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Full text of "L'Archeografo triestino"

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/ 



i-v 



ARCHEOGRAFO TRIESTINO 



RACCOLTA 



DI 



MEMORIE, NOTIZIE E DOCUMENTI 



7"» • 






PàBTICOLàBMBNTE 



PER SERVIRE ALLA STORIA 



DI 



TRIESTE, DEL FRIULI E DELL'ISTRIA. 



tlDOYA SERIE - YOL XXI. 



TRIESTE 

Stabilimento Artist. Tipogr. G, Caprin, 

1896-1897. 



TO NEW YORK 

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V I 



INDICE 

DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXL 

Fascicolo I, parte I. 

BENEDETTI prof. GIORGIO — Giuseppe Tartini, studio pu- 
blicato iu occasione dell' inaugurazione del monumento al 
Tartini in Pirano pag. 6-108 



Parte II del I fascicolo, e fascicolo II. 

TOMASIN dott. PIETRO — Notizie storiche intorno all'Ordine 
dei frati Minori conventuali in Sta Maria del Soccorso e 
nella Cella Vecchia in Trieste e in S.ta Maria di Grignano pag. 109 

COSTA prof ALFONSO — Studenti foroiuliensi orientali, trie- 
stini ed istriani all'Università di Padova (continuazione) , 185 

MORTEANI prof LUIGI — Sulla lite per la decima dell'olio 

tra i vescovi di Capodistria ed il clero e popolo piranese „ 249 

PUSCHI prof ALBERTO — Edificio romano scoperto nella villa 
di èarcola (contin. e fine); con incisioni intercalate e ta- 
vole allegate 266 

MORPURGO prof. ALESSANDRO — Olimpia Morato; lettura „ '006 

MAIONICA prof ENRICO — Studi aquilejesi (continuazione); 

con incisioni intercalate „ B33 

PUSCHI prof. ALBERTO — Altre costruzioni romaue scoperte 
nella villa di Barcola dal novembre 1890 al maggio 1891; 
con una pianta „ B51 

VRAM dott. UGO G. — Osservazioni intorno ai crani trovati 

nel secondo edifìcio di Barcola; con incisioni intercalate „ 378 

STENTA prof. MICHELI-: — La classica liuteria italiana; lettura „ Bh2 

PUSCHI prof. ALBERTO — Antichità scoperte a Trieste e nel 
suo territorio nel decennio 1887-1896; con incis. intercalate 
e tavole allegate . . • „ 407 

VRAM dott. UGO G. — Bibliografia: G. Sergi, "Africa, antropo- 
logia della stirpe camitica,, , 423 

LORENZUTTI dott. LORENZO — Relazione della LXXXVI 

annata della "Società di Minerva, „ 426 



1 






GIUSEPPE TARTINI 



STUDIO 

DI. 

GIORGIO BENEDETTI 

Professore eUl*i, r. Accademia di Commercio e Nautica. 



Ricorreva nel 1892 il secondo centenario della nascita 
del celebre violinista piranese Giuseppe Tartini. Già qualche 
anno prima un'eletta schiera di istriani e di triestini, con 
a capo alcuni cittadini di Pirano, s' era unita in Comitato, 
perchè fossero rese degne onoranze a questo principe dei 
violinisti, a cui la città di Pirano, due secoli prima, aveva 
dato i natali. Duplice era stato lo scopo prefissosi dal Co- 
mitato, commemorare degnamente un si grande nostro com- 
provinciale, e in pari tempo, mediante le singole festività^ 
raccogliere quella somma di danaro, che fosse bastevole 
per erigergli nella ma^or piazza di Pirano un monumento, 
che ne tramandasse ai posteri la ricordanza. L'attività e 
gli sforzi fatti dall' egregio Comitato furono, dopo cinque 
anni, coronati di lieto successo. All'appello del Comitato 
rispose Trieste per la prima e dietro ad essa le città e 
borgate dell' Istria e del Goriziano. Grato ricordo conservano 
tuttora i Triestini del concerto che nel 1892 fu dato al 
Politeama Rossetti in onore di Tartini. Per interpretare 
degnamente le sonate tartiniane, s'era fatto venire nien- 
temeno che l'illustre Thomson, e la Sonata del Diavolo, 
interpretata da un aitista si geniale, riscosse interminabili 
applausi. Anche Pola, prima delle città istriane, non volle 
essere da meno. Perchè la solennità divenisse imponente. 



8 

la Società filarmonico - drammatica, che se n' era fatta ini- 
ziatrice, aveva invitato ogni ceto di cittadini al Politeama 
Ciscutti per la sera del 12 maggio 1892. Al sottoscritto 
era stato demandato il non facile incarico di voler tessere 
con acconcia orazione un elogio all'illustre violinista. L'anno 
appresso, avendo egli fatti altri studi sulla vita di tanto 
uomo, diede alle stampe quel suo primo studio su Taitini, 
che fu poi publicato nel Programma dell' i. r. Ginnasio di 
Pola, alla fine dell'anno scolastico 1893. Questo suo primo 
tentativo, che era stato accolto favorevolmente anche 
dalla stampa triestina, lo incoraggiò a continuare nelle 
ricerche, e con tanto maggior ardore, dacché egli potè 
trovarsi in un più ampio centro di coltura, ed avere a sua 
disposizione altre fonti, che prima gli erano sconosciute, 
sì che ora può offrire il presente suo studio, che, fatto 
sulle basi del primo, venne ampliandosi in molte parti, e 
andò soggetto a correzioni in molte altre. Egli non crede 
perciò di aver potuto sciogliere ogni dubbio cii'ca la vita 
di sì chiaro ed illustre istriano, di cui parlarono e italiani, 
e tedeschi, e francesi ed inglesi, sia perchè, a cagione di 
indÌAdduali gelosie, non potè vedere tutte le fonti, sia perchè 
molte altre da lui compulsate o si contraddicono o intera- 
mente si escludono l'una con l'altra. Egli premette altresì 
che non tratterà di quella parte che strettamente collegasi 
all'arte ed alla scienza musicale del Tartini, avendo altri, 
di lui ben più competenti in materia, assunto incarico sì 
oneroso, bastandogli il merito di aver fatto un po' più di 
luce circa la vita di tanto istriano, ritenuto da tutti il 
principe de' violinisti del secolo decorso, e da molti altri, 
non a torto, il primo violinista dell'intera umanità. 

E qui pure gli sia concesso di esternare publìcamente 
le più sentite gi-azie alla Direzione del Gabinetto di Minerva, 
che volle venisse fatta a .sue spese la ristampa di questo 



studio ; alla Direzione della Biblioteca Civica, che gli fa 
sempre larga e di consigli e di aiuti di libri; alla Dire- 
zione della Biblioteca del Santo di Padova, nonché a quella 
del Civico Museo di Padova; e da ultimo alla Direzione 
della Publica i. r. Biblioteca dell' Università di Praga. 

Trieste, 1 giugno 1896. 

prof. Giorgio Benedetti 



1 



^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ 



L* ombra dell' ispirato esaere umano 
Yedeasi il violin Btringer commoBBa, 
L'arco Teggéndo con la destra mano. 

G. Tagliapietra : Cantica a Gfuifppé 
Tortini — Canto UT. 



Là giù; a ponente di Trieste, dietro a quelle vetuste mura 
merlate, che con le ultime torri e gli ultimi contraforti spin- 
gonsi ardite fin sulF orlo dirupato del monte, e chC; viste da 
St. Andrea o da Barcola, paiono da un momento all' altro 
precipitare nel mare sottostante ; dietro a quello svelto cam- 
panile veneziano e a quella chièsa bizantina, poggianti su alti 
piloni e su vaste arcate a. sostegno del colle S. Giorgio ; dietro 
a quella lingua di terra, che dal colle digradando in dolce 
pendio, va a terminare, con ammasso confuso di vecchie case, 
in una piccola torre moresca ed in piccolo forte rotondo; 
s' apre in bel semicerchio; aperta al mare, che quasi tutta la 
bagna e circonda, la città di Pirano, o la Salinarola istriana, 
come ben volle chiamarla, con bella metonimia, uno scrittore 
triestino. ^) Le mura stesse, unite da svelte torri, ne la serrano 
dalla parte di terra; le fanno poi bella corona degli orti ma- 
gnifici e delle fiorenti campagne tutte ripiene di viti e di olivi 
secolari, che le rendono meno moleste ed afose le lunghe 
giornate estive, e meno sensibili i venti di rovaio nelle lunghe 
notti invernali. 



*) Vedi G. Caprin, Marine istriane ^ Trieste, 1889. 



12 

Nel cuore della città s' apre al mare, iu semicerchio essa 
pure, la maggior piazza, che, ingrandita sensibilmente, col 
coprire il vecchio mandracchio, fu denominata piazza Tartini, 
perchè in mezzo ad essa s'innalza il monumento di questo 
illustre figlio di Pirano. Entrando nella piazza, né il piede sa 
dove prima rivolgersi, né V occhio dove prima posarsi. Due 
zoccoli calcari antichissimi, che quasi ti chiudono il passo^ ^) 
e sopra i quali ancor oggi si scorgono due bassirilievi di 
S. Giorgio e di S. Marco e qualche iscrizione tutta ròsa dal 
tempo, portanti due lunghi stendardi, chiaro ci dicono, che 
sopra essi spiegavasi nelle maggiori festività la bandiera di 
S. Giorgio, protettore della città, e quella della serenissima 
Sepublica di S. Marco. Daccanto o di contro agli edifizi di 
stile moderno, vedi far bella mostra di sé, nella sua semplicità 
ed eleganza, la casa medioevale di un purissimo stile veneziano, 
co' suoi antichi balconi e colle finestre archiacute; dall'altra 
parte altra casa poggiante su lunga galleria e divisa dalle 
altre con solai ; e questa si è la casa fortificata, che ci ricorda 
la storia di Pirano di due o tre secoli addietro, quando più 
fervevano le lotte intestine fra nobili e popolani. Nel mezzo 
ci si affaccia, umile si, ma pur maestoso nella sua semplicità, 
il vetusto tempio di S. Pietro: e quella sua gradinata estema 
e la facciata a delicati contomi, chiaro ci dicono ch'esso fu 
riedificato sullo stesso sito e con gli stessi materiali di altro 
antijchissimo delubro, sacro a qualche divinità greca o romana. 
Un' altra casa ancora, di non modeste apparenze, che sorge 
accanto al tempio, arresta i nostri sguardi. Questa è la casa 
dei Tartini. Ce lo dice un' iscrizione murata sulla facciata 
principale : 



•) Questi due zoccoli trovavansi prima dell'allargamento della piazza 
dinanzi al palazzo municipale: ed era quello il loro vero posto, mentre 
dove ora sono non fanno che ingombrare il passaggio. Ora poi che si 
innalza il monumento in mezzo alla piazza, disturbano non poco le lìnee 
armoniche visive, mentre il monumento viene a perdere non poco della 
sua maestà. E quasi ciò non bastasse, furono affissi agli zoccoli degli 
albi; che deturpano la loro semplicità. 



13 



À 
GIUSEPPE TARTINI 

NATO IN QUESTA CASA IL 12 APRILE 1692^) 

DONDE MOSSE A BEARE L' EUROPA 

CON MELODIA DI VIOLINO MERAVIGLIOSA 

E CON OPERE DI SCIENZA MUSICALE 

PERCHÈ LA VIRTÙ DI TANT' UOMO 

NELLE PATRIE ARMONIE SI DIFFONDA 

I FRATELLI VATTA 

INNALZARONO MEMORIA d' ONORE 

1846. 

Che se poi ci movesse vaghezza di visitare la casa stessa, 
dove il nostro Tartini vide la prima luce, entrati che saremo 
nel campiello di S. Pietro, la proverbiale gentilezza della fa* 
miglia Vatta, gelosa custode delle memorie tartiniane, ci con- 
durrà tosto nella medesima stanza, dove il celebre violinista 
emise i primi vagiti, e dove, in appresso, fanciuUetto ancora, 
studiò i primi rudimenti delle lettere e dell'arte musicale. È 
divisa questa stanza in due parti: dell'alcova, cioè, separata 
da una vòlta, e della stanza propriamente detta, tutta istoriata 
di bassirilievi in istucco. Emergono nel mezzo del soffitto tre 
piccoli tini, che sono lo stemma gentilizio della famiglia, da cui 



•) Nato il 12 aprile lo dice il Ti baldo, Biografia degli italiani illustri, 
vo?. II, pag. 307 e seg., Venezia, 1834, «Vita di G. Tartini„ di C. Ugoni; 
il Wurzbach, Biographisehe» Lexicon de» Keiserthums Oettterreich, tomo 43, 
pag. 101 seg.; Fautore della biografia nella Illustrazione del Prato della 
VaUe, Padova, 1907, coi tipi del Seminario ; V autore del lungo articolo 
della Biografia universale, voi. 56, Venezia, Missaglia, 1829; il breve arti- 
colo della Nuova enciclopedia popolare, Torino, Pomba, 1865, voi. 22; il 
professore Francesco dott. Fanzago, Orazion e funebre in morie di 
G, Tartini, Padova, 1770; il P. Val lotti, Elogi di G, Tartini, Padova, 
1792; il Fayolle, Notices sur Gorelli, Tartini ecc., Parigi, 1810, e molti 
molti altri ancora, che copiarono poi questa notizia dai più antichi bio- 
grafi. Donde abbiano preso tutti questi la data del 12 invece che quella 
degli 8, che, come vedremo, è la vera, non ho potuto rilevare. Forse, 
ed anzi probabile, fu confusa la data del battesimo con quella della 
nascita. 



14 

essa poi prese il nome. Ciò tutto ho creduto bene di accen- 
nare, e tanto più poi, dacché non so quali scrittori enciclopedici 
di storia istriana, cassate che si ebbero a loro beneplacito le 
vocali al nome di questo illustre casatO; ed addensate poscia 
a comodo loro le rimaste consonanti, non senza trasfonderle 
altresì e sovrapporvi qualche angolosa aureola, ne lo vorrebbero 
far provenire da non so quali iperboree regioni. 

E restando noi fermi al nome di Ter-Tini, o Tartini, 
come poscia si disse, per il facile scambio delle due vocali, 
diremo esser stato padre al nostro violinista il gentiluomo 
Gian Antonio Tartini, fiorentino e d'origine e di nascita, 
venuto a Pirano da Firenze nel 1679, e stabilitosi in città 
quale negoziante. Ho detto e d' origine e di nascita, dacché 
quest'ultima fu messa in dubbio anche da qualche oculato 
scrittore di storie patrie, a cui poi molti tennero dietro, senza 
neppur citare la fonte. *) Negli atti parrocchiali della Collegiata 
di Pirano, ripetute volte si riscontra il nome di lui, ed é 
sempre chiamato Tartini Giovanni Antonio di Domenico da 
Fiorenza. In un altro atto, che conservasi neir Archivio ve- 
scovile di Trieste, portante la data del 6 luglio 1709, così egli 
stesso si esprime, dovendo testimoniare in una causa matri- 
moniale: "Mi chiamo Giov. Antonio Tartini da Pirano ed ho 
60 anni. Non ho alcun esercizio, se non in quante io negozio. 
Io non son nato a Pirano, che son Fiorentino, ma saranno 
d. 30 anni che io abito di continuo a Pirano.» ^; 



*) Biografia degli uomini diatinii dell' IstHa del canonico Don Pietro 
Stancovich da Barbana, seconda edizione, Capodistria, Carlo Priora, 
1888; Biografia 232, -Tartini Giuseppe^. 

*) Credo far cosa grata ai lettori col citare Tatto stesso in tutta 
la sua estensione, tanto più poi, che tranne il breve accenno dell'abate 
A. Marsich, non Io trovo riprodotto in alcun biografo. Devo anche spe- 
ciale riconoscenza al testé defunto monsignor dott. Sust, preposto capi- 
tolare, che con squisita gentilezza mise a mia disposizione l'Archivio 
vescovile, e ringrazio publicamente i due sacerdoti dott. Ivanic e Mecchia. 
che mi aiutarono nelle ricerche: 

«Adi 6 luglio 170a 

"Per rilevare lo stato libero del S. Silvestro, fg, S. Bernardin 
Castro, e della S. Maiia figlia di Zuane di Pietro Zangrando da Pirano 



; 



15 

Lo Stancovich oltre a ciò nella biografia del nostro 
violinista afferma, che il padre Gian Antonio, in ricompensa 
di ricchi doni, fatti alla cattedrale di Parenzo, fu da quel 
Consiglio aggregato alla nobiltà parentina. *^) Se ci fu a Pa- 
renzo, ciò deve essere avvenuto prima del suo arrivo a Pirano 
nel 1679; il che trasparirebbe altresì dalle parole dello stesso 
Stancovich, perchè dopo il suo arrivo a Pirano, e dopo ,il suo 
matrimonio, che avvenne nel 1686, non ci fu di certo; né di 
ciò trovo cenno in alcun biografo, e neppure trovo cenno di 
questa nobiltà parentina, che quel Consiglio non poteva in 
alcun modo conferirgli, essendo quella spettanza della republica 
di Venezia. E questo titolo di nobile V avrebbe anche conservato 
più tardi, mentre al contrario un atto capitolare del Convento 
dei PP. Francescani di Pirano (26 maggio 1699) lo chiama 
semplicemente il signor Giov. Antonio Tartini. Fu appunto in 
quest' anno eh' egli venne "esaltato ed eletto (sono queste le 

di Pirano, quali desiderano congiungersi in santo Matrimonio colla 

dispensa delle publicazioni per questo motivo stesso che vengono per la 

morte di un zio della giovane furono prodotti gli infrascritti testimoni: 

^11 signor Giovanni Antonio Tartini \ , t^. 

„„ ,7 ^ ^ ^ . } citi Pirano. 

*M. V. D. Rocco Corbato > 

"M.° Giov. Antonio Tartini da Pirano, Testimonio Inf., Possid. ecc. 
d* anni GO. 

"1. Ammonito della Gravità del Giuramento. 

^2. Io mi chiamo Antonio Tartini da Pirano, non ho alcun esercizio, 
se non in quanto io negozio, còmendo in quto mi occorre. 

'3. Io non son nato à Pirano, che son Fiorentino, ma saranno da 
30 anni che io abito di continuo a Pirano. 

*4 Son venuto ad esaminarmi per il dott. Silvestro, perchè si ma- 
rita con una Zangrando mia figlia (probabilmente iilioccia, parente di sua 
moglie, che era una Zangrando), ne* quali non ci è alcun impedimento. 

*5. Esaminato se conosce il signor Silvestro, da quanto tempo e 
con qual occiìe. 

■6. Lo conosco benissimo sin da piccolo, con occasione che siamo 
tutti da Pirano, luogo piccolo, ove facilte si conosce ogn'uno — cosi 
conosco anco la Sig. Maria figlia di Zuane Zangrando.„ 

E qui termina la sua testimonianza, e comincia T altra di Rocco 
Corbato. — Dai Mss. del vescovo Naldini di Capodistria, tomo XV, carta 168. 



•) Vedi Stancovich, op. cit. 



le 

precise parole del capitolare) Sindaco e Procxiratore del Con- 
vento „. Se quasi tutti i biografi del nostro violinista sono 
concordi nel dire, che il padre di lui venne direttamente da 
Firenze a Pirano per negoziare, credo che il nobile Tartini 
parentino sarà stato qualche altro o della stessa famiglia o 
dello stesso nome. Di questi abbagli nelle biografìe degli uomini 
illustri se ne incontrano di spesso, e classico si fu quello, per 
non dire di altri, con cui perfino si volle confondere il nostro vio- 
linista con altro Giuseppe Tartini, commerciante esso pure, morto 
a Trieste il 22 maggio 1770, e sepolto qui nei Minoriti, abbaglio 
che tosto fu veduto e corretto da Attilio Hortis. ') Il semplice 
titolo di signora (domina) Caterina Tartini, che fu consorte del 
signor Giov. Antonio, è scritto sulP epitafìo nella stessa chiesa 
dei Francescani, dove esssa fu sepolta il 14 aprile 1744. Citata 
una volta essa pure a comparire come testimone per un miracolo 
della Madonna, si dice, senza alcun predicato di nobiltà: Caterina, 
moglie di Giov. Antonio Tartini, pubblico scrivano dei sali.^ 
Nel 1692, che è appunto l'anno in cui nacque il nostro 
violinista, il padre Gianantonio copriva carica onorifica in 
Pirano quale pubblico scrivano dei sali. ^) La famiglia stessa 
poi godeva di una certa reputazione ed agiatezza, benché più 
tardi, sia per l'educazione dei figli, o, come traspare dalle 
lettere stesse del nostro violinista, morto il padre, per altre 
false speculazioni e liti, tanto decadde da trovarsi siili' orlo 



') Vedi Archeografo triestino^ nuova serie, voi. X, "Lettere di Giu- 
seppe Tartini con prefazione,,, di Attilio Hortis, Trieste, L. Herrman- 
storfer, 1884« 

") Archivio vescovile di Trieste. Mss. del vescovo Naldini di Capo- 
distria, tomo II, carta, 251. Citata come testimonio dice: "Mi chiamo 
Catterina Tartini, nata Zangrando, moglie di Giov. Antonio Tartini, pu- 
blico scrivano dei sali.,. Invitata a deporre quanto ha veduto cìréa il 
miracolo, cosi si esprime : "Stando a pregare nella chiesa dell' Ospitale 
con una mia comadre Catterina Apollonio vidi sudare la BeatA Vergine. 
Vidi una .goccia grande come una grossa perla in sul iiore che la Ma- 
donna teneva in mano e corsi a chiamare altre mie compagne.. Questo 
miracolo, che allora aveva menato tanto scalpore in città e di cui con- 
servasi ancor oggi qualche memoria fra il volgo, avvenne nel 1699. 

•) Vedi la nota antecedente. E. Ni coli eh, Cenni storico-statistici 
Bulle saline di Pirano» 



17 

del precipizio. '^) E di questa agiatezza della famiglia egli fa 
cenno appunto in una lettera, che da Praga manda al fratello 
Domenico in Pirano colla data del 3 novembre 1725, nella 
quale dopo aver detto, che nulla poteva fare per sollevare le 
tristi condizioni della famiglia, così conchiude: "Prima che 
l'anno finisca staremo assai meglio di quello non sia stato 
nostro padre, né cercate il come, né il quando. „ Quell'ufficio poi 
di "Publico Scrivano dei Sali», non era, come saremmo indotti 
a credere, un impieguccio di poca importanza: esso veniva affi- 
dato, come ancor oggi si fa degli ufficiali alla Presidenza dei sali, 
a persone stimate e di provata capacità ed esperienza. Ed oltre 
del Consorzio stesso dei padroni e dei salinari, doveva essere per- 
sona di piena fiducia altresì della repubblica di Venezia, gelosa 
quanto mai delle saline di Pirano. Lo si diceva anche ^massaro ,, ; 
e sua spettanza si era d'invigilare sulla bontà e sulla quantità 
o limitazione dei sali, e veniva eletto dal Consiglio della città 
di Venezia e mandato a Pirano quale pubblico impiegato. *') 



'°) Archeogmfo triestino, op. cit, Lettera da Praga, 10 agosto 1725 
al fratello Domenico e T altra del 8 novembre dello stesso anno. 

") E. Ni co li eh, op. citjpag. 87: "Sotto il governo dei Veneziani 
r amministrazione del sale di Pirano era in n\^no di due digerenti offici, 
r uno demaniale e V altro della Comunità dei Salinari. Questa eleggeva 
annualmente un Cassiere, che pagava i sali requisiti, spettanti al settimo 
ed al quinto, d* accordo collo Scrivano o Massero dei sali, eh* era impie- 
gato veneto.^ £ a pag. 49: "I lavori delle saline venivano sorvegliati e 
rigorosamente ispezionati dal provveditore, ed in assenza dal Massero 
al Sai., — Non mi fa dato di poter rintracciare in quale ramo commer- 
ciale si dedicasse specialmente il signor Antonio Tartini, ma da queste 
due note del Nicoli eh, potremmo dire quasi con certezza, che trovan- 
dosi egli nel 1679 in Venezia a curare i negozi della ditta Tartini di 
Firenze, fosse stato mandato dai Veneziani a Pirano in qualità di Mas- 
saro al Sai. Esteso era allora il commercio del sale, sia per tutto l'Adria- 
tico, che per terra colle provincie inteme, e la republica di Venezia 
aveva trovato in Tartini il mercante probo ed onesto, che facesse gV in- 
teressi e della città e quelli della Serenissima. Ch' egli poi abbia disim- 
pegnato questo munere con tutta scienza e coscienza, lo possiamo vedere 
dall'elenco dei publici Massari, perchè, morto lui, sottentra il figlio Do- 
menico, fratello maggiore del nostro violinista, si che abbiamo nella 
famiglia una ininterrotta successione di quasi 50 anni in questa carica 
onorevolissima. 



il 



18 

Non poco giovò pertanto al signor Giov. Antonio Tartini 
di aver presa in moglie donna piranese, se non nobile, di 
nobile cuore tuttavia e di nobilissimi sentimenti. Ghiamavasi 
Caterina Zangrando, e non dei Gioan-Grande, come vogliono 
molti biografi del Tartini.") Questa famiglia esiste tuttora a 
Pirano ed è una delle più antiche della città. '«) Sorvissuta di 
molti anni al marito, *^) soffri con santa rassegnazione tutte 
le traversie, a cui andò incontro la famiglia, e che furono 
lunghe e dolorose. Ed i figli, a quanto pare, ne la fecero 
soffrire, se il nostro Giuseppe nella stessa lettera da Praga 
al fratello Domenico (3 novembre 1726) così scrive : "Sopra 
tutto rispettate la madre, perchè i nostri maggiori peccati 
sono stati contro essa, onde bisogna emendarli con altret- 
tanto rispetto.,, E tanto più è da lodarsi in lui questa sua 
confessione e pentimento, essendo egli stato, come tosto ve- 
dremo, parte non piccola dei dolori materni colle sue giova- 
nili stranezze. 

Non nacque Giuseppe Tartini il di 12 aprile del 1692, 
come dice l'iscrizione commemorativa succitata, si bene gli 8 
dello stesso mese, come accennano i mss. dell'Archivio ve- 
scovile, dei quali diremo più appresso, e i registri parrocchiali 
della Collegiata di Pirano, che lo pongono quarto genito di 



^*) Biographisches Lexicon dea KeiserMlutmt Oeaterteich von dott. 
Constant von Wurzbach^ tomo '113, pag. Ili e seg. Fu, credo, il 
Wurzbach, che per il primo, nella Biografia del Tartini^ scrisse Gioan- 
Grande, traducendo dal dialetto Zangrando. A lui tennero dietro molti 
e molti altri. Pregevolissime, del resto, sono le notizie del Wiirzbacli 
su Tartini. NelP Archivio della città di Pirano la famiglia Zangrando ap« 
parisce già nei secoli XV e XVI. 

*■) Vedi nota antecedente. 

^*) Mori, come abbiamo detto, il i7dd. Non mi fu dato però rinve- 
nire in che anno mori il signor Giov. Antonio,* certo però prima del 
1725, giacché il nostro violinista nella lettera da Praga (10 agosto 1725) 
al fratello Domenico, manda cordiali abbracci alla madre, ai fratelli, alle 
sorelle e ai cognati, mentre del padre non è detta parola. NelPaltra let- 
tera da Praga (3 novembre 1725), egli parla della morte del padre, come 
di cosa avvenuta già da lungo tempo. Archeografo triestino^ op. cit. 



J 



19 

sei fratelli e tre sorelle. ^^) Bambino ancora^ addimostrò mente 
svegliatissima ed ingegno non comune ; e che cosi ei fosse ce 
lo ha conservato la tradizione popolare, che, dopo due secoli, 
racconta ancora qualche bel tratto o motto di questo prodigioso 
fanciullo. Non tardarono inpertanto i genitori a famelo educare, 
e noi lo troviamo, fanciuUetto ancora, ad apprendere i primi 
elementi delle lettere o gli studi grammaticali, come allor 
dicevasi, nell' Oratorio dei PP. Filippini, che era poco distante 



*^) Credo tar cosa grata ai lettori col trascrivere 1* albero genea- 
logico della famiglia Tar tini, desunto dai libri e registri della parrocchia 
di Pirano. Lo devo alla gentilezza del canonico Domenico Vidali, mio 
amico, che per me si sobbarcò a questo arduo compito. 

Tartini Gio. Antonio di Domenico da Fiorenza 
sposato nel 1685 con Catterina Zangrando di Pietro 

figli: Domenico*), scrivano dei Sali, nato nel 1686. 
M. Maddalena, nata nel 1687. 
Pietro, nato nel 1689. 
Giuseppe, nato nel 1692, 8 aprile. 
Catterina, nata nel 1694. 
Antonio, nato nel 1696. 
Pietro, nato nel 1698. 
Anna, nata nel 1699. 
Pietro, nato nel 1700. 

*) Domenico, sposato nel 1716 con Lucia Vatta di Simeone 

figli: Giov. Antonio, nato nel 1715. 
Catterina, nata nel 1717. 
Giuseppe, nato nel 1718. 
Giuseppe, nato nel 1719. 
Catterina, nata nel 1721. 
Pietro**), nato nel 1723. 
Anna, nata nel 1724. 
Catterina, nata nel 1726. 

**) Capitano Pietro, sposato nel 1767 con Francesca Scarpazza 
(I.a moglie), 
detto ', sposato nel 1790 con Lucia Vatta dì Simon 
q. Bonifacio (IL a moglie) 

senza prole. 

La facoltà dei Tartini perciò passò alla famiglia Vatta. 



i 



20 

dalla casa paterna. ^^) In pari tempo riceveva lezioni di musica, 
e di violino specialmente, avendo, fino da quella prima età, 
addimostrato una passione vivissima per questo strumento. 

Aveva allora Pirano un'Accademia, detta dei Virtuosi, 
alla quale erano aggregati tutti i cittadini di qualche cultura. 
In essa ragionavasi di letteratura, di scienze, di filosofia. La: 
musica poi formava parte principalissima, tanto che non eravi 
festività, sia pubblica che privata, in cui non si facesse della 
buona musica. '^) E se le feste private erano allietate di buona 
musica, figuriamoci quali festività si saranno tenute in casa 
del gentiluomo fiorentino, che, dalla gentil sua patria, madre 
e cultrice di tutte le belle arti, avrà importato ed infuso vita 
novella e gusto più fine e squisito in queir Accademia di 
Virtuosi. Il figlio poi, più che di nome, divenne di fatto vir- 
tuoso nella bell'arte de' suoni. 

Era il padre del nostro Tartini uomo quanto mai reli- 
gioso ; fu questa la causa eh' egli affidasse ai PP. Filippini 
la prima educazione del suo Giuseppe, desiderando^ come ben 
presto vedremo, che abbracciasse la carriera ecclesiastica. Il 
giovinetto, benché svegliatissimo e vivace, era già allora un 
po' inclinato all'ascetismo religioso egli pure, ne si ribellò alla 
volontà patema, benché vedesse i suoi amici e coetanei fre- 
quentare la pubblica scuola del dottore di grammatica, stipen- 
diato dal Comune. 1®) 

Terminati gli studi grammaticali, fu mandato a studiare 
umanità e rettorica nel Collegio delle Scuole Pie in Capodistria. 
Se crediamo ai suoi biografi, fu scolaro distinto, segnalandosi 
non solo nelle discipline umanistiche, si ben anche nella musica 



^^) K Oratorio non esiste più, tranne la piccola chiesa dedicata alla 
Madonna della Neve. Esso trovavasi fra la Carrera di S. Francesco e la 
Carrera Grande, dove ora sono le prigioni comunali. 

") Morte ani L., Notizie storiche deUa città di Pirano j Trieste, Li. 
Herrmanstorfer, 1886, pag. 128 e seg. 

*') Era detto anche "rector et professor scolarum». Vedi gli atti 
deir Archivio giudiziale e comunale di Pirano. Aveva casa propria, che 
gli veniva assegnata dal Comune, ed un salario, che variava dai 100-150 
ducati.— Morte ani L., op. cit., pag. 122. 



21 

e nella scherma. ^^) Se v' è età nella vita d' uno studente, che 
ne lo informi e prepari ad alti concepimenti ed idee, si è ap- 
punto questa degli studi umanistici, e ben lo si vide in Tartini, 
che, uscito da essi a soli 18 anni, ha già fama di buon cono- 
scitore delle dottrine filosofiche allora più in voga. Lo studio 
di Platone e di Pitagora, da lui poscia meditati con ispeciale 
amore, prepara la sua mente a quegli alti concetti filosofici, 
che più tardi trasfonderà nelle sue opere e trattati musicali; 
lo studio dei classici latini ed italiani, ed in particolare quello 
del Petrarca, poeta dell* amore e delle dolci rime, gli prepara 
il cuore alle dolci armonie, che poi ci farà sentire nelle sue 
sonate e ne' suoi concerti. Né meno solide basi si accaparra 
nelle matematiche e nella fisica, che si trovano poi trasfuse a 
piene mani ne' suoi trattati scientifico-musicali. Giusto fu per- 
tanto il giudizio che di lui poi fece T insigne abate Barthlémy, 
asserendo ch'era tale la di lui prontezza di spirito, tale la 
perspicacia della di lui mente, di riposte cose ripiena, che 
non solo nelle filosofiche, ma nelle altre scienze ancora dar 
sapeva il più sensato giudizio, ^o) 

Uscito dalla rettorica, ritorna a Pirano, e già il padre gli 
aveva fatto apprestare a sue spese due stanze nel Convento 
dei PP. Francescani, perchè-vi venisse accolto con quell' onore, 



*") Bioy rafia universale antica e moderna^ voi. LXI, Venezia, Mìssaglia. 
Biografia del Tartini di De Prony, tradotta dal francese: "In entrambi 
i prefatti istituti (Oratorio dei PP. Filippini in Pirano e presso i PP. 
delle Scuole Pie in Capodistria) si rese distinto per molta attitudine ed 
intelligenza, ma giunto all'adolescenza non volle secondare i disegni 
della sua famiglia ecc.. Col Prony concordano molti altri biografi, che 
qui per brevità tralascio di citare. Non posso comprendere pertanto da 
dove mai V autore di quell' articolo, inserito nel Popolano deW Istria, 
Trieste, 1851, 21 marzo, traesse quella peregrina notizia, là dove parlando 
del Tartini, dice: "Non devesi cercare nella sua gioventù i primi genni 
e le prime prove dell'ingegno che lo distinse.. Basti questo però, che 
Tartini nulla, o poco, studiò nei tre anni passati a Padova; eppure nel 
Convento d'Assisi compose la "Sonata del Diavolo,,, uno dei suoi capo- 
lavori, a soli 21 anni d'età. 

^) I. G. Barthlémy, Viaggio di Anacarsi il Giovane nella Grecia^ 
Venezia, Antonelli, 1825, tomo IV; Ragionamento sopra la Mtmca, Note 
in fine. 



22 

che s' addiceva alla famiglia, **) lusingandosi che volentieri sa- 
rebbe entrato in queir ordine ; ma il giovane Giuseppe non 
volle sapere di divenir frate, e neppure volle sapere di con- 
tinuare gli studi teologici nel Seminario diocesano di Capo- 
distria. Il padre, che s* era visto si d' un tratto svanire ogni 
speranza, né sapendo cosa fare, mentre il figlio pur desiderava 
di studiare teologia, ricorse al vescovo Naldini di Capodistria, 
e questi, per accontentare e padre e figlio, diede licenza che 
quest'ultimo potesse avviarsi agli studi teologici, filosofici e 
letterari all'Università di Padova, dandogli altresì il permesso 
di vestire Y abito talare di abate. Su questa licenza, che porta 
la data del 10 febbraio 1709, e che trovasi nell'ultimo tomo 
degli atti del vescovo Naldini di Capodistria (carta 260), furono 
fatte mille congetture dai biografi del Tartini. Non e' è che il 
Wurzbach, **) seguito poi da qualche altro biografo, che senza 
conoscere questa famosa licenza, abbia colto nel segno, asse- 
rendo che, venuto nel 1710 in Padova a studiarvi teologia, 
vestiva abito sacerdotale come eran usi di portare tutti i 
giovani destinati allo stato ecclesiastico. D nostro Stancovieh 
persino, che fu si diligente nelle ricerche su Tartini, nulla 
sapeva di questa licenza, e ne lo fa partire per Padova U 
1710 vestito bensì delle divise ecclesiastiche, ma a studiarvi 
le leggi, per incamminarsi all' avvocatura, anzi aggiunge che 
al Tartini ripugnava di entrare in qualche ordine religioso o 
di divenir prete secolare. *^) Ed ecco che tosto altri, prendendo 
di buona lega quel "ripugnante^ dello Stancovieh, si misero 
ad intessere sul fatto mille altre fantasticherie romanzesche, 
come quella di poter godersi qualche lauta prebenda sotto 
quella veste, o V altra di un tranello eh' egli giuoca al padre 
troppo credulo e bacchettone, per poter più facilmente spillargli 
dei denari e darsi buon tempo invece di studiare. E se il teste 
compianto A. Marsich, rovistando nell' Archivio vescovile, non 



*') Wurzbach dott. C, op. cit., ed altri ancora, come Stan- 
covieh, Tipaldo ecc. NelPArchivio del Convento non potei trovare 
nulla di questo fatto. Eppure quasi tutti i biografi lo confermano. 

*') Wurzbach, op. cit.* 

*•) Stancovieh, op. cit 



23 

avesse accennato a questa licenza, chi sa dove mai sarebbe 
andata altresì la fantasia di certi biografi ! E la fantasia poteva 
benissimo saltare di palo in frasca, e sbrigliarsi ancora di più 
se altri andavan poi cantando, che tutti gli anni passati dal 
Tartini neir Oratorio dei PP. Filippini di Pirano o gli altri 
di rettorica e umanità presso le Scuole Pie di Capodistria, non 
erano stati che anni d' ineducazione per lui, e dai quali nessun 
profitto aveva tratto per divenire queir uomo ohe poi divenne.'*) 
Ma tutte queste malizie di giovane ineducato e di scolaro 
ignorante mai capirono nel cervello di Tartini, e neppure allora 
ch'egli trovavasi alFUniversità di Padova perdette la dignità 
di uomo in mezzo a tante strsoiezze e vacuità giovanili. Ma 
di ciò diremo in appresso ; quello che si è di vero in tutto 
ciò, per ritornare al nostro argomento, si è, eh' egli non aveva 
peranco abbandonata V idea di studiare teologia, e che sua 
intenzione si era di recarsi in una Università, dove avrebbe 
potuto, come era suo desiderio, continuare anche gli studi 
prediletti di filosofia e letteratura, la qual cosa gli era impos- 
sibile nel Seminario diocesano di Capodistria. Di che carattere 
poi egli si fosse allora, e che non tosse una testa vuota, ce lo 
dice chiaro la licenza stessa del vescovo Naldini, che qui 
trascrivo dall' originale tradotta in italiano : * A te, Giuseppe 
Tartini, figlio del signor Giov. Antonio Tartini, della terra di 
Pirano, della nostra Biocesi lustinopolitana ; a te scolaro, a 
noi diletto in Cristo, inviamo salute in Dio Sempiterno. A te 
che hai docile ingegno, e che sappiamo atto ed idoneo agli 
studi, e che desideri ardentemente esser ascritto nell' eccle- 
siastica milizia, ed in essa servire all'Altissimo, finché avrai 
vita, a te diamo licenza di poter indossare veste clericale, che 
sia decente e quale è prescritta dalle costituzioni sinodali e 
dai sacri canoni; e perchè di essa vestito tu possa vivere in 
Padova e 11 dedicarti con ogni zelo allo studio delle lettere. 



'■*) Il popolano dell'Istria, op. cit. E qui, ad onor del vero, devo dire 
che non fu il nostro benemerito Michele Fachinetti, compilatore del 
Popolano, a propalare si strana ed insulsa notizia, si bene un tale, che si 
nasconde sotto le iniziali di £. d. B. e che la tolse di peso dall* Italia 
musicale del 1850. 



Attestiamo oltre a ciò esser tu nato da giuste nozze e pro- 
creato legittimamente da onesti genitori; esser tu inoltre di 
proba condotta e degno di avere queste grazie e favori spe- 
ciali; in fede di che eoo. ecc.^ ^^) 

Si è in Padova adunque che incomincia per il nostro 
Tartini quella vita piena di attrattive, di lusinghe e di av- 
venture, che di lui fanno il prototipo di uno studente univer- 
sitario foggiato alla Fusinato. Non aveva fattezze e lineamenti 
regolari, né statura che spiccasse dalla comune ; ma la maschia 
sua fisonomia, la snellezza delle membra, propria di tutti gli 
schermidori, gli occhi bruni e scintillanti, i cappelli limghi e 
neri; erano doti più che sufficienti perchè ognuno ambisse la 
di lui compagnia. Gli studenti poi in ispecie, che sempre 
amano il coraggio e T ardire ovunque si trovano, tanto più ne 
lo accarezzavano ed amavano per le gentili maniere, per la 
soda coltura e più ancora per quel non so che di artistico e 
romanzesco, che aveva la virtù d' interessare ; ed in ispecialità, 
come ben dice il Generini, quelle figlie d'Eva dalle anime 
timide e mansuete, forse per quella misteriosa legge fisiolo- 
gica dei contrasti, di cui più tardi dovevano occuparsene con 
corredo di scienza Schopenhauer e Michelet. ^^) Ben presto 



'^) Facultas induendi habitum clericalem. Nos ecc. 'Dilecto nobis 
Cnhfo loseph filio D. Io. Antonij Tartini de Terra Pyrrhani, nostra^ 
lasUnopolitanae Dìocesis, scholari salutem in Dnò sempiternam. Tibi, qui 
dociiis est ingenij et ad stadia aptus, idoneusque reperiris, ac in Eccleta 
militia adscribi, et in ea Altissimo, qnoad vixeris, famulari sumbpere 
cupis; Habitum Clericalem, eumdemque decentem, ac ad Constitutionum 
synodalium, et sacrorum Canonum praescripto, induendi iacultatem damus; 
atque eo inductus Fatavij degeri possis; illicque litterarum studijs sedulo 
incumbere valeas, licentiam impartimur, Attestantes Te die 8. Aprilis 
1692 è iustis nuptijs et legitimo e thoro natum, de honestis parentibus 
procreatum, probisque moribus praeditum existere, dignumque ut gratìjs 
et favorlbus specialibus excipiaris: in quoad fidem,, ecc. Questa licenza, 
come ho detto, porta la data del 10 febbraio 1709 e trovasi nell'ultimo tomo 
degli atti del vescovo Naldini della diocesi di Capodistria. — Carta 250. 

*•) Ettore Cenerini, La Sonata del Diavole, novella, Trieste, To- 
masich, 1889. Una pittura più smagliante ancora del giovine Tartini ce la 
dà Augusta Carolina Wenrich, donna dotta e distinta nelParte e nelle 
lettere tedesche, nel Prager Unterhaltungahlatt, "Erinnerungen,,, del 1854, 
pag. 114. La modesta scrittrice si nascose allora sotte le iniziali A. K. W. 



26 

pertanto lo spirito focoso ed irrequieto del giovane Tartini ruppe 
quei ceppi, che si a lungo ne lo avevano tenuto avvinto; la 
teologia, le scienze, le lettere e la filosofia sono cose stantie, 
che non seducono più la di lui fantasia. Di queste scienze ne 
ho piena la testa, dice ai compagni, che di rado lo vedono 
nelle aule universitarie ; bisogna che mi perfezioni nella scherma 
e nel violino ; di studi parleremo dipoi, quando s' approssime- 
ranno gli esami. E ben presto quelle sue doti d' ingegno, quel 
saper maneggiare si bene e l'archetto e la spada, lo fanno 
non solo amare, ma rispettare da tutti« Non v'è persona in 
Padova che non conosca il giovane Tartini, e più ancora poi, 
dacché V abito talare che porta non s' adatta punto ad un 
artista o ad uno schermidore. Fu allora eh' egli, colta l' occa- 
sione, getta alle ortiche la veste talare, per poter spassarsela 
più agevolmente. E gli scrittori della sua vita vanno qui tutti 
concordi nell' affermare, che in questa sua prima dimora pa- 
dovana egli uscisse di carreggiata. La metamorfosi adunque 
deve esser stata ben più violenta di quella di un qual si sia 
matricolino universitario^ che ne' primi mesi si dà interamente 
in braccio agli spassi, cosa non rara anche ai nostri giorni. 
Fra le migliaia di studenti, sia d' Italia, che di fuori, che allora 
contava il patavino ateneo, non ve n' era uno che secolui po- 
tesse gareggiare negli esercizi cavallereschi, o secolui com- 
petere nella diffidi arte della scherma, o nel toccare il violino ; 
neppure lo stesso celebre Barbella, *^) il quale, vedendosi vinto 



*') Stanco vich, op. cit., ed in altri ancora. Se questi sia quel 
celebre Don Emanuele Barbella, violinista e gran maestro di danza e 
scherma in Napoli, non mi fu dato poter depurare con certezza, e neppure 
potei depurare se fu a studiare a Padova al tempo in cui trovavasi il 
Tartini. Nacque da un lazzarone di Napoli e mori in questa città il 1773, tre 
anni dunque più tardi del Tartini. IlMeissner, Bì'uchatUcke zur Biographie 
L G. Neumann*8, Praga, 1808, gli attribuisce la Sanata del Diavolo, che fu 
del nostro Tartini, dal che si vede che anche negli ultimi suoi anni il 
Barbella si attribuiva le opere magistrali del nostro violinista, perchè il 
Neumann^s aveva iatto la di lui conoscenza in Napoli nel 1766. Se a 
Padova il Barbella fu valente schermidore, non fu certo celebre violi- 
nista, e se in quest' arte ebbe più tardi a godere in Napoli qualche pò* 
di fama, tutta la doveva al Bini, che fu uno dei più distinti scolari del 
Tartini. Scherzando soleva dire il Barbella di sé stesso: ^^Barbella è un 
vero asino che non sa niente,,, Vedi in proposito: Die Violine imd ihre Meister 
von los. Wilh, von Wasielewski, Lipsia, Breitkopf und Httrtl, 1869, 



26 

da un matricolino in quelle arti, di cui teneasi maestro, co- 
minciò a spacciare come suoi i tratti magistrali di spada e di 
archetto, che vedeva operarsi dal Tartini. Vinto questo terribile 
avversario, gli animi focosi ed irrequieti degli studenti non si 
calmarono. Erano allora gli studenti divisi in altrettante asso- 
ciazioni, quante erano le provincie o gli stati d' Italia a cui 
appartenevano. Il nostro Tartini. come istriano, apparteneva 
air associazione degli studenti veneti, che erano e di numero 
e di forze superiori agli altri. Col Barbella s' erano anche 
calmati gli studenti dell'Italia meridionale. Più fieri che mai 
allora insorsero specialmente i lombardi contro i veneti e gli 
istriani. In una disputa questi ultimi furono offesi, ed in par- 
ticolar modo fu offeso il Tartini e con lui la sua patria. Corsero 
tosto e sfide e duelli. Tre furono gli studenti lombardi, che 
con la spada in mano vollero sostenere l'insulto. Tartini si 
offri da solo a rintuzzare la loro baldanza. Fu grande allora 
in Padova il fermento e fra la studentesca e fra i cittadini, e 
tanto più poi dacché il nostro abatino aveva dichiarato che 
ne li avrebbe sbrigati tutti e tre nella stessa ora, stabilendo 
in antecedenza in qual parte del corpo ne avrebbe ferito due, 
e che al terzo avrebbe fatta saltare la spada dal pugno. £ 
come egli aveva detto, cosi anche fu ; né da quel giorno corsero 
più sfide o duelli od insulti. Tartini fu rispettato da tutti e fu 
temuta la sua spada. *®) La fama di questo studente portentoso 
aveva perfino sorvolato le mura di Antenore ed era giunta 
nella regina dell' Adriatico, portata senza dubbio dagli studenti 
veneziani, che in gran numero allora frequentavano V Università 
di Padova. Furono questi che condussero il Tartini a Venezia, 
dove intervenne persino ad una festa che veniva data in casa 
del doge. Fu là che per la prima volta s'incontrò col Veracini, 
che di pochi anni a lui superiore d' età, era ormai giunto al- 
l' apogeo di sua gloria. Stupì il Tartini alP udire come quegli 
sapesse sonare il violino, che fino allora non aveva ancora 
udito un grande maestro; ma non minore fu lo stupore del 
Veracini, allorché, per gentile invito della dogaressa, il nostro 



*) E. Generini, op. cit. 



J 



à7 

violinista, dato di piglio al violino, e senza bisogno di note, 
si mise a parafrasare, con delicate melodie, il concerto dato 
dal grande maestro. Grli applausi non finivano più, e i due 
virtuosi stettero li fisi a guardarsi senza dirsi verbo per tutta 
quella sera. *^) Dovevano da quel giorno passare cinque anni 
perchè di nuovo si rivedessero; ma lo scolaro in questo frat- 
tempo era divenuto non meno grande del maestro stesso, che 
gli aveva fatto nascere in core si grande desiderio di gloria. 
E la città di Venezia stessa si fu che uni più tardi questi due 
cuori, che eran nati per amarsi ed intendersi vicendevolmente. 
Ma anche l' anno di matricolino è passato, e con esso 
tramontati anche per sempre gli studi biblici e dommatici, e 
deir umile abatino non altro rimane che un maestro di scherma 
e un virtuoso di musica, amato ed ambito da tutti. Di più 
anzi, lusingato forse un po' troppo dalla sua ambizione, o 
forse meglio ancora, come io reputo, non sapendo come pre- 
sentarsi all'austero padre, fa progetto di recarsi a Napoli 
dapprima, a Parigi poscia, per aprirvi pubblica scuola di 
scherma.^®) Ma, cambiato proposito, per non amareggiare di 
troppo r animo dei genitori, e del padre specialmente, che 
credendolo già bene avviato negli studi teologici, gli accaparra 
un pingue canonicato, ^^) si risolvè a rimanere in Padova a 

*•) Prager UnterhaltungshlaU "Erinnerungen,,, op. cit. 

"**) Wurzbach, op. cit.; Stancovich, op. cit. ed altrove. 

^*) Stancovich, op. cit. Il canonicato era detto di St. Elena, e credo, 
.sarà stato uno dei quattro canonicati delP antica diocesi di Pedena. Lo 
dice Stancovich su suolo austriaco; e Pedena allora, in una alla contea 
di Pisino, era su suolo austriaco. In Pedena eravi anche allora una 
chiesa dedicata a St. Elena. Lo Stancovich, nato a Barbana, terra non 
lontana da Pedena, poteva ben sapere di questo fatto, del quale nessun 
altro biografo fa cenno, se non si eccettui V anonimo scrittore àoiVlllu- 
straziane dei Prato della Valìe^ parte I, 1807, dalla stamperia del Seminario 
di Padova, pag. 135. Do la preferenza di questa notizia al nostro Stan- 
covich, benché V Illustrazione del Prato della Valle preceda di molti anni 
la Biografia degli uomini distinti delV Istria. Il compilatore di quest'opera, 
sono persuaso, ha udito narrare di que.sto canonicato dallo stesso Stan- 
covich, che prima del 1807 era stato alunno della facoltà teologica del 
patavino ateneo. Avvenne cosi di molte altre notizie di Tartini, che gli 
scrittori copiarono dallo Stancovich, senza neppur citare la fonte, da cui 
le toglievano. Se vi è biografia nello Stancovich, che sia scritta con vero 
amor di patria, si è certo questa del Tartini, eh' egli avrà già allora 
ideata in Padova, mentre trovavasi a compiere suoi studi di teologia, 



28 

studiarvi giurisprudenza, aprendo di più pubblica scuola di 
violino e di scherma. '*) Il padre montò sulle furie per questo 
cambiamento, ma non potendo opporvisi, continuò a sovvenirlo 
del necessario, perchè divenisse un buon avvocato, se, come 
avrebbe voluto, non gli era possibile fare di lui un buon sa- 
cerdote. E di fatto il giovine Tartini si mise a studiare giuris- 
prudenza con un ardore veramente ammirabile, '^ non tra- 
lasciando di dedicarsi nelle ore che gli sopravanzavano, alla 
scherma, e più che a questa allo studio del suo amato stru- 
mento, già allora presagendo che da esso ne avrebbe avuto 
maggior gloria. Non gli dava pace la fama a cui s' era già 
inalzato il giovane Veracini; lo vedeva passare di trionfo in 
trionfo, da Firenze a Lucca, da questa a Venezia e da Venezia 
spiccare un ardito volo a Londra, ovunque applaudito. '*) Ma 
anche il Codice e le Pandette ebbere ben presto la stessa 
sorte della Bibbia e della Dommatica. 

Frequentava le sue lezioni di musica Elisabetta Premazone, 
giovanotta i)adovana avvenentissima, figlia del primo cocchiere 
di sua eminenza il cardinale Giorgio Cornare, allora vescovo 



'•) C. Wurz bacìi, op. cit ed in altri ancora. 

■^ C. Wurzbach, op. cit, "stati Theologie studierte er mit grossem 
Eifer die Rechte, und statt geistlicher Uebungen besachte er fleissig den 
Fechtboden^. 

•*) 1. W. Wasielewski, op. cit. Credo qui pure far cosa grata ai 
lettori col citare questo insigne critico musicale, e tanto più poi dacché 
dei tre insigni violinisti che allor tennero il campo dell' arte, egli dà il 
primato al nostro istriano. A pag. G7 egli dico: "Durch Corrìlì und Vi- 
valdi war der Boden fiir eino Ersclieinung bestellt, die im engen Auschluss 
an diese Meister eine neue Epoche des italienischen Violinspieles und 
nicht minder der Violincomposition erSlinet. Wir erkennen dieselbe in 
Giuseppe Tartini, Dieser hochst bedeutende Meister wurde aber in dem 
ersten Stadium seiner Kunstlerlaufbahn ausser den obengennanten Vor- 
bildern durch eine dritte Personlichkeit so wesentlich beeinflusst, dass 
es nothwendig erscheint, die Wirksamkeit des letzteren erst naher in's 
Ange 2u fafiseu, bevor Tartini's Kunstmission einer Wiirdigung unter- 
zogen wird. Es ist Francesco Maria Veracini mit dem selbstgewàhlten, 
seiner Geburtsort Florenz anzeigenden Beinamen Fiorentino.^ 



29 

di Padova. ^^) Tartini se ne invaghi siflfattamente, che tosto 
divisò di famela sua ad ogni costo. Scrive al padre per il di 
lai assenso, ed ottenuto formale rifiuto, prega il cardinale a 
voler egli intromettersi ; ma avute da esso pure nuove ripulse, 
ricorre all'unico espediente che ancor gli restava, cioè ad un 
matrimonio secreto, sperando in tal modo, che, se non per il 
momento, avrebbe più tardi mossi i cuori di ambidue. Lo viene 
a sapere il padre, che, adirato per tale matrimonio, a lui 
disuguale e per condizione e per fortuna, gli nega ogni ulte- 
riore stipendio. Ma più fiera ancora si fii l'ira del cardinale 
per il misero Tartini per aver sposato clandestinamente una 
sua "dipendente^.»®) Ho detto dipendente, perchè così trovasi 
scritto nei biografi padovani di allora. In alcuni altri è detto 
che la Premazone gli fosse nipote, o che con lei fosse stretto 
di altra parentela ancora ; ma di ciò nulla possiamo dire di 
preciso, amenochè non si constati che i Premazone fossero 
consaguinei dei Cornare. '^) Abbandonato dal padre e perse- 
guitato dal cardinale, si nasconde in Padova, credendo cosi 



**) Gian. Ant. Moschini, Della lettet^atura veneziana del secolo X Vili, 
voi. 1. 'Giorgio II Corner nato nel 1658, educato alle lettere dai PP. So- 
maschi di Verona. Secolare, fu provveditore di armata ed ambasciatore 
in Francia; ecclesistico, nunzio a Lisbona, ove ottenne ed il cappello di 
cardinale ed il vescovado di Padova. Grande amico delle lettere e protet- 
tore de' letterati, nel tempo in cui resse Padova, cioè dal 1697 fino al 1722, 
fece molto per la città.„ Col Tartini, per altro, come vedremo tosto, non 
fu né amico, né protettore. 

^) Biografìa nella Illustrazione del Prato della Vaile in Padova, op. 
cit, pag. 140. 

") Con. Wurzbach, op. cit., la dico "nipote,, dello stesso cardi- 
nale Comaro. Qualche dipendenza o parentela, io credo, esistesse fra la 
Premazone e il cardinale, perchè i genitori di lei, che pur dovevano an- 
dare superbi di accasare si bene la loro figlia, non si sarebbero messi 
nelle mani del temuto cardinale per dar la caccia al misero Tartini. Lo 
anonimo scrittore anzi del Musikalisches Conreraations-Lexiconj Berlino, 
R. Oppenheim, 1878, voi. 10, dice: che il cardinale non avendo potuto 
avere nelle mani il povero violinista, lo accusò in tribunale per ratto e 
seduzione. Il solo Wasielewski, op. cit., afferma che Tartini appena 
sposatosi clandestinamente si recò a Pirano con la sposa, e che per 
questo suo viaggio gli vennero poi tanti guai sia dai suoi genitori, che 
da parte del cardinale. 



forse che presto si sarebbero acquetati i primi impeti d*ira e 
di sdegno del cardinale. Gli amici peraltro, che attenti stavano 
spiando le mosse del porporato, perchè nessun male nascesse 
al loro amato compagno, gli riferirono un giorno che la sposa 
era stata mandata ai parenti di Venezia, perchè la relegassero 
in un convento ^^) e che il vescovo aveva sparso e in Padova 
e fuori i suoi satelliti per avemelo vivo o morto in sue mani. 
Fu quello per il nostro Tartini un colpo terribile ; ben presto 
però la sua fiera natura, che non indietreggiava mai quando 
c'erano pericoli da superare, si ridesta. Gli amici lo vestono 
di pellegrino e nel cuor della notte, deludendo ogni vigilanza, 
esce di Padova, nulla seco portando che Y amato suo strumento, 
dirigendosi diffilato a Venezia. Qui, aiutato dagli amici, trova 
modo di penetrare nella casa stessa, dove intanto era stata 
ricoverata la sua sposa, sente da lei il pericolo, che sovrasta 
ad ambidue, ed apprende che gli sbirri di Venezia erano essi 
pure in moto per pigliarlo e consegnarlo al Consiglio dei tre.^') 
Fugge la notte istessa, ed attraversate le lagune cerca di rag- 
giungere quanto prima il confine e si mette in salvo nel Po- 
lesine. *®) Errato che ebbe a lungo per le Komagne, si decide 
di recarsi a Roma. *i) S'accorge ben presto che neppure nella 



^) Prager Unterhaltungshlatt, "^Erinneruiigen,,, op. cit. 

^) Prager Unterhaliuììgnhlatt^ "Erinnerungen,,, op. cit. 

***) P. Stancovich, op. cit. 

*') P. Stancovich, op. cit., Biografia universale antica e moderna, 
op. cit.; I. W. Wasielewski, op. cit. Altri biograli fanno andare il 
Tartini direttamente da Padova in Assisi. Mi sono pertanto attenuto a 
questi tre, od allo Stancovich specialmente, che si mostra sempre accu- 
ratissimo nelle sue ricerche. Degne di speciale considerazione mi paiono 
eziandio le considerazioni, che, su questo periodo della vita di Tartini, 
furono fatte dall'egregia scrittrice tedesca A. C. Wenrich, le quali, 
benché sieno forse un po' troppo poetiche, hanno tuttavia una base sto- 
rica. E storica si è la novella su Tartini del succitato periodico di Praga 
"Erinnerungen„ del 1854, tratta certo da qualche scritto, che ancor oggi 
forse conservasi in quella cittÀ, che per tre anni ospitò ed applaudi, come 
vedremo, il nostro violinista. Mediante questa novella mi fu possibile 
anche togliere alcune lacune di questo periodo storico nella vita del 
Tartini, e presentarlo ai lettori con quel suo carattere focoso ed irre- 
quieto bensì in questa o quella contingenza della sua vita giovanile; nou 



31 

città eterna, dove allora dominavano sovrani i cardinali, avrebbe 
trovato quella pace, che si ansiosamente andava cercando, e ne 
esce immediatamente, prendendo la via di Assisi, dove sapeva 
trovarsi un suo parente. Stanco e sfinito per la lunga via, e di 
nulla altro temendo che del suo caro strumento, a cui la umidità 
della notte e la rugiada mattutina aveva già spezzate le corde, 
batte alla porta del monastero, e chiedendo ospitalità per l'amore 
di Dio, e senza palesare tosto il suo nome^ è condotto innanzi 
al priore. E qui siami concesso di citare i versi del nostro Ta- 
gliapietra, che così descrive questo commovente incontro : *^) 

^'Se il tuo tacer comprendo^ 
Avversitade, o Jigìio, fha coìpito; 
M^apri il tuo cuor, cV io gV infelici intendo, ^^ 

Lo viso alzava il profugo smarrito 

Verso il buon padre rispondendo : **È vero 
Alla scuola del diiol crebbi nutrito. „ 

Ambo in quel punto il luccicante cero 
Schiarolli in volto: ei si guardar insieme 
In affo di sorpresa e di mistero. 

In fondo al cor lo sconosciuto preme 
Un subitaneo moto che si desta, 
E d'ingannarsi pur dubita e teme, 

Copriagli il dosso wn' ampia soprawesta, 
E barba e chioma gli scendeva incolta^ 
E largo feltro ombravagli la testa. 

Or, mentre al frate egli tenea rivolta 
lì attenzion, così pur dicca : 
'^ Farmi averti veduto un* altra volta, „ 

balzano, cattivo e dissoluto, come molti biografi vollero, anzi si com- 
piacquero, dipingerlo. Chi è cattivo, balzano, dissoluto non giunge mai 
a far cose grandi, per le quali ci vuole e virtù, e sodezza di carattere 
ed ingegno. Anche la sposa, eh' ei s' era scelta a compagna della vita, 
non era meno buona ed onesta, e non una novella Santippe, come si 
disse dai più; e di ciò diremo pure in appresso. 



'•') Giovanni Tagliapietra, Giuseppe Tartini, Cantica, Trieste, 
Tip Weis, 1863. 



ss 

lì cenobita radunar parta 
Sue rimembranze^ e da quel bruno viso 
Lo sguardo scrutator non rifnovea; 

Quando V altro, spogliatosi improimso 
Della cappa e scopertasi la fronte, 
Disse : ''O diletto zio, ben vi ravviso ! 

Quantunque agli anni miei primi rimonte 
La memoria di voi, pure non ptwte 
ToglieìJie il tempo le adorate impronte.^ 

^Giuseppe mio, dolcissimo nepote„, 
Proruppe il veglio, "oh, quanto son diverse 
Tue sembianze do quel cV eranmi note! „ 

Detto ciò; ne lo abbracciò e baciò ripetute volte di cuore ; 
volle che mutasse vesti e che tosto venisse servito di una 
buona refezione, e fattesi raccontare in tutti i particolari le 
peripezie della vita, le sofferenze provate e i patimenti e disagi 
sostenuti, dissegli in tono paterno : Qui meco starai, finche 
non si dissipino queste nubi, che ti si sono addensate sul 
capo ; qui avrai pace ; sia teco Iddio ! *^) 

Era allora maestro di musica ed organista del monastero 
d' Assisi un certo padre, detto il Boemo, uomo quanti altri mai 
versato e dotto nelle musicali discipline, il quale^ intravveduta 



^'j I biografi del Tartini non sono neppure qui concordi nello sta- 
bilire chi fosse questo suo parente: alcuni lo fanno semplice frate; altri 
guardiano; altri converso; né manca chi lo dice portinaio, come trovo 
scritto nel Musikalisches Conversations-Lexicon di R. Oppenheim, opera 
giÀ citata. Dai rilievi eh' io potei fare, coadiuvato in ciò dal padre mi- 
norità G. Rosso del Convento di Pirano, non andiamo lontani dal vero 
se asseriamo esser stato il padre maestro Giovanni Sorre, colui che ac- 
colse e diede ospitalità al Tartini in Assisi. Negli annali dei monasteri 
dei Minoriti è detto di questo insigne padre, nato a Pirano, che al suo 
tempo fu rinomato predicatore nelle primarie città d* Italia e superiore dei 
conventi di Roma, Napoli e Assisi. Le due iniziali P. M. citate dallo 
Stancovich, op. cit., non racchiudono il nome e cognome, ma significano 
''Padre Maestro, che cosi era chiamato dal grado che copriva. La fa- 
miglia dei Sorre deve esser stata imparentata colla famiglia Zangrando, 
e, se non erro, esiste ancora oggi in Pirano qualche discendente 
dei Sorre. 



33 

avendo nel Tartini quella spiccata attitudine per la musica, 
e udito avendo quanto bene sapesse sonare il violino, vi mette 
ogni cura per renderlo perfetto in sì nobil arte, insegnandogli 
di più e il canto e il contrappunto. Chi fosse questo padre 
Boemo, che si gran parte si ebbe nella perfezione musicale 
del Tartini; nessuno dei biografi sa darci precisa notizia. Lo 
chiamano il padre Boemo e nulla di più. Di un valente maestro 
di musica, e non meno insigne compositore, detto per antono- 
masia il "Boemo,„ parlano i fasti musicali del secolo decorso. 
Si è questi quel Giuseppe Myslivecek di Praga, che venuto 
a perfezionarsi in Italia, dopo aver studiato sinfonia da Ha- 
bermann e da Seger, scrisse alcune opere, che, rappresentate 
a Napoli per la prima volta, riscossero grandissimi applausi. 
Nella storia della musica è anche detto *Venatorini,„ che altro 
non significherebbe che il Mysliveòek italianizzato. Mori in 
Boma il 1781 d'anni 44. Questa data chiaro ci attesta non 
aver egli potuto nel 1713 istruire il nostro Tartini nel monastero 
d* Assisi. ^^) Ma c'era allora in Italia un altro Boemo, che se 
la storia non ce lo ha registrato con questo nome, era non 
meno Boemo deir altro suo conterraneo, nato essendo a Nimburg 
in Boemia nel 1684. Forse la cocolla, eh' egli vestiva, di padre 
minorità fece si che il di lui nome non risonasse si chiaro 
per l'Italia. Era pur tuttavia chiamato Boemo dai suoi cor- 
religionari, mentre il suo vero nome si era quello di Bohuslav 
óemohorsky. Venuto egli pure in Italia a perfezionarsi nella 
musica, fu poscia direttore dei cori ed organista in diversi 
monasteri d'Italia, che appartenevano all'ordine a cui era 
affigliato, e fra questi primeggiavano quelli d'Assisi e di 
Padova, che tuttora sussistono. Che se consideriamo altresì che 
pochi erano i monasteri in Italia che fossero retti da questo 
ordine dei Minoriti, non faremo le maraviglie se in quel tomo 
di tempo lo troviamo in Assisi qual maestro del nostro Tartini, 
sapendo anzi che oltre ad essere organista e valente direttore 
corale, aveva anche rinomanza quale contrappuntista e compo- 
sitore. Lo troveremo più tardi in Padova collo stesso Tartini 



**) Die Oesterreichische-Ungai ische Monarchie in Wori u, Bild, Bdhmexif 
fase. 29. 



34 

nella chiesa del Santo a dirigere le masse corali. Da Padova 
ritornò a Praga, dove fini la sua vita nel Monastero dei Mi- 
noriti di quella città. Non v' è più dubbio impertanto che 
questi non sia quel padre Boemo, di cui parlano tutti i bio- 
grafi del nostro Tartini, ed a lui devesi V onore di avere con 
l'arte mitigato i bollori del focoso giovane e preparatagli la 
via alla gloria.**) 

La calma religiosa del Monastero d' Assisi, le lezioni della 
sventura, sulle quali potè meditare a suo agio in quella solitudine 
lontana ed appartata da ogni mondano rumore, ebbero influenza 
grandissima suir animo del nostro Tartini e sul di lui carattere 
morale. Si calmò il bollore del suo temperamento, che come 
un fuoco di paglia d' un tratto aveva divampato ; non vediamo 
più in lui che le buone qualità del giovinetto tutto dedito agli 
studi umanistici; ed il virtuoso di musica, che in sé univa a 
distinto talento molta modestia e semplicità, fece interamente 
dimenticare i trascorsi dello studente di Padova. ***) In mezzo 
alla quiete dei dirupi d' Assisi egli matura alti concepimenti ; 
si ridesta in lui V amore per lo studio sì bruscamente interrotto 
durante il suo soggiorno di Padova, e V animo suo, non ber- 
sagliato dalle tempeste mondane, è ritemprato a idee alte e 



**) Die Oesterreichische- Unyarische Monarchie in Wort m. BUdf op. cit. 
^É questione aperta tuttavia^, dice T egregio autore, che compilò T arti- 
colo suir arte musicale della Boemia,^ se il Óemohorsky sia V identico 
padre boemo, che in Assisi istruì nella composizione e neiraccompagna- 
mento il celebre violinista Tartini,. Dal momento però che altri padri 
della Boemia non furono allora in Italia, e V autore stesso non fa cenno 
di altri ; dal momento eh* egli dice che il Óemohorsky fu quale organista 
e direttore dei cori in pii\ conventi d' Italia, e da ultimo anche in Padova, 
non vedo più ragione di dubitare che non sia questi quel padre Boemo* 
che è citato da tutti i biografi del Tartini. C è una circostanza ancora 
che ce lo fa ritenere per maestro del nostro violinista, circostanza non 
nota allo scrittore dell* articolo succitato. Quasi tutti i biografi vanno 
d* accordo nelP affermare che grande si fu la gioia del Tartini, quando, 
nel 1721, ottenne il posto di primo violinista della Cappella di St. Antonio 
in Padova, perchè veniva a trovarsi così col suo amato maestro V abate 
BoemO; che da Assisi anch' egli s' era trasferito a Padova. Ma di ciò di- 
remo anche in appresso. 

*•) Biografia universale^ op. cit. 



I 



36 

sublimi. Senza questa dimora e solitudine di Assisi l'Europa 
intera non avrebbe in lui ammirato più tardi il genio sublime, 
il Maestro delle Nazioni. Nelle stesse Romagne, e nell^stesso 
eremo d' Assisi, cinque secoli prima di lui, Francesco, figlio 
egli pure d^ un ricco mercatante, s' ispirava a vita ascetica e 
contemplativa, fondava V ordine monastico, che da lui ha nome, 
e tutto rapito dalle divine bellezze della natura, componeva 
il Cantico al Sole, prima gemma della poesia lirica italiana. 
La Sonata od il Trillo del Diavolo fu pure ideata dal Tartini 
là, su a que' dirupi, in mezzo a quella pura e ridente natura, 
e nella diffidi arte de' suoni è pur essa la prima gemma del- 
l' arte italiana, che da allora si fa, come vedremo, anche arte 
europea, arte mondiale. Vediamo un poco, come egli abbia 
composto questa sonata, che sì memorabile restò nell' arte 
musicale, si sublime parve a quanti mai celebri violinisti ven- 
nero dopo di lui. "Aveva 21 anno„ — cosi il Tartini stesso 
racconta al celebre francese La Lande, che in un suo viaggio 
in Italia s'era appositamente recato a Padova per conoscerlo 
personalmente — ''quando una notte sognai d'aver fatto un 
patto col diavolo, in forza del quale egli dovea sonarmi qualche 
pezzo sul violino. Mi parve di dargli in mano il mio strumento, 
sul quale egli sonò una sonata si meravigliosa, che la più 
bella mai ebbi a sentire. La grande emozione, che ne provai, 
mi svegliò. Tentai tosto di riprodurre sul mio violino la sonata 
da me udita, alla quale, scritta ohe 1' ebbi, diedi il nome di 
Sonata del Diavolo. Però questa, che forse è la migliore delle 
m.ie composizioni, è inferiore a quella da me udita in sogno. „*') 



*') Le Francais di La Lande, Voyage de Vltalie^ Parigi, 1760, 
voi. Vili, p. 292. Credo qui opportuno di citare il giudizio che il La Lande 
fa del nostro violinista: ''On ne peut parler de musique a Padove, sans 
citer le celebre .Tosephe Tartini qui est longtemps le premier violin de 
TEurope. Sa modestie, ses moeurs, sa pietè, le rendent aussi estimable, 
que ses talens: on T appelle en Italie "Il maestro delle nazioni,, soit 
pour la composition. M. Pagin qui a brille à Paris, étoit alle a Padove 
expres pour se former avec lui; il a donne un traitè des principes et 
de regles de la composition, où il-y-a d'excellentes choses, et un Systeme 
ingenieux, que lean lacques Rosseau dans son Dictionaire de Musique 
éleve beaucoup au dessus de celui de la basse fondamentale, et de la 



36 

Un divino furore, io credo, deve aver infiammato il suo 
petto, allorché riscosso dal sonno e dato di piglio al violino, si 
mise a riprodurre su di esso quello, che nell'ansia di un sogno 
agitato aveva udito sonare dal diavolo : questo furore innalzò il 
suo spirito al di sopra della bassezza umana, gli diede all'animo 
nuova forza, nuova insolita vigoria, nuovi affetti e sentimenti 
più ispirati. Ed è quegli propriamente musico perfetto, o artista 
di genio, come poeta, pittore, scultore, come meglio li chiamiamo, 
che si accende e si infiamma a grandi cose. Ma ciò non basta 
ancora; è necessario altresì ch'egli abbia la potenza di tras- 
fondere questi suoi sentimenti, ch'egli ha diversi degli altri, 
nell'animo di coloro che odono un capolavoro musicale, o am- 
mirano qualche altra opera d' arte, giacché, come ben dice un 
moderno critico, in estetica il nuovo fortemente si collega e 
s'individua nella maggior potenza d'espressione, nella maggior 
potenza affettiva e quindi anche immaginosa dell'artista. 



generation harmonique de Rameau.... Pei'sonne n'a mit plus d'esprit, et 
de seu dans ses composition, que Tartini....,, Secondo un'altra versione, 
citata nel Lessico Musicale dell' Oppenheim, op. cit., Tartìnl» trovandosi 
nel monastero d'Assisi, si sognò una notte d' aver stretto un patto col 
diavolo, e questi, avendolo udito a sonare, si mise a deriderlo della poca 
arte che ci poneva, e strappatogli di mano il violino, "Cosi — gli disse — devi 
sonare ! , e cominciò a trarre tali melodie, che io solo in parte potei poi, 
svegliato, riprodurre; adiratomi perciò ruppi il mio strumento, ed avrei 
anche rinnunziato alla musica, da quell'ora, se mi fosse stato possibile. 
Il Barbella inoltre, come abbiamo veduto, attribuiva a sé stesso 
l'apparizione del diavolo. Più curioso poi si è che il Meissner, op. cit^ 
credette di fatto che a quest' ultimo fosse avvenuta questa apparizione. 
£d il Meissner la deve aver udita dalla bocca stessa del Neumann, che 
nel 1766 trovavasi appunto a Napoli, dove mediante un certo Armidoro, 
aveva anche fatto la conoscenza del Barbella. Il diavolo cosi dice in 
sogno al Barbella: ''Misero strimpellatore ! credi di esser maestro e di 
trar prodigi dal tuo violino! Odi una buona volta come io lo sappia 
sonare ! y É detto inoltre nel racconto del Barbella che il violino infer- 
nale era grande come una torre e che quella musica potentissima gii 
aveva fatto rizzare i capelli, tanto che rimase sbalordito, e svegliatosi, 
volendo riprodurre la sonata udita, non gli erano rimasti in mento che 
pochi tratti, e da quelli aver egli il giorno appresso composta la sua 
sonata. Questo ridicolo racconto ci dice chiaro ch'esso altro non contiene 
che una imitazione e mistificazione della narrazione geniale del Tartini 



I 



87 

La Sonata o il Trillo del Diavolo, è la sintesi^ se cosi 
m' è lecito chiamarla, di tutta V arte musicale del Tartini, seb- 
bene preceda tutte le altre Sonate e Concerti eh' egli poscia 
compose in gran numero, quando, uscito dal chiostro, potè 
perfezionarsi ancor di più nell'arte del Gorelli e del Veracini. 
Questa Sonata, se mi è permesso altresì di fare un confronto 
con altre opere insigni nell'arte, equivarrebbe alla "Gerusa- 
lemme liberata^, ideata e quasi interamente composta dal gio- 
vane Tasso, e che ci pare ben più ispirata, più bella, più forte 
e più poetica, che non siala "Conquistata,,, ridotta dall'autore in 
età più matura. Ci racconta inoltre il La Lande, che il Tar- 
tini stesso preferiva questa sua Sonata a tutte le altre, che 
poscia compose, da tenemela perfino appesa alla parete della 
sua stanza di studio dirimpetto all' uscio d' entrata, **) com- 
piacendosi, nella sua ambizione d'artista, che tutti quelli che 
lo venivano a trovare, ne la potessero subito vedere. Livitato 
a sonarla non si faceva pregare e volentieri accondiscendeva 
al desiderio di chi voleva udirla.'*^) Il Tasso, al contrario, come 
sappiamo, pur di far rivivere la sua "Conquistata,, avrebbe vo- 
lentieri sacrificato quante edizioni fino allora s^ erano stampate 
della "Liberata,. 

In questa visione del diavolo, apparso al Tartini sotto 
forma e con carattere d'artista, non vedono alcuni che una 
di quelle semplici fioriture poetiche, che si spesso s' intessono 
nella vita di uomini illustri. £ ben vero, che ciò accade di 
spesso, ma non di rado in queste visioni noi intravediamo il 
genio, né ci stupiamo molte volte se i geni, che sono i più 
grandi e più sublimi artefici di novità, sappiano operare delle 
vere rivoluzioni sia nelle arti che nelle scienze. Anime elevate, 
come sono, vedono in un subito cose inusitate e mirabili, e che 
a noi, miseri mortali, non è dato poter vedere, e tanto poi vi 
si appassionano da trasfondere in altrui codesta loro passione. 
Che se poi questa visione si renda abituale, si che non si 



^^ La Lande, Viaggio in Italia^ op. cit 

*•) La Lande, op. cit. "Cristotoro, Amadio Murr, nell'opera di 
Gerber Ernesto, Hi$torit^he» hiograf. Lexicon d$r TonMnitìer, Lipsia, 
1791-'98. 



38 

possa evitare, vediamo allor nascere la pazzia. Ed il povero 
Tasso, per non dire di altri, ce ne dà un esempio. Ma la vi- 
sione, in grado più giusto, ci dona il vero genio, quale ci è 
dato vedere in Omero, che è sommo nelle visioni, in Socrate, 
che conversa di filosofia con quel suo genio, in Petrarca, ed 
in Dante specialmente^ che si può chiamare il vero poeta della 
visione. H Tasso istesso poi, nei suoi lucidi intervalli^ credeva, 
come dice il Manso,^) veder chiaramente uno spirito buono, 
che gli appariva e secolui disputava di altissime dottrine.^^) 
Cosi fa del nostro Tartini: senza il violino tra mani^ era, come 
avremo campo di vedere, un uomo quieto e modesto, amico 
di quiete e di pace. Ma, preso in mano il violino, ecco che in 
lui, d'un subito, l'uomo quieto e pacifico si cangia: egli si 
risveglia, si scuote, s'accende alle prime note, che cava dal 
suo strumento; par che abbracci, s'interni e si perda in quel 
suono, nò bada ad altro. La sua mente, disgombra dalle te- 
nebre di quaggiù, spazia in alte regioni, in regioni più pure, 
dove appunto risiedono quelle fantastiche visioni, che assumono 
poi fonna di vere, reali apparizioni.*^) A visioni improvvise 
andò soggetto anche Nicolò Paganini, come ci narrano i di 
lui biografi. Non voglio qui alludere alle tante favole, che 
di lui si scrissero, come quella di essersi dato anima e corpo 
al diavolo, perchò ne lo assistisse coll'arte sua maga, o l'altra, 
della sua meravigliosa sonata sur una sola corda, e che egli 
ideò e scrìsse in prigione, mentre le altre corde gli s' erano 
spezzate; favole che egli stesso volle fossero publicamente 
smentite nel 1831, allorché trovavasi a Parigi,^*), ma bensì a 



•^ fUa di T. Tono, Veneaia, Deuchino, 1621. 

»*) L.Bettinelli, Entusiasmo ddle belk aHi, tomo, IV, "Veggenti,, 
Venesia, 1799. "Veggono questi geni, sono presenti, son tocchi, son mossi 
da quelle scene e vedute, che levandosi sopra sé stessi, e quasi fuori 
dei sensi, incontrano nell'alta loro e serena atmosfera, disgombra dei 
nuvoli e delle tenebre di quaggiù.» 

**) S. Bettinelli, op. cit, Analisi deWentusiasmo, tomo, IV, 'I geni,. 

^ Bè9ue musicalsy Parigi, 1881. L&'fctera di Paganini al Fetis, che 
fa riprodotta in molti giornali franceei « italiani di allora. £, G. Wa- 
^ielewski; op. cit. 



39 

quello spirito malvagio, che di spesso lo tormentava colle sue 
apparizioni, e dopo le quali egli ne usciva e più ilare e vie- 
maggiormente disposto a cavare dal suo magico strumento tali 
suoni, che poi gli fruttavano quegli interminabili applausi, che 
tutti sanno.") 

Dopo due anni, per un caso fortuito, dicono quasi tutti 
i biografi,^^) fu scoperto il ritiro del Tartini, mentre nessuno 
sapeva fino allora dove veramente si ritrovasse. Un padovano, 
venuto il 2 di agosto al perdono di Assisi, rimase stupito alle 
mistiche e dolci melodie, che udiva partire dall' orchestra del 
vasto tempio. Avendo chiesto chi fosse quel si celebre virtuoso 
di violino, nessuno o seppe, o volle dirgli il vero nome. Sta- 
vasene egli pertanto rivolto verso quella parte, quando all'im- 
provviso un forte buffo di vento sollevò la cortina, che toglieva 



**) Il Regli, Storia del violino in Piemonte, racconta questo fatto, 
accaduto appunto a Trieste, mentre Paganini trova vasi a dare dei con- 
certi : Sedeva egli un giorno a mensa in mezzo a numerosa società. Prima 
ancora che le mense fossero levate, ecco che i commensali lo vedono 
alzarsi d' un tratto, e gridare come un ossesso : "Salvatemi, signori, sal- 
vatemi da quello spirito che continuamente mi perseguita; vedetelo là, 
come esso mi minaccia collo stesso insanguinato pugnale, con cui io gli 

tolsi la vita Essa mi amava ed era innocente ahimè ! due anni 

di carcere non sono stati sufficenti a scontare le mie pene ; il mio sangue 

deve esser sparso fino all^ ultima stiUa „ E cosi dicendo aveva preso 

il coltello, che gli stava dinanzi sulla tavola, brandendolo per V aria. 
Tosto i commensali lo disarmarono, ma sui loro volti leggevasi lo spa- 
vento e la mestizia. Pure egli ben tosto si calmò e continuò a mangiare e 
bere come nulla fosse stato. Si venne poi a sapere, aggiunge il Regli, 
eh' egli voleva in tal modo ridersi di coloro, che usavano spargere sul 
suo conto mUle tavole. Ciò non pertanto il teatro fu tanto zeppo il giorno 
appresso, che più di mille persone erano state rimandate, si che la sera 
dopo dovè tenere un altro concerto. — Vedi anche in proposito il Wasie- 
lewski, op. cit., il quale attribuisce U fatto all'ingordigia del Paganini, 
che era solito, dice, far parlare molto di sé, per poter attirai'e in teatro 
quanti più uditori gli fosse possibile. — Comunque sia passata la coda, 
non credo che Paganini avesse avuto bisogno di ricorrere ad uno scherzo 
dì si cattivo genere, o per far tacere la gente o per impinguar maggior- 
mente la sua borsa. 

**) Ab. P. Stanco vie h, op. cit., e molti altri, che per brevità 
tralascio di citare. 



40 

agli occhi de' divoti la vista deir orchestra. ^£ Tartim,^ co- 
minciò allora quegli a dire, "io ben lo ravviso, e me lo era 
ben immaginato; altri non avrebbe saputo cavare dal violino 
melodie si divine.;, E ritornato in Padova, raccontò quanto 
aveva e veduto ed udito. Questa novella, ripetuta da tutti, 
pervenne anche agli orecchi del cardinale Comare, il quale, 
dopo due anni, avendo deposto ogni ira e sdegno contro il 
misero Tartini, volle lo si richiamasse, permettendo altresì si 
riunisse colla consorte, da cui ne lo aveva si bruscamente 
staccato. Se tutti i biografi di Tartini più degni di fede vanno 
ripetendo la novella, ciò vuol dire che essa deve avere qualche 
probabilità. Non nego la scoperta fatta dal padovano^ nego 
però che Tartini, all' invito della consorte o del cardinale, 
si fosse tosto recato a Padova; come quasi tutti i biografi 
asseriscono, senza poter addurre prova di sorta. 

Se vi è fase nella vita di Tartini, che meriti un' attenta 
considerazione, si è questa appunto, che dal 1714 va fino al 
1721; tante sono le contradizioni, in cui incorsero i biografi, 
tale un arruffio essa ha e di vedute e di date, che difficile 
riesce anche al più attento indagatore di poter uscirne non 
solo con matematica sicurezza, ma neppure con certa tal quale 
precisione. Ammesso, per deficenza di documenti^ un fatto, 
quanto ad esso si subordina deve di necessità piegarsi sn 
quello, non importa se le conseguenze che ne derivano abbiano 
poi qualche fondamento di verità. E per citare un solo di tali 
fatti; ci basti qui ricordare l'invito che Tartini si ebbe nel 
1716 dai Veneziani a voler cooperare in una col Veracini e 
col Biscontino alle grandi festività, che la republica di S. Marco 
offriva al principe E. Augusto, Elettore di Sassonia. ^^) Questa 
cooperazione del Tartini è un fatto certissimo, e certissimo 
è altresì questo secondo incontro del nostro violinista col ge- 
niale Veracini ; ma la data tanto delle festività che dell' incontro 
è sbagliata in quasi tutti i biografi : chi la pone un anno o 
due dopo, chi nel 1716 e perfino, come il nostro Stanco vich, 



^ Wasielewski I. W., op. cit. 



41 

nel 1714. s^) Questo solenne sbaglio se ne tiro dietro moltissimi 
altri, e noi vediamo il misero Tartini correre difilato a Padova 
a prendervi la consorte e rappacificarsi col temuto cardinale*®) e 
portarsi tosto a Venezia e di là imbarcarsi per Pirano onde affidare 
la consorte, con cui s'era appena riunito, e per la quale tanto aveva 
sofferto, al fratello Domenico,**^ e ritornare subito neUe Bomagne, 
per dedicarsi con maggior agio in Ancona allo studio del suo di- 
letto strumento, e là stabilirvisi per dieci anni; dico dieci, né uno 
di più, ne uno di meno ; per star lontano anche dalla consorte, 
che già, subito dopo questa sua unione col marito, è divenuta una 
donna brontolona, riottosa e bisbetica, se altra mai ce ne fu. ^) 



") P. C. Stancovich, op. cit. — Il Veracini nel 1714 trovavasi a 
Londra, come ben annota il Wasielewski (op. cit.) e lo Stancovich confonde 
qui in uno solo i due incontri che il Veracini si ebbe con Tartini. L'uno, 
come già fu detto, avvenne nel 1712, prima che il Tartini si rinchiudesse 
nel Monastero d'Assisi, V altro nel 1716, e non nel 1719, come vorrebbe 
il Wurzbach (op. cit.). Fu dopo le feste dì Venezia, che il prìncipe 
F. Augusto di Sassonia condusse seco il Veracini a Dresda, facendolo 
anzi virtuoso di camera alle sue dipendenze. 

^) P. Stancovich, op. cit., e molti altri ancora. 
^ P. Stancovich, op. cit; Biografia universale antica e moderna; 
op. cit. Fino a nuove prove dubito forte che la Premazzone sia mai 
stata a Pirano, nò col marito, né sola. Mai ci fu, dopo partito per i suoi 
studi di Padova nel 1710, lo stesso Tartini ; dapprima perché molto temeva 
il padre, dopo i trascorsi di sua gioventù; non ci fu poscia, morto il 
padre, e dalle lettere eh' egli indirizza al fratello Domenico, chiaro 
risolta eh' egli non fu a Pirano dopo il 1728, nel quale anno, a un di- 
presso, deve esser avvenuta la morte del padre. Forse che le lettere 
anteriori a questa data andarono perdute; dubito tuttavia che mai ne 
esistessero di anteriori al 1728, credo anzi che la famiglia ne lo consi- 
derasse, vivente il padre, come un figlio perduto. É solo accarezzato dai 
fratelli quando, salito all' apogeo di sua gloria, possono chiedergli dei 
denari pei mettere in assetto le finanze famigliari, allora più che mai in 
rovina. Ma di ciò abbiamo già detto, e diremo all'occasione anche in 
appresso. H postillatore delia seconda edizione dello Stancovich del 1888, 
che si nasconde sotto la lettera E.^ crede fermamente allo Stancovich 
stesso là dove dice che Tartini affidò la moglie al fratello Domenico, e 
cita le lettere autografe dell'archivio di Pirano; in nessuna di esse però 
è cenno di questo fatto. 

^) P. Stancovich, op. cit.; lUuatraaione del Prato della Valle ^ ed 
a.ltrove. 



42 

Ma senza precorrere gli avvenimenti, cerchiamo piuttosto 
d' indagare, per quanto ci sarà possibile, entro a questa 
fase della vita del Tartini, che per la sua importanza merita 
speciale riguardo^ dacché si è da essa, e lo possiamo già in 
antecedenza asserire senza errore, che il nostro violinista 
accrebbe viemaggiormente quella fama mondiale, che ormai 
s'era acquistata colla Sonata del Diavolo, fama che fece di 
lui il maestro delle Nazioni; il maestro di quell' "arte nuova„, 
che lo rese oggetto di curiosità da parte di tutti i più chiari 
ed eminenti musicisti del suo tempo. ^*) 

Segregato dal mondo e lontano da ogni umano consorzio, 
o cura mondana, visse per due anni il Tartini in Assisi. Lo 
studio, durante questo tempo, e lo abbiamo già detto, fu la 
unica sua occupazione, T unico suo conforto; e allora quando 
il diletto suo maestro, cioè il Padre Boemo, non seppe più 
come istruire il suo discepolo, perchè ormai lo scolaro aveva 
superato il maestro stesso nelle musicali discipline, accadde 
allora che non un semplice e fortuito caso inducesse il violinista 
ad abbandonare quel ritiro, si bene il desiderio di maggior 
gloria e la brama di apprendere quelle cognizioni, che né il 
buon padre, né tampoco la quiete della vita claustrale gli po- 
tevano offrire. £ fu allora, che senza dare \m definitivo addio 
al monastero, si ritirò o in Ancona o in qualche altro luogo 
solitario, dove anche lo raggiunse la fedel sua consorte, dopo 
la scoperta fatta dal padovano. Ho detto o in Ancona, come 
vogliono i biografi, o in qualche altro luogo solitario; giacche 
l'encomiaste del Tartini, alludendo a questo suo nuovo ritiro, 
dopo la dipartita d' Assisi nel 1714, cosi scrive di lui : *Ma la 
fama del Viscontino e del Yeracini, distaccandolo di primo 
tratto da quell'asilo di quiete, lo invitava a Cremona indi a 
Venezia.;, ^^) E questo forse 1' unico passo, che ci dia la chiave 
per comprendere dove si stesse il Tartini durante i sette anni. 



*^) G. Tebaldini, IJ Archivio musicale della Cappella Afttoniana^ 
op. cit. 

•*) Elogi di tre uofnini illustri , Tartini f Vallotti e Gozzi ^ con una ora' 
zione gratulatoria, Padova, 1792, per C. Conzatti. Dall' elogio di G. Tartini, 
op. cit. 



43 

che tanto diedero da fare ai biografi. Visse T encomiaste del 
Tartini a Padova, fu anzi amico del nostro violinista, di cui 
volle tessere l'elogio, pochi anni dopo la sua morte. Nò di 
Padova impertanto, ne di Ancona è parola, sì bene di un ^asilo 
di quiete,. Vanno così stimando, come nebbia al vento, anche 
quei dieci anni, che la fantasia de' biografi trasse forse dalla 
guerra troiana, e tutti quei viaggi di Padova, Venezia, Pirano, 
che da soli già cadono, se si vuole ammettere una solitudine 
di dieci anni in Ancona. Il padovano altresì della leggenda 
non è altri, a mio modo di vedere, che un parente della sposa, 
o un messo, se vogliamo anche, del cardinale, il quale avrà 
condotta la sposa a chi di fatto apparteneva. E che V iniziativa 
fosse partita daUa sposa stessa si è il solo Wasielewski ^') 
che ce lo dice, assicurandoci che fd essa a scrivergli per la 
prima una lettera, facendogli conoscere e che il cardinale 
aveva deposto ogni sdegno, e che i genitori di lei s'erano 
rappacificati. E possiamo ben credere se si sarà fatto un dovere 
di raggiungerlo subito in quel nuovo ritiro, o asilo di quiete, 
dove appunto egli intendeva stabilirsi per qualche tempo. Anche 
il nostro Stancovich lo dice stabile in Ancona nel 1714, ma 
confonde questo suo ritiro con V altro avvenuto nel 1717. 

£ qui giunti, prima di procedere più oltre, ci sia permesso 
definire im' altra questione, accettata da molti biografi del 
Tartini. " V ha — dice il Tebaldini **) — chi lo ritiene allievo di 
Gorelli, ma nessun documento 1' attesta con certezza. „ Che il 
nostro Tartini abbia studiato le opere del Gorelli, di questo 
''maestro dei maestri,, come allora veniva chiamato, non v'ò 
dubbio ; che delle sonate di lui si sia, più che un* arte, formato 
un vero culto, specialmente nella solitudine d'Assisi, e più 
tardi ancora in quel suo asilo di quiete, nessuno sarà che lo 
ponga in dubbio; ma da questo all'essergli stato allievo ci 
corre di molto. Il Gorelli teneva la sua scuola di violino in 
Koma, e nella etema città morì anche, nel 1713, in quel me- 
desimo anno, in cui coUa Sonata del Diavolo spuntava sul- 
r orizzonte artistico un altro astro, un altro genio, cioè quello del 



•*) I. W. [Wasielewski, op. cit. 

•*) G. Tebaldini, op. cit., ed altri ancora. 



44 

nostro violinista, che in breve doveva eclissare "il virtuosissimo 
del violino, o il vero Orfeo de' suoi tempii, che tali epiteti furono 
allora scritti sulla tomba del Gorelli nel Panteon di Boma, dove 
le sue ceneri riposano accanto a quelle del divino Bafaello.^^) 
Stabilitosi il Tartini con la consorte in quel suo nuovo 
asilo di quiete, eh' io reputo non lungi di Assisi, ^) si mise 
a studiare con un fervore non meno intenso di quanto aveva 
prima fatto sotto la direzione del padre Boemo. Le lezioni 
di contrapunto e di armonia musicale, che il buon padre 
gli aveva insegnato per due anni consecutivi, fecero si eh' egli 
allora rivolgesse la mente agli studi di matematica e di fisica, 
che da quattro e più anni ormai aveva abbandonati, dal tempo 
cioè dei suoi studi umanitari in Capodistria. Aveva ben com- 
preso, che la scienza doveva procedere di pari passo con 
l'arte, e che con quest'ultima soltanto nuli' altro di lui sarebbe 
derivato se non un celebre virtuoso di violino, ma che, come 
compositore e di sonate e di concerti, mai sarebbe emerso 
dalla volgar schiera dei molti virtuosi di violino, di cui allora 
era piena l'Italia. Bisognava togliere la maniera speciale di 
scrivere, o piuttosto di notare, dei violinisti d'allora, la quale 
non indicava che vagamente tutto ciò che occorreva fare per 
ben eseguire la musica ; gli adagi principalmente non erano che 
una specie di abbozzo, su cui l' esecutore lavorava, secondo la 
disposizione della sua anima, secondo la sua immaginazione. 
"Un adagio — dice il de Prony — che il Tartini ha tessuto in 
diciasette maniere diverse, chiaro ci rivela il segreto del suo 
modo di esprimere le meIodie„,^^ e noi diremo anche della 



"*) L W. Wasielewski, nella Vita di Arcangelo CoreUi, op. cit 
"*) Non potendo Tartini con la consorte starsi più oltre nel Mona- 
stero d'Assisi, s'era scelto un altro luogo di pace per poter vivere tran- 
quillo e lontano da ogni umano rumore. Questo luogo non doveva essere 
lungi dal Monastero, anzi, io reputo, vicinissimo; perchè anche uscito 
da quella solitudine, faceva pur parte dell' orchestra del Convento. E che 
cosi fosse avremo campo di vedere, quando diremo della sua chiamata 
e ritomo a Padova nel 1721. 

*'') De Prony, nella Biografia universale antica e modertta, op. cit. 
L'Adagio del Tartini^ di cui è fatto cenno, trovasi alla ^lìe della -Divi- 
sione delle Scuole del violino, di Q. B. Cartier. 



46 

sua scienza musicale, senza la quale mai un artista può pene- 
trare ben addentro nei secreti della natura e dell'arte. Nei 
manoscritti dell'Ariosto e del Tasso qualche ottava è ripro- 
dotta in dieci e più maniere, Tuna più bella dell'altra; e 
queste manifestazioni dell' uman genio, che noi diciamo parti 
di versatile ingegno, sono il prodotto di quella scienza pro- 
fonda, che trovasi soltanto in pochi ed eletti ingegni. Cosi tu 
del Tartini. Quella sua versatilità d' ingegno, accompagnata da 
una scienza, che, avuto riguardo ai tempi, poteva ben dirsi 
profonda, ci offrono quella famosa scoperta del terzo stwno^ che 
da allora diviene regola fondamentale dell' arte. Questa scoperta, 
che molti critici troppo parziali attribuirono ad altri, fu fatta 
dal nostro Tartini già nel 1714, cioè nel primo anno di quel 
suo asilo di quiete *s) e precede di molti anni quella del fran- 
cese Bameau, o l'altra del tedesco Sorge, che si basano, la 
prima in specialità, sur un sistema d'armonia del tutto dif" 
ferente. H terzo suono del Tartini è quel suono basso, che si 
fa sentire come necessaria conseguenza dalla combinazione di 
due suoni più alti, che vengono generati su due corde diffe- 
renti di uno strumento. Supponiamo difatti, che si abbiano 
due suoni, uno dei quali faccia 100 vibrazioni per ogni secondo, 
1' altro 126 ; si hanno cosi tre suoni, cioè i due suoni primitivi 
dì 100 e di 126 e il terzo suono o suono di combinazione di 26 
vibrazioni. "Se questa teoria non è del tutto esatta — dice il 
Blasema ^^) - - perchè, per maggiore esattezza, ci vuole il calcolo, 
questo è certo però, che i suoni di combinazione sono veri 
suoni di differenza, in questo senso, che il numero delle loro 
vibrazioni corrisponde realmente alla differenza delle vibrazioni 



••) Muaikalìsckes Consertatian^s-Lexiconydì Oppenheim, op. cit.— "Einet 
der grSssten, toenn nieht der gróssie Violinspieler, wurde nicht nur der Griinder 
einer Schule des Violinspieles, sondem auch eines neuen Harmoniesystem. 
— Im làfire 1714 entdeckie er auch das Phonomen der sogennantet' Combina- 
tionstGnej des Mitklinges eines tiefen Tons, wenn zwei hShere consonì- 
rende angegeben werden, und grttndete spfiter hierauf ein Harmoniesystem, 
welches er in seinem Trattato di Musica weìtl&ufig darlegt^. 

••) Biblioteca scientifica internazionale, voi. I, *La teoria del suono 
nei suoi rapporti colla musica,, dieci conferenze del Prof. Pietro Bla- 
sema, Milano, Fratelli Dnmolard, 1875, V Conferenza. 



4é 

dei due suoni combinati insieme „ Questo è appunto quanto 
il Tartini volle provare, basandosi sul calcolo delle vibrazioni 
di due corde, che ad un tempo vengano toccate, e questa 
combinazione, fatta, come dice lo stesso Blasema, nella metà 
del secolo passato, viene generalmente attribuita al celebre 
violinista Tartini. Ma lasciamo ad altri, ben più competenti in 
materia, a voler chiarire più dawicino con calcoli matematici 
questa questione: quello però che più ci preme di rilevare si 
è che il nostro Tartini debba avere in questa scoperta il 
primato assoluto. Critici valentissimi in materia, fra cui per 
brevità cito solo quello del Lessico Musicale dell' Oppenheim, 
asseriscono che Tartini fece la singoiar scoperta del terzo suono 
già nel 1714. Ed è da quest' anno che i dotti di allora comin- 
ciano ad occuparsi di questo nuovo fenomeno, come essi la 
chiamavano allora questa nuova scoperta; e se il nostro vio- 
linista non volle fosse pubblicata per le stampe che nel 1764, ^^) 
aveva le sue buone ragioni; voleva, cioè, sentire l'opinione dei 
dotti d'allora, e specialmente quelle del padre Martini e del 
dott. Balbi di Bologna, coi quali tenne viva corrispondenza, 
difendendo ora le sue teorie, ora cedendo alle osservazioni che 
gli andavano facendo. ^^) Alle osservazioni mossegli dal padre 
Martini, così gli rispose una volta Tartini: "V. E. si degni 
riflettere che io non mi faccio autore e scuopritore, se non del 
solo terzo stumo procedente da due corde suonate di qualunque 
strumento d'arco, sopra questo verte il mio trattato intero e 
questa è l'unica scoperta che io dico mia, perchè lo è.„ '«) Un 



^^) Trattato di musica secondo la vera scienza dell* armonia di G. Tartini, 
Padova, nella stamperia del Seminario appresso Giovanni Manfrè, 1754. 

^'> Lettera di G. Tartini al padre Martini di Bologna^ allorché gli 
inviava, per un esame, il suo Trattato; ed in proposito G. Tebaldini, 
op. cit. — Wurzbach dott. C. dice: *Circa il suo Trattato Tartini si 
intratteneva spesso col conte Decio Agostino Trento.,, E da qnesto dotto 
deve anche aver avuto non pochi incoraggiamenti il nostro violinista, 
perchè, dice lo stesso Wurzbach, visto che non si decideva a stamparlo, 
lo fece stampare il nobile conte senza neppure chiedergli permesso. 

") Altra lettera di G. Tartini al padre Mai-tini, di data 5 novembre 
1751. L'altra con cui gli spediva il Trattato porta la data del 12 marzo 
dello stesso anno. G. Teb aldini, op. cit. 



47 

Uomo di carattere, quale si era il Tartini, non poteva dirsi 
più esplicitamente autore di una si importante scoperta, per 
la quale contendevansi il primato altri dotti, e sopratutto i 
francesi. "Loro sanno — scrive egli altresì nella lettera, che 
accompagnava il Trattato — quali e quanti grand* uomini 
hanno trattato V armonia, e han letto e veduto quanto da quelli 
sia detto. Che ora salti fuori un sonatorello di violino, e che 
pretenda non solo di vedere e sapere ciò che non han veduto 
ne saputo tali uomini, ma di più si vaglia dell'armonia per 
scoprire ciò che non ha potuto per tanti secoli scoprire il dotto 
matematico Mondo, questa è una cosa^ che per quanto possa 
esser vera, non può mai esser verisimile. Per quanto vi è 
più sacro la prego difendersi per ora da tal pregiudizio e di 
porsi risolutamente al vero esame. Il fine e la conclusione 
spiegherà tutto e si troveranno contentissimi di aver speso il 
tempo non per una frivolezza, ma per la cosa più importante, 
che possa trattarsi fra noi uomini. Troveranno (glielo dico in- 
nanzi) verissima la mia propositione, e con loro la troverà 
tutto il dotto Mondo., Con più modestia, e in pari tempo con 
più coscienza di sé per la grande scoperta fatta, non credo 
che mai uomo dotto abbia presentata un' opera, per averne un 
definitivo ed imparziale giudizio. Non seguiremo più oltre il 
lungo carteggio del Tartini e del padre Martini, che finirono 
collo intendersi reciprocamente, dopo le obbiezioni mosse e 
dall' una e dall' altra parte, nelle quali venne perfino in ballo 
la quadratura del circolo; ciò solo diremo, che l'amicizia di 
questi due dotti insigni andò man mano raffermandosi ed 
avendo bisogno nel 1769 il dotto bolognese che Tartini, a sua 
volta, gli desse un giudizio sulla Storia della Musica^ che allora 
stava stampando, cosi scrivevagli : "Attualmente si stampa il 
mio secondo Tomo della Storia di Musica, che contiene la 
musica greca e per necessità ho dovuto entrare nel sistema di 
Pitagora e di Platone, che col mezzo dei numeri armonici 
hanno spiegata la creazione dell' anima e di tutte le cose 
celesti e terrestri : ma io non vado più avanti di quello che 
si trova scritto dai suddetti autori. Da ciò può Ella immagi- 
narsi se mi sarà caro l'avere da Y. S. Molto Illustrissima la 
vera chiave del gergo di Pitagora e di Platone, da essi nascosto 



48 

nei principi musicali, potendo star sicurissimo che da me non 
sarà palesato per ora a chiunque siasi. E intanto gradirei di 
vederlo, per iscoprire se in questo mio Tomo avessi mai preso 
qualche piccolo granchio, essendo in tempo anche nel fine del 
Tomo di ritrarmi di quanto possa occorrere, e perciò mi rimetto 
tutto nelle di Lei mani.^^^') Questa lettera del padre Martini 
chiaro ci dice di quanto valore fossero i giudìzi del nostro 
violinista sul sistema armonico da lui scoperto, perfezionato e 
studiato fino agli ultimi istanti di sua vita. Credo anzi che il 
Martini, uomo tanto addentrato nelle musicali discipline, non 
sarebbe ricorso per un parere al nostro Tartini, se non si fosse 
interamente persuaso, che tutte quelle teorie, che V amico avea 
scoperte e perfezionate, non fossero state tutta opera di lui, 
e non copiate da altri; come allora asserivano i francesi, e 
come in oggi ancor da molti si ritiene. Ma vediamo che cosa 
ci dica la storia degli altri suoi competitori od emuli, a cui 
molti vogliono si debba dare il primato della scoperta. Il 
Wurzbach vuole assolutamente che il diritto di priorità circa 
la scoperta del terzo suono si debba a G. A. Sorge, e che da 
lui il Tartini abbia poi creato tutto il suo sistema «dell' armonia 
musicale ; fa anzi che il Sorge preceda di nove o dieci anni 



^') Lettera del padre G. B. Martini al Tartini di data 18 aprile 1769, 
citata dal Fanzago, op. cit. Questa lettera, e tutte le altre del Tartini 
e del Martini, passarono in eredità del nobile signor Pietro Tartini, ni- 
pote ed erede del nostro violinista. La famiglia Vatta, per quanto mi 
consta, non le possiede, ed è probabile che si trovino ancora in Padova, 
probabilmente nell' Arca del Santo. £ supponibile, dicevami il padre Negri, 
attuale bibliotecario della Biblioteca Antoniana dì Padova, che molti 
manoscritti del Tartini, o minute, o spezzate, o duplicate andassero per- 
duti nella revisione delle biblioteche dei monasteri d* Italia, e tanto più 
poi dacché il signor Pietro Tartini nel 1780 non s' era curato minima- 
mente di ritirare da Padova tutti gli scritti del Tartini, che il Podestà 
d' allora, dietro sua preghiera, avevagli promesso di restituire Anche 
nel civico Museo di Padova, che fu riveduto negli anni 1894-96, nulla fu 
trovato di Tartini; cosi mi assicurava il direttore dello stesso, a cui mi 
era rivolto per qualche appoggio a questo mio studio. Sarebbe bisogno 
ritentare la prova; qualche cosa si potrebbe ancor trovare, e un attento 
studio meriterebbe specialmente la corrispondenza epistolare del Tartini 
coi dotti e filosofi di allora. 



49 

colle sue teorie non il Tartini soltanto, ma anche il Kameau 
e il de Serre, e cita per avvalorare il suo asserto V Universale 
Letteratura Musicale del Fòrkel, ''*) dove appunto si vuole 
scalzare la priorità del Tartini. L'osservazione del Wurzbach 
se è giusta nella forma, pecca nella sostanza: egli parla di 
priorità del Sorge basandosi suir opera di lui, clie vide la luce 
in Amburgo già nel 1744, 's) dieci anni dunque prima del 
Trattato del Tartini, che non fu stampato che nel 1754 per 
la prima volta ; ma tutto il mondo musicale lo sa, e V Oppen- 
heim, come fu detto, ce lo dice chiaro, che già nel 1714 il 
Tartini aveva fatto quella fenomenale scoperta, che aveva 
messo già allora sossopra e gl'italiani e i francesi e i tedeschi. 
La differenza risiedeva altresì negli istrumenti musicali ; Tartini 
aveva fatto le sue esperienze sulle corde del violino ; il Sorge 
sull'organo e sul pianoforte. Il Rameau, a differenza del Tartini, 
ricava il terzo suono con legge inversa; presso lui non seno 
gli acuti che danno il terzo suono più basso, si bene i due 
bassi che danno il suono fondamentale acuto. Non è nostro 
compito di voler qui indagare quale delle due teorie sia da 
reputarsi migliore, basandosi si V una che Y altra sugli stessi 
principi scientifici; quello però che qui ci interessa di dire si 
è che 11 Trattato d'armonia del Eameau e l'altro Sul nuovo 
sistema di teorica musicale, non videro la luce a Parigi prima 
del 1726, se anche, e specialmente il Trattato, furono già ideati 
o scritti nel 1721 a Clermont ; quasi dieci anni dunque più 
tardi della scoperta fatta dal Tartini. ^^) Anche il Bameau, 
come il nostro violinista, ebbe in gioventù una vita agitatissima, 
e si fu appena nella quiete di Clermont che la mente di lui 
potè elevarsi ad idee sublimi e ad alti concepimenti. La natura, 
che molte volte si mostra più che madre, cattiva matrigna per 



^*) FòrkeVs Allgemeine Litteratur der Musik in der '*Leìpziger Musi- 
kalischen Zeitung, Breitkopf u. Hftrtl, 1825. 

") Anfoeiaung zur Stimmung der Orgelwerke iind des Claviers von 6, 
A. Sorge, Amborg, 1744. 

^*) lUustrirte MusikgeschichU oder die ^Entwieklung der Tonkunst 
aus iiiihesten AnfUngen bis auf die Gegenwart» von Emil Naumann, 
Berlin et Stuttgart, 1885. 



60 

il povero artista, volle questa volta esser prodiga, aprendo il 
suo gran libro, entro a coi stanno riposti i secreti della scienza, 
a questi due sommi ingegni, che nella solitudine, partendo da 
un punto differente, andavano svolgendo quei sistemi di armonia 
musicale, che studiati dippoi e sottoposti a seria disamina e 
dal Helmholtz ^^) e da altri dotti dei nostri tempi, dovevano 
interamente far dimenticare tutti i vecchi sistemi, che non 
avevano alcuna base scientifica. Del Serre avremmo occasione 
di dire quando parleremo della difesa, che fece il nostro Tartìni 
del suo Trattato; ci sia permesso peraltro, prima di chiudere 
questa parte importante del nostro studio, di poter citare 
qualche moderno critico musicale, perchè con la sua autorità 
confermi quanto siamo venuti fin qui esponendo. 

Il Neumann, che non sempre dimostrasi imparziale, quando 
trattasi di criticare i sonmii musici d'Italia, cosi dice del Ba- 
meau: ^H di lui Trattato cPatmonia gli diede un nome immor- 
tale perchè colle sue teorie gettò le prime basi di un nuovo 
sistema scientifico-musicale.„ ^Tartini non è da considerarsi 
soltanto come grande virtuoso di violino, si bene anche come 
teorico, avuto riguardo all'immensa influenza ch'egli esercitò 
sul suo tempo. E come il Martini non va considerato solo come 
famoso musico, si bene anche qual dotto distinto, e più di 
tutto come matematico e acustico, altrettanto dobbiamo dire 
del Tartini. Se Sameau scoperse il terzo suono dai due bassi 
consonanti fra loro, Tartini fece altrettanto col suo sistema 
del basso proveniente dagli acuti; e questa sua teoria, che, 
come egli assevera, è stata da lui scoperta per il primo, fu ai 
nostri giorni e studiata ed allargata dal Helmholtz, nell'opera 
dei Suoni differenziali. y^''^) Ben altro ancora fece il Tartini. "In 
ogni cosa, eh' egli prese a perfezionare — dice V Arteaga ' ^) 
— ha saputo imprimere lo spirito d'invenzione e la natura 
riflessiva e sagace, cui portavalo il proprio temperamento. „ 



") S. HelmholtZ; Di*- Lehre von dir Tonenempfindungen, Ber- 
lino, 1863. 

^') E. Neumann, op. cit, voL I, pag. 590 e seg. e pag. 592-93. 

^) Stefano Artenga, Le rivoUmoni del teatro mu9iealé iialiano^ 
Venezia, 1785. 



51 

Scoperto il terzo suono ben comprese che il violino non avrebbe 
più corrisposto con l'antica sua conformazione e struttura 
alle esigenze della nuova scienza musicale, di cui s'era fatto 
maestro. Provando e riprovando le vibrazioni delle corde, capì 
che il terzo suono non sarebbe mai uscito netto e distinto, se 
non ingrossando le corde stesse, fino allora troppo fievoli e 
sottili, e allungando alquanto l'archetto per raddolcire l'asprezza 
che in sé aveva lo strumento, anche se in mano di un Gorelli 
o di un Veracini. Specialmente all'archetto volse particolare 
studio ed attenzione, allungandolo e suddividendo la stanghetta 
in parti si dall'alto che dal basso per poter procedere al bi- 
sogno con determinato sistema, e perchè il braccio destro fosse 
sicuro della toccata.®*) Ci assicura anzi di più il Fayolle che 
egli avesse sempre seco due archetti, uno segnato per il tempo 
a quattro e l' altro per il tempo a tre quarti.®^) "Il violino ar- 
monioso — dice il de Prony — toccante e pieno di grazia sotto 
l'arco dei Tartini, ha preso per la prima volta un'espressione 
drammatica ne' suoi adagi, canti ai quali è impossibile di non 
attribuire im senso, ed in cui si scorge appena che manca la 
parola.^ «») Questi studi sull' arte dell' archetto, che il Tartini 
cominciò a fare in queU' asilo di quiete delle Bomagne, furono 
continuati fino all' estrema sua vecchiezza in una col sistema 
armonico, con cui strettamente si collegavano. Fu per questa 
espressione dell'arco, che mai gli dava pace, tanto ne era ge- 
loso, se si risolvette ad abbandonare quel quieto asilo per por- 
tarsi a Cremona nel 1716 per udire il Biscontino; e se nel 1716 
accolse di buon grado l'invito che gli faceva la republica di 
Venezia per le festività che venivano date all'Elettore di Sas- 
sonia, sapendo bene, che invitato essendo anche il Yeracini, 
molte cose ancora avrebbe potuto apprendere, non per superare, 
ma per uguagliare almeno questo mago del violino, la cui 
gloria e i cui trionfi forte rodeangli il core di gelosia ed emu- 
lazione. E di fatto all'udirlo si turba non poco, che se egli 



•^ I. W. Wasielewski, op. cit. 

«*) F. I. M. Fayolle, Paganini et Btriot, Parigi, 1881. 

*'j D. Prony, ArticolQ della Biografia univenale, op. cit. 



52 

aveva fatti tanti progressi neirarte e nella scienza, anche 
l'altro fino allora non era stato inerte, anzi era passato trion- 
fante per V Europa, facendo stupire tutti col divino suo ma- 
gistero nell* arte de' suoni. H cruccio del Tartini s' accrebbe 
ancor di più, allorché V Elettore di Sassonia, terminate le feste, 
volle che il Veracini ne lo seguisse a Dresda, per farlo virtuoso 
di corte.^') Capi il Tartini che per lui non era ancor sonata 
V ora di gettarsi nel gran mondo, e dato un addio agli amici, 
corse difilato a rintanarsi in quella sua solitudine, studiando 
giorno e notte su quella espressione dell' arco, che tanto gli 
martellava il core e gli angustiava V animo.^^) 

I risultati di questi lunghi e pazienti studi del Tartini 
sulla maniera di adoperare Y archetto, sono esposti nell' opera 
che s' intitola Uarte delVarco^ cioè 50 variazioni sur una gavotta 
del Gorelli. Curioso si è che di essa non faccia cenno che il 
solo Wasielewski,**^) che, come io credo, deve averla veduta in 
qualche luogo, mentre ad essa accenna anche il Cartier,^^) ma 
con titolo francese. Quest* opera, che non deve minimamente 
confondersi con V altra. Lezioni pratiche di violino, deve essere 
stata scritta dal nostro violinista già nei primi anni della sua 
solitudine, se, come dice il Wasielewski, gli adagio delle sue 
prime sonate rispecchiano fedelmente la nuova teorica musicale, 
che, coi loro melodici motivi, ci offrono svariate metamorfosi 
ornamentali.^^) Non meno bella si è la lettera sul maneggio 
dell' arco, diretta a Maddalena Lombardini Sirmin, che era 



"^ I. W. Wasielewski, op. cil. 

•*) Potrebbe darsi che questo secondo, o anzi terzo ritiro del Tar- 
tini, avvenisse in Ancona, come quasi tutti i biografi asseriscono. Forse 
aveva stabilito di recarsi in questa città per essere lontano da Assisi, 
dove, come credo, e i fatti in appresso ce lo diranno, aveva degli im- 
pegni, di sonare, cioè, almeno nelle maggiori solennità. Anche per questo 
suo ritiro cadono tutte quelle congetture, che i biografi del Tartini an- 
darono fino ad ora predicando, di un viaggio a Pirano, per lasciarvi la 
consorte o di altri suoi viaggi tatti a Padova od altrove. 

•*) I. W. Wasielewski, op. cit. 

^) Tradition de Vdrt de Varchet de Tartini di I. B Cattier, Parigi 
1825, ed in proposito anche il Wurzbach dott. C, op. cit. 

") Wasielewski I. W., op. cit. 



63 

stata sua allieva, ^^) da cui possiamo farci una chiara idea del- 
l' impegno e dello studio eh.' egli metteva in tutte le cose sue, 
non trascurandole neppure negli ultimi anni di sua vita. La 
lettera porta la data di Padova, 5 marzo 1760, ad è un capo- 
lavoro nel suo genere. Fu stampata in quanti mai periodici o 
gazzette musicali finora videro la luce non in Italia soltanto, 
ma ripetute volte e in Germania e in Francia ed in Inghil- 
terra.®*) Non sarà discaro impertanto ai lettori di questo mio 
studio di rendernela qui pure riprodotta, eccezione fatta delle 
note musicali, che un amatore potrebbe vedere neìT Archeografo 
triestino j'^^) dove il nostro Hortis V aveva per intero publicata 
nel 1884. 

^Signora Maddalena mia stimatissima! 

"Finalmente quando a Dio è piaciuto, mi sono sbrigato 
di quella grave occupazione, che fino qui mi ha impedito di 
mantenerle la mia promessa, sebbene anche troppo mi stava 
a cuore perchè di fatto mi affliggeva la mancanza di tempo. 
Incominciamo dunque col nome di Dio per lettera, e se quanto 
qui espongo ella non intende abbastanza, mi scriva e domandi 
spiegazione in tutto ciò che non intende. 

"Il di lei esercizio e studio principale deve esser TArco in 
genere, cosi che ella se ne faccia padrona assoluta a qualunque 
uso o suonabile o cantabile. 

"Primo studio deve essere l'appoggio dell'Arco sulla corda 
siffattamente leggero che il primo principio della voce che si 
cava sia come un fiato e non come una percossa sulla corda. 
Consiste in leggerezza di polso e in proseguir subito l'arcata, 
dopo r appoggio leggero non e' è più pericolo di asprezza e 
crudezza. Di questo appoggio cosi leggero, ella deve farsi pa- 
drona in qualunque sito dell' arco, sia in mezzo, sia negli estremi, 



**) Si è questa la celebre cantante e senatrice di que' tempi che 
da semplice orfanella di un convento di Venezia, mercè le rai'e doti mu- 
sicali seppe elevarsi al più alto fastigio di gloria. S'era maritata al 
conte 8irmin. 

*•) P. Stanco vi eh, op. cit. 

^) Lettere di Giusejype Tartini^ op. cit. 



54 

e deve esser padrona coir arcata in su e coU'arcata in giù. Per 
far tutta la fatica in una sola volta si incomincia dalla messa 
di voce sopra una corda vuota per esempio sopra la seconda 
eh' è l'Alamirè. Si incomincia dal pianissimo crescendo sempre 
a poco alia volta finché si arriva al fortissimo, e questo studio 
deve farsi egualmente coli' arcata in giù e coU'arcata in su. — 
Ella incominci subito questo studio e vi spenda almeno un'ora 
al giorno, ma interrotta un poco la mattina, un poco la sera 
e si ricordi bene che questo è lo studio più importante e più 
difiSoìle di tutti. 

''Quando sarà padrona di questo le sarà allora facile la 
messa di voce che incomincia dal pianissimo e va al fortissimo 
e toma al pianissimo nella stessa Arcata. Le sarà facile e 
sicuro l' ottimo appoggio dell' arco alla Corda e potrà fare col 
suo arco tutto quello che vuole. 

^*Per acquistare poi questa leggerezza di polso da cui 
viene la velocità dell'Arco, sarà cosa ottima, che suoni ogni 
giorno qualche fuga del Gorelli tutta di semicrome e queste 
fughe sono tre nell'Opera V a Violino solo, anzi la prima è nella 
prima suonata per Delasolre. Ella a poco alla volta deve suo- 
narle sempre più presto, finché amvi a suonarle con quella 
velocita che le sia più possibile. Ma bisogna avertire due cose: 
prima di suonarle coir arco distaccate, cioè granite e con un 
poco di vacuo tra una nota e 1' altra. Secondo, di sonarle in 
punta d' arco nel principio di questo studio, ma poi quando è 
padrona di farle in punta d'arco allora incominci a farle non 
più in punta, ma con quella parte d' arco, eh' è tra la punta 
e il mezzo dell' arco, e quando sarà padrona anche di questo sito 
dell'Arco, allora le studi nello stesso modo in mezzo dell'arco, 
e sopra tutto in questi studii si ricordi di cominciare le fughe, 
ora coir arcata in giù, ora coir arcata in su e si guardi dal- 
l' incominciare sempre per V ingiù. Per acquistare questa leg- 
gerezza d'arco, giova infinitamente il saltare una corda di mezzo 
e studiar fughe di semicrome. 

"Di queste ella se ne può fare a capriccio quante vuole 
e per qualunque tuono e veramente sono utili e necessarie. 

''Kispetto poi alla mano del manico^ una sola cosa le 
raccomando di studiare la quale basta per tutte ed è questa: 



66 

"Per qualunque parte di violino, o primo o secondo, sia 
di concerto, sia di qualunque messa o salmo, ogni cosa serve. 
Ponga la mano, non a suo luogo ma a mezza smanigatura; suoni 
tutta quella parte del Violino, non movendo mai la mano da 
quel sito se non che, o quando dovrà toccare Alamire sulla IV 
corda, o dovrà toccare Delasoire sul Cantino, ma poi torni colla 
mano alla stessa smanigatura di prima, nò mai al luogo naturale. 
Ella faccia questo studio finché è sicura affatto di suonare qua- 
lunque parte di Violino (non obbligata a soli) a prima vista, allora 
tiri innanzi la sua smanigatura in Alamire col primo dito sul 
Cantino e faccia in questa 2 smanigatui*a lo stesso studio, fatto 
sulla prima. Divenuta sicura anche di questa, passi alla terza sma- 
nigatura col primo dito in Benii sul Cantino e se ne assicairi nello 
stesso modo. Assicurata, passi alla quarta col primo dito in Ce- 
solfaut sul Cantino. Insomma, questa è una scala di smanicatura, 
di cui quand'EUa se ne sia fatta padrona, può dire di essere Pa- 
drona del manico. Questo studio è necessario e glielo raccomando. 
"Passo al terzo ch'ò il Trillo. Io da Lei lo voglio tardo 
mediocre e presto, cioè battuto adagio, mediocremente e pre- 
stamente ed in pratica si ha vero bisogno di questi Trilli dif- 
ferenti, non essendo vero che lo stesso Trillo che serve per un 
Grave debba essere lo stesso Trillo che serve per un Allegro. 
"Per fare due studi in una volta con una sola fatica, 
Ella incominci sempre sopra una corda vuota, sia la seconda, 
sia il Cantino eh' è tutt' uno, un' arcata sostenuta come una 
messa di voce, ed incominci il Trillo adagio, ed a poco a poco 
alla volta per gradi insensibili lo vada riducendo al presto. 

"Ella non istia a rigore in quest' esempio, in cui date le 
Semicrome si passa immediatamente alle Biscrome, e da queste 
all' altre, che vagliono la metà. No ; questo sarebbe salto e 
non grado. Ma ella si imagini che tra le Semicrome e le Bis- 
crome, vi sieno altre note in mezzo che vagliono meno delle 
Semicrome e più delle Biscrome, ma che partendosi dalle Semi- 
crome siine di valore prossimo alle Semicrome, e secondo che 
vanno innanzi sempre più vadano avvicinandosi al valore 
prossimo delle Biscrome finché arrivino ad essere vere Biscrome 
e cosi a proporzione tra le Biscrome e le successive che va- 
gliono le metà. 



56 

''Questo studio lo faccia con assiduità ed attenzione e 

assolutamente lo incominci sopra una corda vuota perchè se 

Ella arriverà a farlo bene sopra una corda vuota, molto meglio 

lo farà col secondo, col terzo dito e anche col quarto, su cui 

bisogna fare esercizio particolare, perch' è il più piccolo dei 

suoi fratelli. Nuli' altro per ora le propongo da studiare ; ma 

basta ed avanza quando Elia vuol dir da senno per la sua 

parte, come io la dico per parte mia. Mi risponderà se ha bene 

inteso, quanto le ho proposto. E intanto rassegnandole i miei 

rispetti, come La prego di far per parte mia alla Signora Priora, 

alle signore Teresa e Chiara, tutte mie Padrone, mi confermo 

sempre più 

Dev. aft. servitore 

Di V. S. 

Giuseppe Tartinij^,^^) 

Se con la Sonata del Diavolo e con la scoperta del terzo 
suono il nostro Tartini s'era ormai procacciata tanta gloria, da 
esser trovato degno di poter concorrere col Veracini e col Bi- 
scontino perchè più solenni riuscissero le festività, che la potente 
republica di Venezia dava, come accennammo, nel 1716 al 
principe di Sassonia, possiamo ben figurarci di quanto non si 
sarà accresciuta la sua fama dopo i quattro anni, eh' egli volle, 
lontano dal mondo, passare in quel novello ritiro delle Ilo- 
magne, dove appunto con uno studio ancor più paziente ed 
indefesso sul violino, s'era proposto non di eguagliare, ma di 
superare ben anco il geniale Veracini, e perfezionare oltre a 
ciò quei suoi studi di scienza musicale, dai quali ripromette^ 
vasi non minor gloria. E se passeggera fu la gloria, eh' egli 
seppe acquistarsi in Venezia in quei pochi giorni delle festi- 
vità, e tanto più poi, dacché la mente sua era conturbata da 
nobilissimi sentimenti di emulazione verso il Veracini, suo po- 
tente rivale; stabile, duratura, immortale potremmo chiamare 
la di lui fama dopo quei quattro anni di volontario esilio. E 
che tale essa fosse, chiaramente ce lo conferma T invito che 
egli si ebbe da Padova di voler accettare il posto di Primo 



'') Questa lettera fu copiata interamente dallo Staucovich, op. cit. 



67 

Violino della Cappella del Santo, che allora era una delle 
prime non d'Italia ma di tutta l'Europa. L'atto con cui ve- 
niva deliberato di chiamarlo a Padova porta la data 3 aprile 
1721, e dice le precise parole: Avvertito pienamente dalla F. A, 
Congregazione di condurre il Sig. Giuseppe Tartini sonator singoiar 
di Violino co ^l stipendio annuale di Fiorini 150 e di dispensarlo dalla 
prova p. la sua notoria eccellenza in tal professione,^^) Dobbiamo 
aggiungere inoltre che, allorquando fu chiamato a Padova, 
egli trovavasi in qualità di violinista in Assisi, come ben dice 
il Tebaldini,®*) non in Ancona dunque, come fin qui andarono 
novellando quasi tutti i biografi, confondendo questo invito 
con un altro da loro immaginato di sette anni a^nteriore. Sap- 
piamo altresì come già quei sette anni fossero divenuti dieci 
nella fervida immaginazione di alcuni biografi, e tutti passati 
in Ancona. Maggior prudenza mostrarono quei pochi biografi, 
che; non sapendo rendersi piena ragione di questi sette anni 
per mancanza di documenti, fecero partire Tartini da Assisi a 
Padova subito dopo la scoperta del suo nascondiglio; almeno 
s'avvicinarono alla verità, se anche l' anacronismo era patente ; 
lasciando che il lettore supplisse a quella lacuna come meglio 
gli piaceva. 

Se i più accreditati biografi parlano di un nuovo ritiro 
nei quattro anni, che precedettero l'invito a Padova del '21, 
non v'è più dubbio, che questo non sia stato in Assisi, o in 
qualche luogo non lontano dal Monastero, dove, come ben si 
scorge, aveva degli oblighi di dover sonare nelle maggiori solen- 
nità, e senza dover recarsi alle prove, a cui ogni sonatore era 
obligato. E Padova, io credo, non avrà preteso maggiori oblighi 
di quelli, a cui egK doveva sottostare in Assisi, anzi avrà con- 
servato certi di lui privilegi, e lo vediamo nelle parole del- 
l' invito e di dispensarlo dalla Prova per la sua notoria eccellenza in 
tal prof essione ; parole queste che pienamente vengono riconfer- 
mate e maggiormente spiegate con un decreto della Presidenza 
della Veneranda Arca, che riferendosi all'invito di 16 giorni 



•^ Oc, Tebaldini, op. cit — Parli ed Atti. Voi. XXVI, pag. 32. 
^ G. Tebaldini, op. cit. 



58 

innanzi, cosi stabiliva il 16 aprile: "che a lui venisse assegnato 
il posto di primo violino della Cappella del Sauto, coll^onorario 
di ducati 160 annui, dispensandolo dalle solite prove, attesa la 
di lui celebrità, e lasciandolo in libertà di poter sonare ne' 
teatri non solo nel carnevale, ma sì in qualunque altro tempo 
ancora, colla sola restrinzione, che trovandosi o a Padova o 
nelle sue vicinanze comparir dovesse nelle principali solennità, 
senza per altro aver bisogno di dispense o ballottazioni, come 
suol praticarsi a tutti gli altri impiegati di quella cappella. **) 
Con quale e quanto entusiasmo accettasse proposte sì lu- 
singhiere; che gli venivano da quella città, dove aveva passato 
i più begli anni di sua vita, e che egli ormai amava non meno 
della sua stessa patria, non è da dirsi. Non erano passati 16 
giorni dal primo invito che noi lo vediamo entrare trionfante 
in quella Padova, a lui sì cara, da cui dieci anni prima si 
era partito di nascosto e col cuore esulcerato. Ma quanto di- 
verso e mutato egli tornò da quello che s' era partito. Nessuno 
ravvisava più in lui quel carattere focoso dello studente, ve- 
stendo egli già allora, come ben dice lo Stancovich,*^) quel 
carattere di moderazione, che, a fronte di qualunque più si- 
nistro accidente, inviolabilmente mantenne poi per tutta la 
vita ; e non era ancor giunto, potremo aggiungere, al suo tren- 
tesimo anno d' età : esempio solenne di quanto possa lo studio 
e la perseveranza suir animo dell" uomo, che dalla avversità sa 
trari'e novelli ammaestramenti per il resto di sua vita. 



