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Full text of "Antologia. Giornale di Scienze, Lettere e Arti"

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i ANTOLOGIA 


(GIORNALE 


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SCIENZE, LETTERE E ARTI 


Cad "1. del 2. 0 Decennio 
| Gennaio 1851. 


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Er. Drnerrore e Eprrorr 


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‘TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. 


L’ ANTOLOGIA si pubblica ogni mese per fascioli non ‘minore di fogli 10. S sE 
Tre fascicoli compongotto un volume ,. ed ‘ogni volume è accompagnato da un 
indice generale delle materie. 


Le associazioni si prendono 


In Firenze, dal Direttore Editore G. P. Vieusseux. 


in MILANO, per tutto il regno dalla Spedizione delle Gazzette, 
Lombardo Veneto $ presso 27. e R. Direz. delle Poste. 


OL 


in TORINO | per tatti li Stati Sardi, presso il sig. Luigi Croletti, impiegato salle & 
R. Poste di Torino. 


in MODENA presso Gem, Vincenzi e C.o libr. i 
in PARMA presso il sig. Dervi? direttore delle Poste. | 
in ROMA, per tatto lo stato Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegato I 

| nell’amministraz. gen. delle Poste Pontif. — 


o GENOVA 


in BoLocnaA, presso. il sig. Direttore delle Poste. 
in Pesaro, presso Annesio Nobili. 
in NAPOLI, presso ‘Ambrogio Piccaluga , Strada S. Liborio N. 33. . 
in PALERMO , per tatta la Sicilia presso il sig. Carlo Beuf. 
in AUGUSTA presso la Direzione delle Gazzette. 


in VIENNA, per nre l’ Impero Austriaco, dalla Spedizione delle Gaziette ao 
presso 1° I. e R. Direzione delle Poste. - 


in GINEVRA presso J. J. Paschoud. 


in PARIGI presso J. Renouard Rue de Tournon N. 6. 1 


in LONDRA presso C. F. Molini N. 41 Paternoster Row. 


SIRENA è IE, PR) STRO \ 


ANTOLOGIA 


GIORNALE 
DI SCIENZE, LETTERE E ARTI 


Vote XLI. DELLA CorLezionee 


YOLUMUB PRIUO 
DEL SECONDO DECENNIO. 


Gennaio, Iebbrai e Marzo 
1891. 


FIRENZE 
AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO 
DI G. P. VIEUSSEUX 
DIRETT. E EDIT. 


TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI 


MDCCCXXXI. 


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ANTOLOGIA 


N° 424 
DELLA COLLEZIONE. 


o 
N. 4. DEL SECONDO DECENNIO 


Gennaio ISS. 


OSSERVAZIONI INTORNO AGLI UFFIZI CIVILI 
DELLA CRITICA LETTERARIA. 


I | IT abbia mai posto mente alle cagioni della fama 
che gli scrittori sovente acquistano per l’ opere sproporzionata 
al merito, avrà dovuto conoscere come essa dipende assai più 
dalla scelta dell’argomento, che dal modo col quale adempiono 
al debito di professori del vero. Così a cagione di esempio un 
libro che porti titolo ambizioso comunque sia fatto, mette l’au- 
tor suo in maggior grido che se avesse condotta a fine egregia- 
mente un opera di intitolazione modesta , ma confessata utilis- 
sima dagli intelligenti. E’ pare quasi che in questo come in al- 
tre cose l’ universale reputi a maggior merito il largamente pro- 
mettere che il religiosamente attenere. La qualcosa quando fosse 
nella realtà de’fatti come a prima giunta apparisce, dovrebbe ri- 
muovere gli ambiziosi di lode dalle fatiche più profittevoli che 
gloriose, per volgerli tutti alle opere di immaginazione o alle ri- 
mote astrazioni della metafisica , nelle quali ognuno può farsi a 
suo arbitrio e dirò anche agevolmente, autore di nuovi sistemi. Ma 
siffatta direzione delle lettere toglierebbe loro la massima parte 
dell’ utile civile che oggimai dovrebbero fornire, e solo lasce- 
rebbe che valessero ad accrescere la gentilezza de’costumi, dando 


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onesta dilettazione a coloro che sen vivon spensieratamente tra 
gli agi, e le mollezze. Avremmo in tal guisa un frutto meschino 
dalla letteratura, diverso troppo da quello che sarebbe nostro 
debito procurare , dove intendessimo non rimanere addietro ai 
nostri maggiori per le opere de’ quali siam giunti alla presente 
civiltà. Ma quì mi fermo per domandare a me stesso se realmente 
il comun giudizio del pubblico siasi ridotto a'quell’ultimo segno 
di superficialità che andava discorrendo- Abbiamo de’ fatti che 
dimostrano al contrario quanto le cose utili come che non glo- 
riose  sieno pregiate , e vediamo tuttogiorno incontrar cri- 
tiche severe appo gli nomini di senno la presunzione e le stra- 
vezze. Havvi ‘adunque una numerosa classe di persone che 
ama più l’aggiustatezza de’ pensieri che le ardite novità , la 
chiarezza e la semplicità che la gonfiezza, la tranquillità 
della ragione che i voli di un immaginativa senza freno. Però 
sarebbe una esagerazione da misantropi il credere che oggi- 
mai l’utile ed il ragionevole debbono esser posposti al vano ed 
allo stravagante. Ma sarebbe eziandio fanciullesca semplicità il 
negare che l’ applanso di molti sia mosso più dall’apparenza che 
dalla realtà. Sono nella società civile due condizioni di giudici , 
una cerca il solido ed il vero, l’altra si contenta del brillante 
e delle apparenze. Di queste due condizioni di persone che con- 
corrono a formare l’ opinione pubblica , quale secondo la ragion 
«le’ probabili deve prevalere ? Gli uomini che fidando troppo nel 
bene stimano che basti aver ragione per ottener vittoria, non fa- 
ranno dubbio il trionfo delle persone che giudicano ragionando, 
su quelle che emettono e proclamano un opinione senza prece- 
dente esame. Altri giudicheranno non doversi tener conto degli 
spiriti superficiali , perchè quanto essi dicono non lascia dietro 
a se conseguenze, ma come la nebbia si va dissipando. Mi pare 
per altro che ambedue queste sentenze abbian dell’esagerato. Po- 
trei dimostrar facilmente la mia proposizione con molti fatti par- 
ticolari, ma perchè cotesto modo ha in se molta odiosità, mi li- 
miterò al solo ragionamento. 

II. Negli affari civili sia che la sentenza si appoggi a valide 
ragioni e venga pronunciata da giudice intelligente, sia che poggi 
tutta in falso e si pronunci da persona incapace di intendere, 
non che decidere la questione ; la sentenza è sempre sentenza e 
fa numero. Lo stesso accade nelle opinioni letterarie. Difatti il 
giudizio del pubblico si compone delle opinioni particolari di 
tutti quelli che manifestano il loro parere , e se i pareri super- 
ficiali vincono in numero i pareri ragionati, è cosa di fatto che 


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l'opinione pubblica si determina per la parte men ragionevole. 
E volere o non volere la protesta che fanno contro questa sen- 
tenza le persone che hanno studiata più ‘a. fondo la quistione, 
rimane senza effetto. Perocchè gli.scrittori mediocri;!e la medio- 
crità è dote de’ più, desiderando ‘incontrare si \conformano al- 
l’ opinione fortunata , o almeno temendo provocare, contro se le 
critiche, non ‘osano attaccarla. Così al. di. d’ oggi usa condannare 
molte cose che il. secolo passato approvava , non. perchè chi le 
condanna abbia esaminata da se la quistione; ma perchè oggimai 
su quelle sembra pronunciato il pubblico giudizio. Se fossero per- 
messi gli esempi vi sarebbe modo di far toccar con ‘mano la ve- 
rità di questa osservazione , ma se qualche lettore avrà in mente 
quello che altre volte ho dovuto dire intorno all'andamento pre- 
sente degli studii filosofici , intenderà facilmente il mio con- 
cetto , ancorchè io non scenda ad alcun particolare. Ricorderà 
che senza discussione , senza esame sono ormai prevalse certe 
dottrine che ‘si asseriscono in tutti i libri come verità dimostrate 
ed incontrovertibili , benchè agli occhi del severo dialettico ri- 
mangano nell’ umile condizione di ipotesi in che sono sempre 
state, benchè gli argomenti che si dicono nuovi si riducano in 
sostanza agli argomenti antichi già riconosciuti fallaci o insut- 
ficienti. Tuttavia l’ opporsi a siffatte dottrine può tirare addosso 
la taccia di ignorante , di uomo antico, restìo a seguire l’avan- 
zamento del secolo , sprovvisto di immaginazione , e di affetto. 
Da che l’ immaginazione e l’affetto al presente si consideran da 
molti come cause sufficienti a determinare l’uomo ragionevole 
nella scelta delle opinioni. Ora crederem noi che sieno molti i 
quali pel solo desiderio di manifestar candidamente ciocchè cre- 
don vero, vogliano esporsi alle accuse gravissime di presuntuosa 
ostinazione, e di dannevole impotenza a sentire il bello morale? 
Osserviamo che il maggior numero di quelli che danno opera 
alle lettere mira piuttosto all’ applauso che alla difesa del vero. 
La risposta sta tutta nella verità di questa osservazione. Della 
quale ciascuno potrebbe ‘prender facile esperienza interrugando 
gli scrittori sulle opere loro. Perocchè vedrebbe allora quanto 
l’ intima convinzione corrisponda alle parole, o sino a qual segno 
lo scrittore abbia esaminati i termini di una proposizione prima 
di asserirla. Escirebbe forse talvolta la confessione dalla bocca 
che tante cose furon dette e scritte in ossequio alle opinioni do- 
minanti, o per non mostrarsi ignari di quanto pensano coloro che 
passano per la maggiore, o per aver nome tra quelli che stanno 
per le opinioni del giorno quasi che in fatto di lettere duvessero 


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aver luogo il buon tuono e la moda. In questa guisa il giudizio 
di coloro ; che non sono gindici competenti viene a guastare il 
giudizio delle persone che sarebbero in grado di giudicare , senza 
che dall’ altra parte lé persone solite giudicar superficialmente 
sentano gran fatto 1’ influenza dell’ opinione degli intelligenti. La 
quale perocchè nel manifestarsi suol render ragione di se; riesce 
sgradevole ed oscura a tutti coloro che usano vie più shrigative 
ne’ loro giudizi. La trovano oscura perchè riducendo la. quistione 
ai veri termini porta quasi sempre il discorso. ad un punto che 
vorrebbe maggiore attenzione , e maggior consuetudine di ragio- 
gionare che non abbian moltissimi tra quelli che sollecitamente 
si determinano nelle loro opinioni, pronti a mutar parere .con 
eguale sollecitudine quando uno scrittore fortunato riesca a vol- 
gere in altro modo la loro immaginazione. Rimane il solo mezzo 
dell’ autorità agli nomini che fanno. professione di lettere per in- 
fluire sull’ opinione de’ più che leggermente ragionano, Ma l’au- 
torità lungi dal fecondare sterilisce la ragione. E.d’ altra parte 
siamo ormai in tal condizione di cose che ninino vuole. sottomet- 
tersi ciecamente alla sentenza di un altro se non concorre, con 
quella la propria convinzione. Sarà una convinzione mal fondata, 
sarà superficiale, ma è propria; ed a questa proprietà niuno vuol 
rinunziare. La qual cosa pare a me fortunatissima ; e segno di 
avanzata civiltà. 

Difatti, quando l’ opinione di qualche grave barbassore era 
di tanto peso da imporre silenzio, accadeva sovente che i docili 
uditori divenissero stolti, ed il creduto sapiente fosse un impo- 
store. Il quale avea pel volgo che gli prestava fede una sentenza, 
per se ne teneva un’altra, e si rideva della credulità volgare 
con quelli stimati eguali in presunzione e in sapere. Dirò quasi che 
il Ditterio mundus vult decipi decipiatur, eta il simbolo di que- 
sti gravi dottoroni. I quali credendo a se tutto permesso , vo- 
leano 1° universale ossequioso e riverente ad ogni maniera di su- 
perstizione. Ovunque la civiltà del secolo XVII ha penetrato 
sono venuti meno questi oracoli del popolo; ma nelle campagne 
meno industriose , nei castelli più lontani dai centri di civiltà si 
posson trovare tuttora degli uomini che sono oracoli , e de’ po- 
poli che gli credono. Non sono peraltro corsi ancora ottanta anni 
che era dominata da pochi l’opinion pubblica in questa nostra 
capitale. Sicchè tutti quelli che son prossimi alla vecchiezza de- 
vono avere idea de’ dittatori dell’ opinione di cui parliamo e 
posson far fede alle nostre parole. Oggimai vi posson hen essere 
delle persone che nelle illusioni notturne sognino la dittatura 


1 
dell’opinione pubblica e vedendosela negata si faccian misantropi, 
ma le resistenze che incontrano ogni giorno non dico nelle città 
capitali, ma ben anco nelle minori, mostran chiaro quanto sia 
ferma la volontà in tutti di usare della propria testa e di va- 
lersi liberamente delle proprie facoltà: 

Questa è una condizione fortunata della civiltà nostra, ma 
da questa stessa risulta che se vi sono due logiche una degli uv- 
mini di bel tempo, 1’ altra degli uomini di lettere, esse o riman- 
gono indipendenti l’una dall’altra; o se una deve acquistar mag- 
gioranza ; toccherà la miglior sorte alla logica delle persone di 
bel tempo dovunque non è dato ai popoli fare un’ applicazione 
diretta de’ lumi all’ utile sociale. 

III. Diversamente le cose devon procedere dove 1’ ordina- 
mento politico dà sicuro campo alla scienza di divenire operosa. 
Ivi i bisogni sociali alimentano una letteratura civile che togliendo 
per pietra di paragone il bene della sucietà, giudica severamente 
le opere di ingegno , accoglie le conclusioni riconosciute utili , 
e risguarda come vane disputazioni accademiche le cose che fu- 
ron dette dagli scrittori per mera pruova di ingegno. Vi sono sette, 
vi sono scuole , vi sono sistemi di moda , ma son meri sollazzi 
della mente che cedono con estrema facilità alle cose nuove , e 
riescon di pochissimo nocumento. Da che la forza imperiosa de'bi- 
sogni sociali obbliga a cercare rigorosamente il vero ogni qual 
volta accade ridurre la scienza ad utili applicazioni. Difatti con- 
frontisi pure le discussioni de’ corpi deliberanti , col molto di- 
sputare delle scuole ; e si vedrà come in Francia si faccian già 
sentire i benefici effetti della necessità di riportare la scienza ai 
bisogni sociali. 

Vero è che anche in Francia, anzi in Francia più che altrove, 
oltre la letteratura civile , oltre la meramente speculativa, havvi 
una letteratura di doudoir e di salons frivola , e vana. Ma chi 
crederà mai che possa prevalere ? 

Lungi dal potere invadere le altre parti della letteratura , 
questa stessa letteratura di bel tempo sente l’influenza delle cose 
civili, e vien meno quando cresce l’importanza di queste. Laonde 
anzichè pericolo della ragione deve esser considerata qual segno 
di avanzata civiltà. Difatti essa dà a conoscere che le persone 
eziandio più frivole reputan fonte di piacere l’esercizio delle fa- 
coltà della mente. La qual cosa fa necessariamente supporre mag- 

‘ gior gentilezza di costumi e di affetti. Oltre a che offre facil 
‘modo ad insinuare alcune verità ed alcuni sentimenti laudevoli 
negli animi delle persone istesse che per consuetudine di vita 


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scioperata meno si curano del buono e del vero. Così in Francia 
la letteratura des salons impotente contro la, letteratura civile , 
serve talvolta di ausiliaria alla causa della civiltà, dando tutta- 
via nn’ onesta dilettazione a quelli che rifuggono da un’ occu- 
pazione più seria. I romanzi storici ,, le memorie, storiche (alcuna 
volta supposte) le storie ridotte a forme drammatiche, sono per 
così dire l’ anello di passaggio tra la letteratura leggera, e la 
letteratura civile, perocchè si credono gli autori di siffatti com- 
ponimenti di unire l’ istruzione al diletto. Forse a taluni parrà 
che dando idee inadeguate tolgano molto al’ istruzione , sotto- 
ponendo l’immaginazione alla storia tolgano assai al diletto; e 
così per l’ una e per l’ altra parte vengano meno allo scopo ed 
ottengan solo di accrescere la confusione delle idee, la leggerezza 
nel giudicare, e quell’ abito morale che i francesi chiamano spi- 
rito di sufficienza. Ma pare che, il fatto risponda abbastanza a 
quest’ obiezione ; e poi quando il gusto di una: nazione è pro- 
nunciato a favore di questa sorta di opere torneranno sempre 
vane le osservazioni de’ critici per screditarle. Avrà il critico lode 
di ingegnoso , convincerà pur anco, ma si seguiterà sempre a 
scrivere come per l’iunanzi;, e si vedranno come usa assai 
nell'età nostra, le stesse persone approvare contemporaneamente 
due proposizioni contradittorie. Meglio sarà il ricordare agli au- 
tori l’ obbligo di non offendere il vero , il male che farebbero 
grandissimo dove intendessero all’ assoluto dominio delle lettere, 
o fossero immemori de’ doveri morali cui deve sodisfare al pre- 
sente chiunque si dia a scrivere, comecchè professi mirar sol- 
tanto al diletto. Sia severissima la critica contro ogni offesa alla 
morale o civile o domestica, sieno repudiate come sconvenevoli 
al presente incivilimento le scurribilità onde in altri tempi molti 
prendevan piacere, abbia disapprovazione solenne qualunque ten- 
denza ad adulare le passioni minorando la persuasione della li- 
bertà delle azioni umane , non abbiano scusa di arte le adula- 
zioni ai pregiudizi dominanti ; insomma se le opere della lette- 
ratura frivola devon esser sottratte alla censura delle regole del 
gusto e della buona logica , sieno almeno soggette a severissima 
censura morale, ed allora raggiungeranno un’ utile scopo senza 
produrre gran danno. Altro non può fare la critica de’ letterati 
su questa maniera di letteratura , alimentata dagli applausi di 
persone assai più sollecite di sollazzarsi leggendo che di arric- 
chire la mente di idee adeguate , e di utili cognizioni. A. dire 
la cosa come l’intendo, questa parte di censura morale intorno 
alle opere dilettevoli manca quasi del tutto in Francia. Tuttavia 


9 
sarebbe necessaria sì per impedire che non riuscissero dannose in 
alcune: parti , sì per rivolgerle ad un fine di utilità. Ma appo 
quella nazione i bisogni dell’ ordine civile ai quali non si può 
interamente sodisfare senza il perfezionamento della morale pri- 
vata , sono così profondamente sentiti ed occupano in tal modo 
le menti di tutti, che la prima volta che la critica alzerà for- 
temente la voce contro la sconsideratezza di certe produzioni 
tutti i buoni faranno plauso al eritico, ed a poco a poco nessun 
- ramo di letteratura potrà francarsi dalla severa censura morale 
dell’ opinione. Sola censura che appo quella nazione ottenga l’ef- 
fetto , perchè nessuno oserebbe spregiarla. 

Ma queste son cose che seguono in Francia. Fra noi se le 
lettere si volgessero al falso non avremmo mezzi sufficienti a ri- 
tornarle nella buona via. Noi non abbiamo infatti cosa alcuna 
che ci tenga sempre presente alla mente l’ utilità civile della 
scienza. Il perchè ci manea lo stimolo più forte alla rigorosa in- 
dagine del vero; siccome eziandio la miglior guarantigia contro 
gli abusi dell’ingegno. Sicchè se per avventura prevalesse nella 
mente de’ più la persuasione di alenni malinesaici che il sapere 
inutile al pubblico bene torni in danno privato di chi lo pos- 
siede, saremmo ridotti a cattivissimo partito. So bene che queste 
sono esagerazioni di immaginazioni ammalate o di amor propri 
offesi, ma giusto perchè questo è linguaggio di passione può fa- 
re effetto sull’animo di molti assai più di un discorso ragionevole. 
Ben è vero che contro questi lamenti senili reagisce la vigoria e 
l’ ardimento della gioventù confortata della speranza; ma se 
degli allettamenti più forti, de’ piaceri certi e presenti ne invi 
tano altrove, è raro che vi sia tanto animo e tanta perseveranza 
da lavorare pel conseguimento di nn bene incertissimo e lontano; 
quale è quello cui si può giungere dando opera a coltivare da 
senno le facoltà della mente. 

IV. Da questo confronto tra la diversa condizione de?’ lettori 
francesi ed italiani, pare ne venga la conseguenza che appo di 
noi la letteratura di mero-diletto possa prevalere alla letteratura 
civile , o in altri termini la logica delle persone di bel tempo en- 
trare innanzi alla logica severa de’ sinceri indagatori del vero. 
Tali sono almeno le conclusioni a cui ne condurrebbe il ragio- 
namento a priori. Ma la Dio mercè resta ancora tanto in mano 
alla critica da adoperarsi utilmente a difender presso di noi la 
causa della ragione, e gettar le fondamenta di una letteratura 
civile. Alla qual opera conviene valersi della cognizione de’ bi- 
sogni, de’ desideri, e delle speranze del colto pubblico italiano 

T. 1. Gennaio 2 


IO 
che vuole dalle lettere istruzione, e diletto. Entriamo adunque 
a trattar di proposito l’ argomento. 

V. Innanzi tratto conviene a tutta possa ribattere quelle di- 
sperate sentenze che vorrebber tolta d’ogni cuore italiano la spe- 
ranza di ritrarre dalle lettere alcuna utilità oltre la dilettazione 
della mente. Perocchè dove questa persuasione si facesse generale 
ne seguiterebbe l'indifferenza pel vero , e la letteratura più sti- 
mata sarebbe quella che più fortemente commovesse le nostre 
facoltà. Avrebbe moltissimi ammiratori la letteratura di bel tempo, 
molti assai la meramente speculativa, pochissimi la civile. Altra 
volta secondo che il consentivano le nostre deboli forze abbiamo 
posto studio a mostrare come anco nella presente condizione delle 
cose italiane poteva coltivarsi con effetto la letteratura civile. 
Poichè sebbene l’ avanzamento delle scienze sociali non influisca 
subito sul miglioramento degli ordini civili; tuttavia è tanta 
potenza nel vero allorchè viene apertamente confessato da tutti 
che niuna forza politica vi può al tutto resistere. Laonde dice- 
vamo maggiore tra noi il bisogno del sapere civile , che appo le 
nazioni dove gli eletti del popolo possono mutare in legge le con- 
clusioni della scienza (1). Ma e’ non bisogna pensar solo al pre- 
sente , conviene por mente eziandio all’ avvenire. Ora qualunque 
esser possa nel corso de’ tempi la buona o la malaventura di 
nostra penisola , non sarà mai vero che le istituzioni sociali pos- 
sano stare perpetuamente in opposizione coi lumi , e colla per- 
suasione della nazione. Vi possono essere de’ tempi di diffidenza 
de’ tempi di lotta , ma l’ accomodare le istituzioni sociali all’idee 
di hen civile che son comunemente professate è una legge di 
necessità imperiosa che domina ogni potere sociale. L’ esecuzione 
di questa legge può esser temporariamente impedita, può esser 
ritardata , può procedere in mezzo a molte contraddizioni, ma 
tolta del tutto non mai. Son persuasi di questo principio tanto 
quelli che vorrebbero il male , quanto gli amici del bene, e co- 
me questi ultimi procurano l’ avanzamento de’ lumi, i primi 
fanno ogni forza perchè prevalga l’ignoranza, e dove questa non 
si possa ottenere , l’ errore. Però è cosa di massimo momento in 
qualunque condizione di governo il dar opera all’ accrescimen- 
to di una letteratura civile, vale a dire secondo i bisogni della 
società, e di mantenersi in questa severi indagatori del ve- 
ro. Da ciò dipende non meno la conservazione del presen- 
te, che la preparazione di un più fortunato avvenire. I nostri 


(1) Ant. Num. CXI, p. 28-32. 


3 LA 


maggiori benchè meno di noi favoriti dalla fortuna siccome 
soggetti a maggiori pregiudizi e fomentati da minori speranze , 
oprarono nel secolo passato quanto poterono pel pubblico bene, 
con una buona fede e con uno zelo da far vergogna a questi no- 
stri tempi che si dan vanto di lumi di filantropia e di carità di 
patria. Dettero all’ Italia una letteratura civile e fecero moltis- 
simo bene nelle materie dell’ economia pubblica, della giurisdi- 
zione civile in fatto di disciplina ecclesiastica, e di riforme cri- 
minali. E se dopo il 1814 si fosse fatto pei muovi bisogni della 
società ciocchè essi fecero pei loro tempi , o raccoglieremmo già 
i frutti de’lumi , o almeno avremmo giuste e probabili speranze. 
Ma poco si è fatto per il nuovo , e molto si lascia cader dell’an- 
tico, colpa in gran parte della sproporzione che è tra i mezzi 
e i desideri, per cui disperando delle cose più desiderate , non 
si curano abbastanza quelle che si potrebbero ottenere dalla let- 
teratura civile. Però meriterebbe bene del pubblico la critica lette- 
raria se ponesse in vista i bisogni presenti ed i mezzi che sono in 
mano nostra per sodisfarli , se desse la debita lode alle opere le 
quali benchè umili e dimesse sembrano più conformi a’ presenti 
bisogni di tante altre a prima faccia sublimi, ma realmente vane. 
Alcuni fatti recenti mostrano non esser chiusa ogni via agli uo- 
mini che hanno mente e cuore per procurare il pubblico bene. 
Difatti si sono discusse tra noi alcune questioni ecenomiche e chi 
può dire che se ne sia ragionato sempre senza utilità ? (2) Si è 
mostrata molta premura per diffondere l’ istruzione elementare , 
si sono cercati i metodi più speditivi, e ad onta della guerra che 
si è voluta muovere a certi metodi, e venuto almeno l’ effetto 
ovunque di un notabile accrescimento nel numero de’ faneiulli 
che cercano l’ istruzione. Si sono pubblicate alcune opere lode- 
voli di diritto criminale , si sono insegnate da alcune cattedre 
le sane dottrine, non ne è venuto ancora alcun perfezionamento 
della legislazione , ma nella pratica del foro ha acquistata mag- 
gior latitudine e maggior libertà la difesa de’ rei, e non è dispe- 
rata la causa del buon senso e della giustizia. Bastano questi 
esempi a mostrare che cercando di fare il bene qualche buon 
effetto ne esce sempre, forse non proporzionato alle fatiche, ma 
tale tuttavia da non doversi disprezzare. L’ aver molto utile da 
poca fatica sarà serbato forse ad altre età , noi dobbiamo corag- 
giosamente accomodarci alle condizioni che ci ha date la sorte, 
pensando che sarebbero state peggiori, se quelli che ci precedet- 


(2) Giornale Agrario toscano Num. XIII, p. 48 e 49. 


12 
tero non avessero avuto egual magnanimità. Il voler perdere il 
poco che possiamo avere adesso , e la speranza del molto pro- 
babilmente futuro , perchè sono in Europa altre nazioni che dalle 
fatiche loro traggono maggiore utilità, sarebbe risoluzione non 
meno erronea che vigliacca. 

VI. Questi sentimenti che la critica letteraria deve sempre 
fomentare sono necessarii a far la strada alla letteratura civile. 
Ma se poi dal canto suo la critica non si mostra scrupolosa e se- 
vera in tutto ciò che riguarda 1’ operazione del ragionamento ; 
accurata nell’ indicare le diverse maniere di utilità sociale, manca 
in tutto all’ uffizio suo. Ed eccoci a dover toccare i punti ne'quali 
la critica dell’ uomo che fa professione di ragionare , leve essen- 
zialmente differire dal modo di portare i giudizi usato da coloro 
che prendono a diletto i ragionamenti. Accenniamo i vizi logici 
di quest’ ultima sorta di persone , e per la ragione de’ contrari 
saranno noti gli uffizi del critico. 

VII. L’ abbandonarsi alla prima impressione , manifestarla 
altrui esagerandola, allontanare la critica dall’ esame delle altre 
parti di una opera per tenerla sempre ferma alla parte che ne 
è parsa lodevole , sono consuetudini delle persone che prendono 
a diletto il ragionamento. Osserverete pure ad esse che uno scritto 
è pieno di falsità istoriche , di storti ragionamenti , ma vi rispon- 
deranno vi è del fuoco e ci sentiamo trasportare. Esaminando 
poi cosa sia questo fuoco o si trovano delle cose triviali , e di- 
rei quasi un delirio di sensi, o si leggono concetti che in stra 
nezza non cedono a quelli del seicento. E questo è molte volte 
il fuoco che trae fuori di ragione. Il critico non dovrebbe patire 
di questo male, tuttavia alcuni critici tengono la massima di 
encomiar sempre quanto apparisce scritto con passione e sembra 
indicare un anima ardente. Dovrebbero per altro considerar prima 
se gli affetti sono sinceri o composti ad arte per amplificazione 
rettorica. Poichè sovente le espressioni più esagerate vengono dagli 
animi più freddi. Poi sarebbe importante il vedere se sono ragio- 
nevoli o se piuttosto non sono turbamenti della ragione. Sia 
pur concessa ogni liberta di affetto e di immaginazione nelle opere 
che non pretendono altro che dilettare, ma in quelle che si annun- 
ziano come dettate in senso di verità le parti della ragione non 
devono esser soverchiate mai dall’ immaginazione , e dall’ affetto. 
Bisogna che il critico sia severo nello scoprire quando artificiosa- 
mente l’ immaginazione e 1’ affetto si fanno giocare per coprire 
la debolezza de’ raziocini, o la mancanza assoluta degli argomenti; 
di questi vizi logici non bisognerebbe mai lasciarne passare uno 


13 


e notarli tutti senza pietà. Se il critico è indulgente su questo 
articolo , se esso pure commosso si lascia illudere , o viene meno 
curante del vero , non può darsi vanto di avere una logica mi- 
gliore delle persone di bel tempo. Le quali pure hanno ingegno, 
delicato sentire , e sufficiente istruzione, ma peccano sovente 
ne’ giudizi perchè cedendo alla prima impressione si accontentano 
del piacere che questa reca , senza curarsi poi del vero. 
VIII. Alcuni critici si lascian sedurre dall’ immaginazione, 
e dall’ affetto per un fine lodevole, ma che a senso mio non si 
otterrà mai guastando la logica. Pare a loro che in questa nostra 
età qualunque tentativo per vincere l’ egoismo meriti lode ; nel 
che tutti andiamo ‘d’ accordo. Credon poi che il suscitare le pas- 
sioni ; il dare maggiore slancio all’ immaginativa sia mezzo ido- 
neo a raggiungere il fine. Però tutte le volte che vedon segni 
di anima ardente, son vinti dall’ ammirazione , e male si sanno 
piegare agli uffizi severi della critica. Pare a me per altro che lo 
sperar molto dalle passioni violente sia un conoscer male i nostri 
tempi. Le passioni violente suppongono uno stato di patimenti 
sociali che oggimai non sussiste in fatto , cosicchè gli uomini che 
han per guida la passione troveranno sempre resistenza invinci= 
bile per parte della numerosissima classe di quelli ai quali il 
godimento de’ beni sociali ha dato a conoscere i pregi dell’ordine 
e della tranquillità. Più delle passioni sregolate come che arden- 
tissime , deve giovare la persuasione dell’ utile e del vero , che 
diviene sempre operosa quando è generale. Però sarà bene che 
le verità sieno proclamate sentitamente , che s’ insinuino anco 
per le vie dell’ immaginazione , e dell’ affetto , ma innanzi tratto 
è necessario parlare alla ragione. Avrebbe torto il critico se vo- 
lesse esclusi dalla letteratura civile 1’ immaginazione , e l’affetto, 
ma incorrerebbe in maggior peccato se in uno scritto immaginoso 
ed affettuoso e dettato a fin di bene , non cercasse prima di tutto 
il vero, in secondo luogo la saldezza degli argomenti di dimo- 
strazione. Del resto io credo che in altro modo si ottiene bensì 
una persuasione passeggiera negli animi infiammabili della gio- 
ventù , ma si cade in discredito appo le persone alle quali il lungo 
vivere ha dato l’ uso di riflettere, e la timidezza nel risolvere. 
Tuttavia dal giudizio di queste persone dipende il buon successo 
civile delle dottrine , come che da loro non dipendan gli applausi. 
IX. Un altro vizio comune della critica , è il probabilismo. Ab- 
biamo tanto perfezionata l’ arte delle argomentazioni che qualun- 
que assurda sentenza sostenuta da abile scrittore può prendere 
specie di vero. Ma ogni persona di buon senso va persuasa che 


34 
due proposizioni contradittorie non possono essere tutte e due 
vere. Sicchè si trova nella necessità o di esaminarle profondamente 
per distinguere il vero dal falso , o di rimaner sempre nell’ in- 
certezza. Tutte le volte che è dato alle forze dell’ umana ragione 
di accertarsi del vero si dovrebbe mirare a questo fine , da che 
la sola persuasione di conoscere il vero può rendere la scienza 
operosa. Ma molti che hanno tanto ingegno per conoscere il pro 
ed il contra di tutte le opinioni , non hanno poi animo bastante 
da ridurre il discorso ad un’ultima conclusione. Anzi pare che la 
fuggano , quasi temendo che faccia forza all’ animo loro la cogni- 
zione della verità. Rimanendo così nell’incertezza riguardano tutte 
le opinioni come probabili, come sostenute da qualche lato di 
vero , senza decider poi il grado maggiore o minore della pro- 
babilità , senza separare con accurata analisi il vero dai falsi 
commenti che l’ accompagnano. 

Io non verrò accusatore dello scetticismo ; da che il dubitare 
è cosa troppo necessaria a chi non vuol precipitare ne’ suoi giu- 
dizi. Ma e’ convien distinguere tre specie di dubitazione. Vi è 
un dubitare che essendo stimolo all’esame è principio alla scienza. 
Havvi uno scetticismo che risulta della sperimentata insufficienza 
della ragione ad accertarsi del vero. E questo , pure è lodevo- 
lissimo e salutare, anzi di tanto momento che la critica deve 
fare ogni opera per mantenerlo. Conciossiachè il creder vero quello 
che a senso delle persone che ragionano direttamente deve rimaner 
dubbio, non sarà mai utile alla società. Finalmente un ultima 
specie di scetticismo nasce dal conoscere parzialmente i diversi 
aspetti sotto i quali si può considerare una questione, ma non 
sapere o non volere raffrontare insieme gli argomenti e con esame 
rigoroso trovar l’ ultima conclusione. Questa specie di scetticismo 
comoda a molti ed assai accreditata è dannosa alla società ; in 
quanto che sparge incertezza sulle cose che potrebbero esser 
certe , dà apparenza di probabilità a molte altre che esaminate 
a dovere si riconoscerebbero assurde, ed in siffatto modo para- 
lizza la scienza. In alcuni questo scetticismo è alimentato dal- 
l’ erudizione , in altri trova credito per l’ ignoranza , in quasi 
tutti è effetto di cattive consuetudini in opera di ragionamenti, 
e di indolenza. L’ uomo che scrive pel pubblico non solo dovrebbe 
farsi coscienza di cadere in questo vizio, ma altresì dovrebbe 
studiare per formare la propria convinzione ; e questa trasmet- 
tere negli animi de’lettori. Altrimenti ha poca ragione di scrivere. 

So anch’ io che vi sono certe parti del così detto umano 
sapere, nelle quali sembra sola filosofia ragionevole lo scettici- 


15 


smo. Di questo genere a mio avviso sono le scienze meramente 
speculative. Ma quando si scende a parlare di cose civili , vale 
a dire di Visogni e di mezzi, è forza venire a qualche conclu- 
sione , e si può avere un criterio che assicuri. Certamente se 
andremo cercando tra le nuvole il criterio delle discipline sociali, 
vi porteremo quella stessa incertezza che è nella metafisica. Però 
a senso mio uno degli uffizi della critica consiste nel mantener 
viva la persuasione dell’ indipendenza della letteratura civile 
dalla meramente speculativa. Fatto questo sarà dato un gran 
colpo al probabilismo. In siffatta opera il critico si allontana 
dalla consuetudine delle persone di bel tempo appo le quali 
fanno illusione le ipotesi come che non bene intese, di coloro 
che mescolano la trattazione delle cose civili colla pretesa scien- 
za delle scienze. Forse potrebbe toccare al critico la taccia di 
cuor duro , d’ immaginazione spenta, ma o bisogna che la porti 
con pazienza, o che venga meno all’ uffizio nello scrivere. 

X. Non lascerò questo argomento senza notare un altro abu- 
so di ingegno contro del quale non potrebbe mai essere abba- 
stanza severa la critica. Sono alcuni i quali cercan lodi dal pa- 
radosso, e par loro meritar fama se riescono a dar sembianza di 
vero a qualunque più strana sentenza. Ottengon sovente l’ in- 
tento, e molti sorgono ammiratori della mirabil pruova di inge- 
gno, ancorchè non rimangono illusi dai cattivi ragionamenti. Ma 
la critica dovrebbe porre ogni cura a mostrare che coloro i quali 
si credono ingannare il pubblico ingannano se stessi. Conciossia- 
chè oggimai sono troppi capaci di conoscere le fallacie de? sofi- 
sti, e di valutare quanto sia grande 1’ abiezione di chi parla 
contro coscienza. Basta che la critica dia risalto a queste dispo- 
sizioni delle persone di buon senso, perchè cessi alfine ogni va- 
ghezza di aver fama dalla miserabile professione di sofista. 

XI. Con buone intenzioni, ma per poca cognizione de’tem- 
pi, o per soverchia timidezza, altri guastano il bene della lette- 
ratura civile, mischiando il vero al falso, e facendo strada alle 
sentenze ardite con prefazioni servili. Confidano che il pubblico 
illuminato saprà sempre far la cerna , distinguendo l’ opinione 
sincera dello scrittore, dalle cose dette per cedere alla necessità 
de’ tempi. Ma questa fiducia è ella ben fondata ? Non vi saran 
no forse delle persone semplici che rimarranno ingannate ? avan- 
zerà molto la scienza quando per andare un passo avanti biso- 
gna far mostra di tornare due indietro? dobbiamo noi valutar per 
niente quella turpitudine morale che è sempre nell’ ipocrisia co- 
mechè creduta necessaria ? Iv non starò a risolvere siffatte que- 


16 


suoni, parendomi che non possa esser dubbia la risposta. Osser-. 
verò piuttosto che se gli scrittori si recassero a coscienza il dire 
quello che non pensano, troverebbero sempre il modo di schivare 
questa brutta mescolanza di servilità e di arditezza. Ma sti- 
man forse che valgano loro per iscusa i costumi della nazione 
che pur troppo ammettono siffatta associazione di elementi con- 
tradittori. Che se credessero poter celare in tal guisa le loro 
intenzioni a quelli che temono, andrebbero errati dal vero sup- 
ponendoli o troppo benigni o stolti. Però dico che certe prote- 
ste che non si accordano col vero spirito dell’ opera ; certi epi- 
teti landativi che appariscono posti per uso , certi elogi che pa- 
jon dettati dal timore, sono ridicole goffaggini che tolgon fede 
agli scrittori, spargono incertezze nel pubblico, e non contenta- 
no alcuno. Ma in questo proposito la critica potrà scendere dif= 
ficilmente ai particolari , senza divenire accnsatrice fastidiosa 
delle persone. Basta adunque che si contenti di stabilire la mas- 
sima aspettandone i buoni effetti dal tempo. 

XII. Quanto è bello e lodevole lo scrivere secondo coscienza, 
altrettanto sembra inconveniente il dare al pubblico qualunque 
cosa ci passi per la mente , senza averla prima sottoposta alla 
critica ed alla meditazione. Tuttavia i francesi sì per quella gran 
facilità che hanno a scrivere, sì per la sicurezza di trovar sem- 
pre lettori, hanno messo in qualche credito lo scrivere spensie- 
ratamente la successione naturale delle nostre idee. Vi sono delle 
opere fatte unicamente per sfogo dell’uutore , non già per l’istru- 
zione del pubblico , nelle quali le stranezze tutte che son ve- 
nute in mente allo scrittore, i paradossi che ha pensato, le con- 
getture le più ardite, le contraddizioni che di più l’ hanno agi- 
tato, vengono esposte. Per queste opere si intende manifestare al 
pubblico la storia delle nostre idee, e delle nostre affezioni, e 
di rappresentargli quasi drammaticamente la vita interiore «elle 
nostre facoltà. Se questa istoria fosse sincera, se invece di aver 
di mira l’ esposizione de’pensieri fugaci che non lasciaron trae- 
cia profonda nella nostra mente, s’intendesse a dimostrare co- 
me si sviluppassero le nostre facoltà, e come si formassero le 
nostre convinzioni, la morale e 1° ideologia ne potrebbero ca- 
vare grandissimo avanzamento. Ma confessioni sincere in faccia 
al pubblico sono rarissime; e poi prima che ;l pubblico abbia 
interesse a conoscere la storia di un individuo, è d’ nopo che 
questi per altre opere utili siasi reso degno della pubblica at- 
tenzione. Alcuni credono che ad ogni modo sia utile mettere 
in campo molte idee come che inadeguate, perchè così si risve- 


27 

g'ia lo spirito di discussione e di esame. Su questo riflesso si 
fanno difensori anche delle opere non meditate, che espongon 
peraltro una sentenza che lo scrittore fortemente sentiva al mo- 
mento di scrivere. A me peraltro pare che il cattivo esempio 
degli scrittori che gettano nel pubblico delle proposizioni sen- 
za esaminarle, non debba riuscire. di grande stimolo ad un 
severo ragionamento per parte dei lettori. Conciosiachè se una 
persona che ‘professa di ragionare (ognuno che scrive fa. tacita- 
mente questa professione ) traportata dalla prepotenza di un pre- 
sente sentire scrive senza riflessione, molto meno è da. credere 
che vorranno giudicare con pacatezza quelli che hanno minor 
uso di ragione. Oltre a che ai dì nostri è maggiore il biso- 
gno di critica che d’ invenzione in tutte le discipline morali. 
Siamo infatti in un mondo vecchissimo , è difficile dir cosa in 
fatto di discipline morali che non sia stata detta da alcuno, ma 
fra le tante cose che sono state dette importa distinguere razio- 
nalmente il buono dal cattivo. A questa parte critica ci richia- 
mano principalmente i bisogni della presente civiltà. Le opere del 
genere che testè descrivemmo non servon niente a questo 0g- 
getto anzi vi contraddicono, e sono a mio avviso da classiticarsi 
tra le produzioni della più frivola letteratura. Fortunatamente 
perora questa maniera di componimenti non ha preso voga in 
Italia, ma per quello spirito d’ imitazione delle cose . francesi 
che adesso predomina è da credere che non staremo molto ad 
avere ancor noi queste miserande ricchezze. Le avremo forse 
peggiori perchè la lingua e la natura degli italiani han bisogno 
di esser sforzati per piegarsi a questa sorta di letteratura. 

XIII, Volendo fare la peggiore di tutte le ipotesi intorno 
ai futuri destini delle lettere in Italia, bisognerebbe dire che le 
persone di piacevole vita si daranno tutte alla letteratura dilet- 
tevole di Francia; le persone serie o alla pedanteria che domina 
già quasi esclusivamente in alcune parti di Italia , o alle vane 
ipotesi della metafisica ; ma gli studi veramente civili saranno 
abbandonati da tutti quasi vane speculazioni. Così di letteratura 
veramente italiana non rimarrebbe che la pedanteria, tutto il 
resto sarebbe tratto di fuori. Questa trista ipotesi è: già in parte 
contradetta dal fatto. Il romanticismo ha dato un gran colpo 
alla pedanteria, e per quanto sieno tuttora incertissimi i futuri 
destini della scuola romantica, questa prima vittoria sembra ormai 
assicurata. Di fatti se si prescinda da alcune parti d’Italia dove 
a stento penetrano i lumi della presente civiltà, l'opinione gene- 
rale da pertutto si è manifestata contro quel genere di lette- 

T. I. Gennaio 3 


18 
ratura scipita che nulla diceva alla mente o al cnore. Che se il 
romanticismo fosse stato felice nell’edificare, come è stato fortuna- 
to nel distruggere, avrebbe resi gran servigi all’Italia. Riformatori 
come essi sono; i romantici, e forniti di molta potenza di ingegno 
non dovrebbero ridurre alle sole quistioni del bello 1’ attenzione 
della gioventù italiana, ma con maggiore zelo dovrebbero ado- 
perarsi ‘affinchè avesse molti più coltivatori che non ha al pre- 
sente la letteratura civile. Se non che crescendo 1’ attività della 
mente: essi credono far opera profittevole all’ avanzamento della 
civiltà, ma e’ dovrebbero riflettere che non basta tenere in mo- 
vimento le facoltà morali ed intellettuali degli uomini, ma che 
vi vuole eziandio direzione sapiente e certo intendimento. Per 
questo lato i romantici sono ben lontani dal servire la lettera 
tura civile. Tuttavia sono numerosi, applauditi, e pieni di ardi- 
mento, onde non è più tempo di spregiarli, ma sì bene di tener 
dietro all’ influenza che esercitano sulla letteratura, di chiamarli 
a riflettere, e di far argine alle invasioni. Il che si può far sempre 
senza male parole, e con modi convenienti agli amici del vero. Di- 
sgraziatamente fino ad ora i romantici sono stati o trascurati, o ma- 
ledetti, o lodati secondo la diversità degli ingegni , ma criticati 
freddamente secondo ragione , quasi mai. Chi li crede o pazzi 
o sciocchi, oltre a che fa ingiuria a molte persone di non volgare 
ingegno e di forte sentire, serve male la causa a cui è più 
affezionato trascurando di entrare con loro in discussione aper- 
ta e leale. Perocchè sia qualsivoglia il giusto giudizio che deve 
portarsi de’romantici ; è cosa di fatto che la loro scuola si tira 
dietro molti seguaci, ed ogni giorno acquista vigore. Laonde è 
forza ragionare con loro, se non li vogliamo assoluti dominatori. 

A mio avviso tutti i vizi della letteratura de’Sa/ons, e della 
mera speculativa , giunti allo spirito di ‘invasione e di domina- 
zione esclusiva, son colpe nelle quali cade facilmente il presente 
romanticismo. Mi asterrò adesso dal recare in mezzo le pruove 
di fatto, perchè non voglio farmi accusatore di alcuno, ma con- 
fido che se avrò qualche lettore che ami accertarsi di questa pro- 
posizione, riescirà agevolmente a convincersene leggendo con at- 
tenzione le opere romantiche. Mi basta di aver notato queste 
cose a fine di spiegare come la critica della letteratura civile sia 
competente ad entrare in questioni che sembran serbate ai soli 
professori del Bello. 

XIV. Raccogliendo in breve le cose discorse intorno agli uf- 
fizi civili della critica ; dirò ch’ essa deve far manifesto il biso- 
gno di una letteratura civile , esercitare su tutte le produzioni 


ta 
aicrozio una censura morale, richiedere dagli scrittori sincerità 
e meditazione, esigere che mantengano quello che promettono, 
definire e mettere in vista le diverse maniere di utilità che può 
ritrarsi dalle opere che vengono in luce o che si riproducono. 
Tali sono in somma gli uffizi civili della critica letteraria, i 
quali tutti possono compiersi sempre senza offendere le persone. 

Desiderando poi che la critica favorisca l'avanzamento della 
letteratura civile, non intendo insinuare alcuna specie di pro- 
scrizione. Poichè come si rileva anche dalle cose già dette ogni 
maniera di letteratura eziandio la più frivola può avere qualche 
grado di utilità. Importa sopra tutto il ben definire questa uti- 
lità affinchè i lettori cavin dall’ opere quel bene che ne posson 
avere, e non si credan poi di trovarvi quello che non vi trove- 
ranno giammai. Insomma mi pare che la critica debba essere 
come una specie di.pubblico marchio che dia a ciascuna cosa il suo 
valore, e però impedisca che si spenda per più di quello che 
vale, nel tempo che ne assicura il legittimo corso per il suv ve- 
ro pregio. 

La dominazione esclusiva di un genere di letteratura mi 
pare cosa pessima ; ma che poi in ragione dell’ utilità o del 
bisogno presente debba esser differenza nel grado di favore che 
la critica accorda ai diversi generi di letteratura , niuno vorrà 
impugnarlo. Ora quanto credo necessario al presente far prospe- 
rare la letteratura civile, altrettanto mi par temibile che la cri- 
tica si lasci trascinare in altra direzione. A far sentire questo 
bisogno e ad avvertire questo. pericolo mira il mio ragionamento. 
Ho cercato quanto per me si poteva di sodisfare ad ambedue 
queste parti. Potrei adesso far fine, se non credessi utile rispon- 
dere ad un obiezione che sembra nascere nelle viscere istesse 
del mio ragionamento. Comincio dall’ esporre l’ obiezione. 

XV. Se come si diceva in principio molti giudicano più dal- 
1’ apparenza che dalla realtà, volgendo le lettere in ragione di 
mero diletto, senza intendere ‘ad alcun utile fine ; come mai 
Ja critica potrà riescire a variare il gusto del pubblico dirigendo 
l’ attenzione agli studi serii della letteratura civile ? Non è egli 
piuttosto da temere ch’ essa abbia ascolto dai soli nomini di 
lettere , e la logica di questi rimanga perpetuamente separata 
da quella delle persone che prendono a mero diletto i ragio- 
namenti? Fra ’l gusto del pubblico, e le opere letterarie , è la 
stessa relazione che tra la domanda, e la produzione. O gli scrit- 
tori si conformano alla domanda e trovano spaccio alle loro mer- 
ci, o voglion far di testa ed allora scrivon per se soli, e per 


20 
pochissimi loro eguali, che è quanto non scrivere per alcuno. Sic- 
chè il discorso intorno agli uffizi civili della critica riducesi un 
utopia. 

XVI. Contro questa obiezione son molte risposte. Comin- 
cierò dalle più sbrigative, serbando in ultimo luogo quella che 
credo meritare maggiore sviluppu. Prima di tutto ha tanta for- 
za il vero quando vien proclamato cou saldi argomenti, da vin- 
cere in gran parte le male consuetudini che gli sono contra- 
rie. Il negare questa forza e disperar della ragione mi sem- 
bra dannevole malinconia, siccome il fidarsi troppo mi parrebbe 
imprudenza. Credo ben io che sarà rarissimo il ritrarre alcuno 
per forza di argomenti da una cattiva direzione in cui per 
avventura fosse già incamminato, ma l’ impedire che altri se- 
guitino. le sue traccie non fora mai impresa disperata. Però 
abbia pur animo la critica di compier l’ ufizio suo, che un 
utile effetto non può mancare, e nelle circostanze presenti è 
d’ uopo cercare sempre alacremente quello che si può, ottenere 
comechè sembri poco al desiderio. 

Parimente è vero che il gusto de?’ lettori influisce assaissi- 
mo nella direzione delle lettere, ma è altresì certo che molte 
volte gli scrittori hanno il modo di influire non puco sul gusto 
de’ lettori. Perocchè accade nelle lettere quello che avviene 
sovente nelle manifatture, che una nuova produzione eccita nuu- 
ve domande, e talvolta fa cessare le antiche. Vanno adunque 
molto errati dal vero coloro che rinunziano alla propria ra- 
gione, o mettono in servitù il proprio ingegno, per far osse- 
quio alla moda. Ben è vero che il produrre un mutamento 
subitaneo è dato a pochissimi privilegiati ingegni; ma il con- 
durre lentamente ed a grado a grado gli uomini a miglior sen- 
tenza parmi concesso anche alla mediocrità. Generalmente par- 
lando gli uomini si spaventano de’ troppo passaggi rapidi, tut- 
tavia chi ha tanto potere da dar loro una grandissima scos- 
sa ottiene di farli andare rapidissimamente , ma chi nen si 
sente da tanto o li deve condurre per mano, o fallirà sempre 
nel suo intendimento. Perocchè ogni passo che gli vuol far 
fare è sentito, valutato, e trova interna resistenza. Ecco la ra- 
gione del diverso procedere dei grandi ingegni, e della medio- 
crità. La qual cosa è vera nell’ ordine politico, come nel regno 
dell’ opinione. Difatti poteva in un giorno mutare assai più 
Napoleone , che i governi che lo precedettero o gli son suc- 
ceduti non possano in un decennio. 

Finalmente conviene che la critica prenda animo dal riflettere 


2I 

che noi siamo in età di transizione nella quale si vedon molte rovi- 
ne dell’antico, pochissimo di edifizio moderno. Sulle rovine potreb- 
be per avventura venir rifabbricato ; il moderno potrebbe esser di- 
strutto. A_ questi due possibili mali convien riparare. La pubblica 
opinione si alimenta di molte sentenze , molte gli se ne offrono 
perchè le riceva, di altre si predica che debbono esser riget- 
tate, ma in moltissime rimane incerta , e di poche si può dire 
che siasi veramente nudrita. Abbiamo insomma molti mate- 
riali, ma rarissimi ed ancor deboli edifizi. In questa posizione 
di cose molto può fare la critica, da che viene in mezzo ai 
bisogni e non trova che deboli resistenze comechè a prima 
giunta pajan fortissime. La stessa moda, le stesse predilezioni 
di buon tuono sono cose fragili e che potrebber ceder luogo 
facilmente, dove si riuscisse a metter negli scritti quella buona 
fede e quella chiarezza e quell’ utilità pratica che allettano 
anche i più schivi. Ma per giungere facilmente all’ intento 
e’bisogna parlare a tutte le classi de’lettori, e non ad una sola 
come siam soliti a fare frequentemente. D’ altra parte conviene 
che ilettori si spoglino di certe male consuetudini per le quali 
sovente perdono ogni frutto della lettura. Intorno a questi 
articoli fa duopo entrare in qualche particolare. 

XVII. Dall’ ottima condizione del viver civile, all’ ultima 
corruzione di ogni civiltà sono moltissime gradazioni alcune 
delle quali rappresentano un incamminamento all’ottimo , altre 
una discesa verso il pessimo. Ma se la mente umana figura 
in ipotesi la condizione ottima, e la condizione pessima del vi- 
ver civile, l’ esperienza peraltro dimostra che la civiltà non 
tocca mai cotesti punti estremi, bensì con perpetuo movimento 
si raggira sempre nelle diverse gradazioni. Il trascinarla ad un 
tratto da uno stato di gran decadenza, ad un grado prossimo 
alla perfezione ed in quello stabilirla fortemente, sembra cosa 
maggiore del potere umano; ‘ordinariamente si procede per gradi 
ed assai lentamente, e se si vuol andar per salti si cade. Ora 
quello che si dice dell’ andamento della società può applicarsi 
eziandio allo stato delle opinioni. Le sentenze estreme son in 
mente di pochi ed ostinati coi quali sarebbe vano ragionare. 
La maggior parte delle persone che hanno uso di riflettere 
vogliono il bene, se l'interesse personale non le illude, ma 
sono incerte nelle definizioni. Aleune hanno da Jottare con an- 
tichi pregiudizi , altre suno trascinate violentemente da pregiu- 
dizi moderni. In somma non v’ è una comune maniera di 
vedere, una sola maniera di ragionare, un unico modo di 


22 
distinguere il bene dal male civile. Ciascuno vede le cose se- 
condo la portata del suo ingegno , secondo le sue abitudini , 
secondo le idee che prevalevano nei più begli anni dell’ età 
sua quando gli bastavano le forze alla vita operosa. Così nella 
gran quantità delle persone di buona fede e desiderose del 
bene si vedon gli avanzi di tutte le opinioni ed i resti di tutti 
i secoli. Nè dovea accadere altrimenti in tempi in cui i mu- 
tamenti sostanziali dell’ ordine civile si sono succeduti con sì 
maravigliosa rapidità, che difficilmente gli poteva tener dietro 
1’ opinione dell’ universale. Però molte persone sono rimaste per 
via, ma per questo non sono da credere nemiche; anzi il loro 
voto è da accarezzare, perchè nell’ avanzamento maggiore della 
civiltà che ha seguitato le loro opinioni, rimane eziandio com- 
preso quel bene che da loro fu operato. Bisogna difendere quel 
bene come parte del bene presente, e questa difesa si compie 
alimentando le opinioni de’ più affezionati difensori. Ma se quelle 
idee medie, se quei primi saggi di bene furono utili, e sono 
da mantenersi, vorremo noi per questo che l’uomo di lettere 
che vede molto più, si adatti almeno, e simuli una persua- 
sione che non ha? In altri termini perchè le sentenze di un 
Muratori di un Giannone e di un Genovesi erano grandissimi 
avanzamenti nel secolo che li produsse , e lo sono ancora per 
molte sorte di persone rimaste indietro all’ andamento della 
civiltà 5 vorremmo noi che gli uomini che hanno la persua- 
sione di più alte o più compiute teorie, si adattassero a tor- 
nare indietro? La cosa non potrebbe farsi senza tradire la co- 
scienza , ed allora senza acquistar fede appo le persone pei 
bisogni delle quali si scrive, si potrebbe correr pericolo di in- 
gannare , e ritrarne indietro coloro che sono nelle vie di un 
maggiore avanzamento. Conviene dunque lasciare che questa 
parte delle opinioni medie sia trattata da quelli che ne vanno 
persuasi; meglio poi sarebbe il favorire la ristampa delle ope- 
re per le quali si ottennero cotesti primi avanzamenti. Peroc- 
chè quando esse furono dettate le questioni eran vive, e se- 
condo i bisogni civili presenti , il che ha dato a quell’ opere 
una pienezza di fatti e di ragionamento, che difficilmente 
oggimai si potrebbe imitare , ma che deve riconoscersi effica- 
cissima a produrre la persuasione. La critica pertanto non de- 
ve essere sdegnosa, ma tributando la debita lode alla since- 
rità ed al sapere degli scrittori dee indicare con chiarez- 
za a qual condizione di lettori principalmente possa giovare 
l’opera che si produce. Allora tante e tante opere che sem- 


de 23 
hrono oggimai inutili per quelli che sono al livello de’ mas- 
simi perfezionamenti del secolo, si ritroveranno utilissime pei 
possidenti di campagna, pei legali delle minori città, per gli 
impiegati ne’ minori uffizi, per le persone meticulose , ed in 
generale per tutti quelli che si sono fermati negli studi al- 
1’ epoca in cui erano veramente problematiche le quistioni che 
nel libro lodato si trattano. Di queste persone si compone 
una classe numerosissima , e di massima influenza nelle pro- 
vincie sì per gli affari civili, come per la stessa pubblica opi- 
nione. Rispetto a questa classe l’ avanguardia delle capitali, ed 
i pochi che le sono addetti nelle provincie, son troppo mise- 
ra cosa, se sì separano, osi mettono in opposizione. Ma la 
separazione verrà dal fatto , ogni qualvolta la direzione delle 
lettere non ponga ogni cura a formare insieme tutte le classi 
della società. Il che torno a ripeterlo non si opera per modi 
violenti, e prendendo forme di riformatori , e presuntuosi mae- 
stri, ma sì bene mettendosi nella posizione degli altri , entrando 
nelle loro idee, e servendosi di quelle per condurre a nuove 
conclusioni. Poichè se 1° andamento di quelli che passano per 
la maggiore è stato logico, vuol dire che vi è un naturale pas- 
saggio dall’ idee che prevalevano in un età a quelle che pre- 
valgono al presente, perciò riconducendo quelli che sono rimasti 
indietro per le vie che tennero coloro cui sono eguali è credibile 
che possano raggiungere i più avanzati; e quando nò, siamo al- 
meno sicuri di averli difensori del bene che sono arrivati a _co- 
noscere , e chè non è sola cagione ma anche parte del pre- 


sente. 
Pare a me dunque che per servire ad ogni sorta di lettori 


la critica letteraria debba dire apertamente come secondo la di- 
versità delle intenzioni sieno mezzi diversi, mostrar l’ uso di 
questi mezzi, lasciando poi libera la scielta ai lettori. Così ognu- 
no vi troverà quello di che abbisogna, nè il critico tradirà 
mai la coscienza. 

Ma ponendo mente anche ai bisogni della così detta avan- 
guardia dell’opinione; vi si troverà meno differenza che a pri- 
ma giunta non paja colla classe che si reputa star ferma. 
Di fatti molti tengono in mente le conclusioni perchè sanno 
esser queste i risultamenti ultimi della civiltà, ma non sanno 
nè come queste conclusioni si sieno ottenute, nè quali relazioni 
abbiano fra loro, nè che cosa vagliano praticamente. Più spesso 
invece di convinzioni , troviamo desideri ed affetti, su questi 
si può contar poco perchè mutano coll’ età, 0 colle mutazioni 


24 
di stato, laddove le convinzioni che sono effetti di accurati 
raziocini rimangon sempre le istesse. Fatte tutte queste de- 
trazioni la. vera vanguardia si troverà piccolissima. A questa 
noi non possiamo parlare perchè ne sa sempre più che noi pos- 
siamo dire. A menochè non rechiamo in mezzo de’fatti, i quali 
sono buoni per qualunque condizione di persone, dacchè ognu- 
no ne cava quell’ utile che è secundo la sua capacità. 
Adunque avuto riguardo alla maggioranza de’ lettori si 
sente grandissimo bisogno in Italia di opere didascaliche. Di 
fatti lo scrittore italiano che vuole essere inteso, si trova spesso 
in imbarazzo non sapendo cosa può supporre noto. Difficoltà 
che non incontrano gli scrittori delle altre nazioni appo le 
quali gli studi sono più ordinati , e si conosce ad un dipresso 
quale è il patrimonio di idee che suol possedere una persona 
che abbia civile educazione. Da noi come appo gli stranierri tro- 
viamo un poco di tutto in tutti, ma più raramente delle idee 
ordinate e la cognizione compiuta di un argomento. Il perchè anco 
nel trattar quistioni particolari spesso convien rifarsi sino dalle 
definizioni, o si corre rischio di esser intesi a rovescio. Del resto os- 
servo che in Francia stessa i redattori della Rivista francese 
spessissimo han creduto necessario prender forme al tutto di- 
dascaliche. Così hanno ridotto all’intelligenza di tutti de’ punti 
i più difficili della scienza civile. Vedo eziandio che spesso 
danno de’ riassunti di storia contemporanea, e notan con cura 
le diverse sentenze dell’ opinione, perchè sebbene questi fatti 
possano esser noti a tutti, tuttavia non tutti fanno attenzione 
a quello che vedono, ed han bisogno di essere stimolati ad 
osservare. Se queste cose si fanno per tenere l’ universale ad 
uno stesso livello in Francia dove è tanto rapida la comunica- 
zione delle idee tra le diverse classi di persone, quanto più si 
dovrebbero fare tra nvi dove ogni comunicazione è lentissima. 
Ma disgraziatamente quella cattiva consuetudine che con- 
traggono facilmente gli uomini di spirito di vedere il mondo 
ne’ limiti ristretti delle loro relazioni personali ; si è presa a 
seguire quando più quando meno dai letterati i quali per lo 
più sogliono avere tutti i vizi dell’ aristocrazia. Cosicchè an- 
dando loro a parlare dell’ opinione delle persone che non sono 
nè di lettere nè di bel tempo , ma che pacificamente atten= 
dono ai loro affari cercando tuttavia istruzione, e conforto dalla 
lettura , sovente si ragiona loro di un mondo che non conoscono , 
o che guardono con. indifferenza prossima al disprezzo abbenchè 
faccian poi professione di liberalità e di filantropia. Dovrebbero 


25 
sapere peraltro che è ormai tanto senso di dignità in tutti da 
impedire che un pubblico disprezzato voglia ridursi docile am- 
miratore. Se i letterati non faranno niente per questo pub- 
blico; che a dirla candidamente ha più fede nel buono e nel 
vero , delle persone guaste dalle mollezze della vita, saranno 
considerati sempre come vani parlatori incapaci a servire in 
niente la causa della civiltà. 

Il pubblico delle capitali che suole esser meglio informato 
delle cese del giorno, si diletta assai degli epigrammi, delle al- 
lusioni, e delle verità amnnunziate a mezz’aria; ma il pubblico 
delle campagne e ville e delle provincie non è in grado di valutare 
questa spesa di ingegno, e disposto anzi a considerare i libri co- 
me cose serie dalle quali spera solida istruzione , sicchè molte 
volte un opera o uno scritto che piacerà nelle gentili conversa- 
zioni di una capitale, deve riescire oscuro e però tedioso, e dirò 
anche contraditorio nelle provincie. Di che ne risulta che molti 
si annojano dello studio delle cose presenti accontentandosi delle 
ricordanze delle antiche, molti altri prendon l’abito di leggere 
senza intendere , e di giudicare con leggerezza. Noi dobbiamo 
forse attribuire a questo il poco successo iche ottiene general- 
mente la letteratura periodica nelle provincie. Se gli scrittori 
che vi danno opera pensassero di più ad accomodarsi al gusto 
ed alla capacità de’ lettori , i giornali diventerebbero anche in 
Italia un mezzo grandissimo per la diffusione de’ lumi. Diffu- 
sione che dovrebbe esser lo scopo principale delle opere perio- 
diche, che non possono per loro natura prefiggersi un fine più 
sublime. 

XVIII. Ma per quanto gli scrittori facciano per rendersi in- 
telligibili a tutti non sarà mai dato loro di conseguire l’intento, 
se d°’ altra parte i lettori non lasciano certe male consuetudini 
che li traviano. Sono alcuni che conosciuto il nome dell’ autore 
o il titolo dell’ opera, presumono indovinare il libro. Vanno a 
leggere con dell’idee preconcepite, ed in vece di vedere quello 
che vi stà scritto vi leggono quello che vi porta la loro imma- 
ginazione. 

Altri avvezzi ad essere assoluti ne’ loro giudizi, non sanno 
adattarsi all’ analisi , non capiscono che si posson lodare delle 
cose, e delle altre biasimare in una stessa opera, o in uno stesso 
individuo, sicchè la critica ragionata invece di lasciar loro idee 
adeguate pone contradizione e li lascia confusi. 

Molti finalmente voglion supporre per tutto un senso alle- 
gorico , una sentenza riposta, e mentre si vanno lambicando il 


T. I. Gennaio 4 


26 
cervello per rinvenire l’ intenzione dell’autore, perdono il frutto 
che cavar potrebbero dalla interpretazione logica e naturale delle 
parole. 

Questi vizi di chi legge sono in parte cagionati dall’ opi- 
nione che gli scrittori non possano sempre parlare apertamente, 
ma in parte eziandio derivano dalla colpa degli scrittori che 
vogliono esser piuttosto indovinati che intesi. Peraltro a que- 
sto modo non si va avanti bene, nè lettori, nè scrittori , e 
per gli uni, e per gli altri si sente bisogno di riforma. La quale 
si farà certamente se la critica sarà fedele nel tradurre 1’ im- 
pressione che le opere fanno negli animi de’ lettori. 

XIX. Parmi adunque aver dimostrato come le umili fati- 
che della critica possan rivolgersi con effetto al bene della So- 
cietà. Sono stato franco nel notare i difetti forse più che ad al- 
cuni non paja conveniente , ma se le osservazioni di fatto alle 
quali mi appoggio si troveranno vere dai lettori , confido non 
mi sarà recato a colpa il-libero dire. Ho poi la coscienza d’ a- 
vere scritto senza passione sicchè niuno potrà rimanere offeso 
dalle mie parole. Mi mosse a scrivere il riflettere che avendo io 
prese già più volte le parti severe di critico , potendo conti- 
nuare a farlo in avvenire , dovea esporre al pubblico i principj 
secondo i quali a mio avviso il critico poteva esser giadicato. 
So quanto per me siffatto giudizio potrebbe esser pericoloso, ma 
mi conforta il riflettere che quando sia venuto meno all’ uf- 
fizio, non è da darne colpa a difetto di volere. 

Francesco Forti. 


INB. A scanso di equivocì credo dover notare, che la purola Zet- 
teratura sì prende quì in latissimo senso ; sicchè l’intitolazione dell’ar- 
ticolo dice in sostanza : di ciò che possa far la critica per ridurre la 
letteratura secondo ì bisogni della società. 


27 
lA 


CENNI ISTORICI SULL’ ORIGINE DELLA STAMPA , E SULL’ ARTEFICE 
CHE PRIMO FECE USO DI CARATTERI SCIOLTI E FUSI. 


Lettera al Direttore dell’ Antologia. 
Amico Pregiatissimo 


Il rispondere con una costante negativa alle gentili vostre do- 
mande di comunicarvi qualche squarcio del Giornale del mio ultimo 
viaggio per la Germania, l’ Olanda , V Inghilterra, e la Fran- 
cia sarebbe un corrisponder male ad un contrassegno di stima 
che troppo mi onora. D’altronde avendo io ripreso, e deriso scher- 
zando nella vostra stessa Antologia (1) il costume di certi viag- 
giatori che dopo essere stati per poche settimane in un paese hanno 
la pretensione di dare al pubblico il loro giudizio sull’ indole e 
î costumi d’ un Popolo, sul Governo, sulle Leggi, sullo stato 
delle Arti, delle Scienze, e delle Lettere presso una Nuzione, 
e su cento altre cose, non vorrei, cedendo alle vostre richieste, 
che si potesse forse da taluno rivolger contro di me la mia stessa 
censura. Ad evitar l’ uno , e l’ altro rimprovero ho pensato dun- 
que di estrarre dal mio giornale alcuni articoli relativi a qual- 
che punto controverso d’Istoria, a qualche istituzione , 0 a qual- 
che oggetto d’ arte che abbia maggiormente richiamata la mia 
attenzione , e su di cui siensi fissate più particolarmente le mie 
riflessioni. Ve ne invio qualche saggio; fatene senza riguardo 
alcuno quell’ uso che credete. Nello stender queste pagine non 
ebbi certo in origine il pensiero di darle al pubblico , e ben v'ac- 
corgerete nel leggerle che furòn da me “ scritte così come la pen- 
na getta — per fuggir l’ ozio, e non per cercar gloria. ,, Perciò vi 
ripeto fatene liberamente quell' uso che più vi piace. Conservatemi 


la vostra amicizia, e credetemi con sincera stima 
Vostro affezionatissimo 


Tommaso ToNELLI. 


Il grado di perfezione cui furon condotte, e vani conducen- 
dosi tutto giorno le arti di necessità e di lusso, è tale che nel- 
l'infinito numero di coloro che godono dei vantaggi di questo 
progressivo perfezionamento pochissimi son quelli che pensano 
ai tentativi moltiplici, ed alle osservazioni infinite che sono state 
necessarie per condurre il resultato dell’ arte a quel punto in 
che oggi si trova. 


(1) Vedasi nel Fascicolo del Novenabre 1822 a pag. 299 l’Articolo sulle 
Relazioni dei Viaggi in Italia. 


28 

Per coloro però cui piace di rintracciarne i cominciamenti, e 
di seguirne per quanto è possibile passo passo i progressi, pochi 
studi offron diletto quanto questo , che conducendo natural- 
mente a riflettere or sulla intraprendenza, l’ammirabile indu- 
stria, e l’ ostinata perseveranza dell’ umano spirito nel dirigersi 
verso uno scopo determinato , or sulle bizzarre deviazioni che 
1’ allontanano per un tempo dallo scopo medesimo, ma che non 
son però prive anche esse di qualche utile insegnamento, pre- 
senta allo studioso quel complesso di fatti, che più che l’ isto- 
ria di tale o tale arte può dirsi l’istoria dello sviluppo delle 
forze e della capacità dell’ umano ingegno. 

Vero è che non a tutti è dato il vederle cose di tant’alto, 
e lo spinger tant’ oltre con acuto discernimento lo sguardo, ma 
è vero altresì che bene scarso è il numero di quelli che so- 
spettano le difficoltà primitive. Fra i tanti milioni di coloro che 
gettano ogni giorno gli occhi sopra un libro, quanti ve ne sono 
che conoscano da quali combinazioni forse casuali , da quai roz- 
zi tentativi ha avuto origine l’arte della stampa, e quanta incer- 
tezza regni ancora sulla persona cui si deve l’invenzione, o piut- 
tosto il primo regolare esperimento di quest’ arte medesima se- 
condo il sistema oggi praticato ? 

A queste e simili riflessioni era io condotto stando taci- 
turno in un angolo della Diligenza che va da Leiden a Harlem, 
dopo aver letto nella mia Guida che in quest’ ultima città era 
nato e vissuto Lorenzo Koster inventore della stampa. 

Una simile asserz one m’ impegnava tanto più a riflettere, 
in quanto che aveva sempre creduto che gl’ inventori di que- 
st’ arte fossero Guttemberg , Fust , e Schoeffer di Magonza ; e 
mi rammentava benissimo d’ aver veduto nella biblioteca Reale 
di Monaco la celebre Bibbia detta di Guttemberg, stampata tra 
il 1450 e il 1455 pure in Magonza, senza data, e senza nome 
di stampatore, e ch’ io teneva, e che mi era stata sempre indi- 
cata, come il primo libro impresso con caratteri mobili. 

Mi rammentava pure di aver veduto il Saltero ( Psal- 
morum Codex ) il primo, o tutto al più il secondo libro stam- 
pato con data, (che è de’ 14 Agosto 1457) indubitatamente 
uscito dalla stamperia di Fust, e Schoeffer , dei quali porta 
il nome; e sebbene quello di Koster non mi giungesse affatto 
nuovo , si presentava però alla mia mente con carattere tanto 
favoloso, che il laconismo di quella notizia gettata nella Gui- 
da come se si trattasse di cosa su cui non cade disputa al- 
cvuna, e la sua troppa discordanza dalle mie reminiscenze, mi 


29 
disposero a credere che fosse una di quelle asserzioni gratui- 
te, e prive d’ogni istorico fondamento, che qualche volta in 
tai libri s’ incontrano; e scendendo dalla diligenza più non 
pensava nè a Koster, nè alla Tipografia. 

Per chi viene d’ Italia, e che ha visitate le città princi- 
pali della Germania ; della Prussia, e della Gran Bretagna , 
Harlem non ha nulla che colpisca. Le strade mediocremente 
larghe, ma non belle; le abitazioni in gran parte meschine , seb- 
bene pulitissime, come lo sono in generale quelle di tutta 
1° Olanda; una popolazione di 20.000. anime; nulla in somma 
che corrisponda all’ idea che se ne forma chi ha letto nel- 
l’ istoria di questo paese che Harlem sorta nel quinto secolo 
avea già rango di città con privilegi e fortificazioni verso la 
metà del 12%; che i suoi Crociati verso la metà del 13.° si 
distinguevano nelle guerre di Terra Santa per la loro bra- 
vura ; e per il valido aiuto prestato al pio non men che pro- 
de rè Luigi IX nella presa di Damiata; che sotto le sue mu- 
ra, dall’ eroico valore dei suoi abitanti d’ambo i sessi nel 1572 
era per sette mesi stata arrestata l’ armata Spagnola condotta 
da Federigo di Toledo , che in tal circostanza si mostrò de- 
gno figlio dell’iniquo e sanguinario duca d’ Alba , facendo peri- 
re sotto la scure del carnefice, non ostante i patti della resa , 
la guarnigione , i magistrati, i ministri protestanti, e due mila 
inermi cittadini; che in essa nacquero , e vissero dotti rinomati, 
come lo Scriverio, ed artisti famosi come il Wouwermans, e 
quello che non ha eguali forse , e che a mio parere è il Raffaello 
della scuola Olandese , Finimitabile Van-der-Helt (1); che ricca 
di fabbriche, e di manifatture, il lusso, specialmente nel giar- 
dinaggio e nella coltura dei fiori, vi era portato a tal punto 
verso la metà del XVII secolo, che una cipolla del tulipano chia- 
mato l’Ammiraglio Liefhens vi si era venduta 5200 fiorini, e 4500 
quella del Semper Augustus. 

Fra i pubblici edifizi niuno ve ne ha che veramente colpisca 
il viaggiatore fuor che la Cattedrale eretta da Alberto di Baviera 


(1) I due più celebri quadri di questo sommo artista trovansi oggi nella ricca 
Galleria d’° Amsterdam. La grandiosità e la correzione del disegno ; la bellezza 
e )’ evidenza dei concetti nella composizione ; la naturalezza delle mosse ; l’e- 
spressione ‘delle teste , e la varietà di ‘quelle espressioni; l’ imitazione la piu 
perfetta della natura nei panneggiamenti e negli accessori; un colorito che è 
la vita stessa, fan che questi due quadri sieno a ragione chiamati Za maraviglia 
della Scuola Olandese. 


30 
nel 1372. L’esterna architettura di essa, sebbene imponente per 
quel carattere di venerabile antichità che a quella forma gotica 
d’archi, di finestre, e di porte ha impresso il corso di quattro 
secoli e mezzo , non offre nulla di veramente straordinario. Niuno 
interno di tempio gotico però , fuor che quello per me unico e 
sublime di S. Zeno in Verona, mi ha fatto, nè saprei precisa- 
mente indicare il perchè , più impressione di questo. Su ventotto 
colonne grosse e basse secondo lo stile di quel tempo , sormon- 
tate da un capitello, che non ha altro ornamento che due file 
di rose staccate, posano i grandi archi a sesto acuto che sepa- 
rano le due navate laterali da quella di mezzo. Su questi archi 
sorge da ambi i lati sino al soffitto un altissimo muro privo di 
qualunque ornamento , fuorchè d’una specie di galleria, formata 
d’un ordine di aperture a guisa di finestre molto prossime , cia- 
scuna delle quali è divisa da una colonnetta su cui riposano due 
piccoli archi acuti. Questa elegante galleria interrompe con bel- 
l’ effetto la nudità severa ed imponente di quelle due grandi 
pareti che reggono il soffitto tutto di legno , ad arco acuto, senza 
cavalletti, con molt’ arte condotto. 

Trattenendomi a Harlem particolarmente per sentire il fa- 
moso organo della Cattedrale , il più grande ed il più perfetto 
istrumento di tal genere che esista , (2) mi recava alla chiesa 
all’ ora indicata, e dopo aver sodisfatto per qualche tempo il 
senso dell’ udito stupefatto dalla immensa mole, non meno che 
dalla straordinaria varietà. e dolcezza dei suoni, andava appa- 
gando quello della vista con ammirare quel bel vaso di chiesa 
così imponente , e nel tempo stesso luminosissimo , e lieto della 
semplice armonia delle proporzioni. 

Dall’ammirazione dell’ effetto dell’ insieme passando all’esame 
delle parti, mentre continuava quel torrente di melodia ad inon- 
darmi le orecchie ed il cuore, andava visitando or questo , or 
quell’ angolo della chiesa in cerca di qualche monumento d’arte, 
o di qualche iscrizione che meritasse di tenerne memoria. 

Niun monumento d’arte vi è degno d’ osservazione, e due 
sole fra le iscrizioni m”interessarono ; la prima da me notata per 
una sua certa semplicità, (che nella generale nauseante ampollo- 
sità divien per il viaggiatore d’un certo pregio) era posta da un ma- 


(2) Quest’ organo ha 8000 canne , e 68 registri, ed occupa tutta la fac- 
ciata interna della Chiesa rimpetto all’ ingresso principale. Oltre al servire in 
occasioni di cerimonie sacre , viene per diletto del pubblico suonato per un ora 
nella mattina di due giorni d’ ogni settimana. 


31 


rito affettuoso alla memoria di una moglie amata, e d’un figlio 
insieme con essa al primo vagire rapito (3); 1’ altra era moderna, 
e del seguente tenore. 


Honor: et meRITIS Laurenti JonaNnNI F. Cosreri 
HancemensIs FESTO SECULARI QUARTO INVENTAE Typo- 
GRAPHIAE cELEBRATO Hartemu A. D. X Jut Anni 


CIODDCGCGXXITI annuenTE Avcusrissimo Berci RecE 


GurieLmo Paro. 


L’ asserzione dell’ autore della Guida cominciava ad acqui- 
star presso di me qualche credito dopo la lettura di questa iscri- 
zione, e ripensando al tenore di essa diceva fra me: è ella dun- 
que erronea l’ opinion nella quale sono stato finora che gl’inven- 
tori dell’arte tipografica sieno Guttemberg, Fust, e Schoeffer ; 
che la sede dei primi tentativi di quest’ arte fosse Magonza ; e 
che l’ epoca ne fosse il cominciare della seconda metà del se- 
colo XV poichè la quarta festa secolare in commemorazione di 
tale scoperta è stata qui celebrata nel 1823 ? 

Andava al sortire di chiesa dibattendo fra me queste e si- 
mili dubbiezze, quando il mio cicerone mi conduceva a vedere 
in faccia alla Cattedrale la casa di Lorenzo Koster, e dopo avermi 
accennate le iscrizioni poste tanto sotto il ritratto che vedesi 
nella facciata della casa stessa , quanto sul piedistallo che so- 
stiene la statua erettagli sulla piazza del mercato , e che infor- 
mano il passeggiero che in Harlem, ed in quella casa medesima, 
Lorenzo Koster inventore della stampa era nato e vissuto , m’in- 
vitava a recarmi alla casa del Comune per vedere i libri dal 
Koster stampati. 

Il custode nell’ entrare nella stanza ove si conservano mi pre- 
sentava una notizia manoscritta , nella quale leggesi che Lorenzo 
Koster nativo di Harlem era morto in questa medesima Città nel 
1439, e che sino dal 1420 aveva il primo incominciato a stam- 
pare con caratteri mobili. Veniva in seguito la nota delle opere 


(3) Dopo alcune linee di prosa nelle quali il nome della donna, e le altre 
particolarità solite indicarsi vengon notate , è il seguente distico. 
Ingenio comis ; demissa , et pacificatrix ; 
Hei nimium crudo rapta puerperio ! 
e più sotto per il bambino quest’altro 
Qua ferus innocuos jugularat luce puellos 
Rex heu fatalis luxit et ipsa mihi! 


32 
da esso pubblicate che si vedevano chiuse in una, vetrina, ed 
erano le seguenti : alcuni frammenti del Donato, Lo Specchio di 
Salvazione in Olandese ( Spiegel onzer behoudenisse ), lo stesso 
in latino ( Speculum humanae salutis ) , 1’ Apocalisse , e la Can- 
tica. Queste due ultime non mi parvero però stampate in carat- 
teri mobili, ma TApocalisse è l’opera Xilografica, o come i Fran- 
cesi Ja chiamano, l’Opera di Stampe di maggiore estensione che 
io abbia veduta , e la Cantica è una delle meglio condotte , se 
non assolutamente la migliore, giacchè le figure ne sono assai 
ben disegnate, e non mancano d’ espressione, nè d’un certo 
gusto nella composizione. L’Apocalisse veniva indicata anche nella 
notizia come opera Xilografica, ma ciò, se non erro, non veniva 
avvertito quanto alla Cantica. Mi rammentava però che nella 
Biblioteca di Monaco ( Collezione immensa (4), per la più con- 
veniente collocazione della quale dalla veramente regia munifi- 
cenza di quel Sovrano si sta fabbricando un grandioso locale ) 
avea veduta una tavola che aveva appunto servito all’impressione 
d’ una di queste antiche opere Xilografiche. Le figure erano in 
contorni rilevati. Negli spazi poi che doveano essere occupati 
dalle iscrizioni era un pezzo di stagno o piombo , non saprei dir 
se fuso 0 intagliato , contenente pure in rilievo i versetti, o leg- 
gende. Parvemi dunque di non poter dubitare che fosse un la- 
voro di questa specie quella Cantica del Koster, rapporto alla 
quale, se non erro, aggiungevasi che fu l’ ultima opera da esso 
condotta. 

Sebbene il modo col quale era stesa quella notizia non mi 
disponesse a prestarvi cieca fede , servì però a risvegliare in me 
una maggior curiosità che mi ha fatto cercar poi tanto in Am- 
sterdam quanto nei luoghi per i quali sono successivamente pas- 
sato , e segnatamente in Parigi, quanti schiarimenti ho potuto 
procurarmi sopra Lorenzo Koster, e i suoi lavori. Ecco il resul- 
tato delle mie ricerche. 

Gli Olandesi credono generalmente che Lorenzo Koster d’Har- 
lem verso il 1420, essendo già vecchio, immaginasse di formare 
con la scorza del faggio alcune lettere staccate , e che con queste 
lettere imprimesse alcune brevi sentenze per uso dei figli di sua 
figlia; che perfezionato in seguito con l’aiuto del suo genero 
Tommaso questo primo tentativo, e sostituito il metallo alla scorza 
del faggio , si servisse delle lettere di legno, come di punzoni 
per formar le matrici , nelle quali fusi in abbondanza i caratteri 


\ 


(4) Secondo 1’ ultimo computo credesi ascendere a 600,000 volumi. 


; 33 
avea potuto con essi intraprendere la stampa di più lunghe opere, 
che dal sig. Koning nella sua Dissertazione sull’origine , inven- 
zione , e perfezionamento della stampa si riducono all’Orario (5), 
al Donato (6), a due edizioni dello Specchio di Salute in Olandese, 
e a due della stessa opera in Latino. 

Nello stampar quest’ opere il Koster, sempre a dir degli 
Olandesi , si servì di un’ inchiostro di sua composizione assai più 
nero e più denso di quello di cui si erano sino allora serviti gli 
stampatori delle carte da gioco. e delle immagini incise in legno. 
Ad esso pure vengono dagli Olandesi attribuite alcune delle più 
perfette Opere di Stampe che si conoscano, il che fa supporre che 
questa fosse la sua prima professione , e che nella pratica di essa 
gli venisser fatti i tentativi che dettero al mondo quell’ arte 
che dovea poi tanto influire nei suoi futuri destini. 

Questa opinione degli Olandesi ha incoutrato., ed incoutra 
tutt’ ora fuori d’Olanda gravissime opposizioni. 

Si è dubitato primieramente da alcuni se dal 1420 al 1439 
sia vissuto in Harlem un Lorenzo Koster. 

Il sig. Koning dopo aver pubblicato nel 1816 la soprindicata 
sua Dissertazione, stata premiata dalla Società delle Scienze di 
Harlem, fece negli archivi pubblici e privati di detta città nuove 
ricerche onde chiarir questo dubbio. 

Il resultato di queste ricerche è stato il ritrovamento di un 
atto di recognizione di debito del 1422, sottoscritto da Lorenzo fi- 
glio di Gio. Koster , che firma come Sindaco d’Harlem. 

Le armi che si veggono nel Sigillo posto presso la firma 
sembrano indicare che Lorenzo discendesse da una famiglia co- 
spicua dell’ Olanda. 

Da due lettere , una del 1380, l’altra del 1408, pure ri- 
trovate dal sig. Koning, apparisce che suo padre chiamayasi Gio- 
vanni figlio di Lorenzo, e pare che prendesse il cognome di 
Koster dal suo ufizio di Mansionario , o Santese della Chiesa 


(5) L’Horarium è un piccolo libro di preghiere contenente gran parte del 
Cantico di Simeone Nunc Dimitis ec. e la preghiera Ave Salus Mundi. 

(6) Queste due piccole opere, che per il comune uso erano in quel tempo 
ricercatissime, furono secondo il sig. Koning prima stampate dal Koster in tavole 
Xilografiche , e se ne hanno dei frammenti ; ma quelle delle quali si parla quì, 
secondo lo stesso sig. Koning, e secondo il sig. Enschedè fonditor di caratteri 
da esso consultato , sono sicuramente stampate con caratteri mobili, del che faù 
fede alcune lettere arrovesciate , e vari altri segni, dei quali sarà parlato in 
seguito. 


T. JI. Gennaio 5 


3 
tulle di Harlem; ufficio in quel tempo di considerazione, 
e che non si accordava a persona di bassa nascita. 

Pare che Lorenzo gli succedesse in detto ufizio , giacchè nei 
registri originali della Cattedrale trovasi inscritto come Santese 
negl’ anni 1421, 1423, 1429, 1426, 1428, 1431, 1432 e 1433. 

Che appartenesse alla classe più ricca e più distinta della 
città lo provano i conti della Tesoreria dal 1420 al 1440, giacchè 
trovasi che nell’ anno 1422 pagava d’ imposizioni fiorini 29. 

Fino dall’ anno 1417 era ufiziale della guardia civica. Negli 
anni 1418, 1423, 1429 e 1432 fu membro del Gran Consiglio. 
Nel 1421, 1423, 1428 e 1429 fu Sindaco , e nel 1431 fu Presi 
dente dei Sindaci. Finalmente nel 1421, 1426 , 1430 e 1434 fu 
Tesoriere della città. 

Nel 1435 è ancora rammentato come creditore d’ una ren- 
dita che gli veniva pagata dal Comune. Dopo quest’ anno non 
si parla più di lui, ma nel 1440 trovasi pagata la detta rendita 
alla di lui vedova (7) 

Ha verificato inoltre lo stesso sig. Koning che Lorenzo non 
ebbe che una figlia, che si chiamò Lucietta, maritata a Tom- 
maso figlio di Pietro. Nacquero da questo matrimonio Pietro, 
Andrea , e Tommaso, i quali tutti, secondo i conti della Teso- 
reria, furono ricchi uomini , e distinti per gl’impieghi che oc- 
cuparono. Gerardo nipote di Pietro venne a morte poco prima 
che Junius , di cui parleremo in seguito , scrivesse la sua fstoria, 
nella quale tanto distesamente parla di Koster, e della sua in- 
venzione. Un'altra firma di Lorenzo, oltre quella apposta al con- 
tratto sopra rammentato, esiste presso J. C. A. Van-Sypestein a 
Harlem. 

In conferma di tutto ciò, ed in anticipazione necessaria di 
quello che anderemo esponendo in seguito, non possiamo tacere 
d’ una antica stampa in legno veduta dall’ istesso sig. Koning, 
nella quale trovansi riuniti i ritratti di Lorenzo figlio di Giovanni, 
di Gio. d’Alberto Van Ouwater, di Giovanni Hemsen , di Gio- 
vanni Mandin, e di Volkert figlio di Niccola (8), pittori, i 


(7) Il sig. Koning congettura da ciò che Lorenzo morisse nel 1439, e sup- 
pone che fosse nato circa il 1370. 

(8) La copia di due dei sopra indicati ritratti che il sig. Koning ha annessa 
alla sua dissertazione, tanto per 1’ esecuzione dell’ intaglio , quanto per la 
forma delle lettere componenti i nomi di Lorenzo Koster, e di Alberto Van Ou- 


water , sembrano appartenere ai primordj dell’ arte , e non oltrepassar la metà 
del secolo XV. 


35 


quattro ultimi, del XV secolo, nati a Harlem (9). Questo ritratto 
di Koster è similissimo a quello pubblicato in stampa nel XVII 
secolo da Adriano Roman , e questo era poi similissimo alla pit- 
tura che in quell’ epoca esisteva nel Gabinetto dell’ Antiquario 
Van Damme a Amsterdam. 

L’ unione del ritratto del Koster con quello dei Pittori cin- 
quecentisti di Harlem indica bastantemente che fin da quell’epoca 
fu considerato come degno di figurare con. ciò che la città sua 
aveva di più distinto, nè tal distinzione potea appartenergli ad 
altro titolo che come inventore della Tipografia. 

Si è creduto da alcuni di quelli che sono stati più favore- 
voli a Harlem, e fra questi dal dotto Meerman nelle sue Origini 
Tipografiche ; che le opere del Koster sieno stampate con carat- 
teri mobili sì, ma di legno, così che, secondo essi, non appar- 
terrebbe al Koster 1’ invenzione della Tipografia quale è attual- 
mente, ma solo un tentativo imperfetto e lontanissimo dal pro- 
cesso attuale di quest’ arte. 

Questa opinione è derivata dall’ avere essi creduto che le let- 
tere fuse dovessero apparir nella stampa tutte precisamente simili, 
identicamente regolari , e dove non si è trovata questa esatta somi- 
glianza ; questa identica regolarità si è creduto di poter concludere 
che erano intagliate; e non fuse, senza rifletter troppo quali e 
quante alterazioni notabilissime possono derivare dalla riunione 
di materiali ; di strumenti , e di mezzi tutti egualmente imperfetti 
e difettosi. 

‘. Esaminando però attentamente la pagina dello Speculum hur 
manae salutis dallo stesso Meerman riprodotta, poche considera- 
zioni suggerite da un leggero studio della parte meccanica del- 
l’arte servono per dimostrare che non può essere stata stampata 
con lettere di legno. 

Le lettere contenute in quella pagina sono 1639. La sola 
lettera e vi è ripetuta almeno 390 volte. Bisognerebbe supporre 
che si fosse avuta la pazienza d’incidere a mano su 1639 piccoli 
pezzi di legno quadrati di una eguaglianza perfetta altrettante 
lettere in rilievo , lavoro difficilissimo , immenso, e cui non reg- 
gerebbe la pazienza di alcun artefice. La lunghezza però , il te- 
dio , e la difficoltà quasi invincibile del lavoro , non fanno che 


(9) Alberto van Ouwater uno dei primi che usasse dipingere a olio secondo 
Descamps ( Vite de Pittori Fiamminghi, Tedeschi, e Olandesi ) fu contempo- 
raneo dei Van Eyck, o di poco posteriore. Pare che fiorisse verso il 1370. 
Gio. Mandyn e Volkert vivevano nella prima metà del XV secolo. 


36 
rendere improbabile il supposto della esecuzione d° un opera di 
tal mole in caratteri incisi in legno , e non somministrano perciò 
che un argomento negativo. Uno assai più forte ce ne offre la 
visibile eguaglianza di tutte le lettere che compongono le pigine 
dello Speculum , la quale eguagliauza rigetta: il supposto sopra 
accennato come impossibile , essendo come ognuno intende d’una 
assoluta impossibilità che tanti piccoli intagli in rilievo della 
lettera medesima, eseguiti a mano , sieno precisamente della 
stessa grandezza , e della stessa forma. 

Gli esperimenti che ne sono stati fatti ozgi dopo il perfe- 
zionamento notabilissimo di tutti gli strumenti che possono a ciò 
servire hanno confermato una tale impossibilità. 

E se è impossibile che con lettere in legno tagliate a mano 
si ottenga l’ eguaglianza che si trova nei caratteri dello Speculum, 
forza è convenire che per stamparlo si è fatto uso di caratteri di 
altra materia, e questa non ha potuto esser che il metallo fuso. 

Facile è ottenere di ciò una prova diretta per le lettere 
majuscole , le quali lucidate e raffrontate fra loro ; offrono una 
tale. identità nei contorni, e nelle più minute parti, che non 
può. verificarsi che nelle lettere fuse nella stessa matrice. 

Per le lettere piccole più difficile è la prova. Pure anche per 
queste non mancano riscontri d’ altro genere che possono con- 
durre alla certezza medesima. è 

I motivi che han fatto credere a molti che lo Speculum sia 
stampato con caratteri di legno, sono la differenza nella. forma di 
alcune lettere , e la irregolarità nei contorni loro , difetti che 
s’ incontrano nello Speculum. 

Quanto alla differenza di forma è sembrato al sig. Koning, 
il quale sopra di ciò ha fatto un particolare studio, che essa non 
debba considerarsi come accidentale, ma che fosse in uso presso 
gli stampatori di quel tempo. 

certo che i primi stampatori, non esclusi quelli stessi di 
Magonza,; seguendo i manoscritti che avean sott’ occhio ; è che 
cercavano: quanto più potevano d’ imitare, eran soliti d’ aver 
due o tre punzoni di forme diverse, e quindi matrici pure di 
forma diversa, per la medesima lettera, secondo che questa va- 
riava nei, manoscritti (10). 


(10) Il punzone di: cui si servono oggi i fonditori di caratteri è una ver- 
ghetta, d° acciajo sopra una delle estremità della quale trovasi in rilievo, e in 
senso contrario , una lettera. Con questo istrumento si percuote sopra un pezzo 
di rame, e Ja lettera vi,si trova incavata: Questo pezzo di rame che dicesi 


37 

Questa varietà che s’ incontra nello Speculura, a coloro che 
si son ‘arrestati al primo esame; è sembrata un riscontro che 
quel libro sia stato stampato con caratteri di legno. Un esame 
più attento però avendo accertato che le lettere stÉse, ma di 
forma diversa , ritornano poi costantemente a comparire più volte 
anche nel corso della pagina medesima, si è riconosciuto che 
lettere di forma diversa erano indistintamente usate nella stampa 
come nei manoscritti di quel tempo , ma erano però sempre iden- 
tiche ciascuna nella loro forma , e perciò indubitatamente uscite 
dalla stessa matrice. 

Quanto alla irregolarità ed alla mancanza di precisione nei 
contorni, ha creduto il sig. Koning che sia da attribuirsi alla 
imperfezione dei metodi di cui sì è fatto uso in quei primi ten- 
tativi, ed alla cattiva qualità della materia che s’ impiegava 
tanto per i punzoni che per le matrici, e per i caratteri. 

Sembra di tutta probabilità, che i punzoni di cui sì è ser- 
vito lo stampatore dello Speculum per formar le prime matrici 
fossero di legno , offrendo questa materia più facilità a lavorarsi, 
e una durezza e tenacità di fibra , in proporzione , maggiore di 
certi metalli. 

Le prime matrici formate con punzoni di tal fatta erano di 
piombo (11), e i caratteri che in esse venian gettati doveano ha- 
turalmente esser difettosi nelle parti più fini, e mancar di net- 
tezza nei contorni, il che appunto sì osserva nelle lettere dello 
Speculum. 

La difficoltà poi di far che il punzone producesse una ma- 
trice perfettamente diritta , e che s° imprimesse nel metallo sem- 
pre alla stessa profondità,faceva sì che i caratteri avessero quella 
situazione irregolare , che pure si osserva nello Speculum , e che 
alcun e lettere s° imprimessero più, ed altre meno nella carta. 

Il piombo fuso che si gettava nelle matrici , pure di piombo, 


matrice , adattato in una piccola forma.a guisa di tubo; nella quale si getta 
una mescolanza di metallo fuso , serve a riprodurre la lettera in rilievo quante 
volte piace. 

{11) Secondo l’ opinione degli artefici consultati dal sig. Koning l’ uso di 
punzoni di legno , e di matrici di piombo potè benissimo servire ad ottenere 
il resultato. dei: caratteri coi' quali. è stampato lo. Speculum. Di matrici di 
pio.mbo si è fatto. uso in Germania lungo tempo , e. se ne fa uso, al dire dello 
stesso sig. Koning, anch’ oggi per certe lettere grandi. Per testimonianza dello 
stesso autore si trovano nella fonderia del sig. Enschedè a Harlem delle matrici 
di piombo del XV secolo, alcune delle quali vengono . probabilmente _dalla 
stamperia di Schoeffer. 


38 


restava talvolta adeso in qualche punto alle pareti di esse, e 
faceva che i contorni delle lettere riescissero ineguali , incerti ; 
e difettosi ora in una parte, ora nell’ altra. E anche questa ir- 
regolarità @d inesattezza ha fatto credere ad alcuni, che non 
han troppo riflettuto all’ imperfezione de’ primi mezzi usati dal 
Koster, che i caratteri dello Speculum fossero di legno; e non 
di metallo. Ma anche quì il ritorno costante degli stessi difetti 
nelle stesse lettere è riprova indubitata che quelle lettere iden- 
ticamente difettose uscivano dalla matrice medesima (12). 

Perchè la lettera fusa serva bene all’oggetto cui è destinata; 
il metallo di che si compone deve potersi fondere ad un grado 
estremo di fluidità , e deve dopo il raffreddamento acquistare un 
grado notabile di durezza. Deve poter divenir fluidissimo per 
penetrare in tutte le più piccole incisioni e cavità della matrice, 
e render la lettera di contorni puri ed eguali; deve poi esser 
bastantemente solido per resistere alla reiterata pressione del 
torchio. La mistura di cui si servono oggi i fonditori è composta 
di ferro, di piombo, e di antimonio. Con tal mezzo , e mediante 
una scrupolosa osservanza delle. quantità respettive di tali com- 
ponenti , si ottengono caratteri che han contorni puri e taglienti, 
come può averli qualunque pietra , o gemma più dura, ma nei 
primi tentativi dell’ arte il metallo di cui formavansi i caratteri 
dovea esser ben lungi da questa perfezione. I primi come dicemmo 
furono di piombo , e una materia così molle oltre esser facilmente 
soggetta a casuali alterazioni , nella pressione continova del tor- 
chio, dovea dilatarsi , e la lettera ancorchè buona in principio , 
dopo un certo uso, dovea acquistare una superficie molto mag- 
giore, e contorni molto diversi, ed irregolari. 

La diversità dunque, che in alcune lettere della stessa for- 
ma talvolta si osserva nelle pagine dello Speculum , deve. in 
parte attribuirsi all’essere stati i caratteri stessi originariamente 
mal fusi, ed in parte alla pressione cui erano soggetti sotto il 
torchio , alla quale difficilmente potean resistere senza alterarsi. 

Aggiungasi a tutto ciò la rozzezza ed insufficienza delle 
macchine e degli utensili che si adopravano , e si riconoscerà 


(12) Chiunque abbia esaminata l’ingegnosa costruzione delle matrici e delle 
forme di cui si servono oggii fonditori , deve esser persuaso della difficoltà in- 
contrata in quei primi rozzi tentativi per tener ferme le matrici stesse nella 
forma , onde la lettera non venisse torta o ineguale nella superfice , così che 
una lettera ben fusa , come osserva benissimo il più volte citato sig. Koning , 
dovea essere in quel tempo una casnalità. 


39 

che ai meno esperti in questa parte meccanica dell’ arte ; quelle 
varietà accidentali nelle lettere e nei contorni loro , han potuto 
far credere che i caratteri dello Speculum fosser di legno , mentre 
ai meglio informati del meccanismo dell’ arte, ed a quelli che 
più hanno riflettuto a ciò che l’ arte stessa dovea esser ne’ suoi 
principj , quella accidentale varietà non ha potuto sembrare in- 
compatibile con 1’ uso dei caratteri di metallo fuso , quando altri 
riscontri indubitati concorrevano a farli certi dell’ uso di essi. 

Fra questi riscontri uno ve ne ha , stato avvertito dal sig. 
Koning, che sembra a noi non poter lasciare il minimo dubbio, 
ed è il seguente. 

La lettera E nello Speculum ha due forme, o due matrici, 
così CE Or. La prima ha tutti i contorni richiesti, la seconda 
non è ben fusa, e manca nella parte superiore. A ogni pagina 
ricorre la stessa lettera egualmente difettosa ; è chiaro dunque 
che la matrice essendo imperfetta ha somministrato un numero 
di lettere difettose che sempre ricompariscono. 

Un’ altra lettera presenta un eguale , e forse anche più evi- 
dente riscontro ed è la M. Non solo pare che sia stata impressa 
un poco a traverso riella matrice, ma ha di più questa partico- 
larità rimarcabile, che la gamba di mezzo è divisa in due da un 


piccolo infervallo bianco, così - Questi difetti che derivano 
dal punzone si trovano nella stessa lettera , e nella pagina stessa 
più volte, e compariscono forse qualche centinaio di volte nel corso 
del libro. Che se talora per la grassezza e l’impurità dell’inchio- 
stro , quel piccolo spazio bianco è in un esemplare , in un dato 
luogo ripieno , in un altro esemplare nell’ istesso luogo Ja lettera 
stessa ha il difetto sopra accennato, il che prova all’ evidenza 
che quella lettera è indubitatamente fusa. 

Dimostrato così che nelle opere dal Koster stampate si sono 
impiegati caratteri fusi, la rozzezza e le imperfezioni di quei 
primi saggi, che hanno appunto indotto alcuni a credere che egli 
abbia fatto uso di caratteri di legno , sono un riscontro poten- 
tissimo di ciò che abbiamo di sopra accennato , cioè che quei 
lavori debbono considerarsi come i primi tentativi dell’ arte, 
giacchè è nostra opinione che in tutte le cose umane non si giun- 
gesse mai a un tratto alla perfezione, ma da un principio roz- 
zissimo e sommamente imperfetto , si sia sempre proceduto con 
lentezza ad un graduale or più or meno notabile perfezionamento. 
Così quanto più rozzo e imperfetto è il prodotto dell’ arte , la 
presunzione della sua anteriorità di fronte ai lavori più perfetti 
è maggiore. Ora nelle opere del Koster, oltre i contrassegni quì 


40 
accennati, a chi attentamente le esamini , altri egualmente com- 
provanti la imperfezione e rozzezza della materia e dei mezzi 
adoprati appariscono , e fan fede della più remota loro origine. 

Il torchio a mano che ha servito per la stampa dello Specu- 
lum si riconosce a segni manifesti imperfettissimo , e quale con- 
veniva appunto ‘ad un primo tentativo. La pressione a mano 
dovea essere incerta, e dove maggiore , dove minore. Quindi ve- 
desi che mentre in qualche luogo 1° impressione è debole, in 
altri è così forte, che ne è lacerato il foglio attorno alle lettere, 
e in piè delle pagine. L’ineguaglianza nella superfice della forma 
o pagina è pure spesso evidente , il che prova la mancanza d’un 
istrumento per livellare , che chiamasi sbattitoia , e che si vede 
usato in seguito da Guttemberg , e Fust. 

Lo Speculum e le altre opere del Koster portano I’ impres- 
sione da una parte sola del foglio , e si vede che ciascuna pa- 
gina è stata stampata separatamente , sia che non venisse in 
mente all’ artefice in quei primi tentativi di poter, senza nuocere 
all’ impressione’ fatta da un lato del foglio , stampar dall’ altro , 
sia che le irregolarità sopra accennate dell’impressione, dipendenti 
dai difetti del torchio , lo rendessero di fatto impossibile , non 
avendosi ancora idea di ciò che i moderni calcografi chiamano 
Registro (13). E questo è pure un riscontro della infanzia del- 
l’ arte. Se è poi vero che in alcuni esemplari dello Speculum si 
incontri qualche pagina stampata da ambedue le parti, ciò pro- 
verebbe per sè solo che quest’ opera è anteriore a quelle di Gut- 
temberg e Fust, trovandovisi il primo tentativo di quel metodo 
che fu in seguito costantemente praticato da’ detti tipografi. 

Un altra particolarità che prova che lo Speculum Olandese 
fu una delle prime produzioni della tipografia si è , che quasi ad 
ogni pagina laddove cessa il testo, e dove il verso è tronco , e 
più corto, si veggono le impronte in bianco di altre lettere estranee 
affatto al testo medesimo ; il che dimostra che avendo lo stam- 
patore riconosciuto che la mollezza del metallo di cui erano for- 
mati i caratteri non avrebbe permesso a quelli che trovavansi 
alla fine del verso di resistere senza piegarsi alla pressione del 
torchio, in mancanza di riempiture, ha immaginato di collocarvi 
lettere difettose o inseryibili, che fossero della medesima altezza, 
ponendovi sopra una striscia di carta. Qualche volta vedesi che 


(13) Il Registro serve a far che le linee stampate da una parte della carta 
che dicesi verso corrispondano esattamente a quelle stampate dall’altra che di- 
cesi recto. 


43 
la carta si è allontanata , e le lettere allora sono anche impresse 
im nero. 

Vedesi di. più che lo stampatore conoscendo che nel maneg- 
giare un torchio tanto difettoso correva rischio di dare una troppo 
forte pressione , e così di danneggiare le lettere, e di lacerare. 
la carta, ha immaginato di porre le pagine stesse entro un qua- 
drato di legno diviso da una traversa interna, quasi dell’altezza 
stessa delle lettere, e che separa le due colonne. Ristretto. così 
il tutto entro questo quadrato fisso , la pressione del torchio non 
poteva nuocer tanto ai caratteri. I segni di questa forma qua- 
drata compariscono manifesti nello Speculum. 

| Vedesi di più, che quando uno o più versi restavano tronchi 
a lunga distanza dall’ incassatura sopra indicata, allora per riem- 
pire quello spazio ponevansi dei pezzetti di legno più o meno 
lunghi della altezza della detta incassatura. Su questa poi, come 
su i quadrati di legno che servivano di ripieno, si ponevano 
delle strisce di carta. Anche quì però si vede che queste stri- 
see di carta si son talvolta allontanate, e i quadrati di ripieno, 
e le superfici dell’ incassatura compariscono in tutto o in parte 
impresse in nero. 

Riconoscesi chiaramente che lo stampatore dello Speculum 
mancava del Compositore, nel quale vengono ordinate le lettere 
e composto il verso, giacchè le linee non sono tutte d’egual di- 
mensione , nè perfettamente parallele, e vedonsi quasi tutte 
curve in fine, e mancanti di quella perfetta eguaglianza, che 
tanto contribuisce alla eleganza e chiarezza della stampa ; qua- 
lità tutte che s’ incontrano nelle opere posteriori, ed in quelle 
in specie di Magonza. © 

L’ inchiostro di cui si servivano gli stampatori d’ opere Xi- 
lografiche era pallido , debole, e fluido troppo. Sembra che Ko- 
ster., come ne fa fede Junius nell’ opera intitolata Batavia , di 
cui parleremo in seguito » abbia inventato un altra specie d’in- 
chiostro molto più nero, più viscoso , e più denso di cui inco- 
minciò a far uso stampando il testo dello. Speculum Olandese 
e Latino. 

Nell’ esemplare che conservasi nella Biblioteca Reale di Pa- 
rigi appartenuto già alla Sorbona, oltre che tutte le stampe che 
trovansi in principio di ciascuna pagina sono tirate con la prima 
specie d’inchiostso., e son pallide e biancastre , il testo pure d’al- 
cune di dette pagine è stampato con l’ istesso inchiostro , ma 
quello d’ alcune altre vedesi stampato colla nuova composizione 
nerissima , e che fa un contrasto singolare con la pallidezza delle 

T. I Gennaio. 6 


42 
stampe , che sembrano perciò dover essere state tirate prima 
del testo. 

Anche questa nuova specie d’ inchiostro però si riconosce 
secondo' il sig. Koning assai imperfetta. A suo credere v°è 
dell’ olio di lino, ma la carta macchiata in vari luoghi di un 
colore verdastro fa credere che fosse poco o punto cotto , è mal 
purificato. Nello Speculum del quale parliamo , vedesi pure che 
il nuovo inchiostro è stato usato in un modo che prova l’inespe- 
rienza, giacchè in un luogo è troppo, e la stampa è sporca, 
mentre manca in un altro. 

La singolarità poi dell’ uso d’ inchiostro diverso nella stessa 
pagina , e tra una pagina e l’altra, prova a parer nostro che 
quel libro è uno dei primi saggi della tipografia , giacchè tutti 
quelli di Magonza, e i successivi sono stampati con l’inchiostro 
della seconda specie, ed anche assai perfezionato. L’uso dunque 
ne era in quest’ epoca generale e ben conosciuto , mentre non 
lo era nell’ epoca in cui fu stampato lo Speculum. 

La imperfezione poi dell’ inchiostro usato nella stampa dello 
Speculum ha contribuito anch’ essa non poco all’incertezza nei 
contorni delle lettere, che ha fatto supporre ad alcuno l’uso dei cal 
ratteri di legno. 

La ‘quantità degli errori che si trovano tanto nello Speculum 
Olandese , che nel Latino , non si trovano in alcun altro libro; 
e sono a parer nostro anch’ essi un riscontro dell’ anteriorità di 
quest’ opera. Infatti dai cenni già dati sull’ imperfezione degli 
strumenti di cui deve essersi servito il Koster, può ben com- 
prendersi quanto difficile doveva riescire , dopo che le due co- 
lonne d’ una pagina erano state poste nella forma di cui abbiamo 
parlato , il toglierne le lettere sbagliate; e riporvene altre. Chiun- 
que abbia una leggera pratica del meccanismo dell’arte, sa quanto 
questa operazione sia fastidiosa anche oggi dopo il perfeziona- 
mento di tutti gli strumenti; quanto mal volentieri gli stampa- 
tori intraprendano qualche correzione dopo che hanno messa in 
torchio la pagina, e come quella operazione raramente riesca 
senza alterare la simmetria, e la regolarità della composizione. 
Se nello stato di rozzezza di tutti gli strumenti de’ quali si è 
servito lo stampatore dello Speculum egli ha mai voluto tentar 
qualche correzione , quella operazione deve certo avere alterato 
assai quel poco di buon ordine che egli poteva aver posto nella 
composizione, e deve avere accresciuta quella irregolarità che ha 
fatto forse giudicare a prima vista che si fosse servito di carat- 
teri di legno. l 


43 

Ma se molte delle osservazioni fatte sin qui sul materiale 
delle opere attribuite al Koster dagli Olandesi possono giovare in 
seguito come riscontri su cui fondare un retto giudizio, la questio- 
ne non può dirsi con ciò {schiarita abbastanza per essere a favore 
del Koster medesimo decisa. Onde condurla a questo punto convie- 
ne esaminare quali sieno le obiezioni che all’opinione favorevole ad 
Harlem. si fanno; e quali repliche posson ricevere ; dopo di che 
giovar può molto a far preponderare per l’una o per l’altra 
opinione 1’ esame di qualche documento , e la critica valutazione 
delle testimonianze degli scrittori che in tempi più o meno pros- 
simi alla scoperta , d’essa han trattato , del che passeremo ad oc- 
cuparci. 

(Sarà continuato) 


OMERO, l’Itrapr originale e tradotta nelle lingue più colte. 
— Firenze, 183» ; Passigli, Borghi e C. in 4° fig) Fa- 
scicoli 1.°, 2.° e 3.° 


Cedite ; jam caelum patria Meonidae est. Sannazaro 
E patria ei non conosce altra che il cielo. Manzoni 


È noto l’ antico epigramma sulle greche città che si dispu- 
tavano la culla d’ Omero. Chi avrebbe pensato che una chiusa 
entusiastica o arguta o evasiva (ciascun la chiami secondo il 
suo sentire ) fattagli da un bell’ ingegno sul principio del secolo 
decimosesto , e tradotta per caso da un altro in certo suo poe- 
metto sul principio di questo , diverrebbe il compendio d’ una 
dimostrazione filosofica insieme e filologica ? (*) 

Non so se l’amico di Lucilio scherzasse , dicendo nell’ epi- 
stola 89 che Didimo (celeberrimo fra’ comentatori omerici , sotto 
il cui nome, sia detto per incidenza, vanno scolii non suoi ) 
scrisse intorno alla culla e ad altri particolari non men dispu- 
tati della vita d’ Omero quattromila libri. Basterebbe sicuramente 
assai meno della metà per conchiuderne ch’ ei non conchiuse 
nulla. Pausania , il qual trovavasi, a quel che sembra, così 
impacciato che Didimo (v. il suo Viaggio in più luoghi), chiusi 


(*) A stampa fatta e impaginata mi rammento che la chiusa del Sanna- 


zaro è ‘essa stessa una traduzione della chiusa ‘d’un epigramma d’Antipatro 
che leggesi nella Greca Antologia. x 


4h 
alfine gli orecchi a tante dispute degli uomini, ebbe ricorso agli 
oracoli degli Dei. Ma egli non era forse in loro grazia come il 
conte Pasch di Krienen ufficiale al servizio di Russia, cui’ fu 
dato l’ anno 1771 scoprir nell’ isola d’ Io il sepolcro del poeta , 
con entrovi il poeta stesso , l’ elogio di lui in rame ed in marmo, 
la colomba dodonéa insegna di sacerdozio , una catinella ; un 
pestello ed altre cose belle, di cui potete vedere 1’ erudito ‘in- 
ventario nella sua Descrizione dell’ Arcipelago stampata in Li- 
vorno del 1773. 

Ho ricordato Didimo e Pausania per farla breve , per non 
risalire inutilmente a Pindaro e a Simonide, a Erodoto e a Tu- 
cidide (taluno amerebbe forse risalire anche più indietro ) che 
lasciarono dopo loro, intorno a’particolari ch’io diceva , tanta 
incertezza. Que’ gran classici, però, e gli altri che vennero in 
seguito , non ostante l’ incertezza, che li rese fra loro assai di- 
scordi , credettero o parvero credere concordemente un mero 
autor dell’ Iliade e dell’ Odissea. Quindi , riguardandoli come i 
rappresentanti di tutta l’ antichità, si asserì che l’ antichità era 
concorde in tale credenza. Proclo, per vero dire , Seneca, altri, 
avean lanciato qualche motto che potea farne dubitare. Altret- 
tanto avea fatto Eustazio, riferendosi a non so quali antichi, 
nel suo lungo comento. E il Casaubono , riferendosi a lui (nelle 
note ad Ateneo o a Laerzio ) aveva infatti dubitato un istante. 
Ma in quell’infanzia dell’arte critica, in quel primo fervore del 
culto de’classici, nessun altro , sembra, seppe dubitare com’egli. 
Però , quando, sulla fine del secolo decimosettimo, ardì manife- 
starsi un’opinione contraria alla credenza già detta , a chi parve 
un’ eresia , a chi un’ insigne follia. 

È vero che tal opinione non si manifestò sotto gli auspici 
più evidenti della saviezza. Poichè fu in quella disputa d’alcuni 
poetini cortigiani del Richelieu (v. il secondo volume delle Que - 
rélles Littéraires) sul merito comparativo degli antichi e de’mo- 
derni , cioè principalmente di loro stessi. Nè giovò che il fosse 
per bocca del Perrault (v. i suoi Paralleli ) uomo di spirito che 
quei poetini riuscirono ad associarsi. L° uomo di spirito , come 
Boileau, Racine, La Fontaine gli fecero intendere, mancava di 
gusto., di quel gusto almeno chè necessario per parlare delle 
cose dell’antichità. L° opinione peraltro che si manifestò per sna 
bocca , e le ragioni con cui egli la sostenne , non erano sue. Ei 
le avea trovate, come diceva, e come Boileau non volea cre- 
dergli , in uno seritto inedito del D’ Aubignac, pubblicato poi 
dal Charpentier. Lo scritto del D’Aubignac ; ingegno un po’ ri- 


45 
stretto, come provano quelle sue regole drammatiche, attribuite 
ad Aristotile, ed osservate quindi ma contro cuore dal Corneille, 
non poteva essere gran cosa. Pure, in mezzo a molte frivolezze, 
a molte ‘povere censure, fondate su moderne prevenzioni 9 su 
regole epiche simili a quelle drammatiche, vi trasparivano ; co- 
m'è già stato osservato (dall’ autore di due articoli del Globo 
de’ quali dirò in seguito), queste vedute importanti : che, se la 
credenza degli antichi riguardo all’autore dell’Iliade e dell’Odis- 
sea dovesse dar norma ‘alla nostra, bisognerebbe aggiungne- 
re a quelle due non so quant’ altre epopee , da essi attribuite 
all’ autor medesimo ; e da’ moderni giudicate non sue; che due 
epopee come l’ Iliade e 1° Odissea non poteano comporsi ; da un 
solo autore specialmente , quando la scrittura o era pe’ Greci 
cosa ignota o era almeno di piccolissimo uso ; che la mitologia 
dell’ Iliade sembra differire a più riguardi da quella dell’Odissea; 
che fra 1’ Iliade e l’Odissea., anzi in ciascuna di esse, vi hanno 
pure altre discrepanze notabili, onde, non che crederle ambe- 
due d’uno stesso autore, è forza riconoscere in ciascuna l’opera 
d’ autori differenti. 

Gli eredi della disputa sul merito comparativo degli antichi 
e de” moderni, La Mothe, cioè, e madama Dacier (il cui mari- 
to avea combattuto contro Perrault) non fecero, sembra, alcun caso 
dell’ opinione del D’ Aubignac. Neppur lo fecero , ch'io sappia ; i 
filosofi che presero più o men parte alla disputa , Fontenelle , 
Terasson , madama Lambert , per non dir nulla del Feénélon, che 
qual giudice il più competente andava frammettendo parole con- 
ciliatrici. La disputa intanto , grazie particolarmente al Saint- 
Evremont, avea passato il mare; ed ivi quell’ opinione parve 
degna ‘di riguardo. Bentley infatti, il più gran critico dell’ In- 
ghilterra, dichiarandosi pel  Wotton , che sosteneva contro il 
Temple la causa de’ moderni, non dubitò d’ asserire (nel suo 
Fileleutero ) che i poemi omerici erano un accozzo di poemetti 
diversi d’ origine e d’ età; il che gli attirò 1’ ire del Pope e gli 
scherni dello Swift. 

In Italia non so dir bene quel che avvenisse. Come l’ opi- 
nione del D’ Aubignac mescolavasi ad una disputa per noi già 
vieta e quindi senz’attrattiva (era stata mossa ‘dal Patrizio , dal 
Beni ec. contemporanei del Casaubono ) forse passò inosservata. 
Nella Lettera stessa del Conti al Maffei sull’ andamento di tal 
disputa im Francia , ove il primo di questi due insigni zelatori 
dell’antichità si ritrovava, non mi ricordo che se ne faccia pur 
motto. Quello che il Conti e il Maffei, i quali probabilmente non 


46 
l’ ignoravano, potessero pensarne , è facile imaginarselo. Se non 
che un’opinion tutta simile si trovò racchiusa ; se non espressa, 
in un libro d’alta filosofia venuto in luce a que’giorni, la Scienza 
Nuova del Vico. E i migliori ingegni , come notò il Vico mede- 
simo ripubblicando quel libro nel 1729, non tardarono a _ ve- 
dervela , benchè non tutti per avventura si sentissero inclinati . 
ad approvarla. I principii delle società, aveva egli detto in quel 
libro, furono, come quelli di tutte le cose, assai deboli e in- 
certi. In que’ principii rozze le arti, grossolano il sentire ; im- 
perfettissima l’ intelligenza. Pure; stando alle volgari tradizioni, 
in que’ principii appunto ci si presentano nomini, il cui magi- 
stero nell’ arti , il cui sentire , la cui intelligenza quasi non han 
paragone. Ora siffatti uomini sono eglino verosimili? Ma, vo- 
lendo pur conciliare le tradizioni e la probabilità delle cose, è a 
dirsi che sotto il nome di quegli nomini comprendasi la successio- 
ne di molti uomini in loro genere eccellenti, sieno in qualche modo 
simboleggiati i progressi d’un’ età. Noi siamo soliti.nella nostra 
infanzia a crearci de’simboli, a rappresentarci sotto un sol nome, 
cioè a dir come identici , gli esseri o gli oggetti che troviam somi- 
glianti. Lo stesso nell’infanzia loro debbono aver fatto le società, 
ond'è che oggi ci riesce sì difficile il riferir le cose alle lor vere 
origini, il distinguer quelli che le inventarono o le cominciarono, 
e quelli che le acerebbero o le perfezionarono. Tal ragionamento, 
che si applicava da lui agli Ermeti e a’ Confuci, a’ Cadmi ed 
a’ Romoli , ec. ec., potea, come ognun vede , applicarsi facil- 
mente anche ad Omero, Tanto più facilmente che , dov’egli avea 
parlato della sapienza poetica o primitiva , a mostrar che questa 
non fu diversa dalla volgare , molte prove avea tratte da’poemi 
omerici, facendo. intendere abbastanza che questi non erano 
a’ suoi occhi l’ opera d’ un uomo o d’ un tempo solo , più che 
nol fossero s ad esempio, le leggi delle Dodici Tavole. Or quando, 
non avendoselo egli, giusta le sue frasi, nè eletto nè proposto, 
venne a parlare dell’ esistenza d° Omero , toccate tutte 1’ altre 
cose che al D’ Aubignac, da lui non conosciuto ; poteron farne 
dubitare, si fermò principalmente a quelle discrepanze , che cer- 
cando la sapienza primitivà già avea dovuto notare in que’poemi. 
I vestigi, egli disse , di diversi stati sociali, d’ un’ antica bar- 
barie e d’ una nuova civiltà, sono e nell’ uno e nell’altre assai 
visibili. Ma lo sono particolarmente nell’ Iliade paragonata al- 
l’ Odissea , onde forse quell’opinione , a cui Longino dà per causa 
la differenza dello stile , che l’una fosse composta da Omero an- 
cor giovane, 1’ altra da Omero già vecchio. Altri Greci però pen 


47 


sarono , come sappiamo da Seneca ( nella Brevità della Vita ) che 
l’ una sola e non l’altra fosse opera di quel poeta. Infatti, per 
tacere che nell’ una ei si mostra dell’ oriente, nell’ altra del- 
1’ occidente della Grecia; onde intendesi come tante città (90, se- 
condo Suida ) se ne disputarono la culla ; nell’ una ei si mostra 
pure di più antico tempo che nell’ altra, onde intendesi come 
siasi fatto vivere fra la presa di Troja e il regno di Numa, ch'è 
lo spazio di 460 anni. Può quindi arguirsi ch’ egli è tutt’ altro 
che un essere individuale; che s’egli non è/il cittadino di tutto 
il mondo, come dicea Proclo ( alludendo a chi ’1 volea Trojano , 
Egiziano , Indiano, ec.) è però il cittadino di tutta:la Grecia, 
anzi la Grecia stessa , narrante nella sua antica favella , nella 
favella metrica e mitologica, per mezzo di simboli e di personi- 
ficazioni ;-la sua storia successiva ne’tempi che chiamiamo eroici. 
La Grecia passionata ; agitata; semiselvaggia; ammiratrice della 
forza , ecco; può dirsi, l’autrice de’canti che compong ono l’Iliade. 
La Grecia, più pacata; più ordinata, più incivilita , ammiratrice 
della prudenza ; ecco l’autrice de’ canti che compongono l'Odis- 
sea. Questi canti sì belli, sì animati, sì splendidi, per ciò solo 
che son primitivi, furorio appresi a memoria e ripetuti da’rapsodi , 
ciechi la più parte , alle greche città. Indi quest’ altra personi- 
ficazione , mista al solito di reale e d’immaginario , come tutte 
quelle che si ammirano nei due poemi: Omero o il cieco, con- 
dotto dalla Musa , dalla figlia divina dalla Memoria , andò can- 
tando per la Grecia 1’ Iliade e 1’ Odissea. 

Per quanto la Scienza Nuova del Vico rimanesse , fin quasi 
a’ nostri giorni , opera a pochissimi conosciuta ; per quanto l’opi- 
nion sua intorno ad Omero fosse da chi la conobbe (lo dice il 
Cesarotti) reputata un sogno metafisico; quest’ opinione andò 
pure ; come quella del D’Aubignac ; facendosi strada nel mon- 
do. Convien dire intanto che le due opinioni, incontrandosi , 
un po alla volta si confondessero insieme, se il Mercier ripro- 
ducendole ( nel Mon Bonnet de Nuit) non fece alcuna distin- 
zione fra loro ; nè quindi alcun motto della loro,origine. Ben le 
distinse il Cesarotti rispondendo al Mercier nel ragionamento pre- 
liminare alla sua prima versione o trasformazion dell’Iliade. Ma 
distinguendole , e mostrandole certamente più gravi che sotto la 
penna del Mercier non apparissero., non mostrò peraltro d’inten- 
derle abbastanza. Che significa infatti quel suo domandare. scher- 
zando in che città, in che parlamento la Grecia si sarebbe unita 
a comporre i canti dell’ Iliade e dell’Odissea o a scegliere i poeti 
che li componessero ?. Che significa quel suo-ripetere col Bitaubé 


48 
( traduttore elegante dei. due poemi ) chel’ attribuirli a molti 
piuttosto che ad. un solo poeta è come. attribuire il mondo al 
caso? Ei vide 0 veder parve col Vico da quante difficoltà, sì 
rispetto alle forme e sì rispetto alle cose , ci tragga  l’ opinione 
che non li attribuisce ad un solo. Ma. contro quest’ opinione 
trovò una difficoltà troppo più grande. nell’ ordine meraviglioso 
de’ poemi stessi 5 = egli che fin da d’allora aveva in cuore (lo 
dicono i suoi elogisti ) la seconda trasformazione del primo ; la 
Morte d’ Ettore. i 

Fra il Vico e il Mercier nessuno , ch'io sappia, manifestò 
assolutamente un’ opinion somigliante. Varii però manifestarono 
opinioni che molto le si avvicinavano, o che servivano in qualche 
modo a confermarla. Il Paw p. e. nelle sue Ricerche sopra i Greci 
dichiarò VIliade una raccolta di canti, composti successivamente 
in Tessalia pe’ giuochi funebri che vi si celebravano in onore 
d’ Achille. Il Goguet nella nota sua opera sull’ Origine dell’ Arti 
e delle Scienze confessò, che fra 1’ Iliade e.1° Odissea passa tal 
differenza che fa dubitare della loro origine comune. Altri, come 
il Dawes nelle sue Miscellanee , notando fra le parti stesse di 
ciascuno de’ due poemi altre differenze ; estesero il dubbio oltre 
i confini di quello del Goguet. Ma un dubbio troppo più grave, 
quello che riguarda l’uso della scrittura a’ tempi d’ Omero, fu 
rimesso in campo e convalidato di forti ragioni dal Wood. nel 
celebre suo libro sul Genio di quel poeta, dal Merian in una 
sua dissertazione inserita negli Atti dell’ Accademia di Berlino, 
dal Rousseau nel suo discorso sull’ Origine delle Lingue. Il Ce- 
sarotti citò qualche idea del Wood e del Merian, ma senza cre- 
derla forse di maggior importanza per l’ opinion contrastata che 
qualche particolarità degli Aneddoti Greci, da lui pur citati, 
del Villoison, o qualche conseguenza dedottane, or non rammento 
dove; dal Klotz. Contento di non aver dissimulato nulla di ciò 
che secondo lui era stato detto di meglio in favor di tale. opi- 
nione, e di aver trovato a tutto qualche. risposta, credette 
buonamente che ormai (sono sue parole ) non rimarrebbe più 
luogo a disputa. 

Se non che la disputa ; come fra pochi anni egli ebbe luogo 
d’avvedersi; era appena cominciata. È però vero che anche l’opi- 
nione onde la disputa nasceva, e le ragioni capitali di quest’opi- 
nione , erano: state poco: più che accennate. Se il Vico , la cui 
opinione giova a me pure confondere. con quella del D’Aubi- 
gnac , non l’ avesse sostenuta per incidenza , e come uno de’co- 
rollari meno importanti delle sue dottrine intorno al naturale pro- 


49 


gresso delle società , poteva , forse , erudito com’era, darle quel 
maggior grado di probabilità che ancor le mancava. Non aven- 
dolo egli fatto, un tal vanto è toccato al Wolf, da cui 1’ opi- 
nione già detta , e solo in parte modificata , ha alfin preso il 
nome. 

Egli era, sembra; assai giovane quando concepì o accolse 
nell’animo quest’opinione. Non avea ancor letto (lo dice egli me- 
desimo in un libro che ancor non debbo nominare) nè le Conget- 
ture del D’Aubignac ; da lui poi disprezzate oltre il debito quando 
le lesse ; nè altri scritti francesi ed inglesi lor relativi. Molto meno 
avea letto (nè lesse in seguito) la Scienza Nuova del Vico, alla cui 
fama bisognava che prima avesse fama la Filosofia della Storia 
dell’ Herder. Ma l’opinione del D’Aubignac e del Vico riguardo 
ad Omero si era, come dissi , già fatta strada nel mondo ; e, 
indipendentemente da tutti i libri, potea benissimo esser per- 
venuta al suo orecchio. Discepolo dell’ Heyne:;: avanzato , come 
in nessun paese dal mondo fuorchè in Germania si può esserlo 
sì presto, negli studii filologici, vide probabilmente quai nuovi 
sussidii bisognavano a tale opinione ; e prima di lasciare l’uni- 
versità di Gottinga (verso il 1780) si provò alcun poco a Aar- 
glieli in uno scritto che diresse al maestro, e che il maestro, 
dicesi, non aggradì. 

Se questo disaggradimento gli facesse dubitare un istante 
della bontà dell’opinione , io nol so. Ben so ch’indi a pochi anni, 
grazie a nuovi e fortissimi studi; quell’ opinione si rese in lui 
più forte che mai. Trovandosi egli ad Hala verso il 1785, ed 
essendosi già fatto nome per un’ edizione delle cose d’Esiodo, 
avvenne , dice un suo biografo (il Gley nella Biographie Uni- 
verselle ) che gli fosse pure affidata un’ edizione de’ poemi ome- 
rici a norma di quella di Glascowia. Ei la diede a norma del 
proprio giudizio, cioè molto migliore; ma superando l’altrui aspet- 
tazione appena sodisfece se stesso. Poichè da quel punto com- 
prese che , a volerne dar una, ove i due poemi fossero alfin ven- 
dicati dai torti dell’ altre, era d’ nopo di tali studii, quali si- 
curamente innanzi a lui non erano stati ancora intrapresi. Non 
esitò quindi a intraprenderli egli medesimo ; si procacciò , co- 
m’egli narra (nel libro che fra poco nominerò ) copie di celebri 
codici ; si circondò d’ antichi scoliasti, d’ antichi lessicografi, 
d’ antichi grammatici ; rivide attentamente le fatiche de’moderni 
critici ; rilesse per ben tre volte l’ immenso comento d’Eustazio, 
onde notarvi tutto ciò che a que?’ critici fosse sfuggito } ec. ec. 


T. I Gennaio. 7 


50 
Ma Eustazio , i moderni critici, gli antichi scoliasti, ec. non 
l’ ajutavan che poco. Nessuno de’ codici, di cui avea notizia , 
era anteriore al duodecimo o all’undecimo secolo ; ed egli avrebbe 
voluto indovinar la lezione de’ critici d’ Alessandria che furono 
troppi secoli innanzi. Qual gioia per lui se il bel frammento pa- 
piraceo dell’ Iliade (800 in 900 versi) portato nel 1826 da Elefan- 
tina a Cambridge , ‘e creduto de’ tempi de’ Tolomei , si fosse al- 
lora scoperto ! Preparavasi intanto dall’ Alter un’ edizion novella 
dei due poemi a norma di cinque codici vindobonensi, non so 
dir di che secolo, ma assai celebrati ; e quest’edizione , che poi 
fu al Wolf di certo aiuto , chi sa dire con qual desiderio fosse 
da lui aspettata ? Quand’ ecco , un anno prima ch’ essa compa- 
risse (nel 1788), venirgli innanzi ajuto insperato , l’edizione del 
Villoison a norma di due codici veneti, credo del secolo deci- 
mo , con scolii, ec. sconosciuti ad Eustazio , ove raccoglieasi il 
sapere de’ più celebri editori dell’ antichità. Di questi scolii , 
riprodotti poi dal Bekker un anno dopo la morte del Wolf, cioè 
nel 1825, con giunte somministrate da non so che altri codici, 
era già stata dato un saggio nel 1740 (v. il Lucchesini, Il- 
lustrazion delle Lingue, p. 2) dal nostro Bongiovanni. Ma ciò 
verosimilmente al Wolf era ignoto; e l’edizione del Villoison, per 
cui principalmente potè dare la sua celeberrima del 1794; ol- 
trepassò invero ogni sua speranza. 

Or mentre , studiandola , si accostava ognor più allo scopo 
da lungo tempo vagheggiato , si convinceva pure ognor più che 
la difficoltà d’ ottenerlo, proveniva, com’egli sempre pensò, 
dalle singolari vicende a cui i poemi omerici erano andati sog- 
getti. Quindi si fece a studiare nel tempo stesso, giovandogli in 
singolar modo gli scolii già detti, la storia di queste vicende. E, 
vedutele abbastanza chiave, si fece a descriverle in un libro che 
comparve qualche tempo dopo la sua edizione dei due poemi, cioè 
nel 1795, ma ch’ è destinato a precederli, come apparisce ab- 
bastanza dal titolo di Prolegomeni che gli sta in fronte. Esse, 
come leggiamo a principio de’ Prolegomeni stessi, dividonsi na- 
turalmente in sei periodi successivi: dall’origine prima di que’poe- 
mi (:;50 anni, secondo il Wolf, innanzi all’ era nostra) fino a 
Pisistrato o ai Pisistratidi, creduti comunemente loro primi ordi- 
natori; == da questi a Zenodoto e ad Aristarco } i quali allar- 
garon la via a’critici o recensori; -- da Zenodoto e Aristarco 
fino ad Appione che il pubblico giudizio pose a capo degl’ in- 
terpreti; -- da Appione a Longino e al suo discepolo Porfirio , 
benemeriti egualmente e per la recensione e per l’ interpreta- 


51 
zione ; == da, essi al Calcondila , che procurò la prima stampa, 
l’edizion principe, com’ oggi diciamo, dei due poemi; — dal Cal- 
condila sin quasi a’ nostri giorni; periodo che può suddividersi 
in tre altri, primieramente sino allo Stefano ; poi sino al Barnes, 
al Klark , all’ Ernesti ; poi sino al Villoison ; all’Alter e al Wolf 
medesimo , seguìti più o mero dall’ Heyne, dal Lamberti, dal 
Boissonade ec., e oltrepassati dallo Knight, il qual non so dire 
se sia per dar nome ad un periodo novello. Entrato appena nel 
primo , il Wolf ebbe ad esaminare, fra più cose ad esso relative, 
la gran questione della possibilità che i poemi omerici in origine 
fossero scritti. E il suo esame, che occupa per se solo un terzo 
dei Prolegomeni , 0ss1a della prima parte che. sola abbiamo di 
essi , lo condusse a negare assolutamente questa possibilità. Ma 
se i poemi omerici, ei disse, in origine non furono scritti, come 
e in qual ordine furono prodotti, come e sotto qual forma furono 
tramandati a quei che prima li scrissero, e agli altri che ven- 
nero poi? E qui le tradizioni riguardanti non solo questi ma al- 
tri de’più antichi poemi della Grecia, paragonate a quelle riguar- 
danti gli antichi poemi d’altre nazioni; il confronto de’due poemi 
fra loro e di ciascuno con se stesso; l’ esame del lor disegno e 
della loro tessitura, tenuissima se si paragoni a quella d’ altri 
poemi più moderni ; artificiosissima., nel secondo specialmente, 
se si paragoni a quella d’ altri più o meno antichi; un gran nu- 
mero infine d’osservazioni e di congetture, or appoggiate a buone 
testimonianze , or più sicure delle testimonianze medesime , lo 
condussero ad asserire che i due poemi uscirono; per così espri- 
mermi, brano. a brano, e senza alcun legame fra loro, chi sa da 
quanti ingegni e'in quant’ anni; andarono per gran: tempo rac- 
comandati. alla memoria e abbandonati insieme all’arbitrio de’ra p- 
sodi o cucitori; assai tardi furono affidati alla scrittura, chi sa con 
quanto arbitrio de’ raccoglitori; più tardi ancora furono divisi in 
gran corpi e suddivisi in parti corrispondentisi di numero e di 
misura con arbitrio più che visibile degli ordinatori.. Nè quì , 
egli -aggiunse , cessarono gli arbitrii ; ma sibbene cominciarono 
quelli de’ critici e degli interpreti , a cui altri critici ed. altri in- 
terpreti cercarono d’ opporsi , finchè i due poemi, de’quali si eb- 
bero lungo tempo edizioni differentissime , denominate or dagli 
editori or dalle città ond’ uscivano , furon ridotti a più uniforme 
lezione, ma pe’ cangiamenti della lingua e per altre cause, chi 
sa quanto disforme dall’ antica: Quest’ultime cose, come ciascun 
intende , egli andò ragionando entrato nel secondo e nel terzo 
periodo , oltre il quale poi non giunse col dotto suo libro. Il 


52 
che veramente fu gran danno per gli studi dell’ erudizione in 
generale e per la critica in particolare de’ poemi omerici , ove , 
per ultimo risultato della storia delle loro vicende, proponeasi 
d’indicare possibilmente gli effetti delle vicende medesime , le 
interpolazioni , le esclusioni, le sostituzioni, le nuove e le an- 
tiche giunture, le variazioni d’ ogni specie, di che forse avreb- 
ber tratto nuovo valore le sue emendazioni. Da quella parte, in- 
tanto, ch’ ei descrisse della storia già detta uscì, come vedremo; 
più che avvalorata l’ opinione che; se un Omero mai visse, poco 
o nulla gli appartiene di ciò che gli venne attribuito , non am- 
bidue i poemi sicuramente , non l’ordine di nessuno di essi , nè 
in generale le parti che li compongono , ispirazione molteplice 
e successiva de’ tempi più poetici della Grecia. 

Quest’ opinione così avvalorata dovea, in Germania special- 
mente — paese de’ paradossi , dice taluno ; paese, dicon altri, 
dell’ erudizione profonda e delle serie convinzioni — produrre una 
grande impressione. L’ Heyne ( come racco!go dall’ articolo già 
citato del Gley ) non ebbe a principio nè il coraggio d’ appro- 
varla nè quello di disapprovarla. Più tardi però , facendosi a so- 
stenerla egli stesso con qualche modificazione , e supplendo in 
parte a quel che ci manca de’ Prolegomeni del Wolf, pretese 
(giusta le frasi di quell’ articolo ) che fosse stata sempre 1’ opi- 
nion sua ; ciò che diede motivo ad alcune Lettere del Wolf mede- 
simo, stimate un modello di polemica e di fine ironia: Se non che 
l’Heyne nella sua prima Escursione sull’ ultimo dell’ Iliade , do- 
lendosi di non so che scritti, forse di queste Lettere che non 
nomina , citò in prova dell’ asserzion sua due memorie da lui 
inserite ; 1’ una in un Giornale , l’ altra negli Atti della Società 
R. di Gottinga, l’anno stesso in cui uscirono i Prolegomeni ; ciò che 
per amor del vero voleasi notare. Le lettere del Woss al Wolf, 
che trovansi nel carteggio del primo recentemente pubblicato , 
e di cui ho notizia in quest’ istante dal n.° 19 della nuova Ri- 
vista Germanica , forse contengono a questo-proposito ( par che lo 
indichi la Rivista medesima ) schiarimenti necessari. Qualche scrit= 
tore , come il Wassemberg in una sua orazione sull’ Abuso del- 
I Ingegno , si dichiarò assolutamente contro l’ opinione di cui 
si parla. Altri, come l’ Hug in un opuscolo sull’ Invenzione della 
Scrittura Alfabetica , si restrinse a combatterla in ciò che riguar- 
da la possibilità che i poemi omerici fossero scritti, il che vera- 
mente è il punto capitale. Ma a sostenerla in ciò stesso sorsero 
pure scrittori di molta vaglia, il Boettiger in una memoria sul 
Papiro Egizio e la sua introduzione in Grecia ; lo Schneider nella 


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53 

sua prefazione all’ Argonautiche d’Orfeo ; 1° Hermann nella sua 
Emendazione della Grammatica Greca. Altri sostegni le diedero 
ad altri riguardi alcuni dotti editori degl’ Inni Omerici special- 
mente, l’ Hermann medesimo , il Mitscherlich , 1° Ilgen ; il- 
Matthiae , ec. Altri gliene recarono indirettamente ;i dotti ri- 
cercatori d’una mitologia scientifica, il Creutzer , il Butmann , 
il Valker, il Muller ec; Più tardi un altro Miùller , discepolo e 
interprete del Wolf, aggiunse all’ opinion sua ‘non poca forza , 
esaminando in una Introduzione ‘allo studio dell’ Iliade e dell’O- 
dissea qual fosse veramente la civiltà della Grecia ne’ tempi ome- 
rici. Alla quale Introduzione debbo qui aggiugnere , pei risultati 
non dissimili , che forse contro l’ intenzion dell’ autore se ne pos- 
sono trarre, le Idee dello Schubart sopra Omero e la sua epoca. 
Molto più debbo aggiugnervi un libro assai pregiato del Franceson, 
che pur non è interamente dell’opinione del Wolf, il suo Saggio, 
cioè , sulla scrittura a’tempi d’Omero, e sulla parte che può aver 
avuto questo poeta nell’ Iliade e nell’ Odissea. Fra questi ultimi e 
quegli altri scrittori, che innanzi ad essi ho nominati, non sono 
certamente da obliarsi alcuni assai celebri, che accostandosi più 
o meno, come i due Schlegel, l’uno nel Corso di Letteratura , 
l’altro nella Storia delle Letterature , all’ opinione del Wolf, 
contribuirono anch’ essi a renderla classica e in Germania e al- 
trove. Dico ciò, vedendo uscire di Danimarca uno de? libri citati 
da’ suoi fautori con più speciale compiacenza , quello del Koes 
intorno alle discrepanze che trovansi nell’ Odissea. Quanto alla 
Germania, al paese ove le idee del Vico intorno al natural pro- 
gresso ‘delle società ebbero i più insigni ampliatori, fa un poco 
sorpresa che nessuno di questi, 1’ Herder p. e. o il Niebuhr, 
(‘del qual odo , mentre scrivo , la perdita dolorosa e immatura) 
non ne abbiano fatto alcun ‘uso a pro d’ un’ opinione, che n° è 
un corollario. 

In Francia, d’ onde pur traea l’ origine ; tale opinione fu a 
principio sommamente disprezzata. Il Villoison, narrasi ; la dichia- 
rò un paradosso indegno di confutazione, e si dolse d’ averle, 
cogli scolii che già si dissero, somministrata qualch’ arme. Pa- 
radosso la dichiarò pure il Saint-Croix.; se’ non indegno di con- 
futazione, appena degno di risposta leggera, qual fu quella da 
lui lanciatale contro , senz’ aver letto; per vero dire, i Prolegomeni 
ov’era sostenuta; ma sulla semplice relazion d’un giornale. Nè di 
più grave risposta ;, mi si dice, la stimò degna in seguito , quan- 
d’.ebbe a parlarne in qualcuna delle più dotte sue opere, cre- 
do nelle Ricerche sui Misteri del Paganesimo. ‘Altri scrittori , 


54 
che ne parlarono per incidenza, il Larcher nelle sue note all’Ero- 
doto , due degli ultimi traduttori de’poemi omerici, l’Aignan e. il 
Bignan, ec., le si mostrarono essi pure molto sdegnosi. Se non che 
già sul, principio del secolo qualche scrittore , come il. Volney: nel 
Quadro dell’ America, avea mostrato di comprenderne la forza, 
almeno in: ciò che riguarda le differenze che trovansi fra l’Iliade 
e l’Odissea relativamente ai costumi e alle idee. Più tardi il De- 
Maistre , nelle sue Serate di Pietroburgo ; fece anch’ egli intorno 
a tali differenze qualche osservazione importante. Ma il metterle 
in pieno lume era serbato ad uno scrittor d’ alta fama , B. Con- 
stant ,, in quella sua opera, di cui 1’ ultimo dì della. vità ( nar- 
ravano lo scorso mess quasi tutti i giornali ) ha potuto correggere 
con mano moribonda l’ ultimo foglio. Ivi ‘egli mise pure in nuovo 
lume le conseguenze che possono trarsi in favore dell’opinione del 
Wolf da ciò che sappiamo degli antichi poemi di varii popoli, cioè il 
grande argomento dell’analogia. Uno scrittore , che al nome par- 
rebbe italiano, ma ch’io fino a prove in contrario crederò francese , 
fece tre anni sono, 0 a meglio dire promise al Constant una ri- 
sposta, dandone per saggio un articoletto, che leggesi nel vol. 19.° 
del Mercurio , intorno all’ Iliade e all’ Odissea. Risposta più piena 
sembra avergli fatto , con un libro ingegnoso sulla bellezza. mo- 
rale dei due poemi , uno degli scrittori che oggi fioriscono fra la 
Schelda e la Mosa , e ch’ io perciò nun separo dagli antecedenti, 
il Van Limbourg. I più de’ Francesi, intanto , o di quelli che ne 
parlano la lingua, si. sono , io credo , lasciati piegare dal Con- 
stant all’opinione wolfiana. E ne ho quasi mallevadori due eccel- 
lenti articoli sull’ opinion, medesima, inseriti un anno fa o poco 
più nella Biblioteca Universale di Ginevra (t. 42), e. parte com- 
pendiati, parte suppliti in altri due del Globo (t. 6), ch’ io citava 
più sopra. In uno di questi articoli è ricordato, come non estra- 
neo al loro argomento , 1’ Ulisse-Omero che va sotto il nome 
d’ un Koliades , scherzo erudito, stampato in inglese, ma credu- 
to da molti , se non del Chevalier autore d’ un Viaggio nella 
Troade, pure originariamente francese. Quel libro in fatti parrebbe 
anch’esso favorire l’ opinione del Wolf, servendo ‘a' provare che 
Omero è il poeta di tempi diversi. A questo riguardo anch’ io 
avrei potuto ricordar più sopra alcune Memorie del Thiersch, che 
fa Omero contemporaneo o quasi contemporaneo d’Ulisse; ciò che già 
fecero (me n’avveggo leggendo l’Escursione terza dell’Heyne:sull’ul- 
timo dell’Iliade) e I’Haller in un articolo: d’un giornal di Gottin- 
ga, e il Mitford nella sua Storia della Grecia, e altri. Queste cose 
intanto mi facean quasi dimenticare uno de’ più validi fautori 


55 

di quell’ opinione ; il Dugas Montbel , traduttore anch’ esso del- 
l’Iliade e dell’Odissea, e autore di belle Osservazioni sopra l’Iliade, 
che penso abbiano già acquistato bastante celebrità. Primo tra’Fran- 
cesi, ch’ io sappia , egli è entrato in cui alcuni particolari di fi- 
lologia assai importanti , quello p. e. del digamma, che vedremo 
poi come si leghi all’ opinione di cui trattasi , e nel quale sono 
pure entrati due scrittori men favorevoli a tale opinione in In- 
ghilterra e in Italia. 

- Quì il Cesarotti, che avea nel Mercier combattuto il d’Au- 
bignac ed il Vico, si trovava quasi obbligato a combattere anche 
il Wolf. Nol fece però che tardi ( in una Digressione del 4.° vo- 
lume della sua Iliade , 9g.° delle sue Opere , ediz. di Pisa ) ecci- 
tato dal Wolf medesimo a dare il suo voto sugli argomenti con 
cui l’ opinione già detta sosteneasi ne’ Prolegomeni. Nol fece 
si può dir che di fuga , esaminando alcun poco l’ argomento della 
non molta antichità della scrittura in Grecia, e riferendosi per 
gli altri a ciò che leggevasi da un pezzo nel suo ragionamento preli- 
minare , di cui più sopra si è detto. Nol fece che a malincuore, 
desiderando , giusta le sue parole, d’ aver anzi torto che ragione; 
parole che in bocca dell’autore della Morte d’Ettore non sono un 
semplice complimento pel Wolf. Non sv s’ io debba interpretare la 
piena adesione del Visconti al Larcher intorno all’ età d’Omero, 
nel primo articolo della sua Greca Iconografia, come una tacita ri- 
sposta al filologo alemanno. Un'altra tacita risposta, per ciò che ri- 
guarda specialmente la gran questione della scrittura, vorrebbe 
trovarsi nelle cose pubblicate dal Ciampi intorno all’Arca di Cip- 
selo , e poi trasfuse nelle note al suo Pausania. Ma dall’insieme 
di quelle cose , a cui va unito un volgarizzamento dell’Illustra- 
zione fatta dall’Heyne all’Arca medesima ; emerge pure qualche 
osservazione che ai wolfiani può riuscir opportuna. Risposta 
aperta ma breve trovasi in alcuni articoli del Lucchesini , inseriti 
ne’volumi ottavo e undecimo di questo Giornale, alcomparir che fe- 
ce l’edizione de’ poemi omerici procurata dallo Knight.Altra risposta 
più lunga ( mescolandovisi la questione del digamma già detto ) 
leggesi nelle Congetture del Lucchesini medesimo intorno ‘al pri- 
mitivo Alfabeto Greco , del quale avea pur trattato lo Knight in 
un libro di simil titolo. Nuova risposta finalmente sento aver pre- 
parato quell’accademico, il quale, come dissi altrove (nel 5.° arti- 
colo sugli Atti della Crusca) combattè molt’anni addietro l’opinione 
del D’Aubignac e del Vico. Non ho collocato fra le risposte un 
mezzo ‘paragrafo del Foscolo a principio del suo Discorso intorno 
alla Divina Commedia; e ciascuno; leggendolo, dopo quello che già 


56 


si è accennato dell’opinione del Wolf, ne intende facilmente 
il perchè. Ma il Foscolo potrebbe, come il Lucchesini, aver fatto 
risposta più vera , scrivendo anch’ egli intorno al digamma , del 
qual poi si fece stemma o insegna di vittoria (dice il Pecchio nella 
sua Vita or pubblicata ) in. fronte al suo voluttuoso casino di 
Sout-Bank. Favorevole al Wolf, senza però nominarlo, si mostrò 
fra noi. il solo autore del Platone in Italia, come può vedersi 
in quella parte del suo libro che s'intitola Viaggio da Taranto 
ad Eraclea. Men sfavorevole, però, che a prima giunta non appa- 
risca, può stimarsi uno degli autori delle Antichità Romantiche 
dell’ Italia medesima , là in quel capitolo delle Feste Pubbliche e 
de’loro effetti ne’ tempi di mezzo, 

Assai poco dir posso del favore o del infra che hanno 
mostrato pel Wolf i dotti dell’ Inghilterra , poichè assai poco 
m’ è noto. Di qualche favore mi darebbe indizio un articolo del 
Classical Journal ( giugno 1827 ) ov è discorso d’ una classe di 
critici greci, i Corizonti, che taluno recentemente ha chiamati i 
Wolfiani dell’ antichità. Ma il disfavore dovrebb’essere troppo più 
grande ov’ è sorto il più forte avversario che al Wolf potesse 
toccare , lo Knight già più volte nominato. Questo singolare i in- 
gegno , di cui il Foscolo nel Discorso citato pocanzi ci fa un ri- 
tratto così parlante , ha veramente combattuto col Wolf a. cor- 
po a corpo, opponendo (nella sua ediz. de’ poemi omerici ) Pro- 
legomeni a Prolegomeni , grande filologia a grande filologia , per 
la quale è noto che gl’ Inglesi dopo i Tedeschi hanno il primo 
vanto. Se non che, in mezzo al combattimento, sembra pure aver- 
gli stese tavolta le mani amiche, specialmente ove trattavasi di 
riconoscere nell’ Odissea altro autore che nell’Iliade. Farà quindi 
meraviglia l’udire come non in Inghilterra, non in Italia, non 
in Francia, ma nella Germania stessa , sia sorto a questi giorni un 
ingegnoso scrittore, il Lange, risoluto di nulla concedere al Wolf, 
siccome ha già mostrato , pubblicando due saggi critici, sull’Iliade 
e sull’Odissea , e promettendo un libro compito , di cui que?’ saggi 
ispirano gran desiderio. 

Io, rendendo conto nel più breve modo possibile de’partico- 
lari argomenti , onde si afforzano le prove già accennate in ge- 
nerale dell’ opinione del Wolf, e notando, meglio che saprò; 
quelli che appartengono ad altri scrittori che lo seguirono o il 
precedettero , noterò pure, sapendoli, gli argomenti contrarii. Se 
tutti i libri, che ho di sopra nominati, fossero a mia disposizione; 
come , grazie alla gentilezza di varii amici, ne sono alcuni prin- 
cipali, potrei fare a questo riguardo ciò che in nessun giornale s’ è 


s? 
ancor fatto. Obbligato a riferirmi a diversi giornali; e spesso & 
contentarmi di quello del Férussac ; ove trovansi ottimi estratti 
ma non tutti quelli che mi bisognerebbero, dovrò, mio mal grado, 
rimanermi molto al di quà dello scopo propostomi. 

Frattanto mi sia concesso di rallegrarmi, che d’onde usciva, 
or sono già quattro secoli e mezzo , la prima edizione de’ poemi 
omerici, esca oggi la prima edizion poliglotta del più solenne di 
essi ; il testo greco, cioè, la version letterale latina dell’ Heyne, 
la metrica pur latina del Cunich , l’ italiana del Monti, la fran 
cese dell’ Aignan , l’ inglese del Pope , la tedesca del Woss., la 
spagnuola del Melo , con incisioni di varii fatte sui bei disegni 

del Nenci. Così Omero comincierà ad apparir sensibilmente; qual 
diceasi da quel greco mentovato più sopra, il cittadino del mondo. 
Se il Denkoswki, autor d’.un libre notabile sull’ affinità della 
lingua omerica e degli antichi dialetti slavi, ha veramente ragione, 
è a dolersi che ancor non esista una versione de’ poemi omerici 
nella lingua che più ritrae di quegli antichi dialetti. Ma. verrà 
pur giorno che in tutte le lingue , in quelle stesse che oggi sono 
ancor nell’ infanzia , que’ poemi si leggeranno. Allora Omero, non 
che il cittadino del mondo, sembrerà più che mai il genio uni- 
versale della poesia , 1’ astro precursore dell’umana civiltà. L’opi- 
nione wolfiana sarà forse allora interamente obliata. Pure allora 
più che mai si amerà forse ripetere : ‘E patria ei non conosce 
altra che il cielo. ;, 


M. 


[TFT —_EMl---EI;*----.-----.--=mmmtee e n E] 


Totius latinitatis Lexicon, consilio et cura Jac. FACCIOLATI , 
opera et studio Arc. Forcentini Seminarii Patavini alumni 
lucubratum , in hac tertia. editione auctum et emendatum a 
Ios. FurLawErTo , alumno ejusdem Semin. Fasc. I-XI. A—sN. 


Nelle più felici e sudate; nelle più belle e mirabili opere 
dell’ ingegno , basta volersi attaccare a’ difetti e i pregi tacere 5 
per toglier loro ogni lode , per ricoprirle di derisione e di di- 
spregio nell’ opinione degl’inconsiderati e degl’ inesperti: molto 
più ove si tratti di dizionarii e di simili opere filologiche , dove 
le omissioni o le superfluità, gli sbagli di dichiarazioni o di ci- 
tazioni, i falli d’ ordine o di metodo sono inevitabili alla più 
solida scienza , alla diligenza più sollecita e più sofferente. Ma 
e ne’ dizionari e in tutte le opere dell’ingegno e della mano , 


T. I. Gennaio 8 


58 


il men fallace criterio a misurarne l’intrinseto pregio consiste 
nel porre in bilancia le bellezze e le utilità dall’ una parte ; dal- 
l’altra. i dannie i difetti. Se quelle prevalgono, la questione 
è decisa. Sarà lecito sempre; anzi dovere notar nel lavoro le parti 
manchevoli e additare il rimedio ; ma ciò senza spregio . senz’ ira, 
con riverenza e con gratitudine. E infatti perchè mai dovrò io 
inalberarmi, irritarmi contro chi mi porge un bel dono, per la 
sola ragione ch’ egli potea porgermelo ancora più ricco ? Questa 
pretensione tiranna basterebbe a togliere ogni riconoscenza , pgnì 
vincolo d’ obbligazione dal mondo. 

Con questa norma considerato il lavoro del signor Furlanetto 
non può meritare che i ringraziamenti e le lodi de’ dotti e degli 
eruditi. In questa terza edizione del lessico Forcelliniano egli 
ci porge un’aggiunta di cinquemila vocaboli nuovi, e di dieci- 
mila correzioni almeno : e il valore di questa novella ricchezza 
non è punto scemato da quante rimangono ancora cose da aggiun- 
gere e da emendare. 

Nel solo primo fascicolo ( pigliam questo come una misura 
proporzionale del rimanente ) nel solo fascicolo primo troviamo 
de’ vocaboli nuovi poco men di trecento. Di questi più di dugento 
nomi propri ; tratti da scrittori de’ secoli così detti del rame e 
del terro più di sessanta; dieci dell’ argento; aurei nessuno ; 
poco meno di venti equivoci, e tali da lasciare in dubbio se sieno 
scorrezioni de’ codici o buona merce dell’ uso (1). 

Quelli che a taluno potrebbero parere più inutili, son certo 
gli ultimi: eppure nè anco questi dovevano da un dizionario ( e 
segnatamente di lingua morta ) essere omessi, sì perchè nuovi 
confronti di codici potrebbero accertarne la lezione, sì perchè 
queste istesse varianti possono dare appicco, ne’ casi dubbi, 
a qualche congettura felice. Solamente avremmo desiderato a 
tali vocaboli una breve dichiarazione o un picciol segno che dagli 
altri li distinguesse , per prevenire l’errore degl’ inesperti : e tanto 
più l’ avremmo desiderato che una dichiarazione siffatta v'è stata 
talvolta aggiunta dai valenti editori (2). 

Quanto ai nomi propri di persone o di luoghi, ognuno 
sente l’ utilità che viene! dalla lor conoscenza e alla lingua e al- 
l’erndizione e alla storia. Ed è perciò che il ch. sig. Furlanetto ne 
fece con tanta diligenza lo spoglio; lasciando per questi la caccia 
che gli si offriva molto più ricca e più facile delle frasi e de’ modi 


(1) Adoneus , Agnasco , Abigenius ec. 
(2) P. e. all’ Agnasco. 


99 

del secol d’oro omessi dal buon Forcellini. Tra questi nomi propri 
pertanto v'è qualche distinzione da fare. I.° Le varietà del mede- 
simo nome che ne” vari scrittori s'incontrano (3): e giova saperle, 
per conoscere qual fosse più comune nell’ uso , e indagar le ra- 
gioni di tale varietà. II.° I nomi seryili, tanto più notabili, in 
quanto hanno un senso , e indicano una qualità buona o trista 
di quelle povere creature , trattate talvolta peggio de’ bruti ani- 
mali (4). III.° I nomi.d’ uso poetico , i quali d’ ordinario hanno 
un senso anch” essi , ed eran creati da’ poeti non sempre a ca- 
priccio (5). IV.° I nomi di famiglie latine, tra’quali ve n’ha mol- 
tissimi derivati dal greco (6): dove sarebbe giovato che il lessi- 
cografo indicasse il secolo, a un dipresso almeno, al quale ap- 
partiene la lapide in cui questi nomi si leggono. V.° J nomi, 
finalmente di città o di provincie o di fiumi , de’ quali sebbene 
i più sieno aggettivi derivanti da un nome già noto , havvene 
però de’ sostantivati non pochi (7); e questi, come ognun vede, 
sono nel loro genere i più rilevanti. 

Quanto a’ vocaboli così detti del ferro, anco di questi giova 
distinguere le varie specie. I. Quelli che derivano da corruzione 
della favella, da inesperienza o da licenza degli scrittori , che 
sono contrarii all’ analogia e alla ragion filosofica della lingua (8). 
I{.® Quelli che alla lingua, per quanto pare, sono inutili affatto 


(3) Come Acrinus, -Acrensis. = Così nell’Italiano abbiamo Patavino e Pa- 
dovano ; Zaratino e Iadrense; varietà che gioverebbe tor via. 

(4) Aciris , Acirus , debile, ignavo ; adiaptotus, fermo ; adumenus, 
placido. — Anche nelle commedie del 500, coniate sulla stampa delle antiche 
latine si trovano di questi nomi di servi, significativi del carattere , o d’ una 
lor qualità. 

(5) P. e. Acamas, Acoetes. 

(6) Acyndinus, Abascantus, Abuta. 

7) Aborensis , Abellinas , Abutuensis. 

(8) Agnitor, Abhorride, Acide. = Il ch. ed. spiega agnitor, qui agno- 
scit. Sebbene ne’ dizionarii sia impossibile trovare una voce, una frase che 
spieghi l’altra a capello, e ne dichiari il significato qual è, nè più nè meno, 
v° ha de’ casi però ne’ quali i lessicisti debbono più specialmente badare alla 
maggior possibile diligenza. E uno di questi casi è ne’ nomi verbali desinenti 
in or ; i quali talvolta indicano il mero atto, talvolta l’abito : quando indican 
1’ atto, son quasi sinonimi del participio in ens , quando indican l’ abito , son 
propriamente fedeli al senso richiesto dalla lor desinenza. Prendiamo per esem- 
pio il vocabolo amator: il quale può significare tanto colui che ama una data 
persona , una data cosa attualmente , quanto colui che per abito; per costume 
suol amare o tutti o una certa specie d’ oggetti. Cotesti due sensi in un buon 
diziona rio vanno , io credo , distinti. 


60 


perchè mere tautologie; meri grecismi forniti di desinenza latina (9). 
III.° Le voci coniate. per bisoguo della poesia , per servire al 
metro od al numero (ro). IV.° Le voci rese necessarie dai nuovi 
costumi introdottisi dopo l’età dell’oro, voci che chiamar si possonv 
istoriche (11). V.° Quelle per ultimo che, quantunque non con- 
fermate da esempi de’ secoli migliori, non meritano tuttavia la 
nota di ferree, perchè irreprensibili in se, per quanto‘ a moderno 
orecchio può parere, e conformissime alla legitima analogia 
della lingua (12). 

Queste distinzioni noi non facciamo per punto scemare 
il valore ed il merito delle aggiunte del chiaris. Furlanetto. 
Anco le voci più barbare giova conoscerle per poter dire di co- 
noscere intera nelle sue fasi una lingua sì bella , e sì filosofica ; 
i cui destini sono sì serettamente legati alle origini della lingua 
nostra, la cui corruzione istessa può essere un fecondo soggetto 
di meditazioni all’ideologista e all’ erudito non men che al gram- 
matico ed al filologo. Ma le dette distinzioni ci piacque ‘accen- 
nare per mostrar, quant’ è da noi, l’ ingiustizia di un pregiu- 
dizio da certi puristi latini convertito in sistema circa 1° assoluta 
incolpabile purezza di certi vocaboli , di certe frasi. Io dico che 
negli scritti dell’ oro se ne posson trovare di quelle che , o per 
la legge del metro, o per inavvertenza dell’autore , o per altra 
ragione qualunque non meritano il titolo d’ auree , e son tut- 
t’ altro che da imitarsi o da rinnovarsi nell’uso de’latinisti mo- 
derni : che negli scritti non solo dell'argento ma e del rame e del 
ferro ve ne può avere di belle e propriissime , ed imitabili. E 
questo per due ragioni : = perchè quella voce, quel modo che 
ad un aureo scrittore non cadde in acconcio d’ adoprare, quan- 
tunqne viva al suo tempo ; o che gli aurei adoprarono sì ma in 
iscritti per noi perduti, questo modo , questa voce può esser 
caduta sotto la penna ad uno scrittore vissuto più tardi, può 


(9) P. e. Anazethesis , Androgyne. 

(10) Affluus , aggereus , amplifluus , altivagus. = Amplifluus, definisce il 
ch. ed. , ample fluens , abundans. Sarebbe stato forse più chiaro : transl. 
abundans. 

(11) Aeromantia , anathematizatus , abracadabra, abatissa, anellarius. 
— Quanto ad anathematizatus si noti che anathematizio era verbo notato già 
dal Forcellini : che l’ aggiunta però del participio era una natural conseguenza 
del principio d’ analogia. 

12) Tali noi crediamo acupictus , abliguritor , aemulatrix ;  administra- 
torius , amphorula. — Administratorius è definito dal ch. ed. qui administrat. 
Anche quì si applica 1’ osservazione della nota 8. 


6r 


essere da lui stato collocato impropriamente e senz’arte; ma non 
esser però voce ferrea , modo spregevole = poi; perchè la forza 
dell’ ingegno e del sentimento ; la raffinatezza a. cui, ne’ secoli 
posteriori sono state portate certe idee, ne’ tempi di Cesare e 
d’ Augusto ancor nuove all’ umanità , possono anco ad uno scrit- 
tore men felice avere ispirato qualche frase, qualche vocabolo,, 
non solo legittimo ed incolpabile ma originale e potente. Egli è 
perciò che certe voci adoprate da Ovidio, io esiterei molto ad usar- 
le, e cert’ altre di Giovenale le adoprerei francamente: e in Lat- 
tanzio ed in San Girolamo io. trovo vocaboli e modi che se aurei 
non si vogliono, certo niuno che senta bene in latinità, vorrà ri- 
gettare per ferrei. Da ciò non viene che tutti i secoli sieno uguali 
a un dipresso ; nè che il genio possa supplire alla mancanza 
del gusto; nè che la lingua latina non abbia la sua epoca pri- 
vilegiata di purità e di bellezza : ma quel chio voleva indicare 
si è che la maggiore o minore antichità del vocabolo è qualche 
volta un fallace criterio a determinarne l’ intrinseco pregio (13). 

Ma posto che l’ egregio editore padovano, lasciando quasi 
da un canto le illustri pagine del secolo di Cicerone e d’ Au- 
gusto , (14) ha quasi limitato le sue cure a scrittori di più bassa 


(13) Questo principio lo trovo confermato dall’ autorità d’ nomo espertis- 
simo nella lingua latina. Il cav. G. B. Zannoni nell’ingegnosissima illustrazione 
del marmo puteolano (p. 42). “ E vero che citando la Volgata, cito esempio 
os di scaduta latinità. Ma siamo noi certi che ogni significato che nella scaduta 
»» trovasi, e nella buona or non trovasi, non abbia mai a questa appartenuto ? 
3» No certamente : e massime se vi si, vegga conservata l’ analogia, come nel 
3» Caso presente ,,. 

(14) Chiunque abbia preso la pena di confrontare il lessico Forcelliniano 
con un libro classico qualunque , avrà veduto la molta ricchezza che in. quel 
dizionario , del resto ricchissimo e forse di tutti il più bello , non è registrata. 
Ma per darne in piccolo un saggio, prendiamo il primo capo, vale a dire una 
pagina del bel trattato de claris oratoribus ; confrontiamolo non con tutto il 
lessico del Forcellini, ma coi finora usciti fascicoli della edizione novella. Ecco 
le aggiunte che vi sarebber da fare. I. Communico. Gosì assoluto, manca d’esempi. 
Alter ab altero adjutus et communicando et monendo et facendo. II. Diligo. 
Semetipsum diligere, potrebbe parere frase dubbia, ed è di M. Tullio. Illius 
vero mortis opportunitatem benevolentia potius quam misericordia prosequa- 
mur, ut quotiescumque de clarissimo et beatissimo vero cogitemus , illum po- 
tius quam nosmetipsos diligere videamur.: III. Domesticus, nota il Forcellini, ad 
nostram civitatem pertinens. Nel seguente es. domesticus ha senso di ad nos- 
metipsos pertinens. = Nam si id dolemus ; quod eo jam frui nobis non licet , 
nostrum est id-malum: quod modice feramus, ne id non ad amicitiam sed 
ad domesticam utilitatem referre videamur. IV. Il Forcellini nota acerbitas 


pro calamitate , aegritudine ; e ne reca due esempi, ne’ quali non veggo la 


69 


lega, v’avrà forse , io nol nego , taluno il qual potrebbe deside- 
rare che più larga in questo campo egli avesse voluto far la 
ricolta : e che se le voci nuove soltanto e i modi più singolari 
egli volea spigolare ; si fosse rivolto a quegli scrittori che con 
minore fatica gli avrebbero somministrato materia più abbondan- 
te (15). Ma noi dobbiam rammentare la norma che abbiamo im- 
posta a noi stessi : di ringraziare il benemerito donatore di quello 
che darci gli piacque, e non pretendere più là con ingordigia 
importuna. 

Se non che la gratitudine che al suo lavoro dobbiamo non 
ci dee togliere il desiderio di quel più e di quel meglio che in 
simili lavori possiamo aspettare dal tempo. E però , dopo ringra- 
ziato il degnissimo editore di ciò ch’ egli ha fatto per rendere più 
perfetto il bel lavoro del Forcellini, ci sia lecito indicare que’di- 
fetti che ancora vi rimangono da correggere , que” vuoti che son 
da supplire, e quei nuovi ornamenti de’quali ad un uomo solo, 
per quanto dotto e diligente egli sia, sarebbe cosa impossibile 
formrlo in un tratto. N 


Ed appunto la ricca messe che un nuovo editore potrebbe 
raccogliere dagli aurei di frasi, e di frasi e di voci dagli scrittori 


voce adoprata nel modo che è nel seguente : Sin, tamquam illi ipsi acerbitatis 
aliquid acciderit, angimur. V. Il Forcellini alla voce interpretor, par. 3 , nota 
est etiam in bonam aut in malam purtem accipere; e reca tra gli altri l’esem- 
pio di Gicerone così: Grato animo alicuius felicitatem interpretari. Io non 
eredo che questa citazione dia un senso ben chiaro ; e credo che interpretari 
in quel passo non significhi propriamente in malam partem accipere, Eccolo in- 
tero: Sin tanquam illi ipsi acerbitatis aliquld acciderit, angimur (parla d’Or- 
tensio ch° è morto), summam ejus felicitatem non satis grato animo interpre- 
tamur. (La felicità di non essere sopravvissuto alla repubblica). Gon simile di- 
ligenza riveduto il trattatello de C7. Or. darebbe, io ne son certo, mille aggiunte 
a un dipresso. E fossero cinquecento , sarebbe assai. 

(15) To apro a caso S. Girolamo ; e nelle prime pagine delle questioni alla 
Genesi trovo le seguenti frasi e voci da aggiungere al lessico latino. Charisma 
(in prosa) = vindicta (plurale) — ingredior (per concumbo) — matricem abys- 
sum - vernacula (sostantivo-feminino) — T'etragramma — Epiphania — Me- 
ridianum (sost. per meridiem) — Di voci geografiche poi e di nomi propri, 
abbondanza incredibile. — Gadira, Sabatha , Sabatheni, Artabari , Babel, 
Ninive , Phutai, Philistiim , Gaza, Tripolis, Aradii , Emessa, Amath , Ge- 
rara, Gomorrha , Adama , Lise , Elam, Elamitae, Traconytis, Acarnanius , 
Cophenis , Hieria , Charra, Sara, Engaddi, Amorrhaeus, Phoenix ; (op- 
pidum) , Iordanis, Sodomaeus , ec. ec. Si dirà forse che questi vocaboli 
non entrano nella lingua latina ? E perchè no , se il Forcellini ne registra di 
simili, di men buoni, di autenticati da esempi assai meno autorevoli ? Se 
taluni di questi sono da credere voci di un tempo alquanto anteriore e di pretto 
uso romano ? 


63 


degli altri secoli. che pur sono tutt’altro che barbari, ci richiama 
all’ idea un lieve difetto dell’ opera del. Forcellini. Il quale non 
sempre ha avuto l’ozio o la cura di disporre, gli esempi secondo 
1’ ordine de’ tempi ; onde talvolta ad un passo di Cicerone .pre- 
cede uno di Seneca, e una citazione di santo Padre ad una ci- 
tazione d’Ovidio (16). Il difetto è lievissimo : ma l’averlo evitato 
porterebbe seco il vantaggio di agevolare all’ osservatore i gra- 
duati passaggi dell’ uso, e di rendere più evidenti quelle lievi 
improprietà che a poco a poco in una. lingua sì classica si ven- 
nero introducendo. 

Ma l’ ordine cronologico è assai meno importante. dell’ordine 
logico ; il quale non sempre fu dal buon :Forcellini osservato , 
sebbene anche in questa lode il suo dizionario a tutti forse. gli 
altri sovrasti (17). 

E per rendere ai lettori più sensibile 1’ ordine delle idee, 
e la ragione del passaggio che fece insensibilmente la voce dal- 
l’ uno all’ altro significato , gioverebbe appunto preporre sempre 
quel significato che fu quasi il ceppo da cui gli altri tutti si 
vennero ramificando. £l Forcellini talvolta lo fa; ma. non sem- 
pre(18): e non è cosa, a dir vero, che potesse fare compiuta- 
mente un seminarista del secolo decimottavo.. Ch’ anzi. il molto 
merito , anco in questa parte, del suo lavoro; avuto riguardo al 
tempo , e cosa quasi mirabile. 

Un’altro leggier disordine della disposizione degli esempi si 
è quello di confondere indistintamente i poetici con gli oratori, 
in modo che il lettore non dotto rimanga talvolta in dubbio se 
la frase poetica sia una licenza , un’ eccezione ,'o se si conformi 


(16) P. e. all’art. animadoersus un passo di Tacito che sta fra uno di Cice- 
rone e un di Virgilio. — Ad anima, dopo Plauto e Virgilio viene Claudiano, e 
dopo Glaudiano Lucrezio. 

(17) Alla voce animadoersio , 1° ordine delle idee richiedeva che il quarto 
paragrafo fosse preposto al terzo, giacchè questa voce non sarebbe venuta a 
significare punizione giudiziale se prima non avesse significato punizione in 
genere: e 1° etimologia del vocabolo lo comprova. — E così nel IV paragr. di 
animadverto conveniva distinguere le due specie di animayversione , e premet- 
tere la più generale. 

(:8) Rechiamone un solo esempio. L° origine del Lat. animus , anima è 
come tutti sanno il greco ay pos: giacchè l’anima come lo spirito era pegli 
antichi tutt’altra cosa che spirituale, nel senso che a questo vocabolo diamo ora 
noi. Ciò posto, io non credo che convenga porre per primo esempio l’anima del 
mantices per secondo , il soffio ancora de’ mantici; poi le anime dell’ aure e 


de’ venti; poi l’ anima in senso d’ aria elementare. 


64 

alla ‘legge ordinaria dell’ viso (19). A tal fine gioverebbe una 
qualche breve annotazioneella; od ùn bone di convenzione , per 
assicurare viemeglio  il'giudizio di coloro. a’ quali non parla ‘assui 
chiaro la propria pratica nè il proprio gusto. 

Questa delle brevi dichiarazioni è avvertenza che il Forcellini 
ebbè più volte} ed è un pregio notabilissimo del suo lavoro. Se 
non che era ‘impossibile che tutte cogliessero appunto nel segno. 
Converrebbe dunque pensare a correggere le sbagliate (20). 

Il medesimo s’ intenda detto delle spiegazioni italiane apposte- 
a ciascun vocabolo o a ciascuna frase ; le quali in alcuni luoghi 
mancano) in'altri sono errate (21): nei più però colgono felice- 
mente'il vero senso, e dimostrano: nell’egregio Forcellini una rara 
diligenza e' perizia. 

Uno de’ mezzi di tacitamente far comprendere qual sia il 
modo comune nell’ uso: quale il più raro , è il maggiore o mi- 
nor numero degli esempi. Quando la voce è citi ; giova 
allora abbondare nelle citazioni per mostrare le varie forme del- 
1° adoprarla, i vari atti, a dir così, ch’ essa prende. Quando è 
assai rara y giova allora recar tanti esempi che servano a dichia- 
rarne: il vero significato ; \e tolgano dalla mente dello istudioso 
ogni dubbio. Noi non crediamo che il Forcellini abbia in ciò te- , 
nuta sempre la giusta misura (22). 

Anche quella delle citazioni in un dizionario è cura da non 
disprezzare:  Giacchè se le' si hanno a porre sbagliate , meglio 
sarebbe non ve le porre affatto. Il Forcellini , diligente anco in 
ciò , non ha però potuto fare in modo da rendere inutile ogni 
revisione dei correttori avvenire, (23). 


(19) P. e. nell’ art. anima. Le frasi animam effundere, projicere, vomere 
di Virgilio , exstinguere di Terenzio ec. — Gioverebbe contraddistinguere gli 
usi poetici almeno col porli in fondo al paragrafo , e non confonderli con le 
frasi più ovvie e più regolari. 

(20) P. e. al paragrafo 12 dell’ art. anima, nota il Forcellini improprie 
dicitur de vegetanti plantarum vi. E cita esempi di Plinio e di Seneca. Per- 
chè improprie ? Questi significati estensivi son comuni a tutte le lingue; e il 
nostro lessicografo ne nota di ben più strani, senza però mai condannarli. 

(21) Anhelator, p. e., non è lo stesso che ansante, — Alla voce animans, 
il passo d’ Orazio : hic stylus haud petet ultro Quemquam animantem, non è 
ben dichiarato con le parole: niun uomo che viva presentemente. -— Ad ani- 
matio , ad animatrix , animaliter , manca il corrispondente italiano. 

(22) Animal p. e. ha troppo pochi esempi. — Animatus (“che , per dirla 
in passando , non è tutt’ uno quand’ esprime affezionato e quando significa di- 
sposto ) in questo secondo senso meritava una maggior copia d’ esempi. 

(23) All’ art. animans , i due passi di Luerezio sono I, 351, e II. 943. 
— Alla v. animadverto il passo di Terenzio è 4. 5. 28. 


65 

Ma nelle citazioni v’ ha una cura molto più importante da 
usare ; ed. è che nel passo citato nulla soprabbondi e nulla man- 
chi all’ esatta intelligenza del senso. Questo nel lessicografo pa- 
dovano è uno de°difetti più notabili e de’ meno infrequenti (24). 

E questo mi richiama alla mente un uffizio del lessici- 
sta. più riguardevole ancora ; voglio dire la scelta della le- 
zione più retta. Anche qui molto gusto e molta critica dimo- 
strò il Forcellini : ma i grandi lavori eseguiti sul testo de’ clas- 
sici da’ dotti specialmente stranieri negli ultimi anni del secolo 
passato e nel principio del nostro , offrono a un novello editore 
largo campo di dichiarazioni , di correzioni, d’' aggiunte, delle 
quali alcune il ch. Furlanetto raccolse: e spetta ai suoi succes- 
sori seguirne 1’ esempio (25). 

Nè l'accrescimento che al dizionario verrebbe dalle nuove 
giunte e dalle brevi annotazioni necessarie all’ intelligenza de’passi, 


(24) Pigliamo ad esempio l’ art. animans. Il passo di Cicerone de Natura 
Deorum II. 47 è recato dal Forcellini così: Animantium aliae coriis tectae 
sunt , etc. Dalla qual citazione si verrebbe a dedurre che animans 5° accorda 
assai bene col femminino. Ma il passo di Gicerone dice: Animantium vero 
quanta varietas est? Quanta ad eam rem ois , ut in suo quaeque genere per- 
maneat ? Quarum aliae coriis tectae sunt etc. Quì si vede che |’ animans è 
neutro dapprima; poi non è già esso che diventi femminino, e s’ accordi col 
quarum , ma egli è che Cicerone come fanno tutti gli scrittori in tutte 
le lingue, sottintese quì delluae 0 destiae , che sono appunto. nominate più 
sotto. Così nel Petrarca: Ivi è quel vivo nostro e dolce sole..... Forse o 
che spero ! il mio tardar Le dole ,, dove non è già il sole che diventi 
femmina , è Laura in quel sole figurata dall’amante ; Laura a cui quasi involon- 
tario il discorso ritorna. Frase naturalissima , e classica, e bella; non a ragione 
condannata dal co. G. Perticari. = Del resto quand’ anco la. costruzione dal 
Forcellini voluta fosse la vera, tanto più conveniva recare intero il passo del- 
1° autore per dare a conoscere , qual è veramente, cotesto singolare costrutto. 
— Una simile inesattezza trovo in altri passi del medesimo articolo. 

(25) Confrontando un giorno per mia istruzione il testo di Plauto con uno 
de’ codici che n° ha la Riccardiana (e che non è certamente de’ belli) , io 
trovavo alcune varianti utilissime da fare, e alcune altre, che, quand’ anco 
non fossero accettabili , meriterebbero d’ esser notate. P. e. nell’ Amphitruo 
Prol. 143 pennulas } per pinnulas. = II: Al v. 126 (non 123) gli stampati por- 
tano : Ut praeservire amanti meo possem patri. Il nostro codice : perseroire , 
ch’ ha un solo esempio di Vopisco. E il senso a dir vero porta meglio il se- 
condo. = II. Scena I. v. 78 il comune: spiritu atque anhelitu. Il nostro : spi- 
ritus anhelitu. = IV. ivi v. 113. Atque hunc telo suo sibi malitia a foribus 
pellere. Molto meglio il nostro : telo suo , sua malitia. = V. Ivi v. 126. Il 
comune : appotum. Il nostro : adpotun., ch’ è la medesima parola, ma che 
suona assai meglio. = VI. Scena 3 v. 15. Il comune: Prius abis, quam 
lectus ubi cubuisti concaluit locus. Il nostro: lecti. Ghe non ha bisogno di 
lunga interpretazione , come l’ altro : ec. ec. 


T. I Gennaio 9 


66 


vi porterebbe uno straordinario ingrossamento di mole. Detraendo 
qualch’ esempio inutile, scegliendo un carattere alquanto più 
minuto , riducendo al puro necessario le abbreviature delle' cita- 
zioni, si verrebbe ad ottenere un risparmio grande di spazio. 
Molto più se certe definizioni duplicate , inutili affatto , fossero 
tolte via (26); e se la distinzione dei significati d’ una voce, 
chiaramente data in un articolo , non si venisse a ripetere negli 
articoli delle voci derivate od affini. (27) Questa specie d’ omis- 
sioni non nuocerebbe punto alla chiarezza , ch’ è dote in tali 
opere necessaria. - 

Ma la chiarezza appunto pare a noi che richiegga talvolta 
‘alcune più precise suddivisioni d’ articoli, ove si tratti di segnare 
certi participii , o certi superlativi, insomma una forma distinta 
di voce. Giacchè non tutti i vocaboli soffrono certi derivati; nè 
I’ analogia in lingua alcuna è legge invariabile. In questi casi 
pertanto non sarebbe già necessario formare di detti derivati un 
articolo distinto : basterebbe nell’ articolo stesso della voce prin- 
cipale distingnerli con carattere differente (28). 

Molte altre proposte di questo genere potremmo noi fare ; e 
applicarle poscia al dizionario italiano, che con simili avvertenze 
sarà senza dubbio accresciuto e corretto nella edizione che se 


(26) La voce animadoersio è definita consideratio , attentio , notatio. = 
Poi animadoersor , qui animadvertit et attente obseroat. = Poi animadversus, 
animadoersio , castigatio. = Poi animadoersus, consideratus, perspectus , co- 
gnitus. Poi animadverto , animum adoverto, attendo, considero, cognosco. Pri- 
mieramente la definizione varia ne’ due varii luoghi ; il che non è un pregio : 
poi 1’ una sola di queste, ben fatta, rendeva inutile l’altra. L’ inutilità sarebbe 
il minor male , se molte volte la voce stessa in una forma grammaticale non 
fosse definita all’ un modo , e altrimenti in un’ altra. 

(27) Per esempio , quando ad animadverto io ho notati i vari significati di 
considerare, di punire ec. non è necessario ch’io faccia le medesime distinzioni 
ad animadoersio , ad animadpersus. Si sottintende gia che i sensi d° animad- 
verto li debba avere anco il suo participio. E se di questo io fo un articolo 
liverso, nol fo se non per notare quelle particolarità d’ uso che del participio 
son proprie ; 0 per fermarmi sui sensi speciali che può avere'la voce derivata, 
a differenza di quella da cui deduce l’ origine. = Con questa norma condotti i 
dizionarii , quanto vi s’ acquisterebbe di spazio ! 

(28) Animans participio io non credo che vada confuso con animans so- 
stantivo , in modo che questo non s’\abbia a credere che: una varietà d’ uso o 
di senso. E:siccome quì credo necessaria una distinzione più forte , così credo 
inutile fare un paragrafo del participio animadvertens, per rtecarne uh esempio 
di Giustino. Chiunque sa di grammatica», intende: bene che questo participio 
sta in regola . ed è aureo, come ‘se ne avessimo dieci esempi di Cicerone ‘0 di 
Gesare, Se questa regola non si adotta ; di tutte le formole grammaticali, nodi, 


tempi, -anmeri ec. converrà fare un distinto. paragrafo. 


67 

ne sta preparando. Ma quando pensiamo al privcipale scopo di 
questo giornale , ed al tedio che d’ ordinario accompagna simili 
discussioni , temiamo d’esserci fermati già troppo su questo a noi 
non ingrato argomento. Gli esempi de’ difetti che nell’ opera del 
Forcellini siamo venuti notando , li abbiam quasi tutti presi da 
due o tre pagine sole, acciocchè non fosse tacciata di sover- 
chiamente severa ed acerba la nostra censura. E avremmo potuto 
moltiplicarli a piacere se mille ragioni di convenienza non ce 
n’ avessero ritenuto. Ma che perciò ? È egli da credere che con 
tutti i notati difetti 1’ opera del Forcellini, non sia degnissima di 
ammirazione , di lode, e di gratitudine? -- No certamente : in 
lavori siffatti chi fa le maraviglie degli errori che può riscontrarvi, 
chi le porta quasi in.trionfo, come una prova pa'pabile d’ igno- 
ranza, costui non ha per esperienza provato quanto sieno, dif 
ficili. ad adempire i, doveri d’ un buon lessicista. Noi che in 
due pagine sole del lessico Forcelliniano avremmo potuto sco - 
prir tante. piccole. macchie quante altri non ne ha.trovate in 
molte e molte pagine del. dizionario della Crusca , nou solo, non 
ci facciam lecito di.spregiarlo però; ma volentieri adduciamo que- 
sto come un, evidente argomento della impossibilità «d’evitare in 
simili opere il biasimo dei malevoli, e di rendere inutili le cure 
degli editori avvenire. 

E però ci.fa maraviglia insieme e dispiacere il sentire i nuo- 
vi editori del lessico latino in Germania, con sì dure parole avvilire 
e l’opera del buon, padovano e le giunte di cui l° ha arricchita il 
ch. Furlanetto.‘ Interim cupide exspectamus tertiameditionem pa- 
3», tavinam curae Furlanettonis mandatam, quam locupletissimam 
fore, exspectare et debebamns et jubebamur. Affertur tandem 
ss libri particula prima: inspicimus,; legimus , relegimus, singu- 
sy. la accurate .consideramas: quid putas,, Jahni? nihil usquam 
,, reperimus. quo nostra inutilis reddatur opera; verba quidem 
> videmus addita permulta , maximam partem non nimis bonae 
» notae ; locus scriptorum additos paucos, nonnullos suo loco mo- 
yi itos , correcta. pauca. Quod. maxime quaerendum esse puta- 
» veramus, ut quae de verborum significationibus non semper 
», accurate; saepius minus dilucide , saepe sine ullo ordine For- 
»» cellinus tradidisset , quas verbarum significationes omisisset, 
35 quos insignes locos neglexisset, quos minus recte intellexisset, 
»» aut ubi minus aptam scripturam secutus esset, quae in parti- 
»» cularum maxime doctrina confuse atque adeo inepte fere ubique 
3» proposuisset , ea auctiora., accuratiora , clariora , emendatiora 
»» prodirent ; in his tantum abest ut ad spem nostram accesserit 


68 


»» Italus editor, ut gravissimam et-difficillimam operis partem 
, intactam , et rem integram esse facile intelligeremus. Verum 
.s haee non ita dixi, ac si aut ille nihil quod frugi esset, 
,, attulisset (neque enim alioram bonis spernéndis gloriam quae- 
,; rimus ) aut nos omnes illas officii partes expleturos omnibus 
»» que satisfacturos, putarem; quod scio quam sit difficile, et 
», ardanm, ,, i 

Quest’ultime parole sono sufficiente risposta alle critiche che le 
precedono: e un nuovo editore potrà volendo ripetere contro gli au- 
tori di questo rimprovero il rimprovero stesso. Per criticare il mi- 
gior dizionario che cura umana dar possa, basta volerlo. Potevano 
que’ dotti tedeschi compiere l’ uffizio loro con dignità, senz” ab- 
bassare l’opera altrui: potevan anco notare i difetti deli’ ita- 
liano lavoro, ma con parole men dure. Io non vorrò quì lamen- 
tarmi della spiacevole alterigia con cmi certi eruditi stranieri so- 
glion trattare la dottrina e i lavori degli scienziati italiani : inu- 
tili querele contro accuse che volesse il cielo cadessero sempre 
in fallo. Ma siami lecito rivolgere due parole agl’ italiani stessi, 
e mostrar loro quanto sia facile in opere simili a quelle di cui 
trattiamo, ed errare, e lasciare incorretti gli errori altrui: e siami 
lecito pregarli che , se mai, vinte le lunghe e non inesplicabili 
ripugnanze , uscirà finalmente alla luce il rinnovato ed ampliato 
dizionario della Crusca , non vogliano con ingiurie e con ischerni 
corrispondere alle benemerite cure d’ uomini che non li ‘han pro- 
vocati. Oh non son questi i tempi dolle guerre filologiche e 
delle animosità pedantesche! 

Innanzi di finire rendiamo al sig. Furlanetto sincere le lodi e i 
ringraziamenti che merita il suo bel dono. Ma non tacciamo che 
un mezzo facile a lui rimaneva di grandemente arricchire il suo 
Forcellini , approfittando dell’ opera non solo di que’tanti maestri 
dlel seminario dov'egli vive, molti de’quali d’altro non s’occupano se 
non di latino, ma e de’ più maturi ed intelligenti tra gli alunni , i 
quali, o con lievissima ricompensa, o per il solo premio dell’onore, 
o meglio per esercizio scolastico potevano essere chiamati a parte 
degli spogli de’ classici, e potevano + quanto a frasi degli aurei, 
porgere una serie incredibile di belle ed utili ‘giunte. Che se i 
lavori di codesti giovani fossero riusciti troppo meccanici, e bi- 
sognosi di correzioni o di ordinazione migliore , tali difetti po- 
tevano poi facilmente, raccolti i materiali, essere dall’editore me- 
desimo riparati. Bastava dare agli alunni un libro intero da 
spogliare, da notar tutto quello che manca nel Forcellini: le 
agginnte inutili era ben facile dipoi rigettarle. To credo certa 


69 
mente che gli alunni d’ un seminario abbiano qualcosa meglio 
a fare che ad occuparsi per tant’ anni di pretto latino: ma posto 
ch? e lo fanno , io credo che un lessicografo poteva da'loro eser- 
cizii trarre un grande profitto. Ne’ lavori d’erudizione havvi una 
parte quasi meccanica che giova affidare a’manovali della lette- 
ratura; anche qui l’ introduzione delle macchine può risparmiare 
assai noie, assai tempo: e se vha fatica che ‘tenga del macchi- 
nale , gli è certamente lo spoglio de’ testi. Ordinar poi questi 
spogli, scegliere, dichiarare; mostrare il vincolo delle idee , ela 
relazione delle idee con le voci, è opera propria solo d’ un les- 
sicista filosofo, 0 d’uomo almeno dalla natura dotato di più che 
mediocre accorgimento e criterio. E questo delle macchine lette- 
rarie sarebbe tema assai fecondo , e forse non inutile ; ma coloro 
a cui le nostre osservazioni potrebbero in qualche modo giovare, 
non ci avranno per certo seguìto nella lettura di questo non pia- 
cevole articolo; onde sarebbe opera perduta volerle qui collocare. 
Ci sia perdonata la lunghezza soverchia : ‘essa dimostra almeno 
che se noi alziamo la voce talvolta contro il latino insegnato 
a’figliuoli de’muratori e de’calzolai, nol facciamo già per arrogante 
disprezzo d’ una lingua sì bella. 


a _K. X. Y. 


Storia dell’ Impero Osmano ec. del cavalier de Hamnxr ec. 
volta! in italiano da SAmveLe RomanINI. Venezia 1828. 


Non vi è erudito, cui non sia noto il nome del cavalier 
Hammer. Interpetre aulico, perchè valentissimo nelle lingue orien- 
tali, fu egli varie volte nelle ambascerie austriache a Costan- 
tinopoli , ove ebbe ogni buon agio a far peregrine ed autentiche 
dovizie istoriche negli archivi ottomani. Laonde non va detto 
quel che .oguuno già per solo intende e ‘dice ; la copia cioè , e 
soyratutto l’ autorità. de’ codici, su’ quali fu, scritta 0 verificata 
la presente istoria. 

