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/
i-v
ARCHEOGRAFO TRIESTINO
RACCOLTA
DI
MEMORIE, NOTIZIE E DOCUMENTI
7"» •
PàBTICOLàBMBNTE
PER SERVIRE ALLA STORIA
DI
TRIESTE, DEL FRIULI E DELL'ISTRIA.
tlDOYA SERIE - YOL XXI.
TRIESTE
Stabilimento Artist. Tipogr. G, Caprin,
1896-1897.
TO NEW YORK
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V I
INDICE
DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXL
Fascicolo I, parte I.
BENEDETTI prof. GIORGIO — Giuseppe Tartini, studio pu-
blicato iu occasione dell' inaugurazione del monumento al
Tartini in Pirano pag. 6-108
Parte II del I fascicolo, e fascicolo II.
TOMASIN dott. PIETRO — Notizie storiche intorno all'Ordine
dei frati Minori conventuali in Sta Maria del Soccorso e
nella Cella Vecchia in Trieste e in S.ta Maria di Grignano pag. 109
COSTA prof ALFONSO — Studenti foroiuliensi orientali, trie-
stini ed istriani all'Università di Padova (continuazione) , 185
MORTEANI prof LUIGI — Sulla lite per la decima dell'olio
tra i vescovi di Capodistria ed il clero e popolo piranese „ 249
PUSCHI prof ALBERTO — Edificio romano scoperto nella villa
di èarcola (contin. e fine); con incisioni intercalate e ta-
vole allegate 266
MORPURGO prof. ALESSANDRO — Olimpia Morato; lettura „ '006
MAIONICA prof ENRICO — Studi aquilejesi (continuazione);
con incisioni intercalate „ B33
PUSCHI prof. ALBERTO — Altre costruzioni romaue scoperte
nella villa di Barcola dal novembre 1890 al maggio 1891;
con una pianta „ B51
VRAM dott. UGO G. — Osservazioni intorno ai crani trovati
nel secondo edifìcio di Barcola; con incisioni intercalate „ 378
STENTA prof. MICHELI-: — La classica liuteria italiana; lettura „ Bh2
PUSCHI prof. ALBERTO — Antichità scoperte a Trieste e nel
suo territorio nel decennio 1887-1896; con incis. intercalate
e tavole allegate . . • „ 407
VRAM dott. UGO G. — Bibliografia: G. Sergi, "Africa, antropo-
logia della stirpe camitica,, , 423
LORENZUTTI dott. LORENZO — Relazione della LXXXVI
annata della "Società di Minerva, „ 426
1
GIUSEPPE TARTINI
STUDIO
DI.
GIORGIO BENEDETTI
Professore eUl*i, r. Accademia di Commercio e Nautica.
Ricorreva nel 1892 il secondo centenario della nascita
del celebre violinista piranese Giuseppe Tartini. Già qualche
anno prima un'eletta schiera di istriani e di triestini, con
a capo alcuni cittadini di Pirano, s' era unita in Comitato,
perchè fossero rese degne onoranze a questo principe dei
violinisti, a cui la città di Pirano, due secoli prima, aveva
dato i natali. Duplice era stato lo scopo prefissosi dal Co-
mitato, commemorare degnamente un si grande nostro com-
provinciale, e in pari tempo, mediante le singole festività^
raccogliere quella somma di danaro, che fosse bastevole
per erigergli nella ma^or piazza di Pirano un monumento,
che ne tramandasse ai posteri la ricordanza. L'attività e
gli sforzi fatti dall' egregio Comitato furono, dopo cinque
anni, coronati di lieto successo. All'appello del Comitato
rispose Trieste per la prima e dietro ad essa le città e
borgate dell' Istria e del Goriziano. Grato ricordo conservano
tuttora i Triestini del concerto che nel 1892 fu dato al
Politeama Rossetti in onore di Tartini. Per interpretare
degnamente le sonate tartiniane, s'era fatto venire nien-
temeno che l'illustre Thomson, e la Sonata del Diavolo,
interpretata da un aitista si geniale, riscosse interminabili
applausi. Anche Pola, prima delle città istriane, non volle
essere da meno. Perchè la solennità divenisse imponente.
8
la Società filarmonico - drammatica, che se n' era fatta ini-
ziatrice, aveva invitato ogni ceto di cittadini al Politeama
Ciscutti per la sera del 12 maggio 1892. Al sottoscritto
era stato demandato il non facile incarico di voler tessere
con acconcia orazione un elogio all'illustre violinista. L'anno
appresso, avendo egli fatti altri studi sulla vita di tanto
uomo, diede alle stampe quel suo primo studio su Taitini,
che fu poi publicato nel Programma dell' i. r. Ginnasio di
Pola, alla fine dell'anno scolastico 1893. Questo suo primo
tentativo, che era stato accolto favorevolmente anche
dalla stampa triestina, lo incoraggiò a continuare nelle
ricerche, e con tanto maggior ardore, dacché egli potè
trovarsi in un più ampio centro di coltura, ed avere a sua
disposizione altre fonti, che prima gli erano sconosciute,
sì che ora può offrire il presente suo studio, che, fatto
sulle basi del primo, venne ampliandosi in molte parti, e
andò soggetto a correzioni in molte altre. Egli non crede
perciò di aver potuto sciogliere ogni dubbio cii'ca la vita
di sì chiaro ed illustre istriano, di cui parlarono e italiani,
e tedeschi, e francesi ed inglesi, sia perchè, a cagione di
indÌAdduali gelosie, non potè vedere tutte le fonti, sia perchè
molte altre da lui compulsate o si contraddicono o intera-
mente si escludono l'una con l'altra. Egli premette altresì
che non tratterà di quella parte che strettamente collegasi
all'arte ed alla scienza musicale del Tartini, avendo altri,
di lui ben più competenti in materia, assunto incarico sì
oneroso, bastandogli il merito di aver fatto un po' più di
luce circa la vita di tanto istriano, ritenuto da tutti il
principe de' violinisti del secolo decorso, e da molti altri,
non a torto, il primo violinista dell'intera umanità.
E qui pure gli sia concesso di esternare publìcamente
le più sentite gi-azie alla Direzione del Gabinetto di Minerva,
che volle venisse fatta a .sue spese la ristampa di questo
studio ; alla Direzione della Biblioteca Civica, che gli fa
sempre larga e di consigli e di aiuti di libri; alla Dire-
zione della Biblioteca del Santo di Padova, nonché a quella
del Civico Museo di Padova; e da ultimo alla Direzione
della Publica i. r. Biblioteca dell' Università di Praga.
Trieste, 1 giugno 1896.
prof. Giorgio Benedetti
1
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
L* ombra dell' ispirato esaere umano
Yedeasi il violin Btringer commoBBa,
L'arco Teggéndo con la destra mano.
G. Tagliapietra : Cantica a Gfuifppé
Tortini — Canto UT.
Là giù; a ponente di Trieste, dietro a quelle vetuste mura
merlate, che con le ultime torri e gli ultimi contraforti spin-
gonsi ardite fin sulF orlo dirupato del monte, e chC; viste da
St. Andrea o da Barcola, paiono da un momento all' altro
precipitare nel mare sottostante ; dietro a quello svelto cam-
panile veneziano e a quella chièsa bizantina, poggianti su alti
piloni e su vaste arcate a. sostegno del colle S. Giorgio ; dietro
a quella lingua di terra, che dal colle digradando in dolce
pendio, va a terminare, con ammasso confuso di vecchie case,
in una piccola torre moresca ed in piccolo forte rotondo;
s' apre in bel semicerchio; aperta al mare, che quasi tutta la
bagna e circonda, la città di Pirano, o la Salinarola istriana,
come ben volle chiamarla, con bella metonimia, uno scrittore
triestino. ^) Le mura stesse, unite da svelte torri, ne la serrano
dalla parte di terra; le fanno poi bella corona degli orti ma-
gnifici e delle fiorenti campagne tutte ripiene di viti e di olivi
secolari, che le rendono meno moleste ed afose le lunghe
giornate estive, e meno sensibili i venti di rovaio nelle lunghe
notti invernali.
*) Vedi G. Caprin, Marine istriane ^ Trieste, 1889.
12
Nel cuore della città s' apre al mare, iu semicerchio essa
pure, la maggior piazza, che, ingrandita sensibilmente, col
coprire il vecchio mandracchio, fu denominata piazza Tartini,
perchè in mezzo ad essa s'innalza il monumento di questo
illustre figlio di Pirano. Entrando nella piazza, né il piede sa
dove prima rivolgersi, né V occhio dove prima posarsi. Due
zoccoli calcari antichissimi, che quasi ti chiudono il passo^ ^)
e sopra i quali ancor oggi si scorgono due bassirilievi di
S. Giorgio e di S. Marco e qualche iscrizione tutta ròsa dal
tempo, portanti due lunghi stendardi, chiaro ci dicono, che
sopra essi spiegavasi nelle maggiori festività la bandiera di
S. Giorgio, protettore della città, e quella della serenissima
Sepublica di S. Marco. Daccanto o di contro agli edifizi di
stile moderno, vedi far bella mostra di sé, nella sua semplicità
ed eleganza, la casa medioevale di un purissimo stile veneziano,
co' suoi antichi balconi e colle finestre archiacute; dall'altra
parte altra casa poggiante su lunga galleria e divisa dalle
altre con solai ; e questa si è la casa fortificata, che ci ricorda
la storia di Pirano di due o tre secoli addietro, quando più
fervevano le lotte intestine fra nobili e popolani. Nel mezzo
ci si affaccia, umile si, ma pur maestoso nella sua semplicità,
il vetusto tempio di S. Pietro: e quella sua gradinata estema
e la facciata a delicati contomi, chiaro ci dicono ch'esso fu
riedificato sullo stesso sito e con gli stessi materiali di altro
antijchissimo delubro, sacro a qualche divinità greca o romana.
Un' altra casa ancora, di non modeste apparenze, che sorge
accanto al tempio, arresta i nostri sguardi. Questa è la casa
dei Tartini. Ce lo dice un' iscrizione murata sulla facciata
principale :
•) Questi due zoccoli trovavansi prima dell'allargamento della piazza
dinanzi al palazzo municipale: ed era quello il loro vero posto, mentre
dove ora sono non fanno che ingombrare il passaggio. Ora poi che si
innalza il monumento in mezzo alla piazza, disturbano non poco le lìnee
armoniche visive, mentre il monumento viene a perdere non poco della
sua maestà. E quasi ciò non bastasse, furono affissi agli zoccoli degli
albi; che deturpano la loro semplicità.
13
À
GIUSEPPE TARTINI
NATO IN QUESTA CASA IL 12 APRILE 1692^)
DONDE MOSSE A BEARE L' EUROPA
CON MELODIA DI VIOLINO MERAVIGLIOSA
E CON OPERE DI SCIENZA MUSICALE
PERCHÈ LA VIRTÙ DI TANT' UOMO
NELLE PATRIE ARMONIE SI DIFFONDA
I FRATELLI VATTA
INNALZARONO MEMORIA d' ONORE
1846.
Che se poi ci movesse vaghezza di visitare la casa stessa,
dove il nostro Tartini vide la prima luce, entrati che saremo
nel campiello di S. Pietro, la proverbiale gentilezza della fa*
miglia Vatta, gelosa custode delle memorie tartiniane, ci con-
durrà tosto nella medesima stanza, dove il celebre violinista
emise i primi vagiti, e dove, in appresso, fanciuUetto ancora,
studiò i primi rudimenti delle lettere e dell'arte musicale. È
divisa questa stanza in due parti: dell'alcova, cioè, separata
da una vòlta, e della stanza propriamente detta, tutta istoriata
di bassirilievi in istucco. Emergono nel mezzo del soffitto tre
piccoli tini, che sono lo stemma gentilizio della famiglia, da cui
•) Nato il 12 aprile lo dice il Ti baldo, Biografia degli italiani illustri,
vo?. II, pag. 307 e seg., Venezia, 1834, «Vita di G. Tartini„ di C. Ugoni;
il Wurzbach, Biographisehe» Lexicon de» Keiserthums Oettterreich, tomo 43,
pag. 101 seg.; Fautore della biografia nella Illustrazione del Prato della
VaUe, Padova, 1907, coi tipi del Seminario ; V autore del lungo articolo
della Biografia universale, voi. 56, Venezia, Missaglia, 1829; il breve arti-
colo della Nuova enciclopedia popolare, Torino, Pomba, 1865, voi. 22; il
professore Francesco dott. Fanzago, Orazion e funebre in morie di
G, Tartini, Padova, 1770; il P. Val lotti, Elogi di G, Tartini, Padova,
1792; il Fayolle, Notices sur Gorelli, Tartini ecc., Parigi, 1810, e molti
molti altri ancora, che copiarono poi questa notizia dai più antichi bio-
grafi. Donde abbiano preso tutti questi la data del 12 invece che quella
degli 8, che, come vedremo, è la vera, non ho potuto rilevare. Forse,
ed anzi probabile, fu confusa la data del battesimo con quella della
nascita.
14
essa poi prese il nome. Ciò tutto ho creduto bene di accen-
nare, e tanto più poi, dacché non so quali scrittori enciclopedici
di storia istriana, cassate che si ebbero a loro beneplacito le
vocali al nome di questo illustre casatO; ed addensate poscia
a comodo loro le rimaste consonanti, non senza trasfonderle
altresì e sovrapporvi qualche angolosa aureola, ne lo vorrebbero
far provenire da non so quali iperboree regioni.
E restando noi fermi al nome di Ter-Tini, o Tartini,
come poscia si disse, per il facile scambio delle due vocali,
diremo esser stato padre al nostro violinista il gentiluomo
Gian Antonio Tartini, fiorentino e d'origine e di nascita,
venuto a Pirano da Firenze nel 1679, e stabilitosi in città
quale negoziante. Ho detto e d' origine e di nascita, dacché
quest'ultima fu messa in dubbio anche da qualche oculato
scrittore di storie patrie, a cui poi molti tennero dietro, senza
neppur citare la fonte. *) Negli atti parrocchiali della Collegiata
di Pirano, ripetute volte si riscontra il nome di lui, ed é
sempre chiamato Tartini Giovanni Antonio di Domenico da
Fiorenza. In un altro atto, che conservasi neir Archivio ve-
scovile di Trieste, portante la data del 6 luglio 1709, così egli
stesso si esprime, dovendo testimoniare in una causa matri-
moniale: "Mi chiamo Giov. Antonio Tartini da Pirano ed ho
60 anni. Non ho alcun esercizio, se non in quante io negozio.
Io non son nato a Pirano, che son Fiorentino, ma saranno
d. 30 anni che io abito di continuo a Pirano.» ^;
*) Biografia degli uomini diatinii dell' IstHa del canonico Don Pietro
Stancovich da Barbana, seconda edizione, Capodistria, Carlo Priora,
1888; Biografia 232, -Tartini Giuseppe^.
*) Credo far cosa grata ai lettori col citare Tatto stesso in tutta
la sua estensione, tanto più poi, che tranne il breve accenno dell'abate
A. Marsich, non Io trovo riprodotto in alcun biografo. Devo anche spe-
ciale riconoscenza al testé defunto monsignor dott. Sust, preposto capi-
tolare, che con squisita gentilezza mise a mia disposizione l'Archivio
vescovile, e ringrazio publicamente i due sacerdoti dott. Ivanic e Mecchia.
che mi aiutarono nelle ricerche:
«Adi 6 luglio 170a
"Per rilevare lo stato libero del S. Silvestro, fg, S. Bernardin
Castro, e della S. Maiia figlia di Zuane di Pietro Zangrando da Pirano
;
15
Lo Stancovich oltre a ciò nella biografia del nostro
violinista afferma, che il padre Gian Antonio, in ricompensa
di ricchi doni, fatti alla cattedrale di Parenzo, fu da quel
Consiglio aggregato alla nobiltà parentina. *^) Se ci fu a Pa-
renzo, ciò deve essere avvenuto prima del suo arrivo a Pirano
nel 1679; il che trasparirebbe altresì dalle parole dello stesso
Stancovich, perchè dopo il suo arrivo a Pirano, e dopo ,il suo
matrimonio, che avvenne nel 1686, non ci fu di certo; né di
ciò trovo cenno in alcun biografo, e neppure trovo cenno di
questa nobiltà parentina, che quel Consiglio non poteva in
alcun modo conferirgli, essendo quella spettanza della republica
di Venezia. E questo titolo di nobile V avrebbe anche conservato
più tardi, mentre al contrario un atto capitolare del Convento
dei PP. Francescani di Pirano (26 maggio 1699) lo chiama
semplicemente il signor Giov. Antonio Tartini. Fu appunto in
quest' anno eh' egli venne "esaltato ed eletto (sono queste le
di Pirano, quali desiderano congiungersi in santo Matrimonio colla
dispensa delle publicazioni per questo motivo stesso che vengono per la
morte di un zio della giovane furono prodotti gli infrascritti testimoni:
^11 signor Giovanni Antonio Tartini \ , t^.
„„ ,7 ^ ^ ^ . } citi Pirano.
*M. V. D. Rocco Corbato >
"M.° Giov. Antonio Tartini da Pirano, Testimonio Inf., Possid. ecc.
d* anni GO.
"1. Ammonito della Gravità del Giuramento.
^2. Io mi chiamo Antonio Tartini da Pirano, non ho alcun esercizio,
se non in quanto io negozio, còmendo in quto mi occorre.
'3. Io non son nato à Pirano, che son Fiorentino, ma saranno da
30 anni che io abito di continuo a Pirano.
*4 Son venuto ad esaminarmi per il dott. Silvestro, perchè si ma-
rita con una Zangrando mia figlia (probabilmente iilioccia, parente di sua
moglie, che era una Zangrando), ne* quali non ci è alcun impedimento.
*5. Esaminato se conosce il signor Silvestro, da quanto tempo e
con qual occiìe.
■6. Lo conosco benissimo sin da piccolo, con occasione che siamo
tutti da Pirano, luogo piccolo, ove facilte si conosce ogn'uno — cosi
conosco anco la Sig. Maria figlia di Zuane Zangrando.„
E qui termina la sua testimonianza, e comincia T altra di Rocco
Corbato. — Dai Mss. del vescovo Naldini di Capodistria, tomo XV, carta 168.
•) Vedi Stancovich, op. cit.
le
precise parole del capitolare) Sindaco e Procxiratore del Con-
vento „. Se quasi tutti i biografi del nostro violinista sono
concordi nel dire, che il padre di lui venne direttamente da
Firenze a Pirano per negoziare, credo che il nobile Tartini
parentino sarà stato qualche altro o della stessa famiglia o
dello stesso nome. Di questi abbagli nelle biografìe degli uomini
illustri se ne incontrano di spesso, e classico si fu quello, per
non dire di altri, con cui perfino si volle confondere il nostro vio-
linista con altro Giuseppe Tartini, commerciante esso pure, morto
a Trieste il 22 maggio 1770, e sepolto qui nei Minoriti, abbaglio
che tosto fu veduto e corretto da Attilio Hortis. ') Il semplice
titolo di signora (domina) Caterina Tartini, che fu consorte del
signor Giov. Antonio, è scritto sulP epitafìo nella stessa chiesa
dei Francescani, dove esssa fu sepolta il 14 aprile 1744. Citata
una volta essa pure a comparire come testimone per un miracolo
della Madonna, si dice, senza alcun predicato di nobiltà: Caterina,
moglie di Giov. Antonio Tartini, pubblico scrivano dei sali.^
Nel 1692, che è appunto l'anno in cui nacque il nostro
violinista, il padre Gianantonio copriva carica onorifica in
Pirano quale pubblico scrivano dei sali. ^) La famiglia stessa
poi godeva di una certa reputazione ed agiatezza, benché più
tardi, sia per l'educazione dei figli, o, come traspare dalle
lettere stesse del nostro violinista, morto il padre, per altre
false speculazioni e liti, tanto decadde da trovarsi siili' orlo
') Vedi Archeografo triestino^ nuova serie, voi. X, "Lettere di Giu-
seppe Tartini con prefazione,,, di Attilio Hortis, Trieste, L. Herrman-
storfer, 1884«
") Archivio vescovile di Trieste. Mss. del vescovo Naldini di Capo-
distria, tomo II, carta, 251. Citata come testimonio dice: "Mi chiamo
Catterina Tartini, nata Zangrando, moglie di Giov. Antonio Tartini, pu-
blico scrivano dei sali.,. Invitata a deporre quanto ha veduto cìréa il
miracolo, cosi si esprime : "Stando a pregare nella chiesa dell' Ospitale
con una mia comadre Catterina Apollonio vidi sudare la BeatA Vergine.
Vidi una .goccia grande come una grossa perla in sul iiore che la Ma-
donna teneva in mano e corsi a chiamare altre mie compagne.. Questo
miracolo, che allora aveva menato tanto scalpore in città e di cui con-
servasi ancor oggi qualche memoria fra il volgo, avvenne nel 1699.
•) Vedi la nota antecedente. E. Ni coli eh, Cenni storico-statistici
Bulle saline di Pirano»
17
del precipizio. '^) E di questa agiatezza della famiglia egli fa
cenno appunto in una lettera, che da Praga manda al fratello
Domenico in Pirano colla data del 3 novembre 1725, nella
quale dopo aver detto, che nulla poteva fare per sollevare le
tristi condizioni della famiglia, così conchiude: "Prima che
l'anno finisca staremo assai meglio di quello non sia stato
nostro padre, né cercate il come, né il quando. „ Quell'ufficio poi
di "Publico Scrivano dei Sali», non era, come saremmo indotti
a credere, un impieguccio di poca importanza: esso veniva affi-
dato, come ancor oggi si fa degli ufficiali alla Presidenza dei sali,
a persone stimate e di provata capacità ed esperienza. Ed oltre
del Consorzio stesso dei padroni e dei salinari, doveva essere per-
sona di piena fiducia altresì della repubblica di Venezia, gelosa
quanto mai delle saline di Pirano. Lo si diceva anche ^massaro ,, ;
e sua spettanza si era d'invigilare sulla bontà e sulla quantità
o limitazione dei sali, e veniva eletto dal Consiglio della città
di Venezia e mandato a Pirano quale pubblico impiegato. *')
'°) Archeogmfo triestino, op. cit, Lettera da Praga, 10 agosto 1725
al fratello Domenico e T altra del 8 novembre dello stesso anno.
") E. Ni co li eh, op. citjpag. 87: "Sotto il governo dei Veneziani
r amministrazione del sale di Pirano era in n\^no di due digerenti offici,
r uno demaniale e V altro della Comunità dei Salinari. Questa eleggeva
annualmente un Cassiere, che pagava i sali requisiti, spettanti al settimo
ed al quinto, d* accordo collo Scrivano o Massero dei sali, eh* era impie-
gato veneto.^ £ a pag. 49: "I lavori delle saline venivano sorvegliati e
rigorosamente ispezionati dal provveditore, ed in assenza dal Massero
al Sai., — Non mi fa dato di poter rintracciare in quale ramo commer-
ciale si dedicasse specialmente il signor Antonio Tartini, ma da queste
due note del Nicoli eh, potremmo dire quasi con certezza, che trovan-
dosi egli nel 1679 in Venezia a curare i negozi della ditta Tartini di
Firenze, fosse stato mandato dai Veneziani a Pirano in qualità di Mas-
saro al Sai. Esteso era allora il commercio del sale, sia per tutto l'Adria-
tico, che per terra colle provincie inteme, e la republica di Venezia
aveva trovato in Tartini il mercante probo ed onesto, che facesse gV in-
teressi e della città e quelli della Serenissima. Ch' egli poi abbia disim-
pegnato questo munere con tutta scienza e coscienza, lo possiamo vedere
dall'elenco dei publici Massari, perchè, morto lui, sottentra il figlio Do-
menico, fratello maggiore del nostro violinista, si che abbiamo nella
famiglia una ininterrotta successione di quasi 50 anni in questa carica
onorevolissima.
il
18
Non poco giovò pertanto al signor Giov. Antonio Tartini
di aver presa in moglie donna piranese, se non nobile, di
nobile cuore tuttavia e di nobilissimi sentimenti. Ghiamavasi
Caterina Zangrando, e non dei Gioan-Grande, come vogliono
molti biografi del Tartini.") Questa famiglia esiste tuttora a
Pirano ed è una delle più antiche della città. '«) Sorvissuta di
molti anni al marito, *^) soffri con santa rassegnazione tutte
le traversie, a cui andò incontro la famiglia, e che furono
lunghe e dolorose. Ed i figli, a quanto pare, ne la fecero
soffrire, se il nostro Giuseppe nella stessa lettera da Praga
al fratello Domenico (3 novembre 1726) così scrive : "Sopra
tutto rispettate la madre, perchè i nostri maggiori peccati
sono stati contro essa, onde bisogna emendarli con altret-
tanto rispetto.,, E tanto più è da lodarsi in lui questa sua
confessione e pentimento, essendo egli stato, come tosto ve-
dremo, parte non piccola dei dolori materni colle sue giova-
nili stranezze.
Non nacque Giuseppe Tartini il di 12 aprile del 1692,
come dice l'iscrizione commemorativa succitata, si bene gli 8
dello stesso mese, come accennano i mss. dell'Archivio ve-
scovile, dei quali diremo più appresso, e i registri parrocchiali
della Collegiata di Pirano, che lo pongono quarto genito di
^*) Biographisches Lexicon dea KeiserMlutmt Oeaterteich von dott.
Constant von Wurzbach^ tomo '113, pag. Ili e seg. Fu, credo, il
Wurzbach, che per il primo, nella Biografia del Tartini^ scrisse Gioan-
Grande, traducendo dal dialetto Zangrando. A lui tennero dietro molti
e molti altri. Pregevolissime, del resto, sono le notizie del Wiirzbacli
su Tartini. NelP Archivio della città di Pirano la famiglia Zangrando ap«
parisce già nei secoli XV e XVI.
*■) Vedi nota antecedente.
^*) Mori, come abbiamo detto, il i7dd. Non mi fu dato però rinve-
nire in che anno mori il signor Giov. Antonio,* certo però prima del
1725, giacché il nostro violinista nella lettera da Praga (10 agosto 1725)
al fratello Domenico, manda cordiali abbracci alla madre, ai fratelli, alle
sorelle e ai cognati, mentre del padre non è detta parola. NelPaltra let-
tera da Praga (3 novembre 1725), egli parla della morte del padre, come
di cosa avvenuta già da lungo tempo. Archeografo triestino^ op. cit.
J
19
sei fratelli e tre sorelle. ^^) Bambino ancora^ addimostrò mente
svegliatissima ed ingegno non comune ; e che cosi ei fosse ce
lo ha conservato la tradizione popolare, che, dopo due secoli,
racconta ancora qualche bel tratto o motto di questo prodigioso
fanciullo. Non tardarono inpertanto i genitori a famelo educare,
e noi lo troviamo, fanciuUetto ancora, ad apprendere i primi
elementi delle lettere o gli studi grammaticali, come allor
dicevasi, nell' Oratorio dei PP. Filippini, che era poco distante
*^) Credo tar cosa grata ai lettori col trascrivere 1* albero genea-
logico della famiglia Tar tini, desunto dai libri e registri della parrocchia
di Pirano. Lo devo alla gentilezza del canonico Domenico Vidali, mio
amico, che per me si sobbarcò a questo arduo compito.
Tartini Gio. Antonio di Domenico da Fiorenza
sposato nel 1685 con Catterina Zangrando di Pietro
figli: Domenico*), scrivano dei Sali, nato nel 1686.
M. Maddalena, nata nel 1687.
Pietro, nato nel 1689.
Giuseppe, nato nel 1692, 8 aprile.
Catterina, nata nel 1694.
Antonio, nato nel 1696.
Pietro, nato nel 1698.
Anna, nata nel 1699.
Pietro, nato nel 1700.
*) Domenico, sposato nel 1716 con Lucia Vatta di Simeone
figli: Giov. Antonio, nato nel 1715.
Catterina, nata nel 1717.
Giuseppe, nato nel 1718.
Giuseppe, nato nel 1719.
Catterina, nata nel 1721.
Pietro**), nato nel 1723.
Anna, nata nel 1724.
Catterina, nata nel 1726.
**) Capitano Pietro, sposato nel 1767 con Francesca Scarpazza
(I.a moglie),
detto ', sposato nel 1790 con Lucia Vatta dì Simon
q. Bonifacio (IL a moglie)
senza prole.
La facoltà dei Tartini perciò passò alla famiglia Vatta.
i
20
dalla casa paterna. ^^) In pari tempo riceveva lezioni di musica,
e di violino specialmente, avendo, fino da quella prima età,
addimostrato una passione vivissima per questo strumento.
Aveva allora Pirano un'Accademia, detta dei Virtuosi,
alla quale erano aggregati tutti i cittadini di qualche cultura.
In essa ragionavasi di letteratura, di scienze, di filosofia. La:
musica poi formava parte principalissima, tanto che non eravi
festività, sia pubblica che privata, in cui non si facesse della
buona musica. '^) E se le feste private erano allietate di buona
musica, figuriamoci quali festività si saranno tenute in casa
del gentiluomo fiorentino, che, dalla gentil sua patria, madre
e cultrice di tutte le belle arti, avrà importato ed infuso vita
novella e gusto più fine e squisito in queir Accademia di
Virtuosi. Il figlio poi, più che di nome, divenne di fatto vir-
tuoso nella bell'arte de' suoni.
Era il padre del nostro Tartini uomo quanto mai reli-
gioso ; fu questa la causa eh' egli affidasse ai PP. Filippini
la prima educazione del suo Giuseppe, desiderando^ come ben
presto vedremo, che abbracciasse la carriera ecclesiastica. Il
giovinetto, benché svegliatissimo e vivace, era già allora un
po' inclinato all'ascetismo religioso egli pure, ne si ribellò alla
volontà patema, benché vedesse i suoi amici e coetanei fre-
quentare la pubblica scuola del dottore di grammatica, stipen-
diato dal Comune. 1®)
Terminati gli studi grammaticali, fu mandato a studiare
umanità e rettorica nel Collegio delle Scuole Pie in Capodistria.
Se crediamo ai suoi biografi, fu scolaro distinto, segnalandosi
non solo nelle discipline umanistiche, si ben anche nella musica
^^) K Oratorio non esiste più, tranne la piccola chiesa dedicata alla
Madonna della Neve. Esso trovavasi fra la Carrera di S. Francesco e la
Carrera Grande, dove ora sono le prigioni comunali.
") Morte ani L., Notizie storiche deUa città di Pirano j Trieste, Li.
Herrmanstorfer, 1886, pag. 128 e seg.
*') Era detto anche "rector et professor scolarum». Vedi gli atti
deir Archivio giudiziale e comunale di Pirano. Aveva casa propria, che
gli veniva assegnata dal Comune, ed un salario, che variava dai 100-150
ducati.— Morte ani L., op. cit., pag. 122.
21
e nella scherma. ^^) Se v' è età nella vita d' uno studente, che
ne lo informi e prepari ad alti concepimenti ed idee, si è ap-
punto questa degli studi umanistici, e ben lo si vide in Tartini,
che, uscito da essi a soli 18 anni, ha già fama di buon cono-
scitore delle dottrine filosofiche allora più in voga. Lo studio
di Platone e di Pitagora, da lui poscia meditati con ispeciale
amore, prepara la sua mente a quegli alti concetti filosofici,
che più tardi trasfonderà nelle sue opere e trattati musicali;
lo studio dei classici latini ed italiani, ed in particolare quello
del Petrarca, poeta dell* amore e delle dolci rime, gli prepara
il cuore alle dolci armonie, che poi ci farà sentire nelle sue
sonate e ne' suoi concerti. Né meno solide basi si accaparra
nelle matematiche e nella fisica, che si trovano poi trasfuse a
piene mani ne' suoi trattati scientifico-musicali. Giusto fu per-
tanto il giudizio che di lui poi fece T insigne abate Barthlémy,
asserendo ch'era tale la di lui prontezza di spirito, tale la
perspicacia della di lui mente, di riposte cose ripiena, che
non solo nelle filosofiche, ma nelle altre scienze ancora dar
sapeva il più sensato giudizio, ^o)
Uscito dalla rettorica, ritorna a Pirano, e già il padre gli
aveva fatto apprestare a sue spese due stanze nel Convento
dei PP. Francescani, perchè-vi venisse accolto con quell' onore,
*") Bioy rafia universale antica e moderna^ voi. LXI, Venezia, Mìssaglia.
Biografia del Tartini di De Prony, tradotta dal francese: "In entrambi
i prefatti istituti (Oratorio dei PP. Filippini in Pirano e presso i PP.
delle Scuole Pie in Capodistria) si rese distinto per molta attitudine ed
intelligenza, ma giunto all'adolescenza non volle secondare i disegni
della sua famiglia ecc.. Col Prony concordano molti altri biografi, che
qui per brevità tralascio di citare. Non posso comprendere pertanto da
dove mai V autore di quell' articolo, inserito nel Popolano deW Istria,
Trieste, 1851, 21 marzo, traesse quella peregrina notizia, là dove parlando
del Tartini, dice: "Non devesi cercare nella sua gioventù i primi genni
e le prime prove dell'ingegno che lo distinse.. Basti questo però, che
Tartini nulla, o poco, studiò nei tre anni passati a Padova; eppure nel
Convento d'Assisi compose la "Sonata del Diavolo,,, uno dei suoi capo-
lavori, a soli 21 anni d'età.
^) I. G. Barthlémy, Viaggio di Anacarsi il Giovane nella Grecia^
Venezia, Antonelli, 1825, tomo IV; Ragionamento sopra la Mtmca, Note
in fine.
22
che s' addiceva alla famiglia, **) lusingandosi che volentieri sa-
rebbe entrato in queir ordine ; ma il giovane Giuseppe non
volle sapere di divenir frate, e neppure volle sapere di con-
tinuare gli studi teologici nel Seminario diocesano di Capo-
distria. Il padre, che s* era visto si d' un tratto svanire ogni
speranza, né sapendo cosa fare, mentre il figlio pur desiderava
di studiare teologia, ricorse al vescovo Naldini di Capodistria,
e questi, per accontentare e padre e figlio, diede licenza che
quest'ultimo potesse avviarsi agli studi teologici, filosofici e
letterari all'Università di Padova, dandogli altresì il permesso
di vestire Y abito talare di abate. Su questa licenza, che porta
la data del 10 febbraio 1709, e che trovasi nell'ultimo tomo
degli atti del vescovo Naldini di Capodistria (carta 260), furono
fatte mille congetture dai biografi del Tartini. Non e' è che il
Wurzbach, **) seguito poi da qualche altro biografo, che senza
conoscere questa famosa licenza, abbia colto nel segno, asse-
rendo che, venuto nel 1710 in Padova a studiarvi teologia,
vestiva abito sacerdotale come eran usi di portare tutti i
giovani destinati allo stato ecclesiastico. D nostro Stancovieh
persino, che fu si diligente nelle ricerche su Tartini, nulla
sapeva di questa licenza, e ne lo fa partire per Padova U
1710 vestito bensì delle divise ecclesiastiche, ma a studiarvi
le leggi, per incamminarsi all' avvocatura, anzi aggiunge che
al Tartini ripugnava di entrare in qualche ordine religioso o
di divenir prete secolare. *^) Ed ecco che tosto altri, prendendo
di buona lega quel "ripugnante^ dello Stancovieh, si misero
ad intessere sul fatto mille altre fantasticherie romanzesche,
come quella di poter godersi qualche lauta prebenda sotto
quella veste, o V altra di un tranello eh' egli giuoca al padre
troppo credulo e bacchettone, per poter più facilmente spillargli
dei denari e darsi buon tempo invece di studiare. E se il teste
compianto A. Marsich, rovistando nell' Archivio vescovile, non
*') Wurzbach dott. C, op. cit., ed altri ancora, come Stan-
covieh, Tipaldo ecc. NelPArchivio del Convento non potei trovare
nulla di questo fatto. Eppure quasi tutti i biografi lo confermano.
*') Wurzbach, op. cit.*
*•) Stancovieh, op. cit
23
avesse accennato a questa licenza, chi sa dove mai sarebbe
andata altresì la fantasia di certi biografi ! E la fantasia poteva
benissimo saltare di palo in frasca, e sbrigliarsi ancora di più
se altri andavan poi cantando, che tutti gli anni passati dal
Tartini neir Oratorio dei PP. Filippini di Pirano o gli altri
di rettorica e umanità presso le Scuole Pie di Capodistria, non
erano stati che anni d' ineducazione per lui, e dai quali nessun
profitto aveva tratto per divenire queir uomo ohe poi divenne.'*)
Ma tutte queste malizie di giovane ineducato e di scolaro
ignorante mai capirono nel cervello di Tartini, e neppure allora
ch'egli trovavasi alFUniversità di Padova perdette la dignità
di uomo in mezzo a tante strsoiezze e vacuità giovanili. Ma
di ciò diremo in appresso ; quello che si è di vero in tutto
ciò, per ritornare al nostro argomento, si è, eh' egli non aveva
peranco abbandonata V idea di studiare teologia, e che sua
intenzione si era di recarsi in una Università, dove avrebbe
potuto, come era suo desiderio, continuare anche gli studi
prediletti di filosofia e letteratura, la qual cosa gli era impos-
sibile nel Seminario diocesano di Capodistria. Di che carattere
poi egli si fosse allora, e che non tosse una testa vuota, ce lo
dice chiaro la licenza stessa del vescovo Naldini, che qui
trascrivo dall' originale tradotta in italiano : * A te, Giuseppe
Tartini, figlio del signor Giov. Antonio Tartini, della terra di
Pirano, della nostra Biocesi lustinopolitana ; a te scolaro, a
noi diletto in Cristo, inviamo salute in Dio Sempiterno. A te
che hai docile ingegno, e che sappiamo atto ed idoneo agli
studi, e che desideri ardentemente esser ascritto nell' eccle-
siastica milizia, ed in essa servire all'Altissimo, finché avrai
vita, a te diamo licenza di poter indossare veste clericale, che
sia decente e quale è prescritta dalle costituzioni sinodali e
dai sacri canoni; e perchè di essa vestito tu possa vivere in
Padova e 11 dedicarti con ogni zelo allo studio delle lettere.
'■*) Il popolano dell'Istria, op. cit. E qui, ad onor del vero, devo dire
che non fu il nostro benemerito Michele Fachinetti, compilatore del
Popolano, a propalare si strana ed insulsa notizia, si bene un tale, che si
nasconde sotto le iniziali di £. d. B. e che la tolse di peso dall* Italia
musicale del 1850.
Attestiamo oltre a ciò esser tu nato da giuste nozze e pro-
creato legittimamente da onesti genitori; esser tu inoltre di
proba condotta e degno di avere queste grazie e favori spe-
ciali; in fede di che eoo. ecc.^ ^^)
Si è in Padova adunque che incomincia per il nostro
Tartini quella vita piena di attrattive, di lusinghe e di av-
venture, che di lui fanno il prototipo di uno studente univer-
sitario foggiato alla Fusinato. Non aveva fattezze e lineamenti
regolari, né statura che spiccasse dalla comune ; ma la maschia
sua fisonomia, la snellezza delle membra, propria di tutti gli
schermidori, gli occhi bruni e scintillanti, i cappelli limghi e
neri; erano doti più che sufficienti perchè ognuno ambisse la
di lui compagnia. Gli studenti poi in ispecie, che sempre
amano il coraggio e T ardire ovunque si trovano, tanto più ne
lo accarezzavano ed amavano per le gentili maniere, per la
soda coltura e più ancora per quel non so che di artistico e
romanzesco, che aveva la virtù d' interessare ; ed in ispecialità,
come ben dice il Generini, quelle figlie d'Eva dalle anime
timide e mansuete, forse per quella misteriosa legge fisiolo-
gica dei contrasti, di cui più tardi dovevano occuparsene con
corredo di scienza Schopenhauer e Michelet. ^^) Ben presto
'^) Facultas induendi habitum clericalem. Nos ecc. 'Dilecto nobis
Cnhfo loseph filio D. Io. Antonij Tartini de Terra Pyrrhani, nostra^
lasUnopolitanae Dìocesis, scholari salutem in Dnò sempiternam. Tibi, qui
dociiis est ingenij et ad stadia aptus, idoneusque reperiris, ac in Eccleta
militia adscribi, et in ea Altissimo, qnoad vixeris, famulari sumbpere
cupis; Habitum Clericalem, eumdemque decentem, ac ad Constitutionum
synodalium, et sacrorum Canonum praescripto, induendi iacultatem damus;
atque eo inductus Fatavij degeri possis; illicque litterarum studijs sedulo
incumbere valeas, licentiam impartimur, Attestantes Te die 8. Aprilis
1692 è iustis nuptijs et legitimo e thoro natum, de honestis parentibus
procreatum, probisque moribus praeditum existere, dignumque ut gratìjs
et favorlbus specialibus excipiaris: in quoad fidem,, ecc. Questa licenza,
come ho detto, porta la data del 10 febbraio 1709 e trovasi nell'ultimo tomo
degli atti del vescovo Naldini della diocesi di Capodistria. — Carta 250.
*•) Ettore Cenerini, La Sonata del Diavole, novella, Trieste, To-
masich, 1889. Una pittura più smagliante ancora del giovine Tartini ce la
dà Augusta Carolina Wenrich, donna dotta e distinta nelParte e nelle
lettere tedesche, nel Prager Unterhaltungahlatt, "Erinnerungen,,, del 1854,
pag. 114. La modesta scrittrice si nascose allora sotte le iniziali A. K. W.
26
pertanto lo spirito focoso ed irrequieto del giovane Tartini ruppe
quei ceppi, che si a lungo ne lo avevano tenuto avvinto; la
teologia, le scienze, le lettere e la filosofia sono cose stantie,
che non seducono più la di lui fantasia. Di queste scienze ne
ho piena la testa, dice ai compagni, che di rado lo vedono
nelle aule universitarie ; bisogna che mi perfezioni nella scherma
e nel violino ; di studi parleremo dipoi, quando s' approssime-
ranno gli esami. E ben presto quelle sue doti d' ingegno, quel
saper maneggiare si bene e l'archetto e la spada, lo fanno
non solo amare, ma rispettare da tutti« Non v'è persona in
Padova che non conosca il giovane Tartini, e più ancora poi,
dacché V abito talare che porta non s' adatta punto ad un
artista o ad uno schermidore. Fu allora eh' egli, colta l' occa-
sione, getta alle ortiche la veste talare, per poter spassarsela
più agevolmente. E gli scrittori della sua vita vanno qui tutti
concordi nell' affermare, che in questa sua prima dimora pa-
dovana egli uscisse di carreggiata. La metamorfosi adunque
deve esser stata ben più violenta di quella di un qual si sia
matricolino universitario^ che ne' primi mesi si dà interamente
in braccio agli spassi, cosa non rara anche ai nostri giorni.
Fra le migliaia di studenti, sia d' Italia, che di fuori, che allora
contava il patavino ateneo, non ve n' era uno che secolui po-
tesse gareggiare negli esercizi cavallereschi, o secolui com-
petere nella diffidi arte della scherma, o nel toccare il violino ;
neppure lo stesso celebre Barbella, *^) il quale, vedendosi vinto
*') Stanco vich, op. cit., ed in altri ancora. Se questi sia quel
celebre Don Emanuele Barbella, violinista e gran maestro di danza e
scherma in Napoli, non mi fu dato poter depurare con certezza, e neppure
potei depurare se fu a studiare a Padova al tempo in cui trovavasi il
Tartini. Nacque da un lazzarone di Napoli e mori in questa città il 1773, tre
anni dunque più tardi del Tartini. IlMeissner, Bì'uchatUcke zur Biographie
L G. Neumann*8, Praga, 1808, gli attribuisce la Sanata del Diavolo, che fu
del nostro Tartini, dal che si vede che anche negli ultimi suoi anni il
Barbella si attribuiva le opere magistrali del nostro violinista, perchè il
Neumann^s aveva iatto la di lui conoscenza in Napoli nel 1766. Se a
Padova il Barbella fu valente schermidore, non fu certo celebre violi-
nista, e se in quest' arte ebbe più tardi a godere in Napoli qualche pò*
di fama, tutta la doveva al Bini, che fu uno dei più distinti scolari del
Tartini. Scherzando soleva dire il Barbella di sé stesso: ^^Barbella è un
vero asino che non sa niente,,, Vedi in proposito: Die Violine imd ihre Meister
von los. Wilh, von Wasielewski, Lipsia, Breitkopf und Httrtl, 1869,
26
da un matricolino in quelle arti, di cui teneasi maestro, co-
minciò a spacciare come suoi i tratti magistrali di spada e di
archetto, che vedeva operarsi dal Tartini. Vinto questo terribile
avversario, gli animi focosi ed irrequieti degli studenti non si
calmarono. Erano allora gli studenti divisi in altrettante asso-
ciazioni, quante erano le provincie o gli stati d' Italia a cui
appartenevano. Il nostro Tartini. come istriano, apparteneva
air associazione degli studenti veneti, che erano e di numero
e di forze superiori agli altri. Col Barbella s' erano anche
calmati gli studenti dell'Italia meridionale. Più fieri che mai
allora insorsero specialmente i lombardi contro i veneti e gli
istriani. In una disputa questi ultimi furono offesi, ed in par-
ticolar modo fu offeso il Tartini e con lui la sua patria. Corsero
tosto e sfide e duelli. Tre furono gli studenti lombardi, che
con la spada in mano vollero sostenere l'insulto. Tartini si
offri da solo a rintuzzare la loro baldanza. Fu grande allora
in Padova il fermento e fra la studentesca e fra i cittadini, e
tanto più poi dacché il nostro abatino aveva dichiarato che
ne li avrebbe sbrigati tutti e tre nella stessa ora, stabilendo
in antecedenza in qual parte del corpo ne avrebbe ferito due,
e che al terzo avrebbe fatta saltare la spada dal pugno. £
come egli aveva detto, cosi anche fu ; né da quel giorno corsero
più sfide o duelli od insulti. Tartini fu rispettato da tutti e fu
temuta la sua spada. *®) La fama di questo studente portentoso
aveva perfino sorvolato le mura di Antenore ed era giunta
nella regina dell' Adriatico, portata senza dubbio dagli studenti
veneziani, che in gran numero allora frequentavano V Università
di Padova. Furono questi che condussero il Tartini a Venezia,
dove intervenne persino ad una festa che veniva data in casa
del doge. Fu là che per la prima volta s'incontrò col Veracini,
che di pochi anni a lui superiore d' età, era ormai giunto al-
l' apogeo di sua gloria. Stupì il Tartini alP udire come quegli
sapesse sonare il violino, che fino allora non aveva ancora
udito un grande maestro; ma non minore fu lo stupore del
Veracini, allorché, per gentile invito della dogaressa, il nostro
*) E. Generini, op. cit.
J
à7
violinista, dato di piglio al violino, e senza bisogno di note,
si mise a parafrasare, con delicate melodie, il concerto dato
dal grande maestro. Grli applausi non finivano più, e i due
virtuosi stettero li fisi a guardarsi senza dirsi verbo per tutta
quella sera. *^) Dovevano da quel giorno passare cinque anni
perchè di nuovo si rivedessero; ma lo scolaro in questo frat-
tempo era divenuto non meno grande del maestro stesso, che
gli aveva fatto nascere in core si grande desiderio di gloria.
E la città di Venezia stessa si fu che uni più tardi questi due
cuori, che eran nati per amarsi ed intendersi vicendevolmente.
Ma anche l' anno di matricolino è passato, e con esso
tramontati anche per sempre gli studi biblici e dommatici, e
deir umile abatino non altro rimane che un maestro di scherma
e un virtuoso di musica, amato ed ambito da tutti. Di più
anzi, lusingato forse un po' troppo dalla sua ambizione, o
forse meglio ancora, come io reputo, non sapendo come pre-
sentarsi all'austero padre, fa progetto di recarsi a Napoli
dapprima, a Parigi poscia, per aprirvi pubblica scuola di
scherma.^®) Ma, cambiato proposito, per non amareggiare di
troppo r animo dei genitori, e del padre specialmente, che
credendolo già bene avviato negli studi teologici, gli accaparra
un pingue canonicato, ^^) si risolvè a rimanere in Padova a
*•) Prager UnterhaltungshlaU "Erinnerungen,,, op. cit.
"**) Wurzbach, op. cit.; Stancovich, op. cit. ed altrove.
^*) Stancovich, op. cit. Il canonicato era detto di St. Elena, e credo,
.sarà stato uno dei quattro canonicati delP antica diocesi di Pedena. Lo
dice Stancovich su suolo austriaco; e Pedena allora, in una alla contea
di Pisino, era su suolo austriaco. In Pedena eravi anche allora una
chiesa dedicata a St. Elena. Lo Stancovich, nato a Barbana, terra non
lontana da Pedena, poteva ben sapere di questo fatto, del quale nessun
altro biografo fa cenno, se non si eccettui V anonimo scrittore àoiVlllu-
straziane dei Prato della Valìe^ parte I, 1807, dalla stamperia del Seminario
di Padova, pag. 135. Do la preferenza di questa notizia al nostro Stan-
covich, benché V Illustrazione del Prato della Valle preceda di molti anni
la Biografia degli uomini distinti delV Istria. Il compilatore di quest'opera,
sono persuaso, ha udito narrare di que.sto canonicato dallo stesso Stan-
covich, che prima del 1807 era stato alunno della facoltà teologica del
patavino ateneo. Avvenne cosi di molte altre notizie di Tartini, che gli
scrittori copiarono dallo Stancovich, senza neppur citare la fonte, da cui
le toglievano. Se vi è biografia nello Stancovich, che sia scritta con vero
amor di patria, si è certo questa del Tartini, eh' egli avrà già allora
ideata in Padova, mentre trovavasi a compiere suoi studi di teologia,
28
studiarvi giurisprudenza, aprendo di più pubblica scuola di
violino e di scherma. '*) Il padre montò sulle furie per questo
cambiamento, ma non potendo opporvisi, continuò a sovvenirlo
del necessario, perchè divenisse un buon avvocato, se, come
avrebbe voluto, non gli era possibile fare di lui un buon sa-
cerdote. E di fatto il giovine Tartini si mise a studiare giuris-
prudenza con un ardore veramente ammirabile, '^ non tra-
lasciando di dedicarsi nelle ore che gli sopravanzavano, alla
scherma, e più che a questa allo studio del suo amato stru-
mento, già allora presagendo che da esso ne avrebbe avuto
maggior gloria. Non gli dava pace la fama a cui s' era già
inalzato il giovane Veracini; lo vedeva passare di trionfo in
trionfo, da Firenze a Lucca, da questa a Venezia e da Venezia
spiccare un ardito volo a Londra, ovunque applaudito. '*) Ma
anche il Codice e le Pandette ebbere ben presto la stessa
sorte della Bibbia e della Dommatica.
Frequentava le sue lezioni di musica Elisabetta Premazone,
giovanotta i)adovana avvenentissima, figlia del primo cocchiere
di sua eminenza il cardinale Giorgio Cornare, allora vescovo
'•) C. Wurz bacìi, op. cit ed in altri ancora.
■^ C. Wurzbach, op. cit, "stati Theologie studierte er mit grossem
Eifer die Rechte, und statt geistlicher Uebungen besachte er fleissig den
Fechtboden^.
•*) 1. W. Wasielewski, op. cit. Credo qui pure far cosa grata ai
lettori col citare questo insigne critico musicale, e tanto più poi dacché
dei tre insigni violinisti che allor tennero il campo dell' arte, egli dà il
primato al nostro istriano. A pag. G7 egli dico: "Durch Corrìlì und Vi-
valdi war der Boden fiir eino Ersclieinung bestellt, die im engen Auschluss
an diese Meister eine neue Epoche des italienischen Violinspieles und
nicht minder der Violincomposition erSlinet. Wir erkennen dieselbe in
Giuseppe Tartini, Dieser hochst bedeutende Meister wurde aber in dem
ersten Stadium seiner Kunstlerlaufbahn ausser den obengennanten Vor-
bildern durch eine dritte Personlichkeit so wesentlich beeinflusst, dass
es nothwendig erscheint, die Wirksamkeit des letzteren erst naher in's
Ange 2u fafiseu, bevor Tartini's Kunstmission einer Wiirdigung unter-
zogen wird. Es ist Francesco Maria Veracini mit dem selbstgewàhlten,
seiner Geburtsort Florenz anzeigenden Beinamen Fiorentino.^
29
di Padova. ^^) Tartini se ne invaghi siflfattamente, che tosto
divisò di famela sua ad ogni costo. Scrive al padre per il di
lai assenso, ed ottenuto formale rifiuto, prega il cardinale a
voler egli intromettersi ; ma avute da esso pure nuove ripulse,
ricorre all'unico espediente che ancor gli restava, cioè ad un
matrimonio secreto, sperando in tal modo, che, se non per il
momento, avrebbe più tardi mossi i cuori di ambidue. Lo viene
a sapere il padre, che, adirato per tale matrimonio, a lui
disuguale e per condizione e per fortuna, gli nega ogni ulte-
riore stipendio. Ma più fiera ancora si fii l'ira del cardinale
per il misero Tartini per aver sposato clandestinamente una
sua "dipendente^.»®) Ho detto dipendente, perchè così trovasi
scritto nei biografi padovani di allora. In alcuni altri è detto
che la Premazone gli fosse nipote, o che con lei fosse stretto
di altra parentela ancora ; ma di ciò nulla possiamo dire di
preciso, amenochè non si constati che i Premazone fossero
consaguinei dei Cornare. '^) Abbandonato dal padre e perse-
guitato dal cardinale, si nasconde in Padova, credendo cosi
**) Gian. Ant. Moschini, Della lettet^atura veneziana del secolo X Vili,
voi. 1. 'Giorgio II Corner nato nel 1658, educato alle lettere dai PP. So-
maschi di Verona. Secolare, fu provveditore di armata ed ambasciatore
in Francia; ecclesistico, nunzio a Lisbona, ove ottenne ed il cappello di
cardinale ed il vescovado di Padova. Grande amico delle lettere e protet-
tore de' letterati, nel tempo in cui resse Padova, cioè dal 1697 fino al 1722,
fece molto per la città.„ Col Tartini, per altro, come vedremo tosto, non
fu né amico, né protettore.
^) Biografìa nella Illustrazione del Prato della Vaile in Padova, op.
cit, pag. 140.
") Con. Wurzbach, op. cit., la dico "nipote,, dello stesso cardi-
nale Comaro. Qualche dipendenza o parentela, io credo, esistesse fra la
Premazone e il cardinale, perchè i genitori di lei, che pur dovevano an-
dare superbi di accasare si bene la loro figlia, non si sarebbero messi
nelle mani del temuto cardinale per dar la caccia al misero Tartini. Lo
anonimo scrittore anzi del Musikalisches Conreraations-Lexiconj Berlino,
R. Oppenheim, 1878, voi. 10, dice: che il cardinale non avendo potuto
avere nelle mani il povero violinista, lo accusò in tribunale per ratto e
seduzione. Il solo Wasielewski, op. cit., afferma che Tartini appena
sposatosi clandestinamente si recò a Pirano con la sposa, e che per
questo suo viaggio gli vennero poi tanti guai sia dai suoi genitori, che
da parte del cardinale.
forse che presto si sarebbero acquetati i primi impeti d*ira e
di sdegno del cardinale. Gli amici peraltro, che attenti stavano
spiando le mosse del porporato, perchè nessun male nascesse
al loro amato compagno, gli riferirono un giorno che la sposa
era stata mandata ai parenti di Venezia, perchè la relegassero
in un convento ^^) e che il vescovo aveva sparso e in Padova
e fuori i suoi satelliti per avemelo vivo o morto in sue mani.
Fu quello per il nostro Tartini un colpo terribile ; ben presto
però la sua fiera natura, che non indietreggiava mai quando
c'erano pericoli da superare, si ridesta. Gli amici lo vestono
di pellegrino e nel cuor della notte, deludendo ogni vigilanza,
esce di Padova, nulla seco portando che Y amato suo strumento,
dirigendosi diffilato a Venezia. Qui, aiutato dagli amici, trova
modo di penetrare nella casa stessa, dove intanto era stata
ricoverata la sua sposa, sente da lei il pericolo, che sovrasta
ad ambidue, ed apprende che gli sbirri di Venezia erano essi
pure in moto per pigliarlo e consegnarlo al Consiglio dei tre.^')
Fugge la notte istessa, ed attraversate le lagune cerca di rag-
giungere quanto prima il confine e si mette in salvo nel Po-
lesine. *®) Errato che ebbe a lungo per le Komagne, si decide
di recarsi a Roma. *i) S'accorge ben presto che neppure nella
^) Prager Unterhaltungshlatt, "^Erinneruiigen,,, op. cit.
^) Prager Unterhaliuììgnhlatt^ "Erinnerungen,,, op. cit.