^) "Libri degli atti della Veneranda Arca, ; nel tomo che comincia 
nel 1703 e va fino al 1721, pag. 284, di data 16 aprile 1721. Questo passo 
non è citato dal Teb aldini (op. cit), fu però da lui veduto, come ben 
si scorge nella sua Illustrazione si ori co-evitica. Quello che ci pare strano 
è tuttavia, che i fiorini 150 dell'invito, vengono qui riprodotti in ducati lì>0. 
Quest' ultima dizione io ritengo migliore : la prima potendo benissimo 
esser un fallo o dell' amanuense dell'atto, o del copiatore dello stesso. 
In tutti gli altri atti è sempre fatto cenno di ducati, mai di fiorini. Così 
altrove parlasi di 200 ducati annui, percepiti in appresso dal Tartìni, e 
stando a qualche autore (Muaihalisches Consermtioìì^a • Lexicoìi^ op. cit.), 
perfino di 400 ducati è parola. Il Tebaldini peraltro ci assicura, che il 
nostro violinista mai percepì più di ducati 2(X). 

**) P. Stancovich, op. cit. 



I 



69 

L4nvito e T accoglienza avuta in Padova dal Tartini fu 
un vero onore ; ce lo dicono chiaro i privilegi, che fino allora 
non erano toccati ad alcun virtuoso della Cappella del Santo ; 
e le meraviglie che vuol fare il Tebaldini^^) del poco ordine e 
della rilassatezza di disciplina nella direzione della Cappella, 
mi paiono aflfatto inutili e fuori di luogo; e il motivo è evi- 
dentissimo ; le parole dell'invito, attesa la sua celebrità, o le altre, 
per la sim notoria eecellenza^ credo, siano più che sufficienti a 
spiegarci perchè col Tartini fu fatta tale eccezione. Quello 
pertanto che sommamente stava a cuore alla direzione della 
Cappella del Santo, che forse^ dopo la morte del Corelli in 
Roma, era divenuta la più rinomata d'Italia, si era appunto 
di avere qual primo cooperatore il nostro Tartini, ed i privi- 
legi a lui accordati altro non erano che un onore singolare, 
che veniva tributato e alla persona, e alla di lui eccellenza e 
perfezione nelF arte. E tanto maggiore fu V onore fatto al nostro 
violinista, dacché la Cappella stessa aveva allora a maestro 
concertatore queir insegne musico e scienziato, che fu il padre 
Francese' Antonio Calegari, capo, come ci attesta il Busi, della 
scuola padovana e iniziatore, non meno del Tartini, di novelle 
riforme nella scienza delF armonia. ^^) Se cosi non fosse stato, 
ben presto Padova sarebbe stata prevenuta da altre città sia 
d' Italia che di fuori, che già, come avremo ben presto campo 
di osservare, facevano a gara mandandogli supliche e preghiere, 
perchè una buona volta si decidesse ad abbandonare quel suo 
ritiro di quiete. Ecco spiegati i privilegi a lui concessi ; l'esempio 
poi del Yeracini, che già per la seconda volta abbandonava 
r Italia, era troppo recente, perchè chi era preposto ad una 
Cappella non larghegiasse di privilegi coi novelli artisti, che 
già avevano assicurata la loro fama con opere immortali. Ed 
è un fatto oramai indiscutibile, se anche sottaciuto da molti 
biografi,*®) che il nostro Tartini ben poco fu stabile a Padova 



••) G. Tebaldini, op. cit. 

•') Busi avvocato Leonida: Il Padre Martinif pag. 311, ed in 
proposito: G. Tebaldini, op. cit. 

••) P. Stancovich; op. cit. — De Prony, Biografia universale^ 
op. cit. — Dr. C. Wurzbaoh, op. cit — I. W. Wasielewski, op. cit., 
ed altri, che per brevità tralascio di citare. 



60 

dal 1721 fino al '23, se, come ci accerta qualche altro biografo 
più accreditato, accompagnato dalla fedele ed amata consorte, 
visitò le principali città d' Italia. E le parole dell' atto di sua 
nomina, che trovandosi a Padova o nelle sue vicinanze comparir 
dovesse nelle principali solennità^ ancor più palesemente ci dimo- 
strano, che al momento dell'accettazione a quella carica ono- 
rifica, egli stesso ci abbia fatto qualche restrizione per accon- 
tentare, in parte almeno, il desiderio che tutti avevano di udirlo 
a sonare. Lo udirono di fatto e lo applaudirono in questi suoi 
viaggi, che potremo dire trionfali, le città di Venezia, Milano, 
Bologna, Livorno, Napoli, Palermo ed altre città d'Italia, come 
ci accertano il di lui encomiaste*^) e l'autore delV Illuslrazione 
del Prato della Valle ;'^^^) anzi a Venezia, come più vicina a Pa- 
dova, ci sarà stato ripetute volte e si sarà anche fermato per 
qualche tempo, ed a questi due anni di sua fenomenale atti- 
vità devonsi riferire le parole del Masutto ^^') là dove dice : 
"un' altra gloria della Cappella di S. Marco fu il Tartiud Giu- 
seppe, quasi sempre domiciliato a Venezia, sebbene passasse a 
dirigere le orchestre del Santo a Padova^, o la citazione del 
Caffi,*®*) che riferendosi ad una lettera del padre Anselmo 
Mai*sand, maestro egli pure della Cappella del Santo, cosi si 
esprime : ^11 Tartini non solo ebbe per più anni abitazione fissa 
a Venezia, ma si può dire vi sia stato sempre, anche quando 



^) C. Conzatti, Elogio di G. Tartiniy op. cit. "Lo udi più volte 
Vinegia, Milano, Livorno, Bologna, Napoli, Palermo ed altre molte città 
d'Italia.;, 

*•*) lUiMtrazione del Prato della Valle, op. cit. "Dal '21 al '23 fu a 
Venezia, Milano, Bologna, Napoli, Palermo e altrove; nel 1723 si portò 
a Praga.,, 

"») G. Pr. Masutto, Della Musica Sacra in Italia. Voi. I, p. 40. 
''Cappella Ducale di S. Marco in Venezia.,, Quest'opera del Masutto, che 
precede l' altra dello stesso autore dal titolo : 1 Maestri di Musica italiani 
del secolo XXX, contiene delle peregrine notizie circa la musica sacra in 
Italia, manca però di una certa base critica, e dei documenti necessari, 
che la corredino. 

^^') StofHa della Musica Sacra nella già Cappella Ducale di S. Marco 
in Venezia, dal 1318-1797, di Francesco Caffi Viniziano, Venezia, 
Antonelli, 1866, voi. 2. 



61 

fii qui a Padova a diriger l'orchestra del Santo, facendo con- 
tinuo passaggio da questa a quella città „ Non porremo in 
dubbio questo continuo passaggio eh' egli faceva da Padova a 
Venezia, anche per affari famigliari, come ben possiamo ac- 
certarci dalle lettere, eh' egli mandava al fratello Domenico o 
al nipote Pietro di Pirano,*^^) ma da questo ai molti anni di 
continuata permanenza nella città delle lagune ci corre di molto. 
Di qualche mese di permanenza potremo parlare nei due anni, 
che corsero dal '21 al '23, come fu detto, o tutto al più negli 
altri tre, che vanno dal '26 al '28, dopo ritornato da Praga. Fu 
nel 1728 eh' egli aperse publica scuola di violino in Padova, 
ed è appunto da questo anno che egli s' era proposto di non 
più abbandonare questa città se non per brevi intervalli a 
Venezia o nei luoghi vicini. Che se, come dice il Caffi, per 
bocca del Marsand, molti furono i gentiluomini veneziani, che 
da lui furono istruiti, quali un Marcello, fratello di Benedetto, 
un Giustiniani, a cui aveva anche dedicata una sua sonata,^^**) 
un Venier, un Mocenico, una Lombardini^'^^) ed altri ancora, è 
pur vero altresì, ed è il Meissaner'®^ che lo attesta, che molti 



***'j Latere di G. Ttfr/ttii, edite da A ttilio Hortis neir^rcA<'o<7ra/o 
Triestino, op. cifc. Tutte queste lettere, che dal 1726 vanno fino al 1769, 
sono datate da Padova, e parlano di interessi famigliari, né mai v'è 
accenno ad una stabile dimora del nostro violinista in Venezia; più di 
spesso anzi si parla di qualche viaggio fatto da Padova a Venezia per 
perorare in favore dei fratelli di Pirano con questa o quella eccellenza 
per questioni d'interesse affatto privato, o per il posto àìmaaaaro (Usai, 
passato in altre mani. 

*®*) Questa sonata porta il nome del Giustiniani stesso. Si è questi 
quel cavaliere Ascanio, patrizio veneto, ammiratore e discepolo del nostro 
violinista. Vedi in proposito V Illustrazione del Prato della Vaile, op. cit. 

**^) La stessa Lombardini-Sirmin, di cui sopra è cenno. Fu istruita 
dal Tartini in una colla Cubli, che divenne anche celebre neir arte. Tutte 
e due erano state ricoverate nelP asilo dei Mendicanti di Venezia. Una 
terza allieva del Tartini fu la celebre Stromba deir asilo agli Incurabili 
di Venezia. 

*•**) A. G. Meissner, BruchstUcke zur Biographie L G, Neumann^s, 
op. cit., parte I, cap. I. Bacconta il Meissner di una gentildonna vene- 
ziana, vedova e madre di due figli, che si era stabilita a Padova, perchè 
Tartini ne li istruisce nella musica. Questa gentildonna cercava appunto 



&1 

di questi nobili veneziani si recavano a Padova a prender le 
loro lezioni, anzi per meglio approfittare vi facevano stabile 
dimora. Nella stessa lettera del Marsand al Caffi è detto ancor 
di più, che invitato il Tartini a voler sonare nella ducale Cap- 
pella per solenni funzioni od altri bisogni, si portava a Venezia, 
dove il Nazzari, che era primo violino, e che gli era stato al- 
lievo, gli cedeva il posto e gli sonava a fianco sotto la dire- 
zione del celebre maestro Buranello. 

Se Padova aveva salutato con entusiasmo il ritomo del 
Tartini, si che la pur ampia chiesa del Santo non era bastante 
a capire la gente, che vi si afiTollava per udirlo a sonare, non 
meno entusiastiche furono le accoglienze eh' egli ebbe nelle 
altre città d'Italia, dove gli si facevano vive istanze, perchè 
abbandonasse gli altri impegni, o prolungasse il suo sog- 
giorno, per poter più a lungo bearsi di quelle divine melodie, 
sonate con queW arco che vinse ogni desio. ^^'') Ma la fama, dea 
geniale, che non può contenersi entro ai naturali confini dei 
mari e dei monti, aveva sorvolato le Alpi, ed il nome del 
Tartini, circondato di tanta aureola di gloria, risonava già 
chiaro ed illustre in tutta Europa. Neil' agosto del 1723 la città 
di Praga prepara vasi a solennizzare con grandi feste T inco- 
ronazione dell'Imperatore Carlo VI e dell'Imperatrice Elisa- 
betta Cristina. Ogni ceto di cittadini doveva prestar 1' opera 
sua. Più che tutto trattavasi di poter avere della buona musica, 
sia vocale che istrumentale, ed i principi, conti o signori del 
regno, erano impegnati più degli altri a raccogliere quanti più 
cantanti o sonatori potessero, sia fra i cantori delle cappelle di 
singole chiese, o fra gli studenti, che davano allora un grande 



di un copista per trascrìvere i diversi pezzi musicali, che il maestro 
componeva per essi. IL Neumann, che appunto allora era venuto a Pa- 
dova, s'era offerto egli stesso a far da copista, e fu ben accetto, benché 
male in arnese e poco pratico della lingua. Fu da questo tempo, che il 
Neumann fece la conoscenza del Tartini, conoscenza^ che doveva decidere 
della sua vita. Ma di ciò diremo in appresso. 



**^) Ultimo verso del Sonetto Giuseppe Tartini^ ossia ^^l' espressione 
del suono di A. Mazza, — Mazza, Opere , Parma, 1800. 



63 

contingente di virtuosi.^^^) Bisognava peraltro far qualche cosa 
di più per si solenne circostanza, ed a ciò provvide il conte 
Fr. Ferdinando Kinsky, che allora era gran cancelliere della 
Boemia, e a cui era demandata la suprema direzione delle 
festività per l' incoronazione. Più degnamente del nostro Tar- 
tini nessuno avrebbe potuto disimpegnare in si fausta ricor- 
renza le parti di primo virtuoso; chiamatovi perciò con lusin- 
ghiero invito dello stesso cancelliere, vi accorse, conducendo seco 
Antonio Bandini; violoncellista della stessa Cappella del Santo. 
Giunto a Praga fu accolto con quelF onore che si meritava, 
ed il nobile conte volle fosse suo ospite, assegnandogli un ap- 
partamento nel suo stesso palazzo. ^®®) 

Anche di questa assenza da Padova per recarsi a Praga 
è fatto cenno negli "Atti della veneranda Arca^,. Nel libro, che 
contiene gli atti, che dall'anno 1721 vanno fino al 1730, se non 
comparisce il suo nome fra i salariati della Cappella, egli è 
perchè all'atto di sua riconferma, come dice il Tebaldini,**®) 
era stato anche esentato, oltre agli altri privilegi, dal voto 
annuo di riconferma, stabilito per i membri della Cappella 
stessa; il suo nome però comparisce il giorno 29 decembre 
1723. Esposti tutti i nomi dei salariati alla ballottazione, si 
trova scritto al luogo delTartini: 'Supplica Giuseppe Tartini, 
Primo Violino, quale non potendo essere al servizio, se non 
terminato il tempo in cui deve servire la Maestà di Cesare 
Imperatore, cosi insta di restar bensì nella sua condotta, ma 
senza alcun stipendio, e ciò fino al suo ritomo, al qual tempo 
solo dovrà principiar il suo onorario. Il che inteso da tutti li 
M. Rev. Padri, e Nobili Signori Presidenti, siccome fu lodata 
la sua puntualità, così unanimi e concordi assentirono a fargli 
la grazia, e riballottato ebbe voti num. 7„.*'') 



*•*) Die Oesterreichische ' Ungarische Monarchie in ÌVort und Bild^ op. 
cit , fase. 20, Boemia. 

'*») Dr.Ludw. Ritter von K5chel, Johann Josef Fux, Wien, 1872. 

"•) G. Tebaldini, op. cit. 

'") "Libri degli Atti della Veneranda Arca,„ op. cit, ed in propo- 
sito V Illustrazione del Prato della Volley op. cit. Nel Tebaldini non trovo 
nessun accenno di questo atto. 



64 

L' incoronazione dell' Imperatore ebbe luogo nel duomo 
di S. Vito. Dopo di essa fu tenuto un banchetto, a cui colle 
loro maestà, presero parte tutte le notabilità si ecclesiastiche 
che civili e della Boemia e di altre provincie. Neir ampia e 
magnifica sala, dipinta dal Tiziano e costruita dall* ingegnere 
teatrale Giuseppe Bibiena, oltre alla tavola imperiale eranvi do- 
dici altre tavole per i commensali. Le bande militari alterna- 
vano i loro concenti coi cori, ma V attenzione di tutti i com- 
mensali era rivolta all'orchestra, che, posta nel mezzo, sopra 
le due entrate, spandeva per quel vasto ambiente delle dolci 
e soavi melodie, che toccavano il cuore.' '2) Tre giorni appresso 
vi fu r incoronazione deir Imperatrice, con lo stesso ordine di 
prima; di più verso sera tutta la nobiltà in gran gala si portò 
a corte dalle loro maestà, dove nella sala di Spagna fu data 
una gran cena, allietata essa pure da una musica divina."') 
Chi più degli altri emerse fu il nostro violinista, e tanto entu- 
siasmo egli destò, che l'Imperatore volle gli fosse presentato 
in una al Caldara, direttore dell' orchestra, ed agli altri suo- 
natori. In questo incontro V Imperatore lo nominò virtuoso di 
corte."*) Ma più entusiastiche furono le ovazioni fatte al Tar- 
tini allorché per le stesse feste fu data in teatro V opera del 
Fux, Costanza e fortezza^ a cui presero parte non meno di 
cento persone tra cantanti e coristi ed altrettanti sonatori di 
orchestra. Il nucleo però di quest' ultima era formato da una 
schiera di virtuosi, venuti da tutte le parti di Europa, primo 



''*) AusfUhrlich und QrUndlicht TiVi* Beschreibungen dea Einzttges und 
der Krónung der Bdmischen Kayser und Kòniglichen Majestàten Carolis der 
Sechete u. Elisahetha Christina in Pfag. Anno 172B. Prag, gedruckt bei 
Wolffgang Wickart. 

*") Vedi la nota precedente. 

^^^) Questa circostanza, non notata da alcun biografo, è convalidata 
dal fatto della presentazione che il conte Kinsky, dopo il concerto, tece 
alle loro maestà dei sonatori, che maggiormente sperano distinti nelle 
festività; ed un accenno si trova appunto nelle descrizioni dell ^incoro- 
nazione, che ho sopra citate. Ed il biografo del Tartini neW Illustrazione 
del Prato della Valle (op. cit.) cosi si esprime: ^'Jl Tartini non fu solo a 
Praga a servìzio del conte Kinsky, ma ancora di S. M. l'Imperatore 
medesimo y 



65 

fra tutti il Tartini, se, come è detto, "^) fu Parte italiana che 
primeggiò in questa rappresentazione. Dirigeva l'opera il 
Caldara, essendo indisposto il Fux. 

Terminate le feste, il nobile conte Kinsky volle che il 
Tartini si trattenesse a Praga e che continuasse ad essergli 
ospite^ non solo per pascersi, come dice il Oonzatti"^) più a 
lungo di queir inusitato piacere, si ben anche perchè V arte 
de' suoni avesse in lui, sommo maestro, quella perfezione, che 
difficilmente avrebbe potuto trovare negli altri virtuosi. E da 
quel tempo in fatto, .auspice lo Stamitz, come ben dice il 
Wasielewski, *^') s'estese non in Austria solo, ma su tutta la 
Germania quella scuola tartiniana, che da Mannheim dilatossi 
dapprima in Prussia ed in Isvezia, poi in Francia ed in In- 
ghilterra. Oontendevansi allora il primato in Germania le due 
scuole di Dresda e di Berlino, quando appunto sorse quella 
di Mannheim, che presto ecclissò quelle due. A Giov. Carlo 
Stamitz, nato a Deutschbrod in Boemia, e poscia trasferitosi 
a Mannheim, era riservato il non facile compito di far eccellere 
su tutte le altre scuole di Germania quella del Tartini, che, 
dopo i tre anni di continuata permanenza nella capitale della 
Boemia, aveva, al dipartirsi, lasciato dietro di se molti scolari, 
degni di tanto maestro. Se dobbiamo prestar fede al Dlabacz,"®) 
grandissima fu V influenza esercitata dal nostro violinista sui 
virtuosi di allora e della Boemia e della Germania, tanto che 
non v' era sonatore di qualche merito, che a lui non accorrese 
per un aiuto o consiglio nell' arte. Lo stesso Quanz, che per 
invidia o animosità personale, non volle mai riconoscere in 
lui quel fine senso dell' arte, che pur tanto lo innalzava su 
tutti i suoi contemporanei, mai potè movere il benché minimo 



*") Die Oéstereichische - Ungariache Monarchie in Wort und Bild, 
B5hmen, fase. 20. Vedi inoltre: Gottfr. Johann Dlabafiz, AllgemeineB" 
hi9torÌ9che8 KUnsUer - Lexikon fUr Bòhmen^ voi. B, e Dr. HugoBiemann, 
Musih - Lexicon (terza ediz., 1887). 

'*•) Elogio di Tartini, op. cit. 

'") Die Violine und ihre Meister^ von L W. Wasielewski, op. cit. 

***) AUgemeines historisckes Ktlnstler Lexicon fUr B6hmen, von Gott. 
Johann Dlabaòz, voi. 3, op. cit. 



66 

appunto sulla magistrale di lui virtuosità e sulla meravigliosa 
esecuzione tecnica delle sonate e concerti. La gloria di lui e la 
virtuosità, che, come asserisce il Biemann,^'^ era ben nota in 
Germania, prima ancora eh' egli mettesse piede in Praga, si 
accrebbero di mille doppi dal giorno dell' incoronazione del- 
l' Imperatore, col crescente successo di sua fama nei tre anni, 
che potremmo, senza errore, chiamare tre anni di vero magi- 
stero neir arte. Avea compreso molto bene importante lo Stamitz, 
che a voler interamente riformare i metodi fino allora usati 
dai suoi predecessori, alti*a via non gli restava che studiare i 
sommi italiani e più degli altri il Tartini, che fu, ed è il Wa- 
sielewski*^^) che ce lo afferma, il vero suo maestro, la vera sua 
guida nel non facile (ùmento. Si che, se alle sue produzioni, 
aggiunge il Wasielewski, non si può negare quei veri tratti 
caratteristici; che informano la vera scuola tedesca, tuttavia 
d'altra parte non si può neppur negare che l'impronta tanto in 
esso che nella scuola di Mannheeim; da lui fondata, non ricordi 
1* arte italiana. 

Tre anni, come dicemmo, s' era fermato a Praga il nostro 
violinista, cioè fino al principio del 1726, quando il conte 
Kinsky, suo amico e protettore, se ne parti egli pure, essendo 
stato nominato dall' Imperatore regio commissario alla corte del 
Palatinato. Da Praga venne direttamente alla sua diletta Pa- 
dova, colmo di onori bensì e di gloria, non di doni, come vor- 
rebbero alcuni biografi, e come egli stesso s^era lusingato. Dalle 
due lettere succitate; e che egli scrisse da Praga al fratello 
Domenico in Pirano, rileviamo altresì che nulla avanzavagli 
in quella città di quanto percepiva come virtuoso di corte, 
^dovendo spendere molto in medicine costosissime, non confe- 
rendogli il clima, ed essendogli contraria l'aria, i cibi, le genti.„ 
Così scriveva il 10 agosto del 1726. Ai tre novembre poi dello 
stesso anno rinnova le sue lamentanze, promette però che prima 
del termine dell' anno, o tutto al più a metà del venturo, non 
solo avrebbe sollevato la famiglia, ma sì. anche portata a tale 



"^) Muèik' Lexicon^ vou Dr. Hugo Riemaun, op. ciU 
***) Die Violine und ihre Meister^ vou Jos. Wilh. Wasielewski, 
op. cit. 



j 



67 

agiatezza, quale non era mai stata vivente il padre. "Né cer- 
cate né il come, né il quando, egli scrive, é questa vigilia della 
festa in cui godremo.„ Ei pare però che questi suoi sogni do- 
rati non si sieno punto avverati, perché in altra lettera, che 
egli scrive da Padova allo stesso fratello, e che non è che di 
un anno posteriore, sono sempre in campo gli stessi famigliari 
interessi, non solo non migliorati, ma quanto mai in isfacello.^'*) 
Presero abbaglio non lieve importante quasi tutti i bio- 
grafi del nostro Tartini, i quali volendo seguire o il Tipaldo, 
o il Wurzbach, o il Conzatti, asserirono categoricamente, e senza 
punto persuadersi dalla verità, eh' egli si stesse tre anni lon- 
tano da Padova, ondo sottrarsi alla consorte, donna, come essi 
dicono, caparbia, riottosa e di temperamento irascibile, se altra 
ne fu mai, una novella Santippe insomma^ che avvelenò tutta 
la vita del nostro violinista. L' unico che non creda a si strambe 
fantasie, che, ricopiate dai singoli biografi, assunsero poi quei 
begli epiteti, si fu il nostro Stancovich, il quale però o non 
seppe o non volle confutarle, ritenendole forse in parte vere 
o almeno verosimili. Che qualche incompatibilità di carattere 
ci fosse tra marito e moglie Tartini, occasionata forse e dalla 
nascita e dall' educazione diversa, non lo vorremmo neppur noi 
negare a priori, ma da semplici incompatibilità ad una San- 
tippe ci corre e molto; anzi che egli abbia avuto per la moglie 
i maggiori riguardi, è lui stesso che lo confessa in una lettera 
al marchese Ferdinando degli Obizzi, il quale voleva indurlo 
ad abbandonare Padova e portarsi a Londra, da dove, come 
vedremo, gli erano venuti ripetutamente degli inviti: "Sappia 
esser difficilissimo nel punto presente (correva allora V anno 
1730) potersi trovare al tr' uomo più bisognoso di me di esser 
attualmente in Londra per importante interesse da trattarsi 
con l'Accademia Beale. E parimenti diffìcil cosa, che v' abbia 
altr' uomo superiore nella stima, venerazione e rispetto verso 
li Signori Inglesi, anteposti da me col fatto a qual si sia na- 
zione pel giudizio; che da loro solo attenderò d' una mia sco- 
perta (voleva alludere alla scoperta del terzo suono). Ho moglie, 



"*) Archeografo triestino, "Lettere di Giuseppe Tartini,,, op. cit. 



68 

a me uniforme di sentimento^ e non abbiamo figli; siamo contentisi 
simi del nostro stato, e se vi è in noi qualche desiderio non è pel 
di inìi. La idea poi di quel bene, che ciascun si forma a suo 
modo, formata già in me da tanti anni, stabilita e fatta più 
che natura, è incommutabile con qualunque altra modificazione 
di vita.„ '*2) Una dichiarazione più esplicita di quali sentimenti 
egli fosse compreso verso la sua consorte, credo difficilmente 
possa trovarsi in altro uomo. Ma il più bello di certi biografi, 
che predicano la Premazzone una novella Santippe, si è che 
riferiscono la lettera stessa, non vedendo in quale errore gros- 
solano essi cadono, per voler correr all'impazzata dietro a quelli, 
che, primi, propalarono si insulse notizie, dandosi cosi, come 
diciamo, la zappa in sui piedL Questa dichiarazione, che da se 
sola già basterebbe a infirmare certe assurde supposizioni, non 
è isolata. Sappiamo di più ancora, che nell' ultima malattia di 
lei, essendo egli pur sofferente per incurabile malattia, ne la 
assistette, vegliando giorno e notte al di lei capezzale ; ^^) sap- 
piano che già nel 1747, dunque 23 anni prima della sua morte, 
egli, tormentato da fiero malore, le aveva assicurato V usufiiitto 
di ducati 8000, somma questa che poi doveva passare in ere- 
dità ai fratelli e nipoti di Pirano; *•*) sappiamo altresì ch'egli 
volle che il nome di lei comparisse accanto al suo sul sepolcro 



"*) Fan z ago Dr. Fr. Orazione funebre in morte di Tartini, op. cit. 
Nel Fanzago non vi è citata che la prima parte della lettera; la seconda 
parte, cioè quella che qui più ci serve, trovasi e nello Stancovich (op. 
cit.) ed in altri biografi. 

"') P. Stancovich; op. cit Credo che a questo fatto della moglie 
bisbetica e riottosa voglia alludere, sebbene indirettamente, giacché dice: 
^^La soiierenza nelle calamità si fece palese col tollerare sommesBamenie (a 
maldicetiza^ col dimostrare somma pazienza nell* ultima penosa malattia 
della moglie, coll^assisterla le notti intere, sprezzando il sonno, né curando 
il necessario sollievo alle fatiche del giorno....,, 

***) Archeografo triestino, "Lettere di G. Tartini,, op. cit Lettera 
del 26 giugno 1747 al fratello Domenico di Pirano, dove è detto: "Io per 
mia parte, fratello carissimo, ho fatto quanto ho stimato dover fare per 
giustizia. É assicurato a quest' ora per voi altri e per li nipoti un capi- 
tale di 8000 ducati circa dopo la morte di mia moglie usufruttuarìa 
e legata strettamente in molti modi,,. 



69 

nella chiesa di S. Catterina di Padova, dove sono riposte le 
ceneri di ambidue; e va notato ch'ella il precedette di qualche 
anno in quella tomba.^^^) Forse Socrate, che aveva piena dì 
filosofia la lingua e il petto, avrebbe potuto fare altrettanto 
per la sua degnissima Santippe; un altro mortale no di certo, 
ne tampoco il nostro Tartini, se, come i più sostengono, avesse 
avuta in meglio donna sì bizzarra! 
^ Nel 1726 ritornato il Tartini da Praga, rioccupò il posto di 
primo violinista della Cappella del Santo, giacché negli Atti tro- 
viamo che il nome è riballottato con tutti gli altri addetti al 
servizio del Santuario; anzi, perchè non si pensasse mai più di 
abbandonare quel posto, T onorario, che prima era di ducati 150, 
venne portato alla somma di 200. ^2«) Fu forse dopo questo suo 
ritomo da Praga che venne nominato capo orchestra, non 
maestro o direttore della Cappella, come crede il de Prony'^^) 
e qualche altro biografo, perchè a questo posto era stato eletto 
il P. Rinaldi, e dopo la di lui morte, nel 1729, il P. France- 
se' Antonio Valletti, il quale, in una col nostro violinista, tanto 
illustrò la Cappella Antoniana da renderla la più celebre e di 
Italia e d' Europa, i»») 

Quanto più cresceva la fama del Tartini e tanto più in- 
cessanti si facevano anche le istanze e gli inviti stranieri. Da 
tutte le parti d' Europa accoirevano in Padova e grandi e 
virtuosi per costringerlo quasi a forza perchè si decidesse a 
recarsi almeno nelle città capitali d' Europa E fu appunto 
sotto queste pressioni se egli si decise ad aprìre in Padova, 
nel 1728, quella Scuola di violino che tanto lustro doveva 
apportare all' arte e tante glorie al Maestro delle Nazioni. Né 
per questo cessarono le istanze e gli inviti. Nel 1730 il cavaliere 
inglese Edoardo Walpole gli fece quasi violenza per condurlo 
seco a Londra, e non riuscendo, ne lo giudicò pazzo solenne. 
Abbiamo testé veduto come egli se ne schermisse col marchese 



"*) lUustì'azione del Prato della VaUf„ op. cit. L'iscrizione del se- 
polcro dice: "Joseph Tartini sibi et Coniugi suae posuit.,, 
**•) lUuBtrazione del Prato della Valle, op. cit. 

"^) De Prony e il suo articolo nella Biografia unìversah^ op. cit. 
*") G. Te bai di ni, Archivio intricale , op. cit. 



70 

Ferdiuaudo degli Obizzi, che era stato iucaricato di persuaderlo 
a desistere una buona volta da quella inconsulta stranezza. 
Saggia fii la risposta data dal Tartini, e nella storia dell' arte 
trova degno riscontro in quella non meno saggia, data dal- 
l'Ariosto al cardinale d'Este, allorché questi toglier Io volea 
dagli ozi beati dell'arte poètica: 

Chi vuole andare attorno^ attorno vada^ 
Vegga Inghilterra, Ung?ieria, Francia, Spagna^ 
A me piace abitar la mia contrada, ^^) 

Nello stesso anno 1730, come afferma lo Stancovich. ''^) 
ebbe altro invito per Parigi dal principe di Condè, capo del 
Consiglio di reggenza e sovraintendente all'educazione di 
Luigi XV, ma egli rispose con un rifiuto, e una novella ri- 
pulsa diede nuovamente alla Francia, quattro anni appresso, 
invitatovi dal duca di Noailles. Anche Londra rinnovò le istanze 
nel 1744, mediante milord Midlesex, che gli offriva uno stipendio 
di 3,000 sterline, e che egli, fermo ne' suoi principi di non 
voler più abbandonare Padova e l'Italia, non volle accettare; 
e cosi non volle saperne di una terza offerta di Parigi, fattagli 
dal prìncipe di Clermont, nipote del Condè^ il quale, purché 
accondiscendesse, gli prometteva quanto avesse voluto chiedere. 
Ma la fastosa Parigi, che gareggiando con Londra, aveva 
creduto con questa proposta poter movere il di lui animo, tanto 
più rimase delusa, dappoiché aveva già fatto dei preparativi 
per accoglierlo degnamente. £ se fu schivo di recarsi in lontane 
contrade, accoglieva con grato animo quegli inviti, che gli 
venivano fatti dai principi d'Italia. Abbiamo già veduto di nn 
suo viaggio trionfale da lui fatto per le maggiori città d'Italia 
dal 1721-23. In quel viaggio, non si sa perché, non aveva 
toccato Eoma. Invitato dal cardinale Olivieri, si recò nella 



'*) Lodovico Ariosto, Satire. 

*'*') P. Stanco vi eh, op. cit. Questi inviti, fatti al Tartini, in 
nessun altro biografo sono si dettagliatamente enumerati ; perciò mi sono 
quasi esclusivamente attenuto allo Stanco vi eh, che, come reputo, avrà 
cavato tutto ciò da vere e genuine fonti storiche, se anche non citate 
dall' autore. 



71 

città eterna nel 1766, ed al concerto, dato nel palazzo del 
principe cardinale, corrispose, dice lo Stancovich *•*) V esultanza 
di tutta Berna, tanto che anche il pontefice Clemente XII 
Corsini ebbe vaghezza di udirlo, altamente ammirando questo 
novello Orfeo. ^") 

. La Scuola di violino, aperta a Padova dal nostro violinista, 
crebbe in pochi anni a tanta gloria e splendore, che non ve- 
nivano a lui solo quanti volevano perfezionarsi nella musica, 
ma ne lo visitavano altresì quanti o per diletto, o per istudio 
viaggiassero l'Italia. Del La Lande, che ebbe profonda stima 
e amicizia con Tartini, tu già detto, degli altri dii-emo tosto. 
Lo Stancovich'*') asserisse perfino che Tartini fosse stato onor 
rato di una visita da Federico III il Grande, re di Prussia, il 
quale, venuto in Italia^ come egli dice, compose un' aria mu- 
sicale, dedicandola al violinista, a cui questi rispose con un 
concerto. Non trovando io però fatta menzione di questa visita 
in altro biografo del Tartini, credo si debba mettere in dubbio. 
II grande guerriero e mecenate delle belle arti in Pinissia, fu 
Federico U e non III. £ lasciando anche da parte quest' errore 
di stampa, in cui inavvertitamente potrebbe esser incorso lo 
Stancovich, mi pare impossibile che un onore si segnalato non 
sia stato avvertito almeno dal Wurzbach, che fu si diligente 
nelle ricerche su Tartini, o dagli altri più vicini al Tartini, 
come da un Conzatti o dall' illustratore del Prato della Valle. 
Dubito anzi, e questo mio dubbio, da quando attentamente 
rilessi la vita di I. G. Neumanu del Meissner '**) si è fatto 
quasi certezza, credo, diceva, che lo Stancovich, scrivendo 
la biografia del Tartini, e avendo a mano anche quella del 
Neumann, suo amicissimo, come vedremo, abbia a quello at- 
tribuito quanto a questo più volte era accaduto da parte di 
Federico II, che ripetutamente ne lo aveva invitato a dirigere 
la Cappella di corte di Berlino. Dei molti scolari di Tartini 



*") P. Stancovich, op. cit. 
*••) lUustraxione del Prato della ValU^ op. cit. 
'*•) P. Stancovich, op. cit. 

*•*) A. G. Meissner, BruchstUcke zar Biographie L G, Neumann^Sy 
op. cit. 



72 

devono principalmente venii* ricordati gP italiani Bini Pasqualini, 
Nardini Pietro, Filippo Manfredi, Domenico PeiTari e Giulio 
Meneghini, nonché la signora di Sirmin, nata Lombardini, 
della quale abbiamo già avuto occasione di occuparci; dei 
tedeschi, Giov. Graziadio Graun; dei francesi, Andrea Pagin e 
Pietro Lahoussaye. Degli italiani fu certo Bini il più caro al 
nostro violinista, tanto che, a detta del Bumey, chiesto Tartini 
dalP inglese Wisemann, che voleva lo istruisse nel violino, egli 
ne lo mandò al Bini, dicendogli: ""Io lo mando ad un mio 
scolaro che suona più di me, e me ne glorio per essere un 
angelo di costume e religione.^, ''*) Il Bini, dopo tre anni di 
lezioni avute in Padova, si portò in Broma, chiamatovi dal 
cardinale Olivieri, che uditolo sonare, io pregò di intercedere 
presso Tartini per indurlo a venire a Roma, tanto era deside- 
roso di udire il maestro di si grande scolaro. Ma lo scolaro 
che più di tutti alto tenne il nome del Tartini si fu Pietro 
Nardini, toscano, nato in Fibiana nel 1722. In lui si trasfuse 
quel dolce e deUcato sentimento, per cui tanto era amato il 
nostro Tartini. Ci assicura il Wasielewski '^^) che tale e tanta 
si era la commozione, che ognuno provava all' udire il Nardini 
sonare gli adagi, che perfino sì mettevano a piangere i principi 
e le dame di corte più insensibili e fredde per la musica. Egh 
stesso, sonando, versava lagrime, che andavano a cadere sul 
violino. Lo Schubart '^^ poi cosi caratterizza V arte del Nar- 
dini: ''Fu egli il migliore degli scolari di Tartini, e violinista 
dell* amore, a cui le grazie sempre erano compagne ed amiche. 
Ogni comma in lui è una dichiarazione di amore, è il senti- 
mento portato al sommo grado. „ Nel 1753 il Nardini venne chia- 
mato dal duca di Wiirtenberg, e là trovandosi in qualità di vir- 
tuoso di corte, lo Schubart potè ammirare le rare doti del suo 
ingegno. Fu poscia direttore della Cappella arciducale di Fi- 
renze, dove mori nel 1793. £ lasciando di dire degli altri italiani, 



"*) I. W. Wasielewski, op. cit. 
'■•) I. W. Wasielewski, op. cit. 



'^) Ch. Fr. Schbart's, Gesammelte Schri/Un u. Schick$ale, 6tuttgard, 
1889-40, voi. 8 Nel 6* voi. trovasi il giudizio eh' egli ci dà sul Nardini 
Vedi anche Wasielewski, op. cit. 






73 

veniamo al tedesco Graun di Dresda. Questi si ebbe le sue prime 
lezioni di violino dal celebre Giov. Giorgio Pisendel, ohe alla sua 
volta s^era educato alla scuola italiana;^*®) poi sera portato a Pa- 
dova dal Tartini, che, approvando pienamente le lezioni avute dal 
Pisendel, lo tenne seco alcun tempo, onde meglio perfezionarlo 
neir arte. Lo troviamo poi quale virtuoso alla corte di Federico 
Il il Grande, dove anche venne eletto a maestro concertatore . 
Nel Graun non dobbiamo cercare quel fine senso dell' arte, che 
più o meno riscontrasi in tutti gli allievi del Tartini; il suo 
stile, dice il Wasielewski '^^) è decoroso, ma non si eleva mi- 
nimamente oltre l'ordinario. Il suo merito principale si basa 
sul maneggio pratico del violino, e fu tutta opera sua se le 
due cappelle di Dresda e di Berlino poterono gareggiare colle 
migliori della Germania. Dei due francesi succitati, il Pagin 
valse maggiormente a far rifiorire ]* arte italiana in Francia. 
Già nei primi anni di sua gioventù s' era recato a Padova, per 
assistere alle lezioni del Tartini. Bitomato in Francia ebbe 
non poche ostilità dai Parigini, perchè preferiva di sonare le 
composizioni del suo maestro tutte le volte che si presentava 
al pubblico, volendo cosi mostrare la superiorità della scuola 
italiana sulla francese, della quale i Parigini in specialità erano 
gelosissimi. Pagin s* offese tanto di ciò, che più non volle 
mostrarsi a sonare in pubblico, ma il duca di Clermont, che 
tanto aveva cooperato perchè il nostro violinista si recasse a 
Parigi, accolse il Pagin presso di sé, proteggendolo da quelle 
ostilità ed assegnandogli un onorario fisso di 6000 franchi. "•) 
Il Bumey loda nel Pagin la delicatezza del suono negli adagi 
e la leggerezza di polso, mercè la quale sapeva vincere le 
maggiori difficoltà tecniche; ^*^) e il De Prony si esprime così : 
"Tartini ha formato molti allievi, tra i quali Pagin, violinista 
francese, considerato dallo stesso maestro per vero virtuoso, 
come colui che più degli altri s' era appropriato il suo stile. '**) 



'*•) I. W. Wasielewskì, op. cit. 

'••) I. W. Wasielewski, op. cit. 

"•) I. W. Wasielewski, op. cit. 

'**) Il Burney nel Wasielewski, op. cit. 

****) Biografia univtnalf antica e moderna, op. cit. 



74 

Non basterebbero molte pagine, se volessimo dilungarci ancor 
di più e dire di tutti gli allievi del Tartini^ che per quasi 
mezzo secolo erano accorsi, non dall'Europa soltanto, si ben 
anche dalle più remote parti del globo per istruirsi in Padova 
al magistero di si grande maestro e precettore. Guglielmo 
Fegeri; nobile signore di Gia\a, a cui era pervenuta la fama 
del Tartini, abbandonò V estremo oriente per recarsi a Padova 
onde meglio approfondirsi nel maneggio del violino, di cui 
era appassionatissimo cultore. ^^^) Non vi è scuola di violino 
impertanto, sia essa italiana, tedesca; francese, inglese o slava, 
che dal nostro violinista non abbia avuto le vere norme del- 
l'arte ; non fu un caso dunque se il dotto mondo musicale voUe 
che il Tartini fosse chiamato col lusinghiero epiteto di Maestro 
delle Nazioni Nel Magazzino Pittoresco^ giornale illustrato fran- 
cese, ^^^) dove possiamo anche leggere un' eccellente biografia 
di Tartini, fra le altre cose è altresì dimostrato evidentissima- 
mente con la genealogia e con la cronologia, per non interrotta 
successione di maestri e di scolari italiani, francesi e tedeschi, 
che tutte e tre queste scuole vennero fondate dal nostro vio- 
linista, e che da lui procedono per non mai interrotta serie di 
artisti fino al sommo Paganini in Italia e fino al Sivori e 
Bazzini, e fino all' Ernst, al loakim, al Laube e al Helmsberger 
in Germania ; e fino al Beriot, al Vieuztemps e al Lipinski in 
Francia ed in Polonia. Una gloria maggiore, sono di avviso, 
non fu raggiimta da alcun maestro di musica del nostro secolo, 
in cui la critica sa trovare questo o quel difetto, questa o 
quella mancanza artistica propria della nazione a cui il maestro 
stesso appartiene. E la storia ci apprende che Tartini iniziò 
e portò al più alto grado di rinomanza quella celebre scuola, 
dalla quale uscirono i succitati celebri violinisti, e moltissimi 
altri maestri ancora non meno di quelli rinomati ed illustri. ***> 
In una lettera del Tartini al P. Martini di Bologna, ci è dato 



"•) lUnstrazione del Prato della ValUf op. cit. 

***) Magazin Pittovesque, del 1848. Vedi anche L'Arte, periodico 
triestino, 31 maggio 1878, N. 15 "Memorie di un contemporaneo di Nicolò 
Paganini^ per G. D. Tagliapietra. 

»**j G. Tebaldini, op. cit. 



76 

di rilevare qualche particolare circa questa sua feconda attività 
magistrale : ^Dico a V. B. che il consaputo giovane beneficato 
da S. E., il signor conte Cornelio Pepoli, può venir qui dopo 
le vacanze, cioè dentro il mese di Novembre quando gli pare 
e piace. La spesa per la sua dozzina (non in mia casa, mentre 
non ho voluto mai tener scolari in casa mia) sarà in casa 
della mia contrada, e il meno che qui si possa spendere fa- 
cendosi anco da se stesso le spese, sono cinquanta paoli al 
mese, mentre in Padova il vivere è più caro che in Venezia. 

"Ciò, eh' è il meno del mio onorario, sono due zecchini 
al mese, e questo è per il solo violino, perchè chi vuol imparar 
anco il contrapunto, mi paga tre zecchini. Sono altri scolari 
che mi pagano più, ma ciò che io ho detto, è il mio solito, 
onde due zecchini soli saranno per il violino. Se il giovane è 
qualche poco avanzato, dentro un anno, a Dio piacendo, lo 
studio sarà compito, mentre osservo che per quanto deboli 
vengano qui li scolari in due anni sono sbrigati.^ '^^) 

Né si restrinse ai soli violinisti il magistero del Tartini. 
Sappiamo che il celebre maestro tedesco G. Adolfo Hasse, 
ottenuto che ebbe il posto di maestro di cappella nel Conser- 
vatorio degli Incurabili in Venezia, s'era stretto in amicizia 
col nostro violinista, a cui chiedeva spesso consiglio nell'arte 
de' suoni, che tanto doveva renderlo famoso, i*^) Più che al 
Hasse però il magistero del Tartini si congiunge strettamente 
nella persona di Giovanni Graziadio Neumann, il quale^ se 
divenne quel valente maestro di musica, che ognuno sa; tutto 
lo deve al nostro violinista. E qui ci si permetta di dilungarci 
nn po' di più che non lo consenta questo nostro studio, dacché 
se molti furono i biografi che accennarono a questo fatto, in 
nessuno troviamo una dettagliata notizia, o tale almeno che il 
nome del Maestro delle Nazioni rifulga più chiaro ancora di 
quanto fu detto, o di quanto comunemente fin qui fu ritenuto. 



^**) G. Te bai d ini, op. cit. "Carteggio inedito col P. Martini negli 
atti dell' Archivio musicale della Cappella Antoniana,,, p. 74. 

**') BruchstUck'e zur Biographie Kettmanti's von A G. Meissner, 
op cit. 



70 

Premetto poi, che nel trattare questa parte deir attività ma- 
gistrale del Tartini, mi terrò strettamente al Meissner, che^n 
due volumi ci tesse la vita del Neumann, non nascondendo, 
come poscia volle fare qualche critico tedesco, V alta importanza, 
che sull'ingegno e suU* animo del Neumann si ebbe il nostro 
violinista. '*') 

Nacque il Neumann nel 1741 a Blasevitz presso Dresda 
da poveri contadini. Avendo già da fanciullo addimostrato 
speciali talenti musicali, pui* di poter venire in Italia, che, 
come oggidì; era anche allora la meta agognata da ogni ar- 
tista, si mise al servizio dello svedese Weestròm, che partiva 
appunto per un viaggio in Italia. Avendo anche questi intra- 
veduta nel giovane Neumann quella spiccata attitudine per la 
musica, pensò in cuor suo di trarne profitto. 

Abbiamo già veduto come il Neumann, arrivato a Padova, 
aveva offerto i sui servigi ad una nobildonna veneziana per 
ricopiare le sonate che Tartini andava componendo per i di 
lei figli. Nei cinque mesi che durò in tale impiego, il Neumann 
aveva potuto mettersi a parte dei denari per mandarli ai euoi 
poveri genitori ; un bel giorno però il Weestròm gli portò via 
tutti i risparmi, lasciandolo più povero di prima e di più 
malato. Fortuna volle che capitassero allora a Padova due 
suoi comprovinciali, cioè i violinisti Euselt e Kunt, lì venuti 
appunto per ricevere lezioni dal Tartini. Neumann s'aera messo 
ai loro servigi, e spesso portava in casa Tartini i loro istru- 
menti, e terminata la lezione, ne li riportava. Per lui poter 
entrare in casa di tanto maestro, che considerava come un 
santuario deir arte, era la massima delle felicità. In silenzio e 
da lungi stava osservando quel maestro tutto compreso di alto 
ri.spetto, e si metteva a singhiozzare. E perchè devo venir. 



^*^) A. G. Meissner. op. clt. Se pochi biografi non hanno fatto 
cenno dell'amicizia del Tartini col Neumann si fu perchè questo libro 
del Meissner, stampato a Praga già nel 1803, divenne in appresso una 
rarità. L' unico che ne faccia particotar menzione si è il nostro biblio- 
tecario A. Hortis, che pare lo abbia consultato, perchè ne cita qualche 
squarcio neìV Archeoffrafo triestino (op. cit.) parlando delle lettere inedite 
del Tartini. 



77 



diceva, sempre qui per gli altri e mai per me? E fattosi co- 
raggio, un giorno che il maestro era solo, cosi gli disse : 'Non 
potrei anch' io qualche volta rimanere qui vicino alla porta ed 
udire quanto vien insegnato agli scolari? Io sonO; aggiunse, 
di lontano paese, venuto per questo solo in Italia, cioè per 
studiare la musica. Ed ho avuto occasione di udirne della bel- 
lissima, ma non saprei come cominciare per divenir io stesso 
un artista. Presto dovrò abbandonar Padova col mio signore, 
e deplorerò certo per tutta la vita d'esser stato si vicino a 
tanto maestro nella bella arte de' suoni, e non aver potuto 
approfittare dei di lui insegnamenti per la mia povertà. ^^ Tar- 
tini, commosso a quelle parole, in tono benevolo risposegli: 
"^No, figlio mio, non starai alla porta, perchè li stando nulla 
approfitteresti; ti darò io lezione. Proverò se possiedi scienza 
musicale, e se in te c'è il germe per qualche cosa di grande, 
e se ne lo scopro, le mie lezioni saranno gratuite „ Neumann 
gli baciò le mani versando lagrime di contentezza; corse di- 
filato a casa, e narrò il fatto ai due Sassoni e al Weestròm. 
Tartini già alle prime lezioni s' accorse di aver trovato lo sco- 
laro che desiderava. E questi scrivendo V accaduto ai genitori, 
cosi loro dice : ''Un uomo solo in tutta Italia devo amare, 
cioè G. Tartini. Mai scolaro fu più attaccato al suo maestro, 
nessuno gli fu più grato, più diligente, più attivo di quanto 
io gli sono. Egli non risparmia fatica di sorta, per istruirmi, 
nessuna ora gli è incomoda. „ Per tre anni, dice altrove, potei 
godere del suo insegnamento e giunsi a tanto da perfezionarmi 
nella lingua difficilissima dell'arte., Tartini, d'altra parte, 
.soleva dire: ^Àmo più questo straniero che dieci altri italiani ; 
questi è lo scolaro a me più carO; questi è lo scolaro migliore 
eh' io mi abbia.» E legami più nobili ancora tenevano avvinti 
quei due animi, una tenera amicizia ne li legava, e a tale era 
giunta, che il Tartini aveva perfino divisato di adottare il 
Neumann a figlio, lasciandolo erede e delle sue sostanze e 
deir occulta sua scienza, non appena avesse raggiunta un'età 
più matura. Ma 1' ora del distacco era già sonata. Era venuto 
allora a Padova il Pitscher, virtuoso della cappella del principe 
Enrico di Prussia, per prendere lezioni dal Tartini. Questi^ 
ormai vecchio e debole, non volle assumersi queir incarico, 



78 

tanto più poi che quegli poco conosceva la lingua italiana. 
II Pitscher si volse allora al Neumann perchè ne lo istruisse, 
sapendo che godeva la piena fiducia di Tartini. Fu allora che 
il Pitscher indusse il Neumann ad accompagnarlo in un viaggio, 
che aveva divisato di fare a Firenze, Roma e Napoli, per 
meglio approfondirsi nella musica vocale. Il Neumann accolse 
di buon grado T invito, e tanto più poi dacché la servitù del 
Tartini gli si era mostrata ostile, sapendolo designato a suo 
erede. Cosi almeno scriveva il Neumann a suo padre, il quale 
ne lo rimproverava di non aver saputo cogliere quella occa- 
sione propizia. Tartini si staccò a malincuore dal suo amato 
allievo e fornitolo di vestimenta e di denaro, assicurandolo 
anzi che lo avrebbe sussidiato ancora per cinque o sei anni, 
cosi gli disse, svolgendogli in forma allegorica il concetto della 
vera arte, presagendo già allora quale maestro ne sarebbe 
derivato da sì valente scolare»: *'Sono persuaso, caro figlio, 
che in te non s* alleva un guastamestieri dell' arte. £ se seria,- 
mente ti proporrai di divenire un giorno vero e grande artista, 
non ti cada dair animo quest'immagine. Supponi avere a te 
dinanzi una scoscesa rupe, sulla cui cima, che e difficile a 
sormontarsi, stieno due templi splendidissimi. Già essendo nella 
valle il tuo occhio ne rimane conquiso, e lo splendore è in 
una si abbagliante^ che ti può accecare in contemplandoli, 
come fa la luce del sole, e ti può togliere la ragione. Uno di 
quei templi si è quello delV arte, V altro quello della sapienza. 
Hanno queste due divinità stretti vincoli d'amicizia; anzi Tuomo 
non potrebbe giungere al tempio dell'arte se non passando 
per quello della sapienza ; mentre, per giungere a quest' ultimo 
ci è duopo battere ben altra via, che non è certo quella che 
mena all'altro. Nella valle stanno iu attesa e sacerdoti e sa- 
cerdotesse, che si offrono a guida del pellegrino. La virtù, la 
ragione, che penetra col suo sguardo fino nel fondo di ogni 
cosa, e la prudenza, che le è sorella, ti avviano al tempio 
della sapienza, a quello dell' arte poi la diligenza, la rifiessione 
e r entusiasmo : ma quest' ultimo mai deve scompagnarsi dal 
buon gusto. E una disgrazia però che tanto Tarte. quanto la 
sapienza abbiano due sorellastre, cioè la falsa arte e la falsa 
sapienza, che in merito stanno molto addietro a quelle, benché 



79 

talvolta nell'esteriore alquanto si assomiglino. Queste hanno 
pure i loro templi a pie' del monte, ed a questi conducono la 
presunzione, la falsa opinione di sé e la voluttà ; e benché 
a principio, rapiti dalla luce di quei due veri templi, non ci 
accorgiamo di questi falsi; pure avviene di spesso che i gio« 
vani pellegrini si perdano in questi ultimi, lusingandosi di 
poter poi penetrare negli altri due. Chi nella valle falla la 
vera via, e per paura de' dirupi e della fatica batte la facile 
via tutta smaltata di fiori, colui non potrà più levarsi ai veri 
templi, perchè gli mancherà e la sapienza e Parte vera, che 
è cosa celestiale. Anche colui che prudentemente sceglie la 
vera via e gagliardamente si matte su di essa, anche questi 
dovrà sostenere non poche prove, prima di giungere alla meta. 
E prima condizione sarà ch'egli possa giungere al tempio della 
sapienza, attraversando il sacro bosco della religione, alla quale 
.se renderà l'omaggio dovuto, anch'essa non lo abbandonerà 
più nel suo pellegrinaggio ; sarà il suo sostegno, se inciamperà ; 
la sua consolatrice, se gli accadrà qualche disgrazia ; essa lo 
preserverà dalla superbia nella fortuna, e finalmente illeso lo 
conduirà nei tempio della sapienza. E se aspirerà a maggiori 
altezze, cioè all' arte divina, gioie più ineffabili ancora com- 
penseranno le fatiche; queste altresì vanno congiunte con 
alcune goccie di assenzio, che, se pur sono amare, ci danno 
benefici effetti. E più s'ingentiliscono le nostre idee, e più 
s' affinano i nostri ideali ; quanto più in noi sentiamo la nobile 
smania per l'arte, che mai ci lascia pienamente soddisfatti^ 
allora avviene che mai possiamo interamente prestare tutto 
ciò che air animo nostro balena. E tali essendo si è allora che 
ci troviamo all' apice della gloria ; sottentra allora un infiac- 
chimento nell'animo nostro, sotto le apparenze di modestia, 
cercando di allontanarci. Due soli passi allora se diamo al- 
l' indietro precipitiamo nella valle senza salvezza. Ma se per- 
.sistiamo di voler penetrare fino alla gloria, non dobbiamo 
restarci a lungo, o persistere di rimaner nel di lei santuario, 
perchè un novello e più pericoloso nemico, cioè il sentimento 
del nostro valore, ci si metterà innanzi, accarezzando il quale, 
diveniamo più trascuranti, perdendo e il merito e il valore di 
nostra perfezione. Superato anche questo pericolo, dovremo 



HO 

rimanerci di qiianto solo abbisogniamo per leggervi i nomi di 
coloro, che in caratteri d* oro vi sono notati, e per attingere 
dalle loro opere nuovo zelo del bene ; non vagheggiamo troppo 
ansiosamente gli applausi dei nostri contemporanei, ma restiamo 
devoti e fedeli all'arte con costante ardore, perchè solo cosi 
facendo, essa ci darà novelle forze per salire più in alto ancora. 
Alla fine potremo dire di contemplare in tutto il suo splendore 
r interna magnificenza del tempio dell' arte. Né allora potremo 
dire di poter ancora abbracciare questa dea — se anche im- 
pegneremo tutto il nostro zelo, tutta la nostra fortuna — ci 
troveremo però a lei vicini, diverremo di lei sacerdoti, e riscaldati 
dal di lei fuoco divino, compresi della di lei potenza, riceve- 
remo un' adeguata ricompensa delle nostre fatiche.^ Ho voluto 
citare per intero, traducendole dal tedesco, queste saggie am- 
monizioni, che Tartini, ormai invecchiato nelP arte, dava al- 
l' amato suo scolaro, che s' accingeva a voler divenire artista , 
per dimostrare altresì di quali nobili sentimenti egli fosse 
compreso per V arte e quanto in lui fosse caro il solenne man- 
dato d' artista. Ed il Neumann in fatto divenne quel grande 
maestro de' suoni che tutti sanno, e la storia dell* arte ancor 
oggi ricorda Y Achile in Sciro, il Solimano^ V Ijjernestra^ V Ar- 
mida ^ la Cora, V Orfeo ed altre opere minori, che riscossero 
allora grandi applausi in Italia, in Germania ed in Isvezia 
Diremo di più ancora, che quella mistica maniera di stile, tanto 
cara al nostro Tartini, noi la troviamo fedelmente riprodotta 
negli Oi'atort del Neumann, che egli compose in Blasewitz 
negli ultimi anni di sua vita, allorché, dopo tanti dolori, dopo 
tanta gloria, potè alfine ritirarsi nella sua terra natale a chiu- 
dere in pace l'operosa sua vita. 

Due anni dopo il primo distacco dal maestro il Neumann 
aveva già dato la sua prima opera in Venezia, ed aveva de- 
stato im vero entusiasmo. Venuto di nuovo a Padova per 
visitare il suo maestro, così scrive ai genitori: "Venni a Pa- 
dova nel marzo del 1763 e non potete immaginare con che 
gioia ed amore m' accolsero Tartini, Hnut, Ferrandini ed altri; 
nessuno a Padova avrebbe creduto ch'io tanto sapessi fare 
(allude all'opera datasi a Venezia li 28 decembre del '62), 
tranne Tartini, che ben sapeva quanto poteva aspettarsi dal 



SI 

suo scolaro „ Di ritorno da Napoli, da Palermo e da Bologna, 
il Neumann venne di novo a visitare il maestro nel 1769, un 
anno prima che questi morisse. Lo accolse Tai*tini come un 
padre accoglie un figlio, che da molto tempo non ha veduto, 
baciandolo e abbracciandolo con le lagrime agli occhi. Dopo 
la morte della consorte egli non ebbe altro affetto che per 
questo suo amato discepolo. Ora più che mai, sentendo pros- 
sima la sua fine, desiderava che non lo abbandonasse più. 
dicendogli che lo avrebbe fatto erede di tutte le cose sue, di 
tutta la sua scienza, per la quale aveva vegliato le intere 
notti. S' acconciò volentieri il Neumann, benché avesse altri 
impegni e la sua presenza fosse reclamata con insistenza alla 
corte di Dresda. Anche questa volta Ttu-tini volle istruirlo ogni 
mattina per due ore. Grande si era la tensione d* animo del 
Neumann, dice il Meissner, e non poco si meravigliò quando 
vide che i lavori, che il maestro gli metteva dinanzi, non 
erano che nudi ed aridi calcoli di numeri algebrici, e di cui 
nulla capiva. Per alcuni giorni durò in quel lavoro, ma passata 
la prima settimana, se non direttamente, gli fece pur com- 
prendere, che nessun profitto ne sarebbe derivato all'arte. 
Tartini sorrisegli amichevolmente e risposegli ; "Previdi questa 
tua sorpresa, e la trovo naturale ; permetti però, figlio mio, ohe 
ti dica, che questa fatica, che ora ti sembra inutile, ne la 
troverai poscia ricompensata ad usura; colla mia vita stessa 
me ne fo malevadore. Spero di persuaderti che nell'arte de' 
suoni si nascondono infiniti segreti ; riconoscerai poi come per 
mezzo di essi si possa arrivare fino al creatore, e come, me- 
diante essi, si possa gettare lo sguardo per entro alle più alte 
dottrine della religione. „ Il Neumann stava con volto stupito 
attendendo a quanto il buon vecchio gli diceva, quando questi 
appressatosi alla sua libreria, trasse fuori un volume alquanto 
grosso che conteneva dei manoscritti, e continuò a parlargli 
in tal modo: "C'è qui entro il frutto delle mie prime idee ed 
il bel premio di tutta la mia vita ! Qui entro spero d' aver 
dimostrato l'esistenza di Dio e l'immortalità del mio io col 
mezzo delle leggi eteme dell'armonia, e di averlo fatto più 
esaurientemente e inconfutabilmente che mai alcuno prima di 
me. Non consegnerò mai a nessuno questo mio manoscritto, 



32 

se non a persona che mi possa ben comprendere e che a me 
sia cara; perfino, discorrendo di esso, mai ne comunico ad 
alcuno il suo contenuto, poiché solo un cuore purissimo, una 
nobile mente e il più fine senso per un'alta, pura ed incor- 
rotta arte de' suoni, ne lo possono comprendere. E come l'acqua 
più pura si rende imbevibile messa in sucido vaso, cosi nasce 
delle idee dell' animo nostro, se non le confidiamo ad uno 
spirito puro, che abbia e forza e zelo sufficente a comprenderle. 
Riconosci impertanto quanto ti debba amare, e quanto mi 
riprometta e dal tuo cuore e dalla tua capacità, se credo op- 
portuno che puoi ereditare quanto io con grande fatica m'ac- 
quistai vegliando le intere notti. Devi calcare la via da me 
battuta ; e Io farai sotto ai miei occhi, sotto la mia direzione, 
parte copiando quanto io feci e parte lavorando di tua testa.. 
Con r animo commosso, e coli' espi*essione dei più sinceri rin- 
graziamenti il Neumann pigliò nelle sue le mani del vecchio 
maestro; questi ne lo baciò più volte, continuando a parlargli 
in questi termini : '^^) ^Credimi, figlio mio, appena quando sarai 
alla fine di questo mio scritto ti si scoprirà V arcano di og^ 
cosa. Sappi che tanto i pittori che i poeti non sono che crea- 
tori di una natura già nota; creatore, nel vero senso della 
parola, si è l'artista de' suoni; egli dal cumulo infinito de' 
suoni crea armoniche melodie, che nella natura non esistono. 
Sarebbe ben misera cosa quella creazione musicale, in cm 
l'artista sapesse solo riprodurre o il maestoso romoreggiare 
del mare, o l' ululare e fischiare del forte vento, o il mormorio 
del ruscello, o lo scrosciare della pioggia, o il cantare deg^li 
uccelli, quali in realtà si manifestano. Dobbiamo, è vero, alle 
volte imitare la natura noi pure, ma allora non dobbiamo 
tanto abbassarci da riprodurre certi giuochi o scherzi lamente- 
voli, perchè allora siamo imitatori, non creatori. Solo chi è ben 
addentro nell' arte divina de' suoni sa creare^ dalla ricchezza 



^*^) Per non dilungarci di troppo tralascierò quella pai'te delle 
considerazioni del Tartini fatte al Neumann, che non ha certa importanza 
per il nostro studio, o attinenza colla musica; tanto più poi che non 
tutte le idee del Tartini sulla poesia o sulla pittura mi paiono giust« 
in ogni parte. 



88 

dei suoni, che pare si facile, ma che pnre è inesauribile, delle 
melodie mai prima udite, sorpassando la stessa natura^ che 
con l'infinita sua attività, cade in una specie di monotonia.» 
Chi non si sarebbe infiammato da osservazioni di tal fatta, 
dice il Meissner, fatte da un vecchio tanto degno di rispetto, 
ed espresse con tanta convinzione ed in tuono si solenne? E 
quanto effetto non dovevano produrre nel!' animo di un giovane, 
quale si era il Neumann^ avezzo già a considerare 1' arte con 
venerazione e a trattarla con vero amore! Risoluto pertanto 
a reprimere ogni dubbio in se stesso, e di sottomettersi di 
buona voglia ad ogni fatica, si mise in balìa del maestro, 
copiando quanto quegli gli presentava. E per due mesi durò 
in questa fatica, quando un giorno, ritornando da casa del 
maestro, ricevette l'aspettato comando di recarsi tosto al suo 
posto alla corte di Dresda. Afflitto ritornò da lui, che rimase 
rattristato sommamente all'udire quella nuova: '^Solo ancor 
poche settimane, solo un mese alla più lunga, disse sospirando 
dal più profondo del petto, e le tue fatiche, figlio mio, sareb- 
bero state coronate di gloria. „ S'azzardò allora Neumann di 
domandargli volesse almeno dargli qualche schiarimento più 
dettagliato, ma con dolorosa amorevolezza il vecchio, scotendo 
il capo, ne lo assicurò che il concedergli quanto desiderava 
eragli impossibile: non aver egli percorso ancora tutte le vie 
necessarie per poter intendere pienamente il tutto, e che ogni 
cognizione cosi divisa e staccata sarebbe inutile.» E poiché 
cosi vuole il caso — aggiunse e cosi dicendo delle lagrime si 
vedevano brillare ne' suoi occhi — spero ci rivedremo qui 
ancor una volta e continueremo là dove siamo rimasti. Prendi 
teco intanto i tuoi compendi; le tue copie, i tuoi tentativi. Ti 
saranno utili, forse giovevoli per l' avvenire. Va, figlio mio, 
devi prima di tutto adempiere agli obblighi del tuo officio, 
pensa però che devi ritornare qui.^ Cosi si separeirono, ed il 
vecchio Tartini, oltremodo commosso, rese più difficile quel 
congedo, facendo per sempre perdere la speranza di mai più 
rivedere il diletto suo figlio^ il caro suo scolaro, aggiungendosi 
ai mali fisici di cui era gravato, ancor questo morale. Neumann 
stesso aveva anche perduta ogni speranza di mai più rivederlo, 
e questo suo timore s'avverò pochi mesi appresso, ricevendo 



84 

la fatale notìzia della morte del suo iudimeuticabile padre e 
maestro, degno veramente di ogni rispetto, di ogni onore. E 
non potendo recarsi a Padova per le molte sue occupazioni, 
scrisse tosto per sapere dove fossero andati a finire i di lui 
manoscritti, e quelli specialmente, di cui egli stesso aveva 
copiato una buona parte ; ma ottenne in risposta avere il Go- 
verno con ogni cura rovistate tutte le carte del morto, e quasi 
tutte sequestrate. U Senato veneziano, dice il Meissner, a cui 
nulla sfuggiva, già da lungo tempo doveva aver avuto notizia 
dei sogni del benevolo vecchio e cercò di renderli innocqui. 
E cosi Neumann perdette anche quest'ultima speranza. Su che 
cosa vertessero questi ultimi studi del Tartini, è il Meissner 
che ci informa in una lunga nota al termine del suo libro, 
dicendo di aver avuto per lettera dallo stesso Neumann il con- 
tenuto dei medesimi. In essi si parla di un' Equts(manza nel 
circolo e si allude spesso all'altra opera del Tartini, Pnncipt di 
armonia. Da questa equisonanza nel circolo egli s'era perfino 
proposto di spiegare matematicamente l'esistenza di Dio. Da 
qui forse ne venne il sequestro ordinato dal veneto senato. 
In questi studi è pur fatta menzione del terzo suotw, che è 
chiamato ckl terzo suono della natura. Sarebbe prezzo d'opera 
di fare delle ricerche sia a Venezia che a Dresda per disep- 
pellire quest'ultimo lavoro del nostro violinista, che forse da- 
rebbe maggior luce agli altri Trattati e Dissertazioni matematiche 
ch'ei ci ha lasciati, e tanto più poi dacché molti non compren- 
dendo forse il concetto, le dicono sogni di mente malata. Ma 
di ciò diremo già poi. Che se anche non vogliamo dare alcun 
peso a queste matematiche elucubrazioni del Tartini, abbiamo 
pure in lui 1' artista illustre, il celebre virtuoso e l' uomo dot- 
tissimo, .a cui accorrevano per consiglio — è il Meissner che ce 
Io dice per bocca del Neumann — quanti mai artisti di merito 
avesse allora l'Europa, non del violino soltanto, si bene altresì in 
qualsiasi ramo dello scibile musicale. L' arte e il magistero del 
Tartini s'incarnano profondamente nel secolo in cui visse; le sue 
idee, volte specialmente a combattere T invadente materialismo, 
erano pur bene accolte da tutta la dotta Europa; segno questo 
evidentissimo che in lui rifulgevano di pari luce e la scienza 
e la sapienza, che solo nei grandi geni mai si scompagnano. 



85 

Intanto l'opera maggiore del Tartini, Trattato di musim 
secondo la vera scienza deW armonia^ stampata, come dicemmo, 
in Padova nel 1764,'^®) s'era difusa per tutta Europa, e quanti 
dotti non avevano potuto felicitarsi secolui in Padova per 
questi suoi studi, che sì d' un tratto venivano a mutar aspetto 
alla scienza musicale, vollero pur tuttavia onorarlo di corri- 
spondenza epistolare. Fra questi vanno specialmente notati il 
lacquier, il Dalembert, il Leseur, il Nolet. nonché l'illustre 
ginevrino I. G. Rousseau, il quale, avendo dapprima innalzato 
alle stelle, denigrato poi vilmente il genio musicale del nostro 
violinista nel suo Dizionario della mmica^ ^^^) si ebbe poscia 
lina solenne smentita da un anonimo suo «onterraneo, e tanto 
più fastidi ed imbarazzi gii costò quel suo biasimo, avendo 
egli prima ammesso neir Ingegnoso sistema tartiniano e pro- 
fondità di sapere e genio; sistema, come diceva, a portata di 
pochi, ricolmo di nuovi esperimenti e bellezze.^ ^2) Con critica 
ancor più acerba scagliossi contro il sistema tartiniano il Le 
Serre, **') concittadino di RosseaU; forse anzi istigato da questo 
ultimo, che in quella guisa aveva veduta manomessa la sua 
dignità; ma male gliene seppe, perchè questa volta insorse a 
difendere il Trattato lo stesso autore a spada tratta, ma con 
quella pacatezza che gli era solita in simili contingenze, fa- 
cendo per sempre tacere i suoi avversari. Questa risposta, che 
fu stampata a Venezia nel J7(>7, s' intitola : Rispoi^ta di 0. Tar- 
tini alla critica del di lui Trattato di Mttaica di M, Serre di 
Ginevra, ^^^) Non bastò peraltro al Tartini di aver fatto tacere 
i suoi avversari, che volle anche conciuiderli, e tolti que' pochi 



****) Stamperia del Seminario, appresso (ìiov.* Manl'rè, op cìt. 

"*) G. i. R o a s s e a u , JJìction . de Musique. Paris, 1758, e S t a n e o v i eh 
rie Irò, op. cit. 

'*') Questa l'isposta si crede sia del conte Turu Taxis, iuteudeute 
generale delle poste austiùache, e scolaro ed amico del Tai'tiui. Il titolo 
si era: Risposta di un anomtno al celebre siynor Rousseau circa il suo senti-, 
mento in proposito di alcune proposizioni del signor O. Tartini. Venezia 1761'' 
I. W. Wasielewski. op. cit 

*•■) M. Serre: Observations sur le principes de l'harvtoniey Giuevra, 
1768^ e Tipaldo, op. cit. 

***) Pfesso Aot. Decastro, e Tipaldo, op. cit. 



8(3 

difetti, notati dai deuigi*atori del suo l^vatiatò, che quali uèi 
ili uu bel corpo p«r nulla lo deturpavano, diede alle stampe 
un' altra opera non meno scientifica, cioè la Dissertazione dei 
principt delV armonia musicale^ contenuta nel diatonico genere. '^*) 
Quale e quanto fosse il pregio di questa seconda opera è il 
Lami che ce lo dice; quel Lami, che passata avendo l'intera 
sua vita nello studio delle lingue dotte e delle scienze, non 
meno sapeva dare un giudizio di quelle che di queste. Questa 
opera^ egli dice adunque, è tale che per bene intenderla bi- 
sogna saper di musica quanto ne sa chi Pha valorosamente com* 
posta J^^) Una delle pecche maggiori, che gli apponevano i suoi 
oppositori, si era 11 oscurità, con cui egli avvolgeva, dicevano, 
questa sua nuova scienza, oscurità, per cui non tutti bene com- 
prendevano quanto voleva dire. Ma vediamo come egli stesso se 
ne scagiona: ^Al Trattato di musica dell'autore si è imputata 
somma oscurità. Ma ò forse padrone di cambiar indole alle cose, 
sicché, se per propria intrinseca natura sieno difficili e oscure, 
possa e debba egli convertirle in natura facile e piana?» '*') Il 
che è quanto dire: E che colpa ci ho io se voi non capite? Stu- 
diate come io l'ho fatto e l'oscurità si toglierà da sé. — E di fatto 
pare l'avesse ben compreso il La Laude, insigne matematico ed 
astronomo; l'aveva ben compreso l'altro non meno celebre filo- 
sofo e matematico Euler^ il quale, per incoraggiare il Tartini a 
proseguire negli studi si bene avviati, spedito gli aveva il 
suo Tentativo di una nuova teoria musicale, da lui stampato nel 
1739.»''») E per tacere del Barbieri, del conte Riccati,'^») del 

'*^) Edita in Padova il 1767 nella Stamperia del Seminario presso 
Giov. Manfrè. 

**•) O. Lami, NtwelU letterarie. Novella sesta del 6 lebbraio 1768, 
volume 20®. 

**') Dissertazione dei principi deU" armonia musicale, op. cit. 

**•) Tentamen nocae Theoria4 musicae, Paris, 1739. 

"") E questi quel conte Giordano Biccati di Castelfranco trivigiano. 
che, come ci assicura il Teb aldini, tenne viva corrispondenza con 
Valletti e con Tartini intorno alla spiegazione scientifica dei rivolti del 
Càllegai'i e del basso fondamentale o terzo suono del Tartini. La corrispon- 
denza col Valletti trovasi nelPArca del Santo di Padova; quella del 
Tartini è in possesso del Municipio dì Pirano, che la ha comperata dal 
prof. Petronio di Udine. 



87 

Iac<iuier, del Dalembert, del Loeseur, del Nolet o del Beccaria, 
che ebbero col nostro Tariiiii e dimestichezza e carteggio, ^*^) 
dirò specialmente di un altro nostro illustre comprovinciale, per 
il quale si stanno anche preparando delle feste centenarie; voglio 
dire Gr. R. Carli; il quale volle rispondere a questi nuovi studi 
del Tartini con le sue Ossersxxzioni sulla musica antica e ma- 
demn^ facendolo con quella erudizione, che in Ini sempre si 
ammira, e inneggiando alle nuove scoperte.**^*) 

Anche oggi non poco si parla fra i dotti dell' oscurità 
che regna nelle opere scientifiche del Tartini ; ma quanti sono 
i dotti matematici, anche presso di noi, che pur parlando di 
tante oscurità, si prendano poi la briga di sottoporre ad una 
attenta disamina le opere scientifiche del nostro violinista? 
Eppure, sottoponendole ad uno studio attento e confrontandole 
«tra loro, qualche cosa si potrebbe fare, cosi almeno mi assicura 
un collega di Trieste, matematico punto dispregevole, il quale, 
dopo aver sottoposto ad attenti studi un terzo trattato inedito 
dal Tartini, Sui Triangoli Pitagorici^ ne fece un suo lavoro a 
parte, che dovrebbe, io reputo, esser subito pubblicato per 
dimostrare che con lo studio e colla buona volontà ben altro 
si potrebbe ancor ricavare da tante scientifiche oscurità. Ed l 
moderni critici tedeschi vanno quasi tutti concordi nell' affer- 
mare che nel Tartini non dobbiamo solo ricercare il grande 
violinista, o il Maestro delle esazioni, si ben aiicora il vero fon- 
datore di un nuovo sistema d' armonia, basato su principi fisici 
e matematici, e per non citarne molti ricorderò qui nuovamente 
l'anonimo G. P. del Lessico Musicale di Berlino, edito dal- 
l' Oppenheim e la modernissima Storia illustrata della musica 
di E. Neumann. Molto bene annota in proposito il Wasie- 
leveski, ***) riferendosi al giudizio emesso dal Burney, che se 
anche Tartini non riusci a fondare un vero sistema scientifico, 
quale noi lo vorremmo, tuttavia V aver fatto rivolgere le menti 
dei più grandi scienziati del suo tempo a quanto egli inten- 
deva, addimgstra già in lui una potenza d' intelletto non 



'•*) P. Stancovich, op. cìt. 

>•») G. Binaldo Carli, Opere, Tomo XIV,. Milano, 1786. 

••*) L W. Wasielewski, op. cit. 



88 

comune, e a convalidare maggiormente questa sua opinione, cita 
il socratico motto che suona: ''Quello che io capisco di tutto 
ciò è eccellente, e sono propenso a credere che quello che 
non capisco deve esser parimenti eccellente.. Vorrei pertanto 
che questo motto fosse ben ponderato da qualche crìtico mo- 
derno, che senza conoscere le opere scientifiche dei Tartini, o 
male conoscendole per mancanza di necessaria coltura, parla 
di esse come di. sogni ideali, o come utopie di mente malata. 
Ne qui si fermò l'attività scientifica del Tartiui. Negli 
ultimi anni di sua vita compose un altro trattato, che s'inti- 
tola: Delle ragioni e delle proporzioni^ libri sei, che non potè dare 
alle stampe, perchè colto dalla morte Questo manoscritto ed 
un altro ancora, SuUa teoria del aiiono, che il violinista, alcuni 
mesi prima della sua morte, consegnò al benedettino abate 
G. À Colombo, perchè li esaminasse, rimasero inediti. Al ca- 
pitano Pietro Tartini, erede dei nostro violinista, venne fatto 
di poter ricuperare il primo dei due trattati, che ora, se non 
erro, fa parte della biblioteca municipale di Pirano; del se- 
condo mai intesi far menzione di sorta; né mai potei nulla 
scoprire di un altro trattato ancora, manoscritto esso pure e 
in tre volumi, che fu intitolato : La scienza del numero o scienza 
sperimentale, di cui udii far cenno per la prima volta in Padova 
dall'erudito bibliotecario della chiesa del Santo. '**) Non meno 
interessante si è il Trattato delle amenità del canto, che andò 
esso pure perduto per la solita nostra incuria, e di cui non 
possediamo che la traduzione francese fatta dal Denis, ^^} In 
questo trattato il grande maestro dimosti-a con quali e quanti 
riguardi egli stesso sapeva impiegare gli ornamenti, e ci dice, 
che tanto nel suono che nel canto, si deve considerare piut- 
tosto il fondamento che la forma delle composizioni. Che se 

>«>) Potei di più venir a i-ilevare ia Padova dal bibliotecario P. 
Negri, che mons. Francesco Petronio, Proposito Capitolare di Capodistri», 
aveva già fatto pratiche tanto col convento del Santo, guanto con quello 
di Fraglia per ricuperare quest'opera, ma tutto indarno.' È certo che in 
Padova non è; potrebbe pur darsi che si trovi in qualche convento dei 
Benedettini, sia d'Italia che dell'Austria, e ricercando lo si dovrebbe pur 
ritrovare. 

*•*) Vedi De Prony, Biografia ufiiverMale antica e moderna, op. cit. 



80 

aggiungiamo altresì le opere strettamente musicali, quali le 
Lezioni pratiche per violino^ e il Trattato delle appoggiature sì 
ai^cendenti che discendenti per il violino^ come pure del Trillo tremole^ 
mordente ed altro^ con dichiarazione delle cadenze natm^ali e com- 
poste '«*) e qualche altro saggio ancora, che gli stranieri fecero 
lor proprio per nostra totale inerzia, ***) e di più ancora unendo 
tutte le di lui lettere, sia scientifiche che famigliari esistenti. 
che volendo raccogliere sorpasserebbero il migliaio, noi po- 
tremmo avere una famosa hiblioteca tartiniana, che unita alla 
biblioteca di Pirano^ ricca già da per sé di antichi e pregevoli 
cimeli istorici, scientifici e linguistici, potrebbe dare non poco 
lustro alla città, che diede i natali a si grande mente, che da 
sola valse, possiamo dirlo con sicurezza, ad illustrare tutto un 
secolo nella non facile arte de* suoni. 

Che il suo cuore e l'animo suo fossero ben ritemprati 
dal cozzo continuo di una vita febbrilmente agitata ed ope- 
rosa, lo potremo ben comprendere, se considereremo un tanto 
uomo negli ultimi anni di sua vita. Sofferente per una can- 
crena ad un piede, non si stanca punto; e continuamente oc- 
cupato e a sonare e a dirigere l'orchestra della chiesa del 
Santo, o a rivedere e coiTeggere le sue opere, trova pur tempo 
di dedicarsi air istruzione de' poveri giovinetti; né ciò gli 
basta ; porge ad alcuni dei sussidi, perchè possano recarsi al- 
trove in cerca d' un pane onorato ; fa secrete elemosine a 
povere vedove, ad orfani derelitti ; per tutti, dove v' è di bi- 
sogno, ha una parola di conforto. '*''^) Più forti che mai si 
ridestano in lui quella fede, pietà e devozione, che mai si 
erano cancellate dal suo cuore fin dalla prima età.'^®) E sentendo 

*•*) Const. Wurzbach, op. cit., e De Frony^ Bìoffrqfia universale ^ 
op. cit. 

»«) Const. Wurzbach, op. cit.: Traile des AyrémenU de la mu' 
sique^ sarebbe un altro trattato, uscito a Parigi dopo la morte di Tartini 
ed a lui attribuito. Secondo l'autore della Biografia unwersaUy questo 
trattato non sarebbe che una traduzione delP altro da noi già addotto, 
I.,ezi<mr sopra % vari generi di appoggiature^ trilli tremoli e mof^de^tti ecc. ecc. 

**^) P. 5^tancovich, op. cit. 

'*'') Il La Lande, nel suo Viaggio in Italia (op. cit.), asserisce che 
la modestia, la pietà, i costumi rendevano del pari stimabile il Tartini 
che i suoi talenti. 



90 

prossima la sua fine, scrisse di proprio pugno le ultime sue 
volontà. La lettera, elisegli manda da Padova ad un suo 
nipote di Pirano, è si bella, si toccante, da ricordarci quella 
che il Tasso, vicino alla morte, scriveva all' amico Costantini. 
Mi sia permesso citarne qualche brano: '^ Signor Nipote Ca- 
rissimo: Sia finalmente ringraziato e benedetto Dio, che dopo 
tante angustie* d' animO; che ho sofferto, oltre a quelle del 
corpo, mi concede, avanti morte, la grazia unica e grande che 
ho chiesta, e che è la concordia e pace della famiglia. Egli 
faccia per coronare i suoi doni che sia puramente cristiana, e 
non umana, acciò sia durabile in questo mondo e profittevole 
nell'altro per tutti noi.,, E dopo aver parlato de' suoi inte- 
ressi famigliari e di quelle persone eh' egli intende sieno bene- 
ficate dopo la sua morte, aggiunge : "Più presto veirete qui, 
più mi sarà caro. E se credete poter venire con sollecitudine, 
fatevi fare una minuta del mio. testamento dal Dr. Pietro 
(era questi il fratello notaio), la sostanza della quale si è : che 
avendo io voluto eseguire il mio testamento in vita^ non mi 
resta, in morte, che lasciare i miei mobili, e quel denaro che 
sarà trovato ai miei legittimi eredi di Pirano, in mancanza 
dei quali (s'intendono i maschi; l'eredità passi ai Tartini dì 
Firenze. Specificherò io poi le cose che ivi sono, e il come. 
Nulla più per ora e abbracciandovi di cuore tutti, sono 
sempre più vostro aff.mo zio Giuseppe Tartini. „ '^^) Cosi egli 
scriveva sette mesi prima della sua morte. Il nipote, a cui la 
lettera è indirizzata, era figlio del fratel suo maggiore Domenico; 
è questi il capitano Pietro, che in seconde nozze s'era spo- 
sato con Lucia del signor Bonifacio Vatta, e non avendo avuto 
figli, non so come, ma contro la volontà ultima del testatore, 
l'eredità passò alla famiglia Vatta, che tuttora la conserva.'"*» 



iwj Tra le famiglie beneficate dal Tartini, o meglio ch'egli vuole 

sieno beneficato dopo la sua morte, e* è il signor Giuseppe Bon e figlia 

-di Trieste, che si trovavano in estrema miseria e avevano bisogno di 

pronto aiuto per un interesse posto in lor mano, e che essi, a quanto 

pare, non potevano soddisfare. 

*^*) L'eredità lasciata dal Tartini deve esser stata cospicua. E 
lasciando anche di dire degli 8,000 ducati in contanti, e della casa, dove 



91 

Stanco alfine ed abbattuto per altro malore che gli 
sorvenne, rese l'anima a Dio il di 26 febbraio del 1770. Se 
la vera fama e bontà d'animo del Tartini fu ammirata ed 
amata da tutti lui vivo, tanto più dolore si manifestò alla 
triste novella della 3ua morte. Accorse da Livorno il suo amato 
scolaro Nardini, da Venezia 1* amico P. Colombo e V altro suo 
scolaro ed ammiratore del suo genio, il conte Tum Taxis, a 
cui, prima di morire aveva affidato tutta la sua musica, perchè 
ne curasse la pubblicazione, come al Colombo aveva già prima 
affidato per disamina e correzioiie gli ultimi suoi trattati 
scientifici. Quanti poi e scolari e dotti non avevano potuto 
recarsi a Padova ai suoi funerali, fecero pervenire le loro con- 
doglianze lamentandosi di tanta perdita. E per dimostrare 
quanta eredità di afietti egli abbia lasciato dietro a sé, mi si 
permetta di citare la lettera di Andrea Roberti degli Almeri, 
che in tal guisa scriveva da Sinigaglia a P. Valletti: "Non 
si meravigli s' io prendo l'ardire d'incomodarla con questa 
mia, ma la sorpresa che mi à recato una lettera scrittami da 
Ferrara che il 26 Febbraro mancasse di vivere Tartini, mio 
maestro, ed amico di cuore, mi ha reso una passione d'animo 
sensibilissima per tutti i motivi, che non posso far a meno di 
compiangere una perdita si dolorosa e inaspettata. Prego ben 
di cuore, che ella mi facci la finezza di sapermi dire, cosa è 
stata la sua malattia, sua morte, e sua disposizione de' suoi 
beni, e delle Opere inedite, cosa à lasciato detto che se ne 
faccia; mi duole di non esser corso a rivedere si degno uomo, 
tanto più che in una delle sue ultime lettere desiderava rive- 
dermi. Oh, quanto à perduto la musica per la sua esecuzione; 



nacque il nostro violinista, che già prima apparteneva al padre, sappiamo 
che la tanuglia Vatta possedeva, dopo la morte del violinista, vasti 
tratti di terreno olivati e vitati, e molti fondamenti di saline. La viJla 
di Strugnano, posta in superba posizigne, che domina tutto il nostro 
g^plfo, ha tutti 1 conforti possibili, con viali, giardini ed estesissima 
campagna con estesissima peschiera, difesa da forti dighe, unica in tutta 
r Istria. Il non abbastanza compianto arciduca Massimiliano, imperatore 
del Messico, prima di fabbricare il castello di Miramar, aveva gettato 
r occhio sulla villa Tartini per ridurla a sua prediletta dimora. Non 
saprei dire per quali contingenze poi il progetto fu abbandonato. 



92 

e non ve ne pure un scolare; che sappia i caratteri diversi 
che à la musica; ma la provvidenza cosi ha permesso, 6on- 

viene chinare il capo è il solo che per la scienza della mn- 

sica possa riparare il danno, e prego Iddio che lo muova a 
ciò fare, per il bene comune e gloria della nostra Italia „''*) 
Ci basti, fra mille altre, questa testimonianza d' amore del 
Roberti, che in se contiene in poche linee un vero elogio. 

Il popolo di Padova poi, uso ad affollarsi nella chiesa del 
Santo, per bearsi delle sue melodie, fece continuo assedio alla 
casa del Tartini non appena fu udita la sua morte, lamentan- 
dosi ognuno come di propria calamità. E tutta Padova e mol- 
tissimi forestieri, specialmente venuti da Venezia, vollero ac- 
compagnare la di lui salma ai funerali e alla tumulazione 
nella chiesa di Santa Catterina, dove ancor oggi riposano le 
sue ceneri. Francesco Fanzago, dottissimo professore del pa- 
tavino ateneo, gli iutessè in pubblico con magnifiche parole 
un funebre elogio. *^-< 

L'effigie del Tartini, delineata al naturale già nel 1761 
clair amico abate Vincenzo Bota, ^^^) e accompagnata da questo 
di stiro : 

Tartini hatul procui rerncitts expHfìi imago, 
Sive Lyrnm tango t, sfu meditetur, is est, 

'"M G. Te bai d ini, op. cit. La lettem porta la data del 6 marzo 
1770, e ai conserva nell'Arca del Santo. I puntini stanno invece di un 
nome illeggibile. Peccato! Il Roberti, come ben si vede, era stato scolaro 
<li Tartini. 

*'*) L'orazione funebre fu poscia stampata, ed abbiamo avuto oc- 
('a.«»ione molte volte di citarla in questo studio. 

^''; Fanzago Dr. Fr., op. cit. L'abate Vincenzo Rota nacque in 
Padova il 1703. Fu buon pittore e sonatore di vari istrumenti» non ultimo 
il violino, ed aveva appreso a sonarlo dai Tartini: tanto era poi inten- 
dente dell'arte musicale, che veniva consultato più volte dal maestro 
stesso, cui era amicissimo, e del quale ridusse 86 concerti in sonate a 
tre e a quattro parti. Partitosi per Roma, durante la dimora in questa 
città tenne col Tartini vivissima corrispondenza. Per chi s'interessa di 
musica la corrispondenza epistolare del Tartini col Rota potrebbe esser 
di grande importanza. Il Rota fu anche poeta, come ci assicura il Con- 
zatti (op. cit.) e nella sua Cantica "L* incendio del tempio di St. Antonio,,, 
cktutò degnamente anche del Tartini (parte li, stanze 43-10: 65-56) 



fa fatta incidere da A, B. Sberti con quest'altro distico del 
professore A. Piombiolo : 

Hic fidibus, scriptisy claris hic magnus alumnis 
Cui par netno fuit, forte nec iillus erit. ^'*) 

Né a queste pompe transitorie stette pago il pubblico 
amore, perchè nel 1807 un' eletta società di cultori ed amatori 
dell* arte musicale è caldi ammiratori del Tartini, fece erigere 
iieir esterno recinto della gran piazza di Padova, detta Prato 
della Valle, la di lui statua in grandezza naturale; in quel 
Panteon stesso, dunque, dove dai Padovani si ebbero un 
eguale onore Tito Livio, Giotto, Dante Alighieri, F. Petrarca, 
r Ariosto, il Tasso, il Mantegna, il Galilei, il Cesarotti e il 
Canova, e tanti e tanti altri letterati, scienziati, storici, poeti, 
pittori e scultori ed uomini d' armi e di toga non d'Italia 
soltanto, ma d'intera Europa. La statua è posta a nord -est 
del recinto ed è rivolta in direzione della chiesa del Santo, 
che non è lontana, da quella parte, dunque dove, egli vivo, 
sempre rivolgeva le sue aspirazioni, e da dove, mort>o, ema- 
narono tanti raggi di gloria. Ai piedi la atatua porta questa 
semplice epigrafe : 

lOS. TARTINI PIRANENSI »^^) 

e sopra il fusto del piedestallo: 

IN 

FAT • BASILIO ' D ' ANTONI 

FIDIUM • PBOFESS ' PBIMAIO * KXIMIO 

SCBIPT18 • ET • ALUMNIS * CLA RISSIMO ' 

PKRENNK • MONUMENTUM " GLORIAR * 

AERE • C(»NLAT<> * 

BON • ART ' AMATOBES ' 

AN MDCCC. Vn.'^^i 



*'*) Le (lue iscrizioni tradotte in italiano vorrebbero dire: *Non 
lontana dal vero tu delineata questa effìgie del Tartini: T espressione è 
sempre quella, sia egli in atto di sonare o di meditare.,, ''Questi che fu 
insigne sonatore, scrittore e maestro di celebrati scolari, non ebbe alcuno 
pari nell'arte, e for^e mai né avrà., 

"*) ('he tradotta significa: "A Giuseppe Tartini Piranese.,, 
*•*) La versione italiana è questa: "Nell'anno 1807 alcuni amatori 
di beile arti con 'spontanee oblazioni eressero questo perenne monumento 



94 

Onesta statua; felice lavoro dello scalpello di Seb. An- 
dreosi, '^^) rappresenta Tartini vestito al gnsto del secolo XVII. 
Nella mano sinistra tiene un gran medaglione, sopra del quale 
in bassorilievo vedesi il busto del di lui amico V abate Yallotti, 
che tanto cooperò in una col nostro violinista nella chiesa del 
Santo. Sotto al medaglione stanno aperte alcune carte di 
musica, su cui leggesi : "Salmi ad otto voci a cappella^ , che 
è l'opera maggiore musicale del Valletti. In un altro libro 
leggesi: "Scienza teorica e pratica della moderna musica^, 
una delle maggiori essa pure delle opere scientifiche dello 
stesso Valletti. Ai piedi poi di Tartini vedesi un violino e 
quattro opere, in parte aperte, con su scolpiti i titoli delle 
qiiattro sue opere principali di scienza musicale. L' atteggia- 
mento del Tartini è grave e vivace nello stesso tempo, e quale 
egli era nel pieno vigor degli anni; vi si legge e T artista ed 
il pensatore. Altre effigi del Tartini trovansi e in Padova e a 
Pirano presso la famiglia Vatta, la quale possiede anche un 
bellissimo cammeo anulare dello stesso Tartini ; forse lo stesso 
inciso dallo Sberti. Il Municipio di Pirano conserva altresì la 
maschera in gesso del violinista, ritrAtta sul letto di morte.'") 

Pirano stessa, pur sempre avendo in mente di erigergli 
un perenne monumento, che ne tramandasse ai posteri la 
ricordanza, fece scolpire dallo scultore Rosa un busto marmoi^eo 



a G. Tartini, primo professore di violino deUa Basilica patavina di 8t. 
Antonio, illustre per i suoi scritti e celebratis.sinio per i molti scolari 
che diede all'arte. 



*") Ho detto felice lavoro deir Andre osi, citando le parole del- 
lUuàh'Mnane del Prato della VaUe, op. cit., giacché anche a me fece la 
stessa impre.ssione, quando la vidi per la prima volta. £ssa non è certo 
un capolavoro, ma non la potremmo dire né brutta, né di niun pregio, 
come vorrebbe il Tebi^ldini (op. cit): e in quel recinto ce ne sono 
certo di peggiori e di veramente poco belle. 

*'") La famiglia del fu profe.ssore Petronio dì Udine ha anche un 
bel ritratto ad olio del Tartini ed un altro più piccolo a penna con breve 
iscrizione latina. In questi e ritratti ed effigi o statue il naso del violi- 
nista é bensì pronunciato, non tanto però quanto 11 Neumanu ce lo 
raffigura nella. .sua Storia illustrata della Murìcu iop. cit.). 



96 

a questo suo diletto figlio^ il qual busto è conservato nelP ampia 
e magnifica sala del Casino Sociale. E un monumento ancor 
più insigne e duraturo volle innalzargli, lui ancor vivo, l'Europa 
tutta, denominandolo il ''Maestro delle Nazioni^ , onore questo 
elle, come dicemmo, la storia dell'arte va superba di poter 
registrare, perchè toccato a pochi, anzi a pochissimi maestri 
nella divina arte de' suoni. E di fatto i nuovi e ' sublimi 
concetti, i suoni pieni e vari, le nuove melodie e cadenze ar- 
moniose, le evidenti imitazioni^ eh' egli sapeva cavare dalle 
corde del violino, formarono per oltre mezzo secolo la delizia 
delle genti e ancor tuttora sono tenute come perfezione del- 
l' arte. E ben lo comprese l'autore del popolarissimo Camevale 
di Venezia^ Nicolò Paganini, principe dei violinisti del nostro 
secolo, il quale studiando indefessamente le opere del nostro 
Istriano, fu più che ammiratore, entusiasta del suo genio. Il 
dott. Antonio Bucceloni, venuto più volte a Trieste coli' artista 
Bazzinì, narrava al Tagliapietra come il Paganini, parlando 
del grande Tartini, soleva inchinarsi e scoprirsi il capo in atto 
di riverenza, dicendolo il vero e primo padre della scuola 
classica e di quel nobilissimo e potentissimo fra gl'istrumenti 
musicali, che è il violino. Di questa classica scuola, egli pure, 
sommo tra i sommi, si professava discepolo. Eppui-e Paganini 
— aggiunge il Tagliapietra — non era largo d' encomi né ai vivi, 
né ai mòrti."*) E qui basterebbe Y autorità del Paganini ; ma noi 
sappiamo ancora che il Sivori, altro luminare della bella scuola 
del magico strumento, aveva per Tartini la stessa venerazione. 
Altrettanto potremo dire del Novelli, del Bazzini. delle Mi- 
lanollo, del Bianchi, dell' Arditi e di queir angelo del violino 
che è la Teresina Tua ; dello Spohr poi e dell' Ernst, dello 
Straus, del Clement dei tedeschi abbiamo detto e cosi dei 
francesi Beriot e Vieuxtemps e dell'olandese Thomson. 

La maggior parte delle Sonate del Tartini, che, a detta 
dei biografi, oltrepassano il centinaio, furono stampate in 
numero ristretto dapprima in Amsterdam, nel 1734, poi in 

*^) "Memorie di un Contemporaneo di Nicolò Paganini per O. Dr. 
Tagliapietra,,, nel periodico V Arte^ anno IX, 1878. 27 giugno, N. 17, 
Trieste. 



Roma nel 174ó, alla quale edizione se ne aggiunsero molte 
altre. Queste ed altre ancora che il Tartini compose fino alla 
sua tarda età, furono poi ripublicate dì spesso in molti luoghi 
fino ai giorni nostri. Semplice è la composizione della Sonata 
Tartiniana ; non abbiamo Sonate che per un solo violino con 
accompagnamento di bassp, o per due violini con basso con- 
tinuo. Nei Concerti invece, di doppio numero delle Sonate, 
figurano fin otto e più strumenti e richiedono perciò una 
piccola Orchestra. ^*^) Tutte «jueste opere, scritte nel secolo- 
scorso, sono si belle e fresche, come fossero de' giorni nostri, 
e questo è indizio sicuro, che esse saranno imperiture, perchè 
improntate ad uno stile che può sfidare tutti i tempi ed accon- 
tentare i critici più severi. Né ci deve punto meravigliare 
se a Padova accon-evano, anche dalle più lontane contrade 
d' Europa, o delT Asia, ed artisti e maestri per apprendere 
quella rarissima maestria nel toccare le corde, sapendolo in- 
superabile nelle fioriture e nella leggerezza del polso, per cui 



'••) Ho accennato a circa cento Sonate e duecento Concerti, perchè 
a un dipresso tanti ne fece stampare il Tartini in Amsterdam, in Roma 
o anche a Parigi, ma il numero si di quelle che di questi ò di molto 
superiore. D Wasielewski (op. cit.) ci accerta che Tartini tu di una 
.stragrande e fenomenale attività, anzi, dice, se dohhiamo credere agli 
antichi e moderni scrittori, solo una parte, piccola essa pure, fu stampata 
delle opere di violino 11 Gerher parla di 200 Concerti e 200 a Solo ancor 
manoscritti, che si trovano dispersi per V Italia, senza contare quelli che 
sono a l^arigi e a Londra. Come sappiamo, Tartini poco prima di morire 
consegnò tutte le sue opere in musica al conte Turn Taxis perchè ne 
le facesse stampare, e queste, dice il Wasielewski, sì dispersero ovunque, 
sì che sarebbe un'impresa difficilissima il raccoglierle. Il Tebaldini si 
augura che presto possa compiersi uno studio di tutte le opere de! 
sommo violinista, radunandole in una sola grandiosa edizione; ciò, dice, 
riuscirebbe certamente di sommo vantaggio alla letteratura, alla storia 
e alla critica della musica. Nell'Archivio Padovano v'è una raccolta di 
Bf) Concerti in partiture autografe del Tflrtini, di carattere eminentemente 
sinfonico. Tiò che emerge in questi Conr-^rti, Alce il Tebaldini ^op. oit.\ 
è il CArattere maschio dei temi, la clRSsioìtà della forma, la severità dello 
stile, la nobiltà della condotta: della qual cosa parecchi autori succeduti 
al Tartini in ordine di tempo — anche fra i tedeschi — al certo non 
diedero prova con maggior evidenza. In alcuni il carattere dei temi è 
tutto haydiano. 



I 



97 

con facilità somma passava dal pianissimo al fortissimo e vi- 
ceversa ; sapendo di più con quale fine espressione traeva dal 
suo vialino i suoni più disparati, clie riproducono a perfezione 
la passione, la mestizia, V allegria, il cantabile, V amoro, V odio, 
la calma, il semplice ed il grandioso. E tanto egli era poi 
geloso deir espressione, interprete fedele del sentimento, che 
udendo altri a sonare, che avessero grande agilità nelle dita, 
o nel movimento dell' arco, ma nessuna espressione, diceva : 
"È bello, è difficile, ma qui (e si metteva la mano al cuore) 
non ha detto nulla „ Il Quanz, che aveva udito il Tartini a 
Praga, è l'unico che discordi da tutti gli altri circa l'espres- 
sione, per la quale appunto il nostro violinista emei'géva sugli 
altri virtuosi del suo tempo.*®*) Anch' egli loda la tecnica 
capacità del Tartini, che dice ijuperiore ad ogni altro, ma lo 
accusa di poco toccante e di gusto poco nobile, anzi in oppo- 
sizione ad un buon cantabile. Il Wasielewski,***) pur non vo- 
lendo negare al Quanz un proprio gusto dell'arte, perchè circa 
ai gusti non v' è disputa che possa valere, cita T autorità del 
Lahoussaye, che fu scolaro del Tartini, ed al quale, dice, devo 
credere più che al Quanz, se mi accerta che la perfezione, 
la finezza dei suoni, la seducente espressione e la magia, 
con cui Tartini sapeva ti-attare V -e^vco, destavano ovunque e 
ammirazione e meraviglia. Ed è una solenne baggianata 
— continua a dire Wasielewski — che il Quanz ci venga poi 
a dire, che il Tartini appena da vecchio potè perfezionai'si 
neir espressione, poiché chi non Iha un fine senso dell'arte nel 
fiore degli anni, mai più lo avrà in vita sua. E tu, mio buono 
e bravo Quanz — conclude — o non eri della tua buona voglia, 
quando udisti Tartini, o avevi delle idee preconcette e tutte 
tue proprie circa l'espressione e il sentimento dell'arte. Non 
voglio qui citare l'autorità degli artisti e virtuosi italiani di 



*•^' È questi il valoiite flautista Giovanni Gioachino Quauz, che 
venuto in Italia a perfezionarsi in Napoli alla scuola dello Scarlatti, i\x 
poi maestro e componista alla corte di Federico il Grande di Prussia 
Se ebbe fama di flautista e di maestro concertatore, non lasciò dopo di 
se alcun' opera di merito speciale. 

*'•) I. W. Wasielewski, op. cit. 



98 

quel tempo, che ad mia voce dicevano del Tartini : "non suona, 
canta sul violino» ; e mi restringerò solo, per meglio iniirmare 
r odiosa autorità del Quanz, a quanto disse quel potènte in- 
gegno che fu il D' Alembert nel suo Trattato stdla libertà della 
tntisiea, il quale, deplorando i] difetto della musica del suo 
tempo, che nuli' altro presentava che un vano rimbombo ed 
uno sterile solletico all' orecchio, eccettua soltanto il nostro 
Tartini, i di cui concenti, egli dice, poiché prendevasi per 
iscopo di pingere una qualche determinata azione o passione, 
riusci van piuttosto un sentimento e un linguaggio, che un 
suono od un' arn)onia.**') 

Nelle opere scientifiche tartiniane, poi, tutte improntate 
alla più severa filosofia, rispecchiasi quella profonda erudizione, 
che del Tartini fece uno dei primi eruditi e scienziati del suo 
tempo. Quanto egli valesse nelle matematiche e nella fisica 
fu detto; sappiamo però ancora che era buon conoscitore e 
della storia sacra e della profana, della cronologia e della 
geografia o persino della teologia. '") Non tutte le sue teorie, 
lie viene da sé, potrebbero valere a' giorni morti, dopo gli 
studi immensi fatti specialmente nelle scienze positive da un 
secolo in qua ; ciò non toglie però eh' egli non debba essere 



"•) É questi il ben noto enciclopedico Giovanni Dr. D'Alembert, 
illustre matematico e non meno insigne filosofo francese. Nei suoi Eloges 
e negli Opusailea mathfmmtiqueSj accenna anche al Tartini e ai suoi ritro- 
vati scientifìco-musicali. 

"*) Se crediamo al Wurzbach (op. cit.), Tartini compose anche 
un Trattato sui Sacramenti, in istile splendido, che fu trovato nel convento 
dei Francescani di Pisino. Porterebbe la data del 1719. Nel 1892, al leg- 
gere questa notizia del Wurzbach, m^era rivolto con lettera al guardiano 
di quel convento, che da molti anni conosceva, per sapere qualche cosa 
di più positivo. Egli mi scriveva, dopo aver fatta un'accurata disamina 
dei manoscritti, che nulla aveva trovato, neppure il più piccolo accenno 
che tale opera fosse mai esistita. V llltistrazione del Prato della Valle 
(op. cit) accenna altresì a studi di teologia, fatti dal Tartini, [non parla 
però di scritto alcuno, che, se fosse veramente esistito, il nostro Stan- 
co vi eh non avrebbe fatto a meno di citarlo. Trattandosi di teologia, 
qualche nostro degno sacerdote dovrebbe incaricarsi di sciogliere queifta 
questione, che di degni sacerdoti, e di veramente eruditi, né Trieste, né 
ri stria ha difetto. 



99 

aanoverato tra i più illustri teoretici e trattatisti del suo 
iempO; superiore certamente, ed è il Helmholtz che lo afferma, 
e al francese Bameau, o allo svizzero Le Serre, o al tedesco 
Sorge, i quali, avendo anche indipendentemente dal Tartini 
presentito il terzo suono^ non seppero applicarlo sufBcentemente 
quale regola fondamentale dell' arte. '®5) 

Ammii*atore, fin dalla gioventù, delle rime del Peti-arca, 
come fu detto, e più tardi dei nobili versi del Tasso, e delle 
dolci e facili strofette del Metastasio, mai mettevasi a com- 
porre, se prima non avesse preparata la mente con la lettura 
di un sonetto o canzone del Peti*arca, di qualche ottava del 
Tasso, o di qualche squarcio dei melodrammi del Metastasio. 
E di ciò ne fa fede TAlgarotti. **•) Il Maroncelli anzi volle 
intravedere perfino nelle sue Sonate i sonetti dello stesso 
Petrarca, e in qualche suo Concerto questo o quel melodramma 
del Metastasio, come ad esempio la ^Didone abbandonata». ^'^) 
Quello che noi sappiamo di. certo in tutto ciò, si ò che il 
nostro violinista, prima di sonare o comporre qualche pezzo, 
traeva dalla poesia quell'ispirazione geniale, senza di cui mai 
un'opera d'arte riesce perfetta. Questa abitudine- non è una 
spede di preparazione o di raccoglimento, come avveniva del 
divino Haydn, che mai metteasi a compon*e se prima non 
avesse recitato alcune avemarie. Nel Tartini poesia e musica 
vanno di pari passo, s' accompagnano ovunque, se anche sotto 
le prime battute della Sonata o del Concerto stanno solo 
pochi versi sia del Petrarca o del Met-astasio. Una sonata co- 
mincia p. e. colle parole del Petrarca ''Ombra cara„; un'altia 



'**) Hermann Helmholz, Leht-e von dén TanempfindungeHf op. eit; 
Di un'altra opera del Tartini, cioè: Giudizio sopra la disertazione del 
Lami intorno all' anima delle bestie, non trovo fatta menzione che nel 
u ostro Stancovlch, il quale ci assicura che esistesse manoscritta presso 
r abate Dr. Fanzago. Non dubito deir esistenza di quest'opera, credo 
però sarà stata cosa di poco valore e pregio, se gli altri biografi, e spe- 
cialmente il Wurzbach, non ne fa cenno. 

*••) Francesco Algarotti, Opere, Venezia, 1757. 

^") Pietro Maroncelli, Vitedeffli iHuztri italiani, e precisamente 
in quella di A. Gorelli. 



-'^551A 



100 

"Volgete il riso in piauto o mie pupille^ ; un Quartetto in Do 
tuftgg. aìVadigio in Sol reca questa quartina del Metastasio: 

Felice età delV oro 
bella innocenza antica 
quando al piacer nemica 
non ha la virtù, 'W) 

Potremo, volendo, citare ancora molti altri esempi cou- 
simiii, da cui più chiara ancora si mostrerebbe la sentenza 
del Chilesotti, là dove dice: ''Si afferma che Tartini, prima di 
mettersi a comporre, leggesse qualche poesia del Petrarca o del 
Metastasio per ispirarsi a dipingere qualche determinata azione 
o passione.;, '^^) Quest'uso del Tartini non era dunque una 
semplice preparazione, perchè la sua mente, tutta concen- 
trata nel soggetto, non divagasse, come i più asseriscono; uè 
quei versi formavano un mistico mottO; come crede il Wasie- 
lewki,'^) che servisse semplicemente a contradistinguere questa 
Sonata o quel Concerto in maniera secreta e indecifrabile. 
''Giotto — dice molto bene a questo proposito il Fanzago^*') 
— tolse da Dante le idee dell' Inferno e Miche laiigiolo ricopiò 
le stesse idee nelle tenibili tinte del Giudizio Universale; nel 
Tiziano poi osserviamo le venuste forme del Petrarca., Altret- 
tanto, credO; potersi dii'e del Tartini, se è vero, come si asse- 
vera, che le belle arti sono sorelle. E lasciando ad altri il 
compito non punto facile di voler leggere nella musica tarti- 
niana le poesie di quei due sommi poeti, potremo pur bene 
immaginarsi come facilmente un grande maestro de' suoni 
possa e vagheggiare e riprodurre le bellezze poetiche, come 
son usi a fare e i pittori e gli scultori ; tanto più poi se fra 
r uno e r altro artista ci sia simpatia di sentimento. L' Alga- 
rotti succitato cosi un giorno scriveva al Tartini. *Eila con- 
tinui ad amarmi ed a comporre di quelle sue Sonate, che per 



>••) G. Tebakliiii, op. cit. 

'^) Oscar re Chilesotti, 1 nostri maestn del passalo^ Milano, Ri- 
cordi, 1882, e G. Tebaldini, op. cit. 
'••) L W. Wasielewski, op. cit. 
*"; F. Dr. Fanzago, op. cit. 



101 

quella loro indicibil grazia e liudiira ne fanno scordar^ il 
Corelli, e sovvenire dei Capitoli del Bernio e dei Sonetti del 
Petrarca.;, *'*j Degli effetti della musica sur un soggetto par- 
ticolare e determinato valga questa osservazione dello stesso 
Tartini : "La musica ai di d' oggi altro non è più che Y arte 
di combinare dei suoni : non le resta che la sua parte mate- 
riale assolutamente spogliata dello spirito che anticamente la 
animava. Scuotendo il giogo delle regole che dirigono la sua 
azione verso un sol punto, essa non V ha rivolta che verso 
oggetti generali. Se per essa ricevo impressioni di gioia o do- 
lore, queste sono vaghe ed incerte. Ora l'effetto d« 11' arte non 
è mai completo, se non quando è particolare e determina to.„'^*) 
Cosi egK la intendeva nell'arte, ne que' pochi versi messi a 
capo ètììt sue Sonate e Concerti formano un motto fantastico 
indecifirabile, né si basano su puro miticismo, mentre invece 
vi danno l'impronta caratteristica. L' artista, letto il preludio 
di que* pochi versi, ed udita che abbia la musica, saprà ben 
anche da solo unire e poesia e musica in un tutto omogeneo, 
che abbia artistica perfezione. 

Questo aneddoto, che trovo stampato nell'opera 1 nostri 
Nùnni del Caprin, è quanto di più adatto a confermare la 
nostra asserzione. Il celebre violinista polacco Carlo Lipinski, 
aveva intrapreso un viaggio nelF alta Italia, allo scopo di 
perfeadonarsi alla scuola dei discepoli di Tartini, di cui era 
ammiratore ed entusiasta. ^^^) Di passaggio, trovavasi a Trieste 
verso la fine del 1818 ed essendo per puro caso venuto a rile- 
vare che viveva ancora l'avvocato Dr. Valentino Mazzorana, 



**'j Francet^coÀlgarotti, 0}fere. I>ivoruo, per M. Coltellini, 1766, 
Tomo VII. Lettere varie. Questa lettera porta la data di Venezia 12 feb- 
braio 1754. L* Algarotti aveva spedito già prima dei versi, foi-se, come 
reputo, perchè servir dovessero di base a qualche sonata o concerto» 
giacché al principio della lettera è detto: ^'Bisognava potare, come ella 
mMnsegna, le sovrabbondanze e le giovalità: ella che per arrivare al 
colmo deir ecc^lenza nell'arte sua ha fatto di tante prove e riprove: ratio 
nuBe est, impeftns ante fuit., 

***) TrtMaio di Mugica secando la vera seiensn déU* armonia, op. cìt, 
W. 14&. 

«•«) I. W. Wasielewski, op. cit. 



102 

eh' era stato allievo del Tartiuì, peusò di andarlo a trovare 
per conoscere più davvicino il metodo tenuto dal nostro vio- 
linista nel sonare e per sapere quali fossero stati i secreti 
dell* arte per incantare il pubblico, come quegli faceva, e 
trarlo all' entusiasmo. Il Mazzorana, vecchione di 90 anni, si 
rifiutò di sonare, adducendo che la grave sua età e il per- 
duto vigore non gli permettevano di trattare più V arco, ma 
porgendo uno pezzo di musica al Lipinski, aggiunse: lo ese- 
guisca piu-e ed io le farò le mie osservazioni. Il Lipinski aderì 
di buon grado, ma non soddisfece il Mazzorana, che con una 
franchezza in lui abituale, replicò: Ella è ben lontano dal- 
l' aver interpretato il sommo maestro. Trasse poi da un cofa- 
netto uno scartafaccio pieno di note, precedute da alcuni versi. 
L^gg^ — dissegli poscia — legga prima il testo; lo legga ad 
alta voce, due o tre volte, con accento declamatorio, ispiran- 
dosi ai concetti in esso contenuti, poi suoni. Lipinski obbedì. 
Quei versi erano caldi d'ispirazione e si senti veramente ra- 
pito. Eseguì quindi la ''Sonata del Diavolo „ con tanta anima, 
con tanta forza, che il Mazzorana scattò in piedi (]uasi rin- 
giovanito a quella fuga d' infernali armonie. 

Questo saggio ammaestramento di un artista dato ad un 
altro artista collima perfettamente col giudizio che della musica 
tartiniana diede, come abbiamo già avuto occasione di dire, quel 
robusto e dotto ingegno, che fu Gian Rinaldo Carli. Spesso 
eccita vaio nelle sue lettere il Tartini perchò scrìvesse una Storia 
della Musica. '^^) Il Carli se ne schermì dapprima, ma lette che 
ebbe le opere dell' amico, estese con profonda erudizione e 
scienza Le Osservazioni stdki Musica Antica e Moderna. ^La Musica 
Moderna — egli dice in chiusa del suo trattato — è dotta, 
ingegnosa, sublime: ma è come una figura umana, col più 

**^) Sarebbe veramente ben l'atto di rintracciare questa corrispon- 
denza epistolare dei due sommi istriani di quel tempo, e tanto più poi 
dacché, come ho detto, si avvicina il centenario anche del Carli Alcune 
lettere si trovano neir Archivio comunale di Capodistria, il quale, se non 
è tanto ricco di antichi cimeli istorici, che andarono perduti, ha però 
grande ricchezssa di opere di sommi capodistriani e di altri istriani 
ancora. Non è solo coi monumenti che si etemi la gloria dei grandi, sì 
ben anche col raccogliere ie loro opere, collo studiarle e col meditarle. 



103 

raffinato gusto abbellita ed adorna, in cui si ammira la giudi- 
ziosa industria degli ornamenti, colla varia unione dei colori, 
con la concatenazione e disposizione de' ricci, e con profusione 
di preziose gemme e di perle. Questa figura pero è una statua 
immobile e insensibile, la quale per conseguenza è incapace di 
riprodurre o svegliare in noi verun affetto, o di fare alcuna 
impressione. Il signor 6. Tartini è il solo, che, qual nuovo 
Prometeo, dee col fuoco della sapienza e della ragione animare 
questa statua e renderla degna della nostra sensibilità. Animata 
che sia, si adomi in quella guisa, che non disdica al soggetto, 
che deve essere ornato .... Tutto questo appartiene al mio 
signor Giuseppe, che a tanta perfezione nelParte unisce tanto 
studio, tanta dottrina, e tanto desiderio di stabilire i canoni 
della bellezza e della proporzione armonica. „ 

Ma questa fenomenale attività del Tartini non si restrinse 
soltanto al suono del suo prediletto istrumento. Abbiamo già 
avuto occasione di dire che il buon Padre Boemo nella soli- 
tudine d'Assisi, in una colle altre discipline musicali, aveva 
istruito queir infelice fuggiasco anche nel canto. E la voce del 
Tartini echeggiò anche più di una volta nelle vaste navate 
del Monastero d' Assisi. Da allora, non v' è dubbio, conservò 
una speciale predilezione per il canto, ed i versi, che stanno 
a capo delle Sonate o dei Concerti, ce lo dimostrano chia- 
ramente. Di Tartini giovane non abbiamo però alcuna compo- 
sizione di canto, ed è certo che quel poco che ci lasciò tutto 
lo dobbiamo agli ultimi anni di sua vita. Anche il Trattato 
delle amenità del canto deve esser stato dettato dal Tartini 
negli ultimi anni di sua vita ; un sicuro indizio lo abbiamo in 
ciò, che non lo si ha che nella sola traduzione francese. Fino 
ad oggi altra opera di canto non conoscevasi del nostro violi- 
nista che un Misererò. Dico conoscevasi, perchè cosi trovasi 
scritto nei biografi più vicini al Tartini, quali un Fanzago, un 
de Prony, un Conzatti, un Wurzbach, ed in altri ancora, che 
ricopiarono la notizia dai primi. In tutti è detto che questo 
Miserere era ad otto voci^ e che era stato cantato una sol volta 
a Roma nella Cappella Sistina dinanzi il papa Clemente XIII, 
Rezzonico, il Mercoledì Santo del 1768. Da tutto questo conclu- 
devasi che questa composizione tartìniana fosse cosa di poco 



104 

conto — e quante assurde conclusioni non sono state fatte fino 
ad oggi circa il nostro violinista — se non fu eseguito che 
una sol volta. Sapevasi anzi che il detto Miserere trovavasi a 
Parigi con altra musica del Tartini. Ad un appassionato cultore 
della musica sacra venne però fatto recentemente di poter 
trovare nella Biblioteca delP Accademia di Musica di Parigi 
questa nuova gemma del genio musicale del Tartini. '*^) La 
composizione è quanto di più bello e di più grandioso possa 
mai darsi. Ed io sono più propenso a credere a questo felice 
scopritore, intendentissimo come è di musica sacra e non meno 
valente contrappunti sta^ che non creda a tutti gli altri succitati, 
o al Tebaldini, *•') il quale, parlando recentemente nella sua 
opera anche di questa composizione, senza averla pur veduta, 
e basandosi solo sull' autorità del Fetis, ne la giudica una fattura 
scadente e di poco valore. E potevamo noi mai immaginarci 
che il Tartini si fosse messo, così ad occhi chiusi, a scrivere 
un Miserere per la Cappella Sistina, se non fosse stato persuaso 
dì non riuscir da meno dei suoi contemporanei ? Celebre si 
era allora il Miserere dello Haase Adolfo, che, composto già 
nel 1730. veniva cantato in tutte le principali Cappell*^ d'Europa: 



'**) Questo appassionato cultore è il Piranese monsignor Francesco 
Petronio, Proposito Capitolare dì Oapodistria. Di lui abbiamo già altrove 
accennato e della sua operosità nel rintracciare altre opere dei Tsvtini. 
Intendentisfiimo come egli è di mugica, di filosofia e delle scienze posi- 
tive, sarebbe di valido aiuto, qualora si addivenisse all'idea, da me più 
volte propiignata, di unire in apposita biblioteca tutte le opere sia mu- 
sicali che scìentiHrhe del Tartini. E gli stndt da lui finora fatti sulla 
musica e sulle opere del Tartini, ci darebbero sicura caparra di buona 
riuscita. 

'"j 6. Tebaldini, op. cit. — Agostino conte Forno, nell*J7ofM> 
(ti Tartini, ci assicura che il Miserere è un'opera veramente Bublkne; 
anzi, dice occupa il primo posto fra tutte le altre composizioni tarli- 
niane. Per quante cure ci mettessi non mi fu possibile vedere questo 
elogio del Porno, e se qui lo cito si è perchè cosi trovo scritto nel 
Wasielewski (op cit.), il quale, a sna volta, dice doversi creitere alla 
di lui testimonianza, essendo stato presente in Roma all'esecazione nella 
Cappella Sistina, e in quest'occasione aver anche scritto qnelFelocio. 
Questa testimonianza pertanto e la critica Kecnnte di monsignor Petronio 
varranno, io credo, a dissipare ogni dubbio. 



105 

celebre quello di Baldassare Oaluppi, scritto nel 1768 ; più 
celebre ancora queUo di Marcello Benedetto^ che ancor qg^ è 
ritenuto por un'opera sublime dell* arte e deUa musica sacra. 
Nell'Archivio della Veneranda Arca conservasi altresì del 
Tartini una Salve Regina a quattro voci ripima, che, come ci 
attesta il Tebaldini, ^»«) è notata quale Ultima compoftiaio^u del 
Celeb. Maes. Giuseppe TartinL Lo stile è omofono, dice il Tebaldini, 
e il pezzo non è gran cosa. Più importanti, ^i dice, sojcio le 
Canzoncine $acì*e^ concepite con idealità marcelliana. 

Come de' grandi artisti, così fu ugualmente del Tartini, 
eh' egli; cioè, considerasse V arte quale cosa sacra, o come il 
massimo tìtolo di nobiltà, a cui l'uomo possa mai i^oguape; 
ne avvenne pertanto ch'egli si conquistò nei fasti della storia 
e nella memoria degli uomini un posto rispettato e glorioso. **•) 
Ma non fu solo la storia che registrò a caratteri d'oro il di 
lui nome; anche la poesia destinata a tramandare ai posteri 
più chiaro il nome e le gesta de' grandi, illustrò degnamente 
l'arte sublime del nostro violinista; a cui si aggiunse ,la no- 
vella e il dramma, che di lui fecero un eroe leiggendario del 
medio evo. Angelo Mazza, contemporaneo di Tartini, dedicò 
ai nostro violinista quel celebre sonetto "Suiruno e trino ar- 
monico„, volendo, come dicemmo, inneggiare in tal guisa al 
terzo suono Ma era riservato ad un altro figlio di Pirano, ad 
un altro celebre nostro comprovinciale, cantar de^gnamente di 
Tartini. Si è questi Giovanni Taglìapietra, morto, non son 
molti anni passati, qui a Trieste, dove professò per lungo tempo 
l'arte medica. La sua Cantica in t^rza rima, di stile, forma e 
colorito dantesco e petrarchesco, è una delle più robuste ed 



^ G. Tebaldini, op. cH. Il inanoscrìtto di questa composieione 
porta la data del 6 marzo 17.7B; è una copia dunque dell'originale, giacché 
Tartini riposava allora già da tre anni nel suo sepolcro. 

'*•) Degne di esser qui citate mi paiono le parole che il grande Hum- 
hold scriveva un giorno ad un amico entusiasta dell* arte e della scienza 
italiana: ''Quale e quanta potenza creatrice nel popolo italiano! Pante 
e liichelangélo, e le prime istorie, e le prime idee politiche di libertà; 
qui troviamo le basi di ogni ramo delle scienze naturali: Anatomia, 
Botanica, Fisica; di tutte le arti: Pittura, Scultura e Musica, Nessun 
popolo d'Europa può vantar tanta gloria di creatrice inventiva.,,. 



106 

ispirate poesie, che le lettere italiane abbiano nella seconda 
metà del presente secolo, il quale, fra tanta colluvie di poeti, 
quasi tutti ispirantisi alla materia, ben pochi ne ha che colla 
forma, o esotica o seducente, sappiano innalzarsi alla vera 
arte poetica, alP arte geniale 

Perfino il violino di Tartini, e quello specialmente su cui 
sonò il -Trillo del Diavolo,,, ha la sua leggenda. Vediamo, 
se mai è possibile, di rimuovere anche qui ogni dubbio. Se 
crediamo al Wurzbach, *•*) non è nulla di certo in quali mani 
fosse venuto questo famoso strumento dopo la morte del Tartini. 
Il famoso raccoglitore, o incettatore di oggetti artistici, il ricco 
Russo Insupoff, attesta — sempre a detta del "Wurzbach — 
che questo violino si trovasse in possesso di un certo Al. Poas 
di Milano, gran dilettante ed incettatore egli pure di oggetti 
d' arte, il quale, a sua volta, lo aveva comperato in Regoledo 
da un filatore di seta. C'è poi un'altra versione, la quale ci 
racconta che il famoso violino fosse passato in eredita ad un 
parente del nostro violinista abitante in Muggia. E detto di 
più ancora, che cioè un ricco Inglese — il ricco Russo o In- 
glese devono sempre entrare in tali questioni — il quale ad 
ogni costo voleva possedere quello strumento, fosse venuto a 
Trieste, e perchè glielo cedesse, avesse fatt-o al proprietario 
delle splendide oflTerte. Ma questi non voleva privarsi di si cara 
e preziosa memoria delF illustre suo parente. L' Inglese, dispe- 
rando di riuscire altrimenti nel suo intento, stando sempre alla 
leggenda, si sarebbe recato a Muggia, e introdottosi clande- 
stinamente in casa del fortunato possessore, glielo avrebbe 
portato vìa, lasciando nella fodera che lo copriva, una consi- 
derevole somma di denaro. Quale delle due leggende sia la 
vera non è detto, e forse non lo sapremo giammai, se un qualche 
documento non ci conferrai la verità o dell'una o dell'altra 
versione; tanto più poi dacché la firma di un Amati, di un 
Stradivario o di un Guamerio nulla ancora comproverebbe, 
non avendo questi fabbricatori d'istmmenti fatto il solo violino 
del Tartini. D'altra parte tanto Tuna che l' altra leggenda po- 
trebbe avere qualche probabilità di vero, perchè Tartini non 



'•) Dr. C. Wurzbach. op. cit 



107 

avrà avuto un solo violino, se, come già altrove osservammo, 
portava sempre seco due archetti per le diverse sue Sonate. 

Ma lasciando da parte la leggenda, quello che sappiamo 
di certo si è, che il vero violino del Tartini trovasi a Pirano, 
di assoluta proprietà di quel Municipio, a cui fu donato nel 
1888 dalla famiglia del benemerito professore Petronio di Pirano, 
morto in Udine molti anni or sono. Ognuno dunque potrebbe 
vederlo, pur che si rechi a Pirano, e col violino potrà anche 
vedere i documenti che ne attestano la vera autenticità. 

Su quale poi di questi tre violini il nostro Tartini abbia 
sonato il " Trillo del Diavolo „ ? © il diavolo soltanto che ce lo 
potrà dii'e, se ci sarà mai artista si geniale, che saprà evo- 
carcelo dair inferno e lo farà sonare, come egli, novello Orfeo, 
seppe evocarlo con l'arte sua maga. 



Nell'anno 1892, in cui ricorreva il secondo centenario 
della nascita del nostro violinista, fu Pirano la prima a com- 
memorare questo illusti*e suo figlio, riservandosi di innalzargli 
un monumento subito che i mezzi glielo permettessero. A 
questo nobile scopo si volsero anche gli animi degli altri nostii 
comprovinciali, non ultima Trieste, che con il consiglio e con 
r opera assecondò si generosa iniziativa. In oggi il fatto è ormai 
compiuto. Ognuno può ammirare li, nel mezzo della maggior 
piazza di Pirano, il monumento, opera egregia di valente artista 
veneziano. Lo stile è severo e quale veramente s'addiceva a 
tanto uomo. L'occhio vivace e i lineamenti maestosi ci rive- 
lano l'artista, mentre la fronte alta e pensosa ci manifestano 
il filosofo, lo scienziato e il vero Mcteetro delle Mozioni, Sia esso 
il faro luminoso, a cui debbano convergere gli occhi nostri 
nelle diuturne, aspre e difficili lotte della vita! 

Mi sia permesso chiudere questo mio studio con questi 
pochi versi del Tagliapietra, che qui benissimo s'adattano alla 
circostanza e meglio scolpiscono il nostro grande artista: 

Dal mistero dell* arte il velo è tolto 

A lui dinanzi, e chiara, ecco/ risplende 
V eterea fiamma del suo nohil volto. 



1U8 



E, come pia del saero eèiro s accende^ 
U aninM aitoUe a 9Ì subiime altezza 
Che del Crealo U armonie comprende; 

E, innamorato d'eternai bellezzoy 
Del sommo bene disiando al polo, 
Tutte cose caduche alto disprezza. 

Dal tetracordo allor sveglia uno stuolo 
D'eterei canti e d'armonie celesUy 
Cm le corde temprar puote egli solo; 

Né più sente i morteci odii funesti. 



\ 



r/i?'^j<i7V}?tn7Vì?iJìS'iyiyt?i?i7i3'i}Vì3<^^ 



NOTIZIE STORICHE 

INTORNO ALL'ORDINE DEI FRATI MINORI CONVENTUALI 

iu Santa Maria del Soecorso e nella Cella Vecchia di Trieste 
e in Santa Maria di Grìgnano 

del canonico prof. PIETRO doti. TOMiSIN 

CAPITOLO I. 

L' ordine Francescano — S. Francesco d* Assisi e St. Antonio Taumaturgo 
di Padova — Il convento dei frati Minori Conventuali in Trieste sino 
air anno 1505 — La Provincia religiosa dei frati Minori Conventuali 

della Dalmazia. 

Correvano tempi infelicissuni per la chiesa cattolica 
in sul principiar del secolo decimoterzo. Valdesi ed Albigesi 
infestavano colle loro perverse dottrine e col loro procedere 
vandalico in si fatta guisa clero e fedeli, da esser quasi neces- 
saria una schiera, che dai sacri pergami e dalle cattedre non 
solo insegnasse la vera dottrina e la sana filosofìa, ma inoltre 
nulla possedendo di proprio, conforme al vaticinio dell' apostolo 
Paolo, potesse conseguire tutto, coli' amplificar la chiesa e col 
moltiplicar sé stessa in quattro ordini religiosi cosi vasti e 
tanto numerosi, da costituire ciascheduno di essi una propria 
religiosa famiglia. 

Un ordine tale dovrà peraltro aver sempre scritte a carat- 
teri aurei e luminosi le proprie gesta nelle storie di ogni età 
e il tempo non oserà mai coprirlo col manto di oblivione, 
sebbene oggigiorno l'invidia e la maldicenza lo dichiarino 
inutile in mezzo all'umano progresso. 

Codesto ordine è il Francescano, cosi chiamato dal suo 
fondatore, il glorioso patriarca de' poveri, il serafico santo 
Francesco d'Assisi. 



