imperatrice , ch’ era allora arciduchessa d’ Austria, mi 
volea morto. — È vero, disse la Maria Luisa. — Ed io soggiunsi: 
or ringraziamo Iddio, che le cose mi pare che vadano diversa- 
mente. — E per quel dì non si fece altro , e il busto non si 
scoperse . 

3) Dopo alcuni giorni l’ imperatore lo vide, e fece porre al» 
l’azione l’ imperatrice , e la fece sorridere, e restò contento del 
lavoro . Gli dissi che quella fisionomia piuttosto lieta mi parea 
che meglio convenisse al carattere della Concordia, sotto il qual 
simulacro intendeva rappresentare l’ imperatrice, perchè per suo 
mezzo era seguita la pace. 

» L' imperatrice era alquanto infreddata, ed io mi permisi 
dirle che pareami s° avesse poco riguardo, che andava alla cac- 


97 
cia in calesse scoperto, cosa pericolosa specialmente in lei, ch’e- 
ra incinta. — La vedete, disse Napoleone : tutti se ne maravi- 
gliano; ma le donne — battendosi coll’ indice la fronte — le don- 
ne vogliono tutto a loro modo. Sentite: adesso vorrebbe venire 
a Cherburgo tante leghe lontane : io dico che s’ abbia cura. E 
voi siete maritato ? — Risposi : no sire: dovea maritarmi più vol- 
te, ma molte combinazioni mi tennero in libertà ; ed anche il 
timore di non trovare una donna che mi amasse , come l' avrei 
amata io, mi distolse dal cangiar stato, per poter esser libero 
e darmi tutto all’ arte mia. — Ah donne, donne, disse sorri- 
dendo Napoleone, e continuò a mangiare. — E siccome più volte 
gli avea toccato il punto di restituirmi a Roma, dopo che avessi 
preso il busto dell’ imperatrice, dicendo di non voler nulla per 
me , parve che quel mio renunziare a tutto dispiacesse all’ im- 
peratore ; e tornando allora ad insistere sulla mia partenza, mi 
licenziò dicendo: andate come volete. ,, 

Così il Canova partì di Parigi sulla fine dell’ anno 1810, ri- 
nunziando allo splendore di un lusinghiero destino, come già il 
suo Tiziano, dice il Missirini, rinunciò agli onori della corte di 
Spagna, non volendo abbandonare la cara patria. I Bolognesi, che 
speravano di averlo fra loro al passaggio, gli preparavano belle 
accoglienze , che i versi de’ loro poeti doveano rendere più de- 
gve di lui. Defraudati della loro aspettazione gli mandarono poi 
questi versi con quella lettera del nostro Giordani, che sapete 
e che non è facile dimenticare. Intanto ciò che il Canova aveva 
chiesto per l’ accademia romana di S. Luca, e pel presidente 
della fiorentina; anzi molto più che non avea chiesto era stato 
liberalmente decretato, ond’ egli nella sua riconoscenza scrisse 
fra l’ altre al Manneval queste parole che qui leggiamo: ,, De- 
gnatevi, vi prego, umiliare ai piedi dell’ imperatore l’ omaggio 
della mia ammirazione : da ciò ancor si conosce come l’anima 
sua si slancia possentemente verso la gloria; basta fargli un cen- 
no d'una cosa utile, e tosto è eseguita nella sua munificenza: 
io applaudo a questo bel cuore, il quale non si è degnato limi- 
tarsi alle mie inchieste, ma ha voluto sorpassarle. ,, L’ accademia 
di S. Luca, per sua parte, gratissima al Canova volle decretargli 
solenni ringraziamenti. ,, Perchè non sei fra noi o Canova? disse 
il prefetto di Tournon , presiedendo alla sua apertura. Il tuo 
labbro rispettato, con quell’ antabile semplicità, che soltanto ap- 
partiene all’ uomo di genio , ci avrebbe raccontato le paterne 
sollecitudini che nutre il sovrano per le àrti e per gli artisti. 
Tu ci avresti detto con che vivo interesse quest’ eroe parlava 


58 


teco delle arti, alle quali tu hai dato lustro. ,, Quindi 1’ accade» 


mia spediva ad incontrarlo i suoi professori Sterne, Wicar, e 


Finelli, che lo trovarono qui in casa del senatore Alessandri. 
La scena di quest’ incontro fu sì commovente, che il nostro Ben- 
venuti la stimò degno soggetto di un suo quadro. Canova, pre- 
si qui gli ordini per la stataa della principessa Elisa, se ne tornò 
al più presto a Roma, ove l’accademia lo invitava ad assamerne 
la presidenza, e dove il chiamavano le lettere di Miollis e de Ge- 
rando piene di amore e di profondo rispetto. Ma la gioia del sog- 
giorno romano gli fu in breve turbata dalla morte di Luisa Giu- 
li, ond’egli gravemente infermò; tanto il suo cordoglio fa smi- 
surato. Il giubilo pel suo ristabilimento fu pari all’ ansietà in 
cui avea tenuto il publico la sua malattia; e voi vi ricorderete 
dei versi greci e latini con cui lo espresse il nostro Ciampi. 
Spirato il tempo della presidenza, durante il quale | ottimo 
Canova non cessò d’ invocare i beneficii sovrani sovra l’accademia, 
questa il dichiarò suo presidente perpetuo; ciò che fu approvato da 
tutta la città. Egli volle schermirsi da tal distinzione, dicendo fra 
molt’ altre cose che Catone riprendeva grandemente i suoi cit- 
tadini che più volte conferivano ad uno stesso uomo la stessa 
magistratura , e mostravano in questo modo , o di apprezzar 
poco la carica o di apprezzar poco gli altri. Ma non valen- 
do le sue rimostranze, propose che il suo titolo fosse di sem- 
plice onore, e si eleggesse, e per giustizia e per mantener viva 
I’ emulazione, ai tempi stabiliti un presidente ordinario; nel che 
l’ accademia, volendogli compiacere, si aquietò. 

Ora, tornando alle sue opere, appena la salute glielo per- 
mise, diede egli mano alla statua della Concordia, modello 
sublime d’antica severità, come il Cicogvara si esprime; che 
dopo il cangiamento delle cose europee, l'imperatrice, dive- 
nuta duchessa di Parma, fece collocare nella sua villa di Co- 
lorno. Come Maria Luisa fu da lui rappresentata nella Con- 
cordia; Elisa fu raffigarata in una Polinnia , modello squisito 
di leggiadria, al dire del Cicognara medesimo , che acquistata 
dalla città di Venezia fu da lei poscia offerta in dono all’ im- 
peratore d’Austria per le ultime sue nozze, ed ora trovasi in 
Vienna nel gabinetto dell’augusta sua sposa. Dopo queste due 
statue fece Canova il gruppo delle Grazie sì caro a Giuseppi- 
na, che passato poi ad Eugenio suo figlio or vedesi in Mona- 
co. ,, Questo insigne monumento del tuo scarpello, gli scri- 
weva Bossi, andrà in Francia a dire, che non vi fu in Ita® 
lia chi sapesse dar luogo in sua casa alle Grazie di Canova ,, - 


O TL 


59 

Fu salutato, ben ve ne rammentate, con versi entusiastici dai 
poeti delle due nazioni, e quindi ripetuto per lord Bedfort 
dallo scultore . Contemporaneo al gruppo è il simulacro della 
Pace pel conte Romanzoff, opera di stil severo, e di cui lau 
tore particolarmente compiacevasi. La testa della Dea fu da 
lui ripetuta più volte e in busti e in erme, e una volta con 
velo sopra le chiome e il diadema. Intanto Bossi lo andava 
stimolando a compire la statua equestre di Napoleone ordinata 
per Napoli, e che dovea ripetersi per Montpellier; e Quatre- 
mére gli mandava consigli o piuttosto lo confermava nelle prime 
sue idee riguardo alla mossa del cavaliere. Cangiate le cose 
politiche, dovendo la statua servire per Giovacchino ; lo scul- 
tore aveva imaginato altra mossa. Quando, sopravenuti nuovi 
cangiamenti , e destinatasi la statua a ‘rappresentare Carlo III, 
ne imaginò una nuova, che a suo tempo si vedrà, quando cioè 
sarà finito il grandioso tempio, innanzi a cui debb’essere col- 
locata. Mentre essa fondevasi in bronzo dal Righetti, Canova 
modellava una statua , pur equestre, di Ferdinando per accompa- 
gnamento all’ altra: ed è mirabile, dice il nostro biografo, come 
in similissimo argomento egli abbia potuto trovare tante nuo- 
ve bellezze. Chi ardirà tradurle in marmo dopo di lui? Per 
ricreazione intanto, così il suo ingegno era flessibile, ei com- 
ponea per lord Cadwor quella sua Najade giacente coll’ Amo- 
rino che suona la cetra, posseduta ora dal re d’ Inghilterra . 
La replicava pci senz’ Amorino per lord Dandley; ma non po- 
te finirla. 

Avea già più anni innanzi il nostro scultore promesso al go- 
verno italiano il Teseo vincitore del Centauro da lui modellato, 
e intorno a cui, per tante altre distrazioni, più non dvea 
potuto operare. Or si diede a lavorarlo con indicibile alacri- 
tà , e fece veramente, come ne giudicarono gli intendenti, ope- 
ra fidiaca. L’imperator d’Austria venuto a Roma ne‘ rimase 
maravigliato, e pensò di far rifabbricare in Vienna il famoso 
tempio , dedicato in Atene all’eroe cui rappresenta, onde collo- 
carvelo. Si vede ora ne’ giardini imperiali di quella capitale , 
ove giunse nell’estate del 1819. Quest’ opera colossale ci fa 
pensare all’altra, con cui il buon Canova si era proposto di 
eternare la memoria del ritorno di Pio VII al trono ponti- 
ficale, voglio dire la statua della religione, Egli la modellò, 
coi consigli di Bossi e Quatrèmere dotti e candidi amici, e 
scolpita che fosse disegnava di collocarla nella basilica di S. 
Pietro, unico tempio che le convenisse. Gli fu contrastato 


60 
da chi meno il dovea; di che egli si afflisse grandissimamente ; 
e la statua non fu scolpita. 

Il decreto ottenuto da Canova per la romana accademia 
di belle arti, oltre un assegno di cento mila franchi annui per 
le sue spese, gliene dava dugento mila per gli scavi delle cose 
antiche ed altri cento mila per l’incoraggimento degli artisti, 
sotto l’ispezione del Canova medesimo. Questa nuova cara , 
quantunque fosse nna nuova distrazione da’ suoi geniali lavori, 
non lasciava, dice il biografo, d’essere cara al suo cuore. 
Quando trattavasi del bene altrui egli sempre vi era disposto; 
solo si mostrava restio quando si trattava di vantaggi suoi 
propri o di preminenze a cui si volesse inalzare. Già ne ab- 
biamo recato luminose prove e non importa recarne altre mi- 
nori. Aggiungneremo soltanto che questa sua modestia e inte- 
grità , generalmente ammirata, gli fu opportunissima, ond’es- 
sere utile a Roma in ogni tempo. Quando, dopo le sventure 
di Mosca e di Lipsia, Giovachino, distaccatosi da quello da 
cui ebbe il trono, invase co’ suoi eserciti lo stato romano, volle 
inalzare il Canova a grandi onori, ch’ egli consentaneo a sè 
stesso fermamente ricusò. Valendosi per altro della propensione 
che si aveva per lui, e dell’ appoggio del dotto ministro Zur- 
lo, il mostro scultore ottenne per l’arti e per gli artisti, sua 
famiglia prediletta , la confermazione di ciò che aveva antece- 
dentemente ottenuto, e nuovi beneficii. E come il pontefice , 
dopo più anni di dolorosa assenza, fu di ritorno , essendo egli 
andato ad incontrarlo, non d’altro gli parlò, non altro racco- 
mandò a Consalvi se non che il bene da lui procurato fosse da 
loro continuato. Il pontefice e l’egregio ministro arrisero ai suoi 
voti pienamente. 

Durante la loro assenza, mentr’ egli otteneva una dotazione 
per l’ accademia di belle arti, dotava del suo proprio peculio 
l’accademia archeologica nata recentemente, poi caduta, e da 
lai rialzata per quel favore che godeva presso chi aveva il 
potere. Or raccomandò al pontefice la sua conservazione ; e 
questa pure non gli poteva esser negata. La scienza archeolo- 
gica era, secondo i suoi principii, strettamente congiunta allo 
studio dell’ arti. ,, Come queste, diceva egli nel discorso 
d’aprimento della nuova academia riportato dal nostro biografo, 
hanno una scienza di esecuzione, così si adornano d’una scienza 
d’ abbellimento : questa, prescindendo anche dai principii estrin- 


seci dell’arte e del bello, considerata solamente sotto l’aspet- © 


to dell’erudizione, è necessarissima . ,, Ed egli di fatti ap- 


A 


6i 

plicò l’animo ad acquistarla; e questa non fa piccola cagione 
della sua eccellenza nell’arte. E come, senza la pratica di que- 
sta, siffatta scienza non è compiuta , ebbe ragione il nostro biogra- 
fo di asserire che il solo Canova l’abbracciò tutta quanta. Di 
ciò egli reca bellissime prove ne’ pensieri del Canova sull’arte 
sua, pieni pur d’altro che di scienza archeologica, e che vi au- 
guro di poter leggere e meditare a vostr’ agio. Io vorrei poter 
qui leggere con voi questo suo giudizio sopra alcune sue opere 
che il biografo pur riferisce , non saprei dire se a maggior prova 
d’intendimento o d’ ingenuità del sommo artefice che lo scrisse; 
ma il tempo ci è scarso a tal prolungazione di piacere. 
Del resto tutta la vita, di cui si ragiona, è sparsa di tante cose 
importanti, che non sì ha coraggio di trattenersi piuttosto so- 
pra le une che sopra le altre. Bisogna assolutamente donare a 
tutte insieme ( ove non istanchi un poco la ricercatezza dello 
stile con cui sono esposte ) qualche giornata . i 

Il sommo artista , il protettor delle arti doveva essere ono- 
rato da tutte le accademie che si consacrano alla loro cultura ; 
e lungo sarebbe a dire di qual modo lusinghevole lo fu. Nè le 
sole academie lo ambirono aggregato al loro corpo, ma anche 
i muncipj alla loro cittadinanza, ;, chè il Canova , ci dice il suo 
biografo , in ogni parte della terra venia qual fratello estimato 
e creduto come a tutta l’umana specie appartenere. ,, Ma que- 
st’ opinione, che si aveva di lui, gli piacque soprattuto ne’ sam- 
marinesi, alla cui republica, venerabile per la santità delle leggi 
e la semplicità de’ costumi, ei godeva, secondo che riferisce il 
biografo, di vedersi ascritto più che a qualunque grand’ impero 
della terra. ,, Belle stampe dell’opere sue, egli aggiunge, man- 
dò in dono il Canova alla repubblica, e quella onestò e distinse 
singolarmente in faccia al mondo coll’iotitolarle il simulacro 
per esso effigiato di Napoleone, estimando che un uomo per 
molti titoli singolare dovea ad una republica singolare consa- 
crarsi. ,, I principi anch’essi gareggiarono nell’aggregare il no- 
stro Canova ai loro ordini equestri, Già dicemmo come il papa 
lo fece cavaliere dello speron d’ oro: in segnito lo decorò della 
croce dell’ ordine di Cristo. L’imperator de’ francesi, come re 
d’Italia, lo avea fatto cavaliere della corona ferrea ; 1’ imperator 
d’Austria lo nominò commendatore dell’ istesso ordine, e cava- 
liere di quello di S. Leopoldo. L’imperator delle Russie infine 
lo ereò cavaliere dell’ ordine di S.' Giorgio, e il re di Napoli 
scommendatore di quello delle due Sicilie. Il buon Canova go- 
deva modestamente di questi onori, più pago di meritarli che 


62 
di conseguirli. Meglio godeva forse della famigliarità con cui 
talvolta i principi e i ministri gli scrivevano e della. bene- 
volenza con cui lo trattavano. Questa interessava il suo cuore 
e potea giovargli in altrui beneficio. E gli giovò grandemente 
per ricuperare i monumenti d’antichità, che da Roma erano 
stati trasportati a Parigi quai trofei della conquista. La missio« 
ne che gliene diede il pontefice nell’agosto del 1815 era diffici- 
lissima ; ed ei lo sentiva. I ministri del re di Francia, com’ era 
da aspettarsi, udirono mal volentieri parlare di restituzione... A 
quelli delle potenze alleate non giovò dire fra molte altre belle 
cose : ‘“ La decomposizione del museo di Roma è la morte di 
tutte le cognizioni dell’arte il cui principio è l’ unità. L’ antica 
Roma, esiste tuttavia ne’ suoi monumenti, e se ha alcun vuoto, 
esso si ripara giornalmente colle nuove scoperte. Tutti questi 
oggetti riuniti si illustrano e si spiegano a vicenda. Fuori che 
Roma, non ha città in Europa che possa offrire a questi capila- 
vori un ospizio degno di loro nè un tempio più proprio. Ella 
deve questo privilegio alla stessa natura delle cose e all’ esisten- 
za e alla conservazione de’ monumenti indigeni e delle antiche 
tradizioni, e n’è debitrice finalmente allo zelo infaticabile e co- 
stante del governo pontificio , che dopo il risorgimento delle let- 
tere si travagliò e fatica tuttavia a cercare, a restaurare e a 
rimettere in onore ciò che l'invidia de’ secoli avea sepolto. Ro- 
ma dunque per gli artisti e per gli amatori tiene il posto che 
aenea un giorno la Grecia verso Roma; e la sua politica esisten- 
za la rende ancora il luogo più acconcio ad una centrale scuola 
europea . ;, Bisognò che il buon Canova la facesse da diplomatico 
provando l’insussistenza del trattato di Tolentino ; onde la mag- 
gior parte de’ reclamati monumenti era venuta in poter de’ fran- 
cesi: e un po’ le sue buone ragioni, un po’ la propensione di 
qualche sovrano, a cui se non potè presentarsi potè almeno 
scrivere, un po’ l’opera d’alcuni ministri, e de’ britannici ‘spe- 
cialmente , la cosa riuscì a quel termine ch’ egli desiderava. E 
come, se Roma dovea provarne gioja, Parigi dovea sentirne 
amarezza , ei cercò di temperarla con spontanee cessioni, inter- 
pretando la mente del pontefice, che difatti ne lo commendò. 
Malgrado queste concessioni , l’atto di levare dal museo pari- 
gino ciò che ne formava il principale ornamento, non fu per lui 
senza qualche pericolo d’insulto, E sebbene avesse sicurissima 
guardia nella riverenza che ispirava il suo nome, fu creduto 
opportuno il dargliene altre contro gli uomini materiali, che 
fossero per mancare a tal riverenza. Il governo britannico in- 


= ” ov 


7 63 

tanto pose a sua disposizione cento mila franchi pel trasporto 
de’ monumenti ricuperati, che il fratel sno condusse a Roma 
festosamente, ment” egli e per gratitudine e per soddisfare un 
antico desiderio si volse alle sponde del Tamigi. Il soggiorno 
di Canova a Londra, dice il suo biografo, fu un continuo trion- 
fo, sì egli era onorato e festeggiato da tutti, Da lord Liverpool 
fu presentato al principe reggente, che il'regalò di ricca tabacchie- 
ra, aggiunse ai cento mila franchi, già assegnati pel trasporto dei 
monumenti , altri cento mila pel loro collocamento, e mostrò 
desiderio di avere i gessi delle più belle statue de’ romani mu- 
sei, che il pontefice poi gli spedì. Si strinse di particolare 
amicizia col celebre Flaxman, il nestore degli statuarj inglesi; 
ricevette dall’ Haydon la dedica della sua grande edizione di 
Milton, dagli altri cultori dell’arti o degli studi gentili mille 
segni di stima. D’una delle cose che gli diede in Londra mag- 
gior piacere, e che forse gli avea dato grande stimolo all’an- 
data, udiamo com’ egli stesso ne scriveva in data dei 9g novem- 
bre al suo Quatreméère. ‘ Eccomi a Londra, mio caro ed ot- 
timo amico. Capitale sorprendente: bellissime strade : bellissi- 
me piazze: bellissimi ponti: grande pulizia: e quello che più 
sorprende è che si vede ogni dove il ben essere dell’ umanità. 
Ho veduto i marmi venuti di Grecia : de’ bassirilievi già ne ave- 
vamo una idea dalle stampe, da qualche gesso ed ancora da 
qualche pezzo di marmo: ma delle figure in grande, nelle 
quali l’ artista può far mostra del vero suo sapere, non ne sape- 
vamo nulla. Se è vero che queste siano opere di Fidia, o diret- 
te da esso, o ch'egli v'abbia posto le mani per ultimarle; que- 
ste mostrano chiaramente, che i grandi maestri erano veri imitatori 
della bella natura: niente avevano di affettato, niente di esage- 
rato nè di duro, cioè nulla di quelle parti che si chiamereb- 
bero di convenzione o geometriche. Concludo che tante e tante 
statue, che noi abbiamo con quelle esagerazioni, devono essere 
copie fatte da que’ tanti scultori, che replicarono le belle opere 
greche per ispedirle a Roma. Le opere di Fidia sono una ve- 
ra carne, cioè la bella natara, come lo sono le altre esimie scul- 
ture antiche ; perchè carne è il Mercurio di Belvedere, carne il 
Torso, carne il Gladiator combattente, carne le tante copie del 
Satiro di Prassitele, carne il Cupido, di cui si trovan frammenti 
dappertutto, carne la Venere: ed una Venere poi di questo 
real musco è carne verissima, Devo confessarvi , che in aver 
veduto queste belle cose il mio amor proprio è stato solleti- 
cato, perchè sempre sono stato di sentimento che li grandi 


64 

maestri avessero dovuto operare in questo modo e non altri- 
menti. Non crediate che lo stile de’ bassirilievi del tempio di 
Minerva sia diverso: essi hanno tutti le brone forme e la car- 
nosità, perchè sono sempre gli uomini stati composti di carne 
flessibile e non di bronzo. Basta questo giudizio per determi- 
nare una volta efficacemente gli scultori a rinunciare ad ogni 
rigidità, attenendosi piuttosto al bello e morbido impasto na- 
turale. ,, 

Quando Canova partì di Londra, i giornali parlarono e 
delle sue amabili maniere con cui si era ivi guadagnati tutti i 
cuori, e del suo candore, onde aveva maggior risalto il, suo 
tanto sapere. Egli tenne la via del Reno per ricondursi in Ita- 
lia, e lasciò dovunque la stessa grata impressione. Il suo ri- 
torno in Roma, come ben potete imaginarvi, fu una publica 
festa. Un medaglione coniatogli coll’Apollo di Belvedere nel 
rovescio ne eterna ai posteri la rimembranza. Ma questo fu 
tributo dell’entusiasmo de’ privati. Il pontefice, onde mo- 
strargli il suo alto aggradimento per ciò che aveva operato a 
vantaggio di Roma e dell’arti, volle ascriverlo alla romana no- 
biltà col titolo di marchese d’ Ischia , e l’annua rendita di tre- 
mila scudi; ciò che gli fa significato dal cardinal Consalvi se- 
gretario di stato, e dal senato romano con lettere onorificen- 
tissime. Il Canova, per mostrarne riconoscenza degna di lui, 
ripartì la rendita a dotazione delle academie pittorica , archeo- 
logica , e scientifica appellata de’ Lincei, e a sussidio de’ giova- 
ni artisti che riportassero il premio triennale da lui fondato. Del 
resto l’unico segno, ch’ ei diede di accorgersi della sua nuova 
nobiltà, fu di scegliersi uno stemma, che compose d’un serpe e 
d’una lira, attributi d’ Euridice e d’ Orfeo, le prime due sta- 
tue con cui si era messo nella gran via dell’arte sua. Alla quale 
pensando di aver già tolto troppo tempo, si rimise al lavoro, 
dice il biografo, con tanto animo e diligenza come un allievo 
che allora incominciasse. E ben ne aveva uno per le mani, di 
cui nessun altro mai gli piacque maggiormente o maggiormente 
lo infiammò, voglio dire la statua di Washington, allogatagli dal 
governo degli Stati Uniti. Si fece leggere tutta la storia della 
guerra americana del nostro Botta, ed altri libri che riguardano 
quell’ eroe, e ben pieno la mente del suo sublime carattere 
si diede ad esprimerlo nel marmo. Già sapete ch’ei fece l’ eroe 
sedente nell’atto di segnare la sua rinuncia al comando, e gli 
pose in volto (un gesso del Ceracchi gliene prestava i veri linea- 
menti ) quella virtù ch’ ebbe nel cuore. Il ricevimento della statua ; 


65 


che giunse nella città che porta il none del grande in essa efligiato 
sulla fine del 1821, non ha esempio fra i moderni popoli europei. 
Giunta sulla piazza prima d’esser condotta al campidoglio ov’ è 
collocata, il colonnello Polk disse fra l’altre cose al popolo 
festeggiante che lo ascoltava: ,, E per noi gratissimo il sape- 
re che questo fu uno de’ lavori più prediletti dall’autor suo. 
Essendo egli grande ammiratore del carattere di Washington, 
prodigò sulla sua statua i più ricchi tesori del proprio genio. 
Canova è un vero amico della libertà, che ha per compagna 
la virtù, e fu degno scultore di Washington. ,, 

Dopo questa statua (che fu soggetto di disputa agli ar- 
tisti in grazia del suo antico panneggiamento ) egli scolpì a 
spese dell’Inghilterra il monumento ai tre ultimi principi della 
famiglia staarda , che venne collocato nella basilica vaticana. Non 
potendo in questo genere far niente di più bello di quanto già 
avea fatto, fece qualche cosa di nuovo , e lo fece accostandosi 
vie più all’antico. Vi ricorderete della prosa leggiadra con cui ci 
descrisse quest’ opera il Perticari. Gli inglesi si ricordano dei 
versi ingegnosi, con cui fu lodata dalla Montagù , Il gruppo 
di Marte e Venere, ossia la riconciliazione della Guerra colla 
Pace, eseguita in seguito per chi tiene il trono che già occu- 
parono gli staardi, è stimato il più perfetto de’ suoi lavori, 
Mentre il Canova lo componeva , il pittor Pozzi componeva per 
‘lui il gran quadro del martirio di S. Stefano , di cui egli fece 
dono al suo Panteon prediletto; e il Righetti, con nuove in- 
dustrie suggeritegli dal Canova medesimo, che n° ebbe l’ esempio a 
Parigi, si preparava a fondere le sue statue equestri. Creava- 
sì intanto una commissione generale consultiva di belle arti, e 
il Canova n° era eletto presidente. Questa nuova cura unita alle 
altre, di cui già si parlò, non parea punto che il distraesse 
dall’ operare nel suo studio. Poichè in un solo anno modellò è 
in gran parte scolpì quattro statue forse più grandi del vero, 
° l’Endimione dormiente, la Ninfa appoggiata ad una cista mi. 
stica, la Maddalena svenuta, e la Ninfa che riposa. Di tutte 
quattro, l’ Endimione , or posseduto dal duca di Devonshire, 
riuscì la più mirabile: è un vero esempio di quel grande stile 
che si appella fidiaco. La Ninfa colla cista mistica è forse l’a- 
nico esempio di bellezza proterva lasciato dal Canova, le cui 
teste esprimono tutte certa idea spirituale. Fu denominata Dirce 
nudrice di Bacco; e questa denominazione spiega abbastanza 
il suo carattere. Desiderò possederla il re d’ Inghilterra quan- 
tunque non terminata. La Maddalena , fatta pel conte di Li. 


"T. XVI. Ottobre 5 


66 


verpool, riuscì ancor più perfetta, secondo i rigidi primcipii 
dell’arte, che quella già fatta pel conte Sommariva. Della Ninfa 
dormiente, che credo non compita, e rimasta nello studio 
dell’ autore, bisogna legger quel passo d’una poesia dell'inglese 
Vincent, che il biografo ne riporta : mi par veramente in ar- 
monia colla scultura. Contemporanea alle quattro statue, che ho 
detto, fu quella d’un piccolo S. Giovanni pel duca di Blacas e 
l’altra colossale di Pio VI commessagli dal card. Braschi. Fin- 
chè questa non fa al suo posto parve a molti d’eccessiva gran- 
dezza ; trasportata nella confessione di S. Pietro mostrò quanta 
euritmia fosse negli occhi di Canova. 

Passando egli nel frattempo per Padova, onde recarsi alla 
patria, vi è noto come tutto il teatro surse a fargli onore ; 
ciò che gli era avvenuto pochi anni innanzi anche in Verona. 
In Treviso ebbe versi di applauso , in Pagnano, ove passò gli 
anni della puerizia, gli fa posta una lapide che ricordasse que- 
sta sua visita. Il motivo che lo riconduceva alla terra nativa 


già lo sapete: era la fondazione di quel suo tempio famoso , 


monumento di romana grandezza e di greca eleganza, onde 


quella terra avrà perpetua memoria dell’ amor suo. La prima 
pietra del tempio fu da lui gettata l’ 11 luglio del 1819; e 
la descrizione di quella commovente cerimonia , che si vide in 
parecchi giornali, è impossibile che l’ abbiate dimenticata. Nè 
avrete dimenticato quel suo gran convito d’ agricoltori e di con- 
iadinelle, alle quali distribuì in varj premi due migliaia di 
lire, ad incoraggimento della loro virtù. E la ceremonia e il 
convito sarebbero due soggetti bellissimi di pittura per la scuola 
veneziana specialmente ; e chi sa che un giorno o l’altro non 
li vediamo trattati. In ciascuno degli anni seguenti, inoltrandosi 
con molta celerità il sacro edificio, Canova non mancò di 
visitarlo; e ogni sua visita era un nuovo beneficio per la gente 
della sua patria. Annunciando quella ch’ ei gli fece nell’ agosto 
del 1821 un giornale francese dice: ,, Fa certo gran meraviglia 
il pensare che la fortuna sia stata così liberale verso un arte- 
fice, ch’ ei possa co’ doni da lei ricevati inalzare un simile 
monumento, Ma la maraviglia diventa minore quando si pensa 
che Canova vive in Roma da molt’anni imponendo a sè stesso 
le più severe privazioni, e ch’ egli consacra il frutto delle fa- 
tiche dell’intera sua vita alla gloria della religione , della pa- 
tria e dell’ arti. ,, Mentre ciò si scriveva in Francia, venivano 
‘al Canova ringraziamenti d’ ogni parte d’ Italia , che riguardava 
il monumento possagnese qual monumento nazionale. 


07 

Il sarcofago da inalzigrsi alla memoria del marchese Berio di 
Napoli, sette bassi rilievi da servire di metope fra i triglifi 
del tempio di Possagno, e il gruppo della Pietà pel tenpio 
medesimo furono le u!time sue opere. Il sarcofago, vera scena 
di dolore, in cui piacque al Canova seguir lo stile di Donatello, 
non fu che modellato. I bassirilievi, i quali rappresentano la 
Creazione del mondo , l’eterno Padre che vivifica l’ uomo, il 
fratricidio di Caino , il sagrificio d’Abramo, l’annunziazione della 
Vergine, la visitazione di santa Elisabetta e la Presentazione al 
tempio , furono eseguiti in marmo. Doveano accompagnarli altri 
sette; ma la morte dell’artista , a cui pur troppo ci avviciniamo 
col racconto, non lo permise. Per essa rimase inesegaito anche il 
gruppo della Pietà, composto nel suo modello di tre figure , il 
Cristo morto, cioè, la Madre sua e la Maddalena addolorata che 
il tengono in mezzo. Il diverso dolore delle due donne fu sog- 
getto di gran lode per gli intelligenti: l'ideale dell’ uomo Dio 
parve cosa novissima , anzi il sommo dell’arte umana. Non osando 
forse verun artefice di tradurre in marmo un tal gruppo, il fra- 
tello di Canova ha saggiamente pensato di farlo fondere in bronzo. 

Era un prodigio veramente , dice il biografo, il vedere che 
mentre tutti gli artisti sul declinare de’ loro giorni sentono infie- 
volire il vigor dell’ ingegno, Canova se lo sentisse rinforzare. Ma 
pur troppo le forze del corpo andavano mancando, e l’ostinata 
fatica a cui egli le obbligava, senza mai darsi sollievo, e spesso 
trascurando fino il nutrimento, non poteva che essergli fatale. 
Di ciò lo avvisavano gli amici, pregandolo a perdonare alcun 
poco a sè stesso ; di ciò lo avvertivano gli incomodi che comin- 
ciava a soffrire; ma inutilmente, Nella primavera del 1822 ei 
corse a Napoli per effigiare uno de’ personaggi delle due statue 
equestri destinate a quella capitale ; e taluno ne sperò bene per 
la sua salute; ma questa sgraziatamente peggiorò. Come peraltro 
nulla fosse, egli ritornato a Roma si diede a continuare i suoi 
lavori; finchè inoltrato alquanto il settembre pensò alla sua so- 
lita visita di Possagno. I suoi al vederlo sparuto e rifinito, come 
non l’ aveano veduto mai, ne impaurirono ; e i loro timori fu- 
rono ben presto accresciuti dall’ eccessivo indebolimento in cui 
cadde, e per cui gli fu bisogno di non picciolo sforzo, onde 
condursi ne’ primi d’ ottobre a Venezia. Ma non giunse la metà 
del mese, come ben vi ricordate (la trista mattina dei 13 a chi 
non è memorabile?) che contrastando invano la medic’ arte colla 
sua malattia, accresciuta da alcuni patemi d'animo, di cui un giorno 
la storia parlerà ; egli finì la sua carriera illustre , lasciando noi, che 


68 


tutti ne ricevevamo. splendore, quasi in un bujo di notte do- 
lorosa. Suo fratello, esecutore delie sue ultime volontà, tutte 
benefiche e tutte degne del suo grande animo; il suo Cicogna- 
ra, l amico Francesconi ,, che lo aveva accolto in sua casa ; 
Aglietti, Zannini suoi medici erano intorno al suo letto; e i due 
ultimi ci hanno con calde e pietose parole narrata la sua morte. 
Di essa io non vi ricorderò a conforto se non quel momento in 
cui la sua languida fisionomia, ravvivatasi d’ improvviso, parve 
esprimere l'ispirazione di un concetto sublime, o 1’ aspettazione 
di una gloria celeste. I segni di dolore dati per questa morte 
furono proporzionati all’ amore e all’ ammirazione che Canova si 
era meritato colla sua vita. Compiuti i primi funerali, a cui ac- 
corse tutta Venezia , e sarebbe accorsa potendo tutta la terra, 
prima che le mortali sue spoglie fossero trasportate a Possagno 
ond’ essere deposte nel nuovo suo tempio, fu d’ uopo recarle un 
istante all'accademia di belle arti, ove i professori e gli alunni 
voleano pagar loro un estremo tributo. Ivi il Cicognara, pronun- 
ciando le lodi dell’ estinto, fu costretto interrompere il suo di- 
scorso per piangere ; e quest’ eloquenza delle lacrime cavò le 
tacrime della folla che lo circondava. Ripigliatosi, ei propose una 
tomba europea al grand’ uomo che onorò tutta Europa, ,, Frat- 
tanto, egli aggiunse, quest’ accademia, ambiziosa di segnalare sè 
stessa senza l’intervento di alcun estraneo sussidio , erige nel 
proprio recinto un segnale di devozione destinato a custodire il 
cuore del suo amorosissimo concittadino e- fratello . ,, I funerali 
celebrati pochi giorni appresso in Possagno furono più semplici 
ina forse ancor più commoventi . L’ elogio del defunto fu pro- 
nunciato sulla pubblica piazza fra i singhiozzi delle accorse po- 
polazioni. Molte intanto delle più illustri accademie nazionali @ 
forestiere , al triste annunzio della morte del principe dell’ arti 
a cui sono consecrate, si affrettarono ad onorare la sua memo- 
ria; e si distinse fra esse l'ateneo di 'Trevigi che gli decretò un 
erma ; e gli fece coniare una medaglia dal Pauttinati . Altra ne 
coniò spontaneamente quest’ artefice a nome del secolo decimo- 
nono. Le accademie romane non potevano esser ultime in questa 
gara; e meno di tutte il poteva essere l’ accademia di S. Luca 
tanto dal Canova amata e beneficata. 

,, Il nostro concittadino e fratello marchese Antonio Cano- 
va, le scriveva il conte Cicognara, che partì per aprire in Ro- 
ma e nel mondo una nuova e mirabile via nelle arti dell'imi- 
tazione, e che da quel punto fissò l’ onore del secolo e le glorie 
della scultura, ricondotto fra noi dalla mano della providenza, 


6g 

esilò fra i suoi 1 allimo respiro, non da altre cure angustiato; 
che dal non aver avuto ancora venti giorni di vità per ultima- 
re il monumento di Pio VI. Quest'uomo straordinario e non 
meno caro alla specie umana per le virtù del cuore che per 
la sublimità dell'ingegno e il valore della mano, è stato com- 
pianto dalle lagrime universali in un modo da segnare epoca 
negli annali delle nazioni, La nascente accademia veneta, di trop- 
po recente istituzione e di piccoli mezzi fornita, ha cercato 0- 
morare una tanta memoria con quegli scarsi aiuti che erano în 
poter suo . ;, L'accademia di ‘S. Luca all’ udire queste parole de- 
eretò primieramente al Canova una statua marmorea da collo- 
carsi nel luogo della sua residenza, per la quale, oltre Alvarez 
già nominato , offersero a gara la loro opera gratuita il Fabris e 
il‘d’ Este; indi le solenni esequie, che poi si celebrarono nella 
chiesa de’ ss. apostoli, in presenza del monumento di Ganganelli e 
fra i bassi rilievi modellati dalla pietà del sommo artefice, ed ivi 
trasportati. Qual parte vi prendessero i grandi, gli artisti, i letterati, 
tutte la città è facile imaginarlo a chi non ne abbia notizia; se pur 
w' è alcuno così rozzo in Italia, a cui la notizia non ne sia pervenu- 
ta. La necessità degli apparecchi, dice il biografo, fece ritardare que- 
st’esequie come già in Siracusa quelle di Timoleone: il loro princi- 
pale ornamento ricordava quelle di Raffaello, a cui fu portato il qua- 
dro della Trasfigurazione. Due grandi ‘medaglie 1’ una coniata a 
nome dell'accademia, l’ altra ditutti gli artisti, perpetuano la me- 
moria della lugubre cerimonia. Così ebbe sfogo il primo dolore 
mella gran perdita fatta dall’ Italia ; altro si aspetta dalla gra- 
titudine ‘de’ privati e dalla publica ammirazione. 

Fu il Canova , dice il nostro biografo , di bella nom molto 
alta persona , e alquanto magra ed asciutta : occhi vivi e pe- 
netranti ; sguardo aquilino : naso di giusta misura :. fronte am- 
pia e serena: bocca si direbbe quasi risplendente d’ un gentile 
sorriso : volto modesto e composto a dolcezza : color» misto di 
pallore e di verecondia. La sua complessione: per lungo tempo 
fu assai debole e delicata; poi si rinforzò e divenne ‘gagliarda. 
Fino agli anni più gravi ei conservò l’anima ardente e innamo- 
rata delle cose belle. La duchessa d’ Albany gli dicea + voi siete 
vecchio, ma avete il cuor giovane. Egli infatti si scuoteva ad 
ogni minima impressione , s’ accendeva ad ogni scintilla . Nulla 
però lo infiammava maggiormente come la vista o il pensiero 
di cose nobili e generose. La mente fu in esso lucida, l’ inge- 


gno pronto e prespicace, l’ accorgimento incredibile * Curiosissi- 


mo delle cose più piccole e audacissimo ad imprendere le più 


70 
grandi. D'indole affabile e gioconda si accomodava vezzosamen- 
te all’ indole di ciascuno, e giocava co’ fanciulli mostrando quasi 
l’ innocenza della loro età. Semplice, schietto, festivo cogli ami- 
ci, alquanto timido cogli sconosciuti; umile cogli inferiori, e co- 
raggioso nel dire il vero a’ potenti. Era netto nel vestire , ma 
senza lusso : avea casi cultissima ma senza delizie: accoglieva e 
convitava i letterati e gli artisti distinti , fra cui sedeva uditore 
e non maestro. Soleva levarsi di buon mattino e subito porsi al 
lavoro, che non lasciava se non per prendere il necessario nu- 
trimento , dopo il quale si preparava con breve riposo a nuova 
fatica. Spendeva la sera in offici d’ urbanità, ai quali mai non 
mancò, in piacevoli colloqui colle persone che gli erano care, e 
in ascoltar musica, di cui era amantissimo. Visse sessantacinque 
anni alla virtù e all’ arte sua di cui si era proposta l’ eccellen- 
za, e morì tra i conforti deli’ amicizia e della religione, che avea 
sì candidamente osservate. Non ebbe scolari, ma solo giornalieri 
sgrossatori de’ marmi, pensando che gli allievi si fanno più co- 
gli esempi che coi precetti. Trovo nel catalogo del Cicognara che 
le opere complete uscite dalla sua mano giungono al numero 
di cento ottantasei: 53 statue; 13 gruppi; 19 cenotafii; $ gran 
monumenti; 7 colossi; 2 gruppi colossali; 54 busti; 26 bassiri- 
rilievi, uno solo dei quali eseguito in marmo. A questi biso- 
gna aggiungere nn immenso numero di studii, disegni, modelli, 
e lavori nom finiti, che trovansi nel suo gabinetto; e ventidue 
quadri, dipinti, che non credo di aver tutti nominati , come forse 
non ho nominate tutte le sculture. Nell’ arte non conobbe astio né 
gelosia ; non fu quasi turbato che da pubblici mali. Operava per 
così dire. in publico e in presenza degli emuli suoi; perdonava 
alla mediocrità , dicendo di sapere quanto costi il far bene; 
gioiva dell’ altrui valore; dubitava sempre del proprio. La gran- 
dezza del nome italiano parve che fosse il primo de’ suoi pen- 
sieri: ei diceva esser nostro distintivo il fare ogni gran cosa iù 
mezzo a tutte le contrarietà della fortuna, pel solo appagamento 
dell’ animo, ‘e la speranza del retto giudizio della posterità. A- 
mava le lettere, era nemico alla pedanteria , prediligeva sopra 
gli altri scrittori Tacito e Machiavello. Soffriva degli altrui bi- 
sogni, ed era sempre prontissimo a sollevarli; ricambiava le of- 
fese coi beneficii, l’amore con indicibile tenerezza, Ebbe amici 
tutti valenti, la maggior parte dei quali sono stati da noi nominati 
in questo nostro discorso ; e, non potendo di frequenza, coltivava 
per lettere la loro amicizia. Dice il biografo, parlando del suo 
carteggio con quello da cui ci aspettavamo il suo più compiuto elo- 


gi 

gio , che non può imaginarsi nulla di più affettuoso , e di più caro. 
Custodì gelosamente nel ritiro la libertà de’suoi sentimenti, on- 
de, se ebbe afflizione, non ebbe offesa dalle politiche vicende suc- 
cedutesi intorno a lui con tanta agitazione e rapidità. Composto 
nel suo vivere, lontano da ogni vanità, cospicuo per la modestia 
come per le sue onorate azioni, esercitò, come diceva il Vasari 
dello scultor Rossellino, la sua arte con tanta grazia, che da o- 
gni suo conoscente fu stimato assai più che uomo, e adorato qua- 
si per santo. 


M. 


——r__7___—_—_m_myyyyy—7—_É_________m_______—@__rÉywy_y—_Ép@@t@@ò@m@ 


Gi 


Dei diritti per le leggi delle XII Tavole competenti ai cre- 
‘ ditori sul corpo del comun debitore (*). 


È natura delle umane cose, e specialmente poi delle fa- 
velle, e dei linguaggi, che prima di aggiugnere ad uno stato 
di perfezione, e durata corran prima, nel giro di molti secoli, 
per una lunga, e continuata serie di cambiamenti. E quindi ay- 
viene che i filologi, i quali nei tempi più umani, e più colti 
rivolgonsi indietro a meditare le primitive forme dei linguag- 
gi le trovano così alterate, e diverse dalle presenti che dopo 
falicosissimi studi, o malagevolmente riescono nell’impresa, o 
ancor più spesse cadono in gravi errori, Nè i latini filologi 
ebber degli altri maggior ventura, se credasi a quanto dei 
medesimi lasciò scritto Polibio nel terzo libro delle sue sto- 
rie (1). E la difficoltà crebbe tanto coll’ andare del tempo 
che quel dottissimo dei Romani Terenzio Varrone ,. alloraquan- 


(*) Essendomi eccorso all’ occhio nel Fascicolo VI. del giornale francese La 
Thémis che il sig. Venceslao Alessandro Macieiouski J. U. D. abbia publi- 
cato in Varsavia vari opuscoli non ancora a noi pervenuti, in uno dei quali 
paragonando le leggi di Solone con le leggi Decemvirali , dopo avere opinato 
che la legge di Solone permettesse ai creditori d’ impossessarsi soltanto del 
comun debitore, si attenta poi di provare che la legge Decemvirale desse licene 


za ai creditori di farlo in brani, mi venne nell’ animo di pubblicare questi miei 
pensamenti. 


(1) TuAmedrn yop ù diadopà yéyove Tijs* diaAéxre, 
uan TapàPwpatos tig vÙv pds TUÙ Apratav disse tes cuverbTa- 
tes via pb BÈ emiskosos diounpi vEÎV. Veteris sane linguae etiana 


latinae tanta diversitas est ab illa qua hodie utuotur, at vel peritissimi nonnulla 
aegre, ubi animuna attenderint, explicari queant, Polid. Mistoriar. Lib. 3. 


72 

do, cento anni dopo, prese a discorrere della lingua del La- 
zio, con ottimo consiglio si astenne da voler spiegare gran 
numero di frasi, e di voci siccome cosa disperata a tentar- 
si (2). Tante erano infatti le vicissitudini, per le quali dalla 
sua origine insino a’ tempi d’ Augusto era passato quell’ idio- 
«ma, che da secolo a secolo sembrò rinnovarsi del tutto (3). E 
però quel divino italiano ingegno , il quale si volse a contem- 
plare sotto un nuovo e non .ancor tentato aspetto i principj 
delle nazioni, e in particolare quelli sui quali fondossi la Ro- 
mana repubblica, non si trattenne punto dallo spiegare taluni 
frammenti delle antichissime sue leggi diversamente dai romani 
giureeonsulti, e filologi, perchè egli, per tanta antichità si 
fece a considerarli, come cose a niuno appartenenti, e che 
dovesser cedere all’ingeguo di colui, che con la sana critica 
fosse il primo ad occuparle (4). Del quale esempio a me sem- 
bra, che maggiormente avvalorar si possan coloro, i quali im- 
prendono a parlare in guise proprie di quelle nobilissime reli- 
quie, se avvenga, che li stessi antichi scrittori siano stati, nel 
ragionarne fra lor discordi. Poichè l’animo non potendo ripo- 
sarsi allora sulla certezza dell’autorità , è libero di farsi quella 
cpinione, che più gli sembri conforme al vero. 

Per i quali principj mi giova sperare non sembrerà stol- 
to ardire il richiamare adesso a talune considerazioni su quella 
legge delle XII tavole, la quale stabiliva i diritti, che i cre- 
ditori avean sul corpo del comun debitore, e che li adornatori 
delle medesime così, dietro Agellio, sogliono esporre : ,, Aeris 
coufessi, rebusque jure judicatis XXX dies Justi sunto. Post 
deinde manus injectio esto . In jus dueito . Ni judicatum facit. 
aut quipsendo eum in Jure vindicit secum ducito, vincito aut 
nervo aut compedibus XV pondo ne majore, si volet, mi- 
nore vincito. Si volet suo vito. Ni suo vit, qui eum vinctum 
habebit libras Farris endo dies dato. Si volet plus dato. Ni 
cum eo pacit LX dies endo vinculis retineto : interibi trinis 


(2) Igitur quoniam haec sunt tripartita verba, quae sunt aut nostra, 
aut aliena, aut oblivua. De nostris dicam cur sint. De alienissunde sint, 
De obliveis relingquam, quorum partem ita ut inyenerim scribam. Zarr. de 
lingua latina . 

(3) Cum tantum Tullius a Plauto , Plautus ab Ennio , atque Pacuvio, ipse 
que Ennius Decemviris Verborum diversitate, totiusque linguae latina, 
forma descrepet. F. M. Pagano: Examen Polit. Univ. Romanor, Nomo. 
Ines, Port Cap. 

(4) Fico, scienza nuova. De' Principj, lett. Y,y 


di AIA ‘ 

È 73 
nundinis continuis in comitium procitato, aerisque aestimiam 
judicati praedicato . Ast si plures erunt rei, tertis nundinis par- 
teis secanto: si plus minusve secuerint se fraud’ esto. Si vo- 
lent uls Tyberim peregre venumdanto (6)31 

Ora; in quelle parole parteis  secanto che al. dire di 
Cecilio Giureconsulto appo lo stesso Agellio (6) sono antica- 
te ed oscure non meno dei.tempi, ai quali riportansi , talchè 
si reade oltremodo difficile il comprender l'oracolo della leg- 
ge in quelle parole, in quei costumi racchiaso, lo stesso giu- 
reconsulto , ed altri contemporanei espositori del romano diritto 
ra©yisarono un arbitrio dato ai più creditori dello stesso debi- 
tore di farne in pezzi, e scompartirsene il corpo . Crudeltà inau- 
dita, ed orrenda! cui l’ animo non sapendo concepire, gode 
poi che la mente trovi argumenti a non credere. Imperocchè 
se le parole parteis secanto significano partizione, non impor- 
tano di necessità quella materiale del corpo . E quindi è che 
come taluni fra li. stessi antichi giureconsulti , e molti poi fra 
i moderni allontanaronsi dalla comune intelligenza , e nelle pa- 
role partcis secanto vider piuttosto la partizione 0 dei beni (7), 
o del prezzo della persona del debitore venduto all’ incanto, (8) 
discendendo in altro pensiero, sembra a me, che in quelle pa- 
role ravvisar si debba, ciò che quasi indovinando disse |’ Eral- 
do, (9) la partizione, cioè, della servità , e dell’ opera del de- 
bitore , sicchè quel misero, addivenuto schiavo di più padroni, 
stentando andasse la vita nel carcere privato or di questo , or 
di quello degli inumani suoi creditori. 

Alla quale opinione nella incertezza delle parole parmi, 
oltre a molte ragioni, condurre principalmente l’attento esame 
di tutto il capo di quella legge. Si ordina infatti per quella , 
‘che, trascorso il tempo del patteggiare , fosse in arbitrio del 

creditore il tener per sessanta intieri giorni nel proprio carce- 

re privato la persona del debitore, ma che , nel frattempo, per 
tre mercati continui, offerir lo dovesse pubblicamente in ven- 


(5) Gravina de ortu, et. Prugress. Jur. Gothofred ad Leg. X11 
Tab. 

(6) Noct. Acti. Lib. XX Cap. I. 

(7) Anneus Robertus Rer. Judic. Lih. 2 Cap. 6. 

(8) Binkersthvek. Jur. Rom. Lib. 1. Cap. 1. 

(9) Herald. de Auctor. Rer. Judie. Lib. 2 Cap. 25 Jel quale perchè 
non sviluppò , ne difese questa opinione, ne fu aspramente rampognato , e 
troppo amaramenie deriso da| Claudio Salmaso nelle sue osservazioni al Gius 
Attico, ed al Romano. 


74 


dita nel Comizio, proclamandone il prezzo. Il quale potendo 
pur esser maggiore dei frutto da ricavarsi dall’ opera di quel 
misero, fu giocoforza che i legislatori provvedessero al caso , 
che fra i cittadini non si ritrovasse il compratore. E come se 
run solo era il creditore facilmente vi provederono col ridurre 
nella di lui servitù quel meschino, così nel caso di più cre- 
ditori, dovettero con ogni naturalezza ordinare , che ai creditori 
tutti fosse per parte aggiudicata la ‘persona, e quindi l’opera 
sua, La qual partizione potendo riescire incomoda, dieder pla- 
cito ai creditori di poterlo vendere di là dal Tevere ai Fore- 
stieri. Disposto tutto uniforme, e connesso. Perchè o fosse 
venduto al concittadino , o aggiudicato ai suoi creditori, o ven- 
duto ai forestieri, incontrava sempre quel misero una eguale 
diminuzione di capo, cioè , la morte civile (10). 

Nè sconvenevole apparir debbe che tal partizione della 
servitù, e dell’opera di un uomo sia stata significata con pa- 
role acconce a dinotar piuttosto quella del corpo umano. Poichè 
hassi a riflettere, che in quella rozzezza di lingue , in quella 
robustezza di fantasie che alle nazioni non ancor troppo inol- 
trate nell’incivilimento fan spiegar sempre l’idee più astratte 
con traslati tolti dalla materia, e dal corpo, la stessa frase do- 
vettero usare ì Decemviri a significare la partizione della servi- 
tù, e dell’opera d’un uomo, che usata avrebbero per coman- 
darne la material partizione. Le quali particolarità di lingua 
povera e rozza, e di robusta fantasia nei Romani tuttora in- 
colti, e giovani nell’ eroismo, non meditate troppo nei tempi 
inciviliti, e gentili, furon cagione che giureconsulti altronde gra- 
vissimi non seppero intendere , che le parole parteis secanto po- 
tevano significar tutt’ altro, che la sezione del corpo. E a 
dimostrare che la parola seco nei parlari delle antichissime Ro- 
mane leggi non fosse usata sempre nel senso di una tal partizio- 
ne, havvene un luogo d’oro in Festo, (11) il quale tra le di- 
finizioni della parole sectio ci lasciò ancora Persecutio Juris, tal- 
chè quella frase parteis secanto potrebbe con tutta proprietà 
tradursi nel nostro volgare idioma ne consegua ciascun la giusta 


(10) Quantunque i debitori aggiudicati ai loro creditori non perdessero 
la Ingenuità Quintilian. Lib. 7 Cap. 3 è vero per altro che perdevan lo 
stato , e soffrivano una diminuzione di capo. È ne abbiamo la chiara pruova 
in quel Capo delle XII Tavole ,, Nexo soluto, Forti, sanate siremps] Ju 
esto. Poichè se i Messi non avesser perduto lo stato, non era lungo a di-' 
chiarare qual condizione acquistavano venendo prosciolti . 

(11)) Festus in verb, sectio, e il Calvino Lexicon Jurid. v. Sectio, 


i 
parte. Ai quali riflessi se aggiungasi |’ altro che in ragion Romana 
al dir di Terenzio Varrone la voce sectio si usò in luogo 
della voce quctio , la quale stette a indicare l’ aumento del 
prezzo che offerivan coloro, i quali ambivano di acquistare il 
dominio delle cose poste all’incanto, (12) sicchè sì disser se- 
ctores coloro i quali ne rimanevano li aggiudicatarj, (13) tutte 
saran compiute le pruove filologiche per dimostrare, che ai 
creditori, i quali per il commando della legge addiventavan 
sectores, et in partes secabant rimaneva per parte aggiu- 
dicata la persona, e quindi la servitù, e l’opera del comun 
debitore, Il qual vero significato delle voci sectio, e sector se 
meglio fosse stato avvertito dal Binkershock non avrebbe as- 
verato poì con tanta franchezza, che le parole parteis secanto im- 
portassero la distribuzion del prezzo del debitor venduto all’in- 
canto, e lungi dal ridere del vaticinio dell’ Eraldo conosciuto 
avrebbe, che indi poteva trarsi splendida verità . 

E mi conforta a credere , che tale, e non altro fosse il 
senso della legge decemvirale un nobilissimo luogo dell’ Alicar- 
nasseo, il quale nel quarto libro delle sue storie con quelle me- 
morabili parole da lui poste in bocca di Re Servio Tullio ci 
attesta, che sino dai primi tempi solennizzavasi in Roma il bar- 
baro costume, non già della efferata sezione, ma che i miseri de- 
bitori addotti fossero nel privato carcere, e nella servità dei 
lor creditori (14). E quei pareggiatori del gius attico col romano, 
1 quali vogliono venute dalla Grecia a Roma le leggi delle XII Tavo- 
le, tanto più volentieri scenderanno in questa opinione, se il dotto 
Macieiowski abbia veramente procurato ciò che ragion fa crede- 
re, e Desiderio Eraldo (15) il primo disse e propose, che cioè, 


(12) L. si tempora |, Cod. de Fid, et Jur. hast. Fisic., ct leg. seq.Cod. Cod. 
Prat Curt. Conjecturialum Lib.2 Cap. g. Calvin Lexic. Jurid.in verb. Auctio. 
(13) Cicer. pro Quintio, e nella 2. Filippìca al Cap. 26. ad fin. et 
pro Roscio Amer. Cap. 29 circa med. e nouvamente al Cap. 36 Et sectorest, 
qui et illorum ipsorum bonorum , dequibus agitur, emptor, atque possessor 
est ,. Flor. L. 2 C. 6 ad med. Manilius Astrolog. L. 5. 
(14) Sco d av perà taita duveurwvri, TETES Bn Sacw 
Tupds TÀ upéa am&yestav, aAdù voor Iyow undétva Sevev- 
Cew ET) obopacw EAcubeposs inavdv Nyovmevos Toi Savenats 


Tws Uoias TEvV cUpfaAAbvrwy npareiv Si qui autem in posterum a 
foeneratoribus mutuam pecuniam acceperint, eos ob debitum non solutum cre- 
ditoribus addici, et ab eis abduci non sinam caveboque lege ne foeneratoribus 
ius sit in libera corpora, sed contenti sint debitorum facultatibus. 


(15) Herald. Op. cit. L: 2. Cap. 24. $ 8. 


6 
la 1 di Solone permettesse ai creditori d’ impossessarsi, ma 
non già di far brani della persona del debitore . Nè sarebbe 
stolta cosa il pensare, che di tal partizione della servitù si serbas- 
se il reo vestigio nelle Spagne (16) ove al dire del Covarruvias (17) 
fu un uso conservato nei libri dei partiti, ossia delle antichissime 
leggi di quel regno, che il debitore insolvente di più credito- 
ri fosse consegnato ai medesimi, affinchè, per compenso, pre- 
stasse loro il servigio , e l’ opera sua ad ‘arbitrio del giudice. 

Per la qual ragionata intelligenza viene ancora a rimuo- 
versi la inconcepibile diversità che la vecchia opinione accagiona 
i Dieci di aver posta tra i casi, che ‘un solo o più fossero i 
creditori del reo, e che se ne trovasse o nò il compratore . Per- 
chè se il debitore di un solo, o il venduto non potean porsi 
a morte, non saprebbe comprendersi poi per qual ragione , o 
per qual modo la vita del debitor non venduto di più credi- 
tori si fosse dovuta commettere al lor capriccio . Oracolo or- 
rendo; ed insensato ad un tempo, e tale che se vi fosse scritto 
tutta sparirebbe la lode , e resteria macchiato d’ eterna infa- 
mia quel tanto vantato aureo volumetto di leggi, che Crasso 
nell’ oratore riputò contener più sapienza di tutte quante le 
ampie pagine dei greci legislatori. Poichè per scusar quella leg- 
ge non gioverebbe lo andar ripetendo, che non venisse usata giam- 
mai, e che i Dieci la promulgassero appunto sì atroce, e sì or- 
renda perchè i cittadini non l’ osservassero (quasi che i legi- 
slatori ordinassero apposta le leggi, perchè i cittadini non le a- 
vessero da curare e da eseguire ! ) o il sognar col Pagano gio - 
vinetto che la nefanda partizione del corpo pei debiti fosse di- 
retta al salutare scopo di rimuovere il lusso, promuovere la 
eguaglianza dei beni e della vita, e conservar l’ animo e la mente. 
di una repubblica popolare ! (18) Sogno di cui quel Grande avrà 


(16) Sembra da un luogo di Cicerone pro Flacco Cap. 20 che nelle provin. 
cie si mantenesser sempre in vigore le leggi dei Nessi, giacchè di un tal Tem- 
nio Eraclide debitore ivi dice,, Cum judicatum non faceret addictus Hermippo, 
et ab hoc ductus est,, i 

(179) Covarruv. Variar. Resol. lib. 2. cap. 1. sub n. 5. ss ivi ,, Siquidem 
olim debitor non habens bona unde creditoribus aes alienum solyeret, tradebatur 
creditoribus ipsis, ut eis serviret, donec debitum ex arbitrio iudicis compensa- 
tione quodam solutum foret. 

(18) Odiosa itaque servitutis poena ob debita statuta, immo et acerbissima 
illa corporis sectione sancita longe a Romanis luxus aberat ; bonorum vitaeque 
aequalitas , interior Reipublicae animus, atque mens conservabatur. F. Mario 
Pagano opera cit. P. 2. cap. 1. pag. 69 70. 


77 


dovuto pentirsi poi nella più saggia età, quando nelle aurce pa- 
gine del suo maestro, e duce Gio. Battista Vico potette appren- 
dere, che la Roma dei decemviri era città tutta aristocratica, e che 
le barbare leggi dei debitori, o dei Messi afflisser soltanto la plebe. 

E dal fatto, che per il lungo tempo di cento venti an- 
ni, (che tanti incirca ne corsero fra la promulgazione delle leggi 
decemvirali, e la legge Petelia la quale abrogò tutta questa 
iniqua legge dei /ess:t) neppure una sol volta venisse  prati- 
cata, altro argumento discende a non credere quella esecranda 
sezione . Perchè non fu al certo dolcezza di costumi o senso di 
pietà, se quei feroci , e barbari romani, i quali conducevano 
a spirar quasi sotto le verghe i poveri lor debitori, non ne di- 
visero ancora le calde, e palpitanti membra. E le leggi non 
sono mai più barbare dei costumi, e dei tempi, ne’ quali ven- 
gono promulgate. Nè i dieci patrizii legislatori potettero essere 
tanto più barbari dei loro concittadini da immaginare, e de- 
siderare essi soli la crudele, ed orribil sezione, ed accompagnar- 
la poi con le amare, dileggianti parole si plus minusve se- 
cuerint sefraud’ esto. Poichè se un consiglio moderato, e pru- 
dente contengono quelle parole per rimuovere le liti, che ayrebber 
potuto nascer per la malagevole esatta proporzional partizione 
della servitù, e dell’ opera del debitore, quanta ironia non spi- 
rerebbero per lo contrario, se avessero a contemplarsi come di- 
rette a rimuovere liti impossibili a mascere per un boccone di 
più, o di meno di squallido, e lurido carname! 

Ed è finalmente da credersi, che se i decemviri avesser 
lasciata ai creditori la sola alternativa, o della orribil sezione, 
o della vendita ai forestieri non avrebbero ordinato poi iu un 
capo separato, e distinto delle stesse XII tavole : /Vexo soluto 
Forti , sanate Siremps Ius esto . Poichè tal legge ella era 
inutile pei debitori da farsi in brani, e per quelli venduti ai 
forestieri, se mai sortiva loro di riveder la patria, a stabilire i 
loro diritti bastevolmente vi avevan provvisto le leggi sul P'o- 
sliminio . (19) 

Per le quali ragioni tutte, mentre da un lato dimostrasi 
apertamente impossibile, che quelle parole della legge decem- 
virale permettessero la efferata, ed inumana sezione del corpo, 
surge dall’ altro probabilità non lieve, che ordinassero invece a 
prò dei molti creditori la correspettiva parziale aggiudicazione 
della servitù, e dell’ opera del comun debitore. P. C. 


(19) Pomponius in L, 5, $ 2, ff de captivis, et Postliminio. 


98 
Le Macchine. 


Disse , e disse a ragione un nostro celebre economis- 
ta, che der difficile sarebbe il chiedere cosa nuova in 
genere di pubblica economia, e molto più il darle un 
aspetto problematico , e disputabile. (1) 

Ciò non pertanto vedesi oggi porsi in dubbio, e 
rinnuovarsi la questione. « Se i vantaggi che dalle mac- 
chine applicate alle arti si ottengono, stiano a compen- 
sare l'inconveniente, che dicesi derivarne col privare 
gli operaj che esse risparmiano , del lavoro da cui ri- 
petevano per lo avanti la loro sussistenza », e sorger 
quindi alcuni erroneamente sulla questione stessa ragio- 
nando, e più che tutto dando ascolto alle inconsiderate 
grida del volgo, non meno cho mossi dall’ inciampo del 
mal fermo lor piede in materia di pubblica economia, 
dimostrare si attentano, che di nocumento più che di van- 
taggio esse siano alla industria, condannando molti ope- 
raj alla miseria , e frapponendo così un’ argine più tosto 
che facilitare la via alla pubblica prosperità. 

E qui prima di tutto cade in acconcio il rammenta- 
re quello che lo stesso economista per bocca dell’ editore 
delle interessantissime sue Lettere spagnuole avvertì ciò 
derivare dall’ umano cervello che per quanto sembri di 
molle tempra, pur si vede che le veritadi più ovvie 
stentano a penetrarlo, e che molte volte non capì nelle 
menti nostre la verità, perchè non venne fatto di dove- 
rosamente riflettere per ben comprenderla . 

Quindi si è detto, e si torna a ridire, che le mac- 
chine risparmiando le braccia di molti di coloro che im- 
piegati erano in quel genere stesso di manifattura , e da 
cui traevano la lor sussistenza, è di necessità che condan- 


(1) Il cav. Giovanni Fabbroni. Lettera spagnola seconda: 
sugli effetti del libero commercio delle materie gregge. 


79 
nati si trovino a languire nella miseria e nello stento, 


perchè oggimai incapaci, o disadatti almeno a qualunque 
diverso lavoro da quello al quale erano abituati. 

Nel moltiplicarsi poi di macchine siffatte venendosi 
ad aumentare il numero di questi miseri, non può a meno 
che la indigenza e l’ozio, nei quali costoro trovansi loro 
malgrado avvolti, non refluisca in danno della nazionale 
prosperità , della morale, e quindi della pubblica sicu- 
rezza . 

Della nazionale prosperità, con aumentare il numero 
dei mendichi, o con diminuire la popolazione dello stato, 
necessitando costoro di cercare altrove ad impiegar le lor 
braccia ; della morale e della pubblica sicurezza , con un 
forzato aumento della disgraziatamente sempre troppo 
numerosa classe degli scioperati , che proclivi a mal fare, 
compromettono con la malvagia condotta cui finalmente 
si apprendono, le proprietà e la vita dei cittadini. 

Dietro sì fatte triste, e nel tempo stesso terribili 
conseguenze, sebben fantastiche e non verificabili, sic- 
come facile è il dimostrare, evvi stato chi, dir biso- 
gna da timor panico compreso , che rammentando il pre- 
mio con una grandezza senza esempio dall’imperial go- 
verno di Francia stabilito per l'inventore di una macchina 
alta a filare il lino e la canape, ha azzardato di scrivere 
e pubblicare: esser più politica cosa il pagare un milione 
per seppellire una tale invenzione se dato fosse all’ uma- 
no ingegno di ottenerla, esternando al tempo stesso il 
desiderio che i governi cessassero oggi mai da spingere , 
senza troppa riflessione , gli uomini verso sì fatto genere 
di perfezionamento, sempre avendo presenti i danni che 
dalle macchine derivano (2). Poichè a di lui sentimento, 


(2) Du Systeme d° impòt fondé sur les principes de l’ gco- 
nomie politique, par M. le Vicomte de Saint-Chamans . Paris: 
1820. pag. 267. 


MI 0 MORCOTE SS PONE RIEN Set RR RE E E TTT 
80 i 
alla eccezione di quelle che aumentano il numero degli 
operaj, e che egli chiama perciò vantaggiosissime, con 
la espressione poi di fatali caratterizza tutte le altre che 
cacciano, egli dice, gli operaj dal lavoro col quale guada- 
gnavano la lor sussistenza. 

Giunge a tanto l’ orrore che questo scrittore ha con- 
cepito per sì fatali macchine, che in questa terribil classe |» 
non ha esitato di comprendervi, contro ogni immagina- 
bile espettativa , i poveri mulini ad acqua, non esclusi 
quelli a vento di ancor più scarso profitto. 

Condannabili son tali macchine a parere di questo 
nuovo pensatore in pubblica economia , perchè un muli- 
no ed un solo operajo macinando tanto grano quanto ne 
sarebbe stato appunto macinato a mano da cinquanta o- 
perai, mentre che il resultato del lavoro è stato lo stesso, 
sonosi venuti a rendere inoperosi ed inutili quarantanove 
individui, lo che urta sì forte il modo di vedere di questo 
autore, che egli asserisce che sarebbe una pubblica cala- 
mità se ai dì nostri, altra macchina consimile nella rile- 
vata conseguenza venisse immaginata e posta in esecu- 
zione; ed ecco giustificato quello che sembrò dipoi a molti 
una pretta esagerazione del dotto compilatore dell’ iste- 
rica notizia sulla illuminazione per mezzo dell’aria idro- 
gena quando disse « si Za Charrue etoit encore à decou- 
vrir, malheur à Vaudacieux qui tenterait de faire 
adopter cette pratique funeste dont la sagesse de nos 
pères aurait su nous préserver. (3) 

Cotale spavento ha tanto invaso le menti, che nelle 
letterarie ‘odierne produzioni, anco a tutt’ altro relative 
che alla pubblica economia, trovansi delle digressioni de- 
clamatorie contro non tanto le immaginate funeste con- 
seguenze che dalla moltiplicazione delle macchine si vo- 
gliono derivare, ma sì giunge ancora a biasimare il lavoro 


(3) Ferry. Revue encyclopédique. Janvier 1824. pag. 13. 


Sr 


che con esse si ottiene, molto encomiando per ciò quello 
che in antico per. mezzo delle dita di mano addestrata 
fabbricato veniva. (4) 

i Altri poi con spirito più pacato, di molte cognizioni 
in pubblica economia dotati, autori di opere in sì fatta 
importantissima scienza reputatissime , mentre non im- 
pugnano, anzi persuasi si mostrano e sostengono, che le 
macchine atte ad eseguire in minor tempo, con men nu- 
mero di uomini, e conseguentemente con minore spesa 
quei lavori cui son destinate , siano di una decisa utilità, 
diminuendo il prezzo della cosa manufatta , ed aumen- 
tandone per conseguenza lo smercio, ciò non pertanto 
mostrano di temere anch’ essi, e di compiangere la trista 
sorte cui andar debbono incontro, temporariamente al- 
meno , gli operai, privati per l’ effetto delle macchine 
stesse dell’ esercizio delle loro braccia , e per conseguen- 
za dell’impiego di quella fatica che facevagli per l’avanti 
sussistere . 

Quindi alcuni han proposto di proscrivere in certi 
dati casi e circostanze , (5) ed altri han fatto travedere 


(4) De © Emploi du tems par Mad. De Genlis. Paris 1823 
in 8. pag. 123. e 124. ,, ivi ,, Ona fait de grands progrés dans 
la mécanique; on a inventé une prodigieuse quantité de machi- 
nes afin de rendre inutile l’adresse humaine; c' est un triste pro- 
jet, et qui ne peut s’ exécuter qu’ aux dépens de la perfection 
des ouvrages; les toiles, et les perkales faites par des machines, 
sont excessivement inférieures à tout ce que’ les doigts d’ une 
«main habile fabriquaient autrefois en ce genre . D’ ailleurs tou- 
tes ces machines, en rendant beaucoup de bras inutiles, réduisent 
à la mendicité une infinité d’ individus; on mous annonce une 
machine è tciller, ce qui mettra à l’aumòne toutes les vieilles 
femmes et les jeunes filles de dix à douze ans. 

(5) Donaudi ( Conte delle Mallere) Saggio di economia ci- 
vile. Torino (senza epoca) un vol. in 8. pag. 113. ,, ivi: Le mac- 
chine poi, le quali servono per eseguire certi lavori in minor 
tempo , regolarmente son utili. Esse tendono a far diminuire il 
prezzo delle manufatture, e ne agevolano in conseguenza l’ esito. 


T.'XVI. Ottobre 6 


82 


che imprudente non sarebbe il moderar l’uso ed'il nu- 
mero di tali ma@chine, persuasi della sussistenza sebben 
passeggiera dell’indicato danno, (6) e commiserando poi 
sempre la sopravvenuta necessità di andare per quei di- 
sgraziati in terra straniera a procacciarsi con il sudore 
della lor fronte la sussistenza. (7) 

Facil cosa è per altro il rispondere ai primi sì spa- 
ventati scrittori, e di rassicurare pienamente i secondi 
dal lor concepito timore, con persuadere al tempo stesso 
chiunque che niun danno mai, nemmen momentaneo 
può derivare, ma anzi sommamente contribuire alla na- 
zionale ricchezza lo stabilimento delle macchine delle 
quali ragioniamo. 

Giova però prima di ogni altra cosa il persuadersi 
che non è già colui che impiegando i suoi capitali nell’ e- 
rigere una gran manifattura per mezzo di adattati mec- 
canismi, che risparmino considerabilmente le mani de- 
gli uomini ( dal che si vuole che forzatamente venga a 
diminuire d’ assai il prezzo dell’ opera di quei che vi ri- 
mangono necessarii ) sia egli il solo, che a detrimento loro, 
ne conseguisca l’ utile, che la plebe suole , ove tali sta- 
bilimenti vengono eretti, unicamente a quel capitalista 
attribuire, e più d'ogni altra cosa ripeter poi dal rispar- 
mio che vien fatto delle sue braccia. 

©. La maggior quantità di lavoro che il capitalista con 
l’azione di opportuni meccanismi ottiene con tanta più 


Possono però occorrere casi nei quali tali macchine dal governo 
proscriver si debbono . Imperocchè se con queste venisse a to- 
gliersi ad una parte degli artefici per modo l’ occupazione ed il 
lavoro , che si corresse alle volte rischio che essi passassero fuo- 
ri di stato, converrebbe necessariamente proibirne l’ uso. La qual 
cosa per altro accader non può in uno stato ben regolato, ove 
non mancano mezzi d’ impiegare gli uomini. 

(6) Say (Jean Baptiste) Cap. IX. pag. 47. e seg. du Traité 
d’ économie politique. Paris 1803 in 8. 

(7) Destutt de Tracy. Tragé d’ iconomie politique. pag: 214. 


33 


sollecitudine e minor dispendio, ponendolo nella situazio- 
ne di poter dare a molto minor prezzo quel lavoro mede- 
simo, e di somministrarne al commercio una molto mag- 
giore quantità , lo che viene necessariamente a ridondare 
ìn gran vantaggio del consumatore , lo pone in stato di 
risparmiare una parte di quei capitali medesimi, che pri- 
ma per intiero era costretto d’ impiegare giornalmente 
per quello stesso lavoro che in minore estensione, e con 
maggior costo conseguiva dalle mani di molti operai. 

Or se così viene l’ intraprenditore, od il capitalista 
che vogliam dire, ad ottenere con minore spesa una infi- 
nitamente maggior quantità di lavoro, potrà spacciarlo , 
come lo spaccierà di fatto, a molto minor prezzo di quello 
che potevalo perl avanti; e di questo minor prezzo ne 
risentirà ìl più gran benefizio il consumatore: ma in que- 
sta classe non vi è egli compreso anco il povero, ed il 
povero operaio ? E se così è, come non può revocarsi in 
dubbio , così del pari non potrà dubitarsi che egli mede- 
simo abbia interesse che la fabbricazione di cio che serve 
agli usi della di lui vita sia economica, e conseguentemente 
non potrà mai dirsi a buona ragione che la facilitazione 
dei metodi nelle arti, ed il loro perfezionamento, essergli 
possa di nocumento. (8) 

E se |’ intraprenditore, dall’ industrioso meccanico 
ingegno del quale dovrassi ripetere un tanto bene , avrà, 
mentre lo ha procurato, risparmiato una parte di quei 
stessi capitali che prima tutti per quel solo ramo della 
sua fabbricazione occorrevangli, non la impiegherà egli 
forse in altre speculazioni che recandogli un nuovo utile, 


(8) Destutt de Tracy loc. cit. pag: 349. ivi ,, Comme con- 

. sommateur lc pauvre a intérét que la fabrication soit économi- 

que , les communications faciles , et les relations. commerciales 

mombreuses, la simplification des procédés des arts, le perfection- 

nement des methodes lui font du bien, et point de iual. En cela, 
son intérét est encore celui de la société tonte entière, 


84 
un vantaggio del pari renderà allo stato anco con l’im- 
piego di nuove braccia (9) ? 

Ha detto un gran scrittore di pubblica economia, cui 
era dato di far conoscere in questa scienza importante le 
false dottrine, allorquando ancora molte di quelle che ve- 
nivano da lui sostituite non erano esenti da errore, Ada- 
mo Smith infine , (10) che in ogni genere di manifattura 
l'operaio non lavora che mediante i rispiarmi del ca- 
pitalista, dal che necessaria conseguenza ne trasse che il 
lavorio generale dei popoli è sempre proporzionato ai ri- 
sparmi dei capitalisti, risparmi che mediante la rendita 
che essi fanno aumentare compongono la nazionale ric- 
chezza, dimanierachè nella opinione di quel rispettabile 
scrittore, più un popolo ha degli avanzi da fare nel lavoro, 
più egli è ricco, più fa lavorare, e più il salario dell’ ope- 
raio è alto. 

Da ciò ne deriva che il numero degli operai non è 
di alcun profitto per il capitalista 3 paratia il di lui bene- 
ficio non sì regola in proporzione del maggior novero di 
costoro che esso salaria , ma bensì in ragione della quan- 
tità del prodotto del loro lavoro ; che non è quindi di al- 
cun vantaggio per un paese che i suoi operai siano nume- 
rosi, siccome per gli operai stessi (11),e conseguentemente 
che mal pagati sì trovino, perchè la modicità del loro sa- 
lario, lungi dall’ essere un mezzo di ricchezza e di pro- 
sperità, come lo stesso Smith ha dimostrato , (12) è un 
segno anzi certo della decadenza e della miseria ; ed una 
popolazione miserabile è certamente più a carico che a 
profitto di una nazione. 

E qui giova osservare che ingiusto sarebbe il proteg- 


) Say (Jean Baptiste ) loc. cit. pag. 411. 
(10) De la richesse des nations. Liv. r. Ch. 8. 
(11) Destutt de Tray, pag. roi. loc. cit. 
(12) Lib. 1. Cap. g. Opera cit. 4 


fa 


gere una classe di persone a danno della prosperiti. di 
un’ altra, e soprattutto-di quelle che sono le meno atte a 
contribuire alla maggior ricchezza e floridità di uno stato. 
Non devesi confondere, disse il nostro Fabbroni, per ve- 
run titolo il bene della maggior parte col beneficio del 
pubblico . È una pretensione atroce quella per cui si 
vuol ritogliere i diritti:di alcuni cittadini, asserendo 
che sarà maggiore il numero di quelli che perciò go- 
dranno. Se fosse certa simile asserzione sarebbe giusto 
che si spogliassero i ricchi dei loro averi , perchè il be- 
ne di pochi potrebbesi repartire in molti. Quali mai con- 
seguenze inique non resultano da un principio sì stra- 
n0!(13) E tanto più poi che in ultima analisi tutti sono 
egualmente operai, sia che trattisi di coloro che per la co- 
mune accettazione del vocabolo chiamansi tali, che di 
quelli che diconsi capi-fabbrica, mercanti, capitalisti, fit- 
taioli ec. (14) 

Ma d'altronde ognuno debbe esser persuaso che li 
stabilimenti che han per oggetto di porre a profitto il per- 
fezionamento, o la invenzione di nuove macchine, sorger 
non possono, e non sorgono di fatto come gli armati di 
Cadmo, ed anzi l’ andamento delle umane cose, anco in 
questo rapporto , ci ha digià ammaestrati col fatto , che 
successivamente e lentamente sorgono , stante principal- 
mente la occorrenza di vasti capitali, dimodochè assicu- 
rati e certi esser sì deve, che gli operai già per così dire 
inyecchiati in quella data specie di lavoro, troveranno 
sempre di che impiegarsi in esso finchè avran la forza di 
prestarvisi, e che i giovani ben presto si rendono adatti a 
quell’ opera che i nuovi meccanismi possono esigere, e 
che a loro somministrano più larga mercede ; dimodochè 


(13) Dei privilegi esclusivi che si accordano alle manifat= 
ture. Il Lettera spagnuola, pag.30. 

(14) Valeriani. Del prezzo delle cose mercantabili $. 5, 
pag. 11. 


860 


nè a questi, nò a quelli può mai effettivamente mancare 
nel loro proprio paese di che impiegarsi in quella stessa 
specie di lavoro al quale, o trevavansi da lungo tempo de- 
dicati, ossivvero da non molto iniziati . Ed ecco che non 
evvi altrimenti luogo da temere quelle sì triste ed afflig- 
genti conseguenze, che per questo lato da un ben poco ra- 
gionato ed irreflessivo timore si stanno preconizzan do. 
Anzi è dato a buon diritto di sostenere che invece 
che si verifichi di fatto questa temuta diminuzione d’im- 
piego di braccia, abbia luogo all’ incontro aumento nella 
generalità del numero loro. È certo che quando la indu- 
stria si perfeziona, i mestieri ed il lavoro in essì sì molti- 
plica, e questa moltiplicazione và estendendosi progressi- 
vamente . (15) 

Lo stabilimento di una grandiosa manifattura a nuo- 
vo meccanismo , esige il concorso di molte maestranze, 
l’ occupazione, il lavoro di molti operai per conseguenza; 
opera e lavoro che senza di ciò non avrebbe avuto luogo. 
Per mantener poi in azione questa stessa manifattura, 
quanta mai maggior quantità di materia greggia che per 
lo più l’ agricoltura somministra ci vorrà egli di quella 

che prima richiedevasi per l’ alimento delle fabbriche sta- 
bilite sull’ antico piede! e ciò non conduce forse necessa- 
riamente ad, esigere la occupazione di un maggior numero 
di braceia per ottenere il più abondante richiesto prodotto? 
Quanta più grande estensione di terreno occorrerà per esem- 
pio che si eoltivi e s'impieghi per la produzione del cotone, 
e quanto altro mai si destini a prati artificiali, ed a pastu- 
ra per il nutrimento e la propagazione di un maggior nu- 
mero di armenti (16); ed in conseguenza quale aumento 


(15) Hauterive. Elemens d’économie politique. pag. 15. Pa- 
ris, 1817. 

(16) Il difensore delle pubbliche libertà nella camera dei 
Deputati di Francia, il discepolo di Rousseau, it conte Stanislao 
Girardin, nel discorso da esso pronunziato iù 30 Giugno p. p. 


67 

di braccia, onde giungere a sormministrare quantità tale 
di cotone e di lana, che possa esser capace all’ alimento 
di opificii nei qualisi è giunti a formare in un sol giorno 
tanto filo da far con esso due volte il giro del globo, ed a 
fabbricare tanto panno da misurarne non altrimenti a 
braccia, non a canne, ma a miglia la quantità. (17) E ciò 
che è detto în rapporto alle materie prime che dalla agri- 
cultura si traggono, sia detto ancora per l’ aumento del 
lavorio nelle cave e miniere, onde fornire quanto occorre 
per la grandemente facilitata riduzione delle terre e me- 
talli in oggetti di consumazione e di lusso.» 

Ed infatti noi vediamo l’ Inghilterra, ove più che in 
altro luogo sonosi inventate e stabilite molte macchine 
manufutturiere, che invece la popolazione di decrescere, 
invece di essersi verificata Ja minacciata emigrazione de- 
gli operai,si è anzi veduta la di lei popolazione medesima 


sulla legge relativa alle falsificazioni ed alterazioni delle marche, 
sopra i prodotti manifatturati, disse infra le altre ,, A qui devons 
nous les progrès rapides et prodigieux de notre industrie , si ce 
n’ est à la liberté, à cette mère de tous les biens, et de toutes les 
propriétées? Detruisez cette liberté, et reproduisez les anciens régle- 
mensy et vous verrez l’industrie retourner à son premier état d’ in- 
fériorité. L’introduction des machines, dans la fabrication des «diffé- 
rehs tissus, loin.d’avoir été préjudicable lui a été extrèémement pro- 
fitable; elle l’a été également aux consommateurs; puisqu’elle a con- 
tribué à amener une diminution utile à la société toute entière, 
puisque ces étoffes sont devenues d’ une consommation générale, 
Cette amelioration a été également favorable à I’ agricultare, nos 
troupeaux se sont augmentés , nos laines se sont perfectionnées; 
les habitans de nos compagnes se sont enrichis , et ils sont en 
général, vous conviendrez, beaucoup mieux vétus que dans le 
temp passé, qu’ ils regrettent fort peu. 

(17) Discorso fatto da Heywodd presidente della Istituzione 
reale di Liverpool nella adunanza annuale della medesima, e del 
quale ne è inserito un breve estratto nella Resite encyelopédique fa- 


scicolo dell’ aprile anno corrente pag: 221. ed in questo dell’ An- 
tologia N. 42. 


68 
vistosamente accresciuta da venticinque anni a questa 
parte di oltre due milioni di abitanti; (18) e quello che vi 
è di più rimarchevole, che sì fatto aumento si è verifica- 
to a preferenza non tanto nei porti di mare quanto nelle 
stessé città manufatturiere, siccome ce ne assicura il duca 
di Levis Pari di Francia, stato lungo tempo in Inghilterra, 
nella sua operetta intitolata : Considérations morales sur 
les finances pubblicata in Parigi l’anno 1816. (19) 

E nonè ella forse la stessa industria figlia della istru- 
zione e della libertà di agire, che negli Stati Uniti di Ame- 
rica ha posto quel governo, che tuttavia si può dir nuovo, 
al rango ora dei più influenti, e per cui vedesi oggi decu- 
plata la popolazione, quando che essa nel :1753 non ecce- 
deva un milione di abitanti ! 

Ecco adunque che con piano ragionamento, e con la 
evidenza del fatto, ci sembra dimostrata la futilità ed ir- 
ragionevolezza dei vantati supposti, e dei fallaci argomen- 
ti che vannosi spargendo a danno del progressivo perfe- 
zionamento dei meccanici mezzi , che tanto e segnalato 
vantaggio di fatto apportano al. bene universale. 

E se la miseria si è negli anni scorsi manifestata in 


(18) Osserva Iames Cleland nella sua statistica. della Scozia, 
ed in specie della città di Glascovia,, opera pubblicata in quel- 
la città nel 1823, che l’ aumento della popolazione dell’ Inghil- 
terra fu dal 1801, all’ 1811. del 14 172 per cento, e dal 1811 al 
1812. in ragione del 18 per cento ; e Lawe ha calcolato. essere 
aumentata di 7/10 contando dal 1765 all’ anno scorso 1823. 

(19) Malgré ce désavantage du sol, le nombre des habitans 
de la Grande Bretagne, proprement dite, c’ est à dire de l’ An- 
gleterre et de l’ Ecosse, s’ est élevé, dans les vingt-cinq derniè- 
res aunées du siècle qui vient de finir, de plus de deux millions 
(9:400,000 à 11,441,000); mais le commerce et les fabriques 
étant les seules causes de cette augmentation , elle s’ est accu- 
mulée dans les principaux ports de mer et dans les villes de 
manufactures. Ainsi, Liverpool, Manchester, Glasgow , sont au- 
jourd' hui comptées parmis les cités les plus peuplées de l'Europe. ;, 


39 

Inghilterra , se molti operai sonosi trovati privi di lavo- 
ro, ciò non deyesi attribuire all’ uso delle macchine , alla 
loro estensione e perfezionamento, ma a quel sistema 
regolamentario cui quella nazione è soggetta, e che non 
può a meno di non far sentire ogni tanto con forti scosse 
la fatal sua influenza ; sistema regolamentario, del quale 
gl’Inglesi stessi avendo incominciato a conoscerne la vi- 
ziosa natura, e le nocive conseguenze alle quali porta per 
necessità, han già intrapreso a riformare e ad abbattere. 

Che la miseria e l’angoscia cui andarono soggetti 
negli anni scorsi gli operai nella Gran Brettagna non 
fossero dall’ aumentate uso delle macchine manufatturie- 
re derivate, ne è una evidente prova la mancanza di si- 
mil disastroso evento in Francia, non ostante le sofferte 
sciagure , e negli Stati Uniti ove segnatamente l’introdu- 
zione , la moltiplicazione di tali macchine ed insieme il 
loro perfezionamento con quelle dell’ Inghilterra certa- 
mente rivalizzano (20). 

Che se in quel regno si è dalla massa degli operai 
attribuita la miseria da cui si trovavano oppressi all’ ef- 
fetto delle macchine, questo è perchè il carissimo vi- 
vere, reso ancor più grave dalla mancanza dei prodotti i 
più necessari alla umana sussistenza, rendeva insufficiente 
quello che traevano dall’ opera loro manuale in quelli 
stabilimenti per provvedere ai bisogni della vita, venendo 


(20) Comparando lo stato della popolazione che il rammen- 
tato Cleland ci presenta delle isole Britanniche con quello che 
ne dà the National Calendar degli Stati Uniti compilato da 
P. Force, egualmente nell’anno scorso, troviamo che nelle pri- 
me il numero degli individui impiegati nelle manifatture e 
commercio, s'inalza ad 1,350,239, e nei secondi a 422,221; che 
osservata la differenza dell’insieme della respettiva loro popo- 
lazione , cioè dal 21, 481, 139 a 9,654, 415, vediamo essere tal 
classe d’individui presso poco in egual proporzione . 


90 

così a ripetere il male che soffrivano da una éeausa non 
sussistente , siccome è spesso nella umana natura di attri- 
buire a tutt’ altro motivo che al vero influente l’origine 
dei nostri guai, non meno che il riguardar come nocivo 
e pregiudicevole tutto ciò che tende a perfezionare , e 
molto più ad introdurre un nuovo genere di manifattura 
e d’industria . 

Così si è veduto imperversare contro i supposti mo- 
nopolisti, i fornai, i proprietari di suolo, in tempo di 
carestia , trucidare i primi, angariare e saccheggiare 1 
secondi nelle lor proprietà , quando che la carestia non 
era se non che l'inevitabile effetto dei vincolativi regola- 
menti annonarj, e da essi soli unicamente ne ripeteva la 
causa . 

Del pari ci somministra la storia che quando s' inco- 
minciò ad introdurre in Francia la fabbricazione delle 
telerie stampate, quasi tutte le camere di commercio di 
quel regno si posero in agitazione , e soprattutto quelle 
delle città di Roano, di Tours, di Rheims, d’Amiens, 
di Lione, e della stessa Parigi, e sognando la spaventosa 
miseria cui sarebbero andate incontro , invocare la supre- 


ma potestà perchè ne fosse pronunziata una assoluta proi- 
bizione (21). 


(21) L’ispettor generale delle manifatture di quel tempo, 
Roland de la Platrière, cui vennero trasmesse tutte queste do- 
glianze, lasciò scritto ,, Or existe-t-il maintenant un seul, hom- 
me assez insensé pour dire que les manufactures de toiles 
peintes n’ont pas répandu en France une main d’oeuvre prodi- 
gieuse, par la préparation et la filature des matières pre- 
mières, le tissage, le blanchissement, l’ impression des toiles ? 
Ces établissemens ont plus bité les progrés des teintures en 
peu d’années, que toutes les autres manufactures en un siècle, 
et ont conservé à la France des millions qui en sortoient cha- 
que année pour l’ achat de ces toiles, que la fantaisie qui se 
joue des réglemens, savait se procurer malgré eux. ,, 


YI 

Quando che i telaj per fare i nastri furono inven- 
tati, i Balesi fabbricanti di passamani non fecero essi 
ogni sforzo possibile onde proscritto venisse questo nuo- 
vo ramo d’industria? ma fortunatamente il loro saggio 
governo non prestò ascolto alle lor grida (22). 

Così ora da molti si grida e si strepita contro la 
introduzione dei nuovi meccanismi opificiarj, cui si deve 
il considerabilissimo ed insieme vantaggiosissimo ( sic- 
come abbiam creduto aver dimostrato con la sicura scorta 
dei fatti ) decremento del prezzo di molti generi mani- 
fatturati, grida pari a quelle che si udirono, allorchè in- 
cominciarono ad essere introdotte la scorza peruviana, 
la inoculazione, il vaccino, sebbene or non vi sia quasi 
alcuno che non vada persuaso dell’ immenso benefizio che 
esse alla umanità effettivamente apportarono (23). 

Si persuadano adunque una volta , se di aggiustato 
e retto ragionamento sono capaci coloro che , 0 per igno- 


(22) Bernouilli. Sulla nociva influenza delle corporazioni , 
e statuti d’Arte sull’ Industria. Basilea 1822. un vol. in 8. 
( Scritta in Tedesco). 

(23) Mais il restait a résoudre le problème de mécani- 
que encore plus difficile: c’était, dans le trajet sinnueux qui 
s’opère, depuis le producteur jusque au consommateur, d’obtenir 
que les tissus, fabriqués à meilleur marché, ne conservent 
pas, dans leur prix, une immuable cherté. Un tel service a 
fait jeter des cris égaux à ceux qu’entendirent vos pères, 
lorsque on leur apporta le quinquina; l’inoculation, et la vac- 
cine pour guérir leurs enfants de la fièvre, et de la petite 
vérole. "Tenez vous donc pour bien avertis'à cet égard; et si 
dans quelque boutique , le gargon vous demande fièrement è quel 
titre vous osez réclamer sur les draps un rabhais inusité! ...... 
répondez modestement ,, C'est au nom de la meécanique. ,, 
Ch. Dupin. Progres de l’Industrie Frangaise depuis le com- 
mencement du XIX siècle. - 


92 
ranza dei veri ed inconcussi principii di pubblica econo- 
mia, e perchè partigiani di restrizioni e regolamenti, 
vorrebbero moderare e dirigere le industriose speculazioni 
degli uomini, che i veri naturali ispettori di tutte le fab- 
briche sono i consumatori (24), che la vera ricchezza 
delle nazioni consiste nel valore delle annue riproduzio- 
ni.e della ‘industria, e che i progressi di questa son sem- 
pre in propozione della sicurezza che le leggi accordano 
alla libertà ed alle proprietà degli uomini, i.quali giam- 
mai s'industriano, se non hanno la certezza di libera- 
mente disporre del frutto della loro medesima industria . 
Quando questa si perfeziona le professioni si moltiplica- 
no, e questa moltiplicazione si estende progressivamente 
a misura della maggior perfezione di quella, ed abbiano 

resente infine che mediante unicamente l’ aiuto valevo- 
lissimo delle macchine, il commercio attivo che dai tempi 
più remoti l’ India faceva con l’ Occidente , è or divenuto 
affatto passivo per gli orientali stessi a profitto soprattutto 
della Inghilterra, come sopra i più accertati riscontri ce 
lo assicura fra gli altri il dotto espositore dell’attuale stato 


(24) Se esistesse un ministro di uno stato che possedesse 
in grado sublime tutte quelle qualità che desiderare si possi- 
no in lui, e che questi dirigesse felicemente con leggi le più 
opportune, l’ agricultura , le manifatture , ed ogni commercio 
del paese, farebbe assai poco e forse nulla di meglio, che 
quegli il quale, tolti solo gli ostacoli , lasciasse a tutti questi 
oggetti il più libero corso: ma l’ abilissimo ministro regolatore 
farebbe certamente un gran male ispirando nel paese, o nel 
sovrano, l’ opinione che tutti gli oggetti vogliano esser regolati 
con leggi. Vasco, università d'arti e manifatture, Cap. 2 
pag. 3h. n 


93 
marittimo, commerciale ed industrioso della gran Bret- 


tagna (25). L. 


(25) Ainsi le commerce de l’Inde, qui de la plus hauta 
avtiquité, et durant un si grand nombre de siècles, s’étoit 
fait avec l’or des occidentaux, échangé contre les produits 
précieux du sol et de l’industrie des orientaux, ce commer- 
ee, depuis peu d’années, a pris une face toute nouvelle, C'est 
l’occideot qui surpasse l’orient en industrie; qui prend à qua- 
tre mille lieues de distance le coton, la laine, et la soie ; les 
apporte en Angleterre, les met en oeuvre avec le secours des 
machines, et fabrique avec tant d’économie, malgré le haut 
prix de la main d’oeuvre, qu’en reportant à quatre mille li- 
eues les mèmes matiéères, transformées en produits d’une beauté 
perfaite , ils se vendent sur les marchés de l’Inde à plus bas 
prix que les produits du méme genre exécutés sur les lieux 
par des ouvriers qui ne gagnent que ce qu'il faut à la vie 
la plus frugale, sous. le climat où l'homme a le moins de 
besoius. Telle est la puissance de l’industrie Britannique. Du- 
pin. Système de l’Administration Britannnique en 1822. Paris 


1823. Un vol. in 8. pag. 100. ,) 


TE.eeexxEe..€.A.ÈGGFCcCc;;;G|©€ ©X©XGiCKtfGlÒ 


Nuove esperienze elettro-magnetiche del Car, LeoPorDo Nubiti. 
\ 
Fra i principii della dottrina di M. Ampére si trovano i 
due seguenti: 1° una corrente che si avvicina ad un’altra cor- 
rente tende a retrocedere sulla direzione di quest’ ultima ; 
2° una corrente che s’ allontana da un'altra corrente, tende 
u marciare nel senso di quest’ ultima . 
L’oggetto delle seguenti due esperienze è di mostrare che 
vi ha, per quanto mi sembra, de’ casi in cui i condattori 
mobili marciano tutto all'opposto di quel ch’ esigono i canoni 
or ora citati, e che tali casi sono immediatamente suggeriti 
dalla legge generale che ho sviluppata nelle mie Questioni sul 


magnetismo . 
I° Esperimento . 


Con un lango filo di rame coperto di seta si faccia una 
spirale di forma cilindrica sopra un tubo di vetro di quattro 


ia a Delete sue 


94 
a cinque linee di diametro. Siano le spire ben serrate le une 
contra dell’altre, raddoppiate tre o quattro volte per modo , 
da formare altrettanti ordivi di giri nello stesso senso d’in- 
torno al medesimo asse. La larghezza del tabo da cuoprirsi in 
tal modo può limitarsi a quindici o venti linee; ma si debbe 
in ogni caso aver cura di fare scorrere tutto il corpo della 
spirale presso ad una delle estremità dell’ anima, sopra cui è: 
ravvolta. Quest’ estremità è destinata a portare una vaschetta 
di legno, vuota nel mezzo quant’ occorre per lasciar passare 
la. grossezza del tubo insieme coi tre o quattro ordini di 
spire che lo ricuoprono. La posizione in cui si dee fissare 
questo piccolo istrumento , è la verticale colla vaschetta in 
alto. Lo schizzo quì vicino indica in AA l'interno della va- 


4| s s° |4 


= |] sissisiià | 


n n 


schetta, e nelle lineéè sn, s'e le pareti esteriori della spi- 
rale cilindrica. Queste pareti sopravanzano un poco il fondo 
della vaschetta all’oggetto di farle servire d’argine al mercu- 
rio, che bisogna, nell’esperimento , versare dentro quel piccolo 
recipiente. Il becco poi del tubo di vetro va rinchiuso con un 
turacciolo di sughero, il quale si spinge sino all'altezza del 
fondo della vaschetta 44. 

Preparata così l’ estremità superiore della spirale cilindri- 
ca, si versa sul turacciolo di sughero una goccia di mercurio 
ben puro, onde osservare il movimento che essa concepisce al- 
lorchè una corrente elettrica la traversa dal centro alla circon- 
ferenza, prima di passare per tutti i giri della spirale. In tal 
caso la corrente del mercurio si avvicina alle correnti delle 
spire; e si vede per appunto nella goccia di quel conduttore 
mobhilissimo nascere il giro retrogrado voluto dai secondo prin- 
cipio di M. Ampére (1). 


\ 


(1) Il mercurio puro è, fra i conduttori mobili, il più facile a concepire 
le rotazioni elettromagnetiche. Ho avuto motivo di convincermi di questa sua 
prerogativa in diverse occasioni, ma particolarmente nell’ osservare che basta 


99 

Ma se si versa dell’altro mercurio sul fondo della vaschet- 
ta 44 in modo che formi un bell’anello d’intorno al risalto 
della spirale, e se col disporre convenevolmente i fili congiun- 
tivi si operi in guisa che una corrente elettrica traversi quell’anello 
dal di dentro al di fuori, viensi ad avere nel conduttor mo- 
bile una corrente, la quale s’allontana dalle correnti delle 
spire, come dianzi vi si avvicinava nel caso della goccia di 
mercurio versata dentro la bocca della spirale. Dovrebbe 
quindi, secondo M. Ampére, vedersi nel mercurio esteriore il 
movimento inverso di quello che si determina nel mercurio 
interno. Il fatto invece dimostra che al di fuori della spirale 
il mercurio gira dalla stessa parte che al di dentro. I movi- 
mepti esterni sono unicamente più lenti degli interni, per di- 
verse ragioni che qui non occorre rammentare . 


II° Esperimento. g 


Si sostituisca alla spirale impiegata nell’esperimento pre- 
cedente un cannoncino d’acciajo ben calamitato, e poi versando 
del mercurio dentro e fuori del suo buco superiore, si osservi 
se i giri che nascono in que’ due luoghi, differiscono da quelli 
che si sono riscontrati sulla spirale elettro-magnetica. Si tro- 
verà ohe corrisponilono esattamente, facendosi dentro e fuori, 
per quello stesso. verso che hanno sulla calamita elettrica . 

Per conoscere ciò che dovrebbe accadere secondo la teo- 
ria di M. Ampére dentro il cannoncino calamitato, bisogna in- 
manzi tutto por mente al sistema di circolazione che quell’ il- 
lustre fisico ammette dentro le calamite. Egli vuole che le 
correnti esistano dentro ciascuna delle particelle integranti del 
metallo magnetico, e non già sopra altrettanti circoli tutti 
concentrici e perpendicolari all’ asse delle calamite, come sono . 
a un dipresso le correnti delle spirali elettriche. In quel si- 


l’azione del solo magnetismo terrestre a farlo ruotare d’intorno ai fili con- 
giuntivi che pescano in esso verticalmente. E si noti bene che tali rotazioni 
si determinano con correnti così deboli, che sembra impossibile come sieno 
sfuggite all’ occhio penetrante di Davy, d’Ampére, di Faraday, e di tanti 
altri fisici che si sono occupati di questo genere di ricerche. Persaaso adesso 
della somma facilità, colla quale il mercurio obbedisce alle forze elettro- 
magnetiche, non vi ha volta che nell’immergere un filo congiuntivo dentro 
di quel metallo non badi all’ influenza del maguetismo terrestre, la quale ben 
di spesso si manifesta in quelle rotazioni, che fra li noti esperimenti di 
M. Ampére figurano come uno de’ fenomeni più difficili a eonseguirsi, 


96 

stema di correnti che sì distingue col nome di molecolare 
( particulaire), ogni particella agisce al di fuori con forze con- 
trarie a quelle, colle quali agisce al di dentro, per l’eviden- 
tissima ragione che la sua corrente circolare cangia di direzione 
nel passare dall’ una all’altra parte. Riflettendo quindi alla legge 
generale, per cui le azioni più vicine trionfano delle contrarie 
più lontane, si comprende subito come in una calamita cava le 
correnti efficaci abbiano ad essere le interne per lo spazio interno, 
e le esterne per lo spazio esterno. Ora siccome le correnti interne 
sono contrarie alle correnti esteriori, e siccome una tale contra- 
rietà non esiste nelle spirali elettriche; così ne viene quest'im- 
portantissima conseguenza, cioè che dentro le calamite di M. 
Ampére si avranno degli effetti inversi di quelli che nelle me- 
desime circostanze appartengono all’interno delle spirali elet- 
triche. Il fatto è ben lontano dal confermare questa conse- 
guenza: parmi anzi che la distrugga pienamente col mostrare 
gli stessi movimenti in amendue le specie di calamite, 

Se la cosa è adunque così, avremo nell’ esperimento della 
calamita cava due prove di fatto, l'una contraria all’idea della 
circolazione molecolare, l’altra, che più preme in questo luogo, 
opposta alla legge colla quale si stabilisce che una corrente re- 
trograda, o segue il corso d’un’altra corrente, secondo che vi 
si avvicina o se ne allontana. Sulla spirale cilindrica non vi 
sono che i giri esterni contrarii a questa legge: sul cannoncino 
calamitato vi sono anche i giri interni. Questi per altro si pos- 
sono conciliare colla legge rinunciando al sistema delle correnti 
molecalari . 

Del resto non vi ha nulla di più facile ehe ritrovare, anche, 


iS 
Ci_m__]|e 


BERO -ra 


IV 


al di fuori delle calamite, il luogo dove i principii di M. Am- 
pére ritornano ad esser veri per ciò che riguarda la direzione 
de’ movimenti. Si adatti, 7. e., una vaschettina BB all’ equa- 
tore d’un cilindro calamitato VS; vi si versi dentro un anello 
di mercurio, e fattolo traversare da una corrente elettrica, si 


97 
vedrà ch’esso gira secondo i canoni del fisico francese. Che 
se si applicherà alla cima $S del cilindro calamitato un’altra 
vaschetta CC, si avrà campo d’osservare che i giri corrispon- 
denti alle due situazioni 85, CC non differiscono solamente 
nella direzione, ma ben anche nella velocità. Egli è all’equa- 
tore dove i giri si fanno più lentamente. Parmi che secondo 
la dottrina di M Ampére dovesse accadere tutt’il contrario, 
cioè che all’equatore dovessero aversi i giri più veloci, perchè 
quivi le correnti della calamita agiscono con maggior vantaggio 
su quelle che traversano il ‘mercurio . 

Niuno ignora come la limatura di ferro si disponga d'in- 
torno alle calamite; ma tutti non sanno egualmente che quella 
disposizione ( ch'io chiamo per brevità irraggiamento ma. 
gnetico ) indica esattamente il modo col quale le calamite pro- 
pagano tutt’all’intorno la loro azione, sicchè a prevedere le 
vicende che nascono in ogni circostanza fra calamite e cala- 
mite, e fra calamite e conduttori voltiani, basta un solo stu- 
dio indipendente da qualunque calcolo, da qualunque ipotesi, 
quello cioè relativo all'influenza ch’esercitano i raggi dell’ ir_ 
raggiamento magnetico, sia fra loro in due calamite diverse , 
sia sopra le correnti voltiane , che li traversano nella numerosa 
classe de’ nuovi fenomeni elettro-magnetici. Ho spiegato distesa- 
mente questo metodo nelle mie Questioni sul magnetismo. Qui 
lo cito universamente per conchiudere ; 

1. Che se il mercurio delle nostre vaschettine gira sull’equa- 
tore in un senso opposto a quello che gli compete dentro la 
bocca delle calamite cave, questo nasce dai raggi magnetici,3 i 
quali hanno sull’estremità delle calamite una direzione con- 
traria a quella che posseggono d’intorno alla zona equatoriale, 

2. Che una tale inversione manca alla sommità de’ can- 
noncini calamitati e delle spirali cilindriche, perchè quivi, e 
dentro e fuori, i raggi magnetici sono ancora diretti nel me- 
desimo senso. 

3. Infine che i giri all'equatore riesco no, caeteris paribus, 
più lenti che alle estremità delle calamite, perchè queste ul- 
time parti si coprono d’un irraggiamento molto più ricco di 
quello che spetta alle parti centrali. 


Altro esperimento . 
Immaginiamoci un conduttor mobile d’ intorno ad un asse 


e tale ch’esso arrivi a questa linea centrale da a mbedue le parti» 


T. XVI. Ottobre "/ 


g$ 


Figuriamoci inoltre una corrente circolare avente per asse l’asse 
di rotazione del conduttor mobile; ed avremo in questa combina- 
zione soddisfatto alle condizioni che M. Ampére esige per uno 
dei risultati più importanti della sua dottrina. Esso consiste, co- 
me tutti sanno, nell’ essere in quel caso la corrente circolare 
senza azione per far girare il conduttor mobile (Recueil,d’obser- 
vations électro-dynamiques pag. 311). Di qui ne viene qual ne- 
cessaria conseguenza che lo stesso conduttore non girerà nem- 
meno sotto l’influenza d’una colonna di circuiti circolari, e nem- 
meno ancora in virtù d’una calamita cilindrica equivalente, nella 
totalità della sua azione, ad una di siffatte colonne. 

I principii, ch’ io ho seguito nelle mie Questioni sul magne- 
tismo, non conducono a questa conseguenza. Mostrano bensì co- 
me un conduttore che termini da ambe le parti all’ asse d’ un 
circuito chiuso, abbia generalmeute parlando un ramo che st 
oppone alla rotazione dell’altro; ma non escludono per questo 
la possibilità d’ un tal movimento. Suggeriscono anzi una com- 
binazione molto favorevole alla sua riuscita. Essa si verifica nel 
caso, in cui il conduttor mobile parta da un punto preso sul 
prolungamento dell’ asse d’un cilindro calamitato, e rientri in 
quest’ asse dinanzi all’ equatore del cilindro. Questa disposizio- 
ne si effettua, per quanto si può , coi mezzi impiegati da M. 
Ampére in consimili circostanze. Io l’ ho sottoposta all’ esperi- 
mento , e conseguito sopra di essa il movimento continuo che 
m’aspettava. L’abbozzo qui unito dà un’ idea dell’apparecchio 
di cui mi sono servito. 


4 


NI 


SN è un cilindro calamitato, che si fissa in posizione verticale, 
e su cui si pone il conduttor mobile pgrs equilibrato al so- 
lito con un braccio piu. Il conduttore gira sulle due punte p. 
s; la prima risponde al prolungamento dell’ asse VS; |’ altra 


DI 
si avvicina il più che si può all’ eqaatore della calamita. iu 
aa, bb sono rappresentate due coppe annulari, le quali si riem- 
piono di mercurio, quando si vogliono stabilire le comunica- 
zioni. Uno dei fili congiuntivisi può a dirittura applicare all’e - 
stremità inferiore della calamita, e l’ altro al mercurio della va- 
schetta 44; il qual mercurio non deve in allora toccare il ci- 
lindro , ma esserne isolato mediante un po’ di carta o d’ altro 
che s' avvolge d’ intorno all’ equatore della calamita. Suppo- 
niamo che il filo congiuntivo applicato all’ estremità sia il 
positivo. In questo caso la corrente voltiana salirà lungo il ci- 
lindro VS; passerà pel conduttor mobile pgrs; entrerà nel mer- 
eurio della coppa 42 per la punta s, e di qui tornerà in fine 
all’ elettro-motore per la via del filo negativo. È inutile d’av- 
vertire che per vincere più facilmente gli attriti si ha da col- 
locare un pezzettino di vetro sotto la punta p, e fare in mo- 
do, rispetto all’ altra Y, che peschi pochissimo nel mercurio 
della coppa 42. Non è per altro da credere che il successo 
del fenomeno esiga un lavoro molto delicato, o l’impiego al- 
meno di forti azioni elettro-magnetiche. Un cilindretto di due 
linee di diametro, ed una debolissima corrente bastano a de- 
terminare una rotazione assai rapida in que’ medesimi rozzi 
conduttori, che si possono preparare ad ogni momento colle 
proprie mani. 

Questa grande facilità si spiega benissimo, sia osservando 
(come io soglio fare in tutte le occasioni) l’ ordine con cui 
la limatura di ferro si dispone d’ intorno alle calamite , sia 
assicurandosi con esperienze dirette, che i tre rami pg, gr, rs 
del conduttor mobile tendono individualmente a girare per lo 
stesso verso d’ intorno alla calamita VS. Secondo la dottrina 
di M. Ampére i rami paralleli pg, rs dovrebbero girare da con- 
traria parte ; perchè mentre la corrente voltiana si avvicina 
nell’ uno alle correnti della calamita, nell’ altro si allontana 
dalle medesime. Noto questa differenza per andare incontro al- 
l’ obbiezione di chi dicesse che il conduttor mobile pgrs gira 
d’ intorno alla calamita, perchè il suo ramo inferiore non rien- 
tra precisamente nell’ asse di rotazione. Sarebbe già senz’ al- 
tro ben poco probabile che quella piccola porzione che gli 
manca per soddisfare rigorosamente alla condizione d’ avere i 
suoi due capi sull’ asse della calamita, valesse da sè sola a 
bilanciare l’ effetto del lungo circuito pgrs, ma indipendente- 
mente da una tale inverisimiglianza vuolsi riflettere che gli 


stessi principii di M. Ampere non assegnano a quel breve in- 


100 
tervallo che una porzione della forza necessaria a distruggere 
il movimento di cui si parla. Il rimanente dovrebbe ritrovarsi 
sul ramo superiore pg; dove è ben certo che si manifesta una 
tendenza la quale si unisce a quella degli altri due rami gr, 
rs per far girare tutto il conduttore con quella celerità che 
si osserva nell’ esperimento. L. NOBILI. 


Breve Rivista letteraria inglese’, 
N° de 


1. Letters to and from HenriETTA CountEss or SurFoLx, and 
her second husband George BERKELEY, from 1712 to 1767. 
a Pol. Gi 

Corrispondenza della Contessa DI SUFFOLK, e del suo secondo 
marito Giorgio BERKELEY. 


Lady Suffolk godeva molta considerazione alla corte di 
Giorgio II. Gli scrittori di quell’ epoca fanno sospettare ch’ella 
avesse inspirato amore al principe, e che non ne fosse mal- 
contenta. Ebbe questa opinione il suo primo marito, poichè 
si separò pubblicamente da lei, ond’ella sposò in seconde noz- 
ze Giorgio Berkeley. Ritiratasi a Richmond negli ultimi anni 
della sua vita, non cessò di coltivare l’ amicizia di molti poeti, 
letterati e altri uomini distinti che erano seco stati in relazione, 
e morì nel 1767. Le lettere sue, e del Berkeley, non meno 
che molte altre ad essi scritte da famosi personaggi contem- 
poranei , sono comprese in questa raccolta, la quale sparge molta 
luce sulla storia politica e letteraria di oltre mezzo secolo. Non 
già (vaglia il vero) che il favore accordato da Giorgio II. alla 
Suffolk fosse così assoluto da influire sulle cose di stato ; ma ha- 
stava per metterla al fatto di tanti oscuri avvenimenti di corte, 
che hanno gravissime conseguenze; sebbene la dipendenza degli 
uni con le altre sia un segreto impenetrabile ai popoli. Quanto 
all'importanza di questo carteggio per la storia letteraria inglese, 
è da ricordarsi che molt’ illustri scrittori che allora fiorivanòo fu- 
rono così poco favoriti dalla sorte, che doverono, forse loro 
malgrado, umiliarsi ai grandi , e in essi sperare. Però la loro vita 
e il loro carattere meglio si conoscono dopo letto |’ Epistolario 
di lady Suffolk. Eila vi apparisce assai disposta a proteggere il 
poeta Gay, e questi si lagna pur sempre che i fatti non seguono 
in proporzione delle parole. Young supplica così servilmente per 
ottenere una pensione, ehe non sappiamo dire se più ci. muova 
a pietà 0 a sdegno. Piuttosto che riportare la sua lettera , sarebbe 


10î 


prezzo dell’ opara tradurne una assai lunga dello Swift; .ma e 
prudenza tralasciarla. Piena di nobile risentimento contro la su- 
perba indifferenza , onde i figli della fortuna trattano il merito 
sventurato , codesta lettera non è dettata, come altri potrebbe 
supporre, da speranze deluse o da favori negati. ,, Chi nulla do- 
manda , ( dice Swift alla Suffolk) può parlare con libertà ..... 
Vi ho scritto qualche tempo fa, a insinuazione del sig. Pope. Vi 
ho scritto con tutta cortesia, ma voi non avete risposto alla mia 
Jettera, quantunque allora non foste contessa. Se lo foste stata 
la vostra negligenza sarebbe più riprensibile , poichè il vostro 
titolo non vi ha fatto crescer di prezzo nella mia opinione; anzi 
la vostra condotta dev’ esser buona davvero perchè io non vi ab- 
bia in minore stima. ,, Ovidio esule nel Ponto, Fenelon seac- 
ciato dalla corte di Luigi XIV, l’ Ariosto licenziato dal cardinal 
d’ Este senza ringraziamento e senza premio, Gay e Young im- 
plorando genuflessi la protezione della Suffolk, non giustificano 
forse la fierezza dello Swift ? 

Ecco due lettere che meritano di conoscersi. -L’una di La- 
dy Suffolk a Lord Peterborough, che le scriveva concetti amo- 
rosi, e fra altre espressioni solite degli amanti, protestava di non 
sapere se dovea chiamarla angelo o diavolo. La seconda di Lady 
Hervey a Lady Suffolk, che contiene , sotto-il velo dell’ allego- 
ria, una satira molto spiritosa di alcune dame di corte, e un 
complimento ingegnosissimo per l’ istessa Suffolk. 


Lady Suffolk a Lord Peterborough. 


Ho letto con molt’ attenzione {quanto mì scrivete d’ angioli 
e di diavoli, d’ inferno e di tormenti, di paradiso e di felicità, 
tutte sublimi espressioni usate da uomini e donne in mezzo alle 
loro avventure amorose. 

Permettetemi che vi sottoponga alcune ragioni, le quali mi 
fan credere che la donna non possa paragonarsi nèfa un/angiolo 
nè a un diavolo, e mi persuadono che l’amore felice e infelice 
non somiglino affatto al paradiso e_all’ inferno. So bene che voi 
potrete citarmi dieci mila lettere amorose, che autorizzano l’ u- 
so di simili frasi , lusinghevolissime alle orecchie ;femminine , e 
applicate con egnal proprietà a tutte le donne în tatt’i tempi. 

In primo luogo un angelo non è altro che uno spirito. Dix 
temi dunque in coscenza se la donna fosse un angelo; cosa gua- 
dagnerebbe l’ amante cercando d’ ottenerla ? 


x 


E il diavolo pure è uno spirito, che ha perduto la bellezze 


102 


e ha conservato l’ orgoglio . Fate questa riflessioite a via donna, 
e poi ditemi se il confronto va a genidò. i \ 

Il piacere degli angeli consiste nel dar lodi, quello delle don- 
ne nel riceverne. 

L’ amore felice non somiglia al paradiso; poichè in amore la 
felicità dell’ ora presente può cessare nell’ ora che segue; e il pa- 
radiso è eterno e immutabile. Chi può dire altrettanto dell’ amo- 
re e degli amanti? 

In amore quante sono le donne tante possono essere i pa- 
radisi; sicchè se l’ uomo ha la disgrazia di perderne uno, non è 
obbligo che vada all’ inferno. 

Questi pensieri potrebbero condurmi molt’ oltre . Ma forse 
voi mi domanderete, se la donna non somiglia nè a un angelo nè 
a un diavolo , a chi danque somiglia? Vi rispondo , che la sola 
cosa che somiglia alla donna è |’ altra donna. 

Quante volte avrete voi detto alle dame, fra cui vi trovate, 
che non v’ è se non le loro attrattive che possan tenervi lontano 
dalla vostra cara patria! Ed ora credete di far profitto scriven- 
domi che io sono la sola donna che potrei determinarvi a tor- 
nare. ») 


Lady Hervéy a Lady Suffolk 


» + + « «+ Ora permettetemi che io pure v° interroghi, e mi 
informi dei vostri studi in ogni genere; perchè io non inten- 
do di ristringere la mia curiosità ai morti, sapendo esservi al- 
cuni ancor viv7, che a mio credere vi occupano assai sovente , 
e dei quali vorrei che mi daste ragguaglio . In una biblioteca 
così vasta come quella d’ Hamptoncourt, (2) sebbene la genera- 
lità dei libri sia poco dilettevole e poco istruttiva , non mi 
‘ par possibile che non troviate qualche cosa degna d’ essermi 
trascritta. Vi sono sei volumi che forman corpo, venuti alla luce 
qualche tempo fa, alcuni dei quali legati in pelle sopraffina; se 
siarete in essi un’ occhiata, son sicura che vi troverete passa 
tempo, ma non però istruzione, Il primo contiene pensieri gravi sul 
celibato delle femmine, diversificati da parecchie satire sopra va- 
ri argomenti. Il secondo volume l’ ho appena visto; ma mi sem- 
bra non esser altro che un discorso morale circa la sconvenevo- 
lezza di ciò che il mondo si ostina a chiamar piacere. Quello 
che gli sta accanto è una cicalata ricca di parole, e povera di 


(2) Residenza della corte. 


103 
sostanza. Esso porta in fronte un bel ritratto dell’ autore. Il quarto 
volume è legato con la massima eleganza, e s’ intitola, La Gui- 
da delle signore, ossia l’ arte di vestirsi. Merita d’ esser letto* 
Succede un’opera di miscellanee, edizione tascabile, e carta cat- 
tiva, contenente saggi amorosi e galanti, un discorso sulla bu- 
gia, chiacchiere intese a veglia, e un discorso sulla politica, tut- 
t’insieme assai diffuso e noioso. Il sesto e ultimo volume è in 
foglio, e comprende la raccolta completa di tutte le canzoncine 
e gli epigrammi, che ebbero voga in corte , col soggetto, la 
causa , e l'occasione di ciascun componimento , accompagnato 
dalle opportune. chiose, che si estendono altresi. sopra un gran 
mumero di facezie e di motti concettosi, prodotto delle prima- 
rie conversazioni, ond’ è composto il mondo galante. Questo libro 
è veramente dilettevole, e può leggersi anche da persone di scar- 
so criterio, e di poca dottrina, essendo scritto in stile assai piano, 
ed in linguaggio volgare. 

Se mentre sono in campagna si pubblicasse qualche supple- 
mento a queste opere, vi compiacerete darmene un cenno; e 
quando tornerò a Londra vi domanderò in grazia che mi pre- 
stiate un libro, che ho veduto nei vostri appartamenti. Non è 
un saggio, ma una raccolta di bei ritratti sopra argomenti di 
morale, e di letteratura, sempre istruttivi e interessanti, lucidi 
e forti di ragionamento, elegantissimi e pieni di vezzi nel loro 
stile, unici per quella giusta proporzione d’ utile et dulce che 
vi regna da un capo all’altro; infine la piu perfetta opera del 
più perfetto autore, la quale impiegherà il mio tempo utilmen- 
te e piacevolmente tutte le volte che vorrete concederla alla 
vostra ec. 

3» In questa collezione di lettere, dice la Gazzetta lettera- 
ria di Londra, s'incontrano frequenti prove della differenza che 
passa tra il nostro secolo e l’ ultimo decorso nel linguaggio 
delle persone educate, e nelle maniere di coloro che si solle- 
vano dal volgo sia per merito personale, sia per distinzioni so- 
ciali. Se non siamo più virtuosi, abbiamo almeno più contegno, 
e ancor questo và riputato qualche cosa. Rammentiamoci che 
la natura umana riman sempre la stessa, e perciò si ringrazi 
il cielo di qualunque miglioramento, sebben superficiale appa- 
risca. Non possiamo udire senza maraviglia i migliori ingegni, e 
le ‘più gentili donne del secol d’oro della nostra letteratura, 
permettersi frasi e allusioni, che non starebbero male in boc- 
ca a pescivendoli e vetturini, e ci sembra strano di troyare nel 


carteggio di dame e cavalieri di guerrieri e segretari di stato, 


104 


d’ ambasciatori e di duchesse , quello stile -che oggi appena si 
userebbe da giovani scostumati e impudenti. L’ editore di questi 
due volumi ha avuto a cuore la morale pubblica, togliendo quà 
e là ciò che si poteva , senza nuocere all’ interesse storico ; tut- 
tavia vi è rimasto tanto da lasciarci rilevare il notabile cambia- 
mento avvenuto negli usi della società da non molti anni a que- 
sta parte. ,, 


3. Memoir descriptive of Sicily , and its Islands , interspersed 
with antiquarian and other notices, by Captain VW. H. 
SmrTH. 1. vol 4. 

Descrizione della Sicilia e isole adiacenti, del cap. SMrtH. 


L’ opera è divisa in sette capitoli. I due primi contengono 
notizie di vario genere sul commercio , i prodotti , e il governo 
dell’ isola, non meno che sui costumi e lo stato morale degli a- 
bitanti. Gli altri quattro sono destinati alla descrizione delle co- 
ste, da levante, da ponente, da tramontana , e da mezzogiorno. 
L’ ultimo capitolo tratta delle isole adiacenti, e somministra mag- 
gior istruzione di qualunque altra opera di viaggi nelle stesse 
parti. Concludesi con un appendice molto pregevole di ragguagli 
statistici, idrografici, ec. Ogni parte di questa memoria si fa leg- 
gere eon profitto , ma sono specialmente da valutarsi le descri- 
zioni geografiche, le quali sembrano scritte d° ufficio , esponendo 
il resultato d’ osservazioni e d’ esami, comandati dal governo in- 
glese; onde il volume porta la dedica ai Lord dell’ ammiragliato. 

Per dar luogo a qualche estratto di general interesse, sen- 
tiamo cosa dice il capitano Smyth sulla nobiltà siciliana e sullo 
stato della letteratura in Sicilia. Il quadro, come vedremo, è af- 
fliggente; e chiunque potesse notarlo d’ esagerazione o di falsità 
farebbe cosa grata a ogni buon italiano, che considera come fra- 
telli gli abitatori di ciascuna parte d’Italia. Ma a ogni modo spe- 
riamo che niuno vorrà accusarci di poco amor patrio, biasiman- 
doci d’ inserire nel nostro giornale i seguenti paragrafi . Giova 
sapere come la pensano i forestieri sulle cose nostre , e quando 
ragionano senza livore, e senza mire oblique, vanno ascoltati con 
pazienza onde non ci venga detto : Voi siete simile a quegli a- 
manti infatuati che ammirano della lor bella anche i difetti , o 
perchè non li conoscono , o ‘perchè temono di non poterle cor- 
reggere . Li conosciamo pur troppo i nostri difetti , e sappiamo 
altresì che non sarebbero incorreggibili ; però vi ringraziamo di 
svelarli , purchè ( così dovrebbero rispondere gli italiani ai loro 


105 


censori francesi, inglesi, o di qualsivoglia altra nazione ) allegan- 
do i fatti sappiate e vogliate riferirli alle vere cause, le quali non 
da un anno, nè da un J]ustro , ma da molte centinaia d’ anni a- 
giscono più o meno nello stesso senso; purchè vi piaccia istituire 
giudiziosi confronti fra epoca e epoca, fra provincia e provincia, 
per vedere se il rallentamento, o la sospensione eventuale di que- 
ste cause non abbia prodotto quanti salutari effetti era possibile 
di aspettare ; purchè infine non troviate nella nostra condizione 
e nella vostra fortuna motivo d’ ingiuriosi parallelli, e con pre- 
testo di simpatia e di amicizia, non procuriate pascolo al vostro 
egoismo nazionale. Ma traduciamo dallo Smyth. 

3» I nobili siciliani sono in grandissimo numero, poichè sen- 
za parlare dei dignitarii della chiesa, si contano in un paese così 
piccolo 127 principi, 78 duchi, 140 marchesi, con infiniti conti, 
baroni e cavalieri. Alcuni pochi s’ ingeriscono d’ affari pubblici, 
e mostrano sufficente talento e sagacità; ma i più, avendo rice- 
vuto un’ educazione molto incompleta , nè cercato di acquistar 
cognizioni viaggiando , le loro idee rimangono strette e limitate, 
onde preferiscono l’ ozio e i vuoti piaceri della capitale alle oc- 
cupazioni rurali, letterarie, o scentifiche. Invece di godere i bei 
prospetti naturali che offre in tanta abbondanza la Sicilia, le lo- 
ro gite in campagna, chiamate vi//eggiature, consistono nell’ an- 
dare a consumare un mese di primavera, e an mese d’ autunno 
in qualche luogo. poco distante dalla città , facendo e ricevendo 
visite, giuocando o chiacchierando in quelle noiose loro conversa- 
zioni. Nelle loro maniere sono cortesi, affabili, e pieni di premu- 
ra, sebbene troppo cerimoninsi . Quelle offese contro l’ onestà e 
Ja morale, che offuscano lo splendore dei più alti titoli, devono 
attribursi al poco prezzo in cui tengono i legami domestici, alla 
loro indolenza, e agli effetti del cattivo esempio. ,, 

», Fra questa prima classe dello stato i diritti di primogenitu- 
ra sono così rigorosamente esercitati, che il maggior fratello sol- 
tanto acquista tutte le ricchezze paterne ; mentre gli altri, di- 
pendenti a vita, non avendo altra risorsa che il piatto, ossia un 
posto a tavola del padre o del fratello maggiore, scordano ogni 
sentimento della loro dignità; e siccome non hanno mezzi d’am- 
mogliarsi, e. sono incapaci di qualunque impresa civile e milita- 
re, si danno in braccio alla pigrizia , e alla più vile dissolu- 
tezza . ,, 

3» V'è ancora una classe di nobili pezzenti, il cui grado non 
ebbe mai patrimonio che lo facesse rispettare; ma .pure così va- 
ni che stimano disonore per essi e per la loro prole di darsi a 


106 
qualungue professione commerciale o liberale. La loro mala con- 
dotta è stata causa che la nobiltà siciliana  perdesse di prezzo 
nell’ opinione universale. ,, 

,», La iattanza dei titoli è a dir vero un tratto osservabile 
nel carattere dei siciliani, e si ritrova nelle ambiziose iscrizioni 
degli edifizi pubblici, delle fontane, e delle statue, come pure 
nelle soprascritte delle lettere fra genti d’ ogni condizione, poi- 
chè anche i trafficanti si dan dell’ illustrissimo , e una lettera 
diretta a qualunque privato individuo si annunzia con più pom- 
pa che non sì farebbe tra noi, scrivendo al primo pari del re- 
gno. A. S. E. l’ illustrissimo signore e padrone colendissimo don, 
segue il nome, il cognome, i titoli ec. 

» Quasi tutti i nobili hanno un palazzo che porta il loro 
nome, ma pochissimi l’ occupano da. cima a fondo, mancandogli 
quel numero di famigliari e di domestici che ci vorrebbe per 
empirlo tutto. Anzi alcuni appigionano |’ appariamento nobile, 
ossia il secondo piano , e sì ritirano nei quartieri men buoni. 
Ambiscono di tenere una guardia alla porta, di figura robusta 
e imponente, vestito più magnificamente degli altri servitori, con 
folti mustacchi, cappello a punta con piume, cintura e sciabo- 
la, e mazza con pomo d'’ argento. ,, 

», In Sicilia ogni casa è palazzo, ed ogni mestiero è profes- 
sione; ogni persona benestante s' intitola eccellenza , ed ogni ser- 
vitore che porta messaggi a nome del padrone lo dicono incaricato 
d’un’ambasciata. (3) Questa smania d’ostentazione è così inveterata 
che la nobiltà meno rirca vive meschinamante e senz’ alcun dome- 
stico, e si lascia quasi mancare del necessario , per poter venir 
fuori in carrozza ; la quale è spesso in tal condizione che mo- 
stra la povertà di chi v è dentro, invece d’ indicare agiatezza 
o opulenza. ,, 

» « « + + I siciliani si dedicano facilmente alle lettere; ma 
assai spesso la loro, dottrina somiglia più alla vernice onde si 
coprono i cattivi metalli, che allo splendore di una gemma ben 
lavorata , e molti dei loro insipidi tentalivi nel genere critico, 
jetterario e scientifico , vengono alla luce in forma di vili ano- 
nime pasquinate, e di saggi pedanteschi e senza gusto. ,, 

., Nonostante la manifesta decadenza del genio della loro 


(3) Temiamo che la differenza della lingua abbia ingannato il cap. Smyth. 
Ambasciata in italiano si applica tanto ai servitori che vanno da casa a casa? 
come agli inviati diplomatici che sì spediscono tra principi. Embassy sembra 
avere un signilicato più stretto, e non si dice che nel secondo caso, 


107 
letteratura, alcunî sonetti ed alcune poesie pastorali non prive 
di merito, come pure qualche opera di giurisprudenza, di mo- 
rale, di minerolagia, di matematica , di fisica, e d’ antiquaria 
bastano a provare che il talento non è affatto spento tra loro; 
ma la statistica si trascura da tutti, e parlando di giornali , viag- 
gi, romanzi, opere drammatiche, ed altre produzioni amene , i 
loro torchi sono assolutamente sterili. Forse le leggi vigenti di 
censura hanno impedito la pubblicazione di qualche opera bene 
scritta, e da alcuni si vorrà attribuire a questa causa la breve 
durata degli opuscoli periodici, effemeridi, e notizie letterarie, 
che si erano più volte intraprese. (4) In questo stato di cose le don- 
ne leggon poco, ed autori del bel sesso non ne esistono. Po- 
chissime librerie particolari, e le biblioteche pubbliche, quan- 
tunque ve ne siano parecchie, pochissimo frequentate, Opere di 
autori stranieri ( eccettuate alcune poche in lingua tedesca che 
sono state volgarizzate ) non possono introdursi. Di libri inglesi 
non circolano che le notti di Young, e le meditazioni d’ Her- 
vey. I nomi di Dryden, Milton, Pope, Thomson, Goldsmith ed 
altri lumi del parnaso britannico non sono giunti a diradare 
oscurità così densa ; e Shakespeare stesso fu solamente coeno- 
sciuto dal pubblico mediante un ballo recentemente composto, 
il cui soggetto era tratto dal Macbeth. Scott, Byron, ed altri 
ornamenti della presente nostra letteratura hanno trovato alcuni 
ammiratori; e mentre le truppe inglesi occuparono l’ isola, qual- 
che nostra opera di chimica e di medicina fu conosciuta, e 
stimata, dopochè parecchi giovani studenti si riceverono in qua- 
lità di aiutanti nei nostri spedali militari. ,, 

Esistono diverse società letterarie degli Ebbri, dei Riac- 
cesi, degli Addolorati, dei Geniali, degli Animosi, dei Pericli- 
tanti, del Buongusto, ec.; ma sono ora ridotte a pochi poeti gio- 
cosi, e improvvisatori, i quali, per confessare il vero, non man- 
cano talvolta d’ immaginazione, quantunque verbosi all’ eccesso, e 
privi di gusto e di criterio. I poeti estemporanei non esercitano 
le facoltà del pensiero, e non ne richiedono l’ esercizio da chi li 


. 


(4) Allorquando scriveva, il sig. Smyth ignorava che molti buoni spiriti 
occupavansi di far risorgere in Sicilia un giornale scientifico letterario, il quale 
si pubblica adesso in Palermo sotto il titolo di Giornale di scienze, lettere 
e arti, il proemio del quale, steso dall’ editore, 1’ egregio sig. Ab. Gallo, prova 
sufficentemente che 1’ amore delle scienze, delle lettere, e delle buone dottrine 
non è spento in Sicilia. 

i Nota dell’ Editore dell' Antologia, 


108 


ascolta, consistendo l’ arte loro nella facilità di pronunziar vers; 
ed accozzar rime , che possono allettar per l’ armonia , e per la 
prontezza con cui si succedono. Ma è sicuro, ad onta della loro 
popolarità, e degli elogi compartiti dal Menzini a queste gemzzie 
di Parnaso, che la composizione di Madrigali e sonetti è un 
genere, il quale, ove ad esso si applichino uomini di grand' in- 
gegno , fa immaginare Raffaello , o Michelagnolo tutt’ intenti a 
dipingere qualche piccola miniatura. ,, 

Qai non sappiamo ben intendere il capitano Smyth. Conce- 
da egli che il talento degl’ improvvisatori è stato talvolta ammi. 
rabile, e noi converremo che la maggior parte delle poesie e- 
stemporanee mancano di veri pregi, come poesia; ma questo non 
è argomento per far poca stima dei sonetti in generale, e ci sem- 
bra che non solo malgrado il Menzini, ma malgrado ogni uomo 
di gusto e di cognizioni in fatto di lettere italiane abbia il nostro 
viaggiatore parlato. Vero è che il pregiudizio contro questa ma- 
niera di lirica ha messo profonde radici in paesi esteri, forse per 
leggerezza dei tanti che ripetono le altrui parole, unita all’ invi- 
dia dei pochi, che avrebbero buon palato , ma si ostinano a non 
trovar sapore nei frutti che il loro suolo non produce . Eppure 
una raccolta veramente buona (che ancora non si è fatta) di 89- 
netti italiani dal Petrarca al Monti sarebbe un libro classico , e 
che che se ne dica, nel suo genere incomparabile. 

Del resto le accuse dello Smyth sono troppo generali , Noi 
non assumiamo d’ approvarle nè di combatterle ; ma vorremmo 
che egli, ed altri viaggiatori, dopo aver tratto dal cumulo delle 
loro osservazioni certi corollari sfavorevoli all’ Italia, fossero più 
diligenti nel ricercare se la regola abbia eccezioni, e se queste 
non siano così numerose da doverla in parte modificare . Appli- 
chiamo il ragionamento al secondo dei riportati estratti. In Fran- 
cia e in Inghilterra il merito letterario, sparso in ogni remoto an- 
golo del regno, basta che si faccia conoscere a Parigi o a Lon- 
dra. Di quivi dilatando la sua fama in tutta l’ estensione dei pae- 
si, ove sono parlate la lingua francese , o l’ inglese , torna rag- 
giante di luce anche nella provincia ond’era partito timido e oscuro, 
Giornali, e coteries, gli applausi d’' una fazione, le invettive del- 
l’ altra, tutto favorisce gli autori nazionali . Arriva un forestiero 
nella metropoli, e per poco che vi soggiorni è certo di sentir 
parlare dei frutti del loro ingegno, buoni, mediocri, e forse catti- 
vi. In Italia è diverso caso. Viaggiando nelle nostre provincie, gti 
esteri non vi giungono provveduti di notizie sui dotti, e sui let- 


109 
terati che pur ne sono ornamento. Quindi riesce loro men Zacile 
d’istruirsi dello stato della nostra letteratura . Vi pervengono 
bensì dopo alcun tempo di residenza, e suona alle loro orecchie 
la fama di coloro che si manifestarono al pubblico mediante o- 
pere a stampa. Ma tanti altri, che vivono nel silenzio per non 
esser detti imprudenti, non potranno rintrazciarsi se non da chi 
usi cura e pazienza onde scoprirli in mezzo all’ oscurità che si 
sono scelta. Perciò quando il cap. Smyth rappresenta la Sicilia 
così scarsa di buoni letterati, non deve credere che molti nativi 
di quell’ isola siag senza titolo ad appellare dalla sua sentenza. 


4. Cowprn ’s correspondence 2. vol. 8. 
Corrispondenza di Cowper. 


È stato pubblicato il carteggio di Cowper, poeta inglese di 
assai grido, morto nel 1800, e noto principalmente pel suo poe- 
ma morale The Task, e per la traduzione d’ Omero in verso 
seiolto, pregiatissima per la fedeltà, sebben meno letta di quella 
di Pope. Le sue lettere, qui annunziate , sembrano accolte con 
molto favore in Inghilterra, ma noi dobbiamo contentarci della 


seguente, scelta fra molte altre, più o meno belle, morali, lette- 
rarie, e familiari. 


Al molto Rev. Gio. Newton. 


», Io non fo lunghe visite, e non ne ricevo; nè sono ob- 
bligato a trattenermi in compagnia di signore, a cui non ba- 
stino ore per dirmi ciò che potrebbe esser detto in pochi mi- 
nuti, pure sono costretto a fare economia del mio tempo, e 
mettere a profitto ogni opportunità benchè breve. Per quanto 
si viva ritirati non mancano in questo mondo distrazioni e per- 
ditempi, e non v'è bisogno di andarne in cerca. Frivole oc- 
cupazioni, che si presentano in aspetto d’affari importanti, 
vengono ad esigere la nostra attenzione anche in seno alla so- 
litadine , e si uniscono alle cure realmente indispensabili, di cui 
giascuno ha la sua parte. 

È incredibile come fra le une e le altre il tempo mi fagge - 
Mentre penso che il tempo è breve e che non ne ho da perde- 
re, il tempo se n’è andato. Nella mia gioventù soleva ma- 
ravigliarmi della pazienza degli antediluviani, che potevano sop- 
portare una vita di più centinaja d'anni, monotona ed unifor- 
me come è facile immaginarsi. Tanti modi che noi abbiamo 


TIO 


d’impiegare il tempo a loro mancavano. La sfera dei loro af- 
fari era assai più stretta, le loro librerie erano scarsamente . 
provvedute , le ricerche filosofiche esercitavano assai meno la cu- 
riosità e l’acume degli uomini, e forse nemmeno i violini era- 
no stati inventati. Come facevan dunque a sopportare sette o 
otto cento anni di vita? Mi son proposto questa domanda più 
volte, e non mi era riuscito di trovar risposta; finnalmente mi 
pare d'aver sciolto il problema. Figuriamo che io sia nato 
circa mille anni prima di Noè. Mi levo col sole; adempio il 
dover religioso orando; mi preparo la colazione, e sazio l’ap- 
petito con una dozzina di' sostanziose focaccie, e una secchia 
di latte. Lego una nuova corda all’arco; e siccome uno dei 
miei bambini, che ha appena trent'anni, si è tanto trastullato 
con le freccie che le ha tutte spuntate, mi conviene aguzzar- 
le; onde nei preparativi della caccia s'è fatta l'ora del pran- 
zo. Vado a coglier radici, o altre erbe, le lavo, e le metto 
al fuoco ; vedo che son dure a cuocersi, e le lascio bollire di 
più: Mia moglie grida, si garrisce un buon pezzo, poi si fa 
la pace. Intanto s’è spento il fuoco, e bisogna di nuovo ac- 
cenderlo. Non posso dire d’ essermi annoiato . Vado a caccia , 
torno a casa con la preda, la scortico, e con la pelle accomo- 
do un vestito vecchio, o ne faccio un uuovo. A quest’ ora il 
giorno è per tramontare. Mi sento stanco, e vado a letto. Sic- 
chè fra vangare il terreno e magiare i prodotti, cacciare, e 
rassettar vestiti, dormire, e lavorare, posso. immaginarmi uno 
dei primitivi abitatori della terra così carico di faccende , da 
deplorare la brevità della vita, e al termine di parecchi secoli 
assicurare che gli sono sembrati giorni, e che gli sono spariti 
come un lampo. Che maraviglia dunque se io, che vivo in un 
secolo tanto più incivilito, quando si hanno tanti più bisogni , 
tanti più desiderj, e tante più speranze di piaceri, mi vedo 
fuggire i più opportuni momenti, e non trovo nemmen tempo 
per empire queste quattro pagine di lettera? Eppure è così; 
e se quei nostri remotissimi antenati , de’ quali ho parlato, e 
le loro lagnanze sulla brevità della vita non mi servono di scu- 
sa, dovrò confessarmi colpevole, e dire a mia vergogna che 
senza molto da fare ho sempre bisogno di tempo, 


Li 
5 Researches in the south of Ireland, by T. Croston Groker 
1. Vol 4° 


Ricerche nel mezzodì dell’ Irlanda, di T. CrosToNn CROKER. 


Così descrive l’autore il carattere degl’ irlandesi. 

3, Il carattere degl’ irlandesi attuali è un composto di stra- 
ne ma evidenti contraddizioni, in cui la virtù e il vizio tro- 
vansi così miseramente frammisti, che è difficile distinguerli 
e separarli. Precipitosi nelle loro opinioni, sono altrettanto ar- 
diti nei loro proponimenti, ma lentissimi a darvi esecuzione, ne 
depongono il pensiero prima di averli maturati, e si innamo- 
rano d’altre idee egualmente vaghe e indefinite. L’irlandese è 
bersaglio delle sue passioni e dei suoi capricci; focoso e sen- 
Sibile, lo vedi alternativamente in braccio alla spensieratezza, o 
in preda all’afflizione. Nella gioja e nel dolore non conosce 
che gli estremi, ama e odia senza misura, e strascinato dalla 
corrente d’accesa fantasia, il suo naturale entusiasmo lo rende 
colpevole di mille errori. Quest’eccesso nelle sue qualità co- 
stitutive fu ben conosciuto da Giraldo Cambrense dov’ei dice , 
quando essi ( gl’irlandesi ) sono cattivi è impossibile trovar 
peggior gente, quando son buoni non si può trovar la migliore. 
Fecondo di espedienti per minorare i disagi della vita, e per 
supplire ai comodi che l’ indigenza non può procurarsi, il con- 
tadino irlandese è vigoroso della persona, d’indole ardente, 
d’intelletto vivace; le disgrazie non lo avviliscono, le difficol- 
tà non lo sgomentano. Con fronte alta ed animo gajo seguita 
senz’ arrestarsi la sua spinosa carriera, e vago di guerreggiare , 
e di bere, non lascia sfuggire occasione onde scuotersi e darsi 
bel tempo. ,, 

», Raramente trovi negl’ irlandesi prudenza, pazienza, e as- 
siduità. Ogni loro disegno è gigantesco, ma la perseveranza 
nell’agire non gli sta affatto in proporzione. Hanno concepi- 
menti grandiosi e brillanti, ma poi son volubili e indolenti. 
Spiritosi, ma leggieri e senza calcolo , dissipano il frutto dei 
lor sudori appena lo ban guadagnato, e dell’indimani non si 
curano. Chi parla al lor core non perde invano il suo tempo, 
e la loro generosità è prodiga, e senza discernimento eserci- 
tata. Tale essendo il carattere degl’irlandesi, esso ha più titoli 


a sperare un tributo momentaneo d’ ammirazione, che ad aspet- 


tarsi stima sincera e costante. ,, 


Secondo la Literary Gazette quest’ opera si distingue da molte 
altre, recentemente pubblicate sull’ Irlanda, per l'esattezza 


tI2 
delle notizie storiche; antiquarie e locali, e per essere affatto 
priva d’odio o di predilezione politica verso qualunque parti- 
to. Anzi l’autore sembra essersi astenuto a bella posta d’ en- 
trare nel pericoloso argomento, di che non sappiamo biasimarlo, 
convenendo sempre cercare nei libri ciò che si è proposto chi 
scrive, e non già quello che meglio piacerebbe ai diversi gusti 
di chi legge. Contuttociò, siamo di parere che ove si tratta 
di un popolo come l’irlandese, che geme sotto il peso d’ infe- 
licità pubblica, ogni scrittore benefico nelle sue mire ,e virtuoso 
nelle sue intenzioni, deve procedere con cautelà parlando del 
carattere nazionale, e toccare con indulgenza i difetti speciali 
di esso, onde i suoi ragionamenti non servino di testo a tutti 
coloro i quali avendo interesse a mantenere vive le cause reali 
delle sciagure patrie, si compiacciono di poterle attribuire a 
vizj od a mancanze inerenti alla massa degli uomini, ond’ è com- 
posta la nazione. Sia pur vero che certe qualità nel carattere 
dei popoli possano impedire le conseguenze delle buone leggi e 
delle buone istituzioni, come la prava indole dell’ individuo è un 
ostacolo agli effetti della buona educazione; ma siccome ci 
sembrerebbe strano che tra privati fosse stabilita la massima 
di non dover educare quei giovani, di cui la mente o il core 
oppone qualche resistenza alle lezioni che vengon lor date, 
così non comprendiamo le parole di certuni, i quali non si 
stancano di ripetere: T°a/ popolo non ha buone istituzioni per- 
chè non può averne o non merita di averne. Questo è con- 
fondere causa con effetto; poichè alla lunga non è già il ca- 
rattere nazionale che rende opportuni o inopportuni i buoni 
ordini civili, ma sono questi che modifican lui, e quasi sia- 
mo per dire lo formano. Se ciò non fosse, le diverse epoche 
fra loro confrontate nella storia d’un medesimo popolo e d’un 
paese medesimo, presenterebbero problemi insolubili, Per gio- 
varsi d'un esempio, che non sia doloroso, basta rammentare 
cos'era la Scozia verso il cadere del secolo XV, (non parlia- 
mo dei secoli anteriori ) e conoscere cos’ ella sia divenuta. Ai 
tempi dell’infelice Maria lo stato della società in quel regno 
apparisce presso i diversi storici dell’epoca vicino alla sia  dis- 
soluzione. La perpetua lotta dei poteri reale, aristroratico, ed 
ecclesiastico; l'assenza d'ogni regola e d’ogni legge, la brutale 
intolleranza del popolo, la sua rozzezza, e la sua ferocia, vi 
sì trovano riprodotte a ogni pagina fra scene di lacrime, e di 
sangue. Ed oggi, dopo poco più di due secoli, convengono 
1 meglio informati pubblicisti che la Scozia non la cede a 


rd 


niun paese d'Europa, anzi li supera tutti, pel carattere mo- 
rale dei suoi abitanti ; ed i filosofi che ricercano il seme di 
sì bel frutto, non sanno rintracciarlo se non nella saviezza di 
molti regolamenti civili e politici che furono quivi introdotti. 

I funerali degl’irlandesi ci fanno invito d’ empire altra 
mezza pagina . 

»,I funerali di qualunque signore riconosciuto capo di 
Clan, ( Tribù ) sebbene in oggi avvengano di rado e soltanto 
nella contea di Kerry, formano uno di que’ spettacoli, che 
non si ponno osservare senza sentirsi nascere pensieri gravi e 
sublimi. Da lontano scorgi numeroso seguito di persone, che 
traversa qualche gola tortuosa di montagne, o si prolunga a 
lento. passo intorno la base d’un colle. Nel tempo stesso 
s’ ode il canto di morte, che suona flebilmente nell’ aure, in- 
tuonato da mille voci in coro misurato e lugubre. Avvicinan- 
doti vedi una donna decrepita, seduta a capo basso sul fere- 
tro, la quale nei gesti e nei moti dimostra la violenza del suo 
dolore, e coll’ampio lembo del manto che le copre tutto il 
volto, e quindi ricade in lunghe e moltiplici pieghe, produce 
una figura veramente misteriosa e imponente. ,, 

3, A ogn’inerociarsi di strade si fermano tutti, scoprono 
il capo e ripetono le orazioni in suffragio del defunto.,, 

3» Si sà generalmente che gl’ irlandesi hanno un urlo par- 
ticolare in occasione di funerali; e quantunque l’uso di ma- 
nifestare con tanto strepito il lor dolore vada perdendosi nelle 
città, si ritrova in pieno vigore nelle parti meno - civilizzate 
. dell’isola, ove gli abitanti vi sono anzi molto attaccati , e non 
mancano lamentatori e prefiche di mestiere, ch’essi chiamano. 


Keeners. 


The periodical- press of Great Britain and Ireland ». 


Fole 12% 
Dei fogli periodici nell’ Isole Britanniche. 


Sull’incremento dei giornali politici in Inghilterra hannosî 
in questo volumetto le seguenti notizie. 

La prima gazzetta inglese stampata in un sol foglio di 
carta si pubblicò dal cavalier Lestrange' il 31 Agosto 1661, 
col nome di Public Intelligencer. Molt’ innanzi a quest’. epoca 
venivano alla luce altri scritti sotto diversa forma, ma aventi 
il medesimo scopo. Fino dal regno d°’ Elisabetta fu pubblicato 
nel 1588 il Mercurio Inglese in forma d’opuscolo, e se ne 


T. XVI. Ottobre 8 


114 


conserva il primo numero nel Museo Britannico. Negli altimi 
anni d’ Elisabetta simili libersoli politici vennero in gran mo- 
da, ma furon più rari sotto Giacomo I. In tempo delle guerre 
di Gustavo Adolfo re di Svezia tornarono in voga, e trovia- 
mo nel 1622 le nuove della corrente settimana di Nataniel 
Busler, nel 1626 il Mercurio Britannico, nel 1630 The German 
Intelligencer, e nel 1631 the Swedish Intelligencer, compi- 
lato dal dotto Guglielmo Watts, 

La ribellione del 1641 moltiplicò questo genere di scritti 
periodici, ad alcuni dei quali si diede il titolo di ragguagli quo- 
tidiani del parlamento , ma tutti furono ecclissati dal Public Intel- 
ligencer pubblicato,, come dicemmo, nel 1661. Successe nel 1665 
la gazzetta di Londra, che però ebbe il suo nascere a Oxford 
eol nome di Gazzetta di Oxford. The Ordrige Intelligencer fu il 
terzo di simili giornali, e cominciò subito dopo la rivoluzione 
del 1683. Nel 1696 questa era la sola gazzetta quotidiana che si 
pubblicava a Londra , ma ve n’ eran già nove settimanali . Nel 1709, 
sotto la regina Anna, queste arrivarono al numero di diciotto , 
ma di giornaliere sempre una sola. Nel regno di Giorgio I. eran 
tre giornaliere, dieci tre volte la settimana, e sei una volta la 
settimana. Sotto Giorgio II. il numero delle copie di gazzet- 
te che si vendevano in tutta l'Inghilterra si trova come ap- 
presso : 


Nel 1753 7.411,957 

Nel 1760 9;464,790 
La guerra contro le colonie americane , e la rivoluzione fran- 
cese impegnarono più che mai la pubblica attenzione sulle cose 
politiche, e lo spaccio dei giornali si fece sempre maggiore. 
Ecco lo stato di essi a tre epoche recenti . 


1782. 1790. 1821. 


Gazzette «stampate in Inghilterra 50 60 135 
Idem in Scozia grip da 

Idem in Irlanda 3 27 56 
Gazzette giornaliere di Londra 9 14 16 
Idem due volte la settimana 9 7 8 
Idem una volta la settimana o In 3a 
Nell’ Isole vicine all’ Inghilterra o (e) 6 
79 146 284 


Nel detto anno 1821 circolarono 16,254, 534 copie di gior- 
pali. 


DIO 
Valdimar, or the career of faltehord 2. Vol. 12. 
Vuldimar, ossia la carriera della menzogna. 
È 

Romanzo morale, scritto da una buona madre di famiglia 
per uso de’ suoi figli. L'intenzione è di mostrare come il poco 
criterio dei genitori e dei maestri insinui nella tenera mente 
degli adolescenti l’abitadine di non dire il vero e di agire con 
doppiezza, e le fatali conseguenze che ne derivan nel corso della 
vita. I due principali personaggi del romanzo servono al mede- 
simo fine, l’uno terminando prematuramente la sua esistenza, 
in seguito di colpe che ebbero origine nel falso sistema d’eda- 
cazione verso di esso adottato, l’altro vivendo con decoro, e 
con onore, in possesso della pubblica stima, e d’ogni onesto 
godimento, per l’effetto dei migliori principj, che nutrirono la 
sua gioventù, facendogli conoscere il vero destino dell’uomo. 

Due o tre brevissimi esempi illustreranno la maniera del- 
l’ autore. 

», La madre amava il vero a un dipresso come la maestra , 
ed era egualmente giudiziosa nei mezzi che sceglieva per incul- 
carlo . ,, Io voglio, caro Valdimar, che voi diciate sempre la 
verità. — Sì mamma. — Non dovete mai dir bugie. — Nò 
mamma . — In quel/punto entrò il padre, e presentò alla moglie 
un biglietto d’invito ricevuto per la famiglia. € Non voglio an- 
dare ( disse la signora ) — Che ragione devo dire? — Dite che 
siamo impegnati altrove, e che non possiamo mancar di parola . 
— Ma se non siamo impegnati con nessuno. — Lo sò , ma dite- 
lo nonostante, altrimenti si parrebbe incivili a dare un rifiuto 
senza una ragione qualunque. ,, 

33 ++. -.« Teresa! non meritava il conto di dirmi una hugia 
per così poco «, diceva la padrona alla serva, e con queste po- 
che parole faceva nascere nella serva e nel bambino l’idea che 
le bugie sono scasabili quando si dicono per qualche oggetto 
d'importanza. Poi, quando la serva non era presente, Waldi- 
mar sentiva di questi discorsi — ,, Teresa è così bugiarda, 
così finta, che quasi quasi la licenzierei; ma è poi così brava 
serva, ha tanta civiltà nelle maniere, parla con tanto garbo, ha 
tant’abilità nei lavori d’ ago! In somma non ne posso far sen- 
za. ,, — Waldimar concludeva che si può mentire e ingannare 
quando si ha buone maniere, e si è capace a qualche’ cosa . 
33 + «+ «+++. Waldimar, suonate il campanello. Bisogna che fac- 
cia attaccar la carrozza per andar da quelle nojose ‘Wilmot, 

=Perchè ci andate? domandava la signora ‘Grey nonna di 


116 


Waldimar. Se non ci avete simpatia, poco-male. — Nò vera- 
mente, non le posso vedere. Famiglia di ricchi nuovi! Sono 
pieni di superbia. — Dunque non ci andate. — Oh! bisogna 
ghe ci vada. — Perchè? ( questo perchè era imbarazzante! ) 
— Perchè..... non saprei. Perchè ci sono andati tutti, per- 
chè sen persone che frequentan bene, finalmente perchè convie- 
ne far buon viso anche quando non si vorrebbe. ,, 

Se il poco che precede consiglierà qualche madre di fami- 
glia a procurarsi il romanzo di Waldimar, non avremo suggerita 
una lettura inutile ad essa, ed alla sua prole. 


Letters on the character and poetical genius of Lorp Brron, 
by si EpcerTon Brrpces 1. Vol, 12. 

Lettere sul carattere, e il genio poetico di Lorp Brrox, 
scritte da Ser Epcerton BrrpcEs . 


Qualunque sia il merito poetico di Lord Byron, il suo no- 
me vivrà immortale, come accade di tutti coloro, che mentre 
vissero furono in possesso della pubblica ammirazione . Il giu- 
dizio dei contemporanei non è sempre confermato dalla poste- 
rità, ma essa valutando imparzialmente i prodotti dell’ ingegno, 
riconosce che a dominare l’opinione di tutt’un secolo, e a 
trarselo dietro nella buona strada, o nella falsa, bisogna 
aver sortito nascendo doni così straordinarj da render vani i 
confronti, e risibile l’ invidia. Delle qualità necessarie a for- 
mare un gran poeta, Lord Byron possedeva in grado eminente 
quelle che son più rare e più portentose , l’invenzione, e l’ ori- 
ginalità; l'invenzione per trovare fra la natura e l’arte che 
la imita, rapporti che niuno avea prima scoperti; l’originalità 
per esprimere i rapporti già conosciuti in modo da riprodurli 
come se fossero nuovi. Ma il gusto, quella dote indefinibile 
che discerne il bello prima di riflettervi, e determina a ogni 
pensiero una misura, fuor della quale non vuol che siavi sa- 
lute, sebbene non mancasse a Lord Byron, ( che il supporlo 
sarebbe follia ) non apparisce che gli fosse stato concesso con la 
stessa liberalità, e non imprime sempre ai suoi versi quel sigillo 
di perfezione, che mantiene eguale e costante la maraviglia e 
il diletto in chi legge, e non espone gl’imitatori a continui pe- 
ricoli, e talvolta a funeste cadute. Somigliante ad alcuni altri 
nobilissimi spiriti, che ban lasciato nelle loro opere non solo 
la prova di sublime intelletto, ma il rilievo eziandio d’un ca- 


rattere tutto loro, e d’ un indole distinta e quasi non compresa 


117 
dal resto degli uomini, quest’ illustre poeta è forse destinato 
a riportar gloria dagli errori di chi vorrà farselo esempio. Ciò 
che rende sicura l’imitazione dei classici, si è che il loro mo- 
do di sentire mantenendosi sempre in armonia col loro modo 
di esprimersi, riproducono agevolmente in altrui i propri sen- 
timenti, i quali originati nella giusta corrispondenza tra la vi- 
vezza della fantasia, e la chiarezza del raziocinio, non trovano 
niente di repugnante nell’animo di tutti coloro, presso cui que- 
ste due facoltà, comecchè in minor dose, esistano però sempre 
nella conveniente proporzione. Ma dove un poeta, per l'esube- 
ranza della fantasia, e la fiera singolarità delle sue naturali 
disposizioni, voglia abituare il cuore umano a una maniera 
di sentire, che è propria soltanto di lui, e che non sarebbe 
più la stessa se altre doti intellettuali la contrastassero ; o l’in- 
debolissero , egli resterà probabilmente unico nel suo genere; e 
senza seguaci degui di Janciarsi sulle orme ch’ egli ha  se- 
gnate . 3 

Facendo menzione delle Zettere di Sir Egerton Brydges ci 
siamo valsi del privilegio, ehe i giornalisti comunemente si ar- 
rogano, di accennare alcuna loro idea sul merito di un autore 
e delle sue opere, senza entrare nelle viscere dell'argomento . 


A noi serva di scusa la brevità, a cui ci astringono i limiti di 


questa Fivista , la quale dedicata alla letteratura inglese; avrebbe 
per altro provocata giusta censura se non consacrava almeno 
poche pagine a Lord Byron, mentre ogni amico delle muse, e 
siamo per dire ogni culto europeo ne piange amaramente la 
perdita. Perciò faremo seguitare alcuni paragrafi di codeste Let- 
tere, che ci vengono annunziate come la prima commendevole 
produzione pubblicatasi in Inghilterra sul carattere e il genio 
dell’illustre defunto , alla vita del quale lavorano due insigni scrit- 
tori, stati suoi amicissimi, Hobbouse, e il poeta Moore. In= 
tanto tolga il cielo che le brevi parole da noi dette siano state 
interpretate come a lui sfavorevoli, e tendenti a colorire un ma- 
lizioso paradosso; poichè al suo ingegno professiamo altissima 
venerazione, e sebbene alcuni fatti della sua vita privata abbian 
servito di fondamento a gravissime accuse, siamo di parere non 
solo che sarebbe possibile difenderlo, ma che le azioni della 
sua vita pubblica in questi ultimi tempi siano di qualità a sta= 
bilire sopra basi inconcusse la grandezza del suo carattere mo- 
rale, la nobiltà e l’elevatezza dei suoi sentimenti. 

Opina sir Egerton Brydges che vi sia gran differenza fra 
idee inesatte e idee esagerate . ;, Le prime possono derivare da 


118 


eccesso di forza , le altre nascono da debolezza, che vorrebbe 
supplire ‘alla propria deficienza, e cade nello sforzato e nell’ ar- 
tificiale. In lord Byron trovansi molti esempi di quelle, niuno 
di queste. ,, È 

+ + + + «+33 La sua facoltà immaginativa fu ricca e cò- 
piosa , ma non essendo modellata nelle forme del vero, era man-, 
cante di una dote essenziale a produrre eccellente poesia. Tutti 
gli enti da lui immaginati partecipano dei difetti delle sue qua- 
lità morali e intellettuali. Sono spiriti violenti, d’ indole singo- 
lare e imperfetta , intolleranti d’ ogni obbligo sociale, sublimi 
benchè viziosi, malcontenti delle condizioni dell’ umana esistenza, 
‘e tormentati da certa misteriosa ambizione di sollevarsi fuor del. 
loro destino oltre i limiti del possibile; ponendo perciò in non 
cale ogni considerazione che guida gli altri uomini, e disposti a 
fare quanto di strano e d’ audace vien loro comandato dalla pas- 
sione 0 dal capriccio, senza temere il disprezzo, e senz’ aspirare 
alla stima, quasi per vendicarsi della degradazione a cui son 
condannati muovendo fra esseri loro inferiori di tanto. ,, 

diseredati Lr Byron mon conosceva che le più forti 
affezioni dell’ animo. L’ amore timido e pietoso , la compassio- 
ne, la simpatia avean poca influenza sopra di lui. Smania di 
esercitare le sue forze e di soddisfare liberamente le sue vo- 
lontà , ira implacabile contro chiunque faceagli contrasto, eran 
queste le abitudini del suo core. Confidarsi ch'egli avesse ri- 
guardo all’ interesse, o alla felicità altrui, sarebbe stato vano 
pensiero. Non riceveva altro impulso che il proprio ,.e le sue 
volontà eran sua legge. ,, 

s» A propriamente parlare non si potrebbe dire ch'egli fosse 
capace di vero entusiasmo , perchè l’entusiasmo è uniforme , 
sincero, e non muta, laddove esso passava improvvisamente 
dal fervore degli affetti ai sarcasmi e alle beffe , si compiaceva 
di render ridicolo ciò che aveva ammirato un momento prima; 
e nel forte delle discussioni si volgea talvolta contro quelli che 
eran seco d’ accordo , per la soddisfazione d’imbarazzarli con 
‘opposti argomenti. ,, 

31 Quando si riusciva a contentarlo ei si mostrava ricono- 
scente e affezionato ; ma niuno potea presumere di riuscirvi 
facilmente, nè di durare per molto tempo. Andava in collera 
senza, causa, e vendicava senza misura le offese, vere o im- 
maginarie che fossero. L’ altrui bontà non lo appagava per sè 
stessa, ma in quanto si conformava al suo umore, e all’ in- 
clinazione del momento. ,, 


119 

»> Da questa tempra d’animo e di mente sorgevà la forza e il 
vigore dei suoi detti e dei suoi scritti. Le sue idee non venivano mai 
a patti con le altrui. Fissato appena un oggetto, lo poneva iu 
quell’ insolita luce ond’ era stato da lui visto. Non avea dub- 
biezze, non riservi, ma si spingeva veementemente alla mira 
con audacia ed energia senza pari. Poggiava a tale altezza da 
non temere l’opinione del volgo, nè l'opinione di quel pub- 
blico che tutti gli altri rispettano e temono. Reputandosi inac- 
cessibile a qualunque assalto capace di compromettere la sua 
fama, gli parca di potersi avventurare in ogni più rischioso 
tentativo, e si persuadeva che il vincere avrebbe accresciuto 
la sua gloria, e il perdere sarebbe riuscito indifferente. Ognun 
vede quanto questo modo di pensare fosse vantaggioso allo svi- 
luppo di facoltà intellettuali, straordinarie e soprabbondanti 
come le sue. ,, 

- «++ +. + ,, I parti del vero poeta sono frutti e fiori 
naturali, ch’ egli coltiva col talento e col gusto ; quelli del falso 
poeta non sono altro che artifizio; son prodotti della sua in- 
dustria, fatti a imitazione di ciò che dà la natura, ma senza 
vita e senza fragranza. ,, 

»» Fra i fiori poetici di lord Byron non se ne trovan di 
artificiali. Talvolta ei produce erbe parasitiche e frutti velenosi, 
ma sempre rammenta la vegetazione della natura , varia, po- 
tente e feconda. ,, 

-... + + + « 3) Alcuni caratteri sono naturalmente così cupi 
che si compiacciono di continuo ne’ pensieri malinconici, mi- 
steriosi , e terribili. V'è qualche cosa nell’ esistenza dell’uomo 
che li annoja e li nausea, onde provano un inquietudine e un 
malcontento , che li conduce a coltivare le emozioni più pe- 
nose ‘Cercano di rendersi più lungo il terrore, più amara la 
doglià, più lugubre la tristezza. Niuno vorrà negare che que- . 
sta era l’ indole, e la disposizione predominante di lord Byron. ,, 

»» La natura umana è sotto certi aspetti inesplicabile , 
strana, e maravigliosa. Talvolta ci sentiamo tratti da irresisti- 
bile impulso a osservare fissamente e con viva curiosità quelle 
cose che ci fanno inorridire mentre le osserviamo. Vero è che 
certe impressioni dell’ età giovanile non possono esser mai più 
cancellate, quando hanno agito sopra un core sensibile, o un 
intelletto vivace, in tempo che la ragione non aveva acqui- 
stato tutto il suo potere. Laonde , chi può asserire che non 
siavi stata nell’ infanzia di Lord Byron qualche particolar eir- 


120 
costanza, ond’egli abbia ricevuto impressione profonda d’ or- 
rore, e di malinconia? ,, 

© ++ + + + « + «+ 3y Lord Byron stesso, se si fosse dato a una 
vita più socievole, fra le mollezze e i passatempi mondani ; 
avrebbe assai perduto dell’impeto naturale del suo carattere, 
e il fuoco dei suoi scritti sarebbe stato assai meno ardente. 
Ma egli si compiaceva di vivere isolato, di respirare l’ aria 
aperta, di nuotare nell’'onde agitate, di esporsi al calor del 
meriggio, di salire le più scoscese montagne , di meditare in 
cima ai precipizi, di peregrinare in paesi inospiti, in mezzo 
al terrore dei pericoli, e alla novità di’ strani costumi. ,, 

»» Perciò la combinazione d’ un genio portentoso con un 
carattere formato da molte complicate circostanze, e con le 
vicende d’ una vita avventurosa e straordinaria, resero Lord 
Byron autore di opere poetiche , che non avranno forse le si- 
mili per qualche secolo avvenire. ,, 

Sir Egerton Brydges chiama il Corsaro il più perfetto 
componimento di Lord Byron. Ma di tal opinione, che molte 
hanno seco a comune, non sappiamo se egli esponga le ragioni, 
non trovandole nella Literary Gazette, la quale mentre copia 
altri estratti relativi al carattere. di Byron, non ce ne som- 
ministra quasi alcuni intorno al suo genio poetico. Frattanto 
dal poco, che di questo libro abbiamo comunicato ai nostri 
lettori, essi avranno concluso che non è opera di penna sner- 
vata, nè di mente superficiale. 