***) P. Stancovich, op. cit.
*') P. Stancovich, op. cit., Biografia universale antica e moderna,
op. cit.; I. W. Wasielewski, op. cit. Altri biograli fanno andare il
Tartini direttamente da Padova in Assisi. Mi sono pertanto attenuto a
questi tre, od allo Stancovich specialmente, che si mostra sempre accu-
ratissimo nelle sue ricerche. Degne di speciale considerazione mi paiono
eziandio le considerazioni, che, su questo periodo della vita di Tartini,
furono fatte dall'egregia scrittrice tedesca A. C. Wenrich, le quali,
benché sieno forse un po' troppo poetiche, hanno tuttavia una base sto-
rica. E storica si è la novella su Tartini del succitato periodico di Praga
"Erinnerungen„ del 1854, tratta certo da qualche scritto, che ancor oggi
forse conservasi in quella cittÀ, che per tre anni ospitò ed applaudi, come
vedremo, il nostro violinista. Mediante questa novella mi fu possibile
anche togliere alcune lacune di questo periodo storico nella vita del
Tartini, e presentarlo ai lettori con quel suo carattere focoso ed irre-
quieto bensì in questa o quella contingenza della sua vita giovanile; nou
31
città eterna, dove allora dominavano sovrani i cardinali, avrebbe
trovato quella pace, che si ansiosamente andava cercando, e ne
esce immediatamente, prendendo la via di Assisi, dove sapeva
trovarsi un suo parente. Stanco e sfinito per la lunga via, e di
nulla altro temendo che del suo caro strumento, a cui la umidità
della notte e la rugiada mattutina aveva già spezzate le corde,
batte alla porta del monastero, e chiedendo ospitalità per l'amore
di Dio, e senza palesare tosto il suo nome^ è condotto innanzi
al priore. E qui siami concesso di citare i versi del nostro Ta-
gliapietra, che così descrive questo commovente incontro : *^)
^'Se il tuo tacer comprendo^
Avversitade, o Jigìio, fha coìpito;
M^apri il tuo cuor, cV io gV infelici intendo, ^^
Lo viso alzava il profugo smarrito
Verso il buon padre rispondendo : **È vero
Alla scuola del diiol crebbi nutrito. „
Ambo in quel punto il luccicante cero
Schiarolli in volto: ei si guardar insieme
In affo di sorpresa e di mistero.
In fondo al cor lo sconosciuto preme
Un subitaneo moto che si desta,
E d'ingannarsi pur dubita e teme,
Copriagli il dosso wn' ampia soprawesta,
E barba e chioma gli scendeva incolta^
E largo feltro ombravagli la testa.
Or, mentre al frate egli tenea rivolta
lì attenzion, così pur dicca :
'^ Farmi averti veduto un* altra volta, „
balzano, cattivo e dissoluto, come molti biografi vollero, anzi si com-
piacquero, dipingerlo. Chi è cattivo, balzano, dissoluto non giunge mai
a far cose grandi, per le quali ci vuole e virtù, e sodezza di carattere
ed ingegno. Anche la sposa, eh' ei s' era scelta a compagna della vita,
non era meno buona ed onesta, e non una novella Santippe, come si
disse dai più; e di ciò diremo pure in appresso.
'•') Giovanni Tagliapietra, Giuseppe Tartini, Cantica, Trieste,
Tip Weis, 1863.
ss
lì cenobita radunar parta
Sue rimembranze^ e da quel bruno viso
Lo sguardo scrutator non rifnovea;
Quando V altro, spogliatosi improimso
Della cappa e scopertasi la fronte,
Disse : ''O diletto zio, ben vi ravviso !
Quantunque agli anni miei primi rimonte
La memoria di voi, pure non ptwte
ToglieìJie il tempo le adorate impronte.^
^Giuseppe mio, dolcissimo nepote„,
Proruppe il veglio, "oh, quanto son diverse
Tue sembianze do quel cV eranmi note! „
Detto ciò; ne lo abbracciò e baciò ripetute volte di cuore ;
volle che mutasse vesti e che tosto venisse servito di una
buona refezione, e fattesi raccontare in tutti i particolari le
peripezie della vita, le sofferenze provate e i patimenti e disagi
sostenuti, dissegli in tono paterno : Qui meco starai, finche
non si dissipino queste nubi, che ti si sono addensate sul
capo ; qui avrai pace ; sia teco Iddio ! *^)
Era allora maestro di musica ed organista del monastero
d' Assisi un certo padre, detto il Boemo, uomo quanti altri mai
versato e dotto nelle musicali discipline, il quale^ intravveduta
^'j I biografi del Tartini non sono neppure qui concordi nello sta-
bilire chi fosse questo suo parente: alcuni lo fanno semplice frate; altri
guardiano; altri converso; né manca chi lo dice portinaio, come trovo
scritto nel Musikalisches Conversations-Lexicon di R. Oppenheim, opera
giÀ citata. Dai rilievi eh' io potei fare, coadiuvato in ciò dal padre mi-
norità G. Rosso del Convento di Pirano, non andiamo lontani dal vero
se asseriamo esser stato il padre maestro Giovanni Sorre, colui che ac-
colse e diede ospitalità al Tartini in Assisi. Negli annali dei monasteri
dei Minoriti è detto di questo insigne padre, nato a Pirano, che al suo
tempo fu rinomato predicatore nelle primarie città d* Italia e superiore dei
conventi di Roma, Napoli e Assisi. Le due iniziali P. M. citate dallo
Stancovich, op. cit., non racchiudono il nome e cognome, ma significano
''Padre Maestro, che cosi era chiamato dal grado che copriva. La fa-
miglia dei Sorre deve esser stata imparentata colla famiglia Zangrando,
e, se non erro, esiste ancora oggi in Pirano qualche discendente
dei Sorre.
33
avendo nel Tartini quella spiccata attitudine per la musica,
e udito avendo quanto bene sapesse sonare il violino, vi mette
ogni cura per renderlo perfetto in sì nobil arte, insegnandogli
di più e il canto e il contrappunto. Chi fosse questo padre
Boemo, che si gran parte si ebbe nella perfezione musicale
del Tartini; nessuno dei biografi sa darci precisa notizia. Lo
chiamano il padre Boemo e nulla di più. Di un valente maestro
di musica, e non meno insigne compositore, detto per antono-
masia il "Boemo,„ parlano i fasti musicali del secolo decorso.
Si è questi quel Giuseppe Myslivecek di Praga, che venuto
a perfezionarsi in Italia, dopo aver studiato sinfonia da Ha-
bermann e da Seger, scrisse alcune opere, che, rappresentate
a Napoli per la prima volta, riscossero grandissimi applausi.
Nella storia della musica è anche detto *Venatorini,„ che altro
non significherebbe che il Mysliveòek italianizzato. Mori in
Boma il 1781 d'anni 44. Questa data chiaro ci attesta non
aver egli potuto nel 1713 istruire il nostro Tartini nel monastero
d* Assisi. ^^) Ma c'era allora in Italia un altro Boemo, che se
la storia non ce lo ha registrato con questo nome, era non
meno Boemo deir altro suo conterraneo, nato essendo a Nimburg
in Boemia nel 1684. Forse la cocolla, eh' egli vestiva, di padre
minorità fece si che il di lui nome non risonasse si chiaro
per l'Italia. Era pur tuttavia chiamato Boemo dai suoi cor-
religionari, mentre il suo vero nome si era quello di Bohuslav
óemohorsky. Venuto egli pure in Italia a perfezionarsi nella
musica, fu poscia direttore dei cori ed organista in diversi
monasteri d'Italia, che appartenevano all'ordine a cui era
affigliato, e fra questi primeggiavano quelli d'Assisi e di
Padova, che tuttora sussistono. Che se consideriamo altresì che
pochi erano i monasteri in Italia che fossero retti da questo
ordine dei Minoriti, non faremo le maraviglie se in quel tomo
di tempo lo troviamo in Assisi qual maestro del nostro Tartini,
sapendo anzi che oltre ad essere organista e valente direttore
corale, aveva anche rinomanza quale contrappuntista e compo-
sitore. Lo troveremo più tardi in Padova collo stesso Tartini
**) Die Oesterreichische-Ungai ische Monarchie in Wori u, Bild, Bdhmexif
fase. 29.
34
nella chiesa del Santo a dirigere le masse corali. Da Padova
ritornò a Praga, dove fini la sua vita nel Monastero dei Mi-
noriti di quella città. Non v' è più dubbio impertanto che
questi non sia quel padre Boemo, di cui parlano tutti i bio-
grafi del nostro Tartini, ed a lui devesi V onore di avere con
l'arte mitigato i bollori del focoso giovane e preparatagli la
via alla gloria.**)
La calma religiosa del Monastero d' Assisi, le lezioni della
sventura, sulle quali potè meditare a suo agio in quella solitudine
lontana ed appartata da ogni mondano rumore, ebbero influenza
grandissima suir animo del nostro Tartini e sul di lui carattere
morale. Si calmò il bollore del suo temperamento, che come
un fuoco di paglia d' un tratto aveva divampato ; non vediamo
più in lui che le buone qualità del giovinetto tutto dedito agli
studi umanistici; ed il virtuoso di musica, che in sé univa a
distinto talento molta modestia e semplicità, fece interamente
dimenticare i trascorsi dello studente di Padova. ***) In mezzo
alla quiete dei dirupi d' Assisi egli matura alti concepimenti ;
si ridesta in lui V amore per lo studio sì bruscamente interrotto
durante il suo soggiorno di Padova, e V animo suo, non ber-
sagliato dalle tempeste mondane, è ritemprato a idee alte e
**) Die Oesterreichische- Unyarische Monarchie in Wort m. BUdf op. cit.
^É questione aperta tuttavia^, dice T egregio autore, che compilò T arti-
colo suir arte musicale della Boemia,^ se il Óemohorsky sia V identico
padre boemo, che in Assisi istruì nella composizione e neiraccompagna-
mento il celebre violinista Tartini,. Dal momento però che altri padri
della Boemia non furono allora in Italia, e V autore stesso non fa cenno
di altri ; dal momento eh* egli dice che il Óemohorsky fu quale organista
e direttore dei cori in pii\ conventi d' Italia, e da ultimo anche in Padova,
non vedo più ragione di dubitare che non sia questi quel padre Boemo*
che è citato da tutti i biografi del Tartini. C è una circostanza ancora
che ce lo fa ritenere per maestro del nostro violinista, circostanza non
nota allo scrittore dell* articolo succitato. Quasi tutti i biografi vanno
d* accordo nelP affermare che grande si fu la gioia del Tartini, quando,
nel 1721, ottenne il posto di primo violinista della Cappella di St. Antonio
in Padova, perchè veniva a trovarsi così col suo amato maestro V abate
BoemO; che da Assisi anch' egli s' era trasferito a Padova. Ma di ciò di-
remo anche in appresso.
*•) Biografia universale^ op. cit.
I
36
sublimi. Senza questa dimora e solitudine di Assisi l'Europa
intera non avrebbe in lui ammirato più tardi il genio sublime,
il Maestro delle Nazioni. Nelle stesse Romagne, e nell^stesso
eremo d' Assisi, cinque secoli prima di lui, Francesco, figlio
egli pure d^ un ricco mercatante, s' ispirava a vita ascetica e
contemplativa, fondava V ordine monastico, che da lui ha nome,
e tutto rapito dalle divine bellezze della natura, componeva
il Cantico al Sole, prima gemma della poesia lirica italiana.
La Sonata od il Trillo del Diavolo fu pure ideata dal Tartini
là, su a que' dirupi, in mezzo a quella pura e ridente natura,
e nella diffidi arte de' suoni è pur essa la prima gemma del-
l' arte italiana, che da allora si fa, come vedremo, anche arte
europea, arte mondiale. Vediamo un poco, come egli abbia
composto questa sonata, che sì memorabile restò nell' arte
musicale, si sublime parve a quanti mai celebri violinisti ven-
nero dopo di lui. "Aveva 21 anno„ — cosi il Tartini stesso
racconta al celebre francese La Lande, che in un suo viaggio
in Italia s'era appositamente recato a Padova per conoscerlo
personalmente — ''quando una notte sognai d'aver fatto un
patto col diavolo, in forza del quale egli dovea sonarmi qualche
pezzo sul violino. Mi parve di dargli in mano il mio strumento,
sul quale egli sonò una sonata si meravigliosa, che la più
bella mai ebbi a sentire. La grande emozione, che ne provai,
mi svegliò. Tentai tosto di riprodurre sul mio violino la sonata
da me udita, alla quale, scritta ohe 1' ebbi, diedi il nome di
Sonata del Diavolo. Però questa, che forse è la migliore delle
m.ie composizioni, è inferiore a quella da me udita in sogno. „*')
*') Le Francais di La Lande, Voyage de Vltalie^ Parigi, 1760,
voi. Vili, p. 292. Credo qui opportuno di citare il giudizio che il La Lande
fa del nostro violinista: ''On ne peut parler de musique a Padove, sans
citer le celebre .Tosephe Tartini qui est longtemps le premier violin de
TEurope. Sa modestie, ses moeurs, sa pietè, le rendent aussi estimable,
que ses talens: on T appelle en Italie "Il maestro delle nazioni,, soit
pour la composition. M. Pagin qui a brille à Paris, étoit alle a Padove
expres pour se former avec lui; il a donne un traitè des principes et
de regles de la composition, où il-y-a d'excellentes choses, et un Systeme
ingenieux, que lean lacques Rosseau dans son Dictionaire de Musique
éleve beaucoup au dessus de celui de la basse fondamentale, et de la
36
Un divino furore, io credo, deve aver infiammato il suo
petto, allorché riscosso dal sonno e dato di piglio al violino, si
mise a riprodurre su di esso quello, che nell'ansia di un sogno
agitato aveva udito sonare dal diavolo : questo furore innalzò il
suo spirito al di sopra della bassezza umana, gli diede all'animo
nuova forza, nuova insolita vigoria, nuovi affetti e sentimenti
più ispirati. Ed è quegli propriamente musico perfetto, o artista
di genio, come poeta, pittore, scultore, come meglio li chiamiamo,
che si accende e si infiamma a grandi cose. Ma ciò non basta
ancora; è necessario altresì ch'egli abbia la potenza di tras-
fondere questi suoi sentimenti, ch'egli ha diversi degli altri,
nell'animo di coloro che odono un capolavoro musicale, o am-
mirano qualche altra opera d' arte, giacché, come ben dice un
moderno critico, in estetica il nuovo fortemente si collega e
s'individua nella maggior potenza d'espressione, nella maggior
potenza affettiva e quindi anche immaginosa dell'artista.
generation harmonique de Rameau.... Pei'sonne n'a mit plus d'esprit, et
de seu dans ses composition, que Tartini....,, Secondo un'altra versione,
citata nel Lessico Musicale dell' Oppenheim, op. cit., Tartìnl» trovandosi
nel monastero d'Assisi, si sognò una notte d' aver stretto un patto col
diavolo, e questi, avendolo udito a sonare, si mise a deriderlo della poca
arte che ci poneva, e strappatogli di mano il violino, "Cosi — gli disse — devi
sonare ! , e cominciò a trarre tali melodie, che io solo in parte potei poi,
svegliato, riprodurre; adiratomi perciò ruppi il mio strumento, ed avrei
anche rinnunziato alla musica, da quell'ora, se mi fosse stato possibile.
Il Barbella inoltre, come abbiamo veduto, attribuiva a sé stesso
l'apparizione del diavolo. Più curioso poi si è che il Meissner, op. cit^
credette di fatto che a quest' ultimo fosse avvenuta questa apparizione.
£d il Meissner la deve aver udita dalla bocca stessa del Neumann, che
nel 1766 trovavasi appunto a Napoli, dove mediante un certo Armidoro,
aveva anche fatto la conoscenza del Barbella. Il diavolo cosi dice in
sogno al Barbella: ''Misero strimpellatore ! credi di esser maestro e di
trar prodigi dal tuo violino! Odi una buona volta come io lo sappia
sonare ! y É detto inoltre nel racconto del Barbella che il violino infer-
nale era grande come una torre e che quella musica potentissima gii
aveva fatto rizzare i capelli, tanto che rimase sbalordito, e svegliatosi,
volendo riprodurre la sonata udita, non gli erano rimasti in mento che
pochi tratti, e da quelli aver egli il giorno appresso composta la sua
sonata. Questo ridicolo racconto ci dice chiaro ch'esso altro non contiene
che una imitazione e mistificazione della narrazione geniale del Tartini
I
87
La Sonata o il Trillo del Diavolo, è la sintesi^ se cosi
m' è lecito chiamarla, di tutta V arte musicale del Tartini, seb-
bene preceda tutte le altre Sonate e Concerti eh' egli poscia
compose in gran numero, quando, uscito dal chiostro, potè
perfezionarsi ancor di più nell'arte del Gorelli e del Veracini.
Questa Sonata, se mi è permesso altresì di fare un confronto
con altre opere insigni nell'arte, equivarrebbe alla "Gerusa-
lemme liberata^, ideata e quasi interamente composta dal gio-
vane Tasso, e che ci pare ben più ispirata, più bella, più forte
e più poetica, che non siala "Conquistata,,, ridotta dall'autore in
età più matura. Ci racconta inoltre il La Lande, che il Tar-
tini stesso preferiva questa sua Sonata a tutte le altre, che
poscia compose, da tenemela perfino appesa alla parete della
sua stanza di studio dirimpetto all' uscio d' entrata, **) com-
piacendosi, nella sua ambizione d'artista, che tutti quelli che
lo venivano a trovare, ne la potessero subito vedere. Livitato
a sonarla non si faceva pregare e volentieri accondiscendeva
al desiderio di chi voleva udirla.'*^) Il Tasso, al contrario, come
sappiamo, pur di far rivivere la sua "Conquistata,, avrebbe vo-
lentieri sacrificato quante edizioni fino allora s^ erano stampate
della "Liberata,.
In questa visione del diavolo, apparso al Tartini sotto
forma e con carattere d'artista, non vedono alcuni che una
di quelle semplici fioriture poetiche, che si spesso s' intessono
nella vita di uomini illustri. £ ben vero, che ciò accade di
spesso, ma non di rado in queste visioni noi intravediamo il
genio, né ci stupiamo molte volte se i geni, che sono i più
grandi e più sublimi artefici di novità, sappiano operare delle
vere rivoluzioni sia nelle arti che nelle scienze. Anime elevate,
come sono, vedono in un subito cose inusitate e mirabili, e che
a noi, miseri mortali, non è dato poter vedere, e tanto poi vi
si appassionano da trasfondere in altrui codesta loro passione.
Che se poi questa visione si renda abituale, si che non si
^^ La Lande, Viaggio in Italia^ op. cit
*•) La Lande, op. cit. "Cristotoro, Amadio Murr, nell'opera di
Gerber Ernesto, Hi$torit^he» hiograf. Lexicon d$r TonMnitìer, Lipsia,
1791-'98.
38
possa evitare, vediamo allor nascere la pazzia. Ed il povero
Tasso, per non dire di altri, ce ne dà un esempio. Ma la vi-
sione, in grado più giusto, ci dona il vero genio, quale ci è
dato vedere in Omero, che è sommo nelle visioni, in Socrate,
che conversa di filosofia con quel suo genio, in Petrarca, ed
in Dante specialmente^ che si può chiamare il vero poeta della
visione. H Tasso istesso poi, nei suoi lucidi intervalli^ credeva,
come dice il Manso,^) veder chiaramente uno spirito buono,
che gli appariva e secolui disputava di altissime dottrine.^^)
Cosi fa del nostro Tartini: senza il violino tra mani^ era, come
avremo campo di vedere, un uomo quieto e modesto, amico
di quiete e di pace. Ma, preso in mano il violino, ecco che in
lui, d'un subito, l'uomo quieto e pacifico si cangia: egli si
risveglia, si scuote, s'accende alle prime note, che cava dal
suo strumento; par che abbracci, s'interni e si perda in quel
suono, nò bada ad altro. La sua mente, disgombra dalle te-
nebre di quaggiù, spazia in alte regioni, in regioni più pure,
dove appunto risiedono quelle fantastiche visioni, che assumono
poi fonna di vere, reali apparizioni.*^) A visioni improvvise
andò soggetto anche Nicolò Paganini, come ci narrano i di
lui biografi. Non voglio qui alludere alle tante favole, che
di lui si scrissero, come quella di essersi dato anima e corpo
al diavolo, perchò ne lo assistisse coll'arte sua maga, o l'altra,
della sua meravigliosa sonata sur una sola corda, e che egli
ideò e scrìsse in prigione, mentre le altre corde gli s' erano
spezzate; favole che egli stesso volle fossero publicamente
smentite nel 1831, allorché trovavasi a Parigi,^*), ma bensì a
•^ fUa di T. Tono, Veneaia, Deuchino, 1621.
»*) L.Bettinelli, Entusiasmo ddle belk aHi, tomo, IV, "Veggenti,,
Venesia, 1799. "Veggono questi geni, sono presenti, son tocchi, son mossi
da quelle scene e vedute, che levandosi sopra sé stessi, e quasi fuori
dei sensi, incontrano nell'alta loro e serena atmosfera, disgombra dei
nuvoli e delle tenebre di quaggiù.»
**) S. Bettinelli, op. cit, Analisi deWentusiasmo, tomo, IV, 'I geni,.
^ Bè9ue musicalsy Parigi, 1881. L&'fctera di Paganini al Fetis, che
fa riprodotta in molti giornali franceei « italiani di allora. £, G. Wa-
^ielewski; op. cit.
39
quello spirito malvagio, che di spesso lo tormentava colle sue
apparizioni, e dopo le quali egli ne usciva e più ilare e vie-
maggiormente disposto a cavare dal suo magico strumento tali
suoni, che poi gli fruttavano quegli interminabili applausi, che
tutti sanno.")
Dopo due anni, per un caso fortuito, dicono quasi tutti
i biografi,^^) fu scoperto il ritiro del Tartini, mentre nessuno
sapeva fino allora dove veramente si ritrovasse. Un padovano,
venuto il 2 di agosto al perdono di Assisi, rimase stupito alle
mistiche e dolci melodie, che udiva partire dall' orchestra del
vasto tempio. Avendo chiesto chi fosse quel si celebre virtuoso
di violino, nessuno o seppe, o volle dirgli il vero nome. Sta-
vasene egli pertanto rivolto verso quella parte, quando all'im-
provviso un forte buffo di vento sollevò la cortina, che toglieva
**) Il Regli, Storia del violino in Piemonte, racconta questo fatto,
accaduto appunto a Trieste, mentre Paganini trova vasi a dare dei con-
certi : Sedeva egli un giorno a mensa in mezzo a numerosa società. Prima
ancora che le mense fossero levate, ecco che i commensali lo vedono
alzarsi d' un tratto, e gridare come un ossesso : "Salvatemi, signori, sal-
vatemi da quello spirito che continuamente mi perseguita; vedetelo là,
come esso mi minaccia collo stesso insanguinato pugnale, con cui io gli
tolsi la vita Essa mi amava ed era innocente ahimè ! due anni
di carcere non sono stati sufficenti a scontare le mie pene ; il mio sangue
deve esser sparso fino all^ ultima stiUa „ E cosi dicendo aveva preso
il coltello, che gli stava dinanzi sulla tavola, brandendolo per V aria.
Tosto i commensali lo disarmarono, ma sui loro volti leggevasi lo spa-
vento e la mestizia. Pure egli ben tosto si calmò e continuò a mangiare e
bere come nulla fosse stato. Si venne poi a sapere, aggiunge il Regli,
eh' egli voleva in tal modo ridersi di coloro, che usavano spargere sul
suo conto mUle tavole. Ciò non pertanto il teatro fu tanto zeppo il giorno
appresso, che più di mille persone erano state rimandate, si che la sera
dopo dovè tenere un altro concerto. — Vedi anche in proposito il Wasie-
lewski, op. cit., il quale attribuisce U fatto all'ingordigia del Paganini,
che era solito, dice, far parlare molto di sé, per poter attirai'e in teatro
quanti più uditori gli fosse possibile. — Comunque sia passata la coda,
non credo che Paganini avesse avuto bisogno di ricorrere ad uno scherzo
dì si cattivo genere, o per far tacere la gente o per impinguar maggior-
mente la sua borsa.
**) Ab. P. Stanco vie h, op. cit., e molti altri, che per brevità
tralascio di citare.
40
agli occhi de' divoti la vista deir orchestra. ^£ Tartim,^ co-
minciò allora quegli a dire, "io ben lo ravviso, e me lo era
ben immaginato; altri non avrebbe saputo cavare dal violino
melodie si divine.;, E ritornato in Padova, raccontò quanto
aveva e veduto ed udito. Questa novella, ripetuta da tutti,
pervenne anche agli orecchi del cardinale Comare, il quale,
dopo due anni, avendo deposto ogni ira e sdegno contro il
misero Tartini, volle lo si richiamasse, permettendo altresì si
riunisse colla consorte, da cui ne lo aveva si bruscamente
staccato. Se tutti i biografi di Tartini più degni di fede vanno
ripetendo la novella, ciò vuol dire che essa deve avere qualche
probabilità. Non nego la scoperta fatta dal padovano^ nego
però che Tartini, all' invito della consorte o del cardinale,
si fosse tosto recato a Padova; come quasi tutti i biografi
asseriscono, senza poter addurre prova di sorta.
Se vi è fase nella vita di Tartini, che meriti un' attenta
considerazione, si è questa appunto, che dal 1714 va fino al
1721; tante sono le contradizioni, in cui incorsero i biografi,
tale un arruffio essa ha e di vedute e di date, che difficile
riesce anche al più attento indagatore di poter uscirne non
solo con matematica sicurezza, ma neppure con certa tal quale
precisione. Ammesso, per deficenza di documenti^ un fatto,
quanto ad esso si subordina deve di necessità piegarsi sn
quello, non importa se le conseguenze che ne derivano abbiano
poi qualche fondamento di verità. E per citare un solo di tali
fatti; ci basti qui ricordare l'invito che Tartini si ebbe nel
1716 dai Veneziani a voler cooperare in una col Veracini e
col Biscontino alle grandi festività, che la republica di S. Marco
offriva al principe E. Augusto, Elettore di Sassonia. ^^) Questa
cooperazione del Tartini è un fatto certissimo, e certissimo
è altresì questo secondo incontro del nostro violinista col ge-
niale Veracini ; ma la data tanto delle festività che dell' incontro
è sbagliata in quasi tutti i biografi : chi la pone un anno o
due dopo, chi nel 1716 e perfino, come il nostro Stanco vich,
^ Wasielewski I. W., op. cit.
41
nel 1714. s^) Questo solenne sbaglio se ne tiro dietro moltissimi
altri, e noi vediamo il misero Tartini correre difilato a Padova
a prendervi la consorte e rappacificarsi col temuto cardinale*®) e
portarsi tosto a Venezia e di là imbarcarsi per Pirano onde affidare
la consorte, con cui s'era appena riunito, e per la quale tanto aveva
sofferto, al fratello Domenico,**^ e ritornare subito neUe Bomagne,
per dedicarsi con maggior agio in Ancona allo studio del suo di-
letto strumento, e là stabilirvisi per dieci anni; dico dieci, né uno
di più, ne uno di meno ; per star lontano anche dalla consorte,
che già, subito dopo questa sua unione col marito, è divenuta una
donna brontolona, riottosa e bisbetica, se altra mai ce ne fu. ^)
") P. C. Stancovich, op. cit. — Il Veracini nel 1714 trovavasi a
Londra, come ben annota il Wasielewski (op. cit.) e lo Stancovich confonde
qui in uno solo i due incontri che il Veracini si ebbe con Tartini. L'uno,
come già fu detto, avvenne nel 1712, prima che il Tartini si rinchiudesse
nel Monastero d'Assisi, V altro nel 1716, e non nel 1719, come vorrebbe
il Wurzbach (op. cit.). Fu dopo le feste dì Venezia, che il prìncipe
F. Augusto di Sassonia condusse seco il Veracini a Dresda, facendolo
anzi virtuoso di camera alle sue dipendenze.
^) P. Stancovich, op. cit., e molti altri ancora.
^ P. Stancovich, op. cit; Biografia universale antica e moderna;
op. cit. Fino a nuove prove dubito forte che la Premazzone sia mai
stata a Pirano, nò col marito, né sola. Mai ci fu, dopo partito per i suoi
studi di Padova nel 1710, lo stesso Tartini ; dapprima perché molto temeva
il padre, dopo i trascorsi di sua gioventù; non ci fu poscia, morto il
padre, e dalle lettere eh' egli indirizza al fratello Domenico, chiaro
risolta eh' egli non fu a Pirano dopo il 1728, nel quale anno, a un di-
presso, deve esser avvenuta la morte del padre. Forse che le lettere
anteriori a questa data andarono perdute; dubito tuttavia che mai ne
esistessero di anteriori al 1728, credo anzi che la famiglia ne lo consi-
derasse, vivente il padre, come un figlio perduto. É solo accarezzato dai
fratelli quando, salito all' apogeo di sua gloria, possono chiedergli dei
denari pei mettere in assetto le finanze famigliari, allora più che mai in
rovina. Ma di ciò abbiamo già detto, e diremo all'occasione anche in
appresso. H postillatore delia seconda edizione dello Stancovich del 1888,
che si nasconde sotto la lettera E.^ crede fermamente allo Stancovich
stesso là dove dice che Tartini affidò la moglie al fratello Domenico, e
cita le lettere autografe dell'archivio di Pirano; in nessuna di esse però
è cenno di questo fatto.
^) P. Stancovich, op. cit.; lUuatraaione del Prato della Valle ^ ed
a.ltrove.
42
Ma senza precorrere gli avvenimenti, cerchiamo piuttosto
d' indagare, per quanto ci sarà possibile, entro a questa
fase della vita del Tartini, che per la sua importanza merita
speciale riguardo^ dacché si è da essa, e lo possiamo già in
antecedenza asserire senza errore, che il nostro violinista
accrebbe viemaggiormente quella fama mondiale, che ormai
s'era acquistata colla Sonata del Diavolo, fama che fece di
lui il maestro delle Nazioni; il maestro di quell' "arte nuova„,
che lo rese oggetto di curiosità da parte di tutti i più chiari
ed eminenti musicisti del suo tempo. ^*)
Segregato dal mondo e lontano da ogni umano consorzio,
o cura mondana, visse per due anni il Tartini in Assisi. Lo
studio, durante questo tempo, e lo abbiamo già detto, fu la
unica sua occupazione, T unico suo conforto; e allora quando
il diletto suo maestro, cioè il Padre Boemo, non seppe più
come istruire il suo discepolo, perchè ormai lo scolaro aveva
superato il maestro stesso nelle musicali discipline, accadde
allora che non un semplice e fortuito caso inducesse il violinista
ad abbandonare quel ritiro, si bene il desiderio di maggior
gloria e la brama di apprendere quelle cognizioni, che né il
buon padre, né tampoco la quiete della vita claustrale gli po-
tevano offrire. £ fu allora, che senza dare \m definitivo addio
al monastero, si ritirò o in Ancona o in qualche altro luogo
solitario, dove anche lo raggiunse la fedel sua consorte, dopo
la scoperta fatta dal padovano. Ho detto o in Ancona, come
vogliono i biografi, o in qualche altro luogo solitario; giacche
l'encomiaste del Tartini, alludendo a questo suo nuovo ritiro,
dopo la dipartita d' Assisi nel 1714, cosi scrive di lui : *Ma la
fama del Viscontino e del Yeracini, distaccandolo di primo
tratto da quell'asilo di quiete, lo invitava a Cremona indi a
Venezia.;, ^^) E questo forse 1' unico passo, che ci dia la chiave
per comprendere dove si stesse il Tartini durante i sette anni.
*^) G. Tebaldini, IJ Archivio musicale della Cappella Afttoniana^
op. cit.
•*) Elogi di tre uofnini illustri , Tartini f Vallotti e Gozzi ^ con una ora'
zione gratulatoria, Padova, 1792, per C. Conzatti. Dall' elogio di G. Tartini,
op. cit.
43
che tanto diedero da fare ai biografi. Visse T encomiaste del
Tartini a Padova, fu anzi amico del nostro violinista, di cui
volle tessere l'elogio, pochi anni dopo la sua morte. Nò di
Padova impertanto, ne di Ancona è parola, sì bene di un ^asilo
di quiete,. Vanno così stimando, come nebbia al vento, anche
quei dieci anni, che la fantasia de' biografi trasse forse dalla
guerra troiana, e tutti quei viaggi di Padova, Venezia, Pirano,
che da soli già cadono, se si vuole ammettere una solitudine
di dieci anni in Ancona. Il padovano altresì della leggenda
non è altri, a mio modo di vedere, che un parente della sposa,
o un messo, se vogliamo anche, del cardinale, il quale avrà
condotta la sposa a chi di fatto apparteneva. E che V iniziativa
fosse partita daUa sposa stessa si è il solo Wasielewski ^')
che ce lo dice, assicurandoci che fd essa a scrivergli per la
prima una lettera, facendogli conoscere e che il cardinale
aveva deposto ogni sdegno, e che i genitori di lei s'erano
rappacificati. E possiamo ben credere se si sarà fatto un dovere
di raggiungerlo subito in quel nuovo ritiro, o asilo di quiete,
dove appunto egli intendeva stabilirsi per qualche tempo. Anche
il nostro Stancovich lo dice stabile in Ancona nel 1714, ma
confonde questo suo ritiro con V altro avvenuto nel 1717.
£ qui giunti, prima di procedere più oltre, ci sia permesso
definire im' altra questione, accettata da molti biografi del
Tartini. " V ha — dice il Tebaldini **) — chi lo ritiene allievo di
Gorelli, ma nessun documento 1' attesta con certezza. „ Che il
nostro Tartini abbia studiato le opere del Gorelli, di questo
''maestro dei maestri,, come allora veniva chiamato, non v'ò
dubbio ; che delle sonate di lui si sia, più che un* arte, formato
un vero culto, specialmente nella solitudine d'Assisi, e più
tardi ancora in quel suo asilo di quiete, nessuno sarà che lo
ponga in dubbio; ma da questo all'essergli stato allievo ci
corre di molto. Il Gorelli teneva la sua scuola di violino in
Koma, e nella etema città morì anche, nel 1713, in quel me-
desimo anno, in cui coUa Sonata del Diavolo spuntava sul-
r orizzonte artistico un altro astro, un altro genio, cioè quello del
•*) I. W. [Wasielewski, op. cit.
•*) G. Tebaldini, op. cit., ed altri ancora.
44
nostro violinista, che in breve doveva eclissare "il virtuosissimo
del violino, o il vero Orfeo de' suoi tempii, che tali epiteti furono
allora scritti sulla tomba del Gorelli nel Panteon di Boma, dove
le sue ceneri riposano accanto a quelle del divino Bafaello.^^)
Stabilitosi il Tartini con la consorte in quel suo nuovo
asilo di quiete, eh' io reputo non lungi di Assisi, ^) si mise
a studiare con un fervore non meno intenso di quanto aveva
prima fatto sotto la direzione del padre Boemo. Le lezioni
di contrapunto e di armonia musicale, che il buon padre
gli aveva insegnato per due anni consecutivi, fecero si eh' egli
allora rivolgesse la mente agli studi di matematica e di fisica,
che da quattro e più anni ormai aveva abbandonati, dal tempo
cioè dei suoi studi umanitari in Capodistria. Aveva ben com-
preso, che la scienza doveva procedere di pari passo con
l'arte, e che con quest'ultima soltanto nuli' altro di lui sarebbe
derivato se non un celebre virtuoso di violino, ma che, come
compositore e di sonate e di concerti, mai sarebbe emerso
dalla volgar schiera dei molti virtuosi di violino, di cui allora
era piena l'Italia. Bisognava togliere la maniera speciale di
scrivere, o piuttosto di notare, dei violinisti d'allora, la quale
non indicava che vagamente tutto ciò che occorreva fare per
ben eseguire la musica ; gli adagi principalmente non erano che
una specie di abbozzo, su cui l' esecutore lavorava, secondo la
disposizione della sua anima, secondo la sua immaginazione.
"Un adagio — dice il de Prony — che il Tartini ha tessuto in
diciasette maniere diverse, chiaro ci rivela il segreto del suo
modo di esprimere le meIodie„,^^ e noi diremo anche della
"*) L W. Wasielewski, nella Vita di Arcangelo CoreUi, op. cit
"*) Non potendo Tartini con la consorte starsi più oltre nel Mona-
stero d'Assisi, s'era scelto un altro luogo di pace per poter vivere tran-
quillo e lontano da ogni umano rumore. Questo luogo non doveva essere
lungi dal Monastero, anzi, io reputo, vicinissimo; perchè anche uscito
da quella solitudine, faceva pur parte dell' orchestra del Convento. E che
cosi fosse avremo campo di vedere, quando diremo della sua chiamata
e ritomo a Padova nel 1721.
*'') De Prony, nella Biografia universale antica e modertta, op. cit.
L'Adagio del Tartini^ di cui è fatto cenno, trovasi alla ^lìe della -Divi-
sione delle Scuole del violino, di Q. B. Cartier.
46
sua scienza musicale, senza la quale mai un artista può pene-
trare ben addentro nei secreti della natura e dell'arte. Nei
manoscritti dell'Ariosto e del Tasso qualche ottava è ripro-
dotta in dieci e più maniere, Tuna più bella dell'altra; e
queste manifestazioni dell' uman genio, che noi diciamo parti
di versatile ingegno, sono il prodotto di quella scienza pro-
fonda, che trovasi soltanto in pochi ed eletti ingegni. Cosi tu
del Tartini. Quella sua versatilità d' ingegno, accompagnata da
una scienza, che, avuto riguardo ai tempi, poteva ben dirsi
profonda, ci offrono quella famosa scoperta del terzo stwno^ che
da allora diviene regola fondamentale dell' arte. Questa scoperta,
che molti critici troppo parziali attribuirono ad altri, fu fatta
dal nostro Tartini già nel 1714, cioè nel primo anno di quel
suo asilo di quiete *s) e precede di molti anni quella del fran-
cese Bameau, o l'altra del tedesco Sorge, che si basano, la
prima in specialità, sur un sistema d'armonia del tutto dif"
ferente. H terzo suono del Tartini è quel suono basso, che si
fa sentire come necessaria conseguenza dalla combinazione di
due suoni più alti, che vengono generati su due corde diffe-
renti di uno strumento. Supponiamo difatti, che si abbiano
due suoni, uno dei quali faccia 100 vibrazioni per ogni secondo,
1' altro 126 ; si hanno cosi tre suoni, cioè i due suoni primitivi
dì 100 e di 126 e il terzo suono o suono di combinazione di 26
vibrazioni. "Se questa teoria non è del tutto esatta — dice il
Blasema ^^) - - perchè, per maggiore esattezza, ci vuole il calcolo,
questo è certo però, che i suoni di combinazione sono veri
suoni di differenza, in questo senso, che il numero delle loro
vibrazioni corrisponde realmente alla differenza delle vibrazioni
••) Muaikalìsckes Consertatian^s-Lexiconydì Oppenheim, op. cit.— "Einet
der grSssten, toenn nieht der gróssie Violinspieler, wurde nicht nur der Griinder
einer Schule des Violinspieles, sondem auch eines neuen Harmoniesystem.
— Im làfire 1714 entdeckie er auch das Phonomen der sogennantet' Combina-
tionstGnej des Mitklinges eines tiefen Tons, wenn zwei hShere consonì-
rende angegeben werden, und grttndete spfiter hierauf ein Harmoniesystem,
welches er in seinem Trattato di Musica weìtl&ufig darlegt^.
••) Biblioteca scientifica internazionale, voi. I, *La teoria del suono
nei suoi rapporti colla musica,, dieci conferenze del Prof. Pietro Bla-
sema, Milano, Fratelli Dnmolard, 1875, V Conferenza.
4é
dei due suoni combinati insieme „ Questo è appunto quanto
il Tartini volle provare, basandosi sul calcolo delle vibrazioni
di due corde, che ad un tempo vengano toccate, e questa
combinazione, fatta, come dice lo stesso Blasema, nella metà
del secolo passato, viene generalmente attribuita al celebre
violinista Tartini. Ma lasciamo ad altri, ben più competenti in
materia, a voler chiarire più dawicino con calcoli matematici
questa questione: quello però che più ci preme di rilevare si
è che il nostro Tartini debba avere in questa scoperta il
primato assoluto. Critici valentissimi in materia, fra cui per
brevità cito solo quello del Lessico Musicale dell' Oppenheim,
asseriscono che Tartini fece la singoiar scoperta del terzo suono
già nel 1714. Ed è da quest' anno che i dotti di allora comin-
ciano ad occuparsi di questo nuovo fenomeno, come essi la
chiamavano allora questa nuova scoperta; e se il nostro vio-
linista non volle fosse pubblicata per le stampe che nel 1764, ^^)
aveva le sue buone ragioni; voleva, cioè, sentire l'opinione dei
dotti d'allora, e specialmente quelle del padre Martini e del
dott. Balbi di Bologna, coi quali tenne viva corrispondenza,
difendendo ora le sue teorie, ora cedendo alle osservazioni che
gli andavano facendo. ^^) Alle osservazioni mossegli dal padre
Martini, così gli rispose una volta Tartini: "V. E. si degni
riflettere che io non mi faccio autore e scuopritore, se non del
solo terzo stumo procedente da due corde suonate di qualunque
strumento d'arco, sopra questo verte il mio trattato intero e
questa è l'unica scoperta che io dico mia, perchè lo è.„ '«) Un
^^) Trattato di musica secondo la vera scienza dell* armonia di G. Tartini,
Padova, nella stamperia del Seminario appresso Giovanni Manfrè, 1754.
^'> Lettera di G. Tartini al padre Martini di Bologna^ allorché gli
inviava, per un esame, il suo Trattato; ed in proposito G. Tebaldini,
op. cit. — Wurzbach dott. C. dice: *Circa il suo Trattato Tartini si
intratteneva spesso col conte Decio Agostino Trento.,, E da qnesto dotto
deve anche aver avuto non pochi incoraggiamenti il nostro violinista,
perchè, dice lo stesso Wurzbach, visto che non si decideva a stamparlo,
lo fece stampare il nobile conte senza neppure chiedergli permesso.
") Altra lettera di G. Tartini al padre Mai-tini, di data 5 novembre
1751. L'altra con cui gli spediva il Trattato porta la data del 12 marzo
dello stesso anno. G. Teb aldini, op. cit.
47
Uomo di carattere, quale si era il Tartini, non poteva dirsi
più esplicitamente autore di una si importante scoperta, per
la quale contendevansi il primato altri dotti, e sopratutto i
francesi. "Loro sanno — scrive egli altresì nella lettera, che
accompagnava il Trattato — quali e quanti grand* uomini
hanno trattato V armonia, e han letto e veduto quanto da quelli
sia detto. Che ora salti fuori un sonatorello di violino, e che
pretenda non solo di vedere e sapere ciò che non han veduto
ne saputo tali uomini, ma di più si vaglia dell'armonia per
scoprire ciò che non ha potuto per tanti secoli scoprire il dotto
matematico Mondo, questa è una cosa^ che per quanto possa
esser vera, non può mai esser verisimile. Per quanto vi è
più sacro la prego difendersi per ora da tal pregiudizio e di
porsi risolutamente al vero esame. Il fine e la conclusione
spiegherà tutto e si troveranno contentissimi di aver speso il
tempo non per una frivolezza, ma per la cosa più importante,
che possa trattarsi fra noi uomini. Troveranno (glielo dico in-
nanzi) verissima la mia propositione, e con loro la troverà
tutto il dotto Mondo., Con più modestia, e in pari tempo con
più coscienza di sé per la grande scoperta fatta, non credo
che mai uomo dotto abbia presentata un' opera, per averne un
definitivo ed imparziale giudizio. Non seguiremo più oltre il
lungo carteggio del Tartini e del padre Martini, che finirono
collo intendersi reciprocamente, dopo le obbiezioni mosse e
dall' una e dall' altra parte, nelle quali venne perfino in ballo
la quadratura del circolo; ciò solo diremo, che l'amicizia di
questi due dotti insigni andò man mano raffermandosi ed
avendo bisogno nel 1769 il dotto bolognese che Tartini, a sua
volta, gli desse un giudizio sulla Storia della Musica^ che allora
stava stampando, cosi scrivevagli : "Attualmente si stampa il
mio secondo Tomo della Storia di Musica, che contiene la
musica greca e per necessità ho dovuto entrare nel sistema di
Pitagora e di Platone, che col mezzo dei numeri armonici
hanno spiegata la creazione dell' anima e di tutte le cose
celesti e terrestri : ma io non vado più avanti di quello che
si trova scritto dai suddetti autori. Da ciò può Ella immagi-
narsi se mi sarà caro l'avere da Y. S. Molto Illustrissima la
vera chiave del gergo di Pitagora e di Platone, da essi nascosto
48
nei principi musicali, potendo star sicurissimo che da me non
sarà palesato per ora a chiunque siasi. E intanto gradirei di
vederlo, per iscoprire se in questo mio Tomo avessi mai preso
qualche piccolo granchio, essendo in tempo anche nel fine del
Tomo di ritrarmi di quanto possa occorrere, e perciò mi rimetto
tutto nelle di Lei mani.^^^') Questa lettera del padre Martini
chiaro ci dice di quanto valore fossero i giudìzi del nostro
violinista sul sistema armonico da lui scoperto, perfezionato e
studiato fino agli ultimi istanti di sua vita. Credo anzi che il
Martini, uomo tanto addentrato nelle musicali discipline, non
sarebbe ricorso per un parere al nostro Tartini, se non si fosse
interamente persuaso, che tutte quelle teorie, che V amico avea
scoperte e perfezionate, non fossero state tutta opera di lui,
e non copiate da altri; come allora asserivano i francesi, e
come in oggi ancor da molti si ritiene. Ma vediamo che cosa
ci dica la storia degli altri suoi competitori od emuli, a cui
molti vogliono si debba dare il primato della scoperta. Il
Wurzbach vuole assolutamente che il diritto di priorità circa
la scoperta del terzo suono si debba a G. A. Sorge, e che da
lui il Tartini abbia poi creato tutto il suo sistema «dell' armonia
musicale ; fa anzi che il Sorge preceda di nove o dieci anni
^') Lettera del padre G. B. Martini al Tartini di data 18 aprile 1769,
citata dal Fanzago, op. cit. Questa lettera, e tutte le altre del Tartini
e del Martini, passarono in eredità del nobile signor Pietro Tartini, ni-
pote ed erede del nostro violinista. La famiglia Vatta, per quanto mi
consta, non le possiede, ed è probabile che si trovino ancora in Padova,
probabilmente nell' Arca del Santo. £ supponibile, dicevami il padre Negri,
attuale bibliotecario della Biblioteca Antoniana dì Padova, che molti
manoscritti del Tartini, o minute, o spezzate, o duplicate andassero per-
duti nella revisione delle biblioteche dei monasteri d* Italia, e tanto più
poi dacché il signor Pietro Tartini nel 1780 non s' era curato minima-
mente di ritirare da Padova tutti gli scritti del Tartini, che il Podestà
d' allora, dietro sua preghiera, avevagli promesso di restituire Anche
nel civico Museo di Padova, che fu riveduto negli anni 1894-96, nulla fu
trovato di Tartini; cosi mi assicurava il direttore dello stesso, a cui mi
era rivolto per qualche appoggio a questo mio studio. Sarebbe bisogno
ritentare la prova; qualche cosa si potrebbe ancor trovare, e un attento
studio meriterebbe specialmente la corrispondenza epistolare del Tartini
coi dotti e filosofi di allora.
49
colle sue teorie non il Tartini soltanto, ma anche il Kameau
e il de Serre, e cita per avvalorare il suo asserto V Universale
Letteratura Musicale del Fòrkel, ''*) dove appunto si vuole
scalzare la priorità del Tartini. L'osservazione del Wurzbach
se è giusta nella forma, pecca nella sostanza: egli parla di
priorità del Sorge basandosi suir opera di lui, clie vide la luce
in Amburgo già nel 1744, 's) dieci anni dunque prima del
Trattato del Tartini, che non fu stampato che nel 1754 per
la prima volta ; ma tutto il mondo musicale lo sa, e V Oppen-
heim, come fu detto, ce lo dice chiaro, che già nel 1714 il
Tartini aveva fatto quella fenomenale scoperta, che aveva
messo già allora sossopra e gl'italiani e i francesi e i tedeschi.
La differenza risiedeva altresì negli istrumenti musicali ; Tartini
aveva fatto le sue esperienze sulle corde del violino ; il Sorge
sull'organo e sul pianoforte. Il Rameau, a differenza del Tartini,
ricava il terzo suono con legge inversa; presso lui non seno
gli acuti che danno il terzo suono più basso, si bene i due
bassi che danno il suono fondamentale acuto. Non è nostro
compito di voler qui indagare quale delle due teorie sia da
reputarsi migliore, basandosi si V una che Y altra sugli stessi
principi scientifici; quello però che qui ci interessa di dire si
è che 11 Trattato d'armonia del Eameau e l'altro Sul nuovo
sistema di teorica musicale, non videro la luce a Parigi prima
del 1726, se anche, e specialmente il Trattato, furono già ideati
o scritti nel 1721 a Clermont ; quasi dieci anni dunque più
tardi della scoperta fatta dal Tartini. ^^) Anche il Bameau,
come il nostro violinista, ebbe in gioventù una vita agitatissima,
e si fu appena nella quiete di Clermont che la mente di lui
potè elevarsi ad idee sublimi e ad alti concepimenti. La natura,
che molte volte si mostra più che madre, cattiva matrigna per
^*) FòrkeVs Allgemeine Litteratur der Musik in der '*Leìpziger Musi-
kalischen Zeitung, Breitkopf u. Hftrtl, 1825.
") Anfoeiaung zur Stimmung der Orgelwerke iind des Claviers von 6,
A. Sorge, Amborg, 1744.
^*) lUustrirte MusikgeschichU oder die ^Entwieklung der Tonkunst
aus iiiihesten AnfUngen bis auf die Gegenwart» von Emil Naumann,
Berlin et Stuttgart, 1885.
60
il povero artista, volle questa volta esser prodiga, aprendo il
suo gran libro, entro a coi stanno riposti i secreti della scienza,
a questi due sommi ingegni, che nella solitudine, partendo da
un punto differente, andavano svolgendo quei sistemi di armonia
musicale, che studiati dippoi e sottoposti a seria disamina e
dal Helmholtz ^^) e da altri dotti dei nostri tempi, dovevano
interamente far dimenticare tutti i vecchi sistemi, che non
avevano alcuna base scientifica. Del Serre avremmo occasione
di dire quando parleremo della difesa, che fece il nostro Tartìni
del suo Trattato; ci sia permesso peraltro, prima di chiudere
questa parte importante del nostro studio, di poter citare
qualche moderno critico musicale, perchè con la sua autorità
confermi quanto siamo venuti fin qui esponendo.
Il Neumann, che non sempre dimostrasi imparziale, quando
trattasi di criticare i sonmii musici d'Italia, cosi dice del Ba-
meau: ^H di lui Trattato cPatmonia gli diede un nome immor-
tale perchè colle sue teorie gettò le prime basi di un nuovo
sistema scientifico-musicale.„ ^Tartini non è da considerarsi
soltanto come grande virtuoso di violino, si bene anche come
teorico, avuto riguardo all'immensa influenza ch'egli esercitò
sul suo tempo. E come il Martini non va considerato solo come
famoso musico, si bene anche qual dotto distinto, e più di
tutto come matematico e acustico, altrettanto dobbiamo dire
del Tartini. Se Sameau scoperse il terzo suono dai due bassi
consonanti fra loro, Tartini fece altrettanto col suo sistema
del basso proveniente dagli acuti; e questa sua teoria, che,
come egli assevera, è stata da lui scoperta per il primo, fu ai
nostri giorni e studiata ed allargata dal Helmholtz, nell'opera
dei Suoni differenziali. y^''^) Ben altro ancora fece il Tartini. "In
ogni cosa, eh' egli prese a perfezionare — dice V Arteaga ' ^)
— ha saputo imprimere lo spirito d'invenzione e la natura
riflessiva e sagace, cui portavalo il proprio temperamento. „
") S. HelmholtZ; Di*- Lehre von dir Tonenempfindungen, Ber-
lino, 1863.
^') E. Neumann, op. cit, voL I, pag. 590 e seg. e pag. 592-93.
^) Stefano Artenga, Le rivoUmoni del teatro mu9iealé iialiano^
Venezia, 1785.
51
Scoperto il terzo suono ben comprese che il violino non avrebbe
più corrisposto con l'antica sua conformazione e struttura
alle esigenze della nuova scienza musicale, di cui s'era fatto
maestro. Provando e riprovando le vibrazioni delle corde, capì
che il terzo suono non sarebbe mai uscito netto e distinto, se
non ingrossando le corde stesse, fino allora troppo fievoli e
sottili, e allungando alquanto l'archetto per raddolcire l'asprezza
che in sé aveva lo strumento, anche se in mano di un Gorelli
o di un Veracini. Specialmente all'archetto volse particolare
studio ed attenzione, allungandolo e suddividendo la stanghetta
in parti si dall'alto che dal basso per poter procedere al bi-
sogno con determinato sistema, e perchè il braccio destro fosse
sicuro della toccata.®*) Ci assicura anzi di più il Fayolle che
egli avesse sempre seco due archetti, uno segnato per il tempo
a quattro e l' altro per il tempo a tre quarti.®^) "Il violino ar-
monioso — dice il de Prony — toccante e pieno di grazia sotto
l'arco dei Tartini, ha preso per la prima volta un'espressione
drammatica ne' suoi adagi, canti ai quali è impossibile di non
attribuire im senso, ed in cui si scorge appena che manca la
parola.^ «») Questi studi sull' arte dell' archetto, che il Tartini
cominciò a fare in queU' asilo di quiete delle Bomagne, furono
continuati fino all' estrema sua vecchiezza in una col sistema
armonico, con cui strettamente si collegavano. Fu per questa
espressione dell'arco, che mai gli dava pace, tanto ne era ge-
loso, se si risolvette ad abbandonare quel quieto asilo per por-
tarsi a Cremona nel 1716 per udire il Biscontino; e se nel 1716
accolse di buon grado l'invito che gli faceva la republica di
Venezia per le festività che venivano date all'Elettore di Sas-
sonia, sapendo bene, che invitato essendo anche il Yeracini,
molte cose ancora avrebbe potuto apprendere, non per superare,
ma per uguagliare almeno questo mago del violino, la cui
gloria e i cui trionfi forte rodeangli il core di gelosia ed emu-
lazione. E di fatto all'udirlo si turba non poco, che se egli
•^ I. W. Wasielewski, op. cit.
«*) F. I. M. Fayolle, Paganini et Btriot, Parigi, 1881.
*'j D. Prony, ArticolQ della Biografia univenale, op. cit.
52
aveva fatti tanti progressi neirarte e nella scienza, anche
l'altro fino allora non era stato inerte, anzi era passato trion-
fante per V Europa, facendo stupire tutti col divino suo ma-
gistero nell* arte de' suoni. H cruccio del Tartini s' accrebbe
ancor di più, allorché V Elettore di Sassonia, terminate le feste,
volle che il Veracini ne lo seguisse a Dresda, per farlo virtuoso
di corte.^') Capi il Tartini che per lui non era ancor sonata
V ora di gettarsi nel gran mondo, e dato un addio agli amici,
corse difilato a rintanarsi in quella sua solitudine, studiando
giorno e notte su quella espressione dell' arco, che tanto gli
martellava il core e gli angustiava V animo.^^)
I risultati di questi lunghi e pazienti studi del Tartini
sulla maniera di adoperare Y archetto, sono esposti nell' opera
che s' intitola Uarte delVarco^ cioè 50 variazioni sur una gavotta
del Gorelli. Curioso si è che di essa non faccia cenno che il
solo Wasielewski,**^) che, come io credo, deve averla veduta in
qualche luogo, mentre ad essa accenna anche il Cartier,^^) ma
con titolo francese. Quest* opera, che non deve minimamente
confondersi con V altra. Lezioni pratiche di violino, deve essere
stata scritta dal nostro violinista già nei primi anni della sua
solitudine, se, come dice il Wasielewski, gli adagio delle sue
prime sonate rispecchiano fedelmente la nuova teorica musicale,
che, coi loro melodici motivi, ci offrono svariate metamorfosi
ornamentali.^^) Non meno bella si è la lettera sul maneggio
dell' arco, diretta a Maddalena Lombardini Sirmin, che era
"^ I. W. Wasielewski, op. cil.
•*) Potrebbe darsi che questo secondo, o anzi terzo ritiro del Tar-
tini, avvenisse in Ancona, come quasi tutti i biografi asseriscono. Forse
aveva stabilito di recarsi in questa città per essere lontano da Assisi,
dove, come credo, e i fatti in appresso ce lo diranno, aveva degli im-
pegni, di sonare, cioè, almeno nelle maggiori solennità. Anche per questo
suo ritiro cadono tutte quelle congetture, che i biografi del Tartini an-
darono fino ad ora predicando, di un viaggio a Pirano, per lasciarvi la
consorte o di altri suoi viaggi tatti a Padova od altrove.