110 

Giovauai Moriconi, *) figlio di ricco negoziante di seterie, 
nato nella città di Assisi nel 1182 e chiamato Francesco dalla 
facilità del parlare la lingua francese, rinunzia giovinetto alle 
paterne sostanze, indossa ruvida veste di contadino, che volle 
per sempre conservata da' suoi seguaci, ed aiutato dai concit- 
tadini Bernardo da Quintavalle e Pietro da Catania, fonda 
un ordine religioso, che confermato da papa Gregorio IX già 
nel 121U contava cinque mila frati. Intento alla riforma della 
vita cristiana, indefesso pel bene della chiesa e pella salute delle 
anime, uomo di rara umiltà ^) e di vita santa ed illibata^ moriva 
Francesco nella sua città natale sabbato, addi i ottobre 1226, 
alzato agli onori degli altari tre anni dopo il suo transito glo- 
rioso — addi 15 luglio 1229 — da papa Gregorio IX, il quale 
venuto espressamente per questa circostanza in Assisi, volle iu 
persona predicare al popolo le lodi del Santo nella chiesa di 
S. Giorgio. 

Francesco abbracciava peraltro colla sua immensa carità 
non solo F Italia, ma il mondo tutto. Per ogni dove inviava 
i suoi figli spirituali a bandire Pevaugelio di Cristo ed egli 
stesso li precedeva nelle apostoliche fatiche col proprio 
esempio. In persona egli visita col compagno frate Fiore la 
Dalmazia e poi vi spedisce nel 1221 a continuare quanto aveva 
principiato, il beato frate Adamo.') Quand'ecco che fra i suoi 
seguaci uno ne sorge che godrà per santità di costumi e per 
scienza ammirabile fama imperitura nel mondo cristiano: il 
santo Taumaturgo di Padova, quel glorioso campione della 
fede di Cristo, del quale trasportandosi nel 1263 dall' antica 
chiesa della B. V. di Padova *) nell' odierna sontuosa basilica 



') A. W a d d i 11 g II s, Annales f rat rum minor umy Lyon 1636 ; D o m i- 
nicus de Gubernatis, Orhis seraphkuSy Romae 1682; I fioretti di S^n 
Franceaco. 

•) Vedi; Ioannes de la Haye, Sancii Francisci opera, Pede- 
ponti 1739; Rime di diversi antichi autori toscani, Venezia 1731. 

^) Schematismus ff. minorum S. P, Francisci conventualium alm<te prò- 
vinciae divi Antonii Patavini, Flumine 1892, pag. 16 seg. 

*) Eretta a spese di Giovanni Belludi, banchiere di Padova, e con- 
sacrata da Giacomo; settantesimosesto vescovo di questa città, vedi: La 
basilica di Sanf Antonio di Padova, Padova 1876, pag. 4. 



Ili 

le sue ceneri, volutasi la revisione delle sante spoglie, riscon- 
trossi la lingua del Taumaturgo eguale a quella d'uomo vivente. 
Per il qual prodigioso evento il santo dottore Bonaventura, 
cardinale e ministro generale dell'ordine Francescano, disse 
tutto di Antonio, prorompendo in questi accenti: Unifuaj 
([Une Dominum semper benedixisU et alios benedicere fecisti^ nunc 
fntmijeite apparet^ quanti meriti exlitisti npud Deum. ^) 

Antonio di Padova, ^) o meglio Ferdinando Boglioni, nato 
a Lisbona nel 1195, morto a Padova addi 13 giugno 1231 e 
canonizzato nell'anno susseguente da papa Gregorio IX, dap- 
prima canonico regolare di Sant' Agostino in patria, poi in 
Assisi membro dell' ordine Francescano, viveva per alcun tempo 
ignoto e trascurato nel piccolo convento di Bologna. Senonchè 
invitato da un superiore dell' ordine ad arringare in materia di 
spirito in faccia al religioso congresso di Forlì, egli vi parla 
con tanta scienza ed unzione, che pervenuta la fama a san 
Francesco, lo elegge maestro dell' ordine tutto, intimandogli 
di insegnare pubblicamente le filosotìche e teologiche discipline 
a Bologna, Tolosa, Montpellier e Padova, nella quale città 
r anno 1227 viene eletto ministro provinciale dell' Emilia. ^) 

Antonio peraltro rinunzia a questa carica ben presto, dan- 
dosi, sebben giovane, tutt' uomo alla predicazione. Ed era anche 
atto a tale impresa, perchè ad un cuore capace di tanti disegni 
quanti mente elevata ne sa ideare e ad un animo che sempre 
sdegnava il riposo, egli accoppiava una grandezza di dire facile 
e popolare, la quale con un sommo rispetto ' inspirava a un 
tempo negli uditori confidenza pari ed amore. Il predicare cal- 
colato da Antonio come sua missione gloriosa, lo tiene di con- 
tinuo in viaggio. Epperò or egli va, or viene ; or torna d'una 
in altra città, d' uno in altro lido. E dall' Amone ei passa 
air Arno, dall' Arno al Tevere, dal Tevere al Sebeto e poi si 
rimette al Po ; dal Po al TicinO; indi si sofferma al Tagliamento, 
e dal Tagliamento passa al Timavo, all' Isonzo, visita il Friuli 



') La basilica di Sant'Antonio, pag. 4. 

*) H. I. Wetzer, B. Welte, Kirchen-Lexikmi, Freiburg 1847, voi. I, 
pag. 308 seg. 

*) Schematiemus etc., pag. 1. 



112 

e r Istria tutta. *) E in questa nostra provincia consorella, dopo 
aver aperto i conventi in Udine 2) ed in Qorizia, ') egli fonda 
i monasteri di Pola, *) Parenzo, Dignano, Visinada, Valle, *) 
Muggia,*) Isola, ^) Pirano®) e Capodistria,») e arrivato a Trieste, 
è accolto con plauso dai nostri padri. ^^) 

L' epoca precisa del soggiorno del Taumaturgo nella nostra 
città non può precisarsi. Sembra però di certo che avvenisse 
neir anno 1229, in cui, a detta del padre Martino Bauzer, egli 
venuto a Gorizia; dove fondava la cappella di S.ta Catterina, 
si diresse poi verso Trieste. **) 

Un tanto affeima anche lo storico nostro don Vincenzo 
Scussa, il quale racconta che sia credibile in quesf^anno (1229) 
fosse capitato a Trieste sanV Antonio di Padova, ed abbia fondato 
il convento de' Minoriti, /fiori delle mura e porta di Cavana^ con 
abitare alquanto tempo in quella casetta oggidì ridotta a fenile. ^^) 



') Schematitmuè eie, pag. 16. 

') Gì o. Francesco degli Olivi, Hìstorie ddla propincia del Frinii^ 
Udine 16G0, voi. I, pag. 216, 366. 

') Carlo Morelli di Schòufeld, Istoria della contea di Gorizia, 
Gorizia 1855, voi. I, pag. 269 seg. 

*) Notizie storiche di PotOf Parenzo 1876, pag. 185 seg.; Componimenti 
di prosa e poesia retativi a Dante AUighieri e in onore d' esso pubblicati dalla 
Società di Minerva in Trieste, Trieste 1866, pag. 12 seg. 

^) Poesie e prose di Michde Facchinetti istriano, Capodistria 1^5, 
pag. 37 seg.; P. Anton-Maria da Vicenza, Il Castello di Valle nel- 
V Istria e U B. Giuliano Cesardlo dell' ordine dei Minori, Venezia 1871. 

") Dr. Pietro Kandler, Materiali per Muggia vecchia e nuoca, 
ms., 1866. 

^) Paolo Naldinì, Corografia ecclesiastica della città e della diocesi 
di Capodistria, Venezia 1700, pag. 352 seg. 

•) P. Naldini, Op. e, pag. 297 seg. 

«) P. Naldini, Op. e, pag. 186 seg. 

") Antonio Cratey, Perigrafià di Trieste, Trieste 1808, pag. 15 
seg.; Girolamo co. Agapito, Compiuta e distesa descrisione di Trie^e, 
Vienna 1824, pag. 1626 seg. ; GiovanninaBandelli, Notisie storile 
di Trieste, Trieste 1861, pag. 238 seg. 

") I. W. Val v asso r, Die Ehre des HertMogthums Krain. Laybach 
1689. voi U. pag. 498 seg. 

^') Francesco Camere ni, Storia cronografica di Trieste del eano- 
nico don Vinceneo Scussa, Trieste 1868, pag. 69. 



113 

E fra Ireneo della Croce conferma la verità di quest' asser- 
zione, scrivendo: quantunque non s^ atirovi ai giorni nostri ferma 
certeBza di tempo ed anno della fondazione del convento di San 
Francesco fuori della porta di Cavana della nostra città di Trieste, 
attribuita aila deplorabile perdita delle sue scritture: appoggiati 
però all'immemorabile tradizione dei nostri antenati^ conservata 
sempre sino a questi tempi nella città ; non è dtibbio che andando 
sanV Antonio di Padova per ordine del serafico padre san Francesco a 
predicare la divina parola in varie città d^ Italia^ come riferiscono 
le cronache dei frati Minori^ anco la nostra città di Trieste go- 
desse qtialche volta la cara vista e predicazione di sì gran Santo, 
ove qual altro Elia con la face dd suo celeste ardore infiammasse 
gli umani cuori dei nostri cittadini al divino amore ed impetrasse 
da loro la fondazione délV accennato convento circa V anno 1229. 
Mentre Gorizia e Muggia ') gloriansi essere state le chiese e. 
conventi loro principiate dal medesimo Santo, conservandosi oggidì 
una cappella in Gorizia situata nella metà dd claustro ove dicono 
alloggiasse sant^ Antonio ; ed in Trieste pure ritrovasi una casetta 
fuori del convento e chiesa di San Francesco, ora ridotta in fenil**, 
in cui qualche tempo, dicono, abitasse lo stesso Santo V 

Occupava in quel tempo la sedia episcopale tergestina 
Corrado Boiani della Pertica, nobile cividalese, prelato sotto 
ogni aspetto degnissimo, ') già dal 1206 canonico della patria 
collegiata, prebenda che ritenne anche dopo 1' anno 1214, in 
cui successe al vescovo Vuebaldo o Giobardo. Coniò egli mo- 
neta; *) accrebbe di un decimoterzo il numero dei nostri 



•) Ij Austriade di Rocco Boniif carmi di Rafael e Zovenzoni, 
Trieste 1862, pag. XXXVUI. 

*) Fra Ireneo della Croce, htona della città di Trieste, Trieste 
1878, voi. Ili, pag. 77 seg. 

') F. Cameroni, Op. e, pag. 67 seg.; Fra Ireneo della Croce, 
Op, e, voi. Iir, pag. 54 seg.; Giuseppe Mainati, Croniche di Trieste, 
Venezia 1817, voi. I, pag. 158 seg. ; Pel fausto ingresso di ntons, Dr, Bar- 
tolomeo Legai itella sua chiesa di Trieste, Trieste 1847. 

*) Orniteo Lusanio. Sopra le monete de^ vescovi di Trieste, Trieste 
1787, pag. 82 seg.; Carlo d'Ottavio Fontana, Illustrazione d'una serie 
di monete de^ vescovi di Trieste {néiV Archeografo THestino, Trieste 1831, 
voi. Ili, pag. 311 seg., 319 seg.); F. Cameroni, Op. e, pag. 214 seg. — 
Due monete di questo vescovo conserva il nostro civico Museo d'antichità. 



114 

canonici ; intervenne nel 1216 al sinodo ecumenico lateranense, 
al concilio provinciale di Aquileia e ai 8 aprile 1216 alla pace 
di Treviso; morto a Trieste addi 11 novembre 1230 in odore 
di santità tale, che ai suoi funerali volle intervenire in persona 
lo stesso patriarca Bertoldo di Aquileia. 

Il vescovo Corrado, vedendo affluire generose le oblazioni 
del popolo e dei nostri patrizi, permise di buon grado al santo 
Taumaturgo di edificare fuori delle mura della città una pic- 
cola chiesa con annesso ospizio, tanto più avendo già papa 
Gregorio IX con bolla speciale in data, Penigia 9 luglio 1 228, 
diretta ai vescovi^ abbati e capitoli dell' Istrìa, Dalmazia e Sla- 
vonia, enumerato i meriti insigni di san Francesco d* Assisi e 
deir ordine Francescano, decretando pel primo il giorno 4 ot- 
tobre come festivo nella chiesa cattolica. 

La bolla suddett-a ordinava : ^) 

Oregorius episcopus serviis aervorum Dei VcfìerabUibu^ 
fratribus archiepiscopis et episcopis^ et diUctis Jiliis abbafibus, 
prioribìiSy dccanis^ avchidiacjnis et aìiis ecdesiarum praelatis per 
Jstriam, Dalmatiam et Sclavoniam constilufis, salutem et aposto- 
licam benedictfonem, 

Sicut fialae aureae, qiias vidit Joannes pìenas odoramene 
torunty quae sunt orationes $anctof*um in conspectu Altisiiimi ad 
abolendam nostrorum- crini inum corruptelam^ odorem sirnvitati^^ 
emittunt, ita saluti nostrae crcdimus plurimum expedire, si eorum 
in terris celehrefn hahcreniiis weìnoriam^ ipsorum merita solemnibus 
recolendo praeconiia^ quorum in coelifi speramus intercessi ofiibus 
assiduis adiuvari Sane^ cum de conversai ione, vita et meritis 
beati Fmndsci institutoris et rectoris fratrum minornm^ qui iuxta 
consilium Salmtoris^ contemptis transitoriis et terrenis, secundum 
promissionem eiusdcm, ad coelesfiapraemia feliciter et aeterna per- 
venite cui vita et fama praeclara, peccatorum pulsa caligine, a»»- 
buhntes in regiomm umbrae mortis de vicorum tentbris ad 
poenitentiae vitam vorans, quorum tam virorum quam mulierum 
ad fidem erclesiae róborandam et confutandam haereticam pravi- 
tateniy vivit adhuc et viget non modica multitudo : tnm per nos quam 



*) P. Donato Fabianioli, Storia dei frati Minori in Dalmazia t 
Bossi na, Zara 1863, voi. I, pag. 407 seg. 



115 

per mtdtos alias fide dignoSj qui miraetila^ quae Deus per illius 
sancii viri merita operantur^ plenius cognoverunt, certiores effecti: 
auditis etiatn virtutibus et miraculorum insigniis, et quod inter 
camales spiritualiter et inter homines edam conversaNovem unge- 
ficam habuisset ipsum, qui corporaliier dissohitur, cum Christo 
esse mernit in coelestibus, ne ipsius honori debito et glorine de- 
trnhere. quodammodo videremuTj si glorificatum a Dofnino permit- 
teremus ttlterius humana devotione privarti de fratrum nostrorum 
Consilio et praelatorum omnium^ qui fune temporis apud sedem apo- 
stolieam consistebant, Sanctortim catàlogo duximus adscribendum. 

Cum igitur eius lucerna sic arserit hactenus in mundo^ quod 
per Dei gratiam iam non sub modio, sed supra candelnbrum 
meruerit cdlocari, universitatem vestram rogamus^ monemus atten- 
tius et horUimur, per apostolica vobis scripta mandantes, quotiens 
devotionem fidelium ad venerationem ipsius salubriter eoccitanteSy 
festivitatem eiusdem quarto nonis octobris annis singulis exeolatis 
ef pronuncietis constituto die specialiter excoìendam^ ut ^u^ pre» 
ciìms Dominus exorafus^ suam nóbis gratiam trittuat in praesenti 
ef gloìiam in futuro. 

Datum Perusii VII idus iuliij imntifieatus nostri anno secando. 

La famiglia religiosa di Trieste doveva esser in principio 
molto piccola; non abitava formale convento, ma, come ab- 
biamo già detto, un semplice ospizio o romitorio, il che e 
abbastanza indicato dal titolo locum-luogo, dato alla casa an« 
nessa alla chiesa, il qnal titolo negli antichi tempi dall'ordine 
Francescano si soleva dare, come osserva il Wadingo, a quei 
conventini, dove non abitavano più che uno o due religiosi. ') 
E appunto per questo motivo il vescovo tergestino Givardo I, 
consacrando nel 1234 la chiesa, siccome voleva conservare 
i privilegi del nostro capitolo cattedrale, unico parroco allora di 
tutta la diocesi tergestina, la dichiarava sottoposta alla sua giu- 
risdizionO; ponendovi sulla porta d'ingresso il proprio stemma 
gentilizio. 

Intanto a cura speciale dei nostri patrizi il convento ve- 
niva ultimato e il numero dei frati andava sempre crescendo. 
Spettava a loro quindi di decidere a qual ramo deir ordine 



•) Op. r, voi. IX. pag ItìO. 



116 

Francescano volessero appartenere. Aveva cioè il serafico Pa- 
triarca san Francesco dettato pei suoi seguaci regola austera 
di penitenza e di tanta povertà, che ancor vivente, credeva 
pel bene deir ordine necessaria a riformarsi frate Elia, primo 
ministro generale dell' ordine Francescano. Non andò subito in 
effetto, morto però il santo fondatore, i frati si divisero in due 
congregazioni. Quelli che adottarono la regola primitiva, si 
dissero Minori osservanti, in Italia Zoccolanti, cosi chiamati dai 
sandali che usavano calzare ; i frati che non s' adattavano alla 
questua e desideravano pei loro conventi beni stabili, furono 
chiamati Minori conventuali o Minoriti. Nacquero perciò liti e 
controversie, sopite appena nel 1247 sotto papa Innocenzo IV, 
il quale approvando la divisione dell' ordine in due rami, voleva 
i Minoriti soggetti al ministro dei frati Osservanti. ') 

Il nostro convento, protetto dalle famiglie patrizie triestine, 
si ascrisse alla regola de' Minoriti; ebbe però da bel principio 
a sostenere una lotta fortissima. I prelati della Slavonia e 
della Dalmazia, i vescovi Ulrico de Portis e Vamerio de Cuc- 
cagna di Trieste, Giovanni ITI di Parenzo, Guglielmo di Pola, 
Stefano de Dominis di Arbe pretendavano la giurisdizione sui 
conventi francescani, riguardando i frati come religiosi soggetti 
al loro potere e pretendendo di dettar ordini pella liturgia 
nelle loro chiese. I nostri Minoriti del pari agli altri dell'Istria, 
già incorporati alla provincia religiosa dalmatina di S. Giro- 
lamo, si rivolsero al ministro provinciale fra Pellegrino da 
Trieste, il quale chiesti i buoni uffici del ministro generale 
deir ordine, ottenne da papa Alessandro IV in data, Anagni 17 
e 29 luglio 1256, due boUe^ che ponevano fine ad ogni lite e 
liberavano i frati nostri Minoriti dall' ingerenza episcopale. Cre- 
diamo opportuno di trascriverle per intiero. *) 



Alexander episcopus servus scrvorum Dei. Venerabilibus 
fratribus, universis archiepiscopis et episcopis, oc dilectis filiis ab- 
batibus, prioribus^ dccanis, archidiaconis^ rectoribus et caeieris 



») Wetzer e Welte, Op. r, voi. II, pag. 866. 

*) P. Donato Fabianìch, Op. evo). I, pag. 411 seg. 



11? 

ecdesiarum praelatis per Dalmatiam, Istriam et Sclavoniam con- 
stitutiSy salutem et apostolicam benedictionem. 

Nimis iniqua vicissiiudine largiforis honorum omnium respon- 
dentea^ dum hi, qui de Christi patrimonio inpinguati, luxuriant 
damnabiliter in eodem^ Christum patenter in famulis suis persegui 
non verentur^ ac si factus sii impotens Dominus uUionum, Cum 
enim dilecti filii fratres minores^ abnegantes saluhriter semetipsos, 
elegerint in altissima paupertate Christo pauperi ad placitum famu- 
ìari^ tanquam nihil habentes et omnia possidentes, non desunt pie- 
rique tam ecdesiarum praelati quam cdii^ qui vera cupidine ttaducti 
propriae aviditatis, subtrahi reputantes quidquid praedictis fratribus 
fideliwn pietas elargitur, quietem ipsorum multiplìciter inquietante 
molesttarum occasiones exquirentes varias contra ipsos. Volunt 
namque, eisi non omnes, ipsis invitis, eorum covfessiones audire^ 
ac eis iniungere poenitentiam et eucharistiam exhibere, nec volunt, 
ut corpus Christi in eorum oratoriis nsservetur, et fratres ipsorum 
defuf^tos apud suas eccìesias sepellirì compellunt et illorum exc- 
quias celebrari, et si quis decedenlium fratrum alibi quam in ecclesiìs 
suis elegerit SfpuUuramy funus primo ad eccìesias suas deferri 
coguntj ut oblatio suis usibus cedat, nec sustinentes eos habere 
campanam vel caemeterium benedictum^ certis tantum temporibus per- 
miitunt ipsos celebrare divina. Volunt ctiam in domibus eorundem 
certum numerum frairum, sacerdotum, clericorum et laicorum, nec 
non cereorum, lampadarum et ornamentorum prò sua voluntate 
laccare ac residuum cereorum quando noviter apponuntur, exigunt 
ab eis ; nec permitlunt, ut novi sacerdotes eorum alibi quam in 
ecdesiis suis celtbrent primas missas, eos nihilominus compéllenieSy 
ut in quotidianis missis, quas in suis locis et altaribus celebrante 
oblationes ad opus eorum rccipiant et reservent. Quidquid etiam 
eis, dum ceìebrant missarum solemnia intra domorum suarum 
ambitum, pia fiddium devotione donatur, ah ipsis extorquere obla- 
fionis partem coniendentes, quod eisdem etiam in ornamentis altaris, 
quam in libris ecclesiasticis absolute coiìfertur, vindicant perperam 
turi suOt cogendo eos ad synodos suas accedere ac suis constitu- 
tionibus subiacere. Nec his contenti^ capitula et scrutinia in locis 
ipsomm fratrum prò his corrigendis faciuros se commifuinturf 
fidelitatem iuramento firmatam ab eorum ministrisi cuslodibus 
et guardianis niJiolominus exigentes. Eis quoque, ut tam extra 



118 

civitatem qaatn intra cum eis processionaliter veniant ex levi eausa 
mandantesyexnmmunicationissententiam fulminant in benefadares 
earum^ et idipsum fratribus comminantes, eos de locis^ in quibus 
Domino famulanturj saiagunt amovere^ nisi eis óbediant in omnibus 
supra diciis. Ad haec, ne fratres ad honorabiles civitates et viUas, 
ubi religiose oc honeate valeant commorari a populis devote vo- 
caii, accedere audeant inhibentes^ tam in avcedentea fratres quam 
in receptatores corum prc^sumunt ex communicationis senteniiam 
promulgare. Ab eis edam de hortorum fructibus decimas^ nee non 
de habitaculis frah'um sicut de iudaeorum domibus contenduni 
reddiius exlarquere, asserendo^ quod nisi fratres morarentur ibidem, 
eis ab aliis habitatoribus proventus aliqui solverentur. Et ut ipsos 
suae subdant totaliter ditioni^ eisdem ministros^ eustodes et guar- 
dianos rdunt pracficere prò suae arbitrio voluntatis^a quibus omnibus 
fratrum molestiis quidam ex vohis non omnino abstinere dicuntur, 
Cum igitur ardo fratrum minorum a bonae memoriae Honorio, 
Gregorioet Innocentio, romanis pontificlbus praedecessoribus nostriSy 
et ncbis ipsis, dignis eorum exigentibus meritis apprcbatus^ ne apo- 
stolicae sedis statuia contemnere videamini^ quae humUiier suscipere 
ac servare tenemini reverenter : universitakm vestram manemus 
attente^ per apostolica vobis scripta firmiter praecipiendo man- 
danteSy quatenus cum scientiae ac famae vestrae saiubriter consu- 
lenies, universi et singuli a praenotatis praedictorum fratrum 
gravaminibus penitus desistatis^ subditos vestros ab his arctius 
compescendo. Nos enim^ cum huiusmodi dictorum fratrum, quos 
suae religionis ohtentu inter alios religìosos arctius amplexamur in 
visceribus caritatis, gravamina tollerare noltimus sicut etiam nee 
debemtis, omnes interdica^ suspensionis et excommunicationis seti- 
tentias, si quas a vobis vel vestrum aliqui^ praetnissorum occasione 
in eosdem fratres vel ipsorum aliquem, seu ecclesias et oratoria^ 
vel benefactores eorum promulgari conttgerit^ irritns decemimus 
et inanes, 

Datum Anamae IV kaìnìdas aui/usti, poìitificatus noitri anno s^*U0iio. 

IL 

Alexander episcopus servus servomm Dei venerabilibfis fra- 
tribus archiepiscopi s et episcopis, ac dilcctisfiliis abbatibus, priorihus, 
decani ft, archidiaconis, praepositis^ archipresbifteris, rpctoribìis ei 



119 

aliis ecclesiarwn praélatis per Dalmatiam et Sclavoniam constiiutiSj 
salutcm et apostolicam henedicHonem, 

De pia et sancia conversaiione ddectoriim filiorum de ordine 
frairum minorum^ qui sunt in vestrìsparfibus constituti^frequenfer 
evenire percepimus^ quod quando aliqui fideìes partium eorundem 
sarculum relinquenteSj bona sua piis ìocis et pauperibus deputant 
aliqua de bonis ipsis praedictis fnitrihus prò aedificiiSj libris et 
vesiihus ac aliis corum necessitaiibus largiuntur, nonnulli vero 
aliqua bona ad se specfantia fratribus eisdeni prò similibus rebus 
et nccessitatibus divinae retributionis ininitu in ultinM volunt^te 
relinquunt : conantibus vohis aliqnando ìuediam, quandoque tertiam 
sen qnartam partem de bonis ipsis^ prartextu portionis canonicae 
ab eisdeni fratribus extorquere in grave ipsornm prae'ìudicmm et 
scandalum Jidelium praedictorum. 

Nos iiaque misrricorditer aitcndentvs, quod non soluni inde- 
cens et indigìmm^ imo sit peniius ab omni humanitate remotum^ 
aliquid de praemissis ab risdem fratribus erigi, qui sub extrema 
pauppriafe virentes^ de praclatoriim et ccclcsiarum eleemosinis debe- 
rent penitus snstentari : universìtatcm vestram per Dei misericor- 
diam obsccramus et iìi remissionem vobis iniungimus peccaforum^ 
ac per apostolica scripta districte prarcipiendo mandamns, quatenus 
circa personas dictorum frutrnm affcctum benevolum prò divina et 
nostra rnverentia dirigcntes^ nihil ab eis de bonis huiusmdi ulterius 
exigatis, sed onera pnuperpatis eorum de bonorum vestrorum sub- 
sidiis potius rcletwtiSj ita, quod exinde n2nid nos (jratiosi favoris 
nugmentum vobis pror^cniat et nulla super hoc ronctionis nrcessit^s 
intercedat. 

Datum Anania f XVI halotdas augusti^ pontijìcatus noMrì anno secando. 

Due anni dopo lo stesso pontefice per consolare quasi 
spiritualmente i frati Minori da esso tanto protetti, concedeva 
con la bolla seguente in data, Viterbo 6 febbraio 1257, diretta 
al ministro provinciale fra Sisto da Brescia ed ai frati della 
provincia dalmata indulgenza di cento giorni per chi, dopo aver 
ricevuto i sacramenti della confessione ed eucaristia, visitasse 
le loro chiese nella festa e nelV ottava dei santi Antonio di 
Padova e Francesco d'Assisi. ') 

') P. Donato Fabianich, Op. <.. voi I, pag 414. 



120 

Alexander episcopus servus servorum Dei^ diUetis filiis 
fratti Sixto ministro provinciali et frcUribus nniversis ordinis 
fratrum minorum in Sclavonia constitntis salutetn et apostolieam 
benedictionem. 

Snnctorum meritis inclita gaudia fideìes Christi minime du* 
hitamuSy qui eorum patrocinia per condignae devotioni's obsequia 
promerentur illumque venerantur in ipsis, quorum gloria ipse est 
retributio meritorum. 

Nos igitnr ad consequenda praedicta gaudia causam dare 

fidelibus populis cupienfes, omnibus Christi fidelibus vere poeniten- 

tibus et confessisi qui ecclesias veslras in sanctorum Francisei et 
Antonii confessorum festivitatibus et per octo dies sequentes cum 

devotione ac reverentia visitaverint, annuatim de omnipotentis 

Dei misericordia et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius 

auctoritate confisi^ centum dies de iniuncta sibi poenitentia miseri- 

corditer relaxamus. 

Daium Viterbii VII! idus februarii^ poniifieatus nostri anno quarto. 

In tal guisa anche i nostri Minoriti compresi nelle grazie 
pontificie, potevano a buon diritto gloriarsi di appartenere alla 
religiosa provincia della Dalmazia, allora già ricca di conventi 
e non ultima nell'ordine Francescano. Le abitazioni claustrali 
dei Minoriti; collocate sopra un vasto terreno, quale si è quello 
della sponda orientale del mare Adriatico e dei principati slavi 
di oltre i monti, erano già ordinate, come si rileva dal cata- 
logo presentato dal serafico dottore san Bonaventura nel capi- 
tolo generale dei frati Minori, convocato nella città di Narbona 
neiranno 1260. La Dalmazia francescana pel completo numero dei 
suoi conventi s' intitolava Provincia, ed occupava il posto Wge- 
simo terzo fra le trentatre provinole religiose allora esistenti. 
Perchè vastissima, era divisa nelle quattro custodie di Ragusa, 
Arbe, Zara e dell' Istria, cui si assegnavano i conventi di Pola, 
Valle, Parenzo, Pirano, Capodistria, Muggia e Trieste. *) 

I sommi pontefici o i loro legati continuarono a favorirli 
con speciali rescritti, fra i quali noi crediamo opportuno di 
riferirne alcuni in ordine cronologico. -) 



*) P. Donato Fabiani eh, Ojì. c, voi. [, pag. 50, 145. 
'j P. Donato Fabianicli, Op. r., voi. 1, pag. 415 seg. 



121 



I. 

Papa Clemente IV con bolla in data, Viterbo 31 marzo 1268, nomina 
Cosimo Saladini da Zara, Azone da Capodistria e Tomaso Basilio da 
Cattaro procuratori dei beni stabili e mobili dei frati minori della 

provincia dalmata. 

Clemens episcopus servttó servorum Dtiy^ileciisfiliis Cosmac 
Saladini iadrensi .... Azoni iustinopolitano et Thomae Basilii 
catharensi civibuSj saltUetn et apostolicam benedictionem. 

Cam diUcti fìlU fratres minores ex prqfessionis suae voto 
adeo se voluntariae submiserint paupertatL ut nec divisim nec com- 
muniter aliquid proprii valeant obtinere, $ed omnia, quae ipsis in 
eleentosinam erogantur, seu alias eorum contemplaiione proveniant, 
iuri et proprietati ecclesiae romanae accrescere dignoscantur^ ac 
propter hoc ad nos pcrtineat, ut procuratorem in bonis hitiusmodi 
statuamus : nos de fida nostrae circumspectionis sollicHudine plenam 
fiduciam oblinentes, vos et quemlibet in solidum, ita quod non sit 
melior occupantis conditiOj in omnibus bonis mobilibus et immO' 
bilibfis ac sese moventibus eidem ecclesiae romanae, dilectorum 
jUiorum ministri et fratrum administrationis provinciae Slavoniae 
contemplatione collatis et in poslerum conferendis, et omnibus, 
quae in ipsae romanae ecclesiae ipsorum intuitu provenerunt et 
provenient in fuiurum, procuratores negotiorum, gestores, syndicos 
constituimus et actores^ dantes vobis et cuilibet vestrum in solidum 
administrandi, dispensandi, vendendi et emendi, permutandi, dandi, 
donandi, agendi, dcfendendi in iudicio ecclesiastico et saectdari 
coram ordinariis et delegatis iudicibus, arbitriorum arbitratoribus 
et feudorum et dominis, transigendi quoque in causis omnibus, 
paciscendi, iurandi de caliimnia, in litem et de veritate dicenda 
et insinuandum insuper deferendi, ac etiam pelendi et recipiendi 
guaecumque bona ipsorum contemplatione provenientia^ quae appli- 
cata vel deputata eorum usibus, quocumque modo illicite detenta 
vel occupata sunt hactenus, aut in posterum detineri vel occupari 
eontigerit, ac ofnnia faciendi, quae in iudicio requiruntur. 

Frocuratores pr aeterea unum vel plures ad supradicta omnia 
constituendi ad requisitionem dictorum ministri et fratrum admi- 
nistrationis praedictae, plenam auctoritate praesentium facultatem, 



122 

ita tiunenj quud de pra didis ani circa lìraedida in iudido tei 
extrUt vos vcl vcstrtun aliquis^ stu a vobis procuratores dali^ nihil 
penifus pcruf/atis^ nisl corundim ministri et frutrum requisito 
tonsilio et obtefìto. Decernimus ergo, ut ea qnac per vos vel vestrum 
aliquefìiy nec non constitutos a vobis proinde f'ada /aerini in 
pruedictinj plenum ohtineant firmitutcm. 

Datum Viterhii 11 kaìemlas apnlisj pontijicatus nostri anno quarto. 

IL 

Napoleoue, cardiuale diacono del titolo di 8auto Adriano, legato poii- 

tilìcio, concede con \ììì suo rescritto in data, Faenza 11 aprile 180!, 

speciali indulgenze alle chiet^e dei frati Minori di Pola, Voglia, Cherso, 

Paronzo, Pirano, Capodistria e Trieste. 

Napoleo, misera^ione divina sandi Hadriani diaconus cardi- 
nalis^apostolicae scdis hgatus, universis Christi fidelibus intra nostrae 
legationis termi nus constiiutis salutew in Domino sempitertiam, 

Cum ad promovenda gaudia sempiterna sandorum suffragia 
sint nobis plurimum opportuna, loca sandorum omnium sani pia 
devotione fiddium veneranda^ ut dum Dei veneramur amicos^ ipsi 
no8 amicabiles reddant et illortim nobis qaodamtnodo vendicantes 
patrocinium apnd ipsum^ quod merita nostra non obtinent, eop'um 
mereamur intercessionibus obtinere. 

Cupientes igitur, ut eccle&iae fratrum minorum de Pota, de 
FarentiOj de lustinopoli^ de Tergesto^ de Cherso^ de FiranOj de 
Vegla, de Segtva^ de Arbo, de Pago^ de ladra in Sclavoniae prò* 
vincia cvnstitulae congruis honoribus frcqucfitentur, omnibus vere 
pocnitentibus et con/tssis^ qui ipsas ecclesias aingulis festivttatibus 
gloriosae virginis Mariav^ beati Francisci, beati Antonii et beaiae 
Clarae ac etiam illorum sandorum, in quorum honorem praefatae 
ecclesiae sunt constructae, nec non ifi consscrationibus eccltsiarum 
et altarium eorumdem et per odo dics ipsas fcótivitutes immediate 
sequentes^ annuatini devote ac venerabiliter visitaverini^ de omni- 
potentis Dei misericordia et beatorwn Petri et Pauli apostdoì-um 
eius meritis confidentes^ audoritate apostolica nobis in hac parte 
commissUf centum dies de iniunda eis poenitentia misericorditer 
in Domino relaxamns 

Datum Faventiae IH idus aprilis^ pontificatiis Domini Clementi^ papa^ 
quinti anno secundo. 



123 



111. 



Fra Gio vaimi da Cherso, miuor conventuale, vescovo di Stagno e Cur- 
zola, pubblica in data, Ragusa 13 marzo Ioli, una bolla di Papa Boni- 
i'acio Vili emanata in data, Homa 20 aprile 12D8, la quale ordinava a 
tutti i conventi della religiosa provincia della Dalmazia di eleggersi per 
ogni singolo due frati come inquisitori contro T erotica pravità. 

Frater Ioauues de Cherso, ordiuis uiinoruui, mise- 
ratioue diviua Stagnensis et Citrzuloiisis episcopus, uiiiversis 
praesenteui paginam inspeciuris salutem hi Domino sempi- 
teruam. 

Noveriti», uo8 vidisso et legisse, ac dilìgeuier iuspexisse 
quasdam litteras sanctissimi in Ciiristo patrìi», domini Bouifaoii 
Dei gratin summi poutiflcis non abolita», non abrusas, non 
eanceliatas, non yitiatas in aliqua parte sua cum vera bulla 
plumbea et filo serico bullatas, tenorem huiusmodi oontinentes, 
quas quidem litteras consoripsimus manu propria nihil addendo, 
non minuendo ve! mutando : 

Bonifacius episcupus scrvus servorum l)ei^ diledo filio 
ministro provinciali oidinis fratrwn minormn in adminisiratione 
provinciac Sclavoniac salntem et apusiolicam benedictionefn, 

lAcet de omnibus mundi pattlhus, quae Christiana religione 
censentur, teneatnur ex officii debito extirpare laetiferam pestem 
haereticae pravitatis, in partibus tamcn Serviav^ liasciae^ Dal- 
fnaliae, Croatiae^ Bosniac atque Istriae provinciae Sclavoniae im* 
minet; nobis haec svllicitudo propensius ubi eandem pestem propter 
malitium temporis^ quae in detrimentum fidei catholicae perversa 
genimina germifiavit, ex evidentia opcris et famae notitia perpen- 
simus succrevisse. 

Cupientes ergo in dictis partibus et in archiepiscopatibus 
l/yrrachiensi, Aniibarensij Ragusino^ Spalatcnsi et ladrensi et 
dioecesibus suis per aliquos de fratribus tui ordinis partem super 
hanc nostrum sollicitudinem adimpleri: discretioni tuae per apo- 
stolica scripta firmiter praecipiendo mandamus^ qtiatenus de Consilio 
aliquorwn fratrum ipsius ordinis eligas duos de fratribus ipsius 
ordinis tuae administrationis idoneos ad hoc oj^ms dominicum 
exequendum eisque in viriate obedientiae^ apostolica praedpuc aneto- 
ritaie procures, ut inquisitionis o/ficium in locis praedictìs inter 



124 

hacrdicos^ crcdentes, f autor cs^ defensorts et receptaiores eorum iiéxta 
formam in àliis apostulicis lUteris expressam^ quae fralribus prae- 
dicti ordinis^ inquisitoribus huiusmodi pravitatis in eisdem lods 
deputatis auctoritate apostolica et in posterum deputandis ntm 

expressis^ alioruin super exercendo dicto inquisitionis 

officio destinanlur, exequi studeant diligenter, JSos enim praedidos 
duos fratres, quos ad hoc elcgeris et utrumqae ipsorum praefatum 
officium exequi iuxia fùrmann in ìitteris ipsis expressam, ac ipsos 
illam potestatem et aiictoritatem plenariam habere volumuSy proul 
in eisdem ìitteris continetur. Si vero tu vel vicarius tuus, te absente^ 
uliqmm inquisitorum huiusmodi ex aliqua forte causa nonnunquam 
videbis aniovefulum , ipsum amoveatts et substituatis loco illius 
ulium, quem simili m potestatem et auctoritutem habere volumuSi 
quoties nobis^ deliberatione cum fratribus discretis dicti ordinis 
perhibita, hoc fore vidébilur faciendum. Et si aliquem vel aliquos 
inquisitorum ipsorum decedere forte contigerit, nos^ sufjstituendi de 
Consilio aliquorum discretorum frairum eiusdem ordinis alium vd 
alios loco illius vel illorum qui decesserint itaque substituti eisdem 
auctoritate et potestate fungantur, tibi didoque vicario, si tu 
àbsens es fuerisque, pletiam et liberam concedimus tenore praesen- 
tium facultatem. 

Datum Romae apud sanctum Pelrum, 111 kalettUas maii, pontificatm 
nostri anno quinto. 

Ad maiorem antem omniuin praediotoruin Armitateiii prae- 
seutem pagrii^ftui sigilli nostri munimine roboravimus. 

Datum IUkjusìì, IH idus marti^ anno Domini MCCCXIIL 

Da principio sostentandosi con spontanee elemosine, eb- 
bero i nostri Minoriti a poco a poco anche beni stabili, tanto 
nella nostra città come nel suo territorio. Cosi leggiamo, che 
certa Bionda, vedova di lanesio de Vocigrad, lasciava agli eredi 
una vigna in contrada Pondares, coir obbligo di dare al con- 
vento di S. Francesco ogni anno due ome di vino. — Pie- 
rina, moglie del fu ser Andrea de Vinta, roga addì 31 set- 
tembre 1370 in casa di ser Bando de Burlo, posta in via 
del Mercato, il suo testamento per mano del notaio Nicolò de 
Picca, presenti i testimoni Domenico dei Giuliani vicedomino, 
Matteo e Gregorio dei Messalti, Mauro Susolo, Nicolò del fu 
Nicolò sarto e Bartolomeo da Vicenza barbiere, in vigore del 



125 

qualeaBaudodelfu Domenico de Burlo lega una casa situata in 
via Bdborgo, con la condizione che, morto il Burlo, quella passi 
al capitolo della Cattedrale ed al convento di S. Francesco, i 
quali celebreranno tanto V uno che V altro un anniversario per- 
petuo in suffragio della legataria e del defunto marito, desti- 
nando altresì, ohe ogni altro suo avere sia distribuito fra i poveri 
dai suoi commissari testamentari Bando Burlo e dal di lui fìglio 
(jriacomo. ^) Addi 12 ottobre 1416 i canonici della cattedrale 
di Trieste Nicolò Tromba, Silvestro Rusez, Cristoforo del fu 
Giovanni, Martino del fu Marse, Enrico del fu Matteo, Gio- 
vanni da Montona, Marsilio de Satiello, Libero Barbariza e 
Domenico del fu Marino stipulano un contratto con Matteo de 
Voriansco, cittadino di Trieste e coi donna Scalena sua moglie, 
nella loro abitazione in via del Castello, per mano del notaio 
Andrea figlio di Martino Ba vizza, in presenza dei testimoni 
don Tomaso Trina, don Antonio Beniz e don Giusto Sutta, 
cappellani del duomo. In vigore del quale, confermato dai vice- 
domini Francesco de Basilio e Vitale dell'Argento, il capitolo 
permette da una parte ai coniugi suddetti di costruire nell'an- 
golo del duomo respiciente la cappella di S. Michele del Car- 
nale e presso la cappella di S. Giovanni evangelista, eretta da 
Pierina vedova di Michele del fu Odorico de Ade, una cappella 
in onore di S. Matteo apostolo; dall'altra promettono i fonda- 
tori in dote, ma dopo la loro morte, una loro loro vigna situata 
nella contrada Timignano presso le vigne di Nicolò de Ade, 
della mogUe di Pietro dell'Argento, il baredo o terreno incolto 
di Omobono de Belli e la via del Comune; il capitolo poi si ob- 
bliga di celebrare sull'altare tre messe settimanali, di consegnare 
in perpetuo nel giorno 29 di giugno al convento di S. Francesco 
lire dieci di piccoli per la celebrazione di una messa solenne 
e di dispensare ai poveri ricoverati negli ospedali di S. Giusto 
e dei Crociferi di Venezia altre lire cinque di piccoli ogni anno, 
venuto che sarà al possesso di detta vigna:') 



') Don Angelo Marsich, Regesto delle pergamene conservate nel- 
V archivio del reverendissimo capitolo della cattedrale di Trieste {nélYArcheo- 
grafo Triestino, Trieste 1880-81, voi. VII, pag. 373 seg.). 

*) Civico Archivio diplomatico di Trieste. Atti dei vicedomini, 
voi. S9 ; stampato nel Codice diplomatico istriano. 



126 

In Christi nomine Amen. Anno eiusdem millesimo quddrin- 
gentesimo sextodecimo^ indictione nona^ die duodecimo mensis oclobris. 
Actum Tergesti in contrata Castelli in domo habitationis infra- 
scriptoì-um iugalium^ praesentibus dominis presbyteris Thoma Trina, 
Antonio Beni et lusto de Sutta cappeUanis ecdesiae Tergestinae et 
lanche de Sancta Cruce, civihus et habitatoribus Tergesti^ testibus et 
aliis ad hoc vocatis et rogatis, 

Venerabiles viri, domini presbiteri Nicolaus Tromba, Silvester 
quondam RiiseZj Christophorus quondam IoanniSy Martinus quondam 
MarsCf Henricus quondam Matthaei, Ioannes de Montona, MarsUius 
de Satielo, Liber Barbariza et Doìninicus quondam Marini, omnes 
canonici ecclesiae cathedralis Tergestinae, tamquam fnaior pars ca- 
pituli praedictae ecclesiae, unanimiter et concorditer per se suosque 
successores, vice et nomine dicti capituli, auctoritate, qua funguntur, 
dederunt, tradiderunt, tribuerunt et concesserunt ser Matìheo de Vo- 
riansco, civi Tergestino et donnae Scalonae eius uxori cum instantia 
petentibus et requirentibus ab eis licentiam et potestaiem aedijicandi 
et construendi in angulo eiusdem ecclesiae praedictae et in caeme- 
terio eiusdem ecclesiae extra et iuxta angulum eiusdem ecdesiae 
versus ecdesiam sancii Michaelis de Camerio, iuxta cappellam aedi- 
ficatam per dominam Pirinam, uxorem quondam ser Michaelis, 
quondam ser Odorici de Adam, unam cappellam sub nomine et ad 
honorem et reverentiam sancti Matthaei apostoli et evangelistae, 
promittentes per se et suos successores praedictis iugalibus prò se et 
suis haeredibus stipulantibus, celebrare seu celebrari facere missam 
in dieta cappella construenda ter saltem in qualibet septimana et 
dare annuatim et in perpetuum in feste sancti Petri apostoli sin- 
gulis annis conventui sancti Francisci de Terpesto libras deeem 
parvorum cum hoc, quod fratres tunc existentes in dicto loco cete- 
brare teneantur unam missam solemnem prò animabus dictorum 
iugalium ; item similiter annuatim et in perpetuum dieta die sancii 
Petri dare et dispensare pauperibus existentibus in hospitàle de 
Tergesto, videlicet sancti lusti et cruciferorum de Venetiis libras 
quinque parvorum prò animabus praedictorum iugalium, et praedicia 
facere teneantur et inchoare debeant a die in antea,habita posses- 
sione vineae iufrascriptae. Et hoc ideo fecerunt et concesserunt, 
promiserunt et se obligaverunt praedicH canonici et successores sui 
praefatis iugalibus, quia promiserunt et convenerunt praedictis 



127 

dominis canonicis (^edificare et construere praedictam cappellam in loco 
praedicto, sine damno aliquo et pericolo ruinae dictae ecclesiae et 
dotare altare praediclae cappellae. Et ex mine dotaverunt praedictum 
altare construendwn qiiadam sua vinca libera et francha^ sita in 
districtu Tergestino in contrata Timignani, cohaerenti vineae ser 
Nicolai de Adam^ vineae ser Petri de V Argento, procid ex bareto 
ser lacobélli et fai'neto comuniSj et si qui olii sunt confines veriores. 
Et sunt pertichae comunis Tergesti ducentae et octo circum circa. 
Quam vineam praedicti itigales voluerutU devenire et dedicare in 
dotem dicti altaris post mortem dictorum iugalium, volentibus ipsis 
iugalibus, donec pixerint^ ipsam tenere et possidere et usufructuare 
praedictam vineam, tenendo eam in pieno et in laboratura, sed post 
mortem utriusque ipsorum dieta vinea deveniat et sit prò dote et in 
dotem dicti altaris possidenda et fenendaper canonicos dictae eccle- 
siae et capituli, ut ex usu/ructibus et redditibus dictae vineae possint 
facere otnnia supradicta per ipsos promissa. Promittentes praedictus 
MatOiaeus et dieta domina Scalona de eius consensu et voluntateper 
se suosque haeredes dictis dominis canonicis prò se et suis successo- 
ribusy stipulantibus dictatn vineam post eorum obitum, praedictis 
dominis canonicis prò se et suiit successoribus stipulantibus dictam 
vineam post eorum obitum praedictis dominis canonicis et capittdo 
et eorum successoribus ab omni homine, persona, comuni, collegio, 
universilate legitime defendere^ auctorizare et disbrigare prò aequo 
a comuni Tergesti. Quae omnia supradicta promisit una pars alteri 
ad invicenì sibi, dicti domini canonici per se et suos successores, et 
praedicti iugales per se et haeredes solemni stipulatione hinc inde 
interveniente, habere et tenere et non contrafacere et venire per se vel 
per aliwn aliqua ratione vel causa, de iure vel de facto, sub poena 
ducatoì-um centum auri stipulati ad invicem, inter ipsos profnissa, 
qua poena soluta vel non, nihilominus praedicta omnia firma ma- 
neant et perdurent. Et prò dictis omnibus attendendis, obligaverunt 
una pars alteri, videlicet dicti domini canonici omnia bona dicti 
capituli, et praedicti iugales omnia bona sua, 

Manu ser Andreae Raviza, quondam ser Martini, publici 
notarti scripta. 

Nel 1444 i frati possiedono già una casa in contrada dd 
Mercato come risulta da un documento del nostro archivio capi- 
tolare. Addi 7 ottobre di questo stesso anno i canonici Enrico 



128 

seniore del fu Matteo, decano, Cristoforo del fu Giovanni, 
arcidiacono, Giovanni del fu Antonio, Libero Barbariza, Bar- 
tolomeo da Lodi, Simone de Pari, Enrico di Giovanni Saello, 
Michele Sutta, Nicolò Selesnich, Antonio de Coppo e Pietaro 
da Ghioggia rogano nella chiesa cattedrale di san Giusto per 
mano del notaio Pascolo Chicchio un atto scritto dai vicedo- 
mini Antonio de Leo e Pascolo Chicchio, presenti i testimoni 
Martino del fu Lorenzo, Simone de Salis e Michele da Bistriza, 
cittadini da Trieste, in forza del quale danno in afidtto perpetuo 
a Francesco del fu Francesco barbiere, da Trieste, ed agli eredi 
suoi una casa, situata nella contrada del Mercato, confinante 
col casale spettante al convento di san Francesco, colla casa 
del detto barbiere e la via pubblica, verso V annua e perpetua 
corresponsione di un ducato d' oro nel giorno 10 agosto e verso 
r obbligo di conservare la casa in buon ordine. ') 

A motivo di questi ed altri possedimenti sembra, che i 
nostri frati non sempre vivessero in buona armonia col capitolo 
cattedrale. Da un documento rogato addi, mercoledì 16 luglio 
1494 nel convento di san Francesco ^) dal notaio Domenico de 
Monticoli, trascritto dai vicedomini Bartolomeo de Bossi e 
Domenico de Monticoli, presenti i testimoni Boncino Belli, 
Pietro Alemano oste^ Giovanni Battista de Peterlini, Giovanni 
del fu Francesco da Chioggia ed altri rileviamo che, don 
Michele Cubilenza canonico eletto procurcUore dd capitolo^ consen- 
ziente anche il vescovo Acazio (li 2 luglio) per finire certe differenze 
che esistevano da lungo tempo tra i canonici ed i padri Minori di 
S. Francesco in Trieste^ viene ad una permuta di beni co' padri 
Pietro de Ardeman, Giovanni guardiano^ Francesco seniore da 
Trieste, Francesco de Subeis, Giorgio da Trieste, Paolo da Lubiana 
vicario, Corrado, Girolamo da Brischia e Michele da Veglia e col 
loro procuratore ser Cristoforo Bossermann, Consegna il Cubilenza 
al convento i quattro ducati annui che numerava U Bossermann 
per le saline dei Cigoli in Zaulis, U livello perpetuo di 3 lire annue 



') Don Angelo Marsich, Op. e. {néiV Archeografo triestino , Trieste, 
1882, voi. IX, pag. 286). 

*) Don Angel-o Marsicfa, Op. e, (néìT Archéogvafo triestino^ Trieste, 
1884, voi. X, pag. 160 seg.). 



129 

che paga mastro Nicolò di San Lupidio per una casa in contrada 
Castelli, il liveUo perpetuo di lire tre e soldi dieci annui che 
paga set Antonio Burlo, altro livello che paga la famiglia 
Ooppo per una casa confinante con la casa del convento dei 
Santi Martiri, con la pubblica via presso un pozzo, cdtro livello di 
soldi 20, cui è tenuto fra Bartolomeo dei Crociferi per un orto 
situaJto nella contrada Tygurii presso un terreno dei crociferi ed i 
beni di donna Lucìa moglie di ser Antonio de Brischia. Riceve per 
lo contrario il capitolo un fondamento di saline di 9 cavedini, situato 
nella contrada Zaulis di ragione del fu ser Tomaso de Genaut ; 
un prato ed un canneto situato pi-esso le anzidette saline; metà 
d'una casa situata nella contrada presso la casa di ser Giusto e 
la via pubblica. Rinunciano oltre di ciò anche le parti ad ogni 
pretensione sui legati spettanti alle stesse parti, annullano inoltre 
ogni scrittura che una parte potesse avere a carico delV altra. 
Rinuncia di piit il Cubilenza una volta per sempre alla quota che 
apparterrebbe al capitolo su^beni stMli lasciati o che verranno legati 
al convento: 

In Christi nomine Amen. Anno circumcisionis eiusdem miUe^ 
Simo quadringentesimo nonagtsimo quarto, indictione duodecima, 
die vero mercurii, sextadecima iuliù Actum in districtu Tergesti 
et in conventu sancti Francisci ante capitulum dicti conventus, 
praesentibus prudentibus viris, Philippe clerico, ser Boncino Belli, 
ser Petro Alemano tabernario, Baptista de Peterlin et Ioanne /ilio 
ser Francisci de Clugia, audientibus et inielligentibus, testibus ad 
haec specialiter habitis, vocatis et rogatis, et aliis. Ibique venera- 
bilis vir dominus Michael Cubilenza canonicus Tergesti, tamquam 
sindicus et procurator venerandi capituli sancti lusti, per commis- 
sionem sibi latam in pieno capitulo, die mercurii secunda iulii, de 
qua commissione ego notarius infrascriptus rogatus fui praesente 
reverendissimo domino, domino Achatio episcopo Tergestino et 
aucioritatem suam interponente^ specialiter de praesenti contractu 
contrahendo: ad honorem Dei et Beatae Mariae Virginis et beati 
lusti martyris de Tergeste, prò pace, amore et charitate, et ad 
exonerandas conscientias ambarum partium, et ut anichiletur 
diuturna differentia versa inter dictum venerabile capitulum et 
venerabiles fratres minores conventus sancti Francisci de Tergesto 
per se suosque successores , hoc instrumento permutationis in 



m 

praesefUi iuris proprii dedif, tradidit^ et permutavU vénerahilibus 
frairìbus eanventus sancii Franeisei de Tergesto^ viddiceù magisiro 
fratri Petra de Ardeman^ fratri Ioanni guardiatto dicti convetUus. 
fratti Francisco seniori de Tergeste^ fratri Francisco de RìU^is^ 
fratri Oeorgio de Tergesto^ fratri Paulo de Lubiana vicario dicti 
conventuSj fratri Conrado^ fratri Hieronynio de Brizia et fratri 
Miekade de Vegla, omnibus fratribus dicH conventus ipsum capi- 
tulum repraesentatibus^ ad sonum cawpanae congregatisi ut mori» 
est sui. Nec non ser Christoforo Bossemian procuratori, ac vice 
et nomine dicti conventi^ eorumque successoribus in perpetuum 
bona infraseripta, videlicet : levaturam unam salis ittorum de Cigoiis 
prò saìinis de Qaulis^ prò qua levatura dictus ser Christophorus 
Bosserman obligavit per instrumentum se sóluturum quatuor ducatos 
singtdo anno» Item medietatem unius domus^ guam tenet magister 
Nicclaus de Sancto Lupidio in civitate Tergesti in centrata Castdli 
iuxta suos confines : ab una parte dictus magister Ificólaus et via 
publica a duobus lateribus^ et alti confines si qui sunt, prò qua 
sólvit libras tres annuatim perpetuis temporibus, Item livèUum 
unum unius braidae^ prò qua ser Antonius Burlo civis et habi' 
tator Tergesti solvU in emphiteusim libras tres cum dimidia, cuius 
braidae confines sunt: braidae ab omni parte dicti ser Antonii. 
Item unum livellum unius domus iUorum de Ooppo, euius hi 
sunt : ab una parte domus Sanctorum Martffrum et via publica a 
duobus lateribus penes quemdam puteum situatum in via publica. 
Item unum liveUum venerabilis fratrie Barthohmaei ordinis crucia 
ferorum, prò quo solvit annuatim soldos viginti prò horto uno 
situato in districtu Tergesti in centrata Tygurii^ juxta suos 
confines: ab una parte domina Lucia uosor ser Antonii de Brixia 
et ab alia ferrenum cruciferorum. Omnique iure et actione, usu 
seu requisitione reali et personali, utili et directo sibi ex iis rebus 
competentibus et expectantibus^ dedit, tradidit et penmUavit ipsis 
venerabilibus fratribus suisque successoribus in perpetuum vice et 
nomine dicti convefitus ad habendum, tenendum, possidendum et 
quidquid sibi suisque successoribus deinceps placuerit faciendum, 
omnia ut praedictum est^ in integrum in praesenti prò sexterio 
salinarum novem cavedinorum situatorum in salinis dicti venera- 
btlis capituli in districtu Tergesti et in centrata Qaulis; et qui 
novem cavedini fuerunt quondam ser Thotnae de Oenant. Item prò 



131 

uno prato et caneto arundineo penes dictas satinas amhHi4S perii- 
carum circum circa .... Itetn prò medietate unius domus aituaitae 
in civitate Tergesti in centrata Biburgi iuxta domum dicti ser 
Insti et vìam ptéblicam a duobus lateribus^ et si qui alii sunt 
confines. — Itetn praedictae partes coram praedictis testibus 
et me notorio infrascripto fuerunt in concordie vicissim una pars 
alteri /adendo [finem et remissionem omnium legatorum, quae 
invenirentur usque ad diem praesentem inter dictum venerabile 
capitulum et dictos venerabUes fratres. Item si aliqua scriptura 
inveniretur in favorem dicti venerabUis capituU etc, viceversa in 
favorem dicti conventus usque in diem hodiernam, sit nulla et 
nfMius valoris, et quod de caetero sit paXy amor et concordium 
inter partes praedictas, dantes favorem una alteri iuxta posse. Item 
dictus dominus sindicus per se suosque successores in perpetuum 
renuntiat partem illam, quae spectat ipsi venerabili capitulo super 
honis stabilibus relictis et relinquendis per cives Tergesti ipsi 
conventui Sancti Francisci super illa^ quae spectabant dicto vene- 
rabili capittUo de iure^ in quarum rerum praedictarum possessionem 
intrandi licentiam sibi suaque auctoritate concesserunt et omniquoque 
persona suprascriptas res legitime semper defendere et varentare, 
aì4ctorizare et desbrigare per se suosque successores sibi suisque 
successoribus cum ratione promisit. Nec harum rerum nomine litem 
aliquam, nec controversiam nec per se, nec per alios facere vel 
movere aliqua occasione vel exceptione. Si vero ipsae partes per 
se suosque successores sibi suisque successoribus praedicta omnia 
et singula in perpetuum non observaverint, vel aliqtM occasione 
cofUravenire praesumperint, et si legitimam semper defensionem 
per se suosque successores sibi suisque successoribus non exhibue- 
rint^ poenae nomine duplum extimationis dictarum rerum, tU prò 
tempore plus valuerinty se cum suis successoribus, sibi suisque 
successoribus habere obligaverunt, subiacere, omneque damnum lUis 
et expensas exinde competiturum et competituras, cum omnium 
suorum bonorum praesentium et futurorum óbligatione, per se 
suosque successores sibi suisque successoribus integre resarcire 
pramiserunt sub dieta poemi, qua soluta a parte contrqfacente^ et 
quibus refectiSy haec pi^aesens charta nihilominus suam semper 
cbtineat firmitatem, Benuntiantes praedictae partes exceptioni non 
sic promissionia et obligationis doli et malae exceptionis^ actioni 



132 

n /oc/o, conditioni sine causa, epistolae divi ffadriani novarufn 
omnium et veternm consueiudinum leneficio Véleiani^ sentMtus 
consultuiy turi hf^poihecarum^ cuHibet alteri iuri, eiiam ìe^um 
auxilio^ ei8 et cuilibet earum centra hoc instrumentum modo aliqmo 
cohaerente, et poena soluta vel non praesente istrumento, nikUo^ 
minus robur oòtineat. 

Ego Dominicus in/rascriptus suprascriptum instrumentum, tenrn* 
quam vìcedominus civitatis Tergesti vicedominavi et me subseripsi. 

Ego Bariholcmaeus de Rubeis vicedominus Cofnunis me 
subscripsi 

Et ego Dominicus Montacolius civis tergestinus, publieus 
imperiali auctoritate notarius praedictis omnibus et singulis inter/ni 
et rogatus scribere, scnpsi, signum nomenque meum in robur prae- 
scriptorum apposui consuetum. 

A tergo: Permutatio venerabilis capitici cum venerabiUbns 
fratribus minoribus Sancii Franeisci de Tergesto. 1494, Permuta 
del reverendo capitolo et li reverendi Fr, P. Francesco. 

Troviamo per ultimo, che il canonico don Michele Cubi- 
lenza, delegato del capitolo cattedrale, per mano del notaio 
Nicolò Mirissa roga addi, martedì 9 dicembre 1506^ in via 
Cavana dinanzi T abitazione di donna Agnese Sichira, vedova 
di Baldassare de Marafono, un atto (trascritto dai vicedomini 
Nicolò figlio di Matteo Mirissa e Giovanni Battista figlio di 
Odorico de Bonomo), presenti i testimoni Michele Provisano, 
Daniele de Dusmerio e Bartolomeo Piacentino, vicini ed abi- 
tanti in Trieste, col qnale dà in affitto perpetuo alla suddetta 
Agnese e ai suoi eredi una terza parte di casa indivisa poeta 
nella contrada Cavana presso la casa del convento di 
S. Francesco, la via pubblica e due contrade consortali, verso 
l'obbligo di mantenerla in buon ordine e di consegnare al 
capitolo un ducato d' oro annualmente^ dando però facoltà alla 
suddetta donna Agnese ed eredi di potersi liberare dall'annuo 
affitto ogni volta che presentassero al capitolo persona idonea 
che ne facesse garanzia coi propri beni e si assumessero di 
contare l'annuo affitto del ducato in oro con qualche aumento. ') 



*) Don AngeloMaraic b, Op. r {neW Archeografo triestino, Trieste, 
voi. X, pag. 362). 



m 



CAPITOLO II. 

11 convento ~ La chiesa primitiva — La fraterna dei nobili e quelle 
di St. Antonio e di S. Bernardino — La scuola in S. Francesco. 

L' area occupata in origine dal nostro convento Fran- 
cescano coir orto annesso, abbracciava le vie odierne di 
S. Giorgio, della Sanità, delF Annunziata, Todiemo edificio delle 
i. r. scuole^ la piazza Lipsia, 1' edificio dell' i. r. Accademia di 
commercio e nautica e la via Cavana fra questo, la chiesa e 
la piazza suddetta. 

Il convento stesso alzato in circuito della piazza Lipsia 
era formato da tre ale : una parallela coli' odierno edificio delle 
i. r. scuole ; la seconda colla via dell' Annunziata, la terza colla 
via S. Giorgio, cosi che la seconda e la terza mediante un 
corridoio erano congiunte alla chiesa. Era alto due piani e 
dalla via odierna dell'Annunziata dava comodamente adito al 
coro dei frati, situato nella cantoria dell'odierna chiesa della 
B. V. del Soccorso. 

Il convento, spazioso e capace di ospitare circa venti- 
cinque frati^ aveva nel mezzo ampio cortile ridotto a giardino 
con cisterna nel mezzo, ed era circondato da ortaglie^ rìparate 
da alte mura. Confinava coi conventi ed ospitali di S. Ber- 
nardino e dell'Annunziata e coU'ospizio dei monaci Benedittini 
ai Santi Martiri ; aveva un unico accesso per la via fuori della 
porta Cavana, la quale conduceva alla clausìira propriamente 
detta — alla porta balHtoray — la quale stava in via Cavana 
ira r odierna facciata della chiesa e la parte anteriore del- 
l' odierno giardino della piazza Lipsia. 

Il convento era provvisto di sufficienti locali, come lo 
ordinano le costituzioni della regola francescana. Aveva oltre 
delle celle T infermeria con cappella intema pei frati infermi 
e convalescenti ; la foresteria, il refettorio^ la cucina ; il luogo 
per fare il bucato; la stalla e la rimessa; la cancelleria; la 
sartoria; la stanza per salvare i panni, i vestiti, la biancheria. 

Aveva neir intemo il convento, secondo la regola, un 
chiostro non ignobile di veneta architettura a quattro lati; 
ciascuno di sette archi, sostenuti da colonne. Serviva come 



134 

luogo di passeggio ai frati durante l' inverno e in tempo piovoso. 
L' area che occupava doveva peraltro sino dai primordi esser 
stata consacrata ad uso di cimitero, dappoiché si parla nei 
nostri patri documenti del cimitero di S. Francesco e vi si 
riscontrano lapidi della prima metà del secolo decimoquinto. 
Nella chiesa avevano le loro tombe i nostri patrizi, ma sotto 
ai chiostri lapidi sepolcrali di vari ordini di cittadini coprivano 
il terrapiano dei quattro portici. Il possidente, V artista, l'agri- 
coltore potevano leggervi sopra i nomi e le virtù dei benemeriti 
loro trapassati, coi simboli dell'arte ereditata, fra i quali il cano- 
nico, il sacerdote, il frate, il ricco ed il nobile non disdegnavano 
di avervi riposo. 

Ma quello che più importa, si è il sapere, come i nostri 
Minoriti possedessero una copiosa libreria e tenessero in tut- 
t' ordine il loro archivio. Della prima possiamo fare solenne 
testimonianza, avendo avuto per mano le reliquie, gli sparsi 
brandelli; era ben fornita e ben tenuta prima ancora dell' in- 
venzione della stampa. Conteneva, a quanto leggiamo, fra gli 
altri codici, una divina Commedia del sommo Dante postillata 
di proprio pugno da messer Giovanni Boccacci, ora pur troppo 
miseramente perduta. In progresso di tempo poi, per legati di 
patrizi, di nobili, di sacerdoti e di canonici, andò sempre più 
aumentandosi; da contener senza dubbio air epoca della soppres- 
sione del convento circa cinquemila volumi, fra i quali le edi- 
s^ioni antiche pregiate e rare dei santi padri greci e latini, dei 
classici latini in prosa e in metro. L'archivio, che ai poster^ 
avrebbe fornito senza dubbio materiali interessantissimi di 
storia patria; era custodito gelosamente. Dal documento che 
qui sotto trascriviamo, vicedominato nel 1466 e nel 1476, rile- 
viamo, che il vicedomino nostro Giovanni de GarzuUa estraeva 
dalla patria vicedominaria sopra richiesta dei canonici don Fran- 
cesco Mirez decano e don Tomaso de Canciano il capitolo XVI 
del libro secondo del civico statuto^ ') che dice doversi prestar 



^) Doti. Domenico de Rossetti, Statuti antichi di Trieste 
descritti ed illustrati bibliologivamente^ (nell* Archeografo triestino, Trieste 
1880, voi. II, pag. 103 seg.). 



186 

piena fede ai quaderni tanto del capitolo della cattedrale, quanto 
del convento di S. Francesco. ^) 

t IESU8 t Gapitulo XVI, secundo libro sub rubrica: de 
fide inHrumentorum, 

Ut praedecessorum nostrorum vestigia imitantes ccclesine^ 
quae omnium mater est, sancimus in his praesertim, quae hone- 
stcUem continent hac nostra lege, addendo statuimus dicto statuto 
et §, denique quoque statuimus et etc. 

Quia volumuSj quod quadernis veìierahilis capituli cathedralis 
ecclesiae tergestinae, nec non et guadep'nis conventus sanati Fran- 
cisci de Ter gesto eandem fidem praestetur, et ex illis iUud idem 
ius reddatur ex nunc in antea, quod datur et quod redditur 
quadernis fabricae hospitalis et fraternitatum civitatis et districtus 
Tergesti i^r omnia dicfo statuto in omnibus eius partibus in suo 
robore remanentibus. Et hoc procedent affictibus, qui ex nunc in 
ant^a solvi contigerit ipsis Capitulo et conventui et alteri eorum. 

Ego loanues de GarcuUa yicedominus comunis Tergesti 
praesens statntum sire additionem statuti, prout reperi et inyeni 
in Tioedominaria comunitatis in yolumine libri statutorum ciyi- 
tatis Tergesti scriptum et adnotatum, ex ipso libro statutorum 
fldeliter de yerbo ad yerbum in praesenti charta scripsi et 
exemplayi, et hoc ad inatantiam et petitionem yenerabllium 
Tirorum dominorum Francisci Mirec decani et Thomae de Gan- 
ciano canonlcorum praefatae ecclesiae tergestinae, etiam nomine 
omnium canonicorum et capituli petentium. 

Ego Petrus Bizio yicedominus comunis Tergesti yicedo- 
minayi et me subscripsi. 

La chiesa primitiva, alzata a semplice disegno, armonioso 
peraltro nelle sue parti^ con a tergo comoda sagrestia; come 
appunto compariva sino air anno 186-1, era larga tredici metri, 
lunga venticinque; con la sagrestia metri trentuno. Priva di 
campanile, aveva sul tetto — sopra la cantoria — un arco, da 
cui pendeva una sola campana onde convocar frati e fedeli 
alle salmodie, alF ufficio divino, alla predioa, che sempre si 
teneva in lingua italiana. Era spaziosa anzi che no, per quei 



^) Don Angelo Marsich, Op. e. {neìV Archeoffrafo triestino^ voi, X, 
pag 120). 



186 

tempi, in cui Trieste di ambito piccolissima, con poca popola- 
zione, abbondava di chiese e di cappelle. 

All' estemo della chiesa, a detta dei nostri cronisti, erano 
incastrate due lapidi romane, onde ripararle, come allora ere- 
devasi; dair obliyione e dalF ingiuria dei tempi. La prima, che 
esisteva ancora ai tempi del nostro don Giuseppe Mainati, dava 
savi avviamenti alla gioventù coi versi: 

VLTIMÀ • IVSSA • PÀTRIS ' REVERBNTBB ' DISCVTE ' FILI 

AFFEB ' OPEM * LÀPSIS ' ASTATI ' PARCE * 8XHILI 

OCCVLLB ' COMMISS VM * LAVS * E8T0 ' RBMITTE ' 8VPBRBVM 

SIS ' PARVM ' 1VRGAN8 * DICTVRVS RESPICB . VEKBVM 

Mentre questa è perduta, non cosi la seguente, oggidì 
riparata nel nostro civico Museo d' antichità : 

GBTAaAE * SBRVAN 
DAK ' PARBNTB8 

Il nostro fra Ireneo, credendo falsamente, che quest* epi- 
grafe fosse cristiana, ci racconta, che una bellissima arca di 
pietra di proporgionata grande0ga ed altezza^ lunga piedi sei geo- 
meirij fu ritrovata anni sono nel cimitero della ctiiesa di S. Francesco^ 
rimpetto la porta maggiore^ vicino al condotto d'acqua che C4>rre 
verso il mare. Il Mainati poi scrìve, che a suoi tempi si ritro- 
vava sotto la gorna di me§»o o tubo della grondaia^ dal lato che 
guarda la picena Lipsia^ della casa del negoziante di borsa F. E. i. 
Baraux n. 1006. Il buso che tuttora osservasi nelVarca predetta, 
corrispondente ai piano interiore détta medesima, mostra ad evi- 
denza, che anteriormente al suo ritrovamento indicato dal padre 
IreneOy avesse già servito per uso di vasca o lavatoio. 

La chiesa conteneva le tombe dei frati e delle nostre tredici 
famiglie patrìzie; dei Francol, Trina, Marchesetti^Mirissa, Piccardi, 
Barbo, Chiochio, Bapicio, Conti, Kupferschein, dei Mercatelli; 
di Marìno Morosini, dei vescovi fra Guglielmo Franchi, fra 
Giovanni Marzari^ fra Nicolò dottor Carturìs e di Andrea dottor 
Bapicio, uomo di sommo ingegno, poeta latino di gusto finis- 
simo, dotto canonista, esperto giureconsulto^ morto avvelenato 
addi 31 dicembre 1673 nell' età di anni quaranta, vittima di 



1S7 

patria carità, air età nostra, che a libertà tanto agogna e della 
libertà tanto abusa, soggetto di utile meditazione. ') 

Ora lapidi e leggende sono miseramente perdute^ conser- 
vate con quella del vescovo 'fra Nicolò dottor de Carturis 
soltanto le seguenti, delle quali le due prime si ripararono nel 
nostro Museo d' antichità: 

1, 

HAEC ' EST * SEPVLTVRA * M0BIL18 * VIRI ' DNI ' MARINI 

IOANNIS • MAVROCENI 

DE ' CONTBATA ' SANCÌ A£ * MARIAE * FORXOSAE ' DB ' VENEOIIS 

BT • 8V0RVM • HASRBDVM * QVI • OBIIT * M ' COC * XLVI 

INDICTIONE • xmi • DIE ' DOMINIOO ' XV * HENS18 ' OCTOBRIS 

Codesto Marino, figlio del patrizio veneto Giovanni de 
Morosini, abitante sotto la pievania di Santa Maria Formosa 
di Venezia, morto a Trieste addi, domenica 16 ottobre 1346, ci 
rende testimonianza, che un ramo della famiglia patrizia veneta 
dei Morosini si accasasse in Trieste verso la prima metà del 
secolo decimoquarto. 

2. 

DO * MOR 

I • DA • MERCATELLVS 

SET 

MERCATELLIAE ' GENTI 

V • POSVIT 

M • D • XVI 

AB • AVDITIONE ' PRAVA 

NON • TIMEBIT 

Domum mortis, Ioannes Daniel MerccUellus sibi et MerccUelUae 
genti mvens posuit 1516: ab auditione prava non timébit. 



^) Carlo Morelli di SchÒnielci, Op. e, volume I, pag. 245 
seg. ; Pél fausto ingresso di D. Bartolomeo Legai ecc. ; Doti. P. Kandler, 
Storia del consiglio dd patrizi di Trieste^ Trieste 1868, pag. 101 seg. ; 
Pietro canonico Stancovich, Biografia degli uomini distinti deW Istria, 
Trieste 1828, voi. I, pag- 428 seg. ; Documenti raccolti e pubblicati in occa- 
sione di coUocamenlo di busti enei sulla facciala dd duomo di Trieste^ Trieste, 
1862; Canonico Giovanni de Pavento, V Istria di Andrea Bapicdo 
(nel Programma ddV t. r. ginnasio di Capodistria^ Capodistria, 1870, 
pag. 2 seg.). 



138 

(^l^iovanni Daniele Mercatelli, di famiglia oriunda pado- 
vana, estinta in Trieste nel 1567, figlio dell'oratore e cancel- 
liere Nicolò (morto addi 7 novembre 1477), marito di Pieruzza 
Ubaldini vedova Toffanio e proprietario della casa in via 
Biborgo, numero 470, fratello di Margherita e di Federico 
notaio e cancelliere, padre di Lelia Pegez, di Antonio, di 
Caterina, di don Pietro e di Federico, nacque a Trieste nel 
1447, fu dal vescovo nostro Antonio de Goppo creato notaio 
addi 8 gennaio 1476; fu vicedoxnino nel 1484, 1487 e 1488; 
cancelliere del Comune dal 1489 al 1498 ; vicedomiuo per la 
seconda volta nel 1495 ; di nuovo cancelliere, notaio ed avvo- 
cato dal 1602 al 1531 ; fece testamento addi 29 aprile 1631 e 
moriva addi 7 maggio di questo stesso anno nella grave età 
di ottantaquattro anni. ') 

3. 

DOM 

BERNARDINO • BABBO consobti 

ABCIS ' WAXENSTEIN ' I ' C ' VERE 

D0CTIS8 ' ET ' RARO 

ILLV8TR1S ' DVCATV8 ' GARNIOLI£ 

PBAE81DI ' ASSESSORI ' A * SER.MO 

ROMANO ' REGE ' IN ' EX . INF 

AVSTR * REGIMEN * PARVM ANTE 

MORTEM ' ELECTO 

OBllT ' TERGESTI ' ANNO * DOMINI * M . D LI 

VI ' KAL ' DBCEMBRIS * AETATI8 ' VERO ' SVAE 

ANNO ' XLVII ' ET8I ' NON . LONGE ' VIXEBIT 

TEMPORIS ' NEC ' PREMATVRE 
N0BI8 • ABREPTV6 " SIT ' TAMEN * QVIA 

BEO • VT • AIT • PHILOBOPHVS ' OYÀEIZ 

MAeHTHN • nOIEI ' Bic placvit 

PATIENTER * ET ' EO ' QVO * POSSVMVB 

AEQVO * FBRAMVS * ANIMO ' DEVMQUE 

ANIMAE * VT ' BIV6 * MI6ERIOOR8 ESSE * VELIT 

PREOEMVR ' MESSÀLDVS * ET * VALERIV8 

FILII ' P08VERE 



^) Antonio Tribel, Pa99^giata aiorica per TriwU^ Trieste 1886, 
pag 190 seg. 



139 

Bernardino Barbo, barone e signore di Waxenstein e di 
Passberg nella Camiola, distinto giureconsulto, capitano cesareo 
della Camiola, eletto reggente dell'arciducato delPÀustria infe- 
riore, moriva a Trieste nell'età di quarantasette anni addi 
26 novembre 1551; cui i figli Messaldo e Valerio eressero questa 
memoria sepolcrale. 

4. 

DOM 

NOB • PAM • KVPFERSCHEIN 

EX ' GERMAN ' PBOFBCTAB 

INTER • TBBGE9TIN * COKSCRIPTAE 

SABCOPHAQVS 

AB ' AN • M • D • C • XXVI 

La famiglia Kupferschein o Kupfersin, oriunda dalla Ca- 
rintia, dove certo Cristoforo Kupferschein venne dall'imperatore 
Ferdinando I creato nobile addì 3 dicembre 1549, dalla Carintia 
passò nella Camiola, indi a Trieste, dove acquistava la casa 
numero 297 in via Santa Maria Maggiore. 

A Trieste venne per il primo Fenicio, figlio del suddetto 
Cristoforo, nel 1588 scrivano presso il e. r. uflBcio del daaio del 
quarantesimo, poi amministratore dei sali ; nel 1594 provveditore 
nella signoria di Schwarzenegg; 1602 capo dei dazi in Trieste; 
1604 mudare a Starada, poi a Corgnale ; dal 1613 al 1627 
esattore della muda cesarea in Trieste, innalzato da imperatore 
Ferdinando II con diploma in data, Vienna 2 aprile 1620, al 
grado della nobiltà equestre e nel 1626 aggregato alla cittadi- 
nanza triestina; fece costruire in questo stesso anno la tomba 
suddetta, mori peraltro addi 31 luglio 1629 a Schwarzeneggi 
ove i suoi figli Francesco e Fenicio gli eressero tomba colla 
seguente epigrafe: 

DOM 
PHCENICI • CVFERSIN 

8 • e • M • EXAOTORI ' VECTIGALIS ' 8ALIS 
VIGILANTISSIMO * SVMMAQVE 

FIDELITATIB ' VIEO 

FBANCISCV8 ' BT * PH0ENICIV8 

FIIiU 

MONVMEMTVM * P08VERE 



140 

Il Fenicio ebbe prole numerosa: sei figlie, Susanna Chic- 
chio (nata nel giugno 163B, morta li 23 aprile 1694); Anna 
Eleonora de Baiardi (nata nel giugno 1634, morta nel mag^o 
1688); Giovanna Bainier (nata nel 1603); Laura de Vitali 
(nata nel 1607, morta li 27 aprile 1673); Caterina de Ustia 
(nata nel 1609) e Maria de Cergna (nata nel 1611, morta ne 
1676); e cinque figli: don Giuseppe (nato in Camiolia nell 
1696, dottore in filosofia, dal 1641 rettor magnifico dell'uni- 
versità di Vienna) ; Gabriele Cristoforo (nato a Bresoviza nell'ot- 
tobre 1599, morto ancora giovane) ; Francesco (nato in Bresoviza 
nel 1602, morto nel 1666), mudaro in Zaule; Fenicio (nato a 
Schwarzenegg nel 1604, morto nel maggio 1636), dottore in 
ambe le leggi, e fra Antonio (nato postumo nel 1637, morto 
addi 28 luglio 1668 come guardiano del convento di Grignanoj. ') 

La chiesa ebbe da principio un solo altare ligneo, il mag- 
giore dedicato alla Vergine Immacolata. A poco a poco ebbe 
degli altri. Nel 1478 il patrizio Lorenzo de Bonomo, fondatore 
della chiesetta di S. Lorenzo nell'andrena omonima, ') figlio 
di Pietro Bonomo, graziato addi 2 aprile 1442 dall'imperatore 
Federico V col titolo di conte palatino, ^) morto nel luglio 1506, 
erigeva a proprie spese V altare delP Annunziata. La famiglia 
deir Argento alzava in marmo l'ara di san Francesco e la fami- 
glia dei Marchesetti il marmoreo del Carmine. Lo stesso fecero la 
famiglia de Francol e le tredici nobili casate. La prima efesse l'ckra 
marmorea dell' Ajigelo Custode, le ultime quelle di san Gioachino 
e di san Francesco, ornandole coi loro stemmi. Per ultimo, nel- 
r anno 1624, Domenico de Baseggio erigeva in legno V ara di 
Sant'Ajitonio, ornandola colla statua del Taumaturgo, lavorata 
in Ancona, e ponendovi al lato suo destro la seguente leggenda : 

DIVO • ANTONIO • PATAVINO 

D0MIN1CV8 ' BASILÀEVS ' IOANNIB ' FILIVS 

RBLIOIONIS ' AHATOK 

SPELEVM ' CVM ' SIGNI6 ' ET ' ARAM * CAETERIBQVE 

VOTI • COMFOS • DEDICA VIT 

M • D • XXIV 

') Antonio Tri bel, Op. e, pag. 250 seg. 
') Antonio Tribel, <>p. e, pag. 828 seg. 
') Fra Ireneo della Croce, Op. e, voi. I, pag. 6B2. 



141 

Avea cosi la chiesa sino all'anno 1560 sette altari. Ma 
siccome il Medioevo si distingue neUe chiese coli* aver fondato 
fraghe o fraterne speciali di fedeli che in tal guisa volevano 
emergere colla loro devozione, pietà e fede inconcussa, cosi i 
nostri Minoriti ne ebbero nella loro chiesa diverse. 

La prima e la più antica è quella delle tredici famiglie 
patrizie. Ebbe questa principio addi 2 febbraio 1242, otto anni 
dopo ultimata la chiesa, sotto il ministro provinciale fra Pelle- 
grino da Trieste. Non vi si potevano ascrivere che patrizi 
triestini, nati da legittimo matrimonio, da padre e madre nobili, 
discendenti da quelle famiglie che la fondarono, mai in numero 
maggiore di quaranta confratelli; con divieto di esser ascritti 
ad altra fraglia. Di questa fraterna^ che ebbe fin dai suoi 
primordi proprio sigillo e fu eretta dalle famiglie patrizie : 
Argento, Bonomo, Burlo, Padovini, Baseggio, Leo, Oigotti, 
Stella, Pellegrini, Belli, Petazzi e Tofanio ^) sotto^ il patrocinio 
di san Francesco d'Assisi, ci racconta il nostro fra Ireneo della 
Croce; *) 

Scorgendo alcuni^ misero avanzo delV antica fHfbiUà triestina^ 
che il tempo vorace lacera e consuma co" suoi maligni influssi tutte 
le umane grandezze e molte famiglie e casate antiche, a causa 
de^ passati incendi e rovine, tante volte sofferte dalla barbara cru- 
deltà e da altri strani accidenti con discapito dello splendore e 
ddV antico sangue romano^ di cui fu sempre gelosa Trieste^ alcune 
già erano estinte* ed altre trasmigrate in aliene contrade ; con 
saggia ponderazione riflettendo, che per conservare la patria e 
supplire in parte a si . notabile difetto^ era necessario aggregare 
alla nobiltà patrizia nuove famiglie^ e perché la ynescolanza di 
queste non apportasse diminuziofie al bel lustro di queW a*^tico 
sangue, con pregiudizio della legittima nobiltà patrizia : adunati 
dunque àlguanti soggetti di questa per ovviare a disordi$$e di non 
isprezzabUe conseguenza^ colT intervento del rev. padre Pellegrino^ 
ministro provinciale de' minori conventuali di 84 Francesco^ cUta^ 
dine pure di Trieste^ determinarono ai due di febbraio ddV anno 



') AntonioCratey, Op.c.,pag.49668eg.jDott. Pietro Kandler, 
Storia M dmeiglio d$i patrùU di Trieeté. 
*) Op. e, voi U, pag. 624 seg. 



142 

1242 d* erigere nel convento del tnedesimo santo una congrega- 
gione e confraternita, in cui dovessero aggregarsi solamenie le 
cessate nobili antiche senMa veruna dipendenga dal vescovo ed 
aggregazione a qualsivoglia confraternita, con regola e costituzioni 
proprie e proibizione espressa di mai eccedere il numero di éO 
confratelli nobili. 

Trascorsi anni 219 dopo tale fondazione, il rev. padre Gio- 
vanni Soffia, provinciale ddla Dalmazia e delT Istria dd medesimo 
ordine, pure citt<Ulino di Trieste, unito ai padri dd convenio 
e ai signori confratdli allora esistenti, di comune consenso con 
nuova riforma stabilì, che ndVawenire i sudetti 40 signori confra- 
telli s* eleggessero solamente delle tredici seguenti casate (dell' Al- 
gente, t de Basei, f de Belli, de Bonomo, de Burlo, f de Cigotti, 
de Giuliani, de Leo, de Padovini, f de Pellegrini, de Petazzi, 
de Stella, f de Toffani) nobili ed antiche, fra le quali le cinque 
segnate f ai giorni nostri in Trieste sono totcdmcfUe estinte. ^) Il 
ritrovarsi arrotati in essa per abuso introdotto molti soggetti di 
moderne famiglie^ si stabilì nuovamente il 27 gennaio 1558 in 
pubblica adunanza, con espresso decreto e divido formale, di libbre 
cento a' suoi nobili sindaci o canovariy i quali ardissero ascrivere 
ed accettare per confratdlo nelC avvenire, soggetto di qualunque 
grado e condizione, alieno delle tredici famiglie nobili qui esposte, 
e ritrovandosi alcuno arrotato nel suo catalogo, tal nonie sia awnul- 
lato e subito cancdlato dal libro : decreto poi sempre inviolabilmente 
osservato sino al presente come a* suoi tempi si vedrà ; restandomi 
solamente d'avvertire (per chiudere la bocca ad alcuni), che il 
tralasciare di scrivere le notizie particolari delle prerogative, pri- 
vilegi ed eroiche azioni di alcune di esse, non potrà attribuirsi a 
mia negligenza^ avendole pitt e più volte con grande istanza (sempre 
però indarno) ricercate: ma alla trascuratezza di chi dovea comu- 
nicarle come anco il registrarle cóW ordine ddV alfabdo, per evitare 
ogni puntiglio di pretesa preminenza fra le stesse : e gli armeggi 
posseduti da ciascufM famiglia dimostrano essere iproprii da esse 
innalzati in Trieste. 

Né quest'usanza si cangiò col tempo, che anzi i nostri 
patrizi, immemorì come imperatore Carlo YI non intendesse 



*) Cioè t^ik verso il 1700, 



gìk dì avere una oscura Trieste patrizia, bensì un grande 
emporio triestino, azzardavano nel 1734 importunarlo, onde avere 
un estemo distintivo come confratelli in san Francesco. Cre- 
diamo necessario il riportare per intiero il contenuto della 
supplica curiosissima: ^) 

Sacra cesarea real cattolica maestà 
signore^ signore monarca clementissimo ! 

La città di Trieste che vantando una distinta antichità di 
natali porta anco seco per impareggiabile conseyuenea d^aver avuto 
uomini di virtii insigni e célèbri di nobiltà^ poiché governatasi già 
secoli con massime democratiche diede sufficiente motivo agVistorici 
di rifletterla d* origine antica e per riferirla fra le colonie più 
celebri della romana grandezga, ora poi con piti gloriosi applausi 
vive sotto li felicissimi auspicii et Austriaco dominio della Maestà 
Vostra^ veì'so il quarto secolo; né visi voleva altro sovrano ch^un 
Carlo VI invitissimo monarca per fargli riavere qualche pregio 
de^ suoi antichi splendori e qual fenice rinascere al fuoco del di 
lei paterno imperiai amore che giornalmente va dimostrando a 
questa fedelissima patria. 

Alimentata per molti secoli dalle false dottrine della cieca 
gentilità, hebbe la sorte ch'appena pubblicata la fede cattolica, 
restò Vanno 46 condecorata con le gloriose insegne del crocefisso 
Signore, restando felicitata da S, Ermacora che circa taV anno 
dopo la morte di Cristo le diede il primo vescovo e pastore. 

Vn secolo e mezzo pria della nostra fortunata soggetione 
aW Augustissifna Casa d' Austria, seguita Vanno 1382, ritrovandosi 
questa città desolata per le tante patite disgratie, dovette in ristretto 
civico governo farne scielta di soggetti rustici et artigiani et arro^ 
larli a conseglj per compir il numero primiero, come di ciò si 
trova qualche piccola memoria né archivj della città, 

Ritrovavansi in tempi sì calamitosi tredici famiglie distinte 
di nobiltà per li meriti et ationi illustri proprie e de loro antenati 
quali considerando avvilirsi il conseglio per V aggregatione et intro- 
dutione di simili persone estere^ i^ustiche et artigiane e volendo 
conservare il fregio de loro natali, per massime temporali et anco 



^) Doti. Pietro Kandler, Op. e, pag. 118 seg 



144 

prefitto ìM anima indituùrono nAl246 un'assmiMea diquarania 
frateìH aggregati sotto gii- auspicii dd glorioso serafico S. Fran- 
cesco nel convento de PP. minori conventuàlij che poco pria /nari 
ddle mura ddla dita era etato fabbricato^ titolandola il "Oongresso 
de nobili,, e fu composta dai membri ddlr prescidte 13 famiglie 
discendenti da legittimo e nobile ceppo, di quali famiglie nd corso 
in circa di cinque secoli rimasero estinte sei^ restandone solo sette 
superstiti che vivono. 

Quesf assemblea come umilmente di sopra dissimo^ fu ancor 

V anno 1^ li H febbraio istituita qfipena fondaia in Trieste la 
francescana religioney e vedendosi nel corso del tempo mancante 
qualche famiglia s* invogliarono taluni che venisse aggregata qualche 
altra dette più purgate nobiltà, ma li nostri maggiori instiiutori 
della lìnedesima previdero che aggregandosi altra nobiltà che iton 
sii delle XIII famiglie verrebbe ad oscurarsi il splendore antico 
delle medesime^ onde con saggia antivedenga e con speeiàl legge 
determinarono che: ** nessuno possi essere qdnifissoin questa congre^ 
gatiofie che non sia nolo d'una deUe XII( famiglie xnfraseriiie 
con pena di li, 100 atti camerarii sensa admetlerli alcune eccetioni 
e Vadmesso o proposto sii nuUo, irrito e c^tsso^ et ciò si è awerqto 
con diversi cavalieri paesani anco in questa generatione, che fecero 
ricorso in scritto^ affine le loro fossero incorporate nelle XIll 
famiglie, ma temendo li camerarii li rigori delV instituto non 
hebbero spirito né di proporli né tam meno d'accettarli 

Grande fu invero il selo de nostri maggiori per conservare 

V antico decoro della nobiltà et accio la mei^oria delle medesin^ 
fosse distintcnnente considerata hanno provveduto che n<:lle pub- 
bliche processioni del Corpus Domini e Venerdì Santo^ ndle quali 
tiene la nostra assemblea il primo luogo dopo il magistrato in 
loco di toroie cV areicamente si portavano, per distinguersi daUe 
altre congregazioni si sono surrogati candelotti li libbre IV Vuhìo 
e perdo siamo chiamati volgarmente ^nobili del mocoìOy, con 
óbbligQ ai camerarii prò tempore di non ceder a veruno la premi- 
nentia fuorché a qt^che cavaliere foresto, a cui presentandosi un 
candelotto s'accetta nel messo di essi due cafnerarii e cosi quelli 
costringono a dispensar vino e denari ai poveri déUa citt^y benché 

V entrate delle medesime assemblee sieno assai diminuite per F an- 
tichità deUa stessa^ le di cui memorie in parte svanirono. 



146 

Li cavalieri forastieri che cimosi d'investigar V antichità de 
paesi informati della fondatione et instituto di questa congrega' 
none antica di nobili restano ben perplessi nel non aver procnrato 
daW austriaca sovranità qualche distinto fregio per far maggior- 
mente risplendere la sua stella che con tredici raggi et armeggi 
delle famiglie riduce a memoria Vantica nobiltà preservata dalle 
disgratie eh* in t^inti incontri abbatterono questa città. 

Tutte queste famiglie che vivono, oltre che per il corso di 
cinque secoli in circa hanno potuto far un purgaiissimo sangue 
nobilitato dal tempo, nulla di meno tengono da reggi et impera- 
tori e particolarmente da augustissimi austriaci regnanti d^men- 
tienimi privilegii con fede imperiale d' averli trovati ncòili e perciò 
fregiati dedite prerogative e resi meritevoli per il fedelissimo 
servigio prestato con le sostanee e con la propria vita prontamente 
conaacrata in sostegno dell imperiai trono. 

Sapendo dunque che la maestà vostra sii amante d^ suoi 
fedelissimi sudditi e vassalli e della nobiltà qual secondo U senti- 
mento del gran filosofo Cassiodoro abbellisce le città e repubbliche^ 
eo^ questa nobiltà delle XIII famiglie prostrala implora dqXla 
Maestà Vostra un clemenHssimo austriaco contrassegno di grafia 
di poter con special privilegio li confratdli legittimi della preno- 
minata assemblea di nobili che vivono nobilmente e secondo le 
regole e li successori di legittimo toro in perpetuuin portare al 
petto una simile picciola stella d'oro di raggi tredici allusiva alle 
7(TJI famiglie da quali fu eretta con la figura del serafico santo 
da una parte e dalT altra V armeggio della casa col motto : 
'^Car. VI. rom. imp. sic condecoravit 1734„ senm che possa dai 
fratelli essere ampliata, ingrandita, ma tutte consimili da distri- 
buirsi e dispensarsi a legittimi e fratelli buoni con dementissimo 
placet ddla Maestà Vostra dalli camerarii prò tempore deU^ 
suddetta congregatione. 

E quando della nobiltà rappresentata cadesse in ombra che 
queste ossequiose nostre rappresentanze non fossero di tutta verità 
(«2 che mai non osaressimo), si degni I0 ilfoe^tò Vostra informarsi. 

Tal gratia s* ni^plora dalla Maestà Vostra e questa sarà una 
memoria etema per lasciar tra le gesta memorabili di s\ invitto e 
clementissimo sovrano Vamore intenso verso li suoi fedelissimi vas- 
salli e li nostri posteri havranno a cuore per debito indispet^abile 



146 

di tener illeso V onore di loro nascita et esser in ogn* in^ 
contro pronti cól proprio sangue alla difesa delV augustissifno 
austriaco trono che V Altissimo conservi ed esalti sino gli uUimi 
periodi del mondo e noi genuflessi con profondissimo trìpliccdo 
inchino si glorieremo di vivere e morire, 

Ddla sacra cesarea real cattolica Maestà Vostra. 

Umilissimi fedelissimi vcasaHi 
6io. Ouglielmo de Bonomi 
Vito Modesto de Giuliani. 

Cinquanta anni più tardi avrebbero letto con stupore e 
meraviglia i patrizi triestini come uno di loro, Antonio de 
Giuliani, scriveva della nostra città : ') a Triesti venga V uonso 
di riflessione a meditare sopra il modo con cui crescono e si fan- 
dano le città ; a Trieste venga il ministro a compiacersi negli 
effetti déUe solitarie occupagùmi del sfio gabinetto; ti legidatare 
ad apprendere V arte di servirsi deile facoltà degli uomini per 
condurli loro malgrado ad una felice psistenga. Si formarono dei 
codici criminaii, e lo spirito umano si esaurì nelV invengione dei 
rigori piti barbari e più atroci per bandire i dditti e per mettere 
un^ argine alle sedigioni^ ai tumulti; ed una popolagione composta 
di varie nagioni ed in parte di fuggitivi, di banditi, di middiari 
e bisognosi stranieri^ vive pur quivi tranquilla per nessun^ atira 
ragione^ se non perchè Vuomo nato per essere agitato, vi trova 
neir innocente e facile esercigio della sua industria la sua felicità 
e contentegga. Il peso di una vita miserabile ed ufCogiosa imagi* 
ragione portano ordinariamente gli uomini a quegli eccessi che 
per lo più non si pensa che a punire quando spesso manca nd 
legislatore Varte di ottener tutto dagli uomini senga mai violentarli. 

I nobili non furono del resto ascoltati da Carlo VI, e vi 
si adattarono. Soppressa la fraterna nel 1783, furono inscrìtti 
nel cosidetto libro d*oro, nella matricola dei consiglieri della 
città, i quali con questo registro entravano in patriziato ; così 
dal 1702 al 1808 e prima ancora i Baiardi, i Bellusco, i Bot- 
toni; i Brigido, i Brunner, i Calò, i Camnich, i Capoano, i 
Cassis, i Chicchio, i Civrani^ i Conti, i Costanzi, i Cratey, i 



^) Rifle^RÌoni politiche sopra il prospetto attuale della città di Trieste, 
Trieste 1866, pag. 22 seg. 



147 

Dolcetti» i Donadoni, i Fecondo, i Francol, i Francolsperg, i 
GarzaroUi, i Giuliani, i Guadagnine, i Gerolini, i lelussig, gli 
lenner^ gli lurco, gli Kupferscliein, i Lellis, i Loiigo, i Lovacz, 
i Maflfei, i Marchesetti, i Marenzi, i Mikulicz, i Mildenhof, i 
Millost; i Montanelli, i Nemeth, i Panzera, i Pascotini, i 
Pototschnig, i Prandi, i Praun, i Eeyss, i Ricci, i Rinna, i 
Rossetti, i Roth, i Santonini, i Sardagna, i Saurer, gli Schia- 
vuzzi, gli Sticotti, gli IJstia, i Zanchi ed i Zucconi. ') 

Un'altra fraterna era quella di sant'Antonio Taumaturgo, 
che aveva per membri non solo plebei, ma ben anche patrizi. 
Crebbe molto di numero nel secolo decimosettimo, quando il 
Taumaturgo fu eletto come uno dei cinque protettori di 
Trieste. Racconta fra Ireneo della Croce, ') che spinta la nostra 
città di Trieste da special divozione verso U miracoloso Sant^ An- 
tonio di Padova, congregò li 15 di giugno del 1667 un^universale 
consiglio^ colV intervento di monsignor vescovo^ suo capitolo dei 
canonici, magistrato^ nobiltà e cittadinanga tutta, nel quale con 
applauso universale di tutti fu eletto protettore della città ed 
aggiunto agli altri cinque santi martiri che nei tempi andati si 
veneravano in Trieste, quali cittadini propri col titolo di protei- 
tori, il cui patrocinio alli 29 dello stesso fnese si celebrò nella 
chiesa di S, Francesco fuori della porta di Cavana^ colVintervento 
di tutta la città^ che dalla cattedrale con solenne processione con- 
corse alla stessa chiesa. 

Approvata quest' elezione dall' imperatore Leopoldo I con 
diploma in data, Graz 16 febbraio 1668, prevalse nel nostro 
popolo l'usanza di chiamare la chiesa dei Minoriti non più 
S. Francesco , bensì S. Antonio, e quando la fraterna per 
dispareri nati coi padri si allontanava nel 1767 e fabbricava 
la chiesa di S. Antonio, questa ebbe in nome di S. Antonio 
Nuovo, quella di S. Antonio Vecchio : uso che tuttora perdura. 

La storia della fraterna di sant'Antonio Taumaturgo si 
compendia del resto con le seguenti notizie che abbiamo attinto 
da quei pochi documenti che abbiamo potuto rinvenire: 



*) Antonio Cratey, 7. e, 

») Fra Ireneo della Croce, Op, e, voi. Ili, pag. 278. 



148 

Eletto ai 15 giugno 1667 sant'Antonio di Padova per 
uno dei protettori di Trieste, ^) si formava nella chiesa di 
S. Francesco dei nostri frati Minori una speciale confratema 
in suo onore, la quale sebbene non accetta a quella delle tredici 
nobili casate, perchè composta in gran parte di popolani, pure 
visse in concordia coi padri sino ali* anno 1766. ') 

Venuti a contesa coi nobili circa la precedenza nella 
processione votiva nella festa di sant'Antonio Taumaturgo, la 
fraterna, assenzienti tutti i membri, abbandonò la chiesa dei 
nostri frati Minori e riparò cogli standardi, colla statua e cogli 
altri attrezzi nella chiesa del Bosario, dove frurono amorevol- 
mente accolti da quel cappellano Francesco canonico BaiardL 
Radunatisi in questa chiesa addi 6 luglio 1766 in numero di 
centoquarantasei, sotto la presidenza del vicario generale Anni- 
bale canonico <)^iuliani, cento e trentasette dei convenuti deli- 
berarono di fabbricare una propria chiesa e di porsi sotto la 
protezione del vescovo e de' suoi legittimi successori. Trascri- 
viamo r atto relativo. •) 

Copia. 

Li 6 Lug,^ 1766 \ Trieste. 

Kella Tend.» Chiesa del Santiss.® Rosario. 

Attesa La TranslaMìone prò interim versoti Grazioso Placet di 
Sua EccUa: Bma: Monsignor Vescovo dalla Chiesa elatistraU di 
Sn. Fran,^^ de Minoriti in questa delV Arciconfraterniià nostra 
istituita da Sommi Pontefici sotto il Glorioso Vessillo del Nostro 
Gran Santo Protettore Antonio di Padova ccgFindulti, e Gramie 
à quéUa anesse^ in conseguenza di che passar dovendosi alV Ere- 
sione d'una nuova Chiesa à Lui dedicatta conforme si è t^a 
volontà ancora di questo Ecdso Sup,*^"* Governo onninamente^ ed 



*) Don Giuseppe Mainati, Op. e, voi. Ili, pag. 810. 

') È dunque falso quanto raccontano di questa fraterna Don Gio- 
seppe Mainati, Op. e.» voi. IV, pag. 295; Antonio Cratey, Op. e., pa^. 
14 seg. ; Girolamo conte Agapito, Op. e, pag. 119; Giovannina 
Bandelli, Op. e, pag. 289; Ettore Generini, Op» e, pag. 839; Anto- 
nio Tribel, Op. e, pag. 56; Giuseppe Caprin, Inostri Nonm, pag. 2Q9. 

*) Archivio <MV i, r, Luogotmétwa di Triésié, 



149 

immedicUamefUe sogetta al Cantando della Stessa EccUa: Sua U 
Nostro Veneraiiss.^ Prelato e Veneraci Successori prò tempore 
in Infinituntj fu in oggi radunatto General Capitolo de Confra- 
telli per proporsi in questo se per mancanza presentanea di Capi- 
tali pecuniarij in poter d'essa arciconfraternità ricercar ^ etfaccetar 
ddibasi con Capitale Sufficiente air Erezione di detta Chiesa sin'al 
suo totale perfecionamento^ e dotazione ancora. 

Fattasi perciò proiU de more Inopportuna ballottaisione e ciò 
colV intervento, presenza^ e benigna assistenza delV Illmo :, e Bmo : 
Big : Vicario Oenerale de Giuliani, da lui fu previamente invo- 
cata La benedizione^ e Lume Celeste colla preghiera deW Inno 
Veni Creator Spiritus, e fté per La seguente ballottazione deciso 
che prender ed accettar debbassi à peso della Stessa Arciconfra- 
ternità con Capitale pecuniario p. il fine^ ed effetto come Sopra. 
Essendovi il numero integrale de fratelli in questo General Capi- 
tolo concorsi cento cinquanta sei. 

Voti Javoreooli N. 187 

Detti contrari) „ 19 

Bestò confermata in fede 
D.° Oio: Aiit.0 Boslz Cancella 

lì vescovo Antonio Ferdinando conte Herberstein accettava 
anche codesta offerta e, in data 10 agosto 1766 rilasciava alla 
fraterna il seguente documento: ^) 

Noi Antonio Ferdinando del Sae. Bom. Imp. Conte d'Herberstein 

per la Dio Grazia, e della Santa Sede Vescovo, e Conte di 

Trieste, Abbate Infoiato di Prun neir Yngaria. 

Vacche V amatissima nostra Confraterna di S. Antonio di 
Padova «' è cAlontanata dal Luogo dove si ritrovava presso i EB. 
Minoriti per giuste' cagioni ; una delle Nostre Pastofàli sollecitu- 
dini è stata, custodire le parti sane di questo Corpo, consolidare 
le disgiunte e separare le guaste, per porla sano Corpo in istato 
di pace e quiete^ cosicché non solo conservar si potesse alla mag- 
gior gloria del Signore ed al culto del Santo loro Prottetore, e 
Taumaturgo S. Antonio^ ma rendesse ancora forza e splendore atta 



*) Archivio ddV i. r. Luogotenenza di Trieste. 



160 

nostra Chiesa Cattolica di Trieste^ à cui per Misericordia Divina 
presediamo. 

Doppo perciò mature ri/flessioni^ e doppo di' havere dimandato 
il Divino Ajuto^ habhiamo stabilito guanto segue per U sodo bene 
e tranquillità della medesima Confraternita^ e per suo maggior 
vantaggio e sicurezza. Ed ecco la nostra mente, 

i.*^ Non potendosi assolutamente per parte nostra^ e raggiorni 
importantissime concedere alla Nostra Confraternità una Chiesa 
speciale è di necessità precisa, ed indispensabile, se amano Vonor 
di Dio e del Santo, e se goder vogliono delle prerogative in 
seguenza espresse, che s^ unischino (Ma nuova Chiesa dà erigersi 
nella nuova Città in adempimento del desiderio Sovrano. 

2.^ Non potendosi ammettere in un' istessa Città altre Con- 
fraternita dello stesso nome, ch'una sola; Dichiariamo, che questa 
sola, che s^ unisce con la nuova GUesa sia e sarà per sempre dà 
Noi approvata, e goderà Vindulgenze^ prerogative etc. e nessun^aitra. 

3.* Siccome fin' ora la Confraternita ha havuto per presidi li 
Padri Guardiani Minoriti prò tempore; Dichiariamo perciò cV in 
avvenire Noi ed i Nostri Successori saranno per sempre presidi ddla 
medesima intervenendo ò per Noi, ò per altri delegati nell'occorrenze, 
alle quali per uso, e consuetudine deve intervenire U lor preside. 

d*"* Come per il passato^ così per V avvenire^ la disposizione, 
amministrazione delle rendite, capitali, fondi, questue, ed altro 
alla Confraternità aspettante sempre sarà nelle mani de canepari, 
ed ufficiali prò tempore, e nulV affatto s*alterarà ò mutarà di 
tutto quello, che ha costumato la Confraternità di fare infino al 
giorno d' oggi, secondo il suo instituto, regole e costumanze. 

5.*'' Bestino tutti i Confratelli assicurati e certi, che la com- 
missione delle Cause Pie non havrà con la Confraternità aìtra 
ingerenza, che quella, eh' ha havuto per il passato, ch'ha con ttUtì 
i luoghi pij, e chiese, ed è la revista de Conti per ogni diritto 
competente alla Suprema Auttorità Sovrana, come protettrice, ed 
avvocata delle Chiese. 

6."* Restino pure anch' assicurati, ch'alia Confraternità saranfM 
dà me, e da' miei Successori inviolabilmJ^ conservate tutte le pre- 
rogative fin' ora godute tanto in riguardo alle ptd>liche loro fun- 
zioni, e processioni, quanto ancora à tutte le altre loro /incora 
concesse come per il passato praticate, ed osso-vate. 



161 

7.<' Hawanno mila nuova Chiesa il proprio altare^ dove 
potranno poìvi ò statua^ o imagine del Santo come vorranno^ ed 
avranno anche V Oratorio nel corpo della fahrxca^ dove potranno 
ripor le sacre suppelletili con altare, e commodo al Ur piacere 
per fare li santi loro esercizj, e convocaeioni ; In somma tutto 
sarà come il passato secondo (' instituto della Confraternità, ma 
con più quiete, pace, tranquillità, e sicurezza, e decoro, ed onore 
di Dio, e del Santo, 

8."^ Fiìialmente essendoci giunto alV or ecchioy cW alcune persone 
indivote vanno disseminando zimnia negV animi de Confratelli con 
proposizioni false e sediziose dettate dà spirito di partito per 
ritirarli dà questa santa unione con pregiudicio dell'onore Divino, 
e del culto del Santo Protettore; Esortiamo la nostra amatissima 
Confraternità à non dare orecchio à nessuno, à mantenersi nel 
suo santo fervore^ assicurandola di tutta la nostra assistenza^ 
amore e protlezione, ma sopra tutto dalV assistenza, e prottezione 
Divina^ cìie non gli mancarà maij e del Patrocinio dd Santo lor 
Protettore con che loro augurando dal Cielo ogni vero bene, lor 
diamo la paterìia pastorale nostra benedizione. 

Dot. Trieste dal Palazzo Vescorik li 10. Agosto 1700, 

Antonio Ferdinando Vescovo. 

D. Giuseppe Himnovich 

Vice-Cane:'^ EpJ* mp. 

Addì 6 luglio 1766 non erano peraltro comparsi tutti i 
confratelli, per il qual motivo il cancelliere vescovile don Felice 
Bandelli li invitava con apposita circolare in data, 10 agosto 
1766 a comparire alla radunanza da farsi ai 17 dello stesso 
mese : *) 

Trieste li U Agosto 1766. 

D^ ordine di Sua Eccellenza Rma Mmisig.^ Vescovo; Essen- 
doché nell'ultima convocazione sia comparso n.^ troppo picciolo di 
Confratelli di S. Antonio, vengono li medesimi di bel nuovo corte- 
semente invitati per la ventura domenica, che sarà li 17. del cor- 
rente alla Chiesa del Rosario per le 4. ore doppo pranso, ed 
esortati tutti di cotnparire, dichiarandosi, che queUi, li quali non 



*) Archivio dell' i. r. LuoyoteyxefìZa di Trieste, 



152 



comparirano senza legitima scusa ed impedimento, dalla propria 
tnano di Sìm Eccellenza Rma Monss. Ves."* leniranno ficanzdaU 
dal libro e Catàlogo de confratelli. 

De Mandato Exmi.et Rmù Dni, Episcopi et Comitia Tergestini. 

P. Felix Baadel 
Cane. Epalis. 



Antonio Righettini 

Qius:^ Frisacco 

Andrea Fiossi 

Ignatto Kreitter 

CHov: Giorgio Oerdla 

Giacomo Moro 

D. Ant:"" Novagk 

Francesco Supancig 

Carlo Giuseppe Maurilio 

Francesco Maurilio 

Carlo Cerpi 

Bernardino De Weitz Cane/* 

Odoricho Panfido 

Gap. Mattio Corona 

D/ Fran."^ Carie 

Nicoleto Piaajsa 

Zuanne Fede Castelli 

F. Felice Morétti 

Gio. Jf/ AUessandri 

Antonio Gallina 

Faulo Madich 

F. Lorenzo Ceschioti 

Gravisi 

F. Bortolo Fanfido 

Faulo Freri 

Giuseppe Off man 

Genaro Fecondo 



Martino Smuk 

Sebastiano Ant."" Bevilacqua 

Antonio Seriau 

Cristofolo Verzier 

Angelo Valla 

Antonio Burlo 

Gold Feithres 

Val' Cavallar 

Giuseppe Franzon 

Fietro Stregar 

Giacomo Gierolin 

Bastian Bandel q,**" Andrea 

Gioani CHerolin 

Giuseppe Scrigner 

Steffano Fepeu 

Fabrizio Fedone^ dante 

la facoltà al Sg/' Bighettini 

D. Ste/" Spollente 

Andrea Mianni 

Valentino Jdussig 

Winkoviz 

Domenico Fascotini 

Mathias Kandler 

Faulo Kandler 

Frane. Crisman 

Sebastian BUmna 

D. Michidi 



i&d 



Andrea Schopp 
Michele Kervina. 
Giovanni Supancig 
Gerolamo Davanzo 
Mattia Vogrina 
Giusto Paradiso 
Nicolò Ddenejs è impedito 
Angelo Antonio Mometti 
Io Giuseppe Burdlo 
Pietro Caucig 
Antonio Gulig 
Giuseppe Bussig 
Bartolomio Perini 
Gaudendo Giorgietta 
Giorgio Giorgetta 
Antonio Cavalli 
Andrea Machlig 
Io Giuseppe Bozzini 
Tomaso Bozzini 
Valentino Bobec 
Antonio Miniussi 
Giorgio Platner 
Antonio Sivez 
Baldasar Cartoli 
Salvador Zanini 
O. G. Scheidtenberg 
Q. Michael Scheidtenberg 
Dan Antonio Spalar 
Francesco Gamòini 



Bernardo Greco 
Antonio Amarco 
Andrea Tercman 
Carlo Toppo 
CHovanni Burlin 
Luca Prassel impotente 
D. CHo. Ant. Bosiz 
Giuseppe Cesare 
Mattia Torzon 
Francesco Terin 
Andrea Pavinatti 
Giacomo Bobech. 
Antonio Cergna 
Paulo Scamperle 
Ss Gius. Salvagni 
Bernardo Giorgini 
Apesete 

Ferdinando Solzer 
Giuseppe Bossi 
Giuseppe Schagnetti 
Andrea JBockoffler 
Buddfo Deretti 
Giuseppe Garzaner 
P, Frane."" Fiorentino 
Giuseppe Bolle 
Giovanni Caligaris 
AndJ" Desella 
Tomaso Maranig 



Tra i cento e otto sottoscrìtti figurano persone rispetta- 
bilissime di quel tempo, una delle quali è senza dubbio Oiorgio 
Matner^ negoziante di Borsa, morto nell'età di settantun'anno 



I 



154 

addi 18 ottobre 1782 e sepolto all'esterno del duomo di san Giusto 
colla seguente epigrafe: 

HONVMENTVM 

PBAENOBILIS DOMINI OEOROII PLATNEB 

NEGOTCATOBIS AC UEMBBT SPECTABILIS 

BVBSAE MERCANTILIS IN LIBEBO POBTV 

TEBGE8TIN0 EIV8QVB DE8CENDENTIVM 

EBECTVM 

DIE XX MEKSIS DECEMBBIS 

ANNO MDCCLXXXI 

QVI OBIIT ANNO DOMINI MDCCLXXXII 

xvin * 8bbis 

ABTATIS 7EB0 LXXI DIE XII 

Si radunava pertanto la fraterna addi 17 agosto 1766 pre- 
sieduta dal vescovo Ferdinando conte Herberstein, ed i confra- 
telli presenti in numero di cento e nove promisero di esborsare 
quattro mila ducati di lire sei l'uno per incominciare la 
fabbrica della chiesa di sant' Antonio. Diamo Tatto relativo: *) 

Adi 17: Agosto 1766: Trieste 
Intervenuta personalmente Sua Ecclza Rma : Monsig, Vescovo 
e Conte di questa Città nella veneranda óhiesa del Rosario ove 
ivi presente provisorio modo esiste la Vent^'' Arciconfraternità del 
glorioso Sant: Antf de Padova propone V Ecclza Sua à tutti li 
fedeliss.-^ Confratelli, che (piando tutti d'accordo promettano di 
voller annuahnente conpontìialità contribuire V anmu) ducato di cui 
si sono volontariamente agravati nella respettiva congrega, l! Ecclza 
sua attesa V offerta che qui viene fatta dagli attuali Sig, Canepari 
di voler prontamente esborsare duccati 4000 : di Lire 6 : per una 
volta tanto, impegna la stm parola graziosiss.-" che questa Con fra- 
tet*na vera incorporata nella nuova Chiesa Teresiana, ove la Con- 
frcUema medesima indipendentemente dalla fraterna San Nicolo ò 
altre, colle quali mai avrà alcuna conessione ò dipendenza, Sara 
erretto à dedicazione del Santo ed in potere della med,'^' ConfrcUer- 
nità tanto il Sacro Altare, che V ojyortuno oratorio e sue Sepolture 



*) Archivio delV i, r. Luogotenenza di THeste, 



155 



con tutte quelle prerogative^ jus^ e privilegio, che meglio si deducono 
dall'annesso esemplare A; colla chiara dichiarazione che mai ne 
inver un tempo, o per qualunque motivo li Sig.i Canepari presenti 
ò successori vincolar potranno li respetivi Confratelli ad^ alcuna che 
si volesse doverosa contribuzione, onde estìnguere Vantedetto Capitale 
pecuniario di duccati 4000: in libertà bensi li medesimi, di rivogliei'si 
alla respettiva zelante carità de medemi, giacJie senza altro consta ad 
ogni uno essere afatto esausta di alcun fondo per un tale rilevante 
dispendio; esortati perciò quelli confratelli che annuessero à si pia 
e vantaggiosa proposizione V approvarla colla propria firma o altro 
legitimo segno. 

Don Gìot: Ant Bosix Cancell.^ 



Antonio Bighettini 
Andrea P. Lossi 
Andrea Mrani 
Antonio Miniussi 
Felice Moréli 
Qio: Ant. Bosiz 
Giuseppe Bosiz 
Domenico Pascotin 
AngéUo Mometti 
Pietro Strager 
Nicoleto Peazza 
Zuane Targa 
Carlo Toppo 
Bernardino CJbn/* De 
D. Valentino Cesare 
Giacomo Oierolin 
Paulo Frerri 
Ginsepe Ofman 
Michele Marianni 
Frane.'' FioretUin 
CHwto Paradiso 
Frane,'' Zupancich 



D.*" Franca Caris 
Carlo Cerpi 
Tomaso Bozzini 
Cap.'* Cristofolo Nowlone 
Zuanne Parolin 
Gio. Batta Bonchi 
Aldrago Ant.'' de Piccardi 

Ca/' Diocr 
Gravisi CHuseppe 
Cristofolo Verzier 
PauU Kandler 
Mathias Kandler 
Bddassar Caroli 
Wechj Nicola Pericoli 

Giuseppe Cargasachi 
And." Hochkofler 
Giorgio Platner 
Giuseppe Platner 
Giacomo Moro 
Giovanni Ant. Weschd 
Andrea Schopp 
Antonio Marinz 



1B6 



Angdo Cestari 

Girolamo d' Awanzo 

Giuseppe Tosti 

Budolfo Derali 

Salvator Zanini 

Andrea Tercman 

Pietro Caudg 

Paulo Scanperle 

Lion Maria Alesandri 

Andrea Anderlig 

Martin Smuc 

D.- -B." Bortolomeo Perini^ 

CHuseppe Burela 

Antonio Lulig 

Bortolo Panfido 

Paulo Madig 

Giovani Burlin 

Valentin Cesare 

Tomaso Maronig 

Giusepe Garmner 

Antonio Salmi 

Filippo BubeUi 

Fran.''^ Gambini 

D." Antonio Cergna affermo 

U tìMo qJ*" fu proposto 
Giac.**''' Frisano 
Gio. Giorgio Jercdla 
Pad. Antonio Gallina 
Pad. CHuseppe Gallina 
Frane.''' Pascolato 
Gap. Malio Corona 
Giuseppe Boaini 
Franta Mathias Shinkowitz 
Giorgio Michidi 



Bernardo Giorgina 

Bernardo Greco 

Domenico Giussani. 

Carlo Martini 

Giuseppe Maurizio 

Francesco Maurizio 

Girolamo Bonamente 

Gioanni Pedecastelli 

Ignazio Kreitter 

Gregorio Domicplli 

Lucca Prassd 

Tomaso Both 

Michiel Ogren 

Gaetano Gambini 

Ciac:'" Gentile 

Antonio Tram 

Giani Vram 

Giuseppe Rossi 

Giuseppe Franzon 

Michd Condoto 

Antonio Burlo 

Mattio Ogren 

Gius/" BiedmUìer 

Giuseppe Aloy 

Lorenzo Ceschioti 

Angelo Vaila 

Don Antonio Spalar 

D/ Nicolò de Giuliani 

Nicolo Nejdiser 

Leopoldo FrJ" Sav. Possinger 

Franf'' Bupnigh 

Ignazio Cesare 

Mattia MUlengh 



m 

Mancava ancora l'approvazione cesarea. E questa ebbe 
anche la fraterna coi seguenti rescritti, in data, Vienna 24 di- 
cembre 1767 e Trieste 9 gennaio 1768, coni quali Timperatrice 
Maria Teresa assegnava alla fraterna il fondo e quattro mila 
fiorini, riservando però a sé e ai successori il patronato:^) 

Von der Rómisch Kaiserlichen zu Geìtnanien, Hungarn nnd 
Bolieim Konigì, Aposfol, May. Erzherzogin zu Oesterreich, Unserev 
allet^gnàdigsten Frauen wegen, Devo Coniniercial'Hauht'Intendenza 
in dem gesammten Oesterreich. Litorali in Chnaden anzuzeigen: Obzwar 
die Umstande der zu Triest errichteien Bruderschaft des heil Antonii 
itnbekannt, und mit dem Berichte vom 5, dieses ausgéhenden Mo- 
nats und Jahrs nicht erlàuteret worden sind; so werde dock die Zu- 
versiclU geheget, dass deren Stand und Stiftung auf eben so erbau- 
lichen Orund — Sàzen und Abzielungen beruhej als rUhmlich und 
heilsam der Antrag ist in der neuen Stadt eine ehristkatholische 
Kirche an dem ausgewiesenen als auch dazu gang heilsamen Flaze 
meistentheils auf Unkòsten gedaehter Bruderschaft aufzubauen. 

Solchemnach werden auch die eingeschickte hier anscìdiìssig 
zurnckfolgende Risse dieses Gebàudes (obzwar die àusserliche Theile 
und in Sonderheit das so starseitige hóhe Portai mit der innerlicJien 
8tì*uktur und mit der nach neuester Bau-Art angetragenen Orund- 
Risse nicht eine gleichmàssige moderne Oestalt haben) allenfalls 
beangenehmet ] und walte kein Bedenken 6b^ die von Ihro Kays. 
Kdnigl. Apost, May. dagu allermildest beygetragenen 4000 fi. der 
benannten Bruderschaft (von deren Wesenheit jedoch die eigen- 
tlichere Auskunft zu erstatten seyn wird) anzuvertrauen und verab- 
folgen eu lassen ohne dass cdlerhòchst diesdben darOber noch sonst 
Uber diesen ganzen Kirchenbau einige Rechnung »u forderen geden- 
ckenj jedodì fUr das Kilnftige siali diejenige Einsicht vorbehalten, 
welche Dero Landesfurstlichen Ober Herrschaft itbeì' alle Kirchen^ 
geistliche OiUer und milde Stiftungen Iure Advocatiae iiberhaubt 
obliege oder Iure Patronatus in Sonderheit gebUre: Wie dann 
aXlerhShst gedacht Ihro May. Sidi dieses lefztere lus Patronatus zu 
der in der Theresia Stadt neu erbauet werdenden Kirche ausdrilch" 
lich aucli vorbehalten, dergestalt, dass weder dei* llerr Biscliof zu 



*J Archivio (lelV t. r. Lnoyoten^ìixa di Ttnesfe. 



Triest, noeh die Si. Antoni Bruderschaft daselbst, oder icer es sey, 
8ich de9sen anmassen Konne und woUe. 

Welckes 8i€ Intendenza Ihm Herrn Bischofen sowohl als der 
Brudersehqfì nebst dem àUeì'gnddigsten WMgefallen Uber der eintmd 
andermtigen Eifer fUr die Andaeht und Ehre Oottes^ zu erinnem, 
zu seinet' Zeit aber auch die BesteUnng der Seélen-Sarge den Bedackt 
ZH n^men und den weiteren Vorschlag zu machen haben mrd. 

Es verbleiben Obrigens ob aìlerhdchst gedaeht Ihre May. mit 
Kays. Konigl. und Ei'zherzogl, Onaden derselben uxMgewogen, 

Decretum per Sacram Caesareo Regiam Apo9tolicam Maiestatem 
in ConMio Supì-emo Camtnerciàli aulico Viennae die 24J^ Mensis 
Deceììibris anno millesimo septingentesimo seocagesimo septimo. 

CHOTEK 

FrauE TOH Mogind. 

Foris: An die Intendenza der von der dortigen Jjitoni-J3rM- 
dersehaft angetragenen neuen Kirchetibau in der Theì^esia-Stadt (hi. 

Foris : An die Kays. Kónigl. Comniercial-Haubt — Intendenza 

in dem gesamtetn Oesteì'reich. Litorali Triest. 

Alla Venerabile Confraternita di S. Antonio. 

Sua 8. Oen}* Beg.^ BigJ" Mstà Con Rescritto di 2i. Xbre 
ultimamente passato ha Cletnentissimamente acconsentito^ che nd 
Luogo BcieUo in faccia al Canale grande possa fabriearai V ideata 
chiesa Catolica^ detta quale la veneràbile Confraternita di S. Ant.*" 
ha voluto assumersi V Impegno^ accordando graziosamente^ che li 
4000 f destinati a tale feerica dal suo Sovrano Erario passino 
essere Contati a quella persona, che dalla Confraternità sarà auto- 
rizata al Ricevimento subito, che sarà dato Mano alVopera, e ne 
saranno visibili li Progressi, senza, che Sua Mstà pensi di obbli- 
garla a qualche Rendimento di Conto, in Considerazione che la 
pietà, e zelo lodevole di essa Confraternita, per V onor di Dio, del 
quale sua Maestà ha sentito Con sovrano gradimento i plausibili 
Contrasegni, si sottopose allo stabilimento intero della detta santa 
fabrica secondo il Disegno qui Compiegato che ha riportato nel- 
V istesso tempo V appi^ovazione della Clementissima sovrana, che nofi 
si riserva altro intomo aUa chiesa da fabricarsi, che il Jus di 
Patronato e d' Avocazia competente al somo Prencipe sopra tutti li 



ir,9 

Èeni ecdesiastici e delle chiese, non meno che ttUle le fondazioni pie 
in tutti li suoi Stati. 

Saprà perciò la venerabile Confraternita di prendere le neces- 
sarie Misure per Dar Principio al predetto pio Intento, insinuandosi 
appresso il sg:'^ Direttore delle fahrichCy il quale già (^ istruifto di 
assegnarli il sito destinato. 

Trieste li 9. gen:' 17(18. 

Bnuber. 

Avuto il debito permesso si pensò di dar mano alla fab- 
brica della chiesa, che potè esser ultimata dalla confratema nel 
1769 con im mutuo di 17,059 fiorini, dato dai confratelli Antonio 
Bighettini e Hochkofler.') Ciò lo attesta la seguente leggenda 
scolpita in lapide di forma ovale, un tempo sopra la porta 
d'ingresso, ora gettata nel campanile a mano destra della chiesa 
moderna di St. Antonio nuovo fra le macerie : 

IN HONOREM DIVI ANTONII 
CONFBATERNITAS 
UECENS ERECTA 
PVNDAVIT 1769 

La chiesa stessa, sebbene non avesse in sul principio che 
compiuta la facciata, era tenuta pulitamente nell'interno. Era 
provvista di sacri arredi e di non poca argenteria, la quale 
all' atto della soppressione veniva stimata dal perito Mattia 
Kandler con 1137 fiorini e 57 carantani, *) cosi che nel 1809 
temendosi un'invasione da parte dei Francesi, per ordine del 
governo venne consegnata e trasportata nell'Ungheria.') Pos- 
sedeva fra le altre cose un stupendo ostensorio, che le fu rubato 
da mano ignota addi 24 febbraio 1778 e sostituito con un altro, 
lavoro del nostro argentiere F. I. Pillein, il quale oggidì ancora 



*) Archivio dell' ì, v. Luogotenenza di Trieste. 

*) Detto. 

*) Don Giuseppe Mainati. Op, e, voi. V., pag. 306. 



160 

conservato nella chiesa di St. Antonio nuovo, ha attorno il 
suo piedestallo la leggenda: 

XXIV • febbVarII • saCeILegVb ' abstVLTt. 
fIDeLIVM • rebtItVIt • pIetas. 

Nella chiesa la fraterna teneva con grande concorso di 
fedeli la novena in onore del santo Taumaturgo. H libro rela- 
tivo di preghiere, un bel manoscritto, alto 19, largo 14 centi- 
metri, ') conservato neUa sacrestia odierna di S. Antonio 
nuovo porta il titolo : Em-cizio / di devozione / in onore di / 8. An- 
tonio/di Pàdova /da praticarsi dalli confratdli delia /ven. scuola 
del detto santo ne / tredici giorni che precedono / la mgilia dd mede- 
simo! cioè dalli 21 maggio sino li 12 giugno j descrito per via di 
Antonio Montanèlli il anno 1769, ed ha a tergo la nota autografa: 
die 8 fnaji 1771 vidit et approb. qiioad cath. relig. /. Felix Givo 
iìiq. genlis s, S. Utin et Concordiae. Die 10 maji 1771 visis impri- 
mantur Vid, Prel 

Oltre di queste due fraterne i padri governavano anche 
la fraterna di S. Bernardino. Sappiamo, che la chiesetta di 
8. Bernardino con annessa casa ed orto, di antichissima 
origine, confinava colle vie odierne di S. Giorgio^ dei Santi 
Martiri e del Lazzaretto vecchio. Edificata dalla fraterna sud- 
detta, la quale era presso i nostri Minoriti prima del 1510 e 
perdurava ancora nel 1631, era officiata già nel 1324 dai frati 
Crocigeri, i quali venuti a Trieste aprivano attiguo a questa 
uno spedale per gli uomini. Col volgere del tempo, perchè di 
costumi dissoluti, l'ordine ad istanza del doge veneto Giovanni 
Correr fri bandito dagli stati della repubblica, e dall* impero ger- 
manico nel 1624, e soppresso nel 1656 da papa Alessandro VII. 
Venuti poi ad istanza del vescovo nostro fra Rinaldo Scarlichlo 
i frati Benefratelli ed assunta dal padre Mattia Mercenario 
addi 13 febbraio 1625 la cura e l'amministrazione dello spedale^ 
cessava la fraterna, passando S. Bernardino in potere dell'or- 
dine de' Fatebenefratelli. 



^) Di pagine 82. — Fa stampato in parte col titolo : Novena in ap- 
parecchio alla festa del glonoso taumaturgo sant'Antonio di Padova che si 
celebra nella chiesa parrochiale sani' Antonio nuovo di Trieste, Capodistria 
1890, in 16«, pag. 24. 



161 

Benevisì erano del resto i nostri padri Minoriti e alla 
nobiltà nostra e ai cittadini. Assidui nel confessionale e nella 
predicazione, erano del tutto dediti allo studio. Alcuni di loro 
valenti musici, erano organisti nella chiesa di S. Pietro o nel 
duomo ; ^) non pochi furono stipendiati del Comune come pre* 
dicatori per P avvento e pella quaresima nel duomo o in 
S. Silvestro. E se in queste mansioni sempre si distinsero, 
devono ancor di più esser encomiati per aver aperto nella 
nostra città una pubblica scuola, frequentata non solo dai 
patrizi, ma eziandio dai plebei, anche dopo che il nostro 
Comune stipendiava pubblico precettore. *) Non isdegnavano 
i padri guardiani e gli altri religiosi d'istruire la gioventù 
triestina nelle materie umanistiche e nelle realistiche. Sappiamo 
anzi che davano istruzione negli esercizi cavallereschi, vietati 
poi nel 1560 dall' imperatore Ferdinando I. Animati da vero 
spirito di cristiana carità, esortati dai loro ministri generali e 
provinciali, sussidiati dal nostro Comune e le spesse volte 
beneficati dagli imperatori^ i frati continuarono a tener scuola 
anche dopo la venuta dei gesuiti nella nostra città fino 
ali* epoca di loro soppressione. E quanti dei nostri antenati 
non dovevano a loro la propria educazione! Sarebbe troppo 
lungo l'enumerarli tutti. Ci basti l'osservare che quasi tutti i 
nostri oratori alla corte cesarea erano scolari del convento di 
S. Francesco. *) 



') Vedi: Attilio Hortis. Delle rappresentazioni sceniche in Trieste 
prima del teatro di san Pietro (neW Archeografo Triestino^ Trieste 1881-1882 
voi. Ili, pag. 144 seg.). 