10. 4 character of Loro Brron, by Sir IVarter Scort. 
Carattere di Lorn Brron, scritto da IVarter ScorT (tratto 
dai giornali inglesi. ) 


Merita di esser recata per intiero questa breve ma_ elegan- 
iissima prosa di Walter Scott, sebbene con la nostra traduzione 
temiamo di non averle reso giustizia. 

In mezzo alla calma generale dell’ atmosfera politica, è venu- 
to a costernarci in altro modo uno di quegli annunzi di morte, 
che suonano di tempo in tempo, come dalla tromba dell’ arcan- 
gelo , per scuotere a un tratto |’ animo di intere nazioni. Lord 
Byron, sul quale gli occhi del pubblico furono sì lungamente e 
sì curiosamente rivolti, ha pagato il debito comune dell’ umani- 
tà. Egli è morto a Missolonghi il 19 aprile. Quel genio possen- 
te, che visse tra gli uomini come cosa superiore agli altri mor- 


12% 

tali, dotato! di qualità che si contemplavano con meraviglia , e 
quasi con terrore , come non sapendo se in esse era potenza 
di bene o di male , dorme il sonno tranquillo dell’ eternità , al 
pari del misero contadino , le cui idee non si spinsero oltre il 
suo quotidiano lavoro. Son mate le voci della giusta censura, 
e del biasmo maligno; e si direbbe che il gran luminare del cie- 
lo ci fosse improvvisamente sparito davanti agli occhi, mentr’ o- 
gui telescopio era intento ad osservare le macchie, che altera- 
vano il suo splendore. Ora non si domandi quali furono le man- 
canze di Byron, quali i suoi errori; ma come potrà riempirsi il 
vacuo ch’ egli ha lasciato nella letteratura inglese. Nonlo po- 
trà, temiamo, questa generazione, feconda d’ ingegni peregrini, 
senza però averne prodotto alcuno emulo a Byron nell’ origi- 
nalità, primo attributo del genio. Vissuto soli 37 anni! acqui- 
stata tanta parte d’ immortalità! con tanto tempo innanzi a sè 
(come pare a noi malaccorti mortali ) per mantenere ed am- 
pliare la sua gloria, per far ammenda agli errori della sua con- 
dotta, e ai difetti delle sue opere! Chi non si dorrà di vedere 
abbreviata quella carriera, quantunque non sempre ritenuta nella 
buona strada ? di vedere estinta quella luce, sebbene accesa tal- 
volta per confondere e per abbagliare ? 

Gli errori di Lord Bayron non derivarono da malvagità di 
core, poichè la matura non si era posta in contrasto con sè me- 
desima accoppiando a così straordinari talenti 1)’ imperfezione del 
senso morale; nè da animo insensibile alla bellezza della virtù. 
Niuno ebbe un cuore più aperto agli affetti, nè una mano più 
generosa in sollievo dei miseri; nè uomo ebbe mai intelletto 
così capace d’ammirazione e d’entusiasmo per le azioni nobili ed al- 
te, sempreché il principio che le mosse gli si dimostrasse puro e di- 
sinteressato. Lord Byron fu interamente esente dal morbo della lette- 
ratura, e dall’ obbrobrio che le si congiunge: le gelosie , vogliamo 
dire, e l’invidia di chi la professa. Ma il suo genio portentoso era 
così fatto che non tollerava alcun freno, quand’ anche il freno po- 
teva essergli utile. In collegio egli riusciva per eccellenza in quel- 
le cose , a cui si accingeva. spontaneamente ; ma giovane , e di 
nobile condizione, focoso di temperamento , e libero disponitore 
di molta ricchezza , la sua situazione aggiungeva forze a quella 
insofferenza di vincoli e di ritegni, che era propria di lui. Co- 
me autore sdegnava di sottoporsi al tribunale della critica ; co- 
me uomo non voleva riconoscere l’ autorità morale esercitata 
dall’ opinione pubblica. Presso di lui avean gran peso gli avver- 


122 


timenti di un amico, di cui le intenzioni è la sincerità non gli 
fossero dubbie ; ma pochi osavano porsi al pericoloso cimento. 
Le ammonizioni stancavano facilmente la sua pazienza, e i rim- 
proveri lo confermavano più ostinato ne’ suoi errori ; talchè so- 
migliava spesso all’ animoso destriero, che si slancia risoluto sul- 
la spada che lo ferisce. Nella circostanza più spiacevole della sua 
vita, (1) egli così manifestò questa irritabilità e questa im pazien- 
za dell’ altrui censura , che parve simile al toro, tratto a com- 
battere nell’ arena , il quale è reso assai più furente dalle frec- 
ciate, dalle balestre, e dalle importune percosse del popolaccio 
riunito fuori dello steccato, che dalla lancia del suo più degno, 
e per così dire, più legittimo antagonista. In somma egli errò per 
troppa ostentazione di orgoglio; e per troppo spregio verso i 
suoi censori, ed agi, come il despota in Dryden, per far mostra 
d’ arbitrario potere. Vero è che certe contese erano da lui ri 
guardate sotto falso. aspetto, .e con animo prevenuto ; e seppure 
l'illustre. poeta otteneva in certo modo un trionfo , obbligando 
le genti a leggere quantunque misti di feccia i suoi versi; per 
la ragion che erano suoi , pur troppo ei. procurava nel tempo 
‘ stesso malvagio trionfo ai malvagi; e profondo cordoglio a colo- 
ro, di cui l’ applauso, nelle ore sue più pacate , gli stava singo= 
larmente a cuore, 

Così, parlando di politica , le sue opinioni si annunziavano 
talvolta in modo ostile e derisorio verso la costituzione della 
sua patria, mentre in fatto Lord Byron non solo conosceva ap- 
pieno il pregio dei suoi diritti come cittadino inglese, ma va- 
lutava ancora le sue prerogative di nobiltà e d’ illustre discen- 
denza, ed era sommamente premuroso di quelle avvertenze nel 
contegno e nel tratto, che rendono indizio di qualità signorile. 
Invero, malgrado i suoi epigrammi, e i motteggi da lui usati 
(quando era miglior consiglio astenersene ) noi crediamo che nel 
caso di conflitto tra gli ordini aristocratici dello stato, esso sa- 
rebbe accorso col massimo ardore in difesa di quello , a cui 
naturalmente apparteneva. I suoi sentimenti sono resi abbastanza 
chiari da un passo del Don Iuan, concorde a maraviglia con 
le opinioni da lui manifestate nel suo privato carteggio, quando 
le fazioni da cui era divisa l’ Inghilterra sembravano in procin- 
to di venire alle mani. (2) 


(5) Si allude, crediamo, alle sue dissensioni con la consorte. 
(6) Tutto questo paragrafo, dicono alcuni giornalisti inglesi, sembra dettà 


123 

Noi non siamo però i panegiristi di Lord Byron, che ora obi- 
mè! esso non ne ha più d’ uopo. L’ eccellenza del suo ingegno 
sarà ora universalmente riconosciuta, e i suoi falli (lo speria- 
mo e lo crediamo) niuno vorrà ricordare nel di lui epitaffio. 
Ora si avrà presente il. posto glorioso, ch” egli ba occupato nella 
letteratura inglese dalla pubblicazione del Childe Harold, non 
è più di 16 anni. Quel riposare sotto l'ombra degli allori già 
colti ; quel vivere con gli avanzi della gloria già acquistata; quel- 
la, meschina e interessata cautela che presso il volgo degli au- 
tori si chiama aver cura della propria fama, furon cose igno- 
rate da Lord Byron. La fama del suo ingegno si difendeva da 
sè stessa. Le orme di Byron eran sempre nell’ agone, la sua 
lancia era sempre in resta; e quantunque la sua immensa ri- 
putazione accrescesse la difficoltà della lotta, poichè niuna sua 
cosa, comunque sublime, potea superare la stima che erasi di 
lui concepita, pure lo vedevamo tornare ogni volta più animo- 
so all’ onorata tenzone , e sempre uscirne con lode , e quasi 
sempre col più completo trionfo . Poeta non meno vario e ver- 
satile di Shakespeare, ( come dovrà convenire chiunque ha letto 
Don Juan) ha mostrato di saper trattare ogni argomento che 
alla vita umana appartenga, ed-ha toccato ogni corda dell’ ar- 
pa divina, passando dai tuoni più flebili e delicati sino ai più 
sonori e robusti. Quasi ogni situazione, quasi ogni affetto del- 
l’animo nostro è stato familiare alla sua penna; ed egli potreb- 
be esser dipinto, come, Garrick, tra la musa che piange, e quella 
che ride, quantunque le opere più vigorose del suo ingegno 
siano dovute all’ ispirazioni di Melpomene. Nè la fecondità sua 
fu meno ammirabile della versatilità. Le forze del suo intel- 
letto, non che venissero sminuite dal prodigo uso che ne fa- 
ceva, sembravano anzi moltiplicarsi ed estendersi, Childe Harold, 
e le più belle composizioni della prima raccolta pubblicata da 
Lord Byron, non offrono migliori esempi d’ inimitabile poesia di 
quelli che s’ incontrano sparsi a piena mano nei versi del Don 
Juan, versi che l’ autore sembra aver prodotto con la sponta- 
neità che fa l’ albero, quando abbandona le sue foglie ai venti 


to da Walter Scott con intenzioni di deferenza verso il partito dominante, e per 
rendersi grato alla classe, a cuì è egli stato ascritto, da che ha riceyuto titolo 
di baronetto. I versi del Don Iuan, che omettiamo di riportare, nulla provano, 
mon potendosi allegare come professione di fede di Lord Byron una stanza 
pescata in un lungo poema giocoso, deve egli seguitando la sua fantasia, anche 


quando aberrava, l’ ha lasciata trascorrere senza freno più ancora che nelle al- 
tre sue opere. 


124 

he passano. Ma quest’albero eccelso non è più capace di pro- 
durre frutti nè fiori! Giovane e rigoglioso è caduto a terra; é 
di Byron non resta che la memoria! La mente si rifiuta anco- 
ra a crederlo. A stento possiamo persuaderci che sia muta per 
sempre l’ armonia di quella voce , che tante volte penetrando 
nell’ animo nostro , spesso fu intesa con estatica ammirazione, 
talvolta con pena, ma sempre con vivissima attenzione. 

Con profondo sentimento di grave dolore chiudiamo il nostro 
discorso. La morte ci sorprende inattesa così in mezzo alle no- 
stre più serie come alle nostre frivole occupazioni; ed è un pensiero 
nobile e consolante il riflettere che ella non ha già trovato il nostro 
Byron in un momento inglorioso, ma anzi mentre largiva gli averi; 
ed avventurava. la vita in aiuto di una nazione, alla quale si era 
affezionato come all’ erede di antiche glorie, e per la compas- 
sione che gl’ispirarono sempre i suoi simili, sottoposti al giogo 
di un barbaro oppressore. Se la morte, incontrata in difesa della 
libertà e dell’ umanità, avrebbe potuto, ai tempi delle crociate; 
espiare i più neri delitti, ai dì nostri potrà ancora far dimen- 
ticare maggiori falli di quelli che la più esagerata maldicenza 
abbia divulgati contro Byron. 

S. U. 


Tr —=——_122z=4==—=<7<T=<5<sSTE<=<TSTT<+<———1À————— 
Real Museo Borbonico. Napoli 1824. 


Nìuna cosa è più scellerata che 1’ avaro, predicavano i no- 
stri antichi: sì dicendo a que’ tempi, in cui non era quasi di- 
stinzione da privato a pubblico. Che direbbero essi or sopraviven- 
do, ora che il pubblico aspetta ogni bene dalla liberalità de’ privati; 
tra' quali è uopo connumerare anche gli uomini più cospicui quan- 
do non si parli di politica , se pure non vogliamo metterli al 
tutto nella classe de’ privativi? Io credo che a’ nostri buoni an- 
tichi mancherebbero vocaboli per significare le presenti avarizie, 
tanto sono accresciute e diversificate dal secolo XIV in poi. Che 
altro sono infatti le più delle proibizioni? E quante ne fan- 
no...! Se alcuno raccoglie nel suo giardino le rare piante del 
globo, e non è poi contento ad averle, che le vuole egli solo, 
negando ad altri qualunque germoglio, non è desso un avaro fa- 
stoso che impedisce i progressi della pubblica cultura? E qual 
epiteto dovremmo aggiungere oltre il fastoso , quando un tal 
giardiniere avesse obbligo coll’ universalità degli uomini, quando 


| 


120 
per esempio ei fosse ricco dell’ opulenza altrui ? Il giardiniere 
virtuoso e liberale non impedisce che li altri abbiano le piante 
sue: anzi le manifesta dopo averle raccolte: ne spande la cultura 
dopo averle coltivate : e si gloria quindi non del possesso , ma 
d’ aver per ciò avuto mezzo a promuovere la comune industria. 

Siccome del giardino , così de’ musei , così delle, gallerie e 
delle librerie. Se il loro custode si ristringe a conservarle , fa 
tanto più male, in quanto non coopera alla generalità degli stu- 
dii, con che si coltiva l’ intelletto. E consentiamo pure in quan- 
to a’ libri, che i più rari deggiano diligeutemente guardarsi: 
ma non prestar quelle edizioni, che al bisogno si possono ri- 
comprare : impedir l’ uso degli istrumenti e delle macchine fi- 
siche, le quali non adoperate irruggiscono: non voler che un ar- 
tista copii una dipintura o una scultura , le quali non bisogna 
per questo nè anche muovere , se sieno come debbono essere 
ben collocate : non contentarsi in somma della necessaria disci- 
plina, ma aggiungere rigori, e fare alcuni soli autorevoli in dan- 
no di tutti, è veramente un procedere contro l’ istituzione delle 
cose. Di fatto, le proibizioni ci derivano non da’ primi ordina- 
tori, ma da’ lor successori, i quali non avendo la lode d°’ aver 


- dato un principio, ambiscono la facoltà di dare licenze: e spes- 


so è tale il giro delle permissioni che ripugna ottenerle. Potrei 
dichiarar facilmente questi abusi con particolari esempi: ma gio- 
va più lasciar fare a ciascuno le applicazioni al suo proprio pae- 
se. lo non esagero: conosco altresì una città popolosa, a’ cui me- 
dici è proibito far pratica negli spedali. 

Credo pertanto meritevole di somma lode il nostro Antonio 
Niccolini, che eletto a direttore del reale istituto di belle arti 
in Napoli, non si è adoperato in accrescere l’ autorità sua nel- 
l’ ufficio, ma in toglier via le proibizioni che impedivano l’ u- 
tilità dell’ Accademia. Quindi oltre i buoni ordini interiori , egli 
provvede che si pubblichi eziandio quanto è d’ ottimo in Napoli 
per rispetto a monumenti architettonici : statue e bassi-rilievi: 
dipinti antichi , e del medio evo, e dal risorgimento dell’ arte 
fino alle scuole de’ Caracci: bronzi; musaici) utensili: suppellet- 
tili: vasi: armi: gemme incise: medaglie: monumenti orientali, 
egizii, e dei bassi tempi: ed altri oggetti di vario genere: pro- 
testando che i componenti la real società borbonica concorreranno 
ad illustrare con brevi ed accurate descrizioni i monumenti, i 
quali saranno diligentemente disegnati ed incisi: lasciandosi 
all’ opera delle antichità d° Ercolano i più ampii commenti su- 
gli oggetti in essa opera esposti. 


126 
Chiunque ami lo studio deil’antichità e delie belle arti, deb- 
he accogliere con lieto animo questa napolitana offerta . A po- 
chissimi stranieri era stato finora permesso disegnar ne’ musei 
© in Pompei: ora si pubblicano altresì le più preziose cose, dato 
a un tempo ragguaglio dell’ eruzioni che distrassero Ercolano e 
Pompei, e degli scavi che si fanno e si faranno nelle città me- 
desime. Il che è della massima importanza, stantechè in quei 
luoghi si vive di vero cogli antichi, non essendovi ,, cosa per 
delicata che sia, (dice il Niccolini) la quale non si ritrovi in 
Pompei. Il grano, le fave; le castagne, il pane, i fichi, e le 
uova non sono le sole cose che ci fanno sembrare presenti e- 
poche cotanto lontane: s’ incontrano negli scavi circostanze tali 
che dinotano perfino quali erano le occupazioni di taluni al 
momento dell’ eruzione, come mi accadde osservare in occasione 
dello scavo de’ portici d' Eumachia. La quantità di preparativi 
di marmi ivi trovata in colonne sbozzate, cornici ec. ec. attesta 
chiaramente che quell’ edificio come molti altri di Pompei re- 
stauravasi a cagione del terremoto, che investì quella città po- 
chi anni prima dell’ ultimo suo disastro. Un architrave fra gli 
altri pezzami richiamò la mia attenzione: giaceva presso ad altro 
simile spezzato che gli serviva di modello: e dal modo come 
era situato scorgevasi bene che lo scalpellino lavorava nella par- 
te del soffitto, ove aveva incominciato a tracciare collo scal- 
pello un riquadro; ma la maraviglia in me crebbe , vedendo 
ancora intatta la linea segnata col carbone e tirata dall’ artefice 
in mezzo per guida del suo lavoro. Ho riferito questa minuzia, 
perchè degna mi sembra di esser ricordata, se non altro, come 
bastante a far comprendere la perfetta conservazione de’ monu- 
menti pompeiani ed ercolanensi, conservazione desiderata inva- 
no nelle altre anticaglie.,, 
Noi abbiamo ricevuto insieme col manifesto il quarto fa- 
scicolo, pubblicato per primo (1). I disegni fatti da Raffaello 


(1) 3 La pubblicazione del real museo borbonico verrà distribuita per 
fascicoli, contenente ognuno sedici tavole c cinquanta pagine circa d' illustra- 
zione. Quattro fascicoli formeranno un volume. Ogni fascicolo costerà dodici 
lire fiorentine senza il porto: in carta sopraffine lire diciotto. Le illustrazio- 
ni sì potranno avere in italiano o in francese. Con ogni quarto fascicolo si 
darà ragguaglio degli scavi di Pompei eseguiti ne’ quattro mesi precedenti, 
aggiungendovi perciò due tavole senza aumentare il prezzo. Quindi si pub- 
blica per primo il quarto fascicolo , perchè dà idea più esatta dell’ opera. Se- 
dici volumi compieranno l’ opera, oltre due volumi destivati al catàlogo del 


Museo.,, 


197 
4 

d'Auria, da Giovanni Camerano, da Giovacchino Forino, du Gio- 
vanni Maldarelli, da Giuseppe Marsigli, da Francesco Mori , da 
Andrea Rossi: ed i contorni incisi da Silvestro Rossi, da Raf- 
faello Estevan, da Filiberto Imperato, da Lasinio figlio, da Giu- 
seppe Marsigli e da Francesco Mori: diretti tutti da Antonio, 
Niccolini che è abilissimo artista, pittore ed architetto, ci sembra- 
no aver compiuto effetto. Le illustrazioni son fatte da F. M. Avel.. 
lino, da Guglielmo Bechi, da Luigi Caterino, e da Giovambatista 
Finati. Il primo, valente nella numismatica ed in altre manie- 
re di belli studii, ha dimostrato nel suddetto fascicolo sei me- 
daglie sicule ed italiche. Il terzo ha ragionato di due stadere e 
d’ una bilancia, tutte e tre di bronzo e ritrovate in Pompei. 
Crediamo utile qui trascrivere ciò che il Caterino dice della bi- 
lancia. ,, Quello che sembra più singolare tanto in questa, quan- 
to in altre della stessa specie , è il romano che gli antichi sem- 
pre erano soliti aggiungervi, per aver mezzo facile a parago- 
nare tra loro i pesi. In tutte queste bilancie il romano cam- 
mina verso la coppa destinata a ricevere l'oggetto che vuole 
pesarsi; e l’asta è dal lato del romano segnata con diverse li- 
nee espressamente per graduare le differenze, senza aver bisogno, 
come facciamo moi; di tante frazioni di pesi che imponghiamo 
nella coppa op . Fra le molte cose che han copiate o si 
studiano di copiare dall’ antico gli artisti, non meriterebbe cer - 
tamente questa l’ultimo luogo. Ci rincresce però di sentire, che 
in qualche colto paese dell’ Europa vi sia stato alcuno, che 
avendo dato un saggio di simili bilancie , per averle forse qui 
osservate, abbia preteso la gloria di esserne riputato inventore.,, 

Tutto il resto del fascicolo pertiene al Finati ed al Bechi, 
amendue i quali discorrono largamente, da farsi intendere an- 
che da’ meno esperti in siffatte letture. Il Finati interpreta i 
monumenti egizii , i cammei, e le sculture in marmo e in bron- 
zo, tra cui la famosa statua d’Aristide trovata in Ercolano, 
ed il bel vaso scolpito da Salpione ateniese. Alcuni presuppon- 
gono che Aristide sia stato ritratto in quel punto che egli 
aringava in Atene contro le insidie di Temistocle: ma il Fi- 
nati, non trovando negli antichi scrittori alcun indizio dell’ aver 
Aristide aringato per la sua propria salvezza, opina essere 
stato ritratto allorchè in Lacedemone esortava il popolo ,, per- 
chè non mancasse d’aiuto e di consiglio per salvare il rima- 
nente della Grecia dall'invasione de’ barbari, i quali per la 
negligenza e dappocaggine de’ lacedemoni avevano occupata 
Atene ,,. Il vaso di Salpione fu trovato in Formia nel golfo 


128 


di Gaeta, e fu dapprima sì bene apprezzato che i marinari 
lo tenevano sul lido per legarvi le barche : tantochè in ogni 


figura appariscono segni dell’attrito delle funi. Di esso così 


parla il Finati: ,, la propagazione del culto e de’ misteri dio- 
nisiaci in tanta copia diffuse le diverse rappresentanze di Bacco, 
che da’ monumenti a noi rimasti si può agevolmente compilare 
la storia progressiva dal nascimento sino alle ultime gesta di 
questo nume. In un bassorilievo del museo Pio Clementino 
si vede Bacco bambinello che esce al giorno dalla coscia di 
Giove, e Mercurio che s’inchina per riceverlo fra le sue brac- 
cia, per poi condurlo a farlo nutrire dalle ninfe cadmee. In 
un altro basso-rilievo della galleria Albani è espresso Mercu- 
‘rio tutto isolato, che regge l’infante Bacco raccolto nel seno 
della sua clamide, in atto di fender l’aria col leggero suo 
passo e di volare alle ninfe nutrici per loro consegnarlo. ll 
nostro vaso rappresenta Mercurio che consegna il fanciullo Bae- 
co alle ninfe; fra le quali si distingue Ino assisa, che amo- 
rosa è per riceverlo fra le sue braccia: ed è da osservarsi che 
in tutti e tre i monumenti Ermeta è nello stesso e preciso 
abbigliamento , come se |’ uno fosse dall’altro copiato. ,, 

Il Bechi ha con gran vivacità posta | candelabri di 
marmo lunense, e le dipinture: i ciechi ietro Bruegelo, 
quadro a tempera : Za. Pietà d’ Annibale Caracci: la Madon- 
na di Bernardino Fuini: /a santa famiglia di Ridolfo del Ghir- 
landaio: e due mirabili dipinti che si veggono nelle pareti di 
Pompei, rappresentanti l’ uno Ulisse e Penelope, l’altro Talia 
ed una Baccante, di che il Bechi sì dice:,, questa dipintara 
è condotta con sorprendente facilità; pare che il pennello ab- 
bia seguito nel suo rapido volo il pensiero del maestro che la 
inventò. Come niente vi si può trovare da aggiungere, così 
nulla vi si può dire superfluo. Siffatta maniera di fare è in 
somma su quel limite sì raramente accessibile, al di quà o al 
di là del quale non si può stare senza detrarre alla perfezione. 
Qualunque valente artefice de’ tempi nostri si darebbe vanto 
di questo lavoro: eppure quest'opera nell’ antichità altro non 
era che il prodotto d’un pittore ornamentista, genere mez- 
zano, a cui non s’inchinavano i pittori di molto grido. Ma 
in quei tempi le arti avevano tanta materia a divenir grandi, 
che non potevano mancare della loro perfezione: oggi poi di- 
susate troppo da’ nostri costumi impigriscono, ed inesercitate 
peggiorano , a guisa d’ uomo che poltrendo perde la gargliax= 
dia. ,, 


azz: 


120 


Lo stesso Bechi dà ragguaglio degli scavi di Pompei: e 
colla medesima vivacità sua interpetra ache molte di quelle 
iscrizioni che non si trovano che in Pompei, e di cui egli di- 
ce: ,, ecco le ragioni. Era uso presso gli antichi di scrivere 
con un pennello sulle mara de’ luoghi più frequentati della 
città, con tinta rossa o nera, quasi tatto quello che ne’ no- 
| stri tempi si rende pubblico con manifesti stampati o scritti 
sopra carta. Così essi annnunziavano i loro spettacoli, invita- 
vano agli affitti, e dichiaravano le vendite. Così accanto alle 
porte delle case il cliente scriveva il nome del patrono colla 
formola chiede che lo favorisca, prega, e simili. Ogni vendi- 
tore scriveva vicino alla bottega questa stessa pfegtiléra», Gol 
nome dell’ Edile o di altro magistrato, il cui favore gli gio- 
vasse imploràre. Le quali adulazioni, non contenti a scriverle 
su’ muri esterni delle lor case, o botteghe, le ripetevano sulle 
muraglie di altri edifizii sì pubblici come privati. Per difen- 
dere inoltre alcune pareti, o dipinture; o cose esposte nella 
pubblica strada, da’ guasti dell’insensato volgo (che sempre 
corre a queste insane malizie ), ci scrivevano vicino minacce 
dell’ira degli dei nel modo stesso, cha da noi si suol dipin- 
ger la croce, o segnare qualche santa parola. E quando sopra 
antiche iscrizioni volevano altre nuove scriverne, davano a 
quelle di bianco come si vede in molti luoghi praticato .,, 

Ecco per esempio un annuncio di spettacolo. 

A. SVETTII , CERII 
AEDILIS » FAMILIA . GLADIATORIA . PUGNABIT 
POMPEIS. PR. K. JUNIAS . VENATIO . ET . VELA 
ERUNT. 

»» La famiglia di gladiatori di Aulo Svezio Cerio Edile 
combatterà in Pompei l’ultimo giorno di Maggio: vi saranno 
caccia e tende ,,. 

Il Bechi è senza dubbio attissimo a ben ragguagliare il 
pubblico degli scavi di Pompei. Lo pregheremo soltanto che 
determini più precisamente all'avvenire il passaggio dall’ uno 
all’altro articolo : il che è facilissimo, o per mezzo di pa- 
ragrafi numerati, o meglio ancora per divisione in capitoli con 
apposto argomento. Si desidererebbe ancora che fossero adot- 
tate le misure metriche, o che fosse dato almeno il vero rag- 
guaglio de’ palmi e delle once di Napoli alla misura deviate 
da tutti conosciuta . 

3; Passerò adesso, dice il Bechi, a parlare intorno alla condi- 
zione di questi scavi. La città di Pompei si trova ricoperta 

T. XVI. Ottobre 9 


130 
da ceneri vulcaniche, e lapilli (ossia piccole pietre pomici ) 
insieme mescolati. Questi strati di ceneri e lapilli , ove riman- 
gono tali e quali furono eruttati dal Vesuvio nel 79, giacciono 
in questo modo, Si trova sulla superficie dell’antico suolo uno 
strato di circa un palmo di cenere molto nera e molto sottile, 
poi un secondo strato di nove a dieci palmi di lapìlli, quindi 
un terzo strato di un quarto di palmo di cenere, su cui un 
quarto strato d’un quarto di palmo di lapilli, e un quinto 
diun palmo e mezzo a due palmi di cenere, a cui sovrasta 
un sesto strato d’un mezzo palmo di lapilli, sopra de’ quali 
il settimo ed ultimo strato di cenere vulcanica di quattro pal- 
mi e mezzo a cinque, e finalmente cinque in sei palmi di 
terra vegetabile: e tutti questi strati di materie vulcaniche, 
ondulanti e configurati secondo le vicende del suolo sottoposto, 
senza alcuna traccia fra l’uno e l’altro di vegetazione: chiari 
indizi, essere stati tutti il prodotto di quella prima tremenda 
eruzione , piovuti sopra questa infelice regione, e non condottivi 
da impeto di torrenti. ,, 

Di mezzo a questi strati veggonsi già scavate moltissime 
case di città ed una casa in campagna, un sepolcreto, tre 
porte, quasi tutto il circuito delle mura, un Foro, sette tem- 
pli, una basilica, tre portici, un anfiteatro, due teatri, e più 
strade con moltissime botteghe . 

ANTONIO BENCI. 


Poesie del professore Antonio Mezzanorte.—Siena, 
presso Onorato Porri. 1823 in 8.° 


L’amore della poesia era così universalmente sparso 
fra gl’ italiani ne’ tre ultimi secoli, che niuno era mez- 
zanamente esercitato negli stud}, che non volesse alcune 
volte far versi. Quindi non v'era città, e quasi picciol 
borgo , che non avesse almeno un’ accademia, nella qua- 
le dopo una alquanto prolissa diceria in prosa sì leggeva- 
no parecchi versì , infelicissimi le più volte : e poi quasi 
ad ogni o festa , o predicatore , o nuovo sacerdote, o dot- 
torato, o monacato, o matrimonio si stampava almeno 
un sonettuccio, e spesso ancora una malagurata raccolta. 


di 
È; 
I 
/ 


131 

Fino per qualche Taide del teatro sì costringevano le ver- 
gini Muse d’ esaltarne la bellezza sopra quella di Venere, 
e il canto sopra quello d’Orfeo. A gran ventura quel di- 
luvio di versi ora è cessato, e si fa buon viso solo a’ buoni 
poeti, che le vestigie penna degli antichi si fanno co- 

noscere veri seguaci d’ A pollo. È fra questi il signor An- 
tonio Mezzanotte professore di lingua greca sati pontifi- 
cia università di Perugia, e noto all’ Italia sì per l’ottimo 
suo volgarizzamento di Pindaro, come per più altri poe- 
tici componimenti. Di questi ha egli qui raccolto una 
parte, e v'ha aggiunto alcune traduzioni dal greco. Come 
prima alle mani mi venne questo libro mi diedi a leg- 
gerlo , e con piacere ne continuai la lettura per la bontà 
de’ versi , i quali gioveranno a confermargli quella fama 
di buon poeta e di valoroso grecista, che le altre cose sue 
gli hanno procacciata. Ma a questa principal cagione di 
quel mio piacere un’ altra se n’ è aggiunta, ed è il ri- 
chiamarmi alla memoria in più modi la città di Perugia, 
di cui mi sarà sempre gratissima la ricordanza. In fatti 
la singolarità della sua situazione , la purità del cielo, la 
bellezza delle vedute , la copia delle anticaglie princi pal- 
mente etrusche , le molte dipinture di pregio graude , la 
dottrina di parecchi suoi abitanti, l’ accoglienza che ai 
forestieri vi si usa merita molta lode, e rimarrà nell’animo 
imio sempre impressa. Ma lasciamo star questo, di che 
favellando non così di facile si verrebbe a fine, e parlia- 
mo del libro annunziato. 

Esso può dirsi diviso in tre parti. Si vedono in prima 
parecchi lirici componimenti con tre egloghe scritte a 
vicenda dal N. A. e dal signor marchese Giuseppe Anti- 
nori altro valoroso poeta perugino; succede il volgarizza- 
mento d’ alcune poesie greche; e chiudono il libeo le de- 
serizioni di quattro celebri pitture con una lettera del ch. 
signor Gio. Batista Vermiglioli. Vediamo tutto partita- 
mente e con brevità. 


132 
Il signor Mezzanotte avvezzo da lungo tempo a in- 
tertenersi cogli ottimi poeti greci , latini, e italiani ha, 
dirò così, nutrito il suo stile delle maniere di quei grandi, 
il che è la sola via per giungere alla fama di buon poeta. 
Delicatissimi sono l’ inno alle Grazie, quello a Zeffiro, 
la canzonetta per la natività di nostra Donna, e le tre 


canzonette, che dirsi possono sorelle, intitolate : 2° aura 


educatrice del giglio delle convalli (pel natale ), aura 
che piange il giglio ( per la passione ), e l’ aura lieta, 
o sia Za palingenesi del giglio (per la risurrezione). Nelle 
ottave sopra Andromeda e sopra la madre ebrea ha dato 
bei saggi di stil forte ; e nelle egloghe sì egli, che il suo 
compaguo di fatica signor Marchese hanno ben saputo rap- 
presentare la pastoral semplicità, quanto a sì fatto genere 
di poesia sì addice. I due inni poi alla Luna ed a Iride 
sono così foggiati alla greca, che se altri, ignorando quel- 
la lingua, volesse la natura conoscere e l’indole degl’inni 
greci potrà in questi ravvisarla bastevolmente. Aggiunge- 
rò qui il principio del primo, affinchè del mio avviso 
faccia fede. 
Odi, o Regina, che dal puro seno 
Spargere in tuo poter l’ argentea godi 
Placida luce, di che il mondo è pieno. 
Te di Pallante figlia in dolci modi 
Cantando chiamerà la Musa mia, 
Se d’origin sì cara ami aver lodi; 
O s’altro a te più grato nome or sia, 
AI fido Iperion diletta prole 
Dirò che dietti l’ occhi-bruna Tia. 
‘Tuo german l’ aureo nacque eterno Sole 
A regolar con leggi armoniose 
Degli astri le volubili carole : 
E inghirlandata di purpuree rose 
A te sorella in sua beltà mostrosse 
L’ Aurora dalle chiome rugiadose, 
Più lieto al nascer tuo parve il ciel fosse; 
Per gioja s’ increspar l’onde tranquille 
E la terra di giubilo si scosse; 


E di nettareo umor feconde stille 
Di secreta scendean virtù ripiene 
Fiori ed erbe irrorando a mille a mille. 
O Febe, o Delia, o candida Selene, 
Ergasi amico al ciel su rapid’ ali 
Questo che a te meonio carme or viene ; 
Mentre, notturna Diva, a noi mortali 
Vai diradando il tenebroso velo & 
E teco addaci il chiesto oblio de’ mali. 
E così seguita con più altri soavissimi versi considerando 
la Dea come Diana , e come Ecate, e ricorda gli amori 
di Pane e d’ Endimione. Ma quelli, che la poesia tenera 
e affettuosa amano sopra ogni altra , leggano la bella ele- 
gia in morte della madre, e certamente spargeranno 
qualche lacrima. Io non so se in questa debba lodar più 
il figlio buono o il buon poeta: ma questo so almeno, che 
egli non avrebbe scritti così bei versi, se il cuore non 
glieli avesse dettati. Dopo la proposizione descrive la ma- 


dre inferma. 

Debil respir, tronchi affannosi lai, 
Cordoglio immenso » già vicina l’ora 
Del tuo morir ne presagiano assai. 

Che cor fu il mio, diletta madre, allora! 
Muto io mi stava e pallido e tremante... 
Nè il pianto agli occhi si affacciava ancora : 

Qual resta il passeggier che a se dinante 
Mira piombar dall’alto ruinosa 
La subitanea folgore tonante, 

Dì Coo la vigil arte invan pensosa 
Nell” impotente ©prar stancossi, e invano 
S'offrir preci a votiva ara pietosa. 

Fatto allor quasi per gran doglia insano 
Sul tristo letto alte i’ gittai le braccia, 
Poi strinsi, o madre , la tua cara mano: 

Sovr’ essa abbandonai la smorta faccia; 

E nel punto fatal ch’ io ti perdea 
Calda v' impressi lagrimosa traccia. 

Tu figgevi in me l’ occhio che leggea 
Del travagliato cor |’ affanno interno, 
Mentre tai detti il labbro tuo movea. 


133 


134 Lai 


O figlinol mio, che dell’amor materno 

Gran parte avesti, or deh! ti poni in calma, 

Che il ciel me chiama ini grembo al gaudio eterno. 
Sulla mia fragil moribonda salma 

Perchè tu piangi? Alla comune terra 

Questa ecco i’ rendo , ma immortal fia l’ alma. 
Duolmi or lasciarti in perigliosa guerra; 

Ma dal ciel veglierò sulla tua sorte , 

Supplice al Nume, in che ogni ben si serra. 
Amami viva nella tua consorte, 

Amami ne’ tuoi figli a me sì cari, 

E che or da me disgiunge invida morte. 
Volgi pietoso all' avel mio non rari 

Passi, e sovente ivi da te il mio nome 

A ricordar ciascun de’ figli impari. 
Sì dicevi: e le tue forze omai dome 

Nel fier conflitto al cor tutte accogliesti . . .. 

A me volgendo i rai teneri ahi come! 
Poi quella man, ch’io ti baciava , ergesti, 

E al ciel rivolta che il tuo prego udia 

L’ orfano tuo figliuol benedicesti. 
Forier d’ ultimo fato alfin venia 

Ratto sull’ ali quell’ estremo istante , 

In cui d’eternità s’apre la via. 
Era la notte e l’ora in che, sonante 

Di cantici, si abbella il firmamento, 

Mentre la terra appar tutta esultante 
Per la memoria del sovran portento , 

Onde dal sen di pura verginella 

Il Verbo uscì del padre alto incremento: 
Ah, in quell’ora nascesti, o madre, e in quella 

Ora beata del propizio giorno 

Rendesti al Creator l’anima bella! (*) 
Parvemi allor giulivi a te dintorno 

Scender gli Angeli santi, e tu volasti 

Fra gl’inni foro all’ immortal soggiorno. 
Non dirò come alfin l’alma esalasti, 

Io nol dirò che te spenta non vidi.,.. 

E se il volessi, non ho cor che basti. 


(*) Colomba Antolini viterbese (madre dell’ A_) nacque nella notte del giorno 
2/. decembre alle ore 11. della sera dell’anno 1747., e morì all’ora stessa nel dì 24. 
decembre dell’anno 1822. 


Ai gemiti, ai singulti; ai spessi gridi , 
AI domestico ognor crescente lutto , 
Che più non eri, o madre mia, m'avvidi. 
Arsi, gelai, mi trassi altrove, e tutto 
Spirante amaro duol corsi alla moglie, 
Che venne ad incontrarmi a ciglio asciutto. 
Ahi, non sapea ch’ ella sue frali spoglie 
Alfin depose!....Come il seppe, un fonte 
Versò di pianto ....e in pianto ancor si scioglie. 
Veniano i figli, e con dimessa fronte 
Dicean: padre , che hai? Perchè sì meste 
In volto porti dolorose impronte ? 
A satisfar loro innocenti inchieste 
Che dir potea? Farsi più grave il pondo 
Allor di mie sentii pene funeste. ec. 
Ma tutta dovrebbesi trascrivere questa elegia , che tutta 
spira tenero affetto filiale , il che non mi è concesso do- 
vendo parlar d’ altri componimenti, che domandano pure 
d’ essere ricordati. Sono fra questi le dipinture a fresco 
di Pietro Perugino nella sala del Gambio di Perugia, il 
Cenacolo di Leonardo-da Vinci ; la deposizione dalla cro- 
ce di Federico Barocci, e la crocifissione del Tintoretto. 
Sala del Cambio dicesi a Perugia il luogo che poco dopo 
la metà del secolo decimoquinto fu edificato per tenervi 
ragione negli affari mercantili. I Perugini vollero che 
fosse ornata d’egregj affreschi di che si diede l’incarico 
a Pietro Vannucci di città della Pieve, che per lunga 
stanza ritrasse il nome di Perugino. Quell’ immortale 
maestro di Raffaello adoperò ogni studio per ben rispon- 
dere all’ onorevole invito, talchè il dipinto riuscì mara- 
viglioso , ed i periti amano d’anteporlo a ogni altro suo. 
Esso dunque ben meritava i versi del signor professore 
Mezzanotte , come altresì li meritavano gli altri tre qua- 
dri tesiè mentovati , onde per lui sono stati descritti in 
belle ottave, che leggonsi in fine del libro. 
Alle poesie originali del nostro valoroso poeta sono 
unite alcune sue traduzioni dal greco, come ho detto, 


136 
cioè i canti militari di Tirteo, un inno a Venere ed uno 
a Minerva fra quelli attribuiti ad Omero, l'Amore faggi- 
tivo e l’idillio ad Espero di Mosco, un epigramma amo- 
roso di Meleagro, amore idillio di Bione, l’inno a Venere 
di Saffo, e quello alla Pace di Bacchilide. Quanto egli 
valga in questo genere è già noto a tutti, e quella molta 
fama, che ha ottenuta volgarizzando il maggior lirico 
greco gli confermeranno queste nuove traduzioni. Pe'canti 
di Tirteo, che in greco sono scritti in versi elegiaci, egli 
non ha adoperato le terze rime , ma sì strofe di versi de- 
casillabi con buono avvedimento; che questo metro ha 
una certa armonia acconcia sopra ogni altra a cose mili- 
tari. Rechiamo qui per saggio l’ultimo canto, che faccia 
fede di ciò e ad un medesimo tratto dimostri la fedeltà e 
i eleganza del volgarizzamento. 
‘0h felice chi giacque nel campo 
Guerreggiando fra i primi da forte! 
Fi fu spento, ma bella è la morte 
D’un eroe che la patria salvò. 
Alto, o giovani, orrore vi prenda 
Del fatal miserevole stato 
D'un guerrier, che codardo ed ingrato 
La sua terra fuggendo lasciò. 
Ei col vecchio suo padre tremante, 
Colla ‘debile sua gepitrice , 
Co? figliuoi, colla moglie infelice 
Ir mendico e ramingo dovrà: 
La sua stirpe ei d’infamia ricopre 
E null’ uom lui raccoglie o difende , 
Che odioso dovunque lo rende 
Lo squallor della sua povertà. 
Disperato ed errante lui segue 
D'atri mali ampia turba funesta ; 
Segno a lui di decoro non resta, 
Riverenza a lui niegasi e onor. 
Ma da noi con forte alma si pugni 
Incontrando gli estremi perigli ; 
Per la patria si muoja, pe’ figli , 
Tutto oprando l’ antico valor. 


Pronti, o giovani; al campo scendete 
Stretti insiem fra le belliche file; 
Nè di tema vi fate, o di vile 
Fuga esempio ai compagni guerrier : 
Or nel seno accogliete feroci 
Di Bellona lo spirto fiammante ; 
Nè, pugnando ai nemici dinnante, 
Della vita voi turbi il pensier. 
Ah! non sia che fuggiate , lasciando 
Dietro a voi venerandi soldati 
Dell’età sotto il peso curvati, 
Cui vacilla il non agile piè. 
Che spettacol funesto ed indegno 
di giovani a stuolo fervente 
Vecchio eroe sulla polve giacente , 
Poi che vinto alla morte cedè. 
Ei canuto la barba e le chiome 
Stassi omai la grand’ alma esalando, 
Della man vergognoso velando 
La senil turpe sue nudità. 
Ma ben tutto si addice a’ guerrieri 
Di crin biondo, e in lor tutto è gentile, 
Finchè ad essi in vigor giovanile 
Rida il fulgido fior dell’ età : 
Prode giovine in vita si rende 
Caro ad uomini e a donne leggiadre ; 
Bello egli è se dinanzi alle squadre 
Caggia in campo fra i primi a spirar. 
Or ciascun co’ piè fissi sul suolo 
Saldo resti, nè morte paventi; 
Ed il labbro mordendo co’ denti 
Or si vegga animoso pugnar. 
Basti questo esempio per dar giudizio della fedeltà e del- 
la eleganza di queste traduzioni , che tutte sono da tenersi 
in molto pregio. Non voglio però lasciare il canto recato 
senza una osservazione. Volgarizzandolo il cavaliere Luigi 
Lamberti disse: | 


3» Troppo sconvien, che l’ uomo , a cui la nera 
»» Barba e il crine imbiancò , deggia col viso 
», Fra la polve esalar l’alma guerriera ; 


138 


3) E col manto incomposto e brutto e intriso 
> Tutto del sangue suo, scopo si faccia 
3» Per turpe nuditade a scherno e a riso. 


Lamb. Poes. di scritt. gr. p. 135. 


Dove egli contradice pienamente a Tirteo, il quale nè 
parla nè poteva parlar del manto, e fa che que’ vecchi 
cadendo coprano colla mano ciò che sarebbe turpe e in- 
degno a vedersi. Taltibio nell’ Ecuba d’ Euripide v. 566-8. 
dice, che essa nel morire molta cura ebbe di cadere de- 
centemente , nascondendo quelle cose che debbonsi na- 
scondere agli occhi degli uomini. Nè sì fatta cautela ser- 
vavasi dalle donne solamente , ma dagli uomini eziandio 
ben costumati. Il sig. Mezzanotte non è caduto: in quello 
errore, come sì può veder sopra nella strofe sesta. 

Due aggiunte sono in fine del libro, alle quali darò 
le ultime parole di questo articolo. Del N. A. è la prima, 
che minutamente descrive in prosa le pitture a fresco già 
indicate del Perugino, che sono nella sala del Cambio: e 
questa descrizione è opportunissima sì perchè i versi non 
potevano dir tutto, nè dovevano, sì perchè troppo è suc- 
cinta in questa parte la bella Guida di Perugia dell’ Or- 
sini. Del sig. professore Vermiglioli è la seconda e dà la 
storia della deposizione dalla croce del Barocci parimente 
ricordata di sopra, e della cappella della cattedrale peru- 
gina, in cui sta appeso quel maraviglioso dipinto. Per la 
prima aggiunta basta solo l’averla annunziata, e averne 
accennato l’ opportunità; ma la seconda par che richieda 
almeno un breve discorso. Il siguor Vermiglioli che in 
ogni maniera d’ erudizione si è reso tanto celebre, e così 


grande numero d’opere lodatissime ha scritte, ha qui. 


dato un nuovo saggio del suo sapere. Siccome all’ orna- 
mento di quella cappella contribuirono in vari tempi le 
arti della pittura , de’ vetri colorati, dell’intaglio in legno, 
e la plastica , perciò di queste arti si danno pregevoli 


e e 


139 
notizie, che in vano sì cercherebbono altrove. Vedonsi 
qui nominati Agostino Scalza d’ Orvieto scultore e non so 
quale Giovanni Fiorentino che vi fecero bei lavori di 
stucco, ma poi furono tolti, Vincenzo Danti Perugino 
scultore e fonditor di metalli, il P. Francesco di Barone 
Brunacci Monaco Cassinense e Costantino di Rosato lavo- 
ratori di vetri colorati, Ercole di Tommaso e Maestro 
Jacopo intagliatori. Ma più che d’ogni altra cosa, come 
ragion voleva, si parla del quadro del Barocci, e del mat- 
to giudizio , che ne diede un francese nel suo viaggio fatto 
in Italia nel 1765 e 1766. Quel francese è l’astronomo 
la Lande, il quale nulla sapendo delle arti del disegno 
diede spesso i più strani giudizi non solamente di quelle 
cose che o vide o potè vedere, ma di quelle ancora che 
certamente non vide, perchè molto prima erano perite; 
e pure egli dice d’averle vedute, mentendo pet la gola. 
Ma lasciamo nella meritata dimenticanza quel suo viag- 
gio, e tanti altri viaggi simili al suo , con quel diluvio di 
tanti libri cui la moda sempre incostante fa lieta acco- 
glienza per breve tempo. Ciò non avverrà alle opere del 
signor Mezzanotte e del signor Vermiglioli , per le quali 
il primo si è procacciato nome d’ ottimo poeta e grecista, 
il secondo d’ ottimo grecista ed antiquario. 


CesARE LuccHESINI. 


è 

Lo 

Corso di studj teorico .\e\pratico per la lirigua greca, me 
todicamente esposto dal. sacerdote Grusrrre Cniser pro 
fessore di lettere greche nella R. Università degli stu- 


dj di Palermo. Palermo presso Lorenzo Dato, 1822. 
Tosttie Ti Pildin:8a 


Risparmio di tempo e di fatica sono un doppio scopo, 
cui tutti dovrebbono tendere i libri elementari , che aprono 
l’ adito primo di qualsivoglia o scienza o disciplina. Ma so- 
vente avviene, che per ottenerlo altri con reo consiglio molte 
cose tralasci ‘necessarie a sapersi : il che ( parlando ora solo 
delle grammatiche ) troppo frequentemente si fa appunto per 
quelle lingue, che o sono più difficili, o minor copia d’ aiu- 
ti si ha per bene impararle . Tale è la lingua greca fra le 
altre. Il sig. Giuseppe Crispi ; cùi nella Reale università di 
Palermo è affidato 1’ insegnamento delle greche. lettere; que 
doppio scopo si è preposto, volendo scrivere una nuova gram- 
matica, e parmi che molto felicemente 1’ abbia fatto. Ed af- 
finchè il suo libro vie più utile sia ai giovani studiosi ha sa- 
viamente unito la teorica delle regole alla pratica. Delle re- 
gole dirò soltanto che ha seguitato il metodo della gramma- 
tica di Padova, come era innanzi all’ ultima impressione, nel- 
la quale ( non so quanto lodevolmente, nè con quanto van- 
taggio ) sì sono adottati certi muovi divisamenti d’ alcuni 
moderni grecisti tedeschi ‘ed ‘olandesi, non anche ‘accettati u- 
niversalmente . Quanto probabili sieno questi, e qual pro se 
ne ritragga altri.lo veda, che troppo lungo discorso richie - 
derebbe sì fatto esame, nè in questo luogo sarebbe opportu- 
no. Commendo però il N. A. che non ha voluto abbandonare 
la vecchia strada facile e sicura per calcarne altre incerte ed 
intralciate. Taluno forse potrebbe desiderare , che de’ verbi, 
medi parlando avesse seguita la sentenza posta in onore dal 
Kustero, e ormai fatta comune. Ma quella sentenza è sotto- 
posta a tanta varietà d’ accidenti, che egli per avventura a- 
vrà temuto non forse possa recar confusione nella mente dei 
giovanetti discepoli. Infatti poi negli Analetti, ove l’occasione 
gli si presenta di qualche verbo medio di significato recipro- 


1/1 
co, non trascura d’ accenharlo. Lasciamo però questo, e riv ol- 
giamo il ragionamento ‘a quelle parti del. libro )\in che esso 
distinguesi alquanto da’ suoi compagni. 

Sta innanzi alla grammatica un discorso sopra la pro- 
nunzia della lingua greca con opportuno avvedimento: do- 
vendo i giovani aver contezza della gran questione , che da 
oltre a tre secoli si agita intorno alla pronunzia d’ alcune let- 
tere, dei dittonghi , e degli accenti. Può dirsi in questo, e il 
N. A. il concede, che tutti hanno. torto, e la questione non 
sarà mai definita. In vano pretendono i moderni greci d’ aver 
conservato l’ antica pronunzia : il che sarebbe un fenomeno 
unico nella storia, fra tante cause che la dovevano alterare. 
E già parecchi contrassegni si. hanno dell’avvenuta alterazio- 
ne. In vano dall’ altra parte pretendono gli Erasmiani d’ a- 
ver ravvivata l’ antica pronunzia : quando la pronunzia d’ o- 
gni popolo ha tali proprietà, che insegnar non si possono, nè 
raggiugnere per congetture, ma s'intendono solo e s° impa- 
rano dalla viva voce di chi le parla. Il N. A. segue i mo- 
derni greci, e così dee fare chi vuol conversare con loro: ma 
chi dà opera a questa lingua solo per erudizione giudico che 
troverà più profittevole il seguir gli Erasmiani almeno in parte. 
Ma meglio farà chi si addestrerà ugalmente all’ uno e altro 
modo di pronunziare , principalmente riguardo agli accenti, 
ora seguendoli nel leggere perchè giovano a bene intendere 
ed alla teoria dei dialetti, ora trascurandoli per sentire |’ ar- 
monia nella prosa , e più ue’ versi, i quali non paiono più 
versi, ove si leggano secondo gli accenti. Ed a proposito di 
questo mi torna qui alla memoria 1’ edizione dell’ Iliade O- 
merica e della Batracomiomachia colla greca parafrasi a ri- 
scontro fatta non ha molto a Firenze dal greco signor Teseo. 
Quell’ ottimo editore avvezzo a leggere secondo 1’ uso di sua 
nazione convien dire, che poca o niuna contezza avesse della 
prosodia: per la qual cosa di gran numero d’ errori riguardo 
al metro restò imbrattata quell’ impressione . Avvisato però 
da non so quale toscano grecista volle riparare a tanti falli, 
e vi aggiunse in fine le necessarie emendazioni col titolo di 
varie lezioni tratte dalla edizione dell’ Heyne- 


142 


Ad agevolare l’ insegnamento della lingua sono indiriz= 


zati gli Analetti, che formano la prima parte del secondo vo= 


lume, e ne formeranno la seconda non anehe impressa. Que 
sti Analetti contengono fino ad ora un brano del Vangelo di 
S. Luca, otto favole di Esopo, sei dialoghi di Luciano, nove 
odi d’ Anacreonte, e alcune sentenze prese dall’ orazion pare- 
netica d’ Isocrate a Demonico: cose facili e acconcie ai prin- 
cipianti . L’ altra parte degli Analetti avrà un pezzo de’ me- 
morabili di Senofonte , un dialogo di Platone, una orazione 
Olintiaca di Demostene, due parlate di Tucidide, alcuni brani 
d’Omero e di Sofocle, e un idillio di Teocrito. In questo mo- 
do la gioventù si conduce dalle cose più facili alle difficili. 
Dopo il testo greco viene a parte la traduzione italiana let- 
terale, e finalmente le illustrazioni. Queste son di tre sorti, 
e in tre parti divise. Sta in prima l’analisi grammaticale, che 
spiega ogni voce e la sua origine; e giova a quei principian- 
ti, che, essendo al tutto inesperti, molto si travagliano, e spes- 
so inutilmente per indagare il tema. Succede l’ analisi filolo- 
gica, che meglio spiega le frasi e il valore delle parole, ag 
giunge talvolta altre voci o simili o contrarie , esamina le 
versioni altrui , e parcamente qualche variante proposta dai 
precedenti editori, affinchè gli studiosi comincino ad ammae- 
strarsi in questa parte dell’ arte critica. Sono in ultimo luo- 
go quelle che il N. A. chiama osservazioni di gusto , nelle 
quali si accennano le bellezze o dei concetti o della locuzio- 
ne. In questo modo i giovani si allettano mirabilmente, e si 
invogliano a proseguire con grande animo lo studio intrapre- 
so, che altramente illanguidiscono per la durata fatica, e per- 
dono il coraggio. Per le quali cose io son d’ avviso, che que- 
sta nuova grammatica debba riuscire di non picciol vantaggio 
nei primi rudimenti. 
Crsare Luccnesini 


143 
Dell attuale stato economico della Maremma Toscana . 
Memoria presentata il 19. settembre 1824 all I e R. 
Accademia dei Georgofili, dal Dot. Gio. Barisr4 Tusox, 
socio corrispondente della medesima, e medico condotto 
nella città di Orbetello. 


Non vi sorprenda , o Signori , se deviando dalle severe 
discipline , le quali formano oggetto de’ miei studii, io oso 
oggi entrare in nuovo arringo, e richiamare la cortese vostra 
attenzione sopra l’attuale stato economico della Maremma 
Toscana . 

Se male corrisponderanno le forze alla soma che volon- 
tario mi addosso, avrò almeno pagato un tributo di gratitu- 
dine perorando a favore di coloro, che mi furono sempre 
parziali della loro stima , e benevolenza. 

Questa sala, ove voi Signori tenete le erudite vostre adu- 
nanze, continuamente echeggia delle lodi che si danno al li- 
bero commercio, e sono i vostri encomj fondati su basi tal- 
mente solide, che non temono di vedere insorgere oppositori 
di sorte veruna; e tolga il cielo che diversi sieno i miei da’ 
vostri pensamenti in proposito! 

Il lamentevole ma pur troppo veridico prospetto, che 
sono ora a presentarvi dello stato della Maremma, altro scopo 
non ha che quello di farvi minutamente conoscere la poco 
nota situazione di questa interessarte parte della bella nostra 
Toscana, e d’ impetrare da°vostri estesi lumi, dal filantropico 
vostro zelo un qualche rimedio a’ mali che l’ affliggono. 

La Maremma, di cui scendo ora a parlarvi, estendendosi 
dalla frontiera romana al luogo detto la Graticciaja, e giun- 
gendo fino a Livorno, presenta un’ estensione di terreno di 
circa cento quaranta miglia toscane, bagnato dalle acque del 
Mediterraneo. Questo terreno estendendosi dalla costa all’ in- 
terno fino alle falde de’ monti, abbraccia i vasti territori di 
Manciano, Orbetello, Grosseto , Castiglione, Massa, Volterra, 
Piombino , Campiglia ec. i quali hanno una superficie non 
minore di circa millenovecento miglia quadrate, sopra le quali 


però calcoli esatti dimostrano soli quaranta abitanti per ogni 
miglio quadrato. 


144 

Questo terreno si compone quasi per la metà di terre 
boschive e da pastura, e per l’altra ‘di terre lavorative, da 
suddividersi in campi, vigneti ed uliveti. 

Neglianni decorsi, le importanti lavorazioni della potassa, 
e la fabbricazione del carbone , hanno assai diminuito i bo- 
schi, ed essendosi generalmente fatti i tagli senza osservare 
alcuna regola, per molti anni non sarà tentabile veruna utile 
speculazione in quei generi. 

Le terre a pastura sono affittate per il pascolo vernino 
a’ casentinesi e lucchesi, ma esse sono in mano di pochi pro- 
prietarj, e non costituiscono che una parziale tenue entrata. 

Le vigne sono in piccolo numero , ed il loro prodotto è 
insufficiente alla metà del consumo della popolazione, costretta 
ad acquistare il vino dalle isole dell’ Elba, del Giglio, ed in 
parte dal regno di Napoli e dalla provincia superiore senese. 

Gli ulivi, pochi, generalmente male coltivati , esposti 
alle rapide vicende atmosferiche, più frequenti qui che al- 
trove, danno un raro e scarso prodotto. 

Risulta da questo che 1’ unica risorsa della Maremma 
( nello stato attuale ) consiste nel grano. Il ricavo dell’ espor- 
tazione di quello superfluo al consumo dei suoi abitanti, deve 
supplire a tutto quanto occorre per i bisogni della vita. 

Ma questo grano, unica ricchezza della Maremma, non 
è già il prodotto della industria di famiglie coloniche , che 
avendo con il padrone comune il buono ed il cattivo raccolto» 
pongono ogni cura e diligenza nel coltivare secondo i me- 
todi migliori, e che in caso di mancanza di grano possono 
vivere, o mediante altre risorse procurate dai loro poderi, o 
anche con il prestare altrui , mediante una pecuniaria retri- 
buzione , la giornaliera loro opera. Il povero maremmano è 
in situazione affatto da quella diversa . 

Egli deve spendere continuamente dal primo momento 
che prepara la terra per la sementa, fino a quello che il fro- 
mento è trasportato ne’ granai; che anzi, l’ abbondanza delle 
castagne nella montagna, o delle biade altrove, diminuendo 
il numero di quelli che periodicamente si recano a lavorare 
in Maremma, aumenta il prezzo delle giornate loro , e non 
di rado le raddoppia, ed anche le triplica. Ne sia di prova, 


149 \ 
che in oggi l’opera giornaliera non solo si sostiene al prezzo 
in cui era quando il grano vendevasi quaranta scudi il mog- 
gio, ma è anche sì rara a trovarsi , da porre in dubbio i 
proprietarj, se rinverranno o no il mezzo di far mietere i 
loro grani. 

Passiamo ora ad osservare minutamente quali sieno un 
anno per l’altro le spese indispensabili per seminare un mog- 
gio di grano, e successivamente raccorlo. 

Riporterò le somme coi scudi e bajocchi romani, essendo 
questa la moneta convenzionale di quasi tutta la Maremma. 


Prima sterpatura . . . ... .. . Scudi 2. — — 
Colti, o maggesi in tre solchi |. . < . . ,, 18. —. — 
Mmgnarta lis izosto” VU Li 0.0... 720, 
Seconda sterpatura in settembre. . . . . ,, 2. 50. — 
Portatura ‘a verso e sementa..!. 0.0.1 10. 80, — 
Ribattitura, portatura dì semi, e sementarello ,, 5. 50. — 
Ripulitura di fosse, e razzette . . . . . ,, 2. 50. — 
Merrituera (o‘riacalzo ot. epr spstoti «ij; an 000 
Mondarella, e sciorbatura. . . . . . . ,, 4 50. — 
Segatura, ‘0 mietitura . 00. 0.0. 0 12. —. — 


Portatura delle messi all’aja.- . . . . . ,n 2. —. — 
Trebbiatura , compresovi cavalli, manuale , e 


CARI ARA EU STE AIDA E IO | TE 
Portatura al 'imagazzino (LL. 0... lama 
Mn atarane eonciatura 0 .iv 00000) Meyer 5. — 

EREZIONE ARE 
Scudi (85. 65, — 
ze i 


Di più il proprietario è aggravato delle appresso spese 
mon considerate : del corvajo, della fattura d’ aja , delle 
spese d’attrazzi, di quelle di vitto gratuito ne’ giorni di festa, 
di pioggia e di mancanza di vento per la spellatura del grano, 
della sgobbatura , e tant’altre impreviste. 

Ora calcolando che il moggio seminato porti col raccolto 
un prodotto di moggia sette (punto superiore alla mediocrità, 

T. XVI. Ottobre 10 


1/56 


e calcolato sopra un ventennio, e sopra le diverse qualità di 


terreni ) abbiamo moggia . ./. ...0.0.. 7. 
Convien detrarre da queste : 
Il moggio seminato >. 0.0... . 1 
Altro moggio per il terratico, ossia valore Vl 
del terreno ove fu fatta la sementa. . . . 1. 


Il prodotto netto resta di moggia 5. — 


Alle quali assegnando il prezzo , non già ora corrente 
che è ‘inferiore, ma quello una volta legale di scudi dodici 
al moggio, vi ha un retratto in contanti di scudi sessanta , 
onde..dalla uscita’ di scudi. ..0., 0. «4851605 
levando la suddetta ‘entrata . «. . . . +. 60. —. — 


SEDI PATZIRR 


Scudi 25. 65 


Abbiamo un deficit di scudi venticinque e baiocchi ses- 
santacinque per ‘ogni moggio !!! 

E valga questo per que’ pochissimi maremmani che pos- 
sano eseguire le sementa con il proprio denaro ; ma per gli 
altri (e stanno questi in proporzione almeno di dieci a uno) 
devono fin dal novembre prendere dei denari a grave interes- 
se, e giunti poi al maggio, sono ordinariamente dalla neces- 
sità costretti ad impegnare a vil prezzo il raccolto pendente, 
cosicchè per questi il discapito è assai maggiore di quello 
sopra dimostrato. 

Scoragg iti perciò i proprietari hanno annualmente dimi- 
nuite le loro semente, e molti, e molti dovranno abbando- 
narle affatto, alcuni per mancanza di denaro , ed altri per 
avere dovuto vendere perfino i bovi da lavoro, affine di pagare 
gl inesorabili loro creditori , e in tale maniera que” terreni , 
che negli anni scorsi furono con molta spesa dicioccati e ridot- 
ti a coltivazione, torneranno in breve tempo nuovamente ad 
inselvatichirsi, e non rimarrà traccia de’ vistosi capitali che 
ci vennero impiegati. 

Coloro che conoscono la Maremma, la vasta sua esten- 
sione , le ottime sue terre, converranno facilmente meco, che 
coltivandole nel miglior modo, e specialmente applicandovi i 
perfezionamenti agricoli , prodotto di più sane teorie, e di 


i 


i 147 
modernì esperimenti , la Toscana avrebbe in sè stessa tale rac- 
colta di cereali, da liberarsi affatto da qualunque straniero 
tributo, potendo erogare in proprio vantaggio ed aumento 
le ragguardevoli somme che si spendono annualmente in gra- 
no forestiero, senza che un commercio di esportazione venga 
in modo veruno a compensarlo. 

Che, se nel decorso anno 1823 furono acquistate per 
l’interno consumo sacca numero 308,784 di grano ( come 
nella dotta sua memoria letta il dì 2 maggio p.° p.° in questo 
illustre consesso asserisce il chiarissimo sig. marchese Cosimo 
Ridolfi) ne viene di conseguenza che sortì dallo stato una 
somma di più di tre milioni di lire, e valutando il grano al 
prezzo medio di lire dieci il sacco. 

Quantunque sia tale somma assai vistosa e di riguardo, 
pure dovrà necessariamente aumentarsi, poichè torno a ripe- 
terlo, ed ho dati tali da poterlo asserire , la coltivazione di- 
minuisce sensibilmente nella Maremma, e dovrà cessare affatto 
se non si presenta un nuovo ordine di cose. 

Io provo un rammarico pari alla sorpresa nel vedere che 
gl’ illustriss. filantropi Ridolfi e Capponi, i quali con ragioni 
evidenti, e terso e vibrato stile, sostennero diverse volte 
presso di voi, o virtuosi accademici, i vantaggi che risulta- 
rono alla Toscana dal momento che vi fu introdotto il libero 
commercio, mentre hanno dovuto convenire che la Maremma 
meriterebbe alcun particolare riguardo, non hanno poi degna- 
to occuparsene. 

Oh quanto sarebbero stati felici i maremmani se aves- 
sero avuto per patrocinatori della loro causa tali egregi sog- 

| getti. . . . Potessi almeno io, cui è dato in questo giorno 
l’ onorè d’ intrattenervi, avere la sorte d’ impegnare il loro 
zelo a vantaggio degli abitanti di questa estesa porzione della 
'l'oscana? 
Dimostrati così quanto meglio potei i mali che aggravano 
i la Maremma, ben comprendo che sarebbe pregio dell’ opera 
l’indicare i mezzi più atti a rimediarvi con sicurezza e sol- 
lecitudine ; ma persuaso che ciò verrà effettuato con maggior 
capacità ed intelligenza da altri di me più esperti nella po- 
litica economia, dò fine al presente mio discorso. 


148 

Memoria sul danno di una tassa sopra i grani esteri, 
letta alla seduta dell’ Accademia dei Georgofili il dì 
20 settembre p. p. dal COMmMENDATOR LAPO DE” RICCI, 


L’ idea del giusto e dell’ ingiusto fu la prima che ab- 
bandonò le umane menti, quando l’interesse particolare parlò. 
Questa verità, che siamo obbligati a confessare ogni qual vol- 
ta nel silenzio delle passioni consultiamo 1’ animo nostro, era 
necessario, o valorosi accademici, che precedesse 1° argomento 
che oggi imprendo a trattare, e che sembrando stare in op- 
posizione coll’interesse di una classe ragguardevole di persone, 
troverà molti riottosi a convincersene . Assai di confidenza ia 
prendo però, trattandolo in mezzo a voi, caldi sostenitori di 
qualunque libertà commerciale, e non fatti per esser sedotti 
dalla impressione di fallaci argomenti, figli di particolari in- 
teressi e di pensieri antifitantropici, che pur troppo serpeg- 
giano e si insinuano negli animi di molti- 

Voi, o signori, sotto l'egida di un governo tutelare soste- 
neste sempre contro gli attacchi del volgo, in momenti difficili 
di carestia, di malori, di guerra, la libertà dell’estrazione delle 
derrate e della loro circolazione , 1° utilità, anzi la necessità 
della introduzione delle medesime; mostraste il danno che ne 
sarebbe venuto limitandone il prezzo, ed ora non vi sentire- 
te commossi dalli stessi principii contro la mania di coloro, 
che sempre imbevuti di antiche barbare e fallaci opinioni, 
vorrebbero a loro capriccio alzare il prezzo delle derrate 
proibendone l’ introduzione dall'estero, o aggravandole di di- 
ritti doganali da equivalere talvolta ad una affettiva proibi- 


zione , e così ravvicinarci allo stato di quella carestia dalla | 


quale il cielo ci ha non a guari liberati! 

Questo progetto, ripetuto per le bocche di molti, ed in- 
dicato come sollievo all’ agricola industria, trova facilmente 
accoglienza ed appoggio; ma sarebbe a parer mio dannosis= 
simo se fosse accettato, come intendo di mostrarvi colla. pre- 
sente memoria. 


Non perdete di vista, o signori, ciò che scriveva uno dei più | 


grandi fra i nostri colleghi, che dove la giustizia fu lesa, il 
diritto di proprietà restò vulnerato, nè vi potè esser più l’u- 


149 
tile generale . Seguendo questo principio, e tenendo per an- 
cora tutelare di ogni civile associazione il diritto di proprietà, 
trovo impossibile l’ aberrare, nè temo difficile dimostrarvelo, 
come cercherò fare nella prima parte di questo discorso. Che 
dall’ aberrazione di questo principio non ne risenta utile lo 
stato facile sarà il provarlo, come mi propongo di fare nella 
seconda parte , riserbandomi nella terza di mostrarvi alcune 
verità di fatto conosciute nella nostra Toscana , che stanno a 
comprovare le opinioni che vi avrò esposte. 

Fermo nel mio assunto, vi prego, o signori, di lasciare 
una volta quel linguaggio della scienza economica balbettante 
ancora, che si atteneva alle definizioni di paese agricola, ma- 
nifatturiere, commerciante ec. , attesochè queste definizioni non 
convengono ad alcun paese, ad alcuna incivilita società, dove 
gli uomini riuniti sotto leggi tutelari, devono avere dal som- 
mo imperante eguale protezione in ogni genere d’ industria. 
Restino dunque per sempre nell'oblio queste definizioni figlie 
della barbarie deì secoli rozzi, atte a servir di pretesto per 
inalzar una classe della società a danno dell’ altra. Tutti sia- 
mo individui del medesimo stato, nè dobbiamo formare che 
una sola famiglia, i membri della quale devono aiutarsi vi- 
cendevolmente, e non angariarsi e danneggiarsi. 

Quale ingiustizia dunque più forte , quale attentato più 
grave di quello di voler dirigere le forze fisiche e morali 
dell’ uomo piuttosto ad un genere d’ industria che ad nn al- 
tro? Eppure ciò accade tutte le volte che si vuol RIA 
re una classe di persone. 

E perchè mai, e con qual giusto titolo si vorrebbe che 
la scultore, il manifattore di panni, di seta, di cappelli, que- 
gli che consacra al servizio pubblico le proprie fatiche, do- 
vesse pagare a maggior prezzo il primo genere di sostenta- 
mento, solo perchè il manifattore di grano ( siaci permesso 
chiamarlo così) venda più caro quel genere che è il prodot- 
to della di lui manifattura? Nè si opponga qui che il mani» 
fattore di grano non può stare in concorrenza col manifattore 


. di lana, di seta , ec. perchè i secondi trovano un privilegio 


negli aggravi che posano sulle manifatture estere., giacchè 
l’ addurre un inconveniente non è secondo il trito assioma 


150 
soluzione d’argomento. E poi, diciamolo con candore, ben da 
altrî principi procedono i sistemi doganali, diretti piuttosto 
a render meno sensibile il tributo al contribuente , che lo 
confonde nel prezzo, di-quello che all’ incoraggimento della 
manifattura. 

Ma tornando al nostro principio, prendiamo a considera 
re a qual serie d’ ingiustizie noi firemmo la strada , a qual 
difficile esame. sarebbe giornalmente forzato il legislatore, ed 
a quale incerto resultamento sì condurrebbe, se attentando 
all'esercizio delle individuali industrie, volesse aumentare for- 
zatamente il prezzo del grano, che a pubblico sollievo s° in- 
troduce nello stato! Quando! e per quanto tempo dovrebbe 
farsi la proibizione! Come dovrebb’ egli determinare se è 
giusta o ingiusta, proporzionata o no ai bisogni della popo- 
lazione , alle circostanze della raccolta quella tassa , che si 
proporrebbe di stabilire pel supposto vantaggio dell’ agricol- 
tura ! E continuando in questo proposito da chi dovrebbe e- 
gli ottenere questa tassa ? Da chi attingere questo sollievo? 
Dai poprii sudditi per certo, giacchè la tassazione che si fa- 
cesse nulla influirebbe sul commercio estero non influito , nè 
regolato dalle nostre leggi . E qui, ripetiamolo pure cento 
volte, nella civile società, davanti al supremo moderatore della 
repubblica , eguale protezione deve avere l’ artefice, il colti- 
vatore, il fabbricante, l'impiegato. Sfido poi chiunque è ami- 
co del giusto a rispondermi se essendo stata favorita una vol- 
ta più specialmente certa determinata classe di persone, po» 
trebbesi in diversa circostanza negare il medesimo favore ad 
un’ altra! No per certo, che non si potrebbe negare al ma- 
nifattore di Jana, di seta, di cappelli che pagò una tassa a 
vantaggio dell’agricoltore, aumentandogli il prezzo del grano 
di lire tre il sacco (1) di riprendere le stesse tre lire,fquan- 
do il grano fosse aumentato di prezzo. 


(1) Ho preso per esempio la tassazione di lire tre il sacco perchè è 
quella comunemente indicata dai progettisti, ed è curioso osservare che 
nell’attual prezzo del grano la tassa aumenterebbe il valore di un quarto del 
prezzo, cioè aggraverebbe questo genere di prima necessità superiormente ad 
egoi altra manifattura sottoposta alle tariffe «loganali. Ciò glia a provare come 
si calcoli giustamente in siotili materie . 


IOI 

No, che non vi sarebbe giustizia, ove mancasse il legis- 
latore di soccorrere attento a tutte le oscillazioni che fanno i 
prezzi dei grani. Sarebbe per certo necessario che egli avesse 
sempre nelle mani la bilancia per crescere , o diminuire , o 
togliere la tassa ; e con quali dati potrebbe graduare siffatto 
termometro, che gli oppositori chiamano d’ incoraggimento, e 
che io il chiamerei d’ ingiustizie ? Non credo che vi sarebbe 
alcuno assai abile per determinarlo con precisione, e per non 
cagionare continui danni. 

Ed eccomi a ripeterlo con buona pace di coloro che 
sostennero la libertà fromentaria quando vendevano il grano 
quaranta lire il sacco, che i medesimi affronti al diritto di 
proprietà si fanno con diminuire il prezzo forzatamente quan- 
to ad aumentarlo, giacchè l’ ingiustizia è sempre la stessa, e 
dove è ingiustizia sanzionata da legge non può essere pub- 
blico bene. Io non mi starò a diffondere con gli esempi par- 
ziali di queste ingiustizie ora mai ripetute per le bocche di 
molti, e rammentate da tutti i buoni scrittori . Solo parmi 
a proposito qui di avvertire, che alcuni seducenti amatori 
della liberta del commercio temono che questa non si tra- 
sformi in licenza , e così possa vulnerare i particolari inte- 
ressi. Quest’ opinione emessa con frasi brillanti nelle conver- 
vazioni, induce in errore molti, che abbandonano i sani prin- 
cipii per correre dietro alle ombre ; ed infatti se chiara e 
distinta ci facciamo l’idea di licenza, vedremo per certo che 
nella piena libertà questa non può esistere. 

Ed invero qual licenza può prendersi il libero specula- 
tore per aumentare o abbassare il prezzo delle derrate, quando 
egli resta in concorrenza con tutti gli altri speculatori che 
sono egualmente liberi? Alle facoltà di chi arreca danno quel 
proprietario che lascia nel caso temuto senza sementa le pro- 
prie cat:pagne, o quel commerciante che porta il grano dalle 
spiagge del Mar Nero o dall’ Egitto su i nostri mercati, per 
fare ottenere al ‘toscano consumatore il grano a una liva il 
sacco di meno? Di nessuno per certo, giacchè essi furono con- 
sigliati o dall’ interesse o da un falso calcolo, e 1 utile, e il 
danno ricade sopra di loro nell’ un caso e nell’ altro; onde 
ingiusto sarebbe che se ne mescolasse l’ autorità governativa. 


152 

Ed infatti, come potrebbe esser giusta quella legge, quel re. 
golamento che comandasse di continuare în tal luogo la se- 
menta del grano, in altro di eseguire la piantazione delle vi- 
ti, in un terzo la cultura dell’ ulivo? Ebbene, se ciò non è 
giusto , come parmi che non abbia bisogno di dimostrazione, 
in aggravio dei proprietarii, come può dirsi giusto 1’ imporre 
una tassa sopra una parte della popolazione affinchè vi si de- 
termìni? Lascio da parte questa nuova aggiunta di vessazio- 
nî doganali, quali a parer mio sarebbe miglior consiglio di- 
minuire che accrescere. Ma non toccando a noi privati farci 
giudici e penetrare nei miisteri della politita governativa, ba- 
sti il dire che qualunque vincolo al commercio ha bisogno 
di nuovi regolamenti, di nuove vigilanze, di nuova spesa , e 
sempre con sproporzionata distribuzione, non essendo nella for- 
za del legislatore di regofarla adequatamente. 

Dimostrata l’ ingiustizia della tassa, inopportuno sarebbe 
parlare dell’ utilità, giacchè, lo ripeto, l’ ingiusto non è u- 
tile, e perfino lo stesso individuo che alcuno utile ricavò dal- 
la ingiustizia, bene spesso ne sentì la pena per il peso gra- 
vissimo ed insopportabile di quei rimorsi che l’ ingiusto ope- 
rare gli destò. 

Ciò nonostante, per ridurre a maggiore evidenza quest’ar- 
gomento, contentatevi che vi faccia osservare in primo luogo, 
che se il grano si vende in Toscana a minor prezzo che al- 
trove, veruno sarà invitato a portarcelo, e se si vende a mag- 
gior prezzo , il nostro non anderà per certo in altra parte. 
Onde, per lo meno, dirimpetto al mercato generale dell’ Eu- 
ropa, il regolamento e la tassa sono egualmente inutili . Ma 
noi , rispondono gli oppositori, dobbiamo pensare al proprio 
interesse aggravando di dazio il grano estero per impedirne 
l’ ingresso, e vendere il nostro a maggior prezzo ; e così gli 
agricoltori faranno più abbondanti semente , ed i proprietari 
dei terreni avranno maggiori entrate. Questo è il seducente 
argomento di pubblica utilità , che ripetuto più e più volte, 
e con diverse frasi insidiose, riesce più atto a trarre i creduli 
nell’ errore. 1 

Trascurando di parlare del ridicolo sforzo d’ impedire 
gli eflesti di una vicenda figlia dell’ andamento e della forza 


159 
delle cose, e solo tenendo sempre per fermo che alla intiera 
popolazione deve aversi riguardo dal supremo imperante, io 
non giungo a comprendere quale utilità , quale aumento di 
ricchezza nazionale, qual massa maggiore di numerario possa 
apportare la progettata tassa, nè altro successo io ravviso, se 
non se un passaggio forzato di numerario da una tasca all’al- 
tra, sempre dannoso perchè imbarazzante il naturale corso, nè 
meno dannoso per il corpo morale, di quello che sarebbe per 
il fisico il togliere il sangue dalle vene per respingervelo con 
forzata circolazione attraverso lo stomaco. 

Quale utile sarebbe il voler mantenere una manifattura 
perdente, al che forza governativa non basterebbe? E se ba- 
stasse, quale aggravio insopportabile per le altre classi di per- 
sone a carico delle quali dovesse questa sostenersi ! Qualun- 
que sia la manifattura, qualunque sia la produzione, se l’ ot- 
tenerla costa più di quello che costerebbe nel libero mercato 
generale, perdita vi è, e sempre a carico di quello stato che 
fece la cattiva speculazione , nè si oppone a ciò che vi sia 
qualche classe, qualche individuo che ne ritragga vantaggio. 
Nel nostro caso dunque sì venderebbe dai terrieri il grano tre 
o quattro lire il sacco di più, e il manifattore se ne rivar- 
rebbe nel pagamento dell’ opera propria . 

E continuando nel nostro poposito, se le circostanze ge- 
nerali portassero che il grano estero pervenisse a noi al prez- 
zo di una lira il sacco, e che per produrlo ci costasse nove, 
quale utilità ne ritrarremo ostinandoci in quella manifattura? 
Lasciamola pure, nè temiamo di morir di fame, giacchè si- 
mili cangiamenti non sono talmente precipitosi, da non dar 
tempo agli uomini lasciati nella loro libertà industriale di 
sistemarsi convenevolmente . Noi vedremmo in quel caso ( e 
«sia detto di volo, io nol temo troppo) noi vedremmo, io dico, 
succedere alla cultura del grano quella della vite nei poggi, 
quella dei prati nei piani, ambedue troppo trascurate; noi ve- 
dremmo vegetare l’ulivo, dove ora non crediamo che possa al- 
lignare,(2) come abbiamo veduto senza incoraggimento o prote- 


: (2) Le annate di carestia consigliarono la coltivazione delle patate , e 
questa fu estesa con rapidità ed intelligenza nei luoghi meno alti per ot- 


154 
zioni introdurre su i nostri campi nuove semente e nuovi 
foraggi, ed abbiamo veduto che quelle paglie che si trascu- 
ravano auche per i bestiami, sono nel momento presente uno 
dei più ricchi veicoli di danaro nella nostra Toscana . Noi 
vedremmo nascere delle nuove industrie, ed i capitali abbon- 
dantemente impiegati finquì nell’ agricoltura , perchè 1’ inte- 
resse a ciò consigliava, si volgeranno alle manifatture, si for- 
meranno delle fabbriche, delle quali manchiamo totalmente, 
ed in quelle s° impiegheranno i capitali e le braccia , senza 
timore che alcuno resti un istante privo di sostentamento, co- 
me non ne mancano gli svizzeri nelle loro montagne, e tutto 
sotto una sola condizione, che l’ influenza governativa non si 
mescoli di proteggerla o di dirigerla . Si perdè la manifattura 
pei broccati d’ oro per i quali era rinomata la nostra città, 
ed a questa perduta quante mai ne sono succedute, e con quan- 
to maggior profitto! Non ci factiamo dunque illusione, e per- 
suadiamoci che 1’ uomo lasciato libero nelle sue vedute in- 
dustriali, trova il posto che gli conviene, nè può morir di 
fame, e che tanto meno corre questo rischio quando le gra- 
naglie abbondano che quando mancano , ciò che non mi pare 
piccolo ventaggio, anzi tale mi sembra che non deva eccitare 
a diminuirlo. 

Passando più specialmente all'esame di questa tassa, e senza 
far motto del nuovo, ed inusitato inceppamento che verremmo 
ad imporci, osserviamo che se la tassa fosse piccola, essa non 
darebbe alcun soccorso all’ agricoltore, poichè non servirebbe 
ad eccitarlo ad una maggior cultura ; e se fosse grande, e tale 
che facesse rialzare il prezzo dei nostri grani sopra il livello 
degli altri paesi, farebbe scendere in Toscana il grano da tutti 
gli stati limitrofi, ed anche dai lontani, quando l’ interesse il 
comandasse. E qui giova ripetere, che guardie, prigioni, gale- 
ra e forca non hanno impedito giammai il passaggio del grano 
nel nostro stato da quelli vicini che sono vincolati. Ecco dun- 
que che il benefizio di quell’ incoraggimento che i progettisti 
preparavano per i nostri agricoltori, anderà tutto a vantaggio 
tenerla ; negli anni successivi l’ interesse ne consigliò l’ abbandono , v la tra- 


scurauza nella cultura: interrogandone i campagooli si ha per sola risposta 
ra Non ci fanno ; ;, Questi non son luoghi ,, e simili. 


155 
dei vicini. Ma concediamo un momento, che non avvengano gli 
accennati danni, e vedremo: primo, che se lo stato raccoglie gra- 
no superiormente al consumo, la tassa non influisce sul prez- 
zo del nostro grano nell’ estero; secondo, che se ne raccoglie 
quanto gli basta, non fa che togliere i danari da alcuni sud- 
diti suoi per dargli agli altri; terzo, che se non ne raccoglie 
quanto gli basta, va ad imporsi un nuovo dazio nel tempo 
stesso che da per tutto si grida contro la gravezza delle im- 
posizioni , altro soggetto fecondo di lamenti e di osservazio- 
ni, che qui non è luogo di riprodurre. 

Io considero sempre l’ agricoltura come l’ arte primaria, 
1’ arte più nobile, l’ arte di più sicuro profitto, ma appunto 
perchè ella è alla portata di molti , ed il subietto della me- 
desima non manca , si trova indipendente e senza bisogno di 
soccorso o di eccitamento ; tanto più che la varieià dei pro- 
dotti potendo suggerire varietà d’ industrie, ne rende facile 
I esercizio . Sembra per altro ai progettisti che la tassa sul 
grano estero farebbe crescere qualche sacco di sementa. Pre- 
scindendo da questa sorte di direzione che io credo inutile e 
dannosa , saremo dipoi certi che produca quest’ effetto ? Io 
credo che questo allettativo non ecciterebbe alla speculazione,; 
poichè lo speculatore vuol esser certo nella libertà delle, ha 
speculazioni, nè esporsi alle vicende di una legge che a ‘uu 
momento all’altro potrebbe convenire di rivocare. La riprodu= 
zione delle terre, sottoposta ad un periodo annuale, offre dif- 
ficilmente i mezzi per stabilire con utilità il limite del prez- 
zo oltre il quale sia permessa l’ introduzione del grano. Que- 
sto limite dipende da troppe circostanze , che è impossibile 
conoscere tutte, e giustamente calcolare. 

Si lasci dunque libero e senza tassa d’incoraggimento 
il terriere, il manifattore, il commerciante , e gli vedremo 
tutti con giusta proporzione livellarsi, e la collisione dei reci- 
proci interessi farà a loro trovare il giusto rapporto fra i 
prezzi delle derrate e quello della mano d’opera. Nè mi- 
nistro rè legislatore alcuno potrà mai conseguire l’ intento del 
livello desiderato senza lasciar libera la direzione delle par- 
ticolari industrie, le quali riescono da per sè stesse a porsi 
in equilibrio fra loro. 


156 


Molto, sì molto potrei aggiungere su questo soggetto 
fecondo di osservazioni; ma il timore di stancare la vostra 
sofferenza mi obbliga a limitarmi ad accennarvi l’applicazio- 
ne di questi principii alla nostra Toscana ; felice paese dove 
il giovane principe saggio e benefico che ci governa, seguendo 
le tracce luminose del padre e dell’avo, permette ad ognuno 
di esternare le proprie opinioni . 

Esaminando l’indole e l’andamento della toscana eco- 
nomia, prima d’inoltrarci nella questione sulla utilità della 
tassa, vediamo quale danno ci apporta la pretesa abbondanza 
delle granaglie, e se potrebbe esser utile il trasformarla in 
carestia, o ravvicinarvela almeno. E volesse il cielo che que- 
sta bestemmia antieconomica, impolitica , antisociale non si 
udisse ripetere per le bocche di molti. Del che sia scusa, 
se si vuole, l’incontentabilità dell’umana natura, o siamo 
piuttosto più veri e sinceri, e diciamo che l’interesse che 
tutti accieca ci fa trascorrere a tanto eccesso . 

Giovi dunque prima il rammentare , che i più accurati 
scrittori di statistica toscana contavano in questo paese sopra 
tre anni di buona raccolta uno di carestia. Se le leggi fru- 
mentarie ci hanno liberato da questo flagello, non preadiaa 
a gabbo la verità ed il fatto, e non scordiamo il prezioso 
feutto dell’ essere stati tolti via i regolamenti, i dazi, i pri- 
vilegi, le protezioni. Gaddero ben presto nella Maremma quel- 
Je case che la munificenza grande del principe aveva edificate, 
perchè l'interesse particolare ne consigliò l’abbandono. Osser- 
vazione non mento importante si è questa: che ha Toscana 
non ha accresciuto il suo perimetro , e che sempre è sotto 
lo stesso cielo, sotto l’ influsso. delle stesse meteore, e che 
pochi anni d’ sica possono esser seguiti ben Pirto da 
altri di carestia. 

Ma parlando più strettamenté, vediamo a chi fa danno 
il basso prezzo delle derrate; ai manifattori, ed agli operan- 
ti? no certo; ai negozianti ed agl’ impiegati ? neppure; ebbene, 
queste classi devono aver protezione eguale delle altre , per- 
chè vi hanno diritto. Forse sarà danno ai proprietari dei 
torreni. Esaminiamo ciò nel particolare, e sotto i suoi di- 
versi rapporti. 


157 

La massima parte della Toscana è coltivata a colonìa, 
cioè il prezzo dell’opera è pagato con quelle stesse derrate 
che si raccolgono, e la metà del raccolto è generalmente la 
moneta colla quale si paga la mano d’opera. Per questa 
metà dunque, sia il prezzo delle granaglie più alto, o più 
basso, non avrà per certo influenza alcuna, nè recherà varia- 
zione nella borsa del proprietario — Ma vi è di più. 

La Toscana è in generale montuosa , o paludosa, e nell’uno 
e uell’altro caso la metà delle granaglie, che sono porzione 
del pagamento dell’ opera del colono, non sono sufficienti a 
nutrirlo. In tali casi il proprietario è obbligato di soccorrerlo, 
e bene spesso senza speranza di restituzione (3). Non, posso- 
no obliare i nostri proprietari le provviste dei grani fatte 
dall’estero con incredibile dispendio (4).I piccoli proprietari 
delle montagne e dei poggi, e non sono pochi in Toscana, 
non avendo di che vivere, portavano le loro braccia e la loro 
industria in Maremma , per trovarvi sussistenza e salvamento 
della vita, e spesso vi trovarono la morte (5). 

I numeri magici dei nostri computisti fecero con brillanti 
dimostrazioni apparire aumenti di capitali; ma questi erano 
crediti con i propri lavoratori, valutazioni fatte a tavolino di 
dissodamenti male immaginati in terreni, che per l’ indole loro 
doveano esser boschivi, e che un destro fattore, calcolando 
bene il proprio interesse e paimen ndo quello del proprie- 
tario, consigliò di ridurre a cultura. Dopo quelle dinostrazio- 
ni î danari non vennero in cassa, ma si continuò sulla fede 


(3) È uso seguito da vari proprietari toscani di condonare alla loro 
morte il debito ai lavoratori a colonia. Credo che ciò provenga dall’ avere 
osservato che molte volte il debito che questi fanno coì padrone non è che 
giusto pagamento dell’opera loro, non essendo la metà del 
quata retribuzione delie fatiche che v’ impiegano. 

(4) B' introduzione delle granaglie dal porto di Livorno nel territorio riu- 
mito fu nell’anno 1820 di sacca 709, 443, ed oltre a questo i mercati del Borgo 
S. Lorenzo, del Ponte a Sieve , e Barberino di Mugello rigurgitavano dei grani 
portativi dal yicino e vincolato Stato pontificio. 

(5) Scendono anche attualmente i montaguoli in Maremma, ma vi scendono 
meglio nutriti, più sani, e con meno timore dell’aria cattiva, e quindi 
riportano alle loro case qualche piccolo avanzo, che prima non gli era suf- 
ficiente per le spese di viaggio nel ritorno in montagna . 


raccolto ade- 


158 


del fattore e del computista a far le medesime spese in 
famiglia, ad impiegare dei capitali in lavori che non frutta- 
rono mai più del due o del tre per cento, e che in qual-. 
che luogo deteriorano il terreno stesso, cioè il capitale  pri- 
mitivo . 

A questa falsa speculazione dee attribuirsi il danno dell’at- 
tuale sbilancio nell’ economia di qualche famiglia, piuttostochè 
alla diminuzione del prezzo delle derrate . 

Non sono dunque più classi di persone, non una intie- 
ra classe, ma pochi individui, che in alcune circostanze ri- 
sentono danno per calcoli sbagliati, e che ora crederebbero 
trovare soccorso nel regolamento e nella tassa. Nuovi sogni 
e nuove fole sono questi progetti, che arrecano danno , come 
abbiamo dimostrato, alla più gran parte delle persone senza 
giovare veramente ad alcuno. Qual comodo dovrà ‘perdere, 
qual diminuzione di piacere dovrà risentire quel proprietario che 
abbia solamente la pazienza di attendere quel tempo che occorre, 
e che io credo brevissimo, nel quale la mano d’ opera si li- 
velli con i prezzi delle derrate? Nè vi ha dubbio che ciò 
debba accadere ben presto, come lo abbiamo ogni giorno 
sott'occhio quando facciamo acquisti di panni, di tele, di 
manifatture che hanno due terzi meno di valore di quello 
che avevano una volta. Ma noi vorremmo comprare a buon 
mercato, e vendere a caro prezzo, ciò che sarebbe molto 
piacevole, ma impossibile ad ottenersi. Se noi osserviamo 
attentamente e senza prevenzione le cose nostre, noi vedremo 
che per l'ordine naturale quest’ equilibrio va a stabilirsi. Di- 
minuisce il proprietario le spese, ed il manifattore per non 
trovarsi senza sostentamento non può a meno di scemare il 
prezzo dell’ opera propria, e ciò è già vistosamente fatto nelle 
manifatture di lusso, poichè 1’ ordine vuole che da quelle si 
cominci. Che se il muratore, il legnaiolo, il magnano nona 
hanno diminuito finquì nei luoghi popolosi il prezzo dell’o- 
pera loro, ciò è derivato dalla maggiore agiatezza della quale 
godono gli abitatori della Toscana. L’ aumento prodigioso 
e progressivo di popolazione, unico e certo termometro della 
pubblica prosperità, ha necessitato ad aumentare istantanea- 


rr r"rrl‘0rmu{{[————————AEE. en: 


; 159 
mente le fabbriche, ed a renderle più comode (6); ed a ciò 
si è aggiunto l'impulso imperioso dato dal particolare interes- 
se che ha suggerito di fabbricar case, piuttosto che dissodar 
terreni. Quando in questa speculazione saranno esauriti quei 
capitali, che l’indole o 1’ andamento della medesima richie- 
devano, i capitali superflui, gli avanzi che si faranno, saran- 
no impiegati in dissodamenti, in vigne, in oliveti, e senza 
timore che alcuno abbia sofferto danno, l’ equilibrio si troverà 
ristabilito . 

Nè ciò può esser diversamente. Vediamo ora dei nuovi 
resultamenti della economiea situazione del proprietario. Le 
derrate per certo hanno diminuito di prezzo, ma questa dimi- 
nuzione ha in contrapposto la maggior quantità del raccolto, il 
risparmio della spesa della mano d’opera, e di quelle sovvenzioni 
al colono; che come ho fatto osservare di sopra, il proprietario 
era obbligato negli anni di scarsità di fargli. Ma più forte com- 
penso ha egli trovato nell’aumento del proprio capitale, per 
certo non minore di un quarto al di sopra di quanto poteva 
ritrarne nei tempi del caro prezzo. Non ha dunque il ter- 
riere diminuito la propria ricchezza, quando questa si misu- 
ri, come parmene un elemento, dalla maggior quantità di de- 
naro che si ottiene in cambio del proprio capitale; no certo, 
perchè il prezzo dei terreni è per la circostanza, che molti tro- 
vano singolare, ed io riguardo naturalissima, notabilmente 


‘ cresciuto (7). Non trovavano prima acquirente le belle e 


ricche tenute dei contorni delle principali città, ed ora potreb- 
be dirsi che non solo vicino alla capitale, ma perfino negli 
angoli più remoti dello stato, non si trova un palmo di terre- 
no da comprare a prezzo vantantaggioso, che per il linguag- 
gio volgare diremo al ragguaglio del cinque per cento. Ma 


(6) Sono assicurato che l’ultima enumerazione semestrale degli abitanti 
di questo stato abbia fatto conoscere un aumento di 20 mila iadividui sopra 
quella del semestre antecederte , è 

(7) Il diminuito prezzo degli oggetti commerciabili rende stagnante il pu- 
merario , il quale abbondando per le altre speculazioni, è naturale che sia 
rivolto in acquisti di terreni. Ed è anche osservabile che gli attuali tempi 
di tranquillità , ed il bisogno di pochi capitali per il commercio, avendovi 
richiamato molti ne rende gli utili meschinissimi, ciò che fa preferire aile 
azzardose specalazioni l’ impiego nei terreni, 


160 i 


qui alcuni zelanti del pubblico bene, o piuttosto del proprio 
interesse, tacendo o non rispondendo sulle circostanze dei 
fondi nei luoghi più popolosi della Toscana, vanno fantastican- 
do su i danni che apporteranno alle manifatture i bassi prezzi, 
immaginandosi che ben presto mancheremo di lavori, e do- 
po aver pianto\su i danni avvenire, piangono sulle disgrazie 
attuali della Maremma . 

Le borgate ridenti e continuate che costeggiano le strade 
nostre postali; le case aumentate immensamente nelle pianure 
pistoiese e pratese, e nelle due vallate dell'Arno, e quasi per 
tutta Toscana ; i nuovi campi ridotti a cultura nella campagna 
pisana e livornese perfino alla Cecina; le molte terre appo- 
derate nella Maremma; l’agiatezza maggiore della popolazio- 
ne; il lusso col quale ella vive, tutto sparisce davanti a que- 
sti zelanti filantropi che vanno cercando il meglio. Dicono 
precaria la manifattura dei cappelli di paglia, perduta quella 
della seta, rovinata l’agricoltura , desolato il commercio. Ed 
in qual paese parlano mai costoro? in quello dove a colpo 
d'occhio si vedono effetti del tutto diversi da quelli che essi 
vanno predicando (8). 

Ma stiano da parte queste osservazioni, che a tutt’ altro 
muovono che a lamento, e diamo un’ occhiata a quella pro- 
vincia che è il loro cavallo di battaglia, e che secondo essi 
ha bisogno di provvedimento o di soccorso, e vediamo se il 
progetto della indicata tassa potrebbe esserle utile . 

Secondo le notizie avute da un intelligente proprietario, 
che unisce a molte cognizioni un sano criterio, e molto in- 
teressamento per il pubblico bene, la Maremma Senese ha per- 
duto in quest'anno circa trecento moggia di sementa, perchè 
la sementa costando al proprietario maremmano dai centocin= 


(8) Alcuni credono che l’aumevto di popolazione, e la maggiore agiatezza 
della medesima, sia prodotto dagli avanzi fatti negli anni di carestia, e nou 
dalla maggior facilità di guadagno negli anni di abbondanza . I seguaci di 
questa opinione cercando illudersi sull’ assurdo di credere più utile la miseria 
che la ricchezza, sostengono che non vi sarà da vivere per la popolazione na_ 
scente, e sognano danni futuri, non essendo pienamente convinti dei presenti, 
Quanto a me, credo che aumentando popolazione , diminuirà la mano d’ope- 
ra, ed aumenteranno i prodotti, e che nella pienissima libertà commerciale» 
questo effetto non può mancare. Se sia danno, o no! il taccio, 


I6I 
que ai centodiciotto scudi il moggio, e vendendosi il grano 
nove scudi al moggio, se il prodotto non fosse delle dodici 
per staio, là perdita sarebbe sicura. Questo danno è gravissi- 
mo, ne convengo, ma valutiamolo ‘approssimativamente per 
vedere se convenisse un provvedimento riparatore, oppure, co- 
me solevano fare i medici prudenti in un male irrimediabile, 
lasciare operare alla natura per non correre il richio di far peg- 
gio. Supponghiamo dunque che le trecento moggia potessero 
produrre dieci per uno, e così moggia tremila, che per ridurle 
a misura più conosciuta diremo sacca ventiquattromila , quale 
nell’attual prezzo di nove monete.il moggio importa lire cen- 
tottantamila. Supponghiamo ora colla tassa sul grano estero 
di aumentare l’attuale prezzo di lire tre il sacco; avremo 
allora per il maremmano un’ entrata lorda di lire 252, 006; 


detragghiamo da questa la spesa sopra trecento moggia di se- 


menta a scudi centocinque il moggio, infimo prezzo, avremo 
una spesa di lire 220, 500, cosicchè l’ utile netto, o sia la va- 
lutazione della perdita è di lire 31, 500, danno vistoso certo; 
ma che ponendo in calcolo il valore del solo pascolo sopra 
una estensione di trecento moggia di sementa, cioè ‘di circa du- 
gentottantamila stiora fiorentine, diminuisce ancora; ed' ecco 
che per sostenere una manifattura, che nel progettato sistema 
darebbe un guadagno di due o tremila scudi, togliendone ven- 
timila e più dalle tasche di quei sudditi che si cibano di der- 
rate estere , si dovrebbe mettere un inceppamento alla libertà 
commerciale, distruggere la pietra angolare del nostro edi- 
fizio economico , il quale fu modello ed esempio alle più 
civilizzate nazioni d’ Europa , ed ha mostrato coll’ esperimento 
di molti anni quanto utile e glorioso fosse che quel gran 
principe avo del nostro augusto regnante lo stabilisse, che il 
di lui impareggiabile genitore, di cui piangiamo recente la 
perdita, fermo lo conservasse; e quante speranze ne ispiri 
il giovane augusto che oggidì ci governa, mostrando volerlo 
sostenere . 
Sarebbe poi stranissimo concetto che la Toscana, che 
diede il primo esempio di scemar le tasse, dovesse rinnuo- 


varle la prima, e mentre l’Inghilterra, paese regolamentario 
T. XVI. Ottobre 11 


ida 
sopra ogni altro, ha dato il luminoso esempio di togliere 
ventitre millioni sterlini annui di tassa. 

Seguiamo dunque l’ esempio dei savi medici della scuola 
toscana, ed amiamo di preferire la medicina prudente 
ed osservatrice alla empirica, e lasciamo fare qualche cosa 
alla natura, che nell’ ordine morale, anche più che nel 
fisico, non manca di sovvenire ai nostri bisogni. | 

Parmi avervi dimostrato che i danni irtinalli son' pochi 
o nessuno ; e quei pochi, non in una intiera classe, ma se 
dee concedersi, fra pochi individui, e non della’ parte più 
infelice della popolazione . Dirò. di più, che questo'danrio; 
questo male che si va predicando , se pur vi è, è di ‘così 
nuova origine, che non se ne conoscono gli effetti; onde 
i ipnagiae sarebbe il prestarvi rimedio prima di aver ben 
conosciuto 1’ indole del male. 

Noi vediamo per tutta Toscana paduli asciugati , nuo- 
ve strade aperte, case inalzate , e quello che è più, accre- 
scimento prodigioso e costante , anzi progressivo di po- 
polazione, avvenimenti tutti che non abbiamo veduto quan- 
do ebbero le derrate alti prezzi, nè veder si possono giam- 
mai sotto l'influenza dei vincoli. Alla cultura dei grani; 
nelle Maremme succederà, come principia ad accadere, quel- 
la più accurata dei pascoli, il maggior prodotto dei boschi; 
il sistema di colonìa più economico e più industriale , si. 
avanzerà a poco a poco in quella insalubre provincia, co- 
me vediamo succedere tutto giorno nella Maremma Pisana - 
Vano è il timore che il grano della Pollonia e della Rus- 
sia, quello dell'Egitto possa parificare i nostri grani in qua= 
lità ed in prezzo (9); e se lo fosse, li nostri terreni sotto 
un’ industria libera ed animatrice , di nuovi, o finquì tra- 
seurati prodotti, sarebbero fecondi. E se non vi è da  te- 
mere per i terreni, molto meno vi sarà da temere . ‘per i 
nostri capitali, che si volgeranno alle arti, alle manifattu- 


{g) Nell’ anno 1820 furono introdotte in Livorno sacca 530, 139 grano » 
e negli otto mesi decorsi, dal ppro gennaio 1824 fino al 31 agosto, non sona 
enirate in quel porto che sacca 75, 105, porzione delle quali è grano delle nostre 
Maremme, 


163 
re, a quelle fabbriche delle quali tuttora manchiamo - ma 
sempre con quel passaggio mite e moderato che è 1’ effetto 
dell'andamento naturale , e non di una forza direttrice sem- 
pre incerta o pericolosa . 

Colla libera industria otterremo il solo possibile ri- 
medio a tutti i mali economici, non con i vincoli, non 
con le tasse, non con i regolamenti doganali (10); ed 
infine con aprire le porte ad ogni lecita speculazione non 
col chiuderle. Non sarebb’egli ridicolo il pensare , che 
noi abituati ai comodi ed sali effetti di una civilizzazio» 
ne raffinata, trovassimo utile il racchiudersi in camera , e 
privazsi di quei comodi dei quali godiamo, ed impedire 
ogni commercio coll’ estero, per il timore di diminuire una 
branca di manifattura? 

Nòn si sogni fra noi tanta bestemmia; auguriamoci 
piuttosto un tempo in cui le istituzioni sociali permetteran- 
no di poter mettere in pratica la più estesa e libera co- 
municazione fra tutti gli stati, fra tutte le società ; e spe- 
riamo:che un dì possa avvenire che il cosaceo Pax Don, 
l’arabo dell’ Egitto, il selvaggio del Canadà, liberi Falli 
nell’esportazione dei loro prodotti, e nella importazione 
degli esteri, facciano con noi europei, che bene spesso ed. 
a torto ci vantiamo esser giunti al sommo della civilizza- 
zione , un continuo e non impedito baratto di merci; e 
così formando una istessa famiglia, possiamo sovvenire ai 
nostri reciproci bisogni , ed anche alla soddisfazione dei no; 


stri piaceri. 


(10)I prezzi dei grani nel settembre prossimamente decorso, in Ancona, furono 
di paoli 38 a paoli 4o il rubbio, ed in Bologna da paoli 10 a paoli 12 la 
corba, Ebbene, quello stato è sottoposto a regolamento , ed il grano vale me- 
no che presso di noi, prova evidente che il vincolo produce in generale effetti 


opposti a quelli desiderati. 


BULEETTINO SCIENTIFICO 
N. XIII. Ottobre 1824. 
SCIENZE NATURALI. 


L’ Accademia Reale delle scienze di Parigi, la quale fino 
dalla prima comparsa della raccolta periodica pubblicata sotto 
il nome di Annali delle Scienze naturali, aveva formato un’opi- 
nione favorevolissima di quest’ intrapresa , ha incaricato il sig. 
| Geoffroy S. Hilaire di farlene conoscere il piano, la composi- 
zione, ed i mezzi d’ esecuzione. Ecco come egli si esprime nel 
suo rapporto. 

,, Gli Annali delle Scienze naturali hanno cominciato coll’an- 
no 1824. Ogni mese ne vien pubblicato un quaderno in ottavo 
di 8 fogli di stampa. Quattro quaderni compongono un volume 
di circa 500 pagine ,, 

,, L’opera è accompagnata da un atlante in 4., contenente 
da sei a otto tavole per distribuzione ,,. 

,, Le materie che vi sono trattate son divise sotto i sette 
titoli seguenti; Fisiologia animale, Fisiologia vegetabile, Anato- 
mia comparata, Zoologia ; Botanica , Mineralogia, e Geologia. I 
fondatori ed i principali estensori di questa raccolta sono i sigg. 
Audouin, Adolfo Brongniart, e Dumas ;,. 

;; Giò che io mi era proposto di fare, e che aveva solo ab- 
bozzato, esiste sotto altra forma in una introduzione, nella quale 
gli autori ci riconducono a ciò che era la scienza quaranta anni 
addietro, per riportarci al suo stato attuale. Questi confronti ed 
i contrasti che ne risultano, formano un quadro animatissimo , 
per mezzo del quale gli autori hanno dato molta vivacità e gran- 
de risalto ai progressi considerabili degli ultimi anni ,,. 

»» Per altro mentre si lasciano antiche direzioni, non si cam- 
mina ancora d’un passo bastantemente sicuro nelle nuove: e 
questa situazione transitoria delle cose, crea per li spiriti un bi- 
sogno prima non conosciuto, una necessità di cercare come illu- 
minare le proprie ricerche colla luce che può riflettervi la co - 
gnizione delle altre parti della storia naturale. Se ogni ramo si 
‘ stende di più, e produce un maggiore isolamento , un gusto in 
oggi assai vivo, un certo trasporto per le generalità, riconducono 
iusieme verso di tutti. Bisognava dunque un’ opera che presen- 
tasse in un quadro ristrettissimo il moto delle scoperte in tutte 
le branche, e gli Annali delle scienze naturali renderanno que- 


165 
sto servizio, anzi possono segnalarsi come già arrivati ,a. ren- 
derlo ,,. \ 

,3 Di fatti questo nuovo giornale ha ricevuto un’accoglienza 
favorevolissima; è stata generalmente resa giustizia allo zelo de- 
gli autori: laboriosi, informati dei lavori più recenti, entrati an- 
ch’ essi in nuove strade, indipendenti dagli uomini e dalle opi- 
nioni dominanti, sì, mostrano, animati dalla sola brama. di far 
bene, e di sodisfare agl’impegni presi col, pubblico. Bisogna bene 
che sia questa l'opinione che se ne son fatta i naturalisti, giu- 
dicandone dalla premura della. maggior parte di. essi in arric- 
chire la nuova raccolta colle loro produzioni, a divenirne in 
qualche modo collaboratori. Hanno testificata ai giovani autori 
questa buona volontà i sigg. AMICI, AUGUSTO DI SAINT-HILAIRE , 
BAILLY, BORY DE S. VINCENT, BQUÉ, ALESSANDRO BRONGNIAR"Y, 
CAMBRESSÉDES, CONSTANT P&KÉVOST} DE CANDOLLE, DE CANDOLLE 
FILS, G. CUVIER, DEFRANCE, DESFONTAINES, DESHAIES, DESMAREST, 
DESNOYERS, LEONE DUFOUR, GAIMARD, GAY, DE HUMBOLDT; ADRIANO 
DE JUSSIEU, KUNTH,, LATREILLE, OLLIVIER, QUOY, RICHARD, VAU- 
TIER, EC. Anche il mio figlio ed io abbiamo somministrato. al- 
cuni articoli 

;;3 Un altro autore, tenutosi anonimo sotto l’indieazione della 
lettera N.; ha;arricchito gli Annali d’un articolo molto curioso. 
Questa circostanza m’ impegna a riportarne il titolo: Considera- 
zioni filosofiche sopra la determinazione del sistema, solido e del 
sistema nervoso degli animali articolati. È questo uno dei. pez- 
zi più fortemente pensati .della nuova raccolta; e che tende a 


rischiarare con ;idee tanto nuove quanto luminose una delle que- 


stioni più difficili dell’ anatomia trascendente ,,. i 

;;3 Il namero e la varietà infinita dei soggetti m’impedisco- 
no d’ entrare nella particolarità delle memorie: per altro io non 
posso passare sotto silenzio che le parti più commendabili del- 
l’opera sono precisamente le memorie dei fondatori ‘stessi. del- 
l’ intrapresa, come li scritti dei sigg. PRÉvOST e DUMAS sulla ge- 
nerazione degl’ insetti, e del sig: ADOLFO BRONGNIART sui generi 
Cytinus'e Ncpenthes ,,. 

3» Le tavole o eseguite in litografià, ‘o incise, perfettamente 
esatte, e d'una grande bellezza per ciò che concerne l’arte; una 


parte delle, quali è dovuta ai. talenti d’ un giovane naturalista , 


SIG. GUERIN, accrescono notabilmente il. merito dell’ opera. Non 


vi è dubbio che l’ Atlante in cui sono contenute non debba es- 
sere un giorno vivissimamente ricercato dagli amatori delle belle 
biblioteche; circostanza che dà agli Annali delle scienze natu- 


166 


rali un carattere affatto particolare. Perchè nel tempo stesso che 
la periodicità dei quaderni & l’ universalità dei soggetti dei quali 
vi si fa o vi si farà menzione, serviranno a tenere informati i 
naturalisti di tutte le nuovità del momento, l’importanza dell’A- 
tlante farà di più ricercare tutta l’ opera, come si fa delle me- 
morie classiche o accademiche ,,. 

3» Io non ho da furmare che un solo voto, cioè che lo zelo 
degli autori non si rallenti, e che ‘un’intrapresa cominciata sotto 
auspizii così favorevoli possa esser proseguita nel modo stesso». 

s) AI palazzo dell’Istituto Reale di Francia li 22. Agosto 
18240]; GEOFFROY SAINT-MHLAIRE. 


Meteorologia. 


Ci sembra particolarmente degna delle considerazioni dei fi- 
sici la grande varietà, e talvolta la singolarità degli effetti pro- 
dotti dalla scarica fulminea sui corpi animati o inanimati che 
ne sieno investiti. I due fatti seguenti ci sembrano presentarne 
opportuna occasione. 

La mattina del dì 25. settembre ultimo a ore 7. della mat- 
tina una nuvola tempestosa scaricò ‘sulla casa del sig. Giuseppe 
Leblanc posta in Firenze in via dei Bardi, non un fulmine, ma 
più fulmini, o piuttosto (a giudicarne dagli effetti ) un torrente 
di fluido elettrico , che sembra avere operato sopra una parte 
"di essa ‘casa colla sua massa, in certo modo espansa, e non an- 
cora compendiata e ristretta in forma fuliminea. Lo persuade spe- 
cialmente lo scom paginamento d’ un vasto tetto , del quale una 
.gran parte degli embrici e tegoli furono fracassati, e scagliati 
anche a. qualche distanza, effetto che nè uno nè più fulmini po- 
tevano produrre, mentre molte parti della casa, ove il. fulmine 
o piuttosto i fulmini furon veduti guizzare, mostrano le traccie 
d'una parte della via da essi percorsa, traccie moltiplici, distanti 
fra loro, e non solo discontinue, ma talmente indipendenti , e 
prive di relazione o corrispondenza, da non potersi assolutamente 
riguardare come percorse da un fulmine stesso. 

Fra i molti fenomeni singolari che accompagnarono questa 
scarica straordinaria, citeremo anche .il seguente. In una cucina, 
che il fulmine traversò entrando per il camino ed uscendo per 
la finestra , o viceversa, era un servitore che stendeva in quel 
momento la mano a prendere un vaso pieno di caffè, destinato 
per la colazione della famiglia. Quest'uomo fu .gettato per terra 
senza riportare altro danno che una Dbruciatura superficiale in 


— — — — °6v—. 


1607 
alcune parti del corpo strisciate dal fulmine, il quale traversando 
evidentemente il vaso del caffè, non versò, ma disperse, senza 
lasciarne traccia, il fluido onde era pieno. L’ estremità. del bec- 
cuccio destinato a versare il caffè, ed. un globetto di legno ter- 
minato supériormente ‘in punta, e che serve a sollevare vil co- 
perchio del vaso furono i punti per i quali rispettivamente il ful- 
mine s’ immerse ed emerse dal vaso, portando via dalla cima del 
beccuccio un piccolo coperchio d’ottone che ne cuopriva l'aper- 
tura, e che era attaccato ad una catenella pure d’ ottone , ed 
accendendo l’ indicato globetto di legno con fiamma vivace che 
la sig. Leblanc estinse, restando il globetto carbonizzato, come 
tuttora si osserva. 


Nel dì 9g. settembre ultimo ;sulla. casa, abitata da Giovanni 
Pallini e sua famiglia, lavoratori del podere denominato zl nic- 
chio nella tenuta, del sig. conte Guido della Gherardesca in Ma- 
remma cadde un fulmine, che penetrato in una camera, ne, stri- 
sciò le pareti, ed un’angolo ove era. un fucile da caccia, a cui 
fece alcuni sfregi nel calcio ed in vicinanza del grilletto, senza 
cagionarne l’esplosione, sebbene fosse carico e colla polvere nel 
focone. Da questa camera discese presso a poco verticalmente, 
prima in una stanza inferiore ad uso di caciaia, facendo un for- 
te strappo nella muraglia, quindi in una stalla sottoposta ove 
«Giuseppe Pallini capraio mungeva le, capre che Caterina sua 
moglie: gli, andava porgendo, seduto sopra un masso di, pietra, 
che ssporgeva un braccio e mezzo fuori del muro, e presso a cui 
ve n° è un’ altro che, sporge solo un mezzo braccio. Il fulmine per- 
cosse quest’ ultimo alla distanza d’un solo braccio dal detto Giu- 
.seppe sedente sull’altro masso, lasciando nel primo un’ impron- 
ta o cavità del diametro di due soldi di braccio. 

Un gran fumo e fetore di zolfo, e le grida che uscivano 
«dalla stalla, vi fecero prontamente discendere Bartolommeo Pal- 
lini Buiello di Giuseppe che fu da lui trovato steso in terra 
.tramortito con braccia e gambe aperte, come anche la di lui 
«moglie. compresa da spavento , e stesa in terra fra le capre 
spaventate ancor esse. Questa donna alzata da terra per opera 
di Bartolommeo, potè sostenersi e camminare, e si trovò senza 
lesione alcuna, AI’ opposto il capraio incapace di muoversi o di 
| sostenersi, fu preso: in collo dal fratello, e portato in casa, ove 
nello spogliarlo fu trovato offeso, dal fulmine superficialmente 
nella natica destra, e bruciata e rotta la parte corrispondente 
dei calzoni. Il torpore che aveva invaso tutto il di lui corpo si 


163 
andò a poco a poco dteetggoda, e dopo tre ore circa ‘cenò col 
resto della famiglia, 

Allorchè apprestate lle ‘aobite cure al fratello ed alla cogna- . 
ta, Bartolommeo scese di nuovo nella stalla, vi trovò morta la 
capra che Giuseppe mungeva nel momento in'cui cadde il fal- 
mine, e più altre cinque capre morte, ‘e che non mostrarono 
altra lesione ‘che qualche striscia di sara abbronzato, e la carne 
di color rosso sanguigno. 


Un altro fatto congenere, singolare! anch’ esso per le ‘sue 
circostanze, è il seguente ‘riferito nella ‘gazzetta LAV gia “del 
giorno 7. ottobre corrente. ; 

Un contadino del Comune di S. Martino di Belleville, chia- 
mato Pietro Antorio'Hudry,, trovandosi in un prato colla falce 
e con alcuni altri strumenti rustici sulle spalle, fu colpito dal 
falmine, e spogliato dei suoi abiti che furono dispersi. Una del- 
le sue gambe fu affondata nel terreno fino al ginocchio, l’altra 
fino al malleolo; la falce fa trovata calcinata. Sebbene nell’atto 
quest’ uomo restasse privo di moto ed asfisso, pure apprestatigli 
ì soccorsi opportuni, ricuperò l’ uso dei sensi, senza riportarne 
altro danno che alcune contusioni, e la ‘pèrdita di un poco di 
sangue per le narici. 

La sera del dì 4. laglio ultimo verso le ore ro fu osservato 
a Monaco lo spetticolo molto raro d’ un’ iride lunare. La luna 
compariva in tutto il suo splendore in una parte ove il cielo era 
perfettamente sereno. Dal lato opposto una nube nera elevatasi 
sull’orizzonte versava una pioggia abbondante, sulla quale si dî- 
segnò un’ iride perfetta. Questo bello spettacolo durò sei o sette 
minuti. 


Il sig. /7right americano ha inventato da qualche anno un 
nuovo stramento, che recentemente alcuni giornali hanno de- 
scritto, ed a cui si attribuisce la proprietà d’ indicare anticipa- 
tamente le variazioni del tempo. Ecco la struttura di' questo 
strumento. 

In un tubo di vetro largo intername nte 8 linee, lungo 10 
pollici, s’ introducono 2 once di spirito ‘di vino con due dramme _ 
di nitro' puro, ed una mezza dramma di cloruro d’ ammoniaca, 
ambedue in polvere, cuoprendolo in seguito con una leggiera 
pelle traforata di piccoli fori. 1 » 

Si afferma che, mantenendosi bellò il tempo, le materie sa- 


169 
line restano. in fondo al liquido, il quale conserva la sua lim- 
pidità; che disponendosi alla pioggia, alcune particelle saline sal- 
gono e scendono nel liquido , il quale s’ intorbida leggermente; 
che sovrastando poi una tempesta o forte colpo di vento, tutta 
la massa concreta si solleva dal fondo, traversa il liquido ca- 
iopandovi un moto quasi di fermentazione, e si solleva fino alla 
uperficie, ove forma una crosta. Si pretende che questi feno- 
meni appariscano più di 24 ore avanti la tempesta; e che indi- 
chino per fino la parte dell’ orizzonte ‘ond’ essa muoverà, e che 
è quella opposta ‘alla. parete del vetro su cui vanno ad appli- 
carsi le particelle solide- | A 
Ci cadde in mano qualche tempo fa uno di tali strumenti 
che non ci parve godere delle proprietà attribuitegli. La parte 
superiore del tubo rimanendo impegnata in una ghiera d’ottone, 
l’avevamo supposta esattamente chiusa, nè avevamo imaginato 
che vi avesse accesso l’aria atmosferica per i fori della ‘pelle’, 
che non potrebbero avere altro ‘oggetto; e che fanno supporre 
in qualche parte della ghiera un’accesso permeabile all’ aria. 
Nel nostro primo concetto non ci pareva che lo strumento potes- 
se sentire altre variazioni meteorologiche che quelle della tem- 
peratura. Pocé più ci lascia presumere l’acceso dell’aria, il quale 
altronde devé determinare comunque lenta l’ evaporazione deilo 
spirito di vino. Un dilettante che ha costruito un tale strumento 
ha osservato accadere di fatto quest’evaporazione, ne è stato più 
fortunato di noi quanto all’ ottenerne i risultati ‘annunziati, 
fi Ò 
I sigg. Graham e cap. Beaufoy inglesi, molto istruiti delle 
cose fisiche , eseguirono ad Islington vicino a Londra nel dì 24 
giugno ultimo un’ ascensione aereostatica, che aveva per scopo 


alcune osservazioni meteorologiche. 

La loro massima elevazione fu di circa 2 miglia inglesi ; il 
loro soggiorno 'in'aria di ore 1 min. 3. Le osservazioni loro non 
ci hanno procurato veruna nuova cognizione. Le temperature da 
essi incontrate alle varie altezze furono sempre in ragione inver- 
sa di queste, o gradatamente più basse nelle maggiori elevazioni. 
Al momento della partenza; ‘a’ ore 6. min. 5. pomeridiane, la tem- 
peratura alla superficie della terra era di 14 479 R., a ore 6. 
‘min. 4o all’ altezza di 10171 piedi era dio Rx I viaggiatori tro- 

—varono , contro la loro aspettazione, chel’ aria era di mano in 
mano (più ‘secca a misura che si sollevavano: nell’ atmosfera, cosic- 

"éhè l’igronetro alla ‘massima loro elevazione segnava 14 gradi 
verso il secco più che ‘nel piano da cui partirono. 


170 
A ore 7 min. $ essi toccarono terra nella parrocchia di Tan- 
dridge a 22 miglia da Londra, senza aver provato alcun sinistro 
accidente. Dopo la discesa , il cap. Beaufoy avendo avuto occa- 
sione di soffiarsi il naso , sentì nelle orecchie un fragore come 
d’un colpo di pistola, sensazione che tornò a provare qualunque 
volta nel corso di quella sera ripetè l’ atto stesso. 


Il sig. prof. Pictet di Ginevra, il quale due anni fa descris- 
se in una sua memoria le ghiacciaie naturali che si trovano nel 
Giura e nelle Alpi, la temperatura delle quali è singolarmente 
fredda in estate, formandovisi il ghiaccio in quella stagione , ha 
ora fatto conoscere altre simili cavità esistenti a Hergishwil nel 
cantone d’ Underwald presso la. riva del lago di Lucerna, e da 
lui recentemente visitate. 

Queste cavità sono all’ altezza di 104 piedi sopra il livello 
del lago; non sono naturali, ma scavate artificialmente in un moti 
te, che s’ inalza quasi verticalmente, e che è formato di strati 
quasi verticali fino ad un’ altezza molto grande, ove la loro po- 
sizione diviene presso a poco orizzontale. 

La, forma delle cave è presso a poco quadrata, di circa ro 
piedi di lato ; le, pareti ne sono rivestite di muri a secco. 

Il sig. Pictet entrandovi il dì 22 di luglio, e mentre la tem- 
peratura esterna era di 13,5 R, trovò l’ interna di 2,5. Una del- 
le cavità conteneva una quantità di neve che il proprietario vi 
aveva depositata nell’ inverno per vendersi nell’ estate, e che 
non dava alcun indizio di fusione. In un’ altra erano alquanti 
vasi di latte, che vi si conserva inalterato per più giorni. 

Non avendo potuto riconoscere alcuna sensibile corrente d’ a- 
ria che, arrivando nell’ interno delle cavità per gl’ interstizi delle 
pietre dei muri a secco che ne formano le pareti, potesse ser- 
vire a spiegare in qualche modo la freschezza interna di tali 
cavità, il sig. Pictet inclina. ad attribuirla ad un’ evaporazione 
copiosa e, costante, determinata o favorita dalla disposizione ver- 
ticale degli strati che compongono la. montagna. 


Fisica e Chimica 


Il sig. Gibson ha intrapreso delle ricerche curiose sul color 
rosso clie s° insinua nelle ossa degli animali allorché si, mesco- 
la della robbia ai loro alimenti. Ha osservato che nei piccioni 
giovani basta un sol giorno per far prendere alle loro ossa run 
color di rosa, e tre giorni, per prendere un color scarlatto in- 


171! 
tenso, mentre ne hisognano 15 in animali adulti perchè si ma- 
nifesti quel primo colore più leggero. Ha pure osservato che 
le ossa più lontame dal cuore tardano più ad acquistare il co- 
lore .. L’ estratto di campeggio comunica alle ossa un color di 
porpora , che è riportato nella circolazione, se si cessi d’ am- 
ministrare la materia ‘colorante, lo. .che è contrario all’ asserzio- 
ne di Duhamel, secondo il quale le ossa si colorano in strati 
alterni e concentrici, amministrando la robbia una settimana 
sì ed una nò. 


Il dot. John ha seoperto nel polline una'sostanza che le 
sue proprietà pongono, secondo esso, in mezzo al glutine ed al- 
l’ albumina, ed. a cui egli ha dato il nome di pollinina; Essa è 
gialla , insipida , inodora., insolubile nell’ acqua, nell’ alcool, 
nell’ etere, nel grasso, negli olii volatili, e nel petroleo; brucia 
con fiamma; esposta all’ aria acquista prontamente l’ odore ed 
il gusto del formaggio; poco dope si putrefà, sprigionandosene 
ammoniaca. 


Il sig. Pelletier ha dato il nome di Strichno-cromina ad 
una materia bruna rossa, che prende un bel color verde per 
l’azione dell’ acido nitrico, e che egli ha trovata nella cortee- 
cia della falsa angustira, e della pseudochina . Sembra che 
questa particolar sostanza sia propria delle diverse piante com- 
prese nella famiglia delle strichnos. 

Il sig. Teodoro de Saussure ha fatto conoscere sotto il 
nome d’ amidina una sostanza che |’ amido, trattato prima col- 
acqua fredda, lascia poi disciogliere dall’ acqua bollente, la 
quale la ritiene in soluzione anche depo il raffreddamento e la 
filtrazione. Egli la reputa una particolar modificazione dell’ a- 
mido; nè crede :meritar' veramente un nome particolare ,, per- 
chè, dic’ egli, non devesi sopraccaricare la scienza di nuovi nomi 
per le infinite modificazioni che può presentare qualunque so- 
stanza vegetabile o animale, a causa d’ una leggiera alterazione, ,; 


È stato riconosciuto che la sostanza ritrovata recentemente 
nelle radici di Dal/hia e di Topinambouc, e creduta  partico- 
‘lare, è la stessa cosa che quella trovata già nell’ enula campa- 
na, Inula helenium, e chiamata inulina. 


Il sig. Vauquelin ha dato il nome di Colocintina al prin- 
cipio attivo; della colloquintida, che egli è giunto a separare da- 


172 
gli, altri materiali ai quali si trova associato in quel vege- 
tabile., 


Il sig. dot. Magendie ha introdotto in medicina l’ uso del 
cianuro di potassio e del cianuro di zinco, come preparazioni 


di cui si debbuno meno temere gli effetti che dell’ acido idro- 
cianico 0. prussico. 


Geologia , 


Sebbene le Alpi germaniche sieno state e studiate e descritte 
da sommi geologi, pure alcuni fatti e riflessioni erano loro sfug- 
gite, ed. il benemerito sig. Bou, pubblicando una memoria sopra 
i terrehi*secondari del lato settentrionale delle suddette ‘Alpi, 
ha in parte supplito a questo difetto. La parte centrale di 
queste Alpi è costituita da grandi gruppi di roccie schistose ceri- 
stalline,. più o meno evidentemente intermediarie, e le roccie 
schistose di transizione ed i grauvacchi alternano colle roccie 
calcarie a strati compatti, o sublamellari. Essi racchiudono dei 
idepositi metalliferi, con masse di agglomerati assai grossolani, 
‘che sembrano. corrispondere al gres antico; e su questi depo- 
siti è collocato il primo calcario secondario che lungo le Al- 
«pi. forma una fila di montagne. assai elevate, le. cime delle 
«quali si elevano. a 7 e go000 piedi sul livello del mare, il qual 
calcario, per la sua analogia allo zeckstein dei Tedeschi ed al 
icalcario: magnesio degl’ Inglesi , non potea confondersi, come 
lo ha fatto il sig. Mohks col caleario di transizione recente, né 
«con: quello. di transizione antica. Le masse estranee che si tro- 
ivano nel. primo. calcario secondario delle Alpi si riducono ad 
alcune colonne porfiriche, che vi compariscono in un modo assai 
. problematico . I depositi metalliferi delle masse più inferiori con- 
sistono in. minerali di piombo o più raramente di zinco. Questa 
formazione è succeduta dal gres variegato, alla qual roccia però 
sono stati assegnati \dagli altri geologi diversi nomi, secondo 
che l’ hanno creduta appartenere all’una o all'altra formazione; 
ma poichè essa è, come il gres variegato di Germania; com- 
posta. di grani di quarzo compresi in un cemento argilloso e mar- 
-noso per lo più: grigiastro; e. che rassomiglia alla base dei 
grauvacchi, ed ha altri caratteri consimili ad ‘essa, oltre quelli 
che trarre si possono dalla geologia, non vi dev’ esser dubbio 
sulla di lui formazione ‘e denominazione. 

Le marne alternano col gres, e contengono*il gesso ‘ed il 


ce 


173 
sal comune: il primo vi forma dei piccoli filoni o anco am- 
massi irregolarissimi più o meno considerabili, che contengono 
qualche frammento del primo calcario secondario , e raramente 
del ferro oligisto; l’altro è compatto, raramente fibroso. È 
degno, di osservazione che il più gran deposito di gesso, di 
sale ed anco di zolfo appunto si trovi nelle masse depostesi do- 
po la cessazione delle irruzioni ignee secondarie antiche. In que-: 
sta classe di depositi i calcarj sono compatti che passano alle 
marne, e tutte queste differenti masse alternano col gres varie- 
gato delle Alpi. A questo e non al grauvacche il sig. Boué 
riferisce le nostre pietre serene, e l’alternarsi il gesso al calcario 
e con esso, come pure colla marna ne è una pruova. In quanto 
al gesso, oltre il trovarsene piccoli e tenui filoni costantemente 
nei terreni del nostro bacino fino a tutta la Golfolina e nel 
Volterrano, qui il gesso vi prende una maggiore preponderan- 
za; poichè vi alterna in grossi strati, come può vedersi per la via 
antica di Volterra dalla parte del Castagno. Egli è però vero 
che il tessuto della nostra pietra serena, non tanto ordinaria, 
ma quella soprattutto che dicesi della cava delie colonne, e 
quella turchina recentemente scoperta dalla parte delle Sa/azuole 
e che s’ incomincia a mettere in opera nelle fabbriche dei par- 
ticolari, è ben differente da quello del gres. variegato, e molto 
più consimile a quello dei grauvacchi. Il secondo calcario se- 
condario ricuopre il gres variegato in moltissimi luoghi. Esso 
è regolarmente stratificato, compatto, contiene selci cornee o 
piromache ed abbonda di petrificazioni, e dietro questi dati il 
sig. Bouè non crede doverlo confondere col calcario giurassico, 
come ha fatto il sig. Buck/and , ma riferirlo al calcario conchi- 
lifero, muschalkalk, lo che egli dimostra con un abbondante ap» 
parato di pruove . 

Di tutte le formazioni posteriori ;al calcario . conchilifero 
non si frova quasi nelle alpi tedesche se non il gres verde e la 
creta calcaria, ed al più nell’ Austria e nella Stiria quell’ are- 
naria che hanno chiamata quadersandstein ed il lias. Il gres ver- 
de, la creta calcaria cloritifera, e la creta marnosa sono state 
descritte dai sigg: Uttinger e Lupin. Le marne vi abbondano 
di fossili. 

Lo stesso sig. Boué ha pubblicato una estesa memoria geolo- 
gica riguardo al Sud-ovest della Francia, con osservazioni com- 
parative del Nord dello stesso regno, ed in particolare delle ri- 
ve del Reno. 


Nella comunità di Saurier; dipartimento ‘del Puy-de-Dòme 


174 

8 stata rintracciata un’antica miniera di rame arseniato argentifero ; 
di rame piritoso, e di piombo sulfurato o galena, la quale sem- 
bra contenere sette once d’argento per quintale, Le speranze che 
si sono concepite riguardo a questa miniera hanno indotto il 
governo a far ventilare e sgombrare la già formata galleria, ad 
oggetto di meglio esaminare questa miniera per ogni riguardo 
sì di comodità di escavazione, che di prodotto del minerale. 

Il Sig. Cio. Finch osservando quello spazio di terreno che 
da Long-Island, verso la N. Yofk si estende fino al golfo del 
Messico, lo ba riconosciuto di formazione terziaria , analoga al 
terreno de’contorni di Parigi, e composto, 1. di un’arena ferruginosa 
ch'egli colloca fralla creta calcaria e l'oolito, sicchè essa corri- 
sponderebbe all’ arena ferruginea ( iron sand ) degl’ inglesi. a. Di 
un’ argilla plastica , la quale costituisce la parte più estesa di 
questo terreno, e che contiene lignite ed ambra , sicchè può ri- 
guardarsi analogo all’ argilla plastica de’ contorni di Parigi e del 
Baltico. 3. Di un ca/cario silicoso , contemporaneo al calcario 
grossolano , ripieno di cavità incrostate di silice , e contenente 
alcune specie di maltre , di telline, di melanie e di turritelle. 
4. Di argilla analoga a quella di Londra, che si trova in uno 
strato sulle sponde del fiume St. James, e che a Richemaid con- 
tiene denti di squalo ed ossa fossili, oltre vari fossili analoghi a 
quelli che s’ incontrano nell’ argilla di Londra. 5. Di un calcario 
che il sig. Finch chiama con ostriche, perchè non potendosi ben 
determinare la relazione di questa roccia colle altre formazioni 
terziarie, egli ha dovuto darle un nome particolare tratto dalla 
sua composizione. Questa formazione , che si stende più di 600 
miglia di lunghezza, sopra 100 di larghezza, e che si può ri- 
guardare come avente 300 piedi di grossezza, contiene per la 
inassima parte certe ostriche lunghe da un piede a 15 pollici, 
e costituendo una nuova specie, il sig Frch la denomina o- 
strica gigantissima. La Virginia poi è ricoperta da una formazio- 
ne marina superiore di arena silicea disgregata, mobile , e che 
va estendendosi ed alzandosi or qua or là nei diversi luoghi , a 
seconda degli impulsi de’ venti e delle pioggie, come la rena dei 
nostri tomboli. L’ ultima formazione di questa regione si è il 
terreno diluviale, che in qualche luogo ricuapre gli strati rego- 
lari predetti, e che è stato trasportato. 

I terreni di nuovo calcario secondario e di marna che sono 
alla pendice settentrionale delle montagne antiche della Marke 
della Vestfalia fino ai Paesi Bassi, dal sig. Bu/F sono stati ripor- 
tati alla formazione della creta calcaria. Essi sono bianchi can- 


175 

didi, gli uni però formati di un calcario compatto , gli altri di 
una marna calcaria poco solida, ed in alcuni strati vedesi uscir- 
ne in varii punti la clorite verde . Lo strato più inferiore si è 
un conglomerato di ghiaia di quarzo, di diaspro schistoide clo- 
ritico con ghiaia di ferro argilloso. Contiene meno petrificazioni 
che il calcario conchilifero, e tutto questo terreno riposa sul gres 
a carbon fossile, sul gres rosso , sul calcario secondario antico, 
sul gres varicolore, ed il calcario conchilifero, e su quell’arenaria 
che hanno chiamata oltre i monti guadersandstein . Tutto ciò 
stabilisce una grande analogia di questo terreno colle parti in- 
feriori de’ terreni cretosi calcarii di que’ paesi , e fa credere 
al sig. BufF che la formazione cretosa abbia altra volta ri- 
pieno tutto il bacino situato nelle montagne di Svezia da una 
parte e quelle della Francia settentrionale, che la continuità di 
questa formazione è stata interrotta dipoi , o per la gran causa 
la quale ha scavato il bacino del mare del Nord e del Baltico, 
o sivvero per cause locali di destruzione, e che il terreno ch'egli 
ha preso in esame sia uno dei resti di questo vasto deposito. Lo 
stesso sig. Bu/f, all’ occasione di ricercare a qual terreno appar- 
tengano le sorgenti salate dalla Vestfalia, emette l’ opinione che 
i terreni terziarii del bacino di Parigi sieno le parti superiori 
della formazione cretosa , la quale opinione differisce moltissimo 
da quella adottata dai geologi di Francia . 

Mr. A/auquer ha pubblicato un colpo d’ occhio sull’ agricol- 
tura e sulla geologia del dipartimento dell’ Alta Loira e dei pae- 
si limitrofi, ed una statistica geologica e minerale del circonda- 
rio di Confolens è stata pur data alla luce. Il sig. Granier ha 
data una descrizione geologica sui terreni del basso Boulognese, e 
particolarmente sui calcarii compatti o granulari che vi esistono. 


Mineralogia. 


Sulle rive del lago superiore è stata trovata una miniera di 
malachita che ha circa 6 piedi di grossezza. — A Stroling nel 
Massachusett è stato scoperto lo spodumene o trifano, al setten- 
trione del lago Ontario è stata trovata Ja petalite, a Somerville 
nella Nuova Yersey è stato trovato un nuovo minerale di rame, 
che il sig Bowen ha trovato essere un bisilicato di rame con 
acqua» Il sig. Seydert ha analizzato comparativamente il cimofano 
di Haddam e del Brasile, e gli ha trovati sostanzialmente compo- 
sti degli stessi principii, nonostante qualche leggera differenza. 

In Sicilia, vicino a Leonforte nell’ex-feudo di Nissoria, ap- 


176 
partenente al Principe di Paternò , è stato trovato in abbondanza 
un bitume, che in seguito dell’analisi fattane dai chimici Sigg. Fra- 
telli Chiarelli , è stato riconosciuto analogo all’asfalto, o bitume 
giudaico, ed atto a servire a tutti gli usi nei quali quello è im- 
piegato. 


Il Sig. Olivier d’Angers ha scoperto nelle miniere di carbon 
fossile di Montrelais quella sostanza singolare che è stata distinta 


col nome di caoutchouc minerale, o bitume elastico, e che non era, 


stata trovata fin qui che in Inghilterra. 
Botanica e Agricoltura . 


La società Imperiale d’economia rurale di Mosca ha istitui- 
to in vicinanza di quella Capitale una tenuta sperimentale. ed 
una scuola d’ agricoltura , ove si ha principa Imente in mira la 
coltura delle piante più utili, anche nuove e prima non coltivate, 
il miglioramento dei metodi di coltura , allontanandosi il meno 
possibile dai già praticati in Russia, il perfezionamento degli 


strumenti agrarii, senza troppo scostarsi dai già usati, e senza 


renderli troppo dispendiosi, lo stabilimento di quelle rotazioni 
che l’ esperienze comparative dimostrino più convenienti, l’ in- 
dagine dei mezzi conducenti a bene educare i hestiami, a mi- 
gliorarne le razze, ed a ricavarne il maggior profitto , lo stabi- 
limento. d’ un -semenzaio d’ alberi forestieri per naturalizzarne 
delle nuove specie da importarsi specialmente dalla Siberia. e 
dall’ America settentrionale, ed in fine l’esibire ai proprietarii i 
modelli degli edifizi rurali più comodi, più economici, e più 
adattati alle faccende campestri. 

A quest’oggetto la società ha preso in affitto un vasto ter- 
reno , ove, disseccate prima le parti più basse ed umide , si è 
cominciato a seminare nei luoghi adattati, ed a fabricare i ne- 
cessarii edifizi. 

Qualunque proprietario voglia ‘introdurre nei suoi possessi i 
metodi o gli strumenti usati nella ténuta sperimentale, può in- 
viarvi un alunno, che è ricevato gratuitamente, e mabtenuto a 
spese della società suddetta. Gli alunni devono restare alla te- 
nuta sperimentale per due anni, onde apprendervi l’intero corso 
dei lavori. 

La scuola d’ agricoltura, ove sono adottati i sistemi ricono» 
sciuti utili nella tenuta sperimentale, ha per oggetto di dare alla 
Russia dei coltivatori capaci di dirigere e d’eseguire essi mede- 


3 


ut 
simi tutte le faccende campestri, di formare abili agenti di cam- 
pagna atti a migliorar l'agricoltura, e diffondere le buone pra- 
tiche. 

Ecco l’ istruzione che vi si porgerà in cinque anni ‘suc- 
cessivi. 

Anno 1. Catechismo ; grammatica russa e calligrafia ; ari- 
tmetica; principii di disegno per disporre gli allievi a far le 
piante dei terreni. 

Anno 2. Elementi di geografia; statistica della Russia , che 
contemplerà i prodotti agrarii di ciascuna provincia, i principali 
sfoghi di essi ed i mezzi di trasportarli, i principali stabilimenti 
di manifatture, fabbriche ec; elementi di geometria; nozioni ge- 
nerali di meccanica, per l’ intelligenza delle macchine e stru- 
menti. 

Anno 3. Nozioni generali di chimica agraria; agronomia, chie 
abbraccia lo studio delle parti costituenti i terreni, quello dei 
principii che favoriscono o contrariano la vegetazione , quello 
delle cause di fertilità o sterilità del terreno, e dei mezzi di 
corregger le ultime ; la classazione dei terreni secondo la varia 
loro costituzione ; l’ analisi per riconoscer questa ; la stima dei 
terreni; la loro misurazione e formazione delle mappe; l’ archi- 
tettura rurale. 

Anno 4. Botanica rurale (vi sarà un giardino per uso della 
scuola); elementi di fisiologia vegetabile; agricoltura propriamente 
detta, o riunione di tutte le nozioni relative alla coltura dei ter- 
reni; la coltura dei campi, dei giardini, e dei boschi; |’ indica- 
zione dei terreni sui quali riescono a preferenza le diverse spe- 
cie d’ alberi; l’ economia delle foreste. 

Anno 5. Studio risguardante il modo di moltiplicare ed e- 
ducare col maggior vantaggio gli animali domestici, e di miglio- 
rarne le razze; veterinaria; economia domestica ; la contabilità, 
o il modo di tenere i libri di scrittura. 

Agli stadii teorici della scuola d’ agricoltura gli alunni ac- 
coppieranno gli studii pratici, assistendo alle operazioni che si 
fanno nella tenuta sperimentale, Si pagano 500 franchi per il 
primo anno; 400 per ciascuno dei successivi. 

Il giornale della società farà conoscere i lavori della scuola 
d’ agricoltura, ed i risultati degli esperimenti della te nuta. 


Vien raccomandato come dî alimento molto ricercato da 
ogni specie di bestiami la Vici4 diennis ILin. Questa piatta dà 
Un prodotto abbondante e precoce, e può amministrarsi fino dalla 

T. XVI. Ottobre. 12 


173 
primavera. Si semina in estate fino alla fine dell’ autunno , e sì 
può usare tanto verde quanto secca. Sembra atta a migliorare 
le praterie aride e disseccate. Fiorisce in luglio, agosto, e set- 
tembre; è originaria della Siberia , però può sopportare i freddi 


più rigidi. 


È anche lodata per l’ uso stesso l’A/chemilla vulgaris Lin; 
specialmente per i terreni umidi e soggetti ad inondazioni, dalle 
quali non risente danno. ® molto stimata in Svizzera; i bestiami 
se ne cibano volentieri, e le vacche alimentate con essa danno 
un buon latte, con cui si preparano formaggi eccellenti. 


Si cita all'opposto una pianta velenosa , la quale mangiata 
dalle vacche, senza fare ad esse alcun danno, comunica qualità 
così nocive al latte da esse prodotto, che le persone le quali 
ne bevono provano nausee, vomito, vertigini, visione confa- 
sa, e febbre con esacerbazioni irregolari. Finalmente questi 
mali terminano o colla paralisi e col coma, o anche colla morte, 
che sopravviene dopo sei o sette giorni. Anche le carni delle 
vacche nutrite di tal’erba fanno gran danno ai cani ed ai gatti 
che se ne cibino, Questa pianta, che non è stata descritta, si 
trova nello stato di Ténessée nell'America settentrionale, ed an- 
che nello stato dell’ Ohio, secondochè riferiscono i dottori Gall 
ed Aso Coleman, 


Ecco un mezzo di ringiovanire e render produttivi i vecchi 
alberi da frutti. Un proprietario inglese aveva nel suo giardino 
alquanti vecchi meli, che non producevano più frutti. Nell’ in- 
verno egli prese della calce viva, e stemperatala in acqua, stese 
con un pennello uno strato di essa sopra tutti quei vecchi al- 
beri. Ne risultò la distruzione totale di tutti i muschi ed insetti, 
cadde la vecchia scorza cui ne successe una nuova, cosicchè 
questi alberi, alcuni dei quali hanno più di 20 anni, ripresero 
aspetto di vigore e di gioventù. 


Il sigg Davies di Solugh ha resi noti i risultati d’ un suo 
tentativo per affrettare e completare la maturazione dei frutti 
prodotti da alberi tenuti a spalliera. Egli fece tinger di nero la 
metà di quella parte d’ un muro a cui era appoggiato un tes- 
suto reticolato di legno, sul quale erano distesi dei rami di vite, 
lisciando bianco il rimanente. Le uve della prima metà , corri- 
spondente al muro tinto diventarono assai più grosse e più ma- 


179 


ture che quelle della seconda, e si trovarono del peso di libbre 
10, mentre quelle dell’altra metà non oltrepassarono libbre 71f2. 
Anche i rami della prima parte erano più vigorosi, e più vestiti 


di foglie. 


L’analisi delle principali fra le sostanze vegetabili, che si 
amministrano agli animali per loro alimento, ha dimostrato 
contenere esse respettivamente le seguenti proporzioni di mate- 
ria nutriente, preso per termine di confronto il fieno comu- 


ne secco. 


Per produrre l’effetto nutriente di 100 libbre di fieno co- 


mune secco si richiedono 


Erba medica 
Lupinella 
Trifoglio 
Piselli 
Veccie 
Spergola 
Patate 
Cavol rapa 
Carote 
Barbebietole 
Rape 
__. Ovvero esistono in 
Libbre 1roo di fieno parti nutrienti 


medica 
trifoglio 
lupinella 
spergola 
piselli 
veccie 


secche 


patate 
cavol rapa 
carote 
barbietole PRIA 
rape 


verdi 


verde 
ib. 450 


29 


450 
450 
450 
450 
450 
200 
350 
266 
460 
525 


secco 


lib. 


lib. 


»”» 


90 
90 
90 
90 
90 
90 


50 


IO 


I due balsami del Perù e del Tolù'sono stati fin quì riguardati 
come produzioni di due piante di diverso genere , una delle quali 
detta Myroxilum peruiferum, V altra Toluifera balsamum. Il 


180 


sig. Richard, appoggiandosi ad argomenti validi, e soprattutto 
alle relazioni del celebre sig. De Humboldt, ha provato che il 
genere Zoluifera non esiste, e che la pianta che produce il 
balsamo del Tolù è anch’ essa del genere Myroxi/um , differi- 
sce moltissimo dal Perwiferum, e deve però chiamarsi Myro- 
xilum Toluiferum . 


L’arte di lavorare i fanghi in cera, già da lungo tempo 
sollecitata da’ bottanici, e non ha guari coltivata in Milano 
per opera del sig /gnazio Pizzagalli ha ricevuto di recente 
la maggiore perfezione tra le mani del sig. Zuigî Calamai 
Fiorentino. Questi ha modellato in cera 25 specie di funghi 
nativi de’ contorni di Firenze, con tanta somiglianza a’ funghi 
naturali, che riconosciutone il pregio, sono stati immantinente 
acquistati per un gabinetto di funghi da annettarsi all’ orto 
botanico dell’università Pontificia di Bologna, Il medesimo si 
propone di seguitare a modellare tutte le altre specie della 
campagna fiorentina, e così potrà appagare da un lato il de- 
siderio de’ botanici, che per la difficoltà di far prosciugare 
e seccare i funghi interi, cercano la via di riempi ere questa la- 
cuna nei loro erbarii, e dall’ altro renderà il più utile servizio 
alle scuole botaniche, ed alla pubblica utilità , somministran- 
do in questa guisa gli esemplari de’ funghi buoni, e de’ noci- 
vi; la qual cosa quanto sia importante, lo sanno disgraziata- 
mente gli abitanti di quei paesi, ove l’ avvelenamento pe’ fun- 
ghi mangiati non è raro che accada. Il detto sig. Calamai 
abita in Firenze in via della Crocetta al N. 6243. 


Il freddo straordinario del gennaio 1820 avendo danneggiato 
grandemente gli olivi, il sig. Giuseppe Jean, proprietario fran- 
cese, imaginò di reciderne tutti i grossi rami a qualche distanza 
dal tronco, e di sotterrare dell’ erbe fresche intorno alle radi- 
ci. Andò poi successivamente tagliando i getti che sorgevano 
da esse radici. Colle quali diligenze egli arrivò a salvare 25 
piante d’olivo per ogni centinaio . 


A Stropshire in Inghilterra si ricava dall’ortica, urtica. 
urens, un filo paragonabile a quello del lino, e di cui si fan- 
no delle tele. La pianta seccata è data per alimento al be- 
stiame. In Russia ne ricavano una tinta verde dalle foglie, 
ed una gialla dalle radici. In primavera si ricava dalle sue 
*enere estremità un sugo salubre. In Scozia si adopra un 


18 
decotto d’ortica in vece di presame per la fabbricazione dei 
formaggi. 


GEOGRAFIA , STATISTICA E VIAGGI SCIENTIFICI . 


Statistica dell'isola di Sardegna. ( articolo estratto dal 
Bullettino del sig. di Ferussac ) Abbiamo la fortuna di potere 
offerire ai nostri lettori delle notizie tanto certe, e tanto com- 
Plete quanto è possibile d’ ottenerle intorno alla popolazione di 
quest’ isola sì poco conosciuta , o lo stato, ancora sì poco sodisfa- 
ciente, dei registri civili in quest’ isola. Il quadro seguente, for - 
mato nel paese stesso da un pubblico funzionario con tutta la 
diligenza possibile, presenta la nuova organizzazione civile in pro- 
vincie , a forma dell’ editto del Re del 27 dicembre 1814, orga- 
nizzazione che succede alla divisione ecclesiastica che vi esisteva, 
come anche presenta il numero dei distretti, e dei comuni com- 
presi in quelle provincie , e le rispettive popolazioni di queste. 


Provincie Distretti Comunità Popolazione delle 
Provincie 
Cagliari 9 61 95, 779 
Busachi 8 8I 63, 270 
Iglesias 3 14 36, 685 
Isili 7 51 44, 172 
Lanusei 4 24 24, 541 
Nuoro 7 {2 47, 994 
Sassari 3 25 54; 717 
Alghero 33 20 26, 659 
Cuglieri borgi 25 30, 117 
Ozieri 4 22 38, 132 
<p 365 461, 976 


Viaggio nell’ interno dell’ Africa del tenente Clapperton- 
Estratto da una lettera di Ti ripoli del dì 7 settembre ulti- 
mo. — Giorni sono vi mandai una notarella relativa ai viaggia- 
tori inglesi che esplorano attualmente la Nigrizia (vedi il pre- 
cedente bullettino ). A malgrado della desolante segretezza dl 
questo console britannico, che non vuol dir nulla di quanto gle 
scrivono i Viaggiatori, si sa per cosa certa che da gran tempo 
hanno questi discoperto il Nilo dei neri, il Niger degli ‘anti- 
chi, e che anzi il tenente Clapperton percorre e descrive da 
più mesi le sue sponde, le sue diramazioni, e le regioni eircon- 


152 
vicine. Egli ha mandato qui una bottiglia piena d’acqua attinta 
da quel fiume famoso, ed io ne ho bevuto un bicchierino. Mà 
di più non ne sappiamo, nè potremo saperne, se non quanto 
possa dall’ Inghilterra venir di rimbalzo ,,. 


Statistica della Toscana. Lettera del M. C. Ridolfi al 
Direttore dell’ Antologia. Mi accorgo di un errore introdotto 
dal copista nella mia memoria sul commercio frumentario stam- 
pata nel suo giornale (1), e mi affretto a correggerlo . 

Si legge in una nota che il dazio comunitativo ammonta a 
lire 10,791,663. 3. 6. mentre non è di fatto che lire 6,551,063. 3. 6. 
diviso nei seguenti titoli ,, Tassa prediale lire 4,090,600. 

Spese comunitative, ,, 2,310,463. 3. 6. 
Spese per. il catasto ,, 150,000 


Totale Lire 6,551,063. 3. 6. 


Spero che ella vorrà inserire nel prossimo numero dell’An- 
tologia questa mia dichiarazione dovuta alla verità. 
Mi creda frattanto 
Suo Dev. Servo 
C. RIDOLFI. 
Firenze 30 settembre 1824. 


SOCIETA" SCIENTIFICHE. 
I. e R. Accademia dei Georgofili. 


L’ I. e R. Accademia dei Georgofili tenne, sotto la presi- 
denza di S. E. il sig. Cav. March. Garzoni Venturi Governatore 
di Livorno, la sua solenne annua adunanza nella mattina dei 26 
settembre 1824. onorata da scelta numerosissima udienza, la 
quale vi ascoltò col più vivo interesse, in primo luogo un giu- 
sto tributo di lode che | Accademia pagava alla gloriosa me- 
moria del defunto Granduca Ferdinando terzo per l’ organo del 
dotto Accademico sig. Avv. Collini, quindi l’ istoria degli studii 
e lavori accademici dell’anno egregiamente tessuta dal segretario 
degli atti sig. Marchese Ridolfi, e quella delle corrispondenze dal 
segretario sig. dot. Ferdinando Tartini Salvatici. Ci astenghiamo 
da far eonoscere ai nostri lettori in compendio queste pregevo- 


(1) Vedi Antologia Vol XIV. C. p: 97. 


195 
lissime produzioni, avendo divisato d’inserirle per intero nel pros- 
simo fascicolo di novembre . 

Dopo di queste il sig. Prof. Taddei lesse il rapporto della 
Deputazione ordinaria dell’ Accademia contenente il giudizio di 
quella intorno ai cinque aratri-coltri che erano stati esibiti in 
concorso al premio offerto di 4o zecchini. La deputazione tro- 
vando che niuno dei concorrenti aveva completamente sodisfatto 
al quesito, ma che alcuni vi si erano lodevolmente avvicinati , 
chiesta ed ottenuta dall’ Accademia la facoltà di divider la som- 
ma assegnata e d’accordarla ai più meritevoli, non come premio 
ma come incoraggiamento, assegnava zecchini 25 al coltro offerto 
dal sig. Marchese Ridolfi, e zecchini 15 all’ altro esibito dall’a- 
gricoltore Domenico Gennai, facendo onorevol menzione di quello 
presentato dal sig. Romanelli, e pubblicando per il successivo 
anno accademico il seguente: sa 
PROGRAMMA del premio proposto dall’ I. e R. Accademia eco- 

nomico-agraria dei Georgofili nell’ adunanza solenne dei 
26 settembre 1824. 


Sarà conferito un premio di zecchini venticinque all’ autore 
della memoria che meglio risolverà il seguente quesito : 


Con quali industrie potrebbero i possidenti della Maremma 
nell’ attuale stato economico-agrario del lero paese avvantag- 
giarne la cultura, ed aumentare i profitti della medesima? 


Le memorie dovranno essere inviate dentro il mese di lu- 
glio 1825. al segretario delle corrispondenze della suddetta I. e 
R. Accademia, fregiate di un’ epigrafe da ripetersi sopra un bi- 
glietto sigillato, che conterrà il nome e il domicilio del concor- 
rente, e che dovrà esser rimesso unitamente a ciascuna me- 
moria. 0 

In fine fu letto il consueto rapporto annuo del direttore 
dell’orto sperimentale sig. prof. Ottaviano Targioni Tozzetti, in 
cui si esponevano i risultamenti delle fatte esperienze agrarie, le 
vicende delle stagioni, e la loro influenza sui prodotti della ve- 
getazione- 


Società agraria di Torino. 


Seduta del 7. settem. 1824. La Real società agraria ha tenuto 


184 
in questi giorni una straordinaria adananza; fra le varie cose che 
sono state presentate, le seguenti sono rimarchevoli. 

1. Dal sig. Direttore, una raccolta di undici opuscoli pro o 
contro i vantaggi dei paragrandini , argomento che molto si agi- 
ta dagli agricoltori, e dai fisici italiani; 

2. Dal medesimo il disegno e piano di una carrozza a va- 
pore; del sig. Grisit; 

3. Varii coni di una varietà di pinus pinea,i di cui semi 
sono facilmente frangibili. 

Per parte del sig. Benissone, uno strano esempio di fecon- 
dità nelle noci; dieci frutti da una sola base. 

Per parte del professore Giobert, varii campioni di una fi- 
bra vegetabile finissima e flessibile, bianca, propria a’ tessuti, e 
soprattutto alla fabbricazione di carta sopraflina, proveniente detto 
tiglio da uno de’ nostri alberi coltivati comunemente. 

A nome di una giunta è stata letta una relazione intorno ai 
pregi di varie qualità di cotone provenienti dalla Sardegna. 

A nome di altra giunta è stata letta una relazione intorno 
a un trattato elementare di agricoltura, e progetto di stabilimento 
di scuole agrarie nelle differenti provincie. 

Una giunta è stata formata per |’ esame delle memorie che 
cominciano ad arrivare intorno al quesito e premio proposto sul 
Brusone de’ risi. 

Il Sig. Direttore ha letto la descrizione, e presentato il mo- 
dello di un granaio, nel quale, per la particolare disposizione 
delle cose,sempre il grano si mette in moto, e si tiene aerato. Questa 
ingegnosa costruzione è del Cavaliere Moretti. 

Il Sig. Luciano, Veterinario, ha presentato varii calcoli in- 
testinali di un cavallo di strana grossezza, e di struttura particolare, 
ed ha letto una memoria contenente congetture intorno alla loro 
origine e formazione. 


SCOPERTE E INVENZIONI. 


Il sig. Antonio Regas di Madrid in seguito di varii esperi- 
menti ha riconosciuto che si può realmente filar la seta a freddo 
come altri avevano affermato, purchè i bozzoli sieno stati prima 
trattati con acqua calda per disciogliere o rammollire la materia 
glutinosa che lega il filo. Ad ottenere il quale effe tto si richiede 
una temperatura più o meno elevata, ed un’ operazione più o 
meno prolungata, secondo il vario stato di secchezza della ma-i 
teiia glutinosa. La seta filata a freddo ha le stesse qualità di 


185 
quella filata col metodo ordinario, in confronto del quale il nuo- 
vo sembra più comodo, più economico, e più sano. 


Il sig. Sumuel Brown inglese ha imaginato una nuova mac- 
china da sostituirsi a quelle a vapore in certe applicazioni, ma 
la cui forza è sempre inferiore a quella della semplice pressione 
dell’ atmosfera. La parte principale di questa macchina è un ci- 
lindro, o altro vaso aperto, nel quale introdotto del gas idro- 
gene, ed accesolo , si chiude esattamente il cilindro, nel quale 
seguita la combustione finchè l’ aria interna lo permette. Il ca- 
lore sviluppatosi espandendo l’aria interna del cilindro, ne fa 
uscire una parte per valvole appropriate, per lo che, e per la 


‘ disparizione del gas idrogene e della corrispondente proporzione 


di gas ossigene trasformati in acqua, si forma nell’ interno del 
cilindro una rarefazione o una specie di vuoto, contro il qua- 
le l’aria atmosferica esercitando la sua pressione, divien causa 
dell’ azione della macchina, per elevare acqua, e produrre altri 
effetti. Si possono disporre più cilindri, in ciascuno dei quali la 


quantità del gas che s’ impiega per ottenere l’ effetto è assai 
piccola. 


Per ottenere dalla distillazione delle piante aromatiche , e 
specialmente dai fiori d’ arancio, un’ acqua migliore dell’‘ordina- 
ria, e meno soggetta ad alterarsi, il sig. Cadet de Vaux ha sug- 
gerito recentemente un mezzo semplicissimo e di cui noi stessi 
facendo uso da lungo tempo avevamo riconosciuto l’utilità. Esso 


‘ consiste nel porre i fiori d’arancio , o altre materie vegetabili 


odoranti, non a contatto delle pareti del vaso distillatorio, ma 
in mezzo di esso, e contenute in una cestella di giunchi , o di 
filo metallico, o anche in una semplice rete sospesavi, ed esposta 
al vapore dell’ acqua che bolle nel vaso stesso. 


La medicina prescrive talvolta il ferro nello stato metallico, 
e ridotto in particelle tenuissime , che non si ottengono se non 
triturando lungamente sul porfido la limatura di ferro. 

Il sig. Gaetano Rosina pretende che si possa ottenerlo col 
seguente suo processo. Egli prende del filo di ferro del diametro 
di tre linee e mezzo, e piegatolo più volte sopra sè stesso, assai 
stretto per escludere possibilmente l’ aria atmosferica, ne fa dei 
gruppi del diametro d’ un pollice e lunghi due. Ricoperti questi 
con più strati d’ argilla stemperata in acqua e priva di sabbia, 
allorchè sieno bene asciutti e non presentino fessura alcuna ; li 


186 


espone per circa 6 giorni al fuoco d’ una fornace da mattoni. 
Con questo mezzo l’ autore afferma che il ferro, senza ossidarsi, 
diviene così fragile , che si polverizza colla più grande facilità 
triturandolo in un mortaio. 

La duttilità essendo una proprietà ingenita al ferro ed in> 
separabile da lui finchè conserva lo stato di puro metallo , noi 
siamo intimamente persuasi che se nel processo del sig. Rosina 
il ferro acquista l’asserta fragilità , ciò non possa decidete che 
per il suo passaggio allo stato o d’ ossido, o di carburo, o d’ al- 
tra combinazione. 


Madama Richardson inglese ha trovato un mezzo faci!e per 
purgare dalla materia grassa o oleosa che le imbratta, le penne 
che s’ impiegano a scrivere. Il suo processo consiste nel tenerle 
per tre o quattro giorni immerse in acqua di calce saturata, nel 
lavarle in seguito diligentemente in acqua pura, e quindi farle . 
asciugare con prontezza. L’ efficacia di questo semplice mezzo è 
stata riconosciuta , e Mad. Richardson ha ottenuto dalla società 
d’incoraggimento per le arti manifatture e commercio una ri- 
compensa di 20 ghinee. 


Si conoscono diverse seghe rette e circolari, medianti le quali, 
mosse con facili mezzi meccanici , le diverse specie di legnami 
si riducono con facilità ed economia in tavole ed in altre forme 
acconcie ai bisogni dell’ arti. Ora il sig. Hacks ha imaginato una 
sega, colla quale si recidono gli alberi al piede nei boschi stessi 
con molta prontezza e facilità. La macchina è di facil trasporto, 
non presenta difficoltà nella sua montatura ed esercizio , e col- 
l’opera di soli due uomini recide in quattro minuti nn’ albero 
del diametro di due palmi, 


Il sig. Thomas a Colmar, il sig. Chevalier a Dresda, e più 
ancora il sig. Chomas in Russia, uno indipendentemente dall'altro, 
coll’ uso di, macchine e di processi appropriati, son giunti a forma- 
re con una grande rapidità un gran numero di mattoni d’ ogni 
forma e dimensione, e nei quali l’ argilla essendo assai compatta, 
ne rende pronto l’ asciugamento e la cottura. Formano anche 
coll’ argilla stessa ogni specie di materiali e d’ oggetti per uso 
delle costruzioni sì civili che militari, qualunque ne sia la for- 
ma, ornati, colonne, capitelli, ec. 


Il sig. colonnello Goldfineh ha ottenuto un premio per ave- 
re imaginato e costruito dei ferri da cavalli d’ una nuova ed in- 


187 
gegnosa struttura, che consiste nel formarli ciascuno di due par- 
ti, unite insieme per mezzo d’ una cerniera. Questa disposizione 
ha per oggetto il render libera nei suoi movimenti 1’ unghia di 
questi animali, e quindi il preservarne le estremità da quelle 
fra le molte malattie che le investono , alle quali danno spesso 
causa i ferri ordinarii. 