•*) I. W. Wasielewski, op. cit.
^) Tradition de Vdrt de Varchet de Tartini di I. B Cattier, Parigi
1825, ed in proposito anche il Wurzbach dott. C, op. cit.
") Wasielewski I. W., op. cit.
63
stata sua allieva, ^^) da cui possiamo farci una chiara idea del-
l' impegno e dello studio eh.' egli metteva in tutte le cose sue,
non trascurandole neppure negli ultimi anni di sua vita. La
lettera porta la data di Padova, 5 marzo 1760, ad è un capo-
lavoro nel suo genere. Fu stampata in quanti mai periodici o
gazzette musicali finora videro la luce non in Italia soltanto,
ma ripetute volte e in Germania e in Francia ed in Inghil-
terra.®*) Non sarà discaro impertanto ai lettori di questo mio
studio di rendernela qui pure riprodotta, eccezione fatta delle
note musicali, che un amatore potrebbe vedere neìT Archeografo
triestino j'^^) dove il nostro Hortis V aveva per intero publicata
nel 1884.
^Signora Maddalena mia stimatissima!
"Finalmente quando a Dio è piaciuto, mi sono sbrigato
di quella grave occupazione, che fino qui mi ha impedito di
mantenerle la mia promessa, sebbene anche troppo mi stava
a cuore perchè di fatto mi affliggeva la mancanza di tempo.
Incominciamo dunque col nome di Dio per lettera, e se quanto
qui espongo ella non intende abbastanza, mi scriva e domandi
spiegazione in tutto ciò che non intende.
"Il di lei esercizio e studio principale deve esser TArco in
genere, cosi che ella se ne faccia padrona assoluta a qualunque
uso o suonabile o cantabile.
"Primo studio deve essere l'appoggio dell'Arco sulla corda
siffattamente leggero che il primo principio della voce che si
cava sia come un fiato e non come una percossa sulla corda.
Consiste in leggerezza di polso e in proseguir subito l'arcata,
dopo r appoggio leggero non e' è più pericolo di asprezza e
crudezza. Di questo appoggio cosi leggero, ella deve farsi pa-
drona in qualunque sito dell' arco, sia in mezzo, sia negli estremi,
**) Si è questa la celebre cantante e senatrice di que' tempi che
da semplice orfanella di un convento di Venezia, mercè le rai'e doti mu-
sicali seppe elevarsi al più alto fastigio di gloria. S'era maritata al
conte 8irmin.
*•) P. Stanco vi eh, op. cit.
^) Lettere di Giusejype Tartini^ op. cit.
54
e deve esser padrona coir arcata in su e coU'arcata in giù. Per
far tutta la fatica in una sola volta si incomincia dalla messa
di voce sopra una corda vuota per esempio sopra la seconda
eh' è l'Alamirè. Si incomincia dal pianissimo crescendo sempre
a poco alia volta finché si arriva al fortissimo, e questo studio
deve farsi egualmente coli' arcata in giù e coU'arcata in su. —
Ella incominci subito questo studio e vi spenda almeno un'ora
al giorno, ma interrotta un poco la mattina, un poco la sera
e si ricordi bene che questo è lo studio più importante e più
difiSoìle di tutti.
''Quando sarà padrona di questo le sarà allora facile la
messa di voce che incomincia dal pianissimo e va al fortissimo
e toma al pianissimo nella stessa Arcata. Le sarà facile e
sicuro l' ottimo appoggio dell' arco alla Corda e potrà fare col
suo arco tutto quello che vuole.
^*Per acquistare poi questa leggerezza di polso da cui
viene la velocità dell'Arco, sarà cosa ottima, che suoni ogni
giorno qualche fuga del Gorelli tutta di semicrome e queste
fughe sono tre nell'Opera V a Violino solo, anzi la prima è nella
prima suonata per Delasolre. Ella a poco alla volta deve suo-
narle sempre più presto, finché amvi a suonarle con quella
velocita che le sia più possibile. Ma bisogna avertire due cose:
prima di suonarle coir arco distaccate, cioè granite e con un
poco di vacuo tra una nota e 1' altra. Secondo, di sonarle in
punta d' arco nel principio di questo studio, ma poi quando è
padrona di farle in punta d'arco allora incominci a farle non
più in punta, ma con quella parte d' arco, eh' è tra la punta
e il mezzo dell' arco, e quando sarà padrona anche di questo sito
dell'Arco, allora le studi nello stesso modo in mezzo dell'arco,
e sopra tutto in questi studii si ricordi di cominciare le fughe,
ora coir arcata in giù, ora coir arcata in su e si guardi dal-
l' incominciare sempre per V ingiù. Per acquistare questa leg-
gerezza d'arco, giova infinitamente il saltare una corda di mezzo
e studiar fughe di semicrome.
"Di queste ella se ne può fare a capriccio quante vuole
e per qualunque tuono e veramente sono utili e necessarie.
''Kispetto poi alla mano del manico^ una sola cosa le
raccomando di studiare la quale basta per tutte ed è questa:
66
"Per qualunque parte di violino, o primo o secondo, sia
di concerto, sia di qualunque messa o salmo, ogni cosa serve.
Ponga la mano, non a suo luogo ma a mezza smanigatura; suoni
tutta quella parte del Violino, non movendo mai la mano da
quel sito se non che, o quando dovrà toccare Alamire sulla IV
corda, o dovrà toccare Delasoire sul Cantino, ma poi torni colla
mano alla stessa smanigatura di prima, nò mai al luogo naturale.
Ella faccia questo studio finché è sicura affatto di suonare qua-
lunque parte di Violino (non obbligata a soli) a prima vista, allora
tiri innanzi la sua smanigatura in Alamire col primo dito sul
Cantino e faccia in questa 2 smanigatui*a lo stesso studio, fatto
sulla prima. Divenuta sicura anche di questa, passi alla terza sma-
nigatura col primo dito in Benii sul Cantino e se ne assicairi nello
stesso modo. Assicurata, passi alla quarta col primo dito in Ce-
solfaut sul Cantino. Insomma, questa è una scala di smanicatura,
di cui quand'EUa se ne sia fatta padrona, può dire di essere Pa-
drona del manico. Questo studio è necessario e glielo raccomando.
"Passo al terzo ch'ò il Trillo. Io da Lei lo voglio tardo
mediocre e presto, cioè battuto adagio, mediocremente e pre-
stamente ed in pratica si ha vero bisogno di questi Trilli dif-
ferenti, non essendo vero che lo stesso Trillo che serve per un
Grave debba essere lo stesso Trillo che serve per un Allegro.
"Per fare due studi in una volta con una sola fatica,
Ella incominci sempre sopra una corda vuota, sia la seconda,
sia il Cantino eh' è tutt' uno, un' arcata sostenuta come una
messa di voce, ed incominci il Trillo adagio, ed a poco a poco
alla volta per gradi insensibili lo vada riducendo al presto.
"Ella non istia a rigore in quest' esempio, in cui date le
Semicrome si passa immediatamente alle Biscrome, e da queste
all' altre, che vagliono la metà. No ; questo sarebbe salto e
non grado. Ma ella si imagini che tra le Semicrome e le Bis-
crome, vi sieno altre note in mezzo che vagliono meno delle
Semicrome e più delle Biscrome, ma che partendosi dalle Semi-
crome siine di valore prossimo alle Semicrome, e secondo che
vanno innanzi sempre più vadano avvicinandosi al valore
prossimo delle Biscrome finché arrivino ad essere vere Biscrome
e cosi a proporzione tra le Biscrome e le successive che va-
gliono le metà.
56
''Questo studio lo faccia con assiduità ed attenzione e
assolutamente lo incominci sopra una corda vuota perchè se
Ella arriverà a farlo bene sopra una corda vuota, molto meglio
lo farà col secondo, col terzo dito e anche col quarto, su cui
bisogna fare esercizio particolare, perch' è il più piccolo dei
suoi fratelli. Nuli' altro per ora le propongo da studiare ; ma
basta ed avanza quando Elia vuol dir da senno per la sua
parte, come io la dico per parte mia. Mi risponderà se ha bene
inteso, quanto le ho proposto. E intanto rassegnandole i miei
rispetti, come La prego di far per parte mia alla Signora Priora,
alle signore Teresa e Chiara, tutte mie Padrone, mi confermo
sempre più
Dev. aft. servitore
Di V. S.
Giuseppe Tartinij^,^^)
Se con la Sonata del Diavolo e con la scoperta del terzo
suono il nostro Tartini s'era ormai procacciata tanta gloria, da
esser trovato degno di poter concorrere col Veracini e col Bi-
scontino perchè più solenni riuscissero le festività, che la potente
republica di Venezia dava, come accennammo, nel 1716 al
principe di Sassonia, possiamo ben figurarci di quanto non si
sarà accresciuta la sua fama dopo i quattro anni, eh' egli volle,
lontano dal mondo, passare in quel novello ritiro delle Ilo-
magne, dove appunto con uno studio ancor più paziente ed
indefesso sul violino, s'era proposto non di eguagliare, ma di
superare ben anco il geniale Veracini, e perfezionare oltre a
ciò quei suoi studi di scienza musicale, dai quali ripromette^
vasi non minor gloria. E se passeggera fu la gloria, eh' egli
seppe acquistarsi in Venezia in quei pochi giorni delle festi-
vità, e tanto più poi, dacché la mente sua era conturbata da
nobilissimi sentimenti di emulazione verso il Veracini, suo po-
tente rivale; stabile, duratura, immortale potremmo chiamare
la di lui fama dopo quei quattro anni di volontario esilio. E
che tale essa fosse, chiaramente ce lo conferma T invito che
egli si ebbe da Padova di voler accettare il posto di Primo
'') Questa lettera fu copiata interamente dallo Staucovich, op. cit.
67
Violino della Cappella del Santo, che allora era una delle
prime non d'Italia ma di tutta l'Europa. L'atto con cui ve-
niva deliberato di chiamarlo a Padova porta la data 3 aprile
1721, e dice le precise parole: Avvertito pienamente dalla F. A,
Congregazione di condurre il Sig. Giuseppe Tartini sonator singoiar
di Violino co ^l stipendio annuale di Fiorini 150 e di dispensarlo dalla
prova p. la sua notoria eccellenza in tal professione,^^) Dobbiamo
aggiungere inoltre che, allorquando fu chiamato a Padova,
egli trovavasi in qualità di violinista in Assisi, come ben dice
il Tebaldini,®*) non in Ancona dunque, come fin qui andarono
novellando quasi tutti i biografi, confondendo questo invito
con un altro da loro immaginato di sette anni a^nteriore. Sap-
piamo altresì come già quei sette anni fossero divenuti dieci
nella fervida immaginazione di alcuni biografi, e tutti passati
in Ancona. Maggior prudenza mostrarono quei pochi biografi,
che; non sapendo rendersi piena ragione di questi sette anni
per mancanza di documenti, fecero partire Tartini da Assisi a
Padova subito dopo la scoperta del suo nascondiglio; almeno
s'avvicinarono alla verità, se anche l' anacronismo era patente ;
lasciando che il lettore supplisse a quella lacuna come meglio
gli piaceva.
Se i più accreditati biografi parlano di un nuovo ritiro
nei quattro anni, che precedettero l'invito a Padova del '21,
non v'è più dubbio, che questo non sia stato in Assisi, o in
qualche luogo non lontano dal Monastero, dove, come ben si
scorge, aveva degli oblighi di dover sonare nelle maggiori solen-
nità, e senza dover recarsi alle prove, a cui ogni sonatore era
obligato. E Padova, io credo, non avrà preteso maggiori oblighi
di quelli, a cui egK doveva sottostare in Assisi, anzi avrà con-
servato certi di lui privilegi, e lo vediamo nelle parole del-
l' invito e di dispensarlo dalla Prova per la sua notoria eccellenza in
tal prof essione ; parole queste che pienamente vengono riconfer-
mate e maggiormente spiegate con un decreto della Presidenza
della Veneranda Arca, che riferendosi all'invito di 16 giorni
•^ Oc, Tebaldini, op. cit — Parli ed Atti. Voi. XXVI, pag. 32.
^ G. Tebaldini, op. cit.
58
innanzi, cosi stabiliva il 16 aprile: "che a lui venisse assegnato
il posto di primo violino della Cappella del Sauto, coll^onorario
di ducati 160 annui, dispensandolo dalle solite prove, attesa la
di lui celebrità, e lasciandolo in libertà di poter sonare ne'
teatri non solo nel carnevale, ma sì in qualunque altro tempo
ancora, colla sola restrinzione, che trovandosi o a Padova o
nelle sue vicinanze comparir dovesse nelle principali solennità,
senza per altro aver bisogno di dispense o ballottazioni, come
suol praticarsi a tutti gli altri impiegati di quella cappella. **)
Con quale e quanto entusiasmo accettasse proposte sì lu-
singhiere; che gli venivano da quella città, dove aveva passato
i più begli anni di sua vita, e che egli ormai amava non meno
della sua stessa patria, non è da dirsi. Non erano passati 16
giorni dal primo invito che noi lo vediamo entrare trionfante
in quella Padova, a lui sì cara, da cui dieci anni prima si
era partito di nascosto e col cuore esulcerato. Ma quanto di-
verso e mutato egli tornò da quello che s' era partito. Nessuno
ravvisava più in lui quel carattere focoso dello studente, ve-
stendo egli già allora, come ben dice lo Stancovich,*^) quel
carattere di moderazione, che, a fronte di qualunque più si-
nistro accidente, inviolabilmente mantenne poi per tutta la
vita ; e non era ancor giunto, potremo aggiungere, al suo tren-
tesimo anno d' età : esempio solenne di quanto possa lo studio
e la perseveranza suir animo dell" uomo, che dalla avversità sa
trari'e novelli ammaestramenti per il resto di sua vita.
^) "Libri degli atti della Veneranda Arca, ; nel tomo che comincia
nel 1703 e va fino al 1721, pag. 284, di data 16 aprile 1721. Questo passo
non è citato dal Teb aldini (op. cit), fu però da lui veduto, come ben
si scorge nella sua Illustrazione si ori co-evitica. Quello che ci pare strano
è tuttavia, che i fiorini 150 dell'invito, vengono qui riprodotti in ducati lì>0.
Quest' ultima dizione io ritengo migliore : la prima potendo benissimo
esser un fallo o dell' amanuense dell'atto, o del copiatore dello stesso.
In tutti gli altri atti è sempre fatto cenno di ducati, mai di fiorini. Così
altrove parlasi di 200 ducati annui, percepiti in appresso dal Tartìni, e
stando a qualche autore (Muaihalisches Consermtioìì^a • Lexicoìi^ op. cit.),
perfino di 400 ducati è parola. Il Tebaldini peraltro ci assicura, che il
nostro violinista mai percepì più di ducati 2(X).
**) P. Stancovich, op. cit.
I
69
L4nvito e T accoglienza avuta in Padova dal Tartini fu
un vero onore ; ce lo dicono chiaro i privilegi, che fino allora
non erano toccati ad alcun virtuoso della Cappella del Santo ;
e le meraviglie che vuol fare il Tebaldini^^) del poco ordine e
della rilassatezza di disciplina nella direzione della Cappella,
mi paiono aflfatto inutili e fuori di luogo; e il motivo è evi-
dentissimo ; le parole dell'invito, attesa la sua celebrità, o le altre,
per la sim notoria eecellenza^ credo, siano più che sufficienti a
spiegarci perchè col Tartini fu fatta tale eccezione. Quello
pertanto che sommamente stava a cuore alla direzione della
Cappella del Santo, che forse^ dopo la morte del Corelli in
Roma, era divenuta la più rinomata d'Italia, si era appunto
di avere qual primo cooperatore il nostro Tartini, ed i privi-
legi a lui accordati altro non erano che un onore singolare,
che veniva tributato e alla persona, e alla di lui eccellenza e
perfezione nelF arte. E tanto maggiore fu V onore fatto al nostro
violinista, dacché la Cappella stessa aveva allora a maestro
concertatore queir insegne musico e scienziato, che fu il padre
Francese' Antonio Calegari, capo, come ci attesta il Busi, della
scuola padovana e iniziatore, non meno del Tartini, di novelle
riforme nella scienza delF armonia. ^^) Se cosi non fosse stato,
ben presto Padova sarebbe stata prevenuta da altre città sia
d' Italia che di fuori, che già, come avremo ben presto campo
di osservare, facevano a gara mandandogli supliche e preghiere,
perchè una buona volta si decidesse ad abbandonare quel suo
ritiro di quiete. Ecco spiegati i privilegi a lui concessi ; l'esempio
poi del Yeracini, che già per la seconda volta abbandonava
r Italia, era troppo recente, perchè chi era preposto ad una
Cappella non larghegiasse di privilegi coi novelli artisti, che
già avevano assicurata la loro fama con opere immortali. Ed
è un fatto oramai indiscutibile, se anche sottaciuto da molti
biografi,*®) che il nostro Tartini ben poco fu stabile a Padova
••) G. Tebaldini, op. cit.
•') Busi avvocato Leonida: Il Padre Martinif pag. 311, ed in
proposito: G. Tebaldini, op. cit.
••) P. Stancovich; op. cit. — De Prony, Biografia universale^
op. cit. — Dr. C. Wurzbaoh, op. cit — I. W. Wasielewski, op. cit.,
ed altri, che per brevità tralascio di citare.
60
dal 1721 fino al '23, se, come ci accerta qualche altro biografo
più accreditato, accompagnato dalla fedele ed amata consorte,
visitò le principali città d' Italia. E le parole dell' atto di sua
nomina, che trovandosi a Padova o nelle sue vicinanze comparir
dovesse nelle principali solennità^ ancor più palesemente ci dimo-
strano, che al momento dell'accettazione a quella carica ono-
rifica, egli stesso ci abbia fatto qualche restrizione per accon-
tentare, in parte almeno, il desiderio che tutti avevano di udirlo
a sonare. Lo udirono di fatto e lo applaudirono in questi suoi
viaggi, che potremo dire trionfali, le città di Venezia, Milano,
Bologna, Livorno, Napoli, Palermo ed altre città d'Italia, come
ci accertano il di lui encomiaste*^) e l'autore delV Illuslrazione
del Prato della Valle ;'^^^) anzi a Venezia, come più vicina a Pa-
dova, ci sarà stato ripetute volte e si sarà anche fermato per
qualche tempo, ed a questi due anni di sua fenomenale atti-
vità devonsi riferire le parole del Masutto ^^') là dove dice :
"un' altra gloria della Cappella di S. Marco fu il Tartiud Giu-
seppe, quasi sempre domiciliato a Venezia, sebbene passasse a
dirigere le orchestre del Santo a Padova^, o la citazione del
Caffi,*®*) che riferendosi ad una lettera del padre Anselmo
Mai*sand, maestro egli pure della Cappella del Santo, cosi si
esprime : ^11 Tartini non solo ebbe per più anni abitazione fissa
a Venezia, ma si può dire vi sia stato sempre, anche quando
^) C. Conzatti, Elogio di G. Tartiniy op. cit. "Lo udi più volte
Vinegia, Milano, Livorno, Bologna, Napoli, Palermo ed altre molte città
d'Italia.;,
*•*) lUiMtrazione del Prato della Valle, op. cit. "Dal '21 al '23 fu a
Venezia, Milano, Bologna, Napoli, Palermo e altrove; nel 1723 si portò
a Praga.,,
"») G. Pr. Masutto, Della Musica Sacra in Italia. Voi. I, p. 40.
''Cappella Ducale di S. Marco in Venezia.,, Quest'opera del Masutto, che
precede l' altra dello stesso autore dal titolo : 1 Maestri di Musica italiani
del secolo XXX, contiene delle peregrine notizie circa la musica sacra in
Italia, manca però di una certa base critica, e dei documenti necessari,
che la corredino.
^^') StofHa della Musica Sacra nella già Cappella Ducale di S. Marco
in Venezia, dal 1318-1797, di Francesco Caffi Viniziano, Venezia,
Antonelli, 1866, voi. 2.
61
fii qui a Padova a diriger l'orchestra del Santo, facendo con-
tinuo passaggio da questa a quella città „ Non porremo in
dubbio questo continuo passaggio eh' egli faceva da Padova a
Venezia, anche per affari famigliari, come ben possiamo ac-
certarci dalle lettere, eh' egli mandava al fratello Domenico o
al nipote Pietro di Pirano,*^^) ma da questo ai molti anni di
continuata permanenza nella città delle lagune ci corre di molto.
Di qualche mese di permanenza potremo parlare nei due anni,
che corsero dal '21 al '23, come fu detto, o tutto al più negli
altri tre, che vanno dal '26 al '28, dopo ritornato da Praga. Fu
nel 1728 eh' egli aperse publica scuola di violino in Padova,
ed è appunto da questo anno che egli s' era proposto di non
più abbandonare questa città se non per brevi intervalli a
Venezia o nei luoghi vicini. Che se, come dice il Caffi, per
bocca del Marsand, molti furono i gentiluomini veneziani, che
da lui furono istruiti, quali un Marcello, fratello di Benedetto,
un Giustiniani, a cui aveva anche dedicata una sua sonata,^^**)
un Venier, un Mocenico, una Lombardini^'^^) ed altri ancora, è
pur vero altresì, ed è il Meissaner'®^ che lo attesta, che molti
***'j Latere di G. Ttfr/ttii, edite da A ttilio Hortis neir^rcA<'o<7ra/o
Triestino, op. cifc. Tutte queste lettere, che dal 1726 vanno fino al 1769,
sono datate da Padova, e parlano di interessi famigliari, né mai v'è
accenno ad una stabile dimora del nostro violinista in Venezia; più di
spesso anzi si parla di qualche viaggio fatto da Padova a Venezia per
perorare in favore dei fratelli di Pirano con questa o quella eccellenza
per questioni d'interesse affatto privato, o per il posto àìmaaaaro (Usai,
passato in altre mani.
*®*) Questa sonata porta il nome del Giustiniani stesso. Si è questi
quel cavaliere Ascanio, patrizio veneto, ammiratore e discepolo del nostro
violinista. Vedi in proposito V Illustrazione del Prato della Vaile, op. cit.
**^) La stessa Lombardini-Sirmin, di cui sopra è cenno. Fu istruita
dal Tartini in una colla Cubli, che divenne anche celebre neir arte. Tutte
e due erano state ricoverate nelP asilo dei Mendicanti di Venezia. Una
terza allieva del Tartini fu la celebre Stromba deir asilo agli Incurabili
di Venezia.
*•**) A. G. Meissner, BruchstUcke zur Biographie L G, Neumann^s,
op. cit., parte I, cap. I. Bacconta il Meissner di una gentildonna vene-
ziana, vedova e madre di due figli, che si era stabilita a Padova, perchè
Tartini ne li istruisce nella musica. Questa gentildonna cercava appunto
&1
di questi nobili veneziani si recavano a Padova a prender le
loro lezioni, anzi per meglio approfittare vi facevano stabile
dimora. Nella stessa lettera del Marsand al Caffi è detto ancor
di più, che invitato il Tartini a voler sonare nella ducale Cap-
pella per solenni funzioni od altri bisogni, si portava a Venezia,
dove il Nazzari, che era primo violino, e che gli era stato al-
lievo, gli cedeva il posto e gli sonava a fianco sotto la dire-
zione del celebre maestro Buranello.
Se Padova aveva salutato con entusiasmo il ritomo del
Tartini, si che la pur ampia chiesa del Santo non era bastante
a capire la gente, che vi si afiTollava per udirlo a sonare, non
meno entusiastiche furono le accoglienze eh' egli ebbe nelle
altre città d'Italia, dove gli si facevano vive istanze, perchè
abbandonasse gli altri impegni, o prolungasse il suo sog-
giorno, per poter più a lungo bearsi di quelle divine melodie,
sonate con queW arco che vinse ogni desio. ^^'') Ma la fama, dea
geniale, che non può contenersi entro ai naturali confini dei
mari e dei monti, aveva sorvolato le Alpi, ed il nome del
Tartini, circondato di tanta aureola di gloria, risonava già
chiaro ed illustre in tutta Europa. Neil' agosto del 1723 la città
di Praga prepara vasi a solennizzare con grandi feste T inco-
ronazione dell'Imperatore Carlo VI e dell'Imperatrice Elisa-
betta Cristina. Ogni ceto di cittadini doveva prestar 1' opera
sua. Più che tutto trattavasi di poter avere della buona musica,
sia vocale che istrumentale, ed i principi, conti o signori del
regno, erano impegnati più degli altri a raccogliere quanti più
cantanti o sonatori potessero, sia fra i cantori delle cappelle di
singole chiese, o fra gli studenti, che davano allora un grande
di un copista per trascrìvere i diversi pezzi musicali, che il maestro
componeva per essi. IL Neumann, che appunto allora era venuto a Pa-
dova, s'era offerto egli stesso a far da copista, e fu ben accetto, benché
male in arnese e poco pratico della lingua. Fu da questo tempo, che il
Neumann fece la conoscenza del Tartini, conoscenza^ che doveva decidere
della sua vita. Ma di ciò diremo in appresso.
**^) Ultimo verso del Sonetto Giuseppe Tartini^ ossia ^^l' espressione
del suono di A. Mazza, — Mazza, Opere , Parma, 1800.
63
contingente di virtuosi.^^^) Bisognava peraltro far qualche cosa
di più per si solenne circostanza, ed a ciò provvide il conte
Fr. Ferdinando Kinsky, che allora era gran cancelliere della
Boemia, e a cui era demandata la suprema direzione delle
festività per l' incoronazione. Più degnamente del nostro Tar-
tini nessuno avrebbe potuto disimpegnare in si fausta ricor-
renza le parti di primo virtuoso; chiamatovi perciò con lusin-
ghiero invito dello stesso cancelliere, vi accorse, conducendo seco
Antonio Bandini; violoncellista della stessa Cappella del Santo.
Giunto a Praga fu accolto con quelF onore che si meritava,
ed il nobile conte volle fosse suo ospite, assegnandogli un ap-
partamento nel suo stesso palazzo. ^®®)
Anche di questa assenza da Padova per recarsi a Praga
è fatto cenno negli "Atti della veneranda Arca^,. Nel libro, che
contiene gli atti, che dall'anno 1721 vanno fino al 1730, se non
comparisce il suo nome fra i salariati della Cappella, egli è
perchè all'atto di sua riconferma, come dice il Tebaldini,**®)
era stato anche esentato, oltre agli altri privilegi, dal voto
annuo di riconferma, stabilito per i membri della Cappella
stessa; il suo nome però comparisce il giorno 29 decembre
1723. Esposti tutti i nomi dei salariati alla ballottazione, si
trova scritto al luogo delTartini: 'Supplica Giuseppe Tartini,
Primo Violino, quale non potendo essere al servizio, se non
terminato il tempo in cui deve servire la Maestà di Cesare
Imperatore, cosi insta di restar bensì nella sua condotta, ma
senza alcun stipendio, e ciò fino al suo ritomo, al qual tempo
solo dovrà principiar il suo onorario. Il che inteso da tutti li
M. Rev. Padri, e Nobili Signori Presidenti, siccome fu lodata
la sua puntualità, così unanimi e concordi assentirono a fargli
la grazia, e riballottato ebbe voti num. 7„.*'')
*•*) Die Oesterreichische ' Ungarische Monarchie in ÌVort und Bild^ op.
cit , fase. 20, Boemia.
'*») Dr.Ludw. Ritter von K5chel, Johann Josef Fux, Wien, 1872.
"•) G. Tebaldini, op. cit.
'") "Libri degli Atti della Veneranda Arca,„ op. cit, ed in propo-
sito V Illustrazione del Prato della Volley op. cit. Nel Tebaldini non trovo
nessun accenno di questo atto.
64
L' incoronazione dell' Imperatore ebbe luogo nel duomo
di S. Vito. Dopo di essa fu tenuto un banchetto, a cui colle
loro maestà, presero parte tutte le notabilità si ecclesiastiche
che civili e della Boemia e di altre provincie. Neir ampia e
magnifica sala, dipinta dal Tiziano e costruita dall* ingegnere
teatrale Giuseppe Bibiena, oltre alla tavola imperiale eranvi do-
dici altre tavole per i commensali. Le bande militari alterna-
vano i loro concenti coi cori, ma V attenzione di tutti i com-
mensali era rivolta all'orchestra, che, posta nel mezzo, sopra
le due entrate, spandeva per quel vasto ambiente delle dolci
e soavi melodie, che toccavano il cuore.' '2) Tre giorni appresso
vi fu r incoronazione deir Imperatrice, con lo stesso ordine di
prima; di più verso sera tutta la nobiltà in gran gala si portò
a corte dalle loro maestà, dove nella sala di Spagna fu data
una gran cena, allietata essa pure da una musica divina."')
Chi più degli altri emerse fu il nostro violinista, e tanto entu-
siasmo egli destò, che l'Imperatore volle gli fosse presentato
in una al Caldara, direttore dell' orchestra, ed agli altri suo-
natori. In questo incontro V Imperatore lo nominò virtuoso di
corte."*) Ma più entusiastiche furono le ovazioni fatte al Tar-
tini allorché per le stesse feste fu data in teatro V opera del
Fux, Costanza e fortezza^ a cui presero parte non meno di
cento persone tra cantanti e coristi ed altrettanti sonatori di
orchestra. Il nucleo però di quest' ultima era formato da una
schiera di virtuosi, venuti da tutte le parti di Europa, primo
''*) AusfUhrlich und QrUndlicht TiVi* Beschreibungen dea Einzttges und
der Krónung der Bdmischen Kayser und Kòniglichen Majestàten Carolis der
Sechete u. Elisahetha Christina in Pfag. Anno 172B. Prag, gedruckt bei
Wolffgang Wickart.
*") Vedi la nota precedente.
^^^) Questa circostanza, non notata da alcun biografo, è convalidata
dal fatto della presentazione che il conte Kinsky, dopo il concerto, tece
alle loro maestà dei sonatori, che maggiormente sperano distinti nelle
festività; ed un accenno si trova appunto nelle descrizioni dell ^incoro-
nazione, che ho sopra citate. Ed il biografo del Tartini neW Illustrazione
del Prato della Valle (op. cit.) cosi si esprime: ^'Jl Tartini non fu solo a
Praga a servìzio del conte Kinsky, ma ancora di S. M. l'Imperatore
medesimo y
65
fra tutti il Tartini, se, come è detto, "^) fu Parte italiana che
primeggiò in questa rappresentazione. Dirigeva l'opera il
Caldara, essendo indisposto il Fux.
Terminate le feste, il nobile conte Kinsky volle che il
Tartini si trattenesse a Praga e che continuasse ad essergli
ospite^ non solo per pascersi, come dice il Oonzatti"^) più a
lungo di queir inusitato piacere, si ben anche perchè V arte
de' suoni avesse in lui, sommo maestro, quella perfezione, che
difficilmente avrebbe potuto trovare negli altri virtuosi. E da
quel tempo in fatto, .auspice lo Stamitz, come ben dice il
Wasielewski, *^') s'estese non in Austria solo, ma su tutta la
Germania quella scuola tartiniana, che da Mannheim dilatossi
dapprima in Prussia ed in Isvezia, poi in Francia ed in In-
ghilterra. Oontendevansi allora il primato in Germania le due
scuole di Dresda e di Berlino, quando appunto sorse quella
di Mannheim, che presto ecclissò quelle due. A Giov. Carlo
Stamitz, nato a Deutschbrod in Boemia, e poscia trasferitosi
a Mannheim, era riservato il non facile compito di far eccellere
su tutte le altre scuole di Germania quella del Tartini, che,
dopo i tre anni di continuata permanenza nella capitale della
Boemia, aveva, al dipartirsi, lasciato dietro di se molti scolari,
degni di tanto maestro. Se dobbiamo prestar fede al Dlabacz,"®)
grandissima fu V influenza esercitata dal nostro violinista sui
virtuosi di allora e della Boemia e della Germania, tanto che
non v' era sonatore di qualche merito, che a lui non accorrese
per un aiuto o consiglio nell' arte. Lo stesso Quanz, che per
invidia o animosità personale, non volle mai riconoscere in
lui quel fine senso dell' arte, che pur tanto lo innalzava su
tutti i suoi contemporanei, mai potè movere il benché minimo
*") Die Oéstereichische - Ungariache Monarchie in Wort und Bild,
B5hmen, fase. 20. Vedi inoltre: Gottfr. Johann Dlabafiz, AllgemeineB"
hi9torÌ9che8 KUnsUer - Lexikon fUr Bòhmen^ voi. B, e Dr. HugoBiemann,
Musih - Lexicon (terza ediz., 1887).
'*•) Elogio di Tartini, op. cit.
'") Die Violine und ihre Meister^ von L W. Wasielewski, op. cit.
***) AUgemeines historisckes Ktlnstler Lexicon fUr B6hmen, von Gott.
Johann Dlabaòz, voi. 3, op. cit.
66
appunto sulla magistrale di lui virtuosità e sulla meravigliosa
esecuzione tecnica delle sonate e concerti. La gloria di lui e la
virtuosità, che, come asserisce il Biemann,^'^ era ben nota in
Germania, prima ancora eh' egli mettesse piede in Praga, si
accrebbero di mille doppi dal giorno dell' incoronazione del-
l' Imperatore, col crescente successo di sua fama nei tre anni,
che potremmo, senza errore, chiamare tre anni di vero magi-
stero neir arte. Avea compreso molto bene importante lo Stamitz,
che a voler interamente riformare i metodi fino allora usati
dai suoi predecessori, alti*a via non gli restava che studiare i
sommi italiani e più degli altri il Tartini, che fu, ed è il Wa-
sielewski*^^) che ce lo afferma, il vero suo maestro, la vera sua
guida nel non facile (ùmento. Si che, se alle sue produzioni,
aggiunge il Wasielewski, non si può negare quei veri tratti
caratteristici; che informano la vera scuola tedesca, tuttavia
d'altra parte non si può neppur negare che l'impronta tanto in
esso che nella scuola di Mannheeim; da lui fondata, non ricordi
1* arte italiana.
Tre anni, come dicemmo, s' era fermato a Praga il nostro
violinista, cioè fino al principio del 1726, quando il conte
Kinsky, suo amico e protettore, se ne parti egli pure, essendo
stato nominato dall' Imperatore regio commissario alla corte del
Palatinato. Da Praga venne direttamente alla sua diletta Pa-
dova, colmo di onori bensì e di gloria, non di doni, come vor-
rebbero alcuni biografi, e come egli stesso s^era lusingato. Dalle
due lettere succitate; e che egli scrisse da Praga al fratello
Domenico in Pirano, rileviamo altresì che nulla avanzavagli
in quella città di quanto percepiva come virtuoso di corte,
^dovendo spendere molto in medicine costosissime, non confe-
rendogli il clima, ed essendogli contraria l'aria, i cibi, le genti.„
Così scriveva il 10 agosto del 1726. Ai tre novembre poi dello
stesso anno rinnova le sue lamentanze, promette però che prima
del termine dell' anno, o tutto al più a metà del venturo, non
solo avrebbe sollevato la famiglia, ma sì. anche portata a tale
"^) Muèik' Lexicon^ vou Dr. Hugo Riemaun, op. ciU
***) Die Violine und ihre Meister^ vou Jos. Wilh. Wasielewski,
op. cit.
j
67
agiatezza, quale non era mai stata vivente il padre. "Né cer-
cate né il come, né il quando, egli scrive, é questa vigilia della
festa in cui godremo.„ Ei pare però che questi suoi sogni do-
rati non si sieno punto avverati, perché in altra lettera, che
egli scrive da Padova allo stesso fratello, e che non è che di
un anno posteriore, sono sempre in campo gli stessi famigliari
interessi, non solo non migliorati, ma quanto mai in isfacello.^'*)
Presero abbaglio non lieve importante quasi tutti i bio-
grafi del nostro Tartini, i quali volendo seguire o il Tipaldo,
o il Wurzbach, o il Conzatti, asserirono categoricamente, e senza
punto persuadersi dalla verità, eh' egli si stesse tre anni lon-
tano da Padova, ondo sottrarsi alla consorte, donna, come essi
dicono, caparbia, riottosa e di temperamento irascibile, se altra
ne fu mai, una novella Santippe insomma^ che avvelenò tutta
la vita del nostro violinista. L' unico che non creda a si strambe
fantasie, che, ricopiate dai singoli biografi, assunsero poi quei
begli epiteti, si fu il nostro Stancovich, il quale però o non
seppe o non volle confutarle, ritenendole forse in parte vere
o almeno verosimili. Che qualche incompatibilità di carattere
ci fosse tra marito e moglie Tartini, occasionata forse e dalla
nascita e dall' educazione diversa, non lo vorremmo neppur noi
negare a priori, ma da semplici incompatibilità ad una San-
tippe ci corre e molto; anzi che egli abbia avuto per la moglie
i maggiori riguardi, è lui stesso che lo confessa in una lettera
al marchese Ferdinando degli Obizzi, il quale voleva indurlo
ad abbandonare Padova e portarsi a Londra, da dove, come
vedremo, gli erano venuti ripetutamente degli inviti: "Sappia
esser difficilissimo nel punto presente (correva allora V anno
1730) potersi trovare al tr' uomo più bisognoso di me di esser
attualmente in Londra per importante interesse da trattarsi
con l'Accademia Beale. E parimenti diffìcil cosa, che v' abbia
altr' uomo superiore nella stima, venerazione e rispetto verso
li Signori Inglesi, anteposti da me col fatto a qual si sia na-
zione pel giudizio; che da loro solo attenderò d' una mia sco-
perta (voleva alludere alla scoperta del terzo suono). Ho moglie,
"*) Archeografo triestino, "Lettere di Giuseppe Tartini,,, op. cit.
68
a me uniforme di sentimento^ e non abbiamo figli; siamo contentisi
simi del nostro stato, e se vi è in noi qualche desiderio non è pel
di inìi. La idea poi di quel bene, che ciascun si forma a suo
modo, formata già in me da tanti anni, stabilita e fatta più
che natura, è incommutabile con qualunque altra modificazione
di vita.„ '*2) Una dichiarazione più esplicita di quali sentimenti
egli fosse compreso verso la sua consorte, credo difficilmente
possa trovarsi in altro uomo. Ma il più bello di certi biografi,
che predicano la Premazzone una novella Santippe, si è che
riferiscono la lettera stessa, non vedendo in quale errore gros-
solano essi cadono, per voler correr all'impazzata dietro a quelli,
che, primi, propalarono si insulse notizie, dandosi cosi, come
diciamo, la zappa in sui piedL Questa dichiarazione, che da se
sola già basterebbe a infirmare certe assurde supposizioni, non
è isolata. Sappiamo di più ancora, che nell' ultima malattia di
lei, essendo egli pur sofferente per incurabile malattia, ne la
assistette, vegliando giorno e notte al di lei capezzale ; ^^) sap-
piano che già nel 1747, dunque 23 anni prima della sua morte,
egli, tormentato da fiero malore, le aveva assicurato V usufiiitto
di ducati 8000, somma questa che poi doveva passare in ere-
dità ai fratelli e nipoti di Pirano; *•*) sappiamo altresì ch'egli
volle che il nome di lei comparisse accanto al suo sul sepolcro
"*) Fan z ago Dr. Fr. Orazione funebre in morte di Tartini, op. cit.
Nel Fanzago non vi è citata che la prima parte della lettera; la seconda
parte, cioè quella che qui più ci serve, trovasi e nello Stancovich (op.
cit.) ed in altri biografi.
"') P. Stancovich; op. cit Credo che a questo fatto della moglie
bisbetica e riottosa voglia alludere, sebbene indirettamente, giacché dice:
^^La soiierenza nelle calamità si fece palese col tollerare sommesBamenie (a
maldicetiza^ col dimostrare somma pazienza nell* ultima penosa malattia
della moglie, coll^assisterla le notti intere, sprezzando il sonno, né curando
il necessario sollievo alle fatiche del giorno....,,
***) Archeografo triestino, "Lettere di G. Tartini,, op. cit Lettera
del 26 giugno 1747 al fratello Domenico di Pirano, dove è detto: "Io per
mia parte, fratello carissimo, ho fatto quanto ho stimato dover fare per
giustizia. É assicurato a quest' ora per voi altri e per li nipoti un capi-
tale di 8000 ducati circa dopo la morte di mia moglie usufruttuarìa
e legata strettamente in molti modi,,.
69
nella chiesa di S. Catterina di Padova, dove sono riposte le
ceneri di ambidue; e va notato ch'ella il precedette di qualche
anno in quella tomba.^^^) Forse Socrate, che aveva piena dì
filosofia la lingua e il petto, avrebbe potuto fare altrettanto
per la sua degnissima Santippe; un altro mortale no di certo,
ne tampoco il nostro Tartini, se, come i più sostengono, avesse
avuta in meglio donna sì bizzarra!
^ Nel 1726 ritornato il Tartini da Praga, rioccupò il posto di
primo violinista della Cappella del Santo, giacché negli Atti tro-
viamo che il nome è riballottato con tutti gli altri addetti al
servizio del Santuario; anzi, perchè non si pensasse mai più di
abbandonare quel posto, T onorario, che prima era di ducati 150,
venne portato alla somma di 200. ^2«) Fu forse dopo questo suo
ritomo da Praga che venne nominato capo orchestra, non
maestro o direttore della Cappella, come crede il de Prony'^^)
e qualche altro biografo, perchè a questo posto era stato eletto
il P. Rinaldi, e dopo la di lui morte, nel 1729, il P. France-
se' Antonio Valletti, il quale, in una col nostro violinista, tanto
illustrò la Cappella Antoniana da renderla la più celebre e di
Italia e d' Europa, i»»)
Quanto più cresceva la fama del Tartini e tanto più in-
cessanti si facevano anche le istanze e gli inviti stranieri. Da
tutte le parti d' Europa accoirevano in Padova e grandi e
virtuosi per costringerlo quasi a forza perchè si decidesse a
recarsi almeno nelle città capitali d' Europa E fu appunto
sotto queste pressioni se egli si decise ad aprìre in Padova,
nel 1728, quella Scuola di violino che tanto lustro doveva
apportare all' arte e tante glorie al Maestro delle Nazioni. Né
per questo cessarono le istanze e gli inviti. Nel 1730 il cavaliere
inglese Edoardo Walpole gli fece quasi violenza per condurlo
seco a Londra, e non riuscendo, ne lo giudicò pazzo solenne.
Abbiamo testé veduto come egli se ne schermisse col marchese
"*) lUustì'azione del Prato della VaUf„ op. cit. L'iscrizione del se-
polcro dice: "Joseph Tartini sibi et Coniugi suae posuit.,,
**•) lUuBtrazione del Prato della Valle, op. cit.
"^) De Prony e il suo articolo nella Biografia unìversah^ op. cit.
*") G. Te bai di ni, Archivio intricale , op. cit.
70
Ferdiuaudo degli Obizzi, che era stato iucaricato di persuaderlo
a desistere una buona volta da quella inconsulta stranezza.
Saggia fii la risposta data dal Tartini, e nella storia dell' arte
trova degno riscontro in quella non meno saggia, data dal-
l'Ariosto al cardinale d'Este, allorché questi toglier Io volea
dagli ozi beati dell'arte poètica:
Chi vuole andare attorno^ attorno vada^
Vegga Inghilterra, Ung?ieria, Francia, Spagna^
A me piace abitar la mia contrada, ^^)
Nello stesso anno 1730, come afferma lo Stancovich. ''^)
ebbe altro invito per Parigi dal principe di Condè, capo del
Consiglio di reggenza e sovraintendente all'educazione di
Luigi XV, ma egli rispose con un rifiuto, e una novella ri-
pulsa diede nuovamente alla Francia, quattro anni appresso,
invitatovi dal duca di Noailles. Anche Londra rinnovò le istanze
nel 1744, mediante milord Midlesex, che gli offriva uno stipendio
di 3,000 sterline, e che egli, fermo ne' suoi principi di non
voler più abbandonare Padova e l'Italia, non volle accettare;
e cosi non volle saperne di una terza offerta di Parigi, fattagli
dal prìncipe di Clermont, nipote del Condè^ il quale, purché
accondiscendesse, gli prometteva quanto avesse voluto chiedere.
Ma la fastosa Parigi, che gareggiando con Londra, aveva
creduto con questa proposta poter movere il di lui animo, tanto
più rimase delusa, dappoiché aveva già fatto dei preparativi
per accoglierlo degnamente. £ se fu schivo di recarsi in lontane
contrade, accoglieva con grato animo quegli inviti, che gli
venivano fatti dai principi d'Italia. Abbiamo già veduto di nn
suo viaggio trionfale da lui fatto per le maggiori città d'Italia
dal 1721-23. In quel viaggio, non si sa perché, non aveva
toccato Eoma. Invitato dal cardinale Olivieri, si recò nella
'*) Lodovico Ariosto, Satire.
*'*') P. Stanco vi eh, op. cit. Questi inviti, fatti al Tartini, in
nessun altro biografo sono si dettagliatamente enumerati ; perciò mi sono
quasi esclusivamente attenuto allo Stanco vi eh, che, come reputo, avrà
cavato tutto ciò da vere e genuine fonti storiche, se anche non citate
dall' autore.
71
città eterna nel 1766, ed al concerto, dato nel palazzo del
principe cardinale, corrispose, dice lo Stancovich *•*) V esultanza
di tutta Berna, tanto che anche il pontefice Clemente XII
Corsini ebbe vaghezza di udirlo, altamente ammirando questo
novello Orfeo. ^")
. La Scuola di violino, aperta a Padova dal nostro violinista,
crebbe in pochi anni a tanta gloria e splendore, che non ve-
nivano a lui solo quanti volevano perfezionarsi nella musica,
ma ne lo visitavano altresì quanti o per diletto, o per istudio
viaggiassero l'Italia. Del La Lande, che ebbe profonda stima
e amicizia con Tartini, tu già detto, degli altri dii-emo tosto.
Lo Stancovich'*') asserisse perfino che Tartini fosse stato onor
rato di una visita da Federico III il Grande, re di Prussia, il
quale, venuto in Italia^ come egli dice, compose un' aria mu-
sicale, dedicandola al violinista, a cui questi rispose con un
concerto. Non trovando io però fatta menzione di questa visita
in altro biografo del Tartini, credo si debba mettere in dubbio.
II grande guerriero e mecenate delle belle arti in Pinissia, fu
Federico U e non III. £ lasciando anche da parte quest' errore
di stampa, in cui inavvertitamente potrebbe esser incorso lo
Stancovich, mi pare impossibile che un onore si segnalato non
sia stato avvertito almeno dal Wurzbach, che fu si diligente
nelle ricerche su Tartini, o dagli altri più vicini al Tartini,
come da un Conzatti o dall' illustratore del Prato della Valle.
Dubito anzi, e questo mio dubbio, da quando attentamente
rilessi la vita di I. G. Neumanu del Meissner '**) si è fatto
quasi certezza, credo, diceva, che lo Stancovich, scrivendo
la biografia del Tartini, e avendo a mano anche quella del
Neumann, suo amicissimo, come vedremo, abbia a quello at-
tribuito quanto a questo più volte era accaduto da parte di
Federico II, che ripetutamente ne lo aveva invitato a dirigere
la Cappella di corte di Berlino. Dei molti scolari di Tartini
*") P. Stancovich, op. cit.
*••) lUustraxione del Prato della ValU^ op. cit.
'*•) P. Stancovich, op. cit.
*•*) A. G. Meissner, BruchstUcke zar Biographie L G, Neumann^Sy
op. cit.
72
devono principalmente venii* ricordati gP italiani Bini Pasqualini,
Nardini Pietro, Filippo Manfredi, Domenico PeiTari e Giulio
Meneghini, nonché la signora di Sirmin, nata Lombardini,
della quale abbiamo già avuto occasione di occuparci; dei
tedeschi, Giov. Graziadio Graun; dei francesi, Andrea Pagin e
Pietro Lahoussaye. Degli italiani fu certo Bini il più caro al
nostro violinista, tanto che, a detta del Bumey, chiesto Tartini
dalP inglese Wisemann, che voleva lo istruisse nel violino, egli
ne lo mandò al Bini, dicendogli: ""Io lo mando ad un mio
scolaro che suona più di me, e me ne glorio per essere un
angelo di costume e religione.^, ''*) Il Bini, dopo tre anni di
lezioni avute in Padova, si portò in Broma, chiamatovi dal
cardinale Olivieri, che uditolo sonare, io pregò di intercedere
presso Tartini per indurlo a venire a Roma, tanto era deside-
roso di udire il maestro di si grande scolaro. Ma lo scolaro
che più di tutti alto tenne il nome del Tartini si fu Pietro
Nardini, toscano, nato in Fibiana nel 1722. In lui si trasfuse
quel dolce e deUcato sentimento, per cui tanto era amato il
nostro Tartini. Ci assicura il Wasielewski '^^) che tale e tanta
si era la commozione, che ognuno provava all' udire il Nardini
sonare gli adagi, che perfino sì mettevano a piangere i principi
e le dame di corte più insensibili e fredde per la musica. Egh
stesso, sonando, versava lagrime, che andavano a cadere sul
violino. Lo Schubart '^^ poi cosi caratterizza V arte del Nar-
dini: ''Fu egli il migliore degli scolari di Tartini, e violinista
dell* amore, a cui le grazie sempre erano compagne ed amiche.
Ogni comma in lui è una dichiarazione di amore, è il senti-
mento portato al sommo grado. „ Nel 1753 il Nardini venne chia-
mato dal duca di Wiirtenberg, e là trovandosi in qualità di vir-
tuoso di corte, lo Schubart potè ammirare le rare doti del suo
ingegno. Fu poscia direttore della Cappella arciducale di Fi-
renze, dove mori nel 1793. £ lasciando di dire degli altri italiani,
"*) I. W. Wasielewski, op. cit.
'■•) I. W. Wasielewski, op. cit.
'^) Ch. Fr. Schbart's, Gesammelte Schri/Un u. Schick$ale, 6tuttgard,
1889-40, voi. 8 Nel 6* voi. trovasi il giudizio eh' egli ci dà sul Nardini
Vedi anche Wasielewski, op. cit.
73
veniamo al tedesco Graun di Dresda. Questi si ebbe le sue prime
lezioni di violino dal celebre Giov. Giorgio Pisendel, ohe alla sua
volta s^era educato alla scuola italiana;^*®) poi sera portato a Pa-
dova dal Tartini, che, approvando pienamente le lezioni avute dal
Pisendel, lo tenne seco alcun tempo, onde meglio perfezionarlo
neir arte. Lo troviamo poi quale virtuoso alla corte di Federico
Il il Grande, dove anche venne eletto a maestro concertatore .
Nel Graun non dobbiamo cercare quel fine senso dell' arte, che
più o meno riscontrasi in tutti gli allievi del Tartini; il suo
stile, dice il Wasielewski '^^) è decoroso, ma non si eleva mi-
nimamente oltre l'ordinario. Il suo merito principale si basa
sul maneggio pratico del violino, e fu tutta opera sua se le
due cappelle di Dresda e di Berlino poterono gareggiare colle
migliori della Germania. Dei due francesi succitati, il Pagin
valse maggiormente a far rifiorire ]* arte italiana in Francia.
Già nei primi anni di sua gioventù s' era recato a Padova, per
assistere alle lezioni del Tartini. Bitomato in Francia ebbe
non poche ostilità dai Parigini, perchè preferiva di sonare le
composizioni del suo maestro tutte le volte che si presentava
al pubblico, volendo cosi mostrare la superiorità della scuola
italiana sulla francese, della quale i Parigini in specialità erano
gelosissimi. Pagin s* offese tanto di ciò, che più non volle
mostrarsi a sonare in pubblico, ma il duca di Clermont, che
tanto aveva cooperato perchè il nostro violinista si recasse a
Parigi, accolse il Pagin presso di sé, proteggendolo da quelle
ostilità ed assegnandogli un onorario fisso di 6000 franchi. "•)
Il Bumey loda nel Pagin la delicatezza del suono negli adagi
e la leggerezza di polso, mercè la quale sapeva vincere le
maggiori difficoltà tecniche; ^*^) e il De Prony si esprime così :
"Tartini ha formato molti allievi, tra i quali Pagin, violinista
francese, considerato dallo stesso maestro per vero virtuoso,
come colui che più degli altri s' era appropriato il suo stile. '**)
'*•) I. W. Wasielewskì, op. cit.
'••) I. W. Wasielewski, op. cit.
"•) I. W. Wasielewski, op. cit.
'**) Il Burney nel Wasielewski, op. cit.
****) Biografia univtnalf antica e moderna, op. cit.
74
Non basterebbero molte pagine, se volessimo dilungarci ancor
di più e dire di tutti gli allievi del Tartini^ che per quasi
mezzo secolo erano accorsi, non dall'Europa soltanto, si ben
anche dalle più remote parti del globo per istruirsi in Padova
al magistero di si grande maestro e precettore. Guglielmo
Fegeri; nobile signore di Gia\a, a cui era pervenuta la fama
del Tartini, abbandonò V estremo oriente per recarsi a Padova
onde meglio approfondirsi nel maneggio del violino, di cui
era appassionatissimo cultore. ^^^) Non vi è scuola di violino
impertanto, sia essa italiana, tedesca; francese, inglese o slava,
che dal nostro violinista non abbia avuto le vere norme del-
l'arte ; non fu un caso dunque se il dotto mondo musicale voUe
che il Tartini fosse chiamato col lusinghiero epiteto di Maestro
delle Nazioni Nel Magazzino Pittoresco^ giornale illustrato fran-
cese, ^^^) dove possiamo anche leggere un' eccellente biografia
di Tartini, fra le altre cose è altresì dimostrato evidentissima-
mente con la genealogia e con la cronologia, per non interrotta
successione di maestri e di scolari italiani, francesi e tedeschi,
che tutte e tre queste scuole vennero fondate dal nostro vio-
linista, e che da lui procedono per non mai interrotta serie di
artisti fino al sommo Paganini in Italia e fino al Sivori e
Bazzini, e fino all' Ernst, al loakim, al Laube e al Helmsberger
in Germania ; e fino al Beriot, al Vieuztemps e al Lipinski in
Francia ed in Polonia. Una gloria maggiore, sono di avviso,
non fu raggiimta da alcun maestro di musica del nostro secolo,
in cui la critica sa trovare questo o quel difetto, questa o
quella mancanza artistica propria della nazione a cui il maestro
stesso appartiene. E la storia ci apprende che Tartini iniziò
e portò al più alto grado di rinomanza quella celebre scuola,
dalla quale uscirono i succitati celebri violinisti, e moltissimi
altri maestri ancora non meno di quelli rinomati ed illustri. ***>
In una lettera del Tartini al P. Martini di Bologna, ci è dato
"•) lUnstrazione del Prato della ValUf op. cit.
***) Magazin Pittovesque, del 1848. Vedi anche L'Arte, periodico
triestino, 31 maggio 1878, N. 15 "Memorie di un contemporaneo di Nicolò
Paganini^ per G. D. Tagliapietra.
»**j G. Tebaldini, op. cit.
76
di rilevare qualche particolare circa questa sua feconda attività
magistrale : ^Dico a V. B. che il consaputo giovane beneficato
da S. E., il signor conte Cornelio Pepoli, può venir qui dopo
le vacanze, cioè dentro il mese di Novembre quando gli pare
e piace. La spesa per la sua dozzina (non in mia casa, mentre
non ho voluto mai tener scolari in casa mia) sarà in casa
della mia contrada, e il meno che qui si possa spendere fa-
cendosi anco da se stesso le spese, sono cinquanta paoli al
mese, mentre in Padova il vivere è più caro che in Venezia.
"Ciò, eh' è il meno del mio onorario, sono due zecchini
al mese, e questo è per il solo violino, perchè chi vuol imparar
anco il contrapunto, mi paga tre zecchini. Sono altri scolari
che mi pagano più, ma ciò che io ho detto, è il mio solito,
onde due zecchini soli saranno per il violino. Se il giovane è
qualche poco avanzato, dentro un anno, a Dio piacendo, lo
studio sarà compito, mentre osservo che per quanto deboli
vengano qui li scolari in due anni sono sbrigati.^ '^^)
Né si restrinse ai soli violinisti il magistero del Tartini.
Sappiamo che il celebre maestro tedesco G. Adolfo Hasse,
ottenuto che ebbe il posto di maestro di cappella nel Conser-
vatorio degli Incurabili in Venezia, s'era stretto in amicizia
col nostro violinista, a cui chiedeva spesso consiglio nell'arte
de' suoni, che tanto doveva renderlo famoso, i*^) Più che al
Hasse però il magistero del Tartini si congiunge strettamente
nella persona di Giovanni Graziadio Neumann, il quale^ se
divenne quel valente maestro di musica, che ognuno sa; tutto
lo deve al nostro violinista. E qui ci si permetta di dilungarci
nn po' di più che non lo consenta questo nostro studio, dacché
se molti furono i biografi che accennarono a questo fatto, in
nessuno troviamo una dettagliata notizia, o tale almeno che il
nome del Maestro delle Nazioni rifulga più chiaro ancora di
quanto fu detto, o di quanto comunemente fin qui fu ritenuto.