Nondimeno ne pare , che cotanta ricchezza di materia certa, 
troppo invaghendo l’ autore nella predilezione del subietto suo, 
il seducesse a magnificarlo più del dovere anche con congetture. 
Non è meraviglia, verbigrazia , se i Turchi credansi la prima e 
l’ antichissima delle genti; perocchè , ove è il popolo» orgoglioso 
sia per indole sia per coscienza delle proprie gesta , il quale. non 
rassomigli all’ Etiopo, che boriavasi il primogenito della terra, o 


VAO) 
a’ Romani , boriosi. d’esser.discesi dal. cielo ? (i). Il nostro Gio: 
Villani pagò pure egli tributo a queste universe borie gentilizie 
delle nazioni, facendo della gente etrusca la madre della troiana, 
onde così fosse 1’ ava della romana , 1’ inelita fralle più. nobili 
pe’ prodigi delle imprese. Però il buon Giovanni, oltre di essere 
toscano , lo scrivea' perchè il credea in piena fede. Ma il cavalier 
de Hammer non è Turco }. e scrive in tempi sprestigiati delle 
incantevoli tradizioni... mitologiche ;. estimate altrettante: istorie 
nel 1300. Indi non sappiamo :se ben 0 mal si apponesse ed. al 
Vero ed &1,,Bello dell’istoria dando per ceppo agli Osmanici niente 
meno che Toghorma terzogenito di Gomer. figlio. di Giàfet (2). 
Una cotanta ‘antichità di prosapia non sarebbe ammessa nepr 
pure da poeti. piacentieri come Virgilio ed Ariosto; o da que’piag- 
giatori genealogisti, che verificarono la prima scaturigine del,san= 
gue e del cognome di Napoleone da una , ignoriam chi , Bona 
Parthica , amica 0, moglie! di Traiano. Nè punto non'si comprende 
come mai il testè detto stipite turco.di sangue giapetico, si trasmù> 
ti poi in mano del nostro istorico nel Targitao d’Erodoto. È più 
che congettura il. dire., che questo autore intendesse a. parlar 
de’ Turchi in parlando del prefato!Targit@o ; primo uomo pro- 
creato in quella deserta terra scitica da Giove con una figlia 
del Boristene (3). E non men congetturale ne sembra 1’ asser- 
zione, che il padre dell’ istoria avea scritto Turke e Turghi , 
nel nominare i popoli Jorke.a. Amurghi', nomi. a noi giunti così 
travisati' sol per isbaglio de’ copisti. Lasciando. adunque gli El- 
lenisti nella jgiurisdizione loro in codeste torture etimologiche , 
lasceremo ognuno nella piena libertà: di .credere' o. non ;credere 
ciò che più vorrà circa illignaggio vetusto 0 ‘fresco di Osmano. 

Sulle quali :superbie popolari; già sì frivole per se stesse , 
è degno: dè’ .nostri lettori che si ridica il detto di Federico il 
Grande sull’incerta età della: sua casa; gli uomini non sono forse 
tutti eguali in antichità di stirpe ? (4) Ed oltreaciò , è impossi- 
bile ogni ‘notizia sulla famiglia progenitrice d’ogni popolo , per- 
chè le sorgenti di tutti i popoli scaturiscono da alti tempi di 
tenebre e di silenzio, ove non giunge nè la tenta dell’istoria nè 
quella della ragione speculativa. La prima non risale più in là 


(1) De coelo demissos Livio. 
(2) V: Genesi Cap, X. 

(3) V. Erodoto Lib. IV Cap. V. 
(4) V. Memorie di Brandebiwgo. 


1 
dello stadio in cui una gente, incominciando a farsi nota con le sue 
gesta, imprende a conservar la memoria de’suoi fatti pria con la 
tradizione e poi con la scrittura. Quanto alla seconda , le sole lin- 
gue potrebbero essere lapidi della parentela o cognazione delle gen- 
ti, se un tale indice non fosse divenuto infedelissimo per 1’ abuso 
o mal uso che ne fecero gli etimologisti. Del che giovi a testimonio 
lo stesso cavalier de Hammer, comunque sì dotto in etnogra- 
fia, così torturando le parole Terek, Amurghios, Iorke, Tar- 
gitaos e Toghorma , per lambiccarne stentatissima analogia con 
la voce Turchi. 

Questa genealogia analogica va poi in aria riflettendo , che 
tutti i popoli non mai presero il nome da un uomo riputato loro 
progenitore, ma bensì da ‘accidenti o geografici 0 d’altro genere. Così 
per esempio significano orientali gli Anatoli, boreali i Normanni, 
pastori gli Arabi, padri i Tartari o Tatari, Lungo-astati o Lungo- 
barbuti i Longobardi, Lambenti gli Amaleciti, Megri i Suda- 
nesi ec. ec. Lo stesso popolo eletto , benchè il solo che abbia 
una filiazione certa sia da Abramo sia da Giacobbe, non si de- 
nominò intanto nè Abramiti nè Giacobbiti, ma Îsraeliti ossia pre- 
valenti in Dio , ed Ebrei cioè transienti. 

La natura chiuse la genesi delle nazioni in un mistero quasi 
inviolato ed inviolabile come 1’ altro della generazione animale. 
In quel tempo di silenzio e di tenebre , testè mentovato, il solo 
fatto, assioma della dottrina che il Vico disse Filologia ; oggi 
detta Filosofia dell’Istoria , e che noi diremo Ystoria razionale , 
è che si ingenerano i popoli col moltiplicamento delle fa miglie 
mercè i matrimonii degli individui di una famiglia. Ma, nonchè 
essere vano, è anzi assurdo il voler specificare la discendenza di 
un popolo dal tale o dal tale altro individuo. Nell’età primitiva 
e primordiale delle genti gli uomini non ‘hanno nomi propri. Tn 
questa età, ogni cosa è un arcano per l’ Istoria scritta ; la quale 
non altrove incomincia se non dall’ apparir che fanno sulla terra 
nuove genti, sbucando da dietro a quel sipario opaco ed impenetra- 
bile ove si ingenerano e moltiplicano. Così, per esempio; la notizia 
istorica del mondo greco-latino esordisce dalla:comparsa delle nazio- 
ni aonie pelasghe e doriche nell’occidente. Così pure quella delle 
genti moderne prende la. sua mossa non più in là dell’ appari- 
zione de’ Barbari , quando tutto il genere umano parve infermo 
della febbre delle migrazioni a nuovi domicili , tostochè l’oriente 
diluviò sull’ occidente Franchi, Goti, Vandali, Gepidi , Eruli, 
Unni, Longobardi , Arabi ec. ec. Niuno non sa nè può”sapere 


72, 

i padri di questi Barbari cristiani (5) , come niuno non può sa- 
pere i progenitori di que’ Barbari mitologici. 

Conformemente a queste idee, quai che. sien elle, lasce- 
remo 1’ albero genealogico de’ Turchi dal pronipote di quel Noè, 
da cui, secondo la Bibbia, alcerto discendono insieme’ con tutto 
il resto dell’uman genere , e salteremo al 13.” secolo, nel quale 
la sudetta gente incomincia ad avere certezza di istoria. La di- 
remo adunque col nostro Paolo Giovio (6) una tribù tartara , 
migrata fralle tante tribù che la Tartaria lanciò sull’Asia e sul- 
l’ Europa. Vuolsi credere di là migrata assai posteriormente alle 
testè memorate grandi migrazioni , attesochè assai più tardi delle 
genti nuove de’ secoli 5.° 6.° e 7.° imprese ad aver fama ìstorica 
fra’ popoli. Il sig. de Hammer la dice un popolo cacciatore. Noi 
Ja diremo un popolo pastore , vistochè le sole tribù pastorali sono 
e possono essere conquistatrici, essendo impossibile il con- 
quisto ed alle agricole, che quasi mai non lasciano i campi già 
colti, ed alle cacciatrici , sempre troppo deboli per conquistar 
nuovo domicilio sovra altre genti. Pare che si soffermasse fissan- 
dosi nella meridionale regione interposta fra l’Aral ed il Caspio. 
Ivi vivendo in clima più mite e sovra suolo più fertile o salubre 
del natio, crebbe man mano in numero e robustezza. Così adul- 
tiva, fece quel che naturalmente dovea fare , e che fanno tutti 
i popoli novelli; la rapina cioè, e perciò la guerra con le tribù 
propinqne. A questo stalio iniziale successe l’altro , che sempre 
succede quando vanno felici i primi fatti d’armi d’ogni popolo 
nuovo ; ossia l’ ampliazione e quindi il dominio del territorio per 
cui si guerreggia. Ed ecco il vero ed il certo che l’istoria razionale 
cava di puro da mille volumi, che gli scrittori orientali, assai 
più romanzieri che storiografi perchè sempre avidi del maravi- 
glioso , scrissero sulla nascita , infanzia, fanciullezza, pubertà e 
adolescenza turca. 

Fin quì noi. Ora il cavalier de Hammer. Da? figli di Oguz- 
Kan, contemporaneo di Abramo! e primo fondatore si della po- 
tenza come della coltura turca !! discesero tre rami o dinastie; 
i Selgiucchi , gli Oguzi e gli Osmanici. Regnavano i secondi nel 
Turchestan, e nella Bucaria i primi. I quali, man mano con- 
quistando il Korasan,; le Indie e la Persia, da stipendiati de’Ca- 


(5) Allusivamente all’ epoca del Cristianesimo , come dicemmo Mitologici 
gli altri in allusione all’era della Mitologia. 
(6) V. Gomentarj sulle cose de’ Turchi. 


73 

liffi si insignorirono del califfato , e presero il titolo di Sultani. 
Quindi avendo guerre co’ Tartari mongolli , furono soccorsi da 
Ertrogoul , regolo degli Osmanici abitanti intorno ad una  pro- 
vincia Armena presso Erzerum. In ricompensa di questo servigio, 
il sultano selgiucco Aladino lo infeodò signore della provincia 
istessa. Ed ecco il sunto, che ne è parso di doversi estrarre 
da’ due primi libri dell’istoria in esame , oltremodo pingui d’eru- 
dizione ; però d’ erudizione assai conghietturale o poetica fino ad 
Ertrogul , che era in Anatolia sul finire del XIII.® secolo quel che 
erano stati nell’ XI.° i Normanni Guglielmo braccio di ferro 0 Ro- 
berto Guiscardo in Italia. 

In Ertrogul incomincia la certa istoria ottomana. Da lui 
nacque Osmano , il primo Sultano fra’ Sultani Osmanici,. prin- 
cipe bellicoso e fortunato in molti conquisti di provincie adia- 
centi , fin da quando regnava il padre. Alla costui morte , egli 
esordì il suo regno col parricidio di Dindar suo zio paterno, non 
per altro se non perchè davagli questi in un consulto di guerra 
il buon consiglio di attendere la primavera, e non imprendere 
in un crudissimo inverno l’espugnazione del castello di Kopri- 
hissar. Del quale immane delitto avremo lunga serie di orrendi 
esempi ne’successori suoi. E non va taciuto che il cronichista turco 
Edris, mentre confessa che passa in silenzio le azioni biasime- 
voli de’ Sultani, annovera fralle laudabili l’uccisione di Dindar. 
Dal che è lecito inferire, che se egregie azioni eran riputati questi 
omicidi nel proprio sangue , quanto mai nefarie ed esecrande esser 
doveano le taciute come riprovevoli ? Noi confessiamo d’ aver fi- 
mora creduto le mille nefandigie ed atrocità ottomane, come al- 
trettante calunnie o almeno esagerazioni degli storici bizantini , 
in ciò trascinati sia dall’ abominio religioso , sia da’disastri patiti 
.per man de’ Turchi. Ma il cavalier de Hammer, oltre d’ aver 
confermatu con notizie autentiche ciò che già sapeasi enon cre- 
deasi circa gli orrori domestici di questa gente, ne ha ingigantito ed 
impinzato l’ orrido volume, talchè egli istesso dice: L'uccisione 
dello zio non è che la soglia sunguinosa, la quale conduce alla 
lunga galleria delle stragi de’ parenti ; stragi comuni ne’seguenti 
regni de’ principi osmanici. 

Durante il regno di, Osmano , che man mano impadronissi di 
tutta l’occidentale Asia minore, sorse ed imperversò quel reo 
tempo, da’ bizantini detto pirateria turca. In breve tutte le isole 
dell’ Arcipelago e le coste dell’ imperio greco. furono corse , ra- 
pinate , arse e deserte. Di Scio, sovrattutto, non restò pietra 

T. I. Gennaio 10 


74 
sovra pietra ; come se fosse perpetuo suo destino quello d'essere 
a quando a quando flagellata da terribili calamità ; e ciò fu no- 
tato anche dal nostro autore col pensiero più poetico che istorico 
di un fato ognor tragico , sempre € frequentemente prefisso alla 
bellezza romantica. In occasione del quale eccidio e di tutte le 
mille enorinità piratiche di quell’epoca , pretende egli che non 
Turchi ma Turcomanni fossero que’ pirati. Il che può ben essere, 
nulla non ostando che così sia. Senonchè è una troppo sottile 
distinzione, o non ammessa da chi vede in quelle genti simile il 
tenore delle scorrerie di terra e de’corseggi sul mare, o inutile , 
vedendosi dagli orrori e sul mare e sulla terra che nulla dissi- 
miglianza in ferità vi era fra Turcomanni e Turchi. 

Osmano infatti fu nel suo lungo règno , e nel continuo suo 
campeggiare  l’ Attila o il Genserico di quell’età. Vivendo sempre 
sotto la tenda e nel mezzo del suo campu, il movea perpetua- 
mente quà e là ad imprese, che meglio di conquisti si direbbero 
distruzioni. Ovunque egli andasse , lasciava per traccia del suo 
cammino una larga zona di devastamenti incendi e stragi. Non 
vi era città espugnata che non fosse manomessa arsa e rasa. La 
sola Brusa , l’ antica Prusia capitale della Bitinia , ebbe la ven- 
tura d’aver rase le sole mura , probabilmente perchè 1° espugna- 
zione fu fatta non da lui; bensì dal suo figlio Orcano o Urcano. 
Morì finalmente nel 1326. De Hammer il dice bello della per- 
sova, comunque fosse Longimano al pari di Artaserse, e di 
pelle assai bruna, onde era detto Kara-Osman. Fu sepolto in 
Brusa , e gli successe il testè nominato Urcano o Orcano. 

Lo stesso de Hammer dice che Osmano fu il Romolo, ed 
Urcano il Numa de’ Turchi. A noi non così pare, essendochè il 
primo visse ognor da capo-masnada , senza mai fisso domicilio,, e 
senza provvedere al menomo instituto civile o militare. All’ in- 
contro il secondo sembra meritare d’ esser qualificato co’ nomi 
del conditore e del legislatore di Roma. Imperocchè , comunque 
proseguisse l’ impresa del padre co’conquisti di Nicea e di Nico- 
media , era però di spiriti assai men selvaggi e più politici. Ab- 
bandonando la vita errante e la stazione della tenda, fermò in 
Brusa la residenza sua e del governo. Se non fu precisamente il 
Numa turco, perchè il culto islamitico era già professato dal 
suo popolo, fn però lo statuario del primo codice civile de’Tur- 
chi; dell’Urfiz; ossia legge arbitraria, così forse detta per di- 
stinguere la legislazione umana, che può essere cangiata, dalla 
divina , la quale presso tutti i popoli è sempre tenuta come im- 
mutabile. Vero è che nell’ Urfiz non si provvide se non a tre 


79, 
soli oggetti; ad alcune ordinazioni suntuarie, cioè, sulle fogge 
delle vesti e de’ turbanti ; al valore e corio della moneta nazio- 
nale ; ed a comporre nonchè ordinar l’ esercito. Indi il dicemmo 
il Romolo osmanico. Sotto Ertrogul e sotto Osmano, tutta la na- 
zione faceva la guerra in massa , perchè tutta la nazione viveva e 
campeggiava attendata ognor alla tartara. Ma. fissa e ripartita 
ormai in borghi villaggi e città, si sentì la necessità di un eser- 
cito. Allora fu ideato e messo in piedi il corpo de’ Giannizzeri; 
e siccome si esperimentò impossibil cosa il disciplinare alla vita 
della milizia uomini ancor vaganti e  semiselvaggi, quali erano 
allora i Turchi, così fu imaginato ed eseguito 1’ espediente di 
andar rapinando giovinetti cristiani, per crescerli ed educarli sì 
alla mussulmana come alla disciplina nella milizia suddetta. 

Intanto erano gia incominciate le incursioni dall'Asia minore 
nelle prossime provincie europee ; ed il nostro istorico ne novera 
venti e più durante il solo regno di Urcano. Laonde avvenne 
che 1’ imperatore orientale Andronico il Giovine, o III.° , risol- 
vette di mover guerra agli Osmanici. Al quale uopo passò in 
Asia , fu battuto a Maldepe, e dovè comprar la pace con molte 
terre e molto oro, nonchè con due figlie date in mogli o donne 
al vincitore. Le povere principesse furono e sono sempre le ostie 
immolate a temperar le ire di nemici formidabili. Dava Priamo 
la bella Polissena ad Achille uccisore di tutti i Priamidi ; dava 
Carlo il semplice la sua figlia al normanno pirata Rollone ; dava 
Guaimario IV.° o Gisulfo I.° Sicelgaita allo scorridore Roberto 
Guiscardo. Il lettore dirà perse solo i tanti altri esempi di que- 
sti matrimoni, men tregue che insidie de’ vinti co’ vincitori. I 
connubi son suggelli di pace o di più stretta amistà fra’privati, 
ma non mai fra’ principi. 

Ne” libri 3.° e 4.° della opera che andiamo esaminando, l’an- 
tore largheggia non poco in descrivere i vari ordini del monacato 
turco ; i varii monasteri fondati da Urcano , e i vari gradi delle 
canonizzazioni islamitiche de’ così detti Santoni. Egli memora 
inoltre molti di questi Santi o Semidei Ottomani, e specialmente 
di quegli eroi beatificati , che facean prodigi di valore in guer- 
reggiar cavalcando cervi, e combattendo con isciabole di legno 
lunghe cencinquanta braccia. Ogni popolo ha nel sno medio evo 
i suoi Paladini ; guerrieri invero non più nè meno d’ogni altro 
guerriero , però magnificati dalla fantasia popolare, cui.son delizie 
le meraviglie poetiche. Adunque è giusto che li avessero anche 
ì Turchi. Sol diremo che il famigeratissimo Sidì Battal, l’Orlando 


76 
dell’ Oriente o dell’ Islamismo , era arabo e non turco , e passe- 
remo oltre. 

Ad Urcano successe il suo figlio Amurat I.°, quello che vol- 
gendo a stabilità di conquisti le incursioni in Europa, prese Adria- 
nopoli. Quì incominciano le guerre co’ principi europei, ed in 
ispecie allorchè si vide sempre più minacciosa la presenza e per- 
manenza di questi nuovi Barbari dopo l’ espugnazione di Filip- 
popoli. Alla crociata bandita contro gli infedeli dal pontefice 
Urbano V, collegavasi Ludovico re di Ungheria co’ dispoti di 
Servia di Bosnia di Vallachia ec. Si venne adunque a battaglia 
presso al fiwme Marizze, e la persero i cristiani. Ludovico, già sì 
oltracotante nel darla, votava alla Vergine un tempio purchè 
campasse la vita con la fuga. Il santuario infatti di Mariazell, 
il Loreto della Stiria, è il monumento della viltà del re unghe- 
rese e della vittoria d’ Amurat. 1363. 

Dopo la quale vittoria ritornava Amurat*in Asia, lasciando 
il reggimento delle conquistate provincie europee al suo primo- 
genito Saugi. Allora avvenne un fatto orrido ed inaudito sì nel 
delitto come nella pena. Due principi, inimici e diversi di fede, 
congiuravano insieme contro a’propri monarchi e genitori; Saugi 
cioè, ed Andronico, figlio dell’imperatore costantinopolitano Gio- 
vanni V.°, pattuivansi mutuo soccorso per disfarsi de’ padri loro 
ed usurparne il soglio. Scoperta la cospirazione dal sultano, facea 
questi uccidere tutti i complici ed accecare Saugi, che fu poi 
ucciso anche esso. Quindi esigea imperiosamente dall’ imperante 
greco perchè uguale giustizia fosse fatta di Andronico 5 ed era 
obbedito. Andronico perdea gli occhi mercè il lungo martirio di 
tenerli aperti sotto la doccia di aceto fortisimo e bollente. Quando 
leggesi l’istoria atroce di que’ tempi e luoghi, non si sa dire chi 
più faccia inorridire | se i Bizantini o gli Osmanici. 

Gli Osmanici al par di tutti gli orientali sono poligami. 
Laonde Amurat , comunque avesse con molte mogli asiatiche 
anche un’ europea figlia di Sismano dispoto di Bulgaria, sposò 
pure una principessa bizantina, figlia o sorella dell’imperatore 
Giovanni. Diede inoltre due altre principesse imperiali a’ suoi se- 
condogeniti Takub e Baiazette. Nell’ ordine naturale de’ matrimo- 
ni, l’uomo prende pria la sposa, e poi la dote. I principi tur- 
chi facean l’opposto ; essi prendeansi pria le provincie, e poi le 
principesse dell’imperio, che quasi era ridotto al solo pomerio di 
Costantinopoli. 

Amurat infatti volle insignorirsi della Bulgaria ; ed allora 


x 


4, 


riarse la guerra mercè novella confederazione d’ Ungheri , di Pol- 
lacchi, di Serviani , di Bosniaci, di Albanesi e di Vallachi. Ca- 
pitanava l’esercito Lazaro, Krale, ossia dispoto di Servia; e si 
venne a battaglia a Kossova. Era già vinta da’Cristiani, quando 
un disperato furore di Baiazette alla testa della cavalleria mus- 
sulmana , cangiò le sorti e diede la vittoria a’ Turchi. Ma ecco 
gli allori cangiarsi in cipressi al Sultano. Da? mucchi di cadaveri 
dell’ una e dell’ altra gente, vedesi muovere con segni di vita 
un uomo tutto insanguinato e trafitto , il quale dice di dover 
rivelare altissimo segreto al monarca vincitore. È portato adunque 
semivivo nella costui tenda. Quivi raccoglie le supreme reliquie 
delle forze , e fingendo di volere , all’uso delle salutazioni orien- 
tali, toccare i piedi di Amurat, gli caccia un pugnale nel cuore. 
Era il serviano Milosch Kobilovich. Bel fatto , benchè non terso 
di una ombra di prodizione! Senonchè , la morte certa forbisce 
ogni neo ne”’fatti di simil genere, e lascia fulgentissimo 
l’ eroismo. 

Morto Amurat , spettava il trono al suo figlio Iakub , ri- 
masto primogenito dopo il supplizio di Saugi. Però il montava 
Baiazzette detto il folgore; ed il lettore dice da se solo con qual 
mezzo. Vi sono inoltre non pochi autori i quali aggiungono , che 
il fratricida usurpatore facesse anche morire sei altri fratelli ; il 
che è negato dal nostro istorico, e può ben esser falso. Ma ciò 
nulla non rileva nè nuoce all’ immane verità , che il fratricidio 
fu 1’ indispensabile cerimonia d’ ogni incoronazione osmanica; e, 
cosa orrenda a ridirsi non che a credere! questo infernal mi- 
sfatto, il secondo de’ massimi, salì a legge di stato per man di 
Maometto II (7). I troni invero , furono spesso premuti da omi- 
cidi consanguinei; e larga pruova ne è sì la mitologia con gli 
Edippidi , con i Tiestei , con gli Atridi, con gli Eraclidi ec., come 
l’ istoria con gli imperatori Romani o Bizantini , co’ Carlovingi , 
co’ Plantageneti, co’ Tudoresi , co’ Fernandi , co’Sanci , co’Pietri 
crudeli (8), e col Trastamare ec. Ma negli Osmanici l’ effusione 
del sangue fraterno pare essere instinto di natura ed abito po- 
litico , talchè senza del diluvio, la diremmo progenie , non di 
Togorma , come vuol de Hammer, bensì di Caino. E siccome ci 
soffermeremo alla caduta di Costantinopoli nel presente articolo, 
così, volendo esaurire questo immanissimo argomento onde non 


(7) Vedi la costituzione osmanica al canone dell’assicurazione del trono. 
(8) Vi furono contemporaneamente tre Pietri crudeli ; il Castigliano cioè, 
l’Aragonese e il Portoghese. 


20 
rifuzgir d’ orrore a ritornarvi sovente, diremo che Maometto III, 
non pago di far sgozzare 19 fratelli, fece anche uccidere tutte 
le molte mogli del padre e la madre propria, sol perchè fosse im- 
possibile il caso che qualche fratello postumo venisse a conten- 
dergli il soglio! Ora torniamo al subietto. 

Vedemmo Saugi ed Andronico, accecato questi e quello uc- 
ciso da’ rispettivi genitori loro per cospirazione parricida. Intanto 
il secondo , cui era rimasto barlume di vista in un occhio , es- 
sendo riuscito a fuggire dalla sua prigione, corre a rifugio da 
Baiazette. Il quale , colta in ciò ottima congiuntura ad accattar 
brighe con l’ imperio , va a Costantinopoli con un esercito, mette 
assedio a questa capitale, e mediante i partigiani interiori fa che 
sia deposto Giovanni e messo Andronico sul trono. Non era però 
scorso neppure un anno , che il padre reiterò contro al figlio la 
scena dal figlio fatta contro al padre ; ossia che fuggì egli pure 
dalla carcere , corse dal sultano , e gli offerse oro e vassallaggio 
se il riponea sul soglio. Ottenuto il quale intento, e hramoso 
sempre più ingraziarsi o mostrar gratitudine , facea col suo secon- 
dogenito Manuele 1’ espugnazione di Filadelfia , città greca e di» 
fesa da’ Greci, che l’osmanico volea in suo potere. Nel che torna 
alla mente sempre il dubbio , chi mai più perversi fossero se gli 
Osmanici o i Paleologhi, oppure 1’ altro dubbiv ove fosse mag- 
giore la malvagità , se ne’ primi, di fresco usciti dalla crudezza 
selvaggia , o ne’secondi, già da un pezzo precipitati nell’ultimo 
lezzo della corruzione. 

Ed infatti vedeansi tutti i vizi della corruzione , commisti a 
quelli della vita barbara, ne’ sultani. Abbandonavasi Baiazette , 
malgrado il divieto del profeta , al vino, alla crapula ; all’ in- 
temperanza , all’ ebrietà ed alle più turpi libidini. Era egli che 
instituiva 1° ordine de’ paggi come primo scalino ad ogui fortuna 
nelle cariche dello stato. Ma non perciò temperava la sua ferità 
anche contro essi. Uno di questi garzonetti, che monellino al 
par di tutti i fanciulli di scuola, aveasi bubolato e bevuto il latte 
compro da una vecchia fantesca dell’ Harem , fu sventrato perchè 
si verificasse la bindoleria. Un piatitore accusa di prevaricazione il 
giudice che gli avea dato torto ; ed il sultano ordina che ottanta 
giudici fossero bruciati vivi. A salvarli da questa giustizia sì spe- 
ditiva , fu sol potente il ribobolo di un buffone di corte; che, 
tutti i tiranni d’ogui luogo tempo e culto ebbero giullari e ba- 
gascioni. Abbreviamo cotanti orrori. 

È un vero prodigio in qual mai modo un potentato sì in- 
fermo da caneri mortalissimi di ferocia e depravazione , non che 


i ie) 
perire, crescesse anzi a maggior fortuna. Fatto è che la signoria 
turca prosperava sempre più in Asia. De’ dieci principati de Sel- 
giucchi, sette erano già sotto il dominio osmanico. Cadde alfine 
anche quello di Caramano; ed aliora l’Asia minore , già succes- 
siva dominazione degli Assiri, de’ Medi , de’ Persiani, de’ Ma- 
cedoni, de’ Romani, de’ Bizantini , de’ Daniscemendi ec. ec. fu 
tutta in mano degli Osmanici. 

Mentre così andavano le cose in Asia, riaccendevasi la guerra 
in Europa. e di bel nuovo pel possesso della Bulgaria. Indi Si- 
gismondo re d’ Ungheria alleavasi co’ principi finitimi, e chiedea 
milizie ausiliarie perfino al re di Francia Carlo VI, che gli spedia 
due squadre di cavalleria, comandate dal contestabile d’ Eu e 
dal conte di Nevers. Si venne dunque a giornata presso Nico- 
poli. La vittoria parve certa a’cristiani mercè una veementissima 


carica de’ cavalieri francesi, che fecero in pezzi tutto l’antiguardo 


degli infedeli. Senonchè straportati e dal primo successo e dal- 
l’ impeto counaturale a’ soldati della nazione loro, impazienti 
inoltre di attendere l’ arrivo dell’ infanteria ungherese , lancia- 
ronsi contro alla battaglia inimica , ove era il miglior nervo 
de’ Giannizzeri e degli Spahì. Quivi rotti, respinti e fugati, por- 
tarono disurdine e fuga nell’ esercito europeo ; ed allora fu con- 
siderevole non men la strage che il numero de’prigionieri. Con- 
tro a’ quali sbramava Baiazette la vendetta del gran pericolo 
corso nella prima ora della pugna , sedendo tutto il giorno ap- 
presso a spettacolo di diecimila e più Vallachi, Ungheri, Bosniaci 
e Francesi impietosissimamente sgozzati al suo cospetto. È que- 
sto il primo e il solo caso di un micello umano assai minore nel 
giorno che nella domane di una battaglia. La fortuna di Ni- 
popoli tolse ogni ostacolo al conquisto el ‘al possesso della 
Bulgaria. 

Le imprese felici sono in ogni uomo scintilla ad infiammar 
nuove ‘ambizioni , ed esca potentissima ad altre gesta. Non fia 
strano adunque se l’ orgoglioso sultano ardesse sempre più nelle 
sue dopo la testè detta vittoria. Onde è che corse ad assediar 
nuovamente Costantinopoli , sotto colore che in questa Metropoli 
non si volesse permettere la fabbrica di una Moschea e l’istitu- 
zione di un Cadì , affinchè i Turchi avessero culto e magistrato 
nazionale. Contemporaneamerte a ciò spedia il suo luogotenente, 
o Visir, Timurtasci al conquisto del Peloponneso , ove le armi 
turche erano state invitate da un fellone, vescovo della Focide , 
allorchè fu visto levar l’ assedio accorrere rapidamente in 


tito) 


Asia contro.un nemico formidabile, che invadea i suoi domini 
asiatici. 

Il lettore già intende gli occhi a Tamerlano. La Tartaria fu 
la vera vagina gentium ; titolo non si sà come usurpato dalla 
Scandinavia. Imperccchè Tartari e non altri si palesano tutti i 
barbari de’ quali fanno menzione gli istorici sacri e profani. Ad 
invasioni tartariche infatti alludevan certamente e Moisè e Ge- 
remia, memorando la gente magna , antiqua , robusta, procacis- 
sima ub Aquilone (dal nord) (9). In Erodoto inoltre , nonchè non 
volersi interpetrazione , è chiarissimo anzi che tartare erano le 
tante tribù degli Sciti irruite nell’ Asia occidentale. Non nopo è 
nè ridire nè dimostrare che pur di là videsi muovere il gran 
diluvio barbarico de'secoli 5 e 6. Ed infine era appena un seco- 
lo e mezzo che sboccandone con caterve inuumerevoli Gengis- 
Kan, avea conquistato tutta 1’ Asia meridiana dalla Cina al Bo- 
sforo , quand’ ecco uscirne con altre innumerevoli torme Timur 
o Timurlenk, che noi diciamo Tamerlano. 

De Hammer, seguendo gli autori orientali assai più roman- 
zieri che istorici, celebra questo conquistatore come nn principe 
oltremodo erudito da’ dotti persiani, miglior capitano d’ Ales- 
sandro, e modello di tutte quelle virtù che mancavano al Ma- 
cedone. Noi diremo, che forse avvenne di Tamerlano ciò che era 
avvenuto di Carlo Magno ; il quale, mentre non sapea leggere, 
(come ne afferma Eginardo suo segretario , che alcerto non avreb- 
be scritto una tale calunnia nel suo diario , se avesse temuto 
che il suo padrone potea leggerlo); mentre fu crudele estermi- 
natore in Sassonia, ebbe fra le tante sue fortune anche quella 
d’ essere trasformato in principe umanissimo e letterato dagli scrit- 
tori per lo più impotenti o a non incensare le strepitose prospe- 
rità , o a non rimanerne abbagliati. Lasciando adunque ognuno 
nella sua intiera facoltà di credere o non credere alla fina eru- 
dizione gentilezza ed. umanità di questo tartaro , basterà notare 
che egli , disserratosi con un torrente d’ uomini dal Tibet, per- 
corse man mano tutta l’ Asia meridionale, dalla muraglia della 
Cina fino all’ Anatolia. 

Quivi trovossi in contatto, e perciò in collisione , cogli in- 
teressi de’ dominii osmanici. Ed è agevole a comprendere , che 
così imbattendosi due genti barbare, quali erano le turche e le 


(9) V. Geremia Gap. IV, V e VI; e il Deuteronomio Gap. XXVIII ver- 
setto 48 e seguenti, 


dI 
tartare , nonchè due principi orgogliosi come Tamerlano e Ba- 
iazette , non altrimenti che colle armi e col sangue dovea deci- 
dersi la fiera contesa. Ad Angora adunque , presso all’antica Ce- 
sarea , si venne a giornata campale ; giornata in cui, a somi- 
glianza de’ diecimila Greci stipendiati da Ciro contro Artaserse, 
v'era un corpo di Serviani agli stipendii de’ Turchi. La battaglia 
fu acre, feroce e sanguinosissima. ll sultano, caduto da cavallo, 
restò prigione col suo figlio Musa. Ed al pari che a Cunaxa , ove 
furono rotte le milizie asiatiche ma non le greche, da Senofonte 
quindi ricondotte in Grecia, così pure ad Angora, i Tartari 
ruppero i Turchi, ma non mai poterono riuscire a rompere i Ser- 
viani. Furono anzi questi , che comandati dal loro dispoto Ste- 
fano , protessero e salvarono Solimano primogenito di Baiazette, 
nella sua ritirata in Europa. 

In occasione dalla prigionia del Sultano , il nostro istorico 
veutila l’ esame critico , se verità o favola fosse la sì famigerata 
gabbia di ferro, in cui vnolsi che il vincitore rinchiudesse il 
viuto. Dopo accurato disaminamento delle testimonianze prò e 
contra , opina e conchiude che fosse invalsa la fama della cre- 
duta incarcerazione sol perchè i Tartari, sia per povertà di lingua 
sia per omvnimia, dicevano gabbia la lettiga in cui Baiazette era 
portato prigione. E noi aderiamo pienamente al parere del cava- 
lier de Hammer. Non così presto si può fare o si fa una grande 
gabbia di ferro sul campo di battaglia ; ma negli eserciti asiatici 
vi si trova sempre e subito una lettiga, arnese da far viaggio che 
l’ Asia comunicò all’ Europa. 

Così amava il folgore, miserando esempio della volubilità 
delle umane fortune , allorchè più vigilantemente e strettamente 
custodito dopo una mal tentata fuga ; moria di colpo apoplettico. 
Nè molto a lui sopravisse il suo trionfatore ; .il quale , dopo 
l’espugnazione di Smirne , infermò e morì mentre, lasciando l’oc- 
cidente , moveva alla volta della Cina. Allora la potenza osma- 
nica fu travagliata da dieci anni di interregno e di guerra civile 
fra’ figli di Baiazette, fra Solimano cioè , che erasi salvato in 
Europa , e i suoi fratelli Musa, Isa e Maometto, che sciolti dalla 
prigionia dopo la morte di Tamerlano, contendevano al primo- 
genito, e contendevansi fra loro ; il soglio. Era quella l’ottima delle 
congiunture per gli Europei a liberar per sempre le orientali pro- 
vincie europee da’ Turchi rincacciandoli in Asia , lieve ciò essendo 
allora contro un inimico così scisso da discordie interiori. Ma 
l’agonia mortale in cui trovavasi precipitato l’imperio bizantino, 

T. I. Gennaio IT 


82 
faceva questi impotente, nonchè a tanta vpera, anche a conce- 
pirne il pensiero. D’ altra banda 1° Europa era ovunque pertur- 
bata ‘dalla guerra fra Inghilterra e Francia, dalla follia e de- 
gradazione di Venceslao , dalle ambizioni imperiali di Sigismondo, 
e sovratutto dallo scisma d’ occidente. Adunque le sempre mi- 
serabili passioni private fecero negligere il bene pubblico in sa- 
per cugliere un momento sì favorevole a disfarsi di un ini- 
mico europeo, che mezzo secolo più tardi farà ripalpitar di 
costernazione e di pericolo l’imperio , la chiesa e la Cristianità. 

De Hammer, seguendo gli istorici turchi, non annovera 
fra’ sultani nè Solrmano nè Musa nè Isa ; ed è questa la ragion 
per cui, come altrove notammo (10), dà egli il numero di I a 
quel Solimano , da tutti numerato il II, che corse fino a Vienna 
nell’anno 1529. L’ autore percorre inoltre piuttosto rapidamente 
i dieci anni d’ intervallo ( dal 1403 al 1413) fra la morte di Ba- 
iazette e l'incoronazione di Maometto I. Della quale rapidità il 
lettore gli è anzi grato che no, stante l’orridezza del quadro di 
una guerra doppiamente atroce , perchè civile e fratricida. Soli- 
mano infatti uccise Isa, e fu poi ucciso da Musa , che quindi 
ebbe la stessa fine da Maometto I. Quest’ ultimo si disfece an- 
cora di due altri fratelli, Kasim e Mustafà, nonchè di un ni- 
pote, detto anche esso Mustafà , e figlio di Solimano. In siffatta 
ferocia cainica enumera il nostro istorieo le piramidi de’ teschi , 
che cadaun fratello alzava per soprapporvi a pinacolo la testa 
del fratello. Infernali trofei, al cui aspetto non v’ha lettore che 
non senta o sentir non possa abbrividirsi da alti fremiti d’orrore. 
Indi non celiamo d’esser rimasti indignati in veder snecedere a 
queste pagine di inferno , quattro in cinque pagine di celebra- 
zioni di Maometto I; di questo gentil signore, della sua col- 
tura fisica , intellettiva e morale!! della sua costumatezza, della 
sua benignità , della fedeltà nell’ amicizia , e perfino dell’ ele- 
ganza zerbinica con cui sapea portare il turbante (11). Ad uno 
istorico , che è un supremo magistrato di giustizia e verità , disdi- 
cono queste laùdi profuse ad un principe , che esce lordo di sangue 
fraterno da una guerra civile per un trono nou a lui debito perche 
ultimo-genito di Baiazette. Era lecito sol alla ambizione del 
favore, o piuttosto alla paura di Virgilio e d’ Orazio , il dar 
l'apoteosi ad Augusto sì insordidato di sangue e di atrocità ci- 


(10) V. Antologia N. 107 pag. 209. 
(31) Potendo ciò parere in noi esagerazione o severità. critica ; citiamo il 
luogo dell’opera. Veggasi adunque il principio del Libro IX. 


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vili. AI eni proposito, riponendo noi tutta I’ ntilità dell’ istoria 
ne’ confronti istorici, nè volendo togliere a chicchesia 1’ elogio o 
il biasimo che può aver meritato, diremo che Maometto I fu l’Au- 
gusto de’ Turchi, co’fratricidii che il romano non avea. Ottavio, 
infatti, dopochè si fu sbramato da carnefice , riordinò l’imperio; 
e Maometto , satollo delle stragi e del sangue di dieci anni di 
discordia fratricida , ricompose l’imperio osmanico sì desolato e 
dall’invasione di Tamerlano , e dalle guerre interiori. 

Maometto I. morì improvvisamente in Adrianopoli nell’anno 
1421. A lui successe il suo figlio Amurat II che, non degene- 
re dal suo padre e da’ suoi avi , inaugurò il suo regno con la 
consueta vittima di un fratello o zio. Era un Mustafà, che finiva 
impiccato per la gola alla torre di Adrianopoli. Fu detto che 
tramasse ribellioni instigate da” maneggi della corte di Costanti- 
nopoli. Perlochè , fosse vero o falso; correva Amurat ad assediar 
questa capitale, che fu non senza valore difesa da Giovanni fi- 
glio dell’ Imperator Manuele. Ciò malgrado , sarebbe caduta nel- 
l’assalto dato addì 4 Agosto 1422, se non si fosse tutt’ insieme 
visto l’assediatore sospendere l’ assaltamento , bruciare in fretta 
le macchine espugnatrici, e volgersi in una più fuga che ritirata. 
I Greci ascrissero a miracolo una sì repentina ed insperata mu- 
tazione. Il vero miracolo , ossia la vera causa, però era che Amu- 
rat ricevendo in quel momento la nuova di un altro suo fratello, 
di nome anche esso Mustafà, insorto e salutato Sultano nell’Asia 
minore, non più curò Costantinopoli. città presto o tardi sua, e 
corse a debellare un’ inimico che potea divenir ben altrimenti 
a se formidabile. La fiamma di questo novello incendio fu spenta 
col solito rimedio turchesco ; col fratricidio cioè, e in un mar di 
sangue. 

Contemporaneamente a questa vicenda in Asia sorgevano 
nuove occasioni di guerra in Europa. Tessalonica , sia che stanca 
di obbedire agli Imperatori greci , sia che certa di non esserne 
nè protetta nè difesa contro a” Turchi, davasi a’ Veneziani. Per- 
lochè Amuratte, non dissimile da tutti i prepotenti ad interve- 
nire ne°casi politici de’più deboli ,. ed usando il solito pretesto 
di violazione de’ trattati anteriori, ossia della pace conchiusa con 
Venezia dal padre suo , corse ad assediarla. L’ Ammiraglio veneto 
che ne avea preso possesso, non era stato in tempo a ben mu- 
nirla con forte presidio. Un tremuoto , inoltre, scoppiato durante 
l’ espugnazione ; facendo franar le mura , aprì la breccia. Allora 
fu presa ed abbandonata a tutte le sfrenatezze , già sempre ter- 
ribili in ogni assalto riuscito , ma terribilissime poi quando son 


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fortunati Ass: satori i Turchi. E così finì Tessalonica , il cui de- 
stino parve essere sempre quello di fatti orrendi. Teodosio vi fa- 
ceva il Silla, sgozzandovi sei in settemila cittadini proditoria- 
mente invitati ad ùna lizza. Quindi nel IX.° secolo fu saccheggiata 
ed arsa da un pirata saracino. Più tardi patì non minore eccidio 
da’ Regnicoli nella guerra fra Ruggiero e gli Imperatori orientali. 
Ognor risorgente dalle suddette calamità, non più risorse dopo 
quest’ ultimo flagello; ed oggi pochi sanno che Saloniechi è l’ul- 
tima reliquia della seconda città dell’ impero greco , città della 
memoria della sorella di Alessandro (12). 

Dopo il quale conquisto, che meglio diremo esterminio , 
Amuratte volle sgravarsi del peso dello Stato, e viver vita pri- 
vata a Magnesia. E fama ancora che questa rinunzia della corona 
non fosse già la prima, bensì la seconda. Ma l’anteriore non è 
ben accertata, comunque de Hammer l’accerti. Sia intanto che 
vuolsi. Quì gioverà notare che Voltaire e Gibbon, e con essi il 
nostro istorico., non hanno inni sufficienti a salmeggiar la filosofia 
o la superiorità d’ intelletto alle grandezze mondane , che questo 
Sultano appalesò in discendere volontariamente dal trono. Noi dal 
canto nostro non abbiamo la sagacità necessaria a scorgere un fi- 
losofo in uno che va a chiudersi fra Odalische e Dervisci, folleg- 
giando in tutte le danze delle prime , e in tutte le pratiche su- 
perstiziose de’ secondi. Indi non avendo il debito acume a veder 
radice di spirito filosofico in un siffatto tenore di vivere , crediamo 
piuttosto che così vivesse per amore alle sue belle donne ; a’ suoi 
bei giardini ed agli ozi sensuali dell'Asia minore. Non è duopo 
andar spigolando cause peregrine e sublimi di taluni fatti, che 
chiaramente spiegansi con motivi comuni e naturalissimi fra gli 
uomini. Sennonchè , è questo l’ errore o il malvezzo in cui in- 
ciampano quasi tutti gli autori. Quanto più son essi tali a ben 
vedere il vero , altrettanto amano a scorgere il prestigioso; e il 
Voltaire sovratutto , immolando sempre la naturalezza ogni qual 
volta gli venisse il destro a fare una bella frase con antitesi e 
concettini. 

Vero è però che Amuratte nulla non snervò della sua indole 
ed attitudine bellicosa in quegli ozi voluttuosi, come chiaro ap- 
parve nel ricomparire in campo con spiriti ognor guerrieri, non- 
chè potenti a durar tutti i travagli della guerra. Avendo egli af- 
fidato l’ amministrazione ‘delle provincie europee a’ suoi Visiri e 
Bassà , finchè il suo figlinolo Maometto pervenisse alla maggiore 


(12) Tessalonica moglie di Cassandro. 


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età, eransi da questi luogo tenenti riaperte le ostilità contro ai 
principi europei con l’ assedio di Hermanstadt. Quì esce in iscena 
il prode Uniade, figlio d’ amore di Sigismondo icon una bella 
transilvana ; principe , che invece di così nascere, e di meritar 
la celebrità da avventuriere , meritava che nascesse erede reale 
d’ Ungheria per liberar per sempre l’Europa dagli ottomani. 
Riardendo adunque la guerra , si annodò una novella lega fra i 
principati danubici, l'Ungheria e la Polonia; ed un forte eser- 
cito comandato da Uladislao IV, Re d’ amendue questi ultimi rea- 
mi , venne campeggiando contro i Turchi. In codesta urgenza i 
Bassà scongiurarono Amuratte a ritornare in Europa riprendendo 
scettro e spada; ed il Sultano ‘accorreva in soccorso de’ suoi, 
ripigliando l’ imperio sì dello stato come dell’ esercito. Allora fu 
data la battaglia di Varna (1444 ), in cui morì Uladislao ; e con 
la disfatta finì la confederazione cristiana. Dopo la qual vittoria 
il vincitore scinse per la seconda v terza fiata il diadema , nè 
più nol riprese. Moria nel 1451. 

Eccoci alfine a Maometto MI. Il quale comunque celebrato 
dal Voltaire come filosofo eruditissimo e cavalier gentile, non 
perciò mostravasi meno osmanico nel salire al trono. Era appena 
spirato il padre, che ne celebrava 1 funerali col consueto fratri- 
cidio in persona del suo fratello Amed , nato da una Principessa 
di Sinope. Quindi mandava a morte anche Aly il suo sicario fra= 
tricida. Così adempite queste esecrande formalità d’ ogni osma- 
nica ascensione al soglio , potè addarsi tutto intero alla brama, 
cui da molto agugnavano i Sultani;; all’. impresa cioè di Costan- 
tinopoli. A noi quì manca e spazio di Giornale e permessso dei 
nostri lettori a seguire il Cavalier de Hammer nella lunghissima 
descrizione delle profezie sì turche come greche circa la caduta di 
questa città, nonchè della sua situazione topografica, de’suoi baluar- 
di e dei preparativi o lavori dell’assedio. Chi ami queste minuzie 
inutili in un’ istoria civile, potrà leggere il Libro XII dell'Opera 
in esame, ove ne avrà larga dovizia Noi vorremo, anzi dobbiamo, 
sol fare qualche osservazione ‘critica sull’ immenso cannone di 
sei braccia!!! di diametro nell’ anima , che con stupore vediamo 
non ancor. scomparso dale teste degli istorici e dalla pagine del- 
l’ istoria. E non altro argomento di ‘confutazione vuolsi adoprare 
che quello desunto dagli autori istessi , i quali trasmisero ‘a’ po- 
steri la. notizia di una macchina così esagerata nella sua ‘mole. 
Dicono essi adunque ; che ile palle pesavano 1200 libbre , e ‘che 
il gran cannone scoppiando dopo due giorni di ‘fuoco , riprese a 
fare l ufficio suo dopo che fu riaccomodato. Noi diremo; che 


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‘una palla proporzionevole al calibro di sei braccia di diametro , 
pesa non già 1200, bensì 50 in 60 mila libbre; e lieve è per- 
suadersene riflettendo al peso de’massi di marmo ; che gli statuarj 
fan tagliare in Carrara {i projetti allora faceansi di pietra). Igno- 
riamo poi il modo di riaccomodare un cannone scoppiato , altri- 
menti che rifondendolo ; e non sappiam vedere come ciò possa 
farsi nè in breve tempo, nè dietro la trincea. 

Il nostro Autore afferma di aver egli istesso visto questo im- 
mensurabile cannone nel castello de’ Dardanelli. Or, 1’ ha egli 
visto sano o spezzato ? Afferma inoltre, in pruova della grandezza 
di quella macchina, d’ esser stato testimonio di un sarto, che 
perseguitato per debiti, vi si tenne nascosto , onde non. pagare 
nè essere cacciato in prigione. A questo proposito diremo d’aver 
noi pure visto in Otranto le palle di pietra lanciatevi da’ Turchi 
nel 1480 ; sfere di un braccio o poco più di diametro. Laonde 
non è improbabile che d’egual calibro fosse il sì ingigantito gran 
cannone ; e così supponendo, non patisce difficoltà il fatto 

«del sarto, attesochè ogni uomo di statura ordinaria entra e 
cape in un vuoto di due palmi d’ampiezza diametrica. Il di più 
della mole prodigiosa vuolsi ascrivere ad esagerazioni degli Scrit- 
tori Greci, i quali per meglio onestare il rossore di vinti , alza 
vano a cielo i mezzi bellici de’ vincitori. £ fu questo un perpe- 
tuo ripiego del sempre sottile ingegno greco. Gli Eroi d’ Omero 
simulavan spesso la paura di qualche Eroe più formidabile , di- 
cendo che il vedeano assistito da una Divinità. 

Checchè fosse di questa vera o falsa arme smisuratissima , 
nulla non se ne vuol più dire, essendo inutile ogni ulteriore 
esame critico. Inutile è inoltre 1’ andar particolareggiando il di- 
segno e il progresso dell’ espugnazione , null’ utile non tornan- 
done nè all’ arte degli assedj nè allo scopo dell’ Istoria. Bensì 
gioverà notare ciò che può istruire a migliorar gli uomini. La- 
onde diremo che il formidabile nemico di Costantinopoli era non 
già Maometto ,, ma la discordia interiore. Era avvenuta, come 
ognuno sà , la conciliazione delle due Chiese nel congresso di 
Firenze preseduto da Eugenio IV ; e l'Imperatore Costantino XI, 
che fu l’ultimo imperante bizantino ; professava il rito romano 
con tutti coloro che aveano aderito alla riunione de’ due culti. 
In cosiffatto stato di cose, pensavasi a salvar la città mettendola 
sotto la protezione di Principi europei col munirla di presidio di 
Latini; al quale uopo erano là pronti due Cardinali con soldati 
genovesi , veneziani , spagnuoli ed illirici. Il popolo ; quello che 
ovunque ha il migliore buon senso perchè non fa influire le am- 


o 


UR 
bizioni proprie a’ suoi giudizj , quello la cui voce è sempre voce 
di Dio, checchè dicane con ischernevole ironia Alessandro Man- 
zoui nel suo romanzo ; il popolo voleva e chiedea concordemente 
che si desse la capitale in mano degli occidentali. Però la vinse 
la parte del Patriarca Gennadio e di Luca Notara Gran-Duca 
dell’ Imperio , da'quali si protestava con feroce intolleranza reli- 
giosa e politica; di voler mille volte più i Mussulmani che i 
Cattolici nella. patria loro. 

Intanto mentre ogni dì più imperversava l’ espugnazione e il 
pericolo ; Giustiniani, ammiraglio ligure, rompe con cinque galee 
la schiera di cento e più navi ottomane che bloccavano la città 
per mare, ne brucia o sommerge moltissime, ed entra nel porto 
fra gli evviva gli applausi e le benedizioni di tutta la popolazione. 
Un sì bel fatto, facendo tacer le dissidenze, meritò all’eroe che 
gli si affidasse un compito nella difesa delle mura. Disegnava egli 
di seguir la vittoria andando di notte a bruciare il resto della 
flotta turca. Andò infatti, ma fallì, perchè i Turchi erano stati 
avvertiti del disegno. L’ istorico Duca dice che Genovesi erano 
questi perfidi rivelatori; e noi crediamo anzi che furono i Greci 
gelosi del Genovese. Certo è che gran livore e non simulato avea 
Notara di Giustiniani; certo è che il primo rifiutava di dare al 
secondo alcuni cannoni inutili nel posto difeso da’ Greci e che 
forano stati utilissimi in quello presidiato dagli Italiani ; certo è 
che il Sultano, in veggendo l’energia che gli opponeva il Ligure 
co’ suoi luogotenenti Gareto , Bacchiardi, Fornari, Salvatico , 
Catilusio, Cataneo e Giovanni l’ illirico , esclamava: Quanto 
darei perchè meco , e non contro me fosse Giustiniani. Certo è 
che questi, comunque sì mal dipinto dagli autori bizantini, e 
non punto discolpato dal de Hammer, fu ferito al suo posto e 
morì delle sue ferite. Certo è infine che sulla memoria di Luca 
Notara nereggiano non già i sospetti, bensì le triste certezze 
d’ essersi venduto all’ inimico. Imperocchè, caduta Costantinopoli, 
fa egli ammesso, accolto ed onorato dal conquistatore, nulla non 
patendo nè nella sua persona, nè nella sna fortuna, finchè dopo 
alcuni giorni Maometto , ebbro dalla vittoria e dal vino, chiese 
alle sue libidini un vaghissimo figliuolo di questo magnate greco. 
Allora mosso dall’ oltraggio, e più probabilmente dal rimorso, 
provocò l’ ira del vincitore , e preferì la morte all’ultima infamia 
di condiscendere alla nefanda richiesta. 

Quì porremo fine alla parte istorica del libro in analisi , onde 
non correr rischio di annojare i Lettori con lungherie e ripetizioni 
di cose che essi già sanno. Confessiamo anzi di esser noi stessi, 


88 


non annojati, ma indignati a seguire per secoli una gente cainica 
ognor fra scorrerie, devastazioni, incendj , eccidj e fratricidj. Perlo- 
chè ci volgeremo ad alcune considerazioni istoriche, avvisando che 
nell’ esame critico delle opere, è assai più utile quello sulla ma- 
teria loro, che l’altro sul loro merito letterario. 

Ben leggesi quà e là nell’ istoria la notizia di qualche popolo 
d’indole ferocissima e selvaggia; ma vi si legge pure , che quando 
il popolo suddetto non fu disperso o spento da gente più forte, 
non mai perseverò nella sua primitiva salvatichezza e ferità, es- 
sendo impossibile che l’uomo rimanga permanente nell’ innaturale 
stato della violenza. Agresti barbari ed efferati erano invero i 
Longobardi nel primo loro apparire sotto Alboino. Quindi man 
mano mansuefecero addolciti dal clima; ebbero leggi savie per 
quel tempo; ebbero le arti e le dottrine di quell’età ; e benchè 
detti sempre refandissimi da’ Greci e da? Romani, che non al- 
certo eran migliori dì questi stranieri, non altro però riteneano 
che il nome di forestieri (13), allorchè alcuni felloni italici chia- 
mando in patria un altro barbaro straniero contro gente italia- 
nizzata da 230 anni di domicilio in Italia, fecero che risorgesse 
quel funestissimo imperio di Occidente, per otto secoli flagello 
d’ Italia e dell’ Europa. Ben leggonsi adunqne nell’ istoria nazioni 
incomposte insocievoli inumani; ma non mai se ne vide una per 
sei secoli perseverante in uno stato sempre più incivile fiero e 
brutale. 

Indi mentre nell’età sì moderna come antica, non vi fu po- 
polo che nel suo corso istorico non si umanizzasse man mano , 
i soli Turchi fecero eccezione all’ universa norma di questa per= 
fettiva facoltà insita nella natura dell’ uomo. Non vuolsi credere 
che siffatto fenomeno straordinarissimo avvenisse in essi per l’Isla- 
nismo , essendochè islamiti eran gli Arabi e i Persiani, i quali, 
non pareggiarono invero i Greci ed i Latini nelle arti e nelle lettere , 
ma non furon loro secondi nelle scienze , migliorando la medicina , 
rettificando o ingrandendo la Geografia, inventando infine l’ingegno- 
sissimo gioco degli scacchi e l’algebra, chiave o germe di tutta la ma- 
tematica odierna. Nè può dirsi che un cotal fenomeno fosse effetto 
della poligamia; cancro domestico civile e sociale, che i Turchi han 
no comune con tutte le genti orientali più o men pervenute a col- 
tura e civiltà. Molto meno vuolsi attribuirlo ad imperfezione or- 
ganica, come ne’ miseri Lapponi o ne’ più miseri Eschimiesi , 
attesochè i Turchi, generalmente belli e virili di persona, ap- 


(13) V. Macchiavelli Delle Istorie ec. Lib. T. 


89 
partengono alla razza detta caucasea , la più ben formata di tutto 
il genere umano. Noi dunque , non arrossendo di confessarci im- 
potenti ad escogitar le vere radici di questa incurabile inciviltà 
ottomana ; diremo che è forse ne’ disegni imperserutabili della 
natura o della Provvidenza , che vi sieno nazioni come vi sono 
individui, o di talento ribelle e ripulsivo d’ ogni miglioranza 
d’ educazione , o appena capaci de’ primi gradi di questa, oltre 
a° quali ogni ulteriore progresso è ; sia fisicamente sia moralmente 
impossibile. 

Non vi è nell’ istoria popo'o , che avendo avuto un’ periodo 
politico, non abbia posseduto alcune arti inventandole ‘0 co- 
piandole. I soli Turchi vanno eccettuati da questa regola. Tutte 
le loro manifatture, le più preziose ed estimate, sono di inven- 
zione e di opera araba o persiana. Arabe o persiane infatti sono 
le industrie de’ tappeti, de’ broecati, ‘degli scialli cascemiri , 
de’ vetri coloriti, delle stuoje, delle pipe, delle armi e lame 
‘ damaschine ; di tutti, insomma ; i migliori lavori orientali. Molte 
a:tzìi di queste preziosità opifiche dell’Asia , sono scomparse e per- 
dute sotto il dominio ottomano. Damasco non è più ricca, come 
era ne’ secoli andati, per l’ottima tempra che essa sola sapea 
dare al ferro, e per lo smercio delle sue armi; le bellissime razze 
de’ cavalli arabi sonosi quasi imbastardite nelle mani turche; e 
non più oggi vedesi neppur degenerata reliquia di quelle eccel- 
lenti greggi aftaliche, per cui tanta fama e ricchezza avea l’Asia 
minore. I Turchi , non che non aver nè l’ ingegno imitativo o 
inventivo., nè il conservatore, non altro pare che abbiano se non 
l’ istinto della distruzione , come finquì vedemmo e come sempre 
più vedremo. 

Non vi è popolo che avendo secoli di autocruzia (14) non ab- 
bia almen polito e coltivato alquanto il proprio idioma. I soli 
Turchi. facendo eccezione anche in questo universo fatto delle 
genti , lasciarono la favella loro qual’ era quando viveano vita 
di tribù errante. La lingua di cui si fa uso dal Governo; dal Di- 
vano , dal culto e nelle poche scuole degli Ottomani, è l’ arabo. 

Non vi è popolo che, conquistatore, o conquistato, o in sem- 
plice relazione con popoli più di lui colti, non siesi man mano 
incivilito ed infamigliato seco loro nel coabitarvi o uel commer- 
ciarvi. Più volte i Tartari conquistarono la Cina, e finiron sem- 
pre col. divenir Cinesi. I Romani non isdegnarono d’ essere i di- 


(14) Potenza propria , Indipendenza. 
T. I. Gennaio i 12 


90 
scepoli degli Etruschi e de’ Greci dopo averli soggiogati. I bar- 
bari , dall’ Asia diluviati sull’ Europa , trasmutaronsi in Europei- 
I soli Turchi formarono eccettuazione a questo altro fatto costan- 
tissimo sì dell’ uomo come di una nazione, in ingentilirsi all’esem- 
pio d’ altro uomo e d' altra nazione più gentile. Essi restarono 
ciechi a tutti i magici vezzi delle Muse, tanto nel domicilio 
asiatico in coutatto cogli Arabi e co’ Persiani, allorchè questi 
erano nella loro bella età, quanto nell’europeo fra’ lumi del ri- 
sorgimento e moderni. 

È vecchio assioma in politica che non vi è, nè può esservi 
società , la quale abbia il misfatto per suo principio costitutivo. 
E non vale opporre le masnade o congregazioni d’uomini unicamente 
intese a scopo di vita criminosa ; come quelle , verbigrazia , degli 
antichi pirati cilicj, o de’ recenti Zaparoghi e Filibustieri. Impe- 
rocchè vero essendo che nefario ed eslege era 1’ ordine di questi 
Sinnidi e Procusti dell’Istoria, non è però men vero che tutto 
esteriore era l’ esercizio della malvagità loro, ma che nell’econo- 
mia interna delle suddette congreghe, vivevano essi in armonia 
senza offendersi , soccorrendosi mutuamente , severissimi contro 
il consorto offensore de’ consorti o della consorteria ,/ed impar- 
zialissimi nella giusta distribuzione della preda. Non v’ ha dun- 
que società umana, che abbia avuto o possa avere il delitto per 
anima e nervo sociale. I Turchi intanto fecero possibile questo 
impossibile , facendo legge di stato il massimo de” delitti ; il fra- 
tricidio. 

Con cosiffatte e sì strane singolarità tutte proprie degli Osma- 
nici, è innegabile intanto che questa gente ebbe , ed ha tutto - 
ra, esistenza e dominio fra le genti della terra. E siccome, per- 
chè ogni ordine, morale o fisico, viva e reggasi, vuolsi assolu- 
tamente che la somma del bene superi in lui quella del male, 
così è necessario ammettere anche nella potenza e famiglia osma- 
nica l’ esistenza di alcuni elementi ed organi buoni ; che vincano 
gli organi ed elementi mali. Finchè si vive, ed anche quando si 
agonizza , non si può non dire che le forze della vita non pre- 
valgano a quelle dalla morte. Questa legge degli esseri animati 
è pure comune agli inanimati. Una colonna o mole , per esempio, 
non dura in piedi se non finchè ha seco la virtù conservatrice 
dell’ equilibrio , o dell’ inerzia , o del cemento Ma dire quali 
mai fossero queste virtù conservatrici del sociale e politico ordi- 
ne ottomano , non è compito facile; o almen noi non abbiamo 
la presunzione d’ essere sagaci ad indagarle. 

Dicemmo che ne’Turchi pare esservi istinto di distruzione. 


QI 

Tutti i barbari invero sono più o men devastatori nel primo impeto 
e periodo delle scorrerie loro; ma quindi sfogata questa prima furia, 
si applicano a conservare le cose buone o belle che trovano , e 
specialmente se deliberano di stanziarsi nelle provincie dell’ in- 
vasione. Ciò videsi in Italia pria ne’ Goti, e poi ne’ Longobardi, 
comunque gli agrestissimi fra tutte le genti barbare nel loro 
sbocco dalle foreste della Pannonia. Ciò videsi anche in Ispagna 
pria ne’ Visigoti , e poi ne’ Mauri, che aveano ingiardinato quasi 
tutto il territorio spagnolo. Ciò videsi dappertutto , menochè nelle 
regioni conquistate dagli Ottomani. Hanno essi il proverbio che 
sotto il piede loro non più nasce frutice nonchè erba ; e non mai 
fra’ proverbi , assiomi delle nazioni, ve ne fu uno che fosse più 
assioma del testè detto. Ovunque essi o passarono o soffermaronsi, 
vi rimase naturato il deserto ; scomparendovi e l’uomo e la sua 
opera. Le ampie terre del Califfato, già sì popolate ricche e flo- 
ride, si inarenarono squallide al loro passaggio. Sabbia copre 
tutta l’ Asia minore, già sì ricca di città, agricoltura, pastorizia, 
commerciu , industria, arti, e lettere. Sa ognuno lo squallore in 
cui precipitarono e la Grecia e le belle isole dell'Arcipelago sotto 
il turco reggimento. E infine sanno tutti come sonosi rinsalvati- 
chite le provincie danubiche , che furon sì predilette e vivificate 
da Trajano; quelle che negli ultimi anni del secolo XI. eran popo- 
lose al segno, che esterminarono 300 mila Crociati condotti da 
Pietro Eremita e da Frate Odescalco. Ei pare adunque che i 
Turchi a somiglianza de’ Tuarichi; non altrove sappian vivere 
se non nel mezzo de’ deserti. 

Un viaggiatore (15) osservò che nelle provincie suddite della 
Porta, veggonsi più cimiteri che villaggi. La quale osservazione 
potrebbe forse essere ascritta nel novero di quelle frasi, che so- 
vente i viaggiatori foggiano per vezzo, se non fosse. verificata 
dal fatto e da’ confronti istorici. Certo è però che dall’ età in cui 
comparvero i Turchi , disparve tutta l’ opera civile sì delle uti- 
lità come delle bellezze, che era sorta sotto la mano de’ Greci, 
degli Arabi, de’ Persiani e degli Armeni. E con questi bei fitti 
di popoli industri disparve eziandio la popolazione ; talchè oggi 
appena qualche pastore turcomanno erra con la sua greggiuola, 
là ove un dì fiorivano Susa, Magnesia , Palmira , Pergamo , Prusia, 
Bagdad, è tante altre città magnifiche. Un cosiffatto instinto o ele- 
mento spopolatore fu efficace non solo sugli abitatori delle terre sog- 
giogate dagli Ottomani, ma bensì sul corpo istesso della ottomana 


{15) Mac-Farlane. 


9a - 
nazione. Tutto al contrario delle altre genti conquistatrici , le 
quali crebbero e moltiplicaronsi con gli agi e i benefici dei con- 
quisti, la turca andò menomandosi ; e non mancherebbero ragioni 
nè pruove istoriche a chi asserisse , che il numero della popola- 
zione osmanica è di due , e forse più milioni di teste minore di 
quello cui essa ammontava nel secolo fra Maumetto II e Soli- 
mano II. La poligamia in un clima o suolo naturalmente impoli- 
gamo , quale sempre fu l’ europeo, contribuì in parte al meno- 
mamento in discorso. Il resto fu fatto dall’ incurata peste perma- 
nente. Indi le morti avauzano la nascita ; e perciò non è nè falsa 
nè inconcepibile l'osservazione di Mac-Farlane; di vedersi cioè 
in Turchia men villaggi che cimiteri. 

I Turchi furono gli ultimi barbari che 1° Oriente lanciò verso 
Occidente, e i soli fra tutte le genti barbare a non cittadinarsi 
cogli altri popoli nè in Occidente nè in Oriente. Ognora insocia- 
bili, restarono non men stranieri alle nazioni islamitiche che alle 
cristiane. Ognora orgogliosi ed intrattabili, chiaman cane e giaur 
l’Asiatico come l’ Europeo. Son essi in somma neli’ età moderna 
la copia fedele di quel che erano nell’ età primitiva gli Ebrei, 
da’ quali si guardava. con dispregio orrore ed abbominio ogni 
altro popolo del globo (16). E forse è questo carattere di nazio- 
nalità sì esclusivo ed indelebile, una di quelle che diremo virtù 
o forze della barbarie, che conserva la nazione in discorso , non 
ostante i molti suoi cancri interiori ; al modo istesso , che la ci- 
parbietà israelitica conservò le reliquie della prole di Giacobbe, 
a malgrado de’ duemila anni di persecuzioni dispergimenti e ti- 
rannie. 

Nella mossa e conquista de’ Turchi dalla natia terra loro, 
si verifica anche quella legge, da noi altrove accennata (17) circa 
il fenomeno, che di quando in quando vedesi nel genere umano ; 
circa le genti barbare cioè che muovono a nuovo domicilio. I Pe- 
lasghi, che furono i barbari nell’ età mitologica venuti a sov- 
vertire e ricomporre in altro ordine sociale lo stato primitivo della 
Grecia , dell’ Illirio e dell’ Italia , mossero , come è tradizione, 
dalle rive del Ponto verso ponente. inoltrandosi ognora lunghessa 
la medesima latitudine geografica della terra da cui partirono. 
E più o men lo stesso costantemente osservasi tanto negli Unni, 
ne’ Goti ne’ Vandali e in tutti gli altri barbari diluviati sull’Eu- 
ropa , quanto negli Arabi, che migrarono e conquistarono tutta 


(16) Nel senso istorico. 
(17) V. Antologia N. 99. 


93 

la fascia settentrionale d’ Africa ; la medesimezza cioè sì della 
direzione dall’ Est all’ Ovest, come dell’ andare in cerca di 
nuova patria, e sceglierla sotto la stessa latitudine della patria 
antica. Lo stesso fu de’ Turchi. Sbucati essi da regione interme- 
dia fra 1’ Arabia, donde uscirono i barbari meridionali, e la Tar- 
taria, da cui si disserrarono i tanti Barbari boreali , progredirono 
per l'Asia minore e soffermaronsi nelle Provincie suddanubiche ; 
regioni intermedie fra le conquistate da’ boreali e da’ meridionali , 
nonchè regioni soggiacenti all’ istesso latitndinare della terra da 
cui mossero e per cui si ino!trarono. 

Presso a poco la medesima norma de’ conquisti per irruzione 
si verifica ne’ conquisti per commercio, ossia negli stabilimenti 
delle colonie commerciali. I Fenici andarono fondando colonie 
lunghessa tutta la costa nordica d'Africa fino alle Colonne 
d° Ercole ed alla Betica ; regioni, tutte a ponente , e tutte sotto- 
stanti alla stessa latitudine della Fenicia. A ponente anche, e 
nella stessa latitudine della Grecia, popolarono di Colonie i Greci 
la Sicilia, la Magna Grecia , Pesto, Napoli, Cuma e Marsiglia. 
E non diversamente avvenne ne’ conquisti trasatlantici de- 
gli Europei dopo la scoperta del nuovo Mondo. Nelle Ameri- 
che infatti gli Europei si stabilirono in una posizione corrispon- 
dente a quella in cui sono in Europa le metropoli che fon- 
davano le colonie; l'Inghilterra cioè al nord, la Francia in 
mezzo , e la Spagna col Portogallo al Sud. E in cosiffatta ordi- 
navza parve che procedesse ed operasse verso occidente l’esercito 
europeo al conquisto americano; ossia, i Francesi al centro, con- 
quistando la Luisiana e la Florida, ala destra a borea gli Inglesi 
nelle colonie loro , oggi Stati Uniti, ed ala sinistra a mezzogiorno 
i Portoghesi e Spaguuoli nell’ America meridionale. Indi, mal 
disse Montesquieu dicendo avvenir sempre i conquisti dal nord 
al sud. Essi avvengono anzi sempre dall’est all’ovest. E pare 
che così avvenga per un perpetuo movimento del genere umano 
da levante a ponente, movimento preordinato dalla Natura o dalla 
Provvidenza , sia per la circolazione indispensabile alla vita del- 
l'umanità , sia per altro fine imperserutabile call’ uomo. Certo è 
il fatto che ogni conquisto dell’ Occidente sull’ Oriente non pose 
mai ferma radice. Quello di Alessandro finì con la morte del 
conquistatore. Milioni inoltre di Crociati non furono potenti a 
far della Palestina una provincia europea, mentrechè dall’ altro 
verso Cortez e Pizarro con poche centinaja di guerrieri, diedero 
eternamente al sangue europeo mezza America. Vuolsi adunque 
credere che vi sia nelle leggi o forze cosmologiche del globo qual- 


94 


che forza o legge , che quanto ripugni alle migrazioni delle genti 
da ponente a levante, altrettanto le favorisca ed ajuti da levante 
a ponente. Che non spesero Spagna Portogallo Francia e Olanda 
a fondar colonie su’ lidi dell’ Indico? Che non spende l’ Inghil- 
terra a conservar le Indie? Ma Batavia, Macao, Pondicherì ec. 
rimasero infeconde ; il clima delle Indie miete con la falce di 
morte i coloni inglesi, mentrechè mezzo milione forse di europei, 
migrati a nuovo domicilio nel Mondo nuovo, prosperando molti- 
plicaronsi in tre soli secoli fino a quaranta milioni. Quì è visibile 
la mano e il favore della natura; quì è concorde la testimonianza 
sì della istoria come della tradizione in memorar. genti orientali 
venute a ripopolare o a rianimire le occidentali regioni, e non 
mai viceversa. Così considerando non è più inesplicabile bensì 
evidentissimo l’ altro fatto, che tuttii germi delle arti, delle let- 
tere, delle scienze, delle dottrine e sovrattutto delle religioni, inol- 
transi sempre dall’ Oriente all’Occidente. Il Vangelo predicato 
nella Giudea, e tutta la moderna civiltà sorta in Italia , trovansi 
oggi già nella Nuova Olanda, ossia in una terra sottostante al- 
l’ istesso meridiano della Cina; nè altro cammiao tennero per 
pervenirvi, e così fare il giro de’ tre quarti del Globo, se non 
quello per cui naturalmente vanno sempre i popoli; cioè da le- 
vante a ponente. Però torniamo a’ Turchi. 

I Turchi furono uno de’ tre esizialissimi flagelli , che colpi- 
rono contemporaneamente tutta la meridionale zona europea , la 
più vivace immaginosa alacre ed intellettiva dell’ Europa tutta , 
nella gioventù migliore del risorgimento , che val quanto dire nella , 
seconda metà del XVI secolo. Imperocchè mentre in Ispagna in- 
stituivasi un tribunale ‘mortalissimo alla libertà del pensiero 
ch’ è dono di Dio; mentre il Reame delle due Sicilie precipitava 
a provincia, anzi meglio diremo a colonia della Spagna; mentre 
l’Italia, la Toscana sola eccettuata , cadeva ne’ mortiferi ceppi. 
degli Spagnoli, Maometto II soffocava con la presa di Costanti- 
nopoli ogni alito di risorgimento e civiltà nella Grecia, mente 
del mondo antico. E non a’ soli Greci fu funestissimo il conquisto 
turco ; gran parte di questo disastro toccò pure agli Italiani. Spar- 
vero, e per sempre, le colonie venete e genovosi nella Tauride, 
nel mar d’Azof, nel Bosforo ec. ec. e l’ Eusino tornò ad essere 
l'antico Arinus (18). 


(:8) Nome primitivo del Mar nero a motivo della ferocia ed inospitalità 
de’suoi Litorani, cangiato quindi in Eusino, quando impresero ad essere non più 
feroci ed inospitali co’ navigatori. Vedi Plinio. 


95 

Riflettendo alle acerbissime vicende e calamità patite dall’Eu- 
ropa orientale per man de’ Turchi, il meditatore è tentato a de- 
plorare perchè mai non cadde l’Imperio greco, allorquando il 
conquasso de’ Barbari distrusse nell’ occidente tutta 1’ opera della 
società antica. Ove fosse avvenuta anche la ruina di questa ultima 
reliquia della civiltà greco-latina, nulla non perdeva, anzi molto 
guadagnava 1’ Europa e 1’ umanità. I Goti o altri barbari, vi 
avrieno rigenerato e ringiovinito il sangue bulgarico , tracio , ma - 
cedone, greco ec. ec. che andò sempre più corrompendosi col 
contagio della sanie, in cui si dissolveva la Reggia bizantina. 
Così avvenendo , la storia non farebbe fremere, anche i cuori 
più insensibili, co? Foca, co’ Niceforo, co’ Romano, co’ Basilio , 
e con tutta quella lunghissima serie di perfidie atrocità e misfatti, 
che riempiono e lordano tutte le sue pagine circa il basso Im- 
perio. Così avvenendo , sarebbesi avuto ; anche in quelle genti 
orientali, quella gagliardia rigogliosa , che vi fu nelle occidentali 
durante i secoli XI X{I e XIII; ed i Turchi, o foran stati de-. 
bellati nel. primo apparire loro , o tutt’ al più non avrebbero 
traghettato il Bosforo. È omai dimostro che gli europei son più 
forti degli asiatici, e che più vigorosi degli islamiti sono i cri- 
stiani. Non altro dunque mancò a’ popoli compresi fra il Dauu- 
bio , 1’ Ellesponto e l’ Arcipelago , se non governo nuovo e gio- 
vine, non che giovini e nuove famiglie imperanti ; che, sul trono, 
più che altrove, degenerano più celeremente le stirpi anche di 
maggiore virtù ereditaria , e vuolsi rinnuovarle perchè conservino 
la sucietà , fine supremo cui il Creatore creava il genere umano. 
Così avvenendo in ultimo , l’ Europa non fora stata travagliata 
dal massimo suv canero interiore; dall’ Imperio d'Occidente cioè, 
ricostruito sol perchè Carlo Magno , nefandissimamente chiamato 
in Italia , si inebriò coll’ orgoglio d’ esser 1’ emulo o 1’ eguale degli 
Imperatori d’ Oriente. Sul quale subjetto non intenderemo a dut- 
toreggiare , essendo omai noto per fin ne’ trivj, come e quautu 
il testè detto ordine politico , nonchè nulla non influire alla ci- 
viltà odierna , contribuì ‘anzi potentissimamente e larghissima- 
mente a tribolare con otto secoli di prepotenza 1’ Italia e l Eu- 
ropa intera. 

Quì prenderemo finalmente congedo da’ Lettori nostri. Not 
prometteremo loro intanto di ritornar sul resto del libro in esaine, 
non amando noi neppur ne’Giornali la repetizione di ragionamento 
sovra materia già ragionata. Se paremmo qualche volta più del 
devere severi dissentendo dal sig. Cav. de Hammer, ciò oltre di 
non poter fare ombra alla giusta fama di un’ Autore sì laborioso, 


96 

non ci fa ciechi al merito dell’ Opera. Il quale merito mon sa- 
rebbe tenue, anche ove non consistessé in altro, che nell’ aver 
riunite ed ordinate in un libro solo le mille e mille notizie sugli 
Ottomani e sulle gesta loro, che erano finoggi, o cosparsein 
cotanti volumi di differenti Autori, o sepolte .in manoscritti e 
codici ignoti. Ma non saremo paghi di questo debito elogio; Le 
vi aggiugneremo l’altro, non men debito , che la Storia in ‘ar- 
gomento arricchisce per così dire. la letteratura europeavcon la 
notizia di moltissimi storici, cronichisti e poeti orientali 4 per 
l’innanzi cogniti probabilmente appena. a qualche orientalista. 
Ei fu forse questa immensa copia d’ erudizione quella: la» quale 
fece , che l’ opera del nostro Autore pareggiasse alla statua greca, 
di cui si disse che non era bella sol per essere troppo ricca. E 
se mal non ci apponemmo al vero così parendone e.dicendo , sa- 
luteremo il Cav. de Hammer come il Muratori delle cose osma: 
niche; nè temiamo che possa essere rifiutato 0 male accolto il 
saluto con un nome sì onorevole. 


G..P. 


RIVISTA DI ALCUNI GIORNALI INGLESI 


Art. II. (1) 
Foreign Quarterly Review. Londra, Treuttel e Wurtz. 


È già gran tempo che si cominciò a. sentire in. Inghilter- 
ra la mancanza d’ un giornale dedicato esclusivamente alla let- 
teratura straniera. Im. nna capitale qual è Londra , centro del 
mondo, civilizzato ,, come Parigi è del Continente Europeo, 
pareva cosa espediente l’ avere un opera. periodica che met- 
tesse per così dire in. consorzio i letterati, delle. varie fami- 
glie europee, e ne facesse conoscere ed. apprezzar, le fatiche 
non solo al pubblico del Regno Unito ; ma, altresì ai colti abi- 
tatori di tante vaste regioni d’ oltremare ove la lingua inglese è 
oramai naturalizzata. Dopo la pace diversi tentativi si fecero per 
supplire a tale mancanza, benchè per qualche tempo riuscissero in- 
fruttuosi. Un giornale di letteratura universale era opera di assai 
più gran mole ,che, un magazzino o rivista mensuale, od an- 


(1) Vedi Ant. I Decen, Vol, XXXVII. B. p. 45. 


= 


ii i 97 
una rivista semplicemente inglese : i materiali, le corrispon- 
denze , i libri da consultarsi , 1 collaboratori da scegliersi , tutto 
rendeva l'assunto scabroso e dispendioso. Oltrecciò il primo di- 
sborso, vistoso, inevitabile a chi intraprende simili speculazioni , 
. tanto più dacchè il sistema oneroso degli annunzii nelle gazzet- 
te (2) ha messe così forti radici nel commercio librario che mi- 
naccia di assorbire i profitti, e di rovinare così autori ed edi- 
tori ad un tempo, con gran discapito delle buone lettere. Basti 
il lire che per ogni libro che esce alla luce, cento lire sterline di 
spese per semplici annunzii si riguardano come una somma mo- 
‘derata , e che a mene di tal sacrifizio il libro non si vende. Il nu- 
mero delle gazzette, nelle quali è opportuno inserire tali annunzii, 
è divenuto esorbitante. Ne risulta che niun’opera che non sia per 
lo meno di due volumi e di cui non si spaccino almeno mille esem- 
plari di botto, basta a pagare le semplici spese di stampa, 
carta , manoscritto ed annunzii. Perciò que'librai solo che hanno 
un capitale ragguardevole , e che stampano molte opere ogni sta- 
gione, si possono ritrovare in bilancia al fin dell’anno, e gli altri 
di minor polso o son timidi e non arrischiano , o se arrischiano 
falliscono. Per ulteriore conseguenza ne avviene altresì che i libri 
più prediletti dai librai sono le così dette (ma impropriamente) ope- 
re popolari, cioè viaggi, romanzi, e diarii o giornali che stuzzi- 
cano la pubblica curiosità. Questi si leggono da migliaia di oziosi, 
e di donne per trastullo, e trovano uno spaccio sicuro nelle così det- 
te librerie circolanti, di cui ve n’ è una almeno in ogm benchè 
minimo borgo della Gran Bretagna. La popolarità è il gran me- 
rito di un libro agli occhi del libraio: e che ne avviene ? Che molti 
scrittori inesperti e di poco criterio, ma che hanno una tal quale 
facilità di raccozzare insieme periodi, ed un fondo di aneddoti e 
d’avventure di qualsivoglia genere , stanno alla posta per afferrare 
il momento opportuno , la moda , lo scandolo del giorno, e ti 
buttano giù guazzabugli di racconti e paradossi de omnibus rebus 
et quibusdam aliis , da far stomacare i lettori di qualche giudi- 
zio. Ma che importa ? Il libro vien pubblicato da un libraio alla 
moda , è annunziato a furia in tutte le gazzette metropolitane 
e provinciali , vien raccomandato da un uomo di bon ton, da 


(a) Ogni benchè brevissimo annunzio , per una sola volta costa mezza ghi- 
nea o almeno sette scellini. Quelli un po’ più lunghi costano una lira sterlîna, 
e due o tre scellini, secondo lo spazio che occupano. La metà del pagamento 
va al redattore della gazzetta, l’ altra metà al dazio del bollo. 


T. I. Gennaio 13 


98 
una Lady ec.; e quindici giornî dopo la pubblicazione lo vedete 
sopra tutti i tavolini delle signore e in tutte le librerie di associa- 
zione. Sei mesi dopo, la curiosità è cessata , la moda ha cambia- 
to, e nessuno si ricorda più del famoso libro. E che perciò ? l’edi- 
zione intera, forse una seconda, si sono vendute , il libraio ne ha 
ritratto un vistoso protitto , l’autore ha ricevuto le sue cento o 
duecento lire ; e che importa che l’opera non abbia profittato nulla 
alla civiltà, all’erudizione, alla morale ? Di tali miscee, particolar» 
mente di quelle chiamate viaggi, ne abbiamo data già in varie cir- 
costanze qualche idea ai lettori dell’Autologia : dei romanzi alle 
moda (.non si parla già quì di Walter Scott nè de’ suoi fede- 
li discepoli) ne daremo forse qualche squarcio fra breve. Il 
fatto stà che in virtù delle circostanze sopra addotte , che: sono 
la conseguenza delle tasse , del lusso.di una popolazione stra- 
bocchevole , di un superfluo di produttori e di competitori in 
ogni genere d° industria , dei bisogni imperiosi di uno stato so- 
ciale dispendiosissimo, a meno di vistosi capitali non si può in- 
traprendere speculazione alcuna : e così tutto tende ad arricchire 
i già ricchi , a riunire i capitali in poche mani, e a rovinare i 
piccoli proprietari. In materia di lettere poi il già detto tende a 
produrre l’ indifferenza sul merito intrinseco di un libro, a in- 
durre un antore a scrivere presto e male , ad eccitare la facoltà 
immaginativa. a discapito del senno e del giudizio , a procreare 
una letteratura efimera , spumosa come il vino di Sciampagna , 
e a scoraggire, non ostante la pienissima libertà della stampa, chi 
non sà risolversi a degradare se stesso e a beffarsi del pubblico. 
Che tale sia in gran parte lo stato della letteratura inglese al 
presente , è confessione di molti avveduti nazionali: ma che fare 
perciò ? Le cause vengon da lungi; e non si possono più rimuove- 
re ; e gli efferti procedono da se, a dispetto di tutte le lamen- 
tazioni dei filosofi e dei filantropi. «E il mondo ? Il mondo va 
avanti per la via sdrucciolevole , e ride di chi si crede più sag- 
gio di lui ? 

Questa breve digressione non sarà forse discara ai nostri 
lettori. Ci è sempre qualche lezione da ricevere -dall’esempio di 
altre nazioni. Ma torniamo ai giornali di letteratura estera in 
Inghilterra. Senza parlare di quelle opere periodiche inglesi in 
cui di tratto in tratto erano articoli più o meno esatti sopra al- 
cuni libri ed autori stranieri , e fra questi si debbono annove- 
rare il Quarterly , il London Magazine , e il Monthly Review , 
due opere periodiche, destinate alle lettere continentali, compar- 
vero per breve tempo in Londra prima del Foreign Quarterly 


99 
Review. La prima chiamata Magazine of foreign leterature escì 
alla luce nel 1823: era opera mensuale , di poeo volume ; e hen- 
chè alcuni articoli non fossero affatto spregevoli, pure il poco 
spazio in cui i collaboratori si trovavan ristretti , e la parsimo- 
nia degli editori erano ostacolo a trattare a fondo materie im- 
portanti. Dopo otto mesi il giornale cessò per mancanza di as- 
sociati. L’ altro fu il così detto European Review, che si an- 
nunziò con pomposi preamboli ; e che presto finì peggio dell’al- 
tro, come il povero Foscolo provò a suo costo (3). E quì giova 
osservare che da informazioni autorevoli prese sui luoghi ; sappia- 
mo esser questa la sola occasione che il Foscolo ebbe di lagnarsi 
dei librai ed editori inglesi, da cui generalmente fu trattato con 
gran liberalità. Il Foreign Quarterly Review N. IX, nel tradurre 
che fece la lettera di Foscolo, soggiunse una nota in cui così l’edi- 
tore si esprime riguardo alle querele di quell’ uomo di genio, ma 
bizzarro, riguardo all’affare del Dante col libraio Pickering. “ Que- 
sta parte della lettera è così romanzesca come la storia dell’Or- 
tis. Piekering non ‘ha mai fallito: egli non aveva socii nella 
speculazione : non vi fu sequestro nè di MS. nè di volumi mezzo 
stampati ; e non vi poteva essere, giacchè i volumi non esistevano 
ancora : fu soltanto sei mesi dopo la data di questa lettera di 
Foscolo , cioè nel marzo 1827 , che l’autore consegnò al Pickering 
il manoscritto della Divina Commedia , il quale non è ancora 
stampato. Il volume d’introduzione però era escito alla luce nel 
1825; e Foscolo ricevette fino all’ ultimo. soldo la somma sti- 
pulata per l’intiero Dante (le ricevute esistono presso Picke- 
ring). Foscolo ebbe altresì cento esemplari, per accordo fatto , 
del volume d’ introduzione , ad oggetto di distribuirli fra’ suoi 
amici. ., Noi ci saremmo astenuti dal parlare di nuovo di si- 
mili questioni, se l'editore del Foreign Quarterly non ne avesse 
direttamente reclamato all’ Antologia , pregandoci di rendere giu - 
stizia ad un onesto libraio che fu tacciato in qualche modo di 
frode, o per lo meno di aver fallito e pregiudicato ad altri. 
Chi conobbe il Foscolo sà che quell’ uomo alle volte traso- 
gnava. Del resto in Londra non è cosa da far meraviglia se 
un autore si vede alla volta defraudato del frutto dei suoi la. 
vori. Coi giornali specialmente , a meno che non siano pubblicati 
per conto di qualche buona casa , vi è da stare guardinghi. Chi 
scrive ne ha avuto più d’una riprova. Vi sono speculatori che 
cominciano un giornale , impegnano collaboratori : e poi, se l’af- 


(3) Vedi la lettera di Foscolo al marchese Capponi nell’Antologia N.° 104. 


100 
fare non riesce, non si paga nessuno. Queste sono vicende fre- 
quenti ; e Foscolo non doveva ignorarle. 

Alfine , nel 1827 , la rispettabile società Treuttel, Wurtz 
e Richter annunziò una rivista trimestrale consacrata uni- 
camente alla letteratura straniera , e nel luglio di quell’an- 
no ne comparve il primo numero. Ben accolta dapprincipio , 
quest’ opera periodica è andata sempre più prendendo piede, e 
migliorandosi nel piano e nell’ esecuzione. Oramai è divenuta 
un giornale veramente Europeo ; e tutto pare prometterle lon- 
gevità , come all’ Edinburgh ed al Quarterly Review. Varii scrit- 
tori di fama, come Walter Scott, Hallam, Southey vi vanno © 
di quando in quando contribuendo. Altri, tanto inglesi quanto 
stranieri di varie nazioni , vi han fatte le loro prove. Pochi 
mesi dopo «la pubblicazione del primo numero sorse un compe- 
titore nel così detto Foreign Review , il quale per qualche tempo 
lottò a gara col suo predecessore: ma avendo alfine speri- 
mentato che non vi era campo per due opere dello stesso te- 
nore , gli editori del Foreign Review ne cessarono la stampa , 
e gl’ interessati s’incorporarono con quelli del Foreign Quar- 
terly. i 

Il Foreign Quarterly ci ha dati molti ragguagli sulla letteratu- 
ra del Nord , e specialmente della Svezia Norvegia e Danimarca , 
letteratura pochissimo conosciuta fin quì anche in Inghilterra ; 
ed altresì della letteratura olandese , e di quella della Frisia, ove 
esiste ancora un rampollo dell’ antica famiglia Anglosassone (4). 
Ha pure preso ad illustrare i varii rami dalla gran stirpe slava, 
parlando della letteratura Russa, Polacca, Boema e Serviana od 
Illirica. Un articolo interessante sulla lingua e letteratura dei 
Madgiari ossia Ungheresi nel N.° V,ci dà copiose notizie su 
di una nazione illustre, e finora poco conosciuta nell’Europa Oc- 
cidentale. 

Riguardo poi all’antico Oriente , è d’uopo far menzione di un 
articolo, inserito altresì nel N.° V, sulla letteratura arabica, scritto 
egregiamente ; di un altro sulle provincie del Caucaso , N.° VIII; 
uno sui costumi , arti e lettere dei turchi N.° III ; quello sulla 
storia degli Ottomanni del noto signor Hammer N.° VII ; uno 
nel N.° X sulla religione dei Cinesi; e diciamo pur quì un 
articolo sulla storia dei Mori in Ispagna nel N.° I, della penna 
eloquente del sig. Southey. 


(4) N.° VI. For. Quart. Quest’articolo è pieno di ragguagli curiosi, e del 
tutto nuovi, 


IOI 

Le Americhe non sono state nè anch’ esse neglette. Abbia- 
mo articoli sul Brasile, sul Messico, sull’ America del Nord, 
ossia sui viaggi del Duca Bernardo di Saxe Weimar nel Canadà 
e negli Stati Uniti. Riguardo a quest’ultimi stiamo aspettando 
ragguagli più estesi e più proporzionati alla vastità del soggetto. 

Il Foreign Quarterly non è di sua natura giornale politico: 
pure nel suo uffizio di critico non può fare a meno di parlare 
d’ opere che riguardano materie politiche. Possiamo però testifi- 
care che in tale arringo non s’ immischia in questioni di partiti, 
ma rispetta le istituzioni e le leggi de’ vari imperii, biasimando 
quegli abusi che si vorrebbero soprappiantare alle leggi. Nella 
gran questione della Grecia prese sinceramente a patrocinare, non 
con declamazioni ma con raziocinii ben appoggiati, la causa degli 
Elleni. Questa causa è oramai vinta; e ad onta di alcuni ostacoli 
nell’ esecuzione, la decisione di dritto e di fatto è e sarà la più 
bella pagina della storia di questi ultimi anni. La causa dei Gre- 
ci fu sacrosanta dal principio. La religione , 1’ umanità , la ne- 
cessità stessa eran per essa, e le procacciarono alfine difensori 
potenti. Ell’è una di quelle poche vicende politiche sul risultato 
delle quali 1° occhio dell’ uomo dabbene puo soffermarsi con sod- 
disfazione non mista di rammarico. 

Il Foreign Quarterly già nel 1828-9, quando le sorti della 
Grecia non erano ancora definitivamente decise , avea dato alla 
luce più articoli su quella gran lotta. Passò in rivista i vari scrit- 
tori, specialmente Francesi, che avevano preso ad illustrare gli 
avvenimenti di quella seconda guerra Iliaca. Lodò soprattutto /es 
Memoires de la Grèce' del sig. Raybaud, come meglio scritte e 
più autentiche delle altre. Indi parla dei Filelleni Inglesi , e par- 
ticolarmente di Byron, di Stanhope, Lord Cochrane, e del Generale 
Church. L'opera di quest’ultimo è stata la più efficace. Ma pare che 
favorisse dapprincipio il progetto di un Ospodarato , forse cre- 
dendolo 1’ unico praticabile in quei tempi; mentre Fabvier era 
per l’ indipendenza assoluta, o per un governo federativo. Il Mi- 
nistro Canning fu ;l primo a prendere in mano diplomaticamente la 
causa dei Greci. Il Duca di Wellington fu allora inviato a Pietro- 
burgo sul principio del 1826 , apparentemente per congratularsi 
coll’Imperatore novello, ma in sostanza per trattare gli affari di 
Grecia. Il protocollo del 4 aprile fu la base del trattato di Londra 
fra le tre Potenze : seguì la battaglia di Navarrino : e ne venne in 
seguito 1’ evacuazione del Peloponneso. 

Si venne indi a discutere la questione. de’ limiti da assegnarsi 
al nuovo Stato. Cinque linee di frontiera furono proposte in. varii 


T'Od 
tempi. La.méno estesa èra quella dell’ istmo ‘di Corinto } la mas- 
sima quella che avrebbe incluso la Macedonia, la Tessalia e PEpi® 
ro. Fra questi due ‘estremi, due altre linee furono segnate in di- 
versi tempi. Una fu quella proposta ‘dagli Ambasciatori a Poros, è 
che comprendeva la Morea;la Beozia, l’Attica e le Cicladi, lasciani= 
do fuori l’Acarnania e Missolangi. Nel protocollo poi di marzo 1829 
si propose un altro limite , quello'cioè dei golfi di Volo e d’Arta , 
ma colla condizione'‘di riconoscere la supremazia del Sultano, e pa? 
gare un tributo. A questa si oppose Capo d’ Istria : e il Foreign 
Quarterly. ne. loda 1’ opposizione. 

Tutto quest’ articolo è scritto con un raziocinio e una impat> 
zialità ammirabile e rara. Si vede che 1’ autore anonimo fu al 
fatto delle transazioni diplomatiche di -quell’epoca, al punto di 
destare financo la meraviglia del Ministero Inglese. 

Frattanto il Generale Diebitch entrò in Adrianopoli; e la Porta 
cominciò a dar orecchio alle negoziazioni sulla Grecia. Si rinnova- 
rono le conferenze , si osservò che la questione dei Greci era inde- 
pendente da quella fra i Russi e i Turchi ; e il principio della so- 
vranità della Porta fu negato, e l’ indipendenza assoluta della 
Grecia riconosciuta. Si venne appresso alla definizione della fron- 
tiera. In considerazione dell’aver la Porta abbandonato la sua pre- 
tensione d’alto dominio, i limiti si stabilirono all’Oriente dal golfo 
di Zettoun invece ‘del golfo di Volo , e di là verso Occidente lungo 
il Monte Oeta fino al fiume Aspropotamo ; e poi invece di tirar la 
linea fino al prossimo mare di Arta ; si venne seguendo il corso di 
quel fiume verso mezzodì fino allo sbocco di ‘esso nel mare di Leu- 
cade.In questo modo l’Acarnania, situata sulla dritta di quel fiume, 
e abitata da Greci, venne abbandonata ai Turchi. 

Ed ecco il nostro critico: del Foreign Quaterly che in un altro 
articolo , N.° X febbrajo 1830 si mette a discutere su questi nuovi 
limiti: Non abbiamo spazio per seguirlo ne’suoi ragionamenti. Di- 
casi soltanto che ringraziamo la Provvidenza che in mezzo a sì 
gran trambusto ; ea tante difficoltà diplomatiche , fra tanti inte: 
ressi divergenti , si siano per sempre riscattate le regioni dell’Atti- 
ca , Beozia, Focide; Locride ed Etolia, e le belle Cicladi dal- 
l’ orribile giogo de’ Turchi. Della Morea fin dal principio della 
contesa non avevamo dubbio alcuno. Si poteva spopolare, ma non 
assoggettare di nuovo. Il nostro Scrittore ragiona pure a lungo del - 
1’ isola di Candia , e quindi passa ad esaminare qual sia la popola- 
zione del nnovo Stato Greco indipendente. Statistiche esatte son 
per ora impossibili. Dai ragguagli più degni di fede e specialmente 
da quelli del Conte Guilleminot , comunicati da lui ne’ suoi rap- 


103 

porti diplomatici , resulta che le popolazioni al nord dell’ Istmo di 
Corinto nòn ascendono in tutte a duecento mila anime. Le Cicladi. 
possono annoverarne altrettante. La popolazione della Morea si 
può calcolare a mezzo milione. Sicchè il nuovo Stato Greco non 
giunge ad un millione di abitanti. E che però ? Diaglisi riposo ; e 
il commercio ,.l’ agricoltura , e 1’ emigrazione inevitabile degli altri 
Greci presto ne raddoppieranno il censo. E poi, non è il numero 
degli abitanti soltanto che fa la prosperità di uno Stato. Le repub- 
bliche:di Venezia , Genova, Firenze e Pisa non ebbero sempre un 
milione di abitatori. 

Le finanze presentano ben altri ostacoli. Tutto l’introito del 
nuovo Stato.ascende a tre milioni e mezzo di franchi, le.spe- 
se a nove milioni. Il deficit dell’anno scorso fu riempito coi sus- 
sidii della Francia e della :Russia; coll’ imprestito negoziato dal 
sig. Eynard,.e col generoso sussidio di più di mezzo milione pre- 
stato dal Presidente Capodistria, de’:suoi proprj capitali. Il sig; 
Fontanier, recente viaggiatore francese, fa un quadro lut- 
tuoso della miseria di quelle belle ma ora desolate contrade. 
‘ Le case dirute, avanzi di tempj Greci di moschee Turche, 
»3 di castelli de Veneziani..... Il Consiglio di Stato si raduna- 
» va ad Egina in una vecchia torre a cui si saliva per una 
ss scala a piuoli. Il miglior alloggio che abbia il Presidente è a bor 
3» do della sua fregata. ,, Lo stato del Clero. Greco (e si sà che il 
Glero ha avuto gran parte negli sforzi generosi di quel popoto) e 
quello della pubblica educazione, sono due oggetti importantissi- 
mi. Il sig. Rizo , conosciuto in Francia e in Inghilterra per varie 
opere , ed ora Ministro del Presidente.,.si occupa di questi oggetti 
essenziali. Vediamo annoverate fra le spese pubbliche 266 mila fran> 
chi per un asilo ai tanti orfani, vittime della. guerra divoratrice, e 
149 mila pei poveri. Non vi è in tutto il paese una strada carrozza= 
bile, e quasi niun ponte. Lo stato, per così dire:di vassallaggio fen= 
dale, dei contadini riguardo ai Beys o Primati, è un'ostacolo pel Go- 
verno centrale. Le terre lasciate dai turchi si dovrebbero distribuire 
in parte almeno ai proprietarj, creando così:colonie nel paese stesso. 
In somma vi è molto da fare. Speriamo che si farà , se non presto ; 
almen bene.J ricchi mercatanti d’Idra e di Spezia, le: facoltose case 
Greche sparse su tutti gli scali del Mediterraneo non esiteranno, 
vogliamo sperarlo , a venire in soccorso dei loro-fratelli con sussidj 
e prestiti, di cui lo stato garantirà il rimborso: La marina mercan- 
tile Greca è il grand’ asse della forza e della ricchezza di quello 
stato nascente. ot i 

Lasciando per ora la Grecia, scorreremo di volo: altre: materie 


ii pa JI04 
che hanno altresì fornito articoli ben ragionati. al Foreign Gann 
terly. Le lettere Italiane non sono state poste in oblio. Un articolo 
sull’ istoria del Botta, due sul Manzoni, uno sopra la Letteratura 
Italiana dell’ Ugoni , uno sui dialetti d’Italia, un altro sul Dante 
del Rossetti, oltre varie notizie di altre opere minori, tutto ciò dà 
a vedere che fra i collaboratori e lettori di questo giornale non 
mancano quelli che s’ interessano a ciò che si fà e si scrive nel 
.s bel paese ,;- 

In fatto di ragguagli statistici abbiamo nel N.° X un articolo 
pieno di fatti importanti sul regno de’ Paesi Bassi. In una popola- 
zione di sei milioni il prodotto annuo dell’ agricoltura e della 
pesca vien calcolato a cinquantun milione di lire sterline; quello 
delle manifatture e miniere a ventotto milioni, e quello del com- 
mercio interno ed esterno a trentaquattro. Le tasse divise pel 
numero della popolazione vengono ad essere da 14 a 15 fiorini 
per ogni individuo, somma presso a poco eguale a quella che si 
paga dai Francesi , e un terzo circa di quella che si paga nella 
Gran Brettagna. Il debito con interesse è di mille seicento ses- 
santaquattro milioni di franchi. 

I tre emporii del commercio marittimo sono Amsterdam, Rot- 
terdam ‘e Anversa..A. Gand. e nei distretti vicini sono le gran 
manifatture di telerie; Liege e Namur sono celebri per le ima- 
nifatture di ferro ed altri metalli; Brusselles e Valenciennes pei 
martelli ; Utrecht e Dordrecht per le maioliche. Schiedam è ce- 
lebre per la fabbrica dell’ acquavite d’ orzo e ginepro ; conosciuta 
sotto il nome di ginepro d’ Olanda. Vi sono trecento distillatori 
a Schiedam, e cento quaranta in altre parti d’ Olanda. Il pro- 
dotto annuo vien valutato a trentaquattro milioni di franchi, 
due terzi de’ quali si esportano, specialmente per le Indie. 
= . Il commercio marittimo dell’ Olanda , benchè decaduto da 
quel. che era, ha ripreso vigore dopo l’ultima pace. Il nu- 
mero dei bastimenti mercantili entrati nei porti d’ Olanda nel- 
l’anno 1827 era di 5203. La marina di guerra consiste in 93 
vascelli di vario calibro: l’armata di terra è di quarantadue 
mila uomini. 

L’ Olanda possiede nell’Indie la vasta isola di Giava e le 
Molucche, ed altri stabilimenti nelle isole vicine. Nell’ Ame- 
riche ha stabilimenti nella Guiana, e due o tre nelle Antille. 
Sulla costa di Guinea ha anche delle fattorie. 

Un'altro articolo inaportante di statistica occorre nel N.° IX 
sullo stato economico attuale della Spagna, che merita l’ at- 
tenzione dei lettori. La popolazione di quel regno è ora di quat- 


105 
tordici milioni circa: il che dà un aumento di tre milioni dal 
1800 in qua, nonostante la terribile guerra, di sette anni. Il 
salario giornaliero di un lavorante varia da sette a dieci rea- 
li. Da un quadro autentico delle corti di giustizia pubblicato 
nella gazzetta di Madrid pel 1827, risulta che vi furono in un 
anno mille duecento ventitre omicidi, ela metà di più , coltel- 
late ed altre ferite non seguite da morte: mentre, osserva il 
critico , nello stesso periodo di tempo , nell’ Inghilterra propria- 
mente detta a Wallico, la di cui popolazione è a presso poco 
quanto quella di Spagna, vi furono soltanto trentasette indi- 
vidui convinti di omicidio o tentativo di omicidio. È osservazione 
oramai autenticata dai fatti, che più la civilizzazione progredisce , 
minore è il numero degli attentati contro la vita e la persona, 
benchè i delitti contro la proprietà alle volte aumentino, spe- 
cialmente ove sia gran disuguaglianza di ricchezze. 

Lo stato civile, morale ed economico della Germania, e la 
prolifica letteratura di quella nazione rispettabile hanno for- 
nito più articoli al Foreign Quarterly. Ci basterà accennar- 
ne i seguenti, coi soli titoli, giacchè non abbiam campo di 
più dilungarci: sulle opere del Wieland; sulla storia della 
dinastia degli Hohenstauffen , del sig. Raumer; sulla biografia 
di Mozart, di Nissen; sulla famosa trilogia , il Wallenstein dello 
Schiller; sull’ opera di Heeren, del commercio politico. ec. delle 
grandi nazioni dell’ antichità ; sulle opere del Niebuhbr, dello 
Hammer ec. Abbiamo già osservato in un articolo precedente , 
che la letteratura alemanna viene studiata e gustata assai in In- 
ghilterra da vari anni in qua; il che è ben naturale attesso i rap- 
porti che corrono fra le due nazioni. 

Non istaremo quì a dare estratti di tante e sì varie materie : 
ci basta averle indicate a quelli dei nostri lettori che sono in 
grado di consultare il giornale di cui parliamo, e l'aver dato 
agli altri una qualche idea di un’opera veramente enciclopediea, 
e che merita bene delle lettere europee , pel criterio, la sana cri- 
tica, ela vera imparzialità con cui vien compilata. 


A. Vi 


T. I. Gennaio 14 


106 


Il proscritto. Storia Sarda dell’ autore di Sibilla Odaleta. (1) 
T. II. Torino Pomba 1830. 


Senza entrare in analisi lunghe e tediose, crediamo di far 
cosa grata e ai lettori e all’autore, scegliendo dal suo romanzo alcuni 
de’ passi che a noi paiono più dilettevoli. Senz®altro preambolo 
dunque diremo che quì si tratta d’un giovane il quale da Ge- 
nova parte per la Sardegna a fine di raccogliere una sua ere- 
dità, ed ha per compagno e per guida destinatagli dal padre 
un avvocato Trebellio: del quale ecco il ritratto, un po’caricato 
al solito, ma non senza grazia. ‘ Uomo alto poco meno di sei 
s> piedi, magro, affilato (2), che non parea reggersi senza timore 
») sopra dae stinchi spolpati, affusolati , e lunghi almeno tre 
> palmi. Un abito che dovea essere stato nero in origine, ma che 
,» a forza di venir sottoposto per vent’anni all’azione della spaz- 
»» zola avea perduto il pelo ed il color primitivo , gli si stringeva 
3; alla vita con troppo amore, comunque non dovesse far largo 
3; giro per abbracciarne la circonferenza. Le maniche erano di 
,» tre buone dita più corte del bisognevole, per cui i carpi 
,» delle sue mani rimanevano quasi sempre scoperti , del quale 
,> inconveniente avvertito o per se o per carità di amici, facea 
,» continui sforzi onde velarne la nudità , stirando a vicenda pri- 
ma due manichini bianchi come neve benchè benemeriti per 
ss lungo servizio, e poi le maniche stesse dell’abito, che perciò 
,s mostravano il traliccio meglio delle altre parti. Il rimanente 
,» del suo abbigliamento consisteva in un paio di calzoni corti 
, di un drappo di seta lucido come cristallo, che imboccavano 


b}) 


(1) Un altro critico ha. già saviamente osservato che per imitare Walter- 
Scott non è necessario incominciare da un error di grammatica. Il nostro in- 
gegnoso autore che tanto abborrisce gli imitatori di quanto vien d’ oltremare 
e d’oltremonte, se ne persuaderà facilmente. Che direbb’ egli di chi venisse a 
parlargli dell’autore d’Eneide , dell’ autore di Gerusalemme Liberata? 

(2) Se io dicessi ad altri che al ch. A., che affilato suol dirsi d’un naso 
o d’un viso, ma non d’ un uomo; che gambe affusolate è frase nuova, che co- 
munque non è tutt'uno con quantunque , che curto non è della lingua seritta 
vivente che per cui in luogo di per Za qual cosa non è nè italiano nè di lingua 
nessuna ; che avvertito per sè non ha senso, che onde invece di per non ha 
esempi, che stirare i manichini non è il medesimo che tirarli in fuori; che il 
traliccio non è che una sorta di tela; che un drappo di seta lucido come cri- 
stallo è cosa non ancor veduta, costui mi risponderebbe che il notare nove 
o dieci inesattezze od errori di lingua in tre periodi è una detestabile pedante- 
ria. Ma il n. A. non vorrà, speriamo, essere tanto crudele co’ poveri critici. 


107 
s) sotto il ginocchio delle calze quasi pavonazze : in una parola 
»; all’intutto si vedea un uomo per necessità più che per incli- 
», nazione economo, ma amante della polizia quanto Mons. Della 
s» Casa avrebbe potuto desiderarlo. Ma se l’abito , che a dispetto 
> del proverbio popolare da tutti conosciuto , si usurpa il diritto 
»» di regolare il giudizio che si fa di un uomo che per la prima 
s; volta ci comparisce agli occhi, se 1’ abito, dico, assicurava 
»» che il suo padrone non aveva mai visitato il bel paese di El- 
ss dorado (3); la fisionomia di quest’uomo , giurava che in quel 
,) Corpo era tanta vivacità da mettere in festa un esercito di 
» piagnoloni Eracliti ; e in quel capo tanto spirito da risplen- 
so dere all’ nopo ‘tra un icrocchio di venti persone come una bot- 
ss tiglia di spumoso Sciampagna tra venti bottiglie di triviale 
5, chiaretto. E credo bene che la natura avesse fatto il di lui 
> volto per un altro corpo , o il di lui corpo per un altro volto. 
ss Il lungo suo tronco, le lunghe e mal nudrite sue estremità 
3: voleano per legge di proporzione e d’ armonia un viso ovale 
3, come un cocomero , un naso affilato , due scarne guancie (4), 
> due lunghi occhi grigi e privi d’ espressione, una bocca simile 
s, a quell’ istromento da rompere le noci, un collo nervoso , e 
3, finalmente una pelle di color del bosso. Nulla di tutto questo: 
»» la mia futura Minerva avea una di quelle fisionomic. delle 
so quali il pittore andrebbe in cerca quando volesse rappresen - 
s) tare per esempio un convito dato da Momo (5) ad una briga- 
53 tella di amici della stessa sua pasta. I suoi occhi sopratutto , 
33 piccoli e rotondi; ma neri come l’ebano , scintillavano di tanta 
», luce, da far chiaro fin nell’ oscurità della notte. = Il buon 
33 uomo al mio apparire si alzò , e mi onorò con una riverenza 


(3) Chi conosce un solo qualunque de’ romanzi di Walter-Scott vede subito 
che quasi tutte le facezie dell’autore di Sibilla conservano il giro e la maniera 
delle facezie dell’ illustre Scozzese : così pescate di lontano, così ravvolte in 
lunghe circonlocuzioni , così monotone nella loro ironia. Affè che 1’ autore di 
Sibilla è più per il yess che per il sì, e sta d’accordo con quel Baretti ch'egli 
chiama pedante. 

(4) Le guance scarne e il viso ovale non so come stieno insieme d’accor- 
do ; e non veggo perchè un lungo tronco richiegga per legge d’armonia una 
pelle di color del bosso. 

(5) Si vede bene che il narratore protagonista di questo romanzo è un 
uomo del secolo passato : egli parla d’ una futura Minerva, e d’ un con- 
vito di Momo, come di tema pittorico. Egli vi parla della nostra bella) Ita- 
lia che sarà sempre la patria del genio se potrà farsi bella non solo di un Pa- 
rini, di un Mascheroni, di un Alfieri, di un Monti, ma d’un  Labindo F4 
d’un Alessandro Verri, d’ un Palcani e d’ un Bettinelli. 


108 


39 dalla quale mi avvidi ch'egli non era avvezo a farne delle pro- 
» fonde; qualità negativa a cui forse andava debitore della 
» poca ricchezza del suo esteriore ,,;. 

Saltando tutti que’ lunghi preliminari che occupano un buon 
terzo del primo volume, (6) ci troveremo col giovane narratore 
in Sardegna nella casa di suo zio ,° dove si celebrano le nozze 
di una coppia felice d’ amanti, e si balla. ‘ Non ho mai viste 
>» in mia vita capriole tanto briose. L’indole particolare di que- 
»» gl’isolani è fortemente scolpita in ogni loro cerimonia , sia poi 
s, sacra e profana; e le stesse loro narrazioni hanno un carattere 
»» veramente drammatico. Molti e varii sono i loro balli: a due, 
3, a quattro, a otto; ma tutti di musica allegra e vivace ; seb- 
3» bene un po’ moresca , e direi troppo rumorosa: ma il più pit- 
»» toresco di tutti, quello che veramente si può chiamare la 
s» danza nazionale, è il ballo tondo, il quale comunque a prima 
s) a prima sembra assai facile, offre nondimeno delle difficoltà che 
so uno straniero non sa così presto superare. Le coppie dei balle- 
» rini, disposte in ordine alterno , si tengono tutte per mano , e 
s» formano un circolo intorno ai suonatori ; e ora lasciandosi e 
s) ripigliandosi un momento dopo con finte eseguite colla mas- 
39 sima prestezza , battendo a vicenda l’ un calcagno , e poi l’al- 
33 tro, accompagnano le cadenze con certi scrollamenti delle 
», mani e delle braccia, che è un incanto a vederli. Alcune coppie 
,» di ballerini hanno altresì fra le dita delle nacchere o casta- 
,» gnette , che movono con tanta rapidità e aggiustatezza ch’ io 
»» credo non si possa far meglio dai più svelti spagnuoli, inventori di 
», quell’ istrumento, e dai quali probabilmente 1° hanno i sardi 
», ereditato. Non mancavano i violini e le chiarine, che veramente 
,» sono l’ anima d’ ogni musica : ma primeggiava tra loro certo 
3, strumento formato di canne di diversa lunghezza e grossezza, 
s simili alle tibie impari degli antichi; e che chiamasi /aunedda. 
3» Non so veramente quale sarebbe la sua importanza ove ve- 
>» nisse introdotto nelle nostre bande di musica: ma di sicuro 
,» all’orecchio di quegl’isolani 1’ effetto da lui prodotto ha non 
3» so che di così lusinghiero e musico , ch’ egli opera sui loro 
»» nervi a un dipresso come il salterello d’ un cembalo sulla 
»» corda ch’ egli percuote ,,. 


(6) Anche in questo l’autore di Sibilla tien dietro all’autore di Wawerley, 
i cui romanzi cominciano tutti da dichiarazioni, da descrizioni , da dialoghi ; e 
il vero intreccio d’ ordinario non s’ annoda se non dopo un centiuaio di pa- 
gine e forse più. 


109 

1l zio del giovane narratore ha una figlia ; una figlia simile 
a tutte le figlie di romanzo; ma da lui dipinta con questi colori. 
« V’è un genere di bellezza ch’ è simile ad un sereno del co- 
» cente luglio: l’aura che precede l’ alba, il zefiro che accom- 
‘3; pagna la sera spirano invano a prova per turbarne la soverchia 
s, purezza: dai cardini più opposti del cielo non iscorgi una nu- 
» voletta che ne appanni l’ abbagliante azzurro (7). Tale non era 
>» la bellezza di mia cugina: mobile anzi e cangiante come le 
s; acque di un lago che, mentre ne ammiri e lodi la placida quiete, 
>» gorgoglia d’ improvviso , e scava dal profondo le tempeste che 
3; si chiudeva in seno, per passeggiarle sulla sua superficie. Vario 
», ad ogni ora del giorno era l’aspetto suo : ora spirante lan- 
»» guida melanconia; ora cordoglio , or festa e riso, or lampi 
»» d’ira; e nella mestizia e nel duolo e nell’ira e nello sdegno, 
>» sempre di un bello che scende all’anima, e la tocca. (8) Più 
», d’ una volta io l’ osservai di nascosto seduta all’ ombra di un 
», acero, simile al volto, all’atteggiar della persona alla Pensie- 
, rosa di Milton (9): parea divisa da tutto ciò che il mondo ha 
» di terreno: le lunghe sue palpebre le cadevano immobili sugli 
»» occhi: una lieve tinta di pallore le adombrava il volto: in- 
»; chinava il capo su di una spalla, e tenea le mani incrocicchiate 
;- sul grembo. Ad un tratto, una striscia di rossore le balenava 
», sulle guance: le nere sue pupille divenivano ancor più nere, 
» e scintillavano come 1’ astro del mattino: una rimembranza 
»» erucciosa le solcava il cuore come ruota tagliente: avresti 
33 detto che la sua anima gettava un grido di dolore e di dispetto ; 
, e allora niun Raffaello, niun Michelangiolo avrebbe ritratte con 
3) verità le sembianze di quell’angelico viso. Era fiammante che- 
> rubino.... Ma gli angeli non hanno sdegno: era ciò che non 
»9 si può definire ; il passaggiero turbamento la rendea mille volte 


(7) Ho una piccola difficoltà contro questa similitudine , ed è che l’ ab- 
bagliante azzurro di un tal genere di bellezza è sereno ma non cocente. Più 
bella mi pare 1° altra del lago che scava le tempeste sca passeggiarle. Bella 
se fosse detta altrimenti. 

(8) Questa osservazione troverà degli oppositori in chi conosce le donne, 
Una bellezza così cangiante non è di quelle che scendono all’ anima, come 
dice l’A., e la toccano. 

(6) Ecco una similitudine che vien d’ oltremare: simile al volto. alla 
Pensierosa. Non so poi.di dove venga la frase : ciò che il mondo ha di terreno: 
nè 1° altra del pallore che adombra. Non so se queste sien frasi della nostra 
bella Italia. Certo nessuno avrebbe pensato a paragonare una donna inna- 
morata del carattere di Elena a un cherubino fiammante. 


TIO 


5; più bella , quasi come avviene di fragrante liquore rinchiuso 
3, in elegante cristallo, che, scosso, sparge un nembo di più 
»» grati odori ,». 

Il cugino narratore $° innamora d’ Elena in pelle in pelle : 


e un giorno la ritrova in un sito che descrive così. ‘ Attraver- 
»» sato tutto lo spianato, e raggiuntone il labbro orientale, 
3» devo confessare che rimasi sospreso nel vedermi dinanzi uno 
3» spettacolo che difficilmente varrò a descrivere , e che potreb- 
»» b’essere l’argomento del più grazioso quadro che abbia mai ideata 
3» la fantasia di un pittore poeta. Una lunga catena di monta- 
s» gne quasi come una tenda verde e cilestra , interrompeva. la 
3; visuale in modo che parea sorgere dal mare che la lambiva , 
» e che si travedeva in lontananza tra due enormi rupi, talmente 
s» inclinate e fuor di base che (10) sembravano in procinto di ro- 
» vesciarsi l’una sull’altra, e di confondere le sterminate loro ro- 
»» vine. I comignoli delle loro. pendici erano tanto. vicini che 
»» un elice assicurato sulle due punte delle rocche, stabiliva un 
3, mezzo di comunicazione , del quale potea , a parer mio) valersi 
3» solo qualche capra spensierata , oppure un uomo. reo di grave 
» delitto e perseguitato dalla vendetta delle leggi. Un. torren- 
3; tello, per verità più insolente che gonfio , saltellava tra le ine- 
»» guaglianze delle sottoposte rocce , e si annunciava da lontano 
sg con un mormorio sommesso, simile al susurro del vento di 
3, autunno quando mesce le aride foglie di un bosco. Giunto nella 
»» valletta che compariva tutta ammantata di musco € di porracina 
»» di un verde assai cupo; divideasi in mille fili d’argento , 
> che in quel momento riverberavano ne’più graziosi colori i raggi 
s» rifratti di un sole che moriva 3. 

« Elena mi fisse in volto gli occhi: parea godere della mia 


(10) Le pitture de’ luoghi possono aggiunger vita alle scene poetiche: ma 
per ciò è necessario che sien chiare, e che non sieno prolisse. Il nostro autore, 
anche in ciò imitator fedelissimo dell’ uomo . d’ oltremare; dilava le sue ‘pitture 
in una quantità di parole che invece d' îllustrarle , le appannano. Questa per 
esempio , sebbene non lunga, poteva essere ridotta alla metà senza nulla omet- 
tere di quello ch’egli intendea di accennare. I classici in ciò posson porgere i mi- 
gliori modelli ;3 che con una pennellata fanno più ch’ altri non possa con re- 
plicati tocchi, e ritocchi. Io non citerò che la descrizione di quella. cala ove 
i naufraghi si raccolgono nel I dell’ Eneide. Quanto poi alla chiarezza ‘ed alla 
precisione , non potrebbe l’ egregio autore variare un poco que’ modi tanto im- 
portuni : interrompeva la visuale in modo che... dal mare che,.... talmente in- 
clinata che ,.... tanto vicini che... fili d’ argento che... un sole che ? Non po- 
trebbe scegliere espressioni più pittoresche de’ comignoli delle pendici , e del 
riverbero dei raggi rifratti ? 


III 


sy sorpresa; quasi come se quelle maraviglie della natura fos- 

sero opera di un incanto da lei operato (tt). Io ammirava in 

silenzio questa scena deliziosa ; e la solitudine , le bellezze del 

sito , le mie proprie disposizioni; e più di tutto quell’ aura di 

paradiso che si diffondeva dalla celeste creatura ch’ io avea 

vicina, m’immersero in un mare di pensieri dal quale non 

avrei voluto uscire per tutti i tesori dell’ Indie. Giammai la 

) giovinetta che da più giorni padroneggiava i miei pensieri, 

-, non mi si era mostrata di un’ avvenenza più pericolosa. La ra- 

»» pidità colla quale avea poco prima attraversata la valle, e 

»; superata l’ erta che conduceva allo spianato ; avea scomposto 

so l'ordine della sua capellatura : due treccie le erano. cadute sul 

so collo : essa le avea rilevate e rannodate alla meglio, ma non 

»» avea saputo ricomporle alla loro primiera simmetria o disposi 

zione. Un venticello che spirava da ponente le affollava sulla 

3» fronte quelle ciocche più nere e più lucide delle piume del- 

l’ airone ; ed ella tentava, ma in vano, racconciarsele dietro l’o- 

»» recchio . . . (12). ,» 

Elena , l'amata del giovane narratore viene in questo luogo 

a manifestargli ch’ ell’ ama un altr’ uomo. Quest? uomo. salvò la 

vita a suo padre , in un giorno di caccia, ch’ egli stava già già 
per cadere in un precipizio. Essa in quel punto fu vinta da 
amore. ‘ I suoi occhi (di Naborre) non isfolgoravano nè di orgo- 
» glio nè di compiacenza: i suoi lineamenti non annunciavano nè la° 
» soddisfazione della vittoria nè la pompa del coraggio fortunato: 

s; un’ aura di modestia gli spirava in viso , la modestia dell’ uomo 
»» che ha adempito a un dovere : eppure le mie pupille non pote- 
»» vano reggere ad un’ espressione tanto soave; io fui costretta 
»» di chinarle : il mio labbro, su cui erravano le più calde pa- 


25 


(11) Anche la ricchezza e la varietà delle espressioni è bellezza in roman- 
zo necessaria : e non tutti i lettori vorranno trovar bella 1’ opera. d* un in- 
canto operato , le maraviglie della natura ammirate in silenzio, ricomporre la 
disposizione de’ capelli. 

(12) Abbiamo, già sentito 1’ aria, di. Paradiso che spirava dalla celeste 
creatura , e le ciocche simili alle piume dell’ airone : se noi continuassimo 
questa pittura , troyeremmo i giardini dell’ innamorata maga del Tasso, e la 
Speranza , mandata da Dio a consolar l’uomo dalle terribili conseguenze cagio- 
nate dal fallo de’ nostri primi parenti. Certe esagerazioni triviali d’ affetto , 
l’ ingegnoso autore dovrebbe lasciarle ai romanzieri meno esperti 3 e certe si- 
militudini troppo erudite dovrebbe lasciarle agl’ imitatori dell’ uomo d? oltre- 
mare , che suole spesso alludere nelle sue ai. libri de’ classici inglesi o d’ altra 
lingua. 


112 

;; role di riconoscenza, balbettò alcune voci sconnesse: una 
33 fiamma di rossore m’ abbruciò le guance , poco prima pallide 
», come il giglio che cresce su d’ un sepolcro : nua scintilla mi 
,; serpeggiò per le vene , e tutti i miei nervi ne furono scossi. 
ss Tale io mi rimasi: un momento dopo , quando cioè i disordini 
,; dell'avvenuto furono riparati, Naborre mi si avvicinò per aju- 
», tarmi a risalire a cavallo ; la mia mano tremò nella sua: fu- 
s, nesto tremito ! Naborre se ne avvide: quella mano che avea 
»» frenato l’ impeto di un cavallo, quella mano che pari alt’aqui- 
35 lone potea piegare la cima di una quercia (13), rispose al mio 
,; tremito , come la corda d’ un liuto oscilla sotto il dito che la 
»» percuote. ,) Naborre in una lotta vince Evaristo Mattei, il fra- 
tello d’ Elena : quest’ Evaristo , di li a poco , per opera di assas- 
sini prezzolati da un malvagissimo, cade ucciso : costoro ne danno 
a Naborre la colpa: Naborre è proscritto : ma da ultimo ritorna 
sconosciuto nell’isola , e ci vive ramingo. 

. Il giovane narratore va intanto ad assistere alla pesca de’ton- 
ni. —  Brulicava la riva d’ un gran numero di Megere e di De- 
ss moni, quelle in gonnella rossa, questi con dei calzoni di rascia 
,» scura , colle maniche delle camicie rimboccate al di sopra de’go- 
» miti, col volto affumicato, con le mani e le braccia sucide d’una 
»» sostanza oleosa , di grassum& , e di sangue. Gli uni erano armati 
> di lunghi ramponi di ferro , mercè de’ quali afferravano il pe- 
»» sce nell’ ultima rete, che chiamano camera della morte ; e lo 
» strascinavano nelle scialuppe , dove, dopo aver lottato breve- 
,» mente nell’agonia , soccombeva più in grazia della mancanza 
»» dell’ elemento che gli è indispensabile , che pei colpi rice- 
sy vuti (14). Altri traevanlo dalle scialuppe , e boccheggiante get- 
,» tavanlo sul lido. Questi, muniti di larghi coltellacci, lo se- 
»» gavano in pezzi, lo purgavano delle interiora, o n’ estraevano 
,» le lische. Quelli portavano le carni ancora palpitanti sopra gra- 
» ticole di ferro , per rosolarle : alcuni le ammucchiavano in ampi 


(13) Perchè mai queste esagerazioni , questi concetti forzati , vengono a 
turbare il corso spontaneo dell’affetto ? 

(14) Questa narrazione ci pare in qualche modo dilettevole come statisti- 
ca non come poetica; e però la rechiamo. Il bravo A. , che certamente poteva 
far meglio , s° è limitato ad esporre l’ arida realità senza scintilla di fantasia, 
senza fior d’eleganza. La sua pittura è tutta untuosa e prosaica : quel Walter- 
Scott ch’ egli imita avrebbe certamente infusa in una scena simile più di 
vita. Dietro a questi esempi non avran torto certuni di lamentarsi che la rea- 
lità sia prosaica. 


115 
vamini per friggerle; le donne vi versavano (15) sopra a larghi 
rivi un olio ; la di cui fragranza , unita a quella delle reste che 
servivano di combustibile, potea dirsi insopportabile : altre vi 
spargevano senza economia il sale ed il pepe, i cui bricioli resta- 
vano come appiccicati all’ untume delle loro mani; ed altre fi- 
nalmente le accomodavano nei barili, aggraziandole con olio 
di qualità migliore , e con aceto per conservarle. Questo spet- 
tacolo degno del pennello di un pittore di vedute marinaresche, 
era poi animato da altre parziali scene; che ne erano come gli 
episodi. Qui due ‘sovrastanti dell’ impresa; seduti sopra barili 
colle gambe incrocicchiate , coll’ un gomito sul ginocchio , e 
la mano stretta in pugno sul polso della fronte, fumavano 
tranquillamente le loro pipe, e scambiavano larghi globi di 
fumo : là tre-o quattro mascalzoni sdrajati sull’ arena, man- 
giavano senza risparmio in ampi recipienti di legno i migliori 
bocconi di quel pesce che acconciavano, e le dita servivano loro 
di forchette. Più in su ( perchè in quell’ anno #’ era anche da 
una compagnia tentato il metodo antico e tuttora usato nelle 
acque di Spagna, quello cioè di pescare il tonno alla lenza nel 
modo che sono per dirvi ) , più in su alcuni riattavano le lenze 
che il pesce avea danneggiate nella lotta. L’ amo destinato ai 
tonni non porta esca come gli altri: egli è solamente provve- 
duto di uno straccio disposto in modo che 1’ incurvatura del 
ferro comparisca azzurra, e la punta sia ricoperta da una 
specie di sacchetto di ruvido bambagino tagliato in forma di 
una sardella , del qual pesciolino il tonno è ghiottissimo. Per 
togliergli di liberarsi dalla lenza e di portar via l’amo tagliando 
cor denti il canapo , i pescatori battono 1’ amo stesso su d’una 
piccola lenza lunga poco più d’ un braccio , e formata di otto 
o dieci fili di rame che il tonno nun può rescindere : questo 
fiscio di fili viene poi assicurato ad un cordone di filo di canapa 
attentamente lavorato e contorto con ogni esattezza, largo 


(15) L° artifizio dello stile, in mancanza della forza poetica , poteva 


almeno in parte abbellir questo quadro : ma l’A. con la solita precipitazione , 


sicuro di trovar de’lettori, e superbo di ciò , non fece conto alcuno di quelle 
diligenze che sole rendono un libro degno d’amore e di vita. Si veda p. es. la 


monotonia e l’invenustà di quelle desinenze brulicava , afferravano, strascina- 


vano, soccombeva, traevanlo, gettavanlo, legavano , purgavano , estraevano , 
portavano, ammucchiavano , versavano , e così sino alla fine. Nella bella 
Italia gli storici stessi si fanno un dovere «li raccontare con un po’ più di gra- 
zia le cose. 


T. 1. Gennaio 15 


114 3 
, due o tre braccia ; il quale si sppicca con un cappio ad altra 
‘,, grossa lenza di 200'e. più braccia di lunghezza. Ogni scialup- 
;; pa ne porta tre alla sua destra , e tre ‘al fianco ‘sinistro: ma 
‘3; gli accidenti che mettono le lenze fuor di servizio sono nu- 
», merosi ;'e perciò richiedesi il soccorso di una compagnia di 
‘3, artefici, continuamente occupati a ripararle, perchè il lavoro 
»3 d’ ogni scialuppa non soffra interruzione. Questi racconciatori 
»; attendono all’opera loro sulla riva stessa del mare, dove hanno 
»» le loro fircine ed i loro magazzini di cordame sotto spaziose 
:, e lacere tende che poco li riparano dagli inconvenienti del 
;» sole, e meno da quelli delle piogge. Altrove finalmente scor- 
» geansi gruppi di fanciulli presso che nudi, i quali, radunati 
»» alcuni mucchi di lische, cui faceano asciugare al sole, ne 
‘» sceglievano le migliori, ch’ essi destinavano all’ onore di di- 
»; venir frecce, avendo i sardi una particolare disposizione al- 
s, l esercizio dell’ arco. Ma tutta la scena che mi sono ingegnato 
di deserivervi non ha che fare colla pesca del tonno. La pesca 
‘3) colle scialuppe non si eseguisce nelle vicinanze della spiaggia , 
bensì a più miglia in mare, e colle vele sempre al vento ,,. 

Il giovane narratore rincontra Naborre : ambedue insieme 
uniti scoprono il nido degli assassini di Evaristo Mattei: (16) 
uno di costoro, ferito a Morte, conferma che Naborre è innocen- 
te (17): Naborre si sposa ad Elena , e il romanzo finisce (18). © 

or 


(16) La pittura di questi assassini è la parte più bella: ma il nostro A. 
nemico di quegli orrori che ci vengono d’ oltremare e d’oltremonte , perchè si 
compiace egli tanto ne’ suoi romanzi d’ assassinii, di tradimenti , di viltà 
d’ ogni specie? ; 

-, (17) Il nostro A. rifugge dal dare alle opere sue uno scopo morale, o, di. 
retto o indiretto che sia. Egli parla per parlare ; contento di destar ne’ suoi 
lettori una sterile curiosità. Si osservi l’intreccio di questo romanzo : un pro- 
seritto per calunnia d’ omicidio , torna alla patria , e si sposa! Bella lezione ! 
Interessante soggetto ! Eh no, non son questi i tempi di pascolar gl’ italiani 
con simili vanità. Io non dico che allo scopo morale si debba mai sacrificare il 
concetto poetico : ma privarsi di quella potenza che viene al bello dalla forza 
di un’ utile verità , è modestia a’ tempi nostri soverchia. 

(18) Dai saggi recati si giudichi del libro intero : se ad essi s’aggiunga la 
descrizione d’ nn ballo (T. If. p. 16) , d’ un tragitto notturno (p. 34 e seg.), 
della caverna de’ masnadieri (p. 108 e seg.) , della morte d’ un d’ essi (p. 231), 
s° avrà la parte più poetica di tutto il romanzo. Ma queste poche bellezze ci 
mostrano che l’A. potrebbe volendo far meglio. Non si lasci sedurre da un 
effimero successo, più commerciale che letterario; non disprezzi le osservazioni 
di chi lo stima , s° egli desidera che le sue opere sopravvivano a lui. 


TITO 


RIVISTA DETTERARIA. 


n, 


Di una epigrafe antica nuovamente uscita dalle escavazioni bresciane. 

Dissertazione del. Dottor Gro: Lazus. Milano 1830, in'8.° 

Lettera del Dottor Grovanni Lasus ad EmanveLLE Cicogna intorno 

ad una iscrizione antica scopertasi in Venezia nel mese di agosto 1830. 

In Venezia ; nel mese di settembre ; in 4.° 

Questi due libretti, massime il primo , dimostrano , 0 piuttosto con- 
fermano; ‘che il'sig. Labus è un archeologo di molta saviezza , d’assai 
sapere e dichiaro ‘îngegno: Vede egli tutte cose per quel lato, onde 
veramente debbon vedersi, pone sempre i piedi in sicuro, e, prova 
ogni suo assunto con evidenza di ragioni e con tal copia ed, opportu- 
nità di dottrine , che ogni lettore dee, a giudicio nostro, restarne am- 
mirato. 

L’ epigrafe uscita dagli scavi di Brescia consiste di un frammento 
che la dimostra imperiale , e serba le note delia potestà tribunicia , 
dei consolati e dell’ acclamazione imperatoria. Il signor Labus afferma 
tosto che 1’ epigrafe appartiene a Nerva come il solo dei Cesari a cui 
si'confacciano le cronologiche note rimase intatte nel marmo. La quale 
affermazione provan verissima le medaglie autentiche ch’ egli adduce , 
ad essa certamente non recan danno alcuni marmi ed altre medaglie che 
paiono contraddirvi. I marmi sono in parte dimostrati falsi, e in parte 
mal letti; e le medaglie sono tutte del Golzio, e sì diffamate , che gli 
stessi nummofili\ meno cauti le rigettarono. 

Il marmo , in che si legge la epigrafe, è in forma cubica di presso 
che un metro per ogni lato: manifesto indizio che su d’ esso fu col- 
locata la statua dell’ ottimo imperatore; la quale statua gli si. innalzò 
per decreto dei Decurioni, com'è palese dalla sigla D, onde sì com- 
pie l’ultimo verso dell’ iscrizione , e onde ne è certo, che la stessa 
sigla appariva nel ‘principio del medesimo, il quale ora è frammentato. 
Era in quel tempo nella città di Brescia assai ragguardevole il ceto de- 
curionale. V’appartenea Minicio Aciliano marito di Giunia Rustica nata 
da Lucio Giunio Aruleno Rustico filosofo stoico, di raro sapere , ingenui 
costumi e integerrima vita , ucciso com’ognun sa, da Domiziano per aver 
chiamati santissimi uomini Elvidio Prisco e Trasea Peto: il qual Do- 
miziano non contento di avere sbramato in sì barbaro modo il suo odio 
e la sua crudeltà, perseguitò del filosofo anche la moglie Pomponia Gra- 
tilla, e il fratello Giunio Maurico ; che spogliati de’ beni, e interdetti , 
come diceasi , dell’ acqua e del fuoco , li cacciò duramente a confine. 

Ucciso Domiziano e fatto Nerva imperatore, richiamò egli Gratilla 
e Maurico dall’ esilio , e gli rimise in possesso dei beni. Le quali cose 
consideran do , e la dimestichezza in che venne Maurico col buono Au- 


rr 


gusto, mi persuado , dice il nostro Autore, che rappresentato da Aciliano, 
da Minicio Macrino padre di lui, e da Marco Minicio Quinziano alla 
Curia bresciana, alla quale tutti e tre appartenevano, sì felice mutamento 
di stato , ed esposta con appropriati concetti la risorta pubblica tranquil- 
lità, accennate le rare virtù dell’ Augusto imperante , i beneficii già fatti 
al loro parentudo, e que’ maggiori che dalla magnanimità del buon prin- 
cipe la città\tutta sperare potea; persuadomi ; dice egli , che ciò udito, 
i decurioni bresciani ad una voce decretassero in onore di\ Nerva una sta- 
tua. ... Sitcome poi una statua in marmo scolpire.in due dì non si po- 
tea ; così posto l’ intervallo tra la sanzione del ‘decreto: e la dedicazione 
del simulacro , giugniamò al gennaio dell’ 851, ch’ è appunto il mese e 
l” anno recato dalla nostra iscrizione. 

Ornano la dissertazione tre note critiche, che la:loro; materia por= 
tano all’ evidenza. La prima riguarda la patria di Quinto Minicio, Ma- 
ero avolo di Minicio Aciliano ; dice la seconda delle famiglie romane 
Minucia e Minicia; e trae la terza argomento dallo stemma dei. Giunii 
e dei Minicii dei tempi romani. 

In iscrizione , che molti recano , Quinto Minicio Macro che fn que- 
store in Verona ed in Brescia, è detto appartenere alla tribù poblicia. 
Afferrò la notizia il Maffei e il pose tra’ suoi veronesi. Pazriae ; scrisse 
egli, non er nominibus , sed ex tribubus dignoscuntur ; tribum autem po- 
bliciam veronenses obtinuerunt.. Sostenne per lo contrario il Gagliardi; 
che Minicio Macro era bresciano. Sta da lui il sig. Labus, e ne paiono 
giuste le sue ragioni. Toglie ei prima ogni forza alla. recata teorica del 
Maffei scrivendo : Chi non sa il mutamento avvenuto dopo Tiberio nelle 
istituzioni romane? Bambini, per così dire, in fasce e fanciulli di pochi anni 
si veggono colla tribù. Liberti parimente e figli di Liberti ne fanno pompa:in 
marmi sinceri. Non mancano ancora figli che recano tribù diverse da quelle 
de’lor genitori;nè magistrati municipali e soldati, che hanno ben altra tribù da 
quella in cui si vogliono descritte le patrie loro ; nè finalmente chi trovasi 
ascritto or ad una tribù , ed ora ad un altra. Marco Nonio Macrino , per 
dir di un solo , (delle cose affermate di sopra si adduce per citazione una 
folla di esempi ) che fa mostra in due marmi della tribù Fabia, ha due 
figli, Nonio Arrio Muciano e Nonio Arrio Paolino Apro, che secondo 
la teorica del Maffei recare dovrebbero la tribù del padre e dell’avo, e la 
segnavano forse nella verde loro età ; ma fatto è che il primo, eletto pa- 
trono dei Veronesi, segna la Poblicia , e che l’ altro seguì a segnare la Fa- 
bia sino alla morte. Se dunque la tribù non fa irrepugnabile prova che 
fosse Quinto Minicio Macro veronese , finchè un marmo non trovisi , în 
cui alla tribù Poblicia non aggiungasi domo Verona potrem seguitare a 
giudicarlo bresciano massimamente sapendo che occupò in Brescia la que- 
stura municipale , che quivi avea la madre; la moglie , quivi il suo do- 
micilio , e quivi lasciò con le proprie ossa figli e nipoti e numerosa poste 
rità : delle quali cose sono testimoni i marmi rammemorati qui dal sig. 
Labus; il quale adduce anche 1’ autorità d’ una lettera di Plinio ; in 
che Minicio Macrino , figlio di Minicio Macro e padre di Minicio Aci- 


TT W, 
liano è detto di Brescia: la qual città, a concessione pure del sig. La- 
bus; potè essere a Minicio Macro patria per domicilio. 

Questi Minicii, eccoci al tema della mota seconda, si confusero 
spesso dai moderni raccoglitori di antiche lapidi co’ Minucii , che son 
ben diversi. Antichissima è la gente Minucia. Caio Minucio arringò per 
persuader Bruto a non restituire i beni ai cacciati Tarquinii, e nel 256 
di Roma M. Minucio Augurino tenne i fasci con A. Sempronio Atratino. 
All’incontro, dice il sig. Labus , la gente Minicia è, per così dire, nuova 
e rendutasi celebre solo al tempo dei Flavii. Fra? primi, che più ragguar- 
devoli appaiono ne? libri ene’ marmi , sono è Minicii bresciani. D’altri, 
che sono contemporanei di loro fa novero l’ autor nostro colla testimo- 
nianza dei marmi, finchè a parlar non venga di L. Minicio Esorato 
vivuto ai tempi di Tito; del quale Esorato diè altra volta un’ epigrafe 
che ora ripete; avvalorandone con molte prove e verissime i supple- 
menti che v’ aveva fatti e che da un letterato chiarissimo non s’erano 
approvati. 

Resta ‘a dire della nota ‘terza, in cui com’è avvertito di sopra ; 
si tien discorso dello stemma, od albero, dei Giunii e dei Minicii dei 
tempì romani; il quale stemma si espone in tavola alla fine del volu- 
metto. 

Fu potente in Ispagna la familia Giunia, alla quale appartennero, 
come ‘attestano le iscrizioni, una Juria Decimi filia Rustica sacerdos, e 
un Lucius Junius Maurus. E? probabile scrive il sig. Labus ; che da 
questo Lucio Giunio siano discesi Lucio Giunio Aruleno Rustico e Giunio 
Maurico; della derivazione de’cui cognomi, e altresì de’lor ‘ascendenti, 
discendenti ed affini parla l’autore con'gran copia di dottrina epigra- 
fica; dalla quale trae pure esempi certissimi ad avvalorare i proprii 
divisamanti ed a correggere gli altrui. 

L’ iscrizione illustrata nella lettera al sig. Cicogna e pertinente a 
Pola è incisa in un sarcofago , e così dice: 


M. AVREL ius EVTYCHE 
S. ET AVRELIA * RVFENa 
HANCG * SEDEM 
VIVI * SIBi - POSVERunt 
VNO ANIMO LAB, 
ORANTES (foglia) SINE 
VLLA QUAERELLA 


Due emblemi, e ciascuno sotto un arco sostenuto da due colonne, 
sono accanto all’ iscrizione: lascia dalla parte destra dell’ osservatore ; 
1’ archipenzolo dalla sinistra. Il quale archipenzolo ‘unito all’ascia mo- 
stra che questa non esprime l’oscura formula :'‘sud ascia'dedicavit, come 
in altri monumenti funebri; ma sì che amendue gli stromenti sono 
posti a dinotare il mestiero del defunto : ciò che nell’ antichità è fre- 
quentissimo; e l’ autore ne adduce un numero ben grande di esempi. 


118 


JN mestiero di Eutiche , che da questo cognome apparisce di condi- 
zione libertina , fu quel di falegname di grosso, che per noi direbbesi 
lavorator di quadro, e detto fu dai Latini faber tignarius, o tignuarius. 
Non è uopo avvertire , scrive il sig. Labus , che per acconciar travi , e 
impalcarle , per dispor panconcelli , erger ponti ; far usci; armadii ; sga- 
belli , più in breve, per esercitare l’ arte lignaria sì utile alla civil società, 
fra’ molti altri strumenti, occorrono l’ archipenzolo el’ ascia ; questa per 
lavorar i legnami , quello per allogargli:con esattezza. Nè aiciò solo è con- 
tento il sig. Labus; ma fa eziandio dichiarazione. giustissima d’ ognì 
parola della epigrafe che n’ abbia bisogno; e recata con buona inter> 
pretazione , e più correttamente che per altri innanzi non fecesi; 
un’ epigrafe di simil genere , piglia speranza di poter definire l’ età del 
suo monumento facendone paragone con un marmo dello Smezio., nel 
quale un Eutiche di ugual nome e prenome concorre con altri fabbri 
tignuarii ad erigere una statua a Caracalla. 

La iscrizione era conosciutissima ; ma il sarcofago, in che si legge, 
era smarrito da quasi tre secoli. Ritornò a luce, noù ha guari di. tempo 
per iscavo fatto nella Chiesa di S.Paolo di Venezia, privo però del 
coperchio antico ; in luogo del quale n° ha uno in marmo rosso, con 
questa iscrizione: Francisci Superantii = Jacobi procuratoris = Ecclesiae 
Sancti Marci filii = Et Clarae Capello usoris eius = Amantissimae hic 
ossa iacent = Obiit anno Domini MDLXIII= Die xx mensis Augusti. 

D’ antichi sarcofaghi gentileschi serviti poi di sepoltura a’ cristiani 
immenso n’ è il numero; e molti che già attorno stavano al Battisterio 
della nostra Firenze, sono ora., fatti pur vuoti de’ secondi \ospiti,, în 
palazzi e giardini della medesima: documento perpetuo della vanità della 
cura di destinare a sue ossa appartato sepolcro. i 
G. B. ZANNONI.. 


Lettera di D. CeLrsrino CaveDonI al Ch. sig. Professore DomsnICO 
SesTINI sopra alcune medaglie greche. Modena 1830 in 8.° 


Le antiche e belle :monete icon 1’ abbreviata iscrizione ZI e ZE 
si attribuivano dai numismatici a Sifno e Serifo. Si oppose loro il ce- 
lebre Sestini , e le disse proprie di Sicione7, traendone argomento dal 
trovarsene ivi in gran numerò ; dall’ essersi adoperata non raramente 
la E per I, e da altre particolarità espresse in esse medaglie e pro- 
prie del memorato paese. Il sig: Cavedoni pone in sicuro l’opinione di 
questo principe degli odierni numismatici afforzandola da ogni banda, 
Le controverse medaglie han la testa d’Apollo e sovente anche il tri- 
pode ed il corvo , usitati simboli di questo nume. Ora alcuni re di 
Sicione si credeano venir da Apollo; e questi in Sicione ebbe culto e 
altresì più d’ un tempio. Considerati poscia a conferma di suo divisa- 
mento altri tipi di queste medaglie, conchiude 1’ Autore che riguar- 
dandoli in complesso fanno altra prova di tutta evidenza. I tre princi- 
pali, scrive egli , sono Za chimera; Za colomba volante entro una laurea, 


= -eteeiié-éé.iéééòé ik ibiiiiviiitizceatirer nt id aa tr dei te 


159 

éd il tripode posto similmente dentro una corona. Fra” varit ed eleganti 
simboli , che distinguono le sì copiose monete di Corinto segnate colla testa 
di Pallade e col Pegaso , trovo tutti e tre gl’ indicati tipi della chimera 
della ‘colomba e del tripode , tali e quali sono nelle monete controverse... 
‘Il vederli tutti e tre in molte delle accennate monete , che ho sott'occhio, 
mi persuade che il riscontro non può essere altrimenti accidentale. Ognuno” 
sente come sia cosa naturale e spontanea , che i Corintii ritraessero que’ sim- 
boli dalle monete di Sicione cognata loro e vicina; e come sia del pari in- 
verisimile , che tutti li ritraessero dalle monete di Sifno e Serifo , divise 
da loro per molto mare. 

E dalla considerazione dei tipi passando a quella delle iscrizioni, 
si ferma su’ nomi dei magistrati, e poi su quello della città , espresso, 
come sopra è detto, colle abbreviature XI e XE. Una bella prova per Si- 
cione, scrive rispetto ai primi , si ha dal vedere come nelle monete di bron- 
zo attribuite dall’ Eckhel a Sifno si trovan sovente i nomi stessi dei Magi- 
strati, che sono in altre concesse a Sicione dall’Eckhel medesimo. Questi 
ne ricorda tre soli dei cosiffatti; il sig. Cavedoni ne accresce il novero 
a rafforzare la sua opinione; la quale egli reca all’ ultima evidenza col 
notare il doricismo di questi nomi di magistrati sì nelle monete certe 
di Sicione e sì in quelle che dar si vorrebbono a Sifno ed a Serifo; e 
col citare un autorità dell’ antico grammatico Apollonio Alessandrino, 
il quale attesta, che /a città di Sicione presso gli abitatori suoi stessi ap- 
pellavasi TEKUWY. 

Dato compimento alla sua materia considera il sig. Cavedoni, quasi 
ad appendice d’ essa , due altre medaglie; l’ una d’Egina, l’altra per- 
tinente al re Deiotaro e di somma rarità. Su quella n’ è rappresentato 
il porto , chiuso ai lati da due ripari a foggia di luna bicorne. Da ciò 
congettura sagacemente che in medaglie d’Atene, di Megara, di Cro- 
tone e d’ altre città, una o più lune crescenti dinotino uno o più 
porti; sentenza confermata dal dirsi il porto dai greci Scrittori , se- 
gnatamente se naturale, MHNOEIAH® , cioè di forma lunata. 

Dal rovescio poi della medaglia del re Deiotaro, nel quale è un’a- 
quila ad ale spiegate sopra uno scettro che si assomiglia alla mazza- 
ferrata, congettura che essa aquila alluda alle legioni deiotariane , 
se però quello scettro od asta sia posta diritta in quella - moneta , che 
egli non ha sott’ occhio ; chè se mai , soggiugne egli , vi stesse di tra- 
verso , laquila potrebbe spiegarsi per quell’augurio narrato da Deiotaro 
a Cicerone, che dice (Divin. 1 16 ): Quid ego hospitem nostrum , claris- 
simum atque optimum virum, Deiotarum regem commemorem? qui nihil 
unquam nisi auspicato gerit ; qui cum ex itinere quodam proposito et con- 
stituto revertisset , AQVILAE admonitus volatu, conclave illud , ubi erat 
mansurus , sì ire perrexisset , proxima nocte corruit. Nella seconda delle 
«due belle lettere archeologiche scritte di questi di dal medesimo sig. 
Cavedoni, si torna a parlare della medaglia deiotariana, recandovisi 
prima una parte di lettera scritta all’Autore dal celebre sig. Cav. Bar- 
tolommeo Borghesi ; che è questa: ‘ L’ aggiudicazione a Sicione dei 


120 

tipi in addietro attribuiti a Serifo e Sifno , è stata da lei corroborata 
con tante ragioni, che non troverà più alcun incredulo. Piuttosto in- 
contra presso me difficoltà la congettura , che 1’ aquila del re Deiotaro 
alluda alle legioni da lui istituite, essendo che quell’ uccello non è già 
il legionario infisso sopra un’ asta, ma tiene invece fra 1’ ugne uno 
scettro. . . ,, Ora che veggio avverato il mio sospetto, scrive seguitando 
il sig. Cavedoni , rinuncio senza meno alle legioni deiotariane. L'aquila 
pertanto potrà riferirsi a quell’augurio , o meglio al titolo di re, perchè 
i re son detti da Omero AIOCENEIX e AIOTPEDEI ; e secondo il 
poeta istesso lo scettro avevano essi ricevuto da Giove , e laquila mostrerà 
di portarlo da parte di Giove medesimo. 

E serva aver detto ciò di questo opuscolo , che altre più cose ve- 
drà il Lettore discusse ivi, nelle annotazioni in ispecie , con bellissimo 
criterio , e scelta dottrina. 

G. B. ZANNONI. 


Opere varie d’ Ennio Quirino Visconti rac. e pub. per cura del dottor 
Gio. Lasus. Milano, Stella 1830, t. 3.° in 8.° fig.” 


È già inoltrata, come raccolgo da’ cataloghi bibliografici, la stampa 
del quarto volume, ed io ancora non ho dato conto del terzo. Da po- 
chi forse me ne sarà fatto rimprovero; ed io lo vorrei da molti, come 
prova d’ amore per un genere di studi che fu sempre all’ Italia assai 
decoroso , e di reverenza per un uomo che ne fu sì gran maestro. 

La prima dell’ opere varie , inserite nel volume che ho fra le mani ; 
è una di quelle che mostrano più chiaramente qual maestro egli fosse. 
Vivono ancor molti, io spero , di quei che vivevano al tempo della 
favolosa spedizione , che aprì l’ Egitto alle ricerche di tanti dotti. E si 
rammentan le dispute che i due zodiaci di Dendera, scoperti dall’ im- 
mortale Desaix e copiati dal Denon, che ne portò a Parigi il disegno, 
fecero nascere specialmente fra gli astronomi. Piaceva a taluno di questi 
assegnar loro una remotissima antichità. Il Visconti , guardando alle 
posizioni de’ loro segui, all’ artifizio di certe figure in essi scolpite, 
a varie particolarità , che gli venivan descritte , del tempio in cui fu- 
rono scoperti, anche prima di vedere le due greche iscrizioni, che loro 
stavano vicine nel tempio medesimo, opinò che fossero stati inalzatì fra 
l’ anno trentaquattresimo dell’ impero d’ Augusto e il quindicesimo di 
quel d’ Adriano. L’ opinion sua e i motivi dell’ opinione son la materia 
della prima dell’ opere pocanzi indicate , cioè d’ una Notizia sommaria 
sui due Zodiaci , scritta in francese ( come tutte l’ altre che compongono 
il volume ) e già inserita dal Larcher nella seconda edizione del suo 
Erodoto , con un supplemento che quì pure le va unito. Le iscrizioni 
frattanto furon anch’ esse copiate ; il maggior de’ Zodiaci fu trasportato 
col tempo ove prima giunse il disegno d’ ambidue ; e le dispute , che 
mai non eran cessate, si accalorarono più che mai. Alfine , dopo molti 
scritti che il dott. Labus annovera nella sua prefazione al volume , e 


I2I ù 
specialmente dopo le ricerche del Letronne sull’ Istoria dell’ Egitto , e 
la notissima lettera del Champollion juniore al Jullien sui due Zodiaci, 
tutti parvero acquetarsi nell’ opinione del Visconti. Il che narrando il 
Dumersan in una sua Notizia ancor recente sul maggiore di que’zodiaci 
ha potuto dire : e’ est donc l’archéologie qui a donné dans cette discus- 
sion les lumiéres les plus certaines à la critique etc. etc.; parole che il 
Labus ripete con particolar compiacenza, e per 1’ onor del Visconti e 
per quello degli studi a lui, come al grande archeologo , prediletti. 

Accompagnerò colla Notizia sui due Zodiaci egiziani, il maggior 
de’ quali oggi vedesi nella stanza delle antichità presso la Biblioteca 
Reale di Parigi, le Notizie sopra una statua parimenti egiziana che si 
vede a Saint-Cloud. E la bella statua di basalte , portata in Europa 
dal Barone della Turbie con altre preziose antichità, unica allora per 
grandezza , e ancor cospicua abbastanza fra le grandissime che oggi si 
trovano ne’ Musei di Parigi e di Londra, di Torino e di Roma. Alcuni 
‘antiquarj propendevano a veder in essa una persona addetta al mini- 
stero o iniziata a’riti del sacerdozio. Il Visconti, con ragionamento 
assal bello , cerca di provare che sia un genio , una potenza mediatrice 
fia il cielo e la terra, in atto di ricevere sulle sue ginocchia (è se- 
duta o accosciata alla maniera che ancor usano gli Egiziani ) le offerte 
degli uomini agli Dei. Duolmi che 1’ iscrizion geroglifica scolpitale in 
petto , e quella del pilastro a cui si appoggia, al tempo del Visconti 
non fossero spiegabili nè ancora sieno state spiegate. Esse forse con- 
fermerebbero la probabilita dell’opinione annunziata , e finora men 
probabile dell’ altra, che simili statue , qualunque sia il lor significato, 
servisser d’ altare o di sostegno alle cose necessarie pe?’ sacrifici. 

Curiosissima per noi è la questione che il Visconti mosse al cele- 
bre Humboldt, indirizzandogli una Lettera , che questi inserì nel suo 
Viaggio , e che quì pure si ritrova, sopra alcuni monumenti de’ po- 
«poli. Americani. Trattasi in essa particolarmente d’ un gran busto 
basaltico , nel quale il D’ Humboldt credè vedere una sacerdotessa 0 
principessa Azteca o Messicana, e il Visconti una specie di geroglifico, 
un simbolo allusivo alle varie età del mondo , intorno alle quali ci 
mostrò come sì accordassero le opinioni di varii popoli dell’antichità. 

Ma gli argomenti , in cui il Visconti entrò più addentro, sono e 
dovevan esser quelli che appartengono alle antichità greche e romane. 
E fra le opere varie , ove trattansi da lui tali argomenti , non poche 
anche in questo volume son veramente assai notabili. 

Qual cosa più dotta infatti che la sua Nota critica sui greci scul- 
tori, che portarono il nome di Cleomene ? Quindi il Jacobe , come 
dice il dott. Labus nella sua prefazione , la inserì tradotta in tedesco 
nella Biblioteca Letteraria, il Tiersch ne diede un bel sunto nelle sue 
Epoche dell’ Arti Greche , il Sillig ne ammise quasi tutti i risultati 
nel suo Catalogo degli Artetici. Ora i risultati , chi voglia saperli , sono 
questi : esser certo per le parole di Cicerone e di Plinio che il Cleo- 


T. I. Gennaio 16 


122 

mene autor famoso delle Tespiadi ( confuse dall’ Heyne colle Testiadi ) 
fiori innanzi alla distruzion di Corinto : esser certo egualmente , per 
altre testimonianze , che un Cleomene figlio di Cleomene ateniese , e 
autore della statua che dicesi di Germanico e forse rappresenta un 
orator romano sotto le sembianze di Mercurio , fiorì dopo quella di- 
struzione : essere assai probabile, secondo i costumi de’ Greci , che il 
Cleomene padre fosse anch’ egli scultore , e forse autore della Venere 
Medicea, nella cui iscrizione, non punto apocrifa , leggesi Gleomene 
figlio d’ Apollodoro : esser quindi probabile del pari che il Cleomene 
della Venere sia il Cleomene delle Tespiadi. 

Non molto distante per merito da questa Nota critica parmi la 
Spiegazione d’ un bassorilievo in onor d’ Alessandro il Macedone , già 
accolta dal Saint-Croix nell’ Esame critico degli Storici di quel con- 
quistatore ; e qui ripubblicata con giunte ed emendazioni autografe. 
Alessandro combattente e trionfante ad Arbella rappresentato in un 
clipeo con iscrizione o epigramma che accenna fra |’ altre cose la sua 
discendenza dagli Eraclidi e dagli Eacidi ; e il clipeo sostenuto dall’Asia 
e dall’ Europa in atto d’ adoratrici sopra un’ ara ov? è scolpita una danza 
sacra , ecco il bassorilievo , ch’ io diceva; bel pezzo di giallo antico 
o marmo numidico , stupendamente lavorato e benissimo conservato. 
È questo il primo monumento , osserva il Visconti , ove l’ Asia e l’Eu- 
ropa appariscano personificate , come già il furono da Eschilo ne’suoi 
Persiani e poi da altri poeti. È pur uno de’ pochi monumenti che ci 
attestino il costume quasi ignorato dagli antiquari, ma pur certissimo, 
di porre un clipeo al disopra di un’ara invece del simulacro d’ una 
divinità. Era e credo che sia ancor posseduto dal principe Poniatowski. 

Interessantissima per altri rispetti riuscirà ad ognuno la Lettera al 
Denon sur le costume des statues antiques , che precede nel volume la 
Spiegazione già detta. Quando il Corpo Legislativo di Francia decretò 
la statua colossale , che tutti sanno , al Primo Console, il Denon , uno 
de’ non molti fra’ suoi che avessero il vero gusto dell’ arti , sentendo 
intuonare non so che canzoni circa all’ abito da darsi all’ eroe , s’ af- 
frettò a scrivere nel Monitore : per l’ amor di Dio non facciamo scioc- 
chezze: fra tanti grandi avvenimenti , che sì succedono con sì prodi- 
giosa rapidità, pare alfin tempo di ricondur l’arti all’antica grandezza: 
profittiamo di questa bella occasione , ec. ec. Il Visconti a rinforzo , 
e credo pure in riconoscenza di queste parole che dovean suonargli sì 
grate , gli diresse tosto la Lettera quì sopra accennata, e ch'io non esito 
a chiamare una gioja. Dopo questa dichiarazione peraltro mi farò lecito 
un’ osservazione , che l’ objection, cioè, di chi in proposito d’ abiti de- 
sidera che l’ arti moderne non mentiscano alla posterità più che non 
abbian fatto le antiche , è un po’ meno specieuse che nella Lettera non 
si dice. Verissimo che l’ arti antiche non rappresentavan neppur esse 
fedelmente e cronologicamente gli abiti antichi, ma sceglievano, mu- 
tavano, inventavano , secondo che tornava meglio al loro scopo, = 
all’ eterno scopo dell’ arti = la bellezza. Ma per quanto scegliessero , 


n'str 


Birra i iii 


123 
mutassero , inventassero , a me pare che avessero pur sempre qualche 
riguardo al vero cioè a dire all’ uso, che non era per gran fortuna 
così nemico alla bellezza come il nostro. Le arti moderne, commettendo 
in favore della bellezza anacronismi che le antiche non commisero , si 
assomiglierebbero in questo assai poco alle antiche. E parmi che fosse 
degno del Visconti, mettendo innanzi le ragioni che doveano incorag- 
gire la scoltura a far il Primo Console piuttosto ignudo che in abito 
alla francese , il metterne pur innanzi qualch’ altra che la distogliesse 
dal far il compagno di La Fayette, il generale degli Americani, in abito 
d’ imperator romano. 

Ho indicato tre scritti, che uniti insieme valgono, ad ispirarci 
il gusto della bella scultura, non so quanti bei libri. Pur non valgono 
quel solo che qui loro succede sotto il modesto titolo di Memorie 
sulla scultura del Partenone e d’alcuni edifizi dell’ Acropoli d’ Atene, 
Tutti, spero, a quest’ ora hanno veduto almen copie di queste porten- 
tose sculture portate a Londra da lord Elgin , credo nel 1815 , e quindi 
subito entrate nel Museo Britannico. Il Visconti, chiamato a farne 
stima , le descrisse ad un tempo, con quel sapere con cui nessuno 
forse le avrebbe potute descrivere, e con quell’amore con cui le avrebbe 
descritte il Canova, che in una lettera a lord Elgin , citata dal Labus, 
sì chiamava beato per aver potuto vedere cogli occhi suoi tali meravi- 
glie. Per quanto le loro copie sien oggi comuni ai nostri Musei , duolmi 
che i riguardi economici abbiano impedito di qui aggiugnere alla loro 
descrizione i loro disegni. 

Dopo questa descrizione gli scritti più estesi che trovinsi in que- 
sto volume sono il Catalogo d’alcune delle greche iscrizioni raccolte 
anch’ esse da lord Elgin pocanzi nominato, e quello della Dattilioteca 
del barone De la Turbie nominato più sopra. Il Catalogo delle iscri- 
zioni, alcuna delle quali! appena indicata dal Visconti è riportata di- 
stesamente e illustrata dal Labus , può riguardarsi come un felice pre- 
ludio di ciò che poi fecero intorno ad esse il Quatremère, l’ Ossan, il 
Boeck , ec. Il Catalogo della Dattilioteca riscontrato con un manoscritto 
ove trovansi correzioni che sembran di mano dell’autore, e diviso per 
classi alla maniera usata dall’ autor medesimo ne’ Cataloghi degl’ im- 
pronti del principe Ghigi e delle gemme del principe Poniatowski, può 
riguardarsi come opera nuova , o di nuova utilità, della quale gli stu- 
diosi sapran grado al benemerito editore. 

Fra i molti scritti più piccoli, contenuti nel volume, alcuni sono 
d’ un gran pregio ; ma io non posso che annoverarli cogli altri , tutti 
degni a dir vero della loro compagnia..Eccoli distribuiti in cert’ordine, 
cominciando da quelli che riguardano opere d’ arte : Notizia d’ una 
testa in bronzo di Vespasiano che si conserva nel Museo Parigino , la 
più bella forse tra le imagini di quell’ imperadore dopo il busto co- 
lossale che se ne conserva nel Museo Farnese ; = Osservazioni sopra un 
cammeo molto antico rappresentante la morte di Dafni; -— Lettera 
inedita sopra un cammeo meno antico rappresentante Giove Capitolino 


rod k 
e assai notabile per alcuni accessori che non si trovano in altri  mo- 
numenti ; — Osservazioni sopra una medaglia greca inedita , ove tro- 
vasi il nome degli Avlari, popolo non ben noto ai geografi , dateci se- 
condo l’ estratto del Millin con note del Raoul-Rochette, e poi secondo 
l’autografo con note dell’ Allier d’ Hauteroche ; — Memoria sopra un 
vaso dipinto apportato di Sicilia , con greche iscrizioni ec. dataci se- 
condo l’estratto ch’ è nella Storia dell’ Istituto R. di Francia ; = De- 
scrizione d’ una tappezzeria ricamata della regina Matilde moglie di 
Guglielmo il conquistatore , di cui già aveva dato un disegno il Mont- 
faucon. 

Altri scritti più o men pregevoli appartengono alla paleografia, e 


sono questi: Memoria sopra l’epitaffio degli Ateniesi morti a Potidea, 


o a meglio dire spiegazione e supplementi dell’ epitaffio medesimo ; — 
altra Memoria sopra due iscrizioni trovate in Atene , giusta il sunto 
che se ne legge nella Storia dell’ Istituto Francese ; — terza Memoria 
sopra un’altra iscrizione trovata presso Atene, giusta il sunto che pur 
se ne legge in quella Storia ; = Osservazioni sopra un’iscrizion di Ci- 
resia , ossia sopra la lapida contenente la lettera di T. Quinzio Flam- 
minio, vincitor di Filippo, ai magistrati e agli abitanti della detta città; 
— Notizia d’un’ iscrizione (greca pur essa come le antecedenti) tro- 
vata ad Autun , giusta il sunto già datone dal Millin. 

Vengon quindi i pareri dati dal Visconti in vari giornali : sulle 
Antichità d’Atene dello Stuart e del Revett; — sulle Dissertazioni ar- 
cheologiche del Touchon d’Anneci; — sui Frammenti di Dionisio pub- 
blicati dal Mai ; — Sulle Osservazioni del Ciampi intorno all’ Epito- 
me di Dionisio medesimo ; = sulle Emendazioni Liviane del Wal- 
chio ; = sopra uno de’ Libri Sibillini edito e interpretato dall’ edito- 
re, detto pocanzi, de’ Frammenti di Dionisio ; sopra una Disserta- 
zione del Torlacio intorno a’ libri de? Sibillisti; -— infine varie Vite 
scritte per la Biografia Universale , due d’ antichi artisti, Cleoeta e 
Cleomene , e tre di dotti moderni , Fabretti , Eglinger ed Ekhel. — 
Si aggiugne , come parte delle illustrazioni dell’ editore , una Lettera 
del cav. P. Visconti all’ editor medesimo, ove trattasi d’una medaglia 
di Tolomeo figlio di Giuba secondo , oggi conservata nel Museo di 
Vienna, e d’ un busto finor collocato fra quelli d’incogniti nel Museo 
Vaticano , ma che al confronto delle medaglie vedesi essere di quel re 
mauritano ; lettera che serve insieme di supplemento alla terza parte 
della Greca Iconografia. 

Volendo far conoscere in breve quante dovizie archeologiche 
sieno raccolte in questo volume , ho quasi dovuto limitarmi ad 
un nudo catalogo. Ma già ciascuno s’ imagina quanto compite sie- 
rio queste dovizie ; e di quant’ altre specie se ne trovin loro fram- 
miste. Voi prendete in mano la descrizione d’un antico monumen- 
to , del bassorilievo p. e. ove l’Asia e l’Europa sembran rendere omag- 
gio al vincitor d’Arbela. Erudizione , ‘osservazioni di gusto , ec. ec. 
nulla manca a questa descrizione. E in mezzo a tutto ciò vi si presen- 


125, 

tano spontaneamente e senza alcun fasto pagine degne d’un gran sto- 
rico : Ce culte, que l'Europe et l’Asie rendent à la mémoire d’ Alexandre, 
a été dicté autant par leur reconmoissance que par leur admiration. Sil 
avoit étendu et'assuré la puissance de la premiere, il avoit aussi amélioré 
le sort de la seconde, au moyen de la culture, de la discipline, des con- 
noissances et du got qu'elle emprunta de la Gréce. Celle-ci dut à l’ Asie 
les commoditès de la vie et les jouissances du lure. Enfin Alexandre s’étoit 
efforcé de réconcilier ces deux séurs et d’en étouffer à jamais les haines, 
par une sorte d’échange réciproque de moeurs et de coutume. En un mot 
il avoit résolu de ne faire de tout le genre humain policé qu’une seule et 
meme famille. Connoissant , è cet égard, les prejugés de ses compatriotes, 
il recommanda, jusque dans son testament, l’exécution de ce grand dessein, 
et en fournit les moyens par des idees lumineuses , etc. Come simili cose 
abbondano ne’ suoi scritti, ciò dovrebbe accrescer loro non poco il 


numero de’ lettori. 


M. 


Storia Fiorentina di Ricorpano Mauiseini dall’ edificazione di Firenze 
al 1282, seguitata da Gracorro MALrispini fino al 1286. Livorno, 
Masi 1830, tomi due (5.° e 6.° della Scelta Biblioteca di Storici 


Italiani ) in 12.° 


Il voto da noi espresso , annunciando l’edizion livornese della Cro- 
naca del Compagni, che anche la Storia de’ Malispini ricomparisse 
fra glì studiosi per cura del dotto Benci, si è presto adempito. Quel 
voto doveva a tutti, non ne dubitiamo , sembrare assai giusto. Ma il 
Benci lo ha più che giustificato, usando intorno alla detta storia di- 
ligenze squisite , e premettendole un discorso importantissimo , del 
qual giova riferir qui tutto 1’ esordio. 

“ Principiando a leggere la storia fiorentina che i Malispini com- 
pilavano , può il lettore svogliarsi alla seconda pagina, e chiudere il 
libro e non aprirlo più. Manca infatti ne’ primi capitoli 1’ ordine, la 
connessione , la verità. Vi si dice negli argomenti, come sarà descritta 
l’ Asia, l’Affrica, e l’ Europa: e ridicole e inutili sono quelle descrizioni. 
Si soggiunge la storia antica, ed è una favola : il principio della storia 
moderna , ed è un romanzo. Ma pensi il lettore che questo è il più 
antico libro ( i più antico libro istorico ) che s’ abbia nel nostro vol- 
gare , scritto nel secolo 13.°, quando mancavano i confronti da certi- 
ficare un giudizio. La superstizione , la tirannide , e 1’ igmoranza loro 
necessaria compagna , avevano per troppo tempo condannato l’uomo al 
viva sepoltura, disperdendo le cognizioni, cancellando le memorie. 
Sicchè poteva non fallire il discorso delle cose presenti: ma chi nar- 
rava il passato, doveva inventare. Ora è meglio che gli uomini sba- 
glino ma parlino. Perchè il loro favellare è uno spirito che s’ infonde 
ne’ discendenti. E se ì Malispini non avessero fatto altro che princi- 
‘piar la serie non mai più interrotta de’ nostri storici, questa è grande 


126 
obbligazione per noi ad amare anche i loro difetti. Alla mossa de’ Ma- 
lispini seguitò subito Dino Compagni: ed a lui Giovanni, Matteo e 
Filippo Villani, avendo pur questi i loro successori. 

‘ Non rincrescano pertanto al lettore i primi capitoli, da’ quali 
pure un utile s’ottiene: si vede quali opinioni avessero i nostri anti- 
chi, quale si figuravano la storia del mondo. E proseguendo, e ridendo 
della loro credula mente , nascerà il desiderio di continuare per la leg- 
giadria del romanzo. Piana, semplice, spontanea è l’elocuzione , mas- 
sime ine’ primi capitoli dov’ è maggior la favola. Poi diventa un po’no- 
taro lo scrittore, numerando quasi cogl’ idem, idem, idem, e a non 
finir mai più, le famiglie, le case, e le strade della città : colla quale 
noia comincia il racconto vero, da far desiderare le prime novellette. 
Ma anche questi racconti importano a qualcheduno: e sia paziente quel 
lettore, cui non si derivi alcuna superbia da quell’antichità di fami- 
glia. E fatto il giro delle mura, indicati gli edifizi, notati i principali 
abitanti, prosegue la parola senza fastidio a registrare le azioni. Le 
quali si riferiscono le più al municipio : ma molte ancora alla patria 
italiana: e tante eziandio allo straniero , che anche per lui diventa 
necessaria Ja presente storia. 

‘I Malispini, che scrissero , furono due : di nascita, fiorentini: 
di stirpe, com’ essi dicono , antichi romani : di nome, Ricordano e Gia- 
cotto. Ricordano cominciò e condusse il più di queste storie. Giacotto 
suo nipote ne dettò gli ultimi capitoli. E la loro età è incerta. Nes- 


sun altro di quei primi scrittori fece di essi menzione. Non ne favellò, 


neppure Giovanni Villani che trascrisse nelle sue storie , accrescendo, 
abbreviando o copiando , quasi tutti i capitoli de’ Malispini. Quello , 
che sappiamo di loro, si sa per il loro proprio racconto , misto colle 
altre narrazioni in alcuni capitoli della storia. E per mala fortuna 
manca ne’ manoscritti quel numero che più importerebbe. Ricordano 
dice d’ essere stato in un tale anno a Roma: e di quest’ anno non si 
leggono che le prime cifre dinotanti il secolo 12.° Ma più congetture 
molto probabili, e quasi direi vere, si possono fare. 'Giacotto nel ca- 
pitolo 241 parla di Roberto che fu re di Napoli nel 1309, e lo intitola 
soltanto duca di Calabria. Onde pare che Giacotto morisse , o avesse 
almeno cessato di scrivere prima di quell’anno. Nè vale opporre : che 
la storia de’ Malispini cessando nell’ anno 1286, non potevasi in quest’in- 
tervallo dare a Roberto il titolo di re. Perchè nello stesso capitolo son 
nominati i fratelli di Roberto, e di loro e di lor sorte si discorre in 
genere , con quei titoli pure che non ebbero se non più anni dopo il 
tempo di questa storia. 

“ Scrivono poi i Malispini con tale placidezza , che ancorquando 
gridano il peccatore (essi sempre apostolici e guelfi ) mai non sono 
veementi. Mai non s’avviva il racconto a giovanile baldanza, Mai non 
si ode un consiglio antiveggente e fermo da età virile. È proprio il 
vecchio che gode d’ appuntare un fatto e talora una frase , non sen- 
tendo più nemmeno il travaglio che dan le cure delle pubbliche fae- 


197 
cende. Sicchè non è forse errore soncludendo che i Malispini, cercate 
prima le notizie , compilassero la storia nella loro vecchiezza. E poichè 
gli argomenti pur di Giacotto non pervengono al 1309, così è da dire 
che egli e il zio invecchiassero amendue nel secolo 13.°: morto Ricor- 
dano alquanti anni prima a Ricordano pochi anni dopo il 1300. 

‘ Dopo la quale conclusione bisogna farne un’ altra, perchè si 
disputa ancora dove cessi la storia di Ricordano, dove principii quella 
di Giacotto. E v’ è pur questione se sia proprio di Ricordano quella 
scrittura che noi leggiamo. = Ma per rispetto al tempo non v’ è da du- 
bitare. Ricordano scrisse fino al 1382: nel quale anno Giacotto' dice 
con sue vere parole , che seguita la cronaca del zio. Ed è pure affer- 
mato dal zio e dal nipote che Ricordano durò egli la fatica di racco- 
gliere le notizie, negli archivii, nelle badie, in Firenze e in Roma.— 
Se poi Giacotto , nel proseguir la cronaca fino al 1286, tutta la rico- 
piasse con aggiunte e correzioni, facendo delle due una scrittura ; 
questo è probabile, ed io lo credo. Credo di più che i manoscritti 
esistenti nelle nostre librerie siano copie del solo manoscritto di Gia- 
cotto: accresciuto pur questo , variato , alterato da chi lo copiava. — 
E qui temo di nuovo che il lettore si svogli, avendo concluso ch'egli 
abbia a leggere una scrittura attempata e neppur genuina: siccome al- 
tresì può dubitare, per ciò che ho detto, che lo storico non sia im- 
parziale. Ma le alterazioni de’ copisti non levano il modo di conoscere 
lo stile primitivo : e di questo, come delle altre cose relative a’ ma- 
noscritti e al modo di stamparli , discorrerò in paragrafi particolari, dopo 
aver esaminato appunto gli errori e le parzialità della storia. ,, 

Queste parzialità , com’ egli ci fa intendere nel primo paragrafo , 
sono per noi molto innocue. Nè l’autor primo, nè il continuator della 
storia, mentisce o altera i fatti di cui ha certa notizia: solo s’inganna 
alcune volte quando vuol darne la spiegazione, lasciandosi allor domi- 
nare d’allo spirito di parte. Quindi può dirsi al lettore: ‘ creda allo 
storico e si guardi dal guelfo ,, cioè dal comentatore o dall’interprete. 
Gli errori , tutti involontarii , e imputabili forse in gran parte a’ copisti 
interpolatori, sono quali più, quali meno gravi; quali facili a correg- 
gersi , quali più difficili. Poco gravi e facili a correggersi sono p. e. 
certe ridicole derivazioni di nomi, di Pisa da pisare o pesare , di Lucca 
da luce, di Pistoja da pistolenza, ovvero certi anacronismi , ancor più 
ridicoli , come il mandare i Fiesolani alla messa sotto gli occhi di Ca- 
tilina, il tramutar questo ed altri romani in cavalieri erranti , grazie 
alla bella novelletta di Teverina , presa visibilmente da qualche ro- 
manzo , ec. Più gravi e men facili a correggersi sono p. e. quelli che 
riguardano le origini e le prime mutazioni di Firenze e di Fiesole; e 
a correggerli nulla di meglio , o di più spedito , che il nuovo compen- 
dio storico onde componsi il secondo paragrafo. 

Resta per ultimo la scelta o il raddrizzamento della lezione , sì ri- 
spetto alle sentenze e sì rispetto alle parole. L’ edizion prima della 
storia de’ Malispini , fatta nel 1568 sopra un manoscritto della seconda 


o 
120 


metà del secolo 15.°, riuscì , com’ è detto nel terzo paragrafo, di le- 
zione assai meno che buona. La seconda, ch’ è del 1598, non potè riu- 
scire di lezione molto migliore, poichè poco si scostò dalla prima. 
Quella del 1718, procurata dal Bonaventuri, e seguita dal Muratori nel 
1726, riuscì qual doveva, fatta sopra un manoscritto più scorretto del- 
l’altro, e, come poi si scoperse, anche meno antico. Quella procurata dal 
Follini nel 1816 dietro un manoscritto che credesi del 1370, tenuto 
al confronto di più altri, come sappiamo da un suo ragguaglio che 
qui si riproduce , meritava d’ esser presa a norma dal Benci e lo fu, 
tranne in alcune cose, delle quali egli parla ne’ tre seguenti Lamigràfi 
del suo discorso. Questi paragrafi, di cui io non posso qui dare l’ana- 
lisi, conoscendo l’ impazienza de” lettori, meritano d’ esser considerati 
dagli editori di vecchie scritture principalmente , poichè contengono i 
migliori principii dell’ arte loro. Uno solo di tali principii a me è sem- 
brato un po’ dubbio , ed è quello di accomodar sempre secondo la mi 
gliore analogia le parole che nelle vecchie scritture si trovano stor- 
piate. Il Benci stesso ha più volte esitato a seguirlo , e seguendolo ha 
dovuto più volte contradire all’ uso , or'antico , or antico insieme e 
moderno , che meritava pure qualche riguardo. Ciò avrei potuto notare 
anche dbalio conto della sua Cronaca del Compagni ; e parmi di do- 
verlo or che me ne porge nuova occasione questa Storia de’ Malispini. 
Mi affretto peraltro d’ aggiugnere che se, grazie a quel principio un 
po’ dubbio , più volte nel testo della Cronaca o della Storia si trovan 
sostituite parole che si vorrebber piuttosto a piè di pagina ; sempre si 
trovano a piè di pagina le parole che si vorrebbero serbate nel testo. 
- Riguardo all’ ortografia propriamente detta nasce un’ altra questione. 
‘* Se si ha un manoscritto veramente autografo o veramente antico , 
dice il Benci nel quinto paragrafo , e si yuol mostrare e conservare 
quell’ antichità, non v’ è che una maniera: si può virgolare e punteg- 
giare , ma il resto dell’ ortografia ha da essere tale com’ è nel codice 
senza niuna correzione. Se poi si ha un manoscritto che vogliamo pub- 
blicare affinchè diventi un esemplare di stile o un libro di generale 
istruzione e diletto, non v’ è che una maniera : si corregga tutto in- 
tero secondo la nostra ortografia. ,, Or io, pensando bene che l’ îstru- 
zione e il diletto in un libro di vecchio scrittore non si cerca dal volgo 
de’ lettori, crederei che potesse tenersi una via di mezzo, serbar cioè 
dell’ antica ortografia quanto ancor ne serba l’uso volgare 0 poetico, 
quanto può talvolta conferire alla vaghezza o alla dolcezza senza nuo- 
cere alla chiarezza. In caso poi che serbar si volesse tutta l’ortografia , 
chiederò grazia per quell’ e” articolo , che il Benci vorrebbe proscritto 
‘ come cosa spuria , introdotta dall’ ignoranza degli editori , e ch’io stimo 
invece legittimissima proprietà. Il Benci ha quella pratica d’ antiche 
scritture ch’ io certamente non ho. Pur quanto all’ e’ articolo o egli 
non ha osservato o egli ha obliato gli esempi non equivoci di tali serit- 
ture. Ed io, senz’obbligarmi a ricerche, potrei addurne parecchi , di un 
manoscritto delle Tusculane volgatizzate , ch’ è fra i Tempiani, di cui 


129 
mi resta a parlare, e dell’originale della Vita del Cellini , ch’ ebbi fra 
imano poco tempo innanzi alla stampa. 

Non piccolo ornamento alla nuova edizione della Storia de’ Mali- 
spini, come a quella della Cronica del Compagni, sono le illustrazioni 
cronologiche , storiche , etimologiche , ec., ove non sai se più lodi la 
diligenza o il sapere. Fra le etimologiche in ispecie ve ne hanno di 
bellissime , come quella del quietare, cap. 96 , pag. 214 del tomo 1.°; 
quella del rimedire , cap. 125, p. 284 del tomo 2.°; quella di ribaldo , 
cap. 138 p. 327 del tomo stesso ; altre non poche. Di queste gli stu- 
diosi della lingua sapranno al Benci non poco grado , come il sapranuo 
di tutti gli esempi ch’ ei ci porge di terso e giudizioso serivere, e che 
da lui si desiderano frequenti. 


M. 


Il Regno Animale, o Raccolta delle migliori opere zoologiche , comin- 
ciando dalla Storia Nat. dei Mammiferi de’sigg. Cuvier e GroFFROY 
Saine Hivaire, da quella dei Golibri de’sigg. AupeBERT e VEILLOT, 
e da quella dei Pesci de’ sigg. Cuvier e VaLencieNNEs, trad. du 
G. De CerEsaA con favole d’Anronio LocatELLI miniate. Milano presso 
Sonzogno e presso l’Incisore, 1830, è tre primi fascicoli in gran foglio. 


La storia della Natura è immensa. Un giorno forse potrà essere 
descritta in un’opera generale, che ne comprenda per ordine e per classi 
precise tutte le particolarità. ‘Per ora è d’ uopo contentarci d’opere 
speciali, dalla cui perfezione dipende la possibilità futura dell’ altra 
che si diceva. 

Quest’opere speciali non sono ancor molte; ma fra le non molte 
ve ne hanno già d’ eccellenti. Tali sono le prescelte a cominciar la 
raccolta di quelle che appartengono alia parte più interessante della 
storia già detta, il regno animale. Chi vuol sapere qualcosa di preciso - 
intorno a questo regno, bisogna indispensabilmente che le legga. Da 
altri libri è inutile aspettarci per. ora altrettanta istruzione. 

Se qualcuno ne dubita , vegga anche solo il proemio alla storia 
naturale de’ Pesci, ov’ è descritto l’ andamento degli studi ad essa re- 
lativi dall’ antichità fino a noi. Simile proemio Fotrebbe esser fatto 
anche all’altre due storie. E ne verrebbe allora una convinzione più 
piena , che se più opere hanno fatta la via allo studio del regno ani- 
male , la vera scienza di questo regno, o almeno delle tre parti onde 
8’ intitolano le tre storie indicate , comincia coll’ opere che qui si an- 
nunciavo. 

Ma apriamo per un istante quella ove si tratta de’ Mammiferi, ossia 
il primo fascicolo , ove si parla del Kevella maschio, del Coati rosso 
e del Marikina. 

Il Buffon , distinguendo il Kevella dalla Gazella comune e dalla 
Corinna , non assegna altro motivo di questa distinzione che la diffe 


T. I. Gennaio 17 


1530 

renza delle corna. Ma le corna vanno soggette a tanti accidenti, a 
tante variazioni, massime allorquando crescono a spire , che mal sì 
parla della loro differenza , ove non si badi alla loro età. Il Buffon 
non vide che un Kevella vecchio, morto e impagliato , e si affrettò 
un po’ troppo a dedurre dalle sole sue corna la distinzione che si di- 
ceva. L'altro naturalista , che ne parlò prima di lui, il Dubenton, non 
lo avea neppur egli veduto vivo. I due , da cui abbiamo ora la storia 
de’ Mammiferi, lo hanno veduto e vivo e giovane, e qual lo han ve- 
duto ce lo descrivono, e dopo averlo descritto non pensano di poter 
per ora conchiuder altro se non che il Kevella, proveniente dal Senegal 
come la Corinna, è probabilmente della medesima specie , e par co- 
m’ essa differire dalla Gazzella comune, che viene di Barberia , per 
una linea nasale bianca in luogo d’una nera. 

Del Coati rosso, che pur ci descrivono dopo averlo veduto vivo, 
pensano di poterci assicurare , che mai nessuno il descrisse o il rap- 
presentò fedelmente; che quasi tutti il confusero col Coati fulvo , il 
qual non è forse che una varietà del bruno ; confusione che s’accrebbe 
pel modo arbitrario con cui allo Schreber piacque di colorarlo , che il 
solo Laborde in una nota al Valmont De Bomare , distinguendolo , il 
chiamò col vero suo nome di Quachi, ec. ec. 

Il Marikina, men raro in Europa, e sì caro per la sua grazia e la 
sua eleganza al sesso più grazioso e più elegante , parrebbe dover’essere 
un po’meglio conosciuto. Ma la descrizione fattane dai nostri due na- 
turalisti ci prova il contrario ; e quantunque assai più compita delle 
antecedenti, essa stessa , per ciò che riguarda i costumi del gentile 
animaletto, non è, a così esprimermi , che un pegno di quella che an- 
cor si desidera. La tavola , intanto, o rappresentazione che 1’ accom- 
pagna è quanto può dirsi perfetta. Tre sole tavole si conoscevan finora 
ove il Marikina fosse un poco riconoscibile , quella del Buffon, quella 
del Pennant e quella dell’ Audebert. Nell’ ultima è copiato da un in- 
dividuo morto, e appena corrisponde al vero. Nella seconda è copiato, 
e rozzissimamente , se non da un individuo morto, certo da un infermo, 
come apparisce dalla sua coda glabra e sottile , che per maggiore scon- 
cezza termina in ispazzoletta come quella de’ ghiri. Nella prima è copiato 
dal vivo e con certa cura, ma non abbastanza esattamente, poichè ha la 
coda troppo corta ed anche ripiegata , forse per farla capir nella tavola 
senza accorciarla di più. La tavola de’nostri due naturalisti è la prima 
ov’esso apparisca , qual si vede talvolta da’ viaggiatori sugli alberi del 
Maragnan di cui è nativo , e ove porta il nome ch’essi gli danno. 

Noto questa particolarità, poichè la notano essi medesimi, onde 
far intendere che non si contentano facilmente de’ nomi dati da’siste- 
matici. Questi nomi , com’essi riflettono in proposito del Quachi, detto 
impropriamente Coati rosso , talvolta non corrispondono che in parte 
ai caratteri degli animali a cui son dati, talvolta anche lor contradi- 
cono. Nelle tavole però delle tre opere , di cui si annunciano i tre 
primi fascicoli , sono sempre riferiti co’ nomi più propri, che per cura 


19f 


del traduttore si danno anche in altre lingue che in quelle in cui son 
dati dagli autori (*). Nelle descrizioni poi si trovano sovente accompa- 
gnati da una più estesa sinonimia, per la quale il traduttore si 
giova del consiglio di reputati naturalisti , come fa per tutte le voci 
tecnologiche , le quali s’ incontrano nelle descrizioni medesime. 

Ma le descrizioni , trattandosi di storia naturale, non sono, come 
ognun sa, che la metà dell’ opera. E l’ altra metà, ch’ è nelle tavole, 
riesciva sì dispendiosa, che lo studio di tale storia potea dirsi uno 
studio privilegiato. Grazie al signor Locatelli questo studio di qui in- 
nanzi potrà farsi comune. Le sue tavole ((20 a quest’ora , 8 de’Mam- 
miferi, 6 de’ Colibri e 6 de’ Pesci ) non cedon punto o cedono di poco 
a quelle dell’ opere insigni da cui son tratte , e per la modicità del 
loro prezzo si appropriano all’ uso delle librerie più modeste , mentre 


l’ altre non parean destinate che alla pompa delle più signorili. 
M. 


Vita d’Uco Foscoro scritta da Gruserre PeccHio. Lugano, Ruggia e C. 
1830 in 8.° 


Che dire in breve d’un libro , che a quest’ ora forse è stato letto 
da metà dell’Italia? — E a parlarne un po’a lungo, mi bisognerebbe 
riaver nelle mani molte carte che già ebbi del povero Foscolo, e che 
all’autor del libro non sarebbero state inutili. = Io pure abborro “ quelle 
minuzie a cui il nostro secolo, com’egli dice, mostra un’ inclinazione un 
po’pettegola. ,, Tanto più le abborro, che ho veduto sacrificar loro , senza 
profitto alcuno, anzi con iscapito de’più nobili interessi, il decoro di qual- 
che brav’ uomo, — e da uomini in cui supponea pure certa altezza di 
sentire o certo accorgimento. Non trarrei dunque dalle carte , che ho 
detto , nulla di ciò che ne trarrebbero i nostri diligenti biografi. = Ne 
trarrei, come sapessi o potessi meglio, quel che veramente servisse a 


(*) Un amico, al quale mi era raccomandato , per sapere se ai nomi ita- 
liani delle tavole finor pubblicate corrispondano gli usati dai naturalisti in To- 
scana, mi manda, a stampa già fatta, una nota relativa alle sole tavole dii 
Pesci, dalla quale non risultano che queste diversità: Persico Asprieranio (Perca 
Granulata) fra noi Perso Granulato ; — Persico Musacuto (Perca Acuta) Perso 
Musaguzzo; — Labrace Lupo (Labrax Lupus) Spigola o Pesce Ragno; — 
Labrace Spiniforte (Labrax Mucronatus) Labrace Mucronato; — Luciopersico 
Comune e Luciopersico Americano (Lucioperca Sandra et Lucioperca Ameri- 
cana) Lucioperso Comune e Americano; Pseudopagone Arabico (Cheilo - 
dipterus Arabicus) Chelodittero Arabico ; — Sarpananzo Trimacchiato ( Apogon 
Trimaculatus) Apogone Trimaculato o a tre macchie; — Pomatomio Ampio- 
veggente ( Pomatomius Telescopium) Pomatomio Telescopio ; + Asprone Vol- 
gare (-Aspro Vulgaris) Asprone Comune. - Se potrò in seguito ottener note 
relative alle tavole de” Mammiferi e de’ Colibri, non mancherò di farne uso 
annunciando la continuazione delle tre opere. 


D 
159 


compire il ritratto dell’uomo e dello scrittore. = Molti ajuti ebbe il 
Pecchio per far bene questo ritratto. Conobbe il Foscolo dalla prima 
giovinezza , gli si trovò a fianco in tempi e in paesi diversi, potè leg- 
gere nel suo pensiero in varii de’ momenti più importanti della vita. 
Ma alcuni ajuti di più , lo ripeto, non gli sarebbero stati inutili. Poco 
forse egli avrebbe aggiunto per essi al ritratto dello scrittore , = ritrat- 
to per cui gli bisognava d’ altronde maggior conformità di gusto e di 
studj collo scrittore medesimo. Non poco avrebbe aggiui.to al ritratto 
dell’uomo ; ch” è quello probabilmente che più gli premeva e che im- 
porta di più. — Ho distinto 1’ uomo dallo scrittore per necessità di 
linguaggio ; per indicare ciò che nel Foscolo apparteneva particolar- 
mente all’animo o all’ingegno. Non ho inteso di separare lo scrittore 
dall’ uomo, poichè non è separabile , e nel Foscolo meno che in al- 
tri; ciò che torna a grande sua lode, e nel libro del Pecchìo , par- 
mì, è assai ben dimostrato. 


M. 


In difesa dello scrivere con purezza, diceria di MrcneLe Coromzo. Par- 
ma , Paganino 1830 in 8.° 


È il testamento letterario d’ uno de’ più gran zelatori del bene 
scrivere che ancor vivano fra noi. Stanco per la grave età, com’ egli 
dice in una lettera proemiale commoventissima ad uno de’ suoi più cari 
amici, teme di aver scritta cosa , ove appaja troppo questa sua stan- 
chezza. Quindi forse intitola diceria ciò ch’ altrì chiameranno , non ne 
dubito , pulitissmo e sensatissimo discorso. È tristo il pensare che il 
bene scrivere , lo scrivere con purezza, da lui raccomandato pel corso 
d’una lunga vita , e coll’ insegnamento e coll’ esempio , abbia ancor 
d’uopo d’ una sua difesa. Possano i giovani profittarne, come vorrei io 
medesimo , se già non fosse un po’ tardi, e rendere alfin vane le dottrine 
contrarie — dottrine ridicole e barbariche, delle quali ha già troppo 
sofferto la letteratura e l’ onor nazionale ! 


M. 


Collezione delle opere dei padri ed altri autori ceclesiastici della Chiesa 
Aquilejese , tradotte , illustrate , ed impresse col testo a fronte; cui si 
aggiungono le notizie intorno la vita e gli scritti de’ singoli autori. 
Dall’ ab: G. O. Marzurtrvi. Vol. ITT. Opere di Rufino. Udine ed. 
Murero. Tip. Vescovile 1830. 


Abbiamo altre volte lodata la diligente traduzione del ch. ab. Mar- 
zuttini; ed ora ripetiamo con piacere la medesima lode. Ci spiace però 
di dover aggiungere un’ osservazione, la quale del resto non sarà, ne 
siam certi , dal valent’ uomo accolta in mala parte. 