A prevenire l’ incomodo che arreca la polvere delle strade, 
specialmente di quelle che sono destinate al passeggio in vici- 
nanza delle grandi città, il sig. Gi/mor di Newcastle propone di 
sostituire all’adacquamento semplice l’ uso d’ una forte soluzione 
di sal marino, che per la sua deliquescenza , o per la sua pro- 
prietà d’ assorbire l’ umidità dall’ atmosfera, manterrebbe la ter- 
ra sufficientemente umettata, specialmente rinnovando l’ irriga- 
zione di mese in mese o di sei in sei settimane. 

Le acque madri delle saline e delle nitriere, come formate 
di sali eminentemente deliquescenti , sarebbero, a parer nostro, 
assai più efficaci. Lo che notiamo nel tema dell’ autore , e pre- 
scindendo da ogni considerazione intorno all’ effetto che quelle 
materie saline produrrebbero sulle scarpe e stivali dei passegge- 
ri comodi, e sui piedi dei non pochi che passeggiano scalzi. 

G. GAZZERI 


Memoria sull’ uso ragionato delle macchine, letta da Gio. 
Barra. Lari nell’ adunanza de' 4. Cennaio 1824. dell’ I. e 
R. Accademia de’ Georgofili. Firenze. Stamp. del Marchi- 
ni, 1824. in 8 di pag. 59. prezzo Lire 1. 


Ci limiteremo, ad annunziare questo opuscolo , desiderando 
che quei che intendono a questo argomento ne giudichino dopo 
avere appagata la curiosità loro coll’ intera lettura del libro. 

Ma poichè alla memoria è premessa una lettera all’ edito- 
re dell’ Antologia, il quale in una nota vien tassato di parzia- 
lità perchè ricusò all’ una ed'all’ altra un luogo nel suo gior- 
nale, il pubblico giudicherà della giustizia di. tale accusa che il 
direttore dell’ Antologia si è tirata addosso temendo che un 
semplice atto d’ una adunanza accademica potesse far nasce- 
re una contesa letteraria, alla quale forse non avrebbero preso 
piacere i di lui associati» E per combinare questo suo dubbio col- 
la sodisfazione del desiderio del sig. Lapi, parevagli aver fatto 
abbastanza offerendosi di stampare a proprie spese e distribuire 


188 


col giornale ia detta memoria; offerta che fu prima rvocalmatite 
aecettata e quindi rigettata. 

E poichè il sig. Lapi si è fatto lecito di pubblicare la 
lettera scrittagli in tale occasione dal direttore dell’ Antologia, 
e non destinata sicuramente alla stampa, avrebbe potuto aggiun- 


gere quanto quest’ ultimo a voce al signor Lapi, e per lettera. 


al sig. A. Paolini disse, e scrisse sul tal proposito. 

Il rifiuto fatto della lettera , tal quale è ora pubblicata, 
siamo d’ avviso che in faccia al pubblico assolva sufficientemente 
l’editoré dalla taccia imputatagli di parzialità, 


BULLETTINO BIBLIOGRAFICO 
Annesso all’ Antologia (*) . 
N. XI. Ottobre 1824. 


162. Corso analitico di Chimica di G. Moson. Quarta edi- 


zione italiana corretta ed aumentata. GENOVA, presso Yves 


Gravier, Stamp. Librajo , 1824. 

Le continue ricerche che ci vengono fatte da varie parti, 
del Corso Analitico di Chimica del Prof. Mojon; le ripetute 
edizioni che di quest’ opera si sono succedute con rapidità, e le 
varie traduzioni da’ dotti chimici stranieri pubblicate , sono ba- 
stevoli argomenti dell’eccellenza dell’opera che ci proponiamo di 
riprodurre in una quarta edizione italiana. 

Quest'opera infatti è ormai divenuta il manuale di quasi 
tutte le scuole chimiche d’Italia ; il codice o guida di tutti co- 
Joro, che senza voler ricorrere a voluminosi trattati amano però 
di ben conoscere i rapporti che hanno i diversi corpi della na- 
tura tra di loro, e le mirabili leggi della loro composizione e 
decomposizione . 

Le grandiose scoperte che tutto giorno si vanno facendo da 
sommi chimici, e le nuove teoriche da essi proposte dietro sif- 
fatti ritrovati, rendevano necessarj de’ cambiamenti all'ultima 
edizione di quest’ opera , 


(*) I giudizi letterari dati anticipitamente sulle opere annunziate nel pre- 
sente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono 
somministrati dai sig. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna con- 
fonderlì con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima , siane 
come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. 


189 

Abbiamo quindi pregato  antore della stessa di volerci for- 
mire tutte quelle aggiunte e correzioni necessarie allo stato attuale 
della scienza, ed egli si è di buon grado prestato alle nostre 
istanze; ci lusinghiamo quindi che questa nuova edizione, nota- 
bilmente accresciuta di articoli del tutto nuovi ed importanti, 
otterrà presso il colto pubblico quello stesso accoglimento che 
già venne accordato alle antecedenti. 

L’opera sarà divisa in due volumi ; carta, formato, e caratteri 
simili al presente manifesto . 

Il primo tomo è già pubblicato, il secondo sarà distribuito 
al principio del mese di novembre prossimo ; il prezzo è fissato 
a franchi 6 per i due volumi; se ne sono stampate poche copie 
in carta velina, il prezzo è di io franchi. 

163. La Gerusalemme liberata. Poema di Torquaro Tas- 
so, ridotta a miglior lezione; aggiuntovi il confronto delle 
varianti tratte dalle più celebri edizioni, con note critiche sopra 
le medesime. Firenze 1824 presso Giuseppe Molini, all’. insegna 
di Dante . 2. vol. in 8. grande carta velina, con rittratto dell’A. 
inciso. da Luigi: Mossi, sotto la direzione del sig. Garava- 
glia. — Prezzo paoli 24. 

164. Storia della Scultura, dal suo risorgimento in Italia - 
sino al secolo di CANOVA ; del conte LEOPOLDO CICOGNARA, per 
servire di continuazione all’opera di /Vinckeimam e di d’ Agin- 
court — Edizione seconda, riveduta ed ampliata dall’ autore. 
Prato 1824. Fratelli Giachetti. Vol. quinto; libro quinto. 
Stato della Scultura nel tempo del Buonarroti, opeca terza di 
pag. 550 in 8. grande, Carta velina con tavole 30 in foglio . Prezzo 
Lire 22. 12. per gli associati. 

165. Collezione di tutti i drammi e opere diverse di CARLO 
GoLponI. Prato 1824. Fratelli Giachetti. Tomo terzo. 

166. Dei delitti e delle pene , del marchese CESARE BECCA- 
RIA, con l’ aggiunta d’ un’ esame critico dell’ Avv. ALDOBRAN- 
Do PAOLINI , ed altri opuscoli di legislazione , e giusisprudenza 
criminale. — renze presso L. Pezzati. Tom. VI ed ultimo 
in 8. prezzo Lir. 5. a carta comune, e lire 6. a carta velina. 

167. Cenni sulla. storia politica e letteraria degli italiani 
dedicati alla nobil signora Maria Buri, in occasione delle fauste 
sue nozze col nobil signore Andrea C. Giovannelli patrizio ve- 
neto. — Verona 1824. tip. Biselli, 8. di p. 122. 

165. Canzoni del Conte GIiAcoMO LEOPARDI, Bologna 1824. 
Nobili ec. ma vol. 8. di pag. 198. — prezzo lire 2 italiane. 

169. Annali d’ Italia, dal 1750, compilati da A. Coppi, Ir 


190 
Roma 1824. nella stamperia de Ramanis. — Tomo secondo, dal 
1797. al 1800. 8. di pag. 450. Prezzo paoli 9. 

170. Discorso intorno ad alcune regole principali dell’ arte 
critica, relativamente alle due dissertazioni della patria di Cri- 
stoforo Colombo, pubblicate ne’ volumi dell’ accademia reale delle 
scienze di Torino. Torino 1824, —coi tipi A/lianei,8. di p. 60. 

171. Di una paraplegia sanata col fuoco, osservazione indi- 
rizzata al sig. G. B. Palletta, dal D. LUIGI PACINI. Lucca. 1824. 
tip. Bertini. 8. di p. 19. 


Correzioni all’ articolo Legislazione dell’ avvocato Massa, 
inserito nel vol. XV. A. pag. 117. 


Errata. Corrige. 
Pag. 128. lin. 11. intero leggasi infesto 
» 130. , 16. reo di fatto ” reo di falso 
33 133. ,, 16. superstiziosa ” involta nella caligine 
della superstizione. 
»» 133. ,, 36. neconfonde gl’in- ,, ne confonde gl’ inte- 
teressi ec. ressi e di molti indi- 


vidui ne fa in certo 
modo unindividuo so- 
lo, donde scaturisce 
quel prezioso commer- 
cio di uffizi e quella 
necessità di conciliar- 
si l’altrui benevolenza 
con una regolarità di 
condotta atta acattiva- 
re l’ altrui stima , ciò 
che dà origine a un 
nuovo ordine di cose, 
al mondo morale. 
» 138 ,, 34. llegislatoresappia ,, che illegislatore sap- 
far uso pia far uso di questi 
tanti e sì utili vantag- 
gi; che discenda a cer- 
care nella miniera che 
gli si è aperta i ricchi 
metalli ond'è ricolma; 
che dalla medicina, ec. 


” 
2) 


be) 
2) 


23 


23 


2) 


2) 


r4U 
145. 


150, 
150, 


152,0 


152. 


152. 


154. 


»» 4. cioè delle legge 
» 22. agitata imagina- 


zione ec. 


»» 18. ab instantior 

33 27. rivenne 

»» 3. sembrami chiaro 
però ec. 


x» 9. civili e criminali 


»» 12. Ne’ secondi ec. 

» 10. ed ha il diritto 
d’ interrogare 

> tI. di lui protettori, 
I oppressione 


» É4-. (nota) Bavoult 


2) 
2) 


3) 
2) 
27 


2) 


2) 


1 9 I 
cioè della legge. 
agitata imaginazione, 
che solo offrendo 0g- 
getti di terrore, fa loro 
antivedere nel presen- 
te un avvenire altret- 
tanto funesto che ine- 
vitabile. 
ab instantia. 
rinvenne. 
ma anche in propor- 
zione più concludente 
dovendosi esigere la 
prova del fatto delit- 
tuoso e la giustifica- 
zione del guardato si- 
lenzio , essa diventa 
altrettanto più diffici- 
le,ciò che può essere un 
sufficente compenso. 
civili e criminali; nei 
primi de’ quali ec. 

e ne’ secondi ec. 

e ch’ egli ha il diritto 
d’ interrogare 

di lui protettori,ognun 
vede che l’ oppressio- 
ne ec. i 
Bavoust. 


FINE del Fascicolo XLVI. 


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i MPI: PANE “ Milani da 2 
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LUTTRS 


OSSERVAZIONI 
METEOROLOGICHE 


TATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO 
DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE 


Alto sopra il livello del mare piedi 205. 


OTTOBRE 1824. 


Termometro 


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7 mat. |28. 0,4 16,0! 15,1 80 | Lev. Nuv. rotte Ventic. 
I| mezzog. |28. 0,3 16,4 18,0 56, Levi |Ser. nuv. Ventic. 
rt sera |28. 1,0 17,3 17,3 $0 (Spiri Piovig. Calma 
7 mat. |27. 11,2 16,9| 16,4| 80 Lev. Nuvoloso Calma 
| mezzog. |27. 11,2 16,5 16,2| 84 |o,or Lev. |Piovoso Vento 
II sera |27. 11,3 16,4 16,0] go |0,53 Lev.  |Pioggia Calma 
| 7 mat. |27. 11,2 16,0} 15,5 95 | *Sc.Lev. Nuvoloso Calma 
}l mezzog. |28. 0,2 16,9]. 18,2] 70 | Pon.Li.|Nuvolo Vento 
| ri sera |28. 1,6 | 16,91 16,0) go Scir. ‘|Sereno Calma 
7 mat. e 0,6 | 16,0) 13,3. 92 Scir. |Bel sereno Calma 
| mezzog. 28. pot 16,4 16,5 5 69 Gre. Tr.|Ser.con nuv. Calma 
| 11 sera /28. 16,9 __164 96 Lev. _|Nuvolo Calma 
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(7 mat. |27. gi | 70, 16,9' 92 |0 0,04|Sc.Lev.|Piog. Ventic- 
mezzog. |27. 9,2 17,3 178/92 | 0,03 Sc.Lev.|Piovoso. Calma 
Ir sera |28. 8,9 17,1 io, L- \ 0,17 17|Scir. . |Nuvolo Calma 
7 mat. |27. 8,6 16,4 15 ,3| 96 \Scir, Nuvolo Calma 


mezzog. |28. 9,0 16,9 16,5 88 0,05' Pon.Li.|Nuvolo Ventic. 
11 sera |28. 09,5 |} 16,611 15 ri 91 Cp7T rame Pioggia Calma 


Termom. 


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8 | mezzog. |27. 9,3 16,0 15,5) 87 |o,11 Sc. Lev Nuvolo Calma 
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n) 7 mat. |27. 6,7 15,I 13,4 gb, Sc. Lev Nuv. gonfi Calma 
9 | mezzog. 27. 7,6 16,0] 15, 9) do Sc. Lev Nuv. Ventic. 
11 sera !27. 7,9 15,1] 13,8! 93 'o,11'Scir. ‘Sereno Calma 
|\7 mat. |27. 79 15,5" ‘13,4 99 | iScir. |Nuv. rotti Calma 
10 mezzog. |27. 8,4 15,5) 16,4 82 |0,28 Scir. |Nuv.rotti Ventic. 
11 sera (27. 9,0 | 15,8) 14,7 92 I Lib. |Sereno ‘ Ventic. 
n mat. |27. 8,2 - 14,9 Ia 93° Scir. |Nuyvolo Calma 
ti mezzog. 27. 7,3 15,51 16, '5 68 | Lev. (Nuvolo Ventic;| 
| rt sera 27. 71 | 15,5 14,4 80 0,35 Pon. L. Sereno Ventic. 
7 mat. 27. 7. 6,2| 15,3] 12,9) 96 |0,12}Tram. |Pioggia Vento 
12| mezzog. |27. 6,1 14,6) 15,0 72 Lev. |Minacc. Vento 
11 sera |27. 7,6 14,7 13,3: 61 | 0,02 Pon. L.|Misto Vento forte 
Si 7 mat. 27. 8,2 14,2| 12,2| 70 — —|Ostro |Sereno Calma 
r3' mezzog. |27.. 94 14,6 16,0) 60 Lev. |Navolo Vento 
rr sera |27. 9,9 19,1|. 1439| Gi lor Os.Lib \Pioggia Vento 
| 7 mat. |27. 9,7 15,1 14,51 gi [0,06 Lib. |Nuv. . gonfi Calma 
1/4 mezzog. |27. 10,0 15,3] 16,5) 68 Pon. L.'Nuvoli rotti Vento 
ri sera 27. 10,6 15,9] 15,3| 92 | 0,o1;Os.Lib |Nuvolo Calma 
7 mat. |27. 10,4 16,01 14,7] 89° Os.Lib Sereno Vento 
15 mezzog. |27. 10,3 16,0 18,0] 70 Os.Lib | Nuvolo Vento 
| rt sera |27. 9,71. 16,1] 16,2] 92] Lib. |Nuvolo Calma 
7 mat. 27. 94 16, ;2| 15,7 81 — |Os. Sc.'Nuvolo Calma 
16) mezzog. (27. 9;3 16,4, di | 75 Os. Lib Nuvolo Vento 
1v.sera |27. 8,7 161) 1 15,3! gr 1,25 Lib. |Nuvolo Calma 
‘7 mat. |27. 97 15,9) 13 3,5! 92 stro Nuvolo Calma 
17| mezzog. |27. 10,3 13,8! 15,5) VI Lib. |Nuv. e ser. Vento 
rx sera 27. 11,0 15,5 55) 12,4 85 | 0,03 Tram. 'Nuv. piov.  Ventic. 
7 mat. |28. 0,3 14,2 10,8. 65 0,01 Tr. Gr. Sereno Ventie 
18| mezzog: |28. 1,4 14,0 13,3 49 Tr. Gr. Ser.con nuv. Vento 
ri sera |28. 2,5 43;5; 9,5 55 Tram, |Sereno Vento), 
7 mat. ‘28. 3, 12,6, - | dojo: 58. Tram. {Bel ser. Vento 
r9| mezzog. 28. 3,6 12,4 11,7 45 Tr. Gr. Sereno Ventici 
risera 28. 4,2 12,6 9,0 dr "Tr. Gr. Bel sereno Ventic; 


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Ro] mezzog. |28. 4,0 12,1 12,4! 44 Tr. Gr.' Bel ser. Calma 
11 sera |28. 4,0 t2,4| 10,2] 72 Sci. Le Sereno Calma 
7 mat. |28. 3,9 10,8 7,1) 87 Scir. |Bel ser. Calma 
PI] mezzog. |28. 3,9 r1isgdb taz) (62 Scir. |Belser. Calma 
11 sera |28. 3,9 11,7 9;8| 85 Scir. Sereno Calma 
7 mat. |28. 3,8 10,6 733| gl | Scir. |Sereno Calma ; 
z| mezzog. 28. 3,8 11,3] 11,3 68 Ser: (Sereno Calma 
risera |28. 3,9 12,0 8,5) 90 Sci. Le Sereno Calma |! 
7 mat. |28. 3,7 11,1 3,0! go Scir. Coperto Calma 
3] mezzog. |28. 3,9 11,5) 13,0] 75 Scir. ‘Coperto Calma 
11 sera |28. 3,6 12,4| 12,9, 83 | o,o4|Lev. | Nuvolo Calma 
| 7 mat. |28. 3,2 12;4| 11,5) 95 1Os.| Sci.| Piovigginoso Calma : 
4! mezzog. |28. 3,0 12,0] 13,3) 80 0,04. Scir. {Nuvolo Calma 
tI sera |28. 3,0 13,3| 12,1) 95 | 0,04 Tram. [Sereno Calma 
$ | 7 mat. {28. 1,8 124 | 10,0] 93 Scir. |Sereno regna. Calma 
5| mezzog. 128. 1,7 Ill 139,6: 70 iLev. {Nuvoli rotti. Calma 
rI sera (28. 0,5 13,8] 13,5 82 ‘Sci. Le|Nuvolo rotto Vento 
| | 7 mat. |28. 0,4 13,8, 1,0) 96 | 0,33|Sc. Le. Pioggia î Calma 
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11 sera |28. 28. 04 13,5 12,9 92 Os.Lib. Nuvolo rotto Calma 
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ff | 7 mat. [27. 6,9 13,8] 14,7] 85 Lib. |Nuv. bur. Vento fiero 
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i{fY] mezzog. |27. 11,4 12,4 9,9! 25 i Tram. |Ser. bellis. Vento 
i” 4 r* sera |27. 11,8 12,4 8,0| 4,9 Sc Le.|Velato Ventic. 


3 


FENOMENI 


DI VARIO GENERE. 


11. Alle ore 5. 1/2. pom. gran pioggia con lampi e tuoni. 
12. Fra giorno furioso Libeccio. 
16. Dalle 6. pom. fino all’8. 1f2. replicate fortissime scosse di 


acqua grandine e tuoni con vento furioso. 


ANTOLOGIA 


N. XLVII. Novembre, 1824. 


Les Hermites en liberte par E. Jour et A. Jar. 
( Continuazione ) 


Uno de’ miei più vecchi amici (siamo alla quinta lettera 
de’ nostri buoni eremiti, la qual porta la data dei 27 gennajo ) 


hi 


è caduto in una strana specie di follia. Ad ogni domanda che gli 
si faccia, ad ogni osservazione che ascolti, egli non risponde o non 
; replica che questa parola : perchè? ,, 

Chi scrive (mi dimenticava di avvisarvene ) è l’ere- 
mita della riva destra. Desideroso e per affetto e per filo- 
sofica curiosità di seguire i progressi della malattia del 
povero amico; gli fa visite frequenti. L’ ultima volta che 
fu da lui, il povero amico gli dicea d’ aver passata la vita 
a domandar conto alla natura della propria ignoranza, 
d’ aver interrogato tutte le scienze , d’ aver interrogato il 
sentimento intimo di tutti gli uomini , senza ottener mai 
il minimo schiarimento sul gran mistero in cui il mondo 
fisico e il mondo morale gli sembra involto. 

Stanco di questo volo ardito in uno spazio senza limiti e senza 
misura , sono ridisceso sulla terra, che ho percorsa per ogni ver- 
so, onde cercare il perchè degli usi , de’ costumi, delle istituzioni 
de’ diversi popoli, e non ho trovato per tutto che assurdi, follie, , 
contradizioni! ,, 

A molti altri suoi lamenti egli aggiungeva questa 
confessione : 

La curiosità fece il tormento della mia adolescenza. Io do- 


T. XVI. IVovembre x 


2 


mandava con semplicità; e mi sì rispondeva senza buona fede ; 
io cercava il vero, e si metteva la mia debole intelligenza sulla 
via del falso. L'amore, che divorò la mia giovinezza, mi lasciò 
convinto ch’esso non ci concentra in noi stessi se non per renderci 
affatto infelici, e che cessa d'essere un piacere quando cessa d’es- 
sere una follia 

Disgustato di questo romanzo studiai l’ istoria. Ammasso ri- 
buttante d’ assurdi, di bassezze e di menzogne! Ma perchè tatti 
coloro , che si diedero a scriverla, sembrano essersi accordati ad 
accreditar l’ errore, e pervertire il nostro giudizio ? Bayle mi ri» 
sponde: quand’ essi vollero dire la verità, non poterono ; quando 


poterono , non vollero . . . ,, 


Il buon eremita lo lasciò parlare finchè volle senza 
interromperlo ; indi , rimproverandolo con molta dolcez- 
za, mista di certa lusinga , che si perdesse a domandare 
al passato e all’ avvenire la spiegazione di misteri impe- 
netrabili all’umano intelletto , proseguì: 

Ma perchè, vi domanderò io pure, non applicate la vostra 
mente a cose più utili e per voi e per gli altri? Lasciate tutte 
le vostre teorie speculative sul passato che non è più, sull’ avve- 
nire che ancor non è; ed occupatew del presente che vi appar- 
tiene. ,, 

Olr! rispose il povero amico , parmi udire un medico , il 
qual dica ad uno sgraziato che soffre: ubbriacati e non sentirai 
i tuoi dolori. Il presente; di cui volete ch'io m’ occupi , non è 
forse così spaventevole come il passato; così oscuro come |’ av- 
venire? Mi sono tenuto un istante dietro il teatro , ho veduto 
apprestarne le decorazioni; vestirsi e sostenere le lor parti gli 
attori di quella tragicomedia , di cui il caso, sotto\nome di po- 
litica, dispone le scene; e non vi ho capito nulla. ,, 

E seguitò su questo tuono un lungo discorso, a cui | 
l' eremita, secondo le sue espressioni, si guardò bene dal 
contradire , perchè la contradizione avrebbe inasprito 
senza frutto uno spirito della tempra del povero amico. 
Ma veramente il motivo del suo silenzio fu tutt’ altro. La 
malattia del povero amico (malattia di genere contagioso) 
gli si era attaccata. Infatti egli confessa che tornando a 
Parigi pei Campi Elisil, e pensando a ciò che aveva udito, 


| 
| 
| 


3 


si mise anch’ egli ad interrogare le sue rimembranze , le 


impressioni ricevute, gli usi antichi, i costumi contem- 
poranei . 


Figlia del tempo, diceva alla storia, madre dell’ esperienza 
e consigliera degli uomini, non potresti ta spiegarmi perchè i 
tuoi documenti più certi lascino in tanta incertezza? Perchè tu 
abbi serbata memoria di tante false virtà , e lasciate nell’ oblio 
tante azioni generose? , .. 

Perchè le lingue e le città, formate le une e le altre di rac- 
cozzamenti, di tugurj e di palazzi riuniti, di voci barbare e di 
parole pompose, sono sì incomode, e di sì viziosa costruzione ? 

Perchè i paesi più caldi sono precisamente quelli in cui gli 
uomini hanno gran cura di caricarsi la testa con una specie di 
piramide d’ un peso enorme, e di avvolgersi il corpo fra le stoffe 
più ampie e più dense, mentre i popoli dell’occidente e del set- 
tentrione , stretti fra vesti leggiere, punto non pensano a ripa- 
rarsi dal rigore del loro clima ? 

Perchè nella nazione, che pretende maggiormente al vanto 
della grazia e dell’ eleganza, gli uomini circondano il loro collo 
d’ una gogna incomoda, che chiamano cravatta, e le donne si 
stringono il petto e la vita in un astuccio d’ ossa di balena? 
Perchè in quest’ istessa nazione l’ amore d’una fanciulla è ri- 
guardato come un delitto , e quello d’ una donna maritata come 
una debolezza! .... 

Perchè gli inglesi, così orgogliosi d’ una libertà nominale, 
sono, di tutti i popoli dell’ Europa incivilita, quelli fra cui il 
regime feudale ha lasciata traccia più profonda? Perchè i loro 
annali, ove brillano tante azioni gloriose, offrono tanti esempi 
d’ inumanità, d’ avarizia, d’egoismo, di perfidia ? 

Perchè quello fra tutti i popoli del mondo, che più ama 
la gloria, sembra che tema sì poco la vergogna? Perchè ido- 
latrando il talento, non gli lascia altre vie di riuscita che l’in- 
trigo o la cabala?.... 

Perchè la più avida, la più triste delle passioni , l'amor del 
giuoco , s'è impadronita della nostra gioventù? Perchè in tutte 
le età, in tutte le condizioni, tanto egoismo e sì poco spirito 
nazionale ? 

Perchè quest’ anima di principe in questo corpo di povero 
artigiano? Perchè quest’ignobile istinto del più immondo ani- 
«male in quest’ uomo ricolmo dei favori della fortuna e della 
isocietà?.... 


4 


Perchè tanti odj, tante gelosie, tante bassezze, tante 
stoltezze? Perchè tanti sforzi ridicoli onde soffocare la verità ? 
Perchè tante inutili menzogne, tante frodi, tante viltà , tante 
agitazioni, tante pene per giungere un giorno prima o un giorno 
dopo a prender pomposo possesso di quattro palmi di terra, 
fra le maledizioni, che accompagnano all’ ultimo asilo l’uomo 


ingiusto e potente, la cui vita è stata un flagello pe’ suoi si- 
mili? ,, 

Questi e molti altri perchè il buon eremita andò 
chiedendo ; nè fu buono egli dice di trovar mai altra ri- 
sposta , se non quella de’ fanciulli perchè . .. perchè . . . 
E non sembrandogli sufficiente, si volse all’eremita della 
riva sinistra, che non avendone in pronto, a ciò che sem- 
bra, altra migliore, non si diede inteso della sua doman- 
da, e gli scrisse (in data del 3 febbrajo ) sopra una par- 
ticolarità del nostro secolo, ch’ ei chiama il secolo delle 
memorie. \ 

Prima di dirvi nulla, mio caro lettore , della lettera 
sul perchè, avrei dovuto avvisarvi ch’ essa non era punto 
fatta per mettervi di buon umore. Ma non ho voluto con- 
turbarvi anticipatamente; e vi assicuro che ho tenuta leg- 
giera leggiera la mano nelle mie citazioni , per rispetto 
all’ indole vostra che potrebb’ essere poco inclinata alla 
ricerca del perchè — o forse inclinata di troppo. È nell’un 
caso e nell’ altro quest’ altra lettera (che è la sesta ) vi 
darà opportunamente qualche distrazione. 

Vi risparmierò , in grazia della sua gravità , tutto 
quello che l’ eremita dice contro una folla di memorie, di 
cui oggi è inondata la sua nazione , e in cui non sì trova 
nè esattezza di fatti nè equità di giudizii, ma o vanità 0 
passione , che specula sulla maligna credulità della po- 
vera specie umana. Trascriverò solo alcune considerazioni 


generali sui due generi di memorie , di cui è maggiore 
l’ abbondanza. 

Il \empo delle memorie è principalmente quello che suc- 
cede alle lunghe agitazioni politiche. Ciascuno si crede in do- 
vere di spiegare la condotta da lui tenuta fra l’ardore delle 


5 
fazioni e le incertezze del potere; come se importasse molto 
alla società il conoscere per qual accidente un tal republicano 
determinato si trovò in un bel giorno agli occhielli dell’abito 
i cordoni dell’ impero ; o un tal realista di gran paraggio si 
trovò trasformato in-ciamberlano di Napoleone. Eh! chi vi dice 
nulla signori miei su queste bagattelle? Non sappiamo noi che, 
tranne alcune rarissime eccezioni , gli uomini si lasciano domi- 
nare dalle circostanze; che la loro opinione dipende quasi sem- 
pre da un interesse presente; che il filosofo stesso si fa talvolta 
illusione a questo riguardo; e che quella che chiamasi fermezza 
di carattere è quasi sempre l’effetto di cause fortuite? Il po- 
tere, ovunque si mostra, esercita una forza mirabile d’attra- 
zione . Il comitato di salute pubblica ebbe i suoi cortigiani 
come il direttorio. Si. conoscono uomini, che maledicevano a 
Napoleone poche ore innanzi il 20 marzo, e all'indomani sol- 
lecitavano colle lacrime ‘agli occhi l’onore d’ essergli presentati. 
Essi non sapevano concepire come avessero sì mal conosciuto 
I’ eroe del secolo, l’uomo del destino. — E forse erano di buo» 
na fede; e se l’ Europa fosse stata vinta a Waterloo , forse 
avrebbero di buona fede servito il vincitore. Essi non si can- 
giarono che colla fortuna: e già questa è l’istoria degli uo- 
mini antica e moderna. ,, 

Passa quindi alle memorie d’ altri uomini, alla cui 
classe , quantunque fatto eremita , non dimentica di ap- 
partenere . 

I letterati hanno più motivi degli altri per iscrivere le loro 
memorie. Primieramente essi credono quasi tutti ‘alla loro im- 
mortalità ; ed è ben naturale che pensino a presentarsi deceri- 
temente innanzi alle future generazioni. Ma bisogna pur notare, 
ond’ esser giusti, ch’ essi, mentre compongono o versi o prose; 
abbandonano al resto degli uomini le strade che conducono agli 
onori e alla fortuna. Essi non vivono che di fama, non esis- 
tono che nell’ altrui opinione. Quindi importa loro troppo il 
dipingersi in bello ; e sarebbe barbarie il pretendere una per- 
‘fetta rassomiglianza de’ lor ritratti cogli originali. Si può loro 
permettere un po’ d’ adulazione verso sè stessi, pensando a 
quante tribolazioni essi vanno soggetti. Una critica, per esempio, 
buona o cattiva, cosa non fa loro soffrire ? Lo so io per espe- 
rienza, che mai non ho perdonato al sig. Schlegel gli epi- 
grammi germanici, di cui arricchì in Londra a mie spese una 


cert’ opera periodica: eppure cosa di più perdonabile dì quegli 
€pigrammi ? 


6 


Bisogna coufessarlo: nulla di più piacevole che scrivere le 
proprie memorie. Parla ve del babbo, della mamma, del nonno 
e del bisnonno, se si conoscono , oh che soddisfazione! gli av- 
venimenti poi dell’ infanzia, la vita di collegio, i primi amori... 
Ah ah! questi sono il dolcissimo de’ soggetti, da cui sì aspetta 
per la nostra eloquenza un vero trionfo. Nessun colore ci par 
fresco abbastanza , per descrivere le grazie seducenti, i, vezzi 
incomparabili, onde fu tocco il nostro giovane cuore. Si pos- 
sono anche all’ uopo far ritratti ideali, e se ne avrà merito 
tanto maggiore .... 

Ho sentito biasimare G. G, Rousseau, e Marmontel d’aver 
fatta al publico la confidenza delle follie della loro giovent&. 
Marmontel in ispecie è stato oggetto di gravissima ceusura. 
È vero che le sue descrizioni della città di Bort sono d’un co- 
lorito troppo brillante; ch’è permesso dubitare dell’ eloguguia 
ciceroniana di sua madre; e che si può dare un po’ di tara 
al vanto ch’ éi mena de’ suoi prodigiosi successi presso le 
dosue. Ma intanto quello , ch’ ei dice, è molto aggradevole ; 
la lotta, che lo vediam sostenere contro gli ostacoli, ond’è 
seminata la carriera delle lettere, ci interessa, e le sue. me- 
morie, prese nel loro insieme, sono la migliore delle, sue 
opere . 


L’ eremita va pensando all’imbarazzo de’ posteri, che 
vorranno giudicare della nostr’ epoca fra tanti documenti , 
spesso contradittorii. 


Un tal personaggio, si leggerà in una di queste memorie, 
fa uomo senza onore e senza fede; tradì bassamente il suo be- 
nefattore, aprì il suo cuore alla corruzione, violò i suoi giu- 
ramenti, vendè il suo paese. — Calunnie, risponderà un’ altra 
memoria: fu un eroe, che si conservò al ben publico; che 
trascurò sè stesso e sino la propria fama per la salvezza della 
sua patria. 

Mettetevi in luogo d’uno storico, il quale s'occupi a pe- 
sare e conciliare queste due testimonianze, e imaginate le sue 
perplessità. Frattanto però non sarei sorpreso ch’ egli accettasse 
piuttosto la prima che la seconda, e non ho bisogno di spie- 
garne il perchè. 


Il nostro eremita è un po’ malignetto come vede- 
le, o piuttosto e’ conosce i suo’ polli, come diciamo 
volgarmente. Il passo, che segue, indica un sentimento 


7 


ben nobile unito allo spirito d’ osservazione, e credo che 
possa dar motivo a ben gravi riflessioni . 

È vero che, tranne i cittadini della republica delle let- 
tere, i quali volgono spesso i loro sguardi verso la posterità, 
gli altri uomini appena vi pensano. E questa non curanza 
de’ suoi giudizi è pur uno de’ tratti caratteristici dell’ epoca 
nostra. Tutto si concentra oggi nella vita materiale. Avete 
voi onori e ricchezze? Un treno brillante, un lusso ricercato 
vi distingue agli occhi del publico? Voi siete quasi sicuro del 
publico ossequio. Una cattiva riputazione escludeva giù tempo 
dalla società l’uomo più opulento. Or non è più così; e il 
motivo mi par questo, che oggi abbiamo riunione senza so- 
cietà . 

Se gli autori delle memorie volessero darci un'idea esatta 
del loro tempo, non trascurando alcuno de’ fatti importanti 
che lo distinguono, farebbero cosa, che distinguerebbe loro medesi- 
mì, e non sarebbe facilmente dimenticata. Possa questa vo- 
lontà essere quella di molti! Se non che, per mandarla ad ef- 
fetto , il talento non basta : vi bisogna pure e indipendenza di 
spirito e singolar buona fede.{Ove trovar oggi l’unione di que- 
ste qualità? 

Non si può ormai trovar unione ( avrebbe potuto 
rispondere l’eremita della riva destra nella lettera set- 
tima che succede, ed ha per titolo un concerto di di- 
lettanti ) d'un buon orecchio e d’ un agil mano che 
scorra le corde d’un’ arpa o i tasti d’ un clavicembalo: 
imagina se debba esser facile trovar quella dell’ inge- 
gno e della coscienza. Recherò un periodo dell’ esor- 
dietto della sua lettera, ( scritta il 7 del mese ) da 
cui indovinerete il tuono bizzarro del rimanente. 


La mia passione per la musica mi fa sentire, con una viva- 
cità che somiglia al dispetto, l’ingiuria fatta alla più commovente 
dell’arti da alcuni dilettanti, che mi hanno voluto testimonio 
© vittima di un loro concerto o piuttosto di una loro discor- 
dia. Maladetti! me la pagheranno. 

E la fa loro pagare di fatti con uno di que’ suoi 
quadretti in caricatura ne’ quali sapete ch'egli è abilis- 
simo. Se per dipingere quel suo amico del perchè 
egli prese i colori di Rembrant, qui vi so dir io che 


8 

mise a contribuzione le più ricche tavolozze de’ fiam- 
minghi, mescendovi certe tinterelle parigine , che bi- 
sogna ridere non avendone voglia. Ma il quadretto non 
si può tagliare; e per darvelo tutto non ho spazio. Lo 
vedrete poi a vostr’agio; e mi saprete dire se il vero 
vi abbia mai presentato nulla di somigliante. Intanto 
leggiamo queste riflessioni con cui l’eremita lo accom- 
pagna. 


I dilettanti sono per la musica ciò che i retori sono per la 
poesia. Quel traditore che mi rovina co’ suoi acrostici perchè 
fu sì sgraziato di tener fra le mani qualche rimario, mi assor- 
derebbe colle sue suonate, se avesse qualche cognizione di 
crome e di biscrome. La smania di brillare; il bisogno di adu- 
nare degli amici in una sala per farli estasiare; il desiderio 
di far conoscere il talento straordinario d’ una figlia minore o 
d’un figlio maggiore ; il poco rispetto, che si ha comunemente 
pel tempo degli altri; il diritto che la vanità dei dilettanti cre- 
de avere di prelevar delle imposte sulla pazienza umana; ecco 
le cagioni d’ una ridicolezza, di cui non farei motto, se non an- 
dasse terribilmente crescendo. Essa è divenuta una delle caratte- 
ristiche più notabili de’ nostri costumi privati . 

La musica è una moda, che dai gran proprietarj è passata 
ai piccioli, e ben presto passerà ai proletarj. Vedete voi là in 
quello stanzino dietro la bottega del fornajo? V'è una cassa ar- 
monica , st cui la ragazzotta di casa va tastando colle sue mani 
polpute per ben quattr’ ore del giorno. Le cantonate di Parigi 
son piene di affissi che promettono in sei mesi di lezioni la più 
gran capacità musicale. 

Tutto considerato, però, questa moda mi sembra di buon 
augurio. La musica toglie gli uomini a quella letargia, a cai 
sono vicini a cadere dopo i grandi politici sconvolgimenti , li ri- 
chiama a quella facilità d’emozioni, che li rende capaci d’azioni 
generose . «+ . . Come la pittura, ond’ esser gustata, essa non ha 
d’uopo nè di sensi esercitati nè di studi preliminari. Espres- 
sion viva delle passioni essa riproduce gli accenti della gioja, 
del dolore , della speranza , e tocca profondamente il cuor dell’uo- 
uo e sotto la regia porpora, e sotto il zaino pastorale. Però 
Shakspeare ( alla cui barbarie si mescola pure tanta delicatezza ) 
ha detto in versi mirabili ,, La musica è alimento d’amore ; è 
tima e squisita voluttà. Più dolce che lieta, più melanconi- 


VA Pe Tee Su 


9 
ca che vivace nutre i soavi deliri, dispone alla bontà, Sgra- 
ziato chi non l’ama! La sua anima è fosca ed è forza il dif- 
fidarne. 

Più sgraziato chi ama la musica, ed è martirizzato dai 
dilettanti! Si diffidi di questo nome funesto, onde non esser 
preso all’agguato da cui appena ho potuto scampare! 

L'ottava lettera (in data dei 10 del mese già indicato) 
è tutta grave. Il suo titolo potrebbe convenire ad un’ o- 
pera storica: Saggio sui costumi di quest’ epoca. Se 
l'avesse scritta l’eremita della riva destra l'avrebbe 
empita di curiosissime particolarità . Quello della sinistra 
appena la condisce di qualche aneddoto e s'inalza con- 
tinuamente a vedute generali. 

Ho inteso parlare d’ un ministro ( dic’ egli in proposito della 
smania ambiziosa delle decorazioni ) che non pago di portarle sul 
suo abito, le avea volute anche sulla sua veste da camera, e 
mai non sì mettea nel bagno, senza il gran cordone della le- 
gion d'onore. La semplice croce del legionario ispirava ben più 
venerazione che non facessero tutti i segni del favore: essa bril- 
Java sull’abito militare come ricompensa del coraggio, come 
prezzo del sangue versato per la patria. 

Quando le decorazioni sono moltiplicate oltre misura, è 
una specie di distinzione il non averne. La loro mancanza 
prova l'indipendenza dell’ opinione fra una moltitudine di cor - 
tigiani del potere. Guai alla società, in cui gli onori divengono 
la preda della bassezza e della mediocrità! Essa è priva d’ un 
possente mezzo d’ emulazione; la virtù in essa non ha più va- 
lore; la morale non ha più autorità sulle coscienze; tutto si 
stima a peso d’oro. 

Sarebbe forse temerità l’asserire che noi siamo giunti a 
questo segno infelice di degradazione? La potenza del calcolo 
non domina essa forse tutte l’altre potenze? Non chieggono 
forse ogni giorno gli uomini a sè stessi: cosa mi renderà tale 
o tale altra opinione? Che guadagnerò io a mostrar zelo per la 
morale o per la religione? Che otterrò io in ricompensa della 
mia devozione al partito che domina? Si richiede il sagrificio della 
mia coscienza; ma vediamo prima quello che si valuta. E il 
peggio si è che fino dalla gioventù, che è quanto dire dell’ età 
del candore e delle migliori speranze, si comincia a calcolar 
freddamente col personale interesse. — Che partito avete voi 
abbracciato ? diceva un giorno non so chi ad un giovine poeta 


10 \ 


di certo ingegno. — Quello che mi rende di più. Senza beni 
di fortuna, obbligato ad una vita laboriosa, io invidiava agli al- 
truì piaceri, e non avea speranza di parteciparvi. Oggi, gra- 
zie ad un po’ di fanatismo, ho la borsa ben fornita, il mio 
posto al teatro dell’opera, il mio coperto presso il miglior 
ristoratore, e buona accoglienza nelle liete brigate. 

Così tutto è fittizio nella società: non si ha più opinione 
sua propria; si mostra entusiasmo rimanendo nell’ indifferenza; 
la delicatezza, la probità, la stima di sè stesso si considerano 
come chimere. E appunto perchè non vi ha più valor reale 
nell'anime, si attacca sì gran prezzo alle distinzioni esteriori, 


come unico mezzo per la più parte degli uomini d’ ottenere 
un'ombra di rispetto. 


Dice però, ad onore del vero, che malgrado mol- 
te cause corruttici, il carattere. morale della sua na- 
zione non è guasto. I grandi atti d’ eroismo eccitano 
ancora in essa l'applauso generale; e le azioni vili il 
generale abborrimento, benchè pochi ardiscano disap- 


provarle ad alta voce, e i più si accontentino di. ac- 
cusarle col silenzio . 


D'altronde, ei soggiunge , parlando della difficoltà di ri- 
storare i costumi pubblici, chi oggi ne giudica? Le passioni. 
E come queste si urtano fra loro non meno che gli interes- 
si, tutti i loro giudizii sono sospetti di parzialità. Non si 
crede nè alle accuse nè alle lodi, perchè in tutte avvi della 
personalità, o dell’ esagerazione. Nulla di più raro, in ogni 
tempo, che la giustizia e la verità: che sarà dunque in un 
tempo di discordia e d’ agitazione? Del resto se i costumi pu- 
blici son depravati, bisogna pur convenire che i costumi do- 
mestici sono da una trentina d’anni assai migliorati. Le virtù 
sembrano essersi rifugiate nel seno delle famiglie, ove regna 
un’intimità anteriormente sconosciuta ; ove ormai sono divenuti 
rarissimi quegli scandali ch’ erano prima soggetto frequente 
alle lepidezze della corte e della città ; ove i doveri coniugali 
tornati in onore; l’educazione de’ figli divenuta oggetto di 
ruove sollecitudini fanno molto sperare per l'avvenire. 


Ma ciò che vi sembrerà più notabile e più caratte- 
ristico è quello che riferiremo. 


Se si vuol conoscere con qualche esattezza le modificazioni 
» che da un quarto di secolo ha subite la società, non si deve 


tI 
trascurar quelle che ha subite il linguaggio . Altra vol- 
ta, parlandosi delle persone appartenenti alle classi superiori , 
si dicca fe persone di mondo. Questa locuzione non ha più 
senso dacchè il mondo s'è allargato, dacchè si sono. veduti 
figurare sul suo teatro uomini di tutte le condizioni; dacchè 
son cadute le barriere che esistevano fra la nobiltà di spada 
e quella di toga, fra questa e la finanza, il gran commercio, 
la grande industria. È però vero che ‘dopo la restaurazione, 
i signori della corte applicano. a sè stessi una denominazione 
d’un significato assai generale, (la società ) che così diventa 
esclusiva. Se alcuno d’essi viene a morire, ciò che sventuratamente 
accade loro come ai più semplici cittadini, dicono ‘e scrivono: 
la società è molto dolente della perdita fatta, o cosa simile. _ 
Il che non può intendersi che della loro società particolare , 
dacchè spesso la persona perduta non era nota ,che. a loro. 
Giova avvertire questo nuovo significato della parola società e 

per norina de’ lessicografi, e per istruzione degli stranieri. 
Quello, che chiamavasi altra volta uso del mondo, oggi più 
non si conosce che per tradizione. Al più si trova ancora in alcu- 
ni individui, che non hanno perdute le antiche forme dell’urbani- 
tà francese; in alcuni circoli scelti del sobborgo S. Germano; ma 
indarno si cercherebbe nella più parte delle sale di Parigi. I cit- 
tadini de’ nostri dipartimenti, che sono’ attirati nella capitale o 
da motivi di curiosità, o dal posto loro assegnato nelle assemblee 
legislative, si avvezzano un po’ difficilmente alle maniere più che 
sciolte de’ nostri signori di finanza. Ho sentito alcuni deputati 
di molta autorità lagnarsi sul serio del contegno d’un celebre 
banchiere , talmente assorto nella sua partita d’ imperiale o di 
picchetto, che non li degnava pure di uno sguardo, quando il vi- 
sitavano, e li lasciava partire, senza volger loro una parola. Io vol- 
li persuaderli, che in questo contegno non y’ era nessuna impo- 
litezza volontaria , nessuna mancanza di riguardi ; che una sala, 
secondo il costume, si riguarda come un luogo publico, ove si è 
per così dire soli in raezzo alla folla, ove il capo di casa non dà 
suggezione ad. alcuno e non se la prende . I miei deputati non 
sì arresero punto a queste eccellenti ragioni; mi dissero che il 
costume, di cui io parlava, avea bisogno d’ esser riformato; e che 

un finanziere potea benissimo salutare chi andava a visitarlo. 


Soggiunge che invano si cercherebbero notabili dif- 
ferenze di costumi e di maniere ne’ diversi quartieri di 
Parigi, e appena se ne troverebbero di leggerissime negli 


12 


individui; che per le nuove relazioni sociali (effetto pritt- 
cipalmente della distribuzione delle ricchezze e della lor 
rapida circolazione ) il mondo è già quasi divenuto una 
sala di spettacolo , in cui è difficile riconoscere all’ abito 
o al linguaggio le differenti condizioni degli spettatori; e 
che le sole classi inferiori, obbligate ad un lavoro giorna - 
liero, e prive quasi d’ ogni mezzo di cultura, conservano 
ancora i loro tratti caratteristici. Conchiude con savissi- 
me riflessioni intorno al rispetto dovuto a queste classi u- 
tili, che, siccome l’esperienza dimostra , non si possono 
disprezzare senza grave pericolo , e da cui si può trarre 
tanto bene, aprendo loro le vie dell’ istruzione, animan- 
done l’ industria e facendole vivere sotto l’impero di giu- 
ste leggi. 


La nona lettera (in data dei 13 ) è fatta per risve- 
gliarvi, iettor mio, se mai sonnacchiavate . È scritta dal 
faceto eremita della riva destra; e su quale argomento! . .. 
Sulle donne del giorno d’oggi. Bisogna confessarlo: que- 
sto è l'argomento che ogni volta che si riproduce trova 
sempre i lettori apparecchiati. Forse per voglia di divertirsi? 
Forse per una scintilla che dal cuore corre alla fantasia 
e subito l’accende? O per un sentimento segreto che ci 
avvisa che quell’ argomento può rinchiudere qualche inco- 
gnita preziosa del problema del nostro destino ? Non vi 
lasciate ingannare da questi primi periodetti del nostro 
eremita : 


Se mi prendeste quando suono a mattana , risponderei alla 
vostra domanda: che fan le donne a Parigi ? coll’ epigramma di 
Panard per la sua: e/les babillent, s° habillent, et se deshabillent. 
Ma voi, ben vi conosco, non vi contentereste di questo vecchio 
bisticcio; e in luogo d’ una domanda me ne fareste tre : di che 
pispigliano? come si abbigliano? a qual ora e quante volte si 
disabbigliano? Farò dunque più presto rispondervi più a tuono. 

Questi, che seguono , promettono benevolenza , che 
verso le donne è semplice giustizia. 

Madama di Saint-Lambert fa le meraviglie che mai non si 


13 
parli delle donne con giusta moderazione. Credo di averne scoperta 
la causa, ed è questa: che si giudicano tutte dietro un modello 
che si ha nel cuore o sotto gli occhi. Trattandosi di donne co- 
sta sempre gran fatica il generalizzare le proprie idee . Anche 
quando si è giunti come noi, mio caro amico, a quell’ età in cui 
si dovrebbe osservarle imparzialmente , siano le nostre rimem- 
branze, sia altro, si corre gran rischio d’ ingannarsi nel proprio 
giudizio. Quanto a me , grazie al cielo, non ho che a tenermi 
in guardia da una prevenzione favorevole; e l’ esser giusto verso 
di loro mi deve costar meno che a qualunque altro. 

Io mi ricordo , egli dice nel progresso della lette- 
ra, di quel tempo in cui le donne di buon tuono erano 
più conosciute pel nome del loro amante che del loro 
marito. Ora, e potete credermelo, questo scandalo da cui 
sì traeva vanità, non solo sarebbe una cosa disapprovata 
ma una ridicolezza . L’ eremita dice di indicare un fatto 
senza cercarne le cagioni . Sia forza di principii, sia cal- 
colo, sia spirito d’ indipendenza (e questo spirito gli sem- 
bra la principale caratteristica delle donne odierne) la sa- 
viezza è fra loro alla moda. Se questa moda sia per dura- 
re, egli vorrebbe ma non può assicurarlo. 

Tutti si lagnano a Parigi della decadenza delle lettere ; e 
questa lagnanza accusa le donne principalmente. Poichè non so- 
lo esse più non amano e non favoriscono le lettere, ma le trat- 
tano con un disdegno affatto ministeriale. La loro predilezione è 
tutta per la musica e per la pittura, che gustano e coltivano 


col più gran successo; e volendone recare esempi dovrei sceglier- 
li fra le classi più cospicue della società, 

Del resto non si cangia natura. È assai più probabile che 
la civetteria non sia estinta del tutto nel cuor delle donne. Ma 
esse (e questo è uno de’ più singolari cangiamenti operati ne’ lo- 
ro costumi ) la nascondono con estrema cura : non vi sono più 
che le sciocche, le quali si permettano d’ esser civette. 


Più oltre ei distingue le donne, che fissano sopra di 
sè gli sguardi del mondo parigino , che è quanto dire se- 
condo lui i prototipi di tutte le donne del mondo, in tre 
classi: quelle della corte odierna; quelle della corte di tut- 
ti i tempi, e quelle a cui una ragguardevole ricchezza 
tien luogo di un ragguardevole lignaggio, Ei le mette 


14 \ 
quindi in iscena con quel talento , che possiede in som- 
mo grado, e che a molti sembra superiore affatto alla no- 
stra emulazione. Pure io penso che in tre o quattro capi- 
tali d’Italia alcuni belli spiriti (premesso certo studio del- 
lo stile che ancor pende generalmente fra ìl trascurato e 


il ricercato ) potrebbero mostrarne altrettanto. 

Ho ottenuto uno dei mille e cinquecento biglietti d’ invito 
distribuiti pel ballo del barone Deslingots. Battono le dieci: 
monto in carrozza colla mia compagnia: ma il cocchiere pren- 
de la fila a mezzo quarto di lega : non si arriva che a mezza 


notte . 
Qual lusso , quale squisitezza ! Attraverso il peristilio e i 


vestiboli sovra ricchi tappeti. Salgo a stento le scale affollate sot- 
to una volta di gelsomini e di lillà. 

Prima d’ introdurci negli appartamenti , un valletto ci con- 
duce al vestiario, ove si depongono le pellicce, gli scialli, i fer- 
raioli, i soprabiti. Fermiamoci un istante in questo luogo, cui a- 
dornano due Psiche quasi colossali. Nessuna delle signore , che 
vi si trovano, vorrà uscirne senz’ essersi assicurata che la sua 
mantellina, o altro che avesse alle spalle, non abbia ammaccata 
la sua guarnizione; che qualche riccio de’ suoi capegli non siasi 
scomposto ; e soprattutto senza far indietro le pieghe della sua 
veste, in modo che appaia la molle inflessione de’ fianchi ond'ha 
tanta grazia la sua persona. 

Ma eccoci alla seconda anticamera, trasformata in prima sa- 
la per mezzo di alcune tappezzerie adorne di frangie. Noi siamo 
ritenuti nella sala seguente da una folla d’ uomini, che ancora 
non hanno potuto spingersi avanti, e che sono intanto distribui- 
ti in vari gruppi. lo vo dall’uno all’altro, e m’accorgo che in tutti, 
anche in quelli, che dagli ordini cavallereschi d’ ogni paese pen- 
denti dagli ‘abiti suppongo composti di militari e diplomatici, 
non si tratta che della riduzione delle rendite, ond’ io mi credo 
ancora alla borsa. 

Alfine, dopo aver traversato a gran pena tre sale magnifi- 
che, ove si fa mostra di danzare, penetro nella grande galleria, 
ove passeggia , tra due file di signore sedute , la folla brillante 
de’ danzatori e delle danzatrici, che aspettano o lasciano passa- 
re la loro volta. 

Prima d’occuparci d’ alcuna figura: particolare , osserviamo 
un poco l'insieme del quadre. Delle due generazioni muliebri 
ehe popolano questo ballo (spiegherete poi a modo vostro il 


it i ritmi 


15 
fenomeno ) la più bella senza paragone è la men giovane . Non 
eggo che una signora, di cui possa dirsi che sua figlia le di- 
sputa il pregio della beltà. Sembra che il tempo sia passato assai 
leggermente su queste leggiadre figure di quarant’ anni, guar- 
dandosi di lasciarvi la minima traccia. 

Quando mai le nostre donne vestirono con più grazia , o 
con più eleganza? Nessuna affettazione, nessuna imitazione; ma 
novità insieme e gusto perfetto in ogni loro ornamento. Nè già 
credo che le chiamate vestite; ma solo adorne; chè il taglio 
de’ loro abiti, già sì severo, mentre quello delle inglesi lo era 
sì poco, or sembra misurato su quella scelta natura che sempre 
deve servir di modello. 

Fra tante specie di creste, così varie come i tratti del viso, 
voi non ne troverete se non una sola, che il gusto riprovi. È quel- 
la appellata, non so perchè, Zrocadero, la quale dà alla testa 
di una donna l’aria di un fortino, ed userei più vero nome, 
se non fosse il rispetto all’ amor coniugale. 

Ma che vi sembra di quel non so che di pensoso e di mal. 
contento, che traspare da tutte queste fisionomie in mezzo al 
desiderio di piacere onde sono animate ? 

Questa uniformità di grazie affettuose, di maniere eleganti 
non vi permette di distinguere a prima giunta le differenti classi 
di donne di cui vi ho parlato. Avanziamoci, e osserviamo più 
da vicino. 

Vedete questa signora seduta di fianco, sovra una gran seg- 
giola a bracciuoli in fondo alla galleria ? Ov” ella avesse un po’me- 
no di rossetto; il suo abbigliamento semplicissimo potrebbe cre- 
dersi senz’ arte . E la scioltezza delle sue maniere è sì agevo- 
le, sì naturale, e quasi direi sì delicata, che voi non osate 
chiamarla arditezza . Così vi paiono sincere le carezze che va 
facendo a quella giovane, che si è fatta sedere a lato. Ma il 
piegar del suo capo, il socchiudersi de’ suoi occhi mentre sor- 
ride, il suono della sua voce or lento or breve non mi lascia 
dubitare un istante ch’ ella non appartenga alla corte odierna. 
Se però interroghiamo la giovane da lei accolta sì graziosa- 
mente, vedrete che non si accorge per nulla che una mostra 
di benevolenza possa essere una dichiarazione di superiorità. 

Or eccoci, come tant’ altri, intorno a questo non s’ io mi 
dica gentil cespo di fiori o di belle, la cui riunione può chia- 
marsi un avvenimento. Più incerti di Paride a quale delle quat- 
tro dive daremo noi il pomo della vittoria? Voi sentite: ciascuna 
ha i suoi partigiani. Gli uni preferiscono questa signora d’ alta 


16 

statura, di forme eleganti, d’ occhi neri e di sguardo insiem 
sì vivo e sì dolce; gli altri questa vezzosa, il cui sorriso è pie- 
no di grazia; gli uni pare che non si sazino di contemplar 
colei, che Prassitele avrebbe scelta per modello, tanto è per- 
fetta; gli altri si direbbe che studino, per ritrarla, questa testa 
leggiadra , che Raffaello indovinò dipingendo una delle sue Ver- 
gini . i 
Non osando farmi giudice della loro bellezza, e tornando 
alle mie parti d’ osservatore, decido che a certa espressione della 
loro fisionomia, a non so qual aria di trionfo , temperata da un 
segno lievissimo di tristezza, esse fecero almeno un istante l’ or- 
mamento della corte passata. 

Ma delle signore , onde componsi quest’ altro gruppo ; che 
‘ dire? La franchezza del loro contegno -in mezzo a tante rivali 
non è ancor più notabile della ricchezza de’ loro ornamenti? Ben 
si vede che appartengono ad altra classe, che a quella che pri- 
meggiava pur dianzi, o oggi primeggia . Il loro franco contegno 
è effetto d’ un sentimento di sicurezza, che loro ispira la condi- 
zione de’ loro padri e de’ loro sposi. Essi tengono in mano lo 
scettro dell’ industria; sono una specie di potenza, che regna sen- 
za ministri, e non teme d'’ esser distrutta. 

Ci dorrebbe di vederci alla fine della nona lettera se 
quella che segue ( in data dei 17 ) non fosse la tanto. de- 
siderata risposta alla quinta, che ormai più non s' aspetta- 
va. Non crediate, però, dice l’ eremita della riva sinistra 
all’ altro, ch'io sia per rispondere a tutti i perchè del vo- 


stro vecchio amico ed ai vostri. 

Per esprimere un enigma o un dubbio qualunque basta una 
linea; per rischiararlo non bastano volumi. Noi siamo circondati 
di menzogne , illusi continuamente da sogni e da fantasmi . Ve- 
diamo degli effetti, ma le loro cause sfuggono ai deboli nostri 
sguardi ; riceviamo un po’ di luce, ma essa non ci apporta che 
un giorno incerto, e non passa al di là della superficie delle cose. 
Mirabile istinto sicuramente quello che noi chiamamo' col nome 
pomposo di umana ragione! Ma i suoi giudizi sono poi essi in 
fallibili? S’ io debbo dirvi aperto. il pensiero mio, non trovo si 
curezza che ne’ moti del nostro cuore, che nel sentimento inti- 
mod della nostra coscienza. Intanto noi ragionamo sopra tutto; e 
quest’ esercizio, che ci toglie alla trista contemplazione delle cose 
esteriori, è per noi un bisogno, ne riesce talvolta un divertimento» 
e il proibircelo è una crudeltà. 


% 


17 


Abbandonandovisi anch'egli un istante a suo rischio 
e pericolo, com’ ci sì esprime , tenta spiegare alcuni dei 
domandati perchè; ma le sue spiegazioni, quantunque in- 
gegnose , equivalgono più o meno al perchè .. . perchè 
de’ fanciulli, di cui parlava, se ben vi rammentate , l’ e- 
remita della riva destra. Uno dei perchè da lui chiesti e 
da me non accennati riguarda il teatro della sua nazio- 
ne , ch’ ei non sa capire come sia tanto più frequentato 
dalla gente d’alto affare quanto più diventa cattivo. L’e 
remita della riva sinistra, divagando un poco fuori della 
questione , quasi a compenso della soluzione imperfetta 
ch'egli è costretto di darne, reca di questa decadenza del 
teatro assai vere TAGIONI, che gli uomini avvezzi a studiare 
la letteratura ne’ suoi lapporti colla società sapranno va- 
: lutare. Noi recheremo a saggio della lettera un ultimo per- 
chè a cui l’ eremita risponde, e che mi sembra di un in- 


teresse più generale degli altri. 

Voi mi chiedete perché fra noi il talento, sebbene idolatra- 
to; nulla ottiene senza intrighi e senza cabale. Oh! la doman- 
da è ivecchia : è stata fatta in tutti i tempi; e in tutti i tempi 
deve aver ricevuto l’ istessa risposta. 

L’ uomo, qual 1’ hanno modellato le forme sociali, prova una 
gran Spassalza a riconoscere la superiorità dell’ altrui spirito; 
e non vi s’ induce che a stento e quasi costretto . Che sarà poi 
quando si voglia ottenere la sua ammirazione? Quindi le cabale, 
quindi gl’ sniuibhi, quindi insomma i maneggi di compagnia, Una 
compagnia letteraria è una specie di società d’ assicurazione re- 
ciproca, la quale garantisce contro tutti gli accidenti il buon suc- 
cesso a cui mirano i suoi membri. Molière se ne doleva ; Vol- 


. taire dopo di lui ne faceva lamento; qualcuno sempre avrà a la- 


gnarsene ; e non per questo ‘il mondo andrà peggio del solito. 
Certo è vergogna che il talento si abbassi (qualche ecce- 
zione onorevole non distrugge la sentenza ) a ciò che non con- 
viene se non alla mediocrità. Ma è pur cosa inevitabile in tan- 
ta concorrenza, fra tanta rivalità, e in mezzo ad un pubblico, 
che passa rapidamente dal trasporto all’ indifferenza. D’ altronde 
vedete come anche nelle cose letterarie si mescoli Îo spirito di 
partito. Non si giudicano già le produzioni ma le opinioni; e 
secondo queste si dà la lode od il biasmo. Però si sceglie una 
T. XVI, ovembre 2 


18 
bandiera onde far celebrare un poema ; si inalbera un colore 
onde far applaudire una tragedia. Questa specie d’ intrigo è og- 
gi la più comune; anzi è caratteristica della nostr’ epoca. 

Noi siamo trasportati da un vortice per vero dire assai 
forte, ma di cui ci esageriamo la durata. Oggi esso ci domina; 
domani forse non sarà più. Un’ altra generazione , indifferente 
alle nostre agitazioni, ai nostri timori, alle nostre speranze , si 
alzerà per giudicarci, come noi giudichiamo i nostri maggiori, 
con calma e con equità. Le opere eccellenti, quelle in cui sì 
troveranno pensieri giusti , idee utili, sentimenti generosi, se- 
guiteranno ad aver vita; le altre scompariranno come nebbia 
o fumo. Io risponderò a tutti i vostri perchè con un solo: per- 
chè inquietarci della follia de’ contemporanei ? 


La decima lettera ( scritta il 19 ) di.cui non voglio 
per ora dirvi il titolo , porta una doppia epigrafe tratta da 
Shakspeare e da Montaigne, che basta ad indicarvene al- 
meno in generale il soggetto. L’ epico inglese chiamò le 
donne un bel difetto di natura ; e fu più gentile del tra- 
gico , il quale scrive che il loro nome è sinonimo di de- 
bolezza. Ma il nostro eremita della riva destra non ricor- 
da questo detto , che per soggiungere col moralista fran- 
cese : è più facile accusare un sesso che scusar l’ altro. 
Infatti sopra una colonna di cristallo d’ un certo palazzo 
maraviglioso, ch’ egli appella delle rimembranze, e che 
forma parte d’ un paradiso muliebre da lui immaginato, 


si trova scritto: le donne hanno dei difetti, gli uomini . 


hanno dei vizii. E quei difetti stessi pare che nel corso 
della sua lettera il buon eremita li faccia dipendere in 
gran parte dai vizi nostri, della quale indulgenza non vo- 
gliamo dir nulla, per non mostrare che ci pesi la sua se- 
verità a nostro riguardo. — Ma alfine qual è il suo scopo 
in questa lettera? — Abbiate un poco di sofferenza e l’in- 
tenderete . 

Era mezza notte; io stava da più ore colle confessioni di 
Gian-Giacomo sotto gli occhi; e rifletteva alla profondità di 
quell’ abisso che chiamasi cuor umano. Di tutte le scienze la 
meno avanzata, io diceva a me stesso, è quella dell’ uomo. 
Qual luce improvvisa sui nostri pensieri, sui nostri sentimenti 


19 
secreti, sulle nostre innumerevoli debolezze non uscirebbe da 
una confessione universale fatta da tutti gli uomini con quella 
franchezza o audacia che ha mostrata l’immortal ginevrino ? 

Che se non sappiamo quasi nulla di noi stessi, se l’istoria 
della nostr’ anima è un enigma impenetrabile, che pensarci di 
quell’ altra metà dell’ uman genere, con cui ogni nostra in- 
tima relazione è combattimento, voglio dire le donne? Idee , 
linguaggio, forme, abitudini, tutto differisce tra esse e noi. 
Un' istoria genuina delle donne manca e mancherà sempre alla 
letteratura di tutti i paesi. Esse conoscono troppo bene i loro 
interessi per dipingersi altrimenti che in busto; e gli nomini, 
che volessero far di più , sempre lascierebbero scorgere o igno- 
ranza o prevenzione. Esse hanno, per così esprimermi, de’ se- 
creti di stato, che sole potrebbero rivelare, ma ‘non rivele- 
ranno mai. Il visconte di Ségur ha scritto sopra di loro un 
libro pieno di spirito, che rassomiglia ad un viaggio imaginario; 
Thomas le ha pesate in luogo di dipingerle; Diderot ha loro 
tributati degli inni ; e Giovenale (che avea, come il rappre- 
sentano le medaglie, occhi piccioli, capegli crespi e naso rica- 
gnato, onde forse non ricevè da loro che dispregi ) le ha la- 
cerate nelle sue satire. Il dispetto è sovente più crudele dell’ 
odio . 

Del resto, se le donne sono così gelose custodi de’ loro 
secreti, è naturale : tanto perdono a farsi conoscere quanto 
guadagnano a farsi vedere. Che sciocchezze quindi non hanno 
detto i più grand’ uomini quando si sono avvisati di giudicarle! 
Aristotele non sostiene forse , con orgoglio in vero ben poco 
filosofico, che la natura non fa le donne che quando le manca 
materia buona per formare degli uomini ? 

Mentr’io così discorreva fra me stesso e, beffandomi del 
precettor d’ Alessandro , cercava penetrare i misteri femminei, 
un'idea bizzarra mi passò per lo spirito. Immaginai che non 
fosse impossibile il procurarsi un talismano, che obbligasse un 
giorno le donne a confessioni non per anco ottenute dalla loro 
bocca. Oh che cose si udirebbero! oh com’io sarei curioso 
d’ essere in un canto ad ascoltarle! ,, 

E qui aggiunge che, siccome quando la sua imma- 
ginazione è in movimento, non v'è stravaganza a cui 
essa non s’ abbandoni, sì figurò tutto il sesso femmineo 
chiamato da un angiola ( compagna forse di quella che il 


gangiovanni ci dipinse rimpetto alla porta di S. Pier Gat- 


20 
tolini) ad un solenne giudizio. E poichè la convocazione, 
per suonar di trombe, per folgorar di lampi, per rim- 
bombar di tuoni fu un poco minacciosa , egli stette con 
molta paura. Se non che, vedendo comparir d’ogni parte 
donne fresche e belle, quando pur credeva che il mag- 
gior numero dovesse esser di vecchie e brutte, sentì nel- 
l’anima tanto piacere, che ne sgombrò ogni altro senti- 
mento. L’angiola intanto, che vestiva un abito svolazzante 
come di un’iride , fe’ da altre angiolette minori dividere 
per nazioni l'immensa moltitudine che le stava dinanzi, 
e da ogni nazione scegliere colei che la rappresentasse , e 
dovesse rispondere per tutte le donne della nazione me- 
desima. L’indiana ingenua , l’inglese riservata , la fran- 
cese leggiera, l'italiana ardente, la tedesca sentimentale, 
furono l’ una dopo l’altra interrogate su quel che fecero 
in loro vita; e pare che tutte rispondessero una sola cosa , 
| benchè accompagnata da circostanze assai differenti,, e 
da maggiori o minori prove di bontà. Ma già voi, lettor 
mio , dopo tanti libri scritti sopra di loro, e in cui esse 
sono fatte parlare ed operare, non avete bisogno ch’ io 
qui riferisca ciò che dissero al loro giudizio. Vi recherò 
soltanto la risposta d’ una giovane americana , che rap- 
presentava le donne degli Stati-Uniti, delle quali non si 


può ancora aver da’ romanzi gran conoscenza. 

Giovane americana or tocca a te il rispondere, le disse la 
celeste sindacatrice: che hai tu fatto? — De’ figli, ella rispose, 
e non altro: ma spero si voglia rimeritarmene , come d’opera 
virtuosa, poichè questi figli son divenuti uomini liberi. ,, 


Intanto che succedeva questo esame generale, aveano | 


pur luogo, per commissione della presidente, alcuni esa- 
mi particolari a certe signore, la cui vita fu alquanto 
particolare. Indi udite le relazioni e fatto lo scrutinio, la 
presidente , presa aria di giudice, parlò a lungo e con 
molta indulgenza , che nessun uomo, al dir suo, avrebbe 
mostrata esercitando simile officio. Voi che foste belle e 
saggie, disse , quanto almeno gli uomini vi permisero di 


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ài 

esserlo, e impiegaste i vostri talenti a formare la loro 
gloria e la loro felicità , avrete in premio e gloria e feli- 
cità nel più splendente e nel più lieto de’ soggiorni. A. 
voi che foste deboli, più per colpa degli uomini che per 
vostra, sarà molto perdonato, poichè molto avete amato. 
Ma voi invidiose e malediche , voi vendicative ed intri- 
ganti, voi favorite sopra tutto, che dal letto della voluttà 
operaste l’ altrui oppressione, cadrete tutte in un abisso 
. di dolorosa oscurità. Ed ecco a un tratto comparire un 
palazzo magico d’immensa estensione, fiammeggiante di 
piropi, pianeti di smeraldi, e in cima, Grado bril- 
lante di diamanti ; e sotto un grande abisso senza fine nè 
fondo , che non può ricordarsi senza paura , e sull’ abisso 
un lungo ponte, formato d’ una lama sottile ed acuto, 
come quello dell’ Alcorano. Che cosa sarà questa? dice 
fra se l’ eremita. Le parole dell’ angiola gliela spiegano. 

Vi è piaciuto , signore mie , di morir tutte senza eccezione 
giovani e belle. Non veggo qui che orientali di dodici in quat- 
tordici anni, inglesi di diciannove, italiane di venti, francesi di 
venticinque. La morte , ordinariamente sì bizzarra ne’ suoi colpi, 
sembra che abbia osservata con voi una singolare uniformità. Ma 
discendete un poco nella vostra memoria, e assicuratevi bene 


dell’ età in cui lasciaste il mondo, poichè quelle sole che in que- 
sto saranno esatte passeranno senza pericolo il ponte dell’abisso. ,s 


Credereste ? Nessuna si movea , nessuna potea ricor- 
darsi. Ho capito , disse 1’ angiola. Comincino intanto (e 
questa sia prima parte del loro supplizio ) le cattive de- 
stinate all’ abisso a spogliarsi di una mentita gioventù. 
Ed ecco a un tratto le rughe della vecchiezza segnare di 
lunghi solchi que’ corpi graziosi, che furono ibialioso al» 
bergo di cuori corrotti e d’ anime perverse. Voi deboli, 
proseguì la giudicante, e destinate a rimaner sospese al- 
cun tempo sopra l’abisso , serberete la vostra beltà , ma 
coperta, finchè sia da voi scontata la vostra pena. Ed ec- 
cole avvolte d’ improvviso in lungo panno, che non lascia 
indovinare alcuna parte della loro persona, e asconde in- 


22 
teramente i tratti del loro volto. Quanto alle più saggìe 
(e il lor drappello dice l’ eremita era ben picciolo ) pas- 
sarono\ad un cenno dell’ alta messaggiera con piè sicuro 
il ponte, e andarono sfolgoranti di nuove bellezze ad abi- 
tare il portentoso sog giorno lor preparato. 

L' eremita ci sea con loro (chi poteva impedir- 
glielo ? ) e si prova un poco a descriverne le meraviglie ; 
ma si accorge di perdervi i colori dello stile. Chi cantò 
fra noi: [Non vide nè il più bel nè il più giocondo eol 
resto che segue di quel gentil paese, ove calò Ruggiero 
col volante portatore , anch’ egli ve li avrebbe perduti. 
Nel palazzo delle rimembranze di cui già vi fei cenno, e 
che trovasi in un’ isoletta galleggiante , la qual fa sup- 
porre un lago od un fiume, si leggono sulle colonne crì- 
stalline, che ne iignloda la sapala leggiera queste fra 
molt’ alito sentenze: 


La società dipende dal sesso più dipendente. — La virtà nelle 
donne ha qualche cosa di più amabile che negli uomini. — Essa 
è anche più difficile, poichè non è sostenuta dall’ amor della glo- 
ria. — La più parte delle donne ha qualche virtù sconosciuta, a 
cui la sola occasione può togliere il velo. — L’ errore di moltis- 
sime è di rinunciare al sentimento per far mostra di spirito. — 
Una bella donna colle qualità d’ un onest’ uomo: perfezione della 


specie umana . ;) 

Quest’ ultima sentenza mi fa pensare alle donne in- 
contrate dal nostro eremita nel boschetto degli allori 
uscito appena dal palazzo delle rimembranze. Sorge fra 
quegli alberi onorati, egli dice, un candido tempietto , 
sul cui frontone è scritto: sacrifizio sublime. Vide aggi- 
rarsi intorno ad esso Aria, Paolina, Eponina , ed altre 
i ntiche e moderne insigni pel loro coraggio e per la loro 
virtù. Fra le seconde vi piacerà lettor mio caro di sentir 
ricordare « madama Roland, che sacrificò sè stessa gene- 
rosamente alla patria e allo sposo; e mostrò l’anima di 
Socrate sotto il sembiante di una bella e giovane donna. » 

Le persone del suo sesso leggono tanti romanzi pel 


23 
piacere , credo , di vedervisi dipinte sotto lusinghieri co- 
lori più ancora che per dar alimento all’ immaginazione 
ed al cuore. Perchè non leggono tutte le memorie di quel- 


l’unica donna, che è veramente l’ ideale della perfezion 
feminile ? M. 


=——7—..----- - rr. ———————————@@@ 


Lettere di Francesco Mirizia a Tommaso Teman- 


za. Venezia dalla tipografia d’ Alvisopoli 1823. 
in 8° 


Francesco Milizia, lettor mio caro, è uno de’ nostri 
più grandi amici; e per tale l’ avranno i nostri figli. e ni- 
poti, se appena vorranno distinguersi dai paperi. Perchè 
questi soli possono aver paura della sua voce alta e fran- 
ca, e farne schiamazzo tra loro e fuggire per non ascol- 
tarla. Ma gli uomini debbono correre volentieri al suono 
di essa, e gridare: benedetto quel bravo Cecco (i napole- 
tani grideranno, ancor più forte, il nostro don Francisco) 
il quale più di mezzo secolo fa parlava a noi, ben sapen- 
do che allora quasi nessuno l’ intendeva, ma sperando 
d’ essere inteso da questa generazione, che fortunata- 
mente non ha più coperte le orecchie dai ricci della par- 
rucca! 

Però ogni suo scrittarello, che ci avvenga di raccat- 
tare, deve proprio riguardarsi come un nostro bene co- 
mune . Ed anco le sue lettere debbono esserci consegnate 
in comune; e il sig* di Caldogno , che pubblicò l’ anno 
scorso queste al Tamanza, mostrò di conoscer bene il lo- 
ro vero indirizzo. Già tutti i valentuomini, direte , scri- 
vono alla posterità, e fa male chi tiene fermi in posta i 
loro fogli, che le sono pervenuti. Ma ciò è particolarmente 
vero del Milizia, che dicea cose , le quali avranno ancora 
per lungo tempo l’ aria della novità; che, in proposito di 


24 

arti, educava la nostra ragione a tutto quello su cui la ras 
gione può esercitarsi; e sì esprimeva con tanta schiettezza 
e tanta confidenza, qual non potea trovarsi che in un ne- 
stro cordialissimo amico. 

Giò che riporteremo di queste lettere al Temanza 
(le quali fra più brevi e più lunghe giungono a quaran- 
tasette ) vi sembrerà , spero, una prova da aggiungersi 
all’ altre già conosciute dello spirito di si brav” uomo, 
che avea idee tanto superiori a quelle della maggior par- 
te de’ suoi contemporanei; e, malgrado i disgusti che gli 
venivano donde avrebbe dovuto venirgli applauso , mai 
non cessava di pensare a qualche cosa d’ utile per noi. 

Nella diciottesima per esempio ( la quale è del 30 
marzo 1771), dopo aver parlato ab Temanza degli ele- 
menti di matematica e d’ architettura che va stampan- 
do; gli dice: 

Frattanto si vorrebbe, così per divertimento e per non so 
che ghiribizzo, dar prima fuori un trattatino sopra il teatro, Già 
è composto, e n’ è stata fin accettata la dedica da un personag- 
gio di alto rango. Si lavora ai rami. Il punto essenziale, che sì 
è stabilito nell’ architettura del teatro, è che tatti quanti gli 
spettatori seggano comodamente e veggano tutti egualmente tut- 
to quello che si rappresenta nel palco scenico. Per risolvere que- 
sto problema , bisogna ricorrere al teatro antico semicircolare e 
dar ùn addio ai palchetti. Ma gli antichi, ch’ erano più robusti 
di noi, non coprivano i loro teatri. Or la copertura a un teatro 
semicircolare e quella bocca del palco scenario, larga quanto è 
il diametro di esso teatro, son cose ben imbarazzanti. Basta, ella 
vedrà come ci siam cavati d’impaccio, e come siasi accordato il 
teatro antico coll’ odierno costume . Si è stimato in oltre utile 
riportare anche in rame i principali teatri attualmente esistenti 
in Europa, affinchè ad un colpo d’ occhio ‘se ne scuoprano mag- 
giormente gli assurdi, de’ quali son ripieni. Mi è nota l’ idea 
dell’Arnaldi poco soddisfacente. È nota a lei l’opera del Dumont? 
Ma ella non ha bisogno d’idee altrui. Originale e maestro in 
tutto, so quanto siasi citata con mirabil gusto anche in que- 
sta parte dell’ architettura; e perciò s’ ella mi volesse comunica- 
re i suoi lumi, come umilmente ne la supplico, e conosco quant” 
ella è generoso, mi farebbe cosa gratissima , per cui la mia ri- 


Va PO 


25 


«conoscenza sarebbe indelebile. E se ella poi si compiacesse fa- 


vorirmi quella bella idea del sub teatro da lei fatta tempo fa, 
s’ inserirebbe qual gioia nel parallelo fra gli altri teatri, e fre- 
giata del suo gran nome sarebbe al certo sopra tutti brillantis- 
sima: ma forse mi fa troppo ardito la sua bontà e il desiderio 
del pubblico bene. ,, 

Il Temanza aderì cortesemente al desiderio del Mi- 
lizia, onde questi alcuni mesi dopo (il 3o novembre 
dell’anno medesimo ) gli scrive come segue in altra let- 
tera , che nella raccolta da noi annunziata sì annovera 
vigesima prima. 

Ho ricevuto per mezzo di un domestico di monsignor Cor- 
naro i disegni del suo teatro. L’ architettura è tutta palladiana, 
vale a dire corretta e di un gusto squisito. Io gliene rendoi più 
affettuosi ringraziamenti, e mi dichiaro sommamevte tenuto alla 
gentilezza del mio riveritissimo sig. Tommaso , il quale mi ha 
dato tanto gran piacere con una sua idea così ben intesa. Pec- 
cato che non sia stata eseguita; e credo bene che nell’ eseguirla 
i avrebbe modificata la bocca del palco scenario, la quale sem- 
bra troppo bassa relativamente alla sua larghezza , non essendo 
quella che due terzi di questa. Pare ancora che vi sarebbe un 
po’ d’ imbarazzo , facendo i palchetti in ritirata per combinarli 
colla predetta bocca; e vi sarebbe timore che gli ordini superio- 
ri de’ palchetti, così ritirati indietro, poco vedessero dalla scena; 
intendo quelli che al palco scenario sono vicini. Ma questi non 
sono che semplici sospetti, ch’ ella avrebbe colla sua sagacità in- 
teramente dileguati nella esecuzione dell’ opera. Nel libretto del 
teatro, che qui attualmente si sta stampando , si è mutato pen- 
siero di riportarvi i disegni di alcuni teatri, perchè si sarebbe 
dato in una lunga fatica e dispendiosa + Non vi saranno che sei 
disegni tutti relativi all’ idea dell’ autore. Ma tanto vi si farà 
menzione del lodevolissimo sig. Temanza per il bel pensiero di 
fare i luoghi degli spettatori in ritirata , contribuendo questo 
spediente moltissimo a rendere i teatri sonori. Subito che questo 
libretto sarà pubblicato, gliene trasmetterò una copia, e quante 
altre ne vorrà saranno a sua disposizione. 

Il libretto di lì a poco più d’un mese venne in luce, 
e la copia promessa al Temanza partì subito di Roma 


per Venezia . Ma ecco qual lettera la seguì fra alcuni 


20 


giorni (il 18 gennaio 1773): è la vigesima seconda del- 
la raccolta . 


Due ordinari sono , spedii a codesto sig. Gio. Piccioli alcu- 
ni esemplari del mio trattatino del teatro , uno dei quali è de- 
stinato per lei, e credo che a quest’ora le sarà stato consegnato. 
Non lo avessi mai fatto! Appena qui pubblicato si levò gran ru- 
more . Si trovò posta in ridicolo la sacra scrittura per il terzo 
paragrafo, ch’ è a pagine 66. Indi fu rilevata come grande osce- 
nità quella infibulazione delle donne, ch’ è a pag. 70. Sembra 
ad alcuni insoffribile verità la mancanza de’ mecenati, ch’ è alla 
fine della noterella a pag. 41. Eresia politica parve ad altri quel- 
lo che si dice del teatro spagnuolo a pag. 43. Il paragone del- 
l’opera in musica a quell’ acqua di Tessaglia , la quale per la 
sua proprietà di stupefare non poteva esser contenuta che in cra- 
ni di asino ( pag. 54. ) , fece ragliare quanti se ne trovano fra i 
sette colli. La nota a pag. 22 pose a schiamazzo poetastri e pe- 
danti. In somma per tutti questi maiuscoli ed altri consimili 
peccatacci , de’ quali è tutto inzuppato quel libercolo, si è fatto 
tale bisbiglio, che il maestro del sacro palazzo ha stimato bene 
di ritirare a se tutti quanti gli esemplari, i quali ora si trovano 
tutti in casa del duca di Bracciano , perchè suo figliuolo don 
Baldassare, cui il libro era dedicato, li ha voluti in suo potere; 
nè gli mancano che quelli che io ho mandati costà , ed alcuni 
pochissimi dispensati da me qui ad alcuni miei amici. Anch’ io 
ne sono rimasto senza, nè altro ho presso di me che i sei rami, 
che sono fatti a mie spese. Sono stato indolentissimo spettatore 
di questa scena e mi sono involto nella mia filosofia. 

Aveva da seguire anche di peggio. Nell’ efemezidi letterarie, 
che qui sono incominciate, vi doveva esser un articolo ben san- 
guinoso contro il predetto libro. Ora non vi sarà più, perchè 
il libro più non esiste. Io avrei letto un tale articolo con som- 
mo piacere , perchè mi avrei corretto di quegli errori ne’ quali 
fossi per mia ignoranza inciampato. Spero che questa finezza mi 
sarà compartita dal mio gentilissimo sig. Tommaso, ch’ io tanto 
stimo ed amo, e ch’ egli non mi defrauderà della sua amorevo- 
le critica da me tanto desiderata per illuminarmi. La prego dun- 
que con tutto il cuore a palesarmi il suo imparziale giudizio so- 
pra la sventurata operetta. 

Dopo questo avvenimento , e coll’ esperienza del fastidio 
sofferto sulle vite degli architetti, mi sona immutabilmente de- 


27 
terminato di nulla più stampare in questo santo paese, E come 
può stamparsi, se dopo le approvazioni le più solenni, e dopo a- 
werne avuto il permesso da tutti i superiori, com’ ella potrà 
rilevare, al gracchiar poi d’ alquante ranocchie , si disfà barba- 
ramente quello che si avea fatto? Il corso di architettura ed un 
trattato di meccanica e d’idrostatica saranno impressi altrove. 

Del fastidio sofferto per le vite degli architetti già 
gli aveva scritto ( in data de’ 25 luglio 1767) nella 
quinta delle nostre lettere , ove leggiamo questo para- 
grafo : 

Si è cominciato finalmente a stampare l’opera a lei nota do- 
po d’ essersi perduti due buoni mesi di tempo presso due sec- 
cantissimi revisori, ai quali ogni bica è sembrata montagna. Per 
queste loro seccature e piccolezze di spirito si è dovuto levare, 
aggiungere, modificare in quà e in là; e addio vivezza, energia e 
piacere : sarà un libro floscio dove era spiritoso , ed in alcuni 
luoghi mancante d’ istruzione. L’ autore è stato sul punto di non 
farlo più imprimere qui e di mandarlo altrove. Ma gli amici 
l’ han dissuaso , ed egli si è arreso , ma svogliatamente e con 
nausea . 

Del trattato di meccanica, e del bisogno che ha l’ar- 


chitetto di studi matematici, gli avea pur fatta parola nel- 
la lettera decimanona , che noi riporteremo per metà. Le 
idee, ch’essa comprende, bramiamo che oggi sembrino a 
tutti molto semplici, ma certo all’ epoca in cui la let- 


tera fu scritta ( il 17 agosto 1771) non erano idee molto 
comuni. 

Per mezzo del sig. ab. Piccioli, che si è costà ripatriato 
col sig. cavaliere Erizzo, mi sono presa la libertà di mandare 
al mio stimatissimo sig. Tommaso un esemplare degli elemen- 
ti di matematiche pure , ch’ io ho compilato per uso de’ gio- 
vani studiosi delle arti e delle scienze. La prego ad accettare 
il buon animo, ed a scusare l’ ardire; il quale, in verità, non 
è pi»:colo in mandare elementi a chi già è maestro. Io eredo che 
un giovane artista , nella cui professione entra qualche poco di 
meccanica, come è l’ architetto, debb’ avere una buona tintura 
di matematiche pure, studiate con metodo regola re, e per i loro 
veri principii. E l’ analisi e fino il calcolo infin itesimo bisogne- 
ranno. all’ architetto? Sì: ella lo sa per prova nella costruzione 
delle volte de’'terrapieni, e molto più in quelle che si fanno 


28 


nell’ acqua, e nell’ idraulica, che è pure un ramo dell’ archi- 
tettura civile. Perciò ho compilato nel nostro idioma italiano i 
predetti elementi, che da un giovane d’ un mediocre talento 
possono essere appresi in cinque o sei mesi, senza molto distrar- 
si dalle occupazioni della sua arte, come ho sperimentato in un 
giovane che ho meco, il quale, studiando l’ architettura e di- 
segnando, ha fatto nel medesimo tempo il suo corso di queste 
matematiche in meno di mezzo anno coll’ applicarvi soltanto due 
in tre ore del giorno. Ora sto dietro a formare un altro con- 
simile volume di meccanica. 


Dissi pur dianzi che le idee espresse in questa lette- 
ra non erano al tempo, in cui fu scritta , molto comuni. 
Si argomenti lo stato, in cui si trovavano allora certi stu- 
di, da questo paragrafo della vigesima ottava , che porta 
la data dei 7 agosto 1772. 


Sono subito corso dal p. Fonda, pubblico professore di fi- 
sica sperimentale, per sapere la maggior altezza, cui è giunto 
in quest’ anno il mercurio nel barometro di Reaumur. Ma e- 
gli nol sa, perchè non fa alcuna osservazione meteorologica. 
E chi le fa ? Oh io non ne conosco veruno che se ne diletti, mi 
disse egli. — Ma questa è una gran vergogna per una capitale 
come Roma, che si vuol chiamare la regina delle città, — Ma 
questa regina, mi replicò il buon padre, disprezza la natura, e 
non premia che i sprezzatori della natura. — Questa è una can- 
zone che la sento spesso. Mi resta di andare a domandarlo al 
p. Jacquier ed al p. Audifredi, e se costoro nol sanno , allora 
sì che la vergogna è massima, ed io rimarrò come un mam- 
malucco nel servire il mio stimatissimo sig. Temanza in una co- 
sa tanto materiale, i 


E si argomenti pure dall’ ammirazione e quasi dissi 
dalla sorpresa, che traspare da quest’ altro paragrafo della 
trigesimasesta, scritta il 9 giugno dell’ anno seguente: 

Un domenicano calabrese, chiamato Minasi, che si ha per 
un gran naturalista , ha data qui alla luce una dissertazione 
sopra l’ apparizione della Fata Morgana. Questo è un fenomeno 
che si vede a Reggio di Calabria, nel mare che forma lo stret- 
to di Messina. Si veggono apparire sulle onde eserciti di fan- 
teria e di cavalleria, ai quali rapidamente succedono boschi, indi 
torrioni, poi arcate immense, colonnate, palazzi e case senza nu- 
mero, e moltitudine infinita di womini di donne e di ogni al- 


29 
tra sorte di bestie. Questa apparizione, che talvolta comparisce 
sul mare e talvolta in aria, sempre ne’ suoi colori naturali e 
distinti e talvolta fregiata d’ iride, è chiamata da que’ calabresi 
Fata Morgana, e quantunque la veggano spesso, la. veggono 
sempre con sorprendente diletto. Affinchè comparisca questa 
bella fata, bisogna che il sole sia elevato circa 45 gradi sopra 
l’ orizzonte; bisogna che il mare sia in calma, ma increspato leg- 
germente da certo venticeilo, onde esso mare verde venga a 
farsi come uno specchio poliedro, cioè a più faccette. Allora un 
soldato, che sia sulla sponda, formerà un esercito, un albero, 
una boscaglia, una colonna, un colonnato ec. Ma ella, che vede 
sempre mare, ha mai vedute di queste fate ? 


La teoria matematica di simili fenomeni, dovuti al- 
la refrazione della luce ne’ vapori diradati alla superficie 


del mare, non fu data, credo , che nelle memorie dell’ i- 
stituto di Francia del 1809 da Biot-e Mathieu, che ne a- 
vevano osservato gran numero a Dunkerque. Otto o nove 
anni innanzi, Monge ci avea descritti quelli da lui osser- 
vati nel Basso Egitto all’epoca della famosa spedizione, e 
dovuti anch’ essì alla refrazion della luce, ma in un’ aria 
rarefatta dall’ eccessivo riscaldamento del suolo . Milizia 
non poteva prevenire col pensiero l’ osservazione de’ fatti. 
E sentendo parlare per la prima volta alquanto scientifi- 
camente della Fata Morgana (il Varano, che ne parlò poe- 
ticamente nella Peste di Messira, V attribuì al riverbero 
de’ raggi solari in materie lucide ondeggianti nell'aria; e 
questa bella spiegazione ancor si ripeteva nel 1805 nelle 
note alle visioni ristampate a Venezia e a Piacenza) nat- 
rava quasi in aria di attonito quel che aveva sentito, sen- 


za darsi tempo di riflettere se tutto fosse esatto. 

Nelle cose su cui rifletteva, anche fuori dell’arte sua, 
non era facile ad arrendersi ali’ altrui opinione, che non 
fosse sostenuta da prove ben evidenti. Ne abbiamo un sag- 
gio nella sua lettera quarantesimaterza scritta da Napo- 
li il 23 agosto 1774. 

Non so se queste provincie di quesio regno , le quali ora 
ban la denominazione di Abruzzo, e anticamente avean quella di 
Sannio, dei Peligni ec. , fossero state abitate dai greci prima dy 


30 


esserlo dai latini. I Bruzi antichi, ora le Calabrie, furono eer- 
tamente abitati da’ greci e formavan la Magna Grecia; ma l’ À- 
bruzzo moderno credo che non abbia avute altre colonie greche 
che quelle che si sono sparse pel regno dopo la distruzione 
dell’ impero di Costantinopoli, e queste tuttavia sussistono. Può 
darsi peraltro che anche prima di quell’ epoca le predette con- 
trade avessero avuto dei greci, come soggette all’ impero gre- 
co; e può darsi ancora che, come Napoli fin dalla sua origine 
fu greca, fossero anche greche quelle provincie; ma questo a me 
non è noto. Sia però come si voglia, per tutto questo regno 
vi è gran copia di parole greche e latine, come altresì di ara- 
be, francesi, spagnuole, e tedesche, perchè vi sono venute tut. 
te queste genti. Fosse almen finita! Quelle parole, poi, ch’ el- 
la chiama calabresi e regnicole, si usavano anche in Roma al- 
cuni secoli addietro, come ho veduto in certi libri antichi, fra’ 
quali, se mal non mi ricordo, è la vita di Cola di Rienzo. Chi 
sa quanti spropositi avrò detti! Qui in questo caos io non ho 
più testa; nè di Teodoro Lelio le so dire altro, quantunque ne 
abbia domandato a diversi abruzzesi, e particolarmente ad al- 
cuni di Teramo. Sì signore qui v'è molta trascuratezza, anzi 
goffaggine delle cose proprie. Napoli non è Toscana. 


Milizia dimenticava l’opinione che nel Sannio fosse 
venuto Diomede co’ suoi locresi, o non trovava a tal 
opinione verun appoggio di storia. Era una vanità degli 
itali antichi il volersi far credere d’ origine greca ; va- 
nità che il vecchio Catone credeva di dover combatte- 
re. Pur sembra che la magna Grecia avesse più lar- 
ghi confini che l'Abruzzo d'una volta o le Calabrie pre- 
senti, ove pare che si conservino ( veggasi il Micali 
sulla fine del primo volume ) parecchie greche costu- 
manze. Il nostro Milizia sarebbe stato contento che si 
serbasse nella città, che impera a tutte le, terre occu- 
pate un tempo dalle colonie de’ greci, il gusto greco 
dell’arti, o almeno il buon gusto del fabbricare. 


È bello bellissimo Napoli per la sua situazione della più de- 
liziosa amenità: ma è orrendo per l’architettura. Ella già lo 
sa meglio di me. Ma non v'è apparenza che quest'arte vi vo- 
glia neppure spuntare. Le opere di Fuga e di Vanvitelli s0- 


no del gusto del paese. L'altro giorno si aprì la nuova chiesa 


3I 
dell’ Annunziata ; architettata da Vanvitelli, con ricchezza bensì 


KS 


ma non con bellezza. Vitruvio vi è strapazzatissimo . 

Ciò leggiamo nella lettera quarantesima seconda, 
scritta il 28 giugno 1774. E nella seguente, scritta pur 
da Napoli il.23 agosto dell’istesso anno, s'incontrano le 
stesse doglianze . 

Il teatro da lei disegnato sarà veramente teatro, e farebbe 
per più secoli onore alla sua degnissima patria, all'Italia, al 
nostro secolo, se ... Ella ha fatto benissimo a farlo: il torto è 
di chi, potendolo far eseguire, lo trascura, e torto marcio, po- 
sponendolo poi a cosacce barbare. Ma questa barbarie è stata 
sempre in moda da per tutto, e il suo Vitravio se ne lagna- 


‘va moltissimo. Ho sentite dal rinomatissimo cavalier Fuga pro- 


posizioni da fare spiritare i cani; ei razzola male e canta peg- 
gio. Anche qui si fabbrica all’infretta, e ogni casa è saetta. 
Ma a me sta sul cuore il suo teatro. Oh ella me lo ha da 


far vedere certamente: la discorreremo quando sarò ritornato 
a Roma, 


Colla medesima libertà, trasportato dall’ amore del 
bello dell’arte sua, ei parla d’alcuni moderni edifizii 
di questa metropoli dell’ arti; e in simili argomenti sono 
sempre degne di riflessione le sue parole. Riportiamo 
l’ultimo paragrafo della lettera trentesima nona in data 
dei 23 otttobre 1773. 


Finchè egli (il Pasquali di Venezia ) terrà quel libercolo 


invisibile (il trattatello del teatro ristampato ) terrà il suo da- 


naro morto; quanto più presto lo darà alla luce, più presto 
si rifarà della spesa e ne ricaverà il suo profitto, specialmente 
se si avvera il di lei prognostico che il libro avrà un facile 
spaccio. L’ affare di un rame poi non è la fabbrica del Vati- 
cano. A proposito di Vaticano, s’ ella vedesse che sconciatura 
di portico si sta facendo ad uno de’ cortili di Belvedere, che 
deve servire come di vestibolo al nuovo meschinissimo Museo 
Clementino, certamente darebbe in furie. Ma spero che lo 
vedrà, perchè io spero di rivederla e riabbracciarla quest'anno 
santo. 

E sulla fine della trentesima quinta in data del 
29 maggio dell’anno medesimo avea già detto: 

Sta per compirsi il portico al cortile di Belvedere. Fa pietà: 


i 


32 


vi sono riepilogati tutti gli assurdi di architettara, nuovi trofei 
del gusto borrominesco . 

Dispiaceva infinitamente al buon Milizia il veder 
spendere molto per far male, mentre con minore  di- 
spendio si poteva far meglio. E sempre un danno pu- 
blico il consumare vanamente in una sola cosa, anche 
benissimo fatta, un capitale che poteva servire a più 
bisogni. Consumarlo poi per moltiplicare gli esempi 
de) cattivo gusto, o per accrescere i guasti che arreca 
il tempo alle più salde opere dell’uomo, è tale stolidez- 
za da non potersi comportare. Un caso d'architettura 
idraulica narrato nella lettera vigesima dei 14 novem- 
bre 1772 ci conduce a queste riflessioni. 

Benedetti que’ 25 zecchini da lei spesi per gadersi Vero- 
na. Altri spendono migliaja a rendersi ridicoli con galloni e 
con broccati, e ad avvelenarsi nella pompa delle mense. I suoi 
elogi di Verona mi sono andati veramente a cuore. Quella è la 
mia città diletta , quantanque io non l’abbia veduta che da ragazzo 
e di passaggio. La sua bellezza e la sua pulizia sono dimo- 
strazioni infallibili del buon governo pubblico e municipale; e 
tutte queste cose debbono necessariamente influire alla mori- 
geratezza ed alla urbanità de’ suoi abitanti. E perchè tutto 
questo nostro arcipicciolissimo globetto non è su quel gusto? 
Anch'io nel mese scorso ho girato un tantino per questi con- 
torni; ma non ho veduto altro di buono che il palazzo di. 
Capraruola derelitto, che se ne andrà in malora fra non molti 
anni. Sono stato fino a Cività Vecchia, dove 'l’ antimurale di 
quel bellissimo porto di Trajano se ne va anche al diavolo, 
essendo dai furiosi colpi dell’onde tutto sgrottato fino dalle sue 
radici lo scoglio, che serve di basamento alla fabbrica sopra- 
postavi. Sono accorsi i più insigni di questi architetti a  visi- 
tare il gran male, ed a progettarvi i loro rimedi. Sento pro- 
getti lunghi e dispendiosi che mi fanno rabbia, mentre è pat- 
pabile un riparo facile e sicuro , il quale sarebbe di farvi pri- 
ma una buona scogliera, affinchè il mare più non lo tormen- 
tasse, e poscia saldare la piaga. Ma la facilità e il risparmio 
non è della magpificenza romana. 

Riferiremo un altro squarcio relativo a cose idrau- 


liche, il qual si trova nella lettera vigesima terza ( 4 


33 
aprile 1772), e divertirà così per la piacevolezza dello 
stile, come per qualche notizia relativa ad un celebre 
matematico, di cui abbiamo veduto recentissimamente 
riprodotto il trattato sul moto dell’acque, che gli dà 
maggior nome . 


Portatosi qui monsignor Buoncompagni vicelegato di Bolo- 
gna, e poi il p. Lecchi, rotti fra loro come due fiaschi, 
si è tenuta una solenne congregazione di cardinali e prelati, 
che durò niente meno di cinque ore. Sarei stato volentieri in 
‘un cantoncello a udire le belle teorie che avranno sfibbiato 
sulla idraulica quegli eminentissimi, e quegli illustrissimi e re- 
verendissimi. Li cardinali Pallavicini e Spinola erano d’accordo 
di favorire il progetto di monsignor Buoncompagni sopra non 
so che botte sotterranea, e volevano che fosse destinato il p: 
Gaudio delle scuole pie ad eseguir tale opera: ma vi si oppo- 
sero gli altri, e specialmente il cardinal Castelli, il quale ci- 
ceronianescamente perorò per gran tempo. ll cardinal Canale 
propose un altro piano nuovo, che non fu capito da nessuno 
e forse nemmeno da lui stesso. Finalmente, per pluralità di 
voti, fu conchiuso che si sospendesse ogni ulterior lavoro su quelle 
acque e si éleggesse un perito forestiere imparziale per esami- 
nare i lavori fatti e proporre appresso quid agendum. Toc- 
cherà al papa il fare la scelta di un tal nuovo perito. Che 
gliene pare, caro sig. Tommaso? Si vuole frattanto che il p. 
Lecchi siasi per se licenziato dalla sua incombenza e che ritorni 
nel milanese. 


In proseguimento del qual racconto leggiamo nella 
vigesimaquinta, scritta il 13 giugno dello stesso anno: 


Il p. Lecchi se n’è andato per i fatti suoi, ed alla sua 
partenza fu regalato dal cardinale Alessandro |Aibani, come 
prefetto della congregazione delle acque, di un biglietto  fir. 
mato dal predetto cardinale, e da monsignor Levisani, segre- 
tario della stessa congregazione. Questo biglietto era un pane- 
girico, che questa eminentissima congregazione delle acque 
faceva alla scienza idraulica del  p., Lecchi in riconoscenza 
de’ segnalati servigi da lui prestati allo stato ecclesiastico. Ma 
siecome gli altri porporati, componenti essa congregazione, 
erano interamente all'oscuro di tal diploma, fatto a nome 
loro, e più all’oscuro n’era anche il sacro palazzo, appena 
fu divulgato, la segreteria di stato spiccò subito ordini a Fi- 

T. XVI, Novembre 3 


34 


renze fed ovunque si potesse trovare il p. Lecchi, che se 
gli togliesse quella carta carpita artificiosamente e formata 
indebitamente da chi non avea autorità di formarla, e contra- 
ria alle intenzioni del papa. Non v'è ancora nuova dell’ ese- 
cuzione di un tal ordine, il quale mostra la vanità gesuitica 
e l’ardire dell’ Albani. 

La nuova venne presto, ed ecco ciò ch’ ei ne scri- 
vette nella lettera vigesima settima, il 4 del luglio 
successivo : 

L’affare del p. Lecchi è intieramente finito. Egli do- 
vette rendere quella carta diplomatica, che dal cardinal 
Albani aveva ottenuta senza intelligenza della congregazione 
delle acque, e con dispiacere di questa corte. In compenso 
di quella lo stesso eminentissimo Albani, come ministro impe- 
riale, gli ha regalata un’ altra carta di gloria. Mi sembra molto 


piccolo questo p' Lecchi per questa sua gran brama di tali 
carte; pasto ordinario de’ ciarlatani. 


Nel maggio dell’anno seguente il discorso delle 
acque fu ripigliato; e il Lecchi ricomparve in iscena, 
ma con successo niente migliore del primo. Hl raggua- 
glio, che ne troviamo nella lettera trigesima quarta 
( in data degli 8 del mese indicato ) può non sembra- . 

e Di vio: dI 
re inutile per la storia dell’uomo, che pur troppo si 
mostra sempre un povero essere, malgrado la forza del 
talento, che sembra promettere un po’ di forza di ca- 
rattere . 

leri fu qui terminata una nuova controversia sopra quelle 
eterne acque del bolognese e del ferrarese: per la controver- 
sia è venuto qui espressamente da Bologna il vicelegato mon- 
signor Buoncompagni col perito Boldrini. Questi ha confutato 
Lecchi con Lecchi; onde la congregazione a pieni voti ha de- 
ciso che si argini lungo la rotta Pantilia, che si faccia la bot- 
te sotterranea e che si dia all’ Adige l'immissione nel Prima- 
ro; vale a dire che si eseguisca il piano formato dai tre idro- 
statici, Temanza, Veracci, e Lecchi: piano esposto e difeso 
da Lecchi, e da Lecchi non eseguito e riprovato. Il Lecchi 
dunque comparisce un inconseguente, anzi un proteo, che 
ficilmente si è saputo accomodare agli altrui ed a’ suoi pic- 
cioli interessi, e nel risultato con discapito della sua fama, 


35 

Il buon Milizia si abbandona volentieri; come tutta 
la buona ‘gente , al dolce piacere di chiacchierare. Ma 
è raro che dalle sue chiacchiere qualche cosa non s’im- 
pari, se non foss’ altro a dare agli uomini e alle cose 
il loro giusto valore. Le vicende ultime de’ gesuiti, i 
congressi academici degli artisti, le loro disparità di 
giudizio sopra cose sottomesse alla loro approvazione, 
tutto forma oggetto di aneddoto, per lo più in uno sti- 
le se non il più elegante, certo il più piccante del 
mondo. E in proposito d’ eleganza, non so lettor mio 
caro, che possa farvi pensare questo passo della lettera 
trigesima prima ( 23 del 1773 ) ove il Milizia ne par- 
la come di qualità ch’ei molto bene conosca . 

A. Napoli è uscito ultimamente un trattato d’architettu- 
ra, che ha per titolo istruzioni di architettura civile di Nic- 
colò Carlotti. L'ho letto, o per meglio dire, l'ho scorso. I 
prineipii mi sono parsi buoni; ma egli, a similitudine di Wol- 
fio, vi ha voluto impiegare il metodo matematico, e, come 
egli dice, analitico, ed è riuscita un’opera secca, piena di 
ripetiziom e così difficile che ributta; onde non so come i 
principianti, per i quali è destinata, possano studiarla - Lo stile 
tutt'altro è che elegante; abbonda anzi di termini e di frasi 
scientifiche, stentate e non italiane. Ma per le buone cose, 
che vi sono, l’opera non è disprezzabile, e, disposta in. un 
altro torno, si potrebbere rendere utile. 

Bisogna ben dire che lo stile di quest’ opera pas- 
sasse i confini della barbarie, perchè il Milizia, che 
sapeva e confessava nelle notizie sulla propria vita 
d'essere quanto ad arte di scrivere piuttosto rozzo che 
delicato, se ne lagnasse come fa. Il suo stile non era 
bello che per le doti del suo carattere: brio , schiettezza, 
spontaneità . Quindi l’erudizione da lui trattata non fa- 
ceva peso; e una mezza pagina talvolta ne conteneva più 
che molte di altri, come questa che cavo dalla lettera 
quarantesima sesta in data dei 3 giugno 1773. 

Soddisfò un debito. L’ho fatta veramente questa volta da 


36 i 

cattivo debitore, non per mancanza di volontà, ma per alcuni 
accidenti, per i quali mon ho potuto ricuperare i miei scar- 
tabelli che in parte, ed a pezzi e bocconi. Nè ad Ercolano , 
nè a Pompei, nè a Stabia, nè a Pozzuoli si sono ancora scoper- 
ti de’ balaustri, che forse saranno invenzione de’ secoli barbari. 
Nelle pitture bensì osservansi spesso delle balaustrate , non di 
colonnette però, ma di vari intrecci, e, come dicono i fran- 
cesi, di antrelas e di ewillocis. 

De’ cammini poi all’uso nostro non se n'è ritrovato nep- 
pure uno, In certe stanze, che si credono stufe, si è trovato 
un cammino senza canna, con un buco del diametro di quat- 
tro pollici nella controlastra, alto da terra un piede, e corri- 
spondente dalla parte di dietro ad un corridore. Delle fine- 
stre con vetri se n'è rinvenuta qualcuna, ed ella lo saprà da 
un pezzo. Ma non so se ancora sappia di certe volte perfet- 
tamente piane senza alcuna sorta di curva ne’ reni. i 


Quindi ( per. seguitare il discorso cominciato prima 
di quest’ ultima citazione ) i suoi racconti, le sue osser- 
vazioni, riuscivano sempre naturali, vivaci, vero spec- 
chio insomma di ciò ch’ egli pensava o sentiva. Prendia- 
mone ad esempio uno squarcio di lettera ( la quarantesi- 
ma prima, scritta il 29 del 1774) ove si trovano in 
breve spazio ben oppose pitture. 


Ho letta la bella dissertazione sopra il soffitto del teatro 
olimpico. Ella con erudizione scelta e ben applicata dimostra 
all'evidenza che il pulpito, e tutto il palco scenico di quel 
teatro debba comparire senza tetto. Ella ragiona da grande 
architetto e da architetto filosofo . Evviva il mio stunatissimo 
sig. Tommaso. Le sono obbligatissimo di questo grazioso dono 
che mi ha recato diletto sì grande. 

Ho portato questa maltina l’altro esemplare della stessa sua 
erudita dissertazione, insieme con la lettera, a monsignor Bot- 
tari. Il povero vecchio, sempre venerando , se ne stava a letto. 
Si fece subito leggere la di lei lettera, e col suo libriccino 
allo mano, esclamò tre e quattro volte che il Temanza è un 
vero architetto, e il maggior architetto ch'egli si abbia mai 
conosciuto. Ebbe un gradimento estremo per questo suo dono, 
e m’ impose di ringraziarla e di riverirla carissimamente . Io era 
un gran pezzo che nol vedeva. Egli è uno spettacolo ben 


37 
umiliante per l’ umanità: € ridotto quasi a un tronco, e da 
lui di tratto in tratto. scappano soltanto per abitudine alcuni 
lampi di memoria. i 

Non ho ancora avuto tempo di parlare con veruno di questi 
efemeredisti, per informarmi donde abbian essi tratto quell’ ar- 
ticolo , in cui riferiscono la vita del Pailadio scritta da 'un in- 
glese. Forse, secondo il loro solito, da qualche altro giornale . 
Ma me ne informerò, e m’ informerò ancora che libro sia quello del 
Bellori sopra le vite degli architetti romani. Io conosco il ca- 
po ed alcuni di questi efemeridisti; e giacchè ella vuole che 
io li ringrazii a suo nome per l’onorata menzione che hanno 
fatto di lei nel sopraddetto articolo, lo farò, ma con mio ros- 
sore. Costoro, per dirla fra noi, sono tutti folliculari, che 
compilano per aver del pane, e fan l’estratto, la critica, 
l’apologia, la satira delle loro compilazioni per aver del pa- 
ne: non: han mestiere, nè sanno cosa sia vero e buono. Tal- 
volta ci colpiscono per azzardo, come è accaduto nella lode 
data meritamente a lei: ma l’han poi sbagliata in lodare an. 
che me: ecco che non sanno quel che fanno .. Basta, io porterò 
loro i suoi ringraziamenti, e, chinato il capo, via subito. 


In parecchie altre lettere egli discorre dell’ ottimo 
Bottari, dando al Temanza, per così esprimermi, il gior - 
nale della sua salute , e descrivendone con tenerezza le 
più minute occupazioni. E piange alfine la sua morte, 
come quella del marchese Galiani, che pur gli era amico, 
con quel vero dolore che ben meritavano da lui tali due 
uomini. L’affetto poi con cui egli scrive del suo Te- 
manza prova quanto fosse buono il suo animo, e quanto 
yi entrasse profondamevte la stima di chi sapeva ispi- 
rargliela. Ne sia di prova questo cominciamento della let- 
tera quattordicesima 24 giugno 1769. 

Mi rallegro ch’ella abbia gloriosamente terminata la grand’ o- 
pera del ponte e cateratte del dolo sulla Brenta. So benissi- 
mo che quel lavoro difficilissimo in sè stesso le ha costato 
pene e fatiche ben grandi. Tanto maggiore è la sua gloria, 
ed in proporzione di questa è il mio rallegramento. Ma si è 
eretto su quel ponte qualche monumento in memoria dell’ in- 


gegnoso architetto? Con piccole cose si possono dare gran 
premi ai valentuomini, incoraggire la gioventù e promuovere 


38 
le belle arti. Attendo con sommo piacere la vita dello Sca- 
inozzi, ch’ ella già ha dato alle stampe. Sarà senza dubbio 
applaudita, perchè sarà istruttiva, come produzione d’ una pen- 
na dotta e diligente. 

Questa vita gli giunse nel marzo dell’anno se- 
guente, ond’egli il 24 di tal mese ne scrisse all’ au- 
tore con frasi assai vive di gratitudine e d’ammira- 
zione: 


Così vanno scritte le vite de’ celebri architetti. Bravo bra- 
vissimo il mio sig. Tommaso Temanza. Con estremo mio di- 
letto e tutta ad un fiato ho letto la bella vita, ch’ella ha 
dottamente scritta dell’insigne Scamozzi. Di un valentuomo di 
quella fatta, autore di tante e sì grandi opere, e desideroso 
di empire tutto il mondo di sue produzioni, chi meglio pote- 
va esserne biografo di un altro valentuomo, qual è il meri- 
tevolissimo sig. Tommaso? Veramente ella ha tessuta questa 
vita da grand’architetto vitruviano; cioè con tutta l’ intelligen- 
za dell’arte ad oggetto di promovere l’arte stessa, esaminando 
nelle sue descrizioni i pregi e i difetti, e il progresso e de- 
cadimento del gusto. Quanto è sensata quella osservazione so- 
pra il principio e fine delle procuratie, e sopra la differenza 
tra il deposito del doge da Ponte e quelli de’ Grimani! E 
quella digressione circa i teatri quanto non è savia! Mi con- 
gratalo dunque sinceramente con lei per sì degna produzione 
della sua mente, e le auguro da Dio benedetto ogni prospe- 
rità, affinchè prosegua ad onorar la sua patria e ad istruire 
chi ha la buona volontà di esser istruito colle altre opere, 
ch’ ella promette di dar alla Iuce . 

Traltavasi nel 1773 di erigere certe statue sopra la 
facciata di S. Rocco in Venezia, onde furono mandati 
disegni a Roma, e chiesti pareri agli artisti. Uno ne 
scrisse anche il Temanza, sul quale il nostro Milizia, 
pei che l ebbe veduto, si espresse ( in data del 10 luglio ) 
in termini di somma lode, aggiugnendo qualche rifles- 
sione, alla cui importanza va perdonata qualche frase, che 
si troverebbe nel dizionario dello sdegno ma non in quello 
dell’ urbanità . 


Ho letto con molta sodisfazione il suo parere sopra le sta- 
tue della facciata di S. Rocco: mi sembra savio savissimo, @ 


39 
tutto degno del sig. Tommaso vero arehitetto. Gli architetti 
e non i falegnami debbono esercitare l*architettura ; ma aflin- 
chè ciò possa avere il suo effetto, bisognerebbe che la stu- 
diassero alquanto anche quelli animali, che si dicono signori, 
i quali pretendono aver buon gusto in tutto, e fan tutto per 
privarsi fin del senso comune. Ma è stato sempre e sempre sarà 
così, 

Un paragrafo che esprime particolarmente il gran 
concetto, in cui il Milizia teneva l’ architetto venezia- 
no, è questo che leggesi nella lettera vigesima ottava» 
dettata il 9 agosto 1779. 

Mi ha scritto codesto sig. ab. Piccioli d'aver egli dato al 
sig. Pasquali un esemplare del noto libro, per potersi così in- 
cominciare la ristampa senza ulteriore dilazione. Perciò io ho 
sospeso di mandargliene uno da qui siccome le avea promesso. 
Dico sospeso, perchè se ella lo vuole è pronto ad ogni suo cenno. Co- 
sì potessi darle tutto quello che vorrei! la dichiarerei subito il pri- 
mo architetto dell’ universo, coll’ obbligo però ch’ ella dovesse 
dare lezioni di architettura a tutti gli architetti, e specialmente 
a quelli che passeggiano fra i sette colli, calpestando il pan- 
teon, il teatro di Marcello, e tutti gli altri preziosi avanzi 
della bella antichità . 


Il roto libro, di cui si fa cenno-al principio di 
questo paragrafo, è ìl trattatello del teatro che da trop- 
po tempo abbiamo perduto di vista, e a cui ritornere- 
mo per conchiudere questi estratti. Il Milizia, volen- 
dolo ristampare in Venezia, come fece, ne affidò la 
cura al Temanza, che l’accettò cortesissimamente, e 
gli prestò un vero servizio da amico. Quanta fiducia 
il Milizia avesse in lui può raccogliersi da vari passi 
della lettera vigesima settima, in data dei 4 luglio 1772. 

Ad arbitrio pienissimo poi del mio stimatissimo sig. Tom- 
maso rimetto la correzione non solo di tutti i rami, ma an- 
che di tutto il libro con tutte le nuove aggiunte. Questa non 
è già una cerimonia romanesca, ma è una preghiera vivissima, 
che le fo da suo buon servitore ed amico sincero. Ella cassì 
pure, corregga, aggiunga, modifichi, alteri, accomodi pure a 
suo talento; io ne la prego con tutta la sincerità dell’animo 
mio e colla ferma persuasione che quanto ella farà sarà egre- 


4o 
giamente fatto. Allora vi si vedrà la mano maestra , ed il’ li- 
bro vi avrà guadagnato. 

Nelle aggiunte da me fatte ho descritti succintamente pa- 
recchi teatri moderni, de’ quali ho veduti i disegni o al. 
meno te relazioni. Ma ve ne mancano alcuni, che mi pare che 
vi dovrebbero essere, e che io non ho posti per difetto di me- 


morie, che non mi è riuscito avere. A pag. 33 del predetto’ 


scartafaccio sta espressa questa lacuna, e se ella potesse em- 
pirla farebbe certamente una carità , 

Ho frugato per tutte le librerie di Roma , nè mi è riuscito 
mai di trovare un libercolo di Luigi Riccoboni, intitolato refle- 
wions sur les théatres. Dalle alire opere di questo autore si può 
dedurre che la sopraccennata non sia di gran momento . Nondi- 
meno credo che se ne possa trarre qualche lume per i teatri for- 
mali di quelle nazioni, come della svedese, degli svizzeri, dei por- 
toghesi, dei ‘quali io non ho punto parlato per difetto di cogni- 
zioni. Ma con questo io non intendo di dire ch’ ella si abbia da 
prendere questo impaccio. So le sue gravissime occupazioni, so i 
segnalati favori ch’ ella mi ha con tanta umanità compartiti, veg- 
g0 la terribile seccatura , che con tant'ardire le do con questa 
inia che non finisce mai; e come potrei essere sì sfacciato di so- 
praggiungerle quest’ altro incomodo? Gliene ho fatto solamen- 
te un cenno, affinchè se il sig. Pasquali lo stima a proposito, ne 
dia I’ incarico a qualche ozioso letterato, suo amico, il quale tro- 
vasse il predetto libro di Riccoboni o altri lumi per supplire a 
quelle mancanze. 

Già fin da quando gli mandò il suo lavoro mostrò di 
contar molto sopra i suoi suggerimenti onde perfezionar- 
lo. Quindi troviamo nella lettera decima (2 luglio 1768) 
quasto passo molto caratteristico: 


L’ altro giorno ritornai da Napoli, dove sono stato unicamen- 
te per godere di quelle feste, che sono riuscite magnifiche. Ma 
grandissimo è stato il mio piacere in ritrovare qui una sua gen- 
tilissima in data de’ 14 maggio , dalla quale rilevo il suo sensa- 
to giudizio intorno il libro mandatole. L’ autore non si aspetta- 
va da lei una sentenza tanto favorevole. Può quindi arguire quan- 
to gli sia stata grata e quanta riconoscenza gliene serbi. Egli 
spera, ed umilmente ne la prega, che dalla seconda lettura, ch’ 
ella si compiace far di tal’ opera, abbia, come promette, a darne 
un giudizio più dettagliato con quella filosofica libertà , che si 
è presa l’ autore stesso, il quale ha voluto star celato, principal- 


41 
mente affinchè le altrui censure e riflessioni sieno più libere e 
spassionate, ond’ egli ne possa trarre maggior profitto, corregger 
Ja sua opera, e ridurla a suo tempo più utile al publico. Veden- 
do dunque le sue intenzioni. sì rette, la supplico divotamente a 


dargli il piacere di fare una severa censura, qualora le sue gravi 


occupazioni gliene dieno l’ agio; e si accerti che quanto meno lo 
risparmierà, più gli darà nel genio. 

Al qual passo crediamo di dover aggiungere quest’al- 
tro, che immediatamente succede, quantunque non faccia 
al nostro attuale proposito, ma siriferisca a ciò che diceva- 
no della tenerezza del Milizia pel cadente Bottari. È sem- 
pre opportuno, voi direte, ciò che parte dall’ intimo sen- 
timento di un cuore generoso. 

Il sesto tomo delle lettere pittoriche è a buon termine . Da 
molto tempo sarebbe finito, se il benemerito monsignor Bottari 
non volesse rivederne egli i fogli. Il povero vecchio trova tutto 
il suo diletto in queste occupazioncelle , e perciò con tanta len- 


tezza il torchio lavora. Iddio conservi questo buon vecchio così 
utile! 


Un tal linguaggio in bocca di Milizia ha un'incanto 
inesprimibile. Ma torniamo al libricciolo del teatro. L’ in- 
vidia, che non'potea negare al pensiero di questo libric- 
ciolo molta originalità, pare che si compiacesse a toglier- 
ne il merito a‘chi l’ avea concepito. Quindi egli scrivea 
( il 18 aprile dell’anno medesimo ) in quella lettera che 
sì annovera vigesima quarta: 


E chi mai le ha detto che |’ autore dell’ idea del teatro sia 
Vincenzo Ferrari, scolaro del Pozzi? Quell’ idea, qualunque siasi, 
è mia, e la ho fatta eseguire da un giovane che si chiama Vin- 
cenzio Ferrarese, il quale è da molti e molti anni che vive con 
me, e non ha avuto altro maestro che i monumenti antichi, Vi- 
truvio e Palladio, su i quali mi sono ingegnato di dirigerlo alla 
meglio che ho saputo, ed egli è riuscito un giovane di buon sen- 
so, di gusto purgato, sommamente studioso e nemico capitale di 
tatti questi maestrini di errori. Egli fa grandissima stima del sig. 
Temanza , lo riverisce ossequiosamente e lo ringrazia di tutto 
cuore per le lodi date alla idea del euo teatro: ma egli avrebbe 
desiderato ch’ ella avesse rilevato altri difetti, che forse saranno 
in quell’ opera. Circa poi quella bozza o serraglio degli arcali 


\ 


42 
delle finestre del secondo solaio, che taglia a mezzo la corni- 
ce, il mio sig. Ferrarese dice che gli esempi di questa prati- 
ca si veggono in molte opere de’ più stimabili maestri, e spe- 
cialmente nel palazzo Tiene dell’ impareggiabile Palladio, e qui- 


«vi le spezzature delle cornici sono ragionevoli o almeno soppor- 


tabili, perchè esse cornici non sono sostenute da mensole , e 
que’ serragli sono di fortezza e di appoggio alle medesime cor- 
nici delle finestre . Nello stesso palazzo Tiene si veggono alle 
finestre del pian terreno gli arcali bugnati. Su questi ed altri 
consimili esempi si è decorata la facciata del teatro , che sarà 


eseguita nel mondo della luna, dove si trova tutto quello che 
quaggiù si smarrisce. 


Noi ci siamo allargati un poco in questi estratti, trat- 
tandosi di lettere non molto note, poichè pubblicate da 
poco più di otto mesi per occasione di nozze , e quindì 
(supponghiamo ) in piccolo numero di esemplari. Se essi 
vi hanno dato piacere, lettor mio caro, altrettanto e forse 
più ve ne daranno in un prossimo fascicolo del nostro 
giornale quelli che siamo per fare d’ altre lettere tuttora 
inedite , e di cui può ayervi invogliato un saggio che ne 
comparve nel terzo volume della storia letteraria dell’ U- 
goni, ove il Milizia ha il suo posto. Voi intendete che si 
parla delle lettere al Sangiovanni di Vicenza, scritte par- 
te contemporaneamente , parte posteriormente a queste, 
che si dirigono al Temanza . Del loro spirito non voglia- 
mo per ora dirvi nulla: ne giudicherete voi medesimo da 
quello che ci sarà concesso di presentarvene. 

M. 


i 
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43 
Istoria e descrizione della Cattedrale di Colonia , e ri- 
cerche sull’ architettura delle antiche cattedrali; del 
dottor SuPpLizio Borsserte—STUTTCART a spese dell’ au- 
tore, presso J. G. Cotta; e ParIGI presso Firmino Didot, 
1823. fol. att. — L' opera è composta di cinque qua- 
derni e venti tavole al prezzo di 136 franchi per qua- 
derno. — L’autore la scrisse in tedesco, e a maggior co- 
modo dei letterati di tutte le nazioni pubblicò anche la 
versione in francese , la quale ha servito per estendere 
le seguenti osservazioni. — Si aggiungono in fine alcuni 
ragguagli intorno la preziosa collezione di pitture fatta 
dallo stesso autore , con cui si illustra la storia del- 


l’arte, e in singolar modo quella del basso Reno e del 
Brabante. 


Quest’ opera, la più grandiosa ed accurata che noi cono- 
sciamo in questo genere, è il frutto delle ricerche studio- 
sissime d’ un uomo, che alla precisione .infaticabile , e alla 
critica severa, unisce infinito gusto, e quella dose d’ imagina- 
zione, che senza tradire il vero, rende sì bello il ragionare 


sulle produzioni dell’ arte. Gl’ inglesi hanno pubblicato egual- 


mente opere splendidissime illustrando le antiche lor, catte- 
drali ,, e se per avventura potesse alcuna di queste. ottener 
preferenza sù quella di cui ci proponiamo di parlare, in quan- 
to al lusso elegante dell’ esecuzione , nessuna a parer nostro 
può pareggiare la descrizione della cattedrale di Colonia, per 
la solida magnificenza e la copia delle nozioni delle quali è 
arricchita, siccome appunto convenivasi ad opera destinata ad 
illustrare il priocipale edificio che nel medio evo sia stato 
inalzato, a modello di quanti ne sorsero dipoi per tutta la 
Germania, la Francia e l’ Inghilterra . 

ss L'antica architettura delle chiese, chiamata gotica impro- 
priamente, ( dice l’ autore ) distinguesi per la più armonica 
riunione d’ elementi, che hanno da prima l’ aspetto d’ essere 
tra loro opposti diametralmente. Gigantesca nella invenzione, 
ardita a un tempo e solida nell’esecuzione, la prima impres- 
sione che desta negli animi è la meraviglia; ma conoscendo 


44 

poi che un principio unico, originale, ingegnoso col' dispor- 
re le minime parti è il regolatore del tutto, e in tutto im- 
prime la forza non che la grazia , l’ anima sente rapirsi da 
tutta l'ammirazione. Quest’ architettura, di cui la storia non 
ci svela l'origine, ma che fu dominante in Europa dal XIII 
al XIV' secolo, non ebbe un Vitruvio che ne tracciasse le re- 
gole, ‘e raccogliesse gli elementi. Non abbiamo che i monu- 
menti da cui trar lume, e per un destino fatale la più par- 
te rimasero imperfetti, anzi non ne fu forse alcuno condotto 
a compimento, vedendosi i più composti di parti eterogenee 
spettanti ad epoche diverse. ,, 

Si propone l’ autore di dare nell’ opera sua una restau- 
razione completa di questo grande edificio, per onorare la pa- 
tria e le arti, trovando per ciò materiali bastevoli non tanto 
in quella parte che vedesi edificata, quanto in alcuni disegni 
antichi originali di questo edificio, che ebbero la rara ventu- 
ra di salvarsi dall’ edacità del tempo . Circondato da questi 
preziosi elementi , ‘e ‘col sussidio d’ uomini chiari e distinti 
nelle ‘scienze architettoniche, (come il sig. Hittorf di Colonia, 
architetto del re di Francia, lo stesso da cui attendono le ar- 
ti immensi lumi , e' preziosi fatti intorno le antichità archi- 
tettoniche di Sicilia, tanto superficialmente , e con onta del 
vero finota illustrate) il sig. Boisserée si è trovato abbastan= 
za instruito da poter risolvere il problema dell’ origine e 
del sistema delle antiche cattedrali, dividendo la sua grand’o- 
pera in cinque parti. 

La prima parte è consecrata all’istoria e descrizione del 
tempio , rendendo conto dei principii , delle proporzioni , e 
delle regole impiegate in quella costruzione. 

Nella seconda parte trattasi della distribuzione degli e- 
dificii innalzati al culto cristiano , storicamente seguendo lo 
sviluppo e le modificazioni relative ai riti , alle prime età 
del cristianesimo, e dando un pini d’ occhio all’ architettura 
delle chiese dalla sua origine fino all’ intuenianigne degli ar- 
chi di sesto acuto. | 

Nella terza dimostrasi come questo genere d’ architettu= 
ra abbia cominciato sotto il regno di Federico I. di Svevia, 


1 


I 


45 
spargendosi poi rapidamente per tutta l’ Europa sotto Fede- 
rico II. e Rodolfo d’ Habsbourg , e durante il regno di S 
Luigi re di Francia, e di Enrico HI re d’ Inghilterra. 

La quarta parte contiene un ristretto istorico di questa 
architettura nel XIV. e XV secolo fino all’ intero suo deca- 
dimento nel secolo seguente. 

La quinta è destinata a sviluppare il sistema e 1’ ordine 
di questa architettura colle più importanti sue modificazioni: 
poi comparandola all'architettura religiosa dei popoli dell'O- 
riente , della Grecia e dell’ Italia, cercasi qual luogo le sì 
debba assegnare nella storia generale dell’ arte , formandosi 
questi giudizii col mezzo delle comparazioni tra i principa- 
li monumenti dei quali è fatto parola. ll che renderà que- 
st opera sommamente preziosa. 

Non sono finora di pubblica ragione che le due prime 
parti dell’opera, delle quali si darà qualche cenno, per .non 
lasciare affatto digiuni i lettori di quest’ articolo sul merito 
di un tanto lavoro , giacchè la sproporzione del prezzo di 
quest’ opera colla tenuità della fortuna dei letterati, ne impe- 
dirà certamente la diffusione, almeno in Italia. 

E primieramente, intorno la storia dell’edificio osservasi 
come la cattedrale di Colonia, una delle più antiche sedi del 
cristianesimo in Germania , oltr’ essere stata onorevolmente 
destinata all’ incoronazione di Carlo Magno, ricevette da Fe- 
derico I. gran lustro, allorchè nel XII secolo la fece ricca di 
un deposito, che secondo l’ opinione de’ credenti, equivaleva al 
più prezioso tesoro, il quale tanto contribuì in quella età ad 
aumentarne la magnificenza e la celebrità . Intendesi con ciò 
di riferire ai corpi dei tre re Magi, che per diritto di con- 


‘quista nel 1162, furono il trofeo principale della vittoria im- 


periale riportata coll’ occupazione di Milano . Una tal circo- 
stanza era validissima in quei tempi per determinare alle of- 
ferte più generose la pietà dei popoli, non che a mettere in 
gara lo splendore dei potenti. Quindi non è meraviglia se 
nacque desiderio di costruire un mopumento il più vasto e 
più magnifico, in luogo dell’ antica basilica edificata da Carlo 
Magno, per meglio corrispondere alla santità del luogo e alla 
eustodia di un tanto deposito, L’ arcivescovo Engelberto Vi- 


46 

cario dell’iumpero sotto Federico II, e governatore di Enrico 
re de’ romani figlio di questo imperatore, pose mano a una 
tale vastissima impresa, riunendo gran mezzi, e contribuendo 
del proprio somme considerabili ; se non che gli fu tolto di 
godere gli effetti della sua intraprendenza, essendo stato assas- 
sinato barbaramente da un suo parente, irritato dalla sua giu- 
sta severità, nel nono anno del suo vescovato, nella fresca età 
di 40 anni,l’ anno 1225. Per tal motivo rimase aggiornato il 
progetto fino all'anno 1248, in cui per un incendio venne ri- 
dotta in cenere l’ antica cattedrale. 

Successo l’ arcivescovo Corrado Conte d’ Hochsteden, uo- 
mo intraprendentissimo, d’ una straordinaria influenza in Ger- 
mania, che dopo la deposizione dell’ imperator Federico II. 
fatta da papa Innocenzo IV, contribuì fortemente all’ elezione 
successiva di tre anti-imperatori, Enrico, Guglielmo, e Ricar- 
do; fu quegli che pose solennemente Ja prima pietra di uno 
de’ più grandi e più magnifici monumenti del mondo ceristia- 
no, nel giorno 14 agosto dell’ anno sopra indicato, in presen 
za d’ una folla di principi e di signori accorsi da tutte le 
parti della Germania. Dopo la gran funzione, e l’aver annun- 
ciato che la cattedrale di Colonia sarebbe stata consecrata al- 
l'adorazione della Trinità , all’ onore della Vergine, dei tre 
re, e di S. Pietro, da cui il nuovo tempio a guisa dell’an- 


tico doveva intitolarsi, eccitò con una bolla pontificia i fede-. 


li a contribuire opera e denaro per l'edificazione e l’ orna- 
mento della nuova fabbrica con tal successo, che si accumu- 
larono in breve tempo somme immense, e dovunque si fecero 
collette per questo oggetto . Entra 1’ autore in minute parti- 
colarità, ma specialmente rimarca come essendo Colonia allora 
la più ricca, popolata e incivilita città di Germania, questa 
circostanza ‘doveva servire a render più agevole ogni dispendiosa 
intrapresa. Infatti nel principio del secolo XII i mercanti di 
Colonia godevano la prima franchigia in Inghilterra, le fab- 
briche delle sue manifatture erano le prime del Nord, e Co- 
lonia era la sola scala commerciale delle mercanzie dell’ O- 
riente che dall’ Egitto per gli stati veneti diffondendosi in 
Eucopa traversavano le Alpi , e discendevano lungo il Reno 
dirigendosi verso i porti di Germania, d’ Inghilterra, di Fran- 


T 


47 
cia, di Spagna. Queste ed altre secondarie cagioni di tanta 
ricchezza e prosperità, che spiegano la grandezza di quell’ e- 
dificio, fornirono nei primi anni della costruzione di questa 
cattedrale un’ attività di mezzi straordinaria. 

Se si pone mente che il totale dell’edificio doveva avere 


‘una lunghezza di 500 piedi, la larghezza della navata di 180, 


e nella crociera una dimensione di 290: se si considera che 
il tetto doveva innalzarsi a 200 piedi, e le torri al di là 
delli 500, si comprenderà che malgrado l’ attività , e il gran 
numero di operai, una fabbrica sì gigantesca, eseguita in so- 
la pietra tagliata a scarpello, non poteva procedere che len- 
tamente. Notasi qui che la misura di cui si servì l’architetto 
è il piede romano allora in uso, eguale a 130 linee dell’ an- 
tico piede di Francia, il quale corrisponde al piede del Reno 
come 130 a 139. L'aspetto esteriore del materiale rassembra 
a un porfido di bel colore grigio verdastro , tratto da una 
cava nel luogo detto il gruppo delle sette montagne in riva 
al Reno a sei miglia da Colonia, memorabile pel suo nome 
di Drachenfels, o montagna del dragone ; e questo materiale 
veniva alternato con massi di basalte, tratti dalla cava di Un- 
ckel-Bruch posta in faccia all’ altra più sopra indicata. 

Nei primi nove anni, non solo i fondamenti furono ter- 
minati a 4o piedi di profondità , ma fu costrutta anche una 
gran parte del basamento generale della fabbrica ; e fu nel 
1257 che il capitolo, in remunerazione de’ servigi distinti resi 
da maestro Gherardo Tagliapietra, che dirigeva tutto il lavo- 
ro, gli regalò il fondo sul quale aveva fabbricata a sue spe- 
se una gran casa tutta costrutta in pietra. Questo solo diplo- 
ma fornisce conghiettura per determinare il nome del primo 


architetto del tempio , poichè le storie nulla dicono intorno 


agli inventori architetti di questa grand’ opera. Mastro Ghe- 
rardo visse sino al termine del secolo, e verosimilmente colla 
sua cooperazione fu edificata la chiesa di Aetemberg lontana 
tre miglia da Colonia, eseguita sul piano della cattedrale, la 
quale fu fatta costruire da Adolfo conte di Berg cognato del- 
I’ arcivescovo Corrado , che pose la prima pietra nel 1253. 
Oltre la qual conghiettura, concorre a stabilire che M. Ghe- 
rardo fosse il principal architetto autore del piano generale, 


48 
ànche il trovarsi il suo nome in uno elénco di fondatori e 
benefattori dell’ ospitale di S. Orsola in Colonia, e positiva- 
mente indicato come maestro dell’ opera della cattedrale. 
Questo è tuttociò che è riescito di rintracciare con molte in- 
dagini allo scrittore intorno a questo architetto , che sembra 
doversi riverire come uno de’ più grandi che abbiano esistito 
nei tempi antichi e moderni, quando sia dimostrato abbastan- 
za che gli si debba attribuire il magnifico piano di questa 
impresa . 

Nè può da noi lodarsi abbastanza la circospezione e la 
maniera dubitativa, che nel silenzio delle storie e nell’ oscu- 
rità de’ tempi, impiega il sig. Boisserée, la cui critica procede 
col massimo accorgimento, lasciando libero il lettore nella scel- 
ta delle sue deduzioni . Non abbisognava il sig. Boisserée di 
giustificare la modestia del titolo di tagliapietra o lapicida 
o scarpellino che impiegavasi in quel tempo per denominare 
anche sommi architetti o scultori, poichè anche nei nostri e- 
dificii d’Italia, ove operarono artisti rinomatissimi, venivano 
comunemente, così chiamati ; nè giunse l’ ignoranza e il mal 
cuore di un borioso seduto in grado eminente a cambiar for- 
za a questo significato, allorchè vedendo rendersi a’ giorni no- 
stri onori straordibari al merito di Canova , sclamò con in- 
tolleranza, e si fa tanto schiamazzo per un tagliapietra? 

Colonia ottenne sempre il primato di questi studii in 
tutta la Germania, ed ivi si formò la prima corporazione di 
architetti , e soltanto 19 anni dopo i lavori di questa catte- 
drale cominciò a edificarsi quella di Strasburgo , e le altre 
fra il Danubio e la Mosella, finchè più tardi Strasburgo, ove 
le costruzioni ebbero più lunga durata, disputò una tal pre- 
minenza a Colonia , nel modo stesso che il fece Lubecca per 
la lega anseatica. 

Ma l’intraprendente arcivescovo, che non limitò la sua 
energia e la sua influenza alle cose della chiesa soltanto, ma 
tentò di rendersi assoluto padrone di Colonia, divagando ad 
eccitare intestine discordie fra’ cittadini, perdette di vista l’a- 
vanzamento della fabbrica, finchè la morte estinse nel 2261 
le ambiziose sue mire: nè meno procelloso fu il vescovato del 
suo successore Angeberto di Falkenbourg, che durò fino al 


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49 


1275; nè pacifico fu l'altro di Sigefredo di Westerbourg, che 
durò fino al 1298; cosicchè il valoroso architetto ebbe il do- 
lore di vedere innanzi la sua morte gli arcivescovi di Colonia 
dissipare immensi tesori in guerre intestine, e lottare contro 
il diritto de’ popoli, abbandonando finalmente il soggiorno 
d’ una sì bella città per trasportare a Bona la loro residenza. 

Tanti ostacoli, pei quali un tal edificio procedeva con 
somma lentezza al suo avanzamento, non impedirono che ve- 
nisse preso a modello, esercitando possentemente il suo influsso 
nel perfezionare l’ architettura delle chiese. Citasi difatti in 
tal circostanza la chiesa di S. Caterina di Oppenheim, quella 
di S. Werner a Bacharach, la cattedrale di Utrecht, quella 
di Strasburgo costrutte in quest’epoca ; ma sopratutte la torre 
della cattedrale di Friburgo in Bresgovia, la cui sommità la- 
vorata a giorno è stata innalzata sul modello delle torri pro- 
gettate per la cattedrale di Colonia: e in seguito a questi 
edifici le due grandi chiese di Campen sulle rive del Zuider- 
zee, e la cattedrale di Praga; che se non può dirsi altrettanto 
di quella di Metz, è sempre chiaro che questa superba chiesa 
manifesta la grande influenza che avea ottenuta la scuola di 
Colonia . 

Nondimeno, non può dirsi che tanto rallentamento equi- 
valesse a una totale cessazione di lavori, quantunque in capo 
a go anni il coro non era per anche finito. Il cumulo di quanti 
mezzi poteronsi impiegare dalla pietà de’ fedeli , e certe pie 
riunioni assunsero l’ incarico di raccogliere annualmente dei 
soccorsi grandiosi, oltre 1’ affluenza degli stranieri che veni- 
vano a Colonia in occasione dell’incoronazione degl’ Impera- 
tori, i quali produssero un’altra volta tal progresso nei ]a- 
yori, che nel 27 settembre 1322 potè consecrarsi il coro, not 
avanti però li 74 anni da che fu posta la prima pietra. Giovanni 
Duca di Brabante, unito al conte Thierry di Cleves , e altre 
principali famiglie di Colonia, fecero eseguire i vetri colorati 
che decorano questa parte dell’ edifizio. Fu nell’ atto di con- 
secrarlo che si conobbe la convenienza di separarlo con un 

|.muro ‘provisorio e sottile dal resto della chiesa, che era per 

anche ben lontana dal suo compimento. Bellissima e singolare 

fu la ceremonia di questa consecrazione, fatta dall’ arcivescovo 
T. XVI. Novembre 4 


5o 
Eorico di Virnemburgo , la cui descrizione liturgica è fatta 
con tutta la precisione. 

Venne proseguito l’edificio fino al 1357, in cui l’arcive- 
scovo Guglielmo di Gennap, conosciuti gli abusi di molti laici 
ed ecclesiastici, che si appropriavano per crapulare i fondi che 
raccoglievano dalla pietà dei devoti, fu astretto a pubblicare 
severe ordinanze per ovviare a un simile inconveniente . Fu 
questo vescovo che fece costruire il maggior altare in marmi 
preziosi guarnito di molte statue d’ argento dorate , il neme 
dell’ artista dei quali lavori ignorasi pienamente; se non che 
nel pubblicare che da noi si fece nel primo volume della sto- 
ria della scultura parte di un manoscritto inedito di Lorenzo 
Ghiberti, brillò agli occhi dello scrittore di queste memorie 
un barlume,e gli nacque sospetto che quelle opere d’ orifice- 
ria appartenessero a un tale scultore di Colonia ricordato nel 
manoscritto, che si fece poi romito in Italia, tratto dall’estremo 
dolore allorquando apprese che il duca d’Angiò nella sua di- 
sgraziata campagna di Napoli, per bisogno di metallo prezioso, 
fece mettere in pezzi e batter moneta col più bel lavoro di 
scultura ch’ egli avea eseguito per questo principe. 

Non ispiacerà di trovare in questo luogo l’apologia di 
un preteso errore, del quale con tutta 1’ urbanità il sig. Bois- 
serée intende correggere la storia della scultura , là dove a noi 
parve di aver fondamento bastevole per attribuire una mag- 


giore antichità allo scultor di Colonia. In una nota citasi il 


passo del Ghiberti, da noi pubblicato per la prima volta nella 
detta storia volume I, pag. 368 prima edizione, e viene sog- 
unto, Mais l’auteur est dans l’erreur en ce qu'il place cet 
artiste au XIII siècle. Il n° a pas fait attention è ce que 
les jeunes gens qui parloient à Ghiberti du vieil artiste, 
avoient mwisité celui-ci dans sa solitude, et que les affaires 
mentionnées du Duc d’ Anjou, se rapportent absolument au 


Duc Louis I. et à la campagne qu’ il entreprit en 1382. C. F. 


Histoire Gen. de Provence par Papon T. III. pag. 243 
ct 250. 

Niente pìù è facile quanto il fallire ove si tratti d’ in- 
terpretazione, e dove l'oscurità dei tempi si riunisce all’os- 
curo e intralciato svile d’ uno scrittore come il Ghiberti, che 


dI 
ci lasciò un ammasso di cognizioni nella maniera più confusa 
ed incerta, che fummo persino nel dubbio di pubblicare , e 
parte delle quali, (forse la più preziosa in origine) in mete- 
ria di proporzioni , trovammo così inestricabili da dover ab- 
bandonare il pensiere di produrre alla luce. 

Da noi si rimase da prima incerti se l’ epoca controversa 
dovesse riferirsi a Martino Papa IV, ovvero V ; e se per il 
duca d’ Angiò dovevasi intendere Carlo II, o Luigi I. Ma co- 
me vedesi nel testo della nostra storia, noi giudicammo poi 
finalmente che il Ghiberti riferiva a Martino IV, e per con- 
seguenza a Carlo II, siccome coll’ indicazione degli anni da 
noi venne precisato : pel quale motivo l’ insigne artefice di 
Colonia veniva ad essere collocato nel XII secolo; della qual 
cosa maggior gloria sarà a Colonia, quanto più in tempi oscuri 
e nella maggior infanzia dell’ arte, si veneri un suo antico 
scultore ; sebbene più in acconcio tornasse al sig. Boisserce 
il supporre che questi avesse scolpite le statue del citato al- 
tare . 

Ma Lorenzo ‘Ghiberti, nato nel 1378, salito a somma ce- 
lebrità nel mondo prima di giugnere al ventesimo anno del- 
l’ età sua, come videsi dalla palma ottenuta nel concorso fino 
dal 1400 per le porte del battistero fiorentino , parla dello 
seultore di Colonia come di artista vissuto in antica età, co- 
minciando il suo racconto con queste chiare parole: Fu nella 
città di Colonia un maestro .. - e altrove finì al tempo di 
Papa Martino . Se dovesse qui intendersi Martino V, allora 
Ghiberti avrebbe dovuto parlare deflo scultore alemanno co- 
me di artista contemporaneo , poichè questo papa morì nel 
1431, e il Ghiberti trovavasi allora nell’ età d’ anni 53 colmo 
d’ onore e di gloria per le sue opere; cosicchè non pare veri- 
simile che si riferisca da lui stesso a tempi passati una sto- 
ria accaduta negli ultimi anni della stessa sua vita, nei qua- 
li dopo tanta luce da lui diffusa non potevano eccitar mera- 
viglia le opere dell’ artefice straniero, quando non fossero ri- 
feribili a tempi anteriori. 

Aggiungasi che se si fosse trattato di Martino V, è 
natural cosa che nello scritto si fosse espresso il numero 
relativo al papa di questo nome, poichè papa contempe- 


Ss 
ha 

raneo; ma verosimilmente il commentario di Ghiberti co- 
me libricciolo di memorie indigeste , sarà stato in quella 
parte già scritto anche prima che Martino V assumesse il 
pontificato, e allora per certo non potrà farsi allusione che 
al IV papa di questo nome . Nè ciò deve far meraviglia, 
poichè il V non fu eletto se non nel 1417, epoca in cui 
il Ghiberti toccando il 4o.° anno, e avendo tanto operato, 
poteva assai ragionevolmente aver anche raccolte memorie 
dei tempi anteriori, meravigliando di ciò che fu fatto nel- 
l’ epoca di papa Martino come remota, e a quella riferen- 
do anche gli avvenimenti del duca Angioino Carlo II, co- 
me rimarcabilissimi per una delle più terribili disfatte, di 
cui tutte le storie conservano memoria. 

Il coro poi della cattedrale di Colonia, consecrato al 
27 settembre del 1322 , tanto celebre per l’ altare e le 
statue d’ argento che vi fece costruire l’ arcivescovo di Gen- 
naso prima del 1357, non pare possano essere mai state 
scolpite dal citato artefice, allorchè debba aver cessato di 
vivere nell’ età in cui ponteficava Martino V , che come 
abbiam detto mancò nel 1431. Trattasi di una distanza 
troppo considerabile, poichè bisogna supporre almeno che 
il generoso arcivescovo scegliesse a tanto lavoro uno scul- 
tore salito in gran fama ; e per arrivare agli estremi del- 
le epoche indicate percorrendosi lo spazio di 77 anni, poco 
tempo rimarrebbe a stabilire 1’ età dell’ artefice allorchè fu 
chiamato a quest’ opera , e pochissimo per l’ esecuzione 
meccanica dei lavori per loro stessi lentissimi. Se voglionsi 
dunque accumulare tutti questi periodi, si corre il rischio 
di far vivere l’ artefice ben oltre un secolo , che se non 
impossibile, sarebbe però singolare. 

Pare quindi miglior partito l’ attenersi alle nostre con- 
ghietture , senza imputarle a dirittura ad errore , poichè 
coincidono col testo di Ghiberti, con tutti li caratteri di 
probabilità, e coi fatti da noi indicati. Che se potè essere 
condotto il sig. Boisserée a dedurre che lo scultore debba 
piuttosto giudicarsi di un’epoca posteriore per aver notato co= 
me alcuni giovani parlarono di questo artista allo stesso Ghi- 
herti, è molto più probabile un’ inesattezza di espressione 


53 

in questo luogo, come se ne trovano centinaia in tutto il 
commentario, di quello che supporla nell’ indicazione dei 
fatti storici, e nell’ usare il tempo passato del verbo, che 
non sarebbesi fatto trattando d’ un contemporaneo . Ghi- 
berti può benissimo avere a’ suoi giorni inteso dire che 
1’ eremo dello scultor di Colonia veniva visitato da alcuni 
giovani per imparare certe pratiche dell’ arte , il che non 
porterebbe alterazione nell’ epoca da noi ritenuta : ma in 
tempo di Martino V e di Luigi I, i giovani non sarebbe- 
ro andati a studiare all’ eremo, che avevano vivi e parlan- 
ti esempi nelle opere e nel consiglio dello stesso Ghiberti, 
di Donatello, di Iacopo della Quercia, del Pollaiolo, e di 
tanti altri per cui l’Italia era salita in tanta fama. È chia- 
ro egualmente che se lo scultor di Colonia avesse finito 
di vivere a’ tempi di Martino V,; Ghiberti non l’ avrebbe 
mai indicato colla frase fu nella città di Colonia un mae- 
stro, che finì a’ tempi di papa Martino, come si direbbe 
di una cosa accaduta il secolo prima per lo meno; ma a- 
vrebbe detto che la città di Colonia poteva gloriarsi di un 
eccellente artista mancato di vita in quel tempo. Non suol- 
sì designare mai la propria epoca, in cui si ha testimo= 
nianza personale di qualche fatto contrassegnandola col 
tempo in cui regnò un tal papa o un tale imperatore. Scri- 
vendo di Canova noi non indicheremmo che questo ‘scul- 
tore morì in tempo di Pio VII. e di Francesco I; ma ciò 
potrebbero bensì scrivere coloro che narreranno di lui nel 
secolo venturo: Ad ogni modo però che sia la cosa, noi ne 
rimettiamo ai lettori ed ai critici la decisione , persnasi 
che non vogliano notare ad errore una conghiettura , sic- 
come da noi in simili casi non vuolsi per certo senten= 
Ziare di errore le contraria opinione. 

Sono però sempre a lodarsi gli sforzi che tendono a 
far escire dalla caligine le memorie de’ chiari ingegni che 
fiorirono negli antichi tempi , defraudati di lode perchè 
privi di storici, e diligenti investigatori de’loro nomi. Dopo 
la consecrazione del coro, i lavori della cattedrale furono 
riassunti con qualche attività, specialmente nella nave tra- 
sversale cqoprendola d’ un tetto provisorio, per servire di 


54 

atrio alla parte che era terminata. Raddoppiaronsi în se- 
guito i lavori per condurre avanti la navata principale, e 
per l’ inalzamento di una delle due enormi torri della fac- 
ciata; ma il solito abuso delle collette costrinse nel 1371 
l’ arcivescovo a ritirare tutte le lettere patenti rilasciate a 
questo oggetto da’ suoi predecessori. Quantunque però lo 
zelo dei fedeli molto rallentasse per queste ingrate vicende, 
sì continuò ad intervalli il lavoro in tal modo, che la fab- 
brica della torre posta al sud venne condotta sino al terzo 
piano, essendovi state trasportate le campane dell’ antica 
torre di legno situata provvisoriamente presso il coro, nel 
1437. vb, Si 
È rimarcabile che appunto nell’anno sudetto Gio-Vani 
Eych essendo venuto a Colonia, rappresentò in un suo qua- 
dro di S. Barbera la fabbricazione di questa torre. 

In mezzo a tanta povertà di registri e di notizie, può 
anche gloriarsi la storia dell’ arte di vedersi arricchita di 
alenni nomi distinti, che la diligenza del sig. Boisserée va 
spigolando, e primieramente nella persona di Mastro Nico- 
la di Buren, piccola città della Gueldria, il quale trovava» 
si nel 1437 architetto della cattedrale , sotto di cui lavo= 
ava come conduitor dei lavori un certo Cristiano. Convien 
credere che Nicola fosse assai celebrato, se in di lui favore 
la corporazione dei tagliapietre di Colonia risolse di am- 


metrere vita sua durante i di lui scolari alla fraterna del= 
l’ arte colla retribuzione d’ un solo fiorino, mentre ogni | 


altro doveva pagare il doppio. Assegnasi la morte di Ma- 
stro Nieola al 1445. Anche un Mastro Giovanni, e suo fi- 
glio Simone, architetti di Colonia, attestano come questa 


professione fosse allora celebrata in quella capitale, se Al- || 


{onso vescovo di Burges tornando nel 1442 dal concilio di 
Basilea, condusse secolui in Ispagna questi due artisti per 
terminare le torri della sua cattedrale; il che venne eseguito 
sul piano di quella di Colonia, oltre 1’ aver poi edificata 
la superba Certosa di Miraflores. 

Corrado Kuyn trovasi registrato col titolo di capo del- 
l’ opera della cattedrale di Colonia, dopo la morie di Mae- 
sto Nicola; e che fosse questi uno dei più valenti dell’ età 


| 


1 DA 


dI 
sua il dimostra l’ essergli stato due volte accordato l’onore 
di p‘imo architetto nelle corporazioni della bassa Germa- 
nia. Giovanni di Frankenberg sembra nel 1469 aver suc- 
cesso per la morte di Corrado alla direzione dei lavori del- 
la catedrale , nè più trovansi memorie di capi architetti 
se nondi un Enrico, che vedesi ammesso con prestar gin- 
ramenti nel 1479, il cui nome figurava ancora in qualità 
di capo architetto nei libri del comune nel 1509 . Fu in 
quest’ epica che cessarono i lavori della fabbrica, trovan- 
dosi fin d: quel tempo la navata innalzata sino all’ altez- 
za de’ capielli, e cominciate le volte dalla parte laterale 
del nord, singendo egualmente la costruzione della torre 
dal medesim lato, che arrivò fino all’ altezza delle volte; 
e allora fu pi che vennero ornate le finestre più basse 
coi magnifici wtri dipinti per cura dell’ arcivescovo Ger- 
mano di Hassiache raccolse gli artisti più distinti di quel- 
l’ età in un’epow in cui la pittura era all’ apice della sua 
grandezza in Gertiania. E benchè la basilica di Colonia 
giaccia da tre secc imperfetta, attestando l’ altezza del ge- 
nio che la imaginò e le discordie civili che ne sospesero 
l’ esecuzione , fa briare pur anche agli occhi dell’ osser- 
vatore la sorprendent magia de’ suoi vetri dipinti , e dei 
suoi quadri diafani, he sono per certo i più belli del 
mondo. 

Non sappiamo alastanza giustificare il chiarissimo 
autore di aver esclusi Qla sna grand’ opera i magnifici 
lavori figurati di queste fisstre pel solo motivo da lui ad- 
dotto, che i soggetti venni, scelti senza connessione col- 
l’ edificio, mentre altrimentfy fatto del coro; e che i più 
fimosi lavori. del XGVI secoltion stanno in armonia colla 
decorazione generale. Veggon jnfatti ficure isolate, la cui 
relazione tra loro non pare Corsciuta, e la maggior parte 
più grandi del vero, che presel\no altrettanti quadri in- 
dipendenti fra loro. Ma se una t geviazione dalla prima 
intenzione dell’ architetto non era... dita all’ illustratore, 
sembra però che questa sola sua \ervazione OLO, de 
critica sufficente per non indurre in ;ore i lettori, e un 


56 | 
opera ‘del prezzo di 650 franchi poteva anche presertare 
il monumento preziosissimo di queste pitture. | 

La descrizione dell’edificio fatta dal sig. Boisserée nella 
seconda parte del suo applaudito lavoro non sarà qui e- 
sposta minutamente , poichè senza sussidio di tavoe rie 
scirebbe altrettanto lungo 1’ articolo che l’ opera st/ssa, se 
volesse darsene un’ idea adequata. 

Presentasi questa cattedrale come modello del’ antica 
architettura religiosa, e trattasi dei principii e dale rego- 
le seguite tanto nel piano rinvenuto felicementr negli ar- 
chivi, quanto nella parte dell’ edificio condott; ad esecu- 
zione. Bellissimo è il ritmo di proporzioni &minante in 
tutto 1’ edificio composto dall’ atrio, dalle dv navate che 
formano la croce, dal coro , e dalle cappelé; cosicchè la 
larghezza dell’ arcata principale della navéa ; essendo il 
doppio delle due laterali, trovasi contenu! tre volte nel- 
la larghezza di tutto l’ edificio, la qual lashezza poi forma 
il terzo della sua interna lunghezza . } larghezza della 
navata trasversale sta alla lunghezza tott® Come due a tre, 
e la sua lunghezza sta alla larghezz; dell’ edificio come 
cinque a nove. 

La regola generale dedotta spertlmente per le volte 
e gli archi di sesto acuto dal sem/erchio in maniera di 
formare colle corde rispettive e la/25e un triangolo equi 
latero, servì di carattere primitive® fondamentale dell’ar- 
chitettura delle cattedrali, e il Cetriano ne’ suoi commenti 
di Vitruvio non ispiega altrimeti questa regola, che col» 
1’ intitolarla regola degli archigti germani ; il che prova 
interamente pel consenso di g£sto illustre contemporaneo, 


. id j D 
che un tal genere esclusiva@Nte a germani appartenne. 
E nota l autore che si corliarono sì meravigliosamente 


alcune proporzioni delle pi dell’ edificio colle regole e- 


lementari dell’ arte, che Proposito delle colonne com- 
poste di fasci di dieci osodici colonnette, presentano pe- 


ve pt 16 “din totale la proporzione di uno a 
sei, e al più a sette sr la rispettiva altezza , il che se- 
condo Vitruvio lib. ©2P- 3 stabilisce la dorica propor- 


57 
zione ; e similmente l’ altezza di tutte le colonne isolate 
è uguale perfettamente all’ arcata di mezzo, la qual pro- 
porzione accordasi mirabilmente con quella indicata da 
Vitruvio e da Plinio , secondo la quale le colonne dove- 
vano essere eguali al terzo della larghezza totale del tempio. 

La meravigliosa distribuzione dell’ interno trovasi in 
simmetria perfettissima colle esterne parti, cosicchè alle in- 
terne colonne corrispondono esterni pilastri, e trabeazioni 
simmetriche collegano e giustificano l’una coll’ altra parte 
della fabrica col più sagace accorgimento. Prende quindi 
l’ autore a dare un’idea di ciò che costituisce il carattere 
principale dell’ architettura delle chiese, ove tutto tenden- 
do al cielo, sonosi evitate possibilmente le linee orizzon- 
tali, lasciando dominare le perpendicolari , e trovando il 
sistema piramidale dalle minute parti alle grandi, e al to- 
tale dell’edificio costantemente impiegato. Cosicchè si pro- 
cede da linee formanti l’ angolo il più acuto di cinque 
gradi fino al più ottuso delle volte principali, che è di 60 
gradi. Il tempio sembra comporsi, per la varietà delle sue 
parti, di una quantità di piccole torri e piccole chiese, e 
dle torri di altrettante edicole e torricelle. 

Non potevasi qui prescindere dal riconosere (come a- 
vean fatto anche altri scultori che precedettero il sig. Bois- 
serée, singolarmente il sig. Giacomo Hall, in un’ opera pub- 
blicata a Londra nel 1816 con 60 tavole intagliate, la qua- 
le porta per titolo Saggio sull’ origine , e principii dell’ ar- 
chitettura gotica ) in tutto 1’ ornato della fabbrica quel 
carattere vegetale, che nella forma d’ ogni fogliame fu però 
sempre la base di quasi tutti gli ornamenti architettonici 
dal capitello di Callimaco a’ nostri giorni. Ma nell’ archi- 
tettura germanica del XII secolo vedesi evidentemente che 
il carattere vegetale non solo è dominante, ma esclusiva- 
mente impiegato, e intimamente legato all’ insieme , ces. 
sando di essere ornamento , ma piuttosto parte integrale; 
|coscicchè non furono paghi gli osservatori di comparare l’ef- 
fetto di una tale architettura a quello d’ una grande e an- 
tica foresta, ma giunsero a riconoscerlo come uno stile 
rente dalle sacre foreste dei Teutoni. La qual ipotesi 


| 
| 


58 


dimostrasi come falsa, appunto perchè le prime e più an= 
tiche fabbriche che precedono 1’ epoca della cattedrale di 
Colonia, non portano nella stessa Germania alcuna traccia 
di una simile imitazione , vedendosi infatti in quelle che 
gli archi sono costutti a pieno centro del genere dei lati- 
ni e dei bizantini, genere che i missionari portarono nel 
nord dall’ Italia colla scultura, la pittura bizantina , e la 
lingua latina per la liturgia. 

Riconosciutosi quindi che fra i popoli della Germa- 
nia, e presso i suoi limitrofi, ebbe origine questo sistema 
di fabbricare , e volendo pur escludere affatto ( non veg- 
giamo con quanta ragione) l'influenza del gusto arabo tan- 
to diffusa per tutte le Spagne, cercossi dall’ autore la ra- 
gione del carattere vegetale di questa architettura delle 
chiese dall’ intimo sentimento per le bellezze della natura 
portato dai popoli della Germania fino all’ entusiasmo, ed 
espresso con tanta forza d’immaginazione nelle poesie del 
XIIHI secolo consecrate a festeggiare la primavera. 

La direzione di tutte le dimensioni verso l’ altezza, 
le colonne composte di varii fusti riuniti che ricordano 
gli alberi della foresta, le volte acute somiglianti ai via- 
li ombreggiati da rami che incrociansi, suggerirono al ge- 
nio dell’ architetto di ridurre questi elementi a calcolo e 
a misura, e gli dettarono i modi per iscuoprire nei ritiri 
arcani e accidentali ‘delle combinazioni le proporzioni ne- 
cessarie per la solidità. La storia dello spirito umano dimo- 
stra che la fecondità dell’ invenzione è seguita dalla flori- 


dezza dello sviluppo, e che spesso il cielo sorride al'genio . 


trovatore, aprendo la strada ai cangiamenti e alle rivolu- 
zioni che perfezionano le arti e le scienze : le quali osser- 
vazioni quand’ anche ci spieghino 1’ applicazione del prin- 


cipio, non pare determinino abbastanza una causa esclusiva _ 


di questo stile , separandola interamente dall’ influenza che 
potessero avervi esercitata monumenti anteriori e produ- 
duzioni di altri popoli, che senza bisogno del sesto acuto 
nelle volte e negli archi, potevano raprossimarsi nella mas- 
sa degli edificii, nelle proporzioni generali, e anche in mol 
ti ornamenti, all’ architettura delle cattedrali germaniche. 


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IT Te I ce pie 


9 
Terminasi. questa seconda parte, preziosa per la quanti- 

tà di nozioni e di esami di cui ridonda, coll’ augurare una 
circostanza che determini il compimento della cattedrale, 
prendendo motivo dall’ essersi vista in pochi anni terminare 
quella di Milano. Ma un esempio cotanto straordinario non 
sembra poter separarsi da una grande e straordinaria crisi che 
lo prepari, sulla qual cosa, per quanto sia estremo il nostro 
amore per l’arte non osiamo far voti, nè penetrare l’ arcano 
libro degli umani destini. La volontà determinata e assoluta 
di un gran principe non potrebbe condurre ad effetto un’o- 
pera sì gigantesca, a meno che non fosse dominata dalla 
passione violentissima per l’ immortalità : nè sembra che 
una tal passione potesse prender di mira la sola cattedrale 
di Colonia, siecome anche pare che il favore di una pace 
lunga e felice non riunirebbe in quest’ epoca depravata quei 
mezzi che la pietà e l’ambizion de’ fedeli accumulava, al- 
lorquando la gloria nazionale e l’amor della religione esal- 
tavano la mente, e riscaldavano il cuore della moltitudine. 

-—©—_—_—_——___———im————m———m 

Se il sig. Bosserée ha ben meritato dai dotti e da- 

gli amatori delle arti colla studiata sua produzione sulla 
cattedrale di Colonia, non è meno prezioso il risultamento 
delle sue fatiche per la preziosa collezione di pitture te- 
desche e frafcesi, o piuttosto del;Brabante, fatta da esso 
in unione col signor Bertrand, che abbiamo ammirata a 
Heidelberg primamente, e dopo abbiamo visitata con bel- 
l’ ordine esposta agli occhi dei curiosi a Stuttgard. Vi si 
veggono oltre ducento quadri del 14°, 15°, e 16° secolo, 
nei quali si presenta il più bel complesso di storia del- 
l’arte che dir si possa, ed ove i pennelli del Brabante ga- 
reggiano e contendono con buon diritto molta parte del merito 
che nel colore, nell’imitazione del naturale, e nella scienza 
prospettica si credeva quasi esclusivo delle scuole d’Italia, 
Non può infatti negarsi che le opere di Uberto e Gio, 
Van Eych, di Hemeling, di Israello Van Mekenem, di Gio. 
Schoreel non siano superiori a quelle degli antichi mae- 
stri Toscani loro contemporanei per quanto riguarda il 
merito del colorito ; ma pare che possano in questa parte 


Go 
venire a gara col Perugino, col Francia, coi Bellini, i quali 
deggionsi riguardare come i primi coloritori di quell’ età. 
E convien anche aggiungere che Pietro della Francesca ; 
Luca Paciolo, Squarcione, Mantegna non erano più avan- 
zati dei Fiamminghi nelle scienze lineari prospettiche, sic- 
come anche il dimostrò la preziosa e prima opera de ar- 
tificiali perspectiva che venne pubblicata coi tipi sotto il 
nome di Viator, la quale appunto a Tul città della Fian- 
dra venne data in luce da quel Pellegrino, intorno al qua- 
le da noi fu pubblicato un lungo articolo nel nostro ca- 
talogo della Biblioteca d’arti e d’ antichità, stampato in 
Pisa. 