^**) G. Te bai d ini, op. cit. "Carteggio inedito col P. Martini negli
atti dell' Archivio musicale della Cappella Antoniana,,, p. 74.
**') BruchstUck'e zur Biographie Kettmanti's von A G. Meissner,
op cit.
70
Premetto poi, che nel trattare questa parte deir attività ma-
gistrale del Tartini, mi terrò strettamente al Meissner, che^n
due volumi ci tesse la vita del Neumann, non nascondendo,
come poscia volle fare qualche critico tedesco, V alta importanza,
che sull'ingegno e suU* animo del Neumann si ebbe il nostro
violinista. '*')
Nacque il Neumann nel 1741 a Blasevitz presso Dresda
da poveri contadini. Avendo già da fanciullo addimostrato
speciali talenti musicali, pui* di poter venire in Italia, che,
come oggidì; era anche allora la meta agognata da ogni ar-
tista, si mise al servizio dello svedese Weestròm, che partiva
appunto per un viaggio in Italia. Avendo anche questi intra-
veduta nel giovane Neumann quella spiccata attitudine per la
musica, pensò in cuor suo di trarne profitto.
Abbiamo già veduto come il Neumann, arrivato a Padova,
aveva offerto i sui servigi ad una nobildonna veneziana per
ricopiare le sonate che Tartini andava componendo per i di
lei figli. Nei cinque mesi che durò in tale impiego, il Neumann
aveva potuto mettersi a parte dei denari per mandarli ai euoi
poveri genitori ; un bel giorno però il Weestròm gli portò via
tutti i risparmi, lasciandolo più povero di prima e di più
malato. Fortuna volle che capitassero allora a Padova due
suoi comprovinciali, cioè i violinisti Euselt e Kunt, lì venuti
appunto per ricevere lezioni dal Tartini. Neumann s'aera messo
ai loro servigi, e spesso portava in casa Tartini i loro istru-
menti, e terminata la lezione, ne li riportava. Per lui poter
entrare in casa di tanto maestro, che considerava come un
santuario deir arte, era la massima delle felicità. In silenzio e
da lungi stava osservando quel maestro tutto compreso di alto
ri.spetto, e si metteva a singhiozzare. E perchè devo venir.
^*^) A. G. Meissner. op. clt. Se pochi biografi non hanno fatto
cenno dell'amicizia del Tartini col Neumann si fu perchè questo libro
del Meissner, stampato a Praga già nel 1803, divenne in appresso una
rarità. L' unico che ne faccia particotar menzione si è il nostro biblio-
tecario A. Hortis, che pare lo abbia consultato, perchè ne cita qualche
squarcio neìV Archeoffrafo triestino (op. cit.) parlando delle lettere inedite
del Tartini.
77
diceva, sempre qui per gli altri e mai per me? E fattosi co-
raggio, un giorno che il maestro era solo, cosi gli disse : 'Non
potrei anch' io qualche volta rimanere qui vicino alla porta ed
udire quanto vien insegnato agli scolari? Io sonO; aggiunse,
di lontano paese, venuto per questo solo in Italia, cioè per
studiare la musica. Ed ho avuto occasione di udirne della bel-
lissima, ma non saprei come cominciare per divenir io stesso
un artista. Presto dovrò abbandonar Padova col mio signore,
e deplorerò certo per tutta la vita d'esser stato si vicino a
tanto maestro nella bella arte de' suoni, e non aver potuto
approfittare dei di lui insegnamenti per la mia povertà. ^^ Tar-
tini, commosso a quelle parole, in tono benevolo risposegli:
"^No, figlio mio, non starai alla porta, perchè li stando nulla
approfitteresti; ti darò io lezione. Proverò se possiedi scienza
musicale, e se in te c'è il germe per qualche cosa di grande,
e se ne lo scopro, le mie lezioni saranno gratuite „ Neumann
gli baciò le mani versando lagrime di contentezza; corse di-
filato a casa, e narrò il fatto ai due Sassoni e al Weestròm.
Tartini già alle prime lezioni s' accorse di aver trovato lo sco-
laro che desiderava. E questi scrivendo V accaduto ai genitori,
cosi loro dice : ''Un uomo solo in tutta Italia devo amare,
cioè G. Tartini. Mai scolaro fu più attaccato al suo maestro,
nessuno gli fu più grato, più diligente, più attivo di quanto
io gli sono. Egli non risparmia fatica di sorta, per istruirmi,
nessuna ora gli è incomoda. „ Per tre anni, dice altrove, potei
godere del suo insegnamento e giunsi a tanto da perfezionarmi
nella lingua difficilissima dell'arte., Tartini, d'altra parte,
.soleva dire: ^Àmo più questo straniero che dieci altri italiani ;
questi è lo scolaro a me più carO; questi è lo scolaro migliore
eh' io mi abbia.» E legami più nobili ancora tenevano avvinti
quei due animi, una tenera amicizia ne li legava, e a tale era
giunta, che il Tartini aveva perfino divisato di adottare il
Neumann a figlio, lasciandolo erede e delle sue sostanze e
deir occulta sua scienza, non appena avesse raggiunta un'età
più matura. Ma 1' ora del distacco era già sonata. Era venuto
allora a Padova il Pitscher, virtuoso della cappella del principe
Enrico di Prussia, per prendere lezioni dal Tartini. Questi^
ormai vecchio e debole, non volle assumersi queir incarico,
78
tanto più poi che quegli poco conosceva la lingua italiana.
II Pitscher si volse allora al Neumann perchè ne lo istruisse,
sapendo che godeva la piena fiducia di Tartini. Fu allora che
il Pitscher indusse il Neumann ad accompagnarlo in un viaggio,
che aveva divisato di fare a Firenze, Roma e Napoli, per
meglio approfondirsi nella musica vocale. Il Neumann accolse
di buon grado T invito, e tanto più poi dacché la servitù del
Tartini gli si era mostrata ostile, sapendolo designato a suo
erede. Cosi almeno scriveva il Neumann a suo padre, il quale
ne lo rimproverava di non aver saputo cogliere quella occa-
sione propizia. Tartini si staccò a malincuore dal suo amato
allievo e fornitolo di vestimenta e di denaro, assicurandolo
anzi che lo avrebbe sussidiato ancora per cinque o sei anni,
cosi gli disse, svolgendogli in forma allegorica il concetto della
vera arte, presagendo già allora quale maestro ne sarebbe
derivato da sì valente scolare»: *'Sono persuaso, caro figlio,
che in te non s* alleva un guastamestieri dell' arte. £ se seria,-
mente ti proporrai di divenire un giorno vero e grande artista,
non ti cada dair animo quest'immagine. Supponi avere a te
dinanzi una scoscesa rupe, sulla cui cima, che e difficile a
sormontarsi, stieno due templi splendidissimi. Già essendo nella
valle il tuo occhio ne rimane conquiso, e lo splendore è in
una si abbagliante^ che ti può accecare in contemplandoli,
come fa la luce del sole, e ti può togliere la ragione. Uno di
quei templi si è quello delV arte, V altro quello della sapienza.
Hanno queste due divinità stretti vincoli d'amicizia; anzi Tuomo
non potrebbe giungere al tempio dell'arte se non passando
per quello della sapienza ; mentre, per giungere a quest' ultimo
ci è duopo battere ben altra via, che non è certo quella che
mena all'altro. Nella valle stanno iu attesa e sacerdoti e sa-
cerdotesse, che si offrono a guida del pellegrino. La virtù, la
ragione, che penetra col suo sguardo fino nel fondo di ogni
cosa, e la prudenza, che le è sorella, ti avviano al tempio
della sapienza, a quello dell' arte poi la diligenza, la rifiessione
e r entusiasmo : ma quest' ultimo mai deve scompagnarsi dal
buon gusto. E una disgrazia però che tanto Tarte. quanto la
sapienza abbiano due sorellastre, cioè la falsa arte e la falsa
sapienza, che in merito stanno molto addietro a quelle, benché
79
talvolta nell'esteriore alquanto si assomiglino. Queste hanno
pure i loro templi a pie' del monte, ed a questi conducono la
presunzione, la falsa opinione di sé e la voluttà ; e benché
a principio, rapiti dalla luce di quei due veri templi, non ci
accorgiamo di questi falsi; pure avviene di spesso che i gio«
vani pellegrini si perdano in questi ultimi, lusingandosi di
poter poi penetrare negli altri due. Chi nella valle falla la
vera via, e per paura de' dirupi e della fatica batte la facile
via tutta smaltata di fiori, colui non potrà più levarsi ai veri
templi, perchè gli mancherà e la sapienza e Parte vera, che
è cosa celestiale. Anche colui che prudentemente sceglie la
vera via e gagliardamente si matte su di essa, anche questi
dovrà sostenere non poche prove, prima di giungere alla meta.
E prima condizione sarà ch'egli possa giungere al tempio della
sapienza, attraversando il sacro bosco della religione, alla quale
.se renderà l'omaggio dovuto, anch'essa non lo abbandonerà
più nel suo pellegrinaggio ; sarà il suo sostegno, se inciamperà ;
la sua consolatrice, se gli accadrà qualche disgrazia ; essa lo
preserverà dalla superbia nella fortuna, e finalmente illeso lo
conduirà nei tempio della sapienza. E se aspirerà a maggiori
altezze, cioè all' arte divina, gioie più ineffabili ancora com-
penseranno le fatiche; queste altresì vanno congiunte con
alcune goccie di assenzio, che, se pur sono amare, ci danno
benefici effetti. E più s'ingentiliscono le nostre idee, e più
s' affinano i nostri ideali ; quanto più in noi sentiamo la nobile
smania per l'arte, che mai ci lascia pienamente soddisfatti^
allora avviene che mai possiamo interamente prestare tutto
ciò che air animo nostro balena. E tali essendo si è allora che
ci troviamo all' apice della gloria ; sottentra allora un infiac-
chimento nell'animo nostro, sotto le apparenze di modestia,
cercando di allontanarci. Due soli passi allora se diamo al-
l' indietro precipitiamo nella valle senza salvezza. Ma se per-
.sistiamo di voler penetrare fino alla gloria, non dobbiamo
restarci a lungo, o persistere di rimaner nel di lei santuario,
perchè un novello e più pericoloso nemico, cioè il sentimento
del nostro valore, ci si metterà innanzi, accarezzando il quale,
diveniamo più trascuranti, perdendo e il merito e il valore di
nostra perfezione. Superato anche questo pericolo, dovremo
HO
rimanerci di qiianto solo abbisogniamo per leggervi i nomi di
coloro, che in caratteri d* oro vi sono notati, e per attingere
dalle loro opere nuovo zelo del bene ; non vagheggiamo troppo
ansiosamente gli applausi dei nostri contemporanei, ma restiamo
devoti e fedeli all'arte con costante ardore, perchè solo cosi
facendo, essa ci darà novelle forze per salire più in alto ancora.
Alla fine potremo dire di contemplare in tutto il suo splendore
r interna magnificenza del tempio dell' arte. Né allora potremo
dire di poter ancora abbracciare questa dea — se anche im-
pegneremo tutto il nostro zelo, tutta la nostra fortuna — ci
troveremo però a lei vicini, diverremo di lei sacerdoti, e riscaldati
dal di lei fuoco divino, compresi della di lei potenza, riceve-
remo un' adeguata ricompensa delle nostre fatiche.^ Ho voluto
citare per intero, traducendole dal tedesco, queste saggie am-
monizioni, che Tartini, ormai invecchiato nelP arte, dava al-
l' amato suo scolaro, che s' accingeva a voler divenire artista ,
per dimostrare altresì di quali nobili sentimenti egli fosse
compreso per V arte e quanto in lui fosse caro il solenne man-
dato d' artista. Ed il Neumann in fatto divenne quel grande
maestro de' suoni che tutti sanno, e la storia dell* arte ancor
oggi ricorda Y Achile in Sciro, il Solimano^ V Ijjernestra^ V Ar-
mida ^ la Cora, V Orfeo ed altre opere minori, che riscossero
allora grandi applausi in Italia, in Germania ed in Isvezia
Diremo di più ancora, che quella mistica maniera di stile, tanto
cara al nostro Tartini, noi la troviamo fedelmente riprodotta
negli Oi'atort del Neumann, che egli compose in Blasewitz
negli ultimi anni di sua vita, allorché, dopo tanti dolori, dopo
tanta gloria, potè alfine ritirarsi nella sua terra natale a chiu-
dere in pace l'operosa sua vita.
Due anni dopo il primo distacco dal maestro il Neumann
aveva già dato la sua prima opera in Venezia, ed aveva de-
stato im vero entusiasmo. Venuto di nuovo a Padova per
visitare il suo maestro, così scrive ai genitori: "Venni a Pa-
dova nel marzo del 1763 e non potete immaginare con che
gioia ed amore m' accolsero Tartini, Hnut, Ferrandini ed altri;
nessuno a Padova avrebbe creduto ch'io tanto sapessi fare
(allude all'opera datasi a Venezia li 28 decembre del '62),
tranne Tartini, che ben sapeva quanto poteva aspettarsi dal
SI
suo scolaro „ Di ritorno da Napoli, da Palermo e da Bologna,
il Neumann venne di novo a visitare il maestro nel 1769, un
anno prima che questi morisse. Lo accolse Tai*tini come un
padre accoglie un figlio, che da molto tempo non ha veduto,
baciandolo e abbracciandolo con le lagrime agli occhi. Dopo
la morte della consorte egli non ebbe altro affetto che per
questo suo amato discepolo. Ora più che mai, sentendo pros-
sima la sua fine, desiderava che non lo abbandonasse più.
dicendogli che lo avrebbe fatto erede di tutte le cose sue, di
tutta la sua scienza, per la quale aveva vegliato le intere
notti. S' acconciò volentieri il Neumann, benché avesse altri
impegni e la sua presenza fosse reclamata con insistenza alla
corte di Dresda. Anche questa volta Ttu-tini volle istruirlo ogni
mattina per due ore. Grande si era la tensione d* animo del
Neumann, dice il Meissner, e non poco si meravigliò quando
vide che i lavori, che il maestro gli metteva dinanzi, non
erano che nudi ed aridi calcoli di numeri algebrici, e di cui
nulla capiva. Per alcuni giorni durò in quel lavoro, ma passata
la prima settimana, se non direttamente, gli fece pur com-
prendere, che nessun profitto ne sarebbe derivato all'arte.
Tartini sorrisegli amichevolmente e risposegli ; "Previdi questa
tua sorpresa, e la trovo naturale ; permetti però, figlio mio, ohe
ti dica, che questa fatica, che ora ti sembra inutile, ne la
troverai poscia ricompensata ad usura; colla mia vita stessa
me ne fo malevadore. Spero di persuaderti che nell'arte de'
suoni si nascondono infiniti segreti ; riconoscerai poi come per
mezzo di essi si possa arrivare fino al creatore, e come, me-
diante essi, si possa gettare lo sguardo per entro alle più alte
dottrine della religione. „ Il Neumann stava con volto stupito
attendendo a quanto il buon vecchio gli diceva, quando questi
appressatosi alla sua libreria, trasse fuori un volume alquanto
grosso che conteneva dei manoscritti, e continuò a parlargli
in tal modo: "C'è qui entro il frutto delle mie prime idee ed
il bel premio di tutta la mia vita ! Qui entro spero d' aver
dimostrato l'esistenza di Dio e l'immortalità del mio io col
mezzo delle leggi eteme dell'armonia, e di averlo fatto più
esaurientemente e inconfutabilmente che mai alcuno prima di
me. Non consegnerò mai a nessuno questo mio manoscritto,
32
se non a persona che mi possa ben comprendere e che a me
sia cara; perfino, discorrendo di esso, mai ne comunico ad
alcuno il suo contenuto, poiché solo un cuore purissimo, una
nobile mente e il più fine senso per un'alta, pura ed incor-
rotta arte de' suoni, ne lo possono comprendere. E come l'acqua
più pura si rende imbevibile messa in sucido vaso, cosi nasce
delle idee dell' animo nostro, se non le confidiamo ad uno
spirito puro, che abbia e forza e zelo sufficente a comprenderle.
Riconosci impertanto quanto ti debba amare, e quanto mi
riprometta e dal tuo cuore e dalla tua capacità, se credo op-
portuno che puoi ereditare quanto io con grande fatica m'ac-
quistai vegliando le intere notti. Devi calcare la via da me
battuta ; e Io farai sotto ai miei occhi, sotto la mia direzione,
parte copiando quanto io feci e parte lavorando di tua testa..
Con r animo commosso, e coli' espi*essione dei più sinceri rin-
graziamenti il Neumann pigliò nelle sue le mani del vecchio
maestro; questi ne lo baciò più volte, continuando a parlargli
in questi termini : '^^) ^Credimi, figlio mio, appena quando sarai
alla fine di questo mio scritto ti si scoprirà V arcano di og^
cosa. Sappi che tanto i pittori che i poeti non sono che crea-
tori di una natura già nota; creatore, nel vero senso della
parola, si è l'artista de' suoni; egli dal cumulo infinito de'
suoni crea armoniche melodie, che nella natura non esistono.
Sarebbe ben misera cosa quella creazione musicale, in cm
l'artista sapesse solo riprodurre o il maestoso romoreggiare
del mare, o l' ululare e fischiare del forte vento, o il mormorio
del ruscello, o lo scrosciare della pioggia, o il cantare deg^li
uccelli, quali in realtà si manifestano. Dobbiamo, è vero, alle
volte imitare la natura noi pure, ma allora non dobbiamo
tanto abbassarci da riprodurre certi giuochi o scherzi lamente-
voli, perchè allora siamo imitatori, non creatori. Solo chi è ben
addentro nell' arte divina de' suoni sa creare^ dalla ricchezza
^*^) Per non dilungarci di troppo tralascierò quella pai'te delle
considerazioni del Tartini fatte al Neumann, che non ha certa importanza
per il nostro studio, o attinenza colla musica; tanto più poi che non
tutte le idee del Tartini sulla poesia o sulla pittura mi paiono giust«
in ogni parte.
88
dei suoni, che pare si facile, ma che pnre è inesauribile, delle
melodie mai prima udite, sorpassando la stessa natura^ che
con l'infinita sua attività, cade in una specie di monotonia.»
Chi non si sarebbe infiammato da osservazioni di tal fatta,
dice il Meissner, fatte da un vecchio tanto degno di rispetto,
ed espresse con tanta convinzione ed in tuono si solenne? E
quanto effetto non dovevano produrre nel!' animo di un giovane,
quale si era il Neumann^ avezzo già a considerare 1' arte con
venerazione e a trattarla con vero amore! Risoluto pertanto
a reprimere ogni dubbio in se stesso, e di sottomettersi di
buona voglia ad ogni fatica, si mise in balìa del maestro,
copiando quanto quegli gli presentava. E per due mesi durò
in questa fatica, quando un giorno, ritornando da casa del
maestro, ricevette l'aspettato comando di recarsi tosto al suo
posto alla corte di Dresda. Afflitto ritornò da lui, che rimase
rattristato sommamente all'udire quella nuova: '^Solo ancor
poche settimane, solo un mese alla più lunga, disse sospirando
dal più profondo del petto, e le tue fatiche, figlio mio, sareb-
bero state coronate di gloria. „ S'azzardò allora Neumann di
domandargli volesse almeno dargli qualche schiarimento più
dettagliato, ma con dolorosa amorevolezza il vecchio, scotendo
il capo, ne lo assicurò che il concedergli quanto desiderava
eragli impossibile: non aver egli percorso ancora tutte le vie
necessarie per poter intendere pienamente il tutto, e che ogni
cognizione cosi divisa e staccata sarebbe inutile.» E poiché
cosi vuole il caso — aggiunse e cosi dicendo delle lagrime si
vedevano brillare ne' suoi occhi — spero ci rivedremo qui
ancor una volta e continueremo là dove siamo rimasti. Prendi
teco intanto i tuoi compendi; le tue copie, i tuoi tentativi. Ti
saranno utili, forse giovevoli per l' avvenire. Va, figlio mio,
devi prima di tutto adempiere agli obblighi del tuo officio,
pensa però che devi ritornare qui.^ Cosi si separeirono, ed il
vecchio Tartini, oltremodo commosso, rese più difficile quel
congedo, facendo per sempre perdere la speranza di mai più
rivedere il diletto suo figlio^ il caro suo scolaro, aggiungendosi
ai mali fisici di cui era gravato, ancor questo morale. Neumann
stesso aveva anche perduta ogni speranza di mai più rivederlo,
e questo suo timore s'avverò pochi mesi appresso, ricevendo
84
la fatale notìzia della morte del suo iudimeuticabile padre e
maestro, degno veramente di ogni rispetto, di ogni onore. E
non potendo recarsi a Padova per le molte sue occupazioni,
scrisse tosto per sapere dove fossero andati a finire i di lui
manoscritti, e quelli specialmente, di cui egli stesso aveva
copiato una buona parte ; ma ottenne in risposta avere il Go-
verno con ogni cura rovistate tutte le carte del morto, e quasi
tutte sequestrate. U Senato veneziano, dice il Meissner, a cui
nulla sfuggiva, già da lungo tempo doveva aver avuto notizia
dei sogni del benevolo vecchio e cercò di renderli innocqui.
E cosi Neumann perdette anche quest'ultima speranza. Su che
cosa vertessero questi ultimi studi del Tartini, è il Meissner
che ci informa in una lunga nota al termine del suo libro,
dicendo di aver avuto per lettera dallo stesso Neumann il con-
tenuto dei medesimi. In essi si parla di un' Equts(manza nel
circolo e si allude spesso all'altra opera del Tartini, Pnncipt di
armonia. Da questa equisonanza nel circolo egli s'era perfino
proposto di spiegare matematicamente l'esistenza di Dio. Da
qui forse ne venne il sequestro ordinato dal veneto senato.
In questi studi è pur fatta menzione del terzo suotw, che è
chiamato ckl terzo suono della natura. Sarebbe prezzo d'opera
di fare delle ricerche sia a Venezia che a Dresda per disep-
pellire quest'ultimo lavoro del nostro violinista, che forse da-
rebbe maggior luce agli altri Trattati e Dissertazioni matematiche
ch'ei ci ha lasciati, e tanto più poi dacché molti non compren-
dendo forse il concetto, le dicono sogni di mente malata. Ma
di ciò diremo già poi. Che se anche non vogliamo dare alcun
peso a queste matematiche elucubrazioni del Tartini, abbiamo
pure in lui 1' artista illustre, il celebre virtuoso e l' uomo dot-
tissimo, .a cui accorrevano per consiglio — è il Meissner che ce
Io dice per bocca del Neumann — quanti mai artisti di merito
avesse allora l'Europa, non del violino soltanto, si bene altresì in
qualsiasi ramo dello scibile musicale. L' arte e il magistero del
Tartini s'incarnano profondamente nel secolo in cui visse; le sue
idee, volte specialmente a combattere T invadente materialismo,
erano pur bene accolte da tutta la dotta Europa; segno questo
evidentissimo che in lui rifulgevano di pari luce e la scienza
e la sapienza, che solo nei grandi geni mai si scompagnano.
85
Intanto l'opera maggiore del Tartini, Trattato di musim
secondo la vera scienza deW armonia^ stampata, come dicemmo,
in Padova nel 1764,'^®) s'era difusa per tutta Europa, e quanti
dotti non avevano potuto felicitarsi secolui in Padova per
questi suoi studi, che sì d' un tratto venivano a mutar aspetto
alla scienza musicale, vollero pur tuttavia onorarlo di corri-
spondenza epistolare. Fra questi vanno specialmente notati il
lacquier, il Dalembert, il Leseur, il Nolet. nonché l'illustre
ginevrino I. G. Rousseau, il quale, avendo dapprima innalzato
alle stelle, denigrato poi vilmente il genio musicale del nostro
violinista nel suo Dizionario della mmica^ ^^^) si ebbe poscia
lina solenne smentita da un anonimo suo «onterraneo, e tanto
più fastidi ed imbarazzi gii costò quel suo biasimo, avendo
egli prima ammesso neir Ingegnoso sistema tartiniano e pro-
fondità di sapere e genio; sistema, come diceva, a portata di
pochi, ricolmo di nuovi esperimenti e bellezze.^ ^2) Con critica
ancor più acerba scagliossi contro il sistema tartiniano il Le
Serre, **') concittadino di RosseaU; forse anzi istigato da questo
ultimo, che in quella guisa aveva veduta manomessa la sua
dignità; ma male gliene seppe, perchè questa volta insorse a
difendere il Trattato lo stesso autore a spada tratta, ma con
quella pacatezza che gli era solita in simili contingenze, fa-
cendo per sempre tacere i suoi avversari. Questa risposta, che
fu stampata a Venezia nel J7(>7, s' intitola : Rispoi^ta di 0. Tar-
tini alla critica del di lui Trattato di Mttaica di M, Serre di
Ginevra, ^^^) Non bastò peraltro al Tartini di aver fatto tacere
i suoi avversari, che volle anche conciuiderli, e tolti que' pochi
****) Stamperia del Seminario, appresso (ìiov.* Manl'rè, op cìt.
"*) G. i. R o a s s e a u , JJìction . de Musique. Paris, 1758, e S t a n e o v i eh
rie Irò, op. cit.
'*') Questa l'isposta si crede sia del conte Turu Taxis, iuteudeute
generale delle poste austiùache, e scolaro ed amico del Tai'tiui. Il titolo
si era: Risposta di un anomtno al celebre siynor Rousseau circa il suo senti-,
mento in proposito di alcune proposizioni del signor O. Tartini. Venezia 1761''
I. W. Wasielewski. op. cit
*•■) M. Serre: Observations sur le principes de l'harvtoniey Giuevra,
1768^ e Tipaldo, op. cit.
***) Pfesso Aot. Decastro, e Tipaldo, op. cit.
8(3
difetti, notati dai deuigi*atori del suo l^vatiatò, che quali uèi
ili uu bel corpo p«r nulla lo deturpavano, diede alle stampe
un' altra opera non meno scientifica, cioè la Dissertazione dei
principt delV armonia musicale^ contenuta nel diatonico genere. '^*)
Quale e quanto fosse il pregio di questa seconda opera è il
Lami che ce lo dice; quel Lami, che passata avendo l'intera
sua vita nello studio delle lingue dotte e delle scienze, non
meno sapeva dare un giudizio di quelle che di queste. Questa
opera^ egli dice adunque, è tale che per bene intenderla bi-
sogna saper di musica quanto ne sa chi Pha valorosamente com*
posta J^^) Una delle pecche maggiori, che gli apponevano i suoi
oppositori, si era 11 oscurità, con cui egli avvolgeva, dicevano,
questa sua nuova scienza, oscurità, per cui non tutti bene com-
prendevano quanto voleva dire. Ma vediamo come egli stesso se
ne scagiona: ^Al Trattato di musica dell'autore si è imputata
somma oscurità. Ma ò forse padrone di cambiar indole alle cose,
sicché, se per propria intrinseca natura sieno difficili e oscure,
possa e debba egli convertirle in natura facile e piana?» '*') Il
che è quanto dire: E che colpa ci ho io se voi non capite? Stu-
diate come io l'ho fatto e l'oscurità si toglierà da sé. — E di fatto
pare l'avesse ben compreso il La Laude, insigne matematico ed
astronomo; l'aveva ben compreso l'altro non meno celebre filo-
sofo e matematico Euler^ il quale, per incoraggiare il Tartini a
proseguire negli studi si bene avviati, spedito gli aveva il
suo Tentativo di una nuova teoria musicale, da lui stampato nel
1739.»''») E per tacere del Barbieri, del conte Riccati,'^») del
'*^) Edita in Padova il 1767 nella Stamperia del Seminario presso
Giov. Manfrè.
**•) O. Lami, NtwelU letterarie. Novella sesta del 6 lebbraio 1768,
volume 20®.
**') Dissertazione dei principi deU" armonia musicale, op. cit.
**•) Tentamen nocae Theoria4 musicae, Paris, 1739.
"") E questi quel conte Giordano Biccati di Castelfranco trivigiano.
che, come ci assicura il Teb aldini, tenne viva corrispondenza con
Valletti e con Tartini intorno alla spiegazione scientifica dei rivolti del
Càllegai'i e del basso fondamentale o terzo suono del Tartini. La corrispon-
denza col Valletti trovasi nelPArca del Santo di Padova; quella del
Tartini è in possesso del Municipio dì Pirano, che la ha comperata dal
prof. Petronio di Udine.
87
Iac<iuier, del Dalembert, del Loeseur, del Nolet o del Beccaria,
che ebbero col nostro Tariiiii e dimestichezza e carteggio, ^*^)
dirò specialmente di un altro nostro illustre comprovinciale, per
il quale si stanno anche preparando delle feste centenarie; voglio
dire Gr. R. Carli; il quale volle rispondere a questi nuovi studi
del Tartini con le sue Ossersxxzioni sulla musica antica e ma-
demn^ facendolo con quella erudizione, che in Ini sempre si
ammira, e inneggiando alle nuove scoperte.**^*)
Anche oggi non poco si parla fra i dotti dell' oscurità
che regna nelle opere scientifiche del Tartini ; ma quanti sono
i dotti matematici, anche presso di noi, che pur parlando di
tante oscurità, si prendano poi la briga di sottoporre ad una
attenta disamina le opere scientifiche del nostro violinista?
Eppure, sottoponendole ad uno studio attento e confrontandole
«tra loro, qualche cosa si potrebbe fare, cosi almeno mi assicura
un collega di Trieste, matematico punto dispregevole, il quale,
dopo aver sottoposto ad attenti studi un terzo trattato inedito
dal Tartini, Sui Triangoli Pitagorici^ ne fece un suo lavoro a
parte, che dovrebbe, io reputo, esser subito pubblicato per
dimostrare che con lo studio e colla buona volontà ben altro
si potrebbe ancor ricavare da tante scientifiche oscurità. Ed l
moderni critici tedeschi vanno quasi tutti concordi nell' affer-
mare che nel Tartini non dobbiamo solo ricercare il grande
violinista, o il Maestro delle esazioni, si ben aiicora il vero fon-
datore di un nuovo sistema d' armonia, basato su principi fisici
e matematici, e per non citarne molti ricorderò qui nuovamente
l'anonimo G. P. del Lessico Musicale di Berlino, edito dal-
l' Oppenheim e la modernissima Storia illustrata della musica
di E. Neumann. Molto bene annota in proposito il Wasie-
leveski, ***) riferendosi al giudizio emesso dal Burney, che se
anche Tartini non riusci a fondare un vero sistema scientifico,
quale noi lo vorremmo, tuttavia V aver fatto rivolgere le menti
dei più grandi scienziati del suo tempo a quanto egli inten-
deva, addimgstra già in lui una potenza d' intelletto non
'•*) P. Stancovich, op. cìt.
>•») G. Binaldo Carli, Opere, Tomo XIV,. Milano, 1786.
••*) L W. Wasielewski, op. cit.
88
comune, e a convalidare maggiormente questa sua opinione, cita
il socratico motto che suona: ''Quello che io capisco di tutto
ciò è eccellente, e sono propenso a credere che quello che
non capisco deve esser parimenti eccellente.. Vorrei pertanto
che questo motto fosse ben ponderato da qualche crìtico mo-
derno, che senza conoscere le opere scientifiche dei Tartini, o
male conoscendole per mancanza di necessaria coltura, parla
di esse come di. sogni ideali, o come utopie di mente malata.
Ne qui si fermò l'attività scientifica del Tartiui. Negli
ultimi anni di sua vita compose un altro trattato, che s'inti-
tola: Delle ragioni e delle proporzioni^ libri sei, che non potè dare
alle stampe, perchè colto dalla morte Questo manoscritto ed
un altro ancora, SuUa teoria del aiiono, che il violinista, alcuni
mesi prima della sua morte, consegnò al benedettino abate
G. À Colombo, perchè li esaminasse, rimasero inediti. Al ca-
pitano Pietro Tartini, erede dei nostro violinista, venne fatto
di poter ricuperare il primo dei due trattati, che ora, se non
erro, fa parte della biblioteca municipale di Pirano; del se-
condo mai intesi far menzione di sorta; né mai potei nulla
scoprire di un altro trattato ancora, manoscritto esso pure e
in tre volumi, che fu intitolato : La scienza del numero o scienza
sperimentale, di cui udii far cenno per la prima volta in Padova
dall'erudito bibliotecario della chiesa del Santo. '**) Non meno
interessante si è il Trattato delle amenità del canto, che andò
esso pure perduto per la solita nostra incuria, e di cui non
possediamo che la traduzione francese fatta dal Denis, ^^} In
questo trattato il grande maestro dimosti-a con quali e quanti
riguardi egli stesso sapeva impiegare gli ornamenti, e ci dice,
che tanto nel suono che nel canto, si deve considerare piut-
tosto il fondamento che la forma delle composizioni. Che se
>«>) Potei di più venir a i-ilevare ia Padova dal bibliotecario P.
Negri, che mons. Francesco Petronio, Proposito Capitolare di Capodistri»,
aveva già fatto pratiche tanto col convento del Santo, guanto con quello
di Fraglia per ricuperare quest'opera, ma tutto indarno.' È certo che in
Padova non è; potrebbe pur darsi che si trovi in qualche convento dei
Benedettini, sia d'Italia che dell'Austria, e ricercando lo si dovrebbe pur
ritrovare.
*•*) Vedi De Prony, Biografia ufiiverMale antica e moderna, op. cit.
80
aggiungiamo altresì le opere strettamente musicali, quali le
Lezioni pratiche per violino^ e il Trattato delle appoggiature sì
ai^cendenti che discendenti per il violino^ come pure del Trillo tremole^
mordente ed altro^ con dichiarazione delle cadenze natm^ali e com-
poste '«*) e qualche altro saggio ancora, che gli stranieri fecero
lor proprio per nostra totale inerzia, ***) e di più ancora unendo
tutte le di lui lettere, sia scientifiche che famigliari esistenti.
che volendo raccogliere sorpasserebbero il migliaio, noi po-
tremmo avere una famosa hiblioteca tartiniana, che unita alla
biblioteca di Pirano^ ricca già da per sé di antichi e pregevoli
cimeli istorici, scientifici e linguistici, potrebbe dare non poco
lustro alla città, che diede i natali a si grande mente, che da
sola valse, possiamo dirlo con sicurezza, ad illustrare tutto un
secolo nella non facile arte de* suoni.
Che il suo cuore e l'animo suo fossero ben ritemprati
dal cozzo continuo di una vita febbrilmente agitata ed ope-
rosa, lo potremo ben comprendere, se considereremo un tanto
uomo negli ultimi anni di sua vita. Sofferente per una can-
crena ad un piede, non si stanca punto; e continuamente oc-
cupato e a sonare e a dirigere l'orchestra della chiesa del
Santo, o a rivedere e coiTeggere le sue opere, trova pur tempo
di dedicarsi air istruzione de' poveri giovinetti; né ciò gli
basta ; porge ad alcuni dei sussidi, perchè possano recarsi al-
trove in cerca d' un pane onorato ; fa secrete elemosine a
povere vedove, ad orfani derelitti ; per tutti, dove v' è di bi-
sogno, ha una parola di conforto. '*''^) Più forti che mai si
ridestano in lui quella fede, pietà e devozione, che mai si
erano cancellate dal suo cuore fin dalla prima età.'^®) E sentendo
*•*) Const. Wurzbach, op. cit., e De Frony^ Bìoffrqfia universale ^
op. cit.
»«) Const. Wurzbach, op. cit.: Traile des AyrémenU de la mu'
sique^ sarebbe un altro trattato, uscito a Parigi dopo la morte di Tartini
ed a lui attribuito. Secondo l'autore della Biografia unwersaUy questo
trattato non sarebbe che una traduzione delP altro da noi già addotto,
I.,ezi<mr sopra % vari generi di appoggiature^ trilli tremoli e mof^de^tti ecc. ecc.
**^) P. 5^tancovich, op. cit.
'*'') Il La Lande, nel suo Viaggio in Italia (op. cit.), asserisce che
la modestia, la pietà, i costumi rendevano del pari stimabile il Tartini
che i suoi talenti.
90
prossima la sua fine, scrisse di proprio pugno le ultime sue
volontà. La lettera, elisegli manda da Padova ad un suo
nipote di Pirano, è si bella, si toccante, da ricordarci quella
che il Tasso, vicino alla morte, scriveva all' amico Costantini.
Mi sia permesso citarne qualche brano: '^ Signor Nipote Ca-
rissimo: Sia finalmente ringraziato e benedetto Dio, che dopo
tante angustie* d' animO; che ho sofferto, oltre a quelle del
corpo, mi concede, avanti morte, la grazia unica e grande che
ho chiesta, e che è la concordia e pace della famiglia. Egli
faccia per coronare i suoi doni che sia puramente cristiana, e
non umana, acciò sia durabile in questo mondo e profittevole
nell'altro per tutti noi.,, E dopo aver parlato de' suoi inte-
ressi famigliari e di quelle persone eh' egli intende sieno bene-
ficate dopo la sua morte, aggiunge : "Più presto veirete qui,
più mi sarà caro. E se credete poter venire con sollecitudine,
fatevi fare una minuta del mio. testamento dal Dr. Pietro
(era questi il fratello notaio), la sostanza della quale si è : che
avendo io voluto eseguire il mio testamento in vita^ non mi
resta, in morte, che lasciare i miei mobili, e quel denaro che
sarà trovato ai miei legittimi eredi di Pirano, in mancanza
dei quali (s'intendono i maschi; l'eredità passi ai Tartini dì
Firenze. Specificherò io poi le cose che ivi sono, e il come.
Nulla più per ora e abbracciandovi di cuore tutti, sono
sempre più vostro aff.mo zio Giuseppe Tartini. „ '^^) Cosi egli
scriveva sette mesi prima della sua morte. Il nipote, a cui la
lettera è indirizzata, era figlio del fratel suo maggiore Domenico;
è questi il capitano Pietro, che in seconde nozze s'era spo-
sato con Lucia del signor Bonifacio Vatta, e non avendo avuto
figli, non so come, ma contro la volontà ultima del testatore,
l'eredità passò alla famiglia Vatta, che tuttora la conserva.'"*»
iwj Tra le famiglie beneficate dal Tartini, o meglio ch'egli vuole
sieno beneficato dopo la sua morte, e* è il signor Giuseppe Bon e figlia
-di Trieste, che si trovavano in estrema miseria e avevano bisogno di
pronto aiuto per un interesse posto in lor mano, e che essi, a quanto
pare, non potevano soddisfare.
*^*) L'eredità lasciata dal Tartini deve esser stata cospicua. E
lasciando anche di dire degli 8,000 ducati in contanti, e della casa, dove
91
Stanco alfine ed abbattuto per altro malore che gli
sorvenne, rese l'anima a Dio il di 26 febbraio del 1770. Se
la vera fama e bontà d'animo del Tartini fu ammirata ed
amata da tutti lui vivo, tanto più dolore si manifestò alla
triste novella della 3ua morte. Accorse da Livorno il suo amato
scolaro Nardini, da Venezia 1* amico P. Colombo e V altro suo
scolaro ed ammiratore del suo genio, il conte Tum Taxis, a
cui, prima di morire aveva affidato tutta la sua musica, perchè
ne curasse la pubblicazione, come al Colombo aveva già prima
affidato per disamina e correzioiie gli ultimi suoi trattati
scientifici. Quanti poi e scolari e dotti non avevano potuto
recarsi a Padova ai suoi funerali, fecero pervenire le loro con-
doglianze lamentandosi di tanta perdita. E per dimostrare
quanta eredità di afietti egli abbia lasciato dietro a sé, mi si
permetta di citare la lettera di Andrea Roberti degli Almeri,
che in tal guisa scriveva da Sinigaglia a P. Valletti: "Non
si meravigli s' io prendo l'ardire d'incomodarla con questa
mia, ma la sorpresa che mi à recato una lettera scrittami da
Ferrara che il 26 Febbraro mancasse di vivere Tartini, mio
maestro, ed amico di cuore, mi ha reso una passione d'animo
sensibilissima per tutti i motivi, che non posso far a meno di
compiangere una perdita si dolorosa e inaspettata. Prego ben
di cuore, che ella mi facci la finezza di sapermi dire, cosa è
stata la sua malattia, sua morte, e sua disposizione de' suoi
beni, e delle Opere inedite, cosa à lasciato detto che se ne
faccia; mi duole di non esser corso a rivedere si degno uomo,
tanto più che in una delle sue ultime lettere desiderava rive-
dermi. Oh, quanto à perduto la musica per la sua esecuzione;
nacque il nostro violinista, che già prima apparteneva al padre, sappiamo
che la tanuglia Vatta possedeva, dopo la morte del violinista, vasti
tratti di terreno olivati e vitati, e molti fondamenti di saline. La viJla
di Strugnano, posta in superba posizigne, che domina tutto il nostro
g^plfo, ha tutti 1 conforti possibili, con viali, giardini ed estesissima
campagna con estesissima peschiera, difesa da forti dighe, unica in tutta
r Istria. Il non abbastanza compianto arciduca Massimiliano, imperatore
del Messico, prima di fabbricare il castello di Miramar, aveva gettato
r occhio sulla villa Tartini per ridurla a sua prediletta dimora. Non
saprei dire per quali contingenze poi il progetto fu abbandonato.
92
e non ve ne pure un scolare; che sappia i caratteri diversi
che à la musica; ma la provvidenza cosi ha permesso, 6on-
viene chinare il capo è il solo che per la scienza della mn-
sica possa riparare il danno, e prego Iddio che lo muova a
ciò fare, per il bene comune e gloria della nostra Italia „''*)
Ci basti, fra mille altre, questa testimonianza d' amore del
Roberti, che in se contiene in poche linee un vero elogio.
Il popolo di Padova poi, uso ad affollarsi nella chiesa del
Santo, per bearsi delle sue melodie, fece continuo assedio alla
casa del Tartini non appena fu udita la sua morte, lamentan-
dosi ognuno come di propria calamità. E tutta Padova e mol-
tissimi forestieri, specialmente venuti da Venezia, vollero ac-
compagnare la di lui salma ai funerali e alla tumulazione
nella chiesa di Santa Catterina, dove ancor oggi riposano le
sue ceneri. Francesco Fanzago, dottissimo professore del pa-
tavino ateneo, gli iutessè in pubblico con magnifiche parole
un funebre elogio. *^-<
L'effigie del Tartini, delineata al naturale già nel 1761
clair amico abate Vincenzo Bota, ^^^) e accompagnata da questo
di stiro :
Tartini hatul procui rerncitts expHfìi imago,
Sive Lyrnm tango t, sfu meditetur, is est,
'"M G. Te bai d ini, op. cit. La lettem porta la data del 6 marzo
1770, e ai conserva nell'Arca del Santo. I puntini stanno invece di un
nome illeggibile. Peccato! Il Roberti, come ben si vede, era stato scolaro
<li Tartini.
*'*) L'orazione funebre fu poscia stampata, ed abbiamo avuto oc-
('a.«»ione molte volte di citarla in questo studio.
^''; Fanzago Dr. Fr., op. cit. L'abate Vincenzo Rota nacque in
Padova il 1703. Fu buon pittore e sonatore di vari istrumenti» non ultimo
il violino, ed aveva appreso a sonarlo dai Tartini: tanto era poi inten-
dente dell'arte musicale, che veniva consultato più volte dal maestro
stesso, cui era amicissimo, e del quale ridusse 86 concerti in sonate a
tre e a quattro parti. Partitosi per Roma, durante la dimora in questa
città tenne col Tartini vivissima corrispondenza. Per chi s'interessa di
musica la corrispondenza epistolare del Tartini col Rota potrebbe esser
di grande importanza. Il Rota fu anche poeta, come ci assicura il Con-
zatti (op. cit.) e nella sua Cantica "L* incendio del tempio di St. Antonio,,,
cktutò degnamente anche del Tartini (parte li, stanze 43-10: 65-56)
fa fatta incidere da A, B. Sberti con quest'altro distico del
professore A. Piombiolo :
Hic fidibus, scriptisy claris hic magnus alumnis
Cui par netno fuit, forte nec iillus erit. ^'*)
Né a queste pompe transitorie stette pago il pubblico
amore, perchè nel 1807 un' eletta società di cultori ed amatori
dell* arte musicale è caldi ammiratori del Tartini, fece erigere
iieir esterno recinto della gran piazza di Padova, detta Prato
della Valle, la di lui statua in grandezza naturale; in quel
Panteon stesso, dunque, dove dai Padovani si ebbero un
eguale onore Tito Livio, Giotto, Dante Alighieri, F. Petrarca,
r Ariosto, il Tasso, il Mantegna, il Galilei, il Cesarotti e il
Canova, e tanti e tanti altri letterati, scienziati, storici, poeti,
pittori e scultori ed uomini d' armi e di toga non d'Italia
soltanto, ma d'intera Europa. La statua è posta a nord -est
del recinto ed è rivolta in direzione della chiesa del Santo,
che non è lontana, da quella parte, dunque dove, egli vivo,
sempre rivolgeva le sue aspirazioni, e da dove, mort>o, ema-
narono tanti raggi di gloria. Ai piedi la atatua porta questa
semplice epigrafe :
lOS. TARTINI PIRANENSI »^^)
e sopra il fusto del piedestallo:
IN
FAT • BASILIO ' D ' ANTONI
FIDIUM • PBOFESS ' PBIMAIO * KXIMIO
SCBIPT18 • ET • ALUMNIS * CLA RISSIMO '
PKRENNK • MONUMENTUM " GLORIAR *
AERE • C(»NLAT<> *
BON • ART ' AMATOBES '
AN MDCCC. Vn.'^^i
*'*) Le (lue iscrizioni tradotte in italiano vorrebbero dire: *Non
lontana dal vero tu delineata questa effìgie del Tartini: T espressione è
sempre quella, sia egli in atto di sonare o di meditare.,, ''Questi che fu
insigne sonatore, scrittore e maestro di celebrati scolari, non ebbe alcuno
pari nell'arte, e for^e mai né avrà.,
"*) ('he tradotta significa: "A Giuseppe Tartini Piranese.,,
*•*) La versione italiana è questa: "Nell'anno 1807 alcuni amatori
di beile arti con 'spontanee oblazioni eressero questo perenne monumento
94
Onesta statua; felice lavoro dello scalpello di Seb. An-
dreosi, '^^) rappresenta Tartini vestito al gnsto del secolo XVII.
Nella mano sinistra tiene un gran medaglione, sopra del quale
in bassorilievo vedesi il busto del di lui amico V abate Yallotti,
che tanto cooperò in una col nostro violinista nella chiesa del
Santo. Sotto al medaglione stanno aperte alcune carte di
musica, su cui leggesi : "Salmi ad otto voci a cappella^ , che
è l'opera maggiore musicale del Valletti. In un altro libro
leggesi: "Scienza teorica e pratica della moderna musica^,
una delle maggiori essa pure delle opere scientifiche dello
stesso Valletti. Ai piedi poi di Tartini vedesi un violino e
quattro opere, in parte aperte, con su scolpiti i titoli delle
qiiattro sue opere principali di scienza musicale. L' atteggia-
mento del Tartini è grave e vivace nello stesso tempo, e quale
egli era nel pieno vigor degli anni; vi si legge e T artista ed
il pensatore. Altre effigi del Tartini trovansi e in Padova e a
Pirano presso la famiglia Vatta, la quale possiede anche un
bellissimo cammeo anulare dello stesso Tartini ; forse lo stesso
inciso dallo Sberti. Il Municipio di Pirano conserva altresì la
maschera in gesso del violinista, ritrAtta sul letto di morte.'")
Pirano stessa, pur sempre avendo in mente di erigergli
un perenne monumento, che ne tramandasse ai posteri la
ricordanza, fece scolpire dallo scultore Rosa un busto marmoi^eo
a G. Tartini, primo professore di violino deUa Basilica patavina di 8t.
Antonio, illustre per i suoi scritti e celebratis.sinio per i molti scolari
che diede all'arte.
*") Ho detto felice lavoro deir Andre osi, citando le parole del-
lUuàh'Mnane del Prato della VaUe, op. cit., giacché anche a me fece la
stessa impre.ssione, quando la vidi per la prima volta. £ssa non è certo
un capolavoro, ma non la potremmo dire né brutta, né di niun pregio,
come vorrebbe il Tebi^ldini (op. cit): e in quel recinto ce ne sono
certo di peggiori e di veramente poco belle.
*'") La famiglia del fu profe.ssore Petronio dì Udine ha anche un
bel ritratto ad olio del Tartini ed un altro più piccolo a penna con breve
iscrizione latina. In questi e ritratti ed effigi o statue il naso del violi-
nista é bensì pronunciato, non tanto però quanto 11 Neumanu ce lo
raffigura nella. .sua Storia illustrata della Murìcu iop. cit.).
96
a questo suo diletto figlio^ il qual busto è conservato nelP ampia
e magnifica sala del Casino Sociale. E un monumento ancor
più insigne e duraturo volle innalzargli, lui ancor vivo, l'Europa
tutta, denominandolo il ''Maestro delle Nazioni^ , onore questo
elle, come dicemmo, la storia dell'arte va superba di poter
registrare, perchè toccato a pochi, anzi a pochissimi maestri
nella divina arte de' suoni. E di fatto i nuovi e ' sublimi
concetti, i suoni pieni e vari, le nuove melodie e cadenze ar-
moniose, le evidenti imitazioni^ eh' egli sapeva cavare dalle
corde del violino, formarono per oltre mezzo secolo la delizia
delle genti e ancor tuttora sono tenute come perfezione del-
l' arte. E ben lo comprese l'autore del popolarissimo Camevale
di Venezia^ Nicolò Paganini, principe dei violinisti del nostro
secolo, il quale studiando indefessamente le opere del nostro
Istriano, fu più che ammiratore, entusiasta del suo genio. Il
dott. Antonio Bucceloni, venuto più volte a Trieste coli' artista
Bazzinì, narrava al Tagliapietra come il Paganini, parlando
del grande Tartini, soleva inchinarsi e scoprirsi il capo in atto
di riverenza, dicendolo il vero e primo padre della scuola
classica e di quel nobilissimo e potentissimo fra gl'istrumenti
musicali, che è il violino. Di questa classica scuola, egli pure,
sommo tra i sommi, si professava discepolo. Eppui-e Paganini
— aggiunge il Tagliapietra — non era largo d' encomi né ai vivi,
né ai mòrti."*) E qui basterebbe Y autorità del Paganini ; ma noi
sappiamo ancora che il Sivori, altro luminare della bella scuola
del magico strumento, aveva per Tartini la stessa venerazione.
Altrettanto potremo dire del Novelli, del Bazzini. delle Mi-
lanollo, del Bianchi, dell' Arditi e di queir angelo del violino
che è la Teresina Tua ; dello Spohr poi e dell' Ernst, dello
Straus, del Clement dei tedeschi abbiamo detto e cosi dei
francesi Beriot e Vieuxtemps e dell'olandese Thomson.
La maggior parte delle Sonate del Tartini, che, a detta
dei biografi, oltrepassano il centinaio, furono stampate in
numero ristretto dapprima in Amsterdam, nel 1734, poi in
*^) "Memorie di un Contemporaneo di Nicolò Paganini per O. Dr.
Tagliapietra,,, nel periodico V Arte^ anno IX, 1878. 27 giugno, N. 17,
Trieste.
Roma nel 174ó, alla quale edizione se ne aggiunsero molte
altre. Queste ed altre ancora che il Tartini compose fino alla
sua tarda età, furono poi ripublicate dì spesso in molti luoghi
fino ai giorni nostri. Semplice è la composizione della Sonata
Tartiniana ; non abbiamo Sonate che per un solo violino con
accompagnamento di bassp, o per due violini con basso con-
tinuo. Nei Concerti invece, di doppio numero delle Sonate,
figurano fin otto e più strumenti e richiedono perciò una
piccola Orchestra. ^*^) Tutte «jueste opere, scritte nel secolo-
scorso, sono si belle e fresche, come fossero de' giorni nostri,
e questo è indizio sicuro, che esse saranno imperiture, perchè
improntate ad uno stile che può sfidare tutti i tempi ed accon-
tentare i critici più severi. Né ci deve punto meravigliare
se a Padova accon-evano, anche dalle più lontane contrade
d' Europa, o delT Asia, ed artisti e maestri per apprendere
quella rarissima maestria nel toccare le corde, sapendolo in-
superabile nelle fioriture e nella leggerezza del polso, per cui
'••) Ho accennato a circa cento Sonate e duecento Concerti, perchè
a un dipresso tanti ne fece stampare il Tartini in Amsterdam, in Roma
o anche a Parigi, ma il numero si di quelle che di questi ò di molto
superiore. D Wasielewski (op. cit.) ci accerta che Tartini tu di una
.stragrande e fenomenale attività, anzi, dice, se dohhiamo credere agli
antichi e moderni scrittori, solo una parte, piccola essa pure, fu stampata
delle opere di violino 11 Gerher parla di 200 Concerti e 200 a Solo ancor
manoscritti, che si trovano dispersi per V Italia, senza contare quelli che
sono a l^arigi e a Londra. Come sappiamo, Tartini poco prima di morire
consegnò tutte le sue opere in musica al conte Turn Taxis perchè ne
le facesse stampare, e queste, dice il Wasielewski, sì dispersero ovunque,
sì che sarebbe un'impresa difficilissima il raccoglierle. Il Tebaldini si
augura che presto possa compiersi uno studio di tutte le opere de!
sommo violinista, radunandole in una sola grandiosa edizione; ciò, dice,
riuscirebbe certamente di sommo vantaggio alla letteratura, alla storia
e alla critica della musica. Nell'Archivio Padovano v'è una raccolta di
Bf) Concerti in partiture autografe del Tflrtini, di carattere eminentemente
sinfonico. Tiò che emerge in questi Conr-^rti, Alce il Tebaldini ^op. oit.\
è il CArattere maschio dei temi, la clRSsioìtà della forma, la severità dello
stile, la nobiltà della condotta: della qual cosa parecchi autori succeduti
al Tartini in ordine di tempo — anche fra i tedeschi — al certo non
diedero prova con maggior evidenza. In alcuni il carattere dei temi è
tutto haydiano.
I
97
con facilità somma passava dal pianissimo al fortissimo e vi-
ceversa ; sapendo di più con quale fine espressione traeva dal
suo vialino i suoni più disparati, clie riproducono a perfezione
la passione, la mestizia, V allegria, il cantabile, V amoro, V odio,
la calma, il semplice ed il grandioso. E tanto egli era poi
geloso deir espressione, interprete fedele del sentimento, che
udendo altri a sonare, che avessero grande agilità nelle dita,
o nel movimento dell' arco, ma nessuna espressione, diceva :
"È bello, è difficile, ma qui (e si metteva la mano al cuore)
non ha detto nulla „ Il Quanz, che aveva udito il Tartini a
Praga, è l'unico che discordi da tutti gli altri circa l'espres-
sione, per la quale appunto il nostro violinista emei'géva sugli
altri virtuosi del suo tempo.*®*) Anch' egli loda la tecnica
capacità del Tartini, che dice ijuperiore ad ogni altro, ma lo
accusa di poco toccante e di gusto poco nobile, anzi in oppo-
sizione ad un buon cantabile. Il Wasielewski,***) pur non vo-
lendo negare al Quanz un proprio gusto dell'arte, perchè circa
ai gusti non v' è disputa che possa valere, cita T autorità del
Lahoussaye, che fu scolaro del Tartini, ed al quale, dice, devo
credere più che al Quanz, se mi accerta che la perfezione,
la finezza dei suoni, la seducente espressione e la magia,
con cui Tartini sapeva ti-attare V -e^vco, destavano ovunque e
ammirazione e meraviglia. Ed è una solenne baggianata
— continua a dire Wasielewski — che il Quanz ci venga poi
a dire, che il Tartini appena da vecchio potè perfezionai'si
neir espressione, poiché chi non Iha un fine senso dell'arte nel
fiore degli anni, mai più lo avrà in vita sua. E tu, mio buono
e bravo Quanz — conclude — o non eri della tua buona voglia,
quando udisti Tartini, o avevi delle idee preconcette e tutte
tue proprie circa l'espressione e il sentimento dell'arte. Non
voglio qui citare l'autorità degli artisti e virtuosi italiani di
*•^' È questi il valoiite flautista Giovanni Gioachino Quauz, che
venuto in Italia a perfezionarsi in Napoli alla scuola dello Scarlatti, i\x
poi maestro e componista alla corte di Federico il Grande di Prussia
Se ebbe fama di flautista e di maestro concertatore, non lasciò dopo di
se alcun' opera di merito speciale.
*'•) I. W. Wasielewski, op. cit.