La collezione de’ padri e degli scrittori ecclesiastici aquileiesi, resa 
in certo modo popolare con questa comoda e nitidissima edizione , € 


133 

con la versione pregevole che la accompagna , aveva, secondo noi, la 
sua utilità in quanto che poteva accomunare la conoscenza delle dot- 
trine e delle idee di uomini forniti non solo di rara virtà ma d’in- 
gegno potente e di buona fede rarissima. A questa fonte attingendo 
certi sacri oratori moderni, potrebbero sperare di divenir meno verbosi, 
meno ampollosi, men vuoti di pensiero e d’ affetto. Ma per ottenere 
da tale collezione un sì desiderato vantaggio , conviene tra le opere 
de’ padri stessi fare una scelta, ometterne quelle parti che riguardano 
controversie ormai dimenticate, e illustrazioni simboliche significanti 
piuttosto la vivacità della fantasia , che appartenenti a verità comune- 
mente accettate. In una edizione delle opere originali tutto giova , e 
tutto si deve raccogliere d’ autori che sien rispettabili ; ma dove si 
tratti di doverle tradurre, e renderle popolari, noi crederemmo permessa 
e conveniente una scelta. Per esempio l’ apologia di Rufino, con 
buona pace dell’ egregio traduttore , io non l’avrei regalata ai lettori 
del secolo XIX. Che ci guadagna mai la pietà o l’ erudizione o 1° elo- 
quenza allo spettacolo di due uomini pii che a vicenda s’accusano d’im- 
postura, d’ empietà , d’ ignoranza? Certo una tale lettura a chi sa 
meditare risveglia mille pensieri importanti : ma chi sa e vuol me- 
ditare sopra tali argomenti , può prendersì la briga di farlo sul testo 
latino. 

Per ciò che riguarda lo stile e 1’ eloquenza di Rufino, nessuno 
certamente vorrà paragonarlo col suo sdegnoso e potente avversario. 
Talvolta la giustizia della causa , ( chè da ambedue forse le parti sta- 
va diviso e la ragione ed il torto ) la giustizia della sua causa lo sol- 
leva talvolta a qualche nobile idea : e quello che più abbellisce il 
suo dire, è la mansuetudine della disputa, mansuetudine , a quel che 
pare , affettata talvolta , ma talvolta sincera. 

Ttattandosi di scrittore del quarto secolo , il dizionario latino po- 
trebbe da Rufino raccogliere qualche non ispregevole giunta di signi- 


ficati e di vocaboli nuovi (1). 
K. X. Y. 


(1) Gome dogmaticus (p. 2), symmistes (p-. 4) , laceratio (p. 16); aedi- 
ficari trasl. (p. 24), communicare (p. 26) trasl. , instructor (p. 34); veteru- 
lus (p. 3 ), gentiliter (p. 44); ecclesiae plur. (p. 64), monobiblia (p. 74), 
dogmatista (p. 104), homilia (p, 106), incompellabilis (p. 118), instrumentum 
trasi. (p. 136), Hexapla (p. 146), scandala plur. (p. 154), reinterpretor 
(p. 158), inemendatus (p. 178). 


134 


Il Galatco di M. Gora compendiato ad uso de’giovanetti d’ambo i sessi, 
bisognosi d’ imparare le buone creanze , non che di ben contenersi nella 
vita civile ; opera adattata all’ uso de’ collegi e delle case. d’ educa- 
zione ; e singolarmente raccomandata ai padri ed alle madri di fami- 
glia. Milano. Editore Lorenzo Sonzogno. Vol. I pag. 442. Prezzo 
L. It. 3. 


Il Galateo di Melchiorre Gioia , lodevole per molti pregi, non era 
però tale da porsi con fiducia nelle mani de’ teneri giovanetti ; e pel 
linguaggio inutilmente scientifico di cui fa pompa l’ autore , e per le 
troppe suddivisioni che sminuzzolano soverchiamente il concetto , e 
per la straordinaria lunghezza , e per certi principii che trovarono, e 
non a torto, parecchi contraddittori fortissimi.Io non citerò per esempio, 
che 1’ Apologia della Moda , delicato argomento , che riguardato non 
solo nel suo aspetto morale ma nell’ economico ancora , presenta ri- 
sultati diversi da quelli che il Gioia ne trasse , come dimostrò con rara 
destrezza un potente ingegno , alle cui ragioni non seppe il Gioia ri- 
spondere se non con quella pungente acrimonia che troppo spesso egli 
chiamava alleata nelle sue letterarie contese. 

Il compendio dunque che annunziamo è fatto a buon fine, e me- 
rita lode. Lo stile potrebb’ esser più terso, ma almeno non è affettato 
come quello d’un altro compendio del Galateo stesso del Gioia, pub- 
blicato anni sono , giovanile lavoro d’ un ingegno inesperto. 

L'opera , del resto pregevole , di M. Gioia, lascia però ancora 
un vuoto in questa non inutile e non infeconda materia ; lascia 
luogo ad un trattatello dell’ urbanità, unicamente fondato sulla mo- 
rale , fuor della quale non v’è nè può esservi urbanità vera. E i prin- 
cipii cardinali, come le divisioni primarie, di questo trattatello potreb- 
bero essere press’ a poco i seguenti. 

I. Gli uomini son tutti uguali; tutti, nell’infinita varietà di corpo, 
d’ ingegno , di patria, di condizione , di religione , fratelli. Da questo 
principio discendono molte regole d’ urbanità politica , religiosa , let- 
teraria , e civile, non inutili a dirsi. 

II. Il vero fine dell’ urbanità , come del sociale commercio , noù 
è già di parere amabili , ma di giovare al nostro simile : e perchè a 
cose uguali, chi giova piacendo , giova in modo più desiderabile, per- 
ciò solamente la gentilezza è un pregio, un dovere. Essa non de- 
v’ essere che ministra della virtù. Quindi la legge, fecondissima dì os- 
servazioni innumerabili: che in ogni parola, per oziosa che paia, l’uomo 
dee cercar di giovare a’ suoi fratelli; e , ciò non potendo, di non nuo- 
cere almeno. 

III. La società per ciascun uomo è non solo un vincolo di mutua 
utilità, ma nna scuola di mutuo perfezionamento. Di questo perfezio- 
namento deve al possibile partecipare anco l’esterno dell’uomo : tanto 
più che le più leggere, le più insignificanti, le più involontarie azioni e 


135 


movimenti del corpo nostro tengono con le nostre morali abitudini 
un secreto legame. 

IV. La vita è una catena d’annegazioni ; uno stato in cui quegli 
che più s’avvezza a superare se stesso, è più felice, più grande. Le leggi 
dell’ urbanità mettono anch’esse un freno alle inclinazioni , non ree ma 
nemmeno lodevoli, dell’umana pigrizia, dell’amor proprio , e dell’ego- 
ismo. In questo senso l’ urbanità sociale è un esercizio continuo di 
virtù , n’ è quasi l’ espressione ed il simbolo. 


K. X. Y. 


Florilegio di letteratura italiana. Poesie scelte di G. Parini, L. M4- 
scueroni, G. Gozzi, G. Fantoni, A. Guipi, 0. Minzoni, U. 
Foscoro , I. Prnpemonte, G. Perricari, A. Manzoni. Milano 
ed. Lorenzo Sonzogno, libraio sulla Corsia de’Servi N.° 602 pag. 300 


in 1a.° prezzo L. It. 1 50. 


Noi dobbiamo da gran tempo una commemorazione di lode alla 
piccola ma pregevole biblioteca di cotesto valente ed onesto editor mi - 
lanese. Molte delle opere in essa inserite son tali da potersi con sicu- 
rezza e con frutto porre nelle mani ai teneri giovanetti, ed anche alle 
donne gentili. In questo volumetto di poesie scelte, si desidera, è vero, 
il nome di V. Monti; e tra’ versi degli autori raccoltivi si poteva fare 
una scelta in altri più severa, in altri più larga, disponendoli per or- 
dine di tempi, e non posponendo il Guidi al Gozzi e al Parini. Ma 
con tutti i notati difetti gli è un libretto da poterlo acquistar senza 
pentimento , e italiani e stranieri. 

Il vedere al dì d’oggi moltiplicarsi tanto fra noi queste scelte di 
classici autori, e il trovarle, la più parte , sì imperfette e sì male ordi- 
nate , ci fa sentire più vivo il desiderio d’ una intera e ben meditata 
raccolta delle opere che veramente sono il fiore della italiana poesia 
ed eloquenza, dove de’ più celebri fossero inserite le cose più notabili, 
e da’ mediocri ancora si cogliessero quelle composizioni o que’tratti che 
onorano il loro ingegno , e son da lodare o per la bellezza del pen- 
siero o per la grazia del dire. Questa raccolta che intitolar si potrebbe: 
sl fiore dell’ italiana letteratura, dovrebb’ essere accompagnata da brevi 
illustrazioni rivolte unicamente a far risaltare le principali bellezze 
degli scritti trascelti e a toccarne i difetti. Diretta da un solo, eseguita 
da più letterati insieme concordi, quest’ impresa sarebbe del pari 
onorevole che lucrosa : giacchè rimetterebbe nel commercio europeo 
nomi e scritti degnissimi di memoria, ed entrerebbe di necessità a 
formar parte di tutte le ben fondate biblioteche delle nazioni più colte. 


K. X. Y. 


1306 


Raccolta di Opere scelte d’ Autori friulani = Edizione completa degli 
scritti d’agricoltura arti e commercio, di Anrowro Zanox. Vol. III. = 
De’ vini, e della moda. Pag. 523 in 16.° pie. = Vol. IV dell’ utilità 
delle arti , e della nobiltà del commercio pag. 446. = Vol. V. del 
commercio d’Aquileja pag. 459. = Vol. VI. Varietà d’ economia 
pag. 371. = Voi. VII Idem pag. 426. = Vol. VIII. De? fossili 
fertilizzanti la terra. Pag. 294. = Udine pe’ Fratelli Mattiuzzi 1830. 
Tip. Pecile. 


Se l’ Italia conoscesse e onorasse quanto meritano gli uomini. che 
in tutti i secoli hanno col consiglio o con l’ opera promossa la sua fe- 
licità, e con la forza dell'ingegno e del senno illustrato il suo nome, 
non solo ecciterebbe così a generosa emulazione i presenti, ma si ren- 
derebbe agli stranieri più rispettabile ; i quali conoscendo le sue molte 
ricchezze, anzichè dispregiarla superbamente , amerebbero d’ approfit- 
tarne. Tra gli uomini che al passato secolo , e al Friuli non solo ma 
all’ intera Italia fanno onore, io non dubito di numerare Antonio Za- 
non , Friulano , uomo che agli studi di pubblica e di privata economia 
rivolse con rara sollecitudine ogni sua cura; e prevenne di mezzo se- 
colo e più i chiari esempi di que’ negozianti e manifattori francesi che 
del lor privato interesse facendo 1’ interesse pubblico ,. giunsero final 
mente a portare in favore della parte meno stimata dell’ umanità un 
sì gran peso nella bilancia politica. Le opere di questo Zanon , che 
l’Italia conosce sì poco, sono un bellissimo saggio di scritti di pubblica 
economia , veramente popolari ; perchè congiungono la chiarezza alla 
decenza del dire, 1’ amenità delle erudizioni piacevoli alle prove elo- 
quenti de’ fatti , e contemprano in modo felice la parte teorica con la 
pratica. Sono anco un saggio di Filosofia statistica ; e lo provano spe- 
cialmente alcuni calcoli sulla popolazione , contenuti nel sesto volu- 
me. Gl’ italiani certamente , anche noi lo crediamo , furono della sta- 
tistica non i creatori (perchè in queste scienze risultanti da una sem- 
plice raccolta di notizie non v’ha creazione), ma certo coloro che ne 
approfittarono forse prima degli altri a conoscere la forza civile e po- 
litica degli stati. Ne abbiamo di be’ saggi nelle relazioni de’ veneti 
ambasciatori , e in quelle de’ publici o dei privati messaggi mandati 
ai principi della casa de’ Medici. Quanto alla più o meno esatta clas- 
sificazione delle materie ,. e alla distribuzione de’ casellini statistici , 
nella quale il Gioia pare che riponesse gran parte della filosofia della 
scienza (in ciò nobilmente corretto dall’ill. sig. prof. Romagnosi), quanto 
a questo material perfezionamento, malgrado le riflessioni d’un valentis- 
simo e da me grandemente stimato collaboratore dell’Antologia , io duro 
a credere che la Germania ne abbia prima dell’Italia forniti gli esempi: il 
che per altro non toglie il merito dell’originalità al benemerito sig. Galanti. 

Ma tornando al Zanon , non tutti , è vero, i principii esposti iu 
quest’opere a’giorni nostri son tenuti per veri: ma la più parte delle os- 


137 
servazioni e de’ consigli cadrebbero tuttora grandemente, opportuni : 
tanto corta è la via che dal 1760 al 11830 l’Italia ; in fatto di certi 
studii, percorse. Altri potrà desiderare che questi tanti volumi si fossero 
con una scelta amorevole ridotti a mole men ponderosa ;, e che per tal 
modo si fosse provveduto insieme con la facilità della compera alla 
popolarità loro : ma così come sono, noi possiamo affermare che chiun- 
que vorrà leggerli, ne trarrà piacere e profitto. 

Nella. prima. parte del terzo volume si dimostra che i vini del 
Friuli ben governati, non sarebbero punto inferiori ai più celebrati 
vini della Francia: e in prova di ciò si adduce la teoria della mede- 
simità dei prodotti sotto la medesima latitudine , teoria esposta con 
molta semplicità e accorgimento (1), e malamente confùtata dal sig. 
Pontedera (2). 

Nella seconda parte che tratta la storia della moda; si mostra che 
i Veneziani furono i primi a inventare la varietà dei disegni nelle ve- 
sti ; nel che poi ebbero imitatori altri popoli (3). E a proposito delle 
onnipotenti mode francesi, cita un passo delle Lettere Persiane , òv’è 
detto : “ il re di Francia è un gran mago : egli esercita il snò impero 
sopra lo spirito stesso de’ suoi sudditi , e li fa pensar com’e’ vuole : ,, (4) 
sentenza che nel 1830 non si potrebbe applicare mè a quel di Francia 
nè ad alcun re della terra. E’ c’ insegna che al tempo suo “ nella dieta 
3 degli stati della Svezia era stata fatta una leggé con cuì si stabili- 
3; rono gli abiti per ciascuna condizione di persone : furonò fatti i 
3, modelli , e depositati nella cancelleria del regno con gravi penalità 
3; contro quelli che contravvenissero alla. tegge. L? introduzione di, 
sy questa prammatica fu da me sempre e sarà tenuta per chimerica ,, (5). 
A questa savia operazione il Zanon contraddice , ma solo per. celia , 
laddove parlando delle ridicole mode :-“° che bel soggetto, dice , sa- 
3» rebbe questo al sig. Goldoni per fare una buona commedia «in lin- 
>» gua veneziana, perc hè fosse intesa da tutti (6)! Converrebbe poi farla 


(1) Lett. I. p. 53 e seg. 

(2) Lett. VI. pag. 174 e seg. 

(3) Lett. I. pag. 200 e seg. e Lett. VI. pag. 305 e 321. Se non che alcune 
manifatture pare che a Venezia fossero pervenute da Firenze e da Genova 
( p- 324 ). V. anche l’aneddoto raccontato a pag. 470. 

(4) P. 207 Lett. I. 

(5) P. 237 Lett. III. 

(6) Pare che al tempo del Goldoni il volgo veneziano non intendesse l’italico 
illustre. E poichè siamo entrati in filologia , noterò che al tempo del Zanon vive- 
va nel dialetto veneziano una voce la qual traduceva alla lettera il petit maitre 
chiamandolo paroncin, padroncino ( p. 248). Il Zanon crede inoltré che il chi va 
lì, che a tanti scolari discoli dell’università'di Padova costò la vita; vi fosse pottato 
dai Francesi che all’università concorrevano. 

T. I. Gennaio 18 


138 
, stampare , ed obbligare tutti gli uomini che si maritano ad impa- 


DI 
rarla a mente ; ed i comici a rappresentarla almeno quattro volte 


DI 


ss anno (7). 3; 5 
A proposito di mode cita il Zanon quella de? flati e degli occhia- 


letti, diffuse ambedue dalla corte di Francia (8); non meno che quella 
delle parrucche (9): sulla moda dei così detti corrotti , vale a dire 
del mettere il bruno , cita un bel passo dello spettatore inglese (10) : 
e noi rammentiamo questa sua citazione per indicare come il buon 
Veneziano del secolo scorso sì tenesse in giorno delle più utili no- 
vità che uscivano in tutta Europa; e sentisse il bisogno di quella 
letteratura Europea, che si può frantendere, si può con esagerazio- 
nì gettare in dispregio, ma ch’è un prepotente bisogno non dico del gu- 
sto, dico della civiltà italiana. Così, parlando della Francia, ‘ di tutte , 
s» dic’egli, le opere pubblicate da’ francesi appartenenti all’ agricoltura , 
;» alla coltura dei giardini e degli orti, a tuttii prodotti, a tutte le arti, 
e, per dir tutto in poche parole, a tutto ciò ch'è utile ad ogni con- 
dizion di persone , si potrebbe formare una assai numerosa biblio- 
teca. Le accademie , le università , gli ecclesiastici così secolari come 
regolari, e tutti gli uomini di lettere hanno per fine i vantaggi e 
la felicità del regno. . . Pare che questa moda cominci finalmente a 
5 seguirsi dagl’ Italiani : ne abbiamo i primi esempi ne’ Fiorentini e 
,» ne’Napoletani (11). ;, Nè col proporre gli stranieri per modello all’Ita- 
lia, il Zanon s’intendeva d’ offendere la sua patria , di che a’giorni 
nostri s’ accusano coloro che vorrebbero far arrossire la nostra pi- 
grezza coll’ esempio dello straniero valore: ch’anzi dalla servile am- 
mirazione delle cose altrui egli intendeva a stogliere i suoi concitta- 
dini, esclamando : ‘* Ma e come mai non si scuotono dal sonno loro 
5 gl’Italiani? Come non conoscono che oltre il danno diretto e indi- 
,, retto che fanno a se stessi, fanno poi anche una continua ingiuria 
5 alla gloria della propria nazione ? (12) ;, Nè meno pronto o meno 
ardente è il Zanon nel pubblicare le glorie della sua patria : come lad- 
dove gli cade di rammemorare la principesca generosità con la quale 
Filippo Farsetti raccolse nel suo palazzo i modelli di tutte le celebri 
statue moderne ed antiche che vantano le gallerie tutte. d’ Europa; 
( di che ebbe occasione di ragionare in un suo discorso il. sig. Dottor 
Paravia): e dopo le meritate lodi di opera così magnifica , conchiude ; 
“ Dopo la famiglia de’ Medici, (dicolo con franchezza , perchè dico 
,, il vero, e so che non posso entrare in sospetto d’adulatore ) non 
,, trovo chi abbia in Italia nodriti così alti, nobili e generosi pensieri 


(7) P. 241. 

(8) P. 254-255, 
(9) P. 293. 
(Lo) T. 340. 
(11) P. 298. 
(12) P. 362. 


139 

,, come possono chiamarsi quelli che coltiva il sempre generoso e prin- 
,, cipesco animo del N. U. E. Filippo Farsetti (13). ,, 

Parlando delle glorie italiane , reca un bel passo di Voltaire, che 
a’ giorni nostri non si potrebbe ripetere con altrettanta franchezza, 
ma che quanto al passato non ha perduta la sua verità: “ I Fran- 
> cesì non ebbero parte nè nelle grandi scoperte nè nelle invenzioni 
3; ammirabili delle altre nazioni: la stampa, la polvere , gli specchi, 
,, i telescopi, i compassi di proporzione , la macchina pneumatica , il 
s» vero sistema dell’universo, punto non appartengono ad essi (14). ,, 

Ma l’autore delle patrie glorie non gli dà il diritto d’insultare le 
altrui. E a proposito dell’ Inghilterra egli cita ed approva un passo 
d’ Anonimo, col quale conchiuderemo questa breve nota , non ad altro 
diretta se non a mostrare il senno del buon veneziano , e ad invogliare 
qualcuno che n’abbia il tempo alla lettura delle opere sue: “ In Inghil- 
‘ >» terra il pari più qualificato ha coraggio di trattare una questione di 
,y manifattura. . . Il cittadino senza titolo è arrestato quando dice bene ; 
>» tutto si stampa, si vede, si combina, e si calcola, si riduce e si 
», decide ‘utilmente (15). ;, K. X. Y. 


Descrizione di alcuni bagni, spedali , e musei patologici , del Prof. Fraxw- 
cesco Taxrini. Pisa Tip. Nistri. pag. 124. ( Fa parte del I{l tomo 
degli opuscoli scientifici del detto Autore). 


Piena di utili e singolari notizie, stesa in istile colto ed evi- 
dente , questa descrizione è ben degna della mente e del senno del 
benemerito sig. prof. Tantini. Gioverebbe che molti in Italia fossero 
altrettanto solleciti a comunicarci quanto di più imitabile rincontra- 
rono nella civiltà delle nazioni vicine. 

Nota il ch. A. che “ i bagni della Germania sono estremamente 
» superiori a quelli d° Italia ( se si eccettuino quelli d’ Oleggio ) in tutti 
3» quei mezzi che agiscono psicologicamente suli’animo dei bagnanti ,,. 
E incominciando da quelli di Carlsbad, osserva la differenza dell’ana- 
lisi fatta di quell’ acque da Becher e da Klaproth , e di quella dell’ il- 
lustre Berzelins il quale vi ha scoperto sei principii nuovi: flvato 
di calce , fosfato di calce , carbonato di stronziana, sotto-solfato d’argilla, 
magnesia pura , ossido di manganese. E soggiunge: ‘ Ciò provi quanto 
»> poco meritino fiducia le acque termali artificiali. Fino al 1823 si 
3, sono bevute le acque artificiali di Carlsbad in varie parti d’ Europa, 
» formate secondo l’analisi conosciutane allora : sì sono bevute cioè 
3» acque di Carlsbad con sei componenti di meno ; ossia si è bevuto 
», tutt’ altro che l’ acqua di Carlsbad ,,. 

Esposte le virtù medicinali di quest’acque , il savio prof. conchiu- 


(13) P. 368. 
(14) P. 449. 
(15) Pa 484. 


140 

de 11° So bene quel che un medico di buon senso pensar debba sugli 
»» effetti decantati di tanti accreditati bagni: so bene quanto debba li- 
3 mitare gli elogi che or da’medici interessati or da’ creduli infermi si 
33 fanno delle prodigiose cure ottenute or con uno or con un altro bagno: 
3» ma so ancora che vizioso può riuscire pur anche un pirronismo spinto 
: tropp’ oltre : 1’ antichissima riputazione dei bagni di Carlsbad , l’an- 
3» nuo numerosissimo concorso dei forestieri ai medesimi, le cure fe- 
3» lici descritte da medici di senno e stranieri a detto. luogo (onde 
3» imparziali ), prodotte da quest’ acque termali, m’inducono a cre- 
3) dere che in molti casi possa riuscire decisivamente giovevole il loro 
33 so , sopratutto nelle malattie cronache del ventricolo, del fegato, 
> e delle vie orinarie ,,. 

Quanto ai divertimenti che si godono a’ bagni di CarIsbad , oltre 
alla musica , quasi continua, eseguita a perfezione dai Boemi , famosi 
suonatori di stromenti da fiato , 1’ A. annovera i casini, i passeggi, 
il tiro al bersaglio , i concerti, i palloni aereostatici , i ventriloqui , 
il teatro, i balli a pago regolarmente due volte per settimana , o dati 
straordinariamente mediante volontarie oblazioni. ‘ Vi s’ incontrano 
>> gli uomini più eminenti nelle scienze e nell’arti, o che si sono mag- 
>» giormente distinti nel mondo politico o sul campo di Marte. Infine 
»» questo piccolo luogo ha talora riunito in sè gli uomini più famosi 
», non solo d’ Europa ‘ma d’altre parti del mondo ancora.... Nel 1826 
»» ascendeva a 1793 il numero dei bagnanti ,,. 

Il ch. prof. finisce col raccomandare i bagni d’immersione in quel- 
l’acque , come utilissimi, sebbene poco di moda. Poi brevemente parla 
dei bagni d’ Egra, d’ Ems , di Schwalbach, di Wisbaden : attesta che 
questi ultimi contavano 4074 forestieri nel 1827 al suo arrivo. 

Più bella ancora è la descrizione di alcuni spedali di Germania. 
Cominciando da quel di Vienna , dopo varie notizie aggiunge: È 
3» Unito a questo spedale un vasto locale destinato per le donne gra- 
33 vide.... vi sono delle camere separate per le quali si paga giornal- 
33 mente un fiorino e mezzo. Alle medesime si giunge per una porta 
», segreta: le donne possono restarvi costantemente velate e sconosciu- 
3; te, e possono dare al loro arrivo un nome finto , coll’ obbligo però 
33 d’ indicare il vero. in una carta sigillata , che rimane chiusa e che 
3» solamente nel caso di morte della donna si apre dal direttore per 
> darne contezza alla famiglia della defonta ,,. 

Nello spedale di Berlino 1’ A. nota molte pratiche degne d’ imita- 
zione : “ Ogni sala ha il sno particolare ventilatore praticato nel cen- 
5, tro della medesima , e corrispondente sulla strada : sovr’ esso pende 
3 sospeso un lume cilindrico d’Argan con alì o ventole laterali , mo- 
3; vibili; che , abbassate, diminuiscono dalla parte ov’ è necessario 
3» 1 intensità della luce. Sopra ogui letto pende sostenuta da un cor- 
33 done verde una maniglia di metallo, che il malato afferra allorchè 
», vuol sollevarsi. In ogni sala esiste un campanello sospeso ad una 
3» cordicella , il quale messo in moto , fa abbassare una valvola si- 


I4I 

,, tuata nel corridore al di fuori dell’ uscio d’ ingresso. d’ ogni. sala: 
s> la guardia che deve invigilare alcune determinate sale ; osserva in 
,, tal modo in quale, è chiamata, giacchè le valvole dell’ altre sale si 
>» mantengono alzate... In una stanza a: pian terreno. si trova; una gran 
>» macchina elettrica. ... Mediante fili conduttori che partono dalla 
3» macchina si, può dirigere V’elettricità dalla suddetta stanza.im tutte 
33 le sale , superiormente situate, della clinica... ,, 

L’A. vi ha veduto un letto immaginato con molto ingegno dal sig. 
Graefe , per le operazioni: ‘ esso si alza-e si abbassa con molta faci- 
33 lità , e sul suo piano scorre un reggispalla che sì porta in avanti 
33 e indietro secondo la varia grandezza dell’ operando , e»si fissa ov’è 
3; necessario ,,. 

Nello spedale d’ Amburgo, , il dott. Frike eura i sifilitici col 
sy metodo adottato da molti in Inghilterra ,, Svezia, e Danimarca ed 
,, in altri, paesi deli nord ,, senza mercurio ,. cioè. una dieta strettissima, 
»; riposo e pulizia; usando al più , ma rare; volte, per le uleeri l’ap- 
33 plicazione della pietra infernale , o dell’acqua saturnina, 0 dell’acqua 
3; nera; composta cioè da nno seropolo di calomelano e 6 once d’acqua 
», di calce. Il dott. Frike dice di aver motivo di sommamente lodarsi 
33 di questo suo metodo , da lui seguito da circa 5 o 6 anni. ,, Giove- 
rebbe che ne’climi più caldi questo metodo si tentasse, per vedere la 
diversità degli effetti. 

La descrizione che dà il ch. prof. del luogo comodo dello spedale 
d’Amburgo è cosa degna d’ esser letta ; e sì potrebbe, approfittarne per 
tutti gli spedali , per tutti i pubblici stabilimenti. 


« il professore 


In Halle regna un uso , a parer nostro. eccellente : 
;; va co’ suoi allievi a visitare i malati poveri nelle case loro : e po- 
,» chi son quelli che lo spedale riceve. Un anno; per l’ altro sì visitano 
3; circa 3000 infermi; e la mortalità in un: decennio è stato fra i 5,0 
3 6 per 100 ,,. = Se quelle somme che si profondono nell manteni- 
mento (non mai privo d’inconvenienti) d’un grande spedale , si de- 
stinassero a ben distribuite somministrazioni di medicamenti e di sus- 
sidii per le case, la pubblica morale , la sanità,, l’ economia ne ritrar- 
rebbero , secondo noi , de’ grandi, vantaggi. 

AI sig. Krukenberg , clinico di Halle , si deve “ la collezione di 
» pezzi patologici importantissimi, che sì trova in questo: spedale, ac- 
3; curatamente tenuta , poichè d’ ogni pezzo si conserva la storia della 
33 malattia correlativa: a 42, volumi ammonta la naccolta: di tali storie. 
, È pure unita allo spedale una piccola ma scelta Jibreria medica, in- 
3; cominciata a formarsi da, poco tempo: in qua con un metodo; lodevo- 
33 lissimo , e che meriterebbe. che fosse imitato. in. tutti gli spedali nei 
3» quali esistono cliniche medico-chirurgiche (1). Essa è stabilita cioé 
»» dagli scolari con una tenue oblazione volontaria mensuale , e col 


(1) Anzi in tutti gli stabilimenti d’educazione. V. Antol. 1.° decennio Fasc. 
uit. Art. sulla Bibl. di Siena. pag. 189-190. 


# 


142 
33 dono loro o di un libro o di una sommarella di danaro un poco 
>> maggiore della solita allorchè abbandonano la clinica ,,. 

A Wirtzburgo il sig. cons. Textor mostrò al n. A. un felice risul- 
tato della rinoplastica, un ‘naso cioè da lui operato in una giovane di 
16 anni col metodo indiano ossia prendendo il pezzo della cute della 
> fronte: 1’ adesione delle parti era ottimamente riuscita. Lo stesso 
3» prof. sì era ottimamente servito dello stesso metodo per curare feli- 
3» cemente una piaga cancrenosa del labbro inferiore: estirpato il pezzo 
3» malato vi ha supplito con un pezzo di cute tolta dal collo ,,. Altre 
notabili operazioni narra l’A., eseguite dal prof. Fricke d’ Amburgo. 
E dopo aver parlato dello spedale di Monaco , che vanta anch’ esso 
varie pratiche utili e non comuni fra noi , tocca dei musei patologici 
di Halla, di Brunsvvick , di Vienna, di Berlino, e della importante 
collezione antropologica di Gottinga (2). Finisce con la descrizione de- 
gli anniversari celebrati in onore di Blumembach e di Soemmering , 
e con la breve necrologia di quest’ ultimo. 

Se tutte le belle cose in quest’ opuscolo esposte fossero messe ad 
esecuzione fra noi, la descrizione del prof. Tantini riuscirebbe molto 
più utile alla civiltà , di molti voluminosi trattati. 


x. 


Lezione di Vincenzio Forrini sopra due edizioni del secolo XV, luna 
creduta delle cento novelle antiche , V altra del Decamerone del Boc- 
caccio : nella quale si dimostra essere ambedue una sola edizione del 
Decamerone. Firenze tip. all’ insegna di Dante 1831. 


In questa lezione detta nell’ Accademia della Crusca già fino dal 
di 11 maggio dell’ anne scorso l’ autore va nuovamente esaminando il 
quaderno originale dell’ antica stamperia di Ripoli, MS. che si con- 
serva nella Magliabechiana , e corregge un fallo bibliografico passatogli 
già son molti anni nel tessere gli annali della medesima tipografia, seri- 
vendo che in essa era stato stampato due volte il centonovelle antico. 
Ora egli rifiuta questa doppia edizione; ma poichè è indubitato che 
ivi dal 20 aprile 1482 al r3 maggio 1483 fu impresso un centonovelle, 
sì fa a scrutinare qual’ opera venga in esso designata; e con evidenti 
ragioni dimostra che non può essere se non il Decameron del Boccac- 
cio. Ma qual’ è 1’ edizione di Ripoli del centonovelle del Certaldese ? 
Niun° altra senza dubbio se non la rarissima , che in Italia ha poco o 
punto sin qui esercitati i bibliografi, e che si conserva in un esem- 
plare della Biblioteca di Lord Spencer. Mi accadde dunque d’ errare 
allorchè compendiando il rapporto del segretario dell’Accademia da lui 


(2) Questa raccolta, ampliata che fosse, confrontata con altre fatte in altri 
paesi , verrebbe ad illustrare utilmente 1° idea del sig. Edwards sui caratteri fi- 
siplogici delle razze umane. V. Antol. 1.° decennio Fasc. 115 p. 62. 


143 
letto nell’ adunanza solenne (1) affermai che per 1’ edizione del Deca- 
merone , di che si tratta, intender sì dovea quella così detta del Deo 
gratias , la quale anzi dall’ Accademico era formalmente esclusa. Del 
resto il sig. Tom. Frognall Dibdin compilatore del bellissimo Catalogo 
Spenceriano ci avverte che il sig. Giorgio Appleyard segretario dell’il- 
lustre possessore avea supposto per confronti da lui fatti che il Deca- 
merone, di che si ragiona, era stampato nella tipografia dì Ripoli, ma 
il sig. Follini appoggiato alle autentiche parole del quaderno ripolese, 
e guidato da precisi ragionamenti sopra di esse, ha fatto passare la con- 
gettura in dimostrazione. Il sig. Molini, che ha recentemente visitata 
la biblioteca Spenceriana , in una sua nota asserisce , che l’ ispezione 
oculare dell’ edizione lo ha accertato della verità di ciò , che si dimo- 
stra dal sig. Follini, e intanto parla incidentemente dell’ esemplare 
della Corsiniana , che si è dubitato essere il secondo , che si conosce 
della medesima edizione ripolese. 


P. 


Note sopra la Dinastia de’ Faraoni , con geroglifici preceduti dal loro 
alfabeto, e raccolti in Egitto nel 1828. Opera del Maggiore OrLanDo 
Felix inglese , tradotta da FepERIGO Torri, edita da suo fratello 
Srerano già litografo di S. A. il Vice-Re d’ Egitto, con tavole di- 
segnate dall’Editore. Firenze ,, Tipografia Gelli e Ronchi 1830. Un 
Vol. in 4.° di pag. 20, e 9g tavole. 


Questa operetta é ordinata, e distribuita nel modo seguente. Co- 
mincia con una specie di avvertimento a chi legge , che si estende.per 
due pagine, nelle quali si rende ragione dall’ Editore ,, com’ ei cono- 
scesse in Egitto il dotto signor Maggiore Orlando Felix, e dei motivi 
che lo indussero a rendere di pubblico diritto la traduzione fattane da 
suo fratello. Succedono poi le note sopra i geroglifici applicati gene- 
ralmente , le quali comprendono altre due pagine , che vengono seguite 
dalle note sopra i geroglifici dei principali Faraoni, distese in due pa- 
gine ancor queste ; dopo di che viene la spiegazione delle nove tavole, 
continuata fino alla pagina venti, colla quale termina il testo. Seguo- 
no finalmente le tavole stesse in litografia, eseguite con molta preci- 
sione , ed esattezza. i 

Questo lavoro sarà sempre commendevole, qualunque possa essere 
il concetto in che si debba tenere il così detto sistema geroglifico-fo- 
netico del signor Champollion il giovane; quando si voglia riflettere al 
conosciuto ingegno , ed estesa dottrina del Maggior Felix, che volle 
portarsi sul luogo , e copiare dai monumenti originali questi quadri 
misteriosi, al suo spirito osservatore, ed all’ abilità del Torri, che ne 
seppe eseguire così bene i disegni. Laonde lo raccomandiamo a tutti 


(1) Vedi Antologia N.° 119 pag. 174. È pur qui luogo di correggere un 
error tipografico ivi occorso a p. 177 v. 28 ove in luogo di di molti leggi de’ molti. 


144 

gli amatori dell’ archeologia egiziana , persuasi che non sarà loro di- 
scaro il possedere un monumento di più per i loro studii, e sapranno 
buon. grado a ‘chi ha fatto ad essi un tal dono. E può certo essere 
vantaggioso ai medesimi , se non fosse altro, per correggere, e retti- 
ficare diversi errori occorsi in altre opere di questa specie , e per ve- 
dere' con ‘più sana critica , se il sistema dellò Champollion, fosse poi 
veramente degno di quel grido, che tempo fa avea levato in Europa. 

D. VALERIANI. 


Notizie istoriche della Medicina e della Chirurgia m Toscana e parti- 
colarmente della scuola chirurgica fiorentina di Enrico NespotLi chi- 
rurgo soprannumerario dell’ I. e R. Arcispedale di S. Maria Nuova 
di Firenze; pag. 73 in 8.° Firenze 1831. 


In poche pagine molti preziosi fatti racchiude quest’ opuscolo , de- 
stinato ad onorare i grandi restauratori della scienza Ippocratica iu 
Toscana. Alla testa dei quali fa luminosa comparsa Andrea Cesalpino ; 
sia perchè al di lui genio l’Anatomia deve i primi cenni sopra uno dei 
più grandi arcani della natura, la circolazione del sangue , scoperta , 
cuni molti hannò avuto pretensione ; sia perchè la Medicina da luì ri- 
pete i primi precetti di una riforma filosofica e di una pratica razio- 
nale, successivamente e con più frutto svolti e messi a prova dal Redi, 
e dal Cocchi ; sia ancora perchè le scienze naturali devono al Cesalpino 
il più antico sistema botanico, come quello che fu desunto dagli organi 
della fruttificazione ; per non far menzione del sno trattato intorno alle 
pietre e ai metalli, vinto in ciò dal suo illustre discepolo Mercati, au- 
tore della Vaticana Metallotheca. 

Frattanto i nomi di Vesalio , Fallopio , Colombo Cremonese , Fab- 
brizio d’Acquapendente ed Eustachio si rappresentano dal sig. Nespoli 
sotto il più brillante aspetto, come quelli italiani che nel secolo XVI 
associati dl Cesalpimo seppero ricondurre la filosofia naturale , la virtù 
e la saviezza Asclepiadèa nel tempio di Esculapio. 

Era però riservato a un altro sommo aretino , a Francesco Redi , 
di rendere questo tempio più che mai venerato e famoso in To- 
scana, donde si propagò e fu reso familiare il piano di riforma tera- 
peutica basato sull’ osservazione e sull’ esperienza. E mentre Redi da 
un lato , applicando il metodo analitico di Galileo alla medicina , for- 
niva ai suoi valorosi discepoli Bellini e Del Papa le prime idee sul 
nuovo sistema degli Jatro-Mattematici; dall’ altro lato potè convincere 
il primo Chirurgo di S. Maria nuova Falcinelli , e in seguito il Ci- 
gnozzi ad eliminare ‘dalle loro pratiche le troppo frequenti medicature 
delle piaghe ‘e delle ferite, e quella faraggine di untumi galenici co- 
tanto allora in voga per sostituirvi la semplice acqua e la fasciatura 
a più lunghi intervalli. 

Frutto ubertoso di tali pratiche furono le Annotazioni chirurgiche 


145 
del Cignozzi sul trattato delle ulceri d’ Ippocrate , opera che fu seme 
alla Riforma della scuola Medico-Chirurgica Fiorentina, di cui sì rese 
corifeo nel secolo XVII il Sancassani; e nel susseguente Benevoli e 
Angiolo Nannoni. Dei quali ultimi due fu contemporaneo il Dottor 
Cocchi insigne propagatore della Riforma Rediana. 

Questo triumvirato segna un epoca gloriosa ne’ fasti della celebre 
scuola Medico-Chiriurgica di Firenze , di cui a buon diritto il sig. Ne- 
spoli riguarda il Redi qual primo riformatore e maetro. Dopo avere il 
nostro Autore luminosamente tratteggiato il Quadro storico della Me- 
dicina e della Chirtrgia in Toscana fino all’ epoca della sua restaura- 
zione, mirando particolarmente a quella dell’Arcispedale di cui egli è 
allievo , passa a dimostrare le massime fondamentali di Terapeutica 
Chirurgica ivi stabilite dai sullodati Maestri : e rilevando tutto il più 
che fu da quei sommi in vantaggio dell’ arte e per il bene dell’ uma- 
nità operato , prova che, dalle stesse massime , col volgere degli anni 
non sì è giammai dipartita la scuola Clinica-Chirurgica Fiorentina , la 
quale ha costantemente sino ai giorni nostri praticata e va praticando 
quella cura antiflogistica , e quell’ aurea semplicità di medicare che 
sono le più confacenti alla ragione , e all’organizzazione fisica e morale 
dell’ uomo. 


E. R. 


T. IL Gennaio i 19 


sì 


Bullettino Sento Letterario 


GENNAJO 1831. 
Screnze Narunati 
Meteorologia. 


Nella Biblioteca Universale di Ginevra , dicembre 1830, pag. 422 
trova la seguente relazione estratta dal Giornale Americano delle 


Scienze , intorno alla caduta d’un aerolite vicino a Dralke?s-Creck , alla 
distanza di diciotto miglia da Nashville (Tenessee agli Stati-Uniti ) 
nel 1827, la qual relazione è detto provenire dal sig. H. Kirkpatrick, 
uomo degno di fiducia. 


“ Mercoledì 9 Maggio, circa quattro ore dopo mezzogiorno, il cielo 
essendo sereno, il mio figlio ed alcuni domestici erano occupati a 
seminare del grano in un campo, quando sentirono un fragore simile 
a quello del cannone, o alle scariche di corpi di truppa accompa- 
gnate dal battere del tamburo , come in un combattimento. Alcune 
piccole nuvole seguitate da una striscia di fumo nero erano com- 
parse nel cielo, e presentavano un’aspetto spaventevole: nel tempo 
stesso un certo numero di pietre, partite senza dubbio da queste 
nuvole , traversarono l’aria, facendo lo stesso romore che un liquido 
gettato sul fuoco, e vennero a percuotere la terra come corpi pe- 
santi che cadano dall’alto. Il mio figlio sentì cadere una di queste 
pietre alla distanza di circa 150 piedi dal luogo in cui egli era: 
nel cadere questa pietra percosse una pianta di Papaia e la messe 
in pezzi come avrebbe fatto il fulmine. Allora il mio figlio dirigen- 
dosi al posto di quell’ albero , trovò immediatamente la traccia della 
pietra, che si era profondata alquanto nel suolo, e che pesava cin- 
que libbre e un quarto. Il mio figlio ; ed il sig. Giacomo Dugge, 
che pure era presente , si assicurarono che la pietra era fredda, ma 
che aveva l’odore del solfo. 

“ Lo stesso giorno, e circa la stessa ora, il sig. P. Ketsing era in 
un campo coi suoi lavoratori , alla distanza di circa un miglio, quan- 
do vedde cadere una pietra che pesava undici libbre e mezzo. La 
pietra cadde nel luogo ove egli era colla sua moglie e con tre altre 
persone. Molte persone rispettabili erano presenti quando la pietra 
fu trovata ed estratta dal suolo, nel quale si era internata dodici 
pollici. Io ne ho veduta una che è caduta nei possessi del sig. D. 
Garret, ed un pezzo d’ un altra caduta in quelli del sig. J. Bone ; io 


” 


> 


d» 


do 


23 


147 
ho sentito parlare anche d’ una terza pietra trovata altrove. Queste 
pietre sono tutte perfettamente simili , ricoperte d’ una crosta ve- 
trosa sottile , ed hanno l’ apparenza d’aver traversato il fuoco ed il 
fumo. Diverse persone che sono venute a vederle in casa mia in questi 
ultimi giorni dicono di non averne mai vedute delle simili. ,, 

La gazzetta di Nashville aggiugne che il romore è stato sentito ad 


una distanza di più di dieci o dodici miglia. 


2 


Il sig. Silliman dice in proposito quanto appresso: 

“ To non ho nulla da aggiugnere alle descrizioni che sono già state 
date di queste pietre, eccettochè gl’ innumerabili punti metallici 
sparsi sulla superficie leggermente  grigiastra e quasi bianca della 
loro, massa son tanto lucidi quanto l’argento, benchè siano stati evi- 
dentemente rotondati dal calore. Sono accompagnati da un numero 
immenso di globuli vetrosi d’ un color nero brillante , che hanno l’ap- 
parenza d’ una fusione completa , e la massa intera ha quel tatto 
aspro e ruvido che presentano le lave e le roccie trachitiche. La cro- 
sta nera è stata evidentemente rammollita in ultimo luogo dalla fu- 
sione , le sue asprezze sono smussate, ed il fregamento della lima 
sui punti prominenti scuopre tosto il brillante metallico del ferro. ,, 

€ Non si è udito dire che verun globo di fuoco accompagnasse 
la caduta di queste aeroliti , ma siccome era pieno giorno , e pro- 
babilmente splendeva il sole, non si può concludere per la nega- 
tiva, ed è anzi probabile che in questa come in altre simili circo- 
stanze un tal globo apparisse..,, 


Nello stesso giornale pag. 425 si trova la seguente narrazione d’un 


aurora boreale con iride , osservata ad Augnsta ( Maine agli Stati-Uniti) 


il 


33 


di 8 settembre 1827 dal sig. J. Bawdoin. 

“ Circa alle ore 9g della sera il sig. Bawdoin osservò un arco bril- 
lante e ben terminato, che si estendeva dall’est all’ovest, e la som- 
mità del quale si elevava a circa 45 gradi sopra l’ orizzonte al nord. 
Quest’ arco disparve quasi istantaneamente. Il sig. Bawdoin non ebbe 
il tempo di riconoscere fino a qual punto le sue estremità si avvi- 
cinassero all’ orizzonte ; egli non sa nemmeno per quanto tempo ri- 
manesse . visibile. Ma appena fu disparito ,, il sig. Bawdoin e due 
altre persone istruite osservarono delle colonne le quali rassomiglia- 
vano perfettamente ai segmenti regolari di un bell’ arcobaleno, sia 
per la forma, sia per la disposizione e distribuzione dei colori: sotto 
altri riguardi avevano apparenza di nuvole in tal guisa colorate. 
Ciascuna di queste colonne era larga circa un mezzo grado, e lunga 
circa otto gradi; ma queste dimensioni variavano da una colonna 
a!l’ altra. I loro contorni erano paralleli ; le loro estremità erano 
tagliate regolarmente e perpendicolarmente ai loro contorni. Non 
erano raggi che partissero dal nord ; ma erano paralleli fra loro ed 
un poco inclinati all’ est; le loro estremità inferiori erano alla di- 
stanza di circa 20 gradi dall’ orizzonte. La disposizione di queste 


148 

3 colonne differiva anche molto da quella dell’ arco che le aveva pre- 
; cedute. Dopo non molto cessarono d’ essere parallele ; cominciarono 
», ad agitarsi e piegarsi rapidamente , ripiegandosi talvolta ed intral- 
,; ciandosi, in un modo elegante , e come farebbe un velo leggiero. Il 
3» sig. Bawdoin non ha indicato precisamente, nelle sue note intorno 
33 a questo fenomeno, alcune particolarità, per esempio sopra quale dei 
3» due contorni delle colonne , est o ovest , si trovasse il color rosso, 
> se la serie fosse simile sopra ciascuna colonna , ec. L’ apparenza 
»» dell’ iride sì mantenne solo per alcuni minuti; ben presto il cielo 
») divenne perfettamente puro, tutto ciò che aveva sembianza di nu- 
»» vole disparve, e le colonne brillanti si prolungarono dal nord fino 
3) allo zenith , alcune si mantennero circa un mezzo minuto , e si tin- 
> sero accidentalmente di rosso e di giallo , colori ordinarii nelle au- 
», rore boreali. Quando le colonne furono disparite, fu veduta slan- 
»; ciarsi dal nord su tutta la volta celeste, a getti intermittenti, una 
3, luce così debole , che bisognava un osservazione attenta per distin- 
»» guerla ; essa era meno apparente che quella della Via Lattea. In 
,» seguito il fenomeno prese 1’ apparenza delle ordinarie aurore boreali, 
», ed in capo a 15 o 20 minuti primi tutto fu terminato. La luna quasi 
3; piena si era levata intorno alle ore 8, e splendè per tutta la durata 
3» di questa osservazione ; ma nè la disposizione delle colonne indicate, 
», nè la presenza dei vapori acquosi nell’aria, nè la natura della luce 
33 0 dei colori permettevano di considerare il fenomeno descritto come 
> prodotto dalla presenza di quell’ astro. 


Il dottore J. E. Muse di Cambridge (Maryland agli Stati-Uniti ) 
osservò alcuni anni addietro il seguente fenomeno. L” inverno era molto 
avanzato , senza che avesse fatto ancora molto freddo, quando cadde 
molta neve. Temendo che mancasse in quell’ anno l’ occasione d’ em- 
piere la sua ghiacciaia con del ghiaccio, il dott. Muse vi fece mettere 
della neve fino alla metà della sua altezza; ma in seguito essendo so- 
pravvenuto un freddo molto vivo, finì d’ empierla con del ghiaccio. 
Nel mese d’ agosto seguente tutto il ghiaccio essendo consumato , co- 
minciò a prendersi la neve per il bisogno della casa. Ma essendone 
stata messa in un bicchier d’acqua, per riufrescarla , fu osservato che 
l’acqua conteneva una moltitudine di piccoli animali. Il sig. Muse esaminò 
col microscopio un altro bicchiere pieno dell’acqua stessa ma che non era 
stata mescolata alla neve, e la trovò perfettamente chiara e pura ; ma 
messa anche in questa della neve, allorchè essa fu liquefatta, l’acqua 
presentò lo stesso fenomeno : guardandola attentamente , vi si scuo- 
priva anche ad occhio nudo delle centinaia di piccoli animali pieni di 
vita ; col microscopio si distingueva la loro forma , che era quella di 
piccoli pesci, e non rassomigliava punto quella delle piccole anguille 
che si osservano nell’ aceto. Il sig. Muse fece scavare delle buche in 
diverse parti della neve; e fino nel suo centro ; dovunque essa pre- 
sentò li stessi risultati ; però in quella casa doverono rinunziare all’uso 


149 
d’ introdurre quel refrigerante nei liquidi da bere, limitandosi ad ap- 
plicarlo all’ esterno dei vasi. 

Il Regno animale presenta molti esempi di piccoli animali che ri- 
prendono la vita dopo un lungo periodo di torpore o di morte appa- 
rente ; ma la presenza originale, o la moltiplicazione nella neve di 
quelli dei quali quì si tratta, è difficile a spiegarsi. ( Bibl. Univ. dé- 
cembre 1830, pag. 496 ). 


Il sig. Lyell, nella sua opera recentissima intitolata Principii di 
Geologia , alla pagina 98 del primo volume, il primo che fin quì sia 
venuto in luce, presenta le seguenti osservazioni, che sembrano molto 
interessanti. 

—_ “Non per sola ragione d’ analogia ,, dic’ egli ,, noi ammettiamo 
> una diminuzione di temperatura nel clima dell’ Europa, ma se ne 
», hanno delle prove in quelle sole contrade studiate fin quì dai geo- 
,» logi, nelle quali potevamo sperare di trovarle. Non in Inghilterra, 
3, 0 nel nord della Francia, ma sulle rive del mediterraneo , dal mez- 
», zogiorno della Spagna fino alla Calabria, come anche nelle isole 
; dello stesso mare, noi dobbiamo cercare delle dimostrazioni conclu- 
3; denti di questo fatto. Perchè solo negli strati nei quali le conchiglie 
35 fossili son simili alle conchiglie viventi, una teorica del clima può 
3; esser sottoposta ad un esperimento decisivo. In Sicilia, a Ischia, 
;; ed in Calabria, ove le conchiglie fossili degli strati più recenti ap- 
,) partengono quasi interamente a specie che abitano tuttora il medi- 
;» terraneo , il conchiliologista osserva che gl’ individui nei depositi 
‘,, contenuti nell’interno delle terre sorpassano per la loro grandezza 
,, media i loro analoghi viventi. Tuttavia non si può dubitare che, a 
,; malgrado d’ una tal differenza nelle loro dimensioni, le specie non 
,, siano identiche , poichè gl’ individui viventi pervengono qualche 
,» volta, sebbene per verità di rado, alle dimensioni degl’ individui 
3, fossili; e la conservazione di questi ultimi è così perfetta , che essi 
,) posseggono ancora il loro colore, il che somministra un nuovo ele- 
,» mento di confronto. ,, 

“ Allontanandosi dal mare, ed avanzandosi in regioni meno tur- 
.3 bate dall’ azione dei vulcani moderni, si trovano tuttora nelle col- 
»; line subappennine alcune specie tuttora viventi nel mediterraneo , 
,, mescolate a molte altre specie che non vi esistono , e che presentano 
» indizi indubitabili d’ un clima più caldo. Alquante di esse sono co- 
3» muni alle colline subappennine, al mediterraneo, ed all’ oceano in- 
3, diano. I fossili corrispondono in grandezza ai loro analoghi che vi- 
3; vono nei tropici, mentre gl’ individui della stessa specie che vivono 
3; attualmente nel mediterraneo son piccoli, e degenerati per l’assenza 
3, delle condizioni che ad essi presenta tuttora il mare delle Indie. ,, 

€ Nessuna osservazione inversa inferma le nostre conclusioni, nè 

3) sì trovano mai associati in questi gruppi individui appartenenti a 
3) Specie confinate nelle regioni artiche. Al contrario quando si pos- 


150 
»» sono identificare queste conchiglie fossili con specie viventi estranee 
> al mediterraneo , non bisogna cercare tali specie nel mar glaciale , 
,, ma bensì fra i tropici. ,, 

Il sig. Lyell dice d’avere esaminato con attenzione più centinaia 
di specie di conchiglie, prese in Sicilia, ad un altezza di mille piedi, 
e di avervi riconosciuto un gran numero di specie tuttora viventi nel 
mediterraneo; la differenza nelle dimensioni era notabilissima nella 
maggior parfe degl’ individui di queste due categorie. 

Alcune osservazioni interessanti fatte anticamente da Peron e Le- 
sueur, consegnate negli Annali del Museo, T. XVI pag. 287, e che il 
sig. Lyell non ha citate, confermano la di lui idea che le dimensioni 
maggiori degl’individui d’una stessa specie di conchiglie è un indica- 
zione d’ un cambiamento nel clima. Questi naturalisti hanno osservato 
che ogni specie d’animali marini ha ricevuto una patria distinta, e che 
essi sono fissati a certi tratti di mare, ove si trovano in maggior nu- 
mero, più grandi, e più belli. A misura che si allontanano da quel 
punto , gl’ individui degenerano , e la specie finisce con estinguersi. 
Per esempio l’Haliotes gigantea , che arriva, alla terra di Diemen alla 
lunghezza di quindici o venti centimetri, ha già perduto delle sue di- 
mensioni all’ isola Maria j la sua degradazione diviene anche più sen- 
sibile risalendo verso le isole Decrès e Giuseppina, e non sono che mi- 
serabili aborti quelli che s’ incontrano sulli scogli della terra di Nuyts; 
finalmente al di là del porto del Re-Giorgio questa specie non si trova 
più. Lo stesso avviene delle Fagiane/le: 1° isola Maria è la loro vera 
patria; ivi si potrebbe caricarne dei bastimenti; ma dopo un seguito 
di degradazioni insensibili; esse spirano al porto del Re-Giorgio. 

È interessante il vedere lo stesso fenomeno, che si presenta oggi 
in una direzione orizzontale sulla superficie attuale della terra, ripro- 
dursi in una direzione verticale sopra le diverse superficie le quali, a 
epoche successive, hanno limitato i contorni esterni del globo terrestre. 
{ Ivi pag. 428). 


Fisica e Chimica. 


Il sig. Faraday , il quale alcuni anni addietro aveva concluso da 
una serie d’ esperimenti che esiste un ‘limite reale e preciso nella va- 
porizzazione dei corpi , e che molti di essi alle temperature ordinarie 
sono perfettamente fissi, ha fatto recentemente conoscere i resultati 
d’ altre esperienze che confermano quella stessa conclusione rispetto a 
molti altri corpi , con pochissime eccezioni. 

Gli apparati da esso impiegati in queste ultime esperienze consi- 
stevano in bocce da potersi turare esattamente , pulite con ogni dili- 
genza nel loro interno , ed in ciascuna delle quali , oltre un qualche 
liquido, introduceva un tubo alquanto largo, chiuso da una parte 
aperto dall’ altra, contenente qualche altro corpo liquido o solido , e 
disposto in modo , che la materia della boccia non potesse pervenire 
a contatto di quella del tubo , e viceversa, che per mezzo dell’ eva- 


151 
porazione. Le bocce diligentemente turate furono assicurate in un ar- 
mario oscuro, e lasciate circa quattro anni senza muoverle altrimenti 
che per osservarle di tempo in tempo. In ciascuna delle bocce e nei 
tubi inclusivi egli poneva sostanze capaci d’ esercitare una sall’ altra 
una facile reazione chimica , cosicchè per un segno sensibile si ren- 
desse evidente se una delle due sostanze fosse giunta , anche in quan- 
tità minima, fino all’ altra, per la sola possibil via dell’evaporazione. 

Un numero notabile di simili esperienze provò che nè l’acqua nè 
il di lei vapore hanno la proprietà d’ accrescere minimamente la vola- 
tilità di quelle sostanze, delle quali, quando sono isolate, i limiti di 
vaporizzazione si trovano a temperature superiori alle ordinarie ; dal 
che egli conclude ragionevolmente che l’ evaporazione che si opera 
nella natura non può produrre nell’ atmosfera effetti di questo genere. 

Fra le molte sostanze impiegate in questi esperimenti , il nitrato 
d’ ammoniaca , il sublimato corrosivo, l’acido ossalico; e forse l’ossalato 
d’ ammoniaca , sono state le sole che hanno dimostrato poter  sommi- 
nistrare dei vapori alle temperature ordinarie. ( Bibl. Univ. Décembre 
1830 pag. 361 ). 


Il sig. Pearsall si è assicurato che una scarica d‘ una boccia di 
Leida di mediocre grandezza può restituire la fosforescenza ai minerali 
che 1’ hanno perduta per essere stati riscaldati fino all’ infuocamento, 
e che per questo mezzo si può perfino comunicare la fosforescenza ai 
minerali che avanti non la possedevano. Così quella varietà di spato- 
fluore che dai mineraloghi ‘è detta clorofane , dopo aver perduto per 
l’ infuocamento la sua proprietà di divenir luminosa ad un calor mo- 
derato , la riacquista dopo aver ricevuto una o più scariche elettriche. 
Lo stesso avviene, coll’ apatite. Si può comunicare la fosforescenza a 
certi cristalli di calce carbonata, e ad alcuni diamanti ; ma 1’ autore 
non ha potuto dare la stessa proprietà alle ‘amatiste , alli zaffiri, ai 
rubini, ai granati, e ad altri minerali. (Férussac sc. mathém. phys. 
septembre 1830, pag. 207 ). 


Nelle Transazioni della Società inglese per lincoraggimento delle 
arti, delle’ manifatture è e del commercio si trova la descrizione d’ un 
apparato. elettro-magnetico , formato d’un filo di ferro intorno al 
quale è avvolto un filo di rame, le due estremità del quale  comuni- 
cano coi due poli d’una pila voltaica. Il filo di ferro diviene una ca- 
lamita capace di sollevare delle masse di ferro molto considerabili. 
L’ apparato che il sig. Watkin, professore all’ università di Londra , 
ha costruito su questo principio, sostiene un peso di 9 libbre. 

Il sig. Moll ha fatto curvare in forma di ferro da cavallo una verga 
cilindrica di ferro dolce , lunga otto pollici e mezzo , e del diametro 
d’ un pollice, intorno alla quale da diritta a sinistra (sinistrorsum) ha 
formato 83 circonvoluzioni con un filo di rame del diametro d’un ot- 
tavo di pollice. Le estremità di questo filo si immergevano in due vasi 


152 


pienì di mercurio , ove facevano capo le due estremità zinco e rame 
d’un apparato voltaico formato d’una cassetta di rame nella quale era 
immersa una foglia di zinco di circa undici piedi quadrati inglesi di 
superficie. Il ferro da cavallo, che ha un armatura per riunire le sue 
due estremità, al momento in cui la corrente circola, è capace di so- 
stenere attaccato a quest’ armatura un peso che da 25 chilogrammi ha 


potuto esser portato anche a 38. Il polo nord della calamita, che sì. 


dirigeva liberamente verso il polo sud della terra, è quello che comu- 
nica coll’ elemento zinco. Quest’ azione magnetica o cessa subito che 
s’ interrompe la corrente voltaica > 0 sparisce in brevissimo tempo. 
Mentre l’azione dura , si può fare acquistare una virtù magnetica per- 
manente a degli aghi d’acciaio che si presentino all’estremità del ferro 
di cavallo. 

Al primo apparato voltaico aggiungendone un secondo simile , in 
modo che le lame di zinco comunicassero insieme , egualmente che 
quelle di rame , per non formare che un solo elemento di 17 piedi 
quadrati per lo zinco , il sig. Moll non potè accrescere sensibilmente 
la forza della sua calamita artificiale. 

Un altro ferro da cavallo , affatto simile al precedente , fu circon- 
dato d’un filo d’ ottone, ma in una direzione contraria , cioè da si- 
nistra a destra (dertrorsum). L’ effetto fu esattamente lo stesso che col 
filo di rame; ma a cagione della diversa direzione del filo, i poli della 
calamita furono rovesciati, sicchè il polo nord era dalla parte del- 
l’elemento rame. 

Dell’ottone piegato a ferro di cavallo, e circondato di filo di ferro, 
o d’ottone , o di rame, non produsse verun effetto magnetico. 

Quando si avvolge intorno al ferro da cavallo un filo di rame o 
d’ottone, non è necessario isolare uno dall’ altro questi due metalli, 
ma quando il filo che si avvolge intorno al ferro da cavallo è anch’esso 
di ferro , bisogna isolar questo vestendolo di seta. In questo caso l’ap- 
parato ha sostenuto un peso dì 43 chilogrammi. 

Incoraggito da questo successo, il sig. Moll ha fatto costruire un 
ferro da cavallo lungo dodici pollici e mezzo inglesi, e del diametro 
di due pollici e mezzo. Un filo d’ ottone del diametro di un ottavo di 
pollice faceva 44 giri intorno a questo ferro, e comunicava con un 
elemento voltaico di undici piedi quadrati: quest’ apparato sostenne 
un peso di 77 chilogrammi. I poli di questa potente calamita potevano 
essere rivoltati , distrutti , o rinnuovati colla rapidità del lampo. 

L’ energia d’ una calamita d’acciaio in forma di ferro da cavallo 
non è accresciuta dalle correnti voltaiche. 

La calamita naturale del museo di Teyler a. Harlem è capace di 
sostenere 125 chilogrammi. La calamita artificiale dell’ abate Lenoble, 
così celebre al suo tempo, portava 105 libbre francesi. La calamita na- 
turale donata a Giovanni V rè di Portogallo da un imperatore della 
China pesa 38 libbre 7 once e mezza, e sostiene 202 libbre. Il sig. 


Ingenhouss ha fatto delle piccolissime calamite artificiali, che sosten- 


153 

gono circa cento volte il loro proprio peso. Una calamita della Società 
delle arti e delle scienze di Rotterdam porta 120 libbre. Le calamìte 
di Coulomb portavano 100 libbre. Il dottor Keil ha presentato recen- 
mente all’ Accademia delle scienze di Parigi una calamita a ferro di 
cavallo, composta di 7 lame d’acciaio che sostiene da 250 a 300 libbre : 
tali sono le più potenti calamite conosciute, e quella dell’autore, così 
diversa da tutte le altre, non è inferiore in forza che a quelle del 
museo d’Harlem, del Portogallo, e del dottor tedesco citato in ultimo 
luogo (Ivi pag. 206). 


Il sig. Daubeny , che sembra essere stato il primo a spiegare i fe- 
nomeni dei vulcani per l’ azione dell’ acqua, che infeltrandosi a tra- 
verso degli strati esterni del globo , perviene nelle interne parti di 
esso a contatto dei metalli degli alcali e delle terre. attribuisce alla 
causa stessa lo sprigionamento dal gas azoto che accompagna quasi 
tutte le acque termali, talvolta puro , tal’ altra commisto a del gas 
acido carbonico , ed anche a del gas ossigene ; il quale ultimo per altro 
non vi sì trova mai nella stessa proporzione in cui esiste nell’ aria 
atmosferica. Dopo aver riferito i risultamenti che diversi chimici hanno 
ottenuti analizzando i gas che si sviluppano presso le sorgenti di molte 
acque termali , gas dei quali l’ azoto fa sempre almeno parte, conclude 
che lo sviluppo di questo gas deve riguardarsi come un effetto neces- 
sario dei processi che hanno luogo nell’interno della terra, e dai quali 
derivano le sorgenti calde ((Bi2/. Unio. décembre 1830 , pag. 374). 


Vicino a Aigue-Perse nel dipartimento del Puy-de-Dòme in Francia 
sì trova una sorgente di gas acido carbonico, la quale, sebbene cono- 
sciuta da tempo immemorabile, pure non era stata fin quì descritta 
esattamente. Ha fatto ciò recentemente il sig. D’ Arcet, dopo averla 
diligentemente esaminata. Riferiremo quì i risultati delle sue osserva- 
zioni relative. 

La sorgente accennata ha due scaturigini distinte. Essa sì trova in 
fondo ad un bacino presso a poco circolare, che ha un diametro medio 
di 15 metri, e due metri al più di profondità. Quando la cavità è piena 
d’ acqua, come lo era allorquando il sig. D’ Arcet la visitò, il gas tra- 
versa l’acqua con rapidità. e con romore grandissimo, e si trovano ivi 
attorno degl’ insetti asfissi. L’ acqua è verdastra, di sapore ferruginoso, 
e nel tempo stesso di materie organiche in scomposizione ; arrossa la 
tintura di laccamuffa, ma per l’ esposizione all’ aria il primo colore è 
ristabilito : la sua densità oltrepassa appena quella dell’ acqua pura ; 
precipita in bianco l’acetato di piombo ; esposta al sole in un lungo 
tubo , se ne sprigionano delle bolle di gas acido carbonico. 

In un secondo viaggio il sig. D’ Arcet trovò la cavità senz’acqua; 
il suolo era asciutto ed arido, senza vegetazione , e pieno di crepature 
intorno alle sorgenti, specialmente nei luoghi ove si raccoglie l’acqua 

T. I. Gennaio 20 


(O 


154 
delle pioggie ; il termometro , che all’ombra segnava gradi 22 R., ap- 
plicato al suolo si elevava a gradi 39, ma in fondo alla cavità si ab- 
bassava, e restava a 192. 

Benchè non vi fosse acqua, il sig. D’ Arcet trovò un uccello che 
era caduto in asfissia alla distanza di più d’un metro dalla sorgente , 
e molte farfalle e moscerini morti intorno alle crepature. Il gas estin- 
gueva i lumi, e precipitava fortemente l’acqua di calce. Per conoscerne 
il sapore, il sig. D’Arcet si fece tenere fortemente dalla sua guida , 
ed avvicinò la sua testa presso una delle crepature, sperando potersi 
ritirare prima di correr pericolo ; ma in vece cadde colla faccia nella 
corrente , donde ritirato rapidamente dalla sua guida , scampò un as- 
fissia. La fatica di quest’ esperienza non gli permesse di misurare ed ana- 
lizzare il gas, e non potendo ritornare sul posto, si è determinato a 
pubblicare questa nota. 

L’ esperienza che fanno tutti i viaggiatori alla grotta del cane nel 
regno di Napoli; fece pensare al sig. D’ Arcet che si potrebbe facil- 
mente imitarla per mezzo d’una costruzione che egli ha indicata , e 
che è già stata eseguita dal sig. Bardonnet, il quale, sull’ indicazione 
datagli dal sig. D’Arcet, fu premuroso di comprare il terreno ove sì 
trova la sorgente. (Férussac sc. tecnol. septembre 1830 , p. 13). 


È nota l’ osservazione fatta dal sig. Lucas, che l’argento fuso , al 
contatto dell’ aria, ne assorbe dell’ ossigene, che abbandona in seguito 
solidificandosi. Questa proprietà è analoga a quella che possiede lo stesso 
metallo , e che fu osservata da Pelletier , di combinarsi a caldo con 
una quantità di fosforo doppia di quella che può ritenere al momento 
in cui si solidifica. L’ esperienza di Lucas, quale egli 1’ ha descritta , 
non mostra che un debolissimo assorbimento d’ ossigene ; spesso anzi 
non se ne ottiene punto. L’ esperienza riesce molto più ‘sicuramente 
tenendo dell’ argento fuso in un tubo di porcellana traversato da una 
corrente di gas ossigene. Dopo venticinque o trenta minuti d’ un ca- 
lore molto forte , s’ intercetta la corrente di gas ossigene , e si lascia 
estinguere il fuoco. Si produce ben presto un vuoto nel tubo di por- 
cellana , a cagione dell’ abbassamento di temperatura; ma al momento 
in cui l’argento passa allo stato solido , si sprigiona una quantità con- 
siderabile di gas ossigene. 

Il sig. Gay-Lussac , a cui dobbiamo quest’ articolo , preferisce al 
precedente un altro processo, come più semplice , e che consiste nel 
gettare del nitro a piccole porzioni sopra dell’argento tenuto in fusione 
in un eroginolo di terra. Dopo circa una mezz’ ora di esperienza , si 
ritira il crogiuolo , e s° immerge nel bagno pneumatochimico a acqua 
sotto una campana. Non vi è da temere in ciò accidente alcuno. Si ha 
il tempo d’ introdurre il crogiuolo sotto la campana; ma scorso appena 
un minuto secondo , sì sprigiona tumultuosamente una gran quantità 
di gas ossigene. Il sig. Gay-Lussac ne ha ottenuto , in una esperien- 
za, 22 volte il volume dell’ argento. Se si lascia cadere il metallo a 


155 


goccia a goccia nell’ acqua fredda , si vedono grosse bolle di gas ossi- 
gene sprigionarsi dall’ acqua ; l’argento prende un aspetto rugoso, non 


lucido, piacevolissimo. E da osservare che l’argento assorbe l’ossigene 


benchè ritenga ancora un poco di rame; e che, per la sua affinità verso 
questo metallo, lo preservi dall’ossidazione. Per altro assorbe l’ossigene 
tanto pin facilmente quanto è più puro, e non ne assorbirebbe punto 
se fosse legato ad alcuni centesimi di rame. A questa proprietà del- 
l’ argento d’ assorbire 1’ ossigene a caldo, e di abbandonarlo nel soli- 
dificarsi, si deve senza dubbio attribuire quel fenomeno che nell’arte 
del saggiatore suole esprimersi col verbo vegetare. È difficilissimo im- 
pedire che l’argento finissimo presenti questo fenomeno, laddove quando 
contiene un poco di rame , di piombo , o d’ oro, è facilissimo. A que- 
sta stessa proprietà dell’argento, d’ossidarsi a caldo, deve attribuirsi la 
perdita di metallo che ha luogo nella coppellazione , ed il suo assor- 
bimento per mezzo della coppella, soprattutto sul fine dell’operazione. 
(Annal. de Chim. et de phys., octobre 1830 pag. 221). 


Il sig. Sérullas ha fatto conoscere un mezzo per cui si può rico- 
noscere quando il cloruro d’ iodio disciolto nell’ acqua rimane allo stato 
di cloruro, e quando vi è ricomposizione, nel quale caso risulta, da 
una parte, dell’acido iodico, e dall'altra dell’ acido {idroclorico. Egli 
ha riconosciuto che fintantochè la dissoluzione è concentrata ; 1’ acqua 
non è scomposta, e non vi è formazione d’acido iodico. Quando que- 
st’acido si è formato per l’ effetto dell’ aggiunta d’ una nuova quantità 
d’ acqua , la sua presenza è annunziata dal precipitato che si forma 
nel momento in cui si mescola al liquido una soluzione di solfato di 


chinina nell’ alcool. ( Globe IN.° 19. ). 


Lo stesso: chimico ha anche fatta nota l’azione che hanno sull’al- 
cool gli acidi bromico e cromico. Versando dell’ acido bromico sopra 
una quantità presso a poco eguale d’alcool a 40 gradi, si vede il li- 
quido colorarsi , vi è alzamento di temperatura fino all’ ebollizione , 
emissione di vapori di bromo , accompagnata da un odore penetrantis- 
simo d’etere acetico. Se si esamina in seguito il liquido , vi si ricono- 


sce un poco d° acido idrobromico. L’ acido clorico concentrato agisce 


in modo eguale sull’ alcool a 40 gradi ; vi è ebollizione, sprigionamento 
di cloruro ; e formazione d’ acido acetico. Se la quantità dell’alcool è 
piccola rispetto a quella dell’ acido , tutto 1’ alcool è trasformato in 
acido acetico estremamente forte. Immergendo nell’ acido clorico con- 
centrato vuns paco: di carta sugante asciutta, e ritirandola subito ; essa 
si accende , specialmente se l’ acido è un poco caldo. (Zvi). 


256 


Azione del cloro sulla bile”, osservazioni del sig. Carto MartEvCET. 


Fra i tanti liquidi delle secrezioni animali la bile è stata più 
d’ ogn’ altro soggetto di chimiche ricerche. Malgrado però i lavori di 
tanti Chimici , la composizione ne è anche mal conosciuta. 

L’azione del cloro sopra questa sostanza, non ancora osservata , 0 
per lo meno non abbastanza studiata , mi è sembrata degna di un esa- 
me più profondo, 

Tutte le volte infatti che questo liquido animale è a contatto del 
cloro gazoso, perde subito il suo colore ed odore, e passa per una tinta 
prima azzurra poi giallo-scura ad una bianca lattiginosa ; una sostanza 
biancastra si depone. Uguali effetti si ottengono facendo passare una 
corrente di cloro per la bile. 

Così alterata questa sostanza sciogliesi quasi interamente nell’ al- 
cool freddo; una sostanza bianca polverulenta non si discioglie; e può 
raccogliersi su di un feltro, ella è però solubile nell’ etere, e contiene 
la sostanza grassa e colorante alterata dal cloro. La soluzione alcoolica 
evaporata svolge vapori d’ acido idroclorico, abbandona sulle prime cri- 
stalli di cloruro di sodio , e resta in fine una sostanza liquida a caldo, 
siccome la trementina, ma che può col raffreddamento condensarsi ; 
acquistando tutti i caratteri di una resina. Alcuni lavamenti d’ acqua 
calda bastano per disciogliere il muriato di soda. 

È sulla sostanza resinosa che si è particolarmente portato ogni mio 
esame. Di un color giallo scuro , di un sapore amarognolo ; ‘solida alla 
temperatura ordinaria , friabile, s’ elettrizza per confricazione come una 
resina. Assai solubile nell’alcool e nell’etere e qualche poco nell'acqua 
calda , non lo è però che pochissimo nella fredda, e forma in questo 
liquido una specie di emulsione. Tutte le sue soluzioni arrossano leg- 
germente il tornasole. Si decompone al calore in un modo ben diverso 
dalle resine, dando prodotti azotati: oltre un’olio empirenmatico, che si 
produce , ottiensi un liquido che contiene qualche. traccia d’acido idro- 
clorico. 

Un breve esame chimico di questa sostanza ha bastato per persua- 
dermi delle qualità acide di questo corpo. Si discioglie infatti con faci- 
lità nelle basi ed è da queste dissoluzioni precipitato dagli acidi in 
fiocchi bianchi. Gli acidi invece non si combinano in alcun modo sta- 
bile con questa sostanza. L’acido solforico a freddo la colora in un giallo 
bruno che si fa rosso in appresso, e abbandonato all’ aria il'mescuglio, 
il suo colore divien più cupo e quasi verde. L’ acqua sola‘però è ca- 
pace di determinare la separazione dell’ acido solforico. L'azione di 
questo acido è assai più viva col!’ aggiunta del calore : una vera de- 
composizione si opera, dell’ acido solforoso, dell’ acido carbonico, del- 
l'azoto si svolgono , ed il liquido di un bel rosso si converte in fine in 
un carbone lucido che si distacca facilmente dalle pareti del tubo. L’aci- 


157 

do idroclorico e nitrico non alterano sensibilmente questa sostanza. A 
questi caratteri non ho potuto astenermi dal riconoscere in questo pro- 
dotto della bile per l’azione del cloro la resina trovata da Bracon- 
not (*) nel picromele di Thénard. Tenendo infatti conto della quantità 
che se ne produce per l’ azione del cloro sopra una determinata di bile, 
mi sono assicurato che questa corrispondeva presso a poco alla quantità 
di picromele da Thénard (**) trovata. Infatti da cento cinquantaquattro 
parti di bile io ho ottenuto dieci dell’ acido resinoso che chiamerò di 
quì innanzi cloro-bilico , il che è press’ a poco la quantità di picromele 
da Thénard trovata; ed il piccolo eccesso da lui avuto può giustamente 
attribuirsi alle altre sostanze che nel picromele esistono, come il Bracon- 
not ha ben mostrato. 

Bruciato quest’acido cloro-bilico coll’ ossido di rame in un conve- 
niente apparato dà un miscuglio gasoso che ,. prendendo la media di 
quattro esperienze , si compone per 1ooce di miscuglio di 75,00 8478 
d’ acido carbonico, e di 24,ce 1522 d’azoto. 

0,0266 gram. di acido cloro-bilico bruciati coll’ Soa di rame han- 
no dato a + 15° R e a 28”; 80,ce 6889 di gas che ridotti a 0° C. e a 
28” di pressione sono 28, 6779 che si compongono di 21,ce7515 d’aci- 
do carbonico e di 6,cc 9264 d’ azoto il che dà o,gr. 0118 di carbonio 
e 0,gr-0087 di azoto. È però buono il notare che questa sostanza brucia 
assai difficilmente, ed è necessario moltiplicare nel tubo gli strati d’os- 
sido di rame e di rame metallico. Onde poi ottenere l’idrogene ho te- 
nuto conto dell’ acqua prodotta. A tale oggetto ho scelto due tubi alla 
meglio eguali, e li ho empiti delle stesse quantità d’ossido di rame, e 
di rame metallico , mescolandovi però in uno la quantità d’acido cloro- 
bilico destinata all’ analisi. Riscaldando così ugualmente i due tubi e 
raccogliendo i prodotti sopra cloruro di calcio, e facendo in ultimo scor- 
rere pei due tubi una corrente d’acido. carbonico secco , ho ottenuta 
l’ acqua prodotta in un esperimento dall’ umidità del vetro dell’ ossido e 
del rame metallico , e nell’ altro questa stessa più quella dalla sostanza 
animale sviluppata. Sottraendo allora dalla seconda quantità d’acqua 
prodotta la prima , io ho con sufficiente esattezza l’acqua e quindi 
l’idrogene , che la sostanza ‘analizzata contiene ,,, sfuggendo con tal 
processo le difficoltà e le pene, che. seguono, la, disseccazione sempre im- 
perfetta dell’ ossido di rame, del rame inizia e del tubo. In questo 
caso 0,0266 gram. d’acido cloro-bilico ne AIPERRESRO 0,0015 di idrogene. 
Resta così l’ ossigene nella quantità di 0,0046...-) 

0,02660 gram. d’ acido cloro-bilico si compongono di 

Carbonio ....csvcer 00 030118. 
AZOTO Lrcccrrreciezenseeee O 361-0087. 
Idrogene .........0....-»» 0810015. 
Ossigene ......-rerr0r eee, 0361.0046. , 


sos rin { Digi 
(*) Annales de Chimie ét; de: Physique Octobre 1829: 
(**) Mémoires d’Arcueil Tom. I 


158 
Una tale composizione può rappresentarsi colla espressione atomi- 
stica seguente , prendendo per 1. l’ atomo dell’ ossigene. 
O Az2C3 I,5 il che dà 5 ,3747 per 1’ equivalente atomistico del- 
1’ acido Cloro-bilico. 
Dei cloro-bilati. 


L’Acido cloro-bilico si combina facilmente cogli ossidi metallici, e 
forma colla soda, la potassa , la calce e l’ ammoniaca delle combinazioni 
solubili, e da cui l’ acido è precipitato per la più piccola quantità 
d’ altr” acido. Le combinazioni però colla potassa , l'ammoniaca e la so- 
da ec. , non sono mai neutre e sempre basiche; tanto piccola è la capacità 
di saturazione di questo acido per tali basi. Mi è stato infatti impos- 
sibile per quanto abbia aumentato 1’ acido e diminuito 1’ alcali di otte- 
nere una soluzione neutra. 

Riscaldato pure l’acido Cloro-bilico in una soluzione di calce, vi si 
discioglie, e il liquido feltrato di un color giallo si presenta con ecces- 
so di base. La soluzione evaporata non cristallizza, ma riducesi in una 
massa che ancor conserva i caratteri dell’ acido. 0,055: gram.‘di questo 
sale già disseccato abbandonano ancora con un lieve riscaldamento 0,008. 
gram. d’acqua e li 0,047. di sale anidro lasciano dopo una lunga calci- 
cinazione 0,017. di base : cento parti adunque di cloro-bilato basico di 
calce si compongono di acido 63, 83. i 

3» base 36, 17. 

Il cloro-bilato di piombo si ottiene egualmente facendo bollire l’os- 
sido di piombo coll’ acido disciolto , o meglio trattando un cloro-bilato 
solubile coll’acetato di piombo. Si ottiene così un sale sempre basico 
non cristallizzabile , bianco , e insolubile nell’ acqua sì a freddo , che 
a caldo; l'alcool pure non ne discioglie che una piccolissima quantità 
a caldo , cento parti d’alcool bollente a 35.° ne sciolgono appena tre 
parti. Convenientemente riscaldato si fondé} Svolge gas che s’accendono, 
e resta in fine un carbone , ché ‘poi-s’infiamma come nitro, lasciando 
l ossido. Ecco il risultato di un’ esperienza tentata onde fissare la com- 
posizione di questo sale : o,1. gram. di cloro-bilato di piombo dolce- 
mente scaldati perdono ‘6,065. d’ acqua ei ‘0,095. rimasti di sal anidro 
perdono 0,05. che sotto ‘d’ acido e restànò 0,045 di base; cento parti 
adunque di questo sale anidro contengono d’acido 52 , 6. 

di di base 47, 4. 

L’ acido cloro-bilico in fine precipita nelle soluzioni di ferro , 
mercurio , e argento. 


Della sostanza verde, è zuccherina della bile. 


Si ottiene facilmente questa sostanza colorante e zuccherina abban- 
donando per dieci o quindici ore un miscuglio di acido solforico e di 
bile tanto che tutta la massa agitata sia. gialla. Dopo un tal tempo 
si depone la sostanza gialla che io credo essere 1’ acido su esaminato 


150 


ed il liquido resta di un bel verde Decantato allora, neutralizzato col- 
la calce a caldo, filtrato ed evaporato, resta la sostanza verde zucche- 
rina. Questa stessa ottiensi anche meglio neutralizzando il liquido colla 
potassa , nel qual caso separasi una sostanza, che raccolta su di un 
feltro ha, così umida, l’ apparenza della gelatina, e acquista coll’ acido 
solforico un colore violetto. Si evapori a secco il liquido filtrato e sciol- 
gasi coll’ alcool la materia verde. In tutti i modi si ottiene questa s0- 
stanza di un bel verde di un sapor zuccherino analogo a quello della 
liquirizia e inoltre solubilissima nell’alcool e nell’ acqua. Il cloro di- 
strugge affatto il suo colore. Mi è sembrato , ma non posso affermarlo, 
che questa sostanza verde zuccherina sia capace di fermentazione al- 
coolica. 

Mi parrebbe così dopo il suddetto esame sui componenti della bile, 
potersi ridurre la sua composizione ad una sostanza verde zuccherina, 
alla sostanza grassa, ed al cloro-bilato di soda misto con altri sali. 

Forlì ( Stato Romano ) 1. Gennajo 1831. 


VARIETÀ, 


Nella Biblioteca universale di Ginevra, dicembre 1830, pag. 432, 
sì trova il seguente articolo intorno ad alcuni esperimenti diretti a 
provare se i vegetabili d’ Europa possano adattarsi al clima della zona 
torrida. ‘ Il sig. Poiteau ci fa sapere, negli Annali d’'orticoltura di 
33 Fromont , (luglio 1830) che egli ha portato a Caienna , la quale si 
3, trova verso il terzo grado di latitudine boreale, e dove la tempera- 
3 tura è ordinariamente dai 20 a ai 29, senza mai passare ai 30 Réau- < 
3; mur, una collezione di piante coltivate con successo in tutta la 
3» Francia; esse vi sono arrivate in buono stato, e sono state piantate 
3, con diligenza. I risultati della loro coltura sono stati molto diversi. 
35 I peschi vi hanno vegetato con un tal vigore , che all’ età di tre 
sy anni sembravano averne dieci; non è mai uscita gomma dalle ampu- 
33 tazioni fatte ad essi; tuttavia non hanno mostrato alcun fiore nei 
so tre anni che ha durato il soggiorno colà del sig. Poiteau. I peri hanno 
>> appena germogliato ; languivano , o mostravano di non dover durare 
3» molto tempo. I meli languivano anch'essi, eccettuata la specie chia- 
3» mata in Francia Paradis franc , che gettava ogni anno dei rami tre 
3» 0 quattro volte più grossi e più lunghi che in Francia. Un ciliegio 
3» Visciolo ha gettato in 18 mesi un tronco di 15 piedi, grosso come il 
33 pugno. Il fico vegeta bene, e dà un frutto eccellente , ma il suo 
legno divien rognoso, in conseguenza delle punture d’un piccolo in- 
3) setto. L’ uva moscadella , e quella specie che i francesi chiamano 
3 morillon noir, vegetano meglio che in Francia; se ne ottengono tre 
3» 9 quattro raccolte per anno, quando si tagliano subito dopo la ma- 
>; turità dei grappoli: ma l’ uva non matura egualmente, ed è inferiore 
>, a quella di Francia. La specie detta chasselas vi vegeta appena. L’olivo 
3; diviene prontamente un grand’ albero, ma non fruttifica mai, come 


23 


160 


3) è già stato osservato a San Domingo , ed in altre parti dell’America 
; meridionale. La robinia falsa-acacia vi vegeta meglio che in Francia. 
33 L’ erba-medica è nata bene, ma le piante hanno sempre languito, 
3; ed il suo prodotto era ‘quasi nullo. I poponi son migliori che in 
33 Francia. I piselli vengono mediocremente. Le lattughe non fanno 
3» mai la palla, a malgrado di copiose irrigazioni. Le rape ed i ramo 
5 lacci vernigono qualche poco. L’ acetosa è sodisfacente. I cavoli fanno 
,; un poco di palla ; ma non producono mai il seme ; si moltiplicano 
,» facilmente per barbatelle. Il sedano viene con difficoltà e non pro- 
;, duce semi; si moltiplica nel modo usato per i carciofi. La patata 
»» produce dei tubercoli grossi come le nocciuole , raramente come le 
,, noci, ed i suoi fusti restano gracili e corti. ( Bibl. Univ. décembre 


3; 1830, pag. 432 ). 


Il sig. Ramon de la Sagra ; direttore del giardino dell’ Avana, ha 
inviato ai sigg. Mercier e De Candolle delle mostre disseccate e 
dei frammenti di resina d’un albero della famiglia delle Bize che 
cresce all’intorno dell’ Avana ; egli ha riconosciuto benissimo che es- 
sa appartiene al genere Laétia, ed aveva creduto che fosse la Laètia 
apetala dei botanici. Il sig. Mercier, che I’ ha esaminata, ha ricono- 
sciuto che essa n’è diversa, e le ha dato il nome di Laétia resinosa ; egli 
ha intenzione di pubblicarne la descrizione e la figura nella Scelta di 
piante che prepara, e di cui ha già dato un saggio nel Bullettino ho- 
tanico, in cui ha inserito il genere nuovo .Plalygyna della famiglia delle 
Euforbiacee , ed il bell’ Hidiscus Sagrocanus. 

La resina della Laétia è stata consegnata al sig. Macaire , che l’ha 
esaminata chimicamente, e che ha trasmesso al sig. De Candolle la 
nota seguente. 

« Questa droga, che l’iscrizione appostavi indica servir di purga- 
,» tivo drastico ai paesani dell’ Avana, è in piccoli frammenti irrego- 
33 lari, di color bianco-giallastro , trasparenti , fragili e quasi vetrosi, 
,» di sapor forte , acre e spiacevole , di odore leggermente aromatico , 
,) che si esalta e diviene spiacevole quando si getta la resina sui car- 
3 boni ardenti. ,, 

‘ Bollita nell’ acqua stillata, comunica a questa un odore distinto, 
>» ed un sapore un poco acre; ma per l’ evaporazione di quest’ acqua 
,) non si ottiene quasi resìduo alcuno , cosicchè l’acqua deve le indi- 
3; cate proprietà alla dissoluzione d’ un poco d°’ olio essenziale. Se si 
,» distilla la materia resinosa con dell’ acqua , si ottiene una piccola 
,, quantità d’ olio essenziale d’un odor forte particolare , d’ un sapore 
3, molto acre e spiacevole, che eccita delle nausee , e che incomoda 
,» la gola. Rimane una materia resinosa secca giallastra, e perfettamente 
>» trasparente. ,, 

« Questa sostanza si fonde per l’ azione del calore gonfiandosi , e 
,» brucia con molto fumo e con una bella fiamma bianca, lasciando un 
,, carbone bituminoso. Si discioglie interamente nello spirito di vino 


161 


,; concentrato e bollente, da cui una parte si precipita per raffredda- 
3» mento. L’acqua rende lattea questa dissoluzione; 1’ evaporazione 
55 lenta lascia un residuo giallastro d’ un peso quasi eguale a quello 
3: della materia impiegata ; e che ha tutte le proprietà delle ‘resine , 
s, senza averne delle molto speciali j polverizzata e triturata coll’acqua, 
>,» non fa emulsione. ,, 

‘ Bisogna concludere che questa sostanza è una resina pura, che 
»; contiene solo una piccola quantità d’ olio essenziale, e sarebbe mol- 
3, to analoga al mastice, se non avesse le proprietà purgative. (Ivi, 


p. 431 ). 


Il sig. Desfontaines ha dato all’ Accademia delle scienze dì Parigi 
alcune notizie intorno a due specie di sciarappa , che aveva inviate 
dal Messico al sig. De Humboldt il sig. Ledanois farmacista a Orizaba. 
Sebbene le mostre che ne sono pervenute non siano complete , il sig. 
Desfontaines crede potere affermare che queste due specie differiscono 
dalla sciarappa comune delle farmacie. Esse crescono nei contorni 
d’ Orizaba, ed una di esse indicata nel paese col nome di sciarappa 
maschio , è ivi riguardata come un buonissimo purgativo. Il sig. Leda- 
nois, il quale ha avuto frequentemente 1’ occasione d’ impiegarla , af- 
ferma che la di lei azione è egualmente certa e molto più blanda di 
quella della sciarappa comune. (Globe , N. 24). 


In una relazione estesissima che il sig. Cuvier, nella seduta del di 
13 dicembre decorso, ha letta all’ Accademia delle scienze di Parigi, 
intorno alle collezioni che ha recentemente portate dall’ India il sig. 
Dussumier, dopo aver rilevato di quanto la storia naturale era debi- 
trice allo zelo ed alla perseveranza dei viaggiatori, i quali, con inco- 
modi e spese gravi, portano le produzioni dei paesi stranieri, ha ram- 
mentato che il sig. Dussumier , in altre precedenti spedizioni, aveva 
arricchito a più riprese il museo di collezioni di grande interesse per 
la scienza. Ma l’ultima collezione, d’un sesto viaggio fatto all’ Indie, 
sorpassa tutte le altre in magnificenza. Nel corso d’ un viaggio di 33 
mesi, 27 dei quali sono stati passati in mare, il sig. Dussumier mon- 
tava un bastimento di sua proprietà , cosicchè è stato padrone di 
fermarsi in tutti i luoghi che gli promettevano una raccolta ab- 
bondante. Egli non ha trascurata una sola occasione. Alle Sechelles, 
all’ isola di Francia, a Borbone, a S. Elena, sulle coste dell’ India, 
nei fiumi, e fino in pieno mare, il sig. Dussumier ha fatto pescare 
ogni volta che il tempo lo ha permesso. In tal modo egli ha ottenuto 
una gran quantità di pesci, alcuni interamente nuovi , ed altri dei 
quali non si avevano che esemplari incompleti ; inoltre egli ha rac- 
colto delle notizie preziose relativamente ai loro costumi , al genere 
del loro nutrimento , al tempo della loro comparsa sopra certe coste. 

Benchè per la natura stessa del suo viaggio il sig. Dussumier abbia 

T. I. Gennaio 26 


169 


avuto molto più frequenti occasioni d’occuparsi dei pesci che degli 
animali terrestri, pure non ha trascurato ramo alcuno della zoologia : 
infatti egli ha portato dall’ India dei quadrupedi che non erano mai 
stati veduti in Europa nei tempi moderni , e dei quali per altro gli 
antichi hanno avuto cognizioni : tale è l’ antilopo a quattro corna , già 
indicato da Eliano , e di cui non si trovava parte veruna nelle colle- 
zioni dei cranii; se si eccettui una testa incompleta , la quale è stata 
portata in Europa da pochissimo tempo. Quest’animale, che il sig. Dussu- 
mier conduceva vivo dal Bengala, è morto per strada da Bordeaux a Parigi, 
ma si è potuto profittare di tutte le sue spoglie. Un’ altro animale raro, 
l’ orso a lunghe labbra , orso giocolatore dell’ India, è felicemente ar- 
rivato , e sì trova attualmente nel serraglio di Parigi. 

Senza seguitare il relatore nelle particolarità da lui esposte intorno 
a diverse parti della collezione, basti dire che per quasi tutte le classi 
d’ animali essa fa conoscere delle specie , e per alquante anche dei ge- 
neri nuovi. 

Il sig. Dussumier si dispone a partire per un nuovo viaggio , il 
quale pure sarà senza dubbio molto utile alla storia naturale: egli de- 
sidera tornare un altra volta a Canton ed a Maniglia. ( Globe N.° 19). 


L’ economia industriale è stata arricchita dal sig. Tabarié d’ un 
nuovo oenometro, il quale per la sua grande semplicità non tarderà 
a diventare d’ uso generale. In vece di raccogliere lo spirito di vino , 
al che sì richiede un apparato distillatorio , il sig. Tabarié fa bollire 
il vino in una caldaia scoperta , e lascia 1’ alcool disperdersi nell’ at- 
mosfera. Egli ne deduce la quantità dalla differenza di densità fra il 
vino ed il residuo della distillazione, dopo avere sostituito un volume 
d’ acqua esattamente eguale a quello del liquido evaporato. Questa idea 
ingegnosissima lo ha condotto ad imaginare un apparato d’ una gran- 
dissima semplicità , apparato veramente da manifattori , che può esser 
messo fra le mani di tutti, e che dà con più prontezza , e con minor 
bisogno di diligenza, risultati tanto precisi quanto il processo ordina- 
rio della distillazione. Un tale apparato è composto d’ una piccola cal- 
daia scaldata per mezzo d’ una fiaccola alimentata dallo spirito di vino ; 
una traversa orizzontale, posta nella caldaia in vicinanza del fondo , 
indica , mel momento in cui non è più bagnata dal liquido , che l’eva- 
porazione è stata sufficiente per spogliarlo interamente d’ alcool. Le 
densità del liquido avanti e dopo l’ operazione son determinate per 
mezzo d’ un areometro a doppia scala. Un termometro , per le corre- 
zioni dì temperatura, ‘presenta egualmente una doppia graduazione ; 
una delle due scale porta 1’ ordinaria divisione centigrada: 1’ altra una 
divisione particolare per semplicizzare l’operazione. 

Il sig. Tabarié ha reso completo il suo lavoro , con unire al suo ap- 
parato tutte le tavole necessarie , ed un istruzione per il modo di ser- 
virsene. L° oenometro completo costa 40 franchi; sì trova a Parigi presso 
il sig. Collardeau via del sobborgo Saint-Martin N.° 56, ed a Montpel- 


103 
lier presso il sig. Morin, ottico, Grande-Rue N.° 19. ( Ann. de Chim. 
et de phys. ; mf 1830, pag. 922 ). 


Il sig. dottor Lombard di Ginevra si è applicato da più anni a stu- 
diare l’ influenza di diverse professioni nello sviluppare la tise polmo- 
nare. Fino dal 1828 egli aveva registrato le professioni di 2654 tisici 
che erano venuti a morire negli spedali civili di Parigi, ed ha prose- 
guito le sue ricerche a Ginevra, città nella quale i registri mortuarii 
indicano per ciascun individuo la causa della morte e la professione. 

Ha fatta al sig. dott. Lombard molta impressione, come l’ aveva 
fatta prima che a lui a molti altri medici, l’influenza che ha sullo svi- 
luppo della tise la respirazione d’ un aria carica di polvere ; ma egli 
ha osservato di più che l’ inalazione delle polveri vegetabili era molto 
meno nociva che quella delle materie minerali. Così a Ginevra di 100 
mugnai , 20 muoiono di tise polmonare, mentre di quelli che macinano 
e staeciano il gesso ne periscono della stessa malattia 67 per 100. Ma 
non sono solamente le particelle solide tenute in sospensione nell’aria 
che cagionano la tise j vi sono delle emanazioni gazose , o aeriformi che 
esercitano sullo sviluppo di questa malattia un influenza terribile. Così 
il numero dei cappellai che muoiono tisici è a Ginevra di 31 per 100 
(a Vienna di 42 ) dei verniciatori di 32, degli smaltatori di 25. 

Le ricerche del sig. dott. Lombard hanno anche contribuito a di- 
mostrare la falsità dell’ opinione lungamente ritenuta daî medici che 
le professioni le quali esigono dei moti violenti delle braccia tendessero 
a produrre la tise. 

Questo lavoro del sig. dott. Lombard presenta nei suoi risultamenti 
una conformità quasi perfetta con un altro recente lavoro del sig. Be- 
nolisson de Chateaunenf, conformità resa molto sodisfacente dalla cir- 
costanza che niuno dei due autori ha avuto cognizione’ delle ricerche 
dell’ altro prima di pubblicare le proprie. ( Globe IN.° 19 ). 


L’ Accademia delle scienze di Parigi nella sua adunanza del 20 di- 
cembre ultimo ha udito dal sig. Larrey la relazione dello stato d’un 
individuo che, per la sua estrema magrezza, è detto uomo scheletro. 

Quest’ individuo non aveva presentato nulla di straordinario fino 
all’ età di 34 anni. Egli era militare , e godeva d’ uria buona salute , 
quando fu ferito in un combattimento , e restò per tre giorni sopra 
un suolo umido e freddo. Trasportato in una casa ove fu assistito, fu 
preso da un sonno che si prolungò quasi. senza interruzione per tre 
mesi. Fin da quel momento cominciò a dimagrare, e continuò fino 
a ridursi allo stato d’ emaciazione in cui si trova oggi. I di lui mu- 
scoli sono ridotti in tale stato , da sembrare corde appianate che non 
presentano veruna prominenza sensibile all’occ hio nei luoghi ove sono 
applicati lungo le ossa ; tuttavia quest'uomo eseguisce senza difficoltà 
i movimenti di locomozione , e stringe con molta forza la mano che 


104 
gli sì presenti. Nei sette anni che sono scorsi dopo 1’ invasione della 
malattia , il peso del di lui corpo da libbre 180 sì è ridotto a 72, la 
statura , che era di 5 piedi e 3 pollici, è diminuita di pollici 2 e mezzo; 
la sua pelle è ruvida è secca. Ma nonostante questo stato , il senso 
del tatto non sembra alterato. Lo stesso è degli altri sensi, î quali 
sono nello stato normale ; anche la vista è buona, a malgrado d’un 
oftalmia cronica da cui l’individuo è affetto da più anni. Il cuore ha 
avuto la sua parte dell’atrofia generale , e, per quanto sì può giu- 
dicarne dalle pulsazioni , il suo volume non eccede quello del cuore 
d’ nn piccolo gatto. Quest’ uomo beve e mangia quasi quanto un uomo 
sano. Le sue escrezioni si fanno con facilità , benchè ad epoche molto 
lontane , ma con una regolarità straordinaria. La sua intelligenza sem- 
bra perfetta. Dopo ìl tempo in cui l’emaciazione era già estrema, 
quest’ uomo ha avuto quattro figli , che nulla presentavano di straor- 
dinario ; uno di essi è morto, ma gli altri tre stanno bene. ( G/o- 


be N.° 24. ) 
Ricramo. Università dell’ isole Tonie. 


L’Antologia nel fascicolo N.° 86 anno 1828 ebbe occasione di toccare 
del dono fatto da Lord Guilford de’ suoi libri e de’ suoi Mss. all’ Uni- 
versità dell’isole Ionie : quel cenno dell’ Antologia diede occasione al 
sig. Papadopulo Vreto di esporre intorno al destino della Biblioteca le 
sue doglianze , esporle, dico, in una lettera diretta (1) al compilatore del 
mentovato articolo del nostro giornale: 1’ Antologia dunque era natu- 
ralmente chiamata a riparlar della cosa, e lo fece nel fasc. 120 a p. 23 . 
con le seguenti parole: “ Nello scritto dal quale togliamo questa no- 
»; tizia, è raccontato inoltre come l’ erede di Lord Guilford, il co. di 
, Shefield, nipote di lui, privasse la biblioteca dell’università di tutti 
,, i Mss. e de’ libri dall’ uomo generoso donatile, che montavano a più 
33 di 15,000 ,,, Noi dovevamo la relazione di questa circostanza alle- 
gata dal sig. Papadopulo e all'amore che nutriamo sincero ad una 
nazione sventuratissima , ed al sig. Papadopulo stesso il quale, per co- 
municarla al pubblico, a noi sì rivolse. Nè, nel riportare la cosa, a 
noi conveniva tacere il nome di Lord Shefield sì perchè nna sem- 
plice relazione di fatto da altri attestato richiedeva una rigorosa esat- 
tezza , sì perchè senza addurre il nome della persona incolpata ; la do- 
glianza stessa sarebbe sembrata o gratuita od almeno oscura. Ora ci 
giunge una lettera di persona stimabile , nella quale si conferma, è 
vero, il fatto principale , la non esecuzione cioè del testamento , che è 
quello sul quale a noi importava chiamare 1’ attenzione del lettore; 
ma si purga da ogni rimprovero il conte di Shefield.. Con quella 
imparzialità con cui noi riportammo la prima doglianza ; senza inten- 


(1) Vedi la Gazzetta privilegiata di Venezia, N.° 239, 21 ottobre 1830. 


165 


dere di pregiudicar la questione , riportiamo ora il presente reclamo 
senza decidere di quante e di quali persone sia in quest’ affare la colpa. 
Spetta agl’ interessati nella cosa contendere di ciò , se credono oppor- 
tuno , tra loro. 


KAI. 


“ Durante la sua vita il conte di Guilford teneva nel suo appar- 
tamento privato nell’ Università di Corfù la sua preziosa raccolta di 
Mss. ; e oltre gli altri atti di munificenza verso l’ istituto da lui fon- 
dato, depositò nella pubblica biblioteca la sua voluminosa libreria, 
col permesso a tutti di prevalersene, ma colla riserva però espressa 
de’ suoi pieni diritti, perchè era sempre in questione , e meditava più 
d’ una volta di ritirarsi con tutte le sue proprietà, vedendo nel Go- 
verno molta freddezza nel secondare le sue vedute e rendere perma- 
nente l’ università. = Venne a morte; e nel suo testamento offrì agli 
Stati Ionici tutti i suoi Mss., libri, istrumenti, ec. colla speciale con- 
dizione che il Governo dotasse in perpetuo l’Università e continuasse 
.una certa piccola pensione a diversi studenti fino allora da esso man- 
tenuti. — Deliberò per qualche tempo il Governo, ed alla fine decise 
di rinunziare a questo splendido legato! La più alta autorità dell’Isola 
comunicò a Lord Shefield, come nipote ed esecutore testamentario del 
defunto cancelliere , che il Governo si risolse a non mantenere l’uni- 
versità, ma di permutare quello stabilimento in una semplice scuola 
o collegio, molto però limitato perchè più conveniente alle circostan- 
ze ed ai bisogni degli Stati Ionii. Subito avuta lord Shefield questa 
rinunzia , ne scrisse ad un suo amico in Corfù, già incaricato di agire 
per lui, pregandolo di spedire in Inghilterra i Mss. ed una porzione 
dei libri non più necessari nell’ Isola, ma di fare una scelta di tali 
libri che potrebbero essere veramente utili pel nuovo e limitato sta- 
bilimento meditato dal Governo , e di offrirli insieme con tutti gli 
istrumenti ed altri apparati del defunto cancelliere, al Governo Ionio 
in suo nome (cioè del conte di Shefield) in testimonianza dell’ inte- 
resse preso da lui nel ben essere degli stati Ionii e della partecipazione 
sua nelle vedute benefiche del suo zio! = Questo suo ordine fu ese- 
guito col presentare immediatamente al Governo la grande e costosa 
raccolta d’ istrumenti filosofici, matematici e chimici, e col notiziare 
formalmente l’ intenzione di sua signoria di regalare anche una por- 
zione dei libri! ,, 

‘ Dopo queste transazioni , il Governo nel formare il suo nuovo Isti- 
tuto, si è compiaciuto di conservargli il titolo di Università abbenchè 
sia del tutto diverso da quel che era prima. = Se la scelta dei libri 
destinatigli da Lord Shesfield in dono, non è stata ancora effettuata , 
deriva da varie circostanze non necessarie di esser qui dettaglia- 
te ec. ec. ,, 


T. I. Gennaio 22 


166 


Metodo generale d’ insegnamento col mezzo dei numeri e dei colori ap- 
plicato allo studio della cronologia, da Anr. JAzwINSKI , dottore in 
filosofia, già capitano d’ artiglieria polacca. 


Di questo nuovo metodo che a noi sembra ingegnoso ed utile, 
parlerà forse 1’ Antologia quando potrà confrontarlo con altri metodi 
simili d’ istruzione , tentati in Toscana od altrove. Per ora non facciam 
che avvertire il Pubblico del felice sperimento dal sig. Jazwinski fatto 
in Firenze sopra alcuni giovanetti, a’quali con cinque o sei lezioni egli 
giunse ad insegnare una parte non piccola di cronologia , in modo che 
forse molti degli eruditi stessi non n’ hanno notizia sì franca. Speria- 
mo che e in Firenze ed altrove l’ egregio Polacco avrà degni estima- 
tori della sua lodevole invenzione , e che vorranno approfittarne per 
l’ educazione de’ propri figliuoli. Giacchè questo insegnamento di cro- 
nologia si può molto bene connettere allo studio della storia ; e così 
imprimere per via di vicendevole aiuto viemeglio nella memoria la co- 
gnizione de’ tempi e quella de’ fatti. 

Il sig. Jazwinski poi promette di applicare il suo metodo allo stu- 
dio dell’aritmetica e delle lingue : e in quest’ ultimo specialmente noi 
speriamo che se ne potranno ritrarre non leggeri vantaggi. 


K. X. Y. 


NB. A questo proposito riceviamo una nota dell’ egregio sig. Ber- 
nardo Zaydler, nella quale si dà brevemente e filosoficamente un idea 
del metodo del suo valente compatriota. 

‘ La tendenza decisa verso 1’ unità nell’ incivilimento umano del 
principio intellettuale colla sociale , e la conseguenza che ne deriva 
d’ estendere viepiù la coltura dello spirito senza pregiudizio dei pre- 
ziosi momenti destinati all’ esercizio della vita attiva ; rendono indi- 
spensabile la riforma di que’ mezzi che all’ acquisto conducono delle 
cognizioni occorrenti. Tal bisogno manifestasi a misura che viene 
giornalmente aumentata la copia di fatti contemporanei , 1’ importanza 
di quelli che sono già del dominio della storia, e 1’ inclinazione filo- 
sofica che ci guida a investigarli. E come corrispondervi meglio che 
sbarazzando il terreno delle scienze dalla quantità di elementi mate- 
riali ed isolati che le ingombrano per sottoporli a quella unità che sta 
capace d’essere con un solo sguardo abbracciata ed intesa ? 

‘ Egli è certo che noi acquistiamo e ci comunichiamo le nostre idee 
per mezzo di segni. L’ idea già conosciuta potrà per essere risvegliata 
rappresentarsi mediante un segno più abbreviato , il quale potrà an- 
che subire maggior semplificazione a misura che lo spirito procede nel 
suo perfezionamento ; onde colla guida di concepimenti astratti. con- 
durci gradualmente e prontamente laddove non giungerebbero da sè 
sole le forze intellettuali. In fatti il vantaggio essenziale delle 
matématiche, e in particolare dell’ algebra, consiste nell’ essere le idee 


167 
rappresentate con segni abbreviati per assuefare 1’ immaginazione a ve- 
derle speditamente e compiutamente ogni volta che ne contempla i cor- 
rispondenti segni. E questo vantaggio, senza pretendere però d’ as- 
similarlo alla precisione matematica, potrà essere anche applicato ad 
altre scienze. Con segni arbitrarii si rappresenterebbero in un modo 
positivo quantità d’idee concrete, i quali mediante la loro gradazione 
esprimerebbero un tutto sistematico; col soccorso di colori si distin- 
guerebbero le classazioni e talvolta il carattere intrinseco dell’ ogget- 
to; accoppiando l’ idea del suono con quella dei numeri si rendereb- 
bero visibili le radici di tutte le lingue ;. coll’abbreviazione pregressiva 
di segni il passaggio alle idee astratte non si eseguirebbe solo insensi- 
bilmente, ma ne resulterebbe la chiarezza quasi materiale ; e così le 
intelligenze anche comuni giungerebbero in pochissimo tempo a resul- 
tati proprii di dotti consumati, come quel bambino che mediante un 
meccanismo alza pesi da Ercole. 

“ Nella copia delle cognizioni umane le scienze istoriche figurano in 
preferenza alle altre, poichè ogni genere scientifico concorre definitiva- 
mente a ingrandirne il dominio , e poichè sono pìù d’ogni altre a por- 
tata di tutti i ceti d’ una società incivilita. La base della storia è la 
cronologia : ma questa cronologia è ella uno sterile aggregato di nu- 
meri, o piuttosto un quadro che, simile ad una carta geografica per cose 
di luogo , presenta all’immaginazione le cose di tempo, la successione 
cioè fra i regnanti , la simultaneità dei fatti, la generazione e la pa- 
rentela fra gli avvenimenti ? I dati cronologici han forse altro senso 
che di rendere positiva la proporzione fra fatto e fatto? ora il metodo 
del dott. Jazwinski identifica talmente il fatto col tempo che ne rende 
superfluo lo studio isolato. 

‘“ Egli rappresenta ogni anno mediante un quadratino , cento dei 
quali congiunge a diecine per formarne un quadrato diviso in mezzo 
da due lince più marcate che s’ incrociano : questo quadrato ci offre 
l’ imagine d’ un secolo. Dieci dei medesimi, disposti orizzontalmente 
formano lo spazio di mille anni, quaranta con più quattro quadratelli 
tutto lo spazio dell’ era antica, e diciannove quello dell’ era moderna: 
il punto di contatto è la nascita di Cristo. L’ applicazione che egli fa 
del colorito , tratto dalle tinte radicali del prisma, le quali tornano 
sempre nell’ordine medesimo , facilita la direzione dell’occhio ed aiuta 
l’azione della memoria. Così disposta l’idea del tempo, il primo grado d’i- 
struzione consiste nel rendere familiari alla memoria i nomi e gli avveni- 
menti storici più notabili, succintamente indicati nei corrispondenti 
quadratelli disposti sopra una tavola. Segue poi un’ a!tra tavola ove 
i medesimi avvenimenti sono indicati nei rispettivi quadratelli con sole 
lettere iniziali o altri segni di convenzione, oppure tali che rappresen- 
tano lo stesso carattere degli avvenimenti. Vien dipoi sostituita a que- 
sta un’ altra tavola sulla quale gli avvenimenti sono indicati per mezzo 
di due tinte succedenti, in modo che il principio d’ una tinta indica 
l’ avvenimento nel quadratello che le corrisponde. Ritenuti così i fatti 


768 


nella memoria dello studioso , gli si presenta una tavola con quadra- 
telli vuoti, e gli si porgono dei cartelli quadrati contenenti in iscritto 
i medesimi fatti, i quali cartelli egli deve collocare sui corrispondenti 
quadratini vuoti. Quindi a’ cartellini scritti se ne sostituiscono dei non 
scritti per Ja medesima operazione. Gli si tolgono poi i medesimi, per- 
chè reciti gli avvenimenti colla sola vista dei quadratini vuoti. Si tol- 
gono finalmente anche questi: ed egli dirà a mente i fatti, e in tal 
guisa egli è già messo in grado di sapere perfettamente l’ era, il secolo 
e l’ anno di ciaschedun fatto. Questo sistema d’operare, variamente di 
poi sviluppato nella sua azione a seconda delle regole mnemoniche e 
di ciò che è positivo sull’ associazione delle idee, sia per mezzo di fi- 
gure della costellazione , sia col giuoco ingegnoso del colorito , sia con 
tavole quadrate di differente coordinamento e grandezza ( delle quali 
l’autore possiede un copioso apparato ), sia finalmente colla sua appli- 
cazione alla storia più o meno dettagliata d’ un’ epoca o d’un popolo 
separatamente , forma la base di tutto il metodo. Ogni studio d’ una 
data storia possiede a guisa d’ un archivio le sue schede , le sue nic- 
chie, i suoi indicatori sommarii, vincolati con una catena ingegnosa, che 
indica quasi a tasto sulla carta e quindi alla mente ciò che si vuol. 
sapere, e ciò che, raccolto dallo studio giornaliero, si vuol convenien- 
temente conservare, 

“ Effetti dei più sorprendenti non possono a meno di resultare, 
a confusione di esperti storici e cronologi, dall’ applicazione d’ un tal 
metodo a capacità anche comuni. Noi abbiamo sentito recitare gio- 
vani dopo una istruzione di poche settimane gran copia d’avvenimenti 
storici sia progressivamente sia inversamente colle date corrispondenti, 
ed essendo interpellati sul dato fatto nominare l’anno corrispondente, 
e così vice versa; recitare la serie dei sovrani di qualunque nazione 
aggiungendo l’ anno della venuta al trono di ciascheduno e la lun- 
ghezza del regno; rispondere chi ad un dato anno regnava ; riferire 
senza calcolo un noto avvenimento o all’ epoca della creazione o alle 
olimpiadi o alla fondazione di Roma o alla nascita di Cristo o all’ E- 
gira ; infine (quel che non si esige neppure da un istorico ) nominare 
in sequela d’un anno dato i sovrani allora regnanti, qual anno fosse 
del loro regno, chi allora viveva fra gli uomini illustri e quanti anni 
avessero. 

“ Pagando con queste poche linee il mio tributo d’ammirazione al 
metodo ed ai snoi resultati, non mi resta che il soddisfare anche a 
quello che m’ inspira il procedere veramente filantropico e nobile del 
suo autore, mio compatriota ed amico, il quale nulla risparmia onde 
perfezionare e diffondere gratuitamente fra il culto pubblico i benefizi 
della sua invenzione ; benefizi di cui i pubblici fogli delle primarie ea- 
pitali d’ Italia hanno già fatta onorevolissima menzione ,,. 

Dr. BERNARDO ZAYDLER. 


NECROLOGIA 


Cavaliere Giuseppe Longhi. 

Consacrerò brevi ma veraci parole di lode ‘alla memoria del ‘celebre 
professore Giuseppe Longhi , a cui moltissime ne converrebbero, meno 
disadorne , e più eloquenti che non saranno le mie. Ma siccome non 
mancherà in Italia uno scrittore degno di sì nobile  subietto , che 
imprenda a tessere un convenevole elogio di questo illustre italiano, 
così mi ristringerò ad accennare brevemente quanto si legge qui ap- 
presso. i 

Nacque il cavaliere Giuseppe Longhi nella piccola città di Monza, 
nel 1766, e l’Italia intera , e le arti belle piangono la perdita irre- 
parabile di questo esimio artista , e ‘valente letterato fino dal giorno 
2 ‘gennaio ‘1831. Non è ‘che rendere onore alla verità ; dicendo che fu 
il Longhi uno dei più belli ornamenti del nostro secolo , e dell’ Italia, 
concorrendo in esso ad un tempo, le qualità di conoscitore profondo 
delle arti del disegno, di sommo incisore , e di scrittore purgato ; 
elegante , cultissimo ; senza affettazione , ed inutili ricercatezze. Ebbe 
egli rigidi costumi, fu ‘d’illibata morale, e di carattere aperto , e 
franchissimo , esprimendo sempre col labbro senza esagerazione ciò 
che sentiva nel cuore. Dignitoso coi grandi, umile ed affabile coglì 
eguali , e cogl’inferiori , caldo , e costante nelle amicizie , benefico , 
e liberale verso la classe indigente , instancabile nello studio , e nella 
fatica , si mostrò nemicissimo ognora degli oziosi , e dell’ ozio. 

Era lieta , ed istruttiva'la sua compagnia , ed aperta in ogni tem- 
po la sua abitazione; non ai suoi discepoli e numerosi amici soltan- 
to, ma a chiunque avesse bisogno dei suoi consigli, e del suo soc- 
corso. Non giunse mai infruttuosa all’ orecchio di quest’ uomo insi- 
gne la preghiera della. vedova derelitta , del debole orfanello , del 
povero insomma. 

Con tali, e tante virtù sociali, con tante qualità eminenti e 
rarissime nel mondo , non è maraviglia che avesse il Longhi tanti 
amici, ed il nome suo suonasse onoratissimo per tutte le contrade 
d’ Europa. Difatti le primarie Società scientifiche e letterarie , come 
il Cesareo Istituto di Milano , I Accademia Reale di Francia , quelle 
dei Paesi Bassi, di Vienna, di Berlino, di Danimarca , di Vilna ; di 
Monaco , di Firenze , di Turino, e molte altre ancora si recarono 
ad onore di ascriverlo fra i loro membri. 

S’ interroghino i numerosi discepoli suoi, i quali frequentarono 
lietissimi pel corso di trent'anni, la scuola d’incisione da lui rige- 
nerata , ed elevata ad altissima riputazione , e. vi diranno tutti colle 
lacrime della riconoscenza sul ciglio ,, che un sì egregio maestro fu 
loro cortesissimo ognora delle vaste sue cognizioni , e che si mostrava 
ad essi coll’ affezione di amico, e coll’ amorevolezza di padre , anzi 


170 

che colla superiorità di precettore. Di che fanno fede, e parlano , 
con più eloquenza che fare io non potrei , i tanti disegnatori , ed in- 
cisori di non ordinario valore, che onorano l’Italia nostra coi loro 
lavori , ed uscirono dalla sua scuola sì bene istrutti, dal suo esempio, 
e dai suoi saggi ed amorevoli insegnamenti. E basterà ch’io nomini 
fra questi; un Garavaglia ,, un Anderloni ; un Jesi, per tacer di ‘tanti 
altri. 

Sarebbe poi opera perduta , se volessi ora affaticarmi a dar lode 
al Cavalier Longhi , per la somma sua perizia nell’ arte del disegno, 
ed.in quella dell’ intaglio , parlandone più efficacemente d’ ogni di- 
citore il più facondo , le molte sue bellissime opere , sparse in ogni 
parte d’ Europa , e fuori di essa puranco. E furono queste che gli 
procacciarono tanta rinomanza in vita, e formeranno sempre la gloria 
sua e dell’Italia. Finalmente ‘qual sia il merito di questo illustre Ita- 
liano ; ed integerrimo cittadino come letterato , e scrittore, lo diranno 
per me e meglio di me, i suoi scritti, che verranno quanto prima 


alla luce. 
D. VALERIANI. 


BULLETTINO BIBLIOGRAFICO 
Annesso all’Antologia (*). 


Gennaio 1831. 


Giuocolatore 'delle serate invernali. 

ITALIA. — Nuovissimo Paralipomeno', dell’Ab. 
D. MicHete Coromso di Parma. — 

ALMANAGCHI perl’ anno .1831, |. Vita di Esopo nuovamente scritta da 
pubblicati in Milano da. Grovawni | PALAMAI. — L’aguzza ingegno, o rac- 
Sivestri, Corsia del Duomo N.° | colta di sciarrate e logogrifi. — I pro- 
994. = L’impostura smascherata.‘— | verbi del buon contadino. — Servo a 
Ogni giorno un fatto storico. — Il | tutti. — Almanacco tedesco-italiano. 


(*.) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel 
presente bullettino,, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi 
vengono. somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna 
confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- 
no come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. 

Il DiretroRE DELL’ AnToLOGIA rammenta a’ sigg. Librai, ed a’ respettivi 
Autori e Editori di opere italiane, che le inserzioni di annunzi tipografici , 
nel presente bullettino , non possono averoi luogo che previo l’ invio di una 
copia dell’ opera medesima‘; e trattandosi di manifestj da inserirsi per in- 
tiero , o di qualunque altro aoviso tipografico, mediante il pagamento di 
soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. 

Riguardo poi all’ inserzione ‘di manifesti staccati da cucirsi e dispen- 
sarsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi sc- 
condo il numero de? fogli. 


NOTE sopra le dinastie de’Farao- 
ni, con geroglifici preceduti del loro 
alfabeto , e raccolti in Egitto nel 1828. 
Opera del maggiore OxLanno FELIX 
inglese. Tradotta da FeDERIGO TORRI, 
edita da suo fratello SrEFANO , già li- 
tografo di S. A. il Vicerè d’ Egitto. 
Firenze , 1830 Tip. Celli e Ronchi, 
4.° di p. 20, cong tavole disegnate 
dall’ editore. 


TRIBUTO d’amicizia alle ceneri 
di Cesare SPERANZA fiorentino. Fi- 
renze , 1831, St. Magheri. 


STORIA fiorentina di Ricorpano 
Matispini, dall’ edificazione di Firenze 
fino al 1282, seguitata poi da Gra- 
corro Matisrini fino al 1286. Livor- 
no, 1830. Glauco Masi. Vol II.° ( Fa 
parte della scelta Biblioteca degli sto- 
rici italiani in 35 volumi circa, de- 
dicata alla gioventù italiana). 


NOTIZIE istoriche della Medicina 
e della Chirurgia toscana, e partico 
Jarmente della scuola chirurgica. fio- 
rentina, di Enrico Nespoli, chirurgo 
soprannumerario dell’ I. e R. Arcispe- 
dale di S. M. Nuova di Firenze. fi- 
renze , 1830. Leonardo Ciardetti , 8." 
di p. 73. 


COSIMO e LAVINIA , o la ca- 
duta della Repubblica veneta, Roman- 
zo storico del XVIII. secolo. firen- 
ze, 1830. V. Batelli e figli. Volumi 
IV, 5.° a 8." della Raccolta di Ro- 
manzi , che vengono pubblicati al 
prezzo di 60 centesimi cadauno. 


OPUSCOLJ scientifici del dottor 
F. TantINI, prof. onorario nell’ I. e 
R. Università di Pisa. Pisa, 1830, St. 
Nistri; 8.° vol. III.” ed ultimo di 


p- 284. 


GOMMENTARI della Rivoluzione 
francese dalla morte di Luigi XVI.® fi- 


'no al ristabilimento de’ Borboni sul 


trono di Francia, scritti da Lazzaro 
Pari. Lucca , 1831. Tip. G. Giusti, 
in 8.° Tomo IV. di p. 326. 


IL CATORCIO di Anghiari , poe- 
ma eroi-comico in ottava rima , del 
proposto FepERIGO Nomi , colle note 
dell'Avvocato Cesare Testi. Firenze, 
1830. Tip. Daddi, 18.° Vol. I.° di 
p. 332. 


LIBRERIA delle famiglie. Firenze, 
1831. Passigli , Borghi, e C. Volumi 


175 
III a VI del Viaggio d’Anacarsi il 
giovine del sig. BARrHELEMY. 


IL DECAMERONE di messer Gro- 
van Boccaccio cittadino fiorentino. 
Firenze, 1830. Passigli, Borghi, 
e C. Volumetto II.' Parte I.® — Detto 
in un volume compatto, fascicolo III.° 


BIBLIOTECA portatile del viag- 
giatore. Firenze , 1830. Passigli, Bor- 
ghi , e C. Vol. II.° ed unico. T'eatro 
tragico italiano , fascicoli 9 € 10. — 
Vol. III. ed unico. Opere complete di 
NiecoLò MacxÒiaveLLI , fascicolo 3.° 


CORSO elementare di fortificazio- 
ni ad uso delle scuole militari, com- 
pilato dal prof. SABART, versione ita- 
liana con aggiunte del tenente FeRDI- 
NANDO Bronnpi PERELLI, incaricato del- 
la direzione degli studi de’ RR. Ca- 
detti di artiglieria toscana. Livorno , 
1831. G. Sardi, 8.° Tomo III.® Parte 
I. ( Fa parte del Corso di matemati- 
che per uso delle scuole militari). 


LETTERE sopra la filosofia mora- 
le, dell’Ab. G. B. Tara al cav. Ipp. 
Pinpemonte. Milano , 1830. G. Sil- 
vestri, vol. unico , prezzo lire 2 aust. 
Della Bibl. Scelta volume 258. 


IL NEUTONIANISMO. per le 
Dame , ovvero dialoghi sopra la luce 
e sui colori, del co. Franc. ALca- 
RoTTI veneziano. Milano, 1830 G. 
Silvestri. Vol. unico ;\ e 259.° della 
Bib. Scelta. 


IL DIRITTO privato naturale, di 
Francesco Nositi di JerLLER. Terza 
edizione italiana riveduta e ‘corretta 
sull’ ultima edizione tedesca. Milano, 
1830. G. Silvestri. Vol. unico, prezzo 
lire 3. italiane. 


ERISIA LAMPUGNANI, Trage- 
dia di GarLo AncioLtNI milanese, Mi- 
lano , 1831 Giuseppe Crespi. 


OPERE inedite di Silvio Perticc 
da Saluzzo. Torino, 1830. G. Pomba. 
Volumi 2 in 8.° 


ELEMENTI di chimica teorica e 
pratica, coll’ indicazione delle princi- 
pali applicazione alle scienze e alle 
arti ; opera in cuii corpi sono classi- 
ficati per famiglie naturali, di C. 
DespRETZ , professore di fisica al Col- 
legio R. di Enrico IV , ripetitore di 
chimica alla scuola di Politecnica, 


. 


172 
membro di molte società scientifiche, 
Pesaro, 1830. Tip. Nobili. Tomo I° 
di p. 160. 


OSSERVAZIONI sul sistema del- 
«1 universo ., rilevate dietro l’° indagine 
delle insite forze della materia, e die- 
tro la struttura delle sfere mondiali , 


ordinati secondo il piano architetto- | 


nico della natura, da EmanNUELE Bar- 
sANOFRIO DA GrroLamo , medico ori- 
tano nei Salentini. Napoli, 1830. Raf- 
faello di Napoli, in 8.° Tomo I.° di 
p- XII e 315. 


VIAGGIO in Sicilia, poemetto del 


co. GarLo Erorti. Napoli , 1830 in | 


foglio. Tip. di Fibreno. 


LE LETTERE di C. Prnio Cs- | 


cirio seconpo all’ Imperatore Traiano, 
e quelle di Traramo a Plinio , recate 
in italiano da Giuseppe BanDINI. Par- 
ma, 1830, St. Rossetti, 8.° di p. 163. 


LIBRI ITALIANI 
STAMPATI ALL’ESTERO. 


ELEMENTI di economia politica 
di Gracomo Mitt , tradotti sull’ultima 
edizione inglese dall’ autor dell’ opera 
intitolata dî varie Società ed Insti- 
tuzioni di beneficenza in Londra, con 
note del traduttore. Lugano , 1830. 
G. Ruggia e C., 8-° di p. 260. 


NAPOLEONE a S. Elena, ov- 
vero estratto di Memoriali de’sigg. La- 
scases ed OmeaARA , volgarizzati con 
note originali che servono di confuta- 
zione alla storia di Napoleone scritta 
da Walter-Scott. Lugano 1830. G. 
Ruggia e C. Tomo V. 


INTORNO alla pena di morte. Let- 
tera ad un amico. Lugano , 1830. G. 


Ruggia e C., 8.° 
AOBIN HOOD, tradotto dall’in- 


glese . da Prrerro Mrrrrt, antico capo 
battaglione. Lugano , 1830. G. Rug- 
gia e C., volumetto. 


NOURJAHAD , romanzo tradotto 
dall’ inglese da Prerro Mirri, antico 
capo-battaglione. Lugano , 1830. G. 
Ruggia e C. Volumetto. 


L’ EDUCAZIONE, poemetto. Lu- 
gano , 1830. G. Ruggia e C. 


I PROMESSI SPOSI. Storia mila- 
nese del secolo XVII.®, scoperta e ri- 
fatta da ALessanpro Manzoni. Edi- 
zione diligentemente eseguita sulla mi- 
lanese dell’Autore. Lugano, 1830. G. 
Ruggia e C. Tomi III. l 


RITRATTO STORICO de’memo- 
rabili avvenimenti occorsi in Parigi 
nell’ ultima settimana di luglio 1890. 
Italia, 1830. Trad, dal francese. 


ANEDDOTI piacevoli della vita di 
Giacomo GorirreDo FERRARI. Londra, 
1830. A. Seguin. Volumi II in 8.° 


NOVELLE romantiche in prosa e 
in versi. Londra , 1830 , alla libreria 
italiana, 20 Berners street. Volu- 
metto di p. 90. 


IN MORTE di Giorcio CannING, 
Canti di Fr. Amepeo Ravina. Lon 
dra , 1828. G. Rolandi , 20 Berners 
street, in 4.° 


LE SATIRE di G. Grovenats, 
tradotte in versi sciolti, rivedute, cor- 
rette e rischiarite con note da Tropo- 
ro Accro. Lugano , 1828. G. Ruggia 
e C. Volume II.° della seconda e com- 
pleta edizione. 


RISTRETTO della storia della let- 
teratura italiana, di FRANCESCO SALFI, 
già professore in molte università d’Ita- 
lia. Lugano , 1831. G. Ruggia e C., 
12." Tomo I.° di p. XIV, e 270. 


DELLE 


o Ora 


mezzog. 
Ii sera 


| 7 mat. 


7 mat. 
2| mezzog. 
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7 nat. 
3| mezzog. 
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7 mat.. 
4| mezzog. 
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7 mat. 
5| mezzog. 
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vu mat. 
''mezzog. 


7 mat. 
mezzog. 
TI sera 


1° sera 


27. 
fd 


27. 
27. 


28. 


———__6€— 


a OSSERVAZIONI 
METEOROLOGICHE 


FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO 


SCUOLE PIE DI FIRENZE 


Alto sopra il livello delmare piedi 205. 


GENNAIO 1831. 


Termom. Fa rg > 
|| 3|.5/,8 
5 ta Dale i 
5 z 3 | E Sia Stato del cielo 

Y le) 
Gill 20]: 0 1l cafih.n od 
| I ] | 

7,7 90° 95 |fo,18'Sc. Le.|Nuvolo Calma 
8,0| 9,5 95 | 0,07 Sciroc. 'Nuvolo Calma 
8,01 7,8. 98 | 0,03 Sciroc. Nuvolo Calma 
7,71 7,8] 92 | 0,06|Greco  |Pioggia Ventic, 
7) 72] 95 | 0,29|Gr. Tr.|Pioggia Calma 
7,6 7,2] 95 | 0,11|]Os. Sc. [Nuvolo Calma 
7:3 5,9 94 | = |Os. Sc. | Nuvolo rotto. Calma 
7,7) 9,9) 80 Gr. Tr..| Nuvolo rotto Ventic. 
7,6: 7,2! 85 Greco !Nuvolo rotto Ventic. | 
m4| 7,7) 89 Tram. !Ser. con neb. } Calma |} 
7,6) 9,0] 56 Po. Ma.| Ser. ron nu. b. Calma 
ni 6,1] 95 Sciroc.' Sereno Calma 
7,2] 3,2) 97 Sciroc. | Nebbia Ventic. 
7,05 5,8) 9 Libec. ! Nebbioso Ventic., 
6,7] 5,4) 98 Sciroc. | Ser. neb. Calma 
6,5] 6,3] 95 Sc. Le, [Nuvolo Calma | 
6,7} 7,0] 96 | 0,35{Po. Ma.|Pioggia Ventic, 
6,5] 6,5] 83 | 0,18|Tram. |Nuvolo Vento 
6.21 6,5) 68 Gr. Tr.|Nuvolo Vent. forte | 
6,0] 6,0| 60 Gr. Tr.|Se. con n. rot. Ve. for. 
5,11 4,0] 621. [Greco |Ser. Vento impetuosis. 


9 VLermoin. x - A 
se (19) = È Ss 
so pd tri (na è 
{i5{ Ora 3 2le|s]|z5s 2.8 Stato del cielo 
|3. Spa a | 847 78 | 
| Ad O MARONE MELE 
| 7 mat. |28. 4,5} 2,8) 62 Greco |Ser. Vento im petuosis. 
8| mezzog.|28. 4,53 3,8| 60 ‘Tram. |Se. ragn. V. impetuosis. 
È Ir sera (8. 3,8] 3,0) 58 Greco |S. con n. V. impetuosis, 
7 mat. E 3,0] 59 Greco ‘Ser. con n. Ven. imp» 
| 9| mezzog. [29 Gr. ‘Tr. Sereno con nu. Vento 
11 sera lag. Sciroc. Sereno Ventic. 
| 7 mat. {27. 58 | Sciroe, |Sereno ragn. Calma 
10 mezzog. 27. 97 Sciroc. |Nuvolo neb. Calma 
usera (27. 92 | L Os. Sc, | Nebbia Calma 
” mat. 27. 9,3 | 3,8 9 0,14|Tram._ | Pioggia Calma 
lrn! mezzog. 27. 10,0 41] 6,0 0,05; l'ram. |Nuvolo Ventic. 
| ti ser . 10,2 | 4,3! ai n! 84 | Tram. |Nuvolo Ventic. 
î | 7imat. |27. 10,1 4,3| 3,6 | 95 = Le. |Sereno Calma 
4 è mezzog.|27. 99 | 4,7| 3,0| g5 . Le.|Sereno Calma 
dl 11 sera |27. 10,0 4.9] 4;8) 95 cn [Sereno Calma 
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di mezzog. |27. 10,8 451 4,0] 92 O;. Se. | Sereno Calma 
| v1 sera |27. t1,5 455] 2;6| 96 Sciroc. |Sereno Ventic. 
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14} mezzog.|28. 0,3 43]. 3,0] gi Sciroc. Sereno Calma |f 
vi sera [28 0,6 | 4;2| 2,0| 96 Sciroc. |Sereno Calma || 
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” inat, {28. 1,3 3,7| 1,1} 92 Sciroc. | Sereno Calma || 
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7 mat. |28. 0,9 | 45 6,9] 82 | 0,05|Ostro |Nuvolo Calma 
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7 mat. |27. 7,4 5,3] 3,9| 95 | o 1a]Lev. Nauvolo Calma 
I 4 mezzog. |27. 7,5 5.6| 6,9] 95 | o,ot (o: Li. !Nuvolo Calma 
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MM ti vera ay. 5a | 5,5) 48) 78 | 0,10. Libeo. [Novolo Vento 
| | 7 mat. |27. 6,3 5,0! 2,9| 96 0,08| Po. Li. Pioggia Calma 
26 |mezzog. |27. 7,1 | 5.0] 4,9: 68 | 0,02/Tr. Ma.|Nuvolo Calma 
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| | 7 mat. [27. 9,5 3,5 1,9 58 —|Gr. Tr.| Nuvolo Vent. imp. 
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(| 7 mat.|27. 8,4| 2,5] —t2| 57 Sc. Le. |Ser. ragn. Calma 
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% Per la Toscana , Lire 36 toscane per 1 anno 
È per tatto dì Regno RL 
Lombardo Veneto? — franchi 36. 

eil Regno Sardo arr ee 

“per il Ducato di Parma, — franchi 36. 


[ ” Roma e sue adiacenze 3 — scudi 8. 


Pia Bologna, e tutta la sonsaa Ra franchi 36 , 
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a diga. 


SE Un fascicolo mista, quando sia Leltzone 


IL PREZZO D’ ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipatamente. 


franco alle frontiere | 


Gli anni separati dal 18ar al 1829 , quando esistano 


* 


franco di porto 

per la posta 
franco di porto | 
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franco alle frontiere. 
per la posta ; eni 
franco di porto. 

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franco Torino | 
o Milano. 
franco Parigi 
per la posta 


L. 300° si 


«0 INDICE 


cr 


DELLE MATERIE 


CONTENUTE ks: di AS È 
NEL PRESENTE QUADERNO. ) SR 
: ANSE AIR «n dra 
| ira intorno agli uffizi civili dell critica ioni ria. ; 
I (Francesco Forti, i) Pat 


Cenni istorici sull’ origine: della stampa. Art. I (94. Tom. ML 
Omero 1° ee Padoa nelle: lingue più colte. Ed. Passi- ki pù o 
da : gli, ‘Borghi e Jo Di 7 Tae fait ohi Vr TIRA RO PR SI (M.): i 

Nuova. edizionie; del Forcellini , dei siga Puilanetta, do ARR]. 
| Storia dell’ impero:Osmaro!, del cav. de: Hammer volta sin-italiano da. 


Samuel Romanini. RIE aa 
Rivista di alcuni giornali inglesi. = Il Foreign quarterly Review. i 
| (A. V.). ©. 96. 
n Proscritto. Storia Sarda dell’Autore di Sibilla Odaleta. AK: RX pesa 106. 
| Rivisra LerreRARIA. — Labus, Di una epigrafe antica ec., p. r15. 


<= Cavedoni, Sopra alcune medaglie greche, p. 118. = Visconti 
| (Ennio Quirino), Opere varie, p. 120. = Ricordano Malispini, 
Storia fiorentina  Ruova edizione , p. 125 fai Ceresa e Locatelli, 
Raccolta: delle. migliori opere zoologiche Pe lragii= | Pecchio , Vita 
di Ugo Foscolo À p. 131. = Colombo, In difesa (dello sérivere ‘con. 
purezza;, p. "132. = Marzuttini, Autori ecclesiastici della #@Hiesh Di 
MU » p. 132. = Sonzogno , ed. , Il Galateo: del Gioia :coms. i 
| pendiato ; p. 134. = Sonzogno , ed., Florilegio di letteratura “ita. > Dr 
liana” , pi 135. = Zanon, Opere complete, p. 136. = Tantini , 03: 
Toiontalina di alcuni bagni, spedali e. musei della Gèrinania,, 
p. 139. =.Follini, Lezione sopra due edizioni del secolo. Va 
p. 142. = Orlando Felix , Note sopra la dinastia . de’ Faraoni s edi} va 
di Stefino Torri, p. 143. = Enrico Nespoli, Notizie istoriche ‘della. » 


medicina e chirurgia. toscana , 144. SR o AT er 
BrtLerrINo.sctentIrIco- LETTERARIO. Meteorologia ; p. 146. += Fisica 6° 

chimica ;. p. 150. Varietà , p. 159: = Riclamo. Università del- 

1 isole ioniche xp. 164. = Nuovo metodo per: Mesgrate, lat Crono= 2. 

logia , p. 166. 6 ARIE ”» 146 
Necrologia. Cav. Giuseppe ‘Longhi. ee MD Valerio) SR Lat gt 
Bullettino bibliografico. | : TER ii » 170. 


Tavole meteorologiche. . . xs RIS p: » 


— ANTOLOGIA 


GIORNALE 


DI 


SCIENZE, LETTERE E ARTI 


Pa 92. del 2 "A 
F ebbraio 1831. 


TOI A 


ma 


FIRENZE. 


| AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO 


«pi G. P. VIEUS SEUX 
° Dirirerrore E EprrorE 
({——_—__—_ 
TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. 


L’ ANTOLOGIA si pribbtica ogni mese per fascicoli nen minore di ifogli 10, st 
Tre fascicoli compongono un volume, ed ogni volume è è uccom pagnato di uno $ 


‘indice generale delle materie. 


©. Le associazioni si prendono 


In FIRENZE ; dal Direttore Editore G. P. Vieusseuzi 
in MILANO, per tutto il regno | dalla Spedizione delle Gazzette, 
Lombardo Veneto € presso l’/. e R. Direz. delle Poste. . 


in 'TORINO i per tatti li Stati Sardi, presso il sig. Luigi Croletti, impiegato nelle | 
o GENOVA .R. Poste di Torino. , 


in MODENA presso Gem. Vincenzi e Cio libr. ; 


in PARMA presso îl sig. Derviè direttore delle Poste. 


in ROMA, per-tutto lo stato VELE presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegato - 
nell’amministraz. gen. delle Poste Pontif.. 
presso fl sig. Direttore delle Poste. 


in BOLOGNA , 
presso Arnesio Nobili." 


PI 


in PesARo, 
in NAPOLI; presso Ambrogio Piccaluga , Strada S. Liborio N. 33., 
presso il sig. Carlo Beuf... a 


in PALERMO , per tutta la Sicilia 
| presso la Direzione delle Gazzette: 


in AUGUSTA 
in VIENNA, per tatto 1’ Impero Austriaco, dalla Spedizione delle Gazzette >, 


presso 1° Z. e R. Direzione delle Poste. 


in GINEVRA presso J. J. Paschoud. 
in PARIGI presso /. Renouard Rue de Tournon N. 6 
in LONDRA presso C. F. Molini N. 41 Paternoster Row. 


ANTOLOG 


N. 122, 


DELLA COLLEZIONE. 


N° 2. DEL SECONDO DECENNIO 


cina IS9l,. 


Genografia dello scibile considerato nella sua unità di utile e di 
fine, con la dichiarazione differenziale ed integrale de’rapporti 
tra l’uomo e la natura quanto alla origine, al legame ed alla 
funzione de’ medesimi nella filo-agatia e nella filo-calia , per 
elevare a scienza esatta la filosofia dello spirito umano. Ta- 
vole sinottiche di Giacinto pe Pampuitis. Napoli 1830. 

Essai sur la nomenclature et la clussificatiou des principales 
branches d’art-et-science. Quvrage extrait de la Crestomathie 
de Jeremie BewnrHam, par Grorces BenrHAM. Paris. 

Saggio d° una nuova classificazione delle scienze , ossia sopra le 
scienze dell’uomo fisico e morale , di Luicr Ferrarese. Napoli. 

Sul bisogno d’ un nuovo coordinamento e di una nuova classifi- 
cazione delle cognizioni scientifico-letterarie , discorso acca- 
demico di Acosrino Lonco. Catania. 


Non poche sono le teorie, non pochi gli studi che soste- 
nuti ed amati con grande ardore da taluni, furono e son tutta- 
via da molt° altri derisi o aborriti come inutili o come dannosi 
al progresso delle vere ed efficaci dottrine. Così l’ erudito tiene 
a vile l’ ingegno del grande poeta; e il poeta si fa betfe della 


2 
vieta suppellettile del paziente erudito : così certa teologia gret- 
tamente schizzinosa sdegna gli argomenti che alla verità umana- 
mente percettibile somministrano le meditazioni dell’ assennato 
filosofo ; e certa filosofia pregiudicata non vuol conoscere altro 
vero se non quel che s’ annusa e si palpa : così gli amatori delle 
vaste teorie lasciano agl’inetti, come cosa vile, 1! esperienza 
pratica degli affari; e il lavoratore meccanico si gloria d’ ignorare 
le teorie matematiche e fisiche che non intende , e senza le quali, 
dic’ egli , per tanti secoli camminarono non infelicemente le arti 
necessarie alla vita. Nè questo biasimevole e funesto disprezzo 
vien sempre da ignoranza o da stupidezza di mente ; ma o da 
affetto soverchio ad una tra le tante parti dell’ umano sapere 
(giacchè siccome nelle chimiche operazioni la ripulsione appa- 
rente non è che l’ effetto d’ una prevalente attrazione , così ne- 
gli affetti dell’ uomo 1’ odio non è che conseguenza d’ un amore 
smodato ); o da affetto soverchio , io diceva, o da incon- 
sideratezza , o da inesperienza de?’ fatti. Il miglior mezzo per- 
tanto di convincere o almeno di scemar fede alle declamazioni 
di questi disprezzatori d’ una parte qualunque dell’ amplissima 
e svariatamente una verità, si è il mostrare e co’ ragionamenti 
e (meglio) co’ fatti l’ utilità pratica che dal disprezzato studio 
proviene al soddisfacimento di un qualche bisogno o corporale 
o dell’ intelletto o dell’ animo. 

Questo pensiero mi si affaccia per primo alla mente , nel 
vasto tema che movo a leggermente percorrere, non a trattar 
di proposito: chè a tanto non basterebbero un breve scritto nè 
ed un povero ingegno. To penso dunque che se finora non sorse, 
certo non mancherà chi vedendo alcuni uomini di scienza e di 
senno occupati a costruire il grand’ albero enciclopedico delle 
umane cognizioni, opponga loro a un dipresso; che un tale 
lavoro è inutile, è dannoso, è impossibile a compiersi con suc- 
cesso : inutile, perchè se le dottrine son false (e chi potrebbe 
vantarsi d’essere infallibile in tutto?) l’ ordinarle a questo modo 
e il formarne un sistema , è il medesimo che moltiplicare l’er- 
rore per quante suddivisioni e quanti rigagnoli si viene il si- 
stema distribuendo ; se vere , esse stanno da sè, e nella mente 
di ciascun uomo si legano e si ordinano come meglio a lui 
torna, senza ch’ altri imponga ad essa come legge indeclinabile, 
un ordine fisso, un determinato numero di categorie: dannoso, 
perchè cotesta materiale e quasi pedantesca classificazione, man- 
data a memoria, può far presumere agl’ inesperti di possedere 
non una scienza soltanto ma la scienza delle scienze; può 


3 

in luogo delle idee porre i nomi, e confondere le dottrine col 
loro registro, le verità col posto ch’ esse occupano , o sia natu- 
rale o sia dall’ enciclopedista arbitrariamente assegnato: im- 
possibile finalmente , perchè a bene classificare tutte le parti 
dell’ umano sapere , converrebbe conoscerle tutte a fondo, e non 
solo quali ora sono ma quali furono nella successione de’tem- 
pi; € quali andranno di giorno in giorno mutando e amplian- 
dosi nel più lontano avvenire : impossibile , perchè tutti i sistemi 
finora inalzati, han trovato contraddizioni fortissime , e vere; 
perchè questa istessa smania di sempre ricominciarne de’nuovi, 
indica un non so che di difettoso e d’erroneo nella natura istessa 
e nel fine d’ un sì grande e sì ardito lavoro. 

Le difficoltà principali che stanno contro lo studio del quale 
trattiamo , stanno non meno contro tutti gli altri esercizi della 
mente e dell’ animo umano ; e son dirette non allo studio in 
sè stesso, ma piuttosto a certi modi di riguardarlo e di prati 
carlo. Quando gli abusi son gravi e frequenti, si fa di questi 
un argomento contro la cosa abusata; argomento fallace ed in- 
giusto , ma al quale i colpevoli dell’ abuso non hanno risposta. 
Avviene spesso in tutti quanti gli studi, in tutte quante le 
istituzioni, che a lungo andare o si dimentica o si falsifica. il 
vero lor fine: ed è sentenza di Bacone che : © in tutte le scienze, 

fra tutti gli errori il più grave e gli è appunto il deviare dal- 
,» 1’ ultimo fine loro ,,. — Ora a qual fine si son elleno compi- 
late finora le enciclopedie , e tutti in generale i lavori che ten- 
dono a classificare in cert’ ordine le umane dottrine ? A qual 
fine si posson elleno compilare ? quali ne sono stati gli uffizi ? 
quali ne possono essere le utilità? == Distinguendo uffizio da uf- 
fizio, noi troveremo e fino a quanto sien vere le accennate ripren- 
sioni, e quel che convenga avere in mira per evitar le più gravi. 

I. O lo studio enciclopedico si considera come |’ ultimo 
risultato di tutte le scienze, come il fiore di tutte le verità 
che dalle umane dottrine sono scoperte o illustrate , come il 
complesso di quelle verità universali che in ciascuna scienza , 
in ciascun’ arte trovano o applicazione o conferma : e in questo 
senso 1’ enciclopedia corrisponde a una specie di metafisica ; me- 
tafisica però quale non fu tentata finora. Lo studio che con que- 
sto nome s’ intende dai filosofi non è che una serie di proposi- 
zioni ontologiche, psicologiche, cosmologiche e di teologia natu- 
rale, più o meno distinte, più o meno complicate insieme , se- 
condo il gusto ; lo scopo , l’ abilità degli autori. Uno di quelli 
che consid erarono la metafisica come scienza enciclopedica, se non 


4 


in pratica almeno in teoria , è certamente Aristotele (ch'io in ma- 
teria di filosofia non arrossirò di citare (1) ), e lo mostra fra le altre 
la sentenza di lui : “ Principalissima delle seienze è quella che 
»» studia la ragione ed il fine di tutte le cose ed azioni ,. In 
più altri luoghi egli ammette chiaramente una scienza com- 
posta degli assiomi a tutte o a molte scienze comuni, senza però 
fermarsi a sviluppar questa idea (2). Ma perchè , (nello stato 
specialmente in cui rimasero le scienze da Aristotele a Car- 
tesio ) era cosa molto più facile il gettarsi in certe questioni 
generiche, la cui stessa indeterminazione era un pascolo all’amor 
proprio e un aiuto alla mancanza di cognizioni precise, perciò 
la metafisica pare che alle mani dei più decadesse dalla dignità 
nella quale l’ altissimo ingegno d’ Aristotele 1’ aveva, se non 
col fatto almeno col desiderio, collocata , per intertenersi di que- 
stioni i cui risultati non solo non erano una conseguenza delle 
dottrine raccolte dai fatti delle scienze particolari, ma non po- 
tevano nè anco a queste applicarsi cou facilità . ed utilmente. 

La metafisica enciclopedica di cui parliamo è cosa, a quel ch'io 
sappia , intentata : perchè fino ad ora la sollecitudine , la con- 


(1) Questa mente sovrana, e la più enciclopedica forse di quante mai  fi- 
nora ne sorsero, non ha certamente bisogno di lodi, nè molto men di difese. Ma 
mi sia lecito qui notare come il grande sforzo col quale Gartesio atterrò il 
trono de’peripatetici, non fa che accrescere il merito di colui che gli avea quasi 
porta in mano l’arme con la quale atterrarla: tanto deviò dal sistema del maestro 
quello de’suoi tanti seguaci. Nel terzo infatti della metafisica io trovo: « Chi 
vuol possedere alcuna parte di scienza, deve saper dubitare ; giacchè la cogni- 
zione vera non è che la soluzione del dubbio ,, E dopo uu capitolo aureo 
tutto , conchiude questa sua memorabile sentenza, che a’ molti de’ moderni 
scettici ginugerebbe opportuna : « ell’è cosa difficile il ben dubitare ,,. Questo 
principio che in metafisica è tenuto assai felicemente da Aristotele fino a tanto 
ch’ egli combatte le idee di Platone, e’ lo abbandona poi (solita colpa dell’ u- 
mana debolezza ) quando s° accinge a proporre le proprie. Di questo principio 
nella Poetica egli ha fatto, per verità , ben poco uso ; ma nelle scienze natu- 
rali lo applicò nel modo che i dotti sanno ; e dovunqne 1’ applicò , fu grandis- 
simo. - Un ingegno che per forza e severità non cedeva forse ad Aristotele, 
io parlo di San Tommaso, si mostra anch’esso persuaso del metodo del maestro: 
e lo dice: e l° opera sua maggiore è tutta a modo di questioni , dove tutti i 
ragionamenti dalle obbiezioni cominciano. — Al passo citato d’Aristotele mi- 
rava Dante laddove dicea: Inf. XI Tu mi contenti sì quando tu solvi Che non 
men che saver dubbiar m’aggrata. E Par. V. Nasce... a guisa di rampollo A 
piè del vero il dubbio ; ed è natura Che al sommo pinge noi di collo in collo. 

(2) Veggasi questo principio chiaramente ripetuto anco in Porfirio Isa- 
goge c. 2. Tutto ciò che riguarda la metafisica enciclopedica, e che tro- 
vasi sparso nelle varie opere di Aristotele , è nettamente riassunto dal Pacio 
in un breve capitolo delle Istituzioni logiche. 


5 


tentezza e lo scusabile orgoglio che ritiene gli scienziati ciascuno 
entro a’limiti delle proprie discipline, e nella particolarità d’una 
classe sola di fatti, o scoperti di nuovo o in nuova maniera 
inaspettatamente illustrati, impedì loro di raccogliere da questi 
fatti le conseguenze più generali, le quali, sommate con tutte le 
conseguenze ugualmente generali dedotte da tutte le altre scien- 
ze , verrebbero a dare per risultato le leggi più somme che go- 
vernano la natura degli spiriti e de’ corpi , quale noi fino ad 
oggi la conosciamo (3). Bacone, quegli che, a giudicar dalle ap- 
parenze , dovrebbe dirsi il più dichiarato avversario dell’ idea 
d’Aristotele , anch’ egli la conferma laddove insegna che gli as- 
siomi generali dedotti dalle particolari esperienze facilitano as- 
sai più l’ invenzione di nuove verità , che non farebbe il versar 
sempre nelle esperienze individue e nella minuta raccolta de’fat- 
ti. E questa degli assiomi generalissimi egli la chiama col nome 
di filosofia prima (4), per distinguerla da quella che comunemente 
s’ intende col nome di metafisica : e più volte ritorna sull’ idea 
medesima , inculcando che dall’ alto soltanto si domina il cam- 
po della verità quasi da sublime vedetta, e che un’opera 
la qual tratti le sommità del sapere si desidera ancora. ‘° Noi, 
dice altrove , deposto ogni fasto vano , vorremmo che una scienza 
s’ ideasse , quasi ricettacolo di quegli assiomi che a molte delle 
scienze particolari sono ugualmente comuni. ,, E ne rende una ra- 
gione degna dell’ alta sua mente: con un principio generale alla 
mano io posso , dic’ egli , non solo trovare 1’ applicazione d’ in- 
numerabili casi particolari, che s’io mi perdessi nelle indivi- 
dualità , dovrei sperimentare ciascuno da sè ; ma posso inoltre 
tentar delle vere scoperte cercando di assoggettare alla prova del 
detto principio quegli oggetti che sott’ esso apparentemente non 
cadono ma che seco potrebbero avere qualche secreto legame. E 
non solo i generali assiomi abbreviano il cammino dell’esperien- 
ze, ma aprono talvolta vie nuove alla mente: appunto come 
que’ calcoli algebrici che non solo si possono applicare a un’ in- 
finita serie di casi con sempre costante certezza , ma possono 


(3) Il sig. Pamphilis parte lo. scibile in sette sfere concentriche 1.° in- 
telligenza 2.° modi dell’ intelligenza , cioè imitazione , invenzione , linguag- 
gio , ragione 3.° senso comnne 4.° scienza 5.° dottrina 16.° sapienza 7.° ca- 
tegorie generali. — Altrove poi la facoltà di generalizzare egli la dà come 
pregio del genio primario , e quella del singolarizzare come pregio del talen- 
to secondario. Pag. 10 col. 1. pag. 11. col. 2. Si vegga ancola coll. r. della 
pag. 13 e la 2 della 2o alla fine. 


(4) N. Org. 


6 


portare in molte arti e in molte scienze una nuova esattezza » 
feconda di risultati utilissimi. La filosofia prima insomma da Ba- 
cone ideata , è , per usar la sua frase , come la sommaria legi- 
slazione della natura , legislazione non imposta arbitrariamente 
dall'uomo; ma ricavata con lenta esperienza da’fatti ; legislazione 
esposta in assiomi, la cui raccolta mancava al tempo del cancelliere 
di Vernlamio, e manca tuttora. Nè contento di ciò, quel grand’uo- 
mo, ben conoscendo quanto sia difficile dimostrar, 1’ importanza di 
cosa della quale il più degli uomini non ha cognizione positiva 
nessuna, si ferma a dichiarare la sua idea con esempi. Osservate, 
dic’ egli, l’ assioma : due cose uguali a una terza sono uguali 
tra loro. Questo medesimo è la base della verità del sillogismo; 
dove la minore è appunto la terza proposizione presa per mo- 
dulo di confronto. Eccovi una medesima verità diramata in due 
scienze diversissime , la logica e la matematica. Così la legge 
del numero tanto ha luogo nella musica quanto nella legata e 
nella sciolta eloquenza (5). Così molte proprietà della propor- 
zione geometrica ritrovano un’ applicazione inaspettata ed esat- 
tissima nella scienza degli umani doveri e diritti. Così quella 
massima : che tutto muta nel mondo, nulla perisce; è tanto vera 
in psicologia , quanto in fisica. Ond’ è che il mondo fisico , filo- 
soficamente considerato , è quasi uno specchio , un simbolo del 
mondo morale. Nè queste , soggiunge sapientemente Bacone, son 
mere similitudini che 1’ immaginazione intravvede e che non 
hanno nella realità fondamento (6) : sono relazioni fondate nella 
natura stessa delle cose : ed è la natura appunto che di coteste 
leggi sovrane e generalissime ci mette quasi sulla via quando 
tra’ più disparati oggetti ci fa sentire applicazioni sempre nuove 
del principio d° analogia , fonte di tutte le grandi scoperte scien- 
tifiche , e base di tutte le invenzioni del genio. 

Le sopraccennate idee di Bacone che ho studiosamente raccolte 
qua e là dalle varie sue opere, potrebbero riuscire feconde d’impor- 
tanti scritti e di metodi utilissimi: ed è perciò ch’ ho voluto insi- 
stervi tanto a lungo. Sono idee d’un autore ormai vecchio, ma nuo- 
ve tuttavia, perchè vergini e belle d’inesausta bellezza. E tanto è 
lungi questa filosofia prima che qui proponiamo da quella che con 
aria di spregio vien da taluni chiamata metafisica, che d’A lembert 
istesso, uomo che d°’ astrazioni molt’ alte certo non si dilettava, 


(5) Aug. Se. 
(6) N. Org. 


7 
insiste anch’ egli sull'idea di Bacone (7), e la dichiara con qae- 
ste parole: “ Più si riducono a pochi i principii d’una scienza , e 
più que’ pochi acquistano d’ estensione, più diventan. facili 
ad essere intesi. In tale riduzione di principii scientifici è riposto 
il vero spirito sistematico, ch’è tutt'altra cosa dallo spirito di siste- 
ma. ,, — Ed è singolare nell’editore dell’Enciclopedia , nel seguace 
di Locke questa confessione, che del resto è una verità incontra- 
stabile: più la scienza si innoltra nelle particolarità del mondo 
1, de’corpi, e più la nuova luce che vi si diffonde viene a scoprire 
so di tenebre e di misteri. ,, — Donde si deduce per necessaria con- 
seguenza, che volere ingolfarsi nelle particolarità della materia per 
trovarvi le leggi regolatrici dell’ intelligenza ; è inutile sforzo ed 
ingrato lavoro. 

Ma la verità da Bacone insegnata ed accettata dal sig. d’A- 
lembert , sulla fecondità dei principi generalissimi della scienza, 
questi la comprova con esempi più notabili ancora. Afferma che 
tutti quasi i teoremi matematici non sono che una traduzione 
variata di pochissimi principii , e forse d’ un solo: poi cita i mi- 
steriosi fenomeni dell’ elettricità , la quale a’ di nostri è dimo- 
strato che relazioni incredibili abbia con la luce e col mague- 
tismo ; onde verrà forse giorno che tutti i fenomeni dei fluidi 
detti imponderabili , ridotti ad una generalissima legge , avvere- 
ranno ancor meglio la sentenza dell’ enciclopedista francese : che 
la concatenazione loro tient au système général du monde; e 
che l’ universo considerato dall’ alto, e abbracciato con un solo 
sguardo , non sarebbe , a così dire , che un fatto unico, una 
grande verità. 

Il sig. Pamphilis è , a quel che noi sappiamo il solo ch’ab- 
bia considerato lo studio enciclopedico da quest’ altezza : senza 
però mantenervisi; ma dopo gettato sopr’esso uno sguardo, discese 
alla metafisica pretta, certo per deliberata volontà , non perchè 
gli mancasse a sorreggersi la forza dell’ ali. Di che ci sia prova 
un sol passo della sua opera , laddove distinguendo le sue sette 
sfere , dice. che la prima riducesi all’ ideologia, la seconda alla 
teorica generale del bello e del bene (8); la terza al senso co- 
mune (9), la quarta al mezzo per conoscere, la quinta ‘alla co- 
noscenza essenziale , la sesta alla norma d’ agire conforme detta 
conoscenza , la settima alla forma delle teoriche trovate e da 


(7) Pref. Enc. 
(8) Da lui chiamate: filoagatia , e filocalia. 
(9) Gh° egli chiama filosofia volgare. 


8 

trovarsi intorno ai rami di tutto lo scibile. E dopo aver ridotte 
tutte le ricerche dell'umano intelletto a queste parole cardinali: 
Chi? Fa? Chè? Come? Dove ? Quando ? Perchè ? seguita ad in- 
segnare con un linguaggio che a molti parrà molto strano : Le 
»» quali categorie sono il generale modo di essere dei particolari 
», modi di essere di ciascuna parte e di tutto il complesso delle 
» umane conoscenze: laddove le categorie delle epoche della 
» natura e dell’ nomo sono i modi generali di essere dei modi di 
:, essere di ciascuna parte e di tutto ‘il complesso della economia 
», dell’ una e dell’ altro. Per lo che se tali sono i dati ultimi del 
»» subbietto e dell’ obbietto, e dello scibile volgare e filosofico , 
;: io oso dire che la Genografia (10) è 1’ alfabeto de’ tre dati, i 
3» quali sono Uomo , Natura , e Rapporti ; che lo scibile si è 
3» il gran libro contenente il sommario di tanti discorsi quanti 
3, Sono i rami di esso , in atto che questi sono altresì sommarii 
>» di tante proposizioni quante sono le parti d’ ogni ramo; che 
»» tali discorsi e tali proposizioni si compongono coll’ alfabeto 
» genografico , alla pari che i discorsi e le proposizioni letteral- 
»» mente considerati, si compongono coll’alfabeto comune ; e che 
3» conforme le lettere alfabetiche niun valore hanno di per sè 
3» medesime , in atto che riunite in sillabe ed in parole espri- 
3» mono i più alti concetti della mente , così le categorie geno- 
3; grafiche insieme combinate , fanno sorgere come per incante- 
> simo tutto l’ universo intellettuale (11). ,, 

Noi non proponiamo questo passo come un modello di chiarezza 
e di semplicità filosofica: anzi confessiamo che uno stile sì pen- 
satamente attortigliato per esprimere un’ idea già da altri addi- 
tata schiettissimamente , servirebbe più che ad altro, a discredi- 
tare la filosotia nell’opinione di certi spiriti o impazienti o leggeri. 
L’idea delsig. Pamphilis non è precisamente la medesima che quel- 
le da noi sopra esposte , e perciò abbiam recate le sue parole ; ma 
quanto più essa è feconda e lodevole, tanto meno meritava d’essere 
ravvolta in tenebre così dense. (12) 


(10) Si rammenti che il titolo del libro del sig. Pamphilis è : genografia 
dello scibile. 

(11) Dichiarazioni p. 21. Si vegga anche Diss. I pag. 30 col, 1. 

(12) Ho detto che molta parte delle dichiarazioni del sig. Pamphilis ri- 
guarda la metafisica pretta: e debbo aggiungere che questa parte contiene 
mon poche considerazioni, alle quali, perchè tutti le gustino, manca solo 
che sieno svolte un po’ più chiaramente. Per esempio alla p. 15 col. 1 dove 
porge un criterio di verità più preciso che, quello fornito da Gondillac ; alla 
p. 17 col. 2 dove raggiusta il criterio di Reid, avvertendo che la filosofia 


9 


Con più chiarezza trattò di recente le questioni filosofiche un 
grande ingegno italiano in un’ opera che tutti i filosofi spregiudi- 
cati, anco del partito contrario , dovranno ammirare: dico del 
nuovo saggio sull’origine delle idee. Quest’ autore dalla metafisica 
pretta per forza di conseguente raziocinio si trovò mano mano ele- 
vato alla filosofia prima, e dovette conchiudere il suo profondo 
trattato con una sezione sulla prima division delle scienze (13). 

« Chi prende , dic’egli, a formare un albero genealogico delle 
) Scienze , conviene che cominci dal considerare lo scibile umano 
3; come un gran tutto , una scienza sola , dimentico delle divisioni 
»» che si sono fatte fin quì. Noi non meno in trattando dell’ origine 
o delle idee che del criterio della certezza, fammo condotti a con- 


dev” essere non solo la dichiarazione e la &imostrazione ma l’ estensione e 
la rettificazione del senso comune, sulla quale idea poi ritorna più volte; 
alla pag. 19 col. 1 dove offre una definizione dell’ intelligenza che a noi pare 
feconda di verità ; alla p. 27 col. r dove insegna chela parola incarna quasi 
l’ idea immateriale , e fa coesistere l’ oggetto e il fenomenò dell’ universo 
intellettuale coll’ oggetto e col fenomeno dell’ universo sensibile ; alla p. 28 
col. a dove indica come dalla prima evidenza’ si possa grado grado discendere 
a portar la certezza nelle più lontane deduzioni ; alla pag. 32 col. 1 dove 
nota che il cercare le proprietà della materia adattate agli usi dell’ uomo non 
basta alla pubblica e privata felicità ; alla pag. 34 col. a dove accenna 
come il linguaggio è un vero calcolo , perchè ogni argomento vero si ri- 
solve in un sillogismo , e il sillogismo non è che una supputazione af- 
fatto simile a’calcoli matematici; alla p. 43 dove insegna che I’ intelli- 
genza non è mai veramente passiva ; alla p. 45 col. 1 dove dice che la 
cognizione dell’ ignoranza è il fondamento della scienza umana, come la. co- 
gnizione della propria follia può essere un principio di guarigione 3 ma che 
dal sentimento della propria ignoranza non segue 1’ impossibilità di nulla sa- 
pere, appunto come non si direbbe cieco chi non vede a occhio nudo i satelliti 
di Giove, nè sordo chi non sente una voce mille miglia lontano ; alla p. 
48 dove fa osservare la singolarità delle umane dissensioni in mezzo all’ uni- 
formità di principii e di metodi che tutti adoprano per giungere a conse- 
guenze contrarie. Ma la parte più originale dell’ opera del sig. Pamphilis è 
quella dove confuta (p. 38 e seg.) l’idea del d’Alembert circa il ponte di 
comunicazione che passa tra l’ uomo e l’ universo sensibile ; e dimostra con 
rara evidenza che in luogo di un ponte per cui comunicare con le cose di 
fuori , 1’ uomo ha bisogno d’ una forza con cui separarsi da quelle; perchè da 
matura è portato a credersi con quelle unito ed incorporato essenzialmente. 
Con che il sig. Pamphilis non viene a meritar punto i rimproveri recenti 
del Globe contro que’ filosofi che rinchiudendo 1’ uomo nel sacrario della 
sua coscienza gli tolgono l’uso e il dominio del mondo in cui vivono. Ch’anzi 
il modo di dominarlo è 1’ innalzarsi sovr’ esso, 


(13) T. IV. p. 587. 
T.1 Febbruio. 2 


10 
ss siderare tutte le cognizioni umane in questa grande unità, giac- 
,» chè salimmo a quel principio onde tutte le cognizioni si deriva- 
,» no ; è pel quale si accertano e si giustificano (14). ,, E fatta una 
distinzione tra la scienza che tratta dell’ ente in universale, e le 
altre tutte, cioè tra la scienza della cognizione primitiva o semplice, 
e delle derivate o composte , in una nota soggiunge : ‘ La metafi- 
»» sica dagli antichi era chiamata scienza prima e generatrice del- 
s» Valtre : e in questo eccellentemente dicevano. Ma poi della me- 
;; tafisica facevano un trattato di più cose eterogenee, di esseri 
, mentali e di esseri reali: quindi la metafisica degli antichi non 
., era quella scienza prima di cui noi parliamo , appurata e sola , 
,, ma questa scienza prima si conteneva in quella metafisica come 
,, una parte nel tutto. Indi molte equivocazioni ed oscurità. — Un 
,. altro mancamento avea la metafisica scolastica considerata come 
»» la prima scienza generatrice dell’altre. L'averla conosciuta cep- 
ss po dell’albero genealogico delle scienze era aver conosciuto un 
,; bello ed utile vero: ma s’ignorava poi il modo di dedurre da 
,» essa l’ altre scienze, e si supponeva più feconda ch° ella stessa 
,; non fosse. Quindi si negligentava l’ osservazione della natura, 
;; che sola ci fa conoscere l’ essenze specifiche delle cose ; e si defi- 
;, nivano in quella vece le cose con delle astrazioni metafisiche. ,, 

Poi segue dimostrando che la primissima scienza dell’ uomo è 
una scienza d’ osservazione : e propone appresso una distinzione 
cardinale intorno al modo di considerare la via tenuta dall’ nomo 
nell’acquisto delle cognizioni: considerare cioè il punto di partenza 
nel primo suo sviluppo da cui muove la mente; considerare il punto 
di partenza dell’uomo che cominci a filosufare ; finalmente il punto 
di partenza della filosofia come scienza, o sia del sistema delle cogni- 
zioni umane. — “ Non conviene confondere il punto di partenza 
35 dell’ nomo che comincia a filosofare col punto di partenza della 
33 filosofia già formata. La filosofia già formata non è il primo passo 
»» dell’ uomo che si applica alla filosofia, ma bensì l’ultimo : ella è 
» l’opera consumata de’filosofi. L'ordine adunque della filosofia non 
., può essere altro dall’ ordine assoluto che hanno le verità infra 
,» loro. Conciossiachè chi comincia a filosofare non ha trovato ancor 
s» quest’ ordine , ma va cercandolo quasi direi tentone. Se dunque 
33 I’ uomo che comincia a filosofare non può che partire dallo stato 
,» in cui si trova per riandare tutti i passi del suo precedente svi- 


(14) Questo principio nel sistema dell’ autore , è 1’ idea generale dell’es- 
sere; madre di tutte le idee, insieme con gli oggetti esterni che ne sono 
vccasione sempre , e in parte soggetto. 


II 


ss lappamento e sottoporli ad un giudizio rigoroso , rendendoli 
3» per tal modo a se stesso più chiaramente certi, la filosofia all’in- 
,» contro dee cominciare a stabilire per primo quel punto luminoso 
» dal quale derivasi il chiarore della certezza e della verità a tutte 
»» le altre cognizioni , e con cui queste vengono accertate e giusti- 
» ficate. ,, — Di quì si dimostra l’ impossibilità dell’abbracciare in 
una sola divisione, come fa d’Alembert (sebbene non dica di 
farlo ) le scienze, quali sono nell’ ordine del loro sviluppo ; € quali 
sono nell’ ordine della lor dignità. 

E quì il dotto autore insiste sopra una sentenza , da lui evi- 
dentemente dimostrata nel corso dell’opera (15), che a prima vista 
non può persuader tutti , ed è: “ che gli universali non sono sem- 
pre un aggregato di particolari. ,, Certamente nella educazione 
dell’ intelletto il movere da’ particolari per conoscere i generali è 
necessità logica, inevitabile ; e ( ciò che a taluni parrà strano ) Ari- 
stotele stesso raccomanda un tal metodo. Certamente nun tutte le 
particolarità , come nota Chambers, si possono dalla contemplazio- 
ne dei generali dedurre : e , per usare una bella immagine di que- 
sto scrittore, non basta nè il lavorare sotterra alle fondamenta 
dell’ edifizio nè porsi a fabbricare 1’ ultimo piano, innanzi d° aver 
reso abitabile la parte di mezzo, senza la quale vacillano le torri 
sopra edificate e sono inutili i fondamenti. Ma tutto questo non 
toglie che le sentenze dei citati filosofi non sien vere: alle quali 
s’ aggiunge la seguente d’uomo a cui l’entusiasmo soverchio e 
quasi fanatico tolse quella rara lucidezza e sicurezza di mente, di 
cui la natura l’aveva liberalmente fornito. — Più alto , dice Dide- 
rot , sarà il punto di vista dal quale noi considereremo gli oggetti , 
e più largo sarà lo spazio che ci si offrirà a contemplare, e più gran- 
de ed utile sarà I’ ordine che i nostri studii prenderanno. ,, Ed al- 
trove: Ogni scienza , ogni arte ha la sua metafisica : ch’ è parte 
d’ogni studio sempre astratta, elevata, difficile. Eppure questa ap- 
punto dev? essere la principal parte d’ un opera enciclopedica : e 
finattanto che in questa riman qualcosa d’ oscuro , rimarranno 
sempre nella scienza, nell’ arte de’ fenomeni ignoti. Senz” essa il 
letterato , lo scienziato , 1’ artista camminano nelle tenebre : e se 
pure avanzano , fanno come il viaggiatore sviato, che tiene il retto 
cammino ma non sa di tenerlo. ,, 

II. Si può considerare inoltre lo studio enciclopedico come il 
complesso di quelle norme di metodo dietro alle quali giove- 
rebbe regolare lo studio di tutte le scienze particolari : e siccome 


(15) Segnatamente T. I. p. 84 e seg. 


12 


dal sopraccennato scopo verrebbe una metafisica enciclopedica ; 
così da questo secondo verrebbe una logica enciclopedica : lavoro 
meno difficile e più necessario. Per raccogliere gli ultimi risultati 
netti delle scienze , vale a dire le verità certe , chiare, e univer- 
sali veramente, conviene aspettare che tutte o in gran parte al- 
meno le scienze sieno adulte bene e mature. Ora se di alcune tra le 
scienze naturali può dirsi che rapidissimi e maravigliosi sono stati i 
progressi, di molt’ altre noi assistiamo a’ vagiti: quanto alle scienze 
filosofiche , sian di teoria sian di pratica, molto ancora rimane per- 
chè non dico s’ avvicinino alla meta ma perchè s’ indirizzino nella 
vera via. E appunto acciocchè vi s’ indirizzino , conviene incomin- 
ciare da’ metodi ; semplificarli cioè, e generalizzarli al possibile. 

La recente scuola filosofica di Francia , (se scuola può dirsi 
un piccol drappello d’ ingegni stimabili, ma incerti ancora delle 
lor proprie teorie, e pronti a modificarle secondo le nuove circo- 
stanze (16), con gran pericolo di snaturare la scienza) la recen- 
te scuola francese , che noi riguardiamo senza simpatia e senz’av- 
versione , ma con la riverenza ch’ è dovuta ad uomini d’ intenzioni 
rette e di zelo disinteressato, ha, secondo noi, recato un bene non 
piccolo alla scienza filosofica inculcando il metodo della osser- 
vazione ; quel metodo che nel conoscimento dell’ universo sen- 
sibile ha portato la scienza tant’ oltre : giacchè qualunque , di- 
cono, possa essere la natura dell’ umana intelligenza , giove- 
rà sempre indagare i fatti che si sviluppano in essa , il suo modo 
di ricevere la sensazione, di dominarla, di lasciarsene dominare , 
di trarne un concetto , di generalizzarne l’idea, di congiun- 
gere o di provar congiunta l’ idea al sentimento : tutte questioni 
che , posta ancora ( dicon essi ) la materialità dell’ anima, non si 
sciolgono nè col microscopio nè con lo scalpello anatomico (17); 
questioni tutte che giova illustrare, perchè i loro risultati si 


(16) Queste parole non coprono alcuna allusione maligna. To non credo (e 
fu questa sempre la intenzione da me tenuta ne’ miei poveri scritti) non eredo 
che il combattere una dottrina filosofica o un’ opinione letteraria col dire che 
chi la professa è un empio o un ipocrita, un uomo servile o un ribelle da forca, 
sia modo di ragionare molto conforme alla convenienza e alla logica. Anzi se 
dovessi dichiarare intorno agli eclettici francesi l’opinion mia, dovrei dire che 
io non ho prova alcuna ch’ essi abbiano mai sacrificato all’ interesse le proprie 
opinioni. Ma in questo luogo io intendea d’ accennare che il voler confondere 
con la metafisica pura la religione e la politica, è il modo di fare di tutte e 
tre un grande imbroglio , senza rendere per tal modo la scienza punto più po- 
polare. 

(17) Si legga a questo proposito il discorso del signor Jouffroy premesso 
ai Principii di filosofia morale , opera di Dug. Stewart. Pag. GXIII e seg. 


9 

i 9) 
stendono sulla educazione dell’ intelletto e del cuore, sulla mo- 
ralità delle azioni , sulle idee più importanti all’ umano benes= 
sere (18). Ma la proposta de’giovani filosofanti francesi è un 


(18) Alcuni uomini rispettabili, innamorati del bene positivo ed imme- 
diato dell’ umanità , montano in collera al vedere gli sforzi che pochi filosofi 
fanno per giungere a dilucidare certe astrattissime verità. E infatti se tutti 
quanti gl’ ingegni altro non sognassero al mondo che metafisica , le cose non 
andrebbero troppo bene ; nè meglio andrebbero. se tutti si occupassero di 
strategica, di matematica, di poesia, di politica, delle più amene ed utili cose del 
mondo. Ma se v° ha di coloro che s’ assumono per professione, per genio , per 
vanto ( e giova sperare con ottime intenzioni ) di serollare le basi dell’ uma- 
no intelletto, di richiamare in dubbio i principi più essenziali alla pubblica 
felicità , perchè vorrete voi impedire che altri pochi, d’intenzioni per lo meno 
ugualmente rette , s° accingano a combattere teorie, innocue forse nella mente 
de’ loro autori ma certo in sè stesse pericolose e. funeste ? Se voi soffrite il 
male , perchè vorrete voi proibire il rimedio ?_ — Nè si opponga l°’ inutilità 
di siffatte questioni : non è, non può essere inutile ciò che riguarda i più 
intimi interessi dell’ uomo , le credenze che debbono regolare la sua condotta, 
e che abbracciano tutto quant’è il suo destino. Quì gioverà citare un bel passo 
della pregevolissima opera: Nuovo saggio sull’origine delle idee. << Essi presumo- 
»» no di tirare una linea di separazione fra verità e verità, e dichiarar quelle utili 
3» queste superflue; e intanto non sanno che la verità tutta quanta ell’ è, è un 
»» bisogno essenziale della nostra natura ; che questa natura aspira con tanto 
3» più ardore alle cognizioni quanto queste sono più ardue , più peregrine , 
>» più arcane ; e che le forze de’ singoli nomini sono così limitate ch’ essi non 
33 possono giungere a contendere e vietare all’ umanità neppure la più piccola 
»» particella di verità, perchè 1’ umanità non si lascerà impor mai questo li- 
»» mite arbitrario ed ingiusto.... Altri di maggiore ingegno forniti, presumono, 
3» con non poco a dir vero d° orgogliosa confidenza , di poter metter termine 
3 a tutte le questioni , inventando essi stessi e foggiando de’ sistemi semplici 
>» ed universali , cioè composti di poche idee ; i quali però non sono punto 
»3 più felici de’ sistemi di quelli che li hanno preceduti , e nòn possono meglio 
,3 soddisfare alle difficili questioni che presenta la natura umana, perocchè 
,» arbitrariamente escludono molte ricerche ; e si racchiudono in breve circolo 
»» di cognizioni , sommamente incomplete , da essi, giusta il proprio comodo, 
> misurato e delineato. Questi nuocono assai al progresso del vero , sì perchè 
,» rivestono talora di splendida eloquenza i loro errori, e lusingano altrui 
»» colla facilità , colla semplicità, e collo splendore di poche e talor vere e 
,» sante sentenze ; e massime poi col disprezzo profondo di che ricuoprono tutti 
3» quelli che non senton con essi... . 33. E queste osservazioni verissime sono 
riepilogate nell’aureo detto di Bacone : « Malunt communem hominum et re- 
rum conditionem causari , quam de ipsis confiteri... Itaque fit ut ignorantia 
etiam ab ignominia liberetur ,,.. La scienza, aggiung’ egli, e la, potenza 
umana camminano di pari passo : perchè l’ ignorare la causa impedisce di bene 
usar degli effetti. Giò che in teoria si considera come causa , in pratica di- 
venta una regola. — Che se alcune ‘teorie non son tali da potere divenir po- 
polari, certo che popolari ne diverranno gli effetti : Neque ad vulgi captum 


"4 

semplice desiderio; non è nè un sistema nè un metodo. E°riman 
sempre da dimandare: con quali avvertenze osserveremo noi i fatti 
della natura che non cadono sotto i sensi ? Havvi egli un metodo 
che a qualunque scienza applicato , possa riuscire fecondo di co- 
gnizioni certe e precise , per quanto il soggetto comporta ? 

A sì grande questione risponderebbe la logica enciclopedica 
della quale io parlava: lavoro che per riuscire compiuto alla meglio, 
dovrebbe sempre fondarsi sulla esperienza de’ metodi nelle varie 
scienze ne’ varii paesi e nelle varie età praticati; lavoro che certa- 
mente non potrebbe riuscire perfetto, perchè l’esperienza ogni gior- 
no verrebbe insegnando metodi migliori di conoscere il vero, ma che 
gioverebbe grandemente ad illuminare appunto la via degli esperi- 
mentatori e a dirigerli ad un fine comune. Quella logica delle scuole 
nostre che insegna le fonti degli errori e gli spedienti dell’ ar- 
gomentazione, non ha nulla quasi che fare con la logica che 
noi proponiamo , la qual dovrebb” essere quasi la ginnastica delle 
menti , e il ferro destinato a trar dalla selce nuove scintille. 

Anche in questo il sig. Pamphilis ha veduto più là degli altri 
suoi compagni di viaggio: non già che noi ne troviamo nel suo 
libro alcuna proposizione esplicita, ma un qualche cenno felice. 
Ma l’uomo che anco in questa parte ha più altamente annunziate 
le idee più luminose, è Bacone (19). L’assioma ardito di lui era: tale 
aliquid invenire, per quod alia omnia expedite inveniri possent. 
Egli intendeva che dalla storia bene ordinata dello scibile , e 
dalle tavole d’ esso ben compilate risultasse un metodo da potersi 
applicare non solo alle operazioni della mente ma a tutta quan- 
tè la natura. E però chiaramente distingue questa sua dalla 
logica ch'egli chiama volgare. La distingue e nel fine, e nell’or- 
dine della dimostrazione, e nei principii da dimostrare. La logica, 
dic’egli, da noi desiderata, ricerca non gli argomenti ma le arti, 
non le conseguenze de’principii ma i principii stessi , non le ragio- 
ni probabili ma i metodi pratici: essa non tende a vincere l’av- 
versario con la disputa ma la natura con l’ opra: essa rimette 
in discussione le cose dalla logica comune accettate per vere : 
essa è veramente inventrice , poichè questo nome non merita 


nisi per utilitatem et praecepta descendet. E nelle stesse scienze naturali la 
conoscenza delle verità superiori ha una salutare influenza : è Bacone medesi- 
mo che lo afferma. 

(19) « Innanzi di avanzarsi agli arcani della natura più remoti ed occulti, 
» egli è necessario introdurr: un migliore uso dell’ umano intelletto. ‘,, — “ La 


sa logica ch° ora abbiamo è inutile all’ invenzione delle scienze.... ,» Bacone. 
\ 


15 
l’arte di trovare un’ argomentazione , e di tesserla. In tutte le 
opere sue che riguardano l’argomento di cui ci occupiamo ( degli 
aumenti delle scienze, il nuovo Organo, il Globo intellettuale ) in 
tutte la principale sua mira è la riforma de’ metodi : persuaso 
anch’ egli forse di quella sentenza aristotelica, che rinchiude 
un rimprovero vero sì ma impossibile ad evitare (20): ‘ ell’ è 
cosa assurda cercare la scienza insieme e il metodo della scienza. ,, 

Dico impossibile ad evitare: perchè la natura della mente 
umana è tale pur troppo che solo cercando la cosa si giunge a 
trovare il miglior metodo di cercarla : e per bene sperimentare , 
conviene aver più volte tentato l’ esperimento. Quindi è che il 
perfezionamento del metodo il più delle volte è una semplice 
conseguenza delle grandi scoperte. Ma egli è appunto perciò che si 
prova l’ utilità dello studio enciclopedico , filosoficamente fatto : 
in quanto che quelle istesse notizie che forse nella mente dei più 
entreranno o slegate o confuse o leggiere, serviranno nondi- 
meno con la molta loro varietà a vincere certi pregiudizii e a 
rettificar certi errori. ‘ Uno studio solo , osserva egregiamente 
Chambers (21), dà all’ intelletto una certa sua piega , e tutto 
lo rivolge da un lato : per raddrizzarlo nel naturale suo stato , 
giova adoprare uno o più studi diversi che altrove lo volgano. ,, 
E così , abituandosi 1’ uomo a riguardare le cose tutte in varii 
aspetti , previene il pericolo delle ingiuste parzialità , delle osti- 
nazioni colpevoli, degli stolti odii ed amori, e delle risse che 
da quelli s’accendono ; sa discernere ciò che nelle opinioni altrui 
v’ è di retto, sa spiegare gli errori vedendone l’ origine, e sa 
compatirli. 

« Il fine dello studio , è pensiero dello stesso Chambers , 
non è tanto di rimpinzar la memoria de’ pensieri altrui quanto 
d’ addestrare la mente a rettamente pensare. La scienza è pre- 
gio secondario ; primario è la mente sana. Delle idee con lo stu- 
dio acquistate la più parte fugge via dalla memoria , e svanisce: 
se tutte non le possiam ritenere, serviamcene per allargare , 
per addestrare la mente; per renderci sempre più sensibili al 
vero ed al bello, più pronti a trovare l’ uno , a cogliere 1’ altro. 
Molte cose vi sono che giova leggere , e che ritenere non giova. ,, 
La varietà degli studi può dunque esser utile al perfezionamento 
di quella logica generale che , a qualunque studio applicata , lo 
agevola ; lo rettifica , e lo feconda ; a quella logica , della quale 


(20) Met. II. 3. 
(21) Pref. al Diz. 


16 


il primo ch’ io sappia a concepir nettamente I’ idea , fu 1° inglese 
già tante volte citato. 

Non sarebbe , è vero , difficile trovar negli scritti de?’ filo- 
sofi antichi qualche vocabolo o qualche frase che in apparenza 
esprimesse l’idea medesima di Bacone (22). Ma nen v’ ha cosa 
più facile del prendere equivoco circa il concetto che sotto cer- 
te frasi generiche racchiudono gli scritti d’altra età e d’ altre 
lingue. Si risica spesso di dare agli antichi le nostre idee, e 
d’ accrescere o di scemare con una interpretazione anacronica il 
merito . delle loro dottrine. Chi, per esempio, nel leggere in 
un vecchio trattato d’un innovatore il qual vantava d’ abbattere 
1° aristotelismo: che il metodo dev’ essere assoggettato a precetti 
cattolici = che v’ha una dialettica comune a tutte le cose non 
solo per giudicarle ma per inventarle = ch’ essa è nelle scienze 
come la luce nel mondo = che i grand’ uomini hanno sempre ad 
essa obbedito ma senza saperlo = chi non crederebbe di dover 
riconoscere in queste espressioni la stessissima idea di Bacone; 
e darne tutto il merito ad un libro stampato nell’ anno in cui l’in- 
glese. filosofo nacque ? (23) Ebbene , si legga cotesto trattato : e, 
dalle citate parole in fuori, si vegga se nulla v’ abbia che si sollevi 
un poco dalle scolastiche minutezze , e dal campo umilissimo 
d’ una logica pedantesca (24). 


(22) Si citano il Fedro di Plat.— Arist. Top. I. 8.-— Rhet. III. —Cic. Top. 

(23) Petri Rami de Dial. L. II. p. 10. La filosofia del Ramée ebbe seguaci 
non pochi , fino ai tempi di Bayle. V. Ramus. 

(24) In Aristotele stesso‘, oltre i passi ch’ altri ne cita, si legge: ©‘ me- 
,3» diante i principii communi le scienze communicano, fra loro , e la dialettica 
»» con tutte ,,. Ma con tutto l’ inestimabile talento di quell’ uomo nell’ ana- 
lizzare gli elementi dell’ umano raziocinio , sarebbe forse difficile trovar nelle 
opere sue molte osservazioni che corrispondessero alla grandezza e alla fecon- 
dità della citata sentenza. — Molti sono che troppo poco concedono alla sa- 
pienza degli antichi, e molti che troppo. È noto a tutti il libro del Dutens, 
tanto lodato dal buon Tiraboschi e tanto amaramente (per ragioni tutt’ altro 
che filosofiche ) ma non ingiustamente criticato da Naigeon. Ghi vuol cercare 
in una parola un sistema, troverà tutto in tutto. Omero e Dante sono, per certuni, 
scrittori non solo enciclopedici ma profeti. + Tornando al proposito della logica, 
voi troverete , è vero , nell’Alstedio , autore di merito non comune, che questa 
scienza è non'solo ministra ma madre e formatrice di tutte le discipline , e che 
impera alle altr’arti. Ma una sentenza che pare sì degna di Bacone, voi la tro- 
verete nella clavis artis Lullianae ; e ciò vi basterà per intendere in qual senso 
la prendesse l’ Alstedio. Nel grande Descartes si potrebbe sperare di trovare o 
svolta od applicata l’idea di Bacone : ma tranne un sol passo del celebre e pre- 
zioso discorso sul metodo, che sembra alludere a quella (V. p. 78 dell’ ed. di 


974 

Il sig. Pamphilis non si ferma gran fatto sul metodo enciclope- 
dico: se nun che, in passando, pone la giurisprudenza e la medicina 
come due rami della logica pratica. La sentenza, così isolata, pare 
alquanto strana; ma generalizzata che fosse , acquisterebbe sem- 
plicità ed evidenza. E 1’ autore del nuovo saggio sull’ origine 
delle idee la generalizza appunto là dove dice: “ Quasi me- 
s; diatrice fra la scienza prima e le applicate starà la logica; 
3; scienza pura anch’ essa , che tratta de’ principii o regole di 
»» applicazione della forma della ragione (25). ,, Poi in una nota 
soggiunge : “ La logica può essere universale , che contiene i 
»» principii d’applicazione dell’ ente (26) a tutto lo scibile; e 
so particolare , che contiene le regole d’ applicazione di que- 
s; Sti principii alle singole scienze ,, In questo breve passo è 
accennata un’idea cardinale con più chiarezza ancora che in 
tutti i trattati del cancellier d’ Inghilterra : è preso sul serio 
ciò che 1’ Alstedio dice del sistema di Lullo , ch’ e’ debb’essere 
il Lapis Lydius,la pietra di paragone di tutto lo scibile (27): 
ed è dato il più nobile senso a quelle parole dello Stagirita : che la 
dialettica è la via universale di tutte le scienze (28). 

III. Le due trattate maniere di considerare lo studio enciclo- 
pedico sono strettamente legate l’una con l’altra; e per avanzare ve- 
ramente, hanno bisogno d’un mutuo soccorso (29). Esse sono grande- 
mente difficili, è vero ; sono intentate finora: ma nessuno, io spero, 
vorrà disprezzarle come inutili o riprenderle come pericolose. Non 
così potrà passare esente da taccia la terza della quale entriamo 
a parlare ; e che riduce l’ enciclopedia ad un’ arida nomencla- 
tura, a una serie di distinzioni, quasi scheletro della scienza. 
Certo il distinguere giova: ma il fare delle categorie 1’ unico 


Parigi 1724), tutto quel lavoro non tende che ad una considerazione del me- 
todo, affatto speciale; come confessa un suo seguace (Rem. sur le disc. de la meth, 
Parte I). 

(25) La voce forma è qui intesa nel senso de? filosofi antichi, nel quale 
non ha sinonimo alcuno. La forma della ragione, secondo l’A., è, ripetiamolo , 
l’ idea universale dell’ ente, 


(26) Gioè dell’ idea dell’ ente. 
(27) Glavis I. 3. 
(28) Met. II. 

. (29) Egli è perciò che, se non in tutti, in alcurti trattati almeno e in 
alcuni esercizi , gioverebbe congiungere la logica alla metafisica, e l’una al- 
1° altra subordinare a vicenda. Per esempio , nella Enciclopedia metodica ben 
fece il sig. Lacretelle a congiungere queste due scienze in un sol dizionario , 
sebbene da tale ravvicinamento non abbia pensato a trarre partito. 


T. I. Febbraio. 3 


18 : 
studio, l’unico vanto , è un avvilire la dignità dell’ umano in- 
telletto. A questa miseria avevano condotto la cosa i Lullisti , 
de’ quali sarà detto poi. E d’ una semplice catena di distinzioni 
pare che si contenti il sig. Giorgio Bentham nel citato suo saggio , 
sebbene con più modestia e con fine più nobile che non en- 
trasse in mente a Raimondo Lullo e a’ seguaci di lui. L° en- 
ciclopedia in questo senso non è che la raccolta de? titoli e 
de’ frontespizi; non è, come dice Bacone, che una massa, un 
mucchio di vocaboli; non forma, per usare una frase dello 
stesso grand’ uomo , che le cellule vuote e i ripostigli della memo- 
ria , le quali la scienza dovrà poi riempire : è simile a una nomen- 
clatura botanica, ma senza nessun sussidio della fisiologia vegetale 
e delle altre scienze delle quali la botanica non è che la mate- 
ria prima; è simile ad una geografia, ma vedova della statistica : è 
‘ € come un palagio in cui nulla sorga da terra se non la faccia- 
ta (30). ;, Egli è perciò che nella enciclopedia del sig. Courtin (31) 
saggiamente s’ è pensato di dar la classificazione o 1’ albero , comè 
lo chiamano, delle scienze, dopo compiuto il dizionario enciclopedi- 
co; perchè , dopo eretto l’ edifizio, gli ultimi ad aggiungersi sono 
gli esteriori ornamenti. Vero è bene che 1° ordine delle cognizioni 
componenti lo scibile non è cosa di mero ornamento : e che non a 
tutti parrà vero il detto dell’inglese filosofo : ‘ l’ordine appartiene 
»» all’ illustrazione delle cose y non alla loro sostanza ,,, Ma ciò 
non fa che la scienza dell’ ordine senza la conoscenza delle cose 
ordinate non sia la più misera delle ricchezze (32). 

IV. Nè men vero, al creder nostro, è ciò che i critici aggiun- 
gono contro gli inconvenienti di questo ordinamento generale dello 
scibile umano. Al qual proposito gioverà riportare le belle parole 
dell’ elegante Zanotti : “ Nulla est disciplinaraum accurata par- 
») titio: et eadem res ad illaruam multas simul pertinet : quo fit 
»o plerumque nt, quae ad quamque potissimum referri debeat , 
ss jadicium sit valde obsecurum atque anceps. Et sane eadem 
3, saepe res vel chymicam simul et naturalem historiam amplifi- 
», cat , vel sic ad physicam spectat ut demonstrationem admit- 


(30) D’Alembert. 

(31) Eneyclopedie moderne , ou dictionnaire abrégé des sciences , des let- 
tres , et des arts, avec la citation des ouvrages ou les divers sujets sont  dé- 
veloppés et approfondis. Par M. Courtin, ancien magistrat , et par une société 
de gens de lettres. Paris 1823. Usciti 18 volumi. 

(32) Ordo vel methodus esse non potest nisi sint quae ea methodo sive 
ordine disponantur. Pacio Inst. log. GC. 22 p. 138. 


i, 

tat et calculos , quibus fit nt algebraica videatur. Quo etiam in- 
commoda accedunt popularium divisionum : nam si quis, verbi 
gratia, de luce agens, in metiendis reflexionum angulis refractio- 
nibusque radiorum variis in vitro explicandis studium posuerit, 
hunc opticum facile appellant et inter mathematicos referunt: si 
quis autem densitatem elasticitatemque aeris exposnerit, quam- 
vis argumentis utatur a geometria petitis, hunc physicum nomi- 
nant: quasi vero vel esset aér physicus magis quam lux, vel 
quae ab his de aére proponuntur non essent aeque a geometri- 
cis ducta, ut quae ab illis de luce. ,, 

Già tutti gli editori e gli autori d’ opere enciclopediche 
incominciano dall’ ammettere 1’ impossibilità di un metodo ir- 
reprensibile : e se talvolta per moto involontario dell’ indo- 
mabile amor proprio e’si contraddicono, lo fanno più per 
raccomardare ai lettori 1’ opera loro, che per ingannarli. Ba- 
cone vi dirà, per esempio , che la sua divisione è la verissima, 
e ch’ altre non ve n’ha di vere fuori di quella; ma poi al- 
trove in più luoghi mostrerà di dare alla formola del suo sistema 
ben poca importanza. E se d’Alembert viene a insegnarvi che sco- 
po del suo lavoro è “ développer les vraîs principes des choses . ... 
»» et en multipliant le nombre des vrais savants , des artistes dis- 
.; tingués et des amateurs éclairés, répandre dans la societé des 
nouveaux avantages ,, ; non gli credete: perchè fin dal principio del 
discorso si è preso la cura egli stesso di smentir questi vanti. Altri 
dica pure che in cotesto discorso le umane cognizioni son disposte 
nell’ ordine più naturale (33) ; Diderot si rifaccia pure dal parago- 
nar l’enciclopedia ad un santuario , e dall’ intuonare che uffizio di 
tali lavori è © rassembler les connoissances éparses sur la surface 
de la terre , et en exposer le système general (34) ; egli che poco 
dopo dirà : 1’ omissione d° un solo articolo rompere 1’ unità della 


bb) 


gran catena enciclopedica; e delle omissioni , il suo. dizionario 
averne di molte. Lasciamo. tali millanterie ad un Lullo, ad un 
Bruno , e a’lor pari: persuadiamoci che in un sistema di clas- 


(33) Ene. méthodique. Art. d’Alembert. T. 3 p. 772. 