Colla scorta dello stesso sig. Sulpizio Boisserée, e col 
soccorso delle osservazioni locali da noi fatte, crediamo di 
rendere in questo luogo solenne giustizia al merito di que- 
ste scuole oltramontane , e alle accurate indagini dell’ in- 
dustre investigatore. Tengono primo luogo in questa scelta 
li quadri del secolo XIV, che tutti provengono dalla così 
chiamata scuola di Colonia, o del Basso Reno, che in quel- 
l’epoca teneva il primo posto in Germania, come appunto 
celebravasi allora il primato della Toscana in Italia. Ma 
la negligenza degli storici, la scarsezza delle memorie, l’o- 
blio ingrato di cui erano coperte le opere de’primi restau- 
ratori dell’ arte, lasciava in troppa oscurità, o dava una 
falsa idea dello stato della pittura in quel tempo, e bisogna 
accordare al sig. Boisserée il principal merito di aver fatto 
per così dire a forza di ricerche la scoperta di questa anti- 
chissima scuola, e di aver riunito gran copia di produzioni 
rimarcabili appartenenti al XIV secolo nella sua collezio- 
ne. Convien compiangere le immense perdite fatte nelle 
opere dipinte a fresco di quell'età allorchè si demolirono 
tante chiese: ma per ventura una parte dei quadri di que- 
sta scuola, che trascuravansi allora, ammirasi adesso nelle 
collezioni pubbliche e private di Colonia; e nel 18r0 una 
delle produzioni più insigni fu posta per cura dello stesso 
sig. Boisserée nell’ Augusta Cattedrale di questa Città. 

Molte incontestabili prove, e notizie letterarie sommi- 
nistrateci dal celebrato raccoglitore, vengono a giustificare 


_ ————————————————+——+—+—+—+—+—+ _ _ _C+.ttt 


61 
il culto in cui meritano di tenersi tali produzioni, e dino» . 
tano la celebrità degli artisti di questa? antica scuola. Un 
passo d’un poema scritto nel principio del XIII secolo da 
Walther Von Eschenbach, che abitava le frontiere della 
Baviera, prova che già fino d’ allora erano citate in pro- 
verbio per la loro celebrità le pitture di Colonia e di Ma- 
stricht, come le più insigni della Germania: e la Cronaca 
di Limbourg in Nassau, tanto reputata per la sua vera- 
cità, pone sotto la data del 1380 Maestro Guglielmo di 
Colonia come il più celebrej pittore della Germania, il 
quale sapeva dipingere qualunque persona talmente al vi- 
vo, da produrre sorpresa e illusione. 

Il sig. Boisserée ritiene per indubitato che Maestro 
Guglielmo sia l’autore del quadro insigne posto alla cat- 
tedrale, ove nel mezzo sono figurati li tre Re Magi ado- 
rando il Bambino, come protettori della Città, e sopra 
gli sportelli da un lato S. Orsola e le sue Vergini, e 
dall’altro S. Gereone e i suoi combattenti. L’ esterno pre- 
senta l’ Annunziazione, e porta la data, che da noi esa- 
minata, fu ritenuta per 1510, e dal sig. Wallarf, come 
dal citato raccoglitore si attribuisce al 1410. Il modo 
con cui è scritta è precisamente il seguente /{\NOX-. Co- 
munque esser si voglia, non avvi il nome dell’ autore e 
soltanto il millesimo. Le figure sono dipinte con gran 
fluidità di pennello, con dotto disegno e scorci pro spet- 
tici bellissimi, e colorite con tutta la vaghezza ed il succo, 
sembrando da tutto l’ andamento del pennello che sia di- 
pinta all'olio; il che da molti non si vorrebbe ammet- 
tere prima del Van Eych, sebbene noi su di questo ab- 
biamo espressa contraria opinione, e crediamo questo ri- 
trovato di molto a lui anteriore. Anche lo stesso sig. Bois- 
serée, riconoscendo la maniera adoperata in quest’ opera 
come assai facile e larga, è tratto a convenire che il 
tocco del colore sia stato eseguito con sostanze oleose , 
e crede impossibile (sebbene non sia che difficile) il ve- 
rificare se a questo abbia servito la cera, 0 l’olio, o il 
rosso dell’ uovo. Ma un quadro di più o di meno attri- 
buito a quest’ epoca nulla toglie alla gloria dei pittori 


62 


di Colonia; i quali in tutta la loro purità originaria e 
non controversa si veggono in S. Orsola, ove stanno e- 
spresse in tanti compartimenti le storie di questa santa, 
preziose per l’arte, che trovansi in tanta analogia di stile 
colle opere degli artisti migliori al risorgere della pit- 
tura in Italia. 

Non poche sono le opere di questa scuola e di quest’ epoca 
che appartengono alla collezione lodata, fra le quali distin- 
guonsi due gran quadri in fondo d’oro, dipinti come se fossero 
in altrettante nicchie, divise con architettonica simmetria, 
ove stanno distribuiti vari santi in piedi, e tre altri qua- 
dri ove è figurata la Crocefissione, la Vergine, S. Giovanni, 

e gli loaii in un fondo di panneggiamento sostenuto 
da vari Angioli. Queste opere denotano le diverse epoche 
di Mastro Guglielmo, ma sono ben lontane dalla pre- 
ziosità del quadro dillo nella Cattedrale. Altre 
opere si veggono d’un’epoca anteriore, e circa una qua- 
rantina di quadri possono servire all'esame di questo stile 
e degli autori più antichi della Germania, comparandolo 
coi contemporanei Italiani, che secondo l’ autore risento- 
no tutti dello stile bizantino. E in questa circostanza osser- 
vammo col sig. Boisserée che la derivazione da questo tipo 
debbe vedersi maggiormente, come è difatti, nelle compo- 


sizioni, nei vestimenti, nell’ aria delle teste dei Cristi, del- | 


le Vergini e degli Apostoli, di quello che nelle altre teste, 
e nel fare, e nell’ esecuzione: la qual cosa viene giustificata 
dalla costante derivazione degli oggetti del culto, sempre 
tolta dai primi tipi, e dalle imagini più venerate dei tempi 
remoti. À mano a mano che viensi a tempi moderni si tro- 
vano le fisonomie più nazionali, e persino provinciali; fa- 
cendone fede il citato quadro della Cattedrale, ove si rico- 
nosce che molte teste sono ritratti; e la più parte con quell’ 


aspetto caratteristico che incontrasi anche attualmente pres-. 


so gli abitatori del basso Reno, il quale specialmente in ciò 
che riguarda le giovani donne colpì tanto il Petrarca allor- 
chè fu a Colonia. 

Durò più lungamente l’analogia del fare bizantino negli 
altri paesi della Germania, ove meno rapido fu il progresso 


elise zizi 


36 
verso una certa originalità, e forse anche per la vicinanza 
e le relazioni che si mantennero per molti secoli tra alcuni 
paesi del Nord e Costantinopoli, prima dell’ irruzione dei tar- 
tari, ove prosperarono tanto tutte le arti di Bizanzio. Non 
v'è monumento che non attesti questa verità, e manoscritti, 
e vetri colorati, e smalti, e ceselli, e medaglie, e avori, e la- 
vori in pietre dure, e in marmi, e in bronzi, i quali appar- 
tensono nella massima parte al 12. 13. e 14 secolo. 

Medianti queste, e molte altre importanti ricerche, giunse 
il sig. Boisserée a convincersi,che non fu solamente pei me- 
todi meccanici delle mestiche che Van Eych attinse a una 
celebrità da far epoca nella storia dell’arte,ma piuttosto acqui- 
stò diritto agli omaggi della posterità per l’andamento af- 
fatto nuovo che quest'uomo straordinario introdusse nell’arte 
con un successo rapido e felicissimo; giacchè non solo egli 
si allontanò dai vecchi tipi, e abbandonò le rancide tradi- 
zioni fino allora tenute per norma, ma si applicò intera 
mente all’imitazione della natura con tal riescita, che giunse 
a presentare ogni oggetto d’ una maniera sì vivace e sì vera 
nelle sue tavole, come se si vedesse entro ‘uno specchio. Un 
passo di Bartolommeo Facio pubblicato dal Morelli serve a 
darci un’idea della meraviglia e dell’impressione che anche 
presso i contemporanei produsse in Italia questa maniera di 
dipingere: ed è molto probabile che riferitasi troppo mate- 
rialmente la storiella di Antonello da Messina, il quale andò 
in Frandra per imparare da Gio. Van Eych, si dovesse me- 
glio e più saggiamente spiegare la ragione del suo viag 
gio per imparare, non già una preparazione che non era pe- 
regrina, ma un modo di ben colorire,e formarsi ad una scuola 
che per l'imitazione del naturale vinceva quanto era stato 
prodotto fino a quel tempo dalle arti viventi. Anche il sig. 
Boisserée si accorda con molta ragione e vera filosofia a cre- 
dere che Gio. Van Eych fu l’inventore del buon colorito, e 
che la sua grande influenza nell’ arte si deve attribuire a 
questo suo merito distinto. 
Nel pubblicare col nuovo metodo della litografia le 
principali opere di questa insigne collezione, il sig. Boisse- 
rée con’ molta critica dimostra quanto incerte siano e con- 


64 

ghietturali le nozioni che ci pervennero sull’ invenzione 
della pittura a olio, la quale non pare per certo attribuir 
si debba a Giovanni Van Eych,se è pur vero che nel 1426 
il di lui fratello Uberto aveva già dipinti i quadri per la 
chiesa di S. Giovanni a Gand, aiutato da Giovanni molto più 
giovine di lui, che piuttosto figlio nell’ arte potevasi dire 
che fratello, le quali opere essendo all’ olio servirebbero 
in tal caso ad attribuire a quegli, e non a questo, il me- 
rito della troppo celebrata invenzione. 

Enumeransi cinque quadri di Gio. Van Eych nella 
collezione, in uno de’ quali vedesi dipinto sotto l’ aspetto 
di un S. Luca il ritratto di Uberto maggior fratello , ri- 
marcandosi una bellissima vista di paese nel fondo del 
quadro: nel secondo è il ritratto del cardinal Carlo di Bour- 
bon arcivescovo di Lione; nel terzo 1’ Annunziazione della 
Vergine; il quarto offre la presentazione al tempio del bam- 
bino Gesù con un mirabile fondo prospettico di architettura; 
e finalmente si vede nel quinto l’ adorazione dei Magi, qua- 
dro inestimabile, in cui riconosconsi i ritratti di Filippo il 
buono e Carlo il temerario duchi di Borgogna, alla corte 
de’ quali egli era in qualità di pittore. Queste opere sono di 
una preziosità di esecuzione, e d’una forza di colore che non 
può sorpassarsi. 

La scuola di \Van Eych offre una 70 di opere in que- 
sta raccolta, e principalmente « sono da distinguersi quelle di 
Gio. Hemling, in alcuna delle quali sorpassò il maestro, 
come fra nove quadri, che di lui veggonsi nella raccolta, fà 
fede specialmente il S. Cristoforo allo traversa il fiume nel 
momento che sorge il sole, opera meravigliosa per molti ri 
spetti e di un effetto veramente magico. Gli altri quadri so 
no un S. Giovanni nel deserto, l’ adorazione dei magi , gli 
israeliti che raccolgono la manna sul levare del sole, Mel- 
chisedecco che presenta ad Abramo il vino ed il pane, il 
viaggio dei tre re con diversi soggetti della storia della Ver- 
gine, e una testa di Cristo al naturale. 

Se le opere d’ Israello Van Meckenem , erroneamente 
chiamato Mecheln, sono in qualche parte inferiori a quelle 
de’ precedenti, non cedono però loro in alcuna maniera, e 


| 


65 


‘primeggiano perciò che riguarda la nobilità, la varietà, e il 
“iratteristito: dell’ espressione. Sono distinti fia; i molti qua- 
dri di questo autore l’ Assunzione e il Matrimonio della Ver= 
gine ,. :S. Antonio che conquide il demonio, e l’Incorona- 
zione ‘della Madonna, 

"© Là ‘terza parte della collezione contiene le opere dei 

pittori che fiorivano' dal cominciare al finire del secolo XVI 
nei Paesi Bassî, e Sulle rive del Reno , ricchissima parte di 
gusta: idea che sorpassa li 8o pezzi . Questi autorì in 
pate noti ; ein parte oscuri, specialmente nelle gallerie 
italiane, offrotio meraviglie dell’ arte. Non è qui oggetto 
di dare il catalogo già pubblicato da’ raccoglitori delle o- 
pere che Comporgono questa parte, come Luca d’ Olanda, 
Giovanni Mabouse , Giovanni Calcar, Giovanni Schwarz, 
“Martino Hemskérk; ma non potremo ommettere di celebrare 
altamerite le! ‘opere di Giovanni Schoreel nato nel 1495, 
riiorto nel 1562, e ‘singolarmente il suo meraviglioso quadro 
‘egregiamente | colorito , e di una commovente CPPRE Ono) 
rappresentatite la morte della Vergine, il quale è LICOpetto 
da'‘due sportelli di ‘prezioso lavoro, ‘sull’ uno de’ quali è S. 
Dionigi e 'S. Giorgio, dinanzi a cui stanno inginocchiati due 
cavalieri ‘armati “di corazza, è ‘sull’ altro S. Cristina e S. 
Gudola colle mogli (dei creta donatarii, parimenti 'ingi- 
moechiate . Questo celebratissimo artista aveva Viaggiato in 
Palestina ‘e©in'Ttlia%' ed ebbe 1 onore di stare per qualche 
anno direttore di Baluederde Roma. 

“ Pereorrèndo le Fiandre, e giagnendo ‘ad Aix la Chapel 
le. 'ébbimo anche la compiacenza di vedere molte insivni 
Opere dei citati maestiî, una delle:quali sarebbe veramente 

na preziosissima per completare la collezione del sig 
isserée. Il sig. Bettendotf, oltre al possedere alcuni SARI 

di. Van Eych edi Hemeling , tiene ina deposizione di croce 
di un allievo ‘di’ Van Eych con dieci figure al naturale, 
eseguita con tale espressione , decoro, gusto di disegnò PR. 
forza di colòrito,'da reputarsi come uno dei capi d' opera 


| di quella scuòla , e tale da venire'a cottesa con opere' di 


graridissima faivta0 Questo autore ‘comunemente si conobbe 
T. XVI. Novembre 5 


_66 


in Italia per Ruggero del Salice,; ma, chiamasi nella sua. se 
gua nativa Wandervyden, di Brux,. il qerR dipinse. questo 
pera. nel 1488. 

L; ultima parte di questa sare è fommata da’ pittori 
dell’ alta Germania più a noi conosciuti, ; .pew le opere, del 
bulino,, che quasi tutti trattarono,;; iche, per, quelle , di pen- 
nello preziose e rarissime che ci lasciarono.,.;e. ghe; nella 
loro originalità vera sono assai, men comuni in Italia di; quel 
che si crede, Tali sono quelle. di Michele , Wohlgemuth, 
Martino Schoen, Alberto Durero, Luca, Kranach, pi PELLE Wal 
ch , Gio. Asper, Alberto, Altorfer,, Gio. Schaupflein, Hans 
Baldung Grun, Gio. ‘Holbein;, ed. altri. molti».,, seit, 

È Tadubilazo che i confronti, ghe * Selibes instituirsi 
tra le diverse scuole . d’ Europa, se;rin luogo di comparare 
un piccolo saggio, di equivoco autore .(siecome, succede, tal- 
volta ) si potessero, comparare, tra loro, .i i, capi; d’ opera.di 
ciascun artista , ciò condurrebbe. a: bellissime, e, importanti 
deduzioni, sul progresso contemporaneo,;di molti, insigni 


maestri, senza bisogno che abbiasi. a, stabilire una figlia» — 


zione, 0 una derivazione. a là (dove, parità, di, circostanze. e 
d’ ingegno possono, produrre gli, stessi risultamenti. La, cole 
lezione del benemerito sig, Boisserée, visitata singolarmente 
dagli. italiani, giusti ed imparziali apprezzatori del, merito 
degli stranieri, pare fatta, espressamente,;pex: spargere una 
ma immensa nella storia dell’ nti ileni ad ognuno 
giustamente il suo. di lo] sitittatib.i osta 

Conviene, però confessare che; per quanta, cura.,si} vo- 
glia porre nel presentare, queste opere, Itanto, dn litografia 
che a bolino ; ciò non, può mai, servire che..a , 500COFr6A8 
la. memoria possibilmente intorno.a produzioni, già, prima 
vedute ;, non mai però a dare un’ idea vadeguata, di, quei 
pittori .ove l’ invenzione ,, la, composizione, il.disegno ,;@ 
1’ ideale stette troppo praga subordinato, alla ,vaghezza. del 
colore, alla trasparenza , alla succosità., all’ armonia del 
pennello, alla fedele imitazione del naturale; é al quadro 
genuino della natura tal come presentasi nella,spgcie, nom 
quale sarebbe dedotto dal annere e, e tutto, ciò con una; dle 


£ 
ih 18 


RIST 
= _ ws GE Ga anee ie 


67 

è dusione: sedlucentissima. Cose ‘tutte dhe «inali \possonoren- 
| dersi. ‘in carta senza tradire sovèrchiamenté la. ‘p»éziosità 
° ‘degli originali. MITO I ML iigna 

Non avvantaggiò: però salto è scuola fiamminga al- 
lorchè più adulte le arti, fu spititò il meritò dell’ esecu- 
zione a quel finito che forma la meraviglia universale, e 
la delizia dei gabinetti; poichè a vero dire altrettanto gua- 
dagnarono i pittori fiamminghi e olandesi delle epoche po- 
steriori nel ‘maneggio del petinello , quanto perdettero i in 
franchezza e libertà di tocco, in facilità di esecuzione , in 
unzione espressiva, dévotà, cottinibyente, cosicchè alla ‘pora- 
lo; al vario tessutò! idelle stoffe’ attesero piuttosto , facendo 
di ‘quell’ imitazione “an mestiere, mentre i valenti artefici 
del! Brabante ‘da’ noî' ‘èelebrati;’ ‘nelle ‘epoche ‘ più ‘temote 
congiunsero possibilmente all’imitazione ‘del vero un ‘espres- 
sione ingenua del morale’, stando lontani da ogni sorta di 
| eònivenzione è di'maniefàto) è muoverido per quella via che 
poteva condurli alla vera eccellenza: fecero assai più pom- 
| pa dell’arte che dell’ artista, e mirando assai meno alle 
| ‘puerilità coll’ interessare e commovere gli animi, non po- 
Fe sero ‘cura di cagionar'coll’ uve è 60° frutti trasparenti o ‘vel- 
lutati un’ illusion per gli augelli, o col dipinger La bolle: di 
È Repane pracarzie zu trastullo a’ fanciulli, 0 
Ia LeoroLDo..C, Cicocwana 


sa 


68 
\Onazione funebre di S.A. I. e R. Ir Cranpuca FER- 
»iDINANDO TERZO recitata dall’ Arr. Lorenzo Com» 
zini Membro della Deputazione dell’ Accademia dei 


Georgofili, nella sua Adunanza solenne, Domenica 26, 


Settembre 18 24. € hg 


Quis, desiderio sit modus? s} 


Tante e sì vere lacrime non versammo sinunue, noi quanti 
eravamo in Toscana allorchè ci fu tolto,,. avendo appena, se- 
duto otto anni .sul trono avito, il figlio di, Leopoldo.; di, tanto 
lunghi sospiri poi i tre lustri, che a questo secolo dettero in- 
cominciamento, non accompagammo dunque, noi quanti piega» 
vamo sotto lo scettro d’esterna dominazione; «non piangemmo 
dunque , e non desiderammo la presenza, © | il regno, di Fer- 
dinando III. nato fra noi e -fra:noi nodrito, se non per.acere» 
scere di più amarezza il pianto, di più acerbità il. desiderio, 
che oggi deyoti, e grati consacriamo. alla memoria, dell’ Qui 
timo , Principe! we PRIA (7 


(*) Quest” orazione ,: | che il pubblico ha trovata si degna dell’ Pi 
è da noi tratta da una stampa del Conti, la quale formerà parte del terzo 
volume delle dose legali e otatorie «del benemerito autore . Dopo avére an- 
nunciata la loro collezione ( Vedi Antol.vol. X..C. pi/i74) di cui possediamo 
da un pezzo due volumi, noi più non ne abbiamo fatta parola in questo giornale, 
aspettando di mese in mese che fosse condotta a termine, e ci porgesse 
materia a cònipiuto tagionamétito’ L'autore si è acquistata, a giusto titolo, 
molta fama nell’eloquenza forense. Lodasi la dottrina e l' acume che in essa 
dimostra; e molto più si loda la filosofia e la cultura, con cui in essa si 
distingue. Di queste ultime doti specialmente i lettori avranno qui un sag- 
gio nell’orazione che loro presentiamo. Detta in solenne occasione dinanzi 
ad una società consecrata alle scienze economiche , essa non appartiene 
tanto all’ eloquenza academica , che non appartenga in qualche modo all’ elo- 
quevza dell’ uvmo di stato. Lodare un saggio principe, un amministratore he- 
nefico della cosa pubblica, è un proclamare i principii da cui dipende la 
buona amministrazione. L’ eloquenza, che in ciò s'impiega, è molto simile 
a quella, che difendendo le vite e le sostanze de’ cittadini , proclama i lo10 
diritti , che le buone leggi hanno in tutela. Bene dunque da un’ orazione enco- 
miastica del georgofilo Uollini può prendersi idea delle doti più caratterie 


stiche dell’orazioni civili e criminali dell'avvocato Collini. Ma di queste noi‘ 


parleremo a suo tempo distesamente, prendendone forse motivo di generali 
considerazioni sull’ eloquenza del foro, cl‘egli, contrastando alle rozze abi» 
tudini de’ contemporanei , ha non poco raggentilit: e nobilitata . 


69 

Ml Principe Ottimo rapito, ahimè, troppo presto alla vita, 
alla patria, troppo degno, ahimè, di regnar altrettanti ‘anni e, 
molti più di quelli pei quali, dopo che cessato l’ infuriare 
delle politiche tempeste rientrò in porto, e restituito finalmente 
gi nostri perpetui voti l’ammirammo RR E SoS l’ob- 
bedimmo più padre che sovrano , più concittadino che prin- 
cipe ! 

Ahimè! J’Ottimo Principe, pio, giusto, clemente, uma- 
no, saggio, liberale, cortese, in cui la natura benigna pre- 
venne la principesca educazione, in cui il sovrano potere av- 
valorò la probità, le ricchezze fecero strada alla beneficenza, 
la semplicità della vita adornò di modestia l’ altezza della re- 
gal fortuna! Non-le vicende dei regni, non il tumulto delle 
superbe voglie, le fazioni, le guerre ne turbarono il coraggio; 
o abbatterono la virtù, ne rinfrancarono anzi la tranquillità, 
indurarono la costanza, confermarono l’ equanimità in tante 
condizioni diverse di uomini, e di cose che lo circondarono, 
in tanti gradi di onore, in tanti titoli di dignità, ai quali 
egli retribui più riverenza, e più ornamento di quello che 
altri regi spesso non ne ricevano; sempre fonte di grazie, e 
in ogni deliberazione tanto opportuno alle preci dei miseri, 
quanto chiuso alle lusinghe dei potenti, sempre sollecito d’altruî 
più che di se stesso, ponendo ogni altro rispetto in non cale, 
dove per la felicità dei suoi popoli fossero da spendersi studi, 
tollerarsi sciagure, e moltiplicacsi «affanni ! 

Ahi quanto perdemmo , ahi quanto giusto è il nostro 
dolore ! 

E il nostro dolore quanto giusto altrettanto impetuoso pro- 
ruppe spontaneo al primo annunzio dell’improvvisa infermità 
che lo assalse reduce dall’ infausto viaggio, da cui lo disto- 
glieva presaga pur troppo dell’ acerba ventura la pietosa au” 
gusta moglie. ( E non fia mai che il tempo» possa asciugare 
il suo pianto). Ma egli invan trattenuto partissi all’ infausto 
viaggio. Ve lo chiamavano, come era solito accorrervi, i bi= 
sogni della bella provincia cui già da molti anni egli arric- 
chiva , per lui specialmente fecondata , e in ‘grazia di quella 
mirabile opera regia, che imprigiona e sprigiona'a sua voglia 


790. 
le. acque della Chiana, già stagnanti sul limo, che ora sente il 
peso, dell’aratro,, e nutrisce! città vicine e lontane. 

Partissi il, Granduca : nè guari andò; che. tornando, ‘nei. 
primi momenti mostrò sul lieto aspetto la cara salute, la stessa 
alacrità.; e la prontezza, stessa delle membra ‘agili e vigorosey' 
che vita della prima gioventù ;..tali accompagnavanlo nella vix 
rilità, e tali resistevano intere all’ingiurie dell’undecimo lustro 
valicato appena di. quaranta giorni quando la Parca gli! mos- 
se guerra, 

Era,.il giorno XIII. di Gogol Il Usi dei salutanti mat= 
tutini empieva le regie sale. Le congratulazioni del ritorno» 
spuntavano .sù cento labbra. Ogni altro ‘affetto di stato e di | 
corte, speranze e timori, ringraziamenti e ‘suppliche stavano. 
per un giorno in silenzio riserbate a domani. Ma negata la. |. 
vista del, Principe amato, ma le ansiose: dimande soddisfatte 
con perplesse risposte , ma le novelle di morbi. diversamente 
minaccianti, e di febbre violenta l’annunzio dall’aula ‘sceso; e 
sparso in un baleno nella città; e la mesta fama ogni mo- 
mento «divulgandosi più e più, e il mal premendo, e' spaven-> 
tando. il peggio; ebbe tosto preso impero d’ogni cuore l’ango- 
scia, si avanzò rapidamente la disperazione ; e non trascorso 
per. anco. il. terzo giorno , tutti i volti già tinti di un cotal 
pallore; che si. perdea nell'ombra della più tetra mestizia, di- 
pinsero il mal recusato presagio della calamità pubblica. 

Quindi uomini ‘e donne correre avanti e dietro per le vie‘ 
e per de ‘piazze e per. gli atrii stessi, e per le scale del pa- 
lazzo regio, e soffermarsi alcunchè incontrandosi, e interrogarsi 
lacrimevolmente, e stringersi con pietosa significanza l’un l’altro 
la manò ; niuna disuguaglianza di età, di grado, di fortuna,‘ 
niuna ‘altra: premura, nessun’affare o domestico o civile, tutti» 
i passi, tutte le lingue, tutte le orecchie a questo solo rivolte, 
di questo solo occupate, ed intente a questo solo la salute 
di Ferdinando nostro: della sua infermità, della sua guarigione 
palpitanti al pari cittadini e forestieri, e (dalla oscillazione di. 
speranza e di timore tutte le menti e tutti i cuori prender 
qualità diversa, e fluttuar fra ’1 duolo e la letizia, fra gli» | 
affanni e i. conforti. sa Sena 


a 


VE. 
:’Suond'l’altim’orà; è îl sesto ‘giorno fù tutto tenebre. 

Tu salivi intanto colassù ‘d’onde ‘eri scesa o anima pura, 
riguardando forse Tàoghi della ‘tua ‘nascita, dei tuoi diletti, 
dei tuoi travagli; ‘e forse gradito (seppure alcuna cura mortale 
cape ancora nell’atiime beate )ti giungeva il mesto ululato della 
reggia, della patria, ‘del bel paese tutto che ti chiamava, ti 
sospirava, e ti benediva. 

Imperocchè risorgeva in quei momenti vivace ed illesa la 
memoria di tutte le cose passate, e quelle colle presenti ‘con- 
frontando, non v'era chi non ammirasse in Ferdinando l’esera- 
pio di quanto sappia adoprar l’uoîno, che d’eccellenti tempre 
natura compose, e di quello cui possa l’uomo pervenire , se. 
alla natura eccellente tu aggiungi l’ esperienza maestra della 
vita. 

Not aveva la Toscana assaggiate per anco le leggi ama- 
rissime della necessità, e tutta in quiete l’ Italia sotto Fran 
cesco , e sotto Leopoldo (felici rimembranze!) non si ebbe del 
senno loro esperimento alcuno nell’avversità. 

‘I' primi suoi morsi, e l’ire prime della fortuna aspetta- 
ròono dopo cinquant'anni di governo austriaco , quello nuovo 
di Ferdinando siechè nell’ arte di regnare le più intricate 
difficoltà furono ‘il suo tirocinio. 

‘Noi vedemmo per la prima volta, e il dovemmo giudi- 
care alla pruova, quanto sia bella la ‘virtù regale nei contra- 

, elcome' sotto il martello della sventura si affini la sapien- 
za: Mi dorici 

— Rammentavamo quanto era felice (ch’ella era invero sa 

licissima) la nostra vita dopo le riforme di Leopoldo. Le legg 
civili eguali per'‘tutti, i costumi non solo buoni ma anco ger= 
tili ‘il codice delle pene mite e’ filosofico , la Vibifara oc- 
chiuta , ma più che per altro, per la ricchezza e per la pro- 
sperità universalmente diffusa , rarissimi i delitti in questo 
paese privilegiato - A farlo lieto aveva colla natura cospirato 
il governo. Per una parte, l’industria cuì son pronti gl’inge- 
gni e le mani di chi nasce sotto questo cielo benigno , per 
l’altra, la circolazione dei prodotti naturali et industriali vo- 
luta è ‘protetta dal ‘sistema il più saggio che altrove mai re- 


| gnasse di ‘provida ‘economia: nessun privilegio, nessun vincolo, 


na 
tutto dato alla natura, e fuori che quelle dalla natura urne 
nessun’altra legge al commercio. 
A conservare tanta felicità era. mestieri la stessa pace 
all'ombra della quale tanta felicità era cresciuta; ma appunto 


la guerra si. accese in Europa con tale incendio ,,, che d'altro, 


più vasto non ci mostra esempio l’istoria. 


L'Italia nel 1796. soffriva già i mali della & guerra .guer». 


reggiata nel suo stesso seno, impiagato. uti 


Resisteva Ferdinando non solo agl’ inviti e sali lusin», 


she, ma anco alle .minaccie con che era; tentato, perchè colla 
Francia rompesse anch'egli, e sì dipartisse da quella condizione 


neutrale, in cui cauto sempre e prudentissimo aveva Lopoldo, 


fondata la politica del Granducato fin dall’ anno 1778. 


Strappatone poi dalla forza, e dalla soverchianza de'ne, 


mici presenti, Ferdinando vi fece ritorno quanto più presto il 
potette, il quale prese per sua guida sola. il bene dello stato 
e il vantaggio dei suoi figli ; non le infiammate passioni dei 


tempi che mal calcolavano le probabilità degli eventi nelle cose, 


di Francia, e non l’abbagliarono nè la diguità del fastigio re- 
gale, nè il desiderio di quella giusta vendetta medesima, che 


anco a lui domandavano le ingiurie e i delitti ond’eran brutti; 


e sanguinosi i primi anni della Rivoluzione Francese, 


Di quanto bene fu padre sempre dipoi consiglio sì pru= 


dente, cui tanta costanza fu scudo! 

Noi vedemmo anco in mezzo alle più dure calamità qual 
che effetto di consolazione, dagli altri popoli invidiato, moi .lo 
vedemmo nascere; da questo voto di neutralità sempre religio» 
samente osservato, il. quale impresso mitemente in tutti gli 
animi valse ad allontanare dai vincitori ogni pensiero di cru- 


deltà, e dai vinti ogni stolta macchinazione, ed oltra lor possa 


ardita, di spezzare l’aborrito giogo: risparmiò onte e vendette, 
le quali rinnovandosi, e con rabbiosa reciprocanza irritandosi, 
versano odj inestinguibili, e calamità perpetue in seno delle 
nazioni sempre strascinate nella miseria. 

Amato e riverito Ferdinando presente, al pari che desi- 
derato lontano, noi fummo sempre guidati dal suo spirito, e 
come a lui lietamente obbedivamo, così non parve necessaria, 
e forzata qual'era, l'obbedienza ad altro potere, cui egli » 


‘ 


73 
partendo, .ci lasciò il generoso e prudente ricordo d’ obbe- 
dire. 

Egli passò a reggere altri popoli in Germania: noi con 
loro alternammo opposta vicenda d’affetti. 

Gioivano, quando piangendone la perdita noi, l’acqui- 
staron'essi ; ed altrettanto si. afflissero dipoi, quando costretti 
a rendercelo, noi di ricuperarlo esultavamo altrettanto. 

E fu gran ventura la nostra, che tanto felicemente ter- 
minasse quella guerra, che aveva) desolata per aa vent’an- 
ni l'Europa. 4 :191s36! 

E più gran ventura, 0 per dir meglio esempio unico e 
maraviglioso di cui stupiranno i posteri, fù quello , che .in 
tanti anni l’atrocità delle guerre, le discordie , e le sedizioni 
da brevi e anco crude paci interrotte , non rovesciassero. col- 
l’armi ogni civile ordinamento, che tutto annegato nel sangue 
il sapere e il senno tutto d'Europa imbarbarita, non superas- 
se ogni ritegno la forza: stupiranno, che la notizia del giu- 
sto, l'amor del vero, l’appetito del buono e del retto non an- 
dassero con ogni costume sommersi , che libertà, e sicurezza 
di persone e di averi, non che beneficenza, umanità, cortesia, 
gentilezza , non spirassero l’ultimo alito sotto la clava di fe- 
roce dispotismo, quasi in rinnovato secolo di ferro, o di qua- 
lunque siasi altro deterior. metallo che natura impoverita pro- 
duca. 

Ma nò; più giusto, e più pietoso ‘provvide il cielo allo 


. scampo della specie umana. Non sofferse che si estinguessero, 


le difese :il cielo, e dal nembo di guerra le preservò nel loro 
fulgore, le sante dottrine e veraci, che inspirate dalla natu- 
ra stessa dell’uomo, e dettate dalla ragione del patto sociale, 
sono la radice della sicurezza , e della prosperità della Re- 
pubblica. 

Eccolo dunque per lo primo e più prezioso dono della 
pace, eccolo alla sua patria, al suo trono, eccolo Ferdinando 
a riprendere quel dolce freno che aveva imparato a trattare 


| dai più verd’anni. 


 Elargì egli l’antico) favore, e vi aggiunse munificenza re- 
gale e conforto di nuovi statuti a questa nostra antica Acca- 


74 
demia, Ja prime da ‘emi ‘sì spamdesse ‘nel’'mondo largo !fiuine! 
di economici insegnamenti, che quinci diffuso per ogni dovèy 
e fra noi specialmente, dalle ‘scuole nelle case e per le piaz- 
ze versandosi, irrigò lento e maestoso, ner le città, ho: ville! i 
e lei RA ca pia fto 1 Na 

A noi spetta dunque principalmente il duteri di’ colelsemere 
la memoria dell’Ottimo Principe, ‘che procedendo per la *Wia” 
calcata dal padre non solo raccolse i frutti da lui preparati, 
che il'tempo tuanto ‘più tatdo tanto' più sicuro matura, inà 
di-altri ancora affrettò la maturità, e molti più semi non Gelsi 
di spargere, secondo che i lumi del segolò, ‘col quale il' no- 
stro sovrano ‘progredì concorde, ne somministravano, e come” 
i ‘consigli dei ‘dotti e l’ esperienza delle nazioni l’ratobinanda 
vano - bi Vi Dil l } : 

Nato in questa sala e ‘cresciuto tes noî il desiderio di , 
dissipare la” troppa ignoranza! ‘della classe indigente, di allon=‘ 
tanare la prima età ‘dall’ ozio, eccitarla al)o fatica, avvezzarla 
alla disciplina, pensammo che 1’ istruzione del ‘popolo fosse" 
degn’ oggetto e proprio del nostro istituty. 

Vi soddisfece l’Accademia con' tenni principi, e più am-* 
piamente ‘vi'ha provveduto poi scelto numero dei nostri soc], 
che sentirono l’importanza di questo il quale è veramente il 
primo frai rami di economia privata; da cui debbe ricever 
tantosto progresso, incoraggiamento, e propagazione l’eco+’ 
nomia ‘pubblica , e la felicità generale; chi arrestò ‘il nostro 
corso ? Quale estraneo argumento , quale” antico pregiudizio , * 
qual suspicione moderna si frapposè ai nostri concetti? |‘ 

Forte della ‘sua’ virtù, dell’amor dei suoi popoli, e della 
loro probità, che da lui discesa si comùnicò ‘ai più infimi gradi 
coll’ esempio superiore , applaudì sempre Ferdinando ai ten-* 
tativi delle scienze e dell’. arti, giovò ai loro progressi in be-! 
nefizio dell’ uomo. 

Fra i quali si conti anco la scuola dei sordi e miti ie 
retta ‘in’ Pisa sotto la sua protezione, è a spese del regio era-* 
rio; si contino l’ospizio di maternità, i depositi di mendicità ‘ 
aperti in Firenze, e in Siena, e si celebri la munificenza con. 
cui ègli ,- ad arricchire gli spedali;‘e per liberarli dagl’ im-° 


55 
barazzi di un’ amministrazione affannosa ;“voltò î [beni stessi 
della‘ sia: corona'; a lui ‘solo devoluti Li la precedente di- 
stribuzione ‘de’ benî demaniali: 

Cura non minore lo strinse, e di' altra malattia, che più 
delle: febbri ‘funesta ‘corrompe | ‘il Ki morale dello stato, fu 
il Granduca sollecito. i 

‘Pensò, anzi tornò egli a pensare' alle carceri, e non pago 
di quanto il padre ‘ed egli Tae poî avevan cit vi Pre 
1’ ultima mano. 

‘E incominciando dalla ti olii dmn teri il- 
legale, e senza ‘decreto di ‘autorità’ ‘competente, del che ‘com- 
messe alle leggi di farne sicuri, volle che provido sistema, 
opa € ragionato seguitasse vg infelicè , che ‘della’ libertà 

è spogliato, e ‘loassistesse «per tutti ‘i ‘gradi’ fino ‘a‘che o' la 
ricuperi o la perda in pena' del'reato: ma la pena non ‘pre- 
ceda la certezza del delitto, quanta; é bi da PORDAS e 
pubblico cati solamente si ‘ottiene. 

Quanto i più moderni, e'i'meglio înstruiti dtd: e di’ 
più filantropia dotati i insegnarono, tutto fu qui raccolto, e qui 
fu apprezzato. 

Il progetto di Benthiam approvato în Francia, dove l’au- 
tore lo diresse nel 1791; quando la ‘somma delle ‘cose era 
appresso l’Assemblea' legislativa‘) ed ‘approvato non meno in 
Inghilterra, dove più d’un decreto ne ordinò l’:esecuzione, 
giacque quel progetto IMOSCHIO, e solamente i in RE aureo 
libro ‘ebbe vita.’ 

I pensieri di Buxton, e di Bennet: hanno' avuta‘ ‘ultima- 
mente miglior sorte’ iti Francia, presso il comitato ‘per lo mi- 
glioramento delle prigioni dal Duca di Angouleme'présèduto- 
©. “Una donna quackera (M. Fray) fece prodigj bensì di pietà, e 
cacciò uno stuolo di abusi e di vizi dalle carceri di Londra. 

A me duole, che il tempo non 'mi ‘conceda e che 1° oC- 
casione non sia questa di svolgere le particolarità ‘ dei nostri 
ultimi: regolamenti, che ‘assicurano la'sanità del corpo dei car= 
cerati, e nie rimuovono ogni specie ‘di tortura ‘o fisica ò mo- 
rale, da cui mai non ‘erano fino’ agli ultimi pira nin e- 
senti. 


«E più di tutto dovrei lodare la’ casa ‘di forza stabilita in 


76 

Volterra, dove gli uomini nello scontar la pena .delle loro 
malvagità imparano a detestarle per l’ avvenire, e prendono 
amore al lavoro, e n’escono migliori, ‘siccome :,molti,, non 
senza qualche peculio,. ne sono usciti; laddove gettati com’e- 
rano anticamente negli ergastuli, e. nei bagni, ed ammassati, 
come bruti nelle mandre, inferocivano viepiù, e i gastighi 
stessi, e i patimenti, la crudeltà dei governi, e dei custodi 
che inasprivanli, altro non potevano produrre in coloro se 
non esacerbazione di odio, e inimicizia irreconciliabile contro. 
il, genere umano, invece ‘di chiamarli a ‘pentirsi e scostarsi. 
dai delitti pei quali erano,stati espulsi dalla società. 

Che se il mondo sapesse, il cor ch’ egli ebbe, tutto 
quello, che fece, e tentò, Ferdinando , e fin dove sperò giun- 
gere, il mondo, che assai lo, loda, più lo loderebbe. 

Jo qui accuso le tue stesse virtù, la tua, modestia, o Fer- 
dinando : ella ha colpa che a tante delle tue imprese occulte. 
del tutto o mal note, è defraudata la lode, di cui la più pic- 
cola. parte. basterebbe alla gloria d’ogni regnante. 

Ma non poteron nascondersi il tuo senno, la tua costan- 
za, la tua generosa compassione ai mali della Toscana, quando 
afflitta dalla penuria dell’ annona per .tre lunghissimi anuî, 
con cui volle il cielo mettere alla prova e noi e il buon Prin- 
cipe, da te solo, nè da altri in terra, ella poteva sperare di 
tanti mali quella, che ne ottenne medicina, e alleviamento. 

«Fu, stupenda maraviglia a vedersi. nel contrasto fra le 
stagioni inclementi, e le leggi benefiche, declinar gli uomini 
coll’ industria il flagello celeste, e correggerlo, rinvigorirsi in 
mezzo alla miseria la probità , e sorger dalla carestia stessa 
1° abbondanza. 

Si aprano viepiù tutte le porte all’ uscire, gridò il sag- 
gio Principe, acciò siano spalancate all'ingresso; giungeranno, 
partitesi dagli emporj più lontani, le vettovaglie ai nostri 
mercati che le desiderano; per questo solo perchè vi son de- 
siderate; guai a chiamarle con editto lontane, guai a tratte- 
nerle con editto presenti; guai a proferir parole di misura 
nel tempo, nel prezzo:..metodi, restrizioni, regolamenti, tasse, 
tariffe, magazzinieri, grasceri, tutto peste. 

Egli sapeva che anco dai buoni esempli spesso nacquero 


ue. 


ì cattivi, e puardbsai idal primiò' ‘passo della" “via "dell er- 
rore. 
‘© Ma si aprano al tempo stesso lè vie ‘al sati sog= 
giungeva ilsaggio!Principe. Non limiosidé, antico soccorso di cieca 
compassione; mercedi bensi, vero bénefizio di retto ‘consiglio; 
la ‘questua, e l° accidia in ‘bando; ‘all’ industria, al lavoro, o- 
nore e lucro. ‘ nt oda.ile0r 99,91 

Gli uomini vigorosi ‘provarono ehe 1 opera ‘delle it 
cia cui furono invitati, fruttava il pane, e chiesero la' fatica , 


| ed' amaronlà: sudaronò animosi' a' pigra l’ opere pubbliche, 


è prima di tutto quell’ ampia strada’ già disegnata, come vo- 
leva 1’ antico desiderio di facile e pronta comunicazione fra 
i due mari'che' ne circondano’; ed'‘eséguita ora solamente, e 
în tante strettezze da Ferdinando) la strada ‘per S. Sepolcro 
verso l’ Adriatico condotta fino ‘al confino fra la Toscana, e 
li stati vicini. 
Parlerò io di quella per cui comunicano Volterra, e Sie- 
na, e che si lega coll’ altra che da Siena si volta ‘ad Arezzo; 
e parlerò io della ‘strada sul littorale del Mediterraneo, che 
‘unisce Grosseto a Orbetello, Piombino ‘a Livorno! E che dirò 
io dell’ altra che conduce alla capitale i casentinesì; che delle 
tante, le quali intersecansi in guisa, ‘che nessun, governo, ‘può 
Vantarsi d’aver fatto altrettanto per avvicinar comunità E 
munità, provincia a provincia! 
‘°° Torno alla nostra superata calamità triconale. “Mme gli 
vomini trattavano le zappe e i pali di ferro, le. donne fila- 
Vano la lana e la canapa recata fino, ai loro to; più, re- 
moti abituri: ricevendo il salario, ne restituirono,, le misere, 
intera sempre la quantità, e mai in tanta somma non mancò 
ure una libbra sola, defraudata dalle male’ persuasioni, della 
fi: ‘e della” ‘inopia. Prevalse la ù riconoscenza , dominò il rio 
spetto, trattenne da ogni più. Tieve ‘colpa l’esempio della virtù 
del principe, che ringraziato appena dei vecchi, fu tosto ec- 
citato a nuovi ‘benefizi: nè egli mancò mai di soccorso all’uo- 
mo afflitto, ‘€ per vecchiaja o per infermità miserevole e ta- 


do 
pino. 


Alla ‘fame successe tosto la febbre: ma non inferocì qual 


90 
minacciava, nè si dilatò qual temevasi perepidemia fuori de- 
gli spedali, moltiplicati all’ uopo, riccamente provvisti, e..con 
tal diligenza governati, quale appena truova il viaggiatore nel- 
Id altre città, quando non sono per la: tranquillità ‘dei.tempi 
le pubbliche occorrenze oltre. 1’ ordinaria, misura. trascese. 

Non vi sia chi si wanti; di riconoscere ora dai. vestigii 
delle rovine, il torrente dei mali che testè inondava! Mi si.di- 
ca quali, cicatrici accusano, 98gÌ, il flagello: che ne Saponi 
or son pochi anni? 

i Tu scorgerai bensì Shilala siero lac e diari sms 
fonti di perenne pubblica. «prosperità ; se, tu. svolgi il Padioe 
delle leggi nel tempo stesso dettate. 

Si maturò allora il sovrano, pensiero che già, per lt in 
mente il Granduca di rimuomere; ta difformità del contribu- 
to, mediante l’ istituzione, della tassa, prediale da distribuirsi 
per tutta la superficie del Granducato con misura eguale ; e 
con proporzione adeguata al valore dei beni. stabili compresi 
în ciascuna Comunità. 

Nella mancanza però. "d'un tb ; ‘ossia «E stimajio 
regolar e, ct uniforme, unica base sicura d’un giusto repai ‘10, 
istituì il Granduca una Deputazione incaricata di dirigere 
tanto nei rapport ‘ti metr ici, quanto. nei tappo? ti economici le 
operazioni del genera ‘al Catasto del Granducato, e si com- 
piacque di aver trovate , quando. riassunse la sovranità , ee 
stinte affatto le già dirute antiche tr acce di, prer ogative, 
d esenzioni, e di privilegj locali, ‘onde potette,, siccome fe- 
ce, con ‘intima sodisfazione del + suo core pater no, diffondere 
în ciascuno dei punti del suo dominio con perfetta equabi- 
lità gli effetti d’ ogni giusta, € benefica legge. i 

. Così parlò quella promulgata nei 24. Nov. 1817. 

CE vi aggiunse l'augurio, che non potrà i invero. andar fali 
n, ‘che non è anzi lontano da' verificarsi, dovere la compilazio- 
ne'del Catasto! compire il sistema di ga ‘anzia della proprietà, 
dopo che la confermata libertà del commercio. ha posto a frutti 
dell industria in piena disposizione dei proprietari, dopo 
che l’ or ‘ganizzazione dello Stàto Civile ha' legalizzato la 


fera delle persone, ed i passaggi, dei beni. si 
9003. IT. 


1 
Ret 


ui) 
neDall’.influenza «di. questi, fondamentali ‘‘principj di le- 
gislazione verrà, disse. il legislatore} con vantaggio comune 
completamente.eccitato l’affetto per la proprietà, e per l’in- 
dustria - E .qui, si presentava grata: oltremodo. all’ animo» suo 
la considerazione ;i che #1 Toscana dovesse più che altrove 
esser numerosa la classeidi. coloroabili a godere di questi 
resultati, poichè il isistema. colonico:rénde qui i lavòratori 
partecipi della, civilizzazione dei »propretarj yi e dell’ amor 
loro, alla teria»nativa ; la quale aprendo ie antiche vene, 
offre occupazione; e. sussistenza, srt sono ‘ole errati della 
morale, e del. buon sordine: >| sirio ire »ieni 
.i[oelLa filosofia. del padre spira: maestosay ‘e si sppalesa anco 
più sfolgoreggiante, nelle leggi del figliò. 0; silue « 

E se la lingua del, legislatore. determina: il rblissina 
tempo/)in cui. egli. parla, e manifesta» l’indoleodeli popolo che 
debbe obbedirlo,}; chi .potea:;dubitare;:reflettendolalla: legisla» 
zione [nostra,, dover’ ,essere il .suolo»toscano) quello della filo- 
sofia. stessa, e dover’ esser. epoca. di. felicità Laapnineg iaia 


in cui, regnava. (Ferdinando! supino: cons svi onioio invisca 


;0rQui adunque!corsero da; pi i er ei: dai. più ré+ 
moti reami , e videro stretti!:inv:cohcordia vutile:!e mirabile, 


 libertà,..e. scéttroy..videro insegnamenti; ed esperienzé} gli uni 


coll’ altre congratularsi;  soctorrersi dottrina; e? politicaz: colè 


legarsi leggij.e.costuini; viderò aureo tutto il:secolo; e pieno 


d’oprè più: belle delle ‘antiche; ‘videro insomina:il:governo di 
Ferdinando, e lo celebrarono!sopr’ogn’altit01i ‘grandi’ evi dotti 
Europei, che. ci frequentarono; e ‘chiunque ‘altro si'\fuiche mu- 
tando cielo, e cittadi con mente vaga di perfezione}! facesse 
conserva di rari instituti, e di utili documenti per arricchir- 
ne, tornando, la patria, ed avvincersela per benefizj. 

Quale, e quanto benigna ospitalità infatti qui, fosse a- 
perta a tutti; quante lacrime qui si asciugassero; quanta in- 
felicità trovasse qui consolazione, quanta inopia soccorso, non 
è da dirsi; che anco all’invidia vuol’ aversi talora rispetto , e 
rimproverar falli non sempre si addice ai più saggi. 


Parlò coi fatti, e non ostentò pompose fallaci promesse 
Ferdinando. 


80 
L’Ottimo Principe.che voleva estinta ogni trista' memo- 
ria di guerre, è di parti;e voleva per’ sincera‘ riconciliazione 
-rinata ‘nel suo regno, la molti anni lacrimata pace, la fede, 
la: concordia,: e) la giustizia; fece pubblica professione ‘di per> 
dono ;. e inoni gli. erroti solo; ma vaneò» le igtarie 'attose di 


porre, ‘e le pose verarnente»im oblio». +» ris 


Or. chi potea;foss'vegli \pur\:mal- disposto dalla: sorte;-0 
di perversa. indole nato,e ida maligno: ingegno sospinto, chi 
potea camminare a. ‘ritroso di.tanto esempio; chi potea a tanta 
virtù contraffare; e star sùll’armi;\e‘meditar’ offese; ‘e’ sognare 
inimicizie, bevendo tuttavia le aure \so@ninnino ; che. spirano 
«dalle ville di Fiesole:;;:che:nutrisconoi boschetti di Boboli , 
e volano sulle rive dell’? Ario smaltate it di fiori ‘a cas 
rezzare l’ erbe su. ivpratì. delle Cascine! i 

Arrestiamoci a queste idee; e più sereno) sia ‘il ‘fine ‘del 
mio dire, che troppo: tetro! ne’ (fas il principio: dd 

Non è la vita del Principe, le sue ‘opere ‘sori quelle‘che 
né misurano il regrio j perocchè mortali ‘sendo ‘i principi’, de 
nazioni eterne, vive anco sempre in esse'la legislazione, e dura 
il. moto dei» civili provvedimenti coi quali ‘ciascun oe 
ordinò lo stato; e resse: la repubblica. seit 

; È dunque vivo ancora; e lo sarà sempre nella sua ‘patria 

in cui versò tesori di felicità, FerpimANDo : Terzo. 

E, più veracemente egli è vivo nel'figlio che gli succe- 
de nella monarchia, e che rinnova col nome l’avoycogli stu- 
di @ colle. virtù tutti\gli antenati. 

Nomine avum referens , omnes virtute parentes. 

Ho detto. 7 Sino 


ee 
sò 


tir 


| 


PI 


‘ 31 
|: De l’Amour, par M. Dx Barre. 2. vol. Paris, 1822. 
: —Del patriottismo d’anticamera in Italia — 
Dictionnaire des Anonymes et pseudonymes, par M. 
BaARBIER, 4. vol. in 8.Paris, chez BARROIS L’AînÉ, 
rue de Seine N. 10. 


De l’education par Madame Campan, 3. vol. Paris 


1824. 
( Ved. Ant. vol. XV. A. p. 120. ) 


Ritorno al primo argomento, domandando: a che 
proposito lo Stendhal riferisce il ‘motto di Turgot , pa- 
triottismo d’anticamera? 

Tra le opere compilate dallo Stendhal, o per vero 
dire dal de Bayle (1), sono due libri intorno all’amore, 
considerato da lui di quattro specie, amor passione, amor 
gusto, amor fisico, amor di vanità, con tutte le gra- 


(1) Il nome suo è palesato în un’ opera che ha per titolo: 
Dictionnaire des ouvrages anonymes et pseudonymes, composes, 
traduits, ou publiés, en francais et en latin, avec les noms 
des auteurs, traducteurs , et éditeurs; accompagne de notes 
historiques et critiques par M. Barzier. 

Questo importante dizionario che ora si pubblica dal dili- 
gentissimo Barrois, con nuova edizione e con nuove aggiunte del 
medesimo Barbier, dimostra quanto grande sia il numero delle 
opere anonime e pseudonime in Francia. Proviene ciò da mode- 
stia, da timidezza, o dalle qualità delle opere? In tutti i luoghi 
si trova più o meno ammessa questa consuetudine, massime nei 
tempi della moderna storia: ed alcuna volta è ragionevole: ma 
spesso ha per solo fine invogliare maggiormente i lettori: e so- 
vente pur ne è causa la vanità circospetta, cioè il desiderio 
d’acquistar fama appresso i posteri senza perdere la protezione 
de’ viventi. Non sarebbe dunque lodevole aver simile prudenza 
nelle rampogne , che gli scrittori fanno dall’ una all’ altra nazio- 
ne? Quando l’esempio è appresso di sè, torna ridicolo il bia- 
simo fatto in altrui. 

Per rispetto al De Bayle, se egli si è infinto del nome, an- 
nunziandosi nella vita del Rossini col cognome di Stendhal, non 


F. XVI. Novembre 6 


bibi 
82 
dazioni e differenze che dalla temperatura del luogo è 
della persona provengono. Il primo libro si riferisce alle 
qualità generali dell'amore, com’esso abbia origine dal- 
l'ammirazione o dal desiderio, come cresca per virtù della 
speranza, come si raffermi, si continui , o si scambi, 
secondo la certezza o il dubbio della promessa o pre- 
supposta fede: notati altresì gli effetti della bellezza, della 
grazia, del pudore, degli sguardi, dell’orgoglio , del co- 
raggio, e della gloria, di tutto ciò in somma che ina- 
nima o dispera gli amanti, concludendo non esser quasi | 
alcun rimedio all'amore, come gli antichi ben significa- _ 
rono nel salto di Leucade. 

Il secondo libro sì riferisce alle consuetudini de’'po- 
poli, cioè alle qualità particolari dell’ amore in diversa 
atmosfera. « Tutti gli amori, tutte le immaginazioni (dice 
il De Bayle) si diversificano appresso gli uomini, se- 
condo sei temperamenti: sanguigno o francese , bilioso 
e spagnuolo, malinconico o tedesco, flemmatico o olan- 
dese, nervoso o Voltaire, atletico o Milone di Crotone: 


lo dobbiamo per ciò accusare nè di vanità, nè di simulazione, 
ma solo di classicismo; essendo piaciuto a lui, tuttochè roman- 
tico, adoperar come si suole nelle accademie. E del rimanente, 
se il Barbier non avesse indagato e congiunto le rare e sparse 
notizie, sarebbero ancor segrete alcune particolarità della letteratura 
francese , dichiarando egli nel suo dizionario, non solamente chi 
dettasse le opere, ma eziandio quali fossero i personaggi intro- 
dotti con supposto nome nelle satire , negli aneddoti, ne’ racconti 
amorosi, e simili. Le più delle quali cose, eccitatrici di curiosi- 
tà, potevano licitamente divulgarsi , perchè riferiscono a già spenta 
generazione , ed alla più vana, più prepotente e più autorevole 
di tutte le classi degli uomini, 

I due primi volumi del suddetto dizionario sono già pubbli- 
cati. È ora sotto il torchio il terzo volume, in cui si compierà 
il catalogo degli anonimi in lingua francese. Saranno indicati 
nel quarto gli anonimi in lingua latina. La sagacità mostrata fi- 
nora dal Barbier ci dà fiducia e desiderio della sollecita pubbli- 
eazione di tutta l’opera. 


83 
nascendo particolari eccezioni dalle differenze dell’età e 
degli ordini del viver civile. Prego i lettori mi scusino 
se parlerò spesso dell’Italia , poichè ivi soltanto, ne’ pre- 
senti costumi, cresce libera la pianta che io descrivo. 
In Francia la vanità, in Germania una filosofia presup- 
posta e folle da far morir di ridere, in Inghilterra un 
orgoglio timido paziente e stizzoso , la torturano, la sof 
fogano, o la fanno vegetare in rami barocchi. ,, Io se- 
guiterò il De Bayle ne’soli argomenti italiani, perchè più 
utili a noi; tralasciando però gli epigrammi o racconti 
che sembrino specificati per nome, affinchè il lettore non 
pigli equivoco ed occasioni a nuove censure. Molti già, 
presupponendo che il De Bayle usasse di scrivere siccome 
familiarmente discorre, presupposero eziandio che avesse 
citato negli aneddoti i veri e proprii personaggi. Ma nou 
mi pare che egli si ritragga da onestà, criticando le opere 
e le azioni senza rispettare l’uomo. I nomi e i fatti, che 
esso produce, non si convengono in una medesima per- 
sona, e nemmeno forse in una medesima città. Che se 
non pertanto i lettori possono fare de’citati esempli par- 
ticolare applicazione, ha da tornare il biasimo in lui o 
in noi? Dinota il De Bayle, che non essendo rare le pas- 
sioni d’ amore in Italia, non sono qui ridicole, e che 
apertamente se ne favella ne’ salotti e ne'trivii, nomi. 
nati gli amanti, indicati i lor casi da essi medesimi non 
che da altrui, e dalle donne stesse non lungi dalle fan- 
ciulle, senza sospetto, senza ironia. Quindi poichè tale 
uso v'era, e non è al tutto cessato, se i di lui esempli 
sono alcuna volta troppo più manifesti, si conseguitano 
alla consuetudine che egli ha trovato in Italia. E dob- 
biamo essergli grati, perchè dimostra, come vedremo, 
1 nostri difetti quasi non avessimo da prenderne veì- 
gogna: 
Così all’ egro fanciul porg'amo aspersi 
Di soave liquor gli orli del vaso. 


34 

Infatti, mentre molti stranieri chiamano l’Italia il 
paese de’ morti, il De Bayle non dubita d’affermare che 
l’Italia è il paese della virtù sconosciuta , abbonde- 
vole d’uomini di grande animo, e privi a un tempo di 
vanità e d’ambizione, sicchè non brigano d’avanzare nèdi 
mostrarsi al pubblico, operando il bene privatamente, 
e ristringendosi al familiare ed amichevole colloquio. Men- 
tre tutti di là dalle alpi gridano contro il dolce far 
niente degl’'italiani, il De Bayle definisce esser questo 
un piacere, per cui godiamo dell’ emozioni dell’ animo 
nostro, mollemente adagiati sopra un divano: il qual di- 
letto non può avere chi corre tutto il giorno a cavallo o 
in droski, come fanno gl’inglesi o i russi » Costoro mo- 
rivebbero di noia sopra un divano: nulla hanno nell’ani- 
mo loro. (2) 

Quindi egli denomina felice l’Italia, perchè è la- 
sciata libera alle ispirazioni (3); della quale felicità par- 
tecipa fino ad un certo punto anche l’Alemagna e l’In- 
ghilterra. Ed altre cose ne attribuisce come vantaggi : 
l’agio profondo sotto un celo mirabile che induce a sen- 
tire la bellezza in tutte le forme : Ja diffidenza estrema 
e nondimeno ragionevole (4), che accresce l'isolamento 
e raddoppia i diletti dell’intimo ‘consorzio: la mancanza 
della lettura de’romanzi e di quasi ogni altro libro, onde 


(2) Le dolce far niente des italiens est le plaisir de jouir 
des émotions de son ame, mollement étendu sur un divan, plai- 
sir impossible si i’on court toute la journée à cheval ou dans 
un droski, comme l’anglais ou le russe, Ces gens mourroient 
d’ennui sur un divan. Il n'y a rien à regarder dans leurs ames. 

(3) Le bonheur de l’Italie est d’ètre laissée à l’inspiration du 
moment, 

* Ho preso per partito di citare î discorsi del De Bayle 
senza tradurli perché importa conoscere la vere sue elocuzioni 
in sì geloso argomento. 

(4) L’italien y est forcé pour sa sureté, et la dépose cette 
méfiavce, ou du moins l’oublie dès qu'il est dans l’intimité. 


85 
non siamo affatto distolti dalle momentanee ispirazioni: 
il genio alla musica, che eccita nell'animo una passione 
similissima a quella dell'amore: e l’essere infine l'Italia 
un paese, dove la virtù delle repubbliche del medio evo 
non è stata tolta via per supplirvi la virtù accomodata 
all’uso de’re; dove, cioè, gli onori non sono stati sosti- 
tuiti all’utile (5). 

Dopo questi generali discorsi, per cui s' attribuisce 
a noi la beatitudine congiunta colla dignità dell’uomo, 
quale sarà quell’italiano che non legga pur volentieri la 
seguente dimostrazione degli abusi? la quale benchè fatta 
spesso con severi giudizi, poichè si continua alle gene- 
ralità suddette ed è perciò un'eccezione o un caso par- 
ticolare, non può nè increscere a’ buoni, nè interpetrarsi 
come rampogna ; giovando bensì a coloro che debbono 
correggersi. Tutti quegli per esempio, che avendo già 
esercitato l’ingegno possono meditare ed istruirsì ancor- 
quando mollemente s'adagiano, non sdegneranno al certo 
il De Bayle, se biasimi l’ozio de’giovani italiani, se qua- 
lifichi le donne come dedite all’amore ed alla musica (6), 


(5) L’Italie' est un pays où l’utile, qui fut Ia vertu des 
républiques du moyen age, n’a pas été deétròné par 1’ honneur 
ou la vertu arrangée à l’usage des rois. 

Ne’ frammenti aggiunti in fine del secondo volume sù leg- 
ge ancora: toute idée extrémement utile, si elle ne peut éètre 
exposée qu’en des termes fort simples, sera nécessairement mé- 
prisée en France, Jamais l’enseignement mutuel n’eùt pris, trou- 
vé par un frangais. C'est exactement le contraire en Italie. 

Dice pure in altro luogo: l'utile ou la sensation individuelle, 
l’honneur ou l’empire de l’ opinion. 

(6) Rien de plus désoccupé que les jeunes italiens ; le mou- 
vement, qui leur Oterait leur sensibilité , leur est importun. 

Dans les grandes enfilades de quinze ou vingt pièces extrè- 
mement fraîches et fort sombres, où les femmes italiennes pas- 
sent leur vie mollement couchées sur des divans fort bas, elles 
entendent parler d'amour cu de musique six heures de la jowr- 


"PE 


Ole 
(040) 


e neppur contente sempre alla felicità del ricambiato amo- 
re, ma desiderando altresì non riamati amanti, schia- 
vi vilissimi nel seguito loro; ora esse tolleranti, ora 
vive, impetuose, gelose, tiranniche (7). Ognuno gode- 
rà che gli opulenti e gl’ ignavi sieno additati e diffa- 
mati per l’avarizia e lascivia, per l’ipocrisia e poltro- 
neria (8): indifferente ogni buon cittadino, anzi libero 
d’affetti, o non gli palesando al pubblico, ove di vero 
fossero lecite (o sì apparissero all’osservatore straniero) 
sole le passioni dell’odio, dell'amore, dell’avarizia , e del 
gioco. Nè dispiaccia a’ fiorentini, che il De Bayle nu- 
meri i difetti degl’italiani, allorchè parla appunto della 
nostra città (9): imperocchè , o siamo noi più traviati, 
e più necessario è il consiglio: o abbiamo dato miglior 
esempio, ed il progresso fatto nelle utili discipline ri- 
trae alla giusta misura il biasimo; quantunque il De Bayle 
stesso non sembri bene sperare del nostro miglioramento, 


rée. Le soir au théatre cachées dans leur loge pendant quatre 
heures, elles entendent parler de musique ou d’amour. 

(7) Ce sentiment (l’ amour) est regardé par les allemands 
comme une vertu, comme quelque chose de mystique. Il n'est 
pas vil, impétueux , jaloux, tyrannique comme dans le coeur 
d’ une italienne. Il est profond, et ressemble à l’illuminisme ; il 
y a mille lieues de là à l’Angleterre., 

(8) Ce n'est aussi qu’en Italie qu’on voit de jeunes élégans 
millionaires entretenir magnifiquement des danseuses du grand 
théatre,au vu et au su de toute une ville, moyennant trente sous par 
jour. Les frères, beaux jeunes gens toujours à la chasse , et toujours 
à cheval, sont jaloux d’un étranger. Au lieu d’aller à lui et de 
lui conter leurs griefs, ils répandent sourdement dans le public des 
bruits défavorables à ce pauvre étranger. En France, l’opinion 
forcerait ces gens à prouver leur dire ou à rendre raison à 
l’ étranger . Ici l’opinion publique et le mépris ne signifient rien. 
La richesse est toujours sùre d’èétre regue partout. Un millio- 
naire déshonoré et chassé de partout à Paris, peut aller en 
toute sùreté à Rome; il y sera considéré juste au prorata de 
ses écus, 


(9) 1. 2. cap. 49. Une Journée à Florence. 


n TRI 


7,00 
poichè altrove dichiarà buoni soli gl’italiani della Roma- 
gua, della Calabria, di Brescia , di Corsica, del Pie- 
monte, e fonda quasi la loro. bontà nella mancanza de’ 
civili ed umani costumi. Talchè non so come si sia egli 
precipitato ad inserire questo frammento (10), così qual'è 
senza modificazioni opportune! Ha voluto forse ivi seguitare 
la moda, trattando ironicamente anch'egli delle cose im- 
portanti (11)? o giudicare (contro il solito suo ) delle nazio- 
ni,come fa del Goldoni e del Rousseau; dinotando cioè soli 
gli effetti che uno sguardo rapido e parziale (quasi direi 
romantico) a lui produca nell’animo? Infatti attribuisce 
a tutte le generazioni future ciò che i fiorentini hanno 
sopportato per tempo breve, e non per viltà nè consenso, 
ma per consapevolezza di molti beni insorti fra pochi 
abusi: ed attribuisce al Goldoni que’difetti. de’ contem- 
poranei che lo stesso Goldoni sutireggiava nelle comme- 
die, non fatti i dialoghi a capriccio, ma secondo la ma- 
niera del conversare al tempo suo , affinchè pubblica- 
mente mostrata , fosse dal pubblico corretta (12). Quindi 
come ha tolto al Rousseau con un solo epigramma i due 
massimi pregi dell’uomo, la grandezza dell’animo ed il 


(10) Framm. 135. Parmi les Italiens les bons sont ceux qui 
ont encore un peu de sauvagerie et de propension au sang: 
les romagnols, les calabrais, et parmi les plus civilisés, les 
bressans, les piémontais, les corses . etc. 

Il frammento principia con queste parole italiane. Viva- 
cità, leggerezza, soggettissima a prendere puntiglio, occupazio- 
ne di ogni momento delle apparenze della propria esistenza 
agli occhi altrui: ecco i tre gran caratteri di questa pianta 
che risveglia Europa nel 1808. 

(11) com’egli stesso definisce: le ton du grand monde est 
de traiter avec ironie tous les grands intéréts, 

(12) Frammento 22. Tous les mouvemens de passion de la 
comédie des innamorati de Goldoni sont excellens, c’est le 
style et les penséges qui révoltent par la plus dégoùtante has= 
sesse: c'est le contraire d'une comédie frangaise . 


LP) 
vigore dell’eloquenza (13): così toglierebbe simili 0 mag- 
giori pregi alla nostra storia, non considerando che noi 
siam liberi da ciò che infastidiva gli avi, buono al cer- 
to, mansueto, paziente, e felice il popolo nostro, perchè, 
moderato il freno, poco si scorge il vincolo che la socie- 
tà collega. 

Tra le qualità biasimevoli degl’italiani il De Bayle 
numera con ragione il patriottismo d’anticamera. Ho 
già indicato che significhi e donde nasca il motto. A ppli- 
cato a noi dimostra la gran piaga morale , il pestilen- 
Ziale morbo dell’Italia (14). Sicchè lo Stendhal non po- 
teva riferirlo più a proposito, trattando della guarigione 
de’nostri mali. Questa barbarie, egli dice, questa specie 
di calibano , mostro fatuo e furibondo, ebbe origine verso 


(13) Frammento 28. Il n°y a qu@'une grande ame qui ose 
avoir un style simple; c'est pour celà que Rousseau a mis tant 
de rhétorique dans la nouvelle Héloise , ce qui la rend. illisible 
à trente ans. i 

Certi giudizi pronunciati dal nostro autore debbono essere 
presi letteralmente, dinotanti cioè sola la sua opinione. E noti 
egli che io chiamo lui rostro autore, quantunque non italia- 
no. L’epiteto rostro significa generalmente nina correlazione 
a noi comune. Egli è nostro autore perchè il suo libro a noi 
o il nostro discorso a lai riferisce. Noi usiamo questo vo- 
cabolo per abbreviare le locuzioni, e non già per patriottismo 
d’anticamera, siccome egli presuppone, dicendo: à Florence 
on dit i nostro Benvenuti comme è Brescia il rostro Arici. 
Ils mettent sur le mot rostro une certaine emphase contenue 
et pourtant bien comique, à peu près comme le mairoir par- 
lant avec onction de la musique nationale, et de M, Monsigny 
le musicien de l'Europe. 

Per causa del Misogallo egli chiama, credo io, scimzio-tigre 
l’Alfieri. Questi non potrebbe invero essere chiamato da’ fran. ‘ 
cesi il nostro autore. 

(14) Le patriottisme d’antichambre est la grande pla ie mo- 
rale de l’Italie, typhus délétère qui aura encore des e ffets fu- 
nestes, etc. J'ai vu ce monstre hébéter les gens les plus spi- 
rituels. 


69 
il 1550, allorchè i piccoli e gelosi dispòti impedivano 
le magnanime imprese (15). Ed invero non è possibile 
agli uomini lo stare in ozio assoluto e continuo. E segno 
della vita la frequenza delle sensazioni, cuì si conseguita 
il movimento dell’animo: egl’incitati affetti travieranno a 
falsità o a frivolezze, piuttostochè rimanere senz’alcun su- 
bietto; cesseranno cioè gli uomini dalle opere virtuose, 
ma non già da qualunque occupazione. Laonde dopo il 
1500, allorchè repressi i nobili spiriti non fu più la ra- 
gione il movimento dell’ animo, le opere impedite nel 
bene si rivolsero al male. Pochi stettero nel bivio della 
virtù e del vizio temporeggiando. Quegli animosi che non 
| crederono disperata la pubblica salvezza, non ebbero de- 
gno effetto alle loro azioni: e gli altri ingannati, o in- 
cauti, o corrotti, presupponendo vano ormai l’attendere 
alla città, scambiarono ad egoismo l'amor della patria. 
Sicchè diminuì al certo la benevolenza reciproca, ecce- 
dendo il patriottismo d’anticamera. Ma non ebbe già que- 
sto l'origine (come il De Bayle dice dapprima) nel secolo 
decimosesto: lo aveva generato (com’egli soggiunge) quel- 
l’atroce politica de’bassi tempi che inveleniva le discor- 
die, interponeva odio mortale da città a città, anzi da 
borgo a borgo e da famiglia a famiglia , e faceva il nome 
degli abitatori gli uni agli altri sinonimo di villano e di 
barbaro: 
L’un l’altro si rode 
Di quei che un muro ed una fossa serra. 

L'alleanza delle repubbliche contro Federigo è forse 

in Italia il solo esempio di quel desio del pubblico bene 


(15) Cet orgueil qui nous porte à chercher l’estime de 
nos concitoyens, et à faire corps avec eux, expulsé de toute noble 
entreprise, vers l’an 1550, par le despotisme jaloux des petits 
princes d’Italie, a donné naissance à un produit barbare, à 
une espece de Caliban, à un monstre plein de fureur et de 
soltise , le patriottisme d’antichambre. 


90 
che induce noi a procacciare la stima de’concittadini ed 
a collegarci con loro. Prima e dopo quel breve inter- 
vallo l’amore del municipio è stato la pubblica moven- 
za. L'odio municipale infievolì la patria nostra comune, 
rendendola agevolissima preda: e lo stesso odio raffermò 
la nostra sventura, dando a’ dispòti un mezzo opportuno 
a mutare i nostri costumi , affinchè non vi fosse più de- 
siderio, nè sembrasse possibile di ricongiungere le spar- 
tite forze colla prudenza antica. 


Giova qui rammentare come s'ingannino quegli stra- 


nieri che parlando dell’Italia mettono sempre innanzi l’a- 
stuzia o la perfidia italiana. Se gli avi nostri fossero stati 
veramente astuti, non avrebbero camminato sempre per 
una via, accomodandosi alle voglie loro piuttosto che alle 
cose ed a'tempi. Avendo già prosperato benchè divisi in 
piccole repubbliche e senza confederazione, non ebbero ac- 
cortezza da fermare la fortuna, mutando anch'essi il modo 
di procedere quando si mutavano gli accidenti; cessando 
cioè dagli odii e stringendo in nazione i varii popoli, per 
acquistarsi una potenza contrapponibile a'crescenti poten- 
tati stranieri. Se avessero avuto perfidia, avrebbero preoc- 
cupato quegli stranieri che ci tradivano, quegli scellerati 


che usurpavano violentemente il principato. Se avessero | 


avuto astuzia, avrebbero resistito a que’cittadini che col 
favore de’grandi o del popolo diventavano principi della 
patria. A questi soli e non a tutta la nazione debbe darsi 
il titolo di perfidi e d’astuti, ad essi, cui Machiavelli non 
attribuiva tutta virtù nè tutta fortuna, ma piuttosto for- 
tunata astuzia. Accrescendo essi gli odii municipali sì 
assicuravano da’vicini, cui non poteva importare la schia- 
vitù degli altri italiani quando gli reputavano a sè nemi” 
ci. E quindi progredivano nello stato interiore, come se 
fossero essi medesimi governanti e governati, traendo cioè 


tutto l’utile a sè della comune industria. Mercanteggiavano, 


liberamente in proprio, e a’sudditi proibivano la libertà 


| 
| 


DE 
del commercio. Miglioravano gli armenti, e facevano tra- 
sferire le nuove ed utili piante ne’loro terreni, senza fare 
gli altri partecipi della migliore coltura. Mai (si può ben 
dire) non facevano un disegno utile all’universale: equi- 
valendo spesso i privilegi alle proibitive nella misura del 
pubblico bene, stantechè erano quelli conceduti, o per 
vendita a profitto dell’erario , o per contrapporre l'una 
all’altra le classi o le comunità dello stato. Così (per 
addurre un esempio ) i benefizi conceduti alla città di 
Pisa da Cosimo I de’ Medici, le furono dati non tanto per 
sè stessa, quanto perchè ritornasse abile ad emular Fi- 
renze; e le furono di poi in gran parte scemati da un 
principe della stessa famiglia coll’edificazione di Livor- 
no. Ed è vero, aveva Pisa ricevuto il danno dalle ma- 
laugurate nemicizie cogl’italiani di Genova, cogl’ italiani 
di Firenze ; durando le guerre loro per molti secoli 
senza niuna proposizione mai d’ amicizia con dritti 
eguali alle tre vicine repubbliche. Noi accusiamo queste 
turpitudini, non le difendiamo. Ma tali mali proveni- 
vano dalle repubbliche, perchè divise in fazioni non ave- 
vano la concordia necessaria a ben deliberare. I dispòti 
all'incontro favorivano ed opprimevano con vicendevole 
ingiustizia, sempre parziali (come sembra) per solo loro 
diletto. Infatti, chi reputerà idonea quella loro politica, 
dopo aver considerato i modi della nuova serie de’nostri 
principi? dopo aver veduto Leopoldo guadagnarsi l’amore 
di tutti i cittadini perchè spandeva ugualmente i beni, 
ticongiungendo non dividendo le popolazioni, e proyve- 
dendo a tutti i paesi? Egli assicurò la prosperità del ter- 
ritorio pisano, facendo libera l’agricoltura nelle sue cam- 
pagne; mentre liberava a’fiorentini l'industria, a’ livornesi 
il commercio, a tutti i sudditi la ragione e i dritti. 
Nè fù sua colpa, se non potè ridurre a giardino anche il 
territorio di Siena. Ivi dalla città al mare , tutto il 
lido conosciuto col nome di maremma, è diven uto un 


92 
deserto, corrotta quasi l’ aria dove prima vegetavano 
piante fruttifere intorno alle case de’ molti e robusti e 
lieti abitatori. Tale rovina conseguitò dall’aver Cosimo 
I. occupato que’luoghi . L’odio municipale delle repub- 
bliche non era così forte come l’aborrimento verso uu 
cittadino di Firenze divenuto principe. Cosimo ebbe i 
prati e i canipi, ma senza armenti, senza agricoltori . 
Tutti valorosamente pugnarono , e quegli che soprav- 
vissero alla distruzione di Montalcino ebbero sempre gl’in- 
novatori a sdegno. La spada di Cosimo disertò una delle 
più grandi, più feconde e belle provincie della Tosca- 
na , e la disertò fino a’ tempi nostri almeno senza ri- 
paro. 

In altre provincie d’Italia posto più facilmente il 
giogo, seguitarono i bovi di tirare l’aratro per campi u- 
bertosi. Ma dove non fu esposto alla rovina il paese, vi 
fu sì il costume. Eccettuati i re di Napoli , quasi tutti gli 
altri dispòti erano stati cittadini (non già d’Italia ma di 
municipio), cresciuti ne’templi, o inalzati sotto pretesto 
di salvare la patria. Onde conoscendo benissimo l’ umor 
del popolo e l’arte di sedurlo, fa la loro conseguente a- 


stuzia rovinosa all’universale, e sì a’ posteri come a’ con- 


temporanei, perchè progressiva appunto ne’ vizii già esi- 
stenti appresso la moltitudine. Chi ama sè più che la pa- 
tria, non è commosso dalle pubbliche sventure, purchè 
abbia da soddisfare alle sue private passioni. Quindi po_ 
lerono i dispòti ammazzare o esiliare i pochi e veri ama- 
tori della patria, fare tutti gli altri schiavi, e fermare il 
dominio, e colorire i pravi disegni, senza aver nè danno 
nè sospetto, perchè togliendo la libertà consentirono la 
licenza. Ognuno poteva permettere di sè alla voluttà ed 
alla lascivia, incitato anzi a queste passioni da feste e gio- 
chi pubblici. Molti potevano liberarsi dalle fatiche ripa- 
randosi ne’chiosiri, cui erano liberali i principi. A tutti 
gli altri galanti giovani fu data nobile istituzione, creati 


Ù 


93 
cavalieri serventi all’ esempio della Spagna. L’arte del 
governo consisteva di lasciar viver la vita, togliendo di 
mezzo la virtù. Nè importava a’dispòti esser vili anch’es- 
sì, purchè invilissero il popolo, purchè sedessero più alti 
ne’ gradi della viltà. Temendo che l’errore sì dileguasse, 
non s’assicuravano da’ principi stranieri con alleanze ita- 
liane fortificate da italiana milizia, ma con dare a quelli 
ubbidienza e pagando la protezione col denaro de’sudditi. 
Vendevano titoli al proprio volgo per ricomprarseli dalle 
maestà straniere. E infievolita così la gioventù, ne deri- 
varono quelle cattive consuetudini, di che il De Bayle 
trova sempre indizio. «Ognuno fa all’amore (ei dice) e non 
in segreto come iu Francia, essendo il marito il migliore 
amico dell’amante. Far qui all'amore non è, come in Pa- 
rigi, lo star colla donna sua un quarto d’ora tutte le set- 
timane e vederla a pena negli altri giorni, ma passar 
con lei quattro o cinque ore d’ ogni giornata, e par- 
larle de’suoi affari, de’suoi divertimenti, delle sue pro- 
mozioni, del suo giardino inglese, dell’ andare a caccia 
etc. Questa familiarità continua sarebbe fastidiosa in Fran- 
cia, dov’ è necessario mostrare una certa affettazione, e 
dove la vostra donna non s’ astiene da dirvi: non siete 
oggi garbato, non dite nulla. In Italia si dicono gli 
amanti tutto ciò che viene in ‘mente: è un pensare ad 
alta voce, una reciprocità di schiettezza. Ma v'è questo 
grande inconveniente: far così all’ amore leva tutti gli 
altri gusti, e rende insipida ogni altra occupazione. Niu- 
no legge. Non è frequente il conversare. Nè parlano 
per sollievo della vita con istruttivi e piacevoli dialo- 
ghi, per avere occasione di ben favellare e su tutti gli 
argomenti; ma discorrono quando hanno a dir qualche 
cosa intorno alle loro passioni. E s’adirano, e sono in- 
tolleranti nel colloquio, vociando tutti insieme a un 
tempo: il che può essere effetto di gran sensitiva, ma 


94 
non è al certo un’ amabile maniera, e induce pettego- 
lezzi ». 

Avendo io attribuito le suddette consuetudini a’cor- 
ruttori dispòti del secolo decimo sesto, voglio ciò raffer- 
mare colla testimonianza di Michele Montaigne, il cui 
discorso, come segue, è tutto a proposito. « Il colloquio 
è, a grado mio, il più fruttuoso e naturale esercizio del 
nostro spirito: ne trovo l’uso più dolce che d’alcun’al- 
tra azione della nostra vita: talchè se mi costringessero 
a scegliere, consentirei piuttosto , credo ie, di perdere 
la vista, che non l’udito o la parola. Gli ateniesi ed 
ancora i romani conservavano questo esercizio nelle loro 
accademie con grande onore: al tempo nostro (secolo 
XVI) ne rimane alcun vestigio appresso gl’ italiani e 
con somma loro utilità, come si vede paragonando i 
nostri intelletti co’ loro. Lo studio de’libri è un movi- 
mento languido e debole che non riscalda. Il colloquio 
insegna ed esercita ad un tempo (16) ». 

Se dunque la corruzione de’ costumi non è anti- 
chissima nè d’ ignota origine , il rimedio è facile. To- 
gliamo via del tutto quell' infamia, da che siamo gra- 
vati, risostituendo cioè l’ amor du patria all’ egoismo, 
senza odio municipale, appellando tutti per patria non 
una città, non una provincia, ma il paese 

Ch’ Appennin parte e il mar circonda e l’ alpi. 

E come i dispòti ci avevano ridotti al solo amo- 
reggiare e verseggiare, consentendoci la voluttà della 
persona per infievolimento dell’ animo, e gratificando 
a’ poeti per ricambio d’ adulazione ; ricongiungiamo or 
noi, aventi migliori auspicii, la filosofia colle muse, oc- 
cupando non consumando la vita, e dando occasione al 
De Bayle di ripetere, come ha già detto nel conclu- 
dere il capitolo, che la moda de’ cavalieri ser venti in- 


(16) Essais de Montaigne. L. 3. c. 8. 


| 


9 
trodotta in Italia da Filippo II è al tutto cessata nelle 
grandi città, e che i costumi della presente generazione 
delle belle donne dipingono di vergogna quelli delle 
madri (17). 

L’ educazione delle donne è sì importante, che il 
De Bayle ne tratta in più capitoli , maravigliandosi co- 
me neglette sieno quelle facoltà dell’ animo loro, da cui 
si deriverebbe tanta parte di felicità in esse e in noi. 
Temiamo forse il loro accorgimento, sicchè più eserci- 
tato, più ne riesca dannoso? Ciò accaderebbe, se date 
loro le armi volessimo seguitare d’ opprimerle. Ma niu- 
no stima ora più legittima la schiavitù delle donne che 
quella degli uomini. Ognuno sa per prova che sola la 
virtù impedisce que’ mali, per cui le femmine si ave- 
vano a schiave. E quando pur fosse utile la loro sog- 
gezione, non bisognerebbe ad esse alcuna scenza per a- 
dempire alcuno ufficio? Non è la famiglia governata al 
tutto dalle vedove? Non ricevono dalla madre i figli la 
prima educazione , che diventa abitudine, imprimendo 
i segni delle inclinazioni future, e disponendo l’ animo 
a cercare la felicità per una via piuttostochè per un’al- 
tra (18)? Non proviene dalle mogli esser gli uomini 


(17) L. 2. c. 49. p. 71. Janvier 1822. L’ ancienne mode des 
cavaliers-servans, importée en Italie par Philippe II. avec l’ or- 
gueil et les moeurs espagnoles, est entièrement tombée dans 
les grandes villes. Je ne connais d’ exception que les Calabres, 
ou toujours le frère ainé se fait prétre, marie le cadet et s’ é- 
tablit le servant de sa belle soeur et en méme tems |’ amant. 

Napoléon a òté le libertinage à la haute Italie, et mème è 
ce pays-ci (Naples). 

Les moeurs de la génération actuelle des jolies femmes 
font honte à leurs mères; elles sont plus favorahles à l’amour-pas- 
sion. L’ amour-physique a beaucoup perdu. 

(18) Comme meères elles donnent anx enfans màles, aux jeu- 
nes tyrans faturs, la première éducation, celle qui forme le ca- 
ractere, celle qui plie l’ ame à chercher le bonheur par telle 


96 

contenti alla vita domestica, e non tanto perehè siene 
elle capaci a toglier via le piccole e giornaliere mole- 
stie, quanto perchè abbiano istruzione e spirito da di- 
venire sempre più desiderabili compagne (19)? Trala- 
scio i casi d’ amore e le sventure degli uomini sotto- 
posti a donna inabile di consiglio per la ricevuta edu- 
cazione. Molti errori non avrebbero neppur principio, se 
le giovinette non dovessero aspettar 1’ istruzione dalla 
propria esperienza. Ben dice il De Bayle: tanto più han- 
no perciò svantaggio, quanto più ricche sono le funciul- 
le; vivendo esse tra gente corrotta dall’ opulenza, e a- 
prendo presto gli occhi perchè si sentono schiave, e ve- 
dendo tutto e non vedendo bene perchè sono ignoranti. 
Le femmine più de’ maschi dimostrano attitudine e spi- 
rito nell’ età minore: perchè apparisce il contrario nel- 
l’ età matura ? 

Temiamo forse che troppa istruzione induca le don- 
ne alla pedanteria? Quando l’ insegnamento fosse uni- 
versale, occorrerebbe loro quello stesso che agli uomini. 
Quale donna è altiera perchè sappia leggere , non es- 
sendo le altre ignare dell’ alfabeto ? Nè mancano mai 
di vanità o d’ orgoglio, neppur quando non kanno di 
che vantarsi. Sieno dunque almeno costrette di fondar 
l’ alterigia in un merito vero , in qualità utili e ama- 
bili. 
route plitot que par telle autre, ce qui est toujours une affai- 
re faite à quatre ou cinq ans. 

(19) Malgré tout notre orgueil, dans nos petites affaires in- 
térieures, celles dont surtout dépend notre bonheur parce qu'en 
l’absence des passions le bonheur est fondé sur l’absence des petites 
vexations de. tous les jours, les conseils de la compagne necessaire 
de notre vie ont la plus grande influence; non pas que nous 
voulions lui accorder la moindre influence, mais c’ est qu’ elle 
répète les mèémes choses vingt ans de suite; et où est l’ ame qui ait 
la vigueur romaine de résister à la méme idée répétée pen- 
dant toute une vie? 


97 

Temiamo forse che manchi loro il tempo alle cu- 
re domestiche (20)? Non sono gli uomini negozianti , 
banchieri, giudici, avvocati, medici, preti, ec., sen- 
zachè manchi il tempo alla lettura, e potendo inoltre 
accompagnare la moglie al passeggio? Nello stato pre- 
sente ( il De Bayle soggiunge ) noi domanderemmo al ce- 
lo, che per bene loro consentisse ottu o nove ore più 
di sonno alle nostre consorti. L’agio, che è propizio 
agli uomini, non è utile alle donne. È dono fu- 
nesto la libertà senza occupazioni. Chi poco adopera e 
nulla pensa, sentirà presto che l’ amor gusto , o l'amor 
di vanità, o l’amor fisico sono beni grandissimi nella 
sua condizione . Chi ha più spirito all’ incontro, più co- 
nosce essere la felicità nell’onesto procedere. Le donne 
più istruite adempiono meglio l'economia domestica : es- 
sendone copiosi esempli in que’ luoghi, dove si ha cu- 
ra dell’ educazione femminile . 

I soli ignoranti possono desiderare femmine non 
istruite. Che diventerebbero essi, quando le donne acqui- 


| stassero idee senza perdere le grazie del loro sesso, 


certe di guadagnar la stima degli uomini virtuosi e di 
non aver fastidio attempando, perchè è bella preroga- 
tiva dello spirito il dar riputazione alla vecchiezza ? 
Alle altre povere donne, perduto il brio della gioven- 
tù, non rimane che trista illusione: fatte spesso ridi- 
cole dal residuo de’ giovanili ornamenti. 

Dopo questi utili discorsi il De Bayle consiglia alle 
fanciulle: imparare a leggere, a scrivere, e l’aritmetica, 
mediante l’insegnamento reciproco, potendo così ap- 
prendere in un tempo l’arte del vivere (21): impara- 


(20) Pour régler les comptes de leur cuisinière, 

(21) Le grand avantage de réunir les enfans, c’ est que, quel- 
ques bornés que soient les professeurs, les enfans apprennent 
malgré eux de leurs petits camarades l’ art de vivre dans le 
monde et de ménager les intéràts. 


T. XVI. Wbvembre dl 


98 

re secondo il metodo de’ ragazzi ( finchè 1’ insegnamen- 
to reciproco non si applichi ad ogni studio, levando 
via tutti gli altri metodi ) il latino; la storia, le mate- 
matiche, la bottanica per rispetto alle piante  medici- 
nali e le nutritive, la logica, e le scienze morali: co- 
minciare lo studio del disegno, della musica e del ballo 
a cinque anni: scegliere marito a sedici anni, e rice- 
vere giuste cognizioni dalla madre intorno all’ amore, 
al matrimonio, ed alla poca probità degli uomini. 


Non posso concludere il discorso dell’ educazione delle don- 
ne, senza mentovare un’opera già pubblicata due volte in quest’an- 
no , e intitolata: 


De l’ Education, par madame CAMPAN. 
» P 


La signora Campan era ancor giovanetta, quando la richie- 
sero per consiglio ed istruzione loro le figlie di Luigi XV. Dopo 
quel tempo, o in corte, o privatamente , o nell’ ottima scuola 
da lei istituita in Ecouen (bel villaggio non molto lungi da Pa- 
rigi e dove non è più detta scuola ) attese ella sempre a e- 
ducare ed ammaestrare le fanciulle con somma utilità delle fa- 
miglie. Sicchè le opere ‘sue, quantunque pubblicate dopo la sua 
morte, e non corrette perciò dall’ autore, meritano d’ esser let- 
te da chi promuove l’ educazione delle donne. La prima parte 
riferisce alla maniera di educare, dando consiglio alle madri ed 
a’ precettori coll’ opportuno ragguaglio delle sue esperienze. Nè 
ha trascurato quegli aneddoti che giovano a far conoscere le con- | 
suetudini private. Per es. nel capitolo secondo del libro primo 
la Campan discorre dell’ allattare i figli: conforta a ciò le ma- 
dri: dimostra che vita abbiano esse a fare per non pregiudi- 
care al bambino, e mentovando l’ Emilio di Rousseau soggiun- 
ge: ,, dopo la pubblicazione di questo libro tutte le donne vol- 
lero allattare i loro figliuoli, avessero o non avessero latte. Era 
un capriccio alla moda. E per un altro capriccio divezzavano 
i figli fuor di tempo, o trascuravano di dar loro il latte per 
andare esse in conversazione. Non è possibile numerare le tante 
perniciose follie che questo furor di maternità fece fare alle pa- 
rigine. Nell’ inverno , 1783, uscendo io da una festa di ballo, 
ed entrando in una carrozza offertami da una mia amica, fui 
m aravigliata di udir le grida d’ un bambino in fasce, Quindi, 


99 


non potei non gridar anch’ io, scorgendo una balia addormen- 
tata e sulle sue ginocchia la figliuola dell’amica mia, Il termo- 
metro indicava dodici gradi sotto zero. Ma l’ amorosa madre 
mi mostrò i panni che coprivano la bambina, e un globo pie- 
no d’ acqua calda; dicendomi altresì che aveva lasciato due vol- 
te il ballo per venire a dar la poppa alla figlia. Questa fan- 
ciulletta morì di languore a cinque anni. ,, Altri aneddoti se- 
guitano le diverse cose, di che la Campan favella. Ne citerei 
volentieri in maggior numero, se le donne male educate leg- 
gessero : perchè son relativi a quelle cattive usanze, che ogni 
onesta famiglia ormai disapprova, cioè al frustare i ragazzi, al 
puoirli con far loro paura, ec, Questo libro sarebbe stato più 
utile innanzi al 1790, e dà bene a conoscere che il suo autore 
ebbe la prima educazione intorno a quel tempo. Nondimeno è 
anche ora giovevole, ed è stato dettato da una donna. Quando 
avremo noi libri d’ educazione dalle italiane ? 

La seconda parte dell’ opera suddetta riferisce all’ educan- 
de, offrendo loro alcuni saggi morali, alcune comediole, alcune 
novellette, e sempre con lodevoli consigli. Incresce soltanto che 
vi sia inserita la istoria di Cartouche. È meglio proporre i buoni 
esempli che rammentare i cattivi. Ho udito più e più giovani, 
che leggendo le vite di Cornelio Nipote, anteponevano Alcibiade 
agli altri eroi della Grecia. ANTONIO BENCI 


Sulla educazione e direzione de’ grandi conservatorii. Let- 
tera della marchesa GINEVRA CANONICI FACHINI. Roma 
13824. Giornale arcadico, vol. 65. 

Biografia delle donne italiane illustri nelle scienze e leite- 
re, di Ginevra CANONICI FACHINI. Venezia 1824. 


1. Finalmente una donna alle donne insegna anche in Ita- 
lia! Finalmente una donna italiana non sdegna lo studio dell’ elo- 
quenza , dettando in prosa con urbano stile i suoi pensieri! 
Oh! come ci gode il cuore, udendo una madre che all’ amica 
scrive: la nostra famiglia è il nostro regno, i piaceri domesti- 
ci sono i soli veri e durevoli piaceri, santificati dalla religio- 
me, dal dovere, dalla natura : coll’ozio e coll’ignoranza si con- 
giunge il vizio: non è la donna perfettamente educata, se non 
potrà render felice tutta la famiglia, di cui farà ella parte; 
adempiendo l’ obbligo di figlia verso i suoceri, di moglie e 


100 


d’amica verso il marito, di tenera e saggia madre a’ suoi fi- 
gliuoli; prudente e sollecita nell’ economia domestica , ilare nel 
familiare. colloquio; abile ( con dolcezza e fermezza a un 
tempo.) alla, prima educazione de’ maschi ed all’ educazione 
compiuta delle femmine . Quando una donna, sì parla; può an- 
che rampognare gli uomini, soggiungendo: il. celibato sì fre- 
quente | a’ giorni nostri, le guerre, l'avarizia de’ parenti, le 
malattie, e tanti non preveduti accidenti, fanno languire gran 
parte, del nostro sesso privo d’un compagno: e sovente l’ irre- 
ligione; V immoralità, e l'ignoranza, non, che porgan nel mari- 
to un conforto ed un consiglio, pongono al. fianco delle. don- 
ne un oppressore, che distrugge la pace. domestica, e impe- 
disce la buona educazione de’ figliuoli . 

Se l'esempio dell’ amabile. Canonici sarà seguito iu. Italia, 
cesserà, la ripugnanza degli uomini al celibato. E. chi potrebbe 
assegnare i termini alla prosperità futura, se acquistassimo 
famiglie con, rinnovati costumi ! Nella suddetta lettera è: consi- 
gliato. in modo particolare, come si debbano educar le fanciul- 
le. Sanità. e virtù, dice .ottimamente la signora Ginevra, sono 
i formali, principii, senza. cui le. donne non possono felicitare 
sè e le loro famiglie. Quindi la prima età richiede cibi sem. 
plici e sufficienti, allegria, aria aperta e salubre ; spesse pas- 
seggiate alla, campagna , esercizi adattati alla tenera età, somma 
nitidezza, e buoni esempli e consigli con moderato studio. 
Pare chela mobilità de’ nervi sia eccessiva nelle bambine in- 
nanzi l’età di dieci anni o fino alla pubertà. Per la qual 
cosa giova forse indugiare i forti studii all’età susseguente, facendoli 
però allora senz 2 SURF restrizione che quella posta dal proprio 
ingegno. Arti, lettere e scenze sì convengono alle donne come 
agli womini, È maggior, grazia nel bel SESSO 3 quando v° è mag- 
giore virtù. Il colloquio delle donne è più grato e giocondo , 
se banno scenza e modestia. Leggendo tutto ciò che ha, det- 
tato la signora Canonici, è a noi palese la necessità delle fem- 
mioili scritture. Molte cose, delle quali abbiamo poca o niu- 
na esperienza , e che forse pur non, verrebbero a noi nell’ani 
mo, ci sono da lei indicate. Noterò, per esempio, quel, ch’ ella 
dice delle qualità morali. ;, Circa il dodicesimo anno si comin- 
cia a conoscere sopra ogni altra cosa, se una fanciulla inclini 
a quel genere, di spizito orgoglioso o leggero, che la rende 
Saeco evil a’. buoni, e; peruicigsa alla sua famiglia. La, vanità 
femminile si manifesta sempre sotto, l'una o l'altra di, queste 


1IOI 


due tendenze, facili a vincersi, ove coll’orgoglio non s' unisca 
asprezza di cuore, e colla leggerezza quel certo genere d’apa- 
tia che rende la donna fredda alle altrui sventure. ,, 

Negli ultimi anni dell'educazione si propone alle fancialle 
vivere in un conservatorio. Se questo nome è dato, come 
sembra, dalla signora Canonici ad un collegio istituito con ot- 
time discipline, il di lei consiglio può essere opportuno. Ella 
crede ciò necessario a far la ‘pratica delle acquistate cogni- 
zioni. 

2. La biografia delle donne illustri, compilata dalla signo- 
ra Canonici, è preceduta da una lettera sua che ella intitola 
a Lady Morghan, per confatare ciò che la viaggiatrice inglese 
discorreva contro le donne italiane. Le accuse sono tre, e 
tutte e tre fortissime: condotta immorale: non sentito materno 
affetto : evidente mancanza d’istruzione. Io mi congratulo, poi- 
chè ho fornita del più idoneo argomento l’ accorta propugnatrice 
degl’italiani costumi . Quando si diede principio a questo giornalcy 
io vi tradussi un viaggio fatto da Samuele Kiekel per tutta Europa 
nel secolo XVI. E la signora Canonici ricordando, che Samue- 
le abbracciava e baciava le belle inglesi che a lui den venuto 
dicessero, contrappone quest’ uso all’ antica nostra consuetudine 
de’ cavalieri serventi. Noi abbiamo, nell’articolo precedente, 
troppo più parlato di questa prava usanza. Ci piace lo sdegno 
della signora Ginevra contro i cicisbei, meschina classe di 
creature divenute ridicole. Facciamo plauso a lei che dice: 
sono errori in ogni stato , in ogni condizione ; piuttosto che rim- 
proverarci a vicenda, è uopo esser cauti nel parlare d’altrui. 
E crediamo che l’Italia sembri più che non è biasimevole in 
alcuni costumi, solo perchè hà meno affettazione ovvero più 
naturalezza. Ma come gli altri popoli, abbiamo pur noi gli 
abusi e desideriamo sieno corretti. 

La seconda accusa poi è tutta falsa. Tanto è più forte in 
Italia l'amor materno, in quanto la patria per noi è sol ne’ fi- 
gli. Udiamo le belle parole della Canonici: ,, è Jieta ogni ma- 
dre, se lieta e florente cresce l’ amata prole ; afflitta e misera 
se danno a quella sovrasti; non merita lo sguardo di Dio co- 
lei che la pietà ricusa al proprio figlio. Al molle ozio, che la 
corrattela del cessato secolo generava, è succeduta una saluta- 
re vivificante attività, che la morale ricchezza costituendo delle 
famiglie, v' induce il buon ordine, la pace e l’amicizia. Bene 
spesso accade di sorprendere in lieto amabile sembiante la ma- 
dre colle figlie intente alle domestiche faccende, paghe d’ avere 


102 


apprestato al buon padre, al fratello, a sè stesse quanto basta 
e giova a far gioconda la vita: e non accade no che una tal 
madre abbandoni alla propria inesperienza figlie sì care; ma al 
passeggio, al teatro, al ballo; alla campagna, sempre con esse 
si trova, chè ella tutta si vive per le sue figlie dilette , co- 
m’ esse tutte si vivono per l’ amorosa lor genitrice. ,, 

Quanto alla mancanza d’ istruzione è provato il contrario 
argomento, numerando le donne illustri italiane: 12 nel secolo 
XIV: 36 nel sec. XV: 166 nel sec. XVI: 61 nel sec, XVII: 
116 nel sec. XVIII. L’ esser. numero decrescente sì d’ assai nel 
secolo XVII dipende, secondo la signora Canonici,/dal decadi- 
mento delle lettere in quel tempo seguito per opera ,, del Ma- 
rini, del Murtola, dell’ Achillini, del Preti, e loro proseliti , i 
quali abusando della calda fantasia balzarono per nuove vie ten- 
tando di giungere alla celebrità. Sicchè le donne italiane, non 
trovando diletto alcuno rel nuovo modo di scrivere che a crude- 
le tortura poneva l'ingegno '( per le strane metafore e le an- 
titesi e le iperboli e le orientali ricercate comparazioni ) , senza 
che l’ anima o dal virgiliano maestoso cantore fosse inalzata, o 
dal dolce piangere di Tibullo commossa, si stettero elleno pres- 
sochè tutte meste in silenzio , e le belle arti a soccorso invo- 
carono ed a compenso. ,, Ed invero almeno 22 donne valenti 
sì numerano fra gli artisti del sec. XVII. Ma negli altri secoli 
che maniera di letteratura fu dalle donne esercitata ? Il nume- 
ro delle poetesse è sempre maggiore in tutti i secoli. Quindi 
eccede il numero delle filologhe , poi delle scienziate . Ed o- 
gni secolo ha pur molte abili nella teologia, e poche e raris- 
sime letterate ne’ varii generi della prosa. Tantochè in Italia 
hanno le donne seguito gli umori degli uomini, erudite esse co- 
me questi si erudivano ; senza attender quasi mai a’ libri ele- 
mentari, nè a’ romanzi, e neppure alla storia. Pregherei la si- 
guora Canonici, che facesse una scelta, secolo per secolo, tra le 
opere scritte dalle nostre donne, aftinchè potessimo noi giudi- 
carne a paragone de’ libri dettati dagli uomini. Fatta poi la scel- 
ta e pubblicata pregherei le donne illustri viventi che misuras- 
sero la gloria che ebbero e che hanno le madri, a fine di co- 
noscere se lor convenga emulare a quelle, o mutare andamento. 
Mai non è mancato senno e ingegno alle italiane. La signora 
Ginevra Canonici mi pare che s’ indirizzi utilmente. 

ANTONIO BENCI 


‘103 
Rapporto della Corrispondenza Accademica, letto nell’ adu- 
nanza solenne dell’ I, e R. Accademia de’ Georgofili dci 
26. settembre 1824. dal sig. FERDINANDO TARTINI SALVA- 
nici, segretario della corrispondenza medesima. 


Lodevol consiglio dettò quell’ articolo dei nostri regolamen- 
ti, nel quale è prescritto che dei doni annualmente ricevati 
dall’ accademia si faccia menzione in questo giorno solenne, a 0- 
nore di chi procurò incremento alle scienze , e a vantaggio di 
chi ne intraprese lo studio. Sebbene condegno espositore io non 
mi sia di tanta vastità d’ argomenti, e di tanta varietà, e di tanta 
importanza quante si trovano nelle opere e negli scritti che son 
frutto delli studii dei nostri corrispondenti, pur vi sarà facile, o 
signori, il comprendere con qual successo si sieno essi adopera- 
ti per aumentare la pubblica prosperità, per corrispondere cioè 
al grande oggetto della nostra istituzione. Scritti non pochi, li- 
bri molti, sono il prodotto delle corrispondenze del cadente anno 
accademico . Difficilmente potrei io dar conto di tutte le opere 
già fatte\ di pubblica ragione, nè ciò sarebbe utile, poichè voi 
tatti avete di ognuna di esse formato rettissimo giudizio. Per 
il qual motivo limitandomi ad esibirvi delle cose a stampa l’ in- 
dice ricco di molti articoli, aggiungerò qualche cenno delle ma- 
noscritte meno note, non però meno importanti. 

E cominciando da ciò che riguarda più direttamente la vita 
dell’ uomo, e i mezzi coi quali può esser soccorsa nei perico- 
li che in tanto numero la circondano, è da rammentarsi un 
vastissimo progetto imaginato dal D. Paganini, il quale in un 
solo stabilimento si propone di riunire ai metodi conosciuti e 
usati in addietro , la teoria e la pratica delle muove scoperte 
nella cura delle malattie accidentali, non tanto quanto delle cro- 
niche e delle mentali. E giudicando egli che alla maggior parte 
di tali sconcerti mal si ripari nelle città ove l’ aria è men sa- 
lubre e men libera, ha prescelto per la fondazione del suo sta- 
bilimento la ridente collina d’ Oleggio, posta a poca distanza da 
Novara in amenissima situazione , facilmente accessibile , circon- 
data da popolati villaggi, ben provvista di tutto ciò che può 
aumentare i godimenti del viver sociale , e ricca delii oggetti 
ricercati pel più delicato sostentamento della vita animale. Me- 
dici e chirarghi di un merito distinto dovrebbero assumere la 
direzione scientifica dello stabilimento, mentre l’ economia, gui- 
data sopra un piano regolare ed uniforme, riescirebbe di comodo 
e di vantaggio ai ricorrenti, i quali vi troverebbero il benefi- 


104 i 


zio dei bagni minerali, quello d’ogni altro genere di soccorsi 
terapeutici, una libreria, un teatro , delizie campestri d’ ogni 
maniera. 

E nel gran numero delle malattie, alle quali va soggetto 
I’ uomo, avendo il sig. D. Dini di Pistoia prese ad esaminar le 
più terribili, perchè facili a comunicarsi da chi ne è affetto a 
individui sanissimi, e a studiarne i caratteri principali , credè 
di poter concludere che le ottalmie reputate un tempo e da 
molti contagiose non son tali, e che frequentemente si propa- 
gano con rapidità, in quanto che le cause istesse dalle quali de- 
rivano possono esercitarsi contemporaneamente sopra molti in- 
dividui. 

Fa fatto spesse volte soggetto di letture accademiche lo 
stato dei fiumi in Toscana, e quello delle valli da essi irri- 
gate. E sicuramente la prosperità di molte campagne dipende 
dalla direzione delle acque per esse correnti, e a grandi miglio- 
ramenti ha dato sempre luogo ogni raffinamento nel modo di 
ben condurle. Dal qual riflesso spinto il sig. Banti, e avendo 
osservato che i buoni effetti del comando del Granduca Leo- 
poldo primo, il quale volle la demolizione della pescaia del ponte 
a Cappiano per asciugare il padul di Fucecchio, eran nel de- 
correr dei tempi quasi perduti per la nessuna cura adoprata 
nel mantenimento dei primi lavori, e pel mal governo delle col- 
mate, indicò, qual unico compenso da adottarsi, il diramare un 
canal d’ acque torbe dall’ Arno, gettarlo nel Vincio, e rinterrar 
con esso il fondo e le gronde di quel vasto catino. Ma alle con- 
siderazioni del sig. Banti si oppongono quelle del Perelli e del 
Neri, e le più moderne delli accademici Ferroni e Frullani, i 
quali concordemente mostrarono che non potrebbe tal proposta 
portarsi ad effetto senza grave pericolo per la Valdinievole, e 
pel Valdarno inferiore. 

L’ istesso lodevol desiderio di utilizzare le acque correnti per 
aggiunger fertilità ai terreni, guidò il corrispondente piemonte- 
se sig. Badalla a ricercare un congegno, col mezzo del quale 
facilmente potesse adoprarsi un corpo depresso d’acqua per ir- 
rigar terreni situati superiormente al suo livello. Lo che ha egli 
posto in pratica nelle tenute dell’ altro nostro corrispondente il 
sig. marchese di Breme, e con successo, essendo partito dai sicuri 
principii della scienza idraulica, e incontrando almeno in parte 
quelli i quali servirono al celebre Reichembach per la costru- 
zione di macchine congeneri. 

AI medesimo sig. Badalla si dee un notabil miglioramento 


103 


di altra macchina posta in azione dalle acque correnti, e desti. 
nata a staccare dal guscio i grani del riso. Consiste principal- 
mente il giuoco di tali macchine nel successivo inalzamento e ab- 
bassamento di certi piloni di legno, i quali nel loro cadere per- 
cuotendo il riso, lo spingono fuori del suo ricettacolo. Tali pi- 
Joni eran mantenuti in direzione verticale, passando per altret- 
tante aperture praticate in tavole di legno, opportunamente fis- 
sate. Ma ad un sensibile attrito, e conseguentemente a scapito 
di forza, dava luogo lo sfregamento dei piloni eolli orli. delle 
suddette aperture. Alle quali il sig. Badalla ha applicati dei ci- 
lindri di legno mobili intorno al proprio asse, onde sia opposta 
minor resistenza al passaggio dei piloni. 

Di somma importanza è tutto ciò che concerne la cultu- 
ra del riso, come quella che arreca a molte provincie italiane 
largo profitto. Quindi meritò grandemente della pubblica rico- 
noscenza il marchese di Breme, il quale tenendo dietro a tut- 
to ciò che è proposto, o per migliorare la coltivazione del riso, 
o per difender le raccolte dai pericoli cui van soggette, studiò 
sui proprii esperimenti, ed eccitò altri con premii allo studio me- 
desimo. Provando egli quattro qualità di riso esotico successi- 
vamente importate in Europa, e scegliendo fra queste le due 
più generalmente preferite, delle quali una fu detta riso acqua- 
iolo, l’ altra riso secco, essendo tal nome desunto dal bisogno che 
ha o non ha ciascuna di esse di frequenti irrigazioni, si è spe- 
cialmente occupato nell’ esaminare se la cultura del riso secco 
sia da estendersi ove le acque scarseggiano. Ma istruito dal fatto 
che maggiori precauzioni e grandissima quantità di letame oc- 
corrono onde assicurare la prospera vegetazione del riso secco, 
dubitò dell’utilità di tal cultura, e richiamò una più partico- 
lare atteuzione dell’ accademia delle scienze di Torino sopra 
questo importantissimo soggetto. 

Tenendo poi dietro ai successivi periodi di vegetazione del 
riso, e ai pericoli ai quali nelle sue varie età va soggetta tal 
pianta, osservò che presso al termine del suo sviluppo, e po- 
chissimo prima della perfetta maturazione, una malattia conosciuta 
col nome di drusone attaccava i grani del riso, e ne distrug- 
geva rapidamente grandissima parte. Al qual inconveniente in- 
tendendo di riparare, avvertì il pubblico col mezzo di manifesti, 
che avrebbe egli dato del proprio un premio di zecchini trenta 
a chi avesse indicato il modo di allontanare il brusone. 

L’ accademia di Torino, istituita in giudice fra i concorrenti, 
deciderà in breve se alcuno di essi, rispondendo convenientemente 


106 
al quesito del meritissimo marchese di Breme, abbia arrecata 
non piccola utilità ai coltivatori di Lombardia e del Piemonte. 

Ma se frequentemente avviene in quelle provincie che. le 
più belle raccolte del riso sien devastate dal brusone, non me- 
no spesso la carie infetta i nostri grani in Toscana. Lunghis- 
simo studio; e ripetati esperimenti fecero i nostri agronomi per 
rimediare a sì grave danno. Uno fra questi, il sig. Bellini agente 
a Mondeggi, vi ha annunziato, o signori, che da lango tempo ‘con- 
serva la più perfetta nettezza ai suoi grani con le seguenti pre- 
cauzioni, Unisce grano e calce viva in tali volumi, che quello 
del primo stia a quello della seconda come tre a uno. Spenge 
con sufficente quantità d’ acqua la calcina mentre l’ impasta col 
grano, e ridotto |’ impasto in sottili strati, lo fa seccare al calor 
del sole. Il grano che ha subito un tal processo, secondo le 
asserzioni del sig. Bellini, è inatto a panizzarsi, ma seminato 
produce una raccolta costantemente immune dalla carie. Il quale 
risultato comparve tanto sorprendente all’ accademia, la quale 
avrebbe inclinato a dubitare che la grandissima quantità di ca- 
lore sviluppato mentre si spenge tal volume di calcina, da cor- 
rispondere al terzo di quello del grano con essa mescolato, po- 
tesse distruggere nel seme le facoltà vegetative, come quella gli 
toglie di esser ridotto in pane, che una commissione di tre pos- 
sidenti istruiti e zelanti del ben fare, fu incaricata di ripeter 
li esperimenti del sig. Bellini. 

Da altra parte nel tempo stesso il corrispondente sig. Toc- 
cafondi facea note le sue osservazioni sulle varie semente dei 
grani; dalle quali risultava che il grano cariato procedeva quasi 
costantemente da seme non ben maturo, o troppo presto bat- 
tuto . 

Pregevoli sono invero tutte le pratiche dirette a perfezio- 
nare i prodotti dei nostri terreni, ma non meno importanti son 
da reputarsi nelle attuali circostanze quelle ricerche che ten- 
dono a dimostrare quali di questi prodotti sien preferibili, di 
quali convenga estendere, di quali restringer la cultura. È tri- 
stissima opinione che in molti luoghi e in molte circostanze, 
altre industrie renderebber più larga ricompensa che non la se- 
menta del grano al diligente agricoltore. E i meglio informati 
indicano, come le più vantaggiose fra le suddette industrie, la 
cultara della vigna, la manifattura del vino, l’ educazione dei 
bachi da seta, quella di altri animali, il commercio dei loro 
prodotti , e specialmente della lana e del latte. Dei quali ar- 
ticoli tutti si occuparono efficacemente i nostri corrispondenti. IL 


107 
sig. Guidoni, autore d’ un’ interessante memoria sulle viti e sui 
vini delle cinque terre, ha per mezzo di lettere informata l’ ac- 
cademia della continuazione dei suoi lavori, che egli intende di 
estendere alla cultura delle viti dell’intiera provincia di Luni- 
giana, e al modo di migliorare in quel paese la manifattura del 
vino. E il sig. Guarducci, coronato nel decorso anno col premio 
accademico, per aver indicato quel maggior profitto che può ri- 
cavarsi appoggiando le viti al pioppo piuttosto che al palo, spe- 
cialmente in certe circostanze di terreno e di cultura, ha ag- 
giunto al primo un secondo lavoro, nel quale biasimando la mala 
pratica dei molti che allevano i pali sui pioppi istessi impie- 
gati a sostener le viti, discende ad enamerare i danni che ne 
derivano; cioè un soverchio adombramento dei sottoposti terreni; 
e il pericolo cui si sottopongono le nominate piante, tagliando 
improvvisamente ad esse i loro rami più robusti e più vegeti. 

E in proposito d’ altro dei rami d’ industria superiormente 
citati, il sig. Badalla di Torino ci ha fatto sapere aver egli ten- 
tato di aumentar la raccolta della seta, ripetendo più volte in 
un anno l'educazione dei filugelli. Nè alla seconda raccolta di 
seta si è arrestato il sig. Badalla, ma la terza ha egli tentata, 
e perfino la quarta. Sebbene dai suoi esperimenti è risultato 
che con quanta difficoltà potrebbero ottenersi raccolte di seta 
al di là della seconda, con altrettanta probabilità di buon suc- 
cesso può esser tentata la seconda. 

Passando poi dall’ educazione dei bachi che producon la seta 
alle successive preparazioni di questo prodotto, mi gode l’ animo 
nell’ annunziarvi un importantissimo miglioramento ottenuto in 
quest’ anno in Modigliana dal sig. Zauli agronomo esperto, ze- 
lante del ben pubblico, e dedito a propagare ogni utile ritro- 
vato. Come le sete della Romagna toscana erano tenute in minor 
pregio di tutte quelle di altre parti d’ Italia, così il sig. Zauli 
si propose di esperimentare più perfetti metodi di filatura. Eran- 
gli noti quelli di Iensoul, e i. perfezionamenti aggiunti dal mec- 
canico milanese sig. Leonardi alla grandiosa filanda del sig. De- 
lachi. Presso al medesimo il sig.Zauli inviò un ingegner di Modiglia- 
na, il sig. Lepori, onde si formasse giusta idea della costruzione delle 
macchine, e dell’ uso di esse. Frattanto da bozzoli recati seco 
da Modigliana trasse il Lepori nella filanda del sig. Delachi seta 
non a qualsivoglia altra inferiore; con che concluse che andavan 
corretti i metodi della Romagna, e traendo da Milano la mag- 
gior caldaia, i tubi di rame, e ogni altro arnese di men facil 
| costruzione, eresse in Modigliana per conto del sig. Zauli una 


168 


filanda a vapore simile a quelle perfezionate dal Leonardi. Tre 
donne milanesi servirono ad istruir le romagnole lavoratrici ; e 
la seta ottenuta in quest’ anno dal nostro corrispondente, meritò 
la vostra ammirazione, il plauso generale. Non risparmiò lo Zauli 
spese e premure, ma il merito distinto si è acquistato di por- 
| tare ad ur grado di perfezione, dal quale era ben lontana, una 
delle più interessanti branche d’ industria del suo paese. Sì im- 
portante successo vi determinò ad esprimere la vostra sodisfa- 
zione a chi si era adoprato per conseguirlo , e ad invitarlo a 
ripeter gli esperimenti fatti in Ispagna per filar la seta con ac- 
qua fredda, del qual sistema fu dal sig. Regas comunicato un 
favorevol ragguaglio alla società di Madrid. 

Della cultura di una delle piante che somministrano otti- 
mo foraggio, ed aumentano i buoni requisiti dei terreni a cul- 
tura, parlò il corrispondente sig. Rossini, il quale fece avver- 
tire che falsamente si credeva esser la lupinella dannosa alle 
viti, che l’una e l’altra pianta poteano insiem prosperare , e che la 
causa per la quale si vedean talvolta isterilir le viti in prossi- 
mità della lupinella, consisteva nella mal intesa lavoratura dei 
terreni. Lasciati difatti questi per tempo troppo lungo senza 
dissodare , posson le viti spingere in ogni direzione grosse ra- 
dici, e giunta l’ epoca del dissodamento , restando dal ferro 
recise tutte quelle che orizzontalmente stendevansi, grandissimo 
danno dee derivarne alla pianta. Che se con men rare lavora- 
ture si educasser le viti a gettar verticalmente le loro radici, 
non si perderebbero di queste piante preziose i benefizi nel 
cercar di altri che la sementa delle lupinelle somministra . 

Nè abbastanza può esser raccomandata ai nostri agronomi 
la cultura delle piante foraggie. Seguace sempre, e promotore 
spesse volte delle migliori pratiche, il nostro collega marchese 
Ridolfi, dopo avere saggiamente diretta nei suoi possessi |’ arte 
di cumular foraggi, si è occupato di ritrar da essa quei van- 
taggi, che direttamente se ne ricavano nell’educazione delli 
animali campestri. E avendo avuto in mente di importare in 
Toscana la razza pregevolissima delle capre del Thibet', otten- 
ne sul modo d’educarle, e sulla facilità di acclimatarle fra noî, 
molte notizie dal M. di Breme, interrogato in tal proposito 
dall’ accademia nostra, che il sapeva cognitore di quest’industria. 
Dalle quali notizie, essendo però risultato che le capre del 
Thibet han comune colle nostre la dannosa abitudine di gua- 
star col morso i teneri getti delle piante, restò il M. Ridolfi 
dubbioso sull'esecuzione del suo progetto, Il miglioramento delle 


109 
razze delli animali lanigeri è un articolo importantissimo della 
nostra industria agricola, e a tentarlo con ogni sforzo possou 
servir ad altri di eccitamento i profitti che alcuni ne ottenne- 
ro. Primi ad importare i merini in Toscana dal gregge cono- 
sciutissimo del M. Roerio, i sigg. Furia, Rigressi, del Turco 
furon seguiti da non pochi possidenti industriosi, i quali ‘offro- 
no ora al manifattore lane di più apprezzabili qualità d’ ogni 
altra raccolta in addietro fra noi. E il nostro collega sig. Ma- 
gini, col quale spesse volte vi congratulaste perchè avea rafli- 
nate le nostre manifatture, e altre non conosciute ne avea in- 
trodotte, vi offre oggi, o signori, una pezza di panno fabbri- 
cato nel suo stabilimento di Firenze con lana di merini, nati 
ed educati im Toscana; e col mezzo di macchine dalla filatura 
fino alla cardatura, introdotte in Firenze, per la prima volta, 
dal celebratissimo nostro concittadino Cav. Morosi. 

Abondante si raccoglie il latte in Toscana, e. maggior 
profitto potrebbe certamente da esso ritrarsi, se la fabbricazione 
dei formaggi, quasi stazionaria da lunghissimo tempo, non fosse 
rimasta molto al di sotto di quelle di popoli a noi vicinissimi. 
Ottimi precetti su quest'arte son contenuti in una memoria 
giunta in quest’ anno all’ accademia, opera del sig.  Pullini di 
Gambarana, il quale, distinti i difetti dei formaggi fabbricati 
in Lombardia ad imitazione del Lodigiano, ed assegnate le cau- 
se di essi, fa comprendere quanto importa di ben regolare la 
quantità e qualità del gaglio o presame, e la temperatura 
nelle successive operazioni, la quale, non come usano i cattivi 
pratici con la mano, ma con opportuni istrumenti dovrebbe 
esplorarsi . 

Ai quali miglioramenti d’industria finquì meditati dai to_ 
scani, o congliati dagli esteri, altri son da aggiungersi, dell’ ese - 
secuzione dei quali ha l'accademia ricevuta contezza. Fatto 
padrone di una vasta tenuta nel territorio sanese l'inglese sig. 
Leckie, e impostosi. volontario confino fra i limiti. del suo 
possesso , si sforza da molti anni di perfezionarne la cultura. 
Frattanto ha egli stabilito più convenienti notazioni, e la pra- 
tica eccellente di moderare i requisiti d’ un terreno con quelli 
d’un altro, o come suol dirsi, di marnare; una più giudiziosa 
educazione dei boschi, genere ricchissimo di cultura, e troppo 
tardi apprezzato in Toscana; mentre traendo dalla Scozia una 
serie d’ istrumenti campestri, si dispone a porre in pratica i più 
accreditati sistemi per lavorare i terreni. E qui fa duopo 
esprimer la nostra gratitudine al sig. Leckie, per la diligenza 


i | 
110 | 


con la quale si è sforzato di farci nota ogni sua osservazione 
ogni risultato dei suoi esperimenti. Destinata quest’ accademia 
ad aumentare la prosperità pubblica, dovrebbe conoscere i bi- 
sogni d’ ogni provineia per provvedervi, e dei suoi provve- 
dimenti dovrebbe saper le conseguenze, Nè tarda mai si 
mostrò essa ad appagare i voti di quelle popolazioni, che 
ai suoi lumi ebber ricorso. Che anzi, avendo il sig. Thaon 
d’ Orbetello ad essa recentemente rappresentato lo stato infe- 
lice della maremma, nell’attual depreziamento del grano, in- 
dustria per disavventura quasi unica in quella vasta provincia, 
destinò il premio da distribuirsi nel prossimo anno a chi in- 
dicherà, con più saviezza, quali mezzi potrebber trovare i pos- 
sidenti maremmani per avvantaggiar la loro industria, e per 
aumentarne i profitti. L’ esempio del sig. Thaon, e la pron- 
tezza con la quale l'accademia accolse i voti di questo filan- 
tropo, servano d’ incoraggimento ad altri onde far note quelle 
urgenze alle quali la varietà dei tempi potesse dar luogo al- 
trove (*). 

Un lavoro di molta importanza , e destinato pur esso ad 
informar l’ accademia dello statò agrario di una delle comuni- 
tà di Toscana le più rimarchevoli per la loro industria, è stato 
presentato dal sig. Damucci Toscani di Montopoli. Descriven- 
do egli in primo luogo la giacitura del suolo, e la qualità 
dei terreni che costituiscono la base, la cima, e la media 
regione delle colline sitnate sul torrente Cecinelle, delle altre 
più prossime al capo luogo, e le sottoposte pianure; ed enu- 
merando i differenti generi di cultura che ad ogni esposizione , 
e ad ogni qualità di terreno più converrebbero, dà conto di 
quelle che vi son praticate di fatto, e dei risultati che ne de- 
rivano, Aggiunge il ragguaglio dei più utili miglioramenti in 
quella comunità introdotti, specialmente nella educazione de- 
gli olivi, e nella direzione delle acque correnti, le quali son 
con profitto adoprate per fertilizzare quelle pianure composte 
di campi opportunamente incolmati, onde le torbe abbian pron- 
to scolo, e per inalzare con quello dei fiumi il livello degli 
adiacenti terreni. 

Se, come il sig. Damucci ha diligentemente fatto, altri 
toscani possidenti si facesser carico di render conto dello stato 
agrario di ciascuna comunità, ben presto |’ accademia vedrebbe 
riuniti i materiali che la porrebbero nel caso di formare una 


(*) Vedi. pres. vol. A* p. 143. 


/ 1I1I 
statistica agricola del suo paese; opera interessantissima, e tanto 
più da desiderarsi, dopochè quasi tutte le nazioni industriose le 
han formate e ne han mostrata l’ utilità . 

Se fecondi di conseguenze felici son da reputarsi li sforzi 
fin qui enumerati dei singoli individui pel miglioramento del 
ben essere civile e sociale, quanto più importanti dovran 
dirsi quelli che, figli di un potente spirito d’associazione, son 
il resultato delli sforzi riuniti di molti individui, che vi presta- 
rono opera e studio? Di una di tali associazioni, formata di 
recente in Francia con gigantesco progetto, è precorsa a noi 
rapida la fama, recando di che giustificare l'alta riputazione 
che l’associazione medesima erasi assicurata fin dal suo nasce- 
re. E in verità, l’ardito pensiero non prima presentatosi alla 
mente, che posto in esecuzione dal Barone di Ferussac, di far 
pervenire in ogni angolo della terra l’ annunzio dei progressi di 
qualunque branca dell’ umano sapere, per mezzo del suo bul- 
lettino universale, è impresa non degna d’altri secoli che del 
nostro. Inviti generosi corsero a tutti i dotti del globo, onde 
in quel gran deposito versasser l’ annunzi dei risultamenti dei loro 
studi; ma più particolari preghiere furono dirette all’ accademia 
nostra, onde essa, quasi centro di tutto ciò che si fa in questa 
parte d’ Italia, servisse di mezzo ai dotti toscani per render 
generalmente note le opere loro. E dell’utilità del bullettino 
del Barone di Ferussac, e del decoro che all’ accademia tor- 
nerebbe nel porvi mano, sono argomenti la rapidità con la quale 
si è ovunque diffuso, e l'avidità con la quale da noi stessi è 
accolta una congenere pubblicazione , che dottamente redatta da 
uno dei nostri colleghi , comparisce in oggi nell’Antologia » 
giornale già per sè stesso accreditato, e salito ai primi onori 
in Italia. 

Ma dalle associazioni di stranieri, i quali ai nostri uniscono 
li studi loro, scendendo a parlare di quelle che in Toscana 
tendono a conseguire l’istesso fine che è a noi proposto , fa d’uo- 
po rammentare l'Accademia Valdarnese del Poggio, e la La- 
bronica di Livorno. Volle la prima di esse che altre  volt® 
fosse a noi palese la sua intenzione di far utile baratto di scien- 
tifiche cognizioni, e rinnuovò in quest’anno con maggior pre- 
mura la dimanda istessa, annunziando che essa stava cercan- 
do quel sistema il quale avrebbe resa più utile la nostra 
reciproca corrispondenza. Frattanto però l’ accademia Labro- 
mica, cresciuta in brevissimi istanti dall’ infanzia ad una ro- 
busta virilità, rendea noti i benefizi che i suoi membri, riuniti 


112 


o divisi, recarono a quel porto, stanza sempre sicura al com- 
mercio, men presto però aperta alle arti e alle scienze. Ri- 
formarono essi le vecchie scuole elementari, e delle nuove fon- 
darono; ridussero a migliore forma i regolamenti degli altri 
istituti di superiore istruzione; aprirono e ampliarono biblio- 
teche; fondarono un gabinetto scientifico; impresero la pubbli- 
cazione di un giornale; aumentarono utilità alli istituti filan- 
tropici ; \incoraggirono le manifatture ; premiarono l’ industria; e 
la virtù. Nè a tanto merito rimane straniera l’ accademia no- 
stra, Bello è per noi il vedere le scienze protette, le arti in- 
coraggite, i dotti onorati nella. città della quale, il governo sta 
nelle mani del moderatore. dei nostri studi. Dai quali se la 'To- 
scana ritrasse in ogni tempo grandi benefizi, altro importantis- 
simo ora ne attende; la difesa delle sue leggi economiche . 


Rapporto degli studj Accademici per l’ anno ‘824. letto nella 
solenne adunanza dell’ I e R. Accademia de’ Georgofili te- 
nuta li 26. Settembre, dal march. Cosimo RIDOLFI. 


Percorrendo rapidamente le ricordanze di questa nostra ac- 
cademia, facil rilevasi onde meritasse il nome d’ illustre, e come 
l’altro di benemerita conquistasse. Non raramente conseguiscono 
il primo quei valorosi corpi morali, i quali dirigono i loro studj 
al progresso di qualche ramo d’ umano sapere, ma non ottengo- 
no dalla severa posterità il secondo che quelli soli, i quali seppero 
cavar dai loro studj un’ avvantaggio reale per la civil società, 
Così la nostra accademia potè cinger la fronte colla doppia co- 
rona, e perchè ognora i buoni studj promosse di fatto, e perchè 
sempre ebbe nel coltivarli intento l’ animo a diffonderne 1’ utile 
applicazione a benefizio del popolo, assicurando la propagazione 
de’ lumi con tutti i mezzi , de’ quali potesse efficacemente dis- 
porre . 

Fù l’ accademia-economico-agraria figlia della saviezza di 
LeopoLpo; gli studj accademici e le misure governative di pub- 
blica. economia, che fecero della nostra Toscana il modello oggi 
da tutta Europa ammirato, girono concordi come la causa e 
l’effetto ; la teoria ricevè sempre l’ illustrazione dal fatto , e il 
lungo corso e la turbolenza dei tempi non poterono scemarne la 
luce, che anzi spesso ne accrebbero lo splendore; talchè la fama 
della società nostra si propagò ; propagandosi crebbe; e crescen- 
do si trovò ognora a livello di quella pubblica prosperità che 


113 


aveva preparata, nutrita e fatta robusta. Nè la memoria brillan- 
te del passato fa ombra sul presente delle nostre cose, come su 
tant’ altre veggiamo con profondo dofore avvenire, a malgrado 
degli sforzi dei buoni; l’ accademia fiorisce tuttora, nè la inferma 
l’ età , nè l’ assopisce la memoria de’ suoi trofei; ma intenta a 
cumularne dei nuovi veglia e si adopra a schermire quei mali, 
che il variar de’ tempi e l’ondeggiar delle sorti fanno provare 
alternativamente all’ umana famiglia, 

Il volume che io vi presento, o illustri accademici, contiene gli 
studj vostri ,.dei quali il numero e \'importanza udrete or bre- 
vemente ricordare, massimamente all’ oggetto di fare a tutti co- 
noscere lo zelo vostro , il quale ognor proponendo a norma dei 
vostri lavori, gli dirige naturalmente all’ utile pubblico in modo 
che ne risulta un prodotto ordinato e conseguente, laddove la 
libertà nella scelta degli argomenti, e la vastità della materia che 
v è permesso trattare , parrebbe che dovesse condurre a tutt’ al- 
tro resultamento. 

In fatti il grido comune di lamento su i danni che prova 
l’ industria manufatturiera non meno che l’ agricola, per il repen- 
tino se non imprevisto avvilimento de’ loro prodotti, chiedeva ed 
ottenne la vostra attenzione; e parendo che nelle circostanze at- 
tuali meritasse assai chi proponesse una qualche economia nella 
spesa di produzione del frumento, l'accademia volle, stabilire un 
premio per chi riuscisse ad immaginare e ad eseguire un istru- 
mento aratorio adattato a supplire convenientemente alla vanga nel 
dissodare il terreno, onde dalla diminuita mano d'opera, e dalla cre- 
sciuta quantità del lavoro nascesse un risparmio; risparmio che di- 
viene profitto vero, perchè può spendersi nel procurare nuovi pro- 
dotti.E mentre alla soluzione del quesito concorrevano da varj. pun- 
ti della Toscana cinque istrumenti diversi, 1’ accademico sig. D. 
Cioni mostrò doversi particolarmente valutare nel richiesto arne- 
se aratorio la proprietà di rivoltare completamente il terreno, 
proprietà della quale la volontà dell’ uomo munisce la vanga; e 
ingegnosamente dimostrò come un tal pregio possa comunicars 
ad un coltro. E siccome l’artifizio immaginato dal sig. Cioni con- 
siste nel soprapporre ad un coltro un altro simile per modo che 
la profondità del lavoro si ottenga metà ‘a spese dell’ uno, e metà 
dell’altro , e per la scelta della figura del coltro dee profittarsi 
di quella che sarà dall’ accademia trovata migliore, ne viene che 
è da sperarsi per il suggerimento del nostro dotto collega di ve- 
der migliorarsi non poco quell’ istrumento , che l’ accademia sa- 
rà per coronare come sodisfucente al programma, 


T. XVI. Novembre) 8 


114 


Ma se l’ economia del lavoro deì suolo è di molta impor- 
tanza, specialmente in alcuni distretti, l'economia nel raccoglie- 
re il grano; e ridurlo tale quale sì pone in commercio, non è un 
oggetto meno rilevante; ed è per questo che l’ accademico sig. F. 
C'artini fece conoscere i resultati importanti ottenuti dal battere 
il frumento coll’ ingegnosa macchina dello scozzese. Meikle , la 
quale esibisce il grano talmente netto, che forse non mai erasi 
ottenuto del simile in Inghilterra coi. processi comunemente se- 
guiti. Questo ritrovato ingegnoso è stato accolto da tutti gli agronomi 
imtelligiciali del Nord; e la sola, Inghilterra, tosto che sottoponga al 
nuovo processo di battitura tutto il suo grano , è nella certezza 
di vedere aumentato il prodotto della raccolta media di circa 
1112; 500. quarters, che a prezzo medio importa 1,781, 250. lire 
sterline, Ma se il ritrovato di Meikle vuol supporsi affatto ge- 
neralizzato in Inghilterra, bisognerebbe, secondo il parere di. al- 
cuni economisti, sottrarre dal guadagno del proprietario o tutta o 
in gran parte la somma non più guadagnata dai battitori a mano, 
pei gala de’ quali si valutava occorrere la ventesima quinta par- 
te della raccolta, cioè 900,000. quarters di grano, e che diven- 
gonor uno scapito del popolo, secondo le loro dottrine. Queste 
però non avrebbero tutto il peso che taluni accordano loro , se 
trovassero il più forte appoggio nel .caso citato: ma se esse 
partono da altri fatti bene. stabiliti, numerosi e concludenti os- 
servati nelle grandiose manifatture di oggetti utili e di lusso , e 
non già da economici sistemi di preparare per il commercio i 
generi di prima necessità per la vita, allora i sostenitori di esse 
possono aspirare al trionfo. Allora soltanto dimostreranno che le 
macchine recentemente inventate, e che tolgono a migliaia d’ar- 
tigiani il consueto guadagno, tutta risparmiandone l’ abituale ma- 
no d’opera, sono riuscite tanto più dannose alla società, quanto 
più le si speravano vantaggiose. 

Di quest” opinione , già dal Sismondi apertamente sostenuta 
con molto*ingegno, si dichiarò 1’ accademico sig. G,B. Lapi, e con 
una erudita memoria cercò d’ arricchire e sostenere 1’ assunto 
con nuove prove prese dalla storia moderna dell’ Inghilterra, e 
dai mali attuali che affliggono quel paese in mezzo alla sua gran- 
dezza. Ma l’ accademico vice-presidente Pr. Gazzeri consideran- 
do sott’ altro aspetto l’ influenza che le nuove macchine hanno 
esercitato sull’ industria e sull’economia degli inglesi, e cercan- 
do ai mali di quella nazione altra causa, manifestò i suoi principj 
relativi a questa importante questione economica , e seguace di 
Say, dichiarò innocenti le macchine dalle. colpe che loro:sì ad- 


115 


debitano, e riconobbe anzi in esse il vero misuratore del gra- 
do ov’ è salito l’ incivilimento. E lasciando da parte ciò che ri- 
guarda l’intrinseca questione sul danno o sull’ utile arrecato a- 
gli inglesi dalle loro macchine prodigiose, i due contrarj e dotti 
opinanti non avean potuto a meno di non far travedere quali 
fossero le loro massime circa all’ industria in genere politica- 
mente considerata. Lodando il signor Lapi le macchine che aiu- 
tano le braccia dell’ uomo, e giudicando dannose quelle che le 
rispiarmano , lasciò sentire il suo desiderio che questa non facile 
distinzione si facesse dalla legge; quindi che ei credeva utile di 
vincolar l’ industria faceasi manifesto. Il signor Gazzeri ammet- 
tendo che le macchine col produrre talvolta superiormente al bi- 
sogno possono sconcertare gli interessi privati, e giammai quell 
del pubblico, provò che i governi, i quali di questi soli deb- 
bono aver cura, non hanno nessuna misura da prendere per ve- 
runa specie di macchine, e così apertamente si dichiarò sosteni- 
tore della piena libertà relativa. 

In tale stato di cose parve a taluno che la causa della li- 
bertà del commercio meritasse d’esser trattata sotto un punto 
di vista più generale; e siccome il commercio del grano si è 
quello , che per la sua importanza dee godere del maggior fa- 
wore dei governi, era appunto di lui che facea d’ uopo occuparsi. 
L’ accademico Ridolfi prese a parlarne, mostrando che non si 
dovean far leggi per vincolarlo, perchè non si potean fare re- 
golamenti efficaci a produrre una salutare influenza sul di lui 
prezzo . Ed in fatti, omesso qualunque ragionamento, e prenden- 
do il solo fatto per norma, si può egli dubitare ancora, che se 
non fu possibile di trovar modo altra velta per diminuire il valore 
dei grani allorchè circostanze opposte alle attuali lo rendeano enor- 
memente elevato , si possa adesso che queste lo avviliscono e lo 
deprimono ridurlo con forza di legge artificialmente maggiore ? 
Ma questa verità ebbe nuova evidenza nella memoria dell’ ac- 
cademico sig. commendatore de’ Ricci, il quale prese a mostrare 
l’ ingiustizia ed il danno che terrebbe dietro alla tassa per ga- 
bella da imporsi ai grani stranieri , tassa che taluni propongo- 
no come salutare e necessaria misura. Egli mostrò che non solo 
questa tassa riuscirebbe dannosa, ma ancora che è falso in sè 
stesso fino il principio di considerare come un male estremo il 
deprezzamento dei generi frumentarj, e quindi non essere ap- 
plicabile in modo alcuno al nostro. caso il detto triviale non 
meno che disperato ; ad estremo infortunio convenirsi estremi 
rimedj . 


116 


Ma nell’ammettere che il tanto avvilito prezzo del grano 
pur fosse un male, e nel negare ta possibilità d’ ogni compenso 
che non nascesse dall’ industria individuale: e privata, avrebbe po- 
tuto credersi da taluno che parte almeno del rimedio consister 
potesse nel ridurre a più vil salario la mano d’opera de’ gior- 
nalieri, i quali (si dice ) se impiegano il lavoro per  pro- 
durre un genere, che trovasi deprezzato da estrinseche circostan- 
ze, debbono contentarsi d’ una mercede proporzionatamente di- 
minuita. E questo è un linguaggio abbastanza comune per dover 
credere che opportuno riesca d’ avvertire il popolo intorno alla 
sua falsità. L’ accademico sig. M. Capponi sodisfece ad un tal 
dovere d’illaminato cittadino, mostrando che la mano d’opera.è 
merce , e merce libera per natura ; clie dessa non può crescere 
e scemare di prezzo per nessuno artifizio , essendone il valore 
conseguenza diretta del proplo più o meno facile impiego, e 
questa facilità costituendo la ‘misura esatta della pubblica agia- 
tezza. Conchiuso finalmente che il decadimento della mano d’o- 
pera sarebbe indizio di decadimento della ricchezza nazionale, 
porterebbe necessariamente seco una nuova riduzione di prezzo 
nelle nostre derrate territoriali ; propose come rimedio ai possi- 
bili mali il miglioramento della manifattura del vino, oggetto 
d' altissima importanza fra noi. 

Ma questo ricco prodotto de’ nostri campi in tant’ abbon- 
danza si raccoglie talvolta, che di ben lungi riescendo superiore 
al consumo interno, e sprovvisto trovandosi delle qualità neces- 
sarie per offrirsi al consumo straniero, forza è che si scialacqui, 
divenendo spesso causa di depravazione e di vizio, e che a que- 
sto scialacquo s’inviti e quasi si strascini il popolo adescandolo 
col lenocinio d’un vilissimo prezzo. In questo caso appunto si 
trovò la Toscana in quest’ anno, e l’accademico sig. Tartini 
mostrò quanto grave. sia il danuo|, al quale ci espone l’ indiffe- 
renza che tuttora ponghiamo nella manifattura del vino ; indif- 
ferenza che trasforma in disgrazia l'abbondanza che talora ci 
comparte la Provvidenza. 

Nè il procurare al nostro vino uno spaccio su i mercati ol- 
tramarini può essere facile impresa per il suo primo produttore, 
nè tenteremo forse giammai grandiose e lucrative intraprese di 
questo genere, se una classe intermedia di speculatori non sor- 
ge fra il produttore toscano e il lontano consumatore. Quanto 
essa sia facile a crearsi, tostochè i proprietarj le somministrino 
materia adattata al nuovo traffico, lo dimostrò l’ accademico sig. 
‘Partini nella citata memoria; e che tal materia possa realmente 


n 11 7 
prepararsi tra noi, ne fece certi l'accademico sig. D. Betti, ren- 
dendo conto di otto diverse specie di vino ottenuto dalle nostre 
uve, e felicemente torpato in Toscana, dopo aver toccato le coste 
d’ America per cura del nostro socio sig. D. Gherardi. E se un 
commercio attivo del nostro vino si stabilisse, non vi. ha 
alcun dubbio che egli non fosse il riparatore delle perdite che 
i proprietarj hanno fatto nel decadimento de’ prezzi delle gra- 
naglie. 

Ma una risorsa anche più grande può la nostra Italia non che 
la Toscana sperare dall’ estesa cultura del gelso, ora che le leggi 
vincolatrici il commercio della seta non hanno altrimenti vigore. 
Però i proprietarj coraggiosi si affrettano a riparare ai torti che 
queste leggi fecero ai gelsi, e non vi sono che i nmeghittosi, ì 
quali non profittando nè delle provvidenze paterne del Princi- 
pe, nè dei precetti e dell'esempio dell’ immortale e benemerito 
Dandolo, si scoraggiscono nei mali presenti, e mon osano d’alza- 
re il pensiero sull’ avvenire. A scuoterli pertanto dal loro letar- 
go l’accademico sig. D. Giusti, stabilite alcane massime di pub- 
blica economia, dimostrò che il diminuito prezzo de’ grani non 
è casuale, ma figlio di cause previsibili, e prevedute di fatto 
nel 1806 dal Ch. Dandolo, il quale seppe ben calcolare qual 
colpo terribile portassero all’ agricoltura italiana gli assestamenti 
politici che ebbero luogo nell’ultima metà del caduto secolo fra 
la Porta Ottomanna e l’Imperatore delle Russie. Seguendo 
l’agronomo antiveggente or or citato, provò il sig. Giusti che la 
seta tra greggia e lavorata forma per lo stato Lombardo Veneto 
un’ estrazione annua di circa 160 milioni di franchi, e che di que- 
sta somma oltre il terzo è dovuto al perfezionamento del metodo di 
allevamento de’ filugelli. Ben’ a ragione diceva dunque autore, 
che la produzione della seta equivaleva per il veneziano e mila- 
nese all’oro ed all’ argento che la Nuova-Spagna versava in Europa, 
e ben a ragione il nostro consocio ha eccitati i toscani a perfezio- 
mare tra loro un'industria che da sì remoto tempo conoscono, 
e che non ha potuto se non se retrogradare fin qui abbandona- 
ta, come è generalmente, alle fatali conseguenze di vecchie abi- 
tudini, e di errori e pregiudizi volgari. Nè siavi taluno che 
obietti lo scarso raccolto ed il basso prezzo de’ bozzoli dell’ anno 
corrente; quest’ obietto sarebbe una conferma a favore de’ ragio- 
mamenti del nostro collega. L’ educazione de’ filugelli affidata fra 
noi a mani inesperte , e condotta in mal proprj locali, risentì gra- 
vissimi danni dalle stravaganze della stagione : l’ abbondanza della 
foglia fu tale che si fece nascere grandissima quavtità di seme , 


118 


dei moltissimi filugelli già condotti alla prima età un buon nu- 
inero perì, ed i molti superstiti giunsero all’ultimo loro perio- 
do infermicci, e non poterono somministrare al commercio che 
seta scadente, ed il commercio le dette subito il suo vero valo- 
ve. Pure ad onta di tutto questo il calcolo ha dimostrato che il 
gelso ha pagato un frutto considerabile, e superiore a qualunque 
altra pianta, escluso forse l’olivo, del capitale di suolo che egli 
ha coperto colle sue frondi . 

Ma d’un lavoro assai vasto in materia d’economia civile 
udì la società nostra tre coordinate memorie dell’ accademico 
sig. avvocato Paolini, ed aspetta la continuazione all’ apertura 
del nuovo anno scolastico. Questo nostro collega, la di cui penna 
devota sempre alla felicità della patria, scrisse già in altri tempi 
il Trattato della legittima libertà del commercio, oggi im- 
prende a risolvere cinque problemi, che ha proposti come tali 
a sè stesso. Di così vasto lavoro, e di lavoro non ancora per 
metà fatto conoscere, io non potrò dire alcuna cosa , oltre l’espo- 
sizione de’ titoli delle cinque memorie . Essi sono i seguenti : 

I. Se l’anmentata produzione delle merci ne aumenti di per 
sè stessa la proporzionata consumazione ; o se l’ aumento di que- 
sta sia la causa naturale dell’anmento di quella . 

Il. Se la cessazione d’una produzione nazionale in conse- 
guenza dell’introdazione d’ una simile foresteria , e se l’ esporta- 
zione del danaro interno in permuta dell’estere mercanzie sieno 
beni o mali economici d’ una nazione. 

III. Se in un paese di costituzione manufatturiera, ed ab- 
bondante di popolazione produttiva, sia utile al buon governo ed 
alla pubblica economia di esso di sostituire illimitatamente le 
macchine opificiarie ai manifattori . 

IV. Se in un paese di condizione agricola, e già perve- 
nuto ad un grado eminente di civiltà sia un bene, o un male, 
i rinvilio de’ prezzi delle derrate nazionali, e nascente da cau- 
se esterne e permanenti . 

V. Se nello stato attuale delle nazioni commercianti sia 
compatibile col principio generale della libertà dell’ industria e 
del commercio qualche modificazione dell’una o dell'altro se- 
condo le contingenze particolari d’ una data nazione. Giudichi 
ognuno la gravità dell’ assunto del sig. Paolini, e l’ importanza 
del suo lavoro, considerando che egli potrebbe concludere con- 
tro |’ autorevole opinione di Smith e di Say, dimostrando che vi è 
pericolo nell’ illimitata libertà commerciale , che può esser falsa la 
direzione dell’ industria pubblica abbandonata a sè stessa, e final- 


1159 
mente che i governi debbon dirigere il macchinismo commer- 
ciale adoprando le redini della prudenza e non il ferreo morso 
del dispotismo, determinando al tempo stesso il limite, oltre- 
passato il quale il regime paterno diviene tirannica violenza in 
questa materia. Nè il bisogno del momento giammai sì fatta- 
mente rese i nostri cuori, ognor caldi del pubblico bene, tanto 
desiderosi di giungere a confermare il vero anche una volta per 
la via della discussione accademica, unico mezzo che ci è 
dato per tentarlo, anzi solo mezzo che nessuno ci toglie e che 
ci raccomandano l’amore del principe, la vigilanza del gover- 
no, e l’ansietà del popolo, stretto fra il fantasma dell’interesse 
e le spine della virtù. Veda l’anno vicino il conflitto libero 
delle nostre opinioni, e saluti la vincitrice, onde giovarsi di 
lei. 

Se frattanto molti vi sono che vedono nell’ interesse. pri- 
vato dei cittadini un sufficiente garante della buona direzione 
dell'industria, o che nelle mal’accorte speculazioni degli indi- 
vidui non vedono cagione di danno per il pubblico interesse, 
non vi ha certo un solo che non convenga esservi un tal ge- 
nere d’ interesse, che ottenendo almeno una morale assicurazione 
per parte del governo, si rende assai più facile perchè la dif- 
fidenza se ne alfcatana. I beni di suolo trovansi spesso 
esibiti in vendita, ed il venderli. ed il comprarli è spesso 
necessità , talora speculazione. Ma tali contratti raramente pos- 
sono restare conclusi fra i contraenti, senza che prima abbia 
avuto luogo una stima de’ fondi. Or quanti calcoli basati su 
questa stima non sono andati soggetti a lacrimevoli errori ! 
I periti stimatori (che tali s’intitolano tutti coloro che se ne 
sentono la coscienza) mon vanno fra noi sottoposti ad un esa- 
me legale, dal quale resulti la capacità loro per l’ esercizio 
di sì difficile e delicata professione, e quindi a differenza dei 
legali il perito stimatore, che al par di quelli tanto influisce 
sulle fortune de’ particolari, giudica impunemente, talvolta 
colla sola guida della propria opinione, il valore d’un fondo 
con tanta facilità e indifferenza quanta appunto ne può inspi- 
rare l’ignoranza assoluta delle difficoltà della stima. E dai non 
rari accideoti funesti derivanti da questa specie d’imprudenza 
pericolosa, prese occasione l’ accademico sig. D. Ant. Targioni-Toz- 
zetti per far conoscere quali studj fossero d’assoluta necessità 
per i giovani che alla professione indicata dirigonsi, e quanto 
rigore fosse opportuno per impedirne l’esercizio a tuttì colo- 


120 
ro che di questi indispensabili stadj non avessero giustificato 
il profitto. 

Egli è però vero che le teoretiche congnizioni, non già che 
possan’ essere dalla sola pratica supplite, ma forse divengono 
sufficienti, sebbene più limitate di quello che il nostro socio 
non opinasse, se la pratica le accompagna. Nè intendo con 
tale indulgenza d’unirmi a coloro che tutta in questa vanta- 
ta pratica fanno consistere l’ abilità del perito; ma solo ho in 
animo di far rilevare l’importanza di quei lavori, che all’acqui- 
sto di essa conducono, ponendo a profitto del futuro |’ espe- 
rienza del presente e dei passato. Così l’annuo prospetto me- 
tereologico-agrario proposto dall’ accademico sig. D. Bertini, 
e nel quale oltre ai fenomeni atmosferici ed alla loro influen- 
za sulla vegetazione, dovrebbero trovarsi dettagliatamente de- 
scritte tutte le osservazioni agrarie, che si fossero potuto di 
mano in mano raccogliere , citando dove, come, e perchè sia- 
no occorse, riuscir dovrebbe utilissimo non solo all’ agronomia 
in generale, ma ancora al perito stimatore di beni rustici . 

Così le accurate descrizioni geoponiche de’ diversi distretti 
del nostro paese, mentre possono preparare de’ preziosi mate- 
riali per una statistica generale di esso, debbono sicuramente 
esibire de’ fatti, de’ confronti e delle avvertenze importantis- 
sime per la pratica stima de’ fondi. Quindi non affatto inu- 
tile riuscirà forse, tosto che sia compiuto, il lavoro dell’ ac- 
cademico Ridolfi sulle pratiche agrarie della Valdelsa; la pri- 
ma parte del quale, letta già nell’anno corrente, prende di 
mira il sistema utilissimo delle colmate di monte, operazione 
che dà il suggello della perfezione ai buoni precetti sulla col- 
tivazione delle colline, e sul rialzamento de’ Broti. 

Pur troppo però queste due pratiche agrarie sono in ge- 
nerale un compenso felice sì, ma pur un compenso, ai mali 
prodotti dallo sfrenato diboscamento delle superficie scoscese ; 
vè gli orridi esempj de’ danni generati dalla cupidigia d'un 
estremo ma vistoso guadagno ottenuto dalla rapida distruzione 
di quanto avea la matura ammassato in più secoli per render 
venerande le foreste de’ luoghi alpini, hanno fatto ancora ces- 
sare la barbara bipenne dal percuotere le querci annose 
l’elce opaco e l’abeto gigante. 'lalchè la memoria dell’ acca- 
demico sig. Bettoni, la quale dimostra che il danno risentito 
dal Mugello per questo pazzo diboscamento, ( del qual danno 
non si estende il calcolo sul valore del suolo deperito, ma 


121 


si ristringe al solo reddito perdato, considerando ciò che frutta- 
vano annualmente le querci tagliate, e ciò che frutta il prezzo 
rilevato dalla loro vendita, cautamente impiegato al legale in- 
teresse, ) ascende a circa scudi 325 per ogni migliaio di piante 
abbattute . 

Giova però riflettere in questo luogo, che mentre una fa- 
tale inconsideratezza ba portato quasi l’esterminio delle antiche 
piante boschive in alcune provincie della Toscana, altre ve ne 
sono che banno non poco migliorati. ji loro boschi cedui, e 
fatte vistose piantazioni d’ alberi d'alto fusto. Chi calcolasse 
la quantità grande di cedri del Libano , che già cominciano ad 
essere arborescenti, e diverranno pomposamente torreggianti 
fra poco; chi valutasse l’immenso numero d’acacie, d’ailan- 
ti, di catalpe, e di cent’altri alberi esotici fatti oramai co- 
muni fra noi, troverebbe certo ragione di sperare nell’ industria 
novella un qualche compenso all’ imprevidenza compianta. Nè 
mal riposta è certo questa speranza, mentre ogni giorno ve- 
diamo accrescersi Ja premnra dei toscani per l'acquisto di nuo- 
ve specie d’alberi , dai quali otterranno i nostri nipoti dei rilevan- 
ti avvantaggj. L’ accademico sig. Raddi vi descrisse in una sua 
memoria le due specie di araucaria del Chilì e del Brasile ; dimo- 
strò la facilità con la quale quest’alberi smisurati potranno 
acclimatarsi fra noi, ed annunziò il tentativo che ne hanno 
intrapreso due nostri soc], il Ridolfi cioè, e il sig. marchese 
Giuseppe Pucci. 

Ma i nostri studj non si rivolsero solamente a ‘ vantaggio 
degli alberi da costruzione. L’olivo richiamò | attenzione 
dell’ accademico sig Vecchietti, e da lui udiste alcune osser- 
vazioni importanti per la sua propagazione per via di seme. 
Questa pratica sì ripetutamente consigliata agli agricoltori non 
è che da pochi seguita , trovando essi "più facile e più pronta 
la propagazione dell’ olivo col mezzo degli ovoli, per lo che 
la preferiscono ad ogn’ altra, sebben certamente intrinsecamen- 
te meno buona di tutte. Il sig. Vecchietti provò essere in- 
comparabilmente più adatta a germogliare la sansa lavata che 
la semplicemente spremuta al torchio, perchè di questa l’ olio 
residuo coll’ irrancidirsi altera il germe profondamente . 

Ma l’istitato della nostra accademia, sebben diretto prin- 
cipalmente a procurare i progressi della scienza economica e del- 
l'industria campestre, favorisce e procura lo sviluppo e il per- 
fezionamento d’ogni arte utile fra noi. Per questo di molto 
interesse riuscì la memoria dell’ accademico sig. P. Taddei sulla 


122 


distillazione del legno, in quanto che si conobbe per essa l’in- 
gegnoso processo, col quale i francesi ottengono in grande da 
tale distillazione un ageto così perfetto da meritare non solo 
dalle arti, ma ancora dal palato degli epuloni la preferenza 
su quelli di frutte ottenuti per via di fermentazione. Nè {°a- 
ceto è il solo prodotto delle distillazioni del legno, vi è il 
gas iluminante, il catrame, il carbone, dai quali si può trar 
vantaggio o simultaneo o particolare a seconda delle circo- 
stanze e de’ luoghi; e sebbene l’accademia di quest’ ultime 
industrie fosse già stata dal Ridolfi. informata anni sono, pure 
trovò nel lavoro del P. Taddei molte importanti novità dovute 
aì progressi della chimica, e delle applicazioni di lei. 

E giacchè mi son condotto a parlare di ciò che fra’ no- 
stri studj riguarda le arti, rammenterò qui il nuovo color 
nankin , del quale ragionò 1’ accademico sig. C. Passerini , 
che. si ottiene dalla pula delle castagne, e può  solida- 
mente fissarsi sul cotone e sul lino; il rapporto favorevole 
d’ una commissione sulla macchina del nostro corrispondente 
sig. D. Luigi ‘Sacco, per maciullare il lino e la canapa; e 
l’altro onorevolissimo sul cotone tinto in rosso stabile a somi- 
glianza di quello di Adrianopoli dal corrispondente sig. G io. 
Batista Mazzoni con sostanze coloranti indigene; lo che rende 
molto importante il di lui ritrovato. 

L’accademico sig. D, Gio. Gualberto Uccelli prese a trattare 
un soggetto del dominio della medicina; e siccome 1’ accademia no- 
stra apprezza grandemente ed onora ciò che può servire al 
progresso della filosofia dell’arte salutare, così trovò di molto 
interesse il lavoro di questo collega, consistendo esso in un 
esame ragionato degli effetti de’ bagni sull’economia animale, 
avuto riguardo alla temperatura dell’acque ed ai principj in 
esse disciolti . 

Le pure scienze servirono anch’esse di pascolo alle nostre 
adunanze. L’accademico sig. P. Ottaviano Targioni Tozzetti 
mostrò la difficoltà somma di compilare un’esatta sinonimia 
delle specie e varietà delle viti coltivate in Italia, quand’an- 
che a tal’opera progettata dal sig. Acerbi, concorressero tutti i 
più valenti nostri bottanici, e quando a tal uopo fossero desti- 
nati vistosissimi fondi, dei quali. sarebbe a compiangersi il 
tristo destino, poichè tanta spesa e tanta fatica non fruttereb- 
be probabilmente utile alcuno all’ agricoltura, e alla botanica. 

L’accademico sig. Passerini vi comunicò diversi resultati 
delle sue ricerche sull’ entomologia , e ornitologia toscana, frutto 


| 
| 
I 
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123 
delle quali si è il ritrovamento fra noi della bella Papilio 
Ausonia, Jasius, e Apollo, della Platatalea Leucorodia , e della 
Silvia Tythis. 

L’ accademico sig. D. Pietro Feroni matematico Regio, 
prendendone occasione dall’ esame d’un trattato d’agrimensura 
offerto all'accademia, mostrò i pericoli a’ quali si andrebbe in- 
contro , se per uno spirito malinteso di semplicità, si volesse 
sostituire in quest'arte agli strumenti adesso adoprati altri di 
più facile maneggio, colla speciosa idea di rendere così l’arte 
più adattata alla rozzezza di chi suole esercitarla, piuttosto che 
far di tutto per dirozzare gli agrimensori, onde renderli idonei 
all’ esercizio d’un arte delicata per sé medesima. E quest’er- 
roneo divisamento combattuto dal sig. Ferroni, è tanto più sin- 
golare che sia caduto in mente ad un trattatista di misure 
geodesiche , oggi che di esse vedonsi occupati uomini sommi, 
i quali cercano di giungere al più esatto resultamento possi- 
bile, moltiplicando i mezzi di misura e di riscontro per tutte 


le vie che loro offre la scienza. Di quest’ impegno abbiamo 
q PS 


avuto recente prova in Italia nelle operazioni dirette a deter- 
minare le differenze di longitudine di vari luoghi per mezzo 
dei segnali a polvere dati sul monte Cimone. Di esse rese 
conto l’ accademico sig. Tartini, mostrando come la gigantesca 
triangolazione eseguita dai francesi lungo il parallelo medio 
dall’ Oceano fino all’ Alpi, sarà ben presto legata con quella 


che per unanime volontà de’ governi austriaco e piemontese 


si eseguisce in Savoja: e tosto che i tedeschi avranno com- 
pita la misura della gran catena di triangoli da essi intrec- 
ciata tra Fiame ed Orsowa, potrà dedursi |’ estensione lineare 
d’un arco di parallelo non minore di gr. 24, mentre come 
abbiamo accennato saranno contemporaneamente stabilite le la- 
titudini e le longitudini de’ luoghi più rimarchevoli compresi 
in quest’arco . 

Se imprese di questa sorte basterebbero a render famoso 
il secolo che le produsse, ed a farlo distinguere col nome di 
secolo del sapere, di qual gloria non andrà un giorno splendente 
il nostro che all’ eminente sviluppo de’ lumi vede accoppiare la 
più squisita filantropia ? E siccome nulla è più essenzialmente 
proprio dell’ amor fraterno dell’ istruire la moltitudine e dell’ as- 
sistere quella parte di lei che una dura infelicità pone fuori di 
stato di provvedere a sè stessa, così l’ accademia rivolse a que- 
sto duplice oggetto le proprie mire , e mentre l’ accademico 
signor P. Magheri vi facea parte di alcuni suoi pensieri diretti 


124 3 


a render nelle campague l’ amministrazione dell’ arte salutare 
più facile, regolare e scevra da molti inconvenienti , ai quali 
ì’ espone talvolta il sistema delle condotte mediche attuali, Y ac- 
cademico signor D. Gherardi parlando dell’ importanza somma di 
rendere vie più industriosa la classe de’ campagnuoli, mostrò po- 
tersi giungere a questo fine col solo mezzo d’ una più accu- 
rata e generale istruzione ; quindi provando che essa giova a 
render più. facile la subordinazione e la disciplina, propose che 
un rapido mezzo d’ insegnamento fosse compartito alle truppe; 
e siccome il fatto ha provato ciò che la filosofia avea già pre- 
veduto, cioè che l’ istruzione ben diretta è quasi sempre il vei- 
colo della morale, così a buon diritto il signor Gherardi rac- 
comandò l’ istruzione per i detenuti nelle prigioni e ne’ bagni. 

Nè con minor ragione l’accademico signor D. Del Greco 
encomiava la letteraria istruzione dei ciechi, classe tanto infe- 
lice, come oziosa generalmente. Egli fece conoscere quanto 
il sapere e la pietà abbian saputo inventare a vantaggio di quei 
miserabili oggetti, che privati dalla fortuna della luce del gior- 
no, si lasciano comunemente dagli uomini privi della luce della 
ragione. 

Ma la natura, di rado ma pur talvolta matrigna, colpisce 
l’opera sua più stupenda colla più orribile infermità, 1’ aliena- 
zione dell’ intelletto. In tale stato l’ uomo era una volta consi- 
derato come abbrutito, e la sferza, le ritorte, la fame, ed ogni 
più crudele tortura , adopravasi ad emendarne l’ insania, a con- 
tenerne la furia. Oggi la carità ha steso il suo manto su i mi- 
seri dementi, ed i nuovi ospizi a loro favore-sorgono a gara, e 
i vecchj spogliano l’ usato orrore del carcere per vestir forme 
non solo men tetre, ma dirò anche leggiadre. Là una eura fi- 
sica e morale cerca associar di nuovo al corpo languente la ra- 
gion del pensiero; là una distrazione piacevole, e non i colp 
dell’ aguzzino solleva il melanconico dalla sua fissazione, disto- 
glie il frenetico dal darsi in braccio alla frevesia che lo domi- 
na. Famoso tra questi ospizi, lo spedale de’ Pazzi in Aversa, formò 
il soggetto di un erudito discorso dell’ accademico sig. avvo- 
cato Collini, e diede anche materia ad una memoria dell’ acca- 
demico signor D. Romanelli, dalla quale fu gratissimo ai no- 
stri cuori il rilevare quanto a vantaggio de’ forsennati si fosse 
fatto nel nostro spedale di Bonifazio, stabilimento che favore- 
volmente erasi già conosciuto e giudicato dagli amici dell’ w- 
manità, stabilimento che non è certo l’ultimo dei benefizi che 
il Granduca LEOPOLDO ci compartisse. 


125 


Chiudo qui l’ enumerazione de’ vostri lavori, o virtuosi ac- 
cademici, e sodisfatto al dovere, imporrei fine al mio dire, se 
ancora non mi restasse un doloroso ufficio a compire. Oh! dura 
condizione nostra, che non possiamo abbandonarci un momen- 
to alla gioja, senza che questa si turbi per qualche amara ri- 
cordanza! ! 