98
quel tempo, che ad mia voce dicevano del Tartini : "non suona,
canta sul violino» ; e mi restringerò solo, per meglio iniirmare
r odiosa autorità del Quanz, a quanto disse quel potènte in-
gegno che fu il D' Alembert nel suo Trattato stdla libertà della
tntisiea, il quale, deplorando i] difetto della musica del suo
tempo, che nuli' altro presentava che un vano rimbombo ed
uno sterile solletico all' orecchio, eccettua soltanto il nostro
Tartini, i di cui concenti, egli dice, poiché prendevasi per
iscopo di pingere una qualche determinata azione o passione,
riusci van piuttosto un sentimento e un linguaggio, che un
suono od un' arn)onia.**')
Nelle opere scientifiche tartiniane, poi, tutte improntate
alla più severa filosofia, rispecchiasi quella profonda erudizione,
che del Tartini fece uno dei primi eruditi e scienziati del suo
tempo. Quanto egli valesse nelle matematiche e nella fisica
fu detto; sappiamo però ancora che era buon conoscitore e
della storia sacra e della profana, della cronologia e della
geografia o persino della teologia. '") Non tutte le sue teorie,
lie viene da sé, potrebbero valere a' giorni morti, dopo gli
studi immensi fatti specialmente nelle scienze positive da un
secolo in qua ; ciò non toglie però eh' egli non debba essere
"•) É questi il ben noto enciclopedico Giovanni Dr. D'Alembert,
illustre matematico e non meno insigne filosofo francese. Nei suoi Eloges
e negli Opusailea mathfmmtiqueSj accenna anche al Tartini e ai suoi ritro-
vati scientifìco-musicali.
"*) Se crediamo al Wurzbach (op. cit.), Tartini compose anche
un Trattato sui Sacramenti, in istile splendido, che fu trovato nel convento
dei Francescani di Pisino. Porterebbe la data del 1719. Nel 1892, al leg-
gere questa notizia del Wurzbach, m^era rivolto con lettera al guardiano
di quel convento, che da molti anni conosceva, per sapere qualche cosa
di più positivo. Egli mi scriveva, dopo aver fatta un'accurata disamina
dei manoscritti, che nulla aveva trovato, neppure il più piccolo accenno
che tale opera fosse mai esistita. V llltistrazione del Prato della Valle
(op. cit) accenna altresì a studi di teologia, fatti dal Tartini, [non parla
però di scritto alcuno, che, se fosse veramente esistito, il nostro Stan-
co vi eh non avrebbe fatto a meno di citarlo. Trattandosi di teologia,
qualche nostro degno sacerdote dovrebbe incaricarsi di sciogliere queifta
questione, che di degni sacerdoti, e di veramente eruditi, né Trieste, né
ri stria ha difetto.
99
aanoverato tra i più illustri teoretici e trattatisti del suo
iempO; superiore certamente, ed è il Helmholtz che lo afferma,
e al francese Bameau, o allo svizzero Le Serre, o al tedesco
Sorge, i quali, avendo anche indipendentemente dal Tartini
presentito il terzo suono^ non seppero applicarlo sufBcentemente
quale regola fondamentale dell' arte. '®5)
Ammii*atore, fin dalla gioventù, delle rime del Peti-arca,
come fu detto, e più tardi dei nobili versi del Tasso, e delle
dolci e facili strofette del Metastasio, mai mettevasi a com-
porre, se prima non avesse preparata la mente con la lettura
di un sonetto o canzone del Peti*arca, di qualche ottava del
Tasso, o di qualche squarcio dei melodrammi del Metastasio.
E di ciò ne fa fede TAlgarotti. **•) Il Maroncelli anzi volle
intravedere perfino nelle sue Sonate i sonetti dello stesso
Petrarca, e in qualche suo Concerto questo o quel melodramma
del Metastasio, come ad esempio la ^Didone abbandonata». ^'^)
Quello che noi sappiamo di. certo in tutto ciò, si ò che il
nostro violinista, prima di sonare o comporre qualche pezzo,
traeva dalla poesia quell'ispirazione geniale, senza di cui mai
un'opera d'arte riesce perfetta. Questa abitudine- non è una
spede di preparazione o di raccoglimento, come avveniva del
divino Haydn, che mai metteasi a compon*e se prima non
avesse recitato alcune avemarie. Nel Tartini poesia e musica
vanno di pari passo, s' accompagnano ovunque, se anche sotto
le prime battute della Sonata o del Concerto stanno solo
pochi versi sia del Petrarca o del Met-astasio. Una sonata co-
mincia p. e. colle parole del Petrarca ''Ombra cara„; un'altia
'**) Hermann Helmholz, Leht-e von dén TanempfindungeHf op. eit;
Di un'altra opera del Tartini, cioè: Giudizio sopra la disertazione del
Lami intorno all' anima delle bestie, non trovo fatta menzione che nel
u ostro Stancovlch, il quale ci assicura che esistesse manoscritta presso
r abate Dr. Fanzago. Non dubito deir esistenza di quest'opera, credo
però sarà stata cosa di poco valore e pregio, se gli altri biografi, e spe-
cialmente il Wurzbach, non ne fa cenno.
*••) Francesco Algarotti, Opere, Venezia, 1757.
^") Pietro Maroncelli, Vitedeffli iHuztri italiani, e precisamente
in quella di A. Gorelli.
-'^551A
100
"Volgete il riso in piauto o mie pupille^ ; un Quartetto in Do
tuftgg. aìVadigio in Sol reca questa quartina del Metastasio:
Felice età delV oro
bella innocenza antica
quando al piacer nemica
non ha la virtù, 'W)
Potremo, volendo, citare ancora molti altri esempi cou-
simiii, da cui più chiara ancora si mostrerebbe la sentenza
del Chilesotti, là dove dice: ''Si afferma che Tartini, prima di
mettersi a comporre, leggesse qualche poesia del Petrarca o del
Metastasio per ispirarsi a dipingere qualche determinata azione
o passione.;, '^^) Quest'uso del Tartini non era dunque una
semplice preparazione, perchè la sua mente, tutta concen-
trata nel soggetto, non divagasse, come i più asseriscono; uè
quei versi formavano un mistico mottO; come crede il Wasie-
lewki,'^) che servisse semplicemente a contradistinguere questa
Sonata o quel Concerto in maniera secreta e indecifrabile.
''Giotto — dice molto bene a questo proposito il Fanzago^*')
— tolse da Dante le idee dell' Inferno e Miche laiigiolo ricopiò
le stesse idee nelle tenibili tinte del Giudizio Universale; nel
Tiziano poi osserviamo le venuste forme del Petrarca., Altret-
tanto, credO; potersi dii'e del Tartini, se è vero, come si asse-
vera, che le belle arti sono sorelle. E lasciando ad altri il
compito non punto facile di voler leggere nella musica tarti-
niana le poesie di quei due sommi poeti, potremo pur bene
immaginarsi come facilmente un grande maestro de' suoni
possa e vagheggiare e riprodurre le bellezze poetiche, come
son usi a fare e i pittori e gli scultori ; tanto più poi se fra
r uno e r altro artista ci sia simpatia di sentimento. L' Alga-
rotti succitato cosi un giorno scriveva al Tartini. *Eila con-
tinui ad amarmi ed a comporre di quelle sue Sonate, che per
>••) G. Tebakliiii, op. cit.
'^) Oscar re Chilesotti, 1 nostri maestn del passalo^ Milano, Ri-
cordi, 1882, e G. Tebaldini, op. cit.
'••) L W. Wasielewski, op. cit.
*"; F. Dr. Fanzago, op. cit.
101
quella loro indicibil grazia e liudiira ne fanno scordar^ il
Corelli, e sovvenire dei Capitoli del Bernio e dei Sonetti del
Petrarca.;, *'*j Degli effetti della musica sur un soggetto par-
ticolare e determinato valga questa osservazione dello stesso
Tartini : "La musica ai di d' oggi altro non è più che Y arte
di combinare dei suoni : non le resta che la sua parte mate-
riale assolutamente spogliata dello spirito che anticamente la
animava. Scuotendo il giogo delle regole che dirigono la sua
azione verso un sol punto, essa non V ha rivolta che verso
oggetti generali. Se per essa ricevo impressioni di gioia o do-
lore, queste sono vaghe ed incerte. Ora l'effetto d« 11' arte non
è mai completo, se non quando è particolare e determina to.„'^*)
Cosi egK la intendeva nell'arte, ne que' pochi versi messi a
capo ètììt sue Sonate e Concerti formano un motto fantastico
indecifirabile, né si basano su puro miticismo, mentre invece
vi danno l'impronta caratteristica. L' artista, letto il preludio
di que* pochi versi, ed udita che abbia la musica, saprà ben
anche da solo unire e poesia e musica in un tutto omogeneo,
che abbia artistica perfezione.
Questo aneddoto, che trovo stampato nell'opera 1 nostri
Nùnni del Caprin, è quanto di più adatto a confermare la
nostra asserzione. Il celebre violinista polacco Carlo Lipinski,
aveva intrapreso un viaggio nelF alta Italia, allo scopo di
perfeadonarsi alla scuola dei discepoli di Tartini, di cui era
ammiratore ed entusiasta. ^^^) Di passaggio, trovavasi a Trieste
verso la fine del 1818 ed essendo per puro caso venuto a rile-
vare che viveva ancora l'avvocato Dr. Valentino Mazzorana,
**'j Francet^coÀlgarotti, 0}fere. I>ivoruo, per M. Coltellini, 1766,
Tomo VII. Lettere varie. Questa lettera porta la data di Venezia 12 feb-
braio 1754. L* Algarotti aveva spedito già prima dei versi, foi-se, come
reputo, perchè servir dovessero di base a qualche sonata o concerto»
giacché al principio della lettera è detto: ^'Bisognava potare, come ella
mMnsegna, le sovrabbondanze e le giovalità: ella che per arrivare al
colmo deir ecc^lenza nell'arte sua ha fatto di tante prove e riprove: ratio
nuBe est, impeftns ante fuit.,
***) TrtMaio di Mugica secando la vera seiensn déU* armonia, op. cìt,
W. 14&.
«•«) I. W. Wasielewski, op. cit.
102
eh' era stato allievo del Tartiuì, peusò di andarlo a trovare
per conoscere più davvicino il metodo tenuto dal nostro vio-
linista nel sonare e per sapere quali fossero stati i secreti
dell* arte per incantare il pubblico, come quegli faceva, e
trarlo all' entusiasmo. Il Mazzorana, vecchione di 90 anni, si
rifiutò di sonare, adducendo che la grave sua età e il per-
duto vigore non gli permettevano di trattare più V arco, ma
porgendo uno pezzo di musica al Lipinski, aggiunse: lo ese-
guisca piu-e ed io le farò le mie osservazioni. Il Lipinski aderì
di buon grado, ma non soddisfece il Mazzorana, che con una
franchezza in lui abituale, replicò: Ella è ben lontano dal-
l' aver interpretato il sommo maestro. Trasse poi da un cofa-
netto uno scartafaccio pieno di note, precedute da alcuni versi.
L^gg^ — dissegli poscia — legga prima il testo; lo legga ad
alta voce, due o tre volte, con accento declamatorio, ispiran-
dosi ai concetti in esso contenuti, poi suoni. Lipinski obbedì.
Quei versi erano caldi d'ispirazione e si senti veramente ra-
pito. Eseguì quindi la ''Sonata del Diavolo „ con tanta anima,
con tanta forza, che il Mazzorana scattò in piedi (]uasi rin-
giovanito a quella fuga d' infernali armonie.
Questo saggio ammaestramento di un artista dato ad un
altro artista collima perfettamente col giudizio che della musica
tartiniana diede, come abbiamo già avuto occasione di dire, quel
robusto e dotto ingegno, che fu Gian Rinaldo Carli. Spesso
eccita vaio nelle sue lettere il Tartini perchò scrìvesse una Storia
della Musica. '^^) Il Carli se ne schermì dapprima, ma lette che
ebbe le opere dell' amico, estese con profonda erudizione e
scienza Le Osservazioni stdki Musica Antica e Moderna. ^La Musica
Moderna — egli dice in chiusa del suo trattato — è dotta,
ingegnosa, sublime: ma è come una figura umana, col più
**^) Sarebbe veramente ben l'atto di rintracciare questa corrispon-
denza epistolare dei due sommi istriani di quel tempo, e tanto più poi
dacché, come ho detto, si avvicina il centenario anche del Carli Alcune
lettere si trovano neir Archivio comunale di Capodistria, il quale, se non
è tanto ricco di antichi cimeli istorici, che andarono perduti, ha però
grande ricchezssa di opere di sommi capodistriani e di altri istriani
ancora. Non è solo coi monumenti che si etemi la gloria dei grandi, sì
ben anche col raccogliere ie loro opere, collo studiarle e col meditarle.
103
raffinato gusto abbellita ed adorna, in cui si ammira la giudi-
ziosa industria degli ornamenti, colla varia unione dei colori,
con la concatenazione e disposizione de' ricci, e con profusione
di preziose gemme e di perle. Questa figura pero è una statua
immobile e insensibile, la quale per conseguenza è incapace di
riprodurre o svegliare in noi verun affetto, o di fare alcuna
impressione. Il signor 6. Tartini è il solo, che, qual nuovo
Prometeo, dee col fuoco della sapienza e della ragione animare
questa statua e renderla degna della nostra sensibilità. Animata
che sia, si adomi in quella guisa, che non disdica al soggetto,
che deve essere ornato .... Tutto questo appartiene al mio
signor Giuseppe, che a tanta perfezione nelParte unisce tanto
studio, tanta dottrina, e tanto desiderio di stabilire i canoni
della bellezza e della proporzione armonica. „
Ma questa fenomenale attività del Tartini non si restrinse
soltanto al suono del suo prediletto istrumento. Abbiamo già
avuto occasione di dire che il buon Padre Boemo nella soli-
tudine d'Assisi, in una colle altre discipline musicali, aveva
istruito queir infelice fuggiasco anche nel canto. E la voce del
Tartini echeggiò anche più di una volta nelle vaste navate
del Monastero d' Assisi. Da allora, non v' è dubbio, conservò
una speciale predilezione per il canto, ed i versi, che stanno
a capo delle Sonate o dei Concerti, ce lo dimostrano chia-
ramente. Di Tartini giovane non abbiamo però alcuna compo-
sizione di canto, ed è certo che quel poco che ci lasciò tutto
lo dobbiamo agli ultimi anni di sua vita. Anche il Trattato
delle amenità del canto deve esser stato dettato dal Tartini
negli ultimi anni di sua vita ; un sicuro indizio lo abbiamo in
ciò, che non lo si ha che nella sola traduzione francese. Fino
ad oggi altra opera di canto non conoscevasi del nostro violi-
nista che un Misererò. Dico conoscevasi, perchè cosi trovasi
scritto nei biografi più vicini al Tartini, quali un Fanzago, un
de Prony, un Conzatti, un Wurzbach, ed in altri ancora, che
ricopiarono la notizia dai primi. In tutti è detto che questo
Miserere era ad otto voci^ e che era stato cantato una sol volta
a Roma nella Cappella Sistina dinanzi il papa Clemente XIII,
Rezzonico, il Mercoledì Santo del 1768. Da tutto questo conclu-
devasi che questa composizione tartìniana fosse cosa di poco
104
conto — e quante assurde conclusioni non sono state fatte fino
ad oggi circa il nostro violinista — se non fu eseguito che
una sol volta. Sapevasi anzi che il detto Miserere trovavasi a
Parigi con altra musica del Tartini. Ad un appassionato cultore
della musica sacra venne però fatto recentemente di poter
trovare nella Biblioteca delP Accademia di Musica di Parigi
questa nuova gemma del genio musicale del Tartini. '*^) La
composizione è quanto di più bello e di più grandioso possa
mai darsi. Ed io sono più propenso a credere a questo felice
scopritore, intendentissimo come è di musica sacra e non meno
valente contrappunti sta^ che non creda a tutti gli altri succitati,
o al Tebaldini, *•') il quale, parlando recentemente nella sua
opera anche di questa composizione, senza averla pur veduta,
e basandosi solo sull' autorità del Fetis, ne la giudica una fattura
scadente e di poco valore. E potevamo noi mai immaginarci
che il Tartini si fosse messo, così ad occhi chiusi, a scrivere
un Miserere per la Cappella Sistina, se non fosse stato persuaso
dì non riuscir da meno dei suoi contemporanei ? Celebre si
era allora il Miserere dello Haase Adolfo, che, composto già
nel 1730. veniva cantato in tutte le principali Cappell*^ d'Europa:
'**) Questo appassionato cultore è il Piranese monsignor Francesco
Petronio, Proposito Capitolare dì Oapodistria. Di lui abbiamo già altrove
accennato e della sua operosità nel rintracciare altre opere dei Tsvtini.
Intendentisfiimo come egli è di mugica, di filosofia e delle scienze posi-
tive, sarebbe di valido aiuto, qualora si addivenisse all'idea, da me più
volte propiignata, di unire in apposita biblioteca tutte le opere sia mu-
sicali che scìentiHrhe del Tartini. E gli stndt da lui finora fatti sulla
musica e sulle opere del Tartini, ci darebbero sicura caparra di buona
riuscita.
'"j 6. Tebaldini, op. cit. — Agostino conte Forno, nell*J7ofM>
(ti Tartini, ci assicura che il Miserere è un'opera veramente Bublkne;
anzi, dice occupa il primo posto fra tutte le altre composizioni tarli-
niane. Per quante cure ci mettessi non mi fu possibile vedere questo
elogio del Porno, e se qui lo cito si è perchè cosi trovo scritto nel
Wasielewski (op cit.), il quale, a sna volta, dice doversi creitere alla
di lui testimonianza, essendo stato presente in Roma all'esecazione nella
Cappella Sistina, e in quest'occasione aver anche scritto qnelFelocio.
Questa testimonianza pertanto e la critica Kecnnte di monsignor Petronio
varranno, io credo, a dissipare ogni dubbio.
105
celebre quello di Baldassare Oaluppi, scritto nel 1768 ; più
celebre ancora queUo di Marcello Benedetto^ che ancor qg^ è
ritenuto por un'opera sublime dell* arte e deUa musica sacra.
Nell'Archivio della Veneranda Arca conservasi altresì del
Tartini una Salve Regina a quattro voci ripima, che, come ci
attesta il Tebaldini, ^»«) è notata quale Ultima compoftiaio^u del
Celeb. Maes. Giuseppe TartinL Lo stile è omofono, dice il Tebaldini,
e il pezzo non è gran cosa. Più importanti, ^i dice, sojcio le
Canzoncine $acì*e^ concepite con idealità marcelliana.
Come de' grandi artisti, così fu ugualmente del Tartini,
eh' egli; cioè, considerasse V arte quale cosa sacra, o come il
massimo tìtolo di nobiltà, a cui l'uomo possa mai i^oguape;
ne avvenne pertanto ch'egli si conquistò nei fasti della storia
e nella memoria degli uomini un posto rispettato e glorioso. **•)
Ma non fu solo la storia che registrò a caratteri d'oro il di
lui nome; anche la poesia destinata a tramandare ai posteri
più chiaro il nome e le gesta de' grandi, illustrò degnamente
l'arte sublime del nostro violinista; a cui si aggiunse ,la no-
vella e il dramma, che di lui fecero un eroe leiggendario del
medio evo. Angelo Mazza, contemporaneo di Tartini, dedicò
ai nostro violinista quel celebre sonetto "Suiruno e trino ar-
monico„, volendo, come dicemmo, inneggiare in tal guisa al
terzo suono Ma era riservato ad un altro figlio di Pirano, ad
un altro celebre nostro comprovinciale, cantar de^gnamente di
Tartini. Si è questi Giovanni Taglìapietra, morto, non son
molti anni passati, qui a Trieste, dove professò per lungo tempo
l'arte medica. La sua Cantica in t^rza rima, di stile, forma e
colorito dantesco e petrarchesco, è una delle più robuste ed
^ G. Tebaldini, op. cH. Il inanoscrìtto di questa composieione
porta la data del 6 marzo 17.7B; è una copia dunque dell'originale, giacché
Tartini riposava allora già da tre anni nel suo sepolcro.
'*•) Degne di esser qui citate mi paiono le parole che il grande Hum-
hold scriveva un giorno ad un amico entusiasta dell* arte e della scienza
italiana: ''Quale e quanta potenza creatrice nel popolo italiano! Pante
e liichelangélo, e le prime istorie, e le prime idee politiche di libertà;
qui troviamo le basi di ogni ramo delle scienze naturali: Anatomia,
Botanica, Fisica; di tutte le arti: Pittura, Scultura e Musica, Nessun
popolo d'Europa può vantar tanta gloria di creatrice inventiva.,,.
106
ispirate poesie, che le lettere italiane abbiano nella seconda
metà del presente secolo, il quale, fra tanta colluvie di poeti,
quasi tutti ispirantisi alla materia, ben pochi ne ha che colla
forma, o esotica o seducente, sappiano innalzarsi alla vera
arte poetica, alP arte geniale
Perfino il violino di Tartini, e quello specialmente su cui
sonò il -Trillo del Diavolo,,, ha la sua leggenda. Vediamo,
se mai è possibile, di rimuovere anche qui ogni dubbio. Se
crediamo al Wurzbach, *•*) non è nulla di certo in quali mani
fosse venuto questo famoso strumento dopo la morte del Tartini.
Il famoso raccoglitore, o incettatore di oggetti artistici, il ricco
Russo Insupoff, attesta — sempre a detta del "Wurzbach —
che questo violino si trovasse in possesso di un certo Al. Poas
di Milano, gran dilettante ed incettatore egli pure di oggetti
d' arte, il quale, a sua volta, lo aveva comperato in Regoledo
da un filatore di seta. C'è poi un'altra versione, la quale ci
racconta che il famoso violino fosse passato in eredita ad un
parente del nostro violinista abitante in Muggia. E detto di
più ancora, che cioè un ricco Inglese — il ricco Russo o In-
glese devono sempre entrare in tali questioni — il quale ad
ogni costo voleva possedere quello strumento, fosse venuto a
Trieste, e perchè glielo cedesse, avesse fatt-o al proprietario
delle splendide oflTerte. Ma questi non voleva privarsi di si cara
e preziosa memoria delF illustre suo parente. L' Inglese, dispe-
rando di riuscire altrimenti nel suo intento, stando sempre alla
leggenda, si sarebbe recato a Muggia, e introdottosi clande-
stinamente in casa del fortunato possessore, glielo avrebbe
portato vìa, lasciando nella fodera che lo copriva, una consi-
derevole somma di denaro. Quale delle due leggende sia la
vera non è detto, e forse non lo sapremo giammai, se un qualche
documento non ci conferrai la verità o dell'una o dell'altra
versione; tanto più poi dacché la firma di un Amati, di un
Stradivario o di un Guamerio nulla ancora comproverebbe,
non avendo questi fabbricatori d'istmmenti fatto il solo violino
del Tartini. D'altra parte tanto Tuna che l' altra leggenda po-
trebbe avere qualche probabilità di vero, perchè Tartini non
'•) Dr. C. Wurzbach. op. cit
107
avrà avuto un solo violino, se, come già altrove osservammo,
portava sempre seco due archetti per le diverse sue Sonate.
Ma lasciando da parte la leggenda, quello che sappiamo
di certo si è, che il vero violino del Tartini trovasi a Pirano,
di assoluta proprietà di quel Municipio, a cui fu donato nel
1888 dalla famiglia del benemerito professore Petronio di Pirano,
morto in Udine molti anni or sono. Ognuno dunque potrebbe
vederlo, pur che si rechi a Pirano, e col violino potrà anche
vedere i documenti che ne attestano la vera autenticità.
Su quale poi di questi tre violini il nostro Tartini abbia
sonato il " Trillo del Diavolo „ ? © il diavolo soltanto che ce lo
potrà dii'e, se ci sarà mai artista si geniale, che saprà evo-
carcelo dair inferno e lo farà sonare, come egli, novello Orfeo,
seppe evocarlo con l'arte sua maga.
Nell'anno 1892, in cui ricorreva il secondo centenario
della nascita del nostro violinista, fu Pirano la prima a com-
memorare questo illusti*e suo figlio, riservandosi di innalzargli
un monumento subito che i mezzi glielo permettessero. A
questo nobile scopo si volsero anche gli animi degli altri nostii
comprovinciali, non ultima Trieste, che con il consiglio e con
r opera assecondò si generosa iniziativa. In oggi il fatto è ormai
compiuto. Ognuno può ammirare li, nel mezzo della maggior
piazza di Pirano, il monumento, opera egregia di valente artista
veneziano. Lo stile è severo e quale veramente s'addiceva a
tanto uomo. L'occhio vivace e i lineamenti maestosi ci rive-
lano l'artista, mentre la fronte alta e pensosa ci manifestano
il filosofo, lo scienziato e il vero Mcteetro delle Mozioni, Sia esso
il faro luminoso, a cui debbano convergere gli occhi nostri
nelle diuturne, aspre e difficili lotte della vita!
Mi sia permesso chiudere questo mio studio con questi
pochi versi del Tagliapietra, che qui benissimo s'adattano alla
circostanza e meglio scolpiscono il nostro grande artista:
Dal mistero dell* arte il velo è tolto
A lui dinanzi, e chiara, ecco/ risplende
V eterea fiamma del suo nohil volto.
1U8
E, come pia del saero eèiro s accende^
U aninM aitoUe a 9Ì subiime altezza
Che del Crealo U armonie comprende;
E, innamorato d'eternai bellezzoy
Del sommo bene disiando al polo,
Tutte cose caduche alto disprezza.
Dal tetracordo allor sveglia uno stuolo
D'eterei canti e d'armonie celesUy
Cm le corde temprar puote egli solo;
Né più sente i morteci odii funesti.
\
r/i?'^j<i7V}?tn7Vì?iJìS'iyiyt?i?i7i3'i}Vì3<^^
NOTIZIE STORICHE
INTORNO ALL'ORDINE DEI FRATI MINORI CONVENTUALI
iu Santa Maria del Soecorso e nella Cella Vecchia di Trieste
e in Santa Maria di Grìgnano
del canonico prof. PIETRO doti. TOMiSIN
CAPITOLO I.
L' ordine Francescano — S. Francesco d* Assisi e St. Antonio Taumaturgo
di Padova — Il convento dei frati Minori Conventuali in Trieste sino
air anno 1505 — La Provincia religiosa dei frati Minori Conventuali
della Dalmazia.
Correvano tempi infelicissuni per la chiesa cattolica
in sul principiar del secolo decimoterzo. Valdesi ed Albigesi
infestavano colle loro perverse dottrine e col loro procedere
vandalico in si fatta guisa clero e fedeli, da esser quasi neces-
saria una schiera, che dai sacri pergami e dalle cattedre non
solo insegnasse la vera dottrina e la sana filosofìa, ma inoltre
nulla possedendo di proprio, conforme al vaticinio dell' apostolo
Paolo, potesse conseguire tutto, coli' amplificar la chiesa e col
moltiplicar sé stessa in quattro ordini religiosi cosi vasti e
tanto numerosi, da costituire ciascheduno di essi una propria
religiosa famiglia.
Un ordine tale dovrà peraltro aver sempre scritte a carat-
teri aurei e luminosi le proprie gesta nelle storie di ogni età
e il tempo non oserà mai coprirlo col manto di oblivione,
sebbene oggigiorno l'invidia e la maldicenza lo dichiarino
inutile in mezzo all'umano progresso.
Codesto ordine è il Francescano, cosi chiamato dal suo
fondatore, il glorioso patriarca de' poveri, il serafico santo
Francesco d'Assisi.
110
Giovauai Moriconi, *) figlio di ricco negoziante di seterie,
nato nella città di Assisi nel 1182 e chiamato Francesco dalla
facilità del parlare la lingua francese, rinunzia giovinetto alle
paterne sostanze, indossa ruvida veste di contadino, che volle
per sempre conservata da' suoi seguaci, ed aiutato dai concit-
tadini Bernardo da Quintavalle e Pietro da Catania, fonda
un ordine religioso, che confermato da papa Gregorio IX già
nel 121U contava cinque mila frati. Intento alla riforma della
vita cristiana, indefesso pel bene della chiesa e pella salute delle
anime, uomo di rara umiltà ^) e di vita santa ed illibata^ moriva
Francesco nella sua città natale sabbato, addi i ottobre 1226,
alzato agli onori degli altari tre anni dopo il suo transito glo-
rioso — addi 15 luglio 1229 — da papa Gregorio IX, il quale
venuto espressamente per questa circostanza in Assisi, volle iu
persona predicare al popolo le lodi del Santo nella chiesa di
S. Giorgio.
Francesco abbracciava peraltro colla sua immensa carità
non solo F Italia, ma il mondo tutto. Per ogni dove inviava
i suoi figli spirituali a bandire Pevaugelio di Cristo ed egli
stesso li precedeva nelle apostoliche fatiche col proprio
esempio. In persona egli visita col compagno frate Fiore la
Dalmazia e poi vi spedisce nel 1221 a continuare quanto aveva
principiato, il beato frate Adamo.') Quand'ecco che fra i suoi
seguaci uno ne sorge che godrà per santità di costumi e per
scienza ammirabile fama imperitura nel mondo cristiano: il
santo Taumaturgo di Padova, quel glorioso campione della
fede di Cristo, del quale trasportandosi nel 1263 dall' antica
chiesa della B. V. di Padova *) nell' odierna sontuosa basilica
') A. W a d d i 11 g II s, Annales f rat rum minor umy Lyon 1636 ; D o m i-
nicus de Gubernatis, Orhis seraphkuSy Romae 1682; I fioretti di S^n
Franceaco.
•) Vedi; Ioannes de la Haye, Sancii Francisci opera, Pede-
ponti 1739; Rime di diversi antichi autori toscani, Venezia 1731.
^) Schematismus ff. minorum S. P, Francisci conventualium alm<te prò-
vinciae divi Antonii Patavini, Flumine 1892, pag. 16 seg.
*) Eretta a spese di Giovanni Belludi, banchiere di Padova, e con-
sacrata da Giacomo; settantesimosesto vescovo di questa città, vedi: La
basilica di Sanf Antonio di Padova, Padova 1876, pag. 4.
Ili
le sue ceneri, volutasi la revisione delle sante spoglie, riscon-
trossi la lingua del Taumaturgo eguale a quella d'uomo vivente.
Per il qual prodigioso evento il santo dottore Bonaventura,
cardinale e ministro generale dell'ordine Francescano, disse
tutto di Antonio, prorompendo in questi accenti: Unifuaj
([Une Dominum semper benedixisU et alios benedicere fecisti^ nunc
fntmijeite apparet^ quanti meriti exlitisti npud Deum. ^)
Antonio di Padova, ^) o meglio Ferdinando Boglioni, nato
a Lisbona nel 1195, morto a Padova addi 13 giugno 1231 e
canonizzato nell'anno susseguente da papa Gregorio IX, dap-
prima canonico regolare di Sant' Agostino in patria, poi in
Assisi membro dell' ordine Francescano, viveva per alcun tempo
ignoto e trascurato nel piccolo convento di Bologna. Senonchè
invitato da un superiore dell' ordine ad arringare in materia di
spirito in faccia al religioso congresso di Forlì, egli vi parla
con tanta scienza ed unzione, che pervenuta la fama a san
Francesco, lo elegge maestro dell' ordine tutto, intimandogli
di insegnare pubblicamente le filosotìche e teologiche discipline
a Bologna, Tolosa, Montpellier e Padova, nella quale città
r anno 1227 viene eletto ministro provinciale dell' Emilia. ^)
Antonio peraltro rinunzia a questa carica ben presto, dan-
dosi, sebben giovane, tutt' uomo alla predicazione. Ed era anche
atto a tale impresa, perchè ad un cuore capace di tanti disegni
quanti mente elevata ne sa ideare e ad un animo che sempre
sdegnava il riposo, egli accoppiava una grandezza di dire facile
e popolare, la quale con un sommo rispetto ' inspirava a un
tempo negli uditori confidenza pari ed amore. Il predicare cal-
colato da Antonio come sua missione gloriosa, lo tiene di con-
tinuo in viaggio. Epperò or egli va, or viene ; or torna d'una
in altra città, d' uno in altro lido. E dall' Amone ei passa
air Arno, dall' Arno al Tevere, dal Tevere al Sebeto e poi si
rimette al Po ; dal Po al TicinO; indi si sofferma al Tagliamento,
e dal Tagliamento passa al Timavo, all' Isonzo, visita il Friuli
') La basilica di Sant'Antonio, pag. 4.
*) H. I. Wetzer, B. Welte, Kirchen-Lexikmi, Freiburg 1847, voi. I,
pag. 308 seg.
*) Schematiemus etc., pag. 1.
112
e r Istria tutta. *) E in questa nostra provincia consorella, dopo
aver aperto i conventi in Udine 2) ed in Qorizia, ') egli fonda
i monasteri di Pola, *) Parenzo, Dignano, Visinada, Valle, *)
Muggia,*) Isola, ^) Pirano®) e Capodistria,») e arrivato a Trieste,
è accolto con plauso dai nostri padri. ^^)
L' epoca precisa del soggiorno del Taumaturgo nella nostra
città non può precisarsi. Sembra però di certo che avvenisse
neir anno 1229, in cui, a detta del padre Martino Bauzer, egli
venuto a Gorizia; dove fondava la cappella di S.ta Catterina,
si diresse poi verso Trieste. **)
Un tanto affeima anche lo storico nostro don Vincenzo
Scussa, il quale racconta che sia credibile in quesf^anno (1229)
fosse capitato a Trieste sanV Antonio di Padova, ed abbia fondato
il convento de' Minoriti, /fiori delle mura e porta di Cavana^ con
abitare alquanto tempo in quella casetta oggidì ridotta a fenile. ^^)
') Schematitmuè eie, pag. 16.
') Gì o. Francesco degli Olivi, Hìstorie ddla propincia del Frinii^
Udine 16G0, voi. I, pag. 216, 366.
') Carlo Morelli di Schòufeld, Istoria della contea di Gorizia,
Gorizia 1855, voi. I, pag. 269 seg.
*) Notizie storiche di PotOf Parenzo 1876, pag. 185 seg.; Componimenti
di prosa e poesia retativi a Dante AUighieri e in onore d' esso pubblicati dalla
Società di Minerva in Trieste, Trieste 1866, pag. 12 seg.
^) Poesie e prose di Michde Facchinetti istriano, Capodistria 1^5,
pag. 37 seg.; P. Anton-Maria da Vicenza, Il Castello di Valle nel-
V Istria e U B. Giuliano Cesardlo dell' ordine dei Minori, Venezia 1871.
") Dr. Pietro Kandler, Materiali per Muggia vecchia e nuoca,
ms., 1866.
^) Paolo Naldinì, Corografia ecclesiastica della città e della diocesi
di Capodistria, Venezia 1700, pag. 352 seg.
•) P. Naldini, Op. e, pag. 297 seg.
«) P. Naldini, Op. e, pag. 186 seg.
") Antonio Cratey, Perigrafià di Trieste, Trieste 1808, pag. 15
seg.; Girolamo co. Agapito, Compiuta e distesa descrisione di Trie^e,
Vienna 1824, pag. 1626 seg. ; GiovanninaBandelli, Notisie storile
di Trieste, Trieste 1861, pag. 238 seg.
") I. W. Val v asso r, Die Ehre des HertMogthums Krain. Laybach
1689. voi U. pag. 498 seg.
^') Francesco Camere ni, Storia cronografica di Trieste del eano-
nico don Vinceneo Scussa, Trieste 1868, pag. 69.
113
E fra Ireneo della Croce conferma la verità di quest' asser-
zione, scrivendo: quantunque non s^ atirovi ai giorni nostri ferma
certeBza di tempo ed anno della fondazione del convento di San
Francesco fuori della porta di Cavana della nostra città di Trieste,
attribuita aila deplorabile perdita delle sue scritture: appoggiati
però all'immemorabile tradizione dei nostri antenati^ conservata
sempre sino a questi tempi nella città ; non è dtibbio che andando
sanV Antonio di Padova per ordine del serafico padre san Francesco a
predicare la divina parola in varie città d^ Italia^ come riferiscono
le cronache dei frati Minori^ anco la nostra città di Trieste go-
desse qtialche volta la cara vista e predicazione di sì gran Santo,
ove qual altro Elia con la face dd suo celeste ardore infiammasse
gli umani cuori dei nostri cittadini al divino amore ed impetrasse
da loro la fondazione délV accennato convento circa V anno 1229.
Mentre Gorizia e Muggia ') gloriansi essere state le chiese e.
conventi loro principiate dal medesimo Santo, conservandosi oggidì
una cappella in Gorizia situata nella metà dd claustro ove dicono
alloggiasse sant^ Antonio ; ed in Trieste pure ritrovasi una casetta
fuori del convento e chiesa di San Francesco, ora ridotta in fenil**,
in cui qualche tempo, dicono, abitasse lo stesso Santo V
Occupava in quel tempo la sedia episcopale tergestina
Corrado Boiani della Pertica, nobile cividalese, prelato sotto
ogni aspetto degnissimo, ') già dal 1206 canonico della patria
collegiata, prebenda che ritenne anche dopo 1' anno 1214, in
cui successe al vescovo Vuebaldo o Giobardo. Coniò egli mo-
neta; *) accrebbe di un decimoterzo il numero dei nostri
•) Ij Austriade di Rocco Boniif carmi di Rafael e Zovenzoni,
Trieste 1862, pag. XXXVUI.
*) Fra Ireneo della Croce, htona della città di Trieste, Trieste
1878, voi. Ili, pag. 77 seg.
') F. Cameroni, Op. e, pag. 67 seg.; Fra Ireneo della Croce,
Op, e, voi. Iir, pag. 54 seg.; Giuseppe Mainati, Croniche di Trieste,
Venezia 1817, voi. I, pag. 158 seg. ; Pel fausto ingresso di ntons, Dr, Bar-
tolomeo Legai itella sua chiesa di Trieste, Trieste 1847.
*) Orniteo Lusanio. Sopra le monete de^ vescovi di Trieste, Trieste
1787, pag. 82 seg.; Carlo d'Ottavio Fontana, Illustrazione d'una serie
di monete de^ vescovi di Trieste {néiV Archeografo THestino, Trieste 1831,
voi. Ili, pag. 311 seg., 319 seg.); F. Cameroni, Op. e, pag. 214 seg. —
Due monete di questo vescovo conserva il nostro civico Museo d'antichità.
114
canonici ; intervenne nel 1216 al sinodo ecumenico lateranense,
al concilio provinciale di Aquileia e ai 8 aprile 1216 alla pace
di Treviso; morto a Trieste addi 11 novembre 1230 in odore
di santità tale, che ai suoi funerali volle intervenire in persona
lo stesso patriarca Bertoldo di Aquileia.
Il vescovo Corrado, vedendo affluire generose le oblazioni
del popolo e dei nostri patrizi, permise di buon grado al santo
Taumaturgo di edificare fuori delle mura della città una pic-
cola chiesa con annesso ospizio, tanto più avendo già papa
Gregorio IX con bolla speciale in data, Penigia 9 luglio 1 228,
diretta ai vescovi^ abbati e capitoli dell' Istrìa, Dalmazia e Sla-
vonia, enumerato i meriti insigni di san Francesco d* Assisi e
deir ordine Francescano, decretando pel primo il giorno 4 ot-
tobre come festivo nella chiesa cattolica.
La bolla suddett-a ordinava : ^)
Oregorius episcopus serviis aervorum Dei VcfìerabUibu^
fratribus archiepiscopis et episcopis^ et diUctis Jiliis abbafibus,
prioribìiSy dccanis^ avchidiacjnis et aìiis ecdesiarum praelatis per
Jstriam, Dalmatiam et Sclavoniam constilufis, salutem et aposto-
licam benedictfonem,
Sicut fialae aureae, qiias vidit Joannes pìenas odoramene
torunty quae sunt orationes $anctof*um in conspectu Altisiiimi ad
abolendam nostrorum- crini inum corruptelam^ odorem sirnvitati^^
emittunt, ita saluti nostrae crcdimus plurimum expedire, si eorum
in terris celehrefn hahcreniiis weìnoriam^ ipsorum merita solemnibus
recolendo praeconiia^ quorum in coelifi speramus intercessi ofiibus
assiduis adiuvari Sane^ cum de conversai ione, vita et meritis
beati Fmndsci institutoris et rectoris fratrum minornm^ qui iuxta
consilium Salmtoris^ contemptis transitoriis et terrenis, secundum
promissionem eiusdcm, ad coelesfiapraemia feliciter et aeterna per-
venite cui vita et fama praeclara, peccatorum pulsa caligine, a»»-
buhntes in regiomm umbrae mortis de vicorum tentbris ad
poenitentiae vitam vorans, quorum tam virorum quam mulierum
ad fidem erclesiae róborandam et confutandam haereticam pravi-
tateniy vivit adhuc et viget non modica multitudo : tnm per nos quam
*) P. Donato Fabianioli, Storia dei frati Minori in Dalmazia t
Bossi na, Zara 1863, voi. I, pag. 407 seg.
115
per mtdtos alias fide dignoSj qui miraetila^ quae Deus per illius
sancii viri merita operantur^ plenius cognoverunt, certiores effecti:
auditis etiatn virtutibus et miraculorum insigniis, et quod inter
camales spiritualiter et inter homines edam conversaNovem unge-
ficam habuisset ipsum, qui corporaliier dissohitur, cum Christo
esse mernit in coelestibus, ne ipsius honori debito et glorine de-
trnhere. quodammodo videremuTj si glorificatum a Dofnino permit-
teremus ttlterius humana devotione privarti de fratrum nostrorum
Consilio et praelatorum omnium^ qui fune temporis apud sedem apo-
stolieam consistebant, Sanctortim catàlogo duximus adscribendum.
Cum igitur eius lucerna sic arserit hactenus in mundo^ quod
per Dei gratiam iam non sub modio, sed supra candelnbrum
meruerit cdlocari, universitatem vestram rogamus^ monemus atten-
tius et horUimur, per apostolica vobis scripta mandantes, quotiens
devotionem fidelium ad venerationem ipsius salubriter eoccitanteSy
festivitatem eiusdem quarto nonis octobris annis singulis exeolatis
ef pronuncietis constituto die specialiter excoìendam^ ut ^u^ pre»
ciìms Dominus exorafus^ suam nóbis gratiam trittuat in praesenti
ef gloìiam in futuro.
Datum Perusii VII idus iuliij imntifieatus nostri anno secando.
La famiglia religiosa di Trieste doveva esser in principio
molto piccola; non abitava formale convento, ma, come ab-
biamo già detto, un semplice ospizio o romitorio, il che e
abbastanza indicato dal titolo locum-luogo, dato alla casa an«
nessa alla chiesa, il qnal titolo negli antichi tempi dall'ordine
Francescano si soleva dare, come osserva il Wadingo, a quei
conventini, dove non abitavano più che uno o due religiosi. ')
E appunto per questo motivo il vescovo tergestino Givardo I,
consacrando nel 1234 la chiesa, siccome voleva conservare
i privilegi del nostro capitolo cattedrale, unico parroco allora di
tutta la diocesi tergestina, la dichiarava sottoposta alla sua giu-
risdizionO; ponendovi sulla porta d'ingresso il proprio stemma
gentilizio.
Intanto a cura speciale dei nostri patrizi il convento ve-
niva ultimato e il numero dei frati andava sempre crescendo.
Spettava a loro quindi di decidere a qual ramo deir ordine
•) Op. r, voi. IX. pag ItìO.
116
Francescano volessero appartenere. Aveva cioè il serafico Pa-
triarca san Francesco dettato pei suoi seguaci regola austera
di penitenza e di tanta povertà, che ancor vivente, credeva
pel bene deir ordine necessaria a riformarsi frate Elia, primo
ministro generale dell' ordine Francescano. Non andò subito in
effetto, morto però il santo fondatore, i frati si divisero in due
congregazioni. Quelli che adottarono la regola primitiva, si
dissero Minori osservanti, in Italia Zoccolanti, cosi chiamati dai
sandali che usavano calzare ; i frati che non s' adattavano alla
questua e desideravano pei loro conventi beni stabili, furono
chiamati Minori conventuali o Minoriti. Nacquero perciò liti e
controversie, sopite appena nel 1247 sotto papa Innocenzo IV,
il quale approvando la divisione dell' ordine in due rami, voleva
i Minoriti soggetti al ministro dei frati Osservanti. ')
Il nostro convento, protetto dalle famiglie patrizie triestine,
si ascrisse alla regola de' Minoriti; ebbe però da bel principio
a sostenere una lotta fortissima. I prelati della Slavonia e
della Dalmazia, i vescovi Ulrico de Portis e Vamerio de Cuc-
cagna di Trieste, Giovanni ITI di Parenzo, Guglielmo di Pola,
Stefano de Dominis di Arbe pretendavano la giurisdizione sui
conventi francescani, riguardando i frati come religiosi soggetti
al loro potere e pretendendo di dettar ordini pella liturgia
nelle loro chiese. I nostri Minoriti del pari agli altri dell'Istria,
già incorporati alla provincia religiosa dalmatina di S. Giro-
lamo, si rivolsero al ministro provinciale fra Pellegrino da
Trieste, il quale chiesti i buoni uffici del ministro generale
deir ordine, ottenne da papa Alessandro IV in data, Anagni 17
e 29 luglio 1256, due boUe^ che ponevano fine ad ogni lite e
liberavano i frati nostri Minoriti dall' ingerenza episcopale. Cre-
diamo opportuno di trascriverle per intiero. *)
Alexander episcopus servus scrvorum Dei. Venerabilibus
fratribus, universis archiepiscopis et episcopis, oc dilectis filiis ab-
batibus, prioribus^ dccanis, archidiaconis^ rectoribus et caeieris
») Wetzer e Welte, Op. r, voi. II, pag. 866.
*) P. Donato Fabianìch, Op. evo). I, pag. 411 seg.
11?
ecdesiarum praelatis per Dalmatiam, Istriam et Sclavoniam con-
stitutiSy salutem et apostolicam benedictionem.
Nimis iniqua vicissiiudine largiforis honorum omnium respon-
dentea^ dum hi, qui de Christi patrimonio inpinguati, luxuriant
damnabiliter in eodem^ Christum patenter in famulis suis persegui
non verentur^ ac si factus sii impotens Dominus uUionum, Cum
enim dilecti filii fratres minores^ abnegantes saluhriter semetipsos,
elegerint in altissima paupertate Christo pauperi ad placitum famu-
ìari^ tanquam nihil habentes et omnia possidentes, non desunt pie-
rique tam ecdesiarum praelati quam cdii^ qui vera cupidine ttaducti
propriae aviditatis, subtrahi reputantes quidquid praedictis fratribus
fideliwn pietas elargitur, quietem ipsorum multiplìciter inquietante
molesttarum occasiones exquirentes varias contra ipsos. Volunt
namque, eisi non omnes, ipsis invitis, eorum covfessiones audire^
ac eis iniungere poenitentiam et eucharistiam exhibere, nec volunt,
ut corpus Christi in eorum oratoriis nsservetur, et fratres ipsorum
defuf^tos apud suas eccìesias sepellirì compellunt et illorum exc-
quias celebrari, et si quis decedenlium fratrum alibi quam in ecclesiìs
suis elegerit SfpuUuramy funus primo ad eccìesias suas deferri
coguntj ut oblatio suis usibus cedat, nec sustinentes eos habere
campanam vel caemeterium benedictum^ certis tantum temporibus per-
miitunt ipsos celebrare divina. Volunt ctiam in domibus eorundem
certum numerum frairum, sacerdotum, clericorum et laicorum, nec
non cereorum, lampadarum et ornamentorum prò sua voluntate
laccare ac residuum cereorum quando noviter apponuntur, exigunt
ab eis ; nec permitlunt, ut novi sacerdotes eorum alibi quam in
ecdesiis suis celtbrent primas missas, eos nihilominus compéllenieSy
ut in quotidianis missis, quas in suis locis et altaribus celebrante
oblationes ad opus eorum rccipiant et reservent. Quidquid etiam
eis, dum ceìebrant missarum solemnia intra domorum suarum
ambitum, pia fiddium devotione donatur, ah ipsis extorquere obla-
fionis partem coniendentes, quod eisdem etiam in ornamentis altaris,
quam in libris ecclesiasticis absolute coiìfertur, vindicant perperam
turi suOt cogendo eos ad synodos suas accedere ac suis constitu-
tionibus subiacere. Nec his contenti^ capitula et scrutinia in locis
ipsomm fratrum prò his corrigendis faciuros se commifuinturf
fidelitatem iuramento firmatam ab eorum ministrisi cuslodibus
et guardianis niJiolominus exigentes. Eis quoque, ut tam extra
118
civitatem qaatn intra cum eis processionaliter veniant ex levi eausa
mandantesyexnmmunicationissententiam fulminant in benefadares
earum^ et idipsum fratribus comminantes, eos de locis^ in quibus
Domino famulanturj saiagunt amovere^ nisi eis óbediant in omnibus
supra diciis. Ad haec, ne fratres ad honorabiles civitates et viUas,
ubi religiose oc honeate valeant commorari a populis devote vo-
caii, accedere audeant inhibentes^ tam in avcedentea fratres quam
in receptatores corum prc^sumunt ex communicationis senteniiam
promulgare. Ab eis edam de hortorum fructibus decimas^ nee non
de habitaculis frah'um sicut de iudaeorum domibus contenduni
reddiius exlarquere, asserendo^ quod nisi fratres morarentur ibidem,
eis ab aliis habitatoribus proventus aliqui solverentur. Et ut ipsos
suae subdant totaliter ditioni^ eisdem ministros^ eustodes et guar-
dianos rdunt pracficere prò suae arbitrio voluntatis^a quibus omnibus
fratrum molestiis quidam ex vohis non omnino abstinere dicuntur,
Cum igitur ardo fratrum minorum a bonae memoriae Honorio,
Gregorioet Innocentio, romanis pontificlbus praedecessoribus nostriSy
et ncbis ipsis, dignis eorum exigentibus meritis apprcbatus^ ne apo-
stolicae sedis statuia contemnere videamini^ quae humUiier suscipere
ac servare tenemini reverenter : universitakm vestram manemus
attente^ per apostolica vobis scripta firmiter praecipiendo man-
danteSy quatenus cum scientiae ac famae vestrae saiubriter consu-
lenies, universi et singuli a praenotatis praedictorum fratrum
gravaminibus penitus desistatis^ subditos vestros ab his arctius
compescendo. Nos enim^ cum huiusmodi dictorum fratrum, quos
suae religionis ohtentu inter alios religìosos arctius amplexamur in
visceribus caritatis, gravamina tollerare noltimus sicut etiam nee
debemtis, omnes interdica^ suspensionis et excommunicationis seti-
tentias, si quas a vobis vel vestrum aliqui^ praetnissorum occasione
in eosdem fratres vel ipsorum aliquem, seu ecclesias et oratoria^
vel benefactores eorum promulgari conttgerit^ irritns decemimus
et inanes,
Datum Anamae IV kaìnìdas aui/usti, poìitificatus noitri anno s^*U0iio.
IL
Alexander episcopus servus servomm Dei venerabilibfis fra-
tribus archiepiscopi s et episcopis, ac dilcctisfiliis abbatibus, priorihus,
decani ft, archidiaconis, praepositis^ archipresbifteris, rpctoribìis ei
119
aliis ecclesiarwn praélatis per Dalmatiam et Sclavoniam constiiutiSj
salutcm et apostolicam henedicHonem,
De pia et sancia conversaiione ddectoriim filiorum de ordine
frairum minorum^ qui sunt in vestrìsparfibus constituti^frequenfer
evenire percepimus^ quod quando aliqui fideìes partium eorundem
sarculum relinquenteSj bona sua piis ìocis et pauperibus deputant
aliqua de bonis ipsis praedictis fnitrihus prò aedificiiSj libris et
vesiihus ac aliis corum necessitaiibus largiuntur, nonnulli vero
aliqua bona ad se specfantia fratribus eisdeni prò similibus rebus
et nccessitatibus divinae retributionis ininitu in ultinM volunt^te
relinquunt : conantibus vohis aliqnando ìuediam, quandoque tertiam
sen qnartam partem de bonis ipsis^ prartextu portionis canonicae
ab eisdeni fratribus extorquere in grave ipsornm prae'ìudicmm et
scandalum Jidelium praedictorum.
Nos iiaque misrricorditer aitcndentvs, quod non soluni inde-
cens et indigìmm^ imo sit peniius ab omni humanitate remotum^
aliquid de praemissis ab risdem fratribus erigi, qui sub extrema
pauppriafe virentes^ de praclatoriim et ccclcsiarum eleemosinis debe-
rent penitus snstentari : universìtatcm vestram per Dei misericor-
diam obsccramus et iìi remissionem vobis iniungimus peccaforum^
ac per apostolica scripta districte prarcipiendo mandamns, quatenus
circa personas dictorum frutrnm affcctum benevolum prò divina et
nostra rnverentia dirigcntes^ nihil ab eis de bonis huiusmdi ulterius
exigatis, sed onera pnuperpatis eorum de bonorum vestrorum sub-
sidiis potius rcletwtiSj ita, quod exinde n2nid nos (jratiosi favoris
nugmentum vobis pror^cniat et nulla super hoc ronctionis nrcessit^s
intercedat.
Datum Anania f XVI halotdas augusti^ pontijìcatus noMrì anno secando.
Due anni dopo lo stesso pontefice per consolare quasi
spiritualmente i frati Minori da esso tanto protetti, concedeva
con la bolla seguente in data, Viterbo 6 febbraio 1257, diretta
al ministro provinciale fra Sisto da Brescia ed ai frati della
provincia dalmata indulgenza di cento giorni per chi, dopo aver
ricevuto i sacramenti della confessione ed eucaristia, visitasse
le loro chiese nella festa e nelV ottava dei santi Antonio di
Padova e Francesco d'Assisi. ')
') P. Donato Fabianich, Op. <.. voi I, pag 414.
120
Alexander episcopus servus servorum Dei^ diUetis filiis
fratti Sixto ministro provinciali et frcUribus nniversis ordinis
fratrum minorum in Sclavonia constitntis salutetn et apostolieam
benedictionem.
Snnctorum meritis inclita gaudia fideìes Christi minime du*
hitamuSy qui eorum patrocinia per condignae devotioni's obsequia
promerentur illumque venerantur in ipsis, quorum gloria ipse est
retributio meritorum.
Nos igitnr ad consequenda praedicta gaudia causam dare
fidelibus populis cupienfes, omnibus Christi fidelibus vere poeniten-
tibus et confessisi qui ecclesias veslras in sanctorum Francisei et
Antonii confessorum festivitatibus et per octo dies sequentes cum
devotione ac reverentia visitaverint, annuatim de omnipotentis
Dei misericordia et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius
auctoritate confisi^ centum dies de iniuncta sibi poenitentia miseri-
corditer relaxamus.
Daium Viterbii VII! idus februarii^ poniifieatus nostri anno quarto.
In tal guisa anche i nostri Minoriti compresi nelle grazie
pontificie, potevano a buon diritto gloriarsi di appartenere alla
religiosa provincia della Dalmazia, allora già ricca di conventi
e non ultima nell'ordine Francescano. Le abitazioni claustrali
dei Minoriti; collocate sopra un vasto terreno, quale si è quello
della sponda orientale del mare Adriatico e dei principati slavi
di oltre i monti, erano già ordinate, come si rileva dal cata-
logo presentato dal serafico dottore san Bonaventura nel capi-
tolo generale dei frati Minori, convocato nella città di Narbona
neiranno 1260. La Dalmazia francescana pel completo numero dei
suoi conventi s' intitolava Provincia, ed occupava il posto Wge-
simo terzo fra le trentatre provinole religiose allora esistenti.
Perchè vastissima, era divisa nelle quattro custodie di Ragusa,
Arbe, Zara e dell' Istria, cui si assegnavano i conventi di Pola,
Valle, Parenzo, Pirano, Capodistria, Muggia e Trieste. *)
I sommi pontefici o i loro legati continuarono a favorirli
con speciali rescritti, fra i quali noi crediamo opportuno di
riferirne alcuni in ordine cronologico. -)
*) P. Donato Fabiani eh, Ojì. c, voi. [, pag. 50, 145.
'j P. Donato Fabianicli, Op. r., voi. 1, pag. 415 seg.
121
I.
Papa Clemente IV con bolla in data, Viterbo 31 marzo 1268, nomina
Cosimo Saladini da Zara, Azone da Capodistria e Tomaso Basilio da
Cattaro procuratori dei beni stabili e mobili dei frati minori della
provincia dalmata.
Clemens episcopus servttó servorum Dtiy^ileciisfiliis Cosmac
Saladini iadrensi .... Azoni iustinopolitano et Thomae Basilii
catharensi civibuSj saltUetn et apostolicam benedictionem.