(34) Art. Encyclopedie. Di questo articolo scriveva Rousseau ad un suo 
amico di Ginevra, qu'il fait l’admiration de tout Paris. Certo, come una serie 
d’ osservazioni ingegnose e feconde, quella dissertaziene è degnissima di lettura. 
Ma quell’ assunto che pareva richiesto dal titolo , non pare che vi sia svolto 
gran fatto. E anche quanto ad osservazioni, io non credo che tutti troveranno 
ammirabili quelle parole che Diderot pronunzia con tuono d’ invidiabile con- 
tentezza : « gli altri secoli hanno dati, gl’esempi; al nostro spetta fornire le 
regole ,,. 


20 


sificazione delle umane cognizioni è impossibile la perfezione as- 
soluta. i 

Nel classificare infatti voi non potete a meno di adot- 
tare un sistema: e tutti coloro che al vostro sistema non aderi- 
scono , troveranno la classificazione imperfetta. Per prescindere 
da un sistema relativo, per toccare l’assoluta verità, converrebbe 
conoscere le scienze tutte , non solamente quali ora sono. ma 
quali possono essere condotte agli estremi lor limiti: e questo ci 
conduce nullameno che all’ onniscienza. Vedete nelle cose più 
ovvie , nelle discipline illustrate da uomini d’ ingegno sommo , 
vedete quante dubbiezze circa la definizione , circa 1’ idea car- 
dinale d’una scienza , di un’ arte. Noi abbiamo tanti libri di sta- 
tistica, e si disputa tuttavia quali della statistica sieno gli uffizi (35): 
abbiamo tanti versi divini; e chi ci ha detto ancora in che dif- 
ferisca la poesia dalla prosa? (36) Si è tanto disputato e con la 
mano e col senno intorno agli umani doveri e ai diritti; e an- 
cora rimangono molti dubbi sul definir nettamente queste due 
voci ne’ casi particolari , e sul distinguere le circostanze nelle 
quali il diritto è o no sinonimo di dovere. Altri dirà che per 
classificare la scienza basta conoscerne i limiti: ma v’è chi potrebbe 
rispondere che la conoscenza dei limiti dipende appunto dal co- 
noscerne la sostanza , gli uffizi e lo scopo: e notare col sig. Vi- 
rey che quand’ anco le ramificazioni dirette d’ una scienza fos- 
sero tutte cognite, rimarrebbero in infinito numero le laterali (37); 
e che l’ignorar queste è un ignorare il legame che stringe 
una scienza all’ altra, ignorar gli elementi d’ un albero enciclo- 
pedico assolutamente compito. 

Crediamo dunque col signor Guizot (38), che 1’ unità data 
dall’ autore a lavori siffatti è tutta estrinseca , tutta relati- 
va, tutta pratica, in quanto serve ad un dato scopo dell’ au- 


(35) Si veggano le discussioni del signor Say con M. Gioia; le tre va- 
rie definizioni che quest’ ultimo nella medesima pagina dà della scienza ; e le 
considerazioni sull’ ordinamento delle statistiche scritte dall’ illustre sig. prof. 
Romagnosi, dove della statistica è ‘fatta a un dipresso un’ enciclopedia po- 
litica : e non senza sussidio di buone ragioni. 

(36) Nel ritmo solo ? Chi mai lo direbbe ? 4 Nelia lingua ?_ Ma se la 
lingua de’ poeti più originali è la lingua dell’ uso vivente al lor tempo. 
Nello stile ? Ma chi mi definisce le differenze di stile ? 14 Nelle imagini ? Ma 
e la prosa non ne soffre d’ ardite ?_ +4 Nell’ invenzione ? Ma e quelle tante 
poesie dove invenzione non entra ? 

(37) Hist. des moeurs et de l’instinct des animaux. II. 97. 

(38) Encyclop. progressive. Art. Encycl. 


21 

tore medesimo, a un suo determinato pensiero. Egli è , osser- 
va d’Alembert, come negli aspetti geografici ; “ che in qualun- 
que punto io mi collochi dell’ orizzonte , l’ orizzonte mio varia ; 
e nuovi prospetti mi si presentano , e tutti veri. ;) — S’ io in 
un sol punto mi conficcassi, e credessi quello il centro di tutto 
lo spazio , e i limiti dell’ orizzonte confondessi co’ limiti della 
natura , farei quel che sogliono fare non molte enciclopedie, 
ma molti e molti filosofi. E questa varietà , secondo me , è un 
vero bene: non solo perchè serve ad umiliare 1° orgoglio del- 
l’ uomo, non solo perchè giova ad allettarlo con la varietà degli 
oggetti, ma perchè lo conduce mano mano a scoprir nuovi mondi 
nel mondo fisico che lo circonda e, a dir quasi, lo preme. Non 
solo lo scibile umano considerato nel suo tutto, dà luogo a questa 
incalcolabile varietà di vedute, ma ciascuna scienza da se stessa, 
secondo il punto da cui si considerano i suoi soggetti , presenta 
(per adoprare le espressioni materiali ) un’ indefinibile varietà 
e di lati e di colori e di forme. 

Egli è perciò ch’ io non soscriverei all’ opinione del signor 
Guizot , dove afferma che se in un’ enciclopedia l’ unità 
è pregio estrinseco , in una scienza isolata può essere in- 
trinseco ed assoluto. Sì, se la scienza si consideri da un lato 
solo, in un solo suo uffizio; ma non se le si doni tutta quel- 
l’ ampiezza che la sua natura comporta. Applicate la matema- 
tica alla fisica, alla metafisica, a tutte le scienze nelle qua- 
li è a qualche modo possibile d’ introdurla con frutto, e poi 
ditemi se della matematica non riuscirete a fare una specie d’en- 
ciclopedia (39): rignardate la politica in tutti gli uffizi suoi, e, 
senza uscire de’ limiti naturali della scienza, vedrete quanta 
parte essa vi occupi dell’ umano sapere, e in quanti diversi 
orizzonti l’ orizzonte di lei vi trasporti. Questo considerare la 
scienza ne’ vari aspetti, non è uno sconoscerne la natura : con 
tale operazione della mente non s’ invadono i limiti delle scien- 
ze attigue, ma si compenetrono, a così dire, le une con 


(39) Non è mia l’idea, è di Cartesio. Egli si maravigliava come sopra un 
fondamento così solido com’ è quello delle matematiche non si pensassero a fab- 
bricare più vasti edifizi. Disc. sul met.,— Certo le applicazioni in molti casi sa- 
rebbero delicate , facilissimo vi sarebbe 1’ errore: ma prevenuto che l’ errore 


| fosse (cosa non impossibile), i risultati ne riuscirebbero forse bellissimi. Nella 


nuova legge sui giurati s° ebbe luogo alla camera francese dei Pari, di citare 
un calcolo di Laplace ; s° ebbe luogo di contraddirlo , per non aver lui com- 
presi nel calcolo alcuni essenziali elementi: ma la difficoltà stessa di certe a p- 
plicazioni è sovente una prova della loro utilità , ove sien rette. 


29 i 
l’altre ; e s’avvera senza paradosso la dottrina d’ un peda- 


gogo moderno : che tutto è in tutto. Nè v° ha miglior mezzo 
di questo per condurre la scienza a sempre nuove scoperte : 
combinandola cioè a una nuova specie d’ oggetti, applicandola 
a sempre nuovi usi, appunto come nella chimica una sola sostanza 
combinata a diverse, od a quella medesima in diversa dose, of= 
fre allo sperimentatore varietà di risultati infinite : nè v’ ha mi- 
glior mezzo di questo d’ esaurire a poco a poco, per quanto ad uomo 
è concesso , l’ immenso Oceano dello scibile. Chi, collocato in un 
punto ; non pensa che a misurare coll’ occhio la sempre uguale 
estensione che gli stà dinanzi, non pensa ch’a’ preparare gli 
strumenti che gli rendano più chiara la visione de’ sempre me- 
desimi oggetti, sarà un illustratore valente delle cognizioni an- 
tiche, non un fortunato inventore (40): e chi volesse considerare 
il secreto delle scoperte più memorabili, troverebbe forse ch’esse 
in altro non consistono se non se nell’ applicazione d’ una vec- 
chia idea ad un nuov” uso, cioè nell’ aver cangiato il punto di 
vista da cui considerare l’ oggetto. 

Dissi che questo è il miglior mezzo ancora d’ esaurire alla me- 
glio una parte almeno dello scibile, e di avvicinarsi a quell’assoluta 
verità che ci darebbe la chiave d’un metodo enciclopedico com- 
piuto , e , come Bentham dice , esaustivo. Riconosciamo frattanto 
le angustie presenti dell’ umano intelletto , e la inevitabile im- 
perfezione de’ metodi : così ci risparmieremo molte inutili cen- 
sure o querele contro coloro che di tali lavori si vennero occu- 
pando alla meglio. Il signor Giorgio Bentham spende, per esem- 
pio , parecchi periodi in provare che il titolo stesso scelto dal 
d’Alembert è inesatto ; perchè, dic’ egli, un sistema delle umane 
cognizioni non comprende moltissime parti pratiche del sapere . 
A lui piacerebbe in quella vece il latino vocabolo generalissimo 
disciplina ; e per comprendere in uno le arti tutte e le scienze , 
anzi per indicare che non v’ ha scienza senz’arte , nè arte senza 
scienza ( principio bellissimo e fecondissimo (41)) pone in fronte 


(40) Egli è perciò ch’ io troverei un po? sistematica la sentenza del signor 
Pamphilis , il qual cerca nell’ alta educazione della gioventù quasi un solido 
sgabello su cui debbono trovarsi ascesi per mirare partitamente l’ ampio oriz- 
zonte percorso , e la rimanente estensione che resta a percorrerne in progresso ; 
e sempre siccome una dilatazione d’un primitivo orizzonte. ,, 

(41) Il sig. Pamphilis esprime questa idea con la formola: sapere per agire, 
agire per sapere : bellissima formola, ma dalla quale non segue che tra la lo- 
gica è la morale si possa stabilire un parallelo costante: almeno al modo 
ch’ egli lo fa nella spiegazione della terza tavola, 


23 


al suo libro il nome composto d’art et science. Ma d’ Alembert 
potrebbe forse rispondere che la parte pratica del sapere è una 
specie di cognizione, o a meglio dire di conoscenza anch'essa; e 
che l'argomento del signor Bentham, sebben vero in se, non 
colpisce nel segno. Il signor Longo all’ incontro dichiara che in 
un albero enciclopedico le scienze sole possono entrare con ordine 
ragionato : e v'è infatti chi le arti n° esclude. Io comprendo la 
difficoltà dell’ abbracciare anco le arti con esattezza in un quadro 
veramente analitico : ma credo fermamente alla necessità d° ab- 
bracciarvele , assoggettandole appunto all’ uno o all’ un altro 
de’ principii teorici del sapere. 

Così il signor Bentham insiste molto sull’inesattezza dei 
nomi : ea ragione. Egli trova improprie le appellazioni di scienze 
naturali , quasi che le scienze filosofiche fossero fuori della na- 
tura ; di matematiche , quasichè i matematici soli imparino qual. 
che cosa (42); di chimica, che rammenta 1’ alchimia; e così di- 
scorrendo. Ma se questi titoli, etimologicamente considerati , 
son falsi, ognun vede che 1° uso ne ha logorato ; i dir così , 
l’ originale significato , e che ormai non è necessario ricorrere 
ad un neologismo inintelligibile e strano. Il neologismo del si- 
gnor. Bentham ( seguito in parte dal sig. Ferrarese ) parrà strano 
a molti, e non sempre necessario: e taluno forse al sentirsi par- 
lare d’ idiontologia somatoscopica o somatologia, e d’idiontologia 
asomatoscopica o pneumatologia, di somatologia pososcopica o po- 
sologia , di somatologia pioscopica o piosomatologia , di posologia 
morfoscopica o geometria, di posologia alegomorfica o aritmologia, 
domanderà se per intendere non la scienza ma il titolo della 
scienza , sia cosa assai comoda la necessità di studiare un voca- 
bolario tutto nuovo , l’apprendere il greco. 

Ma questo difetto d’oscurità dei nomi e delle formole, ch’al- 
tri ha, non a torto, rimproverato allo stesso Bacone, (43) riguarda 
la nomenclatura: e oltre all’ essere facilmente evitabile, è molto 
men grave di quello che riguarda la division delle scienze: dove 
non è da dissimulare che una rigorosa esattezza è assolutamente 


(42) Dal gr. pavidvo. 

(43) L° autore delle osservazioni al discorso di Cartesio sul metodo , nota 
che le formole idola tribus , idola specus, e tante altre simili, adoprate da Ba- 
fono, sono d’ un’ oscurità molto strana. E a ragione. Il grand’ amore de’tropi, 
innato e continuo in una fantasia filosofante ( mi si perdoni se così caratte- 
rizzo il genio di quel grand’ uomo ); sovente lo spinse oltre ai limiti stessi 
della poesia e del buon gusto. 


DI 

impossibile. Furono già contati degli studi non pochi che a due 
rami diversi dello scibile appartengono con ugual proprietà; onde 
in qualunque luogo voi li collochiate , non vi riuscirà d’ evitar 
le censure. Sotto quale rubrica porrete voi, dimanda un au- 
tore, la materia medica, la medicina legale , la geografia medica, 
la tossicologia , la statistica? Quindi è che il sig. Bentham al- 
cune volte è costretto di dividere la scienza in due brani, e ri- 
portare , per esempio , l’ arte delle congetture parte all’ aritmo- 
logia e parte alla logica. Altre volte le sue distribuzioni per es- 
sere ingegnose non parranno a molti però meno strane; come 
quando egli ripone l’ esercizio della caccia nella zoologia, quello 
della equitazione nella zoopedia, la mnemonica nella logica , la 
mitologia nella storia (44). Il fatto si è che in simili distribu- 
zioni non cadere nell’arbitrario riesce impossibile: e la neces- 
sità del recare una scienza a due rami del sapere diversi, può , 
considerata bene anch’ essa, avere i suoi vantaggi: sì per- 
chè ci dimostra la vanità e la falsità delle categorie sistematiche, 
che dividendo le idee , le indeboliscono e le deformano; sì per- 
chè ci addita i secreti vincoli che l’ uno con 1’ altro conservano 
gli esercizi dell’ intelletto , dell’ animo e della mano; e perchè 
finalmente ci disingannano dalla imprudente credenza di poter 
non solo far meglio de’ nostri predecessori, ma di dover sulle ro- 
vine di tutti i loro sistemi erigere il nostro , come santuario in- 
tangibile, come perfetto ed immortale edifizio. Notiamo sì con 
accuratezza gli errori o le imperfezioni de’ metodi altrui: ma non 
presumiamo però che l’aver convinto di debolezza un grand’uomo, 
basti per essere molto maggiore di lui. E anco nel notare gli al- 
trui errori andiam cauti: è troppo facil cosa esagerarne la gravità, 
e dissimularcene ai nostri propri occhi le scuse. Di che non ad- 
durrò che un esempio. 

Egli è divenuto quasi di moda il trovar de’difetti nella clas- 
sificazione del povero cancellier d’ Inghilterra , il qual distingue 
le scienze tutte secondo che appartengono ad una delle tre fa- 
coltà della mente: ragione, immaginazione , memoria. Io non 
dirò che questa classificazione sia la verissima , l’ unica , come 
Bacone diceva : e tutti, credo, converranno col signor Bentham, 
là dove dimostra che le tre facoltà nominate non abbracciano 
tutte le potenze dello spirito umano (45); che nessuna scienza è 
particolarmente soggetta ad una sola delle tre facoltà , escluse 


(44) Nell’ indice , in fine del trattato. 
(45) Gap. II. 


20 


affatto le altre: tutti converranno col sig. Pamphilis, là dove , 
più filosoficamente di tutti i suoi predecessori, ragiona così: ‘ Ho 


29 
29 
29 
29 
23 
29 
29 
25 
bb) 
29 
29 
22 
29 
2) 
2) 


9” 


evitato di classificare le parti dello scibile relativamente alle loro 
rispettive facoltà o potenze, da cui altre volte è sembrato che 
divisamente dipendessero , senza badare che in certo modo si 
è venuto con ciò a limitare la nobiltà delle operazioni dello 
spirito, le quali importa che gli allievi sappiano esser mai sem- 
pre sincrone in qualsiasi minima e breve azione della mente, 
e che erroneamente si riputerebbe quella tale azione come quasi 
specifica e di assoluta derivazione da tale o tal altra facoltà 
senza il concorso delle altre . .. Lo spirito è tutto in qualun- 
que operazione, sia di percepire, sia di conoscere, sia di volere, 
sia di operare: di guisa che tali limitazioni medesime non sa- 
rebbero se non fosse la nostra limitazione. Di maniera che se ho 
detto che col gusto si distingue e corregge , col genio si pro- 
duce , col talento si rettifica e con la critica si sanziona , ho 
inteso dirlo secondo il principio della reciproca azione circolare 
di tutte le potenze dell’ io, e non mica secondo il  priucipio 
della individua azione delle medesime al dir di coloro che in- 
segnano sentirsi per la facoltà di sentire, conoscersi per la 
facoltà di conoscere ec.; quasi come se lo spirito tenesse in 
azione l’una delle facoltà, serbando le altre in riposo , (46). 

Ma l’obbiezione che quì vien fatta contro la classificazione 


Baconiana, viene naturalmente a ritorcersi contro le altre tutte, 
nessuna eccettuata ; perchè qualunque siasi divisione che l’uomo 


fa 


ccia, è nella mente dell'uomo non nella realità , e basta bene 


ch’ abbia nella realità un fondamento. Ma v’è chi nega anche 
questo all’ idea di Bacone, e dice : “ Si vede manifestamente 


29 
29 
bb) 
PL) 
2) 
2) 
23 


bh) 


quanto stava indietro ne’ tempi di Bacone la dottrina della 
umana cognizione: non s’era ancora conosciuto bene come 
fosse il solo intelletto il generatore della scienza ; come la me- 
moria non sia che il deposito delle cognizioni già acquistate , 
di qualunque genere elle sieno ; e l’immaginazione non sia 
che una facoltà atta a somministrare i puri materiali della 
coguizione , e a vestirli di eleganti segni esterni : o pure, se 
tutto questo s’ era conosciuto , non s’ era certamente giunto a 
sentire l’importanza che in ciò v' avea relativamente ad una 
divisione delle scienze veramente filosofica. Le scienze perciò 
nelle mani di Bacone , e meno in quelle degli enciclopedisti, 


(46) Pag. 8 col. 1. 
T. I. Febbraio, 4 


26 


»» non poterono ricevere quell’ unità di ordine che mette in esse 
»» un’ eminente bellezza, e dà loro una preclara attitudine a gio- 
»; vare 3, (47). Anche questa obbiezione è verissima : ma io non 
so se quel medesimo che si proponesse d’ evitarla in una nuova 
classificazione dello scibile, lo potrebbe: ed ecco il perchè del 
mio dubbio. 

Chi considera lo scibile nel suo grande complesso , o vuole 
distinguerne le parti e ordinarle, o vuol dar a conoscere i vin- 
coli che legano l’una con l’altra e ne formano un tutto. 
Certo è che tra queste due maniere si trova quasi un’ oppusi+ 
zione che il conciliare non è così facile. Se io penso a dare alle 
scienze una grande e generale unità, debbo osservarle in un punto 
di vista diverso da quello in cui mi porrei se volessi trovare in 
cotesta unità le linee di separazione , e le diramazioni lontane , 
appunto come chi cerca le sorgenti d’un finme deve ricorrere 
ad un solo punto e in altura, dove chi ne cerca le derivazioni 
dee scendere giù per le valli. Ora si noti che , sia ch’io prenda 
per base delle mie distinzioni le facoltà della mente , sia ch’ io 
prenda gli uffizi delle scienze o i loro soggetti, io non potrò 
mai distinguerle così nettamente che ciascuna scienza , ciascuna 
facoltà, ciascun uffizio , ciascun soggetto stieno da se e non co- 
munichino punto con altri. Basta, per evitare gli errori, ch'io ri- 
conosca che la mia classificazione non è che una serie di formole, 
e che il complesso delle umane cognizioni, filosoficamente con- 
siderato , è nin tutto indivisibile. Così si scusano almeno in parte 
le inesattezze dell’ idea di Bacone, e del sig. D’Alembert il quale 
la seguì fedelmente, modificandola negli accessorii, e ostentando 
Queste lievi modificazioni come documenti d’ originalità (48). 

Il signor Nodier in un recente suo scritto (49) rimprovera al 
d’Alembert d’aver preso di pianta il suo albero da Bacone , il qual 
Bacone ne avea tolta l’idea da un certo Bergeron, il qual Bergeron 
l’avea tolta da un certo Savigny , il qual Savigny l’avrà tolta da 


(47) Saggio sull’ origine delle idee. T. IV. p. 5go. 

(48) Si vegga l’ Appendice al disc. prelim. all’ Enciclop. m Ma l’istesso 
autore citato del Saggio sull’ origine delle idee scusa il sig. d° Alembert col- 
l’ aggiungere in nota: “ Lo scopo degli enciclopedisti era di riunire le co- 
, gnizioni in un gran dizionario : quindi 1° albero che ne fecero non fu Yog- 
>> getto principale della loro opera ,;. E con questa considerazione si scusa an- 
cor meglio Bacone , il quale alla detta distinzione delle seienze non consacra 
che una piccola parte dell’ opera de augmentis ; e nel novum organum ap- 
pena l’ accenna. 

(49) Reoue de Paris. 


II 
qualch’altro oscuro scrittore, e quest’oscuro scrittore l’avrà bevuta 
alle fonti d’ Aristotele. Certamente non è da negare la possibilita: 
che la divisione Baconiana non sia cosa originale: ma quando 
si pensa alla estrema sua semplicità , si può anco pensare che 
Bacone l’ abbia tratta dal proprio ingegno senza conoscere gli 
scrittori dal signor Nodier rammentati; od almeno che senza pas- 
sare per la trafila di tanti oscuri volumi , egli l’abbia a dirittura 
attinta da Aristotele istesso. E non solo nel Bergeron e nel Sa- 
vigny ma in Raimondo Lullo , che Bacone certamente avea letto, 
si possono trovare i germi di quella distinzione (50) che ormai 
sarebbe inutile o vituperare troppo acremente o troppo altamente 
lodare. 

Ma se dai rimproveri che i moderni autori mossero contro le 
antiche classificazioni si viene a quelle ch’ essi di nuovo pro- 
pongono , si vedrà sempre meglio l’impossibilità di sfuggire in tale 
lavoro , più che in altro, una quantità innumerabile di difetti. 
Per esempio , il sistema difurcato del sig. Bentham , sebbene con- 
dotto con ingegno moltissimo , non lascia d’ essere di quando in 
cuando stentato o arbitrario. Il ben essere , dic’ egli, è il fine di 
tutti gli atti umani, e però di tutte le arti e le scienze: il ben 
essere (si noti il passaggio ) sottintende l’idea dell’essere ; ecco 
dunque all’ endemonica (51) nascer gemella l’ontologia (52). Que- 
sta si divide in ontologia cenoscopica (53), che tratta le qualità 
comuni a tutti gli enti; e idioscopica (54) che tratta le qualità 
particolari a tal classe d’enti o a tal altra. La cenontologia è l’alta 
metafisica ; tutte l’ altre arti e scienze cadono sotto 1’ idiontolo- 
gia: la qual si divide in somatologia (59) o scienza de’ corpi, e 
pneumatologia , (56) degli spiriti. La somatologia si divide in po- 


(50) R. Lul. De XII philos. principiis. C. 12, distingue l’intelletto dalla 
memoria , in modo da dar luogo a una specie di divisione tra le due facoltà. 

(51) Senza intendere di far torto ai dotti di greco, noterò le etimologie 
delle poche parole che qui ripeto , adoprate dal sig. Bentham. Eudemonica 
da eUdeiuovia , felicità. 

(5a) GY, SUT06; ente. 

(53) Kosds, comune GHOTÉUW , riguardare. 

1A) È . 

(54) (0406 ; proprio , particolare. 

(55) IA] 1777 s corpo. 

(56) TVEL UL , spirito. 


28 
sologia (57) o scienza delle quantità, e piologia (58) , delle qua= 
lità: e così viene giù giù suddividendo e 6ifurcando lo scibile, 
Ma queste suddivisioni costantemente appaiate, ognun vede quan> 
t’ abbiano del sistematico , perchè non tutte possono ridursi a un 
sì eaun no, al positivo ed al negativo. Quindi è che nella di- 
visione XII.® (59) è fatta della cosmografia (sotto il nome al- 
quanto lunghetto di paronocosmologiu cenoscopica (60)) una 
scienza a parte , che non potrebbe sussistere come scienza qual 
è dall’autore ideata ; vale a dire che questa cosmografia dovrebbe 
trattare delle proprietà generali del nostro mondo , ma senza ri- 


guardo alcuno alla storia della sua formazione, alla sua posizione, . 


al suoi movimenti e alle relazioni di quelli coi corpi celesti, nè 
alle altre proprietà che lo distinguono in parti solide o in liquide, 
e che sono base alla classificazione delle sostanze da esso ab- 
bracciate. Una cosmografia così secca non so se meriti il nome 
di scienza. Ma l’autore aveva bisogno di crearla per servire alla 
sua difurcazione esaustiva. 

Io potrei moltiplicare a mio piacere gli esempi , se non avessi 
forte ragion di temere la sazietà de’ lettori. Così nel sistema del 
sig. Ferrarese l’uomo è dato a tutto lo scibile com’ unico centro. 
Ed infatti era sentenza di Protagora che 1’ uomo e la misura di 
tutte le cose: e un non so che di simile affermava Parmenide : 
e l’Alstedio : “ L'uomo in questo universo è il centro delle crea- 
ture; e da lui alla circonferenza corre sempre ugualmente distante, 
e sempre aperta la via ,, (61). Anche il Chambers proponeva 
come cosa utile considerare le scienze in ragione della vicinità 
ch’ esse hannv con l’ uomo (62); e Diderot ripeteva che senza 
luomo la natura è una mesta solitudine (63); e lo Sprengel e 
l’Herder immaginavano un vincolo arcano tra le leggi che reggono 
l’ umana vita e quelle che governano l’immensa natura. Tutti 
rammentano la celebre parola ch’ è quasi l’ epilogo di tanti si- 
stemi e di tante stranezze , la parola microscosmo ; ed è troppo 
noto l’ abuso che ne fecero Paracelso e i suoi pari. Ma il signor 


(57) T'6606 » quanto. 


(58) Totos , quale. 

(59) Pag. 102. 

(60) TÉPwY » presente ; ué6mos » mondo. 
(61) Syst. Mnemon. p. 588. 

(62) Pref. al Diz. 

(63) Art. Encicl. 


Po 

Pamphilis toccò egregiamente quello che la detta idea contiene di 
fecondo e di vero, là dove disse (64): “ La parola ‘scibile ch'è 
», la x di tutta l’ opera, forma la grande incognita dell’ ultima 
» equazione integrale quando si considera in tutta la sua esten- 
»3 sione rispetto alla natura ed all’uomo ; e diviene il noto della 
> prima equazione ch’ esso fa con la natura e con l’ uomo quan- 
3 do sì considera siccome un effetto di tali sue cause ,, Ma 
con tutto questo , ognuno intende le difficoltà di porre 1° uomo 
a centro dello scibile in una classificazione enciclopedica , e 
non violentare la natura e l'ordine delle cose: onde bene av- 
vertiva Bacone : “ Scientiam non in humani ingenii cellulis sed 
in mundo majore quaerant ,,. -- Delle quali difficoltà ci è prova 
appunto la divisione del signor Ferrarese. Egli pone per base i 
tre stati dell’uomo ; sano , degradabile , perfettibile (65): e da 
questi tre stati fa provenire tutte le arti e tutte le scienze , o 
per dir meglio, tutte le applica a questi tre stati. Sì: ma non 
sarà egli un po’ strano sentirsi parlare di filologia, di zoologia, e 
di giardinaggio a proposito dell’uomo sano ? E, considerate a que- 
sto modo sì largo le relazioni delle cose fra loro, non si potrebbe 
con uguale diritto porre a centro dello scibile non l’ uomo ma 
il bruto? 

Meglio, a parer nostro, il signor Pamphilis; il quale distingue 
lo scibile in subbiettivo e obbiettivo, e dall’un lato pone l’uo-' 
mo , la natura dall’ altro , indicando le relazioni di questa con 
quello, e le reciproche analogie. L’ idea cardinale non è nuova 
certo; ma nuove ne sono le secondarie applicazioni , e le consi- 
derazioni accessorie. Io non ardirei veramente di sostenere con 
lui che gli obbietti e i fenomeni della natura stiano in una 
determinata proporzione con la ragione e col linguaggio nell’uo- 
mo: e che “ la natura nelle varie epoche di esordio , d’ incre- 
3» mento ; di decadenza , di risoluzione, con che si annunzia 
3; procede, retrocede , si rinnova ,, abbia un non so che di chia- 
ramente conforme allo stato dell’uomo © nelle epoche di avver- 
3; tenza, di attenzione , di confronto, di deduzione, con che egli 
») sente, distingue , discute, conosce ,, (66). Questo parallelo mi 
pare alquanto sistematico, e tale da soddisfare un’ immagina- 
zione ardente anzichè un filosofico ingegno : ma ciò non toglie 
che la seconda parte del quadro, quella che può veramente chia- 


(64) Pag. 1 col. 1. 
(65) Pag. 22 e seg. 
(66) Tav. I. 


30 
marsi un’ embrione di classificazione enciclopedica, non solo non 
sia fondata sul vero, ma non allarghi grandemente la sfera del 
pensiero molto al di là dei confini de’categoristi ordinarii. Dice 
il signor Pamphilis: Il vero subbiettivo si divide in fisico, me- 
s) tafisico, e morale : e ciascuno di questi tre rami si moltiplica 
»» per gli altri due, vale a dire il fisico può riguardarsi nel lato 
s, metafisico e nel morale, il metafisico nel lato morale e nel 
so fisico , 11 morale nel fisico e nel metafisico. Il vero obbiettivo 
3» può considerarsi come necessario, com’utile , come dilettevole; 
so il necessario da sè può considerarsi dal lato della utilità e del 
»» diletto ; il dilettevole dal lato dell’ utilità e della necessità , 
3» l'utile dal lato della necessità e del diletto ,,. Queste molti- 
plicazioni che a molti parranno un gioco di parole , come agl’ines- 
perti d’ algebra il più ricco de’ calcoli può parere una stolta tra- 
sposizione di cifre, queste moltiplicazioni quanto fecondino il 
campo dello scibile e lo dilatino , ogni uomo avvezzo a_ meditare 
sel vede. E tutto il resto dell’ albero è ugualmente fecondo. Ma 
nelle tavole seguenti 1’ egregio autore abbandona per altri suoi 
fini il prospetto generale dello scibile, e scende a categorie se- 
condarie , nella cui forzata regolarità si riconusce congiunto al- 
l’ usato ingegno uno spirito di sistema che non giova punto nè 
alla rettitudine nè alla chiarezza delle predicate dottrine (67). 

Si stabilisca insomma che la perfezione assoluta in simili la- 
vori sarebbe vano desiderio, anzi sogno. Per ottenerla conver- 
rebbe, ben dicono gli avversarii, collocarsi in quel punto sovra- 
no da cui tutte le cose si veggono nel lor vero aspetto , giudi- 
carne dirittamonte la reale importanza, scoprirne i veri vincoli, e 
tutti scoprirli: poi, all’ uomo di tanta potenza fornito manche- 
rebbero le parole e i colori per esprimere , per dipingere un sì 
arcano e sì complicato sistema. Contentiamoci dunque del possi- 
bile , che non è poco: ingegniamoci, ciascheduno co’propri stu- 
di dilatare , rischiarare , perfezionare le parti di questo gran 
tutto; e quanto più avanzeremo nel lungo cammino, tanto me- 
no saremo distanti dall’ assoluta verità , tanto più queste due 
assintote , Mente UMANA e AssoLuTo , si verranno ravvicinan- 
do. Ma dalla impossibilità di formare una classificazione per- 
fetta non segue che ogni classificazione dello scibile sia falsa 
od inutile. Con tale argomento si verrebbero a screditare tutti 
quanti gli esercizi dell’ ingegno , e di beato e d° irreprensibile 


(67) Si vegga la Tav. IV del Gusto, la V del Genio , la VI della Critica. 


SI 


non rimarrebbe agli uomini se non l’ignoranza (68). Anzi ammet- 
tiamo che vw ha parecchie maniere di ben distingnere le opere 
dell’ umana mente ; che ve n° ha di più e di men utili, di più 
e di men vere ; che quelle le quali riguardano le parti più pra- 
tiche del sapere, e ad esse subordimano tutto il resto, son le più 
utili; che le più vere son quelle che collocano le scienze note 
secondo l’ ordine o della loro origine o della loro importanza ; 
che una classificazione la quale non abbia in mira nessuno de'tre 
rispetti notati , sarà sterile affatto ; ma che qualunque sia d’esse, 
per isterile che sia nella mente di chi l'ha formata, si può, di- 
latandola con applicazioni nuove , fecondarla, e, a dir così, ri- 
crearla. E a questo modo considerate, tutte le meno medi- 
tate e più futili distinzioni possono acquistare importanza. 
A conferma di che non ci sia grave percorrere alcune delle 


(68) È singolare a notarsi come quel Cornelio Agrippa che in. gio- 
ventù aveva scritto dell’ arte lullistica , e aveva così bene professato in tutta 
la. vita il ciarlatanismo enciclopedico, scrisse poi il libro: de incerti- 
tudine et vanitate scientiarum , dove ripassando ad una ad una le scienze 
tutte e le arti, e le occupazioni degli uomini, trova nelle une incertezza , 
nell” altre vanità , nell’ ultime colpa, miseria in tutte. Libro singolarissimo 
che ‘prevenne di due secoli e mezzo il discorso di Gian Giacopo , e che tratta 
un paradosso sì specioso ora con impudenza più che cinica, ora con vivacità 
e rettitudine singolare, 

Accingendosi a combattere cotesta gigantomachia della scienza e i mo- 
struosi memoriografi , egli incomincia da un argomento che agli uomini del se- 
colo XIX parrà bene strano , ma che ha pur troppo il suo lato vero: ed è 
che la scienza è fedele ministra alla violenta ed alla vigliacca tirannide. Poi 
venendo a’grammatici osserva la ridicolezza delle guerre loro accanite , e la 
varietà delle loro dottrine sì grande, che tante sono le grammatiche quanti 
i grammatici, e i cavilli che dalla scienza delle parole passarono ia quella 
delle idee. Nota le falsità della storia, o che provengano da adulazione o che 
provengano da ignoranza ; gli abusi della rettorica ; gli errori a cui la dia- 
Jettica dà nutriruento , e il vizio\ch” essa ha di dilatare le cose da nulla 
in immenso. Venuto alla musica si lamenta con S. Agostino che nelle chiese 
si suoni la musica teatrale , rimprovero che pare scritto per gli organisti amici 
di Rossini; poi «declama contro 1’ architettura che ambisee d’ innalzar moli 
immense con quelle ricchezze che dovrebbero essere sacre alla sventura ed 
all’ inligenza : poi dubita se i filosofi sien uomini o bruti: poi venendo alla 
politica , insegna che scelera delinquentium vires sunt tyrannorum: poi di- 
scende al altre arti che meglio è tacere, e con la grossolana impudenza 
d’ un amaro linguaggio toglie ogni autorità alle ingegnose osservazioni che 
puntellano il sno paradosso. 4 Ad ogni modo io credo dover notare che seb- 
bene quel trattato manchi d’ una classificazione metodica , pure nella numera- 
zione delle scienze e delle arti ne abbraccia di quelle che certo fan parte 
dello scibile, e che agli enciclopedisti di professione sfuggirono. 


32 
più singolari tra le moderne e le antiche, e vedere come tutte 
nascondano un elemento di verità. y 

Il tesoro di Brunetto Latini , ch’ è una specie d’enciclopedia 
del suo tempo , nel quale vive ancora il nome del maestro di Dan- 
te (69), divide la scienza in teorica, pratica, e logica (70): la prima 
tratta della divinità, della natura , dell’uomo: la seconda del modo 
di governare se stesso , la sua casa , lo stato , vale a dire che ab- 
braccia l’etica, l'economia, la politica : la terza del modo di dispu- 
tare, di convincere gli errori altrui e di accertare la verità, e di so- 
stenere con sofismi l’errore, vale a dire che abbraccia la dialettica, 
la fisica (71) , la sofistica. Rami della politica sono, secondo Bru- 
netto , le arti meccaniche e le liberali, cioè la grammatica , la 
dialettica di nuovo (72), e la rettorica, In questa divisione così 
grossolana com’ è, noi troviamo l’idea del D’Alembert , che nello 
scibile dà un posto anco alle scienze che disonorano l’ ingegno 
umano : troviamo saggiamente distinta la logica dalla pratica e 
dalla teorica , perchè la logica può servire all’ una del pari che 
all’ altra ; e così si scioglie la questione di coloro che dubitano 
se la logica sia una scienza od un’arte : troviamo infine le arti 
tutte sapientemente fatte ministre al ben essere civile degli uo- 
mini , idea che molti letterati moderni hanno se non in palese, 
almeno implicitamente o co’ fatti combattuta (73). 


(69) Inf. XV. 

(70) I. c. 2. 

(71) Fisica qui par che significhi , secondo l’ etimologia , verità naturale. 

(72) E forse erore. 

(73) Il Tesoro del Latini merita il nome d°’ enciclopedia più per la va- 
rietà delle cose che tratta , che per la vastità e la pienezza delle dottrine. 
Ben più sisapeva al suo tempo , e ben meglio. Ma già niuno ignora che tutte 
le enciclopedie rappresentano piuttosto la dottrina o le dottrine di chi le 
compone , che non la dottrina e le dottrine del secolo. Ad ogni modo giova 
che il libro di Brunetto ci sia pervenuto. E singolare sopratutto l’ultima parte 
che tratta della politica : dove insegna a’ governanti di mantener la data fede 
perchè senza fede e lealtà non è diritto ; argomento del quale avrebbero potuto 
troppo bene far uso i signori Persil, Béranger , et Madier de Montjean : poi in- 
segna come il nuovo governante debba giurare alle sante di Dio guagnele 
le costituzioni (è parola di Brunetto ) le costituzioni della città: come debba 
interrogare -il piccolo e il gran consiglio, e ne’ casi dubbi aggiungervi altri 
savi ei reggitori delle arti. Impone che nel proporre nuove leggi al 
consiglio la proposta sia breve e scritta in pochi capitoli, avvertimento 
che sarebbe venuto opportuno agli autori di parecchie leggi recenti : poi 
consiglia al governante di non far leghe tali che convenga poi rompere sua 
fede , e s’ egli non la tiene , che pericolo non venga sopra di lui : vorrebbe 
che gli ambasciatori non fossero inviati senza stanziamento. del consiglio: poi 


33 

Ma quella di Brunetto non è là più antica enciclopedia che 
da noi si conosca : havvene un’ altra che non merita d° esser ta- 
ciuta ; /o-specchio , io dico di Vincenzo , vescovo di Beauvais , 
gran divoratore di libri, al dire d’un suo confratello (74); € pro- 
fessore di polimatia ad un singolarissimo fine. Da una sua lettera 
consolatoria a Luigi IX noi raccogliamo che tutte le notizie rac- 
colte dal buon vescovo efano corisacrate all’ istruzione del re; o 
per dir meglio, dovevatio servirgli a fare sfoggio di sapere in 
tutti quanti gli argomenti di cui, cotiversando co’ suoi sudditi , 
gli cadesse discorso. Così tempo fa leggevamo che un valent’'uomo 
s’ era accinto a spogliare un’ intera biblioteca ad uso e servigio 
del suo giovine allievo. Checchè di ciò sia , alle fatiche dell’ in- 
faticabile Domenicano noi dobbiamo lo specchio naturale} dot- 
trinale, istoriale (75), il cui titolo indica bene la divisione 
delle materie ; e denota che il vescovo di Beauvais vedeva nello 
scibile de’ suoi tempi: proprietatem rerum; ordinem artium, 
seriem temporum. Bacone e il d’ Alembert che della storia fecero 
un ramo dell’ albero loro, quì riconoscerebbero la propria idea, 
colla differenza che il frate del dugento non confuse, come il fi- 
losofo dell’ ottocento , la storia naturale con la letteraria e con la 
politica. E chi volesse fecondare la detta distinzione sommaria, 
potrebbe forse dimostrare quanto sia conforme alla buona filosofia 
primieramente descrivere la natura fisica, morale, intellettuale 
qual è ; poi venire ai sistemi e ai metodi immaginati dagli uomini 
per istudiare , adoprare, modificare , perfezionare (com’essi dicono) 
la natura ; finalmentè trattare delle vicende che e la natura’ è 
l’ uomo soffersero su questa terra, 1’ uno influendo sull’ altra, 
e l’ uno e l’ altra ricevendo da una mano superiore una direzione 
potente , infallibile. 

Quando si tratta d’enciclopedia, egli è impossibile tace- 
re d’un altro frate molto più celebre ancora; vissuto in un 
secolo in cui tutto quanto lo scibile s’ animava a vita novella, 
e le arti tutte e la storia el’erudizione e la politica risorge- 
vano parte seguaci e parte emulatrici della gloriosa antichità, 
d’ un frate contemporaneo di Dante , io dico di Raimondo Lullo, 


ad ogni mutamento di signore , intende che jsieno eletti de’ savi che debbono 
emendare le costituzioni delle città ; e fattane l’emendazione, allora si elegga il 
signore , il qual venga a giurarle. L. IX. 

(74) Librorum helluo. Quetif et Echard. I 212, 

(75) Lo specchio morale non è di luî, 


T. I. Febbraio. 5 


34 
autore dell’ arte magna , e d’ altre quattromila opere; se crediamo 
a certi non infallibili testimoni (76). Del. suo sistema non è qui 
luogo di ragionare, ma solo delle divisioni da lui; segnate a quer 
sto scibile ch’ egli volea far apprendere in pochi mesi (77). Gli 
alberi , a dir vero, da lui immaginati non, solo non presentano 
niun frutto maturo, ma nemmeno un: germe fecondo:.. Ma 
l’arte sua riducendo tutto 1’ umano sapere a un certo numero 
di parole , sotto le quali tutte le altre idee, si; venissero a classir 
ficare (78), dimostra che sotto certe classi generali si; può,costan- 
temente dividere tutto quanto lo scibile; invece: di. dividerlo 
per arti, e scienze: e questa divisione, meditata, riuscirebbe 
forse di tutte la più filosofica. Ma. tale non era l’idea di 
Lullo : egli è un pensiero che la lettura dell’opera sua mi.risveglià; 
e che, fecondato che fosse , sarebbe affatto indipendente dallo 
strano sistema del buon Raimondo. i 

Dante , ingegno de’ più enciclopedici del suo secolo, e , come 
poeta , il più enciclopedico forse che sia, sorto ancora, Dante 
anch’ egli ci offre una divisioncella delle arti (79) ; che è la. no- 
tissima della scuola, secondo la quale esse si riducono tutte a un 
trivio e a un quadrivio. Ma quest’ uomo che non, avrebbe potuto 
ripetere servilmente gli altrui concetti, aggiunge alla frase scola- 
stica una sua immagine , che sarà lecito chiamar singolare ; e 
trova. un’ analogia da altri non osservata fra le arti ed i cieli: 
tra la, grammatica e la luna, tra Mercurio e la dialettica , tra la 
rettorica e Venere, tra l’ aritmetica e il sole, tra. Marte e .la mu- 
sica, tra Giove e la geometria, tra l’ astrologia e Saturno: poi 
la Via lattea è il simbolo della fisica, l’ottava sfera ha con 
la metafisica certi punti di relazione singolari, la mona von 
la morale , e la teologia col primo motore. Questo strano paral- 
lelo delle scienze non è però la più forzata classificazione ch’ io 
mi conosca: e se taluno de’ tanti ammiratori di Dante, vo- 
lesse meditare sulle ragioni ch’ egli adduce delle inaudite ana- 


(76) Con tutti i suoi 4000 libri egli non ebbe che assai trista accoglienza 
alla corte romana : di che si lamenta laddove introduce un monaco apparsogli 
nella solitudine a dimandargli : Amice, quid habetis ? et quare plangitis ? 
Nomen vestrum , si placet , mihi dicatis , et in qua terra natus estis... 
— Libri mei modicum appreciantur ; imo dico vobis quod plures mé tenent 
pro fatuo. 

(77) Arbor scientiae venerabilis et caelitus illuminati Patris R. Lulli. 

(78) Il più chiaro espositore di questo metodo è l’ Alstedio nella Clavis 
artis Lullianae. 

(79) Convivio. 


35 


logie da lui scoperte fra il cielo e la terra, troverebbe forse che 
l’argomentazione a quando a quando è più pregevole dell’assunto. 
Adogni modo da essa si rileva quale importanza concedesse l’Ali- 
ghieri alle varie parti dell’ umano sapere, come ponesse la ret- 
torica al di sopra della dialettica, e la musica al di sopra della 
rettorica , la metafisica sotto la morale, e in cima a tutte le 
scienze la teologia. 

Era questo il pensiero di S. Bonaventura , uomo da Dante 
stimato altamente (80), come meritava non solo la sua virtù 
ma la nobiltà: dell’ingegno. Egli in un breve opuscolo distingue 
le scienze umane in meccanica, sensitiva, filosofica, teologica : 
la prima che riguarda le cose di fuori, la seconda il corpo umano , 
la terza l’uomo interiore , 1’ ultima le cose del cielo. = La scienza 
meccanica o riguarda il comodo od il diletto. Quanto alle como- 
dità, dall’occorrenze del coprirsi provengono l’ armatura, l’ar- 
chitettura ec. ; dalle occorrenze del nutrirsi , l’agricoltura, la 
cacciagione , la culinaria: per meglio supplire a certi bisogni, 
la navigazione ; per riparare ai mali, la medicina. — La scienza 
sensitiva si divide in tante parti quanti sono i sensi dell’uomo , 
e abbraccia , come ognun vede sotto di se , variissime discipline. 
La filosofia è razionale, naturale, morale. La razionale , secondo 
il linguaggio dell’autore, riguarda l’ arte del ragionare , e compren- 
de la logica e la grammatica. La naturale comprende la fisica, la 
matematica e la metafisica; la morale comprende la monastica (81), 
l’economia e la politica. Questa classificazione ha i suoi difetti come 
tutte le altre ; ma di pregi non manca. Quel distinguere le scienze 
che riguardano gli oggetti esterni direttamente , dalle altre che 
direttamente riguardano l’ uomo; quel suddividerle secondo gli 
umani bisogni; quel far dell’ arti d’ adoprare il ragionamento 
e d’ esprimerlo una classe a parte, sono idee filosofiche , e su- 
scettibili d’ un grande sviluppo. î 

La scienza nel secolo decimoquarto , abbandonate le vie 
nuove che alcuni ingegni potenti le avevano se non aperte, 
additate , si abbandonò tutta dietro le tracce d’ Aristotele: nè a 
Raimondo Lullo mancavano suoi seguaci. Il culto di Platone, 
fu breve; nè Ramo co’suoi valsero a scuotere il giogo aristo- 
telico. Qual fosse dal trecento al secento la filosofia tutta , nes- 
suno l’ ignora: e i nomi di Ficino, di Telesio, e d’ altri pochi 


(80) Par. — Bonaventura Da Bagnoregio , che ne’ grandi uffici Sempre po- 
sposi la sinistra cura. — V. l’opusc. De reductione artium ad th. 
(81) Gioè la vita dell’uomo isolato , sia monaco , sia del secolo. 


36 


fanno quasi parer più fitte le tenebre che li circondano. Le 
grandi idee d° Aristotele rimasero sterili nelle menti de’ suoi ado- 
ratori: non si pensò a rettificarle, ad applicarle, e quindi nem- 
meno ad ampliarle. Per ciò che riguarda il nostro. soggetto, 
noteremo la divisione scientifica che, un peripatetico s° è inge- 
gnato di costruire , rarcogliendone gli sparsi elementi dalle opere 
del maestro (82). Chi pensa alla facilità d’ un siffatto lavoro 
(quand’anco, originale esso fosse) non gliene farà certamente 
un gran, merito : noi possiamo nondimeno accennare la cardinal 
divisione della scienza in teorica, in pratica, ed. in fattiva, 
intendendo per pratica la parte morale, e per fattiva l’azione 
dell’uomo sulle cose di fuori : divisione che come tutte le altre 
ha il suo pregio; e il pregio consiste nel distinguere appunto 
delle altre tutte quelle arti e quelle scienze che più direttamente 
operano sulla natura , e la modificano o la maneggiano in qua- 
lunque sia modo. I 

Ma da Aristotele si potevano trarre i germi d’ altre classi 
ficazioni ancora. Per esempio ; è sentenza di lui che « le cagioni 
non sono che effetti di più alte cagioni,, (83). Or chi ci vieta 
d’ immaginare un’ albero enciclopedico dove le scienze sieno 
considerate come altrettanti studii delle cagioni* delle cose, e 
subordinate l’una all’altra in quel medesimo collocamento in 
cui si trovano gli effetti ch’ esse operano , e le cause. che cercano ? 

Altrove pone, Aristotele (84) la distinzione del senso, della 
consuetudine , dell’ arte: e dietro questa idea non si potrebb” egli 
ideare una classificazione delle dottrine , altre, appartenenti alle 
cose sensibili , altre alle consuetudini morali , civili, intellettuali 
dell’ nomo , altre alle consuetudini medesime ma regolate da 
un principio superiore, e dirette ad un fine? — Ogni specie di 
distinzione è lecita del pari che facile: purchè non si creda che 
basti una sola, e che una se ne possa trovare incolpabile. Meschi- 
nità sarebbe e il menare di simili lavori gran vanto, e il disprez- 
zarli affatto perchè in qualche parte imperfetti. 


INB. Resterebbero a percorrere le altre principali divisioni o ac- 
cennate o svolte dai Lullisti, dall’Alstedio fra gli altri, poi da’più re- 
centi scrittori : insistendo un po’ sopra quelle che da Bacone, dal 
D’Alembert, dal Diderot e da altri vennero proposte così di fuga quasi 
per supplemento alla principale da essi prescelta , e per dimostrare che 


(82) Du-Val Synopsis Analytica doctrinae Peripateticae. 
(83) Post. II. 13. 
(84) Met. VIII. 5. 


37 
a loro medesimi non soddisfaceva interamente quell’ una a cui diedero 
il miglior luogo. Poi resterebbe da toccare di alcune divisioni nuove, 
secondo le quali lo scibile si potrebbe in nuovi rispetti non senza uti- 
lità riguardare. Ma questa sola. parte dell’ assunto richiederebbe non 
breve discorso. " 

Esaminato lo studio enciclopedico I.° nei suoi risultati più gene- 
rali, cioè nei pincipii a tutte o a molte scienze comuni II.° nel metodo 
generale che dovrebbe tutte dirigerle III.° nella nomenclatura scientifica 
IV.°nella divisione analitica o nella coordinazione (sintetica delle scienze; 
resterebbe a considerarlo = V.° Come un mezzo di facilitare la cogni- 
zione di fatti e di dottrine, che tutte non si posson sapere , che tutte 
a fondo studiar non si possono, ma che giova talvolta anzi è necessario 
consultare : e quì cadrebbe parlare di que’ metodi e di que? libri. che 
servono ad agevolare il rinvenimento. delle. notizie bisognevoli nella 
teoria e nella pratica, libri e metodi che si vengono sempre più mol- 
tiplicando e perfezionando, ma che riceveranno dal tempo un raffina» 
mento incredibile, e giungeranno a facilitare non solo le notizie iso 
late e superficiali ma anco la solida scienza =: VI.° Come la storia vera 
delio scibile, ossia la raccolta di tutte le cognizioni dalla presente civiltà 
possedute : opera immensa, che è quella che più comunemente s’intende 
col nome d’ enciclopedia, che di necessità deve riuscire imperfetta , 
ma che diretta ad un fine pratico non può non esser feconda di molti 
vantaggi. = VII.° Come un mezzo di perfezionare. l’ educazione privata 
e la pubblica, l’elementare e la progressiva : e in questo aspetto gli 
studii enciclopedici, non materialmente applicati alla memoria de? gio- 
vanetti, ma dati a conoscere nelle loro ultime e più palpabili conse- 
guenze , porterebbero nella educazione una vita novella , senza nulla 
detrarre nè alla solidità de’ graduati insegnamenti nè alla lucidità 
delle idee. = VIII.° Come il vincolo che unisce e mutuamente. consolida 
tutte le umane discipline , le quali finora disgiunte e:in guerra tra loro, 
mantengono una deplorabile antipatia fra quegli stessi che le profes- 
sano: e non conoscendo gli aiuti che potrebbero trarre dalle loro so- 
relle, vanno tentoni, e carpone talvolta per quel cammino che po- 
trebbero misurare. con libero corso. = IX.° Come una via di scoprire 
tra le cognizioni più minute, nonche fra le scienze cardinali, vin- 
coli sempre nuovi, e così di fecondare per via d’accoppiamento le idee, 
e in ciascuna di esse riflettere buona ‘parte dell’intellettuale univer- 
so. X.° Come un continuo incitamento a scoperte novelle ; giacchè le 
scoperte tutte , come abbiamo accenriato , non sono che applicazioni 
nuove d’un’idea ad un’altra che ne parea disparata. IX.° Come eser- 
cizio pratico applicabile a molti spi=ciali usi della vita letteraria e 
civile. 

Se a noi restasse lo spazio di sviluppare queste tante e si molti- 
plici idee, troveremmo che gli uffizzi meno importanti e le parti difet- 
tose dello studio enciclopedieo, que lle su cui più meritati cadono i rim- 
proveri dei vecchi severi, sono la te:rza, la quarta, la sesta, e in parte, 


38 

la settima; gli uffizi pià utili e le parti più belle la prima, la seconda; 
la quinta, la settima in parte; con le ultime quattro. Vedremmo ; che 
alla prima e alla seconda rivolsero più direttamente il pensiero Ari- 
stotele, Bacone, il sig. Pamphilis, l’autore del nuovo saggio sull’ori- 
gine delle idee : alla terza e alla quarta d’ Alembert, G. Bentham, vil 
sig. ‘Longo, ilsig. Ferrarese, con altri recenti scrittori d’ Inghilterra 
e di Francia; alla quinta gli autori di dizionari e di repertorii; alla 
sesta gli autori d’enciclopedie propriamente dette ; alla settima il Lullo, 
l’Alstedio , e meglio il sig. Pamphilis; alla decima Bacone ; alle altre 
direttamente nessuno. Vedremmo che la dissertazione del sig. Longo; 
sebbene modesta, chiude molte lodevoli idee ; che le opere del sig. Ben- 
tham e del sig. Ferrarese debbono di necessità portar seco i difetti 
inevitabili alla loro natura ; che quella del ‘signor Pamphilis oltre al 
notato difetto di chiarezza e d’ordine analitico, chiude in se un’al- 
tro inconveniente, ed è la confusione d’ un duplice assunto. Havvi in 
questo libro due parti chiaramente distinte, che pure s’ alternano , si 
commescolano ad ogni tratto ; la parte metafisica e Ja pedagogica: se- 
parate che fossero, acquisterebbero ambedue chiarezza e splendore. E 
alla. chiarezza specialmente preghiamo il sig. Pamphilis che voglia ba- 
dare ne’lavori che ci promette di nuovo. Il gergo neologico e il difetto 
d’ordine analitico nulla aggiungono alla profondità delle idee , mol- 
to nocciono alla diffusione del vero, e non fanno che screditare la 
scienza. Quello all’ incontro che in tempi sì miseri importa ; egli è di- 
mostrare come la filosofia razionale sia alla morale ed alla politica ne- 
cessario fondamento , come senz’essa la scienza civile non diventa che 
un materiale empirismo, un campo sempre aperto a questioni elemen- 
tari sulla libertà e sui naturali diritti; come dalla noncuranza de? veri 
principii filosofici nacquero le teorie dell’uomo selvaggio e dell’ asso- 
luta uguaglianza non di diritti ma di condizioni ; e come da questo non 
segua che nei libri di educazione e di civile filosofia si debbano intro- 
durre discussioni metafisiche , che sarebbe come un voler collocare le 
pietre de’ fondamenti nel bel mezzo del già innalzato edifizio. Basta 
che nessuna delle scienze si ponga in ostilità con le altre sorelle, che 
nessuna si sforzi di soffocare lo sviluppo dell’ altre, che tutte cono- 
scono di doversi mutnamente giovare, e si giovino, e si stringano via 
più insieme , allo scoprimento del vero e alla felicità della vita. 


Kr coi 


| 
; 


39 
IprÈ SULLA FILOSOFIA DELLE SCIENZE MORALI' E POLITICHE. 


sio Osservare dei fatti classatli nell’ordine ‘più ‘natàrale; è 
‘vedere come gli uni mascon dagli altri è la sola ‘non'fallace 1o- 
‘gica ‘dello ‘spiritò umano ‘nelle ricerche scientifiche. È quiesta la 
“liminosa face icon cui ‘giunse a diradar le ‘tenebre che 'avevatiò 
«addensato' sulla filosofia i'sistemi ‘e ‘le “ipotesi della ‘Grecia è là 
‘batbarie del mediò ‘evo 3 quel sommo genio ‘di Bacone da' Veru- 
lamio ; nella cui ‘anima sublime parve svegliarsi da vin’ Iutigo 
‘sonno 1’ umana ragione: Il ‘segreto dell’'esisterize comineid allora 
a'‘svelarsi all’'attomîta mente -degli uomini';'e la filosofia ‘postà in 
armonia ‘colla realità delle leggi della matura, cessò ‘di ‘farne "il 
romanzo; le si applicò a'tracciarne ‘una’ veridica istoria. La con- 
‘solante'‘certezza delle ‘verità esperimentali , come un ‘astro bène- 
fico diffuse il fecondo suo influsso su’ tutti gli ‘spiriti: ‘& dagli 
sforzi riuniti‘ di varj distinti ingegni, che nella sublime via'del 
pensiero seguiron l'impulso dato da quel sommo; nacque ; ri- 
vestita ‘di. un carattere di forza‘ e ‘di unità , che derivava dalla 
solidità della sua base: quella filosofia: prima che ‘è , per così 
dire, la ‘chiave di tutte le scienze , e che in altro non''consiste 
fuorchè nella collezione di ‘quei principj che sono a tutte ‘comuni. 
‘Le facoltà: che» costituiscono ‘1’ umano intendimento» apparvero 
mella: loro semplicità ‘elementare:; ela più nobile produzione della 
matura :giunse..\a conoscere iper quanto  putea:; sè medesima. 
Un’ :esatta istoria dell’ uomo come esser pensante. dovè riguar? 
darsi come: il. ceppo comune in cui-tutti i rami delle umane 
cognizioni prendon radice: quindi la filosofia razionale divenne 
il punto di partenza; ela naturale introduzione di tutte le scienze. 
Gol di lei ajuto fu facile stabilirne il criterio , che; nel forido, 
comune per tutte, dovè modificarsi secondo le varie circostanze 
dei fatti proprj a ciascuna, Quelle scienze che più si giovarono 
dei soccorsi dell’ esperienza. fecero: in breve tempo i più lumi- 
nosi ‘progressi: e il punto a cui è pervenuto il perfezionamento 
di'tutti i rami delle scienze naturali ‘è il più sicuro argomento 
in favore dell’ eccellenza di questo metodo. 

Niuna scienza può fare adunque dei solidi e reali progressi 
che coll’ osservazione la-più precisa dei fatti che le. apparten= 
gono , e da questa ‘soltanto può risultare la facilità di rimontare 
fino alle cause produttrici di questi fatti, la cognizione delle quali 
è l’unico primitivo scopo della scienza medesima. La prima cosa 


49 
da determinarsi da chi vuol portare la sua meditazione sopra 
qualunque dei rami delle nostre cognizioni, è la specialità dei 
fatti che debbon esser l’ oggetto delle sue ricerche e delle sue 
riflessioni. La natura è un tutto armonico , ugni parte del quale 
è intimamente connessa da stretti legami. .Incapaci, di applicare 
nel momento, stesso le limitate forze. del nostro peusiero all’ in- 
sieme maraviglioso delle sue leggi , siamo necessitati a distribuirle 
in classi ,,jonde fissarvi la nostra attenzione 5 e queste classifica 
zioui , che danno origine ai diversi rami dello scibile, umano,, 
debbono inevitabilmente risentirsi di quanto ha d’ arbitrariv'una 
demarcazione immaginata per solo appoggio della debolezza del 
nostro, spirito. Finchè una scienza non ha, ancora tracciato i li- 
miti che la distinguon dall’ altre, finchè, non ha' riconosciuto 
la.sua individualità, finchè non ha esattamente stabilito .il posto 
che oceupar dee nella coordinazione generale degli. oggetti: delle 
nostre ricerche , possiamo. asserire senza timor d’.ingannarci xche 
essa vagisce ancora tra le fasce della, sua, cuna. Qual. anima ve 
ramente calda dell’ amore degli uomini. .e della verità. può non 
provare un. vivo dolore. applicando. queste riflessioni alle. più 
utili fra le scienze , a quelle che si propongono il nobile scopo 
di offrire una direzione alle azioni dell’ uomo individuale ‘e .so- 
ciale, onde guidarlo alla felicità! So bene che esse si appoggia 
rono; fino dalla lor prima origine alle. osservazioni più delicate 
sui buoni e. i cattivi effetti delle ‘azioni mmane.: Se ardissi di 
asserire il contrario , le opere di Plutarco e di Montaigne baste= 
rebbero a darmi una solenne mentita. Ma d’ altronde quali scienze 
furono dominate fino ai giorni nostri dal più cieco empirismo ? 
Quali; vagaron più incerte; quali si affrettarono più di queste a 
trar delle conseguenze prima di.avere i dati sufficienti per ista- 
bilire-i principj ? La morale non. fu per molti secoli che una rac- 
colta di osservazioni, utili, nol niego, alla! giornaliera pratica della 
virtù, ma che non coordinate ad un unico fatto primitivo .da 
cui si vedesser dipendere con. non interrotta filiazione , altro non 
furono, per servirmi dell’ espressione di Descartes, che palazzi 
costrutti sull’ arena. Molte dell’ esperienze da cui debbon de- 
‘dursi i principj della morale , vantano una remota antichità: ma 
una troppo prematura generalizzazione di queste esperienze ha 
ravvolto fralle tenebre l’ origine e la base di questa scienza. Una 
morale esperimentale , e fondata sullo studio degli uomini, ha 
lo stesso vantaggio sopra una morale meramente speculativa , che 
la fisica'esperimentale sopra una vana:ed incerta teoria. Lo stesso 
dee dirsi della legislazione e delle scienze secondarie che da 


41 

essa dipendono. Passò quel tempo in cui la ragione si pasceva 
fra i sogni di aerei sistemi: determinando meglio l’indole e l’esten- 
sione delle sue forze, è il solo ammirabile sistema delle leggi 
della natura, che reclama al momento esclusivamente la sua at- 
tenzione. 

Il metodo esperimentale è esso realmente applicabile alle 
scienze morali e politiche ? Possono le azioni e le abitudini umane, 
non meno che gli effetti che ne risultano, tanto considerate 
nell’individuo che nella società , esser sottomesse all’ osservazione? 
Sarebbe vano il dubitarne. Non vi è più ormai uno spirito ve- 
ramente istruito che non riguardi come la più ridicola delle 


| pretensioni il voler far nascere una scienza da un certo numero 


di massime , invece di far nascer le massime dall’ osservazione dei 
fatti. Eppure questo è il metodo con cui per lungo tempo si è 
preteso di sciogliere le questioni più interessanti per. l’ umana 
felicità. Basta consultar per convincersene le voluminose compi - 
lazioni a cui i Giureconsulti hanno dato il nome di diritto na- 
turale. Alcune massime appoggiate a delle congetture più o meno 
verisimili,; sono state proclamate da essi come leggi della natura, 
e non. hanno riguardato come giuste altre che le conseguenze 
che rigorosamente ne discendevano. Eppure per non porre in aria 
la pietra fondamentale. di questa scienza, era necessario costatare 
con sagace osservazione le moltiplici forze che sviluppa nei suoi 
fenomeni intellettuali e sensibili 1’ individuo umano, se si vo- 
levan conoscere le vere leggi con cui dirige la più nobile delle 
sue creazioni l'Autore dell’ universo. Non si sarebbe così pro- 
fanato l’augusto nome di codice della natura. Ma che ne avvenne? 
Giò che doveva inevitabilmente accadere: non. fu possibile che 
i giurec.nsulti si accordassero sul numero di queste massime ar- 
bitrarie : furono a vicenda sostenute e combattute; e dall’urto 
di tante contrarie opinioni nacque non una scienza ma un caos 
inestricabile. 

Le sensazioni da cui 1’ uomo è staro. affetto \in ogni epoca 
della sua esisteriza , sono accompagnate da piacere o da dolore ; 
la sua costituzione sensitiva Jo porta ‘inevitabilmente a slanciarsi 
nel primo, e ad immedesimarvisi; mentre lo fà rifuggir dal se- 
condo. Nella sensazione piacevole sembra che il nostro essere si 
dilati. e si estenda , mentre nella sensazion dolorosa una forza 
nemica lo comprime e lo abbatte. Queste riflessioni sono appli- 
cabili ali’ uomo anche nello stato più barbaro e. più rozzo in 
cui sia dato d’ immaginarlo: ma il meschino sviluppo a cui pos- 


T. I Febbraio. 6 


42 
son giungere in questo stato le sue facoltà , restringendo estre- 
mamente la sfera delle sue idee, non gli permette di riconoscer 
piacere che nella soddisfazione dei più materiali dei suvi bisogni, 
e dolore in ciò che lo contraria o impedisce» L’ idea che egli si 
forma della felicità , componendosi di sì limitati elementi, non 
è certamente conforme a ciò che esige la dignità della sua natu- 
ra. ma è nullameno l’unico mobile delle sue azioni. Se noi con- 
sideriamo lo sviluppo di questa tendenza nell’ individuo, avremo 
la storia ipotetica dell’ origine della morale ; se la consideriamo 
nella società, quella della legislazione. È ben difficile seguire in 
questi principj i progressi debolissimi del perfezionamento indi- 
viduale e sociale: un .cieco istinto deve allora tener luogo di 
morale , e di leggi. Se per appoggiare queste congetture, noi 
consultiamo le istorie dei popoli selvaggi, potremo facilmente 
convincerci quanto lento debba essere stato il cammino per cui 
i popoli si sono inalzati all’ incivilimento. Ognuno in questo stato 
si limita alla semplice soddisfazione dei suoi particolari bisogni. 
Ma fra questi uno ve n'è che con dolce forza agitando il cuore 
dell’ uomo , lo riempie di emozioni ancor confuse e Indistinte, 
ma non per questo meno soavi e possenti. L’associazion neces- 
saria per la riproduzione è stata l’ aurora dei sentimenti morali. 
La donna che avea concepito nel suo seno un fanciullo , che 
cresciuto lo avea del suo sangue , e che pendente lo mirava dalle 
sue mammelle, dovè la prima gustare un piacere meno materiale 
e più puro. Dietro questa osservazione si può concepire quali fu- 
ronv le gradazioni per cui questo eccentrico sentimento si estese, 
e strinse i lacci delle primitive società. 

Originariamente la voce di un capo di famiglia, amato e 
rispettato ; era quella che mostrava il sentiero della felicità a 
tutti i suoi membri. Ma complicatesi le società , e mille contrarj 
interessi essendo in urto continuo; fu necessario che la ten- 
denza dell’ individuo alla felicità ricevesse una tal direzione, 
da non. poter nuocere, anzi da giovare alla felicità universale. 
Allora sorsero i legislatori, che formarono delle combinazioni 
politiche, più o meno felici. 

Dovendo riguardar la morale e la legislazione sotto l’aspetto 
pratico ; troveremmo degli utili consigli e delle ammirabili isti- 
tuzioni presso gli Egiziani; ma riguardandole come scienze , e 
volendone investigare l'origine, dobbiamo rivolgerci al. felice 
surolo di Grecia. Non è del mio soggetto |’ investigare le favore- 
voli circostanze che dettero un sì prodigioso slancio allo spirito 


45 
umano in questa terra di meraviglie. I suoi saggi si smarrirono, 
è vero ; nell’ immensità del piano troppo vasto che aveano ab- 
bracciato $ ma 1’ ardire dei loro concepimenti ; se bene spesso gli 
sollevò fralle nubi, svelò pur loro talvolta i misteri della natura. 
È nel sistema di Pittagora che esiste il germe della sublime 
scoperta di Newton sulle immutabili leggi, e sull’ organizzazione 
de’ mondi. | 

Pittagora raccolse nei suoi viaggi, e scoprì colle sue medita- 
zioni delle massime utilissime al conseguimento della felicità. Su- 
crate , il cui nome ispira una sorta di venerazion religiosa , dopo 
aver reso importantissimi servigi alla filosofia dello spirito umano 
coll’uso salutare e ragionato di un filosofico dubbio, e circoseriven— 
do i limiti delle scienze, divenne l’ammirazione della posterità pei 
suoi morali consigli, e forse travide la base della scienza, di cui 
sarebbe il fondatore , se non fosse caduto immatura vittima della 
calunnia e della superstizione. Platone fu 1’ interprete eloquente 
delle massime del suo maestro , mentre le scienze politiche vanta- 
vano frai loro cultori dei modelli di virtù , e di saggezza , e le re- 
pubbliche Greche offrivan l’esempio di quasi tutte le istituzioni, 
di cui si vanta il moderno incivilimento. Il nome di Aristotele, 
che fu per lungo tempo un’ autorità in ogni genere di scienze , 
rammenta un sagace ed instancabile osservatore degli arcani 
dell’ universo; ma egli non portò nelle ricerche morali e politi- 
che nè quell’ esattezza nè quella saggia risorsa che caratteriz- 
zano la sua ammirabile istoria degli animali , ed abbandonò per 
dei principj ipotetici quello spirito di osservazione che sembrava 
dover’ essere 1° unica guida di una ragione sì illuminata. 

Gli Stoici fecero consister la virtù, e la felicità nella imsen- 
sibilità al piacere e al dolore . e vollero così estinguer nell'uomo 
il germe delle passioni, in luogo di dar ad esse un’ utile dire- 
zione. Assurdo principio ; e che è in aperta contradizione colle 
leggi della natura, Epicuro dall’ altra parte ripose la felicità nel 
godimento del piacere, e nell’ assenza del dolore. La virtù, se- 
condo questo filosufo , consiste a seguire le inclinazioni naturali, 
ma sapendole purificare e dirigere. Questa dottrina, che, nella 
sua origine , abbracciando setto il nome generico di piacere tutti 
i godimenti non meno morali che fisici era tanto pura quanto 
vera, fu in seguito ‘oppressa di tutto il peso del disprezzo che 
meritavano le aberrazioni degli uomini voluttuosi e corrotti che 
l’ abbracciarono e la depravarono. Gassendi ha dimostrato ciò 
ad evidenza, ed il Cav. Bozzelli ha sviluppato ai nostri giorni 
con raro ingegno questo sistema , della cui purezza anche i più 


4 


schivi han dovuto convenire. Nel seno di questa filosofia ha avuto 
origine la murale come scienza , cioè riguardata come un com- 
plesso di conseguenze ben dedotte da un unico fatto primitivo 
incontrastabile (1). La scienza della legislazione non ne fu che 
una vasta applicazione. 

È inutile segnir le scienze morali nella capitale dell'Egitto dove 
si refugiarono , quando la Grecia perdè dopo lunghe tempeste 
la sua libertà. Esse vi furon coltivate con entusiasmo ; ma pochi 
progressi potean fare frai sogni del neo-platonismo , che giunse 
in quest’ epoca negli seritti di Plotino al più alto grado di esal- 
tazione. Dei Romani non parlo giacchè come ha giustamente os- 
servato il Marchese di Condorcet , essi nelle discipline filosofiche 
non hanno fatto che riprodurre sotto eleganti forme i sistemi dei 
Greci. 

La dolce, sublime , e tolerante morale evangelica esercitò 
fin dall’ origine del Cristianesimo la più favorevole influenza 
sulla pratica della virtù. 

Sorvoliamo la lunga epoca del medio evo e veniamo là dove 
ci richiamano le illustri meditazioni di Bacone da Verulamio sul 
principio fondamentale di tutte le scienze. La morale, e la le- 
gislazione sono state dell’ultime a valersene: ma la sua applica- 
zione sarà relativamente ad esse non meno feconda. 

Fondare una logica delle scienze morali e. politiche; è un 
benefizio che queste reclamano dagli ingegni del nostro secolo : 
e ciò altro non è che determinare analiticamente il loro soggetto 
ossiano i fatti dei quali devono occuparsi ; il loro punto di par- 
lenza , o sia quel punto , in cui sì connettono colla filosofia; ed 
in ultimo il fine a cui tendono. 

Qual è il soggetto delle scienze morali e politiche? Le 
azioni dell’uomo: ecco l’unica materia di cui debbono occu- 
parsi, ecco la sfera, dentro cui debbon limitarsi le loro ricerche. 
L'azione è sempre la conseguenza di un desiderio , essa ne è, 
per così dire, il compimento. L’ io che agisce , ha detto energi- 


(1) È indubitabile che la scienza dell’ uomo morale , ha per unica base i 
fenomeni , di cui esso è il soggetto, come un’ essere capace di impressioni pia- 
cevoli o dolorose. Non è per questo che debbano essere eliminati i fenomeni 
che può presentare una trascendentale filosofia: molti. di essi. son riguardati 
come avverati dai migliori ingegni del nostro secolo , e non; si tratta che di 
conciliarli coi dati di un’ immediata esperienza. Il sistema di Bozzelli è sicu- 
ramente incompleto, ma non è per questo che la sua base non sia riguardata 
come inconeussa , anche da quelli che professano più esclusivamante 1’ ideali- 
smo Alemanno. 


ti) 


45 
camente il sig. Bozzelli, non è che una proiezione impetuosa 
dell'io che sente. Si vede qui lo stretto legame , che unisce 
i nostri sentimenti e le nostre azioni: una indipendenza reci- 
proca non è neppur concepibile. Il desiderio è uno dei fenomeni 
primitivi che presenta l’ osservazione dello spirito umano ; ma 
ha questo di particolare , che noi siamo sempre felici od in- 
felici per esso. Si vede da ciò su qual semplicità di principii si 
posson fondare le scienze che ci occupano. Esse non sono che il 
commentario , lo sviluppo progressivo di un sol fatto inconte- 
stabile della nostra sensibilità. Noi nasciamo sensibili, ha detto 
un eloquente scrittore ; e sino dalla nascita noi siamo affetti iu 
diversa maniera dagli oggetti che ci circondano. Subito che noi 
abbiamo ; per così dire , la coscienza delle nostre sensazioni; noi 
siamo disposti a ricercare o a fuggire gli oggetti che le pro- 
ducono. Questa verità che è il resultato di un’ esperienza in- 
negabile , svela ai nostri occhi l’origine delle nostre azioni. Sa- 
rebbe affatto estraneo alle nostre ricerche il fermar l’ attenzione 
sulla causa delle misteriose forze che danno questo slancio ec- 
centrico all’ umano individuo: ma interessa però moltissimo il 
penetrare l’indole e la natura dell’influenza che esse esercitano 
sulle azioni, onde potere imprimere a queste la direzione uti- 
le alla privata e pubblica felicità, unico sublime scopo delle 
scienze morali e politiche. Quale , prima di tutto , il momento 
in cui l’anima umana , liberandosi dai lacci di modificazioni af- 
fatto passive, comincia a reagire su queste modificazioni mede- 
sime, ed acquista in tal guisa un carattere di attività? Il sig. 
Bozzelli ha chiaramente mostrato che questo è il primo istante 
in cui un raggio di piacere comincia a risplender per lei. Dol- 
cemente allettata da questa deliziosa impressione , ella si slancia 
nella sua propria modificazione, e si sforza di concentrarsi , e 
direi quasi di perdersi in essa. Questo fenomeno , la cui osser- 
zione non può essere sfuggita nemmeno al più limitato fragli 
umani intelletti , costituisce il desiderio , la volontà. La semplice 
impressione del piacere costantemente ripetuta, basta a ridestare 
sotto l’ influenza delle stesse cause, l’attività del sistema ner- 
voso, da cui rifluisce nel muscolare , e fà dispiegare a. quest’ul- 
timo l’ammirabili funzioni a cui fu destinato. Di questi mezzi 
si serve la volontà per operare al di fuori. 

Essendo, come abbiam veduto, il principio delle azioni umane 
la prospettiva di una sensazione o di un sentimento piacevole , per 
determinare una classazione di queste azioni , bisognerebbe desu- 
merla dalla varia indole delle impressioni piacevoli, e degli oggetti 


406 
che posson produrle. Molti sono i modi con cui può esser piacevol- 
mente affetta la nostra sensibilità ; e questi costituiscono i vari 
gradi di una scala progressiva , che dall’ infimo dei piaceri del 
corpo, s inalza fino al più puro e sublime di quei dello spirito. 
Enumerara distintamente le varie specie delle sensazioni piacevoli 
sarebbe impossibile impresa : onde dobbiamo limitarci ad osser- 
vare che la volontà si determina sempre per quel piacere che 
presenta un maggior grado d’ intensità , e che nel calcolo di que- 
sta intensità si dee tener conto non solo della natura del pia- 
cere, ma di tutte eziandio le circostanze di tempo e di luogo 
che lo accompagnano. 

Prima di progredir più oltre una questione ci arresta, che 
merita di essere esaminata e discussa. Il moralista ed il legi- 
slatore, debbono essi riguardar le azioni degli uomini sotto il 
medesimo punto di vista ? La morale , e la legislazione debbono 
esse poggiare sulla medesima base ? Malgrado le parziali diffe- 
renze che posson servire a tirare una linea di demarcazione 
fra questi due rami di scienze , tutte le riflessioni che si pre- 
sentano allo spirito di chi medita senza prevenzione questo pro= 
blema , portano all’ affermativa. Compire i destini dell’uomo in- 
dividuale e sociale ; altro non.è che guidarlo a norma di quelle 
leggi eterne a cui l’autore della natura ha subordinato la di 
lui felicità. Lo stesso codice sublime emanato dall’ universale giu- 
stizia, che s’ invoca nella morale individuale , deve reggere an- 
cora le società : morale e legislazione non devon esser che lo 
sviluppo di uno stesso principio diversamente modificato. Nè le 
voluminose compilazioni di Grozio, e di Puffendorf, nè le cru- 
deli ironie di Machiavelli , nè la repubblicana severità di Bo- 
dino , nè l’ equivoca politica di Amelot de la Houssaye han dato 
invariabilmente la morale per base alla legislazione. Lo scopo 
di queste due scienze è la felicità del genere umano, ed esse 
debbono inseparabilmente cospirare a questo nobil fine. Vari il- 
lustri scrittori del nostro secolo hanno abbracciato questo prin- 
cipio con entusiasmo , e lo hanno sviluppato e difeso con 
eloquenza. 

Ritornando adesso alla classazione delle azioni umane, per 
circoscrivere i limiti entro cui si restringe il dominio delle 
scienze morali e politiche, e così fissare la loro individualità , 
noi distingueremo quelle che contribuiscono al ben essere ed 
alla felicità sì dell’ uomo in particolare che della società in 
generale da quelle che vi oppongono o direttamente o indiret- 
tamente un ostacolo. Nulla di più comune di questa osservazione: 


47: 

ma è appunto sui fatti più comuni e più cogniti che dee ba- 
sarsi una scienza. Tutto ciò che contribuisce all’ incremento e 
allo sviluppo della felicità dell’individuo e della società , è , 
moralmente e politicamente parlando , un bene; è un male tutto 
ciò che lo sospende v l’ arresta. Quando iv parlo di felicità in- 
dividuale , comprendo fra i suoi elementi tutti gli utili resultati 
a cui può condurre il ben diretto esercizio di quelle facoltà di 
cui l’uomo fu dotato dall’Autore della natura: quando io parlo 
di felicità sociale , io intendo quella sicurezza ;, quella calma, 
quella tranquillità, che regna necessariamente in una nazione, 
in cui ciascuno individuo sa di non poter trovare alcun ostacolo 
al conseguimento di ciò che può contribuire al suo perfeziona- 
mento sì fisico che morale, quando egli usi dei necessari sforzi 
per conseguirlo. Il moralista non deve, nel mio concetto , che 
insegnare agli uomini a ben usare dei piaceri di cui sì il loro 
corpo che il loro spirito è suscettibile, ed a preservarsi dai ne- 
mici assalti del dolore. Qui consiste tutta la scienza della feli- 
cità. Il legislatore d’ altronde non è, a mio senso, che l’inter- 
prete dei bisogni d° un popolo, dei quali le leggi son 1’ espres- 
sione ; esse non hanno altro scopo che di regolare in modo le 
relazioni da individuo a individuo, che niuno possa impedire 
all’ altro di sviluppare tutti i mezzi di cui è stato fornito per 
giungere alla felicità. In ciò consiste la scienza della legisla- 
zione. 

Il punto di partenza delle scienze di cui ci occupiamo , è 
evidentemente il fenomeno del desiderio , che per una parte si 
connette allo studio dell’ uomo intellettuale, mentre per l’altra 
è la base fondamentale dei fenomeni dell’uomo morale. L’istoria 
dell’uomo come dotato di volontà, non è che l’istoria dei suoi 
desideri , e delle modificazioni che essi subiscono tanto in loro 
stessi che nel loro effetto, cinè nell’ azione. 

Dacchè uno studio più profondo e accurato. dell’ umano 
intelletto ci ha insegnato a classar con ordine le nostre idee , e 
a dare al linguaggio precisione e chiarezza ; dacchè tutte le 
scienze esercitando le une sull’ altre una salutare influenza , si 
son prestate dei mutui soccorsi, si è conosciuta la necessità di 
porre tutti i principii delle scienze a contatto colla filosofia } o 
per meglio dire di identificargli con qualcuno dei fenomeni pri- 
mitivi che offre lo studio delle facoltà di cui fummo dotati. 
Fissato una volta il carattere della verità e dell’ errore, fu 
facile il conoscere le cause di tutte le aberrazioni dello spirito 
umano, ponendole a confronto con questo tipo primitivo. Non 


48 
son lontani quei tempi in cui i migliori ingegni davan per base 
ad un sistema una supposizione arbitraria, 0 anche apertamente 
falsa, per trarne delle conseguenze che davano ' per indubitate: 
Mi basti il citarne un illustre esempio nel contratto sociale del 
filosofo Ginevrino. Questo falso metodo ha dato luogo ad un’as- 
senza di incontestabili dottrine e di opinioni avverate, che si 
è fatta più che altro sentire. nelle scienze morali e politiche. 
Spettava ai principii della filosofia. esperimentale di rifondarle 
sopra le basi dell’ osservazione. Questa ha mostrato nel fenomeno 
del desiderio il laccio che indissolubilmente le stringe ai feno- 
meni dell’ uomo intellettuale. 

Ciò premesso, noi dobbiamo svolgere i volumi della storia } 
e giovarci delle giornaliere esperienze , per descrivere accurata- 
mente quei fatti. che hanno avuto una speciale influenza sì in 
bene che in male sul destino degli uomini e delle società. 
Colla scorta dei principii già da noi stabiliti, noi dovremo riguar- 
dare , sì nelle opinioni degli uomini che nel naturale andamento 
delle cose, come giusto, ed utile tutto ciò che aiuta a pervenire 
al suo scopo lo sforzo di quelle facoltà., che l’uomo ha ricevuto 
dalla natura per giungere alla felicità ;. come ingiusto e dan- 
noso tutto ciò che lo limita, o lo devia. Il filosofo che si occupa 
delle scienze morali e politiche. non .deve che mostrare gli 
utili , e i funesti resultati delle varie azioni dell’uomo; e quelle 
leggi costanti per cui un tale effetto da una tal causa necessa- 
riamente deriva: deve quindi attendere tranquillamente 1’ esito 
delle sue scoperte , persuadendosi ‘che. tanto, gli ‘individui che i 
popoli non posson esser lungamente. traditi! da quell’ istinto che 
gli guida alla felicità, e che a questo slancio impetuoso dovranno 
cedere. tutti. gli ostacoli che in qualunque; modo gli sorgon.con- 
tro. Così si troverà un senso nascoso ai memorabili eventi. che 
racconta la storia politica del genere umano; e si raccoglieranno 
i documenti per la sua istoria morale, che è ancor nella in- 
fanzia ; e che per esser più modesta non sarà già men utile. 

L’ ultimo, ma il più brillante e fecondo punto di vista , 
sotto cui riguardar si debbono le scienze morali e politiche , è 
quello del loro scopo. La felicità del genere umano! qual su- 
blime oggetto, per la meditazion' di un filosofo! qual sorgente 
inesaurabile per le ispirazioni dell’ eloquenza! Ma quanto non 
vi è nel tempo istesso di vago , d’indeterminato ; d’incerto nel- 
l’idea che ci formiamo di questa felicità! ciascuno la compone 
degli elementi più diversi; e dietro i confusi pensieri che ne 
derivano , ciascuno si determiua sulla scelta dei mezzi. Di qui 


49 
tutti i paradossi , e i falsi sistemi che hanno sì lungamente in- 
ceppato i liberi progressi dello spirito umano. É impossibile il 
calcolare la relativa influenza di tutte le deviazioni intellettuali 
e morali delle umane facoltà : un lungo studio ed un’esatta os- 
servazione posson soli metterci in grado di colpirne i resultati, 
onde correggerli nelle lor cause. Bisogna esaminare ed attenta- 
mente studiare tutti i bisogni degli uomini, per conoscere e 
fare agire quei mezzi che posson condurli a soddisfargli. La sim- 
patia , immediata resultanza della conformità d’ organizzazione, 
come Herder la chiama, non è nell’ uomo che 1 espression di 
un bisogno. Se lo slancio di questa dolce forza è violentemente 
compresso , essa prenderà certamente delle false direzioni, e si 
segnalerà con delle devastazioni e delle rovine. Non vi è in ciò 
che una reazione inevitabile. Ma che essa segua il naturale suo 
corso, che trovi un dolce sfogo in una pura affezione, essa si 
svilupperà nel seno di una famiglia, a cui sorrideranno insepa- 
rabili la felicità e la virtù. 

I bisogni si accrescono colle abitudini, le abitudini col pro- 
gressivo andamento della umana civiltà, ed i mezzi di cui la 
natura ci ha dotati si tecondano e si sviluppano anch’essi. Ma 
molte sono le cause sotto la cui influenza nascono questi fe- 
nomevi; e dell’azione di ognuna di queste dee tener conto chi 
vuole analiticamente occuparsi della scienza dell’ uomo morale 
e politico. Il vizio fondamentale di tutti i sistemi » è quello di 
voler riguardare come dipendente da una sola causa ciò che da 
molte e varie cause deriva. Allorchè Montesquieu riguardò il 
dispotismo come una conseguenza inevitabile dei climi caldi, volle 
troppo generalizzare un’idea, che era giusta nel suo principio, 
ma che non avea sul fenomeno che egli osservava l’altissimo grado 
d’influenza che da esso gli si voleva attribuire. 

Dal finquì detto chiaramente rilevasi che 1’ unica sorgente 
dei fatti primitivi che deve formar la base delle scienze morali, 
è lo studio dell’uomo considerato come un essere dotato di vo- 
lontà. Un’ analitica istoria dell’ umana volontà deve adunque 
formare tutta la teoria di queste scienze, Decomporre nei suoi 
primitivi elementi questa misteriosa facoltà mediante un? esatta 
osservazione dei fatti principali che essa offre sì nella sua ori- 
gine che nel sno sviluppo, è 1’ unico mezzo per far conoscere 
il vuoto degli arbitrarii sistemi, e porre le scienze che più in- 
teressano l’ umana felicità in rapporto colle leggi invariabili 
della natura. 


T. I. Febbraio. 7 


50 

Ma quì mi arresto , perchè una analisi più particolarizzata , 
e l’ applicazione de’ principii che ne risultassero mi farebbero ec- 
cedere i limiti che son prescritti ad un articolo di giornale (2). 
Lo stato attuale delle italiane lettere richiama a studii di simil 
genere l’ ingegnosa gioventù , che è la trepida speranza della cara 
nostra patria. Se, giovinetto io pure , mi slancio in questo nobile 
ma faticoso e difficile arringo , è solo perchè l’amore ch'io nutro 
per le scienze e per l’ umanità , supera in me il giusto timore 
che dee ispirarmi la meschinità dei miei talenti. 

G. BERTOLLI. 


(2) L’ autore di quest’ articolo si occupa attualmente dello sviluppo di que- 
sto utilissimo e fecondo soggetto : egli desidererebbe peraltro vivamente che 
alcuno dei profondi ingegni italiani che onorano il nostro secolo , facesse della 
filosofia delle scienze morali lo scopo delle sue meditazioni, e ne presentasse i 
resultati in. un’ opera che sarebbe di generale utilità. 


Cenni istorici sull’ origine della stampa e sull’ artefice che pri- 
mo fece uso di caratteri sciolti e fusi. 


Arr. II (*). 


Si è creduto da molti che le opere al Koster attribuite non 
appartengano veramente a questo artefice, ma sieno state eseguite 
in diverse città dei Paesi Bassi verso la fine del XV.° secolo, e che 
tutto ciò che intorno ad esso si è detto sia una favola inventata sul 
finire del secolo XVI.° da alcuni letterati Olandesi,, che si accusano 
di aver voluto attribuire al paese loro la gloria dell’invenzione 
della stampa, spogliandone i conosciutissimi artisti di Magonza, 
Guttemberg , Fust, e Schoeffer. 

Esaminiamo ciascuna di queste proposizioni partitamente. Ve- 
diamo in primo luogo quali sono le prove che si adducono per 
stabilire che le opere attribuite al Koster son lavori di artisti dei 
Paesi Bassi, eseguiti sul finir del secolo XV.°: in secondo luogo 
vediamo se ciò che del Koster si è detto sia veramente una fa- 
vola inventata dai letterati Olandesi del secolo XVl1.° per spoglia- 
re i celebri artisti di Magonza della gloria che la tradizione di 
vari secoli ha ad essi accordata : in terzo luogo vediamo se con 


(*) Vedi fascicolo precedente pag. 27. 


Bier. 
ciò che si è detto venga di fatto ad essi rapita la loro parte 
di gloria. 

L’ autore dell’articolo sopra Koster, inserito nella Biografia 
Universale stampata da Michaud, asserisce che le opere attribuite 
a quell’artefice, sebbene tutte senza data di luogo e di tempo, e sen- 
za nome di stampatore , sono certamente uscite verso il 1473 dalla 
Tipogratia di Niccola Kaetelaer, e di Gerardo de Leempt stampa- 
tori a Utrecht. 4 

Tutto il motivo di tal certezza è così espresso dall’ autore 
dell’ articolo “ Plusieurs ouvrages sortis des mèémes prèsses en sont 
s, la preuve. ,, 

Avremmo desiderato che le ragioni della certezza di un fatto di 
tanto interesse per l’ istoria di una delle più utili fra le moderne 
scoperte, fossero espresse in modo non tanto laconico. Ha egli in- 
teso l’autore dell’articolo d’indicar con quella frase che la certezza 
di cui parla l’ha desunta dalla somiglianza che vi è tra le altre opere 
pubblicate dagli indicati stampatori e quelle del Koster ? Ma quali 
sono queste opere ? _D’ altronde pare a noi che la somiglianza in 
questa specie di produzioni potrebbe tutto al più somministrare 
mna presunzione , una congettura più o meno grave, mai una 
certezza. Infatti chi sa che quella somiglianza che l’autore del- 
l’ articolo ha ravvisata tra le opere attribuite al Koster , e quelle 
di Ketelaer, non s’incontri con le opere dei tanti altri stampatori 
che nell’ epoca da esso indicata , cioè nel 1473 si erano stabiliti 
in Germania , in Francia, in Italia, e in Inghilterra. (1). Vi è di 
più: fra le opere pubblicate da Ketelear e Leempt una sola, per 
quanto sappiamo, ve ne ha che porta il loro nome, ed è la Sco- 


(1) Nel 1471 il celebre Guglielmo Caxton Inglese avea terminato di stam- 
pare a Colonia il libro intitolato Raccolta delle Istorie di Troja di Raoul 
Lefevre , e poco dopo stabiliva nell’ Abbadia di Westminster la sua stamperia, 
dalla quale usciva nel 1474 il giuoco degli Scacc hi moralizzato , e già erano 
altre stamperie state erette in altri Conventi dell’ Inghilterra. Ulrico Gering , 
Grantz , e Friburger, al dire del Fournier nel trattato della Tipografia , inco- 
minciavano a stampare in Parigi nel 170. In Subiaco nel 1465 pubblicavasi il 
Lattanzio notissimo ed il Donato. Il Decor Puellarum stampato a Venezia da 
Niccola Ienson porta la data del 1461; e sebbene generalmente si pretenda che 
quella data è erronea, e che dee leggersi invece 1471; pure gli argomenti ad- 
dotti sin’ ora non sembran tali da dimostrar per necesse quell’errore , il che si 
richiederebbe per variar la data che vi si legge. In Roma nel 1469, in Aede de 
Maximis, si stampavano bellissime edizioni di classici. In Napoli Sisto Ruessinger 
nel 1471 pubblicava le lezioni del card. Francesco Zaberella sulle Clementine, 
e in Firenze nel 1472 stampavasi il bellissimo Servio di cui si conserva un esem- 
plare nella Magliabechiana. 


5a 
lastica Historia super novum testamentum del Comestore: le altre 
come l’Historia ecclesiastica d’Eusebio , l’Alerandri Magni liber 
de preliis , e le opere di Tommaso a Kempis sono a quei tipografi 
attribuite solo per la somiglianza loro con la precedente. Ora 
l’ autor dell’ articolo avrà certamente confrontato le opere attri- 
buite al Koster con un esemplare dell’ Historia Scolastica , per- 
chè se il confronto fosse da lui stato istituito sopra le altre che si 
presumono del Ketelaer, si procederebbe d’induzione in induzione. 
Di ciò avremmo desiderato d’ essere informati onde passasse nel- 
l’animo nostro quella certezza che sembra fosse nel suo , e della 
quale sentiamo tanto più il bisogno, in quanto che non possiamo 
dissimulare che a noi contro il suo assunto, e contro quello 
di vari altri come l’Heinecken , e il de Laserna Santander , che 
hanno attribuite le opere sopra rammentate , chi ad uno, chi 
ad un altro tipografo stabilito ne’ Paesi Bassi sul finir del seco- 
lo XV.°: fà una qualche impressione il seguente riflesso. 

Quasi tutti coloro, che come 1’ estensore dell’ articolo trat- 
tano di favoloso ciò che narrasi intorno a Lorenzo Koster, so- 
stengono pure che il vero ed unico inventor della stampa 
sia Giovanni Gensfleiche de Sulzeloch, comunemente detto 
Guttemberg , che prima occultamente in Strasburgo verso 
il 1438. poi in Magonza in società con Fust verso il 1450. 
dicono avere inventata e perfezionata l’ arte della stampa, 
di cui fù prima produzione la Bibbia latina finita di stampare 
verso il 1455. Concordano essi che da questa officina, passata 
in Fust e Schoeffer, uscì nel 1457 il famoso Saltero che per- 
ta il nome de’ due indicati tipografi, ed altri libri che fecero 
maravigliare l’ Europa , e che formano anche oggi l’ ammirazione 
degl’ intendenti. Nel 27 Ottobre 1462, due mesi dopo la pubbli- 
cazione dell’ altra famosa Bibbia latina detta delle 48 linee, Ma- 
gonza essendo stata presa per strattagemma da Adolfo di Nassau, 
che sostenuto dal Papa e dall’ Imperatore ne divenne Arcivescovo 
ed Elettore contro il voto del Capitolo, i lavoranti dell’ officina 
suddetta si dispersero , e si stabilirono in altre parti d’ Europa, 
ove ben presto fondarono tipografie che si moltiplicàrono con una 
rap.dità prodigiosa , giacchè nella sola Francia sul fitir del se- 
colo XV.° al dire del citato Fournier, se ne contavano già erette 
in 24 delle principali città, che nomina una ad una, e fra queste 
ei non omette quella di Lione condotta da Bartolommeo Bayer sino 
dal 1473. 

Ora se il solo inventore e perfezionatore dell’arte tipo- 
grafica fu Guttemberg ; se ad esso si unirono poi Fust e Schoeffer 


53 

che la condussero ad un grado di perfezione che in qualche 
parte si è cercato invano di superare successivamente ; se da 
questa scuola sono usciti tutti gli altri tipografi, come mai 
nel 1473 dall’ officina di quello che si era stabilito in Utrecht, 
non poi tanto lontana da Magonza , e posta anch’essa sulla riva 
del Reno il che facilitava tra loro le comunicazioni, si sono eglino 
potuti pubblicar libri come quelli attribuiti al Koster, che por- 
tano i segni della rozzezza, e della infanzia dell’arte da noi 
sopra accennati ? 

Faremo riflettere quì solamente che l’ingannarsi in tali cose 
non è difficile , poichè grande attenzione , e lungo e minuto esame 
si richiede per conoscere, i quali sono i difetti da attribuirsi all’im- 
perfezione dei metodi, quali quelli dipendenti dalla trascuratezza 
dell’ artefice. Ma quando se ne faccia un paziente ed accurato 
confronto si riconoscerà che vi è pur differenza tra i difetti di 
trascuratezza nell’ esecuzione di un opera tipografica stampata 
secondo i metodi già perfezionati, e idifetti che accompagnano 
i primi tentativi dell’arte, ed a quest’ ultima specie pare che 
appartengan quelli che s'incontrano nelle produzioni al Koster 
attribuite. 

Sl sig. Renoward nell’ opera che ha per titolo Catalogue de 
la Bibliotèque d’un amateur , alla pag. 152 del tomo 2.°, mentre 
concorda con l’estensore dell’ articolo sopra citato , specialmente 
su ciò che riguarda il Koster, non fa però dono al Ketelaer delle 
opere al Koster attribuite. Dopo aver tacciato anch’ esso di fa- 
voloso cio che si dice intorno ‘a quest’ ultimo , che dubita fino 
se sia mai esistito , soggiunge che non avrebbe trattenuto i suoi 
lettori della favola di Harlem se non avesse mezzo di combatterla 
con una di quelle prove positive che forzano la convinzione delle 
persone le più prevenute , di quelle medesime che non hanno po- 
tuto rimaner convinte da quella massa di prove negative che si 
sono sù spesso e sè vittoriosamente allegate. 

Leggendo queste frasi del sig. Renouard ho creduto che 
finalmente ogui mia incertezza andava a dileguarsi, e che il mio 
Spirito si sarebbe trovato del tutto appagato per la produzione 
di qualche monumento , la di cui autenticità e certezza toglierebbe 
ogni mio dubbio; per esempio uno Speculum di quelli attribuiti 
al Koster con una data, col nome dello stampatore, o con qualche 
altro segno indubitato della sua provenienza. Ma progredendo 
nella lettura di quell’ articolo ho dovuto convincermi della verità, 
iu questa circostanza, di quel detto di Sterne che /a locuzione 


54 
francese non attiene quanto promette (2), e mi sono trovato più 
di prima involto nelle preplessità, e nei dubbi. 

La prova positiva ed inoppugnabile della insussistenza di 
ciò che il sig. Renonard chiama la favola di Harlem, la desume 
egli da una raccolta d’ opuscoli da esso acquistata ; e contenente 
una operetta del cardinal Torquemada , e due altre di Pio II. Il 
sig. Renouard stabilisce, ed a ragione , che questo libro fu stam- 
pato posteriormente all’ epoca dell’ inalzamento di quel pontefice 
alla sede Romana. Congettura poi che lo sia stato dopo la morte di 
lui, e precisamente tra il 1466 e il 1470, appunto nell’epoca in cui 
Ulrico Zell, allievo di Fust e Schoeffer, stampava a Colonia la sua 
famosa Bulla Retractationum, uscita nel 1470. Congettura di più 
che questo libro mancante del nome dello stampatore e di qua- 
lunque indicazione del luogo ove fu pubblicato, sia stato impresso 
in Olanda, e da quello stesso artefice che ha pubblicato il 
Doctrinale Alerandri Galli, anch'esso senza indicaziune di luogo 
e di tempo, e senza nome di stampatore, e ciò per la somiglianza 
che ravvisa nei caratteri dell’ uno e dell’ altro. Ei congettura 
finalmente , sempre per una certa somiglianza che gli sembra esi- 
stere fra i caratteri del Doctrinale , e quelli dello Speculum, 
che questo, il Doctrinale , e il libro contenente gli opuscoli del 
Torquemada , e di Pio II, sieno usciti dalla stessa officina, e 
sieno della medesima epoca, cioè del 1470 circa. 

Non ci arresteremo ad osservare quanto questo proceder di con- 
gettura in congettura, d’ induzione in induzione, sia mal sicuro ; 
quanto lieve e fallace argomento sia una certa somiglianza nel 
prodotto di un arte meccanica per stabilire che è uscito da una 
officina piuttosto che da un altra, in una piuttosto che in un’al- 
tra epoca, mentre mancano materiali certi di confronto , e si 
tratta di un tempo così da noi lontano. 

Non ci tratterremo nemmeno a notare quanto questa incer- 
tezza e questa fallacia d’induzioni si accresca allorchè il con- 
fronto si istituisce non direttamente fra il libro che ha un prin- 
cipio di data certa, e quello che si vuol fare appartenere al- 
l’epoca stessa ed al medesimo artefice, ma si paragona il primo 
con un altro d’autore incerto , e d’ incerta data, per stabilir poi 
per una somiglianza che può esservi tra questo, e un terzo su 
cui si disputa, che questo terzo ha avuta l’ istessa origine del 
primo. 


(2) Viaggio sentimentale, cap. 31. 


55 

Nor insisteremo sulla necessità di conoscere di quale esem- 
plare dello Speculum si è servito il sig. Renouard per fare il suo 
confronto, essendo ormai dimostrato che di quell’ opera vi sono 
varie edizioni fatte in tempi assai distanti, ed in luoghi diversi, 
così che non tutti gli Speculum olandesi o latini che si trovano 
nelle biblioteche posson servir di mezzo di confronto. 

Non ci occuperemo a rilevare che lo stesso sig. Renoaard 
ravvisa una differenza tra i caratteri dello Speculum che egli ha 
veduto , e quelli del Doctrinale, differenza sulla quale si esprime 
così: Ce liore ( il Doctrinale ) est d’un caractère avrre que celui 
du Speculum, et un peu plus gros. Nè aggiungeremo che un’altra 
piccola differenza egli ha parimente ravvisata tra il Doctrinale 
e gli Opuscoli nuovamente trovati, differenza che crede derivare 
dall’ essere il carattere degli opuscoli più nuovo che quello del 
Doctrinale. 

Tutto ciò tralasceremo per prendere in esame quel che forma 
il più forte, anzi l’unico fondamento, della opinione del sig. 
Renouard, cioè quello che ei chiama Za data certa dei suoi opu- 
scoli, in forza della quale ei pretende di collocare le opere at- 
tribuite al Koster in un epoca posteriore alle produzioni le. più 
note della stamperia di Magonza, togliendo così al Koster 
ed all’ Olanda 1’ anteriorità dei tentativi, e la gloria della 
scoperta. 

Che la raccolta di opuscoli acquistata dal sig. Renouard sia 
stata stampata come ei suppone tra il 1466 , e il 1470 , è lungi 
dall’ esser certo. Certo è che fu stampata dopo l’inalzamento al 
pontificato di Pio II, cioè dopo il 1458. | 

Il motivo che il sig. Renouard adduce per collocar la pub- 
‘blicazione del detto libro circa dodici anni dopo è, come ei dice, 
che non può supporsi che li scritti del pontefice Pio II passas- 
sero sollecitamente i monti per esser tosto stampati in Fiandra, 
e in Olanda, tanto più che quelli opuscoli , e il resto di quel 
‘volume non è di grande importanza , onde pare ad esso più pro- 
babile che vi giungessero dopo la di lui morte avvenuta nel 1464. 
e qualche anno dopo , cioè verso il 1470. fossero stampati. 

Così ragionando ha egli il sig. Renouard creduto forse ehe 
quelle parole Pii secundi pontificis maximi tractatus importino 
che quelli opuscoli sieno stati da Enea Silvio composti dopo il 
suo innalzamento ? Se ciò fosse una tal supposizione ci parrebbe 
molto improbabile, atteso che durante il suo regno, distratto 
da gravissimi affari ai quali fu sempre con zelo e con ardore in- 


56 1 
credibile rivolto, avea quel Pontefice ben altro da fare che scri- 
vere il trattato de amore, le lodi di Omero, e la prefazione ai 
di lui poemi, che sono gli opuscoli contenuti nella raccolta. Nè 
perchè il suo nome giungesse in Germania vi era bisogno che 
fosse inalzato a tanta dignità. Enea Silvio Piccolomini, come let- 
terato, era già conosciuto nelle principali città dell’ Europa che 
aveva quasi tutta percorsa , incaricato di missioni importanti da 
vari Principi. 

Nulla dunque vi è che sforzi a fissar 1’ epoca della compo- 
sizione di quelli opuscoli dopo il 1458, e a collocarne la pubbli- 
cazione dopo il 1466. e chi la ponesse invece nel 1459. o nel 1460. 
avrebbe a favor suo le stesse ragioni che ha il sig. Renouard 
per collocarla verso il 1470. anzi l’assisterebbe a parer nostro un 
grado di verosimiglianza maggiore in quantochè è più verosimile 
che si pubblichino da uno stampatore le opere di un Sovrano 
mentre vive, che quando non è più, per la ragione semplicis- 
sima che è più utile far la corte a un Principe vivo che a uno 
morto. 

Ma anche trascurato ciò , se è vero, come lo attesta il Sig. 
Renounard, che questo libro, sebbene di una esecuzione un poco 
più perfetta dello Speculum olandese , e latino , pure gli somi- 
glia nei caratteri, la rozzezza che vi si deve riconoscere , e che 
ei di fatto vi ravvisa , suggerisce naturalmente di collocarlo in 
un epoca precedente a quella che ei gli ha assegnata, poichè 
quella rozzezza diviene tanto più naturale quanto più si ravvi- 
cina la data della stampa di quell’ opera al tempo in cui la ti- 
pografia era un segreto , e si allontana più da quello in cui dopo 
la presa di Magonza nel 1462, e la dispersione degli operai di 
Fust e Schoeffer , l’ arte tipografica si sparse per tutta Europa. 

Ora se il natural criterio suggerisce di collocarla nell’ epoca 
da noi indicata, cioè verso il 1460. perchè non potrebbe essere 
uscita dall’ officina degli eredi del Koster ; o da quella di Federigo 
Corcelles, che secondo l’ anonimo autore del MS. appartennto a 
Lambeth, e riferito dall’Akins nell’ appendice 92. tra il 1454. e 
il 1459. rubò loro i caratteri ; o da quella del lavorante che prima, 
cioè verso il 1439. aveva involato al Koster il materiale di ciò che 
formava il più importante della sua scoperta; o da quella di- 
retta forse dal Guttemberg fino al 1444 in Strabsurgo, dove se- 
condo che da alcuni si pretende, sino dal 1436. avea formato con 
Andrea Dryzehen ed altri una società per tutte le sue arti e se- 
greti aventi del maraviglioso, fra i quali si è creduto che al mo= 


97 
mento in cui la società si sciolse , cioè nel 1439, vi fosse anche 
il tentativo d’imprimere, col mezzo di un torchio di uuvva forma, 
opere non si sa bene se Xilografiche , o di altro genere ? (3) 


(3) Questa opinione è fondata sulle deposizioni di alcuni testimoni sentiti 
nella causa agitatasi tra Guttemberg e gli eredi di Andrea Dryzehen suo socio. 
Trascriveremo queste deposizioni singolari quali sono state tradotte dal San- 
tander , e riferite dal Koning. 

1.° « Anne, femme de Jean Schultheis ouvrier en bois, deéclare que 
3 Laurent Beildeck vint un jour chez elle trouver Nicolas Dritzehen son 
3 Cousin , et lui dit: Mon cher Nicolas Dritzehen, André Dritzehen, d’heu- 
s» Teuse memoire, a laissé quatre pièces dans une presse, Guttemberg a prié de 
»» les òter, et. de les séparer, à fin qu’on ne puisse voir ce que c'est , car il 
37 veut que personne ne les voie ,,. 

2.' < Jean Schultheis déclare qu’après la mort d’André Dritzehen, Laurent 
s» Beildek étant venu trouver chez lui Nicolas Dritzehen frère du defant, lui 
»» avoit dit, André Dritzehen, notre frère d’ heureuse mémoire a laissè la-bas 
3» quatres pièces dans une presse ; Jean Guttemberg vous a prié de les en òter, 
»» et de les mettre séparement sur la presse; parce qu’alors on ne peut pas voir 
33 Ce que c'est. 

3.° « Conrad  Sahspach deéposa , que André Heilmamm vint un jour le 
trouver dans la rue Kremergasse , et lui dit: Mon cher Gonrad, André Drit- 
»3 zechen est mort, tu as fait la presse, et tu sais ce dont il s’ agit; vas 


INI 
v 


ss tirer les pieces de la presse , et décompose les, alors personne ne saura ce 
sx que c'est ,,. 
4.° « Laurent Beildeck déclare, que Jean Guttemberg l’ envoya un jour 

3» auprés de Nicolas Dritzehen après la mort de son frère André pour lui dire 
3, de ne montrer à personne la presse qu il avoit chez lui, ce que ce témoin 
»y fit aussi ; il le pria de plus, de se donner la peine d’aller è la presse pour en 
»» ouvrir les deux vis; qu’alors les pieces se sépareroient d’elles mèmes; qu?’ il 
56 n’auroit qu’ à les mettre au-dedans, ou-au-dessus de la presse, et que par 
3» ce moyen personne ne pourroît ni voir, ni déviner ,,. 

5.° « Antoine Heilmann déclare , qu'il savoit bien que Guttemberg avoit 
envoyé peu avant Noèl son domestique auprès des deux Andrè, pour cher- 
3, cher toutes les formes , et que là elles furent refondues sous ses yeux; parce 
3» qu'il y avoit des choses è corriger ; mais qu’apres la mort d’André ce temoin 
3» sachant que beaucoup de monde étoit curienx de voir la presse , Guttem- 
33 berg leur dit d’envoyer à la presse, qu'il craignoit qu’on ne là vit, il y en- 
3» VOya méme son domestique pour la décomposer ,,. 


“ 
. 


6.° « Jean Dunne orfèvre deéclare qu'il y avoit trois ans environ, que 
Guttemberg lui avoit fait gagner prés de cent florins, seulement pour ce’qui 
concerne. l’impression ;,» 


le 
ti 


“ 
in 


Tutto ciò è molto oscuro. e suscettibile di diverse interpetrazioni. Sem- 
bra. per’ altro. che quelle quattro pieces di cui parlano i testimoni non 
possan , esser quattro pagine composte di caratteri sciolti » per i tre  seguen- 
ti riflessi.  1.° Perchè è certo che i primi stampatori impressero una pagina 
alla volta, richiedendosi per l'impressione simultanea di più pagine gran quan- 
tità di lettere, \exmaggior perfezione di strumenti. 2.° Perchè l’ ordine dato da 


T. I. Febbraio. 8 


58 
Quest’ ultima congettura potrebbe poi apparire tanto più ve- 
rosimile in quanto che non è mancato chi sospettasse che egli o 


Guttemberg di separar le quattro pieces sembra indicare che esse formassero un 
tutto che bastasse dividere per impedire che si potesse  conoscer cosa fosse. 
3.° Perchè l’ ordine di metter Zes pieces sopra o sotto il torchio non poteva 
applicarsi alle pagine composte di caratteri sciolti , giacchè facile sarebbe stato 
vedendo i caratteri di conoscere a che dovean servire. Quello poi che si dice 
dal testimone Antonio Heilmann relativamente a tutte quelle forme da rifon- 
dersi perchè difettose, sembra aver rapporto ad altro, come ad altro sembra pure 
riferirsi il guadagno de’ 100 fior. che Gio. Dunne orefice dice avergli procu- 
: rato Guttemberg , solo perciò che riguardava l’impressione. Infatti cosa avea che 
far l’ orefice nella tipografia ? Non sarebbe egli più naturale supporre che si trat- 
tasse di mnielli, d’incisioni, o di fusioni d’oggetti d’ oro o d’argento, e 
anche di lavori di lamina di questi metalli medesimi eseguiti con stampiglie 
come anche oggi si usa ? Gli equivoci in queste materie non son rari. Noi' ci 
limiteremo a rammentar qui quello nel quale è caduto il De Roches (memoires 
de l’ Accademie de Bruxelles V. 1 p. 515-539) rilevato ‘dal Koning. Il De 
Roches avendo trovato in un privilegio del 1442 accordato alla Confraternita 
di S. Luca d’ Anversa, che quella compagnia era composta di ‘calligrafi ; di 
miniatori , di stampatori (Printers), di legatori ec. ha creduto che la parola 
Printers dovesse intendersi per stampatori di libri, dal che ha dedotto che la. 
stampa era nel 1442 così comune in Anversa che gli stampatori vi aveano già 
una confraternita. Il Koning appoggiandosi al fatto indubitato che la stampa è 
stata un segreto sino al 1457, ha creduto impossibile che 15 anni prima vi fossero 
in Anversa tanti stampatori da formarne una corporazione , ed ha opinato che li 
stampatori di cui parla il privilegio (se pure non vi fu errore nella trascrizione) 
sieno altro che stampatori di libri. Infatti egli ha verificato che gli stessi registri 
della confraternita di S. Luca del 1485 e 1486 contenevano dei nomi di per- 
sone di cui non si è mai vista alcuna opera, mentre al contrario li stampatori 
conosciuti che dal 1476 al 1500 molto lavorarono in Anversa, e di cui esistono 
molte opere, non vi sono nominati. Egli ha di più osservato, che secondo la 
Gronaca di Valdenaar del 1480 gli stampatori propriamente detti sono chiamati 
Boeckprinters ; cioè Stampatori di libri ; e finalmente ha rilevato dai libri della 
Tesoreria di Harlem che la parola Printers, usata sola, aveva un altra significa- 
zione che quella di stampatori di libri. Si trova in detti conti fra le altre cose 
accesa una partita di fiorini due d’impero per un ferro da stampare, o stampiglia, 
che i francesi chiamano fer a gauffrer, dal che egli deduce che ‘gli stampatori 
di cui parla il privilegio eran tutt’altro che stampatori di libri. 

Dimostrata con questo esempio la facilità di equivocare ; e ritornando al no- 
stro proposito , ciò che di certo resulta dai deposti sopra‘ trascritti si è; che 
verso il 1439. Guttemberg e Andrea Dritzehen si erano occupati di fabbricare 
uno strettoio con viti. L° uso poi di esso non si può in nessun modo rilevare , e 
siccome l’arte d’imprimere con tavole di legno era conosciuta molto tempo avanti, 
tutto al più potrebbe supporsi che si trattasse della stampa d’ opere xilografiche, 
giacchè nei deposti sopra riferiti nulla vi è di relativo:alla stampa con caratteri 
sciolti e fusi; dei quali Guttemberg non incominciò. a' far ‘(uso ‘che assai po- 
steriormente a detta epoca, secondo che attesta! Giovanni Schoeffer nel suo 


99 
fosse. complice, o apprendesse il segreto , e ricevesse i materiali 
appunto da quell’ operante che verso quell’ epoca avea rubato 
l'officina del Koster. Sappiamo di più che Guttemberg restò in 
Strasburgo fino circa al 1444. ed è di tutta verosimiglianza che 
trasferitosi a Magonza, prima d’intraprendere in società con Fust 
nel 1450. la stampa della più volte rammentata Bibbia latina, 
sì andasse esercitando nell’arte. di cui avea forse fatti i primi 
esperimenti in Strasburgo , e pubblicasse per saggio qualche ope- 
retta di piccol volume , appunto come è la raccolta degli opu- 
«scoli di cui parla il Renouard. 

Questa congettura poi verrebbe anche a coincidere coll’opi- 
nione dello stesso signore Renonard, che crede uscita dall’istessa 
officina la sua raccolta d’opuscoli, e il Doctrinale , tra le quali 
opere egli ravvisa tanta somiglianza di caratteri. Ora il Doctri- 
nale si attribuisce generalmente al Guttemberg ; e si crede stam- 
‘pato nel 1442 epoca nella quale era a Strasburgo. 

Qualunque però di queste , che noi volentieri chiamiam con- 
getture , si prescelga ; s' evita sempre tutta l’ inverosimiglianza 
che ha contro di sè l’ ipotesi del sig. Renouard, ogni difficoltà 
si rimuove, e tutto mirabilmente si concilia con l’opinione che al 
Koster attribuisce la scoperta ed i primi tentativi di quest’arte. 

Si evita l’ inverosimiglianza che nel 1470 ; e così otto anni 
dopo la pubblicazione in Magonza di varie opere tipografiche sor- 
prendenti per la loro perfezione, come il Saltero, e le due Bibbie, 
dopo la dispersione dei lavoranti che vi aveano avuto mano, e 
la diffusione dell’ arte, mentre in Roma , in Firenze ; e in Ve- 
nezia si erano stabilite celebri stamperie, in non molta distanza 
da Magonza , ove l’arte era stata prima che in ogni altro luogo 
‘portata al più alto segno, si sia potuto eseguire un opera della 
rozzezza di quella descritta dal sig. Renouard, di caratteri go- 
tici dei più informi che esistano nell’ antica tipografia, senza 


Livio pubblicato a Magonza nel 1505. Una circostanza poi che a rioi par degna 
d’osservazione si è, che secondo i deposti sopra trascritti lo strettoio di cui si trat- 
ta era in'casa di Dritzehen, non nell’ officina 0 nella casa di Guttemberg. Par 
dunque che le prove le. facesse il primo , piuttosto che il secondo ;. e questa .0s- 
servazione unita all’ altra di vedere Guttemberg vagante ora in un luogo , ora 
in un’ altro, associato ora con questo ora con quello, senza figurare mai come 
principale , induce un sospetto che egli abbia forse avuto minor parte nei ten- 
tativi del perfezionamento di quest’ arte di quello che generalmente gli si ; attri- 
buisce , e che sia stato uno di quelli uomini che più sanno indagare i segreti 
degli altri e profittar delle loro esperienze, che agire essi medesimi. 


60 


numerazione di carte, senza richiami (4), e senza registro (5). 

Tutto poi si concilia, perchè o si attribuisca la raccolta del 
Sig. Renouard agli eredi di Koster, o a Federico Corcelles , o a 
Guttemberg , cui par che per lo meno rivelasse il segreto e por- 
tasse parte dei materiali dell’ officina il lavorante infido del Ko- 
ster , la conseguenza sarà sempre la stessa, cioè che il Koster 
sia stato l'inventore dell’ arte, e che dalla sua officina sieno 
esciti i materiali ed il segreto che fece sorgere la tipografia di 
Magonza. 

La somiglianza poi della Raccolta col Doctrinale, e di que- 
sto con gli Speculum , e l’aria di famiglia, che ravvisa fra loro il 
Sig. Renonard, diviene anch’essa naturale, concorre mirabilmente 
a render questo concetto preferibile , e combina coll’osservazione 
fatta da altri nell’ esaminare questi antichi saggi della tipografia, 
(osservazione che è ripetuta dallo stesso Sig. Renouard) cioè che 
questi diversi monumenti provano un sistema di fabbricazione 
cattivissimo è vero, e poco avanzato , ma progressivo. La quale 
osservazione tanto è naturale se si assegni come noi opiniamo al- 
l’ incominciamento di questo sistema un epoca alquanto lontana 
da «quella in cui Guttemberg, Fust, e Schoeffer pubblicavano 
dei capi d’ opera dell’arte , e si ravvicini a quella nella quale il 
Koster cominciava verso il 1420. i suoi tentativi, altrettanto è 
inverosimile e contraria all’ andamento naturale delle cose, se 
quei rozzi tentativi d’ un’ arte nascente si voglian collocare dopo 
1’ epoca nella quale 1’ arte stessa già divulgata era stata condotta 
al suo più alto grado di splendore , e si voglia attribuirne la 
imperfezione all’ ignoranza dell’ artefice , ignoranza che non può 
ammettersi dopo il 1462. 

Il sin quì detto potrebbe sembrar sufficiente per stabilire 
che questo concetto è l’ unico ragionevole ed ammissibile. Noi 
però ci limiteremo a dire che sembra bastante ad escludere quella 
certezza luminosa, ed incontrastabile che il sig. Renouard ha 
creduto derivare dal documento tipografico da esso scoperto , e 
che lo indusse a tacciar di favola tutto ciò che è stato detto in- 
intorno al Koster. Vediamo ora se restate le cose nello stato in 
cui erano prima di tale scoperta, ciò che intorno a Lorenzo Ko- 


(4) Dicesi richiamo la parola che si pone in fondo a ciascuna pagina, e 
con la quale incomincia la pagina seguente. 

(5) Si chiamano registri le lettere progressive dell’ alfabeto che si pon- 
gono a basso di ciascun foglio di stampa. 


6: 
ster si è detto debba veramente considerarsi come una favola. 

È un fatto concordato dallo stesso sig. Renouard che tutti 
i più antichi saggi della tipografia sono stati rinvenuti in Olan- 
da , e ne’ Paesi Bassi. 

I quattro fogli del Doctrinale da esso posseduti gli ha tro- 
vati impastati in due vecchi libri venutigli da Bruxelles. 

La raccolta di opuscoli sopra rammentata gli è pervenuta 
dai Paesi Bassi. 

L’ esemplare dell’ Horarium in carta pecora riprodotto dal 
Meerman (Tav. I.*) e che vien considerato come il primo tenta- 
tivo fatto con caratteri mobili e fusi, fu trovato dal sig. En- 
schedè nel 1751. a Harlem fra alcune vecchie carte provenienti 
dall’antica famiglia Beresteyn, ed aveva servito di coperta ad 
un breviario in piccolo 8.° manoscritto con lettere olandesi del 
principio del secolo XV. 

Il frammento del Donatus in carta pecora , che conservasi 
nella casa del comune di Harlem , riprodotto pure dal Meerman 
(Tav. IJ.*) fu trovato nel 1740. dal sig. Enschedè nella legatura 
del Duytshen Psolter (Saltero olandese ) stampato nel 1498. a 
Delft, città distante da Harlem circa 29 miglia ; e quel saltero 
nell’ anno stesso 1740. era stato venduto fra gli altri libri della 
successione d’Isacco Van-der-Vinne libraio e ‘incisore a Harlem, 
discendente da un’ antica famiglia di quella città. 

Il frammento di un altro Donratus in carta pecora in 4.° evi- 
dentemente posteriore al precedente ; e stampato con le lettere 
stesse del secondo Speculum olandese e del secondo Speculum 
latino , frammento stato riprodotto dal Meerman (Tav. VI.*) fu 
trovato incollato nella parte interna del Registro delle spese della 
chiesa d’ Harlem per l’ anno 1474. dove era rimasto da quel- 
l’ epoca in poi. È notabile che la prima partita scritta in detto 
registro è così concepita. ‘ Dato a conto a Cornelis Legatore di li- 
bri fiorini 6 del Reno per legature ;,. Ora questo Cornelis, secondo 
Junius che scriveva poco dopo il 1560. fu scolaro di Koster. Fatta 
dopo questa scoperta qualche ricerca nelle legature e coperte dei 
registri medesimi vi si son trovate altre pagine dello stesso Do- 
nato , statevi impiegate certamente dallo stesso Cornelis. 

Certo è finalmente che il Meerman ha trovati in patria tutti 
i monumenti tipografici che descrive; e nella piccola città d’Har- 
lem se ne trovano più che nelle regie. biblioteche delle princi- 
pali città d' Europa. 

Le opere che il sig. Koning attribuisce al Koster, e che 
sono state enumerate di sopra, sono stampate in caratteri simil' 


62 


esattamente per la forma alle lettere usate in Olanda nel XV.° se 
colo ; forma che era naturale fosse imitata dal primo tipografo. 
Quello fra gli Speculum attribuiti al Koster, nel quale segni 
più manifesti d’ anteriorità si riscontrano è scritto. in olandese ; 
e due esemplari se ne trovano in Harlem, uno nella casa del 
Comune, e l’altro nella pubblica libreria. Il dialetto nel quale è 
composta quest'opera è l’ antico olandese. Dunque è stata’ sicu- 
ramente stampata in Olanda, perchè in quell’ epoca un libro 
scritto nel dialetto di un paese non si sarebbe stampato in un 
paese che avesse una lingua diversa. 

Il sig. Koning dopo aver fatte da se varie ipo per fissar 
l’epoca in cui fn composta quest'opera, e dopo averla. posta a 
confronto con altre scritte in epoche certe, onde assicurarsi così 
dell’ antichità dello Speculum per mezzo della lingua e dell’or- 
tografia in esso usata , ha consultato su tal proposito il profes- 
sor Ypey di Groninga, noto per la sua erudita istoria della lin- 
gua olandese ; pubblicata in Utrecht nel 1812, e questo dotto 
versatissimo in tali materie ha dichiarato che quel dialetto non 
è Fiammingo 0 Belgio, ma Batavo e Olandese puro, come par- 
lavasi prima del secolo XV. 

Vi è di più: esiste un manoscritto dello Speculum olandese 
proveniente dal convenuto dui Certosini presso Utrecht colla data 
del 1464. Il sig. Koning ha diligentemente esaminato questo ma- 
noscritto , ed ha trovato che la lingua e 1’ ortografia ‘sono in 
esso assai più corrette che nella seconda edizione della stessa 
opera attribuita al Koster., \e questa seconda edizione è pure 
meno imperfetta della prima. 

Esiste una edizione dell’ opera medesima fatta da Giovanni 
Veldenaar, di Cuilenberg con data del 1493. Confrontata questa 
con le due prime trovasi di una lingua e di un ortografia anche 
più corretta. Ora se si rifletta qual tempo si richieda perchè un 
perfezionamento nella lingua e nella ortografia, comunque pic- 
colo, si. operi, si riconoscerà la giustezza della conseguenza che 
ne trae il sig. Koning, cioè che è chiaro esser. le due edizioni 
dello Speculum olandese che si conservano a Harlem di molti 
anni anteriori al manoscritto suddetto ed all’ edizione di Valde- 
naar; e così dell’epoca all’ incirca nella quale visse il Koster. 

Se le marche della carta d’ un libro non offrono una prova 
positiva dell’ epoca in cui fu:stampato ; unite però ad altri. ri- 
scontri possono dar luogo a gravi congetture. 

Il sig. Koning ha osservato che la carta delle diverse edi- 
zioni dello Speculum olandese e latino del Koster è della me- 


È 


63 
desima qualità di quella dei libri di conti della Tesoreria d° Har- 
lem e dell'Aia dal 1420. al 1440. e le marche che vi 8° incon- 
trano sono anche le stesse. 

«Non ci diffonderemo a trattar di ciascun segno partitamente, 
e ci limiteremo alle seguenti osservazioni. 

Nella carta dell’ edizione dello Speculum olandese, che come 
dicemmo ha segni di anteriorità trovasi talvolta un giglio. Que- 
sta marca che non s’ incontra nella carta di alcuna delle prime 
opere stampate a Magonza, trovasi frequentemente nella carta dei 
libri della Tesoreria di Harlem dell’ anno 1426. 

Nella carta della stessa edizione trovansi in due diversi modi 
le armi di Baviera , ora sopra la testa di bove, che era un’ in- 
segna quasi generale dei fabbricanti di quel tempo, ora sopra 
un cerchio con le lettere M A. 

Ecco la spiegazione di questi segni. È noto che'i frabbri- 
canti del XV.° secolo erano soliti porre nella carta ‘le armi del 
Principe regnante ; ora quelle di Baviera da prima‘; e poi quelle 
di Borgogna vi s’ incontrano per le seguenti ragioni. 

Nel 1404 Guglielmo VI figlio di Alberto di Baviera ‘era suc- 
ceduto al padre nella contea d’ Olanda. Dal suo matrimonio con 
Margherita figlia di Filippo detto 1’ Ardito , duca di Borgogna, 
Guglielmo ebbe un unica figlia, la sventurata Giacchelina, maritata 
nel 1415 a Giovanni duca di Turrena poi Delfino del Viennese. 
Rimasta vedova nel 1417 Giacchelina nell’ anno stesso successe 
al padre nella contea d’ Olanda, ma nei primi anni del suo re- 
gno fu sotto la tutela della madre Margherita, e dello zio pa- 
terno Giovanni di Baviera Vescovo di Liegi. Le lettere M A sono 
le due prime del nome della rezgente , e 1’ unione di esse con 
le armi di Baviera prova che quella carta fu fabbricata durante 
la reggenza, e prima che Giacchelina si maritasse col duca di 
Glocester, il che accadde nel 1422. o almeno prima che l’Olanda 
passasse dalla casa di Baviera in quella di Borgogna , il che ac- 
cadde prima nel 1428. per l’ occupazione fattane dal duca Filip- 
po che la ritenne con titolo di Rowvard , o Luogotenente , poi 
nel 1433. per l’abbandono fattogliene da Giacchelina per salvar 
la vita del di lei terzo marito Borselen. 

Questa carta adunque non può essere stata fabbricata dopo 
il 1428. o tutto al più dopo il 1433. giacchè dopo quell’ epoca 
vi si vedrebbero le armi di Borgogna. 

Infatti-nella seconda edizione dello Speculum olandese , e in 
quella dei due Speculum, latini della Biblia Pauperum, dell'Ars 
i Moriendi, e della Apocalisse, che si conservano in Harlem come 


64 
lavori del Koster, trovasi la lettera P iniziale del nome del duca 
di Borgogna (Philippe). Si sa d’altronde che questo principe volle 
che si ponesse nei suoi sigilli e su tutte le monete che si co- 
niavano nel suo stato questa lettera. Il sig. Koning ha verificato 
poi che questa marca non si trova nelle carte del XV.® secolo 
fabbricate in Germania o in Italia , ed ha verificato di più che 
trovasi costantemente negli antichi libri di conti d’ Harlem e 
dell’Aia dopo il 1428. e specialmente dopo il 1433. epoca nella 
quale Filippo di Borgogna divenne padrone assoluto dell’ Olanda 
e del Brabante, e continova a vedervisi sino al 1467. epoca nella 
quale venne a morte; mai vi s’ incontra prima del 1428. 

Nell’Apocalisse e nella Bibbia dei poveri trovansi talvolta 
le armi di Borgogna. Nella carta della prima edizione dello Spe- 
culum olandese , nè queste armi, nè la lettera P si trovan mai. 
Ciò conferma dunque che la carta di questa prima edizione fu 
fabbricata in un paese soggetto ai conti d'Olanda tra il 1417. e 
il 1433. periodo nel quale continovò a regnar la casa di Baviera. 
E siccome questa prima edizione, nella carta della quale si tro- 
vano le marche più antiche, porta anche molti segni di anterio- 
rità , tutto concorre a far credere che sia stata eseguita prima del 
1433. epoca nella quale le marche della carta cambiarono con la 
dinastia. 

Questi riscontri , se non servono ad assicurare in un modo 
positivo al Koster l’onore dell’ invenzione della tipografia in ca- 
ratteri sciolti e fusi, bastano però a dimostrare la prima parte: 
dell’assunto propostoci , cioè la disputabilità grande, o piuttosto 
l’insussistenza dell’asserzione che le opere ad esso attribuite so- 
no state eseguite in diverse città dei Paesi Bassi verso la fine del 
XV.° secolo, e servono poi mirabilmente a confermare, od a rendere 
di maggior peso ed autorità le testimonianze positive degli scrit- 
tori, che in tempo prossimo hanno della scoperta di quest’ arte 
parlato ; col mezzo delle quali testimonianze viene quindi a con- 
futarsi l’altra asserzione ripetuta da varii scrittori, ed in ultimo 
dal sig. Renouard, che tutto ciò che si dice intorno al Koster è 
una favola inventata dai letterati Olandesi sul finire del XVI,° se- 
colo , che è ciò che forma la seconda parte del nostro assunto, 
e di cui passiamo ad occuparci, incominciando dallo scrittore con- 
tro del quale la taccia di favoloso principalmente si dirige, 

(Sarà continuato) 


65 


LI 


ILIADE poliglotta — Esistenza d’Omero ec. — Continuazione. 


Gli argomenti pro e contro l’opinione del Wolf possono da 
noi dividersi, come già dal Cesarotti quelli pro e contro l’opi- 
nione del D’ Aubignac e del Vico, in intrinseci ed estrinseci; 
divisione additata in qualche modo anche dall’ Heyne. (*) 

E giova, parmi, cominciar dagli estrinseci , come quelli 
che , fondandosi sulla critica storica, sono men congetturali 
degli altri, che si fondano particolarmente sulla critica let- 
teraria. 

Se si avessero intorno ad Omero, e a’ poemi che gli sono 
attribuiti, testimonianze molto antiche e molto esplicite , la que- 
stione sarebbe presto finita. Ma le testimonianze sono tutte assai 
posteriori a que’ poemi, nè le men posteriori sono quelle da cui 
venga alla questione maggior chiarezza. 

Pindaro nella quarta delle Pitiche nomina Omero, alludendo 
ad un verso che leggiamo nel quindicesimo dell’Iliade ; e il no- 
mina pure nella settima delle Nemee e nella quarta dell’Ismiche, 
dicendo nell’ una che per lui crebbe la fama d’ Ulisse, nell’al- 
tra quella d’ Ajace. Che dedurre da queste testimonianze, le 
prime forse che nella nostra questione possan essere addotte ? 
Che Pindaro credette Omero autor dell’ Iliade e dell’ Odissea ? 
Ciò parrebbe verosimile se a fronte d’ Ulisse, dell’eroe primario 
dell’ Odissea , ei ricordasse Achille , l’ eroe primario dell’ Iliade. 
Ma egli ricorda Ajace , eroe più amabile ma secondario , cui solo 
forse un moderno (v. il Magalotti in una sua lettera sul va- 
lor cavalleresco ) poteva assegnare il primo grado. Ulisse d°’ al- 
tronde è anch’ egli con Ajace un eroe dell’ Iliade. Però da quel 
che Pindaro canta d' Omero in proposito della lor fama altro 
non può dedursi y come osserva B. Constant, se non ch’ egli il 
teneva per autor dell’ Iliade. Nè ciò stesso forse può dedursi ri- 
gorosamente. Qual de’ nostri poeti , dice il Constant medesimo , 
esiterebbe a nominare Ossian , a cantarci che per lui crebbe la 


(*) Dissi nell’ antecedente articolo che il Wolf, nè prima nè dopo avere 
scritti i suoi Prolegomeni , lesse la Scienza Nuova del Vico ; e il dissi ripe- 
tendo un’ asserzione comune. Un mio amico , avvisatone da un dotto Aleman- 
no , mi fa sapere che la Scienza Nuova venne alfine alle mani del Wolf, il 
qual rese all’ autore di essa ciò ch’ era dovuto in un articolo intitolato Vîco 
e Omero , che trovasi nel primo volume del Museo d’Archenlogia , Berli- 
no 1807. 


T. I. Febbraio. 9 


66 
fama d’ Oscar e di Fingal, benchè incerto della sua esistenza ? 
Or questo potè , rispetto ad Omero, esser il caso di Pindaro ; 
essere il caso degli altri Lirici, le cui testimonianze sogliono ad- 
dursi con' quelie del loro principe. 

Ma i Lirici seguirono una tradizione antichissima , e proba- 
bilmente le testimonianze d’ altri scrittori che furon prima di 
Joro. = E se nè citano infatti ( per tacere de’versi intrusi d’uno 
de’ supposti inni omerici ad Apollo) se ne citano, dico, d° un 
Teagene Regino de tempi di Cambise, d’ un Stesimbroto Tasio 
poco a lui posteriore, di non so che altri. Questi scrittori son 
rammentati da Taziano nell’ Orazione a’ Greci, e sulla sua fede 
da Eusebio nel decimo della Preparazione. Io non disputerò se 
sieno veramente de’ tempi che si dicono, benchè essi pure tanto 
distanti da’ tempi omerici. L° autore d’ una risposta o d’una pro- 
messa di risposta al Constant non mostra di dubitarne ; altri, co - 
me l’ autore d’ un articolo del Classical Journal, che avrò oc- 
casione di ricordare più sotto, probabilmente ne dubita. Ponendoli 
infatti, com’ei li pone, fra’eritici antichi, è quasi impossibile che 
li creda anteriori a’ primi Lirici. Lo sieno però , e anche di più 
spazio che non si suppone. Che si raccoglie e dalle loro testi- 
monianze, e da quelle d’altri scrittori successivi che Taziano ed 
Eusebio han raccolte ? Null’ altro, osserva 1’ Heyne, che alcune 
cronologiche contradizioni. Nè queste , per vero dire, nè le tante 
favole intorno ad Omero (posson vedersi nelle varie sue Vite rac- 
colte dall’Allacci, e più comodamente presso il Pope, il Cesa- 
rotti, ec.) ispirano molta fiducia per la tradizione a cui si affi- 
davano gli antichi. E se, in grazia di essa, dobbiam credere con 
Pindaro o con altro de’ Lirici che Omero sia autor dell’ Iliade, 
perchè non crederemo, ad esempio. che lo sia pure della Cipriade, 
che da Pindaro, come nota il Constant, gli viene egualmente 
attribuita ? 

Settant” anni dopo Pindaro ecco Erodoto, che nel secondo 
suo libro ci parla d’ Omero , come d’ un poeta, vissuto quattro 
secoli innanzi, e autore dell’ Iliade e dell’ O.lissea. E anch’ egli 
ne parla secondo la tradizione , alla quale, antichissima o non 
antichissima che fosse, mai non seppe mostrarsi troppo diffi- 
dente. È vero, che trattandosi di poemi attribuiti ad Omero, 
parrebbe essersi mostrato men confidente del solito. Trovando 
infatti, come avverte lo Knight, fra non so che versi della Ci- 
priade già detta e altri o dell’ [liade o dell’ Odissea alcune di- 
versità , decise che la Cipriade non era d’ Omero. Per simil ra- 
gione , se non decise, dubitò almeno che gli Epigoni non fossero 


67 
suoi , benchè si credesse generalmente che il fossero: Questi fatti 
peraltro , direbbe il Constant, appena contradicono al Wolf, il 
qual chiama Erodoto amantissimo della verità e passionatissimo 
per ogni specie di favole. 

Non parlo d’ Erodoto supposto autore d’ un’ antica Vita 
d’ Omero. Questa Vita, non solo dal Wolf o da’ wolfiani, ma 
dallo Knight e ormai da tutti, è riguardata come “ una povera 
finzione di qualche oscuro grammatico ,. E già il Pope avea 
mostrato per arimmetica non poter essere d’Erodoto, notando che 
questi fa nascere Omero 340 anni dopo la presa di Troja, e l’au- 
tor della Vita soli 168. Pur l’ autore della risposta al Constant 
mostra ancora qualche dubbio. E se la Vita, egli dice, non ci 
vien propriamente da Erodoto ,,ci viene almeno da qualche scrit- 
tore de’ suoi tempi, giacchè a lui similissimo. Così, fidan- 
dosi a un poco di contraffazione, ei deve creder d’ Omero o 
de’ tempi d’ Omero que’ poveri versi che nella Vita ci son dati 
come suoi, e che lo Knight deride al par di quelli della Gara 
fra Omero ed Esiodo, anch’ essa attribuita dagli antichi al primo 
de’ due poeti. n 

Ometto di cercare testimonianze fra i Tragici. Ciascuno di 
essi poteva dire com’ Eschilo (or non rammento in quale»0c- 
casione ) che le sue tragedie erano rilievi delle magnifiche cene 
d’ Omero. E potea dirlo, benchè niente più sicuro dell’esistenza 
d’ Omero , che Pindaro o gli altri Lirici. 

Una testimonianza troppo più grave parrebbe quella di Tu- 
cidide in uno o più luoghi del primo suo libre: Ma Tucidide auto- 
revolissimo , come riflette il Constant, ove parla delie cose della 
Grecia incivilita, non è autorevole egualmente ove parla di cose 
molto anteriori. Non lo è forse più che gli altri antichi incet- 
tatori di favole, de’ quali Plinio, Dionisio d’ Alicarnasso , ec. 
avrebbero dovuto diffidare anche più che non fecero e lagnarsi 
un po meno. Privi, infatti, di sicure memorie, occupati dalle 
cure d° una vita operosa e quasi inconciliabile colle ricerche pa- 
zienti e il critico esame, dominati da quella viva imaginazione 
che pur oggi ammiriamo come la più bella delle loro doti, che 
avrebbero quegli antichi, dice il Constant medesimo, saputo 
opporre alle favole ? E già l’ultima cosa che s’ impari, com? egli 
pure avverte, è il dubitare. Però Tucidide verosimilmente at- 
tribuì ad Omero 1’ Iliade e 1’ Odissea cor quella fede con cui 
gli attribuì , siccome nota 1° Heyne, uno degl’ Inni ad Apollo ; 
fede che non può essere la nostra. 

Inutile il proseguire co’ Filosofi e cogli Oratori , sempre più 


68 
lontani da’ tempi omerici, nè ancor vicini abbastanza a’ tempi 
della vera critica. Già abbiam nominato più opere che al tempo 
de’Lirici e del primo storico si attribuivano ad Omero oltre l’Iliade 
e l’ Odissea. Quante altre gliene fossero attribuite può vedersi 
presso il Cesarotti, lo Knight ec.. che ne danno il catalogo, e 
meglio ancora presso il Wolf, che nella sua edizione de’ due 
grandi poemi ne raccoglie i frammenti. D’alcune di queste opere, 
el tempo de? Filosofi e degli Oratori, per vero dire si dubitava ; 
d’ altre non ancora. Eschine , per quel che pare , seguitava ad 
attribuire ad Omero la Piccola Iliade; Platone e, quel ch'è più, 
Aristotele seguitavano ad attribuirgli il Margite. Quindi le loro 
testimonianze non sono da valutarsi più che quelle degli scrit- 
tori antecedenti. E il più risoluto oppositore del Wolf, il Lange, 
vedendo come tutte insieme valgano assai poco, le abbandona 
volentieri a chi può contentarsene, e cerca altrove, come ve- 
dremo , sostegno alla sua opposizione. 

Fa un poco meraviglia che nessuno de’ più antichi scrittori 
alluda menomamente alle prime vicende de’poemi omerici o alla 
loro introduzione in Grecia. Erodoto nel quinto libro parla de’rap- 
sodi, che li cantavano o recitavano in Atene e in Sicione a’giorni 
d’Ipparco e di Clistene. Pindaro nella seconda delle Nemee, 
Platone nel Fedro e nel decimo della Repubblica ; nominano 
altri rapsodi più antichi, a cui que’ poemi diedero il nome gli 
Omeridi cioè, che i lor concittadini di Chio dicevano discendenti 
d’ Omero. Altre particolarità più importanti invano si desideran 
da loro. 

Primo di tutti Eraclide Pontico , il qual vuolsi discepolo di 
Platone , e di cui rimane un frammento di libro sul governo degli 
stati, ci narra che i poemi omerici furono portati a Sparta da 
Licurgo. E come Licurgo visse non più d’un secolo dopo i tempi, 
che pur diconsi omerici , la notizia , se fosse credibile , sarebbe 
più che importante. Ma Eraclide non ce la dà corredata di te- 
stimonianze d’alcuna specie. Nè anche ce la dà in termini che pos- 
siam dire ch’ ei parli de’ poemi tutti interi. L’ interi, come os- 
serva l’Heyne , ve lo aggiunge Eliano nel decimoterzo dell’Istoria 
Varia , forse per non sembrare un semplice ripetitore. Un? altra 
giunta più singolare, e da non passarsi sotto silenzio , poi ch° è 
stata presa anch’ essa per vera storia, la fa Plutarco nella Vita 
di Licurgo. Secondo la narrazione d’ Eraclide , questo legislatore 
ebbe i poemi omerici in Samo dai discendenti di Creofilo , chi 
dice maestro , chi ospite d’ Omero (v. la B. G. del Fabricio ) ; 
chi autore, chi rubatore ad Omero dell’ Ecalia, uno de’ tanti 


69 
poemi attribuiti ad Omero medesimo; chi posteriore, non che 
ad Omero, anche a Licurgo. Plutarco, il quale vuol mostrare di 
saperne qualche cosa di più, non dubita d’assicurarci che il le- 
gislatore trascrisse que’ poemi da un esemplare che i discendenti 
di Creofilo ne possedevano ; e quasi mi meraviglio ch’ei non dica 
dall’ autografo. Or come trascrivesse i poemi chi pur non scrisse 
le proprie leggi , all’ Heyne come al Wolf par difficile a inten- 
dersi. Quindi l’uno, come l’altro, lasciata da parte anche le giunta 
di Plutarco, a salvare in qualche modo la narrazione d'Eraclide, 
va immaginando che il legislatore, uditi fra gl’ Ionii i poemi 
omerici o alcuni canti di que’ poemi , si facesse seguire da al- 
cuni rapsodi che li ripetessero anche a’ suoi S partani. 

Checchè sia di ciò, per tre secoli circa, que poemi o 
que’ canti non uscirono di Sparta o almeno del Peloponneso. 
Giusta un passo di Laerzio (nel terzo) o piuttosto di Dieuchida 
scrittore delle Cose Megariche da lui citato, e non molto po- 
steriore , credesi, ad Alessandro , essi non furono uditi in Atene 
che verso il tempo di Solone, il qual volle si cantassero o re- 
citassero nelle Panatenee con certo avvicendamento , come inter- 
pretano l’Allacci e il Salvini citati dal Lami nelle note al Solone 
del Meursio, o, come piace al Wolf, con certa cronologica pro- 
gressione. Questa testimonianza, osserva taluno, parrebbe con - 
fermare ciò che scrive Eliano nel tredicesimo che in origine cia- 
scun di que’ canti formava un tutto da sè , e aveva titolo par- 
ticolare , la Diomedeide . la Doloneide , la Patrocleide , la Ci- 
clopeide ec. , titoli che si sono conservati, ma che non corri- 
spondono esattamente alle attuali divisioni dei due poemi. Quello 
di Diomedeide p. e., che oggi si pone in fronte al quinto canto 
dell’ Iliade, estendevasi , giusta un passo d’ Erodoto, a gran 
parte del sesto , che s’intitola da Ettore ed Andromaca. Così, 
giusta vari passi di Platone , di Strabone, di Dionisio , d’ Ate- 
neo , degli antichi scoliasti , altri titoli posti in fronte ad altri 
canti e dell’ Iliade e dell’ Odissea estendevasi a parti a cui più 
non si estendono ; di che l’Heyne , prima che nelle sue Escur- 
sioni omeriche , trattò in alcune memorie , che adornano il tre- 
dicesimo volume degli Atti della Società R. di Gottinga. 

L’ asserzione d’ Eliano , avvalorata da tanti passi d’an- 
tichi, è senza dubbio di gran momento per l’ opinione del 
Wolf. E tale già parve a chi sostenne quest’ opinion nel suo 
germe , al tempo cioè del D’ Aubignac e del Vico. Il Perrault 
difatti ( non so dire se valendosi anche in ciò d’osservazioni già 
fatte dal D’ Aubignac ) ne trasse assai buon partito. Se non che 


VA®) 
il Dacier , replicandogli, opponeva che anche i canti dell’Eneide, 
prima che questa fosse tutta pubblicata , si avevano a parte, o 
almeno se ne avevano brani, i quali s’intitolavano da Marcello, 
da Didone, da Mesenzio , ec ec. Così, aggiugne il Cesarotti , 
si ebbero, parti del Morgante, p. e. la Rotta di Roncisvalle, pri- 
ma che tutto il Morgante fosse pubblicato; così, anche dopo 
che fu tutta pubblicata la Gerusalemme , andarono attorno e si 
cantarono. parti staccate di essa , p. e. la Fuga d’ Erminia. Tai 
paragoni peraltro , direbbe 1° autore dei due articoli della Jibl. 
Un. di Ginevra, hanno il difetto di quasi tutti i paragoni, quello 
cioè d’ esagerare le somiglianze trascurando le diversità. Poichè 
dall una parte si tratta di canti indipendenti gli uni dagli altri, 
di piccoii poemi che hanno titolo speciale, poichè hanno spe- 
ciale soggetto e speciale unità ; dall’ altra di canti separati a 
diletto ma dipendenti da altri, e distinti con titolo speciale 
quasi in onta al generale, sotto cui doveano andar raccolti. Meglio 
quindi il Lange va figurandosi che i canti omerici, dovendo 
esser. uditi separatamente, fossero dal poeta composti in modo 
che servissero ad una doppia unità; a quella cioè di ciascuno 
di essi e a quella de’ due grandi poemi , di cui formano parte. 

Ma proseguiamo la nostra storia. Ciò che Laerizo o Dieu- 
chida attribuisce a Solone, Pausania nel settimo del Viaggio , 
e sicuramente prima di lui altri Greci , seguiti da Cicerone nel 
terzo dell’ Oratore ; lo attribuiscono a Pisistrato. Cicerone anzi 
aggiugne che i canti omerici inprima confusi furono, per quanto 
se ne diceva, ordinati da Pisistrato quai si lessero dappoi. In- 
torno a che gran contrasto tra il Wolf e l’Heyne dall’una parte, 
e lo Knight dall’ altra. Poichè i primi intendono il confusi in 
senso non solo di mescolati o disordinati, ma di non mai ordi- 
nati a quel fine a cui lo son oggi; il secondo in senso contrario. 
Del resto nè essi pure credon Pisistrato loro assoluto ordinatore, 
incerti troppo s’ egli ne fosse compito raccoglitore. Poichè nel 
Dialogo ; che s° intitola da Ipparco, e vorrebbesi di Platone ; il 
vanto d’averli raccolti si attribuisce ad Ipparco medesimo , e in 
modo da far credere che mai, prima del suo tempo , non si fos- 
sero uditi in Atene. E in altri scritti di Greci, ch’ or non ram- 
mento , si attribuisce pure ad altri de’ Pisistratidi, 1° ultimo 
de’ quali, Ippia ; fu espulso da Atene ottant’ anni circa dopo 
1? arcontato di Solone. 

Forse però e Solcne e Pisistrato e i Pisistratidi contribuirono 
tutti all’ opera medesima, che troppo ben conveniva, osserva 
l’ Heyne , all’ uopo e alla fortuna d’ Atene sotto il lor reggi- 


71 
mento. Isocrate nel Panegirico , volendo spiegare come i canti 
omerici dai circoli de’ rapsodi ‘passassero sì presto alle scuole 
de’ filosofi e a’giovanili istitati, ne adduce per principal ra- 
gione il sentimento che ispiravano celebrando i debellatori 
de’ barbari. Or questa ragione sopra tutte può aver mossi a rac- 


| coglierli quegli uomini politici, che più sopra si son nominati. 


Già innanzi al loro tempo ; dice F. Schlegel nella Storia delle 
Letterature , le colonie greche dell'Asia Minore erano minacciate 


‘ dai re di Lidia. Dopo che Ciro ebbe vinto Creso ed occupato il 


suo regno, tutta la Grecia fu minacciata da’ Persiani. A varie 
parti di essa , prima delle invasioni di Dario e di Serse , il pe- 
ricolo potè sembrare lontano. Ad Atene, per le sue relazioni 
coll’ Asia Minore , dovea sembrarlo assai meno. Eta perciò della 
prudenza de’ capi il preparar di buon” ora i cittadini alla difesa. 
E a farli in essa più ardenti parvero senza dubbio opportunissimi 
que’ canti sublimi, che ricordavano un’ antica lotta e un an- 
tico trionfo de’ Greci contro i barbari. Forse la guerra e la presa 
di Troja sono una favola. Ma una favola universalmente creduta 
non si distingue ne’ suoi effetti dalla verità. Abbellita dai co- 
lori della più magnifica poesia potea condurre, e forse condusse, 
uomini così temprati come gli antichi Ateniesi al trionfo di Ma- 
ratona. 

Intorno al primo ordinamento de'canti omerici in due poemi 
nessuna memoria, che meriti d° esser riferita dopo quella di Cice- 
rone , se non forse un’altra di Suida. La novelletta de’72 ordi- 
natori uniti in concilio da Pisistrato (1’ abbiamo dallo Scoliaste 
dell’Arte Retorica di Dionisio il Trace negli Aneddoti Greci del 


| Villoison) va posta sicuramente coll’ altra dell’ obolo promesso 


da quel principe per ogni verso d° Omero che gli fosse portato. 
Ad ogni modo se Pisistrato cominciò o seguitò a raccogliere i 
canti omerici, è assai verosimile che, vedendo o introvedendo 
la possibilità dell’ ordinamento accennato , volesse tentarlo. E 
come nel settimo già citato di Pausania ci è detto ch’ei si giovò 
dell’ajuto di vari amici per mettere in iscritto l’Iliade; come nel 
settimo d’ Erodoto ci è pur detto ch’ egli avea degli amici fra 
que’ grammatici , che faceano particolar professione d’ordinare o 
mettere insieme, ci sembra pur verosimile ch’ei si servisse di loro 
all’ nopo di quell’ ordinamento. Così ci par verosimile che i suoi 
successori, pur seguitando a raccogliere, si servissero d’ altri al- 
l’uvpo medesimo , finchè 1’ ebbero in qualche modo ottenuto. 
Chè l’ ottenerlo interamente , dicono il Wolf e l’Heyne, fu senza 
dubbio opera non breve , fu ii risultato di tentativi ripetuti e 


72 

successivi, che si prolungarono anche dopo la loro età. Della 
quale opinione par che fosse a un dipresso anche Suida ricor- 
dato pocanzi , il quale nella sua Vita d’ Omero ci dice che l’or- 
dinamento dell’ Iliade fu opera di molti e innanzi a tutti di Pi- 
sistrato. 

Lo Knight , a render più dubbio 1’ ordinamento di Pisistrato 
e de’ successori , osserva che fra’ tanti antichi esemplari de’poemi 
omerici ( quel di Chio , il Cretico , il Ciprio , 1° Argolico, il Si- 
nopico , il Massiliotico ec. ) citati da’ critici Alessandrini non è 
fatta veruna menzione d’un testo Attico. Il qual testo, egli 
aggiunge , se avesse esistito , sarebbe esso pure stato chiesto ad 
Atene dal fondatore della Biblioteca d’ Alessandria , come, per 
ciò che sappiamo da un passo di Galeno sopra Ipocrate, lo furon 
quelli delle tragedie d’ Eschilo, di Sofocle e d’ Euripide. Nes- 
suno però degli esemplari omerici già detti potè , come osserva 
egli medesimo , essere anteriore al tempo di Pisistrato. Il più an- 
tico difatti dovrebbe per più ragioni essere quel di Chio, la pa- 
tria degli Omeridi, come gia si è detto, la prima forse ad.udire 
i canti ond’essi ebbero il nome. E quel di Chio, a farlo anti- 
chissimo , appena si potrebbe supporre del tempo di Cineto , che 
« primo , dice lo Scoliaste di Pindaro alla seconda delle Nemee, 
recitò in Siracusa È carmi omerici insiem cuciti verso la sessage- ‘ 
sima olimpiade ,, cioè sugli ultimi anni di Pisistrato stesso. 

£ un’altra prova della non grandissima antichità dell’esem- 
plare di Chio parrebbe questa che gli Alessandrini , giusta l’os- 
servazione dello Knight medesimo, non poterono giovarsene più 
che degli altri per indovinare 1’ antica lingua omerica. Lascio da 
parte la gran questione del digamma, proposto dal Bentley, ri- 
proposto e accarezzato da’ più dotti Inglesi fino allo Knight che 
primo ne fece uso , rigettato tacitamente dal Wolfe apertamente 
dal Boissonade, difeso dall’Heyne e credo anche dal Foscolo, non ac- 
colto nè rigettato del tutto dal Lacchesini e dal Dugas-Montbel, ec. 
Anche indipendentemente dall’uso del digamma par certo che nes- 
suno degli antichi esemplari de’ poemi omerici serbasse la vera 
lingua omerica ; di che lo Knight e altri discorrono ampiamente. 
Tutti quegli antichi esemplari , oltre 1’ essere scritti in una lin- 
gua rimodernata , erano , meno forse quello di Chio, pieni d’idio- 
tismi, di maniere particolari a’ diversi dialetti, che gli Ales- 
sandrini da Zenodoto ad Aristarco si sforzarono di correggere. 
Ora il risultato delle lor correzioni fu, per quel che sembra , 
il ridurre la lezione de’ poemi alla lingua men dissimile dall’io- 
nica antica , alla lingua attica , cioè , divenuta lingua letteraria 


73 

o comune verso i tempi del Macedone. E in ciò si saranno gio- 
vati, m’imagino , di qualche copia del famoso esemplare della 
Cassetta , corretto da Callistene e da Anassarco , non senza forse 
la cooperazione d’ Aristotele. Or questo esemplare ; che non di- 
cesi copia d’ alcuno di quegli antichi citati dagli Alessandrini ; 
quest’ esemplare più antico probabilmente di qualcuno di essi , 
onde fu tratto , se non forse dall’ Attico di Pisistrato o de’ Pi- 
sistratidi ? 

Qualunque però siasi il primo o il più riguardevole fra i più 
antichi esemplari, noi certo non possiamo averne alcun’ idea 
da’ nostri. Già si accennò come nell’ esemplare veduto da Ero- 
doto , e probabilmente anche da altri degli antichi mentovati più 
sopra, le divisioni dei due poemi dovean esser diverse da quelle 
che i nostri ci presentano. Di ciò , come si disse, abbiamo più 
indizii; ma questi indizii appena ci bisognavano. Infatti, qua- 
lunque opinione si adotti intorno all’origine dei due poemi , la 
consegnenza quanto alle divisioni è la stessa. Poichè, o i due 
poemi si considerano come un accozzo di poemetti o rapsodie di- 
verse , ed è naturale il pensare che le lor divisioni corrispondes- 
sero a principio al numero di questi poemetti. O si considerano 
come due gran corpi così composti di getto } e pensando che, 
quando furon composti , il greco alfabeto ancor non contava 
le 24 lettere , secondo le quali ciascun d’ essi oggi è diviso , ci 
è forza o credere collo Knight che non avessero a principio di- 
visioni di sorta alcuna , o le avessero ben diverse dalle presenti. 

Se non che, in questo secondo caso , il sospetto di gran di- 
sformità fra il primo o il più riguardevole de’più antichi esem- 
plari ed i nostri, è assai men grave. Lo accresce però, non 
men che nell’ altro , il vedere che tanti versi già citati da Ipo- 
crate , da Platone, da Demostene , ec. ( v. , oltre i Prolegomeni 
del Wolf e l’ultime Escursioni dall’Heyne, anche le Osservazioni 
del Dugas-Montbel ) ne’ nostri più non si leggono. E, come nep- 
pur vi si leggono altri versi citati da Aristotele, ci è pur forza 
sospettare che differentissimo dai nostri fosse l’esemplare famoso 
della Cassetta. Anzi, cercando indarno ne’ nostri più cose a cui 
alludono a Cicerone a Strabone a Pausania, ci è pur forza so- 
spettare che assai diverso da essi fosse quello che si denomina 
dagli Alessandrini. 

Ma fossero. pure i migliori testi dell’antichità trasfusi indu- 
bitabilmente ne’ nostri. Quanta fede si meriterebbero essi da 


noi ? Quanto potremmo crederli corrispondenti a’ canti omerici 
T. I. Febbraio 10 


£ 


74 


primitivi? Già si è toccato delle alterazioni dell’ antica lingua 
anche ne’ più antichi esemplari di cui si abbia memoria. Il Bi- 
taubé e il Cesarotti ridono a buon dritto dell'opinione del Klotz, 
che Cineto , detto da Eustazio alterator di que’ canti, ne ritoc- 
casse e ne ringiovanisse la lingua. Che ciò facessero a poco a 
poco , succedendosi gli uni agli altri, i rapsodi e i grammatici , 
non è opinione da riderne ; poi ch’ è cosa dimostrata.  Diocle 
scrisse le leggi di Siracusa , or sono circa 150 anni; e le leggi 
di Diocle più non s’ intendono ( fa dire a Platone, or non pen- 
siamo con quanta verosimiglianza ma con quanta verità, 1’ au- 
tore del Platone in Italia ): voi tutti intendete Omero, tutti 
parlate, tutti scrivete com’ egli ha scritto ; dunque Omero è più 
vicino a voi che alle origini della lingua , ec. ,, Ma Eustazio 
non chiama Cineto alteratore de’ canti omerici per rispetto a que- 
sta solamente. Nè da meno di Cineto furono gli altri rapsodi e i 
grammatici , quelli in ispecie che dall’ accozzare o mettere in- 
sieme si dissero diacevasti. Noi oggi , osserva il Wolf, leggiamo 
gli stessi versi or allo stesso or ad altro proposito e ne’ poemi 
attribuiti ad Omero e in quelli attribuiti ad Esiodo; il che mo 
stra con quanta ficilità e rapsodi e diacevasti trasportassero da 
poema a poema versi che gli erano estranei. Con quanta ve ne 
intrudessero d’apocrifi possiamo argomentarlo da ciò ch’Erodoto, 
nel settimo, ci narra di quell’Onomacrito, che raccolse le poesie 
di Museo e d’ Orfeo , e si annovera fra gli amici di Pisistrato. 
Gli abusi de’ diacevasti o accozzatori fecero alfin nascere 
un’ altra classe di grammatici, quella de? corizonti o separatori. 
Di essi già sapeasi qualche cosa da alcuni passi di Proclo, di 
Seneca , e credo anche di Luciano , nessun de’ quali peraltro li 
nomina. Il più se n'è saputo dagli Scolii che chiamansi di Ve- 
nezia , pubblicati, come già si disse dal Villoison. Da un passo 
di Proclo (nella sua Vita d’ Omero secondo un manoscritto del- 
V’Escuriale ) parrebbe, osserva 1’ autore dell’articolo sui Corizonti 
inserito nel Classical Journal, ch’ essi fiorissero intorno al tempo 
d’ Aristarco. Da ciò che ne dice Seneca ( nella Brevità della 
Vita ) apparisce chiaramente ch’ essi non solo separavano dal- 
l’ opere omeriche le tante attribuite ad Omero oltre 1° Iliade e 
l’ Odissea. ma disputavano se 1’ Iliade e 1’ Odissea fossero d’ un 
medesimo autore. Dagli Scolii di Venezia , che ciò ne conferma- 
no, abbiamo anche qualche saggio della loro disputa o , per usar 
parole più convenienti , qualche cenno delle ragioni che in essa 
impiegavano. E abbiam di più che alcuni tra essi pensavano all 
un riordinamento tutto nuovo dei due poemi, che lor parevano 


75 
accozzati ad arbitrio, il che dovea pur essere, se, raccoman- 
dati per secoli alla sola memoria , non furono che assai tardi rac- 
comandati alla scrittura. 

Ed eccoci al grande argomento di critica storica, già ad- 
ditato, come si disse, dal D’Anbignac e dal Vico, e adope- 
rato come principal sostegno della sua opinione dal Wolf. Più 
volte le cose fin qui discorse avrebbero richiesto ch’ io ne fa- 
cessi tramezzo ad esse qualche parola. Ma l’importanza stessa, 
che il Wolf gli diede, mi obbligava a parlarne in disparte. 

Che i poemi omerici in origine non fossero scritti, può cre- 
dersi, dicono il Wolf ed altri, opinione di tutta l’ antichità. 
Flavio nel primo contro Appione, cioè contro uno de’ più ce- 
lebri interpreti di que’ poemi, ne parla come d’ vpinion comune 
e non punto nuova; lo Scoliaste dell’ Arte Retorica di Dio- 
nisio il Trace in uno degli Aneddoti pubblicati dal Villoison 
ci fa pensare che così pur ne parlassero gli Alessandrini; nè 
alcun altro scrittore, nè alcun altro scoliaste parlano in con- 
trario. La tradizione stessa che Omero fosse cieco (tradizione 

‘assurda, dicono quasi tutti; tradizione d’ un significato profon- 
do , dice lo Schorn nelle Illustrazioni de’ Monumenti Omerici 
del Tischbeyn ) fa supporre che tal opinione fosse antichissima. 

Ed essa forse , come si esprime l’ autore de’ due articoli della 
Bibl. Un. di Ginevra, fondavasi principalmente su ciò, che 
ne’ poemi omerici mai non è fatta menzione di scrittura. Infatti 
nessun antico ha creduto di trovarla in que’ due celebri passi 
del sesto e del settimo dell’ Iliade, ove poi han creduto di tro- 
varla alcuni moderni. E dopo i ragionamenti, con cui il Wolf 
dimostra parlarsi in essi di tutt’ altro che di vera scrittura, pare, 
dice quell’ autore , che non dovrebbe più rimaner dubbio a que- 
sto riguardo. 

Il primo de’ due passi è quello ove narrasi che Preto mandò 
Bellerofonte con tavoletta o epistola contenente la sua sentenza 
di morte ad Acrisio che doveva eseguirla : ypaTToAs év Tivam 
TÙxtà SupoPIbpa ToAAk, Alcuni moderni vollero prendere il 
ypartoas nel senso di scrivendo; quindi il 7iyvax nel senso di 
vera Lettera; quindi il SupoP36pe nel senso di vere parole scritte. 
Ma il Wolf, non senza l’ appoggio d’ antichi scoliasti , sostiene 
che il yp&rto@: significhi incidendo , e che il verbo , di cui 
esso è il participio, non abbia significato se non tardi, scrivere 
o delineare ; che il 7rivaw; corrispondente all’ er0roAy d’Apol- 
lodoro che fa l’ istesso racconto , significhi tessera o tavoletta di 
legno , a cui solo può convenire il demgas 0 mostrare del ver- 


76 
so seguente, per non dir nulla dell’£rsyvwvei d’Apollodoro , che 
mai non fu preso nel senso di /eggere ; che il SupoPIbpe final- 
mente significhi segno o union di segni , geroglifico o simbolo di 
morte , già convenuto fra Preto ed Acrisio; nel qual parere lo 
conferma il square Auy pd del verso precedente. 

L’ altro passo è quello ove si narra che nove de’ principali 
fra’ Greci , provocati da Ettore , e anelando a combatterlo, se- 
gnarono ciascuno una sorte , of de xAfjpov Ecypuyvavto “esaora , 
la gettarono nell’ elmo d’Agamennone , e, avendone 1’ araldo 
tratta una , e portatala in giro, Ajace la riconobbe per sus. 
Taluno de’ moderni volle in quel xAfjpov , in quella sorte, ve- 
dere un nome scritto. Ma il Wolf non vede in essa che un 
segno qualunque; e il portarla in giro, che fa l’araldo ; ci vieta 
assolutamente di vedervi altro. Un nome scritto infatti , come 
riflette il Constant, avrebbe potuto leggersi così dai compagni 
d’ Ajace, a cui la sorte fu prima mostrata, come da Ajace stesso. ‘ 
Un nome scritto , par che voglia dire 1)’ autore de’ due articoli 
del Globo, poteva pure esser letto ad alta voce dall’ araldo o 
da altri, come là nel quinto della Gerusalemme i nomi tratti a 
sorte de’ paladini che anelano a combattere per Armida. 

Ma già circa il significato di questo secondo passo tutti ormai 
sembrano accordarsi col Wolf. Non così intorno al significato del 
primo che l’Heyne chiama messatissimo, e ch'io non vorrei vessare 
di più , rendendo conto, forse non bene, delle obbiezioni d’un vo- 
stro dotto, il Lucchesini. Pare primieramente a questo dotto che, 
per ispiegare un tal passo come lo spiega il Wolf, bisogni sup- 
porre fra Preto ed Acrisio un trattato d’ ammazzamenti per tutti 
i casi possibili, una convenzion d’ assassini e veramente stranis- 
sima. Al Wolf invece la convenzione sembra assai naturale ea 
aeiate qua ultionis caedium et inimicitiarum dira saevitia vige- 
bat. E all’ Heyne , supposto pure in tale età qualche uso della 
scrittura , sembra quasi convenzion necessaria fra uomini par- 
lanti idioma diverso come il re di Corinto e il re di Licia. Quindi 
il ypartoas suona per lui ciò che suona pel Wolf; ciò che suona 
anche per lo Knight, il qual s’ accorda seco a spiegare il Fupo- 
PI ipa col cjpara Muy pe: Il valore del oyuara ; già determi- 
nato da Eustazio , fu controverso per vero dire da mad. Dacier 
e da altri fino al Cesarotti. Ma i lor ragionamenti, s’io so legger 
bene, si riducono a questo: “ poichè il frasario dà segni fenici 
o cadmei per perifrisi di scrittura, de’ segni non chiamati nè 
fenici nè cadmei le saranno sinonimo ,,. Il nostro dotto, anzichè 
disputare del valor ch’ io diceva del oypara , non disputa pro- 


77 
priamente nemmen di quello del yparroes. Ben rimprovera al 
Wolf d’ asserir senza prove sufficienti che il verbo , di cui il 
yparToas è participio , non significasse che tardi scrivere o de - 
lineare. E veramente le prove dirette che il Wolf ne reca, e 
ch’io non debbo ripetere, lasciano qualche desiderio. Se però 
la scrittura , come deve risultar da altre prove che poi si accen- 
neranno , ma che il Wolf premette, non fu usata in Grecia che 
tardi; quel verbo non poteva avere in antico un significato che 
ad essa si riferisse. == Pur come non credere che si parli di cose 
scritte , dice il nostro dotto, èy rTivax TTUTTA >; in tavola 0 
epistola compiegata ? Come non credere veramente scritte Suyo= 
PIbpa roAAk- molte cose perditrici dell’ anima ? E, per la sot- 
tile osservazione che il desggas conviensi a tavola incisa non a 
lettera scritta , rigettar l’ evidenza che vien da quel molte e in 
ispecie da quel compiegata? == E il Wolf, per vero dire, potea 
far di meno della sottile osservazione. Non però era obbligato a 
far gran caso del molte, potendo anche spiegare più segni o al- 
cuni segni micidiali, formanti quel simbo!o o geroglifico di cui 
si è detto. Ancor meno era obbligato a farlo del compiegata , 
epiteto che preso alla lettera ci porterebbe , come già il Marto- 
relli ( nella Teca Calamaria ) a rigettar fra gli apocrifi il verso 
ove si trova; ma che preso con discrezione può, come all’Heyne 
(nelle Osserv.), sembrarci convenientissimo ad ogni dittico o ta- 
voletta, che in qualche modo si ripiegasse o venisse chiusa. 

Che se nemmen dal primo de’due passi disputati può trarsi 
prova che a’ tempi omerici fosse usata la scrittura , dall’ altro , 
osserva il Constant , potrebbe piuttosto trarsi prova del contrario. 
Quando la scrittura è in uso, Subito il nome di ciascun si scris- 
se ec., canta naturalmente un poeta , come nel quinto della Ge- 
rusalemme. Quando ancora non lo è, Segna « quel detto ognun 
sua sorte , va egli imaginando ; Riconobbe l’ eroe lieto il suo se- 
gno ec. ec. , come nel settimo dell’ Iliade. Nè questo è il solo 
passo , nota il Constant medesimo , da cui possa trarsi la prova 
già detta. Quante occasioni ne’ poemi omerici di far menzione 
della scrittura, e in nessuna delle quali si fa menomamente! Tre- 
gue , alleanze , trattati d’ ogni specie , come già avevano osser- 
vato il Wood ed altri, conchiudonsi a voce. Vuol egli alzarsi un 
monumento , p. e. alla memoria d’ Elpenore ?_ Non colonna, non 
lapide scritta si pone sulla sua tomba; ma un nudo remo che 
ne ricordi il nome, ricordandone l’ officio. Telemaco , quando 
la sua presenza sarebbe più necessaria in Itaca, va a Pilo e a 
Sparta a chieder novelle, che la scrittura avrebbe potuto pro- 


78 
cacciargli assai più facilmente. Tutto anzi, supposto l’uso della 
scrittura , nell’Odissea è assurdissimo, avea già detto il Rousseau, 
e lo ripete il Wolf; nè il poema è dilettevole che per la sup- 
posizione contraria. 

Ma la scrittura , dicono gli oppositori , poteva benissimo esser 
usata a’ tempi omerici, e da Omero, che canta de’ tempi eroici, 
non essere mentovata per giusta osservanza del costume. Se non 
che a taluno , come al Franceson , quest’osservanza par troppa, 
anzi pare un raffinamento di cui nessuno degli antichi poeti 
dia esempio. E al Miiller pare assolutamonte antiomerica , cioè 
contraria a quell’ impeto d’ imaginazione , per cui Omero si tra- 
sporta co’ proprii ne tempi eroici, o trasporta, se così piace me- 
glio , que’ tempi ne’ proprii. Nè il parer loro, dice l’autore de’due 
articoli della Bib. Un. di Ginevra , sarebbe da disprezzarsi , se 
veramente ne’ poemi omerici mai non trovassimo , o per via di 
paragone o in altra guisa, fatto cenno di cose che a’tempi eroici 
ancor non erano in uso. Ma quando troviamo , a cagion d’esem- 
pio, nel quindicesimo dell’Iliade o nel sesto dell’ Odissea fatto 
cenno della cavalleria, possiamo pur credere che non sarebbe nè 
raffinamento precoce nè cosa antiomerica qualche cenno della 
scrittura. Ora ciò appunto diceva anche il Wolf, aggiugnendo 
che ne’ poemi omerici è pur fatto cenno di varii cibii e di varii 
lavori che a’ tempi eroici non par che fossero in uso più che 
la scrittura di cui si favella. Ma da ciò traeva pure nuova con- 
ferma al parer suo, che se in que’ poemi non è fatto cenno di 
scrittura , si è perchè a’ tempi omerici la scrittura non era 
in uso. 

Nè il silenzio d’Omero , però , nè quello ancor più nota- 
bile d’ Esiodo , riflette giustamente 1’ autor medesimo de’ due 
articoli citati pocanzi, meriterebbe d’ essere avvertito, se la 
storia non ci facesse intendere che, anche in tempi posteriori 
a que’ poeti, la scrittura fu a’ Greci pressochè sconosciuta. 

Erodoto , per vero dire, nel libro quinto, e innanzi a 
lui Dionisio di Mileto, citato da Diodoro nel terzo , attribuendo 
a Cadmo l’ introduzione in Grecia delle lettere alfabetiche , 
sembrano collocare i principii della scrittura cinque secoli innanzi 
a’ tempi omerici. Pare anzi , dice il Wolf, che altri scrittori oggi 
perduti, ma ai quali si riferiscono alcuni di quelli che ci ri- 
mangono , ponessero que’ principii alcun poco innanzi a quel 
Fenicio , attribuendoli a’ Pelasgi. E l’opinion loro, egli nota, trovò 
aderenti fra i dotti moderni , il Jackson, il Bianconi, il Lar- 
cher, ec. , per questa ragione in ispecie che agli usi de’ Pe- 


79 
lasgi, di que’ buoni pecoroni, com’ ei s’ esprime , degli antichi 
Pelasgi , la scrittura era veramente necessaria. Così altri pensa 
che fosse introdotta in Grecia , se non da Cadmo (l’uomo antico , 
il più antico forse degli orientali, come interpreta il Lucchesini ; 
l’uom favoloso , dice francamente lo Knight ) almeno da’ primi 
Fenici, ai cui traffici era necessaria ancor più. Se non che, 
direbbe il Wolf, con tal metodo di ragionamento potrebbe anche 
provarsi, che i Fenici ebber l’uso della bussola , e i Pelasgi 
o altri popoli antichissimi quello della polvere da cannone. E 
già il Wood, pensando a que’ Messicani che avvisarono Mon- 
tezuma dell’ arrivo degli Spagnuoli per mezzo di figure dipinte, 
aveva avvertito come , anche da un grado maggiore di civiltà 
che quella de’ Fenici (uomini di mare, sia detto per inciden- 
za , che lo Knight non sa intendere come venissero a stabilirsi 
tanto entro terra), sarebbe poco sicuro l’ argomentare l’ uso 
della scrittura. 

Del resto, con quanta persuasione Dionisio di Mileto at- 
tribuisse a Cadmo , all’ uomo antico , ai primi Fenici, se così 
piacesse, in lui personificati, noi non possiamo saperlo , dice 
il Wolf, poichè 1’ opinion sua non ci è nota che per una ci- 
tazione. Quanto ad Erodoto , di cui leggiamo le’ parole testual- 
mente , può dirsi, non ne incresca al Larcher, ch’ egli an- 
zichè manifestare la sua vera opinione, non fa che dichiarare 
qual fosse, in mezzo alle tradizioni diverse, 1’ opinion più 
comune. 

E le tradizioni eran anche più diverse che da Erodoto non 
s’ accenni. Chi infatti attribuiva l’ invenzione o. l’ introduzione 
delle lettere a Cecrope, chi a Lino, chi ad Orfeo, chi ad 
altri. Eschilo p. e. nel suo Prometeo le dice inventate da quel- 
Vl emulo degli Dei. Euripide nel Palamede, di cui Stobeo ci 
ha conservato un frammento , le dice inventate da quell’eroe. 
E le parole dei due tragici, osserva il Wolf, sono tanto più 
notabili, che indirizzandosi al popolo ci mostrano chiaramente 
che , se mai avevasi un’ altra opinion più comune, questa non 
era sì ferma, che altre ancora non se ne potessero proporre. 
Del resto quella che riguarda Palamede doveva essere una delle 
più comuni. E ce ne sono mallevadori Tacito nell’ undecimo 
degli Annali, Igino nell’ Iconologia, Dion Grisostomo nella 
nota Orazione, ciascun de’ quali probabilmente ebbe innanzi 
agli occhi le testimonianze d’ autori differenti. Quindi se aleuni 
fanno Palamede inventore soltanto d° alcune lettere , può dirsi , 
osserva il Wolf, che seguono la tradizione meno accettata , 


80 
Questa tradizione però ci mette sulla via di spiegare le altre. 
Poichè in tutte può essere un poco di vero, misto al falso 
anzi all’ impossibile. Chè 1’ alfabeto sicuramente fu inveritato 
e introdotto appoco appoco e da varii, a ciascun de’ quali con 
poetica esagerazione , inevitabile nell’ antichità , se ne attribuì 
poi 1’ invenzione o l’ introduzione compita. La quale invenzione 
o introduzione dovrà, se mai non cominciò assai tardi , chia- 
marsi più che lenta, ove credasi con Plinio o cogli autori a cui 
egli si riferisce nel settimo , che Simonide ed Epicarmo fra il 
sesto e il quinto secolo vi ebbero non piccola parte. Al che , 
se aggiungasi quel ch’ è narrato negli Aneddoti del Villoison, 
che le 24 lettere dell’ alfabeto, raccolte da non so qual Cal- 
listrato , non furono introdotte a Samo che dopo l’ ottantesima 
ottava olimpiade , 427 innanzi all’ era nostra, e accettate in 
Atene per pubblico decreto che il secondo anno dell’ olimpiade 
novagesimaquarta , 403 dell’ era già detta, parrà meno singo- 
lare l’ opinione del Wolf che pone i principii della scrittura 
verso il cominciamento delle olimpiadi. 

È osservabile, dicono il Wood ed altri, che 1’ inventore 
vero o supposto della scrittura non trovisi, come quelli di 
quasi tutte le arti, nel numero degli Dei. Fra le Muse qual 
presiede alla musica , quale alla danza ec. ; nessuna alla scrit- 
tura. Forse che i Greci de’ primi tempi, come i nostri prodi 
del medio evo, come i selvaggi dell’America , sprezzarono que- 
st’ arte? O forse gli antichi mitologi , gli antichi poeti, pro- 
varono contr’ essa certo dispetto P_I poeti infatti, come osser- 
va il Rousseau , perdettero , per la sua invenzione , ogni loro 
importanza. Essi perdettero sino il lor nome primitivo, quello 
d’ dodo o cantori, a cui si annetteva, come osserva anche 
il Pope, l’idea d’ una divina ispirazione, per prender l’altro , 
che si è detto, e significa inventori o compositori. Questo nome 
si trova la prima volta in Erodoto ; il che ci fa supporre che 
non sia anteriore all’ età de’ prosatori. Innanzi a quest’ età la 
poesia serviva a tutto , alla religione, alla storia, alla legi- 
slazione ec. Indi si andò riducendo ad un'arte di lusso o di 
piacere , cedette ogni suo grave officio alla prosa. Ora l’appa- 
rizion della prosa , dice il Wolf, è presso tutti i popoli il 
segno vero dell’ uso della scrittura. E per contrario la sua man 
canza è il segno che la scrittura è ancora ignota o poco usa- 
ta. I Greci, oppone il Saint-Croix , avvezzi alla poesia , non 
hanno potuto scendere se non lentamente alla prosa, che a 
principio , come vediamo , scrissero in istile poetico. Ciò am- 


dI 
messo , però , dice il Constant, rimane sempre a spiegarsi come 
i loro primi prosatori , Ferecide , Ellanico , ec. ec. sieno tutti 
posteriori di quattro secoli circa a’ tempi omerici? 

Non ho parlato dell’ argomento che, a provar antiehissi- 
mo fra’ Greci l’uso della scrittura , vorrebbe trarsi dalla con- 
formità del greco alfabeto con quelli di più lingue simili alla 
fenicia ; poichè non parmi argomento a cui nessuno dia molto 
valore. Quella conformità infatti non è così evidente , che non 
abbia bisogno di qualche industria filologica (v. le Congetture 
del Lucchesini ) per essere dimostrata. Nè la conformità più 
evidente attesta una derivazione diretta (v. gli Etnografi, gli 
Autori di Grammatica Generale ec.) e molto meno antichissima. 
Nè, attestando una derivazione diretta e antichissima, proverebbe 
abbastanza la grande antichità dell’uso della scrittura. 

Ma che importano le congetture , dicono alcuni, ove si pos- 
sono citar monumenti ? Erodoto , Demostene , Aristotele , Diodo- 
ro ; Plinio, Pausania parlano d’iserizioni antichissime , e alcuni 
di loro ne parlano come di cosa veduta da loro stessi. Ora le 
iscrizioni, per servirmi delle frasi del Lucchesini , si scolpiscono 
perchè sien lette. Dunque allorchè quelle , di cui parlano quegli 
autori, furono scolpite, molti già sapean leggere ; dunque i ra- 
gionamenti del Wolf o de’ wolfiani sulla poca antichità dell'uso 
della scrittura sono vauissimi. 

Le iscrizioni di cui parla Erodoto ( nel quinto ) vedeansi , al 
dir sno, in Tebe nel tempio di Giove Ismenio., ed erano quali 
più quali meno antiche , alcune cioè del tempo di Cadmo , alcune 
poco posteriori. È pur singolare , dice il Wolf scherzando, che 
il primo dono della scrittura sia stato fattu da Cadmo o da? pri- 
mi Fenici ai grossi Beoti anzi ai Beoti selvaggi, che non sapean 
che farne! Un secolo infatti dopo Cadmo, volendosi fondar da 
Anfione le mura tebane , gli fu d’uopo mover i sassi eolla cetra ; 
allegoria che , in qualunque modo si spieghi , non indica certo che 
a’Beoti un tal dono avesse ancor giovato. Ma Erodoto a questo non 
pensò. Vide iscrizioni, che gli si dissero cadmée; credette buonamen- 
te e ci narrò d’aver veduto iscrizioni cadmee. — Ma quelle iscrizioni 
erano inintelligibili, a differenza dell’ altre che poteano intendersi, 
e di cui trasse copia; dunque quelle prime erano veramente in 
lettere cadmee o fenicie , e 1’ altre in lettere già modificate alla 
greca. — Ma quelle iscrizioni erano inintelligibili ; dunque sa 
Dio in che lettere erano ; se erano in lettere mai usate a questo 
mondo. Che se erano in lettere fenicie o semifenicie , questo 


T. I. Febbraio. 11 


82 
che prova? la loro antichità o |’ abilità di quelli che le aveano 
cumposte pe’ buoni uomini suoi pari ? Meque enim, dice lo Kuight, 
de fide Herodoti in exscribendo quae vidisset , vel narrando quae 
audisset, dubitandum est: de ejus autem judicio et acumine in 
fraudibus sacerdotum, sanctitatis famam e gloria antiquitatis 
captantium , detegendis jure suspicari licet. Del resto l’ abilità 
ci apparisce un po’ minore quando più non si ajuta colla inin- 
tellig:bilità. Le iscrizioni intelligibili parvero , se non al buon 
Erodoto che le copiò , ai dotti moderni che le esaminarono , allo 
Knight, come al Bentley e al Wolf, tutt’ altro che antichissime. 
Parvero spirare ne’ loro modi l’ imitazione della lingua omerica, 
della lingua più colta dell’ Ionia. Ora quest’ indizio di non troppa 
lontana antichità, dice il wolf, èin tutte le iscrizioni serbateci 
da quegli antichi nominati più sopra , o scoperte poi da’moderni, 
come le amiclée del Fourmont, le eraclesi di non so chi, ec. Nè 
vale opporre che per giudicare di quest iudizio ci bisognerebbe 
aver saggi d’altre forme primitive della lingua. Per accorgerci 
che una bella ragazza è sulla ventina, abbiam noi bisogno di 
vedere che manine o che piedini aveva quando andava nel car- 
ruccio della mamma ? 

Ma le iscrizioni copiate da Erodoto sieno, dice il Lucche- 
sini, meno antiche di quello ch’ ei le credeva. Noi abbiam pure 
iscrizioni anteriori ad Erodoto almen di due secoli; le iscrizioni 
famose dell’ arca di Cipselo descrittaci nel quinto di Pausania. 
Supponete le copiate da Erodoto anche solo del loro tempo , e 
vedetene le conseguenze. 

Egli nota, non so dire se in prova di molta antichità, che 
le iscrizioni dell’ arca son bustrofede, cioè, se così posso espri- 
mermi , a doppio solco, da destra a manca e da manca a de- 
stra, come l’ aratura de’ buoi onde vien loro quell’ appellativo. 
E tal maniera di scrivere è veramente assai antica, segnando 
forse il passaggio fra la maniera orientale o primitiva e la pro- 
pria de’ Greci. Pure, come notano l’ Heyne e il Ciampi nelle 
loro illustrazioni alla descrizion di Pausania, quella maniera fu 
pur usata anche tardi, prima forse per vecchia abitudine, co- 
me nel piccol codice legislativo di Solone, poi per affettazione 
d’ antichità, come nell’ iscrizione d’ Erode Attico illustrata dal 
Salmasio, in varie gemme illustrate dal winkelmann, ec. ec. 
Ma l’arca , dice il Lucchesini, dovea pure essere anteriore al- 
l’anno in cui vi fu posto il fanciullo Gipselo cioè al 658; do- 
veva essere uno de’ preziosi arredi del domestico cimelio di Ci- 
pselo il seniore. Poichè sicuramente non fu lavorata apposta per 


83 
collocarvi il fanciullo e sottrarlo; com’ è noto, alla morte ; nè 
verosimilmente lo fu in memoria dell’ avvenimento per cura 
de’ Cipsledi posteriori, che vi avrebbero fatto scolpire l’avveni- 
mento medesimo. Quest’ osservazione trattenne anche 1’ Heyne 
dall’ aderire a quelli che vorrebbero 1’ arca assai meno antica di 
quello che si suppone. Pure ciò ch’ essi dicono , che se 1’ arca, 
cioè, avesse appartenuto al domestico cimelio di Cipselo il se- 
niore , Erodoto, che 1’ ha descritto , non l’avrebbe passata sotto 
silenzio , parmi di maggior momento che l’osservazione già detta. 
Poichè ad essa è facile opporre che , volendo far credere l’arca 
qual si diceva , cioè contemporanea all’ avvenimento , bisognava 
appunto guardarsi da rappresentazioni che 1° avrebbero scoperta 
posteriore. L’ Heyne , lo veggo , trae altre prove dell’ antichità 
di quest’ arca dalla forma delle figure che vi sono rappresentate, 
e dall’ accompagnamento stesso delle iscrizioni , che in tempi di 
miglior gusto non si sarebbe lor dato, o si sarebbe dato con 
meno intralci. Pur veggo che il Quatremère , citato. dal Ciampi, 
non sa risolversi a farla anteriore al tempo di Giziade cioè alla 
dodicesima olimpiade. E il Salmasio, non trovando improbabile 
che 1’ Eumelo di Corinto autore d’ un inno a Delo, creduto da 
Pausania autore delle iscrizioni; sia pur 1’ autore della Titano- 
machia , scende volentieri fino alla quarantesima olimpiade, cioè 
molto vicino al tempo di Solone. 

Certo le iscrizioni , per la loro stessa brevità, furono le prime 
scritture possibili dopo l’ invenzione o l’ introduzion delle lettere. 
E per ragione di necessità fra le prime iscrizioni par che doves- 
sero esser quelle che contenevano leggi. Ora le leggi non si 
scrissero. sicuramente che assai tardi, e l appellativo stesso di 
vojs0s, rimasto sì lungamente, come osserva Aristotele ne’Problemi, 
ai versi cantati, basterebbe ad assicnrarcene. Platone, per vero di- 
re, nel dialogo intitolato Minosse ci narra che quel principe 
scrisse le sue. Ma tal narrazione , dice il Wolf, può mettersi coll’al- 
tra che fa quel principe inventore della tragedia. Nemmen Licurgo, 
sei secoli, circa, dopo Cadmo , e un secolo , circa , dopo Omero, 
diede leggi se non a voce. Quindi furono istituiti pubblici cantori 
che le serbassero e le tramandassero alla memoria de? cittadini. 
Sappiamo anzi dalle storie che le leggi furono cantate anche sotto 
Dracone ; il.qual fa arconte nella trigesimanona olimpiade, vale 
a dire distante di più di tre secoli da Omero. Il primo a scriver 
leggi, se crediamo a Strabone ea Scinno, fu Zeleuco di Locri, 
quattro secoli circa dopo Omero; e soli settant’ anni innanzi a So- 


34 
lone , ond’ è che taluno , come Clemente negli Stromati , lo chia- 
ma primo legislatore. 

Ma si fossero pure scritte leggio fatte iscrizioni da tempi 
molto antichi. Come o sn che materia si sarebbero scritti lunghi 
poemi? Non su tele di lino, dice il Wolf, usate forse tra gli 
Ebrei, come poi fra’? Romani, ma non mai usate fra’ Greci, se 
crediamo a Plinio o alle memorie a cui egli si riferisce nel libro 
primo. Non sopra papiro, di cui Erodoto sul principio della sua 
Storia favella, per vero dire, come di cosa al suo tempo non 
muova, ma che, per gl’indizii che ne danno i dne poeti comici 
Cratino e Platone citati da Polluce nel settimo; non credesi 
usato in Grecia prima del quinto secolo. Non su pelli caprine 
o su pergamene , delle quali pure Erodoto fa parola, poichè le 
prime sebben usate in Tonia prima che si avesse materia più co- 
moda , pur nol furono che dopo i tempi omerici, e le altre anche 
più tardi. Non su tavolette incerate , di cui pure quello storico 
fa menzione, poichè nè di queste si poteano compor libri, nè 
alcun dice che mai si componessero. Molto meno su legno, sn 
marmo, su metalli, usabili ed usati per le pubbliche memorie 
(le leggi di Solone erano in cilindri di legno) non usati nè usa- 
bili per lunghe composizioni. Se non che Pausania nel mono ci 
narra d° aver veduto presso il fonte d’ Elicona l’ opere d’ Esiodo 
scritte in lamine di piombo e già tanto antiche, che in varie 
parti non poteano più leggersi. E forse il Wolf ha torto ; come 
il Lucchesini gli rimprovera ; di beffarsi della credulità di Pausa- 
nia, poichè Pausania credette agli occhi propri, non ad un rac- 
conto de’ Broti. A Pausania però, il qual viveva al tempo d’AAria- 
no , potevano quelle lamine sembrare ben antiche, quando pure 
non fossero state scritte, che a’ giorni per esempio. di Filippo © 
d’Alessandro. Nè un unico esempio d’ opere scritte in lamine , per 
farne monumento, prova che lo scrivere in lamine fosse cosa usua- 
le. Nè, se poteano scriversi in lamine 1’ Opere d’ Esiodo, era 
facile che si scrivessero tutti i canti che compongono } Iliade 
e l’ Odissea. Laminae enim , dice lo Knight ; quae totius Iliadis 
vel Odisseae capaces fuissent , omnem rationem modumque ponde- 
ris et impensi excessissent. 

Che importa peraltro, dice il Lucchesini, disputar della 
materia su cuì anticamente pnò essersi scritto ?. Poneansi iscri- 
zioni? Dunque leggevasi, come già si è detto; dunque aveansi 
lunghi scritti. , su cui solo si era potuto imparare a leggere. 
« La scrittura ne’ libri (giova recar testualmente queste parole ) 


85 


dovette necessariamente precedere le iscrizioni: il che è tanto 
manifesto che non posso abbastanza meravigliarmi come il dot- 
tissimo Wolf pretenda il contrario ,;- Io non mi fermerò qui a 
dire come, se il Wolf vivesse, anch’egli si meraviglierebbe 
non poco di questa meraviglia. Mi contenterò d’accennare co- 
m’egli pensava che, anche quando già cominciavasi a seriver 
molto , leggevasi assai poco. Però parlando delle sentenze morali 
che Ipparco , secondo il dialogo che da lui s’ intitola, avea fatto 
scolpire in varii luoghi d’ Atene, le chiama opportunissime 
occasioni d’ imparar a leggere offerte ai magnanimi Cecropidi. 