L’ avvocato Luca Tanciani-Mini cessò di vivere nel di- 
cembre dell’ anno caduto. Nato da onesti genitori patrizio cor- 
tonese e nobile aretino, sorti dalla natura un carattere affabile, 
che dagli ameni studj fatto culto e sapiente, lo rese piacevole 
in società, e gli fruttò non volgari amici. Stabilitosi in Firen- 
ze dopo avere per pochi anni occupato in Arezzo la carica di 
assessore della fraternita di quella città., e date non ordinarie 
prove d’ ingegno e dottrina nella rinnovata accadeinia degli A pa- 
tisti, divenne nostro collega, scrisse una memoria sulla malattia 
degli ulivi volgarmente chiamata rogna, e questo suo lavoro 
trovasi onorato ne’ nostri atti. Ma dedito per natura più al- 
l’ utile applicazione delle sue dottrine economiche e agrarie, di 
quello che a farne soggetto d’ accademiche dissertazioni, si mo- 
strò degno georgofilo in Oliveto situato in Val di Chiana, co- 
munità di Civitella, rendendo ubertosa anzi che nò quella sua 
tenuta una volta sterilissima. Una tale intrapresa costò al Tan- 
ciani vistosissimi sacrifizj, e di questi un gran numero servi- 
rono al sollievo di povera e oziosa popolazione che in difficili 
circostanze ebbe un amico nel nostro Tanciani, il quale distri- 
buendole il pane seppe condurla al lavoro e all’ industria, pro- 
curandole così uno scampo nei mali presenti, ed un’egida in- 
fallibile contro i futuri. Divenuto padre, tutte rivolse le sue pre- 
mure all’ educazione d’ un figlio, che morte troncò sul. fiore 
delle più belle speranze. 

Economo, agronomo, e virtuoso il nostro collega ebbe fre- 
quenti occasioni di render importanti servigj a cospicue fami- 
glie; le quali affidarono alla di lui prudenza la direzione di va- 
cillanti fortune. 

Ma in questa, se non brillante al certo difficile e. pietosa 
carriera ebbe il Tanciani tanta fama, che dovè talora esser minore 
degli incarichi assunti, ad onta delle vigilie spese ognora gratuita- 
mevte a favor dei clienti. Quindi, mentre hanno i molti da lodarsi 
infinitamente di lui, pochi vi sono, ma pur vi sono, che n’ ebbero 
minori vantaggi; e siccome |’ ingratitudine spesso rimunera dei 
beneficj, ed il lamento ingiurioso: quasi sempre consegue le in- 
felici premure, così il Tanciani vide talvolta mal premiato il 


126 


suo zelo: ma non declinando giammai dagli impegni contratti, 
e sostenendo con fermezza ammirabile questa sorta di morale 
avversità, dette prova d’ animo elevato quanto di cuore gentile. 
Lo spirito religioso, che sempre servì di norma ai suoi passi, 
lo condusse a dell’ opere pie non comuni, e gli diè forza di 
tollerare con ammirabile serenità |’ angosciosa malattia della quale 
fu vittima. 

Ma più assai di questo ingenuo tributo di lodi dovuto alla 
memoria dell’ avvocato Luca Tanciani, ne forma un elogio ade- 
quato, almeno come georgofilo, quanto ne scrisse nelle sue le- 
zioni d’ agricoltura il ch. D. Targioni; ed io terminerò riflet- 
tendo che se è vero che le virtù domestiche son difficili a pra- 
ticarsi, perchè raramente producon gloria; se bisogna aver mol- 
to merito per fuggir lo splendore, e molto coraggio per ante- 
porre alle virtù brillanti quelle meno luminose ma più solide 
della giustizia , della modestia e della semplicità, il Tanciani 
che di queste doti dell’ animo fu largamente fregiato, assai meritò 
dalla pubblica estimazione. C.R. Seg. degli atti 


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Rapporto sugli ARATRI-COLTRI presentati al concorso dell’ 1. 
e R. ACCADEMIA DEI GEORGOFILI per È arno 1824. letto dal 
sig. D. TADDEI nella seduta solenne del dì 26. settembre. 


Se in fatto di pratica agricoltura accetta fosse come vera 
la massima, che per ciascuna e singola qualità di terreno impie- 
gar si devesse un particolar’ aratro, si possede oggi di tali stru- 
menti un sì gran numero, e fra loro talmente diversi, che supe- 
rando di gran lunga le tante varietà di suolo fin qui classate e 
conosciute, nulla più rimarrebbe a desiderare agli agronomi, po- 
tendo questi scegliere a lor talento fra tanti aratri quello che 
promettesse di meglio sodisfare al meditato oggetto. Ma a fronte 
che i magazzini di strumenti rurali dell’ Inghilterra, della Fran- 
cia, e di altri paesi agricoli regurgitino di aratri, o attualmente 
o per lo passato in uso ; a fronte che non solo di provincia in 
provincia, ma per fino alla distanza di poche miglia si veda cam- 
biata la figura degli strumenti aratori, pur tuttavia l’ ottimo a- 
ratro, non è stato ancor trovato. E di ciò fa fede la confessione 
ingenua e spontanea degli agronomi francesi, i quali si accorda- 
no in asserire che, per quanto varie siano le forme date ai nu- 
merosi aratri, con tulto ciò non avvene ‘alcuno fra tanti (che 
pienamente sodisfi alle condizioni che la teoria esige dalla pra- 


I 27 
tica. Altra conferma poi di questa verità , conferma che tutti i 
dì si rinnuova , noi l’ abbiamo nel concorso che dal 1801 in poi 
la società d’agricoltura della Senna tiene sempre aperto colla 
promessa di un premio di 10000 franchi per quelli che produr- 
rà un aratro nuovo, semplice, di poco valore, e soprattutto im- 
mune da quei difetti che agli altri aratri vengono imputati. 

Fino a tanto che il taglio sfrenato delle macchie e bosca- 
glie , il dissodamento di tanti pascoli non sedusse l’ animo degli 
agricoltori toscani con la speranza di un lucro, che presto dive- 
nuto fittizio più che mai presto cessò con vero danno emergen- 
te, noi potemmo tranquilli e senza tema di scapito pel nostro 
interesse, noi potemmo, dico, rilasciare ai soli oltramontani tutta 
la cura di perfezionare i loro aratri, d’ immaginarne dei nuovi. La 
vanga sola nelle robuste braccia dei nostri coloni assicurava il 
pane alla maggior parte del popolo toscano, la vanga era il prin- 
cipal sostegno della nostra nazione. Ma dacchè spezzato ogni vin- 
colo al commercio, molte delle braccia destinate a maneggiare 
la vanga tolte al campo si volsero ad altre branche di novella 
industria, dacchè la querce e l’ ontano cedettero ai colpi della 
scure per dar posto alla vite e all’ olivo, dacchè nella rupe er- 
bosa agli armenti fu il passo interdetto e cinta dì fosse o di sie- 
pi passò nel dominio di Cerere , la Toscana anch’ essa si ac- 
corse che la vanga non potea più sostenersi in equilibrio coll’a- 
ratro. 

Ottimo dunque e per ogni titolo commendabile fu il divi- 
samento conceputo dalla accademia dei Georgofili, allorchè un 
programma emanato i 23. marzo 1823; decretò un premio di 4o 
zecchini a favore di chi, avanti la fine del luglio 1824, avesse 
esibito un tale strumento aratorio; che immune dai difetti attri- 
buiti ai comuni aratri e coltri, atto fosse a. rimpiazzare la vanga. 

Cinque furono gli aratri-coltri presentati all’ accademia pri- 


ima del termine assegnato. 


.. Nel giorno 20 del cadente settembre, dall’ accademia desti- 
bato per mettere a prova. gli aratri presentati , la deputazione 
sì accinse agli sperimenti , i quali furono istituiti in un campo 
situato alla destra del fosso macinante a piccola distanza dalla 
villa dell’ I. e R. Cascine di Firenze. 

In quella parte del precitato campo, che fino da due anni 
si manteneva ancor soda o come. suol dirsi a seceia, furono fat- 
È longitudinalmente coll’ aratro comune varii solchi parallelli e 

tutti ad egual distanza, onde segnare a ciascuno degli aratri-col - 
tri la traccia che doveano seguire nel lavoro , premessa la con- 


128 


dizione che i cinque strumenti dovessero, ognuno separatamente, 
solcare per due volte, lungo la traccia loro assegnata e sempre 
nella stessa direzione. 

Eccettuati dall’ esperimento i solchi o traccie più contigue 
alla ripa del fosso, ove era ben ragionevole il presumere che il 
terreno fosse d' indole meno compatta e tenue, fu procedato a- 
gli sperimenti sulla traccia degli altri solchi più distanti, ove la 
natura del terreno comparendo uniforme e possibilmente identica, 
metteva i concorrenti in parità di condizioni. 

Rilasciato all’ arbitrio della sorte l’ ordine in cui gli speri- 
menti si doveano succedere, il primo degli aratri coltri cimentati, 
alla prova fu quelio esibito dall’ agricoltore Gennai. (*) 

Quest’ aratro-coltro costrutto con molta semplicità, porta un 
vomere alabardato, avente a destra un tagliente parabolico ed a 
sinistra una costola dritta, la quale collima perfettamente col 
lato corrispondente del ceppo. Dalla parte inferiore della freccia 
o bure, e a piccola distanza dal ceppo, si parte un grosso coltro, 
o come volgarmente dicesi coltellaccio, che fatto a guisa di man- 
naia scende perpendicolarmente fino a toccare la costola del vo- 
mere, con cui attesta a modo di squadra. Ha quell’ aratro una 
sola orecchia di legname situata a destra, leggerinente incurvata 
dall’ avanti all’ indietro e nella sua parte anteriore dal basso in 
alto; oltre di che porta una stiva o stegola semplice munita del 
così detto manicciolo o manico. Il periodo del tempo impiegato 
per far lavorar due volte lo strumento , alla sinistra del solco 
assegnato per traccia, fu di 4. minuti primi la prima volta, di 4 
minuti e 2/3 la seconda, in una linea di 25 canne. La profondità 
del lavoro fu dai 10. pollici e 2 linee ai ro pollici 8 linee , on- 
d’è che la media profondità in soldi del braccio fiorentino sareb- 
be di soldi g e danari 8. 

Comunque sfavorevoli fossero all’ aratura le condizioni nel- 
le quali in allora si trovava il terreno, reso enormemente duro e 
compatto più dall’ aridità della stagione che dal lungo riposo, 
pur tuttavia il lavoro di quest’ aratro con maestrevole destrezza 
eseguito dal bifolco Gennai esibente, meritò gli elogi della depu- 
tazione; la quale però fino da questo primo esperimento provò 
rammarico per non vedere rimpiazzata la vanga in ciò special- 
mente che riguarda il completo arrovesciamento delle glebe. 

L’ aratro-coltro chiamato dalla sorte a lavorare secondo fu 


(*) Lavoratore colono nella fattoria di Cusona, di proprietà dei sig. conti 


Guicciardini. 


129 
quello presentato dal sig. canonico Brizzi il quale, semplice per. 
la sua costruzione quanto quello già descritto, non ne ditferisce 
se non per avere il vomere della figura delle comuni vangheggie, 
sul cui centro mira la punta del coltro impiantato nella bure. 
Ancor questo ha una sola orecchia, bensì assai lunga e profonda, 
fatta di legname, con doppia stegola sul ceppo. 

Quivi il bifolco più volte obbligato ad interrompere la pro- 
pria operazione per vincere diversi ostacoli o non preveduti o 
fors’anche non ben calcolati, sforzossi invano di dare allo stru- 
mento l’ attitudine più opportuna per il lavoro : e di qui è che 
l’ aratro ora radendo solamente in superficie il terreno sulla trac- 
cia assegnatali', ed ora offrendo una resistenza insuperabile dalla 
forza di 4 bovi, bisognò desistere dall’ operazione. 

Causa di tali ostacoli fu forse la non retta determinazione 
dell’ angolo, formato dalla freccia o bure col ceppo, in un ara- 
tro aggiustato per dei bovi di ben diversa statura , e armati di 
altro giogo: imperocchè egli è noto che l’ intrusione del vomere 
nel terreno, e la profondità del solco scavato dipendono sempre 
dall’ apertura dell’ angolo formato dall’ inserzione della bure nel 
ceppo . 

Il terzo aratro-coltro posto in esperimento con due para di 
bovi fu quello esibito dal sig. march. Ridolfi. Questo strumento 
modellato su i principii dell’ aratro Machet, di cui ritiene il no- 
me , è del genere degli aratri semplici con orecchia fissa da un 
lato e segnatamente al destro. Quest’ orecchia, tutta di ferro 
battuto, leggermente incurvata dall’ avanti all’ indietro, è un po- 
co arrovesciata all’ infuori nella parte sua posteriore e più al- 


ita. Il coltro o coltellaccio , onde l’ aratro è armato, è fatto a 


guisa di falce ed addossato immediatamente al petto dell’ orec- 
chia , e allo spigolo anterior superiore di essa, per modo che la 
riunione di questi pezzi sembra formare un pezzo solo : questo 
stesso va poi a terminare colla sua punta in basso là dove inco- 
mincia il vomere, col quale unendosi , forma una gran curva di 
cui gli estremi sono in basso la punta stessa del vomere, e in 
alto il punto d’ inserzione del coltro nella bure. Semplice ma 
munita di manicciolo è la stiva o stegola di quest’ aratro, ed av- 
vi un regolatore di ferro alla punta della bure. 

.. Intruso quest’ aratro-coltro nel terreno a lato del solco che 
gli era stato assegnato per traccia, ne percorse due volte la lun- 
gbezza sopr’indicata di 25. canne nel periodo di 4. minuti primi 
e 3/4 la prima volta, in quello di 4. minuti 1/3 la seconda. 


T. XIV. Novembre 9 


150 


Misurata in diversi punti la profondità del lavoro, si trovò 
che la massima era di tredici pollici e una linea, e di dodici la 
minima; che è quanto dire soldi umlici e danari otto per la me- 
dia profondità. Vero si è per altro che molto è lo sforzo che si 
richiede per fendere il terreno a quella profondità , com’ è al- 
trettanto vero che parte della terra smossa trabocca dietro al- 
l’ orecchia, se l’ aratro è approfondato al di là di to. pollici. 

Si ottenne dunque con quest’ aratro-coltro una profondità di 
lavoro presso a poco uguale a quella che in pari siccità e com- 
pattezza di suolo ottener si potrebbe colla vangatura ordinaria; 
ma non pertanto si vide sminuzzato il terreno, come il pro- 
gramma volea, nè tampoco rimpiazzata la vanga per ciò che con- 
cerne all’ arrovesciamento del terreno, sebbene le piote da que- 
st’ aratro rimosse, e gettate sossopra sul suolo , avessero un’ in- 
clinazione maggiore di quella che si osservò nelle piote sollevate 
dagli altri aratri. I quali resultati comparativi portano a conclu- 
dere che' mentre |’ orecchia del così detto coltro-machet non 
opera, come la vanga fà, nè come il programma richiede ,, il 
rovesciamento completo del terreno , ha però una struttura in 
qualche modo più idonea degli altri aratri, per produrre almeno 
in parte l’effetto più volte divisato. 

Intrapreso |’ esperimento con il quarto aratro, di pertinenza 
del sig. Guarducci, si vide che, approfondando convenientemente 
il lavoro, la resistenza incontrata dallo strumento non poteva es- 
ser superata dalla potenza di un'solo paro di bovi, checchè ne 
dicesse lo stesso proprietario , il quale ‘in’ uno scritto di cor- 
redo dichiarò che il proprio aratro avrebbe avuto su gli al- 
ti il vantaggio di non abbisognare che della forza di un solo 
paro di bovi, vantaggio non indifferente per quei contadini coloni 
cui la ristrettezza del suolo a cultura non permette di tenere che 
soli due animali aratori. 

Avuto però riguardo alla somma tenacità e secchezza del 
terreno , la deputazione condescese alla domanda fatta dal sig. 
Guarducci, quanto a servirsi per il suo stromento della forza di 
quattro bovi , e così mettersi alla pari con gli altri sperimenta- 
tori in altro saggio che egli si proponeva di dare col proprio 
aratro . 

Lo sperimento fu intrapreso sulla traccia di uno dei solchi che 
la deputazione avea eccettuato, reputandone il terreno meno tenace 
e più sciolto dell’altro. Ma a fronte che questa circostanza fosse 
in qualche modo a vantaggio dello sperimentatore, fu tale il con- 


X ISI 
trasto fra la resistenza e la potenza, che la bure dell’ aratro si 
ruppe nel momento istesso in cui il vomere incominciava a 
squarciare il seno della terra. 

Quest’aratro, che l’autore ha chiamanto vice-vanga , nella 
lusinga di poter con esso supplire agli usi tutti della vanga, 
ha come gli altri una sola orecchia fissa, la quale essendo. di 
ferro nella sua totalità, porta nella faccia esteriore tre. sproni 
piramidali, disposti a triangolo e rivolti colla punta in avanti, 
i quali hanno per oggetto di sminuzzare le glebe sommosse. Ha 
poi un vomere fatto in qualche modo a saetta, di cui l’ala si. 
nistra sporgendo assai in fuori dalla linea del ceppo ; è , secondo 
quello che l’autore ne dice, destinata ad affettare in senso oriz- 
zontale ed ascosamente il terreno dalla parte soda; e su cui 
l’aratro deve ritornare di mano in mano; e ciò, secondo l’e- 
spressione dell’ autore, per non lasciare intatta alcuna porzione 
di suolo, qualora nei solchi successivi il bifolco si tenesse un 
poco troppo discosto dal solco precedente. 

Ma senza ora discutere se possono o nò conseguirsi gli enun - 
ciati effetti, senza ora occuparsi della disamina se lo sporgere 
della base del vomere fuori della linea del lato sinistro del cep- 
po; anzi che collimare con essa , siano o non siano inconvenienti 
di quel peso e valore che i pratici tutti gli attribuiscono, e final - 
inente senza farsi carico se la bure di quell’aratro sia o nò troppo 
corta e pericolosa per le gambe dei bovi, la deputazione ferma 
nella sua massima di non proferir sentenza se non su fatti coi 
propri occhi osservati, si astiene non solo dal giudicare in fa- 
vore o contro di, quell’ aratro, ma sibben’anche dall’ emettere 
qualunque siasi opinione; poichè essendo mancato di quello 
strumento l’ effetto, mancò del pari con esso il soggetto dell’ esa- 
me e del giudizio, 

L’aratro-coltro che la. sorte destinò per il quinto sperimento 
fu quello esibito all’ accademia dal sig. Romanelli di Pisa. 
Quest’ aratro del genere dei composti, perchè munito di sterzo e 
di rote, che i francesi chiamano l'avant train , ha come gli altri 
già descritti una sola orecchia, fatta di legname, assai prolun- 
gata, e sul davanti incurvata dall’ alto in basso. Ha un vomere 
a forma di pala, ed un coltro che inserito nella bure a piccola 
distanza dal ceppo cade perpendicolarmente sul vomere , ed ha 
doppia stegola, con che può il bifoleo ben regolare il ceppo 
dell’aratro nel suo corso. Il carro è provvisto del così detto 
scannetto , su cui la bure, or più alta or più bassa, è fissata; 
lo che fa sì che gli aratri con l’avant treain hanno su quei 


132 


semplici il vantaggio di mentenere inalterabile e costante |’ an- 
golo formato dalla bure colla linea orizzontale del terreno. 

Quest’aratro-coltro tirato da due para di bovi, e regolato, 
da intelligente bifolco, percorse in due minuti primi una linea 
di 19 canne a lato della traccia assegnatali, ed operò altret- 
tanto per due volte consecutive, consumando eguale spazio di 
tempo. 

La media profondità cui il vomere s’intruse fu di 11 pol- 
lici e mezzo, pari a soldi ro, danari sette e 3/4; ma nemmeno 
con quest’aratro, comecchè dissimile dagli altri fin’ allora speri- 
mentati, la deputazione non ebbe da consolarsi di vedere ope- 
rare almeno in abbozzo gli effetti della vanga. 

Ora siccome il primo ed il terzo aratro hanno impiegato 
circa 5 minuti per solcare in una linea sei canne più lunga 
. di quella solcata dall’aratro del sig. Romanelli, così egli è 
evidente, che facendo percorrere all’aratro di quest’ultimo 
uno spazio eguale a quello degli altri due , la lunghezza 
delle 19 canne , percorsa dall’ aratro sulle rote, fu al periodo dei 
2 minuti consumati da questo stesso aratro, come la lunghez- 
za di 25 canne, solcata dagli altri aratri, sta al periodo di due 
minuti 37 secondi e 1719. E da ciò chiaro resulta che per 
rompere o arare uno spazio dato di terreno con l'aratro del 
sig. Romanelli, si richiede poco più della metà del tempo im- 
piegato con gli altri aratri. 

Testimoni della celerità con cui l’aratro del sig. Romanelli 
fendeva il seno alla terra fino ad una conveniente profondi- 
tà, non meno che del minore defatigamento dei bovi, di con- 
fronto a quello sofferto dagli stessi anitnali in una delle prece- 
denti esperienze cogli aratri semplici, noi mon possiamo dissi- 
mulare che un sì bel quadro comparativo dei fatti ci ab bia 
confortato nella credenza , in cui eravamo per lo passato, quan- 
to ad accordare all’aratro sulle rote una maggior celerità e 
uniformità nel corso, e un minor defatigamento per parte dei 
bovi, comunque autorevole sia l’opposta opinione professata 
dal sig. di Dombasle, della cui teoria sull’aratro un nostro 
consocio ci srese qualche tempo fa minuto conto. 

E qui finiscono gli aratri-coltri presentati e sperimentati per 
il concorso del 1824, sè pure non vuolsi anche dar cevno d’un 
modello d’aratro a doppia orecchia e doppio vomere posti 
l'uno alla coda dell’altro; modello che uno dei nostri colleghi 
non ha guari produsse, e come atto il propose a soddisfare alle 
condizioni del programma, L'’aratro di quella forma ( che nuovo 


133 


non è) fa dall’ inventore proposto per tutt’ altro oggetto che quello 
cui il nostro collega consigliò d’impiegarlo : ma siccome qualun- 
que ne sia il merito esso è fuori del concorso , così non è nella 
competente autorità della deputazione di proferire verun giu- 
dizio . 

Da questa esposizione di fatti rilevasi dunque che dei cin- 
que aratri presentati al concorso, tre soli fra questi offrirono dei 
resultati suscettibili d’esame. E se ora si paragonano gli uvi 
cogli altri i resultati avati dai tre aratri, e quindi un egual 
confronto s'istituisce fra quelli e gli effetti che colla vanga si 
ottengono , ben poco si scorge esser la differenza fra il lavoro 
d’aratro e aratro, dovecchè massima d’altronde comparisce la dif- 
ferenza che passa fra il lavoro di aratro e di vanga. E di 
fatti gli sperimenti eseguiti alle Cascine il 20 del cadente me- 
se, alla presenza dei deputati, hanno mostrato che gli strumenti 
messi alla prova, non solo non hanno prodotto l’effetto della 
vanga, conforme richiede la seconda condizione del pro- 
gramma, ma che non ne hanno neppur sodisfatto l’ultimo 
quesito, col quale, se io mal non mi appongo, l’ accademia altro 
non chiede che quello sminuzzamento di terreno che è compati- 
bile colle operazioni della vanga o di altro strumento tagliente, 
e non quella divisione o attenuazione di parti che la macine 
sola potrebbe effettuare : ì 

Dopo le considerazioni analoghe ai suddivitati fatti, la de- 
putazione ha creduto che non siavi luogo all’aggiudicazione della 
medaglia di 4o zecchini, come premio di giustizia nei termini 
espressi dal programma. Ma riflettendo d’altronde che gli studi, 
le fatiche, e l’esperienze di alcuni fra i concorrenti hanno con- 
tribuito , e sempre più contribuiranno a migliorare e spingere 
verso la perfezione l’arte di lavorare il suolo coll’aratro ; e 
riflettendo inoltre che se paghi non sono i voti dell’ accademia 
sul richiesto aratro, ne è però soddisfatto in parte l’ oggetto 
(quello essendo come fu sempre di promuovere l’indastria e 
perfezionare le pratiche agrarie ) la deputazione , previa |’ annuen- 
za dell'accademia, ha accordato 25 zecchini a titolo d’ incorag- 
gimento all’ aratro coltro esibito dal sig. M. Ridolfi, come 
quello che dette dei resultati più soddisfacenti degli altri, sì per la 
profondità del lavoro che per il rovesciamento del terreno. Di- 
stinse quindi con altro incoraggimento di 15 zecchini 1’ aratro 
coltro dell’esperto hifolco Gennai, il cui lavoro, benchè meno 
profondo di quello dell’ altro, pure meritò una particolar at- 
tenzione; e si limitò finalmente a far dell’aratro-coltro del 


134 

sig. Romanelli una onorevole menzione, colla protesta che nel 
giudizio non avrebbe esitato a decidersi in favore di lui, se 
non si fossero di quell’aratro conosciuti gli usi, se non si 
trovasse come sì trova nelle mani di vari proprietari sotto il 
nome di Zerticajo, se in una parola in vece di essere di co- 
gnito aratro una copia, fosse stato se non nuovo ed originale 
almen dissimile da quelli descritti o altrove usati, conforme 
l'accademia col suo programma il richiedea . 


Osservazioni sopra un’ opera intitolata — Antichità Greche del 
Bosforo Cimmerio. Pietroburgo 1823. in 8. — £4 altri opu- 
scoli numismatici di S. E. il sig. Car. KéHLER consiglier 
di stato. ec. ec. 


Tra le scienze che a’ dì nostri hanno ricevuto aumento con- 
siderabile è senza dubbio la numismatica. La moltitudine e va- 
rietà de’ viaggi, ed i nuovi scavi hanno accresciuto mirabilmente 
la quantità delle medaglie sconosciute prima a’ nnmismatici ; la 
critica e l’ erudizione n’ hanno profittato per l’ utile della storia 
e della geografia. Ma come addiviene di tutto ciò che dall’ esser 
oggetto delle riverche e dello studio dei veri dotti passa a di- 
ventare bersaglio dell’ ambizione di molti, e dirò anche della 
moda: subito si moltiplicano gli errori; si aguzza l’ ingegno per 
tessere inganni ai meno esperti: così della numismatica si occupa 
a’ dì nostri una folla di dilettanti, che provveduti di denaro per 
acquistar medaglie in bondato, son poi scarsissimi della dottrina, 
e della erudizione ; ed i veri dotti si rammaricano delli inganni 
che vanno moltiplicandosi colle fabbriche de’ falsarii; e degli er- 
rori che si accreditano dalla smania di coloro, che per illustra- 
re le di loro pretese rarità non risparmiano spese né di stampe 
magnifiche e nè di comentarii. Per far argine a tali abusi non se 
ne stanno colle mani a cintola i sapienti numismatici; e tra que- 
sti specialmente il celebre sig. Domenico Sestini , che scrisse 
non ha molto un opuscolo inserito in questo giornale; ed ora 
ci facciamo un dovere d’ annunziare l’ opere più recenti del 
sig. cav. Kohler, consiglier di stato di S. M. l’ Imperator di 
tutte le Russie, e conservatore dell’ I, e R. Museo delle an- 
tichità a Pietroburgo. In questo medesimo giornale fu già parlato 
d’ altri dotti lavori numismatici del cb. autore, e fra gli altri 
di quello intitolato Medaglie greche appartenenti ai re della 
Battriana ed altre d’ alcuni re del Bosforo-Cimmerio . Pietro- 


135 
bargo, 1822. Nell’ anno successivo 1823. pubblicò an suppli- 
mento alle medaglie de’ re della Battriana; ed in esso ci fece co- 
noscere un re ignoto di quella dinastia, che ricavasi da un me- 
daglione in argento acquistato nella Buccaria dal sig. barone di 
Meyendorff. Demetrio principe della famiglia reale della Bat- 
triana è spesso rammentato dagli antichi autori, ma non col tito- 
lo di re. Il medaglione prova che Demetrio figlio del re Euside- 
mo fu anch’esso insignito del titolo di re. 

Il ch. autore nel pubblicare questo importante monumento 
non lasciò di accennare alcune particolarità di tal re ; come di 
essere stato dotato di eminenti prerogative ; e che allor quando 
Antioco il grande re di Siria irritato contro Eutidemo padre di 
Demetrio volea farlo decadere dal trono , Eutidemo gli spedì il 
suo figlio Demetrio per fare un trattato di pace ; Antioco sor- 
preso dalla avvenenza del giovine Demetrio promise di dargli 
in isposa una delle sue figlie, e confermò Eutidemo nel regno 
della Battriana, con un trattato di alleanza ; avvenimenti acca- 
duti l’anno 2. dell’ O limpiade 143, che corrisponde all’ anno 207. .{ 
avanti l’ era nostra. 

Dopo quest’ interessanti opuscoli numismatici S. E. il sig, 
consigliere K6hler avendo letto il libro pubblicato dal ch. sig. 
Raoul-Rochette intitolato ,, antiquités grecques du Bosphore Cim- 
mérien. Paris 1822. scrisse l’ opera intitolata. Remarques sur ur 
ouvrage intitule antiquités grecques du Bosphore-Cimmérien. St. 
Pétersbourg. 1823. in 8. In fine dell’opera si contiene /a notice 
sur les medailles de Rhadameadis, roi inconnu du Bosphore- 
Cimmérien , découvertes en Tauride en 1820 par M. le colo- 
nel de Stemphovski. 

Il nome di M. Raoul-Rochette, dice il signor consigliere K6- 
bler nella prefazione, basta per far concepire interesse per le 
antichità greche del Bosforo. I suoi compatriotti debbono esser- 
gli grati, perchè ha loro fatto conoscere molti antichi monumen- 
ti che si trovavano dispersi in varj libri poco noti in Francia; ed 
è ben da lodarsi per la sua lealtà nel confessare d’ essersi molto 
giovato delle comunicazioni fattegli da M Stempkovski di mo- 
numenti dal medesimo scoperti, come dei disegni di medaglie, 
copie d’ antiche iscrizioni , e per usare le parole del medesimo 
sig. Raoul-Rochette, d’ averne ricevuto plusieurs idees tres inge- 
nieuses concernant la nature et explication de ces monumens. 
Ma dando tutta la lode ai sentimenti di riconoscenza esternati 
dal sig. Raoul-Rochette, è cosa ben dispiacevole, continua il sig. 
Kénler, che sia stato così mal corrisposto nella scelta de’ monu- 


136 
menti che fanno il soggetto della sua erudizione in quest’ opera. 
Infatti non ci presenta che delle medaglie o mal conservate, o 
falsificate da falsari mal pratici, o mal disegnate; perlochè le ta- 
vole delle medaglie unite all’ opera non danno idea veruna degli 
originali che rappresentano. 

Per quel che concerne alle antiche iscrizioni, non è stato il 
sig. Raoul-Rochette più fortunato; imperciocchè formicolano 
d’ errori per essere state mal copiate sul luogo, o trascritte dalle 
copie da persone incapaci a questo lavoro , e fra le altre. quella 
della tavola IV. N.° 3. non ha veruna rassomiglianza con l’ ori- 
ginale; onde non può esser d’ utile alcuno. 

Stando in questo piede le cose è ben compatibile il sig. Ra- 
oul-Rochette , se fidandosi a questi così inesatti monumenti , è 
caduto in molti sbagli; i quali si propone di mettere in vista il 
sig. consigliere Kohler, perchè la meritata fama del sig. Raoul- 
Rochette non abbia a far tenere in conto di verità quello che e- 
gli stesso ha creduto vero, ingannato dalla presunta esattezza dei 
monumenti a lui comunicati. 

Noi non possiamo diffonderci nel riportare de’ saggi della cri- 
tica e della erudizione con le quali il ch. autore giustifica quan- 
to dichiara nella prefazione ; ma raccomandiamo la lettura di 
questo libro, sicuri di non essere smentiti nella espettativa de; 
lettori non solo intendenti della numismatica , ma della storia e 
della più scelta filologia. 

Ultimamente lo stesso Ch. autore ha pubblicato ,, La descri- 
zione d’ una medaglia di Spartaco re del Bosforo-Cimmerio con- 
servata nel museo di S. E. il sig. conte di Romanzoff, con un sup- 
plimento contenente la descrizione di varie medaglie greche assai 
rare, ed inedite del medesimo museo. Pietroburgo 1824 in 8.° con 
tre rami. 


S. C. 


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== 


——_——————_——-_—_———_——1_"“ "neri Reti er” ann wa aa e oaegéiaì’[o«\il 
; SS SIOMETDASEZZA) 


137 


DE LA LIBRE DEFENSE Ec. Della libera difesa degli accusati, 
del sig. DuPin, avvocato. Nuova edizione aumentata e cor- 
retta. Parigi 1824. B. Warée figlio maggiore. In 18. di 130 
pagine ; prezzo 2. franchi, con l’epigrafe. — Provident hu- 
mano generi causarum patroni , qui gloriosae vocis con- 
fisi munimine, laborantium spem, vitam et posteros defen- 
dunt. L. 14. cod. de advocat. divers. judic. (1) 


Il primo bisogno dell’uomo è la personal sicurezza: quindi 
la prima legge politica è quella che l’ individuale libertà gua- 
rentisce. E il cittadino si gode questa guarentigia nella giusti- 
zia delle leggi, e nell’applicazione di essa retta sì per il potere 
de’ giudici come per la forma de’ giudizi. 

Primamente le leggi, oltre il permettere all’ uomo il più 
esteso possibile esercizio delle facoltà sue, devono le vietate a- 
zioni impedire con un ostacolo proporzionato al danno che ne 
verrebbe, poichè ,, quando il male della pena eccede il male del 
delitto, il legislatore produce più patimenti di quelli che avreb- 
be prevenuti , e compra l’ esenzione di un male al prezzo di 
un male più grave ,, (2). 

In secondo luogo per l’ applicazione delle leggi, retta ri- 
sguardo al potere de’ giudici,, é duopo, dirò con un profondo 
scrittore italiano, è duopo che l’ ordine giudiciario sia nelle 
sue funzioni dipendente dalla legge, ed indipendente dalle pas- 
sioni armate di. potere ; sia dipendente da un personale senti- 
mento di verità e di giustizia , ed indipendente dagl’ interessi 
privati del giudice. ,, 

Finalmente l’ applicazione è retta quando la forma del giu- 
dizio è il miglior possibile metodo critico per la ricerca del 
vero: (3) concilia una gran lentezza per non sagrificar l’ inno- 
cente con una gran celerità per conseguir l’ oggetto politico della 
pena (4): ed è religiosamente immutabile ed immutato in tutte 
le accuse, e per qualunque accusato . 

Questi tre soli elementi della guarentigia all’ individuale 
libertà, sono i tre soli mezzi che sodisfar possono e devono al 
primo bisogno dell’ uomo. Per lo che il dirigere all’ intento 


(1) Vedi Antologia N. 4a. Giugno 1824, pag. 177. 
(2) Bentham, tom. 2. Principes du Cod. Pénal. Troisième partie, 
Chap. I. 


(3) Riforma criminale dell’ immortal Leopoldo de’ 30. novembre 1786. 
paragrafo 32. 


(4) Mario Pagano. Processo criminale, Cap. 2. 


1383 


l’uso di essi, forma l’unico scopo per la scienza della pubbli- 
ca e privata sicurezza. Essa ha dovuto necessariamente seguire 
il naturale ordine progressivo dei tre mezzi indicati, nel dar o- 
pra a consolidare la prima base della società, incontro all’ urto 
. degl’individuali interessi e dell’ arbitrio giudiciale- 

Infatti le prime specalazioni degli scrittori politici, dopo il 
risorgimento della civiltà, furono volte a rettificare la imputa- 
zione degli atti proibiti, ed a sanzionare nelle pene i metodi per 
impedirne la rinnovazione; ch’ è quanto dire a render giuste le 
leggi, contenendole ne’ limiti della politica necessità. 

Immediato fa il passo per dar moto alle leggi . Perlochè 
l’andamento de’ criminali giudizi risguardo al potere indipendente 
delle pubbliche persone, che solo esser devono leggi parlanti, fu 
l’ alto e difficile subietto ove i principii teorici cautelarono la 
individuale libertà, approfittandosi degli errori de’ secoli trascorsi. 

Non potevasi per altro dirigere a dovere il movimento della 
legge per l’ ufficio de’ magistrati, senza loro imporre una norma 
indeclinabile, determinando le forme inalterabili degli atti. Fu 
questo il campo che tennero gli scrittori sul processo criminale. 

Tuttavolta più facile fu perfezionare le leggi, e stabilire 
il potere e le forme giudiziali, che infrenare gli esecutori, che 
vincere cioè le passioni dell’uomo; e tal pur sempre è il ma- 
gistrato . 

Il metodo giudiziale, abbenchè giusto e critico, non sarebbe 
che un savio ma inefficace desiderio del legislatore, se venisse da 
chi si sia ed in qualsiasi modo vincolato. Ecco della scienza 
nel terzo assunto suo lo sforzo più faticoso ed ultimo; ultimo 
contrasto col sempre risorgente arbitrio; ma contrasto che de- 
signa l’ estremo perfezionamento della guarentigia alla sicurezza 
de’ cittadini . 

Im questo stadio (5) coopera validamente il sig. Dupin nel 
suo libro, del quale imprendiamo a dar conto. 

(6) ,, Sorge, dice il sig. Dupin nell’ oggetto di questo scrit- 
to, sorge talora una lotta fra l’ avvocato e i magistrati che 
sostengono o dirigono l’ accusa. L’ autorità è sempre da un lato, 
ma la ragione può esser dall’ altro. Chi terrà frattanto la bi- 
lancia fra l’avvocato che reclama ed il giudice che decide? Vi 


(5) Questo stadia è solamente teorico , poichè in Francia non v'è 
che il nome del Jury, come può rilevarsi dall’istoria del îsig. Aignan. 
V. Antologia . 

(6) Tutte le parole rinchiuse fra due lineette son parole dell’auto- 
re fedelmente tradotte . 


===" 


139 
sono a quest’ oggetto i principii regolatori e della condotta del 
magistrato e di quella del difensore — Dichiarare questi prin- 
cipii, ecco il suo scopo: e a ciò lo mosse — principalmente il 
fine di ribattere l’ errore degli uomini appassionati, che hanno 
avuto l’ imprudenza d’ asserire, non potere gli avvocati difendere- 
gli accusati per delitti di stato senza rendersi per così dire loro 
complici ,, (7°. 

Ma per incoraggiare i suoi colleghi riporta il N. A. il con- 
siglio della stessa sapienza. ,, Erue eos qui ducuntur ad mortem, 
et qui trahuntur ad interitum liberare ne cesses ,, (8). E così 
conchiude — ,, La nostra professione ha per certo le difficoltà sue: 
la lotta incontro al potere è sempre penosa, e talvolta non senza 
pericoli. Ma vi sarà sempre per confortarci questa immensa su- 
periorità della difesa sull’ accusa: che l’ accusa è sovente sog- 
getta al rimorso: la difesa non mai. ,, 

Convinto |’ A. che la difesa è di naturale diritto ( verità 
in seguito dichiarata amplamente ) premette nel $. 1. la neces- 
sità di un sistema inalterabile di giudicare; e ne deduce — Che 
le forme le quali nelle materie civili son puramente conserva- 
trici divengono sacramentali in materia criminale , allorchè si 
tratta non più solo delle fortune, ma dell’ onore, ma della vi- 
ta de’ cittadini. 

La difesa è di naturale diritto: ecco la massima fondamen- 
tale, di cui l’intiero $. 2, è una dimostrazione ; e gli altri 
tante conferme, Questo diritto esige tutta la possibile latitudine 
nel suo esercizio. Quindi non ascoltar l’ accusato è un latroci- 
nio, non un giudizio (9). Questo diritto naturale di piena e li- 
bera difesa è nell’ ordine fisico, perchè lecito è rispingere la 
forza con la forza: è nell'ordine morale, perchè — ,, quello che 
geme sotto il peso d’un’ accusa ha il diritto di parare il colpo 
che lo minaccia, difendendosi con i mezzi che la sua intelligen- 
za gli suggerisce, vale a dire col ragionamento e la parola, che 
ci sono stati dalla bontà divina donati per apprendere, insegnare, 
discutere , comunicare fra noi, rafforzare i vincoli della civil so- 


(7) Gli uomini appassionati si trovano per tutto. Io in un luogo pub- 
blico udii un cotale di certa corteccia che come nel viso dava del ru- 
stico , così anco ne’ costumi del barbaro, dogmaticamente sentenziare d’un 
accusato per delitto capitale .,, Colui è un reo da non difendersi,, .... Esecran- 
da bestemmia !! 

(8) Proverb. 24. rr. 


(9) Reum non audiri, latrocinium est, non judicium. Ammian, Mar- 
cellin. N. dell'A. 


140 À 
cietà, e far regnare la giustizia fra gli uomini. Questa legge 
della difesa naturale non soffre eccezioni. Essa è di tutti i tem- 
pi, di tutti i paesi, per tuttii casi, per tutti gli uomini. Iddio 
medesimo ci offre l'applicazione di questa regola. Egli conosce- 
ya il fallo del quale il primo uomo si era reso colpevole . Lo 
punisce forse di subito? No, lo chiama, l’interroga sul fatto 
stesso della sua disobbedienza , e su i motivi che ve lo possono 
avere indotto ,, Adamo ove sei! Che facesti? Perchè ciò face- 
sti? Genesi. ,, 

;, Egli si diportò ugualmente verso Caino. Dov'è il tuo 
fratello Abele? Caino, cosa hai fatto? Genes. Ecco come ri- 
sponde il Signore ai gridi contro Sodoma e Gomorra: scenderò, 
e vedrò; affinchè io sappia etc. Gen. 18. 20. 21. » i 

»» Or quale in tutto questo fu il disegno di Dio se non che 
d’ istruire coll’esempio suo, che non devesi giammai giudicare 
un uomo, comunque colpevole ei sia, o che apparisca, senza 
averlo ascoltato: che bisogna esaminare accuratamente le cose 
stesse di cui credesi essere assicurati, di non disprezzare alcun 
mezzo per verificare se un’ accusa è a dritto, o a torto fondata. 
Io scenderò.... io vedrò .... affinchè io sappia — ,; 

3 Il principio della difesa essendo incontrastabile, conviene che 
non sia sterile ; quindi la necessità del difensore. L’ accusato 
dev’ esser libero nella scelta dell’uomo al quale confidar deve 
il segreto de’ suoi pensieri , de’ suoi errori, della sua debolezza, 
della sua esistenza ( $.3 ). , 

Qui l’autore prende luogo di censurare le leggi del suo 
paese , le quali impediscono la libera scelta de’ difensori; ed in 
vero non può comprendersi come. |’ ordinanza del 20 novem- 
bre 1822 abbia potuto dimenticare che l'avvocato —,, è l’uomo 
di tutti i tempi, di tutti i [uoghi, protettore di tutti gli sven- 
turati, il difensore nato di tutti i cittadini. Circoscrivere il suo 
ministero è attentare ai diritti di tutti. La libertà ch'egli recla- 
ma, e che usa, è la libertà di tutti, poichè a profitto di tutti 

. l’esercita ,,. 

Ma infruttuosa sarebbe la libera scelta del difensore» 
se non potesse poi liberamente comunicare con lui. Le osser- 
vazioni che fa ($. 4.) l’autore, sopra gl’impedimenti che tro- 
vansi in Francia all’ esercizio di questo diritto, ci richiamano 
sul conto nostro a delle considerazioni più generali. 

Serva questa per tutte; la corrispondenza dell’ accusato 
col difensore, oltre esser libera, converrebbe che fosse anco op- 
portuna, che cominciasse cioè col primo atto dell’accusa, e 


terminasse all’ ultimo della sentenza definitiva. Il concederia 
fuori di tempo è un*illusione della ingiustizia . 

Fin qui l’autore analiticamente ha ragionate le condizioni 
dell’ accusato, considerandolo isolatamente; ora nel paragrafo 
quinto scende a stabilire la libertà della difesa innanzi ai 
giudici (10) ,,. Il carattere del giudice è di mostrarsi dolce 
e paziente. Egli tiene la bilancia fra l’accusatore e l’accusa- 
to (11), fra il delitto e la pena. Egli non deve irarsi contro 
coloro che crede colpevoli, nè alle preci de’ miseri impietosi- 
re; è suo dovere restare impossibile, e cercare imperturbabil- 
mente la verità. ,, 

3) Allorchè alla dimanda. Che hai fatto del tuo fratello ? . 
Caino risponde; io nol so; son io custode di mio fratello? 
Dio non entra affatto in collera, nè mostrasi affatto offeso di 
questa risposta insultante, non scaglia affatto il fulmine, con- 
tinua le sue dimande. — Il Signore riprese ,, Caino, ch' hai 
Jatlo'?*,, 

3» Io non intendo di parlar solamente qui delle obbii- 
gazioni che ha il giadice d’interrogare l’accusato con au- 
sterità, senza rozzezza; con modi diretti e senza studiata 
sottigliezza, senza farsi gloria (12) d’imbarazzare con delle 
questioni suggestive un digraziato che ordinariamente ha più bi- 


(10) Tutto che secondo il sistema giudiziario francese dice il N. A. 
sopra la libertà della difesa all’ udienza o pubblico dibattimento, si può be- 
nissimo applicare ai compilatori del processo secondo le nostre forme. 

(11) Questo per altro non potrà mai accadere, finchè il processo 
sarà una lotta diseguale fra l’imputato ed il fisco. ( V. M. Pagano ) Que- 
sto nome de’ tempi infelici non ‘si può dare al ministero custode della 
legge, ma si può convenientemente applicare e chiunque abusa il potere 


‘per rompere l’imparzialità de’ siudizi. L'accusa non deve goder privi- 
Ss S P 


legi. A questo proposito saviamente la istruzione del 12 luglio 1814 sul 
'l'oscano regolamento criminale ordina ai compilatori de’ processi d’aver 
sempre presente che un imputato sottoposto a processo non è colpevole, e 
che fino al momento in cui una sentenza irretrattabile lo dichiari tale, 
prevaler deve il diritto che ha ciascuno d'esser creduto innocente — Ma 
la consuetudine ad onta della luce del vero mantiene il dominio degli 
errori, eredità funesta dei barbari secoli. E abbenchè i resultati delle 
oro instituzioni siano riconosciuti assolutamente dannosi, pure nel secolo 
decimo nono trovano molti Apologisti di fatto, che agiscono. per quanto 
possono nel modo umano di que’ tempi leggiadri, sì bene al, loro intel- 
letto e cuore accomodati. La storia di una moderna celebre causa crimi- 
nale, già difinitivamente decisa, proverà fra non molto quest’ asserzione. 
(12) Tal era Tiberio, col quale ,, saepe confitendum erat, ne frusira 


quaesivisset, Tacit. III. Annal. 69. N. dell'Autore. 


142 
sogno d’essere rassicurato che circonvenuto.. Ma io ho in vista 
soprattutto la difesa che comincia propriamente ove la instru- 
zione finisce , che consiste nel ribattere i capi d’accusa, e nella 
discussione ragionata di tutti gli aggravi prodotti contro l’ac- 
cusato: negar questa difesa sarebbe un delitto (13), accordarla, 
ma non libera, è tirannia (14). » 

3» Il decemviro Appio non ricusa precisamente di ascoltare 
Virginio, ma ogni momento rompe il filo del suo discorso con 
delle brusche domande, mentre ascolta il suo fido Claudio 
con una compiacenza rimarchevole ,, 

3 Tacito rimprovera Tiberio d’aver mostrato contro Silla- 
no una simile parzialità. Qual giudice, io dimando, vorrebbe 
esporsi all’onta d’essere assomigliato per la sua condotta ad Ap- 
pio ed a Tiberio? ,, 

» Questo diritto sacro d’una libera difesa era talmente 
radicato nello spirito de’ Romani, che Tiberio stesso non 
credè sempre poterne privare gli accusati. ,, 

»» Le leggi romane raccomandano ai magistrati d’ essere 
impassibili, e di proibirsi il muovere di capo, l’aggrottare del 
ciglio, e tutti i segni che scuoprono i movimenti della loro 
anima, e le passioni da cui sono segretamente agitati (15). ;, 

3» Se in materia civile è vero che savio è il giudice che ascolta , 
e tardo decide; perchè di stolto giudice è pronta la senten- 
za, e chi vuol ben giudicare ascolta la parte (16); ciò più 
rigorosamente richiedesi nelle materie criminali. Non mi si obbietti 
la perdita del tempo; vi è sempre tempo a condannare; ma 
non si deve limitare la difesa degli accusati. Ogniqualvolta 
ascendo la tribuna, diceva Plinio il giovine, accordo tutto il 
tempo che mi si domanda, poichè deve il giudice principalmente 
alla sua religione, la pazienza, la quale è una gran parte della 
giustizia. Plinio, 6. Epistola 2. ;, 


(13) Ammiano Marcellino chiama ciò ,, nefas ultimum ,,. IV. dell'A. | 

(14) Ayrault, de l’ordre, formalité et instruction judiciaire, lib. primo; 
n. 8. N. dell'A. 

(15) Leg. 1o ff. di officio praesidis. N. dell'A. Uniforme è la so- 
vrana disposizione; luogo citato ,, ivi ,, I R. Governo è nella fpiena fi- 
ducia, accresciuta dalla esperienza de’ passati tempi, che si asterranno 
(i processanti ) scrupolosamente da qualunque invettiva o minaccia e da 
qualsisia durezza di maniere, dalle quali esser potesse turbata o diminui- 
ta la liberta d’intelletto di cui deve godere in tutta la sua estensione 
l'imputato medesimo, onde riunire i mezzi tutti di difendersi ,,. 

(16) Loisel, Institutes Coutumieres. L. VI, tit. 3. N. 12, Noce 
dell’ Autore, 


143 

Continua l’ autore nel $. 6. ad osservare che la libera dife- 
sa è necessaria all'|interesse della giustizia, e all’onore stesso 
dell’accusa. ,, Vi sono, egli dice, senza dubbio dei casi in cui 
la reità è sì evidente da far temere del buon esito della difesa : 
non importa ; la difesa è così indispensabile, che in tutti i casi, 
senza eccezione veruna, la legge vuole sotto pena di nullità 
che l’accusato abbia un difensore (17) . Dovesse questo difensore 
non dir che due parole: allegar la demenza del suo cliente ; 
implorare la clemenza de’ giudici; o esporre qualche altro 
luogo comune; basta che alzi la voce in favor dell’accusato. 
Senza questo non. si potrebbe dire che la giustizia è stata 
fatta, si crederebbe sempre che l’accusato sia stato condannato 
perchè inabile era a difendersi da sè stesso. Questa maniera 
di pensare è così generale, che può dirsi esser la difesa volu- 
ta tanto dall’interesse della giustizia , quanto da quello dell’ ac- 
cusato . ;, 

3; Vi sono molti esempi d’ assoluzioni pronunziate senza aver 
udito l’ accusato, ma non deve esser così delle condanne. Per 
quanto evidente apparisca il delitto, per odioso che sia il reo, 
il loro effetto sopra il pubblico è sempre mancato, se le forme 
suono state violate, se l’accusato non è stato pienamente inte- 
so, 0 messo in stato di potersi far intendere. ,, 

3» Aristide disse ai giudici che volevano condannare un reo 
senza ascoltarlo,, questa non è giustizia ma violenza ,,. Un'altra 
volta la petulanza de’ giudici Ateniesi fu ancor messa alla prova : 
l'accusa di Agonide contro Focione e i suoi pretesi complici 
era stata rimessa avanti al popolo. Tutti i buoni erano col- 
piti da terrore, talmente che non v'era più persona che osas- 
se parlare per Focione, ma avendo difficilmente ed a. gran pena 
ottenuto un momento di silenzio, egli dimandò loro — Atenzesi 
come ci volete far morire? giustamente o ingiustamente ? 
— Qualcuno rispose giustamente, — e come, soggiunse egli, 


lele) 


lo potete voi fare se ci avete tolte le nostre giustificazioni? ,, 


(19) La difesa deve sempre integrare il giudizio quand’ anco 1’ impu- 
tato la ricusi. Quella in tal caso deve farsi ratione humanitatis. Vedi 
..a questo proposito Cremani (De Jure Crim. L. 3. C. 29. n. 1 e 2) che 
sostiene la necessità perpetua della difesa e per qualunque personalità del 
. reo, e qualità del delitto — ,, È legge di natura il difendersi ; nè possono 
. senza la massima delle ingiustizie e de’ torti negarsi le difese ad un reo, 
sebbene ancora confesso e convinto — ,, Poggi Illustrazioni alle istruzioni 
per compilare è processi criminali, dell’Auditore Paoletti — Firenze 1816. 
pag. 55. 


144 PR 

3» Alcune volte qualche potente inimico dell’accusato, o la 
qualità del delitto che gli s’ imputa, desta nel popolo uno sfavo- 
re contro di lui, di modo che la pubblica pregiudicata. opinio- 
ne chiama la condanna. Il dovere de’ magistrati in simili casi è 
di mostrarsi impassibili, eglino devono mirare al loro. scopo 
ch’è la giustizia, senza lasciarsi trasportare 0 rimuovere dai po- 
polari clamori (18); e non fare come Pilato, che condannò Gri- 
sto, perchè magistrato pusillanime, cedeva alle passioni, e allo 
spirito di parte scatenato contro di lui (19) ;;- 

», Il popolo d'altronde è sì incostante, sì lieve, sì mutabi- 
le di subito, che piccola causa lo porta da un estremo ad un altro, 
e in un istante attuta il suo odio, per fargli ascoltare solo pie- 
tà. Si può ancor dire che quest’ultimo sentimento è più gene- 
ralimente sparso nella moltitudine , perocchè egli è più conforme 
all’umana natura. L’assoluzione degli accusati è quasi sempre 
ricevuta con acclamazione. Le condanne al contrario lasciano 
un'impressione di tristezza , che l’accusato istesso ridotto al si- 
lenzio sembra dividere. Il più sicuro mezzo adunque di fissare 
la pubblica opinione sopra un giudizio, è quello d’ osservarne le 
formalità prescrittte dalle leggi. ,, 

» Quando il delitto è legalinente provato, la difesa esauri- 
ta, e gli accusati pienamente convinti, allora la punizione di 
essi sarà efficace , perchè il popolo persuaso della loro colpabili- 
tà unirà le sue esecrazioni alla sentenza de’ giudici. Ma se al 
contrario i giudici si sono contentati di presunzioni vaghe , d’in- 
dizi incerti, di congetture azzardate, se hanno negletta qualche 


(18) Non sequeris turbam ad faciendum malum; nec in judicio plu- 
rimorum acquiesces sententiae, ut à vero devies. Exod, cap. 23, v. 2. 
Vanae voces populi non sunt audiendae; quando aut noxium crimine ab- 
solyi, aut innocentem condennari desiderat. ZL. 12 C. De poenis 

Justum ac tenacem propositi virum, 
Non civium ardor prava jubentium, 
Non vultus instantis tyranni 
Mente quatit solidà. 
: Horat. Lib. III, od. 3. IV. dell'A. 

(19) Io pubblicherò un giorno l’esame del processo di Gesù Cristo 
che si è dovuto chiamare la passione, perchè in effetto egli ha patito, 
passus est , e non è stato realmente giudicato. Vi si vede il giusto tradito 
da un suo discepolo che la polizia aveva tomprato , perseguitato dallo spi- 
rito di setta peggiore ancor dello spirito di partito: là si sviluppa la poli- 
tica odiosa de’ Pontefici giudei, l' orgoglio de’ Farisei, e la collera de- 
gli Scribi; accusato senza esser difeso, condannato senza che si potesse 
convincerlo , messo a morte con insulto. Questa lunga scena d’iniquità 

tutta passione. Nota dell’Autore . 


aa 


145 
forma, l’effetto è mancato , il popolo stesso passa subitamente 
dalla collera alla’ commiserazione , cessa’ d’applaudire alla morte 
dei colpevoli; per piangere la morte di coloro che riguarda come 


‘ illegalmente condannati. 


33 Tanto è vero, che 1’ osservanza scrupolosa delle forme 
e la libertà della difesa ;) sono per gli accusati, come per il 
pubblico la miglior, guarentigia' per la giustizia ‘delle condan- 
he!,, 

L’autore nel settimo ed ultimo paragrafo compie lo scopo 
del suo trattato mostrandò quanto sia necessario ed onorevole il 
ministero degli avvocati. Egli ragiona ‘con tutta la forza della ve- 
rità per distruggere le voci dell’ ignoranza , i sofismi della pre- 
potenza , che vede negli avvocati un forte ostacolo per lo sfogo delle 
sue passioni a danno della giustizia. Noi non riportiamo il suo 
ragionamento , poichè nè la brevità d’ un articolo, nè il pubbli- 
co bisogno il richiedono. Dico che ciò non richiede il pubblico bi- 
sogno, avvegnachè fra noi ben sì apprezzi l’importanza del no- 
bile ufficio di patrocinatore. 

Il nostro autore termina facendo un voto. Egli chiede che 
sia dato alla Francia un processo che contenga i requisiti, che 
in seguito enumera. È inutile il tradarli poichè sono i miglio - 
ramenti da portarsi ad un sistema inusitato da noi. Basti assi- 
curare che per mezzo di essi sarebbe guarentita la pubblica 
quiete, e la privata libertà. 

Abbia compimento il suo voto non solo ‘nella francese ma 
in tutte le nazioni! VAS. 


— _——————_———_mmt—mÉ__ —__ 


IL TESORETTO e :/ FAVOLETTO di ser BRUNETTO LATINI, ri- 
dotti a miglior lezione col soccorso dei codici, e illustrati 
dall’ abate Gio. BATISTA ZANNONI accademico residente del- 
la Crusca, e segretario della medesima: Firenze presso Giu- 


seppe Molini 1824. 


Brunetto , figlio di Buonaccorso Latini, notaro per arte sua 
principale, ma uomo di gran senno, e valente in alcune delle li- 
berali arti e in filosofia, fu mandato ambasciatore da’ guelfi di 
Firenze nel 1260 all’ imperatore Alfonso di Spagna. Morì quindi 
in Firenze, sua patria , nel 1294 . Ho riferito dapprima questi 
due fatti, perchè essi soli hanno data certissima. 

Non sappiamo in che anno Brapetto nascesse . Alcuni con- 
getturano nel 1230. Il Zannoni Opia, per buone cause, intorno al 


T. XIV. Novembre 10 


146 

1220. Se la notizia trovata dal Biscioni è vera : che Bianca fi- 
gliuola di ser Brunetto Latini fosse moglie di Guido di Filippo 
da Castiglionchio nel 1248 : parmi dover essere anteriore anche 
al° 1220 la nascita del nostro notaio. 
Non sappiamo se Brunetto, finita 1’ ambasceria , tornasse in 
Firenze; e di qui poi si trasferisse in Francia: ovvero se partito 
dalla patria nel 1260, qui non tornasse che dopo aver dimorato 
appresso i francesi . Il Zannoni è del primo parere. Ma se come dice 
il Malispini, innanzi che fosse fornita l’ ambasceria, i fiorentini 
furono sconfitti a monte Aperti a dì 4 di settembre 1260 : se i 
guelfi si ritirarono dalla città a dì 13 del medesimo mese, cioè 
nove soli giorni dopo la sconfitta: è lecito dubitare se Brunetto 
avesse tempo a ripatriare innanzi la cacciata de’ guelfi. 

Non sappiamo quanto tempo il Latini facesse soggiorno in 
Francia, Il Zannoni dimostra che Brunetto era già ripatriato nel 
1269, e che poi morì in Firenze, avendo sepoltura in Santa Ma- 
ria Maggiore, sua parrocchia. 

Sappiamo che Brunetto , tornato di Francia, fu maestro a 
Dante Alighieri. Non abbiamo prova storica per dichiararlo pure 
maestro di Guido Cavalcanti, benchè sia da credere; come opina 
il Zannoni, che il Latini fosse, per consiglio almeno se non per 
magistero , utilissimo a Guido e a molti altri giovani di Fi- 
renze, 

Sappiamo che Brunetto fu dittatore del comune fiorentino. 
ll Zannoni dichiara: dittatore del comune quegli è che scrive su 
ciò , di che il comune gli dà incarico ed argomento . Brunetto 
stesso, in una scrittura del 1273, si dichiara: Ego Brunectus de 
Latinis notarius,nec non scriba consiliorum comunis Florentiae. 

Conosciamo alcune opere di Brunetto, il Tesoro da lui scrit- 
to in prosa francese, il Zesoretto e il Favoletto da lui scritti in 
versi italiani, e varie operette in prosa pure italiana. Ma non co- 
nosciamo che per titolo altre opere a lui attribuite . Nè è sua 
quella strana e ridicola composizione, che.a nome suo stampata, 
chiamano il Pataffio. Il prof. Francesco del Furia ha dimostra- 
to essere il Pataffio posteriore a’ tempi di Brunetto: e un codice 
della Laurenziana attribuisce il Pataffio ad uno de’ Mannelli. 

Il Zannoni ragiona con molto discernimento intorno alle o- 
pere ed alle qualità di ser Brunetto. Noi produrremo qui le so- 
le sue parole relative a’ versi, di che si è fatto editore. ,, I versi 
del Tesoretto e del Favoletto , componimenti pregevolissimi ri- 
spetto alla lingua, se per lo più sono fluidi, e talvolta anche di 
troppo; han però a luogo a luogo durezza ed oscurità: vizio na- 


147 
to dalla difficoltà di esporre in quel tempo con versi rimati ma- 
terie di severo argomento: della qual difficoltà non tacque il La- 
tini nel Tesoretto. ,, Questo componimento poi non fu al certo 
scritto da Brunetto prima che egli uscisse di Firenze , come o- 
pinava il Boccaccio. Il gran numero di vocaboli tratti dal fran- 
cese dinotano in qual luogo il Latini scrivesse. Ed è certamente 
il 'Tesoretto anteriore al tesoro. E bene ha fatto il Zannoni se- 
parando il Favoletto dal Tesoretto , amendue finora congiunti 
insieme contro ogni ragione: egli dà così ragguaglio del Tesoret- 
to. ,, Datasi dal Latini in principio sua lode a quello, cui esso 
è intitolato, narrasi per lui medesimo come spedito fu da’guelfi 
al re Alfonso, e come, fatto consapevole della rotta data alla 
parte guelfa da’ ghibellini a monte Aperti, torse il cammino, e 
smarritosi in una selva trovò la natura, la quale parla a lui di Dio, 
del creato, della redenzione, delle potenze dell’ anima umana, e 
della sua sede nel cuore, de’ cinque sentimenti, delle varie com- 
plessioni degli uomini, degli elementi, de’ pianeti, de’ quattro fiu- 
mi che scatarivano dal paradiso terrestre, delle varie generazio- 
ni degli animali , dell’ oceano, delle colonne d’ Ercole, e della 
navigazione al di là di esse. Dopo questo la natura gli dà co- 
miato', e gli comanda di far viaggio per la vicina selva, dicen- 
dogli che vedrà Filosofia, le quattro Virtù, Iddio d’Amore, e, se 
piacciagli, la Ventura e la Baratteria. Passata Brunetto una valle 
deserta e tenebrosa, trovasi il terzo dì in una pianura gioconda, 
nella quale scorge regi , grandi signori , e maestri di scienze, e 
sopra tutti vede stare un’ imperatrice chiamata Virtù , che ha 
quattro figlie regine, ciò sono Prudenza, Temperanza, Fortezza, 
e Giustizia, corteggiata ciascuna da donne reali, delle quali egli 
ne nomina sole quattro, cioè Cortesia, Larghezza, Leanza, e Pro- 
dezza; le quali danno be’ consigli a Brunetto, e ad uno straniero, 
cui si era egli accompagnato. Questi va in sua terra, e Brunet- 
to seguita l’ intrapreso viaggio per brama di veder Ventura ed 
Amore. Ritrova questo, e assai persone vede appresso lui, quali 
liete e quali triste. Allora fatto senno, risolve di ritornar a Dio, 
da cui erasi per sue trasgressioni allontanato , Confessa in Mon- 
pelieri i suoi peccati , e più non va in traccia di Ventura ; ma 
tornato alla foresta tanto cavalca , che alla fine trovasi in sulla 
cima del monte Olimpo. Qui vede Tolomeo, e lo mette in ra- 
gionamento sugli elementi. ,, Ma questo ragionamento manca, ed 
il Zannoni lo crede perduto. 

Il Favoletto è una lettera non lunga e in versi, intitolata a 


148 


Rustico di Filippo, scritta anch'essa di Francia, come lo prova! 
no i francesismi, e questi versi: 


E Imiga dimorata , 
Nè paese lontano 

Di monte, nè di piano 
Non mette oscuritate 

In verace amistate . 

Del rimanente il Zannoni è stato diligentissimo nell’ esami- 
nare i codici, e nello scegliere le migliori lezioni : e sempre si 
rimette al giudizio de’ lettori , e dà buon esempio , perchè egli 
accademico, egli segretario al presente dell’accademia, egli come 
i suoi compagni obbligato compilatore del nuovo vocabolario della 
Crusca, non cessa mai dal biasimare i precedenti accademici 
quando abbiano trascurato il loro ufficio , che è tutto nel regi- 
strare, diffinire, ed esemplificare con ordine, chiarezza, ed oppor- 
tunità i vocaboli. Onde ci confidiamo che il nuovo dizionario 
( quando che sia una volta pubblicato ) soddisfarà alla. critica, 
congiunte le correzioni degli accademici con quelle già fatte e 
da farsi dagli eruditi per tutta Italia. L'opera è tanto più diffi- 
cile, in quanto che si richiede (contro l’ esempio delle altre na- 
zioni ) che il dizionario della Crusca sia a un tempo vocabolario 
e glossario della lingua italiana. Prego che sia notata questa dif- 
ferenza . I francesi non hanno ancora nè un compiuto vocabola- 
rio, né, molto meno, un compiuto glossario: opere l’ una dall’al- 
tra separate e diverse. Il glossario è con più difficoltà compilato, 
perchè richiede buone edizioni de’ libri antichi, le quali pur, riz 
chiedono buoni codici e buoni editori. Non avendo i passati ac.. 
cademici tutte queste comodità, mentre assumevano doppia im- 
presa, credo sieno scusabili di molte opinioni conosciute ora fallaci, 
e degni di lode più che non si stima per la bene ordinata parte 
dell’ opera. Il Zannoni con questa nuova edizione ha corretto in 
più luoghi il glossario, e dato migliori esempli di voci e di frasi 
al vocabolario, ripurgando sì le poesie di Branetto che non più 
ne incresce la lettura, e sono intelligibili. Chi non leggerà infatti 
senza tedio i seguenti versi, ov’ è sì buon sentimento ? 


Nè già di tradimento E quando se ’n consiglio 
Non ti vegna talento . Sempre ti tieni al meglio ; 
E vo’ ch’ al tuo Comune Nè prego, nè temenza 
Rimossa ogni cagione , Ti mova in rea sentenza . 
Sie dritto e leale; Se fai testimonianza , 

E già per nullo male, Sia piena di leanza; 

Che ne possa avvenire, E se giudichi altrui, 

Non lo Vasciar perire. Guarda s} ambedui , 


Che già da nulla parte 
Non falsi nulla parte, 

Ù À È 
Dtiatito se’ più porta 3 
Cotanto più ti guarda ; 
Chè la gente non tarda; 
Di portar mala boce 
A uom che sempre noce. 
Di tanto ti conforto, 
Che, se tè fatto torto, 
1 Afrditanitilte | e bene 
La tua ragion mantene 
Non dii la morte; 
Che tu sai per lo fermo, 
Che già di nullo schermo 
Si puote uomo coprire; 
Che non vada al morire 
Quando lo punto vene . 
Però fa grande bene 


Chi s’ arrischia al morire, 


Anzi che sofferire. 
Vergogna, nè grav’ onta. 


Nè non sie trovatore 


i 49 


Di guerra, o di romore 


. Ma se pur avvenisse , 


Chè ‘1 tuo Comuti facesse 
Oste o cavalcata ; 


: Voglio, che ‘n quella aridatà 


Ti porti con barnaggio ; 
E ti dimostri miaggio, 
Che non porta tuo stato < 
E dei in ogni lato 
Mostrar la tua franchezza ; 
E far buona prodezza . 
Non sie lento; nè tardo j 
Che già uomo codardo 
Non conquistò onore, 

Nè divenne maggiore : 
E'tu per nulla sorte 
Non dubitar di morte; 
Ch’ assai è più $iacente 
Morire orratamente, 


, Ch’ esser, vituperato ,. 


Vivendo ; in ogni lato. 

Or torna in tuo paese, 

È sie prode e cortese. 

Non sie lanier , nè' molle ;‘ 
Nè corrente; nè folle: 


Il Zannoni ragiona opportunamente intotno alla parola la= 
nier del penultimo verso : ma 1’ avrebbe forse meglio dichiara- 
\ta ,,se vi aggiungeva ciò che segue ; tratto dal glossario della 

lingua romana che il Roquefort compilò. LANIER: avare , mes- 

TUR, lache ,, poltron, lent; paresseux ; dè LANARIUS , oiseau de 
proie qui a peu de courage , et sd étoit moins estimé que le 
faucon . 

Così nel soit VI; ove si diodi che Eva ruppe la tregua 
del suo comandamento: sarebbe da aggiungere all’ ottimo discor- 
so del Zannoni:, TRIEVE; trève, sureté donnée en justice entre les 
parties..E poichè tanti francesismi sono in. questo libro del La- 
«tini, peichè trieve è antica parola francese, poichè trieva rima 
con Eva meglio che tregua , poichè triéeva sì legge in uno de’ 
codici, tuttochè non sia il più antico, e poichè romper la trieva 
,del suo, comandamento significherebbe , come già ha ben detto 
il Zannoni,, romper la sicurtà o il patto etc.; patto fatto tra Dio 
e l’ uomo; non mi dispiacerebbe ammetter qui la voce,triéva in 
iscambio dell’ altra. . 


Nel cap. VII. (benchè nell’ antica lingua francese sia esem- 


150 


pio anche di tourn non che di tournée ) in iscambio del verso 
St ch’ io non volsi torno anteporrei Sì ch'io non volsi intorno, 
come si legge nell’ ottimo codice della Laurenziana, e come pa- 
re a me si adatti al senso, tanto almeno, se non meglio, che 
l’ altro. 

In uno de’ molti luoghi, ov’è mistero, o mestero sarebbe 
utile indicare che ora sono presi per maestria o per maestranza, 
ora per arte. I quali significati sono proposti dallo stesso poe- 
ta: maestria e maestranza per mestero nelle pag. 134, 146, 135: 
e arte per mestero nelle pag. 164, 163. 

Nel cap. VI, ove il poeta riepilogando la Genesi, e parlan- 
do del terzo giorno della creazione , piuttostochè seguitare il 
solo codice magliabecano, e leggere 

Spacificò lo mare, 
® E la terra divise: 
eleggerei la lezione specificò data da tutti gli ‘altri codici, che 
sono i più antichi. Io non intendo come il verbo spacificare 
(tutto nuovo nella lingua ) potesse significare dare spazio deter- 
minato, cioè porre tra confini. Neppure intendo perchè specificare 
dovrebbe qui significare dare forma in certo modo alle acque 
già create, le quali coprivano la terra, raunandole in un luogo, 
e chiamandole mare. Il Zannoni ha scelto la prima lezione per 
dimostrare forse la sua sagacità nelle glose. Egli cita i verset- 
ti 9g e 10 del cap. 1. della Genesi. Io gli trascrivo. 

9g. Dixit vero Deus: congregentur aquae , quae sub coelo 
sunt, in locum unum: et appareat arida. Et factum est ita. 

10. Et vocavit Deus aridam, terram: congregationesque a- 
quarum appellavit maria. i 

Se questi due versetti non si confondono l’ uno coll’ altro: se 
il primoj de’ suddetti versi di Brunetto, cioè spacificò Zo mare 
si riferisce al solo decimo versetto ; e il secondo verso E /a terra 
divise al versetto nono: mi pare che il verbo specificare sia qui 
bene usato secondo la definizione stessa del vocabolario , e che non 
sia luogo al nuovo verbo spacificare, il quale significherebbe forse 
accrescere piuttostochè determinare lo spazio. 

Ma queste sono inezie, ed io le ho prodotte per dimostra- 
re che la buona e bella edizione del Zannoni non sottostà alla 
censura. Se avessi da numerare le parole e le frasi da lui be- 
ne emendate, mi mancherebbe spazio in questo giornale. 

ANTONIO BENCI 


151 
‘ Adunanza pubblica dell’ Accademia della Crusca. 


Fu tenuta il dì 14. di settembre nella Galleria del -pa- 
lazzo Riccardi, nel quale ha sua sede l'Accademia; e 1’ aper- 
se il sig. Francesco del Furia con una prosa ch’ ei disse re- 
lativa alla lingua; della qual prosa, che per l’importanza del- 
l’ argomento, la copia della dottrina, e il colto stile sodisfece 
alla giusta espettativa della numerosa e scelta udienza , ecco 
un brevissimo estratto : Se maravigliosa apparisce la moltipli- 
cità e diversità delle lingue, è anche riposta in ciò medesimo 
una di quelle imperfezioni , di che la natura framischiò i 
beni terreni; rendendosi così all’ uomo più difficile il comu- 
nicar co’ suoi simili, del cui soccorso sempre abbisogna. l'or- 
se per questa cagione il gran Leibnizio concepì l’ idea d’ u- 
na lingua universale consistente da note significative , che a 
somiglianza dei segni algebraici dessero il mezzo più sicuro, 
affine di manifestare la serie infinita degli umani pensieri: 
progetto ingegnoso , ma da non potersi recare ad effetto a 
cagione dell’ ampiezza della terra , e della moltitudine e del 
vario ingegno degli uomini. Che se tal linguaggio generale 
e per via di segni, è da riporsi tra gl’ illustri delirii , non 
dovrebbe giudicarsi follia più strana il solo immaginare, po- 
ter esser nel mondo una favella a tutti gli uomini comune? 

Risulta la parola da uno o più suoni generati dal mag- 
giore o minor impulso dell’ aria, battuti e reflessi dalla lin- 
gua entro la cavità della bocca , temperati dalle aspirazioni 
delle narici e della gola, ripercossi dal palato , e rotti nelle 
labbra e nei denti. Or sebbene abbia dato la natura a tutti 
gli uomini e lingua e bocca ed ogni altro stromento della 
parola; non în tutti gli uomini però conformati sono questi 
stromenti nel modo medesimo; ma varian essi a seconda del- 
le varie regioni e dei varii climi. Laonde aver debbono, co- 
me le hanno, i diversi popoli diverse le lingue; nè è mara- 
viglia, se una parola che d’una provincia passi in un’altra, as- 
sai perda della primitiva sua forma. 

Anche la pronunzia, la quale sottoposta è a variare®per 
accrescimento o per decadenza di civiltà, recar può alla lin- 
gua innumerevoli cangiamenti: motivo, onde ora molte delle 


15 


lingue viventi han diversa dall’ ortografia la, profferenza. Non 
possono adunque le lingue, se studio ed industria non le soc- 
corra, intatte ed inviolate rimanere; ma i$ì sottoposte sono a 
mutamenti. Si porrà a ciò saldo riparo ,. se la nazione tra? va- 
rii dialetti, che in essa si parlano, quel solo scelga e coltivi, 
che dal comune! consentimento., il quale. mai non erra ; sià 
giudicato il migliore ;.non;essendo in fine, la lingua scritta 
che la lingua che parla 4 prata Nenngina, e ridotta a per- 
fezione maggiore. 

Quale pertanto sarà nella nostra Italia ildialetto che ogni al- 
tro superi per l’armonia, per la maestà; per la forza, per la gra> 
zia, onde in esso ogni argomento sì di prosa e.sì di verso pos- 
sasi condegnamente trattare? Quello al certo, in che scris- 
sero Dante, il Petrarca, e il Boccaccio., ch’ è .il toscano ;vil 
quale l’ autorità ed il Fallo mostrano esser superiore ad o- 
gni altro che odasi nella. nostra penisola. Rispetto alla prima 
giovi recar solamente le. parole del, Cesarotti , non sospetto 
certo di parzialità pei Toscani, il quale esaminata a lungo e 
severamente l’'indole d’ ogni linguaggio d’ Italia \conchiuse 
affermando, che sarebbe ingiusto: ed insensato chi non, rico- 
noscesse in Italia l’idioma toscano per più corretto; ed.ele- 
.gante e degnissimo del primato sopra di ogni altro, e che 
lo scrivere esattamente, e. nobilmente, è pei Toscani un’.at- 
tenzione, per tutti gli altri uno studio . Riguardo:\poi al 
fatto , oltre a ciò ‘che ne insegnano ,.l’, orecchio il critetio 
ed il gusto, è da rammentare l’ infelice , esito di non» pochi 
libri, che sebbene importantissimi per l’ argomento; nondi- 
meuo perchè scritti in altri dialetti italici e non nel toscano 
giacciono da gran tempo, e igiaceranno mai sempre coperti di 
polvere e dimenticati nelle biblioteche; laddove quegli. distesi 
nel gentil dialetto dell’ Arno per tutta Italia si leggono , e 
leggerannosi finchè in, onor sinno l’ eleganza: e la bellezza. 


Ma vi hanno alcuni, che se concedono il primato al | 


dialetto toscano , vorebber., però che ogni provincia d’Italia 
concorrer potesse co’ suoi migliori vocaboli, a far parte della 


lingua illustre della nazione. Così, dicon,.essi,, fecero i mag- | 


giori nostri, che il tesoro ‘accrebbero della favella col valer- 


si del Provenzale, del Francese e.del, Catalano, senza punto | 


153 
diminuire Io splendore, siccome questo non iscemò già nel 
greco idioma ‘per 1’ uso. dei varii dialetti”. 

Egli è vero, che ‘ogni lingua vivente può sempre con suo 
utile accrescersi; ma egli è vero ‘altresì, che ciò dee farsi con 
somma cautela, e con obbedire a prudentissime regole, mas- 
sime al bisogno, ch’ è il principal motivo, onde introducansi 
nelle lingue e nuovi vocaboli e ‘nuovi modi. Ma questo bi- 
sogno è spesso apparente; e la»libertà ‘che intorno a'ciò diasi 
ad ognuno, pericolo.è grandissimo che cangiar si vegga in licen- 
za;la quale offuschi ogni bel della lingua o piuttosto l’indole 
stessa presso che al tutto trasmuti . Per vero bisogno il più 
spesso | ricorsero alle lingue delle vicine nàzioni' i padri nostri; 
e se talora adoperaron! ‘essi le voci degl’ italici; dialetti , ciò 
solo: fecero. quando. nei: loro. libri ‘introdussero persone non 
toscane. di patria, o di.nonmi toscane cose parlarono è lo che 
‘natura non cangia alla lingua: rda loro usata ;/che non potrà 
mai altro dirsi che toscana»: ». si i i 

Male poi si adduce, l'esempio deirvaribdiletttalei Greci, 
da che non consistevan essi dalla materiale e »sostanzial di- 
versità dei vocaboli , ma sì unicamente :dalla loro modifica- 
zione, inflessione e desinenza. Il fondamento della’ lingua dei 
Greci sempre fu nel comune dialetto, come appunto'è nel fio- 
«rentino il fondamento dell’. idioma toscano ; e le diverse de- 
sinenze ed inflessioni degli: Attici,, degli Ionii, degli Eolii e 
«dei Doriesi differivano dal dialetto comune, come differiscono 
dal parlar di Firenze alcune inflessioni del sanese, del pisa- 
no, dell’aretino; e del lucchese . Laonde per le cose fin qui 
discorse è da conchiudere , che se tutti i:popoli della. peni- 
sola aver non possono Luna uniforme, e se. lai maggior par- 
te degl’ italici idiomi sì nella. sostanza e sì nella: forma molto 
sono lontani dalla perfezione ed eleganza della lirigua scritta, 
deesi a questo nostro toscano l’ onore del, primato, ‘perchè di 
diritto e di fatto tenuto fu. sempre , ed è , migliore , e più 
.che ogni altro conforme alla, lingua dei buoni scrittori. 

ii. Gompiuta la lettura di questa prosa, il segretario fece 

rapporto in un suo discorso»dei lavori, che. nell’anno esegui- 
«ron gli accademici sulivogabolario , ‘e delle lezioni. che essi 
« dissero nel medesimo .. Consistono i primi in ispogli di libri 


154 

relativi alla lingua generalmente considerata, e d’altri appar= 
tenenti alle scienze e alle arti ottime, delle cui voci è assai 
mancante il vocabolario. Pei quali spogli, che anche in que- 
st’anno sono stati copiosi, non ostante che l’Accademia in- 
tenda con assidue cure a preparar "per la stampa il numero 
considerabilissimo delle correzioni ed aggiunte alla quarta edi- 
zione del vocabolario, non solamente svolti si sono libri non 
esaminati dai vecchi accademici; ma s'è altresì fatto uso di 
non pochi di quelli, che essi adoperarono ; dai quali ne sono 
derivati vocaboli e modi nuovi e d’ottima lega, che furon 
da loro pretermessi . 

Di vario tema furono le lezioni; giusta gli statuti dell’Ac- 
cademia , i quali ad esse concedon libera scelta di materia 
perchè sono considerate. come temperamento allo spinoso 
studio delle cose grammaticali. E questo fu pure il costume 
della, vecchia Accademia, le cui orme seguite son dalla nuo- 
va. Tra i varii temi però non mancaron quelli appartenenti 
alla lingua: Disse in una prosa l’Accademico Rigoli d’alcuni 
pregi di essa: e mostratasi da lui la preminenza che ha il 
dialetto toscano sopra gli altri d’Italia mercè dei tre. grandi 
scrittori Dante, il Petrarca, e il Boccaccio che sommamente 
l’ornarono, e mercè dello aver poco i nostri conversato coi 
barbari, si provò pure che questo stesso dialetto supera per 
più rispetti la lingua latina. In fine s’additarono le certe vie 
onde più sempre arricchito esser possa dagli scrittori non solo 
nostri, ma sì eziandio di tutta Italia. 

Una prosa pur si lesse dal segretario sul Tesoretto . del 
Latini ; e fa. parte della prefazione che sta in fronte alla 
sua recentissima ristampa di questo poetico componimento - 

Due lezioni ebber per argomento i vocaboli spettanti alle 
scienze. Nella prima, ch”è lavoro dell’Accademico Targio- 
ni, si fece un novero ragionato delle opere che in sì 
fatta materia posson somministrare ottime aggiunte al voca- 
bolario, ristringendosi però esso novero ai tempi della repub- 
blica. Se risulta da questo che la Toscana e Firenze in 
ispecie, prevenne in ciò ogni altro popolo d’Italia, si fa del 
pari manifesto, che ne furon cagione l’opulenza sua e l'indole 
e l'ingegno de’ suoi cittadini, che avevan cura di notarle 


| 
| 


155 


nel proprio linguaggio ( dai più degli scrittori allora adope- 
ravasi il latino ) le cose più istruttive ed importanti sì nei 


| giorni di festa, e sì in quel tempo, che loro avanzava alle 


| 


cure domestiche e a quelle del commercio. Si propose nella 
seconda lezione detta dall’Accademico Nesti lo spoglio di 
alcuni libri di scienza non rammentati nè dagli accademici 
fiorentini, nè dal Colombo, nè dal Poggiali. Si purgò l’ Ac- 
cademia dall'accusa, che le ei dà, di predilezione per le 
voci antiche, e di trascuranza per le parole di scienza, mas- 
sime per quelle che nei libri sono di scrittori non toscani ; 
e si riprovò il metodo da alcuni adottato di por nel tesoro 
di nostra lingua quei vocaboli di scienze, i quali sottoposti 


‘ sono a variazione, e di convertire mercè della soverchia lun- 


ghezza degli articoli il dizionario della lingua in dizionario 
di scienze. i 

Si recò nella lezione dell’Accademico Ferroni all’ utile 
del vocabolario il nuovo pubblico censimento di ‘Toscana. 
L’Accademico fece partecipi i suoi colleghi dell’ alfabeti- 
co catalogo delle voci del detto censimento ; ragionò sul loro 
valore e la loro origine, e rilevò i sommi vantaggi , che ar- 
reca un estimo solo ed uniforme; tra i quali quello è spe- 
cialmente da rammentare, onde a un medesimo tempo pro- 
grediscono e si collegano colle triangolazioni maggiori geo- 


‘desiche ed astronomiche le triangolazioni minori: norme 


all’agrimensura territoriale; somministrando le prime i fon- 
damenti alle seconde misure: e sono la rete di linee visuali 
regolatrici della cartî geografica , che esatta mancava dall’e- 
steso littorale toscano sino ai confini giurisdizionali con gli 
altri stati . 

Ebber pur luogo due prose intorno alle arti del disegno. 
L’una, ed è quella dell’Accademico Arciconsolo Follini che 
recammo per intero nel numero 3g di questo giornale, ha 
per subietto le porte celebratissime del battisterio fiorentino 5 
e confuta l’ altra detta dall’Academico Ramirez da Montalvo il 
parere del conte Napione, che attribuisce il ritrovamento dello 
stampare in rame ai Veneziani. Cita questi a suo vantaggio due 
carte; l'una, che reputasi d’Andrea da Murano, l’altra, che 
estimasi dello Squarcione. Ma la prima è posteriore di cento anni 


155 

al tempo che le si assegna ; e la seconda è di stil mantegnesco 5 
onde affermisi che dopo il Mantegna fu lavorata.Nè da questo può 
dirsi col Ruscelli eil Lomazzo aver avuto incominciamento 
l’arte dell’incidere in rame , affermando il Vasari, che il 
Mantegna solamente applicò ad essa, quando seppe ;in Roma 
averla. ritrovata in Firenze il Finiguerra. Questi avea. già 
nel 1452 incisa e niellata la celebre Pace del. Battisterio: 
tempo, di chè niun monumento addur posson i Veneti, che 
questo uguagli . 

La prosa;. di cui resta a, parlare, fiaba di. Maometto, e 
delle :sue igeste . (É questa una parte del libro sesto della sto- 
ria delle. cit vicendevoli dell’Europa e dell’Asia. scritta 
dall’Accademico Baldelli e premessa come opportuna introdu- 
zione, «alla ;sua; nuova stampa del Milione di Marco Polo. 
Nella detta prosa trattasi prima dell’ Arabia, sì rispetto alla 
sua: geografica. situazione e sì riguardo all’ origine, ai costu- 
mi; ai \governi:e. alle religioni dei suoi, abitatori; e poi nar- 
randosi. di. Maometto sì...rilevano. i. particolari della, sua 
indole; delle sue azioni, della. .sua ;legge, delle sue belliche 
imprése , ‘e si, dà in brevissimi tratti il ragguaglio e, il giu- 
-dizio. del. Corano giusta il. pARSE di dotti scrittori ed im 
parziali») ini byo 
-no Comprese pure, il. sigla nel, suo rapporto, le lui del 
«defunto : accademico, consiglier , Leonardo Frullani, e diè con- 
-tezzai del, risultamento ; del., concorso straordinario, del, 1833 
telativo.a, quesiti. di lingua; nel quale non ebbe, luogo l’ag- 
-giudicazione, del. premio, ma solo, a, Francesco! Antonio; Mor 
‘dettesi, oriorevole menzione:.Il, concorso è riaperto pel 1826 
e vogliamo sperare che più fortunato ne sia per essere il suc- 
cesso . 


157 
BULLETTINO SCIENTIFICO 


N. XIV. Movembre 1824. 
SCIENZE NATURALI. 
Meteorologia. 


Il sig. Zimmermann avendo raccolto in vasi di platino della 
neve recentemente caduta, ha trovato nell’ acqua risultata dalla 
sua fusione delle tracce d’ossido di ferro unito ad un dodicesi- 
mo d’ ossido di manganese. Ripetute l’esperienze sopra neve rac- 
colta in luoghi diversi, ha costantemente ottenuto il mescuglio 
di qoei due ossidi, che gli è sembrato esistere in piccola quan- 
tità anche nell’acqua di pioggia. 


Nel giorno 18 luglio di quest’ anno fu nei contorni di Per- 
pignano un caldo straordinario. Il termometro di Réaumur, e- 
sposto al nord all'ombra, che a mezzo giorno segnava gradi 27, 
a ore I 1/2 era salito ai 29, ove mantenutosi fino alle 3 172, 
ad un tratto montò ai 30 1/4, per essersi levato un vento di nord- 
ovest sì forte e sì caldo, che ritiratisi gli abitanti nelle case, non 
sì vedeva quasi alcuno nelle strade, o nella campagna. 

La sera dello stesso giorno a ore 10 e minuti 8, in un ‘bor- 
go vicino a Perpignano, fu sentito nell’ interno d’ una farmacia, 
le cui porte erano chiuse, un romor cupo, simile a quello d’una 
carrozza che corra; le bocce ed i vasi furono veduti muoversi 
uno contro l’ altro urtandosi scambievolmente, ed un tavolato 
oscillò visibilmente tre volte in modo da far temere ‘la rovina 
della casa. In un momento la piazza fa piena di persone, che 
spaventate avevano lasciato le rispettive abitazioni. Delle scosse 
di terremoto furono sentite anche a Perpignano ed altrove. 

La mattina del dì 25 il termometro era sceso a 15 gradi. 
Il gran caldo ed i venti brucianti, danneggiando grandemente le 
campagne, avevano fatto perdere in gran parte la raccolta del 
grano, e si temeva molto per quella del vino. 

Un orribile tempesta di mare (per quanto sembra contem- 
poranea) fece perire a Marsiglia molti individui. Diversi battelli 
da passeggio urtarono nella costa, ed il brick americano /’ Argo 
non è sfuggito al naufragio che per il coraggio d’ alcuni pesca- 
tori catalani volati a soccorrerlo. 


158 


Fisica e chimica: 


Se, mediante la percussione, si rompa in più parti un "pezzo 
di sodalite di Groenlandia, diverse di quelle parti presentano un 
color di rosa assai vivo, ina che a poco a poco s’ indebolisce 
fino a sparire quasi interamente. Il sig. A//an {ha riconosciuto 
che quest’ effetto è dovuto all’azione della luce. Di fatti, rott 
un pezzo di sodalite in due parti, conservatane una in oo 
oscuro, ed esposta l’ altra alla luce, trovò che la prima avev 
conservato perfettamente il suo brillante colore, che la seconda 
aveva quasi perduto affatto. 


Essendo frequente nelle scienze e nelle arti il bisogno di de- 
terminare il rapporto d’ intensità della luce che emana da varii 
corpi, o accesi, o naturalmente luminosi, al che non si arriva se 
non accoppiando l’esperienza ed il calcolo, la società di scien- 
ze, agricoltura, ed arti di Londra ha offerto una medaglia d’ 
oro del valore di 300 franchi all’ inventore d’un fotometro, o 
strumento misuratore della luce, che sia sensibile, comparabile , 
e di facile e sicura manipolazione. 


Il sig. Serre di Clermont-Ferrand ha informato l’Accademia 
delle scienze di Parigi avere egli inventato un nuovo mezzo di 
viaggiare in aria senza il soccorso degli aereostati. Non si ha 
ancora cognizione di questo mezzo. 


Si disse già (Ant. n. 42."pag. 153) che il sig. Scoresby aveva 
insegnato a magnetizzare una verga di acciaio percuotendola in 
posizione verticale, mentre la sua parte inferiore è appoggiata 
sopra una verga di ferro. Ora egli è giunto ad ottenere un’ ef- 
fetto due volte maggiore, percuotendo la verga d’acciaio mentre 
è posta verticalmente fra due verghe di ferro, Il sig. Scoresby 
spiega il fenomeno supponendo che la percussione operi una di- 
stribuzione eguale del magnetismo fra i corpi magnetizzabili che 
sì toccano. Ma se ciò fosse, il ferro dovrebbe esser magnetico 
avanti l’ esperienza, e demagnetizzato in parte dopo di essa. 


Il sig. Zimmermann pretende che la scoperta del galvanismo 
sia dovuta ai tedeschi. In appoggio di questa sua opinione egli 
cita un passo della traduzione tedesca dell’ opera intitolata Bi- 
blia naturae, pubblicata a Lipsia nel 1752; e nella quale Swam- 
merdam parla di convulsioni osservate da lui in un muscolo di 


159 
granocchia, legato ad un tubo di vetro per mezzo d’un filo d' ar- 
gento sospeso ad un’ anello di filo d’ ottone. 

—— Si potrebbe citare egualmente il fatto osservato da Sulzer, 
ed altri ancora; ma a provare che non si deve riferire a questi 
la creazione di quel nuovo ed importante ramo di fisica, basti 
avvertire che quei fatti restarono isolati e senza conseguenza. 
Non così quello del Galvani, il quale ‘ per altro non interpretò 
bene ciò che vide. Primo e solo il gran Volta vide il vero, rav- 
visando in tutti i fatti congeneri un fatto solo , grande, univer- 
sale, fecondissimo ; la potenza elettromotrice derivante dal con - 
tatto di due corpi alcun poco dissimili, 

Il dot. Hare ha costruito un nuovo elettrometro sensibilis- 
mo. Forma il cappello di questo strumento un disco di zinco, 
del diametro di 13 pollici, a cui è sospesa una semplice foglia 
d’oro. In faccia a questa è una piccola palla metallica sostenuta 
da un filo simile, e che mediante una vite può avvicinarsi' alla 
foglia o allontanarsi da essa. Si ha un disco di rame simile a 
quello di zinco, a cui si adatta un manubrio di vetro o di me- 
tallo. Ecco in qual modo si rende sensibile l'elettricità prodotta 
per il contatto dei due metalli. Soprapostoj il disco di rame a 
quello di zinco, si prende con una mano la vite microme- 
tra, coll’ altra si tocca il rame, e si separa dallo zinco. Appe- 
na fatta la separazione, la foglia d’oro viene a battere nella palla, 
purchè la distanza non ne sia eccessiva. Vi vorrebbero dieci con- 
tatti dei dischi stessi per far divergere sensibilmente le foglie di 
un elettrometro condensatore. 


Il sig. Becquerel, proseguendo le ingegnose sue ricerche in- 
torno alle azioni elettromotrici che hanno luogo in diversi feno- 
meni chimici, e per il semplice contatto reciproco di corpi di- 
versi, ha recentemente osservato quelle che si svegliano allorchè 
l’acqua ed i liquidi in genere toccano i metalli, come pure nel 
contatto di certe fiamme coi metalli, e nella combustione, deter- 
minando con mezzi delicatissimi in quale dei corpi si manifestino. 
gli effetti attribuiti all’ elettricità positiva, in quale quelli della 
negativa. 


Il sig. prof. Roberto Hare americano ha fatto conoscere un 
ingegnoso processo, mediante il quale egli asserisce ottenersi un 
acqua ferruginosa artificiale. Con alcune monete d’argento ed 
altrettanti dischi di lamiera di ferro, disposti alternativamente 


160 
uno sopra l’ altro, egli forma una specie di pila, che . colloca ‘in 
un vaso d’acqua. Questo liquido prende ‘ben presto: un. color, 
giallastro, e dopo. 24. ore vi si scorge l’ossido di ferro in abbon- 
danza. Ritirando dal vaso l’acqua ferrata , e sostituendole gior- 
nalmente nuova acqua, si avrà in quest’ apparato una specie di 
sorgente d’acqua minerale fattizia. 


Allo stesso sig. Hare si deve il seguente curioso esperimen- 
to. Infuocata. l’ estremità chiusa d’ una canna da schioppo; v’in- 
troduce un pezzo di zolfo, quindi soffiando per l’altra apertura, 
poi chiudendola con un turacciolo, determina la sortita per il 
foro del focone d’ un getto di vapore sulfareo, al quale espo- 
nendo un fascetto di sottil filo di ferro, questo s’infuoca come 
in una corrente di gas idrogene, e cade in globuli fusi in stato 
di protosolfuro. L’ idrato di potassa esposto alla stessa corrente 
si fonde in un solfuro d’ un bel color rosso. 


Le scaglie che si distaccano dal ferro allorchè, dopo essere 
stato infuocato a bianco, è percosso dal martello o compresso dal 
laminatoio nelle operazioni delle arti, sono riguardate general- 
mente dai chimici come un deutossido di quel metallo, ed im- 
piegate anche in medicina sotto il nome d’ etiope marziale. Il 
sig. Berthier, per mezzo di diligenti esperienze, ha riconosciuto 
che queste scaglie costituiscono un’ ossido nuovo, che per la 
quantità d’ ossigene che contiene sta in mezzo al protossido ed 
all’ ossido magnetico naturale, riguardato fin qui come deutos- 
sido, e che può considerarsi come composto di due atomi di 
protossido e d’ uno di perossido. L’ ossido delle scaglie o bat- 
titure di ferro non forma cogli acidi sali particolari, ma è scom- 
posto in protossido ed in perossido. Così dovrebbero ammetter- 
si 4 ossidi di ferro, nei quali le proporzioni d’ ossigene com- 
binate ad una stessa quantità di ferro starebbero fra loro co- 
me i numeri 6, 7, 8, 9 


Era noto che il manganese può assumere il carattere di 
acido, ed i sigg. Chevillot ed Edwards avevano annunziato che 
il così detto Camaleonte minerale è una combinazione d’ acido 
manganesico e di potassa . Ora il sig. Asommherz professore a 
Friburgo ha fatto conoscere molti nuovi fatti relativi all’ acido 
manganesico in una monografia completa di quest’ acido. Ci li- 
miteremo ad indicare il processo con cui giunge ad otte- 
nerlo. Scaldando in un buon crogiuolo fino all’ infuocamento 


16i 


una parte di protossido di: manganese e due di nitrato di barite, 
ottiene: una massa non compatta, di color verde chiaro, di man- 
ganesiato di barite, Ridottala in polvere fine, e sospesala in 30 
parti d’acqua distillata, vi fa passare a traverso una corrente 
di gas acido carbonico, che unendosi alla barite forma un car- 
bonato di questa base, che si deposita unitamente ad un poco 
di deutossido di manganese, e di manganesiato di barite. Di 
color bruno è il deposito, di color violetto il liquido, il quale 
contiene, oltre l’ acido manganesico, un poco di carbonato acido 
e di manganesiato acido di barite. Evaporando questo liquido 
ad un calor forte per un quarto d’ora, se ne precipita il car- 
bonato di barite, quindi per mezzo dell’ acido solforico si se- 
para la poca barite unita all’ acido manganesico. Ridotto il li- 
quido per evaporazione ad un quarto del suo volume, si fil- 
tra per separarne un poco d’ossido bruno di manganese for- 
matosi, quindi tornandolo ad evaporare fino ad una grande: 
concentrazione, se ne ottiene per raffreddamento l’acido man- 
ganesico cristallizzato in aghi di color rosso cupo di carminio» 


Il sig. Lassaigne ha dimostrato che negli animali avvele- 
mati coll’ acido idrocianico, può questo esser riconosciuto, e 
messo in evidenza anche 48 ore dopo la morte, e quantunque 
unito a dieci o venti mila parti d’acqua. Se ne trovano le ve- 
stigia solo nello stomaco e negl’ intestini, non mai negli or- 
gani della testa, nella midolla spinale, o nel cuore. 

Il sig. Lassaigne introduce in una storta tubulata il liquido 
raccolto dagl’intestini,ed anche gl’intestini stessi sottilmente tagliati. 
L'acido idrocianico essendo volatilissimo,passa alla distillazione col- 
la prima porzione del liquido, del quale basta ritirare un’ottavo. Sa- 
turato questo con potassa, vi si infonde goccia a goccia della so- 
luzione di persolfato acido, di ferro, che lo colora in turchino. 
Per altro questo colore qualche volta non si manifesta se non 
dopo ‘2. ed anche 18. ore. Se in vece di persolfato. acido di 
ferro, s’ impieghi una soluzione di solfato di rame, aggiungendo 
un poco d’ acido idroclorico per discioglier l’ eccesso d’ ossido 
di rame precipitato dalla potassa, il liquore diviene latticinoso, 
sebbene non contenga che _1_d°’ acido idrocianico. 

20,000 

Era stata da molti osservatori riconosciuta l’esistenza di 
un acido libero nello stomaco degli animali, acido che da al- 
cuni era stato creduto particolare , o sui generis, da altri il 
fosforico, l’acetico, il lattico. Lo Scopoli, senza affermare che 

T. XVI. IVovembre 1} 


162 


l’ acido muriatico libero esista nello stomaco, considerando che 
combinato all’ammoniaca si trova in copia nello stomaco dei 
ruminanti, opinò che l’organo stesso avesse la proprietà di pro- 
durlo, separandolo dagli umori. Egli così, congetturando, pre- 
venne in qualche modo la scoperta che ha fatto recentemente 
il sig. Prout chimico inglese, il quale, esaminate attentamente 
le materie contenute nello stomaco del coniglio, della lepre, 
del cavallo; del vitello, e del cane, e quelle rigettate da in- 
dividui della specie umana in casi gravi di dispessia, vi ha 
costantemente ritrovato una quantità assai notabile d’ acido i- 
droclorico , in parte libero, in parte combinato ad un’ alcali 
fisso (che egli non nomina, ma che è probabilmente la soda) 
e solo qualche volta una porzione combinata all’ ammoniaca . 
Il sig. Children, inglese anch’ esso, ha confermato per la via 
dell’ esperienza i risultamenti del sig. Prout, quanto alle ma- 
terie rigettate da uno stomaco umano. 


Il sig. Peschier, abile farmacista di Ginevra, avendo trovato 
il titanio nel talco, e nella mica, invitò il sig. Vauquelia a ri- 
petere le sue esperienze relative, per confermarle o infermar- 
le. Questo celebre analizzatore, esaminate due qualità di mica 
e trovatovi il titanio in quantità piccola e diversa, lo annun- 
ziò al sig. Peschier, dichiarando che non credeva doversi riguar- 
dare il titanio come un principio costituente necessario della mica, 
se non quando si ritrovasse in quella di tutti i paesi, ed in pro- 
porzioni costanti. Ma in seguito lo stesso sig Vauguelin avendo 
avuto occasione d’analizzare un gran numero di mostre diver- 
se di mica, ha annunziato d’ aver ritrovato in tutte il titanio, 
sebbene in quantità varia, e sempre piccola, non giungendo nelle 
varietà: più ricche ad un centesimo. 


Si sa che l’acqua delle sorgetiti calde di Rikum in Islan- 
da contengono della silice. Da una dose di tale acqua, da cui 
Klaproth non aveva potuto ricavare che 9 grani di quella ter- 


ra, il prof. Doedereiner ne ha separato grani 11,70 per, mezzo 
dell’acqua di calce. 


Lo stesso sig. Doedereiner ha osservato che 1’ alcool saturato 
di gas acido solforoso discioglie una maggior quantità d’ iodio 


che quando è puro, e che quando è esposto alla luce solare do- 
po aver disciolto |’ iodio, se ne separa dello zolfo in cristalli. 


Il sig. ZWitting, tenendo un cilindro di fosforo immerso in 


163 


una soluzione di solfuro di potassa nell’ alcool, ha vedato pre- 
cipitarsi una polvere gialla, che ha trovato composta di zolfo, 
fosforo, ed acqua. 


Il sig. dot. Runge ha trovato il mezzo di scuoprire le più 
piccole traccie del printipio attivo della Belladonna, del Giu- 
squiamo , e della Datura, nella proprietà di dilatar la pupilla 
allorchè si applica sopra l’ occhio d’ un gatto. Ha poi ricono- 
sciato che impiegandosi un’alcali caustico nel processo per cui 
s'imprende a separare da quei vegetabili il principio attivo, o 
a base narcotica, questa ne rimane alterata , e perde la pro- 
prietà di dilatar la. pupilla. Non così la magnesia, per cui sì 
ottiene quel principio inalterato , e fornito dell’ indicata pro- 
prietà singolare e caratteristica. 


Il sig. dot. Carlo Calderini di Milano, dopo averla pre- 
supposta per congettura, ha ritrovata di fatto nell’ olio dell’ £u- 
phorbia latyris, o Catapuzia minore, cavato per espressione e 
filtrato, una forte virtù purgativa, di poco infdriore a quella 
del croton tilium, del quale ultimo il primo non ha le qualità 
acri ed irritanti, e di cui l’uso non è però accompagnato da al- 
cun sintoma molesto, come numerose esperienze hanno dimo- 
strato. È bensì importante il non far uso dell’ olio d’ Euforbio 
se non recentemente preparato, 


Da molti scrittori di materia medica e di farmacia è pre- 
murosamente raccomandato il mondare diligentemente i semi del 
ricino dal guscio o inviluppo, prima d’ estrarne l’ olio usato in 
medicina, nella supposizione che un principio acre ed irritan- 
te, che s’ incontra talvolta in quell’ olio, e specialmente in quel- 
lo proveniente dall’ America, sia contenuto in quell’ inviluppo. 
Altri lo banno supposto nel germe o embrione del seme. La 
prima opinione era già stata riconosciuta erronea, giacchè nè i 
gusci stessi masticati , nè la loro decozione , ridotta anche ‘ad 
estratto, presentano alla lingua ed al palato niente d’ acre e d’ir- 
ritante. Ora i sigg. Bouzron-Charlard ed Henry figlio hanno di- 
mostrata erronea anche la seconda, e da un seguito di diligenti 
esperienze hanno concluso che nè il guscio nè il germe o em- 
brione dei semi di ricino contengono naturalmente un princi- 
pio acre; che il perisperma è la parte di quel seme in cui è 
contenuto il principio purgativo; che il principio acre si forma 
o si esalta impiegando l’azione del calore o l’ ebollizione più o 


104 
meno prolungata ne! processo d’ estrazione, e che in conseguen- 


za, per ottenere l’ olio di ricino dolce e privo d’ ogni acrimo- 
nia, conviene estrarlo a freddo. 


Fra le diverse piante alle quali è stata attribuita la virtù 
di prevenire gli effetti dell’ idrofobia negl’ individui morsi da 
animali rabbiosi, due specialmente sono state preconizzate in 
questi ultimi tempi, cioè la Scutellaria lateriflora, commen- 
data dal dot. Lyman Spalding, e la Genista cinctoria celebra- 
ta dal dot. Marocchetti . Alle quali due piante vedendo attri- 
buita presso a poco una stessa virtù , il sig. Cadet de Gassi- 
court imprese a farne un’ analisi comparativa , per riconoscere 
se vi fosse identità o almeno somiglianza di composizione . Di 
fatti trovò sì nella scutellaria intera che nelle estremità della 
genista alcune particolari sostanze, nelle quali, se tali piante 
hanno effettivamente qualche virtù , si può supporre che essa 
risieda. Sono tali principalmente una materia solubile nell’ al- 
cool e nell’ acqua, e che ha l’ odore ed il sapore delle piante 
dette antiscorbutiche, un olio volatile, ed una quantità nota- 
bile d’ una materia astringente, che dà un precipitato coll’ idro- 
clorato di stagno, come fa il tannino della galla, ma che non 
ba poi veruna delle altre proprietà chimiche le quali caratte- 
rizzano questo. 

Il sig. Robinet, attribuendo ragionevolmente alla presenza 
dell’ amido e della gomma , riconosciute dai sig. Pelletier e 
Magendie nella radice dell’ Ipecacuana , la difficoltà che pre- 
senta la preparazione del suo sciroppo, e specialmente la fil- 
trazione dell’ infuso o del decotto, sempre torbido e mucilag- 
ginoso, e che per ripetute chiarificazioni perde una gran par- 
te delle sue proprietà, ha sostituito a quello comunemente pra- 
ticato il processo seguente. ’ 

Egli fa bollire per un quarto d’ ora mezza libbra d’ ipe- 
cacuana in 7 libbre d’acqua, passa la decozione per un setaccio 
di crino, e lasciatala raffreddare, vi aggiunge circa tre libbre 
d’ alcool a 36. Per quest’ aggiunta tutto l’ amido e tutta la 
mucillaggine sono precipitate; dopo di che egli filtra il liquido 
colla più grande facilità, e l’ ottiene limpidissimo. Allora lo in- 
troduce in un’ apparato distillatorio a bagno-maria , e continua 
la distillazione finchè passa qualche cosa di spiritoso . Versa 


quindi il residuo nello zucchero chiarificato , cuoce al grado 


conveniente, e filtra per lana, ottenendo uno sciroppo in cui 


| 
| 


165 
tatti i principii dell’ipecacuana sono conservati , Sicuro del suo 
mezzo di chiarificazione ; egli prolunga l’ ebollizione della ra- 
dice quanto occorre per estrarne totalmente il principio attivo, 


Bottanica ed Agricoltura . 


Il sig. Festetics ha fondato nella sua tenuta di Keszthely in 
Ungheria un Istituto agrario, sotto il nome di Georgicon, ove 
si formano eccellenti agricoltori ed abili veterinari. Fra i gio- 
vani che hanno più profittato nello studio teorico e pratico di 
tutti i rami della scienza agraria, ne sceglie ogni anno due che 
fa viaggiare a sue spese nelle diverse parti della Germania , e due 
altri ogni cinque anni, che invia a percorrere quelle parti della 
Francia , dell’ Olanda, dell’ Inghilterra , e dell’ Italia, nelle quali 
più fiorisce l'agricoltura , educando così dei cittadini, i quali non 
possono riuscire che di grande utilità alla loro patria. 


Lettera del sig. dottore Antonio Bertoloni professore di bo- 
tanica nell’ università di Bologna, al sig. Marchese Cosimo Ri- 
dolfi. Da un articolo inserito nell’Antologia tom. 15. p. 163. veg- 
go ch’ella non è riuscita ad ottenere costà una coltivazione 
prosperevole del phormium tenax, o sia lino della nuova Ze- 
landa, le cui fibre fortissime egregiamente servono pe’ cor- 
dami delle barche nell’Australasia ; e poichè ella sopra ogni 
modo dilettasi di tutto quello che riguarda le scienze fisiche e 
naturali, e del favor suo m°’è stata ognora cortesissima, di 
queste circostanze vuò ora profittare per dirle quello che mi 
accade intorno alla coltivazione del prormium dianzi detto. Fi- 
no dell’anno 1812 mi venne il pensamento, che il phoraiun 
. tenax potesse prosperevolmente coltivarsi nelle spiaggie marittime 
dell’ Italia, perchè nella state non v'è mai quel caldo che ‘hassi 
per entro terra, e che può nuocere ad una pianta, la quale 
nel natio suolo prova il rigore del verno, mentre da noi è la 
state. Manifestai allora la mia opinione a chi teneva il reggi- 
mento; ma questa non fu ascoltata. Frattanto io mi procurai 
dai giardini di Genova diverse piante di phormium tenax, e 
trasportatele in Sarzana, le piantai allo scoperto in un na- 
scente giardino del sig. Marchese Francesco Remedi, soggetto, 
com’ ella sa, non meno amantissimo delle scienze, che in 
quelle coltissimo. Quivi le mie pianticelle prosperarono oltre 
ogni credere, e fatte rigogliosissime colà tuttora vivono e vege- 
tano, dopo essersi oguuna distesa in un vasto e folto ce- 


CT 
166 


spuglio, con foglie che l’umana altezza di molto sopravanzano. 
Nè il freddo del verno , che rigidissimo provammo tre anni fa, 
nè il caldo e la secchezza, che da due anni in qua oltrepas- 
sano le misure, nè qualsivoglia altra meteora fu loro nocevo- 
le. Il suolo , ove le piantai, è ghiaioso e sciolto, non ebbero 
veruna particolare coltivazione, e posso assicurarla , che messe 
in terra, e abbandonate a loro stesse, fu tutt'uno. Vi si è fatto 
un prodigioso svolgersi di gemme dal colletto della radice, il 
quale svolgimento moltiplicasi ogni anno, e rende ragione del 
mon essere mai quelle piante venute a fiore; perchè è cosa 
da’ fisiologi conosciuta , adoperare la natura di guisa, che di 
quanto promuove la moltiplicazione delle specie per gemme, 
di altrettanto ne diminuisce quella per seme, e viceversa. 
Sarzana è situata poco lontana dal mare, tuttavia la sua tem- 
peratura d’estate è alquanto più calda di quella del vicino 
golfo della Spezia, e della spiaggia lunese, che. principia alla 
bocca della Magra, e si estende ver la Toscana. Or dunque se 
le piantagioni del phormium tenax si facessero nelle arene di 
coteste spiaggie, e per tutto il lido d’Italia, è evidente che 
il phormium vi acquisterebbe facilmente |’ indigenato, e pro- 
speroso servirebbe, siccome a procurare una maggiore stabilità 
al suolo , così a favorire gli usi economici, di che esso è capace per 
la robustezza delle sue fibre. Prima di chiudere la mia let- 
tura vuo dirle ancora qualche cosa intorno alla nostra botanica 
indigena, della quale ella è con ogni ragione premurosa non 
meno che dell'esotica. Un valente botanico napolitano ha di 
recente depositato nel mio erbario della Flora italiana un nu- 
mero assai grande di piante preziosissime da lui raccolte nella 
Sicilia, ed in un lungo e non facile viaggio, che mercè della 
grazia di sua Altezza Reale il principe di Calabria ha intrapreso 
da Reggio di Calabria sino a Bari costeggiando il mare, e di 
poi per gli Abruzzi. Questo è il sig. dottore Giovanni Gussone 
il. quale intrepido, costante, e sofferente ne’ suoi viaggi, ha 
arricchito la Flora nostra di un prodigioso numero di piante 
nuove o rare, delle quali non tarderà a dare contezza al pub- 
blico. Per questa si renderà sempre più palese, che la Flora 
dell’Italia è come un centro il quale riunisce in se non meno 
le piante delle ragioni boreali, ma quelle ancora della Grecia, 
dell’Asia , dell’ Egitto, dell’Affrica settentrionale, delle Canarie , 
e della Spagna. Possa l'illustre e benefico protettore del sig. 
Gussone continuargli il suo favore, di guisa jch'egli finisca di 
visitare le piagge del reame di Napoli, e sopra tatto il Gar- 


167 


gano da una parte, e la Puglia e le Isole Eolie dall’ altra. — Bo- 
logna 24 ottobre 1824. 

In Prussia si è introdotta la pratica d’innaffiare con acqua 
salata i campi di grano infetto di quella malattia che comune- 
mente dicesi volpe. Si assicura esser tale l'efficacia di questo 
rimedio , che per esso spariscono tosto e la malattia e la sua 
causa. Vi s’impiega, o l’acqua del mare allangata con altret- 
tanta acqua comune, o una soluzione di sale d’una densità 
analoga . 


Un accidente spiacevole e poco meno che funesto, avvenuto 
al sig. Augusto di S. Hilaire nei suoi viaggi, ha fatto rendere 
la meritata fede ad alcuni racconti di fatti analoghi avuti da 
molti per favolosi. Erborizzando egli intorno alle rive di S. 
Anna in compagnia d’un cacciatore e d'un soldato, si avvenne 
in un vespaio attaccato ad un piccolo arboscello alto circa un 
piede da terra, che fa aperto dai di lui compagni per cavarne 
il miele, di cui tutti tre mangiarono qualche porzione , trovan- 
dolo di doice e grato sapore. Ma ben presto ne risentirono 
tristissimi effetti, bensì con qualche differenza dall’ uno all’al- 
tro. Nel sig. di S. ZHilaire al dolore dello stomaco, che si an- 
nunziò il primo, succedette uno spossamento che divenne poi 
estremo e quasi. mortale, sgorgo invoiontario di lacrime, riso 
egualmente involontario, ed oscuramento della vista. Il vomi- 
to che egli seppe provocare lo sollevò gradatameate da questi 
mali, ed in fine lo rese libero. Il benefizio del vomito sponta- 
neo rese più leggero il male del soldato ; nel cacciatore il sin- 
toma più osservabile fu il delirio. 

Le indagini istituite dal sig. di S. Zilzire dopo il suo 
ristabilimento lo resero informato che il miele da sè mangiato 
era prodotto da una vespa detta nel paese Zecheguana, che 
esso non è sempre nocivo, e che è nota ai paesani la pianta 
da cui la vespa trae quel miele venefico. Per altro una tal 
pianta non avendo potuto essergli indicata, egli ba sospettato 


per congettura esser quella a cui egli ha dato il nome di Pau/- 
linia australis . 


168 
SCIENZE MEDICHE 


Antropotomìa. 


Rolando, questo infaticabile osservatore italiano, ha dimo- 
strato che lo spinale midollo , offre esternamente 1’ impressione 
di quattro solchi, e che esso per ciò resulta da quattro cordoni, 
eccettuandone la regione cervicale , ove per l’esistenza di due 
piramidi posteriori nell’ uomo, i cordoni ascendono visibilmente 
a sei. Questo sopranumero è appena sensibile nei quadrupedi. Egli 
ha inoltre osservato che sezionando orizzontalmente la midolla spi- 
nale la materia cinerea offre forme diverse. Sotto le piramidi ante- 
riori rappresenta un ferro di cavallo: all’ origine dei nervi delle 
estremità due mezze lune adossate ; nella region dorsale una 
specie di croce. Ed ha di più recentemente dimostrato, che la 
materia midollare che circonda l’asse cinereo , resulta da la- 
mine midollari ripiegate longitudinalmente un gran numero di 
volte . 


Il sig. Quadri , fino dal 1804, conobbe essere la sostanza mi- 
dollare del cervello , di tessuto lamellare, opinione che Gall e 
Spurzheim generalizzarono all’ intiera massa encefalica. Egli però 
solo, distinse negli organi elettrici della Raja Torpedine, e del 
Ginnoto elettrico molta analogia di struttura col cervello. Infatti, 
tenendo immersi per lungo tempo nell’ alkool gli organi sud- 
detti, una porzione delle loro lamine s’ indura come succede a 
quelle del cervello, e le altre si sciolgono nello spirito, d’ onde 
le prime si ricuoprono d’ una pasta simile al polviscolo, com- 
posta cioè di molti globetti, ed acquistano l’ aspetto di lamine 
cerebrali. Fondandosi appunto il Quadri sopra simile struttura, 
emette alcune congetture elettro-fisiologiche sulle funzioni dei 
nervi. Importantissimi sono poi i recenti suoi ritrovati. Nei lo- 
bi posteriori del cervello ha scoperto alcuni onici a strati con- 
centrici di sostanza midollare, e corticale; e sotto i corpi qua- 
drigemini, ha osservato una materia nera , cose non per anco de- 
scritte dagli anatomici per quanto si conosca. 


Il signor Fontenelle informò l'accademia reale di medicina 
di Parigi, che egli ha sezionato un’ individuo avente un solo 
rene che occupava la propria sede ordinaria, ma che era cin- 
que volte più volaminoso del solito, 


169 
Il sig. Amussat ha scoperto, e dimostrato l’ esistenza d’ una 
valvula a spirale, di cui è guarnito il collo della cistifellea. Que- 
sta valvula è una specie di vite d’ Archimede rovesciata. 


f 
Fisiologia generale. 


Flourens ricercando i nervi che presiedono alle funzioni re- 
spiratorie, fu guidato a conoscere, che la respirazione nei rettili 
senza costè complete , come le ranocchie e le salamandre , ani- 
mali che respirano inghiottendo l’ aria , si abolisce col distrug- 
gere le parti che mandano i nervi alle fauci, ed alla lingua. 


I sigg. Prost e Dumas, dopo avere pubblicato nel 1821. una 
memoria interessantissima sopra gli animaletti spermatici, piena 
di ricerche importanti e di esatte descrizioni, in quest’ anno si 
sono nuovamente occupati di questo soggetto, ed hanno arrichi- 
to la fisiologia animale di nuovi fatti. Le loro osservazioni ci 
svelarono molte cose fin qui ignorate, od inesattamente conosciute. 
Eglino fralle altre, hanno dimostrato che ogni animale maschio 
in istato di pubertà possiede animaletti spermatici. Che gl’ in- 
dividui troppo giovani, od avanzati in età, non ne offrono al- 
cun indizio, e che gli uccelli ne sono privi in ogni tempo, eccet- 
tuandone l’ epoca dalla natura assegnata al loro accoppiamento. 
Gli organi che somministrano tali animaletti sono evidentemente 
i testicoli, nei quali si trovano nello stato di completa perfezione. 
Questi animaletti, che sono dotati d’ un movimento spontaneo, 
muoiono appena risentono l’ azione della scintilla elettrica; la cor- 
rente galvanica però non esercita influenza sensibile nei mede- 
simi, neppure quando assume quel grado d'’ intensità, in cui di- 
viene capace di decomporre l’ acqua ed i sali che si trovano 
nello sperma. 


Le scoperte di F/ourens hanno acquistato , e meritamente, 
una gran celebrità. Alcuni sommi uomini mossi dall’ interesse 
e dallo zelo per la scienza , cercano con nuovi fatti di conva- 
lidarle o di confutarle, e di ridurre al loro vero valore le ri- 
cerche di questo giovine fisiologo. Pertanto il signor Bai//y ha 
fatto osservare che alcuni animali che saltano e nuotano  facil- 
mente, e con estrema agilità, hanno il cervelletto eccessivamente 
piccolo ; condizione che deve farci dubitare dell’ esattezza del- 
I’ opinione di F/ourens, che risguarda un tale organo come l’ esclu- 
sivo regolatore dei movimenti della locomozione. Questo fisiolo- 


170 

logo fu condotto dalle proprie esperienze a collocare nei tubercoli 
quadrigemini |’ organo della visione; ma se riflettesi, dice Bai//y, 
che la talpa ha i suoi nervi ottici quasi atrofici, e che è do- 
tata di tubercoli grandi e sviluppati come qualsivoglia qua- 


drupede, avremo altro fatto da opporre ai principj emessi da 
Flourens. 


Dutrochet persuaso, ed a ragione , che la fisiologia vegeta- 
bile ed animale non formino che un’ unica scienza, ha estese 
le sue ricerche intorno al medesimo soggetto in questi due re- 
gni della natura.(*) Esaminando col microscopio il cervello dei mol- 
luschi gasteropodi, non vi ha veduto che cellule sferiche agglo- 
merate , sulle cui pareti si osservano moltiplici corpuscoli glo- 
bulari. Quest’ organizzazione è affatto identica a quella che pre- 


senta il tessuto cellulare dei vegetabili +. Ma le funzioni sono 
forse simili? 


Fisiologia sperimentale, 


U) 
Il menzionato autore avendo eccitato cogli acidi contra- 


zione inun frammento del cuore di ranocchie e di molluschi 
gasteropodi , vide che la contrazione muscolare consiste in un 
increspamento, cioè in una serie di curve dirette alternativamen- 
te in senso inverso, d’ onde ne proviene accorciamento di tes- 


suto. Queste osservazioni sono analoghe a quelle di Dumas e di 
Prevost. 


Quantunque non sia intieramente nuovo ciò che andiamo ad 
esporre, pure Z/ourens con ulteriori ricerche, ha confermato che 
i movimenti continui e necessarj alla vita, come quelli deila re- 
spirazione, e della circolazione, non esigono l’ integrità dell’ en- 
cefalo. Infatti, asportando questo viscere ai piccioni ed ai pol- 
li, sopravvivono due o tre giorni. Se invece si distrugge, e si 
asporta la midolla allungata , la respirazione e la circolazione 
cessano ad un tratto. La respirazione si abolisce pure colla di- 
struzione delle parti della midolla spinale che forniscono i ner- 
vi ai muscoli intercostali ed al diaframma. 


Flourens ha dimostrato, che la semplice sezione della spi- 
nal midolla non toglie alle parti che ricevono i nervi al di sotto 


(*) Recherches anatomiques et physiologiques sur la structure intime des 
animaux et des végétaux , et sur leur mobilité , par M. H. DurrocneT , avec 


2 planches. Paris. 1824. Un vol. 8. di p. 240. chez Bailliere, rue de 1° école 
de medicine, N. 4. 


17: 
dell’ incisione, l’ attitudine di contrarsi per l’ influenza d’ un ester- 
na irritazione. 


Magendie inferì da una fnoltiplicità di esperienze dal me- 
desimo istituite , che il vomito si produce esclusivamente per 
le contrazioni dei muscoli addominali e del diaframma , e che 
le contrazioni dello stomaco non v’ influiscono in alcuna ma- 
niera. Il signor professore Tantini, unitamente a diversi alunni 
della università pisana , ripetè le esperienze del Magendie, e le 
modificò in vario modo. La natura delle sue nuove ricerche lo 
guidarono a resultati opposti. Osservò che se il Cardia man- 
tiensi libero nelle proprie contrazioni e nei suoi movimenti, 
malgrado le ripetute contrazioni dei muscoli menzionati provo- 
cati dal tartaro emetico iniettato nelle vene, mai accade il 
vomito, Ecco le sue esperienze. Recide lo stomaco degli ani- 
mali, e vi sostituisce una vescica, od un’ intestino cieco contenen- 
ti alcune sostanze atte a vomitarsi, e collega questo stomaco ar- 
tificiale al superiore superstite canale per mezzo di una cannula: 
quindi riunisce le pareti del basso ventre, ed inietta nelle vene 
pochi grani di tartaro emetico sciolto nell’ acqua. 

Diversi sono i resultati di questi esperimenti; allorquando 
la cannula termina ad una linea, cd a maggior distanza dal 
Cardìa, e che lo spago non lo comprime, il vomito non acca- 
de, ad onta dei forti conati; ma questo fenomeno costantemente 
succede. se il cardia è disteso ed occupato dalla cannula. 

Lo stomaco adunque non è passivo nel vomito, come fu 
supposto da Magendie, mentre sembra ufficio di tal viscere il 
superare la resistenza opposta dal cardia. 


Il sig. Be/lingeri, assiduo e perseverante nelle sue indagini, 
e giudizioso nelle sue deduzioni, lesse nel giugno all’ accade- 
mia di Torino, una nuova memoria sugli usi delle varie por- 
zioni della spinal midolla, dedotti da numerose ricerche speri- 
mentali intraprese sopra varie classi di animali . Fralle altre 
importantissime cose, dimostrò che la materia bianca serve al 
moto , e la cinerea al tatto ; non esser necessaria al tatto la 
continuità di detta sostanza , ma bastare la contiguità; presie- 
dere i fascetti posteriori della midolla, ai moti di estensione; 


e gli anteriori, ai movimenti di flessione delle estremità addo- 
minali . 


Magendie, avendo osservato che le irritazioni esercitate 


172 

sui nervi olfattorj d’un cane, niun segno promuovevano che 
indicasse la loro sensibilità, ed avendo inoltre veduto che la 
totale ablazione dei lobi cerebrali, fatta ad alcuni volatili, non 
li priva della facoltà di sentire gli odori, ravvicinando questi 
fatti, intraprese una nuova serie di esperienze per ricercare le 
funzioni dei nervi nasali. Eccone i resultati. Dopo la distru- 
zione degli olfattorj, costantemente perseverò l’ odorato. Resta- 
vano a determinarsi gli usi dei rami del quinto paio che occu- 
pano la cavità nasale. 

L’ autore con un piccolo istrumento pervenne a tagliare nel 
cranio il tronco del quinto paio ; ed appena i giovani, cani, e 
gatti, i porcellini d’ indie ec. subirono nei due lati del cervel- 
lo simile sezione, che restarono insensibili agli odori. Per lo chè 
gli animali odorano senza gli olfattorj, e non odorano quando il 
quinto paio è leso. Quali saranno adunque gli uffici dei nervi 
e dei tubi olfattorj, se l’ odorato da essi non depende? Nulla 
per ora se ne sà, onde dobbiamo collocare simili parti nel no- 
vero di quelle le cui funzioni sono intieramente ignorate. 


Patologia 


Il sig. Cruveilhier penetrato dall’insufficienza dell’ arte nella 
cura del tetano, non ne repata impossibile la guarigione se 
s'intraprenda con mezzi diversi dagli ordinari, giacchè que- 
sta malattia non’ offre alcun carattere d’incurabilità , nè pre- 
senta alcuna importante disorganizzazione. Egli fa pertanto ri- 
flettere, che le scosse convulsive del tetano, non sono che con- 
trazioni subitanee, ed involontarie del. diaframma, le quali di- 
pendentemente dai moti d’associazione, ne promuovono consimili 
nei muscoli spinali e respiratori. La morte poi dell’ infermo 
succede, allorchè queste contrazioni acquistano una certa per- 
manenza da produrre necessariamente l’asfissia. L'applicazione 
pratica che da questa teoria ne dedusse, lo determinò a ri- 
cercare il modo di sottrarre i muscoli all’ impero della causa 
convulsiva,, facendoli continuamente obbedire all’ impulso della 
volontà ; e questo resultato lo suppose conseguibile , consideran- 
do che una forte volontà agendo con perseveranza, sovente su- 
pera l’azione d’ uno stimolo esercitato sui nervi i cui muscoli 
sono volontari. Perlochè, in un tetano nel quale riuscirono 
infruttuosi tutti i mezzi dell’arte, e che presentava sintomi d’ un 
estrema gravità, prescrisse al malato di fare profonde inspi- 
razioni, a misura di tempo, e per facilitarne l’ esecuzione l’au- 


N 


173 
tore batteva le mani a cadenza. It successo superò l'aspettativa; 
le scosse che prima comparivano ad ogni minuto, non si 
rinnuovavano che dopo mezz’ ora .' Quest’ esercizio fu continuato 
tutta la notte ancora, e finalmente il malato colse il frutto 
della sua docilità nel sottoporsi a questo faticoso, e monotono 
esercizio. La cura non essendo stata intieramente affidata a 
questi movimenti, poichè nei primordj del tetano fu usato 
il salasso, l’oppio ec. perciò la loro efficacia non emerge con- 
seguenza rigorosa di questi fatti, tanto più che la suddetta 
guarigione potrebbe essere indipendente dai mezzi ‘impiegati. 
Bensì attendiamo da più numerosi successi, e dal resultato 
di più esatte osservazioni, la conferma di questa pratica, e di 
questa ingegnosa dottrina. Consideriamo frattanto che il peri- 
colo di questa malattia, richiedendo tatta la sollecitudine per 
parte nostra , non merita quindi lasciarsi intentato il metodo di 
Cruveilhier . 


Il sig. Bouillard, fondandosi sopra alcune esatte osserva- 
zioni raccolte in parecchi casi d’idropisie asteniche, ovvero 
attribuite a generale debolezza, opina che le medesime sia- 
no frequentemente prodotte dall’ obliterazione delle difteren- 
ti parti del sistema venoso. L’ostacolo insorto nella circolazione 
venosa è per lo più un grumo d’apparenza gelatinosa più o 
meno consistente, che aderisce alle pareti delle vene. Nel- 
l’ edema dell’ estremità inferiori osservò l’obliterazione nelle 
vene delle due parti; in quelle poi d’un solo arto, l’ impedi- 
mento esisteva unicamente nel medesimo. L’ ascite semplice è 
l’ effetto di ostacoli esistenti nella Porta. H preteso grumo e 
la gelatina non sarebbero il resultato dell’ infiammazione delle 
vene, linfa plastica, cioè, e trasudata, che assume una appa- 
renza grummoso-sanguinolenta ? } 


Nosologia. 


L'enorme sviluppo della lingua denominato Macroglossia 
forma la rara ma non naova malattia che descrive il sig. Doe- 
veren. Il medesimo ne assegna per causa prossima l’esilità 
dei nervi linguali, e la deviazione accidentale dei vasi sangui- 
g0i che vi si portano. Appoggiandosi ai resultati dell’ espe- 
rienza , e sussidiandosi dell’ autorità dei medici Batavi, prescri- 
ve per curarla la compressione della lingua . 


174 


Terapia . 


Il dottore B/ant, ed i dottori Gird/estone e Thackvay 
di Cambridge, hanno conseguito ottimi successi, curando col- 
la compressione meccanica alla testa i bambini affetti da 
idrocefalo incipiente, o che avevano tutta la disposizione a sì 
terribile infermità. Consiste questo metodo nel circondare il 
capo con bandellette, le quali oltre ad impedire la dilatazio- 
ne delle suture, colla compressione che esercitano, favoriscono 
egualmente l’ assorbimento della linfa . 


Terapeutica sperimentale. 


I sigg. Lambert e Lesieur, considerando l'insufficienza dei 
mezzi ordinari di terapeutica, e l'impossibilità di impiegarli 
in molti casi, ricercarono una nuova strada per introdurre i 
medicamenti, e prescelsero a quest’ uopo la cute spogliata di 
epidermide. Questo metodo che denominano emplasto-dermico 
fornirà il soggetto dun opera che pubblicheranno tra breve. 
Esso consiste nella preliminare spoliazione dell’ epidermide di 
una parte del corpo, procurata per mezzo di vescicanti, e 
nella successiva collocazione dei rimedi sui punti denudati. 
Le ferite, le piaghe ed altre superfici accidentali, possono 
egualmente servire all’ intento. Giova far uso di corpi che 
sotto piccol volume godono di proprietà attive, quantunque 
si possa conseguire lo stesso resultato da ogni altra sostanza, 
di cui si rinnuovi l’applicazione più volte al giorno. Col 
metodo epicratico e sperimentale perverremo a conoscere 
le dosi convenevoli dei medicamenti. Se questi esercitano un 
azione locale troppo irritante, vi si provvede unendoli al cerot- 
to ed alla gelatina: se all’opposto prosciugano e cicatrizzano 
la cute, si associeranno alla pomata epispastica . 

Col sussidio di questo metodo, i suddetti autori calmarono 
mediante l’ acetato di morfina la vigilia di molti infermi , guarirono 
ostinati dolori reumatici, ed una gravissima nevralgia. Col sol- 
fato di chinina soggiogarono prontamente febbri intermittenti, 
terzane, e quartane che resistettero per lungo tempo alla 
china amministrata internamente. 

Riferiscono il fatto notevole d’un tetano causato dall’ap- 
plicazione della noce vomica sopra la pelle decuticolata, ma 
che cedè quasi nell'istante, sostituendo alla noce, due grani di 


175 

acetato di morfina. Riuscirono utilissimi , il muschio , la digitale , 
il sale di saturno nelle affezioni dei precordj, del polmone, è 
nell’asma. I purganti, i diuretici, i sudoriferi hanno per que- 
sta via manifestato effetti più energici, che presi internamente. 
L’emetico ha provocato sudori ed evacuazioni alvine copiosis- 
sime . 

Con impazienza attendiamo adunque l’opera citata, e ci 
lusinghiamo che con questo metodo jatralettico cotanto atti 
vo, la medicina curativa farà acquisti importantissimi. 


Flourens, dopo avere dimostrato la specialità delle fun- 
zioni delle diverse parti del cervello, volle sperimentare |’ a- 
zione sensibile che in esse determinano l’ oppio , la bella donna, e 
l'alcool. Si sa che il primo addormenta, la seconda accieca, 
e che l’ultimo impedisce di muoversi regolarmente (ubbriaca). 
Se a priori fosse lecito il presupporre in quali parti queste 
sostanze spiegano la loro azione, coerentemente alle esperien- 
ze dell'autore, l’oppio dovrebbe determinare nell’ericefalo un 
fenomeno analogo all’ ablazione dei lobi cerebrali, la bella don- 
na a quella delle eminenze quadrigemelle, e l’ alcool alla di- 
struzione del cerebello . 

Intraprese adunque simili ricerche fu osservato che allor- 
quando l’animale perisce dopo aver preso l’ oppio, si manife- 
sta una gran macchia rosso fosca sul davanti del cranio, dopo 
la bella donna sui lati, e dopo l’alcool sull’occipite. 

Flourens suppose che queste macchie provenissero da al- 
trettante infiammazioni locali, nel primo caso del cervello, 
nel secondo dei tubercoli ottici, e nell’ ultimo del cervelletto. 
I commissari dell’ Istituto di Francia ripetendo le di lui espe- 
rienze, hanno verificato però che tali macchie resultano uni- 
camente da spandimenti sanguigni effettuatisi nella sostanza delle 
ossa del cranio, e che riempiono le cellule del diploe . La 
posizione costante e locale di questi stravasi è ben singolare , 
ed i rapporti di sito tra queste macchie e gli organi, le cui 
funzioni si alterano, sono favorevolissime alle conclusioni dedotte 
dalle altre esperienze dell’ autore. 


Topografia Medica 


Il celebre Humboldt, ha descritto il gozzo che si osserva 
sotto i tropici. In Europa questa infermità è più comune 
nelle valli umide e strette, calde nell’estate, e la cui aria é 


196 
stagnante. Si crede comunemente tra noi di potere preserva- 
re dal gozzo gl’ individui, col trasportarli giovanissimi nelle 
alte regioni delle montagne ove l’aria ha una bassa tempera- 
tura, ed i venti dominano liberamente. Al contrario, le osser- 
vazioni fatte in America , c’istruiscono che i gozzi sono più 
frequenti nei luoghi elevati, asciutti, e dominati dai venti, e 
che ordinariamente ne sono immuni gli abitatori di opposte 
località. È un fenomeno osservabilissimo, che nell’America 
la malattia offre un emigrazione dal piano al monte, sì ra- 
pida, e sì estesa, che riehiama la sollecitudine del governo 
Colombiano, il quale non ha guari ricercò dai medici le 
cagioni di questa traslocazione , ed i mezzi per ovviarvi. 
Inoltre merita osservarsi che gl’indiani, ovvero gl’ indigeni 
bronzini dell’ America , sono quasi esenti dal gozzo; e Caillaud , 
che recentemente ha visitata l’alta. vallata del Nilo-bleu fino 
al 10.° grado di latitudine, assicura egualmente di non avere 
riscontrato questa deformità fra i popoli neri. Da queste cu- 
riose notizie s’'inferisce quanto siamo lungi dal conoscere le 
vere cause che rendono endemico il gozzo in certe contrade , 
e quanto siano poco fondate le congetture immaginate fin qui 
sulle cause occasionali di questa malattia. 


Materia Medisa 


Lo strychnos pseudoquina, o quina de campo, indigena 
delle vaste regioni dell’America Meridionale, non gode di vir- 
tù febbrifughe inferiori alle migliori specie di china delle 
Cordiliere. Riferisce il signor Augusto di Saint-Hilaire, che 
numerose esperienze di confronto intraprese al Brasile, e ripe- 
tute pure in Parigi con pari esito , dimostrano 1’ eccellenza di detta 
scorza. Il signor Yauquelin che ha fatto l’analisi di questo 
strychnos, vi ritrovò un acido particolare; e cosa che sorpren- 
de, non vi scoperse nè braucina, nè chinina, e neppure un 
atomo dei principii venefici che fornisce lo strychnos nux vo- 
mica, o fava di S. Ignazio. 


Chirurgia 


Alcuni sommi chirurghi avevano, ed è gran tempo, pro- 
posto la siringa retta, ma non ottenne questa forma il suffra- 
gio dei più. Al presente il signor Amussat, in una memoria, 
descrive il modo di servirsi di questa siringa , che riesce fagilissimo 


77 


per chi eonosce l’ andamento dell’ ufetrày e quindi ne espone 
i vantaggi. Infatti colla siringa retta non si devia dai lati, e 
si fa provare all’istramento un motor di rotazione atto a superare 
con poca forza gli ostacoli che si presentano, e io 
nell’uretra . 


Il sig. Zuigi Franceschi, abile chirargo esercente in Li- 
vorno , colla mira di sollecitamente procurare la caduta dei 
Polipi allacciati senza la necessità di rinnovare il nodo, e col 
proponimento altresì di sottoporre tali escrescenze ad una stroz- 
zatura incessantemente attiva, ha immaginato un serra-nodi 
elastico consistente in una spirale di filo metallico, più o 
meno lunga secondo il bisogno, e grossa quanto una penna 
da scrivere. 

Egli opera comprendendo nel laccio portato coi mezzi ordinary 
la base del polipo, ed infila i due capi del laccio in un globetto 
resistente e pertugiato, come sarebbe un chicco di corona, e suc- 
cessivamente introduce tali fili nella spirale che spinge fino al 
peduncolo poliposo; indi passa un solo capo del medesimo lac- 
cio in altro globetto per farlo servire di punto fisso al nodo, 
il quale tanto stringe da concentrare in sè stessa la spirale, 
onde permanentemente comprima il corpo allacciato. 

È chiaro che a proporzione che diminuisce il volume della 
base strozzata, e che il laccio si rallenta, questa spirale com- 
pressa , mediante la sua forza elastica tendendo ad aprirsi, man- 
tiene sempre al più perfetto contatto i punti allacciati. 

Se il polipe è comodamente accessihile , e che riesca fa- 
cile scansare il pericolo di pizzicottare la membrana ove ha 
sede, l’autore si serve unicamente della spirale guarnita alle 
sue estremità dei suddetti? globetti. In caso diverso nasconde 
l’ elice in una cannula d’argento totalmente aperta da una 
estremità, e semplicemente pertugiata e olivare dall’altra; in- 
sinna i capi del laccio nel pertugio dell’ estremo olivare, che 
passando pure per la spirale, li riprende all’estremità opposta, 
li stira, e quindi manda sino sul polipo lo strumento. Ciò 
fatto , introdace questi capi in altra cannula più piccola in tutte 
le dimensioni rispetto alla prima, e che conduce sino all’ infe- 
riore apertura della maggiore, nel cui lume la spinge con forza 
onde comprimervi il contenuto spirale: un nodo fatto sopra 
ad un’occhietto situato all’estremità. inferiore-esterna della 
piccola cannula, assicura la strozzatura del peduncolo allac- 
ciato, e pone la spirale in piena libertà di continuamente agire . 

T. XIV. Novembre 12 


178 

Con questo metodo il sig. Franceschi è pervenuto in bre- 
vissimo tempo a far cadere polipi di base resistente , senza tor- 
nare a stringere la legatura, e per tal modo ha evitato an- 
cora quegli sconcerti, che talvolta insorgono, dipendenti dalla 
semi-strozzatura dei nervi, che accade appunto allorchè il laccio 
cessa di validamente comprimere dopo il primo stringimento . 


Il professore Dupuytren , riproducendo le idee di Pellier, 
e di Foubert, crede che il miglior metodo per conseguire sol- 
lecitamente e radicalmente la, guarigione della fistola lacri- 
male, consista nell’aprire il sacco delle lacrime, e nell’ in- 
trodurre un mezzo meccanico stabile, e cavo, che dilati il con- 
dotto nasale, e che permetta la discesa alle lacrime. 

A questo fine il Depuytren, fatta l’ incisione del sacco lacri- 
male, introduce nel canale nasale una cannula cuneiforme d’ oro , 0 
d’argento lunga dalla 9 alle 11 linee, e ne favorisce l’ introdu- 
zione per mezzo d’uno stilletto che la spinge in basso. Quindi 
riunisce la ferita con un poco di drappo gommoso, e la me- 
desima sì cicatrizza sollecitamente. I numerosi felici resultati 
che coronarono questo nuovo metodo d°’ operazione, e ,l’ ovviare 
per esso alla lunga e tediosa medicatura successiva , lo racco- 
mandano moltissimo. 


Statistica ostetrica. 


Il sig. Bigeschi prof. di ostetricia teorica allo spedale di S. 
M. Nuova, e soprintendente alla lattizione nell’ ospizio della Ma- 
ternîtà di Firenze, nel rendere di pubblico diritto un ingegno- 
sissimo letto, di cui è inventore , per facilitare i parti, ha dato 
pure conto in un prospetto statistico , delle nascite $ morti ec. 
accadate nell’ ospizio suddetto dal principio della sua istituzione 
fino al primo del marzo decorso. Fralle notizie importanti che 
egli comunica al pubblico noi prescegliamo le seguenti. 

Dal 1. giugno 1816. al 1. marzo 1824, 500 donne hanno 
partorito nell’ ospizio della Maternità . Gl’ individui nati ascen- 
dono a 506 per effetto di sei parti gemelli, Di questi, 485 hanno 
presentata la sommità della testa, 399. volte in prime posizioni, 
86 in seconda, ed una volta in quarta. (*) 7 sono nati natural- 
mente per i piedi, 5 dei quali in prima posizione, e 2 in seconda. 


(*) Le posizioni sono basate sulle classificazioni dell’ opera dell’ A. che 
porta il seguente titolo: Breve cenno intorno l’ I. e R. Ospizio della Mater- 
nità di Firenze, 1824. presso Paganî, 


RIO 
‘Il numero dei maschi è di 279, quello delle femmine di 227, 

Di questo numero di parti sono, accaduti 300 di giorno, 200 
di notte ec., 

61 Feti, sono nati avanti il termine della gravidanza, e 2 parti 
gemelli sono accaduti il settimo mese, e precipitosamente. 

Fra 506 feti tre sono nati mostruosi , cioè due col labbro 
superiore , e colla volta palatina divisa , ed uno storpiato nelle 
dita delle mani come la propria genitrice. 

Il feto più voluminoso ha pesato libbre 76 e once 4, ed il 
meno voluminoso, a termine, lib: 5; il maggior numero ha pesato 
libbre 10 circa. 

Di 506 neonati perirono soli 49; fra questi 13 son nati morti, 
per non esser vitati o a termine; 6 son morti di convulsione 
nei primi giorni della loro esistenza; 5 perirono d’ indurimento del 
tessuto celiulare, 2 d’ infiammazione d’intestini,4 per aver ricusato 
di prender latte mediante lo stato loro di debolezza; 1 per la 
deformità della volta del palato non potè venire nutrito. 

Nei feti nati avanti il termine naturale della gestazione fu 
trovata costantemente più lunga la parte del corpo, compresa 
dall’ umbellico alla sommità della testa, e più corta quella frap- 
posta tra l’ umbellico,e la pianta dei piedi. Talchè questo ca- 
rattere fornitoci da Chaussier per verificare l’ immaturità del fe- 
to sembra oramai infallibile, perchè l’ osservazione ognor più lo 
comprova. 

In questo gran numero di parti fu soltanto ridotta, e di- 
retta colla mano dell’ ostetrico la sortita di numero ro feti, ed 
adoperò unicamente tre volte il forcipe. 
| Delle madri ne morirono sole tre nel puerperio, e per ef- 
fetto del puerperio. Divennero poi conseguenza del parto 1 de- 
pressione, ed : rovesciamento di utero, 6 casi di emorragia, 2 
peritonitidi, 1 infiammazione d’ uretra e di vagina , ed una di- 
latazione della sinfisi del pube. 

Tutti questi resultati del valentissimo, e giudiziosissimo sig. 
Bigeschi sono soddisfacenti, e per la rarità degli accidenti con- 
secutivi al parto, e per il piccol numero delle eseguite ope- 
razioni . 

Terminando l’ esposizione di questa statistica ostetrica non 
possiamo astenerci dal deplorare le tante operazioni di parto 
che in alcuni luoghi s’ intraprendono senza necessità, con dan- 
no immenso della madre e del feto. Praticate per ignoranza , 
usate per sordida cupidigia d’ immeritata mercede , o per u- 
surpare una gloria non acquistata per operazioni rispiarmate, ma 


180 


comprata con inorti, con mutilazioni, con patimenti, con malat- 
tie e con lai, inutilmente e colpevolmente cagionati, ecco come 
si sacrificano tanti esseri interessanti, affidati al sapere ed alla 
probità di qualche indegno ministro d’ Igea. 


Statistica medica. 


Il vantaggio delle statistiche mediche è riconosciuto ; per 
esse sole si può giudicare della bontà, dell’ inutilità, o del dan- 
no dei mezzi curativi. L’ efficacia dei metodi di cura, è appunto 
in ragione diretta del numero dei guariti sopra una determi- 
nata totalità di malati, ed in ragione inversa del tempo che le 
malattie impiegano nel loro corso. Sappiamo adunque buon grado 
ai medici che si danno la premura di pubblicare le loro sta- 
tistiche. 

Nella Clinica medica dell’ università di Padova, il celebre 
consigliere prof. Brera, l’anno 1821-22 ricevè 235 malati, ed 
ebbe una mortalità di 14. Nell’ anno poi 1822-23 sopra un e- 
gual numero di malati ne perirono 16. Si rifletta che nelle 
cliniche si scelgono ordinariamente le malattie più gravi, e che 
per ciò s° accrescono gli elementi di probabilità per la morte. 
Ciò non ostante, in virtù della medicina eccletica propendente 
al controstimolismo professata dall’ egregio Brere, la mortalità fu 
al di sotto del 7 per cento. 

Negli ospedali di Livorno entrarono negli anni 1821, 1822, e 
1823 malati N. 10096, e ne morirono 1004, lo che fa ascende- 
re la mortalità a 9g, 947100 per cento. La permanenza media pro- 
porzionale dei malati nell’ ospedale fu di giorni 3g per ciascuno. 
Merita considerazione che i militari, ed i detenuti, curati nell’ o- 
spedale, offrirono nel corso del triennio le mortalità di 1,147100 per 
cento, poichè sopra 3501 infermi ne perirono soli 41. Questo 
consolante resultato proviene forse perchè i militari, ed i de- 
tenuti, ricercano ed ottengono i sussidj dell’ arte sollecitamente 
ed alla più lieve indisposizione? 


(*) Annunziammo già ( Antolog. N.° 41, maggio 1824, pag. 145) 
la scoperta fatta dal sig. Dot. Lippi dell’ ingresso:di varii tron- 
coni di vasi linfatici nelle vene, e specialmente nella:cava, nella 
porta, nella splenica, e nella meseraica, per la quale scoper- 


(*) AI momento di chiudere questo capitolo delle Scienze mediche, che 
dobbiamo al sig. Dottor Em. Basevi di Livorno , viene a nostra cognizione 
questa nuova scoperta del sig. Lippi. 


Re ee 


181 
ta, serbata esclusiva ai vasi linfatici la facoltà d’ assorbire , si 
spiegano felicemente i fatti allegati modernamente in appoggio 
della facoltà assorbente voluta attribuirsi alle vene. 

Restava bensì ai sostenitori di quest’ ultima opinione un ri- 
fugio in quelli esperimenti per i quali materie ingerite nel tu- 
bo intestinale si erano ritrovate nelle vene, non nei linfatici. 

Ma nuove indagini dello stesso sig. Lippi lo hanno condot- 
to a risolvere vittoriosamente anche questa difficoltà. Egli nella 
mattina dei 17. novembre corrente scuoprì diversi linfatici che 
dal mesenterio si portano alle diramazioni delle vene emulgenti, 
segnando così patentemente la via per cui si era effettuato il 
decantato passaggio nel sistema venoso delle sostanze introdotte 
negl’ intestini. 

Questa scoperta, oltre ad assicurare ai linfatici | esclusiva 
facoltà assorbente, sostituisce la verità e l’ evidenza alle ipotesi 
fin qui prodotte per ispiegare il rapido passaggio nelle orine di 
alcune materie ingerite coi cibi e colie bevande, ed annunzia- 
te dall’ odore o dal colore. 

L’ iniezione per cui si sono scoperti questi linfatici è stata 
fatta in quella porzione del mesenterio che guarda il duodeno, 
e precisamente la curvatura che questo presenta sopra la co- 
lonna vertebrale; i detti vasi si portano a sinistra per guadagna- 
re le diramazioni delle vene emulgenti, colle quali si anasto- 
mizzano. 

Il ritardo che l’ incisione delle tavole ha portato alla pu- 
blicazione dell’ intiero lavoro del sig. dot. Lippi, e che è ora- 
mai imminente, permette di unirvi anche quest’ ultima parte 
interessantissima. 


SOCIETA', E VIAGGI SCIENTIFICI. 


Società elvetica delle scienze naturali. Si è già avuta fre- 
quente occasione di parlare di questa bella ed interessante i- 
stituzione. Noi invitiamo i nostri associati a rileggere più particolar- 
mente ciò che abbiamo detto nel N.° 36. dicembre 1823. pag. 4t- 

La società elvetica ha tenuto la sua sessione del 1824 (de- 
cimo anno della sua istituzione ) nella città di Sciaffusa, capo 
luogo del cantone di questo nome; sessione che ha durato i 
giorni 26, 27,e 28 di luglio. Il tenente colonnello Fischer, che 
vi presiedeva , pronunziò un discorso, del quale riporteremo i 
tratti che possono meglio convincere i nostri lettori dell’ utili- 


tà di simili istituzioni, conseguenze felici dello spirito d’ asso- 
ciazione, e degne d’ essere imitate. 


182 


Dopo aver reso un giusto omaggio ai fondatori di quella 
società , egli aggiunge, parlando più particolarmente del sig. 
Gosse, rapitole pochi mesi dopo la prima riunione: ,, egli gode- 
rebbe con entusiasmo della circostanza che riunisce oggi verso 
il confine settentrionale della Svizzera, in una piccola città, pri- 
va dei mezzi di cui la maggior parte delle sue confederate sono 
riccamente provviste, il fiore dei naturalisti dell’ Elvezia, col fine 
lodevole di comunicarsi reciprocamente i loro lumi e le loro sco- 
perte , di mantenere delle relazioni personali , le quali essi ap- 
prezzano ogni anno maggiormente, e di congratularsi tutti insie- 
me d’ appartenere ad una contrada che il Creatore ha colmato 
dei suoi più bei doni. ,, 

L’oratore, dopo quest’ esordio, rammenta succintamente le 
scoperte fatte nelle scienze naturali in generale dopo la riunione 
dell’ anno precedente, ed aggiunge: ,, Ma il nostro vero campo; 
quello che la natura spiega nelle nostre montagne, e che c’ in- 
vita a coltivare con attività e perseverat za, è la storia naturale. 
Qui ella ci mostra numerose sorgenti minerali e termali, dotate 
di proprietà medicinali energiche ; là fenomeni geologici varia- 
tissimi, dalle alte catene centrali e primitive alle roccie di tran- 
sizione, e da queste alle catene secondarie , terziarie , e fino ai 
monumenti della catastrofe diluviana. La catena del Giura offre, 
ella sola , ai geologi un’ oggetto d’ interesse e della più grande 
curiosità nelle ossa d’ animali antidiluviani , che il nostro per- 
spicace ed infatisabile collega, il prof. Hugi, ha scoperte petrifi- 
cate negli strati più bassi vicino a Soletta. Altrove si sono tro- 
vati nelle cave di carbon fossile del nostro suolo, e saranno or’ora 
posti sotto i vostri occhi , degli avanzi ben conservati di questi 
animali dell’ antico mondo, che in questo più non si trovano. La 
ricerca di quello stesso combustibile è un’ oggetto del più alto 
interesse per la Svizzera intera dal lato dell’ economia, ed una 
società si è formata a Ginevra per questo fine speciale. L’ impre- 
sa delle sorgenti salate, resa fortunatamente sì facile col proces- 
so della perforazione del terreno , ha avuto in una contrada vi- 
cina alla nostra (*) successi brillanti , e che danno speranze le- 
gittime di riuscita nel nostro paese. ,, 

»» Quì la geologia, in tutti i suoi rami, presenta il più vasto 
campo; mammiferi, uccelli, pesci, rettili, insetti, la nostra Sviz- 
zera offre nel suo recinto dei saggi più o meno interessanti di 
tutto il regno organico, come ne presenta di tutti i minerali; di 


(*) Il Granducato di Baden. 


183 

‘che fanno testimonianza: le; ricche , collezioni di. tali oggetti già 
formate in «alcune, delle nostre.città,, e che si accrescono giornal - 
camente. ,;1 oJmsi Pen 

(3 Dalle nostre ‘basse, pianure fino, alle nostreicime coperte di 
nevi perpetae; noi possediamo, anche tutti i climi nel limitato re « 
cinto delle nostre ventidue,repubbliche.. La; meteorologia riceve- 
rày conviene: sperarlo, da, un sistema ragionato ed aniforme d’os- 
servazioni che ‘si tratta di,stabilire.in tuttii capi-luoghi di.can- 
tone; dei deci preziosi.da riunire e da. comparare. La buona am» 
ministrazione ‘delle. nostre foreste, ‘oggetto, di, prima. importanza: ,; 
occuperà anch’essa la società.,;.che nella sessione attuale rice- 
verà comunicazione del parere .dei nostri colleghi, i profes- 
sori Pictet e De Candolle; intorno al sistema .che; essi  propon- 
gono ‘di seguitare in questi. due; generi di. ricerche, come 
anche in quelle che avranno. per scopo la; determinazione ipso- 
metrica dell’ altezza sopra. il livello del mare di: .tutti..i. punti 
principali della. Svizzera, e delle, varie; pemdenze dei suoi fiumi. 
Li idrotecnia . del/ nostro. paese, è. particolarmente, interessata in: 
queste determinazioni; ed lil,successo. dei lavori memorabili, delta 
Linth (che nom si possono rammentare senza onorare di profon - 
do compianto la memoria del benefattore di quella contrada ) ci 
ha convinti dell’ importanza e della possibilità di operare in 
grande quegli asciugamenti che diverse pianure paludose recla= 
mano ; operazioni che rendono all’ agricoltura vasti terreni im- 
produttivi, e fanno nascere la salabrità ove regnavano influenze’ 


Osa; { 


perniciose. ,, 
,» Ma egli è tempo di terminare queste considerazioni generali 


e preliminari. Io abuserei della vostra indulgenza, carissimi ed’ 
onoratissimi colleghi, parlando più lungamente. Il mio ufficio si 
limiterà a far seguitare l’ordine de? giorno, quale è stato rego- 
lato, secondo l’uso, dal comitato direttore riunitosi avanti l’aper-- 
tura della sessione. hi 


Istruzione pubblica. Regno di Pollonia. Il movimento im- 
presso all’Europa dallo spirito del secolo per la propagazione 
dei lumi , al torrente dei quali si può aprire degli sfoghi ngn 
opporre delle barriere, questo movimento si mostra nel regno 
di Pollonia cone altrove, e la saviezza del governo cerca di 
dargli una direzione ogni giorno più utile per la pubblica istru- 
zione. Nè soltanto con fondare università, collegi , licei, e scuole 
d’insegnamento reciproco l’imperatore ALESSANDRO continua a ren- 
der più estesa questa istrazione, ma anche con provvedimenti 


184 
particolari, che senza far molto strepito;'‘sono per altro molto uti} 
al corpo insegnante ed a quelli che lo compongono. Ne ab- 
biamo un esempio, che riportiamo tanto più volentieri. quanto 
che fa persona che n’è l'oggetto ‘è ‘un° nostro compatriota , 
ed è cosa lusinghiera per l'Italia il vedere anche ‘in’ oggi i 
suoi figli ricercati’ dalle altre‘ mazioni per farli. partecipare 
alla Grana opera che la pace ‘e la tranquillità generale: per- 
mettono di compire. Il sig. ‘prof. Giampî uno del nostri  col- 
laboratori, ‘è incaricato, ‘nella’ qualità di corrispondente in Italia 
della Commissione dei culti e dell” istrazione pubblica del regno 
di Pollonia, nòn'solo di comunicarle règolàrmente uno stato fe- 
dele del movimento delle scienze edettà letteratura nel! nostro 
paese , ma didarle informazioni’ speciali e positive: sul’ ‘modo 
d’insegnamento delle lingue inigenere”) e' particolarmente su 
quello dellé-lingaè bibliche: Tlsig. Ciampi ‘è incaricato. in oltre: 
di compràr ‘dei’ ‘libri perl’ università ; ed' una lettera, che. ab- 
biame sotto' gli occhi, del sig. Conte Stanislao Grabowski, mini 
stro dei culti e dell’ istruzione, provalo; zelo ‘e la” ‘premura ‘con 


cui sono adempite le viste Pt del ‘governo, i. 01298] 


GIUSEPPE Gazzem. 


185 


BULLETTINO BIBLIOGRAFICO 
ilo all’ Antologia (*) . 
N. XIII. Novembre 1824. 
AVVISO CONCERNENTE AL BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 


Le frequenti richieste che mi sono fatte di annunziare nel- 
l’Antologia le opere che vengono alla luce, mettendomi nell’im- 
possibilità di sodisfare a tutte senza oltrepassare di troppo il 
numero dei fogli di stampa prefissomi, mi viddi nella necessità 
di dichiarare ( col mio avviso premesso al Bu//ettino bibliogra- 
fico, nel fascicolo di novembre 1823.) che tali annunzi non po- 
trebbero più trovarvi luogo, se non quando mi venisse mandata 
in dono, (come d'altronde si pratica dappertutto, ) una copia 

| delle opere medesime, egualmente che per il caso che fosse.op- 
portuno il renderne conto in un articolo speciale , o in una ri- 
vista letteraria . I sigg. librai e stampatori, che sanno quanto 
costano la carta e la stampa , non trovarono indiscreta una simile 
dichiarazione ; pochi sono però quelli che, dando fuori nuove 
edizioni, si sono decisi a farmele conoscere, e perciò mi trovo 
nel caso di ripeter qui la mia dichiarazione . Agli editori di ope- 
re di lusso e di un certo valore, feci esservare che il sacrificio 
che possono fare viene largamente compensato dall’ essere quelle 
opere continuamente sotto gli occhi di un pubblico illuminato, 
nel mio Gabinetto scentifico e letterario, cosicchè sono più pre- 
sto conosciute ed apprezzate. 

Ciò nonditheno, per facilitare quanto da me dipendeva ai 
signori librai e stampatori |’ inserzione nell’ Antologia di quelle 
cose che preme loro di far sollecitamente conoscere al pubbli- 
co, come annunzi, manifesti, elenchi di libri, ec. io divisai 
di farne l’oggetto di un Bu/lettino bibliografico annesso all'An- 
tologia , il quale da quell’epoca in poi chiude ogni fascicolo, 
per la retribuzione fissa di lire cinque fiorentine per ogni 


(*) I giudizi letterari dati anticipitamente sulle opere amnunziate nel pre- 
sente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono 
somministrati dai sig. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna con- 
fonderlì con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima , siano 
come estratti o analisi, siano come annunzi di opere, 


136 
pagina, e di soldi cinque per ogni riga di garamone, da pa- 
garsi anticipatamente da chi mi trasmette gli articoli da stam- 
parsi, ben inteso , franchi di porto. 

Questo bullettino, il quale vien regalato agli associat i 
dell’Antologia, vale a dire, che non è mai calcolato nel numero 
dei fogli promessi, e in cui ciascuno editore può esprimersi sulle 
cose sue come meglio gli pare, non impedisce il giudizio che 
l’Antologia può darne in un articolo speciale, quando la sua im- 
portanza lo richieda. 

Io spero che il mio divisamento verrà. sempre più gradito 
dal pubblico; ed in particolar modo dai sigg. editori, stampatori 
e librai, che senza dubbio ne hanno già sperimentata l'atilità. 

Firenze 30. gbre. 1524. VIEUSSEUX DIR. 


173. Manifesto. Non vi ha gente colta, che non accolga con plau- 
so tutto quello che appartiene alla celebre nazione Pollacca: ma 
certamente non vi ha chi più degli Italiani debbasene occupare 
per le ecclesiastiche, politiche, scientifiche e letterarie comu- 
nicazioni, e per quelle delle belle Arti avutesi dalla Italia. nel 
corso di molti secoli con la Pollonia , non meno che per le non 
poche illustri famiglie di Italia colà trapiantate, Peraltro. ad 
onta di tutto ciò manca’ fin qui alla Polonia ed alla Italia un 
Opera nella quale sia presentato il quadro storico di queste co- 
municazioni importanti . 

Il sig. Cav. Sebastiano Ciampi, regio corrispondente attivo 
in Italia della R. Commissione de’ Culti e della istruzione pub- 
blica del regno di Pollonia, nella sua dimora in Varsavia concepì 
il disegno di supplire a questa mancanza , e si diede a raccogliere 
quanto più potè notizie degli Italiani stati in Pollonia , ecclesia* 
stici, politici, letterati ed artisti, con un cenno delle loro ope- 
razioni, dei loro scritti, e lavori, ed in una parola di tatto 
ciò che delle comunicazioni tra la Pollonia e l’Italia gli venne 
fatto di rintracciare nei libri stampati, nei MSS. nei monumenti 
d’ogni maniera, e nelle tradizioni sicure. 

Egli dunque si propone di darci l’opera intitolata ITALIA 
IN PoLLONIA nella quale si conterrano le seguenti materie. 

T. Notizie di Nunzj, ed altri inviati Pontificj dallo stabili- 
mento della Religione Cattolica in poi nel Regno di Pollonia. 

II. Di Ministri ed inviati degli stati Italiani alla Corona di 
Pollonia . 


IM. Di impiegati Italiani nella Corte e nel Regno di Pol- 


lonia. 


187 

IV. Di individui ed intiere famighie venute d’Italia in Pol- 
lonia . 

VW. Di Letterati italiani, e scritti loro in Pollonia. 

VI. Di Artisti italiani ed opere loro in Pollonia, con alcuni 
ritratti di quelli. 

VII. D’usi antichi Pollacchi, e d’ altri passati dall’ Italia in 
Pollonia . 

VIII. D’iscrizioni sepolcrali e Monumenti più considerabili 
de’ Pollacchi morti in Italia, e degli stabilimenti della pietà Pol- 
lacca in Roma ed altrove. 

IX. Di celebri Pollacchi stati in Italia a studiare le Scienze 
e le Arti. 

X. Prospetto dell’ antico e del presente stato di cultura nel 
Regno di Pollonia. 

Non potendosi determinare la mole dell’opera, nemmeno de- 
terminiamo . con precisione. il. prezzo del libro, ma soltanto 
quello d'ogni foglio, che sarà di soldi 5. in ottavo con carta e 
caratteri del presente Manifesto. Il numero degli Associati farà 
metter mano più o meno sollecitamente alla stampa. Leonardo 
Ciardetti.. Firenze li 15 novembre 1824. 

174. Da torchj di Leonardo Ciardetti ristampasi in sei volu- 
mi , de’ quali è già uscito il terzo alla luce, la STORIA DELLA 
ToscANA dell’ illustre PIGNOTTI , precedente a quella del principa- 
to, che n'è il compimento, L’ edizione ha tutti i medesimi pregi 
degli altri classici Italiani sin qui dalla medesima Tipografia pub- 
blicati. Son sette paoli il prezzo di ogni volume — Per due pao- 
li si dispensa alla libreria Ciardetti, in Via del Palagio, il ROGO 
DI CORINNA, Pastorale del Tasso da unirsi all’AMINTA e all’A- 
MOR FUGGITIVO, copia di un manoscritto del secolo XVI, e cor- 
retto, e illustrato dall’Ad. Dott. De Poveda, e perciò più pre- 
gevole del testo divulgato fino dal 1608, e quindi da Bottari e 
Serassi. Ed a migliore intelligenza degli Argomenti della Ce- 
rusalemme, |’ istesso Ciardetti stampa con figure in un Tomo la 
Storia delle Crociate di Roberto Monaco recata in volgare da 
miglior testo di quello volgarizzato da Francesco Baldelli, e 
pubblicato dal Torrentino nel 1552, coll’aggiunta di prefazione 
e Note del Cav. Ciampi, e la lettera di Dureau Dalamalle a 
Michaud , scrittore , dell’ istoria intera delle Crociate, intorno 
alle due Liberata e Conquistata Gerusalemme . 

175. Delle influenze morali, opera del sig. PIETRO ScHEDO- 
NI, terza edizione , riveduta ed ampliata di molti articoli dall’Au- 


188 


tore — Modena, dalla tipografia Camerale 1824 — Volumi 3. 
INGO:C 

176. Ristretto della storia dei principali trattati di pace, 
dalla divisione dell’impero di Carlo Magno fitfo a quello di Wes- 
tfalia, del conte GiusEPPE GATTI. Roma 1824 — 2 vol. 8.° fr. 
Bourlie . 

177. Notizie intorno all'acqua minerale di Egra, della 
Fonte S. Francescana, raccolte e compilate dal Medico G. B. 
ALBERTI — Verona 1824 — 8 di p. 18. 