*) Vedi: VAxistriade di Rocco Bonii ecc., pag. XXX seg. —Dr. Petru s 
Tomasin, Das k. k. Staats-Oher-Oynmasium in Triest, Triest 1892, pa- 
gina I seg. — Giovannina Bandelli. Op, e, pagina 246 seg. ^ 
Dr. Domenico de Rossetti. Cose memorabili della società di Qesà in 
Trieste; diplomi inediti per la storia de* Gesuiti in Trieste (xi^\)^ Archeografo 
TVres^'iio, voi. £1, pag 218, 241 seg.) — Dr. Petrus Tomasln. Op. e, pa- 
gina 1 seg. 

") Dr. Pietro Kandler, Raccolta delle leggi, ordinanze e regola- 
menti speciali per Trieste^ Trieste 1861, (puntata; U Archivio diphmatieo. 
pag. 20 seg.). 

*) L'Istria, voi. II, pag. 89 seg. 



162 



CAPITOLO III. 

Primo Tmber, predicatore tedesco e sloveno nella chiesa dei nostri 
frati Minori — Sforai d4ntrodnn*e V eresia luterana nel Goriziano, nel- 
r Istria e in Trieste — Ordinanze in proposito dei sovrani d*Aii»tris 

per la nostra città. 

A quanto racconta il dottor Pietro Eandler^ i nostri Mino- 
riti incominciando dal secolo decimosesto^ annunziavano talvolta 
la parola di Dio, ricorrendo qualche straordinaria festività, anche 
neir idioma slavo per quei pochi villici che allora calavano nella 
nostra città; uso peraltro che ebbe breve durata.*) Ignari della 
lingua slovena, stipendiavano a tal uopo per alcuni giorni qualche 
sacerdote secolare della Carniola a fungere tale mansione. Cosi 
ci vien dato a sapere, che ultimo dei predicatori sloveni in S. 
Francesco si fu il famigerato sacerdote camiolico Primo Tmber. 

Costui nacque a RaSice, sei ore distante da Lubiana nel 
1506, studiò a Fiume^ poi a Salisburgo e a Vienna, e fu carissimo 
come studente e come sacerdote al vescovo nostro Pietro Bonomo 
e al decano capitolare Leonardo Bonomo. Le sue mansioni in 
cura d' anime come sacerdote ce le indica egli stesso scrivendo : 
Primus Truber gewesener ordenilidh berufen, praesentirt und con- 
firmierier Dcmherr zu Laibach, Pfarrer zu Lack lei Ratschach, 
jsu Tyfer und Si. Barthólomae Féld, Caplan bei 8t. Maximilian 
gu Cittìfj windischer Frediger eu Triest und nach der ersten Ver- 
folgung Frediger mu Rotehburg an der Tauòer, P/arrer zu Kempten 
und Aurach^ nachmals Frediger der ehrsamen Landschaft in Krain 
und in der Orafschaft Oorz und nach der andern Verfolgung 
Ffarrer zu Laufen und jetzund zu Derendingen bei Tnbingen. ^) 

A tenore di questa sua testimonianza fa egli predicatore 
sloveno a Trieste, e propriamente nella chiesa di sant'Antonio 
vecchio, e fu a Trieste che incominciò a diventar uno dei più 
accaniti partitanti della riforma. Bifuggiatosi in Germania, diede 



') W. Valvassor, Op, e, voL II, pag. 345 seg. — Carlo deFran- 
ceschi. V Istria^ note storiche, Parenzo 1879. pag. 29U seg. — Dr. P. To- 
rnasi n. Die Volksstàmme im Oébiete von Triest und Istrien. Triest 1890. 
pag. 51 seg. 

') Val vassoi-, voi I, pag. 345 seg. 



163 

alle stampe circa venti opere; per la maggior parte ver- 
sioni e parafrasi slovene della Sacra Scrittura.^) 

In questo lavoro fu coadiuvato gran parte da Pietro Paolo 
Vergerlo già vescovo di Capodistria, da Mattia Francovich- 
Ylacicli o Mattia Flaccio Illirico da Albona, da Stefano Consul 
da Pingnente parroco di Krainburg, da Giorgio lurisich da 
Castua parroco di Oberburg, da Giorgio Sfecich e da Gregorio 
Stradiot parrochi sul Carso, da Giorgio Dalmatino o Kobila e 
da Matteo Zivcich vicario di Pisino. 

Fu il primo a stampare libri luterani in lingua slava con 
caratteri latini essendo nominato pastore a Kempten e a Aurach, 
cioè il nuovo testamento ed i salmi e il catechismo di Martino 
Lutero nel 1553, poi la confessione augustana, la formola della 
concordia e la postilla di Lutero. Bichiamato dalla Dieta a 
Lubiana nel 1561; fu pastore luterano a Lubiana e a Bubbia 
presso Gorizia, '^) 

Moriva Truber a Vittemberga addi, 28 giugno 1586 nel- 
r età di settanta otto anni e fu quivi sepolto coli* epitafio 
seguente composto dal filologo slavo Crusius: 

VIR TVHVLO HOC SÀNGTVS DE SLAVA EST GENTE SKPVLTVS 

PBIMYS QVI CUAISTI PSAECO FIDEUS ERAT 

TBAMSTVLIT IN PATBIAM DIVINA VOLVMINA LINGVAM 

SPARSIT IN EOAS D06MATA SANCTA PLV&AS 

Correvano peraltro allora tempi tristissimi per la chiesa 
cattolica. Fin oltre la metà del secolo decimosesto dovea dessa 
combattere con Lutero, Calvino, Zwingli, Melancbton e con 
gli altri novatori^), i quali usando anche mezzi non leciti e 
valendosi della menzogna^ ad ogni costo volevano scuoterla 
ne^ suoi fondamenti e ne' suoi dogmi. Perse alla vera fede gran 



') Vedi: "W. Valvassor, Op. e, voi. U, pag. 346 seg. 

) A. Venetianer, Die evangdUch reformirte Kirche Cristo Salva- 
tore, Triest und Leipzig, 1887. 

*) Carlo Morelli de Schoenf eld, Op. e, voi. I, pag. 245 seg. ; 
voL li, pag. 286 seg.; lohanu Weichard Valvassor, Op. e, voi, IV, 
1. 12, pag. 104 seg.; A. Venetianer, Op, e. 



164 

parte della Germauia, la Scaudinavia, la Danimarca, TOlaiida, 
la Svizzera, alcuni paesi della Francia, l' Inghilterra e la Scozia: 
i cosidetti riformatori volevano guadagnare terreno anche nella 
Camiolia, nell' Istria e in Trieste. E la riforma religiosa^ come 
scrive il dotto nostro comprovinciale Carlo de Franceschi, ^} 
inigiata da Martino Lutero^ rapidamente propagatasi in Oertnania 
per V appoggio onde gli erano larghi parecchi principi tedeschi, 
veniva minacciosamente dilatandosi alla metà dd secolo decimosesto 
anche nétte provineie tedesche dell* Austria^ dove trovava (aderenti 
specialmente fra la nobiltà e i cittadini piti ricchi e colti, che 
andavano ad ertulirsi alle università della Germania, divenute 
ardenti focolari del protestantismo Gli stati provinciali (eorpora- 
aione nobile) della CarnicHa^ paese limitrofo àlV Istria, aperta- 
mente parteggiavano pei nuovi principi religiosi^ e ne favorivano 
di fronte al governo arciducale la diffusione^ la quale seguiva 
mediante indigeni sacerdoti che^ abbracciatili^ con fervore U veni-- 
vano spargendo fra il popolo dapprima cautamente^ facendosene 
poi banditori a visiera oleata; oltreché anche da altre provinole 
accorrevano gelanti predicatori luterani. 

Non deve recar sorpresa che la nuova dottrina trovasse non 
pochi ed ardenti seguaci fra il basso clero, in particolarità delle 
campagne^ essepidochè accordava loro il matrimoniOj che di fatti vediamo 
dai jpiù éP essi prontamente abbracciato^ e li liberava daUa podestà 
dei vescovi. H popolo vedeva volentieri che i curati di campagna 
sposassero le loro econome, da esso riguardate come concubine, ed 
amministrassero V eucaristia sotto ambe le specie come V ì^ovano i 
preti^ ed accettava una religione che lo dispensava da pratiche 
credute moleste, e pretendeva togliere gV insinuatisi abusi. Gli è 
certo che una riforma religiosa in nessun modo si effettua più 
facilmente, che se viene bandita, in ispecialità al basso popolo, dai 
propri pastori ecclesiastici. 

I grandi progressi pertanto che il protestantismo faceoa nelle 
città e nétte campagne dette provineie austriache e minacciava i fini- 
timi paesi italiani, turbavano Roma ed i principi; laonde la curia ro- 
mana ed i governi opposero energiche misure alla pericolosa corrente. 



*)C. De Franceschi, L* Istria, note staricke, Parenzo 1879, pa- 
gina 290 seg. 



165 

Roma s' accordava coi principi per V attivoMione della Santa 
Inquisizione conlro gii ereiici. La rymbbliea di VenoMia vi si 
determinò dopo molte tergiversazioni^ ma volle che nei processi 
intervenissero sempre i suoi rappresentanti secolari^ e le sentenze 
dovevcmo essere rivedute e confermate, prima della pubblicaffUme^ 
dql Consiglio dei X La saggia Venezia voleva frenare il sover^ 
éhio Melo ed eventuale fanatismo degV inquisitori^ e raccomandava 
mitezaa nelle pene; sicché rarissimi furono i casi di condanne a 
morie, che altrove abbondavano. 

QV inquisitori per V Istria avevano da prima la loro sede a 
Capodistria, nd 1582 troviamo V ufficio della Santa Inquisizione 
stabilito a Isolaj essendoché nel 1570 la dottrina cattdiea era già 
interamente ripristinata a (Japodistria. 

L'arciduca Ferdinando chiedeva nel 1598 parere al principe^ 
vescovo di Lavant e governatore di Qra$^ StobeOj se nelV Austria 
inferiore s' abbia a introdurre Vinquisiaione, hispondeva il vescovo^ 
esswe troppo diffaso il protestantismo nelle provincie di Stiria, 
Carinzia e Camiola per attivarla oon successo e senza pericolo 
ohe però nelle parti italiane, cioè nella contea di Gorizia, Ora- 
dìsoa, Tolmino, Fiume, Trieste, Idria, Aquileia ed altri territori 
al mare Adriatico, dove V eresia non era ancora penetrata, l'in- 
qnisizione poteva riuscire utile a prevenirla. 

Difatti tanto neW Istria versta che nèlV austriaca U prote- 
stantismo non aveva preso radice ; pochi ed isolati vi troviamo gli 
aperti aderenti^ ma non poche erano le persone nelle classi iUu- 
minate^ che offrirono alla sospettosa e vigile inquisizione argomento 
ad aprire processi. 

Il eav. Tomaso Luciani trovò nell'Archivio generale di Venezia 
110 processi istituiti in Istria dal 1548 sino al 1591 per titolo di 
protestantismoj g ve ne figurano tra essi parecchi per bestemmie 
ereticali^ per cibi e libri proibiti ; piti tardi (sino al 1700) ce ne 
sono di altri, in cui si trattava di arti magiche e stregherie^ allora 
venute in voga nella credenga universale. 

Non conosciamo sinora Vesito di codesti processi. Fra i mede" 
anni non è compreso quello che riguarda Baldo Lupatini o Lupetina 
éU ^honaj provinciale dei Minori conventuali in Venesia^ H quale per 
iiicìo di protestantismo restò venti anni sostenuto in carcere e poi 
annegato. Era costui parente di Matteo Francovich- Vlacieh {chiamato 



166 

poi Flaecius Illyrieus) pure di Albona, nato nel 1520 da madre 
della famiglia Luciani. Studiate con molto profitto le belle leUere 
in patria sotto U maestro Francesco Ascerio, milanese ed uomo 
dottissimo^ passò a VencMia per applicarsi aUa teologia^ ma per 
suggerimento del Lupatini andò a cantinuare gli studi a Basilea 
in SvieBcra, ove fioriva il protestantismo^ che presto abbracciò, di 
là passando in Oermania^ dove nel 1575 cessò di vivere. Uomo di 
grande ingegno e vasta dottrina, scrisse molte opere teologiche; di 
carotiere turbido ed ostinato^ di temperamento impetuoso, ebbe con- 
troversie acerrime anche coi suoi correligionari. 

La sua opera piit ceUbre sono le Centnriae MagdebnrgenseSf 
specie di storia ecdesiastica. 

Se il Piaccio abbracciò di sua volontà il luteranismo, altro 
grande ingegno, Pietro Paolo Vergerio di Gapodistria, vi fu spinto 
da malevoli avversari, Insigt^ giureconsulto a Venezia, fattosi poi 
prete, fu pei suoi talenti e destreega adoperato dai papi Clemente VII 
(1532) e Paolo III (1534 e 1535) in qualità di nuneio a Vienna e 
presso i principi ddla Germania, per appianare le controversie con 
Lulero, Nel 1536 venne eletto vescovo di Modrussa in Croagia^ ma 
ancor nello stesso anno trasferito aXla sede di Capodistria. Anche 
negli anni seguenti sino al 1542 venne impiegato in parecchie 
importanti missioni politieo-ecdesiastiche. Volendo egli però togliere 
alcuni abusi e superstigioni vigenti nella sua diocesi, si aiUrò 
V avvetsiof^ dei frati Moccolanti e di alcuni influenti suoi concU^ 
ladini, fra cui primeggiavano V inquisitore Orisoni ed U celebre 
letterato Girolamo Music, uomo ambisioso^ ptMsionato dire modo 
e fanatico in religione, sebbene per nuUa specchiato in costuma- 
tegga; onde fatto segno al loro odio e persecugioni, e scrutando 
essi malignamente tutti i sturi atti e ogni parola, che s*affaticavano 
di mostrare intinti di liUeranismo, venne accufflto, inquisito e 
sospeso dal suo officio episcopale (1549); ma mentre cercavasi di 
arrestarlo fuggì in Svizgera, poi in Germania, dove abbracciò 
apertamente la religione luterana, e pieno d*ira scrisse e operò, 
finché ebbe vita, contro la chiesa cattolica. 

Giambattista Vergerio, di lui fratello, vescovo di Pola, morto 
net 1548 a Capodistria prima che Pietro Paolo fosse posto ad 
inquisigione, venne otto anni jpm tardi per le insistenti agitagioni 
dei nemici di quest^ ultimo e specialmente ddf implacabile Jtùtmo, 



167 

dissoUerraio e gettato in mare, solo perchè il fratello^ divenuto 
proiestanie^ assicurava esserlo stato pure esso CHambattista, Brutti 
ten^i erano quelli e pericolosi specialmente pei non pochi amici di 
P. P. VergeriOy perciò solo sospetti^ vigilati^ molestati^ sicché Otto- 
nieUo Vida da Capodistria, CHambattista Ooina da Tirano ed 
altri dottissimi uomini trovarono consulto di allontanarsi per quah 
che tempo dalla patria. ^ 

Stefano Console prete da Pinguente^ resosi protestante e presa 
moglie, fuggi nella Camiola ; colà riparò pure Giorgio luricich 
prete da Castua, dopo ammogliatosi^ poiché essendo soggetto al 
vescovo di Fola, et sapeva^ che questi^ se anche non poteva colpirlo 
còlla Santa Inquisigione, perché suddito austriaco^ pure non man- 
eavangli megei di perseguitarlo cól braccio secolare. Vediamo 
di/atti che nel 1579 il vescovo di Pola^ Claudio Sogomeno, ricer- 
cava daW arciduca Carlo Varreste dei predicatori protestanti , i 
quali venissero cdti sulle terre della sua diocesi poste nella contea 
d^ Istria; e ndVanno stesso il capitanio di Fiume^ Leonardo Atte- 
miSi ebbe ordine di carcerare i predicatori protestanti delV Istria e 
del Carso. 

Nètta contea di PisitM il protestantisfno non faceva progressi 
come nella vicina Camicia, e le conversioni erano isolate, o forse 
per prudenza più occuUe, perchè gtfì, siccome in provincia piccola 
e lontana^ U governo arciducale operava con meno riguardi^ e 
puniva col bando ed altre pene chi facesse pubblica professione di 
quella fede. NdV Aprile 1575 Esechia Krafthojfer (o Croàhoffer) e 
Orisioforo Klee di Pisino producevano laynat^a alla provincia 
della Camiola^ da cui amministrativamente dipendea la Contea, 
che U luogotenente ossia amministratore della medesima (era Nicolò 
Arardi) loro impose alternativa o di farsi cattolici, o di abbar^nare 
la Contea entro sei settimane. Krafthoffer, essendo nobile^ chiese fin" 
fervesione degli Stati di cui egli faceva parte, i quali diftUti déH- 
iterarono di rivolgersi al conte Giorgio HervenkOller, che era 
eapUanio della Contea (possedendola a titolo di pegno per un 
capitale mutuato nelV anno precedente aW Arciduca), e professio- 
nava la religione protestante. 

Pietro Paolo Vergerio era stato chiamato dal duca Cristiano 
di WUrtemberg a Tubinga per tradurre in italiano la confessione 
viriemberghese ed il catechismo^ aWuopo di diffonderli in Italia. 



168 

Vergerlo immaginò allora la traduzione di libri protestanti anche 
in lingua slava ^ per disseminare con questo meggo pm facUmemtt 
il protestantismo fra le popolagioni di quella schiatta. Cercastdo 
uomini a ciò addatti, gittò gli occhi su Primo Truber, prete car- 
niolicOj che con calore aveva aderito alla riforma e predicava a 
Lubiana ed in altri luoghi ove era stato parroco^ levando fama 
di sé. Egli intraprese la traduzione in lingua slovena della Bibbia 
e di altre pubblicazioni y in che ebbe poi coadiutore il sunnominato 
Giorgio luricich da Castua. Le traduzioni in lingua croata furono 
assunte dal pinguentino Stefano Consóle e da Antonio Dalmata e 
qualche altro, tra cui era il fattosi protestante prete Giorgio Zue- 
deh (Sfeeichy che sembra nato sul Carso, a collaborarvi s'erano 
offerti anche il vicario di Pisino Matteo Zivdchj ed il prete di 
Gallignana Francesco Chj, però rimanendo in patria, non potendo 
essi abbandonarla. 

Il dì 1^ Gennaio 1563 vennero a Pisino i suddetti Console 
e Sfecirh e conchiusero coi preti Fabiani e Zivcich in Pisino e 
Claj in Gaìlignana un contratto, con cui si assunsero la revisione 
e correzione delle traduzioni eseguite in lingua croata^ che essi piò 
tardi dichiararono esatte, Francesco Barbo dei signori di Cosliaeo^ 
capitanio di Fiume, dimostrò \grande interesse per queste iraàu^ 
zioni, impegnandosi di promuovere lo spaccio delle stampate. 

Sembra senz' altro che il sopra rammentato vicfirio di Pisino 
Matteo Zivcich si facesse poi protestante, poiché troviamo U suo 
nome fra i predicatori luterani stabiliti dagli Stati della Camicia 
in varie regioni della provincia. Egli e Gregorio Stradiòt appa- 
riscono predicatori nel Carso (lo Zivcich già nel 1569), e lo Sfedch 
nel 1575 aveva la sua sede a Senosechia, luogo pure del Carso. 

n vescovo di Pela nel 1579 insisteva presso il capitanio di 
Fiume di mettere le mani addosso allo Zivcich; alV opposto gV 
Stati della Camicia deliberarono che si lo lasci passare. 

La venuta libera e senza riguardi dei notori protestanti Ste- 
fano Console e Giorgio Sfecich a Pisino, ed il contratto conchiuso 
coi Fabiani, Zivcich e Claj, per la revisione dette loro traduzioni 
slave, mostra che nétta Contea i principi della riforma, cui aderì- 
vano parecchi nobili, trovavano simpatia fra U clero, le quali però 
furono a tempo soffocate dal governo con espulsioni, arresti^ multe 
e sequestri di beni. Con questi mezzi e con quatti, non meno temuH, 



169 

impiegati dalla Santa Inquismone neW Istria veneta^ la provincia 
andò esente dalle agitasioni religiose, che lungamente turbarono le 
vicine Provincie austriache. 

A Trieste il protestantismo non potè gettare saldi radici. 
L* atto seguente che si conserva nel nostro civico Archivio 
diplomatico, ci assicura che, addi 14 giugno 1523 il vicecapi- 
tano cesareo della nostra città, Sigismondo dottor Lallo, vietava 
in nome dell'arciduca Ferdinando qualsiasi libro di Martino 
Lutero : 

Per parte et special comissione del sp. messer Sigismondo 
LaUo doctor in utroque^ vice capitaneo de la cita de Trieste et 
spet, s. iudiei et in executione de li generali mandati et lettere del 
serenissimo, inclito s. s. Ferdinando per la Dio gratta P. et infante 
de le Spagne, arciduca d' Austria^ duca di Borgogna etc. signor 
nostro clementissimo comandemo, che atteso li edicti et generali 
mandati facti si per el santissimo padre de felice recordatione 
papa Leone decimo, che per la cesarea catholica maestà etc. sei se 
ritrovasse qualche libro facto per frate Martino Luter de V ordine 
de S.Augustino o de qualche suo discipulo o seguace, debia tal 
libri et sue scripture già date fora o che se desseno in futuro de 
che sorte et condition voglia esser che in termine de 3 Borni li 
debia a haver presentadi al regimento de questa cita a aio se possa 
exequir quello che comanda et vole la Serenità del prefato serenis- 
simo P. arciduca d' Austria etc. per che sono maledetti et reprobati 
comandando a chadauna persona de che condition la se sia che 
sopiesse o cognossessr de tali libri o scripture, che subito et incon- 
tinente li voglia notificare al prefacto regimento de Trieste et questo 
soto pena de la disgratia et gravissimo ccistigo del prefato serenis- 
Simo P. Signor nostro. 

1523, indictione decima, die vero dominico 14 iunii etc. prò- 
^amavU etc. 

Sembra però che di tali libri importati dai novatori ne 
fossero in Trieste anche oltre la metà del secolo decimosesto. 

Un documento dei 16 settembre 1666, conservato nell'ar- 
chìvio della famiglia Bapicio di Pisino c'informa, come l'arciduca 
Carlo chiedesse al vescovo nostro Andrea dottor Bapicio notizie 



170 

sui novatori che dioeva essere a Trieste, intendendo di casti- 
garli severamente: 

CaroIttS; Dei gratta archidux Austriae, dux Burgundiae eie, 
Comes Tirolis etc. 

Venerabilis, devote, fidelis, nobis dilecte. 

Quandoquidem nuper apud nos per litteras conqitesti fueritis^ 
esse certas personas in hac civitaiey qtuze venenosissimas haereses 
secrete disseminent et alias quoque cum scandalo omnium honorum 
vivant^ coetus et eonventicula faventes, in qutbus de fide nostra 
Christiana impie edisseratur, eaque res nobis eiusmodi esse videcUur^ 
ut matura animadversione maxime opus habecU. Idcirco clementer 
vos requirimus, ut eas ipsas personas, quae eo insaniae proìapsae 
sunt, una cum opinionibus, quas disseminante in specie nobis signi- 
ficetis, quo tandem ti, quod nobis ex usu rei esse videbitur, stcUuere 
possimus: clementem in eo exeeuturi nostram voluntatem, 

Datae in catttria nostris apud vadum Malinzgi vocatum, positU XV 
aeptembris anno Domini etc, LXVL 

CAB0LU8. 

Ad mandaium domini archiduc proprium 
Oa^par Breynner. 

E questi furono gli ultimi sforzi degli eretici nella nostra 
città. Si dileguarono del tutto, e perchè il loro antesignano era 
Primo Truber, dopo breve durata, cessò anche la predicazione 
slovena nella chiesa dei nostri Minoriti. 

CAPITOLO IV. 

Il ters' Ordine Francescano. ^ Le Piicoohere o le Terilarie France- 
scane della Cella vecchia. — Le Clarisse. 

Il desiderio di non poche donzelle, anche di nobile casato, 
manifestatosi nei primi secoli della chiesa, di vivere ritirate dal 
mondo consacrandosi del tutto al Signore^ come altrove, si 
riscontra anche nella nostra Trieste. Difatti l' Archivio generale 
veneto ci ofifre un documento molto interessante, rogato debi- 
tamente a Trieste addi 26 Aprile 847, in vigor del quale Maria 
monaca o ancella di Dio legava a Lupone, abbate di Sesto, nella 
diocesi di Concordia; cinquantacinque corbe di olive. Lo tra* 
scriviamo : 



l7l 



In nomine Domini nostri Jesu Christi. 



Imperantibus Domino Hloiario, a Deo coronato pacifico, magno 
Imperatore anno XXX, Hlodovici filio ejm.anno VI die XXVI 
mense A f trite per indictione X.t acto vero Tergeste. 

Ego itaque Maru ancilla Dei dum jacerem in aegritudinem. 
Cogitans prò remedio animae meae ubi omnes ambulaturi sumas in 
die tremendi itidicii in bona commemoracione et sanam habens 
mentem integrogue Consilio a presente die facto cartulam de 
hereditate de parefUibus meis. Volo ut sint vòbis domino Luponi 
Abbati a parte Sancte Marie semper Vifginis avocatae ad Sextum 
de olivis numero cestas XXXXXV in scuras. Et si quis centra 
istam cartidam testamenti post meum transitum, si frater meus Jo- 
hannes aut neptes aut nepotes aut unus quisque de parentibus meis aut 
stémmissis personis voluerit repliquareaut causacionem facete voluerit, 
ut eomponat libram auri vòbis domino Luponi Abbati ad partem 
ecclesie Sancte Virginis Marie seu a successoribus vestris. Et 
habeat anathema de Patre et Filio et Spiritu Sancto et eurrat in 
iram Dei omnipotentis et in laqueum diaboli et peccatum meum supra 
se redpiat, et eartula ista testamenti a me Maru Ancilla Dei faeta 
firma permaneat 

Die et anno et Imperatoribus, Indictione suprascripta. Ada 
vero Tergeste. 

f Signum manus ancille DeiìlsaUfquae istam cartam testamenti 
fieri rogapit. 

f Signum manus Johamnl Tribuni Germani ejus qui relictus 
fieri est testis, 

f Signum manus Petro nepoti suo, cui relictum est, 

f Signum manus Johann! de Petro Tribuni testis. 

f Signum manus Johannaoini de Aquelina Loci salvator testis, 

f Signum manus Martino Gabrisiano Loci salvator testis. 

f Signum manus Leoni de Claudio testis, 

f Signum manus Taneulo Tigarii testis. 

f Signum manus Stefano Tigarii testis. 

f Ego Benedictus presbiter rogatus a Maru Ancilla Dei et a 
Johanne Germano suo in hanc testamenti cartulam manu mea propria 
subscripsi. 



172 

f Ego Domlnieiis derieus tabelio hujus Sanete Tergestine 
ecclesie rogatus eipetittM a Mara AncUla Dei, quae isiàm cartam tesiti- 
menti fieri rogavit, propria manu mea scripsi et subscripsi et com- 
pievi et absolvL 

Eretto peraltro più tardi l'Ordine Frauoescano dal sera- 
fico patriarca d'Assisi, codesto gran santo ebbe cura speciale 
anche per la santificazione dei secolari coli' istituire il ttrg* or- 
dine di penitenza. E appunto perchè ignorarono la sua esistenza^ 
errarono tutti i nostri patri scrittori, i quali tessendo a bran- 
delli la storia della Cella vecchia, la confondevano colla Cella 
nuova, lasciando in oscuro V origine di quella. Un tanto fecero 
fra Ireneo della Croce e il suo plagiario don Giuseppe Mainati, 
Antonio Cratey,^) Girolamo Agapito,») il dott. Pietro Kandler,') 
Ettore Generini,^) Antonio TribeP) e fra gli ultimi anche il 
dottor Giovanni Loser, tessendo brevemente nel 1878 la cro- 
naca del nostro convento delle Benedettine in S. Cipriano. 

Aveva san Francesco fondato due ordini, quello Aéi frati 
minori e quello delle povt^re signore, dette poi Clarisse dal nome 
di santa Chiara, che ne fu la prima superiora, adattando al- 
l' uno e alP altro di questi ordini un particolare tenore di vita 
ossia una regola. Tutte le classi della società uscivano in folla 
per mettersi sotto la sua direzione ed erano non poco affiitti 
i cristiani trattenuti nel mondi» tnforsa del loro stato e dei legami 
matrimoniali^ come racconta il padre Pellegrino da Forll,^ quindi 
da ogni parte uomini e donne correano a consultare il nostro Santo 
Patriarca sulla maniera di vivere crisiianame$^e in messo al se-- 
colo, pregandolo di una regola di vita composta da lui medesimo 
per camminare piié sicuramente nelle vie della perfezione evangelica. 



') Egli ignora del tutto V esistenza della vecchia Cella. 

*) Ne tace onninamente. 

") Giovannina Bandelli, Op, e., p. 211 seg. 

^) CutH09ità triestine, Trieste 1884, pag. 145 sog. 

•) Op, e, pag. 84 seg. 

*) Regola dd terz* ordine ddla peniteìiza del serafico Padre San Fran- 
cesco d'Assisi, Triesée 1873. pag. 6 seg. Vedi anche: ConsHtuHo Si, Domini 
Leonis XIII de lege franciseal, IIL ord, saec. (nella Curia episcopalis. Ter- 
gesti 188B, pag. 116 seg.). 






178 

I primi però che incontrarono tal sorte furono il beato Lu- 
chesi di Poggibonsi e Bona sua moglie^ ai qtMli fece intanto ve- 
stire un abito semplice e modesto di color cenericcio, con una corda 
a piit nodi alla cintura^ prescrivendo loro la pratica di vari eser- 
ci»i di pietày finché ne avesse composta la rególa. Ben presto ne 
imitarono V esempio altre persone di Poggibonsi e di Firenge, Poco 
dopo compose una regola per quesf ordine, che più tardi chiamò 
terzo ordine di Penitenza, a distingione dei primi due che dodici 
anni addietro avea istituito per coloro che abbracciavano la vita 
claustrale. 

Così ebbe eomineiamento nelVanno 1221 il più antico dei 
tera^ ordini che fu uno dei più bei frutti del grande eelo ed amore 
che U Santo d^ Assisi nutriva per le anime e che abbracciava ogni 
staiOj ogni condisfione, ogni classe di persone. 

San Francesco ebbe la consolazione di vedere il suo novello 
istituto approvato a viva voce dal papa Onorio HI, che poi lo ap- 
provò solennemente con un breve sìgnificatum est dello stesso anno 
1221; e con un altro breve cnm illorum del 1 dicembre 1224 rac- 
comandò i terziari alla protezione dei vescovi d* Italia. Così fin 
daUa SìM origine la santa sede mostrò una particolar predilezione 
per quest^ opera di San Francesco gran numero di altri ponte- 
fici si sono in seguito sempre occupati paternamente del terz'ordine^ 
confermando le decisioni dei loro antecessori ed arricchendolo inoltre 
di mtdti privilegi ed indulgenze: così che U Vadingo conta cento 
e nove bolle ptébblicate in favore del terz^ ordine dal 1221 fino 
al 1500.... 

II terz' ordine ha inoltre il grande onore di essere stato ap' 
provato solennemente da due concili generali presieduti dagli stessi 
sommi pontefici, primieramente dal concilio di Vienna, presieduto 
da Clemente V neW anno 1309 e poi dal concilio lateranense, ce- 
Ubrato sotto jOHulio II e sotto Leone X nel 1516-18. 

I terziari si moltiplicarono con una rapidità così grande, 
che il loro numero ogni giorno crescente sconcertò persino gli empi 
progetti di Federico II imperatore d'AUemagna, il cui odio e le 
cui guerre contro la santa sede hanno segnato sì tristi e dolorose 
pagine nella storia del secolo Xlll. Il cancelliere di questo prin- 
cipcj Pietro della Vigna, spaventato dai progressi di quesV ordine, 
scrisse alV imperatore in questi termini: ^1 frati minori e i frati 



174 

predicatori si sono sollevati contro di noi: essi riproyarono 
pubblicamente la nostra vita e le nostre conversazioni, ruppero 
i nostri diritti e ci ridussero al nulla.... Ed ecco che per 
snervare la nostra possanza e privarci dell'affezione del popolo, 
crearono due nuove confraternite che abbracciano senza distin- 
zione uomini e donne. Tutti entrano a fame parte e a fatica 
troveresti una persona sola il cui nome non vi sia ascritto. . 

Quesf ardine valicò ben presio e monti e mari^ e si vide in 
tutti i punti del globo. La Francia^ VAlUmagna^ la Spagna fu- 
rono tosto spettatrici di un gran numero di seguaci dd terM^ordine 
e da per tutto se ne osserva esattamente la regola. Esso fu tra- 
piantato neWAsia; le Indie ed il CHappone videro congregagioni 
di tersiart, e buon numero di essi particolarmente nel Giappone 
ebbero la sorte di ottenere la gloriosa palma del martirio nelFaniM 
1598. Penetrando persino nel nuovo mondo, i frati minori vHniro* 
dussero anche il ters* ordine^ che nei 1686, come apparisce da una 
statistica fatta in quelTannOj potè numerare cento dieciottomila 
tergiart 

Un ordine istituito da un santo così eminentemente ispirate 
da Dio^ doveva dare di sé stesso spettacolo al mondOy col produrre 
nella sua sovranaturàle fecondità fruiti abbondanti e degni della 
sua origine La più bella gloria però del terso ordine è lo splen- 
dore di santità^ di cui i prof essori di esso illustrarono lachiesa.... 
Fra questi eroi dd ters' ordine merita speciale meneione U glorioso 
san Luigi IX, re di Francia. . . . degna di egual ricordansa è santa 
Elisabetta di Ungheria.... 

Venuti a Trieste con stabile dimora i nostri Minoriti, tì 
fondarono a tenore della regola e secondo la volontà di san 
Francesco il terz' ordine, che fu abbracciato in ispecie da donne 
pie e divote, le quali in quei tempi di viva fede non molestate 
e non derise riputavano una gloria di portare pubblicamente, 
come oggidì si pratica nei conventi formali, T abito della 
penitenza. ^) Andavano divise in due categorie: altre intrin- 
seche, non però astrette da voto perpetuo ; altre estrinseche, 
affiliate al convento dei Minoriti, seguendo la pratica gene- 
rale di quei tempi, che non solo concedeva questo privilegio, 



») Wetzer-Welte, Op. e, voL X, pag. 739 seg. 



175 

ma perfino conventi doppi di frati e di suore, non già sotto lo 
stesso tetto, nò a comunione di vivere, ma colla chiesa stessa 
che serviva contemporaneamente ai due conventi, siccome era 
in Capodistria. Anche in questa città erano Terziarie o Pizzo- 
chere^ per cui il vescovo fra Pietro Manolesso coli' assenso del 
Capitolo concedeva ai 4 novembre 1301 per sé e per i suoi 
successori alle Terziarie ampia facoltà d'incorporarsi all'ordine 
di Santa Chiara.^) Ad esempio delle nostre di Trieste, si chia- 
mavano non teraiarie, ma suore deUa Cella^ il quale nome, come 
osserva il vescovo fra Paolo Naldini,*) denota propriamente quel 
nascondiglio^ in cai si colloca alcuna cosa^ per conservarla celata al- 
l' altrui sguardo. Cos% in OiustinopoU quel sacro recinto^ dove diverse 
honeste dongelU^ per celare se stesse agV occhi lusinghieri del mondo^ 
saviamente si ricoverarono^ fu detto la Cella; e le stesse vergini in 
fraterna carità ivi raccòlte scappellarono le suore della Cella. Né 
questa frase, per altro ingegnosa, fu peculiare di OiustinopoU^ 
quando V abbate Palladio del patriarca aquileiese Gregorio sotto 
V anno mille duecento sessanta sette scrive: che piantò in Cividole 
la prima pietra del monastero delle monache della Cella delPor- 
dine di 8. Domenico, 

Da principio vivevano separate dal mondo codeste nostre 
Terziarie, ma non in casa comune. Il documento che registriamo 
ci attesta infatti, come Albina, figlia del fu Venerando, donava 
addi 21 marzo 1265 al fratello Natale un soprasolaro ed una 
vigna pel caso che si erigesse la Cella in Trieste: 

Anno Domini Millesimo ducentesimo LXV die Villi ext. marito. 

Marc*.... Albuina (filia) quondam Venerandi dedit et tra- 
didit consevtsu Advocati sui Boncadi dicti Zucho,fratri suo Natali 
suisque haeredibus in perpetuum cum eo jure quod habeat supso» 
larium guodam positum in civitate Tergesti in contrata fori, quod 
ólim Juit Natàliae matris Laurentii. Confines ejus hii sunti quod 
possidet Bernardus de Topista a capite superiori ; est via ptiblica ab 



') Fra Paolo Naldini, Op. e, pag. 220 seg. 
*) Op, c^ pag. 228. 



Ite 

inferiori est q.dam introitus ah uno Intere possidet Wordolicns Mu^ 
rator ab alio Zaruttm Niblo et vin^am quandam positam in per- 
tinenciis Tergesti in eontrata qme Zanfanestris dieitur quae dlim 
fuit Venerandi quondam Pegni.,, quae cohaeret vinae/ratemUatis 
Sancii Franeisei et si qui aiii sunt eonfines cum superioribus et 

inferioribus finibus confinibus suis usque in viam puMicam, 

et cum omnibus super se oc omnique jure et actione,usu seu 

requisitione dieta ex dieta vinca et supsolario pertinenti sed. . . . 

uxor Bernardi de Topista et matertera dictae Jlbuinae dictum swp- 
solarium et dictam vineam in suo testamento manu infra scripti 
not. facto dimisit ipsa Albuina dedit et tradidit dicto frati suo 
Natali suisque haeredibw in perpetuum ad habendum tenendum oc 
possidendum et quicquid dicto Natali suisque haeredibwt in per* 
petuum placuerit fadendum, salvo co qtwd si Cella dominarum de 
Tergssto non fieret, sive quod ipsa de Odia exiret^ quod ipsa redeai 
ad possessionem dicti supsolarii et dictae vinae et habeat ea et 
gaudeat ds in vita sua et per cbitum suum dictum supsolarium 

et dieta vinca veniant in dictum NatiUem et suos haeredes re- 

nundans predicta Albuina omni juri et legum auxilio sibi per hoc 

aliquo modo dedit licentiam dicto Natali intrandi in posses* 

sionem et tenutam dicti supsolarii et dictae vinae ipsi Natali auc- 
toritate ut possit per se suosque heredes dictam datam et traditto- 
nem in perpetuum ratam firmam habere atq. tenere dicto Naiali 
suisque haeredibus in perpetuum, et non contravenire^ amplius non 
facere per se ncque per alium aliqua occasione nec exceptione sub 
pena C libr. ven. parvulorum, expensas omnes litis et damnum 
exinde competiturus et competitura integre.. .. cum suorum bono- 
rum praesentium et futurorum óbligationei qua soluta et quibus re-^ 
fectis haec presene cartula nihilominus in perpetuum suam obtineat 
firmitatem. 

Actum Tergeste in domo dicti Zucho praesentibus domino Ran- 
tulfo milite^ Ambrosio Ranfo^ Jacobo ZuUeto et aliis testibus ad 
hoc rogatis. 

Lasarus sacri palac. Not. hiis interfui rogatus^ hanc cartulam 
scripsi et roboravi. 



177 

Alcune di queste nostre terziarie, celibi o vedove, libere 
da ogni cura mondana e di certo benestanti, si ritirarono onde 
menar vita libera da ogni molestia, dedita alla sola contem- 
plazione, nell'anno 1266, dal mondo per vivere vita comune in 
casa situata presso al duomo o alP antico episcopio, precisamente 
nel sito ove fu alzata V odierna rotonda del castello. 

Dapprima furono sottoposte, perchè prive di chiesa e non 
costrette alla clausura regolare, alla giurisdizione vescovile sino 
al vescovo nostro Arlongo dei Visgoni, il quale col rescritto 
segnente dei 10 luglio 1278 ad istanza della terziaria Lucia de 
Pellegrini, patrizia triestina, e delle altre sue consorelle desi- 
derose di servire a Dio, col consenso e col volere del capitolo 
cattedrale, conferma la Cella di Trieste, situata in contrada 
Caboro, in vicinanza dell' odierno castello, e fondata con con- 
senso e con volontà del capitolo stesso, la dispensa ed esenta 
con persone e con beni da ogni giurisdizione vescovile, da 
ogni obbligo ed aggravio di qualsiasi specie ; ordina che la 
Cella sia chiusa, costruita in onore di Dio e di Maria Vergine ; 
che le monache portino abito nero o bianco e nominino libe- 
ramente la superiora; salva al vescovo la conferma ; che la loro 
chiesa venga ufficiata dal capitolo, cui spetti il diritto di se- 
poltura, riservando al vescovo la decima ed il quartese : ') 

In nomine Patris et Filii et Spiritus Saneti Amen. Anno 
Domini M'CC'LXXVIII^indictione sexta, dieX intrante mense 
Julia. Cum ponti ficaius ceUitudo divmae clementiae nuiu ab ipso 
auetore rerum omnium ad hoc constituta videatur, qtM pastores et 
reetores ecdesiarum^ quae per orbem terrarum sparsim dispersile 
sufUf oves^ quae dispersae fuerant eongregentur in unum^ necessario 
dueimus utile, quo pastor ovem, quae perdita fuerat^ ad gregem 
super humerum reportare gaudeat. Ideirco nos Harlongus, Dei 
grafia episcopio Tergestinus, volentes universis et singtdis personis 
Dea servire affectantibus prò salute animarum suarum salubriter 
providere: Cellam Tergesti sitam in contrata Cabori juxta ecclesiam 



') Archivio delle monache Benedettine di Trieste. 11 diploma è 
stampato nel Codice diplomatico istriano. 



178 

sancti Sergii,^) nostro et capittUi eeclesiae Tergestinae assensu /un- 
datam^adpetUimem dominae Luàae et aliarum sororum Deo ibidem 
servire optantium, et prò nohis et aliis peceatoribus orare affec- 
tanUum^ iniuitu piekiHs ac prò remissione peccatorum nastrorum 
cwm consensu et voluntate nostri capituli ab omni jure episcopali 
et euiusibet conditionis obbligatione seu gravamine eximifnus et 
liberamus. Ita quod sit Cella serrata eonstrticta in honorem Dei 
et Beatae Mariae Virginis et haòitum habeant nigrum sive aJbumj 
et sit in arbitrio ipsarum sororum de eligenda sibi abbatissa qua- 
eunque et de quoennque loco voluerint^ confirmatione vero ipsius 
abbatissae in $u>bis reseì-vamus. Et officium habeant a saeerdatibus 
eapitHli eeclesiae Tergestinae et s^elliantur per clericos capitidi 
memorati; dedmam vero et quartesium reservamus in nobis. 

Supradictis omnibus consensit capitulum Tergestinum ibidem 

praesentialiter constitutum^ videlicet domini Vitalis decanus^ Sardius 

archidiaconus^ MaOhaeus scholastieus, Almerieus sacrista^ Hermanus 

de Utinoy Volricus^ Henricus dictus Bigonci^ Gregorius dictus Beiech^ 

Carolus, Clemens et Bertoldus canonici ecdesiae memoratae. 

Actum Tergesti in choro eeclesiae sancti Justi praesentìbus 
dominis Artino de Rivela, Bernardo de Topista^ Andrea Rubeo^ 
Almerico quondam Bertoldi de Topista, Ludone quondam Bertaldi 
de Topista^ Ludone quondam Petri de Almerico^ La$aro de Rivola, 
Nieolao quondam Bertaldi de Crescentio et (Uiis. 

Ego Zufredus sacri palata et Tergesti publieus notarius his 
interfui^ et rogatus scripsi et roboravi. 

Fondato e regolato il nostro convento della Cella, ebbe 
molestie fino dai primordi da malevoli ed iniqui, forse dai 



') Dae erano le cappelle di San Sergio a Trieste. Quella menzio- 
nata in questo documento, di antichissima origine, fu distrutta nel 196B 
durante le guerre coi Veneziani. La seconda figura già nelPanno 1414 
nell'odierna via della Madonnina. Essendo cadente, certo Andrea Covas 
con suo testamento del 1*^ agosto 1484, ordinava il suo ristauro, legan- 
dole due vigne in contrada Monbey, onde in essa si alzasse V altare della 
B. y., officiato con una messa perpetua settimanale. H ristauro fu tdti- 
mato addi 14 agosto 1442. Della cappella, che esisteva ancora nel 1494, 
ignorasi la fine, ohe fu certo prima del secolo deoimosesto. 



179 

parenti più prossimi delle monache, per cui non potendo pren- 
dersi ingerenza i nostri vescovi in vigore del rescritto ;3uddetto, 
le monache furono costrette di rivolgersi alla curia romana e 
furono anche ascoltate. Colla bolla che riportiamo, papa Mar- 
tino IV commetteva addi 25 febbraio 1282 la custodia e la 
protezione della Cella al decano del capitolo cattedrale di 
Concordia: *) 

Marthms episcopus servm servorum Dei. Dilectofilio decano 
eedesiae Coneardiensis salutem et apostólieam benedietionem. 

Etri quibuslibet ecdfisìis et personis ecelesiastieis defensionis 
praesidio ex iniunct(ie nobis servitutis officio assistere teneamur^ 
eum suceensa velut ignis impietas tanto cantra ipsas validius in- 
flammetur, quanto rariares qui eas eripiant invenit obiectores^ Ulis 
tamen specitdins et efficacius adesse nos convenite quibus propter 
fragUitatem sexus minus propriae defensionis potentia suffragatur. 

Cum itague dilectae in Christo filiae àbbatissa et conventus 

monasteri sanctae Mariae de Cella Tergestina ordinis sanctae Clarae 
a nonnuUis qui nomen Domini in vacuum recipere non formidant 
graves super possessionibus et aliis bonis suis siculi accepimus pa- 
tiantur molestias et iacturas: nos quidem abbatissae et conventui 
pravidere quieti et malignorum malitiis óbviare volentes, discretioni 
tuae per apostolica scripta mandamus^ quanienus easdem abbatissam 
et conventum prò divina et nostra reverentia favoris oppoì'tuni 
praesidio prosequens^ nonpemiittas ipsas contra indultaprivìlegiorum 
apostolica^ sedis ab aliquibus indébite molestari^ molestatores huius- 
tnodi per censuram ecclesiasticam, appeUatione postposita, compe*- 
scendo. Attentius provisimus^ ne de his^ quae catisae cognitionem 
exigunt v4 quae indulta huiusmodi non conttngunt te aliquatenus 
intromittas. Nos enim^ si secm praesttmpserint^ tam praesentes Ut- 
teras, quam etiam processum^ quem per te iUarum auctoritcUe habere 
coniigerit^ omnino carere viribvtó ae nullius /ore dccernimus firmi- 
icUis. Huiusmodi ergo mandatum nostrum sic prudenter et fideliter 
exequaris^ quod eius fines quomodolbet non excedas, praesentibus 
post triennium minime valituris. 



^) Archiido del monastero di San Cipriano di Trieste. Stampato 
nel Codice diplomatico istriano. 



180 

Daium apud Urbemveterem V hai. martiif pontifieatus nostri 
anno secundo. 

Sembra però che il decano suddetto, poco o nulla se ne 
curasse, per cui le terziarie nostre, assunta del tutto la regola 
claustrale di Santa Chiara e diventate Clarisse, si sottomisero 
al ministro provinciale dei nostri Minoriti, il quale ne intra- 
prese il monastico governo, ingiuntane l'immediata sovrain- 
tendenza ad un religioso del convento di San Francesco col 
titolo di confessore. Il vescovo nostro Enrico HI non era per- 
suaso di questo procedere e voleva dettar ordini al convento, 
che fu nuovamente costretto di rivolgersi alla curia romana. 
Papa Bonifacio VII peraltro con bolla che riportiamo, gU 
proibiva severamente addi 31 gennaio 1301 di ingerirsene nella 
sua clausura, essendo già governato e custodito dall' ordine 
Francescano. ^) 

Bonlfaoius episeopm servus servorum Dei, Venerabili fraJbri 
Henrico episcopo Tergestino salutem et apostolicam benedidionem. 

Urbanus papa octavus^ praedecessor noster, eertam formam et 
regulam abbatissis et sororibus ordinis sanctae Clarae apostolica 
olim auctoritate eoncessit, quam vocari voluit regulam ordinis dictae 
Sanctae, in qua inter caetera continetur^ quomodo et qui ac de 
cuius licentia ingredi possint clausuram intrinsecam monasteriarusH 
ordinis memorati. Idem quoque praedecessor^ ne ipsas abbatissas 
ac sorores prò defectu certi reaiminis recedere ab observatione re- 
gulae praedictae contigeret, aut sub diversorum magisterio vivendi 
modos incurrere d'fferentes^ curam et regimen omnium monasterioru^n 
dicti ordiniSi nec non et pemonarum degentium in eisdem^ scUieet 
cappellanorum^ conversarum et famulariumj piene commisit cardi- 
nali sanctae romanae eccìesiae, qui prò tempore foret guberru^tor^ 
protector atquae corrector fratrum ordinis Minorum a sede aposto- 
lica deputatus^ statuens quod sub eius obedientia, cura et regimine 
permanerent ac tenerentur ei firmiter cbedire. Demum aulem dilecius 
filius nosier Matthaeus sancte Mariae in Porticu diaconus cardi- 
nalis gubematorj protector et corrector praedieti ordinis fratrtnn 



^) Pater Àugustinus Theiner, Vetera mtmummUa éUworum me- 
ridionalium; Codice diplomatico istriano. 



181 

Minorum secundum regviam qtiam gloriosus confessor heatus Fratta 
eiseus instituit a sede ipsa extitU depuiatus^ qui monasteriorum^ 
ahbatissarum, sororum et conversarum et personarttm praedicti 
ordinis sanctae Clarae gtibernator^ proteetor et corrector existit^ 
sine euias licentia tSn vel aliis praeter illos^ quibus est ex re- 
gvia praedicta permissum vel a sede praedicta concessum, non 
licuit neque licet praedicti ordinis sanctae Clarae monasteria in- 
troire. Nos insuper fratres praedicti ordinis Minorum et ipsum 
ordinem ab omnium et singulorum praelatorum etpersonarum eccle- 
siastica omnimoia potestate ac iurisdictione prorsus exemimus et 
deerevimus eos immediate ipsi sedi et soli dumtaxat Romano pon- 
tifici subiacere^ ac ecclesias, demos et loca, quae per fratres ipsos 
tenebaniur et habitabantur tempore exemptionis huiusmodi, ac te- 
nerentur et habitarentur in posterum, exempta prorsus exìstere 
nuUoque modo sedi subesse praedictae. Universis etiam abbatissiSy 
conventibìis et sararibus praelibati ordinis sanctae Clarae apostolica 
auctaritate concessimtM, ut tam abbatissae^ conventus et sorores 
eiusdem, quam omnia et singula monasteria eiusdem ordinis^ tam 
exemptionis privilegio^ quam omnibus immunitatibus^ libertatibus et 
indulgentiis ac aliis privUegiis quibuscumque uterentur et gaude- 
rent, ac uli et gaudere possent, quae prae/ato fratrum Minorum 
ordini ac eius fratribìM et personis erant ab eadem sede concessa 
et cancedereniur in posterum, quatenus eis eompeterent vel com- 
petere possent et quatenus forent vel esse possent capacia eorumdem. 
Nuper autem non sine turbatione percepimus, quod tu^ qui non 
dAebas nec credens esse praemissorum ignarus^ asserens monasterium 
sanctae Mariae de Celia Tergestinensi praedicti ordinis sanctae 
Clarae, et àbbatissam et sorores in eo degentes professas regulam 
praedictam^ editam a prctedecessore praefato tibi subesse debere, 
quamvis essent in possessione exemptionis, libertatis, privilegiorum et 
iuris cùncessùmis huiusmodi nec ttbi parerent, cum ad id minime te- 
nerentur, et cum nonnuUis dericis et laicis ad monasterium ipsum 
accedenSy iìlud per violentiam introisti, fracto etiam muro cappèllae 
ipsius monasterii, eandem intravisti cappellam et f ecisti celebrari 
tnissam in ea, evulsa insuper quadam sera, quae erat interius in 
astio inferiori ipsis monasterii, per quod in ipsum monasterium in- 
trabatur, illam ex parte exteriori ipsius ostii poni f ecisti, et expulsis 
/ratribus praedicti ordinis Minorum, qui adobsequium ipsarum 



182 

ahbatissae et sororum prout licUe poierant, ad ipsius monasierii cUiìi- 
suram exUriorem accesserant, saectdares clerieos ad eiusdem mona^ 
sterium cuslodiam po9HÌstiy sicque praedicti fraires ordini» iBnarum 
non sunl extunc ad idem monade»ium ire permissi^ neque in eo 
divina officia celebrare dictique clerici eaeeulares inleriorem mona- 
sterii praedicti daueuram intrare poesunt prò eorum ISntu voluniatis. 
Quare fuit nobis humiliter stq>plicatum, ut providere super kis 
de opportuno remedio dignaremur. Noe igitur praedictis abbatissae 
ac sororibue monasteri praelibati, quibus maxime propter fra- 
gilitatem foeminei sexus compatimurf super praemissis, providere 
fx)lentes ac praecavere^ ne litigiorum anfractibus invoUfontur, fra- 
temitati iuae per apoetolica scripta in pirtute obédienUiU a€ sub 
suspensianis et depositianis aliisque ^fMcitualiiue et tempenaìibus 
poenis iuxta nostrum arbitrium inferendis districte pr€iecipiendo 
mandMmus^ quatenus easdem abbatissam et sorores numasierii prae- 
libati dictumque monasterium contra huiusmodi cancessionis nostrae 
tenorem de caetero non impetas nsc perturbe» per te vel alium^ nec 
contra ipsum Ja^das aliquam, noxiam naoUfUetn^ quin potiens prete- 
mmas iniurias et gravamna et quidquid per te tpel de mandato tuo 
adversus eas contra concessionem praedietam» quam te in dubium 
revocoife wlumus, faeta vel attentata noscìintmi^ absque morae di- 
spendio previde revoces cum. effectu Caeterutn Wi tua in prasnmei^ 
temeritas remaneat impunita^ volumus et tibi sub poeuis praedictis 
iniuugimus, ut infra duorum mensium spatium a praesentatione 
praesentimn computandum, quod tibi prò peremptorio termino assi- 
gnamuSy per te vel procuratorem idoneum ad hoc specialiter eonsti- 
tutum cum sufficienti mandato compareas coram nobiA, tuam super 
praemissis et ea contingentibus innocentiam, si poteri» ostenthirus^ 
nosùrisque pariturus beneplacitis et mandatis. Si quae vero> tibi et 
ecclesiae Tergestinae iura cotnpetere proposueris in memorato mona- 
sterio^ illa si tua et ipsius ecclesiae interesse puta^ris, jtrosequi pò- 
teris coram notis. Parati enim sumus et ei exhibere super hoc iustitiae 
eomplementum, 

Datìim Laterani II halendas febrnarii, pontificatus nostri 
anno octavo. 

Codesta decisionfì papale noa piaceva ne al vescovo En- 
rico m né al suo successore Rodolfo Morandino dei Pedrazzani 



183 

L' atto segnente dei 99 aprile 1309, rogato in Avignone nel 
convento dei domenicani dal notaio Paolo de Fino Cumano, 
presenti fra gli altri i testimoni Francesco da Treviso notaio 
di Cartellano, uditore del palazzo del papa e Guglielmo d'Adria, 
notaio di Alberto Castegrate uditore, ora conservato nel nostro 
Archivio capitolare, ci racconta, che maestro Prandino da Mi- 
lano, procuratore di Rodolfo vescovo di Trieste, chiedeva a 
Franceschino da Todi di essere ammesso alla presenza di papa 
Clemente V per ottenere un uditore in appello nella causa col 
monastero di Santa Maria di Trieste contro certe lettere, di- 
rette dal cardinale diacono Napoleone del titolo di S. Adriano 
al vescovo di Cittanova ed al priore dei santi martiri di Trieste, 
e, non essendogli conceduto l'accesso, protestava contro l'ap- 
pellazione, in qualunque tempo sia fatta. 

In nomine Domini Amen. Anno a nativitate eiusdem MCCCIX, 
indictione octava, die martis XX VII II mensis aprilis, pontificattis 
Domini Clementis papae quinti anno quarto , in praesentia mei no- 
tani et testium suhscriptorum ad haec vocatos specialitei' et rogatos, 
Avinioni in dotno frattmm praedicatorum, ubi dictus dominus papa 
moratur, 

Constitutus magister Prandinus de Mediolano procurator reve- 
rendi Patris domini Rodulphi Dei gratin episcopi Tergestini coram 
Franceschino de TudeHo diati domini Papae ostiario tunc dictum 
ostium custodiente, petiii cum instantia a dicto ostiario^ quod ipsum 
permiUeì'et adire sive intrare per dictum ostium ad dictum Dominum 
Papam causa obtinendi a dicto Domino Papa auditorem in causa 
appcllationis et negotii principcdis interpositae nomine dicti domini 
episcopi a artis et quibusdam liferis directis ex parte reverendi patris 
domini Napoleonis sancti Hadriani diaconi cardinalis tunc in partibus 
Ulis apostolicae sedie legati revei'endo patri domino frati Giraldo Emo- 
nensi episcopo et Gerardo priori sanctorum martyrum de Ter- 
geste super monasterio sive occasione monasterii Sanctae Mariae de 
Tergesto in praeiudicium dicti domini episcopi Tergestini et ecclesiae 
Tergestinae et centra eum et ecclesiam suam praedictam prout in 
praedicta appellatione plenius continetur. Qui ostiarius respondit quod 
non erat tempus intrandi ad dictum dominum Papam, nec eum per- 
misit intrare. Et tunc dictus magister Prandinus dixit et prof estatus 



184 

fuit^ quodsibi dieta nomine non curat tempora appellationis praedictae 
prosequendaej cum per eum non sit quominus accedat ad dietum 
dominum Papam et auditorem ab a obtineat in eausa supradicta. 

Actum ut supra praesentibus Francischino de Tarvisio notario 
domini Castellani auditoris palata domini Papae et magistro Guilldmo 
de Adria notario domini Alberti de Castegate similiter dicti domini 
Papae auditoris et plurtbus aliis testibus ad praemissa vocatis. 

Ego Paulus dictus de Fino Cumanus publica imperiali auc- 
toritate notarius praemissis omnibus et singulis una cum praedictis 
testibus interfui, scripsi et pubblicavi meque sigillo solito signatus 
rogavi. 

(Continua). 



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STUDENTI 
FOROIOLIENSI ORIENTALI, TRIESTINI ED ISTRIANI 

alV Univereità di Padova 



NOTIZIE RACCOLTE DAL 

Professore ALFONSO COSTÀ s-- 

(CaiU, V. voi. XX, /CMC. IL) 



462. (?) Antonio Bomani di Leonardo, farlan, 1683 — 1688, 
Univ. artista (231). V. Indice. 

463. Giacomo Bagiardi fu Francesco da Trieste, 1683, Univ. 
artista (231). 1686 — 1688, Univ. leggista (31). 

464. Tommaso Contesini di Alvise, furlan, 1683-1687 (43). 
y. Indice, (da Isola. G. Pusterla) 

Tomm. Contesini foroj», pupillo, 1683. — Thomas Con- 

tesinus Ectoreus justinop. 1684 — 1686, 1687. 

Thomas Contesinus, istrius, 1688 (31). 

Ebbe il certificato d'ammissione al dottorato in Coli. 

veneto giurista nell' aprile 1688 (110). 
466. Tommaso M adr uzzi, justinop. pupUlus 1683(31). Cfr. 518. 

Tomm. Madruzzi di Pisani da Capodistria, 1683 — 1688 

(43) _ (foroj. 1686; istrius 1687). 

Ebbe il certificato d'ammissione al dottorato in Coli. 

veneto giurista nell'aprile 1688 (110). 
466. Giov. Casimiro Donadoni di Francesco, furlan triestino 

1683 (43); forojul. tergestinus, 1684, 1686—1688 (31); 

nel 1686 matrioolatp Univ. artista (43). Cfr. 646, 1289, 



1 



186 

467. Francesco Romani di Antonio, da Gorizia 1683 (43); 

ebbe il certificato d'esame per ammissione al dottorato 
in Collegio veneto giurista nel marzo 1684 (l 10). V. Indice. 

468. G-iorgio Policreti, goriciensis, ebbe il certificato d'esame 

per ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista 
nell'ottobre 1681 (87); dottorato nello stesso anno (78). 

469. GBatta Golop fu Martino, da Gorizia, fu dottorato in 
filosofia e medicina nel marzo del 1684 (Dorigh.); trovasi 
inscritto nell'Univ. artista 1681 — 1684; 1687, 1688 (231) 
Cfr. 637, 888. 

470. AngeloBevilaqua, rubinensis, 1684— 1687; rev. A. Bev. 

1685 (31). V. Indice. 

Angelo Bevilaqua di Andrea da Bovigno, 1684 (43). 

471. Giov. Pietro B. Nicole tti di Gasparo, da Trieste, fu 

dottorato in filosofia e medicina nel luglio 1684 (Dorigh.) 
Cfr. 633. 

472. Zuanne Costantini di Iseppo, da Bovigno, 1684 — 

1687 (34). V. Indice. 

Bev. Giovanni Costantini, rubinen., pupillo 1684, 1685 (31). 

473. Geminiano Come Ili, gradiscano, ebbe il certificato di 

esame per ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista 
nel giugno 1684 (110); trovasi immatricolato Gem. Co- 
melli di Carlo, furiano nel 1682 (43). V. India'. 

474. GBatta Bevilaqua fu Giulio, gorìtiensis, fu dottorato 
in filosofia e medicina nell'aprile 1684 (284). V. Indice. 

475. Francesco Gravisi di Dionisio, da Capodistria, 1684 

Univ. artista (231). V. Indice. 

Gravisi marchio Fr. istriensis 1686 e Grav. Fr. jastinop. 

1687 Univ. leggista (31, 32). 

476. Pietro co. Borisius, justinop., 1684, 1685 ; P. Borisius, 

istrius, 1686 (31). Cfr. 624, (Vivono i discendenti dei 
conti Nicolò e Lazzaro fratelli Borisi. G. Pusterla). 
Pietro Borisi di Marco Antonio, furlan, 1681-1685 (43). 
Ebbe il certificato d' esame per ammissione al dottorato 
in Coli, veneto giurista nel maggio 1686 (HO). 

477. Francesco Cristo fo rutti, goriciensis, ebbe il certificato 
d'esame per ammissione al dottorato in Coli, veneto 
giurista nel giugno 1684 (HO). Cfr. 1044. 



187 

478. Jacob Levi di Samuele, tergestino, fu dottorato in filo- 

sofia e medicina nel settembre 1684 (284). 

479. Pietro Gregolino fu Taddio, piranese, fu dottorato in 

filosofia e medicina nel dicembre 1686 (Dorigh.) Cfr. 
176, 554. 

480. (?) GBatta Cosati ni di Giov. Domenico, 1685. V. Indice. 

481. Filippo Toscanus, gradiscanus, pupillus 1685 (31). 

Filippo Toscani di Pietro da Gradisca, 1685 (43). 

482. Antonio ber man, gradiciensis, ebbe il certificato di 
esame per ammissione al dottorato in Coli, veneto giu- 
rista nel giugno 1686 (HO). 

483. Amabile Fenarolo di Gioseffo, d'Istria, 1685. Univ. 

artista (231). 

484. (?) Francesco Cosatine di Giov. Domenico, furlan, 1686 
anno primo (43). Y. Indice. 

485. Raimondo Fini, justinop., 1686, 1687, 1688 (31-32). V. 

Indice. (Elaborò la carta topografica di Capo d'Istria. 
G. Pusterla). 

Eaimondo Fini, di Orazio, justinop., 1686, 1686 — 1689 
(43) Ebbe il certificato d' esame per ammissione al dot- 
torato in Coli, veneto giurista nel giugno 1689 (111). 

486. Stefano Maiaronus fu Pietro, tergestino, fu licenziato 
in chirurgia nel novembre del 1685 (286). Cfr. 346. 

487. Michiel Vicentini di Lorenzo, da Gradisca, 1685, 1688 

— 1693 Univ. artista (231). Ebbe il certificato d' esame 
per ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista nel 
maggio del 1694 (112) 

488. (?) Eiccardo Pozzo di Antonio, furlan, 1686, 1690' (43). 

V. Indice. 

489. (?) Carlo Gioseffo de Goppinis di Francesco, dottor in 
filosofia e medicina, carniolo, fu dottorato in Coli, ve- 
neto giurista nel maggio 1686 (78). 

490. Eev Pietro Antonio Scussa, tergestino, 1686 (31), ebbe 
il certificato d'esame per ammissione al dottorato in 
Coli, veneto giurista nel febbraio 1685 (HO). 

P. Antonio Scussa di Giovanni, da Trieste^ furlan, 1683 
anno primo, matricolato nell'Università artista negli 
anni 1683-1684 (42). 



188 

491. Pietro Caldana, foroj. istrius pupillaa, 1685 (31>, 1689 (32;. 
Pietro Caldana di Giovanni, d'Istria, 1686 — 1691 (43). 
P. Petronius Caldana, justinop., (?) 1690 (32). 

P. Petronio Caldana, piranese, ebbe il oertiflcate d' esame 
per ammissione al dottorato in Coli, veneto gìorista nel 
giugno 1691 (111). V. Indice. 

492. Giacomo Otaco di Andrea, d'Istria, 1685 — 1689 Univ. 
artista (231> (Octatins ?). Y. Indice. 

Jacobos Otacius, justinop. foroj., 1688 Univ. leggista 
(32). (Le varie famiglie dei conti Tacco sono estìnte. 
G. Pusterla). 

493. Vincenzo Barbabianca, istrius, pupillus, 1685, justi- 

nopol., 1686 —justinop. foroj., 1688 (81-82). (La famiglia 
Barbabianca di Capo d'Istria ò estinta. G. Posteria). 
Vincenzo Barbabianca fu Marco, d' Istria, 1685 — 1689 
(43). Ebbe il certificato d' esame per ammissione al dot- 
torato in ColL veneto giurista nel giugno 1688 (111) 
V. Indice. 

494. Giacomo Baldini, istriano, 1686. V. Indice. 

Jacobus Baldini, piranensis, ebbe il certificato d' esame 
per ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista nel 
giugno 1690 (111). 
496. (?) Jacobus lanese, foroj., ammesso al dottorato in Coli, 
veneto giurista, 1686 (110) V. Indice. 

496. (?) lanese lanese, foroj., ammesso al dottorato in Coli, 
veneto giurista, 1686 (110). V. Indice. 

497. Francesco Saverio de Br ai ni eh, nobilis goritiensiSy 1686 

(461). V. Indice. 

498. Francesco Milli ani ex com.tu Goriciae, ebbe il certi- 
ficato d' esame per ammissione al dottorato in Coli, ve- 
neto giurista nel marzo 1686 (110). 

499. (?) Camillo Merluzzi di Francesco, 1686 Univ. leggista 
e nel 1693 artista (48). Cfr. 

600. Francesco Novelli di Giov. Pietro, da Gradisca, 1686, 

1694. Università artista. Cfr. 414, 541. 

601. Giov. Antonio Carusi, goriiiensis, ebbe il certificato di 

esame per ammissione al dottorato in Coli, veneto giu- 
rista nel giugno 1686 (111). Cfr 691. 



18é 

602. Carlo Ciiiramus, tergestino, 1686 (81). Cfr. 692. 

608. Serafino IJrtica, goriciensis, ebbe il certificato d' esame 

per il dottorato in Collegio veneto giurista nel 1636 

(110). 
604. Giovanni Pascoli di Francesco, gradiscano, fa dottorato 

nell'aprile 1686 in CoD. veneto giurista (78). 
506. Antonio Contesini Ettoreo, d'Istria, 1686'— 1688 

Univ. artista (2S1). V. Indice. (Da Isola. Gt. Pusterla). 

Ant. Contesinus Ectoreus, istrius, 1687; foroj., 1688 Univ. 

leggista (32). 

506. Antonio Juliani, tergestino, 1686 — 1688 (31-32). V. 
Indice. 

Antonio Giuliani, tergestino, 1689; fu dottorato in Coli, 
veneto giurista nel giugno del 1693 (78). 

507. Pietro de Comitibus, tergestino, 1686 (31). V. Indice. 

508. Gabriele Gilli; da Gradisca, ebbe il certificato d'esame 
per il dottorato in Coli, veneto giurista nell^ ottobre 
1686 (110). Cfr. 727, 1124. 

509. Carlo Sifrani di Antonio, da Trieste, 1686 (43). 

510. Domenico Vio, istriensis, ebbe il certificato d' esame per 
il dottorato in Coli, veneto giurista nel 1686 (111). 

611. (?) Carlo Minei di Francesco, furlan, 1687-16a8 Univ. 

artista (231). V. Indice. 

612. L. Lorenzo liber. baro Del metri, goritiensis, 1687, ebbe 
il certificato d' esame per il dottorato in Coli, veneto 
giurista nel febbraio 1688 (110). Cfr. 168. 

613. Mericco Gavardi di Alessandro, dell'Istria, 1687— 1690 

Univ. artista (231). V. Indice. (Da Capo d'Istria. G. 
Pusterla.) 

514. (?) Bernardino Mauro di Gioseffo, forlaU; 1687 Univ. 
giurista e 1684, 1688, 1691, 1699 Univ. artista (43). V. 
Indice. 

515. Marco Zanetti di Giov. Domenico, furlan carlinese del 

Com.to di Gorizia, 1687 — 1690 (43, 87); fu dottorato in 
Coli, veneto giurista nel febbraio 1691 (68). Cfr. 882. 
616. Domenico Belgramoni di Elio, d'Istria, 1687— 1692 
Univ. artista (281). (L'antichissima famiglia Belgramoni 
di Capo d'Istria è ora estinta) 



190 

Domenico Belgramonos, justinop., 1688 — 1692 TJniv. 
leggista (32). Ebbe il certificato d'esame per ammis- 
sione al dottorato in Coli, veneto giurista nel luglio 1692 
(111). Cfr. 284, 999. 
517. Giovanni Andrea Contesini, justinop. pupillus, 1687 
(82). V. Indice. (Da Isola. G. Pusterla.) 
Giov. Andrea Contesini Ettoreo di Alvise, istriano, 1687 
— 1694 (43). 

618. Gioseffo Madruzzi, d'Istria, 16874688. Univ. artista 

(231). Cfr. 466. 

619. Floriano Fiorini, goriciensis, ebbe il certificate d' esame 

per ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista 
nell'agosto 1687 (110). 

620. Rodolfo Antonio Urbani di Maurizio, furlan da Trieste, 

1687 — 1690 Univ. artista. Fu dottorato in filosofia e 
medicina nel maggio 1688 (231). 

Antonio Urbani di Maurizio, tergestino, fu dottorato 
in Coli, veneto giurista nel giugno 1693 (78). Cfr. 292. 

621. (?) Francesco Asquini fu Antonio, furlan, 1687 — 1692 

(43). V. Indice. 

622. Zuanne Gavardi di Alessandro, d'Istria, 1687 — 1690 
Univ. artista (231). V. Indice. (Di Capo d'Istria. Q. Pusterla.) 

623. Angelo Bar si, canon, archid. eccl. catt. Polae, ebbe il 

certificato d' esame per ammissione al dottorato in ColL 

veneto giur. nell'ottobre 1687 (110). 
524. Giacinto Borisi di Antonio, furlan, 1687-1688 (43). Cfr. 

476. 

Giacinto co. Borisi, justinop. foroj., 1688, 1696 (32). 
526. Francesco Grisoni di Santo, furlan, 1687-1691 (43). V. 

Indice. 

Francesco Grisoni, justinop. foroj., 1688, 1689, 1690 (32). 

Ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli, ve- 
neto giurista nel giugno 1692 (111). 
626. Domenico Dolcetti di Giacomo, da Trieste, 1688 Univ. 

artista (231). V. Indice. 

Domenico Dolcetti di Jacopo, da Trieste, fu dottorato 

in filosofia e medicina nel gennaio dell' anno 1691 

(Dorigh.). 



191 

627. Luca Betelas, da Gorizia, 1688. Univ. artista (231). 

628. Giov. Paolo B aselli, gradiscanus, ebbe il certificato di 
esame per T ammissione al dottorato in Coli, veneto 
giurista nell'aprile 1688 (111). Cfr. 584. 

629. Francesco Cifra, tergestino, 1688 (32). 

530. (?) Nicolò Giusti di Giacomo, furlan, 1686 — 1692. (Di 
Capo d'Istria. G. Pusterla). 

631. Tommaso Stefanini, gradisof&nus, 1688 (?) (461). 

632. Domenico Naglasti di Giovanni, da Gorizia, 1688 — 

1691 Univ. artista (231). 

633. Somualdo Nic eletti di Francesco, da Trieste, 1688, 

1694. Univ. artista (231). Cfr. 471. 
534. Stefano Haras di Mattio, da Gradisca, 1688-1690. Univ. 
artista (231). 

636. Sebastiano Groies di Aldo, da Gradisca, 1688. Univ. 

artista (231). 
536. Stefano Podgorcich di Gregorio, da Gradisca, 1688, 

1689. Univ. artista (231). 

637. Valentino Galopi di Pietro, furlan, (Golob?) 1688. Univ. 

artista (231). Cfr. 469, 888. 

538. Giovanni Curtas di Zaccaria, da Gorizia, 1688-1689. 
Univ. artista (231). 

539. Giorgio Burshic di Francesco, da Gorizia, 1688 — 

1691. Univ. artista (231). 

540. Zaccaria lager di Francesco, da Trieste, 1688 — 1691 

Univ. artista (231). 

541. GBatta Novelli di Giov. Pietro, da Gradisca, 1688 — 

1690. Univ. artista (231). Cfr. 404, 600. 

542. Giorgio Vrana di Gasparo, da Gradisca, 1688 — 1690. 
Univ. artista (231). 

543. GBatta Vasel di Andrea, da Gorizia, 1688, 1689. Univ. 
artista (231). 

544. Giorgio Sigismondo Zeller di Rodolfo, da Gorizia, 1688 

— 1694. Univ. artista (231). 

546. Francesco Donadoni di Giov. Gioseflfo, da Trieste, 1688 

— 1690. Univ. artista (231). Cfr. 466, 1289. 

546. Francesco Zolneri di Marco» da Gradisca, 1688-1691. 
Univ. artista (231). 



192 

547. Alessandro Dolcetti di Giacomo, da Trieste, t688. tJniv. 
artista (231). 

Alessandro Dolcetti, tergestino, 1688. Univ. leggista (32). 
Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli, ve- 
neto giurista nel gennaio del 1691 (111). V. Indice. 

648. Agostino Beltrame di Zuanne, da Gorizia, 1688 — 1690. 
Univ. artista (281). V. Indice. 

549. Andrea Halobozich, da Trieste, 1688. Univ. artista (281). 

660. (?) Gioseffo B a china di GBatta, furlan, 1688-1689. Univ. 
artista (231). Cfr. 190. (Sarà forse dei conti Bocchina 
da Cherso. G. Pusterla). 

561. Antonio MuUé di Luca, da Gradisca, 1688 — 1690. Univ. 
artista (231). 

552. Bortolo Cando, da Gradisca^ 1688. Univ. artista (2S1). 

553. Gioseffo Zebekeni di Massimiliano, da Gorizia, 1688 — 

1690. Univ. artista (231). 

554. (?) Pietro Gregolino, foroj., 1688 (32). 176, 479: massime 
il n. 479. 

555. Alvise Bagatai di Matteo, da Gorizia, 1688 — 1690. 
Univ. artista (231). 

556. Francesco Gioseffo Mei a e hi di Baldassare, da Gorizia, 

1688. Univ. artista (281). 
657. Felice Clinz di Marco, da Gradisca, 1688 — 1690. Univ. 
artista (231). 

558. Giovanni Giuliani, tergestino, 1688 (32). V. Indice. 

559. Alvise Shnenk di Benedetto, da Gorizia, 1688 — 1694, 

1697. Univ. artista (231). 

560. Gabriele Bonfanti di Antonio, da Gorizia, 1688 — 1690. 
Univ. artista (231). 

561. Martino Dimiz di Andrea, da Gorizia, 1688 — 1690. Univ. 

artista (231). 

562. Bernardo Doleiniz di Sebastiano, da Gorisria, 1688 — 

1690. Univ. artista (231). 

563. Girolamo march. Gravisi, foroj. pupillus, 1688, 1690. 
march. Girolamo Gravisi di Marco, furlan, 1688—1698 (43). 
m. Hieronymus Gravisius, foroj., 1692, 1693, justìnop. 
1692 (32). Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in 
Coli, veneto giurista nel maggio del 1694 (112). 



198 

564. Francesco Baeta, da Gorizia, 1688. Univ. artista (231). 

565. Francesco Saverio di Francesco Bartolomeo, da Trieste, 

1688 — 1694. Univ. artista (231). 

566. Giustino Garzolini di GBatta, da Cormons, 1688 — 

1690 (87). Fa dottorato in Coli, veneto giurista nel 
giugno del 1690 (78). Cfr. 932, 1S57. 

567. Elio march. Gravisi, foroj. pupillo, 1688, justinop. 1689, 

1690; istrius 1691; foroj. 1692, 1693 (82). Ebbe il certi- 
ficato d'esame per il dottorato in Collegio veneto giurista 
nel febbraio 1693 (111). 

568. Marco Muschi di Bortolo, da Gorizia, 1688—1698. 
Univ. artista (231). 

569. Marco Scabesca (Shabekas) di Marco, da Gradisca, 1688^ 

Univ. artista (231). 

570. GBatta Ee vii ani di Geo, da Gorizia, 1688 — 1690. Univ. 

artista (231). 

571. (?) Domenico Giusti di Giacomo, furlan, 1688—1692 
(43). V. Indice. (Famiglia Capodistriana. G. Pusterla.^ 

572. Lorenzo Covati, gradiscanus, ebbe il certificato diesarne 
per r ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista 
nel maggio 1689 (IH). V. Indice. 

bis. Bartol. Nascimbene, nob. di Gorizia, fu dottorato in 
filosofia e medicina nel marzo del 1689 (Dorigh.). V. 
Indice, 

574. Antonio Mattaloni de Cosulis, goriciensis, pupillus, 1689, 

1690 ; forojul., 1692, 1698 (32) Cfr. 718. Ebbe il certi- 
ficato d'esame per il dottorato in Coli, veneto giurista 
nel febbraio 1691 (111). 

Ant. Mattaloni de Cosulis, di Giov. Domenico, da Go- 
rizia, 1689. Nel 1691 e 1692 matricolato artista (48). 

575. Giose£fo Mariniz fa Domenico, da Trieste, 1689. Univ. 

artista (281). 

576. Jacobus Galassi fa Giulio, ex BuoUo feudo imperiale, 
fu licenziato in chirurgia nel gennaio 1689 (236). 

677. Giuseppe Franz onus, goriciensis, pupillus, 1689, 1690 
(82). 

Gioseffo Franzoni di Lunardo, da Gorizia, 1689 — 1691 ; 
nel 1692 matricolato artista (43). Ebbe il certificato di 



194 

esame per il dottorato nel Coli, veneto giurista nel feb- 
braio 1691 (III). Cfr. 1163. 

578. Antonio Abelli di Silvestro^ da Fola, 1689, 1691. Univ. 

artista (231). 

579. Francesco Decanis di Nicolò, di Yiveo imperiai, 1689 

— 1693. Univ. artista ('231). 

Francesco Decano di Nicolò, da Gorizia, fu dottorato in 
filosofia e medicina nel luglio 1()90 (Dorigh.). 
58<). Francesco Beltrame fu Antonio, da Gorizia, 1689, 1690, 
1692 -• 1695. Univ. artista (231). V. Indice. 

581. Francesco de Fin, liber. baro gradiscanus pupillo, 1689, 
1690 (32). 

Frane, de Fin di Giulio, liber. baro da Gradisca, 1689(42). 

582. Andrea de Fin, liber. baro gradiscanus pupillo, 1689, 

1690 (82). 

Andree de Fin del baron Giulio, da Gradisca, 1689 (43). 

583. Luca Mauras di Filippo, da Trieste (Maurus?) 1689, 

1690. Univ. artista (231). 

584. Marco Antonio Baselli di Antonio da Gradisca, 1689-1690, 
Univ. artista (231). Cfr. 528. 

385. Mattio Treserini di GBatta da Gorizia, 1689, Univ. 
artista (281). 

586. Orazio Mauro di Mattio da Gorizia, 1689 — 1691, Univ. 

artista (231). Cfr. 687. 

587. Alberto Pittoni, cormonensis, pupillus, 1689 (32). 
Alberto Piton di Matteo da Cormons, 1689. Cfr. 665, 1145. 

588. Girolamo Budius, goriciensis, pupillo, 1690, 1691(32). 
Qirol. Rudio di Vincenzo da Gorizia, 1690 — 1692 ; im- 
matricolato artista, 1693, 1694, 1697 (43). 

Girolamo Bossi di Vincenzo da Gorizia, fri dottorato in 
filosofia e medicina nel maggio 1694. (Dorigh.). V. Indice. 

589. Girolamo Duleri (?) di Fran.co da Gorizia, 1690, Univ. 

artista (231). 

590. Giovanni Stefano Zannutti, goritiensis, 1690, Univ. 
artista (466); nel 1691 viene detto Philos. et Medicinae 
doctor. Cfr. 334. 

591. Giovanni Carlo Carusi, goriciensis, pupillus, 1690; foroj 

gorit., 1691 (32). 



196 

CHov. Carlo Carasi fd Adamo da Q^orizia, 1690: nel 1692 
immatricolato artista (43). Ebbe il certificato d' esame 
per il dottorato in Coli. yen. giurista nel giugno del 
1692 (111). Cfr. BOI. 

692. Francesco Ciuran di Antonio da Trieste, 1690, 1692, 
Univ. artista (231). Cfr. 602. 

593. Carlo Romanus, goriciensis, 1690, 1693 (32). V. Indice. 
Carlo Romani di QBatta da (j^orizia, 1690 — 1693 ; nel 
1694 matric. artista (43). Ebbe il certificato d' esame 
per il dottorato in Coli. yen. giurista nel giugno 1694 
(111). 

694. Donato Corso Funda di Giov. Pietro da Pirano, 1690, 
anno primo (43). 

Rey. Donatus a Funda, piranensis^ 1692 ~ 1694 (32). 
Donato Fonda, piranese, ebbe il certificato d^esame per 
ammissione al dottorato in Coli, yeneio giurista nel 
giugno 1696 (112). V. Indice. 

596. Rey. Giorgio Bello, rubinensis pupillus, 1691; forojul. 

1692 ; rubin. 1696 ; foroj 1696 (32). 

Zorzi Bello di Giacomo, robiense del Contado de Pesin 
di Lubiana, 1691 (43). Ebbe il certificato d'esame per 
il dottorato in CoU. yen. giur. nel settembre 1696 (112). 
V. Indice. 
596. ? Federico Codroipo fu Girolamo, furlan^ 1691 (43). 
Cfr. 946. 

697. Bernardino Piti a ni di Federigo da Gorizia, fu dotto- 

rato in filosofia e medicina nell' aprile del 1691. (Dorigh.). 
Cfr. 628, 1167. 

698. Francesco Tracanelli di Francesco, fdrlan, imper., 1691 

(93). V. Indice. 

599. Giulio Rosaur, goritiensis, pupillus, 1691 (32); 1692, 

1693 (32). Cfr. 206. 

Giulio Resaur fu Fran.co da Gorizia, 1691 — 1693 ; nel 

1694 — 1696 matric. artista (43). 

600. Giuseppe Gragniz fu Paolo, tergestinus, fu licenziato 

in chirurgia nell' ottobre del 1691 (286). 

601. Giovanni Fran.co Romanus, foroj. goritiensis, pupillus, 

1691, 1692. Rey. Fr. R. gor., 1693 (32). 



196 

Q-ioV. i'ratt.co Bom&no di Giovanni Carlo da Gorizia, 
1691 (43). Ebbe il certificato d' esame per il dottorato 
in Coli. ven. giurista nel marzo 1693 (111). V. Indice, 

602. Andreas Brixianns, gradiscanns, pupilus, 1691, 1692, 

1694 (32). V. Indice. 

Andrea Bresciani fu Antonio da Gorizia, (?) 1691, 1692, 

nel 1693 matric. artista (43). 

603. Marco Marpurg d'Isac da Gorizia, 1691 — 1693, 
Univ. artista (281). V. Indice. 

Marco Marpurg fu Giuseppe da Gorizia fii dottorato 
in filosofia e medicina nel giugno 1694 (285). 

604. Giorgio Manzini, justinop., ebbe il certificato d'esame per 
l'ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista nel luglio del 
1691 (111). V. Indice. (Dei Manzini di Capo d'Istria vivono 
i figli del Dr. Giovanni fu Nicolò. La famiglia dei Man- 
zini d'Albona col titolo di marchese è estinta. G. Pusterla.) 

606. Michele Rossi di Pietro da Gorizia, 1691 — 1694, Univ. 
artista (231). V. Indice. Fu dottorato in filosofia e in 
medicina nel giugno 1692. (Dorigh.) 

606. GBatta Maria Bonavia di Rinaldo da Gorizia, 1692, 
Univ. artista (231). 

GB. Bonavia, goriciensis, censii, pedemontano, 1694, 
Univ. leggista (32). 

GB. Bonavia di Bainaldo, goric, fu dottorato in Coli. 
ven. giurista nell' agosto 1694 (79). Cfr. 44, 1562. 

607. Riccardo Brumati, for. goriciensis pupillus, 1692, 1693 

(32). Cfr. 681, 1197. 

Riccardo Brumati di Gasparo da Gorizia, 1692 (43). 
Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nel marzo 1693 (111). 

608. Giacomo Malva si fu Antonio da Gorizia, 1692, Univ. 
artista (231). 

609. Ioannes Zorzetta fu Sebastiano, istriensis da Buie, fu 

licenziato in chirurgia nel marzo 1692 (286). Cfr. 1412. 

610. Stefano Tortorini di GBatta da Gorizia, 1692, 1698. 
Univ. artista (231). Cfr. 342. 

611. Antonio Piccar di, tergestino pupillo^ 1692— 1694(32). 

V. Indice. 



197 

Antonio Piccardi di Francesco da Trieste, 1692, anno 
primo (43). 

Ant. Piccardi di Fran.co, tergestino, fa dottorato in Coli, 
ven. giurista nel maggio 1693 (78). 
(A questa famiglia appartiene Aldrago Antonio de Pic- 
cardi, tergestino, ultimo vescovo di Pedena, il quale è 
stato traslocato nel 1778 al vescovato di Segna, ma si 
trattenne costantemente a Trieste dove mori li 13 Set- 
tembre 1789. G. Pusterla). 
611 bis Antonio Piccardi, goritiensis, (?) ebbe il certificato di 
esame per ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista 
neir aprile 1693 (111) e (87). È errata l'indicazione della 
patria? oppure è il precedente? 

612. Antonio Bon afini fu Dom.co da Gorizia, 1692, 1693, 

Univ. artista (231). 

613. ? Marco Antonio Per t oidi fu Vincenzo, furlan, 1692 

(43). V. Indice. 

614. Dionisio marchio Gravisi di Marco, furlan, 1692 (43); 

forojul. pupillus, 1692, 1698, 1696, justinop. 1697 (82). 
V. Indice (La famiglia del marchese Dionisio è estinta 
colla morte del marchese Girolamo. G. Posteria). 

615. Antonio Spirondelli di Nicolò da Gradisca, 1692, Univ. 

artista (231). 

616. Nicolò Morosinì, justinop, 1692; N. Maurocenus, justi- 
nopol., 1693 — 1697. Ofr. 981. (I Morosini di Capo- 
d' Istria sono estinti. Possedevano la casa in contrada 
Zubenaga (Musella) ora di Antonio Marsich fu Nazario 
qm. Andrea del qm. Nazario. G. Pusterla). 

Nicolò Morosini di Adrian da Capodistria, 1692 — 1697 (43). 
617.? Antonio Dolcetti, foroj., 1692 (32). V. Indice. 

618. Andrea Sigismondo de Luxetich, myterburgensis, 1692, 
Univ. artista (466). V. Indice. 

619. Grassin Gentilli di Giacob da Gorizia, 1692, Univ. 

artista (231). 
690., Claudius de Casella fu Castore, oivìs goritianus, fu 

dottorato in Coli, veneto giurista nell'agosto 1692 (78). 
621. Gioseffo Tarsia di Andrea da Capodistria, 1692 — 1696, 

Univ. artista (231). Fu dottorato in filosofia e medicina 



196 

nel giugno 1696. (Dorigh.). (Della famiglia sulla calle 
degli orti grandi. G. Pasterla). 

622. Carlo Garnecius» goriciensis, 1692. (32). Cfr. 106. 

623. Giuseppe Dolcetti, tergestino, 1693 (32). V. Indice, 

624. GB. Dolcetti, tergestino, 1693 (32). V. Indice. 

625. Marco Alcino, tergestino, forojiiL, 1694, 1695 (32). 
Cfr. 678. 

626. GB. Burici (?) di Lodovico da Gorizia, 1693, 1694, 1697, 

Univ. artista (231). Cfr. 539. 

627. Pietro Albertinus, goriciensis, 1693 (32). 

628. Bernardin Piteani di Andrea da Gorizia, 1693, 1703, 

Univ. artista (231). Cfr. 597, 1157. 

629. Bev. Giov. Maria Lorocius,(?) goricimisis, 1693 (32). 

(Lirutius ?) 

630. Saverio Maitti di Pietro da Gorizia, 1693, Univ. artista 
(231). Cfr. 1011. 

631. Zuanne Muche di Zuanne da Gorizia, 1693, Univ. ar- 

tista (231). 
682. GBatta Vecchi, gradiscanus, 1693 (32). 

GB. Vecchi fu Marco Antonio gradiscano, fu dottorato 
in Coli. ven. giurista nell'aprile 1694 (79). 

633. Silvester Antoninus, goriciensis, 1693 (32). Cfr. 453. 

634. Imperius Pilastri, fri Sebastiano, justinop., fu licenziato 

in chirurgia nel gennaio 1693 (287). Cfr. 350. 

635. Alberto Perusius, gradiscanus, 1693 (32). 

636« Annibale Bicus, (?) goriciensis, 1693 (32). V. Indice. 
637. Placido Arrigonus, goriciensis, 1693 (32). Cfr. 1012. 
638.? Francesco de Franciscis di Giovanni de Camie Ca- 

nalis Gortis, ta licenziato in chirurgia nel marzo 1693 

(287). Cfr. 941. 

639. Pietro Piazza, gradiscanus, 1693 (32). 

640. Giulio Contesini Ettoreo da Capodistria, 1693, leggista 

e poi artista (43). (I Contesini erano da Isola. Chiesero 
l' aggregazione al consiglio nobile di Capo d'Istria, ma 
non la ottennero. Furono poi aggregati al consiglio di 
Parenzo. G. Pusterla). 

Lelio Contesini Ettoreo di Alvise da Capodistria, 1693 
— 1701, Univ. artista (231). V. Indice. Cfr. 713. 



199 

641. Antonio Marozzus, gradiscano, 1693 (32). Ebbe il cer- 
tificato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista 
nel gennaio 1696 (112). 

642. Antonio Caprileo di Silvio, furlan, 1693 — 1695, 1697, 

Univ. artista (231). Cfr. 692, 1524. 

643. Alessandro Alextis (Alessi ?)^ goriciensis, 1693 (32). 

Alessandro Al e usi di Giorgio da Gorizia, 1693, anno 
primo (43) Cfr. 761, 928. 

644. Massimo Terrosi di Fran.co da Gorizia, 1693 — 1696, 

Univ. artista (231). 

645. Antonio Capelli, justinop., 1693 (32). V. Indice. 

646. Fran.oo Liutti (Lirutti?) justinop, 1693 (32). V. Indice. 

647. Andrea Maneti, goriciensis, 1693 (32). Cfr. 771, 924, 1162. 

648. Giose£fo Ponzoni di Antonio da Gorizia, 1693, Univ. 

artista (231). 

649. Andrea Fedeli, justinop., 1693 (32). Cfr- 162. 
Andrea Fedeli di Bortolo da Capodistria, 1693 (43). 

650. Vincenzo Bagogna di Vincenzo da Capodistria, 1693 - • 

1695, 1705, Univ. artista (231). (Il sacerdote don Vincenzo 
agogna, dottore in teologia divenne canonico di questa 
Cattedrale, istituì un benefizio ecclesiastico. L'attuale 
benefiziato è il sacerdote don Luigi Vascon. Un campo 
del benefizio in contrada Pastierano è ora posseduto da 
Agostino Padovan fri Giovanni detto Sporta. Q. Pusterla). 
Vincenzo Bagogna, justinop., 1701. Univ. leggista i32). 

651. Stefano Giusto, justinop. 1693, 1694 (32). V. Indice. 

(Nel 1640 era decano del capitolo cattedrale di Capo- 
d'Istria don Giuseppe Giusti, sostenendo in pari tempo 
r ufficio di cappellano del santuario della Madonna delle 
grazie di Semedella. G. Pusterla). 

652. Giuseppe Forni, justinop., 1693 (32). 

653. Antonio Driutius, goriciensis, 1693, 1699, 1700 (32). 

Ant. Driutius di Giov. Pietro di Gorizia, 1699 (44). 

654. Lodovico Campana, justinop., 1693 (32). 

655. Pandolfo de Pizzolattis, goriciensis pupillus, 1694(82). 

656. Antonio Molina, aquileiensis, ebbe il certificato d'esame 

per dottorato in CoU. ven. giurista nel maggio 1694 (112). 
V. Indice. 



200 

657. Alessandro Alessandri, goriciensis, 1694 (32). Cfr. 1495. 

658. Paolo Ce roti» foroj. imp., ebbe il certificato per il dot- 
torato in ColL veneto giurista nell'agosto 1694 (112) 
Paolo Ceroti di Antonio da Gorizia, 1693 (43). Y. Indice. 

669. GBatta Bosizi fu Lodovico da Gorizia, fu dottorato in 

filosofia e in medicina nel giugno del 1694. (Dorigli.)- 

Ofir. 799, 1173. 
660. Bev. Stefano Gallici, goriciensis, 1694 (32). Y. Indice. 
660 bis.? Aev. Giov. Maria Gallici, foroj, 1694, 1696, 1697 

(32). Y. Indice. 
661.? Bartol. Tacco di Fran.co, furlan, 1694, Univ. artista 

(231). Cfr. 320, 933. (Forse di Capo d'Istria. G. Pusterla). 

662. Cristoforo Yictorius, justinop., 1694 — 1696 (32). Tro- 
vasi lo stesso notato come pupillo nel 1692 (43). (Fu 
Tavo di Pietro di Giulio Cesare, ultimo della famiglia 
Yittori di Capo d'Istria. G. Pusterla). 

663. Leopoldo Filippu ti, goriciensis, pupillus, 1694, 1695(32). 

Leopoldo Filipusio di Sigismondo, furlan, 1694 (43). 
Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nell'aprile 1696 (112). 
664* Giov. DonLco Moretti di Leonardo, furlan, 1694 — 

1696 (43). 

Giov. Dom.co Moretti fu Leonardo, goriziano, fa dotto- 
rato in Coli, veneto giurista nel luglio 1697 (79). Yedi 
Indice. 

665. Giovanni Francesco Pitto ni di Daniele, farlan, 1694 — 

1697 (49). 

Frane. Pittoni, camici. (Cormons?), ebbe il certificato 
d' esame per il dottorato in ColL ven. giurista nell'agosto 

1698 (112). Cfr. 587, 1145. 

666. Carlo Yanini di Pietro, furlan, 1694, anno primo (43). 
Carlo Yannino, goritiensis, ebbe il certificato d'esame 
per il dottorato in Coli. venet(> giurista nell' agosto 1698 
(112). Cfr. 896, 1515. 

667.? Carlo Liutti, foroj, 1695 (32). Y. Indice. 

668. Francesco Cari otti, justinop., 1695 (32). 

669. Lodovico Yecchi fu Vtbjloo, nob. gradiscanus, fu dot- 

torato in Coli. ven. giurista nell'aprile 1695 (29). 



aoi 

670. Antonio Biasioli di Fran.co d^ Istria, 1695, 1698) 1699, 

Univ. artista (231). 

671. Dionisio Salviati di Giuseppe, parentìnus, fu licenziato 
in chirurgia nel giugno del 1695 (287). 

672. Pietro Gavardo, justinop., 1695— 1697, 1701 (32). 

Pietro Gavardi di Olimpio da Capodistria, 1695 — 1698 

(44). (Il ramo del cavaliere dottor Olimpio Gavardo è 

estinto. G Pusterla). 
678. Eev. Giovanni Aloino, foroj., 1695 (32). Ofr. 625. 
674. GBatta de Eubeis di Valentino, goritiensis, fu dottorato 

in filosofia e in medicina nel giugno 1695 (285). Y. Indice. 
676.? Gioseffo Antonio Camocin di Nicolò, furlan, 1695 — 

1700 (44). V. Indice. 
676. GBatta Wildanoff, goriciensis, 1695. GB. Willenoff, go- 

rioen., 1696 (32). 

GB. Wildenoff ebbe il certificato per il dottorato in Coli. 

ven. giurista nel novembre 1696 (112). 
676 bis. Carlo Maria a Jure di Gorizia, 1695 (32). V. Indice. 
677? Tommaso Trac anelli, foroj., ebbe il certificato per il 

dottorato in Coli. ven. giurista nel giugno 1695 (112). 

Tomm. Tracanello di Francesco, furlan, 1691 — 1695 

(43). V. Indice. 

678. Zuanne Lo catelli di Giacomo, furlan da Cormons, 

1695 — 1699, Univ. artista (231). V. Indice. 

679. CHlo vanni Pascoli, camiol., sacerdos, dottorato in Coli, 
ven. giurista nel maggio 1695 (79). 

Zuanne Pascoli di Zuanne Daniele ex Camia, 1692 — 
1695 (43). V. Indice. 
6&0m Andrea Finus, justinop., pupillus, 1695 — 1697; 1701 
(32) ; justinop., 1695 — 1698 (44). V. Indice. 

681. Giovanni Giuseppe Bruma ti di Gasparo, furlan, 1695 
(44). Cfr. 607 e 1197. 

Giov. 0. Brumati, goritiensis, ebbe la fede per il dotto- 
rato in Coli. ven. giurista nell' aprile 1696 (112). 

682. Giovanni Antonio aFabris fa Fran.co, furlan, 1696 (42). 
QìoY. Ant. a Fabris, goritiensis, ebbe il certificato di 
esame per l' ammissione al dottorato in Coli. ven. giu^ 
rista nell'aprile 1696 (112). V. Indige, 



202 

G83. GBatta Drigano di Iseppo, hirlan imf^er, 1695 (44). 
GB. Drigani, gradiscanus, ammesso al dottorato in Coli. 
yen. giurista nel maggio 1696 (112). 

684. Pietro Grisoni di Santo, justiuop., 1696 — 1700, nel 

1701 matricolato artista (44). 

Pietro Grisonius, justinop., 1696 — 1700 (32), ebbe la 
fode per il dottorato in Collegio veneto giurista nel no- 
vembre 1700 (113). V. Indice. 

685. Nicolò Lugari di Lorenzo da Gradisca, 1696 - 1697. 

Univ. artista (232). 

Nicolò di Lughera fu Lorenzo del Friuli imper., fu dot- 
torato in filosofia e medicina nel giugno del 1697. (Do- 
righ). Cfr. 891, 1230. 

686. (?) Valentino Giuliani (Julianus), foroj., 1696, 1697 (82) 

V. Indice. 

Valentino (Giuliani di Usualdo, furlan, 1696 (44). 

687. Francesco Maurus, can. cath., polensis, ebbe il certi- 
ficato d'esame per l'ammissione al dottorato in Coli, 
ven. giurista nel febbraio 1696 (112). Cfr. 586. 

688. Antonio Battiala, albonensis, pupillusj 1696; foroj., 

1697, 1698; Qiov. Antonio Albonensis, 1699 (32). Antonio 
Battiala di Antonio, albonensis^ 1696, 1700; negli anni 
1702, 1703 matricolato artista (44). Ebbe il certificato 
d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel giugno 
1700 (113). V. Indice. 

689. Tommaso Giuseppe Bosethus fu Antonio, goriziano, 

fu dottorato in filosofia e medicina nel gennaio 1696 
(286). Cfr. 989. 

690. Eev. Leonardo Tulius, goriciensis, 1696, 1697 (32). 
Leonardo Tullio di GBatta da Gorizia, 1696 (44). Ebbe 
la fede d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nel dicembre 1697 (112). Cfr. 691. 

691. (?) Leonardo Tullio di Antonio, furlan, 1704, 1706. 

Univ. artista (232). Cfr. 690. 

692. Francesco Caprileus, gradiscanus, 1696 (32). Fr. Ca- 

priles di Silvio, furlan, 1696, pup. (43). Ebbe la fede di 
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio 
J697 (112). Cfr. 642 e 1624. 



ao8 

693. Pietro Bertoldi di Vincenzo da Gorizia, 1696, 1697; 

1704 — 1706. Univ. artista (232). V. Indice. 

694. (?) Nicolò Marchi di Giorgio, furlan, 1696, 1699, leg- 

gista; 1699, 1703, artista (44). V. Indice, 
69o. Antonio Mollino, goriciensis, 1696 (32). V. Indice. 

696. Annibale Megaluzzi, foroj. imper., 1696, 1702 — 1704, 

1706 (32, 33). Cfr. 784. 

Annibale Megalazzi di Leonardo da Versa sotto Gra- 
disca (87). 

Annibale Megaluzzi di Leonardo arciducale, 1696 (44). 
Cfr. 784. 

697. Andrea Bassin, goriciensis, 1696; Andrea Bacin, goric. 

(32). Cfr. 1091. 

698. Antonio Zaccaria di Fiorino da Pirano, 1696 — 1700, 

1704-11 06. Univ. artista (232). Fu dottorato in filosofia 
e medicina nel marzo 1701. (Dorigh.). V. Indice. 

699. Giuseppe Modena, goriciensis, 1696 (32). Cfr. 1116, 1314. 

700. Giacomo Moretti, goriciensis, pupillus, 1696 (32); di 
Leonardo da Gorizia, 1697 (44). V. Indice. 

701. Giov. Giacomo Morelli, foroj., ebbe il certificato d'esame 

per l'ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista nel 
luglio del 1699 (113). V. Indice. 

702. GBatta Ortolani, furlan imper, 1696, 1697. Univ. artista 
(232). V. Indice. 

708. Francesco Flora di Iseppo da Gorizia, 1696 — 1698 (43). 
Frane. Flora, goric , 1697 (32) Ebbe il certificato di esame 
per il dottorato in Coli. yen. giurista nel giugno 1700 (113). 

704. Francesco Seunis, justinop, pupillus, 1697 (82). (È 
forse il medico Francesco Del Senno. G. Pusterla). 

70B. (?) GBatta Zaccaria, foroj., 1697 (32). V. Indice. 

706. (?) Sticotti Tommaso, foroj., ebbe la fede d'esame per 

il dottorato in Coli, ven., giurista nel giugno 1697 (112); 
trovasi immatricolato Tomm. Sticotti di Francesco, furlan, 
negli anni 1692 — 1697 (43). V. Indice. 

707. Teodoro Sporeni da Gorizia, 1697. Univ. artista (732). 

Cfr. 911. 

708. Giovanni Muli oc hi (Mulich?) di Andrea da Gorizia, 

1697. Univ. artista (232). V. Indice. 



90é 

709. Valentino Barioni di Giovanni da Gorizia, 1697. Univ. 
artista (283). Cfr. 486, 890. 

7ia Bernardo Bifiani di Pietro da Goriaia, 1687; Univ. ar- 
tista (282). 

711. Varientus P e no tu s, gorioiensis, 1697 (82); Y. Penotti di G^ 
rizia, 1698 (44). Ebbe il oertifioato d'esame per rammissione 
ài dottorato in ColL ven. ginr. nel luglio del 1699 (118). 

712. Mario Usti a di Tommaso di Trieste, 1697. Univ. artista 
(282); 1698, 1699, nniv. leggista (88). M. Antonio Ustìa, 
tergestino, ebbe il oertifioato per U dottorato il OoQ. ven. 
giurista nel lugUo 1700 (88). Cfr. 177, 127T. 

718. Lelius Oontesinus Heotoreus, foroj., 1698; justinop., 
1699 (88), abbas just, 1700 (33). Abbas Lèlius Cont. 
Hetc., ebbe il certificato d' esame per ammissione al dot- 
torato in Coli. ven. giurista neir aprile 1701 (112). Cfr. 
640. y. Indice. (L* abate dottor Lelio Contesini dei oonti 
Hettoreo da Isola (Alieto) fu vescovo di Pola (1780-1782) 
mori in concetto di santo nel 1782, e la di lui salma 
venne trasportata ad Isola per esHore tumulata nella 
chiesa del duomo sotto la tribuna dell'organo. G. Pusterla). 

714. Carlo Lottieri da Gradisca, 1698(87). Carlo Lottierì di 
Fr. Antonio, gradiscano, fu dottorato in Coli. ven. giu- 
rista nel maggio 1698 (79). 

716. Antonio Alessio Pe riboni, gradiscanus, 1696 (88); di 
Carlo da Gradisca, 1698 (44). Alessio Periboni di Cario, 
gradiscano^ fu dottorato in CoU. ven. giurista nell'agosto 
del 169» (79). 

716. Marco Faohinetti di Vendrame da Bovigno, 1698'— 

1701 (44). V. Indice. 

717. Nicolò Leonardo de Burlo, tergestino, 1698 (461), ebbe 
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu- 
rista nel luglio 1699 (113). V. Indice. 

718. Francesco Mataloni Consoli da Gorizia, 1696. Univ. 

artista (282). 

Frane. Mataloni di Dom.co da Gorizia, fu dottorato in 
filosofia e medicina nel luglio 1699. (Dorìgh.). Cfr. 674. 
719. 'Antonio d^ Alberi di Giacomo da Trieste, 169a Univ. 
artista (282). Cfr. 406. 



à05 

720. Pietro* Mollin ari di Ste&no da Bomans de Versa gotto 
Gradiaoa, dottorando «in OoU. ren. giurista, 1698 (87). 
Petrus MoUendinarius di Stefano, gradisoano, fu dotto- 
rato nell'aprile del 1699 (79). 

721. Mario Baleari di Orazio da Gorizia, 1698, 1699. Univ. 

artista (282). 
721 b. Mario Bai sari di Francesco da Gorizia, 1699. Univ. 
leggista; nel 17014702 matricolato arista (44). Cfr. 
737, 844. 

722. Dionisio Cavedalis, goriciensis, pupillus, 1698 (88); di 
ButiUo, 1698 (44). 

Dion. Cavedalis di Butilio, fu dottorato in -filosofia e 
medicina nell'aprile del 1699 (286). 
728. Vincenzo Davanzo^ justinop., pupillus, 1698 (88); V. 
a'Yanzo, justinop., 1699. Yinc. de Yanzo, justinopoL, 
1700 (88). (La famiglia DayanzO' di Oapo d' Istria è estinta. 
G. Posteria;. 

Vincenzo Da Yanzo da Oapodistria di Giaoomo da Pa- 
renzo, 1699-1702 (44). 

Y. Davanzo,. parentìnO; ebbe il cert. per il dottorato in 
Coli. ven. giurista nel giugno 1702 (118). 

724. Abbas Simone Jacobus Picoli, gorioiensis 1696(88); di 
FiBucesco, goric. (44). Ebbe la fede d' esame per il dot- 
torato in Coli. yen. giurista nel giugno 1699 (118). 
Cfr. 864. 

725. Vincenzo Zeraricho (?) dì Paolo da Ch^so, fu dottorato 

nel luglio 1698. (Dorigh.). 
726» Bey. Ignazio Bianchini, goriciensis, 1698 (88). 

Ignazio Bianclùni di Pietro da Gorizia, 1699 (44), ebbe 
il certificato d' esame per il dottorato in Coli. yen. giù- 
rista neir agosto 1699 (118). V. Indice. 

727. Antonio Gillio di Carlo da (Jorizia, 1698, 1699. Uniy. 
artista (282). Cfr. 608, 1124. 

728. Francesco Palladinus, gorioiensis, 1699, 1700, 1702, 

1708 ^) : di Taddeo, 1699 (44). Ebbe il certificato di 
esame per il dottorato in Collegio veneto giurista nel 
marzo 1701 (118). Cfr. 947. 

729. Giovanni Dalla Torre di Tristano da Gorizia, 1699 (88). 



206 

780. Suison Morpargo di Salvator MoisÀ da Gkradisca, 1699-* 

1705, 1707. Univ. artista (232). Fa dottorato in filosofia 
e medicina nell' agosto 1700 (286). 

781. Francesco Apollonio di Zorsi istriano, 1699^ 1701 — 

1703, 1705. TTniy. artista (292). V. Indice. 

Francesco di Zorzi Apollonio fu piranese e nacque nel 

1780. (VidaU). 

782. Francesco Serenus, justinop., 1699; 1701, 1702 (32). 

Cfr. 28. (La famiglia Sereni si è trasferita a Trieste. 
G. Pusterla). 

Fran.co Sereni di Giacomo, justinop., 1697-1702 (44). 
Ebbe il certificato d'esame per l'ammissione al dottorato 
in Collegio veneto giurista nel giugno 1702 (113). Cfr 28. 

788. Aloysius Capoannus, tergestino, pupillo, 1699 (83). 
Alo. Capoanno fu (?) Marcello da Trieste, 1699 (44). 
Ebbe il certificato d'esame per T ammissione al dottorato 
in Coli. yen. giurista nel settembre 1700 (113). Cfr. 333. 

784. Antonio Cosatinus, goriciensis, 1699 (33). Univ. leggista. 
Ant. Cosatini di Giov. Domenico da Gorizia, 1699; negli 
anni 1702 e 1703 matricolato artista (44); 1706. Univ. 
artista (232). 

Ant. Cosatini, goriciensis, ebbe il certificato per il dot- 
torato in Coli. ven. giurista nell' agosto 1700 (113). V. 
Indice. 

736. Gioseffo Zanio di Gasparo da Gorizia, 1699, 1704, 1707. 
Univ. artista (232). 

786. Antonio de Brandis, foroj. arciduc, ebbe il certificato 
d' esame per il dottorato in Collegio veneto giurista nel 
maggio 1699 (113). 

737. Giov. Martino Balzarus, goric, pupillo, 1699 (33). 
Cfr. 721, 844. 

Martino Balzar, foroj., ebbe il certificato per il dotto- 
rato in Coli. ven. giurista nell'agosto (113). Cfr. 721. 

738. Giacomo a Tur ri, goriciensis, pupillo, 1699, 1700 (33). 
Giacomo à Turre di Tristano, goriziano, fu dottorato in 
Coli. ven. giurista nel luglio 1701 (79). 

Giacomo della Torre di Tristano da Gorizia, 1699; negli 
anni 1701, 1702 matricolato artista (44). 



207 

739. Giovanni Antonio de Attimi 8, foroj., pupillus, 1699 
(33). V. Indice. 

740. Paschalinus Gobbi, ex Pisino, 1699 (460). Cfr. 1288, 

1319. 

741. Francesco Vermatus, gradiscano, 1699 (33). Cfr. 1266. 

742. Giulio EomanuS; goritiensis, 1699 (33). 

Giulio Romani di Giovanni Antonio da Gorizia, 1700 (44). 
Giulio Gius. Romani, goric , ebbe la fede per il dottorando 
in Coli. ven. giurista nel maggio 1700 (118). V. Indice, 

743. Giuseppe a Pabris, goriciensis, 1700 (33). 

Gioseffo a Fabris di Giov. Andrea da Gorizia, 1700 (44). 
Fran.co Gius, de Fabris in Freyenbach, gorit., ebbe la 
fede d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel 
marzo 1701 (113). V. Indice. 

744. Gasparo Valmasoni di Fran.co, carniol. imper. (44). 
Fede d' esame per il dottorato in coli. ven. giurista nel 
maggio 1701 (112). 

745. Giov. Antonio Fontanelli di Bernardo da Gorizia, 

1700, 1707. Univ. artista (232). Cfr. 968. 

746. Carlo C ancia ni, foroj. ex Aquileia, ebbe la fede di 
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel luglio 
1700 (U?>). V Indice. 

747. Francesco Michieli di GBatta da Gorizia, 1700-1707. 

Univ. artista (232). Fu dottorato in filosofia e medicina 
nel maggio 1702. (Dorigh.). Cfr. 426, 1206. 
748 Zuanne Belgrado di Gibellini da Gorizia, 1700 (44, 88). 
* Giovanni Belgrado di Gibellino, gorit., dottor. Coli. ven. 
giurista nel maggio 1701 (79). 

749. Pietro Gratto ni, gradiscano, 1700 (33); di Biasio, 1700 
(44) Ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli, 
ven. giurista, 1701 (113). 

750. Giovanni Michele Stabili di Giacomo da Gorizia, 1700, 

1701. Univ. artista (232). 

751. (?) Giuseppe Antonio Camozzi, foroj., ebbe il certifi- 

cato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel 
febbraio 1700 (113). Cfr. 768. 

752. Giov. Fran.co ab Attimi s ex com.tu, Goricise, pupillus, 

17 0; foroj. imper., 1701, 1706 (33); di Nicolò, 1700(44). 



àoò 

Ebbe il certificato d'esame per ì^ ammissione al dottorato 
in Collegio yen. giurista nell'aprile 1704 (113). V. LuUee. 
768. Pabricio Tarsia, justinop., 1700-1701 (33). (Le famiglie 
Tarsia di Capo d'Istria sono estinte. Gli ultimi forono 
il conte Francesco ed il conte Dr. Alvise detto Tarsietto. 
Or. Pusterla). 
Fabricio Tarsia di Antonio, justinop., 1700 — 1705(44). 

754. Giov. Valentino Bencig o Benicb di Bartol. da Gorizia, 

1700, Univ. artista (232). Fu dottorato in filosofia e me- 
dicina nel marzo del 1701. (Dorigh.). Cfr. 762. 

755. Agostino Bruti, justinop., pupillo. 1700, 1701, 1703 (33) 

foroj., 1702, 1705. 

Agost. Bruti, justinop. et canon, emoniensis, ebbe la 
fede d' esame per il dottorato in Coli. yen. giurista ne 
luglio 1706 (114). (H conte dottor Agostino Bratti, ca- 
nonico onorario di Ciittanova, abate d'Asola mori in 
patria qual vescovo ed il suo ritratto esiste nella sacrestia 
dei preti del duomo. G. Pusterla). 
756« Giacomo Andrea de Morelli, gioriciensis, pupillus, 1700, 
1701 (33). V. Indice. 

Giacomo Andrea de Morelis di Andrea da Gorizia, 1700; 
nel 1703 matricolato artista (44). Ebbe il certificato di 
esame per V ammissione al dottorato in Coli. yen. giu- 
rista nel giugno 1702 (113). V. Indice. 

757. Girolamo Steffanei de Crauglio, furlan imper., 1700(44). 

Girolamo Stafanutti, foroj. de Crauglio imper», pupillo^ 
1700 (33). 

Hieronymus Stephanutius, foroj., 1701; Girol. Stepha- 
nuzzi, for., 1702, 1704. Ebbe il certificato d'esame per 
il dottorato in Coli. yen. giurista nel marzo 1705 (114). 

758. Giovanni Camozzi, goriciensis, pupillo, 1700, 1701 (83). 

Giovanni Camozzi di M. Antonio da Gorizia, 1700 (44). 
Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nel lugHo 1701 (113). Cfr. 751. 

759. Giovanni Costantini di Antonio da Bovigno, 1701. 
Univ. artista (232). V. Indice. 

760. GBatta Henricum di Bortol, furlan imperiale, 1701; 
nel 1706 matricolato artista (44). Ebbe il certificato di 



68&me per ammissione al dottorato in OoU. yen. ginrìsta 
nel gingno 1706 (114). 

761. Domenico de Aletiis, gradiscano, 1701 (33); 1703. Ofr. 
643, 928. 

Dom.co degli Alessi di Alfonso da Gradisca, 1701 (44), 
ebbe il certificato d* esame per il dottorato in Coli. yen. 
giurista nel maggio 1703 (IIS). 

762. Valentino Benscic (Bencicb?) di Antonio da (3K>rizia, 

1701— 1703; 1705, 1707, Uniy. artisU (232). Cfr. 754. 
768. Nicolò Cagnolini di Gasparo de ciyitate Veglie, fu 

licenziato in chinirgia nell'aprile 1701 (287). 
764. Nicolò Traccanelli.foroj.imper. pupillo, 1701,-1708 

(33). V. Indice. 

Nicolò Trac, di Francesco, fiirlan imp., 1701 (44). 
766. Antonins Bon fu GBatta da Grado, fu licenziato in 

chirurgia nel maggio del 1701 (287). V. Indice. 

766. Francesco Bossi, forojul. imperialis, 1701 (33). V. Indice, 
Frane. Bossi di Bernardino, furlan imperiale, 1701 (44). 

767. Giacomo Brutti, justinop., 1702 (33). 

Ab. Giacomo Bruti di Marco, justinop., 1702 — 1704 

(44). 

768. GBatta Petronius, goriciensis, 1702 (83). V. Indice. 
GB. Petronio di Luca da Gorizia, 1702; nel 1705 ma- 
tricolato artista (44). Ebbe il certificato d'esame per il 
dottorato in Coli. yen. giurista nel luglio 1702 (112). 

769. (?) Lodovico Locatela, furlan, 1702 (44). V. Indice. 

770. GBatta Cavassi di Antonio, furlan imper., 1702, 1706, 
Uniy. artista (232). 

771. Cesare Man etti di Aurelio, furlan imper. 1702 (44). 
Cfi:. 647, 924 e 1162. 

772. Fran.co Comelli di Dom.co da Gradisca, 1702 — 1707* 

Uniy: artista (232). V. Indice. 

773. Francesco Bon fu GBatta da Grado, fu licenziato in 

chirurgia nell'agosto del 1702 (287). Y. Indice. 

774. Bernardin Dall' gli o fii Fran.co da Aquileia, 1702 (44), 

Bernardin Dall' Oglio, aquileiensis imper., 1703 (33). Ebbe 
il certificato d' esame per il dottorato in Collegio veneto 
giurista nell' agosto 1704 (114). 



Ì2lO 

776. Tommaso Steffani, foroj. imp, 1703 (44); Th. Stepha- 
nius, gradiscanus, dottorando in Coli ven. giurista 1704 
(88) ; Th. Steffaneus di Giovanni, gradiscano, fu dotto- 
rato nel luglio 1704 (79). 

776. Nicolò Bo se aro Ilo di GBatta da Gorizia, 1703 (232), 

fu dottorato in filosofia e medicina nel maggio 1703. 
(Dorigh.). 

777. Giacomo de* Fabiis, goriciensis imp., pupillus, 1703 

(33). V. Indice 

Giacomo dei Fabiis di(?) Carlo da Gorizia (44, 88), fu 

dottorato in Coli. ven. giurista nel febbraio 1705 (79). 

778. Ottavio Gallateus, gradiscanus, 1703 (33, 88). 

Ottavio Galateo di Claudio da Gradisca 1703; Ott. Ga- 
lante di Claudio, 1703 (44). Fu dottorato in Coli. ven. 
giurista nel febbraio 1705 (79). Cfr. 1222. 

779. Francesco Antonio Canelli fu Gian. Dom.co da Gra- 
disca, fu dottorato in filosofìa e medicina nel giugno 
1703. (Dorigh.). 

780. Lorenzo Colombani da Pirano, 1703 (44) L. Colomb. 

foroj. imper., 1704 (33). V. Indice, 

Lorenzo Colombani di Antonio, 1 703 (460). Ebbe il certifi- 
cato d'esame per l'ammissione al dottorato in Coli, veneto 
giurisU nel luglio 1705 (114). Nacque nel 1668. (Vidali.) 

781. Silvestro Appolonius, piranensis, 1703 (33, 44, 460). 
V. Indice. 

Silvestro Apollonio, piranese, figlio di Becco fu 
Silvestro, nacque nel 1686. (Vidali.) 

782. Francesco Cornelio da Gradisca, 1703. Univ. artista 
(232). 

783. Fran.co Prop. Polli, (?) cervignanensis, ebbe l'attestato 

di esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel- 
r agosto 1703 (113). Cfr. 873, 1237 e 142P. 

784. Giov. Francesco Megalucius, foroj , 1703 (33). Cfr. 696. 

Giov. Fran.co Megaluci di Leonardo, furlan imper., 1701 
(44, 88), fu dottorato in Coli, ven, giurista nel giugno 
1706 (79). Cfr. 696. 
786. (?) GBatta Gallicius, foroj., 1703— 1705(33); di Biasio, 
1702 (44). V. Indice. 



211 

786. Giorgio Mormori, justinop., 1704 (33). I Mormori sono 
greci. 

788. Carlo de Salamanca, gradiscano, ebbe il certi6cato di 

esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio 
1704 (114); di Iseppo, furlan (44). Cfr. 1303. 

789. Andrea Galli eia, foroj. imper., 1704 (33). V. Indice, 
And. Gali, di Lasi, furlan, 1704; negli anni 1705, 1706 
matricolato artista (44). 

790. Giuseppe Francesco Vociero (?) (Verrerio) di Daniele da 
Trieste, V. Sindico degli artisti (670), fu dottorato in 
filosofia e medicina nel luglio 1704. (Dorigh.). 

791. Girolamo Bandiera, foroj. imper.^ 1704(33); di GBatta, 

1704 (44), ebbe il certificato d'esame per il dottorato in 
Coli. ven. giurista nel settembre 1706 (114). 

792. Davide Morpurgli di Salvator Moisò da Gradisca, 1704, 

1705. Univ. artista (231). V. Indice. 

793. Girolamo Fonda, foroj. imp., 1704; goriciensis, 1705, 

1706 (33), ebbe il certificato d'esame per il dottorato in 
Coli. ven. giurista nel febbraio 1707 (114). V. Indice. 

794. Antonio Mas otti, gradiscano, !704 (33, 44). Ant. Ma- 
sotti, foroj, imper., ebbe il certificato d' esame per il 
dottorato in Coli. ven. giurista nel settembre 1705 (114). 
V. Indice. 

795. Aloysius Beliate a Brigno, imper., 1704, 1705 (33); 
Alvise Bellato a Brigno, 1705 (28). 

796. Mathias Hermagoras Luxetich, myterburgensis, 1705 

(461). V. Indice. 
796 b. Mathias Luxetich, myterburgensis, 1717 (461). 

797. Gerolamo Tonegazzo di Bernardo da Grado, licenziato 
in chirurgia nel giugno 1705 (287). V. Indice. 

798. Dionisio Brutti, justinop., 1705 (33). V. Indice. (Dionisio 

Brutti dimorava a Boma ed era membro dell' accademia 
dei Risorti in Capo d'Istria. In seguito alle di lui pre- 
stazioni vennero i Pieristi per l'istruzione nel collegio 
dei nobili in questa città. G. Pusterla) 

799. Lauro Bosizio di Antonio da Gorizia, fu dottorato in 
filosofia e medicina nel giugno 1705. (Dorigh.). Cfr. 659 
e 1178. 



312 

-80O. Francesco Bcnffonitis, fMdisòano, 1706 {98). 

Fran.co Scuffoui di Bartol. da Gradisca, 1706 filagli anni 
1707, 1708 matrieolaio artisU (44> 

801. Antonio Minio; forlan imper., 1705. Unir. astiata (232). 
Antonio Minio di Pietro da Gorizia; fa dottorato in filo- 
sofia e medicina nel giugno 1-705. (Dorìgh.). Y. JSulJce. 

802. Marzio» Min io di Pietro da Oorisia, fu dottorato in filo- 

sofia e medicina nel giugno 1705. (Dorigh.). Y:» Indice. 
' 80B. Giacomo Scantius, foroj., piranensis, 1705 (SS). 
801 Pietra Colossi di Nicolò, foroj. da Oormont, 1*705 (44). 

Ofr. 942. 
806. Antonio Lo catelli, foroj/ imper.; 1705 (SS). 

M. Antonio Locatelli di Bemaido, foroj. imp., 1705 (44). 

806. Pietro Bu betti di Pietro da Trieste, 1705. Univers. 

artista (282). 

807. Pietro Antonio Cerro ni, teif;estinus, 1705 (460). 

P. Ant. CexToni di (Hammo, tergestino, fii dottorato in 
Coli. yen. giurista nel luglio 1705 (79). 

808. Giovanni Fagnani di (Giacomo da Trieste, 1705, Univ. 
artista (282). 

809. Antonio Bertolini, foroj. imper., 1705 (83). 

Ant. Bartholini di Nicolò, foroj. imper., 1705 (44); ebbe 
il certificato d' esame per il dottorato in GolL ven. gin- 
rista nel lugtio 1707 (114). 

810. Antonio Fachinetti di Gfiatta da (Gorizia, 1705. Univ. 
artiata {282)/ Y. Indice. 

811. Claudio Bonaldi di GBatta da Capodistria, 1705. Univ. 
artista (282). 

812. Francesco Silyerius, fòroj. imper., 1705 (88, 44). Pr. 

Silverio di Paolo, fìi dottorato in filosofia e medicina 
nel giugno 1707. (Dorigh.). (Gio. Batta Silyerio di questo 
casato era nel 1860 direttore della Greca Ooncordiai So- 
cietà d^Assicuraaione in Trieste. Il di lui fratello, tenente 
del battaglione Lazzarich, fu ucciso nel 1809 al bombar- 
damento di Capo dilatarla. G. Pusterla). 
' 818. Damele Pisenti di GBatta, gradiscanOi llOòj pupillo 
(33). 
Daniele Pesenti di GBatta da (tradisca, 1706 (44). 



318 

814. BartoL. de Cavali eris di Simone, tergastino, pupillo, 
1705, 1706 <3S); 1705, 1706 (44). Cfr. 1242. 
Bort. de Cavaliens, foroj.» dottorato in OoU. yen. .giurista 
nel maggio 1707 (114). 

816..-GÌ0V. Giuseppe Bertoli di Giacomo, goriciensis, 1705 
(Sfty 44) ; ebbe il certìfioato d* esame per il dottorato in 
ColL yen. giurista nel dicembre 1706 (114). Cfr. 862. . 

816. Antonio Oollona, foroj., Goriciad/ pupillo, 1706 (33). 

Cfr* 362. 

Ant. Collona di Andrea da Gorizia, 1706 (44), dottorato 

nel Coli. yen. giurista, maggio 1702 (79). 

817. GBatta Bressani, nob. imper, dottorando, 1706 (88), 
ebbe la laurea in Coli. yen. giurista nell' agallo 1706 
(75J). V. Indice. 

8ia Pietro Apolonio de Piran, 1706^ Univ. artista (232). 

V. Indice. 

Figlio di Giorgio, nacque nel 168% (Vidali.) 
819. Paolo Pancius di Gioyazmi, gradiscano, 1706 (44). 
820L Stefano Morena di Vincenzo, tergestinoi fu licenziato 

in chirurgia nel marzo del 1706 (287). Cfr. 421. 
821. Giuseppe Borsetti, (?) goriciensis, 1706 (83)^ 
eaa: co. Marlus à Puekar, (?) gradiscano. 1706 (33). 
828. Giuseppe Sigifredo Guerra di Lorenzo, tergestìno, fu 

dottorato in filosofia e medicina nel marzo 1706 (288). 
824. Zuanne Ziraoo di Valentino da Cormons, 1706^ TTaìv. 

arfcUta^ (232). Cfr. 1336. 

Gioyanni Ziraoo, foroj. imper., 1707 (44))»ebbe il certi- 
ficato d'esame per il dottorato in ColL yen^.gìnrÌBta'Jftel 

lugUo 1708 (114). 

Gioyanni Zirano,(?) foroj. imp., 1707 (38); 
83l(. Antonio Petronio, justinop., pupillo, 1706^ 1708 (33). 

V. Indice. (La famiglia Petronio di Capo d*Irtria si 

estinse colla morte dell'ingegnere Benedetto Petronio, 

ayyenuta in Trieste. G. Pusterla)« 

Antonio Petronio di Carlo da Capodistria, 170(**-1710 (44). 

Ant» Petronio di Carlo, justinop., condlierius pedemon* 

tane, 1709. 

Ant. PetromOi foroj./ 1710» 



214 

826. Francesco Naxolinus, tergeatinO; pupillo, 1706 (33). 
Fran.co Natolinì di Antonio da Trieste, 1706 (44), fa 
dottorato nell' aprile 17(»7 in Coli ven. giurista (79). 

827. Giacomo Schiavuzzius, foroj., 1706 (33); piranenais, 

1707 (33), (460); nob. IstrìsB, prorector ac Syndicus dd. 
artistarum, 1709(670); ebbe il certificato d'esame per 
r ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista nel- 
l'agosto 1710 (115). Cfr 868, 1426. 

828. Giuseppe LirutuS; cormonensis, 1706; foroj. imper., 

1707 (33). 

Iseppe Lirotti di Natale, cormonensis, 1706 (44). Ebbe 
il certificato d' esame per il dottorato in Coli, yen* giu- 
rista nel lugUo 1708 (114). 

829. Nicolò Al pruni di Fran.co, foroj. imper., 1706 (44); 

1707 (33); ebbe il certificato d'esame per il dottorato 
in Coli. ven. giurista nell'aprile 1708 (114). 

830. Antonio C eslari, foroj. imp., pupillus, 1707 (33). 

831. Bernardo Marigotti, foroj. imp., ebbe il certificato di 

esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel dicembre 
1707 (114). Cfir. 356. 

832. Iseppo Stella fu Abramo da Piran, 1707, 1709, 1710. 
Univ. artista (232). V. Indice. Fu dottorato in filosofia e 
medicina nel settembre 1707 (288). 

838. Stefano Buberti da Grado, 1707 (44). 
834 co. Mario a P ut e o da Gradisca, 1707 (33). Y. Indice. 
co. Mario dal Pozzo di Giov. Antonio da Gradisca, 

1706 (44). 

886. GBatta Sticoti di Antonio, furlan imper., 1707, 1708. 
Univ. artista (232). 

GBatta Sticoti di Francesco (?) da Bomans, imper., fu dot- 
torato in medicina (soltanto) nel marzo 1 708 (288). Y. Indice. 

886. Bertoldo Bertoldeus, foroj. imper., 1707 (33); di Bor- 
tolo da Cormons, 1705 (44). 

Bort. Pertoldeo, corm., ebbe il certificato per il dottorato 
in Coli, veneto giurista nelP aprile 1707 (114). Y. jhdice. 

837. Biasio Francesco Guerrij di Girolamo da Capodistrìa, 

1707 — 1710. Univ. artista (232). (Non Guerrij ma Guerci; 
forse errore dell'amanuense. G. Pusterla). 



215 

888. Tommaso Morandi fu Michele da Parenzo, fu licenziato 
in chirurgia nel gennaio 1707 (287). 

889. Bartol. Francisohe<;ti; foroj. imper, pupillus, 1707, 

1708 (33, 44). Ebbe il certificato d' esame per il dotto- 
rato in Coli. ven. giurista nel giugno 1709 (115). 

840. Dom.co Pericinotti, foroj. imper., da Gorizia 1707(33). 

Dom.co Pericinotti di Andrea, foroj. imper., 1707 (44). 