Il Cesarotti , o per. meglio dire 1’ autore da lui citato d’ un 
articolo del Magazzino Enciclopedico intorno ai Prolegomeni del 
Wolf, ha creduto di trovare un argomento irrecusabile del- 
l’uso della scrittura a’ tempi omerici nello stato della lingua a 
que’ tempi. Se la scrittura non fosse stata in uso fra? Greci ; 
egli dice, la lingua sarebbe stata poverissima , informe, senza 
grammatica , come quelle de’ selvaggi , ec. Ma è egli vero, può 
rispondersi , che tutte le lingue de’ selvaggi sieno poverissime, 
informi, senza alcuna grammatica? Voglio supporre che  sien 
molto esagerate le lodi che si danno ad alcune, come a quella degli 

Ulufi , che dicesi accoppiare in se stessa i migliori pregi delle 
antiche e delle moderne. Voglio credere che sien molto accarezzati 
nelle traduzioni i saggi che ci si danno di tempo in tempo della 
letteratura de’ selvaggi. Mi basta riflettere che la grammatica e 
tutte quelle che si chiamano o regole o forme dell’ elocuzione 
sono prima nelle lingue parlate che nelle scritte; che a polire, 
arricchire, far regolari le lingue, massime sotto un bel cielo, 
fra uomini operosi, passionati, immaginosi ; 1’ uso verbale delle 
lingue stesse può giovar poco meno della scrittura ; che quest’ uso 
verbale non mancò sicuramente a’ Greci più antichi, fra i quali, 
se i poemi omerici son vera pittura delle memorie antiche , i Ne- 
stori, gli Ulissi, tutti i capitani insomma erano oratori; i Femii, 
i Demodoci, i regii o popolari cantori non mancavano ad alcuna 
adunanza ec. Mi basta, dico, rifletter ciò per conchiudere che 
anche senza 1’ uso della scrittura; col solo favore di Mnemosine 
o della memoria spesso invocata da quei cantori ; si potesse formar 
i quella lingua che Dionisio d’ Alicarnasso ; pur citato dal Cesarotti, 
trova ne’ poemi omerici tanto meravigliosa. 
| Che se col solo favore della memoria potè formarsi la lingua 
de’ poemi omerici, poterono anche, dicono alcuni oppositori del 
Wolf, e fra essi l’ultimo traduttore di que’ poemi, il Bignan, 
esser composti da un solo uomo e da lui tramandati ad altri i 


86 
poemi stessi. Quindi, ove pur sia mostrato che a’ tempi omerici 
la scrittura ancor non era in uso fra’ Greci , non può trarsi da 
questo fatto veruna conseguenza in favore dell’ opinione del 
Wolf. 

E già quanto alla possibilità di ritenere o tramandare , an- 
che senza l’ uso della scrittura, i due poemi, non può esservi 
disputa. Il Wolfistesso, citando non so che parole dell’Io di 
Platone , avea notato quanto grandi dovessero essere le forze della 
memoria prima che la scrittura vi supplisse. Altri, e fra essi il 
Constant, citando non so che passo del ‘Viaggio nel Lazio del 
Bonstetten, hanno pure osservato come sempre sien grandi ove 
non sieno d.stratte. I Druidi, per testimonianza di Cesare 
e di Mela, sapeano a memoria versi non scritti senza numero ; 
così gli Scaldi ed altri settentrionali che ci conservarono ; al dire 
del Botin, le tradizioni degli Scandinavi ; così i Bardi ed altri 
Caledonii che ci conservarono le poesie ossianiche , e fra i cui 
successori, dice il Thornt, taluno potrebbe dettando impiegar. 
per più mesi un celere amanuense; così quelli che ci conservarono 
il gran poema de’ Calmucchi, la Dschangariade, in 360 canti, 
ciascun de’ quali, dice il Bergman , è tre o quattro volte maggio- 
re di ciascun canto de’ poemi omerici. Che più ? Nicerato nel 
Convito di Senofonte si là vanto di poter recitar tutte intere 
l Iliade e 1° Odissea ; e Antistene gli rispo ide non. esservi rap- 
sodo che non possa fare altrettanto. Solo, come nota il Con- 
stant,, è più facile concepire col Wolf che molti rapsodi ci ab- 
bianv conservato qual l’ una qual l’altra parte dei due poemi, 
che non il pensar che un solo abbia ritenuti i quindicimila versi 
che racch'ude il primo e i dodicimila che racchiude il secondo. 

Ma s° è possibile che un sol uomo abbia ritenuti tanti versi, 
è egli anche probabile, domanda il Wolf, che senza scrittura 
abbia composto i due poemi? Per chi tanto studio nel formarne 
il piano , distribuirne, variarne, collegarne le parti, ec., se nessuno 
potea leggerli ?_- Ma forse che, replica il Cesarotti, qualche epo- 
pea si lesse mai tutta d’ un fiato? Forse che le migliori epopee, 
prima d’ esser date a leggere o in iscritto o in istampa, non fu- 
rono recitate parte a parte e talvolta a lunghi intervalli, o in 
piccoli crocchi o in numerose assemblee? — Ed ecco un altro 
paragone che ha il solito difetto de’ paragoni. Qual somiglianza 
fra i tempi omericie quelli, non dirò del Pulci o del Bojardo , 
dell’Ariosto o del Tasso, ma dello stesso Virgilio ? La poesia a’tempi 
omerici, come già si accennò , era parte della vita pubblica , non 
si distinguea dalla musica. I primi poeti e i primi rapsodi, come dice 


87 

il Miller discorrendone l’istoria, furono improvvisatori o cantori; 
se altri in seguito recitarono , il recitar loro, come osserva l’Heyne 
citando un passo dell’ Io di Platone , era di tragici, accompagnato 
cioè di melopea e di pantomima. Essi erano chiamati fra la gioja 
de’ conviti , fra gli esercizi della milizia (v. Omero, Tucidide , ec.), 
sempre fra uomini vivaci, bellicosi, impazienti, ad accrescer la 
gioja , a destar l’ entusiasmo celebrando gli eroi. Quel canto, 
quella recitazione, quegli uditori, voleano inni ardenti , storie 
brevi, non epopee, non parti d’epopee, che alquanto lunghe 
sarebbero riuscite insoffribili, che troppo minuzzate sarebbe riu- 
scite freddissime, che in tutti i modi avrebber ripugnato all’ oc- 
casione , ai costumi , all’ officio antico della poesia. 

Per queste e per altre considerazioni , che si accenneranno 
altrove , poichè si riferiscono agli argomenti intrinseci della que- 
stione wolfiana , il Lange, volendo pur serbare ad Omero la 
fama di autore dell’ Iliade e dell’ Odissea, pensa di non potervi 
riuscire che collocandolo un secolo almeno dopo Licurgo. Nel 
quale assunto, un po’ diverso da quello del Koliades e degli 
altri che pongono Omero al tempo o assai presso al tempo della 
guerra di Troia, io non so dire se, anche vincendo alcune gravi 
difficoltà che gli si pareranno innanzi ; ei sia per riuscire ad altro 
che a confermarci essere Omero il poeta di secoli diversi. La 
qual tesi , per quanto gli sia increscevole , ha pur questo di con- 
sentaneo al suo assunto , che anch’ essa tende a colmare il gran 
vuoto ch’ egli osserva, e che gli par troppo inverosimile, fra la 
prima e la seconda età poetica della Grecia. Anzi tende a col- 
marlo più pienamente, mostrandoci, in luogo d’un solo gran- 
d° epico meno lontano dall’età dei lirici, una lunga serie di poeti 
mitici e storici, i primi che ci si presentino , dice il Vico, presso 
tutte le nazioni. Che se mai avverrà che dicasi unione dei loro 
canti quella che finor si disse comunemente opera d’un solo, 
non però ci sembrerà meno degna della bellissima Poliglotta che 
dà occasione a queste parole, e in fronte alla quale leggendo il 
nome di Omero par che si accresca il piacer di ripetere “ E pa- 
tria ei non conosce altra che il cielo ,,. 

M. 


88 


Commentarii della Rivoluzione Francese dalla morte di Lui- 
gi XVI sino al ristauramento de’ Borboni sul trono di Francia. 
Scritta da Lazzaro Pari. Lucca 1830. Vol. I. II. II, IV. Tipo- 
grafia Giusti. io 
La cognizione della storia de’ nostri tempi disgraziatamente 

non può dirsi molto estesa in Italia. Sono invero nella memoria 
di tutti certi avvenimenti maravigliosi coi nomi degli uomini più 
celebri, son note generalmente le somme discrepanze di opi- 
nione che tante lacrime e tanto sangue han costato alla misera 
umanità. Ma la serie dei fatti che unisce insieme questi punti 
più luminosi dell’ istoria , il modo con che le opinioni discendono 
dalla specnlazione alla pratica , le innumerevoli modificazioni che 
i principj astratti subiscono nella mente di chi li professa ; que- 
ste parti importanti della storia io diceva sono presso che igno- 
rate dall’ universale; colpa in parte della mancanza di libri 
italiani che le cose dell’ età nostra espongano con chiarezza e sin- 
cerità , ed in parte eziandio di alcuni vizi logici contratti nella 
prima educazione di cui non è agevole liberarsi quando manca 
ogni stimolo alla formazione di un giusto criterio politico. 
Tuttavia poichè ognuno ama ragionare delle cose pubbliche 
a suo talento, ed oggimai si è fatta comune consuetudine quello 
che in altri tempi pareva privilegio de’ pochi, conseguitano da 
questa imperfettissima cognizione dell’ istoria molti falsi giudizi 
dipendenti assai più dall’ immaginativa che dall’ accurato esame 
dei fatti: cosa che non so quanto possa stimarsi utile non dico 
alla parte di quelli che desiderano l’ incremento alla civiltà, ma 
neppure a coloro che abboriscono da qualunque civil movimento 
come che per avventura dovesse riuscir coronato di otcimo suc- 
cesso. Perocchè dove l'immaginazione forma principal parte del 
comun giudicare intorno alle cose politiche o si ingrandiscono i 
mali o si esagerano i beni, soverchia la paura , o divien baldan- 
zosa la speranza; ma il giusto temperamento de’ desideri a se- 
conda de’ mezzi non può trovarsi che in coloro i quali abbando- 
nando le illusioni si fermano allo studio de’ farti e da quello 
prendon regola alla vita civile. Sicchè aumentare la scienza e 
diffonderne i lumi egli è lo stesso che estendere quello spirito di 
tranquilla moderazione che mentre da un lato difende la civiltà, 
dall’ altro resiste fortemente ad ogni movimento precipitoso ed 
inconsiderato. La qual cosa desiderata da tutti i buoni e pru- 
denti cittadini si vorrebbe oggimai acquistata al patrimonio del 


89 
senso comune per il bene e la sicurezza di tutti. Ora gli avve- 
nimenti degli ultimi due lustri del secolo XVII e de’ primi tre 
lustri del XIX son tali che dove sieno ben conosciuti molto pos- 
sono valere alla formazione di un giusto criterio nelle cose po- 
litiche. Ma per quanto non si possa dire che vi sia chi gli ignori 
affatto, tuttavia convien confessare che troppi pochi li conoscono 
adequatamente. 

Molti infatti si rappresentano alla mente quel gran dramma 
che si intitola rivoluzione Francese come una potentissima lotta 
tra la ragione, e la forza, spinta in alcuni tempi alle sue con- 
seguenze estreme , e terminata poi con assai magre transazioni. 
Pare a loro che in quei tempi fossero tracciate definitivamente le 
linee di separazione tra la mera forza , e la ragione, e per una 
parte e per l’ altra fosse indicato chiaramente il punto nel quale 
si sarebbero accontentati di fermarsi o i popoli o i potenti quando 
a qualcuno di loro fosse rimasta sicura in mano la vittoria. Ve- 
dono il mondo come diviso da due inconciliabili opinioni ; e cre- 
dono tutto proceda sistematicamente in due diversi ordini secon- 
do i due diversi principj. Però secondo la fazione a cui inelinano 
O per interesse , o per affetto , o per pregiudizio, costituiscono una 
divisione di uomini e di cose in due parti; vedono in una tutto, il 
bene, nell’ altra tutto il male, ne san quasi concepire come 
salva la buona fede e la naturale onestà possa sussister tanta 
discrepanza di opinioni. Se vedono se intendono che alcuno ven- 
ga fuori con sentenze medie, subito gridano all’ ipocrita, e al- 
l’ uomo di dubbia fede. Stiman sempre che vi sia il pensiero ri- 
posto, e faticandosi a cercarlo perdon quello che si enunzia 
ed apparisce. Così per altro vanno sovente errati nel giudicare 
delle cose e delle persone, più spesso rimangon delusi nelle spe- 
ranze , sovente ancora riescono falsi profeti nelle sventure. Il 
fatto veramente complesso del governo delle umane società , non 
meno che quello degli interni moti del volere degli uomini, ri- 
mangon sempre oggetti di stolta ammirazione a coloro che mai 
si vollero dar cura di analizzarli, ma li ridussero sempre ad 
unità arbitrarie e premature. Frattanto il mondo varia ; ed essi 
non sono più in grado, nè di conoscer gli amici, nè di distin- 
guere i nemici, ma fidano in forze che han perduto ogni pote- 
re, o temon le ombre come se avessero esistenza reale. 

I.° La cognizione delle cagioni della rivoluzione francese, 
il sapere lo stato morale ed intellettuale di Francia all’ epoca 
dei suoi primi moti, il conoscere i mezzi pei quali la parte popo- 
lare potè in alcun tempo aver pieno trionfo, sono dati essenziali 


T. I. Febbraio- 12 


90 


per ricavare alcuna conclusione giusta dallo studio della Storia. 
Il confrontar poi lo stato di Europa avanti la rivoluzione collo 
stato suo dopo il mille ottocento quattordici , valutando le varia- 
zioni accadute nella condizione economica de? popoli , nelle leggi, 
nell’ ordine delle famiglie, e nello stato dell’ opinione , pare a 
me il solo modo di giudicare dirittamente la rivoluzione e sepa- 
rarne il buono dal cattivo ne’ principj che la dirigevano; cosa che 
importa a tutti poichè volere o non volere le questioni massime 
de’ nostri tempi sì nell’ordine privato come nel pubblico si rife- 
riscon tutte alla lotta di principii che si fece manifesta colla ri- 
voluzione di Francia. E quanto sarebbe forse fuor di ragione il 
credere che in quella lotta fossero definitivamente risolute in 
teoria , altrettanto mi parrebbe strano il rifiutare le lezioni del- 
l’ esperienza. 

II. Una numerosa classe di persone che i Francesi facili nel 
dar nome a tutti chiaman dottrinarii, e noi porremmo dire domma- 
tici, ha creduto potersi costituire arbitra nelle quistioni tra la parte 
popolare , la monarchica, la teocratica , e 1’ aristocratica ; e comin- 
ciando dal dar torto a tutte nelle loro smisurate pretensioni, ha cer- 
cato poi cosa poteva esservi di vero e di giusto ne’ principj di cia- 
scuna; e si è formata una dottrina di sentenze medie colle quali cre- 
de dover conciliare i bisogni di ordine con quelli di libertà. Se la 
parte monarchica prevale, i dottrinari si annoverano tra quelli che 
sostengono i-diritti del popolo; ma se per lo contrario la vittoria 
viene in mano della parte democratica, i dottrinari sostengono l’in- 
teressi de’ vinti ed impediscono il pieno trionfo della democrazia. 
Così tocca a loro l’avere a vicenda nemiche tutte le fazioni ed esser 
tanto più lacerati, in quanto che son meno temuti per l’ abituale 
incertezza delle loro risoluzioni. Essi peraltro forniti di filosofica 
costanza aspettano dal tempo il buon successo delle loro dottrine, 
riguardano gli avversari come trascinati dal bollore delle passioni , 
e confidano che la ragione e l’ esperienza metteranno nell’ univer- 
sale sensi di maggior moderazione. 

L’amore dell’ordine e della quiete ha procurato ai dottrinarii 
moltissimi partigiani. Assai più ne ha dato loro in altri tempi il 
privato interesse. Perocchè se da una parte erano iu credito appo 
del popolo come fautori di libertà , dall’ altra eranu meno invisi ai 
potenti come persone avverse ad ogni sostanziale mutamento. Avea - 
no perciò il campo aperto alle elezioni popolari, nè erano esclusi 
dai favori tosto che pareva necessario di accarezzare, senza perico- 
lo , i’ opinione popolare. 

Sarebbe contro la giustizia il negare che essi abbian reso im- 


gf 
portanti servigi alla patria. Sarebbe eziandio contro la giustizia 
1’ asserire che le loro opinioni esprimono sempre transazioni colla 
coscienza. Tuttavia, siccome offron modo a molti di starsene in una 
via di indecisione, non si può ammettere neppure in tutti un 
egual sincerità di opinione. Molti devono esser dommatici per ti- 
midità, molti per indolenza, molti per interesse , € molti perchè 
non par loro vero di trovar modo di stare in pace con tutti. Di 
che forse si lusingano invano. Noi non dobbiamo esaminare adesso 
la dottrina di questi mediatori o arbitri. Dobbiamo vedere piut- 
tosto quale influenza eserciti sullo studio della storia. Il che pe- 
raltro non può farsi senza toccare alcuna cosa delle teorie. 

III. L'ordinamento politico di una società esprime in sostanza 
le condizioni colle quali è dato di contenere ne? limiti le forze 
private, e provvedere al comune interesse assoggettando la volontà 
di tutti alla direzione che crederà bene darle la forza pubblica. 

Ognuno intende esser condizione di durevolezza di un ordine 
stabilito il rappresentare in modo gli interessi tutti, € le forze 
tutte della società, che niuno avendo una parte soverchiante ; e 
tutti trovandovi un proporzionato grado di utilità, manchino le 
ragioni e manchino i mezzi a quegli sconvolgimenti dell’ ordine 
stabilito, che quando anche riescon profittevoli alla causa perpe- 
tua della civiltà ;' sono tuttavia calamitosissimi per la generazione 
che li va operando. Perciò ogni durevole costituzione di civil so- 
cietà è una transazione tra i forti. Nella quale se l’ utilità vien 
distribuita in ragione delle forze; si ottiene l’ effetto che l’ordine 
sia posto sotto la salva guardia del privato interesse , così che 
tutte le forze sociali concorrano a difenderlo. Ma se per avven- 
tura l’ ordine politico ha degli interessi e delle forze contro di 
se, è evidente che deve trovarsi in pericolo ; e può essere sconvolto 
se queste forze divengon maggiori ed hanno modo ed occasione 
di agire. 

Ella è dunque una necessità difatto l’ esaminare nel. costi- 
tuire gli stati dove siero le forze della società , ed accordare le 
cose in modo che nell’ ordine stabilito tutti gli interessi trovino 
sicurezza e libertà al loro avanzamento ; ne possano sperar molto 
da una mutazione. 

Queste sono le condizioni di stabilità. Ma quanto alla giu- 
stizia si vuole che 1’ ordine sociale sia utile non solo ai potenti, 
ma eziandio a deboli. Anzi questi ultimi hanno maggior diritto 
alla protezione (sociale in quanto che senza di quella non pos- 
son raggiungere alcun grado .di prosperità. Tuttavia siccome gli 
uomini sono guidati dalla considerazione del proprio interesse, 


92 
consultando l’istoria si vede difatti ‘che la forza è stata la misura 
a seconda della quale si sono regolati più spesso i legislatori nel 
distribuire i diritti, e nel definire le obbligazioni. 

Un senso per altro di giustizia indipendente dalla forza si 
trova negli stati eziandio più rozzi di civiltà. Questo senso che 
ha le sue radici nelle simpatie, e la sua sanzione morale nelle 
opinioni religiose, benchè da memoria di uomini non sia rimasto 
mai al tutto inoperoso ; si è tuttavia mantenuto in grandissima 
dipendenza delle istituzioni politiche che come dicevamo furono 
sino dalla loro origine transazioni tra i potenti, nelle quali anzichè 
il bene dell’ umanità eran calcolate le forze di quelli che sti- 
pulavano. Perciò vediamo la servirtù domestica, 1’ esposizione 
degli infanti, gli aborti e mille altre azioni dannose ai deboli 
riguardate come indifferenti nel primo stadio dell’ umana civiltà, 

Per altro coll’ incremento del viver civile le idee di giustizia 
acquistano un grado tale di forza che nella bilancia istessa del- 
l’ interesse meritano di esser considerate. Allora le istituzioni po- 
litiche prendon forma più larga, vien meno a poco a poco la di- 
stinzione de? privilegiati e degli oppressi, e le leggi si avvicinano 
a grado a grado alla regola dell’uguaglianza. Il debole divien 
forte per l’opinione universale che assiste la giustizia , e 1’ uma- 
nità è rispettata nell’ infante , nel feto, nelle donne non meno 
che nell’ uomo che ha mente e potenza da tutelare i propri 
diritti. 

Non si ottiene in fatto questo ultimo risultamento di eguale 
amministrazione della giustizia , senza dare tali regole alla forza 
pubblica che guarentiscono che dessa venga impiegata pel co- 
mun bene , e non per la particolare utilità di coloro che 1’ am- 
ministrano. L’ eguaglianza si scrive molto prima nelle leggi, di 
quello che non si metta in pratica. Ma la società non può esser 
contenta finchè non la veda ridotta all’ atto, nè si può confi- 
dare in questo se 1’ ordinamento dello stato non le offre bastante 
guarentigia di una fedele esecuzione di leggi giuste. Corrono 
sempre molti anni, e forse de’ secoli dalla prepotenza alla giu- 
stizia , dalla giustizia allo stabilimento delle guarentigie. Nono- 
stante a questo fine inclinano le civili società , e vi sono spinte 
dalle necessità dell’ umana natura , talchè senza prefinizione di 
tempo il filosofo quasi profeta predice che vi arriveranno. Tanto 
il modo di arrivarvi, quanto la maniera di sodisfare a questi bi- 
sogni sociali, variano assai ‘secondo la natura degli elementi pri- 
mitivi della civiltà. Tuttavia siccome a mente dei dottrinarii sono 
maggiori le analogie che le dissomiglianze tra i principi vera- 


93 
mente cardinali della civiltà delle diverse. nazioni di Europa, 
argomentano che tutte debban giungere ad uno stesso fine. Ar- 
gomento confermato in gran parte dalla politica de’ potenti che 
per lungo tempo hanno creduto potersi ridurre ad unità di prin- 
cipio 1’ intero governo della civiltà europea. 

Su questi principii i dottrinari , e prima di loro alcuni ar- 
ditissimi ingegni italiani han fondato la filoso fia dell’ istoria. Ri- 
ducono l’ istoria a poche formule generali colle quali spiegano 
il passato , dan conto del presente , e quasi predicono il futuro. 

IV. Quanto sarei facile a concedere che queste formule fos- 
sero utili ricordi nella mente di coloro che le hanno original- 
mente composte dopo lo studio particolarizzato de’ fatti, altret- 
tanto stimo che sieno pericolose per chi le prende a guida vello 
studio dall’ istoria. Lascio di annoverare tra i mali che producono 
le storie ideali della civiltà , la presunzione di sapere senza stu- 
dio che generano in molti. Questo vizio delle persone metafisica - 
mente non andrebbe imputato alla teoria, ma considerando la 
teoria non per la sua verità astratta ma come un metodo, e però 
non sulle bilancie dell’ assoluto vero ma sulle bilancie dell’utile 
logico , il vizio istesso di quelli che 1’ adoprano merita di esser 
valutato. 

Più di spesso quelli che prendono a guida nello studio dei 
fatti le formule della filosofia dell istoria raccolgono i soli fatti 
che si accordano colla preconcepita teoria ; e trascuran quelli 
che non vi si riferiscono. Così essi vanno componendo piuttosto 
un ipotesi istorica anzi che mettersi in mente il più certo o più 
probabile ordine de’ fatti. Considerauo i fatti istorici come rotta- 
mi di un grande edifizio , del quale presumono ritrovar l’ ordine 
e l’ architettura col proprio ingegno. E come il geometra cono- 
scendo un arco, ti sa dire la periferia del circolo a cui appar- 
tiene mediante l’ applicazione delle proposizioni più note della 
Geometria ; così il dottrinario colla cognizione de? fatti più note- 
voli intende poter ricomporre il sistema della storia. Che si pra- 
tichi questo metodo per rinvenire il vero delle storie che sono 
scarse di documenti, o si appoggiano a mere tradizioni popo- 
lari, come 'la maggior parte dell’ istorie dell’ antichità ; noi lo 
concederemo facilmente. Ma che quando si può avere la storia 
certa secondo un ragionato calcolo di testimonianze positive ; si 
anteponga il metodo dell’ analogie , allo studio accurato delle 
vere fonti dell’ istoria.; non solo non si può approvare ma par 
quasi impossibile che segua. Pure segue di frequente , tanto ri- 


94 
spetto alla storia della decadenza dell’ impero, e de’ tempi di 
mezzo ; quanto nella storia moderna. 

Con questo metodo procedono molti per ignoranza, e molti 
per preoccupazione filosofica. Gli articoli de’ giornali in Francia 
che mirano sempre più alla quistione del momento che allo sta- 
bilimento | de’ principi j e si curano più dell’ applauso che della 
verità, allorchè toccano argomenti storici seguono costantemente 
il metodo di formare un’ edifizio sn de’ fatti artifizialmente rav- 
vicinati. Vero è che i giornali di Francia devon riguardarsi più 
come diretti a _mnover le volontà, che a formare le menti. Tut- 
tavia non pochi sono in Francia, e moltissimi tra noi che addot- 
tan la logica dei giornali e riducono a quelli tutta la loro erudizio- 
ne. Di che nulla di più ‘avverso ai progressi della ragione. I viag- 
giatori, scendo ad un’altro esempio, che di Francia vengono a visi- 
tare il nostro paese, prendono quei grossi abbagli che tutti sanno e 
fanno ridere le persone prudenti, non già per malignità come alcuni 
si danno a credere , ma per effetto di preoccupazione sistematica. 
Scendono le alpi con delle distinzioni metafisiche con delle leggi 
generalissime intorno all’ andamento naturale delle società , si 
informano un poco per conoscere in che stadio sieno i diversi po- 
poli d’ Italia, e dopo un breve saggio , come se si trattasse di ri- 
conoscere una sostanza chimica, si compongono d’immaginazione 
il resto, e scrivono un viaggio in Italia , o un articolo filsofico 
sullo stato della nostra penisola. Pare impossibile che venga in 
mente ad aleuno di scrivere dello stato morale e politico di una 
nazione , senza conoscerne bene l’istoria , senza saperne in par- 
ticolare le leggi , senza averne mai usata la lingua , senza aver 
letto le produzioni letterarie onde si alimenta lo spirito nazionale. 
Poco monta il leggere il Niccolini il Botta il Manzoni il Gioia, 
ed il Romagnosi , dalle opere di questi sommi non si può giu- 
dicare della nazione. Pure sarebbe ‘molto se i viaggiatori che ra- 
gionano d° Italia arrivassero a legger tanto. Tuttavia parlano di 
tutto , perchè credono sapere a priori tutta la storia della teo- 
erazia ; dell’aristocrazia , della parte liberale , de’ metodi giudi- 
ciari , e della letteratura; cosicchè quando hanno interrogato del 
classicismo e del romanticismo, dello spiritualismo e del materiali- 
smo, dello spirito d’associazione, dell’industrialismo, del sentimento 
religioso, della gradazione delle pene, delle leggi sulla testamenti= 
fazione; del principio astratto del libero commercio, del mutuo inse- 
gnamento, ;e del numero delle cattedre che sono nell’università, 
par loro di sapere quanto occorre per farsi idea della civiltà ita- 


95 
liatia. Sapranno invero se noi siamo al secolo XIX o al XII; non 
sapranno mai qual sia la forma di andamento morale che ab- 
biamo nel secolo XIX, e ci crederanno o. più inerti di quello che 
siamo , o più meritevoli del bene che desideriamo , e capaci di 
guadagnarlo. an 

Del resto nelle discussioni parlamentarie istesse si è avuto 
luogo di conoscere in Francia quanto falsi il giudizio de’ fatti que- 
sta abitudine di procedere colla scorta di formule preconcepite. 
Basterebbe confrontare il discorso di Guizot con quelli degli al- 
tri oratori sugli ultimi tumulti di Parigi (1), per andar persuasi 
della inferiorità de’ dottrinarii quanto alle discussioni di fatto. 
Nel discorso di Guizot troviamo una fitta di teorie astratte inop- 
portune ; pochissimi fatti e malgiudicati; dagli altri al contrario 
abbiamo chiara luce sulle cagioni di quei tristi avvenimenti. Nè 
può esser diversamente quando si inverte l’ ordine logico de’ra- 
gionamenti , fermando prima le conclusioni, e cercando poi i 
fatti da cui dovrebbero derivare. 

V. Molte leggi della filosofia dell’istoria son prese dai dot- 
trinari dallo studio psicologico dell’ uomo interiore. Studio di pro- 
fonda e minuta analisi, e che essi guastano talvolta lasciandosi 
traportare dall’ immaginazione. Ed invero se la scuola del se- 
colo XVIII errò sovente nel determinare la sfera di azione del- 
l'egoismo, e negò erroneamente l’esistenza di alcune forme su- 
blimi che talvolta assume, credute dal volgo principii diversi 
dall’ egoismo : la scuola de’ dottrinari al contrario ne considera 
troppo poco la forza prevalente. Anzi dirò che divagandosi in 
altri principii non spiega abbastanza il modo di agire, e gli at- 
teggiamenti di che è suscettibile questo primo movente delle 
umane volontà. 

Di un altro vizio peccan sovente gli studi psicologici. Vizio 
comune invero alla scuola sperimentale ed alla scuola @ priori, 
ma che mi pare dover esser più frequente ne’ dommatici che 
negli sperimentali. Spieghiamoci. Ognuno giudica degli altri dalla 
cognizione che ha di se, e secondo la pieghevolezza della propria 
immaginazione a prender diverse forme, e secondo l’ intensità 
del proprio sentire , diversamente si rappresenta nella mente il 
romanzo della vita umana. Da questo esame di se ognuno ar- 
gomenta de’ motivi delle azioni altrui già commesse , o trae le 
predizioni dell’ avvenire. Però accade sovente che le persone di 


(:} Per ultimi tumulti si intende di quelli del dicembre giaechè questo 
articolo era pronto alla stampa nei primi di gennaio. 


96 
corto pensare , o di un sentire senza generosità e senza delica- 
tezza , impiccoliscono le cose grandi , e trovan modo sempre di 
spiegare per motivi turpi le azioni più generose. D’ altra parte 
si vedono le persone di diversa natura ingigantire le cose più 
tenui, e confidar soverchiamente nel lato buono del genere uma- 
no. Le une e le altre non posson intendere l’ istoria , e servire 
utilmente la società. L’ uso della vita , e lo studio profondo del- 
l’istoria insegnano a temperare ciò che possono aver di eccessivo 
queste due diverse disposizioni di animo e di mente. Tuttavia 
egli è sempre vero che senza una gran potenza di immaginativa 
e di cuore per rappresentarsi al vivo le ragioni degli altri e pe- 
netrare ne’ loro sentimenti, intantochè ponendoci nella loro po- 
sizione sappiamo ritrovare la storia dell’andamento del loro in- 
telletto , e della loro volontà, rimangono sterili le lezioni del- 
esperienza individuale , più sterili quelle dell’ istoria. Un troppo 
gran riconcentramento in se stessi porta sovente a delle genera- 
lità premature , e diminuisce perciò il-potere di comprender i 
fatti morali. A schivare questo inconveniente niuno studio è più 
necessario di quello delle memorie di coloro che furono attori 0 
testimoni delle gran rivoluzioni di cui si occupa l’istoria. In 
quelle si trovan gran lumi sulla vita dell’ uomo interiore che si 
cercherebbero invano nelle storie. Però colla lezione delle me- 
morie si dà un’abitudine all’ immaginazione ed all’affetto a com- 
prendere le varie maniere d’ essere de?’ fatti morali, che unita 
a felici disposizioni della natura può giovare assai a costituire 
direttamente le regole di analogia che sono subietto della filo- 
sofia dell’istoria. Si vede da quello quanto è largo il campo delle 
contradizioni e morali ed intellettuali del genere umano , e però 
si conosce tutto il pericolo di procedere nello studio dell’istoria, 
e nel giudicare della forza delle nazioni con delle astrazioni fi- 
losofiche. Si vede eziandio quanto bisogna accrescere di scienza 
di fatti un’individuo prima che possa presumere di trovare nel 
proprio interno i semi della storia del genere umano. Di queste 
cose il filosofo che tien dietro al metodo dell’ esperienza si per- 
suaderà agevolmente , ma quegli che pone tanta fede nel ragio- 
namento 4 priori ne sentirà sempre meno la necessità. Tuttavia 
il male non è mai ne’capi, sì bene ne?’ discepoli che prendendo 
le formule per sicurissima tesi trascurano poi lo studio delle 
particolarità, senza del quale non credo che neppure le tesi si 
possan intendere. 

Poniamo a cagione di esempio che uno storico ti dica per termi- 
ni generali che sino dal regno di Luigi XIV eran guasti i costumi 


ur 

della corte, e della Suona società di Parigi. Mancava (dirà lo stori- 
co) ogni senso di buona morale, ogni regola di condotta, ogni sano 
principio di vera probità ; mentre d’ altra parte vi era grandis- 
sima sceltezza di maniere senza alcuna gentilezza di animo, e. 
moltissime regole di viver socievole , e sottilissime distinzioni del 
punto d’ onore, che simboleggiavano gli antichi sentimenti di 
dignità, di umanità, di giustizia e di amicizia , le quali cose 
stavano bene d'accordo con l’ adulazione la più schifosa, col ci- 
nismo il più stomachevole , con un arroganza smisurata , con una 
viltà senza confini. Il discorso dello storico direbbe in breve lo 
stato morale dell’ animo dei grandi di Francia. Ma quanti lo in- 
tenderebbero giustamente. Se al contrario diamo in mano a qual- 
cuno le memorie di Brienne, quelle di Tilly e di Segur, o altre 
di simil natura che trattano della buona società di Parigi, è proba- 
bile non solo che arrivi tosto alle stesse conclusioni, ma eziandio se 
le metta chiare in testa , e ne cavi qualche utile conseguenza. Al- 
lora intende come l’ Elvezio abbia potuto ridur tutto al piacere 
de’ sensi, come il Roussau abbia declamato con ragione contro 
i costumi del secolo, come nell’ andamento della rivoluzione sia 
stato senza pietà l’odio del popolo contro i grandi. Allora pure 
gli si fa manifesto come ad onta delle buone intenzioni annun- 
ziate in principio del suo regno da Luigi XVI fu sempre impos- 
sibile alla monarchia riparare alle piaghe dello stato. Si intende 
eziandio. da questo studio come una nazione che ha tanti ele- 
menti monarchici ed aristocratici, fosse trascinata ad una rivo- 
luzione affatto democratica. Ma per quanto possa esser l’ingegno 
di uno storico , queste cose non si possono spiegare per formule 
generali in modo che la chiarezza e la persuasione ehe è nella 
mente dello scrittore si trasmetta tal quale nelle menti di chi 
legge. Senza la cognizione de’ particolari accaderà di frequente, 
che mentre lo storico ha avuto in animo una cosa i lettori ne 
intendano un’ altra , o arrivin soltanto per metà a comprendere 
la sua idea. Tanta è l'insufficienza delle lingue ad esprimere le 
idee generali, e tanta la parte che vi prende sempre l’immagi- 
nazione nel concepirle. 

In Francia queste cose sono ormai nella persuasione di tutti, 
intantochè niuna lettura vi ha più popolare delle memorie dai 
tempi di Luigi XIV sino a noi. E se han credito le storie ideali, 
è vero altresì che hanno grandissima fama le storie narratriei. 
Talchè si può dire che in Francia tutte le maniere di storia sono 
coltivate; ed è da sperare che dalla combinazione di tutti i me- 
todi riesca più sicuro' il ritrovamento del vero. Ma sarebbe gran 


TI. Febbraio 13 


98 
male per noi se attenendoci ad un solo prendessimo il più co- 
modo ed il più pericoloso. 

VI. I dottrinarii occupati principalmente delle questioni di 
massime astratte , danno poca importanza alle quistioni transi- 
torie o come essi dicono del momento. Pure dalla buona risolu- 
zione di queste dipende in grandissima parte la felicità o 1’ in- 
felicità degli individui che in nn dato tempo compongono la so- 
cietà. Però manca grandissima parte alla storia se queste qui- 
stioni si trascurano , per tener dietro soltanto ai principi. Credo 
eziandio che a questo modo si perda grandissima parte dell’ uti- 
lità che dagli studi storici può derivare alla formazione del cri- 
teriv politico (2). 

Quello che è certo si è, che frequentemente si sbaglia con 
questo metodo nell’ interpretare le intenzioni degli uomini. Ac- 
cade sovente che nelle quistioni che aveano un oggetto limi- 
tato e ristretto, perchè contro la previsione di quelli che le 
eccitarono han sortito un effetto diverso , si attribuiscono ad uo- 
mini di altri secoli delle intenzioni che non sappiamo che aves- 
sero e probabilmente non potevano avere. Si va cercando il pen- 
siero riposto, e si perdon di vista i motivi reali. 

Si spiegheranno forse con questo metodo i consigli arcani 
della divina Provvidenza, che conduce le società al perfeziona- 
mento senza che gli uomini se ne avvedano. Ma la storia mo- 
rale de’ fatti umani si perde. Ora siccome credo che sia mera 
presunzione filosofica il pretendere di conoscere i consigli del su- 
premo governo morale del mondo , e d’altra parte crederei che 
molto si potesse imparare nel governo civile degli uomini, mi 
pare che col divisato metodo si frastorni la storia dalla sua natu- 
ral destinazione. Meglio sarebbe lasciar tuli assunti agli oratori. 

VII. Il principio della necessità è molto abusato dai dottri- 
narii. Moralmente e politicamente questo principio può aver 
triste conseguenze dove non venga ridotto ai giusti confini. 

Storicamente si riscontra sovente falso quanto al modo, e 
quanto al tempo in che le mutazioni che si dicon necessarie sono 
accadute ! Pure dal modo o dal tempo può dipendere una gran 
somma di beni e di mali per tutta una generazione. Quindi lv 
studio delle cagioni che hanno influito nel determinare il modo 
ed il tempo, siccome quello degli ostacoli che si sarebber potuti 
frapporre utilmente , merita tutta l’attenzione dello storico e 
del politico. Osservo anzi che ritenendo il principio della neces- 


2) Antolog. N.° 86 pag. 57 e segg. e N.° 99 pag. 36 e segg. 
5 P 5 99 Pag 56 


—__—-+--os-ip bp —ipyFNS—) So) 


99 
sità, il campo della prudenza civile rimane ristretto alle disqui- 
sizioni intorno al modo ed al tempo. A questo nun servon niente 
le storie ideali. 

VIN. Un gran problema nello studio filosofico dell’ istoria 
consiste nel distinguere a dovere la forza delle cose, dalla po- 
tenza degli individui. 

I filosofi e quelli che bramano aver nome di filosofia hanno 

| sempre in bocca la forza delle cose , o vogliam dire la necessità. 
Dicono che in quel dato stato di civiltà, di cui per avventura si 
ragiona , la società era sopra un primo piano inclinato ; e però 
devea giungere al punto a cui giunse qualunque fossero gli 
individui che siedessero al governo delle cose pubbliche. In que- 
sto concetto Mirabeau, Lafayette, Danton, Robespierre, Bonaparte 
(associo nomi onorevoli a nomi turpi ) non sono altro che uo- 
mini o fortunati o disgraziati cui è toccato dar nome agli avve- 
nimenti. Ma quello che avvenne sarebbe accaduto anche senza 
di loro; perchè nasceva in conseguenza delle necessità dello stato 
sociale. Sicchè se i rammentati individui stati non fossero , al- 
tri avrebbero fatto l’istesso, solo i nomi sarebbero stati diversi. 
Questa ipotesi filosofica domina nelle storie del Mignet e del 
Thiers, ed a senso mio ne costituisce uno de’ principali difetti. 
Uno studio più particolarizzato de’ fatti basta a mettere in gran- 
dissima diffidenza contro questa ardita teoria, ma essa avrà 
buona ventura tutte le volte che la storia si offrirà in compen- 
dio. Farò più chiara l’ osservazione con un esempio. La storia di 
Thiers in sostanza è il ripieno della tela ordita dal Mignet. I 
principii filosofici dei due autori sono gli stessi. Pure quello che 
ha scritto più lungamente, è meno assoluto , e lascia intendere 
al lettore che oltre la forza delle cose vi è la forza degli indi- 
vidni che concorre agli avvenimenti. 

AI contrario quelli che si sono formati la testa quando l’uo- 
mo viveva in pochi ed il resto era gregge, tutto danno agli in- 
dividui, quasi niente alla forza delle cose. Per essi senza certi 
individui la rivoluzione non sarebbe accaduta. Se fosse vissuto 
Mirabeau si sarebbe fermata, e così discorrendo da un uomo solo, 
o da pochi fanno dipendere una mutazione sostanziale nella sorte 
di tutti. Anche questa ipotesi vien contraddetta dalla lettura 
delle memorie. 

Secondo i tempi secondo lo stato della civiltà è maggiore o 
minore la potenza degli individui. E quanto è certo che iu molte 
cose gli individui ricevon l’impulso dallo stato generale della so- 
cietà ; altrettanto pare certo che in molti casi lo diano , e che 


100 
forse senza di loro le cose sarebbero andate diversamente. Si vede 
poi coll’esperienza che sempre non basta il bisogno di grandi capi 
perchè di fatto compariscano. E per quanto si voglia supporre 
avanzata in lumi ed in moralità una nazione , tuttavia senza 
capi pare impossibile che riesca a buon fine. 

Dal risolver bene questi problemi della filosofia dell’ istoria 
deriva gran parte dalle scienze morali e politiche. Ma dubiterei 
assai che non giovasse gran fatto a questa risoluzione chi è preoc- 
cupato soltanto dal principio della necessità. 

IX. Come i dottrinari sono disposti a considerare gli indivi- 
dui quali rappresentati dalle masse, e non punto come motori , 
così ritengono le istituzioni sociali come effetti di civiltà , e poco 
le considerano come cagioni. Il che non mi pare approvabile nè 
col ragionamento a priori , nè coi dati dell’ esperienza. Ma di ciò 
altra volta si è discorso (3). Al presente hasta notare che anco 
da questa teoria può venire ristretto assai assai 1’ esame de?fatti. 

X. Ma sia fine coi dommatici. E veniamo ad indicare le altre 
cagioni per cui in molti rimane imperfetta la cognizione dell’isto- 
ria. Lascio da parte coloro che sono facilmente sedotti dalle istorie 
dettate con ispirito di parte, e che mirano più a solleticare delle 
passioni o a provare un sistema anzichè a narrar per intiero i 
fatti. Costoro cadono in uno scoglio avvertito sempre da che vi 
è uso di scrivere, e che oggi mai sarebbe facile evitare. Peroc - 
chè sono tanto segnalate le differenze fra la storia compiuta el 
un allegazione istorica, che senza esser troppo appassionati pare 
impossibile di prender 1’ una per l’ altra. Mi propongo di parlare 
di pregiudizi pur troppo diversi. 

XI. Sono molti che tutta la storia della società riducono alla 
storia del governo, e che dall’infanzia sono stati avvezzi a ri- 
guardare il fatto del governo come la misura certa della civiltà 
di una nazione. Quindi se vedono ritornare i governi sul piede 
antico, se nel fatto de’ governi vedono intenzioni retrograde , 
argomentano che la civiltà sia tornata allo stato antico o si in- 
cammini a tornarvi rapidamente. Dovrebbero peraltro considerare 
che il governo non raccoglie in se tutte le forze sociali, e che 
nella società vi è sempre un movimento che non è dato ai go- 
verni di dominare. Se ciò non fosse non vi sarebbero mai mu- 
tamenti tranne quelli che per avventura può cagionare una forza 
di fuori. Converrebbe eziandio por mente che ogni mutazione di 
stato crea de’ nuovi interessi i quali non è dato di distruggere 


(3) Antologia N.° 103. pag. 105 e segg. 


100 
colla sola mutazione del governo. Lo stesso debbe dirsi dei mu- 
tamenti avvenuti nella pubblica opinione. Se lo storico non pone 
mente a queste cose, e si limita a guardare soltanto in alto, for- 
nirà sempre una falsa definizione dello stato della società (4). 

Questo errore si connette con un altro egualmente fatale. 
Quando si disputava del potere sociale tra le persone ambiziose 
di occuparlo , la forma del governo, era da considerarsi come il 
fine delle quistioni. Ma ai tempi nostri la forma del governo si 
considera piuttosto come mezzo di garanzia del bene de’cittadini. 
Gli uomini si possono scaldare per questa in quanto che ne ve- 
dono la necessità di mezzo ; ma il fine voluto è il bene della 
società , vale a dire prosperità, sicurezza e sviluppo morale. Senza 
che questa necessità di mezzo vi sia, o senza che sia conosciuta 
è difficile che le quistioni sulla forma del governo. divengano 
popolari. Perchè se vi è cosa che i, popoli abbiano imparata nel 
.corso delle ultime rivoluzioni si è di metter giù il fanatismo, di non 
appassionarsi per vani nomi, e di non mettere in pericolo il proprio 
bene per servire alle vedute degli ambiziosi.o.per sostenere i potenti. 
Sa il popolo che repubblica vuol dire aristocrazia ed.indica so- 
vente la schiavitù di intere provincie pel benefizio di poche domi- 
nante. I dotti imparano questa conclusione dalle storie delle Re- 
pubbliche dell’ antichità , e dell’ età di mezzo ; il popolo in Fran- 
cia 1’ imparò dalla storia della repubblica francese (5). Oggimai 
gli uomini non si innamorano più di idee , ma di istituzioni che 
saldamente guarentiscano il loro interesse. Nel che pare a me che 
si debba ravvisare un grande incamminamento al regno della 
giustizia. Ma questo stato dell’ opinione da alcuni si riguarda 
come un passo retrogrado della civiltà; quindi vanno supponendo 
de’ secondi fini ; compongon de’ romanzi per spiegare uno stato 
di opinione che in sostanza deriva da un maggior senso di egua- 
lità tra i cittadini. 

XII. Coloro poi che tengono l’opinione come onnipossente 
regina, dovrebbero tuttavia distinguere per non errare nel giu- 
dizio de’ fatti , 1’ opinione, meramente speculativa , da quella che 
scende dalla mente al cuore, e potrebbe muover la mano. In 
tutti i tempi questa distinzione è atata importantissima , ma nel- 
1’ età nostra è necessaria perchè troppo grandi sono le differenze 
tra la speculazione e la pratica. E su questo articolo 1’ opinion 
pubblica è indulgentissima. Anzi giova notarlo a comune vergo- 


(4) ‘Antologia N.° 87. pag. 60 e segg. 
(5) V. Antologia N.° 88. pag. 64 e segg. e N.° 97 pag. 49 e segg. 


102 
gna: val sempre appo di noi l’ antico pregiudizio di valutar più 
l'ingegno del cuore, piùi pensieri delle operazioni. Di che niente 
di più ingiusto. Perocchè: nelle credenze e nelle opinioni è merito 
o demerito piccolissimo peri non dire veruno. Comincia il vero 
merito degli nomini dai movimenti della volontà e si misura dalle 
azioni. L’ingeguo desta ammirazione come  bell’opera della na- 
tura. E quest’ammirazione è ‘profittevole alla società dove però 
non vada disgiunta dai rispetti morali. Tuttavia siamo ancora 
molto lontani da questa maniera di giudicare; per quanto un at- 
tento osservatore potrebbe agevolmente persuadersi che nello 
stato presente di diffusione di lumi le maggiori disuguaglianze 
tra gli uomini si riferiscon piuttosto alle doti del cuore , che 
alle doti della mente. Il che con certe proporzioni può applicarsi 
anche ai popoli ed alle nazioni: 

Però 1’ azione de’ governi che ‘influisce moltissimo nelle vo- 
lontà pochissimo negli intelletti, merita di esser molto conside- 
rata. E se va errato dal vero quelli che compone la storia della 
civiltà tenendo dietro a soli fatti del governo , bisogna concedere 
altresì che falsi molto il giudizio della storia quello che esami- 
nando i soli progressi dell’ opinione non pon mente alle opera- 
zioni de’ Governi. Poichè se in conseguenza della rivoluzione 
francese i populi hanno acquistato una forza indipendente ed un 
movimento loro proprio , è altresì certo che si sono perfezio- 
nati di molto i mezzi governativi. Sono raddoppiate le finan- 
ze; son cessate le resistenze dell’ aristocrazia , e de’ privilegi 
municipali , son cresciuti e migliorati gli eserciti , si è imparata 
l’ arte della polizia , si conosce a maraviglia la centralizzazione. 
Con questi mezzi l’ azione dei governi è estesa , forte e celere , 
e son rarissime le resistenze. Vero è che 1’ efficacia di questi 
mezzi dipende al tutto dalla potenza di ingegno che gli adopera. 
Da che non sono onnipotenti siccome non è onnipotente l’ opi- 
nione. 

XIII. Dopo questa esposizione de’ principali pregiudizi che si 
oppongono ‘alla cognizione adequata dell’ istoria, non credo ne- 
cessario di andar ricordando ad uno ad uno i molti pregiudizi 
invalsi intorno all’ assegnare le cause della rivoluzione. Sono 
già antecedentemente confutati quelli che tenderebbero a rap- 
presentare questo grande sconvolgimento, come l’ opera di una 
setta , dell’ intrigo di pochi , dell’ errore di un ministro , della 
decadenza delle opinioni religiose e de’ costumi. Ciascuna di que- 
ste cose per se stessa sarebbe stata insufficiente a tanto effetto. 
A mutare uno stato e vi vuole bisogni , cognizione di bisogni , 


———— 


1053 
animo , forze ed occasione. Come e per quali motivi tutte queste 
circostanze concorressero nel 1789 è cosa che non si può spiegare 
in poche parole. Ma nelle storie pubblicate sinora non ho tro- 
vato che debolissimi cenni. Di che ne do colpa all’ uso che hanno 
gli scrittori francesi di studiare troppo poco i tempi che prece- 
don l’ epoca da cui cominciano l’ istoria. Duolmi di non aver sot- 
t' occhio la prima parte de Commentari del Papi per vedere se 
il chiarissimo autore abbia saputo francarsi da questo vizio co- 
mune. Noterò frattanto per quelli che volessero studiare con or- 
dine , che nelle memorie di Montlosier recentemente pubblica- 
te, questo argomento è stato trattato con molta maestria. Da 
queste passando ad altre memorie come quelle di Brissot di Ga- 
rat di Grimm della Roland di Segur, è dato correggere molti pre- 
giudizi. Ma per indicare una compilazione storica che servir possa 
di guida, rammenterò la storia del XVIII secolo di Lacretelle ; 
opera che alcuni filosofi guarderanno forse sdegnosamente , ma 
che pure dovrebbe essere nelle mani di tutti coloro che amano 
avere il filo degli avvenimenti. Da che a copia di fatti ed a chia- 
rezza di esposizione nulla lascia a desiderare: quanto poi alle sen- 
tenze ognuno può giudicarne a sua posta. Niun altra storia di 
que’ tempi mostra meglio dell’ opera di Lacretelle come lo storico 
debba far uso delle memorie ; niuna insegna meglio ai lettori come 
le debbano leggere , nè altra ch'io sappia ne ricorda meglio le 
cose sostanziali a quelli che le hanno lette. 

XIV. Solo dalla cognizione dello stato di Francia avanti il 
1789 può rilevarsi la natura della lotta che si agitò nella rivo- 
luzione , e senza conoscere lo stato anteriore non si può neppure 
sapere quali sienv stati gli effetti utili o dannosi di questo grande 
sconvolgimento. Non è dato neppure ricavare alcuna conseguenza 
dai mezzi adoprati per far trionfare la parte popolare, se non 
si conosce la particolare natnra delle forze che erano in lotta. 
Certe sentenze spietate che hanno avuta molta voga perchè cre- 
duti mezzi perpetuamente necessari a certi effetti , perderebbero 
ogni credito quando si vedesse bene come la posizione del mondo 
è diversa, e quanto anche nelle circostanze in cui vennero messe 
in pratica fosser tratte fuori de’ limiti della necessità. L’ umanità 
e la sicurezza sociale guadagnerehbero assai, dove si potessero 
ridur manifeste queste conclusioni: Da che tutto negando o tutto 
affermando animosamente si lascian gli uomini negli stessi pregiu- 
dizi , si irritano sempre più le passioni ; cosa al tutto contraria ai 
bisogni presenti. Veniamo alla storia del Papi. 

XV. Per quanto io sia lodatore dell’opera di Thiers, e la tenga 


104 
per la migliore istoria pubblicata in Francia intorno alla rivolu- 
zione , tuttavia come ho avvertito di sopra vi trovo molti difetti 
capitali. Vale a dire intenzione sistematica , mancanza di princi- 
pio , e spesse contradizioni. Quest’ ultimo difetto ricorre sovente 
nei libri francesi, e ne ha colpa forse la troppa celerità del la- 
voro , per cui la revisione de’ particolari suol esser molto trascu- 
rata. I francesi inoltre incolpano il Thiers di molti vizi di stile ; 
di che non posso giudicare. Ho inteso osservare anche con ragione 
che molte volte il Thiers si mostra timide amico del vero ; per 
quanto sia agevole penetrare nell’ interno dell’ animo suo. 

Se queste osservazioni posson farsi sul migliore degli storici 
francesi che in alcuni punti è riescito a mutar l’ opinione gene- 
rale; pare a me che non possa venire in mente di obiettare ad 
uno scrittore italiano che imprende la storia della rivoluzione 
ch’ esso fa superflua fatica. D’ altra parte credo che un 1ta- 
liano possa arrivare a conoscere l’istoria di Francia al pari 
di un francese. Nello scriverla poi può aver l’ animo più libero 
da passioni , e scevro da secondi fini. Quanto sllo spirito di si- 
stema gli ingegni italiani che voglion mantenere il loro carattere 
nazionale e si tengono al disopra della moda, ne soglion esser 
sempre più liberi de’ francesi. Basta poi loro di studiare gli sto- 
rici nazionali per apprendere come i fatti si narrino chiaramente 
e nella loro integrità , e con quanto acume va giudicato delle 
cose e delle persone. In questa parte mi pare che il chiarissimo 
autore abbia tratto grandissimo profitto dall’ esempio de’ nostri 
maggiori. Però per la chiarezza dell’esposizione , e per la inte- 
grità della storia non mi sembra che ceda ad alcuno degli scrit- 
tori. Nè molto vi è da desiderare dal lato della vastità delle ri- 
cerche istoriche. Poichè pare che su questo e’ non abbia fatto 
risparmio nè di tempo nè di fatica ; e nella istoria sua si incon- 
trano molte cose che non possono esser state attinte che da me- 
morie recentissime. 

In una cosa l’opera del Papi sta certo al di sopra delle sto- 
rie francssi; vo’ dire quanto ai pregi di arte nella composizione. 
Lo scrittore francese pensa nn libro, pensa anche una pagina, 
ma raramente pensa il periodo , e più di rado ancora la preci- 
sione delle parole. Non così fanno gli scrittori italiani accurati. 
Essi pungono studio nell’ accordo di tutte le più piccole parti 
dell’ opera, e sentono assai più il bisogno di schivare le con - 
tradizioni. Con questo metodo racchiudono in minor numero di 
pagine maggiori concetti, ma giusto perchè le opere loro son più 
meditate ; richiedono lettori più attenti che non sogliono toccare 


105 


in sorte ai libri francesi. Il perchè appo di quelli che sono ormai 
avvezzi a leggere sbadatamente, la storia del Papi non avrà la 
metà dell’ applauso che toccherebbe ad un’ opera di minor merito 
ma scritta in francese. Accaderà forse quello che avvenne ai 
Promessi Sposi, che le persone solite a nutrire lo spirito di libri 
francesi, alla prima lettura non intenderanno neppure per metà 
il concetto dell’ autore. 

Ma di ciò non saprei dare la minima colpa allo storico. Anzi 
mi pare meritevole di lode un italiano che spregiando la forza 
venuta dalla moda all’ imitazione straniera cerchi di scrivere ita- 
lianamente. Deciderà poi il pubblico se convenga rifiutare l’eredità 
degli avi, per contraffare goffamente le merci de’ vicini. Questo 
giudizio forse non sarà pronunciato sollecitamente , ma giova spe- 
rarlo dal tempo favorevole all’ onore nazionale. 

In alcune provincie d’Italia questa questione è già decisa. 
Ma in quelle parrà che il Papi non abbia servito abbastanza alle 
pretensioni de’ puristi. Non vorrei mai entrar giudice di simili 
quistioni , le quali verranno risolute dal fatto quando avremo 
maggiore numero di opere importanti per la materia, e dettate 
con amore del bello stile. Sinchè si sta disputando in astratto o 
si scrive solo in bella pruova di elegante dicitura , sarà sempre 
difficile il ridurre a regole certe lo scrivere italianamente i concetti 
del secolo decimonono. 

Frattanto parmi che si possano notare , come pregi certi di 
stile, 1’ unità la chiarezza e la dignità ; qualità tutte che si ri- 
trovano nell’ opera del chiarissimo autore. Quanto al resto biso- 
gna aspettare il giudizio dal tempo. 

XVI. Per dar poi un saggio de’ principii co’ quali l’autore ha 
creduto dover procedere nel compilare la sua storia, recherò al- 
cune pagine di introduzione , le quali tuttora inedite sono state 
comunicate al Direttore dell’ Antologia. 


È mio disegno scrivere i commentari della rivoluzione di Francia, 
avvenimento grande e memorabile quant’ altro mai, che per più di 
venticinque anni ha sconvolto non solamente l’Europa tutta , ma molte 
parti ancora del resto della terra, e tanta materia di politica istru- 
zione ha somministrato ai principi, non meno che ai popoli, se così 
gli uni come gli altri vorranno attentamente considerare quelle ca- 
gioni , onde nacquero sì gravi sciagure e fu sparso cotanto sangue. Il 
numero grandissimo di volumi che sopra questo argomento è stato 
scritto , anziché distogliermi dall’ impresa, con più ‘ardore mi ha 
mosso a pigliarla : imperciocchè pochi saranno coloro , fra gl’Italiani 
massimamente , che per aver contezza di que’ successi vogliano fati- 


T. I Febbraio 14 


106 
carsi in così smisurata lettura , e niuno sarà che , leggendo que’libri, 
non conosca molte cose essere state scritte con animo offuscato da 
spirito di parte, molte altre essere state oltremisura magnificate , e 
‘ molte non aver meritato menzione alcuna. Benchè io conosca le forze 
mie disuguali a tanto peso, mì rianima l’ amore ch’ io porto alla ve- 
rità , alla quale nel percorrere e disaminare i molti libri, di cui mi 
sono giovato in questo lavoro , e nelle relazioni udite dalla viva voce 
di quelli che a molte delle narrate cose sì trovarono presenti , ho 
sempre tenuto principalmente rivolti i miei pensieri. Mia precipua cura 
sarà il racconto sincero de’ fatti e’l non prendere quasi mai la difesa 
di alcuna parte fuorchè quella della verità manifesta e di una libertà 
ragionevole e vera , lasciando il resto al libero giudizio de?’ leggitori ; 
poichè io stimo che molte questioni non potranno essere bene sciolte, 
nè alcune ragioni essere con pacato animo ascoltate, fuorchè ne’tempi 
che verranno. Nè , così facendo, ho già confidato di sottrarmi alle 
censure, le quali ben so non potersi fuggire da chi narra successi re- 
centi, ma solo ho yoluto non rinnovare quelle dispute che, nascendo 
da privati affetti e interessi, e destando tuttora dolorose ricordanze in 
molti, invano si cercherebbe di terminare. 

Fu già detto altro non essere l’istoria che un registro delle follie 


e delle scelleraggini dell’ uman genere. Or se ciò pur troppo è vero in 


gran parte quanto alle altre istorie , in modo speciale si avvera di 
quella che intraprendo. La rivoluzione francese cominciò con una sem- 
bianza di filosofia , di giustizia, di umanità, di grandezza, talmente che 
fece inganno anche ai più savii che ne speravano singolari frutti di 
libertà e di prosperità; ma parte per la opposizione che le fecero i 
magnati, parte per soverchia brama di cambiare a un tratto tutte le 
antiche cose, i rappresentanti della nazione furono tirati fuori del 
retto sentiero; una gran porzione del popolo entrò in una smoderata e 
incredile foga; i malvagi uomini che ambizione di signoria, cupidigia 
di ricchezze e una turpissima ipocrisia cuoprivano sotto i bei nomi di 
patrio amore e di virtà, non ebbero più freno; quindi nacquero rab- 
biose fazioni, e dalle fazioni, stragi, esterminii, e confusione orri- 
bile di tutte le cose, e, invece della sperata libertà , una crudelissima 
tirannide. 

Non mai un sì breve spazio di tempo fu ripieno di tanti e sì ma- 
ravigliosi fatti, non mai tanto si parlò di virtà, non mai se ne fe 
tanta mostra, nè mai forse ve n’ebbe sì poca. Io confesso che nel 
dover raccontare tante scelleratezze mi è più volte caduta di mano la 
penna, e più volte sono stato sul punto di gittare sulle fiamme ciò che 
io andava scrivendo; ma ripensando che il mio silenzio non avrebbe 
cancellato la memoria di quei misfatti già pubblicati in tant’ altre 
scritture ; che la istoria, marchiando della meritata infamia i colpevoli, 
può in qualche modo servire a spaventare e ritener coloro che fossero 
tentati d’imitarli, e che , in mezzo a tanta corruttela , si videro pur 
anche di tanto in tanto esempi singolari, benchè per lo più infelici 


107 


di vero amor patrio, di disinteresse, di costanza, e di magnanimità , 
risolsi di continuare, dopo molti interrompimenti, nell’intrapreso la- 
voro. Non tacerò le colpe de’ principi nè quelle de’popoli , affinchè sì 
gli uni che gli altri un qualche frutto possano ritrarre dal riandare 
quelle triste memorie. Del resto, se alcuno vorrà indicarmi i difetti e 
gli errori, nei quali sarò trascorso, in quel modo che fra gli onesti uo- 
mini si conviene, egli potrà: esser sicuro non solo di mia viva rico- 
noscenza , ma ch'io mi studierò pur anche di correggere il mio la- 
voro quanto meglio saprò: se però qualche privata passione lo in- 
citasse a mordermi, sappia ch’ ei spera invano ch’ io punto me ne 
conturbi o gli risponda. Se poi gli amatori della purezza di nostra fa- 
vella saranno offesi di alcuni vocaboli e modi nuovi da me usati, io 
gli prego a por mente, prima di condannarmi, che i tempi gli hanno 
portati, che 1’ uso ormai gli approva , e che io non poteva schivarli 
senza cadere in oscurità o in noiose e affettate circonlocuzioni. Su tutto 
il resto si vedrà aver io sollecitamente cercato di serbar rispetto al- 
l'indole e al genio della più bella lingua che dopo la greca e la ro- 
mana tuttor rimanga all’ Europa. 


XVII. Con questi principi l’ autore non si è chiuso nell’an- 
gustie di alcun sistema; il che rende più compiuta la sua sto- 
ria. Che poi le regole prefisse sieno osservate nella condotta 
dell’opera, potrà conoscersi agevolmente da chi imprenda la let- 
tura de’ quattro volumi pubblicati. Volendone qui dare un sag- 
gio riferirò le parole dell’autore, tanto rispetto ai Girondini , 
quanto rispetto al regno del terrore. Sono questi i due maggiori 
scogli per tutti coloro che scrivono della Convenzione nazionale. 


Qui cominciò il regno che fu detto del terrore , qui cominciò una 
spaventevole serie di presecuzioni, di delitti e di calamità, ed una ti- 
rannia si feroce che niuna istoria nè antica nè moderna ce ne mostra 
una simile. Il governo ( se questo nome può qui adoprarsi ) passò nelle 
mani non già del popolo ma in una fazione non grande del popolo, 
cioè nei Montanari, Cordiglieri e Giacobini, gente la più audace , vio- 
lenta, e sfrenata che fosse in tutta Francia. Pure se il governo di co- 
storo fu tirannico , crudele e degno dell’ eterno abborrimento di ogni 
uomo dabbene, egli è pur forza confessare ch’ ebbe ancora un’ efficacia 
terribilissima e che senz’ esso la Francia dallo stato sommamente peri- 
coloso in cui si trovava allora per tanti nemici esterni che 1’ assalivano, 
per tante fazioni e tanti tradimenti che dentro la sconvolgevano e lace- 
ravano , non avrebbe forse potuto uscir salva: verità rincrescevole a 
dirsi ‘e spaventosa a intendersi dagli uomini virtuosi. I Girondini , 
che avevano tentato di serbare in vita il re, potevano quando anche 
un Luigi XVII o XVIII fosse salito sul trono , ragionevolmente sperar 
perdonanza ; onde i loro provvedimenti sarebbero stati assai riguardosi 
e non proporzionati al bisogno; ma coloro che tanto fieramente si erano 


108 


adoperati perchè la regia testa cadesse, e con perpetui dispregi e scher- 
ni avevano disfidati tutti i re a mortal guerra, non vedevano per sè 
alcuno scampo , ove la lega di quelli trionfasse ; e la repubblica dovea 
stabilirsi o andar essi a certo supplizio. Quindi i disperati sforzi loro, 
la somma vigilanza, il non mai risparmiare veruno che loro si mostras- 
se nemico, il ferocemente pigliare e proseguire gli estremi partiti, nè 
essere mai da considerazione alcuna ritenuti. La Francia intera cominciò 
a tremare sotto un piccolo numero di uomini sostenuti dalla porzione 
più malvagia della plebe, a cui sì distribuivano o si promettevano in 
ricompensa .de’ suoi servigi gli averi de’ facoltosi. Mentre la gioventù 
andava a combattere i nemici esterni e palesi , fu risoluto di far sì che 
non sì avessero a temere gl’interni e segreti. La legge intorno ai sospet- 
ti non solo colpì i partigiani del regio potere assoluto, ma quelli ancora 
della monarchia costituzionale e di una repubblica moderata, cioè gli 
amici de’ Girondini: e come dopo il ro agosto le prigioni furono piene 
di nobiltà e di clero, così dopo 1’ arresto dei Girondini elle rinchiusero 
molti borghesi, mercatanti e persone dell’ ordine medio che volevano 
un giusto e temperato governo, e perciò chiamavansi aristocrati borghe- 
sì e aristocrati mercantili. 

Il discredito in cui erano cadute le carte di assegno per la trop 
pa quantità mandatane fuori , pel timore di una controrivoluzione che 
le avrebbe rendute di niun valore , e per lo paragone che se ne face- 
va col denaro contante e colle merci aventi sempre un valore reale ed 
universale, aveva fatto alzare il prezzo di tutte le cose , e il rinca- 
rimento de’ frutti , delle carni, degli oli, delle legna, delle bevande, 
de’ panni, de’cuoi ed altre necessarie derrate eccitavano grandi lamen- 
tanze e un minaccioso bollore nel popolo. Quindi il Dipartimento di 
Parigi dimandò che un decreto della Convenzione limitasse il prezzo di 
quelle derrate , e la Convenzione dopo lunghi e violenti dibattimenti 
ai 27 di settembre consentì a stabilire una tariffa de’ prezzi che fu det- 
ta legge del maximum. Questo appagò la ignorante plebe , mal atta a 
scorgere le conseguenze delle cose, e produsse un’ abbondanza passeg- 
giera che non dovea tardare a cangiarsi in una grandissima carestia. 
Ogni mercatante , ancorchè si contentasse di un onesto guadagno, era 
tacciato d’ incettatore, avido di succhiarsi il sangue del popolo, e senza 
esaminare se l’ accusa era giusta o no , spesso veniva incarcerato e 
spogliato di sue proprietà. Molti perciò , costretti a vendere le robe 
loro con perdita, chiusero le botteghe e i fondachi ; cessò il com- 
mercio , e sopravvenne la penuria. Anche la proibizione di esportare 
le nazionali produzioni cagionò un doppio danno ; la Francia non potè 
procacciarsi le cose che le mancavano , e l’ agricoltura , le manifatture, 
la industria di ogni sorte furono disanimate. A tutto ciò non badavano 
punto gli usurpatori della pubblica autorità che volevano ad ogni co- 
sto cattivarsi la plebe, della quale erano insiememente capi e schiavi. 
Questa timida compiacenza e questa loro adulazione verso la ciurmaglia 
andò sempre crescendo; tutto fecero per infiammarla a secondare i lor 


109 
disegni e per ispaventare chi da loro discordava. Dapprima le rapine 
furono tollerate, poi autorizzate, imperciocchè era mestiere contentare 
le ingorde voglie di que” satelliti per non essere da loro abbandonati. 
Tutto divenne giusto , bello e glorioso purché servisse a quel fine che 
i Giacobini si erano proposto. Surse una turba di spioni che, bene 
stipendiati , dappertutto s’ introducevano , e quel loro mestiere infame 
che tanto turba e avvelena le dolcezze della socievol vita, chiamossi 
amor di patria e zelo di libertà. Gli amici e i parenti stessi stavano 
fra loro sull’avviso nè osavano più comunicarsi scambievolmente i loro 
pensieri. Il padre temeva un delatore nel figlio , il marito nella moglie; 
e pareva concordia ciò ch’ era effetto di terrore. 


Volendo poi recare un saggio dello stile riferirò quanto l'au- 
tore dice intorno a Napoleone allorchè venne eletto generalissimo 
dell’ esercito d° Italia. 


Di quest’ uomo , che divenne poi quasi arbitro e signore di tutta 
Europa e di cui molto si dovrà parlare in progresso , parmi opportuno, 
per maggior chiarezza delle cose da narrarsi, il dar qui breve contezza, 
come pure di sua famiglia ch” ebbe poi luogo fra le sovrane. Nacque 
egli in Aiaccio di Carlo Buonaparte , assessore nel tribunale di |quella 
città, e di Letizia Ramolini, e fu il secondo di otto loro figli, cinque 
maschi che furono Giuseppe, Napoleone stesso , Luciano , Luigi e Gi- 
rolamo, e tre femine Maria Anna Elisa, Paolina e Carolina. Venne in 
luce ai 15 di agosto del 1769, e in età di nove o dieci anni, racco- 
mandato dalla madre Letizia al Marbeuf governatore della Corsica, 
fu ammesso a instanza di questo nella scuola militare di Brienna a 
spese dello stato e indi in quella di Parigi , ove si mostrò molto stu- 
dioso delle matematiche e della storia, ma poco profitto fece nelle 
lettere , cosicchè, per quanto affermano alcuni già suoi famigliari , non 
seppe mai correttamente scrivere nè la lingua sua naturale italiana nè 
la francese. Era per natura più taciturno e pensieroso , che non so- 
gliono essere i giovanetti , faticante, sprezzante , caparbio, breve e 
spesso aspro nelle risposte, e non trovando diletto nella compagnia e 
ne’ diporti de’suoi condiscepoli , se ne stava per lo più appartato da 
loro. Dicono che molto leggeva Plutarco e cercava imitare quegli an- 
tichi grandi; e molte cose intorno all’adolescenza di lui si raccontano, 
come suole avvenire di ciascuno che sale in fama, le quali come dubbie 
e di poca o niuna importanza io tralascio. Solo parmi assai notabile 
un detto , che dicesi fuggitogli di bocca in una conversazione ; dal 
quale può facilmente arguirsi quali fin d’ allora fossero quelle opinioni 
sue che poi nel corso di sua vita doveano regolarne le opere. Com- 
mendavasi in quella compagnia il maresciallo di Turena, quando una 
certa dama avendo detto ch’ ella terrebbe anche in maggiore stima 
quel famoso capitano ; se egli non avesse messo in fiamme il Palati- 
nato , ‘ che importà ciò, riprese tosto e con qualche sdegno il gio- 


Tio 
>, vine Buonaparte, se quell’ incendio, era a’ suoi disegni necessa- 
3» rio? ,, Quindi egli tenne sempre i suoi pensieri rivolti allo scopo 
| del suo avanzamento , e purchè il conseguisse , non molto gl’ impor- 
tava del modo. 

Scoppiò intanto la rivoluzione , feconda nutrice di ambizioni, e 
tutta la famiglia Buonaparte abbracciò con molto ardore le rivoluzio- 
narie e repubblicane dottrine che indi a non molti anni per un suo 
contrario interesse doveva prendere in odio; e Napoleone, colla mente 
accesa in quelle idee di libertà che allora correvano , gittossi o finse 
gittarsi alla parte di quelli che professavano massime più smoderate e 
fiere, ma nulla curò di loro dopo che furon caduti, sempre colà vol- 
gendosi donde sperava maggior vantaggio. Avvi un opuscolo da lui 
pubblicato col titolo “ La cena di Beaucaire < contenente opinioni 
molto diverse da quelle che dipoi professò , e che egli perciò, al cam- 
biarsi di sua sorte, studiossi, benchè invano , ‘di distruggere affatto , 
comprandone a caro prezzo gli esemplari. Dopo il racquisto di Tolone 
fu spedito in Corsica, la quale per opera del famoso Paoli si era data 
alla Gran Brettagna , e tentò, ma invano, scacciare gl’Inglesi di Aiaccio. 
Mandato comandante dell’ artiglieria. nell'esercito d’Italia sottoposto 
al Kellermann, per alcuni sospetti che di lui presero l’Albitte , il Sa- 
liceti e’l Laporte, rappresentanti del popolo presso quell’ esercito me- 
desimo , fu messo in arresto, ma , essendosi giustificato , riebbe dopo 
una quindicina di giorni la libertà. Chiamato indi a poco a Parigi, 
venne rimosso dal servigio dell’ artiglieria, e destinato all’ esercito 
dell’occidente , ossia della Vandea 3 in qualità di generale di brigata 
nella infanteria; al che ripugnando egli, il Comitato di Pubblica Sa- 
lute, composto allora del Tourneur della Manica, del Merlin di Donai, 
del Berlier, del Boissy e del Cambacérès , il cancellò dalla lista degli 
ufiziali generali impiegati. Cruccioso, afflitto, cercando invano di esser 
rimesso nel primo posto, e rivolgendo in mente mille stravaganti pen- 
sieri, offerse al governo di far passaggio in Turchia per instruire , in- 
sieme con alcuni altri ufiziali francesi ch’egli disegnava condur con sè, 
le milizie della Porta, nel maneggio dell’ artiglieria, e nella difesa e co- 
struzione delle fortezze , abilitandole così a fare più efficacemente la 
guerra alla Russia , e rendendo perciò un indiretto servigio alla Fran- 
cia, Ma neppur questo gli fu conceduto ; onde egli (se deesi fede a 
molti che ciò affermano contro qualcuno che il nega ) si vide ridotto 
a mancar delle cose più necessarie, egli che indi a pochi anni non 
doveva esser, pago di regnare sopra la Francia e la Italia: tanto è va- 
sta e profonda e fiera la umana cupidigia. Nè in minore strettezza si 
trovava la madre sua colle tre figlie rifuggite di Corsica in Marsiglia , 
le quali riceveano pel loro sostentamento que’ soccorsi che la repub- 
blica soleva in que’tempi concedere a coloro che per la causa della 
libertà erano costretti a lasciar la patria. Queste cose non degne del- 
l’istoria si raccontano da me soltanto perchè sempre più si conosca 


III 


quanto sia il potere della fortuna che da sì umile stato levò poi tan- 
t'alto questa famiglia, e quali e quante furono le difficoltà che su- 
perar dovette- quest'uomo nello stupendo arringo da lui percorso. 
Dopo aver egli renduto un segnalato servigio alla Convenzione 
contro i sollevati quartieri di Parigi il giorno 13 vendemmiale (5 ot- 
tobre ) siccome già narrammo, fu nominato secondo generale del- 
l’esercito interno, e indi a poco , per la rinunzia del Barras, ne fu 
generale in capo. Per sollicitazione di esso si ammogliò con Giusep- 
pina Tascher della Pagerie nata nella Martinicca, maggiore di lui di 
alcuni anni e vedova del generale Beauharnais che già vedemmo con- 
dannato a morire sotto la mannaia. Poco dipoi, proposto dal Diret- 
tore Carnot e sostenuto dal Barras e dal Deputato Saliceti suo com- 
patriotta, ottenne il comando dell’ esercito d’Italia, che con ripetute 
instanze e perseverante fervore addimandava. Egli era allora in età di 
circa ventisette anni, e benchè avesse studiato l’ arte militare, poteva 
dirsi in quella tuttora inesperto, mentre non pochi generali a lui sot- 
toposti, come l’ Augereau, il Serrurier, il Massena e alcuni altri, erano 
già in arme famosi. Ma gli soprabbondava una cotale giovenile bal- 
danza, ardore di animo, fiducia nelle proprie forze e prontezza nel- 
l’operare. Aveva mezzana statura, avvenente aspetto, occhi vivi e pe- 
netranti, corpo tolerante delle fatiche , mente astuta e veloce a co- 
noscere le propensioni , le mire e le debolezze di coloro ch’ egli do- 
vea reggere o soggiogare, le opportunità delle occasioni, tutti que’prov- 
vedimenti che si possono prendere alla contraria fortuna e tutti 
que’ vantaggi che si possono trarre dalla buona. Con una certa sua na- 
turale facondia, che nasceva da forte e ardente imaginazione, sapeva 
dare alle cose quell’ aspetto ch’ ei desiderava : era talora anche elo- 
quente, ma di una eloquenza, per così dire, soldatesca, brusca e rotta. 
Nella bevanda e nel cibo contentavasi di poco : univa in sè le cogni- 
zioni politiche alle guerriere , l’ardimento della giovinezza alla cir- 
cospezione dell’ età matura , e per le qualità sue, per le disposizioni 
degli animi e per quelle de’ tempi che correvano, era attissimo a scon- 
volgere gli ordini antichi e. fondarne di nuovi. Benchè tenace de’suoi 
proponimenti , sapeva, come del greco Alcibiade si narra , piegarsi 
mirabilmente per meglio riuscirvi. Altiero e violento per natura ; era 
nondimeno per riflessione e per politica moderato e tranquillo , se- 
condochéè il bisogno richiedeva; anzi spesso fingevasi tutto preso dal- 
l’ ira per impaurire , sorprendere e sbalordire coloro , co’ quali trat- 
tava. Il vedremo animoso e insieme cauto a schivare 1 pericoli, severo 
e indulgente a tempo , e soprattutto abilissimo a cattivarsi 1’ amore 
dei soldati: non mai affidarsi alla fortuna ove il consiglio valesse , e 
dove questo era inutile, tutto sperare dall’ audacia ; magnificare i 
suoi prosperi successi , coprire o. scemare quelli del nemico ; mostrar 
sempre sicurezza di vincere, niun minimo dubbio di perdere ; fingersi 
molto religioso co’ religiosi o ridersi poi co’ più scaltri della simula- 
zione usata coi semplici ; nascondere spesso è sui pensieri sotto le ap- 


112 


parenze d’ una franca schiettezza; e , tranne que’soli , a cui fosse ne- 
cessario il fidare un segreto , essere impenetrabile per ogni altro; pro- 
porre vasti disegni come facili ad eseguirsi ; procacciarsi la benevo- 
lenza di ciascuno e farsi temere da quelli ch’e’ non potea guadagnare. 


XVIII. Dell’istoria del Papi sono pubblicati sino ad ora quattro 
volumi che dal 1793-arrivano al 1798. La storia dal 1789 al 1793 
rimane t'tora inedita. Il che deve nuocere assai al buon successo 
dell’ impresa tipografica , ed assaissimo all’ intendimento morale 
e civile dell’ opera. 

E non sapendo noi intender le ragioni di tanta inversione 
d’ ordine tipografico, confidiamo che la prima parte dell’ istoria 
non mancherà lungamente al desiderio degli amatori delle lettere 
italiane. 
Francesco Forti. 


Saggi di morale e di economia privata di Benrawino FrawxtIN. 
Prima traduzione italiana. Pisa, Tipografia Nistri, 1830. 


Il nome di Benjamino Franklin è un cumulo di grandi me- 
morie è un simbolo di grandi speranze: la sua vita è una vera 
istoria dell’ uomo : i suoi Saggi di morale e di economia privata, 
una immagine di quella vita , e una scuola di virtù e di saviezza. 
Sei curioso contemplatore dei grandi avvenimenti del mondo ? 
cerchi il tuo bene particolare nel più largo e generoso sviluppo 
de’ sociali destini ? vivi sospeso in una sollecita aspettazione alla 
vista dei presenti moti , e risali ai principj di tante cose che ti 
riempiono di pensieri e di affetti? Ecco Franklin quasi su quel- 
l'altezza da cui il nuovo secolo della civiltà umana prende im- 
petuosamente il suo corso: ecco il filosofo, che avendo fatto gli 
uomini padroni del fulmine , vuole i suoi concittadini padroni di 
sè medesimi. Tu lo vedi a Londra e a Parigi con diverse arti ed 
uffici promuovere gl’ interessi della sua patria: tu assisti al suo 
ritorno a Filadelfia , e vedi un’ intera città , esultante nel senti- 
mento della sua indip endenza , ricevere il rigeneratore della sua 
vita e farlo capo del suo governo. E quando egli spira in seno 
alla felicità della patria, e due mondi sembrano farsi eco nelle 
lodi della virtù, e nel pianto su i brevi giorni dell’ uomo ; la 
Francia celebrava i riti della politica esistenza nell’ assemblea 
nazionale, e la libertà dell’ America é dell’ Europa mostravano 
d’ intendersi nel comune desiderio di quel benefattore dell’ uman 


113 
genere , e quasi si abbracciavano come sorelle sul sepolcro del 
filosofo cittadino. Da quel tempo si dedussero gli avvenimenti per 
una catena di cause e di effetti, alla quale siamo tutti congiunti 
con un legame indissolubile e quasi fatale. 

Vuoi vedere nella vita di Franklin un’ immagine e quasi un 
compendio della storia dell’ uomo ? Osserva il giovinetto ; che ve- 
stito da operaio, con le tasche piene di camicie e di calze, con 
le gambe coperte di zacchere, con la ricchezza di un tollero, 
entra in Filadelfia ove non ha conoscenza di alcuno, compra tre 
pagnotte da un fornaio, e con due di esse sotto le braccia ed 
una di mano a mano alla bocca, passa per Marketstreet. sotto 
gli occhi della figlia di M. Read, che poi divenne la sua con- 
sorte : osserva bene questa figura , e paragonala con l’ amico di 
Washington ambasciatore alla corte di Francia, con l’ uomo fe- 
steggiato dai sapienti nella capitale del mondo civile, col filosofo 
corteggiato dalle dame, col venerabile vecchio abbracciato dalle 
bellissime vergini nella città della galanteria e del buon gusto. 
Paragona lo stampatore di Boston, il garzone del suo fratello 
col fondatore di società letterarie e di biblioteche , con I’ inter- 
prete della natura, col savio del nuovo mondo: e 1’ inventore 
dell’ armonia coll’ ordinatore e amministratore della repubblica. 
La serie dei pensieri e delle ‘arti e delle fatiche, che s1 frappou- 
gono a questi due estremi, è degnissima della più seria consi- 
derazione , presenta da ogni parte i vestigi dell’ uomo nella car» 
riera della perfezione civile, e ci fa fare la vera conoscenza di 
Franklin. 

Ma noi possiamo farla anco in queste operette di morale e 
di economia privata, nelle quali egli dipinse sè stesso con una 
mirabile fedeltà. La natura lo avea primitivamente disposto ad 
essere un uomo straordinario: ma diresti ch’ ella lo abbia pro- 
dotto nella classe degli momini utili e necessariamente occupati 
per avere la cooperazione dell’ arte nel perfezionamento di quella 
sua produzione; e che la fortuna o le vicissitudini delle cose 
abbiano cospirato con la natura e schiuso all’ arte un teatro con- 
venevole a’ snoi bisogni, ov’ ella mostrasse la virtù del suo al- 
lievo e si godesse la eccellenza del suo lavoro. Franklin sarebbe 
sempre stato un uomo non volgare in ogni condizione di vita: 
ma quell’ avere un debito con sè stesso di sollevarsi all’ altezza 
a cuisi sentiva ordinata la sua natura, fu una forza di più che 
lo avvalorò a porsi d’ accordo con sè medesimo. Egli ebbe in tal 


guisa e necessità ed occasioni di studiare profondamente le sue 
T. I. Febbraio 19 


I14 
potenze, e universalmente la vita. La quale o egli non avrebbe, 
inteso, o poco o nulla considerato, se nella sua condizione so- 
ciale non fosse stato diviso da coloro che la vivono nella co- 
pia delle cose e nella stoltezza, e quasi posto nella debita di- 
stanza per osservarli. Quindi la fantasia, che in lui fu vivacis- 
sima , desumeva le sue forme dagli oggetti più necessarii e più 
profittevoli : la vivacità del suo spirito parea crescere nella fa- 
tica : e la conoscenza degli uomini parea confortare la bontà del 
suo animo. Quindi tutte le sue facoltà ebbero il loro sviluppa- 
mento, e si ordinarono in una costanza felicissima di proporzioni, 
in cui la bellezza fosse misura della forza dell’ intelletto: quindi 
nulla di vano o di falso in quella esistenza : ma tutto fu utile, 
tutto fu solido ; e l’uomo di Franklin fu veramente intero e 


purletto. 

Nel suo Disegno di un perfezionamento morale (1) tu puoi 
avere una luminosa testimonianza di queste cose: ma nel suo 
imprestito di dieci luigi a Benjamino Webb (2), e principalmente 
in quel codicillo in cui revoca il legato delle duemila lire ster- 
line già destinate per fur navigabile il fiume Schuilkil (3), in 


(1) Vedete i Saggi di Franklin nella traduzione da noi annunziata. Tomo 
primo pag. 1. 

(2) Pag. 110. Beniamino Webb avea bisogno di sovvenzioni, e Franklin lo 
soccorse di dieci luigi. “° Io ve ne faccio un imprestito e non un dono: ei gli 
scrisse. Quando sarete in comodo di restituire questa piccola somma voi potrete 
pagarmi , facendo un simile imprestito ad un galantuomo che sia in un bisogno 
simile al vostro ,,. I dieci luigi avranno probabilmente assai corso prima di ar- 
restarsi nelle mani di chi non valuti il giudizio della coscienza, e deluda le 
intenzioni del sovventore. 

(3) Mille lire sterline dovevano darsi in deposito alla città di Boston nello 
stato del Massacciusset; le altre mille alla città di Filadelfia. Franklin aveva 
osservato, che i bravi artigiani sono utili cittadini, e conosceva per esperienza 
l’ utilità degl’imprestiti, che in Filadelfia erano stati il fondamento d’ ogni suo 
bene. Gli amministratori della somma lasciata a Boston dovevano distribuirla ad 
artigiani dell’età di 25 anni, meritevoli della fiducia pubblica, ed ammogliati: 
ciascun prestito non doveva essere nè più di 60 lire sterline, nè meno di 15: 
ogni anno doveva restituirsi un decimo del capitale , oltre il pagamento degl’in- 
teressi. In capo a cent’ anni sarebbero state disponibili cento trentuna mila lire 
sterline. Centomila si spendessero nella costruzione di opere pubbliche ec. ec. : 
le altre 31 mila costituissero il nuovo fondo delle solite sovvenzioni per altri 
cent’ anni. Allora si avrebbe un capitale di 4,061,000 lire sterline : fossero a 
disposizione della città di Boston 1,061,000 lire ; e 3,000,000 del governo dello 
stato : “ non osando , dice Franklin , portar più oltre le mie vedute ,,. La som- 
ma legata agli abitanti di Filadelfia, doveva avere, salve poche differenze , 


la medesima destinazione. 


115 
quella nuova disposizione di questa somma tu hai una eloquen- 
tissima indicazione, e quasi scopri il segreto della vita singolaris- 
sima di questo grand’uomo. Ivi tu vedi un piccolo oggetto divenir 
fecondo di risultati per la sola arte di usarlo; tu vedi un primo ca- 
pitale , un utile divisamento, una sola idea moltiplicarsi ed accre- 
scersi nella successione dei tempi, e per la varia industria degli 
uomini, e nella continua serie dei civili interessi: ivi le dottrine 
di Franklin sulla economia, sull’ ordine, sulla costanza, e su tut- 
te le altre virtù ti si presentano in un solo aspetto e ti fanno 
sentire in un solo tempo de’ tuvi pensieri tutta la vita di chi 
sapea concepirle , e la definizione del suo valore. Una capata (4) , 
un erpice (5), una gamba storta (6), la gotta (7), la risposta 
di un missionario (8), uno zufolo (9) gli danno occasione di am- 
maestrare i suoi simili e divengono monumenti della sua storia, 
Dite lo stesso della sua scoperta economica (10); della sua a/- 
gebra morale (11) e di quella società dei liberi (12), con la quale 
volle insegnare che la prima libertà dell’ uomo è quella che 
proviene dalla virtù ; e che quando è libero 1’ uomo, il citta- 
dino non può mai essere schiavo. E la scienza del buon uomo 
Riccardo ? (13) Ella può esser quella di tutti gli uomini, e fa- 
cilmente applicarsi a tutte le condizioni. Le utili occupazioni 
sono la vera ricchezza dell’ uomo; e con la diligenza, con la 
economia, con la persuasione di dovere agli altri i nostri soccorsi 
potremmo facilmente produrre una gara di azioni civili, dalle 
quali risulterebbe la vera felicità degli stati. È osservabile 
negli uomini di tutte le classi una emulazione di movimenti per 
uscire dall’ ordine in cui si trovano, e salire di qualche grado 
la scala delle condizioni sociali. Questa emulazione è piena della 
forza del secolo, e può essere la espressione della vera sua vita. 
Ma se tu non avrai la scienza del buon’ uomo Riccardo, farai 
troppo spesso dei passi falsi, e dovrai confessare con tua ver- 
gogna di aver pagato troppo caro il tuo zufolo. 


(4) Pag. 118. 
(5) Pag. 119. 
(6) Pag. 112. 
(7) Pag. 92. 
(8) Pag. 121 e seg. 
(9) Pag. 70. 
(10) Pag. 77. 
(11) Pag. 30. 
(12) Pag. 24 e seg. 
(13) Pag. 47 e seg. 


1106 


Ma io volendo mostrarvi come Franklin abbia dipiato sè 
stesso in questi suoi saggi, vi ho parlato senza avvedermene di 
ciò che si contiene nel primo volume di essi, e forse provocato 
la vostra curiosizà a farlo soggetto di osservazione accurata. — 
Sono cose tolte di mezzo alla vita; sono cose che noi sapevamo : 
diranno ‘alcuni de’ miei lettori. Ma tanto più preziose, e di un’uti- 
lità più comune e più uuiversale: io rispondo. La morale non 
desidera verità troppo astratte, nè ha bisogno di dottrine spe- 
culative nella costituzione de’ suoi precetti. Ella è perpetuamente 
con l’ uomo, e fra isuoi interessi, e nelle sue operazioni. Sentite 
vaghezza di un pascolo più filosofico? Voi potete trovarlo an- 
co in queste operette. Quelle verità non connesse, quelle ma- 
terie diverse l’ una dall’ altra, nè tutte esibite ai lettori in una 
medesima forma, mi sono già molto care pel piacere della va- 
rietà che ne colgo. Ma la colpa è tutta vostra, se non vedete 
queste cose che nelle carte del libro , e nella loro esteriore e 
materiale dimostrazione. Non si tradussero esse spontaneamente 
nelle vostre idee? Le quali non hanno certamente la impene- 
trabilità delle sostanze corporee. Risolvetele in altre idee più 
scientifiche e più generali; riordinatele in una progressione ne- 
cessaria : congiungetele col sistema della sapienza. Voi troverete 
da voi medesimi il pascolo del quale avete bisogno; e medite- 
rete la scienza nelle stesse amabili piacevolezze del filosofo di 
Filadelfia. Tantum series, juncturaque pollet! 

E il modo di riguardare gli oggetti ? E il linguaggio di Fran 
klin? La sua tendenza all’ apologo vi può ridurre a mente gli 
antichi savi orientali: ma nelle forme della sua fantasia voi sen- 
tite la storia della sua vita. Lo scherzo in alcuni è natura: in 
Franklin è una persuasione di coscienza, e un convincimento 
dell? intelletto. Perchè egli è sincero nello scherzo, come lo è 
nella forza della mente e nella virtù. E quando vi potea ba- 
stare lo scrittore, voi godete la presenza e la verità dell’ uomo, 
e ascoltate Franklin nel suo stile. Ma se tutti non sapranno 
o vorranno occuparsi in queste cunsiderazioni ; tutti possono e 
dovrebbero educarsi a questa scuola di saviezza che insegna l’arte 
prima della umana felicità ; 


Aeque pauperibus prodest, locupletibus aeque ; 
Aeque neglectum pueris senibusque nocebit. 


La virtù non è una speculazione , ma un fatto: e noi ita- 
liani ne abbiamo sommameute bisogno. Non è questo il luogo 
di parlare della nostra educazione , nè di proporre miglivramenti 


117 
‘o riforme. Ma piacemi di notare un vizio troppo cuntra:io a quel 
genere di educazione o di formazione dell’uomo , che vuolsi im- 
parare da queste operette di Franklin. I nostri padri di famiglia , 
i nostri maestri sono tutti bravissima gente; nè io mi arrogo il 
vanto o incompetente o superbo di criticare nessuno. Ma ho do- 
vuto osservare troppo più spesso che non avessi voluto, che noi 
formia mo due uomini nei nostri fanciulli: un uomo assai morale 
nelle parole; un altro non molto sano, 0 forse corrottissimo nelle 
abitudini. Questi due nomini sono perpetuamente in discordia 
fra loro, e fanno a gara a rendere almeno almeno ridicolo il terzo 
uomo » ch” è il vero, e che risulta dalla composizione di queste 
due parti. L’ uomo delle massime fa ostentazione di sè nei 
nostri circoli e ne’ suoi discorsi, e specialmente quando giudica 
le operazioni degli altri: adoperiamo 1° nomo delle abitudini nei 
nostri affuri, lo mettiamo alle prese con la moglie, coi figli, 
coi familiari, con le cose, con noi medesimi, e gli consentiamo 
di rendersi insopportabile con tanto maggior libertà; inquantochè 
l’ uomo delle massime è sempre pronto a salvar 1’ apparenza e a 
risparmiarci il salutare avvertimento della vergogna. Non so se 
questo metodo perniciosissimo dipenda dalla mancanza di buoni 
esempi; dal non aver sentito abbastanza la loro forza come ar- 
gomenti di educazione privata ; e dalla morale difficoltà di sen- 
tirla. Certo è che gli uomini imitano molto e riflettono poco : 
hanno facoltà e bisogni di fare, ma non arte nè tempo nè vo- 
lontà di riconoscere le loro potenze e d’ intendere le ragioni di 
questi loro bisogni. E quando mancano i fatti e i costumi, c'è 
il compenso delle massime e delle parole: diventiamo potentis- 
simi in presunzione ed inettissimi nella virtù: e la nullità del 
nostro valore ha precisamente la sua misura nella vanità del no- 
stro amor proprio. Ora que’ due uomini dei quali parliamo , non 
potrebbero stare insieme, e comporre il terzo ch’ è il vero, se 
non venissero a una specie di transazione fra loro. E sapete co- 
me si conchiude questo accomodamento? Con una incredulità 
morale , ch’ è un rinegamento della propria coscienza. E da que- 
sta incredulità proviene ( vedete mostruosa generazione di cose!) 
una fede di nuovo genere, ch’ è quella dell’ interesse , che non 
ci fa vedere nè i nostri doveri, nè la dignità nostra , nè la pa - 
tria, nè il genere umano; ma ci fa solitarj nella frequenza del 
mondo e nella scambievolezza delle nostre correlazioni, e corrompe 
e quasi abbrutisce il piacere dell’esistenza con lo scetticismo della 
morale. Ma ritorniamo ai Saggi di Fravklin. 

Essi erano tradotti in lingua francese; ma fu buonissimo 


811 


consiglio il fargli italiani: perchè se I’ idioma francese è di co-- 
munissimo uso fra noi, non tutti per altro lo sanno, e tutti 
debbono poter giovarsi degl’ insegnamenti di quel filosofo. La 
traduzione è fatta da un giovine colto e studioso, e degno che 
sia incoraggito dal favore del pubblico. Franklin rendea giornal- 
mente severo conto a sè stesso del suo profitto nella virtù. Imi- 
tate il savio di Filadelfia: fate una sera 1’ esame della vostra 
coscienza : e se trovate di aver peccato nelle inutili spese , com- 
pensate il male con uv? utile operazione , e il giorno dopo asso- 
ciatevi alle operette di Franklin. Questi libri sono portatili, e 
facilmente potranno essere i vostri compagni. Peregrinantur , ru- 
sticantur. Se li leggerete con la sincerità con cui furono scritti , 
diverrete felici con la partecipazione di quella saviezza che li 
dettò. L’ amico di Franklin sarà sempre un uomo virtuoso e 
un utilissimo cittadino. E 1’ Italia ha bisogno di costumi, cioè 
di forza morale, cioè di virtù; lo che vuol dire di cittadini e 
di uomini veri. XX. 


RIVISTA LETTERARIA, 


Cenno sulla geografia fisica e botanica del regno di Napoli. Di M.Tz- 
mort. Napoli, 1827 , in 8.° 


Nel momento in cui la geografia delle piante , per sì lungo tem- 
po negletta , richiama l’ attenzione dei botanici , l’ autore della flora 
napoletana ha voluto far conoscere la natura del suolo che produce i 
vegetabili in essa descritti. Col pubblicare queste sue osservazioni ìl 
chiarissimo prof. Tenore accrescendo il numero dei fatti che servono 
di base alla geografia botanica, aggiunge il suo nome a quello dei 
naturalisti italiani che hanno contribuito all’ avanzamento di questo 
ramo della scienza. Fra essi, per tacere di ogni altro , vogliamo ram- 
mentare il prof. Viviani di cui furono accennati i dotti concepimenti 
nel fascicolo 53 di questo giornale ; e non dubitiamo punto che l’Ita- 
lia, favorevolissima per la sua naturale circoscrizione , la diversità delle 
regioni che comprende , e la feracità del suolo , alle ricerche di sta- 
tistica vegetale, non somministri, mediante l’ acutezza d’ ingegno 
de’ suoi abitanti, copiosi mezzi d’incremento alla geografia delle 
piante , e non ammetta esclusivamente il metodo naturale , che solo è 
applicabile a questa parte della botanica , e solo è oggi all’altezza 
della scienza. 

Frattanto il professor Tenore dà una stesa geologica descrizione 


119 
dello stato di Napoli, e contemplandone principalmente i monti, vi 
distingue tre regioni : settentrionale , centrale , meridionale. La pri- 
maria catena della regione settentrionale, la più alta di tutto il re- 
gno , attraversa gli Abruzzi ; al nord ha il Gran sasso , al sud la Ma- 
jella , ed è interamente composta di rocce di seconda e terza forma- 
zione. Nella regione centrale le montagne della Basilicata sono per la 
maggior parte composte di calce carbonata stratificata. Nella regione 
meridionale i monti della Calabria sono quasi tutti primitivi. ‘° Essi, 
3» dice 1’ autore , somigliano meno ai monti del resto del regno , che 
>» a quelli della opposta Sicilia. La disposizione degli angoli delle due 
sponde , e la identica composizione geologica de’ monti medesimi 
fanno fede della catastrofe che separar li dovette allorchè le acque 
del Tirreno si aprirono una strada attraverso il Faro di Messina ,,. 
Alla descrizione di queste tre regioni succede quella della regio- 
ne vulcanica, essa pure suddivisa in tre altre regioni: de’ vulcani 
ardenti, de’ vulcani semi-estinti , de’ vulcani estinti. Se in questo 
breve estratto appena abbiamo potuto accennare le precedenti, queste 
siamo costretti a nominarle soltanto. Ma non vogliamo tacere che fa- 
cendo menzione delle acque termali dell’ isola d’ Ischia 1’ autore ram- 
menta essere stato il primo a scoprire nel 1801 la presenza della sili- 
ce in quella detta de’ Gurgitelli ; scoperta che nel 1816 egli annunziò 
nel suo trattato di fito-fisiologia. ‘ Diversi nostri dotti concittadini , 
3» ei soggiunge , si hanno di poi a vicenda disputato questa scoverta, 
3) e recentemente altro nostro distinto naturalista ad un celebre chi- 
3» mico inglese ne ha fatto omaggio. ,, 

Dopo la descrizione geologica di cui c’ è doluto non poter rife- 
rire tutte le particolarità , passa l’ autore a stabilire le regioni bota- 
niche , distinguendole per la loro altezza sul livello del mare. Eccone 
il prospetto , nel quale il numero delle tese esprime il confine supe- 
riore della regione cui corrisponde , e l’inferiore di quella che la 
segue. 


Regione delle pianure marittime. Quasi al livello del mare. 


I 
Creed LA n mediterranee Tese 50 
3 5 »». colline 150 
4 >> dei boschi prima 400 
5 5 55 > seconda 660 
6 ta montagnosa 800 
7 5a alpina prima 900 
8 DE 5a seconda 1000 
9 Da 5 terza L150 


LOS glaciale 


“ Queste dieci regioni ,, dice l’autore , ‘‘ possono facilmente ri- 
», conoscersi allorchè dal littorale dell’ Adriatico vogliasi ascendere 
3; sul monte amaro per Pescara , Chieti, Roccamorice , e la Majella ; 
3, ovvero sulla cima del Gran Sasso per Teramo , Montorio , e Pietra- 


120 


»; camela. ,, In ognuna di esse , non trascurata la gelogica qualità del 
suolo , sì enumerano le piante che conservano una relazione costante 
con la sua altezza , e queste vi sono distinte in piante erbacee , fru- 
tici e suffrutici, alberi spontanei , alberi coltivati : e talora se ne 
indica la stazione. All’enumerazione delle piante succede quella degli 
animali , fra i quali vengono contemplati i quadrupedi , gli uccelli, 
1 rettili, e gl’ insetti. 

Il ch. autore limitatosi a far conoscere in ciascheduna delle sue 
regioni botaniche quelle piante che conservano una relazione costante 
con la sua altezza, non ha istituito verun paragone fra le diverse 
classi di esse. Desiderosi di farne uno , abbiamo contato nella prima 
regione fra le piante spontanee , 46 specie di esogene , e 14 di endo- 
gene. Percorrendo le piante delle altre regioni , è facile accorgersi che 
vi dominano quasi esclusivamente l’ esogene , spesso mancando af- 
fatto 1’ endogene. Quanto alle cellulari la sola Cetraria islandica vi è 
annoverata come quella che contrassegna il confine inferiore della re- 
gione glaciale. All’ articolo che riguarda la regione delle colline tro- 
vasi notato il procedimento della vegetazione nello stabilirsi sulle lave 
litoidee di quella zona. I licheni, e specialmente lo Stereocaulon ve- 
suvianum , e la Roccella tinctoria sono i primi a coprirle ; poscia lo 
spartium junceum, la Pteris aquilina , e la scrophularia bicolor si mo- 
strano primiere fra le vascolari che vi allignano- 

Dopo la descrizione delle regioni botaniche , la naturale distribu- 
zione degli alberi nel regno di Napoli , delle osservazioni sulla vege- 
tazione delle coste , delle osservazioni meteorologiche , e l'influenza del 
clima sull’ epoche della vegetazione formano il soggetto di altrettanti 
capitoli. Trattando della vegetazione delle coste , l’autore ripete un’os- 
servazione importantissima che già pubblicò nel secondo tomo della 
fiora particolare della provincia di Napoli, ed è relativa alla scoperta 
che nel 1805 fece , nell’isola d’ Ischia , della Pteris longifolia , e del 
Cyperus polystachyos Rottb. presso i fumaioli di Frasso e de’cacciotti , 
ove dic’ egli, la temperatura si mantiene costantemente a circa 20 
gradi del termometro di Réaumur , e nella terra in cui sì profondono 
le radici di quelle piante , il calore si concentra a segno da non po- 
tervi tener la mano senza scottarsi. Per ispiegare il fenomeno che 
ivi presenta l’esistenza di quelle specie, proprie di climi assai più caldi 
che non è quello di Napoli, egli supporrebbe che la temperatura 
vulcanica di quei fumajoli, malgrado le fisiche rivoluzioni del resto 
dell’isola , ne avesse protetto la vegetazione , e il successivo sviluppo 
de’ semi, fino dall’ epoca remotissima in cui le piante intertropicali 
che oggi trovansi fossili nel settentrione potevano vegetarvi. Senza 
volere in modo alcuno impugnare questa quanto ardita altrettanto in- 
gegnosa ipotesi , osserveremo che la stessa elevata temperatura de’fu- 
maioli servirebbe egualmente a spiegare lo sviluppo de’ semi di siffat- 
te piante ivi recentemente trasportati per qualche circostanza che il 
commercio e la navigazione renderebbero credibile. 


121 


A questo suo lavoro l’ autore ha aggiunto delle note contenenti 
un’ enumerazione di fossili e minerali da esso raccolti in Abruzzo nel 
1807 , corredata di osservazioni a tali oggetti relative. Altre osserva- 
zioni ch’ egli fece più recentemente in Puglia , sl trovano in un’ ap- 
pendice. Finalmente due carte geografiche annesse a quest’opuscolo , 
servono ad agevolare la cognizione dei luoghi nominati nel. testo. 

ResouL 


Viaggio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria Citeriore. Na- 
poli 1827 in 8.° 


Componesi quest’ opuscolo : 1.° del diario di un viaggio eseguito 
dai naturalisti L. Petagna , G. Terrone, M. Tenore in alcuni luoghi 
della Basilicata , e della Calabria Citeriore , dal 3 al 16 luglio 1826; 
2.° del catalogo de’ prodotti naturali raccolti nel viaggio medesimo ; 
3.° delle altezze sul livello del mare , dei luoghi più importanti visi- 
tati dai prelodati viaggiatori, da essi determinate col , barometro ; 
4.° dell’ itinerario postale , con le distanze in miglia. napoletane da 
Napoli a Cosenza; 5.° del catalogo degli alberi, ed arbusti che cre- 
scono naturalmente nelle provincie di Terra di Lavoro , Principato 
Citeriore , Basilicata , e Calabria. 

Nel diario con la descrizione del suolo , delle produzioni natu- 
rali, della coltivazione , del fabbricato, del fisico degli abitanti , non 
che della loro indole , e della loro industria , gli autori danno chiaris- 
sima idea de’ luoghi da essi percorsi. Giudiziose vedute , utili avver- 
timenti spesso frammischiati alla narrativa accrescono il pregio di que- 
sta parte del libro. Il naturalista leggendolo si unirà con la mente , 
e col desiderio agli esimii viaggiatori , e con particolare premura li 
seguiterà nelle loro gite ai principali monti di que’ Inoghi. Ben lungi 
dal potere ciò far noi in questo breve cenno che diamo del loro viag- 
gio, dobbiamo limitarci alle pochissime seguenti particolarità. 

Al piano della Ruggia , elevato di più di 5800 piedi inglesi sul 
livello del mare , nei tronchi marciti de’ faggi , il Dott. Petagna trova 
lo scarabaeus cylindricus infino allora osservato in Europa soltanto nelle 
foreste settentrionali della Svezia. 

AI piano del Pollino , a circa 6000 piedi di altezza, presso estesi 
banchi di neve , il prof. Tenore raccoglie il crocus vernus neapolitanus 
in fiore , e col frutto il crocus Imperati, piante che non credevasi 
poter trovare riunite in quella elevata regione. Negando le guide dei 
nostri arditi viaggiatori di condurli alle vette del monte, alla più alta, 
detta di dolce dorme, li guida un venerando ed istruito pastore , che 
da lunghissimi anni percorre quelle montagne , e conosce molte piante 
sotto i nomi del Mattioli. Nel separarsi da essi quel buon vecchio 
ricusa il guiderdone offertogli della sua pena, e colmandoli delle più 
affettuose espressioni , propone loro di cambiare i respettivi indirizzi. 


T. I. Febbraio 16 


129 
Ci duole che sia stato taciuto il nome di un uomo che ai nostri giorni 
conserva i costumi patriarcali. 

Movendo da Cosenza per portarsi al Cocuzzo , traversano i nostri 
viaggiatori , non lungi dalla città, una valle ove serpeggia il Busen- 
to , della quale ecco la descrizione che ci danno. ,, Sulle Colline la 
», vallata è alberata di viti , fichi ed altri alberi fruttiferi, indi ele- 
3» vandosi verso il monte , di castagni, querce , e noci. Bello è l’os- 
; servare la giacitura geologica delle varie masse di rocce , che si 
presentano lungo la vallata dal letto del fiume percorsa. Lasciate 
le argille , nelle più basse colline cominciano a mostrarsi i schisti ar- 
gillosi e micacei , i quali diventano sempre più compatti ne’ luoghi 
ove i fianchi del monte più addentro scoperti si mostrano. Ivi in 
molti luoghi evidente manifestano il loro nesso con lo gneis e col 
granito. Largo pascolo al geologo offrono perciò il letto e le sponde 
del Busento per le belle e variate specie di rocce di cui può fare 
ampia collezione , e tra le quali tutte le combinazioni si trovano 
del feldspato , del quarzo ; dell’ orriblenda , della mica. ,; 

Il Catalogo de’ prodotti naturali contiene delle specie nuove che 
tutte appartengono ai vegetabili. Le riportiamo nell’ ordine in cui sono 


dI 
23 
dI 
23 
33 
23 
23 
23 


23 


disposte. 


Verbascum macrurum : foliis decurrentibus ellipticis utringne albo-tomen- 
tosis , crenulatis ; spica densissima longissima ut plurimum simplici ; bracteis 
ovato-lanceolatis calycem subacquantibus, corollis infundibuliformibus ((@) (18-20 
lin. diametr ) laciniis orbicularibus , subtus dense lanatis ; filamentis lanatis 
omnibus , lana flava, antheris subacqualibus. Ten. Floret julio. Perenne. Ad 
montium radices 3 circa Dirupata di Murano , Campotenese. 

Convolvulus lucanus : foliis sagittatis postice integris ; pedunculis tetrago- 
nis folio longioribus bracteis ovato-oblongis undique calyeem amplexantibus ; 
corollae tubo cylindrico longissimo (2-3 poll.) limbo albo, subtus rubro 5-radiato. 
Ten, Floret julio. Perennis. Prope Aulettam et Lauraeam. 

Colchicum parvulum ; foliis linearibus planis hysteranthiis ; corollae laci- 
niis oblongo-ellipticis obtusis rotundatis , (2 lin. lat. et 6-8 lin. long. ) sta- 
minibus pistillis longioribus , basi incrassato-callosis luteolis , lineis nectariferis 
obsoletis , antheris linearibus flavis ; stigmatibus simplicibus. Ten. circa Piano 
del Pollino. 

Reseda gracilis : caulibus diffusis ramosissimis , foliis omnibus trifidis 
laciniis linearibus tenuissimis, intermedia raro bifida vel trifida ; corollis lu- 
teis 3 fructibus elongato-ovatis argute tricuspidatis. Ten. Rotonda, Ca- 
stelluccia. 

Satureja Cosentina : caulibus suffruticosis decumbentibus, ramis filifor- 
mibus, foliis lineari-setaceis utrinque attenuatis petiolatis revolutis hispidis 
(5 lin. long. } lin. lat.) pedunculis cymosis secundis patentibus calycinis den- 
tibus capillaribus fere longitudine tubi incurvi , bracteis setaceis , calice bre- 
vioribus. Planta hispido-scabra canescens ; corollae purpureae pilosae. Ten. Ad 
Porta piana et Donnici, prope cosentiam. 


(a) Sine dubio per incuriam. 


123 


Biscutella incana ! caule basi suffruticoso ; siliculis glabris , subundulatis , 
in disco punctis elevatis leviter exasperatis ;  foliis incanis, strigoso-bispidis 
oblongis aequaliter sinuato-dentatis, dentibus obtusis. Ten. Ad Dirupata di 
Murano. Perennis. 

Genista depressa: caulibus diffuso-prostratis , ramis angulatis, striatis , 
villosis , foliis ovali-oblongis acutis  utrinque pilosis , floribus axillaribus soli- 
tariis, breviter pedunculatis , calycibus subeylindricis pilosis, dentibus setaceis, 
corollis glabris vexillo luteo-croceo carinam aequante. Suffrutex. Ten. Flo- 
cut julio. Ad piano di Ruggia. ( Rubbia vel Cupia). 

Astragalus sirinicus : frutescens : petiolis spinescentibus ; foliis 14-jugis , 
foliolis elliptico-oblongis $  obtusiusculis utrinque adpresso-pilosis ; pedunculo 
folio subbreviore ; floribus racemoso-spicatis (2-10); calycibus nigro alboque 
pilosis , dentibus setaceis ; corollis. flavis calycibus triplo longioribus ; legumi 
nibus villosis. Ten. Floret julio. Iu montis sirini prope Lagonegro pratis 
saxosis. 

Trifolium brutium : caule adscendente ramoso,. foliig petiolatis, foliolis 
obcordato-cuneatis denticulatis , terminali vix petiolato ; capitulis axillaribus 
sphaericis, pedunculis folio longioribus , laciniis calycinis inaequalibus, 2 su- 
perioribus brevissimis , reliquis apice setiferis , vexillis amplis aureis sulcatis 5 
carina crocea ; seminibus ellipticis flavis , radicula prominula. Planta 2-3 poll. 
pubescens. Ten. Floret julio. Annua. Îm pratis siccis montis Cucuzzo. 

Tolpis grandiflora : caule corymbifero , foliis radicalibus lanceolatis , den- 
tatis , involucris setaceis. calyce farinoso longioribus , floribus pollicaris dia- 
metri, seminibus 5-aristatis. Planta glabra glaucescens. Ten. Floret julio. Ad 
nemorum margines , circa Lagonegro. 

Hieracium pumilum : radice praemorsa , scapis unifloris decumbentibus , 
flaccidis hispidiusculis ; ramentis foliaceis rariter ramulo florifero instructis, 
calycibus calyculatis,  pedunculisque sub flore farinoso-glabriusculis , foliis 
lineari-lanceolatis glabris utrinque attenuatis dentatis vel runcinato-pianatifidis , 
dentibus vel laciniis remotis , lanceolato-linearibus acutis parallelis. Ten. Flo- 
ret julio , augusto. Perenne. Ad Piano di Ruggia. 


Nel triplice catalogo degli alberi e arbusti spontanei 1.° in Terra 
di Lavoro ; 2.° nel Principato Citeriore, e la Basilicata; 3.° in Ca- 
labria, sono necessariamente ripetute non poche specie. Tutte vi sono 
registrate alfabeticamente col nome botanico, cui fa seguito il nome 


Italiano, e il vernacolo del paese ove nascono. 
ReBOUL. 


Succinta relazione del viaggio fatto in Abruzzo ed in alcune parti dello 
Stato Pontificio dal Cavalier Tenore nell’ està del 1829. Napoli 
1830 in 4.° 


Bramoso di sempre meglio conoscere le piante del suo paese, e 
di vie più arricchire il Real giardino botanico cui sì degnamente pre- 
siede , si affretta il prof. Tenore di arrendersi all’ invito fattogli dal 
prof. Mauri di averlo a compagno in un viaggio negli Abruzzi , e in 
quella parte a questi confinante dello Stato Pontificio. Egli si trasferi- 
sce perciò a Roma nel giugno del 1829. Ivi riscontrando col Wahlberg 


124 

alcune piante dubbie di quei contorni , lo interroga principalmente 
riguardo alle specie linneane, studiate con maggior cura dal professore 
di Stocolma , e può con tal mezzo confermarsi nel giudizio già por- 
tato intorno ad un Hyperictim avuto generalmente pel quadrangulum di 
Linneo , e che dopo averlo tenuto per molti anni qual pianta dubbia, 
erasi deciso a pubblicare , l’ anno antecedente, col nome d’ Hyperi- 
cum neapolitanum. Il Wahlberg lo assicura che questa specie, ben di- 
versa in effetto dall’ Hypericum quadrangulum di Linneo , è il tetrap- 
terum della nuova flora upsaliensis di Fries. Rileviamo dalla flora sue- 
cica di Wahlenberg essere questo l’Hypericum alatum di Retz. Fries che 
lo chiama fetrapterum, dà al quadrangulum di Linneo il nome di tetra- 
gonum , e Wahlenberg che conserva il nome di quadrangulum alla spe- 
cie liuneana , chiama quadrialatum il tetrapterum di Fries. Ci allonta- 
neremmo troppo dal nostro soggetto proseguendo ad occuparci di sif- 
fatte traduzioni di nomì. 

Non della sola botanica si occupa il nostro autore nella sua di- 
mora in Roma, e ne” paesi ch’ ei traversa nel suo viaggio ; molte ed 
erudite osservazioni egli ha luogo di fare in quelle classiche regioni , 
ma i limiti che deve avere un estratto ci costringono ad occuparci 
soltanto dell’ oggetto principale per cui si mossero i nostri viaggiatori, 
che per ciò raggiungeremo nella campagna Tiburtina. Là il prof. Te- 
nore ritrovando abbondante la Styrax officinalis, come l’aveva osser- 
vata a Macchia Mattei, si conferma nella concepita idea che vi sia spon- 
tanea. Ed in fatti nell’agro Tiburtino la prese il Benincasa , e la por- 
tò all’orto botanico di Pisa verso il 1545, come abbiamo dal prof. 
Savi. Tratt. degli alb. Il. 184. 

Uscendo dallo Stato Pontificio per Rio freddo , patria dell’infelice 
Sebastiani, non poterono i due botanici peregrinatori rammentare 
senza dolore il tristo caso del già loro collega. Nello Stato di Na- 
poli osservarono minutamente i lovori dello spurgo dell’ Emissario di 
Clandio , diretti dall’ architetto Campanile, ed introdottisi con esso 
in quell’ acquidotto vi raccolsero un bellissimo e bianchissimo boletus. 
Usciti dal sotterraneo furon lieti dell’incontro del sig. Orsini, distinto 
naturalista d’ Ascoli , che venne ad unirsi ad essi per il resto del viag- 
gio. Intanto sul Monte Salviano il prof. Tenore vide copioso il vero 
Juniperus Oxycedrus * corrispondente ,, die’ egli , ,, in tutte alle de- 
3, scrizioni degli autori , ed alla bella figura che ne dà il Duhamel. ,, 
Egli pensa che trattandosi di una pianta officinale sia essenziale co- 
noscerne la vera specie , ed avverte che l’ avea, come altri botanici, 
confusa con quella che è comune sul littorale del regno di Napoli, e 
che dopo migliore esame ha trovato doversi riferire all’Juniperus ma- 
crocarpa del Sibthorp. 

Sul Velino, monte elevato , secondo la misura barometrica presa 
dallo Schouw , di 7300 piedi francesi , gli esimi viaggiatori poterono 
largamente soddisfare la loro brama. “ Le speranze concepite ., dice 


l’ autore ‘ nel determinarci ad ascendere questo monte furono coro- 


125 

» nate dal più felice successo. I disagi ed i pericoli corsi per raggiun- 
»; gerne l’ estreme vette furono compensati da tale ubertosa messe di 
,, rare, e belle piante , qual giammai siami avvenuto farne in altri 
>», monti del regno. A contemplarne la ricca serie, si direbbe che le 
33 piante de’ più alti monti della regione settentrionale , e della media 
», napoletana si trovassero sul Velino riunite. Limitandomi a mento- 
»; varne le più importanti, citerò il lichene islandico , la pulsatilla , 
> l’eufrasia, la daphne glandulosa , 1° adonis distorta ; il ranunculus bre- 
»» vifolius , la potentilla apennina , \' iberis stylosa: piante tutte per la 
33 prima volta su quel monte osservate , molte delle quali importanti 
>; servigi recar possono all’arte salutare ,,. Non parleremo della ma- 
gica veduta che si gode dalla sommità del Velino, ma non dobbiamo 
tralasciare un avvertimento utile a quelli che volessero portarvisi, ed 
è di provvedersi d’acqua, giacchè niuna vena ne incontrarono i pre- 
lodati erborizatori , e dovettero appagare l’ardentissima Joro sete col 
disciogliere della neve che trovarono addensata in masse di durissimo 
ghiaccio negli avvallamenti che si aprono fra le più alte cime di quel 
monte. 

Dirigendosi i nostri botanici alla volta di Monte Corno, il sig. Or- 
sini additò loro ‘ il luogo dove, tra S. Nicola e Lama bianca; presso 
3; un profondo burrone gli fu dato rinvenire considerevoli massi di 
3» gneis, che suppone messi allo scoperto in seguito della frana che ne 
3» ha distaccato le soprapposte rocche di calce alpina, di cui 1’ estreme 
3» dirupate pendici di quella formazione miransi composte ,,. L'altezza 
di Monte Corno, secondo la misura barometrica dello Schouw , che 
sembra la più giusta, è di 9000 piedi parigini sul livello del mare. 
Ora la vegetazione arrestandosi a 5, o 6 cento piedi al di sotto delle 
sue più elevate rocche , il confine di essa in quella parte del regno 
di Napoli, può fissarsi a 8500 piedi. Fra le poche piante che giungono 
a quella regione glaciale due se ne contano ivi scoperte dal prelodato 
Orsini, e sono: la Saxifraga glabella. Bert. e 1’ Hesperis Orsinia- 
na. Ten. 

Portandosi poscia al Monte de’fiori i nostri naturalisti visitarono 
la sorgente idrosulforosa di Acqua santa la di cui temperatura è di 30 
gradi. Quest’acqua offre un rimedio efficace per le affezioni cutanee , e 
le malattie prodotte da disordine de’ visceri del basso ventre. Accolti 
a Cavaceppo dal Canto Sacconi, ammirarono il ricco stabilimento bo- 
tanico-agrario che ha fondato nelle sue possessioni. Sul Monte de’fiori 
il prof. Tenore prese i bulbi e i semi della Fritillaria pyrenaica. Vi 
trovò pure la sua Sesleria nitida in uno stato morboso affatto identico 
a quello che costituisce la così detta segale cornuta; essendo questa 
adoprata oggi qual farmaco atto a promuovere i parti ritardati da de- 
bolezza nervosa , egli pensa che la sesleria potrebbe somministrarlo 
egualmente che la segale. 

Preso congedo da’suoi compagni di viaggio, ed unitosi al suo alunno 
ed amico sig. F. A. De Angelis, il prof. Tenore va alla Maiella. In quel 


126 
gruppo di monti egli avea in altro viaggio raccolto la Cetraria islandica, 
ed arricchito la fauna napoletana del Papilio Apollo, e del Papilio 
Mnemosine. Nel viaggio attuale vi trova non pochi insetti coleotteri , 
tra i quali cita la pyrochroa rubens, ed il cerambyx alpinus. Quanto 
alle piante vi ritrova quasi tutte quelle di Monte Corno , e molte di 
esse ad una minore altezza. 

Fu questo l’ ultimo luogo importante visitato dal nostro autore. 
Egli termina la relazione del suo viaggio coll’enumerazione delle piante 
che raccolse in compagnia de’ sigg. Mauri e Orsini. Questo catalogo 
contiene oltre a 900 specie , e l’autore dichiara aver omesse le più co- 
muni. Molte di esse sono corredate di utili osservazioni, e sono con- 
trassegnate quelle che compariscono per la prima volta nelle flore na- 
poletana, e romana. La brevità a cui dobbiamo servire non ci per- 
mette di far conoscere ai nostri lettori che le specie nuove. Le pre- 
sentiamo col numero d’ ordine che loro appartiene nel surriferito 
catalogo. 


7. Salvia tyberina. Mauri ( inedita ) A Salvia Campestri floribus rubro- 
purpureis paniculatis, nec coeruleis spicato-verticillatis differre videtur. A $, 
garganica Ten., cui valde proxima, differt tamen calyce hispidissimo ore 
lanato corollae adpresso, nec campanulato, foliis radicalibus minus incisis, 
pilis simplicibus nec glanduliferis. 

29. Fedia brachystephana : capsula globosa utrinque gibba , loculo  fer- 
tili dorso elliptico elevato marginato in coronae lobum producto , corona cam- 
panulata, 6-dentata capsula 4-duplo breviore dentibus uncinatis abbreviatis. 
Ten. Inter Aprutii segetes Annua. 

144. Galium magellense : foliis octonis lanceolato-linearibus utrinque at- 
tenuatis rigidis internodiis brevioribus glabris integerrimis nitidis cuspidatis , 
floribus axillaribus terminalibusve geminis vel ternis corollis albis muticis , 
fruetibus glabris, caulibus setaceis flaccidis caespitosis. Ten. In monte Ma- 
gella. A Scrimacavallo, Perenn.. 

145. Galium Witmanni : canlibus decumbentibus tetragonis basi hispidis, 
foliis octonis linearibus rigidis margine serrulato-scabris, panicula. coarctata 
e racemis lateralibus geminatis , corollis purpureis apicibus seta alba instructis. 
Ten. In pratis alpinis editioribus Magellae ; Scrimacavallo. 

207. Verbascum argyrostachyon : foliis  radicalibus obovato-oblongis petio- 
latis per petiolum attenuatis semidecurrentibus, caulinis cuneatis, omnibus 
crenatis levibus supra obscure viridibus glabriusculis subtus villosis, spica 
densissima basi subinterrupta lana densa argentea undique obsita , bracteis in 
cuspidem setaceum longe productis. Ten. 

212. Verbascum communtatum : foliis crenulatis, radicalibus ellipticis in 
peticlum attenuatis supra viridi-canescentibus leviter tomentosis, caulinis late 
ovatis cuspidatis semidecurrentibus utrinque dense tomentosis, racemo py- 
ramidato composito, fasciculis subverticillatis distantibus , bracteis exiguis , 
filamentis albo-lanatis. Ten. In Magellae nemoribus prope Roccamorice. Flo- 
ret julio. Bienne ? 

325. Iuncus Deangelisii : culmo aphyllo terete striato viridi, dissepi- 
mentis medullae transversis, panicula Jaterali erecta coarctata , floribus  sub- 
triandris, capsula obovata obtusa mucronata , sepalis angustissimis setaceo- 


DI 
127 


cuspidatis breviore, Ten. In humentibus nemorosis : in ima valle Sì Spiritus 
Magellae. Perennis. 

326. Juncus depauperatus : culmo aphyllo tereti striato viridi-lutescente 
rigido stricto , dissepimentis  medullae transversis , panicula laterali patula 
subtrifida : sepalis lanceolatis acutis capsula triquetra oblongo-ovata mueronata 
dimidio brevioribus. Planta flavescens. Ten. In pratis humidis : a Macchia 
Mattei. Floret junio. Perennis. 

Post num. 395. Arenaria sphaerocarpa : erecta pubescens rigida , pilis glan- 
duliferis , pedunculis fructiferis erectis, calycinis foliolis ovato-lanceolatis acutis 
trinerviis corolla duplo longioribus » capsulis subrotundo-ovatis calycem exce- 
dentibus. Ten. In montis Velini pratis editioribus. 

588. Antirrhinum elegans: foliis imis oppositis oblongis, superioribus oblongo- 
lanceolatis cauleque erecto glabris , floribus laxe racemosis , calycinis laciniis 
linearibus inaequalibus corolla brevionibus , capsulis glaberrimis. Ten. In ru- 
deratis T’iburi: Villa di Adriano. 

639. Hesperis Orsiniana: caule diffuso vel ascendente , foliis ovali-oblongis 
dentatis longe petiolatis , pube bipartita adpressa , pedicellis calycibus demum 
longioribus , siliqua tetragona latiuscula venoso-pubescente , stylo linearis lon- 
gitudinis. Ten. Habitat in Monte Corno ad 8m. ped. altit. ( a Corno piccolo ) 
in extremo alpino vegetationis confinio, cum Saxifraga glabella Bert. , 
nec alibi. 

707. Lotus Requieni. Mauri (inedit.) Macchia Mattei. 

767. Serratula Bocconi: caule stricto solitario simplicissimo subfoliato , 
foliis radicalibus ovatis petiolatis integerrimis glabris laete viridibus, caulinis 
oblongis integerrimis vel dentato-semipinnatipidis, omnibus ciliatis mueronatis 
squamis anthodii pubescentibus ovatis aristatis, aristis adpressis deciduis su- 
perioribus apice scariosis. Ten. Centaurium alpinum glabro angusto bistor- 
taefolio. Bocc. mus. p. 65 tab. 55 fig. 1. 

ReBoUL. 


Opere inedite di Srvio PerLico. Torino, Pomba 1830, t. 2 in 8.° 


Finzioni poetiche e storia vera, + distrazioni e ritorni sopra sè 
stesso,  commozioni inesprimibili d’ un cuor gentile provato dalla 
sventura. 

Teodimir (Vol. 2, Novella 2) dall’alte mura, » Ove geme prigion, 
stassi alla doppia + Sbarra aggrappato delle sue fenestre: - Ed ore ed 
ore immobilmente figge - Sovra l’ampio orizzon l’occhio bramoso: = Bra- 
moso? e che mai spera? ... ah nulla spera! - Estinto crede il fido Ug- 
ger: Rosilde Saper di lui non può... Questo vil cibo, Che in 
van mi si- largisce, alfin dispendio + Parrà soverchio, e m’ alzeran la 
croce: + Venga; venga quel di... ,, Tal è il febbrile + Suo frequente 
desio. Fero contrasto - Bramar come riposo unico morte, » E inorridir 
pensando al disperato Lamento di chi t° ama, allor che il grido Udrà 
del suo martirio! e nuovamente, » Quasi l’ orribil vita che tu vivi = 
Bramar di proseguire, onde non giunga » Alle tue sale mai quel deso- 
lante  Indubitabil grido: “ Ei più non vive! ,. 

Nè il poeta pensava forse come quel grido può giunger talvol- 


128 
ta, e desolantissimo , benchè non vero. S’ ei l’ avesse pensato , /’ar- 
monia celeste, a cui egli cercava de’ mali suoi l’ oblio , sarebbesi a un 
tratto arrestata ; noi forse non leggeremmo questi altri versi: 

Da quelle sbarre guarda e più non spera — Teodimir: ma i dì pas- 
san talvolta, + Ed umana figura egli non vede, - Perocchè a tergo 
della torre il campo + Giace degli Unni, e a questa parte è un vasto 
Tratto deserto di palude e arena - Che ad un bosco confina, e solo a 
manca = Veggonsi dietro agli olmi i campanili - Della città, e se il 
vento agita i rami » Si scoprono gli spaldi... Agita o vento, m Agita 
quelle fronde! e il prigioniero = Vegga talor sovra gli spaldi il passo 
Di vivente persona! É un indistinto + Tormentoso bisogno al solitario + 
Il veder l’ uomo... almen da lungi! Un senso + Misterioso ancor lega 
i mortali - Se distanza li scevra: ah! come a noja — Puon da presso 
venirsi e farsi guerra? » Anco i nemici quasi ama, se ascolta » Lor 
selvaggia canzon Teodimiro,  Chè pur l’ ungaro canto è umana voce. i 
H E se nel bosco alcuna volta udia - La percossa lontana della scure, 
» Pur frenava il respiro, e da que’ colpi - Alcun piacer traea, peroc- 
chè all’ occhio Della mente fingeasi il buon villano - Che coll’ ardua 
fatica alla diletta - Moglie porgeva e a’ dolci figli il pane.  Ahimé, 
ben d’ uopo è ch’ uom giaccia all’ estremo + D’ogni miseria onde gli sien 
ricchezza a Così povere gioje ... E se nel bosco » Tace la scure... 
taccion gli Unni... e tace - Negli olmi il vento... e delle torri il caro 
- A’ meditanti suon della campana - Chi allor molce, o prigion, tua 
tetra noja? - Oh allor... quel ciglio ch’ uom giammai non vide Nel 
lutto inumidirsi, in mesta guisa - Abbassandosi a terra, a larghe stille 
= Versa il dolore!..“ Oh mia Rosilde, ec. ec. 

Altri forse dirà in seguito, se nol potrò io stesso, quant’ altre cose 
ingegnose e toccanti sieno in tutte le Novelle (Rosilde, Tancreda , 
Adello, Eligi e Valfrido); qual nuovo dono sien queste all’ italiana 
poesia ; quanto le due Tragedie che le precedono (Ester d’Engaddi e 
Iginia d’ Asti) accrescano le speranze già' concepite per la Francesca 
da Rimini. I versi recati bastino intanto perchè il lettore s’ avvegga, 
che troppo toglierebbe a sè medesimo, indugiando anche per poco a 
procacciarsi 1° Opere inedite d’ un poeta , che piangevamo perduto , 
quand’ egli, traendo nuova forza dalla sventura, spiegava con esse il 


volo alla seconda vita. 


Li M. 


Aneddoti piacevoli della Vita di Gracomo GorirreDo FerRARI. Londra , 
Seguin 1830, t. 2. in 12.° 


La vita d’un maestro di musica deve abbondare, già ciascun se 
l’imagina , d’ aneddoti piacevoli. E gli aneddoti piacevoli , che hanno 
certamente il lor valore come cose di divertimento, possono avere tal- 
volta anche un valor d’altro genere. 

La festa teatrale , per esempio , al padre abate e ai monaci di Ma- 


129 
riemberg, ideata dal più bell’ingegno del luogo, il signor barbiere; = 
la Cena in casa del Paisiello a Napoli una sera d’ eruzione del Vesu- 
vio ; = il buon Paisiello a Parigi, quando vuol far fare la pace fra il 
primo console e il Casti ; = Paisiello amante settuagenario in cales- 
sino a Portici o per via di Toledo con mademoiselle Julie dietro la car- 
rozza di madama l’ ambasciatrice di Francia; = Paisiello decrepito , 
negletto e poverissimo , che interrogato intorno al merito delle sue 
opere piange nominando la Niîna; = Heyden che sospira (in un al- 
bergo di Londra) nominando Mozart ; = il povero Ney diviso d’ af- 
fetto fra Bonaparte e Moreau , e costretto a dire una bugia ; = lady 
Hamilton sul primo fiore della sua infausta bellezza in casa delle belle 
e sempre buone Coltellini a Napoli, = madama Campan e i suoi pranzi 
e i suoi esperimenti accademici a Saint-Germain-en-Laye; non so quan- 
t’altri aneddotti, anche indipendentemente dalla celebrità d’ alcune 
persone che vi son nominate , riescono interessantissimi come pitture 
di tempi e di costumi, 

Molt’ altri aneddoti però ( bisogna pur dirlo ) non sono nè interes- 
santi nè piacevoli. Alcuni son vecchissimi e intrusi , come la più parte 
de’ versi , che leggonsi fra gli aneddoti, e pochi de’ quali , se si pre- 
scinde da quelli che ognun sa a memoria , valgono il sonetto dell’ im- 
provvisatore Gavazza al cardinal di York. 

Tutti questi aneddoti son dettati con molta facilità. Peccato che 
nol sieno con più vezzo, con quello per esempio che si trova nel di- 
scorsetto veneziano del giovane Luisiello! L’autore, discepolo-del Pe- 
derzani e ammirator del Vaunetti, mi aveva fatto sperare due piaceri 
in luogo d’ un solo, del quale peraltro gli son molto grato. Più grati 
gli saranno ; io spero, i maestri e i dilettanti di musica, a cui que- 
sti aneddoti, in gran parte musicali, sembrano particolarmente de- 
stinati. 


M. 


Le cose rimarchevoli della città di Novarra descritte dall’ avvocato F. 
A. BrancHINI precedute da Compendio Storico. Novarra 1828 un vol. 


Un nuovo esempio di storie municipali riordinate a dovere in modo 
che servano d’ iniziamento allo studio della storia nazionale , ce lo 
fornisce il libro che annunziamo. Del quale avremmo parlato più presto 
e più lungamente , dove avessimo avuto agio di distendere il discorso 
da noi ideato intorno all’utilità, ed alla maniera di riordinare le sto- 
rie municipali. Di che altra volta abbiamo fatto qualche parola di- 
scorrendo delle Storie del Cibrario che per molti lati ci sembran degne 
di esser proposte ad esempio. Le Storie di Novarra sono anche da te- 
nersi in maggior pregio perchè più strettamente connesse colla storia 
moderna del Milanese e del Piemonte. 

La città di Novarra celebre nella lega lombarda, venne in. potere 
della casa di Savoia nel 1737, e sì potette ristorare in parte de’gravi 


T.1 Febbraio. 17 


130 

danni della dominazione straniera che di fiorentissima città che 1’ era 
prima del secolo XVI l’ avea ridotta misera e deserta. Ritennero l’au- 
tonomia di che avean sempre goduto , ma per beneficenza di Carlo 
Emanuelle III fu tolto il privilegio degli onori municipali ai patrizi e 
ne fu fatta partecipe anche la cittadinanza. Molti altri miglioramenti 
ebber luogo in quel tempo, ma il secolo XIX è stato più fortunevole 
alla città di Novarra. Giova riferire le parole dell’autore. 

“ Il sole che sull’ orizzonte apparve ad illuminare il primo giorno 
.del secolo XIX , l’ epoca fortunata segnò del vero risorgimento della 
città di Novara. Comechè dopo il 1775 , riscossi i Novaresi da quel 
profondo letargo, da cui per circa 30 anni erano stati assopiti , 
avessero innalzato un teatro, ristaurate alquante case, formato un pas- 
seggio con filari d’ olmi fronzuti, distrutte le rozze ed annerite berte- 
sche che sulle contrade sporgevano, abbassate le molte torri sovrastan- 
ti ad ogni angolo , i vetri surrogati alla carta; con tutto ciò malinco- 
niosa ancora mostravasi la loro città a cagione in ispecie delle forti- 
ficazioni. E nel vero altissimi i baluardi tenevano nell’ intero loro giro 
le abitazioni sepolte e malsane; una rovinosa torraccia stava presso del- 
la porta di Torino; ivi angustissima via metteva al castello, la cui 
entrata nascosta da un avancorpo di fabbrica faceva irregolare la piaz- 
za; inoltrandosi quelle bastite da ponente a mezzodì nella città , la- 
sciavano spesse vallette serbatrici d’ acque stagnanti , e cadenti vede- 
vansi sparsi quà e là i casotti, ricoveri de’ soldati in sentinella. Nè 
più gradevole erane l'interno aspetto : oltre delle bruttissime fronti 
di quasi tutte le case, indecenti e poche vedevansi le botteghe , im- 
perciocchè da soli due mercanti fornivansi le oltramontane pannine per 
gli abiti dei doviziosi; un conciatore d’orologj bastava; due soli argentieri 
ornavano del popolo minuto le spose ; nelle due tipografie l’almanacco 
ed il catechismo appena imprimevansi ; in due meschini caffè raccoglie 
vansi i bevoni di spiritosi liquori e gli amatori dei guochi d’azzardo; 
premevano le più culte e gentili persone novellando le panche degli 
speziali; vestivano i cittadini ruvidi panni, e le donne suburbane la 
tela stampata , fermando le treccie con aghi d’ ottone ; l’ unta cucina 
appo la gente del foro era sala di udienza per gl’ illustri clienti; la 
mendicità delle abbondanti largizioni de’conventi alimentata ingom- 
brava le piazze, e l’ infrequenza del commercio e lo scarso numero 
degli abitatori lasciava coprirsi dall’ erba non poche contrade. Che se 
dal fondo dei loro chiostri a sostenere la gloria della patria usciti non 
fossero Girolamo Tornielli, Guido Ferrari e 1’ abbate Lateranese Anton 
Maria Pallavicini, anche l’ antica riputazione delle lettere Novaresi in 
questo secolo si sarebbe perduta. Coloro che contano in oggi quindici 
lustri di vita, non è dubbio che di buona voglia mallevadori farannosi 
di questo parlare. 

“ Divenuta Novara capoluogo del dipartimento dell’ Agogna , che 
oltre della propria le provincie comprendeva della Lumellina, di Pal- 
lanza , dell’ Ossola , di Vallesesia , di Vigevano e la riviera del Lago 


131 

d° Orta; fatta centro d’utia grande amministrazione civile giudiziaria 
e militare , a dispetto de’ tempi guerreschi , delle oscillazioni de’ prov- 
visorj governi e degli enormi balzelli, ad un tratto ed in meglio tutto 
nella stessa cambiò. In ameno e variato passeggio furono ridotti i ba- 
stioni; ove la vecchia torre esisteva sorse un bel fabbricato ; tolto quel 
rustico muro che del castello nascondeva la porta , rese la piazza più 
vasta e ridente ; le vallette scomparvero ; superbi viali si aprirono , 
ed alle tante orridezze succedettero deliziosi simetrizzati giardini. Agli 
allegrati dintorni i mutamenti in pari tempo risposero dello interno 
della città : avvengadiochè due terzi delle case vennero ristaurate 0 
di nuovo costrutte, le botteghe ampliate ed alla foggia di quelle della 
vicina Milano adornate j nuovi grandiosi alberghi ed eleganti caffè sì 
stabilirono, mercadanti di moda, fabbricatori di mobilie di sacri arredi 
d’ oriuoli , chincaglieri, fioristi , facitori d’istrumenti , fabbri , legna- 
iuoli ; crestaje, sartori ed artieri in ogni mestiere periti qui presero 
stanza; moltiplicaronsi le officine librarie ; l’arte impressoria non 
mancò di progressi ; la popolazione celeramente si accrebbe ; attivo e 
frequente divenne il commercio; sorse l'industria; riprese il suo impe- 
rio la moda; s’ingenerò il lusso , e diede il lusso a’ mestieri ed al- 
l’arti largo alimento. ; 

“ Cagione di così repentina prosperità furon di certo i numerosi 
impiegati che lautemente pagati lautamente vivevano , la concorrenza 
de’ popoli delle soggette provincie , il transitare continuo delle merca- 
tanzie ; dei negozianti, de’ personaggi illustri dalle novità o da’ bisogni 
in Lombardia chiamati , il concorso de’ compratori dei beni nazionali , 
le restaurazioni alle strade e 1’ apertura di quella famosa del Sempione. 
Che se il clero era scemato di numero e fatto più povero , e monasteri 
e conventi avean cessato d’ esistere , ben lungi la città dal soffrirne , 
concorsero anzi cotali mutazioni a renderla più ricca e più florida; 
conciossiachè moltiplicatisi i possessori , e meglio coltivate le terre , 
avendo immense famiglie un superfluo da spendere, convertirono le 
case religiose in eleganti abitazioni , e diedero più comoda stanza alla 
crescente popolazione. Secondando ben anche il Municipio i movimenti, 
la pressa e gli slanci del genio universale ad ogni genere di ammiglig- 
razioni , di utilità e di riforme, con fanali tolse nella città della notte 
gli orrori, edificò al commercio un magnifico foro, costrusse aquedotti , 
pavimentò portici, piazze, contrade , e la basilica Gaudenziana splen- 
didamente abbellì. Nè i pubblici stabilimenti inerti si stettero: presso 
dello Spedale Maggiore sorse delle figlie esposte il ritiro che forse lus- 
surreggia di troppo, e venne ampliato e di bellissima fronte ornato 
1’ Ospedale di s. Giuliano. 

In tanta ristorazione delle pubbliche e delle private fortune ces- 
sò nella città l’ uso del pane di grano turco , diminuì la consumazione 
del pane di mistura, furon le traccie dell’ antica miseria cancellate 
del tutto, cessero i Novaresi a’ soli forestieri qui tratti dalla grassez- 
za del paese il mestiero dell’ accattare , e scomparvero le ruvide lane, 


132 
cui succedettero i panni di Francia e le Brittanniche stoffe. Allo stesso 
modello si foggiò il vestire de’ grandi e quello del popolo ; le contadi- 
ne , lasciate le tele grossolane , indossarono le mussoline ed i velluti, 
inanellando il crine con splendenti chiovi d’ argento. Che se più non 
vanta in oggi Novara le terme grandiose, i superbi delubri , i palagi 
ed i sepolcri di cui era adornata ne’ tempi di Roma antica , se più non 
conta la numerosa popolazione de’ secoli anteriori al XVI, nessuno 
certamente potrà contraddire essere la medesima in oggi tra le Italiane 
città bella ricca e fiorente. ,, 

Ho recato questo squarcio dell’ opera perchè si veda quanto lo 
scrivere le storie municipali sapientemente potrebbe esser vantag- 
gioso al compimento ; ed al buon giudizio della generale Istoria 
d’Italia. 

F. Forti. 


Filosofia zoologica ossia Prospetto generale della struttura , funzioni e 
classificazione degli animali, del Dott. Grovanni FLemine. Tradu- 
zione dall’ Inglese. Vol. III in 8.° Pavia 1829. 


Quest’ opera, che può dichiararsi un ben nutrito compendio, in 
cui sono raccolti ed opportunamente ordinati i fatti anatomici, fisiolo- 
gici e chimici che si riferiscono agli animali, e dove si racchiudo- 
no le nozioni zoologiche propriamente dette , e si deducono le leggi 
fondamentali che reggono l’esistenza particolare di questa gran classe 
di corpi, rendesi pregevolissima soprattutto ai tempi nostri quando la 
moltiplicità delle tipografiche produzioni ci obbliga a fare dal tempo 
la più rigorosa economia. I cultori della zoologia debbono per tanto 
esser grati al sig. Dottor Giammaria Zendrini il quale ebbe cura di 
trasportare fedelmente nella nostra lingua la filosofia zoologica del sig. 
Dottor Fleming comparsa alla.luce in Edimburgo sino dal 1823. Ed 
infatti noi mancavamo finora di un libro che offrisse allo studioso in 
breve e fedele quadro una nozione esatta e completa della natura o 
costituzione animale , dipendente dalla qualità di struttura, di fun- 
zione , di composizione , non che dalle abitudini delle varie classi, onde 
poterne valutare l’influenza reciproca ; la quale nel tempo stesso con- 
templasse tali esseri dal lato morale. Tali argomenti appunto sono stati 
concepiti dal sig. Dottor Fleming in un modo veramente filosofico e 
sviluppati dietro le più moderne norme sistematiche , in guisa che può 
servire il suo lavoro non solo d’ introduzione, e di scorta sicura alli 
studiosi della zoologia, ma in pari tempo sufficiente a favorire per se 
solo la conoscenza generica , razionale però e fondata, dell’ animale 
economia; 0 come complemento di studi parziali fatti saltuariamente 
e mercè sua riuniti in ragionato sistema. 

Ottimo divisamento fu eziandio quello tenuto dall’Autore nel coordi- 
nare i materiali della sua opera, e specialmente nel determinare le funzio- 
nì che i diversi organi eseguiscono, prima di dare egli la distribuzione 


133 
sistematica de’vari gruppi , o associazioni degli esseri viventi. Avvegna- 
chè per tal metodo lo studioso con la mente già preparata delle idee 
generali procede meglio ed ha una vera e sicura guida alle parziali in- 
vestigazioni della scienza zoologica. 

Fu prima intenzione dell’ Autore di aggiungere a ciascun genere 
di animali un elenco di tutte le specie trovate indigene nelle Isole 
Britanniche, ma un tale divisamento , non essendo compatibile coi li- 
miti prescritti a un Compendio , lo riservò a altra sua opera partico- 
lare , di cui è già stato pubblicato il primo volume , sotto il titolo di 
Storia Naturale degli animali brittannici. 

Lo stesso riflesso trattenne 1’ Italiano traduttore d’ impinguare il 
suo volgarizzamento di note ( sebbene alcune ne abbia dettate oppor- 
tunissime ) quando considerava che altrimenti operando sarebbe riu- 
scito il libro o di parti non proporzionate o più voluminoso di quanto 
al suo scopo si conveniva. 

L’opera è divisa in due parti. La prima che comprende la classifica- 
zione dei diversi organi degli animali e le loro funzioni , si suddivide 
in XV capitoli : che i primi tre vertono sui caratteri distintivi dei corpi 
naturali dei tre regni; il IV, sulla loro dipendenza relativa ; il V, sulle 
sostanze costituenti i corpi animali; il VI VII VIII e IX, sul sistema 
cutaneo , osseo, muscolare, e nervoso ; il X, sugli organi di percezio- 
ne ; l XI, sulle facoltà dell’ anima ; il XII, sul sistema digerente ; il 
XII, sul sistema circolatorio ; il XIV, sulle secrezioni particolari ; l’ul- 
timo , sul sistema riproduttivo. 

La' parte seconda è divisa in due volumi e questi in IV sezioni ; la 
1 delle quali discorre in altrettanti Capitoli della durata , distribuzione 
ed usi economici degli animali; la 2, dei loro caratteri esterni ed in- 
terni ; la 3, verte sulla nomenclatura ; la 4, sulla classificazione degli 
animali divisi in vertebrati ed invertebrati ; che i primi distribui- 
ti in Quadrupedi, Uccelli, Rettili e Pesci; ed î secondi in Molluschi, 
Annulosi e Radiati. Il traduttore ha poi corredato l’ opera di tante ta- 
vole sinottiche quante sono le divisioni degli animali senza vertebre , 
così di quelle dei vertebrati, e mercè cui si mostrano a colpo d’occhio i 
rapporti dei vari gruppi che risultano da quelle divisioni. 

Per dare un’idea deli’ importanza dell’ opera e ‘del giudizio e sa- 
pere con cui è stata concepita dal suo autore ci limiteremo a ripor- 
tare un paragrafo di uno di quei capitoli. Mi si presenta il Cap. II 
là dove trattasi dei caratteri peculiari dei corpi organizzati, e segnata- 
mente delle condizioni necessarie per l’esistenza del principio vitale. 
“ Egli è anche necessario, dice 1’ A. di prendere cognizione di quei 
fatti illustrativi dell’ origine dei corpi organici, che dobbiamo alle ri- 
cerche dei moderni geologi ,,. 

“ Investigando la struttura e composizione delle rocce che co- 
stituiscono la crosta snperficiale del nostro globo, fu osservato rin- 
chiudere esse reliquie organiche di animali e di vegetabili più o meno 
poi nella loro tessitura alterati. Nella supposizione che le roccie, sulle 


134 

quali altre di natura diverse stanno adagiate, siano di queste più anti- 
che e quindi divise esse rocce secondo la respettiva loro età, sì è trovato 
che le reliquie organiche rinchiuse nelle formazioni più antiche diffe- 
riscono da quelle che si presentano entro li strati più recenti, ed inoltre 
essere totalmente diverse da quegli animali e piante attualmente viventi 
sulla superficie del globo. Si osserva di più che le petrificazioni con- 
tenute negli strati più recenti ossia superiori, offrono una rassomi- 
glianza più prossima colle razze tuttavia esistenti di quelle sepolte nelle 
rocce di data più vetusta ; e che le reliquie infine di quegli animali , 
i quali furono in ogni tempo i compagni dell’uomo sono reperibili sol- 
tanto nei più recenti sedimenti delle alluvioni ,, . . ... 

‘ Si cercò di rendere ragione di queste circostanze supponendo che 
le razze presenti degli animali siano i discendenti di quelle i cui co- 
stumi ci sono stati riserbati nelli petrefatti, e che la differenza de’ loro 
caratteri provenir possa da un cangiamento nella fisica costituzione 
dell’aria, ovvero della superficie terrestre , che avrebbe prodotto una 
mutazione corrispondente nella forma degli esseri organici, L’influenza 
della coltivazione dei vegetabili, e dell’adomesticamento degli animali, 
non meno che del clima sull’ uomo istesso , può essere riguardata come 
un convalidamento di tal congettura. 

‘ Sussistono tuttavia parecchie difficoltà, che si presentano spon- 
tanee a chi adottar volesse questa opinione. Havvi nondimeno un altro 
punto di vista sotto il quale riguardare si può questo soggetto. Se le 
sementi di alcune piante e le uova di certi animali sono tanto piccole 
da non essere se non difficilmente escluse da qualunque situazione , 
cui l’aria atmosferica e l’ acqua abbiano accesso: e se sono esse capaci 
di conservare per un lasso di tempo indefinito il principio vitale, si 
potrà riguardare la crosta terrestre come un ricettacolo di germi, cia- 
scuno dei quali è presto a svolgersi sotto le forme vegetabili ed ani- 
mali al primo incontro di quelle condizioni che sono necessarie al loro 
sviluppamento. Conforme alla quale sentenza i germi delle felci e 
delle palme, racchiuse nelle rocce più antiche, svolsero pei primi le 
loro foglie , cui successero dappoi quelli dei vegetabili staminiferi. 
Mentre per ciò che spetta agli animali si può supporre che i soli germi 
dei zoofiti fossero i primi ad esser dischiusi, dietro ai quali vennero 
quelli dei testacei molluschi, ed a questi i vertebrati. Così in egual 
modo direbbesi che gli esseri organici dei primi periodi prosperassero 
finchè si mantennero le circostanze che appropriate furono al loro ac- 
crescimento, e che quella mutazione la quale preparò la via allo svol- 
gimento dei germi che vissero in un susseguente periodo, contribuisse 
nel tempo stesso all’estinzione delle razze dapprima esistite..... 

Così al Capitolo II della prima parte, Vol. II destinato ad esami- 
nare le produzioni zoologiche , che s’ incontrano nella varie parti del 
globo, e specialmente al paragrafo delle Rivoluzioni che sono occorse 
nel regno animale , parlando delle loro reliquie fossili si leggono pre- 
ziose osservazioni toccanti lo stesso scopo. La stessa dovizia di cogni- 


135 
zioni utili, e peregrine s’ incontra ad ogni pagina di questa iuteres- 
sante opera. 


E. R. 


Libreria universale d’ opere di provata generale istruzione. Torino. Per 
Gius. Pomba. 


L’ esito straordinario ch’ ebbe la Biblioteca popolare d’ opere clas- 
siche , onorata di 9000 associati e più, incoraggisce il benemerito edi- 
tore a nuova impresa e più grande. L’arnunziata libreria riuscirà più 
economica a’compratori; e ciò in grazia della nuova macchina inglese a 
stampa , dal sig. Pomba con immenso dispendio provveduta, e per la quale 
ottenne uno special privilegio. “ Il vantaggio che si ottiene dall’ uso 
33 di questa macchina maravigliosa consiste principalmente nella mag- 
3; gior celerità della stampa, e nell’economia ,;. In questa libreria avran- 
no luogo l’ opere elementari scientifiche di cui manca l’Italia, e di 
cui la Francia e ]’ Inghilterra si vengono provvedendo con grande van- 
taggio della civiltà. Essa comprenderà: storie generali e particolari; 
trattati compendiosi di scienze e d’ arti, vite d’ uomini celebri in que- 
ste o in quelle; opere di amena letteratura, fra le quali anco qualche 
romanzo degnamente tradotto. A sì grande impresa non è possibile pre- 
finire un numero di volumi: ma l’ associazione s’ aprirà per 25 alla 
volta; i quali finiti di pubblicare, de’venticinque seguenti sarà data la 
nota, e ciascuno vedrà se gli convenga raffermare l’associazione 0 dis- 
dirla. In ogni serie di 25 volumi si alterneranno , per maggiore varie- 
tà, le opere scientifiche con le letterarie. I volumi saranno di 300 pa- 
gine almeno, il doppio cioè di quelli della Biblioteca popolare, con 
figure al bisogno ; senza che la maggior mole , la bellezza maggiore 
della stampa e della carta, e le altre qualità tipografiche migliorate ac- 
crescano punto il prezzo di 1. lira it. e 50. per ciascheduno. Ne uscirà 
uno ogni quindici giorni: si comincerà dall’operetta del cel Brougham: 
Oggetti, vantaggi , e piaceri della scienza , operetta della quale più di 
60,000 esemplari si spacciarono in Inghilterra, e si fecero traduzioni 
in lingua francese , spagnuola, tedesca. 

Non v° è bisogno di raccomandare sì bella ed utile impresa. Ba- 
sta diffonderne la notizia; e noi abbiam creduto nostro debito il farlo. 
Desideriamo che qualch’ altro stampatore lombardo o toscano s’invogli 
di godere e far godere al pubblico i grandi vantaggi della macchina 
inglese. Ma pare, generalmente parlando , che il sistema delle avve- 
dute e lucrose anticipazioni di capitalì sia poco apprezzato in Italia. 
Si vuol vivere alla giornata: tutta 1’ avvedutezza si ripone nell’ eco- 
nomia , e dell'economia non si conosce altra parte che il gretto rispar- 
mio. Cangieranno i tempi, speriamo. 

Una cosa sola diremo al benemerito Pomba. Molte sono le opere 
italiane, e oratorie e poetiche, le quali, pubblicate per intero, riusci- 
rebbero tediosissime e non leggibili, ma da cui si può con piacere e 


136 


utilità de’ lettori, e con onore delle lettere nostre, raccogliere degli 
squarci; e così dimostrare che la mediocrità stessa in Italia ha i suoi 
meriti e i suoi vanti. Siffatte scelte non solo permesse , non solo utili , 
ma diventano ormai necessarie. Torino non manca d’ uomini attissimi 
all'uopo: e la libreria universale del Pomba sarebbe per esse il posto 
opportuno. 


LARA 


Folchetto Malaspina. Romanzo storico del sec. XII. Dell’ Autore di Si- 
billa Odaleta. Volumi III. Milano Stella 1830. Prezzo it. L. 6. 


Meglio che Autore dî Sibilla Odaleta il fecondissimo romanzier pie- 
montese potrà d’ ora innanzi intitolarsi autore del Folchetto Malaspina. 
Non bene s’ apporrebbe forse chi giudicasse che a questo romanzo il 
signor Varese consacrò più di cure e di tempo : ma certo non s’ ingan- 
nerebbe chi dicesse che questo gli è riuscito più conforme e alla sto- 
ria e alla ragione poetica. Il fatto era per sè bello e grande : ma non 
tutti forse avrebbero saputo circondarlo d’ invenzioni secondarie nella 
loro varietà sì piacevoli. Non è già una palinodia questa che noi vo- 
gliamo cantare; nè per ciò che spetta al Proscritto, la nostra opinione 
s'è punto cangiata : ma la sincerità delle lodi potrà forse negli occhi 
dell'Autore aggiungere alle critiche nostre quel peso che di per sè non 
avrebbero; mostrandole almeno dettate da libera stima, non da superbo 
rancore. 

Siamo alla metà del secolo duodecimo , all’ assedio di Tortona; e 
abbiamo dinnanzi la detestabile figura di quel Barbarossa Di cui dolente 
ancor Milan ragiona; di quel Barbarossa che, collocato nella storia, 
quasi ideale della stolta e crudele tirannide straniera, parve nato a 
dimostrare quanto potesse sulla miseria italiana l’ arroganza barbarica. 
La catastrofe dunque del romanzo è la rovina della tradita Tortona : 
ma l’intreccio consiste nelle gare civili tra nobili e plebe , tra popolo 
e clero , esasperate da’domestici insulti , i quali riempiono la tela, e 
costituiscono la parte drammatica di questa familiare epopea. Ma per 
tessere siffatta tela l'Autore non s’è creduto, come altra volta, in ne- 
cessità di violare tanto gravemente la storia : e il profitto che dalla sto- 
rica verità seppe egli trarre negli ultimi capitoli, fecondandola con 
la fantasia e comentandola, ben dimostra tutto ciò ch’ egli in questo 
genere nuovo potrebbe , se pur volesse. 

Le principali bellezze che a noi par di vedere nel Folchetto Ma- 
laspina,, quelle che ci paiono lodevoli saggi della poesia del romanzo , 
sono = l’ incontro dei due avversarii Folchetto, e Guglielmo degli 
Uberti sulle terre di Montebore = le ricerche che move Folchetto 
della tradita e fuggiasca sorella = la pittura della valle di Campidano 
= la visita e la sfida di Folchetto all’ odiato Guglielmo = l’ abbatti- 
mento di costui all’ appressarsi del cimento = i preparativi del duello 


137 
= lo spediente che il satellite Calpucio pone in opera per salvarlo = 
la scena del tempio, quando Folchetto provoca di nuovo Guglielmo , 
nipote del Vescovo = e 1 altra quando il Vescovo, magnate della 
città, viene a dolersi innanzi al popolo dell’affronto = alcune pitture 
di frati = la generosità con cui Folchetto si vendica de’ nemici ve- 
nuti per ucciderlo , e colti al laccio , e rinchiusi , e già basiti di fame 


= la descrizione dei preparativi degli assediati = della contrommina 
= delle suppliche mosse dal clero al nemico superbo = dell’ uscita 
dalla resa città = dell’ assalto dato da’ barbari al monastero. In que- 
ste scene si conosce il poeta: e se l’ A. avesse voluto con più di pa- 
zienza raccogliere dalla sua fantasia e da’ materiali che la storia gli 
porge quel fiore di poesia , ch” è (mi si perdoni 1’ espressione ) quasi 
la verità condensata, e raccolta in sì poco spazio da dimostrar più atti- 
va e sensibile la sua virtà ; se egli lo volesse , io diceva, noi siamo certi 
che i suoi romanzi riuscirebbero più che una narrazione faceta, più 
che una serie piacevole di curiose avventure. 

Non ci fermeremo sui difetti che a noi parve di vedere in questo 
pregevole lavoro, come alcune inverisimiglianze non necessarie all’or- 
ditura dell’ azione nè al solletico della curiosità; alcuni caratteri al 
solito un po’ caricati, quali li sogliono presentar sul teatro gli autori 
di mediocri commedie. Il nostro romanziere, sì fecondo nell’ invenzione 
d’ incidenti attissimi a tener desta l’ attenzion del lettore, non vorrà , 
speriamo , ricorrere a simili spedienti non degni di lui. Quella Pattu- 
meja che casca giù dalle rupi senza farsi una graffiatura, quello Stull, 
quel Titinnio, non valgono certo quanto i caratteri di Folchetto , di 
Guglielmo, del Magnate , dell’ Abbate, di Calpucio, di Gaddo. 

Anche nell’ intreccio della parte drammatica pare a noi che 1’ A, 
si sia scostato un po’ più dalla maniera scozzese: meno digressioni 
d’ ignuda storia, meno lunghe descrizioni di luoghi, di persone, d’og- 
getti minuti; più rapidità insomma, e nel tutto un carattere più ita- 
liano. Questa lode però non è senza eccezioni: tra le quali noi non 
riporremo la solita divisione del romanzo in capitoli con: un titolo a 
ciascheduno, titolo che o dice troppo o nulla ( giacchè in tali picco- 
lezze non è riposta l’ originalità, sebbene servano anch’ esse talvolta 
ad indicare lo studio d’ imitazione soverchio ); ma parleremo di cosa 
molto più grave perchè riguarda la parte morale e civile della lettera- 
tura, e si leva un poco al di sopra delle ordinarie considerazioni 
de’ critici e de’ romanzieri. 

In tutte le opere del nostro Autore noi vediamo con amore rap- 
presentati caratteri e fatti che non mostrano, a dir vero, l’umana na- 
tura dal suo lato più nobile e più consolante. Dalla Sibilla Odaleta al 
Folchetto 8’ osserva in questa parte non solo una certa costanza, ma 
oserei quasi dire una progressione sensibile. Sebbene per natural tem- 

| pra e per letterarii principii il nostr’ animo abborra da simili pitture 
troppo fedelmente e troppo costantemente ripetute, noi non oseremmo 
però imporre altrui quasi una legge le nostre simpatie o ripugnanze. 


T. JI. Febbraio. 13 


138 


Anche la vista del male può essere una scuola potente di bene; scuola 
non senza pericolo, ma certo non senza efficacia. Quello però che cre- 
diamo poter richiedere con franchezza, si è che l’errore, la sventura, ed 
il male, ci sien presentati coi colori della verità , vale a dire in quel- 
l’ aspetto che valga ad ispirarne o compassione o spavento ( giacchè 
noi non crediamo desiderabile quella specie di moralità che susciti 
l’ odio o il disprezzo). Ora lo studio che l’ A. n. pone ne’suoi perso- 
naggi è d’ordinario quello di condire il lor dialogo di facezie e di sar- 
casmi, che non sempre , a dir vero , giungono aspettati e opportuni. 
Nelle disgrazie più difficili, ne’ delitti più atroci, in quelle circostanze 
solenni in cui l’ umana natura par che faccia pompa della propria 
miseria , della propria debolezza , il nostro Autore ha sempre qualcosa 
di gaio da dire, di bernesco da far osservare, di comico da dipingere. 
Walter Scott troppo è vero che osserva assai spesso con certa desolante 
indifferenza, con certa freddezza che non è nè filosofica nè poetica , 
quant’ ha di più basso la natura morale; ma egli almeno non si piglia 
sì spesso la libertà di riderci sopra. E si noti che questo del nostro 
Autore non è poi il sorriso o cruccioso o disperato o velenoso d’ un 
Rabelais, d’un Voltaire , d’un Byron: è un non so che d’innocente , di 
leggiero , di più che giovanile, e fa sospettare che il valent'uomo non 
consideri nel suo tema se non se un’occasione d’intertener le brigate, 
non mai di commovere e d’ istruire. L’ assedio di Tortona , la bestial 
tirannide d’un Barbarossa, le discordie civili a cui la religione troppo 
sconciamente s’immischia, non ispirano a lui che ben poche sentenze 
di morale seria e malinconica: tutto il resto è uno spasso, una festa 
continua. Quest’ è come danzare sopra terre rigurgitanti di semisepolti 
cadaveri , e deliziarsi tranquillamente co’ fiori che spuntano dalla pu- 
tredine umana e dal sangue. .L’ autore del Folchetto Malaspina è de- 
stinato ad una missione più nobile : e i diritti che il suo ingegno pos- 
siede alla nostra stima , sono per l’ animo suo gravi e augusti doveri. 


K. X. Y. 


PBoelletteno Stentiico- Letterario 


FEBBRAJO 18531. 


Scienze NATURALI 


Meteorologia. 


Il sig. Hayes americano ha pubblicate le seguenti osservazioni 
intorno ai fatti che servono di base all’esperienze igrometriche. 

Quando la superficie liscia d’ un corpo qualunque , che non abbia 
attrazione per l’acqua, è esposta ad un atmosfera che si trovi in con- 
tatto con dell’ acqua , quella superficie , se la sua temperatura sia al- 
quanto più bassa dell’atmosfera che la circonda , si cuopre pronta- 
mente d’ umidità , che va gradatamente aumentando , e prende la for- 
ma d’una rugiada. Se si osserva la temperatura di quella superficie , 
sì riconosce a qual grado il vapore invisibile che preesisteva nell’atmo- 
sfera divien visibile sotto forma d’ acqua ; l’ autore dà a questa tem- 
peratura il nome di punto di deposizione , punto che non ha relazione 
permanente colla temperatura del vapore stesso. Il vapore acqueo al- 
lorchè si forma ha la stessa temperatura che la superficie del liquido 
da cui si solleva. Se dopo l’ esperienza indicata si lascia che la super- 
ficie del corpo di cui si tratta torni gradatamente alla temperatura del- 
l’ atmosfera , l’ umidità che vi si era depositata comincia a dissiparsi , 
ed il termometro rimane stazionario finchè una porzione considerabile 
di quell’ umidità resta ancora sulla superficie. La temperatura che in- 
dica allora il termometro è quella del vapore , e 1’ autore la chiama 
punto di rugiada. Sembra ad esso che fra il punto di deposizione ed il 
punto di rugiada esista quello stesso rapporto che è fra il punto di con- 
gelazione dell’ acqua ed il punto di fusione del ghiaccio , dei quali il 
primo può essere al di sotto, ma non mai al di sopra del secondo. 
Pensa anche il sig. Hayes che alcuni autori confondendo questi due ter- 
mini abbiano cagionato oscurità , o rese l’esperienze loro meno degne 
di fiducia , vedendosi che il confronto della temperatura dell’ aria , al 
principio dell’ esperienza , colla media delle indicazioni termometriche 
all’ apparizione e disparizione della rugiada dà con molta esattezza la 
misura della forza del vapore dell’ atmosfera. Il punto di rugiada de- 
terminato per mezzo di strumenti opportuni dà il modo di risolvere 
diversi problemi importanti , dei quali non si otterrebbe la soluzione 


140 
ossservando le sostanze igroscopiche animali o vegetabili. In fatti que- 
ste sostanze , indipendentemente da varii difetti ai quali sono sogget- 
te . indicano tuttavia uno stato di secchezza quando l’ atmosfera è 
quasi saturata d’ umidità. ( Bibl. univ. janv. 1831 p. 22.) 


In una lettera del sig. Huber Burnand si contiene la seguente nota 
intorno ad un freddo straordinario osservato a Yverdun nella notte dal 
25 al 26 dicembre 1830. 

“ Il 27 dicembre erano caduti 6 pollici di neve ordinaria mesco- 
;, lata a neve stellata o polare. Il 25 fu freddo ed il cielo era coper- 
», to. Nella massima depressione il termometro di Réaumur segnò 5 e 
,» nella massima elevazione 3 gradi sotto zero. Dopo mezzo giorno il 
», cielo cominciò a scuoprirsi gradatamente , le nuvole furono spinte 
,; via da un vento che regnava soltanto ad una grande elevazione , 
mentre l’ aria era tranquilla alla superficie del snolo. 1l termometro 
»» cominciò tosto a discendere in un modo spaventevole ; a 7 ore era 
a 8 gradi, a 10 ore a 15 sotto zero. Era calma perfetta, ed il cielo 
purissimo compariva d’un azzurro puro , nonostante il lume di luna 
che durò tutta la notte. Io aspettava con impazienza il risultato di 
queste circostanze , e trovai la mattina del 27 che il mercurio nel 
mio termometro era disceso fino a 21 sotto zero come il primo di 
febbrario dell’ anno precedente. In una vicina campagna uno dei 
miei amici lo vide la mattina a 20. Nell’ interno della città diversi 
3) termometri indicavano 17, ma erano più o meno difesi, o al coper- 
;» to. Tutta la giornata del 26 , il termometro esposto all’ aria libera 
»; ed in aperta campagna restò fra ro e 12 gradi sotto zero , benchè 
33 Splendesse chiarissimo il sole. A 7 ore era già a 15, a 9 ore a 18 
»» gradi ; ma il cielo cominciò a velarsi , ed il freddo diminuì rapida - 
3» mente. La mattina del 27 il gelo cominciò a sciogliersi, e continuò, 
,; soffiando un violentissimo vento del sud. ,, 

“ Da queste osservazioni si fa manifesto che nel nostro paese i 
;» grandi freddi sono prodotti dal concorso di tre circostanze , le quali 
3) SONO! ,) 

1.° Il soggiorno della neve sul suolo ; 

2.° Un cielo perfettamente sereno ; 

3.° Una calma assoluta negli strati inferiori dell’ aria. 

“ Il più leggiero velo di vapori basta per arrestare il raggiamento 
del calorico terrestre verso la volta stellata. Un vento leggero , e 
più un vento gagliardo temperano il rigore del freddo , come quello 
del calore, anche quando il cielo è purissimo. ,, ( Zvi pag. 100.) 


Il dot. Berger congettura che i piccoli animali scoperti nella neve 
dal dot. Muse di Cambridge negli Stati-Uniti , che si distinguevano ad 
occhio nudo , e che avevano la forma di piccoli pesci, appartengano 
al genere Podura, e probabilmente alla specie che Linneo e Fabricio 
hanno chiamata Podura nivalis. De Saussure ne osservò sulla neve del- 


141 
la cima del Breit-Horn a 2000 tese al di sopra del mare. Egli osservò 
che quest’ insetto correva con molta vivacità fra i grani della neve, 
e non avendo ale , congetturò che nasca e muoia su quella rupe. De 
Geer che ha osservato quest’insetti , ne ha trovati in Olanda dei vivi 
e molto vigorosi nei freddi più grandi. Geoffroi crede che i poduri si 
nutriscano dell’ umidità della terra. ( Zvî pag. 106. ) 


In un giornale agrario francese intitolato L’ Ami des champs ; di- 
stribuzione di luglio 1830, pag. 201, si trovano le seguenti osservazio- 
nî meteorologiche raccolte sotto il clima di Bordeaux dal sig. Fo- 
zembas. 

Quando una burrasca considerabile scoppia sopra una grande esten- 
sione di terreno inondata dalla pioggia , o devastata dalla grandine , 
o ricoperta dalla neve , fino da quel momento la parte corrispondente 
dell’ atmosfera si raffredda. Se il giorno seguente splende il sole , que- 
st’ aria raffreddata si dilata, si estende in ogni direzione, e specialmente 
verso i luoghi che presentano minor resistenza. Questi venti acciden- 
tali non agiscono che nelle basse regioni dell’ aria , e raramente sono 
durevoli. 

Quando il vento soffia da una delle parti dell’ orizzonte comprese 
fra il Sud e il Nord-Ovest, e che è lo stesso nelle alte e nelle basse 
regioni , si può predire che farà tempo cattivo, e che, se non vi è 
burrasca, vi saranno almeno dei venti impetuosi e delle pioggie più 0 
meno forti. In questo stato dell’ atmosfera , l’ aria è più o meno carica 
d’ elettricità , ed il barometro si abbassa sempre sotto i 28 pollici. 

Quando i venti vengono dagli stessi punti occidentali , e che le 
correnti superiori hanno una direzione opposta, può seguire che lo 
strato inferiore sia più denso che il superiore: allora il tempo è molto 
cattivo. Lo strato inferiore può essere eguale al superiore : allora il 
tempo è variabile. Finalmente lo strato inferiore può essere meno den- 
so del superiore: in questo caso il tempo è bello. L’elettricità ed il ba- 
rometro variano secondo la densità degli strati. 

Quando i venti vengono da uno dei punti compresi fra il nord ed 
il sud-est, e che tutti li strati seguono la stessa direzione , allora il 
tempo è bello , asciutto e fresco nell’estate , e freddo nell’ inverno , 
l'elettricità è quasi nulla , ed il barometro sempre elevato sopra i 28 
pollici. Se il vento di terra è nord, ed il vento superiore sud, il tempo 
è più o meno variabile, secondo che lo strato superiore è più o meno 
denso. Se lo strato del vento del nord è troppo debole, piove col vento 
del nord, che in questo caso cessa ben presto. 

È facile conoscere le diverse correnti d’aria che esistono nelle 
alte e nelle basse regioni dell’ atmosfera. Quando vi sono delle cor- 
renti contrarie, sono sempre indicate da alcune nuvole che si formano. 
La differenza fra esse è resa sensibile e dalla loro direzione e dalla 
loro forma. In generale le nuvole inferiori sono dense , scure alla loro 
base , e si muovono con rapidità. Quelle che si formano nelle alte re- 


142 
gioni sono leggiere e spesso trasparenti, sembrano stazionarie , a mo- 
tivo della loro lontananza , nè ci si accorge che hanno cambiato di 
posto se non dopo un momento d’ attenzione. 

Quando i venti del nord regnano lungo tempo ; e che la terra è 
asciutta, le nuvole si formano difficilmente , benchè il vento cangi, 
perchè la terra non somministra abbastanza vapori acquosi, e non si 
può sperar della pioggia se non quando i venti del sud.o dell’ ovest 
hanno prodotto una scossa nell’ atmosfera trascinando dall’oceano una 
gran quantità di vapori. 

Spesso nel corso dell’ autunno vi sono delle piccole pioggie , le 
quali non sono cagionate che dalle nebbie considerabili che si formano 
in quella stagione. In tal caso l’aria è tranquilla, le nuvole che danno 
queste piogge leggiere sono bassissime ; le basse regioni della terra pro- 
vano un umidità permanente, mentre le montagne godono d’ un bel 
sole, d’ una dolce temperatura, e d’un tempo bellissimo ( Férussac 
sc. agric. ottobre 1830, pag. 97). 


Fisica e Chimica. 


Quando si fa del fuoco nel cammino d’ una stanza, la colonna 
d’aria calda e rarefatta che occupa quel cammino, diminuisce la pres- 
sione atmosferica nella camera, in modo che l’aria esterna vi penetra 
per tutte le aperture. Per misurare questa differenza di pressione, che 
è piccolissima, si richiederebbero dei barometri d’una costruzione per- 
fettissima. Con questo scopo il sig. Wollaston imaginò il barometro 
differenziale che imprendiamo a descrivere. Un tubo di vetro d’ un 
quarto di pollice di diametro. interno è piegato nel mezzo della sua 
lunghezza in modo, che le sue due metà divengono parallele una. al- 
l’altra. Le estremità aperte di questo sifone rovesciato penetrano nel 
fondo di due piccole cassette per un foro all’orlo del quale sono esat- 
tamente fissate con un cemento 0 mestura, che non lascia alcun tra- 
spiro. Ciascuna di queste cassette forma un quadrato di due pollici di 
lato; una è aperta di sopra, l’altra è chiusa da tutte le sue facce, 
nè ha altra comunicazione coll’ esterno , che mediante un tubo metal- 
lico posto orizzontalmente nella parte superiore d’una di dette facce. 
Questo tubo s’introduce in un foro opportunamente disposto ad una 
finestra, e serve a far comunicare la cassetta chiusa coll’aria esterna. 
Allora si versano due o tre pollici d’ acqua nelle braccia del sifone ; 
poi sì finisce d’empierle con dell'olio d’ oliva, che deve elevarsi un 
mezzo pollice incirca nell’ interno di ciascuna cassetta. Si dispongono 
le cose in modo che vi sia eguaglianza di livello nelle due colonne 
d’acqua quando la pressione barometrica è la stessa all’esterno e nel- 
l’ interno. Se in seguito la pressione esterna divien maggiore di quella 
dell’interno della camera, si vedrà una delle colonne elevarsi e 1’ al- 
tra abbassarsi d’ una stessa quantità , e la differenza della pressione 
sarà misurata dal cambiamento di livello, cioè dalla differenza di peso 


143 
delle due colonne liquide. E siccome l’olio è più leggiero dell’acqua 
nella proporzione d’un undecimo , il moto barometrico sarà maggiore 
nella stessa proporzione di quello che se si fosse impiegato un baro- 
metro ad acqua, il quale pure avrebbe dato delle variazioni da 13 a 
14 volte maggiori che il barometro a mercurio, tale essendo la diffe- 
renza del peso specifico di questi due liquidi. 

Questo strumento un poco modificato, e formato con liquidi la di 
cui densità sia anche minore, potrà anche servire a misurare la diffe- 
renza di pressione dell’ aria agitata dal vento. Un simile strumento 
potrebbe sostituirsi con vantaggio a quello immaginato dal sig. Lind 
per lo stesso oggetto , e che è composto d’un sifone rovesciato , le di 
cui-due estremità son curvate orizzontalmente , in direzione opposta 
l’una all’ altra. Il sifone essendo in parte pieno d’acqua, e le due 
porzioni orizzontali essendo poste nella direzione del vento , la pres- 
sione dell’ aria dal lato esposto al vento è più forte che dal lato op- 
posto, d’ una quantità misurata ed indicata dalla differenza delle due 
colonne del liquido (Férussac sc. math. et phys. octobre 1830 , p. 280). 


Poichè le opinioni dei fisici sono divise intorno alla teorica dei fe- 
nomeni galvanici o voltaici , alcuni riguardandoli come effetti d’ un 
azione meramente elettrica, altri d’ un azione chimica, il sig. 
Ritchie, a rischiarare una tal questione , ha fatto le sette esperienze 
seguenti. 

1.° Avendo versato in un bicchiere dell’ acido solforico allungato , 
vi immerse , ma a qualche distanza una dall’ altra, due foglie, una 
d’oro, l’altra di platino , comunicanti colle estremità d’ un galvano- 
metro sensibilissimo. Niun’ effetto fù prodotto. Ma avendo sostituito 
all’ acido dell’ acqua saturata di cloro , o dell’ acqua regia , si mani- 
festò una corrente la quale fece conoscere che l’ oro era positivo ed 
il platino negativo. Tuttavia l’ acido solforico è migliore conduttore 
della corrente elettrica che la soluzione acquosa di cloro. Dei dischi 
di zinco e di rame, posti in luogo dell’oro e del platino, producevano 
nell’ acido solforico una corrente d’elettricità più energica che nel- 
l’acqua di cloro. Dal che sembra risultare che i liquidi non servono 
solamente come corpi conduttori , ma concorrono direttamente a pro- 
durre la corrente elettrica. 

2.° Presa una piccola scatola rettangolare di legno divisa in due 
compartimenti eguali per mezzo d’ un diaframma di vescica , furono 
questi empiuti d’acqua , ed introdotto in uno un disco di rame indu- 
rito ed addensato con batterlo a freddo, nell’altro un simil disco di 
rame non battuto. Questi due dischi comunicando colle estremità del 
galvanometro , determinarono una corrente considerabile , mostrandosi 
il primo positivo , e l’ altro negativo. Versando alcune gocce d’ acido ni- 
troso nel compartimento del rame battuto , l’azione fù diminuita , e 
per l’ aggiunta d’ alcune altre gocce d’ acido 1’ ago calamitato percorse 
alcuni gradi in senso contrario. Così, benchè il liquido fosse divenuto 


144 
miglior conduttore , l’ azione era divenuta minore , ed anche affatto 
nulla. È poi un fatto curioso che gli acidi nitrico, solforico , e mu- 
riatico produssero un effetto contrario. Il sig. Ritchie conclude da 
questa esperienza che la teorica del Volta intorno alla produzione 
della corrente elettrica per il solo contatto dei metalli non può più 
essere ammessa. E le seguenti esperienze gli sembrano provare essere 
egualmente priva di fondamento l’ ipotesi di Wollaston , il quale am- 
metteva che l’ elettricità positiva è messa in libertà per la combina- 
zione dell’ ossigene coi metalli. 

3.° Due dischi eguali di zinco , attaccati alle due estremità del 
filo del galvanometro , essendo immersi nei due compartimenti della 
scatola sopra indicata pieni d’acqua pura , non è stata prodotta cor- 
rente elettrica, ma aggiunte in un solo dei compartimenti alcune gocce 
d’ acido solforico , o nitrico, 0 muriatico, fu prodotta la corrente, e 
lo zinco posto nel liquido acidificato era l’ elemento positivo , lo che 
sembra conforme all’ idea di Wollaston. Per altro impiegando acido ni- 
troso, l’ago del galvanometro si muove in direzione contraria. Li stessi 
fenomeni hanno luogo con dischi di rame o di ferro. 

4.° Avendo preso due dischi di stagno eguali fra loro, e d’ una 
grossezza notabile, fece sopra uno di essi con una lima triangolare al- 
quante righe in modo da raddoppiarne la superficie. Questi due dischi 
immersi nell’ acqua regia allungata produssero una corrente elettrica 
intensa, la direzione della quale mostrò che il disco non rigato era 
l’ elemento positivo ; per altro l’ azione chimica sul disco rigato doveva 
essere maggiore che sul disco piano. 

5.° Furon prese delle coppie di zinco , di rame, di ferro e d’ ot- 
tone non battuti; quindi sopra una piccola incudine fu battuto quanto 
più fortemente si poteva un solo metallo di ciascuna coppia; dopo di 
che fu provato ad immergerli nell’acido solforico allungato. Vi fu pro- 
duzione di corrente elettrica , ed il pezzo battuto si mostrò sempre come 
elemento positivo rispetto all’altro pezzo non battuto del metallo stesso. 
Due pezzi d’ acciaio , uno temperato e l’altro non temperato, presen- 
tarono un effetto contrario , mostrandosi l’ acciaio temperato come ele- 
mento negativo. 

6.° Due sottili verghe di ferro , le di cui estremità erano state re- 
centemente limate, essendo state attaccate alle estremità del filo di ra- 
me del galvanometro , ne fu scaldata una sola , e fu immersa nell’acqua 
nello stesso tempo che l’ altra , la quale era fredda; si formò una cor- 
rente elettrica , la cui direzione indicò che il ferro scaldato era l’ele- 
mento negativo. Se questi effetti dipendessero dall’ azione chimica , il 
ferro avrebbe dovuto essere l'elemento positivo, poichè il ferro caldo 
sì ossida più rapidamente che il ferro freddo. 

7.° Si prende un cilindro di rame vuoto, d’un pollice di diametro 
e di due pollici di lunghezza. Una delle sue estremità è aperta, e l’al- 
tra non è aperta che per un piccolo canale in cui si mette del 
mastice, a traverso del quale passa un filo di rame coperto di seta. 


149 

Questo filo è saldato per una delle sue estremità alla base d’un cilin- 
dro di zinco vuoto posto nell’interno del cilindro di rame. Si chiude 
poi questo con un coperchio saldato , che porta esternamente un tubo 
d° ottone, chiuso anch’ esso per mezzo d’ una vite. Si empie presso a 
poco il tutto con acqua, e per mezzo d’un tubo di vetro a ciò adattato 
s’introduce un poco d’ acido solforico nell’ interno del tubo di zinco. 
In seguito si finisce d’ empiere con acqua, e si chiude colla vite, ag- 
giungendovi una mestura resinosa scaldata. Allora si volta e si rivolta 
l’ apparato per mescolare l’ acido solforico coll’ acqua. Se i cilindri di 
rame e di zinco son messi in comunicazione col galvanometro ; si vedrà 
la corrente elettrica persistere per un giorno o due colla stessa ener- 
gia che se lo zinco fosse esposto all’ aria. Ma siccome l’ idrogene del- 
l’ acqua scomposta non potrebbe uscir fuorì dell’ apparato, il suo os- 
sigene non può trasformare lo zinco in ossido; tuttavia un azione chi + 
mica ha luogo, e lo zinco si discioglie nell’ acido , il quale sembra 
combinarsi allo zinco allo stato metallico. Se si potesse esser certi che 
l’idrogene in quest’esperienza non ha potuto evadere per alcuna parte, 
o non si è disciolto nel liquido , questo risultato sarebbe veramente 
straordinario ; in ogni caso l’ esperienza merita d’ esser ripetuta più 
volte. ( {vi pag. 281.) 


VARIETÀ. 


Il cav. Giovanni Aldini essendosi portato lo scorso anno a Londra, 
ed avendo ivi mostrate le sue esperienze tendenti a perfezionare e far 
conoscere più generalmente l’arte di preservarsi dall’azione della fiam- 
ma , ha ricevuto dai dotti e dalle persone più distinte di quel paese 
testimonianze lusinghiere di stima e di considerazione, a malgrado di 
qualche contrarietà per parte d’alcune Compagnie d’assicurazione con- 


tro gl’incendii. Ecco una lettera relativa scritta al lodato ‘cav. Aldini 
dal sig. Giorgio Birkbeck. 


Lettera del sig. BrrxBEck al sig. cav. Arprnr. 


Londra 29 marzo 1830. 


‘“ Le speranze benevole che voi esprimete, nell’undecimo capitolo 
» della vostra opera interessante ; sulla condotta futura delle Compa- 
3» gnie d’assicurazione , temo che non sì realizzeranno così presto. Le 
3 Compagnie d° assicurazione non si sono occupate fin qui di salvare 
3» la vita umana; ediloro agenti, poco disposti a sorpassare in filan- 
»» tropia i loro padroni, hanno spesso dichiarato che il loro dovere era 
3. unicamente di preservar le fabbriche, i mobili, le mercanzie , ed 
»» altri oggetri per i quali è stata espressamente pagata la somma con- 
3, venuta per l’ assicurazione , e per i quali, in caso di distruzione , 
»» 1 assicuratore divien responsabile. Queste compagnie utili ignorano 


T. I. Feùbraio 19 


23 


146 

ancora quanto esse guadagnerebbero nella stima del pubblico adot- 
tando misure pronte e sicure per ovviare alla perdita degli uomini 
per effetto del fuoco , e quanto in conseguenza esse accrescereb- 
bero in fine la loro prosperità. Ora esse danno o fanno dare un pre- 
mio alla prima tromba da incendii che arriva presso una fabbrica 
che sia in preda alle fiamme , e la concorrenza o l’ emulazione è di 
grande utilità. Che elleno stabiliscano egualmente una ricompensa 
per il primo che salverà un individuo dalle fiamme , e similmente 
per ogni persona che in seguito sia similmente salvata. Troveranno 
anche molto utile il destinare a questo servizio alcuni degl’ impie- 
gati del loro stabilimento, e di munirli a quest’ effetto dei vostri 
apparati così ingegnosi e così efficaci, per mezzo dei quali potreb- 
bero traversare delle stanze in stato di combustione , e dopo aver 
salvato gli abitanti dalla morte più terribile , aiutare ad arrestare 
i progressi del fuoco opponendogli diversi ostacoli, ma principal- 
mente con una direzione più giudiziosa dei condotti dell’acqua, di 
quella che possono dar loro attualmente uomini che operano dal- 
l’ esterno. Mi sembra indubitato che se si considerasse che con 
accrescere i mezzi delle Compagnie d’ assicurazione si mettono in 
grado di divenire più efficacemente i custodi delle nostre vite e delle 
nostre abitazioni , e che solo in questa guisa si può procurarsi una 
tal protezione , l’ abitudine di assicurare , in oggi estesissima , di- 
verrebbe presto universale ,,. 

“ Nei numerosi incendii avvenuti recentemente , è accaduto per 
buona fortuna che poche persone sono perite ; dico per buona for- 
tuna , perchè non sembra che si sia fatto il minimo sforzo nè il mi- 
nimo preparativo per evitare così tristi accidenti, nel caso in. cui 
sì fossero presentati ; perchè , per esempio, niuna delle diverse in- 
venzioni suggerite l’ anno scorso è stata impiegata ; non si è nem- 
meno pensato a provvedersi, per quanto ho potuto saperne, d’ una 
scala di riserva della più semplice costruzione. È dunque urgente 
cercare migliori garanzie di queile che possediamo attualmente. É 
stato provato che in questa gran capitale vi sono tanti incendii in 
un anno quanti ne sono i giorni : egli è certo che nel mese di gen- 
naio ultimo ne abbiamo avuti trenta, dei quali quattordici nei pri- 
mi dieci giorni del mese, ed uno per giorno negli ultimi. Il mese 
successivo non è stato meno disgraziato : due grandi edifizii desti- 
nati ai divertimenti pubblici sono stati ridotti in cenere quasi fino 
dal principio dell’incendio ,,. 

““ Io formo i voti più sinceri per il successo dei vostri sforzi ve- 
ramente benevoli , e sono , mio caro signore 


Vostro Affezionatissimo 
Firmato Giorgio BiakBEcK. 


147 


Corso gratuito di geometria e meccanica applicate alle arti e mestieri , 
istituito dal sig. march. Lurer Tempi. 


Corre il terz? anno che la benefica istituzione di un degno nipote 
degli alti Fiorentini a cui tanto deve I’’italiana civiltà, è posta in 
atto da un valente e zelantissimo professore. Se in tutte le città d’Ita- 
lia una simile scuola gratuita agli artigiani s’ aprisse, ben più che mec- 
canico ed economico se ne vedrebbe in breve il vantaggio. E perchè 
ne’ luoghi ove maggiore è il bisogno dell’istruzione, quivi d’ ordinario 
men vivo suol essere il desiderio, perciò in alcune città gioverebbe ec- 
citare lo zelo de’più ritrosi fra gli artigiani con premii proposti ai la- 
vori di coloro che primi incominciassero a porre in pratica i principii 
scientifici novellamente imparati. Ma di ciò veggano i buoni cittadini 
d’ Italia. 

Rechiamo intanto il discorso che il sig. prof. Cioci pronunziò nella 
scuola fiorentina il dì sei di novembre all’ apertura del corso. 

‘ Ecco, o studiosi giovani, che in questo momento incomincia a 
correre il terzo anno da che io, onorato di sedere in mezzo a voi che 
qua vi recate per apprender le nozioni le più utili all’ esercizio del- 
l’arti vostre, mi trovo rivestito del dignitoso incarico, grave per 
me, di presiedere all’ istruzione vostra nel fecondo studio della 
geometria e della meccanica a molti indispensabile , e vantaggioso 
a tutti. 

E da qual punto più interessante potrei io partire se non da quello 
sotto cui fa d’ uopo riguardare questo corso speciale , de’ cui vantaggi 
siam debitori primieramente all’autor di esso il barone Carlo Dupin , 
poi all’ istitutore di questa pubblica scuola che a voi ne presenta gra- 
tuitamente la spiegazione ? 

Molti sono gli istituti pubblici e gratuiti, ove si danno lezioni di 
geometria e di meccanica; ma tali e tante nozioni si addomandano in 
questi (qual sarebbe per esempio lo studio del calcolo algebrico ) , 
che , oserei dire neppure la decima parte se ne richiede per l’intendi- 
mento delle nostre lezioni. 

Le sole prime quattro regole della semplice aritmetica ed il ma- 
neggio delle frazioni bastano per intraprendere il nostro studio ; istru- 
zione al certo tanto elementare e comune, che non può non supporsi 
nella generalità delle persone : ed ecco così che 1’ uomo anche rozzo, 
l’artefice di qualunque classe egli sia, può acquistare cognizione della 
geometria e della meccanica, scienze alle quali non potè fin ad ora 
volgere pure un pensiero. 

A ciò soltanto, o manifattori ed artisti, io voglio attribuire se 
alcuno fra voi non ha meritato finquì la superiorità nel paragone. 

Adunque io non dubito che per l’avvenire anderà spargendosi sem- 
pre più l’istruzione in ogni classe e sopra tutto in quella dei mani- 
fatteri che più ne abbisogna: e con voi mi congratulo , studiosissimi 


148 
giovani , la cui presenza in questo luogo mi fa sperare che saranno 
appagate queste mie brame, se non trascurerete giammai di frequen- 
tare le lezioni che io sono per darvi e che si succederanno nel modo 
seguente. 

Nella prima parte ci occuperemo della misura dell’estensione nelle 
sue dimensioni, cominciando dallo studio delle linee e loro rapporti , 
passando per quello della superficie, e finalmente andando ai corpi, 
quali esistono in natura: nè mai, per quanto sarà possibile , trascure- 
remo di fare le applicazioni delle diverse teorie, osservando a qual uso 
l’una più vantaggiosamente dell’ altra potrebbe essere adoprata; tanto 
in rapporto della geometria, quanto in rapporto della meccanica, che 
formerà la 

Seconda parte del corso. Quivi primieramente studieremo |’ equi- 
librio dei corpi; dipoi il loro movimento e la composizione delle for. 
ze. Ricercheremo la posizione del centro di gravità nelle linee , nella 
superficie e nei solidi. Faremo applicazione delle teorie spiegate alle 
sette macchine semplici, e ci occuperemo dei rapporti delle forze nelle 
primarie macchine composte. 

Nella terza parte infine applicheremo i principii dell’ equilibrio e 
del movimento all’ equilibrio e movimento dell’ acque o dei fluidi in 
generale, nelle conserve, nei vasi o recipienti, come nei canali, negli 
acquedotti, nei fiumi, ec.: dopo di che esamineremo le più comuni 
macchine idrauliche , come le trombe ad acqua e 1’ ariete idraulico. 
Aggiungeremo poi per termine al nostro corso qualche cenno su la forza 
del vapore e su la sua applicazione al movimento delle macchine, come 
i carri ed i bastimenti a vapore , e ciò non ad altro oggetto che per 
render sempre più nota una scoperta che ha recato dei vantaggi tanto 
grandi, i quali mai avrebber potuto sperarsi altrimenti; per dare onore 
agli autori di essa ed alla patria loro; e per destar negli animi di chi 
m? ascolta 1’ amore allo studio , onde mettersi in grado di raggiungere 
ed eguagliare gli uomini delle altre nazioni , le quali inferiori a noi , 
e molto inferiori, nel nascere delle arti e delle scienze, ci hanno 
però sorpassati nel progredire delle medesime; e tale, ormai, pur 
troppo confessarlo bisogna a nostra comune confusione , tale ormai , io 
diceva , è la distanza che ci separa da queste , che per raggiungerle 
è necessario intenso studio e assiduità, della quale voglio lusingarmi , 
o studiosi giovani , sarete voi i primi a dar l’ esempio. 

A che frattanto mi accingerei io a dimostrarvi i vantaggiosi effetti 
dell’ istruzione , e soprattutto d’ un istruzione di tal genere , quando 
questa vostra risoluzione, me ne assicura e convince. 

Inutile sarebbe che io andassi a voi rammentando che non vi ha 
classe di persone, cominciando dal più semplice artista e salendo fino 
all? nomo più scienziato, che della geometria non abbisogni ; poichè e 
il falegname , per esempio , il legnajolo , lo stipettajo , e tutti gli ar- 
tigiani di questa specie devono e spianare , e squadrare , e misurare 
superficie, e ricubar volumi ; fare insomma infinite operazioni che 


PI 


149) 
tutte dalla geometria dipendono , che anzi trovano in questa l’origine 
loro ragionata e precisa ; poichè e il costruttore di strumenti mecca- 
nici abbisogna di metodi precisi alla divisione d’ un cerchio , alla 
costruzione di cilindri, di coni e di piramidi; poichè e il perito e 
l’ agrimensore , e l’ ingegnere e l’architetto devono esser abili gli uni 
a misurare la superficie di un territorio scosceso ed ineguale, gli altri 
a conoscere le curve più adattate per costruirne in quella forma le 
volte per le lor fabbriche , gli archì per i lor ponti; poichè infine 
questo medesimo studio giova in generale per conoscere sempre più la 
sublimità dell'Autore della natura, a cui dee la grande opera dell’ Uni- 
verso. 