175. Storia di Milano del ConTtE PieTRO VERRI, co’ testi 
latini tradotti dal Conre Bossi. Milano 1824 — Stamperia De 
Stefanis. vol. secondo — 8.° di pag. 295 — prezzo per gli as- 
sociati Lire 4. 15. 

179. Geografia moderna universale, ovvero descrizione fisi- 
ca, statistica, ec. per G. R. PAGNOZZI — Firenze — Vincenzio 
Batelli e C. in 8.° distribuzione XIV — Vol. VIII. parte secon- 
da, pag. dalla 289 a 652 — Russia e Polonia: prezzo lire 4. 12. 
toscane . 

180. Sistema di Stechiometria Chimica, o Teoria delle pro - 
porzioni determinate , del dottore GIovAccHINO TADDEI, profes- 
sore di Farmacologia, e intendente di Farmacia nell’Imp. e R. 
Arcispedale di S. M. Nuova — Firenze 1824 — dalla Stampe- 
ria Pagani. Un vol. 8.° di pag. 184. 

181. $ull ottalmia che hanno sofferio i militari di Livorno, 
osservazioni di Lopovico PaoLI chirurgo maggiore. Livorno 
1824 in 8.° di p. 88. , 

182. La magia del credito svelata , istituzione fondamentale 
di pubblica utilità , di Gruserpe DE WELZ, offerta alla Sicilia 
ed agli altri stati d’Italia — Napoli 1824. 5 aprile. Nella stam- 
peria francese. vol. primo, in 4.° di pag. 465. — col seguente 
avviso: : 

Quest’ opera sarà composta di due volumi. Il primo , che 
‘ mi affretto a pubblicare oggi , è l'apparecchio alle applicazioni 
pratiche che si leggeranno nel secondo . Valga ciò a prevenir 
coloro che credessero potermi imputare di soverchia generalità. 
Il mio lavoro ha avuto più di uno scopo in veduta; e 1’ oggetto 
essenziale non è stato solo quello d’ istituirlo sui principii i più 
solidi della scienza; ma bensì di sostenerlo, con tutta la forza che 
mi è dato dalla. pratica , dall’ esperienza e dagli esempi . Prego 
quindi perchè il giudizio rimanga sospeso fino alla pubblicazio- 
ne del secondo volume, che sta pure in torchio: a questo aggiun- 
gerò un foglio di correzioni per gli errori incorsi per troppa ra- 


139 
pidità nella stampa. Napoli 30 giugno 1824. NB. Quest'opera è ven- 
dibile in Livorno presso GLAUCO MASI, ed in Firenze presso G. 
PianTI, a/ prezzo di paoli 15 per il primo volume. 

Di quest’ opera importante verrà reso conto nell’ Antologia 
dopo pubblicato il secondo volume. 

183. Saggio sull’ elettricità; di FERDINANDO ELICE dottore in 
filosofia e medicina , professore nella regia università di Geno va 
— 2.da edizione, Genova 1824. stamperia Pagani in 8.° di p. 100. 

1654. Storia d’ Italia di Carlo Botta — Italia 1824. 8. volu- 
mi in 18.° sono pubblicati i primi sei volumi, e si trovano vendibili 
presso G. PIATTI. 

185. Annotazioni al dizionario della lingua italiana che si 
stampa in Bologna. Queste annotazioni sono dirette a seconda- 
re i lavori di que’ valéntuomini che faticano al perfezionamen- 
to possibile del nostro vocabolario , e così giovano più che non 
si crede alla sostanza de’ buoni studj, per la stretta connessione 
che hanno le idee co’ segni loro; onde la chiarezza, la precisione, 
la verità del concetto non sono pregi da conseguire in astratto, 
senza la corrispondente proprietà d’ espressione. L° autore è stato 
incoraggiato a continuarle dal suffragio spontaneo d’ egregi criti- 
ci, e dalla nobile cortesia de’ nuovi compilatori bolognesi che 
hanno protestato di tenerle în conto di pregiatissimo dono. Il cav. 
Monti sembra averle in modo speciale raccomandate al pubblico 
per quanto ne parla nell’ ultima parte della proposta, pag XxXxII. 
e 439. 

In queste annotazioni son inserite a’ propri luoghi le postil- 
le inedite del celebre ALESSANDRO TASSONI, le quali oltre il me- 
rito loro per riguardo al soggetto , servono a rallegrar la mate- 
ria per la conosciuta lepidezza e vivacità di quello scrittore, 

Ne sono pubblicati sette quadernetti o fascicoli , ed è sotto 
| il torchio l’ ottavo che compie il secondo volume. 

Prezzo de’ quattro fascicolo che formano il 


primo volume. Ital. L. 4, 80- 
Prezzo de’ tre prìmi fascicoli del secondo. PINA E Rd Too i 
Modena 30. ottobre 1824. Geminiano Vincenzi e C.° 


1986. Saggio sull’indifferenza in materia di religione, del sig. 
DE LA MENNAIS. Di quest’ opera è uscito il secondo volume; ed 
è già sotto il torchio la DIFESA del che autore, preceduta da tre 
approvazioni di teologhi romani, e corredata de’ recapiti giusti- 
ficativi della dottrina da lui professata nel SAGGIO, i quali, oltre 
non essere mai stati tradotti, non sono ben conosciuti fra noi. 


\ 


190 
La suddetta Dîfesa formerà il terzo volume dell’ opera. Modena 
1824. presso Geminiano Vincenzi, e Compagno stampatori librai. 

187. TirABOSCHI , cav. GiroLAMO. Dizionario topografico sto- 
rico degli stati estensi; opera postuma, che forma la continuazio- 
ne delle memorie storiche dello stesso autore. È uscito il vola- 
me 1.° in 4 Modena 1824. e vendesi presso i diversi librai. 

188. ManiFESsTO. Chiunque è iniziato nel gusto delle Arti 
Belle , e singolarmente in quella parte che le Opere di Archi- 
tettura riguarda, non potrà negare esistere in Toscana una quan- 
tità di Monumenti pubblici che formano l’ ammirazione degl’ in- 
telligenti, e che meritano di essere divulgati per mezzo della mi- 
rabile arte tipografica presso le estere nazioni . 

Questa considerazione ha indotto Luigi Bardi e C.°. di 
Firenze a far delineare con la massima accuratezza una dozzina 
delle più ragguardevoli facciate esterne, o vedute interne de’ mo- 
numenti anzidetti; e quindi le hanno fatte incidere nella manie- 
ra così detta a bistro dall’abilissimo sig. Paolo Fumagalli di Mi- 
lano, che ha fissata per qualche tempo in questa città la sua 
dimora. 

Dall’ esito felice di questo primo saggio dipenderà il conti- 
nuare con una seconda intrapresa di altrettanti monumenti. Essi 
però non s’ impegnano di presente che per sole dodici tavole , 
affine di assicurarsi con certezza di ciò, su cui la sola conoscen- 
za, in altre occasioni esperimentata, del genio de’ loro concit- 
tadini, può momentaneamente fargli contare. 

Il prezzo di ogni veduta sarà di paoli 6, e se ne dispenserà 
una ogni mese, cosicchè tutta l'associazione costerà paoli 72. 

La grandezza sarà in foglio di cartà reale velina, Le asso- 
ciazioni si ricevono presso i distributori del presente manifesto. 


191 
Avviso ai sigg: Associati all’ Antologia. 


L'attuale organizzazione delle poste in Italia, e il forte da - 
zio in alcune provincie della medesima, per l’ editore di un gior- 
nale son cagione di mille difficoltà non facili a superarsi, e tra 
queste una delle principali si è. che il prezzo non. puol esserne 
uguale per tutte le provincie. Tanto serva in risposta ai recla- 
mi che da alcune parti mi vengono diretti, sperando che tal mia 
giustificazione verrà più specialmente accolta da chi vorrà con- 
siderare ; che non solo ho dato sempre un numero maggiore dei 


‘fogli promessi, ma che ho altresì fatto un doppio sacrifizio per 


l’ incremento del mio giornale , sostituendo un «carattere molto 
più piccolo a quello già adottato . 

Tali considerazioni mi pongono nel caso di prevenire il pub- 
blico che, da questo giorno in poi, non potrò più ricevere asso- 
ciazioni, che nei due seguenti modi. 

° Per tutta la collezione dei N.° 1. a 48. — cioè gli anni 
1821—1824. — Di questa il numero delle copie è rimasto tanto 
ristretto, che non posso cederle altrimenti che per L. 120, inve- 
ce di L. 144. 

2.° Ossia a datare dal 1.° Gennaio. 1825, alla qual’ epoca 
azzarderò di farne tirare un numero maggiore di copie , lusin- 
gandomi che il pubblico ed i miei amici corrisponderanno alle 
mie premure, con mandarmi nuove soscrizioni, 

Devo inoltre prevenire » che a datare dall’ epoca suddetta, 
non riceverò più associazioni che per l’ intiero anno, da gennaio 
a dicembre inclusive. E ciò perchè essendo il giornale sufficien- 
temente conosciuto dopo 4. anni di esistenza, non vi è più mo- 
tivo di concedere associazioni di 1.0 2 trimestri per saggio. 

Ora, per l’ intelligenza di ognuno, scenderemo ad altri par- 
ticolari. 

Le associazioni per tutta la Toscana continueranno a pren- 
dersi in Firenze, al mio Gabinetto scentifico e letterario, al prez- 
zo di L. 36. per un anno, da pagarsi anticipatamente, o pure per 
semestre o trimestre, ma ben inteso che l’ associazione debba 
continuare per tutto l’ anno. 

Le associazioni per tutti gli staz Lombardo-veneti ed au- 
striaci, in Milano, presso la Spedizione centrale delle gazzette, 
a franchi 36 franca di porto. Solo a questa Direzione devono di- 
rigersi coloro che vogliono essere serviti con esattezza e solleci- 
tudine, a meno che non preferiscano la via più lenta dei librai; 


192 
ed in quel caso se l’intenderanno con librai fiorentini incaricati 
di ritirare i fascicoli e di pagare |’ associazione. 

L’ associazioni per il regno di Sardegna, a Torino presso la 
Direzione delle Gazzette, o qui in Firenze al mio gabinetto, per 
franchi 36 franco di porto. 

Le associazioni per gli stati pontifici, a Roma, presso il sig. 
Pietro Capobianchi , sotto segretario della posta pontificia; 
ma il prezzo di Scudi 7. al quale mi era limitato nel fare per- 
venire l’ Antelogia franca di porto, non bastando. per indenniz- 
zarmi delle mie spese, dovrò per l’ anno 1825. portarlo a Scu- 
di 8. — da pagarsi anticipatamente nelle mani del sig. Capo- 
bianchi suddetto , mediante che il giornale continuerà ad essere 
spedito franco di porto. 

Le associazioni per le tre legazioni particolari, per chi non 
voglia dirigersi a Roma, al prezzo di f. 36. franco fino alla fron- 
tiera. Si prendono anche in Bologna , dal sig. Rusconi direttore 
della posta. 

Le associazioni per il regno di Napoli, qui soltanto in Fi- 
renze al mio gabinetto , a tarico di chi vorrà il giornale di farlo 
pagare e ritirare, ogni trimestre legato per volume : ques pri- 
ma però si farà conoscere presso di chi potrà essere in Napoli 
formato un deposito, al prezzo di ducati dieci per anno, franco 
Napoli. 

Le associazioni per la Sicilia, dal sig. Beuf libraio a Palermo, 
e dal sig. Federigo Gruis egualmente a Palermo, Casa Lenzitti 
ec. al prezzo di Oz: 3, 12.1’ anno, per volumi trimestrali legati. 


FINE del Fascicolo XLVII. 


OSSERVAZIONI 
METEOROLOGICHE 


FATTE NELL’'OSSERVATORIO XIMENIANO 
DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE 
Alto sopra il livello del mare piedi 205. 


NOVEMBRE 41824. 


Termometro 


Stato del cielo 


o1auo1eg |È 

-2W01AN]q 
od : 

-00s0w19U Y |f 


| 
27. Scir. I avalo Ventic. 
I| mezzog. |27. È Gr. Tr. Ser. neb. Ventic. 
It sera |27. : Gr. Tr. Ser. nuv. Ventic. 


7 mat. af Tram, |Nebbioso 


| mezzog. 4 3 Gr. Tr. |Nuvolo 
| 11 sera . |Nuvolo 


Nebbioso 
Coperto 
Scir. |Nuvolo Calma 


7 mat. 27: 10,5 12,0 12,0| 97 Scir. |Ser: neb. Calma 


4 mezzog. 127. 10,8 12,2] 13,5) 92 Scir. |Coperto Calma 


27. 10,4 __190| MI 55 86 Os. Sci.|Ser. torbo Ventic. 


27. 10,3 11,5 “TRO ‘go | |Os.Sci.|Nuvolo Ventic. 

. |27. 1t,7} 12,91 .73 Ponen. | Coperto Calma 
27. ) 11,7] 1,9] 90 \Lib. |Coperto Ventic. 
SI 10,1] 97 ;. Sci.|Nuv. neb, Calma 
.Li | Nuvoloso. Vento 

Sereno Vento 


| 7 mat. : . Gr. |Ser. rag... Calma 


mezzog. È s Calig. Ventic, 
Il sera , 1,37 : .|Sereno Calma 


a) È e ——_ I 3] 
Si Om EE S| S [SEE Stato del cielo 
3. DI [o (9°) d 8 n 
ia I i ci dedi i da, 
LO 
| 7 mat. |28. 3,8 8,9 4,3) 88 Scir. |Sereno Calma 
8 | mezzog. |28. 3,8 8,6 7,0) 75 ‘Tr. Gr.| Nuvolo Calma 
tt sera ‘28. 3,0 8,6 8,01 89 Grec. |Ragn. Calma 
7 mat. 28. 2,2 8,6 6,7} 97 Lev. Sc Sereno Calma 
9 | mezzog. 28. 2,2 8,6 9,8. 85 Sc. Lev Nuvolo Calma 
rrsera 28. 2,3 9,3 8,9! 9 Sc. Lev Soreno Calma 
| 7 mat. |28. 2,3 8,9 6,9 100 | Scir. |Neb. folta  Galma 
10 mezzog. |28. 2,5 Bigli. 03° 95 Scir. |Nuv. rotti Calma 
II sera 128. 2,7 9,3) 8,6 92 \Scir. {Sereno Ventic |É 
7 mat. 28. 2,6) 8,4! 5,2 99 Scir.. Sereno Calma |f 
11! mezzog. 128. 2,7 | 8,9. 10,0 83 | Sc, Lev Nuvolo Calma 
|.1v sera |28. 2,8] 9,3 9,3 98.1 Sc. Lev Ser. nuv. Calma 
7 mat. |28. 2,5 9,3 8,7 98 Scir. {Nuv.rotti Calma 
12| mezzog. |28. 2,4 0;3l:. Tryal gi Scir. |Nuvolo Calma 
r1sera |28. 2,0 9,9| 10,71 94 Scir. |Nuvolo Calma 
7 nat. 28. 1,9 9,9| 8,2|100 | |Scir. |Ser. neb. Calma || 
r3' mezzog. |28. 2,t 10,0] 10,2/100 Tr. Gr.|Nuv. ser. Calma 
I 1r sera |28. 2,2 10,4! 9,5! 99 \Lev.  |Sereno Ventic.|| 
t 7 mat. |28. 2,1 9,8] 84100 Scir., |Ragn. . Calma |{ 
14 mezzog. |28. 1,7 9,9 10,2| 98 Lev.  (Nuvolo Calma 
| ri sera 128. 152 10,2 10,2! QI Lev.  |Nuvolo Ventic || 
Sii 7 mat. (27. 11,4 10,5}  10)4| 84 Far Lib Sereno Ventic.|| 
15 mezzog. 28. 10,9 10;7| | rajal'70 Ostro ‘Nuv. gonfi Calma 
II sera '27. 11,0 10,9ì 10,0 95 \Ostro Sereno Calma 
7 mat. pa 0,3 9;5 6,4| 60 Lev. {Sereno Calma 
16| mezzog. |28. 1,3 9,6 ro | 46 Sc. Lev |Sereno Calma 
rysera (28. 3,4 9,3 7,1) 45 Scir. !Sereno Calme 
7 mat. 128. 4,3 7,3. 4,0. ra Sc. Lev Bel ser. Calma 
17} mezzog. 138. 4,8 8,0, 7,1) 58 Scir. ‘Sereno Calma 
I rr sera 28. 5,0 8,0 6,2! 69 Scir. ‘Bel ser. Calma || 
7 mat. |28. 4,7 6,7, 40 82 Scir.  |Bel ser. Calma || 
18| mezzog. |28. 4, 6,9 6,9 69 Scir. |Sereno Calma || 
risera |28. 3,9 7,6 7_.|S92 Scir. |Nuvolo Calma [lr 
og mat. 126. 3,5 73] mi 95 0,05 Soir. |Nuvolo Calma 
19| mezzog. 28. 3,4 7,6 9,2 90 Scir. |Sereno Calma || 
Trsera 25. 3,3 9,1 8,9 93 Scir; ‘Navolo Calma 


7 mat. 


7 mat. 


Il sera 


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Scir. |Nuvolo 
Scir. Nuvolo 
Scir. Nuvolo 


Scir. |Nuvolo 


Lev. |Nuvolo 


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Stato del cielo 


Calma | 
Calma 
Ventic. 
Ventic. 
Calma 
Calma 


— {Ostro. |Nuvolo 
Scir. Minacc. 
Lev. Nuvolo 


Sc. Le.|Nuv. gonfi 


0,23|Os.Lib.| Nuvolo 


II 551 86 | 0,21|Sc. Le.|Nuvolo 
IScir. | Nuv. gonfi 
0,28 'Lib. Pioggia 
_71 | 0,86 Lib. Nuv. furio. 
Lib. |Nuvoli rotti 
ton 7 0,03 Pon. Li;Minac. 
Sen nuv, all’ Oriz. 


0,04 Os.Lib. 


0,04|Ostro |Nuv. gonfi 
0.13{Pon. Li| Pioggia 
| 0,16|Lib. ib. |Pioggia 

| 0,08|Os. Lib Nuv, gonfi 
0,48|Ostro |Piovoso 


0,32| Tr. Gr. Piovig. 


0,13|Tram. |Nuvolo 
Tr. Gr.|Nuvolo 


Grec. |Bel ser. 


Scir: {Bel ser. 
Scir. {Bel ser. 


Scir. {Sereno 


Scir. |Rag. 


Scir. |Coperto 
0,06| Tram. | Nuvoli rotti. 


Calma 
Vento 
Calma 


Ventic, | 
Ventie.! 


_ Calma 


Calma 
Ventic.; 
Libec.'i 


Ventic. 
Ventic. 


\Ventic. 
Vento 
Calma 


Calma 
Calma 
Vento 


Vento 
Calma 
Ventic. 


Calma 
Calma 
Calma 


Calma 
Calma 
Calma 


LIRA TR "ATA 1 — FENOM ENI i ; n Li NI " 
DI VARIO GENERE. cite 


“Hi Panni 


28. Si è «veduta per la prima volta la neve sulle montagne di 
Pistoja, di Modena Falterona. 


ANTOLOGIA 


N° XLVII. Dicembre, 1824. 


Sull’ Isrrruro Presrarozziano. Lettera di Anro- 
nIO BENCI. 


Iverdun a dì 19 di Luglio 1822. 


Enrico Pestalozzi vive qui sempre intento all’educa- 
zione degli uomini. Sarei dunque partito senza riverire un 
uomo sì lodato e sì benemerito! A noi italiani è cara la 
memoria di Vittorino da Feltre , il quale diede esempio 
in Mantova agli educatori ed a’ precettori , ordinando la 
scuola nelle antiche e nelle nuove discipline: congiunta 
quasi la buona educazione familiare colle accademie dei 
filosofi d’ Atene, co’ giochi olimpici, e colle pubbliche op- 
portunità del secolo XV. Ma non possiamo non amare e- 
ziandio il Pestalozzi che ha rinnovato l’ esempio, quan- 
tunque fuori dell’ Italia. Ed egli solo può manifestare se 
: fosse o no consapevole della precedente storia . Non lice 
a noi presumerlo emulo del primo, dappoichè l’ opera di 
Vittorino sembra essere stata ignorata o non seguitata al- 
meno da noi medesimi ne’ susseguenti tempi, quando ap- 
punto era maggior bisogno di moderar la gioventù nella 
nostra patria. Ci sarebbe lecito soltanto di stimare alquan 
to più la nostra reputazione, se fosse vero ( come l’ Ebel 
dice ) che innanzi al Pestalozzi non era metodo alcuno 
d'istruzione tutta elementare. Alla quale proposizione con- 
seguiterebbe quest’ altra: che ogni popolo lasciava preoc- 


cupar le scuole e impedire i progressi della filosofia, toito 
T. XVI. Disembre L 


2 
a ciascuno l’ animo di proporre non che d’ imprendere, 
siccome accadeva in Italia dopo i tempi di Vittorino da 
Feltre. Somma differenza è poi dall’ una all’ altra scuola 
nelle cause e negli accidenti della loro istituzione. Vitto- 
rino fu chiamato in Mantova per educare la figlia e.i due 
{igliuoli di Francesco Gonzaga, signore della città: ebbe dal 
padre loro liceriza di fare altri giovani partecipi della me- 
desima educazione: ebbe dallo stesso padre, che era prin- 
cipe, ogni commodità con assoluto potere : ed ebbe dalla 
fortuna luogo e tempo propizio. Imperciocchè l’ Italia, 
tiranneggiata in quel secolo da principi nuovi , riceveva 
da costoro premii ed onori alle lettere in contraccambio 
delle politiche sventure . Nè la liberalità verso gli studii 
non era effetto delle particolari virtù ma dell’ opinione 
pubblica, la quale costringeva tutti gl’ italiani a promuo- 
vere la classica erudizione; disprezzato qualunque fautore 
dell’ ignoranza, fosse egli pur suddito o prete, repubblica- 
no 0 principe. E Mantova godeva allora della pace più 
che le altre città, perchè i Gonzaga essendo prodi capita- 
ni e misurando lor forze dal piccolo stato, militavano ac- 
cortamente ne’ servizi de’ più forti principi o delle re- 
pubbliche secondo l’ occasione: ambiziosi pur sempre di 
stare in grazia all'imperatore. Onde a Vittorino da Feltre, 
uomo dotto e prospero, concorrevano i discepoli dall’ Ita- 
lia, dalla Francia, dalla Germania, dalla Grecia: e l’ abi- 
tazione datagli dal marchese ebbe nome di gloriosa per 
l’amenità del sito e per la splendidezza degli ornamenti 
massime nelle dipinture; chiamata altresì giocosa , per la 
varietà de’ giochi nella scuola della ginnastica . Il Pesta- 
lozzi all’ incontro in che tempi, con che umori, con che 
mezzi, per quale condizione d’ uomini apriva, la scuola 
sua? Noi non potremmo questo conoscere senza riepiloga- 
re la moderna storia. 
Rinnovando al tutto gli ordini dello stato, erano i 
francesi divenuti republicani: e distrutte alfine le feodali 


n 


3 
istiluzioni, e concitata perciò l’ ira de’ principi, non solo 
uscivano in campagna con bellicosi eserciti, che muove- 
vano eziandio la guerra irresistibile delle opinioni, coope- 
rando all’ eguaglianza degli. uomini in tutti i paesi. Lu 
Svizzera si godeva da più secoli della libertà civile, ma 
non sì che ogni uomo fosse all’altro pari secondo l’ordine 
della natura, nè diverso secondo le gradazioni della fortu- 
na. Edificate o ampliate le più delle città ne’ bassi tempi, 
erano state soggette a’conti o a'baroni e soggette agl’impera- 
tori della Germania. Quindi liberatesi, manifestavano sem- 
pre la prima origine: ordinato il governo a guisa di repub- 
blica, ma trasferita, non tolta la feodalità: signoreggiando 
esse in que’ luoghi che per qualche trattato acquistas. 
sero. Che se quasi tutte dimostravano amore a’ sudditi, 
era tal moderazione un privilegio dato all’ ubbidienza. 
Non dovevano essi con molti compagni aver una vo- 
lontà : non esisteva un ius elvetico universale, nè un 
ius comune a tutti gli abitatori d’ un medesimo can- 
tone . Era in più luoghi sola la città la patria, non 
ammessi neppure tutti i cittadini a’ pubblici uffizi. Tan- 
tochè siccome nell’ antico Lazio ora gl’italiani, ora il po- 
polo stesso di Romolo, ed ora gli schiavi avevano com- 
mosso Roma ; così nella Svizzera frequentavano le di- 
scordie tra città e città, tra patrizii e artigiani, e tra 
gli uni o gli altri di questi ed i contadini: migliori però 
gli ordini di Roma, perchè ivi ogni cittadino, che a- 
vesse grande ingegno o grandi ricchezze, poteva soddisfa- 
re all’ ambizione senza nuocere alla patria; e nella Sviz- 
zera , a contentare l’ animo ambizioso erano due soli 
mezzi, amendue nocivi, la guerra e le rivoluzioni. Quin- 
di non maraviglia che le novità della Francia penetras- 
sero nell’ Elvezia, e che questa fosse tradita ja” francesi 
da quegli svizzeri cui mancava una patria libera. Vaud 
ed Argovia si collegarono con Francia per non più soi- 
tostare alla signoria di Berna. Chiunque fosse stato sud- 


4 


dito fin a quel tempo, domandava partecipazione delle 
pubbliche cose. E notiamo il seguente ‘esempio che il 
Simond riferisce nel suo viaggio come una prova di ret- 
titudine,. e che a me sembra indicare oltre di ciò |’ a- 
more e il bisogno della libertà, e l’ infortunio delle feo- 
dali sudditanze . Il popolo di Gaster era stato tre secoli 
prima venduto a Schwitz ed a Glaris, che sono i più 
democratici cantoni: poteva nel tempo di cui parlo, 1798, 
reintegrarsi al tutto in libertà coll’ aiuto francese: ma 
temendo all’ avvenire i titoli della servitù, volle usare 
l’ occasione offerta ad abolirli per sempre e giuridica- 
mente ; ricomprandosi da Glaris e da Schwitz con da- 
re spontaneo quel prezzo, che essi avevano tanto tempo 
innanzi pagato per tale dominio. La.qual somma avrebbe 
forse risparmiata quel popolo che non è ricco se non di 
prati e di boschi sulla piaggia alpestre di tempestoso la- 
go, quando avesse potuto tollerare quella signoria , sotto 
cui era pur da trecento anni consueto. 

Tutti questi atti e movimenti ebbero tale effetto, 
che anche Berna si ridusse a ordini popolari a dì 3 di 
febbraio 1798. Ma sì utile risoluzione, per cui gli abitato- 
rid’ un medesimo cantone acquistavano infine un ius 
comune , era stata troppo più indugiata : e mancava pur 
sempre l’ ius elvetico, tanto necessario a concordar le 
parti ed a collegare le forze. Gli accidenti politici richie- 
devano che la nazione fosse già tutta unita e ferma e 
contenta agli ordini del viver suo, perchè avendo allora 
a suo vicino un potentato costituito in repubblica , le 
mancava contro esso l’ aiuto dell’ odio universale . Nè 
i francesi desideravano sola |’ amicizia: volevano occu- 
par le città per impadronirsi dell’ erario: occupar le valli 
e le alpi per campeggiar facilmente verso Italia e Germa- 
nia. Onde protestarono che la Svizzera aveva bisogno di 
nuove costituzioni: e proponendole a Berna, poichè l’ ebbe. 
essa ricusate, la guerreggiarono ed occuparono a di 5 di 


(n 


5 
inarzo del medesimo anno; rapito a un tempo il famoso 
tesoro, e chiesta grossa contribuzione di denaro ivi e in 
Friburgo, in Soletta,in Lucerna ed in Zurigo (1). Mai non 
era stato visto alcun nemico armato entro le mura di 
Berna : e le di lei milizie ammazzarono i capitani, sti- 
mandoli traditori o inabili a ordinar fa battaglia . Ma gli 
ordini civili e non i militari erano fallaci e tardi. Com- 
battevano per Francia la discordia de’ cantoni e l’ abor- 
rimento a’ privilegi. E se i francesi ancora abusavano de’ 
popoli, avevano put l’ apparenza di buone ragioni, oppu- 
gnando la feodalità : in altra guerra non sarebbero stati 
quivi condotti dagli stessi svizzeri: Berna sarebbe restata 
forse invitta. 

A dì 15 d’ aprile fu pure occupata Ginevra: è a dì 
16 di marzo fu dato nome di repubblica rodanica alle 
città in riva del Lemano: divisa la Svizzera in tre parti; 
rodanica , elvetica , telliana. Ma questo nuocendole , fu 
pochi giorni poi ricongiunta e costituita come la Fran- 
cla, una e indivisibile: presiedendo a’ ventidue cantoni un 
direttorio elvetico. 

Questa costituzione però, quantunque sembrasse op= 
portuna a riumire gli svizzeri, seguitava nel fatto di divi: 
derli , perchè imposta dagli stranieri , e diversa formal- 
mente alla solita alleanza . Le città vi accederono . Ma i 
piccoli cantoni, che avevano già dato la libertà a’ sudditi 
ed erano stati sempre democratici, non vollero consentire 
a leggi fatte senza loro deliberazione : si richiamarono di 
ciò alla Francia , ed accorgendosi delle querele inutili, 
presero le armi. L'esercito francese mosse contro loro per 
le stesse valli, ov’ era la tomba antica de’ nemici d’ Un- 
derwalden , d’ Uri, e di Schwitz: ma repubblicani a re- 
pubblicani incontrandosi, fu tanto grave la pugna in 


(1) Secondo il Simond, t. 2. e. 38. i francesi avrebbero pre= 
$0 in Svizzera 120 milioni di franchi. 


6 i 

Mirgarten che dal primo si continuava al terzo giorno di 
maggio. Quattro assalitori combattevano contro ciascun 
ibiratare delle Alpi. Gli uni e gli altri perivano: senza ri- 
poso gli svizzeri; obbligate le donne stesse a difender le 
famiglie che si ta tutte spente nella vittoria. Onde 
il popolo convocato in assemblea risolvè di non più ricu- 
sare Je offerte del general francese, il quale richiedeva 
soltanto che accedessero alla costituzione elvetica : man- 
tenuta la libertà: con promessa di non entrare nemmeno 
ne’ loro cantoni. È così rimase a Schwitz il vanto di non 
aver avuto nelle terre sue nemici, mentre non si era in- 
vilito, cessando per le saddette cause la pugha, 

Il Vallese ebbe maggiori sventure, saccheggiato ed 
arso non ostante il Ro, i abitanti. Dopo di che il 
direttorio elvetico temendo l’ autorità de’ piccoli cantoni, 
ridusse quattro di loro in un solo , affinchè mandassero 
dodici e non quarantotto deputati alla nazionale assem- 
blea. Il qual decreto, proposto al certo da forestieri , era 
tanto contrario all’ utile pubblico , che accresceva gli odii 
e scancellava que’ nomi che più importa conservar nella 
storia . Nondimeno Schwitz, Uri, Zug, e l’ alto Under- 
walden presero per partito di temporeggiare senza tentar 
di nuovo la fortuna. ALI’ incontro il basso Underwalden 
( Niedwalden )-volle riprovarsi in guerra primachè ubbi- 
dire. Questo popolo aveva poco più che due mila tra don-. 
ne ed uomini atti alle armi: ma il loro naturale ardire 
era stato infiammato da alcuni predicatori che vilipende- 
vano e maledivano la nuova costituzione siccome fosse o- 
pera di reprobi. Tantochè sedici mila francesi campeggiaro- 
no per quattro giorni in su’confini ammazzati quivi molti 
di loro, senza poter inoltrarsi nel territorio di Stantz,villag- 
gio principale (come sarebbe altrove la città) del basso U n- 
derwalden. Nel quinto giorno alfine,19 di settembre, riuscì 
l'occupazione: e tutto il dì si precipitarono i disperati nid - 
valdiesi ineontro al nemico, uccidendogli presso un colle 


7 


tre mila soldati, e costretti poi a ripararsi nelle montagne. 
Cento e più donne , e molti giovanetti furono trovati sul 
campo di battaglia morti in mezzo a cinquecento eroi: 
arse le case per la campagna: piena di strage e di sangue 
eziandio la chiesa di Stantz. Quell’?infelice popolo venne 
in poche ore a tanta miseria, che i nemici lo doverono 
far partecipe delle loro vettovaglie. Sbigottisca quest’ e- 
sempio tutti i potentati che ambissero quivi regnare: il 
motto idoneo alle loro insegne sarebbe morte 0 pover- 
tà in campo sanguigno. 
A questi casi sopravvenne il Pestalozzi . Nativo egli 
di Zurigo, s'era già mostrato benevolo e sagace, ritraendo 
i costumi de’ campagnuoli svizzeri , e discorrendo delle 
discipline utili all’ educazione del popolo, in un romanzo 
che intitolava Leonardo e Geltrude . Quindi nel 1799, 
allorchè da ogni luogo si levavano gli svizzeri a conforto 
de’ nidvaldiesi , il direttorio elvetico volle pure ad essi 
gratificare, mandando il Pestalozzi per consolazione a 
Stantz. Opportuno soccorso ! perchè molti orfanelli erra- 
vano senza tetto, senza vitto, senza consiglio . E per que- 
sti poverelli , non pe’ ricchi come Vittorino da Feltre, 
Enrico Pestalozzi apriva la scuola. Invece della splendida 
Giocosa egli ebbe un tugurio in un chiostro , quasi senza 
letti: non ricca mercede , non abbondevole mensa : egli 
divideva il pane suo con ottanta giovanetti che nudi e fa- 
melici accorrevano a lui chiedendo padre e patria. E fos- 
-se stato almeno ricambiato di gentili accoglienze! Non es- 
sendo egli cattolico, non lo stimavano cristiano. Mandato 
ivi dal direttorio , non era creduto , nè riputato svizzero. 
Mentre stendeva le braccia, o serviva colle mani sue agli 
sventurati figli della spenta generazione, non poteva gua- 
dagnarsi }’ amore, nè toglier via la diffidenza del pubbli- 
co. La stessa novità di bene educare i figliuoli era sospet- 
ta a quel popolo, che senza libertà non curava la vita, e 
‘temeva la servitù nelle innovazioni. Nondimeno il Pesta 


le) 
lozzi non si sbigotti all'impresa, fermo eziandio a voler 
riformare la consuetudine. 

Egli non prese aiuto fuorchè da una donna per 
l'economia domestica: tolto così ogni dubbio del per- 
suadere i compagni al metodo suo, il quale si fonda- 
va al tutto nel genio naturale e ne’ più puri sentiment; 
del cuore. Alcuni maestri, per sè dottissimi, credono 
la fama loro bastante ad assicurare i discepoli : altri 
meno dotti procedono con ordine artificioso: ed i più 
ignorando la differenza dall’ educare all’ istruire; non 
attendono a ben disporre que’ giovanetti che l’impe- 
rizia de’ padri alle loro scuole conduce. Ma l’autorevole 
insegnamento e l’arte eccessiva nuociono spesso , quanto 
la negligenza, alle buone educazioni. Le quali richiedo- 
no di necessità un’ arte o un principio, ma uno solo e 
consigliato dalla stessa natura, cioè la similitudine del- 
l'amor paterno che dà a’ figliuoli la certezza d'esser 
amati: senza la quale manca alla prima età l’ altra cer- 
tezza di non essere ingannati, formale principio d’ogni 
disciplina . Il Pestalozzi aveva ciò dinotato, e lo appli- 
cò senza sforzo, parendo egli a tutti e sempre il vero 
padre affettuoso, che induceva ne’ giovani amor frater- 
no e si acquistava la loro fiducia: ubbidienti essi a lui 
che soccorreva ne’ bisogni e non tradiva le comuni 
speranze. Quindi vigilava e consultava, non costriage- 
va. Gli esempli familiari, l’esortazioni amichevoli, il 
retto uso d’ogni accidente, e la frequenza de’ buoni 
esercizi promovevano le virtù moralij siccome erano le 
intellettuali promosse dal soddisfare a’ giornalieri desi- 
derii o bisogni, riguardando a sè ed alle cose negli og- 
getti e nelle apparenze. Tantochè non i precetti e le 
opinioni del maestro, ma la ragione e l’esperienza cor- 
reggevano l’animo e l'ingegno: dato pure incitamento 
a’ discepoli non con premii e reciproche emulazioni , 
ma con far loro sperare vita e sorte migliore all’avve- 


9 
mire. Il che so increscere a tutti coloro, cui piace la 
divisione degli uomini in classi diseguali secondo la na- 
scita: perchè temono d’aumentar la concorrenza con 
chi abbia di fatto e non per titoli onore, merito e 
virtù. Ma essi errano ancora in questo lor particolare , non 
accorgendosi che l’ emulazione più che la speranza 
dell'avvenire fa gli uomini ambiziosi e vani. Se chi ot- 
tiene il premio, non ne sia meritevole ( come può e suole 
accadere nelle numerose scuole ), non si avvezzerà egli a 
confondere la soperchieria coll’onore, la realtà coll’opinio- 
ne? E chi studia per desio di superare gli emuli, non si 
espone a diventar vano, vario, presuntuoso, insolente, 
ovvero astuto e cupido, abile alle imprese, nè mai con- 
tento finchè gli resti a chi emulare? Mai non acquista 
all’incontro abitudini pericolose quei che comprende la 
convenienza della virtù: la quale cognizione è difficile’ 
a’ ragazzi se lor sì propone in astratto, ma subito è 
appresa quando si riferisce alla vita; perchè l'utilità 
della virtù non può mai sembrare un’ ipotesi, quando 
sì congiunga colla speranza di non peggiori sorti futu- 
re. La quale speme, ripeto, non è mai in danno d’al- 
trui, perchè la. virtù ha doppio effetto, incitando o 
moderando le inclinazioni degli uomini secondo loro 
specie. Onde non invoglia a mutazioni senza una ne- 
cessità, e regola con rettitudine i progressi. E comun- 
que poi sia delle altre scuole, il sommo bene degli 
orfani di Stantz era la speranza dell’avvenire: ed essen- 
do nidvaldiesi, non potevano aver nemmeno grande am- 
bizione, perchè nel loro paese ( come il Machiavelli dice. 
va troppo più generalmente a’ tempi suoi, se non dava 
nome di svizzeri a soli gli abitatori de’ piccoli canto- 
ni ) godonsi senza distinzione alcuna d’ uomini, fuo- 
ri di quelli che seggono ne’ magistrati, una libera li- 
bertà . 

L'insegnamento reciproco non era allora siccome 


10 


oggi diffuso e provato: nondimeno fu in alcuna parte 
ammesso dal Pestalozzi, egli e i discepoli unitamente 
maestri. Co” quali ordini ben cominciava la scuola; 
quando fu per nuovi mali interrotta. Austriaci e russi 
campeggiarono di quà dal Reno, subitochè la Svizze- 
ra, in lega colla Francia, non fu più neutrale. E ben- 
chè Massena battesse Korsakow sulle rive della Lim- 
mat, e impedisse poi a Suvarow lo scendere nella valle 
di Muotta ( Muottathal ); sicchè questi dovè risalir la 
montagna, e da sopra il Praghel andare per Glaris a 
Coira, consumando in Svizzera quell’ esercito ch'era 
sembrato formidabile in Italia : non ostante cacciati i 
cosacchi, non fu pace nel territorio, perchè gli svizze- 
ri, senza collegarsi» mai co’ nemici delle nuove opinio- 
ni, intendevano a liberarsi ancora di verso Francia. On- 
"de nel Vallese e in tutta la linea meridionale delle alpi, 
dal Sempione al San Gotardo ed in altre valli, riprese il 
popolo le armi, subitochè vide gli stranieri con altri stra- 
nieri combattere. Il quale stato di successiva e dubbia 
guerra si continuò fino all’abolizione del direttorio elveti- 
co ( fatta nel 1801 per opera degli stessi francesi, cui 
tale specie di governo più non piaceva ), e durante an- 
cora i nuovi e diversi temper amenti presi fino al 1803: 
nel quale anno fu reintegrata la Svizzera nell’antica 
sua confederazione , abolite però del tutto le sudditanze 
e i privilegi. Dopo il quale atto che proveniva dalla 
mediazione di Bonaparte, rassicurata la Svizzera in 
lega colla Francia, e da Napoleone protetta, diede sì 
ella molti soldati, ma trasse da questo male ( che non 
era nuovo ) onor maggiore, solita a mandar mercenarii 
a chi più spendesse, e dando allora ausiliarie milizie 
al comune e prode capitano. Inoltre quanti beni essa 
godè più che il resto dell’ Europa! Non fu in Elvezia 
spento nè il nome nè l’ umore delle repubbliche: e ser- 
bati gli ordini propri, dopo aver vivuto oscuramente: 


side i 


sua 


II 
sì ma con pace e libertà interiore per l'intervallo di 
dieci anni, furono gli svizzeri abili a ricuperare la li- 
bertà esteriore, ed a fermare nel 1815 il nuovo ius 
elvetico . 

Simili sorti furono fisse alla scuola del Pestalozzi. 
Ne’ dubbii tempi della guerra il convento di Stantz fu 
tolto agli orfani e fatto spedale. Nè per più mesi non 
ebbe il Pestalozzi maggior sussidio, nè si fermò dipoi 
nell’ Underwalden. Riaperse la scuola nel 1801 , dato- 
gli allora dal Direttorio il castello edificato fin dal se- 
colo VII in Burgdorf ( Berthoud in francese ) antica 
città della piccola Borgogna. Ed in questo ampio edi- 
tizio, che giace al confine dell’amena valle dell’ Emma 
( Emmenthal ), attendeva egli a riassumere e migliora- 
re le ideate discipline, acquistandosi fama per tutto 
Europa; quando fu costretto a interromper di nuovo la 
scuola, perchè dopo l’ atto di mediazione essendo Burg- 
dorf inchiusa nel cantone di Berna, vollero i bernesi 
ridurre il castello a fortezza. Diedero essi però un al- 
tro edifizio nel villaggio di Miinchenbuchsee, ove il 
Pestalozzi potè trasferirsi colla metà de’ discepoli, man- 
dando gli altri sotto la condotta del professore Buss in 
questa città d’Iverdun, nella quale era in suo favore 
tutto il comune disposto. Di che invero ebbe certa e 
subita prova, stantechè nell’anno susseguente, 1805, 
potè anch’ egli qui venire con sicurtà di non più andar 
vagante : fatto accomodare da’ consiglieri di questa co- 
munità , e dato a lui finchè viva il castello dalle quat- 
tro torri, che per sei secoli era stato in mezzo d’ Iver- 
dun fortezza e prigione. Così ovunque cedessero le ar- 
mi alle lettere come sulla sponda di questo lago, e 
nella riva da Losanna a Ginevra! Così la scuola del Pe- 
stalozzi divenne alquanto più simile a quella di Vitto- 
rino da Feltre: ed acquistandosi agio in opportuna e 
stabil sede, ampliò e perfezionò l'impresa, non più egli 


2:03 


solo ma coll’ aiuto d’altri maestri, eletti i più tra’ suoi 
stessi alunni. Perchè si era egli proposto di rendere 
stimabile l’uomo in qualunque classe nato, di diffon- 
dere cioè l’istruzione quanto poteva, e di promuovere la 
più nobile arte, ammaestrando principalmente i poveri, 
sì uomini che fanciulle, affinchè l’ ingegno dato loro dalla 
natura non fosse dalla fortuna consumato, ed affinchè 
disposti nella scuola sua a divenire ottimi educatori; 
soddisfacessero al desiderio de’ padri e delle madri in 
qualsisia ben qualificata famiglia. Il Pestalozzi coll’ esem- 
pio suo nobilitava quell’arte, che l’Alfieri colle satire 
toglieva a” Tramezzini. E molti, che forse non avrebbero 
saputo nemmeno arar bene la terra, sono usciti buoni ‘ 
cultori della mente umana dalla scuola d’lverdun. La 
fama del loro maestro ha dato vaghezza a molti d'’ istituire 
consimili scuole . i 

Jo non do ragguaglio de’ metodi positivi, con cui il 
Pestalozzi seguita l'insegnamento, perchè ha promesso 
indicargli esso stesso in un giornale, che sarà quanto pri- 
ma e con sommo utile altrui di tre in tre mesi pub- 
blicato (2). Ma non posso non dichiarare intanto i sommi 
principii, alcuni de’ quali ho già sopra indicati senza 


(2) Il prezzo è di otto franchi per quattro fascicoli, ossia 
per un anno. Mi duole però che l’avviso stampato abbia la da- 
ta di dicembre 1822. Non ha anche trovato il Pestalozzi tanti 
lettori che bramino conoscere le di lai opinioni! Marco Anto- 
nio Jullien di Parigi, l'editore deil’ ottimo giornale intitolato re- 
vue: encyclopédique, ha scritto due grossi volumi con questo ti- 
tolo; esprit de la methode d’ éducation de Pestalozzi. Il pro- 
fessore Chevannes ed altri hanno pur dettato libri o discorsi in- 
torno al medesimo argomento. E tutti sono meritevoli di lode. 
Ma il Pestalozzi dichiara nel suddetto avviso, che niuno ha fi- 
nora data al pubblico la vera cognizione del metodo suo . Onde 
è tanto più necessario udirla da lui, affrettandosi egli a scrives 
te, ed i lettori a sottoscrivere, giovando l’ uno e gli altri al pub= 
blico. 


13 
particolare commento . È di somma importanza ripe- 
tergli e ragionarli. Cominciamo dall’istruzione intellet- 
tuale. 

I. Pochi libri debbono darsi a’ fanciulli, essendo 
loro più utile il considerare da sè alle cose . 

I precettori che non attendono a questo principio, in- 
dugiano la perfezione dell’ uomo. Nè concludo che i libri 
sieno dannosi o inutili, perchè anzi dovremmo farne molti 
altri che mancano all’istruzione elementare, da usarsi 
massimamente nelle private famiglie, ove non sia alcun 
maestro, o per esercizio dilettevole a’ giovani ed alle 
giovanette che abbiano molto ozio a causa della loro 
condizione. Ma quando si possono educare i fanciulli 
con ordinate discipline (o particolarmente, o in comu- 
ne, non Vè a ciò differenza ), fa meno errori con moto 
più progressivo quei che loro insegna a studiar nelle co. 
se. L’ abuso de’ libri in tal caso proviene o dall’ imperi- 
zia dell'ideologia come poi discorreremo, o dall’ ambizio- 
ne de’ maestri, cui significa più il presente che non 
l'avvenire. Avendo i ragazzi molta memoria, sembrano 
bene ammaestrati, ancorchè non conoscano che soli i 
vocaboli: e gli uditori applaudiscono ne’ pubblici esami: 
il maestro si congratula. Ma intanto non s’ acquista l’ uso 
del meditare: e lasciata la scuola, cessa per l’ordinario 
anche l’ amor degli studii, o l'animo non è forte a rico- 
minciarli con più sicuro andamento . 

II. Non bisogna proporre l’efligie, quando si può 
la vera cosa mostrare. Infatti le disegnate figure non 
sono che immagini a reminiscenza dell’ obbietto. 

III. Ove non sia applicabile l'insegnamento reci- 
proco, sieno almeno i discepoli in alcuna parte maestri. 

I fautori dell’ antico sistema, cui piace un solo 
maestro insegnante a numerosa scuola, hauno essi mal 
indagato l'animo proprio nella prima età? Quel che av- 
viene a’più, mon può non essere a molti di loro occor- 


14. i 

so: ed è massimo ostacolo a’progressi, inducendo sovente 
a disperazione e maestri e discepoli. Parlo dell’ignoran- 
za, in cui son questi delle forze sue. Non avendole an- 
cora esercitate, credono esserne privi. Ogni nuovo studio 
pare lor che sia una difficoltà insuperabile: e quindi riposa- 
no nella spiegazione del maestro senza promuovere la pro- 
pria intelligenza. Al quale inconveniente non è altro ri- 
medio che fare i giovani l’unoall’altro maestri. Ove manca 
affatto l'insegnamento reciproco, è spesso reciproco ingan- 
no. Pare al maestro che gli scolari ogni cosa intendano, 
mentre sanno solamente risponder sì. E pare a’discepoli 
non aver bisogno di maggiore scenza, quando il precet- 
tore abbia finito il discorso. Nè questi difetti non si pos- 
sono attribuire alla distrazione della gioventù, perchè i 
giovani come gli adulti si distraggono. quando lor. non 
piace o non intendono quello, in che sono adoprati + 
Quanti giovani, docilissimi a’ precettori, cominciano. a 
divagarsi soltanto al termine dell’educazione! Benchè, 
soggiungo, non è facile a’ maestri nemmeno il conoscere 
se l’attenzione mostrata da’ giovani sia un’ apparenza o 
una consuetudine. Felice l’ uomo che non soggetto ad 
alcun pedante, può accorgersi dell’errore suo, e misu- 
rare le proprie forze, e non essere nè inesperto nè vano, 
o non ingannarsi almeno stimandosi da più o da meno 
di quel ch'egli sia! 

IV. L’insegnamento elementare debbe essere ana- 
litico e fondato nel linguaggio. 

Pensare, e significare i proprii pensieri, sono due 
operazioni sì sollecite nell’animo a’ragazzi che quasi non 
hanno essi idee se non le sanno esprimere. Al che avendo 
i precettori parzialmente avvertito , se ne derivavano 
due grandi abusi. Il primo (già sopra indicato) è gra- 
var la memoria di molti nomi, senza considerar le co- 
se, e senza procurar nemmeno la cognizione dell’ 
idioma: non giudicati abili i giovanetti se non ad im- 


vò 

parare a mente i vocaboli. L'altro abuso è troppo 
ragionar dell’idioma con filosofici e grammaticali argo- 
menti: non considerata la differenza che è dall’ingegno 
principiante all’intelletto già esercitato a pensare. Ma i 
buoni maestri seguitano la natura. In iscambio di voler 
ordinare le idee nella mente de’discepoli , le ordinano 
nella mente propria , studiando bene i segni con che 
quelle significare. E poi, mentre i giovanetti conside- 
rano da sè nelle cose (al che basta indurli), è loro par- 
tecipato dal maestro quel che non possono da sè cono- 
scere, cioè l’opportuna favella secondo l’uso e secondo 
la ragione. 

Nella scuola del Pestalozzi, come nelle altre di que- 
sti paesi, è insegnata a un tempo la lingua francese e 
la tedesca, perchè la prima si parla ne’cantoni di Vaud, 
di Ginevra, di Neufchatel, e la seconda in quasi tutta 
l’altra parte della Svizzera. La lingua italiana è trascu- 
rata affatto nelle pubbliche scuole: essendone un dialetto 
nel solo cantone del Ticino. Gl’idiomi del Lazio e della 
Grecia s’insegnano a que ‘giovani che richiedono maggior 
letteratura, ma non servono già queste lingue morte ad. 
ammazzare i vivi, come occorre in tutte le scuole, dove 
l’istruzione elementare si fonda in essi idiomi. Il qual 
sistema dura pur sempre, e più o meno in Lutti i paesi, 
benchè dovrebbe essere ormai da otto secoli almeno di- 
smesso. Giova forse imparare una parlatura, con cui niu- 
no più discorre? scrivere un idioma , di cui non pos- 
siamo far gli originali, essendo di necessità le opere mo- 
.derne quanto più migliori tanto più simili ad un musai- 
co di frasi antiche? Quando vedo i fanciulli per cinque ore 
del giorno obbligati a’latinucci, mi par che sudino emu- 
lando a’maestri nel perder tempo. Non credo che i padri 
amino 1 figli, se non pensano che a far loro passare il più 
del tempo nella scuola, senza considerare all’utilità ed 
al genere delle occupazioni . È sovvertito in somma il 


16 
consiglio de’filosofi, quando s’insegna il linguaggio, nom 
per rispetto all’erudizione ed alle scenze, ma in quan- 
to a’nudi vocaboli. Noi italiani abbiamo anche maggior 
bisogno di ritrarre l’istruzione elementare a ben consi- 
derar nelle cose, ed a significare i pensieri colla nostra 
favella , perchè gli studii filosofici non sono appresso noi 
frequenti, e perchè il nostro linguaggio ha sì gran numero 
di vocaboli proprii, che non gli possiamo usare con preci- 
sione senza lungo esercizio. Tantochè moltissimi, o avendo 
indugiato lo studio del nostro idioma,o non avendolo mai co- 
minciato, e volendo nulladimeno essere scrittori ed attri- 
buirsi ancora la facoltà di misurare le altrui scritture, qua - 
si come alcuni stranieri opinano: non essere ancora l’idioma 
italiano in termini fissi. Come se potesse rimanere inde- 
terminata una lingua parlata e scritta per più secoli da 
uomini valentissimi! Come se a coloro, che ben la sanno, 
marcassero (il che non segue) le locuzioni! Questa er- 
ronea opinione però si riferisce solo alla prosa. Poetica 
l'Italia per sua natura, ed ottima e varia la nostra poe- 
sia, anche i giovanetti si dilettano de’versi, potendo sce- 
gliere le canzoni o liete o brevi, come le desiderano in 
quella età. Ogni discorso prosaico, tuttochè bello e pia- 
cevole, è subito interrotto , se lor si danno a leggere le 
stanze del Poliziano. Quindi s'invogliano a continuar la 
lettura de’poeti classici (voglio dir buoni), ed acquistando 
la consuetudine del linguaggio poetico, non dubitano che 
questo non determinato non sia. E perchè i più sono 
imitatori, e non sanno imitare che 1 poeti , oltre le ra- 
gioni già sopra addotte , credono indeterminata la prosa. 
Ma se vi è alcuna indeterminazione , essa pertiene al 
solo stile, e per conseguente allo scrittore più che alla 
lingua. Tutto ciò che l’idioma può dare, vocaboli, frasi, 
termini, e moili: le parole in somma ed il loro colle- 
gamento hanno significato e ordine stabilissimo, e s'îm- 
parano facilmente collo studio. Quanto è poi allo scrit- 


ui 

tore , cioè la scelta delle parole ed il loro collocamento, 
, neppur queste cose non sarebbero dubbiose, quando ognu- 
no ordinasse il discorso con semplice costruzione, eleg- 
gendo i vocaboli secondo il loro significato. Così face- 
vano i primi avi nostri: così pensano alcuni doversi fare 
al presente. Ma poichè il Boccaccio diede contrario esem- 
pio, introducendo quanto poteva la costruzione latina , 
e scegliendo le più convenevoli tra le opportune parole: 
poichè il Davanzati mostrò, quanto hello restasse Tacito 
nella nostra prosa costruita in parte alla latina, e quanto 
brutto diventasse per molte parole non bene scelte: poi- 
chè non è simile andamento di pensieri in tutte le menti 
degli uomini: e poichè la prosa ammette vario tema: è 
nata e radicata appresso molti l’altra opinione, che si 
debba pure ammettere un vario stile. Nè v'è, nè sarà 
mai in ciò stabilito alcun precetto, se non questo ge- 
neralissimo: che la mostra prosa è maestosa anche con 
pochi ornfdmenti, Nella scuola del Pestalozzi giova molto 
l’obbligo di studiare il francese e il tedesco a un tem- 
po, perchè nel paragone di due lingue vive s'imparano 
meglio amendue. Noi potremmo a tale uso continuare 
il latino, che pur si debbe imparare per nostra erudi- 
zione e per l'origine della comune loquela. Ma è me- 
glio indugiarlo, ecominciar invece dalla lingua fran- 
cese, la quale così diverrebbe utilissima alla nostra favella 
mentre or la corrompe: non avvezzi i nostri giovani a 
confrontare questi due linguaggi che sembrano simili e 
sono formalmente diversi. 

Co’suddetti principii d'istruzione intellettuale si con- 
giungono i seguenti per rispetto alla morale. Ogni set- 
timana è data a’ giovani una certa somma di denaro, 
aftinchè da sè amministrandola s’avvezzino all'economia 
ed all’ordine. Il loro affetto verso i genitori ed ogni lo- 
devole amicizia è mantenuta per lettere frequenti. Tutte 


le passioni dell'animo, secondo lor qualità, sono raffre= 
T. XVI. Dicembre 2 


18 

nate o promosse (come il Pestalozzi aveva principiato 
in Stantz) non già da’precetti che poca forza hanno con- 
tro la natura, ma da’ consigli, dagli esempli, e dalle 
opere stesse de’ giovani, le quali il maestro volge ad 
opportuno segno mentre pare le lasci libere in aperto an- 
damento: proposto sempre un utile scopo, sia nello studio 
che nello spasso, ne’giorni di lavoro o ne’dì festivi: presa 
in somma ogni occasione idonea a trarre naturalmente e 
fermare i giovani nella virtù. 

E l’educazione è pur naturale e semplice, come se 
il collegio fosse una famiglia. I varii esercizi della gin- 
nastica rendono ilare l’ animo e robusta la persona. Nè 
manca a’giovani la libertà, che anzi è lor data sovente 
a fine di scoprire le loro inclinazioni. Vanno anche soli 
fuori del castello: e nelle passeggiate in campagna impa- 
rano la storia naturale. 

Esami fatti ogni giorno in, ciascuna classe: esami 
fatti più volte nell’anno a tutti insieme, ma non pubblici 
nè con pompa: un libro dato a’ più ritrosi, affinchè vi re- 
gistrino le proprie azioni: ed il ragguaglio mandato a’ pa- 
dri alla fine d’ogni anno: rendono compiuta questa ma- 
niera d’educare, nella quale partecipano anche le donne 
ma separatamente dagli uomini. 

Mi pare dunque il Pestalozzi aver sì ordinato l’edu- 
cazione e l'insegnamento elementare: che questo sia come 
se fatto privatamente , e quella pubblicamente : che il 
giovane sia istruito secondo la sua natura, e educato come 
si conviene alla società degli uomini: che mentre impara 
a pensare, impara a vivere, senza bisogno di riformare 
le sue consuetudini, quando lascia il castello d’ Iverdun , 
per rieducarsi alla domestica ed alla pubblica vita. I quali 
effetti sono prova certissima. delle ben ordinate istituzioni 
Ma notiamo la differenza che è dall’ ordinarle all’ adem- 
pirle. Se una scuola è perniciosa quando manchi di buo- 
ne discipline, non è neppur ottima quando non abbia un 


19 
rettore abile agli ordini suoi. Bisogna che questi sia amico 
familiarissimo nel dare i consigli, prudente nelle proibi- 
zioni, accorto nell’assegnar le parti, fermo nell’eseguire : 
mai non patteggiando co’ discepoli, ma sottoponendo sè 
pure alle stesse regole. E prima qualità saper comandar 
sè stesso. Altrimenti non può il rettore concordare gli 
altri maestri, ed essere utile ne’ colloquii che ogni 
giorno debbe avere co’precettori e co’discepoli per esami- 
nare la loro virtù, i loro costumi, le loro maniere, e ben 
indirizzar ciascuno al proposto suo fine. Al Pestalozzi non 
mancano le qualità dell’ animo e dell’ingegno, ma ora 
ha settantotto anni, benchè a vederlo non sembri tanto 
attempato. Egli conversa con dolci e semplici modi ; ed 
ha volto bruno espressivo, con ampia fronte, occhio vivo, 
schietta fisonomia. 

Nel castello d’ Iverdun si educano al presente tren- 
tasei giovani, ed altrettante fanciulle. Nella città poi, che 
ha forse duemila e cinquecento abitanti, sono altre scuo- 
le: o pubbliche con insegnamento reciproco : o private 
per amendue i sessi, con ottimi ordini anche esse: ed una 
in particolare, cui presiede il professor Naef, e che è utile 
quanto o forse più che le altre, stantechè è propria de” 
sordi-muti. Io maraviglio che questi infelici sieno in molti 
paesi abbandonati, come se la loro educazione non fosse 
necessaria per loro e per noi. Essi per natura non possono 
conoscere i principii dello stato sociale. E noi facciamo 
società con loro, senza disporli prima coll’arte ad esser 
buoni cittadini. Se una truppa di selvaggi venisse ad abi- 
tare nelle nostre città, non si quieterebbe la domestica 
paura, finchè non avessero quelli imparato la nostra lin- 
gua e preso i nostri costumi. E nondimeno nulla te- 
miamo de'’sordi-muti, che sono ancora più formidabili , 
non potendo esser puniti dalle leggi se non sanno che sia 
delitto. A me pare che ogni sordo-muto dovrebbe andare 
alla scuola tostochè non ha più bisogno della balia: e 


20 


le comunità dovrebbero provvedere a questa spesa verso 
i poveri. Costringere a tali educazioni non è ingiustizia: 
cooperarvi non è sola misericordia : le richiede la sicurtà 
del pubblico , e le consiglia la nostra coscenza, affinchè 
non diventiamo rei ancora delle colpe altrui. 


Les Hermites en liberté par Jour er JAr, vol I. 
(Conchiusione ) 


3) Io penso, scrive l’ eremita della riva sinistra ( lettera do- 
dicesima dei 22 febbraio) che il carattere delle istitazioni, delle 
abitudini, delle opinioni di un popolo sia scolpito sui monumenti 
publici di ciaschedun’ epoca , sicchè studiando questi si possa 
prendere esatta notizia di quelle. Ditemi: tale idea non vi si 
è mai presentata contemplando il nuovo edificio della Borsa, 


magnifico palazzo, che potrebbe giustamente appellarsi il tem- 
pio della Fortuna ? 


Questo palazzo dà il titolo alla lettera, la quale è è 
una delle più ingegnose di tutta la corrispondenza. Si 
finge in essa Parigi caduta (la finzione non è augurio) 
sotto l’ urla, de’ secoli . Il viaggiatore erudito ne visita 
gli avanzi maestosi, fra cui uno, meno oltraggiato de- 
gli altri , fissa time i suoi sguardi. É desso 
un Bn un palazzo, un teatro? Lo percorre , lo os- 
serva diligentemente , vi fa eseguire qualche scavo ; e 
nulla. rimira che possa chiarire i suoi dubii . Alfine 
si accorge d’ un picciol libro -sepolto fra i ruderi, il rac- 
coglie con trasporto, comprende ch’ è il giornale d’ un 
agente di cambi, lo studia diligentemente, e scrive fra 
le sue memorie: 


Mi sono assicurato che questo sontuoso edificio accoglieva 
giornalmente le persone di finanza, e che vi si trattava del corso 
de’ cambi, del valore degli effetti publici, e di quello delle mo- 
nete. Questo fatto, dimostratomi abbastanza dal libro che ho 
rinvenuto , è stato per me come un vivo lume, che ha rischia- 


21 
rate tutte le mie congetture. Certo il pensiero d’ un edificio co- 
me quello, di cui parlo, non può appartenere ai secoli chiamati 
cavallereschi. Allora 1’ industria e il commercio appena aveva 
nome; e tutta l’arte del finanziere consisteva nel levar de’ tri- 
buti ai passeggeri colla spada alla mano. Non può nemmeno 
appartenere a que’ lunghi anni di guerre civili e religiose, che 
si succedettero in un tempo oscuro, chiamato nelle vecchie cro- 
niche il medio evo . Industria, commercio, finanza, per quanto 
siano utili alla società, erano allora professioni abbiette : l’ ozio 
solo era un titolo di nobiltà ... 

Sembra fuor di dubbio, se meritan fede le profonde ricer- 
che degli eruditi, che un secolo o due dopo tal epoca sia sta- 
ta fatta nel paese da me percorso una singolar rivoluzione, on- 
de nacque un nuovo ordine sociale . .. Uguagliate le condizioni, 
assegnato alla proprietà l’ esercizio dei diritti politici; il commercio 
e l’ industria , che arricchiscono gli individui facendo prospe- 
rare gli imperi, dovettero salire in onore; e a quell’ epoca por- 
babilmente fu costruito il palazzo di finanza. 

Seguono quindi savissime riflessioni sui naturali pro- 
gressi di quello spirito che porta un popolo a cercare 
la ricchezza. Quando il desiderio di questa è smodera- 
to, egli dice, tutto diventa calcolo, i sentimenti generosi 
s indeboliscono, la probità non è più che una virtù im- 
portuna. Forse all’ epoca, di cui ragiona, un tal desiderio 
era in Francia al suo colmo; e dovea nuocere non poco 
alla cosa pubblica. Me lo fa sospettare, ei soggiunge,un libro 
dell’ epoca medesima scoperto da un mio dotto amico, 
ove trovo indicato con burlesco nome (7 agiotage ) 
un commercio usuraio e sommamente fatale . Sforzan- 
dosi quindi d’ interpretare certe frasi e certe abbrevia- 
zioni del libretto da lui trovato, congettura alcune pra- 
tiche e alcuni costumi degli odierni finanzieri, e fa 
qualche osservazione sul loro stile; fra cui e quello di 
Fénélon e di Voltaire non trova alcuna relazione. Tut- 
ta questa finzione dell’ eremita è veramente graziosis- 
sima: è un vero regalo per la letteratura e la morale. 

Ma non lo è meno l’ apologo intitolato il Pezzo 
di ferro e la verga d’ oro, che forma il soggetto della 


22 
lettera seguente (colla data dei 25), e che ci bisogne- 
rebbe trascrivere per darne un’ idea. Il buon eremita 
della riva destra ha chiamati quei due metalli con una 
frase di Tacito instrumenta regni; e questa denomina- 
zione vi dà presso a poco indizio delle vicende , che 
si raccontano dialogando fra certe rovine del Tibet ove 
si trovano insieme sepolti. Mentre l’ oro si dà i mag- 
giori vanti, sopraggiungono alcuni lavoratori, e veden- 
do il pezzo di ferro, che riconoscono alla ruggine, se 
ne impadroniscono con ansietà. 

Che fate? loro grida l’ oro : voi prendete errore: quello non 
è che ferro ,e l’ oro son io . — Che c’ importa ? risponde uno 
de’ lavoratori, mettendosi il ferro in ispalla : la nostra terra è 
fertile ; il nostro popolo è industrioso ; il nemico s’ avvicina: è 
di ferro e non d’oro che abbiamo bisogno. 

La lettera quattordicesima (dei 28 ) è una lunga 


novella , condita di tutte le grazie di pensiero e d’ e- 
spressione , intitolata il Quachero . Non so quand’ io 
i’ abbia letto cosa in suo genere più compita. Dopo la 
battaglia data sotto le mura di York-Town ( nell’ otto - 
bre del 1731 ) fra l’esercito di Cornwallis, e quello di 
Washington e Rochambeau , la cui vittoria assicurava 
l'americana indipendenza , il quachero Langdon si fa 
a percorrerne il campo onde soccorrere i feriti . Trova 
semivivo fra gli estinti un giovane officiale francese, di 
cognome Terville, e lo fa trasportare alla propria casa, 
ove gli sono prodigate le cure più amorose. Le ferite 
del giovane in breve si chiudono ; ma, quando egli è 
per partire, sente che ne porta in cuore una assai più 
profonda di quelle ricevute in battaglia. La bella e ama- 
bil figlia del suo benefattote gli sta sempre’ dinanzi 
al pensiero sotto le tende militari a cui è ritornato, e 
fra le solitudini ove spesso si aggira come un deliran- 
te. Egli volge involontariamente i suoi passi alla cam- 
pestre abitazione ove si alberga quell’ angelica creatura. , 
La trova immersa in dolce sonno sovra un banco er- 


23 
boso del suo giardino all’ ombra delle catalpe e de’gel- 
somini della Virginia, che la difendono dagli ardori del 
mezzogiorno. Esita, trema, vorrebbe e non sa fuggire, 
e alfin vinto dalla passione fa oltraggio all’ innocenza. 
Sciagurato ! Ei non sa quai lunghi rimorsi prepari a 
sè stesso. Per calmarli, non avendo coraggio di andare 
a gettarsi a piedi di Langdon, che ha sì indegnamente 
rimeritato delle sue cure, si risolve a scrivergli . Rife- 
rirò la risposta del misero padre, che è parte della pit- 
tura di quella società a cui egli appartiene , e di cui 
I eremita della riva sinistra ci vuol far conoscere i co- 
stumi. 


Tu eri in estremo pericolo; io ti soccorsi ; e forse ti salvai 
la vita. Eseguii un dovere ; ne fui e ne sono contento , nè ri- 
chiedeva da te alcuna riconoscenza. 

Ma tu mi hai reso male per bene, mi hai portato al cuo- 
re un colpo mortale. Mia figlia, la cara mia figlia, l’ unica 
consolazione della mia vecchiezza fu da te scelta per vittima. 
La pace, la contentezza è per te shandita da quest’ asilo , ove 
trovasti la tranquillità e il riposo : i miei giorni son tristi, le 
mie notti son dolorose. 

Io ti perdono, e prego il cielo che ti perdoni esso pure. 
Tu intanto oblia per sempre e il mio nome e quello di mia 
figlia. Già non sarebbe in tuo potere il riparare il male che 
hai fatto. — Vi sono certi dolori che Iddio solo può raddol- 
cire . 

Ascolta i miei ultimi consigli. Se tu ti abbandoni alla fol- 
lia delle passioni, sarai sempre infelice. Torna a vita migliore; 
ed offri questa prova di pentimento, non a me uomo tuo pari, 
ma a quello che vede il cuor degli uomini, e pesa le loro 


azioni . 

Questa prova fu data dal giovane, il cui cuore era 
traviato, ma non corrotto ; e il buon Langdon ne fu 
commosso. Già fra il giovane e lui ( durante la conva- 
lescenza del primo ) erano corse molte parole sull’ arte 
della guerra, e sui costumi europei. Il giovane ebbe poi 
singolari ragioni di disgustarsi degli uni e di stancarsi 
dell’ altra. Divenne agricoltore agli Stati Uniti; meritò 


24 

la figlia del suo benefattore; e assicurò così la propria 
felicità. La novella del buon eremita deliziosissima per 
le descrizioni è preziosa pei ragionamenti che racchiude. 

Senza descrizioni e senza ragionamenti, la novella 
che forma il soggetto della lettera quindicesima ( dei 2 
marzo ) si fa leggere assai volentieri, per la sua rapi- 
dità , la sua amenità ( pregio caratteristico di tutti i 
racconti dell’eremita della riva destra), e per quell’ inte- 
resse che sempre ispirano le azioni generose. Essa è in- 
titolata bizzarramente l’ uomo di diciassette mogli; e non 
credo che sia del tutto ideale. Io ho letto sicuramente 
( ma non saprei ora indicar dove ) d’ un francese che 
nel tempo del terrore, d’ accordo con un officiale civile, 
che mai non registrava i suoi finti contratti di matri- 
monio, salvò parecchie donne della classe proscritta, fa - 
cendole passare l’ una dopo l’ altra per sue mogli. Su 
questo fatto si fonda la novella dell’ eremita, che pre- 
senta il più vivo quadro del partito dominante e del 
partito abbattuto nel furore della rivoluzione. Ma sì può 
egli citarne parte senza nuocere al tutto? 

Un portinaio, oriundo svizzero, come quasi tutti i 
portinai delle gran case di Parigi sotto l’ antico regime, 
ha ricevuto in fedecomesso i beni, e in deposito l’ u- 
nica figlia del suo signore emigrato, a cui procurò egli 
stesso un asilo nella propria casa sul lago di Lucerna. 
Questo svizzero, educato più che la sua condizione non 
porterebbe , niente contrario per principi alla rivolu- 
zione, di cui altronde poteva approfittare , sì contenta 
di rimaner portinaio, onde giovare a quel signore nella 
sua sventura. La fanciulla affidatagli già toccava i se- 
dici anni, e per quanto la madre del portinaio la cu- 
stodisse, non potè fare che un deputato della Montagna, 
di bassi natali e di più bassi costumi, il quale abitava 
nell’ istessa casa, mon s’ incapricciasse di lei. Intrapren- 
dente l’ uno, non affatto ritrosa l’ altra; chi sa quel che 


25 
andava a succedere se non vi si provvedeva . Il fedel 
portinaio credette di doverne avvertire per un messo fi- 
dato il signor suo. i 


Per la prima volta il conte (egli narra ) sì degnò scriver- 
mi di propria mano ; facendo però a me ea mia madre i più 
terribili rimproveri. Come avevamo noi sofferto , egli diceva, 
che un uomo da nu//a, un mostro senza nascita e senza fortu- 
na ardisse metter l’ occhio sopra sua figlia ? Quindi egli mi or- 
dinava d’ inviargliela all’ istante, vendendo per le spese, che. a 
quest’ uopo potevano occorrere, il suo podere di Monte Rosso. 

Confesso che questa lettera mi fece perder pazienza . Ri- 
sposi quindi col sentimento che m’ ispirava tanto orgoglio e 
tanta ingratitudine. E finii col dire al conte che: esposti io e 
mia madre a bastanti pericoli per lui, ben volentieri avremmo 
consegnato sua figlia a chi egli ci indicasse, per sottrarla al- 
1’ uomo da nulla che potea tutto; ma che bisognava provve- 
dere altrimenti alle spese di viaggio, dacchè i suoi beni, mal- 
grado il fedecomesso , erano sotto sequestro, ed io non aveva 
potuto venderne un solo campo , nè riscuoterne mai un soldo 
d’ affitto. 

O la riflessione gli facesse conoscere la sua ingiustizia a 
rostro riguardo, o l'amor paterno lo avesse commosso sul pe- 
ricolo di sua figlia, ch'io gli dipinsi assai vivamente , egli mi 
rispose in modo sì obbligante, che dimenticai tosto il mio ri- 
sentimento , e più non pensai (qualunque fosse il rischio a cui 
mi esponeva ) che ai mezzi di condur salva Amalia fra le sue 
braccia . 

Il nostro amoroso terrorista, senza sospettare di me, accor- 
gendosi da qualche indizio che la fanciulla si preparava a par- 
tire, pensò di opporvisi, facendola arrestare come figlia d’ un 
emigrato. L’ amico Bertrand (che già vi ho nominato), mi aiutò 
per qualche mese a render vane le sue trame infernali , che 
svelate ad Amalia cangiarono in orrore. l’ inclinazione già da lei 
concepita per un tal seduttore. Quando alfine- vidi che le sue 
trame erano infallibilmente per riuscire, m’avvisai per la pri- 
ma volta d’ un partito, di cui voi stesso giudicherete l’ ardi- 
mento. Bertrand, da me pregato, stese come official civile del- 
la mia sezione un atto di matrimonio fra me Giorgio Groun- 
mann, svizzero d’ origine, e Amalia di cui sapete il casato, e 
a cui diede sull’ istante un passaparto, onde partì con mia ma- 
dre per Coblentz ov’ era il suo genitore. 


26 


Credereste ? Il conte si mostrò assai meno sensibile al pia- 
cere di riveder sua figlia, che all’ onta di sentire che per tre 
o quattro giorni ella aveva portato il mio nome ; e mia ma- 
dre, nelle ventiquattr’ ore che dimorò nel suo povero albergo, 
non fu punto ammessa all’ onore della sua mensa. 

Lascio le riflessioni amare, che la memoria di questo fatto 
risveglia nel mio spirito, e continuo la mia narrazione. 

A questo saggio , di cui ci è forza contentarci , e 
che fa in qualche modo indovinare il rimanente, non 
aggiungeremo che la conclusione poetica del portinaio 
filosofo, degna di servir di regola a tutte le anime ge- 
nerose : 

Repandez vos bienfaits avec munificence, 

Meme au moins vertueux ne les refusez pas; 
Ne vous informez pas de leur reconnaissance, 
Jl est grand, il est beau de faire des ingrats. 


La lettera sedicesima (la quale porta la data dei 5 
del mese ) si presenta con quest’ epigrafe, tratta dai sag- 
gi di morale e di letteratura di Knox, che ne fa sentire 
lo”spirito:—La depravazione dell’infime classi è un effet- 
to della loro estrema ignoranza. — L’eremita della riva 
sinistra , chiamato per un suo articolo della biografia 
de’ contemporanei innanzi al tribural di polizia corre- 
zionale, da cui la sua lettera prende il titolo, rende 
conto delle osservazioni da lui fatte in quell’ occasio- 
ne. Alcune di esse, qualunque giudizio se ne porti, sem- 
breranno almeno dettate da un profondo sentimento del 
ben publico, e tali da adornare qualunque miglior libro 
intorno alla scienza della legislazione. 

Il gran numero d’ individui appena usciti dall’ infanzia, ch’em- 
pie annualmente i banchi della polizia correzionale, ben sembra 
che meriti qualche riflessione da chi regge o direttamente o 
indirettamente i nostri destini. Questo fatto indica una gran de- 
pravazione nel popolo, e questa depravazione accusa qualche vi- 
zio ben grave nelle nostre sociali istituzioni . Sembra che alla 
società non importi se mon che ogni delitto abbia la sua puni- 
zione , ogni colpa il suo castigo. Nulla infatti di più giusto, 


ca 
ove le pene siano sempre proporzionate alle offese. Non vi sa- 
rebbe però qualche cosa di meglio a farsi in vantaggio dell’ i- 
stessa società ? Sarebbe forse impossibile il trovar mezzi efficaci 
di prevenire i delitti e le colpe che ne turbano il riposo? 

In generale tutti gli individui, chiamati innanzi al tribu- 
nal correzionale, uniscono la più completa ignoranza alle incli- 
nazioni più viziose. Le poche eccezioni, che potrebbero farsi 
a questa asserzione, appena meritano d’ essere considerate . Or 
quanti cangiamenti non produrrebbe nelle inclinazioni una saggia 
e morale istruzione? Un governo, bramoso di acquistar diritti 
alla publica riconoscenza, dovrebbe dunque moltiplicarne le sor- 
genti, e incoraggiar le scuole di reciproco insegnamento , che 
per confessione di tutti gli uomini illuminati sono le più atte a 
diffonderla. Onde tant’ odio di alcuni amministratori del potere 
contro di queste scuole, di cui si onora l’ umanità ? S’ imma- 
ginano essi forse di trovare nella depravazione, che accompagna 
l’ ignoranza, un pegno di sicurezza per la loro autorità ? Si cre- 
derebbero essi forse minacciati, ove avessero intorno a sè meno 
vizii e più virtù? Certo il loro odio non può giustificarsi ìn- 
nanzi al tribunale della ragione, e molto meno innanzi a quel- 
lo della morale e della religione. ) 

È stato osservato che le case di giuoco e le prenditorie di 
lotto sì moltiplicate sulle due rive della Senna sono due de’ più 
potenti stimoli a quelle azioni colpevoli che la giustizia è co- 
stretta di punire. Tutti convengono di questo fatto; ma chi pen- 
sa efficacemente al rimedio ? Quelle case e quelle prenditorie 
si aprono ogni giorno coll’ approvazione del potere che si rende 
complice de’ loro tristi effetti, e per un interesse di finanza par 
che non curi l’ interesse dell’ umanità. . .. 

Che giova parlar di morale e di religione , quando sul vi- 
zio si fa un guadagno? Si infliggono al vizioso punizioni severe; 
e non si pensa ch’ egli è caduto per la sua ignoranza in quelle 
insidie che gli ha tese l’ istessa autorità che lo punisce. 

Quando si cesserà dal proferire saggie parole e dar cattivi 
esempi? Quando le azioni saranno d’ accordo coi discorsi? Quan- 
do si sarà persuasi che non avvi buona politica senza vera mo- 
rale ; che lo stimolo dato al vizio è un delitto contro la società; 
e che il diffondere l’ istruzione prima è un mezzo infallibile di 
migliorare i costumi del popolo , e di affezionarlo alla patria? 


Dalla sala del tribunale la lettera decimasettima 
( degli 8 del mese) ci trasporta a quella della casa d’un 


28 


publico stimatore, ove tiensi un congresso di famiglia. 
L' eremita della riva destra, senza formarne parte, stan- 
dosi in uno stanzino attiguo a cercare fra vecchi scar- 
tafacci alcuni documenti di sua ragione, è costretto sen- 
tire di che si tratta. La vedova dell’ usciere, che non 
si sa bene se sia o non sia rimaritata, ha una cara ni: 
pote (badate che il senso di questa parola non va cer- 
cato nel vocabolario dell’ accademia della Crusca o del- 
l’ accademia francese) di cui vuole assicurare la fortu- 
na. Questa nipote è d’ un gran merito: vent’ anni an- 
cora non compiti ; occhi neri ; fisionomia significante; 
grazia disinvolta; e non so qual disposizione alla pan- 
tomima, onde balla sulla scena con grande espressione. 
Miiord Dandy ( questo cognome non vi è nuovo) sente 
tutto il prezzo di sì amabili qualità. Vorrebbe ottenere 
la dolce compagnia dell’ adorata persona che le possie- 
de; ed offre, s° ella il consente , dieci mila lire d’ as- 
segno annuo, oltre il corredo che sarà magnifico . La 
zia , saggia moderatrice dell’ inesperienza della nipote, 
calcolando che milord ha 80,000 ghinee d’entrata, pensa 
prudentemente e secondo l’uso, com’ ella dice, che può 
ben darne il quarto; onde propone che i franchi si can- 
gino in sterlini. Mentre si disputa dal savio congresso 
sopra così onesta proposta, che milord è sì poco de- 
licato da non accettare immediatamente, entra il buon 
eremita ; e coll’accento dell’indignazione dice a lui in 
inglese e a madama in francese ciò che la sua vecchia 
morale gli suggerisce. 

Madama , rinvenuta dalla sorpresa della mia apostrofe vio- 
lenta, non mancò di addurmi come scuse della sua condotta 
que’ turpi accomodamenti col vizio, di cui 1’ alta società le for- 
niva l’ esempio : anche l’ infamia ha una retorica, Ma io non volli 
ascoltare nè le vane sue scuse, nè la burlesca apologia dell’ in- 
glese, nè le gaie lepidezze della signorina, ed uscii ben corruc- 


ciato contro que’ pregiudizii che costringono al vizio le persone 
di certe professioni, condannandole al dilivezno. E ben ritletten- 


29) 
dovi, mio caro amico, voi troverete ancor più degna di compas- 
sione che di biasimo una classe di donne pur troppo assai meno 
stimabile che amabile per ciò solo che tiensi ostinatamente se- 
parata dalla società ; e collocherete il mio picciolo quadro a la- 
to di quello de’ costumi delle baiadere , che 1’ olandese Haffner 
ha dipinti nell’ eccellente suo viaggio alle Indie. 

Altro congresso d’altra importanza per tutto il mon- 
do leggente è quello che forma il soggetto della lettera 
diciottesima (in data degli 11) la quale ha per titolo 
dialogo fra due isolani. Chi sono costoro? Ve lo faccia 
congetturare quel detto di Cesare, o piuttosto d’ Euri- 
pide ond’egli il prendeva: /Vam si violandum est jus, 
regnandi gratia violandum est, riferito da Svetonio, 
e dato per epigrafe al dialogo dal grave eremita della 
riva sinistra, che lo manda al compagno dell’altra riva. 
I due isolani (che voi non avete più bisogno ch'io vi 
nomini) furono già soggetto di confronto agli scrittori, 
non solo durante la vita, ma durante l'immenso potere 
del più moderno. Quello tra gli storici della francese 
rivoluzione, che ha detto più vere cose in più brevi parole 
(Mignet), rinnovando ultimamente questo confronto, lascia - 
va poca speranza che altri potesse farlo più acutamente. 
Napoleone, al dir suo, rappresentò per la Francia, come 
Cromwello per l'Inghilterra, il governo dell’esercito che 
sempre nasce da una rivoluzione combattuta . Questa 
allora, di civile ch'era in principio, appoco appoco di- 
vien militare. Nella gran Brettagna, non mescolan- 
dosi, pel suo isolamento degli altri stati, la guerra e- 
sterna all’interna, l’esercito passò tanto presto dal campo 
al governo, che Cromwello suo generale, trovando an- 
cora le fazioni nel loro fervore, volse contro esse la forza 
dell’ esercito medesimo. In Francia per lo contrario, 
la rivoluzione essendo combattuta e al di dentro e al 
di fuori, l esercito non s° impadronì del governo che 
quando le fazioni già erano abbattute, e Napoleone, che 


30 

gli stava a capo, ne diresse la forza contro l’ Europa . 
Uno stato così differente determinò la differente condotta 
-di questi due uomini straordinari. L'uno impiegò il suo 
genio a intraprendere, l’altro a resistere : l’uno fu franco 
e deciso, come suol essere chi si sente ben fermo; l’ altro 
fu astuto ed ipocrita come chi si sente poco sicuro. Ma 
tutte le dittature son passaggere:i poteri nati dalla li- 
bertà mal si reggono distruggendola. Cromwello, se fosse 
vissuto più a lungo, sarebbe caduto per le interne cospi- 
razioni, come Napoleone è caduto per la sollevazione 
d'Europa. Tale è.il giudizio dello storico ridotto a' suoi 
minimi termini; e credo che da ciascuno sarà trovato 
sagacissimo. Se non che, mentr’ esso dimostra l’ influen- 
za delle circostanze sui due personaggi posti a confronto, 
appena ci lascia scorgere l’ influenza che il loro carat- 
tere potè avere sulle circostanze. Il dialogo del buon 
eremita fa che questo carattere si manifesti da sè me- 
desimo assai chiaramente; ond’ è che, leggendolo, ci sem- 
bra di comprender bene che dall’ una parte l’ ardimento 
creò a sè medesimo il bisogno d’un periglioso eroismo; 
dall’ altra 1’ accorgimento mantenne vivo, oltre il bi- 
sogno, un periglioso fanatismo. Cromwello ( un piccio- 
lo saggio del dialogo è qui troppo necessario ) interro- 
gato da Napoleone s° ei fosse fanatico di buona fede, 
risponde che senza fanatismo non si fa nulla di igran- 
de , e che bisogna averlo realmente provato , per ben 
parlarne il linguaggio. 

Napoleone. Anch’ io posso dire altrettanto . Sono stato repu- 
blicano violento; e quindi lo sono stato per poco. 

Cromwello. Tanto peggio per voi! Dovevate parerlo anche 
dopo aver cessato d’ esserlo . È troppo pericoloso per uomini po- 
sti nelle circostanze , in cui noi ci siamo trovati, il rigettare lo 
strumento che servì alla nostra elevazione. Utile nella prospera 


può ancora esserci necessario nell’ avversa fortuna. È vero, 
che quando i miei primi successi ebbero allargate le mie vedu- 


31 


te e preparato il mio avvenire, cominciai ad ascoltar l’ ambizio- 
ne ancor più che il fanatismo. Questo però non cedette il luogo 
all’ altra che grado a grado; ed io mi guardai bene dal tener 
mai, almeno publicamente, altro linguaggio che il suo ... 

Napoleone. Qual differenza fra la vostra condizione e la mia! 
I vostri puritani , i vostri indipendenti , ed anche i vostri pre- 
sbiteriani erano fanatici per convinzione. I miei compatrioti, 
com’ io potei accorgermi ben presto, non erano republicani che 
di nome, Pochi voleano seriamente la republica’, e già erano 
quasi tutti scomparsi, Il popolo più occupato degli uomini che 
delle cose non avea educazione conveniente per simile governo» 
Poco istruito per esser libero, era però troppo vano per soffrire 
una dominazione volgare: se la sua ragione non era molto ferma, 
il fuoco della sua imaginazione era sorprendente . Onde render- 
mi arbitro di un tal popolo , io volli rendere lui medesimo ar- 
bitro dell’ Europa; volli che la mia grandezza fosse la sua; ch’ e- 
gli si ammirasse in me ; nè trovasse nel mondo nulla di uguale 
alla Francia e a Napoleone. 

Cromwello. Queste poche parole bastano a spiegarmi i vo- 
stri trionfi e i vostri rovesci. Voi stesso eravate un uomo domi- 
nato dall’ imaginazione , e spesso, ne son certo, avete sacrificato 
all’ apparenza la sostanza. Quanto a me, uscito una volta dal 
mondo mistico, mi trovai interamente nel mondo reale. Misurai 
e conobbi le mie forze; vidi fin dove con esse poteva inoltrarmi, 
e non andai più lungi. Mi sarebbe stato ben facile cingere il 
diadema , poichè tutto piegavasi al mio volere. Ma che m’ im- 
portava il titolo vano di re? Io gli preferii quello di protettore. 
I limiti della regia autorità erano conosciuti quelli del protet- 
torato chi sapea definirli? Io esercitai senza contrasto un potere 
senza limiti, e non sono morto nell’ esilio. 

Ma, vivendo più a lungo, ei potea morire anche 
più infelicemente, malgrado la profonda politica di cui 
si vanta nel resto del dialogo. Io mi astengo a costo 
del piacer mio, e probabilmente del vostro, dal recar- 
vene altri saggi, perchè le tre lettere, che ancor ci 
a vanzano, vogliono pur esse la loro parte in queste pa- 
gine. So bene lettor mio, che trovandole tutte com- 
poste di brevi citazioni mi chiamerete forse per di- 
spetto chiffonier littérateur, ch'è il titolo della lettera 


decimanona (in data dei 14 aprile ) scritta ‘dal beffardo 


32 


eremita della riva destra. Piacendovi però esser giusto, 
penserete da vei medesimo che le tante brevi citazio- 
ni danno talvolta allo spirito molto pascolo , o lo di- 
spongono a ricercarlo: questo secondo vantaggio non è 
di piccola importanza . 

Intanto che dice 1’ eremita del suo cenciaiuolo let- 
terario? Lo dipinge come un piccolo Diogene, di fron- 
te calva e acumivata, di naso aquilino assai profilato, 
di bocca, se così possiamo esprimerci, maliziosa, il 
quale andava la notte con una lanterna e un rampo- 
ne, raccogliendo tutti i pezzetti di carta stampata e 
scritta, per farne poi certe sue compilazioni che gli 
mostrò. Dice ch'era allievo d’un certo curato (1’ uo- 
mo del suo tempo che avea letto di più ), e che, per 
soddisfare il suo gusto della varia lettura, s'era fatto 
un leggìo circolare, su cui stava disposta una ventina 
di fogli d’opere diverse, ch'egli scorreva aggirando il 
leggìo medesimo: invenzione che, secondo l’ eremita, 
debb’ esser stata adottata da molti giudici di libri vec- 
chi e nuovi, ai quali bastano dieci o dodici versi 
per darne sentenza nelle conversazioni e ne’ giornali. 
Fatta presto amicizia coll’ eremita , e giunto seco all’ u- 
scio della casa, di cui occupava la sommità, il cen- 
ciaiuolo pensò che la lunga scala poteva togliere il fia- 
to al compagno, che da dieci anni come sapete ci rac- 
conta d’ esser molto vecchio, 

Oh io voglio assolutamente seguirvi, disse l’ eremita. — In 
tal caso, ei rispose, com’io vi credo in istato di grazia, 
se mai morite di stanchezza ‘giugnendo alla mia soffitta , sarete 
a metà strada del paradiso, che da buon confratello vi augaro 
di tutto cuore. — Voi avete dello spirito maestro Andrea. — Ve 
lo credo: voi già non avete nessuna ragione di adularmi . — Buo- 
na: — Ed occoci intanto pervenuti, al settimo piano d’una ca- 
sa, dopo aver salito niente meno di 170 scalini . — Coraggio, mi 
disse Andrea , il più è fatto. — Io non potea capire quel che: 


ancora ci rimanesse, poichè eravamo pur una volta in capo 
della scala. Ma il mio omicciuolo col suo rampone alzò una 


i Fa 
botola, e mi fece scendere per una scalaccia a pinoli in una 
specie di granajo spartito con stuoje in tre camerette. La prima , 
che gli serviva di magazzino, era tutta piena di pezzetti di car- 
ta; la seconda conteneva il suo saccone o la sua cuccia, che 
vogliam dire, con poche sferrevecchie per le sue poche occorrenze ; 
e nella terza, ch’ ei chiamava enfaticamente la sua biblioteca, 
stavano cinquanta o sessanta volumi cuciti con grosso filo, e 
coperti da avvisi teatrali, sopra assicciuole tarlate , sospese oriz- 
zontalmente con funi alle travi del tetto. 


Io non ho tempo, lettor mio, di scorrere come il 
buon eremita al lume della sua lanterna tutti gli in- 
dici de’ suoi inquarto e de’ suoi inottavo.'Dirò sol- 
tanto che il titolo generale della sua raccolta era: Ciar- 
pe letterarie; e la general divisione indicata così: 4s- 
surdità e Ridicolezze. Lasciamo le assurdità che non 
fanno troppo ridere. 


Le ridicolezze comprendevano, dice l’eremita, il genere 
vaporoso , il patetico affettato , la sensibilità a proposito d’ una 
mosca schiacciata, la mania d’analizzare , il furore di descrivere. 
Una delle loro suddivisioni era tutta piena delle forze centrali, 
delle vibrazioni, de’ contrapesi e dell’altre formole algebrico- 
meccaniche dello stil ginevrino. In una terza si trovavano i 
luoghi comuni dell’ eloquenza collegiale, le cicalate academiche, 
la critica barbogia di certi giornali, il dolciume annacquato di 
certi scrittori alla moda, il classico disdegno degli scrittori sta- 
zionari, i frizzi senza punta , i quolibeti, i concettini, l'ironia 
perpetua , insomma tutta l’artiglieria scoppiettante e inoffensiva 
della letteratura in vaudeville . 

Mio caro Andrea, io gli dissi, voi avete fatto una sì bella 
raccolta, che vi basta annunciarla , per assicurare la vostra fortu- 
na. — Alla buon’ora si annunci; ma non credo... Non cre- 
dete? Eppure nulla di più semplice. Indicate in un prospetto i 
nomi degli autori che debbono figurare a brani nelle vostre 
ciarpe letterarie, lasciando in facoltà di ciascuno ‘il levarne 
ciò che gli appartiene, mediante lo sborso anticipato del prezzo 
d’un esemplare di tutta la raccolta. Chi di loro non si affret- 
terà a pagarvelo per redimersi dall’onore che gli preparate ? 
Così avrete venduto la vostra edizione, senza pubblicarla, anzi 
senza eseguirla : non è questo un far bene i propri interessi ? 
— Per bacco la vostra idea mi dà nel genio; domani a notte , 

N. XVI. Dicembre 3 


34 


girando con la mia lanterna, bisogna che la maturi. — Io non 
mi congedai dal mio cenciajuolo compilatore, senza lasciargli un 
buon acconto per le spese del prospetto . 

Or rifate, lettor mio, d’un salto i 170 scalini, e 
venite a riposarvi, se mai il salto vi ha spossato , ad un 
famoso caffè , ove ci chiama colla lettera vigesima ( degli 
8 maggio ) l’ eremita della riva sinistra. Se siete stato 
a Parigi voi conoscete sicuramente il caffè Procopio, 
e se non Vi siete stato, ne avete almeno seutito par- 
lare da’ vostri amici. Quel caffè ha una riputazione sl 
antica e sì bene fondata, che i successivi padroni si 
sono ben guardati dal cangiargli nome. 

Un vecchio avventore , scrive l’eremita, mi ha detto che 
vi è stata fatta qualche novità riguardo ai mobili e agli orna- 
menti; che più non vi si vede la panca, da cui Piron lanciava i suoi 
epigrammi, e il cavalier Morliére preparava colla sua cabala il 
buono o il cattivo successo dell’ opere drammatiche . Queste no- 
vità non si possono attribuire che all’invasione progressiva di 
quello che chiamasi incivilimento. Ma quel che importa si è, 
che la bevanda dell’ arabo legume, ch’ivi si prende, ha con- 
servata la sua antica virtù. 

Pochi sanno che noi dobbiamo al caffè Procopio una gran 
mutazione di costumi, operatasi verso la fine del secolo decimo - 
settimo. Prima di tal epoca le taverne erano assai numerose , e 
il culto di Bacco vi era in grande onore. Vi si radunavano, non 
mica womini dappoco, ma Chapelle, Molière, La Fontaine, Ra- 
cine, Boileau stesso; e sa Dio che epigrammi, che lepidezze 
animavano le loro agapi modeste , che idee franche e generose 
scappavano fuori da’ toro ingegni, mentre si versavano larghi 
bicchieri d’un liquor generoso. Nè i gran signori sdegnavano 
somiglianti adunanze ; e |’ osteria di Renard presso le Tuileries 
serba ancora la rimembranza delle loro orgie privilegiate. 

Venne alfine Procopio, e mescendo caffè ai gran signori e agli 
uomini di lettere, diede loro un nuovo punto d’ unione, e fece un 
po’ alla volta passare il gusto delle bacchiche libazioni. Le conse- 
guenze che da ciò son derivate alle nostre idee, a nostri costu- 
mi, alla nostra letteratura, sembreranno incredibili. Al caffè e 
non alla filosofia bisogna attribuire il giuramento del giuoco 
della palla e la presa della Bastiglia, al caffè e non alla filoso- 
fia.... Ma basta: io sto preparando un’opera che avrà per 


35 
titolo: Dell’ influenza del caffé Procopio sulla rivoluzione fran- 
CESE è ; 

Seguita egli a far la storia di questo caffè e racconta 
come ivi si prese il primo sorbetto; erudizione forse 
per voi non ispregevole, mio caro lettore, se amate i 
sorbetti, com’io la bevanda, a cui l’ eremita attribui- 
sce sì gran virtù. Indi viene a dire come, secondo i 
tempi, il caffè Procopio fu un’ accademia, in cui si 
disputò di cose letterarie, di cose teologiche; di cose 
teatrali , e in fine di cose politiche, sicchè una delle 
sue sale fu denominata camera dei comuni. Oggi esso ri- 
ceve abitualmente gli studenti di diritto e di medicina, 
alcuni vecchi professori di quello che chiamasi in Pa- 
rigi il paese latino, ed altra buona gente che non può 
fare se non una modestissima spesa. La gente brillante 
frequenta i caffè della riva destra, famosi per la loro 
eleganza voluttuosa, e per le belle limonadières che seg- 
gono al banco in aria di regine. 


Nel caffè Procopio si parla poco e si legge molto. Io mi 
vi trovai giorni sono a fianco d’uno studente, che avea sotto 
l’ascella un volume de’ Teatri stranieri, e in tasca uno di 
que’ compendi storici, che oggi sembrano sì ben accolti dal 
pubblico, e che provano il buon giudizib de’ nostri giovani 
scrittori. — Voi non volete perder tempo, gli dissi, poichè 
portate libri così seri al caffè — I giornali, come vedete, egl 
rispose sono tutti in mano d’altri: aspettando che ne giunga 
qualcuno anche alle mie, mi diverto con qualche altra cosa . 
Osservai infatti che nessuno de’ fogli, di cui si parlava , era in 
libertà : l’ affare delle elezioni parea che ne rendesse la lettura 
più lunga del solito. Del resto essa non è mai breve per certi 
buoni uomini , che leggono movendo le labbra, e dal titolo vanno 
esattamente fino al luogo della stampa, a ‘tormento e dispera- 
zione di quanti aspettano. Sono chiamati i lettori eterni ; e due 
o tre di loro, ove si trovassero sempre riuniti, basterebbero. 
per disertare un caffè. 


Ho riportati questi due ultimi periodi, bisogna 
che lo confessi, con un po’ di gusto maligno, quasi 
per isfogare una vecchia rancura, per dirlo con una 


“n 


36 


vecchia parola del nostro Dante da Majano, se non ba- 
sta quel da Fiorenza. Chi sa, onesto lettore, ch’ io non 
abbia fatto ad un tempo le mie e le vostre vendette! 
Or leggiamo altre più belle parole del nostro buon ere- 
mita. 


Le maniere e le abitudini de’ giovani, che frequentano i 
luoghi pubblici sono ben cangiate da vent’ anni in poi. Ben si 
comprende ch’ essi riflettono sugli avvenimenti pubblici ; che già 
sono loro interesse gli interessi generali; che i progressi dello spirito 
umano stan loro a cuore. La generazione , che sorge , sarà cer- 
tamente meno frivola di quella che l’ha preceduta. Avvezza ad 
osservare e a valutar ciò che meritano gli uomini e le cose, 
sarà forse poco facile all’entusiasmo; ma avrà forza d’ intelletto 
e fermezza di volontà, quale ancora non si è veduta: potrà mol- 
to soffrire; non potrà nulla dimenticare . 

Quindi è ben chiaro che le dottrine ragionevoli, per quanto 
siano in ogni guisa combattute , non saranno annientate, e avran- 
no un di o l’altro il loro pieno trionfo. Le dottrine opposte si 
sostengono perchè sono legate ad interessi particolari ; ma questi 
cederanno un dì o l’altro all’interesse generale , e le dottrine 
che li sostengono saranno abbandonate. I nostri giovani en- 
trando nella società con veri lumi, e con maturo giudizio , ope- 
reranno , non ne dubitiamo , questo cangiamento felice. Potrà 
taluno di essi lasciarsi corrompere, prender la maschera dell’ ipo- 
crisia, professare dottrine, che la ragione rigetta; ma il più 
gran numero si manterrà fedele alla giustizia e alla verità. Ec- 
co la consolazione del presente, ecco la speranza dell’ avvenire. 


L’ ultima lettera (.dei 4 giugno ) intitolata Ze vi 
site della mattina ‘è ‘una specie d’apologia che fa del 
bel sesso l’ eremita della riva destra, molto suo par- 
ziale. Ma per acquistarsi maggior fede si dà l’ aria d’ un 
convertito ; e il bel sesso, e anche l’altro, che ha pur bi- 
sogno di stimare chi è forzato ad amare, vorrà essergliene 
obbligato. Egli assiste non visto; poichè la presence d'un 
homme, lo avverte una brava signora che vuol dissi- 
pare le sue prevenzioni riguardo ‘a certe sue amiche, 
suffit pour denaturer le caractère d'une femme, pour 
fausser son langage et pour la rendre meconaissableà ses 


37 

propres yeux, assiste dico ai colloqui confidenziali di 
queste amiche . Se mai li leggerete, vi daranno più gu- 
sto ch'io non so dirvi, tanto sono vivaci e spiritosi . 
Io non posso nè riportarli interi per la loro lunghezza , 
ne dimezzarli poichè più non servirebbero allo scopo, 
di provare cioè que presque toutes le femmes valent 
mieux que leur reputation. L’eremita non voleva creder- 
lo; dopo i colloqui, per quanto egli dice, nulla più può 
farglielo discredere. Per me anche senza alcuna ragione 
di galanteria, e colla maggior buona fede del mondo, 
mi sarei arreso all’ asserzione di quella signora, tanto 
ella meritava fiducia, e facea pensar bene dell’ altre 
persone del suo sesso. Alcune sue parole ( che. servi- 
ranno di saggio della lettera la quale pon fine alle no- 
stre ) vi faranno convenire nel mio parere . 


Io era andato a dare un addio a madama Detreville, che 
doveva fra alcuni giorni partire pei bagni , e cercava di confer- 
marla nella speranza che questo piccolo viaggio ne’ Pirenei fini- 
rebbe di ristabilire la sua salute, così preziosa a tutti i suoi 
amici — A quattro o cinque persone, volete dire, ella inter- 
ruppe. — Diminuitene il numero quanto vi piace ; io soggiunsi, 
purchè fra esse io abbia il primo luogo. — Almeno io non 
confonderò i vostri auguri, mio caro filosofo , con quelli de’ miei 
conoscenti . 

E questa distinzione fra amico e conoscente le fornì materia 
d’ un discorso, in cui mostrò tanta grazia di spirito, e tanta 
vivezza di sentimenti ch’ era un incanto. 

Io non so sella proseguì, come si possano usare promiscua- 
mente due parole di così diverso significato, e di cui ho letta, 
non mi ricordo più dove, una definizione sì giusta , che mai non 
ho potuto obliarla, Un conoscente è un essere, che vi si fa in- 
nanzi con un saluto e talvolta con un sorriso; che vi dice con 
egual suono di voce di rallegrarsi o di condolersi sommamente 
con voi per la cosa più insignificante che vi sia avvenuta; che 
v'incontra con nna specie di piacere e vi lascia senza il minimo 
dispiacere ; che , senza provar mai il bisogno di rivedervi, si ri- 
corda talvolta di voi, quando siete sano e felice, ma vi oblia, 
tosto che sa non esservi più rimedio alla vostra infermità o alla 
vostra disgrazia; che pensa a voi dopo la vostra morte, ma non 


38 


più del tempo che bisogna per leggere il biglietto del vostro fu- 
nerale. Un amico è quello che raddolcisce i nostri dolori, divi- 
dendoli con noi, e senza il quale ci sarebbero insipidi i nostri 
piaceri; è il consolatore de’ nostri mali se un letto ci imprigio- 
na; il ravvivatore della nostra speranza se un carcere ci rinchiu- 
de; il fido compagno de’ nostri passi mentre viviamo; il com- 
pagno del nostro feretro, cui bagna di lagrime, quando le no- 
stre spoglie per lui sacre sono recate all’ ultimo asilo ; il custo- 
de infine della nostra imagine e della nostra memoria, cui 
serba religiosamente nel suo cuore, e a cui dona spesso qualche 
sospiro . 

Ditemi lettore se una donna, che tiene simil lin- 
guaggio, non può soggiungere quello che vuole intorno 
al suo sesso, e se a noi resti la facoltà di dubitarne? 
Quando voi abbiate intorno all'amicizia le stesse sue 
idee, vi auguro un’amica la quale ne abbia il medesi- 
mo sentimento . M.. 


RIVISTA LETTERARIA. 


L’anno precipita verso la sua fine: veggo qui libri e opu- 
scoli ammaucchiati sul vostro scrittoio , io dicea giorni sono al 
direttore dell’ Antologia : par ch’ essi aspettino la licenza di 
passare ai vostri scaffali, quasi sentano ai fianchi una schiera di 
successori che cerchi luogo: ma una licenza in forma di diplo- 
ma (chè tale considero ogni articolo del vostro giornale ) non 
c’è più tempo di spedirla. — Si rilasci in forma di brevetto, 
soggiunse egli sorridendo. — Ho inteso. Ma vi saranno, suppon- 
go, dei diritti d’anteriorità o di precedenza di merito, a cui biso- 
gnerà aver riguardo. Quelli d’anteriorità non possono essere offesi 
da posticipazioni fortuite di qualche minuto; quelli di preceden- 
za di merito verranno abbastanza dimostrati dai termini onore- 
voli della licenza. — Non frappongo dunque altro indugio all’ a- 
dempimento d’un officio , che richiede il nostro amore per le 
lettere e la giustizia dovuta alle produzioni letterarie che ci 
sono trasmesse. 


\ 


39 
Istituzioni di Geografia politica e fisica di LUIGI GALANTI. 


Quarta edizione. Napoli presso Sangiacomo 1819-20, tomi 
quattro in 8. 


Troviamo inserita in un volume di queste istituzioni una 
nota manoscritta d’ un nostro valoroso geografo, la quale ci 
suggerisce intorno ad esse le parole più opportune. Consideran- 
dole destinate all’ istruzione elementare , scrivesi in questa nota, 
la loro introduzione (ottima analisi del secondo volume della 
geografia di Malte-Brun ) sembrerà forse troppo dotta; ma l’ ec- 
cesso di un pregio non si saprebbe chiamare un difetto. Piano 
e facile è tutto il rimanente , e tiene un giusto mezzo fra la 
prolissità de’ grandi trattati geografici e la soverchia brevità, 
alla quale sono sgraziatamente ridotti quasi tutti i più piccioli, 
che si destinano alla gioventù. Magri elenchi di nomi ( che mal- 
grado gli aggettivi di cui sono accompagnati non danno alcuna 
precisa idea delle cose ) si riguardano da chi deve studiarli 
come un peso fastidioso per la memoria, non compensato da 
alcun piacere per l’ intelletto. L’ autor della nota vorrebbe che, 
ad ispirar l’ amore della scienza geografica, questi elenchi si 
alleggerissero di nomi, e si arricchissero di notizie , statistiche 
specialmente, che sono di tutte le più importanti. Così diverreb- 
bero libri utili, e captiverebbero l’ attenzione , che di rado nei 
giovani è indocile per loro colpa. Ma a comporre siffatti libri è 
ben chiaro che non bastano i soliti plagi, onde vediam ripetere, 
e una volta peggio che l’altra, cose rancide o inconsiderate; ma 
si richieggono stud} diligenti, e vivo desiderio di giovare, senza 
di cui mal potrebbe sostenersene la fatica. 

Il Galanti, troviamo nella nota, promette una quinta edizione 
dell’ opera sua. In essa è da sperarsi che rettificherà ciò che dice 
delle popolazioni quasi per tutto cresciute e non da jeri soltan- 
to, onde fa meraviglia ch’ egli ce le presenti in quel medesimo 
stato , in cui erano più decine d’ anni addietro . L’ autor della 
nota , e riguardo a questa , e riguardo a molt’ altri particolari, 
potrà essergli di grande aiuto colla sua geografia, che si stampa 
qui dal Batelli, ed è ( per non parlarne che modestamente ) la 
più esatta e la più copiosa che ancor siasi composta in Italia. 

Osserva il valentuomo come nelle istituzioni del Galanti sia 
erroneamente compreso sotto il nome di Colombia tutto, il paese, già 
appellato Nuova Granata, e appartenente alla Spagna, al Porto- 
gallo e ad altri stati, assegnandoglisi una popolazione di 18 mi- 
lioni d’ abitanti. Chi ha letto, egli dice, l’opere d’ Humbold, e 


40 
la descrizione che il Zea pubblicò recentemente della Colombia, 
sa che di tal nome non chiamasi se non quello che fu già ca- 
pitanato di Caraca , i cui abitanti giungono appena a 3 milio- 
ni. Ciò concorda con quanto ne dice il sig. Mollien nel recen- 
tissimo suo viaggio a quella nuova repubblica del nuovo mon- 
do. Anzi egli non le dà che 2,600, o00 abitanti, comprenden- 
do nella repubblica medesima , oltre Bogota che n'è la capi- 
tale, Cartagena, Guayaquil e Caraca, la quale è in rovina, an- 
che Quito e Panama. Le liberali avvertenze da noi trascritte 
siano un pegno d’ amicizia fra il geografo delle rive dell’ Arno, e 
quello delle rive del Sebeto, che gareggia con lui di zelo per 
la scienza , e di sollecitudine per l’ istruzione dell’ italiana gio- 
ventù . 


Memorie istoriche dell’ antico e moderno Telamone, raccolte e 
illustrate da FERDINANDO CARCHIDIO . Firenze presso Ciar- 
detti, 1824, vol. primo in 8.° fig.° 


Sotto questo titolo par che debba comprendersi poco me- 
no che la storia di tutta l’ Etruria marittima. Lodiamo nelle pri- 
me due parti, componenti il primo volume che ne abbiamo 
sottocchio, le ricerche laboriose, 1’ erudizione abbondante se non 
forse anche troppa, e specialmente il savio proposto (di cui il 
nostro Micali avea dato si bell’ esempio) di nulla ammettere che 
non sia provato da’ monumenti scritti o da quelli dell’arti. Speriamo 
che l’autore non siasi mai lasciato illudere da non ben chiari 
indizii o da argomenti troppo sottili a sostenere tale o tale al- 
tra asserzione ; e che le medaglie in ispecie, ch’ei ne reca in 
appoggio, reggano alla critica degli odierni numismatici, cui non 
è facile contentare, Non dissimuliamo che lo stile un po’ ambi- 
zioso ed enfatico della sua narrazione, il quale piacerebbe mag- 
giormente se fosse più candido e più corretto, può renderci al- 
quanto diffidenti riguardo alla sua storica schiettezza, o almeno 
farci dubitare di qualche preocupazione del suo animo. Confes- 
siamo però che l’opera sua, rivolgendo la publica attenzione 
ad una parte ragguardevolissima dello stato, il cui risorgimen- 
to è uno de’ nostri più caldi voti, deve (anche prescindendo 
da ogni merito d’ erudizione o d’ elocuzione ) riuscire assai gra- 
dita. Egli si propone di parlare distesamente in fine di essa 
delle cause che fanno insalubre l’ aria di Telamone e degli altri 
presidi, esaminando come si potrebbe migliorarla; dell’ antica po- 
polazione e dell’ antico commercio di quel porto; della loro de- 


41 


cadenza, e dei mezzi di far rifiorire ambidue; argomenti i 
quali formano parte di un vasto problema, che la benemerita 
accademia dei Georgofili ha ultimamente raccomandato agli stu- 
dj degli uomini periti. Così l’ opera sua , piacevole ai telamo- 
nesi, sembrerà a tutti i toscani di non mediocre importanza. 


Due sonetti di DANTE ALIGHIERI . Perugia presso Costantini 
1824. in 16,° 


Ambidue questi piccoli componimenti sono tratti da un co- 
dice della biblioteca publica di Perugia, e ridotti, come sta 
scritto nel frontespizio, a buona lezione. Si veggono volentieri 
per certa loro graziosa semplicità; ma non si saprebbe come 
attribuirli a Dante, anche supponendoli della sua prima gioven- 
iù. Il conte Vermiglioli nella lettera, con cui li intitola alla 
contessa Serego, dice: « offerendole io questi preziosissimi versi 
non fo che proporne la piena intelligenza alla profonda sua me- 
ditazione. « Che avrebbe detto, trattandosi di nuovi canti della 
divina commedia che avesse scoperti, o di nuove canzoni da ag- 
giungersi a quelle, ehe il poeta commentò nel convito ? Pur trop- 
po nello stile d’ una gran parte de’ nostri scrittori oggi non v° è 
più nè ingenuità nè misura. Il resto della lettera del sig. conte 
ci porterebbe, se l’ argomento il valesse, ad altre più gravi con- 
siderazioni. Chi crederà, leggendola ch’ essa ci venga da un dotto 
il quale, non senza giustizia, in un poemetto che abbiamo sot- 
tocchi è chiamato: 

D’ ampio saver tesauro, onde la Lella 
Italia il grida de’ vetusti tempi 
Splendida face, e de’ presenti onore? 


[ Delle scienze, lettere ed arti dei Romani dalla fondazione di 
Roma sino ad Augusto, del cav. FEDERIGO CAVRIANI. Man- 
tova presso Caranenti, 1822-23, volumi 2. in 8.° 


Opera dettata da un grande sentimento di ammirazione per 
gli antichi signori del mondo. E tale sentimento è ben ragio- 
nevole, ove si guardi alla loro fortezza d’ animo, al loro amo- 
re della patria, al loro valor militare , alle loro vaste opere 
d’ architettura, alla dignità della loro eloquenza e della loro poe- 
sia. Ma apparisce esagerato , se si pretende rappresentarli più 
virtuosi e più civili che non erano; se si attribuisce loro qua- 
si egual.gusto che ai greci loro maestri, quasi egual sapere che 


42 

a’ moderni. Gran parte del secondo volume dell’ opera, che an- 
nunciamo, si compone di tavole sinottiche della loro botanica, 
qual Plinio ce la fa conoscere, paragonata con quella di Lin- 
neo. Lasciamo stare la sproporzione di questa parte colle altre 
dell’ opera stessa. L’ idea del confronto, che in essa vien fatto, 
come mai è caduta in mente dell’ autore ? Io non voglio ri- 
petere ciò che a questo proposito fu già detto in un articolo 
d’ altro giornale toscano, ove si vede chiaramente la mano pe- 
rita di uno scienziato di professione. Rifletterò soltanto: quando 
pure il catalogo delle piante nominate da Plinio fosse assai mag- 
giore che non è, quando pure non contenesse alcun errore nè 
presentasse alcuna ambiguità , che avrebbe a fare col sistema, 
colla critica coi generi e i caratteri delle piante del riforma- 
tore della botanica? Non era meglio passare leggermente sopra 
di esso, e occuparsi alquanto più degli ordini civili e militari 
e della letteratura di un popolo, di cui, malgrado il tanto par- 
larne che si fa nelle scuole, non si ha generalmente che una 
cognizione molto superficiale ? Così è sembrato un vano lusso 
d’ erudizione quell’ appendice sulla non esistenza di Romolo, che 
nulla aggiunge alle ragioni con cui varj dotti hanno creduto 
dimostrarla; ed ove pure sgombrasse ogni dubio, nulla impor- 
terebbe allo scopo dell’ opera. Non così forse l’ altra appendi- 
ce sulla contemporaneità di Numa e di Pitagora; poichè tende 
a chiarire un punto di storia, da cui si riceverebbe nuovo lu- 
me sulla legislazione di quel re, e l'influenza della scuola i- 
talica nelle idee e ne’ costumi de’ romani. La cronologia livia- 
na, aggiunta alle appendici, è stata ritrovata molto imperfetta; 
nè valeva la pena che si accrescesse con essa la disarmonia delle 
parti di un’ opera, che più progredisce, più perde il suo primo ca- 
rattere. Onde ridarla ad unità, e renderla di quell’ uso, che l’ au- 
tore si era proposto, converrebbe ch’ ei la rifacesse, dietro studj 
imparziali e profondi, per cui anche il suo stile, già lodevole 
per vivezza e buon garbo, aquisterebbe nuova franchezza e 
dignità . Gli estratti che abbiamo veduto nella biblioteca u- 
niversale di Ginevra della storia della romana letteratura, scrit- 
ta dall’ inglese Dunlop, ce ne fanno desiderare una somigliante 
nella nostra lingua. 


43 
Tragedie di EscHILIo, recate in versi italiani, Firenze presso 
Ciardetti 1824, tomi 2 in 8.° 


Tragedie di Eschilio? È un volgarizzamento posteriore a 
quello del Bellotti? — No. — Anteriore che non si conoscesse ? — 
No. — Che è dunque? — Un misto di volgarizzamenti, in cui il 
Bellotti non ha se non la parte che gli assegna la necessità. 
Nel primo volume, dopo la vita del poeta scritta elegantemente 
dal Mustoxidi, trovasi ( lo credereste? ) il Prometeo tradotto dal 
Cesarotti scolare, quando cioè non sapea fare nè ben nè male; 
poi i Sette a Tebe già tradotti e or ricorretti dal nostro Nic- 
colini, che senza dubbio è maestro ; e infine i Persiani, quali 
imaginò di tradurli l’ Alfieri, che non era uomo da traduzio- 
ni. Le Supplici, le Coefore , le Eumenidi, che formano il se- 
condo volume , sono del Bellotti ; ma per questa sola ragione 
che non si aveano tradotte da altri. Poichè, dopo la preferenza 
dala a que! Prometeo cesarottiano , dobbiamo credere che qua- 
lunque mediocrissima versione delle tre ultime tragedie sarebbe 
stata volentieri anteposta a questa che ci viene offerta — No, di- 
ranno i raccoglitori: noi stimiamo il Bellotti, che sa bene il gre- 
co, ad ha il verso robusto. Ma Alfieri, ma Niccolini sono più poe- 
ti di lui. — Benissimo: potevate aggiungere e i Persiani dell’ Al- 
fieri, e i Sette a Tebe del Niccolini come oggetto di confronto, 
o come ornamento della vostra raccolta. Ma poichè una metà 
delle tragedie dovevate pur prenderla dal Bellotti, il buon garbo 
e forse l’ interesse vostro voleva che prendeste anche |’ altra. Voi 
vi proponete una collezione completa de’ poeti greci volgarizza- 
rizzati ; collezione che pochi anni fa sarebbe stata intempestiva; 
ma a cui ora (se nel frattempo Iddio vi mandi un Euripide al- 
quanto più leggibile -di quello del Carmeli ) può cominciare a 
pevsarsi. Io non credo che, per amore di varietà, vogliate alter- 
nare, per esempio, ai libri dell’ Odissea del Pindemonte quelli 
dell’ Odissea del Soave; che vogliate mescolare insieme il Q. Ca- 
labro del Rossi e quello della Bandettini. Questa sarebbe troppo 
grande mostruosità , voi dite : i libri d’ un poema non sono un 
tutto da sè ; ma parti di un tutto, — Or le tragedie di un 
poeta possono anch’ esse  riguardarsi come parti di un tutto, 
poichè ci rappresentano unite il genio drammatico del poeta me- 
desimo . La diversità delle traduzioni rende indecisa 1’ idea che 
noi possiamo formarcene , massime per ciò che riguarda lo sti- 
le , e diminuisce in qualche modo il nostro piacere o il nostro 
profitto. 


44 


Sopra la lingua toscana, Lettere del dott. ULIvo Buccm. 
Santa Croce presso Bartoletti. 1824. in 18.° 


Rechiamone per saggio il secondo periodo della prima lettera, 
ove sì parla de’ quesiti proposti con savissimo avvedimento dal- 
l’accademia della Crusca pel premio dell’ anno 1826. — L’ arga- 
mento è dotto, ben inteso, pieno di critica , e concerne tutte le 
notizie storiche, che accomodate sono a porre nel termine peren- 
torio una controversia tante volte contestata , e su cui sapiente- 
mente i più dei toscani sonosi diportati, siccome padrone, il qua- 
le rida sul muso al proprio cane, che abbaia contro di lai. — Con 
questo fiore di dicitura già sentite come sì possa scrivere sulla 
lingua. Con questa grazia d’ imaginazione , che fa scegliere sì 
gentili paragoni, ben comprendete come si possa abbellire la po- 
lemica letteraria. Gran senno farebbero novantanove sopra cen- 
to , che vogliono dar voto nelle cause agitate nel regno vario 
del sapere, a pensar prima d’ onde ne abbiamo la missione. 


Risposta di IPPOLITO ROSELLINI a LUIGI CHIARINI intorno 
ai punti vocali del testo ebreo. Bologna presso Masi 1824. 
in $.° 


Il sig. Rosellini, giovane orientalista di belle speranze, avea 
due anni sono cercato di provare in un suo libro l’ antichità e 
l’autorità de’ punti vocali del testo ebreo , secondo il sistema 
che chiamasi dei Massoreti. Il sig. Chiarini, a cui non sono pia- 
ciute le sue ragioni, non gliene ha già opposte delle più forti, 
per provargli il suo inganno, ma, secondo un vecchio e comodo 
metodo , gli ha scagliate contro delle invettive . Quindi il sig. 
Rossellini, difendendosi bravamente, ricorda (non peraltro senza 
qualche acrimonia ) al suo acre censore « essere la vera critica, 
tra tutte l’arti che giovano all’ intelletto, la più lodevole ed u- 
tile, e disconvenire sommamente a savio letterato il convertirla 
in vituperevole maldicenza. ,, 


In morte di MicneLANGELO MonTI, Stanze liriche di AGO- 
sTINo GALLO .Palermo presso De Luca 1823. in 8.° 


Queste stanze sono intitolate all’ astronomo Piazzi. Vi sì 
sente imaginazione e calore, qualità che quasi mai non mancano 
ai poeti delle due Sicilie. Ove le accordino con un gusto seve- 
70, potranno ancor dare splendidi versi all’ Italia, che si lagna di 


4h 
avere ormai perduta l’ eredità vera del suo Dante e del suo Tor- 
quato.. 


Opere d’ intaglio del cav. R. MORGHEN, i//ustrate da N. PAL- 


MERINI , terza edizione» Firenze presso Pagni e C. 1824. 
in 8° 


Fino dall’anno 1809 il sig. Palmerini, valente allievo del 
cav. Morghen, avea pubblicata un’ erudita notizia sulle sue ope- 
re d’intaglio , che fu molto ricercata dagli amatori. Lo sarà 
vie più questa , che giugne fino al presente anno, ed offre per 
conseguenza un catalogo completo dell’opere di quel celebre ar- 
tista. Trattandosi d’un libro, che ci piacerebbe all’ uopo di avere 
nel nostro portafoglio tascabile, sarebbe forse stato bene ridurlo a 
più picciola mole, escludendo , dalle note in ispecie della parte 
vecchia, ciò che non è assolutamente necessario. all’ argomento . 
Quanto alla parte nuova , certo non si vorrebbe esclusa , benché 
lunga, la nota ottava; ma si pensa che anche meno lunga nulla 
avrebbe perduto della sua sostanza. Essa è diretta a provare 
che la donna incisa dall’ autore della notizia secondo un quadro 
di casa Pandelfini, se non è Laura, non è nemmeno Giovanna 
degli Albizzi ( come il conte Cicognara supponeva ) ma piuttosto 
la Ginevra de’ Benci, poichè confronta esattamente coll’imagine 
che di questa bella giovane dipinse il Ghirlandaio nel coro di 
S. Maria Novella: e che la Laura e il Petrarca del codice Lau- 
renziano non possono essere di Simon Memmi , poichè non an- 
teriori al codice medesimo scritto nel 1463; nè copia d’una sua 
pittura ( come pur supponeva il Cicognara ) poichè d’ altro 
fare che il suo, e piuttosto conforme alla scuola di Masaccio . Il 
libro del sig. Palmerini è adorno di varj ritratti da lui incisi a 
contorno e relativi a questa disputa, che pel sentimento ispirato- 


ci dal nome del Petrarca interesserà facilmente e nazionali e stra- 
nieri. 


L’arte di riparare dai calori estivi le abitazioni e le per- 


sone: discorso del prof. F. ORIOLI. Bologna presso Nobili 
1823 in 8. 


La fine del dicembre è mal scelta per parlare di uno serit- 
to snggerito dai calori del luglio. Chi però teme il ritorno di 
questi calori farà bene a cercare fin d'ora quello scritto, onde 
aver pronti i mezzi di prevenirli. Già non vi troverà nulla che 


46 

non sia piano e facile ad intendersi; e verrà compensato d’ alcu- 
ne formole severe di un linguaggio scientifico dagli abbellimenti 
d’ un’ amena erudizione, ‘ Ella è cosa notabile , dice l’autore, 
che mentre gli uomini con tanto stadio si sono adoperati nel 
ripararsi dai freddi del verno per congegni di stufe di tante ma- 
niere , e di canali caloriferi, e’ non abbiano usato d’ eguale in- 
dustria contro il caldo della state, che nel bel paese dove il sì 
suona più ancora molesto ne si dimostra de’ rigori cui seco por- 
ta il dicembre. Desidero che questo non addivenga per una ca- 
gione poco all'Italia onorevole, cioè a dire perchè il bisogno di 
quella prima difesa era degli oltramontani primachè di noi, 
mentre è nostro anzichè delle genti oltralpine il secondo: e co- 
me quelle sono attente ed operose in tutto che riguarda al beato 
vivere, noi per contrario siamo pigri e trascurati. ,, Pare, come 
si vedrà dal suo scritto, riuscirebbe sì agevole il proscurarci 
frescura quando più ci abbisogna , che il non farlo passa i con- 
fini e della pigrizia e della trascuratezza . I mezzi infatti ch’egli 
propone son tali, che ciascuno meraviglierà di trovarli tanto 
semplici. Nè sarebbe impossibile che per ciò appunto, che for- 
ma il loro massimo pregio, taluno se ne beffasse , giustificando 
così quella sentenza dell’autore che la nostra frivola specie 
disprezza il bene che a troppo piccolo costo la è proferto; e 
cerca negli agi anzi il prezioso che l’utile. * 


Elogio del cav. GiusePPE GIOENI scritto dal ean. GIUSEPPE 
ALESSI. Palermo presso Abbati 1814 in 4° 


Fa consolazione il vivo amore, che da qualche tempo i sici- 
liani dimostrano per gli studj utili e per chi li coltiva. Ma di 
tutti gli studi il più gradito per loro sembra esser quello della 
storia naturale, a cui li chiama, giusta la frase dell’autor dell’elo- 
gio, la qualità del loro suolo. Tale studio deve infinitamente al 
Gioeni, autore d’ una Litologia Vesuviana assai pregiata, e fon- 
datore d’un museo di storia naturale indigena, ben conosciuto 
dai viaggiatori, ch'egli anche ha descritto. Queste due opere 
bastano ad additarci in lui un uomo infaticabile e generoso , € 
ad invogliarci di sapere i particolari della sua vita scientifica. 
Il can. Alessi suo nipote soddisfà molto bene a questo nostro 
desiderio ; e noi riportiamo volevtieri alcune delle sue parole che 
mostreranno come fra siciliani, accrescendosi i lumi, cominci a 
nascere l’idea di una schietta eloquenza . ;, Il cav. Giuseppe 
Gioeni, dopo avere illustrato la famiglia , la patria, la Sicilia 


47 
co’ suoi studj e co’ suoi costumi, dopo avere ampliati i confin; 
delle scienze naturali ; perpetuato il suo nome nelle proprie sco- 
perte; impresso il carattere dell’ immortalità a’ suoi scritti ; appa- 
lesato l'ampiezza delle sue conoscenze nelle sue dotte raccolte ; 
il progresso e l'ordine delle sue idee nell’ordine delle sue opere; 
dopo di essere stato proclamato nelle adunanze e negli scritti 
de’ sapienti nazionali e stranieri, merita bene la gratitudine dei 
posteri ed il nostro elogio; nè vi è timore che questo confon- 
dasi fra la moltitudine degli elogi volgari o perisca. Ma a più 
sublime scopo mira in oltre il mio dire, ed è quello ( di mo- 
strare ) che il cav: Gioeni colle sue scoperte , co’ suoi scritti e 
cogli elementi degli scritti. medesimi ha stabilito un’ epoca di 
sapere in genere di storia naturale in Sicilia, onde il suo elo- 
gio diviene in certa maniera quello dell'intera nazione. ,, 


Discorso proemiale del professor MEDICI alle sue lezioni di 
fisiologia. Bologna presso Turchi e Veroli 1824 in 4. 


Lo scopo di questo discorso è veramente importantissimo . 
Trattasi in esso ‘‘ di mostrare come la buona educazione sia quella 
ch'è regolata dalle leggi prescritte dalla natura alle operazioni 
degli organi del corpo umano. ,, L'esame che vi si fa di queste 
leggi, e le conseguenze che ne vengono dedotte, mi sembrano 
se non cose molto profonde almeno molto ragionevoli. Vorrei 
che lo stile vi corrispondesse alquanto meglio. Esso pecca un 
poco di quel frondeggiamento retorico, a cui gli scienziati stra- 
nieri hanno molto saviamente rinunciato , e di non so quale ri- 
cercatezza, oggi di moda, ma che mi sembra poco degna, di 
chi scrive per ainore della verità. 

FRANCISCI ORIOLI docet. phys. in archig. bon. epistolae in C, V. 
CATULLUM. Bononiae apud Nobili 1822 in 8° 


Il professore Orioli è uno di quegli uomini, che coll’ impie - 
go diligente del loro tempo sembrano moltiplicare se stessi e le 
loro intellettuali facoltà. Non vi è ormai campo del sodo sapere 
o della gentile letteratura, in cui non siamo certi d’ incontrarlo; 
o come coltivatore perito o come osservatore ingeguoso . Talvol- 
ta si resta dubbi se gli studi ch'egli fa per diporto non siano i 
suoi studi di professione. ‘La prima delle sue epistole sopra Ca- 
tullo, diretta al cav. Strocchi, può cagionarci questa piacevole 
dubbiezza. Essa parla di emendazioni fatte e da farsi al poeta 


48 

con tante cognizione, con tanto gusto della poesia del Lazio; 
che non sembra già dettata da chi spese i suoi anni nella scuola 
di Sthal e di Newton; ma di chi fu tutto coi Servii e co’ Mureti. 
Siane di saggio quel ch’ io riferirò. Nel famoso poemetto sulle 
nozze di Peleo e di Tetide si leggono questi versi: 

Heroés salvete, Deum genus, o bona mater : 

Vos ego sacpe meo , vos carmine compellabo . 
Come sta , dice a sè medesimo il nostro Orioli, questa buona 
madre nel numero del meno, mentre il discorso è agli eroi o 
alla progenie de’ numi nel numero, del più? Qui certamente 
manca qualche cosa all’ armonia delle idee. E qualche cosa pur 
manca all’armonia de’ suoni; se l’ orecchio non s' inganna, I com- 
mentatori si sforzano invano di provare il contrario. Vediamo un 
poco se d'altra parte ci riesce di cavar qualche Inme. Gli soccor- 
re opportunamente uno, scoliaste anonimo dell'ottavo libro di 
Virgilio pubblicato dal Maj con altri antichissimi interpreti di 
quel poeta. Questo scoliaste cita come di Catullo: Salvete Dewn 
gens, o bona matrum Progenies salvete iterum, dopo di che 
lascia una Jacuna. Or bene, pensa l’Orioli, non sarebbe per ay- 
ventura da leggersi : 

Heroes salvete, Deum genus, o bona matrum 

Progenies salvete iterum, salvete Deum gens: 

Vos ego saepe meo, vos carmine compellabo ? 
Così la mente è a ppagata , così si sente un non so che di compito e 
di veramente catulliano. Io non seguo il dotto uomo nelle pgove 
ch’ egli adduce di quello che asserisco. Mi basta di averne fatto 
un cenno , perchè gli studiosi degli antichi poeti s’invoglino di 
cexare la sua epistola, a cui bramiamo che succedano presto le 
compagneg i 
Alcune prose del conte GIAMBATISTA Giovio. Milano presso 

Silvestri 1824 in 12.* 


Questo scrittore, che non fu dei meno fecondi tra la fine 
del passato e il principio del presente secolo, è abbastanza co- 
nosciuto. Che sia da tutti imparzialmente giudicato nè il credo, 
nè forse è possibile. Mentre ondeggiano più che mai lc opinio- 
ni sovra argomenti di non lieve importanza da lui più volte. e 
in varia forma trattati, quelli che il credono favorevole alle 
proprie debbono molto lodarlo, e debbono fare il contrario 
quei che lo credono avverso . Io non voglio scemargli le lodi 
dei primi; voglio soltanto dire aì secondi che prendendo in ma- 


49 


no questa scelta delle sue prose vedranno che fra i molti avversi 
egli era forse il più vicino alla conciliazione. Già io me n’ era 
avveduto, scorrendo alcuni anni sono le sue lettere al Gorani 
autore d’altre lettere, ch’ebbero al principio della rivoluzione 
francese molta fama, e che il nostro Botta nella sua ultima 
storia ha creduto di dover rammentare. Il conte Giovio, con- 
tradicendo a quel marchese fattosi popolare # mostrava abbastan- 
za d’ aver ingegno per comprendere ed animo per sentire il buo- 
no delle migliori dottrine sociali. Ma lo impaurivano le esage- 
razioni de’ fanatici, e i fatti rei gli rendevano sospette anche le 
savie parole. Nella scelta, che abbiamo sott’occhio, non si è 
dato luogo che ad argomenti di morale, d’arti belle, di sto- 
ria naturale, e di gentile letteratura. Si sono però aggiunte le 
iscrizioni militari, che il Giovio compose per la casa de’ vete- 
terani in Milano, ad istanza del generale Thulié suo amico; e 
fra esse quelle per Dante e per Washington bastano a farci cre- 
dere ch'egli non era punto lontano delle idee, che si collegano 
co’ sentimenti più generosi. Anche la lingua, in cui le iscrizio- 
ni sono scritte, ci fanno prova del suo spirito di conciliazione . 
Egli credeva fermamente che la lingua epigrafica fosse la lati- 
na; e sapea forse di valere in questa più che nell’ italiana : io 
ho veduto qualche suo latino componimento di prosa e di verso 
che me lo fa pensare. Pure si arrese volentieri all’altrai opinione 
o all’altrui desiderio, poichè quant’ era colto altrettanto era 
gentile. Le eccellenti qualità del suo animo sono dipinte con 
molto amore ne’ cenni sulla sua vita, che precedono alla scelta 
delle sue prose, e diconsi scritti da persona a lui famigliare. 
Come agli occhi di chi ama tutto s’abbellisce, questa degna 
persona ha creduto facilmente di vedere in lui anche certe per- 
fezioni letterarie che non sono. Il merito principale del conte 
Giovio, come scrittore, parmi consistere in quella gentilezza 
d’ingegno e calore di affetto, per cui avrebbe voluto dare a tutto. 
forme nuove ed eleganti, e communicarsi di mille maniere per 
insinuare la virtù. A questa egli prestò un culto sincero e non 


di sole parole. Nelle agitazioni sociali, a cui si trovò mal suo. 


grado in mezzo, la sua impresa fu quel verso del Petrarca: 
I’ vo gridando pace pace pace. Per mantenerla quanto da lui 
si poteva, sarcificò più d’una volta il suo risentimento e il 
suo personale interesse . 


T. XVI Dicembre dr. 4 


\ 


50 


'TEATRO SCELTO italiano antico è moderno. Milano dalla So- 
cietà Tip. de’ Classici lt. 1522-24. 32 vol, in 18. 


Più graziosa 5 più comoda, più corretta edizioncina de’ nostri 
drammatici insieme raccolti non s’ era ancor veduta prima di 
questa, ch'è ormai presso al suo termine. Comincia col Tas- 
so e col Guarini, poichè l’Aminta dell’uno e il Pastor Fido 
dell’ altro sono componimenti che non invecchiano, e se più 
non ci sembrano fatti per le scene, saranno pur sempre fatti 
per la delizia de’ nostri studj; indi viene al Maffei, che ci 
donò la prima tragedia veramente bella e veramente originale, 
poichè quelle de’ cinquecentisti e secentisti non erano che fred- 
de imitazioni ; poi all’ Alfieri e. al Metastasio, che sono le di- 
vinità del nostro teatro, e di cui non si poteva escludere alcu- 
na composizione ; indi al Monti, che ha date per essa ricorrette 
in più luoghi le proprie tragedie; in seguito agli altri, che 
hanno impresse orme più o meno luminose nella scena lirica e , 
nella tragica, fra i quali ultimi nomineremo i più distinti, 
Niccolini cioè e Pindemonte. Come la scelta non è ancora fini- 
ta) così ancora non possiamo risolverci se dobbiamo chiamarla 
più facile o più rigida del dovere. Di soverchia facilità ab.. 
biamo appena una o due volte avuta ragione di temere. Bensì 
ci parrebbe più che rigidezza il non vedere accolti fra i mi- 
gliori tragici viventi i due, che vediamo più particolarmente 
accolti nelle collezioni degli stranieri, Pellico e Manzoni. Ma 
nè all’uno l’infelicità nè all’altro il romanticismo nuoceranno 
sicuramente dinanzi al retto giudizio degli assennati raccogli- 
tori. La scelta de’ melodrammatici terminerà coi tragicomici, 
a capo dei quali sta il Casti, Alla Merope del Maffei è stato 
aggiunto il Femia del Martelli piuttosto come cosa curiosa che 
come cosa importante; al Cublai del Casti troveremo noi ag- 
giunto quell’ argomento curioso insieme e importante che il poeta 
medesimo ne pubblicò in Vienna, ma che quasi non è venuto 
alle mani d'alcuno? Questa scelta si adorna di notizie sulla vi- 
ta degli autori che più non vivono (il selo Monti, fra i vivi, 
è trattato come quelli che già regnano sulla posterità ) e d’ar- 
gomenti premessi alle composizioni di tutti. La correzione ti- 
pografica ne è stata con savissimo intendimento affidata alle 
cure d’ uomini letterati. Ma come e agli uomini letterati mol- 
te cose possono sfuggire; e son sempre la diligenza degli ese- 
cutori corrisponde alla buona direzione degli uomini letterati , 
la società editrice prega quanti sono studiosi in tutta Italia ad 


dI 
avvisarla degli errori in cuì si avvenissero , poichè è pronta 
(e già provò col fatto questa sua disposizione ) a ristampare 
emendate le pagine che ne avessero d’ uopo. Abbia il suo 
esempio molti imitatori fra i nostri tipografi, che potrebbero 
onorar sè stessi onorando le lettere, il cui decoro dipende in 
tanta parte da loro. 


Opinioni di parecchi scrittori sugli studj elementari con ri- 
Flessioni del RACCOGLITORE. Imola. Tip. del Sem. 1824 in 82° 


Siamo pur lieti di poter annunciare un lubricciuolo pieno 
di cose ragionevoli, e scritto veramente con istile ragionevo- 
le, che ormai è sbandito dall’Italia, grazie a certa setta di 
ricercatori del bello stile. Il sunto del libricciuolo si è que - 
sto: che apprendere non si può una lingaa straniera o viva o 
morta senza sapere la propria, e che per farla imparare agc- 
wolmente bisogna insegnarla a’ fanciulli d’ una maniera pratica, 
senza pedantesco apparato di regole grammaticali. L’ autore è 
un giovane padre di famiglia (il sig. Gio. Scarabelli ) il quale 
scrive per amore del proprio paese e con tanto maggior amo- 
re che ha una prole a cui sarà proficuo il miglioramento 
della pubblica istruzione, Si vede che a questo riguardo ei bra- 
merebbe più che non osa esprimere; ma persuaso che il bene 
non ottiensi che a poco a poco, dacchè gli uomini gli si op- 
pongono con una terribile ostinazione, si accontenta che al- 
meno s’incominci a cercarlo. Io desidero di cuore che il suo 
libretto, composto delle sue e delle altrui riflessioni, venga 
alle mani di molti. Se a certi signori si cita d’Alembert, 
Condillac, Giordapi ( scrittori citati dal sig. Scarabelli ) si 
stringono nelle spalle e dicono: filosofi, novatori, riformatori, 
e loro non abbadano. Ma se vedranno che certe idee erano 
pur quelle del Flaminio , del Facciolati e d’altri vecchi, come 
lo sono di qualche altro brav” uomo vivente, a cui nessuno 
s'è ancora avvisato di dare un nome di riprovazione, pense- 
ranno forse che, per mostrarsi costanti nella loro antica sag- 
gezza, non sia poi necessario sostenere tutte le vecchie prati- 
che più assurde. 


52 


Discorso del conte NAPIONE intorno ad alcune principali re- 
gole di critica, relativamente alle sue dissertazioni sulla 
patria di Colombo. Torino co’ tipi Albanei 1824 in 8.° 


Le dissertazioni del conte Napione sulla patria di Colombo 
sono troppo conosciute. L’ editore e illustratore del codice diplo- 
matico Colombo-Americano è ultimamente sorto ad impugna- 
re di nuovo gli argomenti con cui quel dotto sostiene essere 
il Colombo nativo di Cuccaro nel Monferrato, che una volta 
comprendevasi nella Liguria . Quindi stimolatovi ritorna il conte 
sul tema delle sue dissertazioni, e mostra con nuovi documenti 
pervenuti di recente al regio archivio a cui presiede, che la 
sua opinione non può combattersi, e che l’ editore del codice 
non ha osservato riguardo ad essa le regole della buona critica. 
E perchè nessuno accusi l’autore di minutezza o di soverchia 
insistenza, recheremo l’ esordio del suo discorso, da cui sì vede 
che le sue idee non sono punto ristrette come quelle di certi 
eruditi, i quali s' imaginano che il mondo non abbia altro da 
fare che prender parte alle loro dispute su personaggi che spesso 
nessuno conosce, e su cose che a nessuno importano. 

»» L’ antichissima e valorosa nazione de’ liguri , già in varie 
tribu divisa , vale a dire di marittimi, di montani e di circumpa- 
dani , con diversità di costumi, di professione, di governo, essen- 
dosi al giorno d’ oggi felicemente sotto uno stesso monarca riunita, 
inopportune affatto, per non dir altro, si sono rese le gare muni- 
cipali, come altrove si è da me accennato. Chi ama e rispetta il 
governo attuale , non dee vantarsi maggiormente delle glorie pas- 
sate delle tribu marittime, che non delle antiche circumpada- 
ne; massime che se dei liguri marittimi fu pregio particolare il 
fiorire per arti nautiche, opera fu delle altre tribu, che ora 
compongono il moderno Piemonte ed il Monferrato , lo avere ri- 
stabilito l’italiana milizia; e che per essere buoni piemontesi e 
buoni genovesi, sudditi di un medesimo italiano monarca , suonar 
dee caro il nome d'italiano del pari alle tribu che abitano le 
spiagge del mar ligustico, che a quelle che sono sulle sponde 
del Po. 

») Le gare municipali, ben lungi dallo spronare ad accin- 
gersi ad imprese generose, ed a far cose degne di essere scrit- 
te , ed a scrivere cose degne di esser lette, sono più atte, co- 
me osservarono i saggi, ad impicciolir il cuore, che non ad 
ispirare alti pensieri e sentimenti magnanimi. Sarebbe que- 


53 


sto un imitar coloro, che paghi di vantare le lodevoli azioni dei 
| loro maggiori, non si prendono pensiero di emularne le virtù . 

» Per tutti questi motivi la maggior parte de’ piemontesi 
(e tra questi molti letterati ed eziandio amici di chi scrive ) non 
pigliarono parte nessuna nella controversia della patria di Cri- 
stoforo Colombo , contenti di poter, senza discussione veruna, 
asserire che italiano era quell’uomo immortale, e di quella re- 
gione d’ Italia, che anticamente formava una sola nazione , e che 
ora trovasi sotto uno stesso dominio. ,, 


Elogio storico di ANTONIO GAGINI, scultore ed architetto 
palermitano , scritto da AGostIno GALLO. Palermo Stamp. 
Reale 1824 in 4.° 


Antonio Gagini fiorì a’ giorni di Raffaello, e forse conobbe 
in Firenze questo divino artefice, come congettura il Milizia, e 
trasse da’ suoi disegni ottime norme per l’arte della scultura 
che esercitò con lode non mediocre. Eseguì molte statue e molti 
bassi rilievi, che sono tutto quel di meglio che la Sicilia abbia 
veduto in tal genere ne’ tempi moderni. Assai meno operò in ar- 
chitettura , ma in essa pure diede buonissimi esempi. E il sig. Gallo 
ha fatto bene a ricordare questo valentuomo a’ suoi connazio- 
nali, benchè non doveva prendere impegno di esaltàrne ogni co- 
sa, irritandosi come fa d’ogni critica degli stranieri. Il suo elo4 
gio (di cui non possiamo lodar troppo l’ elocuzione ma lodia- 
mo moltissimo l’ erudizione ) produrrà speriamo in Sicilia qual- 
che utile pensiero a ristoro dell’ arti che abbelliscono e nobili 
tano le città . 


Saggio d° Economia pubblica degli immobili di GREGORIO 
CHIARINI. Firenze Stamp. Bonducciana 1824 in 8. 


È un libro dettato da ottima intenzione, ed unisce savia- 
mente la teoria alla pratica. La sicurezza delle proprietà fon- 
darie e dei crediti ipotecarj; la libertà illimitata delle con- 
trattazioni; e l'aumento delle pubbliche rendite a sgravio dei 
proprietarj di beni stabili, e dei contribuenti sottoposti a’ dazii 
indiretti, sono i tre problemi, di cui l’autore s'è im esso pro- 

| posta la soluzione, come di un'importanza immediata pel bene 
| della società. Perocchè da quella sicurezza e da quella liber- 
tà, egli dice, ha origine la facilità degli accordi di qualunque 
specie fra gli uomini, e si corrobora la lor reciproca bwona 


| 
| i 
| 


5; 

fede, Col diminuire il dazio diretto ai possidenti si accresce la 
prosperità dell’agricoltura, e s’incoraggisce il miglioramento 
degli edificii a comodo e vaghezza delle ville e delle città. Col 
sottoporre al dazio medesimo i capitalisti si assicurano i loro 
crediti, mentre si aumentano Je rendite dello stato. Col sopprime- 
re o mitigare i dazii indirettt, in virtù del maggior prodotto 
del dazio diretto, si ravviva l'industria, si rianima il commer- 
cio, e si toglie tutto ciò che di odioso resta ancora alla pubbli- 
ca finanza. Questi risultati sono esposti dall’ autore in tante ta- 
vole, che hanno per chiunque l'evidenza di una dimostrazione 
aritmetica semplicissima . Egli dice d’essere stato incoraggito alla 
publicazione del suo lavoro ( cui già presentò sebbene incomple- 
to alla nostra accademia de’ Georgofili ) dal sovrano decreto re- 
lativo al catasto, il quale, prescrivendo alla deputazione che deve 
formarlo, di cercar lumi ovunque possa trovarne, eccita ogni 
cittadino a somministrarle il frutto delle proprie osservazioni . 


Versi di PomPEo CAMPELLO per l’ esaltazione al pontificato 
di LEONE XII. Spoleto presso Bassoni 1823. in 8.° 

Altri in morte del FRATELLO. Spoleto presso Bassoni 1823 in 8.° 

Altri a GiuLia. Firenze stamperia granducale 1824. in 8.° 


Una visione in sei canti, molte odi, molte elegie, molti so- 
netti. Saviamente è dato loro il modesto titolo di versi, poichè 
poesia veramente non sono, nè lasciano credere che |’ autore sia 
per farne mai. S’ egli si sente vigor d’ ingegno potrà applicarlo 
con maggior successo ad altro genere di composizioni, preparan- 
dovisi coi debiti studj, senza di cui non si accozzano che vane 
parole . Ciò vorremmo che fosse inteso da quanti consumano il 
tempo colle Muse loro avverse, e defraudano la società di quel- 
la parte d’ utili fatiche , a cui ciascuno de’ suoi membri deve 
credersi obbligato. 

Questo linguaggio sembrerà assai rigido : ci costa uno sforzo 
l’ adoperarlo, sapendo che a molti riuscirà dispiacevole; ma ciò 
stesso ci prova che è necessario. 


Elogio dell’ ab. LORENZI scritto dal conte MONTANARI. Verona 
presso Libanti. 1823 in 8.° 


AI buono e candido Lorenzi conveniva appunto quest’ elo- 
gio scritto con candido sentimento e candido stile, Fu il Loren- 
zi, come ognun sa, un vero fenomeno : bravo improvvisatoce e 


55 


ancor più bravo scrittore ; improvvisatore e scrittore senza o 
quasi senza mitologia. Recheremo a questo. proposito alquante 
parole del suo elogista, le quali, essendo in parte contrarie ad 
alcune opinioni da noi manifestate in questo giornale, serviranno 
insieme e a saggio della sua facondia e a prova della nostra im- 
parzialità. 

3, Conosco di quelli che, vantando squisitezza di gusto, non 
vogliono che si parli d’ improvvisatori, e bramerebbero tolta af- 
fatto dal mondo la loro razza. Per verità la maggior parte di 
questi non mi par propria a far quelli cangiar d’ avviso . Im- 
pudenza più ancora che frode nella maniera di prendere gli ar- 
gomenti, e nello spacciar, come improvvisati, zibaldoni che ripe- 
tono in ogni città, insulsissime invocazioni, luoghi comuni, scem- 
piaggini , ecco l’ arte loro . Ma ricevere sempre il tema dalle 
persone meno sospette; lanciarvisi franco da sè, lasciando in Pin- 
dò le Muse, Venere in Gnido ; evitare le digressioni. prolisse, 
non dall’ estro fecondo ma dal bisogno sterile suggerite ; e ri- 
creare a tempo con alcune di quelle scappate ; le quali io non 
crederò che tutte si trovino nella seconda parte del portafoglio 
di cui il mantovano Borsa provede caritatevolmente gli improv- 
visatori nel suo elogio di sè stesso; fare, io diceva, dell’ accen- 
nate condizioni la propria norma, è ben altro modo di esporsi al 
publico ; ed io non so perchè a coloro, i quali, emulando il Lo- 
renzi, vi si espongono di questa guisa, non debba il gusto per- 
dovar dei difetti, se mai si lascerà conoscere l’ entusiasmo che un 
valente improvvisatore desta sempre in quelli fra’ suoi ascoltanti, 
che un’ anima poetica sortirono dalla natura. E credo indegno di 
tempi, ne’ quali tanto parlasi di onor nazionale, rapire all’ Italia 
un vanto che non ha comune (/’ Olanda a la Francia da al- 
cuni anni glielo van disputando ) coll’ altre nazioni. Quello pe- 
rò, in cui merita il Lorenzi più lode, si è l’ aver saputo conser- 
vare scrivendo eleganza e nerbo malgrado di tale esercizio , ed 
in tale esercizio riserbo serupolosissimo. ,, 

Sono dall’ elogista commendate molto le rette idee del Lo- 
renzi in tutte le cose appartenenti alla vita ; e questo ci pare 
importantissimo, perchè i/ recte sapere, preso nel suo più ampio 
significato, è a’ nostri occhi la prima condizione necessaria e al- 
l’ autor di prose, e all’ autor di versi così improvvisi che scritti, 
onde riuscire a buon fine . Ma in proposito di quelle rette idee 
perchè quell’ amara ironia all’ umanità dell’ infelice Rousseau? 


56 
Francesca da Rimini ,.tragedia di Luici BeLLACCHI. Siena 
presso Porri. 1824. in 8. 


L’ argomento della Francesca , dopo i replicati esperimenti 
che ne hanno fatto i poeti, si può alfin asserire che non è‘pel 
teatro. Molt’ arte però nell’ invenzione e distribuzione delle scéne, 
molta. passione. nel dialogo, molta grazia e naturalezza rello 
stile, tanto. più necessaria che tutti hanno il pensiero anzi |’ o- 
recchio ai mirabili versi da cui l’ argomento è desunto, var- 
ranno sempre. a sostenerlo, malgrado la sua intrinseca povertà. 
Vorremmo poter. dare. grande applauso al sig. Bellacchi per 
l’impiego di tali mezzi ; ma la sincerità, di cui facciamo pro- 
fessione, ce lo vieta. Non s’ intenda per questo che noi abbia- 
mo trovata la sua tragedia senza merito. Varie parti di essa, 
e l’atto quarto specialmente, ci sembra che facciano sperare as- 
sai bene del giovane autore. Diciamo giovane, senza conoscerlo, 
imaginandoci che Francesca non possa movere che i giovani a 
mettere in iscena è suoî dolci sospiri e il disiuto suo riso, onde 
le fu tolta la bella persona, di che’l modo ancora l’ offende. 


Il Naso — La Visione — La Ciarla — Sestine d’ ANTONIO 
GUADAGNOLI. Pisa presso Capurro 1822-23. in 8.° 


Se è vero che un sorriso aggiunge un filo alla trama della 
vita, questi tre componimenti (il primo in ispecie ) che lo chia- 
mano sulle labbra ad ogni istante, vagliono un tesoro . Si sen- 
te in essi l’ antica vena del felice paese in cui sono scritti, e 
di cui sembra esclusivamente propria la festività, la fina ma- 
lizia, e quella grazia spontanea, onde si distingue il vero lin- 
guaggio dello spirito. Altrove, se ne escludi Venezia, la lepi- 
dezza ingegnosa è quasi dote esotica ; ed ove non si manifesti 
nel dialetto del paese; per mancanza di modi convenienti, perde 
sempre sotto la pefina degli scrittori gran parte della sua ama- 
bilità. Il dot. Guadagnoli potrebbe, scrivendo spesso, gettare gran 
ricchezza di locuzioni gentili in tatta Italia, che a dir vero oggi 
ne riceve in quantità un po’ scarsa da questo nostro E/dorado. 
E potrebbe sopratutto, alzandosi vie più sopra il vuoto cica- 
leccio de’ buoni ciarlieri del cinquecento ; servir molto alla filo- 
sofia del costume, Ridendo dicere verum par ch' egli abbia preso 
per sua divisa. Approfitti dell’onesta libertà che qui si gode da 
chi tratta la penna, e rallegrandoci s’ ingegni a suo potere di 
giovarci . 


sù 
Le Egloghe pescatorie del SANNAZZARO tradotte dal cav. L. 
Bionpi. Torino, presso Chirio e Mina 1823 in 8.° 


È un lavoro di gioventù, che il cav. Biondi ha pubblicato, 
(mon avendo in pronto , com’ ei si esprime, altro di più oppor- 
tuno ) per le nozze della figlia d’ un amico. Le pescatorie del 
Sannazzaro ( modelli nel loro genere ) adombrano in parte i ca- 
si della dogliosa vita del poeta ; e se ciò non accresce la loro 
convenienza come dono nuziale, desta però negli animi certa af- 
fettuosa curiosità. Quindi a chi non può gustarle nel testo , e 
fors’ anche a chi il potrebbe; piacerà vederle trasportate in colti 
versi italiani. Dico soltanto colti, per non aver aria di lusinghie- 
ro. Le versioni non sono mai fedeli, nel senso rigoroso in cui 
prendono questa parola gli odierni italiani, senza un poco di 
stento. Questa del cav. Biondi è preceduta da una prosa gentile 
scritta con un sentimento di dolce mestizia, che prepara ad a- 
scoltare i patetici accenti del pescatore di Margellina. 


Annali d' Italia, compilati da A. Coppi. Tomo I. dal 1750 al 
1796; e tomo Il dal 1796 al 1800. presso de Romanis 1824 
in 8.° 

Questa nostr’ epoca, in cui il tempo è proceduto sì rapida- 
mente, ci interessa troppo, perchè tutti non bramino di ben co- 
noscerla e molti non sieno invogliati a descriverla . Una storia 
esatta e imparziale io non la credo per ora possibile ; ma non 
credo inutili gli sforzi che si fanno per raccoglierne i materiali. 
Finchè questi non sono completi, finchè le cause e gli effetti non 
sono ben evidenti bisognerebbe forse astenersi dal recare verun 
giudizio. Pare malgrado i giudizii anticipati, l’ esposizione di quan- 
to sì è potuto sapere di più preciso riesce molto istruttiva, ove 
sia fatta con lealtà. Di questa non mi par che manchi il conti- 
nuatore dell’ ingenuo Muratori , chè tale deve appellarsi il sig. 
Coppi e per aver cominciato i suoi annali ove quel brav’ uomo 
finisce i proprj, e per essersi proposto il ,suo medesimo anda- 
mento . Gli fu rimproverato d’ averci nel primo volume tenuti 
quasi più fuor d’ Italia che in Italia, e si ebbe ragione, non per- 
chè le cose straniere non andassero da lui toccate , ma perchè 
molte italiane non dovevano essere da lui dimenticate . Nel se- 
condo volume egli poco ci fa uscire dal nostro paese ; e non è 
gran delizia per noi, poichè ci sentiamo per così dire più addos- 


58 


so le calamità ch’egli ci descrive. E in mezzo a quelle calamità 
quante poche consolazioni ! Egli medesimo sì rallegra di poter- 
cene pur dare alcuna, come questa con cui termina la sua nar- 
razione di ciò che appartiene all’ anno 1799. », Luigi Careno, 
medico italiano in Vienna , introdasse dall’ Inghilterra sul con- 
tinente l’ uso d’ innestare ne’ bambini l’ umore di alcune pustole 
che appariscono nelle vacche della contea di Glocester, per pre- 
munirli in tal guisa contro la violenza del vaiolo. Egli dimostrò 
con un opuscolo i vantaggi di una tale operazione; Luigi Brera 
ristampò quell’ opuscolo in Pavia, e l’uso della vaccinazione in- 
cominciò a propagarsi in Lombardia , e quindi in tutta |’ Italia. 
In tal guisa fu mitigato un contagio, che introdotto in Euro- 
pa dagli arabi distruggeva, secondo alcuni, la decima parte dei 
fanciulli. ,, Credo che per non indebolire il buon effetto di queste 
sue parole egli abbia taciuto che, mentre le stampava , cioè do- 
po quindic’ anni di felici esperimenti, il beneficio della vaccina- 
zione non era ancor ben sicuro contro i volgari pregiudizii , i 
quali sembra che veglino perchè l’ umanità, se è possibile, non 
abbia mai conforti di veruna specie. Ma l’ autore non partecipa 
egli mai a volgari pregiudizi ? A taluno pare che sì , vedendo 
com’ egli parla nel primo volume, non dirò de filosofi francesi, e 
dell’ assemblea nazionale, ma di Giuseppe e di Leopoldo consi- 
derati come riformatori del viver civile . Io penso peraltro che 
qualunque sentenza a questo riguardo sia indiscreta, e che noi non 
dobbiamo punto trattenerci sulle sue frasi, ma sibbene sui docu- 
menti ch'egli ci presenta. Malgrado la rapidità, a cui egli si è obbli- 
gato, i suoi annali abbondano di documenti importanti, sembrandogli 
a buon dritto che questi allunghino ma non facciano prolissa la 
narrazione. Fra essi i toscani saranno orgogliosi di leggere il proe- 
mio del famoso rendiconto dell’ anno 1789, con cui il saggio Leo- 
poldo si metteva nobilmente a capo de’ moderni legislatori. Di- 
ceva in questo: 

»» Essere intimamente persuaso che il più efficace mezzo per 
sempre più consolidare la fiducia e la confidenza de’ popoli verso 
qualunque governo sia quello di sottoporre alla cognizione di 
ciascun individuo le diverse mire e ragioni, che hanno servito 
di fondamento alle ordinazioni e provedimenti prescritti, secondo 
l’ esigenza e opportunità delle circostanze , e di manifestare sen- 
za riserva e colla possibile chiarezza l’ erogazione de’ prodotti 
delle pubbliche contribuzioni. E non essergli altresì ignoto che 
la occultazione ed il mistero nelle operazioni del governo, men- 


59 
tre danno adito alla mala fede ed al sospetto, fanno ‘anche torto 
ai plausibili e retti sentimenti dell’ istesso sovrano, non meno che 
alla condotta dei ministri prescelti al maneggio dei publici affari. 

»; In vista pertanto di tali principj essere venuto nella de- 
terminazione di publicare colle stampe del granducato di Tosca- 
na non solo il dettaglio ragionato di ciò che riguarda l’ ammi- 
nistrazione della finanza, dall’ epoca del suo avvenimento al tro- 
no fino a tutto l’ anno mille settecento ottantanove , ma quello 
ancora delle principali sue operazioni, e de’ nuovi regolamenti 
prescritti per ciò che concerne l’ amministrazione di giustizia 
civile e criminale, non meno che il commercio , le arti, l’ agri- 
coltura ed il ben publico , all’ oggetto che tutti indistintamente 
i suoi sudditi potessero essere istruiti della rettitudine delle di lui 
intenzioni, e della costante disposizione del suo animo in promove- 
re, senza sfuggire pena e fatica, tutto quello che potesse contribuire 
al comune vantaggio di essi, ad assicurare allo stato una perma- 
nente felicità e ricchezza, ed a migliorare (senza per altro ac- 
crescere , ma con diminuire per quanto fosse possibile il peso 
delle imposizioni ed aggravi ) le circostanze della regia finanza. 

Fortunato l’ annalista quando ha simili cose da riferire! Più 
fortunate le nazioni, alla cui stori a simili cose appartengono! 


In morte di ANTONIO CANOVA, terzerime di GIAMBATISTA SPI- 
NA. Rimini presso Marsoner 1824 in 8.° 


Componimento tutto di studio. Vi si incontrano alcuni versi, 
come quelli che riguardano i monumenti d’ Emo e d'’ Alfieri e 
la statua di Washington, che si rileggono volentieri per un non 
so che di generoso onde sono animati. 


Ode del conte G. P. per nozze Riva-Sanseverino. Parma dal- 
. la Bodoniana 1824 in 4.° 


Dice il poeta della sua Musa, (nobile Musa, poichè nor 
pieghevole al fasto, avversa al vizio, e sol facile di lodi al 
merito e alla virtù) : 

Essa di suono eolico 
Dolcè or darà conforto 
A me da lungo pelago 
Stanco ridotto in porto. 

Quest’ idea ci consola, e accresce il nostro amore per le let- 
tere gentili che sono pur sempre quelle carissime guae senectu- 


60 i 
tem. oblectant, adversis perfugiuum ac solatium praebent quai 
le dipingeva Cicerone. Che se tutti han ragione di farsele do- 
mestiche ed amiche , l’ hanno principalmente gli uomini posti 
più alto sulla ruota della fortuna, o più inoltrati nel suo pela- 
go, per valermi della frase del nostro poeta. In esso egli non le 
dimenticò; ed oggi riceve da foro ben dolce ricompensa. 


Storia di Milano del conte PietRo VERRI. Milano presso De- 
stefani. Tomo I. e II in 8° 


La ristampa di questa storia, desideratissima dai concitta- 
dini del conte Verri, sarà gradita in tutta Italia e fuori dagli 
amici del vero, e dagli uomini desiderosi di trarre dal passato 
istruzione pel futuro. Prima di essa, dice il baron Custodì nel- 
le memorie sulla vita dell’ autore premesse alle sue opere eco- 
nomiche e qui riportate, quella parte d’ Italia, che prende nome 
dalla capitale di Lombardia non aveva che croniche o rozze o 
inesatte o freddamente erudite. Verri le diede una vera storia, 
imparziale, dignitosa , animata, e costantemente diretta alla pu- 
blica utilità. Chi vuol l’ istoria in racconto, so bene che non si 
accomoderà di questa del Verri, ch’ è scritta alla scuola di Ro- 
bertson, d’Hume , di Voltaire , alla scuola a cui sono scritte le 
storie di Daru e di Sismondi. Ma chi, in proposito di fatti nar- 
rati, ama istruirsi profondamente delle materie politiche ed eco- 
nomiche, le quali vi hanno relazione, certamente ne sarà conten- 
tento. Già il Verri, scienziato e amministratore; avvezzo agli esa- 
mi minuti delle cose publiche, e alle astrazioni che legano e fe- 
condano i fatti, era naturalmente portato al ragionamento più 
che al racconto, all’ analisi filosofica, più che alla letteraria com- 
posizione. La sua storia, e per ciò che riguarda le forme, e per 
ciò che riguarda l’intrinseco , è un’opera di filosofia . Quindi 
non va giudicata colle regole, onde si giudicherebbe una storia 
propriamente detta o piuttosto secondo il modello degli antichi. 
Lo stile ne è spesso dissertativo; ma franco, vivace , benchè po- 
co corretto, meno per imperizia che per sistema pocanzi adot- 
tato da’ nostri filosofi, noiatissimi delle ciance rettoriche, e delle 
academiche pedanterie. E invero certa trascuratezza, per quanto 
ci sia increscevole ove abbiamo il gusto un po’ delicato, è pur 
sempre da anteporsi, come più leale e più dignitosa, a quella 
ricercatezza puerile che oggi è tornata di moda nello scrivere, 
e che accusa più che mai (diremo poi un’ altra volta il perchè 
la povertà del nostro giudizio 


(0% 

Il Verri non visse tanto da pubblicare egli medesimo tut- 
ta la sua storia, il cui primo volume uscì alla luce nel 1783. 
Diec’ anni dopo, dice il suo biografo , intraprese la stampa del 
secondo , che poi venne condotto a termine da un suo amico i 
fratello del matematico Frisi, certamente con publica benemeren- 
za se non si fosse permesso due gravi arbitrii.,, È il primo 
(giova riferir qui Je sue precise parole ) di aver interpolato i 
proprii sentimenti alle lacune lasciate dall’ autore senza alcuna 
indicazione che li distingua, contro la pratica dei Freinsemii, dei 
Brotier e dei più dotti editori di storici antichi e moderni. L’ al- 
tro di aver violato la protesta da lui fatta di trascrivere fedel- 
mente i frammenti dell’ autore, mentre osò di mutilarli. Queste 
arbitrarie alterazioni , le quali avrebbero pregiudicato alla fama 
di Verri se dessa stata non fosse solidamente fondata , rendono 
maggiore il desiderio di veder presto eseguita un’ edizione com- 
pleta delle di lui opere, affinchè vi si possa ristabilire il testo 
della storia alla sua integrità, aggiungendovi i preziosi frammen- 
ti che esistono per la continuazione di essa sino al regno di Maria 
Teresa. ,, 

Gli editori, che ci hanno essi medesimi posto sott’ occhio 
queste cose, si sono con ciò obbligati a darci una volta la sto- 
ria del Verri nella sua integrità . Se a caso non sapessero ove i 
suoi frammenti si trovino; il baron Custodi che fortunatamente è 
vivo potrà loro additarlo. Ma già , non che il barone , può loro 
additarlo la voce publica ; e chi possiede que’ frammenti non 
vorrà fare a sè medesimo ‘questo torto di ricusarli, Il che pe- 
rò se avvenisse , altro miglior partito non rimarrebbe agli edi- 
tori che di supplicare il conte Bossi ( della cui opera si val- 
gono per la versione de’ testi latini sparsi nella storia) a togliere 
la vergogna di quelle interpolazioni e mutilazioni, di cui si disse, 
e supplirvi con quella dottrina e quel giudizio che è in lui. Al- 
lora solo potremo portare più pazientemente l’ostinatezza con cui 
ci si nasconde l’ originale della storia di Milano, quando parlerà 
per l’autore di essa l’ autore benemerito della storia d’ Italia, che 
per coguizione delle cose e spirito fiilosofico gli è quasi fratello. 