841. Antonio Caesar, nob. Italus, goric, 1707 (460), (44). 

Carlo Ant. Giacomo Cesare, gorit., ebbe il certificato 
d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio 

1709 (115). 

842. Aloysius Giuliani, tergestino, 1707, 1708 (33). Alvise 

Giuliani, 1708. V. Indice. 

Alvise Giuliani di P. Paolo da Trieste, 1707, 1708, (44). 
Aloysius loseph. Juliani, tergest., dottorando nel gennaio 
1709 (115). V. Indice. 

843. GBatta Beltram, goritiensis, 1707 (460), foroj. imper., 

1707 (44). V. Indice. Ammesso per certificato al dotto- 
rato in Coli. ven. giurista nel luglio 1708 (114). 

844. Fra co Balzarus, foroj. imper., 1707, 1708 (33). Ebbe 

il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giu- 
rista nel giugno 1709 (115). Cfr. 721, 737. 
843. Alessandro co. Botta, istrius, momaniensis, pupillus, 1707 
(33); di Pietro d'Istria, 1708 (44), V. Indice. 

846. Gius. Lorenzo Pipan ex S. Daniele sub Com.tu Goricia, 
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nel maggio 1707 (114). Cfr. 1631. 

847. Alberto Antonio Ortolani nob. cormonensis, 1707 (460), 

giurista. 

Alb. Ant. Ortolani di Pran.co, fu dottorato nel maggio 

1708 (79). V. Indice. 

848. Nicolò Tonegazzo di Bernardo da Grado, fu licenziato 
in chirurgia nel marzo 1708 (287). V. Indice, 

849. Giulio Angelini, imper,, pupillus, 1708 (33). V. Indice. 
Giulio Angelini da Trieste, 1708 (44). 

849b. Giulio Servolo Angelini nob. de Fin, tergestinus, 
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nel giugno 1709 (Ilo). V. Indice. 



916 

850. Oiov. Pietro Pattai, piBÌnensis, 1708 (46))- 

QtìoY. Pietro Pattai, istrianus Bogliunenaìfl, ex Com.to 
Piflino, imper., ebbe il certificato d' esame per il dotto- 
rato giariflta nel giugno 1709 (115). 

851. Antonio Cumiersaich (forse Eapfersein), imper., pa- 
piUns, 1708 (33). 

Ant Conferasaich da Trieste, 1708 (44). 

852. Gasparo Bonifacio Saverio Bodella nob. imper., goti- 
tiensiai, 1708 (461). Fede per il dottorato gioxìsta nel 
giugno 1709 (115). C£r. 1265. 

858. (?) Antonio Coluzzi, furlan, 1703 (44). V. Indù». 

854. (?) Alessandro Piceli, foroj., pupillus, 1708 (33) i furlan, 

1708 (44). Ofr. 724. 

855. Giuseppe Ferra di Giovanni da Bovigno, fu licenziato 
in chirurgia nel febbraio 1708 (287). Cfr. 1273. 

856. Fabio Asquini fu Fran.co, foroj. imp., 1708 (44). V. Indice. 

857. Fran.co Mai nardi di GBatta, furlan, 1708. Univ. ar^ 
tista (232). Cfr. 1305. 

858. Yito Ignazio Miller di Silienburg fu GBatta nob. go- 
ritiensiSy fu dottorato giurista nel luglio 1708 (79). 

859. Cristoforo Bazze di Antonio da Pela, fu licenziato in 
chirurgia nell'aprile 1708 (287). 

860. Marquardo Appolonio di Girolamo, foroj., 1709; foroj. 
imper., 1710, 1711 (33). Ebbe la fede d'esame per il 
dottorato in legge nel maggio 1712 (115). 
Marquajcdo Apollonio, foroj.| pupillus, 1708<33); furlan, 
1708 (44); di Giovanni, (?) imper., 1709 (44). 
Marquardo Apollonio di Girolamo, nacque in Pirano nel 
1692. (VidalL) 

861. GKov. Saverio Giunco (Giuroo); imper. da Trieste, 1708 
(33). Giov. Saverio Jurico da Trieste, 1708 (44). V. In- 
dice, Ebbe la fede d' esame per il dottorato in CoU. veiu 
giurista nell' agosto 1710 (115). 

868. Alberto Berteli del Frinì, 1708 (88); di Giacomo, foroj. 

imper., 1707 (44). 

Alberto BertoU di Giacomo, fu dottorato giurista nel 

settembre 1710 (80). Cfr. 815. 
868. Alberto Albertini fu Nasario, justinop., fa licenziato in 

chirurgia nel gennaio 1709 (287). V. Indice. 



217 

864. Antonio de Portis di Fran.co, imper., 1709 (38 e 44). 
Pietrus Antonìus de Porfcis, goritiensis, (?) 1709 (460). 
Pietro Antonio de Portis, gradiscanus, (?) ebbe il certi- 
ficato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista 
nel giugno 1710 <115). Ofr. 461, 1800. 

866. Agostino Codelli de Treufeld nob. di Gorizia, fa dot- 
torato in medicina nel 1709;^ laureato dal Vallisnieri, 
(Dorigh.); trovasi immatricolato nel 1706 (466). Cfr. 
1070, 1377. 

866. Gasparo Moruzola di Dom.co, imper., 1709 (33); foroj. 
imper., 1706 (44). Ebbe il certificato diesarne per il dot- 
torato giurista nel giugno 1709 (115). 

867. Fran.co Saverio Marchetti di Valentino da Gorizia, fu 
dottorato in filosofia e medicina nel giugno 1709 (Do- 
righ.); trovasi immatr. 1708 (466). Ofr. 1174, 1462. 

868. Filippo Schiavuzzi di Fran.co, foroj. imper., 1709 (38 

e 44); 1711 Univ. artista (232). Cfr. 827, 1426. 
Filippo Schiavuzzi, piranese, dottcH?ando in Coli. ven. 
giurista nell'agosto 1710 (115). 

869. Antonio Chinappi, pisinensis, 1709 (460). 

Ant. Chinappi di Fràngo, pisinensis, fu dottorato in 
Coli, ven, giurista nel febbraio 1709 (80). 

870. Giov. Francesco BonmartinisdiZanandrea da Cherso, 
oriundo da Veglia, 1709 (88), fu dottorato in Coli. ven. 
giurista nel gennaio 1710 (80). 

871. Fantino dei Fantini di Nicolò, foroj., imp., 1709, 1710 

(33); 1709 (44). Cfr. 1244. 

872. Leonardo Ti ani (o Tuni?) di Girolamo, foroj. imper.; 

1709 — 1711 (33); 1709 (44). Cfr. 986, 1176. 

873. Raimondo Polis di Antonio, foroj. imp., 1709, 1711 (33), 

1709 (44). Cfr. 783, 1287 e 1428. 

874. Luca Masotti di fseppo, foroj. imp., 1709 (33, 44), V. 

Indice. Ebbe il certificato d' esame per il dottorato giu- 
rista nel maggio 1711 (115). 

875. Nicolò Sticoti di Franco, foroj. imp., 1709, 1711, 1713 

(^), 1709 (44). V. Indice. 

876. Silvio Locatellus di Giuseppe, foroj. imp., 1709, 1710 
($S), 1708 (44), V. /m«o#. 



218 

877. Antonio Venier, goriziano, 1709, Univ. artista (466). V. 

Indice, 

878. Giovanni Bevilaqua di GBatta, foroj. imp , 17*» (33), 

1708 (44). Ebbe il certificato d' esame per il dottorato 
in Coli. ven. giurista nel giugno 1710 (116). V. Indice. 

879. Giuseppe Pizzamei, gradiscano, 1709. Univ. arUsta 

(466). (Nel 1732 era secondo medico in Capo d' Istria. 
All'età di 80 anni rinunziò al posto G. Pusterla). 

880. Pietro Zamberlani di Paolo, foroj. imp., 1709 (33, 

44). 

881. G-iuseppe Tartini di Giov. Antonio, piranese, 1709 (33). 

Cfr. 980, 1038. (Divenne celebre compositore di musica 
e primo violinista d'Europa. G. Pusterla). 

882. Giovanni Giuseppe Zanetti, camiolus, Locopolitanus, 
pbilos, doctor, 1709 (466). Cfr. 616. 

883. Lodovico Locatelli di Giuseppe foroj. imper., 1709 

(33). V. Indice, 
883b. Lodovico Locatelli, cormonensis, dottorando giu- 
rista nel lugUo 1722 (116). 

884. Girolamo Petrelli di Paolo, foroj. imper., 1710, 1711 
(33); di Pietro Paolo, 1712. 

Girci. Petrei, foroj, imp,, 1713 (460). 
Girci. Petrei, gradiscansis ac aquileiensis, ebbe il certi* 
fìcato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel 
giugno 1713 (115).. V. Indice. 

885. Antonio Guerreri di Daniele da Gorizia fu licenziato 

in chirurgia nel marzo 1710. (Dorigli). 

886. GBatta Mazzoleni di Matteo, foroj, imp, 1710, 1711 
(33), 1710 (44). Cfr. 990. Ebbe la fede d'esame per il 
dottorato in Coli ven. giurista nel maggio 1711 (115). 

887. Francesco Ventolari di Lunardo da Gorizia, fu dotta- 

rato in filosofia e medicina nell'aprile 1710. (Dorigh.). 

888. Fran.co Saverio Golob fu GBatta da Gorizia, fu dotta- 

rato in filosofia e medicina nell' aprile 1710. (Dorigh.). 
Trovasi immatr. 1709 (466). Cfr. 469, 637. 

889. Maffeo Menar dinis dì Bartol., foroj. imper., 1710-1712 

(33), (44) ; 1713 (460), ebbe la fede d* esame per il dot- 
torato in Coli. ven. giurista nel maggio 1713 (116). 



219 

890. Giovanni Burlini di Antonio, foroj. imp , 1710 (33). 
Cfr. 436. 709. (Forse sarà nato in Capo d' Istria. I Bur- 
lini in questa città sono da diversi secoli. G. Pusterla). 

891. Stefano Logar, Salcanensis^ ebbe il certificato d'esame 
per il dottorato in Coli. ven. giurista nell'aprile 1710 
(116). Cfr. 686, 1230. 

892. Girolamo Scardo di Orazio, foroj. imper , 1710 (33); di 
Orazio da Gorizia, 1710 (44); fu dottorato in Coli. ven. 
giurista nel luglio 1711 (80). 

893. Antonio Giuliani, tergestino, 1709. Univ. artista (466). 
Antonio Giuliani di Giov. Iacopo da Trieste, fu dotto- 
rato in filosofia e medicina nel giugno 1710. (Dorigh). 
V. Indice. 

894. Carlo More ti Pisoni di Bartol., foroj., imper., 1710 

(33), (44); ebbe il certificato d'esame per il dottorato 
in Coli. ven. giurista nel marzo 1712 (116). Y. Indice. 

895. Leonardo Pini di GBatta, goriciensis, 1710 (33), 1711, 

1712 (44) ; ebbe il certificato d' esame per 1' ammissione 
al dottorato in Coli. ven. giurista neir ottobre 1712 (115). 
Cfr. 461. 

896. Giuseppe Vaninus di Giov. Pietro, foroj. imper., 1710. 

1711 (33). Ebbe il certificato d' esame per il dottorato 
in Coli. ven. giurista nel maggio 1712 (114). Cfr. 666, 1566. 

897. Giulio Antonio Locatelli di Giuseppe, foroj. imper., 

1710-1713 (33); 1709 (44). V. Indice. 

898. Osvaldo Cozzi Paluda, foroj. imper., 1713 (410). 

Osvaldo Cozzi Paludea da Gorizia, dottorando giurista 
nel settembre 1710 (116). 

899. Antonio Thadeus di Antonio, foroj. imper., 17ll (33); 

Antonio Tadeo di Ant., 1711 (44). 

900. Antonio Angelini nob. tergestinus, 1711. Univ. artista 
(466). V. Indice. 

901. Fabio Masotti di Giuseppe, aquileiese, 1711. Univ. ar- 
tista (232); fu dottorato in filosofia e medicina nel- 
l'aprile 1711. (Dorigh). V. Indice. 

902. Giuseppe Maria Martinelli di Arcangelo, foroj. ìmp.^ 

1711, 1712 (33); 1710, 1711 (44), dottorando in Coli. ven. 
giurista nel gennaio 1713 (116). 



820 

903. Odorioo Colmano di GBatta, foroj. imper., 1711 (33), 

(174). 

Odor. Colmanus, goriciensis, 1712 (460). Cfr. 1457. 
904« Giuseppe Cadis di Giovanni, foroj. imper., 1711 ^3 

e 44). 

905. Pietro Bossi Porgensis, goritiensis, ebbe la fede d'esame 
per il dottorato in Coli. yen. giurista nel maggio 1712 
(115). V. Indice. 

P. Rossi (de Bubeis) fu Dom.co Purgiensis Goritiensia, 
1711 (33). 

906. Antonio de' Stefani, Lubranae civitatis, diooesis po- 
lensiSy 1711 (460). (Laurano, Lovrana, era nel 1711 nella 
diocesi di Pola con capitolo collegiale, ora si trova nella 
diocesi di Trieste. G. Pusterla). 

Ant. de Steffanis di Antonio Lovranensis, fii dottorato 
in Coli. yen. giurista nel settembre 1711 (80). 

907. Andrea del Taoho di Fran.co, foroj., 1711, 1713 (38) 

Andrea Tacco, furlan, 1711-1714 (44). (Divenne vicario 
generale del vescovo conte Agostino &utti ed in tale 
qualità benedisse la chiesa di S. Girolamo sul monte 
S. Minio Bossamarino. G. Pusterla). 
co. Giov. Andrea del Tacco (Octacius), canon, catted. 
di Capodistria, ebbe il certificato diesarne per il dotto- 
rato in Coli. ven. giurista nel marzo 1715 (115). Vedi 
Indice. 

908. Giacomo de Bellis di Ottonello, foroj., 1711-1715 (33), 

1711-1714, farlan (44). V. Indice. (Quale nipote del mar- 
chese Giacomo Gravisi, sepolto questo nella chiesa di 
S. Giusto, venne istituito da lui in suo erede. 6. Pusterla). 
lac. de Bellis Othoneli, justinop , 1713, 1715 (33). 

909. Giuseppe Petrei di Pietro Paolo, foroj. imper., 1711 
(33, 44). V. Indice. 

Giuseppe Petrei, foroj. imp., 1712 (460). 

910. Giuseppe Bossina di Fran.co, foroj. imper., 1711 (33, 
44). 

911. Innocenzo Sporeni di GBatta, foroj. imper., 1711 (33, 

44) ; ebbe il certificato d' esame per il dottorato in ColL 
ven. giurista nel giugno 171? (115). Cfr. 707. 



m 

&là. 00. Sbranco fionooni di Antonio, aquileiese, 1711 (33); 
1712 (li); ebbe il oertifieato d'esame per il dottorato 
in Coli, ven., giurista nel luglio 1712 (115). V. Indice, 

913. Giovanni Maria Tayelli di Pietro de Castro d. Petri, 
fu dottorato in Coli. ven. giurista nell' agosto 1711 
(80). 

914, Agostino Cavalli di QBatta, foroj. imper., 1711, 1712 
(44) ; ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli, 
ven. giurista nel maggio 1712 (115). 

»16. Giacomo Brutti di Cristoforo, ioroj., 1712, 1713 (38); 
justinop., 1714 (34). V. Indice. (Nel 1745 era come il di 
hii fratello Cristoforo, canonico del vescovo conte Ago- 
stino Brutti. G. Pusterla). 

916. Antonio Zanini di Giovanni, foroj. imper., 1712-1751 

(33, 34). 

917. Pietro Roncon delF eccell. Antonio da Aquileia, fu dot- 

torato in filosofia e in medicina nel luglio 1712. (Do- 
rigli.). V. Indice. 

918. Domco Nass imbene di GBatta, foroj , 1712 (33, 45). 

919. Leonardo Ant. Brainieh, goritienais. 1712 (33). Vedi 
Indice. 

990. Giuseppe lane si di Pietro, foroj. imper., 171 3 (33), 
1711 (44). Ebbe il certificato d'esame per il dottorato 
in ColL ven. giurista nel maggio 1713 (115). Y. Indice. 

931. Giovanni Dom.cus Romani nob. aquileiensis, 1711 (461). 
V. Indice. 

922. Leonardus Fini, goriciensis, 1712 (460). V. Indice. 

923. Antonio Sossi di Andrea, foroj. imp., 1712 (83), 1712 

(46). V. Indice. 

924. Nob. Odoardus Cantianus Mannenti, gorit., 1712. Univ. 

artista (466). Cfr. 647, 771, 1162. 
926. Arsenio Filippo Romani, goriciensis, 1712' (460), ebbe 
il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giu^ 
rista nel giugno 1713 (115). V. Indice. 
GBatta Ciconius di Fran.co, foroj. imper., 1712 (33), 
1712' (46). 1713 (460). Ebbe il certificato d'esame per il 
dottorato in Coli. ven. giurista nel luglio 1713(115) 
V. Indice. 



m 

927. Pietro Bresciani da Cervignano, 1?12 (460), ebte il 

certificato d'esame per ^ dottorato in Coli. veiL giurista 
nel lugUo 1713 (116). V. Indice. 

928. Alexander Alecijs (Alessi) di Pietro, goriciensis, 1712 

(33), 1712 (45) Cfr. 643, 761. 

929. Fran.co Potrei di Pietro Paolo, foroj. imp., 1712. Univ. 

artista (233), 1715 (466). 

Fran.co Potrei di P. P. da Gorizia, fu dottorato in filo- 
sofia e medicina nel febbraio 1716. (Dorìgh.). V. Indice. 

930. Francesco Romano di Anzolo da Gorizia, 1712. Univ. 

artista (233). Y. Indice. 

931. Pietro Muli eh fu Zuanne da Gorizia, 1712. Univ. ar- 
tista (233). V. Indice. 

932. Antonio Garzo lini di Filippo da Gorizia, 1712. Univ. 
artista (233). Cfr. 666, 1357. 

933. Filippo Tacco di Giulio da Gorizia, 1712. Univ. artista 
(233). Cfr. 320, 661. 

934. Zuanne Callo di Lorenzo da Gorizia, 1712. Univ. ar- 
tista (233). y. Indice. 

935. Giulio Vecchi di Fran.co da Gradisca, 1712. Univ. ar- 
tista (233). 

936. Pietro Dolcetti fu Fran.co da Trieste, 1712. Univ. ar- 
tista (233). y. Indice. 

937. (?) GBatta de Comitibus di Lorenzo, foroj., 1713 (33). 

938. co. Giovanni Dom.co Ronconi da S. Vito, nob. aqui* 
leiensis, ebbe il certificato d' esame per il dottorato in 
(/oll. yen. giurista nel maggio 1713 (115). 

939. Leonardo yenerius di yenerio, foroj., 1713 (33), 1714 

(34), furlan, 1713 (45). 

940. GBatta Cigolotti, foroj. imper., 1713(460). Cfr. 1563. 
Ebbe la fede d' esame per il dottorato giurista nel geu- 
naio 1717 (116). 

941. Cosmus Damianus de Franciscis, dell* eccoli. Francesco, 
camiolus, fu licenziato in chirurgia nel maggio 1713 (289). 
Cfr. 638. 

942. Francesco Colusius goriciensisis, 1713 (460), ebbe il 
certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giù- 
rista nel marzo 1715 (115). Cfr. 804. 



è4à. Carolus G. Merlucius aquileiensis 1713 (460). 

C. Grifone Merlucius aquil., dottorando leggista (certi- 
ficato) nel marzo 1714 (115). 

944. Franciscus Pascuti, Hiasenrichensis ex territ. gradiscano 

1313 (460); dottorando in Coli. ven. giurista nel set- 
tembre 1714 (115). Ofr. 959, 1297. 

945. Franciscus Oodroìpus, Hiasenrichensis ex territ. gra* 

discano 1713 (460); certificato d'esame per il dottorato 
in Coli, ven giurista nel settembre 1714 (115). Cfr. 596. 

946. Domenico Ortolani di Gradisca, 1713 (460). V. Indice. 

947. Bartol. Palatinli di Pietro Ant. foroj. imper., 1714(34); 

1713 (45) Cfr. 728. 

948. Francesco co. de Rottigno goritiensìs 1714 (460); ebbe 
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu- 
rista nel marzo 1717 (116). Cfr. 1069. 

949. GBatta Casari di Francesco, foroj. imper. 1714 (34) 
e (45). 

950. (?) Giuseppe Vettori (Victorius) foroj., ebbe il certificato 

d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel mag- 
gio 1714 (1 15). (La famiglia Vittori di Capodistria, come 
fu già avvertito, si estinse in questo secolo colla morte 
di Giulio Cesare. Dalla stessa città proviene la famiglia 
Vittori di Corfù; il cui ramo principale è ora rappre- 
sentato dal Conte Antonio, denominato Capodistria, ni- 
pote del conte Giovanni, che fu primo presidente della 
Grecia. — G. Pusterla.) 

951. Giuseppe Antonio P e tris, foroj. imper. 1714 (461). (La 
famiglia Petris da Cherso è divisa in più rami, uno dei 
quali si trova in Capodistria da diversi anni, rappre- 
sentato da Stefano, del fu Stefano, professore ginnasiale. 
— G. Pusterla. 

952. Andreas Brainich goritiensis, 1714. Univ. aitista (460); 

V. Indice. 

953. (?) Mario a Turre di Nicolò forojul, 1714-1715 (34); 

1715 (45). V. Indice. 

954. Bemarditio Alghisi gradiscano, ebbe il certificato di 

esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel set- 
tembre 1714 (115) 



3à4 

955. Edoardo C^kz^oiaui di Tonupoaso del f^rinli imper. #B 

dottorato in filosofia e iu medicina nell' aprile 1714. 
(Dorigh.). V. Indice. 

956. (?) Loreii20 a Turre di Nicolò foroj., 1714-1718 (34); 
dottorando per fede d^es^me in ColL yen. giurista nel 
marzo 1709 (116). 

957. Francesco S. Collorosìg di Gtoriaia, fa dottorato ìb 
filosofia e medicina nell'aprile 1714. (Dorìgh.) (460). 

959. Gasparo Fontanella di Leonardo^ foroj. imper., 1715 
(34). Ofr. 745. 

959. (?) Alessandro Pascuti di Frane. Antonio^ forlan, 171i5 
(45). Ofr. 944, 1297. 

960. Yrncenco de Montegnaco, cormonensis, 1715 (4(0^. 
Univ. artista (466). Ofr. 1078. 

961. Giovanni Bizaardo de' Bizzardis, foroj. imper.s 1715 
(34). 

962. GBatta Bota, foroj. imper., 1715 (460). Ebbe, certificato 
d* esame per dottorato in ColL yen. giurista nell'apcilA 
1716 (115). 

963. Antonio Bona imperialis, ebbe il certificato d'esame per 
il dottorato in Coli. ven. gii^ista nell'agosto 1715(115). 

964. J^ietaco Macizzi(?) di Zuanne, gradis&hensis, 1715. Univ. 
artista (233). Cfr. 1164. 

965. Giuseppe Poserle di PietrOi foroj. imper., 1715 (34). 

966. Antonio Troilo di GBatta, Istria, 1715. Univ. artista 

(233). Fu licenziato in chirurgia nel mano 722 (289). 

967. Giovanni M. Corte di Gasparo, nob» di Capodistria e 
cittadino di Muggia 1715. Univ. artista (233); 1718. 
Univ. leggista (34). Cfr. 1158, 1388. (Il Corte si trasferi 
nelV Italia meridionale^ ove i suoi discendenti sono detti 
Corti. — G. Pusterla.) 

968. Cristoforo Tarsia di Corrado, tergestino, 171&(34); 1716 
(45); 1718 (460). Dottorando per fede d'esame in CoU. 
veQ. giurista nell'aprile 1719 (116). Y. Indiee. 

969. Giacomo de Bellis di Francesco, justinop., 1716, 1717 
(34). y. Indice. (Giacomo de Belli, nato nel 1689, condosae 
in moglie la contessa Francesca Bruti, e fa istituito 
erede del marchese Giacomo Gravisi — G* Pusterla.) 



d?0. (iliweppe Antonio trinati, foroj. imp«r«, 1716. Univ. w- 
tìata (466). 

971. Axirelins Berioldous, gorioienBia, 1716 (460) Bbbe il 

certificato d'esamt par ì^ammitnone al dottpfato^ in Coli. 
yen. gitnirta nel settembre 1716 (116). Y. JwHoa 

972. Andrea Oanoiani, Diù[àeiuuj» ]7ia Unir. arfcwU (466) - 

1714 (4&> 

Andsea Canciani di Fraaoesoa da BonoU» conte di Q^ 
rijsia^ fu dottorato in lilosi^a a medkina nel gennaio 
1717 (288). V. Indice. 
flrza P^rw ab. Agata, goritiensis, 1716 (4C0). SU>e il cer- 
tificato diesarne per il dottorato in OolL yen. giurista 
nel marzo 1717 (116). 

974. Gioyiwni Mun^ini .di Nicolò, jnetinop., 1716 (34). T. 
Jn^ce. (Fa ingegnere. — G. Pasteda.) 

975. Giacomo Pinaffi di TonuMSO, eberseneìa; 1716-1719, 
(34> 

97^. PanloA Tanisi, connoneneia, 1716 (46<^; ebW il certi- 
ficato d* esame per il dottorato in Coli. y^n. ginnsta nel 
viaggio 1717 (116). 

977. Gioy. Gixolamo d» Fabris^ gorioieauiLi, 171<> (460). V. 
Indice. 

Gioy. QJioL Fabris di Vincenzo gporit., fu dottorato gin- 
rista nel luglio 1716 (81). 

978. Antonio Giorgio Cherubini di Gio^. Paolo, gontiensis, 
fu dottorajbo in filoeofiai e medicìiui nel dicembre 1716 
(288). 

979. Giusepjpd Lodoyico Schal:ettaxi, goxitienm, 171&(460^. 
Gius. AnJL Lodoykso Scalettar! fa Franzo gorit., fu 
dottorato in Coli. yen. ginrista nel macao 1717 (81). 

9^(H Antonio Taxtini di Antonio, yegliensiay 1717 (94)1 Oh. 

881, 1038 
9fitl. Agpfitino Morosini, jnatinop., ebbe il eertìfioato. d'esano 

per i) dottorato in Coli. yen. giuiiata nel giugno 1717 

(116). Cfr. 616. 

Agostino lloroaini fu Lucrezio^ fndaa, 1712] (45). (Iia 

fa«Uglia Morosini ayeya ottenuto la nobiltà municipale 

di Capodistria. — G. Pusterla.) 



982. Giov. Daniele fiusinelli di Òormonzio, 17lt (46Ò); t>. 
Bassinelli ex comtu Goriciae 1720 (460). ' Giov. Dan. 
Businelli di Orazio, cormonensis, fu dottorato in Coli 
yen. giurista nel marzo 1719 (81). 

983. Ottaviano Stainpetta de Òormonzio, 1717 (460).J 

Ottav. Stampetta dì Arcangelo da Cormons, fu dottorato 
in filosofia e medicina nel marzo 1720 (81). 

984. Leonardo Sbisà, nrsariensis, ebbe il certificato d'esame 

per il dottorato in Coli. ven. giurista nell'agosto 1718 
(116). 

985. Francesco Tu ni gorìt., 1717 (460), ebbe il certificato di 

esame per il dottorato in Collegio veneto giurista nel 
febbraio 1718 (116): Cfr. 872, 1176. 

986. r.do Domenico de Luca da Gorizia, 1717 (460), ebbe il 

certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nel febbraio 1719 (116). 

987. r.do Andreas Rosi di Gorizia, 1717 (460), ebbe il cer- 

tificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nel giugno 1719 (116). 

988. Giorgio Leonardo Pontoti, goriz., 1717 (460); ebbe il 

certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nel maggio 1719 (116). 

989. Lodovico Andrea Rossetti goritiensis, 1717. Univ. ar- 

tista (466). 

nob. Lodov. Andrea Rosetti di Giuseppe Tommaso, go- 
ritiensis, fu dottorato in filosofia e medicina nel maggio 
1717 (280). Cfr. 689. 

990. Vincenzo Hazzoleni goritiensis^ 1717 (460); ebbe il 

certificato d' esame per il dottorato in Coli, veneto giu- 
rista nel febbraio 1718 (116). Cfr. 886. 

991. Francesco Zanotino(?) di Giovanni da Òormonzio, 1718 

(34). 

992. Francesco Dom.co Petreius, foroj. imper., 1718 (460) 

ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nell'aprile 1720 (116). V. Indice. 

993. Julius Ollenius, foroj. imper., 1718 (460). 

994. Job. Bapta a Comite^ cormonensis, 1718. Univ. artista 

(466). 



227 

ÒÒÒ. I^ranciscus Cleva di Giovanni, jnstinop.; fu licenziato 
in chirurgia neU' aprile 1718 (289). Cfr. 1494. 

996. Alessandro Bossi, foroj imper., 1718 (460), ebbe il cer- 
tificato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista 
nel maggio 1719 (116). Y. Indice. 

997. (?) Jacobus Lo catelli di Giov. Maria, fu dottorato in 
filosofia e medicina nell' agosto 1718 (288). Y. Indice. 

998. Carlo Camozzinus, goritiensis, 1718 (460), ebbe il cer- 
tificato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista 
neiraprUe 1719 (116). Y. Indice. 

999. Elio Belgramoni di Dom.co, justinop., 1718 (34); Orio 

Belgr. di Dom.co just, 1719 (34). 
Elio Belgr. di Lodovico (?) di Capodistria, 1718 (45). 
Elius Beheltremon tergestini districtus imper., 1720 (460). 
Elius Belgramoni, tergestinus, ebbe il certificato d' esame 
per V ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista nel 
giugno 1721 (116). Cfr. 284, 516. (H dott. Elio Belgra- 
moni di antica famiglia ora estinta, mori li 80 gennaio 
1748. Possedeva la casa ora della vedova di G. Batta Bac- 
canelli, dirimpetto la chiesa di S. Biagio. — G. Pusterla.) 

1000. Giovanni Antonio Cristofoli goriz., ebbe il certificato 

d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio 

1718 (116). Cfr. 1226. 

1001. Francesco Maria Bevilaqua fu Bortolo di Gorizia, 1716 

(466), fu dottorato in filosofia e medicina nel 1718, mese 
di giugno. (Dorigh.) Y. Indice. 
1002 Domenico Costantini da Ursarìa, ebbe il certificato di 
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nell' agosto 

1719 (116). Cfr. 1061. 

1003. GBatta Budio de' Budiis di Antonio, da Gorizia, fu 
dottorato in filosofia e medicina neir aprile 1719 (Dorigh.) ; 
immatr. Univ. artista, 1718 (466). 

1004. Francesco Czars, foroj. imper.; fri dottorato in filosofia 

e medicina nel luglio 1719 (Dorigh.); trovasi: Fr. Ant. 
Czars salcanensis, 1718. Univ. artista (466). 

1005. Alessandro Marcovich, praenob. goritiensis, 1720 (461). 

1006. Nicolò Brusio h fu Giovanni, vegliensis, fu dottorato in 

Collegio veneto giurista nell'aprile 1719 (81). 



10O7. Biagio Tainadi di Lonardo, Soroj. ìmper., tu àoHorskù 
in filoMia a medieìoa nell'aprile 1720 (Dorìgh.); im- 
matncolMAa Jhàv. aiiiaka, 1719 (4«ft). Cfr. 1446. 

lOOS. Antoains Cam eli ini, gcMritìenais, 171» (460). Giovanni 
Ani Camellìni, dottorando in CiJl. ven, giiunsta nel 
febbraio 1722 (116). 

1009 I«8onardt» Panlonn» da Goriziai 1719(460), dottorando 
in Collagi» veneto giarista, por oertifioato d' esame 2m»1 
vario 1721 (116). 

1010. Matiheus Peneohinv» di Ohneppo, gradiseanO; 1719 
(460). Où, m. 

1011. Lorenzo Ignazio do Malti, goritieneno, 1719 (46(^), ebbe 
il ceitifioata d'esame per il dottorato in Coli, veneto 
giurista mei febbraio 1720 (116). Cfr. 630. 

10il2» Bemardiiio Arrigoni^goritieusis, 1719 (460); dottorando 
m Coli. Ven. ginrìsta ael febbraio 1720 (116). Cfr. 637 

10}3<. IVaneasco Minei, feroj. imper., 17119 (460). V. Imliee. 

1014. Bartol. Marchi, aoquilojensiB, 1719 (460). Y. Indice. 

101& Joaanea Braida, fero^ iiiq>er., 171» (460). 

8iov. Braida di MiroO; ^bo il certificato d' esame per 
il dottorato in ColL veneto^ giurisia nel maggio 1720 
(ÌW), Cfr. 1247. 

1016. Paolo Nasoimbene di Gìovaafniv foroj. imper., fk dot- 

toratoi ÌBi filosofia e medicina nel magato 1720 (Doi'igb.) 
immatEMoL Ubìvw artista^ 1718, 1720 (466). 

1017. Giuseppe Beonzi di Dom.co, foroj. imper., fu dottorato 
in filosofia a medaoiaa noU' agosto 1720 (Dorigb*)- 
Joanaea Josapk Bontios feroj. imper., 1720^ Univ. artista 
(466). Cfr. 207, 394. (Nel 172fr Giuseppe de Bonzi fu 
asoBÌtto. al teimo ordine di S. Francesco ed aU» confrn- 
temita dei Cmxliglieri nella chiesa di S. Francesco di 
di Capodistria. — G« Pusterl».) 

lOMi Francesco i#ovisoni ex S. G^oigio, gradiscano, 1720 

(460). 

Fran.co Lovisoni di Bom.co ex S^ Geòrgie foroj. imp., 

fti< dottorato in. Collegio veneto, giurista nel febbraio 

l'790 (SI). Cfr. 1248. 
1019. Ignazio Royis, geminensis ex com.tu pisinensì, 1720 



(460); ebbe il certificato d'esame per dottorato in Oolt. 
veneto giurista nel giugno 1721 (116). 

1020. Leonardus de Burlo, tergestino 1720; (460); ebbe il cer- 

tificato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista 
nel gennaio 1728 (116). Y. Indice. 

1021. Daniel Fr. Francoll, tergestinO; 1720 (460); ebbe il 

certificato d'esame per il dottorato in Coli. Yen. giurista 
nel maggio 1722 (116). V. Indice. 

1022. Joseph Maro ni, goritiensis, 1720 (460). Ofr. 373. 

Giuseppe Mario Maroni, foroj., dottorando in Odi yen. 
giurista nel gennaio 1724 (116). 
1028. Oraaio de Fin, gradiscano, 1720 (460). 

Orazio Fini di Andrea justinop., 17221-724 (45); justinop. 
1722; 1728 (35). 

Dottorando in Coli. yen. giurista nel marzo 1724 (116). 
(La nobile famiglia dei conti Fini di Capodlstria si estinse 
nel presento secolo colla morto dei fratelli conto Stefano 
e canonico G. Battista. — Q Pustorla.) 

1024. Aloysins Manziolius^ torgeiiini distriotos imper.; 1720. 
(460), V. Indice. 

Alvise Manzioli di Fran.co d* Istria, 1722 (45) ; istrienÉÌB 
imp., 1722 (35). 

Aly. Manz. imper. torgest., dottorando in CoU. yeneto 
giurista nel gennaio 1723 (11-6). (La famiglia Mansioli 
di Capodistria è estinta. — 3. Fustella.) 

1025. G. Jacobus Biosa(?) fu Zuanne, trieeibras, 1720. Univ. 
artista (466). 

r.do Giacomo Bosa fu Giovamni t^'gestìno, fu dottorato 
filos. e medie, noy.bre 1720 (288). Gfr. 1167. 

1026. Agostino Tataro (?) di Costantino, istrio, 1720. Uniy. 

artista (233). 

1027. Domenico Morganti di Cesare da Lussin, t729. Uniy. 
artista (233). 

1028. Gioy. Giacomo Armelinus, fauliceMis (sic) imper., 
dottorando in ColL yeneto giurista nelf aprile 1720 
(116). 

1029. Enrico Serbolani di Filippo, istriano, 1720. Uniy. M- 
tista (233). 



280 

1030. Antonio Trighelli di Bartol., istriano, 1720 Univ. ar- 
tista (233). 

1031. Francesco Danielis del Friuli imperiale 1720-1723. 

Univ. artista (233). 

Fran.co Danielis foroj. imper., 1719. Univ. artista (466). 

1032. Antonio Marchettani di Pietro, cormonensis, 1721 (35) 
(460) ; dottorando in Collegio ven. giurista nel giugno 
1724 (116). 

1033. Paolo Bullo di Andrea da Parenzo, 1721. Univ. artista. 

(233). 

1034. Giov. FUippo Pertot, goritiensis, dottorando in ColL 
veneto giurista, con certificato d'esame nel luglio 1721 

(116). 

1035. Antonio Stagnus, cormonensis, 1721. Univ. artista (466) 

V. Indice. 

Ant. Stagnus fu Pietro, cormon , fu dottorato in filosofia 

e medicina nell'aprile del 1721 (288). 

1036. Bartol. Locatelli, cormonensis, 1721 (460); di Leonardo 

cormonensis, 1722 (35); foroj., 1722-1724 (35); dottorando 
in Coli. ven. giurista nel febbraio 1729 (117). 

1037. Basilisco Basilisco di Carlo Luigi, da Pisino, 1722 (35); 
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in CoU. ven. 
giurista nell'aprUe 1723 (116). Cfr. 1314, 1548. 

1038. Pietro Tartini fu Giov. Antonio, da Pirano, 1722 (35) 

(45). Cfr. 881-980. 

Pietro Tartini fu Giov. Ant., piranensi, orig.e fiorentina, 
ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista neir aprile 1724 (116). 

1039. Pietro Zaccaria di Apollonio, da Muggia, 1722. Univ 
artista (233). V. Indice. 

Fu dottorato in filosofia e medicina nel luglio 1725 
(Dorigh.). 

1040. Antonio Masato (?) di Pietro, d'Istria, 1722-1725. Univ. 

artista (233). 

Ant. Miseti(?) di Pietro di Bovigno fu dottorato in 

filosofia e medicina nell'ottobre 1725 (Dorigh). 

1041. rdo Giovanni Filinich, chersensis, fu dottorato in Coli. 

ven. giurista nell'ottobre 1721 (81). 



231 

1042 Stefano Vucioh da Gorizia, dottorato in filosofia a 
Vienna d'Austria nel 1717, fu dottorato in medicina a 
Padova nel maggio del 1722 (Dorigh;). 

1043. GBatta Barberini, gradiscanus 1721 (460). 

r.do GB. Barberini di Fran.co gradisc, fu dottorato in 
Coli. yen. giurista nel maggio del 1723 (81). 

1044. GBatta Cristofforutti, goritiensis, dottorando in Coli, 
yen. giurista per certificato d' esame nel luglio 1721 
(116). Cfr. 477. 

1045. Vito Modesto de Giuliani, tergestino, 1721 (460). Ebbe 
il certificato d' esame per il dottorato in Coli, yeneto 
giurista nel maggio 1722 (116). V. Indice. 

1046. Ermenegildo Pera, goritiensis, ebbe il certificato d' esame 

per il dottorato in Collegio yen. giurista nel maggio 
1721 (116). 

1047. Gasparo Antonio Tosonus de Yiyeo, comit.u gradiscae 
1721 (460). Ebbe il certificato d'esame per il dottorato 
in Coli. yen. giurista nelP aprile 1723 (116). Cfr 455. 

1048. Antonio Pilottus, aquilejensis, 1721 (460). 

1049. Giovanni Gasparo Mersius fu Vincenzo, tergestino, fu li- 

cenziato in chirurgia nel giugno 1721 (289). Cfr. 1094, 1153. 

1050. Pran.co Dom.co del Torre, goriziano, 1721 (460), ebbe 
il certificato d'esame per il dottorato in Coli, yeneto 
giurista neir aprile 1722 (116). V. Indice. 

1051. Girolamo Bartol. de Bellarazzi, aquilejensis, 1722 (460). 

1052. Paolo Tonegazzo fu Bernardino, da Grado, licenziato 

in chirurgia nell'aprile del 1722 (289). V. Indice. 

1053. Pietro Antonio Garellius de Cormontio, 1722 (460). 

1054. Nicolò Rigo d'Aurelio da Cittanova, 1721, 1723, 1724 

(45). V. Indice. 

1055. Andrea Barnaba, goritiensis, 1722 (460), ebbe il certi- 

ficato d^ esame per l' ammissione al dottorato in Coli, 
yen. giurista nel marzo 1723 (116). 

1056. Andreas Schauer, goritiensis, 1722 (460), fu dottorato 

in filosofia e medicina more nobilium^ nell'aprile 1722 

(Dorigh.). 

Andreas Schauer gorit. imper., 1720 (466); syndicus 

nationis german., 1724 (461). 



1057; Petrus Gonoina di Pietro, cormonensis, 1722 (460), ebbe 
la lede d'esame per il dottorato in Coli. Ten. giurista 
nell'aprile 1723 (116). 

1058. Francesoo Naioimbene di Bartol., jostlnop., 1722-17M 
(35); 1723 (45). Y. Indice. 

Fran.oo Naacimbene di Girolamo <?), jnstinop, 1725-1727 
(35), 1722 anno primo, 1725 anno terso, 1726 ateLo 
quarto, 1727 anno quinto (35). 

1059. Andreas de P e tris, camiolus de Sanvis, fu Tommaso, 
fu Ucenctato in ^irurgia nel luglio 1722 (289). V. hMeé. 

1060. Gavapdo Oavardo di Cristoforo; justinop., 1722-1726 
(35); 1727 (28). Y. Jbdu^eL (Il saroedote Gavardo (oavardo, 
fratello di Gottardo, Antonio ad Alessandro, uòmo éi 
mente efeyata e di grande cultura, UM^ri nell'età di soli 
36 anni a Parigi li 19 settembre 1736. Fu aseritto alla 
reale Aoeademia di Londra ed eletto a poeta della aie- 
dasima con generoso stipendio. A Londra ebbe la dire- 
zione del Teatro dell' opera di Hag-lCarket, pel quale 
tradusse dall' iztglese in italiano i libretti del "Mitridate,, 
e di altre opere, e compose alenni lavori originali — 
O. Pnsteiia.) 

1722-1727 (45), Gottaido Gavardi di Cristof. da CSa^o- 
distria, 1723 (45). 

1061. Giuseppe Costantini di Fran.co da Ursaria, justinop., 

1722 (35); ebbe il certificato d'esame per il dottorato 
in Coli. yen. giurista nell'aprile 1723 (116). Cfr. lOM. 

1062. Pietro Mario Bettadelli di Yinoenao da Gorizia, fu 
dottorato in filoaofia e medicina nri luglio 1722. (Dorigk.). 
Ofr. 115S. 

1063. Nicolò Elio di Fran.co, istriensis, 1722 (35); jwtinopoL, 

172» (85). ¥. btdice. 

Nicolò d'Elio di FruLCo d'Istria, 1723 (45). (L^ antica, 
nobile e ricca faÉdglia capodistriana degli Elio, che diede il 
patriarca di Q^èriBalemine, Antonio Elio, ai estinse con 
AUoaifda Elio, maritata Manzoni; — G. Pnsterla.) 

1064. Giuseppe Cella di Giovanni; goritiensis, 1723(35); 1723 
(45); ebbe il oertiiieato d' •esame fftor il dottorato in 
Coli. yen. giurista nel dioembre 172S (116). 



233 

1065. Alessandro Fanzago di Pietro da Capodistria, 1723. 
Univ. artista (233). Cfr. 218. 

1066. Fran.co Saverio de Garzlarolli^ nob. camiolus Senosi- 

zensis, ebbe il certificato d' esanae per il dottorato giu- 
rista nel febbraio 1723 (116). Cfr. 235 e 1096. 

1067. Qiov. Francesco Franceschinis di Girolamo, foroj. imp., 

1723 (460). Cfr. 1429, 1564. 

Qiov. Fran.co Frano, goritiensis, dottorando in Coli, 
ven. giurista nel gennaio 1723 (116). (A Montona esisteva 
una famiglia di questo nome. — G. Pusterla.) 

1068. Paolo Buda di Andrea, histriensis, 1723 (35); 1723 (45). 

1069. Giuseppe Bottinus, goritiensis, ebbe il certificato di 
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel marzo 
1723 (116). Cfr. 948. 

1070. Giuseppe Antonio Codelli, gorit., 1723 (460); ebbe il 
certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nel maggio 1723 (116). Cfr. 865, 1377. 

1071. Carlo Manzini di Nicolò, justinop., 1723 (35-45). V. 
Indice. (Morì li 6 gennaio 1728 e fu sepolto nella chiesa 
di S. Francesco — G. Pusterla.) 

1072. GBatta Mosterius, goritiensis, 1723 (460). 

1073. (?) Nicolò Janesi di Antonio da Tulmetio, fu licenziato 
in chirurgia nel marzo 1723 (290;. V. Indice. 

1074. GBatta de Fabris e Freyenthal, goritiensis 1723 (460), 
ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli, ve- 
neto giurista nel giugno 1724 (116). Y. Indice. 

1075. Antonio M. Salis di Fran.co, justinop., 1723, 1724 (35); 

fu Fran.co, 1723, 1724 (45). 

1076. Andrea Asquini, cormonensis, 1720 (460), ebbe il cer- 
tificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nell'aprile 1724 (116). 

1077. Carlo Fanti, gradiscano, 1723 (460). 

1078. GBatta di Montegnacco, gradiscano, 1723 (460), ebbe 
il certificato d' esame per il dottorato in Coli, veneto 
giurista nel gennaio 1724 (116). Cfr. 960. 

1079. Giuseppe Guella di Giacomo, tergestino, 1723 (35). 

Gioseffo Gusella di Giacomo da Trieste, 1723 (45). 

1080. Leonardo B idoli di GBatta, cormonensis, 1723 (460). 



234 

1081. Tommaso Balestri di Pietro da Civita vecchia, furlan, 
1723, 1724 (45;. 

1082. Domenico Peter, goritiensis, 1723 (460) 

1083. Leonardo Mi ne elli di Leonardo, cormonensis, 1723 (460); 

ebbe il certificato d* esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista neir aprile 1724 (116). 

1084. Francesco Patrieolis, cormonensis, 1723 (460). Cfr. 1117. 

Francesco Patrielli di Cormons, ebbe il certificato di 
esame per l'ammissione al dottorato in Coli. ven. giu- 
rista nel febbraio 1724 (116). 

1085. Giovanni Maria Tavellins de Castro Porpeto, com-tu 

gradiscano, 1723 (460), ebbe il certificato d'esame per 
il dottorato in Coli. ven. giurista nel marzo del 1724 
(116). 

1086. Nazario Lu guani di Andrea, justinop., 1723-1726 (35); 

1727 (28); 1724-1727 (45); ebbe il certificato d'esame 
per il dottorato giurista nel maggio 1727 (117). (Nazario 
Lugnani fu l' avvocato del soppresso convento dei Minori 
conventuali di S. Francesco. — Gt. Pusterla.) V. Indice. 

1087. Pietro Furi ani di Francesco da Gorizia, fa dottorato 

in filosofia e in medicina nel marzo 1724 (Dorigh.). 
Cfr. 1583. 

1088. Giuseppe Minciottus, goritiensis, 1724 (460); ebbe il 

certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nel dicembre 1724 (116). 

1089. Agostini Fini di Andrea, justinop., 1723-24 (35). V. Indice. 
Agostino FiniPola di Andrea, justinop., 1723, 1724, 1727 
(45); 1724, 1725, 1726 (35), 1727 (28). 

Dottorando in Coli. ven. giurista per certif. d' esame nel 
giugno 1727 (117). 

1090. Nicolò Floriani Epis., tergestino, 1724 (460). 

Nicolò Floriani Epis., nob. tergestinus di GBatta, fd 
dottorato in Coli, veneto giurista nel gennaio 1725 (81). 
Cfr. 1364. 

1091. Francesco Bassini di Andrea, goritiensis, dottorando in 

Collegio veneto giurista nell'aprile 1724 (116). Cfr. 697. 

1092. Andrea Petrini di Franco da Parenzo, 1724. Univ. 

artista (233). 



235 

1093. Pietro Mei chi ori di Antonio da Parenzo, 1724. Univ, 

artista (233). Cfr. 422. 

1094. Lorenzo Mersius fu Vincenzo, tergestino, fu licenziato 

in chirurgia nel marzo 1724 (289). Cfr. 1049, 1153. 

1095. Martino Benedeti di Bartol. da Parenzo, 1724. Univ. 

artista (233). 

1096. GBatta Garzaroli di Andrea Daniele, Sinocezencis, fu 
dottorato in filosofìa e medicina nell'aprile 1724 (290). 
Cfr. 235, 1066. 

1097. Gioseflfo Girardini d' Olivo d'Istria, di Veglia pup., 1724. 

Univ. artista (233). 

Fu dottorato in filosofia e medicina nel gennaio 1725 (290). 

1098. Pietro Fran.co Cannetti fu Giovanni, gradiscano, fu 

dottorato in filosofia e medicina nel giugno 1724 (290). 

1099. Vincenzo Artusi di Paolo, istriano, 1724. Univ. artista 
(233). (I discendenti di questa famiglia, Giovanni, Gio- 
vanni Paolo e Marquado de Artusi fratelli, vivevano in 
questo secolo a Parenzo. — G. Pusterla) V. Indice. 

1100. Zuane Carlini di Angelo, istriano, 1724. Univ. artista 

(233). 

1101. Francesco Volpato di Tommaso, istriano, 1724. Univ. 

artista (233). 

1102. Nicolò Sonna di Paolo, istriano^ 1724. Univ. artista (233). 

1103. Ottavio De oda ti di Pietro Antonio d'Aquileia, fu dot- 
torato in filosofia e in medicina nel febbraio del 1724. 
(Dorigh.). 

1104. Lodovico Galena, aquileiensis, 1723-24, 1724 (35). 

Lodovico Gallena d'Ippolito, aquilejensis, 1723, 1724 (45). 

1105. Joannes Franciscus de Albertis, imper., 1724 (461). 

for. o tr. 

1106. Francesco Pruppi di GBatta da Gorizia^ fu dottorato 

in filosofia e medicina nel giugno del 1725 (Dorigh.). 

1107. Paolo Centenari da Pirano, chirurgo, 1725. Univ. ar- 
tista (233). V. Indice. 

1108. Giov. Vincenzo Lirutti, forojul., (117). V. Indice anno 

1725. 

1109. Gasparo Massaro di Zuanne, istriano, 1725. Univ. ar- 
tista (233). 



286 

ino. Silvestro Cipriano di Nicolò da Parenzo, 1725 (35). 

Ofr. 432. 1285. 
un. Paolo Galleazzi di Pietro, istriano, 1725. Uniy. artista 

(233). 

1112. Marco Ingaldeo di Fran.co da Capodistria, 1725 (28). 

Cfr. 1253. (La famiglia Ingaldeo si estinse nel secolo 
decorso, lasciando erede della sua facoltà il conte Bar- 
bano Bratti del fa Agostino, detto del Piaggio. — Q. 
Pasterla.) 

1113. Bomano Bomani di Pietro, justinop., 1725. Univ. ea- 
lista (233). V. Indice. (Il canonico Bomano Bomani è 
stato ascritto nel 1764 al terzo ordine di S. Francesco. 
La sua famiglia vive ancora a Capodistria. — G-. Pusterla.) 

1114. Cristoforo Federici di Pietro, gradiscanas, fu licenziato, 
in chirurgia nel settembre 1725 (289). 

1115. Bainaldus Modena fu Nicolò, justinop., fu licenziato in 
chirurgia nel marzo 1725 (289). Cfr. 699, 1314. 

1116 Antonio Zaccaria, justinop.. 1725-26 (35). V. Indice 

1117. Valentino Leonardo Patri el li fu G Batta, cormonensis. 
fu licenziato in chirurgia nell'ottobre 1725 (2?<9). Cfr. 
1084. 

1118. Aloysius Minissini di Giacomo, cormonensis, 1725 (35), 
ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli, 
ven. giurista nel giugno 1726 (116). 

1119. Giovanni Maria Spessotti fu GBatta, cormonensis, 1726 

(460). 

1120. Vincenzo Lazarini di Camillo, aquilejensis, 1726 (460). 
Cfr. 1453 

1121. Julius Cesar Boreatus da Villanova, Castri Propeti, 

1725 (460) ; ebbe il certificato d' esame per il dottorato 
in Coli. ven. giurista nel maggio 1725 (117). 

1122. Antonius M archesetti, nob. tergestino, 1725 (460). 

Ant. Ignazio Marchesetti patritius tergestinus, ebbe il 
certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nell'aprile 1727 (117). Cfr. 213, 1452. 

1123. Giov. Giuseppe Millo st Salcanensis, 1725 (460), ebbe il 

certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nel febbraio 1726 (117). 



237 

1124. Carlo Giglio, goritiensis, 1725 (460). 

C. Giglio nob. de Lilienperch, goritiensis, ebbe il certi- 
ficato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel 
lebbraio 1726 (117). Cfr. 508, 727. 

1125. Giovanni Matteo Marcuzzi da Curizia, 1725 (460). 
r.do Giovanni Matteo Marcuzzi, goritiensis, fu dottorato 
in Coli. ven. giurista nelP agosto 1727 (81). 

1126. Giovanni Melchior Mollina, nob. aquilejensis, 1625(460), 
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nel marzo 1726 (117). V. Indice. 

1127. Domenico Filiasi de Curitia, 1725 (460), ebbe il cer- 

tificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nel maggio 1726 (117). 

1128. Doimus Cassio di Anselmo, veglensis, 1726 (85). 
1129 Carlo Marzona fu Giacomo, cormonensis, fu dottorato 

in filosofia e medicina nell'aprile 1726 (290). 

1130. Dom.co Piva di GBatta, gradischensis, 1726 (460). 

1131. Nicolò de Fabris di Antonio, goritiensis, 1726 (460); 

ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nel maggio 1727 (117). V. Indice, 

1132. (?) Pietro Nascimbene di Fran.co, forojul., 1726 (35- 
45). V. Indice. 

1133. Giovanni Vito de Pancera di Antonio, cormonensis, 

1726 (460); ebbe il certificato d'esame per il dottorato 
in Coli. ven. giurista nell'aprile 1727 (117). 

1134. Fran.co Antonio (?) Baroni us di Ant. Leopoldo, gori- 

tiensis, 1726 (460), ebbe il certificato d'esame per il 
dottorato in Coli. ven. giurista nel Xbre 1726 (117). 
Cfr. 1181. 

1135. Lorenzo Fu sari di Simeone, goritiensis, 1726 (460), ebbe 
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu- 
rista nel gennaio 1727 (117). 

1136. Alessandro Gavardo di Cristoforo, justinop., 1726-1729 

(35) (45). V. Indice, (Era questi fratello di Antonio e del 
sacerdote Gavardo Gavardo. Morì celibe. — G. Pusterla ) 

1137. Petrus Some da di GBatta, cormonensis, 1726 (460); 

ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nel gennaio 1727 (117). 



238 

1138. co. Petruzzi di Adalmerio Antonio, austriaco, 1726. 
Univ. artista (233). 

1139. Aloysius Abborta nob. gradiscano, ebbe il certificato 
d* esame per il dottorato in ColL yen. giurista neir aprile 

1726 (117) Cfr. 391, 449. 

1140. Gregorio Miceli fu GBatta, justinop., 1726, 1727 (35) 

(45). 1726 anno primo. Cfr. 1143. 

1141. Antonio Saverio de Leo, patritius tergestinus, 1727 
(461), fu dottorato in Collegio veneto giurista nell' agosto 
1728 (81). V. Indice. 

1142. Giuseppe Innocenti di Dom.co d' Aquileja, fii dottorato 
in filosofia e medicina nel luglio 1727 (Dor gh.) (H dott 
G. Antonio Innocenti venne creato nel 1746 a primo me* 
dico di Capodistria. — G. Pusterla.) 

1143. Giovanni Miceli fu GBatta da Pinguente, 1727 anno 
quarto, 1728 anno quinto (35). 

Giovanni Micoli fu GB. da Pinguente, 1724-1729 (45), 
dottorando in Coli, veneto giurista con certificato di 
esame nel maggio 1729 (117). Cfr. 1140. 
1144 Geremia de Leo, patritius tergestinus, 1727 (461). Y. 
Indice, 

1145. (?) Daniele Pitoni di Fran.co, dalla Camia di Friuli 

1727 (45). Cfr. 587, 665. 

1146. Carolusde Bottoni, nob. tergestino, 1727 (461). Y. Indice, 
Carlo de Bottoni di Fran.co Ignazio, tergestino, fu 
dottorato in Coli. ven. giurista nel marzo 1727 (81). V. 
Indice. 

1147. Antonio Annibale de Bottoni, nob. tergestino, 1727 
(461), di Francesco Ignazio, fu dottorato in ColL ven. 
giurista nel marzo 1727 (81). V. Indice. 

1148. Nicolò Attimis di Giov. Giuseppe, goritiensis, 1727 

(461). V. Indice. 

1149. Costantino Antonio de Faganea di Girolamo, goritiensis, 

1727 (461); ebbe il certificato d'esame per il dottorato 
in Coli. ven. giurista nel luglio 1727 (117). 

1150. Geremia Vianelli da Cormons, 1727 (461); ebbe il cer- 

tificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. gioiista 
nell'ottobre 1727 (117). 



239 

1151. Pietro Valsecchi, goritiensis, 1727 (461), ebbe il cer- 
tificato diesarne per il dottorato in Coli. yen. giurista 
nel luglio 1728 (117). 

1152 Pietro Bigalea da Cormons, 1728 (461). 

Pietro Bigagia, oriundo da Connons, ebbe il certificato 
d' esame per il dottorato in Coli. yen. giurista nel set- 
tembre 1728 (117). 

1153. Giuseppe Mersio fu Vincenzo, tergestino, fu licenziato 

in chirurgia nel novembre 1728 (239). Cfr. 1049, 1094. 

1154. Giovanni Ridolfi, goritiensis, 1728 (461); ebbe il cer- 
tificato d'ammissione per il dottorato in Coli. yen. giu- 
rista nel maggio 1729 (117). 

1155. Benedetto Bettadelli di Vincenzo, da Gorizia, fu dot- 
torata in filosofia e medicina nel giugno 1727 (Dorigh.) 
Cfr. 1062. 

1156. Orazio Bian chini di Vincenzo da Gorizia, fu dottorato 
in filosofia e medicina nel luglio 1727; laureato dal 
Morgagni (Dorigh.). V. Indice. 

1157. .'Federico Petiani di Bernardino da Gorizia, fu dotto- 
rato in filosofia e in medicina nel luglio 1727 (Dorigh). 
Cfr. 597, 628. 

1168. Pietro Paolo Corte di Gasparo, justinop., 1728 (35). Cfr. 
967, 1388. (Era proprietario dei beni del comune di 
Montosco, ora detto di Montetoso, i quali sono attual- 
mente di Ferdinando Percolt. — G. Pusterla.) 

1159. Francesco de Luxetich, Myterburgensis, 1728 (461). V. 

Indice. 

1160. co. Giuseppe M. Contesini Hectoreus, justinop., 1728 
(35). 

co. G. M. Contesini Ectoreus di Tommaso, justinop., 1732 

primo anno, 1735 anno quarto (36). 

co. Giuseppe Maria Contesini Hectoreus di Tommaso, 

justinop., fu dottorato in Coli. yen. giurista nel maggio 

1736 (81). 

Gioseffo M. Contesini Ettoreo di Francesco (?) justinop. 

1732-1736; nel maggio 1736 ebbe la fede del compiuto 

quadrennio (45). V. Indice. 

1161. Bartolomeo Cerniyàni di Pietro, da Capodistria, 1728, 



240 

Univ. artista (233). Cfr. 1437, 1491. pon Bartolomeo 
Cemivanì verme inscritto nel 1716 nel!' albo dei Terziari 
di S. Francesco e nella confraternita dei Cordiglieri 
nella soppressa chiesa di S. Francesco dei Minori con- 
ventuali. — G. Posteria.) 
1162 Ign£kzio Canziano Manenti, f oroj , ebbe il certificato 
d'esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nell' aprile 
1728 (117). Cfr. 647, 771, 924. 

1163. Antonio Franzlon, goritiensis, 1729 (461): ebbe il cer- 
tificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giurista 
nel febbraio 1730 (117). Cfr. 577. 

1164. Giovanni Macizza di Fran.co, canon, vegliensis, 1729 
(35), fu dottorato in filosofia in Coli, ven, giurista nel 
novembre 1729 (81). Cfr. 964. 

1165. Carlo Bonisoli. goritiensis, ebbe il certificato d'esame 
per il dottorato in Collegio ven. giurista nel luglio 1728 
(117). Cfr. 1497. 

1166. Francesco de Strasoldis, liber baro de Villano va, Sal- 

cano, Medea, ecc., 1729 (461). Cfr. 138. 

1167. r.do Ursin Eosa, vescovo di Veglia, 1729. Univ. artista 

(233). Cfr. 1025. 

1168. Giovanni Almerigotti di Giuseppe, justinop., 1729 anno 
primo, 1732 (35) (36) ; dottorando in Coli. ven. giurista 
nel maggio 1733 (118). V. Indice. (Era fratello del ca- 
nonico tesoriere e del dott. Francesco. Mori celibe li 
10 Novembre 1792 e fu tumulato nell'arca di sua £a- 
miglia nella chiesa di S. Francesco. — Q. Pusterla.) 

1169. Lelio Franco Pachini di Qiov. Ant. da Gorizia, fu 

dottorato in filosofia e medicina nel gennaio del 1729 
(Dorigh.). 

1170. Giuseppe Gravisi di Alessandro, da Fola, 1729. V. Indice. 

1171. Giuseppe Antonio Brainich da Gorizia, già prorettore 
esindico dell'Università degli artisti (nel 1721) (670); 
fu dottorato, more nobilium, in filosofia e medicina nel 
febbraio 1729 (290). V. Indice. 

1172. Giovanni Andrea de Molinis fu Fabio Augusto, da 
Castro Duini, fu dottorato in filosofia e medicina nel- 
l'agosto 1729 (290). V. Indice. 



241 

1173. Francesco Bosizi di GBatta, da Gorizia, fu dottorato in 

filosofia e medicina nel 1729 (Dorigli.). Cfr. 659, 799. 

1174. Valentino Marchetti di Qiovanni da Gorizia, fu dot- 
torato in filosofia e medicina nel 1729 ; laureato dal 
Morgagni (Dorigh.). Cfr. 867, 1462. 

1175. Ambrogio de Belli di Fran.co, 1729/30, 1730 (35); 1729, 

1730 (45). V. Indice. 

1176. Domenico Tunni fu Leonardo, goritiensis, fu dottorato 
in filosofia e medicina nell'ottobre 1729 (290). Cfr. 872, 
985. (Esercitò il notariato, e molti dei suoi registri si 
conservano nell'archivio del municipio di Capodistria. 
— G. Pusterla.) 

1177. Lorenzo Pasque ti di QBatta, parentino, 1730, 1731 

(35), (45). 

1178. Angelo Teruzini (?) di Nicolò, da Cherso, 1730 (45). 

Antonio Ferraci ni di Nicolò, chersensis, 1730 (35). 

1179. r.do Antonio Colognese da Ariis, subditus gorit., 1730 

(461); 1731 (462). 

1180. r.do Giacomo Colognese da Ariis, subditus goritiensis, 

1730 (461); 1731 (462). 

1181. Federico Massimiliano Baronius di Antonio Leopoldo, 
goritiensis, fu dottorato in filosofia e medicina nel giu- 
gno 1730 (290). Cfr. 1134. 

1182. Carlo Vis en tini da Carlino, contado di Gorizia, 1730 
(461). 

C. Vicentini di GBatta da Carlino, distretto di Gorizia, fu 
dottorato in Collegio ven. giurista nel maggio 1730 (81). 

1183. Giuseppe Pravisini fu Alessandro da Pola, 1730 (45). 

1184. Antonio Apolonio di Apolonio, d'Istria, 1730-1733. 
Univ. artista (233). V. Indice. 

(Antonio Apollonio di Apollonio, nacque a Pirano nel 
nel 1705. Vidali.) 

1185. Antonio de Comitibus da Cesana di Fran.co, foroj., 

1730 (35); 1727, 1731 (45). 

Ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Collegio 

ven. giurista nel giugno 1731 (118). V. Indice. 

1186. Zaccaria de Comitibus de Cesana, di Francesco, fo- 
roj., 1731 (36). V. Indice. 



24^ 

1187. Giovanni Maria Tonelli, carlinensis, ebbe il certificato 

d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista nel feb- 
braio 1731 (118). 

1188. Franciscus Brandolinus, canonicus arcbidiaconns, ca- 
tbedr. S. Justi martiris Tergesti — 1730 (641). 

Fr. Brandolini, cormonense, dottorando in Coli. yen. 
giurista nel dicembre 1729 (117). 

1189. Aurelio de Belli di Giacomo, justinop., 1730-1732(35), 

1730 (46). V. Indice. (Era figlio di Giacomo e della con- 
tessa Francesca Bruti e fratello di Felice, Nicolò, Giacinto, 
Cristoforo, Maria, Paola, Marianna e Marina de Belli. 
La famiglia esiste ed è presentemente rappresentata dal 
dott. Nicolò de Belli e dalla sorella Laura de' Gravisi. 
G. Pusterla.) 

1190. Francesco Almerigotti di Giuseppe, justinop., 1730- 

1736 (35) (46). V. Indice. (Era fratello del dott. Giovanni 
e di Carlo, canonico tesoriere della cattedrale di Capo- 
distria. Condusse in moglie la marchesa Eufemia de Po- 
lesini di Montona, sorella di Francesco, vescovo pria di 
Pola, poi di Parenzo. Esercitò l'avvocatura ed ebbe fama 
di letterato ed archeologo. Mori nel 1792 e venne sepolto 
nella chiesa di S. Francesco dei Minori conventuali. G. 
Pusterla.) 

1191. Antonio Grisoni di Gabriele, justinop., 1730-1733 (35-36); 

1730-1734 (46); ebbe il certificato d'esame per il dottorato 
in Coli. yen. giurista nell'aprile 1734 (118). V. Indice. 

1192. Giovanni Maria Tonchi (?) oriundus ex Carlino Comt 

Gradiscae et adscriptus in comunitate civit. aquileiae 

1731 (641). 

1193. (?) Fabio Asquini di Pietro, furlan, 1731 (45). V. Indice. 

1194. Alberto Man ni di Gabriele, justinop., 1731 (35), 1732 

(36) e (45). Cfr. 1209. 

Alberto Mani di Gabriele, d'Istria, 1731-1733. Univ. 
artista (233). (La famiglia Manni possedeva in Capodistrìa 
una grande conceria di pelli, prima in contrada Pusterla, 
poscia in quella d'Ognissanti. G. Pusterla.) 

1195. Giov. Francesco Eomanutti, da Cormons, 1731 (461), 

dottorando in Coli. yen. giurista nel febbraio 1731 (118). 



S43 

1196. ì'rancesco Battiala di Q-. Antonio, albonensis, 1732, 

1736 (35); 1732-1784 (46). V. Indice. 

1197. Antonio Brumatti, goritiensis, 1732 (641). Cfr. 607, 681. 
Fr. Antonio Bramati, de lacomino et Sigisberge, nob. 
gorit. dottorando 1726 (117). 

Ant. Bramati fu Giuseppe, gorit., fu dottorato in Coli, 
ven. giurista nell'aprile del 1732 (81). 

1198. Vincenzo Ernesto Lo catelli, patricius et nob. provin- 
cialis gradiscanus 1732 (461); dottorando in Coli. yen. 
giurista nel gennaio 1733 (118). V. Indice. 

1199. Marco Caldana di Nicolò, piranensis, 1732-1734 (36); 

1732-1736 (46); fu dottorato in Coli. ven. giurista nel 
marzo 1737 (81). V. Indice. 

1200. Nicolò de Portis, 1732 (641) guriciensis. 

Nicolò Portis di Filippo, furlan, 1732-1736 (46); dottorando 
in Coli. ven. giurista nel maggio 1736 (119). Cfr. 461, 864. 

1201. Lodovico Gaetano de Picardis, tergestinus patritius, 

1732 (641), dottorando in Coli. ven. giurista nel maggio 
1732 (118). 

1202. Giov. Fran.co Barbatus di Angelo, nob. pisinensis, ebbe 
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu- 
rista nel luglio 1732 (Il 8;. Cfr. 461 bis. 

1203. Alvise Bottoni di Antonio, da Parenzo, 1732. Univ. ar- 

tista (233). V. Indice. 

1204. Nicolò FI ami a di Giuseppe, tukninensis, 1732 (36). 

1206. Zaccaria De t a co fu Andrea, d'Istria, 1732. TJniv. artista 

(233). V. Indice. 
1206 Antonius Italus Micheli i, ajellensis, sub Com.tu Gradi- 
scae, 1783 (461). 

Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. 
giurista nel maggio 1734 (118). Cfr. 426, 747. 

1207. Giacomo Molinus di Bartol, vegliensis 1733 (36),, 1733 
(46). V. Indice. 

1208. Cristoforo Brutti di Barnaba, justinop., 1733-1786(36); 

1733-1737 (46); ebbe il certificato d'esame per il dot- 
torato in Coli. ven. giurista nell'aprile 1737 (119). V. 
Indice. (Fu membro attivissimo dell'Accademia giustino- 
politana dei Eisorti. G. Pusterla.) 



sa 

1209. Girolamo Mann! di Gabriele, d'Istria, 1733 Univ. at- 
tista (233). Cfr. 1194. 

1210. Girolamo Pompeo Molina, aquileiensis, ebbe il certi- 
ficato d'esame per il dottorate in Coli. yen. giurista nel 
maggio 1733 (118). V. Indice. 

1211. Lorenzo Palati d'Agostino, da Parenzo^ 1733. Univ. 

artista (233). 

1212. (?) Oioseffo Gallici di Antonio, fnrlan, 1734-1738 (46). 

V. Indice. 

1213. Giuseppe Matteo Bit osa di Benedetto, montonensis, 

1733 (86). 

Giuseppe M. Vicini Bitosa fu Benedetto, montonensis, 
1736 (36). 

1214. Stefano Bitosa di Benedetto, montonensis, 1734 (36). 
Stefano Vicini Bitosa fu Benedetto, mont., 1736 (36) 
Stefano M. Bitosa fu Benedetto, da Montona, 1733-1737 
(45). 

1215. Marco de Vecchi di Vincenzo, da Gorizia, fu dottorato 
in filosofia e medicina nel luglio 1734; laureato da GB. 
Morgagni. (Dorigh). V. Indice. 

1216. Giovanni Vecelli di Fran.co, d'Istria, 1734. Univ. ar- 
tista (233). Cfr. 86, 1461. 

1217. Nicolò Lirutti, foroj., dottorando in Coli, ven, giurista 

1734 (118). V. Indice. 

Nicolò Lirutti di Giorgio, farlan, 1731 (46). 

1218. Antonio Colombani fu Lorenzo, d'Istria, fu dottorato 
in filosofia e medicina nell'aprile del 1734 (Dorigh.). V. 
Indice. 

(Antonio Colombani fu Lorenzo fu Antonio, nacque nel 
1710 — VidaU.) 

1219. Giusto Antonio Fericioli fu Giacomo, da Cherso, 1734 
(36); fu dottorato in Coli. ven. giurista nel febbraio 1735 
(81). V. Indice. 

1220. OBatta de Marchi, nato a Tabor Com. Goriciae, ebbe 
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu- 
rista nel maggio 1734 (118). V. Indice. 

1221. Michele Leopoldo Benigni, natus Goritiae, oriundus 
Tridento 1734 (641). 



246 

1222. (?) Carlo Q-allateo di Alessandro, furlan 1734 (45). Ofr. 

778. 

1223. r.do Giovanni Oolombani fu Antonio, archypresbyter 

Pirani, 1734-36 (36), fu dottorato in Collegio ven. giu- 
rista nel novembre 1735 (81). V. Indice. 

1224. (?) Aloysius Contesinus Hectoreus di Tommaso, ve- 
neto, 1735 (36). V. Indice. 

1225. (?) Lelius Contesinus Hectoreus di Tommaso, veneto, 

1735 (36). V. Indice. 

1226. (?) Pietro Cristofori, foroj., dottorando giurista 1735 
(118). Cfr. 1000. 

1227. Giovanni M. Antonio Locatelli di Valentino da Cor- 
mons, 1735. Univ. artista (233), fu dottorato in filosofia 
e medicina nel novembre 1735 (290). V. Indice. 

1228. Giovanni M. Locatelli, foroj., dottorando giurista nel 
giugno dell'anno 1734 (118). Y. Indice. 

1229 Gioseflfo Eivolla di Dom.co da Cormons, 1735. Univ. 
artista (233). 

Fu dottorato in filosofia e medicina nel maggio 1736 
(290). 

1230 (?) Pietro a. Lugara, foroj, dottorando giurista nel 1735 

(118). 

Pietro a. Lugara di Nicolò, furlan, 1731-1735 (45). Cfr. 

685, 891. 

1231. Sebastiano Civitico di Matteo, justinop., 1735 (36). (Fa- 
miglia ora estinta. G Pusterla.) 

1232. Giov. Francesco Locatelli, foroj. (fratello del 1228) 

dottorando giurista nel giugno 1734 (118). 

1233. Priamo Verbacz di Almerico, justinop., 1735, (36) (45). 

Cfr. 1544. 

1234. (?) Giacomo Camozzini di Agostino, 1736 (45). V. Indice. 

1235. Fran.co co. Brutti di Barnaba, justinop., 1786 (36) (45). 
V. Indice. 

1236. Michele Giovanni Zoppolatidi Paolo, nob. cormonensis 
fu dottorato in filosofia e medicina nel marzo 1736 (290). 

1237. Giuseppe Antonio Poli di Fran.co, goritiensis, 1736 (641), 
fu dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio 1736 (81). 
Cfr. 783, 873, 1428. 



246 

1238. (?) GioBeflfo Gallici di Giacomo, 1736 (46). V. Indice. 

1239. Nicolò de Belli s di Giacomo, justinop., 1736 (36). V. 
Indice. (Figlio di Giacomo de Bellis e di Francesca nata 
contessa Bruti, fratello di Aurelio, Felice, Giacinto e 
Cristoforo e di Maria, Paolina, Marianna e Marina. G. 
Pusterla.) 

1240. (?) Giuseppe Mirei di Fran.co, 1736 (46). V. Indice. 

1241. Andrea GBatia In amo di Giacomo, goritiensis, ta dot- 
torato in filosofia e medicina nel maggio del 1736 (290). 

1242. Giov. Antonio Cavai He ri fu Girolamo, rubinensis, 

1736-37 (36) (45), dottorando in Coli, yen. giurista nel 
giugno 1737 (119). Cfr. 814. 

1243. Lodovico Tinti di Valentino, foroj., 1737, 1738, 1740 
anno quarto (36). 

Lodovico Tinti di Valentino, furlan, 1736-1743 (45). Cfr. 9. 

1244. Ignazio Fantini, 1737 (36). Cfr. 871. 

1245. (?) co. Ascanio Dal Pozzo di Marco, furlan, 1738 (45). 

1246. (?) co. Valerio Dal Pozzo di Marco, furlan, 1738 (45). 

1247. Lunardo Braida di GBatta degli Olenii, da Gorizia, 
fu dottorato in filosofia e medicina nell'ottobre 1737. 
(Dorigh.) Cfr. 1015. 

1248. Domenico Lo vi soni, cervignensis, dottorando giurista 
nell'aprUe 1738 (119). Cfr. 1018. 

1249. GBatta de Mori di Tommaso, goriciensis, 1737 (36). 
Cfr. 1472. 

1250. Giovanni Bensa di Giovanni, gradiscano, fu dottorato 
in filosofia e medicina nel maggio 1738 (291). 

1251. r.do ms. Pietro Zuccati (?) di GBatta, eletto vescovo 

di Veglia, 1738, Univ. artista (233). 

1252. Leonardo Carlo ni di Giov. Maria, goritiensis, fri dot- 

torato in filosofia e medicina nel febbredo 1738 (291). 

1253. Francesco Ingaldus di GBatta, justinop , 1738, 1740 

(36); 1738-1741 (45). Cfr. 1112. 

1254. Giovanni Pietro Righi di Aurelio, justinop., 1738, 1739, 

1741 (36), 1738-1742 (45). Nel maggio 1743 ebbe la fede 
del compiuto quadriennio (46). V. Indice. 

1255. Giovanni Domenico Bighi di Aurelio, iustinop., 1738 
1739, 1741 (36). V. Indice. 



247 

Gìov. Dom.co Eìghi di Aurelio, da Capodistria, 1738- 
1743; nell'agosto 1743 ebbe la fede del compiuto qua- 
driennio (46). 

1256. Pietro Nicolò Q-iurco del fu Alvise, nob. di Trieste, fu 

dottorato in filosofìa e medicina nel settembre 1738. 
(Dorigh.). V. Indice. 

1257. Alvise Tarsia di Giacomo, justinop., 1739-1742 (36), 

fu dottorato nel maggio 1748 in Coli. ven. giurista (82), 
V. Indice, 

1258. Lucio Capello di Lorenzo, da Castro Pinguente, 1739 

(36). Cfr. 355, 1274. 

1259. Girolamo marchio Gravisi di Dionisio (?) justinop., 1739, 

1740, 1742 (36). (Era del ramo di Vanto di Nicolò, cugino 
del celebre Gian Einaldo CarlO; avendo sposata una 
Barbabianca, ereditò tutta la facoltà di quella ricca fa- 
miglia. Morì d'anni 92 nel 1812. G. Pusterla.) 
Girolamo m. Gravisi di Domenico (?) da Capodistria, 
1739-1743 (45). V. Indice. 

1260. Giovanni Binaldo co. Carli di Binaldo, justinop., 1739, 

1741, 1742 (36) 1739-1743 (46). Eletto professore ad 
scientiae nauticae theoricam nel 1745, insegnò negli 
anni 1745-1749 (234, 570). Cfr. 1401. 

1261. Francesco Bradamante di Antonio, justinop, 1740- 

1742 (36); 1740-1743 (45). V. Indice. 

1262. Bocco Pitacco di Bartol., istriano^ fu dottorato in filo- 

sofia e medicina nel marzo 1750. (Dorigh.). Trovasi im- 
matricolato neirUniv. artista 1746-1750 (234). 

1263. r do Annibale Giuliani di Vitale, da Trieste, 1738. Univ. 

artista (233). V. Indice. 

1264. Giovanni Pietro Pregi, goritiensis, 1740 (461). 

r.do Giov. Pietro Pregi di Giuseppe Antonio, gorit., 
fu dottorato in Coli. ven. giurista nel gennaio 1740 (81). 

1265. Antonio Gualberto Eodella, gorit., 1740 (461); dotto- 
rando in Coli. ven. giurista nel maggio 1740 (119). Cfr. 
862. 

1266. GBatta de Vermati di Franco, gradiscano, 1740 (461); 

dottorando in Coli. ven. giurista nel maggio 1740 (82). 
Cfr. 741. 



248 

1267. (?) Alberto Camozzini, foroj., dottorando in Coli. ven. 
giurista nel maggio 1740 (119). 

Alberto Camozzini di Fran.co, furlan, 1736-1740 (45). 
V. Indice. 

1268. Antonina ab. Argento, patritins tergestinus, 1740(461), 

fn dottorato in Coli. ven. giurista nell' agosto 1740 (82). 
V. Indice, 

1269. Antonio Centenari fu Bernardo da Pirano, fu licen- 

ziato in chirurgia nel marzo 1740 (292). V. Indice. 

1270. Giuseppe Antonio d'Ogaro, cormonensis, 1740 (461). 

1271. Massimiliano Gioachino Maurisperg di Massimil., go- 
ritiensis lucinicensis, fu dottorato in Coli. ven. giruista 
nel novembre 1641 (82). 

1272. Germanicus de Francolsperg, patritius tergestìnns, 
canon, et decanus catted. ecclesiae tergestinae 1741 (461). 
V. Indice. 

Ebbe il certificato d' esame per 1' ammissione al dotto- 
rato in Collegio veneto giurista nel marzo 1741 (119). 
1272 bis. Francol de Francolsperg, di Eaimondo, tergestino, 
1746 (461). 

1273. Giovanni Ferra di Giuseppe, da Ko vigno, fu licenziato 
in chirurgia nel settembre 1741 (292). Cfr. 855. 

1274. Lucio Antonio Capello di Antonio, de Castro Pingaente, 

1742 (36) (47). Cfr, 355, 1258. 

1275. GBatta Bradamante di Antonio, da Fola, 1742, 1743 
(36); 1742-1744 (47). V. Indice. 

1276. Felice Petris di Giusto, chersensis, 1742 (36) (47); fa 

dottorato in Collegio veneto giurista nell'aprile 1743 (82). 
V. Indice. 

1277. Tommaso Fran.co Ustia di Mario, tergestino, 1742 (461), 

Cfr. 177, 712. 

1278. Giacomo Toffetti di Stefano, da Pola, 1742 (47). 

(Continua.) 



<t;'U'OT?^i?i?i?i?w?^'q?i;wi^ 



Sulla lite per la deeima dell' olio 
tra i vescovi di Capodistria ed il clero e popolo 

piranese. 



Documento del 1220 circa. 



Ogni nuovo documento del primo tempo del medio evo 
è importantissimo per conoscere meglio la storia dell' Istria 
neir epoca intralciata del feudalismo, specialmente in quella 
anteriore alla metà del secolo XIII. Il presente documento, la 
cui pergamena originale conservasi nelP Archivio comunale di 
Pirano, dev'essere circa del 1220, ma ricorda fatti e perso- 
naggi del secolo antecedente, e precisamente tra la fine del 
secolo XII ed il principio del secolo XIII. 

E un' assunzione di testimonianza intomo alla lunga lite 
sorta fra i vescovi di Capodistria ed il clero e popolo piranese 
per la decima dell' olio, della quale volevano impadronirsi i 
vescovi di Capodistria, mentr' essa spettava per diritto alla 
chiesa di S. Giorgio di Pirano. 

I testimoni contro il vescovo sono dodici cittadini di Pi- 
rano, fra i quali trovasi Insto de Bona, uno degli undici uo- 
mini (idoneìs hominibus) che assieme col podestà, coi consoli 
e col popolo radunato in apposita conclone nella porta di Campo 
strinsero un trattato di pace ed amicizia coi nunzi di Spalato 
nel 1192.') 

I suddetti testimoni sono tutti concordi nel negare ai 
vescovi di Capodistria il loro preteso diritto alla decima del- 
l' olio spettante da molti anni alla chiesa piranese, e tentano 



') Morteani, Notizie atoriehe di Pirano^ pag. 14 



260 

di scagionare il clero di Pirano dall' accusa di aver fatto causa 
comune coi laici e di essere stato costretto dal popolo a fare 
la lite al proprio vescovo ; onde si vede che si voleva salvare 
il clero dalle pene ecclesiastiche. Dalle testimonianze risulta 
che la lite aveva cominciato già al tempo del vescovo Adal- 
gìero (1187-1212), contro il quale il popolo piranese ricorse 
persino al papa, mandando a JEtoma il proprio sindico Insto de 
Bona, dopo ricevute lettere ammonitorie dal papa ; si vede che 
il vescovo Adalgerio, che voleva arricchire la sua mensa ve- 
scovile coir impadronirsi anche delle decime d'Isola, aveva 
interdetto T ufficio divino al popolo ed aveva minacciato di 
scomunicare il clero, se questo avesse fatto causa comune col 
popolo. Ma popolo e clero, quantunque agissero prudentemente, 
resistettero con tenacità per custodire i diritti della loro chiesa; 
e dalle testimonianze risulta che si ricorse in appello al papa 
e che il patriarca Giovanni di Grado (1190-1201) ed il vescovo 
Leonardo di Torcello (1177-1197) furono incaricati di risolvere 
tale questione. 

Per comprendere meglio T oggetto per cui si litigava ag- 
giungerò quanto il Benussi scrive in proposito delle decime 
ecclesiastiche. 

Nella nostra provincia — egli dice — come nella rima- 
nente Italia, già nel V secolo vigeva Fuso che le rendite di 
ogni chiesa fossero divise in quattro parti, cioè: la prima per 
la fabbrica delle chiese, la seconda pei chierici, la terza pei 
parroci, e la quarta pei forestieri e peregrini (poveri), assieme 
al vescovo. Divenute obbligatorie le decime pei fedeli, esse 
furono assegnate alla relativa chiesa plebanale; ed al vescovo 
rimase soltanto il diritto al quartese goduto per Io innanzi. In 
progresso di tempo, quando venne meno il bisogno di co- 
struire nuove chiese e basiliche, quando 1' elemosina in sollievo 
dei poveri venne considerata come dovere inerente al sacer- 
dozio per il suo stesso uffizio, mentre si continuò a corrispon- 
dere al vescovo il quartese dovutogli, le rimanenti tre quarti 
della decima rimasero senza limitazione alcuna al clero, ctd 
era affidata la cura d' anime nella rispettiva chiesa plebanale.^) 



') Atti e memoney voi. X, pag. 846. 



251 

Dalle suddette testimonianze risalta chiaro che la decima 
deir olio indicata nel documento non era né per origine ne 
per il suo uso di quelle spettanti al vescovo, ma serviva esclu- 
sivamente per V illuminazione della chiesa di S. Giorgio ed 
anche delle altre ; ed un diacono, il candelario e 1* ostiario 
della chiesa maggiore erano incaricati dal pievano, dai chierici, 
dal gastaldo e dal popolo per la debita riscossione, mentre 
dalle decime delle altre cose il clero non avea che il quartese, 
essendo le altre parti di spettanza dei feudatari, come espres- 
samente ci dice il primo testimonio. Ma il vescovo Adalgerio, 
che aveva bisogno d' aumentare le rendite troppo ristrette del 
suo vescovato, non volle adattarsi a riconoscere per buone le 
opposizioni del clero e del popolo, per cui il papa Innocenzo HI 
incaricò nel 1206 i vescovi Viguerio di Ferrara e Domenico di 
Chioggia di por fine alla lite. Questi prelati proposero che 
Adalgerio rinunciasse del tutto alla decima dell' olio ed a tutte 
le attestazioni, prove, ragioni e sentenze da lui presentate, 
specialmente a quella pronunziata dal vescovo di Trieste per 
incarico del papa; che rinunziasse ad ogni istromento, privi- 
legio e ad ogni eventuale diritto per sé e successori, conce- 
dendo la suddetta decima in perpetuo alla chiesa di Pirano e 
togliendo V interdetto e la scomunica, se data per tale oggetto. 
Giacomo Viadro, sindico per i chiérici, e Insto (probabilmente 
de Bona) per il popolo avrebbero dovuto cedere al vescovo le 
due quarte decime delle altre cose ; esclusa quella dell* olio 
riservata alla chiesa, cioè la quarta dei poveri e la quarta della 
fabbrica della chiesa e riconoscerla di spettanza del vescovo 
Adalgerio, pagandogli inoltre 275 lire venete di compenso, la 
metà per la f*)sta della purificazione di Maria e V altra per la 
prossima Pasqua. Nel giugno 1207 il papa ratificò il suddetto 
compromesso pronunziato dai vescovi da lui delegati.^) 

La suddetta transazione non fu accettata ne dal clero e 
popolo piranese, i quali non volevano privare la loro chiesa 
di rendite ormai acquisite, né dal vescovo, il quale pretendeva 
per sé tutta la decima dell' olio; onde la lite, come si vede 



^) Vedi i documenti relativi nel Codice di^omatico istriano^ 3 ot- 
tobre X205 e ^vLfpOiO 1207. 



dal presente documento, continuò anche col successoFe di Adal- 
gerio, che fu Uretmaro. E difatti il testimonio assunto contro 
i chierici ed il popolo piranese è il sacerdote I. Pietro, cap- 
pellano del vescovo giustinopolitano, il quale dovrebbe essere 
lo stesso ohe comparisce con tale carica nel 1216. ') Egli csi 
dice d' essere stato due anni col vescovo Adalgerio ed otto col 
successore di lui, cioè Uretmaro ; onde, essendo il vescovo 
Adalgerio morto nel 1212; per quanto ne sappia, le deposizioni 
del suddetto cappellano determinano chiaramente la data del 
nostro documento, cioè verso il 1220, e dimostrano che i pi- 
ranesi non vollero sapere mai di dare la decima dell* olio nò 
all'uno uè all'altro vescovo. Il sunnominato testimonio prova 
che anche Uretmaro si era rivolto al pontefice, il quale gli 
mandò delle lettere ammonitorie per indurre il popolo piranese 
al pagamento delle decima colla comminatoria di ritenere, in 
caso contrario, per valida quella decisione che il vescovo avesse 
a pronunciare contro il suddetto popolo. 

Oltre l'importanza giuridica del documento, che risulta 
dalle assunzioni dei testimoni, dalle commissioni date ai {pa- 
triarchi di Grado ed al vescovo di Torcello, dalle lettere pro- 
batorie, dalle sentenze di vescovi confermate dal papa, le quali 
cose tutte ci fanno conoscere il modo con cui si procedeva in 
simili liti, il documento ci dà spiegazione della contituzione 
in tema della città e dell' origine d'una giurisdizione baronale. 

Oltre il gastaldo, i giudici e 1' arengo nominati nel docu- 
mento, quello che più di tutto merita rilevare è la giurisdizione 
comitale de' vescovi di Frisinga. I vescovi di questa città, che 
trovasi suir Isar nella Baviera, avevano ottenuto già dall' im- 
peratore Enrico IV con diploma del 24 ottobre 1062 alcuni 
beni del fisco regio in Pirano e Gittanova pel monastero di 
St. Andrea Apostolo di Frisinga.') Ed è certo che i territori 
posseduti in Pirano dai suddetti vescovi godevano, come tutti 



^) Codice diplomatico iatriano, documento 1216. 

•) Schumi, Urk, u. Regestenhuch des Herz. Krains, pag. 51. ■In no- 
mine sanctae et individuae trinitatis. H(einricus) divina t'avente clementis 
rex Romanorum augustus. Omnium fidelium nostrorum tam presentiuir 
quam et futurorum pie devotioni pateat, quomadmodum nos prò aetemi 



263 

gli altri territori vescovili, il pieno diritto d'immunità ed il 
vescovo aveva sugli abitanti dei propri beni giurisdizione co- 
mitale, senza che per questo i territori si considerassero stac- 
cati dalla provincia dell' Istria, che dipendeva dall' alta giu- 
risdizione del marchese, alla cui decisione i vescovi stessi 
rimettevano le proprie liti. Il nostro documento ci pròva che 
appunto uno dei diritti feudali del vescovo di Frisìnga era 
quello di nominare il tabellione in Pirano, ossia il notaio chia- 
mato a rogare gli atti pubblici. Il vescovo conferisce questo 
diritto assieme colle possessioni a lui spettanti al conte Mainardo, 
che è il Mainardo II della casa di Gorizia, il quale ebbe la 
luogotenenza neiri4tria in nome del marchese Bertoldo III 
degli Andechs, Tavvocazia nel vescovato di Parenzo ed una 
serie d'altre terre per infeudazioni vescovili. Lo stesso Mainardo 
dà a sua volta i feudi ed i diritti comitali in Pirano a certo 
conte Bertoldo. La prova più chiara di quest' infeudazione e 
subinfeudazione ci è data dalle parole del secondo testimonio, 
il quale dice che il tabellione Domenico fu creato tale dal 
conte del nostro castello, cioè da Bertoldo, che ricevette questo 
potere ed il comitato dal conte Mainardo, questi dal vescovo 
di Frisinga, il quale a sua volta lo ebbe dall'imperatore: pa- 
role inoppugnabili, ripetute con poca differenza di forma 



retributione et prò anima patris nostri boni memoriae Heinrici Boma- 
nornm imperatoris augusti obque peticionem et interventum dilecti nostri 
Annonis scilicet Coloniensis archiepiscopi, nec non ob devotum et fidele 
servitium Ellenhardi Frisigensis sedis episcopi quasdam nostri juris 
propriètates ad fÌBcum nostrum pertinentes in Marcha Histria in comi- 
tatù marcblonis Odalrici, inque locis subnotatis, idem (idest), in Pyrian 
et Nivvenburch sitas, cum omnibus utilitatibus ad eas rite pertinentibus, 
lioc est mancipiis utriusque sexus, areis, aedifìciis, terris cultis et incultis, 
agris, pratis, campis, pascuis, silvis, aquis, aquarumve decursibus, na- 
-vìum stationibus, theloneis, molendinis, viis et inviis, exitibus et redi- 
t;ibus, quesitis et inquirendis, cunctisque aliis appenditiis, que uUo modo 
dici vel nominari possunt, ad monasterium S. Andreae apostoli in civi- 
tAte Frisinga a prefato ejusdem civitatis episcopo in dei nomine ini- 
oiatum et constructum, ex proprio in proprium donavimus ea videlicet 
rcttione, ut patribus inibi deo militantibus in quantum ex eisdem bonis 
pjrovideri possit, ad divinum officium peragendum victus et veitibus sin- 
^xilis annis subministrentur....,. 



anche dagli altri testimotii, per dimostrare 1^ orìgine del potere 
e la legalità del notaio che rogò gli atti, con cui Artoico fa 
nominato eindico dal clero e Insto de Bona dal popolo. ^) 

Mentre i dodici testimoni in favore del clero e del popolo 
insistono tatti per dimostrare la legalità degli atti rogati dal 
suddetto notaio, il solo cappellano del vescovo giastinopolitano 
pone in dubbio il diritto del conte Bertoldo sulla nomina del 
tabellione: era un mezzo anche questo escogitato dal suddetto 
cappellano per impugnare la validità degli atti contrari agli 
interessi del suo vescovo. Noi ci troviamo in ogni jcaso in 
un' epoca di transizione fra l' autorità baronale che doveva 
avere la sua sede ormai ristretta al solo castello, ove risedeva 
il burgravio, e per noi tale dev' essere stato il conte Bertoldo, 
mentre fuori del castello era già sorto il Comune che dalla 
battaglia di Legnano aveva preso incoraggiamento per riven- 
dicare P antica libertà municipale romana e liberarsi dalle 
autorità forestiere e contrarie al sentimento del popolo. Colla 
parola potestas si indicherebbe dunque per noi un dei poteri 
del suddetto conte Bertoldo, ma non mai il capo del comune 
che aveva avuto il suo vero podestà ed i consoli già nel 1192, 
quando, forte delle sue libertà municipali, strinse alleanza con 
Spalato per tutelare i propri commerci, o quando nel 1202 
conchiuso pace ed amicizia con Bovigno. 

Dal nostro documento rilevasi inoltre una serie di sette 
vescovi triestini e giustinopolitani, la quale serve a correggere 
in parte quella riportata dal Kandler nelle Ifulicazioni dd lA- 
forale e quella riportata dall' Archeografo triestino nel volarne 
XV;pag. 514. Ed è il testimonio Odorlico deBipaldo, che ri- 
corda i sette vescovi di Trieste e Capodistria, fra i quali uno 
figlio di Stefano di Duino, il quale fu eletto e non consacrato, 
come dice il primo testimonio che confessa di non ricordarsi 
il nome ; e perciò il monosillabo tar del documento esprimerebbe 
targestinus. 



>) Nelle mie Notizie storiche su Pirano, pag. 11, é riportato questo 
passo del documento eh* io attribuiva falsamente al 1201. É carioso di 
notare il modo con cui il tabellione Domenico fu investito di tale ca- 
rica :^cum lampulo mantelli, cum ciroteca, per lampulum pellium e per 
clamidem comitia! , 



ì)alla tavola geneoìogica del Pichler, *) per i quattro figli 
di Stefano di Daino non troviamo nessuno che qualche docu- 
mento comprovi essere stato vescovo; non c'è che il solo 
nome di Yolscalco (1188-1224), secondogenito, il quale è omo- 
nimo del vescovo Volscalco, detto anche Wolfango, canonico 
di Trieste, eletto nel 1190 al vescovato dai suoi colleghi, tut- 
toché il patriarca d'Àquileia ne pretendesse il diritto di no- 
mina, la quale resta perciò sospt>sa fino al 1192, in cui ebbe 
fine la lite tra il patriarca ed il capitolo colla conferma del- 
l' elezione di Voscalco. Secondo il Cappelletti, v. 8, pag. B88, 
ad Enrico (il nostro Oldorico) successe Luìtoldo, il quale tro- 
vasi presente a transazione tra V abate di Moggio ed Adelmota, 
moglie di Stefano di Duino; ma anche questi non potrebbe 
essere il nostro vescovo non consacrato. E probabile dunque 
che, o uno de' quattro figli di Stefano di Duino sia stato ve- 
scovo, che vi sia stato un quinto figlio, il quale non appare 
nella serie dei vescovi perchè non consacrato. 

Prendendo in fine ad esame la serie dei. vescovi nominati 
dal testimonio Odorlico de Bipaldo, vediamo che la loro suc- 
cessione è confermata anche dai documenti del Codice diplo- 
matico istriano : 

Detemaro (1134-1145), «) Artuico (1146-1148), «) Warnardo 
(Bemardo-1 149-1186) *) Odolrico (1187),*) tor (gestinum) >ì/iuw 



') Pichler, Il castello di Duino. 

*) Codice diplomatico istriano^ doc. 1 novembre 1135, 20 giugno 1139, 
agosto 1142, 28 lugUo 1145. 

') Idem, doc. novembre 1152. In questo, con cui il papa Ales- 
sandro III conferma la donazione fatta al monastero di S. Giorgio di 
Venezia del luogo de* SS. Martiri dal vescovo Artuico (Herinicius) è detto 
espressamente che Wernardo (Bernardo) è suo successore, come si vede 
dalle parole: 'ecclesiam Sanctorum Martyrum, quemadmodum eamvobis 
fierinicius qu. Tergestinus episcopus... et tam ipse^ quam snccessor 
ejas W, nunc ejusdem loci episcopus scripto autentico roboraront vobis.,, 

*) Idem, doc. febbraio 1149, agosto 1152, agosto 1152, novembre 
11B2, 1166, marzo 1171, febbraio 1173, 1175, 1176, 9 marzo 1184. 

*) Idem, doc. 11 aprile 1187. Giroldo da Pola chiede rinnovazione 
d* investitura tendale di Caliaedo al vescovo Enrico di Trieste, che non 
può essere altri che VOldaricua nominato dal nostro testimonio. 



256 

Stephani de Duino? Àdatgerio (1167-1212),') Uretmaro;^ i due 
ultimi vescovi solo di Capodistria. 

Se nel 1186 il Comune di Capodistria costituisce la dote 
ai vescovi per 1' occasione che dopo la morte di Bernardo si 
voleva far rivivere la serie dei propri vescovi, devesi ritenere 
Adalgerio per il primo di questi^ col quale incomincia la lite, 
di cui abbiamo parlato. 

Nella chiusa del documento abbiamo inoltre un'altra 
prova del tempo in cui aveva cominciato la lite, poiché il ve- 
scovo nominato Leonardo di Torcello, contemporaneo di In- 
nocenzo ni, fu vescovo negli anni 1177-1197.*) 

prof. L. Morteani. 



Testes clericormxx, et populo piranensiam, qai iara ioraruat 
die quarto decima intrante de decembre, et examinati fueront die 
XIV ezeunte predicto mense, centra lustinopolitanam episcopam. 

Presbiter Venerius iurando dixit : quod dominicus tabellio qui 
fecit cartas sindicatus quas Artuicus diaconns sindicus clericorum, 
et lustus sindicus parrochianorum pii^anensium in iuditio exibuere 
ad proband um se sindicos, tabellio est, et prò tabellione habetor, 
in castro pirano, et omnia instrumenta eius que ipse facit, super 
contractibus, et aliis negotiis, et testamenta autentica habentur in 
castro pirano, et hic testis fuit presens ubi, et quando dictus do- 
minicus fecit iuramentum tabellionatus, coram comi te bertoldo qui 
est potestas ìllius loci per episcopum de frisingo, qui habuit hanc 
potestatem ab imperatorem, et coram gastaldione et populo terre et 
dictus Comes investivit dictum dominicum de tabellionatu cum lampulo 
mantelli, et hoc fuit in triblo de porte domus, presentibas Alberico 



*) Idem, doc. decembre 1189. 

■) Idem, doc. 8 settembre 1216. 

•) Cappelletti, Chiese d'Italia, voi. IX, pag. 365; Cornellio, 
Ad ecclesioé veneto 8 et torcellanas^ Indiees, pag. 66; Codice dipi., 8 agosto 
1177. In atto di Federico I trovasi conferma di beni in Istria al vescovo 
Leonardo di Torcello. 



à57 

jrastaldioDe, Odolrico Ae ripaldo, tohanne filio eius, et lohanne de 
ionane, Adalgerio de ciinÌ9a, et tìsone de plebano, pluribus aliis, et 
hoc fait in quadragesima maiori proxime preterita. Id (terrogatas) si 
iste Artnicus habuìt mandatum a plebano et clericiH piranensibus 
agendi caasam istam? (Respondit) quod ìpse fìiit presens ubi ple- 
banus et dominicns presbiter magister scolarum, et hic testis cum 
advocato suo fecerunt dictiim A. sindicum ad agendam presentem 
caasam, et hoc fuit mense Novembre proximo preterito, secando 
die ezeunte, presentibns Adalgero de cnni9a et tiso de plebano, et 
lastus de bona, et aliis plaribns, in porta de domo, et dicit quod 
tane et ibi lastas de bona fìiit factus sindicus a gastaldione et pepalo 
piranensinm, et dicit quod plebanus et presbiter dominicus, et hic 
testis sponte et sine omni coactioni laìcorum fecerunt predìctum A. 
sindicum ad agendam caasam istam, nec anqnam fuerunt coacti per 
laicos, et dicit quod non fuerunt nisi quatuor clerici ordinarii in 
ecclesia illa, silicet plebanus, presbiter dominicus, et hic testis, et 
Artnicus diaconus^ et dicti clerici nuUam societatem fecerunt cum 
parrochyanis saìs in causa ista, nec in alia contra episcopnm suum, 
vel honorem snnm, et dixit quod in cena domini nuper preterita 
Idem epìscopus excoraunicavit clerìcos piranenses sub acconditione 
si fecissent, vel facerent de cetero societatem cum parrochianis suis 
contra ipsum episcopnm. et tunc plebanus R(espondit) episcopo tu 
non potes nos excomnnicare, nec debes quia parrochiani nostri ap- 
pellavere ad dominum papam et. intraverunt cansam tecum, et si tu 
viceris nos volumns libenter esse tecum. Super decima elei dicit 
qaod ipso recordatur a triginta sex annis retro, et recordatur episcopi 
Wamardi, et cuiusdam alterius tar(ge8tini?) qui fuit electus et non 
consechratus nominìs cuius non recordatur, et episcopi Aldigerii et 
hnius qui nane est, et non fuit eis soluta hec olei decima, set semper 
solata est a sua recordatione Ar. diacono, Walterio candelariis, et 
lohanni hostiario — accipientibus hanc decimam nomine ecclesie 
8. Jeorgii, et aliarum ecclesiarum de pirano, et hii fuerunt instituti 
ad hanc decimam accipiendam per plebanum et clerìcos et gastal- 
dionem, et populum piranensem, et ipsi parrochyani solvunt et sol- 
verunt hanc decimam olei prò recta decima^ et dicit quod hec 
decima olei tota expendetur in ecclesiis illnminandis, et clerìci re- 
linquerunt partem snam, et alias partes illuminationi ecclesiarum, 
et dicit quod non recordatur unquam ftiisse motam controversiam 



m 

saper hanc decimam ne^ae contra clericos, neque contra laicos pira- 
nenses, nec comunitatem, nec diviaim et quisquam portai decimmm 
Sttam ad ecclesiam dantes eam candelariis, et dicit quod io dominica 
prozìma post festoni omnium sanctorum nuper preterìtum episcopus 
lustinopolitanus interdizit divinum offitium populo piranensi. et dicit 
se nihil sivi esse de privilegio episcopi A. iastinopolitani, nisi pridie 
quando ipse legit ipsam in iuditio litteras domini pape, qaibns di* 
citar ammonoisse popalam ad solvendam decimam olei, hic testis non 
yidit, nec audivi legi, de decimis aliaram reram dicit quod clerici 
predicti non habent nisi qnartisiam, reliquas partes habent feoda- 
tarii. libere est nec preciodactus. 

Walterius de lohanne de Waltramo candelarìas iaratas dixit, 
quod dominicus tabellio Aiit factus tabellio a bertoldo comìte ipsius 
castri, et ipse habuit hanc potestatem, et comitatum ystum a cernite 
Mainardo, et iste Mainardus habet comitatum istum ab episcopo de 
frisingo, et ille habuit ab imperatore, et dicit quod iste tabellio 
habetur prò tabellione in pirano, et instrumenta qaae ipse facit^ 
haberentur autentica et firma, hic tamen testis non interfoit sicut 
ipse dicit quando predictus comes investivit predictum dominicom 
de tabellionatu de mandato agendi causam istam dato a plebano et 
clerìcis piranensibus, A. diacono confratri suo, et de die et loco, 
idem quod venerius presbiter, dicit etiam lustum habere et habuisae 
mandatum a gastaldione et populo piranensi ad agendi causam islam 
et defendendi, tempus autem nescit distinguere, locum vero dicit 
faisse in porta, dicit se nescire clericos fuisse coactos ad agendam 
vel defendendam causam istam, et dicit eos sponte agere causam 
istam, et per nallos fìiisse coactos. de ezcomunicatione nihil, et dicit 
C|Uod recordatur a triginta annis et pluribus et semper data esse 
decima olei ecclesie S. Jeorgi per istum et per antecessores saos, 
et nunquam vidit controversiam inde moveri vel fieri per episcopos 
War. et A. nisi modo per istum, et dicit se et Ar. diaconum insti- 
tutos per clericos et laicos fuisse ad coUigendam decimam istam, et 
dicit quod dant oleum istud prò recta decima^ sicut vidit anteces- 
sores suos dare, et de ista decima restaurantur ecclesie et illumi- 
nantur, decimarum vero aliarnm rerum quartisium habent clerici pira- 
nenses, reliquas autem partem habent vassalli episcopi — de privilegio 
et litteris episcopi nichil sit, nisi quia audivi in iuditio pridie legi extra- 
ctum litterarum ipsarum et ipsum privileginm — libere nec precioductus. 



tohannìs hostiarias ioratos dizit de tat>ellione silicei quod sii 
£Eiotìi8 tabellio a bertoldo potestate pirani qui habet hanc potestatem 
ab episcopo de frisingo, et ille dominicas habeatur prò tabellione in 
pirano, et qaod instramenta confecta ab eo abeantur autentica, ibi, 
et rata. Idem quod presbiter Yen., ezcepto quod non interfuit quando 
ipse iaravit tabellionatum, et quando dictus bertoldus in vesti vit eum, 
de tempore dicit quod sit circa medium annum quod fuit creatus 
tabellio, de creatione A. sindici, idem quod presbiter V. sed ex 
auditu de creatione Insti sindici facti in triblo in porta domus idem 
quod presbiter V., et interfuit. de coactione clericomm Interrogatus 
R(e8pondit) quod non fuerunt coacti a gastaldione et populo ad 
agendum cansam istam sed sponte agunt eam, de excomunicatione 
plebani et clericornm dicit se nichil scire, de privilegio episcopi 
dicit clericos nichil sisse. Similiter de litteris domini pape missis ad 
populum ad monendo eos ut decimam sol veroni episcopo dicit se 
nichil sire, et de comissione facta patriarche nichil sit, de decima 
olei dicit quod parrochiani de pirano solvunt eam ecclesie S. Jeorgii 
integraliter, et hoc «iicit quia ipsi solvunt eam candelario, et can- 
delarius dat isti testi in custodia, et ipse dividit per ecclesias, et 
Iste habuit hoc offitium iam per quatuor annos, et ita data est 
decima a quinquaginta annis retro, et tempore huius et tempore 
predecessorum snorum videlicet dominici. Amici, et lohannis et Amici, 
et nunqnam sit controversiam motam super hoc per episcopos Insti- 
nopolitanos, et dicit quod clerici nnllam partem percipinnt de hac 
decima; set totam relinquerunt ecdesiis illuminandis, et dicit quod 
plebanus cnm clerìcis suis constitnit A. diaconum sindicum col- 
lectorem huius decime, et Ghistaldnm ordinarium alterum nomine 
Wal. qui colligunt dictam decimam nomine ecclesie S. Jeorgii de 
decimis aliarum rerum Idem quod Wal. de numero clericomm idem 
quod presbiter — libere nec precio ductus. 

Tiso Index de pirano iuratus dixit quod dominicus tabellio 
fuit factns tabellio a bertoldo comite de pirano, qui habet hanc po- 
testatem a comite Mainardo, et Mainardus habuit hanc potestatem 
ab episcopo de frìsingo, et episcopus habuit eam ab imperatore; et 
dicit quod dictus dominicus habetur prò tabellione in terra illa, et 
ìnstrumenta que ipse &cit in terra illa sunt autentica et firma et 
rata, et dicit se interfuisse ubi plebanus et clerici instituerunt cum 
suo advocato A. diaconem sindicum suum ad hanc cansam agendam 



et gastaldias et populus inatitaemnt lustum de Bona sindicam suam 
similiter ad hanc cansam agendam, et hoc fuit in porta domus, et 
dicit qnod A. diaconus faìt instìtutus sindicus in vigilia S« Andree. 
Justus vero aut param antea, ant parum postea, et dicit quod ple- 
banus nec clerici nunquam faerunt coacti per laicos agere causam 
istam. de excomunicatione nichil sit, nec aadivit, nisi altera die 
quando episcopns dizit hoc in iaditio, et dicit qaod recordatur a 
qninqaaginta annis retro, et a tempore sue recordationis semper fuit 
soluta hec decima a parrochìanis piranensibas ecclesie S. Jeorgii, in 
pace et quiete, et ad aliis ecclesiis, et nunquam fuit solata episcopis 
iustinopolitanis, nec episcopo Wa. nec A. nec aliis, et nunquam fuit 
mota controversia super hanc ab aliis episcopis nisi ab isto. Col- 
lectores vel reaptores istius decime instituuntur a plebano et clericis, 
et a gastaldiis, et populum piranensem, qui colligunt et recipiunt 
eam nomine ecclesie, de qua decima clerici nichil sibi retinent, set 
totam reliquerunt suis ecclesiis illuminandis et restaurandis ; et dicit 
quod episcopus suspendit populum ab ofBtio divino dominica die 
post festum omnium Sanctorum, et hoc fuit post appeliatione quam 
populus fecerat ad dominum papam circa quadragesima proxime pre- 
teritam — de privilegio episcopi, et litteris domini pape nichil scit, 
nisi altero die quando lecte fuerunt in iuditio. de litteris comissionis 
facto Gradensis patriarche dicit se sisse, et noscit quod littere pre- 
sentis comissionis fuissent impetrate per mendacinm — libere nec 
precio ductus. 

Aldagerìus de cuni^a iuratus dixit de tabellione quod sit creatas 
tabellio a bertoldo comes eorum qui habuit hanc potestatem a comite 
Mainardo, qui Mainardus habet hanc potestatem ab episcopo de 
frisingo, qui episcopus habet hanc potestatem ab imperatore, de 
tempore et loco quo fuit factns tabellio iste, et quo istrumenta eiaa 
facta autentica et rata ; idem quod tisO; de coactione clericoram 
silicet quod non fuerunt coacti a laicis, et de creatione A. diaconi 
in sindicum plebani et clericorum, et de loco et tempore creationis 
Idem quod tiso, et nescit plebanum et clericos piranenses fìiisse 
excomunicatos per episcopum, de decima olei, et aliarum rerum, et 
de institutione reaptorum ipsius decime nomine ecclesie S. Jeorg^ii 
Idem quod tiso, et hoc dicit observatum a quinqnaginta annis hinc 
retro pacifico et quiete ; de interdictione offitii, et de tempore in- 
terdicti Idem quod tiso, et dicit quod parrochiani piranenses 



261 

appellaverant ab episcopo ad domìnum papam longo tempore antea, et 
dicit se Descire de privilegio episcopi aliqaid nisi postquam lectam 
foit in iadidio, De litteris con monitoriis domini pape dicit eas datas 
foisse gastaldioni sao. et postea habito Consilio, appellationem ad 
domìnum papam, et dicit se scire de litteris commissionis facte 
domino I. gra densi patriarche bone memorie, et dicit litteras co* 
missionis facte torcello et primario gradensi obtentas per veritatem, 
et dicit quod clerici nullam socletatem fecerunt cum laicis centra 
episcopam sanm, libere nec predo ductas. 

Johannes de Almerico ludex iaratus dixit de creatione tabel- 
lionis facta a bertoldo, et loco e tempore^ et a quo vel a quibus 
hec potestas emanaverit in bertoldum, et quod instrumenta facta per 
tabellionem sint ibi autentica et firma, et de creatione A. diaconi 
in sindicum facta a plebano et clericis pirauensibus, et loco et tempore, 
et quod clerici non fuerunt coacti a laicis ad ageudam causam istam, 
et nullam socie tatem fecerunt cum laicis centra episcopum suum, et 
quod clerici non fuerunt excomunicati per episcopum. Idem quod 
Adalgerius, dicit etiam quod lustus fuit creatus sindicus a populo 
piranensi et gastaldione, sed quo die fuerit factus non recordatur. 
de decima elei, et de institutione recipientium eam nomine ecclesie 
pacifico et quiete a quinquaginta annis retro et plus, et de decima 
aliarum rerum Id quod tiso, de tempore interdicti offitii — id quod 
ad AL — dicit tamen fuisse appellationem ab istis ad dominum 
papam tempore I. gradensis patriarche — de privilegio episcopi 
dicit se nichil sisse, nisi cum lectum fuit in iuditio, de litteris am- 
monitoriis domini pape nichil sit, et dicit se sire quod haec causa 
fuit comissa domino I. gradensi patriarche, de impetratione comis- 
sionis facte torcello, et primario gradensi — idem quod Adalgerius. 
libere nec precio ductus. Idem lohannes ludex re versus dixit, quod 
ipse mandato gastaldionis et populi nomine eorum appellavit ab 
episcopo lustinopolitano ad dominum papam XI die intrante Marcio 
proximo preterito ab omni gravamine. 

Petrus dei mena iuratus dixit de creatione tabellionis facta a 
bertoldo comite eorum, et loco et tempore, et de personis per quas 
hec potestas evenerit in bertoldum, et quod instrumenta facta per 
istum tabellionem sint autentica ibi et firma — idem quod Adal- 
gerius, dicit tamen quod investivit eum bertoldus cum ciroteca. Item 
de eo quod clerici non fuerunt coacti a laicis ad agendam causam 



262 

istam, et quod ipsi sponte creaverunt Ax. diaconem sindicum saam 
ad cauBam istam agendam, et qaod clerici non sint excomnnicati per 
episcopam idem qaod AdalgerìnS| de creatione Insti in Bindicnm 
idem qaod tiso, de decima elei solata pacifico et qaiete ecclesie 
8. Jeorgii a pepalo piranensi et de institatione recipientiom eam 
nomine ecclesie, et de decimis aliaram reram — idem qnod tiso, de 
interdicto of&tii facto pepalo piranensi ab episcopo, et de tempore. 
Idem qaod Adalgerias^ dicit tamen prias faisse appellationem a 
pepalo ad dominam papam silicet postqnam lastas reversas est 
romam, de privilegio episcopi nicbil siebat, similiter de litteris am- 
monitoriis domini pape nichil siebat, de litteris comisaionis facto 
gradensi patriarche, et de litteris impetratis ad torcellam et pri* 
mariam gradensem an faissent aabtente per mendatinm nichil sìt 
libere nec precio dactas. 

Odarlicas de ripaldo iaratas dixit de creatione dominici in 
tabellionem facta a bertoldo, et loco et tempore, et de personis per 
qaas et a qaibos hoc potestas pervenerit in bertoldum, et qood in- 
stramenta §àciA per ipsam tabellionem sint ibi rata et aatentica, idem 
qaod tiso, et dicit qood faìt investitos per lampalam pellium ber- 
toldi, de institatione A. diaconi in sindicam clerìcoram dicit ex aadita. 
Interfnit tamen ubi gastaldas et popalas institaerant I. sindicam 
saam in arengo, dicit clerìcos non faisse coactos a laicis ad caosam 
istam agendam, et non fecisse societatem cam laicis centra episcopom 
saam, et nescit clericos fuìsse ezcomunicatos ab episcopo de inter- 
ditione ofHtii et de tempore interdicti, idem qaod tiso, et dicit qaod 
faerat appellatio per laicos prima die martii, et dicit qaod recor- 
datar a sexaginta annis et plas qaod decima elei est data ecclesie 
S. Jeorgii, in pace et qaiete, per ìstum t^stem et patrem saam et 
avum saam et per alios homines piranenses. de institatione reci- 
pientiam decimam istam nomine ecclesie S. Jeorgii, idem qaod tiso, 
ed privilegio episcopi et de litteris ammonitoriis domini pape ad 
popalum piranensem, nichil de litteris comissionis ad torcellam et 
prìmariam gradensem an faisse aabtente per mendatinm nichil. 
Scivit tamen cansam istam fuisse comissam domino I. gradenai pa- 
triarche, et recordatar VII episcopos faisse in tergestina civitate, et 
Instinopolitana, silicet Dietamarium, Artaicam, Wamardam, Odol- 
ricum, tar(gestinam ?) filinm Stephani de Daino, Aldigerìnm et pre- 
sentem, et nullo eoram foit hec decima elei solata, nec per eoa inde 



268 

mota controversia Disi modo per istum, de decimis aliaram reram, 
at presbiter V. libere nec precio dactus. 

Laurent! as de marzana iuratos dizit: de creatione tabelìonis dicit 
non interfuit quando factas est, dicit tamen ipsum haberi prò ta- 
bellione in castro ilio, et instrumenta facta per eum dicit ibi aberì 
autentica et firma, de personis a quibus hec potestas defluxit in 
bertoldum, concordat cum tisone, de creatione sindicorum dicit ex 
anditu et dicit publicum esse ibi A. diaconem esse sindicum cleri* 
corum, et lustum de bona esse sindicum laicomm, dicit clericos non 
coactos a laicis set sponte agere causam istam et non fecernnt so- 
cietatem cum laicis agendi causam istam centra episcopum, de esco- 
municatione clericorum nicbil sit, de interdictione offitii, idem quod 
alii, de appellatione nichil, de decima olei dicit quod recordatur a 
qoinqaaginta annis et plus et semper data est ecclesie S. Jeorgii, 
in pace et in quiete, et sine omni controversia, de creatione reci- 
pientium dictam olei decimam nomine ecclesie, dicit quod unus eorum 
qui est clericus instituitus per plebanum et clericos. Alter eorum 
laicus instituitus per gastaldionem et populum. de litteris impetratis 
a torcello et adprimarium gradensem, dicit quod fiierunt obtente per ve- 
ritatem. de comissione facta patriarche dicit ex auditu. de privilegio epi- 
scopi et litteris domini pape ammonitoriis nicbil. lìbere nec precio ductus. 

lobannis de i mena iuratus dùrìt de creatione tabellionis facta 
a bertoldo comite tempore et loco et personis a quibus hec potestas 
pervenit in bertoldum, et quod instrumenta eius habeantur autentica 
ibi, et de creatione A. diaconi in sindicum clericorum, et de loco 
et tempore. Idem quod Adalgerius. de tempore creationis tabellionis 
recordatar. de creatione Insti de bona in sindicum facta a populo in 
porta de domo. Idem quod Wal. de tempore non recordatur. In 
capitulo coactionis clerìcorum et societatis cum laicis, idem dicit 
quod Adalgerius. de excomnnicatione clericorum nichil. de interdictione 
offitii, idem quod Venerius presbiter, de decima olei soluta a laicis 
ecclesie S. Jeorgii a triginta annis retro, et quod eam ipsa ecclesia 
possederit tanto tempore pacifico et quiete, et de institutione reci- 
pientium eam nomine ecclesie id quod Wal. de litteris ammonitoriifi 
nichil. de privilegio tantum modo sivit, cum audivi ipsum legi in 
iaditio. de litteris aubtentis a torcello et ad primarium gradensemi 
idem quod Adalgerius. de litteris impetratis domino I. gradensi 
patriarche sit quia eaa vidi — Ubere nec precio ductus. 



264 

lohanjxis corvellos iuratus dixit de creatione tabellionis, et 
loco, et de persona qaa fuit creatoS; et de personis a quibas per- 
sona creatis habuit anctoritatem creandi. et de investitura tabellio- 
natas facta per damidem comitis et qnod instromenta sua sint 
autentica ibi, et de creatione A. diaconi sindici clericonim, et de 
loco sindici et tempore, idem qnod presbìter Venerios. de tempore 
autem tabellionis non recordatnr, et dicit interfuit quando lustus de 
bona fuit creatns sindicus a gastaldione et populo, silicet rìcordatur 
quando, et de coactione clericonim et societate faota a laicis et 
cum laicis. Idem quod Adalgerìus, de interdictione offitii et tempore, 
idem quod presbiter Yen., et dicit appellationem factam a Insto, et 
lohanne indice nomine populi ad domìnum papam ab ipso episcopo 
mense marci, et hoc quia vidit instrumentum appellationis inde 
factum, de decima elei data ecclesie S. Jeorgii a parrochianis pira- 
nensibus, quiete et pacifico per triginta annos, et de institutione 
recipientium eam nomine ecclesie, et quod ecclesia possederet eam 
a triginta annis per dictum tempus, id quod presbiter V. de privi- 
legio episcopi et litteris domini pape commonitorìis missis populo 
piranensis prò decima olei solvenda episcopo nichil. dicit se scire 
fnisse factam comissionem huius cause domine I. gradensi patrìarche, 
et dicit littore comissionis aubtente a torcello et primario gradense. 
sint aubtente per veiitatem, et non per mendatium. de ezcomunica- 
tione dericorum nichil sit. libere nec precio ductus. 

Albinus de domda iuratus dixit de creatione tabellionia a 
bertoldo comite tempore et de loco, et de personis a quibus et per 
quas iurisdictio illa venit in comitem bertoldum, et quod abeator 
prò tabellione, et quod instrumenta sua sint autentica ibi. Idem 
quod presbiter V. de creatione A. diaconi in sindicum dicit ex auditn. 
de creatione Insti in sindicum dicit ex visu. Idem quod loh. cor- 
veline, set non recordatur, et dicit clericos non fuisse coactos a laicis 
ad agendam causam istam, nec sit quod societatem fecissent cum 
laicis centra episcopum suum. de excomunica tiene clericornm nichil, 
de decima olei data ecclesie S. Jeorgii a sexaginta annis retro pa- 
cifico et quiete, et de institutione recipientium eam. Idem quod 
presbiter Yen., et numquam fuit mota controversia dericis vel laicis 
supra ac decima ab episcopis lustinopolitanis vel tergestinis, nisi 
modo, set ecclesia S. Jeorgii pacifico et quiete possedit eam per 
dictum spacium annorum, de interdictione offiti, idem quod presbite] 



265 

V., de appellatione nichil, de privilegio episcopi| et lltteris cornino- 
nitoriis domini pape nichil, de comissione facta I. gradensi pa- 
trìarche dicit ezaaditu. de litteris aubtentis a torcello, et primarium 
gradensem fnisse impetratas per veritatem, et non per mendatium. 
libere nec precio ductas. 

Testes domini episcopi lustinopolitani centra clericos et pepalo 
piranensi qui ioraverunt die XIV intrante decembre, et examinatus 
est die £111 ezeunte eodem mense I. Prepbiter pe^rns cappellanas 
lustinopolitani episcopi. luratas dixit. de facto tabellionis dominici 
civium carte dncte snnt in iaditio ad probandam sindicatom Artai. 
diaconi, et Insti de bona dixit se nescire an sit tabellio vel non, credit 
tamen qnod bertoldus qui dicitur fecisse eum tabellionen non pò- 
tuerìt eum &cere, quia non habet hanc potestatem. de coactione cle- 
ricorum dicit se nichil scire, dicit tamen se interfuisse in cena 
domini quando dominns episcopus lustinopolitanus ezcomunicavit 
clericos piranenses, sub ac oonditione, si fecissent vel facerent so- 
cietatem cum laicis piranensibus centra episcopum, et dicit quod 
ipse est moratus cum episcopo iste per octo annos sicut credit et 
circa duos cnm Aldigerio, et uterque eorum petunt decimam olei a 
parrochianis piranepsibus, set non fuit eis soluta, et nescit quando 
A. trazisset eos in causam, de iste dicit quod misit litteras dpi^ini 
pape quibiis ammonebat eos ad decimam olei prestandam ipso 
episcopo, et si noQ solve^ent quod dominus jpapa haberet ratam 
sententiam quam ipse episcopus ferret in eos. Iste tamei^ autem 
testis non interfuit representatigni litterarum, sed dicit hoc ez rela- 
tione nuncii qui eas portavit et eor.um qui fuerunt cum eo. libero 
nec precio ductus. 

Ego Uan&edus presbite^ X(sti) Notarìus rogatus Interini 
lurationi, et ezaminationi predi ctorunji testium, et iussa vissu domini 
Leonardi dei gratia torcelli episcopi delegati domini pape Innocentii 
9crìpsi compilavi et roboravi. 



),f¥)fiJ^>MMi*^f<>MAÒAb^^ 



WfK'Wf^-WT^'WrrWS^-WÌI^-WS^yrf^'W 



EDIFICIO ROMANO 

seoperto nella villa di Baroola 



Belazione degli scavi eseguiti per cura del civico Museo di 
Antichità negli anni 1888 e 1889, 

(V«di ToL XVI oon 1* HbMvtk tevoU.) 



n. 



Abbiamo dovuto interrompere la stampa della nostra 
relazione su queste scoperte, non credendo di poterla prose- 
guire senza unirvi i disegni dei pavimenti musivi ; avvegnacché 
difficilmente colle sole parole saremmo riusciti a rilevare la 
loro struttura e qualità. Riprendendola ora, ci corre l'obbligo 
di ripetere i nostri ringraziamenti all' egregio sig. G. B. Sencig, 
il quale, come abbiamo già menzionato, non solo ne eseguii! 
rilievo di tutti, ma volle pure ritrarre le principali stanze^ 
facendo dono al civico Museo di Antichità di parecchi bellissmii 
quadri. Con grato animo dobbiamo parimenti avvertire clid il 
disegno degli altri e la riproduzione della maggior parte sulla 
pietra sono opera diligente del signor Emesto Cortivo, e che 
particolare riconoscenza va tributata agli egregi signori pro- 
fessore 6. B. Baldo ed N. Camus, i quali con isquisita gen- 
tilezza apprestarono le zincografie inserite nel testo. 

Incantevole è la posizione di Barcola, e seppero apprez- 
zarla gli antichi romani, che dalla sua configurazione naturale 
chiamarono il luogo col nome di Vallicula. Da questa voce, 



che nel gergo del popolo erasi già anticamente semplificata 
in Vcdcula, mediante il passaggio della V in B, della { in r, 
e della u in o, derivò il nome odierno di Barcóla^ nella stessa 
guisa in cui si formarono Scorcola da Scolcula, Chiarbóla da 
Calmila, Servala da Silvida, nomi anch' essi di contrade della 
nostra Trieste. 

La costiera rocciosa della Carsia, dopo aver seguito per 
lungo tratto la spiaggia del mare, si volge verso Levante, for- 
mando col poggio di Gretta un avvallamento^ cui il declivio 
scendendo a scaglioni e terrazze dà 1' aspetto di un ampio 
anfiteatro. Il verde cupo de' pini, co* quali si cerca ora di 
restituire le antiche foreste a quelle vette, contrasta mirabil- 
mente col colore biancastro delle rupi calcari, e più sotto 
vigneti ed olivi spiccano con non minore armonia dal fondo 
grigio e bruno degli strati marnosi. Più che in qualunque 
altra parte dell' agro tergestino è qui rigogliosa la vegetazione, 
alimentata da un suolo costantemente umido e protetta contro 
l'infuriare de' venti, ove la favorisce il calore del sole estivo 
temperato dall'aria fresca e pura del mare. 

Accanto agli ulivi prosperano altre specie di alberi frut- 
tiferi. Vi campeggiano il noce ed il castagno, ed il fico spinge 
in ogni dove le serpeggianti radici e cogli indomiti rami 
attraversa le siepi e sorpassa i muri. La vite non potrebbe 
trovare dimora più acconcia, ed i vini del versante della riviera 
dal Timavo a Trieste fino dall' antichità a ragione annove- 
ravansi fra i più prelibati. Tale il pucino, che quale nettare 
divino, raccolto in poche anfore, prolungò e rese lieta la vita 
alla consorte di Augusto ; tale la ribolla, con cui Trieste pagava 
i suoi tributi e che era ambita alle mense principesche e tenuta 
in conto di farmaco miracoloso. Oggi la vite vi si coltiva con non 
minore diligenza del passato, e noi la vediamo prosperare su ogni 
zolla, finche è giovane, coi tralci avvinti alle pertiche, quindi ri- 
piegati su basse pergole, per vetusto costume appropriato alla 
forte inclinazione del luogo ed alla natura del terreno.^) Alla 
campagna conferiscono vaghezza filari di gelsi e gruppi di lauri 



^) Hehn V., Ktdturpflanzen und Hausthiere, Berlino, 1887. 



268 

sempre verdi, ed al paesaggio bello e ridente sono cornice i 
boschi di frondose querce piantati nelle parti più elevate della 
formazione arenaria Ovunque aiuole di verde smagliante de- 
corano i giardini e gli orti, ed i fiori, che si avvicendano senza 
posa da aprile a novembre, sono testimoni dell* ubertà del saolo 
e della dolcezza del clima. 

Negli ultimi tempi le condizioni di Barcola subirono note- 
vole mutamento. L'industria fece sorgere vari opifici e vi attrasse 
numerose famiglie di operai. I bagni marini creati su quella 
stessa spiaggia, presso alla quale giacevano i ruderi romani da 
noi esplorati, e le migliorate comunicazioni v'infusero nuova 
vita ed aumentarono il numero degli abitanti e l'affluenza 
de' cittadini. Rapidamente il piano e le pendici si popolarono 
di ville e caseggiati ; nuove e belle stade vennero aperte, le 
vecchie allargate ; le rive furono ricostruite e rafforzate con 
solida muratura, offrendo alle barche un luogo di sicuro approdo 
e convertendo lo spazio strappato al mare in grazioso giardino. 
Vi s' introdusse 1* acqua delle fonti d* Aurisina, V illuminazione 
a gas, ed i costumi e gli usi odierni v' apportano mai sempre 
nuovi e non pochi conforti. Barcola diventò pertanto un vero 
sobborgo della città, ma a scapito della sua naturale bellezza. 
Le campagne, che prima sembravano quasi tuffarsi nelle onde, 
si ritirarono ora sino alle falde del monte, cedendo il lor poste 
ad edifici, nei quali, fatte poche eccezioni, invano si cercherebbe 
il sentimento artistico. Vi predominano mostruosi raffazzona- 
menti di stile eclettico, dal gotico al barocco, dal meridionale 
al nordico, tutto vi è rappresentato, ma con si poco gasbo 
estetico che le rozze e povere case coloniche nulla hanno per 
vero da invidiare. Fra tante brutture non vi mancano nemme^ 
le cipolle moscovite, che qualche sognatore di siberiani amplessi 
cerca di educare in questo suolo, dimenticando il povero illuso 
che il nostro cielo è stato e sarà sempre micidiale a qualunque 
coltura esotica, e che per nulla commosso dal pallido riflesso 
di quell' oro, farà irremissibilmente meurcire anche le sue cipolle. 