Cam diUcti fìlU fratres minores ex prqfessionis suae voto
adeo se voluntariae submiserint paupertatL ut nec divisim nec com-
muniter aliquid proprii valeant obtinere, $ed omnia, quae ipsis in
eleentosinam erogantur, seu alias eorum contemplaiione proveniant,
iuri et proprietati ecclesiae romanae accrescere dignoscantur^ ac
propter hoc ad nos pcrtineat, ut procuratorem in bonis hitiusmodi
statuamus : nos de fida nostrae circumspectionis sollicHudine plenam
fiduciam oblinentes, vos et quemlibet in solidum, ita quod non sit
melior occupantis conditiOj in omnibus bonis mobilibus et immO'
bilibfis ac sese moventibus eidem ecclesiae romanae, dilectorum
jUiorum ministri et fratrum administrationis provinciae Slavoniae
contemplatione collatis et in poslerum conferendis, et omnibus,
quae in ipsae romanae ecclesiae ipsorum intuitu provenerunt et
provenient in fuiurum, procuratores negotiorum, gestores, syndicos
constituimus et actores^ dantes vobis et cuilibet vestrum in solidum
administrandi, dispensandi, vendendi et emendi, permutandi, dandi,
donandi, agendi, dcfendendi in iudicio ecclesiastico et saectdari
coram ordinariis et delegatis iudicibus, arbitriorum arbitratoribus
et feudorum et dominis, transigendi quoque in causis omnibus,
paciscendi, iurandi de caliimnia, in litem et de veritate dicenda
et insinuandum insuper deferendi, ac etiam pelendi et recipiendi
guaecumque bona ipsorum contemplatione provenientia^ quae appli-
cata vel deputata eorum usibus, quocumque modo illicite detenta
vel occupata sunt hactenus, aut in posterum detineri vel occupari
eontigerit, ac ofnnia faciendi, quae in iudicio requiruntur.
Frocuratores pr aeterea unum vel plures ad supradicta omnia
constituendi ad requisitionem dictorum ministri et fratrum admi-
nistrationis praedictae, plenam auctoritate praesentium facultatem,
122
ita tiunenj quud de pra didis ani circa lìraedida in iudido tei
extrUt vos vcl vcstrtun aliquis^ stu a vobis procuratores dali^ nihil
penifus pcruf/atis^ nisl corundim ministri et frutrum requisito
tonsilio et obtefìto. Decernimus ergo, ut ea qnac per vos vel vestrum
aliquefìiy nec non constitutos a vobis proinde f'ada /aerini in
pruedictinj plenum ohtineant firmitutcm.
Datum Viterhii 11 kaìemlas apnlisj pontijicatus nostri anno quarto.
IL
Napoleoue, cardiuale diacono del titolo di 8auto Adriano, legato poii-
tilìcio, concede con \ììì suo rescritto in data, Faenza 11 aprile 180!,
speciali indulgenze alle chiet^e dei frati Minori di Pola, Voglia, Cherso,
Paronzo, Pirano, Capodistria e Trieste.
Napoleo, misera^ione divina sandi Hadriani diaconus cardi-
nalis^apostolicae scdis hgatus, universis Christi fidelibus intra nostrae
legationis termi nus constiiutis salutew in Domino sempitertiam,
Cum ad promovenda gaudia sempiterna sandorum suffragia
sint nobis plurimum opportuna, loca sandorum omnium sani pia
devotione fiddium veneranda^ ut dum Dei veneramur amicos^ ipsi
no8 amicabiles reddant et illortim nobis qaodamtnodo vendicantes
patrocinium apnd ipsum^ quod merita nostra non obtinent, eop'um
mereamur intercessionibus obtinere.
Cupientes igitur, ut eccle&iae fratrum minorum de Pota, de
FarentiOj de lustinopoli^ de Tergesto^ de Cherso^ de FiranOj de
Vegla, de Segtva^ de Arbo, de Pago^ de ladra in Sclavoniae prò*
vincia cvnstitulae congruis honoribus frcqucfitentur, omnibus vere
pocnitentibus et con/tssis^ qui ipsas ecclesias aingulis festivttatibus
gloriosae virginis Mariav^ beati Francisci, beati Antonii et beaiae
Clarae ac etiam illorum sandorum, in quorum honorem praefatae
ecclesiae sunt constructae, nec non ifi consscrationibus eccltsiarum
et altarium eorumdem et per odo dics ipsas fcótivitutes immediate
sequentes^ annuatini devote ac venerabiliter visitaverini^ de omni-
potentis Dei misericordia et beatorwn Petri et Pauli apostdoì-um
eius meritis confidentes^ audoritate apostolica nobis in hac parte
commissUf centum dies de iniunda eis poenitentia misericorditer
in Domino relaxamns
Datum Faventiae IH idus aprilis^ pontificatiis Domini Clementi^ papa^
quinti anno secundo.
123
111.
Fra Gio vaimi da Cherso, miuor conventuale, vescovo di Stagno e Cur-
zola, pubblica in data, Ragusa 13 marzo Ioli, una bolla di Papa Boni-
i'acio Vili emanata in data, Homa 20 aprile 12D8, la quale ordinava a
tutti i conventi della religiosa provincia della Dalmazia di eleggersi per
ogni singolo due frati come inquisitori contro T erotica pravità.
Frater Ioauues de Cherso, ordiuis uiinoruui, mise-
ratioue diviua Stagnensis et Citrzuloiisis episcopus, uiiiversis
praesenteui paginam inspeciuris salutem hi Domino sempi-
teruam.
Noveriti», uo8 vidisso et legisse, ac dilìgeuier iuspexisse
quasdam litteras sanctissimi in Ciiristo patrìi», domini Bouifaoii
Dei gratin summi poutiflcis non abolita», non abrusas, non
eanceliatas, non yitiatas in aliqua parte sua cum vera bulla
plumbea et filo serico bullatas, tenorem huiusmodi oontinentes,
quas quidem litteras consoripsimus manu propria nihil addendo,
non minuendo ve! mutando :
Bonifacius episcupus scrvus servorum l)ei^ diledo filio
ministro provinciali oidinis fratrwn minormn in adminisiratione
provinciac Sclavoniac salntem et apusiolicam benedictionefn,
lAcet de omnibus mundi pattlhus, quae Christiana religione
censentur, teneatnur ex officii debito extirpare laetiferam pestem
haereticae pravitatis, in partibus tamcn Serviav^ liasciae^ Dal-
fnaliae, Croatiae^ Bosniac atque Istriae provinciae Sclavoniae im*
minet; nobis haec svllicitudo propensius ubi eandem pestem propter
malitium temporis^ quae in detrimentum fidei catholicae perversa
genimina germifiavit, ex evidentia opcris et famae notitia perpen-
simus succrevisse.
Cupientes ergo in dictis partibus et in archiepiscopatibus
l/yrrachiensi, Aniibarensij Ragusino^ Spalatcnsi et ladrensi et
dioecesibus suis per aliquos de fratribus tui ordinis partem super
hanc nostrum sollicitudinem adimpleri: discretioni tuae per apo-
stolica scripta firmiter praecipiendo mandamus^ qtiatenus de Consilio
aliquorwn fratrum ipsius ordinis eligas duos de fratribus ipsius
ordinis tuae administrationis idoneos ad hoc oj^ms dominicum
exequendum eisque in viriate obedientiae^ apostolica praedpuc aneto-
ritaie procures, ut inquisitionis o/ficium in locis praedictìs inter
124
hacrdicos^ crcdentes, f autor cs^ defensorts et receptaiores eorum iiéxta
formam in àliis apostulicis lUteris expressam^ quae fralribus prae-
dicti ordinis^ inquisitoribus huiusmodi pravitatis in eisdem lods
deputatis auctoritate apostolica et in posterum deputandis ntm
expressis^ alioruin super exercendo dicto inquisitionis
officio destinanlur, exequi studeant diligenter, JSos enim praedidos
duos fratres, quos ad hoc elcgeris et utrumqae ipsorum praefatum
officium exequi iuxia fùrmann in ìitteris ipsis expressam, ac ipsos
illam potestatem et aiictoritatem plenariam habere volumuSy proul
in eisdem ìitteris continetur. Si vero tu vel vicarius tuus, te absente^
uliqmm inquisitorum huiusmodi ex aliqua forte causa nonnunquam
videbis aniovefulum , ipsum amoveatts et substituatis loco illius
ulium, quem simili m potestatem et auctoritutem habere volumuSi
quoties nobis^ deliberatione cum fratribus discretis dicti ordinis
perhibita, hoc fore vidébilur faciendum. Et si aliquem vel aliquos
inquisitorum ipsorum decedere forte contigerit, nos^ sufjstituendi de
Consilio aliquorum discretorum frairum eiusdem ordinis alium vd
alios loco illius vel illorum qui decesserint itaque substituti eisdem
auctoritate et potestate fungantur, tibi didoque vicario, si tu
àbsens es fuerisque, pletiam et liberam concedimus tenore praesen-
tium facultatem.
Datum Romae apud sanctum Pelrum, 111 kalettUas maii, pontificatm
nostri anno quinto.
Ad maiorem antem omniuin praediotoruin Armitateiii prae-
seutem pagrii^ftui sigilli nostri munimine roboravimus.
Datum IUkjusìì, IH idus marti^ anno Domini MCCCXIIL
Da principio sostentandosi con spontanee elemosine, eb-
bero i nostri Minoriti a poco a poco anche beni stabili, tanto
nella nostra città come nel suo territorio. Cosi leggiamo, che
certa Bionda, vedova di lanesio de Vocigrad, lasciava agli eredi
una vigna in contrada Pondares, coir obbligo di dare al con-
vento di S. Francesco ogni anno due ome di vino. — Pie-
rina, moglie del fu ser Andrea de Vinta, roga addì 31 set-
tembre 1370 in casa di ser Bando de Burlo, posta in via
del Mercato, il suo testamento per mano del notaio Nicolò de
Picca, presenti i testimoni Domenico dei Giuliani vicedomino,
Matteo e Gregorio dei Messalti, Mauro Susolo, Nicolò del fu
Nicolò sarto e Bartolomeo da Vicenza barbiere, in vigore del
125
qualeaBaudodelfu Domenico de Burlo lega una casa situata in
via Bdborgo, con la condizione che, morto il Burlo, quella passi
al capitolo della Cattedrale ed al convento di S. Francesco, i
quali celebreranno tanto V uno che V altro un anniversario per-
petuo in suffragio della legataria e del defunto marito, desti-
nando altresì, ohe ogni altro suo avere sia distribuito fra i poveri
dai suoi commissari testamentari Bando Burlo e dal di lui fìglio
(jriacomo. ^) Addi 12 ottobre 1416 i canonici della cattedrale
di Trieste Nicolò Tromba, Silvestro Rusez, Cristoforo del fu
Giovanni, Martino del fu Marse, Enrico del fu Matteo, Gio-
vanni da Montona, Marsilio de Satiello, Libero Barbariza e
Domenico del fu Marino stipulano un contratto con Matteo de
Voriansco, cittadino di Trieste e coi donna Scalena sua moglie,
nella loro abitazione in via del Castello, per mano del notaio
Andrea figlio di Martino Ba vizza, in presenza dei testimoni
don Tomaso Trina, don Antonio Beniz e don Giusto Sutta,
cappellani del duomo. In vigore del quale, confermato dai vice-
domini Francesco de Basilio e Vitale dell'Argento, il capitolo
permette da una parte ai coniugi suddetti di costruire nell'an-
golo del duomo respiciente la cappella di S. Michele del Car-
nale e presso la cappella di S. Giovanni evangelista, eretta da
Pierina vedova di Michele del fu Odorico de Ade, una cappella
in onore di S. Matteo apostolo; dall'altra promettono i fonda-
tori in dote, ma dopo la loro morte, una loro loro vigna situata
nella contrada Timignano presso le vigne di Nicolò de Ade,
della mogUe di Pietro dell'Argento, il baredo o terreno incolto
di Omobono de Belli e la via del Comune; il capitolo poi si ob-
bliga di celebrare sull'altare tre messe settimanali, di consegnare
in perpetuo nel giorno 29 di giugno al convento di S. Francesco
lire dieci di piccoli per la celebrazione di una messa solenne
e di dispensare ai poveri ricoverati negli ospedali di S. Giusto
e dei Crociferi di Venezia altre lire cinque di piccoli ogni anno,
venuto che sarà al possesso di detta vigna:')
') Don Angelo Marsich, Regesto delle pergamene conservate nel-
V archivio del reverendissimo capitolo della cattedrale di Trieste {nélYArcheo-
grafo Triestino, Trieste 1880-81, voi. VII, pag. 373 seg.).
*) Civico Archivio diplomatico di Trieste. Atti dei vicedomini,
voi. S9 ; stampato nel Codice diplomatico istriano.
126
In Christi nomine Amen. Anno eiusdem millesimo quddrin-
gentesimo sextodecimo^ indictione nona^ die duodecimo mensis oclobris.
Actum Tergesti in contrata Castelli in domo habitationis infra-
scriptoì-um iugalium^ praesentibus dominis presbyteris Thoma Trina,
Antonio Beni et lusto de Sutta cappeUanis ecdesiae Tergestinae et
lanche de Sancta Cruce, civihus et habitatoribus Tergesti^ testibus et
aliis ad hoc vocatis et rogatis,
Venerabiles viri, domini presbiteri Nicolaus Tromba, Silvester
quondam RiiseZj Christophorus quondam IoanniSy Martinus quondam
MarsCf Henricus quondam Matthaei, Ioannes de Montona, MarsUius
de Satielo, Liber Barbariza et Doìninicus quondam Marini, omnes
canonici ecclesiae cathedralis Tergestinae, tamquam fnaior pars ca-
pituli praedictae ecclesiae, unanimiter et concorditer per se suosque
successores, vice et nomine dicti capituli, auctoritate, qua funguntur,
dederunt, tradiderunt, tribuerunt et concesserunt ser Matìheo de Vo-
riansco, civi Tergestino et donnae Scalonae eius uxori cum instantia
petentibus et requirentibus ab eis licentiam et potestaiem aedijicandi
et construendi in angulo eiusdem ecclesiae praedictae et in caeme-
terio eiusdem ecclesiae extra et iuxta angulum eiusdem ecdesiae
versus ecdesiam sancii Michaelis de Camerio, iuxta cappellam aedi-
ficatam per dominam Pirinam, uxorem quondam ser Michaelis,
quondam ser Odorici de Adam, unam cappellam sub nomine et ad
honorem et reverentiam sancti Matthaei apostoli et evangelistae,
promittentes per se et suos successores praedictis iugalibus prò se et
suis haeredibus stipulantibus, celebrare seu celebrari facere missam
in dieta cappella construenda ter saltem in qualibet septimana et
dare annuatim et in perpetuum in feste sancti Petri apostoli sin-
gulis annis conventui sancti Francisci de Terpesto libras deeem
parvorum cum hoc, quod fratres tunc existentes in dicto loco cete-
brare teneantur unam missam solemnem prò animabus dictorum
iugalium ; item similiter annuatim et in perpetuum dieta die sancii
Petri dare et dispensare pauperibus existentibus in hospitàle de
Tergesto, videlicet sancti lusti et cruciferorum de Venetiis libras
quinque parvorum prò animabus praedictorum iugalium, et praedicia
facere teneantur et inchoare debeant a die in antea,habita posses-
sione vineae iufrascriptae. Et hoc ideo fecerunt et concesserunt,
promiserunt et se obligaverunt praedicH canonici et successores sui
praefatis iugalibus, quia promiserunt et convenerunt praedictis
127
dominis canonicis (^edificare et construere praedictam cappellam in loco
praedicto, sine damno aliquo et pericolo ruinae dictae ecclesiae et
dotare altare praediclae cappellae. Et ex mine dotaverunt praedictum
altare construendwn qiiadam sua vinca libera et francha^ sita in
districtu Tergestino in contrata Timignani, cohaerenti vineae ser
Nicolai de Adam^ vineae ser Petri de V Argento, procid ex bareto
ser lacobélli et fai'neto comuniSj et si qui olii sunt confines veriores.
Et sunt pertichae comunis Tergesti ducentae et octo circum circa.
Quam vineam praedicti itigales voluerutU devenire et dedicare in
dotem dicti altaris post mortem dictorum iugalium, volentibus ipsis
iugalibus, donec pixerint^ ipsam tenere et possidere et usufructuare
praedictam vineam, tenendo eam in pieno et in laboratura, sed post
mortem utriusque ipsorum dieta vinea deveniat et sit prò dote et in
dotem dicti altaris possidenda et fenendaper canonicos dictae eccle-
siae et capituli, ut ex usu/ructibus et redditibus dictae vineae possint
facere otnnia supradicta per ipsos promissa. Promittentes praedictus
MatOiaeus et dieta domina Scalona de eius consensu et voluntateper
se suosque haeredes dictis dominis canonicis prò se et suis successo-
ribusy stipulantibus dictatn vineam post eorum obitum, praedictis
dominis canonicis prò se et suiit successoribus stipulantibus dictam
vineam post eorum obitum praedictis dominis canonicis et capittdo
et eorum successoribus ab omni homine, persona, comuni, collegio,
universilate legitime defendere^ auctorizare et disbrigare prò aequo
a comuni Tergesti. Quae omnia supradicta promisit una pars alteri
ad invicenì sibi, dicti domini canonici per se et suos successores, et
praedicti iugales per se et haeredes solemni stipulatione hinc inde
interveniente, habere et tenere et non contrafacere et venire per se vel
per aliwn aliqua ratione vel causa, de iure vel de facto, sub poena
ducatoì-um centum auri stipulati ad invicem, inter ipsos profnissa,
qua poena soluta vel non, nihilominus praedicta omnia firma ma-
neant et perdurent. Et prò dictis omnibus attendendis, obligaverunt
una pars alteri, videlicet dicti domini canonici omnia bona dicti
capituli, et praedicti iugales omnia bona sua,
Manu ser Andreae Raviza, quondam ser Martini, publici
notarti scripta.
Nel 1444 i frati possiedono già una casa in contrada dd
Mercato come risulta da un documento del nostro archivio capi-
tolare. Addi 7 ottobre di questo stesso anno i canonici Enrico
128
seniore del fu Matteo, decano, Cristoforo del fu Giovanni,
arcidiacono, Giovanni del fu Antonio, Libero Barbariza, Bar-
tolomeo da Lodi, Simone de Pari, Enrico di Giovanni Saello,
Michele Sutta, Nicolò Selesnich, Antonio de Coppo e Pietaro
da Ghioggia rogano nella chiesa cattedrale di san Giusto per
mano del notaio Pascolo Chicchio un atto scritto dai vicedo-
mini Antonio de Leo e Pascolo Chicchio, presenti i testimoni
Martino del fu Lorenzo, Simone de Salis e Michele da Bistriza,
cittadini da Trieste, in forza del quale danno in afidtto perpetuo
a Francesco del fu Francesco barbiere, da Trieste, ed agli eredi
suoi una casa, situata nella contrada del Mercato, confinante
col casale spettante al convento di san Francesco, colla casa
del detto barbiere e la via pubblica, verso V annua e perpetua
corresponsione di un ducato d' oro nel giorno 10 agosto e verso
r obbligo di conservare la casa in buon ordine. ')
A motivo di questi ed altri possedimenti sembra, che i
nostri frati non sempre vivessero in buona armonia col capitolo
cattedrale. Da un documento rogato addi, mercoledì 16 luglio
1494 nel convento di san Francesco ^) dal notaio Domenico de
Monticoli, trascritto dai vicedomini Bartolomeo de Bossi e
Domenico de Monticoli, presenti i testimoni Boncino Belli,
Pietro Alemano oste^ Giovanni Battista de Peterlini, Giovanni
del fu Francesco da Chioggia ed altri rileviamo che, don
Michele Cubilenza canonico eletto procurcUore dd capitolo^ consen-
ziente anche il vescovo Acazio (li 2 luglio) per finire certe differenze
che esistevano da lungo tempo tra i canonici ed i padri Minori di
S. Francesco in Trieste^ viene ad una permuta di beni co' padri
Pietro de Ardeman, Giovanni guardiano^ Francesco seniore da
Trieste, Francesco de Subeis, Giorgio da Trieste, Paolo da Lubiana
vicario, Corrado, Girolamo da Brischia e Michele da Veglia e col
loro procuratore ser Cristoforo Bossermann, Consegna il Cubilenza
al convento i quattro ducati annui che numerava U Bossermann
per le saline dei Cigoli in Zaulis, U livello perpetuo di 3 lire annue
') Don Angelo Marsich, Op. e. {néiV Archeografo triestino , Trieste,
1882, voi. IX, pag. 286).
*) Don Angel-o Marsicfa, Op. e, (néìT Archéogvafo triestino^ Trieste,
1884, voi. X, pag. 160 seg.).
129
che paga mastro Nicolò di San Lupidio per una casa in contrada
Castelli, il liveUo perpetuo di lire tre e soldi dieci annui che
paga set Antonio Burlo, altro livello che paga la famiglia
Ooppo per una casa confinante con la casa del convento dei
Santi Martiri, con la pubblica via presso un pozzo, cdtro livello di
soldi 20, cui è tenuto fra Bartolomeo dei Crociferi per un orto
situaJto nella contrada Tygurii presso un terreno dei crociferi ed i
beni di donna Lucìa moglie di ser Antonio de Brischia. Riceve per
lo contrario il capitolo un fondamento di saline di 9 cavedini, situato
nella contrada Zaulis di ragione del fu ser Tomaso de Genaut ;
un prato ed un canneto situato pi-esso le anzidette saline; metà
d'una casa situata nella contrada presso la casa di ser Giusto e
la via pubblica. Rinunciano oltre di ciò anche le parti ad ogni
pretensione sui legati spettanti alle stesse parti, annullano inoltre
ogni scrittura che una parte potesse avere a carico delV altra.
Rinuncia di piit il Cubilenza una volta per sempre alla quota che
apparterrebbe al capitolo su^beni stMli lasciati o che verranno legati
al convento:
In Christi nomine Amen. Anno circumcisionis eiusdem miUe^
Simo quadringentesimo nonagtsimo quarto, indictione duodecima,
die vero mercurii, sextadecima iuliù Actum in districtu Tergesti
et in conventu sancti Francisci ante capitulum dicti conventus,
praesentibus prudentibus viris, Philippe clerico, ser Boncino Belli,
ser Petro Alemano tabernario, Baptista de Peterlin et Ioanne /ilio
ser Francisci de Clugia, audientibus et inielligentibus, testibus ad
haec specialiter habitis, vocatis et rogatis, et aliis. Ibique venera-
bilis vir dominus Michael Cubilenza canonicus Tergesti, tamquam
sindicus et procurator venerandi capituli sancti lusti, per commis-
sionem sibi latam in pieno capitulo, die mercurii secunda iulii, de
qua commissione ego notarius infrascriptus rogatus fui praesente
reverendissimo domino, domino Achatio episcopo Tergestino et
aucioritatem suam interponente^ specialiter de praesenti contractu
contrahendo: ad honorem Dei et Beatae Mariae Virginis et beati
lusti martyris de Tergeste, prò pace, amore et charitate, et ad
exonerandas conscientias ambarum partium, et ut anichiletur
diuturna differentia versa inter dictum venerabile capitulum et
venerabiles fratres minores conventus sancti Francisci de Tergesto
per se suosque successores , hoc instrumento permutationis in
m
praesefUi iuris proprii dedif, tradidit^ et permutavU vénerahilibus
frairìbus eanventus sancii Franeisei de Tergesto^ viddiceù magisiro
fratri Petra de Ardeman^ fratri Ioanni guardiatto dicti convetUus.
fratti Francisco seniori de Tergeste^ fratri Francisco de RìU^is^
fratri Oeorgio de Tergesto^ fratri Paulo de Lubiana vicario dicti
conventuSj fratri Conrado^ fratri Hieronynio de Brizia et fratri
Miekade de Vegla, omnibus fratribus dicH conventus ipsum capi-
tulum repraesentatibus^ ad sonum cawpanae congregatisi ut mori»
est sui. Nec non ser Christoforo Bossemian procuratori, ac vice
et nomine dicti conventi^ eorumque successoribus in perpetuum
bona infraseripta, videlicet : levaturam unam salis ittorum de Cigoiis
prò saìinis de Qaulis^ prò qua levatura dictus ser Christophorus
Bosserman obligavit per instrumentum se sóluturum quatuor ducatos
singtdo anno» Item medietatem unius domus^ guam tenet magister
Nicclaus de Sancto Lupidio in civitate Tergesti in centrata Castdli
iuxta suos confines : ab una parte dictus magister Ificólaus et via
publica a duobus lateribus^ et alti confines si qui sunt, prò qua
sólvit libras tres annuatim perpetuis temporibus, Item livèUum
unum unius braidae^ prò qua ser Antonius Burlo civis et habi'
tator Tergesti solvU in emphiteusim libras tres cum dimidia, cuius
braidae confines sunt: braidae ab omni parte dicti ser Antonii.
Item unum livellum unius domus iUorum de Ooppo, euius hi
sunt : ab una parte domus Sanctorum Martffrum et via publica a
duobus lateribus penes quemdam puteum situatum in via publica.
Item unum liveUum venerabilis fratrie Barthohmaei ordinis crucia
ferorum, prò quo solvit annuatim soldos viginti prò horto uno
situato in districtu Tergesti in centrata Tygurii^ juxta suos
confines: ab una parte domina Lucia uosor ser Antonii de Brixia
et ab alia ferrenum cruciferorum. Omnique iure et actione, usu
seu requisitione reali et personali, utili et directo sibi ex iis rebus
competentibus et expectantibus^ dedit, tradidit et penmUavit ipsis
venerabilibus fratribus suisque successoribus in perpetuum vice et
nomine dicti convefitus ad habendum, tenendum, possidendum et
quidquid sibi suisque successoribus deinceps placuerit faciendum,
omnia ut praedictum est^ in integrum in praesenti prò sexterio
salinarum novem cavedinorum situatorum in salinis dicti venera-
btlis capituli in districtu Tergesti et in centrata Qaulis; et qui
novem cavedini fuerunt quondam ser Thotnae de Oenant. Item prò
131
uno prato et caneto arundineo penes dictas satinas amhHi4S perii-
carum circum circa .... Itetn prò medietate unius domus aituaitae
in civitate Tergesti in centrata Biburgi iuxta domum dicti ser
Insti et vìam ptéblicam a duobus lateribus^ et si qui alii sunt
confines. — Itetn praedictae partes coram praedictis testibus
et me notorio infrascripto fuerunt in concordie vicissim una pars
alteri /adendo [finem et remissionem omnium legatorum, quae
invenirentur usque ad diem praesentem inter dictum venerabile
capitulum et dictos venerabUes fratres. Item si aliqua scriptura
inveniretur in favorem dicti venerabUis capituU etc, viceversa in
favorem dicti conventus usque in diem hodiernam, sit nulla et
nfMius valoris, et quod de caetero sit paXy amor et concordium
inter partes praedictas, dantes favorem una alteri iuxta posse. Item
dictus dominus sindicus per se suosque successores in perpetuum
renuntiat partem illam, quae spectat ipsi venerabili capitulo super
honis stabilibus relictis et relinquendis per cives Tergesti ipsi
conventui Sancti Francisci super illa^ quae spectabant dicto vene-
rabili capittUo de iure^ in quarum rerum praedictarum possessionem
intrandi licentiam sibi suaque auctoritate concesserunt et omniquoque
persona suprascriptas res legitime semper defendere et varentare,
aì4ctorizare et desbrigare per se suosque successores sibi suisque
successoribus cum ratione promisit. Nec harum rerum nomine litem
aliquam, nec controversiam nec per se, nec per alios facere vel
movere aliqua occasione vel exceptione. Si vero ipsae partes per
se suosque successores sibi suisque successoribus praedicta omnia
et singula in perpetuum non observaverint, vel aliqtM occasione
cofUravenire praesumperint, et si legitimam semper defensionem
per se suosque successores sibi suisque successoribus non exhibue-
rint^ poenae nomine duplum extimationis dictarum rerum, tU prò
tempore plus valuerinty se cum suis successoribus, sibi suisque
successoribus habere obligaverunt, subiacere, omneque damnum lUis
et expensas exinde competiturum et competituras, cum omnium
suorum bonorum praesentium et futurorum óbligatione, per se
suosque successores sibi suisque successoribus integre resarcire
pramiserunt sub dieta poemi, qua soluta a parte contrqfacente^ et
quibus refectiSy haec pi^aesens charta nihilominus suam semper
cbtineat firmitatem, Benuntiantes praedictae partes exceptioni non
sic promissionia et obligationis doli et malae exceptionis^ actioni
132
n /oc/o, conditioni sine causa, epistolae divi ffadriani novarufn
omnium et veternm consueiudinum leneficio Véleiani^ sentMtus
consultuiy turi hf^poihecarum^ cuHibet alteri iuri, eiiam ìe^um
auxilio^ ei8 et cuilibet earum centra hoc instrumentum modo aliqmo
cohaerente, et poena soluta vel non praesente istrumento, nikUo^
minus robur oòtineat.
Ego Dominicus in/rascriptus suprascriptum instrumentum, tenrn*
quam vìcedominus civitatis Tergesti vicedominavi et me subseripsi.
Ego Bariholcmaeus de Rubeis vicedominus Cofnunis me
subscripsi
Et ego Dominicus Montacolius civis tergestinus, publieus
imperiali auctoritate notarius praedictis omnibus et singulis inter/ni
et rogatus scribere, scnpsi, signum nomenque meum in robur prae-
scriptorum apposui consuetum.
A tergo: Permutatio venerabilis capitici cum venerabiUbns
fratribus minoribus Sancii Franeisci de Tergesto. 1494, Permuta
del reverendo capitolo et li reverendi Fr, P. Francesco.
Troviamo per ultimo, che il canonico don Michele Cubi-
lenza, delegato del capitolo cattedrale, per mano del notaio
Nicolò Mirissa roga addi, martedì 9 dicembre 1506^ in via
Cavana dinanzi T abitazione di donna Agnese Sichira, vedova
di Baldassare de Marafono, un atto (trascritto dai vicedomini
Nicolò figlio di Matteo Mirissa e Giovanni Battista figlio di
Odorico de Bonomo), presenti i testimoni Michele Provisano,
Daniele de Dusmerio e Bartolomeo Piacentino, vicini ed abi-
tanti in Trieste, col qnale dà in affitto perpetuo alla suddetta
Agnese e ai suoi eredi una terza parte di casa indivisa poeta
nella contrada Cavana presso la casa del convento di
S. Francesco, la via pubblica e due contrade consortali, verso
l'obbligo di mantenerla in buon ordine e di consegnare al
capitolo un ducato d' oro annualmente^ dando però facoltà alla
suddetta donna Agnese ed eredi di potersi liberare dall'annuo
affitto ogni volta che presentassero al capitolo persona idonea
che ne facesse garanzia coi propri beni e si assumessero di
contare l'annuo affitto del ducato in oro con qualche aumento. ')
*) Don AngeloMaraic b, Op. r {neW Archeografo triestino, Trieste,
voi. X, pag. 362).
m
CAPITOLO II.
11 convento ~ La chiesa primitiva — La fraterna dei nobili e quelle
di St. Antonio e di S. Bernardino — La scuola in S. Francesco.
L' area occupata in origine dal nostro convento Fran-
cescano coir orto annesso, abbracciava le vie odierne di
S. Giorgio, della Sanità, delF Annunziata, Todiemo edificio delle
i. r. scuole^ la piazza Lipsia, 1' edificio dell' i. r. Accademia di
commercio e nautica e la via Cavana fra questo, la chiesa e
la piazza suddetta.
Il convento stesso alzato in circuito della piazza Lipsia
era formato da tre ale : una parallela coli' odierno edificio delle
i. r. scuole ; la seconda colla via dell' Annunziata, la terza colla
via S. Giorgio, cosi che la seconda e la terza mediante un
corridoio erano congiunte alla chiesa. Era alto due piani e
dalla via odierna dell'Annunziata dava comodamente adito al
coro dei frati, situato nella cantoria dell'odierna chiesa della
B. V. del Soccorso.
Il convento, spazioso e capace di ospitare circa venti-
cinque frati^ aveva nel mezzo ampio cortile ridotto a giardino
con cisterna nel mezzo, ed era circondato da ortaglie^ rìparate
da alte mura. Confinava coi conventi ed ospitali di S. Ber-
nardino e dell'Annunziata e coU'ospizio dei monaci Benedittini
ai Santi Martiri ; aveva un unico accesso per la via fuori della
porta Cavana, la quale conduceva alla clausìira propriamente
detta — alla porta balHtoray — la quale stava in via Cavana
ira r odierna facciata della chiesa e la parte anteriore del-
l' odierno giardino della piazza Lipsia.
Il convento era provvisto di sufficienti locali, come lo
ordinano le costituzioni della regola francescana. Aveva oltre
delle celle T infermeria con cappella intema pei frati infermi
e convalescenti ; la foresteria, il refettorio^ la cucina ; il luogo
per fare il bucato; la stalla e la rimessa; la cancelleria; la
sartoria; la stanza per salvare i panni, i vestiti, la biancheria.
Aveva neir intemo il convento, secondo la regola, un
chiostro non ignobile di veneta architettura a quattro lati;
ciascuno di sette archi, sostenuti da colonne. Serviva come
134
luogo di passeggio ai frati durante l' inverno e in tempo piovoso.
L' area che occupava doveva peraltro sino dai primordi esser
stata consacrata ad uso di cimitero, dappoiché si parla nei
nostri patri documenti del cimitero di S. Francesco e vi si
riscontrano lapidi della prima metà del secolo decimoquinto.
Nella chiesa avevano le loro tombe i nostri patrizi, ma sotto
ai chiostri lapidi sepolcrali di vari ordini di cittadini coprivano
il terrapiano dei quattro portici. Il possidente, V artista, l'agri-
coltore potevano leggervi sopra i nomi e le virtù dei benemeriti
loro trapassati, coi simboli dell'arte ereditata, fra i quali il cano-
nico, il sacerdote, il frate, il ricco ed il nobile non disdegnavano
di avervi riposo.
Ma quello che più importa, si è il sapere, come i nostri
Minoriti possedessero una copiosa libreria e tenessero in tut-
t' ordine il loro archivio. Della prima possiamo fare solenne
testimonianza, avendo avuto per mano le reliquie, gli sparsi
brandelli; era ben fornita e ben tenuta prima ancora dell' in-
venzione della stampa. Conteneva, a quanto leggiamo, fra gli
altri codici, una divina Commedia del sommo Dante postillata
di proprio pugno da messer Giovanni Boccacci, ora pur troppo
miseramente perduta. In progresso di tempo poi, per legati di
patrizi, di nobili, di sacerdoti e di canonici, andò sempre più
aumentandosi; da contener senza dubbio air epoca della soppres-
sione del convento circa cinquemila volumi, fra i quali le edi-
s^ioni antiche pregiate e rare dei santi padri greci e latini, dei
classici latini in prosa e in metro. L'archivio, che ai poster^
avrebbe fornito senza dubbio materiali interessantissimi di
storia patria; era custodito gelosamente. Dal documento che
qui sotto trascriviamo, vicedominato nel 1466 e nel 1476, rile-
viamo, che il vicedomino nostro Giovanni de GarzuUa estraeva
dalla patria vicedominaria sopra richiesta dei canonici don Fran-
cesco Mirez decano e don Tomaso de Canciano il capitolo XVI
del libro secondo del civico statuto^ ') che dice doversi prestar
^) Doti. Domenico de Rossetti, Statuti antichi di Trieste
descritti ed illustrati bibliologivamente^ (nell* Archeografo triestino, Trieste
1880, voi. II, pag. 103 seg.).
186
piena fede ai quaderni tanto del capitolo della cattedrale, quanto
del convento di S. Francesco. ^)
t IESU8 t Gapitulo XVI, secundo libro sub rubrica: de
fide inHrumentorum,
Ut praedecessorum nostrorum vestigia imitantes ccclesine^
quae omnium mater est, sancimus in his praesertim, quae hone-
stcUem continent hac nostra lege, addendo statuimus dicto statuto
et §, denique quoque statuimus et etc.
Quia volumuSj quod quadernis veìierahilis capituli cathedralis
ecclesiae tergestinae, nec non et guadep'nis conventus sanati Fran-
cisci de Ter gesto eandem fidem praestetur, et ex illis iUud idem
ius reddatur ex nunc in antea, quod datur et quod redditur
quadernis fabricae hospitalis et fraternitatum civitatis et districtus
Tergesti i^r omnia dicfo statuto in omnibus eius partibus in suo
robore remanentibus. Et hoc procedent affictibus, qui ex nunc in
ant^a solvi contigerit ipsis Capitulo et conventui et alteri eorum.
Ego loanues de GarcuUa yicedominus comunis Tergesti
praesens statntum sire additionem statuti, prout reperi et inyeni
in Tioedominaria comunitatis in yolumine libri statutorum ciyi-
tatis Tergesti scriptum et adnotatum, ex ipso libro statutorum
fldeliter de yerbo ad yerbum in praesenti charta scripsi et
exemplayi, et hoc ad inatantiam et petitionem yenerabllium
Tirorum dominorum Francisci Mirec decani et Thomae de Gan-
ciano canonlcorum praefatae ecclesiae tergestinae, etiam nomine
omnium canonicorum et capituli petentium.
Ego Petrus Bizio yicedominus comunis Tergesti yicedo-
minayi et me subscripsi.
La chiesa primitiva, alzata a semplice disegno, armonioso
peraltro nelle sue parti^ con a tergo comoda sagrestia; come
appunto compariva sino air anno 186-1, era larga tredici metri,
lunga venticinque; con la sagrestia metri trentuno. Priva di
campanile, aveva sul tetto — sopra la cantoria — un arco, da
cui pendeva una sola campana onde convocar frati e fedeli
alle salmodie, alF ufficio divino, alla predioa, che sempre si
teneva in lingua italiana. Era spaziosa anzi che no, per quei
^) Don Angelo Marsich, Op. e. {neìV Archeoffrafo triestino^ voi, X,
pag 120).
186
tempi, in cui Trieste di ambito piccolissima, con poca popola-
zione, abbondava di chiese e di cappelle.
All' estemo della chiesa, a detta dei nostri cronisti, erano
incastrate due lapidi romane, onde ripararle, come allora ere-
devasi; dair obliyione e dalF ingiuria dei tempi. La prima, che
esisteva ancora ai tempi del nostro don Giuseppe Mainati, dava
savi avviamenti alla gioventù coi versi:
VLTIMÀ • IVSSA • PÀTRIS ' REVERBNTBB ' DISCVTE ' FILI
AFFEB ' OPEM * LÀPSIS ' ASTATI ' PARCE * 8XHILI
OCCVLLB ' COMMISS VM * LAVS * E8T0 ' RBMITTE ' 8VPBRBVM
SIS ' PARVM ' 1VRGAN8 * DICTVRVS RESPICB . VEKBVM
Mentre questa è perduta, non cosi la seguente, oggidì
riparata nel nostro civico Museo d' antichità :
GBTAaAE * SBRVAN
DAK ' PARBNTB8
Il nostro fra Ireneo, credendo falsamente, che quest* epi-
grafe fosse cristiana, ci racconta, che una bellissima arca di
pietra di proporgionata grande0ga ed altezza^ lunga piedi sei geo-
meirij fu ritrovata anni sono nel cimitero della ctiiesa di S. Francesco^
rimpetto la porta maggiore^ vicino al condotto d'acqua che C4>rre
verso il mare. Il Mainati poi scrìve, che a suoi tempi si ritro-
vava sotto la gorna di me§»o o tubo della grondaia^ dal lato che
guarda la picena Lipsia^ della casa del negoziante di borsa F. E. i.
Baraux n. 1006. Il buso che tuttora osservasi nelVarca predetta,
corrispondente ai piano interiore détta medesima, mostra ad evi-
denza, che anteriormente al suo ritrovamento indicato dal padre
IreneOy avesse già servito per uso di vasca o lavatoio.
La chiesa conteneva le tombe dei frati e delle nostre tredici
famiglie patrìzie; dei Francol, Trina, Marchesetti^Mirissa, Piccardi,
Barbo, Chiochio, Bapicio, Conti, Kupferschein, dei Mercatelli;
di Marìno Morosini, dei vescovi fra Guglielmo Franchi, fra
Giovanni Marzari^ fra Nicolò dottor Carturìs e di Andrea dottor
Bapicio, uomo di sommo ingegno, poeta latino di gusto finis-
simo, dotto canonista, esperto giureconsulto^ morto avvelenato
addi 31 dicembre 1673 nell' età di anni quaranta, vittima di
1S7
patria carità, air età nostra, che a libertà tanto agogna e della
libertà tanto abusa, soggetto di utile meditazione. ')
Ora lapidi e leggende sono miseramente perdute^ conser-
vate con quella del vescovo 'fra Nicolò dottor de Carturis
soltanto le seguenti, delle quali le due prime si ripararono nel
nostro Museo d' antichità:
1,
HAEC ' EST * SEPVLTVRA * M0BIL18 * VIRI ' DNI ' MARINI
IOANNIS • MAVROCENI
DE ' CONTBATA ' SANCÌ A£ * MARIAE * FORXOSAE ' DB ' VENEOIIS
BT • 8V0RVM • HASRBDVM * QVI • OBIIT * M ' COC * XLVI
INDICTIONE • xmi • DIE ' DOMINIOO ' XV * HENS18 ' OCTOBRIS
Codesto Marino, figlio del patrizio veneto Giovanni de
Morosini, abitante sotto la pievania di Santa Maria Formosa
di Venezia, morto a Trieste addi, domenica 16 ottobre 1346, ci
rende testimonianza, che un ramo della famiglia patrizia veneta
dei Morosini si accasasse in Trieste verso la prima metà del
secolo decimoquarto.
2.
DO * MOR
I • DA • MERCATELLVS
SET
MERCATELLIAE ' GENTI
V • POSVIT
M • D • XVI
AB • AVDITIONE ' PRAVA
NON • TIMEBIT
Domum mortis, Ioannes Daniel MerccUellus sibi et MerccUelUae
genti mvens posuit 1516: ab auditione prava non timébit.
^) Carlo Morelli di SchÒnielci, Op. e, volume I, pag. 245
seg. ; Pél fausto ingresso di D. Bartolomeo Legai ecc. ; Doti. P. Kandler,
Storia del consiglio dd patrizi di Trieste^ Trieste 1868, pag. 101 seg. ;
Pietro canonico Stancovich, Biografia degli uomini distinti deW Istria,
Trieste 1828, voi. I, pag- 428 seg. ; Documenti raccolti e pubblicati in occa-
sione di coUocamenlo di busti enei sulla facciala dd duomo di Trieste^ Trieste,
1862; Canonico Giovanni de Pavento, V Istria di Andrea Bapicdo
(nel Programma ddV t. r. ginnasio di Capodistria^ Capodistria, 1870,
pag. 2 seg.).
138
(^l^iovanni Daniele Mercatelli, di famiglia oriunda pado-
vana, estinta in Trieste nel 1567, figlio dell'oratore e cancel-
liere Nicolò (morto addi 7 novembre 1477), marito di Pieruzza
Ubaldini vedova Toffanio e proprietario della casa in via
Biborgo, numero 470, fratello di Margherita e di Federico
notaio e cancelliere, padre di Lelia Pegez, di Antonio, di
Caterina, di don Pietro e di Federico, nacque a Trieste nel
1447, fu dal vescovo nostro Antonio de Goppo creato notaio
addi 8 gennaio 1476; fu vicedoxnino nel 1484, 1487 e 1488;
cancelliere del Comune dal 1489 al 1498 ; vicedomiuo per la
seconda volta nel 1495 ; di nuovo cancelliere, notaio ed avvo-
cato dal 1602 al 1531 ; fece testamento addi 29 aprile 1631 e
moriva addi 7 maggio di questo stesso anno nella grave età
di ottantaquattro anni. ')
3.
DOM
BERNARDINO • BABBO consobti
ABCIS ' WAXENSTEIN ' I ' C ' VERE
D0CTIS8 ' ET ' RARO
ILLV8TR1S ' DVCATV8 ' GARNIOLI£
PBAE81DI ' ASSESSORI ' A * SER.MO
ROMANO ' REGE ' IN ' EX . INF
AVSTR * REGIMEN * PARVM ANTE
MORTEM ' ELECTO
OBllT ' TERGESTI ' ANNO * DOMINI * M . D LI
VI ' KAL ' DBCEMBRIS * AETATI8 ' VERO ' SVAE
ANNO ' XLVII ' ET8I ' NON . LONGE ' VIXEBIT
TEMPORIS ' NEC ' PREMATVRE
N0BI8 • ABREPTV6 " SIT ' TAMEN * QVIA
BEO • VT • AIT • PHILOBOPHVS ' OYÀEIZ
MAeHTHN • nOIEI ' Bic placvit
PATIENTER * ET ' EO ' QVO * POSSVMVB
AEQVO * FBRAMVS * ANIMO ' DEVMQUE
ANIMAE * VT ' BIV6 * MI6ERIOOR8 ESSE * VELIT
PREOEMVR ' MESSÀLDVS * ET * VALERIV8
FILII ' P08VERE
^) Antonio Tribel, Pa99^giata aiorica per TriwU^ Trieste 1886,
pag 190 seg.
139
Bernardino Barbo, barone e signore di Waxenstein e di
Passberg nella Camiola, distinto giureconsulto, capitano cesareo
della Camiola, eletto reggente dell'arciducato delPÀustria infe-
riore, moriva a Trieste nell'età di quarantasette anni addi
26 novembre 1551; cui i figli Messaldo e Valerio eressero questa
memoria sepolcrale.
4.
DOM
NOB • PAM • KVPFERSCHEIN
EX ' GERMAN ' PBOFBCTAB
INTER • TBBGE9TIN * COKSCRIPTAE
SABCOPHAQVS
AB ' AN • M • D • C • XXVI
La famiglia Kupferschein o Kupfersin, oriunda dalla Ca-
rintia, dove certo Cristoforo Kupferschein venne dall'imperatore
Ferdinando I creato nobile addì 3 dicembre 1549, dalla Carintia
passò nella Camiola, indi a Trieste, dove acquistava la casa
numero 297 in via Santa Maria Maggiore.
A Trieste venne per il primo Fenicio, figlio del suddetto
Cristoforo, nel 1588 scrivano presso il e. r. uflBcio del daaio del
quarantesimo, poi amministratore dei sali ; nel 1594 provveditore
nella signoria di Schwarzenegg; 1602 capo dei dazi in Trieste;
1604 mudare a Starada, poi a Corgnale ; dal 1613 al 1627
esattore della muda cesarea in Trieste, innalzato da imperatore
Ferdinando II con diploma in data, Vienna 2 aprile 1620, al
grado della nobiltà equestre e nel 1626 aggregato alla cittadi-
nanza triestina; fece costruire in questo stesso anno la tomba
suddetta, mori peraltro addi 31 luglio 1629 a Schwarzeneggi
ove i suoi figli Francesco e Fenicio gli eressero tomba colla
seguente epigrafe:
DOM
PHCENICI • CVFERSIN
8 • e • M • EXAOTORI ' VECTIGALIS ' 8ALIS
VIGILANTISSIMO * SVMMAQVE
FIDELITATIB ' VIEO
FBANCISCV8 ' BT * PH0ENICIV8
FIIiU
MONVMEMTVM * P08VERE
140
Il Fenicio ebbe prole numerosa: sei figlie, Susanna Chic-
chio (nata nel giugno 163B, morta li 23 aprile 1694); Anna
Eleonora de Baiardi (nata nel giugno 1634, morta nel mag^o
1688); Giovanna Bainier (nata nel 1603); Laura de Vitali
(nata nel 1607, morta li 27 aprile 1673); Caterina de Ustia
(nata nel 1609) e Maria de Cergna (nata nel 1611, morta ne
1676); e cinque figli: don Giuseppe (nato in Camiolia nell
1696, dottore in filosofia, dal 1641 rettor magnifico dell'uni-
versità di Vienna) ; Gabriele Cristoforo (nato a Bresoviza nell'ot-
tobre 1599, morto ancora giovane) ; Francesco (nato in Bresoviza
nel 1602, morto nel 1666), mudaro in Zaule; Fenicio (nato a
Schwarzenegg nel 1604, morto nel maggio 1636), dottore in
ambe le leggi, e fra Antonio (nato postumo nel 1637, morto
addi 28 luglio 1668 come guardiano del convento di Grignanoj. ')
La chiesa ebbe da principio un solo altare ligneo, il mag-
giore dedicato alla Vergine Immacolata. A poco a poco ebbe
degli altri. Nel 1478 il patrizio Lorenzo de Bonomo, fondatore
della chiesetta di S. Lorenzo nell'andrena omonima, ') figlio
di Pietro Bonomo, graziato addi 2 aprile 1442 dall'imperatore
Federico V col titolo di conte palatino, ^) morto nel luglio 1506,
erigeva a proprie spese V altare delP Annunziata. La famiglia
deir Argento alzava in marmo l'ara di san Francesco e la fami-
glia dei Marchesetti il marmoreo del Carmine. Lo stesso fecero la
famiglia de Francol e le tredici nobili casate. La prima efesse l'ckra
marmorea dell' Ajigelo Custode, le ultime quelle di san Gioachino
e di san Francesco, ornandole coi loro stemmi. Per ultimo, nel-
r anno 1624, Domenico de Baseggio erigeva in legno V ara di
Sant'Ajitonio, ornandola colla statua del Taumaturgo, lavorata
in Ancona, e ponendovi al lato suo destro la seguente leggenda :
DIVO • ANTONIO • PATAVINO
D0MIN1CV8 ' BASILÀEVS ' IOANNIB ' FILIVS
RBLIOIONIS ' AHATOK
SPELEVM ' CVM ' SIGNI6 ' ET ' ARAM * CAETERIBQVE
VOTI • COMFOS • DEDICA VIT
M • D • XXIV
') Antonio Tri bel, Op. e, pag. 250 seg.
') Antonio Tribel, <>p. e, pag. 828 seg.
') Fra Ireneo della Croce, Op. e, voi. I, pag. 6B2.
141
Avea cosi la chiesa sino all'anno 1560 sette altari. Ma
siccome il Medioevo si distingue neUe chiese coli* aver fondato
fraghe o fraterne speciali di fedeli che in tal guisa volevano
emergere colla loro devozione, pietà e fede inconcussa, cosi i
nostri Minoriti ne ebbero nella loro chiesa diverse.
La prima e la più antica è quella delle tredici famiglie
patrizie. Ebbe questa principio addi 2 febbraio 1242, otto anni
dopo ultimata la chiesa, sotto il ministro provinciale fra Pelle-
grino da Trieste. Non vi si potevano ascrivere che patrizi
triestini, nati da legittimo matrimonio, da padre e madre nobili,
discendenti da quelle famiglie che la fondarono, mai in numero
maggiore di quaranta confratelli; con divieto di esser ascritti
ad altra fraglia. Di questa fraterna^ che ebbe fin dai suoi
primordi proprio sigillo e fu eretta dalle famiglie patrizie :
Argento, Bonomo, Burlo, Padovini, Baseggio, Leo, Oigotti,
Stella, Pellegrini, Belli, Petazzi e Tofanio ^) sotto^ il patrocinio
di san Francesco d'Assisi, ci racconta il nostro fra Ireneo della
Croce; *)
Scorgendo alcuni^ misero avanzo delV antica fHfbiUà triestina^
che il tempo vorace lacera e consuma co" suoi maligni influssi tutte
le umane grandezze e molte famiglie e casate antiche, a causa
de^ passati incendi e rovine, tante volte sofferte dalla barbara cru-
deltà e da altri strani accidenti con discapito dello splendore e
ddV antico sangue romano^ di cui fu sempre gelosa Trieste^ alcune
già erano estinte* ed altre trasmigrate in aliene contrade ; con
saggia ponderazione riflettendo, che per conservare la patria e
supplire in parte a si . notabile difetto^ era necessario aggregare
alla nobiltà patrizia nuove famiglie^ e perché la ynescolanza di
queste non apportasse diminuziofie al bel lustro di queW a*^tico
sangue, con pregiudizio della legittima nobiltà patrizia : adunati
dunque àlguanti soggetti di questa per ovviare a disordi$$e di non
isprezzabUe conseguenza^ colT intervento del rev. padre Pellegrino^
ministro provinciale de' minori conventuali di 84 Francesco^ cUta^
dine pure di Trieste^ determinarono ai due di febbraio ddV anno
') AntonioCratey, Op.c.,pag.49668eg.jDott. Pietro Kandler,
Storia M dmeiglio d$i patrùU di Trieeté.
*) Op. e, voi U, pag. 624 seg.
142
1242 d* erigere nel convento del tnedesimo santo una congrega-
gione e confraternita, in cui dovessero aggregarsi solamenie le
cessate nobili antiche senMa veruna dipendenga dal vescovo ed
aggregazione a qualsivoglia confraternita, con regola e costituzioni
proprie e proibizione espressa di mai eccedere il numero di éO
confratelli nobili.
Trascorsi anni 219 dopo tale fondazione, il rev. padre Gio-
vanni Soffia, provinciale ddla Dalmazia e delT Istria dd medesimo
ordine, pure citt<Ulino di Trieste, unito ai padri dd convenio
e ai signori confratdli allora esistenti, di comune consenso con
nuova riforma stabilì, che ndVawenire i sudetti 40 signori confra-
telli s* eleggessero solamente delle tredici seguenti casate (dell' Al-
gente, t de Basei, f de Belli, de Bonomo, de Burlo, f de Cigotti,
de Giuliani, de Leo, de Padovini, f de Pellegrini, de Petazzi,
de Stella, f de Toffani) nobili ed antiche, fra le quali le cinque
segnate f ai giorni nostri in Trieste sono totcdmcfUe estinte. ^) Il
ritrovarsi arrotati in essa per abuso introdotto molti soggetti di
moderne famiglie^ si stabilì nuovamente il 27 gennaio 1558 in
pubblica adunanza, con espresso decreto e divido formale, di libbre
cento a' suoi nobili sindaci o canovariy i quali ardissero ascrivere
ed accettare per confratdlo nelC avvenire, soggetto di qualunque
grado e condizione, alieno delle tredici famiglie nobili qui esposte,
e ritrovandosi alcuno arrotato nel suo catalogo, tal nonie sia awnul-
lato e subito cancdlato dal libro : decreto poi sempre inviolabilmente
osservato sino al presente come a* suoi tempi si vedrà ; restandomi
solamente d'avvertire (per chiudere la bocca ad alcuni), che il
tralasciare di scrivere le notizie particolari delle prerogative, pri-
vilegi ed eroiche azioni di alcune di esse, non potrà attribuirsi a
mia negligenza^ avendole pitt e più volte con grande istanza (sempre
però indarno) ricercate: ma alla trascuratezza di chi dovea comu-
nicarle come anco il registrarle cóW ordine ddV alfabdo, per evitare
ogni puntiglio di pretesa preminenza fra le stesse : e gli armeggi
posseduti da ciascufM famiglia dimostrano essere iproprii da esse
innalzati in Trieste.
Né quest'usanza si cangiò col tempo, che anzi i nostri
patrizi, immemorì come imperatore Carlo YI non intendesse
*) Cioè t^ik verso il 1700,
gìk dì avere una oscura Trieste patrizia, bensì un grande
emporio triestino, azzardavano nel 1734 importunarlo, onde avere
un estemo distintivo come confratelli in san Francesco. Cre-
diamo necessario il riportare per intiero il contenuto della
supplica curiosissima: ^)
Sacra cesarea real cattolica maestà
signore^ signore monarca clementissimo !
La città di Trieste che vantando una distinta antichità di
natali porta anco seco per impareggiabile conseyuenea d^aver avuto
uomini di virtii insigni e célèbri di nobiltà^ poiché governatasi già
secoli con massime democratiche diede sufficiente motivo agVistorici
di rifletterla d* origine antica e per riferirla fra le colonie più
celebri della romana grandezga, ora poi con piti gloriosi applausi
vive sotto li felicissimi auspicii et Austriaco dominio della Maestà
Vostra^ veì'so il quarto secolo; né visi voleva altro sovrano ch^un
Carlo VI invitissimo monarca per fargli riavere qualche pregio
de^ suoi antichi splendori e qual fenice rinascere al fuoco del di
lei paterno imperiai amore che giornalmente va dimostrando a
questa fedelissima patria.
Alimentata per molti secoli dalle false dottrine della cieca
gentilità, hebbe la sorte ch'appena pubblicata la fede cattolica,
restò Vanno 46 condecorata con le gloriose insegne del crocefisso
Signore, restando felicitata da S, Ermacora che circa taV anno
dopo la morte di Cristo le diede il primo vescovo e pastore.