E qual raccomandazione sotto questo punto di vista verrei io a fare 
ad un tale studio , riattaccando così i principii. pe di religione e di 
morale all’ amore dell’ istruzione !! 

Non credo certamente che alcun v’ abbia fra voi che dubiti di 
questo principio : che la religione e l’ istruzione sono le due basi uniche 
fondamentali dell’ ordine e del bene sociale; purchè però collegate fra 
loro , onde isolate non producano o un assurdo materialista o un su- 
perstizioso fanatico. 

Infiniti altri esempi avrei potuto aggiungere a quelli che ho cita- 
ti; ma non voglio stancare la vostra sofferenza nell’ ascoltarmi. 

Tralascio affatto di parlare dell’ utilità dello studio della mecca- 
nica e dell’ idraulica , poichè mi sembrano tanto evidenti le immediate 
applicazioni che se ne fanno in pratica che io credo soverchio il trat- 
tenervi su ciò. Le macchine infatti per eseguir trasporti, per alzar 
pesi, per costruir fabbriche sono indispensabili ad usarsi: bisogna adun- 
que conoscere quali aumenti o risparmi di forza esse danno ; ed ecco 
manifesta l’ utilità della meccanica. Il regolare le acque nel loro cor- 
so , nei fossi, nei fiumi, nei canali, ec. è pure indispensabile , poi- 
chè altrimenti si devasterebbero le campagne , e quirrdi se ne annulle- 
rebbero i prodotti che servono alla nostra esistenza: ed ecco-in ciò, 
più che il vantaggio , la necessità , io dico , dell’ idraulica. 

Che cosa adunque mi resta a fare verso di voi, o zelantissimi gio- 
vani , se la vostra volontà per questo studio è oramai decisa , se dei 
vantaggi che possono resultarvene, siete già persuasi? Null’altro 
che radoppiare il mio zelo, certo che ne sarò contraccambiato dalla 
vostra frequenza e dalla vostra attenzione. 


Danimarca. Istruzione delle truppe. — Svezia. Esercizi ginnastici. 


In nessuna armata il sottuffiziale e il semplice soldato sono istrutti 
con cura migliore. Da vent’ anni ‘a ciò si tende con perseveranza no- 
bilissima, ed efficace. 

In poche truppe si troverebbero tutti quasi i soldati forniti di co- 
gnizioni elementari , esercitati alla ginnastica , istrutti non solo nel 
pratico maneggio dell’ armi ma nella teorica notizia dei propri doveri, 


150 
e de’ veri fini ed uffizii dell’ arte loro. Tanto si è fatto per l’ educa- 
zione del popolo, che pochi sono i soldati che entrino nel reggimento 
senza saper leggere , scrivere ; far di conto : e se in mille de? coseritti 
ve n’ha sette od otto di così fatti, all’ ignoranza loro rimedia l’ inse- 
gnamento mutuo usato in ciascun reggimento. La ginnastica è parte 
essenziale nella istruzion del soldato : e” non entra con questo titolo , 
se prima non ha imparato a correre, saltare, volteggiare, inerpicarsi , 
nuotare. Bisogua ch’ egli possa fare a nuoto; con arme e bisaccia, una 
tirata di 400 piedi, e tirare inerpicato a una trave, a una corda, a 
una stanga. 

Così esercitando il soldato , sì ha per fine l’ educazione del popo- 
lo intero: giacchè tutti quasi gli adulti entrano alle scuole dell’armata : 
e straordinarii sono gli effetti da questa militare istruzione prodotti, 
specialmente ne?’ villici. 

Ogni reggimento e compagnia ha una buona scuola , per istruire 
ancor meglio i sottufficiali ( non eccettuati i tamburi ): ‘dove son di- 
vise le classi de’ sottuftiziali d’ un grado maggiore , come quartierma- 
stri, forieri, sergenti maggiori, scrivani del reggimento. 

Tutti i sottuffiziali debbono di stretto obbligo assistere alle scuole 
elementari: quanto alle più alte, son liberi di farlo o no: e così s’ ha 
una scelta d’ uomini da destinare ai posti superiori al grado di sot- 
tuffiziale. In questa scuola s’ impara a un bel circa quanto nell’ altre 
truppe d’ Europa serve per un semplice uffiziale subalterno di linea. 

Per formare il semplice soldato e il sottuffiziale, in Danimarca si 
fa quanto da un quarto di secolo suol farsi per gli aspiranti al posto 
di luogotenente. Questo posto da 30 anni non è mai stato dato senza 
un esame, per sostenere il quale ci vogliono quattro, cinque o sei 
anni di scuola. 

A Copenhaguen s’ apre ora una scuola per le scienze militari. Non 
grande essendo in Danimarca il numero degli uffiziali de’ corpi scien- 
tifici, non è necessaria per ogni corpo una scuola particolare; una cen- 
trale basta. Il corso dura quattr’anni. Il piano è già quasi fatto; con 
particolari programmi per ogni ramo di scienza: e saran pubblicati fra 
pochi mesi. Il dì : di novembre s’ aprono le scuole; ma dal 1 di giu- 
gno s'è cominciato già un corso preparatorio. V’assistono 4o giovani 
uffiziali, volontarii tutti: chè non vi s’ ammette altri allievi. Anche 
questa, come tutte l’ altre in Danimarca, è scuola fondata in perpe- 
tuo: dotata di 50,000 franchi circa di rendita, dal re che le ha desti- 
nato un grande edifizio; e dati uffiziali, sottuffiziali, semplici soldati 
quanti ne bisognavano allo stabilimento. Capo è il luogotenente gen. 
de Bulow ; direttore gen. degli studi il cav. d’Abrahamsm. 

E giacchè sopra abbiam fatto cenno degli esercizi ginnastici, ag- 
giungeremo che a Stokolma l’istituto scientifico centrale diretto dal sig. 
Ling, ha da tre a sei professori, o meglio istruttori, secondo la qua- 
lità e il numero degli allievi: due pagati dal Governo, gli altri dal 
direttore , il quale n’ è compensato col pagamento che gli danno gli 


151 
allievi, oltre alla buona pensione ch’ ha dal Governo a patto di gra- 
tuitamente istruire gli allievi delle scuole pubbliche di Stocholma. Il 
locale è grande e comodo, dato dal Governo , che pensa a’ ristauri 0c- 
correnti, e che protegge l’intero stabilimento. 

Hanno inoltre le loro scuole di ginnastica le due università del 
regno , Upsal e Lund; e le città principali, Linkoping , Norkoping , 
Carlskrona , Gothemburg , Christianstad ec. , tutte sotto l’ ispezione 
del direttore dell’ istituto centrale, il quale elegge altri direttori su- 
balterni , e risponde per essi. 

Da qualch’ anno le città tutte ch’hanno ginnasio, debbono avere 
una scuola di ginnastica; e il direttore e i professori credo sien pa- 
gati dallo stesso governo. Nelle città che non hanno ginnasio , il go- 
verno nè dà il locale nè paga i maestri, ma sorveglia la scuola per 
mezzo del direttor generale. 

Il signor Ling, creatore od almeno riformatore benemerito della gin- 
nastica in Isvezia, conosce a maraviglia |’ arte sua; e la dirige non 
solo allo scopo di formare de’ buoni volteggiatori , ma di giovare ad 
ogni età , ad ogni sesso. Egli studia di sviluppare tutte insieme le fa- 
coltà del corpo umano, di fortificare le parti deboli, ma non già a 
danno delle meglio costituite , come la medicina suol fare. E però 
a’giovani istruttori, allevati da lui, fece studiare esattamente la uo- 
tomia, con tutte le cognizioni a questa scienza attenenti; di più gli 
elementi di matematica, e di meccanica: e così costituendo dell’ arte 
ginnastica quasi una scienza, riuscì a renderla più che mai popolare 
in Isvezia. 

Queste notizie raccogliamo dal giornale francese intitolato :  Bu/- 
letin de la société pour l’instruction élémentaire. Ed è questa la migliore 
risposta a quel giornalista inglese che tempo fa si pensò di scrivere 
contro la ginnastica, ponendo in campo gli abusi che provengono dal- 
l’assoluta ignoranza dei veri principj dell’arte. Che qualche educatore, 
pedantescamente crudele, voglia per avvezzare il corpo umano a ogni 
sorta di movimenti, storpiarlo e far forza all’organizzazione (simile in 
ciò a molti altri educatori del cuore e della mente), di chi sarà ella 
la colpa? Forse di quello studio che insegna ad evitare simili incon- 
venienti, e a rendere gli esercizi corporali non solo innocui ma age- 
voli , che della ginnastica vuol fare una ministra ai piaceri e alle co- 
modità della vita? 

‘E dai perfezionamenti in essa operati dal signor Ling, si viene 
inoltre a conchiudere, come tutti gli esercizi dell’ umane facoltà, che 
dapprima si ripongono o tra le arti meccaniche , o.tra le cognizioni 
accessorie , vengano a poco a poco a formare altrettanti studii distinti, 
vengano mano mano elevandosi al grado di scienza. 

Ravvicinando finalmente 1’ idea delle scuole militari di Danimarca 
con l’ altra delle ginnastiche nella Svezia , si viene a concepire la pos- 
sibilità di contemprare l’ un metodo con l’ altro , e di togliere agli 
esercizi militari quell’ apparenza spiacevole ch’ essi conservano ancora 


. 


152 

nell’ opinione di molti, rendendoli popolari sotto il nome di esercizi 
ginnastici. Invece d’ aspettare che il cittadino sia già maturo da dive- 
nìire soldato , per insegnargli tante utili cose , gioverebbe prenderlo in 
quell’ età nella quale e le membra sono più docili , e lo spirito più 
disposto , e la natura stessa consiglia ed impone di dar maggiore svi- 
luppo alle facoltà corporali che all’ intellettuali ; e in quell’ età adde- 
strar tutti indistintamente ad esercizi che li rendano un giorno non 
solo soldati valenti, ma bravi artigiani, viaggiatori idonei, uomini 
avvezzi a superare il pericolo , e a trarre partito dal male stesso. 


K. X. Y. 


Letteratura Italiana. = Manoscritti. Lettera al signor Compilatore 
del Monitore. 


Voi avete più volte ragionato al mondo letterario delle fatiche del 
sig. Marsand, antico professore nell’ Università di Padova, e spezial- 
mente dell’ amore e del buon successo, con cui un dotto sì com- 
mendabile venne a formare quella preziosa Biblioteca Petrarchesca , 
ch’è una collezione quasi compiuta di tutte le edizioni delle opere ita- 
liane del Petrarca, acquistata dalla nostra antica lista civile, e che 
adornerà una delle Biblioteche di Parigi, appena saranno levati alcuni 
ostacoli che ne ritardano la spedizione (1). Il sig. Marsand sta aspet- 
tando quest’ ora con impazienza , la quale io confesso di sentire al 
paro di lui , nel vedere con quale perseveranza il sig. Marsand sì è 
posto a lavorare intorno alla parte italiana delle ricchezze che rin- 
chiude la biblioteca del re, e singolarmente sui manoscritti italiani. 
Questo esimio letterato si prese il grave carico di esaminare tutti 
que’ MSS. antichi e moderni, senza eccezione ; ricca raccolta , e se- 
gnalata per una grande varietà di soggetti e di tempi, e formata in 
gran parte dai volumi trasportati d’ Italia dai nostri re Carlo VII e 
Francesco I, e parte d’ acquisti fatti con fino discernimento. Il signor 
Marsand vi ha già fatto parecchie scoperte importanti , preziose per 
la Italia eziandio ; e prosegue senza posa in sì fatta impresa, frutto 
della quale sarà una notizìa critica e letteraria di tutti i nostri co- 
dici italiani. 

Il dotto Monfaucon ci diede il catalogo di tutti i codici di simil 
genere che al suo tempo ritrovavansi nella biblioteca del re, ma i loro 
stessi titoli si leggono in quel catalogo tratto tratto non interi e ine- 
satti, e gli acquisti fatti dopo la morte dell’ illustre benedettino non 
sono di poca importanza. Il lavoro dunque del sig. Marsand avrà pure 
il merito dell’ opportunità , e noi dobbiamo rallegrarci che un uomo 
del suo valore , e nudrito di sì buoni studi , sia stato trattenuto in 


(1) Bisogna credere che quegli ostacoli sieno già stati levati, poichè noi 
sappiamo da persona degna di fede , che quella collezione si vede in Parigi col- 
locata al suo posto. Nota del Dir. dell’ Ant. 


153 
Parigi, con l’ assenso, del suo sovrano, da circostanze che gl’ impon- 
gono in qualche guisa una fatica onorevole per lui, ed utile sopra 
tutto alla letteratura moderna. Il sig. Marsand , nel breve spazio di un 
anno , è giunto al mezzo del suo lavoro , e pure il numero de’ nostri 
codici in lingua italiana sale ad alcune migliaia ; ma quell’indefesso in- 
vestigatore, sempre fedele a quel gran precetto , nulla dies sine linea, 
non ispende inutilmente il suo tempo. Speriamo che il sig. Marsand 
condurrà a termine felicemente un lavoro, del quale la repubblica let- 
teraria , riconoscendone di leggieri 1’ utilità , aspetterà certo con im- 
pazienza la pubblicazione. Il suo modesto e rispettabile autore sta in- 
torno all’opera con uno zelo ammirabile , ed io spero ch’egli troverà 
presso di voi la stessa benevolenza che trovò in altri tempi, quando io 
potrò annunziare al pubblico dotto la fine d’ un lavoro ch'egli acco- 
glierà con viva premura e gratitudine. 
Gradite , Signore, i sentimenti della mia alta stima. 
Parigi. Dalla Biblioteca del re, ai 5 di gennaio 1831. 
G. G. CÒÙampontion Figrac. 


Società filodrammatica di Siena. 


Conviene all’Antologia un ragguaglio brevissimo delle recite fatte 
nel carnevale decorso dai filodrammatici nel teatro de’Rozzi di Siena ? 
Sì certamente, e ‘per più ragioni: perchè la declamazione è un’ arte 
liberale; perchè alla floridezza ed ai progressi della medesima tendon 
gli sforzi degli accademici Filodrammatici; perche il teatro è scuola 
di costumi; e perchè l’introito serale per tutto il corso delle recite, 
fu destinato all’ esercizio d’ una principalissima fra le morali virtù, al- 
1’ elemosina. 

Mancata per inaspettato accidente la compagnia comica fisssata al 
teatro de’ Rozzi, molti soci filodrammatici pensarono con, filantropico 
divisamento d’offerire ai loro concittadini un corso di scelte rappre- 
sentanze a benefizio del pio deposito di mendicità. I buoni \e caldi Sa- 
nesi accolsero il progetto con plauso universale , e ne favorirono l’ese- 
cuzione con incredibile ardore. 

Da una compagnia tutta composta di persone educate ai buoni 
studii non poteva aspettarsi che un corso di belle rappresentanze , ed 
al vero scopo del'teatro dirette. E fu l’ aspettazione appagata ; peroc- 
chè furono recitate sette commedie del Goldoni — la Donna bizzarra", 
il Molière, 1’ Apatista , la Scozzese; il Bugiardo , la Finta ammalata, ed 
il Cavaliere di Spirito: una dell’avv. Nota. = 1 primi passi al mal co- 
stume; un dramma di Metastasio — il Temistocle: due tragedie d’Al- 
fieri. — il Filippo ed il Saul» e la famosa commedia istorica di Bouilly 
— l’Abbate de l’Epée. Furono tutte assai bene eseguite, tanto per la 
decorazione, che per la recita; ma il Molière e 1’ Abate de 1° Épée fra 
le Bomicredie ; ed il Saul fra le tragedie, ebbero più incontro del- 


T. I Febbraio 20 


194 
l'altre. Il dottore Scipione Cammilli, primo mnomo, sostenne mi- 
rabilmente le parti di Molière e dell’ Abate de 1’ Epée: ed un gio- 
vane di diciannove anni , il sig. Angelo Vegni ; seppe fortemente com* 
muovere l’ udienza , e meritarsi grandissimi applausi nella parte del 
vecchio ed infelicissimo re d’ Israele ;} benchè' risentita tante ‘volte e 
quasi sempre bene da ‘attori di'professione. 

L’Abate de 1’ Epée fu recitato a‘benefizio dell’ istituto de? sordo- 
muti, che'da due anni in qua fiorisce in Siena ; fondato e mantenuto 
dalle spontanee oblazioni de’cittadini. E in questa rappresentanza fu 
singolare la parte di Teodoro, che poi si scuopre Giulio d’Harancaur, 
sostenuta dal sordo-muto Pandolfo Guerra, allievo:della scuola di Pisa, 
ed attuale sotto-direttore della nostra. Le compagnie comiche sogliono 
affidar questa parte alle prime donne: ma non può immagginarsi con 
quanto maggior effetto i nostri filodramatici la facessero eseguire dal- 
1’ intelligentissimo Guerra. Il riconoscimento delle care mura natali ; 
della vecchia! Marianna, vedova del portinaio del suo palazzo ; e del 
suo amato cugino Saint-Alme Darlemont: la bella risposta da lui data 
alla patriottica interrogazione di Clemenza Ranval: e la donazione della 
metà de’suoi beni al diletto amico della sua infanzia; furon momenti 
così patetici, che trassero abbondanti e caldissime lagrime anco dagli 
occhi dei meno teneri spettatori. 

Speciale ed onoratissima menzione meritan pure il. dottor Adolfo 
Barbieri primo caratterista, ed il dottor Carlo Ferri secondo caratte 
rista per le parti brillanti. Far ridere è da pochi, nè senza pericolo 
di compromettere la dignità del teatro. Voglionsi però lodare il Bar- 
bieri ed il Ferri, che rallegrarono sempre l’udienza , e non avvilirono 
mai il decoro della soena. 

Quanto sarebbe stato desiderabile, che le nostre brave signore 
avessero unito l’opera loro a quella de’ filodrammatici in questo corso 
di rappresentanze! Ma non riputarono convenevole di comparir sopra 
un palco, che suol esser calcato da attrici mercenarie , e dovettero 
i nostri dilettanti ricorrere a comiche di professione. Qualunque però 
ne fosse la causa, le loro ricerche non furono coronate da un esito 
del tutto felice, perchè in mezzo alla mediocrità della madre nobile, 
ed alle ottime disposizioni della servetta , la prima donna, e quì stava 
la maggiore importanza, è sembrata poverissima d’ attitudine all’arte. 

Lo straordinario concorso di spettatori, che ha fatto fiorire nel 
carnevale il teatro de’ Rozzi, ha prodotto un rispettabilissimo incasso, 
e quindi un largo soccorso al nostro pio deposito di mendicità, Questo 
sì chiama far molte cose ad un tempo, e tutte commendevolissime : 
dilettare , istruire, dilettarsi, e sovvenire alle miserie de’ nostri 


fratelli. 
F.A.M 


155 


Accademia degli Euteleti in Samminiato. 


Nelle dodici tornate di quest’ accademia furono dai soci trattati 
al solito parecchi argomenti importanti ; tra’ quali noteremo i seguenti: 
Memoria storico-critica sull’ origine di Samminiato , del Vic. Gen. Can. 
Torello Pierazzi. = Viaggio da Firenze al gran S. Bernardo, del sig. 
Dott. Erc. Farolfi. = Dell’ evangelica carità ; benefuttrice delle nazioni; 
del sig. Avv. Carlo Orabuona. = Del possesso a’ Samminiatesi contra- 
stato di una pergamena dell’ archivio Arciv. di Lucca, del sig. Can. 
Torello Pierazzi. = Delle prerogative e diritti di città che competevano 
a Samminiato prima che fosse eretta in cattedra vescovile , del medesimo. 
= Del modo di predicare all’ Apostolica secondo lo stile e i bisogni del 
secolo, del medesimo. = Orazione sulla presa d’ Algeri, del sig. Dot. 
Erc. Farolfi. — Osservazioni critico-storiche sulla sesta carta della To- 
scana pubblicata dal sig. Orlandini Zuccagni , del sig. Damiano Morali. 
= Prefazione alla storia letteraria e militare di Sammuniato , del sig. 
Can. Torello Pierazzi. Il nome di questo accademico cì ricorre più 
frequentemente a citare come di quello che più s’ occupa intorno a 
soggetti di utilità e d’ importanza. Sarebbe a desiderare che tutti se- 
guissero il suo bell’esempio , dandosi ad illustrare qualche punto ignoto 
od oscuro di storia patria; a raccogliere in breve, e commentare le 
grandi idee ehe si contengono in libri recenti di vasta mole o come- 
chessia inaccessibili alle municipali biblioteche ; ad applicare le feconde 
verità morali ed economiche e le utili scoperte fisiche ai bisogni del 
commercio; delle manifatture e delle arti. Lascino , per pietà , que’lun- 
ghi rapporti sui lavori del precedente anno accademico , e quelle gene- 
riche dissertazioni sulla Providenza di Dio che si rivela nel corso de- 
gli astri, e sull’ utilità delle scienze; e quelle discussioni, ormai dive- 
nute soggetto mero che provinciale, sia contro sia in favor de’romantici: 
Una memoria letta dal sig. A. Genovesi sull’ utile del sonetto, mì fa 
pensare che a sostegno .di tale assunto si potrebbero addurre sul serio 
tutti quegli argomenti ch’ altri addusse in favore delle unità di luogo 
e di tempo , cioè I. Che rinchiudere un intero canto poetico in quat- 
tordici versi, è cosa più difficile, dunque più bella. Il. Che la lun- 
ghezza del componimento non ne crea l’intrinseco pregio, e che nella 
mole della statua non consiste il suo merito. III. Che non è verisimile 
che la vera passione occupi uno spazio lunghissimo, e si regga sempre 
alla medesima altezza, che dunque la lirica dev’ essere ridotta a quat- 
tordici versi nè più nè meno. IV. Che gl’ italiani sono un popolo caldo 
e civile , e che non amano, come i barbari, le lungherie. V. Che quel- 
l’ indeterminata estensione, lasciando il poeta libero d’ ogni freno , lo 
conduce allo strano , al bizzarro, e fuori dei limiti della bella natura. 
VI. Che quella forma consacrata e inviolabile dei quattordici versi 
rinchiude in sè stessa una particolare bellezza , che nessun’ altra bel- 
lezza può co mpensare ; e che a nessun altro è accessibile fuori che agli 


156 


nomini di gusto profondo. VII. Che il sommo Petrarca avendo prescritto 
la forma del sonetto , ed essendosi questa forma rispettata da tanti altri 
uomini sommi , il volerla spezzare è un insulto che s° usa alle glorie 
passate, è uno sforzo che si fa per tornare all’infanzia dell’arte. Non 
so se il sig. Prof. Averardo Genovesi abbia tenuto questa via per di- 
mostrare | uzile del sonetto: ma certo egli dovrà rimanere persuasissimo 
della forza dei sopraccennati argomenti , i quali insieme con l’utile del 
sonetto vengono a confermare |’ utile delle unità tragiche j e rinforzare 
così l’ un vero con l’ altro. 


0 È 


NECROLOGIA 
Professore G. B. Bat81s. 


Dopo un’assenza di oltre due lustri trascorsi al dì là delle Alpi, 
era in agosto p. p. reduce in Piemonte il venerabile nostro Professo- 
re G. B. Balbis. Affievolita la sua salute meno dagli anni, e dagli 
insulti podagrici, che dalle incessanti elucubrazioni , intorno ad un 
oggetto esigente cotanta perspicacia d’ingegno, vastità , e lucidità di 
memoria , assidno studio , come si è l’ amabile scienza in cui si acqui- 
stò a diritto il Balbis , la fama di essere uno dei primi Botanici del 
secolo , Egli ottenne da Lione un onorifico ritiro , accompagnato da 
tutti quei più gentili risguardi di stima, e di ossequio , inspirati al 
Civico corpo dall’ intimo convicimento del lustro reso alla loro patria, 
dal soggiorno di un così valente personaggio. Perciò dopo aver contri- 
buito colla sua proposizione alla scelta di un successore, giungeva il 
Balbis alla vetta del Moncenisio, ed all’ affacciarsi del dolce Italo oriz- 
zonte, pianse lagrime di giubilo , sì aprì il suo cuore alle più tenere 
emozioni , ed i forti suoi sensi di fervida carità nostalgica non mai 
smentita , parvero in lui riaccendere la primiera solita sua energia. 
Tale lo rivedemmo in Torino , allorchè il contento di saperlo di nuo- 
vo fra noi stabilito, veniva flebilmento amareggiato dalla vista della 
sua caduca salute. Le affettuose sollecitudini intanto de’ suoi congiunti, 
le premure di tutti gli amici , il respiro dell’ aura nativa, ed il favore 
medesimo del Sovrano che si degnò ripristinarlo a membro residente 
dell’ Accademia di Torino , ci fecero sperare di vedere prolungata 
un’ esistenza per tanti titoli alla scienza ed all'Italia preziosa. Quando 
colpito non ha guari da subdola lesione polmonare, venne obbligato 
a coricarsi , ed agli accorsi, inquieti suoi colleghi inspirò sul campo 
la più infausta prognosi. Conscio nondimeno il nostro Professore del 
pericoloso suo stato, egli con la massima filosofica calma non solo sof- 
feriva il male , ma annunziava pure il prossimo suo termine , e ci è 
impossibile descrivere 1’ emozione da' noi sentita, osservando scherzare 


157 

il più sereno riso su quelle labbra. che hen tosto doveano esalare 
l'estremo anelito ; come pur troppo accadde al mattino del 13 febbrajo. 

Nacque il Balbis in Moretto , studiò in Torino , ove presto diven- 
ne Ripetitore di Medicina nel R. Collegio delle Provincie ; entrato nel- 
I’ esercito Italiano, ne fu uno dei primarii Medici; ritornato in Pie- 
monte , coprì in tempi critici impieghi non tuttaffatto accademici, ma 
posteriormente fissatosi nell’ Ateneo di Torino , quivi esclusivamente 
attese alla scienza, ed alla Medica educazione della gioventù Piemontese, 
dalla quale ne era considerato come Protettore, e Padre. Laonde le sue 
lezioni venivano colla massima regolarità frequentate da una copia di 
alunni ognora avidi di sentirlo, ed a cui riesciva una vera festa il poterlo 
ilari seguire ad erborizzare sia sopra gli ameni poggi di Soperga , e del- 
1’ Eremo , come alle fertili sponde dell’ Eridano. Che se peripezie dei 
tempi indussero personali modificazioni nell’Università Torinese fu subito 
colla più grande istanza il Balbis, nel modesto suo ritiro della Crocetta, 
richiesto da lontane regioni a coprire importanti cattedre, e non meno 
dai primi scienziati e Naturalisti del mondo , quanto da varii Governi, 
conseguì magnifiche non dubbie testimonianze del conto in cui egli, e 
per il suo sapere, e per le ottime sue sociali doti, era universalmente te- 
nuto. E questi splendidi contrassegni non fecero che alquanto allenire il 
sincero cordoglio da tutti i suoi Concittadini provato per la repentina 
determinazione presa nel 1819 di andar risiedere in Lione, onde diri- 
gere il giardino botanico di quella popolosa Città , ove si abbandonò 
il Balbis con maggiore vigore al prediletto suo studio, sia regolariz- 
zando l’ orto Botanico , sia terminando la Flore Lyonnaise , come an- 
che ad ulteriore incremento della scienza , organizzando la società 
Lineana , di cui ne fu il Fondatore, e Preside. Le virtù inoltre del 
Balbis sfavillarono di nuova luce in Lione, e gli Italiani colà de- 
relitti, o colà dalla sorte bersagliati , unanimi concorderanno a be- 
nedirne il nome. ri 

Era il Balbis di forme piuttosto atletiche, e virili, con occhio 
scintillante e vivo, che in un atimo scende nel più profondo del cuo- 
re; di temperamento gioviale, di un consorzio ameno , ed  istrutto. 
Dedito passionatamente alla Botanica, peregrinò in estere contrade 
per far ricca messe di piante , la cui collezione formava il suo più 
geloso tesoro. Le opere che lasciò stampate, dimostrano 1’ indole dei 
suoi studj : esse sono in ispecie : Flora Taurinensis ; Flora Ticinese ; 
Flora Lyonnaise; Miscellanee Botaniche ; Memorie Varie ; Materies 
Medica ec. 

Queste poche linee sono , dopo le lagrime , il debole tributo che 
un riconoscente discepolo porge alla memoria dell’ amato suo Profes- 
sore (1); fiducia però lo anima , che presto migliore , e più erudita 


(1) Annunziando , che varii illustri Personaggi risolvettero di erigere un 
monumento sepolcrale alla salma dell’ estinto Professore , siamo certi, che ogni 
cuore tenero di onor Nazionale sarà sollecito concorrere colle sue sottoscri- 
zioni al pronto eseguimento di un tal nobile disegno. 


150 


penna tesserà l’ elogio di Piemontese che illustrò talmente Italia, e 
la cui rimembranza rimarrà perpetua appo chiunque sa valutare l’unio- 
ne delle più belle qualità del cuore col supremo pregio del genio , e 


dello spirito. 


De-RoLanpIS. 


(Estr. dal n.° 14 del Repertor. Medico-Chirurgico del Piemonte.) 


BULLETTINO BIBLIOGRAFICO 


ANNESSO ALL'ANTOLOGIA 


Febbraio 1831. 


CAPO-LAVORI del Teatro fran- 
cese , tradotti in lingua italiana da 
© GiriLLo ABRANTE , corredati di noti- 
zie critiche ec. coll’ originale a risco 
tro. Italia , 1826. Vol. I.° p. i eta 
di pag. LxxxIv e 440 in 12." Prezzo 
franchi 4. 


LA SCIENZA del Bello. Palermo, 
1830. Un volume 8.° di p. xLvI e 160. 


OPERE di G. G. WincKELMANN. 
Prima edizione italiana completa. Pra- 
to, 1830, pei Fratelli Giachetti , 8.° 
Tomo V.° di p. 556 , e Dispensa XVI 
delle tavole in f.° 


ETRUSCO MUSEO Chiusino, dai 
suoi Possessori pubblicato. Con ag- 
giunta di aleuni ragionamenti del prof. 
Domenico VALERIANI, e con brevi 
esposizioni del cav. FRANCESCO INGHI- 
rami. Firenze ; 1831. Poligrafia Fie- 
solana. Fascicolo IV.° 


CECILIA DI BAONE, ossia la 
Marca Trivigiana al finire del medio 
evo. Romanzo storico di Piero Zorzi. 
Venezia , 1830. Tip. del Commercio. 
Volumetti IV. Prezzo l. 6 aust. 


VOCABOLARIO Universale ita- 
liano , compilato a cura della Società 
tipografica Tramarer E C. Napoli , 
1830. Dai torchi delTramater , in 4.° 
grande. Fasc. VI. (BENE-BUZZONE) 
p. 110. Fasc. VII. (G-GAPO) di p. 80. 
i primi del II.° volume ; e preceduti 
da un Discorso intorno a’ principj 
dell’ arte etimologica , di PasquaLe 
BONELLI , p. LXVI. 


FASTI e vicende dei popoli Italia- 
ni dal 1801 al 1815, 0 memorie di un 
Uffiziale, per servire alla storia mi- 
litare italiana. Firenze, 1831, per 


V. Batelli. Tomo V. 


SUL TEATRO di Ferrara nel car- 
nevale del 1830 al 1831, lettera all’Es- 
tensore del Giornale di Bologna, Tea- 
tri, Arti e Letteratura. Bologna, 
1831. Mobili e C. pag. 18. 


PARAFRASI dei dodici salmi, 
delle ore canoniche della mattina e 
degli altri tre 1, 129, e 30, del- 
l’ abate Urano LampreDI. Coll’ ag- 
giunta di quattro sonetti originali sulla 
malattia dell’ autore. Mapoli , 1831. 
Società filomatica. 


SOPRA un periodico straordinario 
sudore, lettera di Massimiziano Ri- 
GaccI, ad un suo Amico, inserita , 
ed estratto del fasc. X. dell’Eco Mace- 
ratese. Macerata, 1831. G. Mancini. 


ATLANTE geografico , fisico e 
storico della Toscana, del dott. At- 
TILIO Zuccacni-OrLANDINI. Tavola XI. 
( Valdarno fiorentino inferiore). Fi- 
renze , 1831. St. Granducale. 


ALCUNE Odi di Q. Orazio FLac- 
co, recate in italiano da Niccorò 
VeccHieTTI. Padova , 1830. Tip. del 
Seminario. 


RAGIONAMENTO critico di Giu- 
sePPE Bozzo intorno la Divina Commedia 
di Dante ALicHieRrI. Palermo , 1830. 
Tip. Reale , 8.° di p. 98. 


CORSO. di matematiche ad uso 
delle scuole militari, compilato dai 
professori di matematiche ALLAIZE ; 
BiLLy , Puissams, Boubros. Traduz. 
del Tenente FERDINANDO Bionvi Pe- 
RELLI, incaricato della direzione de- 
gli studii dei RR. Cadetti d’artiglieria 
in Toscana. Livorno, 831. G. Sardi. 
8.0 Tomo III. 


OPERE volgari di Giovanni Boc- 
cACCcIO , corrette su’testi a penna. fi 
renze. 1831. Ignazio Moutier, in 8.° 
Vol. IX." di p. x1v.\e 434 ; prezzo fran- 
chi 6, 48. 


NUOVISSIMA GUIDA dei Viag. 
giatori in Italia, arricchita di carte 
geografiche postali, delle piante to- 
pografiche delle città principali ; non 
che dei regolamenti e distanze in po» 
ste ; le indicazioni dei nuovi stradali , 
de’ migliori alberghi, e della tariffa 
delle monete in corso, per cura di 
V. L, Milano , 1831, presso £pimaco 
e Pasquale Artaria , aditori 3 in 12.° 
di p. cxxv e 488, con zo tavole, 
piante , e carte geografiche : prezzo 
del semplice testo lire 6 it. ; colle carte 
geografiche e piante lire 13. 


IL VENERDI’ SANTO. Inno del, 
IPAb. Gasimiro. Basr nell’ occasione 
della triennale processione di Prato. 
Firenze, 1831. Leonardo Ciardetti, 8.° 


DELLA GUERRA di Fiandra de- 
scritta dal Cardinal BenTIvoeLIo. Li- 
vorno, 1831. G. Masi. Volume II.” Fa 
parte della Scelta Biblioteca di Storici 
italiani. 


GIORNALE AGRARIO Toscano 
compilato da’ sigg. R. LaMmBRUSCHINI , 
Lapo pe Ricci e Cosimo RinoLer. 
Tomo V. trim. 1," e Gontinuazio- 
ne degli Atti della R. Accademia Eco- 
nomico-Agraria de’ Georgotili. Volume 
VIII , Appendice al {.° trim. Firen- 
ze, 1831, presso l’Editore G. P. 


Vieusseux. 


CONTINUAZIONE degli ATTI 
dell’ I. » R. Accademia economico- 
agraria dei Georgofili di. Firenze. Fi 
renze , 1831 , dalla Tip. Pezzati. Ed. 
G. P. Vieusseux. 

Il prezzo di questo volume è di 
paoli 6 ; e limitato è assai il numero 
delle copie che ne sono state tirate. 

I volumi 1 a 6 della Collezione si 
trovano vendibili dal sig. Guglielmo 


159 
Piatti al prezzo di paoli/5o. = Chi 
volesse an solo di detti volumi dovrà 
pagarlo paoli 10. 

I sigg. Associati a quella Golle- 
zione, e che non lo sono ancora al 
Giornale Agrario , furono , già stati 
avvisati che associandosi a questo gior- 
nale , per sole lire 10 annue , riceve- 
ranno col medesimo e senz’ anmento di 
spesa la Continuazione degli Atti. 

Gol. Giornale Agrario per l’anno 
1830, e col N.° 17; primo fescicolo 
del 1831, è stato dispensato il vo- 
lume VIII,° di essi. 

Dal canto loro, gli Associati al 
Giornale Agrario, che non hanno 
ancora la Collezione degli Atti, po- 
tranno mediante la spesa di paoli, 60 
procacciarsi , sia dal sig. G. Piatti, 
sia dall’Editore dal Giornale Agrario, 
i primi sette volumi, 


ISTORIA del Concilio di Trento, 
scritta dal cardinale Srorza-PALLAVI- 
GINO, separata nuovamente dalla parte 
contenziosa , e ridotta in più breve 
forma, 

Egli è già oltre a due lustri, che 
il chiarissimo Pietro Giordani, prolu- 
dendo con grave discorso storico-critico 
ad una ristampa per noi fatta d’uno 
de’ più reputati lavori del. cardinale 
Sforza-Pallavicino , 1’ Arte della, per- 
fezion cristiana, esprimeva un suo 
desiderio che tutti si vendicassero dal- 
l’oblivione gli scritti da quell’ egregio, 
in lingua nostra dettati , come, quelli 
che riuseirebbero lettura grandemente 
profittevole e dilettosa a chiunque ha 
senso del buono e del bello. Nè sonò 
indarno la voce di quell’ uomo del- 
l’italiane lettere sì benemerito ; chè 
dell’ illustre prelato si videro, non ha 
molto ; rimessi in luce il Tratto del- 
lo stile e del dialogo 5 una, scelta 
di Lettere ; e recentemente ; pei no- 
stri tipi, i libri intitolati Del bene: 
e furono tali opere da ogni studioso 
accolte con quel favore che agli esem- 
plari del bello scrivere non suolve- 
nir meno giammai. 

Non ultimo luogo tra i layori:del 
nostro Autore, sì per l’ importanza 
dell’ argomento , sì per la bontà dello 
stile, occupa; a parere nostro, ,, la 
storia ch’ egli descrisse del ;sinodo., 
nei fasti della Chiesa sopra ogni ;altro 
memorabile , celebrato in. Trento. 
Gonciossiachè , oltre le guerre teolo- 
giche ; ... hanno gran campo in quella 
lunga opera molte quistioni di stato, 
e vi trionfa l’ eloquenza italiana, se 


160 
non purissima , certo maestosa. L’Au- 
tore fu sommamente studioso della lin- 
gua , e ne faceva solenne protessione; 
e manifestamente desiderò di essere tra 
gli scrittori che 1’ accademia fiorentina 
riceve per esempi dell’ottimo favellare... 
e due volte limò la Storia perchè gli 
riuscisse di lingua pulitissima. E tanto 
»bramò di procacciare molti lettori a 
quell’ opera. e parrebbe fiducia di al- 
lettarne colla grazia dello scrivere che 
poi la divulgò in altra forma ( sotto 
nome del suo segretario), mondata dal- 
le spinose controversie teologiche ‘e 
ridotta a quello che ha di piacevole 
e curioso la narrazione. ,, In questa 
sentenza ragiona sul proposito dell’ope- 
ra onde trattiamo il sullodato Gior- 
dani: il quale, procedendo innanzi a 
libero sagace confronto del Pallavicino 
con altri insigni scrittori e della stes- 
sa e della vicina età, segnatamente 
storici, e motati di ciascuno senz’a- 
mor di parte i pregi nè dissimulate 
le mende, conchiude affermando es- 
sere la pallaviciniana istoria £ opera da 
pregiarsene grandemente 1° eloquenza 
italiana e mostrare uno scrittore di alto 
ingegno , di molta dottrina, di grave 
facondia e di costume nobilissimo. ,, 

Un siffatto giudizio di valentissimo 
ingegno , nello assolverci che fa dal de- 
bito di favellare noi istessi a commen- 
dazione dell’opera (chè difficilmente il 
potremmo ron più acconce parole), giu- 
stifica altresì a sufficienza il partito che 
abbiamo preso di riprodurla inserendola 
nella ‘nostra Biblioteca scelta. Peril 
che, senza dilungarci più oltre, ci 
limiteremo ad avvertire che la Storia 

‘ del Pallavicino, che intendiamo ristam- 
pare alle sottodescritte condizioni, è pre- 
cisamente quell’ ultima soprammento- 
vata dal Giordani e pubblicata in Roma 
nel 1666 coi tipi del Corvo ; ed a pro- 
mettere dal canto nostro nella nuova 
edizione tutta quella maggior diligenza 
che al merito dell’ opera si conviene. 
E ne giova sperare che le cure che 
ci daremo non comuni in cotesta im- 
presa abbiano a rispondere pienamente 
al desiderio degli studiosi, in specia- 
lità del ceto ecclesiastico , a cui per 
più ‘rilevanti ragioni che quelle non 
sono dell’ eloquenza e della lingua dee 
un' tal libro essere vivamente racco- 
mandato. 

Condizioni dell’ associazione. 

I. L’opera sarà divisa in sei volu- 
mi di pag. 450 uno per l’altro in 
16." grande, carta sopraffina levigata. 

II. Ogni volume si darà ai signori 


——rr—_—_rP_m_rr__——————Te === coneca 


associati per lire 3. So austriache, od 
italiane lir. 3. oo, non computato il 
ritratto dell’ Autore , che verrà dato in 
dono. 

III. I nomi dei signori associati coi 
loro titoli saranno descritti in apposito 
elenco, 

IV. Si concederà la tredigesima gra- 
tis a chi guarentirà dodici associati 0 
prenderà dodici copie in una volta. 

V.I volumi si succederanno inter- 
polatamente con altre opere della. Bi- 
blioteca scelta. 

VI. Il primo volume verrà pubbli- 
cato nel venturo mese di maggio ; e 
intanto si raccoglieranno le firme dei 
sigg. Associati in Milano dal tipografo 
Gio. Silvestri, Gorsia del Duomo, 
n.° 994 3 nelle altre città da tutti i 
librai che vorranno incaricarsi di cor- 
rispondere col suddetto. 

Milano, ro Marzo 1831. 


LIBRI ITALIANI 
STAMPATI ALL’ ESTERO. 


NAPOLEONE a $S. Elena, ovvero 
estratto de’ memoriali de’ sigg. Las 
Gases e O°M.ara, volgarizzati con 
note originali, che servono di confuta- 
zione alla storia di Napoleone scritta 
da Walter-Scott. Lugano , 1830. G. 
Ruggia e C.., 12.° Tom. V.° e VI® 


L’ EUROPA nel medio evo , fatta 
italiana sull’ inglese da ArrIGo Ha 
Lam per M. Leoni. Lugano , 1831» 
G. Ruggia e €. ,8.° Vol. II. 


DEL MERITO e della ricompen- 
sa , trattato storico-filosofico di MxL- 
cniorre  Groya ,' autore del. Nuovo 
prospetto delle scienze economiche. 
Lugano , 1830. G. Ruggia e Ca, 
Seconda edizione in 4.° Tomo lL.° ed 
ultimo dip. 324 ; prezzo L. 15 it. 


MEMORIE di Lorenzo da Ponte 
da Ceneda , in tre volumi. Seconda 
edizione , corretta , ampliata ed ac- 
cresciuta d’ un intero volume , e di 
alcune note. Nuova Jorca, 1830, 
pubblicata dall’ Autore. Si vende in 
Pisa, al prezzo di paoli 18, presso 
il sig. Alessandro l’orri. 


OSSERVAZIONI semi-serie di un 
esule ( G. PeccHÙio ) sull’ Inghilterra. 
Lugano , 1830. G. KRuggia eC., 
12.", volume di p. 364. 


OSSERVAZIONI 
METEOROLOGICHE 


FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO 
DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE 
Alto sopra il livello del mare piedi 205. 
FEBBRAIO 1831. 


DI Termom.| = | * > | 
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3 a i s [S5| 3.8 Stato del cielo 
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7 mat. |27. 11,3 1,3|—2:2; 89 |. iLev.  jSer- Ragnato Ventic. 
1| mezzog. |27. t1,4 1,0!4-1,0| 72 Tram. ‘Nuvolo neb. Calma 
trsera [27. 11,5 1,0 +-2,0! 68 Lev... Nuvolo ser. Ventic. 
7 mat. [27. 11,0 1,2] 2,0 8 Lev. |Nuvolo Calma 
2| mezzog. |27. 10,0 1,0] 4,5| 89 | 0,02[Sc. Le. |Pioyoso Calma 
II sera |27. 10,0 1,9) 3,51 95 | 0,03[Sciroc. | Nuvolo Calma 
7 mat. |27. 11,8 2,0 3,0 9 |Sciroc. | Nuvolo Calma 
3| mezzog. |28. 0,2.| 2;5] 5,8) 95 Sciroc. | Nuvolo Calma 
ri sera |28. 0,31 3,01 6,4] 96 {Sciroc. !Nuvolo Calma 
7 mat. [27. :1,9 | 3,9) 8,0] 90 Sciroc. [Nuvolo [Calma 
4| mezzog. 127. 11,7 4,5] 10,0] 85 Sc. Le. | Nuvola Ventic. 
lr sera |27. 11,7 5,4| 7,8] 96 Sciroc. |Nuvolo Calma 
7 mat. |27. 11,7 57 7,0) 96 — —|Ostro .|Nuvolo ser. Calma 
5| mezzog. |[27. 10,9 | 6,0] 8,7| 95 Libec. |Nuvolo caligin. Calma 
_| rt sera [27. 8,1] 6,3] 8,8] 98 | 0,25|Libec. [Pioggia Calma 
7 mat. j27. 9,1 6,0] 5,1] 70 [o,2j|Tram. |Sereno Ven. fiero 
6) mezzog. 27. 10,6 | 6,5| 7,7| 66 Tram, |Ser. con no. sp. Ventic. 
_| 3 sera [28. 0,1 6,2) 5,51 65 Fram. |Sereno Vento 
7 mat. {28. 0,0 | 61! 5,0| 72 Po. Ma. ;Sereno, neb. Ventic. 
7| mezzog. 128. 1,3 6,0|. 7,3| 61 Sc. Le, | Ragnato Ventic, 
_! 1rsera 128. 2,0! 6,01 4,3] 801 ISciroc. ;Sereno nuv. 


La 


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Stato del cielo 


e — <= eee E" I 
È mat. |28. 3, 5,7} 2,9) 95 Sciroc. |Sereno ragn* Ventic. f 
si mezzog.|28. 3,0 5,8] 7,1| 78 Sciroc. |Sereno Calma 
È It sera }t28. 4,0 6,3] 5,5! gi Sciroc. |Sereno Calma | 
7 mat. 28. 5,0 | 6,1 Ti 92 Sciroc. Sereno ragn. Ventic. & 
9| mezzog.;28. 5;,0.| 6,6| 98) 74 Sciroc. |Sereno Calma | 
II sera 128, 5; 7,7) 9,9| di Tram. |Sereno Ventic. $ 
| 7 mat. AG: 6,0 | 7,7) 6,9) 77 Lev. |Sereno ragn. Calma Y 
ro; mezzog.!28. 6,0 | 8,4! 13,61 4o Tram. {Sereno ragn. Vento & 
_| tt sera 28. 6,0 9,0 8,0 r8 Greco |Sereno Ventic. 
7 mat. |28. 5,9 8,4 6,3) 80 Sciroc, |Sereno Ventic. 
ti mezzog. 28. 5-9 | 8,8) 10,7: 5I Sciroc. | S. con neb. bas. Calma @ 
| ri sera |28. (5,1 | 9,6, 8,0' 92 Sciroc. | Sereno Ventic.! 
7mat. |28. 4,4 | 94| 5,5] 80 Sciroc. | Sereno puris. . Ventic. 
12| mezzog.|28. 3, 9,2| 10,5] 85 Sciroc. | Sereno Calma 
ri sera |28. 2,) | 1o,o] 9,4| 96 Ostro |Nuvolo Calma | 
7 mat. {28. 0,9 9,8 7,8 9  [Ostro {Nuvolo neb. Calma 
13 mezzog. 28. 0,9 | t0;,of 13,0] 42 Tram. |Sereno;Ragn. Ventic. fl 
| ar sera |28. 1,9 9,9] 6,8] 60 Sc. Le. | Sereno Ventic. fl 
7 mat. |28. 2,0 9,3] 2,8] 33 Sciroc. {Sereno Calma 
14) mezzog.|28. 2,0 | Qg9n| 9,2) 53 Tr. Gre»! Sereno Ventic. | 
ri sera (28. 2,8 9,1] 6,8) 62 Greco. |Sereno Ventic. fl 
7 mat. |28. 3,0 8,2] 4,5 6 G. Tr. |Sereno Vento W 
15| mezzog.|28. 3,4 7,9) 6,6| 51 G. Tr. |Sereno Vento | 
rr sera |28. 3,4 | 7,3] 4,9] 56 | Tram. |Sereno Ventic. | 
7 mat. | 7 mat. [28. 3,6 | 7,9] 1,2] 83 {Sciroc. | Sereno Ventic. 
16] mezzog.|28. 3,7 6,6 - 5,8| 61 Sciroc. | Sereno Ventic. 
rt sera |28. 3,3 7,0) 4,5| 78 Sciroc. | Sereno Ventic. @ 
7 mat. |28. 2,0 6,7| 2,8| 94 Sciroc. |Nuvolo Calma. 
{7| mezzog.|28. 1,8 | 6,5 4,9| 96 | o,ot|Sciroc. |Pioggia Calma 
tr sera |27. 1I;3 6,0| 5,0 _] rt sera |a7. 11,3 | 6,0] 5,0] 96 | —ISciroc. |Nnvc Sciroc. |Nnvolo Calma. 
7 mat. |27. 7 mat. [27. 108 | 5,8] 6,11 78] |Tram. |Nuv 78 Tram. |Nuvolo Ser. Vento., 
18] mezzog.|27. 112 6,3) 8,1| 59 Gr. Tr. |Nuvolo Vento. 
tr sera 127. 11,9 6,4 dI 52 Gr: Tr. |Nuvolo Vento, 
7 mat. |27. 11,9 6,3] 6,3) 50 ‘Tram. |Ser. son neb. Vento 
(9| mezzog.|27. 11,9 | 6,8] 7,9 48 Gr. Tr. |Ser. nuv. Vento 
r\ sera /27. 11,3 6.4g1 5,0 62 Tram. |Ser. con N. has. Ventie: 


rn — na | È 


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(eo) Lerinuin. n n >: 
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Ss SD î n (O) 8 
-) O) ° ° Ù ] 
7 mat. |27. 10,0 6,3] 2,9) 73 Tram. |Sereno Calma 
20 mezzoz. |27. 9,1 6,0 7,0] 43 Tram. |Ser. con nuv. Ventic. 
RERCSETa |27. 8,5 6,7] 4,9| 61 Lev. Ser. neb. Ventic. 
7 mat. |27. 7,3 6,0] 1,0, 82 | |Lev. |Ser.con neb. Calma 
2I|mezzog. |27. 7,3 # 3,9) 6,51 49 Gr. Tr.|Ser. con n. rotti Vento 
11 sera |27. 8,0 | 5,8] 4,4| 63 Gr. Tr.|Se. con nuv. Vento 
7 mat. (27. 81 | 5,1! 3,0 72 Greco |Ser. con nuv. Vento 
22|mezzog. |27. 8,2 5,1] 5,8) 49 Gr. Tr.| Ser. con n. ‘Ven. imp. 
rt sera |27. 7,9 | 5,2| 4,0] 60 Tram. | Nuvolo Vento 
7 mat. |27. 7,9| 4,6| 3,0| 72 Tram. | Nuvolo Vento 
23|mezzog. |27. 8,6 5,2) G,o| 62 Tram. | Nuvolo Vento 
It sera 27. 10,0 5,0j S,0o| 55 Gr. Le. Nuvolo ser. Vento 
| 7 mat. |27. 112,0 | 4,5] 3,8| 5 Gr. Le. [Ser, con nuv. Ventic, 
4imezzog. |27. 11,7 | 4:9| 5,0) 58 Greco !Ser- con nuv. Vento 
11 sera |28. 0,0 | 4,8) 4,0) 52 Gr. Tr.; Sereno Vento 
m mat. |28. 0,0 453) 2,5) 58 Tram. !Sereno Vento 
S'mezzog. |28. 0,0] 4,8) 6,1] 42 Tram. {Sereno Vento 
ir sera :27. 11,3 | 5,1] 3,1] 52 Gr. 'Pr.iSereno Ventic. 
7 mat. (27. 11,4 | 4,9) 2,0] 58 Sciroc. | Ser. neb. Vento 
26|mezzog. |27. 10,9 | 5,0 7,0: 42 Os. Sc. | Ser, ragu. Calma 
Ii sera |27. 10,3 5,9! 5,0] 75 Libec. |Nuvolo Calma 
7 mat. |27. gi 5,8 "49 95 ‘0,03| Lev. . lPiovoso Ventic. 
27 mezzog. |27. 9,0 6,2 7,2] 90 Pon. bi: Nuvolo Ventie. 
rt sera |27. tt sera |27. 9,5 61 6,9; 96 Sciroc. |Nuvolo Calma 
7 e n do ici sE $,0| 90 | 0,08 Ostro }|Nuvolo Ventic. 
8|mezzog. 9,8] 83 Os. Li. |Nnvolo Ventic. 
11 sera n i 9,9] 90 Os. Li. Nuvolo Ventic. 


È tizio Regio: Î a CPSI 
Lombardo Veneto : ale e 
sno. sarde - E = ssaa, L 


Mu 


n ca ti s—scudì 8. > 


6 a 


sì esaurita) ‘non si può rilasciare a meno di 


Gli ‘anni separati. ‘dal 1821 al 1829 3 quando esistano 
Un fascicolo sciolto , qpondo sia disponibile. 


franco di porto 
perla posta 


franco di porto 
per la posta 
franco alle frontiere 
per la posta 
franco di porto 
per la posta 


“franco alle frontiere 


franco Torino 
o Milano. 


franco Parigi 
per la posta 


L'intera collezione dei 10 anni, 1821-1829 N.° 1a .120, in 40 voluini broché 


L. 300 
n 24 
Paoli 5 


INDICE LL. 


DELLE MATERIE, 


CONTENUTE 


14 


NEL PRESENTE QUADERNO. 


— °° > 


Crenografia dello scibile umano , ec. Tavole Jide di Gion RAVE 


De Pamphilis. — Saggio d’una nuova classificazione delle scien= |. 


ze, di Luigi Ferraresi. — Sul bisogno d’un coordinamento d’una | 


nuova classificazione delle cognizioni scientifiche e letterarie, di 


Agostino Longo. S ph (K-X. Y. J — W 


Idee sulla filosofia delle scienze morali e pulicohe: - (G. Bertolli). 


Cenni istorici sull’origine della stampa e sull’ artefice che prima deg 


uso di caretteri sciolti e fusi, - Art. II. SIE Tonelli) Ù 
Iliade\ poliglotta. — Esistenza d’Omero , éc. Art. II. (M.}. 


— Commentari della Rivoluzione francese ; dalla morte di Luigi XVI, 


10297 


d 


sino al ristauramento de’Borboni sul trono di Francia , scritti da. 


Lazzaro. Papi. (F. Forti) 
Saggi di morale e di economia privata di Beniamino Franklin. Prima - 


traduzione italiana. | i (XX.} 


Rivisra LETTERARIA. = M. Tenore. Opere varie di botanica, pi 118. 


— Silvio Pellico. Opere inedite, p. 127. = G. G. Ferrari. Aned- 
doti piacevoli, p, 128. = Bianchini. Della città di Novarra p. 179. 


— Fleming. Filosofica zoologica , p. 13%. — Pomba, Libreria 


universale d’opere di provata ua istruzione , p. 36, Fol- 
chetto Malaspini. Romanzo storico, p. 136. 


Bvrrerriwo scientIFICO-LErtERARIO. = Meteorologia , pi 139. —= Fi= 0 
sica e chimica, p. 142, — Lettera del sig. Birbeck al cav. Aldini , 
p. 145. — Corso: gratuito di geometria e meccanica , applicata 


alle arti e mestieri, istituito dal march, L: Tempi , p+147. -— Dax 


e istruzione delle truppe; Svezia, esercizi ginnastici, 


p. 149. = Lettera del sig. Champollion Figeac, intorno alla Bi- 


» 8 


W) 


blioteca petrarchesca del sig. Marsand, p. 152. == Società filo. © 


drammatica di Siena , p. 152. — Pea degli Euteleti di 
Samminiato , p. 155. i 
Necrotocia. Prof. G. Balbis. 
Bullettino bibliografico. 
Tavole metsvorologiche. 


î 
fi A 
SIA 


ANTOLOGIA 


GIORNALE I 


go 


CIENZE, LETTERE E ARTI 
= 


? da Ò del 2. Decennio 
Marzo 1851. 


| Palli ed A (/ 24 Magg, 


« 


SR FIRENZE 

AL GABINETTO SCIENTIFICO: E LETTERARIO 

| pi G. P. VIEUSSEUX. 
DirerroRE E Eprrore 


frei 
TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. 


L ANTOLOGIA sì pubblica ogni mese per fascicoli non minore di fogli to. 
Tre fascicoli «compongono ub volume , ed ogni “volume è accompagnato da uni 


indice generale delle materie. > TESTE n 


Le associazioni si prendono SORIA 
In FIRENZE, dal Direttore Editore G. P. Vieusseux. "ARE 
in MILANO , per tutto il regno { dalla Spedizione delle Gazzette, — te 
‘Lombardo Veneta $ presso ’I. e R. Direz. delle ‘Poste. pui til 


in TORINO $ per tutti li Stati Sardi, presso il sig. Luigi Croletti, impiegato nelle 
R. Poste di Torino. 


o GENOVA 
in MODENA presso Gem. Vincenzi e C.0 librag 
in PARMA — presso il sig. Derviè direttore delle Poste. 


in ROMA; per tutto lo stato Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegat 0. 
nell’amministraz, gen. delle Poste Pontif.; 


presso il sig. Direttore delle Poste.) 


in BoLocnaA, 
presso Annesio Nobili. 4 


in PesARo, 
in NAPOLI, presso Ambrogio Piccaluga , Stile S. Liborio N. "I 
È. presso il sig. Carlo Beuf..' 


in PALERMO , per tutta la Sicilia 
presso la Direzione delle Cassette. 


in AUGUSTA 
in VIENNA, per tutto l'Impero Austriaco, dalla Spedizione delle Gazzette ,. * 
presso 1° I. e R. Direzione delle Poste.) 


fd 


presso J. J.: Paschoud. 


in GINEVRA a 
in PARIGI . presso-J. Renouard Rue de Tournon N. 6 
in LONDRA presso C. F. Molini N. 41 Paternoster Row. 


tc 
x 


sillaao SUESO 


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AAA ae VINO 


ANTOLOGI 


N. 125 


DELLA COLLEZIONE. 


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0 
N- 53e DEL SECONDO DECENNIO 


MWarxzo 1891, 


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GIUSEPPA GRASSI 


CENNI BIOGRAFICI. 


8. un amore sincero ed operoso delle lettere e dell’onore 
italiano , se la stima e PF affetto d’ uomini illustri e di beneme- 
rite società letterarie, se il suggello del dolore e della sven- 
tura che co’ suoi mesti colori raddoppia il placido lume della 
virtù e dell’ ingegno, e li fa quasi sacri, se questi titoli val- 
gono a rendere deplorabile ai buoni una morte, ed onorata 
una tomba, certo non parranvuo soverchie le parole di deside- 
rio e di doglianza che noi consacriamo alla memoria di G. Grassi, 
degno concittadino di que’ Piemontesi valenti in cui la patria 
ripone tanta parte del suo presente decoro, e tanta delle sue 
più sicure speranze. 

Risaputa appena la perdita di quest’ uomo rispettabile , 1'An- 
tologia s’ era già data a raccogliere le notizie della tranquilla 
sua vita, per innalzarne al nome di lui un modesto sì ma da 
tutti desiderabile monumento, come a buon letterato e a buon 


2 

cittadino. Quando una fortunata e benevola mediazione, e la cor- 
tesia d’ un degno estimatore di tutti i nobili ingegni, ci of- 
ferse il piacere di porgere a’ nostri lettori una biografia del 
Grassi scritta dal Grassi medesimo. Di questo bel monumento 
che noi dobbiamo ad un felice pensiero del ch. Mons. Muzza- 
relli, si avrà la ragione in una lettera di lui, che qui pub- 
blichiamo. 


Al Padre GramzarrIisra Rosani delle Scuole Pie. 
Cariss. Amico. 


La morte di Giuseppe Grassi torinese accaduta ai 22 del corrente 
anno , deve certo essere stata amara a tutti quelli che sono innamo- 
rati della sapienza italiana, e a voi particolarmente , il quale, oltre il 
vincolo degli studi , eravate a lui legato con quello della patria vici- 
nanza. Quindi a temprare alquanto il comune dolore , e il vostro, io 
ho pensato di por fuori la sua biografia tal quale io la ebbi da lui 
medesimo , quando lo richiesi, come feci agli altri i//ustri viventi , di 
siffatto favore. Ed io avrei già a quest'ora colorito in gran parte il 
mio disegno ; di compilare una schietta ed esatta biografia degli 1 
lustri Viventi, se molti per soverchiante modestia, ed altri per ignote 
ragioni, non avessero fatto frode al mio desiderio. Il quale per mio 
pensare non era nè vano nè infruttuoso, venendosi per tal via a pre- 
parare materia pronta e verace a chi scriverà la storia de’ famosi del 
secolo XIX. Premetto poi alla biografia la lettera con che egli me l’ac- 
compagnò , affinchè si vegga che non era minore del suo ingegno la 
sua gentilezza. E poichè io posseggo (mercè la cortesìa dell’ egregio 
letterato a cui fu indiritta ) un’ altra sua molto giudiziosa e utile 
a’ buoni studi, io la unisco al resto, confidandomi che possa tornar 
gradita e profittevole. Se a quest’ uomo lodato dai più lodati della no- 
stra nazione , fosse stata men feroce la-fortuna e meno crudele la 
natura , egli avrebbe giovato più grandemente alle scienze e alle let- 
tere, e avrebbe vie meglio ringrandito l’ onore di nostra gente. L’ in- 
titolare poi che fo a voi questa cosa, abbiatelo per segno della stima 
e dell’ amore che io già da gran tempo vi protesto ed offero. 
State sano. 

Casa 30 Gennaio 1831. Il vostro Aff. Amico 

G. E. MuzzarELLI. 


A Mons. MuzzaRELLI. = Roma. 
Monsignore. 


La mia tardanza a rispondere alla lettera, della quale V’E. V. Rev.® 
mi ha onorato in data del 29 dello scorso, troverà facil perdono nel 
gentile animo suo, quando Ella sappia il compassionevole mio stato , 


3 


in cui la perdita della vista è il minore de’ mali ch’ io soffro. Ora io 
mi affretto ad attestarle tutta la mia gratitudine per le cortesi sue ri- 
chieste , le quali venendo sino a me , oscurissimo fra gli Italiani , mì 
onorano oltre ogni mio merito , senza levarmi in orgoglio. Quindi per 
mostrarmi riverente a’ suoi cenni e per solo desiderio di ubbidire a chi 
mi era da gran tempo noto per fama , raccolgo in poche parole i fatti 
principali della mia vita letteraria , che basteranno , e forse saranno 
anche troppi a quell’ impresa cui 1° E. V. Rev.* intende per amore 
della patria comune. Prego pertanto 1’ E. V. Rev.* ad avergli come 
pegno della mia servità , ed a permettermi di attestarle rispettosamente 
quegli inalterabili sentimenti di devozione e di riconoscenza coi 
quali ho l’ onore di raffermarmi 

Torino 24 Ottobre 1829. U mil. ed Obbl. Servitore 

Grassi. 

Nacqui in Torino di poveri parenti il 30 di Novembredell’anno 
1779 : venni educato nelle pubbliche scuole ; e quando le vicende della 
guerra rotta sull’Alpi nel 1792 trassero con sè la rovina degli studi , 
entrai nel seminario di Torino per proseguirgli ; e ne venni pure di- 
sturbato dall’ invasione de’ Francesi, che occuparono allora tutto il 
paese : quindi mi fu forza d’avvisare alle vie più pronte di provvedere 
al sostentamento della mia povera famiglia. Sottentrai perciò a varie 
modestissime cariche nella pubblica amministrazione del Piemonte, sia 
quando si resse a stato , sia quando cadde sotto la podestà di Francia. 
Non abbandonai tuttavia le lettere italiane : ed il mio primo saggio 
in esse fu l’Elogio storico del Conte Saluzzo, pubblicato nel 1812, 
del quale anche adesso arrossisco meno degli altri lavori fatti in età 
più matura , per una certa sua indole , che sotto straniera dominazio- 
ne ritrae un non so che di generoso e di franco. Nutrito nella clas- 
sica letteratura, che fu nelle delizie della mia prima gioventù, come 
è soave conforto di questi estremi avanzi della mia vita, aveva pur dato 
mano a quel tempo ad una traduzione in versi sciolti delle satire di 
A. Persio, tre delle quali mi vennero finite non senza grave fatica , 
e corredate di note critiche ed archeologiche : mi astenni per altro 
dallo stamparle , quando m’ avvidi del poco frutto che avrebbe messo 
un lavoro impreso per solo esercizio di lingua e di stile. Compiacqui 
l’anno appresso ai tempi che correvano; ed avvezzo per dovere 
all’ idioma francese , feci di pubblica ragione in quella lingua un 
Abbozzo statistico dell? antico Piemonte , che varcò l’Alpi , e non parve 
barbaro in Parigi, ove fu benignamente accolto. Sul finire del 1816 
diedi alla luce il Dizionario militare , ragguardando piuttoste al biso- 
gno della patria mia, che non alla fama che me ne sarebbe potuto 
venire : posposi le gloriuzze del letterato agli obblighi di cittadino , 
ben fermo peraltro di rivederlo e ricorreggerlo , quando il tempo fosse 
per consentirmelo. Intanto, stretto da gran tempo in amicizia col Mon» 
ti, mi congiunsi con lui nella sua nobile impresa della Proposta, per 
la quale scrissi un Parallelo dei tre vocabolari italiano , inglese e spa- 


4 


gnuolo , ch’ egli stampò nel terzo volume di quell’ opera ; tacendone, 
da me pregato , il nome dell’ antore. Le ricerche alle quali mi era 
dato per far cosa grata all’ amico, mi trassero a lunghi e serii studi 
intorno alle origini dell’ italiana favella , dai quali uscirono spontanei 
quei Sinonimi da me pubblicati nel 1820 come saggio di opera assai 
più estesa. Queste gravi fatiche , delle quali l’ Italia non vide che la 
mostra, mì consumavano la salute; alla quale diede un ultimo crollo 
la cura infinita ch’ io posi nel ridurre alla schietta loro lezione , e 
nell’illustrare con note perpetue e con dissertazioni apposite gli Afo- 
rismi militari del Montecuccoli , guasti dal Foscolo nella sua splendida 
stampa di Milano , e da me ripubblicati in Torino sul fine del 1821. 
L’ amore della lingua d’ Italia, che non si scemava per avversità di 
tempi , mi fece durare , benchè preso da grave malattia , negli studi 
etimologici, dai quali non mi spiccai se non quando piacque a Dio 
di privarmi del più prezioso de’suoi doni , quello della vista , che fu 
sul principio del 1823 , colla sopraggiunta d’ una crudele infermità di 
nervi , la quale non avrà termine se non colla vita. M° acconciai alla 
meglio colle mie calamità: e ad ogni breve tregua che mi concedono , 
attendo animosamente a dare al mio Nuovo Dizionario militare quella 
perfezione che per me si potrà maggiore. Di quest’ opera , allargata 
ora a tutte le milizie antiche e moderne , e che già mi costa dodici 
anni di assidua fatica, ho dato l’anno scorso un Saggio nell’ Antologia. 
Essa potrà essere pubblicata , se così piace alla divina provvidenza, 
fra due anni al più; ed in questo mezzo tempo potranno , sotto la 
stessa condizione, comparire alcune /ettere filologiche , che ho ripi- 
gliato a dettare per dichiarare le vere fonti delle lingua italiana, anzi 
delle lingue moderne dell’ Europa latina ; lavoro posto in cima a’miei 
primi studi, e che ne sarà forse 1’ estremo. Nel 1816 , cioè nella re- 
stituzione della R. Accademia delle scienze di Torino , venni eletto a 
socio ordinario residente di questo illustre corpo scientifico ; e nel 
1825 succedetti alla chiara memoria del barone Vernazza nella carica 
di segretario per la classe di scienze morali , storiche e  filologiche , 
carica nella quale i miei dotti colleghi vollero con voto spontaneo 
confermarmi anche dopo la mia cecità. Nel 1828 venni eletto a socio 
corrispondente dell’ I. e R. Accademia della Crusca. Alcune altre ac- 
cademie , fra le quali l’Arcadia di Roma, mi fecero l’onore di ascriver- 
mi fra i loro soci. 


Da queste brevi e parche parole non solo si può trarre no- 
tizia degli studii e dell’ opere del buon Grassi, ma ciò, ch’ è 
meglio, del modesto animo suo. Ci sia ora permesso d’ aggiun- 
gere ai fatti un breve commento. 

Due titoli principalmente vanta G. Grassi , come autore, alla 
gratitudine e alla lode de’suoi concittadini : il Saggio de’ Sinonimi, 
e il Dizionario Militare: opere non di mero filologo ma di caldo 
italiano, utili e pel bene ch° han fatto e per quello ch’ hanno 


5 


agevolato e promosso. Lo studio de’ sinonimi, che nelle lingue 
antiche ebbe cultori valenti; a cui tanti illustri francesi, Vol- 
taire , Diderot, d’° Alembert, Guizot non isdegnarono di dare 
un pensiero; di cui preziose traccie s’ incontrano in tutti i 
grandi scrittori, che n’ ebbero un mirabile istinto ; questo stu- 
dio non sclo era sconosciuto in Italia, ma il vizio ch’ esso ten- 
de ad estirpare, veniva dai più riguardato come una rara bel- 
lezza, come un privilegio della ricchissima nostra lingua. Nou 
era solo il pedantesco lavoro del Padre Rabbi, la regia Purnassi 
degli oratori e de’ verseggiatori men che mediocri, non era esso 
solo che insegnasse a sostituire a capriccio l'un vocabolo all’al- 
tro, e così per un miserabile studio di varietà (che alla fine 
tornava in monotonia ) falsare la vera proprietà della lingua , 
e rendere la lingua scritta sempre più schiava all’ arbitrio de’ pa- 
rolai: ma questo di por mente alla differenza natural delle voci 
che ne’ grandi scrittori, ripetiamo , è istinto. invincibile , co- 
minciava anco in essi a indebolirsi, per forza della stessa con- 
suetudine, ormai reputata diritto. Per porre in onore lo stu- 
dio delle sinonimie , al quale del resto, appena proclamato , il 
buon senso della nazione doveva concorrere con unanime voto, 
per porlo , io dico, in onore, conveniva aprire una via larga , 
agevole, luminosa; proporre le differenze più palpabili , illu- 
strarle con esempi evidenti e con diffuse dichiarazioni, con- 
dire le distinzioni con qualche utile o leggiadra sentenza, e con 
quest’ arte altresì vincere ed allettare i più schivi. E ciò fece il 
Grassi. Quel picciol saggio fu con amore e con rispetto accolto 
da tutta Italia: e ne son prova le dieci edizioni, uscitene in 
men di dieci anni. Se i successori del Grassi potranno o allar- 
gare il suo disegno, o attenersi (costretti dalla ricchezza della 
materia ) a dichiarazioni più brevi, o notare differenze meno 
percettibili e più rare, o insomma tendere all’ utilità con men 
sollecita cura di lusingare , al Grassi dovranno in gran parte il 
successo dell’ opera loro; al Grassi che primo aperse la via. Da 
questo merito , quanti difetti potrebbe una rivalità soverchia- 
mente severa notarvi, son tutti coperti: e quel breve saggio 
basta da sè a collocare il valent’ uomo tra i benemeriti delle 
lettere patrie. 

Con iscopo ancor più direttamente rivolto all’ onor nazio- 
nale, pubblicò il Grassi quel Dizionario militare italiano, la 
cui rifusione tanto gli costò di cure e di studi. Inutile vergo- 
gna pareva a lui questa , dover 1’ Italia mostrarsi ligia all’ armi 
straniere fin nella lingna, quasi dimentica ormai d’ ubbidire alla 


6 


voce de’ proprii capitani. Ed invero, fino a tanto che la sventu- 
rata nazione ebhe armi proprie da resistere in parte almeno al- 
l’ altrui prepotenza, seppe conservare ancora linguaggio mili- 
tare suo, quantunque conculcata ed invasa ad ogni tratto da’ 
barbari. Quando all’ombra d’ estrania grandezza credette poter 
ricuperare la propria, allora le venne perduto anche l’uso della 
propria favella: ultimo avvilimento , che, sebbene accompagnato 
da fallaci indizii di momentanea gloria e ben essere ; ai previ- 
denti veniva presago di ben più profonde sventure. L’ invasione 
prima, che nella lingua militare, come nel suolo e nel sangue 
degl’ italiani, fece dieci secoli fa la barbarie longobardica , s è 
per la prescrizione potentissima della tirannide ( prescrizione sem- 
pre più rispettata che quella de’ naturali diritti), s'è, dico, 
immedesimata ormai nella lingua: e di quelle a’ nostri maggiori 
sì gravi e sì abborrite parole avvenne ciò che delle longobarde 
famiglie, che acquistarono la cittadinanza d’ Italia, e suonarono, 
insieme con le indigene, accette e onorate: ma questa novella 
invasione della francese civiltà nel linguaggio militare dell’Ita- 
lia moderna, io non so se sperare si possa che per prescrizione 
si venga legittimando: certo 1’ acconsentirvi, nello stato cui 
ora sono le cose , sarebbe doppia nostra vergogna. 

Ell’ era dunque fatica di buon cittadino questa del Grassi, 
rimettere nella cognizione dei più le dimenticate parole di quella 
coraggiosa milizia italiana che seppe le tante volte rispingere 
l’ impeto congiurato della straniera viltà ; e se da ultimo cedere 
le fu forza, se nel seno suo stesso trovò ed amici ed invoca 
tori di quella violenza ch’ essa tendeva ad. espellere , questo 
potè ben togliere 1’ onore della vittoria e il dominio dell’ avve- 
nire, ma non il diritto di un’ immortale ricordanza ne?’ patrii 
fasti. Se non che, per rendere il lavoro del Grassi veramente 
efficace, due cose mancavano : l’ una delle quali egli stesso, 
se gli durava la vita, avrebbe potuto compire con senno ; 1’ al- 
tra è tutto uffizio de’ buoni governi italiani. Fissare , io dico, 
quali vocaboli della lingua militare sia necessario , sia utile ri- 
mettere o ritenere nell’uso, quali sbandire o come sinonimi oziosi, 
o come strani od impropri: senza la quale cautela, quel dizio- 
nario non avrebbe fatto che accrescere la confusione e 1° incer- 
tezza, invogliando i mediocri scrittori a scegliere fra le vecchie 
parole le meno conformi all’ uso moderno , e così a screditare 
la lingua nativa, e a render quasi desiderabile 1’ uso barbaro sì, 
ma almeno uniforme e costante della straniera. L’altra cura, che 
dev” essere tutta di quelle milizie che si possono ancora chiamare 


% 
italiane, sarebbe di adottare veramente nell’ uso pratico le voci 
dalla scienza e dal gusto raccomandate , eliminando per sempre 
le corrispondenti francesi: senza il quale provvedimento tutto 
il dizionario del buon Grassi verrebbe a perdere più che mezza 
la sua utilità; poichè quand’ anco gli scriventi più saggi vi 
s’ attenessero , tra 1’ uso della lingua scritta e della parlata na- 
scerebbe una varietà , una contradizione continua , dannosissima 
alla diffusione delle buone discipline strategiche , ed anche al- 
1’ intelligenza di quella parte di storia che a cose di guerra 
appartiene. Ma lasciando questo secondo uffizio a chi può e 
però deve adempirlo, noi pregheremo quei dotti uomini a? quali 
il buon Grassi morendo lasciò la pietosa cura di dar 1’ ultima 
mano al sno già quasi finito lavoro , li pregheremo di volere 
a questo in fspecialità riguardare, che le voci indigene dell’ uso 
moderno sieno con un segno notate, il quale ne riprovi l’inuti- 
lità o la stranezza; che quella parte di lingua militare che in 
Toscana si conserva vivente od in altri paesi d’ Italia , sia con 
predilezione raccolta , siccome quella la cui analogia può essere 
fondamento ad ammettere , a rigettare , a riformare Ì’ altra parte 
non piccola, dove 1° arbitrio del lessicista è inevitabile per po- 
ter regolare l’ uso degli scrittori con quella uniformità che in 
fatto di cose militari principalmente è necessarissima dote. 

Con quanto amore del resto attendesse il Grassi al difficile 
e penoso lavoro , lo proveranno le cose ch’ egli a tal proposito 
scriveva al Direttore dell’ Antologia, amico suo. 

Ho finalmente ricevuto. da Napoli il libretto di cui vi parlava ; 
e già ho preso a dettare la mia lunga epistola intorno a quel benedetto 
Dizionario militare , di cui sarebbe già comparsa una seconda edizione 
ifitieramente riformata , se fosse piaciuto a Dio di lasciarmi ancora per 
poco la necessaria salute. É tempo tuttavia di ‘spiegare all’ Italia le 
mie intenzioni nell’ imprendere quel primo lavoro , di mostrarne l’ur- 
genza che fu cagione de’ suoi difetti, di rispondere di volo alle cri- 
tiche , e di dare tal saggio del secondo lavoro , da persuadere anche 
i più difficili, della severità colla quale ho saputo giudicare me stes- 
so , e dell’ ampia ammenda che farò di quel primo lavoro con un’opera 
di disumana fatica , e condotta oggimai al suo termine ; come chè sha- 
lestrato da tante disgrazie. Sarà questo il tema della lettera mia , alla 


quale voi darete luogo nell’ Antologia , quando l’ avrete letta e fatta 
leggere al mio ottimo Niccolini. . . . . . 


Ed altra volta: 


. . è . . . . » 


Io sono tutto immerso negli studi per dare , se posso , un’ ultima 
mano al dizionario militare , cercando negl’ intervalli di terminare la 
lettera da stamparsi nell’ Antologia. 


8 
E in altra dell’ anno scorso: 
Torino 6 del 1830. 


Ecco il lavoro più difficile e più importante di tutta l’ opera mia, 
lavoro che non sì può condurre nè cogli autori nè coi vocabolari , ma 
che è tutto delle ofticine toscane : è questo una minuta nomenclatura 
di tutti i ferramenti , strumenti , e parti diverse delle artiglierie, per 
le quali ogni stato italiano ha le sue voci proprie, desunte dal proprio 
dialetto. Quindi la necessità di ridurle sotto una lingua comune , che 
sia di norma e regola a tutti i dialetti particolari : nè questa lingua 
comune può rinvenirsi. altrove che in Toscana. Io non dubito punto 
che tutti i vocaboli da me desiderati non sieno in uso così nelle scuole 
militari come nelle armerie di Livorno : bensi temo assai che non 
sì possano facilmente procurare, ove voi non abbiate grande amicizia 
coi capi di queste o di quelle. 

Le citate parole indicano assai quali fossero le opinioni del 
Grassi intorno a quella! parte necessaria di lingua che all’ Italia 
colta ancor manca, e che dalla sola Toscana si può attingere , 
purchè si deponga quell’ orgoglio municipale che a nulla mai 
è giovato, e che fu sempre la grande sventura della misera Ita- 
lia. Questa verità il nostro Grassi la sentiva altamente, e più 
volte la ripeteva al Direttore dell’ Antologia nelle frequenti sue 
lettere: 


Aspetto con ansietà l’ articolo del nostro Gino : desidero con voi 
che si ponga una volta fine alle contumelie. 

Oh! facesse pure Dio che queste indegne gare , contro le quali 
ho levato sempre la debole mia voce , venissero una volta soffocate da 
uno schietto amor di patria e di verità ! 


E quanto libero da’pregiudizi, quanto sincero nel riconoscere 
i propri anche menomi falli, quanto degno d’una lode non 
men rara che bella, non meno morale che letteraria , fosse il 
Grassi, le seguenti parole lo mostreranno: 


Molto ben fatto e bene ordinato mi par pure l’ articolo che tratta 
degli Atti dell’ accademia della Crusca , la difesa della quale non perde 
nulla del suo valore dalla moderazione. La storia esatta de’fatti poco 
noti finora all’ Italia è stesa con mirabil ordine e semplicità ; le rifles- 
sioni nascono spontanee ; e l’A. che ne fu parco , ebbe cura di evitar 
quelle che avrebbero potuto riaccendere dolorose querele. E così dee 
essere quando uno scrittore onesto ed amico della sua patria mette la 
mano in sì fatte materie. Intanto io ho saputo per la prima volta da 
lui, che l’accademia della Crusca aveva rivolto il pensiero prima di me 
ai vocabolarii del Johnson e dell’Accademia spagnuola: chè se lo avessi 
saputo a suo tempo non avrei per fermo pubblicato quel mio Parallelo ; 
o mi sarei opposto alla pubblicazione che ne fece il Monti, il quale 


9 

mi tacque di questa partecipazione fatta all’ Istituto di Milano ; di cui 
odo ora parlare. Il mio lavoro, non preceduto da nessun altro, poteva 
avere alcun che di utile nella quistione che s’ agitava a quel tempo , 
ma preceduto dalla Crusca stessa , e dalla supposizione ch’io ne fossi 
informato , và soggetto ad una censura, ch’ io so di non meritare. 
Favoritemi di far leggere queste poche linee al sig. Montani ; e dite- 
gli come io sono geloso di serbare immacolata nella mia condotta let- 
teraria quella professione di buona fede e di sincero amor di patria , 
che un galantuomo dee preporre ad ogni altra mira. 


Amor di patria sincero era quello che animava ne? pazienti suoi 
studi il nostro filologo: ed è notabile indizio del lento ma non 
inseusibil progresso della civiltà questo vedere negli studii i 
quali da’ generosi sensi civili parevano più alieni, introdursi 
lo spirito fecondatore della virtù. 

L’ abborimmento , dic’ egli in una lettera parlando di coloro 
che tutto danno allo straniero , tutto negano all’ Italia (se pur 
tali uomini in Italia ci sono , che io non credo , e 1’ ho sempre 


4 


stimato una vieta e futile accusa o un falso sospetto): 


L’abborrimento di siffatta servilità mi ha naturalmente condotto a 
tener fermi i principii della lingua nazionale : e chi conoscerà bene 
la lingua d’ Italia , conoscerà pur bene e stimerà di vantaggio la vera 
indole degli Italiani, la storia de’ loro costumi ed usi , le cagioni della 
grandezza loro e della lor decadenza. Sono largo più che voi non 
credete, nelle cose della lingua, quando essa abbia a dirmi cose nuove 
ed importanti : ma fino a tanto che essa si mostra ne’ giornali col 
mezzo naso alla francese e con posticcia acconciatura per dirmi quello 
ch’ io so , io l’ avrò sempre come una sozzura. Di fatto , che cosa cì 
ha prodotto finora questa gran licenza presa nello scrivere ? 


E poichè qui si tratta di dimostrare quali fossero le opinioni 
letterarie del Grassi negli studi de’quali egli s'era principalmente 
occupato , riporteremo la lettera che dobbiamo alla gentilezza 
del ch. Mons. Muzzarelli, come dalla sua dedica al P. Rosani 
apparisce. Speriamo che il cortese lettore non la vorrà stimare una 
giunta soverchia. 


Al sig. Antonio BrancHINI della Società tipografica. = Roma. 


Ch. Signore. 


Converrebbe avere gli occhi della mente chiusi ad ogni luce di 
verità per non far plauso all’annunziato divisamento di questa società 
tipografica di dare agli studi d’ Italia una buona scelta di esemplari di 
prosa , di cui tanto ha bisogno. Ma nello stato angoscioso în cui mi trovo, 
ed oppresso da gravi malattie , e'da più gravi occupazioni , sono co- 


T. 1. Marzo. 2 


TO 

stretto mio malgrado a ridurmi per ora a questo sterile plauso, e ad un 
caldo e sincero voto , che 1’ opera loro così bene disegnata possa sor- 
tire tutto il suo effetto. Di questo stesso disegno io diedi già più di 
un cenno in una lunga lettera che precede ad una recente edizione 
de’ miei sinonimi italiani, uscita sul principio di quest’anno alla luce 
in Milano : nè saprei ritrarmi dal principio in essa lettera professato , 
che i modelli di nna prosa robusta, lucida e corrente si hanno a sce- 
gliere nei migliori del cinquecento , compresovi il Machiavelli ; ed 
anche alcuni del seicento , e fra questi il Bartoli , il Segneri , il Da- 
vila , il Bentivoglio , il Galileo ed il Redi. Quanto è al genere episto- 
lare, si potrebbero aggiungere alle lettere scelte del Caro , alcune bel- 
lissime del Casa , certe altre disinvolte del Berni , quelle descrittive 
della battaglia di Lepanto di un nipote del Bembo , che si trovano 
stampate nella Raccolta di Lettere di Principi a Principi; e finalmente 
la famosa del Bonfadìo : Io sono in villa e tutto pien di villa. Le rela- 
zioni del Machiavelli saranno, per le cose di stato, perpetuo esempio di 
chiarezza e di brevità ; come alcune descrizioni desunte avvedutamente 
dalla Cina del Bartoli , potrebbero insegnare in qual forma e con quale 
eleganza si possa trattare dai moderni la statistica.... Ma tardi mi ac- 
corgo di portar nottole in Atene parlando in una Roma di questi stu- 
di che vi si professano con tanta ampiezza di dottrina e con tanta 

sicurezza di gusto. 
Abbiasi dunque V. S. Ch. queste poche e disadorne parole solamen- 
te come segno della viva parte che prendo alla nobile impresa di 
cotesta Società, e della pena che provo ad un tempo di non poterle 

altramente giovare. 

Sono intanto con profonda stima ed ossequio 
Torino 23 Agosto 1828 Umil. e Dev. Servitore 
GRASSI. 


Il valent’uomo amava le lettere nostre, perchè ne conosceva 
le bellezze e le glorie principali, e v’ avea degli anni più te- 
neri consumate non poche delle sue veglie : 


. 


Torino 6 Ottobre 1830. 


#0 (= (Anita Io debbo quì farvi una professione ingenua della mia 
fede letteraria, la quale va in me congiunta coi principii morali che 
ogni dabben uomo dee avere per guida della sua vita civile. Io tocco i 
5o anni; e fuori ormai d’ogni speranza , come d’ ogni timore , posso 
parlar chiaro e vero con chi credo degno d’intendere la verità. Nacqui 
in povero ;ed abbietto stato; e mi avvezzai da fanciullo a lottare colla 
cattiva fortuna: studiai molto da me , e sotto buoni maestri ; ed al- 
l’ età di 13 anni io aveva sfondata tutta quant’ è la letteratura clas- 
sica antica, greca e latina, e appresala per modo che vivo anche adesso 
di quel patrimonio fatto in gioventù. Studiai poscia |’ italiano nelle 


II 
sue fonti primitive; e mì diedi di proposito alle lettere nostre con 
uno sforzo che a quei tempi poteva dirsi straordinario. M° allargai a 
mano a mano, e volli conoscere bene la letteratura inglese e la fran- 
cese.... 

Questo incominciare da’ nazionali scrittori per passar poi alle 
letterature straniere , e dalle più alle meno omogenee, è la vera 
via di formarsi e sicuro e legittimo il gusto: ma a tal fine non 
bastano quegli studi meccanici che nelle scuole si fanno , di tra- 
duzioni , d’ interpretazioni , d’ imitazioni puerili ; studi più che 
ad altro tendenti ad annullare la forza e la libertà del giudi- 
zio , ad incutere un’ ammirazione servile e paurosa, ad ispirare 
un disprezzo intolerante contr’ ogni genere di bellezza che punto 
punto differisca o paia differire dalle finallor vagheggiate. 

Ma torniamo al buon Grassi, il quale alle sue lettere 
confidava sovente non solo i giudizii della mente e gl’ af- 
fetti del cuore, ma e le occupazioni, come s’è veduto, e le 
angustie stesse della travagliata sua vita. 

Aggiungete ; scriveva egli nel 1828, che debbo pure attendere a 
quegli obblighi che mi corrono verso 1’ Accademia delle scienze : e 
fate ragione del mio vivere disagiato e stanco , e del mio stato sempre 
infermiccio e sempre obbligato ai rimedi ed ai riguardi: in una parola 
la perdita della vista mi par talvolta la minore di quelle che ho fatte. 
Ma il coraggio non mi abbandona mai; e la forza dell’ animo è stata 
finora maggiore di quanti diavoli mi abbia scagliato addosso la nemica 
fortuna. 

Ed in altra: 

Che vi dirò della mia salute ? Spiritus promptus , caro autem infir- 
ma. Vi basti che starei contento alla cecità , se mi vedessi libero da una 
continua vicenda di febbri infiammatorie , che da ben cinque anni non 
mi danno tregua, e che un bel giorno mi condurranno al cassone ; 
lasciando all’ Antologia il pietoso uffizio di dire quattro parole sul 
morto. Ma decet hominem stantem mori. Addio , addio. 

E quasi stans egli veramente morì. Sei giorni soli di crudele 
tormento distrussero una vita tuttavia vigorosa. Assalito e quasi 
trabalzato da un orribile tremito che cessò pochi minuti soltanto 
innanzi ch’ egli cessasse di respirare , in mezzo al delirio non 
lasciava di pensare ancora a’ diletti suoi studi , e di dettare ar- 
ticoli pel suo dizionario. Il cui MS. egli dal letto di morte com- 
mise a quattro illustri suoi soci ed amici, i sigg. cav. Omodei, 
cav. Saluzzo , ab. Gazzera , prof. Carena , perchè volessero emen- 
darlo e compirlo: e certo lo faranno con l’amore che merita la 
memoria dell’ uomo e con l'abilità ch’ è lor propria. Ad un 
altro ormai celebre socio del Grassi, il sig. prof. Peyron , è affidata 


12 

la stampa di alcuni frammenti del valent’ uomo, riguardanti 
la storia della lingua, le etimologie , ed i sinonimi. Un uomo de- 
gno di trovar tali esecutori testamentari e tali editori non era 
certo un mero filologo nè un letterato volgare. Ma tanto più è da 
dolersi che una morte immatura abbia rese necessarie queste 
cure pietose degli amici suoi ; e che all’ Antologia ch’ egli tanto 
amava e incoraggiva con la lode e col consiglio , sia , com’ egli 
vaticinava , toccato il tristo uffizio di ripetere sulla sua tomba 
quelle parole d’ affetto e di stima che a lui vivo i suoi col- 
laboratori avevano ripetute più volte. E quanto egli amasse e 
questo giornale e chi lo dirige ; quasi tutte le sue lettere lo po- 
trebber provare ; delle quali noi trascegliam qualche passo . pur 
per tributo di gratitudine , che crediamo a tale affetto dovuta. 


Torino 17 Maggio 1828. 


. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 


Voi non potete immaginare , amico mio, qual conforto io prenda 
da questo carteggio , che mi fa, per dir così, rivivere alle lettere ita- 
liane, e mi ricongiunge cogli antichi amici miei, dei quali da gran tempo 
non m’ era più noto il destino. Vi ringrazio pertanto col cuore di que- 
sta vostra pazienza : e se non posso sdebitarmene altramente che col- 
la buona volontà , abbiatevi almeno questa come sicuro pegno della 
mia riconoscenza. 


Torino 8 Settembre 1828. 


Vi ringrazio col cuore di tutto che fate e farete per. que’ miei 
poveri scritti , che veramente non possono quadrare col disegno del- 
l' Antologia , la quale mira a ben altro scopo che alle battaglie di 
parole : ma sarà un’ eccezione che avrete fatta a favore di un povero 
diavolo , che non poteva dare per altra via nessun certo segno di una 
immensa suna fatica . . . .. Sarà di essa quel che Dio vorrà : e vi dico 
col cuore essermi state gratissime quelle lodi di cui mi avete onorato 
in compagnia di quei gentili spiriti che ancora mi ricordano e mi 
amano. . . . 


Ho pur letto il vasto progetto degli Annali di scienze , progetto 
che onora altamente 1’ autor suo, che mira a nobil fine, ma che 
temo sia per rimanere un progetto e nulla più; tanta è l’ignavia pre- 
sente , tante le difficoltà da superare anche cogli scienziati migliori. 
Per altra parte voi sapete , amico mio , che il famoso Journal des Sa- 
vants non si sosterrebbe neppure in Francia senza gli aiuti di costa , 
che gli fornisce il governo. Ad ogni modo vi auguro buona fortuna : 
e sarebbe pure un gran bene , e forse inestimabile per 1’ Italia , se 
quest’ opera periodica vi potesse metter radice. 


. 


r3 

«+++ + + «+ «+ «+ Coraggio, mio buon Vieusseux, coraggio : 
accoppiate la buona letteratura alla soda filosofia ; insinuatela per via 
di ragionamento , senza disprezzo del passato , senza cozzare di fronte 
col presente , senza rovesciare prima di edificare : lavorate di sostru- 
zione, mostrate come si possono innestare le idee nuove in una na- 
zione , che ne ha da gran tempo tutti gli elementi nelle sue antiche 
storie nella sua letteratura : e poichè il vostro giornale mira al co- 
stume d’ Italia , badate seriamente a questo costume , ricercatelo nella 
natura , nell’ indole, nelle passioni de’ suoi popoli. Tutti i buoni e 
generosi animi ve ne faranno plauso. 


Nè di consigli soltanto ma di preziosi aiuti fu il Grassi 
all’Antologia liberale, e da parecchi degl’ illustri suoi soci del- 
I’ Accademia e dagli amici ottenne articoli che vennero ad ab- 
bellire le nostre pagine di nobili idee e di chiarissimi nomi. 
Non solo come letterato, e come cittadino, e come amico, 
deve questo giornale desiderarlo , ma ancora come collaboratore 
per mediazione, come instancabile nel sollecitare a prò nostro 
1’ altrui gentilezza. Nè l’ influenze di questa mediazione ami- 
chevole , cesseranno colla sua morte, speriamo: ma que? dotti 
Piemontesi, e in memoria del perduto amico e in premio del 
grande amore che qui si porta alla gloria d’Italia per cui . 
molto essi fecero e fanno , vorran seguitare a considerar l’An- 
tologia come il giornale lor prediletto, e della loro cooperazione 
onorarlo. 

I giovani intanto che leggeranno queste poche nostre pa- 
role, apprendano dall’ esempio del Grassi, che non solo l’ori- 
ginalità dell’ ingegno potente , non sola la ricchezza d’ una va- 
sta dottrina, giungono a meritare la riverenza e l’ affetto, ma 
sì ancora la coltura modesta delle menome verità, purchè allo 
scrittore sia scorta l’ amor sincero della patria e dell’ onesto , 
purchè a scopo de’ suoi studi egli prenda una tra quelle tante 
parti del sapere in cui resta ancora alcuna cosa di nuovo o 
da scoprire, o da meglio determinare , o da diffondere almeno. 

K. X.Y. 


14 


Cenni istorici. ’ origine della stampa e sull’ artefice 


che primo fece uso di caratteri sciolti e fust. 
Arr. III xD virino (*). 


Adriano Jonghe, che secondo il costume del suo tempo tra- 
dotto in latino questo suo cognome (che in olandese significa 
giovine ) si chiamò Jurius, nell’ opera intitolata Batavia, pub- 
blicata per la prima volta in Leida nel 1588 , parlando di Harlem, 
così si esprime. 

« Ritorno ora alla nostra città. Ad essa, oso asserirlo , spetta 
o la gloria della prima invenzione della stampa, e la giustizia 
», ci fa un dovere di attribuirgliela come cosa sua, e nata sopra 
33 il sno suolo ,,. 

« Ma contro questa gloria è sorta da qualche tempo una 
> Opinione che si è insinuata nelle menti degli uomini , e vi ha 
»» gettate profonde radici. Si crede costantemente che i primi 
,, modelli delle lettere con le quali si stampa in uggi, sieno 
»» Stati inventati a Magonza , città celebre ed antica dell’ Ale- 
59 MAGNA +,3- 

Dopo questa introduzione l’Autore con gran numero di esem- 
pi tratti dall’ antichità , secondo lo stile di quel tempo , sostiene 
che ciascun popolo avendo cercato di difendere la gloria nazio- 
nale anche incerta , allorchè gli era da altre nazioni contrastata , 
ciò dovea tanto più concedersi agli Olandesi, ai quali dovea es- 
ser lecito di rivendicar quella che gli apparteneva legittimamente , 
e che aveano per trascuranza degli avi loro quasi perduta; 
poi così prosegue : 

« Scriverò ciò che ho appreso dalla bocca di persone rispet- 
ss tabili per la loro età, per la loro nascita , e per gl’ impieghi 
,; che hanno occupati nella Repubblica. Ciò che essi attestarono 
» lo appresero dai loro avi, il racconto dei quali deve essere 
riguardato come degno d’ intera fede: ,, 

« Sono già 128 anni che dimorava in Harlem in una casa 
,» assai bella posta sul Mercato , e che anche oggi esiste, un 
,, uomo chiamato Lorenzo figlio di Giovanni Koster; cognome 
,» che traeva dall’ impiego onorevole di Koster, cioè Santese , 


23 


(*) V. il precedente fascicolo pag. 5o. 


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23 


15 
ereditario nella famiglia (1). Questi è quello che per testimo- 
nianze sicure e preziose ha dritto alla gloria dell’ invenzione 
della stampa, che altri gli ha ingiustamente rapita, e che 
meriterebbe una coruna d’ alloro a più giusto titolo che i con- 
quistatori della terra. ,, 

« Questo Lorenzo passeggiando secondo l’uso degli agiati 
cittadini per i boschi vicini alla città immaginò di formare con 
la scorza del faggio alcune lettere. Con queste lettere rove- 
sciate , come si usa coi sigilli, impresse alcune linee per ser- 
vir d’ esemplari ai figli del suo genero. Questo primo saggio 
gli inspirò idee più estese, che il suo ingegno riflessivo sviluppò 
ben presto. Aiutato dal suo genero Tommaso figlio di Pietro 
inventò una specie d’ inchiostro più denso, e più viscoso di 
quello che prima era in uso, e che era troppo liquido. Questo 
Tommaso figlio di Pietro ha lasciato quattro figli che quasi 
tutti hanno coperto la carica di Borgomastro , circostanza di 
cui fo menzione solo per provare che 1’ arte è uscita da una 
famiglia distinta ed onorata. Diè in seguito in luce alcune 
stampe , alle quali aggiunse qualche linea di testo che io stesso 
ho veduto. Il primo saggio informe del suo lavoro non era im- 
presso che da una parte. Questo libro scritto in olandese da 
ignoto autore s’ intitolava Spiegel onzer Behoudenisse (Spec- 
chio di nostra salute). In questa prima produzione dell’ arte 
( giacchè arte nessuna è stata inventata, e perfezionata ad un 
tempo ) si era immaginato d’ incollare le pagine 1’ una contro 
1’ altra per ocenltare la bruttura che derivava dal restar bianca 
da uno dei lati la carta. Lorenzo gettò in seguito i suoi ca- 
ratteri in piombo, e quindi in stagno , per renderli più fermi 
e più durevoli .,. 

Dopo aver detto che nella casa ove abitò Lorenzo , poco 


tempo prima dell’epoca nella quale scriveva, era venuto a morte 
in età molto avanzata il rispettabile di lui nipote Gherardo fi- 
glio di Tommaso , prosegue l’autore a narrare che dopo i primi 
esperimenti essendosi estesa l’arte , era stato necessario prender 
degli operanti; che fra questi vi era un certo Giovanni ‘ch’ ei 
non sa se veramente ( come si credeva) si chiamasse Fust; che 


1) Junius morì nell’anno 1575, ma l’ opera YHalla quale ‘è.tolto il presente 
7 P q P 


racconto fu scritta tra il 1560 e il 1570, siccome lo ha con argomenti tratti dal- 


l’ opera stessa dimostrato il sig. Koning, così che risalendo a 128 anni prima 
di detta epoca si giunge appunto agli ultimi anni della:vita di Koster. 


10 


questi giurato come stampatore (2) aspettò di avere una cogni- 
zione sufficiente del modo di fonder le lettere. e di tutto ciò 
che era all’ arte relativo, e colto il momento nel quale celebra- 
vansi nella notte di Natale le sacre funzioni, entrato nel magaz- 
zino della stamperia, con l’ aiuto di un suo compagno vi aveva 
involati gli utensili dal suo maestro inventati, rifugiandosi pri- 
ma a Amsterdam, poi a Colonia, e quindi a Magonza, dove 
avea potuto erigere una officina, che finalmente poco dopo 
quest’ avvenimento , cioè nell’ anno 1442, era uscita da questa 
officina una prima produzione stampata con le medesime lettere 
delle quali si era servito Lorenzo a Harlem, ed era il Doctri- 
nale ‘d’ Alessandro Gallo , grammatica di cuni si faceva grand’uso 
in quel tempo, e poi il trattato di Pietro Ispano. 

« Ecco, ei soggiunge, ciò che ho inteso da vecchi degni 
o» di fede ai quali questi fatti sono stati trasmessi appunto come 
»» passa da una mano all’ altra una face. Mi rammento che 
» Niccola Gael institutore della mia gioventù, uomo dotato di 
», eccellente memoria e rispettabile per la sua canizie, mi di- 
» ceva che essendo ancor fanciullo avea spesso inteso questo 
sy racconto da un certo Cornelis legatore di libri, vecchio di 
» anni 80, stato allievo nella officina di Lorenzo , e che rac- 
»» Coutava questa istoria con tutte le sue particolarità, quale 
sl aveva appresa dal suo maestro stesso, indicando come era 
,; avvenuta la. prima prova, e il perfezionamento progressivo dei 
ss primi, informi saggi, con molte altre circostanze ,,. 

L’ autore cita in fine Quirino Talesio, Borgomastro d’ Har- 
lem , come informato di tutto ciò per averlo spesso inteso dalla 
bocca dello stesso Cornelis. 

Varie obiezioni si fanno a questo racconto. La prima si è che 
ha l’aria di una favola. 

Se si parla dello stile col quale è scritta l’opera di Junius 
noi convenghiamo che è ampolloso ed esagerato, ma convien 
rammentarsi che era il difetto generale di quel tempo, e con- 
vien distinguere le cose narrate, dal modo di esprimerle. Ora le 
cose narrate tanto se si riguardi al carattere dell’ espositore, 
quanto se si considerino in loro stesse, non hanno nulla d’ in- 
verosimile e d’ incredibile. A dare un'idea del carattere dello 
scrittore basteranno i seguenti cenni biografici. 

Adriano Jonghe uno dei dotti più infatigabili del suno,seco- 


(2) Rammentisi che l’larie della stampa era nei primi tempi un segreto, 


I7 

lo. che pur tanti ne produsse, nacque a Horn nel 1512. Suo pa- 
dre antico Borgomastro di quella città, uomo di merito ’ed 
erudito, lo inviò a studio a Harlem ed a Louvain. Passò quin- 
di a Parigi, e poi a Bologna, ove ricevè la laurea dottorale in 
medicina. Dopo aver percorsa l’Italia passò in Germania e in 
Inghilterra ove fu ritenuto dal Duca di Norfolk per qualche anno. 
Ritornato a Harlem vi esercitò. la medicina con tal successo, che 
il Re di Danimarca lo chiamò nel 1556 a Copenaghen come Pro - 
tomedico. Il clima essendogli contrario ritornò a Harlem nel '1564 
e vi fu numinato rettore delle scuole nelle quali si applicò a 
far fiorire i buoni studi, ed accrebbe la sua reputazione con la 
pubblicazione di varie opere. 

Nell’ assedio di Harlem del 1573 potè sottrarsi alla vigilanza 
degli Spagnuoli per recarsi a curare il Principe d’ Orange che 
reclamava i soccorsi dell’ arte sua. In quel tempo Ja sua bi- 
blioteca fu saccheggiata e i suoi manoscritti dispersi, del che 
tanto si afflisse che ne morì. 

Questi brevi cenni della di lui vita , e il non breve cata- 
logo delle sue opere bastano per far conoscere che non era nè 
un idiota, nè un uomo di tal carattere da potersi facilmente 
credere un impostore. 

Ciò che egli dice poi oltre a non aver nulla d’ inverosimile, 
nè di contradittorio è così circostanziato che non ha certo l’aria 
di una favola. D’ altronde si riferisce alla testimonianza di tante 
persone che erano state sue contemporanee, o che dai suoi con- 
temporanei erano state conosciute, che non par possibile che un 
uomo della sua reputazione e del suo carattere volesse esporsi 
al rischio di esser ida essi smentito. 

Ciò però non è tutto. La diligenza infatigabile del sig. Ko- 
ning è giunta a raccogliere tali prove che non lasciano più du- 
bitare della veracità delle principali fra le circostanze di questo 
racconto. 

Ciò che Jurius dice della qualità ereditaria di Santese nella 
famiglia di Lorenzo abbiamo veduto esser confermato dai regi- 
stri della cattedrale di Harlem. Dai registri civici vien poi con- 
fermata la verità dell’ altra asserzione che i figli di Tommaso , 
genero di Lorenzo , fosser Borgomastri della stessa città. 

Che ei componesse un inchiostro più denso, e più nero di 
quello usato a quell’ epoca dagli stampatori, lo provano i fram- 
«menti di quelle delle sue opere che si conservano nella casa del 
Comune e nella biblioteca d’ Harlem. 

Lo Specchio di nostra salute in olandese di cui oltre gli 


T.I. Marzo 3 


18 
esemplari che si vedono in Harlem altri ne esistono, viene ram- 
mentato da Junius come il primo informe saggio tipografico fatto 
dal Koster, e quest’ opera ha, come vedemmo , tutti i caratteri 
della rozzezza e della imperfezione che accompagnar sogliono i 
primi tentativi di un arte. 

Junius dice che nel 1442 poco dopo il furto sofferto dal Ko- 
ster fu stampato in Magonza ; dove l’autore del furto medesimo 
si era in ultimo rifugiato ; il Dottrinale di Alessandro Gallo. Ora 
se non si può con certezza provare che il Dottrinale fosse stam= 
pato nel 1442, e che lo fosse in Magonza appunto un anno dopo 
il commesso furto, è però certo che quest’ opera è una delle 
prime , che sieno state stampate con caratteri mobili, e questi 
son tanto simili a quelli impiegati nelle ultime due edizioni dello 
Speculum del Koster , che lo stesso sig. Renouard ha creduto 
esser questi e il Dottrinale usciti dalla medesima officina. 

Quanto al furto che Junius asserisce essere stato commesso 
dal lavorante a danno del Koster, due antiche cronache di Stra- 
sburgo citate dal Koning fan fede che la voce che il primo in- 
ventore della stampa fosse stato derubato da) uno dei suoi la- 
voranti era generalmente sparsa in Alemagna. 

Funius non ha indicato l’ autore del furto che col nome 
di Giovanni, e non essendone certo, ha solo accennato come 
possibile che fosse quel Fust di cui erano già note le edizioni 
fatte in Magonza. Ora Fust socio di Schoeffer a Magonza chia- 
mavasi appunto Giovanni. Le cronache sopra accennate danno 
però dell’ autore del furto, anche il cognome, e lo chiamano 
Giovanni Gensfleisch che distinguono da Guttemberg, e solo 
s’ ingannano nell’ indicar lo Strasburghese Mentel come quello a 
danno del quale fu commesso il furto , per cui, come essi di- 
cono ; l’arte venne in modo fraudolento trasportata a Magonza. 

Nel manoscritto inglese da noi già rammentato,, e citato da 
Meerman , si dice poi positivamente che la città di Magonza 
deve la sua stamperia al fratello del lavorante della stamperia 
di Harlem, dal quale quel di Magonza l’ apprese. 

Un altra circostanza notabile si è che le dette cronache nar- 
rano che il ladro Gensfleisch fu afflitto da cecità, avendo con 
ciò Ja Provvidenza voluto punirlo del suo delitto. Ora che Gens- 
fleisch divenisse cieco viene attestato da un altro antico scrit- 
tore riferito dal Koning, ma questi attribuisce alla età sua molto 
avanzata questa infermità (3). 


(3) Vedansi Schoepfelin, Wertern, Lessern, Koehler, Meerman, De Bruyn, 


"9 

L'autore dell’articolo su Guttemberg , che leggesi nella Bio- 
grafia Universale, dice che il suo nome di famiglia era Gens- 
fleisch , e che si chiamò Guttemberg dal nome di una casa che 
la famiglia Gensfleisch possedeva in Magonza , e nella quale ei 
nacque. Se il tipografo Guttemberg chiamavasi Giovanni ed il suo 
nome di famiglia era Gensfleisch , le cronache tedesche si accor- 
derebbero con il racconto di Jurius in tutto fuorchè nel cogno- 
me di Fust, e l’ antor del furto parrebbe esser lo stesso Gut- 
temberg, al che sembrerebbe poter prestare un certo appoggio 
il cambiamento del cognome di Gensfleisch in Guttemberg, e il 
non avere apposto mai il suo nome alle opere da lui pubbli- 
cate, non solo durante la sua unione con Fust, ma nemmeno 
dopo che da esso si separò , avendo nel 1456 aperto in Magonza 
con |’ aiuto di Corrado Humery sindaco di detta città una nuova 
stamperia da lui solo diretta sino al 1465, epoca nella quale Fust 
e Schoeffer aveano incominciato a porre il loro nome alle opere 
che stampavano , e l’ arte non era più un segreto. 

Che Guttemberg si chiamasse Giovanni è poi un fatto che 
non può revocarsi in dubbio, resultando dagli atti sopra rife- 
riti della causa agitatasi tra esso, e Giorgio , e Niccola Drizehen 
in Strasburgo. 

Vari scrittori secondo che riferisce il sig. Koning han tenuto 
opinione che quel Giovanni Gensfleisch indicato nelle cronache 
strasburghesi come autore del furto fosse un fratello maggiore 
di Guttemberg , e il dotto Meerman sostiene che Gensfleisch il 
Vecchio, o il Cieco fa quello che a questi insegnò l’ arte. 

In tanta lontananza di tempo , in tanta confusione di nomi, 
in tanta mancanza di precise e circostanziate notizie è impossi= 
bile di giungere a dileguare ogni dubbiezza su i particolari di 
un’ avvenimento come questo ; anzi il pretender di tutto preci- 
sare, di conciliare ogni detto, nuocerebbe invece di giovare , 
giacchè mai a ciò potrebbe giungersi, atteso in specie il modo 
col quale venivano dagli scrittori riferiti i fatti, per lo più sulla 
relazione d’ altri; e a memoria forse dopo lungo tempo. Fosse 
però quel Giovanni autor del furto Guttemberg stesso , o il suo 
fratello Gensfleisch , o Giovanni Fust; accadesse il furto nella 
notte di Natale o in un altra ; nel 1436, o nel 1439; prima o 


Seiz, e Wimpheling citati dal Koning. Si è negato da alcuni che Guttemberg 
avesse fratelli, ma ciò non può formar più dubbio dopo che. il Bodman citato dal 
Koning rinvenne in Magonza un atto del 1459 nel quale Guttemberg e Gens- 
fleisch suo fratello son parti, 


20 
dopo la morte del Koster, poco importa. Ciò che importa è 
quel che vi è di sostanziale e di generalmente concordato per 
testimonianze unanimi, sostenute da altri riscontri, cioè che un 
furto a danno del primo inventore della stampa è stato commes- 
so, e che da questo furto sorse la stamperia di Magonza , o che 
per lo meno dopo di esso, e lungo tempo dopo che i primi ten- 
tativi erano altrove stati fatti s’ incominciò a stampare in Ma- 
gonza col nuovo metodo. Ciò posto siccome tolta a Guttemberg 
ed ai suoi soci la gloria della prima invenzione niun altro vi re - 
sta cui sul fondamento di valide prove attribuirla fuor che al 
Koster, il detto di Jurius acquista un grado tale di credibilità 
raro in queste materie, e divien poi moral certezza per la testi= 
monianza autorevolissima degli altri scrittori, dei quali parlere- 
mo in seguito. 

Un altro rimprovero che si fa a questo racconto si è che non 
si appoggia in sostanza ad altra prova che al detto di vecchi che 
si dicono degni di fede. A questa obiezione replica in gran parte 
ciò che abbiamo detto ; e quanto alle persone dalle quali Jurius 
dice aver raccolte le particolarità che narra, o che cita come 
informate esse pure di tali cose, le ricerche fatte dal sig. Ko- 
ning hanno somministrata la prova che erano di fatto quali ei 
le descrive , e che vissero in un epoca e in un giro di rapporti 
da porle in grado d° essere informate di ciò che ei dice avere ad 
esso narrato. 

Tra i vecchi dai quali Junius apprese le particolarità che 
narra ei non nomina che Niccola Gael, e Quirino Talesio. 

Niccola Gael professore a Harlem era probabilmente nipote 
di un Gael che nel 1429, e 1428 fu dei Sindaci insieme con Lo- 
renzo Koster, ed essendo stato conosciuto da Junius fanciullo 5 
allorchè Niccola era nella estrema vecchiezza, questi non solo po- 
tè benissimo aver conosciuto Cornelis , stato da giovinetto nella 
officina del Koster, ma dovette nella sua gioventù avere inteso 
parlare in famiglia, e da altri di ciò che del Koster narrava. 

Quirino Talesio , che Jurius dice essere stato informato dallo 
stesso Cornelis dei fatti che narra, era dotto scrittore, amico 
d’ Erasmo , e dall’ Opamer descritto come uomo di spirito, di 
fino discernimento, e di un raro candore. L’ essere egli nato nel 
1505, e così soli sei anni prima di Jurius, potrebbe a prima vi- 
sta far dubitare che avesse , come questi afferma, conosciuto il 
Cornelis, stato nell’ officina del Koster nel 1439. Le ricerche però 
fatte dal sig. Koning anche su questo punto hanno somministrato 
schiarimenti tali da dileguare ogni dubbio. 


21 

I registri della Cattedrale d’ Harlem portano che Cornelis , 
legatore e decoratore di libri addetto a quella chiesa ; vi era nel 
1529 stato sepolto. Talesio nato nel 1509 poteva dunque aver 
conosciuto Cornelis che doveva appunto esser quale ei lo deseri - 
veva a Junius, cioè vecchissimo, allorchè gli narrava il fatto 
di cui si tratta. 

È qui da rammentarsi che nei libri legati dal Cornelis sono 
stati trovati vari frammenti dei primi tentativi di stampa con ca- 
ratteri mobili fatti dal Koster, la qual circostanza è poi di un 
gran peso per convalidare il detto di Junius, che sebbene non sia 
che un relato di ciò che da altri narravasi, è da tanti riscontri 
amminicolato , attribuito ad uomini così conosciuti ; e da persone 
di tal carattere e di tale autofità , che non può supporsi nè che 
essi senza motivo abbian mentito, nè che /unius si sia esposto 
a narrar favole di loro, in un tempo in cui poteva facilmente es- 
sere smentito da quelli che come lui gli erano stati contem- 
poranei. 

Una terza obiezione, sulla quale insiste specialmente il sig. 
Renonard , si fonda sulla inverosimiglianza che presenta il sup- 
porre che dopo essersi in Harlem incominciato a stampare con 
caratteri mobili sino dal 1423, con tal successo di procurare allo 
stampatore Koster e ricorrenti e smercio considerabile , non ab- 
bia poi quest’ officina progredito, mentre nelle altre posterior- 
mente stabilite in varie parti di Europa si eseguivano opere che 
anche oggi formano l’ ammirazione degl’ intendeuti. 

Rispondo a questa obiezione che il grande smercio , e i gran 
profitti dello stampatore d’ Harlem sono esagerazioni che non 
hanno alcun fondamento; che quand’ anche fossero verità , non 
sarebbe questo il primo esempio di arti che ha nno avuto la loro 
origine in un luogo, e vi sono state in fiore finchè visse il mae- 
stro che con fama la esercitava, ed. hanno poi emigrato. Ne sia 
un esempio la pittura a olio, che in questa medesima parte d’Eu- 
ropa fu inventata e fioriva nel principio del secolo XV. sotto i 
Van-Eych, e dopo di essi può dissi che andasse affatto in deca- 
denza, mentre fu portata al suo più alto grado di splendore in 
Italia (4). Rispondo che Koster non ‘avendo avuto discendenti 
maschi , l’ interesse de’suoi eredi, tanto inferiore al suo, non ba- 
stava per far procedere l’ officina, che avea bisogno di assidue 
cure, non separabili da persone agiate come essi erano; che i 


(4) Di questo fenomeno , e de’ due sommi artisti Uberto, e Giovanni Van 
Eych, di cui vidi con stupore i capi d’opera, parlerò in altra occasione. 


22 
furti ripetuti fatti all’officina possono considerarsi come una causa 
proporzionata del dissesto della medesima; che finalmente non è 
provato che in Harlem, non sieno successivamente stati eseguiti in 
altri lavori indicanti più o meno progresso nell’ arte, poichè si 
son già trovate , e si van tutto giorno scuoprendo opere senza 
data, senza nome di artefice, ed aventi tal somiglianza con i 
lavori del Koster, che possono attribuirsi alla di lui officina da 
altri per un certo tempo continovata , con tanta ragione almeno 
quanta ve ne ha per ascriverli ad artisti ignoti e di altri paesi, 
senza nessun altro fondamento che congetture, e vane ipotesi. 

Offre motivo ad una quarta obiezione contro il racconto di 
Junius il non trovarsi in alcune delle edizioni che si asseriscono 
escite dall’ officina del Koster il di lui nome. Replico a ciò che 
nemmen di Guttemberg si trova il nome in alcuna opera , ep- 
pure niuno negherà che abbia esercitata 1° arte in Magonza. È 
poi noto il motivo di tale omissione. Si sa che i primi stampa- 
tori cercarono d’ imitare i manoscritti in tal modo da far sì che 
le loro stampe passassero per lavori a penna, e il Fournier. nel 
suo trattato della tipografia (Introduzione a pag. 21.) narra che 
Fust recatosi a Parigi nel 1462 vendè come manoscritti molti 
esemplari della Bibbia stampata in società con Schoeffer, ma ri- 
ducendo il loro prezzo a un decimo ; poi a un ventesimo di quello 
che gli aveva venduti in principio, questa diminuzione straor- 
dinaria e la somiglianza perfetta dei volumi fra ‘loro cagionarono 
tal sorpresa, che per l'ignoranza e la superstizione dei tempi 
fu creduto esser quella somiglianza effetto di sortilegio. Perqui- 
sita quindi la di lui casa , e trovatavi una quantità grande di 
esemplari della detta Bibbia, si sospettò che gli ornamenti, e 
le linee che vi si vedevano in inchiostro rosso fossero fatte col 
sangue, onde fu incarcerato e convinto di magia. Luigi XI ordi- 
nò però che fosse messo in libertà, a condizione che rivelasse il 
suo segreto , il che solo potè salvargli la vita (5). 


(5) Questo racconto vien considerato come favoloso dal sig. De Boze (Hist. 
de lAcademie des Inscript. t. 14. p. 230). Una delle ragioni per cui lo crede 
tale si è che la frode che si dice praticata da Fust nel vender per manoscritti gli 
esemplari della Bibbia del 1462 non può ammettersi , giacchè in fine di detta 
Bibbia leggesi l'indicazione del metodo col quale è stampata. Se questo fosse 
1’ unico o il principal fondamento dell’ opinione del. Boze potrebbe replicarsi che 
Fust stampò dal 1450 al 1455, mentre era in società col Guttemberg, una Bibbia 
di cui abbiamo già parlato nella quale non vi è indicazione veruna, e può esser 
che gli esemplari venduti in Parigi appartenessero a questa edizione , e non al- 
1’ altra del 1462. 


23 

Era dunque necessario che gli stampatori nei primi tempi 
tacessero i loro nomi tanto più che i cherici, ed i monaci so- 
pratutto che si dedicavano quasi esclusivamente alla trascrizione 
dei manoscritti, e che traevano da questo ramo d’ industria as- 
sai profitto, avrebbero, come osserva des Ruches, cercato d’im- 
pedire con ogni mezzo i progressi di questa scoperta, siccome 
vediamo essere accaduto in Inghilterra allorchè Caxton che assai 
prima del 1470 aveva appresa , come dice egli stesso , con grandi 
cure e grandi spese l’ arte in OLANDA, la trasportò il primo in 
Inghilterra (6). 

Comunque ciò sia egli è un fatto indubitato che gli stam- 
patori del XV secolo mai o raramente apposero alle edizioni che 
eseguirono il loro nome. Il numero dei libri pubblicati senza 
nome di stampatore , e senza indicazione di luogo in quel se- 
colo è grandissimo. Il solo Ulrico Zell, secondo il De Loserna San- 
tander, ha stampato almeno 80 opere , e non ha apposto il suo 
nome che a due 

Alle ragioni che si adducono per spiegare il perchè gli altri 
stampatori abbian celato il loro nome devono quanto al Koster 
aggiungersi le seguenti. 

Il meccanismo dell’ arte fu in principio un segreto, e an 
che posteriormente fu da chi 1’ arte stessa esercitava, come nota 
Van Zuuren, tenuto occulto fino al 1455, epoca nella quale prin- 
cipiò a divenire di pubblica ragione. A quest’epoca il Koster era 
morto. La sua officina venuta in mano di persune che non ave- 
vano nè bisogno di vivere col prodotto dell’arte, nè forse le cogni- 
zioni necessarie per mantenerla, o piuttosto per farla , come ri- 
chiedevasi, progredire , non prevedendo troppo qual prodigiosa in- 
fluenza aver dovesse quella scoperta sul ben’essere e la civiltà delle 
generazioni successive, non ne trasser motivo d’ orgoglio, anzi di- 
stratte da altre cure, ripetutamente derubate dei loro utensili, 
trascuratala e lasciatala in mano di mercenari , venne a mancare. 

Ciò risponde in parte anche ad un altra obiezione che suol 
farsi all’ opinione favorevele ad Harlem, e che si fonda sul non 
avere i discendenti del Koster reclamato contro le pretensioni 
degli stampatori di Magonza. Ma vi è una replica anche più di- 


(6) L° autore dell’ articolo sopra Caxton che leggesi nella Biografia Univer- 
sale riferisce avere il Vescovo di Londra dichiarato in una assemblea del clero 
ai suoi colleghi quanto fosse per essi necessario l’ opporsi ai progressi di quella 
scoperta , in questi termini “ Se non giungiamo a distrugger questa pericolosa 
3» invenzione , essa ci distruggerà ,,. 


24 
retta a questa obiezione. Gli stampatori di Magonza non si at- 
tribuirono propriamente mai che il perfezionamento dell’ arte, e 
questo merito nun poteva ad essi negarsi. (7) E se successivamente 
da altri si è errato nel credere che Magonza sia la città dove 
l’ arte è stata inventata, ciò è accaduto dopo che l’ officina del 
Koster avea cessato d’ esistere. 

L’ obiezione poi che si desume dal non trovarsi fatta men- 
zione di tale scoperta in alcune cronache della fine del XV. se- 
colo, come nel Fasciculus temporum di Veldenaer stampato in 
Louvain nel 1476, e a Utrecht nel 1480, ha anch’ essa una re- 
plica ovvia, ed è che non si può mai concludere dal silenzio 
d’ uno scrittore che una tal cosa non sia accaduta. È un fatto 
indubitato che la tipografia è stata perfezionata a Magonza, ed 
ivi condotta ad un tal punto da lasciare agli artisti successivi poco 


più da inventare : eppure molte cronache di quel tempo non ne 
parlano. 


Ma non è poi vero che tacciano tutte ; e ciò m’ apre 1 
via a rispondere alla obiezione principale , su cui molti si sono 
quasi esclusivamente fondati per revocare in dubbio le cose nar- 
rate da Junius , vale a dire che egli fosse il primo che della sco- 
perta del Koster parlasse, e che indicasse Harlem come il luogo ove 
i primi tentativi della tipografia furon fatti. Non mi diffonderò di 
troppo nella enumerazione delle testimonianze , e riferirò solo 
le più notabili. 

Giovanni Koelhof ha pubblicata a Colonia nel 1499. una 
cronaca nella quale a pag. 312 leggesi il passo seguente referito 
dal sig. Koning. 

« Della stampa. Quando , dove , e per opera di chi è stata 
»» inventata l’ arte così utile di stampar libri ,,. 

“ Quest’ arte preziosa fu inventata in Germania a Magon- 
»» za sul Reno. Egli è grande onore per la nazione tedesca 
»» d’ aver prodotto degli uomini così ingegnosi. Questo accad- 
3: de verso l’anno di Nostro Signore 1440 , e da detto anno 
»» al 1450 si fecero delle ricerche sull’ arte e su tutto ciò che 
», vi si riferiva. Ma l’anno del Giubbileo 1450 si cominciò 
»» a stampare , e il primo libro fu una Bibbia latina; essa fu 
»» eseguita con caratteri più grandi di quelli che si usano 
»» Oggi per stampare i messali. Ma sebbene quest’ arte, quale è 
, generalmente in uso oggi, fosse inventata a Magonza, pure 
»» la prima idea NE ERA STATA TROVATA IN OLANDA come si vede 


(7) Vedasi quì sotto la nota n.° 11. 


25 

so dai Donati che vi sono stati stampati avanti quel tempo, ed 
ss è da essi che si è presa l’ arte a Magonza, ma in modo però 
3» Che la nuova invenzione fosse più perfetta e più ingegnosa che 
», non lo era stata la prima. L’ incominciamento ed il progresso 
o di quest’ arte mi sono stati raccontati da Maestro Ulrico Zell 
s» d’ Hanau, tuttora, cioè in quest’ anno 1499, stampatore a 
33 Colonia, dal quale è stata in questa città portata l’arte ,,. 

Faremo osservare che Ulrico Zell dimorava a Magonza nel 
tempo che vi erano Guttemberg, Fust, e Schoeffer, occupando- 
visi ad eseguire in colori le iniziali dei libri stampati, per le 
quali lasciavasi a tale effetto come nei manoscritti uno spazio 
in bianco; che nell’ officina loro apprese 1’ arte da esso, in se- 
guito, e poco dopo la presa di quella città , avvenuta, nel 
1462 , trasportata a Colonia; che era probabilmente informato 
di ciò che narrava dagli stessi stampatori di Magonza, Guttem- 
berg, Fust, e Schoeffer, i quali non volevan certo attenuar la 
parte di merito che potevano avere in quell’invenzione ; che fi- 
nalmente egli stesso esercitando l’arte poteva’ essere in grado di 
dar su quello di cui trattavasi un sicuro giudizio, e poteva poi 
avere egli stesso veduto i primi saggi di cui parlava. 

da notarsi di più che questa cronaca fu scritta , e pub- 
blicata con la stampa nel XV. secolo, mentre Schoeffer era ‘an- 
cor vivo , ed esercitava 1’ arte a Magonza , dove nel 1502 pub- 
blicava un saltero, e nulla nè da lui, nè da altri è stato mai 
detto contro il contenuto della cronaca da noi riferita. 

Luigi Guicciardini figlio dell’ Istorico dimorò verso la metà 
del secolo XVI. in Anversa, e vi pubblicò nel 1567 una descri- 
zione dei Paesi Bassi, nella quale parlando d’Harlem così si espri- 
me ‘ In questa terra, non solo per voce pubblica degli abita- 
», tori, e di altri Olandesi, ma ancora per alcuni scrittori e per 
»» altre memorie si trova che fu primieramente inventata l’ arte 
s» dell’imprimere , e stampare lettere e caratteri in foglio al modo 
3»d’ oggi , imperò venendo l’ autore a morte innanzi che 1’ arte 
o fosse in perfezione, e considerazione , il servitore suo (se- 
3» condo dicono ) andò a dimorare a Magonza, ove dando lume 
o di quella scienza fu accolto allegramente , e quivi dato opera 
»; con ogni diligenza a tanto negozio, vennero all’ intera notizia 
»» e total perfezione, onde è poi volata e inveterata la fama che 
3» di quella città sia uscita l’arte, e la scienza della stampa. 
so Quel che ne sia, alla verità, non posso nè voglio giudicare , 
»» bastandomi d’ averne tocco un motto per non pregiudicare a 
s) questa terra e regione 3». 


T.1. Marzo 4 


20 
Giovanni Van-Zuuren nato a Harlem nel 1517 giurecon- 


sulto , abile mattematico, e membro della Reggenza d’ Harlem 
scrisse tra il 1549, e il 1561 un dialogo latino sulla invenzione 
della stampa. Il libro è perduto , e non restano che alcune pa- 
gine della dedica, nelle quali trovasi il passo seguente riportato 
dal sig. Koning “ Io non cerco in questo scritto, qualunque sia 


23 
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2) 


l’ importanza che possa darglisi, di toglier nulla alla città di 
Magonza , e di oscurare la sua gloria anche rapporto a questa 
invenzione. Il mio parere al contrario le è più favorevole che 
ad ogni altra. Le accordo il godimento intero di tutte le lodi 
di cui da tanti anni ed a buon dritto ella è in possesso per 
gli scritti ed i discorsi di molti. Per verità non sarebbe nè giu- 
sto, nè ragionevole turbarla in un possesso reso legittimo da 
lunga prescrizione; non domando altro se non che mi sia per- 
messo d’ offerire 1’ omaggio della mia fedeltà alla mia patria. 
Egli è per il solo amor di patria che dò principio a questo 
lavoro , e che intraprendo nuove ricerche , poichè non posso 
permettere che il nostro diritto ad una porzione di questa glo- 
ria , diritto oggi ancora così presente alla memoria dei nostri 
padri, ai quali è stato trasmesso quasi di mano in mano dai 
loro antenati, sia sepolto nell’ oblio ; diritto di cui dobbiamo 
conservare la memoria affinchè i nostri discendenti non ne 
restino privi ,,- 

« La città di Magonza merita senza dubbio i più grandi 
elogi per aver la prima resa pubblica , e messa in più gran 
luce una invenzione che ella aveva ricevuto da noi, e per 
aver perfezionato , ed abbellito, quanto lo permettevano i 
progressi di quel secolo , una invenzione tuttora rozza ed in- 
forme. Chi non tributerà gli elogi, e 1’ onore dovuto ad una 
città ( benchè sia meno difficile 1’ aggiungere ad una inven- 
zione già fatta che l’ inventare ) alla quale ognun si accorda 
a riconoscersi obbligato per un tal benefizio ? ,, 

« Del resto piaccia alla Signoria Vostra di tener per fermo 
che i primi fondamenti di quest’ arte preziosa sono stati get- 
tati nella nostra città, fondamenti rozzi sì, ma i primi. La 
stampa è nata qui. In questa città si è formata ad un punto 
da essere in stato di fiorire poi altrove. Lungo tempo ella 
vi ha ricevuto i trattamenti e le cure che soglionsi prodigare 
alla tenera infanzia. Per il corso di una lunga serie di anni 
fu racchiusa tra le mura di una casa privata. Questa casa 
benchè in cattivo stato sussiste ancora, ma da lungo tempo 
è restata priva del tesoro che racchiudeva ,. 


2 
« La stampa qui allevata , vi fu per verità nutrita e man- 
| ,»» tenutaa piccole spese, troppo sobriamente in fatti e troppo 
s: miseramente , finchè sdegnando l’ indigenza e la povera ap. 
:» parenza della sua abitazione troppo semplice, ella è dive- 
nuta la compagna di alcuni stranieri, ed involandosi con gran 
parte di ciò che formava il suo corteggio allo stato d’ indi- 
genza in che era qui tenuta; ha fatto di sè pubblica mostra 
a Magonza, ove dopo essersi molto arricchita, vi è in poco 
tempo giunta a tale splendore, che la sua propria grandezza 
le è divenuta penosa. La Signoria Vostra potrà più ampia- 
mente istruirsi di tutti questi particolari se nei suoi momenti 
di ozio si compiacerà di percorrere il seguente dialogo tra me 
», ed il mio figlio Zureno ,,. 

Tierry Volkertz Koornhert nato nel 1522 uomo dotto e di- 
stinto , riformatore della lingua , e padre della poesia olandese, 
stampò in Harlem nel 1561 in società con Giovanni Van-Zuuren 
gli Ufizi di Cicerone da esso tradotti, e nella dedica di que- 
st’ vpera alla Reggenza di detta città trovasi il seguente passo 
riferito dal Koning. 

« Mi è stato suvente assicurato in tutta buona fede da per- 
s» sone saggie e prudenti, che l’ utile arte della stampa fu 
»» nel suo principio inventata qui in Harlem, sebbene in modo 
», assai informe, perchè è più facile perfezionare ciò che è già 
3) trovato che inventare. Quest’ arte essendo in seguito stata tra- 
s sportata a Magonza da un lavoratore infido, vi fa molto per- 
s» fezionata , e per essere ivi stata resa pubblica, questa città 
», ha talmente acquistata la gloria della prima invenzione che 
ss ai nostri concittadini si dà poco credito quando rivendicano 
s» l onore di esserne stati essi i veri inventori, il che però è 
, tenuto per incontrastabile dal più gran numero, ed in ge- 
» nerale riguardato come indnbitato dalla nostra antica citta- 
o dinanza. Non mi è ignoto neppure che la reputazione di Ma- 
3» gonza si è così solidamente stabilita nell’ opinione pubblica 
»» per la negligenza biasimevole dei nostri antenati, che qua- 
>» lunque prova, benchè evidente ed irrefragabile, difficilmente 
s- potrebbe far cangiare questa opinione. Ma siccome la verità 
» non cessa d’ esser tale per esser conosciuta da pochi, e sic- 
» come io credo questa fermamente , appoggiato alle testimo- 
:1 nianze autentiche di persone rispettabilissime , le quali non 
»» solo mi hanno spesso indicata la famiglia dell’inventore e me 
s, ne hanno detto il nome ed il cognome, ma mi hanno di più 


3» fatto conoscere la prima informe maniera di stampare, e mì 
/ 


28 
;»: hauno mostrato l’ abitazione dei primi stampatori, non ho 
»» potuto dispensarmi dal riferire tutto ciò ; non perchè sia ge- 
» loso della gloria altrui, ma per conformarmi alla verità ; e 
;, per rendere ‘al merito di questa città quel giusto tributo di 
3 elogi che le è dovuto ,,. 

Van Mander nato nel 1548 pittore, istorico, e poeta, nella 
sua Biografia dei Pittori Italiani e Olandesi, parlando di Giovanni 
ed Uberto Van-Eych , ripete in sostanza lo stesso , sebbene l’Hei- 
necken lo abbia interpetrato in modo da fargli dire il contrario. 

La cronaca di Colonia pubblicata un secolo prima della 
Batavia di Junius, scritta sul ragguaglio d’ Ulrico Zell, tipo- 
grafo anch” esso ed allievo della officina di Magonza, in tempo 
non molto lontano dall’ epoca nella quale viveva Lorenzo Ko- 
ster ; il detto del Guicciardini dotto , straniero, e perciò impar- 
ziale; la chiara testimonianza di Van Zuuren, e Koornhert, 
uomini di dottrina e di autorità, non meno che quello di Van 
Mander, ingegno raro , e scrittore stimato, sono.a parer nostro 
più che sufficienti a smentir l’asserzione che Junius fosse il pri- 
mo ad attribuire 1’ invenzione della stampa a Harlem; ed è qui 
da avvertirsi che mentre coloro che indicano Magonza; e Stra - 
sburgo come il luogo ove la stampa è stata inventata , sono fra 
loro tutti discordi sulla persona dell’ inventore , come ha dimo- 
strato il sig. Koning, alcuni attribuendola a Guttemberg , altri 
a Gensfleisch, altri a Fust e Schoeffer, altri a Jenson , altri a 
Giovanni Mentel o Mentelin , quelli che l’attribuiscono all’ 0- 
landa sono tutti concordi sopra Harlem, e Lorenzo Koster. 

Resta per ultimo a dir qualche cosa sulla taccia ingiusta 
data generalmente a Junius ed agli altri scrittori Olandesi po- 
steriori , d’ aver voluto togliere a Magonza la sua gloria per ve- 
stirne 1’ Olanda. Questa accusa prova che poco attentamente si 
son letti questi scrittori, e che poco si è riflettuto su quello di 
cui trattavasi. 

Niuno ha mai contrastato a Magonza il merito d’ aver per- 
fezionata l’informe e rozza scoperta del Koster, in modo che qual- 
cuno dei rammevtati scrittori non ha dubitato di chiamar quel 
perfezionamento una seconda invenzione. Chiunque poi abbia a- 
vuto occasione di paragonare i primi saggi della tipografia attribuiti 
a Koster con le opere uscite dall’officina di Magonza, potrà facil- 
mente convincersi di quanto l’arte fosse debitrice alle cure ed al- 
l’ingegno di Fust, e sopratutto di Schoeffer. Ma siccome le arti non 
nascono e si perfezionano nel medesimo tempo , appunto perchè 
le opere uscite tra il 1455 e il 1462 dall’ officina di Magonza 


29, 
sono certamente in molte parti quasi perfette, così convien ri- 
conoscere da chiunque giudichi con calma ; con riflessione , e 
con bastante cognizione , che l’arte deve avere avuto principii 
assai più remoti ; e molti informi , rozzi , e difettosi tentativi de- 
vono essere stati fatti prima che fosse condotta a quel punto 
al quale si trova nella prima opera escita dall’ officina di Ma- 
gonza. Questa verità è di quelle che diconsi d’ intuizione , e non 
richiede che 1’ ispezione oculare di quelle opere. 

A renderla però più manifesta potrà forse non essere affatto 
inutile il breve sunto istorico , che compilando il fin qui detto, 
presentiamo come il prospetto più probabile della scoperta, dei 
tenui principii, e dei progressi di quest’ arte, divenuta oggi istru- 
mento d’ immenso potere che con rapidità prodigiosa dilata il re- 
gno della ragione e dei lumi su tutta la superficie del globo. 

Tralasciando un’ antichità più remota, e ciò che dicesi in- 
torno alla China; ove la tabellaria , o impressione con tavole in- 
cise , è antichissima, ma non così la tipografia, che vi si intro- 
dusse posteriormente all’ invenzione avvenutane in Europa, è 
certo che i Romani conoscevano la maniera o di segnare con una 
sostanza colorata, o d’ imprimere entro una sostanza molle varie 
lettere riunite , che in rilievo erano scolpite in una formella di 
metallo , come conoscevano la maniera d’ imprimere in rilievo 
sulla cera o sopra altra sostanza molle più lettere nel metallo 
incise. Non è raro veder formelle di simil genere nei musei. Mi 
rammento di averne rimarcate due fra le altre a guisa di sigilli 
nel museo di Berlino, una col nome di C. Cassius in rilievo , 
l’ altra con quello di P. Nonius Primus inciso. 

Giunti gli antichi fino a questo punte, sembra strano come 
non si sia per tanti secoli progredito, e non si sia riflettuto che 
il mezzo più spedito, e più economico di moltiplicar le copie 
d’ uno scritto qualunque sarebbe stato 1’ estendere ad una riu- 
nione di parole ciò che si era fatto già per uno o due nomi. 
Pure egli è un fatto universalmente riconosciuto che la stampa 
ha tratto la sua origine non dai detti modelli, che più diretta- 
mente offrivano soggetto di facile imitazione, ma bensì dalle carte 
da ginoco, di cui può collocarsi 1’ invenzione nel XIV. secolo. 

Furono esse in principio disegnate e dipinte, poi furono 
impresse con un’ istrumento. Dalle carte si passò all’impressione 
delle imagini dei Santi , che in principio furono della medesima 
grandezza delle carte da giuoco e senza lettere. Ben presto s’im- 


pressero più in grande, e accompagnate da inscrizioni o leg- 
gende. 


30 

Le inscrizioni in dialetto olandese che si trovano in qual- 
cuno di questi primi tentativi, e la forma dei caratteri, provano 
abbastanza che furono stampate in Olanda. 

Si passò in seguito a incidere in forme di legno più figure 
riunite , tratte la più parte dalle sacre scritture, con qualche 
motto ; 0 spiegazione , introdotta tra figura e figura. Tali sono 
le così dette opere xilografiche , o di stampe. 

Nella casa del comune d’Harlem si conservano come si disse 
1° Apocalisse , e la Cantica , opere di questo genere , che si at- 
tribuiscono a Koster (8). A queste aggiunge il sig. Koning l’ Ho- 
rarium, un piccolo Donato, la Biblia pauperum, l’Ars moriendi, 
e qualche altra piccola opera, 

I riscontri per i quali il sig. Koning le giudica opere del 
Koster sono gli appresso. 

1.° La forma delle lettere di cui son composte le iscrizioni , 
simile in tutto ai caratteri olandesi del XV secolo. 

2.° Le marche della carta che sono quelle stesse esistenti 
nella carta delle altre opere del Koster. 

3.° L’ inscrizione o titolo in lingua olandese , posto in fronte 
alla Cantica. 

4.° Le armi che il disegnatore ha collocate qua e là nelle 
stampe della Cantica, e che sono quelle dell’ Olanda , d’alcune 
delle sue città, e delle famiglie che vi hanno regnato prima del 
tempo nel quale ha vissuto il Koster , o contemporaneamente. 

5.° La tradizione che attribuisce al Koster le dette opere. 

6.° Finalmente una delle tavole stesse di legno dell’ Hora- 
rium la quale esiste presso lo stesso sig. Koning , conservata , 
secondo che ei ne attesta, da più di 200 anni in alcune famiglie 
conosciute di Harlem come opera del Koster. Essa apparteneva già 
ad Adriano romano stampatore vissuto in quella città nel prin- 
cipio del XVII.°® secolo , ed egli l’aveva acquistata da un discen- 
dente del Koster medesimo. 

Tali riscontri sembrano stabilir bastantemente che quest’ar- 
tefice si occupò prima a stampare opere xilografiche , e ciò serve 
a render più naturale e verosimile la successiva scoperta, per la 
esperienza e le giornaliere osservazioni che era in grado di fare , 


(8) Dal suddetto esemplare dell’Apocalisse che è completo , ed ha N. 48 
stampe impresse da una sola parte , giudica il sig. Koning che questa sia la più 
antica fra le opere xilografiche del Koster, e che la Cantica sia 1’ ultima. Certo 
è che le figure della Gantica sono disegnate con più gusto ed intelligenza, e me- 


glio incise. 


- 


3: 
e che naturalmente dovean condurlo al miglioramento dei sistemi 
allora in uso. 

Infatti da chiunque esercitasse quell’ arte non affatto mac- 
chinalmente dovea comprendersi qual perdita di opera fosse l’in- 
cidere su tavole di legno, che non servivano che ad una sola 
produzione , leggende ed orazioni più o meno lunghe , composte 
tutte di segni che in sostanza erano sempre gli stessi, sebben 
variamente disposti. 

Facile era dunque l’intender che se si fosser potuti separar 
questi segni per riunirli poi a piacimento, onde servire a di- 
verse produzioni, in questo modo si sarebber diminuite di molto, 
e la spesa, e l’opera. 

Pare che questa idea venisse prima in mente al Koster che 
incominciò dall’ intagliare in rilievo le lettere dell’ alfabeto su 
piccoli pezzetti eguali di scorza di faggio per comporne delle 
brevi sentenze. 

Fatto il primo passo di sciogliere i caratteri, facile era il ri- 
conoscere che il metallo potea meglio soddisfare al fine proposto, 
e per la sua maggiore consistenza, e per la facilità di moltipli- 
care i segni con gettare il metallo stesso nelle forme contenenti 
1’ impressione delle lettere. 

I primi tentativi doveano esser rozzi , ed informi. Difettosi 
doveano essere i caratteri, ineguale l’impressione, e più difettosa 
ed irregolare dovea essere la disposizione dei caratteri stessi nelle 
linee , e l'andamento di questo nelle pagine. Tuttociò appunto 
s'incontra nelle opere del Koster, e questi difetti sono a parer 
nostro i riscontri più indubitati della. precedenza loro in con- 
fronto di quelle che da molti si son credute, e si credono ancora 
ì primi saggi della tipografia. 

A misura che i primi tentativi della stampa fatti dal Koster 
circa il 1423 con l’Horarium, il Donatus, ed il primo Speculum 
olandese, divenivan noti per la circolazione di queste operet- 
te allora in grand’ uso , era ‘naturale che gli altri. artisti che 
della stampa delle opere xilografiche si occupavano, cercassero 
di conoscerne il segreto , e una volta penetratolo , o per propria 
osservazione, o per rilevazione d’infidi operanti , era pur naturale 
che l’arte tipografica dal Koster inventata si propagasse, e come 
è generalmente di quasi tutte le arti avvenuto , col tempo da al- 
tri si perfezionasse. 

Questo perfezionamento sembra che si operasse ‘principal- 
mente in Magonza , prima per la unione di Guttemberg e Fust, 


32 
quindi di Fust e Schoeffer, l’ultimo dei quali pare avervi più 
che gli altri efficacemente contribuito. 

Il primo libro uscito da questa officina fu, per quanto pare, 
una Bibbia divisa in due parti senza data, e senza nome di stam- 
patore , della quale esiste un esemplare nella regia biblioteca di 
Parigi. 

L’ epoca della stampa di questa Bibbia viene stabilita da 
una nota che leggesi infine di ciascuna delle due parti del detto 
esemplare. Quella che è in fine della prima parte è del seguente 
tenore. Et sic est finis primae partis Bibliae Sc. Veteris Testa- 
» menti illuminata seu rubricata et ligata p. Henricum Albach 
s» alias Cremer anno Domini MCCCCLVI festo Bartholomei 
» apostoli. Deo gratias. Alleluia ,,. Alla fine della seconda parte 
trovasi l’ altra nota così concepita “ Iste liber illuminatus , li- 
,» gatusque , completus est p. Henricum Cemer Vicarium Eccle- 
,; siae Colleggiatae S. Stephani Maguntini sub anno Domini qua- 
ss dringentesimo quinquagesimo sexto , Festo Assumptionis glo- 
,; riosae Virginis Mariae. Deo gratias. Alleluia ,,. 

Questa Bibbia miniata , e finita di legare nel 1456 dovea 
essere uscita dai torchi nel 1455, ed a stamparla devono sicura- 
mente essere stati impiegati vari anni. Chi dunque ponesse la 
pubblicazione della prima parte nel 1453 forse non andrebbe 
lungi dal vero, tanto più che a convalidare una tale opinione 
vengono in primo luogo gli atti della lite agitatasi tra Guttem- 
berg e Fust, dai quali resulta che la società loro ebbe princi- 
pio nel 1450: e finì nel 1455; in secondo luogo la testimonianza 
di Ulrico Zel allievo della officina stessa di Magonza di cui 
l’ estensore della Cronaca di Colonia da noi sopra riferita riporta 
le parole, e che dice che nell’anno del Giubbileo 1450 si co- 
minciò a stampare in quella Tipografia, ed il primo libro fu una 
Bibbia ; in terzo luogo l’ asserzione di Giovanni figlio di Pietro 
Schoeffer, il quale nella soscrizione del Livio pubblicato a Ma- 
gonza nel 1505 dice che l’ arte fu inventata da Guttemberg a 
Magonza nel 1450. 

Questa Bibbia però è ella stessa la prova la più luminosa 
ed irrefragabile che l’arte nòn era di recente stata inventata ; 
ma che a quell’ epoca era già adulta, ed aveva avuto lungo pro- 
gresso e notabile avanzamento. Infatti non vi è parte di mecca- 
nismo dell’arte che paragonando quest’ opera coi primi tentativi, 
non attesti. questi straordinari progressi. Perfezionamento nella 
materia dei caratteri e dell’inchiostro ;} invenzione di nuovi me- 


33 
todi per render paralelle le linee, e per tenere insieme le pa - 
gine; uso del regolatore e del registro; invenzione di un nuovo 
torchio invece di quella pressa a mano rozza ed imperfettissima 
di cui si era servito il Koster. e tale è la distanza che passa tra 
le opere di questo e la produzione di cui parliamo, che troppo 
lungo forse non sembra il lasso di anni 30 che è corso dalle une 
all’ altra , perchè l’arte si conducesse a quel punto. 

Il primo libro che ha impressa la data (9) è un così detto 
Almanacco del 1455 in versi tedeschi, e di cui è stato pub- 
blicato un fac-simile in litografia dal Barone d’ Aretin (10). 
Questa operetta (per quanto può giudicarsi da un fac-simile ) 
ha essa pure tutti i segni di un avanzamento dell’arte, tale da 
non richied-rsi che un ultimo passo per condurla a quel grado 
di perfezione cui giunse poco dopo per vpera di Pietro Schoeffer 


nel famoso Saltero del 1457 (11), e nella Bibbia del 1462, che si 


ammira come uno dei più bei prodotti dell’arte tipografica (12). 


(9) Il Tiraboschi nel Prodromo dell’Enciclope dia Italiana stampato in Siena 
nel 1776» a pag. 181 parla d’ un Liber de humanae miseriae conditionis Lottarii 
Diaconi con data del 1448, che il sig. Scoepheling attribuisce alla stamperia di 
Strasburgo , ma crede che quella data sia erronea. 

(10) Di questo fac-simile esiste una copia nella Biblioteca particolare di S. 
A.I.e R.il Gran-Duca di Toscana. Leggo nella Biografia universale all’articolo 
Fust che M, G. Fisher ha scoperto a Magonza nel 1804 un Almanacco per l’an- 
no 1457, che è probabile sia stato stampato sul finire del 1456. Anche il sig. Van- 
Praet nell’opera intitolata Catalogue des liores imprimés sur velin qui se trou- 
vent dans des Bibliotéques tant publiques que particulières, a pag. 18 del to- 
mo 1. parla di un altra Bibbia che sebben senza data verrebbe d’ altronde a 
provarsi stampata verso il 1459. Non avendo veduto queste opere, non fo che 
accennar ciò che da altri ne è stato detto. 

(11) La soserizione di quest’ opera è così concepita « Praesens Psalmorum 
3» Codex venustate capitalium decoratum rubicationibusque sufficienter distin- 
»» ctus, adinventione artificiosa imprimendi ac caracterizandi absque calami ulla 
»» exaratione sic effigiatus, et ad eusebiam dei industriam est consummatus per 
3» Johannem Fust Maguntinum et Petrum Schoeffer de Gernszhein anno Domini 
so millesimo ceccelvij in Vigilia Apsumptionis ,,. 

È da osservarsi come in questa iscrizione gli stampatori Fust e Schoeffer non 
si attribuiscono la gloria dell’ invenzione dell’ arte che descrivono. È pure da 
motarsi cha nè in questa, nè in altre soscrizioni è rammentato Guttemberg. Fi- 
malmente è da avvertirsi, che nè Pietro Schoeffer, nè il di lui figlio Giovanni 
contradissero mai all’ asserzione contenuta nella Gronaca di Colonia pubblicata 
nel 1499 , che attribuiva all’Olanda il vanto della prima invenzione. 

(12) La maggior parte di quest’articolo era già stampata quando, ayuti fra 
mano i due esemplari di questa Bibbia che trovansi nella Magliabechiana , ho 
verificato che nell’ esemplare in carta pecora non si legge nella sottoscrizione 
di Fust e Schoeffer quella frase nella quale il metodo usato nell’esecuzione di 


T.l. Marzo 5 


34 

1 perfezionamenti più notabili che quest’ arte deve, per 
quanto pare allo Schoeffer, e di cui sembra aver fatto uso in que- 
sta Bibbia del 1462, sono: il punzone di acciaio, e le matrici di 
rame che dettero ai caratteri quella precisione e nettezza di con- 
torni che hanno oggi ; la miglior mistura del metallo che rese i 
caratteri stessi facili a gettarsi, e solidi; e l'invenzione o mi- 
glioramento dei mazzi che sono in sostanza i ritrovati che condus- 
ser l’arte all’ ultimo grado di perfezione. 

Concludiamo : la riflessione che ricorre alla mente di chiun- 
que senza prevenzione, ed istruito un poco del meccanismo della 
tipografia, getta gli vechi sulle produzioni uscite dall’officina di 
Magonza , è che queste non son certo i primi tentativi dell’arte, 
e la perfezione dell’ esecuzione loro è tale da convincere, anche 
a primo aspetto , che lunghe osservazioni , ripetute esperienze , 
e non breve lasso di tempo debbono al certo essere stati indispen- 
sabili per giungere a quel punto. Due conseguenze necessarie de - 
rivano da questa osservazione ; la prima che questi tentativi e 
queste esperienze devono essere state fatte prima del 1450, epoca 
nella quale si formò in Magonza la società tra Guttemberg, e 
Fust, e s’ intraprese la stampa della prima Bibbia; la seconda 
è che ad altra officina fuori che a questa eretta in società tra 
Guttemberg e Fust verso il 1450, e a quelle tante che da questa 
derivarono, debbono attribuirsi i mouumenti tipografici rozzi ed 
informi che si conservano specialmente in Olanda in gran nu- 
mero, e di cui qualche frammento si vede nelle più ricche bi- 
blioteche d’ Europa. Ora siccome niun’ altra officina vi ha che 
vanti titoli eguali a quella d’ Harlem per rivendicarne la perti- 
tinenza, sembra a noi che ad essa debbano necessariamente at- 
tribuirsi, e che la gloria dell’invenzione non possa a Lorenzo Ko- 
ster contrastarsi , poichè a suo favore milituno la tradizione , la 


x 


quell’ opera è detto « artificiosa adinventione imprimendi seu caracte- 
rizzandi absque calami exaratione ,, frase che si trova nell’ esemplare in 
carta comune. Ho di più notato che in quest’ ultimo esemplare la carta nella 
quale trovasi la sottoscrizione è stata aggiunta con pasta o colla, mentre nell’esem- 
plare in carta pecora i fogli del quiderno sono interi. Questa circostanza rende- 
rebbe possibile la vendita di un numero di detti esemplari per manoscritti, e diver- 
rebbe così verosimile il fatto di cui parla il Fournier, riferito da noi alla pag. 22. 
Non sarebbe poi impossibile che Fust processato o per sortilegio o per frode, fosse 
stato costretto a porre nella sottoscrizione la sopra riferita dichiarazione, onde 
non si ripetesse l’ inganno , forse divenuto allora comune ; sebbene anche l’opi- 
nione di noi accennata , che si trattasse cioè non di questa Bibbia, ma di 
quella del 1455, sia egualmente ammissibile. 


i 35 
lingua nella quale sono scritte le opere stampate, le marche 
della carta, la esistenza della più gran parte di quelli antichi 
saggi tipografici nella provincia e nella città stessa nella quale 
visse, e finalmente la testimonianza di molti scrittori autorevoli, 
e degni di fede, che furono in grado di raccogliere dalla viva voce 
dei contemporanei di lui le circostanze e le particolarità dei fatti 
dei quali è passata sino ai nostri giorni la memoria , e che ab- 
biamo di sopra narrati. 

Tom. TONELLI. 


Di VARIE SOCIETÀ E INSTITUZIONI DI BENEFICENZA IN LonDRA. 


Lugano 1828, G. Ruggia e C. 8.° 


Son questi i libri sui quali ci piace portar l’occhio e il pen- 
siero. Son questi i doni che chiediamo a quegli italiani che l’ele- 
zione o la sventura conduce in paesi stranieri. Mille fogli ci ri- 
petono ogni giorno, parlando dell’ Inghilterra, il numero delle 
sue macchine a vapore, l’ estensione delle sue strade di ferro, 
le maraviglie delle sue costruzioni. Ogni giorno rileggiamo i cal- 
coli del suo debito pubblico, quelli delle sue importazioni e 
esportazioni commerciali, e la statistica d’ ogni suo elemento di 
forza. Cose utilissime invero, anzi necessarie allo stulio d’ogni 
uomo che ama arrestare le sue meditazioni sui destini de’popoli; 
ma non però le sole che possano dar pascolo alla mente del fi- 
losofo , e non le prime che si presentino a lui quando non pago 
di conoscere quello che una nazione di se stessa manifesta al 
di fuori, vuol penetrare più addentro ne’ principii qaella sua 
esistenza. 

L'Inghilterra è forse il paese che offre più vasto campo a 
tali ricerche. Fra i tanti contrasti ch’ esso presenta noi ci con- 
tenteremo d’ indicarne un solo, perchè in rapporto col libro an- 
nunziato, quello cioè dell’ estremo della ricchezza, accanto al- 
l’ estremo. della miseria. 

Ripartito in vaste porzioni fralle man d’una aristocrazia for- 
midabile , i! suolo dell’ Inghilterra nutre migliaia di ricchi oziosi, 
e miglioni di poveri industriosi. Invano i primi versano a larga 
mano sui secondi una parte del loro superfluo : essi alimentano 
la miseria senza distruggerla; invano il governo vuol provvedervi 
con tasse: esse non fanno che aggravare il male. La sua cessa- 
zione non avrà luogo che dopo l’intera riforma d’ un sistema, 


36 


decrepito per vecchiezza e fracido per abusi. Sistema che parve. 
luce all’ Europa in tenebre, ma che si è offuscato all’improvviso 
balenare d’ un giorno che non avrà sera. 

L'Inghilterra ha salutato quel giorno, e illuminata da quello 
ha già posto mano all’opera della sua riforma. Ma i mali invete- 
rati dai secoli non in poche ore si curano, e passerà lungo tempo 
prima che s’infievolisca anche in parte quel funesto contrasto 
che poc'anzi accennammo. Concorreranno a distruggerlo gl’ in- 
dividui più che il governo, vi si uniranno gli sforzi di molte 
associazioni filantropiche , e mentre queste sempre più si molti 
plicheranno, scorta e modello alle nuove sarà un buon numero 
di quelle che in tempi calamitosi già tanto hanno fatto, ed alle 
quali è consacrato il libro dell’ Anonimo italiano. 

Questi fa precedere il suo lavoro da saggi ragionamenti sul 
miglior modo di soccorrere ai poveri, e noi ci tratterremo al- 
quanto su questa introduzione perchè la crediamo degna che vi 
mediti sopra ogni benefico spirito italiano. Sia detto a lode del 
nostro paese, non v’è istituzione di carità che in esso o non 
abbia avuto origine , o non vi abbia prontamente preso radi- 
ce. Non v’ è provvedimento pietoso che preso non abbiano gl’ita- 
liani per ogni genere di sventura; e chi visitando le nostre città 
si cura di farne ricerca , si sente intenerire nella contemplazione 
di tanta carità esercitata da ogni classe di persone , e ritrova con 
ammirazione tra noi esistenti da secoli senza pompa e senza 
pubblicità tanti istituti che come cose moderne e cose loro van- 
tano straniere nazioni. — Deh! fra noi sempre duri quel mo- 
desto sentire che vede nel soccorso del misero più un obbligo 
che una virtà; duri quella bontà di cuore che rende il sesso 
gentile sì operoso nel bene , con tanti sforzi, con tanti sacrificii, 
con tanto obblio di se stesso. Tutte le parti del cuore già le 
adempie la beneficenza italiana; or veda se adempia del pari 
quelle del previdente consiglio. 

« {1 tempo, ,, dice il n. A. , “ che è andato oguora mu- 
tando o modificando le opinioni degli uomini sopra quasi tutte 
le cose del mondo, non ha lasciato stare quelle che risguardano 
il modo di far bene ai poveri. In addietro pensavasi comune- 
mente essere opera pia ed utile insieme il venire in soccorso di 
essi con ogni sorta di instituzioni di beneficenza , e il propor- 
zionare , per quanto fosse fattibile, i soccorsi al numero di quelli 
che li chiedevano ed alle loro necessità. Ma ora vi è chi pensa, 
che tali instituzioni, assicurando i poveri contro sciagure che 
potrebbero essi stessi tener lontane , li facciano indolenti, im- 


37 

-  providi, ne accrescano ognora il numero, e sieno quindi di no- 
cumento universale e da essere soppresse: e vi sono altri che 
giudicano , alcune avere una tale nociva influenza , alcune non 
averla , e che vorrebbero soppresse le prime, e mantenute e fa- 
vorite le seconde ,,. = Il n. A. si dichiara per l’avviso di que- 
sti ultimi; quindi aggiunge : ‘° Se verrà giorno in cui i poveri 
(e per poveri intendiamo tutti quelli che vivono del lavoro delle 
proprie mani) sieno così istrutti, così providi, così favoriti dalle 
circostanze, da fare a meno de’ sussidi e della illuminata coo- 
perazione degli uomini ricchi e dabbene , allora essi potranno 
venir lasciati in balia di se medesimi; ma ora gli uni sono nella 
maggior parte sì poco istrutti e preveggenti , ed è ad essi tal- 
volta sì difficile il ritrovare lavoro , che ci sembra esservi ne- 
cessità che gli altri vengano in loro aiuto. E poi, per quanto 
migliore possa farsi la sorte de’ poveri, per quanto questi colla 
prudenza e l’ economia possano giungere a difendersi da se soli 
contro le sciagure ordinarie della vita, vi saranno sempre le 
straordinarie , le impossibili a prevedersi, e contro le quali non 
potranno mai lottare con buon successo; vi saranno le afflizioni 
comuni al povero siccome al ricco ; cosicchè nè l’uomo egoista 
potrà mai trovare scusa alla sua insensibilità , nè il beuevolente 
rimettere il suo attivo operare ,,. 

Da queste parole è manifesto che l’autore intende esser il 
miglior modo di beneficenza quello che da al povero i mezzi 
da diminuire egli stesso a poco a poco la propria povertà. La 
mancanza d’ istruzione e di prudenza vi si oppone potentemente, 
e però opera pia sopra ogni altra è quella che tende a fare del 
povero un uomo istruito e previdente. - Nel concorrere in que- 
sto pensiero, non abbiamo dimenticato che l’ autore intende per 
poveri tutti quelli che vivono del lavoro delle proprie mani, ed 
è a questa classe, la più numerosa e la più utile della società , 
che deve applicarsi tal forma di benefizio. Ma fra gl’individui 
di quella classe , anzi di tutte le classi , vi sono i miseri, gli 
afflitti, i derelitti, g'i oppressi; in tutte le classi vi sono sven- 
ture che la prudenza non avrà potuto evitare , che l’ istruzione 
renderà forse più acerbe. Infiniti fra gli nomini sono gli aspetti 
della sciagura , mentre sconosciuto e velato è sempre rimasto 
quello della felicità. E però chi si sente in petto un cuor be- 
nefico , non si appaghi di stender la mano, al cenno di tale o 
tale altro sistema di beneficenza. Istruisca e renda previdente il 
povero , ma poi vada in traccia del misero e dell’ afflitto , e so- 
pratutto dimostri esser uomo è cittadino nel prender per mano 


30 
gl’ insidiati dai perfidi , e le vittime di prepotente scelleratezza. 

Procede l’ autore a dar conto del suo proponimento di seri- 
vere intorno alle istituzioni benefiche di Londra, non meno in 
grazia della loro importanza, che per l’ opportunità avuta di 
bene esaminarle , e di raccogliere su di esse ogni più precisa no- 
tizia, tanto dai rapporti pubblicati annualmente, quanto dai 
direttori delle medesime. Sul qual proposito , noi non ci ristaremo 
dal dire di quanta utilità riesca agli istituti medesimi la. pub- 
blicazione di questi annui rapporti, i quali da una parte im- 
pediscono ogni abuso nella amministrazione , dovendosi dagli am- 
ministratori rendere esatto conto d’ogni danaro ricevuto ; dall’al- 
tra giovano alla pubblica morale mostrando con mille esempi 
atti a intenerire ogni core, che tutto ancora uon è egoismo fra 
gli uomini. E molto ancora sono utili al povero indicandogli a 
un tratto ove possa per soccorso rivolgersi, mentre dove la pub- 
blicità non va unita alle istituzioni di beneficenza, non vi giunge 
sovente il misero che per tortuose vie, e quasi per grazia di 
tale o tale altro amministratore ; il quale gli toglie coll’umiliarlo 
cento volte più di quel che gli doua. Nè minori vantaggi deri- 
vano da tali rapporti al governo, e a que’ privati che volessero 
prendere altri provvedimeuti di pubblica utilità, perchè con- 
sultandoli vedranno ad un tratto quel che già sia stato fatto , 
e quel che ancor resti da fare. = A tali vantaggi risultanti dalla 
pubblicità, e ai quali facil sarebbe di aggiungerne ben altri an- 
cora, non sia chi opponga; essere ogni esterna dimostrazione 
contraria al vero spirito di carità. Questa opposizione che ogni 
giorno si ascolta proviene da mente o ipocrita o male avveduta. 
Perchè se per carità s’ intenda la carità evangelica, quei pochi 
cui ne fu largo il cielo, sanno che può taluno dare anche tutti 
i suoi beni al povero, e non aver carità ; e però esser questa 
una cosa distinta affatto dalla beneficenza; se poi per carità 
s’ intenda quella compassione pei miseri che ci. porta a soccor- 
rerli, questa come ogni altro impulso del nostro cuore deve venir 
regolata dalla ragione, e deve farsi agire in quel miglior modo 
che questa gli detta. E però non deve contentarsi della propria 
interna soddisfazione, ma gli convien considerare 1’ universal 
vantaggio , e sacrificar quella a questo. — Oltrechè sallo Iddio 
che tali obiezioni suonano più frequenti sul labro di que? tristi 
che nè apertamente nè di nascosto si curano di esser benefici. 
Che se tali pur fossero ben troverebbero che dopo aver contri- 
buito al sollievo di quanti casi. sono stati. mai  preveduti da 
qualsivoglia pia istituzione , resterebbe loro campo bastante da 


39 
esercitare ancora in segreto quanti atti di carità lor suggerisce 
il cuore! .. Facciasi 1’ uno, e l’altro non si trascuri ! 

Ma per tornare agli istituti di Londra, osserva l’ autore , 
che le opinioni circa il modo di far bene ai poveri avendo mu- 
tato in Inghilterra più che altrove, e le opinioni avendo bisogno 
di tempo per influire sulle azioni, vi esiste tuttora ogni specie 
di società e di instituzioni caritatevoli. Solo da qualche tempo 
il pubblico ne va favorendo alcune a preferenza di altre: le scuole, 
le missioni, le instituzioni meccaniche , le casse di risparmio , 
le società amichevoli, a preferenza degli ospedali , degli orfa= 
fanotrofi ed altre di simil genere: quelle che prevengono la mi- 
seria invece di quelle che la soccorono. — Non di ciascuna di 
esse parla l’ autore, ma si è limitato ad un certo numero fralle 
maggiori , scegliendo quelle formate di recente , e le meno co- 
nosciute. — Del che noi non possiamo interamente lodarlo ; per- 
chè se a queste da lui scelte doveva , come alle più importanti, 
consacrare massimamente la sua attenzione , pur non doveva del 
tutto tacere delle altre : facendo queste pur parte d’un sistema 
che è interessante il contemplare nel suo insieme e in tutti i 
suoi elementi; e perchè le istituzioni le più neglette in un paese 
possono rivivere con somma utilità in un altro, come molti esempii 
ce ne offre la storia morale dell’ uomo. 

‘ Questo libro , (lasciam parlare l’ autore ) comprende sol- 
tanto società e instituzioni per allevare fanciulli, e di educa- 
zione , religiose e che hanno per fine di migliorare la sorte de’po- 
veri prevenendone la miseria. Un’ altro, se pure ci verrà fatto 
di pubblicarlo , comprenderà di quelle che vengono più diretta- 
mente in loro soccorso : alcuni ospedali , società per dare ai po- 
veri medicine e consigli medici , altre per visitarli , asili per la 
vecchiezza e simiglianti. E abbiamo così ordinato le materie, onde 
indubitatamente dar forma a quella parte di esse che noi giudi- 
chiamo più importante, e perchè ci è sembrato di seguire in tal- 
modo l’ ordine stesso che segue la carità , la quale per dir così, 
prende fra le sue braccia 1’ uomo infante, e non lo depone , se 
non dopochè , in onta delle sue sollecitudini , le infermità e la 
vecchiezza 1 hanno condotto al sepolcro ,. 

Narra poi l’ autore il modo cume si formino generalmente 
e come si mantenghino in Londra tali istituzioni, modo che non 
differisce ne’ punti essenziali da quel che si pratichi altrove ; st 
se ne eccettui che come uno de’ mezzi di mantenimento, quasi 
tutte fanno predicare in qualche chiesa in proprio favore , e ce- 
lebrano con un lanto pranzo rallegrato dalla voce di abili can- 


4° 
tori l’ anniversario della loro fondazione: e spesso in queste oc- 
casioni è fatta mostra degli individui che le società hanno bs 
neficato, ed è sempre raccolto danaro. — “ La consuetudine poi 
( saviamente osserva il n. A. ) che le instituzioni di beneficenza 
sieno formate e mantenute dai cittadini è buona ; perchè ne in- 
duce molti a fare spontanei e senza rincrescimento de’ sacrifici 
pecuniari , offre loro occasione di distinguersi ed occuparsi lode- 
volmente , e unisce con vincoli di affezione e di gratitudine i 
poveri ai ricchi. Laddove quando elleno sono opera dei governi 
sono più sovente male amministrate che non nell’ altro caso, 
fanno talvolta increscere ai cittadini il danaro che devono pa- 
gare per esse, nè fanno nascere nell’ animo de’ poveri alcun 
sentimento di riconoscenza ,,. 

Invece di seguitare 1’ autore nella breve storia che fa della 
famosa tassa de’ poveri che ascende ogni anno a tanti miglioni 
male impiegati di lire sterline, riporteremo alcune parole del 
ministero inglese in conferma delle osservazioni precedenti, le 
quali ci sembrano di una natura da non potersi bastantemente 
inculcare negli animi de’ cittadini. Nel 1826 la società per la 
soppressione della mendicità avendo richiesto soccorso al governo 
in considerazione di ciò che faceva per iscoprire e porre in ac- 
cusa gli impostori , il ministero rispose che mentre faceva voti 
per la prosperità d’ una associazione utile e ben diretta qual era 
quella, dovea dichiarare che /’ utilità della società dipendeva 
principalmente dal continuare ad essere una instituzione privata; 
e dal dar vigore alle leggi esistenti con mezzi suoi proprii, senza 
derivar nessuna parte della sua energia dall’ aiuto del governo. 
— Felice patto sociale ,. per cui pel pubblico bene può tale coo- 
perazione aver luogo fra governo e privati, senza gelosia da una 
parte e senza periglio dall’ altra! 

Siamo al termine della introduzione , e in quanto all’opera 
stessa abbiamo creduto non poterne in miglior modo presentare 
ai lettori il contenuto , che riducendo questo in un quadro che 
presenti i nomi delle varie società e istituzioni, l’ epoca della 
loro fondazione , e l'estensione dei loro mezzi e della loro in- 
fluenza. 


TA 
1 vi 
N. | 
I. SOCIETÀ E INSTITUZIONI PER L'EDUCAZIONE DEI POVERI. 


Ospedale degli esposti , e degli orfani de’ soldati ; 
fondato nel 1723. 


Mezzi di mantenimento. È mantenuto insieme dal governo e dai 
privati. Nel 1760 le sue spese ascesero a 45,000 lire sterline; ma ora 
sono assai minori. L’ autore non le indica. 

Estensione del benefizio. Nel 1760 vi erano più di 6000 fanciulli. 
Ora il numero non indicato dall’ autore è assai minore , perchè ne’casi 
ordinarii le parrocchie provvedono ai proprìi esposti. 


Società per le scuole dei bambini fondata nel 1824. Società per le scuole 
dei bambini della città di Londra ; fondata nell’anno 1826. 


Mezzi di mantenimento. Queste scuole sono un oggetto di pre- 
dilezione per le signore. Sono piuttosto asìli che scuole , e vi si ri- 
cevono poveri fanciulli de’ due sessi anche di soli diciotto mesi. Le 
spese si calcolano a 15 scellini l’ anno per ogni fanciullo. 

Estensione del benefizio. Nell’ anno 1825 vi erano in Inghilterra 
scuole di bambini in più di 50 città e paesi. Il loro numero andava 
crescendo ogni giorno. 

Il Pestalozzi fu il primo ad avere l’idea e ad aprire una scuola 
di bambini. Il celebre Owen ne fece felice esperimento in Scozia. Ora 
ve ne sono anche in Francia , nella Svizzera e nell’ Italia. 


Scuole di carità. = Società dei protettori dell’ anniversario delle 
Scuole di carità. = Non è indicata l’epoca della fondaz. 


Mezzi di mantenimento. Non è indicato; ma numerose sono le 
società per tali scuole , e grandi i loro mezzi di mantenimento. Nel 
1824 la sola società de’ protettori incassò 808 lire sterline. Il mante- 
nimento di alcune di queste scuole è reso più costoso da ciò che vi si 
nutrono gli scolari più miseri , o si provvedono di vestiario. Altre pon- 
gono a tirocinio d’ arti e mestieri i maschi , e trovano servizio alle 
femmine provvedendole di corredo. 

Estensione del benefizio. Vi sono di tali scuole non solo per 
gl’ inglesi , scozzesi e irlandesi ma anche pei poveri fanciulli dei te- 
deschi , de’ francesi e degli ebrei residenti in Londra. Quella degli 
ebrei è forse la più ampia di tutte, e contiene due grandi sale una 
per 600 e l’ altra di 300 fanciulli. L’ edificarla costò più di 5000 lire 
offerte promiscuamente da israeliti e cristiani , a cui spese è pure te- 
muta aperta. Il numero de’fanciulli istruiti nelle varie scuole di carità 
è di circa 7000. 


T. I Marzo 6 


42 


Società per promuovere l’ educazione del povero in Irlanda. 
Non è indicata l’ epoca della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. Nel 1825 la società spese lire 19,405. 15. 9. 
Il parlamento inglese riconosciuta la grande utilità di questa associa- 
zione , le assegnò nel 1824 un dono di 22,000 lire sterline. 

Estensione del benefizio. La società ha sotto la sua protezione 1490 
scuole contenenti più di 100,000 fanciulli ; 24 di queste scuole sono 
stabilite in prigioni. 


Società nazionale per promuovere l° educazione del povero , secondo i 
principi della chiesa anglicana ; fondata nel 1810. 


Mezzi di mantenimento. Nel 1825 la società incassò lire 3,223. 15. 11. 
Nell’ anno precedente il governo aveva fatto assegnare alla socie- 
tà alcune contribuzioni parrocchiali che ascesero alla somma di li- 
re 28,225. a. a. Parte di questa somma ha servito ad aprire nuove 
scuole , o a migliorare le antiche in 73 città e paesi. Il restante è stato 
investito in fondi pubblici onde co’frutti stabilirne e soccorrerne altre. 

Le università di Oxford e di Cambridge fecero ciascheduna alla 
società un dono di 5oo lire. 

Estensione del benefizio. Nel 1824 le scuole in relazione colla so- 
cietà erano 2,095 frequentate da circa 315,000 scolari: oltre 50,000 
in altre scuole che quantunque non in relazione colla società , pure 
ne seguono il metodo , che è quello di mutuo insegnamento. “ Chi 
viaggia per l’ Inghilterra e pel paese di Galles, dice il n. A., vede nei 
villaggi anche i più reconditi qualcheduna di queste scuole , che a dir 
vero ne sono il più bell’ ornamento. Una casetta ‘che è 1° abitazione 
dei maestri, con iscritto sopra : Scuola nazionale ; il nome della Par- 
rocchia in cui e situata, e l’anno in cui è stata eretta ; e due ale 
dai lati, V una scuola dei maschi, 1’ altra delle femmine ; e bene 
spesso il tutto nel mezzo di un giardino »,. 


Società per la fondazione di Scuole in Inghilterra e presso altre 
nazioni. Non è indicata 1’ epoca della fondazione. 


Mezzi dì mantenimento. L’ entrata dell’ anno 1824, fu di lire 
2,114. 19 3. Il Re dà ogni anno 100 lire st. Associazioni parziali che 
mantengono altre scuole danno alla società madre parte delle loro ren- 
dite , che spesso sono la riunione di tanti soldi pagati da tante povere 
persone , che vogliono concorrere anch’ esse al bene che quella si 
propone di fare. 

Estensione del benefizio. La scuola centrale de’ maschi ha d’or- 
dinario 500 scolari; quella delle femmine 300. 4 Dacché questa scuola 
è aperta vi sono stati educati 23,237 fanciulli , cioè 15,225 maschi, e 


43 
a712 femmine. » Vi si ricevono per ispeciale regolamento i figli de’car- 
cerati per debiti. Altre 60 scuole trovansi istituite in Londra se- 
condo il metodo di questa società, che è il reciproco , e contengono 
quasi 10,000 fanciulli. + Questa società provvede di maestri molte 
scuole dell’ Inghilterra, e ne ha fondate negli Stati Uniti d’ America, 
nel Canadà, nell’ Indie Orientali, e nell’ Affrica. 


Società per mantenere e incoraggiare le scuole della domenica in tutti 
i dominii inglesi. 4 Non è indicata l’epoca della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. Il mantenimento di queste scuole costa 
pochissimo , servendo quelle che si usano ne’ giorni feriali, e facendo 
ufficio di maestri persone caritatevoli prese dal seno della società. Nel- 
l’anno 1823 incassò lire 433. 2. 1. e ne spese lire 315. 8. 9. 

Estensione del benefizio. Questa Società da che esiste fino al 1824 
ha stabilite e soccorse 6317 scuole, da cui sono uscite 545,152 persone 
che sapevano leggere. Aveva fino a quell’ epoca sparso 603,174 sillaba- 
ri ; 109,238 testamenti nuovi; e 824 bibbie. 


Società delle scuole della domenica per V Irlanda. + Non è 
indicata l’ epoca della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. Nel 1824 ha incassato lire 2491, e ne 
ha speso 2,336. 15 per la più parte in bibbie, testamenti e sillabari; 
nella pubblicazione di un operetta che dà un idea del modo di con- 
durre le scuole della domenica , nel far viaggiare persone onde pro- 
muovere l’ apertura di nuove scuole ec. 

Estensione del benefizio. Nel 1824 questa società manteneva in 
Irlanda 1640 scuole con 157,184 scolari, e 12,578 maestri gratuiti. — 
Molte scuole hanno una piccola biblioteca, ed alcune fanno pubblicare 
ogni domenica un giornale col doppio intendimento di spargere fra il 
popolo idee religiose e morali, e di ritrarne, onde supplire in parte 
alle spese della scuola. 


Scuola dei ciechi poveri ; fondata nel 1799. 


Mezzi di mantenimento. Nell'anno 1824 questa scuola ha incas- 
sato lire 7444. 5. 11. Di queste, 1358 provennero dalla vendita de’lavori 
de’ciechi. Questi vi son mantenuti quattro anni, e visi ammettono dai 
dodici ai trenta. 

Estensione del benefizio. Circa roo ciechi poveri de’ due sessi 
sono alloggiati, mantenuti, e istruiti nella scuola. Altri vi ricevono 
solamente istruzione , e questi vi si recano la mattina, e portano seco 
il proprio pranzo , e la sera ritornano alle case loro. Imparano tutti un 
mestiere e la musica naturale disposizione e conforto de’ ciechi, e che 
abilita molti a diventare organisti di chiesa. 


44 


Asilo pei Sordi-mutî ; fondato nel 1792. 


Mezzi di mantenimento. Nell’anno 1824 l’ asilo ha incassato lire 
9,874. 5. 6. Le famiglie di alcuni fanciulli pagano parte delle spese di 
mantenimento ; ma il maggior numero dei sordi-muti è alloggiato , 
nudrito e educato gratuitamente. I parenti de’ sordo-muti non poveri 
possono farveli educare pagando. 

Estensione del benefizio. Durante i primi 15 anni dopo che que- 
sto asilo fu aperto vi sì ricevettero 1oo fanciulli, e nei 14 successi- 
vi 500 ; nel 1825 ve n’ erano 220, e molti non sì potevano ammet- 
tere per mancanza di luogo. Si ricevono dai nove ai dodici anni. 
L’ istruzione abbraccia la religione , il leggere , lo scrivere , il con- 
teggiare e un mestiere. ; 


Società filantropica per prevenire i delitti , dando ricovero a figliuoli 


di condannati , e riformando fanciulli poveri delinquenti ; fonda- 
ta nel 1788. 


Mezzi di mantenimento. Nell’ anno 1824 la società ha incassato 
e speso lire 5,434 di cui lire 1653 furono il prodotto de’lavori de’fan- 
ciulli. Tiene aperto un asilo , parte del quale è destinato ai figli de’con-. 
dannati, e parte ai fanciulli delinquenti. 

Estensione del benefizio. Nel medesimo anno la società provvide 
a 188 fanciulli de’ due sessi; e ne rimanevano 161; cioè 59 garzoni di 
bottega , e 64 fanciulli e 38 fanciulle che lavoravano entro l’ istituzione. 

€ Spesso gli sciagurati condotti al patibolo, prima di salirne i gra- 
dini fatali, hanno scongiurato il sacerdote che ve li accompagnava ad 


aver compassione della loro prole, e a procurarle un posto nell’asilo 
aperto da questa società ,,. 


Instituzione per orfane adulte; fondata nel 1820. 


Mezzi di mantenimento. Oltre le contribuzioni de’socii, e di 
molte signore che prendono parte alla direzione di questo istituto , i 
mezzi di mantenimento provengono dai lavori delle orfane, dalle le- 
zioni che esse danno a giovinette che si recano a riceverle nella in- 
stituzione. Alcune orfane però provedono o per se stesse, 0 col soc- 
corso di parenti e di amici a una parte del loro mantenimento. Nel 1824 
le spese furono di 1300 lire sterline. 

Estensione del benefizio. È destinata principalmente alle orfane 
di sacerdoti e militari; sono ammaestrate o perfezionate nelle arti li- 
berali, collo scopo principalmente di farne abili institutrici private o 
pubbliche. 

Nell'anno 1824 vi erano nell’istituto 27 orfane. + “ Una dimanda 
di giovani per institutrici in famiglie o in iscuole, tre volte maggiore 


45 
del numero che la instituzione non può ornire è prova indubitabile 
ch’ essa consegue il suo intento ,,. 


Società della città di Londra per l’ istruzione degli adulti; 
fondata nel 1816. 


Mezzi di mantenimento. Nel 1820 la Società non aveva speso 
che 84 lire sterline, e manteneva due scuole per uomini, e due per 
donne. Sono peraltro in decadenza perchè gli adulti frequentano le 
scuole della domenica. 

“ In una scuola di Bath vi erano cinque donne, i di cui anni 
sommati insieme montavano a 283 ,,. 

Estensione del benefizio. Si limita all'insegnamento del leggere , 
e non ammette individui di meno di 16 anni.. = La prima societa di 
tal genere fu formata a istanza d’ un povero uomo di Bristol nel 1811. 
Ora ve n’ha in Francia, in Germania, in Russia, in Africa e in America. 


Instituzione meccanica di Londra. Lo scopo principale è il perfezio- 
namento dell’ industria nazionale , appoggiando sopra principit 
scientifici l’esercizio delle arti; fondata nel 1823. 


Mezzi di mantenimento. I sociì paganti montavano nel 1825 
a 1887. Due terzi degli individui del comitato direttore sono scelti fra 
gli operai. 

In quel medesimo anno furono aperte da 50 a 6o istituzioni di 
simil genere ad esempio di quella di Londra. Questa va sempre più pro- 
sperando e poche istituzioni hanno ottenuto sì completamente il loro 
intento, 


Il Dupin le ha naturalizzate in Francia, e non sono ignote alla 
Germania e all’Italia. 

Nel 1826 le sottoscrizioni a favore degli operai in miseria , pro- 
mosse principalmente da tali istituzioni, montarono in Londra a 126,000 
lire sterline. 

Estensione del benefizio. La Società ha eretto un bell’edificio , 
con entro una biblioteca, un museo, macchine , modelli; e un anfi- 
teatro. Due sere di ogni settimana vi s’insegna storia naturale , fisica 
sperimentale, meccanica pratica, elementi di astronomia, di chimica, 
e di belle arti. 

Le altre sere si danno lezioni di aritmetica, d’algebra, di geome- 
trìa e trigonometria applicate particolarmente alla prospettiva, all’ar- 
chitettura, all’agrimensura e alla navigazione. 

La società pubblica manuali popolari di scienze e d’arti, e operette 
periodiche per la classe lavoratrice , nelle quali si fanno note le sco- 
perte le più importanti sopratutto nella meccanica. 


46 
Società ginnastica di Londra ; fondata nel 1826. 


Mezzi di mantenimento. È composta principaimente di artigiani che 
pagano due scellini e mezzo il mese. 

Quando l’ autore scriveva questa istituzione era affatto nascente. 

Estensione del benefizio. Gli esercizii hanno luogo due volte la 
settimana e durano due ore. # La società dà consigli e danaro ad 
altre che si vanno formando. 4 La Germania ha molte di queste uti- 
lissime scuole, che sono pure sparse nella Svizzera e nella Francia. 


Il. SOCIETÀ E INSTITUZIONI CHE HANNO PER FINE IL MIGLIORARE 
LA CONDIZIONE DEI POVERI E PREVENIRE LA LORO MISERIA. 


Società per incoraggiare l’ industria e far diminuire la tassa 
dei poveri; fondata nel 1818. 


Mezzi di mantenimento. Questa Società non ha conseguito il suo 
scopo , e l’articolo che vi consacra l’Autore , discutendo le cause, è 
degno di seria attenzione per i lumi che sparge sulla migliore appli- 
cazione de’ principj di pubblica economia ai bisogni relativi delle classi 
agricole e industriose. 


Società per migliorare la condizione de’ poveri. + Non è indicata 
l’ epoca della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. Non indicati. 

Questa ed altra simile società pe’ sobborghi di Londra si propon- 
gono di scoprire e soccorrere la vera miseria, il dare aiuto e ricom- 
pensa all’ industria onorata , lo svelare la frode e l’impostura , lo sco- 
raggiare l’ozio e il vizio, e l’occupare i fanciulli anche giovanissimi. 
In nessun caso deve essere dato danaro in elemosina, ma le rendite 
della società debbono essere. pei casi di particolare miseria destinate 
a comperare cose necessarie ai poveri, e queste esser portate loro dai 
visitatori. 

Società cooperativa ; fondata nel 1819. 


Estensione del benefizio. Non indicato. 

Questa società è composta nella massima parte di artigiani guidati ' 
da qualche fautore de’ principj del sig. Owen; questo filantropo illuso 
dai felici successi ottenuti nelle sue vaste manifatture di New-Lanark 
in Scozia , vorrebbe veder l’ Inghilterra cuoperta d’ instituzioni coope- 
rative in parte agrarie e in parte industriali , composte ciascuna di non 
meno di cinquecento e di non più di 2000 persone, aventi tutto in 
comune, + Il suo sistema è in gran discredito. Alcuni individui della 


47 


società rinunziando alle comunità cooperative hanno proposto un piano 
di associazioni domestiche composte di ro, 0 12 famiglie ciascuna. Il loro 
pensiero si è che ogni famiglia colla spesa uguale di prima potrà es- 
sere meglio alloggiata, vestita e nutrita ; e i fanciulli potranno essere 
messi insieme e ben educati. Non sappiamo se questo piano abbia avuto 
effetto, ma esistono in Parigi simili associazioni. Noi crediamo che la 
riunione di alcune famiglie ad oggetto di educare in comune i proprj 
figli, possa riuscir vantaggiosa ; ma in quanto al vivere insieme, vi si 
opporrà sempre quel giusto spirito d’indipendenza, che ognuno ama 


nella propria famiglia. 


Società per sopprimere la mendicità ; fondata nel 1818. 


Mezzi di mantenimento. Nel 1824 l’entrate della società furono 
di 3,685 lire sterline. H Nello stesso anno il Comitato nominato dalla 
camera de’ comuni per raccogliere cognizioni sullo stato della mendicità 
. in Londra, dichiarò che la società aveva saputo reprimere il mendicare 
meglio dei magistrati e con una spesa tre volte minore. La società è in 
rapporto colla polizia, e si serve de’suoi agenti, molti de’quali essa 
paga , per separare i veri poveri dagli impostori. Tiene una lista di 
questi ultimi, e ne mette ogni anno un buon numero in istato di ac- 
cusa. 

Estensione del benefizio. Nel 1825 la società provide a 1,096 casi 
di miseria; somministrò 19,600 pasti, e mise in accusa 381 vagabondi. 

Riconosciuta la miseria d’un infelice , la società gli provvede sia 
facendo le spese del suo ritorno alla patria o alla parrocchia ; sia pro- 
curandogli posto in un ospedale, se ammalato , o in una casa di lavoro 
se sano; o se fa un mestiero dandogli materiali è stromenti da eserci- 
tarlo. Se alcuno ha qualche giusto reclamo che la sua povertà non gli 
permette di far valere,, la società lo fa per lui. Finalmente dà allog- 
gio per una notte agli uomini, e tiene aperta una casa di ricovero per 


le donne. 


Società amichevole di Westminster per ajutare î poveri industriosi , 
prestando loro piccole somme di danaro senza interesse ; fondata 
nel 1819. 


Mezzi. di mantenimento. I prestiti non sono minori di 5 scellini 
nè maggiori di due lire sterline , e devono essere restituiti in picciole 
porzioni pagate settimanalmente. Talvolta invece di danaro si danno 
oggetti da farne traffico , e sì redimono vestiti o stromenti da lavoro 
posti in pegno. — Nel 1821 il capitale della società non era che di 150 
lire sterline; ma essendo stato prestato e reso parecchie volte nell’an- 
no , più di 500 famiglie avevano potuto trarne vantaggio; nè vi era 
stato esempio di una che avesse mancato ai patti. 

Estensione del benefizio. Non indicato. 


48 
Società Fnglese per premiare i domestici ; formata nel 1792. . 


Mezzi di mantenimento. Non indicati. 
La società iscrive ne’smoi registri i nomi di onesti domestici di 
ambo i sessi, e li soccorre in caso di vecchiezza o di malattia. 


Società pel miglioramento, e Vl’ incoraggimento delle serve per mezzo 
di annuali ed altri premj. Non è indicata l’epoca della fondaz. 


Mezzi di mantenimento. Nel 1824 la società incassò 821 lire 
sterline e ne spese 729. A tutto il maggio 1826 aveva distribuito fra 
donne di servizio più di 50,000 libretti religiosi e morali, 990 bibbie, 
e dato in premj 3,266 lire sterline. 

Estensione del benefizio. La società dà premj a quelle serve che 
restano per più anni con buona condotta presso gli stessi padroni. Il 
premio cresce in proporzione del tempo. Ricevono di più una dote se 
sì maritano , e soccorsi in vecchiezza o in malattia. La società pub- 
blica libretti religiosi e morali , e due giornaletti adattati alla condi- 
zione de’ domestici. 


Instituzione nazionale preservativa. = Non è indicata l’ epoca 
della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. Non indicato. 

L’oggetto della Società è di preservare i proprii soci dall’ impo- 
stura di domestici provvisti di falsi certificati , e di procurarsi persone 
riconosciute oneste. 


Società per togliere di mezzo il bisogno di usare fanciulli 
per ispazzare i cammini ; fondata nel 1803. 


Mezzi di mantenimento. Non indicato. 

Lo scopo della società è di far cessare la barbara condizione degli 
infelici fanciulli impiegati a spazzare i cammini. Essa ha promosso 
l'invenzione di varie macchine che possono utilmente sostituirsi a quel- 
li, ele vende a tenue prezzo ai mastri più poveri. Ha poi fatto passare 
nel parlamento una legge che protegge i fanciulli contro le crudeltà 
che solevano usarsi da mastri , e invigila sulla sua osservanza. 


Penitenzeria di Londra per donne; fondata nel 1807. 


Mezzi di mantenimento. Nel 1825 la penitenzieria ha incassato e 
speso lire 2,901. 

Estensione del benefizio. Nello stesso anno vi erano nella casa del- 
l’ istituzione 183 donne. 


, 


49 


Società per preservare la morale pubblica , dando asilo e lavoro a 
donne che hanno deviato dal sentiero della virtù , ec. ; fondata 
nel 1812. 


Mezzi di mantenimento. Lo scopo di questa società diretta in gran 
parte da signore ; è di ritirare dalle strade un certo numero di donne 
che le infestano , e di riformarle. Mai suoi mezzi sono di gran lunga 
inferiori al bisogno, Nel 1824 la Società ha incassato e speso 1400 
lire. sterline. La spesa di ciascuna donna è calcolata a 8 scellini la 
settimana. 

Estensione del benefizio. Dacchè fu aperto quest’ asilo vi sono 
state accolte 1296 donne, molte delle quali emendate sono state ricon- 
ciliate colle loro famiglie e sono rientrate nel loro seno, e molte altre 
parimenti riformate sono state poste a servizio. 

Nella casa della Società preservativa vi erano 196 donne; nel 1825. 

Dalla fondazione della medesima vi sono state accolte 927 donne, 
le quali sono state provvedute presso a poco come quelle della pe- 
nitenzieria. i 


Società pel miglioramento della disciplina delle prigioni ; 
fondata net 1815. 


Mezzi di mantenimento. Nel 1824 la Società ha incassato e. speso 
lire 1,552. 18. 6. 

Questo articolo è benissimo trattato dall’ autore , e già ne ab- 
biamo fatto uso; nell’ occuparci altra volta di questo interessante ar- 
gomento. . 

Estensione del benefizio. L’ influenza di questa Società è stata 
delle più benefiche. — Il parlamento ha adottato quasi tutti i suoi 
suggerimenti per la riforma delle prigioni del regno, e al suo esem- 
pio si sonò formate molte altre simili istituzioni in variì paesi 
d’ Europa. 


Associazione pel miglioramento delle donne prigioniere in INewgate. 
Non è indicata 1’ epoca della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. Non indicato. 

* Questa associazione è composta di donne caritatevoli incoraggite dal 
felice esempio della celebre sig. Fry, che prima e sola per molti anni 
si occupò di sì ardua impresa. Prima di lei la prigione di Newgate 
era sì famosa pel disordine che vi regnava, che quasi nissuno ‘osava 
visitarla, temendo di essere derubato o assassinato. 


T. I. Marzo > 


50 


Società britannica® per promuovere la riforma delle donne prigioniere. 
Non è indicata l’epoca della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. » La Società ha incassato nel 1825 
lire ar7. 4. 6. 

Estensione del benefizio. -. Venticinque Società in provincia e 
quattro all’estero; cioè a Pietroburgo , Berna'!, Ginevra e Torino, si 
tengono in relazione con questa. Le regole della prigione delle donne 
in Torino sono simili a quelle di Newgate; i fornitori delle truppe 
danno lavoro alle prigioniere; si è fatto venire da Firenze una donna 
per insegnare loro a tessere i cappelli di paglia. Persone caritatevoli 
le vanno visitando e esaminando, e le soccorrono di vesti e di 
medicine. 


Asilo di Westminster per donne. = Non è indicata l’epoca 
della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. Non indicato, ma mantenuto dalla carità 
privata. 

Estensione del benefizio. Vi sono generalmente ben pochi indi- 
vidui. 


Casa di disciplina per fanciulle. = Non è indicata ) epoca 
della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. È destinata per fanciulle di ‘tenera età 
(dai 7 ai 13 anni) che vi si educano, tenendole lontane dalle sorgenti 
a cui hanno sì precocemente attinta la corruzione dell’ animo. 


Rifugio pei destituti. Non è indicata l’ epoca della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. Il rifugio incassò e spese nel 1822 li 
re 14,521. 10. 9 ; 5000 di queste gli furono date dal governo. + Altre 
Società , come quella pel miglioramento delle carceri, per sopprimere 
la mendicità , concorrono al suo mantenimento , pagando per ogni de- 
stituto che vi mandano sette scellini la settimana- 

Estensione del benefizio. È destinato per quegli individui che 
uscendo di carcere si trovano destituti di mezzi di sussistere. 

Vi sono sempre circa 250 individui de’ due sessi. Si dà loro istru- 
zione e sì tengono assiduamente al lavoro. Il Papa Leone XII vi mandò 
alcuni libri per esservi legati, e molti signori inglesi vi fanno fare 
scarpe e stivali. 


5I 


Società per prevenire le crudeltà che sv usano verso gli animali ; 
fondata nel 1824. 


Mezzi di mantenimento. Questa Società fu fondata ad istanza 
del sig. Martin membro del Parlamento , che nel 1823 fece passare 
nella camera dei comuni una legge per punire quelli che volontaria- 
mente maltrattano gli animali. Le sue istanze furono avvalorate da 
petizioni di oltre cinquanta città, e da deposizioni di molti magistrati, 
i quali asserivano che nulla induceva tanto il popolo ai delitti, quanto 
la ferocia verso gli animali. 