De la certitude de la science des antiquités, dissertation de 
M. I. Lagus. Milan chez Giegler in 4. 


Può considerarsi come un buon libro di logica, applicata 
all’antiquaria. Molti, dice |’ autore, sembrano inclinati a crede- 
re questa una scienza semplicemente congetturale , ma essa con- 


62 


duce alla certezza come qualunque altra , ove sia trattata con 
buon metodo. Ora l’ unico metodo buono è quello che dal 
cognito ci fa procedere alla scoperta dell’ incognito ; e vale 
per l’ antiquaria quel che vale per la fisica o perla matema- 
tica. Quando ciò che si conosceva era poco , bisognava andare 
molto adagio per ben assicurarsi di ciò che si voleva conoscere; 
e l’impazienza o la presunzione ha dato luogo a spiegazioni e giudizj 
che potevano screditare la scienza antiquaria. Ma ciò è pur avve- 
nuto in tatte l’altre scienze, che non hanno veramente meritato 
questo nome se non dopo che una gran quantità di fatti è stata 
raccolta e confrontata, e si sono stabiliti principj ; pei quali 
potessero spiegarsi facilmente e sicuramente i nuovi fatti che si 
fossero presentati. Ora la scienza antiquaria è in tale stato che 
può sopra la maggior parte de’ monumenti (almeno greci e ro- 
mani) determinare con franchezza la nostra opinione. Oggi nes- 
suno che la consulti, egli dice, saprebbe più dubitare che l’ Ar- 
rotino della Galleria di Firenze non sia lo scita scorticatore di 
Marsia, destinato a far gruppo con questa vittima dell’ orgoglio 
geloso di Apollo; che l’ Antinoo di Belvedere non sia il giova - 
ne messaggero degli Dei; che il famoso Pasquino non sia un 
Menelao in atto di sostenere la spoglia esangue di Patroclo. Così 
il dott. Labus, valendosi di quella tanta erudizione che lo di- 
stingue, procede via via a mostrare come con un metodo rigo - 
roso, senza di cui non avvi critica esatta, si siano spiegati mo- 
numenti d’ ogni specie, statue, bassirilievi, dittici, iscrizioni, me- 
daglie, in modo che l’ intelletto rimane pienamente soddisfat- 
to. E cita, fra gli altri, un monumento pubblicato e bizzarra- 
mente interpretrato dal Gori, in cui, dopo la bella illustrazione 
del nostro benemerito antiquario Zannoni, tutti riconosciamo 
un sacrifizio di Enea salle rive di Laurento , a cui appena è 
approdato. Trae per ultimo il dott. Labus varie prove del suo 
assunto dal Museo Chiaramonti, a cui la sua dissertazione è de- 
stinata a servir di proemio; e lascia negli animi quella convinzio- 
ne che riesce così piacevole, perchè l’ uomo è lieto di assicurarsi 
che ci sia pur modo di sapere in qualche cosa la verità. Parmi 

che la dissertazione sia fatta per invaghire degli stud} dell’ antichità 
gli ingegni più severi non che i più vivaci. 


Degli antichi vasi fittili sepolcrali, ragionamento del cav. F. 
IncHiraMi. Poligrafia fiesolana 1824. in £° 


Una conferma delle idee del dotto Labus |’ abbiamo nel 
presente ragionamento. Prima di Winkelmann i vasi, di cui in 


63 


esso si parla, erano creduti e chiamati unanimamente etruschi. 
Poi, dacchè se ne rinvennero tanti nella Magna Grecia e nel 
Peloponeso , si cominciò a distinguerli colla denominazione di 
volgarmente chiamati etruschi. Oggi il cav. Inghirami li chia- 
ma antichi vasi fittili sepolcrali, dacchè non si trovano che 
ne’ sepoleri ( dalle rovine d’ Ercolano e Pompej non se n’ è ca- 
vato uno solo ) nè si vede che potessero servire ad altro uso 
che d’ essere inumati cogli estinti. Ma a che fine questi vasi 
ne’ sepolcri? Probabilissimamente, egli risponde, come simbolo 
della vita. Però sotto tal forma furono adorati Iside in Egitto 
e Bacco in Grecia e in altri paesi abitati da greche colonie o 
aperti alle greche dottrine. Le pitture, che adornano la mag- 
gior parte di tali vasi, sono state divise dagli eruditi in pa- 
recchie classi; ma prima di pensare a classi, dice l’ autore, bi- 
sogna pensare a stabilir bene il loro vero e generico signifi- 
cato. Ciò si propone egli di fare nella quinta serie de’ Monu- 
menti Etruschi che va publicando ; opera di gran mole, e di 
cui l’ Antologia a suo tempo ragionerà . Intanto egli fa inten- 
dere che crede siffatte pitture tatte simboliche del passaggio da 
questa ad altra vita, o rapprasentative dei misteri dionisiaci al- 
lusivi a tale passaggio. Il non trovarsi già in tutti i sepolcri 
indistintamente i vasi di cui parla ( cosa che non può attribuirsi 
alla differente condizione degli estinti, poichè vi erano vasi di 
picciolissimo prezzo ) gli fa congetturare che non fossero posti 
se non nei sepolcri degli iniziati a tali misteri; onde si confer- 
ma il significato ch’ egli dà alle loro pitture. Parla in seguito e 
della loro materia , e del modo di verniciarli e dipingerli, e 
delle loro varietà, secondo i tempi e i paesi; e in tutto dimo- 
stra quanta sia la sua critica e la sua dottrina, che tutti si 
accordano a chiamar singolare. Annovera infine le loro più ce- 
lebri raccolte , da quella del museo fiorentino che loro diede 
nome a quella del museo britannico, che li propose in ogget- 
to d’imitazione , e altre sì private che publiche, di cui ora- 
mai abbondano le città più cospicue \d’ Europa. Questo ragio- 
namento )in cui non dissimuliamo che si bramerebbe stile più 
preciso ) deve riuscire ben caro agli eruditi; più caro deve riu - 
scire a coloro, che amano di trovare una vera scienza nello studio 
dell’ antichità . 


64 
Cenni sulla storia politica e letteraria degli italiani. Verona 
presso Bisesti 1824. in 8.° 


Non sono propriamente che cenni, sebbene d’ uomo prati- 
co della storià, qual è il sig. Crivelli, già conosciuto pel suo 
mondo cronologico imitato da quello di Strass. Vi si incontra- 
no idee assai giuste in mezzo ad idee assai disputabili; manie- 
re buone di dire in mezzo ad un numero troppo maggiore di 
maniere inesatte. Quanto all’ intrinseco, non sarebbe forse im- 
proprio il chiamarli una serie di tavole sinottiche ben fatte, 
da cui la memoria può ricevere molto aiuto, ma lo spirito non 
molto lume. Pure ci sembra che vi debba essere un’ arte di 
comprendere in poche parole gran cose; l’ arte di Tacito , del 
quale fu scritto che tutto compendiava perchè tutto vedeva, As- 
somiglierei un sunto storico ad una stenografia che abbrevia senza 
mutilare, o ad una stampa minuta, che proporzionando le di 
mensioni de’ caratteri alla cortezza della vista, fa che questa 
possa abbracciarne un gran numero d’un solo sguardo. Ma a 
produrre un tale effetto è necessaria tanta nitidezza, che l’ ima- 
gine de’ caratteri entri per così dire negli occhi tutta lucente. 
Osservate le vecchie edizionette d’ Elzevir e le odierne di Ba- 
gster e d°’ altri inglesi. Perchè noi vediamo ad un tratto per mez- 
zo di un sunto le cose più importanti della storia e i loro le- 
gami , bisogna che queste siano mirabilmente lumeggiate, che 
l’ occhio della nostra mente acquisti forza col solo riguardarle. 
All’ autore di un sunto, politico e letterario specialmente , non 
basta l’ essere penetrante: ei deve aver l’ arte di prestare a noi 
pure la sua penetrazione. Ma forse il sig. Crivelli non ci ha an- 
corà presentato il suo sunto : ci ha solo presentata la traccia, 
ch’ egli ha segnata a sè medesimo, onde comporlo. 


Collezione di tutti i drammi e opere diverse di CARLO GoL- 
DONI. Prato presso î Giachetti «823. Finora tomi 3 in 8.° 


Forma seguito alla più bella edizione che noi abbiamo 
del nostro Goldoni. Dico la più bella sembrandomi che basti a 
quella del Zatta colle vignette, se la chiamiamo la più graziosa. 
Essa non manca dell’ accompagnamento dei drammi ed opere 
diverse dell’ autore. Non dovea dunque mancarne la nuova dei 
fratelli Giachetti, per non essere dai bibliofili stimata incompleta. 
Del resto, per quanto le composizioni che si aggiungono, siano 
inferiori di merito alle commedie, nessuno vorrà negar loro una 


atenei nl n bai 


65 
vena facile, e veramente teatrale. Non è forse male che sì ri- 
producano in un momento, in cui si è quasi perduta l’idea 
della spontaneità e della naturalezza così sul teatro che in tutti 
gli altri campi della poesia. ; 


Giornale di Scienze, Lettere ‘ed Arti per la Sicilia. Paler- 
mo presso: De-Luca 1823-2/ in 8. 


Bravi siciliani! fanno tatto quello ch'è in lor potere, onde 
avvivar fra loro il faoco sacro degli ‘studi. Hanno cominciato, 
nel primo numero del giornale ‘che ‘anvunciamò, dal passarli in 
rassegna, esaminando in quale stato ciascun d'’ essi sî trovi nel loro 
paese, poichè da tale esame debbono prender norma i loro sforzi è 
le loro cure. Vari studi sono fra loro così avanzati , come fra gli 
altri popoli più colti del continente di Italia ; vari sono egualmente 
arretrati, di che non si deve dar colpa nè a loro ‘nè a ‘nessun 
popolo ma alle circostanze; vari finalmente prendono ogni gior- 
no qualche nuovo incremento. Idue prediletti, se dobbiamo 
farne giudizio dai sedici mumeri del giornale fin qui pervenutici, 
seguitano ad essere per loro quelli dell'antichità, e delle scien- 
ze naturali. Pur nessun altro è da loro trascurato ; e quello in 
ispecie. delle scienze economiche e legislative pare che principii 
a fissare fortemente la loro attenzione. La loro maniera di scri- 
vere un poco indecisa mostra per vero dire che le buone lettere 
non hanno ancora fra essi de’ cultori troppo sicuri. Nondimeno 
da qualche articolo può argomentarsi, che mentre altrove ancor 
si disputa di grammatica , fra loro già si sappia applicare alle lette- 
re la filosofia. Il loro giornale si stampa sotto gli auspici del 
marchese Ugo delle Favare, direttor generale di polizia, ai cui 
occhi senza dubbio sono tre cose strettamente congiunte il pro- 
gresso de’ lumi, la prosperità dello stato e la dignità del go- 
verno . i 


Elogio del cardinale ErcoLe CONSALVI scritto da Luici CAR- 
DINALI. Pesaro presso Mobili 1824 in 4° 


n 


Il nome di Consalvi andrà ai posteri coi più chiari nomi di 


quest'epoca. Tutt' Europa lo pronuncia qual nome di grande e 


benemerito ministro: nel che mostra l'integrità del proprio giu- 
dizio, sapendo tener conto al Consalvi di ciò che fece e di ciò 
che avrebbe voluto fare. Dopo esser tornato dalle sue legazioni 


T. XVI Dicembre 5 


66 


al re di Francia, al re di Inghilterra, all'imperatore d'Austria, 
al congresso di Vienna, legazioni che riuscirono. così onorevoli 
per lui che vantaggiose (par lo stato pontificio, nel metter mano 
alle cose interne di questo ,, egli presenti, dice il suo. elogista, 
la necessità di abbracciare metodi di governo confacenti alle cir- 
costanze de’ tempi mutati assai dagli antichi:  presentì l’ obbligo 
che s’imponeva alla fama del suo signore ed alla sicurezza po- 
litica di procurare la felicità delle provincie ricuperate , le quali 
erano meglio che la metà di tutto lo .stato: presenti la conve- 
nienza del non toccare quelle leggi e quelle costumanze; che per 
contratta abitudine di ventiquattro: anni non era da savio il con- 
vellere, lo sforzare , il distruggere dove non si fossero opposte 
alle fondamentali massime del governo. ,, Ma presenti anche, 
egli prosegue, gli ostacoli che avrebbero opposti alla sua sag- 
gezza il pregiudizio , la passione, l’ ipocrisia ; e se non riuscì a vin- 
cerli tutti egualmente ,, nessuno potrà mon convenire essere al 
meno stata la volontà sua sempre costante nell’ottenere il bene 
e nell’ operare il giusto, nel procurare la, felicità pubblica, e, 
in quanto dalla pubblica non la stimasse deviare, eziandio la 
privata di ciascun cittadino. ,, La qual cosa tornò utilissima allo 
stato (le prove ne son recenti e notissime ); € acquistò al 
ministro nuova stima presso i nazionali e presso gli stranieri. Ba- 
sti per tutte questa testimonianza che gliene rende il re Gior- 
gio IV in una lettera dei 19 gennaio aggiunta all’elogio ; la 
quale non giunse in tempo d'essere letta dal Consalvi, e de- 
posta. sul suo feretro ne avrebbe mirabilmente accresciuto 
l'onore: Puissent les  principes sages, que vous avez suivis 
durant votre administration, toujours guider la cour de Ro- 
me; et puisse votre santé vous permettre long temps d'y 
concourir par vos conseils. Un poemetto, giovanile del Consal- 
vi, che vien dopo la lettera, ci. mostra com’egli era natural- 
mente inclinato agli stadi gentili, tra i quali l’elogista anno- 
vera la musica, di cui gli fa maestro il Cimarosa. A questi 
studi, che fanno sempre grazioso un ministro e quasi ci assicu- 
rano della sua umanità, egli aggiunse quelli che lo fanno pro- 
bo e illuminato, e quasi ci assicurano della sua magnanimità . 
Ciò ch’ei fece per l’arti belle (che in ogni impero è saviezza 
il promovere , in Roma è politica obbligazione ) non avvi chi lo 
ignori; e i posteri che saliranno la via del Campidoglio, e leg - 
geranno il suo nome sulla fronte dell’ edifizio che sorgerà ove 
sorgeva il tempio di Giove capitolino, diranno: ei fa l’amico di 


67 
Canova. Egli fa pur l’ amico di tutti i valenti; fa Vamico, più 
che il segretario di stato del principe suo ; e glielo» provò lumi- 
nosamente , monstrandosi l'amico della nazione. 
Versi di TERESA ALBARELLI VorDonI. Padova 1824 stamp. 
della Minerva in 8° con ritratto. 


Questi versi, io pensava in mio cuore appena li vidi , sono 
troppo singolari , perchè siano giudicati senza passione. Chi non 
ne parla con invidia ( e tal bassezza la voglio credere di pochi ) 
deve parlarne con entusiasmo. Dalla prima ‘certamente io non 
aveva a guardarmi: ben sentiva necessario di mettermi in guar- 
dia contro il secondo . Se un'articolo di critica’, io diceva, non 
deve mai essere una satira, non'deve neppur essere un inno. 
Ma una bella giovane +( l’ insidioso ritratto accresceva le mie 
difficoltà ) che scrive bei versi, anzi i più belli che da alcuna 
donna siano mai stati scritti in Italia, può forse trattarsi altri- 
menti che come una cara divinità ? 

Mentr’io dubitava se 0 di che modo ne ragionassi in questo 
giornale , mi sono venuti innanzi gli — dico articoli o inni? —a lei 
tributati nella Biblioteca Italiana. Ah ah! signor autore dei due ar- 
ticoli (così li chiamerò per rispetto alla tecnologia giornalistica) anche 
per voi dunque grazior et veniens formoso in corpore virtus. Me 
ne rallegro con voi, ben lungi dal farvene rimprovero, per- 
chè alfine non avete Jodato una virtù poetica, la qual sia co- 
mune, ma vi siete lasciato rapir da essa è da... precisamente 
come avrei fatto io; senza sapermelo far perdonare dai rigidi 
con altrettanto ingegno che voi. Il secondo vostro articolo in 
ispecie è stupendo ; e quel DRECA, che gli avete posto, si farà 
bene a copiarlo letteralmente pe’ nuovi ‘trattati di poesia che 
si vorranno comporre. To quindi ‘non tengo in mano la penna, 
che per rimandare i lettori dell’Antologia a quanto voi avete 
detto nella Biblioteca Italiana, e sottoscrivervi subito dopo que- 
ste poche parole, che vi prego abbiate la pazienza di passarmi 
per buone. 

Voi dite che s’inganna chi chiama gozzeschi i sermoni della 
vostra gentile poetessa, e fate una sottil distinzione fra quel 
primo venuto in luce due anni sono, che pur fu chiamato goz- 
zesco da uno scrittore periodico 4 voi amicissimo, e gli altri 
che oggi leggiamo. È vero che la giovane poetessa in questi 
prende campo un po’ più largo; ma la maniera sua di guard; 
le cose e di colorirle mi par sempre quella che le ha insegn 


68 


il Gozzi. Non dice. ella che tiene i versi di questo poeta fin 
sotto il capezzale; chiedendo al fratello o al cognato se faccia 
bene o male? Voi già colle vostre teorie sull’ imitazione le avete 
data saggissima risposta. Ella saprà approfittarne così riguardo 
ai sermoni che riguardo alla lirica, in cui parimenti è molto 
gozzesca , facile cioè , naturale, e insieme assai tersa, ma quasi 
non curante dell’ affetto e del pensiero. E terrà a mente, non 
ne dubito, quella vostra querela ( querela che una bella giova- 
vane fa pronunciare ben dolorosamente ) ch’ ella sembra scherzar 
col» dolore. 

Ma ‘avete voi avvertito ; con quante specie di dolori ella 
scherzi ?. Quanto. più i suoi versi.son fini, e racchiudono acuta 
beffa delle umane iridicolezze, tanto più alcuna volta riescono 
affligenti. Voi notate da maestro. ciò. che avvi d’originale, di 
vero, di frizzantissino in questi versi; ma a voler compire |’ ana- 
lisi converrebbe. anche aggiungere. di poco compassionevole. 
Perchè di. molte ridicolezze ; anche di quelle viziose che voi 
dite più meritevoli della sferza satirica, noi abbiamo ben  po- 
ca colpa; e conoscendone la prima fonte. non resta voglia che 
di compiangerle. Voi date alla giovane poetessa questa, lode 
di non essersi mai abbandonata ai moti del cuore, per non al- 
terare il carattere delle sue composizioni; e certo, avuto  ri- 
guardo al suo sesso e alla sua età, tanta precisione di ,misu- 
ra; tanta severità di gusto deve parer singolare. Ma qual ge- 
nere di composizioni è mai per una donna quello che 1’ obbliga 
a frenare i moti del cuore —quei moti che sono la più prezio- 
sa delle sue facoltà — che sono forse la sua guida più sicura , 
e come figlia e come sposa e come madre, e. come scrittrice! 
Oh il giorno, in cui la bella. Vordoni vorrà scrivere. pel cuore, 
non sarà forse avvertita, da un sentimento di felicità d’ aver ot- 
tenuto intero il trionfo del suo talento ? 


69 
In morte di FERDINANDO III. 

Elogio scritto da GrusePPE. GONNELLI, Firenze presso Piat- 
ti in 82° 

Ottave di FRANCESCO GONNELLA, Firenze stamperia Gran- 
ducale in 4°. 

Canzone del cav. BAccIo DAL Borco, Pisa. presso Nistri 
in 8° 

Elegia di FERDINANDO ORLANDINI , Firenze presso Magheri 
in 8.° 


L’Antologia nel terzo numero del suo quattordicesimo vo- 
lume presentò i primi tributi delle lettere dolenti alla memoria 
dell’ ottimo principe. A quei tributi quasi ‘estemporanei era ben 
naturale che ne succedessero, molti più elaborati. dalla  me- 
ditazione, e non meno caldi per sentimento. Uno assai riguar- 
devole ne racchiudeva pocanzi l’Antologia medesima ; e Ja di- 
stinzione accordatagli le veniva richiesta dal voto comune , Vo- 
lentieri essa parlerebbe di quanti possono sembrare più degni 
di andarvi uniti, se da chi avea più particolar motivo di de- 
siderarlo , si fossero a lei fatti conoscere. Fra i pochissimi 
offerti alla sua osservazione essa distingue i quattro indicati. 

L’elogio è assai breve, più ricco di concetti. che di pa- 
role, e quasi direbbesi di un sapore sallustiano, ma senza 
arcaismi, e senza affettazioni. Rechiamone un saggio per chi 
ancora non l’abbia veduto. 

3» Nelle consulte di stato piena esperienza manifestavano 

gli avvedimenti di Ferdinando. Fu la somma de’ voti suoi 
l’esercitare una tranquilla potenza e comandar coll’ esempio . 
Era grave alla moderazione del principe il tener modi straor - 
dinari; ma la clemenza non gli scemava l'autorità. Un vivere 
così bello e così riposato persuase potenti stranieri a fermar la 
dimora sulle rive dell’ Arno; e i miseri, nelle ruine publiche 
involti, questa felice terra da se non respinse. Non gli os- 
sequi del timore, non le gare dell’ adulazione , non i segreti 
i lamenti ebbero luogo nel principato. Chi negò a Ferdinando 
sincera ed immobile devozione ? Chi non pose fra le prime 
sue lodi le facili udienze, le clementi risposte? Erano a lui 
famigliari detti acutissimi , e ignote quelle acerbe parole, 
che uscite da regio labbro di se lasciano ‘lunga memoria. Il 
\regal fasto dimenticando , ei degnava privati lari della sua vi= 
Sta, e pur l’ultimo volgo riguardava benignamente . 


79 
,s Sono rare lle virtù mon offese da qualche vizio; e d’es= 
si vestigio non apparve nella sua vita. Ei sentendo nel figlio 
eccellenza ‘di costumi e d’ingegno, si avvisava con. tacita 
gioia quale un giorno sarebbe. Il principe co’ secondi imenei 
non mirava che alla nostra felicità. La regale consorte gareg- 
giava d’amore con l'augusta sorella, a lei di nuovi legami 


congiunta ; e gli esempi della reggia concorde passavano nelle 


case dei cittadini. 

Io non rinnoverò tristi rimembranze, che troppo già ci 
stanno impresse nel pensiero , scegliendo pochi altri periodi fra 
quelli che riguardano la nostra desolazione all’ annuncio della 
perdita che avevamo fatta di Ferdinando . 

»» Altri giusto, altri pio lo chiamava; tutti ne rico rda- 
vano la clemenza e gara mostravano di dolore. Nè questo 
rimase fra noi; la fama di tanto male invadeva l’ Europa. 
L’amico è pianto dall'amico , dalla sposa il marito, il padre 
dai figli, l'ottimo re dal genere umano. Egli non ebbe quel- 
le lacrime che la mortale natura generosa concede ai potenti 
caduti, quando ‘l’invidia è placata dalla sventura; era felice, 
morì sul trono, e lutto pubblico fu la sua morte. ,, 

Nelle ottave, tatte facili e spesso affettuose , incontransi 
versi di cui ci è caro serbar memoria. Molti ripetono que- 
sti, che dipingono sì bene Ferdinando, a cui sono posti in 
bocca : 

L’asilo ad ottener ne’ regni miei 
Il titolo bastò della sventura, 
O, se recovvi alcun disegni rei, 
AI mio dolce imperar cangiò natura, 
Molti si compiacciono particolarmente di questi altri, in cui il 
principe benemerito chiama sua propria la felicità di questo di- 
letto paese - 
Regnai: nè sempre di benigna stella 
Sul mio serto si sparse il bel fulgore, 
Ma in ogni sorte o amica o a me rubella, 
Volta al tuo meglio ebbi la mente e il cuore. 
Per me sorger sicura e ricca e bella 
Te vidi a quell’insolito splendore, 
Onde esempio tu fosti io pur lo fui 
Di fortunata etade agli occhi altrui. 
La canzone è piena di un grave e nobil dolore, e sembra 
alcuna volta modulata sulla cetra di un gran lirico avvezzo 


7 
a celebrare ed a piangere i principi etruschi. Vaglia in esem- 
pio questa strofa allusiva al risorgimento della religion militare 
di Santo Stefano, di cui Ferdinando era gran maestro. 
Fa pur di sua gran mente 
Generoso consiglio 
Da un odioso esiglio 
Con più beati auspici 
Questa Virago che or ti mirì appresso 
Ricondar lieta a tue sponde felici . 
Ah! si mi ascolta intrepida guerriera ; 
Credean gli stolti in for pensier maligno 
Giunta de’ giorni tuoi l’ ultima sera . 
Ma balenò sul limpido orizzonte 
Della beata Etruria il vivo raggio 
Dell’aureo Sol, che te serbando in vita 
Ti diè ristoro dal sofferto oltraggio. 
Ma questo Sol tu piangi 
A. mezzo il corso suo spinto all’ occaso . 
Piangilo, e n’ hai ben donde, 
Che a tue piaghe profonde 
E giusto obietto , inconsolabil cura 
Sì tremenda sventura . 
L’elegia è lodata specialmente per certa novità di concetto. 
Poi ch’essa ci canta come al dipartirsi dello spirito di Fer- 
dinando , l’ombre de’ nostri grandi si accolsero intorno all’ Etru- 
ria gemente fra le ombre notturne, per intendere la cagione 
del suo fiero dolore. Questa, narrandola, ripete con che prie- 
ghi (e ai prieghi sono con bell’artificio intrecciate le lodi del 
principe perduto ) chiese all’arbitro supremo delle cose, che 
volesse ancor lasciarlo a chi tanto lo amava. Ma col votivo 
incenso, ella soggiunge, i miei prieghi non poggiarono fino al suo 
trono. 
Ciò detto Etruria il ciglio all’ ardua volta 
Dell’ Olimpo rivolse, e nuovo pianto 
Troncò sul labbro la parola accolta . 
Quand’ecco apparire tutta sfolgorante la Fama, traendo seco 
il Tempo domato, e alla sua luce ravvisarsi dal poeta l’ ombre 
dell’Alighieri, del cantore di Laura, di Lorenzo, di Galileo; 
e di cent’ altri famosi per ingegno, e per valore. 
La diva intanto coi più dolci modi 
Terge il pianto all’ Etruria, 
e mentre le annuncia, qual messaggiera che giunge dal re- 


72 
gno della gloria; ove Ferdinando è assunto, ch'egli ancor di 
lassu veglia alla sua felicità, la visione sparisce, e il giova- 
ne poeta coî rai di pianto molli si fa a descriverla. 

La commozione, che desta in noi pure il pietoso argo- 
mento, non ci permette di esaminare nè l’elegia nè gli altri 
poetici componimenti colla fredda ragione dell’ arte. 


BONDELMONTE , (ragedia di CARLO TEDALDI-FORES, Cremo- 


na stamperia e fonderia stereotipa Demicheli-Bellini 1824 
Mavra. 


Ecco un nuovo tentativo di tragedia istorica o romantica, 
se così piace denominarla, non bene riuscito. Forse perchè le 
unità di luogo, e di tempo non sono in essa osservate? No, 


ma perchè di questa inosservanza , ch’ è a nostri occhi una libertà, 


ben ragionevole, il poeta non ha tratto che picciolo vantag- 
gio. A che mautar scena se non per ischivare le inverosimi- 
glianze e le sconvenienze? Non bisognava dunque nè far com- 
parire Bianca così sola nel palazzo Buondelmonte o sulla 
piazza di santa Reparata, nè Amelia sul Ponte Vecchio, nè 
forse. Cosmo in casa degli Amidei, dopo l’ oltraggio che que- 
sti ban ricevuto. A che allargare i confini prescritti al tempo 
da un codice poetico ancor formidabile. nell’ occidente d’Eu- 
ropa, se non per accrescere l’ interesse drammatico, dando 
un più facile e più pieno sviluppo all’azione? Conveniva dun- 
que porre la lealtà di Buondelmonte a maggior contrasto, 
render la sua condotta verso Bianca meno odiosa, darne mag- 
gior parte di colpa ai voleri d’Ugo, agli accorgimenti di Go- 
smo, agli odi o alle incostanze di Folco e di Lamberto, e 
sopratutto ad una cieca passione per Amelia, che posta al con- 
tento di Bianca si vedesse come potè ispirarla. Quest’ Amelia 
innocente cagione di gran mali, quest’Amelia, a cui Bianca è 
crudelmente sacrificata da un giovane buono, quest’Amelia di 
cui riescono sì fatali i vezzi e le virtù, appena ci si fa co- 
noscere . Bianca intanto ci si rappresenta come un essere biz- 
zarro (il racconto di quelle sue nozze da erinni o da maga 
basta a giustificare questo aggettivo ) per cui è impossibile interes- 
sarci ad essa quanto la sua sciagura comporterebbe . Del resto nei 
caratteri de’ principali personaggi della tragedia, e in quello 
del Mosca sopra gli altri, v'è qualche cosa di fortemente con- 
cepito. Troppo spesso però vi manca la natura; e lo stile i 
di colore assai boreale , fa sentire vie più questo difetto. Non 


73° 
ron siamo di coloro che abbiano adottato come esempla- 
re di stile tragico piuttosto quello d’uno che d'altro de’ no- 
stri poeti. Lo stile in qualunque genere di composizione, per 
esser buono, debb’ essere individuale a chi lo adopera : questo 
è per noi un principio deciso. Ma questa individualità non 
crediamo che debba cangiarsi in una singolarità senza regola . 
Proprietà e naturalezza ecco due doti, non facili a conciliarsi 
con certa originalità, lo vediamo bene, ma che mai non cesse- 
remo di raccomandare agli scrittori che mostrano ingegno co- 
me questo del Buondelmonte. 


Le Odi d’ANAcREONTE, tradotte da GIO. MARCHETTI e PaAO- 
Lo Costa. Bologna presso Nobili 1824 in 16, 


Traduzione sicuramente piena di garbo, ma non di quel brio 
che animava fe parole del buon vecchio di Teo. Bisogna inebbriarsi 
un poco della vita per cantare all’ unissono con lui, il quale 
non è propriamente che il più amabile degli ebbri . Nè gli 
italiani forse, nè gli spagnuoli, nè i tedeschi, nè gli inglesi, 
nè gli americani ancorchè si rammobidiscano, vi riusciranno 
mai felicemente. I francesi ( già è chiaro che il tradurre poe- 
tico non è per me che un accordarsi nel canto col poeta i 
cui versi si traducono } sembrano a ciò più adattati: La-Fontaine, 
Chaulieu , Millevoye e qualch’altro sono i miei testimoni. Con che 
non voglio dire che in Italia qualcuno non siasi , traducendo , molto 
avvicinato ad Anacreonte. Chi ne espresse la facilità, chi ci porse 
qualche idea della vera sua grazia. Un caro giovane ( Carlo Maine- 
ri) che ne stampò nel 1811 una traduzione a Piacenza, ed indi 
a qualch’anno morì ( dimenticato come uno di quegli umili 
fiori di primavera che mandano per un istante un olezzo soave, 
e poi scompaiono fra l’erbe e gli arbusti) fece per avventu- 
ra meglio di tutti. Questa nuova traduzione dei due letterati 
bolognesi è più perfetta agli occhi dell’ arte; la sua, malgrado 
assai mende, è più amabile, più fatta per accrescere il pia- 
cere di quei pochi momenti di dolce follia con cui s’ ingan- 
na da’ mortali questa vita di amarezze . 


La Gerusalemme liberata di Torquato TASSO, ridotta @ 
miglior lezione. Firenze presso Molini 1824, tomi 2 in 8.° 
Credo che questa edizione servirà quindi innanzi di norma 
ad ogni altra che possa credersi necessaria della nostra gran- 


74 


de epopea. Essa è fatta col consiglio e l’aiuto di un lette- 
rato di somma autorità (che per tacere il suo nome non po- 
tè rimanersi occulto ) su quella di Mantova del 1584, con- 
frontata alle altre più riputate, per la correzione de’ luoghi 
in cui fosse corso qualche errore. Le ragioni della preferenza 
data all’edizione mantovana sono lungamente discorse ‘in una 
lettera. erudita dell’anonimo nominatissimo al benemerito sig. 
Molini, che la premette alla sua. f cosa troppo nota, dice la 
lettera, che quell’edizione fu eseguita secondo l’ultimo origi- 
nale del Tasso, con l’assistenza di Scipione Gonzaga, vale a 
dire d'uno de’ più cospicui letterati del tempo suo e insieme 
de’ suoi più iutimi amici, il quale perciò. doveva usare ogui 
cura per ch’ egli ne rimanesse pienamente sodisfatto. Se qual- 
ch’altra edizione potesse disputare il vanto alla mantovana 
dell’Osanna sarebbe la casalmaggiorese del Viotto in 4.° e la 
parmigiana del Bodoni in tre forme diverse. Quanto alla pri- 
ma sappiamo che fa diretta da uomo valentissimo, il qual la 
corresse giusta gli scontri de’ luoghi mutati dall’autore , tra- 
smessigli da vari amici. Se non che altro è correggere di que- 
sto modo, altro è correggere sul manoscritto, a cui l'autore 
ha posto per così dire il sigillo. Difatti mancano in tale edi- 
zione più stanze che il Tasso andò aggiagnendo al poema, ed 
altre se ne leggono che furono da lui rifiutate. Quanto alla bo- 
doniana, certo il nome del Serassi, che la procurò, potrebbe 
farla credere la più autentica di tutte; ma non trovandola corredata 
d’alcun documento che ne giustifichi le lezioni nascono su 
questa sua autenticità de’ dubbi assai ragionevoli. A quali 
mezzi si appigliò il Serassi, onde presentarci quell’ edizione 
della Liberata, che potesse, giusta le sue parole, riputarsi l’ uni- 
ca secondo la mente dell’ autore? All’ aiuto de’ manoscritti, dice 
egli stesso, che ancor sussistono , e al riscontro delle stampe le 
più emendate. Supponghiamo ch’ei parli di soli manoscritti 
originali. Il migliore fra essi era senza dubbio quello , di cui 
si giovò il Gonzaga per l’impressione di Mantova, e non po- 
teva servire al Serassi che per correggere i falli sfuggiti all’ocu- 
latezza di quell’ illustre editore. Ogn’altro manoscrittto ante- 
riore non potea contenere che varianti rigettate dal Tasso, e 
quindi. non riproducibili, che contro la sua mente. Che se 
trattasi di copie, tanto più la loro autorità ci diventa so- 
spetta e per la solita trascuratezza degli amanuensi, e per 
la nota presunzione di chi, vivente il Tasso (si vorrebbe ri- 
dere e non si può ) assunse di correggerne i versi. Quanto 


73 
poi alle stampe, che il Serassi chiama più emendate; o erano 
esse conformi, o erano disformi alla mantovana indicata. Se 
conformi non bisognavano ; se disformi, qual era la loro auto- 
rità per alterare le lezioni tolte dal manoscritto ultimo e più 
autentico ? 

In altra lettera dell’ anonimo, aggiunta a questa edizione 
moliniana, ragionasi delle varianti della Gerusalemme, che 
sulla fede di cinque manoscritti vennero ultimamente pubbli- 
cate dal sig. Cavedoni in un giornale modonese ; e osservasi 
come due di que’ manoscritti essendo anteriori all’ ultimo deb- 
bono considerarsi come rifiutati dall'autore ; e gli altri essen- 
do posteriori sono sospetti di alterazioni arbitrarie. Come pe- 
rò parecchie di tali varianti sembrano all’anonimo non dispre- 
gevoli, ei ne tien conto nelle brevi e succose annotazioni con 
cui illustra all’uopo le lezioni da lui prescelte per la nuova 
edizione. In fine di questa seconda lettera si fa cenno d’un 
ingegnoso lavoro del sig. Gherardini, a cui è piaciuto di 
correggere la Liberata colla Conquistata, come può vedersi 
nell’ ultima impressione di quel poema fatta in Milano dalla 
società tipografica de’ classici italiani. Molti versi, per av- 
ventura , trasportati dal primo poema al poema riformato si 
saranno fatti migliori; ma questa, secondo la lettera , non è ra- 
gion sufficiente, perchè dal riformato si trasportino al primo, 
che fu l’ opera del maggior senno dell’autore, che da lui ebbe, 
come si disse, l’ultima mano, ed ove il cercar menda non è 
tanto utile, quanto può essere pericoloso. 


Consigli di madama FAzRE D’O LIVET ad un’ amica sull’ e- 
ducazione fisica e morale de’ Fanc iulli. Firenze presso 
Batelli 19524 in 16° fig 


Una donna affettuosa e istruita, che richiesta da una gio- 
vane amica vicina a divenir madre come debb ano allevarsi j 
figlivoli, risponde narrando candidamente ,come allevò i pro- 
pri, nè porge consigli che non siano fondati sulla sua espe- 
rienza, sembra che meriti gran fede presso tutte le persone, 
che si trovano nello stato di quella sua amica . Cose utilissime, 
senza dubbio, possono insegnare i filosofi sulla prima educa- 
zione; ma nessuna filosofia è più credibile di quella d’ una 
madre di famiglia, che scrive presso la culla de’ suoi bam- 
bini, e può dire: ecco ciò che mi persuad e ch’io non mi 
sono ingannata diportandomi con loro nella maniera ch'io 


76 

propongo ; l’averli sani, lieti, amorosi, temperanti; sinceri, tali 
insomma che mi promettono ogni consolazione. E questo ap- 
punto è il linguaggio di madama Fabre d'Olivet nel libro 
de’ suoi consigli, ch’è stato ridotto, perchè avesse più effi- 
cacia, a suecoso compendio, con quella cura che sempre si 
userà intorno, alle opere componenti la Biblioteca d’ Educa- 
zione (già proposta dal direttore dell’Antologia ed ora stam- 
pata dal Batelli) di cui esso forma il primo numero. L’au- 
trice, parlando di certe avvertenze che richiede la parte  fisi- 
ca dell’educazione, per non essere prolissa, rinvia |’ amica 
alla medicina pratica dell’inglese Buchan, onde ella medesima 
le ha imparate. Come quell’ opera non è comune fra noi, 
giovava forse notare nel compendio, che potrebbero supplirvi 
gli Avvisi al popolo di Tissot, che da un pezzo abbiamo 
tradotti, benchè alla peggio, com'è il solito delle traduzioni, 
grazie alla pratica di chi le fa, e al giudizio o alla larghezza 
di chi le commette» Sarebbe forse questo il momento di dar 
li ritradotti con sobrie e chiare annotazioni, che li rendessero 
più sicuri e più utili. Essi costerebbero certamente ad un 
editore qualche cosa di più che la cattiva versione di un cat- 
îivo romanzo o la riproduzione di qualche goffo libro, testi- 
monio della goffaggine volgare se è comperato, a cagione che 
questa goffaggine si prolunghi. Ma io suppongo che l’ editore 
possa donar volentieri una lieve porzione di guadagno al pia- 
‘cere di contribuire anch'egli alla popolare educazione. 


Canzoni del conte Giacomo LEOPARDI. Bologna presso Nobili 
e.C 31824: cip 12° 


3) Con queste canzoni, dice l’ avviso che vi è premesso, l’ au- 
tore s’ adopera dal canto suo di ravvivare negli italiani quel tale 
amore verso la patria, dal quale hanno principio , non la disub- 
bidienza, ma la probità e nobiltà così de’ pensieri come delle o- 
pere. ;, Con che profondo sentimento ei le abbia scritte, appena 
sapremmo darlo ad intendere in un’ epoca , in cui di profondi 
sentimenti non ci sembra di scorgere più traccia. Noi ci figuria- 
mo la moltitudine leggente , che nella canzone per una sorella 
che va a nozze si avviene in questa strofe: 

O miseri o codardi 

‘ Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso 
Fra fortuna e valor dissidio pose 
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi 


uti 

N E ne la sera de l’ umane cose 

Acquista oggi chi nasce il moto e ’l senso. 

AI ciel ne caglia: a te nel petto sieda 

Questa sovr’ ogni cura, 

Che di fortuna amici 

Non crescano i tuoi figli, e non di vile 

Timor gioco o di speme : onde felici 

Sarete detti ne l’ età futura; 

Poichè (nefando stile 

Di schiatta ignava e finta ) 

Virtù viva spregiam, lodiamo estinta. 
La moltitudine non crederà forse agli occhi proprj, tanto questa 
strofa ci porta lungi dai bei colpi che Amore fa con lo strale 
d’ oro, dai bei legami che Imene forma con intrecci di rose, dal- 
la pronuba Giunone che prepara non so cosa per l’ augurata 
prole , e dall’ altre ricantate inezie , con cui si seguita a far 
mostra di pensare e di sentire, mentre e da chi scrive e da chi 
legge non si fa che dormire. Non ayvi quasi strofa nelle canzoni 
che annunciamo, la quale non scuota'l’ anima gagliardamente, se 
l’anima ha conservato qualche vigore . Ma per la moltitudine 
queste canzoni son oggi sì forti, che produrranno piuttosto stu- 
pore che commozione . Chi sia stato fra i poeti il maestro del 
loro giovane autore non è facile congetturarlo. Poichè , mentre 
si direbbe quegli che cantò Ztalia mia benchè ’! parlar sia in- 
darno; il pensiero corre all’ altro, che gridava: Ahi serva Italia 
di dolore ostello in que’ versi del sesto del Purgatorio, che non 
si possono ripetere senza pianto. E anch'egli il nostro giovane poeta 
si cinge spesso di certa nebbia come il sacro Alighieri; il che non 
osiamo asserire se per prudente elezione o per naturale inclina- 
zione dell’ingegno. Ma della sua lirica, se non nuova , certo pei 
tempi nostri maravigliosa , ragionerà presto con appropriate pa- 
role un amico suo, e nuovo collaboratore di questo giornale, Pie- 
tro Giordani, dinanzi a cui è sì grato tacersi quand’ egli vuol 
essere ascoltato. 


Della morte di GIULIETTA e Romro lettera critica di FiLiPpPO 
ScoLari. Venezia, tip. d’ Alvisopoli. 1824. in 8.° 


Nazionali e stranieri, tratti da pietoso sentimento , visitano 
in Verona il sepolcro de’ du: amanti infelici, i cui casi fatti co- 
noscere al mondo dai nostri viovellatori, fornirono a Shakespeare 
il tema di sì commovente tragedia . Una voce intanto , che po- 


78 
trebbe credersi la voce della critica severa , giugne alle loro o- 
recchie tacciandoli d*insania , e chiamando favolosa invenzione 
ciò che tanto li commove. Dante, il cantor della Pia e della Fran- 
cesca, il poeta istorico dell’ Italia contemporanea ( dice loro que- 
sta voce ) Dante che pur nomina le discordi famiglie dei due 
amanti, non fa degli amanti merdesimi alcun cenno : i cronisti 
veronesi, meno lontani dall’ età di questi due sventurati, osser- 
vano anch’ essi a lor riguardo um profondo silenzio non facile a 
spiegarsi quando la memoria de”loro casi doveva essere sì viva 
e sì popolare: il solo storico, clae ne parli, è posteriore ai due 
amanti di due secoli e mezzo ; e le sue parole son tali che ac- 
crescono le nostre dubbiezze anzichè stabilire alcuna certa opi- 
nione. Al che l’ autor della lettera risponde, che Dante gridando 
con tanta passione ad Alberto imperadore : vieni a veder Mon- 
tecchi e Cappelletti ben fa sentire di alludere al tragico avve- 
nimento di Giulietta e Romeo, cui la frase da lui adoperata ba- 
stava allora a rappresentare; che il silenzio dei due cronisti Zagatta 
e Moscardo nulla prova, poich’ essi tacquero d’ altre cose im- 
portanti e che sono per tutti i critici evidentemente provate; 
che lo storico Dalla Corte, chiamato dal Maffei ricercatore dili- 
gentissimo de fatti antichi della sua patria , quanto meno dice 
tanto più fà intendere , poichè ben si vede ch’ egli non impiega 
poche parole se non perchè gli supplisce la popolare tradizione. 
Quindi aggiunge ch’ ei deve considerarsi, qual interprete di Dan- 
te riguardo al verso citato, come lo è riguardo a questi due versi 
Qual è quella ruina che nel fianco — Di quà da Trento l’ A- 
dige percosse, non ancora spiegati da’ commentatori, e chiarissimi 
per questo passo della sua storia veronese: nel giorno 20 giugno 1309 
gran parte del monte sopra la chiesa verso Verona ruinò senza 
che alcuno s° accorgesse di tremuoto o d'i vento . Il Porto, se- 
guita l’autor della lettera, che scriveva poco prima che il Dalla 
Corte , e il Bandello che scriveva conteraporaneamente a questo 
storico non si davano già per inventori di ciò che forma il sog- 
getto delle loro novelle, ma ne parlavano come di un fatto, che 
era pervenuto fino a loro per mezzo clella popolare tradizione, 
e che meritava d’ essere tramandato cogli scritti alla posterità. 
Ma le circostanze di questo fatto, dice la voce degli oppositori, 
sovo-o scure o inverosimili. Non tu'tte, replica l’ autore della 
lettera , e si fa ad esporlo in mani era assai chiara e naturale, 
secondo i costumi e le idee de’ te pi a cui si riferisce. I no- 
vellatori, ei riflette, avidi del mera viglioso poco curarono il vero, 
e amplificarono il racconto per 7.enderlo più piacevole; lo storico 


79 


sapendo di narrare cosa notissima, trascurò le particolarità ; e 
per mon riuscir noioso a’ contemporanei corse rischio d’ essere 
meno inteso da’ posteri. Confrontando |’ uno agli altri , pesando 
su nuova bilancia gli argomenti che confermano o contradicono 
le loro parole , ei pensa di aver posta fuor di dubio |’ autenti- 
cità di un fatto che ci è penoso il credere, e il discredere ci sa- 
rebbe ancor più dispiacevole. 


Odi italiane di ANTON MARIA CANELLA. Roma presso de Ro- 
manis 1824. in 8.° 


Pericolosa smania di poetare , divenuta in Italia, malgrado 
qualche speranza di guarigione ; una vera malattia incurabile! 
Così i mostri giovani che avendo ingegno, e applicandolo a studj 
esatti, ne trarrebbero profitto per sì e per gli altri, lo consumano 
inutilmente, e corrono rischio di non andare per tutta la vita se 
non dietro le vanità. Gli applausi, che riscuotono da chi o non 
ha più giudizio di loro o li inganna, sono cagione che sempre 
più traviino, e movano altri ad imitarli ; ed ecco come si trova 
fra noi sì scarso sapere e tanta pretensione ; sì poco gusto pel 
vero e tanto amore per le inezie ; di che soffre tutta la società. 
Noi ci guarderemo bene dal renderci complici di tale sciagura 
incoraggiando mal a proposito chiunque si presenti in sulla via 
poetica, e la sincerità vuole che si consigli a batterne un’ altra. 
I veri poeti zion furono mai che pochissimi ; più pochi ancora 
saranno in futuro, perchè l’ impero della imaginazione si va sem- 
pre più restringendo, e il brillarvi richiede ormai sovrumane fa- 
coltà. Si dilata intanto l’ impero della ragione, aperto a tutti, e 
bisognoso dell’ opera di tutti. Non si acquista in esso una ripu- 
tazione sì facile came quella che i giovani credono di acquistarsi 
con alcune inezie rimate ; ma questa riputazione è tanto più si- 
cura, e più degna di un nobile carattere, il quale per gustarla ha 
bisogno d’ averla meritata con utili fatiche. 

Il nostro franco linguaggio, quantunque da noi usato in un 
senso affatto generale, potrebbe sembrare oltraggioso non che se- 
vero all’ autore dell’ odi che qui annunciamo. Pure ce lo sugge- 
risce la stima ch'egli ci ispira con alcune idee e alcuni senti- 
menti che le sue odi racchiudono, onde pensiamo con più dolo- 
re alla sorte infelice d’ Italia, piena di giovani ingegnosi, e piena 
ad un tempo di opinioni che distraggono questi giovani dalle 


scienze , in cui potrebbe,ro distinguersi con tanta loro e sua u- 
tilità . 


80 


La scienza del costume in ispecie , nella quale pur troppo 
siamo oggi inferiori a tutti gli stranieri, perchè sembrerebbe in- 
degna di chi ha spirito più vivace? Dopo aver bene osservato gli 
uomini, onde giugnere in tale scienza a qualche buon risultato, 
perchè non si potrebbe dipingerli a correzione de’ loro vizii e ad 
incoraggimento della loro virtù? La fantasia ed il cuore sareb- 
bero dunque così male impiegati nel comporre commedie e ro- 
manzi o altri scritti ricchi d’ invenzione e d’ ammaestramento per 
la condotta della vita? Noi non abbiamo qui tempo d'’ internarci 
in questo pensiero ; ma ci piace averne fatto un cenno all’ autore 
dell’ odi, il quale, se mal non argomentiamo da qualche sua ri- 
ga di prosa, offertasi accidentalmente al nostro sguardo , avreb- 
be forse talento per la pittura morale . Chiunque lo riconosce 
in sè stesso, lo alimenti, il preghiamo, di studj e di virtà ; e lo 
adoperi a bene della nostra patria comune. 


Elogio di LuiGI BELLO, scritto da ANTONIO CAZZANIGA | 
Elogio di Luigi BELLÉ scritto da SANTO Rossi rta 
mona presso Manini 1824. in 8.° 


Versi elegiaci tributati alla sua memoria dal conte FoLCHINO 
ScHizzi, Milano presso Bernardoni 1824. in 4£ 


Bellò fu un aureo latinista di questi tempi, cosa piuttosto 
rara che importante; e fu un galantuomo ancor più aureo, co- 
sa rarissima e importantissima . La sua vena virgiliana è cono- 
sciuta da molti anche fuori delle terre lombarde;la sua virtù sin- 
cera meriterebbe d’esserlo da tutta l’ umana famiglia. A_memo- 
ria d’ uomini, ci diceva mesi sono un foglio publico , non s’ era 
mai veduta nella sua patria tanta commozione, come quella che 
si vide per la sua morte. Tutti aveano ragione di stimarlo e di 
amarlo, poichè quasi tutti ne aveano ricevuto del bene. In cin- 
quant’ anni, parte d’ insegnamento, parte di presidenza ai publici 
studj , a cui unì per qualche tempo il segretariato or d’ una or 
d’ altra magistratura , egli avea provato ad evidenza quel che 
possa una mente illuminata e un cuor buono, Di questo suo cuore 
ne sapeva qualche cosa anche l’ infimo volgo, a cui in tempo di 
fame egli avea dato pane, privandosi dell’ unico piacere della sua 
vita, i bei quadri e le belle stampe , di cui era dilettantissimo 
egualmente che intendentissimo. Quindi il suo sepolcro è bagnato 
dalle lacrime d’ ogni ceto, come la sua memoria è onorata dagli 
encomi degli studiosi. I tre che annunciarno, due in prosa ed uno i 


SI 
versi sono gli unici pervenuti alle nostre mani. Il primo è più 
compendioso, e sembra di penna giovanile ; il secondo è più co- 
pioso , e apparisce di penna più esercitata , Quello iu versi si 
distingue per ingenuo affetto, e quindi per molta facilità. Servi- 
rannò, non ne dubitiamo , a tener viva l’ imagine di un uomo, che 
i più giovani fra’ suoi concittadini si vanteranno un giorno d’ a- 
ver conosciuto ; e a cui ì migliori brameranno di somigliare. 


Versi d’ AntoNIO NutI. Firenze presso Molini 1824, primo 
volume in 12. 


L’ indole di questi versi è espressa nella loro epigrafe: 
+ + + + + «+ + + io mi son un che, quando 

Amore spira , noto, ed a quel modo , 

Che detta dentro, vo significando. 
Consecrati agli affetti di famiglia, par ch’ essi non abbiano altra 
ambizione che d'esser letti in famiglia; e dettati, si può dire, 
senza verun’ arte, pare che aborriscano d’ essere giudicati con 
alcuna regola dell’ arte. Votrebbe taluno censurarli? scrive 1’ au- 
tore in un’ epistola , con cui li raccomanda alla sua sposa , che 
n° è l'argomento principale : 

alano dl ta mio sentiero 

A volar seguitando ed a cantare 

Lascerò mi ditenda il ver che strada 

Si fa tra gli urti de’ pensier diversì, 

E d’ invidia trionfa e dell’ errore. 

Egli per me dirà, ch’ io la natura 

Intesi sola, e da lei penne tolsi 

E imagini e sospiri e affetti e voci. 
Una sola cura egli asserisce d’ essersi data, ed è intorno alla lin- 
gua , che dal suo presente corrompimento bramerebbe ridurre 
alla nativa purezza. Non per questo, com’ egli si esprime in al- 
tra epistola proemiale , si pose a calcar |’ orme d’ alcuno de’ no- 
stri classici, ma ossequiandoli tutti amò meglio andar solo. 

Di vessillo nessun me per tal modo 

Seguace scorgi e di niun padre figlio. 

Figlio sono d’ Italia, del vessillo 

Son d° Italia seguace; e me pur arde 

Zelo della sua gloria, e me pur move 

Desio di farla de’ suoi fati degna; 
di quei fati, egli intende, che le diedero per formatori della sua 
lingua i famosi che tutti sanno. Di questo nobile desiderio, ch’ e- 

T. XVI. Dicembre 6 


82 


— gli ci manifesta nel primo volume de’ suoi versi, forse si è ri- 
serbato di darci più chiara prova ne’ due che seguiranno, ed ove 
ci si dice ch’ ei narri avvenimenti illustri della nostra città. 


Volgarizzamento di una lettera e due capitoli della solitu- 


dine di Zimmermann . Piacenza presso Del Majno 1824» 
in 8. 


La lettera è quella sì tenera con cui il medico annoverese, 
che consolò gli ultimi istanti del gran Federico, dedicava ad una 
cara amica la sua opera più bella, da cui Caterina negli istanti 
del dolore trasse le consolazioni che non poteva darle il trono. 
1 due capitoli son quelli, ove si tratta di ciò che porta gli uo- 
mini a cercare la società , e di ciò che li ritira verso la solitu- 
dine, da cui l' opera, che accennavasi , è intitolata. Il loro vol- 
garizzamento ci sembra fatto non solo con perizia ma con ele- 
ganza . E quanto loro premette il giovane volgarizzatore ( Carlo 
Anelli) ci discopre fin lui una felice disposizione per lo studio 
delle scienze morali. Noi quindi lo esortiamo ad applicarvisi con 
tutto l’ animo, pensando che di nessun altro studio si abbia fra 
noi eguale bisogno, e che nessun altro possa da chi è buono es- 
sere più volentieri coltivato. 


Epistola di Pier ALESSANDRO PARAVIA alla contessa LAVINIA 
VERMIGLIOLI ObDI. Perugia ( per quel che pare ) presso Co- 
stantini, foglio volante. 

e 
Se non fosse qualche verso sovrabbondante, qualche imagi- 
ne non bene scelta, qualche parola non abbastanza poetica, que- 
st’ epistola si chiamerebbe squisita . Sembra scritta alla scuola 
di chi faceva a Lesbia il famoso invito , e d’ un altro maestro 
ancor più gentile, che non fa inviti in versi, ma ne detta di te- 
nerissimi. Essa spira un affetto soave che penetra Il’ animo di chi 
legge , e gli fa sentir compassione del giovane autore , il quale 
esclama: 
Ah! mentre un’ ineffabile dolcezza 

Tutte del tuo bel cor le più riposte 

Fibre ricerca, e tacita lusinga, 

Qual vita estimi che dall’ Adria in riva 

Tragga o Lavinia il tuo lontan poeta ? 

Colla qual citazione crediamo di dare qualche piacere all’ autor 

medesimo, poichè contiene una rettificazione per lui importante, 


85 
essendosi nel foglio che abbiamo sottocchi, invece di poeta, stam- 
pato paese, di ché non cavasi verun senso. 

L’ Cpistola piena di dolci rimembranze, richiama, dei qua- 
si con più lungo sospiro , quella di una notte d’ estate, passata 
sulla laguna di Venezia, in occasione di una festa o sagra, co- 
m’ ivi si appella , che il poeta ci descrive. Fra i canti popola- 
ri di quella notte, Za liondina in gondoletta d’ Antonio Lamberti, 
il Catullo del dialetto veneziano, come l’autore lo chiama, a- 
vea diritto ad una particolar menzione: 

+. ++... ma il gentile orecchio 

Prego tu assenta alla canzon che narra 

D' una bionda beltà che in notte estiva 

Al suo poeta si dormiva in braccio. 

Del pensoso britanno, il qual frequente 
} Naviga per quest’ onda, entro a’ ritrosi 

Del cor meati penetrò più volte 

La facil nota, che alle grazie aggiunta 

Del veneto idioma immortal feo 

Colla bionda beltade il suo poeta. 

Ci dispiace che le angustie d’ una rivista non ci permettano 
altre citazioni. Potremmo farne d’ assai più leggiadre, e riconci- 
liarci un poco quelli, che forse ci accusano di avversione alle cose 
poetiche, quando veramente la nostra avversione non è che pei 
versi cattivi.’ 


La Crisi del matrimonio, commedia în versi di LuiGI PeELLI- 

co. Torino stamp. reale 1824, in 8° 

L’ autore premette alla sua commedia un ragionamento , in 
cui cerca mostrare che il linguaggio di Talia non deve andar 
sciolto da metro niente più di quello di Melpomene. L’ opinione 
contraria, qualunque specioso argomento le si dia in appoggio, è 
al parer suo figlia dell’ infingardaggine , ed ha contribuito non 
peco ad avvilire la commedia fra noi. Onde rialzarla, ei non ve- 
de nulla di meglio che rimetterla in mano de’ veri poeti, i qua- 
li non copiano ma imitano (il che è ben differente ) la natura 
merale come la fisica, adoperando uno stromento loro proprio 
ed essenziale, la versificazione. Ma ove questa, egli dice, non fos- 
se all’ italiana commedia necessaria per altro, lo sarebbe per u- 
scir: da tutte le incertezze, a cui per riguardo allo stile va sog- 
getta la prosa. Lo stile della poesia, com’ egli si esprime, è uno 
per tutta Italia; mentre quello della prosa è ancor soggetto di 


34 
tante dispute. Se non che egli forse non ha ben riflettuto che lo 
stile della poesia comica , differente da quello d’ ogn’ altra, non 
si trova finora che nell’ idea d’ alcuni gentili spiriti; e che, do- 
vendo essere una imitazione del linguaggio familiare, bisogna che 
prenda a modello il linguaggio di quell’ unico popolo d’ Italia 
che parla insieme regolatamente e vivacissimamente . Io voglio 
coll’ autore e con quanti in Francia oggi danno nuovo lustro al 
teatro comico, che si lascino ormai da parte le caricature, e che 
si dipingano in esso le ridicolezze di carattere , quelle che pro- 
vengono di vizii del cuore e dalla falsità del giudizio. Ma le ri- 
dicolezze di questa specie quanto meno son facili a dipingersi, 
tanto più hanno bisogno di uno stile pronto, evidente, finissimo; 
quanto meno son fatte per eccitare un riso plebeo, tanto più han- 
no bisogno d’ uno stile grazioso , festivo , pieno di sali, o per 
dirlo in una parola di urbanità. Ora 1’ urbanità ha una sede ; i 
libri meglio scritti non ne ritraggono mai che una picciolissima 
parte; bisogna dunque stadiarla alla sua fonte, e conformarvisi 
crivendo commedie, sotto pena non solo d’ esser chiamati bar- 
bari, ma di dire tutt’ altro che quello che si vorrebbe, e di ve- 
dersi mancare al maggior uopo ogni brio, ogni lepidezza ch’ è 
l'anima dello stile comico. L'autore deve aver conosciuto per 
propria esperienza la verità di ciò che dice Machiavello (o chiun- 
que sia lo scrittore del dialogo sulla lingua a lui attribuito ) che 
chi non abbia familiari i motti e i termini di quel popolo, che 
solo in Italia ha diritto di dar norma alla lingua, farà, scriven- 
do commedie , quasi una veste rattoppata , una cosa manca e 
senza perfezione. ,, Ed a provar questo, ei soggiugne , io voglio 
che tu legga una commedia ; fatta da uno degli Ariosti di Fer- 
rara, e vedrai una gentil composizione, e wno stile ornato ed or- 
dinato ; vedrai un nodo bene accomodato e meglio sciolto ; ma 
la vedrai priva di quei sali che ricerca una commedia tale, mn 
per altra cagione che per la detta, perchè i motti ferraresi nn 
gli piacevano , ed i fiorentini non sapeva, talmentechè li lasciò 
stare . ,, Le quali parole ci sembrano in gran parte applicabili alla 
Crisi del matrimonio , ben ideata; bem intrecciata, ben verstg- 
giata, ma quanto a proprietà e festività molto mancante. L’iu- 
tore, per dar pure qualche ameno colore al discorso de’ suoi yer- 
sonaggi, non s’ è egli veduto forzato a supplire coll’ ingegno al- 
l’ abitudine, a trarre talvolta i suoi motti da cose straniere al- 
l’ intelligenza comune , a crearsi maniere si direbbe arrischiate 
e però quasi sempre inefficaci? Poi ch'egli mostra di avere per 
la buona comediazun distinto talento, e si sente animo di rihia- 


85 
marla al naturale suo seggio fra gli altri generi d’ utile poesia, 
si accinga a darle ad un tempo (per quanto lo può un solo scrit- 
tore ) quello stile che serva a tutti i suoi bisogni, e meriti d° es- 
sere preso per norma. Giovando alla commedia, egli gioverà così 
alla lingua nazionale, che finora è un ente metafisico, poichè 1’ I- 
talia, tranne la Toscana, non ha che dialetti rifiutati dagli scrit- 
tori ; e allora solo avrà lingua propria , quando , lasciati i vari 
dialetti all’ infimissima plebe, parlerà la lingua che i suoi scrit- 
tori più o meno felicemente cercano in prestito agli scrittori 
della Toscana. 


Opere di Pietro GIORDANI. Italia 1821-24, tomi 14 in 12.° 


Lo studio delle parole avea fatto trascurare quello delle co- 
se, come se le une potessero avere qualche valore senza le altrei 
lo studio delle cose , a vicenda , avea fatto disprezzare quello 
delle parole, come se le prime potessero ben rappresentarsi alle 
menti, senza l’ aiuto delle seconde, Si credeva da molti o si af- 
fettava di credere che questi due studj fossero incompatibili fra 
loro; e così si aveva una letteratura vuota e una scienza ispida, 
una letteratura e una scienza senza vero linguaggio, poichè 
questo non consiste uè in suoni insignificanti nè in espressioni 
fortuite, ma nella più chiara, più propria e più efficace mapnife- 
stazione di giusti e importanti pensieri. Parecchi di sana mente 
si sforzavano di provare che i due studj non solo non erano in- 
compatibili, ma erano necessari l’ uno all’ altro, e di mostrare 
col proprio esempio come potevano andar congiunti. Ma era ser- 
bato per avventura al nostro Giordani il darne uno più persua- 
sivo di tutti; ciò che argomentiamo dall’ ansietà con cui si cer- 
cano i suoi scritti (a cui spesso la stampa non è sufficiente ) e 
da quelli alla cui gracilità di spirito gli avremmo creduti di so- 
stanza troppo forte, e da quelli alla cui robustezza gli avrem- 
mo creduti di forma troppo gentile. Il cominciamento della loro 
collezione fu già soggetto di discorso all’ Antologia ( vedi volume 
terzo pag. 112) la quale ha sempre vagheggiato nelle produzioni 
letterarie l’ accoppiamento della gentilezza e della forza, del buon 
raziocinio e della buona dicitura, e sempre si è studiata di con- 
tribuirvi. Il compimento di questa collezione è ben naturale che 
sia per lei soggetto di più esteso ragionamento . Per ora le è 
d’ uopo accontentarsi di un semplice annuncio, il quale per al- 
tro le riesce piacevolissimo , potendo aggiugnere che di qui in- 
nanzi non usciranno scritti dalla penna dell’ egregio autore, che 


$6 
non siano, prima che per altra via qualunque, presentati al 
pubblico nelle sue periodiche compilazioni. Di questi nuovi seritti 
si faranno poi a suo tempo nuovi volumi di appendice alla pre- 
sente collezione, che col discorso del bravo conte Marchetti 
sull’eloquenza italiana e i suoi restauratori deve considerarsi 
terminata. 


Memorie per la vita del cav. GIusEPPE ERRANTE raccolte da 
FRANCESCO CANCELLIERI. Roma presso Bourlié 1524 in 8.° 


L’ Errante nacque in Trapani del 1760, visse a lungo in 
Napoli ed in Milano, e morì in Roma del 1821. Fa buon uo- 
mo, senza cupidigia e senza ambizione ; e lavorò molto e bene. 
Non so se possa chiamarsi il migliore de’ pittori siciliani ; ma 
credo che si chiamerà facilmente il più grazioso . L’ autore 
delle memorie per la sua vita racconta di certo suo rivale, che 
baciò inginocchiandosi non so quale sua tavoletta, mostratagli 
dal conte Sommariva come cosa antica, e protestò che ron po- 
teva essere che del divino Correggio. Il conte dopo questo fat- 
to, di cai fu lietissimo, commise all’ Errante un gran lavoro, 
il quadro cioè del Contorso della bellezza, che 1° autore delle 
memorie chiama il più insigne fra quanti ne abbiamo del suo 
pernello. L’ ho considerato a mio agio l’ anno scorso in quella di- 
rei quasi regia dell’ arti ove si trova sulla destra del Lario; e 
ne ho presa molta ammirazione. Confesso peraltro che quel giu- 
dice della bellezza in esso dipinto, nell’ atto di accostare il com- 
passo alla spalla sinistra della più vaga delle crisofore aduna- 
te nel tempio di Cerere, non mi è sembrato un pensiero fe- 
lice, Meglio 1’ altro giudice, tutto raccolto in sè medesimo , co- 
me chi confronti ciò che ha dinanzi agli occhi con un modello 
che gli sta nella mente. Del resto in un quadro sì bene idea- 
to, e trattato con cura squisita, manca a parer mio una cosa 
essenzialissima, l’ estasi cioè prodotta dalla contemplazione della 
bellezza; onde non so se si possa. partirne affatto contenti. Con- 
tentissimi, invece, si partiva molti anni addietro dal ritratto del- 
la Bella Poverina, che ignoro da chi oggi sia posseduto; ma non 
oserei asserire che più sentimenti estranei a quello della pittu- 
ra non contribuissero alla nostra contentezza. Perocchè si cono- 
sceva da parecchi la fanciulla dipinta, e sapevasi da tulti. che 
il ritratto l’avea da pericolosa povertà condotta ad onestissima 
fortuna . Di questa e dell’ altr’ opere dell’ Errante , varie delle 
quali hanno celebrità in tatta Europa, 1’ autore delle memo rie 


87 

ci ragguaglia minutamente, e aggiugne al suo solito una specie 
di commento erudito al proprio testo inserendovi quanto sti- 
ma opportuno ad illustrarlo. Agli studiosi che vivono e che 
vivranno debbono fare gran comodo le diligenti compilazioni del 
nostro agtore, ove si lascia desiderare la scelta piuttosto che 
dti Fra sei o sette altre, quasi contemporanee alle 
memorie , ne distinguiamo una che porta il titolo di prospetto 
della storia de’ Lincei. L’ accademia, che da questi si denomina , 
è la più antica delle accademie scientifiche d’ Italia. Non è molto 
che l’ effigie del suo fondatore scolpita da valente donna, la si- 
gnora Benincampi, ebbe | onore del Panteon; e può vedersi ciò 
che in tale occasione scrisse nel giornale arcadico l’elegante Per- 
ticari. Il prospetto istorico del dotto Cancellieri viene molto 
opportunamente dopo l’ inaugurazione di quell’ effigie. 


Storia d’ Jtalia dal 1789 al 1814 scritta da CARLO BOTTA 
Italia 1824. in 82° in 12.° e in 16. 


Otto edizioni contemporanee, che si fanno di questa  sto- 
ria fra i brevi confini d’una sola parte d’ Italia, mostrano con 
quanta ansietà essa fosse da noi aspettata. Quanto poi essa 
abbia sodisfatto all’ aspettazione si dirà schiettamente, allor- 
ché le edizioni, che annunciamo, saranno finite, e il giudizio 
publico avrà avuto tempo di manifestarsi. Molte voci ne per- 
vengono ogni giorno all’ orecchio, secondo le quali bisognereb- 
bero supplimenti e varianti in buon numero alle narrazioni dello 
storico. Può darsi che assai cose egli abbia sapute ma non ac- 
cettate per vere; può darsi che assai altre ei ne abbia ignorate. 
Sarebbe dunque giovevolissimo l’ andar notando ciò che si cre- 
de mancare all’ integrità , o all’esattezza di quelle narrazioni, 
perch’ egli possa valersene in una revisione, che |’ amor della 
patria egualmente che l’ amore del vero non tarderà a consi- 
gliargli. Importa troppo al bene di questa sua patria ch’ ella 
miri in uno specchio sincero tutta la serie de’ suoi casi nell’ e- 
poca più importante della moderna sua storia, e ne vegga chia- 
ramente le cagioni e gli effetti. Nuovi documenti potrebbero 
condurre l’ autore a considerar più cose sotto nuovi aspetti, e 
ad esporle con nuovo ordine e nuovi colori. Quando non st 
adorano le opere generose, e non si ha un orror santo per le 
vili, noi pure diciamo con lui ( vedi il suo libro duodecimo ) nor 
so perchè si scrivano storie. Fra l’ insufficienza per altro o ?' in- 
certezza delle notizie, e il linguaggio contradittorio delle pas- 


88 


sioni qual pericolo non corre; chi scrive le storie de’ contem- 
poranei di adorare o di abbominare senza causa o senza  misu- 
ra; di lodare ciò che biasimerebbe o di biasimare ciò che lo- 
derebbe se meglio ne conoscesse le relazioni; di anticipare infi- 
ne l’ approvazione o la condanna , interpretando le intenzioni 
‘dall’ esito, e spiegando i fatti antecedenti dai susseguenti di un 
ordine affatto diverso! Una delle. maggiori doglianze, che abbia- 
mo sentito fare contro la storia. del nostro Botta, è quella che 
vi si trovano giudizi preposteri, i quali non potendo attribuir- 
si a difetto di sagacia, si è costretti di attribuirli a qualche non 
volontaria. preoccupazione. Ragionevolissimo sembra al confron- 
to l’ avvedimento di chi ci ha dato pur dianzi la storia della 
rigenerazione della Grecia, il quale, parlando del. Giugurta del 
moderno Epiro e di altri capi famosi, rigetta ogni suppo- 
sizione quantanque accreditata, e non mostra di saper nulla del 
futuro quando narra il presente. Cosa nasce da cosa, ora per 
più breve, ora per più lunga via; ed è officio della storia il 
metterci chiaramente sott’ occhio questa derivazione, a cui non 
può dar lume quello che ancora non si dice avvenuto, ma ben lo 
dà vivissimo l’ arte di collocare il presente in faccia al passa- 
to. Come la storia del nostro Botta, meritamente lodatissima 
per insigni pregi, e veramente per noi preziosa; adempia a 
tale officio, si vedrà a suo tempo. Intanto non possiamo dis- 
simulare un’ altra grave lagnanza che si. move contro di essa, 
e racchiude forse 1’ antecedente, cioè che non vi si trova ba- 
stante spirito analitico; e quindi mon vi si trova tutta J’ istru- 
zione che in essa da noi si ricerca. Questa lagnanza, ove sia 
fondata, è ben d’altro momento che quella di un giornale fran- 
cese, a cui non pare ben distribuita la scena della storia medesi- 
ma, ove.al dir suo occupano il primo luogo i popoli, mentre 
dovrebbero occuparlo quelli che loro sovrastano. A quel gior- 
nale probabilmente piacerebbe di più la storia ottomana, di cui 
oi dice l’autore già citato della presente storia de’ greci ch' e/- 
le n’ est remplie que du récit des révoltes des sairapes; e che 
jamais il n° y est question du peuple. Se non che lo storico ag- 
giunge che, giudicando del vero possibile dal vero conusciuto, 
nonsi crederebbe che quello che tale storia racconta esistesse re - 
almente nel secolo decimonono. Non era dunqpe facile al nostro 
Botta il dare alla storia delle ultime cose d’ Italia una somi» 
glianza di forme colla storia immutabile della Turchia. 


4 


39 
Opuscoli del marchese  HAUSS spettanti alle belle arti. Pa- 
lermo, stamp, reale 1823 in 8. 


La raccolta di questi opuscoli contiene il saggio sul Giove 
olimpico e l’ agrigentino, publicato nel 1814, di cui hanno di- 
scorso i più celebri giornali stranieri e nostri; lo scritto dato in 
luce nel 1816 in difesa delle riflessioni d’ un oltramontano sul- 
la Galatea di Rafaello, che l’ autore con quell’ oltramontano crede 
una Venere ; efinfine varj ragionamenti sui vasi detti etruschi, 
sui principj fondamentali de’ greci nell’ arte. del disegno, sulla 
pittura all’encausto, e sugli scamilli impari di Vitruvio. Que- 
sti ragionamenti sono tutti ragguardevoli per non volgare eru- 
dizione. Nel primo, ch’ è il più lungo ed ha forma di picciolo 
trattato, si sostiene opinione affatto contraria alla già esposta 
del cav. Inghirami, il qual vuole che i vasi fittili, distinti col 
nome d’ etruschi, non servissero che ai sepolcri, mentre il march. 
Hauss pensa che servissero insieme agli usi della vita. Ma l’ opinio- 
ne dell’ archeologo toscano ci sembra tanto fondata, che potrebbe 
facilmente diventar l’ opiniene dell’ istesso archeologo siciliano» 


Meémoire sur divers points d’ analyse par GUILLAUME LIBRI, 
Turin imp. royale 1823 in 4° 


L’accademia delle scienze di Parigi, nella sua seduta dei 
9 agosto di quest'anno, dietro rapporto dei sigg. Cauchy e 
Ampere, ha deciso che la memoria qui annunciata si stampi 
fra quelle dei dotti stranieri che meritarono la sua speciale appro- 
vazione. Tale notizia , lusinghiera pel giovane autore, non lo 
è meno per la Toscana sua patria, che lo riguarda come 
uno de’ più distinti ingegni, destinati ad accrescerle il nome, 
che dal Pacioli al Paoli mai non le è mancato anche. nelle 
scienze che chiamansi esatte, e che il gran Galileo ha mo- 
strato come possano coltivarsi insieme alle lettere più amene. 


Il Giovinetto, o i misteri del. cuore e la simpatia. Milano 
presso Giusti, 1824. in 16. 


Da certa mitezza di sentimenti, da certa finezza d’ osser- 
vazioni specialmente intorno ad un sesso per noi sempre un 
po’ misterioso, da certa delicatezza d’espressione che trovi in 
questo picciolo romanzo, ta indovini o lettore che è scritto da 
una donna gentile, Indovini di più o almeno sospetti che è 


90 

scritto da una madre appassionata , la quale rimasta priva del 
più tenero oggetto delle sue cure, di un figlio in cui già 
vedeva adempirsi le sue più belle speranze, cerca di farlo ri- 
vivere per mezzo di un’ ingegnosa composizione . Quindi vorresti 
che il giovinetto fosse in questa non solo il principale pensiero 
di quanti vi figurano, ma l’attor principale; che | ingenuità 
dello stile corrispondesse sempre all’ingenuità dell’ affetto con 
cui siamo chiamati a parte di dolci o di pietose rimembranze ; 
e che nulla si mescolasse di estraneo alla dolcezza o alla pie- 
tà ch’esse ispirano. Gran parte della scena ove il giovinetto 
si rappresenta è sulle rive del Lario, alla cui descrizione si è 
saputo dare non so' quale freschezza, anche mancando la no- 
vità. Se non che ti appariranno pur nuovi o lettore vari par- 
ticolari in essa toccati, e vari nomi, di cui è abbellita, fra 
cui ci piace ricordar quello di Cassandra Giovio, poetessa del 
secolo decimosesto , che forse la brava Canonici s'invoglierà 
di conoscere. Cercando di questa poetessa ella vorrà pur cer- 
care dell'autrice del picciolo romanzo, che alcuni indizi ci 
fanno credere dell’istesso lignaggio . Guardando al carattere 
morale del suo lavoro, ci sembra ch’ella meriti dalla enco- 
miatrice delle nostre donne distinte il vanto di aver mostrata 
una nuova via, in cui l'ingegno feminile potrebbe esercitarsi 
con molto vantaggio del costume e dell’ educazione. 


Elogio del cav. GiuLIO BIANCHI scritto da MASSIMILIANO 
RiccA delle Scuole Pie. Siena presso Porri 1824 in 8° 


Il dolore de’ sanesi per la perdita del cav. Bianchi loro 
governatore e concittadino è stato sentito da tutti i toscani, 
che conosceano le rare doti di quell’ uomo egregio. “ Secon- 
dando , giusta le frasi del suo encomiatore , la benignità dell auree 
massime onde il clemente sovrano volea con placido freno condotti 
i suoi popoli, come figli sotto la tutela d’ottimo padre ,, egli 
ben meritò della patria e dell’intero principato. Usando della 
sua molta saggezza a rendere vie più benefiche quelle massime, 
ben meritò di tutta V umanità. Varie prove ce ne fornisce il 
suo elogio: questa, che trasceglieremo, sembrerà e in Italia e 
fuori degna di particolare considerazione. “ A togliere il que- 
rulo ingombro de’ mendici dalle pabbliche vie ideò tale sem- 
plicità e liberalità di mezzi, che il suo pensiero può presen- 
tarsi quasi perfetto modello a qualunque profondo legislatore - 
Offende il delicato senso dell’umanità il vedere rinchiusi que- 


9I 
sti infelici, che per vivere una vita sempre povera perdono 
il dono sì caro all'uomo, la libertà e i non men cari pia- 
ceri di famiglia. Repugnava all’animo suo tal disciplina se- 
vera: quindi lasciò ad essi libero l’ uso del lor domestico 
tetto, nè li chiamò al generale asilo, comodamente disposto 
ai vari uffizi, che nelle ore diurne , proprie all’ esercizio mo- 
derato di utile lavoro, per esservi insieme nutriti. Con fer- 
ma vigilanza a non permettere il mendicare, col dono spon- 
taneo della carità dei cittadini, con la direzione gratuita di 
personaggi da vera misericordia e religione infiammati, ecco 
ottenuto il gran fine ,,. L' elogista , professore della sanese 
università, ove sono in onore le buone dottrine, lodando il ca- 
valiere governatore Bianchi, paga un tributo particolare di 
gratitudine all’uomo, che mostrò col fatto come quelle dot- 
trine, aggiunte alla rettitudine e alla gentilezza dell’ animo di 
chi governa, riescano salutari ai governati, 


Dei principali trattati di pace, opera del conte GIUSEPPE 
GATTI. Roma presso Bourlié 1824, tomi 2 in 8:° 
L’autore si lagna, e a buon dritto, che nella nostra edu- 

cazione letteraria d’ altra storia non ci si parli che di quella dei 

greci e de’ romani, come se i popoli moderni non avessero 
istoria che meritasse d’essere conosciuta . È ben vero che quei 
greci e que’ romani furono tali uomini, di cui sino a questi 
ultimi tempi non si videro gli equivalenti; e che quanto opera- 
rono ci è troppo vivamente raccomandato da quanto scrissero. 
Ma è pur vero che l’istoria moderna è per noi più importante 
dell'antica, e nel corso ordinario degli studi dovrebb’ esservi an- 
teposta, come si antepone da chi ha giudizio alla. grammatica 
delle lingue , che più non esistono se non nei libri, la grammatica 
della lingua propria e dell’altre, che sono parlate dagli uomi- 
ni con cui abbiamo continue relazioni. Come però un ristretto 
della storia de’ principali trattati di pace possa servire, giusta 
l’intendimento dell’ autore, d’una specie d’introduzione a tutta 
l’istoria moderna, confessiamo di non intenderlo bene. Tanto 
più ch’egli prendendo le mosse dalla divisione dell'impero dopo 
la morte di Carlo Magno, non giunge che al trattato di West- 
falia, da cui siamo ormai lontani due secoli‘ -— Ma questo trat- 

tato, egli dice, fu base al presente sistema politico europeo , e 

a tutti gli altri trattati che lo seguirono fino a noi — Vera- 

mente il trattato di Campo Formio cominciò a variare essen- 


92 

zialmente quel sistema politico , che a lui sembra che aficor 
duri. Veramente il trattato di Presburgo trasportò in occiden- 
te un gran peso della bilancia politica, che quello di West- 
falia avea messo dalla parte di mezzogiorno ; e l'equilibrio da 
quel punto fa rotto. L’ autore sa al par di noi che la principale 
disposizione del trattato di Westfalia ( oltre quelle concernenti i di- 
ritti de’ protestanti in Alemagna e l’ indipendenza della republica 
elvetica ) riguardava la costituzione dell’ impero germanico . 
Ora col trattato di Presburgo, di cui la dichiarazione della 
dieta di Ratisbona fu indispensabile corollario, l’impero ger- 
manico venne sciolto per dar luogo alla confederazione del Re-a 
no, composta ben diversamente e a tutt’ altro fine che il pri- 
mo. Soggiungerà l’autore che ’l trattato di Parigi o il con- 
gresso di Vienna, che n’è per così dire il commento, ha 
ripristinato l’ impero sotto il titolo di confederazione germanica? 
Quel trattato se non c’inganniamo ha fatto per l’Alemagna mol- 
to di più, che ripristinare l’ impero: ne ha creato uno affatto 
nuovo, come ha creato per l’ Europa un nuovo sistema, che 
al tempo del trattato di Westfalia non poteva neppure esser 
concepito. Quindi ci dispiace di non vederlo coronare la serie 
degli antecedenti trattati nell’ opera che annunciamo, poichè lin 
esso propriamente è la base di tutti i trattati successivi, e dell’at- 
tuale nostra politica esistenza. 


Viaggi d’uno Studente nelle cinque parti del mondo , scritti 
dal sig. DEPPING: Firenze presso Batelli, 1324, tomo 
primo in 16. 


Questo volumetto, che sarà seguito da due altri, forma il 
secondo numero della Biblioteca d’ Educazione, di cui più so- 
pra si è parlato, e la cui pubblicazione è da sperarsi che or- 
mai s’inoltri con celerità. Il nome del sig. Depping, già cono- 
sciuto per diversi lavori geografici molto istrattivi e non meno 
aggradevoli, lo raccomanda abbastanza. Si finge in esso che un 
giovane studente, lasciati i libri legali non conformi al suo in- 
gegno , si dia col paterno consenso, agevolatogli da alcune ra- 
gioni di famiglia, a percorrere il mondo, e ci descriva i luoghi 
che vede e queilo che gli è narrato degli altri che non vede. 
Verosimili accidenti sono cagione di verosimili viaggi; e da ve- 
rosimili viaggi nasce motivo di verissime descrizioni. Un artifi- 
zio così semplice fa che la curiosità del lettore sia di continuo 
eccitata , e si formi nella sua mente, quasi senza sua saputa mi 


93 
eon molto suo diletto, una imagine se non profonda, nemmeno 
affatto superficiale, di tutto ciò che è l’ oggetto della geografia. 
Poichè il nuovo lavoro del sig. Depping non solo, paragonato 
ai soliti trattatelli per la gioventù, è di gran lunga superiore 
pel modo con cui introduce alla cognizione della scienza, ma 
altresì per la ricchezza e la scelta delle cose , di cui abbellisce 
la scienza medesima . La traduzione che, siccome voleva l’in- 
dole delicata della nostra lingua, si studia di aggiugnergli ele- 
ganza quanto allo stile, si studia pure di accrescergli compi- 
tezza quanto al rimanente ; ciò che potrà vedersi in molte sue 
parti e specialmente in quella che riguarda l’Italia. Se non che 
sarebbe stato desiderabile che una tal parte venisse del tutto 
rifusa, onde liberarla dalla necessità delle note, e darle coll’al- 
tre una più perfetta armonia . 

Era stato promesso, come corredo al volumetto che annun- 
ciamo, un buon mappamondo; e ci fa sorpresa il trovarne 
di faccia al suo frontespizio uno sì povero, che appena baste- 
rebbe a’ rudimenti geografici, che si pongono in mano de’ fan- 
ciullini. Buon per noi che i piccioli atlanti ad uso della gioven- 
tù sono divenuti di facile acquisto. Senza l’aiuto d’uno di 
questi, i viaggi d'uno studente riuscirebbero poco profittevoli: 
col suo ajuto riusciranno e profittevoli e piacevolissimi . 


L’ Iliade d’ OmeRO, traduzione epica di Lorenzo MANCINI. 
Firenze presso Molini 1824, tomi due in 8.° ed uno in 12° 


Il titolo di questa traduzione a quelli, per cui non riesce 
un’ enigma, è facile che sembri un epigramma. Già il cav. 
Mancini, porgendone un primo saggio, avea mostrato di opinare 
che l'epopea degli antichi non possa convenevolmente recarsi 
nella nostra lingua, se non usando quel metro, che fu ‘conse- 
cerato dalla nostra maggiore epopea. Ora, conforme a tale opi- 
nione, chiamando epica la sua traduzione dell’ Iliade, vuol farci 
intendere semplicemente che l’ha composta di ottave. Egli è 
ben lungi, non ne dubitiamo, dal negare i pregi eminenti di 
quella in sciolti, ormai per noi divenuta classica al pari dell’al- 
tra sì famosa dell’ Eneide. Ma, posta la necessità del metro che 
si accennava, ei dà l'epiteto di epica alla propria , non come di- 
stintivo di superiorità, ma come distintivo di qualità. L’ opi- 
nion sua, lo vediamo, è assai disputabile; ma, poi ch'egli 
ne fa legge a sè medesimo, ci sembra piena di mobile ardi- 
mento. Quante difficoltà infatti egli si è per essa create; a 


94 

che terribile conflitto si è posto col signore dell’ altissimo 
canto! L’Antologia gli è troppo vicina per esserne tacita spet- 
tatrice, e dovrà pur dire imparzialmente i vari casi per cui 
lo trae il valore e la fortuna. Ché in vero gli è d’ uopo anche 
di questa, onde non perdere negli avvolgimenti del suo metro 
le vestigie del suo poeta. E sarà cosa mirabile il poter dire 
ch’ei renda imagine di sè medesimo in que’ versi del canto 
XXIII, ove dipinge Ulisse, che in finta pugna tien dietro ad 
Alace: 

Così vicin correndo gli venia 

Come la spola a femmina che tesse, 

Che la tien presso al petto e tuttavia 

Manda e rimanda tra le fila spesse. 
Che se volesse paragonarsi il maestoso suo metro all’ armatu- 
ra d'Achille, quanto ci piacerebbe che gli si potesse fin da priu- 
cipio applicare questa stanza del XIX: 

S’agitava l’eroe nell’ immortale 

Armatura, a provar se per lui fosse 

Conveniente, e l’arme eran com’ale 

Che da terra l’alzavano commosse. 

Dalla custodia alfin l’asta fatale 

Traea, grande, pesante, oltra le posse 

D’ogni argolica man; cui vibrar solo 

Potea Pelide, e darle in campo il volo. 

M. 


Cr ——_—__—_—_——_——_—_—_———-_—o_e_____o_evmvm_ ._———r—''._—+-—... 


Sulla Esposizione dei così detti piccoli premi, fatta nell’I. 
e R. Accademia delle Belle Arti in Firenze nel  me- 
se di Ottobre 1824. 


Oltre il giudizio de’ piccoli premi, cadeva in quest’ anno 
il concorso pel conseguimento della pensione che VI e R. 
Governo , sempre intento a promovere le arti belle sotto il 
cielo felice di questa beata regione, assegua a tre giovani stu- 
denti in pittura, scultura ed architettura , affinchè essi pos- 
sano dimorare per quattro anni in Roma, vera sede delle arti, 
in singolar modo pei monumenti, che avido conquistatore non 
le può togliere, e che formeranno in ogni tempo la sua glo- 
ria! 


Saremmo ben a ragione di temerità notati, se in onta a 


9° 

maturo esame tenuto da un consesso di artisti, qual è quello 
che compone il corpo accademico, osassimo passare sotto scru- 
polosa critica gli oggetti de’ suoi ben ponderati giudizi . Dob- 
biamo piuttosto fare lodevole menzione degli alunni che han- 
no conseguita la palma . 

tra questi per la pittura il sig. Baldassarre Calamai. Ha 
egli eseguito un bozzetto d’invenzione rappresentante Ulisse 
che dopo il naufragio si manifesta a Nausicaa, pregandola di 
procurargli una veste, e di mostrargli la città. 

Per la scultura il sig. Emilio Santarelli ha espresso in 
un bassorilievo Ila nell’ istante che va ad un fonte ad attin- 
gere l’acqua per la cena d’Ercole, ed è rapito dalle Ninfe. 

E finalmente in architettura il sig. Vincenzio Pasquini 
di Turrita avea eseguito il disegno e la pianta d’un casino 
per uso di riposo dalla caccia . 

Quindi ne seguono i piccoli premi annui, de’ quali non 
ripeteremo ai nostri leggitori la nota, essendo stata inserita 


nella gazzetta di Firenze N,° 135. del dì 9g. novembre cor- 
rente (1). 


(1) L’editore però crede far cosa grata a molti de’ lettori qui ripor- 
tandola.. 


1. Classe. Arti del disegno. 


Sig. Cesare Mussini di Firenze. Bozzetto d’ invenzione a olio 
Detto SA Accademia del nudo a olio 
Augusto Roquemont di Ginevra. Disegno in acquerello 

Tito Benvenuti di Firenze. Accademia del nudo in disegno 
Giuseppe Gozzini di Livorno. Elementi di disegno di figura 
Giuseppe Cresci di Settignano. Bozzetto in creta 

Carlo Cresci di Firenze. Disegno architettonico d'invenzion®e 
‘Tito Papassogli dî Pisa. Disegno architettonico in copia 
Fabio Nuti di Firenze. Pianta geometrica 

Mariano Falcini di Campi. Disegno di prospettiva 

Angiolo Liccioli di Firenze. Disegno d’ ornato 


II. Classe. Musica e declamazione. 


Alamanno Biagi di Firenze. Contrappunto 
"Fertulliano Celoni di Firenze. Violino 
Luigi Masselli di Firenze. DI 
Gaetano Rossini di Firenze» Canto 


Vittoria Giachi di Firenze. Piano-forte 


96 


Passando poi ad altre opere straniere al concorso ed ai 
premi , e cominciando dalla stanza della pittura, abbiamo con 
soddisfazione osservato, che il sig. Giuseppe Bezzuoli, pro- 
fessore aggiunto per la scuola del disegno in detta I. e R. 
Accademia, attende indefessamente all’arte, avendo esposto cin- 
que soggetti degni di considerazione. 

Tra essi primeggiavano senza contrasto due ritratti di 
femmine , l’uno de’ quali ci seduceva con la sua aurea sem- 
plicità, l’altro ci sorprendeva colla ricchezza dei suoi or- 
namenti. E là fermatici per buona pezza, e fisamente os- 
servando gli effetti che negli spettatori la loro vista produ- 
ceva, ci sembrò di leggere costantemente nelle fisonomie di 
essi un bel contrasto tra la sensibilità e la maraviglia: ri- 
guardo a noi confessiamo, che dopo alquanto esitare ci siamo 
lasciati sedurre dalla prima. 

Oh quanto son cari i lineamenti di quella figura! com/essi 
ben corrispondono alla indole dolce di quella fisonomia ! 
Quanto seduce il languido inclinare della testa! Come vi 
si accorda l’ abbandono del braccio, che lo scialle appena 
sostiene! Quanto è ben indicata la mossa tranquilla del pie- 
de , che scende uno scalino senza scomporre le altre parti 
del corpo! Veggonsi inoltre le vestimenta essere .sobrie nella 
loro ricchezza , il fondo, senza sfoggio di ricercata architet- 
tura, venire parcamente interrotto da un salice piangente; 
non istridere gli accessori, riposare il cagnolino, e tutto in- 
dicare quella quiete, e quella tranquillità, ch'è tanto cara 
alle anime sensibili. A non distruggere un così delicato ef- 
fetto dalla semplicità della composizione prodotto , era d’ uo- 
po concorrere insieme il colorito, uno dei punti, crediamo, 


Clarice Martini di Firenze. Declamazione 


Angelica Cantini di Firenze. 5 
Ferdinando Paolieri di Campi. si 


II1. Classe. Meccanica e Chimica. 


Gaetano Coli di S.Gimignano. Meccanica 
Federigo ‘Torri di Firenze. 53 
Torello Giunti di Pistoia. Chimica 


Pietro Guerrazzi di Livorno. PA 


tua 


Sv 
più difficili in pitturà : mentre in questo caso era ben da 
temere o di dare nel freddo con la troppa dolcezza, o colla 
troppa vivacità dalla composizione dissentire. Ma ‘l’esimio 
artista ha saputo ben evitare un' tal inciampo; e ci ha fat- 
to. vedere in questo ritratto com quanto profitto egli siasi 
portato a visitare i veneti maestri nel loro santuario . 

Un effetto di.genere diverso produceva l’altro ritratto 
di donna sedente sopra dorato soffà di serici drappi coperto , 
ed essa di velluto abbigliata, con trine all’intorno, trine sul 
capo, manto di raso, rovescio di pelliccia, cane saltellante , 
vaso con fiori, sgabello a’ piedi; tappeti per terra , aria fo- 
sca, «colorito vivace; le quali cose tutte con maestria di pen- 
nello egregiamente eseguite , e ad una freschezza di carnagio? 
ne la più straordinaria congiunte, non davano riposo all’animo 
che provava del. pari. maraviglia e diletto. 

Per quanto il San Marco Evangelista avesse ‘delle .parti 
assai maestrevolmente trattate, non sembra! che sia nella ‘sua 
totalità riuscito . Noi erediamo che non abbia giovato in que 
sto caso all'autore il conoscersi il. grande; il sublime de’ Pro- 
feti di, Michetangiolo: nella cappella Sistina ;} ed il S. Marco 
del Frate nella galleria del. Principe; e. da ciò ne provenga 
quel trovare di taluni ignobile oltre il bisogno la. figura, 
non .abbastanza scelte le pieghe, non del’ tutto esatta una 
gamba, non sostenuta: l’armonia de’ colori, ed altre varie 
cose; che a purità di disegno pertengono . Non possiamo pe- 
rò, non. commendare. molta. verità nella testa: ila. mano che 
scrive è maestrevolmente delineata. 

«Anche nel quadro della Vergine addolorata: si vuole non 
ftt la parte del disegno, disarmonica: quella del colori- 
to. Si crede dagli intelligenti essere o grave la testa della N. 
Donna per quel corpo e quelle mani, o leggero il tutto in 
proporzione della testa, .la quale per altro è disegnata mira- 
bilmente ; e vi si vede chiara apparire la contrazione convul-: 
sa senza deturparne la fisonomia! Ai più scrupolosi sembrano 
essere le tinte della carnagione livide più che a corpo morto 
non si conviene. Belli sono gli angeli introdotti a soste= 
nere Maria, in singolar modo quello alla sinistra di essa: 

_T. XVI Dicembre 7 


9$ 
ma pare che di questa scena’ siano spettatori troppo indiffe- 
renti . 

Era il quinto;.soggetto la Maddalena nel deserto. È opi- 
nione. che pure in questa piccola figura. non fosse del: tutto 
esattezza di disegno , non ‘corrispondesse ila: testa ‘al torso; 
questo ai fianchi ed alle gambe. Ma forse sarà opinione di 
chi vorrebbe trovare la perfezione in tutto : certo è che vi 
erano delle parti benissimo dipinte, lo che sempre si ammi- 
ra ne’ quadri del nostro Bezzuoli, anche ne’ meno felici. Ed 
appunto per questo maggiormente ci duole , ch’ egli non 
ponga sommo studio, onde raffrenare in e i primi impe- 
ti della sua fantasia col commettere l’esame alla ragione , e 
coll’ emendarne il disegno prima di abbandonarli alla magi- 
ca illusione del colorito. 

Se grandissima soddisfazione procurata ci viene dal ve- 
dere , che i professori di questa I. e R. accademia sì occu- 
pano indefessamente onde spinger l’ arte il più che per loro 
si possa alla perfezione, non minore contento proviamo nel- 
l’ osservare, che nuovi alunni sorgono sempre da questo de- 
coroso stabilimento, e tali che danno non lievi speranze di 
prospero avvenire. Somministra di ciò esempio tra gli altri 
il sig. Andrea Pierini col suo primo quadro rappresentante 
il Figliuol prodigo che ritorna nelle braccia paterne . La 
semplice composizione è con dignità sostenuta , il disegno a 
sufficenza buono nello insieme e nelle parti, le teste espres- 
sive, il colorito armonioso; e se non vi si vede quella fran- 
chezza nell’ operare , che solo è propria o dei sommi genii, 
o de’maturi maestri, vi ritrovi non pertanto di che rimanére in 
generale soddisfatto (2) - 


(2) In aumento a quanto - sopra sì dice riguardo ai buoni allievi cha sì 
formano in questa accademia, dobbiamo aggiungere il sig. Antonio Gualdi 
parmigiano , il quale posteriormente alla sovraccennata esposizione offerse alla 
publica vista un quadro nella stanza. della pittura rappresentante la nascita di 
Maria Vergine. Ci congratuliamo con esso dei progressi tanto visibili fatti do- 
po l’anno scorso : la sua composizione von è lontana dalle buone massime, il 
suo colorito ‘è piuttosto vivace senza stridere , 1’ effetto di luce giusto , l’ ese- 
cuzione in generale buonissima . Dalla sua opera al certo non se ne possono 
dedurre che ottime conseguenze. 

Allato al detto quadro si vedeva pure straordinariamente esposta una 


J9 

Allorquando nelle nostre osservazioni ci arrischiamo ad 
accennare , con quel rispetto e con quella imparzialità che 
abbiamo sempre per guida, que’ difetti che ci setmbra ‘di scorge- 
re nelle produzioni d’arte, l’ unico scopo ‘\che’abbiamo’ si ‘è 
quello d’indurre i respettivi autori a farvi riflessione, e trovato 
che sia da noi detto il vero, a profittarne per non ‘ricadere 
in quelle inavvertenze.' | © ui detti | baera 

Ci duole al sommo’ pertanto! în ‘vedere } che il sig. Za- 
liani o non ‘ha trovata giusta, 6’ non ‘ha’ curatà' 1° dsservazio= 
ne sul suo colorito fatta da noi nell’ anno ‘s60ts0 (vedi iliN° 
XXXIV. dell’ Antologia p. 135!) poichè lo ‘stesso difetto di 
essere il colorito  disarmonico ‘e vago'per tutto ‘oltre il bi- 
sogno, domina pure nel quadro che ha esposto in ‘quest’ an- 
no rappresentante S. Donato. Oltre‘a ‘ciò vi. si aggiunge 'una 
specie di meschinità nel disegno, ed un certo colpeggiare ma- 
nierato di pieghe, che in alcuni punti; e singolarmente! hella 
fodera del piviale, sembrano piuttosto, anzichè pieghe, sfildà- 
ture di rocca: ciocchè i francesi chiamano? peinture en! 'yig» 
cher . Nulladimeno il sig. Taliani ha: dellè prerogative! tali 
da divenire un buon artista , € noi saremmo be ‘contetiti ‘se 
non si avverasse la nostra passata profezia... 6 ni Osimo 

L° accademica onoraria signora Isabella Bozzolini ha e- 
Sposto una copia in miniatura della Madonna della Sèeggiola, 
che oltre ad essere eseguita con diligenza e maestria; di send» 
bra corredata della parte più essenziale, che si debbevavere 
in simili lavori, cioè, fedeltà tanto ne’ caratteri , quanto nel 
colorito. ALL G 

Lo studio del paesaggio non appare tra noi abbastanza 
coltivato , ad onta dei punti di vista bellissimi:.che., questo 
interessante paese in più luoghi somministra . Lie vedite' del 
sig. Gherardi non sembrano copiate dal vero ; la prospettiva 


pan 


fignra in mezzo rilievo, che significava Paride, opera del sig» Aristodemo: Co- 
stoli , in cui ha dispiegato non pocà aggiustatezza nel còmporte la sua figura 
unita ad una diligente esecuzione, se non che forse la testa gli è riescita alquan- 
to grave , e la parte che siede non ‘abbastanza compressa al di'sottò ;. e spor- 
gente all’ infuori per dinotare 1’ azione, a cui è soggetta. Ma'se ‘così giovine 
ancora ci da tali saggi del suo ‘ingegno, dobbiamo ‘attenderci' il più felice suc- 
cesso. | di 


Î00 

lineare ed aerea non è abbastanza osservata, e domina in 
esse una generale monotonia di colore, impossibile in natura. 
Altre vedute seguitavano quelle del sig.Gherardi , di ma- 

no del sig. Stradi, e del sig. Pianerai: queste ci sono sem- 
brate alquanto meglio colorite, ma entrambi sentono del si- 
stema di quella scuola. Non sapremmo a questo proposito 
raccomandare mai abbastanza a chi si dedica a dipingere il 
paesaggio, di non essere neghittose e restìo ad abbandonare 
i propri focolari, ma bensì di salire i colli, d’ internarsi nel» 
le valli, di varcare.i monti, di arrestarsi ai piani; e sempre 
delineando, e fors anche dipingendo per via, farsi corredo di 
tanti sorprendenti e variati quadri della natura. I» simil gui- 
sa operando non anderebbe mai incontro al rimprovero di 
avere dipinta tale e tal altra veduta, senza uscire dalla pro- 
pria stanza (3). sa 
Graziosi sempre.ci riescono i saggi dal vero, che ci offre 

il sig. Giuseppe Fini, ed in quest'anno se ne sono ammirati 
quattro, cioè, due interni con cappuccini e monache, una cucina, 
ed un paesetto. Questo éra trattato con, gusto e maestria; la 
prospettiva in quelli bene intesa, i tuoni locali giusti, il co- 
lorito in armonia, l'illusione prodotta. Coerenti però sempre 
a noi stessi, diremo quel che già accennammo nell’ ottobre del 
1823, (N.° XXXIV. dell’ Autol. pag. 124 .),vedersi. cioè 
di mal animo che un artista s il quale ha. per dir vero mol- 
te. prerogative. per divenire eccellente in un, genere in cui 


(3) Abbiamo al presente in Firenze una prova di quanto dice, 1” autore\ 
di questo, articolo sulla necessità di allontanarsi dalle proprie mura per po- 
tér dipirigere il paesaggio con felice successo . ‘11 sig. Le Blanc artista fran- 
cese,!che‘da due anni percorre la Toscana; e s’. interna ‘assai volentieri nei 
nostri Appennini , ha fatto di recente alcune vedute di Seravezza e di Car- 
rara, che si trovano esposte nella sua abitazione in via delle Pinzochere 
N.° 7719. 2.°p.° Noi abbiamo particolarmente osservatò’‘con molta soddisfa- 
zione un quadro alto piedi 6 parigini e largo 5. 1f2, che rappresenta l’ ingresso 
alle cave di marmo nelle vicinanze di Carrara . Questo paese dipinto con 
molta «verità. e maestria , con buon ‘gusto di colorito, , ,ci sembra meritare 
di essere veduto da tutti. gli amatori, e ci duole ehe il sig. Le Blane non lo 
abbia esposto;alla ‘inostra accademia . Il pittere paesista, non dee temere i] 
caldo,.il freddo, la fatica ,,,se vuole studiare i bei quadri che da ogni lato 
la natura ci presenta. tanto in Toscana, come in altre parti d’ Italia. Il so- 
lo viaggio da Firenze a Genova somministrerebbe. una voluminosa rappre 
sentazione e descrizione pittorica, Nota dell’ Editore 


IDE 
molto sì penuria j si limiti a dare soltanto dei pictoli saggi 
del suo sapere, e quasi timido augelletto, che di poco abbia 
abbandonato il nido materno, misurar'non ardisca gl’ immeri- 
sì spazii dell’ aria, che pur dinnanzi all’ acuta sua vista aper- 
ti e liberi si presentano. 

Non senza intima compiacenza parleremo di due ritratti 
di uomini del sig. Cesare Mussini, ai quali altri due ne uni- 
remo di fanciulli, che nella grande galleria de’ quadri erano 
collocati . Essi oltre al venir giudicati, da chi ne conosce i 
soggetti, assai rassomiglianti, sono riputati, da chi le arti co- 
nosce, molto bene dipinti: di modo che questo giovane arti- 
sta , che da poco tempo si è dato alle arti in questa nostra 
accademia, qualora da questi primi favorevoli successi prenda 
argomento onde raddoppiare d’ impegno nella carriera intra- 
presa, dà luogo a sperare di fare progressi tali da rendersi 
degno della patria de’ suoi maggiori (4). 

Non dobbiamo passare sotto silenzio l’ ingegno e la buo- 
na volontà della sig. Tacchinardi, espressa in tre copie a elio 
da essa eseguite. Non possiamo però abbastanza raccomandarle 
di non abbandonare il disegno , e di fare sommo studio sui 
reconditi arcani del colorito. 

Che diremo di una Venere del sig. Carlo Falossit Di- 
remo che vi sono delle parti bene eseguite ; che nel totale 
vi apparisce un certo rilievo . . . Ma sarà quella poi la stra- 
da da tenersi per giungere ad imitare la bella natura ? Il 
pubblico intelligente potrà giudicarne. 

Si terminava la stanza della pittura con una copia 
della Madonna della Seggiola miniata dalla sig. Zoquessie 
sassone. Essa era trattata con molto sapere , e condotta poi 
con un meccanismo, e un brio, e una sfumatezza tale di co- 


(4) Il sio. Mussini lascia concepire da’ suoi primi studj grandi spe- 
ranze. l suoi ritratti sono corredati di molta verità , e di un bel colorito 
Ma perchè dirsi di Berlino ?... Si vergogna egli forse di portare un no 
me italiano? ... Potremmo citare infiniti esempi di celebri artisti, che nati 
casualmente fuori del proprio paese, non per questo abbandonarono la deno- 
minazione della vera lor patria, come quella della propria famiglia, e della 
loro educazione. Noi saremo sempre pronti a rendere giustizia nell’ arte agli 
artisti stranieri ; ma abbiamo a cuore di rivendicare i nostri, e sopratutto’ 
quelli, dai quali molto ci ripromettiamo. Nota dell’ Editore 


102, 

lore da sorprendere. Non. sapremmo però; quanto un tal mo- 
do di oprare possa averle giovato per renderla una fedele co- 
pia di quel difficilissimo originale, Due teste eseguite a olio 
dall’ anzidetta. signora da pitture di maestri del secolo XV. 
erano collocate nella gran galleria. In esse era mantenuto il 
carattere di que’ tempi, e vi si ammirava molta precisione e 
nettezza. 

Prima di passare alla stanza dei disegni, ed alla  gran- 
de galleria de’quadri, ci sia permesso di manifestare un 
nostro dubbio, cioè: se. un’ assoluta libertà di esporre tut- 
to ciò, che o alla poca esperienza di alunni, non addetti 
all’accademia , o alla molta ignoranza dei loro respettivi 
precettori venga in capriccio, sia per essere commendabile. 
A noi sembra che da così operare ne venga disdoro , non 
solo agli alunni e .ai direttori di essi, ma ben anche al. 
la riputazione della stessa accademia, poichè da chi guar- 
da, singolarmente se sia estraneo a noi, non si va esami» 
nando se tali allievi, se cotali maestri all’ accademia ap- 
partengano, ma bensì se ne forma subito un cattivo giu- 
dizio , e nelle private e nelle pubbliche conferenze si va 
mormorando: ce Oh che vergognosa esposizione all’ accade- 
mia di Firenze! Oh le gran brutte cose ivi si ritrovavano! 
Alcuno è vero si va distinguendo, ma è come giglio in 
bosco di siepi e di pruni: in generale dominava un gu- 
sto depravato: non è già 1’ accademia fiorentina quale si 
vanta ,,. 

Non per questo noi pretendiamo, che tutto ciò che si 
‘espone debba essere oro e gemme. Concediamo invece, che 
si debbano distinguere i genii che volano, dai più tardi ta- 
lenti che con lo studio si sviluppano : ciò anzi costitui» 
sce la emulazione, uno de’ providi effetti delle accademi- 
che istituzioni. Ma il vedersi colà ammassati aborti di ot- 
tusi intelletti, il cui maggiore studio sembra espressamente 
impiegato in ragione inversa di quel che esser dovrebbe , 
cioè in fare il peggio che far si possa, è cosa che disgu- 
sta a tal segno da produrre ci sembra alla mente quello 
stesso effetto, che produrebbero allo stomaco cibi sozzi e 
fetidi in lauta mensa a delicate e squisite vivande frammisti. 


« 


103 

Ad evitare pertanto per l'accademia sì vergognosa seb= 
bene in sostanza ingiusta taccia, e pel pubblico ‘un tanto 
disaggradevole effetto, a noi sembra che non'sarebbe male 
indicata una commissione dal corpo accademico prescelta, 
la quale rigettasse ciò che indegno fosse di collocarsi ‘alla 
pubblica esposizione, e che i componenti di essa ben mi- 
rassero a non lasciarsi illudere dagli anni che hanno, dal 
tempo dal quale studiano , o dal latte che possono avere 
succhiato gli esecutori delle opere da ‘ammettersi, poichè 
lo essere una data produzione fatta di 11 o di 13 anni, 
il venire eseguita dopo poche lezioni ricevute, lo avere 
avuto falsi principii nell’arte, non iscusa dal fare un’opera 
totalmente cattiva, e la rachitide poi è uno de’ mali che 
più deformano il genere umano. 

In conseguenza di quanto abbiamo sopra accennato, 
non istaremo a far parola di vari disegni collocati nella 
stanza detta de’Principi, se non se ne voglia eccettuare 
uno del sig. Ciardi di Prato, e qualche altro di una certa 
mediocrità; e passeremo sotto silenzio alcune pitture situate 
nella galleria, mentre di esse il pubblico ha dato il suo 
giudizio. 

Si è però trovato nella stanza de’disegni di che fare lo- 
devole menzione. È questa una stampa della Madonna 
della Seggiola, ov’ era scritto - Primo saggio del sig. Gio- 
varni Della Bella - Abbiamo inteso che questo giovane 
studente circa due anni addietro non conosceva nè inta- 
glio nè disegno. E qui giova parlare del tempo , poichè, 
se in così breve periodo ha saputo superare le prime diffi 
coltà, che un'arte così difficile presenta, dandoci una stam- 
pa ben fatta, ne proviene encomio alla sua decisa volontà, 
e alla sua perseveranza. Noi gli auguriamo, che non facen- 
do abuso di questo suo primo felice successo, pervenga a 
fare cose maggiori ad onore ed utile suo , ed a gloria nuo- 
va del nome del suo celebre antenato. 

Passando nella gran galleria siamo stati subito tratti 
a contemplare due quadri del sig. Tommaso Gazzarrini 
già pensionato toscano a Roma, ove i detti dipinti ha 
egli eseguiti. Non possiamo abbastanza esprimere la nostra 


104 

veta consolazione in vedere i progressi notabili ch'egli 
ha fatto dall’ anno passato al presente. E in primo luo- 
go', troviamo nel suo quadro della. Trasfigurazione delle 
figure molto bene immaginate , e meglio eseguite, buone 
pieghe, gusto di colore, e bene inteso effetto di luce; osia- 
mo però raccomandargli di non dimenticarsi il nudo dopo 
di averlo vestito di eleganti pieghe. Ci duole poi ch’ egli 
rifusga ancora dalla massima di doversi studiare ne’sommi 
maestri i soli precetti dell’arte, ma non già essere lecito 
di così apertamente imitarli: ciò sia detto in singolar modo 
per la figura del Salvatore in gloria: guai a lui se si com- 
piace sì facilmente di questo sistema; la sua immaginazione 
sarà sempre schiava di tale e di tal altro maestro, e non 
potrà mai sollevarsi a voli arditi-e sublimi. 

Quantunque il sig. Gazzarini non abbia pubblicamente 
esposto altro quadro, della grandezza di quello della Trasfi- 
gurazione di cui sopra abbiamo parlato , pure avendo- 
ne avute ottime relazioni da vari artisti, non vogliamo di 
questa defraudare i nostri lettori, onde comprovare sem= 
pre i notabili avanzamenti da esso operati. Rappresenta la 
pittura Gesù Cristo seduto presso una mensa al momento 
di benedire il pane ed il vino, alla quale mistica azione 
assistono devotamente quattro angeli. La figura del Salva» 
tore è nobilmente composta, la fisionomia di lui ad un tem- 
po dolce e dignitosa, piene di grazia quelle degli angeli. 
Belle pieghe vestono il Nazareno e i Cherubini , singo- 
larmente quello di prima veduta alla sinitra dello spetta- 
tore, in cui trovi pure tinte bellissime: prerogativa che si 
estende presso che a tutto il quadro, non emmettendo le 
tinte quiete ed armoniose del fondo. Continui pertanto 
. il Sig. Gazzarini a così operare, non perdendo di vista quanto 
già abbiamo accennato, e non avrà di che temere dalla 
imparzialità de’nostri qualunque sieno giudizii. 

Nel Cristo all’orto si trova un effetto piccante, e facili» 
tà di esecuzione, ma non ci sembra vi sia abbastanza la 
filosofia dell’ arte, mentre la figura del Salvatore non è in 
carattere con le descrizioni che ne abbiamo dalle sacre 
carte. La fisonomia è piuttosto ignobile, e le altre parti del 


| 


105 


corpo macchinose , e pesanti più che alla O del sog- 
getto si convenga. 

La scultura ha somministrato in quest'anno e statue, 
e bassirilievi, e busti con profusione : tra essi si distin- 
gueva una statua di. Mercurio a sedere suonando la cetra, 
del Sig. Gasperini, ove si ammirava in generale una. fedele 
imitazione della: natura ; ma alcune parti non ci sembrava» 
no bastantemente modellate, in singolar modo le gambe. 

Un bassorilievo del Sig. Aristodemo Costoli esprimente 
Amanno sorpreso dal re Assuero in atto di supplicare la 
regina per intercedergli grazia, era eseguito con sufficien- 
te intelligenza. 

Tra i molti busti, che colà schierati si ritrovavano, non 
sono da tacersi quelli eseguiti dai sig. Grazzini, Bazzanti, 
Leoni e Folini,ma più particolarmente parleremo di uno del 
Sig. Ottavio Giovannozzi, perchè, oltre ad essere ben model- 
lato e rassomigliante, riunisce la prerogativa di essere ordi- 
nato per eternare un’azione gerierosa del soggetto che rap- 
presenta. Noi crediamo di far cosa grata ai nostri lettori 
di qui riportarla, poichè, argomenti di tal fatta (sebbene e- 
stranei al nostro assunto) non debbono passarsi sotto in- 
grato silenzio, e le lodi della virtù ,non sono mai inop- 
portune. 

Intendiamo noi di parlare del ritratto del giurecon- 
sulto sig. Alessandro Rivani, il quale mal soffrendo , che 
l’antichissima Società Colombaria venisse esposta a vagare 
di nido in nido per mancanza di un locale idoneo alle 
sue adunanze, con pubblico instrumento legò a favore 
della medesima il piano terreno della sua casa posta in 
via de’Bardi, aggiungendo a questo dono, già per sè gene- 
roso; la sua intera biblioteca. 

Gli accademict colombarii volendo in qualche modo 
dimostrare al benemerito loro. collega la lor gratitudine , 
ordinarono quel busto, che con analoga iscrizione dovrà 
della sala accademica formare il, migliore ornamento. Ed 
affinchè l’azione del sig. Rivani genero sa e la spontanea 
gratitudine degli accademici colombarii venissero più facil- 
mente a pubblica notizia, volle il socio sig. Niccolò Pal- 


106 


merini intagliare il detto ritratto in rame per farne dono 
insieme colle stampe alla società il giorno dall’ inaugu- 
razione del detto busto. Le dotte iscrizioni, tanto sul pie- 
destallo del busto quanto sotto il ritratto in rame, sono del- 
l’esimio antiquario di S. A. I. e R. Sig. Ab. G. B. Zannoni. 

Che si dirà dell’architettura? I bei genii in essa ci 
offrono ordinariamente bellissimi progetti, ma soltanto ese- 
guibili in carta. Tale crediamo sia quello del sig. Si/ve= 
stri per un porto di mare. Per l’anzidetta ragione, sebbene 
siamo persuasi essere parto di una fantasia pronta; di un 
genio non ordinario, non istaremo ad esaminare se sia con= 
veniente l'avere due bocche , e simili altre cose, che gl’ 
intelligenti potrebbero riscontrarvi. 

Un altro progetto del sig. Silvestri, per la facciata' della 
cattedrale , ci sembra più eseguibile, sebbene forse non del 
tutto confacente a quell’ architettura. Noi però in qualun- 
que modo non possiamo che fare plauso al sig. Silvestri 
pel pensiero veramente ottimo di terminare quel magni» 
fico tempio. E se tale progetto avrebbe dovuto in fogni 
tempo spronare i cittadini della bella Firenze alla sua 
esecuzione , ora più che mai si rende , ardiremmo dire, 
quasi necessario, dopo che 1° opera del duomo ha saputo 
vincere quella renitenza al grandemente operare , che al-, 
quanto ha dominato sin qui tra noi, sgombrando tutte 
quelle fabbricuccie che impedivano la più bella veduta 
della parte meridionale del tempio. Non vi è nazionale, non 
vi è straniero , sull’ animo di cui ciò non debba fare la più 
grata sensazione. E noi provata l’abbiamo fortissima, e ce 
la rinnoviamo giornalmente , poichè ad onta delle nostre 
continue occupazioni, non possiamo resistere all’ impulso 
che ogni giorno ci porta sopra luogo a contemplarne il sem- 
pre crescente bellissimo effetto. 

Il sig. V. Ganiî espose, per una prigione, la pianta di 
un magnifico edifizio. Ma ci è sembrato, ch’egli abbia per- 
duto di vista i due punti più essenziali, che lo spirito, i 
lumi del secolo, ed i filantropici scrittori altamente rac- 
comandano ; l’aria cioè, e la luce, che si dee agl’ infelici 
detenuti abbondantemente procurare. 


107 

Percorsa in tal modo la gran galleria, fummo invitati a 
scendere nella piccola detta dei bassirilievi, in cui era sta- 
ta collocata doviziosa quantità di egizi monumenti, de’quali 
si renderà conto particolarmente in altro articolo dell’An- 
tologia. Non si vuole intanto ommettere, che alla munifi- 
cenza del Granduca LeopoLpo 1. felicemente regnante, si 
debbe l’acquisto di oggetti sì preziosi, che verranno collo= 
cati nella R. Galleria. 

Non termineremo questa breve descrizione senza ac» 
cennare, che se povera di opere esimie si è mostrata in 
quest'anno la pubblica esposizione, conviene attribuirsi alla 
mancanza di vari de’ principali pennelli della nostra città, 
occupati in grandiosi lavori a fresco, e nel palazzo del 
Principe, e nella villa del vicino poggio, a descrivere i 
quali sarà consacrato espressamente un articolo in altro nu- 
mero del presente giornale . 

Due stampe erano pure in questa galleria collocate 
dei Sigg. Fratelli Anderloni, degni allievi del degnissimo 
‘maestro Sis. Cav. Longhi di Milano. Non volendo tratte- 
nere il lettore sui meriti già conosciuti della Madonna col 
Bambino di Raffaello intagliata dal Sig. Faustino Ander- 
loni’, perchè già da qualche tempo pubblicata, ci ferme- 
remo alquanto sopra l’altra stampa del Sig. Pietro Ander- 
loni rappresentante la Vergine con Bambino seduta sotto 
un albero in amena campagna, a cui assistono genuflessi 
due angeli, pittura di Tiziano. 

Non faremo le nostre riflessioni su questo intaglio, ri- 
guardandolo sotto il principale aspetto qual è quello di 
rendere il carattere della pittura che si prende a rappre- 
sentare , poichè non conosciamo il quadro, e crediamo , 
che forse possa dipendere appunto dal quadro non abba- 
stanza felice quella mancanza di effetto sostenuto e pic- 
cante, che da un Tiziano in larga copia si avrebbe dritto 
di attendere. Faremo in vece qualche parola sulla parte 
meccanica dell’ arte. E premesse le nostre proteste che 
noi non parteggiamo per alcuno stile particolare, ma 
soltanto per quello che più abbia forza di renderci vere 
o più somiglianti al vero le cose rappresentate, ci congratu- 


08 


leremo in primo luogo col Sig. Anderloni per l’intelligenza; 
per lo spirito, pel brio, che in generale regna nel suo 
modo d’intagliare. Ma non vorremmo, ch'egli ad esempio di 
alcuni tra’ moderni intagliatori passasse più oltre con la 
lucidezza del suo taglio relativamente alle carnagioni ed 
al paesaggio. Accade a costoro come a pittore, che usando 
di troppa bellezza di colorito, finisce per allontanarsi dal 
‘vero . 

L’arte dell’intaglio ci dà varii maestri, riusciti eccel- 
lenti a rappresentare più uno che un altro dei moltiplici 
oggetti della natura, come per esempio un Wille le sete 
e i metalli, un Strange le carnagioni, un Masson i ca- 
pelli, un Woollett il paesaggio ec. ec. Ora particolarmente 
scendendo a favellare delle carnagioni e del paesaggio, 
come i due oggetti che hanno molta parte nell’intaglio, di 
cui si tratta, ripeteremo in quanto alle carni che lo stile, 
avvicinatosi il più a rendere quel poroso della pelle, quella 
quasi direbbesi irregolarità regolare della carnagione , è a 
giudizio unanime degl’ intelligenti l’ adoperato dal Cav. 
Strange. Ma forse restava a desiderarsi nello stile medesimo 
una qualche maggiore delicatezza : e questa ci sembra l’ab- 
bia il primo ottenuta il Cav. Morghen. 

Non per questo pretendiamo, che il genio dell’ arte 
dell’intaglio debba qui fermarsi ; ma il trascorrere più oltre 
per la stessa via, il tentare di spingere più innanzi mercè 
il più accurato pulimento col mezzo di acutissime lenti 
ottenuto, dubitiamo sia per risultare in danno di quella 
libertà, di quel gusto spontaneo, ed anche vogliam dire 
di quella dose di trascuratezza in tempo adoperata , che 
rende le parti, in modo singolare, dipinte e vere. 

La stessa osservazione crediamo possa applicarsi al modo 
di trattare il paesaggio; e quantunque ogni cosa umana 
sia suscettibile di essere megliorata , è forza concedere, che 
chiunque abbia cercato fin quì di regolarizzare il gusto 
squisito e tutto proprio di Woollett, non ha fatto che por- 
tare il suo intaglio alla durezza , e lungi dalla imitazione 
della natura. 

Del resto poi abbiamo ammirato con vera soddisfazio- 


109 
ne, non solo in questa, ma in altre sue già conosciute 
opere, quanto il Sig.Anderloni sia valente nell’ arte che 
professa. 


————r_————————————_—_——_m————— 


Sopra l’Esposizione di oggetti d’ arte e d’ industria. nazio- 
nale in Stutgardia; lettera all’ Accademia Labronica. 


Stetten nella valle della Rems 
Settembre 1824. 


Da questo soggiorno tranquillo e solitario , ove vivo 
in seno alla bella natura, rare volte volgonsi alla città i 
miei passi, se non vi sono indotto da qualche oggetto di 
particolare interesse. Tale fu quello che giorni sono mi 
fece abbandonare questi luoghi, e passare dall’ ammirazio- 
ne delle opere del Creatore a quella de’frutti dell’ingegno 
umano nella esposizione di oggetti d’arte e d’industria na- 
zionale in Stutgardia. 

Mentre credo far cosa a voi grata nel mandarvene un 
ragguaglio , devo pregarvi a non attendere da me nè una 
minuta descrizione, nè un ragionato giudizio di quanto ho 
veduto. Oltre le cognizioni che a ciò mi mancano, avrei 
dovuto impiegare nell'esame un numero, di giorni maggior 
di quello delle ore che vi ho dedicate ; imperocchè dopo 
una breve osservazione lo spirito non può render conto a 
sè stesso che delle impressioni prodotte dall’insieme, e la 
disposizione che. riceve da queste impressioni è di natura 
affatto diversa da quella che è necessaria per farsi ad esa- 
minare ad uno ad uno quegli oggetti, il cui tutto ha agito 
simultaneamente sull’ anima. 

Tl lnogo della esposizione è una sala di grandiose di- 
mensioni con altra contigua , ove soglionsi dare' feste di 
ballo e concerti. Già la scelta di simil locale doveva di= 
sporre l’animo a filosofiche riflessioni: io lo aveva veduto 
altra volta pieno di spettatori accolti dal desiderio di pas- 
seggieri diletti, ora ascoltando immobili i suoni incantatori 
della musica, ed ora muovendosi in Jleggiera danza. A 


Tio 


questi clamorosi piaceri del momento, che di sè non la- 
sciano traccia, avevano ora succeduto i quieti godimenti 
della contemplazione, che non sì tosto svaniscono. Lo 
sfoggio del lusso non attraeva sopra questo o sopra quel- 
l’individuo gli sguardi invidiosi degli altri; una classe pri- 
vilegiata non vi ecclissava le rimanenti, ma tutte egual- 
mente qua e là confuse aggiravansi , intente ad osservare 
que’ lavori che tutte egualmente avevano contribuito a 
produrre. 

Dall’ umiltà de’ bassi mestieri alla sublimità delle arti 
belle, tutto era con ben intesa gradazione raccolto , e lo 
spirito si vedeva per così dire schierati innanzi tutti gli 
elementi che servir potrebbero alla storia dello sviluppo 
dell'umano ingegno, dalle prime prodazioni figlie del bi- 
sogno a quelle cui l’uomo poteva solamente dar vita, quan- 
do libero di cure, sodisfatta ogni domanda della natura, è 
trovata troppo angusta la realtà, cercava di crearsi un mon- 
do ideale, per contemplarvi con l’occhio della mente quel 
complesso di perfezioni, delle quali gli oggetti che lo 
circondavano non presentavano alla sua vista che indizii 
parziali. 

Entrando nella prima sala erano tutto attorno e nel 
mezzo esposti varii prodotti d’industria nazionale. Tele 
tessute con singolare artifizio , panni, cotoni ed altre ma- 
nifatture d’ogni genere, lane che mostrano da qual felice 
successo siano stati coronati i dispendiosi sforzi fatti per 
nobilitare le greggie del paese per mezzo di pecore spa- 
gnole e di merini; cuoi e marocchini di ottima prepa- 
razione; lavori in gemme , in oro , in argento, in similo- 
ro (1), in rame, in acciaio, in latta, in ottone, in ferro ; 
armi bianche e a fuoco di perfezione straordinaria (2); mo- 


O) Una grandiosa fabrica di simili lavori diretta dal sig. Conte d’Arns- 
berg è veramente meritevole d’attenziòne per l’uso generale che si può fare 
di questa bella composizione metallica. — Fra una quantità di oggetti d’ogni 
genere , trovasi un orologio a pendulo tutto ;lavorato in questo metallof: gli 
ornamenti esteriori non che imitare superano il bronzo dorato, e per l’ inter- 
no, il distinto meccanico che lo ha fatto attesta la superiorità di questa com= 
posizione per il sistema delle ruote ec. 

(2)%Il sig.Ulrich ha esposta delle pistole con le quali, con l’aggiustatezza d’un 
archibugio, copisce il segno alla distanza di 300 pass 


LIT 


bili, istramenti a corde e a fiato; porcellane, bronzi, pre- 
parazioni chimiche, istrumenti di fisica, ec., ec,, ec. 

Mentre lo sguardo dello spettatore superficiale  sde- 
gnava di fermarsi sopra gli umili prodotti di tale o tal al- 
tro mestiero, e cercava gli oggetti di lusso, curioso era il 
vedere coloro che appartenevano all’arte formare varii grup- 
pi intorno alle tavole sulle quali ne erano esposti i lavori, 
darne giudizio, e forse invidiando il loro rivale, pensare 
come potere per un altro anno ottenere ‘ai proprii lavori 
l’ onore dell’ esposizione. 

Prima di farvi passare nella sala contigua, permette 
temi di fare alcune considerazioni sopra quanto vedevasi 
in questa. — Quanti artefici nelle varie parti del regno 
hanno dovuto occuparsf per produrre questo insieme! Tut- 
ti lavoravano dal canto loro , senza forse pensare che la- 
voravano in unione di molte arti sorelle, e venendo in 
questo luogo si saranno maravigliati essi stessi di non tro- 
varsi più isolati , ma come annelli di sconosciuta catena. 
Questa vista deve ingrandire le loro idee , e tornando ai 
loro giornalieri lavori devono intraprenderli con miglior 
animo, ed anche il più umile deve tenere in miglior con- 
cetto .l’arte sua, vedendola unita ad altre più nobili. — E 
intanto il potente e il facoltoso, al quale gli onori e la for- 
tuna accordano l’ infelice prerogativa dell’ ozio, potrà ve» 
nire in questo tempio dell’industria, al quale non ha posto 
mano egli stesso, e vi prenderà pensieri più umani verso 
coloro, che mentre gli sono inferiori per convenzione so= 
ciale, gli sono per merito usuali o superiori. — Egli non 
deve che guardare da capo a’ piedi la propria persona , e 
vi troverà in piccolo una esposizione di oggetti d’arte e 
d’ industria, simile a quella che si vede intorno; e questa 
osservazione gli sarà utile se guardando gli altri spettatori, 
troverà che da lui fino all’ ultimo plebeo, ogni individuo 
presenta sopra sè stesso una simile esposizione , differente 
soltanto per la diversità de’ materiali, e pel maggiore o 
minor numero di mestieri contribuenti. Troverà che per 
il più povero è stato bastante il tessitore e ‘il sarto che lo 
hanno rivestito di rozza canapa del paese, ché per il più 


112 

agiato hanno lavorato altre arti con materiali più nobili , 
e 86 al di seguito fino a lui che fa pompa di stoffe prezio» 
se; tantochè in vederlo direbbesi che per lui solo hanno 
da lavorare tutti gli artefici, le cui opere qui sono raccol- 
te. — Ma fortunato il paese ove ciò fosse il caso; fortunato 
egli stesso se potesse rendersi testimonianza di avere in tal 
modo incoraggiata l’ industria patria! Ma disgraziatamente 
ciò di rado accade. Tutto deve.essere straniero quanto ha 
adosso e nelle sue case; sarebbe vergogna se ogni oggetto 
che gli appartiene non avesse per giungere a lui percorso 
le mille miglia da tutte le parti del mondo. Dicesi che in 
altri paesi lavorasi meglio, ma se in ogni paese,si dice lo 
stesso, la cosa non può esser vera. 

Ma entriamo nell’ altra stanza.Qui sono raccolte opere 
spettanti alle arti del disegno.I mestieri tributarii, ai biso- 
gni della vita non vi sono più ammessi, , e rimangono al 
di fuori di questo recinto, che sembra consacrato a più su- 
blime divinità; V' impero della necessità e;il calcolo ‘del. 
l’interesse ine sono esclusi: qui lo spirito solo. trova, pa- 
scolo e godimento; e se i sensi debbono ancora essergli mi- 
nistri, non altrimenti lo debbono che come innanzi, alle 
opere della creazione. i 

Il primo oggetto sul quale! fissai lo sguardo fu il ri 
tratto del Dahecls in grandezza naturale; opera eccellente 
del Sig. Leybold. La fa è assisa di faccia, e sembra, 
aver sospeso per un momento di lavorare al modelletto 
del Cristo che ha d’innanzi sopra piccola tavola: Un roz- 


zo panno gettato con negligenza sopra i ginocchi gli serve. 


di costume ; del resto il vestiario, del pari che l’attitudi- 
ne, è tutto naturale, e il ritratto lo rappresenta come sem» 


pre apparisce a quelli che lo conoscono. La ‘profondità del 


pensiero non è espressain queste sembianze dall’ agrottar 
delle ciglia; il genio non vi si mostra balenando come fuo- 
co dagli occhi; tutto è calma in questo volto, ma una cal= 


ma che risulta dall’equilibrio di grandi forze, e che è tanto. 


superiore all’ agitazione del momento , quanto la serenità 
d’un bel cielo è superiore all’impeto passeggiero del.tur= 
bine. La vista del modelletto del Cristo ridesta grandi me- 


113 


morie, e nella scelta di questo momento, come nell’amore 
col quale apparisce eseguito il lavoro, si riconosce con pia- 
cere un bell’ omaggio che um’ arte rende in quest'opera a 
un’ altra arte sorella. 

Se il piacere di ritrovare le conosciute fattezze d’un 
grand’uomo, mi fece trattenere dapprima innanzi al ritrat- 
to del Daneckar, il piacere non men vivo di contemplare 
il bello per sè medesimo, mi tenne per lungo tempo qua- 
si in dolce oblio d’ogni altro oggetto, innanzi ad una ima- 
gine di donna che avrei creduta ideale, se la vita che le 
spirava dal volto, non mi avesse persuaso che dalla vita 
doveva esser ritratta. La figura di natural grandezza è in 
piedi e appoggiata con somma grazia a verde monticello ; 
il paese che la circonda sembra avvivato dalla sua pre- 
senza. ll volto dolcemente inclinato sulla spalla destra 
rende , quasi di faccia a chi lo contempla , sguardi pieni 
di amorosa dolcezza che escono da grandi occhi neri, scin- 
tillanti, e tutti italiani. Neri e lucidissimi sono i capelli 
disposti con bella semplicità sulla candida fronte alla quale 
danno rilievo; e semplice ugualmente è la veste rossa che 
seconda i vaghi contorni delle perfettissime forme. — AI- 
cuni fogli di musica con parole italiane sono sull’erbetta; 
i labri della donna sembrano or ora aver cessato dal canto, 
e il suo riposo sembra quello d’una musa, cheftace dopo 
aver intuonato un inno divino. Al pennello dello stesso 
sig. Leybold devesi ancora questo lavoro, che si distingue 
per la bella esecuzione e per la vivacità del colorito. 

Alcuni paesi del sig. Keinkopf attrassero poi la mia 
attenzione. Uno assai grande, due di minori dimensioni, 
ed uno assai piccolo. In tutti si trova una eccellente com- 
posizione; e l’ armonia delle tinte, la verità della prospet- 
tiva, il bel finito di tutte le parti, e sopratutto la perfet= 
ta rappresentazione della natura italiana che facea dolce 
illusione al mio core, facevano sì che difficilmente ne to= 
glieva l’occhio. — Ciò che di molto aceresce il pregio dî 
questi bei paesi si è che tutti sono animati da figure che 
compongono una azione. 

Il soggetto del primo, che mi sembra allegorico, si rife- 

T. XVI. Dicembre. 8. 


114 
risce ai tempi del medio evo. Sul davanti a sinistra scorgesi 
parte di antica abitazione. Il vecchio cavaliere che l’abita 
ne discende per accogliere il figlio, che con la sposa e due 
figliuoletti esce da una barca sulla sponda del fiume che 
scorre a’piedi del castello, e poi serpeggia nell’ameno paese, 
finchè nella lontananza dileguasi. Uno de’ bambini è già 
nelle braccia del vecchio , l’altro riposa ancora sul seno 
della nutrice, mentre il giovine cavaliero porge la mano 
alla sposa che sta per uscire dalla barca. Più alto sotto 
una pergola vedesi rozza tavola di robusto tronco di quer- 
cia come l’ usava la semplicità di que’ tempi, e semplice 
del pari è ciò che v'imbandisce una servetta, e che con- 
siste in cibi non compri che l’orticel dispensa. Le tinte del 
cielo sono ammirabili, e il sole vicino all’ orizonte è rap- 
presentato con un effetto che non può descriversi che con 
quei bei versi Pa maggior poeta nel C. XXX. del Pur- 
gatorio. 
Io vidi già nel cominciar del giorno 
La parte oriental tutta rosata , 
E Vl altro ciel di bel sereno adorno, 
E la faccia del sol nascere ombrata 

Sì che per temperanza di vapori 

L’ occhio la sostenea lunga fiata. 

Il tempo del primo quadro è la primavera, quello del 
2.° è V autunno, e graziosissima è la scena che vi si vede 
rappresentata. Vedesi a destra un villanello e una villa- 
nella che danzano al suono d’una chitarra che è fra le 
mani di venerabile vecchio. Altre figure coronate di pam- 
pani sono assise in semicerchio intorno ai danzanti, men- 
tre vien loro amministrato in capace tazza il dolce liquore 
di Bacco. Dall’altra parte accorrono tre villanelle, due 
delle quali portano un paniere pieno d’ uva, il cui peso 
sembra ritardare la loro corsa ; mentre la terza fa cenno 
alla brigata di attendere le loro compagne, una contadinella 
agitando un cembalo vien loro incontro per affrettarle , e 
tutte fra poco saranno riunite in lieta festa. 

Il terzo in grandezza simile al precedente, rappresenta 
una natura non meno bella, ma più selvaggia in vicinanza 


o 


11d 


del mare. Il soggetto è Ulisse che si presenta a Nasicaa. 
L'effetto della sorpresa al subito ‘apparire dello straniero, 
agisce in vario modo sulla vergine reale e sulle sue com- 
pagne ; queste fuggono impaurite , mentre quella in mo- 
desta attitudine si arresta per ascoltare la preghiera del mi- 
sero Ulisse. Il colorito di questo quadro non è tanto bello 
come ne’ precedenti, e le tinte verdi cadono troppo sul 
nero, ma essendo quest'opera anteriore all’altre, non serve 
che a far fede de’progressi del pittore. 

Ma che vi dirò del piccolo paesetto:? L*ho quasi di- 
pinto nella memoria, ma nel descriverlo temo far torto ai 
suoi pregi.—Alla sinistra fra rupi selvagge riunite da ponti- 
cello, e sulle quali innalzasi parte di antico castello, pre- 
cipita un picciol torrente che poi forma sul davanti un lim- 
pido ruscello che scorre all’ombra di maestose piante e di 
verdi arboscelli. Nel mezzo vedesi un finme, che placido 
scorre in deliziosa pianura, e quasi ogni avvolgimento che 
forma è segnato da vago borghetto, fino a che fiume, pia- 
nura , paesi e collinette confondonsi all’ orizonte col va- 
poroso azzurro del cielo; dalla cima di monti che in lon- 
tananza s’ innalzano a destra, sembra sul punto di spun- 
tare il sole. — Ecco la scena della natura; or vi descri- 
vo quella delle figurine. Innocenti fanciulli condotti da 
pio pellerino accorrono sulla sponda del ruscelletto per 
salutare il giorno che spunta; le loro braccia sono distese, 
e sorreggono delle ghirlande di fiori. Non lungi siede al- 
1’ ombra di verde cespuglio una figura immersa nella con- 
centrazione di alti pensieri ; essa ha deposta una lira e 
sembra sul punto di segnare sulla carta le ispirazioni del- 
la poesia; non altrimenti mi figuro il Petrarca quando in- 
vocava le chiare, fresche e dolci acque e î rami e l’ erba 
e î fiori e l’aer sereno a dare udienza alle dolenti sue pa- 
role estreme. 

Presso a questo quadretto trovasi un gran dipinto del 
Siy. Dieterich rappresentante gli Israeliti che giungono in 
vista della terra di Canaan. Vi sono de’gruppi ben dispo - 
sti, e varie figure disegnate con molta grazia e verità : tale 
è una donna che dolcemente appoggia il braccio e la testa 


116 


sulla spalla d’un uomo, altra donna che tiene fralle brac- 
cia un bambino, un giovinetto che offre, dell’ erba. a.un 
agnello ec. dos la figura del conduttore degli Israeliti è 
dignitosa e espressiva, ma quella di Dio che gli apparisce 
fra delle nuvole, parmi nociva all’ effetto della composi- 
zione, tutto ingombrando il cielo di Canaan. 

Con diletto maggiore mi sono trattenuto dinanzi a un 
quadretto dello stesso pittore , rappresentante l’adorazione 
de’pastori. Il bambino giace nel mezzo sopra panno bianco, 
e con bel vezzo;si volge alla madre, nella quale la tene- 
rezza materna sembra essere stata per un momento vinta 
dalla reverenza pel Figlio Dio, mentre devotamente l’adora 
in ginocchio ; dietro a lei si avanza S. Giuseppe il quale 
accenna il bambino a un pastore che entra, e che fra stu- 
pore e rispetto giunge le mani, e sembra non osar farsi 
avanti; ma già a’ piedi del bambino sono dall’altra parte 
una, pastorella e un pastore ; ambidue palesano ugual di- 
vozione , ma questa è espressa in modo diverso nelle fat- 
tezze della giovine donna e in quelle dell’ uomo già at- 
‘ tempato. Ambidue sembrano aver obliaro i doni che volevano 
offrire: un panieretto con due colombe giace presso ai gi- 
nocchi della donna, mentre un agnello si dibatte fralle 
braccia dell’uomo. Un altro pastore in piedi or ora giunto 
guarda con maraviglia il bambino , e riverente si scuopre 
il capo, mentre altri pastori vedonsi accorrere dalla cam- 
pagna, che scorgesi a traverso di piccola volta che serve 
d’ingresso alla stalla . Sull’ alto del quadro tre angioli in 
ginocchio simboleggiano l’adorazione del cielo , e tutto mi 
sembrerebbe dignitoso nella composizione se meno. parte 
vi avessero PRATT e il bue. 

Si riconosce in questi quadri lo studio di grandi mae- 
stri italiani, fatto dal pittore, che or non è molto è tornato 
da Roma. Il disegno è purgato, e belle sono le attitudini, e 
le espressioni, ma il colorito non sa piacermi ; le carni 
sono livide anzichè nò , le pieghe mancano di rilievo, e 
la luce è tenuta sì bassa, che l’autore sembra aver voluto 
nel colorito delle sue opere anticipare d’ un secolo 1’ ef= 
fetto del tempo. Eppure, ch'egli sappia usare quando vuole 


117 
tinte ben naturali, ne ha fatto prova in una bellissima copia’ 
della Madonna raffaellesca di Foligno, che vedevasi‘espo- 
sta presso al quadretto dell’adorazione. 

Presenti mi sonò ancora alla ‘memoria alcuni quadri 
di molto merito del Sig. Waechter(3). Uno di questi rap- 
presenta Giobbe con i tre amici in grandezza colossale.Giobbe 
è seduto sul suolo nell’attitudine del più profondo dolore; 
egli mostra non poter esser sensibile ad alcuna voce di con- 
solazione ; e ben sembrano avvedersene gli amici, i quali 
assisi di faccia l’uno presso all’altro, lo riguardano in si- 
lenzio senza tentare di accostarsegli per confortàrlo.Le forme 
sono grandiose forse più del dovere, e il colorito è trattato 
con più maestria che finitezza. 

In altro quadro più piccolo vedesi Ulisse che passa 
vicino all’isola delle sirene. Queste sono dipinte con molta 
leggiadria e in modo tutto nuovo, mentre le seduzioni che 
impiegano sono quelle delle grazie modeste , anzichè della 
voluttà; ma l’eroe e i suoi compagni sulla nave appariscono 
come ‘a traverso a un velo, e questo effetto di prospettiva 
aerea non mi par giustificato dalla piccola distanza della 
nave dal lido. 

Del medesimo pittore erano ancora esposti tre altri qua- 
dretti: il primo rappresenta de’giovani che nuotano nel mare; 
il secondo; Anfitrite che da un delfino vien condotta a Net- 
tuno ; il terzo il cadavere d’Astianatte raccolto dalle donne 
troiane. Felici sono i pensieri di questo pittore, grandiosa 
e bella è la sua maniera, nè vi si può desiderare che al- 
quanto più di finitezza. 

Degno di attenzione è ‘ancora un quadro che Guissi in 
pia vidbeza naturale ci mostra un pastore attento ad ascoltare 
un giovinetto che suona il flauto appoggiato ad una statua 
di Pane. L’attitudine è naturale ; il colorito è vero ;.e le 
figure hanno un bel rilievo. Questo quadro .è opera del 
Sig. Gegenbauer giovane astista che ora studia in Italia. 

Vicino a questo trovasi un ritratto in grandezza na» 
turale del pittore Sig. Hartmann, fatto da lui medesimo. 


(3) Questo pittore , come pure i sigg. Leybhold e bi sstci ig) ha studia-. 
to molti anni in Italia. i 


118 


Egli è occupato a dipingere; ha in una mano la tavolozza, 
nell’ altra il pennello , e se ha cessato: per un momento 
di lavorare al quadretto che gli stà abbozzato d’ innanzi , 
gli si perdona il momento di riposo., che. gli dà agio a ri- 
volgere verso lo:spettatore. un volto che.sembra vivo, e al 
quale non manca che la. parola>Questo ritratto, che:degno 
invero sarebbe di esser collocato nelle stanze de’pittori nella 
galleria di Firenze, bastà a far.fede dell’ eccellenza deli’ 
artista. ; Ù 

Assai naturali; benchè tratti da scene alle quali mal 
volentieri assisterebbe in persona lo stesso pittore; sono due 
quadretti ne°quali è raffigurata una'banda di ladri: in uno 
sono intenti a divider fra loro.la preda, nell’altro sono.in 
atto d’inebbriarsi prima. di muovere a nuova impresa; non 
mi ‘ricordo il nome del pittore . Ignoto ‘volle poi rimanere 
quello che in un quadretto;dipinse; Iperione:che passa al- 
l'isola di Calavrea, soggetto tratto ‘da in romanzo tedesco 
di Holderlin, pubblicato alla fine de.secolo scorso; che: nello 
stile ha: qualche rapporto: con le ‘nltime lettere di Jacapo 
Ortis, e di cui interessante è l’argomento, mentre la scena 
è la Grecia, e il tempo è un'epoca in cui i greci avevano 
tentato :idi‘seuotere;il‘giogo de’turchi. 

Lasciando idipinti'; devo esprimervi la mia giusta am- 
mirazione per i disegni. litografici del sig. Strigner celebre 
litografo' di Monaco , chiamato in questa città dai sigg. Bois- 
sereé e Bertram per pubblicare con l’arte sua i bei .monu- 
menti dell'antica pittura tedesca, posseduti dai medesimi, e 
de’ quali spero poter in breve dare .all’ Italia più ampio, rag- 
guaglio. L’ingegnosa unione ch'egli il primo ha introdotto 
nellà litografia della maniera detta a matita icon quella che 
imita il'tocco in penna, dà a’ suoi disegni una morbidezza 
e tina ‘precisione ; per mezzo delle quali soltanto pote valren- 
dersi giustizia al''merito' degli antichi: maestri de’ Paesi, bassi 
e della Germania. Erano esposti ‘alcuni disegni di su ccessivi 
fascicoli già pubblicati, ‘è ‘di altri che' non lo sono ancora, e 
nella perfezione ‘crescente. d'uno de’ più distinti litogr afî della 
Germania, ravvisasi con piacere i maravigliosi progressi dell’ar- 
te medesima. — I soggetti di questi disegni sono i seguenti = 


119 

1. Alcuni apostoli, di maestro Guglielmo, da Golonia, an= 
teriore a Gio. d’ Eyek-. 

2. La presentazione al tempio, di Gio. d’Eyck. 

3. L’Annunziazione; del medesimo - 

4. Una S: Barbara ,-di Michele Coxis. 

5. Una S. Caterina , del medesimo. 

6. Alcuni santi, d’Israele di Meckenen. 

7. Una madre dolorosa ; di Gio. Calcar. 

8. Alcuni santi, del Durero. 

Del pari che queste litografie sono destinate a far cono- 
scere. al mondo opere di pittura che le assidue ricerche de’ sigg. 
Boisserée e Bertram hanno fatto risorgere da non meritato: oblio, 
così le magnifiche incisioni del sig. Duttenhoser e di altri. ar- 
tisti, rappresentanti. il Duomo di Colonia, pongono sott'occhio uno 
dei più nobili monumenti dell’antica architettura tedesca, mentre 
il testo che le accompagna, opera del maggior. Boisserée, im- 
presso in tedesco ie in francese icon tutta la pompa. tipografi- 
ca (4), è destinato a spargere maggior luce sopra un ramo 
importante della storia dell’arte, che troppo finora è stato ne. 
gletto. 

In genere di architettura , osservai fra altri. lavori alcuni 
disegni dell’architetto regio sig. Salucci , e soprattutto due pro- 
spetti, piani, ec. del nuovo palazzo reale, che ora si edifica fra 
Stutgardia e Canstadtt sopra piccola collinetta bagnata dal Ne- 
ckar, dalla quale godesi delizioso prospetto. L’ingegno. di 
questo insigne architetto, mentre aggiunge decoro a questo re- 
gno, riflette al tempo stesso onore sulla Toscana che al mede- 
simo è patria . 

Nella scultura, oltre un busto del distinto artista sig.Mack 
degno ‘allievo del Daneckar, non mi ricordo di aver veduto .che 
alcuni busti di giovani artisti, che studiano in Roma; ma, nel 
ritratto del Daneckar; che per la sua situazione dominava. su 
tutti gli altri ,, pareva vedere il. genio della scultura presie- 
dere ‘su ‘tutti i lavori delle belle arti sorelle. 

Molto mi resterebbe da aggiungere, perchè a misura che 

(4) Due fascicoli sono finora pubblicati in foglio massimo . I caratteri get- 


tati per quest'opera dal Didot, figurarono con onore nell’ pi di oggetti 
d’arte (e d’industria ‘in’ Parigi. 


120 


scrivo mi si presentano sempre alla memoria nuovi e nuovi 
lavori che non dovrei forse lasciare senza menzione. Ma se 
troppo mi dilungassi in imperfetti ragguagli d’opere isolate, 
parrebbe ch'io volessi parlare d’ogni oggetto più meritevole 
di lode, e ‘potrei per mancanza di. memoria incorrere nella 
taccia di relatore negligente, o parziale. E però passo senza 
fermarmi sopra un numero considerabile d’ altri lavori d’ ogni 
genere, a olio, in miniatura, in disegno, medaglie , incisioni in 
pietre dure e in acciaio, ricami in lana, in seta, in capelli, in- 
tagli in'carta, ed altri moltissimi oggetti, tutti appartenenti 
all’arti del disegno. Devo non pertanto trattenermi ancora un 
momento innanzi a due quadri, che ultimi e a stento ho potu- 
to vedere a cagione del:numero di persone che vi si affollava- 
no' sempre davanti. E fragli spettatori, ora udivasi confuso bi 
sbiglio di voci, ora i molti tacevano per wdire uno fra loro che 
pareva spiegasse le varie parti di questo e di quel quadro, e 
chiaro pingevasi l'interesse in ogni sembiante: Ed infine aven= 
do ‘potuto io pure appressarmi , scuoprii che in que’ quadri 
erano rappresentate due battaglie, e più da vicino guardando, 
ritrovai l’imagine somigliantissima del re, fra quelle di varii 
capitani, ottimamente ritratti essi pure. Allora cessò in me ogni 
maraviglia sul sentimento d’amor patrio che raccoglieva tante 
persone a veder raffigurate le gloriose gesta del loro principe e 
dé’ Joro concittadini; imperocchè erano quelle le battaglie di 
Brienne e d’ Epinal, nelle quali vi è noto quanto onore si acqui- 
stasse ‘questo re, che allora era principe ereditario: Oltre il 
merito de’ ritratti, questi quadri si distinguono ancora per tan- 
ta verità nella composizione , che difficilmente potrebbe spie- 
gatsi, se non si sapesse che il pittore sig. Schriizer ha portato 
egli pure l’armi per la patria. 

Allontanandomi da questi quadri, mi trovai quasi ados- 
sato alla parete opposta, e nel rivolgermi, ecco mi stavano 
innanzi varii lavori di povere fanciulle educate nelle scuole 
d’industria stabilite dal principe in’ varie città del (regno. 
Giò ch'io provassi nell'animo a questa vista non saprei dir- 
velo .. Felice il pensiero che collocò di faccia alle devasta- 
trici scene della guerra, questi prodotti di benefiche istitu= 
zioni, che non sorgono che in seno alla pace! Felice il pen- 


121 
siero, che dopo aver da una parte mostrata la mano del 
principe armata in battaglia per la difesa e la libertà del suo 
popolo, ce l’ addita dall'altra, porgendo sussidio al misero, 
e scancellando benefica le traccie terribili della guerra! Ecco 
qual era il testo alle mie riflessioni, or voi pénsate quanto. 
sia fecondo un tal testo. 

Non voglio lasciare questa sala, senza di nuovo rivol- 
gere una parola. ai potenti e ai facoltosi. — Quante belle 
opere hanno quì d’innanzi agli occhi che attestano il nume- 
ro e l’attività de’ pellegrini ingegni che onorano la loro pa- 
tria! Qui splendono gli artisti nella gloria de’ loro lavorì; 
ma se di ognuno fosse nota la vita, oh in quanti forse la 
misera condizione dell’uomo farebbe contrasto con la gran- 
dezza dell'artista! in quanti questa grandezza otterrebbe ri. 
salto maggiore dagli stenti che hanno sofferto per giungervi! 
Per uno spirito, al quale con successione costante si affac= 
ciano i più sublimi concepimenti, e che non vive ed agisce 
che nel consorzio delle opere della natura , 0 nel mondo idea- 
le ch’egli forma a sè stesso, qual tormentoso stato, deve es- 
ser quello di sentirsi a ogni istante tarpate l’ ali, e di dover 
lottare con le necessità della vita! — E non è già per sè 
stessi che tali ingegni chiedono di esser liberati da' tale stato ; 
essi. lavorano per l’immortalità , e la loro immortalità è 
quella della patria, imperocchè la gloria del genio non resta 
proprietà dell’individuo, ma splende sull’intera nazione. L’ar- 
te di Fidia e di Apelle è arte greca, l’arte di Michelangio- 
lo e di Raffaello è arte italiana; anzi quando il corso dei 
secoli cuopre di oblio i nomi degli artisti, le opere che fu- 
rono rispettate dal tempo, non danno onore che alla terra 
che le produsse. Nissun nome famoso risorgerà forse. mai a 
rivendicarsi l’ onore di aver prodotto l’Apollo o la Venere, 
ma la Grecia diede vita a quei marmi, e il nome della Gre- 
cia durerà in essi immortale. Nè la storia dimentica i pro- 
tettori delle arti. Il nome di Pericle non va disgiunto da 
quello di Fidia, nè quello di Alessandro dai nomi di Apel. 
le e di Lisippo; eterno monumento eresse il genio di Raf- 
faello alla fama di Leon X; nel vedere le opere ' dello scar- 
pello di Michelangiolo nelle tombe medicee, chi non rammen- 


122 


ta la protezione accordata dal magnifico Lorenzo al garzone 
del Ghirlandaio? e quando infine cesserà la memoria del no- 
bile veneto, che secondando l’ingegno del giovinetto di Possa- 
gno, ha dato all'Italia il Canova? 

Alcune riflessioni vorrei ancor farvi sull’utilità generale 
di una simile esposizione di oggetti d’arte e d’ industria, ma 
troppo ovvii ne sono i vantaggi, e ne ho già in questa lettera 
accennati alcuni. E però non voglio che farvi osservare che 
di due specie sono questi vantaggi; gli uni riguardano. gli 
artisti in particolare, gli altri la nazione in generale. Fra i 
primi è da annoverarsi l’ emulazione, e per conseguenza il 
perfezionamento dell’arte; fra i secondi è l’ottimo effetto 
che deve produrre sullo spirito nazionale la vista dei pro. 
pri mezzi , e di qui il desiderio di accrescerli, accrescendo 
così la propria prosperità 

Ora ponendo fine a questa lettera, che già temo di ave- 
re protratta in soverchia lunghezza, resto con tutta la sti- 
ma ec. ec. 


Festa popolare per l’incoraggimento dell’ agricoltura ec. 


Non mi dispiace che !’ involontario ritardo della lettera 
precedente, mi conceda di sggiungervi un breve ragguaglio 
d’ una festa popolare che giorni sono ebbe luogo, celebran- 
dosi l'anniversario della nascita del re, il quale vuole in tal 
giorno vedere il suo popolo raccolto festoso a sè d’intorno. 

Questa istituzione ha per oggetto l’incoraggiare l’agri- 
coltura, il miglioramento delle razze de’ bestiami, ed in ge- 
nerale tutte le arti di pubblica utilità, che contribuiscono 
principalmente all’economia dello stato. Come nella Esposizio- 
ne. in Stutgardia vedesi raccolto quanto alle arti e ai me- 
.stierì cittadineschi ha rapporto, così in questa festa vedevansi 
i frutti di rustici lavori, e i prodotti delle forze dell’uomo 
combinate con quelle della natura ; e siccome alla prima con- 
venivasi chiuso locale fralle mura della città, così serviva 
a questa di scena vastissimo prato in riva al Neckar, cinto da 
vago anfiteatro di colline, a’ piedi delle quali scorgevansi 
varii paesetti, e più in vicinanza l’antica città di Canstatt- 


1253 

De banchi occupati da molte e molte migliaia di spet- 
tatori formavano ampio recinto, da una parte del quale era 
eretto un padiglione per la famiglia reale ec. Di faccia era 
il palco de’ giudici. Sopra questo innalzavasi una colonna for- 
mata con bell’artifizio di varii prodotti della terra ; questi 
erano ancora in diversi modi qua e là accumulati, a guisa di 
trofei sopra delle loggie, nelle quali erano disposti gli og- 
getti o i modelli di utili ritrovamenti - 

Suonarono le trombe, ed' ecco in primo luogo passarono 
in rivista davanti al re, de’ cavalli di straordinaria bellezza, 
tutti nati nel paese, e molti de’ quali pieni di fuoco mi mò- 
stravano viva davanti agli occhi quella imagine che Omero , 
e Virgilio e il Tasso si compiacquero a gara a ritrarre :. 

Scherzan sul collo i crini e sulle spalle, 

Si scuote la cervice alta e superba: 

Suonano i piè nel corso, e par che avvampi 

Di sonori nitriti empiendo i campi . 

( Gerusal, C. IX. Ot. 75.) 

Quindi seguirone in lunga successione de’ tori fuocosi, che 
mal soffrivano l’impero di chi conducevali ; de’ buoi di staor- 
dinaria bellezza; delle vacche quali non avrei creduto poter 
ritrovare altrove che nella Svizzera; de’ montoni e delle pe- 
core che mostrato quanto siano nobilitate le razze indigene ; 
de’ maiali, ec. 

Di ciascuna specie di animali ve n’ erano alcunì coronati 
di fiori e in altra guisa adornati, che erano quelli stati giudicati 
degni di premio., e che ora venivano a riceverlo a’ piedi 
.del palco reale. 

Seguirono varie. corse di cavalli ed altri esercizii e di- 
vertimenti popolari. Io non potei esser presente a tutti, e 
mi dipartii pieno l'animo di quanto aveva veduto, che in- 
vero è bastante a porger materia a molte e gravi considera- 
zioni . E. Mayer. 


124 


Della Pittura în porcellana 
Pietro Giorpani al suo LeoPòoLDO CICOGNARE. 


Firenze 1. Dicembre 1824. 


To mi vo talora imaginaudo che Rafaele non si 
godesse intero nè schietto l’intimo piacere, che dovea pro- 
vare  contemplando le sovrumane bellezze e la insperata 
perfezione dell’arte, le quali si fanno visibili nelle sue pittu- 
re: perciocchè doveva turbarlo un molesto pensiero,ch’elle 
non avrebbero quella lunghissima durata la quale è giu- 
stissimamente desiderabile agl’immortali ingegni ; e che 
il tempo, innanzi pur di precipitarle nel nulla e ‘poi nella 
oblivione, le avrebbe lentamente rose e deformate. To 
m imasdlio che Rafaele doloroso e sospirante avrà più 
d’una volta detto: felice Michelangelo ; il quale, in più 
salda materia incorporando i suoi concetti, mon . teme 
che faccia ingiuria a’”suoi marmi il tempo ;. dal quale 
anzi saranno accarezzati con quella specie di tingere. che 
acconciamente ne smorza il candore luccicante: non teme 
che le sue sculture per vecchiezza :si deformino; non 
che patiscano ruina, se non quale recar possono le rivò- 
luzioni straordinarie, onde l’inclemenza della natura o 
il furore degli uomini talvolta muta la faccia del mondo. 
Il Buonarroti ragionevolmente spera ‘durare qual è ‘oggi 
negli occhi del genere umano almeno duemil’ anni: io 
assai prima che cinquecento si compiano sarò scolorato), 
sparuto, sarò in gran parte cancellato: l’aria e l’ umido 
e la luce e i vermi faranno continua e dannosa guerra 
a'miei dipinti; raderanno i colori, gli offuscheranno, gli 
scomporranno , roderanno le tavole, screpoleranno le im- 
primiture, scanicheranno le pareti; se dipingessi in tele, 
sarei facilmente stracciato. Michelangelo vivrà intero tut- 
tavia nelle sue statue, come Fidia e Glicone e Cleò- 
mene ed Agesandro; quando io, come Apelle e Parrasio, 


125 
nudo nome e nebbiosa memoria sopravviverò alle mie 
sfortunate pitture. Che se all'uomo e.a tutte le, sue opere 
inevitabil destinato è morire; almeno a noi, e a quel 
che facciamo, sia dato un genere meno doloroso e più 
veloce di morte. Meno infelici le statuè  periscono ad 
un tratto : le pitture, quasi per malattia lentissima , 
pèrdono molto prima della vita la cara bellezza: cioc- 
chè ad ogni bellezza che abbia sentimento di sè è cosa 
penosissima . Che se le mie pitture non possono. aver 
dolore de’'propri danni; ben l’ho io,che li pressento; e ben 
l’avranno tutti 1 nobili intelletti che le vedranno scadere, 
e per ciascuna età diminuirsi dello splendore primiero. 

Quanta consolazione avrebbe data a quel celestiale 
creatore d’ineffabili bellezze chi gli avesse detto: non 
ti contristare o divino Rafaello ; tu puoi dare a’ tuoi 
dipinti così lontano vivere e così immutabile. sanità, 
quanta ne possa sperare umana fattura; puoi contendere 
di età e di costanza coi marmi. Non a legno nè a tela 
nè a muro devi consegnare i tuoi colori; ma alla por- 
cellana; la quale te li conserverà fedelissima per migliaia 
d’anni: nè l’aria nè l’umidità nè: il sole nè i vermi 
la potranno mordere; nè gli urti, nè le mezzane ca- 
dute, nè le percosse o il fuoco, se non fossero. violen- 
lentissimi, ti noceranno, Sulla porcellana tu condurrai 
il pennello così liberamente come su queste guastabili 
materie; e i tuoi colori poi vetrificati e dal fuoco fatti 
immobili, rimarranno per secoli e secoli non altrimenti 
che tu li avrai posti. Certo nel forno muteranno; alcuni 
alzando, altri bassando: ma già nel dipingere sulla calce 
fresca sei assuefatto a prevedere non poche alterazioni 
di colori: e quali debba renderteli il fuoco potrai facil- 
mente misurare e prevenire, saggiando prima con pez- 
zetti. di porcellana nel forno la mutazione di ciascuno: 
e fatto. l'esperimento sei sicuro che la cottura te li darà 
non mutabili e non perituri. Certo questo dipingere non 


126 


ammette ritocchi: ma anche il dipinto in fresco nonli ama; 
e se ti penti, hai per rimedio buttare a terra e cifure; Che 
se tieni innanzi il tuo cartone colorito, per avere fermo su- 
gli occhi ilpreciso tono che vuoi dare ad ogni tiuta, e di lei 
prendi esperimento nel forno; non puoi fallire ad avere 

un dipinto con tanta armonia e dolcezza di colore, come 
avresti in tavola o in tela, e ad olio; se non che questo 
godrà eterno vigore di gioventù. 

Fu gran ventura alla gloria del Sanzi che lui vi- 
vente e fiorente sorgesse la industria di Marcantonio Rai- 
mondi, imitata poi per tre secoli ed aumentata da tanti 
valorosi ; per li quali rimanendo in un luogo le opere 
dell’Urbinate, si spandono per tutta la terra i concetti 
e i mirabili accorgimenti delle sue invenzioni. E fu degno 
che per lui, e quasi per aggiunger ali alla sua fama, 
crescesse quella nuova iaia poich' egli togliendo la 
pittura alla semplice imitazionedell’ovvio Rene e com- 
piendo ciò che Leonardo aveva mostrato possibile, alzolla 
a rappresentare bellezze ed affezioni tanto più elette e 
sublimi oltre il consueto della mortale natura ; alzossi 
ad esprimere oltre i soliti casi della vita i pensieri d’ un 
profondo filosofare. Quanto più fortunato era se nella 
età di lui si fosse incontrato il generoso tentare e il pro- 
spero successo del Signor Constantin di Ginevra; il quale 
ha trovato un modo che siccome l’intaglio spande per 
molti luoghi il concetto di una pittura , così l’ opera 
stessa per moltissimi secoli intera ed intatta perseveri. 