Vn secolo e mezzo pria della nostra fortunata soggetione
aW Augustissifna Casa d' Austria, seguita Vanno 1382, ritrovandosi
questa città desolata per le tante patite disgratie, dovette in ristretto
civico governo farne scielta di soggetti rustici et artigiani et arro^
larli a conseglj per compir il numero primiero, come di ciò si
trova qualche piccola memoria né archivj della città,
Ritrovavansi in tempi sì calamitosi tredici famiglie distinte
di nobiltà per li meriti et ationi illustri proprie e de loro antenati
quali considerando avvilirsi il conseglio per V aggregatione et intro-
dutione di simili persone estere^ i^ustiche et artigiane e volendo
conservare il fregio de loro natali, per massime temporali et anco
^) Doti. Pietro Kandler, Op. e, pag. 118 seg
144
prefitto ìM anima indituùrono nAl246 un'assmiMea diquarania
frateìH aggregati sotto gii- auspicii dd glorioso serafico S. Fran-
cesco nel convento de PP. minori conventuàlij che poco pria /nari
ddle mura ddla dita era etato fabbricato^ titolandola il "Oongresso
de nobili,, e fu composta dai membri ddlr prescidte 13 famiglie
discendenti da legittimo e nobile ceppo, di quali famiglie nd corso
in circa di cinque secoli rimasero estinte sei^ restandone solo sette
superstiti che vivono.
Quesf assemblea come umilmente di sopra dissimo^ fu ancor
V anno 1^ li H febbraio istituita qfipena fondaia in Trieste la
francescana religioney e vedendosi nel corso del tempo mancante
qualche famiglia s* invogliarono taluni che venisse aggregata qualche
altra dette più purgate nobiltà, ma li nostri maggiori instiiutori
della lìnedesima previdero che aggregandosi altra nobiltà che iton
sii delle XIII famiglie verrebbe ad oscurarsi il splendore antico
delle medesime^ onde con saggia antivedenga e con speeiàl legge
determinarono che: ** nessuno possi essere qdnifissoin questa congre^
gatiofie che non sia nolo d'una deUe XII( famiglie xnfraseriiie
con pena di li, 100 atti camerarii sensa admetlerli alcune eccetioni
e Vadmesso o proposto sii nuUo, irrito e c^tsso^ et ciò si è awerqto
con diversi cavalieri paesani anco in questa generatione, che fecero
ricorso in scritto^ affine le loro fossero incorporate nelle XIll
famiglie, ma temendo li camerarii li rigori delV instituto non
hebbero spirito né di proporli né tam meno d'accettarli
Grande fu invero il selo de nostri maggiori per conservare
V antico decoro della nobiltà et accio la mei^oria delle medesin^
fosse distintcnnente considerata hanno provveduto che n<:lle pub-
bliche processioni del Corpus Domini e Venerdì Santo^ ndle quali
tiene la nostra assemblea il primo luogo dopo il magistrato in
loco di toroie cV areicamente si portavano, per distinguersi daUe
altre congregazioni si sono surrogati candelotti li libbre IV Vuhìo
e perdo siamo chiamati volgarmente ^nobili del mocoìOy, con
óbbligQ ai camerarii prò tempore di non ceder a veruno la premi-
nentia fuorché a qt^che cavaliere foresto, a cui presentandosi un
candelotto s'accetta nel messo di essi due cafnerarii e cosi quelli
costringono a dispensar vino e denari ai poveri déUa citt^y benché
V entrate delle medesime assemblee sieno assai diminuite per F an-
tichità deUa stessa^ le di cui memorie in parte svanirono.
146
Li cavalieri forastieri che cimosi d'investigar V antichità de
paesi informati della fondatione et instituto di questa congrega'
none antica di nobili restano ben perplessi nel non aver procnrato
daW austriaca sovranità qualche distinto fregio per far maggior-
mente risplendere la sua stella che con tredici raggi et armeggi
delle famiglie riduce a memoria Vantica nobiltà preservata dalle
disgratie eh* in t^inti incontri abbatterono questa città.
Tutte queste famiglie che vivono, oltre che per il corso di
cinque secoli in circa hanno potuto far un purgaiissimo sangue
nobilitato dal tempo, nulla di meno tengono da reggi et impera-
tori e particolarmente da augustissimi austriaci regnanti d^men-
tienimi privilegii con fede imperiale d' averli trovati ncòili e perciò
fregiati dedite prerogative e resi meritevoli per il fedelissimo
servigio prestato con le sostanee e con la propria vita prontamente
conaacrata in sostegno dell imperiai trono.
Sapendo dunque che la maestà vostra sii amante d^ suoi
fedelissimi sudditi e vassalli e della nobiltà qual secondo U senti-
mento del gran filosofo Cassiodoro abbellisce le città e repubbliche^
eo^ questa nobiltà delle XIII famiglie prostrala implora dqXla
Maestà Vostra un clemenHssimo austriaco contrassegno di grafia
di poter con special privilegio li confratdli legittimi della preno-
minata assemblea di nobili che vivono nobilmente e secondo le
regole e li successori di legittimo toro in perpetuuin portare al
petto una simile picciola stella d'oro di raggi tredici allusiva alle
7(TJI famiglie da quali fu eretta con la figura del serafico santo
da una parte e dalT altra V armeggio della casa col motto :
'^Car. VI. rom. imp. sic condecoravit 1734„ senm che possa dai
fratelli essere ampliata, ingrandita, ma tutte consimili da distri-
buirsi e dispensarsi a legittimi e fratelli buoni con dementissimo
placet ddla Maestà Vostra dalli camerarii prò tempore deU^
suddetta congregatione.
E quando della nobiltà rappresentata cadesse in ombra che
queste ossequiose nostre rappresentanze non fossero di tutta verità
(«2 che mai non osaressimo), si degni I0 ilfoe^tò Vostra informarsi.
Tal gratia s* ni^plora dalla Maestà Vostra e questa sarà una
memoria etema per lasciar tra le gesta memorabili di s\ invitto e
clementissimo sovrano Vamore intenso verso li suoi fedelissimi vas-
salli e li nostri posteri havranno a cuore per debito indispet^abile
146
di tener illeso V onore di loro nascita et esser in ogn* in^
contro pronti cól proprio sangue alla difesa delV augustissifno
austriaco trono che V Altissimo conservi ed esalti sino gli uUimi
periodi del mondo e noi genuflessi con profondissimo trìpliccdo
inchino si glorieremo di vivere e morire,
Ddla sacra cesarea real cattolica Maestà Vostra.
Umilissimi fedelissimi vcasaHi
6io. Ouglielmo de Bonomi
Vito Modesto de Giuliani.
Cinquanta anni più tardi avrebbero letto con stupore e
meraviglia i patrizi triestini come uno di loro, Antonio de
Giuliani, scriveva della nostra città : ') a Triesti venga V uonso
di riflessione a meditare sopra il modo con cui crescono e si fan-
dano le città ; a Trieste venga il ministro a compiacersi negli
effetti déUe solitarie occupagùmi del sfio gabinetto; ti legidatare
ad apprendere V arte di servirsi deile facoltà degli uomini per
condurli loro malgrado ad una felice psistenga. Si formarono dei
codici criminaii, e lo spirito umano si esaurì nelV invengione dei
rigori piti barbari e più atroci per bandire i dditti e per mettere
un^ argine alle sedigioni^ ai tumulti; ed una popolagione composta
di varie nagioni ed in parte di fuggitivi, di banditi, di middiari
e bisognosi stranieri^ vive pur quivi tranquilla per nessun^ atira
ragione^ se non perchè Vuomo nato per essere agitato, vi trova
neir innocente e facile esercigio della sua industria la sua felicità
e contentegga. Il peso di una vita miserabile ed ufCogiosa imagi*
ragione portano ordinariamente gli uomini a quegli eccessi che
per lo più non si pensa che a punire quando spesso manca nd
legislatore Varte di ottener tutto dagli uomini senga mai violentarli.
I nobili non furono del resto ascoltati da Carlo VI, e vi
si adattarono. Soppressa la fraterna nel 1783, furono inscrìtti
nel cosidetto libro d*oro, nella matricola dei consiglieri della
città, i quali con questo registro entravano in patriziato ; così
dal 1702 al 1808 e prima ancora i Baiardi, i Bellusco, i Bot-
toni; i Brigido, i Brunner, i Calò, i Camnich, i Capoano, i
Cassis, i Chicchio, i Civrani^ i Conti, i Costanzi, i Cratey, i
^) Rifle^RÌoni politiche sopra il prospetto attuale della città di Trieste,
Trieste 1866, pag. 22 seg.
147
Dolcetti» i Donadoni, i Fecondo, i Francol, i Francolsperg, i
GarzaroUi, i Giuliani, i Guadagnine, i Gerolini, i lelussig, gli
lenner^ gli lurco, gli Kupferscliein, i Lellis, i Loiigo, i Lovacz,
i Maflfei, i Marchesetti, i Marenzi, i Mikulicz, i Mildenhof, i
Millost; i Montanelli, i Nemeth, i Panzera, i Pascotini, i
Pototschnig, i Prandi, i Praun, i Eeyss, i Ricci, i Rinna, i
Rossetti, i Roth, i Santonini, i Sardagna, i Saurer, gli Schia-
vuzzi, gli Sticotti, gli IJstia, i Zanchi ed i Zucconi. ')
Un'altra fraterna era quella di sant'Antonio Taumaturgo,
che aveva per membri non solo plebei, ma ben anche patrizi.
Crebbe molto di numero nel secolo decimosettimo, quando il
Taumaturgo fu eletto come uno dei cinque protettori di
Trieste. Racconta fra Ireneo della Croce, ') che spinta la nostra
città di Trieste da special divozione verso U miracoloso Sant^ An-
tonio di Padova, congregò li 15 di giugno del 1667 un^universale
consiglio^ colV intervento di monsignor vescovo^ suo capitolo dei
canonici, magistrato^ nobiltà e cittadinanga tutta, nel quale con
applauso universale di tutti fu eletto protettore della città ed
aggiunto agli altri cinque santi martiri che nei tempi andati si
veneravano in Trieste, quali cittadini propri col titolo di protei-
tori, il cui patrocinio alli 29 dello stesso fnese si celebrò nella
chiesa di S, Francesco fuori della porta di Cavana^ colVintervento
di tutta la città^ che dalla cattedrale con solenne processione con-
corse alla stessa chiesa.
Approvata quest' elezione dall' imperatore Leopoldo I con
diploma in data, Graz 16 febbraio 1668, prevalse nel nostro
popolo l'usanza di chiamare la chiesa dei Minoriti non più
S. Francesco , bensì S. Antonio, e quando la fraterna per
dispareri nati coi padri si allontanava nel 1767 e fabbricava
la chiesa di S. Antonio, questa ebbe in nome di S. Antonio
Nuovo, quella di S. Antonio Vecchio : uso che tuttora perdura.
La storia della fraterna di sant'Antonio Taumaturgo si
compendia del resto con le seguenti notizie che abbiamo attinto
da quei pochi documenti che abbiamo potuto rinvenire:
*) Antonio Cratey, 7. e,
») Fra Ireneo della Croce, Op, e, voi. Ili, pag. 278.
148
Eletto ai 15 giugno 1667 sant'Antonio di Padova per
uno dei protettori di Trieste, ^) si formava nella chiesa di
S. Francesco dei nostri frati Minori una speciale confratema
in suo onore, la quale sebbene non accetta a quella delle tredici
nobili casate, perchè composta in gran parte di popolani, pure
visse in concordia coi padri sino ali* anno 1766. ')
Venuti a contesa coi nobili circa la precedenza nella
processione votiva nella festa di sant'Antonio Taumaturgo, la
fraterna, assenzienti tutti i membri, abbandonò la chiesa dei
nostri frati Minori e riparò cogli standardi, colla statua e cogli
altri attrezzi nella chiesa del Bosario, dove frurono amorevol-
mente accolti da quel cappellano Francesco canonico BaiardL
Radunatisi in questa chiesa addi 6 luglio 1766 in numero di
centoquarantasei, sotto la presidenza del vicario generale Anni-
bale canonico <)^iuliani, cento e trentasette dei convenuti deli-
berarono di fabbricare una propria chiesa e di porsi sotto la
protezione del vescovo e de' suoi legittimi successori. Trascri-
viamo r atto relativo. •)
Copia.
Li 6 Lug,^ 1766 \ Trieste.
Kella Tend.» Chiesa del Santiss.® Rosario.
Attesa La TranslaMìone prò interim versoti Grazioso Placet di
Sua EccUa: Bma: Monsignor Vescovo dalla Chiesa elatistraU di
Sn. Fran,^^ de Minoriti in questa delV Arciconfraterniià nostra
istituita da Sommi Pontefici sotto il Glorioso Vessillo del Nostro
Gran Santo Protettore Antonio di Padova ccgFindulti, e Gramie
à quéUa anesse^ in conseguenza di che passar dovendosi alV Ere-
sione d'una nuova Chiesa à Lui dedicatta conforme si è t^a
volontà ancora di questo Ecdso Sup,*^"* Governo onninamente^ ed
*) Don Giuseppe Mainati, Op. e, voi. Ili, pag. 810.
') È dunque falso quanto raccontano di questa fraterna Don Gio-
seppe Mainati, Op. e.» voi. IV, pag. 295; Antonio Cratey, Op. e., pa^.
14 seg. ; Girolamo conte Agapito, Op. e, pag. 119; Giovannina
Bandelli, Op. e, pag. 289; Ettore Generini, Op» e, pag. 839; Anto-
nio Tribel, Op. e, pag. 56; Giuseppe Caprin, Inostri Nonm, pag. 2Q9.
*) Archivio <MV i, r, Luogotmétwa di Triésié,
149
immedicUamefUe sogetta al Cantando della Stessa EccUa: Sua U
Nostro Veneraiiss.^ Prelato e Veneraci Successori prò tempore
in Infinituntj fu in oggi radunatto General Capitolo de Confra-
telli per proporsi in questo se per mancanza presentanea di Capi-
tali pecuniarij in poter d'essa arciconfraternità ricercar ^ etfaccetar
ddibasi con Capitale Sufficiente air Erezione di detta Chiesa sin'al
suo totale perfecionamento^ e dotazione ancora.
Fattasi perciò proiU de more Inopportuna ballottaisione e ciò
colV intervento, presenza^ e benigna assistenza delV Illmo :, e Bmo :
Big : Vicario Oenerale de Giuliani, da lui fu previamente invo-
cata La benedizione^ e Lume Celeste colla preghiera deW Inno
Veni Creator Spiritus, e fté per La seguente ballottazione deciso
che prender ed accettar debbassi à peso della Stessa Arciconfra-
ternità con Capitale pecuniario p. il fine^ ed effetto come Sopra.
Essendovi il numero integrale de fratelli in questo General Capi-
tolo concorsi cento cinquanta sei.
Voti Javoreooli N. 187
Detti contrari) „ 19
Bestò confermata in fede
D.° Oio: Aiit.0 Boslz Cancella
lì vescovo Antonio Ferdinando conte Herberstein accettava
anche codesta offerta e, in data 10 agosto 1766 rilasciava alla
fraterna il seguente documento: ^)
Noi Antonio Ferdinando del Sae. Bom. Imp. Conte d'Herberstein
per la Dio Grazia, e della Santa Sede Vescovo, e Conte di
Trieste, Abbate Infoiato di Prun neir Yngaria.
Vacche V amatissima nostra Confraterna di S. Antonio di
Padova «' è cAlontanata dal Luogo dove si ritrovava presso i EB.
Minoriti per giuste' cagioni ; una delle Nostre Pastofàli sollecitu-
dini è stata, custodire le parti sane di questo Corpo, consolidare
le disgiunte e separare le guaste, per porla sano Corpo in istato
di pace e quiete^ cosicché non solo conservar si potesse alla mag-
gior gloria del Signore ed al culto del Santo loro Prottetore, e
Taumaturgo S. Antonio^ ma rendesse ancora forza e splendore atta
*) Archivio ddV i. r. Luogotenenza di Trieste.
160
nostra Chiesa Cattolica di Trieste^ à cui per Misericordia Divina
presediamo.
Doppo perciò mature ri/flessioni^ e doppo di' havere dimandato
il Divino Ajuto^ habhiamo stabilito guanto segue per U sodo bene
e tranquillità della medesima Confraternita^ e per suo maggior
vantaggio e sicurezza. Ed ecco la nostra mente,
i.*^ Non potendosi assolutamente per parte nostra^ e raggiorni
importantissime concedere alla Nostra Confraternità una Chiesa
speciale è di necessità precisa, ed indispensabile, se amano Vonor
di Dio e del Santo, e se goder vogliono delle prerogative in
seguenza espresse, che s^ unischino (Ma nuova Chiesa dà erigersi
nella nuova Città in adempimento del desiderio Sovrano.
2.^ Non potendosi ammettere in un' istessa Città altre Con-
fraternita dello stesso nome, ch'una sola; Dichiariamo, che questa
sola, che s^ unisce con la nuova GUesa sia e sarà per sempre dà
Noi approvata, e goderà Vindulgenze^ prerogative etc. e nessun^aitra.
3.* Siccome fin' ora la Confraternita ha havuto per presidi li
Padri Guardiani Minoriti prò tempore; Dichiariamo perciò cV in
avvenire Noi ed i Nostri Successori saranno per sempre presidi ddla
medesima intervenendo ò per Noi, ò per altri delegati nell'occorrenze,
alle quali per uso, e consuetudine deve intervenire U lor preside.
d*"* Come per il passato^ così per V avvenire^ la disposizione,
amministrazione delle rendite, capitali, fondi, questue, ed altro
alla Confraternità aspettante sempre sarà nelle mani de canepari,
ed ufficiali prò tempore, e nulV affatto s*alterarà ò mutarà di
tutto quello, che ha costumato la Confraternità di fare infino al
giorno d' oggi, secondo il suo instituto, regole e costumanze.
5.*'' Bestino tutti i Confratelli assicurati e certi, che la com-
missione delle Cause Pie non havrà con la Confraternità aìtra
ingerenza, che quella, eh' ha havuto per il passato, ch'ha con ttUtì
i luoghi pij, e chiese, ed è la revista de Conti per ogni diritto
competente alla Suprema Auttorità Sovrana, come protettrice, ed
avvocata delle Chiese.
6."* Restino pure anch' assicurati, ch'alia Confraternità saranfM
dà me, e da' miei Successori inviolabilmJ^ conservate tutte le pre-
rogative fin' ora godute tanto in riguardo alle ptd>liche loro fun-
zioni, e processioni, quanto ancora à tutte le altre loro /incora
concesse come per il passato praticate, ed osso-vate.
161
7.<' Hawanno mila nuova Chiesa il proprio altare^ dove
potranno poìvi ò statua^ o imagine del Santo come vorranno^ ed
avranno anche V Oratorio nel corpo della fahrxca^ dove potranno
ripor le sacre suppelletili con altare, e commodo al Ur piacere
per fare li santi loro esercizj, e convocaeioni ; In somma tutto
sarà come il passato secondo (' instituto della Confraternità, ma
con più quiete, pace, tranquillità, e sicurezza, e decoro, ed onore
di Dio, e del Santo,
8."^ Fiìialmente essendoci giunto alV or ecchioy cW alcune persone
indivote vanno disseminando zimnia negV animi de Confratelli con
proposizioni false e sediziose dettate dà spirito di partito per
ritirarli dà questa santa unione con pregiudicio dell'onore Divino,
e del culto del Santo Protettore; Esortiamo la nostra amatissima
Confraternità à non dare orecchio à nessuno, à mantenersi nel
suo santo fervore^ assicurandola di tutta la nostra assistenza^
amore e protlezione, ma sopra tutto dalV assistenza, e prottezione
Divina^ cìie non gli mancarà maij e del Patrocinio dd Santo lor
Protettore con che loro augurando dal Cielo ogni vero bene, lor
diamo la paterìia pastorale nostra benedizione.
Dot. Trieste dal Palazzo Vescorik li 10. Agosto 1700,
Antonio Ferdinando Vescovo.
D. Giuseppe Himnovich
Vice-Cane:'^ EpJ* mp.
Addì 6 luglio 1766 non erano peraltro comparsi tutti i
confratelli, per il qual motivo il cancelliere vescovile don Felice
Bandelli li invitava con apposita circolare in data, 10 agosto
1766 a comparire alla radunanza da farsi ai 17 dello stesso
mese : *)
Trieste li U Agosto 1766.
D^ ordine di Sua Eccellenza Rma Mmisig.^ Vescovo; Essen-
doché nell'ultima convocazione sia comparso n.^ troppo picciolo di
Confratelli di S. Antonio, vengono li medesimi di bel nuovo corte-
semente invitati per la ventura domenica, che sarà li 17. del cor-
rente alla Chiesa del Rosario per le 4. ore doppo pranso, ed
esortati tutti di cotnparire, dichiarandosi, che queUi, li quali non
*) Archivio dell' i. r. LuoyoteyxefìZa di Trieste,
152
comparirano senza legitima scusa ed impedimento, dalla propria
tnano di Sìm Eccellenza Rma Monss. Ves."* leniranno ficanzdaU
dal libro e Catàlogo de confratelli.
De Mandato Exmi.et Rmù Dni, Episcopi et Comitia Tergestini.
P. Felix Baadel
Cane. Epalis.
Antonio Righettini
Qius:^ Frisacco
Andrea Fiossi
Ignatto Kreitter
CHov: Giorgio Oerdla
Giacomo Moro
D. Ant:"" Novagk
Francesco Supancig
Carlo Giuseppe Maurilio
Francesco Maurilio
Carlo Cerpi
Bernardino De Weitz Cane/*
Odoricho Panfido
Gap. Mattio Corona
D/ Fran."^ Carie
Nicoleto Piaajsa
Zuanne Fede Castelli
F. Felice Morétti
Gio. Jf/ AUessandri
Antonio Gallina
Faulo Madich
F. Lorenzo Ceschioti
Gravisi
F. Bortolo Fanfido
Faulo Freri
Giuseppe Off man
Genaro Fecondo
Martino Smuk
Sebastiano Ant."" Bevilacqua
Antonio Seriau
Cristofolo Verzier
Angelo Valla
Antonio Burlo
Gold Feithres
Val' Cavallar
Giuseppe Franzon
Fietro Stregar
Giacomo Gierolin
Bastian Bandel q,**" Andrea
Gioani CHerolin
Giuseppe Scrigner
Steffano Fepeu
Fabrizio Fedone^ dante
la facoltà al Sg/' Bighettini
D. Ste/" Spollente
Andrea Mianni
Valentino Jdussig
Winkoviz
Domenico Fascotini
Mathias Kandler
Faulo Kandler
Frane. Crisman
Sebastian BUmna
D. Michidi
i&d
Andrea Schopp
Michele Kervina.
Giovanni Supancig
Gerolamo Davanzo
Mattia Vogrina
Giusto Paradiso
Nicolò Ddenejs è impedito
Angelo Antonio Mometti
Io Giuseppe Burdlo
Pietro Caucig
Antonio Gulig
Giuseppe Bussig
Bartolomio Perini
Gaudendo Giorgietta
Giorgio Giorgetta
Antonio Cavalli
Andrea Machlig
Io Giuseppe Bozzini
Tomaso Bozzini
Valentino Bobec
Antonio Miniussi
Giorgio Platner
Antonio Sivez
Baldasar Cartoli
Salvador Zanini
O. G. Scheidtenberg
Q. Michael Scheidtenberg
Dan Antonio Spalar
Francesco Gamòini
Bernardo Greco
Antonio Amarco
Andrea Tercman
Carlo Toppo
CHovanni Burlin
Luca Prassel impotente
D. CHo. Ant. Bosiz
Giuseppe Cesare
Mattia Torzon
Francesco Terin
Andrea Pavinatti
Giacomo Bobech.
Antonio Cergna
Paulo Scamperle
Ss Gius. Salvagni
Bernardo Giorgini
Apesete
Ferdinando Solzer
Giuseppe Bossi
Giuseppe Schagnetti
Andrea JBockoffler
Buddfo Deretti
Giuseppe Garzaner
P, Frane."" Fiorentino
Giuseppe Bolle
Giovanni Caligaris
AndJ" Desella
Tomaso Maranig
Tra i cento e otto sottoscrìtti figurano persone rispetta-
bilissime di quel tempo, una delle quali è senza dubbio Oiorgio
Matner^ negoziante di Borsa, morto nell'età di settantun'anno
I
154
addi 18 ottobre 1782 e sepolto all'esterno del duomo di san Giusto
colla seguente epigrafe:
HONVMENTVM
PBAENOBILIS DOMINI OEOROII PLATNEB
NEGOTCATOBIS AC UEMBBT SPECTABILIS
BVBSAE MERCANTILIS IN LIBEBO POBTV
TEBGE8TIN0 EIV8QVB DE8CENDENTIVM
EBECTVM
DIE XX MEKSIS DECEMBBIS
ANNO MDCCLXXXI
QVI OBIIT ANNO DOMINI MDCCLXXXII
xvin * 8bbis
ABTATIS 7EB0 LXXI DIE XII
Si radunava pertanto la fraterna addi 17 agosto 1766 pre-
sieduta dal vescovo Ferdinando conte Herberstein, ed i confra-
telli presenti in numero di cento e nove promisero di esborsare
quattro mila ducati di lire sei l'uno per incominciare la
fabbrica della chiesa di sant' Antonio. Diamo Tatto relativo: *)
Adi 17: Agosto 1766: Trieste
Intervenuta personalmente Sua Ecclza Rma : Monsig, Vescovo
e Conte di questa Città nella veneranda óhiesa del Rosario ove
ivi presente provisorio modo esiste la Vent^'' Arciconfraternità del
glorioso Sant: Antf de Padova propone V Ecclza Sua à tutti li
fedeliss.-^ Confratelli, che (piando tutti d'accordo promettano di
voller annuahnente conpontìialità contribuire V anmu) ducato di cui
si sono volontariamente agravati nella respettiva congrega, l! Ecclza
sua attesa V offerta che qui viene fatta dagli attuali Sig, Canepari
di voler prontamente esborsare duccati 4000 : di Lire 6 : per una
volta tanto, impegna la stm parola graziosiss.-" che questa Con fra-
tet*na vera incorporata nella nuova Chiesa Teresiana, ove la Con-
frcUema medesima indipendentemente dalla fraterna San Nicolo ò
altre, colle quali mai avrà alcuna conessione ò dipendenza, Sara
erretto à dedicazione del Santo ed in potere della med,'^' ConfrcUer-
nità tanto il Sacro Altare, che V ojyortuno oratorio e sue Sepolture
*) Archivio delV i, r. Luogotenenza di THeste,
155
con tutte quelle prerogative^ jus^ e privilegio, che meglio si deducono
dall'annesso esemplare A; colla chiara dichiarazione che mai ne
inver un tempo, o per qualunque motivo li Sig.i Canepari presenti
ò successori vincolar potranno li respetivi Confratelli ad^ alcuna che
si volesse doverosa contribuzione, onde estìnguere Vantedetto Capitale
pecuniario di duccati 4000: in libertà bensi li medesimi, di rivogliei'si
alla respettiva zelante carità de medemi, giacJie senza altro consta ad
ogni uno essere afatto esausta di alcun fondo per un tale rilevante
dispendio; esortati perciò quelli confratelli che annuessero à si pia
e vantaggiosa proposizione V approvarla colla propria firma o altro
legitimo segno.
Don Gìot: Ant Bosix Cancell.^
Antonio Bighettini
Andrea P. Lossi
Andrea Mrani
Antonio Miniussi
Felice Moréli
Qio: Ant. Bosiz
Giuseppe Bosiz
Domenico Pascotin
AngéUo Mometti
Pietro Strager
Nicoleto Peazza
Zuane Targa
Carlo Toppo
Bernardino CJbn/* De
D. Valentino Cesare
Giacomo Oierolin
Paulo Frerri
Ginsepe Ofman
Michele Marianni
Frane.'' FioretUin
CHwto Paradiso
Frane,'' Zupancich
D.*" Franca Caris
Carlo Cerpi
Tomaso Bozzini
Cap.'* Cristofolo Nowlone
Zuanne Parolin
Gio. Batta Bonchi
Aldrago Ant.'' de Piccardi
Ca/' Diocr
Gravisi CHuseppe
Cristofolo Verzier
PauU Kandler
Mathias Kandler
Bddassar Caroli
Wechj Nicola Pericoli
Giuseppe Cargasachi
And." Hochkofler
Giorgio Platner
Giuseppe Platner
Giacomo Moro
Giovanni Ant. Weschd
Andrea Schopp
Antonio Marinz
1B6
Angdo Cestari
Girolamo d' Awanzo
Giuseppe Tosti
Budolfo Derali
Salvator Zanini
Andrea Tercman
Pietro Caudg
Paulo Scanperle
Lion Maria Alesandri
Andrea Anderlig
Martin Smuc
D.- -B." Bortolomeo Perini^
CHuseppe Burela
Antonio Lulig
Bortolo Panfido
Paulo Madig
Giovani Burlin
Valentin Cesare
Tomaso Maronig
Giusepe Garmner
Antonio Salmi
Filippo BubeUi
Fran.''^ Gambini
D." Antonio Cergna affermo
U tìMo qJ*" fu proposto
Giac.**''' Frisano
Gio. Giorgio Jercdla
Pad. Antonio Gallina
Pad. CHuseppe Gallina
Frane.''' Pascolato
Gap. Malio Corona
Giuseppe Boaini
Franta Mathias Shinkowitz
Giorgio Michidi
Bernardo Giorgina
Bernardo Greco
Domenico Giussani.
Carlo Martini
Giuseppe Maurizio
Francesco Maurizio
Girolamo Bonamente
Gioanni Pedecastelli
Ignazio Kreitter
Gregorio Domicplli
Lucca Prassd
Tomaso Both
Michiel Ogren
Gaetano Gambini
Ciac:'" Gentile
Antonio Tram
Giani Vram
Giuseppe Rossi
Giuseppe Franzon
Michd Condoto
Antonio Burlo
Mattio Ogren
Gius/" BiedmUìer
Giuseppe Aloy
Lorenzo Ceschioti
Angelo Vaila
Don Antonio Spalar
D/ Nicolò de Giuliani
Nicolo Nejdiser
Leopoldo FrJ" Sav. Possinger
Franf'' Bupnigh
Ignazio Cesare
Mattia MUlengh
m
Mancava ancora l'approvazione cesarea. E questa ebbe
anche la fraterna coi seguenti rescritti, in data, Vienna 24 di-
cembre 1767 e Trieste 9 gennaio 1768, coni quali Timperatrice
Maria Teresa assegnava alla fraterna il fondo e quattro mila
fiorini, riservando però a sé e ai successori il patronato:^)
Von der Rómisch Kaiserlichen zu Geìtnanien, Hungarn nnd
Bolieim Konigì, Aposfol, May. Erzherzogin zu Oesterreich, Unserev
allet^gnàdigsten Frauen wegen, Devo Coniniercial'Hauht'Intendenza
in dem gesammten Oesterreich. Litorali in Chnaden anzuzeigen: Obzwar
die Umstande der zu Triest errichteien Bruderschaft des heil Antonii
itnbekannt, und mit dem Berichte vom 5, dieses ausgéhenden Mo-
nats und Jahrs nicht erlàuteret worden sind; so werde dock die Zu-
versiclU geheget, dass deren Stand und Stiftung auf eben so erbau-
lichen Orund — Sàzen und Abzielungen beruhej als rUhmlich und
heilsam der Antrag ist in der neuen Stadt eine ehristkatholische
Kirche an dem ausgewiesenen als auch dazu gang heilsamen Flaze
meistentheils auf Unkòsten gedaehter Bruderschaft aufzubauen.
Solchemnach werden auch die eingeschickte hier anscìdiìssig
zurnckfolgende Risse dieses Gebàudes (obzwar die àusserliche Theile
und in Sonderheit das so starseitige hóhe Portai mit der innerlicJien
8tì*uktur und mit der nach neuester Bau-Art angetragenen Orund-
Risse nicht eine gleichmàssige moderne Oestalt haben) allenfalls
beangenehmet ] und walte kein Bedenken 6b^ die von Ihro Kays.
Kdnigl. Apost, May. dagu allermildest beygetragenen 4000 fi. der
benannten Bruderschaft (von deren Wesenheit jedoch die eigen-
tlichere Auskunft zu erstatten seyn wird) anzuvertrauen und verab-
folgen eu lassen ohne dass cdlerhòchst diesdben darOber noch sonst
Uber diesen ganzen Kirchenbau einige Rechnung »u forderen geden-
ckenj jedodì fUr das Kilnftige siali diejenige Einsicht vorbehalten,
welche Dero Landesfurstlichen Ober Herrschaft itbeì' alle Kirchen^
geistliche OiUer und milde Stiftungen Iure Advocatiae iiberhaubt
obliege oder Iure Patronatus in Sonderheit gebUre: Wie dann
aXlerhShst gedacht Ihro May. Sidi dieses lefztere lus Patronatus zu
der in der Theresia Stadt neu erbauet werdenden Kirche ausdrilch"
lich aucli vorbehalten, dergestalt, dass weder dei* llerr Biscliof zu
*J Archivio (lelV t. r. Lnoyoten^ìixa di Ttnesfe.
Triest, noeh die Si. Antoni Bruderschaft daselbst, oder icer es sey,
8ich de9sen anmassen Konne und woUe.
Welckes 8i€ Intendenza Ihm Herrn Bischofen sowohl als der
Brudersehqfì nebst dem àUeì'gnddigsten WMgefallen Uber der eintmd
andermtigen Eifer fUr die Andaeht und Ehre Oottes^ zu erinnem,
zu seinet' Zeit aber auch die BesteUnng der Seélen-Sarge den Bedackt
ZH n^men und den weiteren Vorschlag zu machen haben mrd.
Es verbleiben Obrigens ob aìlerhdchst gedaeht Ihre May. mit
Kays. Konigl. und Ei'zherzogl, Onaden derselben uxMgewogen,
Decretum per Sacram Caesareo Regiam Apo9tolicam Maiestatem
in ConMio Supì-emo Camtnerciàli aulico Viennae die 24J^ Mensis
Deceììibris anno millesimo septingentesimo seocagesimo septimo.
CHOTEK
FrauE TOH Mogind.
Foris: An die Intendenza der von der dortigen Jjitoni-J3rM-
dersehaft angetragenen neuen Kirchetibau in der Theì^esia-Stadt (hi.
Foris : An die Kays. Kónigl. Comniercial-Haubt — Intendenza
in dem gesamtetn Oesteì'reich. Litorali Triest.
Alla Venerabile Confraternita di S. Antonio.
Sua 8. Oen}* Beg.^ BigJ" Mstà Con Rescritto di 2i. Xbre
ultimamente passato ha Cletnentissimamente acconsentito^ che nd
Luogo BcieUo in faccia al Canale grande possa fabriearai V ideata
chiesa Catolica^ detta quale la veneràbile Confraternita di S. Ant.*"
ha voluto assumersi V Impegno^ accordando graziosamente^ che li
4000 f destinati a tale feerica dal suo Sovrano Erario passino
essere Contati a quella persona, che dalla Confraternità sarà auto-
rizata al Ricevimento subito, che sarà dato Mano alVopera, e ne
saranno visibili li Progressi, senza, che Sua Mstà pensi di obbli-
garla a qualche Rendimento di Conto, in Considerazione che la
pietà, e zelo lodevole di essa Confraternita, per V onor di Dio, del
quale sua Maestà ha sentito Con sovrano gradimento i plausibili
Contrasegni, si sottopose allo stabilimento intero della detta santa
fabrica secondo il Disegno qui Compiegato che ha riportato nel-
V istesso tempo V appi^ovazione della Clementissima sovrana, che nofi
si riserva altro intomo aUa chiesa da fabricarsi, che il Jus di
Patronato e d' Avocazia competente al somo Prencipe sopra tutti li
ir,9
Èeni ecdesiastici e delle chiese, non meno che ttUle le fondazioni pie
in tutti li suoi Stati.
Saprà perciò la venerabile Confraternita di prendere le neces-
sarie Misure per Dar Principio al predetto pio Intento, insinuandosi
appresso il sg:'^ Direttore delle fahrichCy il quale già (^ istruifto di
assegnarli il sito destinato.
Trieste li 9. gen:' 17(18.
Bnuber.
Avuto il debito permesso si pensò di dar mano alla fab-
brica della chiesa, che potè esser ultimata dalla confratema nel
1769 con im mutuo di 17,059 fiorini, dato dai confratelli Antonio
Bighettini e Hochkofler.') Ciò lo attesta la seguente leggenda
scolpita in lapide di forma ovale, un tempo sopra la porta
d'ingresso, ora gettata nel campanile a mano destra della chiesa
moderna di St. Antonio nuovo fra le macerie :
IN HONOREM DIVI ANTONII
CONFBATERNITAS
UECENS ERECTA
PVNDAVIT 1769
La chiesa stessa, sebbene non avesse in sul principio che
compiuta la facciata, era tenuta pulitamente nell'interno. Era
provvista di sacri arredi e di non poca argenteria, la quale
all' atto della soppressione veniva stimata dal perito Mattia
Kandler con 1137 fiorini e 57 carantani, *) cosi che nel 1809
temendosi un'invasione da parte dei Francesi, per ordine del
governo venne consegnata e trasportata nell'Ungheria.') Pos-
sedeva fra le altre cose un stupendo ostensorio, che le fu rubato
da mano ignota addi 24 febbraio 1778 e sostituito con un altro,
lavoro del nostro argentiere F. I. Pillein, il quale oggidì ancora
*) Archivio dell' ì, v. Luogotenenza di Trieste.
*) Detto.
*) Don Giuseppe Mainati. Op, e, voi. V., pag. 306.
160
conservato nella chiesa di St. Antonio nuovo, ha attorno il
suo piedestallo la leggenda:
XXIV • febbVarII • saCeILegVb ' abstVLTt.
fIDeLIVM • rebtItVIt • pIetas.
Nella chiesa la fraterna teneva con grande concorso di
fedeli la novena in onore del santo Taumaturgo. H libro rela-
tivo di preghiere, un bel manoscritto, alto 19, largo 14 centi-
metri, ') conservato neUa sacrestia odierna di S. Antonio
nuovo porta il titolo : Em-cizio / di devozione / in onore di / 8. An-
tonio/di Pàdova /da praticarsi dalli confratdli delia /ven. scuola
del detto santo ne / tredici giorni che precedono / la mgilia dd mede-
simo! cioè dalli 21 maggio sino li 12 giugno j descrito per via di
Antonio Montanèlli il anno 1769, ed ha a tergo la nota autografa:
die 8 fnaji 1771 vidit et approb. qiioad cath. relig. /. Felix Givo
iìiq. genlis s, S. Utin et Concordiae. Die 10 maji 1771 visis impri-
mantur Vid, Prel
Oltre di queste due fraterne i padri governavano anche
la fraterna di S. Bernardino. Sappiamo, che la chiesetta di
8. Bernardino con annessa casa ed orto, di antichissima
origine, confinava colle vie odierne di S. Giorgio^ dei Santi
Martiri e del Lazzaretto vecchio. Edificata dalla fraterna sud-
detta, la quale era presso i nostri Minoriti prima del 1510 e
perdurava ancora nel 1631, era officiata già nel 1324 dai frati
Crocigeri, i quali venuti a Trieste aprivano attiguo a questa
uno spedale per gli uomini. Col volgere del tempo, perchè di
costumi dissoluti, l'ordine ad istanza del doge veneto Giovanni
Correr fri bandito dagli stati della repubblica, e dall* impero ger-
manico nel 1624, e soppresso nel 1656 da papa Alessandro VII.
Venuti poi ad istanza del vescovo nostro fra Rinaldo Scarlichlo
i frati Benefratelli ed assunta dal padre Mattia Mercenario
addi 13 febbraio 1625 la cura e l'amministrazione dello spedale^
cessava la fraterna, passando S. Bernardino in potere dell'or-
dine de' Fatebenefratelli.
^) Di pagine 82. — Fa stampato in parte col titolo : Novena in ap-
parecchio alla festa del glonoso taumaturgo sant'Antonio di Padova che si
celebra nella chiesa parrochiale sani' Antonio nuovo di Trieste, Capodistria
1890, in 16«, pag. 24.
161
Benevisì erano del resto i nostri padri Minoriti e alla
nobiltà nostra e ai cittadini. Assidui nel confessionale e nella
predicazione, erano del tutto dediti allo studio. Alcuni di loro
valenti musici, erano organisti nella chiesa di S. Pietro o nel
duomo ; ^) non pochi furono stipendiati del Comune come pre*
dicatori per P avvento e pella quaresima nel duomo o in
S. Silvestro. E se in queste mansioni sempre si distinsero,
devono ancor di più esser encomiati per aver aperto nella
nostra città una pubblica scuola, frequentata non solo dai
patrizi, ma eziandio dai plebei, anche dopo che il nostro
Comune stipendiava pubblico precettore. *) Non isdegnavano
i padri guardiani e gli altri religiosi d'istruire la gioventù
triestina nelle materie umanistiche e nelle realistiche. Sappiamo
anzi che davano istruzione negli esercizi cavallereschi, vietati
poi nel 1560 dall' imperatore Ferdinando I. Animati da vero
spirito di cristiana carità, esortati dai loro ministri generali e
provinciali, sussidiati dal nostro Comune e le spesse volte
beneficati dagli imperatori^ i frati continuarono a tener scuola
anche dopo la venuta dei gesuiti nella nostra città fino
ali* epoca di loro soppressione. E quanti dei nostri antenati
non dovevano a loro la propria educazione! Sarebbe troppo
lungo l'enumerarli tutti. Ci basti l'osservare che quasi tutti i
nostri oratori alla corte cesarea erano scolari del convento di
S. Francesco. *)
') Vedi: Attilio Hortis. Delle rappresentazioni sceniche in Trieste
prima del teatro di san Pietro (neW Archeografo Triestino^ Trieste 1881-1882
voi. Ili, pag. 144 seg.).
*) Vedi: VAxistriade di Rocco Bonii ecc., pag. XXX seg. —Dr. Petru s
Tomasin, Das k. k. Staats-Oher-Oynmasium in Triest, Triest 1892, pa-
gina I seg. — Giovannina Bandelli. Op, e, pagina 246 seg. ^
Dr. Domenico de Rossetti. Cose memorabili della società di Qesà in
Trieste; diplomi inediti per la storia de* Gesuiti in Trieste (xi^\)^ Archeografo
TVres^'iio, voi. £1, pag 218, 241 seg.) — Dr. Petrus Tomasln. Op. e, pa-
gina 1 seg.
") Dr. Pietro Kandler, Raccolta delle leggi, ordinanze e regola-
menti speciali per Trieste^ Trieste 1861, (puntata; U Archivio diphmatieo.
pag. 20 seg.).
*) L'Istria, voi. II, pag. 89 seg.
162
CAPITOLO III.
Primo Tmber, predicatore tedesco e sloveno nella chiesa dei nostri
frati Minori — Sforai d4ntrodnn*e V eresia luterana nel Goriziano, nel-
r Istria e in Trieste — Ordinanze in proposito dei sovrani d*Aii»tris
per la nostra città.
A quanto racconta il dottor Pietro Eandler^ i nostri Mino-
riti incominciando dal secolo decimosesto^ annunziavano talvolta
la parola di Dio, ricorrendo qualche straordinaria festività, anche
neir idioma slavo per quei pochi villici che allora calavano nella
nostra città; uso peraltro che ebbe breve durata.*) Ignari della
lingua slovena, stipendiavano a tal uopo per alcuni giorni qualche
sacerdote secolare della Carniola a fungere tale mansione. Cosi
ci vien dato a sapere, che ultimo dei predicatori sloveni in S.
Francesco si fu il famigerato sacerdote camiolico Primo Tmber.
Costui nacque a RaSice, sei ore distante da Lubiana nel
1506, studiò a Fiume^ poi a Salisburgo e a Vienna, e fu carissimo
come studente e come sacerdote al vescovo nostro Pietro Bonomo
e al decano capitolare Leonardo Bonomo. Le sue mansioni in
cura d' anime come sacerdote ce le indica egli stesso scrivendo :
Primus Truber gewesener ordenilidh berufen, praesentirt und con-
firmierier Dcmherr zu Laibach, Pfarrer zu Lack lei Ratschach,
jsu Tyfer und Si. Barthólomae Féld, Caplan bei 8t. Maximilian
gu Cittìfj windischer Frediger eu Triest und nach der ersten Ver-
folgung Frediger mu Rotehburg an der Tauòer, P/arrer zu Kempten
und Aurach^ nachmals Frediger der ehrsamen Landschaft in Krain
und in der Orafschaft Oorz und nach der andern Verfolgung
Ffarrer zu Laufen und jetzund zu Derendingen bei Tnbingen. ^)
A tenore di questa sua testimonianza fa egli predicatore
sloveno a Trieste, e propriamente nella chiesa di sant'Antonio
vecchio, e fu a Trieste che incominciò a diventar uno dei più
accaniti partitanti della riforma. Bifuggiatosi in Germania, diede
') W. Valvassor, Op, e, voL II, pag. 345 seg. — Carlo deFran-
ceschi. V Istria^ note storiche, Parenzo 1879. pag. 29U seg. — Dr. P. To-
rnasi n. Die Volksstàmme im Oébiete von Triest und Istrien. Triest 1890.
pag. 51 seg.
') Val vassoi-, voi I, pag. 345 seg.
163
alle stampe circa venti opere; per la maggior parte ver-
sioni e parafrasi slovene della Sacra Scrittura.^)
In questo lavoro fu coadiuvato gran parte da Pietro Paolo
Vergerlo già vescovo di Capodistria, da Mattia Francovich-
Ylacicli o Mattia Flaccio Illirico da Albona, da Stefano Consul
da Pingnente parroco di Krainburg, da Giorgio lurisich da
Castua parroco di Oberburg, da Giorgio Sfecich e da Gregorio
Stradiot parrochi sul Carso, da Giorgio Dalmatino o Kobila e
da Matteo Zivcich vicario di Pisino.
Fu il primo a stampare libri luterani in lingua slava con
caratteri latini essendo nominato pastore a Kempten e a Aurach,
cioè il nuovo testamento ed i salmi e il catechismo di Martino
Lutero nel 1553, poi la confessione augustana, la formola della
concordia e la postilla di Lutero. Bichiamato dalla Dieta a
Lubiana nel 1561; fu pastore luterano a Lubiana e a Bubbia
presso Gorizia, '^)
Moriva Truber a Vittemberga addi, 28 giugno 1586 nel-
r età di settanta otto anni e fu quivi sepolto coli* epitafio
seguente composto dal filologo slavo Crusius:
VIR TVHVLO HOC SÀNGTVS DE SLAVA EST GENTE SKPVLTVS
PBIMYS QVI CUAISTI PSAECO FIDEUS ERAT
TBAMSTVLIT IN PATBIAM DIVINA VOLVMINA LINGVAM
SPARSIT IN EOAS D06MATA SANCTA PLV&AS
Correvano peraltro allora tempi tristissimi per la chiesa
cattolica. Fin oltre la metà del secolo decimosesto dovea dessa
combattere con Lutero, Calvino, Zwingli, Melancbton e con
gli altri novatori^), i quali usando anche mezzi non leciti e
valendosi della menzogna^ ad ogni costo volevano scuoterla
ne^ suoi fondamenti e ne' suoi dogmi. Perse alla vera fede gran
') Vedi: "W. Valvassor, Op. e, voi. U, pag. 346 seg.
) A. Venetianer, Die evangdUch reformirte Kirche Cristo Salva-
tore, Triest und Leipzig, 1887.
*) Carlo Morelli de Schoenf eld, Op. e, voi. I, pag. 245 seg. ;
voL li, pag. 286 seg.; lohanu Weichard Valvassor, Op. e, voi, IV,
1. 12, pag. 104 seg.; A. Venetianer, Op, e.
164
parte della Germauia, la Scaudinavia, la Danimarca, TOlaiida,
la Svizzera, alcuni paesi della Francia, l' Inghilterra e la Scozia:
i cosidetti riformatori volevano guadagnare terreno anche nella
Camiolia, nell' Istria e in Trieste. E la riforma religiosa^ come
scrive il dotto nostro comprovinciale Carlo de Franceschi, ^}
inigiata da Martino Lutero^ rapidamente propagatasi in Oertnania
per V appoggio onde gli erano larghi parecchi principi tedeschi,
veniva minacciosamente dilatandosi alla metà dd secolo decimosesto
anche nétte provineie tedesche dell* Austria^ dove trovava (aderenti
specialmente fra la nobiltà e i cittadini piti ricchi e colti, che
andavano ad ertulirsi alle università della Germania, divenute
ardenti focolari del protestantismo Gli stati provinciali (eorpora-
aione nobile) della CarnicHa^ paese limitrofo àlV Istria, aperta-
mente parteggiavano pei nuovi principi religiosi^ e ne favorivano
di fronte al governo arciducale la diffusione^ la quale seguiva
mediante indigeni sacerdoti che^ abbracciatili^ con fervore U veni--
vano spargendo fra il popolo dapprima cautamente^ facendosene
poi banditori a visiera oleata; oltreché anche da altre provinole
accorrevano gelanti predicatori luterani.
Non deve recar sorpresa che la nuova dottrina trovasse non
pochi ed ardenti seguaci fra il basso clero, in particolarità delle
campagne^ essepidochè accordava loro il matrimoniOj che di fatti vediamo
dai jpiù éP essi prontamente abbracciato^ e li liberava daUa podestà
dei vescovi. H popolo vedeva volentieri che i curati di campagna
sposassero le loro econome, da esso riguardate come concubine, ed
amministrassero V eucaristia sotto ambe le specie come V ì^ovano i
preti^ ed accettava una religione che lo dispensava da pratiche
credute moleste, e pretendeva togliere gV insinuatisi abusi. Gli è
certo che una riforma religiosa in nessun modo si effettua più
facilmente, che se viene bandita, in ispecialità al basso popolo, dai
propri pastori ecclesiastici.
I grandi progressi pertanto che il protestantismo faceoa nelle
città e nétte campagne dette provineie austriache e minacciava i fini-
timi paesi italiani, turbavano Roma ed i principi; laonde la curia ro-
mana ed i governi opposero energiche misure alla pericolosa corrente.
*)C. De Franceschi, L* Istria, note staricke, Parenzo 1879, pa-
gina 290 seg.
165
Roma s' accordava coi principi per V attivoMione della Santa
Inquisizione conlro gii ereiici. La rymbbliea di VenoMia vi si
determinò dopo molte tergiversazioni^ ma volle che nei processi
intervenissero sempre i suoi rappresentanti secolari^ e le sentenze
dovevcmo essere rivedute e confermate, prima della pubblicaffUme^
dql Consiglio dei X La saggia Venezia voleva frenare il sover^
éhio Melo ed eventuale fanatismo degV inquisitori^ e raccomandava
mitezaa nelle pene; sicché rarissimi furono i casi di condanne a
morie, che altrove abbondavano.
QV inquisitori per V Istria avevano da prima la loro sede a
Capodistria, nd 1582 troviamo V ufficio della Santa Inquisizione
stabilito a Isolaj essendoché nel 1570 la dottrina cattdiea era già
interamente ripristinata a (Japodistria.
L'arciduca Ferdinando chiedeva nel 1598 parere al principe^
vescovo di Lavant e governatore di Qra$^ StobeOj se nelV Austria
inferiore s' abbia a introdurre Vinquisiaione, hispondeva il vescovo^
esswe troppo diffaso il protestantismo nelle provincie di Stiria,
Carinzia e Camiola per attivarla oon successo e senza pericolo
ohe però nelle parti italiane, cioè nella contea di Gorizia, Ora-
dìsoa, Tolmino, Fiume, Trieste, Idria, Aquileia ed altri territori
al mare Adriatico, dove V eresia non era ancora penetrata, l'in-
qnisizione poteva riuscire utile a prevenirla.
Difatti tanto neW Istria versta che nèlV austriaca U prote-
stantismo non aveva preso radice ; pochi ed isolati vi troviamo gli
aperti aderenti^ ma non poche erano le persone nelle classi iUu-
minate^ che offrirono alla sospettosa e vigile inquisizione argomento
ad aprire processi.
Il eav. Tomaso Luciani trovò nell'Archivio generale di Venezia
110 processi istituiti in Istria dal 1548 sino al 1591 per titolo di
protestantismoj g ve ne figurano tra essi parecchi per bestemmie
ereticali^ per cibi e libri proibiti ; piti tardi (sino al 1700) ce ne
sono di altri, in cui si trattava di arti magiche e stregherie^ allora
venute in voga nella credenga universale.
Non conosciamo sinora Vesito di codesti processi. Fra i mede"
anni non è compreso quello che riguarda Baldo Lupatini o Lupetina
éU ^honaj provinciale dei Minori conventuali in Venesia^ H quale per
iiicìo di protestantismo restò venti anni sostenuto in carcere e poi
annegato. Era costui parente di Matteo Francovich- Vlacieh {chiamato
166
poi Flaecius Illyrieus) pure di Albona, nato nel 1520 da madre
della famiglia Luciani. Studiate con molto profitto le belle leUere
in patria sotto U maestro Francesco Ascerio, milanese ed uomo
dottissimo^ passò a VencMia per applicarsi aUa teologia^ ma per
suggerimento del Lupatini andò a cantinuare gli studi a Basilea
in SvieBcra, ove fioriva il protestantismo^ che presto abbracciò, di
là passando in Oermania^ dove nel 1575 cessò di vivere. Uomo di
grande ingegno e vasta dottrina, scrisse molte opere teologiche; di
carotiere turbido ed ostinato^ di temperamento impetuoso, ebbe con-
troversie acerrime anche coi suoi correligionari.
La sua opera piit ceUbre sono le Centnriae MagdebnrgenseSf
specie di storia ecdesiastica.
Se il Piaccio abbracciò di sua volontà il luteranismo, altro
grande ingegno, Pietro Paolo Vergerio di Gapodistria, vi fu spinto
da malevoli avversari, Insigt^ giureconsulto a Venezia, fattosi poi
prete, fu pei suoi talenti e destreega adoperato dai papi Clemente VII
(1532) e Paolo III (1534 e 1535) in qualità di nuneio a Vienna e
presso i principi ddla Germania, per appianare le controversie con
Lulero, Nel 1536 venne eletto vescovo di Modrussa in Croagia^ ma
ancor nello stesso anno trasferito aXla sede di Capodistria. Anche
negli anni seguenti sino al 1542 venne impiegato in parecchie
importanti missioni politieo-ecdesiastiche. Volendo egli però togliere
alcuni abusi e superstigioni vigenti nella sua diocesi, si aiUrò
V avvetsiof^ dei frati Moccolanti e di alcuni influenti suoi concU^
ladini, fra cui primeggiavano V inquisitore Orisoni ed U celebre
letterato Girolamo Music, uomo ambisioso^ ptMsionato dire modo
e fanatico in religione, sebbene per nuUa specchiato in costuma-
tegga; onde fatto segno al loro odio e persecugioni, e scrutando
essi malignamente tutti i sturi atti e ogni parola, che s*affaticavano
di mostrare intinti di liUeranismo, venne accufflto, inquisito e
sospeso dal suo officio episcopale (1549); ma mentre cercavasi di
arrestarlo fuggì in Svizgera, poi in Germania, dove abbracciò
apertamente la religione luterana, e pieno d*ira scrisse e operò,
finché ebbe vita, contro la chiesa cattolica.
Giambattista Vergerio, di lui fratello, vescovo di Pola, morto
net 1548 a Capodistria prima che Pietro Paolo fosse posto ad
inquisigione, venne otto anni jpm tardi per le insistenti agitagioni
dei nemici di quest^ ultimo e specialmente ddf implacabile Jtùtmo,
167
dissoUerraio e gettato in mare, solo perchè il fratello^ divenuto
proiestanie^ assicurava esserlo stato pure esso CHambattista, Brutti
ten^i erano quelli e pericolosi specialmente pei non pochi amici di
P. P. VergeriOy perciò solo sospetti^ vigilati^ molestati^ sicché Otto-
nieUo Vida da Capodistria, CHambattista Ooina da Tirano ed
altri dottissimi uomini trovarono consulto di allontanarsi per quah
che tempo dalla patria. ^
Stefano Console prete da Pinguente^ resosi protestante e presa
moglie, fuggi nella Camiola ; colà riparò pure Giorgio luricich
prete da Castua, dopo ammogliatosi^ poiché essendo soggetto al
vescovo di Fola, et sapeva^ che questi^ se anche non poteva colpirlo
còlla Santa Inquisigione, perché suddito austriaco^ pure non man-
eavangli megei di perseguitarlo cól braccio secolare. Vediamo
di/atti che nel 1579 il vescovo di Pola^ Claudio Sogomeno, ricer-
cava daW arciduca Carlo Varreste dei predicatori protestanti , i
quali venissero cdti sulle terre della sua diocesi poste nella contea
d^ Istria; e ndVanno stesso il capitanio di Fiume^ Leonardo Atte-
miSi ebbe ordine di carcerare i predicatori protestanti delV Istria e
del Carso.