Estensione del benefizio. La Società distribuisce al popolo, e par- 
ticolarmente ai conduttori di bestie al mercato , ai carrattieri , ed ai 
cocchieri , trattati sull’ obbligo di trattar bene gli animali ; altri ne 
sparge scritti pei fanciulli, onde por freno a quella inclinazione che 
€ pur troppo in loro di tormentarli ; e fa recitare prediche sopra que- 
sti soggetti, 

Invigila sulla esecuzione della legge del Parlamento , e fa pub- 
blici colla stampa i casì di crudeltà e la loro punizione. 


Società amichevoli. Ne esistono da più d’un secolo. Sono state 
riorganizzate da una legge del 1819. 


Mezzi di mantenimento. Sono composte di un certo numero di 
artigiani dello stesso mestiero, i quali mettono in una cassa comune 
picciole porzioni delle loro mercedi, per essere soccorsi quando sieno 
vecchi o ammalati. Questi soccorsi riguardano ancora le mogli e i figli, 
come, anche le vedove e gli orfani. 

Nel 1815 le Società di questo genere nella sola Inghilterra com- 
prendevano circa un milione di individui. Una di esse ha instituito 
una scuola per mantenere e educare i figli de’ suoi membri morti 
o miserabili. 


Casse di risparmio. Proposte da Malthus nel 1803. 


Mezzi di mantenimento. Non si ricevono depositi che di persone 
povere o di società amichevoli. Il governo ne è garante. 

Nel 1822 vi erano in Inghilterra 122 casse di risparmio. A tutto 
il 25 febbraio 1826 le casse di risparmio , e le società amichevoli dei 
tre regni avevano nei fondi pubblici un capitale di quindici miglioni 
ventiquattro mila seicento settanta lire sterline. 


Associazioni di persone professanti arti liberali. Non è indicata 
1’ epoca della fondazione. 


Mezzi di mantenimento. Ve ne sono di legisti, di medici, di 
maestrì di scuola, di artisti, di uomini di lettere , ec., ognuna delle 


59 


quali hanno regolamenti propri, ma tutte partecipano della natura di 
società benefiche, e di società amichevoli. La Società de’legisti ha un 
capitale di 10,000 lire sterline. Quella degli artisti ha un capitale di 
lire 4500, oltre sottoscrizioni annue di circa lire 400. 
E. M. 
(Sarà continuato) 


VepuTE DI SARDEGNA. Torino, 1831 presso G. G. Pic, Libraio 
della Real Accademia delle Scienze, in fol. Dispensa I.* di 
N.° 5 vedate. 


Lettera al Direttore dell’ Antologia (1). 


Io ho indugiato lungo tempo a rispondere a VS, Chiarissima, 
non perchè mi gravasse il farlo, ma perchè sembravami, che 
lo avrei fatto più acconciamente , allora quando avessi potuto 
inviarle il primo quaderno delle vedute principali della novella 
strada dell’ Isola di Sardegna, delle quali io le avea parlato altra 
volta. Posso ora mantenere la mia promessa ; ed Ella troverà quì 
unite le cinque prime vedute impresse sulla pietra in Parigi cow 
molta finitezza di lavoro, la quale è dovuta principalmente agli 
ottimi esemplari colà inviati, opera degli abili diseguatori Mar- 
chesi e Cominotti ufficiali del Genio Civile. 

Rappresenta una di queste vedute il porto di Vorres, dove 


(1) Pubblichiamo con vero piacere la presente lettera del ch. Autore della 
Storia di Sardegna. Chi meglio di lui poteva illustrare questa bella e impor- 
tante opera litografica, di lui che per tanti titoli ha diritto alla nostra fiducia ? 
I lavori di cui qui si parla , serviranno , speriamo , d’ incoraggimento e di sti- 
molo a tutte le italiane provincie per agevolare le reciproche loro comunica- 
zioni , che sono vie necessarie non solo al commercio ma alla comune civiltà. 

Le notizie che 1’ illustre Cav. Manno promette ai nostri Lettori; intorno 
alle cose della Sardegna , gioveranno a farci conoscere un paese sì mal noto 
al resto dell’ Italia, e che merita d’ essere un po’ meglio osservato. La co- 
noscenza reciproca servirà poi col tempo a stringere nuovi vincoli a cui non 
si pensa perchè se ne ignora l’ utilità. Con tal fine , noi, risoluti di sempre 
più concentrare nelle cose interessanti 1’ Italia questa nostra raccolta perio- 
dica, preghiamo tutti gli amici dell'onore e del bene patrio a‘ volerci essere 
cortesi di quante notizie sicure potessero mai raccogliere intorno alle belle ed 
utili ed imitabili istituzioni ed imprese che in Italia o cominciano od han preso 
già piede. 


Nota del Dir. dell’ Ant. 


53 


approdano oggigiorno periodicamente le saettie , che trasportano 
nell’ Isola gli spacci del Governo; e dove finisce la grande strada ; 
la quale, movendo dalla capitale , corre per tutta-la' lùrighezza 
dell’ Isola, e tocca in tal maniera i. due. golfi principali; e più 
discosti. Nello stesso porto di Vorres terminavasi anche nei remoti 
tempi la principale delle strade aperte nell’Isola dài Romani. 

Un’ altra di quelle vedute dimostra 1’ apertura fattasi della 
strada lungo l’erta, che innalzasi quasi muraglia sulle campa- 
gne di Sassari, e le divide dal centro del Regno; per la quale 
era in prima assai malagevole il passaggio , indicato per tale dal 
nome suo medesimo di Scala di Giocca ; che in quel linguaggio 
significa Scala da lumache, quasi come la maniera sola di con- 
durvisi fosse di strascinarvisi sopra per non precipitarne. Questa 
apertura , la quale solca con un serpeggiamento assai artifizioso 
tutto quell’ ammasso di rupi , può chiamarsi fior d’ opera ,,e mette 
in evidenza l’ abilità, con cui il disegno. dell’intiero. lavoro fu 
condotto dal valente Direttore Cav. Gio. Antonio Carbonazzi, 
già allievo della scuola Politecnica di Parigi, ed in ora TL 
nel Corpo Reale del Genio Civile. 

In un altra delle vedute è delineato il itratto della strada, 
che corre alle falde del Monte Santo; del quale è assai pitto- 
resco l’ aspetto per la sua figura di cono tronco, che imdica le 
ruine di antico volcano ; e vedesi nelle altre due uno degli aspetti 
della città di Oristano capitale dell’ antico giudicato di Arborea, 
e la terra di San Luri, alla quale mette la strada medesima 
nella sua direzione da Oristano per a Cagliari. 

Le rimanenti vedute, che si aspettano da Parigi, mostreran= 
no gli altri migliori aspetti, che il viaggiatore incontra , passando 
per quella strada; ed io spero, che non's’indugierà gran fatto 
a terminare un lavoro destinato non solo ad illustrare quell’opera 
egregia, che debbesi alle cure paterne, ed amorevoli del re, ma 
anche a metter sotto gli occhi degli stranieri una qualche ima- 
gine dei luoghi principali dell’ Isola, i quali da vanto special- 
mente di alcune bellezze naturali possono meritare di essere ri- 
tratte. Ella troverà nella veduta del Monte Santo, ed al fianco 
sinistro della strada , che cinge il piede della montagna ; la fi- 
gura di uno di quegli antichi Moraghes, che hanno dato tanta 
materia da scrivere agli eruditi anche ne’ nostri tempi , e i quali 
qualunque siasi la miglior opinione storica sui medesimi , sono 
certamente per la remotissima antichità, per l’ interezza, ‘per la 
quantità loro, degni di essere collocati fra i più curiosi monu- 
menti della vecchia Europa. 


54 

Non sarà forse discaro a VS. Ch., che in questa opportunità 
io Je dia qualche ragguaglio, che serva a dimostrare l’ impegno 
preso dal Sovrano attorno a quest’opera, e lo zelo, e la solle- 
citudine dei Sardi per rispondere degnamente dal canto loro al- 
l’importanza, ed al frutto di essa. 

In sul finire dell’anno 1820 fu dal re Vittorio Emanuele 
di gloriosa fama inviato in Sardegna il Cav. Carbonazzi già so- 
pra mentovato, acciò insieme con altri ufficiali del Genio facesse 
studio del paese nei rispetti topografici , e proponesse quella di- 
rezione ; che meglio si conveniva alla grande strada in quel tempo 
decretata. Considerati i bisogni, e le convenienze del traffico 
specialmente esterno si riconobbe , che il mezzo più acconcio , 
perchè la novella strada fruttasse grandemente al paese si era di 
farla correre pei luoghi più feraci, e sboccare nei posti più fre- 
quentati. Ammesso tal principio, e posta mente alla forma della 
Sardegna , la lunghezza della quale è alla larghezza più che 
due volte tanto ; si determinò, che la via principale movesse da 
Cagliari, e avesse termine in Vorres , accostandosi solamente al 
mare d’ Occidente nella direzione di Oristano , e conservando nel 
rimanente spazio la positura centrale più accomodata a renderla, 
come si avea in animo , una linea , che potesse esser tocca con 
maggior facilità , e con minor dispendio ; dalle strade provinciali, 
che doveano dappoi venir aperte. 

Fu in fatto quella strada centrale la prima ad intrapren- 
dersi ; e datosi incominciamento ai lavori nel mese di Novem- 
bre dell’ anno 1823 nei due punti estremi di Cagliari , e di Vor- 
res, fu condotta al compiuto suo perfezionamento nell’ anno 
1829 ; il quale spazio di tempo non parrà soverchio , se si con- 
sidera ; che la lunghezza sua è di 234 kilometri, e che il tempo 
utile pei lavori in ciascun anno debbe computarsi in ragion di 
soli cinque mesi ; sia per Ja gravità del clima, sia per la ra- 
gione di non distorre i popolani dalle opere dell’ agricoltura : di 
modo che in soli trentacinque mesi sì può dire portata a com- 
pimento questa grandiosa opera; in cui si trovarono qualche 
volta riuniti in isquadre al tempo medesimo sei mila lavoratori, 
e si spesero dal governo quattro milioni di franchi. 

E a disegno ho quì notato i sei mila operaj, acciò , veggen- 
dosi 1’ ardenza , con cui traggono quei popolani a lavori anche 
di novella condizione ; si chiarisca quanto sia falsa 1° asserzione 
di coloro, che accagionarono i contadini Sardi d’ indifferenza pei 
profitti del lavoro, dipingendoli come uomini, che riporrebbero 
il sommo bene nello starsene colle mani in mano. 


55 


La parte meridionale della strada, che dalla città di Ca- 
gliari mette in Oristano, e s’avanza quindi verso la terra di 
Paulilatino, passa per un terreno pressochè continuatamente 
piano. Nell’ altra sua metà la strada tocca la parte più montuosa 
dell’Isola , ed ascende in alcune positure all’ altezza di metri 666 
sopra il livello del mare ; ha dovuto perciò internarsi per vallate 
assai irregolari, come quelle che più volte non sono composizione 
dello scorrimento successivo delle acque ; ma fattura bizzarra di 
antichissimi commovimenti vulcanici. In tal maniera essendosi 
dovuta quella strada condurre su per erte malagevoli, e far 
ritornare al basso per chine assai ripide , si è messa più colà; 
che in altro luogo alla prova l’ abilità degl’ ufficiali direttori 
delle opere. 

La carreggiata è per lo più composta di pietre vulcaniche , 
trite in minuti frantumi., dai quali ne resta come smaltata la 
superficie. Sono comprese nella sua linea diciannove luoghi abi- 
tati fra città, e terre, fra le quali ultime havvene anche di 
quelle , che contano cinque mila abitanti: talchè ne verrebbe 
una proporzione di distanza mezzana fra una terra; e l’ altra di 
dodici kilometri o in quel torno ; la qual cosa dimostra , che la 
Sardegna non è cosi deserta, come generalmente è stimata. 
Lungo la strada , e con distanze proporzionate sonosi edificate 
alcune case di ricovero , dove hanno stanza i così chiamati can- 
tonieri, ossiano i preposti alla custodia della strada; case che 
possono anche. servire di ricovero ai viaggiatori; i quali in tal 
maniera non percorrono lo spazio di 5 in 7 mila metri, vale a 
dire da tre in quattro miglia italiane senza incontrare un Juogo 
di posata. 

Quest’ opera , come avviene di tutte le cose novelle, ebbe 
in sul principio molti ostacoli, che se le attraversarono ; e come 
accade di tutte le cose utili ebbe nel suo inviamento , e termine 
risultamenti tali, che servirono d’ incoraggimento agli uomini ti- 
morosi, e di conforto agli amatori del pubblico bene. Benché 
anche infin dall’ incominciamento ebbe per arra sicura di per- 
fezione Ja volontà, e la generosità del Sovrano felicemente re- 
gnante ; il quale non solo condusse a pieno compimento gli or- 
dinamenti incominciati dal Re suo. fratello, ma contribuì con 
largizioni di cospicuo valsente tratte dal privato suo erario ad 
aumentare i mezzi , che aveansi in. pronto per le spese di sì 
estesi, e lunghi lavori. 

In molti luoghi pertanto gli abitanti si profferirono a venir 
in aiuto del Governo con opere gratuite a profitto della strada 


50 
principale ; e (parecchie terre si mossero pel solo esempio di sì 
grande: intrapresa a tentare a proprie spese le aperture di novelle 
strade; che comunicassero colla principale. Tra le quali terre è 
meritevole di essere mentovata , e lodata quella d’ Osilo., che 
compiè in (breve tempo il suo divisamento con un calore di of- 
ferte ; e con uno zelo di epere ; che onora grandemente gli abi- 
tanti. di quel villaggio. Questo stesso zelo ‘scaldò 1’ animo dei 
rappresentanti del Regno, i quali nella maniera politica di go- 
‘verno » che in Sardegna! si è conservata infino dai tempi della 
Signoria \Aragonese . compongono quel convento , che chiamasi 
dei tre.stamenti del Regno, se l’unione di essi si fa separatamente, 
e delle, cotti, se la congrega fassi unitamente. Gli stamenti, ve> 
duto l’ immenso vantaggio di quel lavoro, e conosciuto , che la 
nazione lo: avea troppo ‘pregiato ‘per arrestarsi a mezza via nelle 
offerte , colle quali era già venuta in soccorso del pubblico te- 
sorto 3!deliberarono di offerire a S. M. nu novello donativo , per 
cui si potessero incominciare , ed avanzare i lavori delle strade 
traversali ; che doveano far comunicare la strada del centro con 
le principali province dell’ Isola. E dee dirsi ad onore degli sta- 
menti , chela deliberazione fu ‘breve , unanime e generosa ; tal- 
chè il Governo di.S, M. potè in poco tempo metter ad:effetto il 
nuovo pensiero :.e. sono già due anni., che si lavora con moltis- 
sima attività nelle due strade provinciali dette. di Alghero, e 
dell’ Ogliastra; e che ogni dì s’ accresce il profitto dell’ opera. 

Io lo: voluto entrare in questi. particolari, mon solamente 
perchè meglio ne risalti la grandezza del benefizio , che debbesi 
a SM; ma vanche. perchè si conosca :con qual’'animo si rispon- 
Ada dai Sardi alle cure di un Governo benevolo , e saggio ; e si 
giudichi così quanto. più istretti divengono ogni dì i vincoli, che 
uniscono. dopo un secolo la Sardegna ai Reali di Savoja. 

Io; ho già narrato in altro tempo le cose da essi operate in 
quella parte. del passato seeolo!; che fu compresa nel quarto vo- 
lume della.mia storia. ;di. Sardegna. Pei tempi succeduti avrei 
potuto, scrivere cose di nor minore importanza ; se le ragioni da 
me allegate nel finire di quel volume non mi avessero consigliato 
a condurre solamente: la. narrazione degli avvenimenti Sardi in- 
fino all’ anno 1773. Queste stesse ragioni: deggiono distormi dal 
puhblicare la mia opinione sulle. cose presenti, nelle quali oltre 
a ciò dl.mio giudizio potrebbe essere ricusato , come di persona, 
che già da tredici anni trovasi chiamata a’ parte dell’ ammini- 
strazione del: Regno. Ciò ‘non ostante io non'mi terrò altra volta 
di dare;ai, VS. Ch. alcuni compendiosi iragguagli di quanto si è 


97 


operato di più importante a benefizio della Sardegna durante il 
Regno di Carlo Felice ; e di soddisfare così alla richiesta , che 
Ella me ne fece. Per la qual cosa ridurrò le notizie ai soli som- 
mi capi , acciò lasciandosi libero l’ esame delle imperfezioni, che 
talvolta , e forse ogni volta incontransi nel mettere ad effetto le 
buone instituzioni , resti però intiero l’onore, e il merito di 
quel pensiero primario delle cose buone ; che nacque in mente 
del Sovrano, e risplenda senza macchia veruna sopra le opere 
anche meno fortunate nell’ eseguimento la saviezza, e la bontà 
di lui. 

Intanto mi voglia Ella conservare la sua stima , per la quale 
le resterò in perpetua obbligazione. 

Di VS. Ch. 
Di Turino il 19 Marzo 1831. 
Devotiss. ed Obbligatiss. Servitore 
Gruserpe Manno. 


Saggio di un trattato Teorico-pratico sul sistema livellare , se- 
condo la legislazione, e giurisprudenza Toscana. Dell’ Avvo- 
cato Grroramo Pocer. Tomo. I. Firenze, nella Tipografia 
Bonducciana , 1829. 


ArtIcoLo Primo. 


È stato già detto , con molta saviezza , esser d’ uopo alla 
megliore intelligenza di ogni legislazione la scienza della storia 
dei tempi , nei quali ebbe origine , e modificazioni diverse dalla 
politica , dai costumi , e dallo stato intellettuale degli uomini. 
Quella politica , che nei gabinetti governativi piglia il nome mi- 
sterioso di ragzone di Stato fu, il più delle volte , ragione di 
famiglia , o di persona, la quale accomodava le leggi al proprio 
interesse ; e le coloriva col pretesto del publico bene. La Storia 
ne disvela i segreti motivi efficienti , e insegna ai giurisperiti di 
non studiare nella scienza astratta del giusto, e dello ingiusto 
universale lo spirito di quelle leggi, che furono dettate a solo 
comodo delle passioni di Triboniano , e di Teodora , o di altri 
nomi potenti, ma più famosi, che illustri. I variabili costumi 
dei popoli motivarono leggi di circostanza le quali, considerate 


in ragione della natura dei tempi, e dei caratteri nazionali eb- 
T. I. Marzo 8 


gi “e 

bero , forse , una bontà relativa , o una scusa sufficiente ; e se 
la Storia non illuminasse rispetto a ciò la giurisprudenza , s'in- 
gannerebbe questa nel cercare gli elementi della bontà perma- 
nente, e assoluta nelle stesse leggi di Solone , che ai costumi 
degli Ateniesi, e non al tipo del buono, e del retto assoluto, 
conformava la sua legislazione. Finalmente ciò , che giudicavasi 
sapienza semi-divina nelle scole dello Accursio, e di Baldo , di- 
mostra la storia dello spirito umano ; che più al buio della età, 
che al pregio intrinseco delle dottrine , ne fu dovuta la stima ; 
dimodochè , la giurisprudenza ammaestrata dalla storia, non at- 
tinge più in quelle sorgenti la filosofia del pensiero ; e mentre 
professa venerazione a coloro , i quali, con pochi mezzi fecero. 
molto, non presta fede superstiziosa alle sentenze che riputa- 
vansi dogmatiche nei secoli dell’ annebbiata ragione. La storia , 
in conclusione, quando è studiata criticamente, manifesta le 
cause , gli oggetti , e le vicende delle leggi, onde spiegarne lo 
spirito con la logica di Montesquieu, e non con lo arabismo 
scolastico dei legisti. 

Adottando queste regole il sig. Avvocato Girolamo Poggi, 
che in giovine età si mostra già veterano nella curia fiorentina , 
ha fatto precedere il suo Trattato teorico-pratico della legisla- 
zione , e giurisprudenza toscana sul sistema livellare , ec. dalla 
storia ragionata delle cause , degli oggetti , e delle vicende , che 
hanno variamente ordinato il diritto civile, nelle relazioni pri- 
vate , e pubbliche di un sistema , il quale considerato come 
contratto , o come istituzione politica , interessa eminentemente 
lo stato sociale. Mancava alla filosofia della storia legale un’opera 
dettata dallo spirito analizzatore del secolo, ed atta , per que- 
sto titolo, a riconciliare lo incivilimento dello intelletto con la 
natura della giurisprudenza, non ancora ben purgata della sel- 
vatichezza comunicatale dall’ aspra temperatura del medio evo. 
Mancava , parimente , alla nostra Toscana la storia particolare di 
quella legislazione , con la quale Prerro LeopoLpo, fondando 
nel sistema livellare una costituzione politico economica , inten- 
deva a compire con essa il gran progetto di repartire i lati- 
fondi in piccoli possedimenti , onde lo spirito di proprietà più 
diffuso aumentasse la sua influenza sulla industria , e sulla po- 
polazione ; di abilitare , e affezionare alle proprietà fondiarie i 
cittadini di ogni condizione , onde le forze industriali, ovunque 
esistessero , non fossero perdute nella inerzia ; di attaccare la 
massima popolazione col vincolo dei beni stabili viemaggior- 
mente allo Stato ; e per questo mezzo , creare una Patria alla 


i 


59 
gran famiglia, fra i di cui membri fosse meglio diviso il patri- 
monio nazionale. 

A questo doppio scopo mirava principalmente , nel suo no- 
bile concetto , il sig. Avvocato Poggi. Egli proponevasi genero- 
samente di pagare il debito della nazionale riconoscenza al Prin- 
cipe , per tanti titoli benemerito di un paese , in cui operò la 
pacifica riforma delle idee , dei costumi , delle leggi , e degl’isti- 
tuti, che ne sono i sostegni. Ed io esaminando criticamente le 
parti principali, che compongono il primo tomo della opera del 
sig. Poggi , mi confido di provare , che lo egregio Autore ha dato 
al Foro molti lumi, e molte speranze, alla filosofia coronata 
1’ omaggio della ragione , e alla Patria conforto, e ornamento. 
E mi lusingo, pur anco, che queste lodi , dettate dalla mia 
coscienza , saranno dai savj lettori riputate leali, e specialmente 
dopo che essi , nel corso di questo Articolo , averanno incontrato, 
le poche mie avvertenze, che discordano dai sentimenti dello egre- 
gio scrittore. Ed egli vorrà cortesemente perdonare alle mie pre- 
dilezioni per certe massime di politica filosofia , le quali non es- 
sendo conformi alle sue , mi son fatto lecito di manifestare col 
rispetto dovuto allo Autore di un Opera, che cresce decoro , e 
fama alla Italia. 

Il disegno di tutto il lavoro teorico-pratico manifesta , nel 
suo spartimento ; il buon criterio dell’Autore. Tre sono le parti, 
che debbono comporlo : la storica, la giurisprudenziale , e la 
razionale. Nella prima parte, svolgesi la storia della enfiteusi , 
nella sua doppia natura di contratto privato , e di publica isti- 
tuzione : nella seconda saranno esposte , e sviluppate le regole 
più comuni del diritto , che 1’ autorità interpetrativa dei tribu - 
nali ha già stabilito nell’ applicare le leggi alle questioni parti- 
colari in materia livellare ; e nella terza divisione , che l’ au- 
tore intitola puramente razionale , quasi a conflitto della parte 
antecedente, in cui non sempre le regole pratiche sono mas- 
sime razionali, dimostrerà la influenza del sistema livellare 
sulla privata , e pubblica economia. 

La sezione storica del Trattato è suddivisa in quattro 
grandi periodi di tempo: il primo di essi partendo dalla ori- 
gine congetturata , e però incerta , della enfiteusi , termina alla 
epoca, in cui l’ anarchia ebbe nome di governo feudale: il 
secondo, da questa epoca si conduce per molti rivolgimenti 
avvenuti nel seno della Italia , fino al 1765, nel quale anno 
l’ austriaca dinastia, già dominante, ma non residente in To- 
scana , può fissare una Era faustissima alla sua gloria , mercè 


60 
la successione di Pietro Leopoldo al Granduca Francesco Il; 
in grazia della quale cessò la ‘Toscana di essere provincia af- 
fidata ad un principe lontanissimo alla gestione degli stranieri 
di patria, e di core. Il terzo periodo discorre 1’ esemplare go- 
verno Leopoldiano , in cui la filosofia delle leggi restaurò la 
nazione , e fecele dimenticare le sventure dei periodi antece- 
denti. Finalmente la quarta rivoluzione storica è condotta sino 
ai nostri giorni; e mercè questi due ultimi periodi, l’autore 
fa conoscere i modi legislativi, per i quali, un contratto 
d’ interesse privato, trasformossi in una istituzione politica , 
che purgata di alcune mende, potrebbe servire di modello a 
tutte le agrarie costituzioni. 

Incominciando la storia del primo periodo , piace allo au- 
tore di far sentire, che dalla stessa etimologia della enfiteusi , 
la quale, in greca lingua , significa irresto di piante vegeta - 
bili, è indicato do scopo del contratto ; cioè , la megliorazione 
dell’ agricoltura , perchè lo innesto presuppone il raffinamento 
dell’ arte rurale ; ed a me sarebbe più grato il dire, che lo 
innesto , essendo diretto a domesticare la indole selvatica delle 
piante , simboleggiava lo spirito di un contratto tendente a 
civilizzare la natura agreste del terreno, mediante la insoli- 
ta, o la meglio intesa coltivazione. Ma, o nell’ una, o nel- 
l’altra spiegazione del nome, stà fermo lo scopo del contratto ; 
vale a dire, il favore dell’ agricoltura , togliendola alle mani 
negligenti, o inesperte, e affidandola alla vigilanza dell’ al- 
trui interesse , e alla capacità di un nuovo. coltivatore. 

E a questa ragione del nominativo prestano sostegno la 
storia congetturata della proprietà fondiaria in genere, e la 
storia positiva dell’ agricoltura romana. Quella ci autorizza a 
presumere , che dallo eccesso dei latifondi rustici in qualunque 
modo avvenuto , traesse origine la enfiteusi, come naturale se- 
quela della necessaria insufficienza o incuria dei proprietari a 
ben coltivarli. La cessione ai più industriosi speculatori di una 
parte del proprio dominio, che rimaneva quasi sterile , 0 poco 
fruttifero sotto l’ amministrazione del padrone diretto, fù , di 
certo, uno espediente consigliato dalla forza delle cose, la 
quale sveglia lo intelletto inventivo con gli stimoli delia ne- 
cessità. E perchè quella cessione conseguisse lo scopo del me- 
gliorare , era consentanea alla natura del fine, la convenzione 
fra i contraenti di ritenere il cessionario a lunghissimo tempo , 
o in perpetuo i fondi ceduti, onde il megliorato fosse proficuo 
al megliorante. Senza la certezza , o almeno , la fondata spe- 


6I 


ranza di godere il frutto della industria , e della spesa ; non è 
logicamente presumibile , che 1’ uomo , a similitudine del bove , 
lavori la terra a profitto degli altri. Ed era, parimente, consenta- 
neo al carattere di simigliante cessione, che non fosse gratuita, per 
parte del cedente, ma onerata da una recognizione materiale 
del suo dominio diretto, da misurarsene la quantità , secondo lo 
stato dei ceduti beni, e la qualità , in ragione del comodo re- 
spettivo dei contraenti. I quali patti necessariamente emergenti 
dalla natura del contratto , costituivano la essenza della enfi- 
teusi , fino dalla epoca della sua prima invenzione ;  imperoc- 
chè le regole naturali del contratto , furono anteriori alle leggi 
civili, che ne organizzarono le forme, e ne prescrissero le teorie, del 
paro che la origine e il titolo della proprietà esclusiva, precederono 
le leggi civili, che quel titolo consacrarono con la guarantigia 
delle forme , e delle forze sociali. La quale invenzione di un 
contratto riparatore ai danni dei latifondi , essendo comune a 
tutte le popolazioni ove lo eccesso delle proprietà fondiarie ne 
rendeva i danni comuni, è ben fondata la presunzione ; che 
nei paesi agricoli specialmente fosse praticata la enfititeusi , 
identica nella sostanza , benchè variante nelle forme, e conven- 
zioni accidentali del contratto. E poichè nell’ ordine progressivo 
dell’ umano incivilimento è oramai sentenza comune che l’agri- 
coltura costituisse il terzo stato , è conseguenza di ragione il 
concludere , che in questo stato sociale , la necessaria inegua- 
glianza delle rustiche proprietà cagionando ovunque gli stessi 
mali , forzasse gli uomini a praticare gli stessi rimedi. E per que- 
sta universalità del contratto enfieutico fu , poi dall’ antica sa- 
pienza dei giurisperiti classata la enfiteusi fra i contratti adot- 
tati da tutte le nazioni avanzate nella civiltà; e i quali contratti 
di uso comune , si dissero juris gentium, a distinzione degli al- 
tri, che erano praticati esclusivamente da una data nazione. 

La quale origine della enfiteusi}, che per mancanza di sto- 
ria positiva , è forza dedurla dalla storia congetturata , trova una 
valida conferma negli annali del popolo romano. La infanzia della 
colonia romulea è mista di favole, e di delitti: ma lo spirito 
indubitato della sua costituzione politica fu agricola-militare. 
Lo angusto territorio occupato nel primo stabilimento coloniale 
fu diviso in piccole proprietà , che ciascuna famiglia coltivava 
da se stessa. Mancava la causa , e il mezzo di praticare la en- 
fitensi finchè i nuovi coloni si mantenevano piccoli possidenti , 
e lavoratori necessarii delle proprie terre. Ma lo spirito militare 
della costituzione politica tendeva ad ampliare il territorio , me- 


602 
diante la conquista. La guerra , in principio necessaria alla di- 
fesa comune , essendo riuscita fortunata, divenne professione 
volontaria di ogni cittadino attivo , e lo spirito di preda, che 
si nobilitò col nome di conquista , prevalse allo spirito di agri- 
coltura. La vittoria sempre fedele all’ aquila latina, la fece pa- 
drona , in pria della Italia, e in fine del mondo, che si disse 
romano , a distinzione del resto del globo , in cui la barbarie 
povera , e dispersa sopra terre selvatiche , non allettava lo spi- 
rito di preda. 

Il patrimonio dei vinti fu , quasi tutto , diviso fra i vinci- 
tori. Il governo si riservò un demanio composto dei beni stabi- 
li, la di cui proprietà era in lui trasferita dal titolo della con- 
quista. Il possesso materiale di una porzione di questo patrimu- 
nio era conservato ai già liberi , ed assoluti proprietari , in cor- 
respetti vità di periodiche corresponsioni in derrate, o in denaro, 
le quali, nel processo dei tempi, costituivano le più ricche sor- 
genti delle pubbliche rendite. Ciò che il governo non disponeva 
nella forma suddetta , vendevalo , o affittavalo a breve tempo; 
e le altre spoglie dei vinti le divideva fra i cittadini, in pre- 
mio delle fatiche militari , o a sussidio della povertà. Questi modi 
di acquistare beni stabili, ove il favore dei partitori , o la in- 
fluenza dei potenti valevano più che la giustizia, produssero 
appoco appoco un’ esorbitante disequilibrio economico nelle fa- 
miglie ; e questo fu aumentato dagli altri modi civili , di acqui- 
stare beni stabili , in virtù dei quali i patrimonii di molti si riu- 
nivano in pochi proprietari. Quindi la origine dei latifondi ru- 
stici e della decadenza dell’ agricoltura, da cui la soprabbon- 
danza dei beni allontanava la economia rurale, e il lusso do- 
mestico vizio inseparabile dalla soprabbondanza dei beni , devia- 
va l’ attenzione, e i capitali dei proprietari, per consumarli in 
città. 

A questa epoca deplorabile stabilisce lo Autore la verosi- 
mile origine , e quindi l’ ampliazione progressiva della enfiteusi 
privata presso i romani, divenuti troppo ricchi per cercare nella 
industria laboriosa aumenti di rendite superflue, e troppo superbi 
per abbassare i loro pensieri ad un'arte , già degradata in ser- 
vile. La preda militare , e le concussioni di ogni maniera ,. eser- 
citate nello interno, e nello esterno dello stato, presenta- 
vano mezzi più pronti, e più facili alla cupidigia roma- 
na; la quale poi senza fatica di corpo , e di spirito, procu- 
ravasi , mediante la enfiteusi, una rendita certa dei beni, che 
sapea usurpare , ma non coltivare utilmente. Rispetto al De- 


63 


manio dello stato non ravvisa il N. A. la natura propria della 
enfitensi nei beni rilasciati agli antichi proprietarii, con la ob- 
bligazione di pagare una quota dei frutti al publico erario. In 
questa specie di transazione, tra il governo, e gli antichi proprie- 
tarii, sembra allo Autore di riconoscere il primo saggio di quella 
imposta fondiaria che fu poi la base principale della finanza in 
molti paesi , e oppresse più , o meno l’agricoltura ; fortifica egli 
la sua opinione sopra i titoli di tributo , stipendio , censo , e 
vettigale , con cui distinguevasi la prestazione , che si esigeva 
da quelli ai quali il governo conservava il possesso dei beni. 

Jo mi permetto di avvertire una apparente contradizione tra 
ciò che l'Autore accenna in questo tema ( pag. 17) e tra quel- 
lo , che più ampiamente spiega ( pag. 22 e 23. con le frasi se- 
guenti : “ La enfiteusi si conobbe e fu posta in uso, prima per 
>> le terre del publico , poi dei particolari. ,, E perchè il nome 
di vettigale non inducesse dubbio fra la prestazione enfiteutica , 
e la daziaria , fu cauto di notare ‘‘ che vettigale ( indipendente- 
3, mente dal suo significato come dazio ed imposta ) indica quella 
) responsione che si paga per l’ottenuta concessione delle terre 
3» del publico , non già dei privati. ,, Non variando , dunque , 
il nome di vettigale la natura del contratto potrebbe solo du- 
bitarsi, se al governo mancava il dominio pieno sopra i beni 
del non fatto spoglio , e conservati ai possessori in correspettività 
dello impostovi vettigale ; poichè in tal caso rivestirebbe quella 
responsione la natura di dazio pagato al governo ; come magi- 
strato sovrano, e non come padrone diretto dei beni. A schia- 
rimento del dubbio, prego l'Autore ad osservare, che lo stesso ti- 
tolo di dominio vantavano i privati occupatori ; e il governo so- 
pra i beni tolti ai vinti, ein vari modi disposti per renderli più 
fruttiferi ; il qual titolo consisteva nella forza maggiore che in 
guerra fortunata legittimava tutte le usurpazioni. Il governo , 
usando di questo diritto , vendeva , affittava a breve tempo, o 
regalava quella sorta di beni; o con eguale diritto ne concede- 
va il possesso e dominio utile agli antichi padroni , dopo averli 
spogliati con la vittoria della piena , ed assoluta proprietà. In 
questa intelligenza del gius publico militare , parmi che la tra- 
slazione del dominio dai vinti al governo dei vincitori fosse mo- 
ralmente operata in virtù della guerra; che in conseguenza la 
conservazione del possesso materiale dei beni devoluti, per dritto 
di guerra , ai vincitori rivestisse il carattere di una concessione, 
la quale, per molti lati, parificavasi alla enfiteusi ; stantechè 
il non fatto spoglio non distruggeva il diritto allo spoglio , acqui- 


64 
stato dal governo in sequela della vittoria. Se invece di spogliare 
materialmente i vinti, limitavasi la sovranità del popolo vinci» 
tore a percipere una quota dei frutti a recognizione del suo do- 
minio diretto , era questa una indulgenza , che trasformava nel 
titolo di enfiteusi perpetua .e non resolubile, quel dominio pie- 
no , che la guerra toglieva ai vinti, per trasferirlo ai vincitori. 
In conclusione; valutando più la sostanza , che i nomi delle 
cose , io sono inclinato a riconoscere la enfiteusi di fatto in un 
accordo al quale mancava solo il titolo del contratto in que- 
stione. 

Nè con simigliante avvertenza intendo a legittimare , col 
gius della forza ; le militari usurpazioni, che i romani insegna- 
rono , col proprio esempio, aij barbari :del nord, e questi, 
poi y nei tempi di lor fortuna praticarono contro i discen- 
denti dei romani medesimi ; ma solamente ho tentato di spie- 
gare , con la giurisprudenza delle prede allora vegliante , il 
come ai beni stessi ritenuti dai vinti con la gravezza di un cen- 
so, potea convenire la qualità di beni enfiteutici ; stantechè il 
dominio diretto conservavasi dal concedente , e il dominio utile 
col possesso rimaneva al concessionario, nel che sostanziasi, anco 
nel vocabolario forense la natura della enfiteusi. La quale que- 
stione di filologia legale , ma d’ interesse pubblico , non è sterile 
di conseguenze , dopo l’ abolizione dei feudi nei colti paesi. Essa 
fu acerrimamente, non ha guari, agitata davanti a supremi. 
tribunali onde verificare , se il titolo di esigere dai beni stabili 
certe prestazioni , sotto equivoci nomi designate, fosse enfiteu- 
tico , o finanziere. La giurisprudenza delle prede favoriva il ti- 
tolo enfiteutico ; e la giurisprudenza della ragione annullava un 
titolo fondato sulla forza maggiore ; e gli sostituiva il titolo fi- 
nanziere , che andava, pur’ egli, a cessare con la causa, che 
aveali dato la vita. Ma nel conflitto delle due giurisprudenze 
vincere dovea la prima, attesochè lo spirito feudale era soprav- 
vissuto alla morte delle signorìe baronali. 

Stabilita dall’Autore la massima , che la causa generale della 
romana enfiteusi fusse la decadenza dell’agricoltura , e che l’am- 
pliazione progressiva di questo contratto riparatore debbasi mi- 
surare dallo stato agrario dei latifondi publici, e privati , spe- 
cialmente nella Italia divenuta provincia di Roma, passa a con- 
fermare le sue proposizioni con breve, ma chiaro, e ragionato 
prospettto della deplorabile condizione ; alla quale i vizi politi- 
ci, ed economici condussero l’agricoltura. E in questo prospetto 
della proprietà rurale ci manifesta la degradazione della proprietà 


pn 


65 
personale in quelle generazioni di uomini, che dannate veniva- 
no alla coltura delle terre , o al servaggio dei grandi viventi in 
Roma , o in Bisanzio, o nei capi-luoghi delle provincie , ove dal 
numero degli schiavi misuravasi la dignità, e la opulenza del 
padrone. Percorrendo le poche pagine di questo compendio , che 
fa la satira della potenza corruttrice del. cuore , e dello spirito 
umuno, freme il leggitore sensibile , e si adira con la viltà di un 
popolo di servi, che immemore delle sue forze , piegava come il 
bove , il collo al giogo, e renunziava alla natura dell’ uomo, 
per assimilarsi a quella dei bruti. 

Dalla quale degradazione della proprietà personale, che alla 
morte civile agguagliavasi, resultava , più che da altre cagioni, 
la decadenza dell’ agricoltura ; e inutilmente alcuni imperatori 
con ordinamenti diretti, o ‘indiretti, tentavano di restaurare 
quella base della pubblica economia. I rimedi palliativi non col- 
pivano la sede del male. Estinta la vita civile dell’ nomo era 
morta con essa la vita delle spirito, da cui nasce la utile in- 
dustria , ossia la virtù inventiva , e la energia dei mezzi abili a 
megliorare il proprio stato sociale. Se a questo meglioramento 
personale è tolta ogni speranza dalla immutabile condizione ser- 
vile , trasformasi l’ uomo in macchina automatica , mossa sola 
mente dagli stimoli pungentissimi del fisico dolore. Quando, poi, 
la proprietà personale fosse piena ; e libera per diritto civile , e 
lo esercizio di essa non incontrasse altri ostacoli legali; che i 
necessari , o gli utili all’ ordine , e al bene sociale , la industria 
proficua ai singoli , e alla nazione troverebbe mezzi legittimi, e 
sufficienti allo intiero sviluppamento delle sue forze fisiche , e 
morali. 

Ma perchè lo slancio dell’ azione industriale sia più pronto, 
e meglio diretto allo scopo politico, e non al solo egoismo mer- 
cantile , io non concordo, con l’ egregio Autore, la massima che 
in materia di pubblica economia la legge non può con premi, o 
con pene movere , o arrestare l’ azione industriale. (pag. 29). Si= 
migliante proposizione , benchè gettata di volo in un’opera, che 
io stimo , e rispetto, dovea richiamare la mia attenzione. Essa 
contiene sostanzialmente la proscrizione assoluta di ogni inge- 
renza , vigilanza e protezione o polizia governativa nelle relazioni 
commerciali. Essa condanna implicitamente ogni misura praven» 
tiva che fosse diretta a garantire contro gli abusi, e gli eccessi 
della libertà di pochi gl’interessi di tutti. E se tale ne fosse il 
concetto , condurrebbe allo assurdo di legalizzare 1’ anarchia , ‘e 
dissolvere il patto sociale , con una falsa applicazione di un prin- 


T. I Marzo 9 


66 


cipio vero in genere ma soggetto alle eccezioni speciali che sono 
talora comandate dalle circostanze, delle quali è solamente giu- 
dice la saviezza dei governi. Escludendo la polizia governativa 
dall’ azione industriale , si canonizza la massima della libertà il- 
limitata nello esercizio della industria, e del commercio ; e il 
trovarla quì stabilita in tesi positiva ; e ineccezionabile mi offre 
l’occasione di rammentare all’autore , che quella massima, se non 
è dimostrata erronea , è ancora questionahile nei gabinetti dei 
filosofi, e dei governi. 

Senza più arrestarmi a questo punto incidentale dell’opera, 
l’ ordine delle idee mi richiamerebbe a far conoscere qual fosse 
la legislazione romana intorno alla enfiteusi, variamente regolata 
secondo la pertinenza dei beni, che ne formavano il subietto. 
La natura di un’ estratto , essendo nimica del dettaglio , mi li- 
mito ad accennare , che rispetto alle disposizioni legali , distin- 
guevasi la enfiteusi soltanto in pubblica , ed in privata fino a 
che la religione dello stato romano si rimase mitologica nelle sue 
dottrine, e il sacerdozio una magistratura politica nelle sue fun- 
zioni. Dopochè il cristianesimo divenne la religione della corte, 
invece di essere perseguitato , come in avanti dalla rivalità sa- 
cerdotale , o tollerato dalla politica , il suo culto fu pubblico , 
e dominante. Principiò il governo a dotare largamente di beni 
stabili le chiese, e i loro ministri; ed i privati, sempre imita- 
tori, per timore, o speranza , dei regii esemplari , gareggiarono 
con i sovrani a locupletare i sacerdoti del culto dominante. A que- 
sto genio speculativo si aggiunse lo spirito dogmatico, e morale 
dei nuovi credenti ; il quale, moditicato variam:nte dal sacer- 
dozio , acquistò alla chiesa un patrimonio sì vasto, che mosse 
l'autorità civile a vigilarne la conservazione , ed a megliorarlo 
con leggi speciali. 

Quindi nacque la terza specie della enfiteusi, che fu detta 
ecclesiastica, e a tutela di essa, ora con misure preventive, ora 
con emende di abusi, ne fu regolata la pratica in modo, che i 
contratti non fossero legittimi, o permessi, senza la utilità ma- 
nifesta della causa pia, la quale non potea mai perdere , e dovea 
sempre acquistare. Il giureconsulto ; percorrendo dalla pagina 29 
fino alla pagina 59 il testo della opera in esame , vi troverà ana- 
lizzati tutti gii elementi di diritto, i quali costituivano ; nella 
romana legislazione , la sostanza, e le forme delle tre specie di 
enfiteusi, pubblica , ecclesiastica , e privata, cousiderandola , 
come, contratto , dopo averla l’ autore nelle pagine antecedenti, 
storicamente enucleata come pulitica istituzione. 


07 

E nel secondo periodo delle vicende patite dalla enfiteusi 
espone il n. A. con dovizia, e con senno la filosofia della storia 
relativa alle principali rivoluzioni della proprietà fondiaria , dopo 
la distruzione dello impero romano, operata dalle orde barba- 
riche vomitate sul mezzogiorno dal settentrione. Nè a simigliante 
esposizione può rimproverarsi quella inutilità , di cui Helvetius 
accusava Montesquieu nella lettera a M. Saurin sul manoscritto 
dello spirito delle leggi, per avere filosoficamente illustrata la 
legislazione dei feudi, da lui chiamata il caos dei barbari, creato 
dalla forza, rispettato dalla ignoranza , ed eversivo dell’ ordine 
pubblico; e particolare. Nel trattato del sig. Poggi era necessa- 
riamente connessa con la storia della enfiteusi, specialmente nel 
medio evo , la storia della proprietà fondiaria , spargendo questa 
gran luce su quella ; ed a spiegare le cause delle rivoluzioni 
economiche , indispensabile egli era di conoscere lo stato politico, 
e morale delle genti; perciocchè ogni sociale istituzione si mo- 
difica , e si colora dalla natnra dei governi, e questa è subor- 
dinata, anco a suo malgrado all’ azione dello spirito popolare. 

Lo sviluppamento di queste idee , oscurate dalla nebbia dei 
secoli feudali, fu opera originale di Montesquieu, e di Rober- 
tson ; e a simiglianti capi-scola fecero eco , e comentari ricchis- 
simi di senno , e dottrine i posteriori filosofi, che illustrarono la 
storia, la politica, e la scienza dell’ uomo. Il n. A., attingendo 
fatti, e rilievi dai fonti più puri, ha compendiato un quadro 
storico-politico , nel quale chiaramente è disegnato il principio, 
il progresso , e il decadimento di quel mostro morale, che io 
non voglio onorare col nome di governo, perchè il feudalismo 
divorava , e non governava la umanità. 

In questo quadro sinoptico scorge 1’ osservatore le orribili 
filiazioni del feudalismo nelle peripezie della proprietà fondiaria, 
e personale, che arrestano il movimento all’ agricoltura , con le 
catene della servitù ; e vede a poco a poco, allargati, e non 
rotti i vincoli fendali, rispetto alla proprietà personale , ravvi- 
varsi , la proprietà fondiaria , e svilupparsi nella terra vegetale, 
mercè la enfiteusi; ed altri contratti di analoga , o mista natura, 
nuova forza produttiva, che, ad onta dei secoli micidiali , e 
degradanti la specie umana ; sostiene la vita fisica , e semicivile 
delle popolazioni. 

Nè in questo quadro miserando sono fuori di scena i mi- 
nistri del culto , purissimo per origine divina, ma deviato dalla 
sua sorgente per forza di umane passioni , contemperate coll’in- 
dole del baronaggio dominante, e dello spirito di preda, cui 


68 


ogni mezzo era lecito per conseguire il suo fina. L’ indole domi- 
nante del baronaggio propagatasi, per contagio morale , ai ve- 
scovi , e agli abati monastici , trasformò le mitre in cimieri, i 
pastorali in spade, e i beni consacrati all’ altare , in feudi mi- 
litari. Lo spirito di preda invase il clero-soldato alla pari del 
milite secolare ; e alla forza delle armi si aggiunse abusivamente 
quella della religione , per facilitare le occupazioni dei beni al- 
trui, e difenderne il possedimento. 

La potenza materiale, e spirituale del clero monastico , e 
secolare , imponendo rispetto e paura alla pubblica opinione, fu 
sorgente di una nuova specie di enfiteusi, e di un nuovo modo 
di acquistare beni stabili alla chiesa. Le fazioni politiche , rese 
permanenti , e il brigantaggio pubblico , e privato, più forti delle 
leggi e dei magistrati , lasciavano incerti ì dominii fondiarii, e 
saccheggiavano l’ agricoltura. Da questo caos civile surse una 
forza conservatrice delle proprietà , onde bilanciare le forze di- 
struttive della base sociale. L’ accomandigia alle chiese dei beni 
pertinenti ai laici fu il contratto di sicurezza inventato dalla ne- 
cessità. Il più frequente modo di eseguire le accomandigie fu 
quello di offrire in dono, per finta devozione , all’altare i beni 
laicali , onde trasformarli in beni sacri, e inviolabili, e giovarsi 
così della opinione religiosa a guarantigia della proprietà. Nuovo 
argomento della utilità politica derivata dal freno delle coscienze, 
contro i sofismi degli anarchisti in materia religiosa , se coi soli 
argomenti del bene materiale si dovesse difendere la religione 
dello spirito.e del cuore. I beni donati a titolo di accomandigia 
restituivansi immediatamente ai donanti, col titolo di feudo, 
o di enfiteusi propria, mediante un tenue, ed annuale umaggio, 
o censo , non mai correspettivo alla rendita, ma in recognizione, 
e per simbolo del dominio diretto, che erasi trasferito alla chiesa 
con quella simulata donazione. Ed ecco la enfiteusi ecclesiastica 
figurare , in modo nuovo , tra i rimedi riparatori della agricol- 
tura , e assicuratori della proprietà nei secoli delle devastazioni, 
dei saccheggi , e delle usurpazioni di ogni maniera. 

Ma stante la organica infermità della umana natura , quasi 
ogni rimedio , salutare in principio , convertesi , con l’ uso, in 
veleno. Anco le accomandigie , utili nei tempi del pericolo pri- 
vato, divennero , poi, dannose allo interesse pubblico. Le ren- 
dite dei beni ecclesiastici considerandosi , primitivamente, de- 
dicate al culto, e al sollievo dei poveri, e non al lusso dei sacri 
ministri, meritarono la esenzione dai tributi per non sminuire 
ciò che riputavasi necessario al dignitoso servizio spirituale , e 


69 
alla beneficenza fraterna nella gran famiglia cristiana. Ma questi 
beni crebbero oltre i limiti della convenienza per gli oggetti so- 
pra indicati, e il superfluo delle rendite , invece di erogarsi a 
sollevare le sventure del popolo, alimentava i vizi degli am- 
ministratori. 

Ciò nonostante la esenzione dai tributi, benchè cessata la 
causa , si pretese che fosse inviolabile prerogativa. dell’ ordine 
sacro il quale rendeva immuni le proprietà , e le persone addette 
alla chiesa. Questa dottrina scolastica , sostenuta dagli anatemi, 
allora in credito, fu rispettata dalla politica, e la immunità 
venne riconosciuta come un’ attributo inerente alla sostanza dei 
beni ecclesiastici, e perciò inseparabile da ogni gleba, non ostante 
che fossero trasferiti nei laici. In conseguenza di questa teologia, 
molte volte simulavasi la donazione alla chiesa di quei beni lai- 
cali, che per tacita condizione , si ripigliavano in enfiteusi, non 
per salvarli dalle rapine , ma per esentarli dalle pubbliche gra- 
vezze. Gli ecclesiastici; mediante queste contrattazioni , lucra- 


‘vano i piccoli censi pattuiti coi laici su i beni vttenuti da que- 


sti, come enfiteusi ecclesiastiche, e il diritto di riversione alla chiesa 
dei beni medesimi coi loro meglioramenti finite le linee, o ge- 
nerazioni contemplare nell’ atto d’ investitura. La quale rever- 


sione pattuita in quelle enfiteusi, fu un mezzo di grande locu- 


pletazione , che la natura dei tempi offerse ai ministri del san- 
tuario ; tanto per l’enfiteusi ordinate a salvamento dei beni , 
quanto per quelle convenute a fraudare i dazi prediali. E in am- 
bedue le specie di simulazione sopranotate le parti contraenti , 
con questa fraude , gravavano indebitamente i beni non esenti 
delle quote daziarie , di cui sgravavano i beni privilegiati. 

In questo tema l’ autore s’ inganna con rilevare, che da 
questo abuso derivava grandissimo danno al pubblico erario 
(pag. 134). Non ha egli considerato , che la finanza non scapita 
mai per simiglianti esenzioni ; imperocchè nelle imposte dirette, 
o prediali, essendo prefinita la quantità della tassa generale , 
si reparte questa sulla massa dei beni sopportanti, con quelle 
proporzioni , o al valore , o alla rendita , che piacque alla legge 
di stabilire. Il prodotto di questo reparto debbe corrispondere , 
al netto di ogni spesa amministrativa, e defalco , alla quantità 
domandata , per entrata fissa, dalla finanza. Se la massa dei beni 
sopportanti è maggiore , ne consegue , che le quote individuali 
sono minori, e viceversa. Sottraendo , dunque, a-questa massa 
una gran partita di beni, sarà distribuita alle rimanenti indi- 
viduali porzioni una quota maggiore della gravezza generale. Dal 


70 
che resulta , che le persone non esenti pagano per le persone 
privilegiate, e per quelle , che per frande , o per altra causa, 
non hanno accatastato i respettivi beni nei pubblici registri. La 
rettificazione degli estimari antichi , la compilazione dei nuovi , 
e la sottoposizione di tutti i beni stabili ; senza eccezioni , alle 
gravezze , ebbero sempre il lodevole scopo di scemare gli oneri 
particolari , e di repartirli più eguabilmente che fosse possibile 
tra i sopportanti. Ma lo erario pubblico non soffre alcun danno 
dalle esenzioni , o ineguaglianze private in questa amministra- 
zione finanziera ; poichè , o siano molti , o pochi i contribuenti , 
esista , o non esista ineguaglianza nel contributo , la quantità 
fissata dalla legge si versa sempre nel pubblico erario. Nè que- 
sta quantità si aumenta con lo aumentare delle masse colletta- 
bili, o del valore estimale delle medesime , tutte le volte che 
la morale della politica regola lo spirito, e le misure della fi- 
nanza. Per il che sono insussistenti , nei governi giusti, i ti- 
mori dei proprietari, che dai nuovi catasti, quando sono am- 
pliativi delle masse , o dei valori dei beni immobili, argomen- 
tano che la finanza , venuta in cognizione del prospero stato del 
patrimonio nazionale , esser possa tentata ad aumentare le sue 
requisizioni. Essa saprà mantenere , sempre che sia giusta, anco 
in mezzo alla ricchezza pubblica, la proporzione tra i bisogni 
veri , e i mezzi di sodisfarli; e quando non sia tale , non averà 
rispetto alla stessa miseria , e allo interesse della sua cassa, sa- 
crificherà lo interesse generale. La fraude , dunque , nelle enfi- 
teusi trafficate fra il clero, ed i laici, dannificava i soli contri- 
buenti tanto nella ipotesi di una finanza giusta , quanto nella 
ipotesi di una rapace fiscalità. E allo sgravio dei soli contribuenti 
intese lo imperatore Lotario , allorchè con legge speciale riferita 
dall’ A. (pag. 135) ordinò, che nonostante la immunità accordata 
ai beni ecclesiastici, le terre offerte alla chiesa, e ricevute quindi 
in enfiteusi dai laici, fossero come le altre, soggette alle pub- 
bliche gravezze. 

Oltre queste enfiteusi artificiose, la storia c’ informa che la 
genuina enfiteusi fu praticata frequentemente dal clero mona- 
stico , e secolare. Anzi fu questo uno dei modi contrattuali , di 
cui esso si prevaleva per rendere utili, e produttivi gli estesis- 
simi beni territoriali , di cui era stato dotato, e arricchito , con 
traslazione del pieno dominio. Ma gli ammiwistratori di questi 
beni nelle proprie e genuine concessioni enfiteutiche peccarono 
sovente di ingiustizia esorbitante, o per favoritismo a prò degli 
amici, e parenti, o per durezza nei patti, che rendevano enor- 


7: 
memente lesivo un contratto, che ha per base naturale la cor- 
respettività; ossia quella reprocità fra il concessionario ; e il 
concedente, la quale tiene in equilibrio la bilancia, ‘ch’ è il 
simbolo della giustizia. Nè a legittimare questo patto forzato 
dalle circostanze , o estorto alla inesperienza, ed ‘alla buona fede, 
bastava il consenso materiale degli enfiteuti ; perciocchè la ra- 
gione naturale , e civile non presume il concorso della libera, e 
illuminata volontà negli atti correspettivi, nei quali il danno 
manifesto di una delle parti stipulanti non è bilanciato da un’utile 
recompensativo. I laici, spogliati dal clero di ogni dominio par- 
ticolare , erano spinti dalla forza delle circostanze a domandargli 
in grazia il possesso precario di qualche porzione di terreno per 
mettervi a profitto la propria industria, e colla speranza , spesso 
illusoria , di megliorare condizione economica, civile , o politica, 
diventando possessori , soggiacevano , per violenza morale, alla 
ferrea legge del più astuto , o del più forte. La reciprocità (torno 
a ripeterlo , perchè la giurisprudenza giudiciaria dimentica spesso 
questa regola di ragione nelle questioni di simigliante materia ) 
la reciprocità , io diceva ; è il requisito essenziale dei contratti 
onerosi; e quando è lesa dai patti, ‘esser debbe ristabilita dai 
magistrati, che hanno la obbligazione ; e il potere di rettificare 
1 contratti. 

È sventura civile che i legislatori attendino semprè lo abuso 
delle cose ; o istituzioni sociali per rimediarvi, anzichè preve- 
nirlo con misure di precauzione. La igene politica, rara provvi- 
denza nei tempi civilizzati , era sconosciuta intieramente in que- 
sto secondo periodo delle enfiteutiche rivoluzioni. La sola mol- 
tiplicazione e la peste contagiosa degli abusi nell’ amministra- 
zione. dei beni dedicati alla chiesa, mosse, fina'mente , l’ auto- 
rità spirituale , e temporale a provvedere con leggi, e regola. 
menti, di respettiva competenza , al buon governo del. patrimo- 
nio ecclesiastico , e ad impedire che questo patrimonio partico- 
lare ingoiasse tutto il patrimonio nazionale. In questa epoca fissa 
il sig. Poggi la origine delle leggi dette di mano-morta, e ri- 
serba ad altra opportunità il parlare distesamente di simiglianti 
barriere opposte alla invasione delle terre Jaicali minacciata dalla 
devozione di spiriti pregiudicati, o impauriti da maliziose dot - 
trine. E al compimento di questa parte del suo trattato ; e a di - 
chiarazione dei nuovi elementi giuridici ; che introdusse general- 
mente la enfiteusi ecclesiastica nel contratto di questo nome, 
passa ad esporre la giurisprudenza concernente alla quasi allo- 
dialità , al così detto Laudemio d° ingresso, o di entratura, alla 


72 
purgazione della mora , ed ai quindenni ; materie tutte varia- 
mente modificate sotto l’azione ; ed influenza delle leggi, e con- 
suetudini feudali, ed ecclesiastiche , durante il medio evo, o sia 
nel secondo. periodo della storia enfiteutica ; illustrato dal no- 
stro. autore. 

Nel terminare questo primo articolo dell’ estratto, io debbo 
assicurare la repubblica dei colti giureconsulti , che il corpo in- 
tiero dell’ opera è prezioso , per la profondità, ed estensione delle 
ricerche, alle quali il sig. avvocato Poggi ha dovuto dedicarsi , 
a guida della critica filosofica, onde uscire , come l’eroe di Mil- 
ton dal. seno del caos, vittorioso delle tenebre. Il suo metodo 
nella trattazione favorisce la chiarezza , e distinzione delle idee, 
e de’ fatti: l’aridità connaturale alle materie di giurisprudenza 
pratica, è condita , così opportunamente, di utile istruzione ge- 
nerale , che ogni classe di assennati leggitori vi trova interesse 
e diletto. Lo stile finalmente, della scrittura allontanandosi dalla 
barbarica lingua forense , piglia il tuono accademico , ed è ag- 
gradevole all’ orecchio , ed alla mente. I quali pregi, e special- 
mente gl’ intrinseci, saranno ravvisati più splendidi nella storia 
dei due ultimi periodi delle vicende enfiteutiche; stantechè l’ au-. 
tore ha saviamente connesso il. quadro politico della più bella 
parte del codice Leopoldiano al quadro storico-legale di un con- 
tratto civile yin cui l'agricoltura toscana trovò uno dei suoi prin- 
cipali sostegni; la proprietà fondiaria un gran mezzo di quella 
divisione dei latifondi , .che le leggi agrarie dei Gracchi, con vio- 
lenza popolare; tentarono ; e il Gran-Duca Pietro Leopoldo seppe 
eseguire ; senza colpi di stato, e senza turbare l’ordine pubblico, 
o violare le regole della giustizia commutativa. 

A. ALposRANDO PAOLINI. 


ILrADE poliglotta — Esistenza d’ Omero ; ee. — Conchiusione. 


Le più probabili congetture intorno’ allo stato primitivo 
della Grecia } dicono gli oppositori del Wolf, si derivano tutte 
dall’ Iliade e dall’ Odissea : le congetture meno improbabili in- 
torno all’ origine di questi poemi d’ onde si deriveranno se non 
da’ poemi stessi? Il Wolf e i wolfiani;} come già si è fatto in- 
tendere , te pensano un poco diversamente. Non però pensano 
che l’ esame dei due poemi sia inutile alla tesi cui loro piace 
di sustenere. 


73 

Da tempo assai remoto (ciò pure si accennò ) più critici 
dubitarono, come poi il D’Aubignac ed il Vico, se 1° Hiade e 
l’ Odissea fossero d’ uno stesso poeta. E anch’ essi ne dubita- 
rono ; come poi questi moderni; per le discrepanze che videro 
fra 1’ uno e l’ altro dei due poemi. Al Wolf e a’ wolfiani , spe- 
cialmente al Constant, le discrepanze appaiono anche più nu- 
merose ed evidenti. Ed è notabile che, se al Constant e agli 
altri ne sfuggono alcune , supplisce per loro e ci obbliga ad 
avvertirle il più dotto degli autiwolfiani , lo Knight. 

Prime fra le discrepanze, di cui si parla ; sono quelle che 
riguardano le idee mitologiche. Nell’ Iliade (osservasi) non trs- 
dentier Nettuno ; non delio Apollo ; nell’ Odissea Nettuno ha il 
trideute , Apollo è il Dio di Delo. Nell’ Iliade, tranne 1’ ultimo 
canto , assai posteriore , come vedremo ; agli altri , gli Dei af- 
fidano i lor messaggi ad Iride ; uell’ Odissea a Mercurio, cui 
Eschilo nel Prometeo ( sia detto per incidenza) chiama lor nuovo 
messaggero. Nell’ Iliade Vulcano ha per isposa Carite; nell’ O- 
dissea ha Venere. Nell’ Iliade varie Ilitie son date per figlie a 
Giunone ; nell’ Odissea una sola. Nell’ Iliade Zefiro è sempre ec- 
citator di nembi, e quindi infesto alla vegetazione e alla na- 
vigazione ; nell” Odissea è .pur ad esse propizio. Nell’ Iliade nes- 
suna metamorfosi di Dei o d’ uomini in bruti; nell’ Odissea me- 
tamorfosi de secondi. Nell’ Iliade i Semidei han nomi differenti, 
l’ uno lor dato sulla terra, l altro in cielo; nell’ Cdissea un 
solo. Nell’ Ili:de nessuna deificazione d’ eroi ; nell’ Odissea varie 
deificazioni , ec. ec. 

Ma queste discrepanze son lievi in confronto d’altre, le 
quali indicano un gran progresso intellettuale, e quindi una gran 
distanza di tempo fra 1’ Iliade e 1’ Odissea. Già un certo pro- 
gresso , un passaggio, come osserva il Miiller , dal. fetiscismo 
all’ 'antropomorfismo , è visibile anche nell’Iliade. E questo pro- 
gresso meritava , al dir suo, d’ essere avvertito da quegli uo- 
mini ingegnosi che precedettero il Wolf, e non seppero vedere 
che le ridicolezze dell’ omerico materialismo paragonato allo spi- 
ritualismo dell’ età più moderne. Taluno di essi però introvide 
quel progresso maggiore , che si accennava dianzi , e che il Con- 
stant ha ,messo in chiarissimo lume. 

Gli Dei dell’ Iliade , com’ egli osserva, partecipan della na- 
tura mortale , si mescolan tutti e ad ogni istante delle cose 
de’ murtali ,) combattono con questi non meno che fra di loro, 
han d’ uopo d’ una nube, nè questa sempre lor basta, per non 
essere veduti; abitano un soggiorno che appena differisce dal 

T. I. Marzo 10 


74 
nostro ; quei dell’ Odissea han natura più celeste, di rado, e 
soli alcunì fra loro, si mescolano delle cose de’ mortali , più non 
combattono con questi, anzi quasi più non contendono fra di 
loro, sono quasi sempre invisibili , nè mai posson esser veduti 
contro il loro volere, abitano un soggiorno di somma letizia e 
di sommo splendore. Gli Dei dell’ Iliade non aborrono dal pa- 
rentado co’ mortali, obbligan anzi talvolta le loro Dee a strin- 
gersi co’ mortali del più stretto de’ nodi; quei dell’ Odissea © 
viefano un tal nodo o fulminano i mortali che osano alzarvi il 
pensiero. Gli Dei dell’ Iliade non si sdegnano che pe?’ negletti 
sagrifici , per gli oltraggiati sacerdoti , insomma per ciò che ascri- 
vono direttamente a propria offesa ; quei dell’ Odissea si sde- 
gnano pure d° ogni offesa che il mortale fa all’ altro. mortale. 
Gli Dei dell’ Iliade proteggono chi chiede ospitalità , perchè ab- 
braccia i:loro altari, perchè la sua salvezza è loro gloria; gli 
Dei dell’ Odissea il proteggono perchè inerme e senza difesa. 
Gli Dei dell’ Iliade ispirano a’ mortali la forza, il coraggio, 
I’ astuzia ; quei dell’ Odissea ispirano la saggezza e la virtù; di 
cui è premio la felicità. 

Se non che, dice l’autore della Risposta al Constant , molte 
discrepanze di questo genere si trovan pure fra l’ opere poe- 
tiche di qualunque de’ Greci, fra il Prometeo, per esempio, 
e i Sette a Tebe d’Eschilo, fra una ed altra delle tragedie d’En- 
ripide; nè alcun ne trae argomento per attribuir tali opere ad 
autori differenti. Fra tali opere infatti, potrebbe replicare il Con- 
stant , le discrepanze sono esse in sì gran numero come quelle che 
trovansi fra l’ uno e l’altro de’ poemi omerici ? Sono esse tali che 
mostrino dall’una parte un’ idea sì bassa , dall’ altra un’ idea sì 
elevata della divinità ; dall’ una la separazione assoluta della 
religione e della morale ; dall’ altra un vincolo nuovo fra la mo- 
rale e la religione ? 

Il qual nuovo vincolo, già abbastanza manifesto per al- 
cune particolarità qui sopra accennate , lo riesce ancor più per 
altre, che il Constant si è pur dato cura di notare. Fin dal 
principio del primo canto dell’ Odissea è detto che i compagni 
d’ Ulisse chiusero a sè stessi co’ lor misfatti la via del ritorno 
in patria. E se ciò sembrasse provar peco, essendo i lor mi- 
sfatti di quel genere che puniscono anche gli Dei dell’ Iliade, 
veggasi nel secondo ove dicesi esser data a’ Greci funesta na- 
vigazione , poichè non sono nè giusti nè prudenti. Ma in quel 
primo canto è pure un passo di grandissima importanza. Gli 
Dei co’ loro avvisi cercan distorre Egisto dal delitto che medita 


75 
contro Agamennone. E, poi che il delitto è commesso , lo vo- 
glion punito ; e Giove il dichiara commesso malgrado il Desti- 
no; veduta morale novissima , dichiarazione, può dirsi, della 
libertà delle umane azioni. In quel canto e in altri voi udite 
Telemaco minacciar più volte dell’ ira degli Dei i Proci pre- 
potenti. Nel secondo lo udite pure esclamare che , ove la ma- 
dre sua fosse costretta d’ abbandonare la propria casa ; invo- 
cherebbe le Furie vendicatrici. Nel quinto voi udite Minerva 
chiamar Ulisse degno de?’ celesti favori per la sua giustizia e 
la sua bontà. Nel nono voi udite Ulisse medesimo , giunto al- 
l’ isola de’ Ciclopi, chiedere se gli abitanti sieno ospitali , se te- 
man gli Dei protettori de’ supplichevoli. E già Alcinoo nel set- 
timo gli ha detto : io non ti terrò a forza, poichè ciò sarebbe a 
Giove d’ oltraggio. E nel quattordicesimo gli aggiunge : s° io tra- 
dissi I’ ospitalità, con qual fronte porgerei le mie preci al signor 
degli Dei? Nel diciottesimo infine voi vedete gli Dei percorrere 
sotto umane sembianze il soggiorno de’ mortali, onde esaminarne 
i vizii e le virtù. 

Questi e simili passi, anche agli occhi sicuramente dell’au- 
tore della Risposta al Constant, separan di troppo la mitologia 
dell’ Odissa da quella dell’ Iliade. Quindi, per sostenere che l’I- 
liade e l'Odissea sien opere d’uno stesso poeta, ei va imaginando 
che nell’ una il poeta si attenesse alle idee volgari, nell’ altra 
esprimesse le proprie; nell’ una volesse darci la prima epopea, 
nell’ altra (e quì il Vico riderebbe un poco) il primo romanzo 
filosofico. 

Le idee volgari, però , dice qualch’ altro oppositore , si tro- 
van nell’ Odissea non meno che nell’ Iliade. Nell’ ottavo del- 
1’ Odissea , infatti, noi vediamo un guerriero mortale che sfida 
l’ immortale Apollo. Nel vigesimo noi vediamo i Proci preparati 
al delitto aspettar dagli Dei un segno d’ approvazione o di con- 
danna. Se non che il guerriero mortale, come osserva il Con- 
stant, è quì nel racconto ma non è nell’ azione, sfida un im- 
mortale ma nol combatte, è piuttosto punito che vinto. Se non 
che i Proci aspettano a torto, come il fatto comprova, un segno 
d’ approvazione , che potean dare gli Dei dell’Iliade , non posson 
dare quei dell’ Odissea. Del resto mai le nuove idee non esclu- 
dono a un tratto le antiche o volgari. E se queste si trovano 
dominanti nell’ Iliade, quelle con mescolanza lievissima nel- 
1’ Odissea , basta; parmi, perchè l’ Odissea si creda assai poste- 
riore all’ Iliade. 

Non ho annoverato più sopra fra le nuove idee mitologiche 


76 
dell’ Odissea quella che dal Constant è chiamata il maggior vin- 
colo fra la religione e la morale, l’idea, cioè, d’ uno stato fu- 
turo di premio o di pena, poichè ad alcuni par di trovarne in- 
dizio anche nell’ Iliade. Se però nell’ Iliade è men chiara e nel- 
1’ Odissea è chiarissima, non è ingiusto il trarre da essa pure 
argomento che il secondo. de’ due poemi è d’età men remota che 
il primo. 

Altre idee , però, altre prove di progresso ci fanno argo- 
mentare questa differenza d’età. E il progresso ci si mostra così 
in quello ch’ è nuovo, come in quello ch’ è già molto antico. 
Nulla sicuramente di più antico fra’ Greci che l’ esercizio del- 
l’ ospitalità. Esso quindi ci si presenta nell’ Iliade non meno che 
nell’Odissea. Nell’ Iliade , peraltro , esso appena contrasta a’fieri 
costumi dipinti in quel poema , non è che religioso e leale; nel- 
l’Odissea è pur dolce , affettuoso , delicato. 

Ma ecco un progresso veramente notabile, quello di cui ci 
son prova le donne dell’ Odissea. Vedete in questo poema Pene- 
lope, Arete, Nausica , Elena stessa. L’ Elena dell’ Iliade, se 
non somiglia interamente alle Erifili, alle Fedre, alle Cliten- 
nestre , tipi classici, può dirsi, delle donne de’ tempi iliaci, è 
pure della loro specie; quella dell’ Odissea ha non so qual no- 
biltà , non so qual decoro che fa obliare i suoi falli. Ma il gran 
contrapposto dell’ Elena dell’ Iliade, per non dir nu'la dell’altre 
dianzi nominate , è Penelope. Essa indica troppo chiaramente 
il passaggio da una condizione immorale e violenta ad una più 
morale e più tranquilla e quindi posteriore alla prima. Il suo 
amor conjugale è da molti secoli passato in proverbio. L’ amor 
conjugale ci è dipinto una volta anche nell’ Iliade in modo assai 
commovente. Ma è l’ amor coniugale fra gli estremi pericoli (al- 
ludesi , ciascun l’intende, alla scena dell’addio fra Andromaca 
ed Ettore) è 1’ amore nella disperazione. Quel di Penelope ne'- 
l’ Odissea è 1’ amore nella quiete domestica , nella lunga aspet - 
tazione, è un amore più tenero e più sicuro. Tanto più sicuro 
ch’esso non va scompagnato da grande saggezza , da grande im- 
pero sovra i suoi moti più legittimi. Penelope è per esso molto 
infelice ; pur non si abbandona ai sospiri ed al pianto che nel 
suo talamo solitario, fra l’ombre della notte, dopo aver dato il 
giorno alle cure della famiglia e diviso il lavoro colle sue 
ancelle. 

Ma una donna che ama come Penelope ; una donna sì ap- 
‘passionata insieme , e sì composta . sì dignitosa , debb’essere in 
sua casa una donna molto onorata. Penelope, infatti, tien nella 


(4° 


sua il luogo d’ Ulisse, vi è assoluta signora. A. mostrare il con- 
trario si citeranno forse, dice il Constant, alcune parole superbe 
che in certa occasione le volge Telemaco, Ma quelle parole sono 
così straordinarie come l’ occasion che le detta. Telemaco, ec- 
citato da Minerva, vuol partire di mascosto; non sa come fare 
se la madre non si allontana ; è grandemente agitato. Quindi le 
parole che si accennavano , e delle quali , tanto sono straordi- 
narie , Penelope si mostra non poco meravigliata. Le parole or- 
dinarie del giovane sono tutte di reverenza per lei; i suoi atti 
son tutti di subordinato. Mai; dice in un luogo Euriclea , la 
fida nutrice, mai sua madre non gli ha concesso sopra le an- 
celle la minima autorità. E ciò pur mostra che l’autorità , nel- 
1’ assenza d’ Ulisse, era tutta di Penelope ; cosa affatto disforme 


‘da’costumi a cui si riferisce l’Iliade. Così nella casa d’Alcinoo , 


x 


se l’ autorità non è tutta d’ Arete , poichè lo sposo è presente , 
essa è pur grandissima, per affettuosa deferenza dello sposo me- 
desimo ; ciò che pur si allontana da’costumi del tempo a cui si ri- 
ferisce colle sue pitture quel primo poema. 

E, poichè dianzi ho ricordato Euriclea, dirò qui una parola 
della condizion particolare delle ancelle, che non è certo nel- 
l'Odissea quel ch’ è nell’ Iliade. L’ istesso appellativo d’ ancelle, 
sostituito nell’ Odissea; giusta un’ osservazione dello Knight, a 
quello di schiave che sempre leggesi nell’Iliade, indica una mi- 
gliorata condizione. Euriclea, infatti, è nella casa d’Ulisse poco 
men rispettata che la sua signora; e ci fa pensare che anche 
l’ altre ancelle , ove nol demeritiao (come le dodici punite al 
fin del poema) sien rispettate abbastanza. Non però, è vero, le 
ancelle dell’ Odissea debbon credersi meno infelici che le schiave 
dell’Iliade. Può anzi credersi, come osserva il Constant, che in 
generale lo sieno assai più. Noi vediamo , egli dice, nell’Odissea 
una nuova captiva spinta verso il luogo del suo servaggio a forza 
di percosse , il che vuol dir resistente non che ripugnante. Qual 
differenza fra essa e la Briseide dell’Iliade , che segue volonte- 
rosa il vincitore, 1’ uccisor di suo padre! Una maggiore infelicità, 
però, non ci è prova di più duri trattamenti. Ci è prova soltanto 
che la condizione di figlie e di spose, divenuta più dolce, facea 
sembrar più orribile quella di schiave o d’ ancelle. 

Una condizione più dolce di figlie e di spose indica senza 
dubbio relazioni più intime e più frequenti fra le persone dei 
due sessi. Grazie a queste relazioni, dice il Constant, nuova 
politezza ne’ costumi, nuova delicatezza nell’amore, nuove idee 
intorno ad esso. Ma ogni meglio ha i suoi inconvenienti. La po- 


78 
litezza degenera in frivolezza , l’ amore, trattato con più delica- 
tezza, è pur riguardato come cosa leggiera, come soggetto 
da scherzi. Ora questi scherzi, che mai non s°’ incontrano 
nell’ Iliade, s’incontrano nell’ Odissea. Nell’ Iliade nulla di 
scherzevole intorno agli amori d’ Elena e di Paride. Ivi Aga- 
mennone dichiara con gran serietà a’ Greci adunati che destina 
Criseide al proprio letto poichè più bella di Clitennestra. Ivi con 
pari serietà Tetide consiglia al figlio; desolato per la morte del- 
l’amico, di cercar sollievo fra gli amplessi di bella schiava. 
Nell’ Odissea Mercurio scherza con Apollo sugli amori di Marte 
e di Venere quasi come farebbe un galante de’ tempi moderni. 
Quindi nuovo iudizio che 1° Udissea è poema d’ altri tempi che 
l’ Iliade. 

Ma l’ indizio più bello, se ben si consideri, l’ abbiam da 
Nausica. Il pudor delicato di questa vergine, che non osa far 
parola di nozze in faccia al padre, è tal fiore di nuovi costumi, 
che ci fa obliare affatto quelli che ci son dipinti nel primo poe- 
ma. Ciò ch’ ella dice del cicalio de’ Feaci , se la vedessero tra- 
versar la città in compagnia d’ uno straniero , mostra tal finezza 
d'osservazione , tal rispetto alle convenienze ; che non può aver 
luogo che in uno stato pacifico e. polito. 

E il cicalio medesimo , e più altre cose che son nell’ Odis- 
sea relative a’ Feaci , forniscono al Constant altre prove di que- 
sto stato novello. Omero , si dirà forse , avendo a dipingere un 
popolo commerciante come quello de’ Feaci, fece spiccare ad 
arte le particolarità che lo distinguevano dai popoli bellicosi della 
Grecia. Ma Omero , osserva il Constant, ebbe pur a dipingere 
nell’ Iliade un popolo più incivilito , un popolo meno esclusiva- 
mente bellicoso , quel de’ Trojani. Pure qual differenza , anche 
in ciò, fra l’ Omero dell’ Iliade e quello dell’ Odissea ! L° Omero 
dell’ Iliade sembra riguardare i Trojani con certo disprezzo ; mo- 
stra sorpresa piuttosto che ammirazione pei loro agi, pel loro 
lusso. L’Omero dell’ Odissea sembra riguardare i Feaci con certa 
compiacenza, ammirare le cose loro come uomo che vi è abituato 
e ne sente il pregio. 

Del resto le nuove cose ch’ ei nomina, i nuovi appellativi 
ch’ egli usa , ec. ec., tutto concorre a persuaderci ch’ egli è di- 
verso da quello dell’ Iliade. Già dissi dell’ appellativo d’ ancelle, 
che ; giusta un’ osservazione dello Knight, mai non leggesi nel- 
l’ Iliade e leggesi nell’ Odissea. Or debbo qui aggiugnere , giusta 
un’ altra osservazione dello Knight medesimo , quello di servi 
mercenarii , classe intermedia fra gli uomini liberi e gli schiavi, 


79 


che pur leggesi nel secondo e non nel primo dei due poemi, I 
due appellativi qui ricordati, dice quel filologo , indicano un 
certo raddolcimento di costumi. Il noi ed il voi che, trattan- 
dosi d’ una sola persona, mai non è usato nel primo ed è usato 
nel secondo di que’ poemi, sembra indicare un certo raffinamento. 
Di raddolcimento insieme e di raffinamento può esserci indizio il 
nome di ricchezze o dovizie dato nell’ Odissea a ciò che nell’ I- 
liade è chiamato col nome di possessi. Di nuova agiatezza e di 
viaggi più frequenti quello di pubblico albergo, che mai non s’in- 
contra nell’ Iliade e s’ incontra nell’ Odissea. Di nuova industria 
e le colonne e le funi di bibli (erba egiziana) e le corde di mi- 
nugia nominate nell’ Odissea non nell’ Iliade , ove le cetre non 
hanno altre corde che di lino. Nell’ Iliade , com” altra volta si 
accennò , menzione controversa della cavalleria ; nell’ Odissea 
menzione non dubbia. Nell’ iliade nessun cantore di professione, 
facendo probabilmente ne’ primi tempi, come osserva il Miiller, 
officio di cantori gli stessi eroi; nell’ Odissea uomini che can- 
tano per professione versi or improvvisati or preparati. Nell’Ilia- 
de, qual che ne sia la causa, non mai ricordati i Messeni ; nel- 
1’ Odissea ricordati e questi ed altri popoli, di cui un nuovo ar> 
dor di sapere portava a raccogliere le più favolose relazioni. 

Tali sono quelle che riguardano i Ciclopi, i Lestrigoni , i 
Lotofagi ; tali più altre, le quali indicano evidentemente un’epo- 
ca, in cui l’uomo ancor sì nuovo che tutto può credere, tutto 
può imaginare, è nondimeno abbastanza inoltrato perchè tutto 
desideri sapere. E l’ ardore che nasce da questo desiderio; il 
nuovo pregio in cui il sapere è tenuto , si può dir che sia l’ani- 
ma di tutta l’ Odissea. Fin da principio di essa , infatti , l’ eroe, 
che le dà il nome, ci si presenta qual uomo che ha veduti molti 
paesi , osservati costumi diversi. Ei prolunga in seguito i suoi 
viaggi, corre mille pericoli, per più vedere , per più osservare, 
insomma per istruirsi ancor più. Calipso , la figlia d’Atlante , di 
quello che sostiene le colonne del cielo e conosce ciò che rac- 
chiudono le profondità del mare; non fidandosi al solo amore 
per trattenerlo, gl’ irisegna il corso ‘degli astri. Le Sirene non 
sono per lui sì seducenti, se non perchè i loro canti sono pieni 
di scienza , ec. ec. 

Nell’ Odissea può anche vedersi dice il Constant; un primo 
pensiero di legislazione, un primo germe d’ idee repubblicane , 
come in quella sollevazione , in que'la specie d’ appello al po- 
polo dopo l’uccisione de’ Proci ; germe che poi si mostra più vi- 
sibile ne’ versi d’ Esiodo, sicuramente posteriori anche all’Odissea. 


80 

Ma fra questa e l' Iliade vi hanno pure altre discrepanze 
che quelle relative alle idee e a’ costumi. Avvi pure secondo 
lo Knight quella della lingua (contrazioni di voci ; diversità di 
sintassi ec. ) che qui mi basterà d’ aver accennata ; sì perch’essa 
è controversa , e sì perch’ essa non è valutabile che dai filologi 
di professione. Avvi quella dello stile, già notata da Longino e 
da altri antichi, e da tutti facilmente riconosciuta. Avvi infiné 
quella non men notabile della composizione, notata infatti dai 
critici d’ ogni età, indi anche dal Wolf e ultimamente dal Con- 
stant. Nell’ lliade , egli dice, meno artifizio, meno unità ; ma 
vivezza; ma granilezza molto maggiore, ma, da un certo punto 
almen», calore ognor progressivo. Nell’ Odissea meno vivezza , 
meno grandezza , meno calore; ma artifizio maggiore, maggiore 
unità. i \ 

Nell’ Iliade infatti noi siamo fin da principio divisi d’ani- 
mo fra vari eroi , Diomede, Ulisse, i due Ajaci, il vecchio 
Nestore , il giovane Patroclo, Achille che per sì lungo tempo 
li abbandona e il cui nome in alcuni canti appena è pronunziato, 
Ettore che mai non perdiamo di vista, e che tanto ci duole di 
veder sagrificato. Che se qualcuno di questi eroi ispira un affetto 
particolare e costante è appunto Ettore , il difensore di quelli che 
debbon essere vinti , onde alcuni critici sospettarono che l’Iliade 
fosse composta coll’ intenzione segreta d’ innalzare i vinti sopra 
i vincitori, E il sospetto in loro si accrebbe (v. particolarmente le 
Idee dello Schubart sopra Omero e la sua epoca) per quel senso 
di pietà verso gli uni, e quasi di ripugnauza per gli altri, che 
parve lasciar loro in cuore tutto il poema. Se non che l’ in- 
tenzion vera , con cui l’ Iliade è. composta , apparisce manifesta- 
mente , dice il Constant , fin da’principii del poema , fin dalla 
descrizione del primo combattimento , ove i Greci ci si mostrano 
silenziosi , ordinati , quasi certi della vittoria poichè periti della 
guerra , i Troiani schiamazzanti , disordinati , imperiti e. però 
destinati alla sconfitta. Il sospetto però dell’.intenzione contra- 
ria è anch’ esso non piccola accusa contro l’ unità del poema. 
A compenso dell’ unità però noi troviamo nel poema passioni for- 
tissime.; figure colossali, impeto ognor crescente, azione sem- 
pre più mirabile e gigantesca. Troviamo insomma , invece di 
ciò che appartiene all’ arte , ciò che appartiene all’ imagina- 
zione nel suo primo vigore. 

Nell’ Odissea tutto o.quasi tutto si riferisce fin da principio 
al ritorno d’ Ulisse, tutto pel corso del poema ci fa desiderare 
questo ritorno. Cel fa desiderare e la travagliosa. virtù d’ Ulisse 


dI 
medesimo, e il nobil carattere di Penelope , e la tenerezza del 
figlio, e la brutalità de’ persecutori , da cui ei è troppo caro 
che e la madre il figlio sieno alfin liberati. Nè in ciò solo appa- 
risce l’ arte diversa che distingue 1’ Odissea dall’ Iliade. Essa 
apparisce pure in alcune particolarità meno importanti , ma che 
qui meritano d’ esser notate. Nell’ Iliade comparazioni senza 
numero , fino a quaranta in un solo canto; in tutta l’Odis- 
sea non più di venti. Nell’ Iliade ripetizioni frequentissime ; nel- 
I’ Odissea assai meno , anzi visibil eura d’ evitarle. Per non 
ripetere infatti ciò che per bocca del poeta fu già narrato dei 
viaggi d’Ulisse , questi è interrotto nella narrazione che ne fa 
ad Alcinoo presso cui si riposa. E questo stesso ripartire la narra- 
zione invertendone le parti, questo comineiar il poema a mezzo del- 
l’ azione ponendone gli antecedenti in bocca all’eroe, è nell’Odis- 
sea cosa novissima , la quale , senza compensar i pregi che a lei 
mancano dell’Iliade , mostra un’ arte assai più raffinata. 

Tante discrepanze insieme unite hanno costretto anche taluno 
de’ più dotti antiwolfiani, come lo Knight , a riconoscere “che 
l’ Iliade e 1’ Odissea non posson essere d’ uno stesso poeta. Se 
non che (riflette l’autore dei due articoli della B. U. di Gine- 
vra) chi ciò riconosce è assai men lungi che non pensa dall’ opi- 
nione wolfiana , che nè anche tutta l' Iliade possa essere d’ un 
solo poeta , nè possa esserlo tutta l’Odissea. Poichè, se vi hanno 
discrepanze grandissime fra 1 una e l’ altra, vi hanno pur tali 
fra le parti di ciascuna , da far sospettare che gli antichi non s’in- 
gannassero meno attribuendo ciascuna ad un solo poeta che at- 
tribuendole ambedue , o che sotto il nome , che poi si credette 
d’un solo poeta , i più antichi comprendessero la successione di 
molti. Di queste seconde discrepanze basti un saggio , incomin- 
ciando qui pure dalle mitologiche. 

Più specie di mitologia , osserva il Constant, posson distin- 
guersi ne’ poemi omerici. Primieramente una mitologia popo- 
lare, qual doveva pur essere quella de’ Greci al loro uscire 
spontaneo dal fetiscismo; e tale è la mitologia d’ una gran 
parte dell’ Iliade , in ispecie de’ primi diciotto canti che con- 
tengono l’ azion principale. Trovasi quindi l’ istessa mitologia 
perfezionata , unita , come già si disse, alla morale ; e questa è 
la mitologia dell’ Odissea. Se non che ne’tre canti, ove Ulisse 
narra le sue avventure, apparisce di nuovo la mitologia dell’ Ilia- 
de. Infatti la descrizione , ch’ ivi si fa, d’ uno stato futuro di 


premio e di pene non corrisponde in alcun modo al perfeziona 
T.l. Marzo II 


62 
mento accennato. Nell’ ultimo canto dell’ Iliade, a rincontro, 
apparisce, può dirsi , la mitologia dell’ Odissea. Ivi Mercurio , 
lasciando Priamo alla tenda d’Achille, dice che disconviene agli 
Dei il mescolarsi troppo palesemente delle cose dei mortali ; ivi 
Priamo , venuto innanzi ad Achille, il prega che abbia rispetto 
agli Dei e pietà d’un infelice ; idee a cui certo uon ci preparano 
gli antecedenti del poema. 

Incontrasi finalmente nell’ un poema come nell’ altro una 
terza mitologia, la qual può chiamarsi cosmogonica o allegorica. 
Ma essa non è punto omogenea alle due altre , che son la stessa, 
come si disse, in epoche diverse , essa è il frutto delle tarde re- 
lazioni della Grecia con altri popoli più antichi. Sl matrimonio 
di Giove con Giunone, per esempio, appartiene originariamente , 
come già aveva osservato Diodoro , alla cosmogonia dell’ Egitto. 
La famosa catena d’oro di quel Dio, le sne minacce a quella 
Dea , osserva il Creutzer , sono un’ allegoria indiana, di cui, 
prima che le tradizioni dell’ India fossero àèbbastanza conosciute, 
nessuno degli eruditi sapeva rendersi ragione. Le metamorfosi di 
Proteo, aveva pur osservato Diodoro , son copia di quelle d’ un 
Nume Egiziano. La favola di Briareo, incompatibile con ciò che 
in tanti passi omerici è detto della potenza di Giove; l’ isola 
abitata da Eolo co’suoi figli e le sue figlie in numero di dodici; 
la lotta d’Achille collo Scamandro e il disseccamento del fiume 
per l’intervento di Vulcano , osservano 1’ Heyne ed altri, son 
cose anch’ esse in cui si vede l’ origine orientale. E tali pur so- 
no, al parere di vari, tutte le famose opere del Dio di Lenno, 
i tripodi ambulanti, i mantici che soffiano da se stessi, le ver- 
gini d’oro che lo aiutano nella sua officina , il cane d'oro che 
guarda i giardini di Giove in Creta , lo scudo d'Achille che ha 
tanta relazione colle rappresentazioni di Brama, ec. 

Questa terza mitologia, però avverte il Constant, non tro- 
vasi ne’ poemi omerici che travisata e incompleta, come cosa 
colla quale chi ve la intruse non avea domestichezza. Quanto 
all’ antore , o agli autori primitivi di que’ poemi, chi sa dire se 
essi neppure ne avean contezza ? Chè , ove l’ avessero avuta, 
par singolare che in certe occasioni non ne facessero uso come 
poi i poeti posteriori. Noi vediamo, ad esempio, ne’versi d’Esiodo 
comparire il figlio di Venere, l’ Ero cosmogonico , l’Amore per- 
sonificato. Ne’ poemi omerici , ove più volte , come quando Ve- 
nere è ferita, come negli alterchi d’ Elena e di Paride ec. , 
avrebbe potuto fornire imagini sì graziose, riescire sì opportuno, 
nol vediamo menomamente. 


83 

Ma è egli un solo autore, domandano i wolfiani , quegli 
che adoperando in uno stesso poema una stessa mitologia, varia 
e contradice a se medesimo dall’ un canto all’ altro ? Nel primo 
dell’ Iliade , per esempio , Vulcano è fatto precipitare dal cielo 
per grande ira di Giove; nel diciottesimo per inverecondia di 
Giunone. Nel quarto canto è data per coppiera agli Dei la bel- 
lissima Ebe; nel vigesimo è dato lor per coppiere il bellissimo 
Ganimede , la cui favola (giovi notarlo) come quella di Titone , 
che leggiam nell’ undecimo , vuolsi dai dotti posteriore ai tempi 
omerici, 

L’ Heyne si meraviglia un poco di trovar raccolti nell’Iliade 
i miti di genti assai diverse, de’ Pelopidi, degli Eacidi , de’ Mir- 
midoni , degli Etoli , de’Cretesi, degli Argivi, ec. Più ancor si 
meraviglia di veder dominanti nelle parti episodiche quei de’Pelo- 
pidi e degli Eacidi , stirpe eolica , oriunda di Tessalia , che emi- 
grata nel paese, a cui essa diede il nome d’ Eolide , sui confini 
dell’ antico regno trojano, vi portò seco le tradizioni de’maggiori. 

Checchè si pensi però dell’ unione o della distribuzione di 
questi e d’altri miti della specie medesima , è difficile non me- 
ravigliarsi della discordanza che trovasi da canto a canto nelle 
narrazioni ad essi relative. Nel secondo e nel diciassettesimo, 
per esempio , Schedio è detto figlio d’ Ifito; nel quindicesimo è 
detto figlio di Perimede ; e quel ch’è più, dopo essere stato in 
questo canto fatto uccidere da Ettore, lo è di nuovo nel dicias- 
settesimo. Anche Pilemene , fatto uccidere nel quinto canto , si 
fa risorger nel duodecimo per seguire il corpo del figlio. Sarpe- 
done ; pur nel quinto canto , dicesi ferito gravemente, e nel 
duodecimo , non interposto che lo spazio di due o tre giorni, ci 
si presenta di nuovo in battaglia. Tenero, anch’ egli nel quin- 
to, un giorno ha il destro omero infranto , e all’indomani, co- 
me vediam nel tredicesimo, può di nuovo combattere e lan- 
ciar dardi. Diomede nel sesto dice a Glanco di non esser sì ar- 
dito da combattere contro gli Dei; e nel quinto ha ferito Ve- 
nere in una mano e Marte nella pancia. In tutto quel tratto, 
che comincia all’ undecimo canto. e finisce al diciottesimo , Po- 
lidamante è fatto per virtù appena secondo ad Ettore ; in tutto 
il tratto antecedente, nemmen nel minuzioso catalogo che chiude 
il secondo canto , è pur degnato di menzione. Enomao final- 
mente è destinato in quel catalogo a perir nella pugna presso le 
navi; e in questa pugna nè perisce , nè vien nominato. 

Le discrepanze relative àlle idee morali non mancano neppur 


84 £ 
esse in alcuno dei due poemi. Per queste discrepanze specialmente, 
parmi d’aver letto in qualche luogo, i seguaci di Pirrone fa- 
cean Omero della loro setta. Un ingegnoso scrittore, il Van Lim- 
bourg, come accennai altra volta, ha scritto di recente un libro 
sulla bellezza morale de’ poemi omerici. E il libro può contener 
molto vero, come ciò che fu scritto fra noi in contraria sentenza 
dal Tassoni, dal Nisieli , dal Zanotti , ec. Così potè essere molto 
vero nelle lodi date da alcuni antichi alla mitologia dei due 
poemi ; e nelle accuse pur datele da’ più solenni filosofi , Pita- 
gora, Socrate, Platone ec. , o negli scherni di Luciano. Una di- 
stinzione importante, come già si vide, è a farsi fra l'Iliade e 
l'Odissea. Come però nell’Iliade appariscono talvolta le idee mi- 
tologiche dell’ Odissea, o nell’Odissea quelle dell’ Iliade, così vi 
appariscon le idee morali. 

Se non che quelle del secondo dei due poemi non appari- 
scono chiaramente nel primo che verso la fine cioè nell’ ultimo 
canto. Ne’ canti antecedenti le idee sono più o meno conformi ai 
costumi de’ barbari, come direbbe il Vico; a’ costumi degli Iroc- 
chesi e de’ Caraibi, come direbbe il Volney. Nell'ultimo noi ve- 
diamo il fiero, 1’ implacabile Achille scendere a tarda pietà, me- 
ravigliarsi che un padre infelice possa soffrir l'aspetto dell’uccisor 
de’ suoi figli, filosofar con lui sul tristo destino de’mortali ec. ec.; 
cose tutte , dice il Costant, che sembrano imaginate per ren- 
der men dispiacevole a uomini inciviliti 1’ eroe celebrato in un 
età di barbarie. 

Le idee morali dell’ Iliade , frattanto , eccole nell’ Odissea. 
L’ amor di Calipso per Ulisse nel quinto libro , dice il Constant 
medesimo , fa supporre le stesse idee che 1’ amor d’Agamennone 
per Criseide. Esso è affatto incompatibile colle idee che ci fanno 
supporre il pudore di Nausica, e gli scherzi stessi, che già si ac- 
cennarono di Mercurio. Qual amore infatti è mai quello d’ una 
Dea che si contenta degli omaggi forzati d’ un mortale , il qual 
passa i suoi giorni a piangere sulle rive del mare, e concede 
non voglioso a lei vogliosa le notti sol per non togliere a se stesso 
la speranza della libertà ? 

Ma a tante discrepanze , che si son dette, si aggiungono 
pure in ciascuno dei due poemi quelle della composizione. E 
di essa già si avvidero quasi tutti i critici , che precedettero il 
Wolf e l’Heyne, dagli Alessandrini, anzi da Zoilo il seniore assai 
commendato da Demostene , fino a quelli della scuola del Vol- 
taire divenuta scuola nniversale. Quindi, come ciascun s’ ima- 


85 
gina , le loro osservazioni intorno ad esse forman parte non pic- 
cola di quelle dei due dotti alemanni , ch'io a costo di ripeter 
‘cose ormai trite, debbo qui almeno accennare. 

Al cominciar dell’ Iliade , essi dicono , ci si annuncia come 
soggetto del poema l’ ira d’ Achille , cagione a’ Greci di mali in- 
finiti; Giove infatti, per secondarla, promette a Tetide sulla 
fine del primo canto di dar vittoria a’ Trojani; indi nel secondo 
par che si disponga ad adempire quel che promise. Ma dal terzo 
all’ ottavo l’ira d’ Achille , la promessa di Giove è obliata , i 
Trojani son perdenti, i vittoriosi sono i Greci. All’ottavo final- 
mente questi cominciano a provar gli effetti dell’ ira dell’ eroe ; 
i Trojani come il Dio promise loro , prevalgono. Se non che al 
diciottesimo le cose si cangiano; 1’ira dell’ eroe è placata ; € 
grazie principalmente al valor suo i Greci trionfano; i Trojani 
son sterminati. Or tutto ciò come si concilia col principio del 
poema? Chi può vedere in questo poema lo sviluppo progressivo 
d’ un medesimo pensiero ? 

Ma voi, risponde il Lange, confondete l’ira d’ Achille 
colla persona d’ Achille ; 1’ Iliade , o il racconto de’ grandi fatti 
della guerra di Troja, a’ quali 1’ ira d’Achille diede occasione, con 
un’ Achilleide che Omero mai non intese comporre , ec. Quel Gio- 
ve così a lungo oblioso della sua promessa gli sembra, per 
vero dire , che rechi al poema certo imbarazzo. Ma Giove, egli 
pensa, opera come un re della terra, teme il disfavore degli 
altri Dei, ec. ec. ; e giustificata così la sua condotta , si con- 
fida d’ aver giustificata abbastanza quella del poema. Le cose 
infatti che si aggiungono, poichè l’ira d° Achille è placata , 
si aggiungono , egli dice , naturalmente e necessariamente. Morto 
Patroclo tutti doveano aspettarsi che Achille, giusta il costume 
degli antichi, sorgesse a vendicarlo ; quindi il poema dovea 
continuare fino alla morte d’ Ettore, fino all’ esterminio de’Tro- 
jani. E che le cose, che si aggiungono , si aggiungan natural 
mente , già l’ aveano avvertito anche il Wolf e 1’ Heyne. Che 
si aggiungano necessariamente nè da loro potea dirsi, nè se- 
condo i principii ‘dell’arte si potrebbe sostenere. Se esse infatti, 
come osserva 1’ autore de’ due articoli della B. U. di Ginevra , 
non sono sconvenienti ad una larga unità , non però son con- 
sentanee alla proposizione del poema , Ja quale, per servire a 
questa larga unità , avrebbe dovuto , secondo il Wolf e l’Heyne, 
‘esser cangiata. 

Supposta però la proposizione cangiata , ammessa una larga 
unità , anzi ammesso tutto quel tratto del poema ch? esce visi- 


86 
bilmente dai confini d’ ogni unità, non ancora a que? filologi 
sembran primitive e di getto tutte le parti del poema stesso. Nol 
sembra , p. e., nel primo canto l’episodio della caduta di Vul- 
cano , narrata come già si disse, in altra guisa nel diciottesimo ; — 
nol sembra nel secondo nè l’ episodio di Tersite, nè la descrizione 
dello scettro d’ Agamennone , nè la rassegna de’ Greci e delle 
lor navi, nè quella de’Trojani e de’ loro ausiliari ; — nol sembra 
nel terzo il combattimento di Menelao e di Paride, nè quindi 
il colloquio d’ Elena con Priamo mentr’ esso dura, nè il garrir 
suo a Paride stesso quand’ è finito; -- nol sembra il racconto 
delle gesta di Diomede onde componsi il quinto, e molto meno 
l’ intervento degli Dei fra queste gesta ; = nol sembra quasi nulla 
nel sesto, non il ritorno d’ Ettore in Troja quando vi è più 
bisogno della sua presenza nel campo , non quindi il rito sa- 
cro celebrato per suo consiglio da Ecuba , non l’ incontro con 
Andromaca , e il colloquio di questa, sconvenientissimo d° al- 
tronde all’ occasione, non soprattutto 1’ incontro di Diomede con 
Glauco , posto framezzo senz’ alcun perchè alle cose accennate; 
— nol sembra nel settimo il combattimento d’ Ajace con Ettore ; 
— nol sembra nel nono 1’ ambasceria d’ Ajace e d’ Ulisse ad 
Achille ; «== nol sembra nel decimo 1’ uscita notturna d’ Ulisse e 
di Diomede onde esplorare il campo nemico nè quindi la morte 
di Dolone ; — nol sembrano nel decimoterzo le gesta d’Idomeneo; 
— nol sembra in questo e nel seguente l’ intervento di Nettuno ; 
— nol sembra in generale il decimoquinto e in esso l’ intervento 
d’ Apollo; == nol sembra ne’ tre altri che seguono l’intervento 
d’ altri Dei, e nel terzo di essi, cioè nel diciottesimo , la descri- 
zione dello scudo d’Achille ; == nol sembra nel primo de’seguenti 
la riconciliazione d’Agamennone e d’ Achille ; nol sembra negli 
altri due nè la pugna d’ Achille con Ettore, nè la sua pugna 
collo Scamandro , nè 1’ intervento di più Dei che mai prima non 
presero parte all’azione ; — nol sembra finalmente l’ultimo canto, 
ripudiato, come si disse, da quasi tutti i critici, e i cui ultimi 
versi, anche dai più proclivi ad ammetterlo, son giudicati indegni 
della poesia omerica. 

Tutte o quasi tutte queste parti furono , assai tempo innanzi 
al Wolf ed all’ Heyne, censurate e difese sotto un punto di vista 
puramente letterario. Varie il furono di nuovo, dopo il Wolf e 
I Heyne, relativamente alla questione wolfiana. Ed io , perchè 
questa storia della questione riesca meno incompleta , recherò 
almeno qualche saggio delle difese più recenti. 

Il Lange, per €sempio, non crede che sia da rigettarsi dal 


87 
primo canto l’ episodio della caduta di Vulcano, o almen non 
crede che sia da rigettarsi per la ragione che questa caduta nel 
diciottesimo è narrata alquanto diversamente. Le tradizioni in- 
torno ad essa, egli dice, poteano fin da’ tempi omerici esser va- 
rie; ed è assai difficile, in fatto di tradizioni mitologiche ; il 
dire : questa è anteriore, questa è posteriore , mancandoci i mo- 
numenti su cui fondare un giudizio. Parimenti ei non crede che 
sia da rigettarsi dal secondo la doppia rassegna, nojosissima a 
noi, ma interessantissima a’ Greci primitivi, egli dice, che di 
ogni minuta cosa bramavano essere istruiti. 

E simile argomento adopera pure il Dugas-Montbel per di- 
fendere nel canto medesimo la descrizione dello scettro d’ Aga- 
mennone. Certo , egli dice , mal si comporterebbe a’ dì nostri che 
un poeta , all’ occasione di nominare o descrivere lo scettro di 
un re, ci venisse pur ricordando tutti quelli a cuì lo scettro 
appartenne. Ma nei tempi antichi , quando la storia dell’ età pre- 
cedenti non si apprendeva che da’ canti dei poeti, la cusa do- 
veva andare altrimenti. Lo dovea particolarmente, trattandosi 
dello scettro d’ un re, come Agamennone, la cui rinomanza era 
sì grande e la genealogia era sì incerta. E già sempre le digres- 
sioni omeriche , osservano Zenodoto ed altri scoliasti, si riferi- 
scono a cose importanti. À cosa importantissima possiam dire che 
si riferisca quella che tesse la genealogia d’ un re sì famoso, e 
fa risalire il segno della sua autorità fino al signor degli Dei. 

Avvedutamente, come ciascun intende , il Dugas-Montbel 
mette qui innanzi l’incertezza della genealogia d’ Agamennone, 
poichè altrimenti gli si opporrebbe che la genealogia d’un re sì 
famoso doveva esser sì nota da non richiedere l’umerica digres- 
sione. Del resto più cose anche men note si tacciono nell’Iliade, 
o almen non si dicono ove sarebbero più opportune. Così, per 
esempio , le cause dell’ira di Giunone e di Minerva contro i 
Trojani non sono indicate che nel canto vigesimoquarto e solo 
per incidenza , quando avrebber dovuto esserlo e di proposito 
fin dal principio del poema. Ed è singolare, dice l’autore dei due 
articoli della B. U. di Ginevra, che il Lange ; cui piace difen- 
dere la minuziosa rassegna, che già si disse, come cosa che 
a’ Greci importava d’intendere , giustifichi poi e 1’ accennata om- 
missione e più altre, come di cose che già poteano aver intese 
da altri poeti. 

Del che dimentico , e sol ricordevole di ciò che gli ha fatto 
sembrar opportuna quella rassegna , si studia di difendere anche 
l’ altra posta in bocca ad Elena nel terzo canto. Veramente, 


3 


80 
dice lo Knight, par strano che Priamo avesse d’ uopo dell’ in- 
dice e delle parole d’Elena per conoscere i capi de’Greci, i quali 
già da diec’ anni facean guerra sotto Troia; non meno strano di 
quello ch’ Elena avesse d’ uopo d’ assistere dalla torre di Porta 
Scea al combattimento di Menelao e di Paride per sapere se i 
suoi fratelli erano di quella guerra. Ma il gusto, ei soggiunge; 
non era a’ tempi omerici tanto raffinato , bastava una verisimi= 
glianza qualunque , ec. ec. Il Lange però non si contenta di 
simile difesa , e vuole che le parole d’ Elena, se non bisogna- 
vano a Priamo , bisognassero agli uditori d’ Omero, per aver in 
seguito. più presenti i capi già detti, la posizione delle loro 
schiere , ec. 1 

Gagliarda è la difesa che fa lo Knight del quinto canto, il 
quale, non celebrando che le gesta di Diomede, può veramente 
sospettarsi intruso. Ma il sospettarne è vano ; dice quel filologo , 
poichè il poema senza di esso sarebbe mutilo. Da esso infatti 
dipendono più cose importanti o bellissime de’ canti seguenti, 
il ritorno d’ Ettore alla città, e il rito ordinato perchè Minerva 
allontani Diomede ; il ritorno di Paride al campo , e il combat- 
timento in cui da Diomede è ferito ; 1’ incontro e la separazione 
d’Ettore e d’ Andromaca; l’ orazion di Diomede al consesso 
de’ capitani contro Agamennone che propone la fuga; il combat- 
timento di Diomede con Enea a cui toglie i cavalli ; il buon ser- 
vigio che questi rendono a Nestore in grave periglio ; la loro 
corsa e la lor vittoria nel funebre certame in onore di Patro- 
clo; ec. ec. Che più? Omero sicuramente ebbe in petto quel 
canto, com’ebbe l’orazion , che si disse, al consesso de’ ca- 
pitani, allorchè nel quarto fece Diomede silenzioso e modesto 
a’ rimproveri d’ Agamennone, de’ quali doveva esser fra poco 
gloriosamente vendicato. 

Piacerebbe al Dugas-Montbel, non meno che allo Knight , 
l’incontro d'Ettore e d’Andromaca nel canto sesto, e forse in grazia 
di esso anche il ritorno antecedente dell’eroe alla città. Se non 
che il lungo racconto della morte de’ genitori , fatto da Andro- 
maca in quell’incontro, gli par veramente fuor di luogo. Ettore 
infatti, come già avevan riflettuto il Dryden , il Rollin ec., po- 
teva già averlo udito più volte, e Andromaca , tremante per la 
vita dello sposo, dovea sentirsi ben poca voglia di ripeterlo. Il 
Pope, rispondendo al Dryden , pretese che un tal racconto ser- 
visse a due fini, l'uno particolare ad Andromaca ; ed era di 
commover Ettore, mostrandogli com’ella rimarrebbe abbandonata 
senza di lui ; l’ altro particolare al poeta , ed era di dar risalto 


89 
all’eroe dell’ Iliade, che per. tal racconto. apparisce generoso 
verso i vinti. Ma se Andromaca , dice il Dugas-Montbel , volea 
commuovere Ettore , andava contro il proprio fine, rieordandogli 
che Achille onorò la memoria dell’ ucciso suo padre ; poichè chi 
aveva onorato la memoria del padre poteva avere qualche pietà 
della figlia. Ma se il poeta volea dar risalto all’ eroe dell’Iliade, 
anch’ egli giovava poco al proprio fine, facendo dire ad Andro- 
maca, che Achille per. gran riscatto le rese la madre; poichè se 
l’accettare un gran riscatto non era cosa nè insolita nè vile, non 
era però la più, generosa. Non resta quindi, per giustificare il 
racconto, se non la solita osservazione , che i racconti per noi 
più importuni parevan forse opportunissimi agli antichi, sempre 
avidi d’intendere le cose de’ maggiori. 

Molto più difficile, dice il nostro critico; parrà forse il giu- 
stificare nel canto già detto il congresso di Diomede con Glauco. - 
Un congresso di due capi nemici in mezzo a’combattimenti, per 
tessere una lunga genealogia; per parlar di nou so quante cose 
diverse , per fare da. ultimo un cambio d’armi in pegno d’ami- 
cizia, non solo è per noi, ma lo era anche per alcuni degli an- 
tichi, troppo inverisimile. Nel testo del Villuison, infatti, esso è 
accompagnato d’ un segno critico , e negli scolii è detto che da 
alcuni si collocava altrove. Anche però collocato altrove, non 
sarebbe più verosimile che dove si trova. Bensì altrove, p. e. 
fra il nono e il diciottesimo , ove la narrazione non è rallegrata 
che dal solo episodio del cinto di Venere, potrebbe servir. me- 
glio al diletto , pel quale Eustazio lo dice qui collocato. E qui 
pure; infatti, vi serve abbastanza; e dovea servirvi molto più 
pei primi uditori del poema , poco offesi dell’inverosimile poetico, 
e avidissimi del vero o del verosimile istorico. Nè bisogna obliare, 
aggiunge il nostro critico, che la poesia primitiva, la. poe- 
sia omerica , propriamente era storia , idea del Vico, siccome 
altrove si è detto , anzi del Castelvetro, a cui il Vico rimpro- 
vera di non averne tratte le conseguenze che potea. Or come a dì 
nostri, prosegue il critico , si trovano star bene nella storia lunghe 
digressioni che dian lume a’ fatti in essa narrati, anticamente 
si trovavano star bene lunghe digressioni che dessero a conoscere 
fatti ignorati. 

Altre giustificazioni propone lo Knight di varii passi del 
settimo , del decimo, dell’ undecimo , ec., le quali , riducendosi 
tutte all’avvertenza già troppo ripetuta, che non è da giudicarsi 


delle cose degli antichi col gusto de’ moderni, mi basterà d’aver 
T. I Marzo 12 


90 
qui ricordata. Solo di quella, che riguarda la descrizione dello 
scudo d° Achille nel diciottesimo ; gioverà forse ch’ io raccolga il 
sunto, poi ch’ essa, per la qualità delle critiche a cui risponde, 
contiene pur altro che quell’ avvertenza. 

Già abbiam veduto, come a qualche dotto la descrizion 
dello scudo sembri appartenere ad altra mitologia che l’omerica. 
Al Wolf e all’Heyne sembra pur appartenere ad altri tempi che 
gli omerici, come d’ opera impossibile ad eseguirsi e quindi ad 
imaginarsi a que’ tempi ; come adorna oltre il solito della poesia 
omerica , e tanto divertente dallo scopo d’ Omero quanto la cosa 
descritta è poco conveniente all’uopo d’Achille ; finalmente come 
in lingua assai più moderna dell’ omerica e forse non anteriore 
alla cinquantesima olimpiade. Ora lo Knight , rispondendo , so- 
stiene che se l’ opera , di cui si parla , era a’ tempi omerici im- 
possibile ad eseguirsi, non però era impossibile ad imaginarsi , 
di che ci persuaderem facilmente , egli dice, vedendo non l’opere 
degli artefici dar norma alle imaginazioni de’poeti, ma queste a 
quelle , non il Giove d’ un Fidia , per esempio, al Giove ome- 
rico , ma il Giove omerico a quello di Fidia ; che la descrizione 
dell’ opera è assai conveniente allo scopo del poeta, poichè 
serve ‘mirabilmente alla varietà e al diletto, grazie al quale 
nessun chiede se all’ uopo d’ un guerriero come Achille meglio 
non convenisse, com’ altri vorrebbe, un semplice scudo con te- 
schio di Gorgone o d’altro mostro spaventoso; che la lingua della 
descrizione finalmente è troppo anteriore all’olimpiade già detta, 
come apparisce al confronto della Batracomiomachia, scritta ‘in- 
torîo a quell’ olimpiade ; e come attestano alcuni nomi astro- 
nomici usati in essa descrizione , e a cui, già molto innanzi 
all’ olimpiade medesima , altri ne erano stati sostituiti. 

Osservazioni simili a quelle fatte intorno alla composizion del- 
l’Iliade si sono pur fatte intorno a quella dell’Odissea. Dall’esordio 
di questo poema, si è detto, parrebbe che Ulisse dovesse comparire 
immediatamente in iscena, e Ulisse non compare ché al quinto can- 
to, ove l’esordio è ripetuto e trovasi a luogo. {l comparir suo intanto 
è preceduto sulla fine del quarto da una transizione violenta , 
per cui dalla reggia di Sparta, ove si trova Telemaco , siam 
trasportati improvvisamente a quella d’ Itaca. Telemaco , ove si 
guardi a questo canto , direbbesi ripartito di Sparta, subito dopo 
aver uditi i consigli di Menelao ; ma il racconto ; ch’ egli poi fa 
de’ suoi viaggi a Penelope nel diciassettesimo , a ciò contradice. 
I racconti , che fa Ulisse ad Alcinoo dal principio del nono alla 

fine del duodecimo, non sono sì legati col resto del poema , che 


9I 
non possano anche riguardarsi come un poema a parte; e già 
Aristarco avea notate come intruse a mezzo di esso, cioè sul 
principio dell’ undecimo , l’ andata d’ Ulisse all’ Inferno , 1° evo- 
cazione d’ alenne ombre ec. , passo ove all’ Heyne par anche di 
trovare la lingua de’ tempi di Pindaro. Nel quattordicesimo Eu- 
melo e gli altri pastori si separano per darsi al sonno; e a mezzo 
il quindicesimo ricompajon di nuovo al banchetto già termi- 
nato nel canto antecedente ; ciò che pure ci è indizio di slega- 
mento e d’ intrusione. Slegati infine o in tutto o in gran parte 
posson dirsi i due ultimi canti; intrusi forse quasi tutti gli epi- 
sodi ( uno di essi, il catalogo delle Nereidi nel diciottesimo, fu 
da Zenodoto ed Aristarco giudicato d’ Esiodo ) ; mal accozzate o 
discrepanti non poche altre cose, intorno alle quali, come già 
si accennò, il Koes ha fatto un libro. 

Lo Knight difensore , come si è veduto , di molti passi del- 
l’ Iliade non ha voluto lasciare senza difesa anche alcuni passi 
dell’ Odissea. Egli si è fatto particolarmente a difendere quello 
ove narrasi l’ andata d’Ulisse all’ Inferno , 1’ evocazione d'alcune 
ombre , ec. giudicato intruso , come dianzi si accenava, anche da 
Aristarco. Ma come crederlo intruso, egli dice, s'è annunciato nel 
decimo ? Esso non s’ accorda del tutto col resto del poema; ma 
l’andata d’Enea all’ Inferno ec. nel poema virgiliano forse non vi 
si accorda meglio. Esso può tacciarsi d’ un po’di confusione ; 
ma. gli antichi, assai precisi nella narrazione o nella descrizione 
delle cose note o naturali, non si curavano d'esserlo egualmente 
in quella d’ altre, ove un po’ di confusione poteva pur accre- 
scere il mistero e la meraviglia. Esso finalmente è come tutto il 
poema in lingua alquanto rimodernata , ma certamente omerica, 
di che ci basti in prova che l’ autor suo attribuisce ad Ercole 
l’arco, ad Orione Ja clava, laddove i poeti posteriori attribuiscon 
questa ad Ercole stesso. Solo alcuni versi del principio possono 
in grazia della lingua dirsi interpolati. Oltre di questi non pos- 
son dirsi interpolati che pochi altri, in cui Ercole si fa sposo 
d’ Ebe , il che non è sicuramente dell’ omerica mitologia. Se non 
che il Lucchesini, ragionando di questa difesa (in una Lettera 
al Micali veramente dottissima) avverte che, s'è annunciata nel 
decimo 1’ andata d’ Ulisse all’ Inferno o piuttosto all’ingresso del- 
l’ Inferno , non è però annunciata la discesa, a cui d’altronde 
contradicono alcnni versi che la precedono. Egli è lungi dal con- 
cedere che la lingua a principio del passo, di cui si ragiona, 
sia diversa da quella del rimanente. Pur crede anch’ egli quel 
principio interpolato per una ragione dallo Knight non'avvertita, 


92 
cioè pel colloquio d’ Ulisse coll’ ombra d’Elpenore prima che con 
quella di Tiresia, colloquio contrario al comando ch’ egli ebbe 
da Circe, e contraddittorio col ricusar ch’ei fa in seguito d’udir 
la madre prima che il sacro indovino. Il qual colloquio, egli dice; 
ove narrasi la morte d’ Elpenore , diede poi motivo più: oltre 
ad altra non piccola interpolazione, quella del racconto delle 
sue esequie. Nel passo stesso, però, dicuisi parla, a lui sem- 
brano, e per più ragioni che sarebbe lungo 1’ annoverare , in- 
terpolate più altre cose , e in ispecie tutto ciò che riguarda Er- 
cole già detto , Minosse , Orione , Tizio , Sisifo, Tantalo, in 
proposito delle cui pene sostien vigorosamente contro lo Knight 
l’emendazione del Paw ad un verso della prima delle Olimpiche. 
In altro scritto, inserito come quella Lettera nel nostro Giorna- 
le, ea cui pure lo Knight ha data occasione, anch’ egli mostra 
di credere staccati affatto dall’Odissea i due ultimi canti ; di che, 
egli dice, si eran pur avveduti alcuni degli antichi. 

Inutile il parlare delle piccole interpolazioni, di cui son pieni 
così il primo che il secondo dei due poemi. Il loro numero può 
argomentarsi da quel de’ rapsodi, il qual era sì grande, ut quinto 
ante C. N. saeculo, tum rebus hellenicis maxime vigentibus, scrive 
lo Knight citando uno degli Apoftegmi di Plutarco, dizerit Sy- 
racusanus Hiero plusquam decem millia hominum ali ab Homero 
mortuo. Queste interpolazioni a principio furono verosimilmente 
involontarie , indi , più che il nome d’Omero divenne autorevole, 
‘ furon fatte a disegno , di che abbiamo più prove. È celebre , dice, 
il Constant, un verso dell’ Iliade recato da Solone per provare 
i diritti d’Atene sopra Salamina , e quel verso venne fornito dal- 
l’ accortezza de’ rapsodi. Già si disse d’un altro verso, che trovasi 
egualmento nel primo dell’Iliade e nello Scudo d° Ercole attri- 
buito ad Esiodo. Quel verso , relativo a Teseo, fu là introdot- 
to da’ rapsodi per aggradirsi agli Ateniesi, i quali denomina- 
van da Teseo la loro città, avean mandato il figlio di Milziade 
a cercar le ceneri dell’ eroe, ec. Così per aggradirsi agli Ateniesi 
fu da loro introdotto in un passo , che già dicemmo, dell’ un- 
decimo dell’ Odissea un verso, ove Ulisse dice che avrebbe bra- 
mato veder nell’ Inferno 1’ ombre di Teseo e di Piritoo, cui 
Polignoto , grazie forse a quel verso, mise poi colà su troni 
d’oro. Così pure per aggradirsi agli Ateniesi fu dato a Cerere 
nel diciottesimo dell’ Iliade, chi sa in cambio di quale  epi- 
teto originario , l’ epiteto d’ eleusina , che supplisse al silenzio 
de’ poemi omerici intorno a’ misteri d° Eleusi. Altre piccole in- 
terpolazioni furono fitte , come si vede ; assai tardi dai diace- 


03 
vasti per spirito di ‘critica } onde mostrar connessione fra parti 
sconnesse 0 andar incontro a qualche obbiezione. Tali sono per 
esempio nel settimo e nel duodecimo dell’ Iliade que’ versi , ove 
dicesi distrutto da Nettuno il muro fabbricato ‘'da’Greci intorno 
alle navi, e dî cui potea far meraviglia di non trovareva suò 
luogo alcuna traccia. Tali son nel sesto dell’ Odissea que? versi, 
con cui temendosi forse che la Feacia, da nessuno visitata, sem- 
brasse un’ isola imaginaària , se ne chiude in certo modo la via 
a’ naviganti per mezzo di una nave convertita in iscoglio. Altre. 
finalmente furon fatte perchè servisser di transizione da canto a 
canto; e un antico scoliaste ci ha pur conservato un verso il qual 
leggevasi dopo 1’ ultimo dell’ Iliade e diceva Dello sterminator 
Marte la figlia Allor comparve , ec. ; il che accenna ad un nuo- 
vo canto. Luciano scherza manifestamente nel secondo della Vera 
Istoria ove fa dire ad Omero che tutti i versi de’due puemi sono 
suoi. Macrobio non sembra scherzare ancor più nel quinto de’Sa- 
turnali ove ricorda i tre famosi impossibili vel Jovi fulmen, vel 
Herculi clavam , vel Homero versum subtrahere? . 

Ma circa alle piccole interpolazioni e wolfiani e antiwolfiani 
convengono pressochè ugualmente. Il convenir delle grandi agli 
antiwolfiani costerebbe troppo , giacchè sarebbe un convenire di 
troppe e troppo gravi discrepanze, non ispiegabili veramente, co- 
me già aveva dettu il Vico prima del Wolf, che supponendo i 
poemi omerici l’ accozzo di canti diversi. Costretti ‘però a rico- 
noscere le discrepanze più notabili , essi le van spiegando col- 
l’ umana imperfezione , col sonnecchiamento oraziano del buon 
Omero , ec. E forse che, dice il Lange, negli altri poemi tutto è 
congruente , tutto porta una medesima impronta, tutto attesta 
il medesimo ingegno? Longino già avea osservato come le disere- 
panze , che posson notarsi ne’ poemi omerici; possen notarsi 
egualmente nell’ Argonautiche d’ A pollonio ; che le discrepanze 
sono inevitabili nell’ opere più eccellenti, ec. ec. Qual meravi- 
glia di trovarle nell’ opere d’ un’ epoca creatrice come que’poe- 
mi? Qual ridicolezza il pretendere in essi una perfezione impos- 
sibile anche all’opere moderne, una simmetria, un’orologia, starei 
per dire, qual dopo lo Schlegel più non si pretende nemmeno nelle 
composizioni drammatiche ? Del resto, anzichè fermarsi in que'poe- 
mi a discrepanze , di cui, leggendoli , appena si ha tempo d’av- 
vedersi, gioverebbe por mente a quelle cose che li fan sì mi- 
rabili , che li mostrano evidentemente opera d’ un ingegno so- 
vrano. 

Sarebb” egli possibile, avea già detto il Saint-Croix; che i 


94 
caratteri degli eroi. dell’ Iliade sì ben distinti fra loro, sì ben 
sostenuti, fossero usciti da ingegni diversi ? Questa diversità d’ori- 
gine e questa loro individualità ; sempre uguale ‘ia se stessa pel 
corso di. un lungo poema, non implicano esse contradizio- 
ne? = Se non che, si è risposto, se i caratteri degli eroi 
dell’ Iliade sono assai ben distinti, non sono a gran pezza co- 
sì ben sostenuti ; il.che potrebbe mostrarsi anche solo esami- 
nando quelli de’due eroi principali Achille ed Ettore. Se non che 
ciò che proverebbero que’ caratteri d’ eroi , se fossero inventati , 
nol provano egualmente se fossero, come può credersi, già deter- 
minati dalla tradizione. Tali erano pel Bojardo , per 1° Ariosto ec. 
quelli d’ Orlando , di Ruggiero, di Rodomonte , di Sacripante, 
degli altri eroi della cavalleria. Tali erano probabilmente quelli 
degli eroi dell’ Iliade , sicchè il ben distinguerli , il ben so- 
stenerli, non dovea riescir più difficile a molti poeti che ad un 
s0l0. — Ma i caratteri degli eroi della cavalleria determinati 
dalla tradizione furono pur modificati dall’ invenzione de? poeti 
che li cantirono; e l’ invenzione mista alla tradizione può ere- 
dersi anche in quelli. degli eroi dell’ Iliade. -— Ma allora, si 
replica, resta a vedere, se le modificazioni de’ caratteri mede- 
simi nella sola Iliade non attestino anche più differenze d’ ori- 
gine che le modificazioni de’ medesimi caratteri ne’ poemi diversi 
del Bojardo , dell’ Ariosto , ec, 

Altri, e fia essi. il Lucchesini, oppongono all’ opinione della 
diversità dell’ origine la conformità dello stile , se non de’ due 
poemi paragonati l’ uno all’ altro, almen di ciascuno paragonato 
con sè stesso. = (Questa conformità , però , evidentissima agli 
occhi loro , non è agli occhi di tutti evidente abbastanza. L’Her- 
mann p. e. notò fra il tredicesimo e il vigesimoterzo dell’ Iliade 
tutto il contrario. Altri han notato , che lo stile di quella parte 
che si estende dall’ undecimo a tutto il diciottesimo (la più 
bella dell’ Iliade ) è affatto diverso da quello del rimanente. E 
nel rimanente stesso altri han creduto di trovar diversissimo lo 
stile de’ due ultimi canti, i quali si accostano, meno gli ul- 
timi versi del secondo ( osservazione di G. Schlegel ) , alla pom- 
pa e alla maestà della tragedia. — Del resto, dicono il Wolf, 
1’ Heyne, il Constant ec. , lo stile dell’ opere d’ Esiodo, lo stile 
de’ frammenti; che ci rimangon de’ Ciclici ; lo stile degl’ inni 
che si dicono d’ Omero; lo stile del centone, ond’ è com- 
posto il famoso inno a Cerere che cinquant’ anni sono ci si 
volle dare come suo, ha pur esso certa conformità con quel- 
lo de’ poemi omerici. E non solo quella dell’opere d’ Esiodo , 


95 

de” frammenti de’ Cicliciy ‘degl’ inni ‘che. diconsi ‘ometici’ en; 
ima ‘quello pure ‘de’Pardlipomeni chè si attribuiscono a' Quinto 
Smirneo , benchè sì inferiori in tutto il ‘resto a que’ poemi: E 
non' solo quello de’ Paralipomeni di! Quinto, ma) quello pure 
delle Dionisiache ‘di Nonno ; il' cui allegorismo ‘orientale diffe- 
risce ‘di tanto dalla mitologia dominante ‘ne’ poemi medesimi. Che 
se la conformità in essi è maggiore , altrettanta pur se ine trova 
nelle poesie ‘primitive’ di tutti i popoli; ‘degl’ Indiani ; degli 
Scandivavi ; degli Scozzesi , de’ Provenzali ec. ; dal che si rac 
coglie (e in ciò conviene anche il: Lange) essersi , allo :spun- 
tare d’ ogni letteratura ; usato da tutti, e per necessità , uno 
stile conforme ; come sul tramonto susa da. molti. per imita- 
zione. = Ta certi epiteti ripetuti, da certe formole che spesso 
ricorrono ne’ poemi omerici , taluno ; come già il Bitaubè., op- 
ponendosi al Perrault, volle trar nuova. prova che que’ poemi 
appartengono ad uno stesso autore. Quegli epiteti però ; quelle 
formole ,, dice l’ Heyne, il Muller ec. ; non. provano propria 
mente che 1’ infanzia dell’ arte; il rispetto. ad, un linguaggio 
consecrato e quindi comune in. una stess’ época ad autori dif- 
ferenti. rn [fg agnigilgi! 

Ma come-daivcanti staccati ;d’ autori: differenti , vissuti ‘in 
quella che chiamiamo epoca omerica , avrebbero mai potuto ri- 
sultarne i due poemi'che si dicon d’ Omero ?_ Come .tariti autori 
differenti si sarebbero accordati a cantar. tutti dell’ ira d’Achille, 
de’viaggi d’ Ulisse, e: con.tal ordine ne’loro canti , che alfine se, 
ne potesse comporre 1’ Iliade e 1° Odissea ?. Nell’ Iliade ;, per 
vero dire, o!tre le parti episodiche ,ile quali sono tanta parte di. 
essa , trovansi raccolti, osserva l’Heyne , poemetti diversi non solo 
iatorno all’ ira 0 alle gesta d’Achille, ma intorno a quelle d’Aga- 
mennone ; di Diomede, di Patroclo . ec, ec. Nell’Odissea stessa, ove 
pur non trattasi che de’ viaggi d’Ulisse., più racconti \accozzati 
con questi viaggi posson. dirsene indipendenti. Quindi il primo dei 
due poemi è propriamente (e il suo nome lo dice) il racconto delle 
cose iliache ; il secondo quello delle postiliache , meglio, coordi-. 
nate però ad un fine speciale. Ora-le une,e le altre, fatte sog- 
getto ai canti frequenti d’ una lunga,serie. di poeti, possono aver, 
fornito ai. rapsodi e poi a’ diacevasti ciò che bisognava all’ uopo 
di due grandi. poemi. In. tutte le letterature primitive, presso 
tutti i popoli. ancor. poco, inoltrati nella civiltà , i canti de’ poeti 
sembran restringersi, ad un dato periodo d’ avvenimenti , sicchè 
 raccogliendoli ne risulta; 0 risultar ne, potrebbe un gran racconto 
poetico. Tali sono i canti onde compongonsi i Divani e qualch‘altro 


96 I 
poema degli Arabi, cui piace pur sempre, dicon viaggi recenti , 
udire da’ loro narratori gli avvenimenti medesimi. Tali sono i 
canti di, cui, si componeano, i, Barditi fatti raccogliere da Carlo 
magno je. de'quali ci; riman; pure. qualche saggio. Tali son quelli 
di/cni si. compongono,i poemi che vanno sotto il nome d’ Ossian. 
Tali i romanzi 0 canti del Cid, di cui non,sarebbe punto dif- 
ficile formare un compito poema. Tali. finalmente i canti. onde 
compongonsi i Niebelungen,dell’Alemagna, la Dscangariade altra 
volta ricordata! de’Calmucchi, il Ramayan e-il Mahabarat. degli 
Indiani, gli Edda e i.Sagas de’ Settentrionali ec. ec. Ed è nota- 
bile ,. dice.1’ autore de’ due articoli della B. U.di Ginevra!, che 
questi Sagas si sono trovati come divisi per se. stessi in. quattro. 
sezioni: 4lue delle quali contengono la morale teosofica-dell’an- 
tica Scandinavia ,. le-altre due le imprese d’ Odino, e ci fan 
pensare: quasi iena all’ opere d’ Esiodo e a? pipi 
d’ Omero. 

Qual. paragone però, obbietta il Lange, fra! i Sagas, il. Ra- 
mayan ec. ec. e due poemi che il maggior de? critici , Aristotele, 
prese a modello dall’ epica ‘unità ? Appena essi potrebbero para- 
gonarsi ai poemi de’ Ciclici, all’ Eracleide, alla Teseide , ec.., 
cui !Aristotele oppone i poemi omerici ; per mostrare qual dif- 
ferenza passi fra la storia . versificata e la. vera ‘epopea , fra il 
poema d’'nn solo eroe e il poema d’una sola azione: Se non:che; 
riflettono 1’ Heyne ,il Constant \ec., nel giudizio d’ Aristotele vi 
è ‘insieme’ non poco rigore , ‘(e non poca indulgenza. I poemi 
de? Ciclici sicuramente corrispondevano poco a quell’ idea d’unità 
ch’ egli forse aveva attinta dalle composizioni de’ Tragici, d? onde 
(giova notarlo) passa nella sua Poetica a parlare dell’epopea. Non 
però dovean ‘\essere così lontani da quell’ unità che fa d’un gran 
racconto un gran tipo o un grande spettacolo, poichè ad. essa 
tendevano non solo le prime storie ‘cioè le prime poesie, come os- 
serva M. Pagano, aderendo all’ idee del Vico , nell’ appendice 
al ‘primo de’ suoi Saggi 5 ma' tendevan pure le; prime ‘storie. in 
prosa ; tanto diverse dalle nostre , come osserva il Chateaubriand 
nella prefazione de’suoi Studi Storici pocanzi pubblicati. E la prova 
della tendenza delle prime storie o poesie l’abbiamo pure in alcuni 
de’canti ‘iliaci; visibilmente staccati dagli ‘altri , ed ove trovasi , 
dire G..Schlegel, più' unità che in tutta l’ Hiade.| La quale; per 
vero | dire } è' sì poco na , ‘chela sola abitudine di riguardarla 
come tale , osserva il Constant; può' farci riguardare come un’ag- 
giunta'ridicola i Paralipomeni! di Quinto! Per trovarvi unità è 
d’ uopo spogliarla d’ un gran numero di parti, come fa il Gesa- 


97 


rotti onde mostrarne contro il Wolf la grande semplicità , e quindi 
la possibilità nell’infanzia dell’ arte. L'intenzione però di una 
maggiore unità, di un concentramento d’ interesse per mezzo 
dell’ unità dell’ azione, vi è abbastanza manifesta. Tanto più 
manifesta , come già si disse, è nell’Odissea, ov’è pure assai meglio 
adempita. Ora quest’ intenzione, dice } Heyne, non è certo 
dell’ infanzia dell’ arte, non è de’ tempi omerici, sembra di un 
tempo assai vicino a quello de?’ Tragici. 

Non so dire se il Van Limbourg abbia dalla bellezza mo- 
rale de’poemi omerici tratto nuovo argomento per provare che am- 
bidue uscirono o ciascun dei due uscì da un solo ingegno. ‘ Senza 
volerlo il poeta che ridiee le favole popolari, serive M. Pagano, 
ammaestra ‘mentre piace. ,, Però. il Qui quid sit pulchrum , quid 
turpe, quid utile quid non, Plenius ac melius Chrisippo et Cran- 
tore dicit può applicarsi a molti come ad un solo; ad Omero 
eome ai cantori del ciclo epico. delle storie mitologiche della 
Grecia, dal matrimonio del cielo, come dice Proclo in un passo 
conservatoci da Fozio , sino al ritorno d’ Ulisse. 

Del resto que? Ciclici furono tutti posteriori, osserva l’Heyne, 
alla prima olimpiade. Or come avvenne, dice il Franceson e 
altri ; che se già ne’ poemi omerici aveasi quel modello che potè 
ammirarvi Aristotele, nessuno de’ Ciclici prendesse a imitarlo ? 
Come avvenne che Omero non solo non avesse antecessori , ma 
non avesse per gran tempo successori, giusta le note lodi di Quin- 
tiliano ,, di Vellejo Patercoclo , ec. ? Non è questo, come già aveva 
osservato il Montaigne, un singolare fenomeno, un rovesciamento 
di quell’ ordine naturale, per cui sempre si procede dal meno al 
più, per cui in tutte le cose gli artefiei più perfetti vengono 
dopo i meno perfetti ? 

Il Blakwel nella sue Ricerche sopra Omero , di cui il Cesa- 
rotti ci dà l'estratto, pensò di trovarne la spiegazione nella 
storia particolare del poeta e in quella generale della Grecia 
a’ suoi tempi. Ma la storia particolare del poeta , piena di con- 
tradizioni , contradetta, come osserva il Constant, da ciò che di- 
eesi nell’ Odissea della condizion de? poeti , ec. ec. , già sappiamo 
da un pezzo se sia storia. All’ altra, quale il Blakwel l’imagina, 
può opporsi ciò che leggiamo nell’ Introduzione già mentovata 
del Miiller allo studio dell’ Iliade e dell’ Odissea, ed anche nel 
libro pur mentovato dello Schubart intorno ad Omero e alla sua 
epoca. E quell’ Introduzione e questo libro confermano egual- 
mente ciò che già avea detto l’ Heyne, che a’ tempi omerici, 

T. I. Marzo 13 


98 
anche a’ tempi che ci son dipinti nell’ Odissea , così diversi da 
quelli che ci son dipinti nell’ Iliade, non solo il Peloponneso 
era ancor barbaro , non solo l’ Attica, non solo la Magna Gre- 
cia , ove forse si udirono i canti omerici primi che nell’Attica , 
e d’ onde taluno fa oriundo il padre de’ poeti, erano ancora in- 
coltissime, ma l’ Tonia stessa, poi sì colta verso il tempo di Pi- 
sistrato, appena cominciava a fiorire. Però in que’ tempi due 
poemi come gli omerici erano al parer suo impossibili ad idearsi ; 
ciò che pensa anche il Lange, e ond’ è pure che trasporta, come 
si disse, l’ autor de’ poemi un secolo dopo Licurgo. Se non che, 
se mai un secolo dopo Licurgo era possibile la forma dei due 
poemi, non ne erano più possibili le pitture e le idee. E come 
il Constant diceva , in proposito dell’attribuir che fa Longino le 
differenze dell'Iliade e dell’Odissea alla minore o maggiore età del 
poeta , che all’Omero dell’ Odissea non sarebbe stato possibile 
compor l’ Iliade più che ad un Ebreo d°’ Alessandria il comporre 
i Salmi di David o il libro di Giob; così può dirsi che nol 
sarebbe stato ad un Omero posteriore d’ un secolo a Licurgo il 
comporre l'Odissea e molto meno l’ Iliade. Per altre ragioni in- 
tanto, che non giova ripetere, può dubitarsi che anche un:se- 
colo dopo Licurgo fosse possibile la forma di questi due poemi 
e dell’Odissea specialmente. Molto più credibile è che tal forma 
siasi cominciata a dar loro da’rapsodi verso il tempo de? Tragici, 
indi perfezionata gradatamente dai diacevasti e da altri fino agli 
Alessandrini , il cui gusto grammaticale si manifesta nell’ attual 
divisione dei due poemi, loro generalmente attribuita. Con che 
si finisce di rispondere all’obbiezione del Lange , che trova im- 
proprio il paragone tra i Sagas , il Ramayan ec. e due poemi 
come gli omerici. Poichè il paragone , come riflette 1’ autore dei 
due articoli deila B. U. di Ginevra, si fa tra essi e i poemi 
omerici, quali a principio forse poteron essere accozzati, non 
fra essi e i poemi omerici quali riuscirono maneggiati e rimaneg- 
giati con artifizio ognor progressivo. 

Mentre però i wolfiani si accordano col filologo che dà loro 
il nome nel riguardare questi poemi come l’ unione di poemetti 
diversi, esitan naturalmente ad accordarsi fra loro intorno al 
numero e all’ estensione di tali poemetti e al modo con cui fu- 
rono uniti. Due o tre forse, vanno imaginando l’Heyne e il Con- 
stant, servirono per così dire di nucleo ai due poemi. Essi però 
furono col tempo così interpolati, così spezzati , così trasformati, 
che il riconoscerli sarebbe impossibile. Cionondimeno a G. Schle- 
gel par di vedere nell’ Iliade tre poemetti principali, il primo 


99 

de’ quali si estenda sino al nono canto, il secondo fino al di- 
ciottesimo , l’ altro fino al vigesimo terzo , meno qualche parte 
framezzo ch’ è da lui indicata. E al Franceson pure sembrano 
presentarsi questi tre poemetti. Se non che a’suoi occhi solo il 
secondo ha qualche cosa di omogeneo e di seguito, mentre gli 
altri due gli danno indizio di non pochi spezzamenti, di non 
poche interpolazioni e divisioni primitive. Il Muller intanto crede 
vedere quattro principali poemetti ov’ essi ne veggono tre, e va 
col primo sin verso la fine del settimo canto, col secondo fino 
al decimo ec. Questi poemetti non sono però agli occhi suoi che 
antiche rapsodie composte esse medesime chi sa di quanti poemetti 
più piccoli. 

ll Wolf, negando i due poemi ad Omero, non ha negato 
assolutamente l’esistenza d’ Omero. Il Miller suo interprete , 
come qualch’ altro de’ wolfiani, la sostiene cercando di conciliarla 
coll’opinione del maestro. Omero , egli dice , fu probabilmente il 
maggior poeta de’ suoi tempi, quegli nella cui luce si perdette 
la memoria e il nome di tutti i poeti minori. Fors’anche egli fu 
il fondatore d’ una delle scuole poetiche dell’ Tonia, le quali , 
avendo scelto per comodo de’ loro esercizi un ciclo particolare 
d’avvenimenti, quello della guerra trojana, contribuirono partico- 
colarmente alla formazione dell’ Tliade e dell’Odissea. F. Schlegel 
pensa che il nome d’ Omero, da lui interpretato pegno o malle- 
vadoria, sia il nome d’una di queste scuole, datole forse per la gran 
fedeltà delle sue descrizioni e delle sue narrazioni. Il Franceson, 
come già il D’ Aubignac, inclina a credere che il nome d’Omero, 
che i più interpetran cieco , sia appellativo d’ una classe speciale 
di poeti. Il Constant; non altrimenti che il Vico , pensa che sia 
un nome generico; o emblematico, come quello d’Ercole e di Bud- 
da‘; come quello d’ Ossian e di Vyasa, a cui sono attribuiti al- 
cuni de’ giganteschi poemi dell’ India. Uno degli autori , final- 
mente , delle Antichità Romantiche dell’ Ita lia. pensa che sia il 
nome del primo raccoglitore e ordinatore de’ poemi che da lui 
appunto si denominano ; opinione che non par facile conciliare 
con quel poco che sappiamo delle prime vicende de’ poemi me- 
desimi. 

Se ciò non fosse , potrebbe in favor di tale opinione ricor- 
darsi ciò che sappiamo del romanzo beduino , l’Antar, pocanzi 
fra noi quasi ignoto , ma prima fonte, per quel che sembra, 
de’ romanzi cavallereschi. Esso, dicesi, è insieme più vario e 
più uno che il Furioso: dell’Ariosto. Pur, come provano l’Hamilton, 
il De Hammer , ec. , fu composto d’ antichi canti e d’ antiche 


100 


tradizioni nel secondo secolo dell’ Egira , nono dell’ era nostra ; 
da Asmai il grammatieo per piacere al califo Aroun-al-Rached. 
E forse alcuni di que’ canti provengono da Antar medesime , 
guerriero poeta , a cui si attribuisce uno de’ sette poemi sospesi 
alla Mecca nel Caaba. Così alcuni de’ canti , onde compongonsi 
i poemi omerici , potrebbero in qualunque modo provenire da 
alcuni. degli eroi poeti de’ tempi iliaci. L’ Ulisse autore dei due 
poemi fa sorridere come l’ Ulisse autore della prima civiltà d’Al- 
bione, la quale, dice il Koliades, ha poi pagato il suo debito 
alla Grecia colla battaglia di Navarino. Gli eroi iliaci primi au- 
tori di. alcuni canti 0 primo ceppo de’ poeti onde ci vennero i 
canti di que’ poemi non sembran punto inverisimili, e lasciano 
intatte le varie congetture de’ wolfiani intorno al nome d’Omero. 

Tutta questa questione , che già parve , dice il Constant 
scherzando ; poco. men che sacrilega, oggi parrà per lo meno 
oziosissima , come parve già a Seneca quella dell’ improbabilità 
o probabilità che l’Iliade e 1’ Odissea sieno d’un medesimo auto- 
re. Io non risponderò , come parmi aver già risposto qualcuno 
de’ wolfiani , che le questioni veramente importanti non son mol- 
tissime ; che una questione la qual si riferisce a nobilissimi studi, 
la quale può condir l’ozio volontario o forzato di nobili spiriti ec. 
non è mai senza importanza. La question nostra ebbe e può 
avere un’importanza più diretta e più grave, che pur da al- 
cuni è stata avvertita. Essa primieramente , come notò il Ruhn- 
kenio , che non è de’ wolfiani, fece più che mai sentire il bi- 
sogno d’ un nuovo esame de’ poemi omerici , onde ben distinguer- 
ne le parti primitive e 1’ intruse, ridurli a più genuina lezione ec: ; 
e n’ ebbe infatti per risultato ciò che fecero intorno ad essi il 
Wolf ed altri dotti, fra i quali si annovererebbe il Ruhnkenio 
medesimo ;, se la vita a quest’ uopo gli fosse bastata. -— Essa, 
per testimonianza del Kreutzer, aprì una nuova via alla critica , 
la quale di filologica o semplicemente letteraria divenne filosofica, 
prendendo a considerare i monumenti letterarj non solo in se 
stessi, ma relativamente a’tempi e allo stato sociale a cui si ri- 
feriscono , onde giudicar meglio del loro merito o della loro an- 
tenticità, = Essa finalmente, come credo che osservi il. Con- 
stant, si aggira intorno ad uno de’ più singolari fenomeni dello 
spirito umano, qual’ è l’esistenza successiva di molti poeti, tan- 
to simili d’ ingegno e di stile e tanto concordi nel loro scopo , 
che da’ lor canti diversi possano essersi formati due grandi poe- 
mi e attribuiti ad un solo ; fenomeno che ben merita d’ esser ve- 
rificato. 


I0I 

Io avrei voluto esporre la storia di questa questione un 
po’ meno male di quel-che veggo aver fatto ; ma a ciò si richie 
deva altro tempo , altra quiete: d’ animo , e , bisogna pur dirlo, 
altra speranza che in questi momenti non mi fosse data di trovar 
de’ lettori. Per que’pochissimi , che forse mi son destinati, duol- 
mi invero di non aver potuto dare alla mia esposizione , se non 
più compitezza, almen più ordine e più polimento. Ma mi con- 
forta il sentire che a simile esposizione fatica da qualche tempo 
uno scrittore non meno dotto che elegante , il Dugas-Montbel , a 
cui sarà dato facilmente di soddisfare ogni loro e mio desiderio. 

Aggiungo intanto a conchiusiune ciò che avrei detto per in- 
troduzione se l’ avessi saputo, e che ancora ignorerei, se in 
questo punto non mi venisse innanzi un articolo dell’ ultimo 
quaderno della B. U. di Ginevra intorno agli Studi Filologici , 
il qual forma in certo modo appendice ai due più volte citati 
intorno alla questione wolfiana. Come nella mia introduzione 
asserii, non costandomi altrimenti, che il Wolf nulla mai seppe 
dell’ opinione del Vico intorno a’ poemi omerici , di che poi mi 
corressi ; così pure asserii che i due più grandi ampliatori delle 
idee del Vico, 1’ Herder e il Niebhur , non parvero tener conto 
di tale opinione, e quindi, come poteva intendersi, nemmer 
di quella del Wolf. Ora dal nuovo articolo raccolgo , che anche 
quei due sapienti adottarono tale opinione , e 1’ adottarono 
pure più esplicitamente ch’ io non credeva e i due Schlegel e 
il Crentzer e l’ Hermann, a cui debbo aggiungere e il Klopstok 
e il Jacobi e il Goéthe. Tre nuovi oppositori , intanto , oltre il 
Lange, sono , giusta quell’ articolo, insorti contro tale opinione, 
il Nitzsch , il Kalmann e il Velcker. E tutti, come il Lange, sem- 
brano aver pensato che riescirebbero a mostrarne 1’ insussistenza 
ove riuscissero a ben dimostrare 1’ unità de’ poemi omerici. La 
mancanza però di questa unità , dice V’autore dell’ articolo suc- 
cennato , le discrepanze d’ogni specie, l’ insufficienza delle antiche 
testimonianze , ec. non sono che le ragioni secondarie a cui si ap- 
poggia quell’ opinione. La principale, la fortissima delle ragioni; 
dedotta da un principio ignoto alla critica antica, è l’impossibilità 
della composizione dei due poemi ne’ tempi a cui si riferiscono , 
l’ incompatibilità del loro artifizio collo stato sociale, di cui le 
loro parti più notabili sono lo specchio. Ove questa ragione non sia 
distrutta, l'opinione del Wolf, ha detto l’Hermann in uno scritto 
recente , può riguardarsi come opinion dimostrata. 

Omero ; scrisse un antico ; nasconde la sua fonte come il sacro 
Nilo. Se l’ opinion wolfiana si riguarda come dimostrata , la fonte 


102 
omerica non'è più sì misteriosa , Omero è per noi ancor più sacro. 
Le sue acque, le rapsodie che van raccolte sotto il suo nome, e che 
mai forse non parvero più belle che nella bellissima Poliglotta on- 
d°ha occasione tutto questo discorso, escono visibilmente per cento 
zampilli da tutta la terra ellenica. Un genio comune, un prin- 
cipio d° unità, onde poi fu possibile all’ arte il raccoglierle ne’due 
fiumi che ammiriamo , preme l’alta lor vena. Egli è OmERO , il 
genio della più bella poesia del mondo , il genio primitivo d’un 
popolo } a cui tutti i popoli della terra debbono parte della loro 
civiltà , “ e patria ei non conosce altra che il cielo: ,, 
M. 


Sur RIsTABILIMENTO DEL Giurato 1N Corsica. 
Lettera al sig. Rarrarre LansruscHiINI. 


Voi che conoscete la Corsica e il valore delle utili istituzioni 
che tendono a perfezionare il popolo, voi mi chiedete quale sia 
la mia opinione sull’ utilità del Giurato ultimamente ristabilito 
in quest’ Isola? Io vi dirò ch’ ho sempre desiderato ed amato 
questa maniera di giudicare che non è affatto nuova in que- 
st’ isola. — Senza parlare del Giurato istituito in Corsica nelle 
turbolenze del 1791 io dirò che sussiste tuttora fra noi la tra- 
dizione della severità esemplare con cui fu amministrata la giu- 
stizia da quei giudici popolani che si cambiavano per turno ogni 
due anni, nel tempo in cui la Corsica si governava con le pro- 
prie leggi sotto la condotta: di Paoli. == Così questa savia isti- 
tuzione non fosse stata abolita; o fosse sottentrato ad essa il 
nuovo giurato , molto prima delle ultime perturbazioni politiche! 
ma giacchè non abbiam potuto ottenerlo altrimenti, io ne godo 
come di cosa che sarà utile. al miglioramento morale del mio 
paese. 

La prima osservazione che occorre a chi esamina per poco 
l’ istituzione del Giurato ; si è che con essa si toglie in gran 
parte ai giudizj criminali quel carattere odioso ch’ ha la con- 
danna afflittiva dell’ uomo fatta dal suo simile. Il Giurato non 
fa che rispondere a poche questioni di fatto ; e il giudice non 
fa che applicare al fatto la legge scritta. La legge dunque e non 
l’uomo condanna ; e in tal guisa l’ azione penale dell’uomo sul- 
l’uomo essendo più mediata ed indiretta, 1’ idea dell’ uccisione 


103 
giuridica del nostro simile apparisce in una maggior loutananza, 
nè si può render famigliare al popolo a segno da scèmargli, con- 
tro lo scopo del legislatore, 1’ orrore dell’ omicidio. Nè si creda 
questa una finzione speciosa e puramente formale , incapace di 
esercitare una morale influenza. Era certamente una formalità 
più fittizia quel rito religioso che usarono gli antichi romani per 
dimostrare la loro venerazione per l° agricoltura e la loro grati 
tudine pei benefizj che l’ uomo riceve dal bue da lavoro. Dopo 
che il sacerdote aveva immolato quest’ animale, s’ intentava 
un’ accusa contro colui che aveva porto il coltello al sacerdote, 
questi ne dava colpa al sacrificatore , e quest'ultimo al coltello, 


il quale veniva condannato e gettato nel fiume. Se questo rito, 


che a noi può sembrare ridicolo, serviva pure a santificare ed a 
rendere abituale nel popolo il rispetto per l’arte agraria, e la ri- 
conoscenza pe’suoi benefizj, con quanto maggior ragione potremo 
dir noi che la responsabilità delle sentenze criminali divisa fra 
dodici cittadini e cinque magistrati contribuisce a far. rispettare 
e a fomentare nell’ uomo quel sentimento ch’ è il più naturale 


di tutti, l’istinto dell’ umanità ? 


D’ altronde non vi par egli che il diritto di vita e di morte 
dato a sei soli giudici, ed affidato alla sola intima convinzione 
di tre o quattro fra loro , oltre di esser cosa di molto pericolo, 
mon sia ancora un potere visibilmente contrario all’ eguaglianza 
civile in un governo come il nostro ? E non vi sarà mai da te- 
mere che il giudice inamovibile, rivestito di questo diritto, non 
ne tragga orgoglio, e non. sia talora disposto ad abusarne, senza 
pure avvedersene ? E dico senza avoedersene , perchè so che nulla 
più dell’ amor proprio tende ad illudere ed a falsificare la co- 
scienza 5 e la convinzione altro non è che ciò che i giuristi chia- 
mano informata coscienza. 

Io asserisco che quello spirito di partito che si dirama in 
molte fazioni secondarie e ne produce altrettante contrarie o per 
la necessità della reciproca difesa, o per la tendenza ch’ha ognuno 
al civile equilibrio, e che perciò si propàga nella massa del po- 
polo come la zizzania , non esiste in Corsica se non nei tempi 
in cui il governo è improvido inerte o vacillante. Ma suppoa- 
ghiamo pur vero tutto quello che fu detto da taluni sull’ esi- 
stenza di queste fazioni di famiglia. L’ amor di parte, a cui può 
deferire talvolta il giurato mal diretto o male scelto, sarà cer- 
tamente , io non dirò già più frequente , ma più pericoloso in 
un magistrato armato di quel potere sovrano e perpetuo. Dirò 
ancora che uno dei principali vantaggi del giurato è quello di 


104 
sciogliere e smembrare quelle intricate e faziose clientele di cui 
spesso vi fan capi i magnati , non che di rompere o sconcertare 
quelle leghe colpevoli e quelle collusioni di autorità che possono 
formarsi fra i pubblici funzionari, e che puonno essere sì po- 
tenti e sì funeste in un departimento come il nostro, ove 
l’ azione del governo centrale è sì remota e sì lenta. 

Il giudizio del fatto affidato alla convinzione dell’ autorità 
incaricata dell’ interpretazione e dell’ applicazione della legge, 
può dar luogo ad un altro inconveniente; può far sì che i ma- 
gistrati confondendo il fatto col diritto giudichino sopra ambidue 
per convinzione , e formandosi troppo facilmente sul fatto una 
convinzione favorevole o contraria all’accusato, credano di ri- 
parar questo fallo e di pareggiar le partite dando alla legge un’in- 
terpretazione proporzionata a quella loro mezza convinzione, vale 
a dire una interpretazione o soverchiamente rigorosa, o sover- 
chiamente benigna. Il magistrato allora transige in buona fede 
colla propria coscienza , ed ora usurpa al sovrano la potestà le- 
gislativa ora usurpa al re il diritto di far grazia. Nulla è più 
pericoloso dell’arbitrio nei giudizj eriminali; ed è appunto col 
disegno di escludere l’ arbitrio che quasi tutti i legislatori cri- 
minali o hanno disgiunto la questione di fatto dalla questione dî 
diritto, o hanno proibito i giudizj per convinzione ; ed infatti 
nella maggior parte degli stati, ove non è il giurato, i magistrati 
non giudicano il fatto per convinzione, ma su prove materiali o 
conghietturali prescritte e specificate dalle leggi. Non è già ch’io 
voglia negare i vantaggi che offre un giudice permanente : so che 
in lui la giustizia è un ministero, una professione, a cui si at- 
tiene la sua riputazione e la sua fortuna. Ma è pur vero che 
nel magistrato ( che è pur uomo) questa inamovibilità ha un in- 
conveniente : essa lo espone, e lo fa segno certo e permanente 
alle cireonvenzioni ed alle brighe dei numerosi intercessori e in- 
trigatori, laddove è meno facile il circonvenire de?’ cittadini ve- 
nuti da differenti distretti , tratti a sorte o scelti in seguito d’im- 
previste ricuse , al momento stesso in cui si deve procedere al 
giudizio. 

E quando anche i giudizj dei magistrati siano costantemente 
giusti e legali, non contate per nulla quel discredito in cui è 
caduta questa autorità inconstituzionale presso un popolo che co- 
nosce i suoi diritti e che sente altamente la libertà e 1° onore 
nazionale? E questo discredito si communica ai giudizj dei ma- 
gistrati, per quanto retti essi siano. I Corsi privati per una lunga 
ed ingiuriosa eccezione d’un diritto comune a tutti gli altri 


105 
francesi, miravano con una gelosa diffidenza e spesso esamina- 
vano con una sinistra prevenzione gli atti d’ un potere iucom- 
petente ed arbitrario ; e questi atti difficilmente incontravano nel- 
l’ opinione di molti il dovuto rispetto e il necessario sostegno. 

Un?’ altro vantaggio offre il giurato nei governi liberi. Nel 
tempo stesso ch'egli rappresenta l’ opinione pubblica , agisce so- 
pra essa, e spesso ne dirige e ne regola o rettifica i giudizj, 
e concilia quindi l’opinione al governo prevenendo o togliendo 
quel malcontento popolare che nasce da’giudizj contrarii alla ra- 
gione pubblica. Ognun sa che i giudizj criminali fatti fuori della 
presenza e senza nessun intervento del popolo diedero origine a 
sedizioni gravissime nella repubblica fiorentina , e vi nutrirono 
quei mali umori che furono sì funesti al ben essere ed alla sta- 
bilità di quel governo; e qualche nazione moderna ci ha offerto 
dei nuovi esempi di questa verità. 

Mi ricordo che passando l’anno scorso per una città d’Italia, mi 
occorse di udire un celebre professore declamare ex cathedra con- 
tro il giurato, ch'egli riguardava come un’istituzione inefficace 
‘ a punire i delitti. Un inglese che mi stava accanto mi disse al- 
l’orecchio : questo giurisconsulto parla coa molta eloquenza , e 
con gran dottrina; ma egli parla d’ una cosa che non conosce: 
infatti io so di certo ch'egli non fu mai in Inghilterra. Una ri- 
sposta anche più perentoria si poteva fare agli argomenti del- 
l’ illustre professore, dicendogli che bisogna considerare il gin- 
rato non solo come un mezzo di punire i delitti, ma anche come 
modo efficace di prevenirli, vale a dire come un mezzo di edu- 
care ; di morigerare il popo'o. S'è vero che i costumi sono più 
potenti delle leggi, io penso che questa istituzione esercitando 
una lenta e salutare azione sui costumi del popolo, anzi ponendo 
appoco appoco i costumi in armonia colle leggi, potrà diminuire 
la somma dei delitti più di qualunque organizzazione giudiziaria 
composta dei più riputati criminalisti. Or coloro che volevano 
privarci perpetuamente di questa istituzione , ed asserivano che 
alcuni costumi funesti che esistono in alcune parti meno incivi- 
lite di questo dipartimento, la rendevano inapplicabile alla Cor- 
sica, argomentavano, senza volerlo , coutro il loro assunto, es- 
sendo cosa innegabile che l’ istituzione del giurato è uno dei 
mezzi più potenti a distruggere le consuetudini e pregiudizj po- 
polari contrarii all’*ordine sociale ed alla quiete pubblica. Per 
convincersi di questa verità basterà confrontare il sistema del giu- 
rato con quel metodo che dicesi Lancasteriano ; e ch’ è stato ri- 
conosciuto d’ un’ utilità mirabile ai progressi ed al perfeziona- 


T.LI. Marzo 14 


100 
mento della pubblica istruzione. Si vedrà ch’il giurato non è in 
sostanza che una scola di reciproco insegnamento applicata alla 
morale pratica , ed agli alti interessi della giustizia e della so- 
cietà , scuola in cni il cittadino dà al cittadino ‘esempio e le- 
zione di rettitudine , d’ ubbidienza alle leggi e di attaccamento 
al buon ordine e alla dignità e felicità nazionale. 

Ed infatti primieramente l’ istituzione del giurato ponendo 
il cittadino a contatto coi giudici e con quella classe di pub- 
blici funzionari , o di leggisti che parlano in pubblico per 1’ ac- 
cusato, o per gl’ interessi della società, innalza e nobilita l’uomo, 
diffonde in esso i lumi e le coguizioni legali o morali della classe 
istruita, ed esercita e sviluppa le sue facoltà intelletuali ; e i 
sentimenti del giusto e dell’onesto. Non vi ha dubbio che l’uomo 
esercitato a giudicare in faccia al pubblico la moralità delle azioni 
umane, assume quasi per necessità dei sentimenti di giustizia e 
d’imparzialità ; e il ginramento ch’ei presta, e l’aspetto del pub- 
blico, e il timore dell'opinione , e la vista medesima della co- 
sternazione e della umiliazione del reo ; tutto lo costringe quasi 
ad essere cittadino integro e probo , ed a meritare la stima e la 
confidenza dei buoni. Egli communicando alla sua famiglia ed 
ai suoi conoscenti le impressioni ch’ ha ricevute e le osserva- 
zioni ch’ ha fatte , farà circolare nella massa del popolo le idee 
di amore alla giustizia e di odio al delitto. Egli ha certo nei suoi 
simili quella influenza che danno i servigi resi allo stato ; 0 le 
ricchezze o la dottrina ; giacchè il giurato deve eleggersi o frai 
più notabili contribuenti o frai dottori d’ una delle facoltà ri- 
conosciute dal governo , o fra i pubblici funzionarii giubbi- 
lati che godono d’ una pensione di 1200 franchi almeno. Ora non 
vi pare egli anche un saggio avvedimento il dirigere e far agire 
a pro della società quell’ influenza che posta in non cale dal go- 
verno e abbandonata a se stessa, può talvolta turbar l’ordine 
e contrastare alle leggi? Subito che il governo abbia prese tutte 
le precauzioni atte a porre e a guidare i giurati sulla via del 
dovere e della giustizia , questi, e principalmente i giurati-elet- 
tori, non solo dirigeranno al medesimo scopo quell’influenza che 
possono esercitare sopra i loro aderenti , ma assumeranno neces- 
sariamente gl’ interessi della società che diverranno loro proprii, 
dopo che voi gli avrete quasi costretti a vendicare l’offese fatte 
alla società medesima. In questo modo voi sbilanciando i citta- 
dini i più illuminati e possidenti contro i rei in favore del- 
1’ ordine pubblico, farete sì ch’ a poco a poco la massa dei buoni 
cittadini andrà aumentandosi , e farà alleanza colle autorità co- 


107 
stituite a danno dei facinorosi e dei violatori delle leggi. Il met- 
tere molte persone nella necessità di dichiararsi. per quella tal 
causa è stata sempre la politica di coloro che hanno voluto sta- 
bilire o propagare in un popolo nuove istituzioni o nuovi co- 
stumi. Non ho bisogno di dire a voi che queste verità trovano 
in Corsica una evidentissima applicazione. V’è ancora di più. Qui 
dove i magistrati sono spesso il ‘bersaglio di non meritate .do- 
glianze , e di prevenzioni ingiustamente sinistre , eccitate dal- 
l’ interesse o dall’ amore di parte ; qui, gioverà alla buona ri- 
putazione de’ tribunali l’ essere avvicinati a loro , e resi te- 
stimoni della loro imparzialità tutti i cittadini che dall’ in- 
terno dell’ isola saran chiamati alla capitale come giurati e in- 
terveranno in qualche modo alle deliberazioni dei giudici. Questo 
vantaggio della nuova istituzione è, nelle attuali circostanze, di 
maggior momento che altri a prima vista potrebbe credere. 

Voi che conoscete quest’isola, avrete smentito talvolta le esa- 
gerazioni d’ alcuni sulle idee di falso onore e di vendetta attribai- 
te ai Corsi dalla malignità o dalla ignoranza. Voi sapete che il 
pregiudizio del falso onore e della vendetta non esiste più che 
in alcuni paesi isolati, coi quali i governi che si sono succeduti 
così spesso in Francia, non hanno avuto il tempo o il buon pen- 
siero di stabilire finora delle facili communicazioni. Ma ragio- 
nando pure in questa malfondata ipotesi, io sostengo che il giu- 
rato appunto, se sarà ben ditetto, invigilato e protetto dal 
governo , se sarà secondato come deve esserlo dall’ attività 
delle autorità giudiziarie amministrative e militari, combatterà il 
pregiudizio che ci viene apposto , nella sua. radice, cioè nel- 
l’opinione, e distruggerà totalmente quella idea di falso \onore, 
notandola d’ infamia; e quì cade in acconcio di osservare che 
l’ infamia inflitta all’ accusato dai suoi pari e concittadini è una 
pena assai maggiore e più efficace di quella che infliggono gli 
organi del governo. Bella è la formola colla quale in Inghilterra 
il presidente delle Assise annunzia all’accusato la sua condanna: 
Il tuo paese ti riconosce colpevole. 

Ma l’ azione del Giurato sui costumi d’ un popolo, è lenta, 
e questa istituzione nei principii può produrre dei disordini; 
così dirà taluno ; e così pure avranno detto coloro che per pre- 
venire il pericolo di qualche esplosione volevano proscriver l’uso 
delle macchine a vapore. Usate , risponderò io , tutte le precau- 
zioni per preservare nel. principio questo modo di giudicare da 
quegl’ inconvenienti che sono inseparabili dalle più utili. inno- 
vazioni: se non, fate uso di queste cautele, il cattivo successo 


108 
dovrà essere imputato alla vostra imprevidenza e non al vizio 
dell’ istituzione. 

Coloro che sono incaricati di stabilire e promuovere in Cor- 
sica questa civica giudicatura, debbono principalmente assicurare 
e proteggere le proprietà e le persone con una operosa vigilanza, 
e con tutti i’ mezzi che il governo o il sovrano ha loro affidati: 
devono quindi porre in azione la forza pubblica: e tutte le 
parti dell’amministrazione giudiziaria; pigliare tutti i provvedi 
menti necessarj, per prevenire per quanto è possibile, la fuga dei 
delinquenti o per facilitarne 1’ arresto ; in una parola debbono 
eseguire rigorosamente e far rispettare le leggi e le autorità le- 
gittime; punto di somma necessità nei governi liberi, nei quali 
tutto si attiene alla legge. 

In secondo luogo deesi provvedere, per quanto la legge 
lo permette, alla ottima scelta dei giurati. Egli è certo che 
il prefetto il quale, secondo le leggi vigenti, prende il quarto 
della lista generale, può scegliere in Corsica 300 giurati sopra 800. 
Ma sfortunatamente i prefetti si succedono in Corsica gli uni 
agli altri così rapidamente, che io non so se abbiano il tempo 
materiale di acquistare quelle cognizioni personali e locali che 
si richiedono per fare una buona sc Ita; e se la faranno cat- 
tiva, a chi dovranuo imputarsene le conseguenze ? Agli ammini- 
strati, o agli amministratori? 

Una maggior conoscenza delle persone e dei luoghi è ne- 
cessaria al procuratore generale per far le opportune ricuse al 
terzo dei giurati citati alla tornata delle Assise, e per assistere 
ai dibattimenti. Ma per una trista fatalità noi cambiamo di pro- 
curatore generale anche più spesso che di prefetto e non sempre 
mutiamo di male in bene, o di bene in meglio. E come mai que- 
sti magistrati transitorj ed ambulanti possono avere 1’ agio, e, 
diciamolo francamente; la volontà di studiare e di conoscere la 
nostra lingua, i nostri costumi, le relazioni; la condotta, il ca - 
rattere degl’ individui, i diversi dialetti provinciali, il valore 
d’ un intercalare plebeo , o d’un gesto vernacolo? Quindi ab- 
biamo veduto talvolta questi mandatarj del governo o non ri- 
mediare ai ‘mali di cui ci lagnavamo, o peggiorarli coi rimedi, e 
darne colpa al popolo, non sapendo o non volendo conoscere in 
quei mali istessi i necessarj effetti e le prove indubitabili della 
loro inesperienza. 

In Corsica fra gli amici dell’ antico ordine di cose o fra’pub- 
blici impiegati che ci vengono dal continente, v’ ha molte per- 
sone avverse al ristabilimento del Giurato fra noi. Non dovreb- 


109 
bero costoro essere comprese nella lista del prefetto, nè dovrebbe 
esser loro affidata in tutto o in parte la direzione di questa isti - 
tuzione. Per riuscire in uno scopo bisogna fermamente volerlo , 
e per volerlo con fermezza, non si deve diffidar del buon suc- 
cesso. D’ altronde l’ uomo che è astretto a far cosa contraria al 
suo modo di pensare opera volontariamente o involontariamente 
a ritroso. 

lo penso che nel formare le liste come nel fare le ricuse 
si debbano preferire a pari dati, e sensa veruna eccezione di 
partito politico , gli abitanti delle città a quei delle campagne , 
e agli abitanti della pieve dell’ accusato o delle pievi limitrofe, 
a quelli di altre pievi lontane. Dico che debbono essere preferiti 
agli abitanti della campagna quelli della città, 1.° perchè nel 
cittadino , generalmente parlando , hanno minor forza le rela- 
zioni di famiglia e di parte , e perchè egli è più abituato al ri- 
spetto delle leggi ed all’amor del buon ordine; 2.° perchè il giu- 
rato di campagna , a meno che non sia un agiato possidente, non 
potrà per tutta la durata delle Assise suggiornare in città senza 
un suo grave discapito; e non sarà immune da qualche pericolo 
di essere subornato o corrotto. Nei processi che hanno una 
maggior importanza per la qualità degli accusati o. per la gra- 
vità dell’ accusa , (e questi processi non sono molto frequenti ) 
consiglierei il procuratore generale a dimandare alla corte di cas- 
sazione che la causa venisse giudicata in una corte del conti- 
nente , a tenore d’un’ espressa disposizione di legge che auto- 
rizza questo compenso 0 per sospetto legittimo , o per motivo di 
pubblica sicurezza. Forse il giurato del contineute giudicherà 
come avrebbe giudicato il giurato dell’ isola; ma se mai ne ac- 
cade un giudizio ingiusto, non n’avverrà almeno scandalo e cat- 
tivo esempio. Il magistrato accusatore e il, presidente abbiano 
ingegno, dottrina esperienza e zelo. Si dia ai giudizj una straor= 
dinaria solennità. Si arrestino all’udienza medesima, e quindi si 
puniscano irremissibilmente i falsi testimoni. Si proceda colla stessa 
severità contro i giurati prevaricatori, o contro coloro che avranno 
minacciato il giurato, o avranno tentato di subornarlo o di corrom- 
perlo. Un pubblico giornale dia ragguaglio dei dibattimenti giudi- 
ziarj; malo faccia con quel riserbo e con quella delicatezza che ri- 
chiede la reputazione degl’individui, e astenendosi da personalità 
gratuite, siano esse allusive o nominali. Infine il Re eseguisca spes- 
so in Corsica. il 4:° paragrafo dell’articolo 391 del codice di giu- 
dicatura criminale, e dia attestati onorevoli di stima al. giurato 


110 
che nell’esercizio delle sue funzioni avrà dato prova di zelo e 
d° imparzialità. Insomma il governo deve far cospirare al buon 
successo dell’ instituzione 1’ amor proprio e l'onore, e perfino la 
giusta ambizione dei cittadini. Quei giurati il cui giudizio sarà 
disapprovato dalla opinione, vengano costantemente ricusati : 
questa pubblica manifestazione di diffidenza e disistima servirà 
ad essi di castigo ad altri di esempio. 

E i cittadini che non sono giurati, non concorreranno an- 
ch’ essi al buon successo? Non sarà egli dovered’ ogni buon 
Corso il dirigere e lo stimolare la pubblica opinione colle pa- 
role e cogli scritti, l’onorare il buon giurato con eterne dimo- 
strazioni di stima, e di patriottica riconoscenza, l’astenersi dalle 
raccomandazioni e dai maneggi, il diffamare e il vituperare ‘il 
patrocinio di famiglia , lo spirito di fazione e di broglio, e gli 
avanzi di quell’ antico pregiudizio che con una falsa idea di 
onore scemava l’ orrore del delitto, e l’infamia della pena ? Ma 
la più parte de’ nostri concittadini in questo proposito non hanno 
omai più bisogno di essere esortati per esortare altrui. Nessuno 
sa meglio di loro che la passione del risentimento fondata sopra 
una falsa idea d’onore è il pregiudizio il più anti-sociale di 
tutti : che lo scusarlo e il giustificarlo negl’ individui con in- 
giuste assoluzioni sarebbe lo stesso che accusarne la patria; e 
svergognarla in faccia agli stranieri; ehe quella larva di finto 
onore coonestando nella mente degli uomini ineducati e igno- 
ranti le più criminose azioni rendeva certi delitti più frequenti; 
più funesti e quindi vie. più degni della pubblica esecrazione. 
Nessuno ignora d’altronde che un delitto causato da quel tristo 
errore non era che l’ origine e il principio d’ una lunga serie 
di malefizi, e che n’ erano immediate conseguenze le rappre- 
saglie , le corruzioni, gli spergiuri giudiziarii, le calunnie; le 
vendette preventive) e, quel ch’ è peggio, il bisogno di parteg- 
giare , cioè di ascriversi ad una fazione potente, e farla coope- 
rare a tutti quei misfatti col tacito patto del contraccambio : sa 
ognuno che quest’affetto di parte sì contagioso per se medesimo, 
è tanto più facile a propagarsi in quanto che le prave azioni a 
cui dà impulso , apparendo disgiunte dall’ idea d’ un immediato 
egoismo ; e sotto il colore dell’ amicizia e del disinteresse , illu- 
dono la coscienza, e falsano e distruggono appoco appoco il sen- 
timento dell’ onesto e del giusto : e ‘ciò è sì vero, che tal reato, 
onde altri aborrirebbe da farsi colpevole in suo proprio vantaggio; 
non avrà rimorso alcuno di commetterlo a pro dell’amico , ossia 


III 

del partigiano. E ben noto a tutti che l’impunità dei delitti sa- 
rebbe un leggier danno in confronto dei mali che cagionerebbe 
lo spirito di fazione rivestito di autorità in un giurato parziale 
o sedotto; e il cambiamento periodico dei giurati, anzi. ch’ es- 
sere un rimedio a questi mali, non farebbe che propagare e 
diramare nelle masse il fermento malefico delle fazioni; e il 
malnato amor di parte ritrarrebbe vigore e potenza dalle pattuite 
prevaricazioni , e dalle permutate ingiustizie. 

To son persuaso che il giurato profondamente convinto di que- 
ste verità , e stabilito ed educato nel modo da me. in parte accen- 
nato, emulerà la magistratura nell’ amore della giustizia e del- 
l’ordine; e accaderà talvolta che la magistratura trarrà anch’essa 
dai giudizj del giurato dei buoni esempi e un’utile emulazione; 
e questa gara onorevole tornerà in vantaggio della giustizia e 
della società. 

E tutti i provvedimenti che ho divisati finora e che sono 
dettati dalle leggi o da una volgare prudenza , basterà usarli 
durante i primi quattro o cinque anni; dopo il qual tempo l’isti- 
tituzione seguirà da per se stessa l’impulso ch’avrà ricevuto, i 
delitti scemeranno di numero e di gravità, la giustizia diverrà 
tradizione e costume, e il Corso condannerà il suo concittadino 
delinquente colla stessa fermezza colla quale il soldato eseguisce 
sul suo camerata una sentenza di morte. 

To non pretendo di prevenire con questi mezzi ogni trasgres- 
sione, ogni errore in cui potrà cadere il giurato. Ma i magistrati 
non errano anch’ essi? Con questa differenza che il magistrato 
trasgressore resta sempre magistrato , e se accade mai ch'egli sia 
cattivo è un male perpetuo ; mentre il giurato può essere ricu- 
sato ad ogni processo, e deve essere immancabilmente escluso 
dalla lista ogni due anni ; le sue prevaricazioni d’altronde non 
ponno essere abituali nè durevoli anche in ragione del maggior 
grado di pubblicità che hanno i suoi giudizj ; poichè 1’ impro- 
bità pubblica viene tosto o tardi'necessariamente repressa dalla 
forza dell’ opinione , e da quel senso comune e morale che pre- 
viene o distrugge, lo scandalo. 

Eccovi, mio caro Lambruschivi, alcune principali osserva- 
zioni sull’ utilità del Giurato in Corsica : le ho accozzate presto 
e alla meglio, per soddisfare a. voi a cui nulla saprei negare. 
Sarei contento s’ esse, venissero, approvate dal vostro suffragio : 
se poi saran, confermate da un felice successo , io ve lo farò 
sapere fra poco. 


112 

fo spero che i Corsi esclusi per trent'anni dalla partecipa- 
zione d’ un diritto costituzionale , sapranno dimostrare ch’essi non 
hanno meritato questa eccezione calunniosa e disonorante. 

Amatemi sempre, come io vi amo , e credetemi | 


Vostro Affez. Obblig. Amico 
* * 


RIVISTA LETTERARIA 


Corso Donati, Tragedia di Carro M arENCO. Torino. Pomba, 1830 
pag. 171. 


Dal Buondelmonte al Corso Donati l’ egregio Piemontese ha già 
fatto un gran passo: la versificazione, lo stile, migliorati d’ assai ; il 
calore dell’azione; la saggezza del disegno, tutto annunzia un ingegno 
da confermare le più liete speranze. Con quella riverente schiettezza 
che non può dispiacere a’ suoi pari noi noteremo al sig. Marenco le 
parti che nel suo lavoro ci parvero più poetiche , e quelle che sì sa- 
rebbero forse potute collocare in luce più viva. 

Il fatto è uno de’ più chiari della storia Fiorentina. Corso Donati, 
il cognato di Dante , il genero d’ Uguccione , il fratel di Piccarda, 
quegli a cui l’ Alighieri dovette 1’ esilio, e Firenze la massima delle 
sventure, Carlo di Valois e la mediazione di Bonifazio ; Corso Donati, 
uomo, forte d’animo, di lingua, di mano, di autorità, di amicizie, di 
raggiri e di violenze, carattere antico, posto quasi anello intermedio 
tra il secolo della Toscana libertà e un’era lunghissima di memorabili 
sventure e d’ozi VETRI » Corso al cui fianco si videro sorgere e com- 
battere que’ Medici a’ quali era un giorno destinato il potere da lui 
male ambito, Corso Donati muore sulla pubblica via trafitto da lancia 
straniera ; e la sua misera e indegna morte non dona alla lacerata pa- 
tria nè libertà nè gioja nè pace. Fatto altamente poetico , di quella 
poesia politica e morale che richiede l’ originalità, e la risveglia. 

Ecco come il sig. Marenco ne ha fatto uscire il suo Dramma. = 
Atto I. I nemici di Corso, potenti nella repubblica, litigan con lui; 
poi vengono macchinando #A loro la sua rovina. II. Corso è citato in- 
nanzi al capitano del popolo : i suoi nemici vogliono arrestarlo , 0 co- 
me allora dicevasi, sostezzerlo ; il popolo minaccia dar fuoco al palazzo: 
egli è liberato: ma un vecchio con altri istigatori, rammentando alla plebe 
i nuovi e gli antichi torti dell’ uomo temuto , la svolge, e la prepara 
a perdere colui pel quale essa avrebbe poco fa dato il sangue. III. Corso 
riceve l’ annunzio del vicino ajuto d’Uguccione : è condannato frat- 


113 


tanto , e si prepara a sostenere l’assalto. IV. Rispinto un messo di pa- 
ce , si comincia la zuffa : Uguccione ehe veniva in ajuto , scoraggito 
dalla falsa novella della morte di Corso, ritorna addietro: gli assali- 
tori occupano gli steccati : Corso è costretto a fuggir con la sposa. 
V. È raggiunto; e per isfuggire al vitupero de’ crudeli supplizi in 
quella patria dov’egli tanto potè, con un ferro s’uccide. 

Indicheremo tra poco ciò che in quest’ intreccio a noi par difet- 
toso: ma cominciamo dal dire che felicissima è l’idea di collocare 
tra i nemici di Corso quel Pazzi che non può dimenticare d’ essergli 
già stato amico = che il contrasto tra Bordoni il padre , abborrente da-. 
gli odii civili, e il figlio aderente a Corso, non solo è fondato sopra 
notizia storica, ma è bello in se, e potea risaltare ancor meglio nel 
dramma = che bello è il carattere d’ Ugolina, la figlia d’ Uguccione = 
e con molt’arte talvolta disposte le contese di ragioni e d’ accuse tra 
i due partiti = e poetica l’idea de’ due cori, = e nel secondo degna 
d’ osservazione quella varietà inaspettata di metri; =-che il notturno 
avviso del Pazzi a Corso perchè fugga e si salvi , sebbene sia cosa imi- 
tata dallo Schiller, è sì bene appropriata al soggetto, che pare ori- 
ginale = che il nome e, a così dire , la lontana ombra d’ Uguccione 
occupa un bel posto nel dramma, e gli dà una tinta d’eroica gran- 
dezza = che il carattere istesso di Corso è quà e là maneggiato con 
tocchi potenti = che lo spediente di collocare Ugolina durante la pu- 
gna sull’alto della torre, è idea più bella ancora che non paja nella 
tragedia di Schiller = che l’imbasciata di pace, presentata dal vec- 
chio Bordoni e da altri canuti suoi pari, è un concetto degno di So- 
focle = che tutte le scene della sconfitta e della fuga d’ Ugolino con- 
tengono molte e non comuni bellezze. 

Di quelle che presenta la versi ficazione ed il dialogo, recherò 
qualche saggio. Bordoni il padre, uno de’ caratteri migliori del dram- 
ma , grida ai discordi: 

Poe Allor che dalle mura 

Gli sbanditi mirai, che ne la manca 

Tenean l’olivo e ne la destra il brando, 
Schierati in guerra, eppur gridanti pace !, 
Jo per essi gemei ; parlai di pace 

Parole gravi ai cittadin: ma quando 


Essi la patria contendean col ferro, 

— Figlio, tu ’l sai - non mi ristetti inerme. 
Fremei pensando ch’ ei sarian venuti 

A cercar fra le sacre ossa degli avi 

Gli avanzi d’ un nemico. 


Degni del carattere di quel della Tosa sono i versi seguenti : 


Non tremerem , purchè concordi. Ai grandi 
Finor che nocque ? La. discordia. Il tristo 
Popol ne ride, e ad util suo la tragye. 


T. I. Marzo 15 


114 


Con altri sensi ci si dipinge il bel carattere di Pazzino de’ Pazzi: 


20 + + + + + Tiranno! Io quasi 


Nol credo ancor, bench’ a lui stesso il dissi. 


Troppo empia cosa ell’ è: farsi tiranno ! 
Spegner la nostra libertà , la dolce 
Nostra vita civil, che procacciata 

Con tanti rischi e tanto sangue n° hanno 
I padri nostri. ... 

. + + « + + «+ Il popol nostro 

Pieno è in sè stesso di discordi umori ; 
Ma ne la propria libertà se il tocchi, 


Se per essa ei paventa , han tutti un? alma ; 


Han tutti un cor. 


Le scene dov’ entra Ugolina spirano tutte poesia viva: 


Qual femmina volgar, non io mi turbo 
A l’aspetto dell’ armi. In civil pugna 
Spesso adoprate le vid’ io. Ne piansi : 
Ma di tal pianto che potea versarlo 
La figlia d’ un eroe. 

Corso le parla: 
Nel loco mio; poi che la patria il niega, 
Io da me stesso mi porrò. La spada 
Fors” io di sangue cittadin bagnai , 
Perchè la mia vittoria altrui facesse 
De’ premi suoi beato ? Altrui vorreste 
Il passato lasciar , tutta godervi 
La gioja del presente , e ch’ io dormissi 
Tranquillo all’ ombra de’ miei lauri ?... 
..+ + + + + + O figlia di quel grande 
Che per Etruria tutta un nome sparge 
Venerato e tremendo , a te dinanzi 
Cresce il desio d’ onor che mi riscalda. 
Almen , diss’io fra me, di gloria cinto 
E di poter vedrà la bella donna 
Questo canuto capo. A mel promisi : 
Non 1’ atterrò ? Da la su’ altezza dunque 
Scesa sarà la sposa mia quel giorno. 
Che a me s’ unio? Questa rampogna muta 
Leggerò nel tuo volto ? 

Ugolina risponde (d’Uguccione parlando ): 
Forse che agli avi onde superbo vai, 
Egli ch’ avi non vanta, egli ch’ è figlio 
Della sua spada, e non piuttosto al nome 
Famoso tuo , cui tutta Italia suona, 
Donò la figlia ? A te lo giuro, 0 Corso, 
Io sposai ila tua fama. Al'suon rapita 
Di tue splendide laudi |, alto sentià 
L’ orgoglio in me della paterna scelta. 


115 

Se ad alte cose il tuo gran cor ti chiama 

Rattenerti chi può ? Non io, potendo, 

Forse il vorrei: chè la tua gloria è mia, 
Corso : 

2. ++ + + Quand’io rivolsi 

A te ’1 desire , a lusingar l’ affetto 

Surse, nol niego , anco il pensier di farmi 

Suocero tal che scudo un dì mi fosse 

Contro il liver de’ cittadini. Oh mai 

Mai non venga quel dì ! — Sposa! credesti 

Bramoso me di divenir tiranno , 

Ma che di tirannia fremo al pensiero ? . . . 

«+ +. + + + Farmi potea ben tale, 

Fiorenza, il dì che il civil ferro e’1 fuoco 

Ti turbarono a gara, ed eri stanca 

Di guai , misera! Sì che invida fosti 

D’ ogni altra sorte. Ma scordar potea 

Che a me sei madre ; e che non havvi al mondo 

Gloria maggior ?..... 


Lo stesso Capitano del popolo, personaggio di necessità passivo in 
mezzo al soverchiar delle parti, ha però nel dramma la sua dignità. Si 
legga fra le altre la scena VI dell’Atto secondo, ove sono queste parole : 

+ + + + « + « Oh non sapete 

Che sia congiura. Il capo ha d’or: ma i piedi 

Di creta frale, e la rovescia un nulla. 

Potremmo citare e molti altri passi della tragedia e parecchie stanze 
de’ cori, che provano quanto si sia l’egregio Autore avanzato nell’arti- 
fizio dello stile, e quanto da lui si possa sperare: se la dolcezza del 
numero , la scèltezza della dizione , quale noi l’ammiriamo ne’classici 
nostri , egli vorrà congiungere alla semplicità e all’ evidenza, che il lin- 
guaggio poetico rendono intelligibile ed efficace. 

Quello che nel sig. Marenco ci par degno di lode grandissima è la 
saggia moderazione da lui posta nell’ espressione degli affetti, la cura 
d’evitare quelle declamatorie invettive, quelle monotone - argomenta- 
zioni di cui la natura ne’ grandi avvenimenti de’ troni e de’ popoli non 
suole, a quel che pare; fornir che di rado gli esempi ; l’ arte di pe- 
netrar ne’ diversi caratteri, e non dare a tutti i personaggi un linguag- 
gio medesimo , una medesima veemenza; il partito finalmente ch’ egli 
sa trarre da certe circostanze storiche per farle in modo poetico ri- 
saltare. 

Non-è già che in alcune non si potesse forse adoprare un più de- 
licato artifizio. Nel terz’atto, per esempio, non so se di tutta quella 
procedura dell’:accusa, della condanna di Corso Donati, una parte 
almeno non sarebbe riuscito opportuno. trattarla per via narrativa, 
anzichè rappresentarla in iscena. Manca, parmi, in quell’atto la vita, 
il movimento , l’ affetto , che sono i principali pregi dell’azione dram- 


116 
matica. In questi primi saggi principalmente di tragedie storiche e 
svincolate dalle leggi arbitrarie dell’ unità, gioverebbe mostrare che la 
poesia storica, ben trattata, può dare al dramma maggior calore di 
passioni e maggiore energia d’ affetti che non diano le alterazioni 
capricciose degli storici avvenimenti. 

Uno de’rimproveri che al genere di cui parliamo sì fanno, egli è 
questo: di non ammettere punto d’invenzione, di non eccitare la cu- 
riosità, non tenere sospesa l’ aspettazione ; d’ essere insomma la ignuda 
storia dialogata. Sebbene io non creda che principal fine dell’ azione 
drammatica sia il risvegliare la curiosità, sebben vegga che il vero 
affetto è talvolta indebolito da questa soverchia sollecitudine di tenere 
sospeso l’ animo dell’ uditore, e trovi ne’classici nobilissimi esempi di 
drammi dove la finale sventura o felicità è preveduta sin dai primi 
passi dell’azione, senza però che alla poesia nulla scemi di bellezza o 
di forza, nondimeno io confesso che in quel rimprovero è parte di 
vero. E lo confermerò con esempi tratti dalla tragedia di cui sto par- 
lando.Io non dirò certamente che nulla sia in essa d’invenzione poetica: 
il carattere d’Ugolina, dei due Bordoni, del Pazzi, di Corso, la scena 
dell’ arresto , quella della torre, e da ultimo i cori, dimostrano nel 
Poeta una facoltà creatrice. La rappresentazione drammatica di un carat- 
tere storico è, per sè sola, creazione vera: e non altri che un poeta può 
darla compiuta. Ma il fatto stesso porgeva al sig. Marenco occasione e 
quasi necessità di tenere l’ attenzione in sospeso senza ricorrere a 
quella sommossa del popolo che minaccia di bruciare il palazzo ove 
Corso è'ritenuto , fatto, se non erro , seguìto non a favor del Do- 
nati , ma: sì di Giano della Bella. Quella plebe .che in una scena 
si mostra tutta dedita a Corso, nell’ altra gli si rivolge contro e lo 
vuole ucciso, poteva offrire uno spettacolo più vario, e forse più ve- 
ro. Non è già nuovo l’ esempio d’ una moltitudine che quasi in un 
attimo passa dall’ uno all’altro estremo, mossavi da leggierissimo 
impulso : ma tutto dimostra che ciò nella catastrofe di Corso Donati 
non ebbe luogo, che non così facili mezzi furono adoprati per inimi- 
cargli la plebe. E l’uso di questi mezzi poteva dar campo a scene 
più animate, nelle quali fosse rappresentata non solo l’azione isti- 
gatrice de’ nemici, ma le suggestioni contrarie di Corso , e la mol- 
titudine istessa apparisse più titubante dapprima , poi divisa in due 
parti (1), e non sì concorde nella debolezza e nelle contraddizioni sì 
cieca. Un altro mezzo di sospendere in parte la previsione della ca- 
tastrofe si offriva al Poeta nei due opposti caratteri , sì bene da lui 
immaginati , di Bordoni il padre e di Gherardo; i quali potevano dar 
luogo a scene molto affettnose e calde. Un altro mezzo ancora l’aveva 
nell’ aspettazione del vicino soccorso del suocero: dove la speranza e 
il timore potevano forse con più di varietà e d’ effetto alternarsi. Così 


(1) Vill. VIII. 69. 


117 
la circostanza de’Bondelmonti e d’ altri che a'l’ultimo abbandonano lo 
sfortunato Corso , si sarebbe potuta porre poeticamente a profitto. 
Queste situazioni , collocate in maggior luce e fecondate dalla fantasia 
del Poeta , aprivano il campo all’ invenzione senza punto alterare la 
storia. 

Al medesimo fine si poteva inoltre profittare di molte circostanze 
accessorie , nelle quali il germe poetico è sovente racchiuso come in 
selce scintilla. Quel Rosso della Tosa era nel fatto carattere più ti- 
rannico che il nostro nol faccia; e lo si potea forse porre in azione 
mostrando i suoi sforzi verso 1’ ambito comando. Corso tra’ suoi ave- 
va de’ nobili e di que’della plebe: e le gelosie , secrete o palesi , le 
tacite dissensioni tra’ partigiani suoi stessi , eran cosa naturale a di- 
pingersi. Sappiamo dalla storia che la molta liberalità di Corso era 
a’ suoi amici pretesto per accusarlo d’ ambita tirannide : della sua li- 
beralità non è strano immaginare ch’ egli facesse più pompa al sovra- 
star del pericolo ; e questa circostanza, posta in atto, dava materia a 
qualche scena popolare, nella quale l’ animo ambizioso di Corso, ma 
insieme sinceramente benefico, si poteva rappresentare come portato a 
confondere i moti della propria compassione con quelli del civile or- 
goglio, e a far del bene un pretesto al male , e quasi un velo; cosa 
comune nel mondo,e carattere de’grand’uomini singolare. Sappiamo che 
l’antico splendor del suo sangue e la patrizia gentilezza facevan contrasto 
con la salvatichezza (2) di taluni de’suoi avversarii : anche di questa no- 
tizia sì potea trarre mon infelicemente partito. E finalmente il la- 
sciarlo fuggire solo con la moglie e da tutti abbandonato , mi ha un 
non so che di crudele. Perchè non dargli, se non un amico vero, un 
seguace , un servo costante (3) ? La scena n’ avrebbe ‘acquistata mag- 


(2) Macchiavelli. La parola salvatichezza è più volte applicata da Giovanni 
Villani al partito di Vieri de’ Cerchi (VIII 39), e giova ad intendere l’ epiteto 
di selvaggia che Dante ( Inf. VI ) dà alla parte dei Neri, epiteto finora spie- 
gato con forzate congetture. Similmente là dove Dante, a proposito della 
trombetta di Barbariccia; dice e vidi gir gualdane, si potrebbe forse credere 
ch’ egli alluda , come suole spesso , alle gualdane che Corso Donati tornato 
dall’ esilio menava nell’ oppressa città. ( Vill. VIII 49 ). 