Non ostante queste novità Barcola offre ancor sempre 
gradito ed attraente spettacolo, sia che la si osservi dal largo 
del mare, sia che la si scorga dall' alto di Gretta o dalla gola 
di Contovello o più sopra dal ciglio della Carsia. Com' oggi, 



èssa fa anche in passato prediletto ritrovo de* cittadini, ed 
ancorché difettino le fonti scritte, noi ci apponiamo al vero 
stimando che più che mai ricercato ne fosse il soggiorno al 
tempo della dominazione romana, quando Trieste fioriva non 
solo quale colonia militare, ma altresì quale piazza di com- 
mercio e capoluogo di una vasta regione, ed Aquileia godeva 
di tanta rinomanza da essere riguardata per la seconda città 
d' Italia. E crediamo che le condizioni del clima fossero allora 
ancor migliori; giacché meno impetuose dovevano essere le 
raffiche del vento^ rattenute e moderate dalle dense boscaglie del 
Carso, che non erano state divelto già nelP epoca preistorica 
per opera deUa capra, come a qualche egregio scienziato 
piacque non ha guari di asserire, ma che secondo vari indizi 
durarono invece sino nel medio evo, quando la loro distruzione 
fu perpetrata dalla mano dell' uomo, di gran lunga più vorace 
del dente di queir animale. 

Le scoperte archeologiche, delle quali ci fu tramandata 
memoria, confermano che nei punti più ameni della riviera, 
massimamente nella valle di Barcola, esistevano spesse ville, 
situate presso alla spiaggia, o più in alto in mezzo a freschi 
boschetti e variopinti giardini, donde ancor più godevasi del- 
l' immensa distesa del mare. Gli scavi da noi praticati ci danno 
ragione per inferire che i villeggianti, oltre che da Tergeste, 
y' affluissero anche da altri luoghi e principalmente da Aquileia, 
ai cui abitanti questa riviera offriva la comodità di tenere le 
loro dimore campestri in luogo non molto distante dalla città ed 
accessibile tanto dalla parte di terra quanto per la via mare, 
e di poter recarvisi pure durante T inverno per distrarsi dalle 
fatiche, come non sarebbe stato possibile in altri punti della 
costa, meno lontani, ma più esposti ai rigori del freddo e 
causa i bassi fondi e lo spirare frequente dei venti sciroccali 
di difficile approdo per le navi. 

Le rovine, delle quali tratta la nostra relazione, sono gli 
avanzi di una villa suburbana, corrispondente ad una villa di 
delizia dei nostri giorni, le cui parti, come già abbiamo avvertito, 
vennero erette in epoche diverse, a seconda che mutarono la 
fortuna e le esigenze de' proprietari, che appartenendo alla 
classe più elevata per censo^ erano maggiormente degli altri 



proclivi ai capricci della moda e sdgaendo 1^ impulso clie vònivà 
dalla capitale, adottavano spesso nuovi usi e costumi, non di- 
versamente e forse più di quanto si suol fare a' giorni nostri. 

Oiudicando dalle marcate differenze che si osservano nella 
maniera di costruzione, ci pare di scorgere che originariamente 
due edifici distinti, siti a breve distanza l'uno dall* altro, 
formassero* il complesso di questa villa. Il primo giaceva a 
sinistra di chi guarda dal mare, nello spazio che fu occupato 
successivamente dall' emiciclo, che nella nostra pianta è se- 
gnato colla lettera Z', e dalle stanze contigue. Besiduo ne 
sarebbe la camera scoperta circa mezzo metro sotto il livello 
dell' emiciclo medesimo. E di fatto il pavimento musivo di essa, 
di lavoro molto accurato, palesa un' età più remota, alla quale, 
vale a dire al primo secolo deir impero romano, spettano le 
monete che si raccolsero nello stesso strato. 

Il secondo edificio era posto a destra con una faccia sul 
mare e con un' altra a mezzogiorno. Comprendeva parecchie 
delle località enumerate colle lettere F a T, le quali erano 
addossate ad un cavediO; che abbracciava parte dell'area, su 
cui più tardi s'innalzò il peristilio U, ed aveva ai lati altre 
camere e nel punto i il pozzo, che fìi trovato sotto il piano 
della camera Y. I muri sono fabbricati con filari paralleli di 
sola pietra riquadrata e bene connessa, ed i musaici dei pavi- 
menti, all' opposto degli altri meno antichi; si compongono di 
pietruzze diligentemente tagliate ed esattamente combinate. 

Più tardi, forse alla fine del secondo secolo od agli inizi 
del terzo, alcune delle primitive località vennero ricostruite a 
a nuovo, altre vi si aggiunsero, e coU' andar del tempo la nostra 
villa, sempre più ingrandita, si estese lungo la riva del mare 
su d' una linea di quasi 140 metri, sorpassando da ambo le 
parti i limiti delle due fabbriche preesistenti ed occupando 
inoltre una vasta superficie dal lato postico, come dal piano 
chiaramente si riconosce. Le porzioni rifatte e quelle aggre- 
gatevi differiscono dalle primitive per il modo onde sono fab- 
bricate. I loro muri, 1' uno dall' altro molto diversi in spessezza^ 
sono di pietra arenaria e calcare rozzamente spezzata ed adibita 
alla rinfusa insieme con mattoni e per sino con laterizio che ante- 
rio vmen te aveva servito ad altro uso, cioè avanzi di embrici, cU 



271 

tegole ed anche coòci di anfote e dolii. E quel genere di costru- 
zione che gli antichi chiamavano opus incertum e che si può 
paragonare con un' opera eseguita con somma precipitazione, 
nella quale in mancanza di altro materiale si dovette impiegare 
tutto ciò che trovavasi sottomano o potevasi raccogliere non 
molto lungi dal luogo. Naturalmente i muri dovevano presentare 
non pochi difetti ed irregolarità ; ma si queste che quelli prò- 
curavansi di nascondere sotto l' intonaco, che sapevasi rendere 
molto tenace e bene aderente. Similmente riguardo ai pavi- 
menti musivi, dei quali ve ne sono alcuni pregevoli e per 
disegno e per effetto, dobbiamo osservare che di tutti meno 
finita è la fattura. 

Quantunque i risultati delle nostre ricerche non furono 
tali da cambiare ogni congettura in evidenza, nondimeno ci è 
lecito di ammettere che questa villa fosse la residenza cam- 
pestre di una ricca famiglia, la quale, come allora accostu- 
mavasi, vi teneva numeroso stuolo di liberti e schiavi ed amava 
poter godere di tutti gli agi ed i comodi confacenti alla vita 
lussuriosa di quei tempo. Oltre alle camere destinate per abita- 
zione de' propri e quelle riservate agli ospiti, v' erano le sale 
per i convitti, le località per le riunioni ed i giuochi, un 
appartamento con più stanze per il bagno, che abbenchè 
fosse ristretto, era pure fornito dei comodi offerti dalle pub- 
bliche terme, 1' alloggio per i servi, gli stallaggi, le rimesse, 
i magazzini ed altri luoghi ancora. Cosi almeno crediamo di 
poter dedurre dalla grande estensione del complesso degli 
edifici, che compongono la nostra villa, alla quale, se teniamo 
conto che da due lati non ci fu dato di raggiungerne il limite, 
dobbiamo assegnare una superficie di almeno 4000 metri qua- 
drati. Di questi ben 3460 furono da noi esplorati, e le molte e 
varie località ridonate alla luce giustificano appieno il nostro 
giudizio. Per lo contrario fu impossibile di stabilire quale fosse 
la configurazione di ogni parte, quale 1' altezza, quali le de- 
corazioni architettoniche, quale l'aspetto delle facciate. Lo 
stato di deperimento in cui abbiamo trovato queste rovinei 
non ci permette di addentrarci nei singoli dettagli. Tuttavia 
riteniamo che mancasse un piano superiore, e se qualche località 
r aveva, questo non poteva essere se non un ammezzato. Certo 



è invece ohe la faccia Veréo ìné2S2ogiol!ixo 6ra fornita di tìii 
portico sorretto da colonne di brdihé dòrico, che la fronte prin- 
cipale, volta veiDò il hiare, era adorna pur essa di porticiEito, 
ma che le sue parti, molto diverse V mia dall' altra, noìi si atte- 
nevaiio alla dtessa linea e la sorpastovano a sinistra, ove un 
corpo di fabbrica sporgeva sulla riva, che era validamente 
morata e sulla quale scóndevasi per due scalinate. Qui per 
certo èra uno dei punti d* at)pr6do delle barche ; mentre dal lato di 
terra, la villa era méssa in comunicazione còlla via consolala, 
che da Moncolano scehdeva a Tergeste, é come abbiamo veduto, 
passava a breve distanza. L' abqùa in'ediante condotto tubolare 
era derivata direttamente da qualche sorgente, forse da quella 
stessa che oggi aliihenta il vicino hiscello, e bastava non aolo 
ai bisogni domestici ed al bagno ; ma giovava anche alla coltura 
del giardino e vi alimentava le piscine e le fontane zampillanti. 
I pavimenti à musaico, il tórso mairmoreo rinvenuto nella 
camera G, i frammenti di niarmi finissimi e le altre cose raccolts 
ci assicurano clxe qn'esta vUla suhtirbcka èra fabbricata ed 
addobbata con molto luséo nelle Sue parti inteme cóme al di 
fiióri, secondo lo ^idigeVa il modo di Vivere nelle campagne, 
ove sotevaìisi passare aU' aperto mólte ore del giorno per godere 
della natura. Epperò presso i Romàni la painione edilizia ma- 
nifestaVaàl nelle viU'é mólto più che n^Ue dimore cittadine. 
Laddove la paHe esterna di queste era ge!neralmente negletta, 
essendo per io più composta di nude muraglie, quelle ri8e^ 
vate ai jpiaceri, stiliuolo precipuo del Villeggiare^ sfoggiavano 
invece esuberaii2a di ornamentazioni architettoniche e d' eltro 
ge'nere sulle stesse faksciatè, che a differenza delle case di città, 
erario qui formte di spaziose ^nestre e di vasti portici. Ha la 
simmetrìa invece vi era di gran hi'Qgà più trascurata, essendo 
che i costruttori cercavano di provvedere sopra ogni altra cosa 
ai ;^ropri comodi ed ai bisogni creati dalle peculiari condi- 
zioni del Itiogo, anche con iscapito della corrispondenza delle 
liiiee e delle partì ; laonde lion deve far meraviglia se per avere 
il sole dtirante V inverno o per esserùe al riparo ìiell' estate o 
per altro effetto, aldune località sporgevano oltre la fronte. 
Tuttavia rimpressióùe generate poteva riuscire mai sempre 
gradevole e affascinante, e tale siamo persuasi che fosse l' aspetto 



&7é 

delia villa di Barcola, favorita é résa ^iù splèndida dalla 
bellezza e dalla vivacità della natlira. 

Nel descrivere le sne parti nói ci siamo proposti di atte^ 
nerci ai risultati delle ricerche ; cosicché evitando vaghe oon'^ 
gettare, ci soffermeremo intorno a quelle località, delle quali 
sono evidenti la destinazione e l'uso, ovvero per via di con- 
fironto riesce feicile di additarli. Per dire di più sarebbe neces^ 
Bario che la distruzione fosse avvenuta in pochi giorni e per 
opera di altri fattori, che non avessero cancellato tutti i residui 
della vita passata, o fatto sparire gli accessoil che sono propri 
dei diversi ambienti di una casa. Non vi bastano lo studio di 
Vitravio e la conoscenza dei celebri monumenti di Pompei. 
Le dottrine ed i consigli del primo furono meritamente ap* 
prezzati ed ascoltati daglj antichi ; ma non seguiti sempre, in 
ogni dove ed in tutti i casi. I secondi, comunque offrano un 
materiale oltre ogni dire prezioso per giudicare delle abitazioni 
private e degli edifici pubblici, non possono essere riguardati 
come guida infallibile. I romani erano gente pratica, che sapeva 
valutare le condizioni locali, conformarvi le proprie opere ed 
adattarvi le proprie usanze; onde è naturale che tra le case 
dei paesi meridionali e quelle delle nostre contrade vi fossero 
delle notevoli differenze.*) 



^) C£r. Enrico Leibnitz, Die lihnischen Bàder bei BadentoeUer 
im Schicarzioald, Lipsia, 1866. 

Le opere principali che abbiamo consultate per questa relazione sono: 

Vitravio, edizione coi commenti di Baldassare Orsini,* 

Niccolini Fausto e Felice, Le case ed i monumenti di Pompei, 
NapoU, 1854-96; 

Overbeck-Mau, Pompefi in seinen Oébàuden, AlterthUmem und 
Kunsiicerken, TV edizione, Lipsia, 1884; 

Nissen H., Pompefanische Studien, Lipsia, 1877; 

Man, Relazione degli scavi di Pompei nel BuUettino deW imp. 
Istituto ArcheoiogieOf a. 1885 e seg. ; 

Notizie degli scavi di antichità comunicate alla B. Accademia dei Lincei 
per ordine di 8. E. il Ministro della Pubblica Istruzione; 

ìiittheilungen der k, k, Central - Commission zur Erforschung und 
Srhaltung der Kunst- und historischen Denkmale; 

BuUettino della Commissione archeologica comunale di Boma; 

Becker W. A., Qallus oder rdmische Scenen, Lipsia, 1863; 

Fi creili G., Ville Stabiane, Appendice al dizionario delle antichità 
g;recbe e romane del Bich. 



Cominciamo dal ^oudo t^oUak,^) ove trovasi il lungo am- 
bulacro segnato nella pianta colla lettera A, il quale va a 
finire sotto la strada vicinale posta sulla riva destra del tor- 
rente. È fuor di dubbio eh' esso conduceva ad una porta, forse 
la principale della nostra villa, il cui vano è da ricercarsi non 
all' estremità deU' ambulacro, perchè vi mancherebbe lo spazio 
necessario, si bene nel muro di fondo. L'attuale strada giace 
sul letto dell'antica, che non proseguiva, come ora, sino alk 
riva del mare, ma arrestfivasi aUa villa, che essa metteva k 
comunicazione colla strada principale da noi già accennata nel 
capitolo precedente, la quale con piccole diversioni corrisposde 
alla vecchia strada da Barcola a Trieste. L' ambulacro serviva 
di passaggio per coloro che giungevano per la via di terra, e 
nello stesso tempo costituiva uno dei lati d' un' area recintata, 
che tra la casa ed il ruscello protendevasi sino alla spiag^ 
del mare, ed era coltivata a giardino, come ci parve di averlo 
rilevato nei tentativi di scavo praticati in vari punti, dai quali 
non si riconobbero vestigi di fabbrica, ma solamente una terra 
vegetale feracissima, non mescolata nò con pietre, né con ro- 
vinacci di altro genere. 

n muro rappresenta la continuazione di quello postico 
dell' edificio principale. Alla base, corrispondente al primitivo 
piano del suolo, ha Io spessore di 70 cm.; superiormente di 
soli 45 cm. Nel materiale di sterro si scorsero copiosi avanzi 
dell'intonaco, end' erane rivestito il lato prospiciente il gisp 
dino. La massicciata, che, secondo abbiamo già detto, venne 
trovata a ridosso del muro, è stata costruita in epoca più re- 
cente, e nuli' altro era che una strada la quale attraverso i 
campi conduceva a qualche casa, come tante ancor se ne ve- 
dono nelle campagne, con lastrico di pietre poste in taglio e 
strettamente connesse, affine di evitare i danni dell'acqua. 
L' androne trovato a mezzo metro sotto la medesima era largo 
metri 8'6 ed aveva per pavimento un terrazzo del genere detto 



*) Avvertiamo che la realità Pollak è ora possedata dalla Bane» 
Dnione e che la casa ivi eretta porta il num. poi. 270, e che sul fondo 
Artelli furono costruiti tre villini segnati coi num. poi. 905, 906 e 907 
di proprietà del barone Michele Locatelli di CSormons. 



vpus stgnìnufn, il quale veniva prodotto coii tn miscuglio di sasso- 
lini, pezzettini di cotto e calcestruzzo fortemente battuto. H 
margine dell'ambulacro opposto al muro svolgevasi a mo' di 
crepidine non più alta di 10 cm. sul terrazzo, coperta da un 
gradino di pietra calcare largo 86 cm., il quale, come ce ne 
danno contezza le porzioni che si trovarono ancora intatte, 
ad ogni tre metri e mezzo di distanza era interrotto da una 
lastra quadrata, pur essa di calcare e di cm. 50 per lato, che 
esternamente formava col gradino una linea sola. Queste lastre 
servivano di plinto alle colonne di laterizio, delle quali alcune 
giacevano distese al suolo ed erano in parte ancor rivestite 
di stucco, la metà inferiore liscie e dipinte in rosso, la supe- 
riore bianche e scanalate. Secondo il nostro criterio, esse sor- 
reggevano una solida tettoia formando un portico nel vero 
senso della parola, del quale il muro sopra descritto costituiva 
la parete di fondo. Non abbiamo alcun serio motivo per cre- 
dere, anzi ci pare di dover recisamente escludere, che il loro 
ufficio fosse invece di sostenere una pergola trichilaj più grande 
di qnella che fu scoperta a Pompei nella casa di Atteone. 

Nel punto b, in cui il muro forma una specie d' alcova o 
nicchia rettangolare di metri 1-7x1, sorgeva forse un osser- 
va£orio, donde potevasi vedere il largo della valle, la strada 
maggiore e gli altri edifici, la cui esistenza fa accertata quando 
si piantarono le fondamenta del viadotto della ferrata. Il muro 
indicato colla lettera d è opera di altra età; air incontro quello 
colla lettera e subentrava in luogo delle colonne e convertiva 
il portico in un andito del tutto chiuso, per il quale si entrava 
nella casa. Non crediamo che il semicerchio e sia 1' avanzo 
della periferia d'una piscina, ma piuttosto lo zoccolo in mu- 
ratura d'una di quelle banchine, che dalla loro forma erano 
dette hemicydia e si collocavano nell' intemo delle abitazioni, 
nei giardini e lungo le pubbliche vie e che furono adoperate 
anche per adagiarvi il letto triclinare, dopoché alle tavole qua- 
drate furono sostituite le rotonde, onde questa sorte di sedile 
solevasi appellare anche stibadium o sigma per la sua analogia 
colla lettera greca di tal nome. 

Non si potrebbe ideare sito più adatto e più propizio di 
questo per allogarvi il giardino. Riparato a Tramontana dalla 



casa, a Levante dal portico e dalla coUiUà che s^ innalza alla 
sponda opposta del ruscello, era invece aperto alle brezze de* 
liziose e benefiche del mare. Le notizie che gli antichi scrit- 
tori recano dei giardini di quei tempi e dell' amore quasi esa- 
gerato, che i romani dedicavano a questa parte importantis- 
sima delle loro rustiche dimore, ci autorizzano a ritenere che 
anche il nostro fosse acconciato secondo il gusto allora domi- 
nante, che era stato introdotto in Europa dall'Oriente e che 
con poca differenza si ravvisa nei giardini italiani e francesi 
dei secoli passati.^) 

Alle piantagioni non lasciavasi libero sviluppo ; ma gd 
alberi e gli arboscelli dal capriccio del topiario venivano ag- 
giogati e legati in molteplice guisa^ e col coltello e colie for- 
bici costretti a prendere forme, spesso bizzarre, sempre con- 
trarie alla loro natura. Le proporzioni e la simmetria, che assai 
di frequente negli edifici delle ville venivano sacrificate, nei 
giardini invece erano di regola generale, la quale aveva per 
base un disegno geometrico, che per quanto fosse variato, do- 
nava al complesso un aspetto uniforme e monotono. Viali di 
platani, colonne ed archi di tassi, piramidi e coni di cipressi, 
boschetti di lauro, cespugli di rosmarino, siepi di semprevivi 
e pareti di bosso, si alternavano a vicenda ripetendosi spesso, 
e cingevano gli spazi dedicati alla coltura dei fiori e delle 
piante più delicate, ove incorniciate d' infimo bosso o d' altra 
verzura erano roseti, aiuole sparse di viole e di narcisi, ove 
educavasi il giglio ed il croco, ove nel mezzo inghirlandata 
d'acanto vedevansi fontane zampillanti e vivai. Piante predi- 
lette erano le rose, onde costruivansi ghirlande, spalliere e 
gruppi, e l'edera, che rivestiva le pareti ed i muri, si attorci- 
gliava alle colonne e serpeggiava intorno al tronco ed ai rami 
degli alberi. Erano di moda gli ambulacri coperti dalle fronde 
dei platani o della vite, la cui cultura non era disprezzata nei 
giardini fatti per puro piacere, e pare che ve ne fossero anche 
in questo; poiché a breve distanza dal portico ed in linea 
perpendicolare al medesimo, movendo dalla sua metà, furono 



*) Simonis, Uebet* die Gartenkunst der Rdmer, Blankenburg, 1865. 



277 

messi fdori alcuni fasti di colonna di fabbrica, che non pos« 
sono confondersi con quelle più robuste del portico, ma che 
probabilmente erano state adoperate per sorreggere un per- 
golato. 

Avendo dovuto rinunciare allo scavo di quel tratto di 
terreno ove il portico del giardino, o meglio V androne che ne 
forma la continuazione, si unisce colla casa, non si può preci- 
sare qual fosse la località, in cui riuscivasi dopo sorpassato il 
vano d' ingresso. E però probabile che si tratti di un andito, 
il quale immetteva sotto il portico B ed era costeggiato dalla 
cella C, ove forse v' aveva una porta di comunicazione coir in- 
temo della casa e perciò era occupata dsìlV ostiario o da altro 
servo. La porta /*, certamente opposta a quella delF ingresso, 
ha per soglia una lastra calcare munita di fori per il cardine 
del battente e per il paletto che lo fermava. Il pavimento si 
compone di sole pìetruzze nere e sullo zoccolo delle pareti non 
resta indizio di coloritura. SulP andito apresi in tutta la sua 
larghezza l' ambiente D, che con esso giace sullo stesso piano, 
n suo pavimento musivo con fondo bianco è cinto di doppia 
cornice nera ed ha nel mezzo una riquadratura da cui risal- 
tano dei cubetti rossi ordinati ad uguale distanza su linea 
obliqua e tra essi dei tasselli lunghi e sottili di marmo nero, 
che saltuariamente mutano di posizione (Tav. IH). 

L'ambulacro del portico, largo quattro metri, è tutto pa- 
vimentato a musaico di color nero, avente nella sua lunghezza 
due fascie bianche, V una prossima al muro dell' edificio, V altra 
al lato opposto. Conserva quasi intatta la sua sponda di 
pietra calcare, la quale è interrotta da plinti che avevano ser- 
vito di base alle colonne cui era affidato il tetto. Nove di 
questi plinti rimangono tuttavia al loro posto, il quale è fissato 
con si poco ordine, che i vani d'ingresso delle camere non 
corrispondono agli intercolunni. Ma siffatta irregolarità non 
va ascritta a colpa dei costruttori^ essendo in vero la conse- 
guenza dei cambiamenti che furono praticati successivamente 
nella fabbrica. Dalle macerie furono estratti tre capitelli di 
pietra calcare d' ordine dorico, all' incontro nessun resto vi si 
rinvenne delle colonne, il che prova che i loro fusti erano di 



878 

pietra e furono asportati ; laddove se fossero stati di fabbrica, 
se ne sarebbero raccolti i frammenti, come nelle altre località. 

Tralasciando per ora di occuparci del compreso E, che 
per il suo pavimento impiantato sopra un livello più alto non 
appartiene alle località esteme, passiamo alla graziosa came- 
retta F. n mosaico del suo pavimento per gli smaglianti coioti 
e per il disegno somiglia ad un vero tappeto alessandrino ed 
è di lavoro finissimo, contesto di pietruzze minute, quali non 
furono osservate in nessuna delle altre stanze. Due fascio, uba 
bianca e l'altra nera, ne formano i lati. Nel campo un retico- 
lato bianco racchiude dei quadretti spartiti diagonalmente, dei 
quali parte sono di color nero e verde, parte di rosso copo e 
di roseo chiaro, distribuiti in guisa da alternarsi a vicenda. H 
quadro che ne risulta è reso più vago da una cornice con 
meandri ingegnosamente intrecciati e di grande effetto per la 
combinazione dei colori e per la graduazione delle tinte. 
(Tav. V). 

Il musaico si in questa che nelle altre località è fissato 
sopra un letto di solido e compatto cemento dello spessore di 
circa cent. 10. Questo a sua volta poggia su d' uno strato eguale 
di calcestruzzo più grossolano, prodotto dall' impasto di mattoni 
stritolati, calce, sabbia e minuti sassolini di fiume, sotto del 
quale segue una sostruzione di 30 a 40 cm. formata con 
rottami di laterizio, pietre e ciottoli, messi alla rinfìisa in 
cemento, affine d' impedire che l' umidità del sottosuolo girmga 
al pavimento. 

La soglia deir entrata è adoma anch' essa di mosaico ed 
esibisce un reticolato rosso coi vani riempiti di pietruzze bianche 
e nere disposte in modo diverso. Serba inoltre ad ambe le 
estremità i tasselli cogl' incavi, nei quali giravano i cardini 
della porta, che era a due partite. Il musaico presenta tracce 
di antiche rammendature, le quali non furono eseguite conforme 
al disegno ; ma il restauratore si accontentò di colmare le 
lacune nella stanza con pietruzze nere rozzamente tagliate, 
sulla soglia con cubetti simili di pietra bianca. 

Molto più grande è la camera G, la quale in origine 
formava uno spazio solo colla fauce H. Il musaico del suo 
pavimento è nero e nel mezzo ha un lungo e stretto campo, 



279 

che si ottenne coli' inserire nel fondo pezzi ineguali di marmo 
venato e ciottoli Huviatili segati a metà^ bianchi e rossi, varia< 
mente screziati (Tav. ni). Risulta che la soglia dell'ingresso 
era pure lavorata a musaico; la si rinvenne però distrutta. 
Solo ai lati restavano ancora i quadri di pietra di cm. 60 X 36 
coi forami per la porta^ che stante l'ampiezza del vano sarà 
stata composta di tre valvae. 

In questa sala, presso alla parete di fondo e quasi 
dirimpetto al vano d* ingresso, giaceva rovesciata a terra la 
pregevole statua marmorea, che più volte abbiamo mentovata 
nella nostra relazione. Vedevasi artificiosamente infranta ed i 
suoi frammenti dispersi in questa e nelle camere vicine. Fru- 
gando nel materiale di sterro si riuscì a ricuperare molti pezzi, 
anche de' più minuti ; ma non essendo tutti tornati alla luce, 
parecchi dei ricuperati non poterono servire per ricomporre la 
statua. Dobbiamo ancor una volta tributare lode e gratitudine 
all'egregio scultore Luigi Conti, che con diligenza ed abilità 
ricommise il torso, che nella tavola X ci viene presentato 
dì prospetto, di tergo e di fronte. Fra i frammenti staccati 
restano ancora l' antibraccio destro coUa mano sino alla giuntura 
delle dita, il metatarso e le dita del piede dritto, la parte 
posteriore del sinistro, il dito pollice di una delle mani, vari 
pezzi del tronco di sostegno ed altri, che stante la loro picco- 
lezza non possono essere determinati. 

Il marmo sembra di qualità greca e parie per la finezza 
della grana. Ma la statua non fu scolpita in un sol masso, 
si bene venne composta di parecchi pezzi, saldati col mezzo di 
perni di ferro di forma quadrata, come era costume assai fre- 
quente presso gli artisti antichi, che per tal modo venivano 
ad avere risparmio di spesa, ed il marmo nel trasporto non 
correva pericolo di spezzarsi. Da ciò fu resa più facile la distru- 
zione della figura e lo sperperamento de' suoi rottami; ma 
d' altro canto se essa fosse stata tutta d' un pezzo, noi oggi 
forse non potremmo gloriarci di averne rinvenuto il torso. 

Bovinata com' è, non permette di stabilire di chi vera- 
mente essa sia stata la rappresentanza ; però da quanto rimane 
appaiono evidenti le fattezze ideali di un atleta, affatto ignudo, 



280 

il quale insiste sulla gamba destra, appoggiato ad un tronco, 
che non essendo stato possibile di ricomporre, venne sostituito 
con un rozzo sostegno di pietra. Egli piega in avanti il 
ginocchio sinistro, cosi che il piede veniva a stare di dietro ed 
era per staccarsi dal suolo. L' attitudine è propria di chi si 
avanza con passo fermo* La cavità che osservasi sulla parte 
laterale della natica sinistra e che è prodotta dalla tensione 
dei muscoli della coscia e dei glutei, avverte che questa gamba 
oltre che tenere V equilibrio, concorre pur essa a portare il 
corpo. Il torso è leggiermente piegato e col posare sulla gamba 
destra cagiona una forte sporgenza della coscia; laddove il hto 
manco presenta una linea più diritta. Per quanto si possa 
discutere sul soggetto che avrebbe dovuto essere effigiato, pure 
da tutto l' insieme risulta 1* imagine di un uomo sul fiore degli 
axmi, il quale colla gr^ia della giovinezza accoppia il vigore 
dell' età virile, che egli seppe educare e regolare mediante gh 
esercizi e la disciplina. E vi corrisponde V atteggiamento datogli 
dall' artista, il quale foggiò in grandezza pari al vero un corpo 
robusto, di complessione normale, del quale le varie parti si 
mostrano bene distinte; ancorché non tutte sieno scevre di 
difetti e qua e là sieno espresse non senza esagerazione. Dai 
muscoli apprendiamo che il braccio sinistro era alzato ; 1' avam- 
braccio dritto poi ci avverte che l' estremità corrispondente 
non era distesa, ma ripiegata in modo che la mano giungeva 
all' altezza del costato e forse era nell' atto di tenere qualche 
cosa, come crediamo dì poter rilevare da un foro esistente nelk 
palma presso l'inserzione del dito anulare. Conficcato nd- 
r anca scorgesi il rimasuglio di un perno di ferro, che, a parer 
nostro, penetrava nel puntello di marmo fatto per sostenere 
r avambraccio, dal quale in prossimità alla mano esce il perno 
opposto, che essendo meglio conservato fornisce qualche indizio 
circa la probabile posizione della mano stessa. 

É indubitato che abbiamo dinanzi a noi una delle tante 
copie che i romani facevano delle opere d'arte greca per 
abbellire i palazzi e le ville. E per vero, psservando attenta- 
mente il torso, ci pare di ravvisarvi alcunché del carattere 
geniale dell'arte di Polideto, e tanto nella posa quanto in 
alcuni dettagli una certa attinenza colle due figure più note, 



281 

il Doriforo ed il Diadiuneno.') Sarebbe presunzione troppo 
grande il voler pronunciare un giudizio definitivo su di una 
statua che, come la nostra, manca del collo, delle spalle ed è 
troppo mutilata, perchè col confronto di semplici fotografie sia 
possibile di formarsi un giusto criterio. Nondimeno noi repu- 
tiamo che V artista, sia con intenzione, sia seguendo una ma- 
niera divenuta quasi tradizionale nella scuola, abbia preso a 
modello il secondo, vale a dire l'efebo che si cinge la benda, 
premio della riportata vittoria, o almeno ad esso siasi inspirato 
per iscolpire un soggetto analogo o per imporre gli stessi attri- 
buti ad uno diverso. Vari sono adunque i punti di contatto, 
ma vi si notano pure delle marcate differenze; si questi che 
quelli abbiamo cercato di rilevare seguendo ilMichaelis nel- 
r esame di quelle statue Policletee.') 

Causa la pessima illuminazione della sala del nostro 
museo, ove mancando altra località più adatta, si deve con- 
servare il torso, nella riproduzione fotografica non tutto riusci 
chiaramente distinto. Cosi per difetto d' ombreggiatura non vi 
si osserva l'enfiagione al di sopra delle ginocchia, la quale in 
realtà vi esiste molto più pronunciata sopra il destro, che per 
essa viene ad essere alquanto sformato. Medesimamente spa- 
riscono le cavità alle natiche, le quali pure vi sono, meno esa- 
gerate che nel Diadumeno dell' Esquilino ed in quello di Yaison, 
ma non corrispondenti al naturale, massime quella al lato 
destro. Il piede è largo ed alto, il contomo del polpaccio rigido, 
i grandi muscoli obliqui ed il retto molto sviluppati e chiara- 
mente sono accennati i loro punti d' intersezione coli' arco delle 
coste, il quale è però espresso con minor rilievo che nelle altre 
statue. Eguale apparisco Y ombilico, simile ad un piccolo cerchio 



^) Collignon M., Histoirt de la sculpture grecqué, Parigi, 18d3, 
T. I, pag. 485 e seg. 

Brunn H., Geschichte dev griechischen KUnsUer, Stoccarda, 1889, 
voi. I, pag. 148 e seg. 

Overbeck I., Getchichte der griechischen PUutik, Lipsia, 1869, 
voi. I, pag. 840 e seg. 

*) Michaelis Ad., Tre statue Pclicletee^ Annali dell* Institato di 
corrispondenza archeologica, anno 1878. 



piatto col centro distintamente indicato ; in egnal modo è di* 
segnato e circoscritto il costato col serrato e col gran muscolo 
dorsale ; però tale somiglianza si mostra maggiore al lato manco, 
giacché al dritto il nostro torso è fortemente corroso e man- 
cante di qualche pezzo. Del pari vi corrispondono la schiena 
e la spina dorsale. All'incontro meno largo e ritondato è il 
ventre, meno pieno il petto, e le vene, che spiccano sui piedi^ 
non si riconoscono né sull' antibraccio, nò sul dorso della mano. 
E rimarchevole ò infine la coincidenza delle misure, in quanto 
le medesime non sieno determinate dalla diversa posizione del 
braccio destro.*) Ma le forme nella statua di Barcola sono in 
generale meno robuste ed invece più svelte e delicate che nelle 
due figure di PolicletO; e questa differenza per certo rilevante 
apparisce dal raffronto col torso del Diadumeno rinvenuto nel 
1882 a Boma suir Esquilino e colla statua trovata a Yaison 
nel 1862, ora al museo Brittanico, la quale forse più d' ogni 
altra s'accosta al tipo originale. 

Ne viene adunque che la nostra non ò da riguardarsi in 
nessun caso per una replica del Diadumeno. Essa potrebbe 
esseme una variante, qualora l'artista, come reputiamo assai 
probabile, imitandone la posa e le proporzioni, non avesse 
inteso di raffigurare un altro soggetto, forse anche un efebo 
in diverso atteggiamento, ovvero una divinità, un eroe od un 



') Confrontando le misure del nostro torso con quelle rilevate dal 
prof. Petersen sol Diadumero dell' Esquilino e da lai pubblicate nel 
Bidlettino della Commissione archeologica comunale di Roma, a. XV 111, 1890, 
pag. 185 e seg., troviamo che su ambedue la distanza dalla rotella del 
ginocchio destro al pube è di cm. 40, al limite del basso ventre cm. A^ 
all' ombilico sul primo di cm. 57 e sul secondo di cm. 58^ allo stemo su 
entrambi di cm. 77, da una mammella all'altra sul nostro di cm. 29 e 
sul romano di cm. 80V,» dall'una all'altra inserzione del sartorio nella 
spina iliaca su entrambi di cm. 26, dalla manunella destra alla insersione 
sinistra del sartorio cm. 89 sul primo e cm. 38 sul secondo, dalla mammella 
sinistra alla inserzione destra del sartorio cm. 41 su quello e cm. 41*/, 
su questo, dall' ombilico alla mammella dritta su ambedue di cm. 24V«, 
dall' ombilico alla mammella sinistra sul nostro di cm. 28 Va sull'altro di 
cm. 90. Infine la lunghezza della coscia dritta è di cm. 57, quale è quella 
del Doriforo di Napoli e quale la dedusse il Michaelis per il Diadunkeno 
della collezione lanzè ora a Parigi. 



288 

personaggio reale con attributi atletici. Nel periodo romano 
dell'arte, come osserva Raoul Bochette, erano assai frequenti 
le trasposizioni di attitudini, le sostituzioni di un attributo al- 
l' altro, per modo che copiavansi le opere dei grandi maestri 
ripetendone le idee ed i tipi, ma adattando ad un motivo, ad 
una intenzione ciò che era stato creato per un motivo ed 
un' intenzione diversa. Laonde non pare male a proposito il 
parere favoritoci dal chiarissimo professore Boberto von 
Schneider di Vienna, il quale ascrive il carattere Policleteo 
della statua di Barcola all' influenza della scuola di questo 
artista, che era divenuta tradizionale e predominante nel primo 
tempo dell' impero romano. D Doriforo ed il Diadumeno erano 
i modelli allora più apprezzati ed il primo anzi ritenuto quale 
canone della più perfetta simmetria^ ed è per tanto che se ne 
trova cosi spesso copiato il motivo nelle opere romane. Comunque, 
al nostro torso non si possono negare né importanza né pregi 
artistici. Se esso appartenne alla figura di una divinità e posto 
che in antico stesse nel sito ove l' abbiamo trovato, non è in- 
verosimile che la sala G fosse destinata al culto in qualità di 
sacrario privato. 

Non stimiamo che questa fosse la sola statua che avesse 
abbellita la villa. Fra le macerie si riconobbe qualche altro 
pezzo di marmo, che, abbenchè fosse reso informe dal fuoco, 
pare dal modo ond' era tagliato e da qualche linea ancor vi- 
sibile, dimostrava di esser stato in antico parte di una figura. 
Chi sa quali repliche della scoltura antica, acquistate ad altis- 
simo prezzo e custodite gelosamente per più secoli fra queste 
mura e negli altri edifici di Vaicela, non sieno state mutilate 
o dal fanatismo religioso o dal furore de' barbari^ ed abbiano 
più tardi fornito materiale alle fornaci di calce, dividendo la 
sorte delle comici, degli architravi e degli altri fregi marmorei, 
coi quali i romani avevano cercato di rendere più belli i loro 
cospicui edifici suburbani ! 

Addossato alla fauce H giace il piccolo oecus I con tre 
aditi egualmente ampli, uno sulla facciata principale dell'edi- 
ficio, l'altro stQl' ambulacro del portico B e il terzo sito di- 
rimpetto a questo sulla località segnata con L ; tutti e tre fatti 



284 

in modo da potersi chiudere con imposte, come lo manifestano 
le lastre di pietra incavate^ che ancor rimangono al loro 
posto. Qaesta piccola sala, che era destinata per convegni 
e forse anche serviva da triclinio, ha per pavimento un mosaico 
contornato di margine nero, che da fascie di egaal colore e 
scompartito in tre campi bianchi, ciascuno con propria riqua- 
dratura nel mezzo cinta di comicetta rossa. In quella de^ 
campo principale delle listelle e dei triangoletti neri si alternano 
sul fondo bianco in modo da descrivere dei piccoli quadri, 
diagonalmente divisi e disposti cosi che i lati bianchi com- 
prendono la metà nera, ed i neri quella bianca. I campi minori 
presentano delle file di rombi neri che racchiudono degli altri 
bianchi risultanti dal colore del fondo (Tav. Vili). Le soglie 
sono anch'esse ornate di mosaico con un disegno a greca, 
che è comunissimo nelle ornamentazioni dei pavimenti romani. 
"Egregieìssiente conservata è quella a sinistra, sulla quale delle 
linee nere piegandosi ad angolo retto, chiudono cinque qua- 
drati e tra l'uno e l'altro s'intersecano a croce. I quadrati 
sono formati di doppia comicetta, ed il piccolo spazio che ne 
risulta nel mezzo è diviso in due triangoli, l' uno di color rosso 
e r altro di verde (Tav. VUl). 

L' area che giace dinanzi a quest' oecuSy V ambiente in- 
dicato colla lettera L, lo spazio compreso dall'angolo M, la 
lunga corsia da noi distinta con N ed N' e l'ambulacro N'' 
avevano il piano lastricato con musaico nero, nel quale oltre 
due fascie bianche, seguenti la sua lunghezza, vedevansi in- 
cassati ad intervalli costanti dei pezzi irregolari di marmo 
bianco (Tav. III). 

Dalla località L la fauce H introduceva nella camera Q, 
in cai si trovò la statua 'che abbiamo testé descritta. I due 
tratti di muro, che costituiscono l' angolo M, ed il muro notato 
con ;, il quale si diparte dal ciglio del portico B, in tutta 
prossimità della odierna strada maestra, dimostrano che da questa 
parte v'avevano ancor altre costruzioni. E veramente quando 
furono fatte le fondamenta pel muro che chiude il fondo de 
Bitter, si riconobbero gli avanzi di un lastricato musivo del 
genere di quello che or ora abbiamo mentovato. Da ciò lice 
arguire che la linea del muro i prolungata verso destra indiclii 



265 

il limite approssimaidvo degli ediàoi della villa sol lato ohe 
fronteggia il mare. Per di più esaminando la pianta appare 
evidente ohe nel punto M sorgesse una camera quasi sull' asse 
di quella, che fu denudata sotto Tarea occupata dall'emiciclo 
Z\ e finalmente non sembra inverosimile che il muro g sia il 
residuo d'un corpo di fabbrica, che oltrepassando la linea 
della facciata s'avanzava sulla riva del mare, come lo era il 
il corpo scoperto air estremità opposta ed indicato nella pianta 
colle lettere B^ C' e D". 

Sullo spazio N riesce la camera con soglia lavorata a 
musaico, il cui disegno si compone di piccoli triangoli bianchi 
e neri, distribuiti a scacchiere, e di un lembo estemo rosso, che 
vedovasi in parte rappezzato mediante l'inserzione di cubetti 
neri. Neil' intemo il pavimento musivo nero ha uel mezzo, in 
un riquadro cinto di larga cornice bianca, un reticolato di 
questo colore, dal quale spiccano dei rombi neri (Tav. lY). Nero 
seminato di rosette bianche è quello dello stanzino P (Tav. Ili), 
una specie di vestibolo, che mette in relazione le camere 
O ed B^ e dair estemo conduce nel chiuso A; il quale è fornito 
di pavimento signino. L'ubicazione di questo rustico com- 
preso induce a credere che per un vano praticato nella parete 
opposta all'entrata e per alcuni gradini desse nella parte in- 
tema della casa; però nulla è stato riconosciuto che possa 
confermarlo. Le rovine del muro emergono tutt' ora per quasi 
quindici cm. sul piano del peristilio e sul terrazzo del com- 
preso per circa mezzo metro. 

Nella camera B il pavimento è formato di piccoli cubet- 
tini bianchi accuratamente tagliati e commessi senza alcun 
ornamento all'infaori di una comicetta colmata di cemento 
color brunO; la quale gira tutto all'intorno. Per l'opposto il 
musaico della soglia principale si compone di cinque file di 
triangoletti neri e bianchi, che alternativamente si succedono 
avendo l' ipotenusa ora a destra, ora a sinistra. Il bordo sul 
limitare estemo della porta è fatto di pietruzze rosse (Tav. VII). 

L' esedra S è indipendente daUe camere ora descritte. In 
tutta la sua larghezza si apre sullo spazio N, non essendovi 
86 non una semplice zona di pietruzze bianche che separi 
l'un dall'altro i pavimenti musivi delle due località. Quello 



deir esedra circuito da due larghe fascie, 1^ una bianca e l' altra 
nera, esibisce nel mezzo un quadro seminato di pezzi di marmo 
e ciottoli rossi vagamente screziati e di piccoli tasselli di pietra 
nera su fondo di cubetti bianchi, cui dando all' insieme bellis- 
simo aspetto, forma cornice un complicato meandro di finito 
lavoro, che nel suo motivo è simile a quello delle soglie del- 
l' oect(3 I, eccetto che nei piccoli quadrati, i quali non sono a 
due colori, ma hanno nel centro un tassello nero (Tav. VI). 
Addossati alla parete destra ed in prossimità al vano d* ingresso 
vedonsi due podi di fabbrica messi per sostegno di un sedile. 

Lo stradone che conduce alla fabbrica di ghiaccio, c'im- 
pedì di seguire lo sviluppo dell' edificio da questa parte ; tut- 
tavia tenendo conto della direzione e corrispondenza dei muri, 
appare verosimile che la fauce T mettesse quest'ambiente in 
relassione coli* atrio G', dal quale o direttamente o attraversando 
qualche località ancora da scoprirsi si perveniva nel peristilio 
U. Questo, che nelle ville aveva la stessa importanza che 
l'atrio nelle case di città, occupava la superficie di meisri 
23 X 13. Il portico, ond'era circuito, misurava da metri 3*60 
a 3.75 di larghezza ed era lastricato di mosaico bianco con 
lembi neri larghi circa cm. 20, meno ohe nel punto e, opposto 
alla porta/, ove presentava un piccolo riquadro circoscritto 
da bende nere e lungo quanto la larghezza dell'ambulacro. H 
colonnato, che sosteneva il coperto, era scomparso, lasciandovi 
un unico capitello d'ordine dorico in pietra calcare, uguale a 
quelli del portico B, ed abbondanti dischi di terracotta che 
ne avevano formato i rocchi. Oltre a ciò rimanevano solida- 
mente costruite le fondazioni sulle quali avevano poggiato le 
colonne. L'aia nel mezzo costituiva a suo tempo il viridarìo 
adomo di piante e fiorì, conforme al costume romano. In e 
v'aveva probabilmente una piscina, la cui vasca ha le pareti 
di laterìzio e il fondo fatto di tesellato nero. La costruzione 
del portico la raccorcia, dimostrandoci che essa esisteva prima 
di questo. Qui furono trovati il denaro argenteo dell'impera- 
tore Nerone descrìtto al n. 6 nel capitolo precedente, dna 
frammenti di cornice in pietra calcare con bella sagoma ed 
una fibula romana di bronzo. 



il peristilio, al pari di tutte le località che danno su di 
esso, trovasi ad un livello ohe è di quasi mezzo metro più 
alto di quello occupato dalle camere e dagli altri ambienti 
finora esaminati e da noi, per la maniera onde sono costruiti, 
riguardati come la parte più vecchia dell'edificio. La sala C 
è senza dubbio la più importante della nostra villa, e per la 
sua postura corrisponderebbe al tablinO; che nella casa romana 
era la località di maggiore momento. Doveva essere riccamente 
foggiata, e lo prova il mosaico del suo pavimento, il quale si 
distingue per magnifico effetto, ancorché il lavoro sia condotto 
con minore finitezza che quello della cameretta F. I lati sono 
bianche; congiunti alle pareti mediante margini neri ; la parte 
di mezzo cinta da una fila d' ovoletti e da due file di onde 
marine, esibisce una ingegnosa combinazione di linee e figure 
geometriche, che suddividono lo spazio in molti quadretti, 
ciascuno chiuso da propria comicetta, nei quali s' avvicendano 
scudi di amazzoni, serti d'edera, rami d'alloro e lastre di 
finissima breccia africana. Il disegno è nero su fondo bianco 
e l'insieme è rimarchevole per la composizione felicemente 
riuscita (Tav. U). Egualmente a musaico sono lavorate le 
soglie, degna sopra le altre di rilievo quella dell' ingresso prin- 
cipale, che è adorna di due meandri d' edera^ che si dipartono 
da un grazioso vasetto sito nel mezzo. Offre essa non poca 
analogia colla soglia del tabUno nella casa dei capitelli figurati 
ìa Pompei. Come in questa, cosi anche nella nostra il mosaico 
fìi rotto presso le ante per introdurvi i tasselli di pietra con 
gì' incavi per gli scapi, tra i quali applicavansi le cortine od 
i veli con cui veniva chiuso il tablino. La conformazione del 
muro dimostra inoltre che gli stìpiti, antepagmenta, dovevano 
avere ricche modanature dalla parte intema della sala ed 
essere invece di semplice lavoro da quella di fuori. 

Fra i calcinacci si rinvennero molti frammenti Idell' into- 
naco delle pareti tanto di questa sala quanto delle località 
adiacenti, il quale mostra due strati dipinti. Quello di sotto 
rappresenta la stabilitura più antica del muro, che non fu stac- 
cata, ma semplicemente picchiettata e cospersa di malta quando 
più tardi si rinnovarono le pitture a fresco. Mentre delle se- 
conde quasi tutto è scomparso, le prime per lo contrario 



238 



serbano ancora a vivaci colori rami e foglie tnx fondo or rosso, 
or azzurro, or bianco, or giallo. La superficie dipinta di ambo 
gli strati consiste di stucco confezionato con polvere finismina 
di marmo e reso ben Uscio; mentre il restante dell'intonaco 
è fatto di cemento più grossolano. 

Costeggiano la sala quattro cubicoli, i cui vani d'ingresso, 
meno uno, venivano chiusi con porta. Adoma il pavimento 
musivo A' una grande rosa, le cui foglie intersecandosi fra 
loro descrivono dei triangoletti curvilinei bianchi e neri disposti 
a scacchiere. La rosa è compresa entro una cornice fregiata 
di due linee meandriformi combinate a mo' di treccia. Negli 
angoli che risultano tra la rosa e la cornice si scorgono dei 
graziosi calici, dai quali sortono dei rami d* edera. 




n secondo cubicolo B' con margine e doppia cornice 
nera, presenta un compartimento, nel quale s'avvicendano dei 



r 



2d9 



triangoletti biancìii e neri; i secondi giacenti in guisa ohe 
coli' anione dei loro lati maggiori generano dei riquadri inscritti 
1' ano nell' altro. H centro è occupato da un piccolo nodo, che 
scorgesi ripetuto nel musaico che orna la soglia dell' uscio, ohe 
da questo cubicolo mette nel tablino (Tav. Y). 

Nel pavimento del terzo cubicolo D ' rombi, quadrilateri, 
triangoli e foglie d'edera ordinati con molta maestria produ- 
cono un variato disegno nero su fondo bianco, reso ancor più 
piacevole dalla cornice, che come nel primo cubicolo, è per- 
corsa da una treccia formata mediante la combinazione di due 
meandri. Tra il riquadro ed il muro hawi un largo spazio 
bianco orlato di nero. 




n quarto cubicolo E* è pavimentato di pietruzze bianche 
con bordi neri e cosi pure Io sono le fauci F^ e Z. 



2d0 

Notevole ò la prima fauce^ che per il postico I metteTa 
fuori della villa. La soglia di quest'uscio è di macigno, £atta 
di quattro pezzi, ed ha impresse le cavità nelle quali giravano 
i cardini della porta, composta di due partite, che venivano 
aperte verso T estemo. La soglia della porta, che dalla fance 
immette nel cubicolo E' è egualmente di macigno, ma di un 
sol pezzo e senza alcun incavo ; laddove di tre pezzi della 
stessa pietra è costruita quella dell'ingresso nel cubicolo 'D\ 
che giudicando dal forame ancor visibile chiude vasi con tma 
sola banda. 

Basente all' altra fauce giace la grande sala V, aperta sul 
peristilio con ampio adito. Niun dato abbiamo per ritenere 
che servisse da triclinio per i banchetti quotidiani della fa- 
miglia; al quale effetto sembra invece corrispondere meglio il 
tablino, che giaceva meno distante dalla cucina e con essa 
aveva più facile comunicazione. Sebbene dalla condizione del 
muro, che fu trovato diruto sino sotto la linea delle fonda- 
menta, nulla risulti di evidente, tuttavia non osiamo tacere 
che ci pare più che mai verisimile che questa località, piuttosto 
che sala, fosse un vasto atrio coperto, dal quale attraverso la 
cella C si scendeva nel giardino e per l' ambulacro del portico 
A si sortiva dalla villa. Ciò sarebbe conforme alle parole di 
Vitruvio, quando avverte trovarsi nelle ville il peristilicc in rela- 
zione coli' entrata. Se cosi fu, T uscio dovrebbe essere stato 
praticato nel punto, ove la parete divisoria si unisce col muro 
postico dell'edifìcio, e propriamente dirimpetto alla porta che 
dà nella fauce Z. U riquadro decorato del pavimento musivo 
non giace nel mezzo, ma più vicino alla parete di fondo; lo 
che ci avverte che 1' ambiente fu ampliato in epoca posteriorei 
cioè quando fu interrato il pozzo i. 

Quadrati e triangoli bianchi e neri distribuiti in guisa da 
formare una semplice, ma elegante composizione, occupano il 
riquadro del mosaico, che ha per cornice un disegno a greca, 
eguale a quello osservato nell'esedra S. Nel cercare le fonda- 
zioni del muro, sotto alcune grandi lastre di pietra, fu scoperto 
il pozzo, che riteniamo essere divenuto superfluo, quando la 
villa fu fornita d' acqua migliore colla costruzione di una con- 
duttura, che la ritraeva da una delle sorgenti esistenti non 



291 



molto lungi da colà/Per prevenire eventuali danni, lo si colmo 
allora dì); pietre e terriccio. Avendolo fatto vuotare, osservammo 
che era di forma cilindrica, rivestito di pietra bene commessa 




ed aveva oltre cinque metri di profondità e due metri di dia* 
metro. Dalla melma del fondo si estrasse numeroso cocciame 
di vasi fittili dell' uso giornaliero e di rozzo impasto, un co- 
perchio circolare di un recipiente di bronzo, uno spiedo, veì-u, 
vari chiodi ed altri pezzi di ferro, avanzi di legno ed ossa di 
animali. Appena il pozzo fu liberato dal materiale ond'era 
interrato, ricomparve copiosa V acqua, che nell' analisi chimica 
fatta dair egregio professore Giovanni Perhauz, fu trovata di 
qualità poco buona, appena potabile per eccesso di cloruri. 

La piccola ala d presso alla sala V ha il proprio musaico 
distinto da quello del peristilio con una sottile strìscia nera. 
Parimenti bianco con lembi neri e di grossolana fattura, è il 
pavimento del compreso E, che da una parete, di cui vedevansi 
le tracce, era diviso in due celle, forse adibite quali cubicoli. 
Non è però escluso che da una di queste si scendesse sotto il 



m 

portico B ; ma essendo i muri rovinati sino al pavimento^ nulla 
si riconobbe che valesse a provarlo. Bensì appiedi del mnro 
del vano D scorgesi una risega, la quale potrebbe essere tanto 
il resto di un gradino, quanto il pogginolo di sostegno per una 
banchina da sedere. 

Dalla pianta chiaro apparisce che le rovine messe a giorno 
nel fondo di proprietà del signor de Bitter ed in quello del 
signor Artelli appartengono ad un solo edificio ; ma non avendo 
potuto proseguire lo scavo sino alla loro unione, non ci è dato 
di rilevare in via assoluta le precise relazioni delle partì fra 
di loro. La direzione dei muri ed i dati altimetrici mettono 
fuori di dubbio che le località H', T ed L', formanti l'apparta- 
mento balneare, comunicano con altre che rasentano il peri- 
stilio, delle quali ne confermano 1' esistenza la soglia / ed i pa- 
vimenti osservati parzialmente, quando scavandosi il canale per 
la fabbrica di ghiaccio, si fecero le prime scoperte. Quella soglia 
lavorata a musaico bianco con quadruplice cornice nera spetta 
all'adito di una camera, che ha un pavimento di pietamzze 
bianche listato di nero e confina con un'altra, la quale giace 
più verso marina, adoraa di un musaico che si distingue per 
un motivo poco diverso da quello osservato quale cornice nei 
pavimenti di altre località, vale a dire composto di un meandro 
ricorrente di linee nero, che s' intersecano a croce e serrano 
dei piccoli quadrati. Il campo è contomiato da una comicetta 
che esibisce una fila di triangoletti neri volti col vertice verso 
il lato estemo (Tav. IV). 

Nel punto b la figura di \m delfino eseguita a musaico 
policromo appartiene al pavimento deUa camera T, che per 
un tratto giace nel fondo Artelli. In e fu riconosciuto il 
lastricato nero maculato di bianco che occupa Tarea N, N' N", 
e finalmente lungo la linea tirata in prosecuzione del muro<^y 
v' aveva una piccola superfice, ove cubetti bianchi, rossi e neri, 
disposti a scacchiere, costituivano il pavimento, nel quale ad 
eguale distanza erano incastrati pezzi più grandi, in parte 
ciottoli, degli stessi colori (Tav. VI). Finalmente tra & e e fi- 
gurava la continuazione dell' atrio quadrilungo G' col suo 
lastricato. 



J 



Bitornando alla fronte dell' edificio, passiamo nel fondo 
Arfcelli e propriamente nel sito notato colla lettera N'. Qui la 
facciata ritirandosi dalla linea i, dava luogo ad una piccola 
spianata o piazzale, forse anticamente abbellito con piante. 
Cosi veniamo edotti dal musaico, che lasciata la direzione del- 
l' andito N'* e girato il grande pilastro, del quale vedesi l'anta 
di fabbrica all'angolo estemo della sala ly, continua lungo il 
muro di questa e lungo quello dell' atrio G^ e probabilmente 
piegava una volta anche in prossimità dello spazio che abbiamo 
segnato con M. Questo musaico, che aderisce al muro con un 
lembo nero e tra due fascio bianche ha una larga corsia nera 
seminata di tasselli bianchi, perfettamente uguale al pavimento 
già descritto, rappresenta l'ambulacro, largo quasi metri d'/|, 
di un portico, la cui covertura era sorretta o da colonne 
da pilastri. Questo da tre lati circuiva il piazzale, che pro- 
tendevasi sino alla linea i e forse sorpassatala, finiva in un pic- 
colo molo. Sostiene taluno che sulla riva sieno stati trovati 
alcuni resti di antico muramento ; comunque, la sponda murata 
da noi riconosciuta e che tuttora si conserva sotto la strada di Mi- 
ramare, offre motivo per credere possibile che davanti all' edi- 
ficio ci fosse un porto simile e più grande di quello che esisteva 
dinanzi alla villa romana di Cedasso.^) 

Dall' ambulacro del portico estemo entravasi nelFatrio G' 
per una porta praticata nel muro di fronte, ove ancora è visibile 
il gradino di pietra coi fori per i cardini inferiori su cui gira- 
vano le due partite della porta. L' atrio, costruito conforme 
alle regole dell* atrio chiamato tuscanico, era in ogni lato prov- 
veduto di tettoia, sotto della quale v' aveva 1' andito con pa- 
vimento a musaico, che come quello della camera della statua, 
era fatto di ciottoli fluviatili ed altri pezzi di marmo screziato, 
disposti a capriccio entro un campo di piccoli cubettini neri, 
limitato da due fascio bianche e da due bordi neri (Tav. QI). 
La porzione scoverta, cioè l'impluvio^ era secondo la consue- 
tudine, lastricata con piani d'arenaria ; ma la sua cornice sago- 
mata e tagliata a guisa di pluteo, essendo di pietra più fina, 



') Ireneo della Croce, Histaria di Trieste, ediz. del 1698, pag. 266. 
Kandler P., Cedaa nell' Istria, yol. VII, pag. 25, 44, 48. 



294 

n' era stala levata. Rimaneva però ancora, soavato tntto in giro, 
un piccolo canale per V asporto dell'acqua piovana. L'atrio co- 
municava colle località interne della villa e propriamente 
con quelle raggruppate intomo al peristilio. La sua posizione 
confermerebbe la congettura che sulla riva di faccia, e propria- 
mente davanti al piazzale, vi fosse un punto d'approdo per le 
barche, indipendente da quello sito più a sinistra. Diversamente 
parrebbe strano, che coloro che arrivavano per mare, doves- 
sero passare dinanzi ad altre località, prima di penetrare nella 
parte della villa che era riservata per abitazione. 

Le camere H' ed I'^ come già dicemmo^ appartengono al 
corpo centrale dell'edificio e sono allestite ad uso di bagno. 
Nella prima era posto 11 caldario, il cui pavimento stava so- 
speso su pilastrini e colonnette di laterizio, alte circa cm. GQ, 
che alla lor volta poggiavano su d' un piano di mattoni I te- 
goloni, che formavano la base del pavimento sospeso, erano 
stati tolti già per lo passato. Si trovarono invece moltissimi 
frammenti del musaico bianco, onde i medesimi erano coperti 
e non pochi rottami dei tubi caloriferi, che avevano rivestite 
le pareti, come pure parecchi esemplari delle grappe di ferro, 
che avevano servito a fermarveli, ed una ingente quantità di 
piombo, adoperato per turare le commissure o derivato dalle 
fistule di piombo, che i saccheggiatori avevano dovuto spez- 
zare. Nella nicchia semicircolare stava in antico il labrum o ba- 
cino per le abluzioni coli' acqua fredda ; all' incontro in quella 
rettangolare; incavata nel muro di fondo, sopra l'imboccatura 
dell'ipocausto, era collocato Valveus del bagno caldo. H con- 
dotto a rivestito ai lati di una specie di tufo serviva ad introdurre 
il calore nel vespaio, donde penetrando nei tubi espandevasi 
tutto in giro per le pareti. U soffitto, come lo apprende la strut- 
tura dei muri, doveva essere costruito a vòlta oppure in forma 
di tronco di cono ed avere lo spiraglio, che mediante uno scudo 
metallico aprivasi e chiudevasi secondo che occorreva accrescere 
o diminuire l' intensità del calore. Una soglia leggermente indi- 
nata, sulla quale vedevansi effigiati in musaico un'anforetta e due 
strigili, metteva dal sudatorio nella cameretta I' (Tav. Vili). 

La maggior parte di questa, conforme venne avvertito, 
giace sotto il muro e la strada del fondo de Eitter. Il suo 



295 

pavimento, che esibisce la figura d' un delfino^ ha il fondo fatto 
di pezzi irregolari di marmo biancastro a vene nere e di grigio 
oupo a vene bianche, abilmente combinati e compresi da una 
cornice di piccole pietruzze, il cui colore con gradazione di 
tono passa dal rosso al bianco. La rappresentazione della soglia 
ìndica che la stanzuccia era adoperata per raschiare ed ungere 
il corpo, destricf-arium ed unctorium, e come tale formava il tepidario 
probabilmente insieme col compreso, in cui si ebbe ad avvertire 
il musaico con disegno a greca, che più sopra abbiamo men- 
tovato. La porta / dall'ambulacro del peristilio U avrebbe 
dato comodo di comunicazione e col bagno e colla cucina ; in- 
troduceva cioè da prima nel frigidario, che sarebbe lo spazio 
coperto da semplice musaico bianco^ ove si trovò incassata nel 
pavimento una lastra con foro circolare nel mezzo, la quale 
garantiva il chiusino fatto per immettere T acqua di scolo nel 
canale, che fu poi rintracciato nel fondo Artelli ed è indicato 
nella pianta colla lettera o. Questo è tutto construito di laterizio 
e con diligenza, ed attraversa il compreso S', del quale nuUa 
sapremmo dire, essendo i muri pressoché rasati al suolo. Bensì 
risulta diviso dal muro p in due parti ineguali. Può darsi che 
la maggiore abbia servito da repositorio, e che nella minore 
vi fosse r agiamento, che di solito era sito presso la cucina. 

Il compreso L' serviva, quale pre/bmio, per il riscalda- 
mento del bagno, avendo in a Vipocaosis, vale a dire la fornace 
dalla quale il calore diffondevasi nelP ipocausto e nelle pareti 
vacue della cella sudatoria^ ed in b un pogginolo di fabbrica, che 
costituiva la base del focolare, sul quale stava la caldaia deiracqua. 
n muro moderno impedì di esaminare in quale modo dall' abita- 
zione si perveniva alla cucina^ e se il tepidario aveva pure sotto 
il pavimento il vespaio delle suspensurae e le pareti addoppiate, 
ovvero se veniva riscaldato per mezzo di stufa o braciere mo- 
bile. La cucina propriamente detta, alla quale si accede per il 
vano e occupava lo spazio B', ove la grande base in muratura 
m rappresenta V avanzo del focolare ^) ed il piccolo muro che le 



*) Nel precedente capitolo noi abbiamo ravvisato in questa grande 
base di fabbrica (m. 1*60 X 1 20) il residuo di un poderoso pilastro eretto 
colà per sostegno del tetto. Ma esaminata più attentamente la sua co- 
struzione abbiamo compreso esser invece li medesimo l'avanzo di un 



296 

sta appresso, opposto al focolare della cucina, il sostegno del 
serbatoio dell' acqua fredda, che introdottavi direttamente dal- 
l' acquedotto, veniva da qui distribuita e nella caldaia e nel 
labro ed in altre parti della casa. La cucina in tutta la sua 
larghessa aprivasi su d'un cortile, ove nel punto n v* aveva 
un secondo pozzo, men largo e profondo di quello che fìi sco- 
perto sotto il piano della sala V. Era stato anch' esso interrato. 
Il suo diametro è di poco maggiore d'un metro e la profon- 
dità misura circa metri tre. Ha forma cilindrica ed è rivestito 
di pietra arenaria esattamente tagliata. Lo si vuotò e dalla 
melma si raccolsero le monete enee d'Augusto, Agrippa^ Ti- 
berio, Tito e Marco Aurelio, da noi descritte, alcune stoviglie 
di argilla, cioè vasi di varia forma ed uso, ma del genere più 
comune, moltissime ossa di bue, capra, pecora e di volatili, ed 
infine due chiavi e due piccoli coltelli di ferro, dei quali uno 
con lama triangolare ad un taglio e l' altro simile a falcetto, 
che serba ancor intatto il suo manico d'osso. Le monete erano 
prive della solita ossidazione, ma corrose e terse talmente da 
sembrare appena uscite dall' immersione in qualche acido. 
L' acqua rientrata nel pozzo fu pure analizzata dall' egregio 
prof. Perhauz e riconosciuta potabile, sebbene fosse di qualità 
mediocre. Presso a questo pozzo abbiamo rinvenuto un grande 
capitello composito, tutto rovinato dal fuoco. Sarebbe per vero 
difficile indovinarne la provenienza. 

Le località che ora prendiamo a dichiarare formano una 
parte della villa affatto distinta da quella descritta e quasi 
indipendente; imperocché tra le due non hawi ima diretta 
comunicazione intema; ma solamente dall' una si può passare 
neir altra per l' ambulacro del portico che trovasi sulla facciata 
principale. Lioltre crediamo di dover avvertire che queste lo- 
calità, più che per abitazione, sembrano esser state destinate 
per convegni e divertimenti. 

focolare, ed in questo giudizio dobbiamo ora insistere più che mal dopo 
le scoperto fatto dai signori De Prisco alla PisanéUa presso Boscoreaift, 
a circa tre chilometri a settontrione di Pompei. {Notizie degli scaoi A. 1895 
pag. 207 e seg.) L* appartamento balneario e la cucina della villa romana, 
che colà fu messa a nudo, presentano sorprendento somiglianza colle 
stesse località della villa di Barcola. 



297 

Accanto all'atrio Q\ giace il pìccolo ambiente M\ Non si 
conosce se tra V nno e V altro vi fosse un passaggio ; essen- 
doché il vano segnato nella pianta, più che porta^ sembra rot- 
tura accidentale del muro. Aprivasi questo invece sul corridoio 
N*. Era privo di pavimento, ed il pogginolo di fabbrica a ed il 
terreno nero abbruciato misto con gran copia di carbone dimo- 
strano che qui v' aveva una piccola cucina^ dalla quale per i 
due gradini b si entra nel compreso di forma irregolare 0\ 
che riceveva luce dall' atrio mediante la finestra e, appiedi della 
quale havvi una banchina di pietra sopportata da uno zoccolo 
di fabbrica. Questo compreso, il cui pavimento di mattoncelli 
pende fortemente verso il punto d, ove una pietra forata in- 
dica il principio del canale di scarico 2, pur esso in opera late- 
rizia, ma di rozza fattura, ci rappresenta il frigidario di un se- 
condo bagno molto più piccolo del primo. La località P', che 
con esso comunica, si suddivide in cinque parti distinte. La 
prima e ha un piano con pavimento di cubetti bianchi, incli- 
nato, ') per il quale si ascende in un' angusta fauce, che a sua 
volta da adito in una piccola cameretta, si questa che quella 
con sottoposto vespaio e con pareti vacue, dovendo servire 
Funa da tepidario, l'altra da caldario del bagno. Le suspenmrae 
poggiano alla lor volta sopra uno strato di battuto. Il pavi- 
mento sorretto dai pilastrini di cotto, componevasi di mattoni 
grandi cm. 69 X 52 e grossi mm. 65, sui quali era stato appli- 
cato imo strato di musaico bianco, che insieme col rispettivo 
cemento aveva la spessezza di mm. 95. NeUo spazio g^ anche 
esso piccolissimo, v' aveva il fornello od ipocausiSj tutto rivestito 
di pietra vulcanica, che dai prof. dott. Brezina e dott. Moser 
venne trovata di due specie, e propriamente di leucite iefritica 
e di trachite con struttura eutassUica^ quest' ultima simile al pù 
perno e probabilmente importatavi dai colli Euganei. Veramente 
osservando la pianta sembrerebbe più naturale che al riscal- 
damento si provvedesse dalla cucina M' e propriamente dal 
focolare addossato al muro del caldario; ma a noi non riuscì 



*) La quota altimetrica indicata nella nostra pianta con m. 1*48 
deve essere corretta con m. 2*43. 



298 

di trovare nessun passaggio che lo mettesse in comunicazione 
coli' ipocausto, e d' altro canto T imboccatura che si vede in g 
è fatta in modo che solo può attagliarsi ad un prefurnio. Per 
lo contrario è possibile che 1' acqua venisse riscaldata nella 
cucina e quindi mediante fìstule di piombo trasmessa nel bagno. 
L' ultima parte di questa località è occupata dalla vasca di 
fabbrica /, scavata a mo' di alveo nel terreno per quasi un 
metro, con pareti e fondo rivestiti di compatto stucco. Vi si 
accedeva dal piano inclinato e. Le sue dimensioni sono tali 
che appena vi capirebbe un uomo, come crediamo che tutto 
il bagno non potesse essere usato che da una sola persona 
per volta. 

Scendendo due gradini h si entra nello spazioso recinto 
di forma irregolare Q\ del quale non si potè riconoscere se 
fosse un cavedio od un rustico compreso. Non avendovi scorto 
alcun indizio di pavimento, né musivo, né di battuto, né di 
altro genere, dobbiamo escludere che fosse mai stato adibito 
per abitazione né nella sua parte maggiore, né nella minore 
accennata colla lettera i. All' incontro reputiamo che la straor- 
dinaria quantità di pietra squadrata, di laterizio e di calci- 
naccio, che qui era accumulata, sia da attribuirsi ad un mez- 
zanino, il quale sarebbe stato soprapposto a questa e forse a 
qualcun' altra delle località vicine, e la cui esistenza ci pare 
dimostrata anche dalla solida costruzione delle muraglie. 

Biprendendo la descrizione dal lato che fronteggia il mare, 
primo ci si affaccia V andito N" pavimentato di musaico nero con 
pezzi bianchi disposti ad eguale distanza e con doppia fascia di 
cubetti pure bianchi. Dal materiale di sterro e da una base 
quadrata di calcare qui rinvenuta^ si deduce che la copertura 
del portico era in questa parte sorretta da pilastri di fabbrica 
anziché, come altrove, da colonne. Con ampio vano si apre 
suir andito la sala T', il cui pavimento musivo, di lavoro molto 
fino, esibisce un reticolato nero su fondo bianco, e la soglia 
principale un disegno geometrico reso elegante da un abile 
accordo di linee, rombi e quadrati degli stessi colori. Nella soglia 
sono ancora incassati i tasselli coi forami per i cardini della 
porta, che stante la sua ampiezza doveva comporsi almeno di 



299 



tre partite. In questa sala fu trovato il pogginolo d* un sedile 
di pietra calcare. Nel fondo havvi P alcova a con una ban- 
china di fabbrica lungo la parete maggiore, e dirimpetto una 




rrn^; 






stretta apertura mette nel!' ambiente U', al quale potè vasi ac- 
cedere dalla stessa sala pure per altro ingresso^ di cui rimane 
ancora la soglia di pietra colle cavità per le due valvde. Questo 
ambiente affatto aperto sul? ambulacro costituisce un largo 
corridoio, dal quale salendo due gradini e si entrava nel com- 
preso Q'. Il suo pavimento è di musaico nero maculatp di 
bianco, del tutto pari a quello dell' ambulacro estemo. Dna 
sottile parete h^ che in tutta la sua altezza è munita di una 
larga fessura, lo divide in due parti ineguali. In queste loca- 
lità si raccolsero molti franmienti di lastre di marmo di varia 
specie e di vari colori, che forse avranno rivestite le pareti. 



doó 



Contigua all' andito N" 
e con esso in relazione per il 
vano (f è la grande esedra 
semicircolare Z', il cui dia- 
metro misura oltre 20 metri, 
con un ambulacro protetto 
da tettoia e pavimentato di 
musaico di grossolana fattura, 
bianco, con fascia nera, largo 
circa metri 3*50, cioè dal muro 
perimetrale e fino al muro / 
che ne forma la crepidine 
estema. Questo ambulacro 
comprendeva nella sua curva 
una terrazza, che sostenuta 
dal muro h arrivava alla linea 
del muro t, ove verisimil- 
mente era chiusa da una rin- 
ghiera, che permetteva di go- 
dere della grandiosa veduta 
della marina che si apriva 
dinanzi. Il piano della terrazza 
era di due gradini g più basso 
di quello dell' ambulacro. Si 
r uno che V altro giacciono 
sopra costruzioni più vecchie, 
vale a dire sopra gli avanzi 
dei muri perimetrali della 
camera a% che serba ancor ' 
molto bene un musaico di 
egregia fattura, composto di 
un reticolato bianco in campo 
nero, cinto di una cornice 
bianca e rossa (Tav. VII). 
Lavorata a musaico è pure 
la soglia b\ La differenza di 




Sogli* principale dell* sai* T* 



livello tra il pavimento primitivo ed il posteriore è di circa 
mezzo metro. 



1 saggi pratdoati sotto gli spazi T', U' e Y\ coi quali si 
recarono alla luce avanzi di musaici e muramenti più antichi 
ci persuasero che non trattasi di un particolare fabbricato, ma 
si bene della riedificazione di alcune parti ad un piano più alto 
ed in una forma consenziente coi mutati bisogni degli abitatori. 

Sull' emiciclo dava con larga porta la grande sala A". II 
suo pavimento musivo presenta una riquadratura adoma di 
figure geometriche nere di forma quadrangolare, che si toccano 
coi loro angoli in modo da produrre sul fondo bianco una serie 
di esagoni e triangoli ingegnosamente disposti, i secondi aventi 
cadauno inscritto uno più piccolo nero. La cornice comprende 
eleganti serti d' edera, che dipartendosi da un vasetto sito nel 
mezzo di ogni lato ne percorrono a guisa di meandri V intera 
lunghezza e s'intrecciano agli angoli della cornice. I vasetti 
dei lati maggiori hanno la forma di un calice o cantaro^ quelli 
dei minori somigliano ad un' anforetta. Quantunque fortemente 
danneggiato, questo musaico offre a prima vista una chiara idea 
dell'intera composizione ornamentale, che qui riproduciamo 
secondo il ristauro fatto dal signor Sencig. La sala posta su 
d' un piano più elevato che le altre camere, era destinata quale 
triclinio^ ove la brezza vespertina ed il meraviglioso spetta- 
colo del mare, dorato dal sole cadente o rischiarato dal lume 
argenteo della luna, rallegravano i suntuosi banchetti. 

Fiancheggiano il triclinio le celle H" ed F", ambedue 
lastricate con opera signina, la prima adibita per dispensa, la 
seconda con uscita sull' emiciclo ed in comunicazione con altre 
località; fra le quali sarebbe da ricercare la cucina, che nelle 
ville trovavasi assai di frequente staccata dal corpo principale 
deir edificio, a meno che quella che abbiamo già descritta non 
fosse bastata da sola a tutti i bisogni della villa. Parimenti 
crediamo di dover ammettere che non lontano vi fosse pure un 
ingresso^ pel quale potevasi accedere a queste località dalla via 
che abbiamo scoperta a breve distanza appiedi della collina. 
Dair emiciclo s' entra anche nel chiuso di forma irregolare Y\ 
il quale con forte pendenza è inclinato verso di esso ed ha nel 
fondo un passaggio nel compreso Q*, in cui si scendeva per un 
gradino. Il suo piano è coperto di grossi cubi di laterizio com- 
binati a guisa di musaico. 



302 




n braccio sinistro dell' ambulacro si unisce airandrone B", 
che ne forma la continuazione e mediante la scalinata {, pro- 
tetta da palladiane, conduce sulla riva murata del mare. Basente 
al medesimo sta il vasto oecus C'\ il quale termina nella rotonda, 
donde per un'altra scalinata potevasi pure discendere alla 
riva. Anche questa sala è adorna di bel musaico, che ai lati 
ha un largo spazio bianco con bordo nero o uel meazo, chiuso 







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304 

entro cornioe composta di triangolii un compartimento, nel quale 
8i presenta un bellissimo disegno a greca risaltante dal con- 
corso di linee nere e di bende più larghe, queste prodotte da 
qaadratelli e triangoli che si alternano sul fondo bianco. La 
rotonda emerge sulla riva del mare e fino al livello del pavimento 
musivo per oltre un metro, & solidamente costruita ed atta a 
sostenere l'eventuale urto dei fluttL Alcuni rocchi di pietra 
calcare; qui raccolti, e' inducono ad arguire che la sala C fosse 
a questa estremità aperta e foggiata a modo di loggia. La sca- 
linata consiste di quattro gradini rivestiti di pietra e posti uno 
sull'altro cosi che la discesa poteva farsi da tre latL II gra- 
dino superiore & lungo metri 1*60, l'inferiore metri 3. Sa 
quest' ultimo era stata adagiata una lastra di pietra per ripa- 
rare a qualche guasto o per diminuire l'altezza tra esso ed 
il precedente e rendere più sicuro il passo. 

Voecus è accostato dalla fauce D" colla quale comunica 
mediante un vano, la cui soglia esibisce un musaico con orli 
neri e nel mezzo una zona di esagoni circoscritti da linee nere 
ritraenti un vespaio, e serba inoltre i tasselli di pietra per le 
bande. La fauce è pavimentata con sole pietruzze nere. Rice- 
veva luce dal lato prospiciente il mare, chiuso forse da un 
semplice parapetto, ed aveva nel fondo un uscio n munito di 
gradino, che metteva nello spazio E*', nel quale le tracce del- 
l' edificio sono per modo scomparse da non lasciar visibile che 
la soglia in mezzo a mucchi di rovinacci Ma il tratto di 
muro p, dimostra che il fabbricato proseguiva verso sinistra. 
I muramenti che noi abbiamo indicato con G^' giacciono su di 
un piano più basso di quello delle altre località. Sono lastri- 
cati con mattoncelli ordinati a spiga od a spina di pesce. Come 
dicemmo, pare che qui fosse posta una cucina e le sue dipen- 
denze, dalle quali attraverso la cella F" si perveniva al triclinio. 
In qualunque caso queste rovine sono da rigoardarsi come il 
residuo della parte meno importante della villa, quella cosid- 
detta rustica, abitata dai servi, o assegnata per i magazzini, le 
stalle, le rimesse ecc. 

Descrivendo il tablino, abbiamo fatto cenno degli avanzi 
di dipinti murali, trovati colà e nei cubicoli vicini. Eguali 



30B 

fìrammenti furono raccolti eziandio nelle altre località, ma in 
minor copia. Anche da questi abbiamo rilevato lo stesso genere di 
ornamentazione a rabeschi e fogliami. Fregiavano essi la parte 
superiore delle pareti; lo zoccolo invece presentava una tinta 
uniforme, oppure venata e scompartita in riquadri per imitare 
la stabilitura con piani di marmo. I muri del nostro edifìcio 
erano talmente rovinati che in alcuni punti appena emerge- 
vano sopra la linea delle fondazioni ed in pochi toccavano 
ancora T altezza di un metro. Per la qual cosa i pezzi d'into- 
naco tuttavia aderenti non ci lasciano riconoscere se non lo 
zoccolo. Questo era colorito di rosso sulle pareti del portico 
che costeggia il lato di mezzogiorno e di quello lunghesso la 
fronte principale dell' edificio. Bosso lo si osservò nel peristilio, 
nell' atrio, nel tablino, nell' emiciclo, neWoecus che sporge verso 
il mare e nella maggior parte delle altre località. Apparve in- 
vece di color giallo nella camera della statua, nella stanzuccia 
col musaico policromo, nel grande triclinio ed in tutte le fauci. 

Alberto Puschi 



■Ss;(SS2)5S55BZ)355?^^ 



OLIMPIA MORATO 



Lettura tenuta nel Gabinetto di Minerva II 20 marzo 1896 

dal prof. ALESSANDRO HOBPUBGO 



Nel secolo nostro, massime ne' primi decenni, nomini insigni 
dovettero abbandonare T Italia per chiedere altrove la libertà che 
non era possibile in patria. Altrettanto era accaduto nel secolo 
decimosesto; ma i profughi d'allora, che, per lo più, si sot- 
traevano alle persecuzioni religiose, ebbero sorte più triste dei 
moderni: a questi ardeva neir animo una forte speranza, la reden- 
zione della patria e quindi il ritomo ; a quelli, invece, l'Italia non 
avrebbe più riapertole braccia; e nella desolazione dell' esilio, 
li vediamo erranti per Svìzzera, Germania, Polonia, Inghilterra, 
finché la morte, più pietosa degli uomini, concederà loro la 
pace da lungo, ma invano, desiderata. 

Fra gli esuli italiani che abbracciarono la riforma reli- 
giosa, ve n' ha d' illustri : Pier Paolo Vergerio e Matteo Flacio 
istriani; Bernardino Ochino, Pietro Martire Vermigli, Lelio 
e Fausto Scoino toscani; Celio Secondo Cnrione piemon- 
tese; Girolamo Zanchi bergamasco, per ricordare solamente 
alcuni de' più conosciuti. Sopra tutti però desta ammirazione 
e compianto Olimpia Morato, fiore gentile, cresciuto nel rigoglio 
del rinascimento italiano, ma che dal turbine della riforma 
divelto al suolo nativo, langue e muore in terra straniera. I 
Protestanti della Germania la esaltano come loro grande gloria, 
in Italia è meno nota di quanto meriterebbe; e però non 
inutile, dai pochi scritti che di lei rimangono, comporre le 
vicende della sua vita e studiarne l'ingegno eletto, la squi- 
sita cultura e, sopra tutto, le forti virtù per le quali avanza 
tante donne del Cinquecento. 



307 



Fulvio Pellegrino Morato^), poeta e letterato mantovano, 
bandito dalla città nativa, si era stabilito, intorno al 1520, in 
Ferrara; e ivi accasatosi, venne in grande reputazione come 
istruttore di nobili giovanetti ed espositore de* classici latini 
a Sigismondo d'Este, cugino del duca Alfonso I. Ma pochi 
anni dopo, o costretto dall' invidia degli emuli o sospetto di 
aderire alle nuove idee religiose, lasciò Ferrara, alternando 
il soggiorno tra Vicenza, Cesena e Venezia; finché le istanze 
degli amici e singolarmente di Celio Galcagnini, ^) il quale 
fortemente dolevasi che ai giovani fosse tolto maestro si 
valente, gli procurarono il ritomo in Ferrara, dove, profes- 
sore di rettorica e poesia all'università e istruttore de' figli 
naturali di Alfonso I, visse ancora parecchi anni tranquillo e 
onorato da tutti. Nel 1526, al tempo del primo soggiorno in 
Ferrara, da Lucrezia Gozi ^) gli era nata Olimpia, che, d' in- 
gegno pronto e vivace, sin dai primi anni venne dal padre 
iniziata agli studi letterari. ^) 

In Ferrara, che già nel Quattrocento era stata fra le città 
più rinomate per cultura artistica e letteraria, il rinascimento era 
ancora in tutto il suo splendore. Le davano rinomanza le acca- 
demie; all'università accorrevano scolari da paesi lontani e 
vi fiorivano letterati di gridO; quali Celio Galcagnini; i due 
fratelli Ciliano e Giovanni Sinapio, venuti di Germania ad 
insegnare letteratura greca e medicina ; i due Giraldi, Giovan 
Battista Cinzie, poeta, filosofo e novelliere e Giglio Gregorio, 
biografo de' poeti contemporanei ; Bernardo Tasso ; Bartolomeo 
Bicci; Alberto LoUio ed altri. Questi letterati, stretti d' ami- 
cizia al Morato, spesso lo visitavano ; e nella conversazione 
erudita, quasi corollario degl' insegnamenti patemi, Olimpia 
acquistava famigliarità coi nomi più grandi di Grecia e di 
Roma e penetrava così a dentro nel pensiero e nel sentimento 
de' grandi scrittori antichi, che, come gli umanisti del Quat- 
trocento, esprimeva più facilmente e più naturalmente i suoi 
pensieri nell' una o neir altra delle lingue classiche che non 
nella materna ; onde gli scritti che di lei rimangono, eccettuate 



308 

due lettere italiane, sono greci o latini. E nell'amore allo 
studio che ogni giorno diveniva più intenso, avrebbe quasi ne- 
gletto ogni altra occupazione e, non ancora quindicenne, cosi 
scriveva a Giliano Sinapio, il suo primo maestro di lingua greca * 
"Come mai, essendo le lettere tanto superiori a ogni altra 
cosa umana, il fuso e Tago potrebbero distrarmi dalle dolci 
muse? come mai la canocchia e il telaio, nel loro silenzio, 
potranno persuadermi? o forse queivilissimi strumenti avranno 
mai, per sé stessi, alcuna lusinga^ ? % 

Non è quindi da stupire che il Giraldi la chiamasse fanciulla 
superiore al suo sesso e meraviglia di quanti la ascoltano. ^) 
Se non che le ristrettezze della famiglia non avrebbero per- 
messo ad Olimpia di seguire le disposizioni felici dell'ingegno, 
se in suo aiuto non fosse venuta la corte estense, dove il 
duca Ercole II proseguiva le tradizioni gloriose di Alfonso I. 
Ma ancor più dovette sentire ammirazione per Olimpia la 
duchessa Benata che accoglieva intomo a sé, in eletta 
accademia, quanti erano uomini illustri in Ferrara» Renata di 
Francia, figlia di Luigi XII e cognata di Francesco I, non 
aveva, come già la suocera Lucrezia Borgia, il vanto della 
bellezza ; e nel 1518 il giovane Ercole, recatosi a S. Germano 
per farla sua sposa, scrive francamente al padre: ''Madama 
Benea non è bella; pure se compensarà con le altre bone 
conditioni....^.^) Né s^ngannava, perché fu donna di alto sentire 
e d'ingegno cosi felice, da attendere, come i contemporanei 
attestano, allo studio delle lingue classiche, della storia, della 
matematica, della teologia e, secondo le costumanze del tempo, 
anche all'astrologia. ^) Ma divenuta duchessa di Ferrara, Tideale 
da lei propugnato di una politica francese, che sarebbe 
stata contraria agl'interessi di Ercole II, e la propensione 
alla riforma religiosa cagionarono gravi conflitti col duca, 
finché, dopo la morte di questo, ritornata in Francia, rimpro- 
verava, esempio raro di tolleranza in un secolo di violenti 
passioni religiose, ai cattolici le crudeltà, le vendette agU 
Ugonotti. *) 

Eenata si dava cura costante dell' educazione di sua figlia 
maggiore, la principessa Anna ; e non contenta di aver scelto 
per lei i maestri più reputati, volendo ora darle una compagna 



309 

di studio pei' stimolarne l' emulazione, fece venire alla corte 
Olimpia. Gli amici del Morato salutarono T invito come un 
fortunato avvenimento; e il Calcagnini^ che vedeva assicu- 
rato un lieto avvenire alla figlia dell'amico, le inviò congra- 
tulazioni affettuose ed amorevoli consigli. *Tu rechi alla corte 
gì' insegnamenti onesti de' tuoi genitori, la pudicizia, la modestia; 
devi ora acquistarvi la sapienza, l' eleganza de' costumi, la 
nobiltà d' animo e il disprezzo di ogni cosa volgare.^ ^^) Ben 
presto fra le due fanciulle, benché Anna fosse cinque anni 
più giovane, nella comunanza degli studi si strinse un forte 
legame di amicizia; ed Olimpia, da tutti amata e accarezzata, 
potè darsi liberamente alle occupazioni letterarie. Autore predi- 
letto le divenne Cicerone, del quale scrisse un' apologia che 
si affrettò d'inviare al Calcagnini; e questi, assicurandola di 
aver riposto lo scritto fra i più sacri tesori della sua biblio- 
teca, r ammira perchè, mentre le altre fanciulle sogliono cogliere 
i fiori primaverili ed intesserne una corona variopinta, ella, 
invece, non sceglieva i fiori che durano breve tempo, ma dai 
prati fecondi delle muse sapeva cogliere gli amaranti im- 
mortali che mai avvizziscono ed ogni giorno più verdeggiano; 
oramai essere grande 1' aspettazione che di lei si aveva, né 
possibile disertare la milizia alla quale, religiosamente, si era 
ascritta. ") Parve in breve che la corte di Ferrara non potesse 
fare senza Olimpia; e quando, colpita da grave malattia, 
ritornò alla casa patema, il timore di perderla fu grande. Ma 
guari; e Giovanni Sinapio, medico di Renata e precettore della 
principessa Anna, la invitava a ritornare al palazzo ducale con 
la medesima lettiga di corte ond' era partita. Si presentò nova- 
mente air accademia della duchessa ; e salutata con maggiori 
applausi del consueto, tenne alcune lezioni sui Paradossi di 
Cicerone. ^*) "Eccomi qui — diceva, preludendo con garbata 
modestia alla terza lezione — eccomi qui alquanto rinfrancata, 
perché, come lo scultore imperito in possesso di un marmo 
pario sembra compiere, per merito delia materia, alcuna cosa 
di pregio, vi sono canti sì dolci e armoniosi che, anche emessi 
da rozzo istrumento, appariscono giocondi; tali le parole del 
mio Tullio, cosi belle e soavi che, in qualsivoglia modo esposte, 
non perderanno né la grazia né la maestà. „^^) 



810 

I trattenimenti letterari erano frequenti alla corte; e il 
Curione, ricordando di aver udito Olimpia declamare in latino, 
parlare in greco, interpretare Cicerone, rispondere a dotte 
interrogazioni, la paragona ad una fanciulla de' tempi antichi.'^) 
Una di queste feste letterarie, forse la più splendida, fu data 
nel 1543 alla presenza del pontefice Paolo in che, ospite del 
duca, fu accolto con la magnificenza abituale degli Estensi, 
allora maggiormente richiesta da ragioni politiche. E fra le 
molte festività, in una corte, dove già ai tempi di Ercole I 
era avvenuta la restaurazione del teatro classico, non poteva 
mancare una rappresentazione drammatica L'ultima sera, 
poiché il pontefice ebbe assistito ad una giostra, furono reci- 
tati alla sua presenza gli Adelfi di Terenzio, essendo attori 
principali i cinque figli di Ercole II: spettacolo singolare, 
non però nuovo nel rinascimento italiano, il sentir recitare 
con vivacità e grazia, in lingua latina, attori, de' quali il mag* 
giore aveva tredici anni; il più giovane non più di cinque. I 
cronisti non dicono che parte avesse Olimpia^ ma non è da 
credere che essa, ornamento prezioso della corte estense, fosse 
esclusa da questa rappresentazione. 

Cosi, fra gli studi e le feste, passavano lietamente gli 
anni della prima giovinezza; e il Giraldi, attratto da tanta 
bellezza e ingegno, cantava di lei : " H tuo viso à tutto splen- 
dore e grazia, o fanciulla cresciuta nella dimora delle virtù, 
tra il virgineo coro di Renata e delle muse. Fortunata la 
principessa che ti ha per compagna, fortunati i genitori che 
ti chiamarono Olimpia e più fortunato Tuomo che ti otterrà in 
isposa.'^) Di questi anni felici è giunto a noi, quasi eco lontana, 
un epigramma greco di Olimpia che può dirsi V inno trionfale 
della giovine poetessa: "Non a tutti i mortali Giove concesse 
una mente istessa: Castore fu domatore di cavalli, Polluce 
potente nel pugilato, e pure entrambi nati dal medesimo padre. 
Ed io, benché nata donna, lasciate le cure muliebri, amo i 
prati fioriti delle muse e i gioiosi cori del duplice Parnaso. 
Altre donne si rallegreranno forse di altre cose; queste 
sono la mia gloria, queste la mia gioia.,,^*) Altri versi greci 
scrisse per la morte del Bembo, il cui nome^ ai tempi di Lucre- 
zia Borgia, era risonato si alto nella corte ducale: "E morto il 



311 

Bembo, i' onore delle vergini muse, la luce di Venezia gloriosa 
nel mare; ninno fra i mortali lo gareggia né in fatti né in 
parole. Con la sua morte T eloquenza sembra spenta e Cice- 
rone di nuovo disceso nel tetro Avemo.„^^). 

II. 

Mentre Olimpia, con ardore giovanile, si dava tutta al 
culto della poesia ; alla corte estense e fra i letterati di Ferrara 
studi e pensieri più gravi occupavano le menti. È noto come 
la grande rivoluzione religiosa penetrasse dalla Germania anche 
in Italia dove, più che un moto popolare, divenne un* aspira- 
zione di alcuni spiriti superiori desiderosi di riformare i costumi 
e la disciplina ecclesiastica. Ma quando venne istituito TUf- 
ficio dell' Inquisizione e cominciarono le persecuzioni, i seguaci 
delle nuove idee o dovettero sottomettersi o fuggire^ mentre 
quelli che non vollero piegare, quali Giovanni Mollio, Aonio 
Palearìo, Pietro Carnesecchi ed altri finirono la vita sul rogo. 
Se non che la riforma religiosa, con tanto rigore repressa, 
continua a serpeggiare, dall^ Istria alla Sicilia, in quasi tutte 
le città italiane; ha i suoi proseliti, esuli e martiri; penetra 
nelle corti de* principi e nelle accademie de* letterati, attrae 
i filosofi e le donne più colte e gentili; è quindi per l'Italia 
un avvenimento di alta importanza, che va studiato nelle ori- 
gini, nelle manifestazioni e nelle conseguenze, chi voglia piena- 
mente comprendere il Cinquecento italiano. '^) In Ferrara 
ebbe un terreno forse più favorevole che altróve; di più, a fecon- 
darne i germi esistenti, si aggiunse il soggiorno quanto celebre 
altrettanto misterioso che vi fece Calvino nel 1536. D'allora 
in poi Benata ebbe carteggio col grande riformatore ginevrino, 
ed alla riforma aderirono, più o meno apertamente, anche i 
letterati che convenivano alla corte ed i professori dell' univer- 
sità. Fra gli altri, Giovanni Sinapio che aveva sposato Fran- 
cesca Bucironia, damigella» francese del seguito di Renata, e 
che ricordava sempre, con singolare compiacenza, 1' incontro 
con Calvino al quale coleva rivolgersi per consiglio e per poter, 
tra le molte insidie, rendere a Dio il dovuto omaggio. Quanto 
a Pellegrino Morato, forse sin dalla prima dimora in Ferrara 



conosceva le dottrine degl^ innovatori religiosi ; certo À cke 
nel 1642, per opera di Celio Secondo Curione, divenne fervido 
e valido campione della riforma. H Curione, valoroso letterato 
ed umanista piemontese, che era stato de' primi a professare le dot- 
trine evangeliche e per esse due volte aveva sofferto il carcere, era 
in grande dimestichezza con la famiglia di Olimpia; e quand'egli 
abbandonò Ferrara per recarsi a Lucca, altro focolare della riforma 
italiana, il Morato gli scriveva: ''La tua partenza mi ha privato 
di un divino precettore che Dio mi aveva mandato per istruzione; 
ma nulla può alleviare il mio dolore quanto la fede che io 
appartengo a Cristo e che egli non mi disdegna. La tua pront-a 
favella e il tuo spirito eloquente mi hanno cosi efficacemente 
commosso, che venni a conoscere le mie tenebre ed ora Cristo 
vive in me ed io in lui.„ E, come tutti i seguaci della riforma, 
manifestando il proponimento di far proseliti, aggiunge : "Ora 
caldo e pieno di vita, sono capace di far ricchi gli altri, parte- 
cipando i tesori che tu mi desti. ^®) Olimpia conobbe il Curione, 
ma non possiamo dire quale efficacia avessero i suoi inse- 
gnamenti sull'animo di lei ancor tutto pieno dell'antichità 
pagana. Ella stessa asserì molti anni dopo che, per lungo 
tempo, non aveva potuto apprendere nulla di alto e divino, 
che neppure aveva letto i libri d^l vecchio e nuovo testa- 
mento e che, credendo l'universo opera del caso, mai aveva 
pensato che un Dio si curasse delle cose mortaU. *^) Se non 
che anche in Olimpia doveva succedere quell' evoluzione alla 
quale non si sottrassero altrì ingegni del Cinquecento i quali, 
dallo studio dei classici, furono tratti alla meditazione religiosa; 
e tanto più se si consideri che in Italia la donna acconsentì 
alla riforma e la favori con opera efficace. Né poteva essere 
altrimenti; che la donna italiana, essendo gran parte della 
vita intellettuale della sua età, non volle ignorare il movimento 
religioso e il tentativo di restaurazione morale che ne fu la 
conseguenza, onde Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga e Cate- 
tina Cibo duchessa di Camerino sgstennero una vera e Ixmga 
lotta per migliorare i traviati costumi. E noto come la marchesa 
di Pescara facesse tenere in Roma publiche conferenze contro 
la corruzione femminile e come insieme alla duchessa di Carne- 
rino proteggesse il nuovo ordine dei Cappuccini presso ai quali 



àia 

t)areva rivivere la semplicità de' primi seguaci di san Francesco. 
Queste donne pietose ed altre che frequentarono il circolo reli- 
gioso di Giovanni Valdes in Napoli, volevano richiamare la 
società ai semplici costami cristiani, dai quali il Cinquecento 
italiano si era tanto allontanato ; il loro, come dice il de Le va^*), 
era un raccoglimento dell' anima, un' effusione di profonda 
pietà, non un distacco dalla chiesa cattolica. Quando però ven- 
nero i tristi giorni della reazione, furono anch' esse credute 
luterane, confondendosi in questo nome coloro che miravano 
ad una riforma nella disciplina con quelli che la volevano 
anche nel dogma. ^^) Ma ai Luterani va ascritta, senza dubbio. 
Olimpia Morato, che non seppe o non volle rimanere nei limiti 
della chiesa cattolica e non vide altro rimedio, per la deside- 
rata riforma dei costumi, che una chiesa diversa la quale ritor- 
nasse ""alla semplicità ed alla purità del suo fondatore. » '^) Il 
consorzio di Benata, le tendenze del padre e degli amici, il 
contatto continuo coi riformati ne favorirono la conversione; 
ad affrettarla si aggiunsero le sciagure domestiche. 



m. 



Nel 1648 Fulvio Pellegrino ammalò gravemente, e la 
figlia lasciò tosto la corte per correre al letto del padre ; ma 
nulla poterono le cure più amorose e dopo lunghe sofferenze, 
sopportate, come narra Olimpia 2*), con fede esemplare, fu 
tolto all'affetto de' suoi. A questa si aggiunse un'altra cala- 
mità: la duchessa, dando ascolto alle calunnie de' malevoli, 
privò Olimpia e tutta la famiglia della sua protezione. V ha 
chi sospetta che le accuse partissero da Girolamo Bolsec, frate 
carmelitano ed elimosiniere di Renata, ma giova credere che 
la disgrazia di Olimpia sia stata promossa dal duca, costretto 
dal pontefice a misure di rigore contro gli aderenti o i sospetti 
di aderire alla riforma. Comunque sia, la duchessa, che pure 
sappiamo buona e benefica, trattò Olimpia con inusato rigore, 
sino a negarle le vesti lasciate alla corte e restituendole poi 
lina sola per intercessione altrui. ^^) Giorni di grande incertezza 
e di forte ambascia cominciarono per la giovane poetessa che 



814 

doveva pensare alla madre qnBsi sempre inferma, a tre sorelle 
più giovani e ad un fratello di soli sei anni. Si vide abban- 
donata da molti che altre volte si dicevano amici e temeva 
di non poter più sollevarsi, mancandole anche T aiuto della 
principessa Anna andata sposa a Francesco di Guisa, il cele- 
lebre capo del partito cattolico in Francia. Ma Olimpia stette 
salda nelle avversità: il dolore la fece donna. Con animo rasse- 
gnato attendeva alle cure domestiche e all'educazione delle 
sorelle e del fratello, trovando alcun conforto nell'adempi- 
mento de' nuovi doveri e negli studi religiosi ai quali ora 
si dava col più gran fervore, quasi volesse dimenticare il 
passato che, nello zelo di neofita, le appariva vuoto e degno 
di compianto. Ritraeva quindi 1' animo e la mente dai tesori 
classici dell' antichità; e nelF idea del sacrifizio e dell' abne- 
gazione la poetessa pagana, divenuta cristiana, dettava epigrammi 
latini della stessa eleganza dei componimenti anteriori. '*) 

Ma per quanto grande la forza dello spirito, per quanto ar- 
dente la fede, non sarebbero bastate a quietarle l' animo turbato ; 
ad assicurarla dell' avvenire le abbisognava un' anima nobile che 
degnamente apprezzasse il tesoro di affetti racchiuso nel suo 
cuore. Fra gli stranieri che studiavano nell' università di Fer- 
rara segnalavasi un giovane tedesco, Andrea Gruntler, nativo 
di Schweinfurth che, pur dedicandosi alla medicina, coltivava 
con grande amore anche la letteratura greca e latina. Aveva 
stretto amicizia coi letterati più illustri; e Cinzie Giraldi lo 
teneva in tanta considerazione che nel dialogo sui poeti contem- 
poranei, il Gruntler, uno degli interlocutori, parla de' poeti 
di Germania e di Francia, ricevendo poi egli stesso i più 
grandi elogi come valente verseggiatore. '^) Di religione prote- 
stante, si senti attratto non pure dalla bellezza ma dalla pietà, 
dalla dottrina e anche dalle sventure di Olimpia e la volle 
sua sposa, vincendo, con la forza delP animo fortemente inna- 
morato, tutti gli ostacoli che si opponevano ai suoi desideri. **) 
Si sposarono verso la fine del 1650, e la musa cristiana di 
Olimpia consacrò in versi greci questa unione: *0 Dio onni- 
potente, supremo dominatore di tutti i regnanti, che al primo 
uomo desti una compagna perché non si estirpasse il genere 
umano, che volesti 1' anima dei mortali sposa al figlio tuo e 



3iè 

che questi a cagione di lei morisse; concedi a noi sposi feli- 
cità e concordia, perché sono tua legge il nostro talamo e le 
nostre nozze. „ ^^) 

Il Gruntler conseguì la laurea di medicina '^) e sa- 
rebbe forse potuto rimanere in Ferrara, ma le persecuzioni 
religiose divenivano ogni giorno più violenti, ond' egli, seguendo 
Tesempio dei fratelli Sinapio che erano ritornati in Germania, 
deliberò procurarsi un' occupazione in patria. Non volendo però, 
prima di un buon esito, esporre la giovane consorte alle fatiche 
del lungo viaggio in paese travagliato dalla guerra civile, 
parti, solo, neir inverno del 1660. E facile imaginare il dolore 
di Olimpia che con lettere affettuosissime lo scongiurava di 
affrettare il ritomo o^ almeno, di mandarle più frequenti no- 
tizie. •') Grande speranza essa riponeva nell' aiuto di Giovanni 
Sinapio che doveva raccomandarli al re Ferdinando e presen- 
tare a questo e ad altri personaggi insigni le poesie di Olimpia ; 
e però scriveva all' antico maestro perché adoperasse in loro 
favore e presto le rimandasse il marito, che, se in Terenzio 
v'ha chi afferma di non poter rimanere due giorni senza la 
sposa, ella trovavasi due mesi senza il suo Andrea. ^^) Non 
era però da tutti abbandonata: fra i pochi amici rimasti 
fedeli, le dimostrava singolare benevolenza Lavinia della Itovere, 
consorte di Paolo Orsini, che aveva già fatto parte del virgineo 
coro di Renata cantato dal Giraldi. ^') Spesso le due amiche si 
riducevano a intimo colloquio e la conversazione diveniva sempre 
più elevata, come apparisce in un dialogo nel quale Olimpia 
rifa la storia del suo passato e propone a sé medesima di 
rivolgere a Dio tutto V ingegno. •*) Finalmente Andrea ritornò 
a Ferrara; e benché non avesse ottenuto un collocamento 
sicuro, volle condurre la consorte in Germania, nella speranza 
che le promesse degli amici non dovessero fallire. Dolorosa 
fu la separazione dalla madre che temeva di non più rivedere 
la figlia, mentre questa, nell'abbandonare la patria e la famiglia, 
aveva il conforto che più non sarebbe divisa dal marito né 
avrebbe dovuto nascondere la fede evangelica, che era per lei 
la più nobile sodisfazione della vita e per la quale dicevasi 
pronta a seguire il consorte, non pure per gli erti gioghi delle 
Alpi ma sino al Caucaso e sino agli ultimi confini dell' occidente. 



die 



IV. 



Il primo rifugio fu Augusta, città fiorente per i commerci 
e gli studi ed in continue attinenze con l' Italia, sicché ad 
Olimpia i^pn pareva trovarsi molto lontana dalla patria. Erano 
ospitLdel consigliere imperiale Giorgio Hermann, ^^) uno dei 
primi cittadini di Augusta^ già amico di Erasmo e di Fi- 
lippe Melautone e che essendo ammalato tenne per aJciin 
tempo presso di sé Andrea Gruntler. Col suo mezzo conob- 
bero anche la potente famiglia dei Fugger che, arricchitisi 
nei commerci, erano divenuti gran mecenati, mandavano i loro 
figli all' università di Padova '*) ed abitavano uno splendido 
palazzo adomo di tutte le magnificenze dell' arte antica e 
moderna, onde meritarono di essere chiamati i Medici della 
Germania. Olimpia visse alcuni giorni sereni tra lo studio 
de' libri sacri e quello della poesia, attendendo anche all' edu- 
cazione del fratello Emilio che, per sollevare la famiglia e per 
averne sempre un dolce ricordo^ aveva preso con sé da Ferrara. 
Uno de' primi pensieri fu di scrìvere al migliore de' suoi 
amici da lei tenuto in conto di un secondo padre, al Curìone 
che, dopo molte peripezie, insegnava eloquenza nell'università 
di Basilea. Gli scrisse adunque con parole di grande affetto 
per narrargli quanto le era succeduto dopo la morte del padre 
e come, sbattuta dalle tempeste, avesse trovato in Germania 
un porto sicuro; e, sapendo di fargli cosa gradita, univa a 
questa lettera alcuni salmi da lei ridotti in versi greci. ^^) D 
Curione le rispose con pari tenerezza, assicurandola che l'amava 
come figliuola ed esortandola a proseguire nello studio della 
poesia sacra. ^®) Ma anche nel tranquillo soggiorno di Augusta 
il suo pensiero ricorreva di continuo alla patria ed alla fami- 
glia, massime alla madre; ed a lei, col mezzo di un fido amico, 
inviava alcune monete d' oro, dolendosi di non averne notizia. 
Né la sicurezza in cui ora trovavasi le faceva dimenticare gli 
infelici perseguitati per le opinioni religiose. Con calde parole 
pregava l'amica Lavinia deUa Rovere d'intercedere presso il 
pontefice e presso il duca a favore di Fannio di Faenza che^ 
accusato di eresia, da lungo tempo era rinchiuso nelle carceri 



317 

di Ferrara. ^^) Nulla poterono le preghiere delle donne pietose, 
neppure di Renata: il duca Ercole dovette ubbidire agli ordini di 
ILoma e il Fannio fu impiccato^ indi abbruciato e le ceneri gettate 
nel Po. Olimpia n'ebbe grande rammarico e scrisse al Curione 
che piuttosto sarebbe andata nelle più lontane contrade che ri- 
tornare in un paese dove l'Anticristo esercitava tanto potere ; 
e nel dolore le sfugge una parola amara contro la patria>^) 

Dopo alcune settimane i giovani sposi partirono da Augu- 
sta per andare a Wùrzburgo, invitati da Giovanni Sinapio, 
medico del principe vescovo di quella città. L' antico maestro 
fece ad Olimpia le più affettuose accoglienze, e mentre il marito 
accompagnava il suo ospite al letto degli ammalati, il tempo 
le trascorreva lietissimo nello studio de' libri sacri. Si sarebbe 
quindi trattenuta a lungo presso la famiglia Sinapio, se il senato 
di Schweinfurth, abbisognando di un valente medico per le mili. 
zie imperiali^ non si fosse rivolto al Gruntler. Questi, in mancanza 
di meglio, accettò l'invito e nell'autunno del 1661 lasciarono 
Wùrzburgo *^) con grande commozione di Olimpia che, nel 
congedarsi da Giovanni Sinapio e da Francesca Bucironia, si 
distaccava quasi interamente da un passato doloroso si, ma 
pieno di tanti ricordi. In Schweinfurth comincia veramente 
l' esilio di Olimpia che, lontana dagli amici, ignara della lingua 
tedesca, priva di notizie dall' Italia e mal sofferente il clima 
rigido di quella città, desiderò presto un altro soggiorno. 
Venne a proposito l' invito del re Ferdinando che, col mezzo 
del consigliere Hermann, chiamava il Gruntler ad insegnare 
medicina nell' accademia di Linz. Ma Olimpia, temendo che 
questo ufficio potesse per avventura restringere la libertà 
di fede che ora godevano illimitata, scrisse al figlio del 
loro protettore una lettera, dove sono queste parole, nobile 
documento di sincerità e di fermezza di carattere: "Tu sai 
bene che noi apparteniamo alla milizia di Cristo e che 
a lui siamo talmente obligati per giuramento che se man- 
cassimo a questo ci attenderebbe V etema punizione.j^ ^^) E 
gli chiede se anche a Linz siano perseguitati coloro che non 
assistono alla messa e adorano Dio secondo le dottrine evan- 
geliche. La risposta confermò ì dubbi e non accettarono l'of- 
ferta. In quella vece sarebbero andati volentieri a Basilea 



318 

presso il Curione se Andrea avesse ottenuto una cattedra in 
quell' università o avesse avuto speranza di trovarvi una buona 
clientela. "Se ciò fosse possibile — scrive Olimpia al fedele 
amico — ninna altra cosa mi potrebbe essere più gradita ; 
sarei più vicina all'Italia e più spesso potrei ricevere lettere 
da mia madre e dalle sorelle che ho sempre presenti ^ **) Ma 
questo disegno non potè attuarsi. A confortarla alquanto giun- 
sero finalmente buone notizie dalla famiglia: una sorella era 
andata sposa ad un giovane milanese, un'altra era in Boma 
con Lavinia della Bovere e la terza aveva trovato onorevole 
collocamento presso Elena Baugone Benti voglio. Dall' Italia le 
arrivarono anche i suoi libri ; come il cuore le sarà balzato di 
gioia nel rivedere quelle opere già appartenute al padre diletto 
e che a lei avevano dischiuso i tesori dell* arte e della sapienza 
antica ; erano fedeli amici che tornavano a lei dopo lunga assenza. 
Biprese quindi i cari studi e scrisse un dialogo sulla felicità, nel 
quale, sotto il nome di Teofila, raccomanda a Lavinia fede e 
rassegnazione. ^) Vi si parla delle donne di Ferrara e di altre 
città italiane che vivono nell' ozio, si danno troppo cura delle 
vesti, passeggiano in cocchi dorati e si adomano per piacere 
non ai mariti ma agli altri A queste contrappone, modello di 
virtù e fede in Dio, la moglie del duca di Sassonia, prigioniero 
di Carlo Y. Singolarmente notevole è la chiusa del dialogo; 
essa dimostra come Olimpia attendesse con amore anche alle 
cure domestiche. A Filotima, cioè a Lavinia, che le chiede per- 
ché vuol partire si presto, Teofila risponde di dover ritornare 
a casa poiché, se manca la padrona^ gli altri pensano più 
presto alle cose superflue che non alle necessarie. Lieta poi 
che i suoi canti religiosi avessero Tapprovazione del Curione 
e di altri dotti, continuava a comporre inni sacri, che spesso 
il marito metteva in musica ; e fra essi ricorderemo una saffica 
greca, riduzione del salmo "Una rocca è il nostro Signore, già 
invocato da Lutero nel viaggio a Worms, quasi anche Olimpia, 
prevedendo nuove calamità, si preparasse a future lotte. Né 
erano vani presentimenti ; che, mentre essa attendeva agli studi 
religiosi e air educazione di Emilio e di Teodora Sinapio, ^ 
interrompendo talora queste dolci occupazioni per sovvenire ai 
miserabili e agli ammalati che, angelo consolatore, visitava 



319 

negli ospedali, una grave procella stava per rovesciarsi sulla 
patria di Andrea Gruntler. 

V. 

Nel 1662 il re Ferdinando aveva conchiuso coi Protestanti 
raccordo di Passavia che avrebbe dovuto restituire alla Ger- 
mania, dopo tanti anni di guerre e turbolenze, pace e sicurezza. 
Ma il margravio Alberto di Brandemburgo, uno di quelli irre- 
quieti avventurieri, quali non mancavano allora in Germania, 
non volle riconoscere i patti di Passavia; e fingendo amicizia 
per l'imperatore, occupata la città di Schweinfurth, si diede 
a saccheggiare i paesi vicini. Contro di lui si unirono i vescovi 
di Wiirzburgo e Bamberga, il principe Maurizio di Sassonia, 
il duca di Brunswik, la città di Norimberga e mossero tutti 
contro Schweinfurth, che si vide ora colpita da doppia sciagura: 
dagli assedianti che scagliavano continui proiettili contro la 
città^ e dsAV insolenza e dalle minacce de' soldati che ne dovevano 
essere i difensori. Le lettere di Olimpia, che per questo assedio 
hanno valore di documento storico, narrano i patimenti che i 
miseri cittadini sostennero per 14 mesi^ essendosi aggiunte ai 
soliti danni della guerra, la carestia e la peste, onde molti mori- 
rono, altri impazzirono. Anche il Gruntler ammalò di febbre 
pestilenziale e stette più settimane fra la vita e la morte^ 
ma le cure di Olimpia vinsero la forza del male, benché 
nella desolata città non fossero più neppure medicine. In 
questa congiuntura la fede fu a lei di grande sostegno. "Unico 
conforto — scrive a Lavinia della Rovere — ci fu la parola 
di Dio e mai rivolsi lo sguardo alle ricchezze d'Egitto; amo 
meglio qui la morte che altrove le maggiori gioie del mondo.;, 
E congedandosi con aflfetto vivissimo : "Addio, mia dolcissima 
Lavinia, che ho sempre in mente né mai dimenticherò finché 
avrò un soffio di vita, di nuovo addio!» **^) Ma intanto l'assedio 
diveniva ogni giorno più stretto e V impeto delle artiglierie tale 
che ne stupivano gli stessi soldati : pareva talvolta che la città 
fosse tutta per ardere e gli abitanti dovevano fuggire nei sot- 
terranei. Finalmente il margravio, vedendo inutile ogni resi- 
stenza, parti con le sue milizie ; ed i cittadini sperarono che, 



320 

obbedendo agli ordini dell'imperatore e de' principi, anche 
gli assedianti si sarebbero allontanati. Ma qnesti, inferociti per 
V ostinata difesa, penetrarono nella città e la misero a ferro e 
a fuoco. Olimpia col marito e col fratello ricoverò in un tempio, 
finché uno sconosciuto li consigliò di abbandonare la città per 
non rimaner sepolti fra le ceneri. Fu una fuga disastrosa, 
piena di peripezie narrate da Olimpia stessa con efficacia e 

schiettezza in una lettera italiana a Cherubina Orsini: * 

B mio consorte poi fu pigliato due volte da nemici, che 
vi prometto, se mai io ebbi dolore, che allora Vho avuto: 
e se mai pregai ardentemente, allora pregai. Io nel mio 
cuore angustiato gridava con gemiti inenarrabili: aiutami, 
aiutami Signore per Cristo: e mai cessai finché mi aiutò 
e lo liberò. Vorrei che aveste visto come io era scapigliata, 
coperta di straccie, che ci tolsero le veste d'attorno, e fug- 
gendo io perdetti le scarpe, né aveva calze in piede: si che 
mi bisognava fuggire sopra le pietre e sassi, che io non so 
come arrivassi. Spesso io diceva : adesso io cascarò qui morta, 
che non posso più : e poi diceva a Dio : Signore, se tu mi 
vuoi viva; comanda alli tuoi angeli che mi tirino, che certo io non 
posso. Mi maraviglio ancora quando io penso come il primo 
giorno io facessi quelle dieci miglia, che io mi sentiva tutta 
mancare, essendo io magrissima e malaticcia^ che era stata 
malata ancora il giorno davanti, e per quella strachezza mi 
veniva la febre terzana e per il viaggio sempre son stata 
ammalata....»*^) Estenuata, giunse aHammelburg, ma in quale 
stato ! Era malamente coperta di pochi cenci avuti per carità ; 
e pure, tra le altre donne, esclama l' infeUce, io sembrava la 
regina delle mendicanti ! Gli abitanti di Eammelburg accolsero 
i fuggiaschi a malincuore e non fu possibile rimanere colà più 
di quattro giorni. Sipresero il triste viaggio, nel quale Andrea 
fu di nuovo imprigionato, ma anche questa volta lo lasciarono 
libero, e alfine ebbero termine le privazioni, perché un signore 
pietoso, che volle rimanere sconosciuto, fece loro pervenire 
15 scudi d' oro ; e senza altre difficoltà giunsero presso il conte 
di Beinek che li accolse amorevolmente, e poi a Fiirstenau, 
castello dei conti di Erbach nelle amene colline della selva 
odonia. I conti di Erbach erano un' antica famiglia della Fran* 



321 

conia; Eberardo, il capo della casa^ aveva sposato la sorella del 
principe elettore del Palatinato e da Carlo Y era stato elevato 
alla dignità di conte dell' impero. I profughi trovarono nel suo 
castello la più ospitale accoglienza. E ben ne abbisognavano, 
massime Olimpia: le angustie dell' assedio, la malattia del 
marito, i pericoli della fuga V avevano fortemente scossa. La 
contessa, d' animo pietoso e ammalata essa pure da molti anni, 
le usò, insieme con le figlie, le cure più amorevoli ed in breve 
Olimpia potò alquanto rimettersi e sperare un avvenire migliore, 
n castello di Fùrstenau le era poi singolarmente gradito perché 
i conti di Erbach le apparivano come la vera famiglia cristiana; 
e nell'ammirazione religiosa, alla quale si univa un sentimento di 
dolce e profonda gratitudine^ scriveva a Madonna Cherubina che 
'questi signori per 1' Evangelio hanno posto la vita e la roba 
in pericolo: che tanto vivono santamente che mi son stupita,,.^") 
Nel frattempo il conte aveva raccomandato il Qruntler al 
principe elettore e questi gli conferi una cattedra di medicina 
all^ università di Aidelberga, mentre la consorte poteva divenire 
dama d'onore della principessa palatina; ma Olimpia aveva 
troppo duramente esperimentato la vita di corte per accettare 
quest'ufficio. Nella state del 1564 partirono dal castello di 
Fùrstenau con ricchi doni dei loro ospiti, e accompagnati da 
una scorta giunsero a Hìrschhom, piccola borgata sulle rive del 
Nekar. Qui, in un albergo^ conobbero un maestro di scuola che 
stava esercitando i suoi allievi nella musica e nel canto. 
Olimpia si pose attenta ad ascoltarli, ed osservando come quei 
giovanetti, forse confiisi per la presenza dei forastieri, com- 
mettevano alcuni errori, si avvicinò loro e con somma grazia 
e benevelenza mostrò come dovessero cantare. Essa venne 
da tutti applaudita ed il maestro, come apprese chi fossero, 
andò a prendere alcune canzoni sacre musicate da Andrea 
Gruntler. Non è a dirsi quanta fosse la meraviglia dei due pro- 
fughi e la compiacenza di Olimpia che si rallegrava nel vedere 
come sino in un'oscura borgata si rendesse onore all' ingegno del 
marito. Ma quale contrasto fra il castello di Ferrara e un remoto 
albergo della Germania, fra la corte coi dotti plaudenti e un 
povero maestro di scuola circondato dai suoi discepoli! Ma 
quanto diversa anche Olimpia: non più la leggiadra fanciulla, 



8&9 

tutto splendore e grazia, nel fiore della felice e confidente 
giovinezza con la mente e il cuore fra i tesori del mondo 
antico, ma la donna cristiana temprata dal dolore, con le forse 
del corpo indebolite e V animo sempre più vigott>6o, che orAy 
atteggiato il volto a serena tristezza, si trattiene con qnei 
semplici ascoltatori ed è fatta segno ai loro applausi.^*) 

VL 

n dimani arrivarono alla meta del viaggio. Aidelberg»! 
residenza del principe palatino, età un centro fiorente di stildi 
e la sua università fra le più celebrate della Qermànick Olimpia 
e il marito vi trovarono lieta accoglienza ; ma nei primi giorni 
ebbero a lottare con'gravi difficoltà, perché i pochi denari che 
avevano furono spesi in vesti, libri e nelle più necessarie tmp- 
pellettili. Mantenevano inoltre due ragazzi profhghi di Schwein- 
fhrth, ed Olimpia, sempre pietosa, inviava denari ad alcuni 
infelici di quella città. Si trovarono in ristrettezze, e quando 
il SinapiO; rimasto vedovo, le chiese di riprendere V educaatìone 
della figlia, rispose che l'avrebbe fiotto volentieri purché Teo- 
dora portasse con sé un letticciuolo. Andrea non aveva rice- 
vuto ancora lo stipendio dall^ università, e verso pegno di una 
catena, fbtse un c^ro dono dei conti di Erbach, dovette chie- 
dere in prestito 90 fiorini d'oro da un amico, al quale si 
rivolgeta anche Olimpia per avere una domestica. '^) Nel eae- 
cheggio di Schweinfhrth avevano perduto ogni avere, ma la 
perdita più dolorosa era stata la biblioteca patema ; e fu quindi 
)^ta al Gurione e agli amici di lui, fra i quali i primi editori 
di Basilea, che le inviarono in dono molti libri e ancor piA 
a Giovanni Sinapio, che avendo ricuperato fira le ceneri di 
Schwèiufurth un Plutarco col nome dell'amica, lo aveva tosto 
mandato ad Olimpia 'quasi prigioniero riscattato dalle mani 
dei pirati.,,*') Ben tosto riprese gli studi e il caitegg^o con gli 
amici. Al Ourione chiesre un commento dei Treni di Geremia, 
e r èsule piemontese la sodisfece senza indugio pensando che 
Olimi^a volesse inspirarsi da quella sublime elegia per cantate 
la distruzione di Schweinflirth e la esortava a compiere questo 
Itivoro ^gno di Sofocle che le avrebbe meritato la coit>na poetica 



m 

ta questo mezzo la erano giunte notizie anche dairitaliai xaa 
non liete. I rifornirti erano esposti a continue persecuzioni ; ^'joo;! 
si rìspunniayfb — cosi le scrivevano — né ai sommi né agi' infimi ; 
altri «ono imprigionati, altri cacciati, aljbrì provvedoxio (}a sé con 
la fugi^n- Seppe axuoke della catastrofe di Sanata : il duca Ercole 
finalmente ^ra stato costretto a procedere contro la <^onsorte ch^ 
da doitjUci a^ni non assisteva aU^ messa e voleva distorre anx^e 
le figliuole dalle pratiche religiose. Aveva dunqqje inviato al 
re di Francia la famosa lettera del HI marzo 1554 nella qual^i 
facendo la st^a dell'eresia di Benata, scriveva: "....l^ono moìti 
anjoi che con infinito dispiacere e molto obbrobrio della casa 
mia e mala soddisfazione di tutti i miei sudditi e Bervìton, 
ho dissimulato e sofGsrto al meglio che ho potuto, d per l'onor 
dal saapgoe 4i Fra]^)ia come per il proprio della casa mì/|.... Il 
rumore della sua eresia -è già sparso per tutta Italia» ^^. Enrico 
II scrisse in tuono severo alla dmchessa e mandò a Ferrara 
^ìllqui^itore di Frsjxoia. il teologo Oriz, ^un fraterino dice 
r ambasciatore estense alla corte di Parigi, che par^ un sante- 
reUo.„ ^*) Ma Benata possedeva un breve di Paolo HI che la 
sottraeva ali' inquisizione di Ferrara assicurandole la prote- 
zione del pooat^ce e dei cardinali inquisitori del santo uf&cio, 
onde nulla potè VOiiz contro di lei. H duca però la separò 
dalle figlie e la fece chiudere nell'antico palazso di casa 
d' Este, finché l' amore materno, più forte della fede protestante, 
indusse B^ata ad un comprxmiesso.: ascoltò la messa e le venne 
concesso di abitare un palazzo vicino alle figlie e di vederle, 
né durante il regno del marito ebbe altre molestie. Fu una 
conversione sincera ? I più, giudicando dal passato e dal conte- 
gno ohe ebbe poi ritornata in Francia, la credono, ,e mi 
pare con ragione, appoìrente, mentre altri non ritiene la duchessa 
capace di menzpgna.^^) Quanto alla Morato, essa è molto severa 
cqn r antica protettrice ed asserisoe che, conoscendola intima* 
mente, la cosa non le ha destato meraviglia, mentre invece 
è sorpresa che altri siano defezionati da Cristo e si rallegra 
dhe tra questi non sia la madre, rimasta sempre costante nella 
vera fede. Olimpia ricorda questi avvenimenti in una lettera 
di risposta al Yei^gerio. ^^) Aveva già letto gli acritti del 
riformatore istriano ricevati in dono dall'autore ed ora lo 



esorta a tradurre in italiano il cateckisnio di Lutero per dif- 
fonderlo in Italia. La diffusione del culto evangelico era il 
pensiero costante dei riformatori italiani; ed Olimpia^ clie 
inviava segretamente agli amici gli opuscoli religiosi di Lutero, 
aveva già pregato Matteo Flacio che ne traducesse in italiano 
gli scritti oppure dettasse egli stesso qualche opera sulla 
riforma.'^) Da Aidelberga scrisse anche a Lavinia della Rovere 
e ad Anna d'Este. ^^) Con la prima si duole di essere priva 
di notizie, la esorta ad essere forte ed incrollabile nella fede, 
a temere Dio e non gli uomini e da ultimo le raccomanda la 
sorella, non perché Y arricchisca ma la illumini nella scienza dì 
Cristo ; ad Anna d' Este rammenta gli anni della prima giovi- 
nezza e, pur temendo di esser caduta in disgrazia di lei, spera 
che non sarà di animo cosi duro da averla interamente dimen- 
ticata, la eccita quindi agli studi religiosi e ad intercedere 
per i perseguitati, ricorrendo, piuttosto che nell' odio divino, in 
quello del marito, del re, di tutti gli uominL La giovine princi- 
pesda non dimenticò le paróle dell'antica amica; e quando, 
alcuni anni dopo, per la congiura di Amboise, 1200 Ugonotti 
morirono sulla forca o annegarono nella Loira, assistendo le 
gentili dame di Francia, come a lieto spettacolo, al loro sup- 
plizio, una sola voce si alzò a difendere quei miseri, la voce 
di Anna d'Este. 

Il carteggio con gli amici, V educazione del fratello, le 
cure della famiglia, lo studio indefesso de' libri sacri erano 
le occupazioni di Olimpia che, dopo tanti colpi dell^ avversa 
fortuna, poteva chiamarsi felice, se la sua salute non fosse 
andata peggiorando di giorno in giorno. Già durante l'assedio 
di Schweinfurth era sofferente ; il male si era aggravato nella 
fuga e le cure dei conti di Erbach non le avevano procurato 
che un miglioramento passeggero. In Aidelberga ricadde am- 
malata e andava lentamente struggendosi, la febbre non le 
dava più requie e aveva continui deliqui. Strazia V animo il 
leggere le ultime lettere nelle quali; rassegnata, anzi desi- 
derosa di morire, annunzia agli amici la prossima fine. Nel 
luglio del 1555 scrisse al Curione che si sentiva consumare 
dalla forza del morbo e gli mandava i saluti per FOchino 
che; scacciato d' Inghilterra, era rifuggito in Basilea. Il Curione, 



alla sua volta in grande angoscia per una grave malattia della 
figlia Violante, la consorte dell' esule Girolamo Zanchi, le rispose 
tosto scongiurandola a curarsi e significandole tutto l' affetto suo 
e degli amici. Olimpia, quasi esausta di forze^ volle scrivere al 
Curione un' ultima lettera che, ancor oggi, dopo più di tre secoli, 
desta in noi potente commozione. "Com' ebbi letto la tua 
lettera — gli dice — non potei trattenere il pianto... Quanto a me, 
o mio Celio, sappia che ogni speranza è oramai perduta ; 
delle molte medicine che mi danno, nessuna ha più efficacia. 
Di giorno in giorno, anzi di ora in ora, i miei aspettano di 
vedermi morire e questa sarà 1* ultima lettera che riceverai da 
me. Le forze del corpo sono affatto perdute, non posso più 
prendere cibo, la tosse, giorno e notte, minaccia di soffocarmi; 
la febbre ardente e continua, i dolori mi tolgono il sonno. Ma 
è sempre vivo in me Io spirito e la memoria degli amici e 
dei loro benefici e ringrazio te per i tuoi scritti e tutte le 
buone persone che m'inviarono doni si pregiati. Ti racco- 
mando la Chiesa; qualunque cosa tu faccia, sia a vantaggio 
di lei. AddiO; ottimo Celio; quando ti giungerà notizia della 
mia morte, non dolerti, perché allora solamente avrò vinto ed 
io desidero morire ed essere con Cristo ... A tua richiesta t' invio 
le poesie che, dopo la rovina di Schweinfiirth, trascrissi dalla 
memoria; gli altri miei scritti sono periti. Ti prego di essere 
il mio Aristaco e volerle correggere. Di nuovo addio.j, **) Cosi 
scriveva pochi giorni prima di morire ; né smenti tanta forza 
d' animO; veramente straordinaria, fino agli ultimi istanti dei 
quali lasciò pietoso ricordo il marito Andrea ^*). Svegliatasi dal 
sonno, sembrava dolcemente sorridere. Andrea le si avvicina 
ed Olimpia gli dice : Parevami vedere un luogo ripieno di luce 
bellissima. Ma vinta dalla debolezza, dovette interrompere; 
quindi mormorò: sono lietissima; e volgendo gli occhi mo- 
renti al marito e al fratello, disse ancora : appena vi riconosco, 
tutto mi sembra pieno di bellissimi fiori. Furono le ultime 
parole e poco stante, come vinta da sonno dolcissimo, spirò ; 
era il 26 ottobre 1555 e non aveva che 29 anni. La morte di 
Olimpia fu un duro colpo per l'infelice marito che, dando 
libero sfogo al suo cordoglio, scrive al Curione: ^In tutti i 
modi Dio mi affligge: ho perduto la patria, i beni, gli amici 



m 

e ivdttì. i parenti ed ora mi vìbu tolta la cUlettJASuna conjiorte 
ohe, sola superstite, mi faceva tollerare ogni altro male. 
Qnest' imxnenjut sciagura è come un nuoto fiotto ck», ao- 
pravvenendo agii altri, mi travolge, i, ^^) N09 meno intenso 
fu il dolore de^ Ouriope che dovette parteoipare aU'infelioe 
Lucrezia la morte delia figlia e lo fece con parole di soiìqìimi 
tenereua; quali sa trovare un anixno nobiloieote delicato e 
provato dalla sventura. '^) 

Andrea non sopravvisse obe due mesi aU|i consorte. Qìk 
dal giugno infieriva in Aidelbeiga la pe^, V università era 
chiusa e chi potova fìiggiva altrove. Nel dicembre il GrunUer, 
colpito dal morbo, mori e pochi ^onà dopo lo segui nel 
sepolcro il giovine cognato. Cosi una sola tomba, erette da 
Oaglielmo Basoalon, gentiluomo frsAcese, professore dell' uni- 
versità, accoglieva tutti e tre i profughi aifOrti nel fiore de^gU 
aami ; ed oggi ancora, in una cappella della chiesa di San 
Pietro in AiddH^ei^, si legge sul loro avello pietosa iscriaioDe* 
Anche la città di Schweinfmih volle oncMrsre la memoria della 
póetossa itaiiana ; per dedito pubblico fu ricostruita la casa 
dove era dimorata tre anni e vi fu posta un' iscràione. 

vn. 