Gran tratto è dalle maioliche di Pesaro alle porcel- 
lane di Sevres: ma l’ artifizio, in quelle fanciullo in 
queste vecchio, non fu di verun conto alla pittura; delle 
cui opere non si potevano dare se non imitazioni, o piut- 
tosto contraffazioni, in assai piccolo spazio , e sovra una 
superficie curvata . Niuno osò tentare un gran quadro; 
spaventandosi ognuno per la troppa difficoltà di otte- 
nere l’ armonia ne’colori . Questa diflicoltà fu superata 


129. 
dall’ingegno e dalla perseveranza del Signor Constantin; 
il quale dalle officine di Sevres è venuto a Firenze col 
desiderio di trasportare alla porcellana la minuta e fra- 
gile pittura di smalto , e così effettuare in porcellana 
una vera e grande ed immortale pittura. E all'effetto 
di questo nobile proposito egli è giunto con tale felicità 
di successo, e tanta sua lode, che le opere de’sommi 
artisti da lui riprodotte non paiono imitazioni o copie 
di esse, ma le opere medesime in quella vivezza e fre- 
schezza ch’elle ebbero appena uscite dalle mani di quei 
gloriosi facitori. Ho veduto di lui la Venere di Tiziano 
che è nella Tribuna qui in Firenze, ho veduto il San 
Giovanni Battista di Rafaello , stupendamente imitati : 
e appaiono imitati perchè sono ridotti a molto minore 
misura. Ma vedendo di Rafaele, nella sua originale gran- 
dezza , una madonna col putto, la quale sta nella camera 
da letto del Gran-Duca; io dapprima non la credetti imita- 
zione 0 copia, ma il proprio quadro di Rafaele, portato forse 
a ripulire nella officina dell’ artista. E pensai, che di- 
rebbe quel divino spirito, se ritornando al mondo vedesse 
già tanto invecchiate le sue fatture; e vedesse quale per- 
| petua giovinezza avrebbero conseguita per l’ artificio di 
questo valente ginevrino? Si contristò il Vasari vedendo 
in Roma, pochi anni dopo la morte del Sanzi, già non 
poco oscurata la Trasfigurazione, ch'egli pur aveva mo- 
rendo lasciata non del tutto finita. E tu, carissimo Leo- 
poldo , avrai deplorato in Parigi che fosse necessario tra- 
mutare in tela dal legno e la Trasfigurazione e la Santa 
Cecilia, affinchè 1 tarli non finissero di mangiarsi quei 
due vanti dell'umano ingegno. Così coloro, che lodare 
e ringraziar ‘dobbiamo della pietosa cura e della infi- 
nita pazienza , avessero inteso che salvare que’ preziosi 
avanzi era santa opera; ma imbrattarli di nuovi colori, 
non' era riparo ai danni dell’età, era temeraria e profuna 
stoltezza. i 


128 


Affine di prolungare una maniera di vivere alle più 
eccellenti pitture fu già trovato di togliere alla sua an- 
tica grossezza, e condurre a quella finezza che prima 
ebbe ne’miglior tempi dai greci l’arte del mosaico. Ma 
quel lavoro è si lento! è di tanta spesa! Poi quello non 
è mai dipingere; è un contraffare con eccessiva fatica 
e pazienza il pronto e dolce operare del pennello. L’arti- 
ficio del Signor Constantin è verissima pittura: e un Sanzi 
o un Vecelli non devono domandare a lentissimo e ge- 
lato meccanico un durabile cadavere di ciò che essi con 
veloce e calda fantasia animarono: possono essi mede- 
simi provvedere che quanto in tempo ragionevole fanno , 
per lunghissimo tempo duri incorrotto. La pittura in por- 
cellana ha le comodità del mosaico; e di altre poi lo 
vantaggia, perocchè troppo minore è la spesa; il suo ope- 
rare è pronto, il durare lunghissimo ; resiste non meno 
del mosaico alla lima delle stagioni, resiste alle ordinarie 
ingiurie degli uomini: e quanto al conseguire la verità 
la fusione l’armonìa de’ colori , ognuno sente la diffe- 
renza. Puoi di un sol pezzo far quadri ben grandi. E 
se volessi coprire di storia una grandissima parete , puoi 
cuocere allo stesso tempo nel medesimo forno molti pezzi; 
e congiungerli poi di maniera che appaiano un solo ; e 
formando i varii pezzi a sghembo puoi ottenere che le 
commettiture (le quali pur all'occhio non apparirebbero) 
non cadano sulle carni delle figure , ma nel campo e 
nei panni. 

Fu in Italia un Governo , a cui lo spendere per 
acquistare buona fama non incresceva; ed alzò una scuola 
di mosaico, la quale sorpassò tutto quello che si era fatto 
innanzi , e diede opere sì di squisitezza e sì di mole ma- 
ravigliose. Quella scuola fu disfatta ; quelle opere ab- 
bandonarono l’Italia sfortunata, che del suo ingegno e 
del suo danaro le aveva prodotte. Quel governo avrebbe 
accolta e di molto favore aiutata la nuova e tanto più 


129 

nobil arte del Signor Constantin. In Firenze la famiglia 
regnatrice de’ Medici introdusse e promosse le tarsie di 
pietre tine: magnificenza regia, ma più a mostra di ric- 
chezza che ad esercizio d’ingegno. Non crederò vane lo 
sperare che Firenze, ora più che mai fiorente di gen- 
tilezza e di prosperità, e più che altro paese incompa- 
rabilmente ricca di eccellentissime pitture, con molto 
favore di privati e del pubblico abbracci questo bellis- 
simo trovato del pittor ginevrino: il quale a si novello 
tentare , che certo di malagevolezza e di pericoli non 
mancava, ha già dato sicurezza, e ogni giorno accresce 
facilità. Egli ha già acquistata tanta pratica, che di tutti 
i suoi lavori di un anno nessuno gli fu guasto dal fuoco. 
E questa pratica (veramente parte essenziale ) più co. 
modamente che altrove può trovar qui chi da ottimo in- 
segnatore la impari, dove già è consueto il fabricare della 
porcellana. Nella celerità poi dell’operare quanto sia innan- 
zi questo maestro,può darne misura lo spazio di soli novanta 
giorni ch’egli ha spesi nella madonna che di sopra dissi; la 
quale ha di largo due piedi parigini,e due piedicon dueterzi 
di altezza; e tutto ignudo, al solito, è il bambino. Lo stesso 
Rafaello nel suo dipingere a olio, e più di lui Leonardu 
(come ognun sa) per la tauta squisitezza andavano assai 
lenti. Nè a propagare sì bello artifizio dovrebbe fare 
difficoltà la spesa: la quale per un forno non passereb- 
be i quattrocento scudi; e nelle altre cose è pur molto 
ragionevole. Il prezzo de’ lavori, che diverrà minore, 
quando la molta e comune pratica abbia fatto a molti 
sicuro e spedito l’ operare, non è però tale adesso che 
debba gravarsene chi sa e vuole farsi onore della ric- 
chezza. Perciocchèil signorConstantin,che riceve lautissimo 
premio dalgoverno francese per quella Madonna di Rafaello 
che ho già detta, ha fatti pur de’ritratti per sessanta lui- 
gi; non maggiore prezzo che fosse richiesto ad un ri- 
tratto a olio in tela, di mano di Landi o di Appianz. 

T. XVI. Dicembre 9 


1530 
E la bellezza de’suoi ritratti, e la sicurezza di traman- 
darli a lontanissime generazioni freschissimi, aveva già 
tanto moltiplicate le domande, ch'egli si consigliò di 
colorire onestamente le ripulse col chiedere più grave 
prezzo cento luigi. Conciossiach” egli rivolto alla uti- 
lità e all’onore delle arti, troppo più che al guadagno, 
si è deliberato di non ispender tempo e studio in ri- 
tratti, se non per quelle rare persone delle cui sem- 
bianze possano meritamente essere desiderosi quei tem- 
pi ai quali noi diverremo antichissimi; e tutta la sua 
opera vuole gloriosamente impiegare nel render peren- 
ne la vita a preziosi lavori di artisti sommi. 

Tra i quali a me pare che il sovrano merito, e 
una singolare fortuna raccomandino al valoroso Signor 
Constantin un’opera di Leonardo, uscita pochi mesi fa 
da lunghissima sepoltura, e scampata da non riparabil 
morte. Il Vasari, nella vita di Leonardo, ti avrà dato 
gran desiderio di quell’ angelo del quale descrive le 
attitudini, eda cui piglia occasione a raccontare la ma- 
niera tutta propria del Vinci nel colorire e nell’ombrare. 
Noi lo vediamo ora quest’ angelo , cosa. veramente di 
Paradiso; quale poteva crearselo nella mente, e inger- 
narlo in pittura Leonardo solo; quale potrebbe invidiar- 
glielo Rafaello. Ben diresti ch’ egli in cielo vestì del- 
l’umano, per fare a noi miseri una mostra di tal bel- 
lezza e di tal felicità, che senza questa rivelazione mai 
non potremmo imaginare. Oh da quanto miglior mon- 
do ci viene questo fiore di giovinezza freschissima , la 
quale al modo umano giudicheresti di dieciotto anni; 
questa ricchezza fine di lunghissimi e biondissimi ca- 
pelli; questa soavità vivacissima di colore! Quanta con- 
tentezza è negli occhi e mella bocca amorosamente ri- 
denti! Quanta dignità e quanta sapienza è in questa 
sua sfavillante letizia! Con quanta ineffabil virtù c'in- 
vita all'alto Ja destra alzata, e l’indice che pur si muove 


151 
acsennando il beatissimo vivere di colassù dove mai non 
si muore, mai non si piange! Come al visibile parlare del 
braccio s'accompagna l’eloquenza degli occhi, e della pur- 
purea bocca! Con quanto nobile bontà aggiunge fede alle 
stupende promesse la sinistra posata sul petto, comea dire 
che verace e per amore ci parla! Certamente non d’al- 
tre forme può calare a questa misera terra un consola- 
tore inviato dal cielo. E questa terra infelice che è pur 
tanto nemica alla virtù, troppo spesso è anche scortese alla 
bellezza. Questa bellissima gioia celeste, da un sovranatu- 
ral favore manifestata agli uomini col divino ingegno 
di Leonardo, per dover essere perpetuamente adorata, 
stava da molti anni sepolta, non come spregiata pittura, 
ma come legno inutile: e quando increbbe del iuoge 
che occupava come legno, talun pensò ad incollarvi so- 
pra una tela dipinta di fiori. Tanto ludibrio è nelle cose 
umane! Ha conceduto la fortuna ai signori Fineschi e Col- 
zi che abbiano col mondo questo vero e grande merito 
di trovare e da ripetuta morte salvare questo mirabil 
dono de’ cieli. Ma non lungamente godrà Firenze della 
vista: perocchè già offerte non dispregevoli vennero 
ai posseditori: verrà quando che sia troppo maggiore 
offerta, che spingerà l’angelo fuori d’Italia ; oh quanto 
lontano dalla sua Firenze, che del suo Leonardo non 
può mostrare altra pittura che la Medusa di Galleria . 
Siaci lecito desiderare e sperare nella patria del Vinci 
qualche ricco amatore delle arti e dell’onore d’Italia, 
che volentieri con mediocre somma trattenga in Italia 
una perfetta e durabilissima copia di questo angelo unico. 

Amo abbracciare coll’animo ogni bella speranza . 
Nè forse è impossibile mascere appetito di vere lodi 
laddove la copia delle beate ricchezze suole condur co- 
pia di vanissime adulazioni. I ricchi e i poteuti son 
molte volte indotti da necessità di usanze, . talora da 
naturale liberalità a donare: e nei doni, oltre la fortuna 


132 

e oltre la larghezza dell’ animo, potrebbe anche mo- 
strarsi il ‘giudicio e la gentilezza. Molta vanità mi pare 
nella usanza odierna del donare o pezzi d’oro lavorato, 
o pietre avute in pregio come rare e sommamente dure. 
E parmi che il donare fosse meglio inteso in quella gros- 
sezza del vivere nel secolo decimoterzo e nel seguente: 
quando le vesti donate erano pure di utile uso a chi le 
riceveva; le armadure, le armi, i cavalli, non pur di co- 
modità ma di lode al donato che sapeva adoperarli: oltre- 
chè assai gentile e grazioso riusciva il donatore, che non 
umiliava l’ amico o il favorito come se con ozioso. dono e 
superbo venisse a dirgli solamente, io son più ricco di. te; 
ma l’onorava inviandogli con una comodità una lode. Gen. 
tilezza di questo secolo sarebbe se un grande presentasse a’ 
suoi pari, o a’suoi clienti non poveri, un Rafaello o un 
Tiziano bravamente copiati in porcellana. Questo gentile 
uso della ricchezza e della potenza, ampliando e propagando 
la novella arte, farebbe insieme più comune il godimento e 
l'intelligenza dell’arte nobilissima, Chi dona scatole d’oro 
o diamanti, fa dono che resta inutile se non è venduto. 
Chi dona porcellane di Parigi o di Vienna, dona materia 
forse ugualmente ambita, ma certo non meno fragile e 
non più utile che le antiche mi'rrine. Chi donasse copia 
perpetualmente durabile di un egregio dipinto, farebbe 
nobilmente lieto l’animo che senza poter parere avaro, e 
potendo parere ingegnoso, godrebbe del dono. Tutto è pos- 
sibile al mondo. Crediamo che possa venire una concordia 
del'buon giudizio colla grande fortuna. Speriamo che i 
grandi imparino a meglio donare. Felici loro, e felice il 
mondo, quando e’,lo avranno imparato. 


133 
BULLETTINO SCIENTIFICO 
N. XV. Dicembre 1824. 
SCIENZE NATURALI. 
Meteorologia. 


Fra i varii istrumenti di cui sono corredati gli osservatori 
meteorologici, vi è il misuratore dell’ acqua caduta dall’ atmosfe- 
ra, sotto forma di pioggia, di neve, ec. Si rimproverano giu- 
stamente a tali strumenti varie cause d’errore, e specialmente 
le due seguenti. Primo: misurandosi la quantità d’acqua a vo- 
lume , questo è modificato per i cambiamenti di temperatura; 
come anche per l'adesione dei liquidi alle pareti dei tubi o vasi 
che li contengono. Secondo: l’evaporazione continua; a cui. il 
fluido è esposto, non ne lascia riconoscere l’intera quantità . 

Il sig. Chilton inglese ha costruito un nuovo idrometro, che 
egli asserisce immune da questi inconvenienti . Il suo vaso col- 
lettore dell’acqua è di forma prismatica retta, di 12 pollici qua- 
drati di base. Questo vaso è coperto, e per il suo coperchio 
passa il collo d’un imbuto che porta inferiormente una valvula; 
che si apre d’alto in basso, o discendendo, e che una sola goc- 
cia d’acqua fa aprire per tosto richiudersi da sè stessa, con che 
è impedita ogni evaporazione. Egli conclude la quantità dell’acqua 
raccolta, non dal volume di questa, ma dall’aumento di peso che 
il vaso ha acquistato. 


Il giorno 8 d’agosto ultimo, ad Harderwick nella Gueldria , 
fra le 3 e le 4 ore pomeridiane, fu sentito un gran fragore si- 
mile 1a quello che produrrebbero molti carri gravemente cari- 
cati e strascinati con rapidità; la sua direzione era sud-ovest. 
Le porte d’ alcune case, benissimo chiuse, si aprirono spontanea= 
mente; in altre la violenza ed il modo del fragore fecero crede- 
re che fossero rovinati i tetti, lo che per altro non era. Alcu- 
ni soldati stesi e dormienti sull’erba d’ un campo, sentendo tre- 
mare sotto di loro la terra, sì alzarono spaventati. Però sebbe- 
ne il fenomeno più generalmente sentito fosse il romore, e seb- 
bene questo fosse dai più creduto nell'atmosfera, pure sembra 
essere stato veramente sotterraneo, e cagionato da un terre 
moto . i 


x34 

Il giorno 25 del passato settembre cadde un fulmine sopra 
una casetta di campagna distante circa due miglia da Orbetello; 
nelia quale si trovavano Giuseppe Cesarini di Loreto dell’ età 
d'anni 60, e Salvadore Cavalli d’ Orbetello. d'anni 30. Pochi 
momenti dopo la caduta del fulmine giunse a detta casetta cer- 
cando rifugio dalla tempesta un uomo, il quale chiamandone gli 
abitatori a lui noti, nè udendone risposta, salì nelle stanze supe- 
riori, ove trovò stesi a terra privi di vita i due nominati indi- 
vidui. Essendo corso a darne avviso al tribunale, questo inviò 
unitamente ai necessarii ministri il medico ed il chirurgo per 
farne la visita fiscale. Ecco un cenno delle particolarità osser- 
vate, estratto da una relazione che ce ne ha cortesemente tras 
smessa quel medico sig. Dot. Gio. Battista Thaon. Lungo le pa- 
reti ed in varie parti della casetta erano manifeste le traccie la- 
sciate dal fulmine che le aveva percorse . Hl Cesarini era steso in 
terra supino nella prima stanza superiore. L’ esame esterno e la 
sezione del suo cadavere vi mostrarono una ferita e frattura 
comminuta nella parte posterior superiore della regione sincipi- 
tale sinistra, per cui erano lacerate la dura e pia meninge, 
l’aracnoidea, la parte corticale del cervello, e per circa mezzo 
pollice la sua stessa sostanza. I polmoni erano turgidi per molto 
sangue atro e’ spumeggiante, che ne sgorgò tagliandoli. Il cuore 
ed i visceri deil’abdome erano in stato normale. 

Nella seconda stanza, e colla fronte sulla soglia della porta 
che la congiunge alla prima, giaceva colla faccia a terra il Ca- 
valli, stese sul suolo'le gambe, irrigidite cd inarcate le braccia 
verso il muro; quasi tentando un grande sforzo, e grandemente 
contratto tutto il sisternma muscolare. L'esterno del suo corpo 
non presentava alcun segno dell’azione del fulmine. La sezione 
fece trovare nella testa i vasi meningei molto ‘iniettati, ma il 
cervello in istato naturale, con poca sierosità limpida nei ven- 
tricoli di esso ; nel petto i polmoni dilatatissimi, ripieni d’aria, 
ed applicati esattamente alla pleara. Tagliato il pericardio, che 
era enormemente disteso, fu trovato pieno di sangue proveniente 
da ùno strappo lungo circa quattro linee, che fu trovato nel 
cuore. Nella cavità dell’abdome tutto era in stato naturale. 

Queste circostanze, mentre provano che nessuno di questi 
due digraziati ‘fù toccato direttamente dal fulmine, fanno con- 
getturare che il Cesarini investito da una gagliarda corrente 
elettrica fosse. gettato in terra, ove percuotendo violentemente 
la testa, ne restasse prontamente estinto. Un simil caso accadde, 
er son due anni, a Seandicci presso Firenze, in un contadino ; il 


135 
quale senza esser toccato dal fulmine, che bensì gli passò vicino, 
gettato violentemente in terra, e percossavi la testa, morì im- 
mediatamente. Sono poi evidenti nel Cavalli i segni dell’ asfissia, 
cagionata probabilmente da un’ alterazione indotta dalla scarica 
fulminea nell’aria di quelle stanze, per la quale asfissia il san- 
gue ristagnato nel cuore ne operò la distensione e la. rottura; 
concorrendovi la reazione del cuore stesso, la quale dovè essere 
validissima, per la singolar gagliardia delle masse muscolari rilevata 
in quest'uomo dai periti. 


Roma, Ottobre 1824. I padri della compagnia di Gesù, 
nel primo mese dell’ingresso loro al collegio romano, ed 
all’annessa celebre specola, non hanno potuto fare le consuete 
osservazioni; e perciò siamo privi delle tavole meteorologiche , 
le quali venivanci favorite dal ch, sig. abate Calandrelli, e dai 
professori astronomi degni di lui allievi — Giornale. Arcadico 
N.° 70; p. 25. 


Fisica e Chimica. 


Sotto il nome di Filosofia generale, 0 spiegazione univer- 
sale, opera in 8 volumi pubblicata recentemente a Parigi, il 
sig. Azaîs ha prodotto una nuova dottrina fisico-chimica molto 
singolare. Il suo principio universale è la forza d’ espansione 
inerente essenzialmente alla materia. I corpi solidi sono più con- 
densati alla superficie che nelle parti interne, meno esposte alla 
esterna compressione. Queste parti interne sono la sede dell’espan- 
sione essenziale. In queste parti si effettua la dissoluzione d’ogni 
corpo solido , che diffonde a traverso del suo inviluppo esterno 
i, prodotti impercettibili della sua dissoluzione intima. Se l’in- 
viluppo è egualmente impermeabile in ogni punto, questa specie 
di traspirazione si fa per raggiamento uniforme o quasi. unifor- 
me . Nel caso di resistenza diversa, la materia della dissoluzione 
intestina si divide in due torrenti che sgorgano, uno per un la- 
to 0 polo, l’altro per l'opposto. L° autore chiama fluido mag- 
giore qaello che prende la via più aperta, /luido minore quello 
che prende la più angusta. L'equilibrio di proporzione fra le 
quantità delle due emanazioni è mantenuto , essendo compen- 
sata l’angustia della sortita dalla rapidità del movimento. 

Senza. trattenerci a riferire come l’autore applichi i suoi 
principii;.e soprattutto l’azione dei due fluidi. maggiore e mi- 
nuore alla spiegazione d'ogni genere di fenomeni. fisici, come 


136 


della gravità , dell’elasticità , dell’elettricità ; dei fenomeni lami- 
nosi , calorifici, elettrici, magnetici, pensiamo che basti a dare 
un’idea del modo di vedere di quest’autore l’ indicare ciò che egli 
crede avvenire ove la corrente eccitata dalla pila voltiana inve- 
stendo l’acqua, è creduta dal comune dei fisici operarne la 
scomposizione. Senza dichiarare apertamente l’aria un’elemento, 
sì contenta di dire che essa è ùn fluido omogeneo. Egli am- 
mette che percorsa dalla corrente, l’acqua si presta a’ rivestire 
o a formar di sè stessa un’inviluppo intorno alle particelle dei 
due fluidi, Quelle del fluido maggiore, vestite d’|acqua ; forma- 
no ciò che si è chiamato gas ossigene ; quelle del fluido minore, 
vestite egualmente d’acqua, formano ciò che si è chiamato gas 
idrogene. Ove circostanze opportune deterininino il ristabilimen- 
to dell’ equilibrio di mescolanza, o la rianione e condensazione 
dei due fluidi maggiore e minore , éssi restituiscono nei rottami 
dei loro involucri quell’ acqua che ‘ne vestiva i globuli o parti= 
celle , e che si è creduta di nuova formazione. 


Il sig. Ba:lly ha recentemente ‘esposto in una ‘memoria le 
sue ricerche intorno alla luce. Preferendo alla dottrina newto- 
niana dell'emanazione quella delle vibrazioni d’un fluido etereo, 
osserva esser difficile a comprendersi che particelle materiali , 
comunque tenui, scagliate da una distanza prodigiosa con una 
velocità di 67,000 leghe per minuto, non distraggano nè danneg- 
gino un’organo così delicato come l’occhio. Spiega poi l’azio- 
ne della fuce sui vegetabili per la comunicazione del moto di 
vibrazione dall’etere circostante alle particelle eteree contenute 


nei vegetabili. 


Sopra î giri continui delle calamite.( Nota comunicata 
dal sig. cav. Mobili al prof. Gazzeri ). Si sa qual sia la condi= 
zione che si esige nella dottrina del sig. Ampére perchè una’ ca- 
lamita possa concepire un movimento di rotazione continuo in 
virtà dell’azione de’ conduttori voltaici: bisogna che una parte 
del circuito della pila traversi il pezzo calamitato , ovvero sia 
a quest ultimo invariabilmente legata. ( Recueil d' observations 
électro-dynamiques pag. 367. ) 

, Per verificare con un esperimento diretto l’importanza di 
questa condizione, ho cominciato dal procurarmi un galleggiante 
magnetico capace di prestarsi contemporaneamente ai due. casi 
di rotazione sin quì conosciuti. In uno di questi casi la calamita 
dee girare d’intorno ad un filo situato fuori di essa; nell’ altro 


137 
hà da girare d'intorno al proprio asse. Il galleggiante che som- 
ministra a un tempo stesso queste due specie di rotazioni, è 
‘emplicissimo : esso consiste in due piccioli aghi nagnetici pian- 
tati perpendicolarmente sopra un cerchietto di platino presso 
alle estremità d’uno de’ suoi diametri. Gli aghi deggiono . pre- 
sentare i poli dello stesso nome dalla stessa parte; e il peso del 
galleggiante vuole essere regolato in guisa, che gli aghi peschino 
nel mercurio due terzi circa della loro lunghezza, Presi poi in 
mano i due fili congiuntivi d’un elettromotore, sì tuffano nel 
bagno «li mercurio, l’ uns presso all'orlo della tazza che contiene’ 
questo metallo, l’ altro verticalmente nel giusto mezzo che se- 
para i due aghi del galleggiante. Questi in allora si pongono ,a 
girare d’ intorno al filo verticale: supplendo così al caso dell’una 
e dell’altra rotazione, secondo che si considerano o indipendenti 
l’uno dall’ altro, oppure congiunti assieme come se fossero, ele- 
menti d’una medesima calamita . ;, 

»» Ridotti in sì fatta maniera ad un solo esperimento i due 
casi di rotazione sin qui ottenuti , ho coperto d’ uno strato non 
conduttore i due aghi del galleggiante, onde sottoporli così iso- 
lati all’azione delle correnti voltaiche. Sotto quest’azione essi girano 
nè più nè meno di quel che fanno quando si trovano ad immediato 
contatto col mercurio. In quest’ultimo caso può darsi, che ad 
onta della grande conducibilità del mercurio, qualche poco di 
corrente si faccia strada attraverso la sostanza degli aghi d’accia- 
io; ma quando questi sono perfettamente isolati in mezzo al ba- 
gno in cui pescano, è cosa ben certa che la corrente gli schiva 
in tutta la sua totalità. Parmi dunque che il fatto sia deciso, 
tale cioè da mostrare che le calamite possono girare continua - 
mente senza far parte in alcun modo de’ circuiti voltiani. Se 
questo risultato è giusto ed importante, com’io suppongo, i fi- 
sici troveranno in esso un altro argomento da valutare nell’ esa- 
me delle nuove dottrine elettro-magnetiche . ,, 


Accennammo già ( Antologia N.° 44 agosto 1824 pag. 177 ) 
la notizia pervenutaci che il sig. BarZow aveva fatta l'importante 
scoperta d’ un mezzo atto a sottrarre l’ ago magn etico all’ in- 
fluenza del ferro necessariamente impiegato nella costruzione dei 
bastimenti , influenza che rende la bussola una guida inesatta, 
Non venendo allora indicato qual fosse il mezzo impiega to dal 
sig. Barlow, meditandovi sopra coerentemente a certe nostra 
idee, e ad un fatto singolare già da noi scoperto ed a nnunziato, 
ci venne fatto di congetturarlo .«Quel fatto, riguardato sempre 


155 


da uoi come importantissimo ; ma sol quale avevamo fin quì ri- 
chiamata in vano l’attenzione dei fisici, è la proprietà coibente 
del ferro rispetto al fluido magnetico, o la facoltà da noi ricono- 
sciuta in quel metallo , esclusivamente ad ogni altro corpo della 
natura, d’intercettare l’azione magnetica. Però inteso appena 
l’annunzio del sig Bar/ow, pensammo che egli doveva interpor- 
re del ferro, uniformemente disposto intorno all’ago, fra l’ago 
stesso ed. il ferro inegualmente distribuito sul bastimento, 

Impazienti di conoscere il processo del sig. Barlow, sentia- 
mo ora con vera sodisfazione che egli impiega effettivamente il 
ferro per ottenere |’ effetto desiderato. Cercata e determinata sopra 
d’un bastimento la linea d'attrazione del ferro che ne fa parte, 
colloca su questa linea il centro d’ una lastra circolare di ferro, 
sopra della quale sorge il perno che sostiene l’ ago magnetico, 
il quale per questa disposizione reso insensibile all’azione del 
ferro contenuto nel bastimento , indica il vero meridiano magne- 
tico in ogni punto del globo, com'è stato verificato dal tenente 
Forster e da altri ufficiali di marina, La scoperta della proprie- 
tà coibente del ferro rispetto al fluido magnetico, e le nostre idee 
relative, erano state esposte nel Numero III di questo giornale, 
marzo 1821 pag. 486. 


Il sio. Doeberciner ha tentato invano la combinazione delle’ 
due specie d’ idrogene carbonato, e del gas ammoniaco coll’ os- 
sigene, per mezzo del platino, come anche quella di varie altre 
sostanze aeriformi. Egli sembra ora diffidare di quella sua pri- 
ma opinione, per la quale riguardava l’azione del platino sulla 
inescolanza dei due gas idrogene ed ossigene come un fendimeno 
elettrico. Orta non gli sembra nè elettrico, nè magnetico, nè 
ineccanico, ma d’un genere particolare . i 


Il sig. Marehese ‘Ridolfi ha vedato che la macchina elet- 
trica da esso già descritta nell’ Antologia è capace d’ operare la 
decomposizione di moltissimi sali metallici adoperandone le 
soluzioni, e trattandola come si farebbe colla pila del ‘Volta. 
Nel caso attuale, i fili che servono di prolungamento ai poli 
provengono uno dall’ apparecchio confricatore. 1’ altro dall’ ap- 
parecchio collettore. I sali di mercurio e d’ argento si decom- 
pongono, e lascian libero il loro metallo colla massima facilità. 

Se un filo continuo unisca i detti apparecchi e piegato in 
elice in qualche punto contenga fra le sue spire un tubo di ve- 
tro, e questi un ago vergine, dopo pochi giri del disco egli sè 


139 
rinviene magnetizzato. Quest esperimento era già stato annun> 
ziato, prima dal Ridolfi, poi dal P. Michelotti e non venne creduf 
to da molti fisici; ora è facile per chiunque di convincersene. 

Si annunziò già che la detta. macchina elettrica accendeva 
l’esca ed il carbone per la tacita corrente del suo fluido, e non 
già colla scarica repentina di esso accumulato prima su d'una 
superficie . Questo fatto singolare dava luogo a prevedere i so- 
prannctati, o almeno a supporli possibili; ora ha ricevuto nuo- 
va ampliazione . Se in vece di presentare una punta di car- 
bone al condattore della macchina , questo pure si munisca d’al- 
tra punta di carbone, e così meglio s'imiti la curiosa esperien- 
za di Davy fatta colla pila del Volta , 1’ accensione del carbone 
è molto più pronta che nel primo caso, e la luce che si svilup- 
pa molto si accosta a quella che si ammira allorchè l’accensione 
segue fra i poli voltaicix 


Il sig. cav. Sementini, professore di chimica a Napoli, ana- 
lizzando varii minerali dell’isola di Vulcano, ha trovato, unito 
al solfo; molto selenio in alcune incrostazioni di color rosso bril- 
lante . 


Il sig. Smithsorm, avendo riconosciuto che i carbonati di 
soda e di potassa, come precipitano tutte le basi terrose e me- 
talliche delle soluzioni saline, così scompongono li stessi sali sec- 
ehi per la via della fusione, ha suggerito un facil mezzo di ri- 
conoscere la presenza d’un’acido nei minerali. Egli espone alla 
fiamma della lucerna animata dal soffio una mescolanza del mi- 
nerale da esaminarsi e di carbonato di soda o di potassa ( satu- 
rato d’acido acetico ), con che l’acido contenuto nel minerale 
passa a formare colla potassa una combinazione solubile. Siccome 
tutti gli acidi minerali, eccettuato solo il nitrico, formano col 
piombo sali insolubili, se. il minerale esaminato conteneva un'aci- 
do ; il resultato della sua fasione col carbonato alcalino formerà 
con. una soluzione di piombo un precipitato. Si riconosce poi 
quale acido minerale siasi unito alla soda, dalle varie reazioni che 
presentano questi composti salini . 

Sarà un solfato di soda se, fuso sopra un carbone , quindi 
bagnato con una goccia d’acqua sopra dell’ argento ben pulito , 
vi formerà una macchia di solfuro d’ argento. Si può anche s0- 
stituire all’ argento il rame. 

Sarà un idroclorato o un cloruro se, posto egualmente 
ospra l’argento, e bagnato con una soluzione di protossido di 


Io 
ferro, o di solfato di rame, vi formerà una macchia di eloruro 
nero d’argento. Questo mezzo è così delicato, che scuopre il 
cloro contenuto in una lacrima. 

Sarà un fosfato se, saturato con acido acetico, forma un 
precipitato di color giallo di zolfo col nitrato d’argento. 

Sarà un dorato se darà un color verde alla fiamma nella>sua 
fusione , 0 se, versatavi sopra una goccia d’acido solforico ; quin- 
di un poco d’aleool, questo arderà con fiamma verde. 

Sarà arsenìto se formerà un precipitato color di mattone col 
nitrato d’argento . i 

Sarà un cromato se la sua soluzione sarà gialla, e precipi- 
terà in un bel color giallo la soluzione di piombo. 

Sarà un moliddato se, scaldato con una goccia d’acido sol- 
forico ; svilupperà, o tosto, o nel raffreddarsi, un bel color tur- 
chino. Siccome anche il tungstato trattato egualmente offre lo 
stesso colore, si distinguono uno dall’ altro perchè il primo for- 
ma col prussiato di potassa un precipitato dello stesse colore che 
it rame, lo che non ha luogo col secondo . 

L’acido carbonico si riconosce nel minerale stesso , per l’ef- 
fervescenza che vi cagiona il contatto d’un acido, di cui in al- 
cuni casi bisogna aiutar l’azione col calore. La silice, che si 
riguarda in oggi come faciente le funzioni d’acido in alcuni mi- 
nerali, si riconoscerà essersi unita alla soda, se un’acido affu- 
sovi formerà una materia gelatinosa. 


Il sig. dot. Sprengel di Gottinga si è assicurato che la 
Glaux maritima inaffinta, mentre vegeta , con acqua in cui sia 
disciolto del sale, sviluppa dell’ acido idroclorico . 


Il Rhus glabrum contiene un acido assai forte, di cui si 
fa qualche uso in America. Il sig. Cozzens di Nuova-Yorck ha 
riconosciuto che quell’acido è il malico; mescolato ad una pic- 
colissima quantità d’acido gallico. Fatta decozione delle bacche, 
e ridottala alla densità di sciroppo; vinfonde dell’ alcool, che 
discioglie il solo acido, lasciando la mucillaggine, e le altre so- 
stanze. Allungata con poca acqua la soluzione alcoolica, e di- 
stillatala per ritirarne l'alcool, trova l’acido malico nella storta. 


Lo stesso sig. Cozzers ha introdotto un notabile perfezio- 
namento nel processo per cui si ricava dalla distillazione delle 
resine l'olio volatile o essenza di terebintina. Avendo ricono- 
sciuto che il calore considerabile necessario nel processo ordi- 


141 

nario altera la resina che resta nel fondo del vaso distillatorio , 
ha imaginato di farvi entrare nel tempo della distillazione un 
sottil filo d’acqua bollente, che mettendosi in vapore, determi- 
na la vaporizzazione anche dell’essenza, la quale condensandosi 
insieme col vapore acquoso nel serpentino, si separa nel reci- 
piente dall’acqua per la differenza del peso specifico. In questo 
sistema basta un calore piuttosto blando, per cui la resina re- 
\stante nel lambicco non è bruciata o alterata, e si ottiene. una 
maggior quantità d’ essenza di qualità anche migliore. 


Il sig. Marchese Ridolfi ha osservato che la pellicola delle bac- 
che dell’ Antidesma Alexeteria ben spremuta e lavata, dà una 
tintura alcoolica di un bellissimo bd/ew violetto la quale può ser- 
vire di delicatissimo reagente per gli acidi e per gli alcali, pas- 
sando al color rosso per l’azione dei primi ed al verde per quel- 
la dei secondi. Il P. Taddei ha ottenuto eguali resultati dall’ epi- 
dermide delle bacche dell’ uva nera, anzi la tintura che ne ha 
preparata, prendendo dei tuoni determinati di colore per l’ azio- 
ne di alcuni acidi, alcali e sali, può servire di reattivo caratte- 
ristico. L’ allume per esempio volge la tintura al ceruleo he!. 
lo, e non l’arrossa come si crederebbe ec, Il sotto acetato di 
piombo la volge al bellissimo verde ec. Ma ambedue queste tin- 
ture risentono benissimo la presenza degli alcali e delle terre 
alcaline, anche nelle loro combinazioni perfettamente neutre coll’ a- 
cido carbonico, lo che prova la loro estrema sensibilità. Chiunque 
sappia quanto sia penosa a prepararsi ed a conservarsi la tintu- 
ra di viole pregierà certo aleun poco i nuovi reagenti che non 
le cedono in fedeltà , 


Essendosi nelle vicinanze di Hoster sul ‘Weser. avvelenata 
una persona per aver mangiato di certi piccoli formaggi che si 
fanno in quel paese, il sig. /Veting farmacista, esaminatili, tro- 
vò in essi l'acido sebacico ed il prussico , e si assicurò che. il 
primo di detti acidi si trasforma in una sostanza venefica per la 
sua, unione prolungata ad un'altro acido. Così questi formag- 
gi agirebhero sull’animale economia in un modo poco diverso 
da quello di certi salami, egualmente di Germania, che acqui- 
stano col tempo proprietà venefiche . # 

Sistema di Stechiometria Chimica o teoria delle proporzio- 
ni determinate , è il titolo di un libro già da noi annunziata 


142 ; 

e che il Professore Giovaechino Vaddei ha pubblicato in Firenze 
coi tipi del Pagani. 

Noi facciamo plauso a questa operetta in quanto che ci pas 
re esser dessa felicemente concepita e con ogni diligenza com- 
piuta, venendo per lei raccolto e spiegato in poche pagine quan- 
to di sparso e di più astruso possiede la Chimica ‘in una mate- 
ria che le ha dato quella evidenza di fatti e quel rigore di princi- 
pj che le abbisognava per salire al grado di vera scienza . 

L’autore consacra le prime pagine a far conoscere la sto- 
ria e lo sviluppo della teoria delle proporzioni determinate, e sta- 
bilisce intanto le basi fondamentali salle quali si appoggia. In- 
di si fa strada a parlare della teoria dei volumi, e mostra a pro- 
posito come dal peso di certi gas isolati possa determinarsi quello 
dei composti derivati dalla combinazione dei primi; e per seguire 
un ordine rigoroso prende tosto l’autore ad insegnare come s’ab- 
bia a procedere per determinare |’ atomo semplice nei composti 
binarj, ed il composto nei sali. Osserva dopo tutto questo che 
la nomenclatura Chimica, sebben ridotta ai dì mostri a’ molta 
perfezione, mon può in modo alcuno rappresentare allo spirito le 
proporzioni determinate, che i diversi corpi mantengono nel 
combinarsi fra loro, e nel dar luogo ai nuovi composti; quindi 
egli saviamente giudica opportuno di accompagnare i nomi scien- 
tifici di quelle combinazioni, delle quali non possono gli atomi 
costituenti esser chiaramente espressi dal significato vero o 
eonvenuto del vocabolo, con alcuni simboli, i quali spieghino ri- 
gorosamente ciò che la radice o la desinenza del nome non può 
significare. Così per esempio sebbene in generale nei deutos- 
sidi debba l’ossigeno entrar per due atomi, pur vi ha il deutos- 
sido d’oro che tre ne contiene, e quel di piombo che ne ha 
soli 1. 1f2; quindi il p. Taddei vuol che tre punti‘(.:)si se- 
guino dopo la denominazione di quella sostanza} e (=) dopo 
l’appellazione di questa. Commendevole ne sembra questo pen- 
siero benchè per esso non giungasi all’ottimo} non essendo fat- 
to per lui possibile di dare al linguaggio chimico una ‘tal per- 
fezione che parlato e scritto , egualmente ragioni ‘allo spirito . 

Fin qui tutto è preliminare, tutto è dato all’istrazione; d’o- 
ra in poi il libro diviene utilissimo anche al Chimico. il più 
esercitato e profondo. Cominciano le tavole destinate a indicare 
l’analisi e la sintesi delle chimiche combinazioni; e 1’ autore vi 
antepone un capitolo destinato a insegnarne il maneggio; e 
siccome fra queste tavole trovasi quella pure degli equivalenti 


145 
chimici, alla quale non potea darsi la mobilità di parti che tanto 
comoda rende quella di Wollaston, il p. Taddei ha dovuto cercare 
un compenso che sì efficace è riuscito da non lasciar nulla a 
desiderare, compenso che pure si descrive minutamente in un 
capitolo separato. La Tavola esprimente il peso specifico di va- 
rj corpi gasosi , la Joro chimica costituzione in atomi ed in vslumi, 
e la condensazione dei medesimi porrebbe naturalmente fine al la- 
voro del p. Taddei, se egli per il desiderio di render vie più inte- 
ressante il suo libro non lo avesse corredato di molti prospetti adat- 
tati a esibire in pochi momenti cento notizie delle quali ha il chi- 
mico continuamente bisogno nel pratico esercizio della parte spe- 
rimentale della sua scienza. L’ Italia mancava di un lavoro di si- 
mil fatta: anzi questo lavoro cancella la colpa che ai chimici Ita- 
liani rimproyerano quelli d’oltremonte di non aver cioè quasi mai 
dato segno nelle opere loro di conoscere ed apprezzare come fa 
di mestieri una teoria che dopo Higgius, Richter, Dalton, Berze- 
lius ec. successivamente illustrarono con tanta loro gloria a pro- 
fitto della scienza. Avremmo desiderato però che in un opera 
di tal genere la nitidezza della stampa, il merito tipografico 
in generale, avessero corrisposto alle premure dell’ Autore. 


} 


Geologia 


Il terreno di Pues nel Velay è stato studiato e descritto 
dal Sig. Bertrand-Ioux in una opera considerabile, nella quale 
ha dato ragguaglio di tutti gli strati, delle loro relazioni di 
posizione , e delle differenti altezze dei terreni. Le montagne 
che costituiscono questo bacino hanno il loro nucleo di gra- 
nito, e questa roccia vi s'incontra in tre varietà , distinte per 
la loro consistenza; e le loro cime hanno delle masse vulca- 
niche, l'origine delle quali è anteriore alle epoche istoriche , 
Nella parte inferiore sono depositati i terreni posteriori, consi- 
stenti in psammite formato di frantumi di granito, una varietà 
del quale conglomerato ha dei resti di vegetabili, quindi im- 
mediatamente succede il terreno terziario di strati di argilla e 
di marna in letti numerosi, senza corpi organizzati, forse ana- 
loghe alle argille plastiche dei circondarj di Parigi, e sopra que- 
ste per l'altezza di 100 metri posano dei terreni di acqua dolce 
con avanzi organici di animali che hanno abitato in essa, e con 
ossa di animali terrestri, come il Paleoterio ; ed un genere vi- 
cino all’ Antracoterio . Sul fondo di questo bacino sono posate 
le deiezioni vulcaniche, le quali il Sig. B. erede posteriori ai 


144 
terreni terziari, giacchè questi non contengono in sè alcun fram- 
mento di lava . 

Questi prodotti sono di due sorte, o feldspatici, nei quali 
il feldspato predomina, e che egli chiama trachitici quando il 
feldspato è lamelloso, smolitici quando è compatto, ovvero pi- 
rossenici, nei quali il pirosseno predomina, e che comprendono 
le lave basaltiche, le scorie e le ceneri, e questa seconda sorta 
di prodotti, poichè talvolta veggonsi superiori alle trachiti, però 
è credibile che sieno posteriori ad esse. Le trachiti sono state 
depositate principalmente lungo la catena orientale, il loro tes- 
suto è uniforme, e debbono avere eruttato in tempo assai corto, 
mentre che le lave ed i basalti differiscono fra loro per la strut- 
tura , e per l’epoca dell’eruzioni. E poichè i Romani in questi 
Juoghi hanno costruito delle strade e delle fabbriche su queste 
lave già degradate e scoscese, come lo sono attualmente, però 
è presumibile che le ultime eruzioni fossero già antichissime. 
Nella catena occidentale si trovano le altre lave;; ed esse hanno 
avuto origine da un gran numero di bocche vulcaniche, giacchè 
il Sig. B. ha contato le vestigia di più di cento, 

Una memoria è stata pabblicata dal Sig. Rod. Prystanowschi 
sopra i vulcani d’Italia, nella quale egli considera nella parte me- 
dia di questa penisola due striscie di materia infiammabile che 
vanno dal N. O. al S. E. La zona Adriatica, la quale va dalla 
Romagna ov’ essa principia, e la mediterranea, la quale si pro- 
Junga da Modena a Napoli, fino in Sicilia. 

Riguarda egli lo zolfo come una delle materie principali 
che hanno servito di alimento a questi fuochi, e ne descrive 
le varie località, non perdendo di vista il muriato di soda, che 
in molti luoghi lo accompagna. Dai banchi di zolfo crede esser 
pure alimentati i nostri lagoni Toscani, ch’ egli riguarda come 
vulcani di leggiero effetto. I vulcani adriatici si prolungano nella 
Grecia e nella Persia, sicchè sarebbero i più estesi, mentre 
quei della zona mediterranea sono più attivi. 

Il Sig. Klaproth ed il Sig. A. Remusat hanno dimostrato 
ad evidenza che nell’ interno dell’Asia nella pianura circoscritta 
dagli Oural, dagli Altai, dalle frontiere della China, e dalla ca- 
tena d’Imalaia esistano due vulcani in attività, dai quali si trae 
in abbondanza il sale ammoniaco. 

Il Sig. Boué nel seguito della sua memoria sopra il Sud- 
ovest della Francia prende in esame le diverse masse che , oltre 
ai graniti, costituiscono i Pirenei. La Sienite perfettamente ca- 
ratterizzata , e contenente il titano Siliceo-calcario è rara nei 


145 

Pirenei, e pare che quelle di Beturram che più abbondano di am- 
fibolo si trovino negli schisti intermediari, o grauvacchi schi- 
stosi. A Lherz essa è in contatto colle masse granitoidi da una 
parte e colla montagna di calcario granulare dall’ altra . AI con- 
trario i diabasi abbondano , soprattutto tral golfo di Biscaglia, la 
valle di Lez e d.lla Salat. I serpentini, unitamente alle Sie- 
niti ed ai Diabasi e le roccie pirosseniche formano le più re- 
centi masse non stratificate dei Pirenei , e i Diabasi sono con- 
nessi da una parte coi graniti, dall’ altra alle roccie pirosseni- 
che. I serpentini non hanno seco l’ eufotide nè il diallaggio . 
Il pirosseno vi si trova in roccia compatta a parti granulose 
nere o verdi ; e tal varietà fu descritta sotto il nome di Lherzo- 
lite dal nome del paese dove fu osservata , non sono molti anni, 
ma sì trova anco presso del colle di Portet. I depositi secondarj 
dei Pirenei non pare che contengano il grès rosso nuovo, ma inve- 
ce il grauvacche recente ‘ed il carbon fossile forse rappresentato 
da roccie arenacee con impressioni, interamente connesse ad un 
calcario secondario, ed al piede delle due pendici dei Pirenei 
abbonda il grés digarré ( arenaria varicolore ) che in qualche 
luogo è molto argilloso, ed alterna colla marna, le quali due 
roccie contengono angoli di gesso compatto , e cristalli di quarzo 
ematoide che volgarmente sono detti giacinti dî Compostella , 
e probabilmente la glauberite e la fosforite. Vi si trova un 
calcario grigio analogo a quello che nell’Harz è subordinato alle 
marne varicolori sottoposte al calcario conchilifero , come pure 
un terzo grès secondario ( quadersandstein). Il calcario del Giurà 
forma pure appiè de’ Pirenei una striscia assai larga e continua. 

Il Sig. Brochant era di opinione che nelle Alpi il gesso 
appartiene ai terreni di transizione, il Sig. Jacquemont per altro 
ha trovato questa sostanza nelle roccie primordiali a Valcanaria 
nel Simplon. 


Il Sig. Emanuelle Repetti ha recentemente esposto in una 
memoria che si troverà qui appresso le importanti sue osserva- 
zioni intorno alla formazione delle pietre silicee in seno ai ter- 
reni, ed alle masse calcaree, ed alla solubilità della silice da 
lui stesso trovata in stato gelatinoso. 


‘ Mineralogia 


Un minerale che era stato venduto come cleolite il Sig. Brooke 
ha osservato che ne differisce per varii caratteri della maggiore 
importanza, e che ravvicinandosi assai alla Scapolite per le sue 


T. XVI. Dicembre. 10 


16 


giunture naturali, è però di questa più tenero e di aspetto più 
vetrino. Esso ha per matrice la calce carbonata, ed. è in cri- 
stalli di f. prismatica rettangolare retta, che.il Sig. Brooke.riguar- 
da come la primitiva. Egli ha imposto il nome di nuttalite a 
questa nuova sostanza. Il Sig. Boswen ha dato il nome di Silli- 
manite ad una sostanza che molto si avvicina all’ autofillite e 
trovata nel Connetticut , costituita da un silicato di allumina 
con un poco di ferro. 

Il Sig. Children si propone di stabilire i caratteri che presen- 
tano al cannello alcuni minerali non per anco esaminati con que- 
sto mezzo, e per saggio di questo suo lavoro ha presentato 
quelli dell’ Arfewdsonite e della Latrobite , ed il Sig. Arfewdson 
ha pubblicate le analisi della Cannellite di Melsio , del Crisoberillo 
del Brasile, e della Boracite di Luneburgo , appigliandosi per que- 
sta ultima sostanza ad un nuovo metodo, per determinare esat- 
tamente la quantità dell’ acido borico . 


Botanica e Agricoltura . 


Il governo francese , nel 1819, ad oggetto di favorire la na- 
turalizzazione delle piante estere utili, tanto nei suoi possessi di 
oltremare, che in Europa, spedì il sig. Samuele Perrottet bota- 
nico coltivatore nei mari d'Asia e della Guyana, per raccogliervi 
piante e semi da essere depositati a Mascaregne e Cayenna, ed 
in parte per introdursi in Francia. Il sig. Perrottet adempì con 
sommo zelo ed intelligenza l’ incarico addossatogli, e nel corso 
di tre anni riunì una considerabile quantità di giovani alberi, 
parte dei quali (in numero di cento trentaquattro individui ) de- 
positò a Cayenna nel 1820 , portando in Francia altri cinque- 
cento trenta quattro individui, e più di trecento sacchetti di se. 

i. Oltre questa straordinaria collezione di piante fresche e se- 
mi, portò sette casse di scheletri di piante, legni, frutti, mi- 
nerali ec. 

Parlando d’una così cospicua raccolta, il sig. Thouin ( del 
quale deploriamo oggi la perdita ) affermò —,, non essere arri- 
vata in Europa, da un secolo a questa parte, una collezione 
di piante così numerosa in famiglie , in generi, e specie rare; 
e sopra tutto in vegetabili freschi, e che sia più suscettibile di 
arricchire un giardino botanico , di quella del sig. Perrottet . 

ia questi da sì onorevole testimonianza , e da quelle 
dategli dall’ iniiera amministrazione del museo, si è determina- 
to a pubblicare negli annali della società Linneana di Parigi un 


149 
ragionato catalogo delle piante e dei semi da lui portati. Noi non 
indicheremo tutte le specie utili portate dal sig. Perrottet , non 
permettendolo la brevità impostaci; ma crediamo far cosa grata 
ai nostri lettori accennandone alcune che più delle altre meritano 
di essere conosciute . 

Agave banlan. Perott. I Giavanesi dalle foglie di questa nuo- 
va specie d’Agave ottengono un filo atto a far tele e corde. 

Aleurites triloba. Albero grandissimo di Giava , dai cui frutti 
si estrae un olio eccellente. 

Bromelia Pigna, Perott. Nuova specie di Ananasso di Ma- 
nilla, che forma de’ grandi cespugli, e che viene coltivata dagli 
abitanti con molta diligenza, ottenendosi da essa un tiglio te- 
nacissimo, col quale si fanno finissime tele . 

Butonica speciosa. R. Albero dei più belli che si conoscano, 
tanto per il portamento, che per i grandi fiori, e per i frutti 
quadrangolari : le foglie sono di un bel verde con i nervi color 
di porpora. £ originario di Mindanao; dai frutti si estrae un 
olio per ardere. 

Carapa Guianensis. Aubl. Albero della Guyana, che cresce 
prestissimo. Il suo legno di un bel colore rosso viene impiegato 
per mobili, che suno molto stabili. I fratti sono molto ricercati 
dai maiali, e dalla mandorla interna si estrae un olio amarissi- 
mo, buono a bruciare, e usato dagl'indigeni per scacciare 
gl’insetti , 

Inga camatchili, Perrott. Nuova specie di albero di Manilla 
quasi tutto l’anno carico di fiori e di fratti. I semi di questi 
sono coperti di un arillo di un sapore gustosissimo , cHe li fa 
molto ricercare dagl’ indigeni . 

Mimosa Cobb Linn. Albero delle Filippine con tronco 
scandente, la cui scorza contenendo una sostanza saponacea 

«buona a lavare la biancheria, viene per Sia impiegata 
dagl’ indigeni tanto fresca che seccata. 

Mor multicaulis Perrot. Specie | di moro procurato al 
sig. Perrottet da dei Chinesi. Questo moro non ha tronco, ma 
dalle radici manda fuori una considerabile quantità di getti Iun- 
ghi e flessibili, carichi di tenere e nutritive foglie. Gli stessi 


chinesi assicurarono il sig. Perrottet che una minor dose di que- 


ste foglie era bastante per nutrire i bachi da seta, e che nel 
vasto regno chinese i bacbi erano nutriti unicamente con le £v- 
glie di questo moro, e finalmente che la bontà e lucidezza della 
seta era dovuta a quella pianta. Questa specie di pianta essen- 
do riescita perfettamente in Francia, è desiderabile che qualche 


Vel 


148 
agronomo l’introduca in Italia, e faccia dei comparati esperi- 
menti per verificare se realmente è preferibile al moro comune. 

Musa Abaca. Perrott. Pianta delle Filippine, dal cui lun- 
go fusto si estraggono delle fortissime fibre, colle quali si fanno 
corde di lunga durata . 

Nipa Fruticosa. Lam. Palma che si trova a Giava e Min- 
danao; viene apprezzata dagli indiani per le sue foglie molto 
durevoli, impiegate a coprir case, ed ottime per fabbricare cas- 
sette e cappelli che difficilmente si rompono. 

Pothos odoratissima. Perrott. Aroidea di Giava, i cui fiori 
odorosissimi profumano l’aria dei boschi ove cresce. Pare che 

\ questa o altra odorosa pianta abbia data origine alla falsa as- 
serzione di molti viaggiatori, i quali dicono che i frutti di vai- 
niglia all’epoca della maturazione esalano un’odore che si fa 
sentire da lungi; mentre nel fatto questi frutti non tramandano 
odore che dopo aver subito alcune preparazioni. Questa pianta 
ha già fiorito nelle stufe del giardino dì Parigi. 

Terminalia vernix. Albero di Giava di tristo aspetto, dal 
quale gl’ indigeni estraggono una vernice assai più lucente e più 
essiccativa di quella che dà 2’Augia Sinensis . 

Urtica tenacissima. Specie di ortica di Giava con fibre si - 
mili a quelle della canapa, le quali vengono impiegate per fare 
tele e corde. 

Vahea gummifera. Albero sarmentoso di Madagascar, dal 
cui tronco si ottiene un sugo resinoso che all’ aria si solidifica , 
e prende la consistenza della gomma elastica. Questa gomma 
elastica è la migliore di tutte le conosciute. 

Virola sebifera. Albero grandissimo, molto abbondante nei 
boschi vicino a Cayenna, utile per la polpa dei suoi frutti, e 
che somministra una sostanza colla quale si fanno candele per 
ardere . 

"Trovandoci sull’articolo di naturalizzazione di piante, non 
dispiacerà il sapere che il sig. Soul/ange Bodin ha formato a Fro- 
mont, vicino a Parigi, un vasto giardino per la coltura delle 
piante esotiche da introdursi e naturalizzarsi in Francia. Attual- 

i mente questa collezione possiede circa duemila specie , alcune 

‘ delle quali rarissime, e non introdotte in commercio . Il pro- 

| prietario spera fra breve tempo di aver costantemente da cin- 

{ quantamila a sessantamila individui di vegetabili esotici dispo- 

| nibili. 


149 


| GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. 


Scoperta dei Portoghesi nell'interno dell’ Affrica fra An- 
gola e Mosambic. Mentre dei viaggiatori inglesi scorrono l’inter- 
no dell’ Affrica centrale del Nord, altre parti di questo conti- 
nente ricevono un’ illustrazione inaspettata, “ # risultato dalla 
pubblicazione d’ un certo numero di relazioni portoghesi che di- 
verse spedizioni partite dagli stabilimenti di Sena e di Tété. al- 
l est, come anche da S. Paolo di Loanda e da S. Filippo di 
Benguela all’ ovest hanno percorso una gran parte dell’ interno 
di modo, che i loro itinerarii riuniti traversano interamente e 
fanno conoscere una zona di contrade fin qui incognite , langa 
dall’est all’ ovest 14 gradi di latitadine, e larga dal nord al sud 
fra i 5 e i 6 gradi, riempiendo così un vasto spazio bianco fin 
qui sulla carta ;,. 

Queste memorie che erano state comunicate al fu sig, Bo- 
wdich da un antico governator generale d’ Angola, vedono ora 
la luce a Londra per le cure del Libraio Booth. Gli annali dec 


viaggi ne danno degli estratti molto interessanti per la scienza 
geografica. 


Viaggio del sig. Cav. Gamba. Il Cav. Gamba è di ritorno 
a Parigi. Egli era stato a Teflis in Georgia in qualità di console 
del re di Francia. Ad esso debbono i francesi un trattato molto 
vantaggioso al loro commercio, fatto col governo di Russia. Que- 
sto governo ha preso le più sagge disposizioni per facilitare lo 
sviluppo dell’ industria e del commercio nelle vaste contrade che 
possiede alle falde del Caucaso e sulle rive meridionali del mar 
nero e del mare d’ Azof. Così, dopo più secoli d’interruzione, il 
commercio dell’ Asia potrebbe riprendere il suo andamento verso 
delle contrade ove successivamente la Grecia, Roma, Genova, e 
Venezia avevano richiamato le caravane dell'Armenia, della Per- 
sia, della Bukaria e dell’ India. È da sperare che gl’Italiani non 
saranno gli ultimi a prender parte alle intraprese utili alle quali 
invitano le franchigie accordate in quelle parti dal Governo Rus- 
so, Però dovranno accogliere con piacere la speranza di. veder 


pubblicare la relazione del viaggio del sig. Gamba, e l’ Atlante 
che l’ accompagna. 


Viaggio del sig. Duperrey, comandante la spedizione di sco- 
perte sulla Conchiglia , corvetta del Re di Francia. — Questo 
bravo navigatore continua con molto successo il suo viaggio scien= 


190 
tifico. Le ultime nuove che se n’ erano ricevute erano di Taiti; 
in seguito la spedizione francese ha: visitato successivamente i 
punti più importanti delle isole del grande oceano , ed ha fatto 
delle ricognizioni molto interessanti per le scienze geografiche. 
Ce ne informa una lettera del Comandante in data d’ Amboine 
del 4 ottobre 1823. Egli contava di ripartir quanto prima per il 
porto Jackson e le Caroline, ritornando in seguito in Francia. Non 
vi era a bordo un solo malato. 


Notizia intorno al sig. Caviglia viaggiatore in Egitto, es- 
tratta da un viaggio recentemente pubblicato a Londra. Il 
viaggiatore incontrò in Egitto un antiquario molto conosciuto; 
chiamato Caviglia che vive in una capanna eretta su quelle 
stesse rovine, là scoperta delle quali fa 1’ occupazione della sua 
vita. La sua biblioteca era composta d’ un’ esemplare del viag- 
gio del sig. Denon, e delle opere di Pascal. Possedeva anche un 
piccolo vocabolario geroglifico manoscritto, con delle interpreta- 
zioni date dal dot. Young e dal sig. Champollion. Egli voleva mo- 
strare al viaggiatore ed ai suoi compagni l’interno della pirami- 
de aperta dai francesi, e l’ esame della quale lo porta a pensare 
non essere le piramidi, com'è stato creduto, luoghi di sepoltura. 
;» Egli è un’uomo eccellente, molto entusiasta delle antichità e- 
giziane, e che ha mostrato coraggio e perseveranza; è poco dotto 
e non ha pretensione, Talvolta dà luogo a sospettare d’ essere 
stato navigatore, ma che un gusto pronunziatissimo per le anti- 
chità gli abbia fatto abbandonare la sua professione, per leggere 
e per consacrarsi esclusivamente ad uno studio che ha per lui 
tante attrattive ,,, Fu molto afflitto trovando l’ingresso della pi- 
ramide che voleva mostrare al viaggiatore interamente chiusa da 
enormi pietre. Il tempio del gran Vulcano degli egiziani, già sì 
rinomato, è l'oggetto di tutte le ricerche del sig. Caviglia; che 
non sdegna di prender parte ai lavori degli operai impiegati alle 
escavazioni. Spesso le di lui ricerche sono infruttuose , ma egli 
non perde il coraggio, e ricomincia il giorno dopo con nuovo 
ardore. La sua passione favorita gli ha dato tanta pazienza o 
tanta {destrezza, che ha saputo conciliarsi la benevolenza degli 
arabi. 

Il viaggiatore a cui si devono queste notizie , arrivato. al 
Cairo, fu presentato coi suoi compagni a Mohamed Alì Pascià, 
del quale egli forma un giudizio affatto diverso dall’ idea van- 
taggiosa che ne hanno data altri Europei, che sono stati ammessi 


DO 
presso di lui. Non si trova in quest’ opera un’ istruzione solida, 


151 


nè precise ed esatte nozioni intorno al paese ed al popolo, ma 
vi è ben rappresentata |’ impressione generale che producono la 
contrada ed i suoi abitanti. 


Atlante Ethnografico del globo, o classificazione di tutti i 
popoli antichi e moderni, secondo le loro lingue, preceduto dal 
quadro fisico, morale, istorico e politico delle cinque parti del 
mondo , d’ una esposizione sistematica dei diversi mezzi grafici 
conosciuti ed impiegati dalle diverse nazioni della terra, ed ac- 
compagnato da un vocabolario di 26 parole in 600 lingue e 200 
dialetti; dedicato a S. M. l’ Imperatore di tutte le Russie da 
ADRIANO BALBI. Questo grande ed importante lavoro era stato 
prima annunziato sotto il titolo di Atlante poliglotto del globo; 
ma pare che l’autore abbia definitivamente adottato il titolo sopra 
accennato per la pubblicazione della sua opera, che senza dubbio 
avrà luogo a Parigi , ed in lingua francese, ma che non esiste 

“ancora se non manoscritta. Gli estensori del Bullettino univer- 
sale del sig. Ferussac, dopo averla esaminata , dicono: ,, noi non 
possiamo se non confermare dal canto nostro l’asserzione dell’esten- 
sore dei nuovi annali dei viaggi. Sarà questa un’ opera d’un’alta 
utilità, e di cui non esiste ancora alcun modello; sarà un manuale in- 
dispensabile a tutti quelli che vorranro conoscere la statistica delle 
lingue. Farà, senza dubbio , di qui ad alcuni anni nascer l’idea 
d’un più gran lavoro da eseguirsi, ma resterà sempre l’ opera 
elementare e fondamentale ,,. Tutti gli amici delle scienze desi- . 
dereranno come noi che una pronta pubblicazione metta presto 
il pubblico studioso in grado di profittarne. È superfluo rammen- 
tare ai nostri lettori che il sig. Balbi è italiano, ed autore di di- 
verse opere stimate. 


Nuoya strada dalla Valtellina al Tirolo. È stata aperta al 
pubblico sul principio del mese di settembre la nuova strada mi- 
litare che parte da Bormio nella Valtellina, cavalca il dorso del 
Vaglio e dello Stilfserjoch, e scende nel Tirolo per riunirsi nei 
piani di Pradt colla strada d’ Inspruch. È questa la più elevata 
fra le grandi strade d'Europa, perchè la cima dello Stilfserjoch, 
su cui ella passa, è 8400 piedi sopra il livello del mare. In quelle 
regioni deserte delle alpi, ove ad ogni passo la natura resiste 
agli sforzi dell’ arte, il genio ha sviluppato con ardire pari al 
successo i mezzi dell’ architettura. L’ occhio del viaggiatore an- 
che meno istruito è vivamente colpito vedendo come, per mezzo 
di ponti e di strade, ora aperte a traverso degli scogli, ora co- 


struite con pietre, si sono fatti sparire precipizi orribili, e si è 
trionfato d’ ostacoli d’ ogni genere, che al passaggio d'una gran- 
de strada opponevano sullo stesso punto alte montagne sorgenti 
perpendicolarmente sopra la valle, o enormi falde di neve, che 
staccandosi dalle loro cime si sarebbero precipitate sulla strada. 
Non vi è cosa che faecia tanto onore alla prudenza del. governo 
quanto l’ aver fatto, col mezzo di strade coperte, solidamente 
| costruite con pietre, assicurare sù tutta la linea dal pericolo ora 
indicato i luoghi che n’ erano minacciati. In oltre col far soste- 
nere le volte di queste gallerie da un muro d’ appoggio lungo 
“la montagna, è stato riservato uno scolo a quelle masse colossali 
di neve, di modo che, senza cagionare alcun danno, esse arrivano 
al fondo della valle. 

Nella vicinanza del luogo chiamato Langenwand ( cioè lunga 
muraglia ) si vedono tutti gli ostacoli sopra indicati, vinti per 
mezzo d’un seguito di gallerie che ha più di 800 metri di lun- 
ghezza. Nelle alte risoluzioni che hanno comandato l’intrapresa 
di questi arditi lavori, è stato provvisto con umavità alla sicu- 
rezza del viaggiatore, che nel suo cammino, per l’effetto dei vor- 
tici di neve o dei violenti colpi di vento, correva rischio d’esser 
sepolto nella neve. Sei grandi alberghi costruiti sopra i punti 
più elevati della strada, gli presentano ad ogni ora un’asilo ove 
può trovar soccorso e sollievo per le cure di sorveglianti nomi- 
nati dal governo. 

Sulla strada che passa lo Stilfserberg, ove la maestà della 
natura si mostra sotto forme spaventevoli , l’attenzione del viag- 
giatore si porta piacevolmente sulle sorgenti dell’ Adda, che si 
precipita da uno scoglio di prodigiosa altezza, e sulla famosa cima 
di Ortlèés, che coperta d’una neve eterna, solleva la sua cima, 
orgogliosa al di sopra delle nubi. Il di lai occhio non è meno 
incantato dalle belle e numerose cascate; e dai punti di vista. va - 
riati offerti frequentemente ai suoi sguardi, che dal. destino 
bizzarro delle sommità degli scogli, e delle immense ghiacciaie , 
che pendono in certo modo dalla montagna di ghiaccio e dalla 
cima dell’Ortlès, al di sopra delle valli. Se finalmente si osserva 
che il declivio, sia nel salire , sia nel discendere è dolce sopra 
quasi tutta la ‘strada, e che è gia stata disposta una linea non 
interrotta di parapetti, non si ammira meno la grandezza del- 
l’opera che la prontezza dell’ esecuzione. È stata cominciata 
nell’estate del 1821, e bisogna rammentarsi che in quelle alte 
regioni non vi è che un piccol numero di mesi, in cui il suola 
ed il clima permettano simili lavori. 


153 

Il Progetto per far di Parigi un porto di:mare; rendendo 
la Senna navigabile pei grossi bastimenti, non è nuovo. Mirabeaw, 
Lalande, Forfait, Noel, il celebre Carnot; ed altri se ne. sono sue- 
cessivamente occupati. 

Il sig. di JMYontgery ha recentemente pubblicato in proposito 
una memoria interessante negli Annali. dell’industria. I mezzi 
potenti che offrono ora i bastimenti a vapore per vincere molte 
difficoltà insuperabili per i bastimenti a vele, servono: di base 
principale al suo progetto. Egli dimostra agevolmente qual nuova 
importanza acquisterebbe Parigi attirando a sè un gran commer- 
cio marittimo. Dopo ciò che vediamo essersi fatto in Inghilterra 
ed in America in proposito di canali navigabili, un simil progetto 
non può sembrar esagerato per un paese tanto potente quanto la 
Francia. ì 


Spedizione al Polo. Si hanno da Londra in data del dì 11. 

novembre le seguenti notizie. ,, Il capitano Lyon del. vascello di 
S. M. il Griper è arrivato inaspettatamente all’ Ammiragliato 
questa mattina. Il suo ritorno è stato cagionato in parte dagli 
“ostacoli che non gli hanno permesso d’ entrare. nella baia della 
Ripulsa, benché fosse giunto all’ ingresso del fiume di Wager. Il 
Griper ha provato la più straordinaria continuazione di cattivo tem- 
po che alcun navigatore abbia mai provato. In tutto il viaggio egli 
non ha avuto che cinque giorni di bel tempo, rano dei quali fu 
giovedì scorso . Tutte le sue ancore sono state perdute, tutti i 
suoi battelli spezzati: fortunatamente nessuna persona ha perduto 
la vita. Il capitano Lyon racconta che il cattivo tempo. ha reso 
la pesca poco lucrativa, I pescat ori di balene da lui incontrati 
non avevano fatto niente ,,, 

Un’ altra lettera di Portsmouth in data del 10 novembre dice 
quanto appresso. ,, Questa sera il vascello di S. M. il Griper; 
capitano Lyon, entra in questo porto senza aver toccato Spithead; 
torna dalla spedizione del polo nord, e sono sei settimane che 
ha lasciato le isole Soutampton. Il vascello è molto danneggiato 
e sembra aver sofferto orribilmente, Era giunto fino alla distanza 
di sei ore di cammino dalla baia della Ripulsa , quando si levò 
una tempesta spaventevole, che durò più giorni con un furore 
senza esempio anche in questi mari formidabili. Dupo chel’ e- 
quipaggio ebbe sofferto estremamente, il capitano Lyon fu ob- 
bligato di dirigersi verso l’ Inghilterra per riparare il bastimen- 
to che una volta ha dato nelle secche, e sofferto dei danni nel 


154 
fondo, senza contare Ja perdita delle sue ancore e delle sue go- 
mene ,,. 

» I 'capitano Lyon ‘ed i suoi compagni di viaggio sentirono 
parlare del capitano Parry, che era ad una grande distanza da 
loro. Il Griper era destinato a passar l’ inverno nella baia della 
Ripulsa, e doveva nell’ estate seguente mandare una spedizione 
per terra per tentare d’ incontrare il capitano Parry sulle rive 
opposte del mar polare ,,. Siccome il capitano Parry navigava 
nella baia di Baffin per portarsi allo stretto di Barrow, mentre 
il capitano Lyon scorreva la baia d' Hudson, sorprende a prima 
giunta intendere che uno di questi navigatori abbia sentito par- 
lare dell’ altro. Per altro la cosa è possibile ove si consideri che 
le due baie non sono separate che da alcune isole che lasciano 
fra loro dei passaggi aperti. È da ricordare che un pescatore di 
balene incontrò il capitano Parry a 70 gradi di latitudine, fra i 
così detti ghiacci del mezzo, e che in seguito questo medesimo 
pescatore si portò alla costa occidentale. Forse egli stesso essen- 
dosi inoltrato fino ‘alla baia d’ Hudson, o almeno avendo avuto 
comunicazione cogli Esquimesi, abitanti delle isole intermedie, 
avrà dato al capitano Lyon delle nuove del suo illustre collega. 


Sono recentemente arrivate a Monaco nuove del celebre 
viaggiatore sig. dott. Siebold. La sua lettera è in data del 18 
ottobre 1823 di Dasima.,, vicino a Nangasaki al Giappone. Eglàî 
fa sapere che si occupa a scrivere un prospetto dell’istoria na- 
turale del Giappone, che farà stampare a Batavia. Il sig. Sie- 
bold resterà sei anni al Giappone, e vi è luogo di sperare da 
lui descrizioni e scoperte di molta utilità’ per la scienza ; inoltre 
promette di spedire per il primo bastimento una parte di pro- 
dotti di quel suolo. 


Nel luglio scorso è tornato in Europa il sig. Szieder dal 
viaggio fatto intorno al mondo, portando seco in oggetti di sto- 
ria matarale delle ricchezze  preziosissime. Il sig. Sieber lasciò 
fi Europa nell'agosto 1822, e andò all’ isola Maurizio ove restò 
tre mesi; di là andò alla Nuova Olanda, è nel corso di otto 
mesi vi fece una delle più complete collezioni di storia natura- 
le che si siano giammai vedute. Tornò ad imbarcarsi il 13 
gennaio di quest'anno, passò lo stretto di Cook nella nuova Ze- 
landa , il mar pacifico, il capo Horn, e arrivò al capo di buo- 
na speranza il di 8 aprile. Un mese dopo s’ imbarcò per |’ Eu- 
ropa, ove arrivò dopo un felice e sollecito viaggio, Nel breve 


pf 
io to) 


spazio di 20 mesi; che è durato tutto il suo viaggio , ha forma. 
to una collezione certamente doppia di quelle che abbian fatte 
altri viaggiatori in egual tempo. Oltre una assortita collezione 
ornitologica, ba riunito tutte le specie dei quadrupedì della 
nuova Olanda, la metà dei quali assicura non essere conosciuti. 
Tutti questi oggetti sono destinati per la città di Praga sua pa- 
tria. Inoltre egli ha fatto nella parte meridionale del globo delle 
scoperte sull’idrofobia, che si propone di pubblicare . 


INVENZIONI E SCOPERTE. 


Fra i difetti che si rimproverano al vino, vi è talvolta 
quello d’ un sapor dolce non gradito nei vini da beversi an- 
dantemente, e detti da pasteggiare . Siccome un tal difetto pro- 
viene da una fermentazione incompleta , vi è stato proposto il 
seguente facil rimedio , che fa perdere al vino il sapor dolce, 
senza esporlo ad inacidirsi. Si fa un sottil foro in quella doga 
della botte che contiene il cocchiume, o gran foro destinato ad 
empirla ; si chiude il piccol foro; appena fatto, riaprendolo 
bensì ogni giorno per un momento , onde lasciar sortire il gas 
acido carbonico, che si sviluppa per il lento progresso della fer- 
mentazione . La prima volta che, aprendo il foro, non si sen- 
te più il sibilo del gas che sorte, o che un lume appressato 
al foro non è agitato., si richiude il foro per non più aprir- 
lo, essendo ormai completa la fermentazione , e disparso il sapor 
dolce del vino. Ordinariamente bastano a ciò otto giorni . 


Il sig. Jx ha eseguito a Parigi le /ampade portatili. a 
gas idrogeno carbonato compresso , inventate prima in. Inghil- 
terra. Siccome in tali apparati, a misura che il gas esce dal 
serbatoio per alimentare la fiamma, và proporzionatamente sce- 
. mando la. quantità ed in conseguenza la compressione e la 

densità di quello che resta , ne accadeva che il gas era spinto 
fuori in una proporzione sempre decrescente, per cui l’effetto 
luminoso diveniva gradatamente minore. Ad ovviare a quest’ in- 
conveniente, ed a render costante l’ intensità della luce,. il 
sig. Ze ha disposto nelle sue lampade un regolatore, per cui 
dilatandosi progressivamente; in un modo uniforme e calco- 
lato l’ apertura ond’esce il gas, la quantità di questo spinta 
fuori in un tempo dato è sempre eguale, sebben decresca 
progressivamente la forza che lo spinge. 


196 

I sigg. Gornier e comp. fanno da qualche tempo a Pari- 
gi dei marmi fattizii che s’impiegano con molto vantaggio 
nella costruzione degli edifizii, non meno nelle loro parti in- 
terne, che nelle esterne. La materia di cui si compongono 
non teme l’umidità nè il salnitro, ha molta darezza, super- 


ficie lucida, preude e conserva ogni sorta di colori, e costa 
un prezzo assai mediocre . 


Il sig. Cavillon, pellicciaio di Parigi, ha fabbricato una 
nuova specie di berretti per uso delle truppe, che somigliano 
a. quelli fatti con pelli d’orso, e possono essere sostituiti loro 
con molta economia. La carcassa, fatta di pelli molto comuni 
ed appropriate, è ricoperta di un tessuto di sottil crine di ca- 
vallo in un modo non molto diverso da quello in cui con un 
tessuto di capelli si formano le parrucche. Si calcola che sieno 
importate annualmente in Francia tante pelli d’orso per il va- 
lore di 900,000 franchi, somma assai rilevante, e che quell’ in- 
venzione può in gran parte far risparmiare . 


Il sig. Bowuillon di Limogi , rilevati gl’inconvenienti del 
metodo ordinario di disseccar le castagne, ove l’asciugamento 
si opera piuttosto per il famo che per il calore, a detrimento 
della buona qualità di quei frutti, con perdita d’una parte di 
essi, e con notabile spesa di combustibile, mantenendosi il fuo- 
co per sette o otto settimane, ha proposto un diverso sistema 
da sè praticato, e che ha trovato per ogni titolo superiore 
all’ antico. In esso il disseccamento è operato da una corrente 
d’aria calda prodotta da una stufa di ferro, la di'‘cui imbocca- 
tura è al di faori del seccatoio, come fuori di esso sbocca il 
condotto del famo. Una sottil camicia di muramento circonda 
e cuopre la stufa alla distanza di circa un braccio e un quarto, 
formando un ricettacolo di calore, da cui l’aria che vi s’ intro- 
duce per un apertura bassa comunicante coll’ esterno, e che vi 
si riscalda, è portata per mezzo di tubi appropriati sotto il ra- 
do tavolato che sostiene le castagne. 


Gli artefici che lavorano il succino, o ambra gialla, sanno 
fare apparire nei pezzi naturali di questa materia delle macchie 
o figure, che ne accrescono il pregio. Il sig. prof. Rosenthal 
si è assicurato che si ottiene quest’ effetto facendo bollire il suc- 
cino nell’olio. Alcune fessure che vi si formano rappresentano 
in qualche modo l’imagine di diversi oggetti. 


157 
Il sig. Jones riferisce che fu ovviato ai gravi inconvenienti 
che erano da temersi per una forte dose d’ oppio deglutita da 
«na donna in Londra, con doccie o aspersioni d’acqua fredda 
ripetute ogni due o tre minuti, alle quali fu fatto succedere 
l’uso interno dell’acqua calda e degli emetici, che scaricando 
lo stomaco la resero libera . 


Il sig. Ropschinscki ha scoperto una composizione partico- 
lare per dar la vernice alle stoviglie comuni, che non offre al- 
cun pericolo per la salute , resiste agli acidi, ed è molto econo- 
mica . Egli mescola insieme e polverizza cinque parti di litar- 
girio, due d’argilla ben pura, ed una di zolfo. Questa pol- 
vere viene impastata in una suffifiente quantità d’ acqua mae- 
stra o lissivia caustica dei saponai. Questa pasta si diluisce 
convenientemente onde ricuoprirne le stoviglie, come si usa per 


la comune vetrina o vernice di piombo . Si cuocono in seguito 
come le stoviglie comuni. 


Il Macculloch annunzia che lo zucchero sostituito al sale 
comune serve ottimamente a conservare le. sostanze animali de- 
stinate quindi all’ alimento umano . La facilità colla quale l’acqua 
toglie lo zucchero e quindi il gusto dolce alle dette sostanze , 
la minore alterazione chimica che desse subiscono così preparate 
che non col sales e la maggior salubrità di cui potrebbero riu- 
scire alla consumazione sopra mare, fanno desiderare che il ci- 
tato annunzio si verifichi e si sperimenti fra noi, 


Il sig. Macdonald assicura che 1’ odore della menta è sì 
sgradevole ai topi, che basta a preservare dal loro dente 
qualunque sostanza. Fra noi i magazzini di paglia da cappelli 
sono talvolta orribilmente danneggiati dai topi, specialmente quan- 
do si trovano nelle mani dei coltivatori, mancanti spesso di buo- 
ni locali per tal uso. Sarebbe facile con poche goccie d’ essenza 
di questa pianta verificare la detta asserzione, che potrebbe ve- 
rificandosi rendere un segnalato vantaggio . 


Nel bullettino del mese precedente anhunziammo che il sig. 
Serre ha inventato un nuovo mezzo di viaggiare in aria senza 
gli aereostati, mezzo che ci è finora incognito . 

Si conosce bensì quello che per l’oggetto stesso ha ima- 
ginato il sig. Sarti artigiano bolognese, il quale ha dato alla 
sua nuova macchina il nome di aereo-veliero, Sembra che glie 


158 
ne abbia suggerita l’idea l’Aguilone o Cervo volante, che 
investito obliguamente dal vento, o fatto muovere, pure obli- 
quamente, contro l’aria tranquilla, tende ad alzarsi; se non 
piuttosto il fenomeno naturale delle trombe, per cui un moto 
vorticoso impresso ad una massa d’aria la rarefà nelle parti 
centrali, o vi forma una specie di vuoto, verso il quale la 
pressione dell’aria circostante non rarefatta spinge i corpi che 
vi si trovano impegnati, ancorchè pesanti, e li solleva in aria, 

Due sistemi di vele sono adattati a dae assi o alberi ver- 
ticali, in uno dei quali, cavo internamente, è inserito l’altro* 
e che mossi rapidamente in giro, in senso inverso uno all’al- 
tro, agiscono sull’aria in modo da esserne sollevati, e da sol- 
levar seco tutto il sistema . 

Per imprimere ai due assi il richiesto moto di rotazione; 
il sig. Sarti ha imaginato una macchina a vapore, che pre- 
senta condizioni particolari ed opportune all’ oggetto. Mentre si 
sta lavorando alla costruzione di questa macchina, | invento- 
re ha esposto agli occhi del pubblico in Milano la parte su- 
periore, o i sistemi delle vele, dhe messi provvisoriamente in. 
inoto dalla mano dell’ uomo, dimostrano bastantemente |’ effet- 
to dell’elevazione. Altri sistemi di vele sono destinati a dare 
la direzione all’ insième . 


SOcIETA SCIENTIFICHE . 


L’ Accademia dei Lincei di Roma, ristabilita da pochi an- 
ni, chiase il decorso anno accademico coll’ adunanza del dì 30, 
settembre . Le interessanti Memorie lette in questa e nelle pre- 
cedenti adunanze sono un luminoso argomento dello zelo di 
questa stimabile società per l'incremento delle scienze e d’ ogni 


genere d’ utile industria , 


Società delle scienze naturali di Catania. Abbiamo già 
annunziato questa nuova società ( Ant. N.° 44 pag. 210 ). Ora ab- 
biamo sotto gli occhi , un’ interessantissima lettera d’ uno dei 
suoi membri , sig. Salvatore Leonardi, la quale c’ incresce che 
i limiti del nostro giornale non ci permettano d’inserirvi intie- 
ra , se non altro per far conoscere la felice disposizione ed il 
nobile entusiasmo con cui i siciliani prevengono tutto ciò che 
può concorrere a far progredire lo studio delle scienze naturali 
nel loro paese . Il sig. Leonardi , dopo aver reso conto delle cir- 
costanze che hanno preparato la formazione di questa società ; 


159 
della premura dei dotti a farvisi ascrivere, e della protezione 
accordata dal governo , conferma che l’ apertura di essa ebbe 
luogo il dì 16. maggio ultimo nella gran sala. dell’ upiversità, 
sotto la presidenza. del Commendatore Cesare Borgia, il quale 
pronunziò in questa occasione un discorso degno d’ attenzione, 
sotto il rapporto dell’utilità dello spirito d’ associazione . Dopo 
questo discorso , la società ascoltò con interesse il suo segre- 
tario generale Dott. Carmelo Macavigna , che parlò dottamente 
della storia e dell’utilità dello studio della natura , e delle so- 
cietà che vi si consacrano , citando specialmente l’ accademia 
del Cimento , a cui V Europa deve tanto , ed onorando il cav. 
Gioeni che per le sue virtù meritò di dare il nome alla nuo- 
va accademia. Coronò finalmente il discorso l’ invito allo scam- 
bievole amore , e l’ espressione di quel voto, doversi deporre 
da ciascuno le proprie favorite opinioni, non mirando che al co- 
mune oggetto di cooperare all’ ingrandimento della gloria nazio- 
nale , scopo lodevolissimo , e degno al certo dell’ applauso uni- 
versale ,,. Nella sua seconda seduta, che ebbe luogo il dì ro. di giu- 
gno , la società, sulla proposizione del Dott. Carlo Semmolla- 
ro, decise che si occuperebbe tosto essenzialmente della Coro- 
grafia fisica generale e particolare dell’ Etna . 


Nuova società delle scienze naturali di Soletta in Svizzera. 
Questa società ha tenuto la prima adunanza generale i giorni 
29. e 30. di maggio, sotto la presidenza del dotto e rispetta- 
bile sig. Professore Hugi, ed in mezzo ad un concorso con- 
siderabile di persone che s° interessano ai progressi delle scien- 
ze. Questa società si era formata undici mesi prima, ad i:mi- 
tazione di quelle che esistono in molti altri cantoni, L’ assem- 
blea generale è stata preceduta da 4o. sedute particolari. dei 
naturalisti della città di Soletta . In queste sedute è stato letto 
un gran numero di memorie, le quali attestano non solo quel- 
lo zelo che aspira alla scienza , ma cognizioni positive, ed uno 
spirito d’ investigazione che non conosce altri limiti che quel- 
li della verità. Fino dalla sua origine la società diresse |’ at- 
tenzione dei snoi membrì verso le osservazioni meteorologiche . 
Per quest’ effetto, distribuì a quelli fra essi che abitano in 
campagna gli strumenti necessari, fra i quali i barometri como- 
di e poco costosi fabbricati dal sig. Hausmann a Zuchwyl. 
Fin qui era stato rimproverato al cantone di Soletta di re- 
stare indietro agli altri cantoni in scienze di così grande im- 
portanza. L’. ardore dei membri della società , l’ affluenza di 


160 


persone illaminate all’ assemblea generale la\presenza dei mem- 
bri più considerabili.del governo ; hanno annunziato nel cantone. 
di Soletta un’ era nuova per questa parte delle: cognizioni uma- 
ne. Si comincia: a persuadersi che il..libro della» naturasi ac& 
corda molto bene col codice venerabile. della mostra ine se à 
purchè si sappia leggere .l’ uno e-l’altro..»;* è |. ga dirt 
I , eni mestre 
L’ lie R. Accademia dei Georgofili tenne» la sua prima 
adunanza ordinaria il 5. Dicembre-182% ‘Invessa ; dopo il 
consueto, rapporto del Segretario degli: Atti:z;e dopo le ‘comuni@ 
cazioni di quello della corrispondenza «chie aduranti cle' vacan: 
ze accademiche è stata ubertosissima/, il sig. avvocato Pao 
lin, imprendendo a risolvere il già da lui annunziato»proble= 
ma economico ,, Se in un paese di condizione manifatturie- 
ra ed abbondante di popolazione produttiva sia utile val» bon 
governo ed alla pubbliea economia. di. esso ‘il sostituire illimità-» 
tumente le macchine opificiarie ai manifattori;, divise in; um. 
proemio la questione in tre parti, e della. prima: ragionò ,so- 
lamente esaminando ,, Ze. influenze e gli: effetti. \morali \delle 
macchine op vificiarie sopra gli ‘operai incorporati nelle. macchi- 
ne come accessorii delle medesime +, Quindi il sig: Prof. Pietro _ 
Ferroni dimostrò. in_un. suo, discorso tuttora; suscettibile di mi-, 
glioramevto |’ agricoltura toscana , la quale anche nelle attuali 
circostanze economiche rimunera. l’ industria che a lei si. rivol- 
ge sotto l'egida della libertà, della quale gode fra noi.il eom- 
mercio dei legioni del suolo. Ma. }’ora essendo ormai tarda, per: è 
dare, sfogo alle altre letture esibite dai Socii 1’ Accademia sta» 
bili una pr supplementaria pel 12. corrente. vi 
In questa adunanza il sig. D. Francesco Chiarenti da quanto 
ha egli rilevato dalla storia di ciò che è.accaduto in Toscana» 
dopo la prima introduzione del libero. commercio: frumentario! 
a questa parte , credè di poter concludere .che.jtutti iv benefi -« 
zi vrisentiti per esso dal nostro paese..sono da’ vattribuirsi»' alta. 
libera ‘circolazione interna dei cereali:ed:. alla, permiessa esporta-n! 
zione , lo che appella parte diretta, della Legge; @/sionligiània | 
quella , che egli chiama parte indiretta» cioè» alla ckiberà! nio: 
troduzione di dette derrate . Quindi egli. affaeciò mnisuoidulsbiò? > 
che potesse questa parte indiretta sottoporsi a dei vincoli in 
vista di favorire la produzione delle, granaglie . Dipoi il sig. Ge- 
nerale Colletta , socio corrispondente , lesse un suo scritto in- 
titolato,, Pensieri sulla economia agraria. della; Foscana,smel quale 
ifes e coi fatti e col ragionamento il nostro;.sistomatliberorfra > 


161 
mentario contro tutte le querele manifestatesi' in Europa per il 
caduto prezzo dei cereali, e ne prese occasione per esortare 
i capitalisti ed i possidenti ad. associarsi onde dirigere i loro 
sforzi riuniti a quelle riforme e miglioramenti di cultura , che 
soli possono far fronte agli scapiti attuali. della più comune in- 
dustria agraria, e massimamente nella nostra interessatite ma- 
remma . Finalmente il sig. Emanuelle Repetti lesse una Memo- 
ria sopra Za solubilità della Silice e sulla formazione delle 
pietre silicee in seno ai terreni calcarei , prendendone oppor- 
tunità dall’ avere osservato sul monte Bruciana la silice‘ ‘in 
stato gelatinoso in un filone di spato calcare traversante ‘una 


roccia marnoso-calcarea. Dopo di ciò l’ adunanza supplemen- 
taria si sciolse, 


PROGRAMMA del premio proposto dall’AccADEMIA LABRONICA 
di Scienze, Lettere ed Arti, di Livorno, nell’ Adunanza pubblica 
del 19. Marzo 1824. 

», Determinare quale influenza o utile o dannosa possa eser- 
citare il vario stato della Memoria sull’ intelletto dell’ uomo , e 
sull’ uso delle differenti facoltà da cui l’intelletto resulta . — 
Quali siano i mezzi, per cui la memoria può svilupparsi ; e 
porsi gradualme nte in azione nella giovinezza colla educazione. 
Quali quelli con cui possono correggersi nelle età diverse dell’ uo- 
mo i vizj della memoria originarj o acquisiti — E quale sia 
in specie il servizio che può prestare a questo fine l’ applica- 
zione della dottrina dell’associazione delle idee nello stato at- 
tuale , o in quell’ ulteriore stato di perfezione a cui questa dot- 
trina potrebbe ridursi, ,, 

Il Premio è del valore di zecchini trenta fiorentini . I So- 
ci ordinari dell’ Accademia sono esclusi dal concorso . Le Me- 
morie dovranno dai Concorrenti essere rimesse franche di porto 
al sottoscritto dentro îl 3r Dicembre 1825, e saranno accom- 
pagnate da un motto. Questo motto dovrà ripetersi sul bigliet- 
to sigillato , che conterrà il nome e il domicilio dell’ autore. 
I biglietti delle Memorie non coronate verranno pubblicamente 


distrutti senza essere aperti. Livorno 19. Marzo 1824. FRAN- 
cesco PISTOLESI Segretario Perpetuo . 


VARIETA". 


E noto che tutti i corpi sì dilatano riscaldandosi’, e si rà 
t'ringono raffreddandosi. Sebbene questa ‘verità di fatto dovesse 


T. XVI. Dicembre. 


11 


162 


far, presumere che: le dimensioni degli edifizi debbano fisicamente 
variare, coi. cambiamenti di temperatura pare ap ct pia non 
vien riguardato come sensibile , 

Ora, il Sig» Zicat abile ingegnere francese ;icol mezzo d’im- 
portanti osservazioni da lui fatte sul ponte nuovamente costruito 
a Souillac sulla Dordogna , ha. visibilmente riconosciuto gli effetti 
dei. movimenti materiali cagionati dalla dilatazione ‘e contrazione 
d’alcune,parti di questo ponte. Tali effetti si rendono’ manifesti 
nei, parapetti o spallette, e specialmente in quelle parti di esse 
che.soprastanno alle sommità: degli archi, ed in quelle ‘intet- 
mediead. esse, alle quali corrispondono le giunture verticali dei 
materiali onde cominciano respettivamente a pine due archi 
contigui . 

Se si supponga esattamente orizzontale la linea ‘che termina 
superiormeute, il, parapetto , è evidente che la dilatazione sol- 
levando alcun poco le sommità degli archi, la contrazione 'de- 
primendole , si eleveranno e si deprimeranno ‘in ‘conseguenza’ le 
parti corrispondenti del parapetto, di che daranno ‘indizio l’al- 
largamento ed. il. ristringimento dei fessi o giunture verticali 
delle, pietre, non solo nei punti corrispondenti alle sommità de- 
gli archi, ma ancora. per. consenso nei punti intermedii morsa 
stessinalbo aida iù i ) 

sin narra, con ogpi argomento di verità un fatto pigalafo A 
cioè, |’ esistenza d’ un’ uomo , che per una facoltà mentale. stra- 
ordinaria sa indicare in ogni momento ; sia di giorno, sia di not- 
te, ìi ora attuale, fino vai pninuti ed ai secondi, senza mai sha- 
gliare; e non consultando che sè stesso , o:una specie di movi- 
mento interno di cui gode, o che piuttosto si è formato egli 
stesso. Quest’ uomo si chiama Gio, Daniele Chevalley, ed abità 
al mulino di Chabley vicino ad. Essertines, al di sotto ed a’ si- 
nistra della strada d’ Iverdun. Questa sua facoltà. è nota nel pae- 
se, ove si suppone che le, battute .del.suo. di gli servano di 
orologio. 

i Al Sig. Felice Chavannes, studente. in Teblogiial dopo aver 
tutto soiticalio da sè stesso, ha diretto. allasocietà. delle scienze 
naturali del Cantone di Vaud una nota»in cui. le circostanze 
relative a questo fatto sono esposte in modo; da renderlo .cre- 
dibile e. mostrarlo vero, senza nulla divginnir della sua singo- 
larità. Eccone la sostanza . 

Chevalley , dedito fino dalla; sua prima età agli' esercizi 
della religione, e prestando particolare attenzione non solo allo 


; 163 
spirituale ma anche al materiale di tutte le cose attenenti al 
culto, prendeva singolar diletto del suono delle campane; che 
preferiva ad ogni musica, suonandole anche volentieri egli stes- 
;s0 da che l’età glie ne diede la forza. Facendo oggetto d’ os- 
.servazione e di studio l’ oscillazione delle campane e dei pen- 
doli, contrasse l’abitudine di contare , anche in assenza di que- 
«sti, o di rappresentarsi delle battute isocrone; ed osservate in 
‘varie città del suo cantone ed anche in Ginevra diverse bat- 
terie di campane e di bilancieri, ne concluse; che la media 
di tutte queste oscillazioni contando l’andata ed il ritorno, rag- 
.guagliava a 20 per minuto. Partendo da questo punto, egli forzò 
la sua attenzione a conservare quanto più lungamente potesse 
«un moto interno, che per la durata del tempo e per il numero 
delle vibrazioni fosse eguale al suddetto, e però di 20 per 
minuto . 

Sul. principio , aggiungendo zo vibrazioni ad altre 20, o 
un minuto ‘ad un altro minuto, arrivava con una certa faci- 
lità a compir il’ora ; arrestandosi anche \a quelle suddivisioni 

che gli piacesse. Ma-se nel tempo stesso voleva pensare! ad 
«altri oggetti; ovvero occuparsi materialmente, le occupazioni ed 
ì pensieri difeltavano per quell’attenzione. Pure a poco a poco 
si abituò. a contare nel tempo stesso che pensava ad altro ed 
agiva; ma non poteva durar molto; perchè il suo spirito fa- 
-cendo ‘uno sforzo certo , si stancava dopo un dato tempo, e 
la catena del suo calcolo veniva interrotta. Ma nel 1789, es- 
sendo in età d’ anni 22, arrivò ad acquistare il possesso imper- 
turbabile e continuo di questa facoltà , che non ha più perduta . 

Fra le prove che se ne citano è sorprendente quella data 
da lui nel di 14 di Luglio 1823 mentre. percorreva il lago di 
‘Ginevra sopra un battello a vapore. Dopo avere annunziato più 
volte ed'improvvisamente ai suoi compagni di viaggio l'ora cor- 
rente, i minuti, ed i secondi, s impegnò ad indicare l’ istante 
‘in cui fosse scorso. un quarto ‘d’ora , più quel numero di mi- 
nuti e di secondi che altrui piacesse, sostenendo frattanto il 
più astratto ragionamento che si volesse tenere con lui. In faîtà 
Impegnato in discorsi diretti ad impadronirsi della sua atten- 
zione ed a confonderla, vi sodisfece sempre esattamente , senza 
dare il'più ‘piccolo segno di distrazione, e giunto l’ istante con- 
venuto ; lo indicò colla più grande. precisione, battendo le sue 
mani, senza interrompere le ragionamento . 

Sebbéde dai ripetuti esperimenti, dalle molte avan fatte 
ed ingenue’risposte ottenute}-non sapesse il Sig. Chavannes du- 


164 

bitare del possesso ‘in Chevalley di questa singolare facoltà , pure 
gli era difficile a concepire come egli potesse , senza confonder- 
si, specialmente occupato in altri pensieri, unire uno all’ altro 
e sommare insieme tanti minuti (dei quali era evidente avere 
egli l'esatta misura ) quanti ne occorrono per comporre un’ ora. 
Chevalley , confessando che ciò gli sarebbe stato molto difficile 
senza un soccorso artificiale , gli manifestò che questo consi- 
‘steva in una specie di rosario mentale, che egli si era formato, 
e. di cui aveva contratto la sicura ifitaaine: 

Nei rosarii comuni, un grano più grosso interposto fra le 
serie contigue dei grani piccoli, serve ad avvertire, anche nel- 
l'oscurità e nella distrazione, che una serie è finita e ne co- 
mincia un’ altra. Chevalley non ha bisogno di grossi grani, o 
di cosa che li rappresenti. Avendosi formato una serie di cin- 
que idee, ciascuna delle quali è diversa dalle altre, e delle 
quali l’ordine relativo è costantemente conservato , egli. è av- 
vertito del termine d’ una serie dal presentarsi alla sua mente 
la quinta idea, del cominciamento d’ una nuova al ricomparire 
della prima, ec. Le sue cinque idee sono, Dio, Gesù Cristo, 
lo Spirito Santo, l'umiltà, la pietà. Ogni serie rappresentando 
cinque minuti, dellini serie compongono un’ ora. Esposto questo 
suo. processo; Chevalley soggiunse : ecco , per esempio , in questo 
momento è per me mezzo giorno, la quarta pietà, e Gesù Cri- 
sto. In fatti era mezzo giorno, più 22 minuti. La quarta pie- 
tà, ossia la pietà (ultima idea della serie) presentatasi quat- 
tro volte, lo rendeva certo che erano decorse dopo il mezzo 
giorno quattro serie di cinque minuti ciascuna, e però venti 
minuti ; ai quali ne aggiungeva due, perchè dopo le quattro 
serie erano passate avanti alla sua mente le prime due idee di 
una quinta serie, cioè prima l’idea di Dio, poi quella di Gesù 
-Cristo, che gli era appunto presente, al momento in cui indicò 
quell’ ora . 

Questo fatto singolare merita certamente l’attenzione degli 
uomini ayvezzi a meditare intorno alle operazioni dello spirito 
umano , 

NECROLOGIA. 


L’ Italia ha da contristarsi per la perdita recentemente fatta 
di più soggetti benemeriti delle scienze e delle lettere , o com- 
mendabili per le loro qualità morali . 

E primieramente mancò di vita nel 7 Luglio 1’ abate d6n 
Luigi Bellò, professore emerito direttore dell’ I. e R. Liceo, 


165 


£ prefetto dell’I. e R. Ginnasio di Cremona, uomo,d' illibata 
virtù , buono. scrittore di ‘prose. e di versi latini ed italiani A 
sebbene per avventura meno lodato pér gli ultimi che È gra A 
primi. K,Yodi qui sopra pag. $o. ) 


Di grave e generale cordoglio fu poi la morte avvenuta 
in Pavia nel dì, 2 Settembre ultimo del celebre prof. Borda, 
cavaliere dell’ ordine della corona di ferro. Se la di lui som- 
ma perizia dell’ arte. salutare ne faceva invocare ed apprezzare 
l'assistenza ed i consigli; se la molta sua dottrina , e la non 
facile arte di bene ammaestrare lo resero carissimo ‘alla gio- 
ventù che  istruiva; l’ opinione onde godeva di probità rara , 
di ‘capacità , e di prudenza , gli fecero affidare in tempi cala- 
mitosi uno dei più importanti pubblici ufficii , che egli eser- 
citò con somma lode e con vantaggio della sua patria. Soprav- 
"vissuto di soli due mesi ad una moglie che amava, carissimo 
a due figli di lei che ei riguardò sempre come suoi propri , la- 
sciò di sè in essi e nei molti amici ed estimatori suoi vivissimo 
desiderio , cedendo con animo sereno alla forza di lunga e pe- 
nosa malattia . 


Nel dì 13 ottobre ultimo morì in Milano 1’ abate Giuseppe 
Luigi Biamonti nato nel 1762 a Ventimiglia ‘nel Genovesato. 
Fatti i suoi studii in Roma nel Collegio Romano ; ‘ed acquistato 
il possesso delle lingue italiana , latina, e greca, assunse l’in- 
carico d’educare ed istruire i figli della casa Doria. Passò quindi 
a Milano ad esercitare lo stesso ufficio verso il giovine Conte 
Carlo della Somaglia, alla cui casa fu e si mantenne sempre 
scarissimo, Compitane 1’ educazione , gli fu dal Principe di Ke- 
wemhuller affidata la sua biblioteca , ove la copia di scelti li- 
bri, di rare antichità, e d’oggetti di numismatica, gli offri- 
rono vasto campo a studii ulteriori. Ottenne in seguito nella 
pontificia università di Bologna la cattedra d’ eloquenza , sop- 
pressa la quale, come ogni altra d’eloquenza nel già regno Ita- 
lico, tornò a Milano, donde dopo qualche tempo fa chiamato 
a Torino similmente a cuoprirvi la cattedra d’eloquenza. Egli 
avea domandato per motivo di salute ed ottenuto di cessare 
dalle funzioni di quella quando fu sorpreso da morte. 

Senza parlare di molti lavori rimasti inediti, fra le non 
poche di lui opere venute alla luce, sono specialmente pregiate 
l’orazione inaugurale letta al suo ingresso nell’ università di Bo- 
logna » varie orazioni da lui recitate in Torino in oceasioni so- 


166 

lenni, una grammatica della lingua italiana adottata per ordine 
superiore în tutte le scuole di quel Regno, un trattato. del- 
l’arte oratoria e della locuzione poetica, ed un’ orazione sul 
sublime. Scrisse anche non poche cose in versi, Oltre un nu- 
mero notabile di minori poesie , fra le quali si distingue un 
poemetto intitolato /’ 24dio0 @ Boboli , compose anche e pub- 
blicò due tragedie, |’ Zfigenia in Tauride, e la Sofonisba, delle 
quali la prima ebbe felice successo, e fa trovata di greco sa- 
pore. Si avventurò anche, non senza plauso, all'esperimento del- 
l’ improvviso avanti a culte ma private società nelle principali 
città d’ Italia. Tradusse dal greco in prosa italiana tutto So- 
focle , alcune cose d’ Eschilo, l’ Iliade d’ Omero, le Odi di Pin- 
daro , e la Poetica d’Aristotele. Fa anche assai perito della lin- 
gua ebraica. I molti suoi meriti letterari lo avevano fatto ascri- 
vere all’ I. e R. Istituto delle scienze , lettere, ed arti di Mi- 
lano in qualità di socio onorario. Di modesti e dolci costumi, 
ottenne la stima universale e l’affetto di non pochi amici che 
ne piangono sinceramente la perdita, 


Nel dì 20 del caduto mese d’ottobre mancò di vita ‘în Vien- 
na, ove da molti anni dimorava , il cav. Angelo dei Conti d’ Elci 
di Firenze, Se del suo valor letterario e del suo ingegno ci re- 
sta un chiaro monumento nelle sue satire, ed in altre opere 
che vedran presto la luce, uno non meno illustre del suo amor 
patrio e della sua munificenza ci rimane nella preziosa e-singolar 
collezione dei buoni scrittori del 400, da lui donata a Firen- 
ze, e destinata ad arricchire questa insigne biblioteca-.mediceo- 
laurenziana. Si attende da uno dei più pregiati scrittori nostri 
condegno elogio di/tant’ uomo, che non mancheremo di far co- 
noscere ai nostri lettori. 


Altra gravissima perdita hanno fatto le lettere, per la morte 
del celebre Don Ignazio De’ Rossi morto in Roma nel dì 25 del 
decorso novembre. Ascrittosi in giovine età alla Compagnia di 
Gesù, giunse ben presto per i rapidi e maravigliosi suoî progressi 
negli studi a professare la filosofia e le matematiche . Soppressa 
quella celebre Compagnia, e portatosi da Spoleto a Roma, si 
applicò di proposito agli stadi filologici, e specialmente a quello 
delle lingue orientali, nelle quali divenuto ‘celebre , fu nominato 
professore di lingua ebraica nell’ università Gregoriana . Fra le sue 
prodazioni gli acquistarono molta fama le Commentazioni Laer- 
ziane , e le Origini della lingua egiziana . Scrittore terso ed ele. 


169) 
gante , specialmente nella lingua latina, sapeva mirabilmente ab- 
bellire colla leggiadria dello stile le molte e varie cognizioni che 
possedeva. Onorevoli amicizie fondate sulla stima reciproca lo 
legarono ai più insigni letterati suoi contemporanei, Ennio Qui- 
rino Visconti, Lanzi, Morcelli, Marini, Akerblaid, Heyne, Run- 
ken, ed altri, Egli era nato in Viterbo da illustre famiglia il 
giorno 3 febbraio 1740. 


Abbiamo infine da compiangere la perdita del direttore 
della classe letteraria dell’ istitato di Milano, il conte Simone 
Stratico. Egli nacque in Zara il di ro ottobre 1730, e morì 
in Milano nel mese di laglio prossimo passato . La sua fami- 
glia era di Candia, d’onde partì poi che i turchi se ne resero 
padroni; ed egli assai si compiacque dell’antica sua origine in 
guisa ,, che sempre nel ruolo dei Professori di Padova aggiun- 
geva .al suo nome proprio il patrio di cretense. Giovinetto an- 
cora, egli e il fratello studiò a Padova sotto la disciplina di 
Antonio Stratico suo zio, il quale fu uomo erudito, special- 
mente nelle cose greche, come il dimostrano vari suoi scritti, 
e l’ onorata menzione che di lui si trova nella biblioteca del 
Fabricio . Il fratello, che fa poi religioso , professore a Siena 
e vescovo di Liesina, coltivò le lettere ugualmente con buon 
successo. Simone Stratico è dunque vissuto circa 94. anni: fra 
i membri dell’ Istituto, il Passeroni e il Bettinelli giunsero al 
90.° anno, il Bonati. al 95.° ma nessuno di loro conservò come 
lo Stratico sino agli ultimi giorni una florida salute, una chia- 
rezza d'idee, ed un’attività veramente maravigliosa . 

Questo valente scenziato, che quasi per comune consenso era 
appellato il Nestore dell’italiana letteratura , decorò successiva- 
mente col suo nome e co’ suoi lavori l’ università di Pavia, il 
corpo degl’ingegneri d'acque e strade , l'istituto di Milano, e 
l'accademia di belle arti. L’arte navale gli deve un copioso 
dizionario di marina in tre lingue, francese inglese italiana , 
una traduzione dell’ eccellente trattato di navigazione dello spa- 
gnolo Ivan, un gabinetto di modelli di navi, ed infine una rac- 
colta di libri relativi a quest’ arte, che da lui vivente, insieme 
coi modelli suddetti, offerta in dono allo stato Lombardo-vene- 
to, andrà per disposizione sovrana ad arricchire la biblioteca 
dell’ istituto suddetto. Le belle arti, l archeologia, e special- 
mente l’ architettura furono da lui illustrate e promosse con di- 
verse dissertazioni, la scienza armonica con molte ingegnose in- 
dagini e tentativi: l’ ottica infine con alcune curiose espe rien- 
ze, che sebbene di antica data, si citano ancora con lode , dopo 


. AG 
le. scoperte,.di Fresnet..e...di. Frazienhoeser i Fia gli«altri* bet 


. lavori tasciati. inediti, dalto. Stratico;;è da desiderarsi clie' ‘veg- 


gan la luce quelli da lui consecràti sulle: ‘opere’ di Leone Al- 


s berti, e.il.sno Vitruvio, da lui con grén pati gg e dottrina 


illustrato , e. commentato .. 

ska repubblica di Venezia gli affidò molte inbsetot e im- 
portanti commissioni ....All’ epoca del regno italico’ fa nominato 
Senatore , e .decorato degli ordini della corona di ferro'e della 


legione d'onore. L’ imperatore Francesco gli conferì l'ordine di 
Leopoldo. 


Dotato di un. carattere placido; di costumi gentili, a’ in- 


s tegro, animo , .di.varie ed estese. cognizioni, frutto:de’ suoi stu- 
di e. de isuoi, viaggi. in Italia, in Francia ed in Inghilterra, egli 


fu, fino. all’ estremo, della sua. vita: caro: agli'amici Vevai * col- 


; leghi, suoi, ed. alle persone d’ogni età e condizione’) #15!» 


®» 


Estratto «di una memoria del .sîg. EMANUELE REPETTI ; sulla 


GIUSEPPE /GAZZERI. 


de e 
(A 


soluzione naturale della Silice in seno \aù terreni.di natura 
i @@lcaria, letta alla seduta del di 12. Dicembre dar dell’ I. 
€ Lu Accarienna So Georgofili. 

I SDIZOUT ant 

“E "Ber non tenere in sospeso l’attenzione, della quale o Signori 
vi Ri onorarmi, fin d’ora dirò, che sono. per brevemente 
ragionarvi del modo di formazione delle pietre silicee, e dei cri- 
stalli di, quarzo in seno. ai terreni. calcarj ,. fenciteno ‘che se 
si verificasse in tutti i suoi punti, presenterebbe, finalmente la 
soluzione di una delle più grandi questioni che abbia finora .te- 
nuto in travaglio i geologi ed i mineralogisti ; e dimostrerebbe , 
contro l'opinione de’ vulcanisti , che l’acqua può sciogliere la 
silice anche*ad una temperatura ‘ordinaria . 

? Sino ‘dal'1820 fa da me pubblicato con i Tipi della Badia 
Fiesolana un Saggio sopra l’ alpe, Apuana (1), della quale fanno 
parte ì preziosi marmi di Carrara che .con tanta. opportunità il 
poeta Stazio. chiamò nivei metalli; ed i quali un tempo ri- 


«valizzarono. et ‘indi rimpiazzarono i marmi di Paros. Di favo- 
‘revole rapporto varj giornali scientifici, nazionali ed esteri, onora- 


(1). », Cenni sopra l’Alpe Apuana e i marmi di Carrara Vol. 1. în 8; 
Trovasi vendibile presso il librajo Guglielmo Piatti a Firenze. 


169 
; ono questa debole mia':fatica , e ‘specialmente ramnientarono , 
quabto dietro le mie osservazioni SERIO alla’ gi A pratica 
di ai cavatori fui;'per riferire: 
:-Ir Sui cristalli di rocca, quali cosind ai piitistinio quarze 
fidontrenti chiusi in geode enidrie di ‘natura calcaria , senza che 


. werunà, traccia «0 calcun ‘vestigio apparisca di ‘una ijtiafelie ero- 


sione o fessura per. dove il succo siliceo siasi ‘potuto infiltrare ; 
a ‘segno che il celebre Bernardo de Palissy credette di non po- 
tere spiegare la loro formazione se non per mezzo di un quinto 
elemento, ch’ egli chiama un acqua sottile rinchiusa nell'acqua 
comupe, ma che non è evaporabile com’ essa. 

Il. Sopra. un fenomeno straordinario osservato nel’ 1819; e 
confermato -da .varj testimonj oculari, quellò cioè, di una ca- 
vità geodica assai:grande.trovata in un masso marmoreo, tem- 
pestata tutta di Gristalli:; ripiena in parte (circa libbre't. e 172. ) 
di limpidissimo: fluido, e contenente una protuberanza grossa 
quanto il pugno, trasparente, e rappresentante i caratteri di 


“un ’grandioso cristallo il'quale staccato dalla matrice ritrovossi 


una sostanza elastica e pastosa, suscettibile nel momento d'ogni 


\\sorta id’ impronte, ma che ben presto neve salita 3 opaca 


e-simile ad una calcedonia (2) . 

III. Sull’ esistenza: delle ‘piriti, macchie , ‘vene ‘metalliche , 
sé altre nebulosità nel seno dei suddetti marmi) ‘in tal modo 
che, quanto più la materia metallica ed eterogenea trovasi ad- 
densata e meno divisa , «tanto: più il marmo comparisce di una 
pasta più fine , di candore e vivezza maggiore, diminuendo gra- 
datamente gue qualità coll’ allontanarsi dalla macchia 0° dal 
filone . 


IV. Sull’opinione da gran tempo invalsa fra i cavatori carra- 


© resî, cioè che le sottili vene, 0 nebulosità metalliche sparse nel 


w 


“marmo statuario siano suscettibili di essere col tempo, attenuate ’ 


ni Sembra che sino dal 1783 il cel. Spallanzani fosse stato pure .in- 
formato, di consimili fenomeni ; ma ossia che l’ espressioni, di que' cavatori. 


‘mon fossero esatte , o che egli avesse per inavvertenza preso per un, asser- 


©izione assoluta e generale il racconto di una mera singolarità , non vi prestò 


n 


‘allora veruna fede’) ,, Ho ben veduto ( scriveva egli a Bonnet li 12 'feb- 
:5s braio 2784) esser: vana la> credenza di quei cavatori che vogliono che quesri 
csi eristalli di rocca (sieno.teneri finché stanno sepolti nel ‘marmo je iche’al- 


ss lora indurano , quando rotto il marmo restano esposti alle impressioni -del- 
5 "p aria. Imperocchè quella durezza che hanno dopo l'avevano egualmente nel 
3) momentò che sono rimasti schiusi, e questo è troppo conforme alle leggi 


“fa, della cristallizzazione, ( Wedansi î Cenni sopra l'Alpe Apuana pig. 123.) 


170 

assorbite, e perfino estinte, in guisa tale che il marmo si pur- 
ga. E sebbene cotesta opinione di, semplici operaj, quale in 
essi deve reputarsi un ‘istinto suggerito dalla pratica, possa al 
primo aspetto apparire assurda, mercechè fondasi sull’ ipotesi 
che vi sia mobilità e circolazione di molecule solide in seno alle 
masse solide, essa però non puole qualificarsi come nuova . Il 
primo lampo venne fino dal XVI. secolo dalla Germania per 
opera di Giorgio Agricola. Più tardi Stenone la fece pur .tra- 
vedere nella sua dotta e curiosa dissertazione ,, De solido in 
solidum naturaliter contento ( Florentiae 1669 ),,. Partigiani 
della stessa opinione furono nel decorso secolo Henkel, Zimermann, 
Delius,, Lehmann, Patrin, La-Methérie, echo, e !molti al- 
tri. Non vi ha ( dice Gautieri ) che. l’ignorante, il quale per- 
chè non vede le montagne muoversi, le creda continuamente 
ed intieramente inerti ,,. Discepoli della stessa dottrina si di- 
mostrano ai giorni nostri, ed il Conte Paoli nelle sue memorie 
Sul moto intestino delle parti dei solidi, ed il dottore Fonta- 
netti nella sua opera annunziata ( non sò se pubblicata ) Suz 
movimenti che si operano nel seno delle Montagne. Nè da essi 
scostasi il celebre Berzelius, allorchè nel nuovo sistema di Mine- 
ralogia così scrive. ,, Le masse mescolate che formano il gloho, 
3) attraversate, e penetrate in ogni parte dall’ acqua , produ- 
>, cono una moltitudine di circuiti elettrici , che si incrociano 
3, in tutti i sensi, come la lace raggiante nell’aria, senza che si 
3, impediscano l’ uno l’ altro nelle loro operazioni, e determi- 
» nano quell’ attività perpetua mediante la quale la massa in- 
» teriore della terra soffre gradatamente de’ cambiamenti con- 
»» tinui, delle distruzioni e delle nuove formazioni ,,. 

In conferma di; questa stessa dottrina io credetti di dovere 
citare un fatto che può dirsi clamoroso per la sua autenticità. Una 
cava da me visitata nel poggio Silvestro, di pertinenza del Sig, 
‘ Conte Andrea del Medico, non somministrava, circa 4o anni sono, 
che un marmo di aspetto quasi untuoso, di colore cenerino, 
e sudicio a segno che ne fu allora abbandonato in tronco lo 
scavo . Ma lo stesso marmo avendo col lasso del tempo per- 
duto tali difetti, ne furono recentemente ripresi i lavori , et 
ora si estraggono grandiosi massi di un marmo fresco, purgato, 
e candido al pari dei più belli statuari ( ivi pag. 39)... +. 

L’ estensione, l'intensità, l'immensa varietà delle forze, azio- 
ni, e reazioni impresse dal sommo Autore delle cose a quella 
sua universale legislazione che chiamiamo natura , sono pur 
troppo superiori al nostro assai debole , sebbene sempre per- 


17 
fettibile intendimento. Chi ardirà affermare che nei tempi pri- 
mitivi od anche ai tempi attuali non ebbero o non hanno luo- 
go nelle intime viscere della terra con assai più grandioso svi.. 
luppo che ne’ nostri labratorj quelli stessi fenomeni da, pochi 
anni osservati, sull’ ossidazione è disossidazione delle terre ed 
alcali? sulla polarizzazione delle molecule primitive ? sull’ influen- 
za de’ fluidi incoercibili ? sulla sublimazione e forse gasosità 
de’ più densi metalli? sulla forza che chiamerò simpatica delli 
strati e lastre metalliche di natura diversa? e quindi sull’ ener- 
.gia d’ immense pile e batterie Voltaiche ? sull’ identità sospet- 
tata fra il calorico, la luce, l’elettrico, ed il magnetico? so- 
pra quella ormai quasi dimostrata fra il magnetismo ed il gal- 
vanismo ? E poichè fra le diverse ipotesi suggerite , sulla caduta 
degli aeroliti, non venne confatata senza replica quella che ad- 
debita la fonmazione di' queste masse terreo-metalliche all’ag- 
gregazione e combinazione delle molecole semplici, et anche 
composte , sublimate nelle più alte regioni dell’ atmosfera ; co- 
me potremo noi fra tante innumerevoli complicazioni , che debbono 
avere luogo nel seno della terra, darci il vanto di sapere con- 
trassegnare senza tema di errore quella circostanza appunto che. 
presiedè alla formazione di un dato minerale et anco alla sem- 
plice di lui inserzione in una massa calcaria, silicea ec.? ,, 
(ivi pag. ridi) 

î Nè io pretesi allora spiegare la formazione dei cristalli di 
rocca, delle piriti, e vene metalliche con una particolare Teo- 
ria, ma bensì mi applicai ad ordire la serie di non pochi rag- 
guardevoli fenomeni sulla formazione anche moderna di sostanze 
silicee, non che il quadro delle dottrine de’ più autorevoli geo- 
logi e mineralogisti, onde facilitare ad altri opportunità ed 
adito a nuove indagini, protestandomi di non fare in questo 
che le veci di quella proverbiale cote di Orazio, la quale seb- 
bene priva della facoltà di tagliare , rende il ferro tagliente . 
E rivolgendo l’ultimo mio pensiero sul prezioso arcano che ri- 
cuopre la genesi delle pietre silicee ebbi a sclamare con Hen- 
kel: O silice! qual’ è la materia che ti ha formato? (ivi 
pag. 156. ) i 

Sembra, o Signori, che la natura abbia finalmente vola- 
to, se non in tutto, almeno in parte corrispondere a questa 
interpellazione di Henkel e mia. 

In una nuova escursione da me fatta nel decorso novembre 
in compagnia del Sig. Pompeo Pirroni, naturalista di Milano, 
nelle valli Carraresi, e precisamente a circa ottanta passi sul 


ma 
pendio; occidentale : della Foce. della  Bruciana: il. qual. monte 
già; descrissi nella :sopraccitata Opera :(. pag. 18:), ebbi fa sorte 
d° incontrare una roccia marnoso-micacea color di. marrone, della 
specie. di quelle che i Francesi:-chiamano mollasse ; dove «essa 
natura. lavorava;.in ‘un modo da lasciarsi; quasi direi , cogliere 
sul.-fatto . 
Sopra.un taglio verticale , eseguito sulla nuova. strada fino 

dal. 1810. osservai che: in seno ad alcune vene, o fenditure 
sinuose!; rivestite. di spato calcare e di quarzo, le qaali attraver+ 
savano, quella. marna , sporgeva quasi compressa dall’ infiltra- 
zione..delle. acque, una sostanza molle, gelatinosa , trasparente, 
e. fra le dita. viscosa come una gomma. sudante dall’ albero. 

.i0Riflettendo , dietro le belle sperienze institute e pubblicate 
da -Berzelius; che una delle proprietà, caratteristiche ‘della. ;si- 
lice. si, è. quella di separarsi dalle sue dissoluzioni in; forma .ge- 
latinòsa.; e ricorrendo alla mia mente-il fenomeno, di cui, supe- 
riormente. parlai della pasta elastica , rinvenuta ;nel.1819;.in una 
geode enidria-del marmo di Carrara.,,.mi, parve di dovere ri- 
trovare in questo fatto un nuovo argomento ancora più mani- 
festo. sulla: formazione recente-dei quarzi nelle cavità. e. fessure 
de’ terreni calcari!. al 

«La. prima mia; cura fu quella di separare. dalle piccole vene 
una porzione della sostanza semi-fluida, involgendola in un fo- 
glio», ronde: sottoporla in seguito ad una, chimica analisi. Mi si 
presentò : pure cil pensiero di lasciare sulla roccia una qualche 
impronta che: potesse, dopo il disseccamento e la solidificazione, 
attestare dello: stato suo primitivo di. mollezza ; ma a’ ciò sì 
opponeva: la: soverchia liquidità di quella sostanza: muccosa . 

La stessa sera ( primo novembre ) giunto a Seravezza ; ri- 

trovai. chela. pasta da me racchiusa nel. foglio ‘era divenuta 
solida», copaca ; di. color bianco leggermente, pagliato, insipida, 
friabile} et aspra. al.-tatto . Infusa nell’acqua stillata non, acqui- 
stò - sapore Laleuno ;.non si turbò la sua limpidezza ;..nè in essa 
soffrì alterazione -veruna il più delicato. colore. vegetabile (i 
petalidi.)malvà-):. Provata con l’.acido; nitrico non, comparve 
‘effervescenza:, hè..turbamento sensibile, sebbene, dopo un qual- 
che tempo se ne sciogliesse una porzione ;che..fu precipitata, dal- 
i4acido!: ossalico. ; sa it ‘intass #00 

î Esperimenti. più estesi e più. concladenti, furono ..in. segui- 
tolintrapresi a:.Firenze.e ripetuti di concerto con.me dal sig. Pro- 
fessore Taddei.;. la di cui perizia; e. precisione lin. tanti, altri, la- 
‘wori motissime sono a questo dotto Consesso = Polverizzata. e 


» 


173 
sottomessa la detta sostanza terrosa per ripetute. volte all' azio- 
ne dell’ acido idrocloro-nitrico ( Acqua Regia }) ne venne sciol- 
ta una porzione valutata circa il sesto del peso . La. par- 
te residuale ruvida al tatto, intrattabile anche a’ caldo col sud- 
detto: non ‘che conlaltri acidi ( meno il fluorico ), posta it 
‘erogiolo di platino col triplo circa del suo peso di potassa cauè 
stica purissima , ‘si fuse al calore rosso in\una pasta vetrosa 
‘omogenea . Sciolto questo » vetro deliquescente nell’ acqua stil- 
lata, ‘e trattato con l'acido’ nitrico, se ne ‘separarono dei fioe© 
chi' gelatinosi di silice‘; il ‘che assicurava essere. il sopranno- 
minato ‘vetro un silicato di potassa .. In quanto ‘alla prima ‘s0- 
luzione ‘idrocloro:nitrica ‘essa! venne trattata coll’ ammoniaca caus 
stica ‘in’ eccesso ,'la' quale , ‘non avendo somministrato precipi- 
tato, ‘nè ‘intorbamento di sorta alcuna, escludeva. affatto ‘la 
presenza dell’ alumina e della magnesia. Lo stesso non potè 
dirsi. della' calce ‘nè ‘del ferro , poichè l’ ossalato di ammonia- 
ca vi'produsse vin ‘precipitato piuttosto abbondante, circa un quar- 
to del'‘suo ‘peso primitivo‘| ossalato di calce ); e l’idrociana- 
to dî potassa vi* scuopri. qualche traccia. di ferro .. Cosicchè 
forza è concladére ‘che la sostanza gelatinosa estratta dalle ‘ve- 
ne della roccia marnoso-micacea era. composta*di: circa» cinque 
‘sesti di silice ; una ‘sesta parte di calce). ed-valcuni atomi di 
ferro. ji 9 era 

Siccome dal sopraesposto chimico processo-chiaramente: ri- 
levasi non essere dessa ‘un ‘semplice aggregato ‘o «sia) mescolan- 
«za di particelle silicee e calcarie-, ma sebbene ‘una combinazio- 
ne chimica; ‘incombe «alia ‘scienza di ricercare; quale potè sessere 
il dissolvente speciale delle singole sunnominate: sostanze o.di 
tutte insieme. + 

Già nell’ opera superiormente citata ( pag. 139-150; ) esposi le 
‘ possibili teorie ; che più o meno plausibilmente erano da. at 
tribuirsi all’ influenza ‘dell’ elettricità, del calorico ; dell’acqua, 
degli acidi, è degli ossidi per | intermedio; 0 della! fusione 
‘igneà, o della soluzione ‘acquosa, o anche per la via :gasosa , qua- 
le può considerarsi una ‘complicazione di entrambe ‘Ma lo schie- 
rare sotto ‘forma di conghietture molte cause .è un vagare nel 
campo della probabilità . i 
Non saprei neppure oggidì assegnare con certezza il preci- 
‘‘s500agente del fenomeno ‘in questione. La presenza però del flui- 
‘do che in’ cotanta ‘abbondanza trovavasi in detta pasta; ed’ \il 
qualé ‘in forza ‘delle precedenti pioggie si era infiltrato in tutta 
quella massa marnosa; sembra avvertirei, che l’acqua appunto 


174 
animata forse dall’ elettricità, dalla luce e dal calorico solare 
non sia niente estranea in sì fatta composizione quarzo-calcare . 
AI che aggiungerò, che la calce ha potuto, unendosi da: prima 
con quell’ acqua meteorica , concorrere. insieme:com essa e forse 
ancora con le molecule del ferro:; per servire quasi; direi di 
fondente onde’ effettuare la dissoluzione della silice e AGGIEI 
quindi la loro combinazione. 

Dall’ efficacia di tale concorso; dell’ acqua; e di poche mo- 
lecole di ferro io ritroverei quasi una prova, in altri fenomeni, 
cioè 1. in quello dell’ acqua che assai generalmente riscontrasi 
nelle geode marmoree de’ cristalli di rocca a segno che nell’ estate 
i cavatori oppressi dall’ eccessivo caldo spezzano. quelle. geode, 
edin tal guisa dissetansi dal seno della. pietra: 2,.in quello della 
inaggiore tenerezza e freschezza .de’ massi marmorei .al momento 
della foro estrazione dalle cave; mentre. cotesti dopo. essere.re= 
stati alcun tempo esposti all’ aria acquistano, durezza, maggiore; 
effetto evidente di una qualche evaporazione e. prosciugamento: 
3. finalmente in quello, di non incontrarsi, giammai il cristallo 
di rocca nel marmo statuario più puro, ma soltanto in. alcuni 
marmi detti ordinari, quali sono di un colore grigio ossia perlato , 
da ripetersi ciò dalla diffusione d’ impercettibili molecole di ferro.. 
E se in alcuni marmi bianchi offronsi tracce. di silice, come 
in quelli detti del Po/vaccio ed altri, essa affacciasi senza ve- 
run carattere di cristallizzazione, ma soltanto in piccoli aggre- 
gati di silice pura o in nodi di smeriglio. 

In tal modo verrebbe. a. verificarsi l’opinione, esternata si- 
no dal 1806 dal naturalista Hacquet, ‘in una dotta memoria 
sull’ origine e formazione della Selce. focaja in. Roth-Reussen 
ed altri monti calcari dell’ Austria , e di Pollonia ; ;quando mo- 
strò di essere persuaso, che la pietra piromaca risulta da parti 
silicee, le quali per intermedio della calce e di una piccola. do- 
se di ossido di ferro sono state sciolte nell’ acqua ,.e poi de- 
poste da questo fluido nei terreni calcarj. ove si era infiltrata 
(3). Nuova riprova ‘dell’ aggiusiatezza del suo pensamento egli 
potè dedurre dall’ esistenza dei cristalli di spato calcare rin- 
chiusi in seno a quelle stesse pietre  piromache . 

Questa potente azione dell’acqua per sciogliere da terra si- 
licea sembra talmente verosimile e naturale che gli. stessi vul- 
canisti trovaronsi alcune volte ‘ridotti di ricorrere ad essa; asso- 


(3) Gehlen-Journal fùr die Chemie und Phisif, T. I, pag. 103: ‘e seg. 
Berlin. 1806, ) 


E I NAT 


175 
ciandola a quella del fuoco, a cui troppo repugna di intiera- 
mente rinunziare;' onde' spiegare dei fenomeni naturali che on- 
minamente resistono alle teorie fondate sulla ‘sola via secca. 

Fra .tanti, altri esempj dell’ associazione della'via umida colla 
via secca,.mi sia lecito di citare un’ osservazione fatta ‘nel 1801. 
dal professore Pictet sulla costa di Holy-head in Inghilterra , e 
da'esso lui riferita con accuratissimi dettagli nella Biblioteca Bri- 
tannica ( vol. XIX. pag. 373. e' seg). Colpito egli da maravi- 
glia ‘nel vedere la roccia! di quel littorale per più , e più leghe 
costituita di schisti a strati ben pronunziati, alternanti con dei 
filoni di quarzo confusamente cristallizzato, aventi la medesima 
giacitura , e sottoposti alle medesime continue ondulazioni, in 
un modo che egli chiama generale e ‘gigantesco, così ragiona . 
33 Questa pieghevolezza suppone nella materia pietrosa uno stato 
di semi-liquidità facile a concepire sino ad un certo punto nelli 
strati schistosi, ma che essa abbia appartenuto ai filoni di quarzo 
che con i\medesimi alternano, ciò ripugna a quanto finora co- 
nosciamo di più positivo in questo genere. Questa materia pie- 
trosa ‘oggi così. dura e compatta, esistè altra volta in uno stato 
di liquidità perfettamente completo e tranquillo, onde gli ele- 
menti micacei e lamellosi. dello schisto potessero regolarinente 
e parallelamente adagiarsi trà loro. A quella medesima epoca il 
quarzo trovandosi in’ uno stato , non di deposito, ma di cri- 
stallizzazione ;.le ‘sue. molecole obbedirono alle leggi dell’ affi- 
nità dell’ aggregazione ; e formarono una stratificazione ulter- 
nante in modo a un dipresso orizzontale. Dopo un iungo in- 
tervallo un’ alta temperatura et una lenta ebollizione modifica- 
rono l’orizzontalità di tutti insieme li strati in varie, e varie 
inflessioni, Ma nell’ immenso laboratorio della natura; con una 
temperatura tale da ridurre il quarzo in pasta flessibile, come 
poterono la mica, e gli altri elementi schistosi conservare la 
loro integrità senza convertirsi in scoria vetrosa , nel modo che 
suole accadere al semplice fuoco dei nostri fornelli ? Non sa- 
prei ( prosegue egli ) spiegare questo fenomeno con un solo ele- 
mento . Sembra che al fuoco si debba aggiungere l’acqua , e 
che l’ influenza simultanea ed egualmente marcata di questi due 
agenti producendo insieme, e la dilatazione delle molecole , e l’im- 
pedimento di fusione, e la forza di pressione abbia, nel bilan- 
ciarsî reciprocamente, potuto nel tempo stesso e rendere fusibile 
il quarzo, e mantenere inalterabili le altre sostanze ,,. 

Dietro a questo parere del Sig. Pictet, quale modificanda 
il vulcanismo inclina alla dottrina de’ plutonisti , dietro le su- 


176 i I 


pracitate idee del nettunista Hacquet , e finalmente dopo quanto 
io esposi intorno al fenomeno da me osservato sul monte Bru- 
ciana, sempre più propendo a considerare l’acqua, e special- 
mente quella meteorica , il principale intermedio per la ‘dissolu- 
zione della silice, e per secondare la eircolazione delle sue mo- 
lecole attraverso le rocce di natura calcaria. 

Ma come può egli accadere che la stessa soluzione silicea passi 
quindi ad inoltrarsi ed a penetrare nelle cuvità delle masse le 
più dure e più compatte per formare il quarzo jalimo limpido od 
altre consimili petrificazioni quarzose, e ciò senza che finora 
siansi potuti scoprire gl’ impercettibili meati da essa attraver- 
sati? A me sia bastante di avervi oggi rappresentato la co- 
tanto intrattabile silice ridotta ad uno stato liquido a una bassa 
temperatura, combinata con un suo dissolvente e veicolo . Po- 
trebbe forse congetturarsi con qualche probabilità che essendo 
già le di lei molecole suddivise, esse divengono mediante i so- 
pradescritti preliminari più suscettibili di ulteriori modificazioni ; 
circolazioni, sublimazioni, ec. ; il che naturalmente condurrebbe 
alla teoria. di quel moto intestino, di cui feci parola più sopra, 
e che sì validi appoggi ritrova nelle autorevoli opinioni di Berzelius 
ed altri da me citati. Confesso però con tutta ingenuità 1’ impos- 
sibilità di porre in campo veruna definitiva spiegazione sulla ge- 
nesi di questo secondo fenomeno. Ma questa attuale impossibili- 
tà, o Signori, nè deve nè può scoraggire il naturalista. Egli 
ben st che la natura involta non è in un solo, ma bensì in più 
e più veli, quali fà mestieri o di sollevare o di svellere suc- 
cessivamente. L’ arcano santuario dei di lei misteri è dirò così 
una sorta di rocca, ov’ egli deve inseguirla assediarla espugnar- 
la, a forza di moltiplici assidue pertinaci ricerche , osserva- 
zioni ed esperienze sino a che, quasi oppressa da tanti sforzi, 
ella ridotta sia a dire all’ ostinato suo indagatore come la sibil- 
la libica ad Alessandro ; Figlio mio, non ti si può resistere! 


179 
) » Aa — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 
cea "smosso al all’ Aniologia CA Fr pn an 
7 Di XIV. Dicembre e n ia 


N.°.189. Gli Editori dell’iapera intitolata : Introduzione alla Fi- 
losofia naturale del. pensiero. al pubblico .. 

Abbiamo la. soddisfazione. di avnunziare che per gli nostri 
torchi. è «già ‘uscito’ alla luce l’opera del sig.. LALLEBASQUE in- 
titolata. Introduzione alla. Filosofia naturale del pensiero . Es+ 
sa è divisa in tre. parti, Nella prima l’autore esamina i prin- 
cipali sistemi di filosofia. finora conosciati; cerca se alcuno di 
essi abbia un. metodo inventivo plausibile: e si determina per 
quello | che. comunemente, si dinota sotto il nome d’ induttivo - 
Nella. seconda . egli. esplora. se di quest’ultimo metodo. siasi 
fatto .un ital. uso., che la. sciemza sia giunta al suo apice: e 
da dieci. inconvenienti ch'egli mette in veduta, inferisce. a 
buon. dritto: una.: risposta negativa. Nella. terza ivfine egli 
spiega quali espedienti: abbia. usato per migliorare .lo stato. di 


questa ‘scienza sublime, 1 st SACTIST 


L’opera di cui paflliamos comecchè formi. il vestibolo di 
una ‘teoria ‘estesissima , è tuttavia un libro. da sè  Essa.mon è 
meno stimabile dal lato della erudizione, dellaeritica ce della 
originalità , di quel che sia’ dilettevole per la eleganza ,, la..chia- 
rezza, è la nobiltà dello stile. Inspira poi il più vivo. inte- 
resse col presentare in tutta l'ampiezza il disegno. dell’auto- 
re. Gi rente infatti. sicuri che sarà gradatamente. seguita 
dalla pubblicazione di ‘nove trattati. Ciascun di essi farà un’ 0- 
pera Parimente completa , e verrà quindi preceduto da un pare 
ticolare mianifesto.. Ciò mon ostante riuniti éssi.formeranno un . 
sol tutto; a cui l’autore dà il titolo di filosofia del pensiero. 

Cinque di questi trattati, cioè la genealogia del pensiero 
‘ medesimo, la storia delle idee, la taxipalia o classificazione 
degli affetti; la ennigiene o teoria della conservazione del pen- 


(*) I giudizi letterari dati anticipitamente sulle opere annunziate nel pre- 
sente bullettino, non devono attribwirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono 
somministrati dai sig. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna con- 
fouderlì con gli articoli che sì trovano sparsi nell’ Antologia medesima , siano 
vome estratti o analisi, siano come anmunzi-di opere, 


T. XVI. Dicembre 1° 


w 


178 

siero sano, e la jasennia 0 sia medela del pensiero morboso, 
son destinate ad elevare la così detta ideologia, l’etica e la 
filosofia morale a quella stessa finea di evidenza, cui le scien- 
ze fisiche fortunatamente son giunte, e che era stata trac- 
ciata dall’immortale Bacone. Un sesto trattato esibisce le re- 
lazioni «valcolabili del pensiero medesimo , o sia la parte mat- 
tematica della rispettiva teoria. Nulla più del settimo è ido- 
neo a provare che l’autore abbia edificato non su d’ ipotesi 
incerte ma su quella stessa coscienza che sembra aver parlato 
ai primi istitutori delle lingue: poichè offre le concordanze 
della più delicata fra esse, Della lingua greca con la filoso- 
fia del pensiero. L’ ottavo è consagrato al gran domma della 
immortalità dell’anima, il quale vien riguardato in ordine alla 
morale, alla. politica ed alle belle arti. Il nono rianisce in un 
corpo i metodi inventivi delle scienze, li richiama a poche 
formole, e se ne avvale a riordinar l’albero enciclopedico: 
così meritamente porta il titolo di scienza delle scienza, o sia 
di Scienza universale . 

Il complesso di quest’opere va a presentare una delle 
più grandi restaurazioni che abbia mai ricevuto lo scibile 
umano: e va a presentarlo con quel metodo che non sembra 
già d’insegnare ma di ricordare le cose, e che in vece di 
sforzare il senso comune degli uomini per adattarlo alla scien- 
za, fa pullular questa scienza dal senso comune degli uomini. 

Il rapido spaccio della prima delle mentovate opere, che 
abbiamo già pubblicata, ci abiliterà a stampar tosto la secon- 
da e più estesa di tutte: la genealogia del pensiero. Non 
avremmo osato d’ intraprendere una sì fatta. edizione, se non 
fossimo stati sicuri che quanti amano i progressi. dell’ umano 
sapere, ed in ispezialità quanti sono i partigiani della vera 
gloria d’Italia sapranno tutti incoraggirci col di loro favore. 

Il prezzo della introduzione alla Filosofia del pensiero è 
di Lire 5 d’Italia. Lugano , novembre 1824. Giuseppe  Vanelli 
e Comp. 


igo. Circolare. Firenze 1 ottobre 1824. Il sig. GIUSEPPE 
RADDI è il primo dei naturalisti italiani che abbia viaggiato in 
America. Fa breve la sua dimora al Brasile ; non ostante però, 
riparando alla ristrettezza del tempo con straordinaria attività, 
raccolse gran numero d’oggetti di storia naturale , e tornando in 
patria ne recò seco una collezione preziosa per tutti gli amato- 
ri delle scienzc, alcuni dei quali essendosi incaricati della pub: 


+79 

blicazione di quanio ha questo celebre naturalista raccolto e 
descritto, si affrettano d’informarne il pubblico colla presente 
circolare. Quest’ opera, che illustrerà grandemente la Botanica e la 
Zoologia , sarà composta di circa 30 fogli di stampa in bella carta 
mezzana grande, e conterrà almeno 200 tavole, alcune in rame, altre 
litografiche. Il prezzo di ogni foglio di stampa sarà di soldi quattro 
e quello di ogni tavola di soldi otto indistintamente, eccettuate 
però quelle rappresentanti i Rettili, che dovendo esser colorite; 
si rilasceranno a soldi dieci ciascuna. L’intiera opera sarà di- 
visa in tre volumi, dei quali ognuno sarà distribuito separata- 
mente . Le associazioni si riceveranno alla stamperia Pezzati, al 
Gabinetto Scientifico di G. P. Vieusseux, e da tutti i principali 
librai d’Italia. La soscrizione sarà aperta a tutto Maggio 1825, 
dopo la qual epoca il prezzo dell’opera subirà l’aumento del 
25 per 1f3. Il primo volume comparirà nel marzo 1825. Gli 
Editori . 

igi. Morto Proprio della Santità di Nostro Signore PAPA 
LEONE XII. in data dei 5 ottobre 1824. sulla riforma dell’am- 
ministrazione pubblica, della procedura civile, e. delle tasse dei 
giudizi . Esibito negli atti del Farinetti segretario di Camera 
il giorno 30 del mese ed anno suddetto. Firenze presso Giu- 
seppe Molini all’insegna di Dante, 1824. Un vol. tascabile in 
carta fine. 

192. Esposizione della medicina fisiologica del cav. P. G: 
V. BroussAIs, versione libera con prefazione e note del Dottor 
E. BAsEvI. Zivorno 1824 — Glauco Masi — Tomo secondo ed 
ultimo; prezzo dell’opera Paoli ro. 

193. Dissertazione sopra una lapide inscritta da Silla a Venere 
Ericina, diretta agli accademici estruschi di Cortona — Scritta 
da Ambrogio BALBI Genovese. Torino 1824. Pomba 8.2 di 
pag. 46. 

194. Dizionario ragionato-positivo delle più importanti pa- 
role della Giurisprudenza Romana, Francese ed Austriaca, di 
Gio. D. Romagnosi. IMilano dalla tipografia di Felice Rusconi 
contrada di S. Paolo, N° 1177 in angolo a S. Vittore e 4o Martiri 
1824. Dare la definizione filosofica, svilupparne i termini, cor- 
roborarla coll’autorità positiva delle tre legislazioni suddette , o 
almeno col certo consenso dei Giureconsulti , ecco in che consiste 
questo lavoro. Giudici, avvocati, apprendenti, ingegneri, com- 
mercianti e cittadini che amino di conoscere i fatti loro, sentiran- 
no certamente il bisogno di questo primo dizionario. Gli scrit- 
tori stessi di Giurisprudenza universale non potranno ehe ap- 


9° PRRMRRNOT OTO mb 
180. | 


prezzarlo , giacchè ben sanno che tratto tratto convien ricorrere 
al'e buone definizioni per poter chiaramente e potentemente 
ragionare sopra qualunque argomento. Senza di questo soccorso 
si scrive, si giudica, si studia a caso, è manca negli affari della 
vita civile una prima direzione per procacciare un utile ed allonta- 
nare un danno. Perpetuo riesce questo lavoro, nè può soggiacere 
mai nè alle vicende dei tempi nè alle riforme legislative . Gli enti 
inorali rimangono sempre gli stessi, e solamente cangiar se 
ne può la combinazione . Ognuno vede pertanto la necessità ed il 
perpetao valore del Dizionario da noi progettato, al quale se 
l’agio e la fortuna ci permetteranno, faremo. succedere anche 
quello delle regole di diritto secondo le tre legislazioni snddette . 

L’opera sortirà a fascicoli di dodici fogli almeno per 
ognuno. Il prezzo sarà di ceut. 20 italiani per ogni foglio. Il 
formato sarà in 8.°, con carta e caratteri simili al presente ma- 
nifesto. Le associazioni si riceveranno tanto presso l’Autore in 
Milano sul corso di Porta Orientale, al. N.° 684, quanto presso 
il Tipografo Felice Rusconi, nella contrada di S. Paolo, N.° 1177} 
in angolo a S. Vittore e 4o Martiri, e presso i principali li- 
brai; sì d’Italia che esteri. Estratto dal Manifesto. 

195. Risultamenti ottenati nella Clinica medica dell’I. e R. 
Università di Padova, dall’amministrazione di una china bico- 
lorata per la cura delle febbri accessionali anco d’ indole perni- 
ciosa: del sig. prof. V. S.' BreRA. Padova 1824, dalla tibo- 
grafia della ‘Minerva. 8.° di pag. 36. 

196. Sulle falsifivazioni delle sostanze specialmente medici- 
nali, e sui mezzi atti ad iscoprirle, trattatto di GiusePPE BRAN- 
cui, professore di Chimica nell’I. e R. Università di Pisa — 
Pisa 1824, presso Sed. Mistri — Tomo secondo. 

197. Biografia universale antica e moderna, ec. opera af- 
fatto nuova compilata in Francia da una società di dotti, ed 
ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte e cor- 
rezioni. /enezia, presso G. B. MissiaGLIA 8.° vol. XVIII. 
(EL-ES). In Firenze presso Giuseppe Molini . 

198. Dell’ Istoria delle guerre civili di Francia, di ARRIGO 
CATERINO DAVILA — Firenze presso G. Piatti — 8.° Sono pub- 
blicati i volumi I. a IV. 

199. I Rogo di Corinna, poemetto pastorale di Torquato 
Tasso, restituito alla sua vera lezione sopra un testo inedito del 
secolo XVI. dal Dott. A. E. G. De PovepA. Firenze 1824 —- 
presso Leon. Ciardetti, 8. di pag. 62. 

200. La Secchia Rapita, poema eroicomico di ALESSANDRO 


Ù 131 


TASSONI, con annotazioni, e col canto dell’ Oceano. Firenze 
presso Gregorio Chiari 1824 — Un volume 8.° Carta de’ Clas- 
sici di pag. 270 — Col ritratto dell’ autore. 

201. Poesie toscane del Senatore VINCENZIO DA FILICAIA, con 
nuove aggiunte, Firenze presso Gregorio Chiari. 1823 — Un 
vol. 8.° Carta de’ Classici di pag. 356. 

202. Saggi sul Petrarca, pubblicati in Inglese da Uco Fo- 
SCOLO, e tradotti in italiano. Lugano, co’ tipi anelli C. 1824 
un vol. in 8.° di pag. 256. 

203. Opere d’ intaglio del cav. Raffaello Morghen, raccolte 
ed illustrate da NiccoLò PALMERINI socio di varie accademie . 
Terza edizione con aggiunte. Firenze presso Niccolò Pagni, F, 
e C. 1824 — 8.* di pag. 155 con 6. tav. in rame, prezzo pao- 
li 10. 


—r—'-_rr_r———_———m_—-———————=—==nRmaAa—_—r—r—r—r—r—_ 
CORREZIONE. 


Alla pag. 45. ove si parla delle incisioni a contorno aggiunte 
dal sig. Palmerini al suo catalogo ragionato delle opere d’ intaglio 
del cav. Morghen, si sono per inavvertenza attribuiti al sig. Pal- 
merini medesimo i ritratti del Petrarca e di Laura conformi a 
quelli del codice Laurenziano , mentre sono gli stessi che trovansi 
nella storia della Scultura del conte Cicognara, Opera del sig. 
Palmerini è invece il ritratto del cav. Morghen a pieno intaglio, 
che si prepone al catalogo, e vien da tutti lodato come somi- 
gliantissimo all’ originale . M. 


12 


L'ovne tit FINTA È [ato lag 


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# detta big pozione ippdioc 60 ippici ui 
bevi no, pietro ito) cali dl DI 
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ROB A Gintis9. IPAITO. A AO ‘SA via 


\ De Vigano 4 Aia TA HPA D Lune W0is: nu vas svoraspila 3040, 
ss), dii at soianpa did Llab ida 
LIONE NT A grab, «snoistonbs "(la 


dI: POPRBNTETTÀ fune cpl De. Re) “ivaiatitont ;ioi 
AV SITIRNNTO ITACA, si e 0) ideag9o8 ilgab destib srl 
IPO TT, 7 0: sis] . ondissolsteo otpdil 
le rr fertili Dlenria: +34 inodiizo8, adoostsgi dba 
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“ cÉ «2 togeii> fa f ” - hi ; TITO ABI ALI 
Ridi Dt i God CA phi i er gRilsa b in 
3 ? x i MiA 
La Nile i ti. Li 


INDICE 
DELLE MATERIE 


CONTENUTE 


NEL DECIMOSESTO VOLUME 


Sie 


SCIENZE MORALI E POLITICHE. 


Li: Her mites en liberté, dei sig. Jay e Jouy (44) A. Pag. 3 
B 1 


C. 
Dei diritti per le leggi delle XII. Tavole competenti 
ai creditori sul corpo del comun debitore. (P-*C.) A. 


Le Macchine. (a: bh 

Dell’ attuale stato economico della Maremma To- 
scana. (D. Thaon) , 

Memoria sul danno di una tassa sopra i grani 
esteri, (Comm. Lapo De’ Ricci) ,, 


Memoria del Sig. D. Lapi, sull’uso ragionato delle 
Macchine. Sai dea 
Orazione funebre di S. A. I. e R. il Gran-Duca 
Ferdinando III. (dell’avv. Lorenzo Collini) B. 
Dell’ amore, del sig. De Balye — Del Patriottismo 
d'Anticamera' — Dizionario degli Anonimi, del 
sig. Barbier — dell’ Educazione , della sig. Cam- 
pan — sull’ educazione, della sig. Ginevra Ca- 
nonici Fachini. (Antonio Benci) ;; 
Della libera difesa degli accusati, del sig. Dapin. (S$.) ,, 
Sull’Istituto Pestalozziano. Lettera di A. Benci. C. 
Opinioni di parecchi scrittori sugli studi elemen- 
tari. (45). » 
Saggio d’ Economia pubblica degli immobili, di G. 
Chiarini. ST 


Annali d’Italia, compilati da A. Coppi. 9.33 


2) 


2) 


2) 


20 


2 


Storia di Milano, del conte Pietro Verri ia 

Consigli di madama Fabre d’ Olivet ad un’ amica 
sull’ edacazione. 

Canzoni del conte Giacomo Leopardi. 

Elogio di Luigi Bellò. 

Storia d’Italia dal 1789 al 1814, scritta da (o 
Botta. ai 

Elogio del cav. Giulio Bianchi, scritto da Mass. 
Ricca. 


Dei principali trattati di pace, opera del A 
G. Gatti. 


2) 
22 


293 
GEOGRAFIA , STATISTICA, VIAGGI, EC. 


Bullettino scientifico 


2) 
Istituzioni di PARSO politica, di Luigi Galan- 
ti. (4) 
Viaggi d’ uno studente nelle cinque parti del mon- 
do, scritti dal sig. Depping. 


2) 


LETTERATURA, FILOLOGIA , CRITICA LETTERARIA, POESIE 


Breve rivista letteraria inglese N. 3. (S. U.) 
Poesie del professore Antonio Mezzanotte. (C.ZLucches.) 
Corso di studi teorico e pratico per la lingua greca, 
di Giuseppe Crispi. (Ces. Lucchesini) 
Lettere di Francesco Milizia a Tommaso Teman- 
za. i (21) 
Il tesoretto e il favoletto di Ser Brunetto Latini, 
ridotti a miglior lezione dal sig. G. B. Zanno- 
ni. (A. Benci) 
Due sonetti di Dante Alighieri, (I.) 
Delle scienze, lettere ed arti dei Romani, del 
Cav. Fed. Cavriani. È 
Tragedie di Eschilo, recate in versi italiani ,, 
Sopra la lingua toscana, lettere del Dott. Ulivo 
Bacchi. 
Risposta di Ippolito Rosellini a Luigi Vgiazià, iL 
torno ai punti vocali del testo ebreo. hi 


9) 


2) 


2) 


2) 


29 


Ai 


2) 


» 


2) 


C. 


23 


>” 


2) 


29 


» 


23 


2) 


e) 


2) 


191 


In morte di Michel Angiolo Monti. Stanze liriche 


di Ag. Gallo. ” 
L’ àrte di riparare dai calori estivi le abitazioni 
e le persone, discorso del prof. Orioli. pa 


Elogio del Cav. Gioeni, scritto dal Can. Giu- 
seppe Alessi. 
Discorso proemiale del prof. Medici alle sue RI 


zioni di fisiologia. Di 
Epistola sopra Catullo, del prof. Orioli. » 
Alcune prose del conte G. B. Giovio. 55 
Teatro scelto italiano antico e moderno. ” 
Discorso del Conte Napione intorno ad alcune prin- 

cipali regole di critica. pe 
Elogio storico di Antonio Gagini. ” 
Poesie di Pompeo Campello. + 


Elogio dell’ ab. Lorenzi, scritto, dal C. Montanari. ;, 
Francesca da Rimini, tragedia di Luigi Bellacchi. 3, 
Poesie d’ Antonio Guadagnoli. 
Le Egloghe pescatorie del Sannazzaro, volete 
dal cav. Biondi. » 
In morte di A. Canova, terze rime di G. B. Spina. ,, 
Ode del conte G. P. per nozze Riva-Sanseverino. .,, 
Cenni sulla storia politica e letteraria degli italiani. ,, 
Collezione di tutti i drammi di Carlo Goldoni... ;, 
Giornale di scienze, lettere e arti per la Sicilia, Pa 


Elogio del cardinale Ercole Consalvi, scritto da. 


Luigi Cardinali, » 
Versi di Teresa A lbarelli Vordoni. » 
Prose e poesie diverse in morte di Ferdinando II. ,, 
Bondelmonte , Tragedia di Carlo Tedaldi Fores. ,, 
Le Odi di Anacreonte, tradotte da Gio. Marchetti 

e Paolo Costa. “» 
La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, ri- 

dotta a miglior. lezione. > 
Della morte di Giulietta e Romeo, lettera critica 

di Filippo Scolari. 

Odi italiane, di Anton Maria Canella. 

Versi d’Antonio Nuti. 

Volgarizzamento di una lettera e due capitoli della 

+ solitudine di Zimmermann, » 

Epistola di Pier Alessandro Paravia , alla contes- 
sa Lavinia Vermiglioli. 


23 


2) 


2) 


23 


» 


2) 


2) 


bb) 


22 


2 


2) 


2) 


4 


La Crisi del matrimonio ;} commedia in versi di L. 
Pellico. dle 
Opere di Pietro Giordani. ITA RIE 
Memorie per la vita del cav. Giuseppe Erranti, 
raccolte da F. Cancellieri. 
Il Giovinetto, o i misteri del cuore e la simpatia. ;> 
L’Iliade d’ Omero, traduzione di Lorenzo Man- 
cini. 


2) te) 


» 3 
BELLE ARTI. 


Della vita di Antonio Canova, di Melchior Mis- 
sirini . (M) A. 

Real Museo Borbonico . Napoli 1824. (A. Benci) ,, 

Istoria e descrizione della cattedrale di Colonia, 
del sig. Boisserée, ed alcuni ragguagli intorno 
alla collezione di pittura fatta dallo stes- 


so. (C. Leop. Cicognara) B. 
Opere d’intaglio del cav. R. Morghen, illustrate 

dal sig. Palmerini. (DM) 
Opuscoli del Marchese Hauss spettanti alle belle 

arti. (Mi) » 


Sulla Esposizione dei così detti piccoli premi, 
fatta nell’I. R. Accademia delle belle Arti in Fi- 
renze nel mese di ottobre 1824. (X.) C. 

Sopra l’ esposizione di oggetti d’arte e d’ industria 
nazionale in Stuttgardia , lettera all'Accademia 

. Labronica, (E. Mayer) ,, 

Della pittura in porcellana. (P. Giordani) 


ARCHEOLOGIA. 


cè 
Antichità greche del Borforo Cimmerio, del cav. 
de Kohler. (S. C.) B. 
Memorie istoriche dell’ antico e moderno Telamo- 
‘me, di F. Carchidio. (M.) C. 
De la certitude de la science des antiquités , dis- 
sertatione del sig, Labus. dra ssi 


Degli antichi vasi fittili sepolcrali , del cav. F. 
Inghirami. 5» 


23 


»? 


2) 


2) 


2 


23 


2) 


SCIENZE NATURALI. 


Nuove esperienze elettro magnetiche del Cav. Leop. 
Nobili. 
Bullettino scientifico. Meteorologia 


22 2) 

2) 23 

bi Fisica e chimica. 
39 27 

23 2) 

+ Geologia 

29 39 

PE Mineralogia. 

23 »” 

È Botanica e Agricoltura. 

2) 2 


72 29 
Sistema di Stechiometria chimica, del Dott: Tad- 
dei. (X.) 
Salla solubilità della Silice. (E. Repetti) 


SOCIETA’ SCIENTIFICHE. 


Accademia dei Georgofili seduta del 26 settem- 
bre 1824. 


Società Agraria di Torino. 
Accademia della Crusca. Adunanza pubblica 
Accademia Labronica di Livorno. Programma. 


BULLETTINO SCIENTIFICO. 


N.° XIII. Ottobre 1824. 
XIV. Novernbre 
XV. Dicembre 


SCOPERTE E INVENZIONI. 


Bullettino scientifico. 


oEPoPOpopbbrogar. 


On 


0> 


be) 


2) 


2) 


182 
ros 
ria 
126 
160 
182 
15I 


6 


BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL’ ANTOLOGIA. 


N.° XII. Ottobre 1824. A: » 184 
XIII. Novembre. BB.” 109 
XIV. Dicembre C. 3 177 

3 


EDUINO ED EMMA 


DI 
DAVID MALLET 


VOLGARIZZAMENTO 
DI 


EMANUELLE SCOTTO 


VOIR str 


bo Hi et 


MwEr sc 'agio oink Hi ‘Rosi 
d L'A ge PUOI, RE ti tig 
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EDUINO ED EMMA DI DAVID MALLET (*). 


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In valle cupa, del candor sicuro 
Albergo e della pace, umil giacea 
Stretto da folta macchia un abituro. 
Pura vita beata Emma vivea, 
E della sua beltate illeso il fiore 
Sotto il guardo materno ivi crescea. 
Sua gota imporporava un tal colore, 
Di cui sorride il cielo in oriente 
Nel molle april sul mattutino albore. 
Nè ritorca il superbo e l’opulente 
Da questa rozza pastorella il ciglio : 
Come il sol l’ oro e l’ostro anco acconsente 
La viola imperlar pingere il giglio. 
Ogni garzon d’amore ardea per ella; 
Ad ella pur volgea torvo cipiglio 
Del poggio e della valle ogni donzella: 
Modesta sì e quanto ingenua umile 
Neppur riconosceva essere bella. 
Quando in vaghezza Eduino a lei simile 
N° arse; l’ onore il vanto de’ pastori 
Del villaggio Eduino il più gentile. 
Perchè voglie inimiche ai lor candori 
Nè l’un nè l’ altra racchiudeva in petto, 
Tosto fur manifesti i loro ardori. 
Quali ore liete sotto 1’ umil tetto 
Lor dipingea l’ accesa fantasia 
Ore felici di amistà di affetto! 
Rado è che l’ uom pago e contento fia: 
Brilla felicità passa e non dura 
Sua luce infausta ove il destino invia. - 


(*) Le grazie originali del componimento, che qui si presenta, sono ab: 
bastanza conosciute dai cultori dell’ inglese letteratura. Non era cosa facile il 
farle passare in una poetica versione italiana, onde tutti potessero gustarle. Il 
sig. EMANUELLE Scotto di Genova vi si è provato con quello spirito, che dà 
il fervore della gioventù; e un suo amico ne pubblica l'esperimento, affidandole 
all‘ Antologia, perchè giunga più prontamente alle mani degli studiosi . 


)4( 
La suora d’Eduin con ‘empia cura, 
Invasa da livor maligna suora, 
Fabbricava per loro aspra sventura. 
Più insensibil delle glebe ancoraa 
Onde ingordo traea la sua ricchezza 
Sedusse il padre , e senza impor dimora 
Questi al garzone con villana asprezza 
Proibì veder Emma;‘ahi duro fato! 
Sceverandole il cor d’ ogni dolcezza. 
Da mille affetti in sen dilaniato 
Benchè sommesso alla paterna mente 
Obliar non potè l’ oggetto amato. 
Dietro cespo ospital furtivamente 
Là dov’ ella piangeva e sospirava 
Onde un guardo raccor movea sovente. 
Molle poscia di pianto s° avviava‘ 
Maledicendo la sua rea fortana 
E nella valle del dolor vagava. 
Al rosseggiar dell’ alba o quando imbruna, 
Allorchè spande il sole i suoi zaffiri, 
Od al pallido lume della luna, 
AI ruscello ed all’aura i suoi martiri 
Inconsolato ad affidar sen giva 
Ahi stemperando l’ anima in sospiri. 
La fresca guancia ove beltà fioriva, 
Già vaga come l’ alma primavera, 
Di pallore mortal sparsa languiva. 
Così la pinta rosa innanzi sera 
Declinando vien meno in sullo stelo 
Allo spirar di nordica bufera. 
Dal letto della morte, inutil zelo! 
La roséa primiera sanitate 
Del figlio i genitor chiedeano al cielo. 
Se pur vi suona in cor dolce pietate, 
Esclamava Eduin, vi lascio, io moro, 
In quest’ istante ‘crudi deh non siate! 
E che mi alleve lasso alcun ristoro 
Se ‘per anco vi preme, a me daccanto 
Fate ch’ io velei gga cui sola adoro. 


). 5 ( 

Venne egli immoto nel.suo viso santo, 
Le costrinse Ja man; ella dogliosa 
La rigò di verace amaro pianto. 

Così cade la stilla rugiadosa 
Quando erompe dal mar la bella aurora 
Sulla pallida umìle tuberosa. 

Poscia fioco le disse: Emma m° onora 
Dopo morte, ti do 1’ estremo addio. 
Vieppiù che fera inesorata suora! 

Perfin che gli risponda ella impedio 
Vivi Eduin per la tua fida amante 
Per l’ amica deh vivi Eduino mio. 

Quindi a forza fu tratta a lui dinnante, 
Quindi il pianto di se tolse 1’ impero, 
E quindi ricalcò con dubbie piante 

Tra il cipresso feral l’ atro sentiero 
Dalla doglia compresa e dal spavento 
Del vicin luttuoso cimitero. 

Accompagnata dal ronzio del vento 
La funebre canzon giva strillando 
L orrida strige col suo reo lamento. 

In ogni vepro, oh stato miserando! 
Immaginava l’atterrita mente 
Lo spettro dell’ amico ramingando; 

E nel murmure cupo del torrente 
E nello stormo di commossa fronda 
Pareale udire il lagno suo dolente. 

Allorchè il bronzo chimè nella profonda 
Romoreggionne orribile vallea 
La squilla della morte gemebonda. 

In quel ' mentre la porta percotea 
Dell’ egra madre che con lunghi lai 
Lei chiamava e le braccia. protendea. 

Spenta è la luce de’ suoi vaghi rai, 
Emma gridò, egli è da me diviso, 

Ah che Eduin non rivedrò più mai 

Se non che dopo morte in Paradiso. 

Che non m'aîti madre? ove son io? 
Oh qual mi assale palpito improvviso? 
‘Trasse un sospir, rabbrividì, morìo. 


) 6 ( 


Epwin anp Emma 


Far in the windinss of a vale, 
Fast by a sheltering wood, 
The safe retreat of health and peace ; 
An humble cottage stood. 


There beauteous Emma filourish’d fair , 
Beneath a mother’s eye; 
Whose only wish on earth was now 
To see her blest, and die. 


The softest blush that nature spreads 
Gave colour to her cheek : 
Such orient colour smiles through heaven , 
When vernal mornings break. 


Nor let the pride of great ones scor 
This charmer of the plains: 
That sun, who bids their diamond blaze 
To paint our lily deigns. 

Long had She fill'd each youth with love, 
Each maiden with despair 3 
Aud though by all a wonder own'd , 
Yet knew not she was fair . 


Till Edwin came, the pride of swains 
A soul devoid of art; 
And from whose eye , serenely mild , 
Shone forth the feeling heart. 


A mutual flame was quickly caught, 
Was quickly too reveal’d: 
For neither bosom lodg’d a wish, 
That virtue keeps conceal’d. 

What happy hours of home-felt bliss 
Did love on both bestow! 
But bliss too mighty long to last , 
Where fortune proves a foe. 


) 7 ( 
His sister, who, like Envy form'4, 
Like her in mischief joyd, 
- To work them harm, with wicked skill, 
Each darker art employ'd. 


The father too, a sordid man, 
Who love nor pity knew , 
Was all-unfeeling as the clod 
From whence his riches grew. 


Long had he seen their secret flame , 
And saw it long unmov’d: 
Then with a father's frown at last 
Had sternly disapprov’d. 


In Edwin°s gentle heart, a war 
Of differing passions strove : 
His heart, that durst not disobey , 
Yet could’not cease to love. 


Deny'd her sight, he oft behind 
The spreading hawthorn crept, 
To snatch a glance, to mark the spot 
Where Emma walk’d and wept. 


Oft too on Stanmore’s wintry waste , 
Beneath the moon light shade, 
In sighs to pour his soften’d soul, 
The midnight mourner stray’d. 


His cheek, where health with beauty glow'd, 
A deadly pale o’ercast: 
So fades the fresh rose in its prime, 
Before the northern blast. 


The parents now, with late remorse, 
Hung o’er his dying bed; 
And weary’d Heaven with fruitless vows, 
And fruitless sorrow shed. 
Tis past! he cry'd, but if your souls 
Sweet mercy yet can move , 


Let these dim eyes once more behold , 
What they must ever love! 


) 8 ( 

She came; his cold hand softly touch’d , 
And bath°d with many a tear: . 
Fast-falling ver the primrose pale, 
So morning dews appear. 

But oh! his sister’s jcalous care ; 

A cruel sister she! 
Forbade what Emma came to say ; 
ce My Edwin live for me. » 

Now homeward as she hopeless wept, 
The church-yard path along, è 
The blast blew cold, the dark owl scream’ 
Her lover’s funeral song. 

Amid the falling gloom of night 
Her startling fancy found 
In every bush his hovering shade, 

His groan in every sound. —. 
Alone, appall’d, thus had she pass’d 
The visionary vale, 
When lo! the death-bell smote her ear, 
Sad sounding in the gale! 

Iust then she reach’d, with trembling step , 
Her aged mother’s door- 

He's gone! she cry'd; and I shall see 
That angel-face no more! 

I feel I feel this breaking heart 
Beat high against my side: 

From her white arm down sunk her head ; 
She shiver’d, sigh’d, and died. 


Gi 
CLI 
STU 


sì ; 
ETA) (1. 
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