(3) Il sig. Marenco fa che Corso Donati da se con un pugnale s’ uccida. 
Gli storici lo rappresentano gottoso , lasciarsi cader da cavallo , e trafitto dalle 
lance di due Gatalani. Io, dice il poeta, non ho voluto privarlo del piacer di 
combattere: noi di ciò non vorremmo fargli un delitto, sebbene la cosa si potesse 
forse, senza danno della dignità tragica, conciliare altrimenti. Ma quel fare 
ch’ egli da sè si trafigga , toglie alla catastrofe gran parte del suo effetto, la 
rende comune anzi triviale, è un’inutile alterazione del vero. Que’due catalani che 
vedendolo tramortito dalla caduta, lo finiscono, era cosa molto più tragica e più 
morale; tanto più , se vi si aggiunga la circostanza di quel cittadino che trovan- 
dolo ridotto in tale stato, arrossì di ferirlo, e n’ebbe quasi rimorso. Questa isola 
circostanza accresceva potentemente l’ e ffetto della catastrofe. Se il Poeta non 
lo volea far cadere da cavallo, poteva scegliere altro sforzo di morte volontaria; 


118 


gior tenerezza. Gherardo Bordoni sarebbe potuto servire a tale uffizio, se 
la verità storica non obbligava il poeta a lasciarlo morto sulla fine del 
quart? atto : di che noi non solo non glì facciamo una colpa, ma vor- 
remmo anzi ch’ egli avesse avuto il coraggio di narrarci il fatto come 
la storia lo narra : cioè ‘“ Gherardo giunto dal Cavicciuli, e morto, e 
»» tagliatogli la mano , e recata in corso degli Adimari confitta all’ u- 
,» Scio di M. Tedice degli Adimari, suo consorto, per amistade avuta tra 
3» loro. ,; Non già che giovasse con atto sì crudele insanguinare la scena; 
ma sì poteva accennarlo ; e prepararne l’ orribilità col dipingerci per 
tutto il corso, del dramma tutta l' asprezza degli odi fraterni di quel 
secolo. sventurato: cosa che il Poeta nostro non fece che in parte. Nei 
caratteri principalmente risiede la vera creazione drammatica: convien 
congiungerein essi quanto! di più universale ci porge 1’ osservazione 
dell’ umana natura con quanto di più individuale ci somministra la 
storia. Quella che riguarda i fatti è una fedeltà storica tutta. materiale 
ed estrinseca: rappresentare nell’uomo il suo secolo , e. nell’ individuo 
qualche carattere generale della umana natura, ecco. il dramma storico 
vero. Ma alla rappresentazione dei caratteri nuociono, anzichè giovare 
i troppo, lunghi discorsi : e tutto discorsi è il prim’ atto del dramma di 
cui trattiamo. Ma in tutte le querele di Corso e private e pubbliche 
io non trovo mai ch’ egli faccia menzione di quel suo. figlio , da lui 
grandemente amato , ‘autore e vittima di morte violenta. Questa, me- 
moria potea spargere sulla tragedia una tinta soave, di tristezza, e 
mostrarci. l’ animo di Corso in un nuovo e più nobile aspetto. E quella 
buona Piccarda non meritava un pensiero? E la, prima moglie di Gor- 
so , la figlia di Acerito da Gaville non arebb? egli giovato farne men- 
zione , per mostrare almeno che il secondo matrimonio con Ugolina era 
disegno d’ambizione e non impeto di affetto senile ? 

Le poche non censure ma osservazioni che noi assoggettiamo con 
riverenza al giudizio del ch. Autore, gli provino in qual conto noi te- 
niamo il suo ingegno, e quali speranze abbiamo di lui concepite. 


K. X. Y. 


Cecilia di Baone , ossia la Marca trivigiana al finire del medio evo. Ro- 
manzo storico di Prertro Zorzr. Edizione seconda. T. IV. Venezia, 
Tip. di Commercio 1830. Prezzo L. austr. 6. 


Innanzi di ragionare sui pregi e sui difetti d’ un libro, gioverebbe 
sempre conoscere in parte almeno la condizione , il carattere, 1’ età 
dell’ autore : circostanze che possono grandemente od accrescere il me- 
rito o scemare le colpe dell’ opera, e la cui conoscenza servirebbe a 
temperare i troppo assoluti giudizi, sia di biasimo sia di lode. Ad evi- 


non mai tale però da evitare le due lanciate de’ mercenari stranieri. Anco 
della circostanza de’ monaci che assistevano, secondo alcuni, a sì misera morte, si 
potea forse approfittare in modo un po’ più poetico. 


119 
tare i quali uno spediente infallibile sì potrebbe proporre; ed è di 
considerar sempre le cose dal lato men tristo, di non attribuire allo 
scrittore nè presunzioni condannabili nè intenzioni maligne; le quali , 
dove anche appariscano , sogliono nella prima vista mostrarsi assai più 
gravi che infatti non sieno. Molto più poi laddove l’autore si mostri 
sinceramente alieno da ogni pretensione boriosa e da ogni malevolo af- 
fetto , corre obbligo al critico di riguardare il lavoro con quella in- 
dulgenza ed amorevolezza ch'egli vorrebbe usata a sè stesso. Così, con- 
siderando e l’uomo e l’opera nel suo più innocente e più nobile aspetto, 
ne deriva ai giudizi e verità e gentilezza, si educa la letteratura a sen- 
timenti più dignitosi e più miti; e un uffizio , per sè delicato e perico- 
loso, acquista non so che di sociale importanza e di morale bellezza. 

Di questa rara virtù, che il mutare de’ tempi e l’esperienza ren- 
deranno, speriamo, assai più comune in Italia, ci porge imitabile 
esempio un critico valentissimo nel giudicare il romanzo del no- 
bil uomo signor’ Piero Zorzi. Altri forse si sarebbe fermato sui soli di- 
fetti, o nella generale condanna del romanzo storico ( qual è trattato 
in Italia dai più) avrebbe rinvolta un’opera che con altre norme con- 
vien giudicare. Egli, il lodato critico, vi rilevò come pregio princi- 
pale , quel candore e quella calma serena che da ogni pagina spira; e 
congiunse meritamente la lode dell’ ingegno con quella del cuore. Noi 
ripetiamo di buon grado l’ elogio : e senza fermarci in lunghe analisi; 
o in critiche di sorta alcuna, ci basterà di notare nella Cecilia del sig. 
Zorzi, la varietà delle immaginate circostanze , la piacevolezza d’ al- 
cuni caratteri, d’altri la forza, la novità d’ alcune scene, la vaghezza 
d’ alcune descrizioni, e la cura dello stile, assai più colto nel suo che 
in altri recenti e lodati romanzi. 

Una sola osservazione mi sia permesso d’ aggiungere. L’egregio au- 
tore, a secondo scopo del suo lavoro si propone ‘° di mostrare i co- 
3 stumi e l’ indole degli antichi progenitori, nel modo stesso come se 
3, il lettore fosse vivente con loro ,,. Anche a me pareva un tempo 
che il romanzo storico potesse servire a fedelmente dipingere i costu- 
mi e gli usi de’ secoli andati: ma, più attentamente osservando i più 
celebrati romanzi e i meno infedeli alla storia, trovo che la più rozza 
cronaca , la più generica storia contemporanea mi offre un’ idea più 
netta, più viva, e più feconda de’ tempi, che non le descrizioni più 
elaborate, le più minute pitture ; e che il romanzo in ciò solo può 
renderne popolari i fatti più memorabili e i nomi più grandi , in quanto 
può risvegliarne la curiosità e l’ amore , in quanto può addestrar la 
mente all’ osservazione delle menome circostanze che pur sono la vita 
de’fatti, addestrar l’imaginazione allo spettacolo di que’gran quadri che la 
storia presenta scoloriti e lontani, e che al lettore filosofo toeca rav- 
vicinare, animare; addestrar finalmente il cuore al sentimento degli affetti 
che covano sotto i fatti, che sono l’ultimo prodotto, se così posso dire , 
della verità , senza i quali la storia è occupazione o di erudito pedan- 
te o di teorista caparbio. o di cinico sciagurato. Ma che il romanzo 


120 
| possa farsi unico supplemento alla storia , che i fatti storici sieno da 
esso materialmente illustrati, quest’è ch’io non posso più credere. Da 
quella verità schietta e ignuda , e povera d’ arte, spira, come dice 
il Manzoni, un non so che d’ incomunicabile , che 1’ imaginazione del- 
l’ uomo può bene adombrare in idea, non mai cogliere con parole. 
Quanto più delicato è l’artifizio del poeta, quanto più mirabile 1’ ac- 
corgimento di ravvicinare , d’ordinare , di connettere i frammenti della 
storica verità, tanto più visibile ad occhio esperto apparisce la di- 
stanza tra la fedeltà storica e la fedeltà romanzesca. E poichè mi venne 
nominato il Manzoni e quella sua confessione , credete voi ch’egli stesso 
non vegga; quanto il più severo de’ lettori, che dalle informi narrazioni 
del secolo decimosettimo esce più rilevato il carattere de’ tempi, che 
non dalle sue pitture più sudate e più belle ? 

Che conchiudere da ciò? Che uffizio del romanzo istorico non è 
già quello di supplire alla storia, e di raccattare le minute parti di 
vero dalla musa storica disdegnate , e di tesserne qualche appassita 
ghirlanda : è piuttosto di rendere popolari i grandi fatti storici, illustran- 
doli con tutta la luce della fantasia; e commentandoli in modo che se ne 
sprema, a così dire, il succo morale ed escano da quella gelida selce scin- 
tille d’ affetto. Egli è questo il vero scopo dell’arte: che se a tale scopo 
non giova l’alterare a capriccio la storia, non giova nemmeno il fred- 
damente e servilmente seguirla. Investirsi dello spirito de’ tempi, man- 
tenere storici veramente i caratteri, infondere in essi il soffio della vi- 
ta, fare in modo che i presenti ravvisino in quelli una parte dell’umana 
natura, e ne traggano qualche grande e salutare lezione, ecco 1’ opera 
del romanziere. Il quale se , lasciata 1’ umile prosa , vorrà condensare 
in viva e numerosa poesia quelle immagini e quegli affetti che la fa- 
miliarità del linguaggio comune lo conduce a sciacquare in tante ‘inu- 
tili ed impotenti parole ; allora, aggiungendo alle sue pitture e a’ suoi 
dialoghi il merito d’ una concisione potente e di quella efficacia che 
viene da’ numeri armoniosi, meriterà sempre meglio il titolo di poeta. 


K. X. Y. 


Nuova guida di Milano; del pittore Franc. Pirovano , con un’appen- 
dice degli oggetti più meritevoli a vedersi nei dintorni di esso. Silve- 
stri. Pag. 470. Prezzo 1. 4. Colla pianta ]l. 7. 


Guida delle più pregevoli, perchè dataci da un uomo dell’ arte e 
perchè contiene alcune notizie storiche , utili sempre. Giova sperare 
che in tutti i libri di questo genere si vorranno commentare con le 
memorie storiche le materiali bellezze dell’italiane città. Le une senza 
le altre sono immagini mute e fredde, oggetto di passatempo al curioso, 
di maraviglia all’ artista , d’ istruzione al manifattore, ma non , come 
dovrebbero, di meditazioni al filosofo, e al cittadino di generosi pensieri. 
Converrebbe che queste guide fossero compilate in modo da servire non 
solo a’ forestieri, ma, prima di tutto , a’nazionali, e facessero parte 


121 

della sociale educazione ; converrebbe che in ogni lapide, in ogni fi- 
gura, in ogni angolo, ciascuno potesse leggervi una eloquente le- 
zione, e trarne argomento di confronti sempre importanti tra il pre- 
sente e il passato. Ma troppo spesso avviene che i forestieri delle cose 
nostre sieno molto meglio istruiti di noi: e chi domandasse ad un 
uomo del popolo, quali memorie in lui desti la cupola del Brunelle- 
schi, la loggia de’ Lauzi, e altre simili maraviglie dell’ italiana gran- 
dezza , le risposte che vi sarebbe da udire riuscirebbero il più dolo- 
roso confronto che far si possa tra secolo e secolo. 

Quanti pensieri ad un cittadino milanese non dovrebbe destare la 
piazza del Foro, dove nel secolo XIV Gian Galeazzo Visconti s’innalzò 
quel castello che dopo la sua morte fu dal voto pubblico demolito ; 
che dal figlio di lui fu rialzato, quasi nido di tirannide, più forte che 
mai; che nel secolo XV. dalla città costituita in repubblica fu at- 
terrato di nuovo; che nel secolo stesso fu dallo Sforza, per consenso 
del popolo , la terza volta riedificato; che nel 1801 per disposizione so- 
vrana venne distrutto in gran parte; che dovea trasformarsi in una 
serie di giganteschi edifizi, col palazzo imperiale nel mezzo, e all’ in- 
torno i pubblici dicasteri; e ch” ora serve per pubblico passeggio om- 
breggiato da piante esotiche e indigene (1). E quell’ arco del Sempione, 
ordinato nel 1804; cominciato nel 1807, rimasto sospeso dal 1814 al 
1825, e dopo una visita di Francesco l,, continuato col nuovo titolo 
d’ Arco della pace, dove non più le vittorie di Napoleone si vedranno 
scolpite, ma la battaglia di Lipsia (2)! E quel monte che istituito nel 
1753 fu nominato di S. Teresa , chiuso nel 1796, riaperto nel 1804 ebbe 
il titolo dell’ amministrazione ide’fondi del debito pubblico ; nel 1805 di 
monte /apoleone , dal 14 al 20 è stato propoisoriamente nominato monte 
dello stato, e nel 1821 assunse con determinazione sovrana la denomina- 
zione di monte del regno Lombardo Veneto ; la qual determinazione non 
toglie però che i milanesi tuttavia non lo chiamino Monte Napoleone (3). 

Tra i monumenti notabili dal sig. Pirovano menzionati non è il 
men curioso e. il più sterile de’ pensieri quel ‘° rozzo bassorilievo 
3; in cui vedesi scolpita una figura di donna con diadema, posta in 
33 modo sconcio e sconvenevole ,, e che dicesi l’ immagine della mo- 
glie del tedesco Barbarossa, in atto di depilarsi (4). Merita un’occhiata 
anche l’ uomo di Pietra (5), ch’ è il Marforio milanese, e sul quale io 
m’ aspettava in questa Guida una qualche notizia statistica , che |’ au- 
tore avrà forse omessa per troppo forti motivi. 

Il libro è distribuito nelle sezioni seguenti: Cenni storici e ero- 


(1) P. 238. 
(2) P. 241. 
(3) P. 282. 
(4) P. 246. 
(5) P. 208. 
T.I. Marzo 16 


122 
nologici. » Basiliche, e Parochie. = Chiese sussidiarie, e oratorii. = 
Piazze e case particolari. Stabilimenti , ed oggetti diversi.  Din- 
torni di Milano. + Poi in una tavola da ultimo, sono secondo 1’ or- 
dine topografico indicati i principali oggetti degni d’ esser veduti. La 
parte in cui trattasi degli stabilimenti ha molte utili notizie statistiche. 


La K. X. Y. 


Viaggio in Polonia del Prof. Ses. Crampi nella state del 1830. Con la 
breve descrizione di Varsavia, e con altre notizie di lettere, arti, com- 
mercio , e particolarità di quel regno ; con un’ Appendice de’ Medici , 
Musici, Architetti, Scultori e Pittori Italiani in Polonia, che serve 
d’ aggiunta al libro stampato in Lucca dallo stesso autore su questo 
proposito. Firenze. Galletti. 1831. Pag. 194. Prezzo paoli 5. 


Questo nome di Polonia porta ormai seco indivisibile l’idea di tante 
sventure, di. tante glorie e di tante speranze, che ogni lode, per ampia 
che fosse ,, non parrebbe che una fredda pompa rettorica. 

Il cav, Ciampi visitò non è molto que’ luoghi, illustrati oggidìi da 
vittorie sì memorabili: ed era ben lontano dal prevedere che le ame- 
nità da lui sì vivamente descritte della infelice Pulavia , dovessero con- 
vertirsi in rovine cento volte più belle e più eloquenti d’ ogni natu- 
rale cultura, d’ogni artifiziale eleganza; dal prevedere che quel Czar- 
torinski che sì ospitalmente lo accolse, e che consacrava un tempo tanta 
parte delle proprie ricchezze alla civiltà della patria, dovesse forse tutto 
sacrificare per essa , e beni ed agi e riposo; tutto donare per quello 
che le nazioni degradate reputano un nome vano, le conscie della pro- 
pria dignità, sacrosanto diritto. 

Il cav. Ciampi entra in Polonia da Kalistz, piccola città, com- 
merciante in panni di lana che si spedivano un tempo fino in Italia 
( donde forse il nome del panno Calisse): e rinviene Varsavia così rab- 
bellita e ingrandita da poterla in certi luoghi riconoscere appena. La 
differenza che corre fra Varsavia del 1817 e quella del 30 si può giu- 
dicare da queste parole : ‘ Mi ricordo che poco dopo il mio arrivo nel 
> 1817 mi trovai a vedere una solennissima pompa funebre in una delle 
», più belle contrade ... Il clero con l’Arcivescovo . .. col resto della 
,; processione bisognò che passassero di sopra de’ ponticelli di tavole 
3; messe apposta, perchè il fango nella strada sorpassava il collo del 
,; piede. Erano, è vero, le principali della città coperte di piccoli sassi 
;» e breccie raccolte per le campagne, con piccoli marciapiedi alquanto 
,; rilevati dalle parti: ma il terreno morbido inzuppando per l’acqua, 
,; si affondavano i sassi ed il fango montava: per traversare facea duopo 
,, andare in punta di piedi cercando le pietre prominenti, e di sasso 
;; in sasso saltando farsi ponte , dove non incontravasi qualche tavola 
,, messa a certi traghetti determinati ,,. Ora le cose stanno bene al- 
trimenti: e le strade urbane e le campestri, e le città e le parrocchie 
il cav. Ciampi le trovò notabilmente abbellite. ,, Molti dei Grandi 


123 

, e dei possidenti, oltre all’impiegarsi eglino stessi nel dirigere la col- 
> tivazione, sì danno pensiere dell’istruzione necessaria ai lavoratori, 
», con stabilire nei villaggi loro scuole di leggere e scrivere , di conto, 
,» di veterinaria, di pastorizia; botteghe dell’ arte di falegname, di 
33 fabbro, di muratore ec. .... La Principessa Czartorinski, sebbene 
»» d’età molto inoltrata, qual madre comune , s’ impiega personalmente 
3» nella cura de’ fanciulli... previene spesso i bisogni , assiste insieme 
3) coi villani alle funzioni religiose le feste, corregge i negligenti fan- 
>, ciulli, anima e loda i solleciti . . . ,, L’amenità del giardino di Pu- 
lavia è degnamente descritta : e ormai dalla sola relazione del. cav. 
Ciampi potranno gli stessi Polacchi avvenire trarne un’ idea: chè ogni 
cosa forse la guerra distrusse. In una casa di questo luogo di delizie, 
dice il n. A., “‘ si affaccia un’altra scena di monumenti e memorie delle 
3) lettere e delle arti risorte d’ ogni culta nazione d’ Europa: e gl’Ita- 
3) liani sì compiacciono nel riconoscervi i ritratti di Dante, del Boc- 
3 caccio, del Petrarca , del Tasso , del Galileo, di Raffaello, e di molti 
3 altri, con opere dell’ ingegno o dell’arte d’ognuno: i francesi Rous- 
») seau, e la stessa penna sua , toltagli di mano dalla principessa tut- 
33 tora vivente: gl’ Inglesi , Shakespeare, e la sua propria sedia, dove 
3, stava a sedere scrivendo le sue tragedie ,,. La biblioteca di Pulavia, 
raccolta dal Principe, contava 70,000 volumi, con Mss. tratti dalle bi- 
blioteche di Russia , di Svezia, d’Italia, di Parigi, di Londra. Il bi- 
bliotecario era a tal fine incaricato di viaggiare in Inghilterra ed in 
Francia ; e 30,000 franchi annui erano alla sola biblioteca dal Principe 
destinati. Essa abbondava di documenti nazionali, d’ opere storiche , 
di libri inglesi: 3000 erano i Mss. Se tutti i grandi signori d’ Italia 
imitassero il principe Czartorinski, un secolo più grande del XVI 
sorgerebbe per le lettere nostre. 

Da sì ricca biblioteca venne in tempo il cav. Ciampi per raccogliere 
alcune notizie recondite circa la storia degl’ italiani in Polonia, ch’ è 
il principale oggetto de’ presenti suoi studi. E tanto è ciò vero , che 
questo viaggio stesso può dirsi meno statistico che erudito. Il cav. 
Ciampi ritrova in Norimberga la maniera pisana imitata dall’ arti te- 
desche. A Dresda rinviene nuove conferme dell’ opinion sua, che gli 
arazzi quivi sepolti in un magazzino sieno di disegno dell’ Urbinate : 
ragiona a lungo dell’ antico stato di Varsavia : inserisce per un soprap- 
più la lettera che da Varsavia scrisse circa la dea Equeiade, ch’egli legge 
Equetas : aggiunge al suo viaggio il supplemento ad altra sua opera di 
simile argomento, della qual s’ è parlato altra volta; e finisce con gli 
epitaffi d’ italiani illustri sepolti in Polonia, tra’ quali rammenteremo 
quest’ uno del secolo XVI. — Jacobus Fantel, natione italus. Vixit 
dum voluit , voluit dum fata volebant. 

Quanto alle avventure seguite al ch. viaggiatore , noi ripeteremo 
che a Modena egli non potè vedere i Mss. della Estense perchè ‘ po- 
3» Chi giorni prima que’ bibliotecarii avean dovuto far giuramento di 
,3 non manifestare a veruno quel che d’inedito vi fosse contenuto ,,. 


124 
A Inspruch egli trova un locandiere che ‘ tiene raccolta di tutte le 
» produzioni geologiche del Tirolo ,,. In molte delle città tedesche 
osserva una nettezza a molte città d’ Italia sconosciuta. A Monaco “ è 
», invitato a dare una stima del suo equipaggio, mon già. per pagare 
;s mn dazio ma per sua gratuita sicurtà nel caso che in viaggio fosse 
,, perduto o danneggiato il suo bagaglio per colpa del conduttore oper 
;3 altro accidente ,,. In Bautzen vede la medesima chiesa servire e a’cat- 
tolici e a’ protestanti, che vivono insieme in rara concordia. A Bresla- 
via vede nella chiesa ch’ora è de’protestanti rimaner tuttavia rispettati 
gli antichi monumenti cattolici. Tornato per Lubbiana, sente che quivi 
fu composta una grammatica della lingua carniolina, dialetto slavo ; 


analogo al polacco ed al russo (1). 


KaX. 


Antologia straniera , giornale di scienze lettere ed arti, ovvero scelta 
d’ articoli tradotti dai migliori giornali letterarii , inglesi, francesi e 
tedeschi. N .° 12. Dicembre 1830. Torino , Pomba. 


L’ impresa dal sig. Pomba , saggiamente ideata e saggiamente con- 
dotta , non trovò in un sufficiente numero di associati l’ incoraggimento 
ed il premio che pur meritava. Col duodecimo quaderno egli compie 
la sua promessa , e differisce la continuazione a tempi migliori. Gli 
è pur doloroso il vedere come la letteratura periodica, tanto coltivata e 
apprezzata nelle vicine nazioni , sia mal giudicata tra noi : nè questa 
è colpa soltanto de’ giornalisti ineguali al loro nobile uftizio , ma ben 
anco de’leggitori, che sulla fede di manifesti lusinghieri si contentano 
d’ associarsi ad opere più importanti per la mole e pel prezzo che per 
la bellezza e l’ utilità ; e poi non curano di provvedersi di que’ gior- 
nali che appunto potrebbero guidare il loro giudizio nella scelta delle 
opere da acquistare e da leggere. Havvi una classe, di persone che le 
lodi o le critiche d’ un giornalista tengono come suggello di gloria o 
d’ infamia, e credono immortale un autore o lo veggono gettato per sem- 
pre nel fango (come suol dirsi graziosamente oggidi ) se un articolo 
di giornale lo esalta oppur lo vitupera: havven” altri a cui il titolo di 
giornalista è sinonimo a quanto ha la letteratura di più dispregevole. 
Meno superstiziosa credenza e meno stolto disdegno : varrebbe forse 
a rendere la letteratura periodica fiorente in Italia , e degna dell’uni- 
versale rispetto. 

Venendo all’ Antologia del signor Pomba, uno degli accorgimenti 
ch’egli forse trascurò , e che, per lettori italiani principalmente, par ne- 
cessario, sì è di non iscegliere con tanta costanza articoli lunghissimi e 
meramente scientifici. Quest’ ultimo fascicolo, per esempio, di 172 


(1) Giacchè ci è caduto di ragionare della Polonia , annunziamo con piace- 
re , che il ch. sig. dott. Zaidler sta per pubblicare una sua storia della Polo. 
nia , la quale uscirà dai torchi di V. Batelli con carte geografiche e rami. Egli 
è superfluo raccomandare ai lettori un tal libro. 


125 
pagine, non contiene che cinque articoli; vale a dire che ciascun arti- 
colo l’uno per l’altro, passa i due fogli di stampa. E sebbene tra que- 
sti cinque ve n’abbia tre almeno di belli veramente , pure io son certo 
che il più breve di questi, del sig. Saint-Marc Girardin, ch'è intitolato 
lotta 0; come traduce l’Antologia, lutta tra l’oriente e l'occidente, sarà letto 
con più d’avidità e di piacere non solo dai lettori superfiziali ma an- 
cora da quelli che cercano negli altrui scritti un alimento al pensiero. 
E questo sia detto con la debita riverenza anco ai benemeriti com- 
pilatori dell’ Indicatore Lombardo, i quali però badano ad alternare i 
lunghi articoli co’puà brevi; e ben faranno a concludere ogni quaderno 
con alcuni brevissimi, purchè bene scelti. Con Ja varietà giova allettare 
i più impazienti, e a poco a poco avvezzarli a cibo più solido. 

Ma questo è consiglio che noi diamo con esitazione , e solo per 
segno di quell’ affetto che ci lega a chiunque coopera comecchessia 
alla diffusione delle idee vere e delle utili verità. Noi sappiamo del 
resto quanto sarebbe arrogante venire ad imporre agli altri giorna- 
listi le leggi del proprio gusto o del proprio capriccio , ed enumerare 
gravemente i difetti in cui soglion cadere i nostri confratelli} anzi- 
chè pensare ‘a correggere i nostri. 


K. X. Y. 


Le Lettere di C. PLinio Cecinio Secondo a Trajano, e quelle di Trajano 
a Plinio, recate in Italiano da G. BawnpInI. Parma, Stamperia Ros- 
setti 1330. Pag. 64. ù 

2 i 
Questo decimo libro delle lettere Pliniane non tratta d? altro quasi 

che di pubblici affari : e si trova da ammirarvi la spedita semplicità 
del proporre e del rispondere , il raro senno e dell’ Imperatore e del- 
l’amico suo ; la nobile familiarità che tenevano. co’ grandi quegli 
uomini che sapevano almeno adulare con più finezza e più dignità 
che la barbara servilità moderna non faccia. Dire a Trajano che dalla sua 
salute dipende la sicurezza del genere umano (1. 60 ), che a’ suoi fatti 
e detti è dovuta l’ eternità (1. 113 ) , son lodi a dir vero, non molto 
parche ; ma sono almeno magnifiche, e non grette insieme e smaccate 
come per lo più le moderne. 

Ma la bontà stessa ‘ed il senno e di Trajano e di Plinio, provano 
che miseri tempi eran quelli; e come lo sfrenato potere arbitrario do- 
veva di necessità condurre al traviamento anche i principi virtuosi. 
Il così detto jus trium liberorum , cioè que’ privilegi concessi a chi aveva 
tre figli, con saggissimo consiglio a fine di promovere i matrimoni, noi 
lo vediamo ad arbitrio del principe dato per eccezione anco a chi non 
ne aveva pur uno (l. 2). Per ottenere la cittadinanza romana, conveniva 
ricorrere all’ arbitrio del principe (1. 4 ): onde Plinio domanda questa 
grazia pel suo iatralipta, medico untore;; professione la qual dimostra in 
che conto tenessero gli antichi questa parte importantissima d’igiene. 
Ogni comune doveva ciascun anno mandar con dispendio non leggiero 


126 


un pubblico messo che recasse fare i suoi omaggi non solo all’imperatore 
ma al preside della provincia : e non fu che l’ avveduta amministra- 
zione di Plinio, che risparmiò ai Bizantini questa inutile gravezza (1. 22). 
Non era lecito costruire un teatro, non compire una fabbrica incomin- 
ciata, non dedicare un tempio senza chiederne permesso all’ impera- 
tore, che nulla ne poteva sapere se non quel tanto che da’ grandi 
e da’ prefetti gli venia riportato : catena gravissima che le comuni stra- 
scinano ancora in molte parti d’ Europa (1. 28 34 81 59 76). Fin negli 
affari privati troviamo continua l’ ingerenza della suprema potestà dello 
stato : tra’ quali è notabile la causa di quell’ Archippo filosofo , accu- 
sato di falso e onorato di statue. (1. 66 ) Eran forzati i cittadini a ri- 
cevere ad interesse i denari dello stato ( tanto ogn’ idea di pubblica 
e di privata felicità era pervertita o ignorata ) e solo Trajano trova nel 
proprio senno tanta forza da dire: invitos ad accipiendum compellere 
quod fortassis ipsis otiosum futurum sit, non est ex justitia nostrorum tem- 
porum (1. 63). È singolarissima poi la paura che s’ aveva d’ogni specie 
di unione di cittadini, foss’anco economica o pur casuale. Trajano, il 
buon Trajano proibisce 1’ istituzione d’ un corpo di pompieri (1. 43) ; 
e Plinio , il saggio Plinio propone a Trajano come un caso da decidersi 
se sia da vietare l’ invito di più di mille persone nell’ingresso solenne 
d’un magistrato, d’un dì di nozze , nella dedicazione d’un tempio (1.118). 
Non si direbb’ egli che governanti simili sarebbero stati uomini da 
scovar le cospirazioni di sotto l’arco d’un ponte? 

Le note del sig. Bandini ci pajono utili e sagge. Altri nella tra- 
duzione desidererà forse un po’più di brevità e d’eleganza. Noi aspet- 
tiamo per parlarne di veder quella del ch. S. Paravia (*). 

Kobe 


La Georgica di Virgilio in altrettanti versi italiani tradotta da G. 
BANDINI. 

Le Bucoliche di Virgilio recate dal latino in altrettanti versi italiani 
da G. BanpINI (1). Parma , Tipografia Ducale. 


Tutto. ciò che noi potremmo notare intorno a queste traduzioni 
che rendono il testo non secondo la forza de’termini ma secondo la 
quantità de’ versi, è stato , in bene e in male, notato ‘altre volte. 
Lasciando dunque le inutili discolpe e le inutili critiche , noi lodere- 
mo nel sig. Bandini il raro senno ch’ egli dimostra nelle brevi note 


(*) Gli editori del Forcellini che cercano con tanta cura le aggiunte dei 
nomi propri, nelle prime quattro lettere di questo libro, ne avrebbero trovate 
sette: Harmeris, Harpocras, Helia, Maximilla , Servianus , Theon , Ther- 
muthis. 

(1) Nel fasc. 108 a p. ar dell’Antologia si legga Bandini in luogo di Pa- 
gnini. Il Traduttore d’Eutropio è il medesimo che il traduttore dalle Eglogle 
e delle Georgiche. 


127 

alle Bucoliche , dove vien brevemente disputando o della lezione o 
della interpretazione migliore. Questo piccol saggio ci parve tanto 
lodevole che noi oseremmo consigliarlo a voler lasciare del tutto 1’ in- 
grato e il più delle volte inglorioso esercizio del tradurre, e darsi ad 
illustrare con commenti filologici, morali, ed estetici que’libri de’clas- 
sici principalmente che vanno per le mani della tenera gioventù. I di- 
fetti di stile o di condotta, e soprattutto le massime false, pericolose, 
esagerate , gioverebbe insegnare a discernerle , e prevenire il danno 
che ne deriva ( impercettibile , ma non però meno grave ) alle menti 
inesperte. Ed invero che mai aspettarsi da un metodo d’ educazione, 
che permette e comanda a’ fanciulli la traduzione della seconda egloga 
di Virgilio ? — Mi si dirà che i fanciulli non ne ricevono male alcu- 
no, perchè traducono senza intendere il vero senso. — E questa 
discolpa fa conoscere ancor meglio quant’ utile e quanto bene condotto 
sia lo studio de’ classici ne’ corsi ordinarii di lettere amene. 

Nelle sue brevi note il sig. Bandini ha più volte occasione di 
ribattere le congetture dell’ Heyne, congetture le quali provano troppo 
spesso che erudizione e gusto non son punto sinonimi. Io non ne ci- 
terò che un esempio. Ognuno rammenta nell’ Egloga VIII que’ ver- 
sì : Saeous Amor docuit natorum sanguine matrem Commaculare manus. 
Crudelis tu quoque mater ? + Crudelis mater magis, an puer improbus 
ille? + Improbus ille puer; crudeli. tu quoque mater. In questo ap- 
parente gioco di parole si nasconde, al nostro vedere, un sentimento 
profondo. Virgilio non può concedere alla passione la forza di soffocar 
la natura; non può darsi a credere che 1’ amore più violento possa 
mai spegnere l’ umana libertà : però, confessando la terribile energia 
dell’ amore tende insieme a inculcare la crudeltà della madre. Questa 
in un uomo appassionato qual era Damone si può tacciare come una 
sottigliezza messagli in bocca dal poeta pensatore : ma non si può non 
riconoscere in quella interrogazione e in quella risposta del poeta pa- 
gano un senso di rettitudine morale molto superiore al corrotto suo 
secolo ; lo sfogo d’ un anima tormentata da dubbi importantissimi , e 
che non s’ ostina a voler rimanere in una stolta e procellosa incer- 
tezza. = Or bene : gli ultimi due versi pajono all’Heyne una mera in- 
sulsaggine ; ond’ egli non dubita di attribuirli a qualche inetto copista. 
Virgilio dunque avrebbe finito il suo concetto col verso: Commacu- 
lare manus = Crudelis tu quoque mater! Chiunque abbia un po’fatto 
l’orecchio alla morbida pienezza della maniera Virgiliana, vedrà facil- 
mente essere affatto contrario a quel gusto delicato e sicuro il finire 
in una maniera sì asciutta e digiuna (2). 

Il sig. Bandini reca l’opinione dell’Heyne, ma senza combatterla : 
in altri luoghi però non teme di rigettarla , e lo fa con gusto e con 
senno. 1 (900, 9 È 


(2) Il cel. cod. Laurenziano del IV secolo, difende anch’ egli la lezione 
dell’ inetto' copista. 


128 


Sonetti d’Anonimo , tolti da un codice del sec. XIV. Venezia Alviso- 
poli 1831. 


Questi sei sonetti stanno innanzi alla storia della guerra di Troia, 
scritta da Guido Giudice , in un codice ora posseduto dal ch. sig. Do- 
menico de Rossetti: e l’egregio sig. Gamba li pubblica nelle nozze d’un 
suo degno amico , il sig. prof. Emilio Tipaldo. 

L’antico anonimo non è un gran poeta: ma chi leggerà questi due 
quadernarii non prenderà certamente trista opinione di lui: 

Io non so chi si sia che sovra ’l core 
Mi stilla un sudor ghiaccio che mi sface, 
E trasforma la neve in calda face, 
E lieta sigurtà in gran tremore; 
Io non so chi si sia questo signore 
Che mostra darmi guerra e dammi pace, 
Facendomi spiacer quel che mi spiace : 
Io non so chi sì sia se non è amore. 
Ha dell’impeto poetico la chiusa del sonetto seguente : 
Oimè ch’io ho perduto libertade 
Sol per un folle e matto mirar fiso 
I più begli occhi che fusson mai’n terra! 
Mercè , per Dio, caro Signor, pietade : 
Mercè presto , per Dio ; ch’ io son conquiso , 
E più non posso sostener tal guerra. 
In altro 1’ Anonimo sì lamenta de’curiosi e de’zelanti importuni : 
S’ io ardo 0 avvampo o desiando agghiaccio , 
S’e’ miei pensier son dolci o sono amari, 
Che n’ hanno a far gl’invidiosi avari? 
Perchè si dan del mio mal tant’impaccio ? 
Tl primo è un’ esortazione ad amare: 
Qualunque fugge Amor, o Malatesta, 
Fugge delle virtù l’eterno coro : 
E sotto soggiunge questi due versi che rinchiudono non una verità 
morale ma un’osservazione di fatto , e un saggio de’costumi de’tempi 
ormai guasti da una smanceria amorosa indegna dell’ uomo : 
Se fugge perchè schifa , anche costoro 
Più crudelmente Amor punge e molesta. 
Il quinto sonetto è diretto a F. Petrarca : 
Deh dite il fonte donde nasce amore... 
Ed in qual parte se ne sta il suo regno ; 
Se vien dagli occhi o da’ piacer del core. 
L’ ultimo è responsio Petrarche. A giudicare dalla poesia certo s’avrebbe 
ragione di smentire quel titolo: ma pensando che a questi importuni 
sonetti di proposta il Petrarca poteva, come dice il Tassoni, prendersi 


120 

la libertà di rispondere dopo cena; pensando che tra quelli attribuiti 
al Petrarca e posti in appendice ve n’ ha di peggiori, io non oserei 
dalla eleganza de’ versi dedurre alcun certo argomento. Quello ch'è in- 
dubitabile si è che.i versi che dì primo, getto. cadevano dalla penna 
al Petrarca, eran tutt’ altro che que’ torniti, eleganti, dignitosi versi 
che nel Canzoniere leggiamo. Da un codice contenente le sue corre- 
zioni vediamo quanta parte di bellezza sia in lui dovuta ‘alla lima, 
e con quanta costanza, con quale delicatezza di coscienza poetica egli 
ritoccasse le cose sue e le tergesse da ogni macchia di stile e levigasse 
ogni scabrezza di numero. A leggere que’versi sì spontanei e sì franchi : 

Se fu beato chi la vide in terra 

Or che fia dunque a rivederla in cielo ? 
chi non direbbe ch’essi gli scendessero di libera vena, ed espressi 
così di netto dalla forza d’ un affetto gentile? Ma no : il primo getto 
è tale che un umanista forse non degnerebbe d’ accettarlo per suo ; 

Or che ha a esser a vederla in cielo? 
Così se noi potessimo scoprire un qualche codice di Virgilio con le sue 
cassature e coi suoi pentimenti , vi troveremmo. sull’ arte dello : stile 
non pochi e piacevoli ed utili ammaestramenti. 


K. X.Y. 


Fasti e vicende dei popoli Italiaui dal 1801 al 1815, 0 memorie d* un 
ufflziale per servire alla Storia Militare italiana. Tomo V. Firen- 
ze , 1831. V. Batelli. Pag. 396. — Ital. L. 4. 


Gli ostacoli dall’ A. incontrati nel suo cammino non fecero , come 
a buon militare , che accrescergli il buon volere e il coraggio. Eccolo 
al quinto volume : e con la mole dell’ opera cresce l’importanza de’ fatti 
narrati. E per entro alla narrazione, così semplice com’ è e quale il 
cuore la detta, scorre ad ora ad ora un calore d’ affetto , che forse in 
altre storie non trovi , le quali non altro affettano che calore. Po- 
tremmo recarne per saggio parte della descrizione che nel Capo primo 
si fa della eroica resistenza spagnuola contro allo. straniero oppressore. 

Con amore imparziale , con rettitudine rara sono dall’ egregio A., 
qui come. altrove, esposte le belle prove del valore italiano. Possa 
egli almeno dagl’italiani ricevere in compenso quel tanto d’incoraggi- 
mento che basti a proseguire un’impresa ispirata da amore non di fa- 
ma o di lucro, ma della bella ed infelice sua patria. 


L K. X. Y. 


Memorie di Lorenzo DA Ponte, seconda edizione corretta e accre- 
sciuta. Nuova York presso Turney 1829-30 tomi 3 in 12.° 


lettori si rammenteranno forse del compendio già da noi dato 

di queste Memorie quali si leggevano nella prima edizione. Nella secon- 

da l’autor loro, che n’è l’attor principale , le ha egli medesimo, intenden- 
T. i. #Tarzo 17 


rio 
do ad una maggior rapidità , compendiate in più parti ; e questa è forse 
la più notabile delle sue ‘correzioni. Le aggiunte si estendono ad un 
nuovo decennio della sua vita ( dal 1820 al 1830°), e saran seguite 
da altre , dice l’ autore‘, benchè ottuagenario, ma vegeto abbastanza 
per poterci fare sì lieta promessa. 

Devoto più che mai alla lingua e alla letteratura della patria lon- 
tana; egli, nel nuovo decennio, non solo ha seguitato a promoverne 
lo studio nell’ America del Wasinghton, ma ha cercato di propagarlo 
anche a quella che tutta , parmi, potrebbe denominarsi dal Bolivar. 
Nell’America del Wasinghton ha pur cercato o favore per un’ altra 
amabil figlia d’ Italia , l’ opera in musica , la quale potrebbe un giorno 
tornarci di là più virile e sembrarci più bella, 


M. 


Notizie biografiche di Giuserre LoncHi raccolte da Francesco Lovn- 
cHENA. Milano, R. I. Stamperia 1831 in 8.° 

Esequie di Giuseppe LoncaI descritte da Francesco LoncHenA. Mi- 
lano, Bonfanti 1831 ‘in 8.° 


Diec’ anni sono il povero Longhi era quì per far imprimere quel 
suo celeberrimo Sposalizio , la più graziosa , la più raffaelliana cosa 
che. mai forse ci abbia dato bulino d’ incisore. I suoi amici ( e aveva 
amici i migliori ) speravan che vi ritornerebbe quando che sia, per 
far imprimere il gran Giudizio , ch’ egli già avea cominciato ad inci- 
dere sul disegno veramente michelangioliano del bravo Minardi. — 
Essi non avran più fra loro il povero Longhi (v. la sua Necrologia in 
uno de’ numeri antecedenti di questo Giornale ); non vedranno del 
Giudizio , che doveva essere 1’ altra delle principali sue glorie , se non 
piccola parte coi contorni del resto. 

Anche del Trattato aspettatissimo dell’ Incisione, leggo nelle MNo- 
tizie biografiche , scritte per essergli premesse , non si vedrà che la pri- 
ma parte ; cioè la teorica , accompagnata da tavole non ancor perfette. 
L’ altra, cioè la pratica , è perita coll’ artefice illustre che l’ avea da 
un pezzo nel pensiero , ‘ma appena avea cominciato a metterne in 
carta qualche particolare ; e chi sa quando un simile a luì riparerà 
tal: danno ? 

Com? egli divenisse quel che divenne è detto nelle Notizie ( rac- 
colte in parte da memorie autografe ) abbastanza copiosamente. Nato 
all’ arti belle, tenutone lungi per un pezzo dall’ altrui volontà , egli 
ne fu, come già altri suoi pari, primo maestro a se stesso. La sua 
inclinazione più viva sarebbe stata per quella ond’ebbe tanta fama il 
suo amico Appiani. L’ occasione e i] non poter altro lo volsero a quella 
ch’ ebbe fra noi tanto lustro dal Morghen. Un uomo non meno saggio 
che dotto, Antonio Mussì , che gli era maestro nelle lettere , vedendo 
a che egli era nato , anzichè nojarlo col latino 0 col greco, gli met- 
teva innanzi delle belle stampe. E il giovinetto ‘sù quelle stampe si 


13I 
addestrò prima a disegnare è poi arico ad incidere. E come vi si ad- 
destrasse cel dicono quella sua Madonnina del Dente del Parmigianino, 
e quella Vecchia , mezza figura, a cui io sempre e involontariamente 
sorrido quand’entro nello studio del nostro Jesi , specie di sacrario 
dell’ opere del Longhi , stato al Jesi avventurato maestro. 

Prima che alcuno lo fosse a lui, egli seguitò per necessità ad es- 
serlo a se stesso ; esi creò metodi ingegnosi , che accelerarono i suoi 
progressi, e di cui le Notizie dan ragguaglio. Molti suoi pregiati di- 
segni, se non molte sue incisioni, precedono il suo ingresso nell’Ac- 
cademia Milanese allor nascente , ch’ egli col suo Appiani e pochi al- 
tri era destinato a fare sì adulta. Ivi studiò molte di quelle cose che 
potevan servirgli a riuscir eccellente anche nella pittura. Gli servirono 
a riescire vie più eccellente nell’ incisione, da cui non gli era quasi 
più possibile dipartirsi, e chie poi gli piacque, dicon le Notizie , d’a- 
vere abbracciata come più indipendente. 

L’ invenzione del tavolino mobile per gl’ incisori è una specie di 
dono nunziale ch’ ei fece all’ arte dichiarandola sua. Il Genio della Mu- 
sica del Guido , non so che Ritratti del Rembrant , la Galatea dell’Alba- 
ni, terminata è vero più tardi, altri intagli pregiati, sono le prime 
fatiche con cui prese ad onorarla. Una seduttrice , la miniatura , bella 
forse a’ suoi occhi delle attrattive della maggior sorella , primo e se- 
greto suo amore ; lo distrasse per qualche tempo. Ma l’occasion for- 
tunata offertagli dal Gros, che bramò inciso da lui il suo Vincitor d’ Ar- 
cole , fe cessare questa distrazione. 

Il Longhi tornò per così dire all’ arte sua nell’ atteggiamento del 
Vincitore , con bandiera spiegata, = bandiera di nuova scuola , che 
anch’ egli fondò con molte vittorie. Chè tali veramente posson chia- 
marsi molte dell’ opere sue , di cui in calce alle Notizie è il catalogo , 
e forse in mente di tutti gli amatori dell’ arte è 1’ imagine. Tutte non 
sono il celestiale Sposalizio ; tutte non sono il bellissimo Ritratto delle 
piume ( quello del principe Eugenio ) per cui il Bervic creduto inimi- 
tabile sembrò vinto. Tutte o quasi tutte , benchè assai varie di carat- 
tere e di stile , son mirabili per finitezza , per espressione , per certa 
luce direi quasi poetica. 

E il Longhi avea pure , come tutti i grandi artisti, molta poesia 
nell’ anima. E, come alcuni di loro, dicea pur versi all’ improvviso , e 
ne scrivea con pari eleganza che facilità. Molti forse ricordano le stro- 
fette da lui poste , or sotto } una or sotto l’ altra delle migliori sue 
opere, in quelle magnifiche esposizioni del Palazzo dell’Arti in Milano, 
che da’ primi giorni del Regno Italico incominciarono ad essere una ve- 
ra festa. Sotto la sua Maddalena del Coreggio, ritondetta voluttuosa , 
che taluno chiamò la Venere sacra, erano queste due , giustificatrici 
scherzevoli del concetto del dipintore , e riportate nelle /Votzzie : 

Al bel viso , al seno turgido 
Tu non sei la penitente, 


132 
Che lontana dalla gente , 
Va piangendo notte e dì; 
Ma il pittor che dalle Grazie 
Riconosce il primo merto 
Giunta appena nel deserto 
Figurarti preferì. 


Sotto il Pane e Stringa, che il Longhi chiamava suo capriccio , 
erano quest’ altre, che nelle /otizie non son rammentate , e ch'io 
serbo di mano del Longhi medesimo: 


Ratto insegue il Dio capripede 
La fugace sua Siringa , 
E già par che a se la stringa 
Esultante rapitor ; 

Ma la bella e casta Najade 
Le procaci voglie inganna 
Tramutata in fragil canna 
Dall’ algoso genitor. 


Veggo ricordata nelle Notizie, com’ uno de’primi saggi dell’ arti-. 
sta giovinetto , una bella testa disegnata col carbone in Monza sulla 
parete del loggiato d’ un collegio ov? era a studio , e lungamente poi 
conservata. Ciò mi fa pensare ad altra pur da lui disegnata col car- 
bone in Milano fra quelle di due artisti amici sulla cappa d’un cam- 
mino dell’ albergo degli Angioli (se non erro ), ove la celebrità di 
non so che piatto attirava talvolta uomini celebri. Anch’ essa fu con- 
servata per alcuni anni, e mi dorrebbe che fosse stata poi imbiancata 
poichè vi si vedea veramente la mano del maestro. 

Dopo queste liete memorie quant’ è più penoso il portar l’occhio 
sulla Descrizione dell’ Esequie! Pur vi è in essa qualche cosa che con- 
forta. Il Longhi, com’ essa ci attesta, non solo è stato ammirato; ma 
è stato amato. E chi lo conobbe sì franco , sì leale, sì cortese, sì 
superiore a quelle picciolezze , con cui talvolta anche gli uomini 
grandi pagano il lor tributo alla natura comune , ben sa che lo meri- 
tava. Ma non ad ognuno tocca propriamente quello che merita; ed è 
dolce il pensare che al povero Longhi non sia stato negato. 

Ultimo attestato d’ ammirazione e d’ amore gli si vorrebbe erigere 
un monumento ove più gli si conviene, cioè nel Palazzo dell’Arti iu 
Milano. Si ricevono per esso oblazioni ( ciascuna di 4 fiorini austriaci 
parì a lire 12 italiane) quì presso là Banca Fenzi, e in ogni altra ca- 
pitale presso qualch’ altra banca primaria. Secondo il numero delle 
oblazioni , fa intendere il programma , il monumento sarà più o meno 
bello. Quindi può augurarsi , 0 io almeno amo augurarlo , che sarà hel- 
lissimo. Gli offerenti , i cui nomi , giusta ’l costume , saranno stampati, 
avranno in dono o intaglio o medaglia che lo rappresenti, come già 
quello dell’ Appiani ; e coll’ intaglio o la medaglia la biografia del 
Longhi e il suo ritratto. Un ritratto litografico , intanto , abbiam di 


133 
lui in fronte alla Descrizione dell’ Esequie. In fronte alle Notizie ne 
abbiamo un altro più grande inciso dall’Anderloni ; e nel quale traluce 
veramente l’ anima dell’ incisore dello Sposalizio. 
M. 


Cenni pel miglioramento della prima educazione de’ fanciulli : traduzione 
‘libera di Branca Muiresi dalla 9.* ed. inglese. Milano, presso A. F. 
Stella e figli , 1830. 


Quanto si è scritto sull'educazione! Eppure quanto ancora ci resta 
da sapere! Soprattutto quanto siamo ancora lontani dal mettere in 
pratica quello che già sappiamo! Un funesto errore , che ha sviato gli 
uomini , come in questa , così in molte altre cose , è quello che ha , 
in gran parte’, arrestato i progressi della scienza dell’ educazione e 
della sua pratica. Dove la volontà d’ un superiore deve intervenire 
come direttrice delle azioni altrui , si crede che questa volontà possa 
tutto. Volete voi che i cittadini siano economi, temperanti ? fate una 
legge che proibisca le eccessive spese e le gozzovaglie. — Volete che 
un tal ramo d’ agricoltura e d’ industria prosperi in un paese? Pub- 
blicate un bando che quella cultura s’ introduca e quell’ arte sì eser- 
citi : proibite 1’ introduzione di quella derrata di quella merce. — Vo- 
lete voi che un bambino sia buono ? Comandateglielo ; fatevi ubbi- 
dire. E se non è buono ? Gridatelo , minacciate , picchiate. Questa teo- 
ria dell’ onnipotenza dell’ autorità ha dominato domina e dominerà 
per lungo tempo ancora il mondo, perchè è comodissima. — Ella infatti, 
oltre il lusingare l’orgoglio umano, dispensa gli scrittori da molte e fasti- 
diose ricerche, dispensa gli esecutori dalla fatica, dalla pazienza, dalla 
sorveglianza , da cento mila seccature. Ma contro le leggi, che Dio 
ha poste alla nostra natura , si cozza male. Finchè 1’ uomo crederà di 
poter sapere qualche cosa senza cavare le sue cognizioni da una lunga, 
attenta e sagace osservazione di tutte le realtà e di tutte le forze 
del mondo materiale e del mondo morale , non saprà mai nulla. E fin- 
chè spererà di piegare gli altri uomini al bene, senza prima esser 
buono egli stesso ; finchè crederà di poter indocilire i loro animi senza 
rispetto per la loro dignità, senza un amore schietto e disinteressato 
pel loro bene, e si affiderà all’ efficacia d’ un voglio come ad una gra- 
zia vittrice ; 1’ uomo sarà ubbidito poche volte , sarà sempre disamato 
e farà degli insubordinati, o dei simulati , in una parola dei tristi. 

Madama Edgeworth ha avuto , si può dire la prima , ]’ accorgi- 
mento di riguardare l’ educazione come una scienza d’ osservazione, 
Essa si è posta a studiare i fanciulli come un mondo ricco di forze e 
di fenomeni tutti suoi , il cui movimeuto noi dobbiamo dirigere , ma 
che non ci è dato di creare ; sul cui ordine se noi possiamo contri- 
buire, lo possiamo ben poco per un’azione diretta e di nudo comando; 
lo possiamo moltissimo col creare circostanze opportune , col rimuo- 
vere circostanze sfavorevoli, col guidare il fanciullo ad acquistare da 


134 

se medesimo le sue cognizioni, e a formarsi una esperienza suna pro- 
pria : poche parole e molto buon esempio ; o una giustizia pacata ed 
inflessibile, una intiera veracità , una costante ragionevolezza , un amo- 
re tenero ma non cieco, una pazienza padrona de’ primi movimenti , 
e una discretezza avveduta che getta i semi e aspetta che ger- 
moglino e fruttifichino a suo tempo. Queste preziose lezioni di una 
lungua esperienza sono state dalla sig. Edgeworth raccolte e pubbli- 
cate in un’opera del più alto pregio , tradotta poi in francese e illu- 
strata dal buono e saggio Carlo Pictet , che ha il titolo di EÉducation 
pratique. Essa può considerarsi come la sola base della scienza dell’ edu- 
cazione. = À terminare e a perfezionare l’ edifizio , può mancar qual- 
che cosa, qualche cosa può dover essere rigettata, qualche altra mo- 
dificata ; ma il fondamento è quello , quello il disegno , quello il grosso 
della fabbrica ; e aggiungerò pure che moltissime parti son già per- 
fette. — Così questo libro prezioso fosse più conosciuto, fosse letto e 
meditato da tutte le madri! 

Una madre italiana che lo ha molto studiato, e che ai principj della 
sig. Edgeworth conforma scrupolosamente la propria pratica, ha tradotto 
ora l’ operetta inglese , che annunziamo : operetta che si può dire un 
transunto del sistema della sig. Edgeworth , e in qualche parte anche 
un complemento. = La stimabile traduttrice è quella medesima sig. Mi- 
lesi di cui l’Antologia ha avuto altre volte occasione di parlare , per 
la traduzione delle Prime Lezioni di Maria Edgeworth (1), per un Me- 
todo compendioso d’insegnare a leggere (2); e di parlarne bene. 

Con questo libriccino di un cento di pagine la sig. Milesi ha fatto 
un vero regalo alle nostre madri; ed io non saprei esortarle abbastanza 
a profittarne. — Molte, se non tutte, cominciano a sentite l’impor- 
tanza della buona educazione , e il grave dovere che loro ne incombe. 
Poche sono finora persuase , che questo dovere può essere facile ad 
adempirsi e soave. Questo libretto comincerà a persuadernele.; ed en- 
trate una volta nella buona strada sentiran desiderio di prendere per 
guida le opere della sig. Edgeworth , che , rese familiari alle nostre 
donne , potrebbero far mutare aspetto alla nostra educazione infantile. 
L’ originale inglese , che la sig. Milesi ha tradotto , aveva già avuto 
nove edizioni. Potrò io augurare al libraio Stella che della traduzione 


dei Cenni farà almeno la seconda ? 
R. LAaMBRUSsGHINI. 


(1) Antologia Vol. XXXV. A. p. 139. 
(2) Antologia Vol. XXXVII. A. p. 13. 


135 


Descrizione d’ alcune Medaglie greche, del Museo del Sig. Barone SrA- 
NISLAO DI CHavporr , per Domenico Sesrinr. Firenze presso Gu- 
glielmo Piatti 1831. Un Vol. in 4.° pag. VIII. e 126 , e con 6 ta- 
vole in rame. 

Sia lode ben meritata all’ egregio Sig. Domenico Sestini , sommo 
Archeolgo, e principe dei Numismatici ‘viventi. Quest'uomo dottissimo , 
benchè in età molto avanzata , e travagliato da un notabile indeboli- 
mento di vista, del quale si iagna egli stesso , e che fu in lui prodotto 
dal lungo studio , e dalla continua sua applicazione ed istancabilità 
nello scrivere , di.che fan fede le tante opere da esso date alla luce , 
sì grande è non pertanto l’ amore ch’ei porta ai prediletti suoi studii , 
che non cessa ancora di far dono di quando in quando alla repubblica 
letteraria di qualche nuovo frutto del suo immenso sapere, con opere 
utilissime a tutti quelli che dedicano le loro vigilie ad una scienza , 
che io chiamerei fonte principale della Storia, e che fu dall’incompa- 
rabile nostro Sestini ristaurata dai fondamenti , grandemente illustrata, 
e corretta, non che accresciuta con belle , e numerose scoperte. 
|. Si compone questo suo nuovo lavoro di una breve introduzione , 
di un catalogo geografico dei popoli, delle città, e dei re le cui me- 
daglie conservansi nel Museo del Sig. Barone di Chaudoir , della spie- 
gazione delle stesse medaglie , classate per provincie, e per città , e 
con interessantissime osservazioni. E finalmente di un indice geogra- 
fico delle medaglie descritte , nel quale trovansi distribuite per ordine 
alfabetico di città , popoli e re, e coi debiti richiami alle tavole. 

Nella suddetta introduzione dà il chiarissimo autore eruditamente 
contezza della Tauride , le cui antichità cominciarono ad essere dis- 
sepolte , dopo che venne quella penisola in potere della Russia, per 
l’ armi vittoriose di Caterina; essendo stato ordinato fino d’ allora 
d’ istituire delle archeologiche investigazioni sul Bosforo Cimmerio. In 
seguito poi vi fù dall’ Imperatore Alessandro spedito per lo stesso og- 
getto il Sig. Consigliere di Kohler, le cui ricerche coronate di otti- 
mo successo, ci fecero conoscere colle iscrizioni greche colà discoperte, 
diversi re del Bosforo ; prima di lui sconoscinti , ed il famoso monu- 
mento della regina Cosmosarye , che rese di pubblica ragione , con 
più altre greche iscrizioni, e colla descrizione dei suddetti re ;, e di 
molte medaglie delle città di quella. penisola , cose tutte interessanti, 
ed alla storia di quel paese utilissime. . 

Anche il regnante imperatore Niccolò I.° , desiderando che siano 
conservate le tante anticaglie che vengono continuamente colà disse- 
polte , ordinò che si erigessero in quelle contrade tre pubblici musei 
d’ antichità , uno dei quali è in Odessa , diretto dal Sig: Consigliere 
di Blaremberg, indefesso investigatore delle cose antiche 3 e discopri- 
tore di uno dei fortilizi del re Sciluro, che regnò in Olbia, e del 
quale furono trovate alquante medaglie , che vedonsi pubblicate in 


156 
questo libro. Fece poi lo stesso Archeologo non poche ricerche sul 
vero. sito della sullodata città e. ne pubblicò un gran numero di Me- 
daglie nei tre metalli. La quale serie si conserva in Odessa medesima , 
con molte altre di diversi re del Bosforo. 

Il secondo dei precitati pubblici musei esiste in Caffa, ed il terzo 
in Kertch, (Panticapea), alla cui formazione ed illustrazione si è segna- 
lato il Sig. Colonnello di Stempkofsky , Governatore di quella città , 
reso celebre dalla scoperta di nuovi re del Bosforo , e particolarmente 
di Leucone, di Eumelo II.°, di Fareanse e di Rhadamses ; che egli fece 
di pubblico diritto in seguito alle antichità della Crimea -del Sig. Raoul- 
Rochette. Fu pure esso il primo a far conoscere agli antiquarii, che le 
medaglie credute di Sauromote I.°, e della regina Pepepyri sua moglie , 
erano state erroneamente lette invece di Mitridate III. e della regina 
Gepepyri sua moglie ; sulla qual rettificazione si legge a stampa un suo 
scritto. Finalmente il precitato Sig. Koehler, ha pubblicato un meda- 
glione in argento del surriferito Leucone , ed uno di Spartaco , oltre 
alquanti re del osforo con date maggiori. 

D. VALERIANI. 


Compendio della Storia Milanese considerata da G. B. de Crisrororis 
Prof. di Storia e Filologia latina nell’ Imp. Regio Liceo dijS. Ales- 
sandro. Per uso dei Giovani. Volumi 11. Milano Presso A. F. Stella e 
Figli, 1830. 


Aprendo questi libri e leggendo quà e là a caso il capitolo che 
sì presenta, siamo veramente allettati a proseguire da un sano giudizio, 
da osservazioni profonde, da energia e vaghezza di stile. Ma leggendo 
da capo a fondo, il tutto non corrisponde alla concepita espettativa , 
giacchè il disegno o concetto dell’opera ci sembra assai difettoso. 

Vi sono raccolte tante cose che apparterrebbero piuttosto alla sto- 
ria d’Italia e alla storia della umanità , che Milano ad ogni tratto ci 
sfugge davanti, e quando si torna a vedere, gli oggetti diversi che 
nell’ intervallo aveano occupato la mente , producon una tal confusione 
d’impressioni , che non possiamo avere chiara e distinta idea degli 
avvenimenti. La tela poi ove sono stati disegnati tanti gruppi essendo 
ristrettissima , ne avviene che a nessuno è dato il conveniente svilup- 
po ed il lume necessario ; onde restano come ammassati nell’ ombra , 
che li lascia appena discernere. — Fu bello e lodevol pensiero quello 
del ch. autore di scrivere ad uso dei giovani la storia della patria, e sarebbe 
desiderabile che non fosse uno sterile esempio anche in questa nostra 
Toscana sì degna di storia. = Ma perchè consacrare il primo volume 
ai romani e agli invasori del settentrione, e non serbare che parte del 
secondo al soggetto prescelto , se ne togli qualche pezzo ove è ram- 
mentato Milano? È vero che fà molto piacere quel rapido e pittore- 
sco racconto ; e quella severa imparzialità di giudizio sulle imprese 
e virtù dei romani, giudicati ben altramente fin quì nelle scuole per 


137 

una strana contradizione di principi, che fanno eroi quei feroci re- 
pubblicani , e scelerati quei tra i posteri che abbian. tentato imitarli. 
Questo però non era il suo luogo , come non lo era ugualmente per 
parlare dei Zbri ebraici , dell’ idolatria , dell’ esistenza di Dio ec. ed io 
avrei amato piuttosto che seguire i romani alla conquista del mondo, 
indagare per quanto si poteva la condizione , i costumi , le leggi ec. 
dei Milanesi sotto il loro dominio; avrei amato non perderli di vista 
in quel naufragio tremendo della romana grandezza per poi seguirli nel 
risorgimento comune d°’ Italia, salutarli vincitori magnanimi del Bar- 
barossa e accompagnarli tra le tirannidi dei Visconti e degli Sforza, e 
tra le sanguinose lotte dei superbi stranieri scesi nei suoi piani a tru- 
cidarsi per la preda agognata. = Avrei trovato allora in questa operetta 
minor copia di fatti, ma quelli chiari ed interi colle loro cause ed effet- 
ti; minor quantità di osservazioni e notizie, ma quelle sì adattate allo 
scopo, sì immedesimate col soggetto, che la mente ne avrebbe con faci- 
lità fatto tesoro. L’ autore ha principalmente in mira di ricavare dagli 
avvenimenti quelle massime che crede più valevoli a ispirare 1’ amore 
della religione e della morale. Ma se l’ avvenimento, da cui è deri- 
vata la massima , non è chiaro, preciso , evidente, non lo sarà nep- 
pure la massima stessa , che resterà così gettata alla ventura senza ap- 
poggio sicuro , nè avrà più l'autorità dell’ esempio. Per lo scopo in- 
dicato entra l’ autore a parlare della nostra origine, del nostro destino, 
dell’ antica filosofia paragonata al vangelo e di altre simili quistioni; e 
mentre a tale scopo ha sacrificato il suo soggetto, mi sembra che non 
1’ abbia ben conseguito. Crederei che meglio avesse potuto sodisfarvi 
ristringendosi in più stretti confini, e che la storia di un popolo sia 
ben sufficiente per somministrare utili lezioni a chi la medita, e cerca 
di apprendere le pubbliche e private virtù. 

Dopo queste osservazioni è ben giusto che facciamo conoscere qual- 
che cosa del nostro autore , ed in questo è più difficile Io scegliere 
che il trovare. Dovendosi peraltro contentare di brevi citazioni, non 
trascriveremo che due squarci , il primo dei quali sarà la traduzione 
del canto di guerra dei Modanesi nel 924. 

33 0 tu, che stringi l’ arme a presidio delle patrie mura non dor- 
mire !.. Veglia!..,, 

3, Finchè Ettore vegliò dentro i valli di Troia, la fraudolenta 
Grecia non valse a soggiogarla: ma quando i dardani cedettero al sonno, 
il perfido Sinone aprì le porte , le schiere salirono su per le scale dì 
corda , ed arse l’ incendio nella rocca di Priamo. ,, 

;; Il vigile grido del bianco augello mise in fuga i Galli assalitori 
del Campidoglio. Roma diede le forme del bianco augello a simulacri 
d’argento e adorò l’ oca siccome dea. ,, 

,3 Ma noi adoriamo la divinità di Cristo : noi custoditi dalla sua 
potenza cantiamo l’ inno della veglia. ,, 

3, 0 Re dei mondi! Guarda te nostre torri! Tu sei baluardo ine- 


T. I. Marzo 18 


138 


spugnabile per la città de’ tuoi fedeli : tu nemico terribile al nemico 
de’ tuoi fedeli, ,, 

> 0 Re dei mondi! la tua lancia baleni sulle nostre torri! intre- 
pidi figli della guerra , il vostro canto echeggi dalle vedette! ,, 

> Alzatevi! vegliate a vicenda coll’ armi, onde il nemico non 
penetri improvviso ! ,, 

,3 Il compagno eco della notte intorno ai bastioni ripeta il grido 
= Veglia!... Veglia — Intorno intorno ai bastioni il compagno eco 
ripeta = Veglia!... Veglia. ,, 

L’altro di differente natura sarà il seguente : “ Chi nell’aurea età 
di Ottaviano , chi poteva immaginare che sarebbe venuto un tempo in 
cui gli uomini sapessero indagare i delitti senza bisogno della carrucola 
e della corda, educare gli adolescenti senza terrori , venerare 1’ ec- 
cellenza dell’ umana natura nei doviziosi egualmente che nei servi e 
nei mendicanti , mandare in breve ora la parola alla distanza di due- 
cento leghe , comporre e decomporre gli elementi , farsi obbedire dai 
fulmini , restituire il moto ai muscoli dei cadaveri , salvare con una 
stilla di virus le generazioni dalla deformità e dalla morte ,. sanare i 
pazzi senza flagelli e senza catene , insegnare aì sordi-muti i mestieri, 
le arti, le lingue, le scienze , la cognizione del vero Dio, dell’ ani- 


mo ; della religione ?...,, 
L. 


Della Musica Rossiniana e del suo Autore. Discorso dell’ Avv. Prerro 
BricuentI Accademico filarmonico di Bologna, e socio di varie Ac- 
cademie ec. Bologna 1830. Tipografia di Emidio dell’ Olmo. 


Il nome di Rossini è come una parola magica che desta ammira- 
zione e simpatia in ogni cuore , in ogni parte del mondo e in ogni 
grado di persone. Nei palagi dei grandi e nella casetta dell’ artigiano, 
nei teatri e per le vie odi ripetere bene o male le sue sinfonie e i 
suoi motivi che pare ormai esser divenuti proprietà popolare. Questo 
pieno ed universale gradimento se è un certo segnale dell’ eccellenza 
di un opera qualunque , lo è più specialmente di un arte che è de- 
stinata ai piaceri del pubblico, e di cui perciò è più giudice il cuore 
che 1’ intelletto. Quindi per me dinanzi questo consesso del mondo 
spariscono le critiche di pochi, e credo che Rossini abbia aggiunto a 
quella perfezione dell’ arte, che più conveniva al suo secolo : secolo 
agitato da bollenti passioni , rapito da fatti maravigliosi e tremendi , 
spinto irresistibilmente fra le tempeste, che devon condurlo ad un 
porto di pace, o alla tranquillità del sepolcro. A dominare tanto tu- 
multo più non basta il dolce suono del flauto che spira l’estasi del- 
1’ amore e della voluttà , ma vuole compagna la tromba guerriera che 
risveglia ai magnanimi sensi; più non bastano le soavi melodie che 
parlano all’ anima con una voce di pace e «di melanconia , ma sono 
anche necessarie le forti armonie esprimenti l’entusiasmo del sacrifizio 


139 

e della gloria. Rossini comprese ed espresse il suo secolo colla musica 
come altri colla poesia , seguì amimoso la-strada che gli additava il 
suo genio , ed acquistò una fama immortale. - Offrire a tali uomini 
la lode di un solo, può sembrare ambiziosa e inutile cura, in una 
corona intessuta coi fiori più vaghi di ogni suolo e di ogni clima , 
come potrà figurare un umile violetta , che alcuno sia desideroso di 
aggiungervi ? ma se quel fiore viene offerto da una sincera e forte 
affezione , sarà caro al grande sul cui capo fu posta quella corona ; e 
saprà fra i mille distinguerlo. Quindi all’ idolo di ogni gente non sarà 
dispiaciuta l’offerta del Sig. Brighenti , e tanto più gli sarà stata cara 
in quanto che spiega i sentimenti di una città che è la patria della 
sua scelta , e di un Accademia (l’Accademia Filarmonica) di cui è 
stato la cura e lo splendore primiero. Si poteva forse con più profon- 
dità esaminare il suo genio, ma non parlarne con maggiore venerazio- 
ne ; di che sian prova le seguenti parole , che diamo come saggio del 
discorso. 

‘ Già presto sarà il tempo in cui le troppo viete e discreditate 
» allegorie del paganesimo usciranno di ogni ricordanza. Febo-Apol- 
> lo avrà disgombro il Sole del suo carro e de’ suoi cavalli ; nè più 
>, in Parnaso regnerà nume alcuno dell’ armonia e del canto. Eppure 
3» vorranno ancora gli artisti di musica possedere una immagine che 
, infiammi di nobile entusiasmo le fervide loro fantasie; nè altra 
> allor ne vorranno che il simulacro di Gioacchino Rossini. ;, 


L. 


Miscellanea di lettere ed arti del dottore DerenpENTE SAccHI. Pavia, 
dalla tipografia Bizzoni 1830. 


Niuno contrasta l’utilità dei giornali ; non tutti però han molta 
fede nella coscienza e nelle buone intenzioni dei giornalisti, nè si 
persuadano così di leggieri, che il loro studio sia unicamente rivolto 
a propagare le buone dottrine , e all’affrettare tutti quei miglioramenti 
che posson condurre al ben’ essere della propria nazione. Io credo 
però che chi volesse esaminare imparzialmente il maggior numero de- 
gli scrittori dei giornali, verrebbe facilmente a conoscere che son po- 
chi e aborriti coloro che volontari prostituiscono 1’ intelletto alla di- 
fesa dell’ errore e del vizio , e pospongono la dignità dell’ uomo e del 
cittadino al favore ed alla ricchezza ; ghe non mancano i più di soc- 
correre ai bisogni morali dei popoli , e che sono perciò tenuti ambi- 
ziosi e sterili studi quelli che non giovano in qualche modo a svilup- 
pare l'industria e il commercio , a propagare i sani principii, e ad 
illuminare sui grandi interessi sociali. Ma cosa entra questo discorso 
con la Miscellanea di lettere ed arti ?. Sappiate adunque che ivi non 
sì contengono che vari articoli già stampati nei giornali , e che il loro 
autore è uno di quegli uomini di cuore e d’ ingegno , che vale a con- 
fermare le mie riflessioni. Lontano ugualmente da una vile supersti- 


140 
zione come dalla licenza , parla di lettere e di arti con un profondo 
sentimento del bello poetico e morale , e di quella specie di bello 
che più conviene all’ Italia dei tempi nostri; e se si trattiene sulle 
cose così dette del giorno , ei lo fa sempre con grazia e con brio, e 
sa ben cogliere 1’ occasione di portare il serio anche fra li scherzi. 
Forse qualche sua opinione sarà contrastata , e noi avremmo gradito 
di non intendere qui ripetute come dottrine romantiche assurdì ed er- 
rori, e tanto più ci sarebbe stato caro in quanto che il sig. Sacchi è 
perfettamente di accordo coi romantici mentre non vuole nella lette- 
ratura una pallida e scolorata immagine dei tempi trascorsi e di estinte 
nazioni, ma una viva e libera espressione dei tempi presenti e di un 
mondo che insieme con noi e soffre e spera; nè loda arti ministre di 
corruzione e di avvilimento a mero trastullo dei sensi, ma le brama 
maestre di civiltà, che quasi con un figurato linguaggio spirano negli 
animi quei sentimenti e quelle virtà che fanno reverita e grande una 
nazione nelle sventure e nei trionfi. E chi desiderasse vedere da lui 
sviluppato tali idee può leggere il Saggio sull’ indole della letteratura 
italiana ossia della letteratura civile, e gli articoli sui dipinti dell’Hayez, 
e sulle sculture di Marchesi. Noi citeremo soltanto anche per saggio di 
stile il paragrafo seguente , ove espone la sua opinione sulla non poco 
agitata quistione dell’ ideale. “ Vi ha , egli dice, una natura italiana 
,» moderna creata fra il turbolento combattere di venti secoli tra loro, 
,, e la mistura di tante diverse nazioni e i casi miserandì di tante vi- 
cende. Da questa eleggendo il meglio si può ottenere un ideale tutto 
;; nostro , che serbi i dettati di quella suprema armonia di tutte le 
,; cose da cui esce ogni bello ; dettati che miriadi di generazioni colla 
invariabilità delle loro forme e trenta secoli santificarono : allora sì 
avrà un bello moderno tutto ridente di nativa freschezza , un hello 
italiano. Così pure usarono i greci in quelle statue , in quei bassi- 


29 
,; rilievi, cui è giusto venerare , studiare , ma non servire ,,. = Mi 
pare che gli artisti non dovessero scapitare a riflettere alquanto sulie 
citate parole , e trovatele vere , rintracciar questo bello italiano per 
rendere le arti più originali e più popolari , senza riprodurci sempre 
un tipo , una forma che fu di maravigliosa bellezza , ma che non può 
essere unica ed eterna. E che questa bellezza , dirò così , nostrale 
esista e si possa con buon successo riprodurre nelle arti, lo persua- 
dono facilmente gli artisti del 400, Michelangelo ed alcuni moderni. 
Quindi è manifesto che i desideri dei novatori non sono poi sì strani 
e impossibili, e che l’Italia può bene anche senza l’ ideale greco 
conservare se non accrescere una gloria che è il conforto di molte 
perdite , e il perpetuo onore del nostro nome. 


L. 


PBullettino Stentiico- Lelterareo 


MARZO 1851. 


Scienze NATURALI 


Meteorologia. 


Il di 9 Maggio 1827, verso le ore 4 pomeridiane , essendo il 
cielo affatto sereno, caddero diverse pietre meteoriche , o aeroliti , a 
Drake-Creek , nello stato di Tennessee. La caduta di esse fù prece- 
duta da una detonazione simile a quella dei più grossi pezzi d’ arti- 
glieria , dalla formazione d’alcune piccole nuvole accompagnate da 
strisce scure , e finalmenle da un sibilo acutissimo. 

Una di tali pietre spezzò un piccolo albero , e sebbene dovesse in 
ciò perdere una parte notabile della sua forza , pure penetrò nel ter- 
reno alla profondità di dieci pollici; essa era fredda, ma tramandava 
odore solfureo. Un altra pietra fù disotterrata alla distanza d’ un terzo 
di lega dalla prima ; il suo peso era di sedici libbre , e si era profon- 
data undici pollici. Tre altre pietre più o meno grosse furono raccol- 
te ; tutte erano ricoperte d’una crosta vetrosa nerastra ; nel loro in- 
terno erano tutte di color bianco leggermente verdastro ; tutte pre- 
sentavano una quantità innumerabile di punti metallici lucidi come 
l’ argento. Un immensa quantità di globuli neri e vetrosi sparsi nella 
massa sembravano aver provato una fusione completa. La gravità speci- 
fica di queste pietre è 3,485. Un chimico americano avendone fatta 
l’ analisi, l’ha trovate composte , sopra 100 parti in peso , di 

Silice 40,000 ; 

Protossido di nichel 2,166; corrispondenti a 1,704 di nichel; 

Magnesia 23,833; 


Allumina 2,466; 
Protossido di cromio 0,833, equivalenti a 0,584 di metallo; 
Ferro 12,000 ; 
Perossido di ferro 12,200; 
Solfo 2,433 ; 


Totale 95,931 
Perdita 4,069 
100,000 
(Annal. de chim. et de phys. décembre 1830, pag. 416). 


149 

Il dì 8 maggio 1829 fra le tre e le quattro ore della sera cadde 
un aerolite vicino a Forsyth. Precedè la sua caduta la comparsa d’una 
piccola nuvola nera, dalla quale sembrarono partire due forti esplo- 
sioni, seguitate nell’ atmosfera da un sibilo spaventevole. Alcuni ne- 
gri esssendosi portati verso il punto a cui sembrava ad essi che la pietra 
si fosse diretta, trovarono che essa si era internata due piedi e mezzo 
in un terreno calcare durissimo : il suo peso era di 36 libbre. Era 
ricoperta all’ esterno d’ una materia nerastra che pareva essere stata 
fusa, e che formava uno strato sottile quanto la lama d’un temperino; 
il suo interno era di color grigio cinereo presso a poco uniforme , se 
non che vi sì vedeva un gran numero di particelle di ferro metallico, 
lucide come l’ argento pulito, e niuna delle quali era maggiore d’un 
capo di spillo. La pietra , anche ridotta in polvere impalpabile , 
era attratta quasi in totalità da una calamita. Il suo peso specifico 


era 3,37. (Ivi pag. 417.) 


Il dì primo del mese di ottobre 1829 , era piovuto molto ad uno 
stabilimento posto al sud d’ Orléans , in cui il Sig. Germon imbianca 
la cera. Prendendo egli in mano i pani della cera, si accorse che 
molti di essi erano macchiati. Le macchie erano di colore uniforme, 
rossastro o brunastro , tutte occupavano il fondo di piccole cavità 
situate alla superficie dei pani. Era però naturale il pensare che fos- 
sero state prodotte da un poco d’ acqua colorata che avesse soggior- 
nato nelle cavità suddette , e di fatto alquante di esse contenevano 
ancora dell’ acqua , il colore della quale non differiva da quello delle 
macchie. 

Il giorno seguente nuovi pani di cera furono esposti sul prato. 
Nella notte piovve per alcuni istanti , due ore circa dopo la mezza 
notte , essendo il tempo in una calma quasi perfetta. Il Sig. Germon, 
alzandosi , trovò di nuovo i suoi pani moltissimo macchiati. Le mac- 
chie erano in maggior numero e più distinte che quelle del giorno 
avanti, ma dello stesso colore. 1l Sig. Germon seppe che il Sig. Bre- 
hamel , suo vicino , ì signori Baulu e baron Boidron , li stabilimenti 
dei quali sono al nord della città , alla distanza di più d’ una lega 
dal Loiret , e, cosa che sembrerà più sorprendente , gl’ imbiancatori 
di Versailles veddero tutti questo singolar fenomeno nel giorno stesso. 
La materia di cui erano imbrattati i pani di cera del Sig. Germon , 
separata dai pani stessi lavando questi con acqua fredda , è stata sot- 
toposta all’ analisi chimica dal sig. Faugeron, che l’ha trovata compo- 
sta di 

Ossido di ferro ; 
Silice ; 
Allumina ; 
Calce ; 
i Acido carbonico. 
Egli vi ha cercato in vano il cromio ed il nichel. 


143 

Il Sig. Fougeron domanda a sè stesso se quella materia non po- 
trebbe essere della polvere delle rocce ocracee di Vierzon, che un 
vortice di vento avesse trasportata nelle alte regioni dell’ atmosfera ; 
ma allora, soggiugne egli, come mai lo stesso fenomeno sì è egli 
rinnuovato due giorni di seguito , ed a distanze così grandi ? 

Il Sig. de Tristan ha trovato nel suo giornale meteorologico che 
il dì primo d’ ottobre vi era vicino ad Orleans un vento di terra che 
veniva dal nord-est , ed un vento superiore che trasportava dei vapori 
densi dal sud o dal sud-est al nord. Il dì due il vento era del sud. 


(Ivi pag. 417.) 
Fisica e Chimica 


Fra le carte del conte Morozzo, morto nel luglio 1804, è stata 
trovata una nota, che egli doveva leggere in quello stesso mese all’Ac- 
cademia delle scienze di Turino;nota rimasta fin qui sconosciuta, pre- 
sentata all’ Accademia suddetta dal conte Balbo nell’adunanza del 21 
gennaio 1831, e dalla quale risulta che Morozzo aveva fatta venti anni 
prima di Oerstedt la scoperta della relazione che è fra il magnetismo 
ed il galvanismo. Ecco alcuni passi di questa nota. 

“ Negli ultimi giorni di dicembre (1803) mi venne l’ idea di ten- 
33 tare un esperienza affatto nuova, cioè di tentare se per mezzo della 
3: pila galvanica io potessi giugnere a comunicare la virtù magnetica 
3 a degli aghi, nel modo stesso che si può darla ad essi per. mezzo 
5 della macchina elettrica (lo aveva già osservato il Beccaria). Ho 
35 dunque formato la pila di 36 dischi d’argento ed altrettanti di zinco. 
33 Ho posto un ago d’ acciaio; appuntato da ambedue le estremità , 
sopra una sottile lastra di rame , la quale era attaccata al disco di 
3» zinco inferiore, che formava la base della colonna ; l’ ago era posto 
» nella direzione del meridiano ; quindi ho posta un estremità dell’arco 
3; conduttore sul disco d’ argento che era all’ estremità della pila, e 
3, coll’ altra ho toccato la punta nord dell’ ago; in seguito ho messa 
33 di nuovo la palla del conduttore sullo stesso disco superiore d’ ar- 
» gento, e coll’ altra estremità del conduttore ho toccato |’ ago nella 
»» punta sud. Questa operazione non durò che un mezzo minuto ,,. 
(L’ ago fu calamitato , sì dirigeva ai due poli, attirava la limatura di 
ferro , ec.). ‘“ Aghi più grossi furono calamitati egualmente. Son giunto 
», a calamitare degli aghi senza servirmi dell’ arco conduttore, e po- 
> nendo semplicemente l’ ago sopra una lastra di zinco. Con due pile 
33 di 3o. dischi, avendo posta una piccola barra d’ acciaio di due linee 
in quadrato colla lastra d’ argento della seconda colonna, avendo 
fatto comunicare dalla base zinco della prima pila un filo di ferro 


29 
33 
3; che toccava la punta della barra, questa fu in egual modo forte- 
;; mente calamitata, e sospesa liberamente si diresse verso i poli. Dun- 
que il fluido galvanico, alla maniera dell’ elettrico, ha la proprietà 


di comunicare agli aghi la virtù magnetica della polarità ,,. Dopo 


25 


23 


I 44 
aver poste altre questioni da risolvere , il conte Morozzo, che ammet- 
teva }’ identità dei due flnidi magnetico ed elettrico, insisteva sopra 
quel grande assioma che #on si devono moltiplicare le cause senza ne- 


cessità. (Ivi pag. 308.) 


Il Sig. Bigeon , che ha intrapreso una serie d’esperienze galvano- 
metriche , dirette principalmente ad investigare l’influenza che varie 
circostanze esercitano sulla trasmissione dell’elettricità , è stato per 
esse condotto a riconoscere che v’influiscono , in fra le altre , 1.° lo 
stato della superficie delle lastre metalliche , per le quali l’elettri- 
cità voltaica è trasmessa più facilmente se la loro superficie sia rigata, 
spulita , o scabra , di quello che se sia piana e liscia ; nel che 1’ au- 
tore scorge una nuova analogia fra i fenomeni dell’ elettricità e quelli 
del calorico ; 2." influisce l’inclinazione delle lastre metalliche immerse 
nei varii liquidi. In un numero notabile d’ esperienze nelle quali le 
lastre sono state successivamente , una rispetto all’altra, parallele, in- 
clinate a 45 gradi, e perpendicolari, la media degli effetti ottenuti è rap- 
| presentata dai seguenti numeri : per le lame parallele , 203; per quelle 
inclinate a 45 gradi, 195 ; per le perpendicolari 188. L’ effetto dimi- 
nuisce dunque coll’inclinazione, come nella trasmissione della luce 
e del calore , ma secondo una legge diversa; 3.° influisce l’ estensione 
della superficie delle lame immerse. L’autore in queste esperienze 
immergeva , una volta egualmente , e molte volte inegualmente , nel 
liquido le due lastre metalliche , distanti fra loro 9 linee , e così tal- 
volta più profondamente il rame che lo zinco, tal’ altra più lo zinco 
che il rame. Egli ha verificato che ha molto maggior influenza sul- 
l’ effetto prodotto la superficie del rame che quella dello zinco , sic- 
come aveva annunziato il professore Marianini, ma avverte che sareb- 
be una erronea applicazione di questo risultato il diminuire nella 
costruzione delle pile la quantità dello zinco. Cresce per altro 
l’ influenza di quest’ ultimo metallo quando la distanza che separa le 
due lastre è piccolissima. Il massimo effetto ha luogo quando la su- 
perficie del rame è eguale o quasi eguale a quella dello zinco , ed i 
risultati delle esperienze conducono a pensare che la superficie dello 
zinco , grande o piccola , tramandando quasi per irraggiamento tutta 
o quasi tutta la quantità di fluido positivo prodotto , la più grande 
quantità di questo sia trasmessa quando ciascuno dei punti dello zinco 
che emette il fluido elettrico trova a piccola distanza una superficie 
di rame che gli corrisponda per assorbirlo ; 4.° finalmente influisce 
nella trasmissione dell’ elettricità voltaica la distanza dei conduttori 
immersi, l’effetto essendo tanto maggiore ‘quanto è minore la di- 
stanza. 

Esaminando comparativamente il potere elettromotore di varii 
liquidi , il Sig- Bigeon ha ottenuto i seguenti risultati : 1.° Acqua 
1 in volume d’ acido solforico ; forza media 106 , sprigionamento con 
siderabile di gas idrogeno sopra lo zinco, che si discioglie rapidamente. 


145 
2.° Acqua e 4 d’acido idroclorico del commercio; forza media 58, azio- 
ne sopra lo zinco simile a quella dell’ acido solforico . 3.° Acqua e £ 
d’ acido nitrico; forza media 106, lo zinco è pochissimo alterato . 
I 


4.° Acqua, { d’acido nitrico, e £ d’ acido idroclorico ; forza me- 


dia 59, non si sprigiona idrogene sopra lo zinco. 6.° Acqua, è d'acido, 
nitrico, e { d’acido solforico ; forza media 120, debolissimo sprigio- 
namento d’idrogene sopra lo zinco. 

È degna d’ attenzione la proprietà dell’ acido nitrico d’arrestare 
l’azione dissolvente, degli acidi solforico ed idroclorico sopra lo zin- 
co: egli possiede questa proprietà ad un alto grado. Un azione di 
otto ore della mescolanza di n.° 1. sopra una coppia voltaica aveva 
completamente disciolto lo zinco , mentre un azione d’egual durata 
della mescolanza di n.°.6 sopra una coppia simile non ne aveva di- 


sciolto la metà ( Annal. de chimie et de phys. janvier 1831, pag. 80. ). 


Dopo che il Sig. Becquerel è giunto ad imitare la. natura. nel- 
l'operare la cristallizazione d’ alcuni ossidi metallici, mediante l’azio- 
ne dell’ elettricità di. piccola tensione , il sig. Ha/dat , ha potuto 
con un altro mezzo produrre delle cristallizzazioni d’o:sido di ferro 
simili a quelle dell’ isola dell’ Elba e di Framont. Questo. mezzo è 
quello stesso che s’ impieza nelle lezioni. di chimica per dimostrare la 
scomposizione dell’ acqua. La sola differenza, è questa, che in vece 
di fare uso, come comunemente si suole , di tornitura di ferro, o dei 
trucioli che si distaccano da questo metallo nel tornirlo , il Sig. Hal- 
dat impiega delle lamine di ferro dolce , le quali prepara appianando 
sotto il martello dei. fili di ferro del diametro di due o tre. millimetri. 
Egli forma con un certo numero di queste lamine un fascetto., legato 
alle due estremità e nel mezzo , ed attaccato ad un filo dello stesso 
metallo , destinato a tirarlo fuori dal tubo o dalla canna nella quale 
l° include. Sulla superficie di queste lamine si formano. i cristalli d’ os- 
sido di ferro. Essi sono tanto più sviluppati quanto più si prolunga il 
passaggio del vapor d’ acqua sopra il fascetto delle lamine infuocate. 
Fra quelli ottenuti dall’ autore , alcuni giungevano a due e tre milli- 
metri. Per ottenerlì di queste dimensioni , bisogna impiegare lamine 
di filo alquanto grosso , o anche striscie di lamiera pen pulite. Que- 
sti cristalli, che anche ad occhio nudo compariscono molto lucidi, ve- 
duti. col. microscopio  rassomigliano. perfettamente quelli dell’ isola 
dell” Elba o di Tramont quando hanno tutta la loro freschezza. Sono 
generalmente dei romboedri che si cuoprono scambievolmente., come 
si osserva in certi gruppi di ferro oligisto dei. paesi nominati; splen- 
dono egualmente ; offrono, li stessi colori, e rassomigliano ad essi 
quanto i prodotti dell’ arte possono rassomigliare a quelli della natura. 

L’autore volle tentare se , sostituendo lo zinco al ferro per ope- 
rare la scomposizione dell’ acqua collo stesso apparato, potrebbe otte- 
nere l’ ossido di zinco cristallizzato , e l’effetto corrispose, alla sua 


T. I Marzo 19 


146 
espettativa. La maggior fusibilità dello zinco richiede qualche riguardo 
nell’applicazione del calore. Si ottiene l’ossido di zinco in due stati 
diversi: una parte in globuli senza forma determinata, l’altra in la- 
mine coperte di cristalli di color di miele quasi trasparenti ; di forma 


romboidale (Ivi pag. 70). 


Nell’ esaminare una specie di ferro notabile per un estrema doci- 
lità , il sig. Sefstrom, direttore della scuola di miniere di Fahlun, vi 
ha riconosciuta la presenza d’ una sostanza le proprietà della quale 
differiscono da quelle di tutti i corpi conosciuti fin qui, ma che sì 
trova in quel ferro in così piccola proporzione , che sarebbe bisognato 
molto tempo e spesa per ricavarne la quantità necessaria a farne un 
esame compiuto. Questo ferro proveniva da una miniera di Taberg, la 
quale pure non contiene che alcune tracce del corpo di cui sì tratta. 
11 sig. Sefstròm avendo riconosciuto che il ferraccio, o il prodotto della 
prima ‘fusione del minerale , ne conteneva una ‘proporzione alquanto 
maggiore ché il ferro che se ne estrae, suppose che le scorie formatesi 
nella conversione del ferraccio in ferro ne conterrebbero di più : que- 
sta congettura è stata confermata dall’ esperienza , ed il sig. Sefstròm 
avendo così potuto procurarsi una quantità della nuova sostanza che 
potesse bastare ad imprenderne lo studio, è venuto da me nelle va- 
canze del natale per terminare le sue ricerche relative. Non abbiamo 
ancora fissato definitivamente il nome di questa sostanza; la chiamia- 
mo provvisoriamente Vanadio da Vanadis, nome d’una divinità scan- 
dinava. 

Il vanadio forma coll’ ossigene un acido ed un ossido. L’ acido è 
rosso; polverulento , fusibile, e si rappiglia in massa per il raffredda- 
mento ; è un poco solubile nell’ acqua, arrossa la laccamuffa ((tourne- 
sol), dà dei sali neutrì gialli, e dei bi-sali aranciati. Le sue combi- 
nazioni cogli acidi o colle basi, in dissoluzione nell’ acqua, godono 
della singolar proprietà di perdere spesso ad un tratto il loro colore, 
quale non riprendono che al momento in cui ripassano allo stato so- 
lido; allora ridisciogliendole , conservano il loro colore. Questo feno- 
meno mostra qualche analogia coi due stati distinti dell’ acido fosfo- 
rico e dei fosfati. 

Il gas idrogene riduce allo stato metallico 1’ acido vadanico ‘alla 
temperatura dell’incandescènza ; resta una massa coerente, dotata d’una 
debole lucentezza metallica , e che conduce bene 1’ elettricità. Tutta 
via non è ancora certo che questa sia una riduzione completa. 

Il vanadio così ottenuto non si combina col solfo, nemmeno in- 
fuocandolo a rosso in un'atmosfera formata dal vapore del solfo stesso. 

L’ ossido di vanadio è bruno quasi nero , e si scioglie facilmente 
negli acidi. I suoi sali sono ‘id’ un color bruno cupissimo, ma versan- 
dovi sopra un poco d’ acido nitrico , si manifesta un effervescenza, ed 
il colore diviene turchino bellissimo. 

L’ idrogene solforato ed anche l’ acido solforoso riducono 1’ acido 


I47 
vanadico , allorchè è combinato ad un altro acido, in quella stessa 
materia turchina , la quale sembra non essere altra cosa che un com- 
posto d’ acido vanadico e d’ ossido di vanadio; analogo a quelli che 
formano il tungsteno, il moliddeno, l’iridio, e 1’ osmio. L’ acido e 
l’ ossido vanadico formano in oltre delle combinazioni verdi, gialle , o 
rossastre , tutte solubili nell’ acqua , senza il soccorso di verun altro 
acido. 

L’ ossido di vanadio, purchè sia stato prodotto per via umida, è 
solubile nell’ acqua e negli alcali. La presenza d’ un sale nell’ acqua 
rende impossibile la sua dissoluzione , e questa osservazione può sug- 
gerire un processo per precipitarlo. 

I vanadati disciolti nell’ acqua sono scomposti dall’ idrogene sol- 
forato , che li trasforma in solfosali d’un bel color rosso. 

Il clorido vanadico è un liquido senza colore, volatilissimo , che 
spande nell’ aria un vapor rosso denso. Il fluorido è talvolta rosso , 
talvolta senza colore, ma sempre fisso. Sotto 1’ azione della fiamma 
avvivata dal soffio, il vanadio colora i flussi in un bel verde come il 
cromio. 7 
La memoria che è per pubblicare il sig. Sefstròm presenterà una 
storia più completa di questa sostanza. ( Annal. de chim. et de phys. 
ottobre 1830, pag. 332). 


Il sig. De Humboldt ha presentato alla Società di farmacia di Pa- 
rigi alcuni saggi di vanadio, ricavato da un minerale piombifero di 
Zimampas nel Messico. Questo minerale essendo stato analizzato al- 
cuni anni addietro dal sig. Del Rio , professore alla scuola delle mi- 
niere di Messico , questo chimico ne ricavò un metallo che egli credè 
nuovo, e che indicò col nome di eritronio. Un saggio di questa ma- 
teria fu inviato al sig. Descotil , il quale dichiarò che esso non era 
se non del cromio impuro; l’opinione di questo dotto prevalse al- 
lora all’annunzio del professore Del Rio. Ma dopo la scoperta del 
Vanadio , il sig. Whoeler avendo esaminato di nuovo il minerale di 
Zimampas , riconobbe che il metallo scoperto dal'sig. Del Rio era real- 
mente del Vanadio (Journ. de pharm. avril 1831:, pag. 218). 


Esaminando diligentemente diverse acque minerali salate, che si 
trovano in Inghilterra, il prof. Daubeny ha trovato in alcune del bro- 
mo e dell’ iodio. Dopo aver concentrato fortemente queste acque per 
mezzo dell’ ebollizione, egli si è servito dell’ amido per scuoprire l’io- 
dio, e per riconoscere la presenza del bromo ha praticato il processo 
del sig. Balard, facendo evaporar l' acqua dopo avervi introdotto un 
poco di calce viva, feltrando, quindi aggiungendo del cloro finchè si 
sviluppi un color giallastro, poi separando il bromo dal liquido per 
mezzo dell’ etere, e trattando in seguito l’ etere colla soda pura. Pre- 
cipita poi la soluzione dei sali di bromo col nitrato d’argento, ed ot- 


148 
tiene il bromuro di questo metallo, che in 100 grani ne contiene 41,1 
di bromo. 

La presenza di questi due corpi in acque minerali commendate dai 
medici ispira molto interesse, a motivo dell’ azione notabile che 1’ io- 
dio ed il bromo esercitano sull’ animale economia. (Bibl. Univ. janv. 
1831, pag. 111). i 


Lettera del sig. dott. Anronro Fasroni d’Arezzo al prof. GazzerI. 


Arezzo 15 Aprile 1831. 


Una bottiglia di acqua-madre delle saline di Volterra, che ho po- 
tuto avere a mia disposizione, mi ha messo in grado di assicurarmi 
che vi esistono insieme l’iodio ed il bromo : ed .in seguito ho verifi- 
cato che il bromo almeno trovasi nel bel sale bianco da cucina di cni 
quelle saline fonniscono abbondantemente la Toscana. 

Riserbando alle venture pubblicazioni dell’ Antologia dettagli più 
estesi su tal proposito , vi prego , sig. prof., = volere inserire questo 
annunzio nel fascicolo del giornale che stà a momenti per uscire alla 
luce , accompagnandolo. con la descrizione dell’ esperimento seguente 
in prova della mia asserzione. 

L’ acqua-madre delle saline si evapori finchè segni da 25 a 28 del- 
l’areometro di Baumé. Postane una porzione in un bicchiere con poco 
amido in polvere, vi si affonda dell’ acido solforico concentrato, e in 
eccesso. Si vedrà subito il miscuglio assumere una di quelle tinte 
nella scala dei blù, che. 1’ iodio comunica alla fecnla amilacea. Ag- 
giungete allora del clornro di calce parimente in polvere , e dietro la 
produzione del cloro osserverete generarsi la tinta aranciata che an- 
nunzia il bromo. 

Per agire sul sale da cucina bisogna scioglierne per es. una libbra 
nella minima quantità possibile di acqua bollente ; svaporare molto la 
soluzione, e decantare lo scarso fluido che sarà avanzato alla cristal- 
lizzazione del sale. L’ impiego dell’acido solforico , del cloruro di calce 
e dell’ amido come sopra; dimostrerà in questa soluzione la presenza 
del bromo fuori di ogni dubbiezza, sebbene meno pronunziata che 
nell’acqua-madre delle saline. 

Al buon resultato di tali saggi è necessario che 1’ amido si adopri 
in tenue dose affinchè la tinta si ottenga più intensa: e che l’acido 
solforico sia bastante a saturare tutta la calce del cloruro, la quale 
diversamente s’ impadronirebbe dell’ iodio e del bromo a misura del 
loro sviluppo, ed impedirebbe la colorazione dell’ amido. 


Un tintore di Parigi avendo presentato al sig. Robiguet del panno 
di lana tinto in color grigio celeste solidissimo, e capace di resistere 
all’azione di qualunque agente chimico , e perfino al cloro più con- 


| 149 
centrato , ed avemdoglì esternato un vivissimo desiderio di poter an- 
ch'egli eseguìre un simil colore , per il che erano riusciti vani tutti i 
tentativi fino allora da lui fatti , il sig. Robiquet, dopo aver verificato 
l'assoluta inalterabilità di quel colore ; lo sospettò prodotto da materie 
di natura metallica, Fra le quali gli sovvenne che il cloruro d’argento 
prende, allorchè sia esposto alla luce, un colore simile a quello che sì 
voleva imitare. Per verificare se questa fosse la materia con cui quel 
colore era stato prodotto , immerse il panno tinto nell’ammoniaca con- 
centrata, la quale discioglie il cloruro ‘d’ argento, ma il colore in 
vece si avvivò, ed il liquido in cui il panno era stato immerso non 
mostrò la minima traccia di quel cloruro. Allora egli ridusse in cenere 
in un crogiuolo di platino un pezzo alquanto grande del panno che 
andava esplorando , e, versata sopra la cenere dell’ammoniaca , rico- 
nobbe che questa aveva disciolto una quantità notabile di cloruro 
d’argento , che egli ne potè facilmente precipitare per mezzo del- 
l’ acido nitrico. Anche una lama di rame immersa nella dissoluzione 
ammoniacale si ricuopriva d’ uno strato d’ argento metallico. Ricono- 
sciuto il mezzo per cuì quel panno era stato tinto , il sig. Robiquet 
intraprese a tingere dello stesso colore altro panno. A quest’ effetto , 
disciolto nell’ acqua pura del nitrato d’ argento fuso , ed allungata la 
soluzione con maggiore o minore quantità d’ acqua , secondo l’inten- 
sità del colore che voleva ottenere , impregnava di essa colla mag- 
giore uniformità possibile la superficie da tingersi., e dopo averla la- 
sciata seccare, immergeva tutto il panno nella soluzione d’idroclorato, 
o anche in un bagno di cloruro di calce, ed appena estrattolo dal 
bagno , esponeva alla viva luce la superficie rivestita di cloruro d’ar- 
gento , sulla quale si vedeva tosto cominciare a svilupparsi il colore, 
che non tardava a giungere alla sua maggiore intensità. Il tintore , a 
cui il sig. Robiquet fece conoscere i risultati ottenuti, ne fu sodisfat- 
tissimo. Per altro, imprendendo ad eseguire l’operazione in grande, fu 
arrestato da una circostanza inerente alla località della sua fabbrica, 
nella quale gli era impossibile di esporre alla luce nello stesso mo- 
mento tutta la superficie d’ una pezza di panno, condizione indispen- 
sabile per ottenere sopra tutta la superficie di essa un colore uniforme 
(Iourn. de pharm. mars 1831, pag. 162). 


Alcune esperienze del professor Fischer di Breslavia hanno dimo- 
strato che i sali di protossido di mercurio formano colla dissoluzione 
d’oro un composto analogo al precipitato color di porpora che pro- 
duce la mescolanza di questa stessa dissoluzione col protoidroclorato 
di stagno. Quando si versa del protonitrato di mercurio nella disso- 
luzione d’oro, sì ottiene un precipitato celeste-grigio , il colore del 
quale è più o meno intenso, secondo la. proporzione dei sali. Questo 
precipitato è un composto di deutossido di mercurio e di sottossido 
d’oro. La combinazione è tanto intima quanto nel precipitato cono- 
sciuto sotto il nome di porpora di Cassio ; 1° acido idroclorico non lo 


150 
scompone. Quest’ acido non discioglie che una piccola porzione di mer- 
curio, ed allora il colore passa al grigio-chiaro bianco (Ivi pag. 175). 


Per preparare la porpora di Cassio, lo stesso sig. Fischer prefèrisce 
il protonitrato di stagno agli altri sali, e soprattutto all’idroclorato. 
In effetto il protonitrato dà un bel precipitato color di porpora, qua- 
lunque sia il grado di concentrazione della soluzione d’oro. L’ idro- 
clorato di stagno non produce lo stesso risultato , se non quando il 
liquido è sufficientemente allungato (vi). 


Lo stesso professor Fischer aveva già dimostrato che i sali di pro- 
tossido di stagno davano colla dissoluzione d’argento un precipitato si- 
mile a quello che si ottiene colla dissoluzione d’oro, e.che quelle di pla- 
tino, di palladio , e di tellurio presentavano lo stesso fenomeno. In 
seguito Frick ha dato un buon processo per ottenere questo precipi- 
tato coll’ argento. Questo processo facile consiste nel preparare del 
protonitrato di stagno ben puro, e dopo aver fatto reagire la 
dissoluzione di stagno su quella d’argento, aggiugnere dell’ acido 
solforico allungato. Quest’aggiunta serve probabilmente ad impedire 
che l’acido nitrico libero non faccia passar lo stagno ad un grado 
d’ossidazione più avànzato, e non scomponga così il precipitato ot- 
tenuto. Fischer preferiva l’ammoniaca per l’oggetto stesso, ma impie- 
gandola bisogna evitare di mettere un eccesso di sale di stagno. Lo 
stesso chimico consiglia di preparare il protonitrato di stagno desti- 
nato a quest’ operazione, decomponendo l’idroclorato di protossido col 
nitrato di pinmbo. Nel precipitato color di porpora formato coll’argento 
la combinazione è tanto intima quanto in quello di Cassio: nè l’acido 
idroclorico nè 1’ ammoniaca lo scompongono (Ivi). 


Il sig. Saladin, farmacista a Orléans , da alcune sue ricerche ha 
creduto poter concludere che la fosforescenza in certi corpi, come l’osso 
di seppia, i legni che marciscono , ed altri, sia prodotta da una pic- 
cola quantità dì fosforo , proveniente dalla reazione delle materie or- 
ganiche sui fosfati , e che si unisce coll’idrogene allo stato nascente. 
Quest’azione , che egli paragona a quella dei solfati posti in circo- 
stanze simili, ha condotto l’autore a diverse osservazioni, e partico- 
larmente a questa, che la fosforescenza (indipendente dalla presenza 
di certi insetti) diminuisce colla proporzione dei fosfati. L’autore pro- 
mette di dare delle prove dirette di ciò che annunzia , e d’ estendere 
le vedute stesse ad altri sali (/vi). 


In varie acque minerali, specialmente solforose, s’ incontrano di- 
verse forme d’una materia particolare, alla quale sono stati dati i nomi 
di materia vegeto-animale, di materia organica, di sostanza gelatinosa, 
di zoogene , di globulina , ec. Fra le acque che la presentano sono 
principalmente quelle di Vichy, Barèges, Plombieres, Enghien , Aix- 


1I5I 


la-Chapelle. Vauquelin assomigliò tali materie all’albumina ; Longchamp 
ha dato ad esse un nome derivato da quello delle respettive sorgen- 
ti, come Baregina, ec. Anglada nella sua dissertazione sulle acque 
solforose dei Pirenei orientali 1’ ha studiata particolarmente, e le ha 
dato il nome di g/airina. Ora si mostra bianca , ora grigiastra , ora 
bruna, ora verde, ora rossastra, in filamenti, in membrane, in masse 
spongiose stalattiformi, ma più comunemente in forma d° una materia 
iuccosa 0 viscosa ; in alcune acque abbondantissima, in altre in pic- 
cola quantità e disciolta, se ne separa in gran parte per l’ azione del 
calorico , dell’aria, ec., e lascia precipitare dei fiocchi membranosi in 
seno dell’acqua stessa, o sulle pareti delle scaturigini o sorgenti, spe- 
cialmente là ove queste bollono. Sembra che il solfo sia uno dei suoi 
componenti; contiene dell’ azoto, ma un poco meno che l’ albumina. 
(Journ. de pharm. fevrier 1831, pag. 61.) 


Il sig. Séru/las, in una sua memoria letta alcuni mesi addietro al- 
1° Accademia delle scienze di Parigi, aveva fatto conoscere alcune pro- 
prietà notabilissime e fino allora ignote dell’ acido clorico, e special- 
mente la sua azione sull’alcool, che trasforma immediatamente in acido 
acetico, e quella che esercita sulle materie organiche secche, delle 
quali opera una violenta combustione. 

Pensando egli che avrebbe potuto insorgere il dubbio che un modo 
speciale di preparazione avesse dato all’ acido da lui impiegato nelle 
sue esperienze le nuove proprietà riconosciute in esso, lo esaminò 
comparativamente a dell’ acido clorico preparato per i due mezzi co- 
nosciuti , e trovò che l’acido è identico, sia che si ottenga per mezzo 
del clorato di barite e dell’ acido solforico, o per qualunque altro 
mezzo , sia che si evapori a fuoco nudo e senza gran riguardo, o al 
dolce calore d’una stufa, o nel vuoto della macchina pneumatica. Al- 
lorchè si concentra, si colora in giallo , prende l’ odore dell’acido ni- 
trico, e gode , in questo stato, delle proprietà sopra esposte; ma ve 
n’è un altra importantissima che l’autore non aveva ancora osservata. 

Si è detto fin qui che distillando 1’ acido clorico una parte di 
esso sì volatilizza, mentre un altra si scompone in cloro ed ossigene. 
Ora il sig. Serullas ha scoperto che questo cambiamento ha luogo sol- 
tanto sopra una porzione dell’ acido clorico , del quale un terzo ‘circa 
si converte in acido perclorico. 


Se si fa bollire dell’ acido clorico in una storta , passata alla di- 
stillazione la parte acquosa, succede ad essa un liquido senza colore, 
alquanto denso, che aderisce alle pareti della storta, ma che, scaldando 
fortemente questa su tutti i punti della pancia fino al fine dell’ ope- 
razione , si fa passare nel recipiente. Questo liquido è acido perclorico, 
‘il quale, sebbene concentrato, non infiamma la carta, come fa l’ acido 
clorico, ma dà ad essa carta la proprietà di gettare delle vive scin- 
tille, con un crepitare violento , e spesso anche con detonazione. 


152 

L’ acido percloricòo ottennto così per distillazione ha da primo vin 
leggiero color di rosa, che probabilmente dipende da un poco di man- 
ganesato di potassa contenuto nel clorato di potassa impiegato; ma 
concentrandolo per mezzo del calore in un piccolo vaso evaporatorio; 
diviene affatto privo di colore. Per assicurarsi della purità dell’ acido 
perelorico ; si può sottoporlo ad una seconda distillazione. 

Questo processo del sig. Sérullas. per la preparazione dell’ acido 
perclorico è facilissimo, mentre quello del sig. conte Stadion è lungo, 
complicato , e d’ una esecuzione molto pericolosa, per lo che un tale 
acido era rimasto poco conosciuto. ( Annal. de chim. et de phys. nov. 
1830 , pag. 270.) 


Fino dal 1825 i sigg. Henry figlio e Garot avevano. annunziato 
1’ esistenza d’ un nuovo acido nell’ olio fisso di senapa bianca, a cui 
avevano dato il nome d' acido solfosenapico. Il sig. Pelouze avendo 
recentemente concluso da alcune sue esperienze che in vece del sup- 
posto acido solfosenapico l’olio fisso di senapa contiene del solfocia- 
nuro di calcio , i primi due chimici hanno intrapreso nuove e più di- 
ligenti ricerche intorno al soggetto stesso, per le quali sono stati 
condotti a riconoscere che il seme di senapa bianca contiene una so- 
stanza particolare cristallizzabile, che essi chiamano so/fosenapina , for- 
mata dagli elementi del solfocianogene,, e d’una materia organica pro- 
pria a sviluppare l’olio volatile di senapa ; che questa sostanza che essi 
avevano presa erroneamente per un acido (solfosenapico ) è neutra, 
ma capace, sotto l’ influenza di certi acidi, di trasformarsi in tutto o 
in parte in acido solfocianico, o libero , o combinato, ed in olio vo- 
latile di senapa; che non preesiste nel seme di senapa il solfocianuro 
di calcio, come aveva asserito il sig. Pelouze,.e che la formazione 
dell’ acido isolfocianico , che lo stesso sig. Pelouze ha ottenuto, è do- 
vuta all’ azione dell’acido solforico da lui impiegato. (Journ. de pharm. 
fevrier 1831.) 


Il sig. Wittstock di Berlino ha ricavato dalla radice di colombo 
una materia cristallina particolare , alla quale ha dato il nome di co- 
lombina. Essa è senza odore, estremamente amara, non alcalina nè 
acida ; 1’ alcool bollente ne scioglie un trentesimo; 1’ acqua , 1’ alcool 
e l’etere non ne disciolgono che pochissima a freddo; pure tali solu- 
zioni sono molto amare; anche gli olii volatili e gli alcali la disciol- 
gono ; gli acidi la precipitano da queste soluzioni. L” acido nitrico a 
1,250 non ha azione sopra di essa alla temperatura ordinaria, ma la 
discioglie con sprigionamento di vapori rossi poco intensi se sia riscal- 
dato ; l’ acqua la precipita in parte. Il miglior dissolvente è 1’ acido 
acetico che ne discioglie quanta l’alcool bollente ; per raffreddamento 
si separa in cristalli regolari. Questa soluzione è acida, e d’ un’ ama- 
rezza insopportabile. L’ acido acetico serve anche a separare questa 
nuova sostanza dalla materia grassa e dalla cera che l’alterano. L’acido 


153 
idroclorico ha poca azione sopra di essa. Il solforico concentrato la co- 
lora prima in giallo aranciato , poi in rosso cupo ; l’acqua la precipita 
in color di ruggine chiaro. Si liquefa al fuoco come la cera, poi si 
scompone, dando i prodotti delle materie vegetabili senza ammoniaca, 
brucia senza lasciar residuo , ma dà «tel vapore fuliginoso. Le soluzioni 
alcoolica e acetica non son turbate dal nitrato d’argento, nè dall’ace- 
tato di piombo , nè da altri sali metallici, nè dalla tintura di galla. Il 
sapore eccessivamente amaro di questa sostanza porta ad attribuirle 
l’azione medicinale della radice da cui si estrae. L’ autore insegna per 
estrarla il seguente processo : si tratta la radice a più riprese con al- 
cool a 0,833 (37 a 38 gradi centesimali), si distilla a bagno-maria 
fino a riduzione d’ un terzo , o d’ un quarto , poi si abbandona il re- 
siduo a sè stesso per alcuni giorni; si riuniscono i cristalli che si sono 
depositati, si lavano, e si fanno bollire con un poco d’ alcool e di 
carbone animale, con che si ottengono puri. Si possono ricavare altri 
cristalli dall’ acqua-madre. A quest’ oggetto si evapora a secchezza. a 
bagno-maria , dopo avervi aggiunto del carbone animale; 1’ estratto 
ridotto in polvere si tratta più volte con etere (a 0,725) si distillano 
i liquidi eterei, e si abbandona il residuo ad una evaporazione spon- 
tanea. La cera , la materia grassa, e la colombina si depositano a poco 
a poco , e si separa l’ultima trattando la mescolanza a caldo coll’acido | 
acetico, Si ha una dramma di colombina da 16 once di radice. (Ivi) 


Nel semen contra è stata trovata dal sig. Kahler, farmacista a Dus- 
seldorf, una nuova sostanza che egli ne ha estratta col seguente pro- 
cesso. Egli ha trattato una libbra dì quel seme coll’ etere fintantochè 
questo cessasse quasi affatto di colorarsi, e posta la tintura eterea in 
una storta tubulata, distillò 1’ etere col calore d’ una lampada a spi- 
rito di vino. Il residuo aveva uma consistenza oleaginosa. 

Il giorno dopo egli trovò il fondo e le pareti della storta coperti 
di piccoli cristalli che fece disciogliere a caldo nell’ etere, da cui si 
depositarono di nuovo per raffreddamento. Evaporato a calor blando 
1° etere, che sopranuotava, ridisciolse tutti i cristalli coll? alcool caldo 
del peso specifico di 0,896, a cui aveva aggiunto un poco d’ acido 
idroclorico. I cristalli furono disciolti prima che 1’ alcool entrasse in 
ebollizione , e la cristallizzazione sì operò. dopo che il liquido fu ri- 
masto abbandonato a sè stesso per 24 are ad una temperatura di 15. 

Quei cristalli sono solubili nell’etere e nell” alcool, si combinano 
coll’ acido idroclorico , per il quale per altro mostrano un affinità de- 
bole; sono solubili nell’ ammoniaca a caldo , e quasi insolubili nel- 
l’ acqua ; son quasi affatto privi d’ odore e sapore; esposti ai raggi 
solari si colorano in giallo ; ad un alta temperatura bruciano con una 
bella fiamma. 

Il sig. Augusto Alms studente farmacia a Penzlin nel Meclenburgo 
ha fatto la stessa scoperta , senza aver cognizione del lavoro del sig. 


T.l. Marzo 20 


154 \ 
Kahler. Egli fa conoscere in una sua memoria più altre particolarità 
di questa sostanza. Le dissoluzioni alcoolica ed eterea hanno nn sapore 
amaro benché la materia sia in sè stessa insipida. Essa non è nè acida 
nè alcalina; forma alla temperatura ordinaria coll’ acido solforico con- 
centrato un liquido bruno cupo , da cui sì precipita in grossi fiocchi 
per l’aggiunta dell’ acqua. Si discioglie ad un dolce calore negli acidi 
idroclorico , nitrico, ed acetico , e nell’ olio essenziale di terebintina. 
È insolubile nell'acqua, negli alcali caustici e carbonati , e negli olii 
fissi; scaldata sopra una lampada a spirito di vino, comincia da fon- 
dersi, e dà un liquido bruno oleaginoso , che per raffreddamento si 
cangia in una massa simile al succino. Continuando a scaldarla si 
scompone, lascia sprigionare dei vapori bianchi densi, e resta un poco 
di carbone. (Journ. de pharm. fevrier 1831, pag. 115.) 


Il profersor Kastner dice essere stato osservato da Duburga che il 
carbone distrugge l’amarezza della tintura di railice di genziana , men- 
tre non ha azione alcuna su quella della piccola centaurea. Quest” as- 
serzione ha impegnato il dottor. Luigi Hopff dei Due Ponti a fare 
diversi saggi sopra un numero notabile d’ estratti amari. Egli compo- 
neva i diversi liquidi da sottoporre all’ esperienza disciogliendo in cin- 
que once d’ acqua stillata venti grani di ciascuno estratto amaro , e 
li faceva digerire ad una temperatura da 20 a 24 gradi Réaumur, 
esaminandoli ogni 24 ore , sempre comparativamente a dissoluzioni si- 
mili non trattate col carbone. Impiegando carbone vegetabile , trovò 
che per esso era diminuita più o meno l’ amarezza degli estratti d’ar- 
nica , di scorza d’ arance , «lì calamo, di cardo santo, di camomilla , 
di cicoria , di fumosterno , di marrubio , di millefoglie , di rabarbaro, 
di saponaria ; e di tanaceto , mentre ha poca o niuna azione sopra gli 
estratti di assenzio , d’ aloe , di piccola centaurea, di genziana , di 
legno quassia , di trifoglio aquatico-, e di lichene islandico. Sostituen- 
do al carbone vegetabile il carbone animale purificato coll’ acido idro- 
clorico , questo, oltre i risultati prodotti dal primo , diminuì qualche 
poco l’ amarezza anche degli estratti d’aloe , di piccola centaurea , di 
legno quassia , di trifoglio aquatico , e di lichene islandico. Un grau- 
de eccesso di carbone animale agiva talmente sulla noce vomica , e 
sulla scorza di falsa angustura, che la prima perdeva interamente e 
la seconda in gran parte la sua amarezza dopo una digestione di quat- 
tro giorni. ( Sourn. de pharin. mars 1831. pag. 172.) 


Il sig. Rouchas , farmacista di prima classe al porto di Tolone , 
avendo fatto agire tre parti d’ acido nitrico sopra una parte d’ alcool 
a 38 gradi, si accorse che aggiungendo al liquido risultante della po- 
tassa, della soda, o dell’ ammoniaca, ovvero i carbonati o i sottocar- 
banati di questi alcali, vi si sviluppava un bellissimo color rosso. Va- 
riando in più modi |’ esperienza , ed impiegandovi altre sostanze, os- 


PI 


LIL) 


servò altri fatti curiosi ed importanti, dai quali egli ha dedotte le 
seguenti conclusioni: 

(.° Che l’acido nitrico, mentre reagisce sull’alcool, sullo zucchero, 
sull’amido, ec., dà origine, oltre ai prodotti già cogniti , ad una ma- 
teria colorante rossa particolare , che non contiene azoto; 

2.° Che lalcali nello sviluppo del colore non agisce in altro modo 
che neutralizzando l’ acido nitrico che esiste in eccesso nel liquido, 
e mettendo così a nudo la materia rossa; perchè una nuova quantità 
d’ acido nitrico che si aggiunga ha la proprietà di fare sparire il color 
rosso ; che può esser riprodotto per l’ aggiunta d’una nuova dose di 
materia alcalina ; 

3.° Che questo principio rosso è chimicamente composto degli stessi 
elementi che lo zucchero, l'alcool, 1’ amido, o le altre materie dalle 
quali proviene , colla sola differenza che è diminuita in esso la quan- 
tità dell’ idrogene; 

4.° Che il color rosso che si sviluppa allorchè si mescola : 1.° lo 
zucchero o la soluzione acquosa di gomma col nitrato d’ argento , 
2.° l’ acido arsenico collo zucchero; 3.° il cloro 0 il bromo colla solu- 
zione acquosa di zucchero , è identico col principio rosso che si ot- 
tiene quando si fa reagire l’acido nitrico coll’alcool, collo zucchero, ec.; 

5.° Finalmente che il nitrato d’argento , l’ acido nitrico, e l’acido 
arsenico agiscono sulle sostanze vegetabili sperimentate disidrogenan- 
dole per mezzo del loro ossigene, mentre il cloro ed il bromo operano 
questa disidrogenazione direttamente, per la grande affinità loro verso 
l’idrogene, al quale tendono ad unirsi per formare un idracido. (Jour. 
de pharm. mars 1831 , pag. 117.) 


Il sig. Trommsdorff avendo fatto bollire del sugo di barbabietola 
con una notabile quantità di carbone animale, ha trovato che il prin- 
cipio zuccherino era quasi totalmente disperso dopo l’ ebollizione , dal 
che gli sembra potersi concludere che una grande proporzione di car- 
bone animale può trasformare lo zucchero in gomma. (Férussac sc. ma- 


them. et phys. octobre 1830 , pag. 298.) 


Diversi chimici hanno riconosciuto che lo zucchero può combinarsi 
alla calce, e che esponendo all’ aria una tal dissoluzione , la super- 
ficie sì ricuopre di piccoli cristalli di carbonato di calce. Per altro si 
sono limitati ad indicare gli effetti, senza indagarne la causa, Il sig. 
Becquerel ha pensato che questo fenomeno potrebhe essere analizzato 
per mezzo dell’ azione di deboli correnti elettriche , la quale azione 
fa da qualche tempo l’oggetto speciale delle sue ingegnose ricerche: 
La sua congettura si, è confermata , ed egli è giunto ad ottenere lo 
stesso risultamento, non solo collo zucchero , ma anche colla gomma, 
che ha una composizione chimica analoga , ed ha potuto produrre im- 
mediatamente il carbonato di calce cristallizzato. Questo primo risul- 
tato è tale da impegnare a continuare le ricerche intorno alla parte 


156 
importante che l’ elettricità a piccola tensione esercita nelle reazioni 
che hanno luogo nelle sostanze organiche, e fa sperare nuovi lumi 
circa i fenomeni che avvengono nell’ atto della fermentazione. ( Le 
Temps , Iournal francais , N.° 539, avril 1831.) 


I sughi condensati provenienti dalle piante ombellifere non sono 
ancora tutti riferiti alle vere loro specie ; così é tuttora dubbio se il 
galbano sia veramente il prodotto del Bubon galbanum a cui era at- 
tribuito. Non è ancora descritta la vera pianta che produce il sagape- 
no , benchè alcuni botanici abbiano creduto che provenga dalla Fe- 
rula persica di Wildenow , la quale sembra che somministri piuttosto 
una specie d’ assa fetida. S’ ignorava fin quì da qual pianta derivi la 
gomma ammoniaca , benchè se ne fossero avuti dei semi che affidati 
alla terra hanno prodotto un heracleum, che non sembrava presentare 
le qualità di questa gomma-resina. Iacksou , nel suo Saggio sopra 
Marocco , aveva detto che il fashook di quel paese è una ferulacea 
dalla quale trasuda la gomma ammoniaca. Per altro esso è la Feru/a 
orientalis di Tournefort ‘e di Sprengel, che non ne somministra. 

Il tenente colonello Wight ha finalmente portato dalla Persia e 
dai distretti nei quali abonda questa gomma-ressina la vera pianta da 
cui essa scola per incisione. Essa è un ombellifera che appartiene al - 
l’ ordine delle peucedanee, ma che costituisce presso le Ferula un 
genere nuovo. David Don , che 1’ ha bene esaminata, le dà il nome 
di Dorema ammoniacum, e la sua descrizione sarà pubblicata nelle 
transazioni della Società linneana di Londra per l’anno 1831. (Lourn. 
de pharm. avril 1831, pag. 206.) 

G. G. 


NECROLOGIA. 


B. G. Niebuhr. 


Nella notte che venne dietro al primo giorno del corrente anno 1831, 
mancò in Bonn, per immatura morte, ai viventi quel principalissimo fiore 
lella europea letteratura Bertoldo Giorgio Niebuhr. Visse egli i primi 
anni in Maldorf, città della Ditmarscia meridionale nell’Holstein pro- 
vincia soggetta al reame di Danimarca , e nacque di quel famoso Car- 
sten Niebuhr, il quale avendo infino a’ ventun’ anni lavorata con le 
proprie mani la terra fu dal suo genio spinto a patire mille tribola - 
zioni per apprendere in Brema, in Amburgo ed in Gottinga le scienze 
matematiche, nelle quali divenuto peritissimo ebbe l’ onore di venir 
proposto all’ illustre conte di Bernstorf primo ministro del re di Da- 
uimarca per essere uno di que’ dotti che doveano far parte della sciet- 


157 
tifica spedizione in Arabia, allestita per le cure di quel ministro : e ri- 
tornato solo dalla sna faticosissima peregrinazione di quasi tutto l’Orien- 
te potè poi pubblicare le sì vantate relazioni de’suoi Viaggi in Ara- 
bia ec. e conseguire i meritati premii dalla sua corte, che nominollo 
consigliere di giustizia e cancelliere in Maldorf, quando egli volle la- 
sciare la regia città di Copenhague , posciachè vide caduto il suo pro- 
tettore conte di Bernstorf per le arti dell’ ambizioso e sventurato 
Struensee. (*) 

Pensa ognuno che un tale uomo quale sì fu Carsten Niebuhr, dove 
spendere moltissima diligenza nella educazione de’suoi figli, che fu- 
rone , Bertoldo Giorgio ed una femmina. E come quella data al nostro 
Niebuhr produsse frutti così stupendi, è pregio dell’opera il rammen- 
tare., come il padre stesso lo erudì fanciullo nelle matematiche, nella 
geometria, nella geografia , nell’arte dell’ingegner civile, nelle lingue 
moderne , ed alcunchè nella istoria dell’antichità e del medio evo. Ma 
l'educazione ricevuta in gioventù da lui Carsten Niebuhr non es- 
sendo stata delle più accurate, ben presto duvett’ egli consegnare il 
figlio ad uomini più addottrinati di se medesimo. Studiate adunque le 
antiche lingue sotto il celebre Jager, apprese il giovinetto Niebuhr le 
leggi nella Università di Kiel. E poichè la scienza delle finanze , la 
statistica , l’ economia e l’ aritmetica politica erano di buonissim’ ora 
divenute lo studio suo prediletto, avviollo il padre alla Università 
di Edimburgo, dove queste scienze erano allora in grandissimo au- 
mento , sicchè dimorando egli lungamente in Iscozia ebbe ogni agio e 
comodità di frugare e penetrare ne’ più ascosi ripostigli della politica 
e letteratura inglese, di che poi fece sua grandissima delizia per tutta 
quanta la vita, e ne stampò visibilmente l’ improata nelle immortali 
sue opere. 

Ritornato per cotal guisa in patria fornito di tante e sì variate 
cognizioni ebbe luogo a un tempo istesso trai direttori della Banca di 
Copenhague e nella R. Biblioteca come sotto bibliotecario. Venuto 
poscia ai servigi di Prussia in giorni per quel Re meno felici compiè 
con singolare destrezza una missione delicatissima e toccante alle fi- 
nanze in Olanda, onde ritornò più ricco di nuovi lumi in letteratura 
e statistica. Consigliere intimo attuale di stato, professore nella testè 
nata Università di Berlino, e membro di quella R. Accademia delle 
Scienze , alzò egli liberamente la voce contro coloro i quali volevano 
starsi sempre attaccati ai gretti e. pratici sistemi di civil reggimento , 
che più non bastavano alle mutate condizioni de’tempi e degli uomini; 
svolse nuovi ed acutissimi pensamenti intorno alla romana istoria ai 
cari suoi discepoli che gl’ impennavano le ali all’ingegno.; e mai non si 
stancò di leggere in quel venerando consesso di dottissimi uomini 
memorie piene di peregrina erudizione; niun altro sollievo dando a sì 


(*) Garsten Niebuhr morì in Maldorf nell’ anno 1815, in età di 8a anni, 
fregiato del titolo di Consigliere di stato al Re di Danimarca. 


158 

operosa vita che il famigliare consorzio de’suoi colleghi ed .amici 
un Hermann, un Savigny, Heindorf, Buttmann, Spalding e loro 
discepoli. Nè quando la Prussia, correndo gli anni 1813 e 1814, sì 
levò in armi per iscuotere il giogo straniero aveva egli poco adope- 
rato a promuoverle o sì ristette dall’affrontarne i rischj ; uno dei tanti ‘ 
che s’ erano stretti in quella sagra unione di uomini provetti e giovani 
per voler libera la patria, fu presente alla battaglia di Budissin 
( Bautzen ) così fatale alle armi prussiane , e che egli con ineffabile 
dolore soleva sempre chiamare : dies a/liensis : e sì chiuse poscia in 
Kreutzberga con lo Schleyermacher e altri, poco avanti che si com- 
battesse la giornata di Dennewitz. 

Salita che fu la Prussia, per la pace fatta, selpivi grandezza che 
mai, non crebbe onore al Niebuhr l’ esser egli venuto con soverchia 
animosità parteggiando e pungendo nel suo famoso opuscolo: Dei Di- 
ritti della Prussia contro la corte di Sassonia, e nei così detti: Fogli 
Tedeschi: da lui (?) pubblicati. Procacciogli più lode lo aver generosamen- 
te prese in un altro opuscolo le Difese delle Società segrete della Prus- 
sia ec. contro a chi le avea denunciate per lusingare que? potenti che 
volean levarsi dagli occhi un vecchio amico or fatto inutile, e che pote- 
va addivenir pericoloso tostochè lo si voleva remunerare d’ingratitudine, 
Quest'ultimo opuscolo e i suggerimenti da lui dati nei consigli del re 
rispetto ai modi del governare gli affari interni ed esterni di Prussia 
procacciarono al Niebuhr l’onorata missione a Roma di Ministro prus- 
siano: e toccava egli appena il suolo d’Italia quando scuoprì in Ve- 
rona le Instituzioni di Gaio: Immenso dono da lui fatto ai cultori della 
lingua , delle leggi, e della istoria di Roma! 

Ben ciascheduno intende senza che io lo avvisi, come , giunto alla 
città eterna, lo storico de’suoi primi secoli dovè sentirsi raddoppiare le 
forze in vedendo co’proprii occhi que’luoghi che, lontano ancora, avea 
con tanto amore tolto ad illustrare. E infatti, nei nove anni che visse 
in Roma, fa tutto inteso a proseguire le sue storiche ‘e filologiche in- 
dagini; ed ora visitando le sagre ruine del Lazio, ora frugando gli 
scaffali della Biblioteca Vaticana e di più altre , e sempre traendo in 
luce preziosissime reliquie di antichi scrittori, non solo s’infiammò più 
tanto all’amore del suo nobile scopo, ma gli crebbe mirabilmente P’ani- 
mo la sempre più fondata persuasione, che in esso aveva ingenerata il 
rinvenimento dei libri di Gaio, di Lido e della repubblica di Cice- 
rone ; la persuasione cioè che la Provvidenza avesse serbata ai nostri 
giorni la gloria di meglio investigare e conoscere la storia di Roma. 

Modesto e semplice nelle sue abitudini; se il ‘dotto ambasciatore 
indefessamente' accudì ai doveri del suo stato } é ‘mai non tralasciò di 
attentamente considerare le vicende del mondo nei giornali, dei quali 
in tutta la vita fu avido e diligentissimo leggitore, schivò mai semprè 
fare di se pomposa mostra nelle diplomatiche conversazioni; preferendo 
l’amichevole e domestico consorzio di quanti per. ingegno e per dot- 
trina egregii uomini di qualunque nazione capitassero in quella an- 


159 

tica Metropoli del moudo, e massime dei letterati e artisti prussiani , 
de’ quali in oga’ incontro fu, come dovea, parzialissimo. Ma se egli si 
studiò sempre di promuovere gli uomini per dottrina e per arte chiari 
del suo paese, come lo attesta quanto egli fece in prò dei sigg. Bun- 
sen, Cornelius e dei fratelli Schadow ec. , non obbliò di altrettanto 
operare per gli stranieri quante volte n’ebbe l’opportunità. Così aveudo 
egli conosciuto in Roma un giovinetto italiano di altissimo ingegno 
non solo tributogli i dovuti elogi nel pubblicare le scuoperte reliquie 
di Flavio Merobaude , ma 1 ebbe eziandio istantissimamente racco- 
mandato alla romana corte , della quale il giovinetto era suddito , ac- 
ciocchè secondo i meriti lo collocasse , e finalmente si offri di procu- 
rargli largo stipendio perchè si conducesse a professare le italiane let- 
tere nella università di Berlino, ove apposta per lui ne sarebbe stata le- 
vata cattedra. Nè quì parmi dover mandare in silenzio che quando il 
Niebuhr non conosceva ancora della persona questo nostro italiano , 
ma erasi preso ad ammirazion di lui che in tenerella età aveva potuto 
mandar fuori dei saggi pieni di veramente greca e romana erudi- 
zione (1) mostrò un bel giorno desiderio di vederlo e accoglierlo in 
sua casa. Il quale recatosi da lui, giovinetto com'era e di solitaria vita, 
sì smarrì alcun poco alla presenza di un tanto uomo , cui cresceva 
esterna dignità il titolo di ministro del re di Prussia. Di che accor- 
tosi, e della cagione, il Niebuhr si perdè anch’egli assaissimo e ve- 
recondia il prese della propria graudezza ; sicchè ambedue rimasero 
per qualche tempo a mirarsi l'un l’altro aspersi il volto di pudore e 
appena proferendo poche ed interrotte parole. Amabilissimo e raro 
esempio di modestia che qui mi piacque di registrare , acciocchè indi 
sì vegga quanta gentilezza d’animo dovè adornare il Niebuhr. 

Richiamato che fu dalla sua missione alla real Berlino nell’ an- 
ne 1823, e toccato per esperienza che mai non avrebbe: potuto scen- 
dere nei sensi di alcuni degli uomini che sedevano al governo dello 
stato e nei consigli del re, si propose egli di serbar sì il proprio grado 
di consigliere di stato, ma di recarsi a vivere più confaciente e tran- 
quilla vita nella lietamente crescente renana università che il governo 
di Prussia avea liberalmente fondata in Bonn. Quì ebb’egli discepolo e 
amico il principe reale di Prussia, quì mandò fuori due libretti sopra © 
Comizi de’ Romani (2) e le anzidette da lui scoperte reliquie di Flavio 
Merobaude (3), quì stabili un Giornale di giurisprudenza, filologia e greca 


(1) V. le Effemeridi Romane anno 1822. MNotae in M. T. Republica quae 
supersunt. Philonis Judaei Operae ineditae armenice et latine. 

(2) Ueber die Comitien der Roemer. Zwei Broschuren Bonn 1823. 

(3) Flavii Merobaudis Carminum Panegyricique reliquiae ; e codice San- 
gallensi. Bonnae 1824.= Il Niebuhr avea data di queste reliquie una prima edi- 
zione in Sangallo nel precedente anno 1823. Questa seconda peraltro ha tante 
varianti dalla prima edizione che è come un nuovo lavoro. 


160 


filosofia (4), qui diè mano alla novella e più accurata edizione degli sto- 
rici bizantini , lui stesso conducendo quella dell’ Agathias (5); quì, pre- 
ponendovi la vita da lui scritta e pubblicata nell’anno 1815 di suo 
padre Carsten Niebuhr, raccolse egli un primo volume di Opuscoli e 
Miscellanee , toccanti a materie storiche e filologiche , ove primeggiano 
le due memorie che avea già letto nell’ Accademia di Berlino e. che 
s’ intitolano 1’ una della Geografia d’ Erodoto , e l’ altra Ricerche nella 
Istoria degli Sciti, Geti e Sarmati (6) , quì finalmente dei tre volumi 
onde si dovea comporre la sua Storia Romana tutto rimodellò e ri- 
lavorò il primo, ritoccò e corresse il secondo, e il primo pubblicò 
nell’anno 1827 e poi dopo nuovamente nell’ anno 1829 , e l’altro nel 
caduto anno 1830 (7). 

Proponendomi io di parlare del secondo ritoccato e corretto vo- 
lume della Romana Istoria quando mi capiterà nelle mani, e del primo 
avendone poco tempo fa tenuto discorso in queste carte, parmi non do- 
ver tornare adesso su questo argomento. Ma poichè da persona nella 
storia e nelle antichità romane versatissima ne fu data notizia , come 
a parecchi dotti uomini della nostra penisola parvero strane e fanta- 
stiche assai delle cose che da quel primo volume vennero cavate per 
offrirne come un estratto ai lettori della nostra Antolcgia, preghiamo 
i medesimi a considerare che rispetto alla primitiva istoria de’ popoli 
italiani, preposta come introduzione alla romana, ben si poteva dal 
Niebuhr, e tanti altri il fecero, prender licenza dalla grande antichità 
e oscurità del soggetto, e fingerlo come gli pareva senza far gran fallo 
all’istoria: permodoche l’unico e giusto rimbrotto che a parer mio si 
meriti egli è che quella introduzione serve allo scopo meno assai che 
non sembrò promettere il suo autore ; il quale non essendosi mai fatto 
a rappresentarci ( e come lo avria potuto?) la vita di que’popoli per 
procacciar credenza a quella che volea poi mostrare del popolo romano, 
essa introduzione non basta appena ad accennare quali furono le di- 
verse italiche schiatte, ond’ egli immaginò composta la romana gente. 


(4) Rheinisches Museum fir Jurisprudenz , Philologie und griechische Phi- 
losophie , v. Boeckh , Brandes, Hasse und Niebuhr. Bonn, Jahrgang 1826. 

Hierauf getrennt in die juristische und philologische Abtheilung , deren 
erstere Hasse , die zweite Brandes und Niebuhr redigirten. 

(5) Corpus scriptorum historiae Byzantinae, ed. L. et G. Dindorf, Scho- 
pen , Becker, G. B. Hase aliique. Curavit B. G. Niebuhr. Bonnae 1827 
vol. 1 Agathias ed. Niebuhr 1827. 

(6) Kleine etc. vermischte Schriften (historichen und philologischen Inhalts) 
Bonn 1828 B. 1. 

(7) Romische Geschichte , 2. Binde. Berlin. 1812. 

Bd. 1. 2. Aufl. Berlin. (Bonn) 1827. 
»» 3. Aufl. 1829. 
Bd. 2. 2. Aufl. 1830. 


101 

Ma quando alla perfine vien dentro il Niebuhr alla romana istoria non 
solo egli non cade in fantasticherie , ma per contrario le dilegua in 
que’ luoghi tutti ove agli antichi scrittori era venuta meno la loro arte 
critica: nè alcuno potea farlo meglio di lui; che aì più profondi studi 
dell’ antica e della moderna istoria congiunse la vera scienza dell’uom 
di stato e tutti percorse i gradi della vita pubblica e civile, quali 
ficandosi per tal modo, e a rivestire di carne e sangue quegli antichi 
che giunti erano a noi trasumanati, ed a ridurre la loro città alle vere 
e semplici forme d’ogni altra che in questa terra abbia fatto il na- 
turale suo corso. E qui, poichè se ne para il destro, ne piace notare 
una delle principali differenze (e che altra volta non saprei dir come 
mi restò nella penna) che rispetto ai modi di considerare la romana 
istoria passano tra il Vico e il Niebuhr: imperocchè quegli fonda gran 
parte del suo sistema istorico sulla religione degli auspicit, e questi non 
«ne tocca neppur per ombra: muovo rilevantissimo argomento per 
condurre nella opinione che il Niebuhr non leggesse mai gli scritti 
del Vico. 

Ai due primi volumi delle romana istoria già dal suo autore pub- 
blicati dovea ben presto seguitare il terzo ed ultimo che dai giornali 
tedeschi aveasi notizia essere quasi pronto per la stampa , quando, 
ahi! troppo presto, perdemmo quel tant’ uomo, che fu (come di lui 
sì disse in Germania) una pietra preziosa nella corona d’olivo della Mi- 
nerva Bonnese. 

Lasciò il Niebuhr dietro se una seconda moglie, sorella della prima 
che ebbe in matrimonio, e quattro figli. Ma non erano ancora decorsi 
otto giorni da quello che lui vide estinto, quando la sconsolata ve- 
dova lo seguitò nel sepolcro. Che cuore dovesse avere costei che non 
bastò a sopravvivere al suo Niebuhr, chiunque alberghi in petto gen- 
tilezza d’ animo se lo consideri pietosamente ! I quattro orfani figli 
vivono adesso sotto la tutela e cura del sig. cons. De’Savigny, che fu 
il più caro amico al nostro defunto , ed hanno ritrovato in lui un 
secondo amorosissimo padre. Pensi peraltro il Savigny che un altra 
nnmerosa prole laseiò ad universal benefizio l’amico suo ne’tanti scritti 
da lui dettati e che non videro peranche la luce, e massime in quel ter- 
zo volume che verrebbe a compierne la storia romana: sia dunque il 
Savigny diligentissimo tutore anche di questa prole, e sappia che tutti 
lo considerano come luomo il più capace al mondo di mandarla fuori 
in tutta la natural bellezza che gli avea stampata in fronte il loro pa- 
dre ed autore, e di vestirla inoltre di quelle chiare e leggiadre forme, 
che solo tra gli eruditi alemanni il Savigny sa dare alle celebrate sue 
opere di storia e giurisprudenza. 


Avv. P. Carer. 


T.1. Murzo 2i 


162 


\ 
BULLETTINO BIBLIOGRAFICO 


ANNESSO ALL'ANTOLOGIA 


Marzo 1831, 


LETTERE di M. T. Cicerone, 
disposte secondo l’ ordine de’ tempi , 
traduzione di An. Cesari P. 0. con 
note, col testo a fronte. Milano, 1830, 
A. F. Stella e F. Volume IX.° di p. 
760; prezzo per gli associati l. g. 85. it. 


AGNESE DI MERANIA, roman- 
zo storico del GC. DARLINCOURT., can 
aggiunta del dramma la Straniera, del 
sig. FELICE ROMENI. Firenze , 1830, 
V. Batelli e F. 4 volumetti con rami. 


COSIMO E LAVINIA , o la ca- 
duta della Repubblica Veneta. Roman- 
zo storico del secolo XVIII.® Firenze, 
1830, V. Batelli e F. 4 volumetti, 
al prezzo di 60 centesimi l’ uno. Gon 
rami. 


ROMEO E GIULIETTA , trage- 
dia di GueLieLMo SHAKSPEAR, tra- 
dotta da Garrano BarsiERI, I. R. 
prof. em. di matematica. Milano, 1831, 
presso gli editori della Bib. Medica. 


LE BUCOLICHE di P. Vireizio 
Marone recate dal latino in altrettanti 
versi italiani, da Giuserpe BANDINI. 


Parma , 1819 ; T'ip. Ducale. 
LA GEORGICA di. P. Vircitio 


Marone , trasportata dal latino in al- 
trettanti versi italiani da GruseppeE 
Banpini. Parma, 1829, Tip. Ducale. 


VEDUTE di Sardegna. Torino, 
1831, presso G. J. Pic, lib.° della R. 
Accademia delle Scienze. In f.° di- 


spensa I. di N.° 5. vedute, prezzo 
1. 18. 4o it. 


SAGGI di morale e d’economia pri- 
vata estratti dalle opere di Beniamino 
FranxkLIN. Pisa; 1830, Tip. Nistri. 
Volume II. ed ultimo. 


DESCRIZIONE di alcune. meda- 
glie rare del museo, del sig. Barone 
STANISLAO DI CHAUDOIR, per DomenI- 
co SestInI. Firenze, 1831, G. Piatti. 
I. vol. in 4.° con tavole 6. Prezzo 
paoli 10. 


VIAGGIO in Polonia del professore 
SesastIANO, Ciampi nella. state. del 
1830, con la breve descrizione di Var- 
savia , e con altre notizie di lettere , 
arti, e commercio , e particolarità di 
quel Regno; con un appendice de’me- 
dici , musici, architetti, scultori , e 
pittori italiani in Polonia, che serve 
d’aggiunta al libro stampato in Lucca 
dallo stesso autore su questo proposito. 
Firenze, 1831, Tip. Galletti, 8.° di 
p- 191. Prezzo paoli 5. ; 


FAMIGLIE CELEBRI ITALIA- 
NE, del conte Lirra. Milano , 1831, 
Tip. del dott. Giulio Ferrari in f.° 
fascicolo XIX. (Dal Verme di Vero- 
na) contiene 4 tavole di testo, il mo- 
numento di Jacopo dal Verme, e la 
carta geografica dei feudi Vermensi 
nelle langhe transpadane. 


DELLA filosofia dell’ affetto , di 
| ALronso Testa piacentino. Piacenza, 


1830, dai torchi del Majno. Parte 
prima. Volume I.’ in 8.° di pag. 400. 
Prezzo l. 3. 95 it. 


IL CANTO XXIII dell’ Odissea 
d’ Omero volto in endecasillabi italia- 
ni, per Urzano LampRrEDI; e pub- 
blicato nella fausta occasion delle noz- 
ze di G. Giambatista Curtopassi con 
D. Emilia Pignatelli de’principi Stron- 
goli. Napoli, 1830, Tip. della So- 
cietà Filomatica in 12.° 


INTORNO alle più eccellenti pit- 
ture napolitane esposte nell’ ottobre 
del 1630 ; lettera del sig. March. Ba- 
sito Puoi. Napoli, 1831, Stampe- 
ria nella pietà de’ tarchinì. 8.° p. 24. 


ESERCITAZIONI dell’Accademia 
agraria di Pesaro. 8.‘ Pesaro, 1830, 
Annesio Nobili. Anno II.° Semest. I.” 
pag. 130 con tav. Prezzo baj. 82. 1f2. 


NUOVO Dizionario de’ Sinonimi 
della lingua italiana, di NiccoLò Tom- 
masro. Firenze, 1831, Tip. Pezzati 
in 8.° (le associazioni si ricevono per 
Ricordi e C.). Dispensa II. prezzo cen- 
tesimi 60. 


SAGGIO di sermoni sacri di Lo- 
RENZO STERNE , tradotto in italiano , 
con una lettera sul metodo di pre- 
dicare adottato dall’ ab. Giuseppe Bar- 
bieri. Milano, 1831, A. F. Stella e F. 
16.° di p. 199, prez. L. 2 it. 


EDIZIONE completa degli scritti 
di agricoltura, arti e commercio , di 
Antonio Zanon. Udine, 1831, Fra- 
telli Mattiuzzi. Volume X." e 14.° 
della Raccolta di opere scelte di au- 
tori friulani, Prezzo l. i. 44 aust. 


COLLEZIONE delle opere dei pa- 
dri e di altri autori ecclesiastici della 
chiesa aquileiese , tradotta , illustrata 
ed impressa col testo a fronte, cui 
si aggiungono le notizie intorno la 
vita e gli scritti de’ singoli autori, 
dell’ abate G. O. MarzuttINI. Udi- 
ne, 1831, Fratelli Mattiuzzi. Vo- 
lumi VII.® e VIII.” 


L’ARCHITETTURA di Vrrruvio, 
tradotta in italiano da Quirico Vi- 
VIANI, illustrata con note critiche 
ed ampliate di aggiunte intorno ad 
ogni genere di costruzione antica e 
moderna, con tavole in rame, per 


103 


opera del traduttore e dell’ insigne ar- 
chitetto Vincenzo Turri. Udine, 1831, 
Fratelli Mattiuzzi in 8.° libro IV." 
con tavole in rame, 


SOPRA il giuoco degli scacchi, 
osservazioni pratiche dell’ Anonimo mo- 
denese, nuova edizione diligentemente 
riscontrata sulla originale del 1750. 
Milano, 1831, Lorenzo Sonzogno. 
Volumetto di p. 120. L. 2 autr. 


VIAGGIO da Londra a Genova , 
passando per l’ Inghilterra occidenta- 
le, il Portogallo, la Spagna e Frau- 
cia, di Giuseppe BARETTI, autore delia 
famosa Frusta letteraria , secondo la 
intera e perfetta forma da lui medc- 
simo datagli in una edizione di Lon- 
dra in 4 volumi, poco nota fino ad ora 
in Italia. Prima edizione con rami co- 
lorati. Milano, 1831, Lorenzo Son- 
zogno. Tomo III° e IV. — 37.° e 
38.° della Raccolta dei viaggi più 
interessanti eseguiti nelle varie parti 
del mondo , tanto per terra quanto 
per mare dopo quelli del celebre Couk. 


CANTI del Conte Giacomo Leo- 
parbI. Firenze , 1831 , G. Piatti. Un 
volume di pag. 165. prez. paoli 5. 


DELLA GUERRA di Fiandra, de- 
scritta dal Cardinal BentIvoeLIo. Li- 
vorno, 1831, Glauco Masi. Vol. III° 
(fa parte della scelta biblioteca di sto- 
rici italiani), 


COMENTARII della rivoluzione 
francese , dalla morte di Luigi XVI. 
fino al ristabilimento de’ Borboni sul 
trono di Francia, scritta da Lazzaro 
Papi 8.° Lucca, 1831, Tip. Giusti 
Tomo V.° 


TOTIUS latinitatis Lexicon, con- 
silio et cura JAcosI FaccioratiI, opera 
et studio AeGIDII FoRCELLINI semina- 
rii patavini alumni lucubratum in hac 
tertia editione auctum et emendatum, 
A Josepko FurLanerTO alumno eju- 
sdem Seminarii. Patavii, 1830, Typis 
Seminarii. Tom, III.®, fase. XII. (Pa- 
lus-Polypus ). 


STORIA NATURALE di Grorero 
Luicr LecLerc Conte DI Burron , 
classificata giusta il sistema di CarLo 
Linneo da RenATO RiccrarDo GasreEL, 
autore del poema Ze piante , e prose- 
guita da altri celebri scrittori. Edizione 


164 


completa con rami. Firenze ;, 1830, 
V. Batelli e F. Sono pubblicate le 14 
prime distribuzioni. Il prezzo d’ asso- 
ciazione e di cent. 60 di franco per 
volumetto con le figure in nero, e 
cent. 75 con figure colorite , le quali 
sono 2; n 3 per volumetto. 


TRATTATO sulla sfera armillare, 
_ corredato delle più interessanti notizie 
astronomiche , operetta del canonico 
Giu. BrancHI, professore di filosofia 
e matematica e rettorica delle pub- 
bliche scuole di Empoli. Firenze, 1831, 
V. Babelli e F. Volumetto di p. 107. 
prez. l. 1. 50. it. 


ARTE di costruire ogni serta di 
oggetti in rilievo e in carta, per ser- 
vire ad istruzione e passatampo della 
gioventù d’ amendue i sessi , del sig. 
S. R. Becourt con 23 tavole in ra- 
me , tradotto ed ampliato da S. S. M. 
professore di disegno. Firenze, 1830 , 
V. Batelli e F. Volume di p. 132 con 


22 tavole in rame , prez. l. 3 it, 


ISTITUZIONI di logica , meta- 
fisica ed etica, di Francesco Soave. 
Milano , 1831, G. Siloestri. Volumi 
IV. 261 a 264 della 2/2/. scelta it. 


COMMEDIE di A. Simone Socra- 
ri avvocato. Milano, 1831, G. Silve- 
stri. Volume unico. 270 della Biblio- 
teca scelta d’ opere italiane. 


LA POETICA d’ArisrorILE, vol- | 


garizzata da Lon. CastELvETrRO , edi- 
zione eseguita più correttamente su 
quella di Basilea dell’ anno 1576 e 
corredata di note importanti tolte in 
gran parte dall’ estratto di P. Meta- 
stasio. Milano , 1831, G. Silvestri. 
Vol. unico 27.° della Biblioteca scelta 
di opere greche e latine. 


DELL’ AMORE verso la patria , 
del can. G. B. Roserti. Milano , 
1831 , G. Silvestri. Vol. unico, 269.° 
della Bibl. scelta d’opere italiane. 


LA RETTORICA d’ ArisroriLE 
fatta in lingua toscana dal Com. An- 
NIBAL Caro. Lib. tre; ediz. riv. e cor- 
retta sui migliori esemplari , cui s’ag- 
giunge l’introduzione allo studio della 
medicina di Grasone De Norks. Mi- 
lano , 1831 , G. Silvestri. Vol. unico. 
26.° della Bibl. scelta d’opere greche 
e latine. 


DEL BENE. Libri quattro del car- 
dihale F. Srorza PaLLavicino , della 
compagnia di Gesù , con la nota in 
fine «li ciascun libro delle conclusioni 
principalmente stabilite in esso, e con 
un indice abbondante delle materie. 
Milano , 1831, G. Silvestri. Volumi 
II. 267-268 della Bid. scelta it. 


L’ ARTE di conservar la salute, 
aforismi. Milano, 1831, G. Silvestri. 
Volumetto. 


LETTERE ed altre opere di GLr- 
mente XIV. GancaneLLI. Milano » 
1831, G. Silvestri. Volumi II. 271-272 
della Bid. scelta ital. 


QUARESIMALE e panegirici del 
Padre Pier Luicr Grossr. Milano , 
1831, G. Silvestri. Volumi II. 265-268 
della Bid. scelta it. 


COMMEDIA di Arserto Nora 
avvocato. Milano, 1831, G. Silgestri. 
Volume III.° 260. della Bid. scelta it. 


TRATTATO COMPLETO di fi- 
siologia dell’ uomo promesso già sono 
alcuni anni dall’ ill. TreDEMANN pro- 
fessore di anatomia e fisiologia nella 
Università di Heidelberga, stato già 
presidente della Società germanica del- 
le Scienze naturali ec. ec. Prima tra- 
duzione italiana dall’ originale tede- 
SCO CON NOTE. = PROGRAMMA. «—— Tra 
le scienze naturali, che coltivansi a%dì 
nostri con maggior numero di ricerche 
e con migliore fortuna di risultamenti, 
la Fisiologia dell’ uomo, studiata più 
caldamente e più universalmente dai 
dotti per la dignità e vaghezza del 
soggetto e per la di lei importanza nel- 
la scienza del medico, adornasi a’ no- 
stri giorni di stupendi avanzamenti 
dovuti alle fatiche dei di lei coltiva- 
tori sparsi in tutto il mondo civilizza- 
to. Malgrado però la comparsa, avve- 
nuta in questi ultimi tempi in Italia 
ed in Francia, di alcuni applauditi 
trattati di fisiologia , desideravasi tut- 
tavia dai dotti un’ opera, che espo- 
nesse questa scienza in tutta la ric- 
chezza del di lei stato attuale , e te- 
nesse le veci a’ dì nostri della grande 
fisiologia di Haller, pubblicata ora è 
quasi un secolo. Ed è perciò che at- 
tendevasi con impazienza dai coltiva- 
tori della scienza fisiologica e medica 
la publicazione di un Trattato com- 


pleto di fisiologia, promesso già sono 


alcuni anni dall’ ill. Tiedemann, pro- 
fessore di anatomia e fisiologia nella 
Università di Heidelberga, e stato già 
presidenta della Società germanica del 
le scienze naturali. Nel quale concor- 
rono , per vero dire, fortunatamente 
tutte le condizioni acconcie a far ispe- 
rare l’ effetto desiderato , amplissima 
erudizione e critica addimostrate in 
altre opere publicate di analogo argo- 
mento , e matura perizia nell’ interro- 
gare la natura colle osservazioni e co- 
gli sperimenti ugualmente provata con 
parecchie illustrazioni e scoperte fatte 
di publica ragione. E per tali motivi 
di espettazione , publicato appena in 
agosto del p. p. anno 1830 in Darm- 
stadt il primo ricchissimo volume del- 
1’ opera desiderata , ne comparve tosto 
sui primi del 1831 la traduzione in 
francese a Parigi in due grossi volumi 
in 8.° intrapresa dal cel. Jourdan ; e 
la parte publicata di tale opera che 
comprende tutta la Fisiologia gene- 
rale accresce la brama di vederne sol- 
lecitamente la seconda parte , cioè la 
speciale Fisiologia. 

Poichè per altro la prima sezione 
già uscita del trattato del professore 
Tiedeman può aversi altresì come un’ 
opera a parte già completa, il tipografo 
G. Vincenzi e Compagno ne offre ai 
dotti d’ Italia il volgarizzamento dal- 
l'originale tedesco con annotazioni del 
traduttore , fatto per cura di chi si è 
trovato per più anni nell’ occasione 
d’ istruirsi, non che nell’ idioma ale» 
manno , nelle cose riguardanti la fi- 
siologia , e impegnasi il medesimo ti- 
pografo di publicare incessantemente 
1’ altra parte dell’ opera , tosto che ne 
sarà uscito l’ originale dell’ A. colle 
stampe di Darmstadt. 

L° opera sarà divisa in 2 volumi 
8.° carta e carattere conforme al pre- 
sente programma, e si publicherà per 
fascicoli di 4, o 5 fogli, al prezzo di 
centesimi 20 il foglio ; il primo fasci- 
colo uscirà in agosto p. v. 

L’associazione si riceve in Modena 
dal tipografo editore, e da tutti i li- 
brai distributori del presente pro- 
gramma. 

Modena il 5 maggio 1831. 

Geminiano VincENzI r Compagno. 


NUOVE DIMOSTRAZIONI di O- 
stetricia del sig. MAYGRIER. - Ma- 
nifesto. = Nell’intraprendere una edi- 
zione italiana dell’opera del sig. May- 


1605 


grier intitolata Muove dimostrazioni 
di ostetricia credo inutile l’ anteporre 
delle riflessioni tendenti a manifestare 
î pregi che essa racchiude, Basti sol- 
tanto il fare osservare che un opera 
di Ostetricia pittorica , come l’ au- 
tore la chiama nella sua prefazione , 
ha per scopo precipuo di presentare 
alla mente dei giovani alunni , le idee 
adeguate di oggetti sensibili atti a ret- 
tificare quelle ricevute dalla cattedra 
per la viva voce dei professori. 

Questo vantaggio rilevantissimo, di- 
venta di un prezzo inestimabile, allor- 
chè il metodo dell’istruzione non offra 
agli studenti questa branca dell’ arte 
salutare , il mezzo facile di intrapren- 
dere una pratica ragionata al letto 
delle puerpere , o di fare utile raccolta 
di casi pratici dedotti dall’ esercizio di 
una clinica ostetrica regolare. 

IL’ opera del sig. Maygrier corre- 
date di un considerabil numero di ta- 
vole, non può paragonarsi ad alcuna 
delle moltissime pubblicate nei tempi 
decorsi.L’ordine nella disposizione del- 
le materie , la precisione nella spiega- 
zione delle tavole, 1’ esattezza della 
critica su i più recenti avanzamenti 
dell’ arte , sono degni dell’ ammira- 
zione universale, e la rendono su- 
periore a qualunque altra produzione 
di questo genere. 

Sono tali riflessi che mi hanno 
mosso a pubblicare quest’ opera non 
per anco portata nell’ italiano idio- 
ma , e credo così di offrire un mezzo 
di facilitazione alla studiosa gioventù 
non per anco sufficientemente versata 
nella lingua francese da intendere il 
vero significato dei termini tegnici del- 
1’ arte ostetrica. 

Il sig. Lodovico ‘Biagi Chirurgo 
aiuto del professore di clinica esterna 
nel regio Arcispedale di Santa Maria 
Nuova di questa città di Firenze, 
mosso da lodevole zelo ha voluto in- 
caricarsi della traduzione del testo 
francese , secondo 1’ edizione di Bru- 
xelles del MDCCCXXV. fatta con i 
tipi di Augusto Wahlen. 

Le tavole in numero di 79 saranno 
diligentemente disegnate in litografia 
sotto la sorveglianza del medesimo. 

L’opera tutta verrà alla luce a fa- 
scicoli e sarà pubblicata per associa- 
zione in dieci distribuzioni , ciascuna 
delle quali conterrà otto tavole e circa 
due fogli di testo, del formato , carta 
e carattere eguale al manifesto. 

Il prezzo di associazione sarà di 


166 


paoli quattro moneta toscana per ogni 
tascicolo, 

Le associazioni si riceveranno in 
Firenze alla Litografia Salucci Borgo 
dei Greci dietro San Firenze N. 233 
e dai distributori del manifesto. 

Chiunque presenterà dieci firme ga- 
rantite avrà una copia gratis. 

Firenze li 11 Aprile 1831. 

Devotiss. Sereo 
TroriLo SALUCCI. 


TIPOGRAFIA E LIBRERIA 
FUNTANA IN MILANO. 


Monmi. Proposta di alcune Corre- 


zioni ed Aggiunte al Vocabolario 
della Crusca = il col. VIII ed Ulti- 
mo , ital. lir. a. 36. (tutta l'Opera : 
ital. lir. 24. 50 ). ‘ 

E con vera soddisfazione ch’io an- 
nunzio il compimento di quest'opera che 
forma tanta parte della letteratura ita- 
liana de’ nostri tempi, e che non può 
quindi essere abbastanza considerata da 
chiunque brami penetrare un poco ad- 
dentro in talestudio. Il che è a dirsi del- 
l'Opera in sè medesima , anche. senza 
aver riguardo alle ben note circostanze, 
che diedero ad essa occasione , ed al 
nome di quel sublime Ingegno , che ne 
fu principal autore. All’apparire del- 
la prima «edizione tanto fù il traspor- 
to, con che videsi accolta, che in 
breve tutte le copie furonn esaurite 
e molti rimasero col desiderio di pos- 
sederla. Nell’ intraprenderne io la pre- 
sente ristampa,mentre ancor recente era 
la troppo fatal perdita di Vincenzo 
Monti, ebbi la surte di ottenere, sic- 
come fin d’ allora pubblicai, dalla gen- 
tilezza della ch. Figlia di quel grande 
Italiano alcune varianti o correzioni,che 
il celebre suo marito conte Giulio Per- 
ticari era venuto predisponendo pe 
suoi libri, ch’entrano a far parte di que- 
sta laboriosissima Opera , riescita a così 
felice e luminoso fine. E chi poi s’unca- 
ricò per me d° introdurre negli opportu- 
ni luoghi tali varianti, e di assistere 
eziandio in tutto il rimanente la mia 
edizione, basti dire essere stato il signor 
Francesco Ambrosoli, che in oltre pre- 
pose ad essa un proprio ragionamento , 
dettato con quell’ ingegno ed impar- 
zialità di giudizio , che non vanno mai 
disgiunti da’ suoi scritti, 

Per tutte le quali cose parmi pote- 
re, senza presunzione, rallegrarmi meco 
stesso di aver procurato agli studiosi , 
in comoda, economica, e non per tanto 


corretta e nitida edizione, la ristam- 
pa di una Produzione così fruttuosa 
a un tempo e dilettevole, ch’erasi reu- 
duta affatto mancante in commercio. 

BLumenzacH. Manuale della Sto- 
ria naturale, recato in italiano sul- 
l’undecima edizione tedesca , pubbli- 
cata in Gottinga nel 1825, dal dottor 
C. G. Malacarne, coll’aggiunta d’im- 
portanti sue note, e corredato di mol- 
te emende ed ampliazioni comunicate 
nel marzo 1826 dallo stesso Autore 
e dal. professore Hausmann = il vol. 
VI. ed ultimo , di pag. 828 con ta- 
vole , ital. lir. 8. 46 (tutta l’opera, 
iti: Lu33)b 

Nè al certo meno importante di 
quello sia l’ anzidetta opera in let- 
teratura , è, per la scienza, questa 
del Blumenbach , rifatta più che tra- 
dotta dal chiarissimo signor professore 
G. G- Malacarne. Dico rifatta, poichè, 
accresciuta com’ è ad essere ben he 
volte tanto di quel che non è l’ ori- 
ginale, può asserirsi non avergli que- 
sto servito che di occasione, 0, se 
più vuolsi, di guida. Nè di ciò vor- 
ranno per certo sapergli mal grado i 
cultori delle scienze naturali ove pen- 
sino che forse «di libri propriamente 
elementari , già altri ne possedeva la 
nostra Italia, comechè forse meno pre- 
gevoli del Manuale blumenbachiauo, 
e che una nuda traduzione di questo 
già venivasi eseguendo per opera altrui 
quasi nello stesso tempo che il pro- 
fessore Malacarne poneva mano all’v- 
gregio suo lavoro , cui gli eruditi ed 
i giornali tutti della Penisola , resero 
tosto giusto tributo di lode e di gra- 
titudine. Un’ opera di tal fatta che 
potesse dirsi perfettamente a livello 
degli attuali luminosissimi avanzamen- 
ti delle scienze , e che raccogliesse le 
notizie tutte più interessanti special- 
mente ad uno studioso italiano, era 
intrapresa da scoraggiare anche i più 
valenti; e come il professore Mala- 
carne ne venisse a capo fu come dissi 
già sentenziato. Tutti questi Manuali 
di scienze in genere, ed ancor più 
di scienze naturali , che si vengono 
compilando in ogni nazione , mal pos- 
sono servire , trasportati d’ una in al- 
tra, perocchè ogni autore ha sempre 
più particolarmente in mira il proprio 
paese, e quindi quelle nozioni che 
a’suoi concittadini meglio possono gio- 
vare. Il perchè è comunissimo il ve- 
dere libri francesi o tedeschi, spe- 
cialmente di geografia universale , di 


statistica e d’ altre simili dottrine , 
una terza parte de’ quali è dedicata 
esclusivamente alle notizie particolari 
di quelle nazioni. Al quale scopo ap- 
punto , anche per parte del profes- 
sore Malacarne , di render sempre più 
profittevole la sua fatica alla speciale 
utilità degli italiani, è , fra le altre 
cose , notabilissima quella di avere 
egli annotate sempre le località della 
nostra Penisola dove trovansi tali 0 
tali altre rare produzioni naturali con 
‘i loro caratteri fisici e chimici, e le 
varie loro denominazioni ‘in italiano, 
francese , tedesco ed inglese. E in 
ultimo non è a tacersi che eziandio 
consilerato il solo Manuale blumen- 
bachiane in sè stesso , già gran me- 
rito avrebbono attribuito alla mia edi- 
zione, in confronto di qualsiasi altra 
precedente nell’ originale tedesco o in 
francese o in italiano , le importanti 
aygiunte che il signor Malacarne ave- 
va saputo procurarsi dall’amicizia dello 
stesso celebre Autore, e del chiaris- 
sìmo signor professore Hausmann. 

GHarrausriann. L' Atala , o gli 
Amori di due selvaggi nel Deserto, 
versione. italiana di L. Toccagni, 
bresciano -— un volume in 16. carta 
velina con 4 incisioni in rame , it. 
lir. 1. 50. 

Il nome di Chateaubriand equivale 
ad ogni elogio. Il pensiero poi che 
non siano mai troppo riprodotti i li- 
bri che sotto forme seducenti tendano 
alla istruzione insieme e al santissimo 
scopo della morale , mi persuase alla 
presente ristampa , colla quale ho vo- 
luto procurare altresì che questo ec- 
cellente romanzetto si raccomandi per 
la veste tipografica. I quattro rametti 
ond’ è adorno esprimono alcune delle 
principali sue situazioni. Esso , com'è 
noto, è un episodio della ‘acclama- 
tissima opera del Genio del Cristia- 
nesimo , la cui vivace e fedele tradu- 
zione è fatica del signor Luigi Torca- 
gni , ben noto per altri lodevoli lavori. 


BIBLIOTECA STORICA di tutti 
i tempi e di tutte le nazioni. — Que- 
sta importante collezione sta per essere 
cumpiuta colla tanto acclamata Istoria 
delle Crociate del sig. Micnaub, vol- 
garizzate di nuovo dal ben noto sig. 
Francesco Ambrosoli sulla quarta ed 
ultima edizione originale teste pubbli- 
cata a Parigi dello stesso Auiore, con 
sì grandi mutazioni ed aggiunte che 
l’ opera fu accresciuta di oltre un 


167 
terzo, e può dirsi quasi totalmente, 
rifatta. Il tipografo Fontana promette 
la pubblicazione del primo volume pei 
primi di maggio, e quella de’ suc- 
cessivi cinque di mese in mese. Con 
eguale esattezza egli è pur venuto 
pubblicando in questi ultimi tempi 
le seguenti altre opere che fanno an- 
ch’ esse parte della suddetta collezio- 
ne , cioè 

Daoila Enr. Cat. Delle guerre ci- 
vili di Francia , 4 vol. , it. L ar. 50. 

Q. Curzio Rufo. De’ fatti di Ales- 
sandro il Grande , traduzione di Gius. 
Felice Giovanni , un vol. , it. 1. 5. 10. 

Amiano Marcellino . Lè storie , 
tradotte da Francesco Ambrosoli, 2 
vol. , it. 1. 8. So. 

Maffei. Storia delle Indie orienta- 
li, con nuovi riscontri ; 2 vol., it. 
1. 9: 44. 
Giambullari. Storia dell’ Europa 
edizione correttissima , 1 vol. , it. |. 
5. 46. 

Cam. Porzio. Congiura de’ Baroni 
del Regno di Napoli. = Dino Compa- 
gni. Istorie fiorentine. — Bern. Da- 
vanzati. Scisma d° Inghilterra, 1 vol., 
LL a A 

‘Bertolotti, Davide. Istoria della'R. 
Casa di Savoia, 1 vol. , it. 1. 3. 54 

Guicciardini. Storia d’ Italia com- 
pendiata da T. Sansovino in un sol 
volume , it. l. 5. 06. 

Robertson, Gugl. Storia dell’antica 
Grecia , 2 vol. , it. 1. 8. 92, con tra- 
duzione, quest’ ultima, stata riveduta 
e corretta da valentissimo letterato. 


CONTINUAZIONE DELLA STO- 
RIA D’ITALIA dal fine di quella del 
Guicciardini sino al 1789 , di CarLo 
Borra. Circolare a’Sottoscrittori.- 
Parigi, 25 febbraio 1831. Finalmente 
la Storia intrapresa dal signor Carlo 
Botta si trova terminata , e posso dare 
la speranza ai signori Soci che prima 
che i) sesto anno della sottoscrizione 
spiri, quest’ opera condotta con tanto 
zelo ed aspettata con tanta impazienza, 
sarà resa pubblica e distribuita. 

L’ ultimo manoscritto, che è il 
nono di quelli che successivamente 
ha composti il sig. Carlo Botta, mi 
fu spedito in Tolone sul finire del- 
l’ anno scorso, Mi decisi allora di re- 
carmi in Parigi per restituire l’opera 
all’autore , affinchè la sottoponesse al- 
l’ultima lima; e nello stesso tempo mi 
proposi di prendere i provvedimenti 
opportuni per far sì, che ul signor 


168 


Garlo Botta, appena terminata la re- 
visione, potesse immediatamente far 
procedere alla stampa. 

Ma per le condizioni del momento 
nulla posso ancora annunziare di de- 
terminato sopra quest’ ultimo articolo. 
La restituzione dei nove manoscritti 
è stata eseguita il 12 del corrente; 
ed affinchè una tale operazione por- 
tasse seco, per gli interessi dell’As- 
sociazione , e per la mia propria gua- 
rentigia, tuttì i caratteri di auten- 
ticità che era possibile di dargli , ho 
radunato presso di me i Soci che si 
trovavano in quel giorno in Parigi; 
ed in loro presenza il signor &arlo 
Botta , ritirando dalle. mie mani i 
manoscritti, ha dichiarato per sè e 
per i suoi eredi che li riceveva a 
titolo di deposita, come proprietà as- 
soluta ed esclusiva dell’ associazione , 
verso di cui se ne è riconosciuto de- 
bitore e responsabile , mediante pro- 
cesso-verbale , che è stato sottoscritto 
da esso, dai Soci presenti alla se- 
duta, e dal signor cavaliere Caccia 
tesoriere dell’ associazione. 

Un esemplare di questo documento 
è stato rimesso al signor Carlo Botta, 
un altro è stato depositato. presso il 


signore ‘cavaliere Caccîa , ed io con- 
serverè gli altri due, che sono re- 
stati nelle mie mani. 

Nell’ adunanza nella quale tali for- 
malità sono state compiute, dopo che i 
manoscritti furono esaminati , e rico- 
nosciuti , è stato deciso che , sebbene 
l'Autore nello scrivere una tale opera 
l’ abbia ristretta in nove volumi, sarà 
nella stampa divisa in dieei , secondo 
un nuovo ordine di distribuzione che 
il signor Carlo. Botta ha l’ intenzione 
di dare ai cinquanta libri dei quali 
sì compone. 

Lettere ulteriori faranno conoscere 
ai signori Soci l’ epoca in cui sarà 
soddisfatto all’ ultimo paragrafo del- 
l’ art. g.° del prospetto dei 17 gen- 
naio 1826 ; e renderà in seguito il 
conto sommario indicato dall’ art. 12. 

Intanto prego V. S. di provvedere 
al pagamento dei 100 franchi che sca- 
deranno il 1 maggio prossimo, e che 
formeranno 1’ ultima rata dell’ obbligo 
specificato dall’ art. 2. 

Ho l’ onore di protestarmi colla 
più distinta stima , di Vostra Signoria 

L’ ossequiosiss. e divotiss. Servo 
G. T. LirrarDi. 


INDICE 


DE dae Adi Babi 


CONTENUTE 


NEL VOLUME XLI° 


Scienze MoraLi , PoLiticnE ED EconomicHE. 


LI) sscrvatictà intorno agli uffizi civili della critica letteraria. 


(F. Forti) A. Pag. 


Storia dell’ impero Osmano , del cav. De (Hammer , volta in 
italiano da Samuel Romanini. (G. P.),, 
Il Galateo di M. Gioia compendiato. (EX) 
Scritti d’ agricoltura , arti e commercio , di A. Zanon. ,, 
Genografia dello scibile umano. Tavole sinottiche di Gia- 


2) 


cinto De Pamphilis. 4 Saggio di una nuova classifica- 
zione delle scienze , di Luigi Ferraresi. m Sul bisogno 
d’ un coordinamento d’ una. nuova classificazione delle 
cognizioni scientifiche e letterarie , di Agostino Longo. 


(E-S80 SE 1 


Idee sulla filosofia delle scienze morali e politiche. 
(G. Bertolli) ,, 
Commentari della Rivoluzion francese , dalla morte di Luigi 
XVI , sino al ristabilimento de’Borboni,sul trono di Fran- 


cia , scritti da Lazzaro Papi. (F. Forti) ,, 
Saggi di morale e di economia privata di Beniamino Fran- 
klin ; prima trad. \italiana. (XX.) ,, 
Le cose rimarchevoli della città di Novarra , descritte dal- 
l’ avv. F. R. Bianchini. (F. Forti) ,, 
Pomba. Libreria universale d’ opere di privata e generale 
istruzione, (Eito 


T. I. Marzo 22 


23 


33 


33 


69 


136 


39 


1I2 


I79 


Società filodrammatica di Siena. (A. M.) B.Pag. 


Accademia degli Euteleti di Samminiato. (K. Anti 
Corso gratuito di geometria e meccanica applicata alle arti. ,, 
Danimarca. Istruzione delle truppe. — Svezia. Esercizi gin- 

nastici. ; ; DS 
Di varie società e instituzioni di beneficenza in Londra. 


(E. M.) C. 
Vedute di Sardegna, pubblicate a Torino. (Cav. Manno) ,, 
Saggio di un trattato teorico-pratico sul sistema livellare, 
secondo la legislazione e giurisprudenza toscana , dell’avv. 
G. Poggi. Art. I. (Avo. Aldobrando Paolini) ,, 
Sul ristabilimento del Giurato in Corsica. (LEI 
Fasti e vicende de’ popoli italiani dal 1801 al 1815. 
| MO IA i e 
Cenni pel miglioramento della prima educazione dei fanciul- 
li, trad. di Bianca Milesi. (R. Lambruschini) ,, 
Compendio della storia milanese, di G. B. De Cristoforis. (L.) ,, 


GEOGRAFIA , STATISTICA E VIAGGI SCIENTIFICI. 


Descrizione di alcuni bagni, spedali, e musei patologici, 


del prof. F. Tantini. (X.) A. 
Nuova Guida di Milano, del pittore F. Pirovano. (K. X. Y.) C. 
Viaggio in Polonia del prof. Seb. Ciampi. } (063 


LETTERATURA , FILOLOGIA, CRITICA LETTERARIA EC. 


Cenni istorici sull’ origine della stampa , e sull’ artefice che 
primo fece uso di caratteri sciolti e fusi ( Avv. T. Tonelli) 
Art. T. A. 
Art. II. B. 
Art. III. C. 
Iliade poliglotta, Ed. Passigli, Borghi e C. m Esistenza 


d’ Omero , ec. Art. I. (I.) A. 
Art. II. ta BL 
Art. III. Bri, 

Nuova edizione del Forcellini , del sig. Furlanetto. 
(MPA MPIZVIA, 
Rivista di alcuni giornali inglesi. CADIP991,) 


Il Proscritto. Storia sarda dell’Autore di Sibilla Odaleta. 

(0 XIV), 
Ricordano Malespini, storia fiorentina, nuova edizione. (M.) ,, 
Vita di Ugo Foscolo , del C. Pecchio. bart, 


33 


EI 


2) 


33 


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23 


23 


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152 
155 


147 
149 


35 
52 


57 
102 
129 


133 
136 


139 
120 
122 


I71I 


In difesa di scrivere con purezza, diceria di M. Colombo. (M.)A.Pag. 


Marzuttini. Istoria ecclesiastica della chiesa aquileiese. 
(IC. Y.};; 
Florilegio di letteratura italiana. ”» 
Lezione di V. Follini sopra due ed. del sec. XV. (P.) 
Riclamo a proposito dell’ Università delle isole ioniche. 


(10! Xxd-Pis, 


bb) 


Nuovo metodo per insegnare la cronologia. 99155 
Opere inedite di Silvio Pellico. (M.) B. 
Aneddoti piacevoli della vita di G. G. Ferrari. 5H Ta» 
Folchetto Malaspina. Romanzo storico. (Ki XoF.)ob 
Lettere del sig. Champollion figeac intorno alla Biblioteca 

petrarchesca del sig. Marsand. (Trad.) ,, 
Giuseppe Grassi. Cenni biografici. (K. X.Y.) C. 
Corso Donati. Tragedia di Carlo Marenco. 33 33 
Cecilia di Baone, ossia la Marca Trivigiana al finire del 

medio evo. Romanzo storico di B. Zorzi. 3» 33 
Antologia straniera del Pomba. ba: [oh 
Le lettere di Plinio secondo a Traiano , trad. di G. Ban- 

dini. ainsi 


La Georgica e le Bucoliche di Virgilio, trad. G. Bandini. ,) » 
Sonetti d’ anonimo , tolti da un codice del secolo XIV. ,; ,; 


Memorie di Lorenzo Da Ponte. (Ii); 
Notizie biografiche, ed esequie di Gius. Longhi. DALREO 
Della musica Rossiniana e del suo autore ; discorso dell’avv. 
P. Brighenti. (L.) ,, 
Miscellanee di lettere ed arti, di Def. Sacchi. Fra 


ArcHEOLOGIA , NUMISMATICA , EG. 


Di un’ epigrafe antica nuovamente uscita dalle escavazioni 
bresciane , dissertazione del sig. dott. Labus. Lettera 
del dott. Labus ad Em. Cicogna intorno ad un iscrizione 


antica scoperta in Venezia. (Cav. Zannoni) A. 


Lettere del dott. Celestino Cavedoni sopra alcune me- 
daglie greche. VERA, 
Opere varie d’ Ennio Quirino Visconti , raccolte e pubblicate 
per cura del dott. Labus. [917 2) 
Nota sopra la dinastia de’ Faraoni ; con geroglifici preceduti 
del loro alfabeto , e raccolti in Egitto nel 1818. Opera 
del maggiore Orlando Felix inglese. (D. Valeriani) ,, 
Descrizione d’alcune medaglie greche del Museo del Ba- 


rone St. Chaudoir, per Domenico Sestini. CA 


33 


33 


23 


33 


23 


23 


126 
128 
129 


138 


120 


135 


172 
ScIENZE NATURALI , E MEDICHE. 


Il regno, animale , o ‘raccolta delle migliori opere zoologi- 


che ; con tavole d’Antonio Locatelli, miniate (M.) A.Pag.129 
Notizie storiche della medicina e della chirurgia toscana, 
del dott. Enrico Nespoli. (E. R.) 3 3,144 
Cenni sulla geografia fisica e botanica del Regno di Napoli , 
di M. Tenore. (Reboul) B. ,, 118 
Viaggio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria 
citeriore , di M. Tenore. 59 39 9 I2QI 
Succinta relazione del viaggio fatto in Abruzzo ed altre 
parti dello stato pontificio , del cav. Tenore. SU ii 
Filosofia zoologica , ossia prospetto generale della struttura, 
funzioni e classificazioni degli animali, del dott. Fle- 
ming. (E. Repetti) ,, >, 132 
Azione del cloro sulla bile , osservazioni del sig. dott. 
(Carlo Matteucci) A. ,, 156 
Meteorologia. = Bullettino scientifico. Gennaio 1831. A. 3 146 
Pe 55 Febbraio. B. ,, 139 
# pe Marzo. C. ,, I4I 
Fisica e chimica. PA Gennaio. A. ,, 150 
# % Febbraio. B. ,, 142 
E o Marzo. G. ,, 143 
Varietà. È; A. ,, 159 
35 > Lett. del sig. Aldino , sull’ art. 
di preservare dall’ azione della fiamma. B. ,, 145 
NECROLOGIA. 
Cav. Giuseppe Longhi. (D. Valeriani) A. ,, 169 
Prof. G. B. Balbis. (D. Rolandi) B. ,, 156 
Giuseppe Grassi. 107 PRI, GE! TTI SIN RT 
B. G. Niebuhr. (A. P. Capei) ;) ,, 156 
BuLLETTINO BIBLIOGRAFICO. 
Gennaio 1831. A. 3,3 170 
Febbraio. B. ,, 158 
Marzo. C. ,, 169 


Fine del Vol. Quadragesimoprimo. 


DELLE 


OSSERVAZIONI 


SCUOLE PIE DI 


METEOROLOGICHE 


FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO 


FIRENZE 


Alto sopra il livello del mare picdi 205. 


I Di 
° 
iS] Ora 3 
È. Li 
o RE 
Ò 
7 mat. {27. 8,9 
1|mezzog. {27. 9;d 
Ilsera |27. 99 
I 7 mat. |28. 0,3 
| 2| mezzog. |28. 0,9 
11 sera |28. 0,9 
7 mat. |28. 0,8 
3| mezzog. |28. 0,3 
rr sera |27. 11,9 
7 mat. |[27. 11,8 | 
4| mezzog. |27. :1,7 
Ir sera |27. 11,8 
7 mat. |28. o, 
5| mezzog. |23. 0,9 
rrsera [28. 0) 
| 7mat. j27. 11,9 
6| mezzog.{27. 10,9 
1° sera |27. 10,3 
‘4 7 mat. {27. 10,0 
Ù mezzog. |27. 10,0 
tr sera |27. 10,9 | 


Termon. 


MARZO 1831. 


i 
| E 
collo col ANSE O 
5 n 5 S 
er - (=) 
(0°) lo) lo) ° 
Lal = (nd 
=] = = 
° (sj (©) 


<QUOIAN]KT i 


ord 
-0osowauy | 


Stato del cielo 


sal dal 89 ‘Os. Li. |Navolo neb. Ventic. 
8,3| 11,8] 79 iLibec. Sereno Nuv. Vento 
8,5: 8,3. 41 | 0,02 Tram. Sereno Calma 
8,0| 5,0] 42 Tram. |Sereno Calma 
8,3) 9,5) 25 Sc. Le. |Sereno Calma 
8,9| 5,o|] 65 | Sciroo, |Sereno Ventic. 
85,21 3,8 90 !Sciroc. | Sereno neb. - Veptic, 
8,2| 7,8] 72 Libec. !Nuvolo neb. Ventic. 
8,0: 8,8] 92 Os. Li. Nuvolo Ventic. 
8,1] 8,2] 923 Os. Li. [Nuvolo neb. Ventic. 
8,5] 11,i| 77 Os. Sc. |[Nuvolo neb. Calma 
8,6) m1| 82 Os. Li. {Sereno Calma | 
8.2! 5,01 94 Sciroc. {Sereno neb. Calma 
8,21 10,6| 77 Sciroc. ‘Sereno neb. Calma 
9,3) _& 8,1] 90 Po. Li. Sereno neb. Calma 
9,2) 2} 68 92 Sciroc. ! Nuvolo Calma 
93] 10,5] 87 Sciroc. | Nuvolo Calma 
9,2| 90 Sa 0,02|Sciroc, ! Piovoso Calma 
9.2 48,5 93 0,08|Ostro Pioggia Ventic. 
94 11,0] 94 |! 0,03|Ostro Nuvolo Ventic. 
10,6 _98 DLE Oi Nuvola Calma. 


Lermo. 


0139 wu o1eg 
OUIIISTH | 


7. mat. /27. 11,2 9, 8,0 


27. 


0139w1 045] 


Rls 
RITO. 
Seles 
o oli evo 
3 | Ò 
(o) o 
' T] 


Sciroc. 


Stato del cielo 


Ser. con neb. Ventic. 


8| mezzog. 27. 11,4 9,9] 12,1] 59 Gr. L. {Ser. con nuv. Ventic. 
_|_rI sera E 11;6 | 10,6] 8,6] 95 Lev. Sereno Calma 
7 mat. Fia 0,0 | 10,3] 8,5] 93 Lev.  |Nuvolo neb. Calma 
9| mezzog., 0,0 | 10,5] 12,0] 74 Lev. Nuvolo neb. Ventic, 
ri sera bei 1179 | 10,5j 9,0] 88 ‘Os. Sc. |Ser. neb. Ventic. |] 
_rrr———€———_@______-- | 
7 mat. |27. 10,9 | 10,5 779] 93 0,12|Le. Sc. | Pioggia Calma 
{o mezzog. 27. 10,6 | 10,1 -l 9 0,23!Os. Sc |Pioggia Calma | 
LEI sera |27. 40,2 94 a; "3| E 0,16 Tram. |Nuvolo Ventic. | 
7 mat (27: 11,6 9,9) 9,0 Tram. |Nuvolo Ser. Vento 
tI, mezzog. 27. Ii°9 | 9,7| 11,6 da ‘l'ram. |Nnvoloso Vento |M 
11 sera 28. 0,0 | 9,8 8,0] 86 Levan. |Sereno Ventic, I 
7 mat. |27. 11,8 9,2| 5,7] o Sciroc. |Sereno Ventic* |M 
12| mezzog.|27. 11,6 9,5) 11,0] 75 Ponen. {Sereno V entic* 
1r sera |27. 11,6 | 10,2| g,0j gI Libec. |Nuvolo Ventic. 
7 mat. |28. 0,0 | 10,0 7,8 71 Po. Li. |Sereno ragn. Calma 
ilr3 mezzog. |2f. 0,3 | 10,31 12,0| 54 Sc. Le. | Nebbioso Calma 
Laser ti sera |28. Id 10,7| 3 73 Ostro  |Sereno Ventic. 
| 7 mat 7 mat. | Ss. 2:2 | 10,2 TR do Sciroc. {Ser. neb. Ventie. | 
14| mezzog. a 2,46 | 10,2] 11,21 78 Sciroc. INuvolo neb. Calma I 
ri sera 128. 1,9 | 10,6! 10,1| 80 Ostro  |Navolo Calma |f 
7 mat. |28. 0,8 10,6| 10,3) 85° Ostro  |Nuvolo Ventic»|Y 
15. mezzog.|28. 0,9 | 10,7| 9,2 94 | 0,52|'Uram. |Pioggia Calma || 
ri sera |28. 1,5 | t0;3] 5, | 95 | 0,03 ,Sciroc. |Ser. con neb. Calma |f 
7 mat. |28, 1,6 | 1o,t 8, ela 95 ‘Sciroc, |Nuvolo neb. Calma || 
16! mezzog.|28. 0,8 | 10,3 11,9] 77 Ponen. |Nuyvolo Ventic. || 
Ei | 
ri sera |28. o, | 10,899 9r_ Os. Li. Navolo Calma |f 
- = —_. - ——| P—_——_— RP; I 
7 mat. |27. 11,9 | 10,3 io 92 Os. Li. | Navolo Calma i 
17| mezzog.;27. 11,7 | 10,9 12,1 83 Os. Li. ! Nuvolo Calma |f 
II sera lar. 11,6 | 11,0]. 94 95 !Ostro Sereno Calma |f 
7 mat. |27. t:1,6 | 10,6[ 8,5) 95 Sciroc. |Sereno ragn. Calma |fl 
18 mezzog.|27. 11,6 | 10,8] 13, di 80 Sciroc. |Ser. con neb.. Calma |Y 
1{ sera |27. 10,9 | 12,0 100 9 Os. Li. |Nnvolo Calma | 
7 mat. |27. 10,3 | 11,g| zo, 2. 94 da Li. |Nuvolo ser. Calma | 
:i9) mezzog. 27. 10,6 | 12,1 A Ss 43 Tram. |Ser. con nav. Vento | 
' ti sera bieb uit Gli 48 I pagina Sereno Ventic. |gl 


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3| Ora d ta = 5 [535] 2.8 Stato del cielo 
3 © ® i suo loro 
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7 mat. |27. 11,8 10,8| 5,4| 73 Gr. Le, [Sereno Calma 
jj20 mezzog. |27. 11,8 | 10,7 11,0) 37 Gr. Le. |Ser. con neb. Calma 
_| 3} sera |27. I1,j 11,2] 7,8) 43 Sc. Le. {Sereno Ventic. 
7 mat. |27. 11,4 10,2 5,5, 67 i de pr Sereno nuv. Calm | 
2Iimezzog. |27. 11,4 10,2} 9,9) 38 |Sc. Le. | Ser. con nuv.  Ventic 
Sie at I Ap VO po e 
7 mat. |25. 0,4 9:1! 4,5! 80 RARE Di Le je. [Sereno Calma 
22|mezzog. |28. 0,0 9.0 9,6| 43 Nuvolo Calma 
| rt sera |27. 4,9 9,8| 6,0) 78 tc Sereno Calma 
edi gl ae —__ “ro 
7 mat. |28. 0,3 8,5) 5,3) 72 Sc. Le. |Sereno nuv. Ventic. 
23|mezzog. |28. 0,4 8,9| 8,9| 52 |Sc. Le. | Ser. con n. rotti Ventic. 
Il sera |27. 11,7 9,3] 6,8| 76 :Seiroc. | Nuvolo Calma 
| 7 mat. |27. 11,6 8,8) 4,5 95 0,17 Levan. Pioggia Ventic. 
Aj.4 mezzog. |27. 11,4 8.51 6,1] 95 | 0,17 Ponen. {Pioggia Calma 
II Sera |27. 11,5 8,0| 6,0| 96 | 0,16 Ostro Pioggia Ventic. 
4a Ke sd LL Te _ Trevor 
{j | 7 mat. {27. :1,3 7,7] 9;7| 94 | 0,24 Tram. |Nuvolo Vevtice. 
j|25\mezzog. |27. 11,0 1,8! 7.9) 94 | 0,16 Tram. |Pioggia Calma 
| i) sera j27. 11,4 7,51 6,8) 95 | 0.14 Tram. INuvolo Calma 
7 mat. |23. 0,0 7,5) 6,9! 94 Tram. !Nuvolo Calma 
26|mezzog. |28. 0,0 7,9) 11,5! 73 Pon. Li. Ser. ragn. Ventic. 
11 sera |2%. 0,9 8,4! 8,2! 71 Tram. |Se. con nuv. Vento | 
7 mat. |23. 0,7 8,5 7,2 85 | Gieco |Sereno Ventie 
I ag 28. 0,4 8,9! 12,0) GI | ‘Tram. {Sereno Ventie. | 
rt sera |28. 0,3 10,2| 10,3; 7I Tram. |Nuvolo neb. Ventic. | 
| 7 mat. |28. 0,6 | 10,2) 9;8| 92 Tram. |Nuvolo neb. Calma 
mezzog. |28. 1,1 | 10,5). 12,9] 72 Tra. |Nuvolo neb. Ventie 
> rr sera |28. 1,1 | 19,5 10,0 CL 0,02, ! Maest. Piovoso Calma 
N q mat. |28. 1,t | 10,8 cosi 92 | o,io !Maest, Pioggi a Calma 
jj:g mezzog. 28. 0,9 | 11,35] 13,0] 65 | o, 02 Fram. |Nuvoloso Ventic. 
| 1r sera 128. 0,5 11,0) 11,8) 74 ITram. |Screno nuv, Vento 
7 inat. 25. 0,1 10,9] 10,0| 71 Tram, Sereno Vento 
3o|mezzog: |25. 0,2 11,2| 12,9) 62 Tram. Ser. con n. Vento 
1: sera |27. 11,9 | t1,6| 10,5, 69 Tram. Sereno neb. Vento 
7 mat. |27. 11,6 11,3 99 72 Gr. ‘Pr. Nuvolo ser. Vento 
104 raga 27. 11,5 | 11;9| 13,3] 66 Gr. Tr.|Nuvolo Ventic, 


ti sera |a", 11,5 | 11,8| 11;5| 71 Tram. {Nuvolo Vento 
e PR EZIO U Jerez À 


| IL PREZZO D' ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipatamente. 


pn a x T Ri 


i Per la Toscana , Lie 26 tincade fi per 1 anno { franco di porto 
per la posta 


i per tuttoil lis 


; ; t 
3 : Lombardo Veneto al franchi 36. franco di porto 


eil Regno Sardo per la posta 
per il Ducato di Parma; — franchi 36. talco alle frogtiate 
> per la posta 
| per Roma e sue adiacenze > — scudi 8. franco di porto. 


perla posta 


| per Bologna e tutta la Romagna, — franchi 36, franco alle frontiere 
i per l’ Estero, — franchi 36. sind franco Torino - 
i È i o Milano 

| SERA o franchi 52. i © Franco Parigi 
ta i per la posta 


A 


SE ‘© L'intera collezione dei 10 anni, 1821- -1829 N.° 1 a 120, in 40 volumi broché 
(quasi esaurita) non si può rilasciare a meno di L. 300 
Glì anni separati dal 1821 al 1829, quando cifetano! » Ciascunò. » 24 
Un fascicolo sciolto, quando sia disponibile. Paoli 5 


a BLA 


vi INDICE o 
DELLE. MATERIE 3 


CONTENUTE 


A 


| NEL PRESENTE QUADERNO. © *' 


0 can E e 


Giivseppe Grassi. Cenni biografici. iS i (K. X. Y.) Pag. 
Cenni istorici sull’origine della stampa e sull’ artefice che prima fecs 

uso-di caretteri sciolti e fusi: Art. III. .-« -‘.(T. Tonelli} 
Di varie società e istituzioni di beneficenza in Londra. (EM) 
Vedute di Sardegna; pubblicate in Torino. . —’—(Cuo. ‘G. Manno} 


Saggio di un trattato teorico-pratico sul sistema livellare secondo la le. 
gislazione e giurisprudenza toscana ; dell'Avv. G. Poggi. Pe 
(doo. A. Paolini) e 
Iliade poliglotta. — Esistenza dPOmero ; ec. Art. Mi AR 
Sul ristabilimento del Giurato in Corsica. ; SA 
Rivista LerrenAnTA. = Carlo Marenco. Corso Donati, tragedia , piro. 
— Pietro Zorzi. Cecilia di Baone, romanzo , p.-.118. — Pirova-. Revo 
no. Nuova Guida di Milano , p. 120. — Cav. Ciampi. Viaggio coi 
Polonia, p. 122. — G. Pomba edit. Antologia straniera , p. 124. pù: 
— Bandini. La Georgica e le Buccoliche di Wella tradotte; p: 125... 
— Bandini. Traduzione delle lettere di Plinio a Traiano, p. 125, 
— Sonetti d’Anonimo., tolti da un codice del secolo XIV , p. 128. 
— Fasti e vicende de’ popoli italiani dal 1801. al 1819, p. 129. ‘S 
— Da Ponte. Memotie, p. 129. — Longhena. Notizie biografiche © ‘O 
di G. Longhi, pi 130. — Bianca Milesi. Della primà “educazione. SE pra 
de’ fanciulli , p. 133. — Prof. Sestini. Medaglie greche del Baron 0. 
di Chandoir ; p. 135. = De Cristoforis. Storia milanese , ‘pi 187. 
— Brighenti. Della musica rossiniana ; p. 138, “Def. Sasa 
Miscellanea, p. 139. 
BuLLEÎTINO SCIENTIFICO-LETVERARIO, Li Mellordpait, fisica è siasi d01t:555 r4r 
NecroLocia. B. G. Niebuhr. i (A. apo} » 156 
Bullettino bibliografico. 


» 1( 
Tavole meteorologiche. 


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