Sarebbe cosa troppo lunga ricordare tutti queUi che in 
versi e in prosa piansero la morto di Olimpia e la oelebraromo 
con le maggiori lodi sino a chiamarla la decima musa e sope- 
liore a Saffo e a Corinna ; più affettuoso di tutti fu il compisaito 
del Ourione ohe in eleganti endecasillabi latini ne fece V apo- 
teosi. ^) Ma non si restrinse a questo, e volendo che della nhorta 
amica rimanesse memoria più duratmra, igià nel 1568 ne pnhlioò 
in Sasilea gli scritti greci e latini, che aveva potato racco* 
gliela, con molto lettre latine^ una greca e due italiane. L'edi- 
tore fu Pietro Pema, esule religioso da Lucca, divenuto uno 
de' primi tipografi di Basilea e 1' edizione fu dedicata ad 
Isabella Brisegna, moglie de] governatore spagnuolo di Piacenza, 
ohe, aderendo alla riforma, era Aiggita in Germania e poi in 
Svizzera. Nella pre&zione il Curione avverto di votleir resti- 
tuire air Italia colei che l' Italia aveva genei^sto e ricorda g^ 



897 

scritti di Olimpia che andarono perdati: molte poesie, singo- 
larmente religiose, osservazioni su Omero e dialoghi greci e 
latini ad imitazione di Platone e Cicerone. Accolta questa 
prima edizione con grande favore, quattro anni dopo usci 
un' altra, dedicata, come le successive del 1670 e 1580, ad Eli- 
sabetta regina d' Inghilterra. 

Cosi, per merito del Ourione, è dato conosoefe la vita e 
almeno tina parte delle opere di Olimpia Morato. La quale, 
benché figlia di chi per il primo aveva pubblicato un rimario 
di Dante e del Petrarca, benché nata in una città dove era fiorito 
l'Ariosto, sdegnar idioma materno e mostra conoscere "le grazie 
del Boccaccio solo per volgerne in latino due novelle, terribili 
di sottile ironia contro il clero romano. „^<) Con V animo pieno 
di classicità, segue le tradisiionì del rinascimento italiano e ripro- 
duce le forme e i pensieri de' grandi scrittori di Grecia e di 
Roma ; ed anche quando i suoi scritti hanno intonazione diversa ed 
edte, quasi dimentica degli affetti terreni, non segue che V in- 
tento religioso, riveste il pensiero nelle forme] dell' antichità 
pagana. Possiamo rimpiangere la perdita di tanti scritti di 
Olimpia; tuttavia, a giudicare da quelli che restano, per quanto 
ammiratori del suo ingegno e della sua coltura, è forza rico- 
noscere che la Morato, più che una scrittrice originale, è una 
abile imitatrice e non avanza i grandi poeti latini del Cinque- 
cento: il Vida, il Sannazzaro e il Fracastoro. Ma più che per 
i meriti letterari, è degna di rinomanza per 1' elevatezza del- 
l' animo. Trascorsa la prima gioventù nel sorriso delle muse 
e della corte estense, tra la sfolgorante magnificenza delle 
ricchezze e dell' arte, fu presto colpita dall' avverso destino che 
non r abbandonò più, poiché anche colui che le apparve come 
un salvatore, per le tristi vicende onde fu involto, la trasse 
in altri guai che affrettarono il termine di una vita si ango- 
sciosa. ^) Ma dalla fede, che ebbe profondissima, venne a lei una 
forza straordinaria di rassegnazione, e sopportando le proprie 
sventure con serenità ed abnegazione, senti e sovvenne i dolori 
altrui. Per tanta virtù e dolcezza d' animo emerge fra le altre 
donne che nel Cinquecento coltivarono gli studi e meditarono 
i grandi problemi morali e religiosi del secolo, onde possiamo 
degnamente raffirontarla con Vittoria Colonna. £ anche i 



328 

contemporanei l'apprezzarono: oltre T amicizia di anime elette 
e di chiari ingegni, quali Lavinia della Bovere e Celio Canone, 
ebbe non pochi ammiratori. Negli ultimi anni di vita il nome 
della poetessa ferrarese risonava glorioso per la Germania, le 
sue lettere erano desiderate ed ammirate, e ravvicinarla te- 
nuto a si grande onore, che il giureconsulto francese Carlo 
Dumoulin assumeva con gran piacere il carico di portarle una 
lettera del Yergerio per conoscere colei che egli chiama il 
decoro delle donne. E Olimpia, pur essendo modestissima, aveva 
coscienza della sua forza morale e non esita a muovere rim- 
proveri acerbi a un predicatore tedesco per la sua vita scostu- 
mata. Ai profughi italiani fu quindi modello insuperabile di 
pietà e virtù e il più illustre di essi ne è V interprete chiaman- 
dola 'Italiae nostrae decus..*^) A questi elogi fecero eco scrit- 
tori insigni : Teodoro Beza nella vita di Calvino, il biografo 
di Pietro Martire Vermigli che pone il suo nome vicino a 
quello dell'infelice regina Giovanna Gray,^^) lo storico Tuano 
ed altrL Ma più di tutti si sentì attratto dal suo ingegno e 
dalle sue virtù l' abate Tiraboschi, il quale, pur rimproverando 
Olimpia Morato di aver seguito le dottrine protestanti, la 
chiama ^donna veramente nata a onor del suo sesso e di 
tutta ItaUa.„«^) 



NOTE. 

^) Vedi Io stadio di Giuseppe Camp ori, Fulvio Pellegrino Moraio, 
estratto dal yol.'VIII degli Atti e Memorie delle RB. Deputazioni di Storia 
patria per le proyincie modenesi e parmensi. 

*) Sono conservate parecchie lettere di Celio Calcagnini a Pelle- 
grino Morato che mostrano la forte amicizia e il vivo affetto ond* erano 
stretti i due letterati. Il Morato aveva lasciato da prima la famiglia a 
Ferrara e il Calcagnini cosi scrive all'amico: *Tais vero familiaiiboB 
nusquam defici, quoties me appellarunt Qoin et ipse ultra meaillis stadia 
persaepe obtull, si quo modo in re aut illis aut causae tuae adiomento 
esse possem,, (vedi Coelii Calcagnini Protonotarii Opera, BasUeae, 1544^ 
pag. 157). E continuamente si adoperava in suo favore. 'In re tua ita 
enitar apud Prosperum atque adeo apud principem quoties se praebebit 
occasio ut absens praesens intelligas diligentia et stadio malore ne- 
minem procurasse rem saam„ (pagina 168). Quando la famiglia ebbe 



329 

radiante il Morato nell'esilio, il Calcagnini gli scriveva: '^Uxorem tuatn 
foeminam laeiissmam salntabis et filiolas taas meo nomine exosculaberiSi, 
(pag. 158). Notevole quest' altro passo in cui è fatto cenno di Olimpia : 
"Deliae puellae iam festive, ut tu scribis, garrìenti in frontem et aurem 
suaviolum meo nomine imprimes„ (pag. 182). 

*) Cosi suppone il Campori nelF opuscolo citato, pag. 3. 

*) Le notizie che diamo della vita e degli scritti di Olimpia Morato 
sono tolte dalle sue opere : Olympiae Fulviae Moratae .... Opera omnia, 
Basileae, ex officina Petri Pemae 1580. Ci siamo inoltre serviti della 
biografia del Nolten, Dissertano kistorica de Olympiae Moratae vita, ecc. 
Francoforti ad Viadrum, 1781 e del bellissimo lavoro diJulesBonnet, 
Olympia Morata, Épisode de la Renaissance en ItaUe (Quatriéme Édition, 
Paris, 1866) tradotto in italiano da Massimo Fabi, Milano 1854. 

*) Opere, edizione citata, pag. 72 e 73. 

*) ^Puella supra sexum ingeniosa; nam non contenta vemaculo 
sermone Latinas et Graecas litteras apprime erudita miraculum fere 
omnibus, qui eamaudiunt, esse videtur.g (L ili US Gregorius Gyraldus 
De Poetis Nostrorum Temporum. Berlino, 1894, pag. 94.) 

"*) Vedi Bartolomeo Fontana, Renata di Francia, duchessa di 
Ferrara, voi. I, Roma, Forzani e C, 1889, pag. 28. 

") Vedi il Tiraboscbi, Storia della letteratura italiana, Tomo VII, 
P. I., Venezia, 1824, pag. 62 e 63. 

*) Su Renata di Francia è uscita di recente una biografia di 
E. Bodooanachi, Renée de France, Paris, 1896. 

^^ Opere di O. M., pag. 81. 

") Opere di O. M., pag. 82 e 83. 

'') Nelle opere della Morato si trovano i proemi a tre di queste 
lesioni. 

■") Opere, pag. 7 e 8. 

") Opere, pag. 97. 

") Vedi il Bonnetj pag. 88, nota 1. 

'«) Opere, pag. 242. 

") Opere, pag. 240. 

'") E pure la riforma italiana non ebbe ancora il suo vero storico, 
che tale non può dirsi Cesare Cantù coi suoi Eretici éP Italia o i pro- 
testanti stranieri che di preferenza se ne occuparono. Ben poteva dare 
all'Italia questa storia l'insigne professore dell'università di Padova, 
Giuseppe de Leva. Scrittore di profonda erudizione, sia nel vasto campo 
della storia universale come nella filosofia, nella teologia e nel diritto, 
di mente sagace, acuto e sicuro nella critica, che sapeva animare il 



830 

documento con uno stile, se non elegante, vibrato e scultorio, di un 
sentimento di misura e imparzialità che non toglie calore alia narra- 
zione ; se giudichiamo da quanto scrisse intomo alla riforma religiosa 
nel suo poderoso Carlo K o in qualche altro lavoro più breve, nessuno 
meglio di lui avrebbe colmato questa lacuna della nostra letteratura 
storica. La tarda eik e la malferma salute non concessero al venerato 
maestro di scrivere quest* opera che con altre, da molti anni, meditava ; 
ma come la sua cara e buona imagine patema sarà sempre presente a 
chi lo conobbe, cosi egli vivrà glorioso nei fasti delle scienze e lettere 
italiane; e la Dalmazia, sua patria, con gratitudine e venerazione ricorderà 
il suo nome insieme a quello degli altri insigni che nel secolo nostro 
essa dava air Italia: Pier Alessandro Paravia, Roberto Visiani e Nicolò 
Tommaseo. 

'*) Lettera del Morato al Curione nelle Opere di Olimpia, pag. 315 
e seg. Per il Curione vedi lo scritto dilules Bonnet, La famiUe de 
Curione nei !*Itécit8 du seiziéme siécle,; Paris, 1864. 

**) Lettera al Curione, Opere, pag. 96. 

•*) Storia documentata di Carlo F, voi III, pag. 381. 

^ Vedi r opera recente del dr. Bruto Amante Giulia Gonzaga 
il movimento religioso femminile nd secolo XVI, Bologna, Zanichelli, 1896. 

*') Amante, op. cit., pag. 904. 

'*) Lettera citata al Curione, pag. 93 e seg. 

*•) Opere, pag. 84. 

") Opere, pag. 243 e seg. 

•') Giraldi, ed. cit, pag. 71. 

^) É probabile che la corte stessa si opponesse a questo matri- 
monio. U Giraldi pone il Gruntler "Inter domesticos vel familiares Benatae 
nostrae principisi (pag. 3). 

••j Opere, pag. 241. 

"^ ' lauream medicam cum applausu docentium est adeptus,. 

Cosi si legge nelle Vitae Germanorum Medicor*um a Melchiorre Adamo, 
Haidelbergae, 1620, pag. 81. 

*') Opere, pag. 83, 134 e 135. 
»•) Opere, pag. 87. 

•^ Il Sanso vino nelle Historie di Casa Orsina ecc., Venezia, 156&, la 
dice: 'donna di felicissimo e fecondissimo ingegno, poiché, oltre aU' altre 
sue rarissime e nobilissime qualità, è tutta data alla filosofia et ali* altre 
belle lettere humane. (parte II, pag. 23). 

**) Opere, pag. 42 e seg. 

•*J "Elogium Georgii Hermannia Guttemberg,, nello Schellhorn 
Amoenitates Historiae Ecclesiasticae, voi. JI, pag. 693 e seg. 



331 

'*) Devo questa notizia al compianto professore Alfonso Costa il 
quale* mi mandò un elenco di alcuni membri della famiglia Fugger che 
studiarono a Padova. ^'Questo elenco è tolto dalla busta 469 delParchivio 
antico dell'università, che è la matricola originale membranacea con 
firme autografe degli scolari ascritti alVuniversità giurista dall' anno 
1546 al 1G05; una più. antica della nazione germanica non esiste nella 
raccolta,. Cosi mi scriveva il dotto prof. Costa nei primi giorni del 
gennaio 1896; chi avrebbe detto che pochi giorni dopo ci sarebbe giunta 
la notizia dell'improvvisa sua morte? 

") Opere, pag. 93 e seg. 

**) Opere, pag. 98 e seg. 

'*) Opere, pag. 90 e seg. Questa lettera è scritta da Kaufbeuren, 
cittadella a mezzogiorno di Augusta, dove allora si trovavano i coniugi 
Gruntler ospiti del consigliere Hermann. 

**) ''ingrata mea patria Ferraria„. Questa espressione si trova però 
in una lettera posteriore scritta da Schweinfurth nel 1552. (Opere, pag. 109.) 

*') Il lieto soggiorno di Wttrzburgo fu turbato un solo momento da 
un grave incidente occorso ad Emilio che un giorno cadde da una finestra 
sopra un mucchio di sassi. Tutti lo credettero perduto; invece il ragazzo 
ne usci incolume, onde Olimpia si senti vieppiù confermata nella fede, attri- 
buendo la salvezza del fratello a merito divino. (Opere, pag. 108 e 112.) 

**) Opere, pag. 110. 

*•) Opere, pag. 102. 

^) Opere, pag. 52 e seg. 

^*) Era la figlia di Giovanni Sinapio, che aveva condotto con sé da 
WUrzburgo. Teodora rimase breve tempo con Olimpia, perché, essendosi 
ammalata gravemente la madre, fu richiamata a Wùrzburgo. 

^*) Opere, pag. 122 e seg. 
^^) Opere, pag. 213 e seg. 
*•) Opere, pag. 216. 

**) Di questo episodio troviamo notizia in una lettera di Andrea 
Campano al Curìone. (Opere di O M. pag, 210.) 

^) Olimpia scrìve ad Andrea Campano (pag. 195) che la debolezza 
della sua salute l'aveva obligata a prendere come domestica la sola 
donna che si era potuta trovare ; ma questa chiedeva un fiorino d' oro 
al mese, riservandosi anche il diritto di lavorare per sé. Non volendo 
quindi sostenere una spesa si forte, neppure se avesse le ricchezze di 
un satrapo, lo prega di procurarle un'altra fantesca, giovane od attempata 
che sia, e le darebbe 5 fiorini all'anno. 

*'} "tanquam captivum mancipium a piratis redemptum ad vos 
remitto„. (Opere, pag. 139.) 



332 

»•) Vedi Jl Fontana, op. cit., voi. II, pag- 346 e 347. 

") Vedi Ernesto Masi, I Burlamacchi ^ di alcuni documenti iniomo 
a Bcnata D'Ette^ Bologna, 1876, pag. 192. 

•*) Vedi U Fontana, voi. II, pag. 386 e 387. 

■•) Opere, pag. 1B7. 

•^ Opere, pag. 123. 

•y Opere, pag. 173 e pag. 130. 

*•) Opere, pag. 185. 

^ In una lettera a Celio Gurione, Opere, pag. 187 e seg. 

^) Lettera citata, pag. 187. 

'*) Anche questa lettera è conservata, Opere, pag. 195. 

•») Opere, pag. 249. 

*') Cosi il prof. Giuseppe Agnelli in un pregevole discorso sa 
Fulvia Olimpia Morato, Ferrara, 1892, pag. 18. Le due novelle sono quella 
di ser Ciappelletto e di Abraam Giudeo. (Opere, pag. 18 e seg.). Fra 
gli scritti giovanili va ricordato anche l'elogio di Quinto Muzio Scevola 
in lingua greca, tradotto poi dalla stessa Olimpia in latino (pag. 9 
e seg.). 

•*) Vedi l'opera cit dell'Amante, p, 314 

••) Cosi il Curione nelle Opere di 0. M. pag. 166. 

**) JosiasSimler, Oratio de vita et obitu Petry MartytHs, Zurigo, 1563. 

•') Tomo VII, parte V, ediz. cit, pag. 1610. 



)A<)A0A<>A<>A0A0AO»2^^ 



STUDI AQDILEJESI 

Continuazione redi "ArchéografOn XX, fa$e. 1, 



51) Ara votiva di pietra calcare, ricomposta da due fram- 
menti, alta 0*80, larga 0*27, grossa 0*22 (la parte di mezzo 
larga 0.19, grossa 0*17) e fornita di plinto e finimento. 
Quest'ultimo è alquanto guasto, ma conserva a destra 
ancora le tracce di un acroterio a palmette liscie. Le lettere 
sono alte 002-0*026, i caratteri del principio del HI dopo 
Cristo. 

Fu scoperta insieme alle altre iscrizioni votive a 
Beleno edite nelV Archeografo (cfr. voi. XX, 1896, n. 44 segg.) 
ed a quelle che pubblichiamo ora (cfr. 51 segg.) nelle 
fondamenta di un' abside d' un edificio antico (cristiano ?). 

BELENO 
AVO 

AESENNLV. 
EVPISTIS 

Btleno Aug(u8to). Aesennia Eupistis d((mo) d(edtt). 
Inedita. 

52) Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare alta 042, 
larga 29; grossa 0*16 (nel mezzo larga 0*23, grossa 0*145). 
Il finimento è alquanto guasto e conserva alla superficie 
un' incavatura per apporvi qualche statuetta votiva ed ai 
due angoli a sinistra due buchi per un' impiombatura. Le 
lettere alte 004-0*05, i caratteri della seconda metà del 
II secolo dopo Cristo. 



dd4 

BELINO 
C-AVLIVa£±« 

Belino C(aiu8) Aulim C(ai) l(ibertU8) Hy(fatus?) 

Il cognome Hypatus (tkorroi;) riscontrasi p. e. C. Y. 
1135 ed altrove. 

Inedita, 

63) Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare con 
cornice e finimento alta 0*43, larga 0*37, grossa 0*31 (nel 
mezzo larga 0*31, grossa 0*24). Il finimento fregiato di 
acroterio a palmette conserva alla superficie due incava- 
ture alquanto irregolari ed ai quattro angoli quattro pic- 
cole incavature quadrate con tracce dell'impiombatura 
antica qual sostegno di qualche simulacro. 

L' inscrizione è scolpita entro ad una cornice, ed am- 
bedue le parti laterali sono fregiate a specchietti. Le let- 
tere alte 0-03-0-046, i caratteri del II secolo dopo Cristo. 

BELINO 

AVG 
CANNIVS 
[TVS_ 

Belino Aug(u8to) C(ait^) Annius (Antheìmius? 

Invece di AnUiemius si potrebbero proporre altri co- 
gnomi, come : Firtnius, Satnius o consimili. 

Inedita. 

64, Parte superiore di un' ara votiva alta 0-63, larga 0*23, grossa 
0-23 (nel mezzo larga 0*155, grossa 018). 

U finimento superiore è del tutto conservato e mostra 
alla sua superficie un'incavatura per qualche simulacro. 

Le lettere alte 002-O03, i caratteri del II secolo 
dopo Cristo. 



dsè 



13 E L E N 

AVG 
P-ARTISCIvS 
CORNELI 

ANVSy 

l. m. 



7^:. 



Belen(o) Aug(usto) P(M%ub) Artiscius Comelianus vfotnm) 
s(olvU) l(ibens) m(ento), 

n nome gentile Artiscius riscontrasi sull'ara dedicata 
r anno dopo Cristo 166 a Mercurio Augusto (ofr, C. V. 798). 

Inedita. 

65) Ara votiva di pietra calcare ricomposta dai tre relativi 
frammenti; alta 0-93, larga 0-32, grossa 024 (nel mezzo 
larga 024, grossa 0*176). Il basamento e gli avanzi della 
cornice a palmette liscie sono tuttora conservati, le let- 
tere alte 0036-0*016, i caratteri poco simmetrici dell'epoca 
della decadenza, circa alla fine del III secolo dopo Cristo. 




B(eleno) D(eo) L{uciu8) Aur(elius) Pisinnus Aug(usti) l(ihertus) 
d(ono) d(at). 

Il cognome PISINNVS corrisponde al nostro nomi- 
gnolo vezzeggiativo Piccino (cfr. Mart, 11, 7, 2). 

Inedita. 

56. Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare, alta 
0*46, larga 0*24, grossa 0-17 (nel mezzo larga 0*23, grossa 
017). Sulla superficie del linimento (che è alquanto guasto) 
scorgonsi due incavature irregolari, di cui una è più pro- 
fonda, qual sostegno di qualche simulacro. Le lettere alte 



836 



0*03, i caratteri molto eleganti appartengono circa al se- 
condo secolo dopo Cristo. 



ABARBIVS 

A- 

B- 



iLPABNAy 



A(ulus) BarbiuB A(uli) UjbertusJ Pamax B(eleno) v(oium) 
8(o1vi0 l(ibens) fn(erito). 
Inedita. 

67) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da due frammenti, 
alta 0*41, larga 0*24, grossa 0*19 (nel mezzo larga 0*17^ 
grossa 0*16). Snlla superficie del finimento riscontrasi la 
solita incavatura, conservato è pure il plinto dell'ara. Le 
eleganti lettere alte 0*0 16 -0-025, i caratteri del secolo II 
dopo Cristo. 

D E 0- 
BELEN-AVa 
L - CALPV BÌ^ 

HilUnUfHItlHlfìJTJJ'. 
TKEIHE5ÌUPKE 

5. Imil Vm • AQ 

V-SLDDD 

Dea Belen(o) Aug(u$to) Lfucius) Calpumi(u8) Patihenopae(us) 
vinir Aq(uileiae) v(otum) s(ohit) 1(oco) d(ato) d(ecurionum) 
d(€creto). 

Inedita. 

68. Ara votiva di pietra calcare, ricomposta da* tre relativi 
frammenti, alta 0*87, larga 0*29, grossa 0*28-0*31 (nel 
mezzo larga 0*19, grossa 0*18) e munita di plinto e fini- 
mento, sulla cui superiice scorgesi la solita incavatura. 
Le lettere alte 0*01 -0*03, i caratteri del secolo HI dopo 
Cristo. 



àà7 



BELINO 
AVG • SACR 

Q • calve:^ 



5, V-S-L'M 

Belino Aug(u8toJ 8acr(uinì Q(nintus) CalvenH(m) (PJollen- 
Un(us) v(otufn) 3{ólvit) l(ibens) m(erito). 

U cognome Pollentinus (cfr, C. V. 8263 ecc) è deri- 
vato da Pollentia. 

Inedita. 

59) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da' tre corrispo- 
denti frammenti, alta 0'98, larga 0*33, grossa 0*20 (nel 
mezzo larga 0-231, grossa 0*16) e munita di plinto e di 
finimento, sulla cui superficie scorgesi un' incavatura ver- 
ticale di forme più regolari del solito. Le lettere alte 
0*036-0046, i caratteri del principio del II secolo dopo 
Cristo. 

BELINO 
V • S ' L • M 
L- CANTIVS 

6. LlB 
IÓNICV8 



Belino v(otum) sfolvit) l(ibens) m(erito) LfuciusJ C(antius) 
Spendiisae lib(ertu8) Jótiictis. 

Inedita. 

60) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da tre frammenti 
alta 0-87, larga 0-32-0*34, grossa 0*23 (nel mezzo larga 
0'176, grossa 0*21), munita di plinto e finimento a pal- 
mette liscie, sulla cui superficie trovasi la solita incava- 
tara. Sulle parti laterali dell' ara sono scolpiti in basso 
rilievo a destra una patera (alta 0*14), a sinistra un 



à38 



libatorio (urceusj di belle proporzioni (alto 0.21). Le lettere 
alte 003-0-06, i caratteri del secolo II dopo Cristo. 

BELINO 



AVG 
M -CARMINI 
MLTROPÌMVS 
V • S • L • M 



Belino Aug(u8to) M(arcus) Carmini(us) M(arei) l(ibertusj 
Trophimvs v(otum) $(olvU) Ifibens) m(erUo). 

Il nome gentile Carminitis riscontrasi in Aquileja 
anche impresso sugli antichi mattoni^ però nella forma 
Karminius (cfr. C. v. 8110, 63-66.) 

Inedita. 

61) Parte superiore di un' ara votiva di marmo, alta 036, 
larga 023; grossa 0*26, le cui parti laterali e la facciata 
anteriore sono fregiate di una cornice. Le lettere alte 
0-02-003, i caratteri della fine del II secolo dopo Cristo. 

BELEN 

.AV G 
\5LClblvS 
\LIVS 



Bélen{ó) Aug(usto) {D)ecidius (Argi)liu8?... (votum sohyìi li- 

bens merito). 

Inedita. 

62) Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare di forma 
piuttosto bislunga e snella^ alta 0*46, larga 0*20, grossa 
0*146 (nel mezzo larga 0*146) e munita di finimento. La 
superfice dell' inscrizione è assai corrosa, la lezione perciò 
difficile, tanto più che le lettere sono irregolari (alte 
0-016-003). I caratteri del III secolo dopo Cristo. 



///ENVS 
L-LCOMM^ 
PROLEÌ^DO 
SERVO 
6. VS-L-M 

BEL- SACR- 

enius L(uci) l(ibertu8) Communis prò Lepido servo v(otuin) 

s(olvit) l{ihens) m(erito) Bél(eno) sacr(um). 

Inedita. 

63) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da due frammenti, 
alta 0*67, larga al plinto 0-36, nel mezzo 0*205, al fini- 
mento 0-23, grossa 028 (0*16 nel mezzo). II finimento è 
assai logoro e conserva poche tracce deir incavatura. Le 
lettere alte 0-02-0-036, i caratteri del III secolo dopo 
Cristo. 

N • F 
LO- V^SB 

DD-L-M 

L(uciu8) C{as3ius)? Ur(3io)? N(umm) f(ilius) S(ancto)? 
B{eleno) d(ono) d(at) l(ibens) m(erito). 

Inedita. 

64) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da due frammenti 
e singolare per la sua forma insolita come d' un tronco d' al- 
bero. Il plinto di sotto è largo 0296, grosso 0*25 ed alto 
0*07, il finimento superiore ha un diametro di 0*25 ed è 
alto 0-05. Tutta T ara è alta 0-75 (=0-63 + 0-07 + 06). 
Sulla superficie del finimento, che è alquanto logoro, scor- 
gesi un'incavatura quadrangolare (012x 0*10) il cui centro 
è profondo 005-0'06, ad ambo i lati della superficie a 
destra e sinistra scorgonsi le tracce di un' altra incava- 
tura. L' iscrizione, di cui è insignita la parte anteriore 
dell'ara, è suddivisa in 11 linee, e di queste le tre su- 
periori (con lettere alte 0-03-0045) contengono il nome 
del devoto che la dedicò, le altre 8 (alte 0-015) un carme 
di occasione. I caratteri del secolo II dopo Cristo, 



à40 



assai probabilmente deirepoca dell' imperatore Commodo 
(180-192 dopo Cristo). 



H 1 L ARV5 

SYRIACIAVCLIB 
TABVL SEK 



^PSJvWMUCHDhJADtOI 
" iSS.'ilf M-DOMViiTvPACirA 

PHOFBfDlDiSTl • VfRACL. 

MSVOriSANNVATISTA 

Ml\5 



Incavatura di mezzo 
0*06 - 0-05 h'«f.' 




0-26 
Snperflce 




10. 



HILARVS 

STRIACI -AVG-LIB 

TABVL SER- 

PROME- HAEC • TIBI • QVAE 
POT VI-FORTIA-DONA- DEDI 
HIC-ORBEM- DOMVIT-TVPACEM 
PHOEBE • DEDISTI • VTRAQ 
RES • VOTIS • ANN VAT • ISTA 
MEIS 



841 

Hilarus Syriaci Aug(usti) lib(ertij tabul{an) ser(vuH). 

Accipe Phóebe (p)rec(or Ti)ryn{t)hia munera prò me! 

haec Ubi, quae potuij forila dona dedi, 

Hic orbem dotnuit, tu pacem, Phoebe, dedisti. 

Utraq(cue) rea votis annuat ista meis! 

Il carme, composto di due distici, la cui sicura le- 
zione devesi all'egregio Prof. Biicheler dell'Università 
di Benna, è diretto a Febo (Apollo), con cui in Aquileja 
identificavasi Beleno (cfr. le are votive ad Apollo Beleno), 
al quale vengono dedicate le armi di Ercole (chiamate 
poeticamente Tirynthia munera, dalla città di Tiryns {Tipwq) 
nell'Argolide dove Ercole fu educato, dacché Febo con- 
cesse la pace, mentre il Tirintio domato aveva V orbe. 

Quest' allusione alla pace concessa da Febo potrebbe 
aver qualche attinenza isterica colla pace conchiusa da 
Commodo co' Marcomanni e Quadi dopo le lunghe e terri- 
bili guerre combattute da Marc' Aurelio in Germania 
(166-180 dopo Cristo). — E generalmente nota la predi- 
lezione di Commodo per il culto d" Ercole col quale egli 
soleva identificarsi e la cui efiQge e simboli riscontransi 
tanto spesso sulle monete coniate da codesto imperatore, 
specisJmente nelle monete (Cohen, III, 1883 p. 250 n. 2dO 
e 291 n. 474) dove veggonsi appese ad un albero le 
armi d'Ercole. 

Edita ed illustrata neWArchaeolog. epigr. Mittheilungen 
voi. XIX, p. 209 segg. n. 4, dove trovansi altri cenni 
letterari. Alla special cortesia dei signori Prof. dott. O. 
Benndorf e dott. E. Bormann dell'Università di Vienna 
devo il beneficio di poter riprodurre nelV Archeografo le 
illustrazioni eseguite per il suUodato periodico. 

Forse anche il seguente frammento della parte in- 
feriore d'un' ara votiva di marmo, alta 0"36; larga 0-12, 
grossa 0'17, trovata assieme a tutte le altre iscrizioni vo- 
tive a Beleno avrà fatto cenno d'un impiegato addetto 
all'uffizio tavolare (tabularium, cfr. Marquardt, Bòm. Staats- 
verwaltung II 1884, p. 216 e 313 nota 3). Le piccole 
lettere alte solo 0016. 



342 



TABI 
V- l 

iàbiulari) 

v{otum) {solvit libens merito). 

Inedita. 

66) Parte superiore di un' ara votiva di msu'mo, alta O40, larga 
al finimento OSI (nel mezzo 020); grossa 029 e 0-19. Il 
finimento è relativamente più alto del solito ed ha i lati 
alquanto incavati. L' iscrizione è scolpita per entro ad una 
cornice. Le lettere sono 001-0026, i nitidi caratteri grechi 
del II secolo dopo Cristo. 




A r A e H 
xr XH 

ErSEINOI//// 

nanHopiaa// 

AHTMI 
<I> 1 BW 



'Ay^Ov; T6xiq, 6Ù5£(vot(0 'AvTY)vop{B3t(i;) ATr;Tot, ^©{^w ['ApTé|jLi5t].. 



343 

L' introduzione di codest' iscrizione votiva contiene 
la solita formola di buon augurio àyoGr) T6xy), corrispon- 
dente a quello de' Eomani ^quod bonwn faustnm felix 
foriunalumque sitj^ (cfr. Preller, Griechische MyOi.V p. 543) ; 
riscrizione stessa è dedicata agli eroi eponimi dell'antica 
Venezia, agli Antenoridi ospitali, ed alla triade divina La- 
tona, Febo ed Artemide (Diana). (Cfr. Roscher, Ausfiihrl. 
LexikoHj ad Leto, II, 1969 e 1966 segg.) 

Il culto degli -4n/enor/rf* in Aquileja dimostra, quanto 
viva sia stata la tradizione d' Antenore e del suo soggiorno 
nella regione veneta (cfr. Tito Livio, 1^1: latn primutn 

satis constai Troia capta Antenorem cum multitudine 

Enettun venisse in intumum maris Hadriatici sinum, Eu- 

ganeisque, qui inter mare Alpesque incolebaut, pidsis Enetos 
Troianosque eas tenuisse terras, et in quem primo eyressi siint 
hcum Troia vocatur^ pagoque inde Troiano nomen est ; gens 
universa Veneti appellati. 

Edita ed illustrata: Arch. epigr. Mitth. p. 207 segg. 
n. 3, dove il prefato Prof. Biicheler ricompone anche 
quest'iscrizione in forma metrica. 

66) Parte superiore d' un' ara votiva di pietra calcare, alta 
0*32; larga 0'29, grossa 0'21 (nel mezzo larga 0*21, grossa 
019) e munita d' un finimento, alla cui superBcie trovasi 
un' incavatura. Le lettere 0*03, i caratteri del II secolo 
dopo Cristo. 

BELENOn 
AVG-SACR 
M • LICINIVS 



Beleno Aug(usto) sacr(um) M(arcus) LicinÌHs\... 
Inedita. 

67) Ara votiva di marmo ricomposta da due pezzi, alta 0-80, 
larga 0*26, grossa 22 (nel mezzo larga 0'18, grossa 016) 
e munita di plinto e finimento col relativo acroterio a 
palmette e colla super6cie fornita della solita incavatura 
qudl sostegno di qualche simulacro. 



844 

Le lettere alte 0023-0035 sono scolpite per entro 
ad una cornice marginale^ i caratteri del secolo II dopo 
Cristo. 

D.B- A 

LVCI 

LIVS 

MAR 

5. CELLIN 

VS LM 

D(eo) B{elcno) A(tigusio) Lncilius Marcellin(us) v(oium) s{olvU) 
l(ibens) m{erUo). 

Inedita, 

68) Ara votiva di pietra calcare, a cui non manca che il plinto, 
alta 0-60 (V iscrizione 0-45), larga 29, grossa 28 (nel 
mezzo 0*18 larga e 018 grossa). Sulla superficie del fini- 
mento la solita incavatura. L' iscrizione per entro ad ima 
cornice marginale, le lettere alte 0016-0026, i caratteri 
del II secolo dopo Cristo. 

BELINO 

AVG 

SEX ' MVTlLIVS 

ABASCANT 

Belino Aug(usU>) S€x{tu$) MtUilius Aba$cant{us) v(otum) s(ohii). 

Inedita. 

La gens Mutilia è menzionata in Aquileja C V. 1312, 
11 cognome Abascantus è greco 'à^ìoxovtoc. 

69) Ara di pietra calcare ricomposta da due frammenti, alta 
0*69, larga 0*32, grossa 0*29 (nel mezzo larga 0*22, grossa 
0.22) e munita di plinto e di finimento alquanto logoro. 
Le lettere alte 0'03-0"045, i caratteri del II secolo dopo 
Cristo. 



345 

L • PAlOlJvS 
LLSEVERVS 
Iml-VIB 
AQVILEIA^ 

L(ucius) PcUronius L(uci) l(ibertus) Severm sexvir Aprileiae. 

Dacché riscrizione non fa menzione della dedica- 
zione alla divinità, il voto sarà stato espresso mediante 
il simulacro, dedicato probabilmente come quasi tutte le 
are votive scoperte nella stessa ubicazione, al Dio Bdeno. 

Inedita. 

70) Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare, alta 
0.44, larga; 0296, grossa 022. Del finimento superiore 
esistono ancora le tracce del lato sinistro, mentre la parte 
destra e quella anteriore sono logore. L' iscrizione per 
entro ad una cornice marginale; le lettere alte 0*02-0*035, 
i caratteri del secolo II dopo Cristo. 

BELINO 

Q-PRESTIVS 

VERECVN)V8 

V-S-L-M 

Belino Q{uintu8) Prestius Verecundus v(otuin) sfolvit) l(ibens) 
m(erUo). 

Inedita, 

71) Ara votiva di pietra calcare, ricostruita da tre frammenti, 
alta 0*8 i, larga 0*31, grossa 0*20 (nel mezzo grossa 0*17, 
larga 0*23) e fornita del relativo plinto e finimento con 
acroterio a palmette liscie, e con un' incavatura regolare 
alla superficie qual sostegno di qualche dono votivo. Le 
lettere alte 0026-0-030, i caratteri del secolo II dopo 
Cristo. 

BELINO -AVG 

PVBLICIVS 




BGMANIENSIS 
V S L Jt 



346 

Bdino Aug(u8to), PMieim Placidm neg(ot̀Uor) Bomaniensis 
v(otum) 8(olvit) l(ibeH8) m(€rito). 

n nome gentilìzio I^lieius derivato da Papulicius è 
proprio de' servi ptMici (Cfr. C.V. 6330) ; riguardo ai ne- 
gatiatores pnossi riscontrare l'indice déìV Exempla inscrip- 
tionum del Wilmanas^ e riguardo all'epiteto Bomaniensk 
corrispondente al Ramanus^ i lessici (p. e. Georges, 7.a 
ed., p. 21B1) e C. m, 3215, 14. 

Inedita. 

72) Piccola ara votiva di pietra calcare, alta 0*28, larga 18; 
grossa 0*18 (nel mezza larga 0*13, grossa 013), munita del 
relativo plinto e finimento colla solita incavatura sulla 
superficie. Le lettere alte 0*02-0025, i carattere del II 
secolo dopo Cristo. 

Ttvdisivs 
t-l-fvscvs 

B*V*S*L*M 

T(ihts) Tudisim T(Ui) l(ibertus) Fuscus B(deno) t((^m) 
B(6lvU) l(ibens) mferito). 

n nome gentile Tudisius o Tudicius riscontrasi p. e. 
C. V. 2712, 2615 ecc. 

Inedita. 

73) Parte inferiore di un'ara votiva di pietra calcare, alta 
0*44, larga, 0*37, grossa 0*33 (nel mezzo larga 0*26, grossa 
0*26). Le lettere alte OOlB-0026, i caratteri del secolo II 
dopo Cristo. 



AÌÌVÌLiÌ1ìJ'JSaV._ 

VERIIVN 
VERAE-ET 
SEVERIAN-FIL-EIVS 
6, ENCOLPVS 

LIB 

AquHeie(nsis) Veriiun(iori8}, Veraeet Severianaefiil(iarum) 

eius Encólpt4s libertm. 



347 

Il principio dell' iscrizione avrà probabilmente men- 
zionata la dedicazione al Dio Bdeno^ fatta dal liberto 
Enoolpo prò salute delle persone a lui care. Biguardo al 
cognome Eneolpo cfr. 0. V. 8a7, 832, 833. 

Inedita. 

74) Ara votiva di pietra calcare, ricomposta da due fram- 
menti, con finimento molto logoro e colla solita incavatura, 
ma senza il plinto inferiore, alta 0*63, larga 0*34, grossa 
0''26 (nel mezzo larga 0*27, grossa 0186). Le lettere sono 
alte 0066; i caratteri del I secolo d. Cr. trovansi scolpiti 
tanto dalla parte anteriore che posteriore dell'ara (opi- 
stografa). Edita in parte xaòWArch, epigr. MiUh, pag. 206. 

«• b. 

L-PIN>'///// V/// 

"l-lsopil^s~ vatelvdini 

B • D 

a. 
L(uciu8) Pin(ni)u(8) L(uci) l(ibertfé8) 8op(h)Uus, B{eleno) dot, 

b. 
Valetudine 

Il vateìudini dell'iscrizione originale non ò che un 
errore del lapicida. 

La bona valetudo e la bona mens valevano appo i 
Bomani, quanto da noi la mente sana in corpo sano. Alla 
bona mms si contrapponeva la mala mem^ la mens laeva e 
Vamentia. E la bona mens oltre ad essere una virtù indi- 
viduale, generalizzata quale mens publicaj era il simbolo 
di quel buon tatto politico, capace di guidar per bene 
le sorti delle genti. Perciò ne' tempi delle maggiori av- 
versità i Bomani invocavano a loro tutela la Mene; cosi 
dopo la disastrosa sconfitta al lago Trasimeno nella se- 
conda guerra Punica, per ordine dei libri Sibillini venne 
eretto sul Campidoglio un tempio alla Mene (nell'anno 
217 a. Gr., cfr. Preller, B5m. Uytìi. Uj p. 628 e Bosoher 
Lexicon ad v. Mene.) 



348 

Un consimile voto fece M. Emilio Scanro all'epoca 
del terrore de' Cimbri e Tentoni, e con fine discernimento 
politico Augusto cercò di coltivare il cnlto della Bona menSj 
qual simbolo della lealtà verso la nuova dinastia, chiamata 
a ristabilire l'ordine nell'orbe Bomano. Una brutta pa- 
rodia del culto della bona mens de' Bomani fu il culto 
officioso della • Ragione „ introdotto all' epoca della rivo- 
luzione francese a Parigi li 19 novembre 1793. 

Anche Aquileia Eomana ebbe un'ara votiva alla 
Bona mene, dedicata forse ai tempi d'Augusto, al quale 
questa metropoli della Venezia doveva uno specisJe svi- 
luppo mercè l' incremento del suo pomerio ed il caraUere 
di residenza imperiale. 

76) Parte superiore d'un' ara votiva di pietra csdcare, sco- 
perta insieme alle precedenti, con finimento, alta 0*23, 
larga 0*36, grossa 0-32 (nel mezzo larga 0*21, grossa Ol9) 
e con un' incavatura con entro altri due buchi alla su- 
perfice. 

La facciata coli* iscrizione e suddivisa in due scom- 
partimenti, le lettere sono alte 0*035, i caratteri dell'epoca 
d* Augusto. 




BONAI 



Bonai menti. 

Bonai, forma arcaica invece di bonae. 

Edita ed illustrata nelle Arch, ej)igr. Mith, p. 205 seg. Hx 1. 



é49 

?6) Insienie all'iscrizione dedicata alla Bona mem fa scoperto 
il seguente frammento d'un' ara votiva di pietra calcare, 
fornita di apposito finimento con una piccola incavatura 
quadrata aUa superfice. La medesima è alta 0*28, larga 
0-29, grossa 0*23 (nel mezzo larga 023, grossa 0*17). Le 
lettere, alte 0*03, sebbene non cosi nitide quanto queUe 
dell' ara precedente, potrebbero essere dell' epoca d'Augusto. 




ATAMENTI 



Atamenti 

Tal parola è finora di color osctiro. 

Edita ed illustrata nelle Arch. epigr. Miith. p. 206 seg. n. 2. 

77) Frammento di un' ara votiva di pietra calcare, sJta 0*29, 
larga 022, grossa 0'146; i cui lati convergono a forma 
piramidale. Le lettere sono alte 0*025, i caratteri del ni 
secolo d. Cr. 



BELD D 



....Bel(eno) d(ono) d(at). 
Inedita. 

78). Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare, alta 0*30, 
larga 25, grossa 0*23 (nel mezzo larga 0*18, grossa 0*16), 
la cui superficie è formata a foggia di plinto di colonna; 
munito di una grande incavatura e buchi quale sostegno 
di qualche simulacro. La facciata [anteriore e quelle la- 
terali sono formate a specchietto, le lettere sono sJte 0*(®, 
i caratteri del III secolo d. Cr. 



à6ò 

BELINO 
V ' 8^ 

Belino v(atum) 9(fiMt). 
Inedita. 

79) Parte superiore di un'ara votiva di marmo, alta 036, 
larga 0*39, grossa 0*27, sulla cui superfice veggonsi le 
tracce d'un' incavatura ed! alla parte destra d'un buco. 
Dell'iscrizione originale non sono conservate che due 
lettere, alte O03. 

SO 



[Bdejno. 

Inedita. 

80) Parte inferiore d'un' ara votiva di pietra calcare, alta 0-41 
larga 0*30^ grossa 0*25 (nel mezzo larga 0*20, grosaa 0-18). 
La facciata e le parti laterali lavorate a specchietto. Le 
lettere sono alte quasi 003, i caratteri irregolari della 
fine del DI secolo d. Cr. 

V • L • P- 
v{otum) Uibene) p{p$uU). 
Inedita. 

Prima di porre fine a questa ricca serie d'iscrizioni 
dedicate a Bdeno, al Nume principale d' Aquileia Romana 
e procedere nella pubblicazione delle altre iscrizioni aqni- 
leiesi, siami concesso d' osservare, che Y ara votiva da me 
accennata neW Areheografo^'KK, p. 188^ n. 35, conservasi 
tuttora a Venezia nel palazzo fu Qrimani a S.ta Maria 
Formosa. La medesima è di marmo, alta 0*88, larga 475, 
grossa 021, in alcune parti alquanto rappezzata, ed anche 
essa mostra sulla superfice la solita incavatura. Dalla 
collazione fatta da me nel novembre 1895 sull'originale 
non risultò veruna discrepanza dal testo publicato dal 
chiarissimo prof. Mommsen nel C. V. 749. 

Aquileia, nel marzo 1897. 

fC(mtinua.j Prof. E. Maioaica. 



^^^^^^S^^S^ì^j^^^?^^^^^^^?3^^^S^^^^S^^iS^Ì^ 



Altre costruzioni romane scoperte nella villa di 
Barcola dal novembre 1890 al ma^io 1891 

(con rma pianta) 



Il nostro giudìzio sul!' importanza di Barcola al tempo 
dei romani venne pienamente confermato dalle scoperte suc- 
cessive, che qui prendiamo a riferire. 

Già nel 1888, praticaadosi lo sterro per introdurre l' acqua 
delle fonti d'Aurisina nel nuovo edificio scolastico, nella via 
che fiancheggia l'orto del curato, furono osservati alcuni ve- 
stigi di antica muratura e raccolti vari quadrelli di marmo 
finissimo, che senza dubbio provenivano da qualche pavimento 
musivo. Due anni dopo, quando l'esplorazione della grande 
villa, che chiameremo della «tatua, era già stata ultimata, nel 
fondo n. cat. 515/6, per opera dell'egregio barone Giuseppe 
de Sartorio, appassionato fautore delle ricerche archeologiche, 
vennero messe alla luce le rovine di un' altra costruzione del- 
l' epoca romana. Il chiarissimo ingegnere doti. Eugenio Gai- 
ringer a proprie spese e con importi largiti dai signori Adolfo 
Gentilli, dott. Federigo Perugia e dal medesimo barone de 
Sartorio, prosegui allora lo scavo ed avutone favorevole risul- 
tato, lo estese tanto in quello, quanto nei fondi vicini, dopoché 
i proprietari signori aw. dott. Gioachino Coen e cav. Domenico 
Idone gentilmente vi ebbero accordato il loro permesso. 

Questi fondi sono situati lungo la strada di Miramare e 
formano la continuaziane dell' area sulla quale sorgeva la prima 
villa romana. ^ 



^) Devesi avvertire che i fondi dei signori aw. Cf. Coen e cav. D. 
Idone sono ora proprietà del signor Alessandro Cesare, il quale vi eresse 
un grande edificio ad oso di Hotel. H fondo che fa già del signor An- 
tonio Pogorelc è ora occupato da un edificio appartenente al signor 
Vittorio Sinigaglia. 



a» 

Nei mesi di novembre e dicembre del 1890 fa esaminata 
nna superficie di quasi 800 metri quadrati. Affine di rilevare 
l' ossatura degli edifici che si stavano scoprendo e formarsi un 
concetto della loro natura, si segui la linea dei muri, dapprima 
lunghesso la strada maestra per un tratto di 35 metri, quindi 
alla volta del monte per 22 metri» Si riconobbe allora essere 
queste le rovÌ2te di un edificio forse ancor più importante di 
quello anteriormente scavato, per certo costruito con maggiore 
solidità, il quale protendevasi in direzione di tramontana verso 
la chiesa del villaggio e doveva abbracciare uno spazio rile- 
vaaste aaeh» in larghezza. 

'L'indagare; lo scoprire, il conservare e T illustrare ^ 
avanzi delle antichità, , dice Domenico de Rossetti, "comunque 
a molti possa parere opera di niun pregio ed a non pochi 
perfino frivola inezia; fu ella e sarà mai sempre per opinione 
de' saggia opera ben anzi e doverosa e utile per ogni popolo 
e tempo e luogo, ove la civiltà e la dottrina abbiano gettato 
le prime fondamenta del beato loro reggimento. , E tale fìi 
r opinione dell'inclito Consiglio municipale, allorquando nella 
seduta delli 30 dicembre 1890 riconoscendo proficua l'esplora- 
zione cominciata e favorita a tutto vantaggio della patria 
storia dalle benenerite persone che abbiamo nominate, decretò 
che la si continuasse- a spese del Comune e mise a disposizione 
del civico museo di antichità la somma di fior. 600, alla quale 
nel mese di aprile dell'anno seguente furono aggiunti altri 
fior. 600 e propriamente fior. 100 assegnati dall'inclita Dele- 
gazione nella seduta del giorno 7 e fior. 400 votati dall' inclito 
Consiglio la sera del giorno 16. Con questi importi 'si sosten- 
nero tutte le spese per lo sterro e quelle necessarie per rein^ 
terrare le parti scoperte non appena fossero eseguiti i rilievi, 
essendo stato cosi convenuto coi proprietari dei fondi. 

Le ricerche vennero riprese alli 8 di febbraio del 1891 e 
con tutta alacrità e senza interruzione proseguite sino al giorno 
9 del mese di maggio. L'ingegnere dott. Gairinger, verso del 
quale noi ci sentiamo legati da particolare dovere di ricono- 
scenza, ne prese gentilmente la direzione, prepose ai lavori 
un abile ed intelligente capodarte ed infine provvide a tutti i 
rilievi plani ed altimetrici, sulla base dei quali fu eseguita per 



363 

Operài sua la pianta generale, che in sóala ridotta e riportata 
nella tavola unita alla nostra relazione. I signori cav. Giuseppe 
Hainisch ed Antonio Pogorelc con pronta condiscendenza ci 
offersero la possibilità d' inoltrarci collo scavo anche nei terreni 
di loro proprietà, siti più vicino alla chiesa e a fianco della 
via vicinale già menzionata. A questi come a tutti gli altri 
rinnoviamo ora i nostri più vivi ringraziamenti. 

Abbiamo pertanto potuto estendere le nostre ricerche su 
di un'area di ben 3,000 metri quadrati, posta tra la strada di 
Miramare e quella che giace dinanzi al nuovo edificio scola- 
stico, tra i fondi che già furono del cav. Filippo Artelli e la 
suddetta via vicinale. In alcune parti le rovine furono rag- 
giunte ad una fondezza di un solo metro ; nelle altre convenne 
scendere sino a tre, principalmente in quella anteriore, nella 
quale l'opera dello sterro era divenuta quanto mai difficile 
causa una massa di sassi e ghiaia, che ui^a volta il mare aveva 
colà trasportato. Ma ovunque esse furono trovate nello stato 
di distruzione quasi completa. Pochi muri soltanto conservavano 
ancora un* altezza maggiore di mezzo metro ; i più erano diruti 
quasi al paro del suolo e di alcuni vedevansi appena le tracce 
delle fondazioni, attalché in parecchie camere non si poterono 
riscontrare nemmeno i passaggi da un vano all'altro. I pavi- 
menti musivi erano pure scomparsi, ad eccezione di due soglie 
e di alcuni piccolissimi frammenti in prossimità alle pareti, e 
solo dalla straordinaria quantità di pietruzze rimaste in vari 
ambienti si comprese che il lastrico di questi era stato altra 
volta di cotal genere. Ne tampoco più fortunati fummo colla 
scoperta di altri oggetti. Se ne rinvennero pochissimi e di scarso 
valore. Tra i medesimi sono parecchie monete enee, una lancia 
di ferro, rimasugli di piombo e molti frantumi di stoviglie co- 
muni e di lucerne fittili. Mancavano quasi interamente gli avanzi 
di fregi architettonici; all'incontro si raccolsero innumerevoli 
pezzi di marmo di differenti colori e di qualità finissima, e vari 
residui del musaico vitreo che aveva addobbato due nicchie. 

Parlando dei primi ritrovi di antichità in Barcola, abbiamo 
osservato che le incursioni dei barbari, le quali provocarono 
la caduta dell'impero romano e per molto tempo continuarono 
a funestare l'Italia, costrinsero gli abitanti ad abbandonare 



à64 

qneste deliziose dimore. Saccheggiate e rovinate, esse séfvirònd 
allora e per lungo tempo di ricovero ai nomadi, che ne con- 
tinuarono il guasto ; diventarono poscia una ricca miniera di 
pietra da fabbrica e da calce, fino a tanto che il terrìccio tras- 
portatovi dalle acque sottrasse alla vista ciò che ancora ne 
rimaneva. Ma non ne cancellò la memoria, la quale conservatasi 
per tradizione presso i villani, fece si che anche in tempi meno 
lontani si continuasse a demolirle, e quando finalmente sia per 
il succedersi delle generazioni, sia per la venuta di nuove 
genti, ella fu assopita, non si arrestò la consuetudine del frugare ; 
imperocché, come ci narrarono alcuni vecchi, sapevasi di tro- 
vare, scavando li sotto, la pietra bella e pronta ogni qualvolta 
se ne avesse di bisogno per costruire.^) Non è adunque da 
meravigliarsi se ad onta delle più pazienti ricerche, né fra 
questi ruderi, né fra quegli esplorati negli anni precedenti, 
non siamo riusciti a rinvenire alcun monumento scrittO; che 
ci desse contezza dei personaggi che nell'antichità avevano 
fatto della deliziosa YaUicula il loro soggiorno prediletto. 

Benché i risultati di questo scavo non abbiano piena- 
mente corrisposto all'aspettazione, e scarse sieno le notizie 
che potemmo ricavare dall'esame delle rovine dissotterrate, 
pure non mancano prove concludenti della qualità degli edifici 
che una volta qui sorgevano, e chiaro apparisce che alcuni 
di essi, come distinguevansi dalla vUla della statua per costru- 
zione più perfetta e più solida, cosi non meno la superavano 
nella ricchezza e nella magnificenza delle decorazioni. 

Nella pianta furono segnate col colore azzurro tutte le 
località che avevano avuto un pavimento musivo, col giallo 
quelle che lo avevano avuto adomo di piani di marmo, pam- 
mentum secHle, o consistente di terrazzo o di solo coccio pesto 
refrattario all' umidità, e senza alcun colore sono quelle o che 
non frirono mai lastricate o che non ne conservavano più traccia. 

Uno stretto vicolo a' divide il complesso degli edifici in 
due gruppi principali. L' anteriore conteneva un bagno costruito 



^) y. riguardo a questo sistema generale di distruggere gli avanxi 
dell'antichità quanto scrive £. aus'm Weerth, Dae Bad der rihnis^un 
Villa bei AUenz, Bonn 186L 



d66 

àul modello di mi Vero é proprio stabilimento termale, il quale, 
oltre ohe dal proprietario, veniva forse frequentato anche dagli 
abitanti delle ville vicine. E ciò è naturale; imperocché lungi 
dalle cure dei pubblici negozi e dalle private occupazioni 
maggiore era P incitamento ai piaceri e con esso il desiderio 
dei lieti convegni. I bagni nella vita dei romani tenevano un 
posto di gran lunga più importante che non ai giorni nostri, 
n bisogno di lavare spesso tutto il corpo, richiesto dalle abi- 
tudini quotidiane, era trasmodato in vera passione ai tempi 
degl'imperatori; onde abbiamo notizia che taluni solevano ba- 
gnarsi dalle sette alle otto volte al giorno ; chò le effeminate 
generazioni di allora^ come osserva Columella, nell^uso in- 
cessante dell'acqua calda e nella frequenza dei sudatori cer- 
cavano lo stimolo al mangiare ed al bere, all' opposto degli 
avi, che col lavoro dei campi e con altri strapazzi del corpo 
solevano promuovere l'appetito e la sete. In seguito ai mutati 
costumi ed alle maggiori esigenze della moda il balneoìum 
angustum^ tenebricasum ex cansueiudine antiqua, che, come Seneca 
ci ricorda, era stato abbastanza per la villa d'uno Scipione 
Africano, venne sostituito da amplio e belle camere con pavi- 
menti sospesi e pareti vacue, ed in luogo dei bagni pubblici, 
che lo stesso filosofo designa per obscura et gregali teetorio in- 
duda, sorsero edifici imponenti e per vastità e per magnificenza, 
dei quali quelli di Boma, che da Ammiano Marcellino fu-* 
rono detti in modum provinciarum extructa ìavacra, nelle stesse 
loro rovine destano la più grande meraviglia. In tutti i paesi 
che fecero parte dell'impero romano, si trovano rovine di edifici 
balneari, cosi nelle grandi che nelle piccole città e persino 
nelle campagne, ove poche case avevano costituito un centro 
abitato. E gli appartamenti destinati per i bagni non mancano 
quasi mai nelle ville, e vi sono spesso fomiti di tali comodità 
e foggiati con tanto lusso da imitare le terme cittadine. Di 
essi non tutti servivano solo per la famiglia e per i suoi ospiti ; 
ma parecchi erano resi accessibili anche agli estranei verso 
pagamento di ima tassa ed appartenevano alla classe dei cosi 
detti balnea merHoriu. Le persone agiate pur potendo curare 
la pulizia e l'igiene del corpo entro le pareti domestiche, ac- 
correvano non meno volentieri alle terme pubbliche o a quelle 



à66 

private aperte al pubblico^ essendo si le une cHe le altre luogo 
prediletto di ritrovo, ove agli avventori era offerta l'occasione 
di passare il tempo conversando cogli amici, di assistere e 
partecipare o a trattenimenti musicali e poetici o a giuochi ed 
esercizi ginnici e di appagare i sensi con distrazioni e spassi 
d'altro genere. 

Le piccole terme di Barcola, sebbene non possano gareg- 
giare coi bagni delle suntuose ville suburbane di Koma e di 
altri paesi, pure erano costruite come lo esigeva l'ambizione 
di persone appartenenti alla classe signorile ed in maniera da 
ritrarre profitto delle particolari condizioni del luogo. Prospet- 
tavano colla lor fronte principale il mare e giacendo in imme- 
diata vicinanza al medesimo, univano i bagni di acqua dolce 
con quelli di acqua marina/) per modo che chi usava dei se- 
condi poteva prenderli caldi in stanza chiusa; ovvero tuffarsi 
nelle onde a cielo scoperto. A tale effetto la spiaggia non doveva 
essere qui munita di sponda murata, la quale se fosse una volta 
esistita, ne avremmo per certo scorto qualche indizio; mentre 
invece il materiale di sterro lungo questo lato e per un buon 
metro sopra le fondazioni della fabbrica componevasi esclusi- 
vamente di sassi, arena ed altri detriti propri del lido di mare. 
E qui dobbiamo avvertire che per lo appunto dalla violenza 
del mare furono distrutte alcune località di questo edificio, e 
che solo molto tempo dopo, quando le loro tracce erano ormai 
quasi del tutto scomparse, la terra discesa per la china del 
montC; arrestandone la devastazione, converti anche questo 
spazio in fertile campagna ed elevò la superficie di oltre tre 
metri sopra V antico livello. 

Nell'ordine che fu seguito dallo scavo, prima si presenta 
la camera a, che era pavimentata a musaico. Essa aveva due 
porte praticate nelle pareti maggiori, una di fronte all'altra, 



') Che le terme servissero anche per i bagni con acqua dì mare 
emerge dalla seguente iscrizione scoperta a Pompei nel 1749 dinanzi ]a 
porta d'Ercolano: Thennae M, Crassi Frugi aqua marina et baltiea aqua 
duld, Januariua libertus. Cfr. Overbeck-Mau, Pampefi] e Niccolini, 
Le case ed i monumenti di Pampeif voi. I. 



357 

delle quali restano ancora le soglie, che son fatte di signino e 
conservano i tasselli di pietra coi fori per i cardini dell'im- 
posta e per i paletti che la tenevano serrata. Addossati a 
questa camera sono lo stanzino & e la fauce e, quello senza 
:alcun lastricato, questa con pavimento fatto di pietruzze nere 
e seminato di pezzi di marmo d' altro colore, rozzamente tagliati 
e disposti ad intervalli capricciosi. Le località che succedono, 
indicate colle lettere d ad n, spettano all'appartamento bal- 
neare, al quale erano annesse ancora delle altre, il cui ufficio, 
Atante la pessima conservazione, riesce ora malagevole di pre- 
cisare. Dalla fauce non si accedeva se non al solo preformo; 
laddove l'ingresso nel bagno avveniva dall'atrio o. 

L' ubicazione dell' edificio s' accorda colle regole di 
Yitruvio,^) essendo il luogo e per la naturale sua posizione 
e per le fabbriche che gli stanno appresso, riparato dal set- 
tentrione e dall'aquilone. E conforme ai dettami di questo 
scrittore ne sono distribuite le parti: poste ad oriente quelle 
dei bagni freddi, ad occidente invece le stanze dei caldi e 
tiepidi ; che essendo il tempo di lavarsi assegnato dal mezzodì 
alla sera, interessava che queste fossero esposte al sole^ affin- 
chè non vi difettasse la luce, nò la temperatura di fupri ren- 
desse meno efficace o rallentasse il riscaldamento al di dentro. 

La camera n era adibita per spogliatoio, apodt/teriufn^ e 
formava un solo compreso col frigidarium^ cella frigidaria, del 
quale è rimasta scavata nel terreno la piscina pel bagno freddo^ 
che gli antichi chiamavano anche baptisterium^ e se era molto 
vasta naiatio. La nostra è lunga metri 77t) larga 47, e fonda VJ^y 
onde poteva contenere almeno dieci persone per volta. Tutto 
in giro presso alle pareti una risega costituiva il sostegno di 
una banchina da sedere, e tre gradini addossati ad uno dei 
lati minori servivano per discendere nella piscina; si quella 
che questi erano rivestiti di lastre di marmo bianco, come lo era il 
fondo e come pare lo fosse tutta la camera, se argomentiamo 
dai frammenti che in gran copia vi furono raccolti. H podio 
che scorgesi costruito in muratura rasente al muro nel mezzo 



*) De arehitectura^ edizione di C. Lorentzen, GotikA 1857, Lib, V, 
Caput. ZI. 



368 

dell' altro lato minore, è l'avanzo del piedistallo che sopportava 
una figura d'uomo o d'animale, ovvero una maschera, dalla 
quale V acqua sgorgava nel bacino. Il vano praticato nel muro 
opposto all'ingresso apparteneva ad una spaziosa finestra, che 
dava sul vicolo a* e rischiarava il irigidario. La stabilitura dei 
muri di questo ambiente consiste di matton pesto combinato 
con calce, e lo zoccolo è colorito di rosso. 

Coloro che usavano dei bagni caldi e del sudatorio non 
potevano spogliarsi e vestirsi in una sala fredda e poco ripa- 
rata, quale Y apodyterium, che da noi era unito col frigidario. 
A questi occorreva una stanza tepida, in cui evitando il re- 
pentino e pericoloso passaggio dall'una all'altra temperatura, 
il corpo venisse disposto alla più calda impressione delle stale 
e delle lavande calde e viceversa nel sortire dalle medesime 
non avesse a provare subitamente il contatto dell' atmosfera 
più fredda.^) Tale località dal modico riscaldamento solevasi 
appellare tepidarium e, come insegna Yitruvio, doveva essere 
congiunta e col ìaeaniemn e colle sudalianes. Era quella stanza 
che Plinio il giovane chiama cMa media tra il frigidario 
ed il caldario, e nella quale Celso raccomandava siA veste 
primum paidlum in$udare^ ibi ungi, tum transire in oalidarttim.') 
In alcune terme il tepidario conteneva pure una tinozza con 
acqua tepida; generalmente però oltre che da spogliatoio e da 
sala d' aspetto per la traspirazione, veniva usato come unduo- 
rium per ungere il corpo e come destrietarium '} per raschiarlo 
ed astergerlo, e per altre operazioni allora necessarie alla cura 
della persona, che Lucilio^) enumera colle parole: scàbar, 
suppUoTy desquamar^ pumicor^ ornar ^ expihr^ pingor, e per le quali 
nei grandi stabilimenti balneari di Boma erano assegnate varie 
località. 



1) BechiGuglielmo: relazioni intomo ai bagni scoperti a Pompei 
nel II voi. del R. Museo Borbonico, pag. 12-28 e seg. ^ 

Michaelis Ad. Die neuen Bàder in Pompefi, neU^Archeólc^che Zei- 
iung del Gerhard, a. 1869, pag. 89. 

*) Becker-Bein: OMus^ voi. HI, pag. 94. 

*) MichaeliSi 1. e, pag. 41 

*) Beuker-Bein, 1. e, pag. 86. 



J 



369 

Il tq^idarium del nostro bagno era collocato nella camera/, 
quadrata, di oltre m. G'/j per lato. Aveva il pavimento sospeso 
ed il piano del sotterraneo dolcemente inclinato verso uno dei 
lati, ove per un taglio praticato nel muro dal vicino caldano 
penetrava l'aria calda, che espandendosi nel vespaio e per le 
pareti vacue effettuava il riscaldamento di tutto T ambiente. 
Dei pilastrelli che avevano sorretto il pavimento esistevano 
pressoché intatti alcuni di quegli aderenti ai muri. Ma in maggior 
numero se ne rinvennero nel caldano e. Si gli uni che gli altri 
presentano un lato maggiore di 42-44 cm. ed uno minore di 
21-22 cm. Sono costruiti di mattoni quadri aventi intomo a 
cm. 21 di latO; e la spessezza di circa 7 cm. L'altezza dei pi- 
lastrelli varia secondo la loro postura da 50 a 60 cm. Nel co- 
struirli furono seguite le dottrine di Yitruvio, il quale insegna: 
latercidis bessàlibus pilae strtMntur ita dispositae^ tUi hipedales 
tegtdae passini supra esse collocatae, e subito dopo aggiunge : 
aUitudinem autem pilae habeatU pedes duo. 

Dei quadroni di terracotta, che quale base del pavimento 
erano una volta collocati sopra i pilastrini, non abbiamo potuto 
osservare se non alcuni frammenti; ma corrispondendo essi a 
quelli trovati intieri nella villa della statua, risulta che erano 
larghi cm. 60 in quadro e grossi mm. 66. All'incontro la su- 
perficie del pavimento in ambe le località, anzi che di musaico, 
era adoma di marmo screziato nero, bianco é bigio, tagliato 
a quadrelli di varie dimensioni, pavimentum sedUe, e soprapposto 
Brd uno strato di calcestruzzo di 80 mm. H suolo dei sotterranei 
è fatto di cemento battuto con calce e coccio pesto, e quello 
del caldano pende verso la fornace, quasi per dieci centimetri 
di differenza dall'uno all'altro lato, essendo cioè come lo vuole 
Yitruvio inelinatum ad hypocausimy uti pila cum mUtatur^ non 
possit iniro resistere^ sed rurstis redeat ad praefurnium ipsa per 
sej ita fiamma facilius pervagàbitur sub suspensione. 

Il caldariumy e, è pure di forma quadrata^ ma alquanto 
più grande del tepidario, e comprende la nicchia m, entro cui 
trovavasi il labrum, vasca schiacciata simile ad una coppa, ri- 
posante su d'un piede, la quale serviva per le abluzioni che 
solevansi fare coir acqua fredda dopo di aver sudato. È pro- 
babile ohe al lato opposto, in prossimità all' Ayi^ocatisis, vi fosse 



360 

il bacino per le lavande calde, alveus, calida piscina. Quattro 
poderosi pilastri di fabbrica^ dei quali si scorgono i residui 
nei quattro angoli, sopportavano il tetto fatto a vòlta e munito 
di pertugi destinati a dare luce ed a regolare la temperatura; 
laddove un' altra finestra nella callotta dell' abside avrà illumi- 
nato lo spazio riservato al làbrum, schola labriy nella stessa 
maniera che ci è fatto di osservcure nelle terme di Pompei. Il 
sito della finestra viene determinato da Yitruvio colle parole: 
labt-um stih lutnine faeiendum videtur^ ne stantes eircum suis umbris 
obscurent lueem. Le pareti tanto del caldano quanto del tepi- 
dario erano vacue, cioò addoppiate, camerae duplices, mediante 
tubi caloriferi di laterizio, -che Plinio in un luogo ci dice 
inventati nel settimo secolo di Boma da Sergio Orata, in un 
altro dal medico Asclepiade. 

Di questi tubi o canne d'argilla si raccolsero moltissimi 
rottami, coi quali ci fu possibile di ricoDcunettere qualche esem- 
plare, da cui risulta eh' erano lunghi circa 30 cm. ed avevano 
due lati maggiori presso a poco di 21 cm. e due minori di 
12-13 cm. e smussati gli angoli si interni che esterni. Venivano 
essi impostati l'uno sull'altro in modo da costituire delle alte 
pile che, quasi canne d'un organo, si fissavano con una delle, 
faccio maggiori al muro mediante grappe di ferro imitanti 
nella forma la lettera T. Avendo i lati minori, che venivano a 
stare di fianco, un' apertura quadrata nel mezzo, il canale di 
ciascuna pila era messo in comunicazione coi canali delle pile 
contigue; onde Taria calda che s'innalzava dal vespaio del- 
l' hypocaustum poteva circolare ed espandersi per ogni dove. 
Le commessure tra i tubi e tra le pile erano ermeticamente 
turate con stuccO; e tutta la superficie cospersa d' intonaco, che 
bene doveva aderire, essendo le faccio maggiori dei tubi calo- 
riferi fomite di scanalature e di ombelici. 

Secondo Vitruvio, come già abbiamo accennato, al te- 
pidario vanno uniti il laconico ed il caldano: laeonieum suda- 
tionesque sunt coniungendae tepidario. E veramente il nostro dava 
passaggio al caldano già descritto e ad una piccola ceUa di 
m, 4 X 3, A, la quale veniva riscaldata da proprio fornello 
posto nello spazio g ed aveva il pavimento sospeso non su 
pilastreUi, come le altre due camere, ma su grossi podi di 



361 

opera laterizia, quasi che rilevante dovesse essere il peso che 
esso sopportava. E però nel primo momento abbiamo pensato 
che questa cella fosse destinata ad accogliere la piscina del- 
l' acqua calda, che comunemente nei bagni pubblici quanto nei 
privati stava nel sudatorio e propriamente nella parte del me- 
desimo che è opposta alla nicchia del làbrum. Ma dopo più 
maturo esame ci parve che altro avesse potuto essere il suo 
ufficio, come ora procureremo di rilevare, senza voler per tanto 
escludere la prima ipotesi. 

Le scoperte di Pompei rimovendo parecchie incertezze e 
controversie; derivate dal modo diverso d'interpretare gli an- 
tichi scrittori, costituiscono la fonte più autorevole per ricono- 
scere il bagno romano nelle singole sue parti. Cosi da esse 
abbiamo i dati necessari per determinare il laconicum^ la loca- 
lità, intomo alla quale non si potevano accordare i giudizi dei 
moderni. Da due passi di Vitruvio*) risulta ch'esso era fatto 
A foggia di torricella terminante in emisferio, affinchè la forza 
della fiamma e del vapore si espandesse egualmente dal suo 
mezzo tutto intorno per le curvità. A tale effetto il laconico 
doveva avere le pareti e la volta addoppiate, e la fornace co- 
struita in guisa da produrre una rapida e forte calefazione. La 
cella h del nostro bagno è di forma quadrata, ma ciò non toglie 
che internamente, quando era rivestita di tubi caloriferi, sia 
stata rotonda, od almeno abbia avuto gli angoli arrotondati. 
Dalla sua hypocausis g^ si poteva facilmente conseguire la più 
alta temperatura. 

Se non che Vitruvio in un altro passo,') parlando del 
sudatorio, concamerata sudatìo, o caldario, assegna ad una 
estremità il bagno caldo e pone nella parte opposta il laconico, 
identificandolo colla nicchia in cui stava il labrum. Se cosi 
era, nel bagno che descriviamo, sarebbe in verità molto dif- 
ficile di spiegare come la nicchia, che rappresenta un corpo 
quasi staccato senza comunicazione coìT hypocaustum e senza 
pareti vuote ed è la più lontana dalla fornace, abbia potuto 
venire riscaldata maggiormente delle altri parti della stanza. 



«) Lib. V, caput XI, 5 e Ub. VII, caput X. 
») Lib. V, caput. Xn, 1. 



362 

La parola ìaconicutn^) era éconosciuta agli antichi greci. 
Furono gli scrittori romani che negli ultimi tempi della re- 
pubblica cominciarono ad adoperarla per dinotare un genere di 
bagno dalla Grecia recato in Italia, ove solevasi cosi appellare, 
forse perchè era stato inventato dagli spartani o perchè presso 
di loro era specialmente in uso. Sinonimo di laconieum divenne 
più tardi thólus, voce greca che indica un edifìcio rotondo sor- 
montato da cupola. E veramente in Atene i bagni erano per 
lo più di forma circolare, aventi nel mezzo della vòlta un^aper- 
tura che veniva chiusa mediante un ombelico di bronzo. E col 
nome di Thólos^ oltre che con quello più generico di pyricUerion, 
già prima delle terme romane distinguevasi dai greci quella 
località dei loro ginnasi e delle loro palestre, che fortemente 
riscaldata serviva a promuovere la traspirazione ed il sudore.') 

È fuor di dubbio che il laconieum delle terme romane 
era la parte, nella quale la temperatura veniva eleVata al 
massimo grado che dall' uomo si possa sopportare. Laonde 
consisteva di una stufa, come il sudatorium; ma la sua strat- 
tura ne era diversa, essendo fatta in modo da corrispondere ad 
una stufa secca, assa sudcUio, nella quale si cercava soltanto di 
sudare, e propriamente come dicevano gli antichi ad flammam^ 
ad ignem sudare; ma che poteva eventualmente oflErire anche 
un bagno a vapore, se sul pavimento torrefatto, fervens pavi- 
mentum^ si fosse versata dell'acqua fredda.') Non sempre il 
laconieum costituiva un ambiente da sé a sé. In molti stabili- 
menti balneari esso formava un solo compreso col caldano, 
come nelle piccole terme e in quelle dette Stabiane a Pompei,^) 



') Daremberg et Saglio: Dictìonnaire dea antiquités grétcqties et 
romaines, voi. I, pag. 650 e seg. 

«) Becker-G6ll: ChankUs, III, pag. 105. — Marquardt: Hand- 
buch der rómischen Privat-Alterthumer, voi. II, pag. 293 e seg. 

') Daremberg et S aglio: op. cit, pag. 657 e seg. 

*) In unMscrizione che fa rinvenuta nelle terme stabiane, come 
parti delle stesse, vengono mentovati il laconieum ed il destrictarium. Esa- 
minando le singole località, non se ne trova alcuna che presenti i re- 
quisiti d'un laconico; ma si bene si comprende che questo nome si 
riferisce al caldario; laddove col secondo viene indicato il tepidario. 
Cfr. Overbeck-Mau op. cit, al capitolo: Die gi-dsaerén Thet-men, 



ì 



363 

non cosi nelle terme centrali della stessa città, ove lo vediamo 
separato da questo, avendo l'ingresso dal tepidario, conforme 
prescrive Vitruvio, ed essendo fabbricato in guisa che al 
di fuori è perfettamente quadrato, mentre di dentro al posto 
degli angoli figurano quattro nicchie rotonde e le pareti sono 
leggermente incavate. Esso era coperto da una bassa cupola, 
che essendo in parte crollata più non conserva il pertugio, 
dal quale all'occorrenza lasciavasi sfogare il troppo calore. 
Sotto al pavimento havvi il vespaio delle sospensure e tanto 
le pareti quanto la vòlta sono doppie, affinchè la circolazione 
dell'aria calda potesse succedere ugualmente tutto in giro. H 
laconico ed il caldano di queste terme vengono ad avere in- 
sieme col tepidario la stessa disposizione, ohe nel piccolo bagno 
di Barcola hanno le tre stanze da noi descritte ; laonde anche 
il loro riscaldamento avveniva nella stessa maniera, vale a 
dire da un solo preformo, mediante due condotti diversi. ') 

Dalle scoperte fatte fino ad ora emerge che non tutti gli 
stabilimenti termali avevano un proprio laconico e che questo 
generalmente mancava nei minori, ove la concamerata sudatio^ 
cioè il caldario, ne faceva le veci. Più spesso invece lo si tro- 
vava nelle case e nelle ville dei privati, i quali adattavano il 
loro bagno alle proprie abitudini ed ai propri desideri, prefe- 
rendoli alle norme che solevansi seguire per gli edifici pubblici 
o per queUi destinati al pubblico uso. Da quanto fu esposto 
si deduce che la cella h del nostro bagno potrebbe essere il 
residuo d' un vero laconicum, il quale nell' intemo essendo tutto 
rivestito di tubi caloriferi avrebbe avuto forma circolare od 
almeno ovale. Devesi ancora osservare che il suolo del sot- 
terraneo è inclinato verso l' hypocausis, la cui costruzione è 
quale era necessaria per poter sviluppare una grande quantità 
di calore e spingere il fuoco sino sotto il pavimento sospeso 
della cella. La base ed i lati di essa erano fatti di grosse 
lastre di lava ; laddove quelli del fornello che serviva a riscal- 
dare il caldario, erano coperti di grandi pezzi di pietra tufacea. 



>) La pianta di queste terme fu pubblicata da Overbeck^Mau 
nel capitolo: Die CentrahThermen, 



364 

Si accendevano entrambi da un comune -preformo^ propnigeum^ 
sito nel chiuso d, ove è probabile che addossato alla parete 
sinistra stesse il serbatoio dell' acqua fredda, il quale alimentava 
la piscina del frigidario e forniva le caldaie del focolare, posto 
sopra il canale della fornace del caldano. L' egregio prof. dott. 
Carlo Moser, che ebbe la gentilezza di esaminare la lava ed il 
tufo dei due fornelli, trovò la prima essere lava basaltica di 
incerta provenienza con augite, sanidino e olivina, questa prin- 
cipalmente bianca, ed il secondo tufo peperino dei monti Albani 
racchiudente cristalli di mica nera (biotite), rubellana, augite, 
leucite e nuclei di magnetite. 

Dal vicolo a' si entra neir atrio tetrastilo o, il quale dava 
passaggio alle località del bagno che ora abbiamo descritte. 
Il pavimento dello spazio sottoposto alla tettoia consiste di 
musaico bianco con liste e margini neri, V impluvio p è fornito 
di sponde di pietra calcare, che agli angoli si combinano coi 
plinti delle colonne, che in antico sorreggevano la copertura. 
Un canale, che passa sotto la soglia dell'uscio, asportava l'ac- 
qua fuori dal bacino dell' impluvio. Nel muro opposto all'in- 
gresso vedesi praticata una nicchia rettangolare, profonda più 
di mezzo metro, nella quale era forse collocato il lararium^ 
vale a dire il santuario domestico. La stabilitura delle pareti 
è di malta comune, cospersa alla superfice di stucco finissimo, 
confezionato con calce e polvere di marmo. Lo zoccolo è co- 
lorito di rosso purpureo. La soglia del vano d' entrata conserva 
ancora i piani di pietra colle cavità per la porta, la quale era 
composta di due bande. La grande camera z, la quale per 
certo era in comunicazione coli' atrio, presenta pur essa al 
medesimo lato una nicchia, alquanto più piccola ma non meno 
profonda dell' altra. Lo zoccolo delle pareti è qui di color 
giallognolo, e del pavimento resta ancora il sostrato di cemento 
infarcito di scaglie di pietra e di rottami di terracotta, sul 
quale erano adagiate le lastre di marmo grigio, i cui pezzi 
abbiamo rinvenuto sparpagliati qua e là. Fiancheggia questa 
camera l'angusta fauce g^ la cui destinazione più non si riconosce. 

La località più rimarchevole ò quella additata colla let- 
tera tj la quale da tutte le altre differisce e per il modo ond'è 



366 

costruita e per le decorazioni che V adornavano. Ha forma di 
un andito lungo oltre ventun metro, largo appena quattro, clie 
ad ambo i capi comprende un'abside o nicchia circolare pro- 
fonda circa due metri e mezzo. Si presenta come edificio a sé 
con propri muri, solidissimi e per fattura e per grossezza, i 
quali alla lor volta da ogni parte sono chiusi dai muri della 
fabbrica vicina e da altri che con questi si collegano e girano 
intomo alle due absidi. Il muro interno dal lato volto verso 
il monte, grosso un metro e mezzo, è munito di cinque con- 
trafforti distribuiti in modo da alternarsi cogli speroni che raf- 
forzano il muro dell'altro edificio. Le intercapedini che ne 
risultano, non sono né unite V una all' altra, né uniformi, più 
larga quella al lato or ora mentovato, meno quella al lato 
opposto, e tra queste e gì' interstizi nei muri delle absidi manca 
ogni comunicazione. Considerevole doveva in vero essere 1' al- 
tezza dell'ambiente, il quale aveva il tetto costruito a volta 
a botte e le nicchie con volta semisferica. Però giova avvertire 
che i muri nello stato in cui furono trovati, superano appena 
di qualche palmo la linea del pavimento; laonde non si può 
escludere che la considerevole grossezza della parte inferiore 
derivi da una risega, che lungo le pareti maggiori avrebbe 
costituito il podio per una banchina da sedere. 

Il pavimento è quasi per intero scomparso, ma dal poco 
che resta ancora, e dai rottami che vi sono dispersi rilevasi 
che era composto di tavolette di marmo policromo, fra le quali 
figurano stupende brecce di Numidia e Spagna, ed altre di 
qualità molto apprezzata dagli antichi. Queste tavolette sono 
di varia grandezza, quadrate e triangolari, ed erano state 
distribuite in guisa da produrre una composizione di figure 
geometriche, cui gli smaglianti colori del marmo donavano 
vaghezza ed appariscenza. Di calcestruzzo molto tenace, con- 
fezionato con coccio pesto e cemento, é il letto sul quale 
erano applicati i marmi. 

Le due edicole non erano decorate meno sfarzosamente. 
Avevano lo zoccolo rivestito di quadrelli di marmo rosso, molto 
diverso e per le gradazioni della tinta e per l'aspetto che vi 
donavano le venature e le macchie. Il tratto superiore e la volta 
erano invece incrostate di musaico vitreo, del quale si poterono 



366 

raccogliere parecchi pezzi attaccati con mastice molto tenace 
sulle tavelle di terracotta, onde il musaico era stato fissato al 
muro. Da questi frammenti si comprende che la superficie era 
scompartita in piccoli riquadri, distìnti V uno dall' altro me- 
diante assicciuole di vetro naturale combinate con filamenti 
bianchi attorcigliati a mo' di spira. I riquadri, dal cui fondo 
turchino con vivaci colori spiccavano alternandosi fiori, fogliami 
ed altri rabeschi, erano distribuiti a zone, e tra una zona e 
l'altra e tutto in giro nella nicchia e nel timpano v'avevano 
comici composte di varie conchiglie, abbondando gli sconcigli 
rappresentati dal murex trunculus e dal murex brandaris, che 
sono i due molluschi dai quali gli antichi estraevano la porpora. 
Le due nicchie erano foggiate alla stessa maniera delle edicole 
delle fontane che si veggono a Pompei in parecchie case, e 
per quanto fu osservato, riteniamo che anch'esse fossero de- 
stinate allo stesso scopo, vale a dire a contenere uno o più 
getti d' acqua. 

È fuor di dubbio che alle nicchie ed al pavimento facevano 
degno riscontro le ornamentazioni del soffitto e delle pareti ; 
ma di tutto ciò non ci furono conservati se non alcuni fram- 
menti dello zoccolo, che qua e là si mostrano coloriti di rosso, 
e dai quali si riconosce che rintonaco era preparato con trit- 
tumi di cotto e calce, come forse lo richiedeva la grande umi- 
dità della sala. 

Presso all'edicola sita a destra di chi guarda dal mare, 
havvi nel pavimento una cavità circolare, simile a pozzo, del 
diametro di quasi due metri e profonda un metro e trenta cen- 
timetri, nella quale danno parecchi canali in opera laterizia 
molto solida, coperti da vòlta a botte retta di pieno centro e 
rivestiti di cemento, i quali poggiano sul medesimo piano fatto 
di battuto, ma sono di differente capacità (vedi le sezioni C D 
ed E F). Essendo il pavimente in buona parte crollato, non fu 
possibile di seguire il corso di questi canali; non di meno è 
certo eh' essi percorrevano il sotterraneo di tutto il compreso, 
nel quale verisimilmente davanti all' altra nicchia v' aveva un 
secondo pozzo. Come apparisce dalla sezione A B, i canaU 
sottoposti alla parte principale della sala sono indipendenti 
l'uno dall'altro; per lo contrario i due canali che [vengono a 



367 

giacere sotto 1^ edicola, comunicano tra loro mediante tre vani 
di differente ampiezza praticati nel loro lato comune. Un ca- 
nale congiunge il pozzo colla celletta r, la quale è inoltre 
messa in relazione coir interstizio esistente tra i muri dell' abside. 
£guali comunicazioni doveva avere pure la cella t?, posta al- 
l' altra estremità dell* edificio, ove il muro principale conserva 
ancora i vestigi del canale che Io attraversava. 

Esaminate attentamente queste rovine e dedottane la 
probabile configurazione dell' edificio, sorge spontanea la do- 
manda a quale uso il medesimo sia stato assegnato. Per la 
stessa sua struttura crediamo di dover negare che qui V avesse 
un sudatorio o un bagno caldo d' altro genere, cui di certo 
non si confacevano le ricche incrostazioni delle nicchie, che 
non avrebbero potuto resistere ad una temperatura molto ele- 
vata. I canali che percorrono il sotterraneo e che erroneamente 
si vollero attribuire ad un hypocaustumj non sono fatti per in- 
trodurre e diffondere nell' ambiente il calore, sì bene per tras- 
portare l'acqua, che proveniente dagli zampilli delle fontane 
cascava nelle piscine circolari situate appiedi delle edicole. 
Arrogi pure che fra le macerie non si osservarono frammenti di 
tubi caloriferi, come copiosamente ne abbiamo rinvenuti nelle 
altre località, ne delle cosiddette tegulae mamatae^ che del 
pari venivano adoperate per formare le pareti vacue delle 
stufe. Air incontro non mancavano i rimasugli di piombo, de- 
rivati dal sistema di tubi, per mezzo del quale i serbatoi, che 
con molta apparenza di verità riteniamo collocati nelle celle 
t; ed r e forse anche in g, alimentavano gli sbocchi artificiali 
e spingevano l' acqua in altri punti dell' edificio ; laddove i 
canali di scarico, già indicati, passando sotto il piano delle 
prime due celle, la conducevano al mare. 

Stimiamo pertanto che quivi fosse un nymphamm^ vale a 
dire una di quelle camere, dagli antichi distinte con tale appel- 
lativo, che spesso erano annesse alle terme ed ai palagi più sun- 
tuosi ed offrivano piacevole ritrovo alle persone del bel mondo. 
Epperò questo, acciocché più aggradevole riuscisse la magnifica 
veduta che gli si parava dinanzi, doveva essere aperto nel 
lato che fronteggia il mare, e costruito a modo di loggia avente 
la copertura sorretta da pilastri o da colonne, cui davanti 



d68 

giaceva l'ambulacro n, anch'esso lastricato di marmo e para- 
lello alla spiaggia, alla quale forse scendevasi mediante alcuni 
gradini. Ma ammettendo d'altro canto che anche questa sala 
costituisse una parte del bagno propriamente detto, devesi 
convenire che la medesima non poteva essere adibita se non 
quale frigidario; laonde considerata la sua postura, è pure 
probabile che se ne servisse chi si bagnava nel mare aperto 
per le lavande coli' acqua dolce, la quale cadeva dall'alto e 
formava delle docce, sorta questa di bagno che era in uso 
fino dagli antichi tempi della Grecia, come ne rendono testi- 
monianza alcuni vasi figurati di stile arcaico. ^) Però analoga 
potrebbe essere stata la destinazione della lunga sala s, divisa 
dal corpo principale dell' edificio mediante lo spazio l, la quale 
per la massima parte fa asportata dalle onde del mare, per 
modo che più non rimane se non uno dei suoi muri principali e 
porzione della nicchia che occupava una delle sue estremità. 

Fiancheggia il lato postico delle terme il vicolo a\ che 
le separa da un altro vasto edificio, le cui parti giacendo su 
d'una superficie pendente verso marina; sono cosi distribuite 
da donare all' insieme V aspetto di un teatro. E veramente in* 
tomo all'area scoperta e', che ha la forma di amplio emiciclo, 
misurando la sua maggior distanza ben 34 metri e la minore 
14 metri, gira 1* ambulacro di un portico &', sul quale danno 
parecchie camere, che si succedono lunghesso il suo muro di 
fondo. Questo edificio serviva per abitazione, e come fu già 
osservato, costituiva un solo complesso colle fabbriche adiacenti 
e colle terme ; noto essendo che ricchi privati innalzavano nei 
loro poderi ed in tutta prossimità alle case riservate al loro 
uso particolare, stabilimenti di pubblica utilità^ ovvero per 
comodo di altre persone estranee alla loro famiglia. E però 
potrebbe essere questa la dimora del proprietario dei bagni, 
il quale in essa raccoglieva gli amici, intrattenendoli con eser- 
cizi ginnici e con altri giuochi nella spaziosa corte^ che per 
la stessa sua forma ci sembra adoperata quale palestra. Non 
doveva la medesima essere priva di decorazioni architettoniche ; 



') Daremberg et Saglio: op. cit, pag. 649 e seg. 



369 

ckè il muro principale presenta ad eguali intervalli delle ante 
di fabbrica, residuo di antichi pilastri, sui quali sorgevano dei 
capitelli di pietra lavorati a fogliami. Di questi si trovò ancora 
qualche esemplare, e parimenti un capitello dorico, che appar- 
teneva alle colonne, cui era affidata la tettoia del portico, e 
che erano di opera laterizia ricoverta di stabilitura policroma. 
Lo zoccolo di pietra calcare, che vedesi nell'emiciclo presso 
al muro della fronte, era il sostegno d'una banchina da sedere. 

Dal vicolo si entra nell' edificio per due porte, che mettono 
nel cavedio e sono site al limite deir ambulacro, Tuna a destra e 
l'altra a sinistra, e per un adito più ampio, dal quale si riesce 
nella camera d\ Tra i due ingressi a sinistra del riguardante e 
nella parete che chiude il portico^ havvi una finestra, larga quanto 
questo, dalla quale potevasi scorgere ciò che accadeva di fuori. 

Meno i compresi g' ed h\ che non serbano indizio di la- 
stricato, tutte le stanze avevano pavimento musivo, il quale 
pur troppO; quando noi le abbiamo rimesse a nudo, era già 
interamente distrutto, salvo che nelle soglie delle due porte, 
che danno passaggio dalla cella V alla m* e da questa alla 
cella n\ La prima soglia esibisce una rosa nera in campo 
bianco, e la seconda, eseguita con pietruzze pure nere, quel- 
1' accoppiamento di linee, cui gli archeologi assegnano il nome 
di suasiica. Si queste che le altre soglie non colpite dalla demo- 
lizione, hanno ancora incassati i quadri di pietra calcare colle 
cavità per ì cardini delle porte, che secondo lo esigeva 1' am- 
piezza del vano consisteva di una o più partite, ed in alcune 
non manca il tassello forato per il paletto che le fermava. 
Oltre agli usci, che poco dianzi abbiamo indicati, rimane ancor 
uno che serviva per comunicare colP estemo, vale a dire quello 
che si vede nella cella n\ 

La sala principale e per posizione e per vastità è quella 
segnata colla lettera i\ la sola di questo edificio, dalla quale 
non sia scomparso il colore dello zoccolo delle pareti, che qui 
era rosso. Lunga m. 12 e larga m. 9, è essa di forma regolare 
con grande entrata e doveva esser adibita come tablino o al- 
trimenti riservata ai banchetti ed ai convegni. E per triclinio 
poteva adoperarsi pure la camera/*, la quale ha due aditi sotto 
il portico ed è congiunta col vicino cubicolo e\ 



370 

Il muro perimetrale diritto delP emiciclo continua a sinistra 
tra il vicolo e Io spazio g* e va ad unirsi ad un' altra fabbrica^ 
che si protende verso V attuale chiesa di Barcola, passando 
sotto la strada vicinale e quindi sotto il giardino e la casa 
del curato. Delle località che qui si poterono restituire alla 
luce, la più importante è la sala v% che ha un lato foggiato 
a guisa di nicchia, le pareti rivestite di marmo bianco ed il 
pavimento lastricato con tavelle di marmo bianco e nero e di 
breccia gialla svariata per macchie sanguigne. Mediante ampio 
accesso comunica colla stanza u* ; laddove un grosso muro la 
divide dal compreso a'\ nel quale si osserva essere l'intonaco 
parietale fatto di calce mescolata con polvere di mattone, di- 
versamente che nelle altre camere^ che non formano parte del 
bagno, ed in cui il medesimo consiste di malta comune. Ad- 
dossata a questo sta l'altro compreso r\ che forse dava sullo 
spazio scoperto s' e per mezzo di esso era in relazione col- 
l'edificio centrale. 

Dal lato opposto, cioè a destra del riguardante che si trovi 
sulla strada di Miramare, furono scoperte le rovine di una 
costruzione di minor importanza, nella quale, a nostro giudizio, 
sono da cercarsi l'abitazione servile, gli stallaggi, le rimesse, i 
granai e tutte le altre località costituenti la parte della villa 
cosiddetta rustica, che sembra essere stata cinta da muri, uno 
dei quali sarebbe quello che fu segnato colla lettera iv. Fra 
queste rovine si riconosce l'andito b'\ che ha il pavimento di 
mattonelle a spiga e lo zoccolo delle pareti colorito in rosso, 
il grande stanzone d'\ ed il piccolo chiuso c'\ che dal cemento 
di calce e mattone, ond' è rivestito, riteniamo che avesse con- 
tenuto un serbatoio d' acqua. Tutto il rimanente ci è pervenuto 
nello stato della più avanzata degradazione, per la quale non 
fu possibile di rilevare nemmeno la semplice ossatura dei muri. 

Chiudeva dalla parte del monte il complesso di questi 
edifici il lungo muro k-k, che più verso levante era fabbricato 
con maggiore solidità. Al di là del medesimo si trovò un bat- 
tuto di ghiaia e ciottoloni, posto su d'un piano più elevato 
di quello della villa, il quale ci rappresenta il residuo del letto 
della strada che dal varco di Moncolano^ attenendosi alla linea 
d'un sentiero che tuttora viene praticato, scendeva a Vaicela 



371 

6 quindi continuando per il poggio di Gretta riusciva a Ter- 
geste, dopo aver seguito presso a poco il percorso delle presenti 
vie del Belvedere e del Torrente e dopo essersi congiunto 
colla strada dell' Istria nel sito dell' attuale piazza delle Legna. 
Accostato al muro stava un altro serbatoio d'acqua, a?, che 
alimentato dall' acquedotto doveva provvedere le abitazioni ed 
il bagno. Tra questo ed il muro del compreso j', nel punto y, 
furono rinvenute due camere sepolcrali, di rozza fattura e di 
epoca più vicina, le quali contenevano cadauna quattro scheletri 
umani, che erano stati deposti cosi che le teste venivano a 
toccare la parete divisoria delle due tombe, ma mancavano di 
suppellettile funeraria. Quattro crani sono ora custoditi dal civico 
Museo di storia naturale, e vennero studiati dall'egregio nostro 
concittadino, il dott. Ugo Vram, assistente all' istituto antropolo- 
gico della r. Università di Eoma, il quale ci favorì gentilmente il 
cenno, che pubblichiamo in chiusa della nostra relazione, dopo 
premesso V elenco delle monete e delle marche di fabbrica dei 
laterizi che abbiamo potuto raccogliere. 

Monete. 

Ottaviano Augusto (31 av. 0. — 14 d. C). 

1. dr. IMP. CAESAR DIVI F. AVGVSTVS IMP. XX. Testa 
nuda volta a sin. 

p. PONTIF. MAXIM. TRIBVN. POTEST. XXXIIII. Nel 
campo S. C. 

Bronzo mezzano coniato nell' anno 764 di Roma ; due 
esemplari. 

Cohen: MédaiUes impériales, U ed., voi. I, n. 296. 

2. dr. DIVVS AVGVSTVS PATER. Testa di Augusto con 
corona radiata volta a sin. 

p. PROVIDENT. Ara fiancheggiata dalle lettere S. e C. 
Bronzo mezzano coniato sotto Tiberio; quattro esemplari. 
Cohen: voi. I, pag. 94, n. 228. 

3. dr. AVGVSTVS TRIBVNIC. POTEST. nel campo in tre 
linee entro corona di quercia. 



T. L. 8VRDINVS m VIR AAA'FÌ*- nel campo S. C. 
Lucio Nevio Snrdino fu zecchiere intorno l'anno 739 di B. 
Bronzo mezzano. 
Babelon: Mmnaie$ caniuiaires, voi. U, pag. 92, n. 801. 

4. dr. DIVVS AVQVSTVS PATER. Testa con corona radiata 
volta a sin. 

r. S. C. Aquila spiegata su di un globo. 
Bronzo mezzano coniato sotto Tiberio. 
Cohen : voi. I, n. 247. 

Tiberio Augusto (14-87 d. C). 

5. dr. TI. CAESAR DIVI AVG. P. AVQVSTVS IMP. YIL 
Testa nuda volta a dritta. 

r. PONTIF. MAXIM. TRIBVN. POTEST. XVH S. C. Livia 
velata seduta a dritta, tenendo una patera ed uno scettro. 
Bronzo mezzano dell'anno 768 di B. ; due esemplari. 
Cohen: voi. I; n. 17. 

Caligola (37-41 d. C). 

6. dr. C. CAESAR AVG. GERMANICVS PON. M. TR. POT. 
Testa nuda volta a sin. 

r. VESTA S. C. Vesta velata, assisa a sin. tiene una pa- 
tera ed uno scettro. 
Bronzo mezzano. 
Cohen: voi. I, n. 27. 

Galba (68-69). 

7. dr. IMP. SER. SVLP. GALBA CAES. AVG. TR. P. Test» 
nuda a dritta. 

p. LIBERTAS PVBLICA S. C. La libertà ritta a sinistra 
tiene un berretto ed uno scettro. 
Bronzo mezzano. 
Cohen: voL I, n. 12a 

Flavio VespaHiano (69-79). 

8. dp. IMP. CAES. VESP. AVG. P. M. T. P. COS. III. Testa 
laureata a destra. 



378 

p. S. C. La Speranza in atto di procedere verso sin. tiene 
un fiore e solleva la veste. 

Bronzo mezzano battuto nell'anno 71. 
Cohen : voi. I, n. 449. 

Domiziano (81-96). 

9. dp. CAESAR AVG. F. DOMITIAN. COS. II. Testa laureata 
a dritta. 

p. AEQVITAS AVG. S. C. L'Equità ritta a sinistra tiene 
una bilancia ed uno scettro. 

Bronzo mezzano coniato Tanno 73. 
Cohen: voi. I^ n. 1. 

10. dp. IMP. CAES. DOMITIAN. AVG. GERM. COS. XI. Testa 
con corona radiata a dritta. 

p. FORTVNAE AVGVSTI S. C. La Fortuna ritta a sinistra 
tiene un timone ed una cornucopia. 

Bronzo mezzano battuto Fanno 85. 
Cohen: voi. I, n. 120. 

11. dr. IMP. CAES. DOMIT. AVG. GERM. COS. XI. CENS. 
POT. P. P. P. Busto laureato e coperto dall'egida a destra. 

p. lOVI VICTORI S. C. Giove seduto a sinistra tiene una 
Vittoria ed uno scettro. 

Grande bronzo coniato Fanno 85. 
Cohen: voi. I, n. 307. 

12. dp. IMP. CAES. DOMIT. AVG. GERM. COS. XI. CENS. 
POT. P. P. Busto come nella precedente. 

p. MONETA AVG. S. C. La Moneta ritta a sinistra tiene 
una bilancia ed una cornucopia. 

Bronzo mezzano coniato Fanno 86. 
Cohen: voi. I, n. B26. 

13. dp. CAESAR AVG. P. DOMITIAN. COS. II. Testa lau- 
reata a dritta. 

p. PAX AVGVST. S. C. La Pace in piedi a sinistra, ap- 
poggiata ad una colonna, tiene un caduceo ed un ramo d'olivo. 
Bronzo mezzano coniato Fanno 73. 
Coh«n: voi. I, n. 847. 



374 

Traiano (98-117). 
14. dr. IMP. CAES. NERVAE TRAIANO AVG. GER. DAC. P. 
M. TR. P. COS. V. P. P. Testa laureata a dritta. 

P. S. P. Q. R. OPTIMO PRINCIPI S. C. Vittoria in piedi 
a dritta, tiene uno stilo ed appende ad un albero uno scudo, 
sul quale ha scritto VIC. DAC. 

Bronzo mezzano coniato tra il 104 - 110. 

Cohen: voi. II. n. 455. 

Antonino Pio (138-161). 
16. dr. ANTONmVS AVG. PIVS. P. P. TR. P. XVII. Testa 
laureata a dritta. 

p. FELICITAS COS. UH S. C. La Felicità ritta a sinistra 
tiene un caduceo e due spighe. 

Bronzo mezzano coniato V anno 154. 

Cohen: voi. II, n. 871. 

Faustina Madre (f 141). 

16. dr. DIVA PAVSTINA. Busto a destra. 

p. AVQVSTA S. C. Cerere velata ritta a sinistra tiene una 
fiaccola e due spighe. 
Bronzo mezzano. 
Cohen: voi. II, n. 89. 

Alessandro Severo (222-34). 

17. dp. IMP. ALEXANDER PIVS AVG. Busto laureato a destra. 
p. PROVIDENTIA AVG. La Previdenza ritta di faccia e 

guardando a sinistra tiene delle spighe ed un'ancora, ai suoi 
piedi havvi il medio. 

Bronzo mezzano. 

Cohen: voi. IV, n. 510. 

Massenzio (306-312). 

18. dp. IMP. MAXENTIVS P. F. AVG. Testa laureata a destra. 
p. CONSERV. VRB. SVAE. Tempio tetrastilo nel quale 

Boma volta a sinistra è seduta su d'uno scudo e tiene un globo 
ed uno scettro ; la Vittoria ritta in piedi, volta a destra, met- 
tendo un piede sopra un prigioniero e tenendo una palma le 
oflBre una corona. Sopra il tempio due Vittorie. 






376 



Bronzo mezzano. 
Cohen: voi. VII, n. 35. 

Oltre a queste monete, ne furono trovate varie altre di 
bronzo degl' imperatori Claudio I, Tito Vespasiano, Traiano 
Adriano, Marco Aurelio, Gordiano III, Treboniano Gallo, Probo, 
Claudio II Gotico, Costantino Magno, Placidio Valentijiiano, 
Arcadie ecc., le quali per la loro pessima conservazione non 
poterono venire classificate. 

Marche di fabbrica. 



1. 



r F' C'Q'é J 



Lettere in rilievo alte mm. 23. Alcuni frammenti di tegola 
di color rossiccio. Cfr. la relazione degli scavi eseguiti in Bar- 
cola negli anni 1888-89, parte prima, n. 1. 



2. 



T- COELI 



Lettere in rilievo alte mm. 20. Tegola di argilla giallastra, 
sei esemplari. Cfr. la relazione citata al n. 2. 



e 



COEL-L-'ER 



:> 



Lettere in rilievo alte mm. 16. Tegola di argilla giallastra. 
Tre esemplari con questa marca. La medesima fu già rinvenuta 
presso Portogruaro. 

Paia: C. L L. Supplemenia Italica, n. 1076, 81. 



cìisì>iJll^ 



Lettere in rilievo alte mm. 17. Terra biancastra. Alcuni 
frammenti di tegole e di mattoni. Cfr. la relazione citata al n. 3. 



376 



( 18 Po IV'RI SAB D J 



Lettere in rilievo alte mm. 27. Terra rossa. Tre pezdi 
mattone. Cfr. la relazione citata al n. 5. 



r TINVCVL^ J 



Lettere in rilievo alte mm. 10. Terra rossiccia. Due 
toni. Cfr. la relazione indicata al n. 6. 



7. 



M • POBLICI • D • F 



Lettere incise alte mm. 14. Terra rossiccia. Grande 
tone, sol quale era applicato il musaico vitreo di una 
edicole della sala L 

Nella collezione Zandonati in Aquileia si sarebbe tto^i 
la variante con lettere in rilievo: 



D • POBLICI • D • F 



Mominsen: C. /. L., V, 8110, 118. 

Gregomtti: Arch, TtHest., voi. XIV, pag. 382, n. 149. 



8. 



L-5lVSf 



Lettere incise alte mm. 22. Terra rossa. Mattone. 
L.S-IVS+ 

Lettere incise alte mm. 88. Terra gialliccia. Tegola 
cm. 60 X cm. 47. 

Di ambedue queste varianti si trovarono esemplari 
Aquileia, a Monfalcone e nell'Istria. 

Mommseii: C. I. L., V, 8110, 137. 
Gregomtti : op. cit , pag. 387, n. 172. 



\lK 



Lettere incise alte mm. 16. Terra gialliccia. Franime 
di tegola o di mattone. Dovrebbe essere la marca 

C'TTI-miEROT 






TV.. ' 



J 



r-1 

• \ 



-fi *.\ *• ' • l 



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-^H u"<«* 



377 

della quale si tirovarono esemplari in Aquileia, a Trieste presso 
Servola ed a S. Lorenzo di Dalla nell'Istria. 

Mommsen: C. L L., V, 8110, 144. 
Gregomtti: op. cit., pag. S91; u. 189. 



10. 



lA\i' ET • CRIS 



Lettere in rilievo alte mm. 13. Due mattoni di terra gial- 
liccia. Cfr. la relazione indicata al n. 8. 



11. \iÈfe-E-MGN^/ 



e/ 

Lettere incise alte mm. 15. Terra gialliccia. Frammento 
di tegola. La marca dovrebbe completarsi in 

che il Gregorutti legge: Vcderiae Maynae Eindiana Avitiana. 

Di questa si rinvennero molti esemplari in Aquileia, a 
Trieste ed in altre parti deiristria. 

Hommsen: C. L L., V, 8110, 152. 
Gregomtti: op. cit., pag. 894, n. 201. 



12. /E VIBI 



3 



Lettere in rilievo alte mm. 19. Terra rossa. Frammento 
di mattone. Deve completarsi in 



( PANSiE VIBI j 



Hommsen : C. i. L., n. 8110, 1. 

Alberto Puschi 



378 



Osservazioni intomo ai crani trovati nel secondo 
edificio di Barcola. 



Avendo il prof. Paschi già descritto il sito del rinveni- 
mento, a me non resta che il compito di studiare semplicemente 
i quattro teschi che si trovano depositati al civico Museo di 
storia naturale. Questi teschi restaurati sono tutti frammentari 
e mancano dello scheletro facciale e di parte della base, qual- 
cuno anche di altre parti d^ossa; perciò di due non potei mi- 
surare i diametri frontali. L'altezza o diametro basilo-bregma- 
tico, non fu presa, come al solito, misurando la distanza che 
unisce il basic al bregma, ma bensì la distanza in proiezione 
che passa fra il bregma e il margine superiore del foro audi- 
tivo esterno. 

Questa distanza differisce di poco dalla basilo-bregmatica, 
le altre misure sono le massime lì ove cadono. 

I quattro teschi da me esa- 
minati appartengono alle se- 
guenti varietà : ^) 
I. Eìlipsoides, 

Chiamasi con questo nome 
quella varietà di cranio che 
nella norma verticale presenta 
un contomo ellittico. La massima 
larghezza divide per metà la mai 
sima lunghezza, le sporgenze 
sono di regola arrotondate, k 
bozze parietali sono evanescenti 
e liscie o non esistono afiatto, 
r occipite non è mai appianato 
(vedi fig. 1). 

Fig. 1. 




*) G. Sergi: Le varietà umane, prhicìin e metodo di dassìjicazione ^Atti 
della Società Komana di Antropologia^, voi. I, f. 1, 1893. 

Detto, The Varieties of the Human Species, Washington, 18if4. 
Detto, Africa^ antropologia della stirpe camitica^ Torino, 1897, Bocca ed 



379 

Questa varietà è rappresentata da tre crani della serie, 
appartenenti alle seguenti sottovarietà : 

a) Ellipsoides cuneatus, J Questa sottovarietà si distingue da 
tutti gli altri ellissoidi, perchè termina posteriormente a forma 
di cuneo arrotondato, carattere ben visibile dalla norma laterale. 
A questa sottovarietà appartiene il cranio segnato col N. 1, che 
non si può presentare come prototipo della sottovarietà; conserva 
però i caratteri della sottovarietà cimeattis, le parti laterali vanno 
leggermente restringendosi verso il frontale, carattere che si 
riscontra nei crani africani. Visto dalla norma occipitale, si os- 
servano i lati quasi verticali dalle bozze parietali alla base^ 
e le parti superiori a leggerissimo displuvio. La glabella è 
poco sporgente, le apofisi orbitarie esteme sono robuste, le linee 
semicircolari ben marcate, esiste la sutura metopica, le apofisi 
mastoidee sono robuste, le ossa sono grosse. Le principali mi- 
sure sono: 

massimo diametro antero-posteriore 187 ì . ,. ,. , , „» 

\ i>ir r indice di larghezza 77 

„ „ trasverso 145 J ® 

altezza 104; larghezza frontale, massima 125, minima 105. 

b) lì cranio N. 2 porta i caratteri deìTellij^soides africus ro- 
tunclus, l Questa sottovarietà è caratterizzata dalla rotondità del- 
Toccipite tanto se visto dalla norma verticale che dalla laterale. 

Il massimo diametro trasverso o larghezza massima si 
trova circa a metà della lunghezza massima, molto in basso 
verso la sutura squamoso-parietale, i lati vanno poi restringen- 
dosi verso la fronte, il cranio della nostra serie si presenta con 
un'ossatura robusta, glabella poco sporgente, apofisi mastoidee 
robuste, occipitale aspro, suture ben saldate, wormìani lungo la 
lambdoidea. Le misure che ho potuto prendere su questo teschio 
sono le seguenti: 

massimo diametro antero-posteriore 186 1 . ,. ,. , , „n 

. ^ Mr. i indice di larghezza 76 

„ „ trasverso 140 I 

altezza 112. 

e) La terza sottovarietà è Vellip»oides sphyroides, J caratte- 
rizzata dall'occipite conformato a calcagno che riposa con tutta 
la sua parte inferiore alla linea mucale superiore, sul piano della 
base. Il teschio N. 3 appartenente a questa sottovarietà, ha 
i lati che vanno restringendosi verso il fronte, dalla norma 



380 



verticale si vede V apofisi orbitaria estema di sinistra soltanto, 
mancando quella di destra. U frontale e basso con arcate soprac- 
cigliari sporgenti, l'osso grosso, le apofìsi mastoidee robuste, le 
suture sono saldate. Ecco le misure che ho potuto prendere: 

massimo diametro antero-posteriore 196 1 . j. .. , , ^ 

. ^ «^ J indice di larghezza 69 

, , trasverso 136 I 

altezza 106. 

La seconda varietà della serie è: 
II. Sphenoides. 

Questa varietà è caratterizzata dalla norma verticale, U 
quale ci presenta una figura troncoconica col lato minore dalla 
parte frontale. La massima larghezza è molto indietro, la parte 
posteriore del cranio è ora appiattita ora arrotondata e verti- 
cale, senza protuberanza (vedi 
fig. 2). Il cranio segnato col N. 
4 J della nostra serie appartiene 
alla varietà sphenoides, ed è dif- 
ficile di determinare la sottova- 
rietà causa i difetti del cranio. 
Egli presenta una fronte verticale 
quasi parallela alla parte poste- 
riore, la squama dell'occipitale 
sporge dai parietali; sotto alle 
linee semi circolari v'è un rigon- 
fiamento sopra, la sutura tem- 
poro - parietale un' insolcatura, 
sopra questa sutura hawi la mas- 
F^^ 2. ^^^^ espansione^ ed il teschio 

visto dalla norma occipitale si 
arrotonda sopra e sotto alla massima espansione, le suture son 
saldate, l'ossatura è robusta, robuste le apofisi mastoidee. Le 
misure prese sono le seguenti; 
massimo diametro antero-posteriore 181 [ 
y, „ trasverso 144 | 

altezza 112; larghezza frontale massima 107, minima 103. 

Seguendo la distribuzione geografica di queste due varieti 
craniche, risulta che la varietà eUipsoides è una della più dif- 
fuse fra le varietà che si trovano nella stirpe camitica (specie 




indice di larghezza 79 



881 

Èuro-africana, Sergi)*); mentre la varietà sfenoides è propria di 
altra stirpe, che ha origine differente. Questa sarebbe aria e 
il teschio di Barcola appartiene a quest'ultima stirpe. Cosi che 
i quattro crani esaminati sono tutti mesocefali, tre pertinenti 
alle varietà della stirpe camitica, uno probabilmente ario. 

Doti. Ugo G. Vram 



*) G. Sergi: Afnca, antropologia della stirpe camitica^ op. cit. 
Detto, Origine e diffusione della Bthpe mediterranea^ induzioni antro^ 
pologiehej Società editrice Dante Alighieri, Roma, 1895. 



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LA CLASSICA LIUTERIA ITALIANA 

Lettura fatta alla "Società di Minerva „ 
dal prof, doti. Michele Stenta 



Meglio era poter ammirare con voi lo stradivari e l'arco 
di Sarasate o d'Alfredo Piatti che radunarvi qui, clementi di 
un'ora di rassegnazione, a dar retta ad un indagatore appassio- 
nato di cose spettanti all'arte liutaresca delle scuole di Brescia, 
di Bologna, di Cremona, o di quante altre mai fiorirono in Italia 
dal secolo XV alla seconda metà del XViil. Ma la circostanza 
ora non concede che parole sulla musica; per cui sarete indul- 
genti se le mie riguardano alcuni congegni armonici, semplici 
assai, ma atti a produiTC i più delicati suoni che finora deli- 
ziassero orecchio umano : — intendo quella famiglia di stru- 
menti, che ha il nome dal violino. 

Se mi fermo a delincarne lo sviluppo da umili principi 
fino alla perfezione, che alla liuteria procurò Antonio Stradivari, 
padre di numerosa eletta scuola, io non fo altro che aprirvi 
una pagina di storia della cultura, — dunque mi mantengo os- 
sequioso al programma, onde il severo patrio sodalizio di Mi- 
nerva vuole regolata la propria attività. 

Le mie note si fondano su quanto in venti anni e più ho 
potuto io stesso osservare in molti strumenti ad arco o appren- 
dere da persone competenti, specie da abili ristauratori, e sulle 
publicazioni relative di Hcrittori autorevoli, principalmente di 
Luigi Francesco Valdrighi di Modena, acuto ed instancabile in- 
dagatore della liuteria passata, il quale per giunta possiede 
pregevolissima collezione di diversi strumenti di musica.*) 



383 

Ritrassi ammaestramento anche dagli errori, si involontari 
che di presunzione, di coloro che volendo perfezionare cosa 
già perfetta finirono col guastarla o almeno col complicarla. 

Mi giovarono anche le esagerazioni liriche di taluno, che 
in ogni fibra dell'armonioso legno pretese la dimora d'un por- 
tento canoro, in ogni bischero la virtù d'uno speciale coeffi- 
ciente acustico. 

I pedissequi delle opinioni altrui ho seguito nel loro fer- 
vore delle teorie e delle ipotesi fisiche, sovente male intese e 
peggio applicate, — neUe citazioni di fatti imaginari, come i do- 
dici violini donati da Giacomo Stainer ai dodici principi del- 
l' impero, mentrechè le loro alte signorie allora non erano che 
otto, — • o quando incapaci di correggere una svista di Fétis^) 
e di Hart,^) scrittori tanto benemeriti, dell'italiano Giovita Bo- 
diani facevano le cento volte un barbaro lavietta Btidianì,^) e 
prendevano per artefici Acew e Sapino, che invece significano 
acero e sapin (abete), di cui è fatto il corpo d' un buono stru- 
mento ad arco. 

Teorie sforzate ed opinioni arbitrarie, per quanto sieno 
combinate ingegnosamente; mai risolveranno un problema anche 
meno scientifico e piuttosto empirico, quale è appunto il caso 
d'un corpo sonoro, semplice assai ma il meglio indovinato, 
dico del classico violinO; che si meritò il titolo di "re degli 
strumenti musicali,,. 

La sua manifestazione appartiene all'epoca memorabile 
del cinquecento, quando da noi rinascevano arti e scienze; 
ma tardò molto la sua vittoria definitiva che per due secoli 
procurar doveva fama ai liutari italiani e alle città delle loro 
scuole, principalmente a Cremona che vanta la più illustre. 

Antichissimo è l'uso di cavare suoni armonici da un corpo 
risonante armato d'una o più corde tese. Ce lo prova la mi- 
tologia attribuendo a Mercurio l'invenzione della lira, che il 
dio, più speculatore che musicale, cedette ad Apollo, da cui 
nobilitata l'ebbero Anfione e Orfeo, poeti e poetesse del lim- 
pido cielo ellenico. 

Bawisiamo un progresso notevole nella maniera di rendere 
uguale e prolungata la vibrazione della corda collo sfregamento 



384 

dell'arco; metodo pure antico e quasi retaggio caratteristico 
della stirpe indo-europea. 

Dall'Asia viene a noi il sole; dall'Asia vennero un di i 
patriarchi delle nazioni d'Europa; l'Asia ci diede le prime re- 
ligioni e leggi, la bussola, la polvere pirica e la carta; l'Asia 
trasmise a noi anche il primo tipo e semplicissimo, dal quale 
per una serie di trasformazioni risultò finalmente il nostro violino 

L'embrione abbiamo nel bin^) degli antichi Indù, consi- 
stente in una zucca vuota e secca, da cui mediante l'archetto 
primitivo cavavasi un suono speciale, non saprei se piacevole 
meno, somigliante al rombo o zonfo che dir si voglia. Lo 
trovereste ancora per la campagna dell'Emilia cotesto ordigno, 
onde i girovaghi torototella imprimono la monotona cadenza 
finale alle loro strofe.^ 

Pure dall' Lidia proviene il ravanastron, così denominato 
in onore del principe singalese Bavanà e precursore già più 
ammodo degli odierni strumenti ad arco. Un tubo d'abete co- 
stituisce la sua cassa armonica, chiusa sopra da una pelle di ser- 
pente tesa, nel mezzo della quale poggia il ponticello sormon- 
tato da due corde fissate all'uno dei capi d'un' asta lunga, che 
diametralmente attraversa il tubo, e stirate all'altro dai bischeri. 

Coir andar del tempo la cassa armonica si faceva di noce 
di cocco tagliata per un terzo e chiusa da una sottile tavoletta 
d'abete, la quale aveva due coppie di fori ellittici disposte sim- 
metricamente ai lati delle due corde raccomandate d' abbasso 
al bottone, sopra ai bischeri, tese sul ponticello, prossimo al- 
l' orlo inferiore, e sul capotaste fissato all' estremità superiore 
del manico. Cosi è fatto Vomertì, che mostra già più curati gli 
elementi essenziali della futura viola. 

Modificato nella forma esterna coli' essere incavato a due 
seni laterali nel coperchio, esso si cangiò in sarìnda, ove ai 
quattro fori della tavola armonica sono subentrati due tagli 
bislunghi, come due virgoloni, quali si vedono tuttora in certe 
viole antiche; il ponticello sopportava tre corde fermate nella 
cordiera e nei bischeri; il manico terminava sopra in una vo- 
luta, rozzamente abbozzata se si vuole, circa come quella dei 
violinetti più economici che sonori^ che ogni amio il buon 
San Nicolò reca in dono ai bambini, affinchè per una mezza 



386 

giornata intanto al proprio strillare abbiano un arrendevole 
sostituto. — La sarinda veniva sonata con arco di bambù. 



Accennato cosi il graduale sviluppo degli strumenti ad 
arco presso gli Indiani, ora conviene notare come dalla più 
avanzata forma loro, vale a dire dalla sarinda, gli Arabi de- 
rivarono il rebab, consistente in una cassa armonica di noce di 
cocco o di guscio della tartaruga, con una pelle animale tesavi 
a tavola armonica e V armamento di tre corde da sonare col- 
r arco. 

Cotesta nazione, sorta d'improvviso a severa imponenza 
monoteistica e guerriera, nelle sue rapide conquiste trasportò 
pure benefiche istituzioni civili come all'Asia citeriore così 
anche oltre l'Africa boreale nella Spagna, dove sulle rovine 
del romanizzato dominio visigotico crebbe poi vigorosa la cul- 
tura materiale e l'intellettuale dell'emirato e del califfato di 
Cordova. Cosi venne in Europa nel secolo Vili anche il rebab^ 
e pare se ne divulgasse l'uso in breve tempo perocché nel IX 
e X secolo i Francesi hanno il rebec, gl'Italiani le ribeche o 
ribebe^ in G-ermania i ribebani^ e i bardi bretoni il crouth, se 
pure non identici ma sempre rassomiglianti e affini allo stru- 
mento originale degli Arabi, nella stessa guisa che al contem- 
poraneo allaud moresco corrispondono esattamente quegli stru- 
menti da tasto che con voce romana vennero denominati land, 
loti, lu, lento e liìito.'^) 

Nei secoli seguenti gli animi sembrano in generale bene 
disposti alla musica, in onore di Dio misericordioso che al 
genere umano volle risparmiato il finimondo nel compiersi del 
primo millennio cristiano, in omaggio ad Amore, il potente 
ispiratore dei cavalieri crociati e comuni; cosi almeno è lecito 
d'arguire dall'uso assai frequente dei liuti e delle ribeche. 

Per la nostra considerazione è decisivo il momento, in 
cui il rebab modificandoci si trasforma in quella specie di stru- 
menti, detti viola, — voce italiana corrispondente alla francese 
vieille, alla tedesca fidel o fidtda, tutte poi derivate dalla latina 
vUtda e fidicida. 



886 

E non difettano prove storiche relative. Nella chiesa di 
S. Michele a Pavia nn rilievo del secolo XI rafiBgura nn so- 
natore di strumento ad arco, e di quel tempo sono alcune statue 
nella chiesa di S. Giorgio di Bocherville in atto di sonare 
strumenti somiglianti alla viola; altrettali si trovano nella badia 
di S. Germano di Parigi ed appartengono al secolo XII. Al- 
cune vignette di manoscritti parigini e parecchi vetri dipinti 
del secolo Xm recano il rebab molto simile al violino; vi 
troviamo i due seni laterali, che prima mancavano o erano 
appena accennati da una leggera curva, e sul coperchio due 
fori a mezzaluna, rivolti colle linee piane l'uno contro l'altro, 
i quali accennano gli effe dei nostri strumenti. Differiscono 
poco dai detti modelli i disegni nel manoscritto del museo di 
Praga, che sono del 1202-1212, e nella bibbia di Jaromir del 
1269.®) Nei Nibelunghi, grave poema tedesco del secolo XII, è 
Volker che col suono della Jidel rinfranca i compagni burgun- 
dioni alla corte d'Etzel contro l'imminente vendetta dell'ini* 
placabile Crimilde. 

In Italia l'uso frequente della viola ad arco, specie nel 
secolo XV, ci attestano le miniature di codici, gli affreschi e 
le tele di parecchi pittori. Quivi essa fu perfezionata nella forma 
e nelle dimensioni conforme allo scopo che i sonatori si pre- 
figgevano. 



Cosi la discendente dal rebab potè un giorno inaugurare 
la sua egemonia su tutti gli .strumenti a pizzico contemporanei. 
La sua numerosa figliolanza serba poi il tipo materno fino al 
secolo XVn. 

Eccovi dunque la viola in tutte le varietà sovrana nei 
concerti d'allora. Entro il contomo cadenzato e rumorosamente 
indefinito dei lironi, chitarroni, liuti ed arciliuti, delle chitarre, 
tiorbe, cetre e pandore, dei cistri, Unti attiorbati e mandolini, 
e di qualche arpa, la mesta alleata, serpeggia il lungo gemito 
delle viole d'amore, intercede il cicalio delle violette e viole 
da braccio, sottentra il monito grave delle viole da gamba, 
delle viole bordone, bastarde e pompose, scatta il rombo dei 
bassi di viola o violoni. 



**E la parte meccanica come era trattata? Coli' arco im- 
pugnato alla metà circa, sfregando la corda ne cavavano il 
snono. „^) 

Incontestabile, se anche non determinato da regola e da 
misura, è l'effetto della musica sull'animo, quindi sulle idee 
dell'uomo; ed è per questo, che gli antichi Ateniesi la pre- 
scrissero nell'educazione dei giovani. — Ora io mi sono figu- 
rato più volte il problema, come abbia influito la melodia, come 
la sinfonia di quei tanti strumenti dal suono nasale, stridulo 
ed ottuso sull'umore del publico di quella volta, sul tempera- 
mento d' eminenti uomini di stato, guerrieri, letterati ed artisti, 
e forse anche sulle generali condizioni sociali e politiche in 
Italia durante il cinquecento. Arduo quesito a risolvere e forse 
un po' bizzarro, ma p\n*e ammissibile come l' altro che si rife- 
risce alla medesima epoca e contemplerebbe l' influsso delle 
droghe d'India sulle funzioni fisiche e psichiche della crapulosa 
società di trecento anni fa. Se i due problemi metto in corre- 
lazione di tempo e luogo, non faccio cosa arbitraria, poiché 
quella musica rallegrava i banchetti luculliani dei Medici e 
degli Estensi, di papi e cardinali, e im concerto di viole non 
manca quasi mai nelle tele del cinquecento ove il soggetto ne 
sia una festa nuziale e un convito biblico o profano. 

Siamo all^ ingresso dell'evo moderno, quando nella gaz- 
zarra violesca apparisce a pena ed umile il violino. Venne al 
mondo, se con proposito o a caso non si sa; ma al neonato 
sorride propizio il destino, perchè esso compirà un grande ri- 
volgimento musicale tanto nella composizione che nell' ese- 
cuzione. 

L'evidenza del sistema copernicano ebbe lungamente restio 
il coro degli scienziati, astronomi e astrologhi insieme, per una 
certa cocciutaggine propria al dottrinarismo di scuola. Né mi 
sorprende, che anche il futuro re degli strumenti non entrasse 
in grazia che tardi causa il solito ostacolo delF usanza e dell'in- 
dolenza, troppo spesso appaiate come si sa. E valga il vero: 
un secolo dopo la comparsa del gentile strumento, cioè nel 
1607, alla rappresentazione dell' "Orfeo„ di Claudio Monteverde 



388 

a Mantova nell'orchestra di ben quindici tra viole da braccio, 
bassi da gamba e contraì>assi di viola, di tre strumenti da pìz- 
zico, di due gravicembani, di due organi di legno e un piccolo 
organo portatile, d'altri undici strumenti a fiato, come flautini, 
clarini, cornetti, trombe e tromboni, ^^) sono ammessi due grami 
violini — duci violini alla flranzese, come annunzia il mani- 
festo. — Mi rincresce di non conoscere la parte che ad essi 
spettava e di non poter rendere l'effetto dell'interessante sin- 
fonia. Però mi conforta la licenza poetica dell'analogia data 
da una cappella corale, in cui il giorno di sagra nella chiesa 
della borgata le voci bianche di due vispi ragazzi vanno sgat- 
taiolando di sotto all'incubo d'una mezza dozzina di focosi 
tenori e d'una dozzina di bassi formidabili. 

E chi mai fu l'inventore del violino? 

La tradizione ricorda Testator il vecchio, liutaro a Milano 
tra il XV e XVI secolo, che per facilitare il maneggio della 
viola ne avrebbe ridotte le dimensioni, onde risultò una pic- 
cola viola, detta appunto per ciò violinoM) Esso si divulgò tosto 
in Francia e pare fosse ammesso anche in Italia, dove nelle 
pitture sovente si vedono strumenti più piccoli della viola. 

Altri poi opinano, che primo a diminuire la viola fosse 
già intomo al 1460 a Brescia un tale KerlinOj nome italianizzato 
probabilmente d'uno dei Gerle, che alla metà del secolo XV 
costituivano una ragguardevole famiglia di liutari a Norim- 
berga.^*) Kerlino, Duiffopruggar, Maler, Unverdorben, Pray sono 
tutti nomi d'artefici tedeschi, i quali venuti in Italia in una 
o altra città vi esercitarono l'arte appresa in patria, ove già 
era fiorente prima che altrove. 

Lasciando da parte le congetture per venire al fatto os^ 
servo, che costruì violini Gasparo Tieffenhruchei* ossia Duifopì'uggar 
come veniva chiamato dagli Italiani. È oramai sfatata la leg- 
genda onde lo circondava l' apologia dei biografi tra il 1813 
e il 1888, e a suo riguardo rimane quel po' di verità mercè i 
documenti publicati recentemente da Enrico Coutagne.^^) Il fa- 
moso liutaro nacque a Frisinga di Baviera, e non nel Tirolo 
come taluno sostiene; superata l'educazione professionale in 
Germania, egli venne a lavorare a Bologna, poi andò a Parigi, 



j 



389 

invitatovi dai reali di Francia, in fine prese dimora a Lione, 
ove mori nel 1670. In questa città continuava l'opera sua il 
figlio Giovanni intomo al 1586. 1 violini di Gasparo Duiffopruggar 
sono rarissimi; il Valdrighi ritiene apocrifi quelli che comune- 
mente gli si attribuiscono.^^) Comunque sia, deve sorprendere 
che i violini in Aquisgrana,^^) Londra, Pietroburgo e Bologna 
hanno tutti quanti la data del 1610-1617, appartengono dunque 
all'età giovanile dell'autore, mentrechè dell'epoca lionese non 
si conoscono che viole e liuti. Autentico sarebbe il violino 
del 1639, un tempo conservato a Bruxelles e che basta ad infor- 
marci della maniera osservata dal Duifibpruggar in questo genere 
di strumenti: il contorno è ancora poco sviluppato e piuttosto 
arrotondato, il corpo è largo e robusto, gli efie hanno poca in- 
flessione e l'apertura uguale quasi in tutta la lunghezza, il solito 
riccio è sostituito da una testa umana artisticamente intagliata. 

L' odierna forma del violino dobbiamo a Gasparo da Salòj 
al patriarca della liuteria bresciana. II suo cognome, dimenticato 
per l' addietro, fu scoperto nelle vecchie carte dal cav. Giovanni 
Livij le cui ricerche ci informano anche sulle cose particolari 
della vita e delle opere di cotesto celebrato artista. ^^) Egli 
nacque a Salò sul lago di Garda nel 1642, figlio a Francesco 
BertoloUi pittore sopranominato il violìy da cui forse apprese i 
rudimenti della liuteria. Trasferitosi a Brescia lavorò viole, 
violoncelli e bassi più che violini, conforme all'indirizzo musi- 
cale dei suoi tempi ; vi mori nel 1609. Ai suoi strumenti manca 
l'eleganza e la fina fattura, ma vi rimane la sonorità maestosa; 
i violini hanno le volte molto pronunciate; negli effe larghi e 
quasi paralleli notiamo un distintivo della vecchia scuola bre- 
sciana; le vernici sono bruno-scure, talvolta giallo-scure a ri- 
flesso dorato. 

Francesco BertoloUi, figlio di Gasparo, esercitò l'arte a 
Brescia attenendosi alle norme paterne. 

Giovanni Paolo Maggini, contemporaneo e forse allievo di 
Gasparo da Salò, è degno rappresentante della scuola di Brescia, 
ove lavorò fino al 1640 dedicando l'amore e lo studio all'in- 
separabile famiglia di strumenti, che tuttora formano il quar- 
tetto sovrano dell'orchestra, cioè violino, viola, violoncello e 



890 

oontrabasso. Diede al suo violino contorno più piacevole e ne 
ornò sovente il fondo di artistici disegni. Gli effe allungati ed 
alqaanto appuntiti ritroveremo poi in Guameri del Gesù. Spicca 
con una voluta di più il riccio arditamente modellato e il doppio 
filetto rafforza l'orlo del coperchio e del fondo, moderatamente 
convessi. I violini di Giovanni Paolo, verniciati finamente a 
colore ambra chiaro-bruna, per la giusta proporzione di tutte 
le parti hanno voce imponente e grave, con una leggera tinta 
di malinconia. 

Fra i liutari bresciani nominerò ancora Sante Muggini 
(1612-1650), figlio di Giovanni Paolo, lodatissimo per centra- 
bassi, Giooita Rodiani (sec. XVI), ArUonio Maria Lansa^^) (1650- 
1716) e Dotnenico Pasta (sec. XVIII), i quali osservarono le 
regole stabilite dai sunnominati celebri riform^ttori.^^) 

Per vetustà pari alla bresciana ma inferiore per fecondità 
e per eccellenza del lavoro è la scuola bolognese. Tra i fon- 
datori essa ha Latix o Luca Maler (Mailer), tedesco d'origine 
e predecessore del noto Duiffopruggar. Secondando il gusto 
contemporaneo egli fece liuti e viole fino al 1475. Un altro 
Maler, Sigismondo il "tedesco^ (1460-1526), lavorò prima a Bologna 
poi a Venezia ed era ricercato per la bontà della sua vernice. 

Appartengono a questa scuola un Antonius Bononiensi^, 
autore di viole da gamba e violoncelli d' amore, e Hierongmtis 
Brensius, noto per viole da braccio. Entrambi vissero nel se- 
colo XVI. 

Buon numero di liutari nativi di Bologna, come pure 
altri di Modena e Ferrara, appartengono alla scuola di Cremona, 
ove appresa la migliore tecnica ne divulgarono poi i pregi in 
patria o in altre città italiane. 

Dal giorno in cui fu posta là sul Po la colonia romana a 
fronteggiare i fieri Insubri mai rifulse Cremona di gloria pari 
a quella, che le ridondò dai suoi liutari, gli Amati, i Guai*iieri 
e sopra tutti Antonio Stradivari. Partendo dalle norme gene- 
rali della liuteria bresciana, per esperienza riconosciute le mi- 
gliori, costoro perfezionarono gli strumenti ad arco per quello 



391 

che concerne la forma e la sonorità e garantirono per V avve- 
nire il predominio al violino, cura precipua della loro vita 
laboriosa. 

£ che di più elegante di quel suo contomo, che coli' ar- 
monia di elementi circolari ed ellittici chiude il bel corpo bi- 
convesso e marcato nel vago rilievo di quattro angoli acuti? 
— di quegli eflfe lunghi e dolcemente inflessi, che s'aprono tra 
le sfumature d'una vernice trasparente sopra l'ordito irrepren- 
sibile di sottili fibre parallele, pronte a trasmettere il mirabile 
concento dei suoni principali, concomitanti e tartiniani? — Il 
riccio poi, simmetrico e slanciato, nelle profonde volute, quasi 
due occhioni meditabondi, sembra riflettere il fremito delle 
corde intonate. 

Chi poi volesse esaminare l' intemo dell' organo delicato 
vi troverebbe ammirabile semplicità d' opera empirica sorretta 
dal calcolo proporzionale di spessori concentrici delle due ta- 
vole, ^^) disposizione meditata delle parti vitali, cioè catena ed 
anima, assenza d'ogni materialità dottrinaria poiché l'esecuzione 
pratica si conforma alle esigenze individuali dello strumento. 

Tale il prodigio dell'arte di Cremona! 

Ma conobbero quei liutari la potenzialità musicale di cui 
i loro cavi legni erano capaci? — Ne dubiteremo, che, mentre 
essi creavano le voci divine, l'arte di sonare il violino era ai 
primi albori; quando poi essa raggiungerà la perfezione al- 
lora la classica liuteria sarà morta da un pezzo ! — Lavorarono 
dunque per i posteri, cosi che anche una volta si conferma il 
"sic voS; non vobis„ della leggenda virgiliana. 



Caposcuola della liuteria cremonese fu Andrea Amati. Per 
opera sua e dei suoi figli Antonio e Oirolamo l'arte fu promossa 
colla creazione d' una officina e coir esercizio ereditario in fa- 
miglia, onde poi si raffermò la scuola sistematica, conscia di 
quanto voleva e poteva raggiungere. Non avendo un disegno 
determinato i più vecchi artefici s'erano abbandonati talvolta 
a bizzarrie della propria e dell'altrui imaginazione; gli Amati 
invece fissarono la forma agli strumenti ad arco secondo il 
modello del loro violino. 



892 

È probabile che Andrea Amati abbia appresa l'arte da 
Dui£fopraggar o da Gianmarco di Busseto, contemporaneo e se- 
gaace di Gasparo da Salò. Tenne un formato piuttosto grande^) 
e ne abbassò poi le volte, certo a vantaggio della qualità del 
suono. Mori nel 1680 lasciando l'officina ai due figli, che un 
tempo lavorarono uniti e perfezionarono il modello del padre 
curando che la voce fosse piuttosto amabile che forte.^^) Sebbene 
nel formato grande di entrambi convenga lodare T eccellenza 
del legname e del lavoro, pure Girolamo viene preferito per 
gli effe più avvicinati ed eleganti, la vernice viva e trasparente 
ed il riccio meglio slanciato. 

A costui successe il figlio Nicolò, il più celebre tra i suoi 
parenti liutari. Vissuto 88 anni (1596-1684) ebbe agio e talento 
a sperimentare tutto quello che potesse rendergli il suono 
dolce ed animato; per ciò alla forma comunemente piccola, 
dalle volte singolari e piatte all'estremità, sostituì una più 
grande, moderatamente convessa, più spiccata negli angoli e 
più elegante. 

Altri sette Amati seguirono la tradizione di famiglia fino 
nella seconda metà del secolo XVIII divulgando centinaia di 
strumenti, che oggidì l'astuzia dei fornitori e la buona fede 
o la fatuità degli acquirenti attribuisce al grande Nicolò. 

Cogli Amati ha qualche analogia la famiglia dei Gnar- 
neri, nove artefici di merito, di cui l'anziano è Andrea (1660- 
1696) e l'ultimo un Piergiovanni (morto nel 1766). 

Andrea seguiva dapprima le norme del suo maestro Nicolò 
Amati; più tardi le modificò alquanto riguardo al taglio degli 
effe ed alle volte, che tenne un po' meno convesse. 

Suo figlio Giuseppe (1676-1780) diminuì la larghezza del 
modello tra i seni, negli effe combinò il tipo di Gasparo da 
Salò e di Nicolò Amati e li pose più bassi e più vicini all'orlo. 
La vernice irreprensibile dona ai suoi violini un suono nobi- 
lissimo. 

Suo fratello Pietro (1670-1726) aumentò invece la dimen- 
sione mediana, fece gli effe più rotondi e più convesso il co- 
perchio che ha legno finissimo a larghe fibre. In ciò egli fa 
imitato dal nipote Piergiovanni di Giuseppe (1726-1766). 



393 

Supera tutti i congiunti Giuseppe Guarneri del Gesù (1683- 
1746), detto così dal monogramma che usava nei polizzini. È 
figlio d'un Giambattista fratello d'Andrea. Non s'attenne con- 
seguentemente né alla maniera della famiglia ne a quella di 
Antonio Stradivari, suo maestro secondo l'opinione di molti, 
ma ebbe tre fasi nei suoi lavori: dapprima egli è trascurato, 
poi veramente classico ed emulo di Stradivari, infine ritorna 
scadente. Caratteristica nei suoi violini è la volta appena con- 
vessa e crescente subito dall'orlo. I lunghi eflfe imitano ele- 
gantemente il taglio dei migliori autori bresciani. 

La liuteria italiana tocca l' apogeo della gloria con Antonio 
Stradivari di Cremona, il maestro dei maestri, a cui s'inchina- 
vano i contemporanei, s'inchinano riverenti i posteri, perocché 
suoni così graditi e vellicanti l'orecchio ed il cuore umano 
mai uscirono da strumento ad arco che non fosse il suo. Chi 
intese un violino di lui, sia pure una volta sola, aderirà di 
buon animo al Valdrighi quando esclama: "Innanzi a questo 
nome non v' ha fama che resista al confronto : ad esso devono 
inchinarsi tutte le potenze liutaresche caelestium^ terrestrìum et 
in/ernorum^,^^) 

E l'elogio al massimo artefice é pienamente giustificato, 
sia che lo abbia pronunziato il biografo coscienzioso ^^) sia con 
nobile metro armonizzato il poeta,") perché nessuno prima o 
dopo Stradivari da un fragile congegno di otto assicelle seppe 
produrre effetti armonici così squisiti, così commoventi. 

Pervenne a tanta altezza sviluppando collo studio inde- 
fesso, coir esperimento esatto T abilità tecnica acquistata nel- 
l'officina di Nicolò Amati, dove si distinse per saggi di violini, 
detti poi ^amatizzati,, perché non si scostavano dal tipo della 
scuola. La prova del suo talento divinatorio e dell^ inestinguibile 
desiderio di far meglio che altri noi l'abbiamo in ciò, che dal 
1670 in poi per venticinque anni egli produsse poco, ma in 
quella vece molto esperimentò: ridusse il formato, variò gli 
spessori delle tavole, diminuì ripetutamente la convessità, colorò 
diversamente la vernice. Il periodo aureo del suo magistero 
va dal 1700 al 1725, fecondo di lavori bellissimi per forma, 
inaiTivabili per sonorità, a cui contribuiscono armonicamente 



394 

tutte le parti iuterue ed esterne dei suoi strumenti. Le varianti 
nello spessore del coperchio e nella disposizione degli effe 
eleganti dimostrano come l'autore saggiamente modificasse le 
norme generali a seconda del materiale, cioè della consistenza 
e delle proprietà acustiche del legname. Egli tiene però fermo 
alla poca convessità delle volte siccome indispensabile a un 
suono grato e vigoroso insieme, certamente preferibile al timbro 
cupo dei vecchi strumenti bresciani e di alcuni cremonesi.^^) 

Dopo il 1726 la vegliarda mano sembra stancheggiata 
dalla lunga operosità; all' eccellenza del suono rimane addietro 
la finitezza del lavoro. 

Antonio Stradivari diffuse per l'Italia da 700 violini, 
300 tra viole e violoncelli, molti liuti ed alcune arpe. Il violino 
del 1736 è l'ultimo; il polizzino reca l'autografo del nome del 
geniale maestro, che l'anno dopo moriva a Cremona di no- 
vantrè anni. 

Fissata una volta la regola alla buona violineria da non 
potersi impunemente trascurare né modificare se non a detri- 
mento del suono, vediamo conseguire due fatti. U primo ri- 
guarda i liutari italiani, che fedeli alle massime di Nicolò 
Amati, dei Guameri e di Stradivari sanno conservare alto il 
prestigio alla nobilissima arte. L'altro ne dimostra purtroppo 
la decadenza, la degenerazione dalla seconda metà del se- 
colo XVIII in poi. 

Dalla disciplina di Stradivari uscirono i pregiati autori: 
Carlo Bergonzi, il quale assieme a suo figlio Michelangelo andò 
ad occupare la casa e l'ofiBlcina del maestro, Tommaso Balestrieri^ 
Lorenzo Giuidagnini, David Techler^ Francesco Gobetti, Alessandro 
Gagliano e Domenico Montagnana. Alcuni di essi, come pure 
altri allievi degli Amati, cioè Gioffredo Cappa, Paolo Orancino, 
Giambattista Buggeri Bon, Francesco Buggeri detto il Per, fonda- 
rono o perfezionarono le liuterie di Eoma, Venezia, Mantova, 
Ferrara, Modena, Padova, Milano, Napoli e del Piemonte, che 
vantano fabbricatori abilissimi. 

Il merito degli antesignani cremonesi fu onorato anche 
fuori d'Italia, principalmente poi nel limitrofo Tirolo, ove il 
secondo Mattia Albani di Bolzano imitò egregiamente il suo 



396 

maestro Nicolò Amati, e Giacomo Stainer d'Absam, conoscitore 
dei modelli italiani ^^), seppe dare ai suoi bellissimi violini quello 
che l'autorevole Sibire chiama ^la creme du beau son„. La 
maniera dello Stainer, caratterizzata dalle volte molto pronun- 
ciate, dominò in Germania e in Inghilterra fino al principio 
del nostro secolo. Anche la famosa officina dei Klotz a Mit- 
tenwald in Baviera, fondata da Mattia (1640-1696), il quale 
aveva lavorato a Cremona, s'attenne alla medesima producendo 
ottimi strumenti, oggidì ancora spacciati per fattura del pre- 
giato caposcuola tedesco morto nel 1683. 

Decade l'arte sempre più fino allo stato di incredibile lan- 
guore tostochè nella foga del lavoro per le orchestre rinforzate 
e lo sciame di sonatori ambulanti è subentrata la speculazione, 
che avida e volgare trascura le fonti della scienza né si dà 
pensiero alcuno dei segreti della costruzione.^^) 

In luogo di delinearvi siflFatto deterioramento progressivo ci- 
tando un'infinità di nomi oscuri, mi limiterò ad un abbozzo della 
miseria per i nostri tempi: la dura verità apparisce istessamente. 

Un sedicente liutaro, sovente poco versato nelle cognizioni 
rudimentali del falegname, ha improvvisato un violino e lo 
battezza, come è di prammatica, secondo Amati *-^®) o Stainer o 
comunque la scelta cada sopra un padrino illustre. (Recente- 
mente io vidi uno strumento arrogantello, a cui la bugia si 
leggeva sulla fronte, cioè la doppia bugia sul polizzino nel 
nome di Andrea (!) Stradivari.) Egli mise ogni studio a far 
bene il contorno, ma per una certa ambizione d'originalità, 
che sentono in ogni tempo anche gli infimi, alterò qua e là 
le linee geometriche, p. e. aprendo troppo i seni come per 
isquartare, ripiegando l'uno contro l'altro gli angoli come il 
becco adunco di quattro sparvieri arrabbiati, spalancando gli 
effe quasi a riso sgangherato. Ma il buon uomo, ohe non co- 
nosce acustica, ignorante o indolente a sperimentare, non si 
dà molta briga degli spessori, non pensa nemmeno al modo di 
diminuirli gradualmente sullo schema circolare o ellittico; si 
sbraccia invece a piallare e a scalpellare alla ventura, ricor- 
rendo a un compasso grossolano quando pure dubiti del proprio 
occhio. — Compaginato è finalmente il cassettino; ci si applica 



39G 

il manico sormontato dal suo bravo riccio, che ora somiglia a 
un ranocchio approdato, ora a un lungo malinconico punto 
interrogativo. Una mano di color giallo, poi una di bruno o 
rossiccio con alcune pennellate di vernice di drogheria, ed ecco 
abbigliato il fantoccione di legno a cui nulla manca tranne la 
voce del violino : esso stride, grida, mugola a tutta delizia delle 
orecchie grosse, a cui conferisce meglio il boato da taverna 
che non il canto educato dell'artista. 

Modo alquanto diverso ma non meno iniquo seguono le 
moderne fabbriche di strumenti ad arco. Non vi trovi da lodare 
se non la divisione del lavoro, fondamento a ogni grande in- 
dustria. Scelto il legname ancora fresco e ridotto a tavolette 
come si deve, queste vengono messe a seccare nel fornello ri- 
scaldato moderatamente, come dagli agronomi si usa coi graticci 
ricolmi di prugne e albicocche. Quindi si adattano le parti e si 
plasma il corpo, incensurabilmente, si sa, giacche T ipocrisia vuole 
salva almeno la forma estema. La tastiera è già applicata e la 
cordiera d'ebano, le corde di minugia e le ramate sono già tese. 
Allora voi contemplate appaiati là nella mostra, col cartellino 
al collo come due delinquenti, U pseudoamati e il pseudostra- 
divari, giallastro l'unO; l'altro rubicondo, entrambi lustrissimi 
come mobilinì usciti or ora dal lavoratorio: toccateli coli' arco 
e vi risponderanno in gergo barbaro. 

Contro si grave sciagura, che ha snaturati i più simpatici 
organi della musica, reagirono di quando in quando con monito 
generoso alcuni galantuomini, ma la loro voce si perdeva nel 
deserto. Reagirono con miglior successo pochi abili e coscien- 
ziosi fabbricatori, i quali per provvedere al bisogno di strumenti 
passabili ricorrevano ai modelli della vecchia liuterìa italiana. 
Fra questi benemeriti conviene ricordare con gratitudine Gio- 
vanni Battista Viiillaumey appartenente a famiglia liutaresca del- 
l' industre Mirecourt. Nella prima metà di questo secolo lavorò 
a Parigi seguendo fedelmente le norme dei grandi Cremonesi 
desunte dai loro strumenti, che doveva ristaurare. E di meglio 
non poteva fare, dopoché i suoi molteplici esperimenti e quelli 
del fisico SatHirt lo ebbero convinto dell'inutilità di qualunque 
modificazione e del danno di ogni alterazione al modello di 
Stradivari e dei suoi illustri conterranei.^^) 



à9? 

Tenne già la medesima via ed acquistò così bellissimo 
nome nelParte parigina Nicolò Lupai tra il 1790 e il 1824. 

Anche Giorgio Chanot ai nostri tempi copiava egregiamente 
i migliori Guarneri e Stradivari. 

Dato lina volta V impulso a sollevare artisticamente la 
violineria francese, non tardarono a manifestarsi i salutari ef- 
fetti anche nelle officine d'Italia e di Germania ed il ristauro 
di strumenti italiani animò a copiarli esattamente in ogni loro 
parte. Presso i Tedeschi, felicemente disposti ad esaminare le 
cose tranquilli e ad eseguirle perseveranti, si vedono publicate 
tecnologie apposite a guida sicura per la costruzione di buoni 
violini'^) ed aperte scuole professionali relative; e in tutto ciò 
domina il desiderio di fornirci di opere non indegne del ma- 
gistero di Cremona. Così anche in questo campo abbiamo la 
prova essere il ritomo ai sobri modelli del passato il miglior 
rimedio contro il capriccio presuntuoso e manierato dei nova- 
tori. La storia della letteratura e delle arti offre anche essa 
analoghi esempi salutari. 

Ora si domanda: secondo quali criteri procedevano i vecchi 
liutari italiani nel lavoro degli strumenti ad arco? quali regole 
ne vennero ai posteri perchè si potesse tentare a rimettere in 
piedi una nobilissima arte decaduta? 

Prima d'addurre fatti, che ritengo inoppugnabili, vorrei 
escluso un concetto per me falso addirittura, cioè che quegli 
artefici di Cremona, di Brescia, di Bologna nella disposizione 
innata e nell'abilità tecnica superassero meravigliosamente gli 
attuali di Milano, Dresda e Parigi, cosa che finora nessuno ha 
potuto dimostrare. Quanto poi agli ordigni necessari al lavoro, 
1 nostri tempi dispongono di così perfetti e molteplici da su- 
perare i passati. 

Se si volesse alludere all'incoraggiamento del talento 
costruttore, non v'è dubbio che per la pretesa e la generosità 
di committenti come anche per il bisogno di grandissimo nu- 
mero di strumenti noi siamo avvantaggiati in confronto di 
duecento e cento anni fa. 

Nego anche 1' efficacia del tempo sulla bontà degli stru- 
menti.^^) Quando tutte le parti d'un violino sieno bene a posto, 



398 

cioè quando la cassa armonica siasi accomodata alla pressione 
delle corde mediante il ponticello ed alla resistenza dell'anima 
e della catena ed abbia raggiunta l'elasticità necessaria alle 
regolari vibrazioni acustiche, quando la vernice sia pienamente 
asciutta, ciò che avviene in breve, allora uno strumento lavo- 
rato secondo le regole sarà buono, uno malamente esagito 
non migliorerà ne in dieci anni né mai più. Intesi più volte 
da fabbricatori e possessori di violini e violoncelli, che quelli 
attualmente ruvidi, rauchi ed inuguali in un secolo a forza di 
arcate abilmente domati canterebbero deliziosamente all'orecchio 
dei pronipoti riconoscenti. Pregiudizio e illusione fallace ! Meglio 
era confessare il difetto di costruzione e rassegnarsi al reo 
destino, perocché il tempo non toglie le conseguenze dell'im- 
perizia e dell'errore. Se la teoria di costoro fosse buona, tro- 
veremmo noi anche tra i vecchi strumenti italiani tanto numero 
di scadenti? 

Bi tornando all'argomento risponderò che i grandi maestri 
d'altri tempi erano scnipolosi nella scelta del legname d'ottima 
qualità. Per la tavola annonica preferivano l'abete cresciuto 
sul versante meridionale delle Alpi tirolesi; per il suo tessuto 
sviluppatosi più lentamente col vegetare sopra un terreno re- 
lativamente roccioso, e forse anche per certe condizioni speciali 
del clima locale esso risponde meglio d' ogni altro alle esigenze 
acustiche. Per il fondo, le fasce ed il manico adoperavano l'acero, 
preferendo il bel disegno listato e trasparente per sodisfare 
la ragione estetica. 

Il materiale cosi acquistato rimaneva lungo tempo a gia- 
cere in luogo riparato, dove naturalmente si potesse compiere 
il lento processo di disseccamento. 

Quindi incominciava il lavoro di ogni singolo pezzo de- 
stinato a formare il corpo sonoro. Somma esattezza richiedeva 
sopra tutto il coperchio siccome quella parte, che più essen- 
zialmente contribuisce a rinforzare le vibrazioni delle corde e 
ad arrotondarle a suoni grati all'udito. Che tale funzione non 
si competa al fondo, come molti erroneamente credono, '2) a 
cui incombe invece di chiudere, unitamente alle fasce, la cassa 
armonica, e mercè il suo spessore, che non deve discendere 
al di sotto d'un giusto minimo, di secondare con vibrazioni 



to9 

subordinate quelle decisive del coperchio non interferendo a 
danno della sonorità^ io ho ragione di desumere dal fatto che 
in molti violini antichi esso è ora di acero, ora di pero, di 
tiglio, di faggio, dunque legname diverso anche rispetto al 
coefficiente acustico, e spesso è ornato dentarsi o di pitture, 
mentrechè la tavola armonica è sempre d'abete, perfettamente 
omogenea e non mai alterata dalP unione con corpi estranei, 
che turberebbero le vibrazioni regolari, cioè renderebbero in- 
uguale il suono; i filetti poi, commessi nell'orlo del coperchio, 
non danneggiano la voce perchè corrono air intomo per i punti 
morti che non hanno oscillazione. 

Dopo ciò taluno potrebbe con ragione osservarmi, come 
mai avvenga, che moderni strumenti ad arco, fatti secondo le 
norme dei classici e sovente imitazioni degli originali cremo- 
nesi cosi esatte da trarre in inganno il più esperto conoscitore, 
sotto l'arco producono effetti armonici assai inferiori all'aspet- 
tativa. 

Tutto ciò è vero. Ma vi è il perchè: vi è un segreto, 
intomo ciii già da un secolo s'affaticano i più famosi liutari 
invano — il segreto della vernice. 

Il profano non ha forse mai posto attenzione che il violino 
è colorato e inverniciato. Al concerto egli nemmeno considera 
lo strumento per la voce che ha, alla musica bada si e no a 
seconda della momentanea disposizione d'animo, molto osserva 
invece il sonatore, cui a pezzo finito si sbraccerà anche a 
chiamare alla ribalta. Eppure tutto quel sussulto di nervi, quel 
lavorio di muscoli generatori di formidabile applauso non è 
provocato soltanto dalla figura simpatica dell'artista bensì in 
gran parte dal suono incantevole dello strumento, onde inconsci 
egli ci rapisce. 

Ebbene, cotesto caratteristico timbro del violino, la sua 
voce gentile, insinuante, ineffabile dipende massimamente dalla 
vernice — premesso però che esso abbia in giusto grado tutte 
le qualità indispensabili d'una buona costruzione. 

La vernice, comunque sia colorata, non ha già l'unico 
scopo di rendere lo strumento piacevole all'occhio. Neppure è 
destinata solo a preservarlo dall'umidità e dalle variazioni di 
temperatura, perchè altrimenti ne l'avrebbero spalmato anche di 



400 

dentro dove per i fori degli effe penetra liberamente Ilaria e 
il vapore acqueo. 

Che la qualità della wce in uno strumento ad arco dipenda 
massimamente dalla vernice, nella stessa guisa che la sonorità 
dalla proporzionata disposizione delle parti, ciò io sostengo 
non mica per ismania di teorie nuove, le quali male si reggono 
sulle gambe sottili anche delle ipotesi più ingegnose^ ma lo 
sostengo onestamente, confortato dai fatti che oramai mi sento 
in dovere di comunicarvi. 

Una tavoletta d'abete, che sia naturalmente seccata e poi 
adattata a vibrare liberamente, mentre è ancora puro legno 
vi darà un determinato suono. Appiccicatele oggetto estraneo 
di varia specie e ne caverete tante qualità di suono diverse 
Tuna dall'altra. Impregnatela finalmente d'un liquido e asciutta 
che essa sia vi dà un timbro diverso da tutti i precedenti, 
il quale è conforme alla proprietà delle sostanze introdotte nei 
pori del legname, dunque dipende dall'ignota alterazione pro- 
dotta cosi nell'aggregato molecolare degli strati lignei e delle 
fibre divisorie. Tutto questo mi pare incontestabile. 

Ora proviamoci a ripetere lo sperimento col violino. Se 
fatto inappuntabilmente e mentre ancora non è manipolato 
esso risponde con un suono speciale, piacevole si, ma vuoto — 
ha insomma la voce legnosa. Inverniciato e colorato risuona 
diversamente, cioè rende altrettante qualità di voce quante 
furono le differenze specifiche della vernice e del colore. Finora 
la migliore vernice possibile è la cremonese : come fosse pre- 
parata, come applicata, ciò appunto costituisce la grande inco- 
gnita. Se molti pregiati strumenti moderni presentano una 
costruzione regolare, copiata scrupolosamente dai classici mo- 
delli — se nella proporzionalità di tutte le parti, ottenuta con 
misurazioni quasi micrometriche, il Vuillaume p. e. copiò Stra- 
divari e Quameri del Q-esù — e se con tutto ciò non si ottenne 
la desiderata pienezza e rotondità di voce, bisogna pur inferire 
che il difetto sta nella vernice. 

E questo per noi il famoso segreto, 1' enigma indecifrato 
che uomini digiuni di cognizioni chimiche ma per compenso 
ben fomiti d' intuitiva e -d' esperienza, conoscitori provetti 
di balsami e di resine della patria campagna, vollero legato 



40l 

air acume dei posteri, liutari o famosi scienziati delle alte scuole 
dì Parigi e di Mouaco.'') 

Riflettiamo ancora qiiesto: se la vernice italiana negli 
strumenti non fosse che cosa accessoria, occorreva poi fame 
tanto mistero? I segreti si riferiscono notoriamente a cose di 
qualche importanza, a cose essenziali; onde non mi pare am- 
missibile, che quegli uomini schietti e positivi volessero darsi 
buon tempo con un trastullo puerile, fingendo misteri dove non 
ce n'è bisogno, ma nel loro geloso silenzio vedo piuttosto 
un mezzo atto a garantire al proprio prodotto la superiorità 
siiiV altrui. 

Yale la pena di rilevare anche una circostanza, cioè che 
nei vecchi strumenti la bontà del suono sta in una certa cor- 
relazione colla bellezza della vernice. Esclusi i lavori fatti con 
imperizia o negligenza, restano in buon numero altri, che ese- 
guiti bene sono tuttavia acusticamente deficienti ; osservatene 
la vernice e la troverete scadente — coincidenza questa, che 
mi sembra apprezzabile. 

C'è un altro fatto a darmi ragione, e l'ebbi a constatare 
troppo spesso: vecchi violini e violoncelli buoni, che abbiso- 
gnavano di qualche lieve ristauro, deteriorarono sempre se 
ritoccati con vernice moderna e perdettero aflfatto il bel timbro 
originale se sopraverniciati per intero. 

In fine riferisco una memoria storica, che milita in favore 
della mia tesi. Già nei primordi della liuteria italiana si dava 
peso alla vernice e alla maniera d'adoperarla. Cosi trovo, che 
nel 1526 Alfonso I duca di Ferrara, raccoglitore appassionato 
di viole e liuti, ordinava al suo ambasciatore a Venezia Jacopo 
Tibaldi di chiedere al noto Sigismondo Maler come si faceva e 
come si applicava la vernice.") 

Ed ora io debbo esprimere la mia convinzione ed in pari 
tempo formulare il compito a quei liutari, che hanno a cuore 
la ristaurazione della loro arte : 

EestUuite al violino la buona vernice italiana^ ed esso vi ren- 
derà la bella voce italiana degli strumenti cremonesi.^^) 

Dopo quanto ho esposto poco saprei aggiungere in merito 
degli organi musicali d' una gloriosa epoca tramontata. Le 



M 

questioni pni'amente tecnologiche della violineria non richie- 
dono qui altro trattato speciale. 

Accennerò invece i delinquenti del violino! 

Perchè non mi si fraintenda e non mi si accusi di fero- 
cità, io protesto innanzi a voi che nelle mie parole non è 
ombra d* allusione a quei felicissimi esseri, che troppo di fre- 
quente a uno, a due, a tre o più insieme da altrettante finestre 
spalancate (cosi richiede il vezzo filantropico invalso nei centri 
popolosi, anche per strumenti più mastodontici) effondono sn 
voi una benedizione di scale, trilli e accordi, ' d' arie, elegie e 
altra grazia di dio, quasi per irrorarvi di mirifica interferenza 
il cervello inaridito da problemi di matematica o magari di 
filosofia trascendentale. Anzi io stimo costoro molto benemeriti 
del violino. 

La mia accusa colpisce ben altri: quei nipoti degeneri, 
nobili e dell' alta borghesia d' Italia i quali, sostituendo più 
materiali passatempi ai lieti convegni di famiglia, i classici 
cremonesi, ambito retaggio in tempi migliori, vollero relegati 
su per le soffitte ad ammutolire all'allegra danza dei topi e al 
sottile lavoro del ragno premuroso di coprire colla sua tela la 
vergogna altrui. Ben li desterà dal letargo lo scaltro intercet- 
tatore e li recherà al mercato di Parigi, di Londra, di Pietro- 
burgo, ove sovente passeranno a figurare muto ornamento 
nella sala del migliore offerente accanto ai cocci etruschi, alle 
scimitarre orientali, alle ramose corna del ruminante boschereccio 
tradito alla caccia. 

Accuso quegli sciagurati; che nella demenza della moda 
hanno ucciso il più belio, il più nobile suono mutilando le 
tavole armoniche a forza d' abrasioni, raschiamenti e simili 
operazioni vandaliche, per cui ne fu assottigliato lo spessore 
a tutto danno della sonorità e lesa la vernice nella parte vitale. 
E tutto ciò essi hanno perpetrato per secondare i leziosi eroi 
pariniani e le loro incipriate deesse, che non avrebbero potuto 
sopportare una robusta voce cremonese turbatrice villana dei 
convenzionali bisbigli e delle diplomatiche congiure, a cui meglio 
teneva bordone il miagolio d'un gramo ventriloquo di leg^o. 

Accuso quei ristauratori materialoni e dottrinari — e sono 
molti purtroppo! — che ignoranti delle più elementari regole 



deir acustica, per rimettere un organismo di violino intisichito 
da tanta anatomia, vi applicano senza riguardo e abbondante- 
mente il rinforzo intemo in forma della cosidetta camicia, o 
nel delicato corpo cacciano una catena grossa e lunghissima, e 
finiscono poi col togliere alla tavola armonica quel po' di energia 
rimasta ancora dopo Tempia mutilazione, o del loro lustro bre- 
vettato spalmando il leso istrumento ne distruggono T impronta 
originale e, peggio ancora, il residuo filo di voce soave italiana, 
tuttavia preferibile al noioso ronfare provocato per ignoranza. 

Ma la condanna di tutti costoro è la loro opera! 

Dei falsificatori, i quali se pure non abbiano potuto rubare 
un polizzino originale dal fondo d'uno strumento di pregio lo 
contraffanno onde vie meglio accreditare presso qualche ingenuo 
la recente mistificazione compiuta con imposture d' ogni sorta, 
di loro non dico nulla : spettano al giudice criminale i messeri. 

Dalle acque basse e torbide d'oggigiorno rimiriamo ras- 
segnati le pure fonti, i limpidi e gagliardi rivi della liuteria 
passata, e confortiamoci che almeno la sua storia è sincera 
nel rammentare un nobilissimo prodotto della civiltà e perpe- 
tuare il nome glorioso di tutti quelli che vi hanno collaborato ! 

NOTE. 

') Il conto Luigi Francesco Valdrighi, già conosciuto per varie 
dotte monografie, pubUcò un pregevolissimo lavoro sui FabMcatoH di 
strumenti armcnici, corredato di note esplicative che si riferiscono ai più 
distinti artefici da lui segnati neir elenco contenente più di 4600 nomi, tra 
cui più di 1500 appartengono a fabbricatori di strumenti ad arco. Vedi 
Memorie della Regia Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena, serie li, 
voi. II, VI e X, sezione di arti, 

«) F. I. Fétis, Antoine Stradivari, Paris, VuUlaume, 1856. 

') George Hart, The violini its famaus makers and their imittUors, 
London, 1884. 

*) Il merito d'aver corretta l'alterazione spetta a Valdrighi; vedi 
op. cit., voi. II, pag. 201. 

^) I disegni del bin e degli strumenti da esso derivati si trovano 
alle pag. 3-5 dell' opera di Guglielmo Quarenghi, Metodo di violoncello^ 
Milano, 1877. 



40é 

•) Valdrìghi, op. cit., voi. it, pag. V-VI; Quarenghi, op. cit. pag. à 

^) Valdrighi, op. cit., voL II, pag. VI. 

•) Doti. E. Schebeck, BeHcht Uber die aìlgemeine AgricuUur' une 
Imìu9tn^' Auutellung zu Paris im Jàhre 1855, Wien, ia57-58, voi. Ili, fase. 2a 
pag. 65-123. Il rapporto contiene cose int'eressantissime riguardo gli spe- 
rimenti fatti a Parigi con vecchi violini e nuovi. — Hart, op. cit., pag. 3, 
cita altri esempi relativi. 

•) Quarenghi; op. cit, pag. 7. 

") Quarenghi, op. cit, pag. 7. 

'*) Ritengo questa Tunica interpretazione vera del nome; vedi 
Joh. Wilh. V. Wasielewski, Die Violine und ihre Meister, Leipzig. 
1869, pag. 4. 

■•) Dott. E. Schebeck, Der Geigenbau iti Itaìien und sein deutscher 
Ur$prung, pag. 64 (estratto dal Jahrbuch des deutschen Vereines zur Ver- 
hreitung gemeinniJfziger Kenninisse in Pfog^ 1875), 

*•) Valdrighi, op. cit., voi. X, pag. 36. 

") Valdrighi, op, cit, voi. II, pag. 143. 

**) Friedrich Ni ederheitmann, Crwtona, Il.a ediz., Leipzig, 1884, 
pag. 6-7. 

'•) Giovanni Livi, Gasparo da Salò e Vinvenzione del violino. La 
dotta memoria fu publicata nella ''Nuova Antologia,,, Roma, IILa serie 
voi. XXXIV, fase. XVI, pag. 66^-681. 

'*) Trovasi scritto anche Lanza. Non so perchè alcuni scrittori 
usano Lausa. Cosi anche Herrmann Starcke (Die Geige eiCfjyresàerì^ 
1884, pag. 34), il quale per giunta prende una cantonata dicendo che i 
violini del Lansa sono fatti esattamente sul modello di Gasparo da Salò 
e di Maggini, mentre l' epoca 1530-1550 da lui stesso annotata contradice 
a quella aggiunta ai due illustri nomi, perchè è impossibile copiare un 
autore nato appena ed un altro che nascerà dopo 40 anni ! Vedi op. cit., 
pag. 21, 22 e 24. 

") Ommetto la citazione di molti nomi, che qui ritengo non indi- 
spensabili, tanto più che gli elenchi di liutari si trovano riportati da 
vari scrittori. 

"•) Fétis, op. cit, pag. 80-81. 

••> Valdrighi, op. cit, voi. Il, pag. 110. 

") Fétis, op. cit, pag. 66-67; Wasielewski, op. cit, pag. 9. 

••) Valdrighi, op. cit, voi. Il, pag. 214. 

•^ Fétis, op. cit. 

**) Hart, op. cit, pag. 166 e 167, reca i versi di Longfellow e 
George Eliot. 



406 

») Fétis, op. cit., pag. 78-79 e 90-91. 

^ Alcuni ammettono, negano altri che Giacomo Stainer fosse al- 
lievo di Nicolò Amati. Mi persuade più la versione dello Starcke (op* 
cit., pag. 70-71), secondo la quale Stainer non è mai andato né a Venezia 
né a Cremona a perfezionarsi neirarte, ma ha potuto studiare buoni 
violini italiani, specialmente quelli di Nicolò Amati, a Innsbruck, dove 
alla corte dell'arciduca Leopoldo e di Claudia dei Medici allora si 
davano frequenti feste musicali con artisti d'Italia. — In proposito si 
confronti anche Hart, op. cit, pag. 262-264. 

") Valdrighi, op. cit, voi, II, pag. V-VI. — Del resto le giusti- 
ficate lamentazioni si possono leggere in ogni libro che tratti della liuteria. 

"•) Livi, op. cit, pag. 679, nell'annotazione riporta le belle parole 
di Vi dal: "Le nom d'Amati est celui dont on a le plus abusé: il n'y 
a pas de produit bàtard des époques primitives ayant quelque apparence 
italienne qui n'ait été baptisé du nom d' un des Amati ; et leurs étiquettes, 
imitées avec une audace déplorable, ornent aujourd'hui quantité d'in- 
struments hoUandais, belges, allemands, fran9ais et anglais des XVII. 
e XVIIL siècles, qui ne tirent leur valeur que de l' Imagination trop 
facile & satisfaire des nombreux amateurs enthousiastes.,, 

^) Si legga il giudizio lusinghiero per Vuillaume pronunciato dal 
famoso critico musicale Dott Ed. Hanslick nei suoi rapporti sull'espo- 
sizione di Londra (Oesterr» Bericht ilber die internationale Austtellung in 
London 1862, Wien, 1863, pag. 438-439) e di Parigi (Bericht Ober die Weit- 
Ausstélluny zu Paris in Jahre 1867, Wien, 1869, voi. I. fase. 3, pag. 34-36). 

*®) Paul Otto Apian-Bennewitz, Die Oeige, der Geigenbau und 
die Bogenverfertigung, Weimar, 1892. 

*') Fétis, op. cit, pag. 78: ''il y a donc autre chose que le temps 
pour donner la qualité aux instruments, et méme autre chose qu'une 
construction satisfaisante l'oeil: 11 y a des loi9 d* acoustique ; ce sont elles 
qu'il s'agit de découvrir.,, 

") Antonio Bagatella, autore delle Regole per la costruzione dei 
violini, oioloncdli e violoni, che furono premiate dall'Accademia di Padova 
nel 1782, raccomanda d'essere molto cauti nella scelta del legno per il 
fondo, perché dal fondo specialmente dipende la bontà dello strumento. 
Cosi leggo a pag. 20 della traduzione tedesca di I. O. H. Schaum di 
Lipsia, che fortunatamente ho potuto acquistare da un antiquario di libri 
prima che il Valdrighi riproducesse l'originale nella ''Rivista periodica 
di Padova,,. — L' opinione del Bagatella però non corrisponde alla verità 
fisica, perocché il legno del fondo come conduttore del suono per sua natura 
è molto inferiore all'abete del coperchio; essa non è conforme alla costru- 
zione degli strumenti ad arco ed alla conseguente diretta trasmissione 
sonora dalle corde alla tavola armonica. 

■*) Starcke, op. cit, pag. 10. 



406 

") Valdrighi, op. cit, voi. Il, pag. 176 e 267, voi. X, pag. la — 
Trascrìvo qui il passo che interessa: 

''D. XX. Genn. an. 1626. Venetiis. ^ Iacopo Tibaldi al Duca a 
Ferrara. 

U magnifico Sigismundo Maler Thedescho m^ha promesso far, Limi 
proximo, bavere in scripto come se fa la vernice et come Tadoprì nelli 
sua liuti, secondo r£x.tu V.ir« me scrive desiderare d' bavere., 

**) Il segreto della vecchia vernice italiana preoccupa, come fu ac- 
cennato, i mìgUori fabbrìcatori moderni di strumenti ad arco. Tra i 
quali cito Otto Migge di Coblenza, che nel 1894 pubi! cava un opuscolo 
per dimostrare d'aver finalmente trovato il bandolo della matassa, ossia 
di conoscere la maniera di fare i violini non interiori agli stradi varlani. 
Ho studiato il libro della rivelazione promessa e qui esterno il mio giu- 
dizio in proposito. Che la bontà degli strumenti cremonesi dipenda anche 
dair invemiciatura del coperchio prima che esso sia incollato al corpo, 
perchè altrimenti diventa rigido, ossia si priva delP elasticità volata 
in ciò il Migge può aver ragione. Ma non mi pare riuscito niente affatto 
nella pretesa scoperta della vernice stradi variana e neppure d'una acu- 
sticamente equivalente, se devo credere più ai fatti che alle parole. Il 
solerte editore triestino Carlo Schmidl, che certo ha molta esperienza 
negli sbinimeuti armonici, avuto a prova un violino del Migge, volle tosto 
convincersi, e convincere noi interessati, di cotanto successo che avrebbe 
procurato a ognuno strumenti da concerto e a buon prezzo, dispensandolo 
dal dare la caccia a qualche vecchio italiano e dal relativo sacrifizio d'un 
peculio addirittura. Quindi in una sala si fece il saggio musicale dal 
miglior arco che vanti la nostra città. Tutto andava bene: lo stradivario 
di Coblenza, di forma irreprensibile e lavorato artisticamente, rendeva i 
suoni limpidi e uguali tanto nelle basse che nelle acute, ma pure ci man- 
cava quel non so che di toccante, d'incantevole: mancava la voce piena 
e pastosa d*uno stradivario cremonese. Innanzi a un Gofiriller e imo 
Stainer sonati imparzialmente dal medesimo artista il violino del Migge 
dovè capitolare a discrezione. 



/Wum*uw^;WW«w*mwmmwH*wwwwHmwu^ 



ANTICHITÀ 

scoperte a Trieste e nel suo territorio 

nel deeennio 1887-1896. 



Dal di che la città cominciò ad estendersi al di là delle 
vecchie mura, furono ritrovati molti depositi di anticaglie e 
rovine di costruzioni dell'epoca romana, anche nelle più lon- 
tane contrade, alle pendici e lungo le falde dei colli, in mezzo 
ai campi ed ai boschi, ove nessuno avrebbe mai pensato che 
ne' primi secoli dell' era volgare avessero esistito luoghi abitati 
e sedi del vivere civile. Queste scoperte avvalorarono le leg- 
gende e le tradizioni, che narrano essere stato il dominio romano 
per Trieste fecondo di grandezza e splendore, ed avrebbero gio- 
vato a ricostruirne la topografia e dato alla sua storia ancor 
altre preziose notizie, se molte volte non fossero state trascu- 
rate, disperse e distrutte prima di venir portate a conoscenza 
del publico e valutate da persone competenti. Lo stato di cose 
creato nel secolo passato dall'istituzione del porto franco, le 
cure della vecchia e della nuova gente rivolte quasi tutte ai 
commerci ed alle industrie, la fretta onde dovevansi apprestare 
le fabbriche occorrenti, scusano cotale negligenza, sebbene sia 
da rimpiangersi che per essa venisse interrotta l'opera del 
nostro Ireneo, il quale porgendo ai posteri. nobilissimo esempio, 
aveva fatto si grande tesoro dei monumenti della sua patria. 
Veruna ragione invece la scuserebbe oggi che per la maggiore 
civiltà è universalmente riconosciuta l'importanza degli studi sto- 
rici; ed a vero dire, anche appo di noi viene con sollecitudine fa- 
vorita la ricerca e la conservazione degli avanzi dell' antichità. 
Nondimanco accade talvolta, e lo crediamo inevitabile, che o 
per ignoranza o per indifferenza, molte cose non sieno osservate, 



406 

ovvero per altri motivi si tengano nascoste; ma è soprattutto 
a deplorarsi quando persone istruite, essendone per le loro 
stesse incombenze informate, non vi pongano mente, o sosti- 
tuendo il proprio aU* altrui giudizio, tralascino di annunciarle, 
come prescrive la legge. 

In queste poche pagine comprendiamo per ordine di 
tempo alcune scoperte, che oltre a quelle dichiarate nelle pre- 
cedenti relazioni, furono fatte a Trieste e nel suo territorio negli 
ultimi dieci anni. Ai benemeriti signori che ebbero la bontà 
di darcene notizia e che ci agevolarono le relative indagini, 
manifestiamo anche in questa occasione la nostra sincera rico- 
noscenza. A tutti gli altri poi raccomandiamo vivamente d' imi- 
tarli, se imprendendo lavori di sterro o di livellazione, toccale 
loro di rinvenire tracce di vetuste costruzioni od altri oggetti 
antichi. Il civico museo archeologico, che ha per compito pre- 
cipuo di raccogliere tutto ciò che può servire ad illostrare 
la storia patria, non mancherà di far eseguire tosto i rilievi 
necessari, procurando che per essi quei lavori non vengano 
inceppati né abbiano a subire alcun ritardo. 

Nel demolire le case che occupavano Tarea sulla quale 
tra la piazza Vecchia e la via di Riborgo venne eretto l'edi- 
ficio delle scuole popolari di Città Vecchia, all'angolo dell'an- 
drena Rusconi, ora scomparsa, nel mese di settembre del 1887, 
si trovò incassata nel muro della casa n. tav. 58 una lastra 
di pietra calcare di S.ta Croce, alta m. l'54, larga m. 0*52 e 
grossa m. 0*16, la quale sul lato che era stato sottratto alla 
vista, ad un metro dalla base, porta incise le lettere: 

HM-H-NS- 

hoc monumentum heredem non sequetur^ che c'informano esser 
essa stata levata da una tomba romana. Venne trasportata al 
civico museo lapidario. 

Facendosi lo scavo per le fondazioni dello stesso edificio, 
a circa m. 1*5 sotto il piano attuale della strada, vennero ri- 
conosciuti gli avanzi di una costruzione medievale, che ci 
diede quattro capitelli, uno grande e tre piccoli, due modiglioni 



I 



409 

ed alcuni pezzi di cornice di pietra calcare, probabilmente del 
secolo decimoquarto, ed un piccolo frammento d' iscrizione con 
lettere gotiche della stessa epoca, che leggesi 

S E P V l\ 
SVNT' 

/e R N I T A ^/ 

/maro 



Oltre a questi oggetti si rinvennero una bella catinella di 
maiolica faentina con rappresentazione mitologica, quattro boc- 
cali pure di maiolica e molti rottami di vasi di terra e di vetro, 
ed infine una lapide di pietra calcare d' Istria, che porta scol- 
pito uno stemma, il quale è troppo guasto per potersi deter- 
minare, ma sembra esser stato quello della famiglia dei Coppo. 

Proseguito lo sterro fino alla fondezza di circa tre metri, 
fu raggiunta la superficie che aveva il suolo al tempo romano, 
e fu messa a nudo la spiaggia del mare, il quale allora arri- 
vava a un dipresso sino alla linea segnata dalla facciata ante- 
riore del nuovo edificio scolastico. Non v' aveva qui sponda 
murata, si bene un piccolo molo per approdo delle barche, le 
quali venivano legate ad un rocchio di pietra che era rimasto 
al suo posto. Non lungi dal molo si scoperse un tratto di pa- 
vimento costruito di piccoli mattoni e più in là un angusto 
canale in opera laterizia di accurata esecuzione, il quale deri- 
vava dal luogo ove esistono ancora le rovine del teatro romano, 
e metteva nel mare dopo aver ricevuto un altro canale di 
uguale grandézza e fattura, che passa sotto la casa, in cui 
nacque il padre Irono della Croce. Nei due canali furono rin- 
venuti un vasetto d' argilla in forma di calice e varie monete 
romane di bronzo, tra cui una mezzana di Marco Aurelio cogli 
istrumenti sacerdotali e la leggenda PIETAS AVO. ed alcune 
piccole di Costantino e dei suoi figli ; inoltre qua e là dispersi 
molti cocci di anfore e pezzi di mattoni, tegole ed embrici. 

Nella contrada di S. Sabba, non lungi dal luogo, ove 
nell'anno 1886 furono scoperte e parzialmente esplorato le 



410 

rovine di una follonica romana,') e neir immediata vicinanza 
dei magazzini del petrolio, scavandosi il materiale per l'ampliar 
mento di quel porto, nel mese di gennaio del 1888, fu trovata 
una testa di marmo greco, residuo di un busto o di una statua 
di donna scolpita in proporzioni corrispondenti al naturale. 
La si rinvenne ad un metro di profondità distante circa otto 
metri dall'abside della chiesuola consacrata a quel santo, in* 
sieme con pezzi di tegole e frammenti di vasi di terracotta, 
con un gradino di pietra calcare ed una lastra della stessa pietra 
tagliata alla foggia di tittdus e con due monete enee imperiali, 
che per la loro pessima conservazione non poterono determinarsi* 

La testa, che non è di cattivo lavoro, rappresenta V effigie 
di una donna piuttosto attempata. La capigliatura è acconciata 
conforme alla moda che vigeva nella prima metà del terzo 
secolo dell'era volgare. Potrebbe esser questo il ritratto di 
una principessa della famiglia dei Severi, forse di Julia Maesa, 
zia di Caracalla ed ava di Eliogabalo, morta nell'anno 223. 

La testa venne donata al civico museo di antichità dal- 
l' impresa Cecconi, conduttrice dei lavori di allargamento del 
porto pel petrolio. 

L'esplorazione della follonica di S. Sabba, interrotta uel 
1886; non potè venii*e ripresa negli anni seguenti, perchè uno 
dei proprietari dei fondi, nei quali sarebbesi dovuto proseguire 
lo scavo, ignoriamo per quale motivo, ci negò il suo consenso, 
ad onta che gli altri l'avessero gentilmente s^scordato e noi 
ci fossimo obbligati a risarcire tutti i danni e scoprendosi 
oggetti d'oro o d'argento, a pagare il prezzo corrispondente 
al valore del metallo prezioso. Quando però nel 1892 si fab- 
bricarono colà gli edifici per la raffineria di olii minerali, ab- 
biamo potuto osservare che tutto il rimante constava d' un 
tale ammasso di macerie da non sapersi raccapezzare, essendo 
impossibile di distinguere le parti una dall'altra. 

Da qui passando nella vicina villa di Servola, dobbiamo 
avvertire che nel 1889, costruendosi il tronco della ferrovia 



*) Archéografo Triestino, voi. XIl, 1886, ed Atti del mtiseo civico di 
antichità j n. 1. 



411 

che mena al porlo di S. Sabba, dirimpetto al sito che prima 
era occupato dal cantiere di S. Lorenzo, sul chilometro 2*860 
della ferrovia, alla profondità di uno a due metri ed in mezzo 
al terriccio, vennero trovate undici monete enee romane di 
tutti i secoli, oltremodo corrose, un frammento di serratura di 
bronzo e vari altri oggetti di questo metallo e di ferro di ori- 
gine romana, ma di nessuna importanza, ed un pezzo d'urna 
cineraria in pietra calcare. E nel 1896 poco lungi da questo 
punto ed in prossimità alla riva del mare, mentre s'appresta- 
vano le fondazioni pel primo alto forno deUa Società metallurgica 
triestina, propriamente al confine dei fondi n ri cat 414 e 420, 
gli scavatori s'imbatterono in un pavimento musivo composto 
di pietruzze bianche, in un'urna cineraria di pietra calcare 
frammentata ed in alcuni rottami di terracotta. 

Nell'aprile del 1888 furono denudati gli avanzi di una 
casa d'epoca romana nel giardino del conte Giacomo Prandi 
in via S. Michele, mentre nella parte del medesimo che è sot- 
toposta all' erta che sale alla Cattedrale, stavasi scavando per 
le fondamenta d'un villino. Si scoprirono alcuni muri e nel 
mezzo un tratto di pavimento a musaico formato di sole pie- 
truzze bianche. Disperse fra le macerie si raccolsero due mo- 
nete enee dei primi anni dell' impero d' Augusto e col nome 
dello zecchiere Publio Lurio Agrippa. Dal lato principale pre- 
sentano queste la testa nuda del principe volta a destra e la 
leggenda CAESAR AVGVST. PONT. MAX. TRIBVNIC. POT. 
= Caesar Angustus ponti/ex maximtis tribunicia potestate; al ro- 
vescio la leggenda P. LVRIVS AGRIPPA HIVIR A. A. A. F. F. 
con le lettere 8. C. nel mezzo = Publitis Lurius Agrippa, triumvir 
aere^ argento^ auro, flando, feriundo — senatus constdio. Ambe le 
monete sono doppiamente contrassegnate avendo incusso : IMP. 
AVG. e TIB. AVG. Furono rinvenuti inoltre un bronzo mez- 
zano dell'imperatore Flavio Vespasiano coli' aquila spiegata 
su di un globo, coniato neir anno 71 d. C, una piccola mone- 
tina dello stesso metallo di Claudio II Gotico ed altra di Co- 
stantino Magno. 

Entro lo spazio circoscritto dai muri romani giacevano 
sette scheletri umani; dei quali quattro erano deposti nella 



412 

terra e tre rinchiusi in un sarcofago di opera laterizia. E con 
gli scheletri vennero trovati tre scuri da guerra, una cuspide 
di lancia, un frammento di grande spada con paramano, dae 
coltelli, due chiavi, alcuni punteruoli, chiodi ed altri pezzi di 
ferro. Ì)i oggetti d'ornamento si ebbero soltanto un ago cri- 
nale e due anelli di bronzo, questi adorni di piccolissimi cer- 
chielli impressi. I resti umani appartengono di certo ad un'età 
posteriore a quella della casa, forse all'epoca dei Carolingi^ 
nella quale, essendosi di molto ristretta la città, pare che 
questo luogo sia stato convertito in cimitero. 

Il sepellire i cadaveri entro il recinto delle case abban- 
donate, non era insolito nel medioevo, e nell' Istria assai dì 
frequente si rinvengono resti umani, venendo scoperte le rovine 
di quelle. Per citare un esempio, ricordiamo il beli' edificio 
romano, le cui vestigia sono ancora visibili, in vicinanza al 
mare, nella località chiamata Zambrattia, tra Sipar e Salvore. 
Si grande fu il numero dei morti trovati nelle sue camere, 
che taluno, tratto in errore eziandio dalla solidissima o perfetta 
costruzione dei muri, volle vedervi gli avanzi di un grandioso 
mausoleo. Un altro esempio ci dà il compianto e benemerito 
Dario Bertolini nella relazione degli scavi di Concordia Sagit- 
taria, ove narra essere venuto colà alla luce neU' anno 1876 
il muro di cinta di una stanza, che conservava ancora il suo 
pavimento, ed ivi sopra uno strato di ruderi, alto quasi mezzo 
metro, nel quale si trovarono parecchie tombe in laterizi e 
parecchie anfore vinarie addossate ai muri, talune infisse nei 
muri medesimi, contenendo ciascuna lo scheletro di un bambino.^) 

Il signor conte Giacomo Prandi con gentile pensiero fece 
consegnare tutte le cose al nostro civico museo di antichità, 
afiSnchè vi fossero conservate insieme coi pregevolissimi oggetti 
da lui affidati in custodia al tempo della fondazione di questo 
istituto. 

In seguito all'ampliamento della necropoli cattolica di 
St: Anna, al di là del torrentello, che prima ne lambiva il 



*) Notizie degli scavi, unno 1876, pag. 179. 



413 

lato di mezzogiorno, siil fondo n. cat. 126 di S ta Maria Madr 
dalena inferiore, nella primavera del 1893, ricomparvero alla 
luce alcune rovine di un edificio romano, senza dubbio di una 
villa^ che giaceva non lontano dalla strada consolare dell'Istria, 
su dolce declivio, in amenissima posizione, dalla quale la vista 
spazia sul pittoresco seno di Muggia, che tra le colline di 
S. Sabba e di Servola le si apre dinanzi. A circa 60 cm. di 
fondezza vennero scoperte sette camere addossate Tuna air altra, 
lungo un muro che è grosso mezzo metro e segue per trenta 
metri la direzione da greco a libeccio. Gli altri muri non 
erano che in parte conservati e si univano col principale ad 
angolo retto; ma di una sola stanza rimaneva tutto intero 
il recinto, tav. IX, n. 1. 

Due stanze avevano ancora il loro pavimento, formato 
di mosaico, che neiruna era bianco con lembi e doppia cor- 
nicetta nera e nell'altra esibiva un riquadro^ nel quale dal 
fondo bianco spiccavano piccoli triangoli e quadrati neri or- 
dinati in modo che ne risultava una scacchiera per T alternarsi 
delle figure bianche con quelle nere, tav. I. Sotto il pavimento 
della prima camera fu osservato un piccolo canale con sponde 
e copertura di pietra, il quale la percorreva in lunghezza at- 
traversando il muro dei lati minori. Queste località non costi- 
tuiscono se non uno dei lati dVun edificio molto più vasto, il 
quale protendevasi anche verso la strada, e nella parte ante- 
riore, che era la principale, v' avevano portici con tetto sorretto 
da colonne, come si potò rilevarlo nel marzo del 1897, quando 
scavandosi un fessone per deporvi le salme, fu accertata l' esi- 
stenza di altri muramenti e vennero estratti alcuni pezzi di 
colonna di pietra calcare. 

Subito dopo le prime scoperte, approfittando dei lavori 
che allora si stavano eseguendo per livellare il terreno, per 
cura del civico UflOicio delle pubbliche costruzioni, si cercò di 
seguire da ogni parte le tracce di questo edificio. Ma V esito 
fu negativo, essendosi trovato che quasi tutto era stato scon- 
volto e distrutto; allorquando il campo fa posto a coltura. 
Air incontro col materiale di sterro si levarono vari residui 
^di pietra lavorata: una base di colonna, un capitello d'ordine 
dorico, due grandi pesi ed alcuni gradini; moltissimi pezzi di 



414 



mAttoni, tegole, embrici, e monete enee di Vespasiano, Domi- 
ziano^ Traiano, Adriano e Costantino, che per il lor infimo 
grado di conservazione non possiamo descrivere. Sai laterizi 
si riscontrarono le seguenti marche di fabbrica: 



1. 



PANSJBVIBI 



Lettere in rilievo alte mm. 20. Terra rossa, tegola. C. 1. L, 
V, n. 8110, 1. 

Un secondo esemplare presenta sotto il nome, entro un 
quadrato, la figura di un' ancora fatta in rilievo. 



2. 



Q. CLobAlBRO è 



Lettere incise alte mm. 23. Terra giallastra, tegola. C. L L. 
V, n. 8110, 70. 



3. 



TCOELI 



Lettere in rilievo alte mm. 20. Terra di color pallido, 
tegola. C. 1. L. n. 8110, 64. 



4. 



CORN-AGA 
'E'T'FL'AOT 



Corneli Agathopus et Titi Flavi Agtetm. 

Lettere incise alte mm. 13. Terra rossiccia, tegola. Di 
questa marca si trovarono esemplari ad Aquileia e nella Dal- 
mazia. C. /. L. V, n. 8110, 72 e HI n. 3214, 4. 



6. 



EVAEI8TI 



Lettere incise alte mm. 22. Terra rossa, tegola. Esemplari 
con questo nome furono trovati a Trieste, nelP Istria, ad Aqui- 
leia ed altrove. C. /. L. V, n. 8110, 80. 

L-S-IUSt 



6. 

Lettere incise alte mm. 
V, n. 8110, 137. 



Terra rossa, mattone. C J. L. 



416 

Carattere corsivo, lettere impresse col dito. Terra pallida; 
tegola. 

Molto spesso accade di osservare vestigi di abitazioni 
romane in tiitte le parti della città e nelle contrade suburbane. 
Cosi, secondo le informazioni che ci furono fomite da persone 
degne di fede, nel 1877 prolungandosi la via Amalia, nei fondi 
CoUioud, vicino alla via della Pietà, vennero scoperti alcuni 
muri ed un tratto di pavimento di mattoncelli disposti a spiga 
e trovata una bella lucerna fittile aretina, ora in possesso del 
civico museo, la quale presenta in rilievo la figura comica di 
una scimia, che procedendo a destra porta una scala ed un 
vaso ed ha in capo un cappuccio, cucuMio, che scendendo a 
guisa di mantellina le copre il tergo. Cosi nel 1882 facendosi 
uno scavo nel piccolo giardino che è annesso alla casa n. 22 
di via S. Michele, si rilevò un pavimento musivo bianco con 
cornice nera. 

Nel 1885 in piazza della Stazione, durante la costnizione 
del palazzo Economo, neir area destinata pel giardino, al li- 
mite di tramontana, si misero a giorno dei muri ed un ampio 
pavimento di mosaico bianco e vi si rinvennero molte monete 
romane di bronzo, alcuni oggetti di metallo e di terracotta, 
fra i quali un mattone grande cm. 41x28 e grosso cm. 6, 
che da un lato è munito di tre protuberanze, e con lettere in 
rilievo alte mm. 22-25 ha la marca: 



IMP.ANTOAVGPI 



della quale già altri esemplari vennero raccolti a Trieste. Cfr. 
C. I. L. V, n. 8110, 30. Trattasi delle rovine di un edificio 
che giaceva presso alla spiaggia del mare, lunghesso alla 
quale in vicinanza altri Éincora ne sarebbero esistiti; uno di 



416 

questi, a qaanto ci narrano, sull^ area ora occupata dal palazzo 
Kalister, nella stessa piazza della Stazione, essendosene vedute 
le tracce qnando si fece lo scavo per le fondazioni. 

Avanzi d'una casa vennero trovati nel 1891, nella con- 
trada di Rozzo!, nel cosiddetto prato del canicida^ sullo spazio 
ove presentemente sorge T ippodromo di Montebello. Fra le 
altre cose si rinvennero qui un' ansa di vaso di bronzo con 
bella maschera muliebre, un asse semi-onciale della repubblica 
romana ed un bronzo mezzano dell' imperatore Callig^a, bat- 
tuto Tanno di C. 37, il quale sul diritto ha: C. CA£SÀR 
AVG. GERMANICVS PON. M. TR. POT e la testa nuda del 
principe volta a sin. e sul rovescio: VESTA S. C. e l'ima- 
gine della dea Vesta, che è seduta a sin. e tiene una patera 
ed uno scettro. Questi oggetti furono donati al museo dal chiar* 
ingegnere dott. Eugenio Gairinger. 

Nella contrada di Sta Maria Maddalena superiore, tra 
l'antica via di Fiume e quella dell'Istria, entro la cinta del 
nuovo ospitale per le malattie contagiose, e propriamente ra- 
sente il muro Nord Est della camera mortuaria, a circa mezzo 
metro sotto la superficie attuale, nel novembre del 1894, com- 
parve alla luce un pavimento musivo bianco con doppia cor- 
nice nera, composto di piccolissime pietruzze accuratamente 
connesse, ed un tratto di muro grosso cm. 46, che formava 
uno dei lati d' una stanza e che dalla parte intema conservava 
ancora la sua stabilitura. Tutto il rimanente sembra essere 
stato distrutto già in passato per impiantarvi viti ed olivi. 
Alcuni pezzi dell'intonaco parietale presentano ancora molto 
bene distinti fogliami e rabeschi su fondo rosso cupo. 

Rovine di costruzioni parimenti d' epoca romana furono 
scoperte nel 1896 nella realità del cav. Giuseppe Basevi, altri- 
menti chiamata Bosco Pontini, in quella parte ove sorge lo 
stabile n. 1 di via S. Giusto. Vi si riconobbero due muri della 
spessezza di ben 76 cm. e quattro poderosi pilastri di fabbrica, 
residuo d'un portico prospiciente la via della Madonnina, il 
quale comprendeva un ambulacro largo poco meno che quattro 
metri ma privo di lastricato. Nel grosso strato di ruderi, che 
vi stava sopra, fu trovata un'anfora di laterizio segata per lungo, 
entro la quale era deposto uno scheletro di persona adulta in 



hi 

guisa che dal collo sortiva la testa, la qiiale probabilmente 
era una volta coperta da altro vaso, che andò in frantumi. 
Si rinvennero pure altre ossa umane, dalle quali comprendesi 
che anche questo fabbricato in epoca posteriore era stato ado- 
perato per sepoltura, e insieme con esse si raccolsero frammenti 
di vasi di terra e vetro e qualche moneta romana di bronzo. 
Nella parte più elevata della stessa realità si osservarono altre 
tracce di muramenti ed un antico canale, e qua e là furono rac- 
colte monete degl'imperatori, delle quali sono da mentovarsi 
due bronzi mezzani di Flavio e di Tito Vespasiano. Il primo co- 
niato nel 76 ha: dr. IMP. CAES. VESP. AVG. P. M. T. P. COS. VI. 
Testa con corona radiata a destra; e p. PELICITAS PVBLICA S. C. 
La Felicità ritta in piedi a sin. tiene un caduceo ed un cornu- 
copia. La seconda, che fu donata al museo, ha : dr. T. CAESAR 
IMP. COS. III. GENS. Testa con eguale corona a destra; é 
p. PELICITAS PVBLICA S. C. La Felicità nello stesso atteg- 
giamento. 

Neir aprile del 1896 vennero ritrovati avanzi di tombe 
romane tra la via del Molino a vento e la via delF Istria, 
nell'area che già fu parte della villa Bousquet e che venne 
quindi acquistata dal Comune per erigervi P edificio della scuola 
succursale di Kena nuova. Edotti da precedenti scoperte fatte 
a breve distanza da questo luogo e nello stesso podere, prima 
che si desse mano all'opera di livellazione del terreno, noi 
avevamo raccomandato di usare la massima vigilanza e di ri- 
chiamare la nostra attenzione su qualunque cosa avvenisse di 
osservare. Eppure molto era già stato distrutto e non pochi 
oggetti asportati, allorquando venimmo ad apprendere che 
s'erano messe fuori delle urne cinerarie. 

Proseguito allora lo scavo sotto la nostra direzione e 
praticate altre indagini, abbiamo potuto riconoscere le rovine 
di un grande sepolcro, consistente di un recinto quadrato, che 
nella fronte misura 62 piedi romani pari a 15 metri e nel 
fianco 40 piedi pari a metri 11-6. Nella tavola IX al n. 2 è 
indicata con linee marcate la pianta della tomba, laddove la 
linea tratto-punto segna il limite tra lo sterro eseguito per la 
livellazione e lo spazio che fa da noi esplorato, e la doppia 



418 

linea tratto-punto il viale, che dall' ingresso posto sul bivio 
formato dalle due vie predette introduceva nella villa Bonsquet 

I muri di cinta che di poco superano ancora la primitiva 
superficie del suolo, sono grossi circa 70 cm. e da ambe le 
parti rivestiti d'intonaco. Il vano d'ingresso trovasi nel lato 
di mezzogiorno, che fronteggiava l'antica strada, la quale a 
nostro avviso dovrebbe coincidere colla presente via dell' Istria 
o soltanto di poco scostarsene. Non era sito nel mezzo, ma a 
destra del riguardante, metteva dapprima in un androne o 
vestibolo lungo tre metri, sopra del quale sarebbe sorto il 
monumento, come ci pare di argomentarlo dallo zoccolo dei 
muri che ha la spessezza di oltre due metri. Entro il recint-o, 
lungo il muro della fronte e quello di ponente vedevasi ancora 
conservato un ambulacro, largo circa quattro metri, il quale 
aveva un selciato di ciottoli messi in cemento ; laddove il rima- 
nente della tomba era distrutto. E del pari era stato già in antico 
manomesso il sotterraneo riservato ai defunti, ma non frugato 
per ogni dove. 

Nel recinto si rinvenne: 

1. A metà circa della distanza tra l' ingresso ed il muro 
opposto, ma più vicino al lato di levante, presso a poco a mezzo 
metro di fondezza sotto il piano deir acciottolato, un' arca 
o cella di opera laterizia, grande m. 1*9 X 09 e con pareti 
grosse cm. 30, la quale conteneva delle ossa combuste, una lu- 
cerna fittile colla marca F0RTI8, tre balsamari oblunghi di vetro 
comune ed una moneta di bronzo di mezzana grandezza 
dell'imperatore Claudio I, 41-54 d. Or., che ha nel dr. TI. 
CLAVDIVS CAESAR • AVG. P. M. TR. P. IMP. e la testa nuda 
del principe volta a sin., e nel p. LIBERTAS AVGVSTA S. C. e la 
Libertà ritta in piedi in atto di protendere la mano sinistra 
e di tenere nella dritta un berretto. In altro punto dello stesso 
sepolcro fu trovato un secondo esemplare di questa moneta, 
che offre una variante nell' iscrizione del lato principale, es- 
sendovi aggiunte le lettere P. P. equivalenti a pater pairiae. 

2. Presso al lato di levante tra l'arca e l'ingresso del se- 
polcro un'urna di pietra calcare, di forma cilindrica, alta cm. 47 
e del diametro di cm. 38, con coperchio della stessa pietra^ la 
quale conteneva soltanto le ossa e le ceneri del defunto. 



419 

3. Vicino alla stessa un* urna simile alla precedente, alta 
cm. 36 e del diametro di cm. 29, con coperchio, nella quale 
oltre i residui della cremazione erano chiusi due unguentari 
di vetro comune, uno oblungo, l'altro sferico. 

4. Nel tratto posto tra il muro del vestibolo ed il lato 
di ponente del recinto, sotto l'acciottolato, tre olle cinerarie 
di terra infrante; e col residuo della cremazione due lu- 
cerne fittili, una colla figura in rilievo di un amorino che 
tiene un delfino per la coda, l'altra colla marca PRONTO, 
vari pezzi di vetro comune e frammenti d' una ciotola di vetro 
azzurro, una fibula di bronzo del tipo predominante nel primo 
secolo dell'impero, una lamina di bronzo ed una seconda di 
ferro con bullette di bronzo, alcuni chiodi di ferro ed un 
bronzo mezzano coli' effigie dell' imperatore Domiziano, 81 - 96. 

5. Tra il muro opposto all'ingresso e l'arca, le ossa cre- 
mate giacevano nella nuda terra e vicino ad esse furono trovati: 
un bronzo mezzano dell' imperatore Flavio Vespasiano, battuto 
nell'anno 74, il quale ha nel dr. IMP. CAESAR VESP. AVG. 
COS. V. GENS, colla testa laureata a destra, e nel r. S. C. e 
la Speranza che procede verso sinistra sollevando la veste e 
tenendo un fiore ; due altre monete dello stesso metallo molto 
corrose, un grande unguentario di vetro comune e due a ventre 
rigonfio fomiti di ansa e con bocca trilobata, un vasetto in- 
franto, pure di vetro, con coperchio, tre chiodi, un coltellino 
e due grappe di ferro, un ago da cucire ed un stilo di bronzo, 
un pezzo di guarnizione da cintura con anello in argento, e 
due piccoli vasetti di bronzo fatti alla foggia di piede umano, 
i quali, mediante perni di ferro, ancor visibili, dovevano aderire 
a qualche altro oggetto ed essere destinati a ricevere aghi, 
stili e simili. Ma la scoperta di maggior momento è quella di 
un calamaio, che consta di due vasetti di bronzo cilindrici, 
alti mm. 44 e aventi un diametro di mm. 23, 
i quali una volta erano attaccati cosi da 
formare un solo oggetto. Il disco che ser- 
viva da coperchio doveva essere applicato 
su un tappo di legno o di severo, che in- 
trodotto nel vasetto teneva il coperchio 
bene aderente, impedendo che il liquido 




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trapelasse e agevolando il 
pulimento del vaso stesso. 
Ciascun coperchio ha nel 
mezzo un'apertura circolare 
per la quale intignevasi la 
penna, e che a sua volta 
era provveduta di proprio 
coperchiello, il quale fer- 
mato da una parte mediante 
cerniera, veniva dall'altra 
tenuto chiuso mercè una la- 
minetta, che movevasi toc- 
cando una pallottolina posta sopra il coperchiello e della quale 
vedesi ancora il perno. La superficie estema del calamaio è 
riccamente decorata; come si può rilevare dal disegno che qui 
riportiamo. Presenta tre fascio damaschinate in argento, le 
estreme adorne di cosiddette onde marine, quella di mezzo 
d'un serto d^ edera e tra una fascia e l'altra corre in giro una 
listella d'argento. Fregiano il coperchio due comicette dama- 
schinate in argento con onde marine che comprendono una 
zona, nella quale scorgonsi ancora gli avanzi di un viticcio 
d' oro, che vi era incastrato. Entro i vasetti si trovò H residuo 
dell' atramento od inchiostro nero, che venne sottoposto ad 
analisi chimica, ma senza alcun effetto, avendo subito l'in- 
fluenza del recipiente metallico ed essendosi mescolato col 
terrìccio. Accanto al calamaio furono rinvenute pure due penne 
di ferro, formanti un pezzo solo coli' assicella del manico, il 
quale è guarnito di anelletti di bronzo. 

6. Fuori del recinto si scopersero altre sepolture. Alcuni 
metri lontano dall'ingresso un' olla cineraria di terra contenente 
oltre gli avanzi della cremazione; un unguentario oblungo di 
vetro comune. 

7. Accanto al muro di ponente altra olla fittile, entro la 
quale era deposto un ciottolo, un chiodo di ferro ed una mo- 
neta di bronzo di modulo mediocre, uguale a quella descritta 
di sopra al n. 5. 

8. Presso al lato di levante ossa cremate deposte nella 
nuda terra, alcuni cocci di fattura aretina, pezzi di un'ampolla 



421 

vitrea ed il seguente bronzo mezzano delP imperatore Traiano 
98-117: dr. IMP. CAES. NERVAE TRAIANO AVG. GER. DAC. 
P. M. TR. P. COS. V. P. P. Testa laureata del principe a destra; 
r. S. P. Q. R. OPTIMO PRINCIPI S. C. L'imperatore a cavallo 
atterra un nemico. 

9. Poco lontano dal muro di tramontana, avanzi di un 
cadavere inumato, due chiodi di ferro, pezzi di piombo, fram- 
menti d'una scodella e d'un urceolo di argilla. 

10. Poco discosto dal precedente un' oUa cineraria di terra 
con entro gli avanzi della cremazione, due unguentari oblunghi 
di vetro comune e cocci di vaso aretino. 

11. Alquanto più a levante sulla linea tirata in continua- 
zione del muro postico del recinto, un'olla cineraria di terra 
infranta, quattro chiodi di ferro, una ciotola di terra, rottami 
di ampolle vitree ed un unguentario deformato dal fuoco. 

La terra al di là di questa tomba, per un grosso strato 
conteneva una tale quantità di ossa e di altre sostanze bru- 
ciate, che noi non esitiamo punto a riconoscervi Vustrinum, vale 
a dire il luogo ove praticavasi la solenne cremazione dei cada- 
veri e la raccolta delle ossa, ossilegiumj che chiuse nelle urne 
o senza altro apparato, venivano quindi deposte nei sepolcri. 

Riteniamo che se ci sarà permesso di proseguire l'esplo- 
razione, potremo quanto prima segnalare altre e non meno 
interessanti scoperte nei fondi della villa Bousquet. Ne abbiamo 
fidanza, perchè nella medesima furono avvertite altre tombe, 
allorquando dietro alla casa, più verso S. Giacomo, avanti 
quindici anni, venne aperta la strada che congiunge la via 
dell'Istria con quella del Molino a vento. Si rinvenne allora 
il cippo sepolcrale che il chiarissimo ingegnere Federico Angeli 
donò al museo di antichità e la cui epigrafe ora per la prima 
volta pubblichiamo. 

Q'A,fe'SEC'ET 
WTITI^ AB 
IN'FR- P- L 
IN'AGR'P'XXX 

Il cippo è di pietra calcare d' Istria, alto cm. 43, largo 
cm. 33 e grosso cm. 16. 



422 

Nella località detta degli Schillanì, poco lungi dalla villa 
del Cacciatore, std versante che prospetta Monte Bello, dietro 
la casa n. 172, di Antonio Schillan del fa Andrea, sopranno- 
minato Loia, in mi campo del medesimo, il giorno 29 di maggio 
del 1896, alla fondezza di quasi un metro, fu scoperta una 
tomba costruita di mattoni e lastre di pietra, in forma di 
sarcofago, nella quale giaceva uno scheletro umano col capo 
a settentrione, e presso di lui un vasetto di argilla infirantx) 
e nove monete enee di mediocre grandezza dell'imperatore 
Massenzio, 306-312, delle quali una ha al rovescio Castore e 
Polluce coi loro cavalli e la leggenda AETEBNITAS AVO. N. ; 
quattro hanno la figura di Boma seduta nel mezzo d'un tempio 
e CONS£RV. VBB. SUAE, e le altre tre la stessa leggenda ma 
invece Roma che viene coronata dalla Vittoria, la quale poggia 
un piede su d'un prigioniero. Un pezzo di tegola, di terra 
molto rossa, presenta in rilievo le lettere alte mm. 20: 



oìsif;',(Lcei 



Un frammento di questa stessa marca viene ricordato dal- 
l'Ireneo ed è riportato dal Mommsen nel C. L L. V, 
n. 1810, 186. 

Alberto Paschi 






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.BIBLIOGRAFIA 

Gr. Sergi, Africa, antroj}ologia della stirpe camitica 
con 118 figure e una cai-ta. Fratelli Bocca, Torino, 18U7. 



Or fa un anno in un piccolo libro, che però ha già avuto 
P onore d'esser tradotto in tedesco,^) l'illustre antropologo di 
Roma ci presentava i suoi studi sulla famiglia mediterranea, 
e ci diceva che l'origine di questa famiglia era da ricercarsi 
nell'Africa. Nel presente volume il Sergi tenta di ricostruire 
la stirpe, che ha occupato fino da antichissimi tempi e occupa 
tutt'ora quel continente. 

Coloro che sanno, che T antropologia per mancanza d'un 
metodo razionale e naturalistico non aveva dato risultati sod- 
disfacenti, certamente non si meravìglieranno, se cosi accadeva 
anche per l'antropologia africana. Le migliori classificazioni 
erano a base linguistica, ma queste non possono essere esatte, 
perchè le lingue mutano, come mutano i costumi. Una classi- 
ficazione a base fisica non era stata mai fatta; ed il caos era 
tale, che pareva non vi fosse speranza di farne una. 

L'autore adopera il suo metodo nuovo,*) d'alcuni anni 
iniziato, e da molti già adottato.^) In questo egli distingue i 

^) 6. Sergi, Orìgine e diffusione della stirpe mediterranea, Roma, 
Società editrice Dante Aliglieri, l&i)b. Ursprung und Verhreitung dea mit- 
telUindischen Stamines tìbersetzt v. Dr. A. Byham, Leipzig, 1897, W. Friedrich. 

') G, Sergi, Varietà umane, principi e metodo di classificazione ^ "Atti 
della Società Homana d^ antropologia^ , voi. I, f. 1, 1893. 

') Vedi: Moschen, Mingazziui, De Biasio, Cascella, Ardu- 
Omnis, Vram, Niceforo. Anche fuori d^ Italia hanno accettato o con- 
siderato importante il nuovo metodo del Sergi; vedi HSlder, Nftche, 
Anuccin, Martin, Llssaner ed altri. 



424 

caratteri fisici dei popoli iu due principali categorie, cioè: in 
caratteri primari^ che sono gli scheletrici, e fra questi primeg- 
giano quelli del cranio e della faccia; e in secandan, che son 
quelli del tegumento, pelle coi suoi colori, barba, capelli, forma 
e colore, colore dell'iride. A questi due caratteri principali egli 
aggiunge una terza serie di caratteri, che chiama iniermedU, 
che corrispondono alle differenti forme di sviluppo muscolare 
e ad altri fatti accessori, nella faccia specialmente, naso, bocca, 
labbra, forme orbitali ecc. Stabilisce per mezzo di una serie di 
fatti e di numerose osservazioni, che i caratteri primari, spe- 
cialmente quelli del cranio e della forma facciale, sono inva- 
riabili nel tempo e nello spazio, né soggetti ad influenze di 
qualsiasi genere che non sia patologico, mentre i caratteri se- 
condari sono soggetti a variazioni, secondo il clima, l'altitudine, 
l'alimentazione ecc., cosi anche gì' intermedii. 

Dopo di ciò l'autore passa a studiare un popolo, cioè 
r egiziano antico e moderno; e dopo aver constatato in questo 
alcuni tipi caratteristici, studia altri gruppi di popolazioni nel- 
l'Africa per vedere se quei caratteri^ ch'egli ha trovato nel 
popolo egiziano, si trovino anche negli altri popoli. 

Cosi ha constatato, che malgrado la differenza di colore 
nella pelle, di qualche differenza di forma nei capelli e nella 
barba, i caratteri scheletrici della faccia e del cranio s'incon- 
trano in tutte le diverse variazioni nei seguenti popoli: Egi- 
ziani, Nubi, Begia, Abissini, Scioani, Galla, Danachili, Somali, 
Massai, e Wahuma, che costituiscono il ramo orientale della 
stirpe camitica, e nei Libi e Berberi, del ramo settentrionale 
contenuti nelle popolazioni non arabiche di Tripoli, di Tunisi, 
del Marocco, del Sahara, nei Tebu e nei Fulbi, e infine in 
quelli delle isole Canarie. 

Tutte queste popolazioni formano oggi tante nazioni con 
molti caratteri esteriori propri e particolari, ma con caratteri 
scheletrici convergenti e che dimostrano l'unità dell'unica stirpe, 
divisa e diffusa nella grande zona d'Africa che dall'Atlantico 
va al Mare indiano, dal Mediterraneo fino all' 8^ latitudine sud, 
dalla parte orientale, e fino all'8<^ latitudine nord dalla parte 
occidentale, *un' immensa regione superiore a quella occupata 
dall'altra stirpe inferiore, cioè la negra. 



425 

Essendo penetrata qua e là fra la stirpe superiore la stirpe 
inferiore o negra si sono prodotte delle mescolanze, ma colà ove 
trovansi questi elementi inferiori è facile riconoscerli per le 
forme ibride che ha prodotto la mescolanza. 

Anche gli elementi arabi sono separati dagli altri, benché 
numerosissimi, fra mediterranei e nel Marocco. 

Questa stirpe alla quale Fautore conservò il suo vecchio 
nome di camitica, contiene molte forme craniche {EUipmdes, 
Pentaganoides, Owides, Sfenaides;*^) meno numerosi i ParaUdepi- 
pedoidesj Platicefali ed i Trapezoidi) che sono variazioni del tipo 
primitivo della stirpe e molte forme facciali; anche come va- 
riazioni distinte e chiaramente ereditarie (le forme faccicJi sono : 
ovoidali^ ellissoidalij tetragonali^ triangolari e pentagondli). Queste 
forme come vedesi dalle figure dimostrative dell'opera, sono 
diffuse in tutta la distribuzione geografica della stirpe. 

L' autore considera queste variazioni come varietà di 
specie, perchè esse sono ereditarie e si conservano fin da epoche 
immemorabili, e denomina quindi la stirpe camìtica, specie 
Eurafricana, perchè la trova in Africa, come ce l'ha presen- 
tata in quest'operai e la trova anco in Europa, come dimostrerà 
in una prossima sua opera ch'egli ci promette. 

Eurafricana, questo nome non è certamente nuovo agli an- 
tropoioghi. Brìnton e £eane hanno denominato rasasa Eurafri- 
cana tanto questa dell'Africa studiata dall'autore che quelle tutte 
dell'Europa. Essi però hanno confuso tutti i popoli europei nella 
loro razza, mescolando Celti, Slavi ed altri che hanno differenti 
caratteri fisici interiori o scheletrici. L'autore accetta dunque 
il nome, ma non accetta i popoli dagli altri compresi sotto 
questo nome, e di più egli dà il nome di specie e non di razza. 

Per quanto riguarda gli elementi fisici intemi o schele- 
trici, Fautore si è servito della ricca collezione ohe si trova 
al museo d^ antropologia dell'Università di Boma, per lo studio 
delle fisonomie sul vivo si è servito di fotografie originali di 
molti viaggiatori italiani ed esteri. 

Ugo G. Vram 



*) Della varietà Sfenoides proprio dell* Africa non v'ò che Io Sphenoidn 
tiégyptiaeus s* Stenomttopui e nelle Canarie lo Sph. canarieneis. 



^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^PiOiS,0%%CW 



RELAZIONE 

DELL'ANNATA LXXXVI DELLA SOCIETÀ DI MINERVA 

letta dal Presidente 

Dott LORENZO LORENZUTTI 

nel Congreeao generale del 1^ Luglio 1896. 



Onorevoli Signori/ 

Compiutosi 1' ottantesimo sesto anno di esistenza della nostra 
Minerva, permettete che, come mi corre V obbligo, di esso vi ricordi 
ora brevemente la storia. Fin dalle prime dirò francamente che non 
fu segnalato da particolari avvenimenti ; che nulla di straordinario 
accadde che toglier od accrescer potesse alla nostra istituzione qnel 
lustro e quella importanza, eh' ella aveva in precedenza raggiunto. 
Tuttavia, V operosità di lei nel recentissimo periodo eh' ella percorse, 
non va reputata cosi fiacca, come forse, ar primo entro, altri po- 
trebbe ritenere; che, se nuovi fatti e di ragguardevole portata per 
lei non vi si avverarono, non sono davvero a dimenticare alcuni, 
che seme esser potrebbero di cose nobilissime in non lontano avvenire. 
Ma prima che di queste vagheggiate speranze io v' intrattenga, siami 
concesso riferirvi succintamente la cronaca de' fatti ormai compiutL 
£ per riepilogarla, accennerò innanzi ogni altra cosa^ che^ scaduto 
alla fine della annata precedente il mandato dei direttori Nabile e 
Pepeu, ed avendosi a rimpiazzare il compianto dott. Pervanoglù, 
trapassato alla fine del dicembre 1894, vennero chiamati a far parte 
della direnione il signor Oiuseppe Caprin, ed i prefati due signori 
uscenti di carica. Completata per tal modo la rappresentanza del 
noBtro sodalizio, si ricostituiva ella riaffidando a ciascuno dei suoi 
membri le mansioni dell' anno prima, e deputando il neo-eletto signor 
Caprin nel collegio dei censori. Poi, senza frapporre indugi, si ebbe 
a discutere da essa e dei provvedimenti da prendersi per aumentare- 



427 

il Domerò dei soci, e delle pratiche da farsi per assicurarci lettori 
e conferenzieri per il nuovo ciclo di trattenimenti scientifico-letterari, 
e dell'opportunità di aprire per soci e non soci un corso di lingua 
e letteratura italiana, da tenersi da distinto professore dall' estero. 
Pur troppo né questo giustissimo desiderio, né quello di provvedere 
convenientemente ali* aumento de' soci, poterono essere tradotti in 
atto, fo anzi giuocoforza studiare novamente e profondamente cosi 
fatte quistioni ; e questi studi condussero poi la vostra direzione a 
deliberazioni, onde da qui a poco sarò per toccare. Frattanto 1' egregio 
direttore dott. Alberto Boccardi si dette, con la sua consueta sol- 
lecitudine, ad accaparrare lettori e conferenzieri, né scarse si ebbe 
egli le promesse ; sventuratamente anche sta volta però parecchie 
dileguarono. Nullameno non si attenua in noi quel debito di grati- 
tudine, che abbiamo all'egregio Boccardi, per la zelante opera sua, 
strenua tanto più quanto maggiori le difficoltà che gli si pararono 
dinanzi, e perciò appunto tanto più commendevole. 

Nel mentre queste pratiche e queste cure della vostra dire- 
zione ancor continuavano, tristi eventi si venivano avanzando a 
portare irreparabili dolori agli animi nostri, al cuore affettuoso e 
riconoscente della nostra Minerva. — Onorato Occioni, che a Trieste 
due volte era stato docente ammiratissimo ; Onorato Occioni^ che da 
Trieste, sempre memore di lei, sempre a lei legato da amor quasi 
figliale, era passato professore all' antichissima Università di Padova, 
e poi a quella della Sapienza in Roma ; Onorato Occioni, che pochi 
anni addietro dalla Città Etema aveva dedicato al nostro Attilio 
fiortis quel peregrino suo carme dal titolo : Vecchio e Nuovo, non 
doveva più far ritomo fra noi ! Ai 10 di novembre '95, fulminato da 
subitaneo, violentissimo insulto apoplettico, reclinava egli il capo al 
sonno della morte, inopinatamente, in un'aula della romana Uni- 
versità, dove, omato della toga professorale, aveva appena appena 
terminato di esaminare un candidato al magistero di belle lettere ! 
Io a Voi, che tutti conosceste quell' insigne, non tenterò neppure di 
ricordare né i simpatici e gravi lineamenti di lui; né le sue prime 
vicende nella natia Venezia, né passo passo tutta quanta la sua 
carriera d' insegnante, né i lavori letterari per cui, già da pezza, era 
a lui venuta fama intangibile di uno de' più valorosi scrittori italiani 
della nostra età ; né rammenterò di nuovo il costante e grandissimo 
affetto che portava alla città nostra ed al suo Ginnasio comunale ; né vi 



488 

ripeterò in quale concetto qnesti cittadini, e specie coloro che avevano 
avuta la bella ventura di esser stati saoi discepoli, lo tenessero; 
né ridirò a voi anco una volta di qual dolore qui fosse cagione la 
sua inesorabile dipartita ; mi limiterò invece ad accennare come la 
nostra Minerva, ali* improvviso annuncio della perdita di qaesto 
illustre suo consocio onorario, per deliberato unanime della sua 
direzione, si condolesse profondamente con la famiglia e coi colleghi 
dell' estinto, com' ella pregasse il magnifico Rettore della Sapienza a 
volerla rappresentare ai funerali, com' ella deponesse su quella 
lagrimata bara memori fiorì, com* ella decretasse che, nel trigesimo 
dalla morte di lui, qui se ne avesse ad onorare la memoria con 
solenne orazione di Attilio Hortis. £ questo pietoso voto della vostra 
diresione ebbe di&tti suo compimento la sera dei 10 del seguente 
dicembre, ma non in quest'aula, troppo angusta a tal cerimonia, 
bensì in quella assai più capace della Società filarmonico-dramatica, 
con isquisita e prontissima gentilezza all' uopo concessa da quella 
benemerita Direzione. Fu li adunque, in quella sala, che, dopo brevi 
parole pronunciate per la mesta ricorrenza dal presidente della 
Minerva, fu li che Attilio Hortis disse quella sera deUa vita e 
delle opere di Onorato Occioni, tutto quanto la vivissima memoiia 
e l' affetto grande e perenne di lui gli vennero opportunamente sug- 
gerendo ed inspirando. 

E più lungamente, com' era naturale, e con più minuti dettagli, 
s* intrattenne su quanto il suo maestro aveva operato fra noi, specie 
poi intomo alle sue cure per dar vita rigogliosa, efficace e nobilis- 
sima al nostro Ginnasio comunale. Prossimo a chiudere il suo splen- 
dido discorso, rammentò come, pochi anni prima, 1' Occioni, venuto 
a passare le sue vacanze qui, presso 1' egregia famiglia Valerio a 
lui congiunta, aveva partecipato con la più schietta esultanza alla 
festa dei 26 anni della fondazione di quell* istituto a lui ed a noi 
pure carissimo, rinnovando per esso nell' aula stessa, che ora echeg- 
giava delle postume lodi di lui, e che in altri tempi aveva risonato 
della sua voce celebrante i primi fasti del Ginnasio, e l' imperituro 
Alighieri nella solennità Dantesca del 1865, rinnovando per la pro- 
sperità di quello voti ed auguri, quali il suo cuore sentiva, e con 
1' elettissima parola eh* egli sapeva. 

Ora fra le doriche colonne dell' atrio del Ginnasio si erge mar^ 
moreo busto che ritrae i severi lineamenti dell' Alighieri ; e V Hortis, 



429 

terminando, tra quelle forti colonne riconduce il suo amato maestro, 
e questi si sofferma in faccia al simulacro dell'altissimo poeta, lo 
fissa, poi guarda intomo ogni sciagura indi deprecando ! 

La commozione, l' entusiasmo fiao allora repressi erompono 
improvvisi ; il primo cittadino di Trieste, e con lui tutto V uditorio 
sorgono quasi di scatto, e con memorando applauso attestano rico- 
noscenza ed ammirazione indelebili all'illustre commemorato ed al 
suo degno commemoratore ! 

Prima che del 1895 sonasse l' ultima ora, era fatale un' altra 
esistenza, a noi tutti carissima, avessesi a spegnere. Giglio Padovan, 
affranto da lunghissima e tormentosa malattia, vi soccombeva nella 
notte dai 30 ai 31 dicembre, e la mattina del 1.^ gennaio la salma 
di lui veniva trasportata in Sant'Anna. Era una mattina mite, serena, 
splendida; oh come la bellezza di quelle prime ore dell' anno novello 
contrastava col lugubre dolore di tanta parte di questi cittadini ! 
Oh come la bellezza di quel primo giorno esser doveva prova novella 
dell' ingannevole apparenza delle cose, e come spesso ai lieti auguri 
ed ai confortevoli presagi non succeda che amarissimo lutto I 

Lungo stuolo segui mesto e commosso quel feretro alla chiesa 
del Taumaturgo, ed indi al cimitero. Fatale coincidenza I L' anno 
prima, in quel giorno medesimo, gli stessi cittadini avevano accom- 
pagnato alla tomba Pietro Pervanoglù ; al sorgere di questo vi scor- 
tavano il povero Oiglio : insigne cultore delle patrie storie quegli, 
questi insigne scrittore nei vernacoli di queste terre ; ambedue lustro 
ed onore della natia Trieste e di questa nostra Minerva ! Celebrate 
le ultime esequie, il feretro veniva deposto innanzi al pronao della 
cappella del campo santo, ed ivi il preside della Minerva dava 
1' estremo addio al nuovo perduto, ricordando con brevissime parole 
1' operosità letteraria di lui, le virtù della sua vita integra ed illibata. 
Ma né quel saluto, nò quel cenno, né una pietosa elargizione po- 
tevano essere 1' estreme onoranze al caro trapassato ; altri doveva 
ricordarlo, ed in modo che degno veramente fosse di lui, ai consoci 
della Minerva ed ai concittadini. Epperò, officiato 1' egregio Giulio 
Piazza a volersene incaricare, saliva egli la nostra cattedra la sera 
dei 12 marzo a tenervi la disiderata mestissima commemorazione. 
£ vi si accinse con cuore di cittadino e di amico, e con intelligenza 
di artista, chò e del carattere mite e gioviale, e dei sentimenti e 
delle aspirazioni e dell' opera patrìotica del povero Giglio, egli seppe 



430 

offrire un' immagine viva e brillante, addacendo aneddoti della sua 
vitaj e riportando, e opportunamente illustrando, brani delle poesie 
vernacole di lui, e delle sue traduzioni dello Shakespeare, e de^ 
suoi epigrammi e delle sue epigrafi. 

Il discorso del Piazza non fu un funebre elogio, non una mi- 
nuziosa biografia, non una critica pedantesca delle produzioni let- 
terarie del trapassato ; fu piuttosto ritratto verissimo di lui e del- 
r ambiente, e del tempo in cui visse ; un ritratto diligentemente 
miniato con tinte gentili, punto adulatorio, e piacevolissimo si che 
tutta quanta V adunanza di quella sera fosse unanime nel giudicarlo 
grazioso e vero del pari, e nel professare la più schietta ricono- 
scenza e la più sincera sodisfazione al suo felicissimo autore. 

Addi 3 novembre '95 moriva in Padova, avanzato negli anni 
ed avanzato in nobile &ma, il prof. Giuseppe de Leva, che, decenni 
addietro, era stato ascoltatissimo maestro di storiche discipline anche 
a molti dei nostri concittadini, onde in oggi Trieste particolarmente 
si onora. All' annunzio fatale la Minerva prontamente facevasi in- 
terprete del dolore sincero e profondo, che da qui rispondeva a 
quello della patria dell' estinto, e della studiosa città, ove egli aveva 
passata la miglior parte di sua vita, insegnando dalla cattedra e 
con dottissimi scritti. 

Non ha guari scoprivasi in Sebenico lapide ricordante che ivi 
era nato quel Nicolò Tomaseo, che fu uno de' più illustri letterati 
d' Italia del secolo che declina, e la Minerva sollecitamente partecipò, 
con riverente e memore saluto, a quella manifestazione della incan- 
cellabile gratitudine dei posteri a quel celeberrimo figlio della 
Dalmazia. 

Accennato con queste poche parole alle meste onoranze, che 
la vostra Direzione, in nome della nosti'a Minerva, ebbe a porgere, 
od alle quali ebbe ad associarsi negli ultimi tempi, ini corre ora 
1' obbligo di dar qui pubblica e solenne espressione di cordoglio per 
la morte di quella illustrazione della scienza e delle lettere, che si 
fu Cristoforo Negri, il quale, già molti anni or sono, era stato 
sggreg&to, qual membro onorario, a questa nostra associazione. 

A petto di questi funerei ricordi un solo di lieto ho a notare, 
quello, cioè, della partecipazione della Minerva alla festa accademica, 
onde OioBuè Carducci fu meritamente onorato nella sua Bologna ai 
9 febbraio a. e, quando vi ebbe a compiere trent'anni d' insegnamento. 



431 

Ciò detto, siami ora lecito passare in rapidissima rassegna le 
varie letture, onde la nostra cattedra ebbe ad andar lieta ed onorata 
nelle stagioni invernale e primaverile testé scorse. Oltre alle dae 
commemorative^ piii sopra accennate, altre otto ne farono tenute. 
Prima per ordine di tempo va ricordata quella del prof. Emilio Sil- 
vestri, dal tema: Amleto. Esordi asserendo che i confronti anziché 
odiosi sono istruttivi ; e considerando la differenza del teatro Sha- 
kespeariano dair attuale. Parlando poi del suo protagonista, s' in- 
dustriò a dimostrare come questi, ben lungi dall' essere un pazzo 
od un mattoide, come molti lo vollero e molti tuttavia lo vorrebbero, 
è a ritenersi piuttosto quale filosofo che si addolora delle umane 
nequizie, e le disvela^ perchè sieno condannate^ né più si rinnovino. 
Ed a confortare questa sua tesi analizzò con acutissimo studio tutto 
il capolavoro del tragediografo inglese, soffermandosi specialmente, 
al soliloquio dell^ essere e non essere, che è di vero ragionatore, e 
non di un povero mentecatto ; e poi a quella gravissima riflessione 
che fa Amleto nel momento che si sente tentato ad uccidere il pa- 
drigno, per vendicare il proprio genitore. Se io lo uccido, prorompe, 
procuro a lui espiazione e salvezza dell' anima, e infliggo invece al- 
l' anima mia eterna dannazione ed il regicida resta impunito I Amleto 
non è che un grande sventurato, accasciato da supremi dolori ; é 
conscio dei delitti altrui e ne vorrebbe vendicare le vittime, ma, sul 
punto di farlo, obbedisce invece al bisogno di restar virtuoso. Sca- 
gionando cosi Amleto, polemizza egli con tutti coloro che deir in- 
felice principe di Danimarca vollero fare nuli' altro che un essere 
patologico degno di profonda compassione. Chiude la sua conferenza 
con un nuovo attacco a tutti quei moderni, che vorrebbero ridurre 
la scena ad ospedale ed a manicomio, ed augurando agli Italiani 
eh' eglino sappiano schermirsi dai perigliosi influssi d' una scuola 
iperborea, e che avvedutamente ritornino ai buoni insegnamenti della 
classica antichità! 

La sera dei 22 novembre 1896 saliva per la prima volta la 
nostra cattedra il dottor Aristide Costellos. Gh:eco di origine e di 
nazionalità, nato e cresciuto fra noi, e qui esercente avvocatura, 
cultore eziandio appassionato di studi letterari, s' era proposto di 
parlare sul tema : Romanticmno e modernità neUa poesia neo^ 
ellenica. Pigliò le mòsse dalle canzoni popolari della Ghrecia risor- 
gente, per giungere ai migliori poeti di lei rifatta nazione. Si 



432 

intrattenae particolannente sui fratelli Sossis, ani Valanritis, ani Solamos 
e sul Parnicos, ooservando che tanto questi, quanto altri ancora 
a clattrificare si abbiano tra i romantici. Avvertì che la scuola verista 
di altre nasioni non trovò ancora un' eco tra gli scrittori ellenici 
moderni^ la maggior parte dei quali, piuttosto che produrre cose 
originali, dedicano i loro ingegni a disquisisioni filologiche, non 
inopportune, al certo, ove si peasi che la Grecia va ora rìcostitaendo 
anche la propria lingua, riaccostandola via via sempre più alla 
classica dei tempi antichi. Parlò poi diffusamente anche del Snrìs, 
che publica un periodico settimanale satirico, il quale, seguitando a 
veder la luce, formerà, sensa dubbio, pregevole documento non solo 
della vita letteraria della Ghreoia moderna, ma benanco della storia 
politica di questa. Terminò, augurando che anche la letteratura greca 
non tardi .a mutar indirizzo, non avendosi a tenere i veristi delle 
altre nazioni siccome altrettanti degenerati, le cai audaci dottrine 
abbiano a nuocere, anziché a salutarmente giovare. 

In altra serata il prof. Michele Stenta trattò, con la grande 
competenza che gli è propria, della importantissima quistione delle 
attuali colonie europee. Accennato da principio a quelle dei Fenici, 
ed a quelle che i Greci antichi avevano stabilite in Asia e nell' Oc- 
cidente di Europa, e toccato di quelle medioevali dei Genovesi e 
dei Veneziani, venne a dire di quelle più recenti dei Portoghesi, 
degli Spagnuoli, degli Olandesi, e poi delle inglesi, e giù e giù fino 
alle più recenti dei Tedeschi e degli Italiani, ricapitolandone bre- 
vemente la storia. L'espansione coloniale è un bene perchè è stru- 
mento di civiltà, impulso ai commerci ed alle industrie, perchè 
valvola utilissima ad opportune emigrazioni da paesi soverchiamente 
popolati e non sufficientemente produttivi. Ma i coloni non hanno 
ad essere riguardati dalla madre -patria siccome schiavi, che la 
abbiano a nutrire magari col loro sangue, bensì qnali liberi cittadini 
parificati a quelli del paese natio. A rendere efficaci le colonie, cadano 
vieti protezionismi, sia accordato il libero scambio ; P Inghilterra non 
avrebbe perduti gli Stati Uniti soltanto, ove a queste idee non si 
fosse per tempo piegata ed informata. Gli altri paesi sappiano 
adunque imitarne V esempio, e così le loro colonie saranno fonti di 
ricchezza ai poveri emigrati, né questi brameranno il distacco po- 
litico dalla madre-patria; ma e questa, e la novella patria lontana, 
e gli indigeni degli occupati paesi saranno in fine una cosa sola, e 



433 

V equilibrio sociale sarà facilmente dappertutto assicurato. Queste le 
pensate e nobili idee dell* egregio oratore. 

Del romanzo tnedioevale straniero. Questo V argomento che 
la gentil signorina Vittoria Pardo — in arte Rina del Prado — 
erasi prefissa di trattare dinanzi al pubblico della Minerva, la prima 
volta eh' ella ad esso si presentava. Lo svolse, tratteggiando dapprima 
sommariamente i caratteri del romanzo dell'età di mezzo, venendo 
poi ad esaminare particolarmente quello del Cavaliere del leon ^ oro 
di Cristiano de Troyes, e quello del tedesco Sch&fPel, dal titolo : 
Ekkehardt, Lungi dal fare una disamina minuziosa, pedantesca 
dei singoli romanzi di quell' epoca, la solerte signorina Pardo 
volle darci un' idea precisa, una sintesi di quei componimenti, pren- 
dendo a scorta quello francese, originale del medio evo, e l'altro 
moderno, che dei tedeschi di quel tempo è fedele rip|pdnzione. 
Chiuse con un breve parallelo tra i romanzi di allora ed i moderni 
della scuola romantica da una parte, e dei veristi dell'epoca attuale 
dall' altra, non dissimulando sua minore predilezione per questi ultimi. 
Anco la via degli studi letterari non è scevra di difficoltà, e noi 
auguriamo di gran cuore alla nostra novella lettrice che tutte mano 
mano ella le venga superando^ come di molte e di gravissime ella 
seppe vincere fin qui, si che al sincero applauso, onde il pubblico 
la salutò in questa prima prova all' arringo della nostra Minerva, 
ella di sempre maggiori ne aggiunga, che la rimeritino delle nobili 
fatiche cui, con tanto ardore e con tanto desiderio di tornar altrui 
utile, ella si sommette. 

Giorgio Benedetti, professore di lingua e letteratura italiana a 
questa Accademia di commercio e nautica, accettava l' invito di 
parlare in seno alla nostra società, e per questa sua prima confe- 
renza sceglieva egli a tema quella vera gloria della gentile Pirano, 
che si fu Giuseppe Tartini. E disse di questo suo concittadino con 
affetto caldissimo e con profonda erudizione, si da meritarsi la 
miglior riconoscenza nonché dal pubblico della Minerva, dalla pro- 
vincia tutta dalle Giulie al Quamero. Giuseppe Tartini, nato a 
Pirano addi 8 aprile 1692, veniva destinato dal padre suo dapprima 
agli studi teologici, poi a quelli delle leggi. Ma il genio di lui, 
riluttante alle speculazioni ed agli ascettismi, rifuggiva del pari 
anche dalle pettegole contese e dai codici chiamati a comporlo ed 
a punirle ; il suo genio era creato per 1' arte, per quella, forse più 



484 

flublime di ogni altra, che À la musica. Fin da giovanetto, ancor 
prima di lasciare la casa patema, aveva egli cominciato a trattar 
V arco, e questo veramente dargli dovea gloria imperitura. Studente 
a Padova, scelse tra Temi ed Euterpe, ed a questa soltanto ai volse 
e si votò. Fu a Loreto, fu a Roma, ritornò a Padova, basse in 
Boemia presso un suo parente, e dappertutto raccolse nuovi, im- 
marcescibili allori, e come egregio esecutore, e come compositore 
efficacissimo. Oggi ancora, dopo due secoli, dopo tanto avvicendarsi 
di musicisti e di svariatissime scuole, si suonano le sue composi- 
2Ìoni, ammiratissima tra tutte quella del Icilio del diavolo, cbe im 
fantastico sogno gli aveva inspirata in una notte irrequieta, angosciosa. 

Tra le opere di teorica della musica resta ancor sempre am- 
miratissima quel suo "Trattato di musica secondo la vera scienza 
dell' arm<lliia„ (Padova 1754 per 0. Manfrè) e, come ancora mag^ 
giore suo vanto, resta quello della invenzione del terzo suono. 
Non mi toma possibile di dare più diffaso riassunto della erudi- 
tissima monografia del Benedetti ; mi auguro invece eh' ella non 
tardi ad essere publicata, e spero che cosi veramente avvenga per 
il giomo in cui a Pirano si scoprirà il monumento del Tartini sonito 
dal Veneziano Dal Zotto, perchè ella riuscirà la più chiara prova 
della ragione dell'insigne onorificenza che dai posteri si volle tri- 
butare alla memoria dell' estinto concittadino. 

Lesse poi V egregio prof. Alessandro Morpurgo un suo studio 
su Olimpia Morato. H padre di lei, Lodovico Morato, Mantovano, 
erasi trasferito a Ferrara, quando da Wittemberga si spandeva per 
la Oermania, ed indi per i più colti paesi di Europa la riforma di 
Lutero. Alla corte degli Estensi, come in ogni altra d'Italia, con- 
venivano i più eletti ingegni della capitale, e vi si intrattenevano in 
eraditi ragionamenti. Olimpia Morato, prediletta dalla duchoasa 
Renata, veniva, giovanotta ancora, ammessa a quei dotti convegni, 
né molto andò eh' ella medesima vi prendesse parte attivissima, e 
declamando poesie latine e greche, eh' ella stessa componeva, e dispu- 
tando su vari argomenti. Aveavi allora in Ferrara una corrente fa- 
vorevole alla riforma religiosa, e la colta giovane facilmente di questa 
ebbe ad entusiasmarsi, si che in breve fu tra i più ardenti proseliti 
delle novelle idee. Andrea Oruntler, musicista é letterato tedesco, ve- 
nuto allora in Italia, e sofifermatosi più a lungo a Ferrara, come la ebbe 
conosciuta, se ne invaghi e la fece sua sposa. Subentrata frattanto la 



43Ò 

« 

reazione, i dae giovani sposi ripararono in AUemagna, fermandosi 
e in Angusta, e a Wùrzburgo, e a Schweinfurth, e da ultimo a 
Heidelberga; ed ovunque la Olimpia facevasi ammirare, e per le sue 
rare virtù, e per la sua vasta coltura, e per il suo spiccatissimo 
trasporto alle teorie dei riformatori. Ma questi entusiasmi non tar- 
darono a riuscire esiziali alle delicatissime sue fibre, e ad attirare 
anche su di lei odi implacabili, ed angustie d'ogni genere. Fra 
queste lotte infermò, e venne a morte il diletto suo sposo; ed ella, 
affranta da ultimo da questa insopportabile sciagura, ammalò a sua 
volta, e, due mesi dopo la morte di quello, lo segui nella tomba, 
compiuti appena 29 anni di vita. Di questa giovane donna, che il 
Ourione ebbe a chiamare decima Musa, e che fu tanto ammirata dai 
suoi contemporanei, e che fn vittima precoce di ardente brama di 
sapere e di idee con tanto entusiasmo abbracciate, volle dire il 
prefate prof. Morpurgo, e lo fece con si appassionata ed erudita 
parola, come di qua dalle Alpi forse ancor nessuno dei posteri ebbe 
a ricordarla. 

Gesta delle linee» Era questo il titolo e l'argomento delU con- 
ferenza che tenne qnest' anno Silvio Benco. Dedicatosi con vero 
trasporto allo studio delle discipline letterarie e delle arti bellO; nel 
trattarne egli non vuol seguire né ampliare le idee altrui, anzi, da 
queste deliberatamente schermendosi, vuole studiare, osservare e 
giudicare con la propria intuizione, con la propria mente soltanto. 
Originale adunque, come quella dell' anno scorso sull' esteticismo, 
riusci anche questa sua conferenza. Le arti del rinascimento cercano 
riprodurre le classiche forme dell' antichità ; ma i tempi sono mutati ! 
Le linee gravi e belle che foggiavano 1' eroico cavaliere della croce 
e del torneo non convengono più ai Don Chisciotte ed ai gaudenti 
abati che li rimpiazzarono ; ed elle mutano, incurvandosi, contorcen- 
dosi, allungandosi, secondo il caso. Poche linee, segnate abilmente 
dalla mano di acuto osservatore, bastano a rappresentare tutta una 
casta, tutta una folla di viziosi, tutta la sintesi e le conseguenze di 
una istituzione, o di un avvenimento. Ai tempi della riforma, le due 
schiere avversarie si sbeffeggiavano con comiche figure, le quali 
chiaramente caratterizzavano la parte che avevano a rappresentare. 
Vi tengon dietro, nei secoli seguenti, affinati caricaturisti, e le loro 
abili linee ritraggono con verità le persone, e fan sogghignare delle 
loro presunzioni, dei loro difetti, delle sciocche loro idee. E il 



486 

ridicolo, contenuto tra le poche linee di nna caricatane finisce per 
istillar odi implacabili, e per provocar il riconoscimento stesso di 
concalcati diritti. Fan sorridere e ridere il Longhì, il Villette, il 
Forain, ma il riso, che destano, non è mero divertimento, è monito, 
è condanna; ed il vero ed il meglio si fan riconoscere e rispettare 
attraverso poche linee grottesche, che in salie prime forse furono 
derise siccome bizzarrie di fanciullo inesperto ed ingenuo. 

Ferdinando Galanti, professore di belle lettere e rettore del 
regio liceo di Padova, onorava la cattedra della nostra Minerva con 
la sua ornata ed infiammata parola^ la sera dei 30 marzo dell* anno 
in corso. Preceduto da ben meritata fama, aveva destata di sé gran- 
dissima ouriosità nelle classi più colte della nostra cittadinanza, 
opperò straordinario concorso di persone si ebbe egli alla interes- 
sante sua conferenza su Giacomo Leopardi. Esordi con fraterno 
saluto alla città nostra ed alla nostra Minerva, che ha per genio 
tutelare l' alma sdegnosa dell' Alighieri ; e venne poi a parlare de 
celebre Recanatese. Toccò delle varie vicende della sua vita, tra- 
lasciò di diflFondersi su gli studi filologici di lai; particolarmente 
invece lo considerò siccome poeta del dolore, siccome melanconico 
e fortissimo cantore delle sciagure d' Italia. £, ricordando quelle 
fiere e nobilissime canzoni, U Ghdanti colse il destro per deplorare 
i recentissimi disastri patiti da tanti eroici figli d' Italia guerre^ 
gianti in lontane terre straniere ; ed a questo subitaneo slancio di 
cordoglio e di amore, rispose il pubblico con un subito applauso, 
che, al tempo istesso, significar voleva a ammirazione e affettuoso 
consentimento, e quasi nobil protesta. Il Leopardi, sfiduciato sempre 
più di sé, e degli uomini, e d'ogni cosa, accasciato dall'idea che 
anche 1' essere riamato da diletta donna eragli conteso dalla mala 
sorte di sua deformità, schiuse l'animo al più amaro scetticismo. 
Di questo tutto compreso, dettò e Bruto Minore, e l'ultimo canto 
di Saffo, e il Canto del Pastore nel deserto. Ma se Amleto dubitava. 
Leopardi nega ; con tutto ciò l' uomo resta in lotta col poeta : V uno 
vorrebbe la fede, la speranza, T amore; l'altro non sente che il dolore 
e la disperazione, il nulla. £gli appartiene ai maggiori poeti della 
prima metà di questo secolo, e sta a lato al Foscolo ed al Manzoni, 
che con lui formano eccelsa triade di lirici. Chi ben voglia com- 
prendere ed apprezzare il Leopardi, ne deve studiare i sommi dolori 
e le deluse speranze ; si, soltanto cosi facendo, ne saprà intuire i 



487 

concetti, i sentimenti, l' altezza tutta deir opera sua. £ cosi volle 
fare l' egregio prof. Galanti in questa conferenza, che la Minerva 
ascrive a vero onore di poter annoverare tra le altre belle del* 
l'ultimo ciclo. 

Ed ora che vi ho brevemente riferito dei nostri ultimi con- 
vegni letterari, siami concesso ringraziare in nome di noi tutti quegli 
egregi e volonterosi che vi prestarono 1' opera loro, loro significando 
come all'applauso degli intervenuti fanno unanime riscontro la nostra 
vivissima riconoscenza ed il nostro vivissimo desiderio di riudirli 
novamente, e di vederne largamente imitato, nel prossimo avvenire, 
il loro preziosissimo esempio. 

E ringraziamenti non meno doverosi e sinceri io rivolgo sia 
air egregio professore Alberto Puschi per la cura costante ed intel- 
ligente con la quale accudì alla publicazione dell' Arduo^afo, ri- 
masto tuttavia in quell' alta fama, cui da più anni aveva raggiunta. 
£ grazie non meno sentite io debbo alla stampa cittadina, che di 
ogni evento lieto o triste della nostra Minerva volle occuparsi, anche 
nell'annata decorsa, con sollecito interesse e con affettuoso com- 
piacimento ; e cosi pure attestar mi è caro la più viva riconoscenza 
a tutte le migliori associazioni di questa città, le quali con frequenti 
inviti alle loro feste ed alle loro memorabili solennità diedero sicura 
espressione di inalterata devozione alla nostra Minerva. 

Ed ora, o Signori, dopo tante soavi, un' altra nota dolente. 
Purtroppo, come già accennai dapprincipio, il numero dei nostri 
soci si venne novamente assottigliando. La vostra direzione non tra- 
lasciò davvero di officiare i dimissionari a voler recedere dai loro 
propositi, come non fa da lei trascurato di procurare l' aggregazione 
di novelli ; ma tutte queste pratiche non giunsero a colmare le de- 
plorate lacune, né a render meno sensibile la sovrastante minaccia. 
Ciò posto, si ebbe a studiare se non fosse il caso di allargare il 
numero dei soci istituendone un ordine novello, quello cioè de' soci 
straordinari, che sarebbe composto di giovani dai 18 ai 24 anni, che 
si dessero a qaalche studio, a qualche arte liberale, ma che, non 
avendo ancora redditi sufficienti, avessero a pagare il tenue canone 
annuo di soli fiorini quattro. A questi soci però, attesa la loro posi- 
Eione eccezionale, non sarebbero consentiti che diritti limitati, quelli 
cioè di giovarsi della biblioteca e dei periodici del gabinetto di 
lettura, e di partecipare ai trattenimenti scientifici e letterari, 



438 

rimauando esclusi da quelli di disporre delle sorti e degli averi 
della società, di eleggervi o di esseme eletti rappresentanti. 

Speranza affida la vostra direzione che questa innovazione sia 
per dar maggior rigoglio alla vita del nostro sodalizio, epperò ella 
oggi la sottopone al vostro illuminato giudizio ed al vostro voto. 
Vi ripropone poi la vostra rappresentanza un altro cambiamento del 
nostro statuto, quello, cioè, che il principio dell' anno sociale sia 
trasportato dal giugno all' ottobre, e ciò perchè cessi finalmente il 
tanto lamentato guaio dello scarso concorso ai nostri congressi ge- 
nerali, reputando la vostra direzione, che, terminate le villeggiature, 
e cessati i calori delF estate, ed al riaprirsi del circolo delle nostre 
conferenze, più facilmente ottener si possa che le annuali adunanze 
deliberative non vadano deserte, o si tengano con iscarsissimo inter- 
vento, e che tornino quindi veramente proficue alla nostra associazione. 

Altra innovazione che vi viene proposta è quella di conceder 
ai soci il diritto di eleggere i direttori della società anche mediante 
scheda inviata, anziché da essi personalmente consegnata al congresso, 
e ciò per non defraudare più nessuno del prezioso e cosi importante 
diritto di concorrere all' elezione dei rappresentanti deUa società. 
Con questi intendimenti la vostra direzione vi propone le accennate 
riforme ; possano elle, se da voi, o Signori, oggi adottate, cor- 
rispondere alle vagheggiate aspettative e compiere il nostro costante 
desiderio, che la nostra Minerva viva, fiorisca e porti a noi ed ai 
nostri successori quei soavissimi frutti, onde vera scienza e vera carità 
del natio loco, assieme congiunte, dovunque e sempre frurono capaci! 

Trieste, giugno 1896. 



u\^ 



Archeogmfo Triestino 

EDITO PER CURA DELLA 

SOCIETÀ DEL GABINETTO DI MINERVA 

fi 

NUOVA SERIE ' ' 

VOLUME XXI 

ANNO 1896 — FASCICOLO PRIMO, PARTE PRIMA 
PUBBLICATA IN OCCASIONE DELLA 

INAUGURAZIONE DEL MONUMENTO A GIUSEPPE TARTINI 

IN PIRANO 



Benedetti prof. Giorgio: GIUSEPPE TARTINI, studio. 



' ^ \ y * ~ 



TRIESTE 

Stabilimento Artistico Tipogr. G. Caprin 

Agosto 1896. 

Ufficio di Redazione ed Amministrazione nella Sede della 
Società di Minerva, in Trieste, Via del Pesce, 4. 



Elenco del Signori Associati al volume XXI. 



Copit 

Alber-Glanst&tten A. 

bar. de, Trieste . . 1 
Amoroso Avv. Doti. 

Andrea, Parenzo . . 1 
D'Angeli Avv. Dott. 

Guido, Trieste. ... 1 
Archivio Generale di 

Venezia 1 

Artelli Filippo, Trieste 1 
A. Asher e 0., Buch- 

handlung, Berlino . 1 
Basevi Cav. Giuseppe, 

Trieste 1 

Besso Cav. G., Trieste 1 
Biblioteca civ.. Fiume 1 
Biblioteca ci V., Gorizia 1 
Bibl. Estense, Modena 1 
Biblioteca N^azionale, 

Parin 1 

Bibl. Keale, Parma . . 1 
Bozza Aw. Dott. Ca- 
millo, Trieste .... 1 
Bucbnandlung der 

Actienbuchdru- 

ckerei, Zagabria . 1. 
Camera di commercio 

e d*ind«, Rovifipao . 1 
Campitelli Dr. Matteo 

Parenzo 1 

Caprin Gius., Trieste . 1 
Casino civ., Kovigno . 1 
Circolo art., Trieste. . 1 
eleva Dott. G. Parenzo 1 
Consolo Avv. Dottor 

Felice, Trieste. . . . 1 
S.E.Coronini conte F., 

Gorizia 1 

Dase Julius, libraio, 

Trieste 6 

Deputazione di Borsa, 

Trieste 15 

Di Demetrio Giov. A. 

cav., Trieste 1 

Gabinetto di lettura, 

Gorizia • . . 1 

Gabinetto di lettura 

popolare. Pola .... 1 
Geiringer Dr. Eugenio, 

Trieste 1 

Giunta provine, della 

Contea principesca 

di Gorizia e Gradisca 2 
Giunta provine. del- 
l'Istria, Parenzo . . 2 
Hermet Carlo, Trieste 1 



Copie 

Hortis Dott. Attilio, 
Trieste 

Laudi Dottor Vitale, 
Trieste 

Libr. Ròhrscheid A Eb- 
becke, Bonn 

Libreria Furchheim, 
Napoli 

Libr. C. Klincksieck, 
Parigi 

Libr. Loescher e C, 
Roma 

Libr. Ulrico Hoepli, 
Milano 

Lorenzutti Dott. E., 
Trieste 

Lorenzutti Dott. L. , 
Trieste 

Machlig Dott. * Carici 
Trieste 

Madonizza (de) Nicolò, 
Capodistria 

Manussi Dott. Cav. de 
Alessandro, Trieste . 

Manzano (di) Conte 
Alfredo. Giassicco . 

Marinitscn Giuseppe, 
Trieste 

Marsich Andrea, Ca- 
podistria 

Marussich Ferdinando, 
Cormons 

Mauroner L., Trieste . 

Mazzoli Ermenegildo, 
Trieste 

Milella Vito, Trieste . 

Monti Gius^ Trieste . 

Morpurgo Dott. Eu- 
genio, Trieste .... 

Mrach Avvocato Dott. 
Egidio, Pisino .... 

Municipio di Capo- 
distria 

Municipio di Pirano . 

Municipio di Pola . . 

Municipio di Trieste . 25 

Nervegna G., Brindisi 

Neumann Cav. Enrico, 
Trieste 

Nordio prof. Enrico, 
Trieste 

Patemolli, libraio, Go- 
rizia 

Pavani E., Trieste . . 

Pitteri R., Trieste . . 



Copi* 

Polesini Marchese Be- 
nedetto, Parenzo . . 1 

Porenta (de) Comm. 
Dott. Carlo. Trieste 1 

Presidenza aell' Ecc. 
i. r. Luogotenenza, 
Trieste 1 

R. Museo d'Antichità, 
Parma 1 

Righetti Cav. Dott. 
Giovanni, Trieste . . 1 

Rota Conte £., Venezia 1 

Rusconi aw. Arturo, 
Trieste 1 

Sardotsch Ing. Dott. 
Nicolò, Trieste ... 1 

Sartorio Gius., Trieste 1 

SbisÀ Dott. Tullio, 
Parenzo 1 

Schillerverein, Trieste 1 

Società Filarmonico- 
Drammatica, Trieste 1 

Stanze di radunanza 
dei signori Commer- 
cianti, Trieste .... 2 

Suvich Pietro, Trieste 1 

Swida Dott. Prof. 
Francesco, Trieste . 1 

Tamaro Dott. M., Pa- 
renzo 1 

Tanzi Cav. A., Trieste 1 

ThallóczvDott. Layos, 
i. r. Consigliere di 
Governo e J&irettore 
dell'eccelso Archivio 
di Corte in Vienna 1 

Tommasini (de) Cav. 
Avvocato Dott. A., 
Trieste 1 

Tonicelli Aw. Dott 
Giacomo, Trieste . . 1 

Unione Gin. Trieste . 1 

Vaglieri Dante Dott, 
Roma 1 

Venezian Avv. Dott 
Felice, Trieste. ... 1 

Venuti Avv. Dott 
Carlo, Gorizia .... 1 

Vergottini Dott Tom- 
maso de, Parenzo . . 1 

Vianello L., Trieste. . 1 

Vidacovich Aw. Dott 
Girolamo, Trieste. . 1 

Vram Ettore, libraio, 
Trieste 2 



PATTI D' ASSOLIMI! 



no l*ii--< 

Il ja?fiinM tJi iiiuit'U!* ^1 r- ■ iniettivi' X/'m tiiti-ir*!»! 



il presso d* ftsdOGijidaiid òi 
pur Trìi^t4i (tmnm n il 

pnr fatta In Moniirrliin (ti 
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per Vì^-^' i" i.w^.x^ - M. "j.-r- 1 



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(Cf* Hill me lite im^p.tti ili fjn- |MMVf*iiii<* <|ii!tiitn ^*n»n 
rflatìvo importo. 



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RCHEOGRAFO TRIESTINO 



EDITO PER CURA DELLA 

SOCIETÀ DEL GABINETTO DI MINERVA 



fi 



NUOVA SERIE 

VOLUME XXI 

ANNO 1896 — PARTE II DEL FASC. /, E FASC, 11 



TOMASIN dott. PIETRO — Notizie storiche intonio all'Ordine 
dei frati Minori conventuali in Sta Maria del Soccorso e 
nella Cella Vecchia in Trieste e in Sta Maria di Griguano pag. lOtJ 

COSTA prof. ALFONSO — Studenti foroiulieusi orientali, trie- 
stini ed istriani all'Università di Padova (continuazione) ,, 185 

MORTEANI prof. LUIGI — Sulla lite per la decima dell'olio 

tra i vescovi di Capodistria ed il clero e popolo piranese „ 240 

PUSCHl prof. ALBERTO — Edificio romano scoperto nella villa 
di éarcola (coutin. e fine); con incisioni intercalate e ta- 
vole allegate 2G6 

MORPURGO prof. ALESSANDRO — Olimpia Morato ; lettura „ 306 

;MAI0N1CA prof. ENRICO — Studi aquilejesi (continuazione); 

con incisioni intercalate „ -3^38 

'PUSCHl prof. ALBERTO — Altre costruzioni romane scoperte 
\ nella villa di Barcola dal novembre IHiX) al maggio 1891; 

; con una pianta „ 'iól 

VRAM dott. UGO G. — Osservazioni intorno ai crani trovati 

nel secondo edificio di Barcola; con incisioni intercalate p B78 

STENTA prof. MICHELE — La classica liuteria italiana; lettura „ 382 

3*USCHI prof. ALBERTO — Antichità scoperte a Trieste e nel 
suo territorio nel decennio 1887-181)6; con incis. intercalate 
e tavole allegate , . • „ 407 

VRAM dott. UGO G. — Bibliografia: ^r. Nfrc/i, "Africa, antropo- 
logia della stirpe camitica,, , 423 

LORENZUTTI dott. LORENZO — Relazione della LXXXVI 
f annata della '^Società di Minerva, „ 426 



TRIESTE 

Stabilimento Artist. Tipogr. G. Caprin. 
18}>6-18J)7. 

Ufficio di Redazione ed Aniniinistrnzione nella Sede della 
Società di Minerva, in Trieste, Via del Pesce, 4. 



PUBBLICAZIONI PERIODICHE 

che pervengono in cambio dell' "Archeografo,, 



ArchiÌ€Ìlogi9chrep%graphÌ9ehe MUthedungen aus Oesterreich, pubblicate da 0. Besn 

dorf ed F. Bormann — Vienna. 
Archivio storico lombardo^ giornale della Società storica lombarda — Milano. 
Archivio storico per le provincie napoletane, publicato a cura deUa Società di storia 

patria e diretto dal prof. Giuseppe de Blasiis — Napoli. 
Archivio deUa r. Società romana di storia patria — Roma. 
Archivio storico siciliano, pubblicazione periodica della Società siciliana per k 

storia patria — Palermo. 
Archivio trentino, pubblicato per cura della Direzione della Biblioteca e del 

Museo comunali di Trento. 
Archivio veneto, pubblicazione periodica della r. Deputazione veneta sopì» fi ; 

studi di storia patria — Venezia. 
Ateneo ligure, rassegna mensile deUa Società di letture e conversazioni scientif 

iicbe di Genova. 
Ateneo veneto, rivista mensile di scienze, lettere ed arti diretta da S. A. de Ki- 

riaki e 0. Gambari — Venezia. 
Atti del reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti — Venezia. 
Atti e memorie della r. Deputazione di storia patria per le provinole di Ro- 
magna - Bologna. 
Atti e memorie dell' imp. Società arcbeologica russa — Mosca. 
Atti e memorie, pubblicazione della Società istriana di archeologia e st^ 

patria — Parenzo. 
Beitràge zur Kunde steiertnàrkischer Geschichtsqudlen, berausgegeben vom hist^sì- 

scben Vereine fftr Steiermark — Graz. 
Biblioteca dell'Accademia storico -giuridica — Roma. 

BuUettino di archeologia e storia dalmata, diretto dal prof. F. Bui io — Spahlx^ 
BuUettino della Commissione archeologica comunale di Roma ^- Roma. 
BuUettino ddl* Istituto storico italiano, pubblicato dal r. Ministero della istroziflM 

pubblica — Roma. 
BuUettino ddVimp, Istituto archeologico germanico — Sezione romana — Roma 
BuUettino deUa Società adriatica di scienze naturali in Trieste, redatto dal 

tarlo prof. A, Vierthaler — Trieste. 
La cultura, rivista di scienze, lettere ed arti, diretta da R. Bonghi — Rook: 
Documents inédits rdativs à Vhistoire de la Grece au mogen àge, publiés soos 

auspices de la chambre des députés de Grece par C. N. Sathas — P; 
Ephemeris epigraphica, pubblicazione dell' imp. istituto archeologico romano 

Berlino. 



Giornale araldico-genealogico-diplomaticOf pubblicato dalla r. Accademia araldica 
^ italiana e diretto dai cav. G. B. di Crollalanza — Fisa. 

, Giornale ligustico di archeologia, storia e belle arti, fondato e diretto da L. T. Bei- 
grano ed A. Neri — Genova. 

Miacdlanea di storia italiana, edita per cura della regia Deputazione di storia 

patria — Torino. 
I Mittheilungen des historischen Vereines fUr Steiermark, herausgegeben von dessen 
Ausschusse — Graz. 

Mittheilungen des Institutes fUr dsterr. Geschichtsforschung, pubblicate colla coope- 
razione di Th. Sickel e H. R. de Zeissberg, da E. Mlihlbacher — 
, Innsbruck. 

Mittheilungen des Musealvereines fttr Krain — Lubiana. 

Monumenti, editi dalla r. Deputazione veneta sopra gli studi di storia patria — 
Venezia. 

Notizie degli scatti di antichità comunicate alla r. Accademia dei Lincei per ordine 

di S. E. il Ministro della pubblica istruzione — Koma. 
'PWyWWto», Bevue bibliographique universelle. Segretario della redazione il 
signor M. A. Le Vavasseur — Pai-igi. 

La Provincia ddl'Istria, periodico bimensile — Capodistria. 

Rendiconti del r. Istituto lombardo di scienze e lettere — Milano. 

Rivista italiana per le scienze giuridiche, diretta da F. Schupfer e G. Fusi- 
nato — Roma. 

Rivista storica italiana, diretta dal prof. Rinaudo, con collaborazione di A. Fa- 
bretti, P. Villari e G. de Leva — Torino. 

Sludi e documenti di storia e diritto, pubblicazione periodica dell^ Accademia di 
conferenze storico - guridiche — Roma. 



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THE NEW YORK PUBUC LIBRARY 
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^ Thit book it «ader ao oirouaittfliioet to hm 
takeo from the BvUduii 



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