Nètta contea di PisitM il protestantisfno non faceva progressi
come nella vicina Camicia, e le conversioni erano isolate, o forse
per prudenza più occuUe, perchè gtfì, siccome in provincia piccola
e lontana^ U governo arciducale operava con meno riguardi^ e
puniva col bando ed altre pene chi facesse pubblica professione di
quella fede. NdV Aprile 1575 Esechia Krafthojfer (o Croàhoffer) e
Orisioforo Klee di Pisino producevano laynat^a alla provincia
della Camiola^ da cui amministrativamente dipendea la Contea,
che U luogotenente ossia amministratore della medesima (era Nicolò
Arardi) loro impose alternativa o di farsi cattolici, o di abbar^nare
la Contea entro sei settimane. Krafthoffer, essendo nobile^ chiese fin"
fervesione degli Stati di cui egli faceva parte, i quali diftUti déH-
iterarono di rivolgersi al conte Giorgio HervenkOller, che era
eapUanio della Contea (possedendola a titolo di pegno per un
capitale mutuato nelV anno precedente aW Arciduca), e professio-
nava la religione protestante.
Pietro Paolo Vergerio era stato chiamato dal duca Cristiano
di WUrtemberg a Tubinga per tradurre in italiano la confessione
viriemberghese ed il catechismo^ aWuopo di diffonderli in Italia.
168
Vergerlo immaginò allora la traduzione di libri protestanti anche
in lingua slava ^ per disseminare con questo meggo pm facUmemtt
il protestantismo fra le popolagioni di quella schiatta. Cercastdo
uomini a ciò addatti, gittò gli occhi su Primo Truber, prete car-
niolicOj che con calore aveva aderito alla riforma e predicava a
Lubiana ed in altri luoghi ove era stato parroco^ levando fama
di sé. Egli intraprese la traduzione in lingua slovena della Bibbia
e di altre pubblicazioni y in che ebbe poi coadiutore il sunnominato
Giorgio luricich da Castua. Le traduzioni in lingua croata furono
assunte dal pinguentino Stefano Consóle e da Antonio Dalmata e
qualche altro, tra cui era il fattosi protestante prete Giorgio Zue-
deh (Sfeeichy che sembra nato sul Carso, a collaborarvi s'erano
offerti anche il vicario di Pisino Matteo Zivdchj ed il prete di
Gallignana Francesco Chj, però rimanendo in patria, non potendo
essi abbandonarla.
Il dì 1^ Gennaio 1563 vennero a Pisino i suddetti Console
e Sfecirh e conchiusero coi preti Fabiani e Zivcich in Pisino e
Claj in Gaìlignana un contratto, con cui si assunsero la revisione
e correzione delle traduzioni eseguite in lingua croata^ che essi piò
tardi dichiararono esatte, Francesco Barbo dei signori di Cosliaeo^
capitanio di Fiume, dimostrò \grande interesse per queste iraàu^
zioni, impegnandosi di promuovere lo spaccio delle stampate.
Sembra senz' altro che il sopra rammentato vicfirio di Pisino
Matteo Zivcich si facesse poi protestante, poiché troviamo U suo
nome fra i predicatori luterani stabiliti dagli Stati della Camicia
in varie regioni della provincia. Egli e Gregorio Stradiòt appa-
riscono predicatori nel Carso (lo Zivcich già nel 1569), e lo Sfedch
nel 1575 aveva la sua sede a Senosechia, luogo pure del Carso.
n vescovo di Pela nel 1579 insisteva presso il capitanio di
Fiume di mettere le mani addosso allo Zivcich; alV opposto gV
Stati della Camicia deliberarono che si lo lasci passare.
La venuta libera e senza riguardi dei notori protestanti Ste-
fano Console e Giorgio Sfecich a Pisino, ed il contratto conchiuso
coi Fabiani, Zivcich e Claj, per la revisione dette loro traduzioni
slave, mostra che nétta Contea i principi della riforma, cui aderì-
vano parecchi nobili, trovavano simpatia fra U clero, le quali però
furono a tempo soffocate dal governo con espulsioni, arresti^ multe
e sequestri di beni. Con questi mezzi e con quatti, non meno temuH,
169
impiegati dalla Santa Inquismone neW Istria veneta^ la provincia
andò esente dalle agitasioni religiose, che lungamente turbarono le
vicine Provincie austriache.
A Trieste il protestantismo non potè gettare saldi radici.
L* atto seguente che si conserva nel nostro civico Archivio
diplomatico, ci assicura che, addi 14 giugno 1523 il vicecapi-
tano cesareo della nostra città, Sigismondo dottor Lallo, vietava
in nome dell'arciduca Ferdinando qualsiasi libro di Martino
Lutero :
Per parte et special comissione del sp. messer Sigismondo
LaUo doctor in utroque^ vice capitaneo de la cita de Trieste et
spet, s. iudiei et in executione de li generali mandati et lettere del
serenissimo, inclito s. s. Ferdinando per la Dio gratta P. et infante
de le Spagne, arciduca d' Austria^ duca di Borgogna etc. signor
nostro clementissimo comandemo, che atteso li edicti et generali
mandati facti si per el santissimo padre de felice recordatione
papa Leone decimo, che per la cesarea catholica maestà etc. sei se
ritrovasse qualche libro facto per frate Martino Luter de V ordine
de S.Augustino o de qualche suo discipulo o seguace, debia tal
libri et sue scripture già date fora o che se desseno in futuro de
che sorte et condition voglia esser che in termine de 3 Borni li
debia a haver presentadi al regimento de questa cita a aio se possa
exequir quello che comanda et vole la Serenità del prefato serenis-
simo P. arciduca d' Austria etc. per che sono maledetti et reprobati
comandando a chadauna persona de che condition la se sia che
sopiesse o cognossessr de tali libri o scripture, che subito et incon-
tinente li voglia notificare al prefacto regimento de Trieste et questo
soto pena de la disgratia et gravissimo ccistigo del prefato serenis-
Simo P. Signor nostro.
1523, indictione decima, die vero dominico 14 iunii etc. prò-
^amavU etc.
Sembra però che di tali libri importati dai novatori ne
fossero in Trieste anche oltre la metà del secolo decimosesto.
Un documento dei 16 settembre 1666, conservato nell'ar-
chìvio della famiglia Bapicio di Pisino c'informa, come l'arciduca
Carlo chiedesse al vescovo nostro Andrea dottor Bapicio notizie
170
sui novatori che dioeva essere a Trieste, intendendo di casti-
garli severamente:
CaroIttS; Dei gratta archidux Austriae, dux Burgundiae eie,
Comes Tirolis etc.
Venerabilis, devote, fidelis, nobis dilecte.
Quandoquidem nuper apud nos per litteras conqitesti fueritis^
esse certas personas in hac civitaiey qtuze venenosissimas haereses
secrete disseminent et alias quoque cum scandalo omnium honorum
vivant^ coetus et eonventicula faventes, in qutbus de fide nostra
Christiana impie edisseratur, eaque res nobis eiusmodi esse videcUur^
ut matura animadversione maxime opus habecU. Idcirco clementer
vos requirimus, ut eas ipsas personas, quae eo insaniae proìapsae
sunt, una cum opinionibus, quas disseminante in specie nobis signi-
ficetis, quo tandem ti, quod nobis ex usu rei esse videbitur, stcUuere
possimus: clementem in eo exeeuturi nostram voluntatem,
Datae in catttria nostris apud vadum Malinzgi vocatum, positU XV
aeptembris anno Domini etc, LXVL
CAB0LU8.
Ad mandaium domini archiduc proprium
Oa^par Breynner.
E questi furono gli ultimi sforzi degli eretici nella nostra
città. Si dileguarono del tutto, e perchè il loro antesignano era
Primo Truber, dopo breve durata, cessò anche la predicazione
slovena nella chiesa dei nostri Minoriti.
CAPITOLO IV.
Il ters' Ordine Francescano. ^ Le Piicoohere o le Terilarie France-
scane della Cella vecchia. — Le Clarisse.
Il desiderio di non poche donzelle, anche di nobile casato,
manifestatosi nei primi secoli della chiesa, di vivere ritirate dal
mondo consacrandosi del tutto al Signore^ come altrove, si
riscontra anche nella nostra Trieste. Difatti l' Archivio generale
veneto ci ofifre un documento molto interessante, rogato debi-
tamente a Trieste addi 26 Aprile 847, in vigor del quale Maria
monaca o ancella di Dio legava a Lupone, abbate di Sesto, nella
diocesi di Concordia; cinquantacinque corbe di olive. Lo tra*
scriviamo :
l7l
In nomine Domini nostri Jesu Christi.
Imperantibus Domino Hloiario, a Deo coronato pacifico, magno
Imperatore anno XXX, Hlodovici filio ejm.anno VI die XXVI
mense A f trite per indictione X.t acto vero Tergeste.
Ego itaque Maru ancilla Dei dum jacerem in aegritudinem.
Cogitans prò remedio animae meae ubi omnes ambulaturi sumas in
die tremendi itidicii in bona commemoracione et sanam habens
mentem integrogue Consilio a presente die facto cartulam de
hereditate de parefUibus meis. Volo ut sint vòbis domino Luponi
Abbati a parte Sancte Marie semper Vifginis avocatae ad Sextum
de olivis numero cestas XXXXXV in scuras. Et si quis centra
istam cartidam testamenti post meum transitum, si frater meus Jo-
hannes aut neptes aut nepotes aut unus quisque de parentibus meis aut
stémmissis personis voluerit repliquareaut causacionem facete voluerit,
ut eomponat libram auri vòbis domino Luponi Abbati ad partem
ecclesie Sancte Virginis Marie seu a successoribus vestris. Et
habeat anathema de Patre et Filio et Spiritu Sancto et eurrat in
iram Dei omnipotentis et in laqueum diaboli et peccatum meum supra
se redpiat, et eartula ista testamenti a me Maru Ancilla Dei faeta
firma permaneat
Die et anno et Imperatoribus, Indictione suprascripta. Ada
vero Tergeste.
f Signum manus ancille DeiìlsaUfquae istam cartam testamenti
fieri rogapit.
f Signum manus Johamnl Tribuni Germani ejus qui relictus
fieri est testis,
f Signum manus Petro nepoti suo, cui relictum est,
f Signum manus Johann! de Petro Tribuni testis.
f Signum manus Johannaoini de Aquelina Loci salvator testis,
f Signum manus Martino Gabrisiano Loci salvator testis.
f Signum manus Leoni de Claudio testis,
f Signum manus Taneulo Tigarii testis.
f Signum manus Stefano Tigarii testis.
f Ego Benedictus presbiter rogatus a Maru Ancilla Dei et a
Johanne Germano suo in hanc testamenti cartulam manu mea propria
subscripsi.
172
f Ego Domlnieiis derieus tabelio hujus Sanete Tergestine
ecclesie rogatus eipetittM a Mara AncUla Dei, quae isiàm cartam tesiti-
menti fieri rogavit, propria manu mea scripsi et subscripsi et com-
pievi et absolvL
Eretto peraltro più tardi l'Ordine Frauoescano dal sera-
fico patriarca d'Assisi, codesto gran santo ebbe cura speciale
anche per la santificazione dei secolari coli' istituire il ttrg* or-
dine di penitenza. E appunto perchè ignorarono la sua esistenza^
errarono tutti i nostri patri scrittori, i quali tessendo a bran-
delli la storia della Cella vecchia, la confondevano colla Cella
nuova, lasciando in oscuro V origine di quella. Un tanto fecero
fra Ireneo della Croce e il suo plagiario don Giuseppe Mainati,
Antonio Cratey,^) Girolamo Agapito,») il dott. Pietro Kandler,')
Ettore Generini,^) Antonio TribeP) e fra gli ultimi anche il
dottor Giovanni Loser, tessendo brevemente nel 1878 la cro-
naca del nostro convento delle Benedettine in S. Cipriano.
Aveva san Francesco fondato due ordini, quello Aéi frati
minori e quello delle povt^re signore, dette poi Clarisse dal nome
di santa Chiara, che ne fu la prima superiora, adattando al-
l' uno e alP altro di questi ordini un particolare tenore di vita
ossia una regola. Tutte le classi della società uscivano in folla
per mettersi sotto la sua direzione ed erano non poco affiitti
i cristiani trattenuti nel mondi» tnforsa del loro stato e dei legami
matrimoniali^ come racconta il padre Pellegrino da Forll,^ quindi
da ogni parte uomini e donne correano a consultare il nostro Santo
Patriarca sulla maniera di vivere crisiianame$^e in messo al se--
colo, pregandolo di una regola di vita composta da lui medesimo
per camminare piié sicuramente nelle vie della perfezione evangelica.
') Egli ignora del tutto V esistenza della vecchia Cella.
*) Ne tace onninamente.
") Giovannina Bandelli, Op, e., p. 211 seg.
^) CutH09ità triestine, Trieste 1884, pag. 145 sog.
•) Op, e, pag. 84 seg.
*) Regola dd terz* ordine ddla peniteìiza del serafico Padre San Fran-
cesco d'Assisi, Triesée 1873. pag. 6 seg. Vedi anche: ConsHtuHo Si, Domini
Leonis XIII de lege franciseal, IIL ord, saec. (nella Curia episcopalis. Ter-
gesti 188B, pag. 116 seg.).
178
I primi però che incontrarono tal sorte furono il beato Lu-
chesi di Poggibonsi e Bona sua moglie^ ai qtMli fece intanto ve-
stire un abito semplice e modesto di color cenericcio, con una corda
a piit nodi alla cintura^ prescrivendo loro la pratica di vari eser-
ci»i di pietày finché ne avesse composta la rególa. Ben presto ne
imitarono V esempio altre persone di Poggibonsi e di Firenge, Poco
dopo compose una regola per quesf ordine, che più tardi chiamò
terzo ordine di Penitenza, a distingione dei primi due che dodici
anni addietro avea istituito per coloro che abbracciavano la vita
claustrale.
Così ebbe eomineiamento nelVanno 1221 il più antico dei
tera^ ordini che fu uno dei più bei frutti del grande eelo ed amore
che U Santo d^ Assisi nutriva per le anime e che abbracciava ogni
staiOj ogni condisfione, ogni classe di persone.
San Francesco ebbe la consolazione di vedere il suo novello
istituto approvato a viva voce dal papa Onorio HI, che poi lo ap-
provò solennemente con un breve sìgnificatum est dello stesso anno
1221; e con un altro breve cnm illorum del 1 dicembre 1224 rac-
comandò i terziari alla protezione dei vescovi d* Italia. Così fin
daUa SìM origine la santa sede mostrò una particolar predilezione
per quest^ opera di San Francesco gran numero di altri ponte-
fici si sono in seguito sempre occupati paternamente del terz'ordine^
confermando le decisioni dei loro antecessori ed arricchendolo inoltre
di mtdti privilegi ed indulgenze: così che U Vadingo conta cento
e nove bolle ptébblicate in favore del terz^ ordine dal 1221 fino
al 1500....
II terz' ordine ha inoltre il grande onore di essere stato ap'
provato solennemente da due concili generali presieduti dagli stessi
sommi pontefici, primieramente dal concilio di Vienna, presieduto
da Clemente V neW anno 1309 e poi dal concilio lateranense, ce-
Ubrato sotto jOHulio II e sotto Leone X nel 1516-18.
I terziari si moltiplicarono con una rapidità così grande,
che il loro numero ogni giorno crescente sconcertò persino gli empi
progetti di Federico II imperatore d'AUemagna, il cui odio e le
cui guerre contro la santa sede hanno segnato sì tristi e dolorose
pagine nella storia del secolo Xlll. Il cancelliere di questo prin-
cipcj Pietro della Vigna, spaventato dai progressi di quesV ordine,
scrisse alV imperatore in questi termini: ^1 frati minori e i frati
174
predicatori si sono sollevati contro di noi: essi riproyarono
pubblicamente la nostra vita e le nostre conversazioni, ruppero
i nostri diritti e ci ridussero al nulla.... Ed ecco che per
snervare la nostra possanza e privarci dell'affezione del popolo,
crearono due nuove confraternite che abbracciano senza distin-
zione uomini e donne. Tutti entrano a fame parte e a fatica
troveresti una persona sola il cui nome non vi sia ascritto. .
Quesf ardine valicò ben presio e monti e mari^ e si vide in
tutti i punti del globo. La Francia^ VAlUmagna^ la Spagna fu-
rono tosto spettatrici di un gran numero di seguaci dd terM^ordine
e da per tutto se ne osserva esattamente la regola. Esso fu tra-
piantato neWAsia; le Indie ed il CHappone videro congregagioni
di tersiart, e buon numero di essi particolarmente nel Giappone
ebbero la sorte di ottenere la gloriosa palma del martirio nelFaniM
1598. Penetrando persino nel nuovo mondo, i frati minori vHniro*
dussero anche il ters* ordine^ che nei 1686, come apparisce da una
statistica fatta in quelTannOj potè numerare cento dieciottomila
tergiart
Un ordine istituito da un santo così eminentemente ispirate
da Dio^ doveva dare di sé stesso spettacolo al mondOy col produrre
nella sua sovranaturàle fecondità fruiti abbondanti e degni della
sua origine La più bella gloria però del terso ordine è lo splen-
dore di santità^ di cui i prof essori di esso illustrarono lachiesa....
Fra questi eroi dd ters' ordine merita speciale meneione U glorioso
san Luigi IX, re di Francia. . . . degna di egual ricordansa è santa
Elisabetta di Ungheria....
Venuti a Trieste con stabile dimora i nostri Minoriti, tì
fondarono a tenore della regola e secondo la volontà di san
Francesco il terz' ordine, che fu abbracciato in ispecie da donne
pie e divote, le quali in quei tempi di viva fede non molestate
e non derise riputavano una gloria di portare pubblicamente,
come oggidì si pratica nei conventi formali, T abito della
penitenza. ^) Andavano divise in due categorie: altre intrin-
seche, non però astrette da voto perpetuo ; altre estrinseche,
affiliate al convento dei Minoriti, seguendo la pratica gene-
rale di quei tempi, che non solo concedeva questo privilegio,
») Wetzer-Welte, Op. e, voL X, pag. 739 seg.
175
ma perfino conventi doppi di frati e di suore, non già sotto lo
stesso tetto, nò a comunione di vivere, ma colla chiesa stessa
che serviva contemporaneamente ai due conventi, siccome era
in Capodistria. Anche in questa città erano Terziarie o Pizzo-
chere^ per cui il vescovo fra Pietro Manolesso coli' assenso del
Capitolo concedeva ai 4 novembre 1301 per sé e per i suoi
successori alle Terziarie ampia facoltà d'incorporarsi all'ordine
di Santa Chiara.^) Ad esempio delle nostre di Trieste, si chia-
mavano non teraiarie, ma suore deUa Cella^ il quale nome, come
osserva il vescovo fra Paolo Naldini,*) denota propriamente quel
nascondiglio^ in cai si colloca alcuna cosa^ per conservarla celata al-
l' altrui sguardo. Cos% in OiustinopoU quel sacro recinto^ dove diverse
honeste dongelU^ per celare se stesse agV occhi lusinghieri del mondo^
saviamente si ricoverarono^ fu detto la Cella; e le stesse vergini in
fraterna carità ivi raccòlte scappellarono le suore della Cella. Né
questa frase, per altro ingegnosa, fu peculiare di OiustinopoU^
quando V abbate Palladio del patriarca aquileiese Gregorio sotto
V anno mille duecento sessanta sette scrive: che piantò in Cividole
la prima pietra del monastero delle monache della Cella delPor-
dine di 8. Domenico,
Da principio vivevano separate dal mondo codeste nostre
Terziarie, ma non in casa comune. Il documento che registriamo
ci attesta infatti, come Albina, figlia del fu Venerando, donava
addi 21 marzo 1265 al fratello Natale un soprasolaro ed una
vigna pel caso che si erigesse la Cella in Trieste:
Anno Domini Millesimo ducentesimo LXV die Villi ext. marito.
Marc*.... Albuina (filia) quondam Venerandi dedit et tra-
didit consevtsu Advocati sui Boncadi dicti Zucho,fratri suo Natali
suisque haeredibus in perpetuum cum eo jure quod habeat supso»
larium guodam positum in civitate Tergesti in contrata fori, quod
ólim Juit Natàliae matris Laurentii. Confines ejus hii sunti quod
possidet Bernardus de Topista a capite superiori ; est via ptiblica ab
') Fra Paolo Naldini, Op. e, pag. 220 seg.
*) Op, c^ pag. 228.
Ite
inferiori est q.dam introitus ah uno Intere possidet Wordolicns Mu^
rator ab alio Zaruttm Niblo et vin^am quandam positam in per-
tinenciis Tergesti in eontrata qme Zanfanestris dieitur quae dlim
fuit Venerandi quondam Pegni.,, quae cohaeret vinae/ratemUatis
Sancii Franeisei et si qui aiii sunt eonfines cum superioribus et
inferioribus finibus confinibus suis usque in viam puMicam,
et cum omnibus super se oc omnique jure et actione,usu seu
requisitione dieta ex dieta vinca et supsolario pertinenti sed. . . .
uxor Bernardi de Topista et matertera dictae Jlbuinae dictum swp-
solarium et dictam vineam in suo testamento manu infra scripti
not. facto dimisit ipsa Albuina dedit et tradidit dicto frati suo
Natali suisque haeredibw in perpetuum ad habendum tenendum oc
possidendum et quicquid dicto Natali suisque haeredibwt in per*
petuum placuerit fadendum, salvo co qtwd si Cella dominarum de
Tergssto non fieret, sive quod ipsa de Odia exiret^ quod ipsa redeai
ad possessionem dicti supsolarii et dictae vinae et habeat ea et
gaudeat ds in vita sua et per cbitum suum dictum supsolarium
et dieta vinca veniant in dictum NatiUem et suos haeredes re-
nundans predicta Albuina omni juri et legum auxilio sibi per hoc
aliquo modo dedit licentiam dicto Natali intrandi in posses*
sionem et tenutam dicti supsolarii et dictae vinae ipsi Natali auc-
toritate ut possit per se suosque heredes dictam datam et traditto-
nem in perpetuum ratam firmam habere atq. tenere dicto Naiali
suisque haeredibus in perpetuum, et non contravenire^ amplius non
facere per se ncque per alium aliqua occasione nec exceptione sub
pena C libr. ven. parvulorum, expensas omnes litis et damnum
exinde competiturus et competitura integre.. .. cum suorum bono-
rum praesentium et futurorum óbligationei qua soluta et quibus re-^
fectis haec presene cartula nihilominus in perpetuum suam obtineat
firmitatem.
Actum Tergeste in domo dicti Zucho praesentibus domino Ran-
tulfo milite^ Ambrosio Ranfo^ Jacobo ZuUeto et aliis testibus ad
hoc rogatis.
Lasarus sacri palac. Not. hiis interfui rogatus^ hanc cartulam
scripsi et roboravi.
177
Alcune di queste nostre terziarie, celibi o vedove, libere
da ogni cura mondana e di certo benestanti, si ritirarono onde
menar vita libera da ogni molestia, dedita alla sola contem-
plazione, nell'anno 1266, dal mondo per vivere vita comune in
casa situata presso al duomo o alP antico episcopio, precisamente
nel sito ove fu alzata V odierna rotonda del castello.
Dapprima furono sottoposte, perchè prive di chiesa e non
costrette alla clausura regolare, alla giurisdizione vescovile sino
al vescovo nostro Arlongo dei Visgoni, il quale col rescritto
segnente dei 10 luglio 1278 ad istanza della terziaria Lucia de
Pellegrini, patrizia triestina, e delle altre sue consorelle desi-
derose di servire a Dio, col consenso e col volere del capitolo
cattedrale, conferma la Cella di Trieste, situata in contrada
Caboro, in vicinanza dell' odierno castello, e fondata con con-
senso e con volontà del capitolo stesso, la dispensa ed esenta
con persone e con beni da ogni giurisdizione vescovile, da
ogni obbligo ed aggravio di qualsiasi specie ; ordina che la
Cella sia chiusa, costruita in onore di Dio e di Maria Vergine ;
che le monache portino abito nero o bianco e nominino libe-
ramente la superiora; salva al vescovo la conferma ; che la loro
chiesa venga ufficiata dal capitolo, cui spetti il diritto di se-
poltura, riservando al vescovo la decima ed il quartese : ')
In nomine Patris et Filii et Spiritus Saneti Amen. Anno
Domini M'CC'LXXVIII^indictione sexta, dieX intrante mense
Julia. Cum ponti ficaius ceUitudo divmae clementiae nuiu ab ipso
auetore rerum omnium ad hoc constituta videatur, qtM pastores et
reetores ecdesiarum^ quae per orbem terrarum sparsim dispersile
sufUf oves^ quae dispersae fuerant eongregentur in unum^ necessario
dueimus utile, quo pastor ovem, quae perdita fuerat^ ad gregem
super humerum reportare gaudeat. Ideirco nos Harlongus, Dei
grafia episcopio Tergestinus, volentes universis et singtdis personis
Dea servire affectantibus prò salute animarum suarum salubriter
providere: Cellam Tergesti sitam in contrata Cabori juxta ecclesiam
') Archivio delle monache Benedettine di Trieste. 11 diploma è
stampato nel Codice diplomatico istriano.
178
sancti Sergii,^) nostro et capittUi eeclesiae Tergestinae assensu /un-
datam^adpetUimem dominae Luàae et aliarum sororum Deo ibidem
servire optantium, et prò nohis et aliis peceatoribus orare affec-
tanUum^ iniuitu piekiHs ac prò remissione peccatorum nastrorum
cwm consensu et voluntate nostri capituli ab omni jure episcopali
et euiusibet conditionis obbligatione seu gravamine eximifnus et
liberamus. Ita quod sit Cella serrata eonstrticta in honorem Dei
et Beatae Mariae Virginis et haòitum habeant nigrum sive aJbumj
et sit in arbitrio ipsarum sororum de eligenda sibi abbatissa qua-
eunque et de quoennque loco voluerint^ confirmatione vero ipsius
abbatissae in $u>bis reseì-vamus. Et officium habeant a saeerdatibus
eapitHli eeclesiae Tergestinae et s^elliantur per clericos capitidi
memorati; dedmam vero et quartesium reservamus in nobis.
Supradictis omnibus consensit capitulum Tergestinum ibidem
praesentialiter constitutum^ videlicet domini Vitalis decanus^ Sardius
archidiaconus^ MaOhaeus scholastieus, Almerieus sacrista^ Hermanus
de Utinoy Volricus^ Henricus dictus Bigonci^ Gregorius dictus Beiech^
Carolus, Clemens et Bertoldus canonici ecdesiae memoratae.
Actum Tergesti in choro eeclesiae sancti Justi praesentìbus
dominis Artino de Rivela, Bernardo de Topista^ Andrea Rubeo^
Almerico quondam Bertoldi de Topista, Ludone quondam Bertaldi
de Topista^ Ludone quondam Petri de Almerico^ La$aro de Rivola,
Nieolao quondam Bertaldi de Crescentio et (Uiis.
Ego Zufredus sacri palata et Tergesti publieus notarius his
interfui^ et rogatus scripsi et roboravi.
Fondato e regolato il nostro convento della Cella, ebbe
molestie fino dai primordi da malevoli ed iniqui, forse dai
') Dae erano le cappelle di San Sergio a Trieste. Quella menzio-
nata in questo documento, di antichissima origine, fu distrutta nel 196B
durante le guerre coi Veneziani. La seconda figura già nelPanno 1414
nell'odierna via della Madonnina. Essendo cadente, certo Andrea Covas
con suo testamento del 1*^ agosto 1484, ordinava il suo ristauro, legan-
dole due vigne in contrada Monbey, onde in essa si alzasse V altare della
B. y., officiato con una messa perpetua settimanale. H ristauro fu tdti-
mato addi 14 agosto 1442. Della cappella, che esisteva ancora nel 1494,
ignorasi la fine, ohe fu certo prima del secolo deoimosesto.
179
parenti più prossimi delle monache, per cui non potendo pren-
dersi ingerenza i nostri vescovi in vigore del rescritto ;3uddetto,
le monache furono costrette di rivolgersi alla curia romana e
furono anche ascoltate. Colla bolla che riportiamo, papa Mar-
tino IV commetteva addi 25 febbraio 1282 la custodia e la
protezione della Cella al decano del capitolo cattedrale di
Concordia: *)
Marthms episcopus servm servorum Dei. Dilectofilio decano
eedesiae Coneardiensis salutem et apostólieam benedietionem.
Etri quibuslibet ecdfisìis et personis ecelesiastieis defensionis
praesidio ex iniunct(ie nobis servitutis officio assistere teneamur^
eum suceensa velut ignis impietas tanto cantra ipsas validius in-
flammetur, quanto rariares qui eas eripiant invenit obiectores^ Ulis
tamen specitdins et efficacius adesse nos convenite quibus propter
fragUitatem sexus minus propriae defensionis potentia suffragatur.
Cum itague dilectae in Christo filiae àbbatissa et conventus
monasteri sanctae Mariae de Cella Tergestina ordinis sanctae Clarae
a nonnuUis qui nomen Domini in vacuum recipere non formidant
graves super possessionibus et aliis bonis suis siculi accepimus pa-
tiantur molestias et iacturas: nos quidem abbatissae et conventui
pravidere quieti et malignorum malitiis óbviare volentes, discretioni
tuae per apostolica scripta mandamus^ quanienus easdem abbatissam
et conventum prò divina et nostra reverentia favoris oppoì'tuni
praesidio prosequens^ nonpemiittas ipsas contra indultaprivìlegiorum
apostolica^ sedis ab aliquibus indébite molestari^ molestatores huius-
tnodi per censuram ecclesiasticam, appeUatione postposita, compe*-
scendo. Attentius provisimus^ ne de his^ quae catisae cognitionem
exigunt v4 quae indulta huiusmodi non conttngunt te aliquatenus
intromittas. Nos enim^ si secm praesttmpserint^ tam praesentes Ut-
teras, quam etiam processum^ quem per te iUarum auctoritcUe habere
coniigerit^ omnino carere viribvtó ae nullius /ore dccernimus firmi-
icUis. Huiusmodi ergo mandatum nostrum sic prudenter et fideliter
exequaris^ quod eius fines quomodolbet non excedas, praesentibus
post triennium minime valituris.
^) Archiido del monastero di San Cipriano di Trieste. Stampato
nel Codice diplomatico istriano.
180
Daium apud Urbemveterem V hai. martiif pontifieatus nostri
anno secundo.
Sembra però che il decano suddetto, poco o nulla se ne
curasse, per cui le terziarie nostre, assunta del tutto la regola
claustrale di Santa Chiara e diventate Clarisse, si sottomisero
al ministro provinciale dei nostri Minoriti, il quale ne intra-
prese il monastico governo, ingiuntane l'immediata sovrain-
tendenza ad un religioso del convento di San Francesco col
titolo di confessore. Il vescovo nostro Enrico HI non era per-
suaso di questo procedere e voleva dettar ordini al convento,
che fu nuovamente costretto di rivolgersi alla curia romana.
Papa Bonifacio VII peraltro con bolla che riportiamo, gU
proibiva severamente addi 31 gennaio 1301 di ingerirsene nella
sua clausura, essendo già governato e custodito dall' ordine
Francescano. ^)
Bonlfaoius episeopm servus servorum Dei, Venerabili fraJbri
Henrico episcopo Tergestino salutem et apostolicam benedidionem.
Urbanus papa octavus^ praedecessor noster, eertam formam et
regulam abbatissis et sororibus ordinis sanctae Clarae apostolica
olim auctoritate eoncessit, quam vocari voluit regulam ordinis dictae
Sanctae, in qua inter caetera continetur^ quomodo et qui ac de
cuius licentia ingredi possint clausuram intrinsecam monasteriarusH
ordinis memorati. Idem quoque praedecessor^ ne ipsas abbatissas
ac sorores prò defectu certi reaiminis recedere ab observatione re-
gulae praedictae contigeret, aut sub diversorum magisterio vivendi
modos incurrere d'fferentes^ curam et regimen omnium monasterioru^n
dicti ordiniSi nec non et pemonarum degentium in eisdem^ scUieet
cappellanorum^ conversarum et famulariumj piene commisit cardi-
nali sanctae romanae eccìesiae, qui prò tempore foret guberru^tor^
protector atquae corrector fratrum ordinis Minorum a sede aposto-
lica deputatus^ statuens quod sub eius obedientia, cura et regimine
permanerent ac tenerentur ei firmiter cbedire. Demum aulem dilecius
filius nosier Matthaeus sancte Mariae in Porticu diaconus cardi-
nalis gubematorj protector et corrector praedieti ordinis fratrtnn
^) Pater Àugustinus Theiner, Vetera mtmummUa éUworum me-
ridionalium; Codice diplomatico istriano.
181
Minorum secundum regviam qtiam gloriosus confessor heatus Fratta
eiseus instituit a sede ipsa extitU depuiatus^ qui monasteriorum^
ahbatissarum, sororum et conversarum et personarttm praedicti
ordinis sanctae Clarae gtibernator^ proteetor et corrector existit^
sine euias licentia tSn vel aliis praeter illos^ quibus est ex re-
gvia praedicta permissum vel a sede praedicta concessum, non
licuit neque licet praedicti ordinis sanctae Clarae monasteria in-
troire. Nos insuper fratres praedicti ordinis Minorum et ipsum
ordinem ab omnium et singulorum praelatorum etpersonarum eccle-
siastica omnimoia potestate ac iurisdictione prorsus exemimus et
deerevimus eos immediate ipsi sedi et soli dumtaxat Romano pon-
tifici subiacere^ ac ecclesias, demos et loca, quae per fratres ipsos
tenebaniur et habitabantur tempore exemptionis huiusmodi, ac te-
nerentur et habitarentur in posterum, exempta prorsus exìstere
nuUoque modo sedi subesse praedictae. Universis etiam abbatissiSy
conventibìis et sararibus praelibati ordinis sanctae Clarae apostolica
auctaritate concessimtM, ut tam abbatissae^ conventus et sorores
eiusdem, quam omnia et singula monasteria eiusdem ordinis^ tam
exemptionis privilegio^ quam omnibus immunitatibus^ libertatibus et
indulgentiis ac aliis privUegiis quibuscumque uterentur et gaude-
rent, ac uli et gaudere possent, quae prae/ato fratrum Minorum
ordini ac eius fratribìM et personis erant ab eadem sede concessa
et cancedereniur in posterum, quatenus eis eompeterent vel com-
petere possent et quatenus forent vel esse possent capacia eorumdem.
Nuper autem non sine turbatione percepimus, quod tu^ qui non
dAebas nec credens esse praemissorum ignarus^ asserens monasterium
sanctae Mariae de Celia Tergestinensi praedicti ordinis sanctae
Clarae, et àbbatissam et sorores in eo degentes professas regulam
praedictam^ editam a prctedecessore praefato tibi subesse debere,
quamvis essent in possessione exemptionis, libertatis, privilegiorum et
iuris cùncessùmis huiusmodi nec ttbi parerent, cum ad id minime te-
nerentur, et cum nonnuUis dericis et laicis ad monasterium ipsum
accedenSy iìlud per violentiam introisti, fracto etiam muro cappèllae
ipsius monasterii, eandem intravisti cappellam et f ecisti celebrari
tnissam in ea, evulsa insuper quadam sera, quae erat interius in
astio inferiori ipsis monasterii, per quod in ipsum monasterium in-
trabatur, illam ex parte exteriori ipsius ostii poni f ecisti, et expulsis
/ratribus praedicti ordinis Minorum, qui adobsequium ipsarum
182
ahbatissae et sororum prout licUe poierant, ad ipsius monasierii cUiìi-
suram exUriorem accesserant, saectdares clerieos ad eiusdem mona^
sterium cuslodiam po9HÌstiy sicque praedicti fraires ordini» iBnarum
non sunl extunc ad idem monade»ium ire permissi^ neque in eo
divina officia celebrare dictique clerici eaeeulares inleriorem mona-
sterii praedicti daueuram intrare poesunt prò eorum ISntu voluniatis.
Quare fuit nobis humiliter stq>plicatum, ut providere super kis
de opportuno remedio dignaremur. Noe igitur praedictis abbatissae
ac sororibue monasteri praelibati, quibus maxime propter fra-
gilitatem foeminei sexus compatimurf super praemissis, providere
fx)lentes ac praecavere^ ne litigiorum anfractibus invoUfontur, fra-
temitati iuae per apoetolica scripta in pirtute obédienUiU a€ sub
suspensianis et depositianis aliisque ^fMcitualiiue et tempenaìibus
poenis iuxta nostrum arbitrium inferendis districte pr€iecipiendo
mandMmus^ quatenus easdem abbatissam et sorores numasierii prae-
libati dictumque monasterium contra huiusmodi cancessionis nostrae
tenorem de caetero non impetas nsc perturbe» per te vel alium^ nec
contra ipsum Ja^das aliquam, noxiam naoUfUetn^ quin potiens prete-
mmas iniurias et gravamna et quidquid per te tpel de mandato tuo
adversus eas contra concessionem praedietam» quam te in dubium
revocoife wlumus, faeta vel attentata noscìintmi^ absque morae di-
spendio previde revoces cum. effectu Caeterutn Wi tua in prasnmei^
temeritas remaneat impunita^ volumus et tibi sub poeuis praedictis
iniuugimus, ut infra duorum mensium spatium a praesentatione
praesentimn computandum, quod tibi prò peremptorio termino assi-
gnamuSy per te vel procuratorem idoneum ad hoc specialiter eonsti-
tutum cum sufficienti mandato compareas coram nobiA, tuam super
praemissis et ea contingentibus innocentiam, si poteri» ostenthirus^
nosùrisque pariturus beneplacitis et mandatis. Si quae vero> tibi et
ecclesiae Tergestinae iura cotnpetere proposueris in memorato mona-
sterio^ illa si tua et ipsius ecclesiae interesse puta^ris, jtrosequi pò-
teris coram notis. Parati enim sumus et ei exhibere super hoc iustitiae
eomplementum,
Datìim Laterani II halendas febrnarii, pontificatus nostri
anno octavo.
Codesta decisionfì papale noa piaceva ne al vescovo En-
rico m né al suo successore Rodolfo Morandino dei Pedrazzani
183
L' atto segnente dei 99 aprile 1309, rogato in Avignone nel
convento dei domenicani dal notaio Paolo de Fino Cumano,
presenti fra gli altri i testimoni Francesco da Treviso notaio
di Cartellano, uditore del palazzo del papa e Guglielmo d'Adria,
notaio di Alberto Castegrate uditore, ora conservato nel nostro
Archivio capitolare, ci racconta, che maestro Prandino da Mi-
lano, procuratore di Rodolfo vescovo di Trieste, chiedeva a
Franceschino da Todi di essere ammesso alla presenza di papa
Clemente V per ottenere un uditore in appello nella causa col
monastero di Santa Maria di Trieste contro certe lettere, di-
rette dal cardinale diacono Napoleone del titolo di S. Adriano
al vescovo di Cittanova ed al priore dei santi martiri di Trieste,
e, non essendogli conceduto l'accesso, protestava contro l'ap-
pellazione, in qualunque tempo sia fatta.
In nomine Domini Amen. Anno a nativitate eiusdem MCCCIX,
indictione octava, die martis XX VII II mensis aprilis, pontificattis
Domini Clementis papae quinti anno quarto , in praesentia mei no-
tani et testium suhscriptorum ad haec vocatos specialitei' et rogatos,
Avinioni in dotno frattmm praedicatorum, ubi dictus dominus papa
moratur,
Constitutus magister Prandinus de Mediolano procurator reve-
rendi Patris domini Rodulphi Dei gratin episcopi Tergestini coram
Franceschino de TudeHo diati domini Papae ostiario tunc dictum
ostium custodiente, petiii cum instantia a dicto ostiario^ quod ipsum
permiUeì'et adire sive intrare per dictum ostium ad dictum Dominum
Papam causa obtinendi a dicto Domino Papa auditorem in causa
appcllationis et negotii principcdis interpositae nomine dicti domini
episcopi a artis et quibusdam liferis directis ex parte reverendi patris
domini Napoleonis sancti Hadriani diaconi cardinalis tunc in partibus
Ulis apostolicae sedie legati revei'endo patri domino frati Giraldo Emo-
nensi episcopo et Gerardo priori sanctorum martyrum de Ter-
geste super monasterio sive occasione monasterii Sanctae Mariae de
Tergesto in praeiudicium dicti domini episcopi Tergestini et ecclesiae
Tergestinae et centra eum et ecclesiam suam praedictam prout in
praedicta appellatione plenius continetur. Qui ostiarius respondit quod
non erat tempus intrandi ad dictum dominum Papam, nec eum per-
misit intrare. Et tunc dictus magister Prandinus dixit et prof estatus
184
fuit^ quodsibi dieta nomine non curat tempora appellationis praedictae
prosequendaej cum per eum non sit quominus accedat ad dietum
dominum Papam et auditorem ab a obtineat in eausa supradicta.
Actum ut supra praesentibus Francischino de Tarvisio notario
domini Castellani auditoris palata domini Papae et magistro Guilldmo
de Adria notario domini Alberti de Castegate similiter dicti domini
Papae auditoris et plurtbus aliis testibus ad praemissa vocatis.
Ego Paulus dictus de Fino Cumanus publica imperiali auc-
toritate notarius praemissis omnibus et singulis una cum praedictis
testibus interfui, scripsi et pubblicavi meque sigillo solito signatus
rogavi.
(Continua).
' ^C!5i !<Tl)ù(7ò.i(jC iCf^i «j55ifG?5a-<3
' vKf Vff VKr vkT vKf vKf vw? '
STUDENTI
FOROIOLIENSI ORIENTALI, TRIESTINI ED ISTRIANI
alV Univereità di Padova
NOTIZIE RACCOLTE DAL
Professore ALFONSO COSTÀ s--
(CaiU, V. voi. XX, /CMC. IL)
462. (?) Antonio Bomani di Leonardo, farlan, 1683 — 1688,
Univ. artista (231). V. Indice.
463. Giacomo Bagiardi fu Francesco da Trieste, 1683, Univ.
artista (231). 1686 — 1688, Univ. leggista (31).
464. Tommaso Contesini di Alvise, furlan, 1683-1687 (43).
y. Indice, (da Isola. G. Pusterla)
Tomm. Contesini foroj», pupillo, 1683. — Thomas Con-
tesinus Ectoreus justinop. 1684 — 1686, 1687.
Thomas Contesinus, istrius, 1688 (31).
Ebbe il certificato d'ammissione al dottorato in Coli.
veneto giurista nell' aprile 1688 (110).
466. Tommaso M adr uzzi, justinop. pupUlus 1683(31). Cfr. 518.
Tomm. Madruzzi di Pisani da Capodistria, 1683 — 1688
(43) _ (foroj. 1686; istrius 1687).
Ebbe il certificato d'ammissione al dottorato in Coli.
veneto giurista nell'aprile 1688 (110).
466. Giov. Casimiro Donadoni di Francesco, furlan triestino
1683 (43); forojul. tergestinus, 1684, 1686—1688 (31);
nel 1686 matrioolatp Univ. artista (43). Cfr. 646, 1289,
1
186
467. Francesco Romani di Antonio, da Gorizia 1683 (43);
ebbe il certificato d'esame per ammissione al dottorato
in Collegio veneto giurista nel marzo 1684 (l 10). V. Indice.
468. G-iorgio Policreti, goriciensis, ebbe il certificato d'esame
per ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista
nell'ottobre 1681 (87); dottorato nello stesso anno (78).
469. GBatta Golop fu Martino, da Gorizia, fu dottorato in
filosofia e medicina nel marzo del 1684 (Dorigh.); trovasi
inscritto nell'Univ. artista 1681 — 1684; 1687, 1688 (231)
Cfr. 637, 888.
470. AngeloBevilaqua, rubinensis, 1684— 1687; rev. A. Bev.
1685 (31). V. Indice.
Angelo Bevilaqua di Andrea da Bovigno, 1684 (43).
471. Giov. Pietro B. Nicole tti di Gasparo, da Trieste, fu
dottorato in filosofia e medicina nel luglio 1684 (Dorigh.)
Cfr. 633.
472. Zuanne Costantini di Iseppo, da Bovigno, 1684 —
1687 (34). V. Indice.
Bev. Giovanni Costantini, rubinen., pupillo 1684, 1685 (31).
473. Geminiano Come Ili, gradiscano, ebbe il certificato di
esame per ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista
nel giugno 1684 (110); trovasi immatricolato Gem. Co-
melli di Carlo, furiano nel 1682 (43). V. India'.
474. GBatta Bevilaqua fu Giulio, gorìtiensis, fu dottorato
in filosofia e medicina nell'aprile 1684 (284). V. Indice.
475. Francesco Gravisi di Dionisio, da Capodistria, 1684
Univ. artista (231). V. Indice.
Gravisi marchio Fr. istriensis 1686 e Grav. Fr. jastinop.
1687 Univ. leggista (31, 32).
476. Pietro co. Borisius, justinop., 1684, 1685 ; P. Borisius,
istrius, 1686 (31). Cfr. 624, (Vivono i discendenti dei
conti Nicolò e Lazzaro fratelli Borisi. G. Pusterla).
Pietro Borisi di Marco Antonio, furlan, 1681-1685 (43).
Ebbe il certificato d' esame per ammissione al dottorato
in Coli, veneto giurista nel maggio 1686 (HO).
477. Francesco Cristo fo rutti, goriciensis, ebbe il certificato
d'esame per ammissione al dottorato in Coli, veneto
giurista nel giugno 1684 (HO). Cfr. 1044.
187
478. Jacob Levi di Samuele, tergestino, fu dottorato in filo-
sofia e medicina nel settembre 1684 (284).
479. Pietro Gregolino fu Taddio, piranese, fu dottorato in
filosofia e medicina nel dicembre 1686 (Dorigh.) Cfr.
176, 554.
480. (?) GBatta Cosati ni di Giov. Domenico, 1685. V. Indice.
481. Filippo Toscanus, gradiscanus, pupillus 1685 (31).
Filippo Toscani di Pietro da Gradisca, 1685 (43).
482. Antonio ber man, gradiciensis, ebbe il certificato di
esame per ammissione al dottorato in Coli, veneto giu-
rista nel giugno 1686 (HO).
483. Amabile Fenarolo di Gioseffo, d'Istria, 1685. Univ.
artista (231).
484. (?) Francesco Cosatine di Giov. Domenico, furlan, 1686
anno primo (43). Y. Indice.
485. Raimondo Fini, justinop., 1686, 1687, 1688 (31-32). V.
Indice. (Elaborò la carta topografica di Capo d'Istria.
G. Pusterla).
Eaimondo Fini, di Orazio, justinop., 1686, 1686 — 1689
(43) Ebbe il certificato d' esame per ammissione al dot-
torato in Coli, veneto giurista nel giugno 1689 (111).
486. Stefano Maiaronus fu Pietro, tergestino, fu licenziato
in chirurgia nel novembre del 1685 (286). Cfr. 346.
487. Michiel Vicentini di Lorenzo, da Gradisca, 1685, 1688
— 1693 Univ. artista (231). Ebbe il certificato d' esame
per ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista nel
maggio del 1694 (112)
488. (?) Eiccardo Pozzo di Antonio, furlan, 1686, 1690' (43).
V. Indice.
489. (?) Carlo Gioseffo de Goppinis di Francesco, dottor in
filosofia e medicina, carniolo, fu dottorato in Coli, ve-
neto giurista nel maggio 1686 (78).
490. Eev Pietro Antonio Scussa, tergestino, 1686 (31), ebbe
il certificato d'esame per ammissione al dottorato in
Coli, veneto giurista nel febbraio 1685 (HO).
P. Antonio Scussa di Giovanni, da Trieste^ furlan, 1683
anno primo, matricolato nell'Università artista negli
anni 1683-1684 (42).
188
491. Pietro Caldana, foroj. istrius pupillaa, 1685 (31>, 1689 (32;.
Pietro Caldana di Giovanni, d'Istria, 1686 — 1691 (43).
P. Petronius Caldana, justinop., (?) 1690 (32).
P. Petronio Caldana, piranese, ebbe il oertiflcate d' esame
per ammissione al dottorato in Coli, veneto gìorista nel
giugno 1691 (111). V. Indice.
492. Giacomo Otaco di Andrea, d'Istria, 1685 — 1689 Univ.
artista (231> (Octatins ?). Y. Indice.
Jacobos Otacius, justinop. foroj., 1688 Univ. leggista
(32). (Le varie famiglie dei conti Tacco sono estìnte.
G. Pusterla).
493. Vincenzo Barbabianca, istrius, pupillus, 1685, justi-
nopol., 1686 —justinop. foroj., 1688 (81-82). (La famiglia
Barbabianca di Capo d'Istria ò estinta. G. Posteria).
Vincenzo Barbabianca fu Marco, d' Istria, 1685 — 1689
(43). Ebbe il certificato d' esame per ammissione al dot-
torato in ColL veneto giurista nel giugno 1688 (111)
V. Indice.
494. Giacomo Baldini, istriano, 1686. V. Indice.
Jacobus Baldini, piranensis, ebbe il certificato d' esame
per ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista nel
giugno 1690 (111).
496. (?) Jacobus lanese, foroj., ammesso al dottorato in Coli,
veneto giurista, 1686 (110) V. Indice.
496. (?) lanese lanese, foroj., ammesso al dottorato in Coli,
veneto giurista, 1686 (110). V. Indice.
497. Francesco Saverio de Br ai ni eh, nobilis goritiensiSy 1686
(461). V. Indice.
498. Francesco Milli ani ex com.tu Goriciae, ebbe il certi-
ficato d' esame per ammissione al dottorato in Coli, ve-
neto giurista nel marzo 1686 (110).
499. (?) Camillo Merluzzi di Francesco, 1686 Univ. leggista
e nel 1693 artista (48). Cfr.
600. Francesco Novelli di Giov. Pietro, da Gradisca, 1686,
1694. Università artista. Cfr. 414, 541.
601. Giov. Antonio Carusi, goriiiensis, ebbe il certificato di
esame per ammissione al dottorato in Coli, veneto giu-
rista nel giugno 1686 (111). Cfr 691.
18é
602. Carlo Ciiiramus, tergestino, 1686 (81). Cfr. 692.
608. Serafino IJrtica, goriciensis, ebbe il certificato d' esame
per il dottorato in Collegio veneto giurista nel 1636
(110).
604. Giovanni Pascoli di Francesco, gradiscano, fa dottorato
nell'aprile 1686 in CoD. veneto giurista (78).
506. Antonio Contesini Ettoreo, d'Istria, 1686'— 1688
Univ. artista (2S1). V. Indice. (Da Isola. Gt. Pusterla).
Ant. Contesinus Ectoreus, istrius, 1687; foroj., 1688 Univ.
leggista (32).
506. Antonio Juliani, tergestino, 1686 — 1688 (31-32). V.
Indice.
Antonio Giuliani, tergestino, 1689; fu dottorato in Coli,
veneto giurista nel giugno del 1693 (78).
507. Pietro de Comitibus, tergestino, 1686 (31). V. Indice.
508. Gabriele Gilli; da Gradisca, ebbe il certificato d'esame
per il dottorato in Coli, veneto giurista nell^ ottobre
1686 (110). Cfr. 727, 1124.
509. Carlo Sifrani di Antonio, da Trieste, 1686 (43).
510. Domenico Vio, istriensis, ebbe il certificato d' esame per
il dottorato in Coli, veneto giurista nel 1686 (111).
611. (?) Carlo Minei di Francesco, furlan, 1687-16a8 Univ.
artista (231). V. Indice.
612. L. Lorenzo liber. baro Del metri, goritiensis, 1687, ebbe
il certificato d' esame per il dottorato in Coli, veneto
giurista nel febbraio 1688 (110). Cfr. 168.
613. Mericco Gavardi di Alessandro, dell'Istria, 1687— 1690
Univ. artista (231). V. Indice. (Da Capo d'Istria. G.
Pusterla.)
514. (?) Bernardino Mauro di Gioseffo, forlaU; 1687 Univ.
giurista e 1684, 1688, 1691, 1699 Univ. artista (43). V.
Indice.
515. Marco Zanetti di Giov. Domenico, furlan carlinese del
Com.to di Gorizia, 1687 — 1690 (43, 87); fu dottorato in
Coli, veneto giurista nel febbraio 1691 (68). Cfr. 882.
616. Domenico Belgramoni di Elio, d'Istria, 1687— 1692
Univ. artista (281). (L'antichissima famiglia Belgramoni
di Capo d'Istria è ora estinta)
190
Domenico Belgramonos, justinop., 1688 — 1692 TJniv.
leggista (32). Ebbe il certificato d'esame per ammis-
sione al dottorato in Coli, veneto giurista nel luglio 1692
(111). Cfr. 284, 999.
517. Giovanni Andrea Contesini, justinop. pupillus, 1687
(82). V. Indice. (Da Isola. G. Pusterla.)
Giov. Andrea Contesini Ettoreo di Alvise, istriano, 1687
— 1694 (43).
618. Gioseffo Madruzzi, d'Istria, 16874688. Univ. artista
(231). Cfr. 466.
619. Floriano Fiorini, goriciensis, ebbe il certificate d' esame
per ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista
nell'agosto 1687 (110).
620. Rodolfo Antonio Urbani di Maurizio, furlan da Trieste,
1687 — 1690 Univ. artista. Fu dottorato in filosofia e
medicina nel maggio 1688 (231).
Antonio Urbani di Maurizio, tergestino, fu dottorato
in Coli, veneto giurista nel giugno 1693 (78). Cfr. 292.
621. (?) Francesco Asquini fu Antonio, furlan, 1687 — 1692
(43). V. Indice.
622. Zuanne Gavardi di Alessandro, d'Istria, 1687 — 1690
Univ. artista (231). V. Indice. (Di Capo d'Istria. Q. Pusterla.)
623. Angelo Bar si, canon, archid. eccl. catt. Polae, ebbe il
certificato d' esame per ammissione al dottorato in ColL
veneto giur. nell'ottobre 1687 (110).
524. Giacinto Borisi di Antonio, furlan, 1687-1688 (43). Cfr.
476.
Giacinto co. Borisi, justinop. foroj., 1688, 1696 (32).
526. Francesco Grisoni di Santo, furlan, 1687-1691 (43). V.
Indice.
Francesco Grisoni, justinop. foroj., 1688, 1689, 1690 (32).
Ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli, ve-
neto giurista nel giugno 1692 (111).
626. Domenico Dolcetti di Giacomo, da Trieste, 1688 Univ.
artista (231). V. Indice.
Domenico Dolcetti di Jacopo, da Trieste, fu dottorato
in filosofia e medicina nel gennaio dell' anno 1691
(Dorigh.).
191
627. Luca Betelas, da Gorizia, 1688. Univ. artista (231).
628. Giov. Paolo B aselli, gradiscanus, ebbe il certificato di
esame per T ammissione al dottorato in Coli, veneto
giurista nell'aprile 1688 (111). Cfr. 584.
629. Francesco Cifra, tergestino, 1688 (32).
530. (?) Nicolò Giusti di Giacomo, furlan, 1686 — 1692. (Di
Capo d'Istria. G. Pusterla).
631. Tommaso Stefanini, gradisof&nus, 1688 (?) (461).
632. Domenico Naglasti di Giovanni, da Gorizia, 1688 —
1691 Univ. artista (231).
633. Somualdo Nic eletti di Francesco, da Trieste, 1688,
1694. Univ. artista (231). Cfr. 471.
534. Stefano Haras di Mattio, da Gradisca, 1688-1690. Univ.
artista (231).
636. Sebastiano Groies di Aldo, da Gradisca, 1688. Univ.
artista (231).
536. Stefano Podgorcich di Gregorio, da Gradisca, 1688,
1689. Univ. artista (231).
637. Valentino Galopi di Pietro, furlan, (Golob?) 1688. Univ.
artista (231). Cfr. 469, 888.
538. Giovanni Curtas di Zaccaria, da Gorizia, 1688-1689.
Univ. artista (231).
539. Giorgio Burshic di Francesco, da Gorizia, 1688 —
1691. Univ. artista (231).
540. Zaccaria lager di Francesco, da Trieste, 1688 — 1691
Univ. artista (231).
541. GBatta Novelli di Giov. Pietro, da Gradisca, 1688 —
1690. Univ. artista (231). Cfr. 404, 600.
542. Giorgio Vrana di Gasparo, da Gradisca, 1688 — 1690.
Univ. artista (231).
543. GBatta Vasel di Andrea, da Gorizia, 1688, 1689. Univ.
artista (231).
544. Giorgio Sigismondo Zeller di Rodolfo, da Gorizia, 1688
— 1694. Univ. artista (231).
546. Francesco Donadoni di Giov. Gioseflfo, da Trieste, 1688
— 1690. Univ. artista (231). Cfr. 466, 1289.
546. Francesco Zolneri di Marco» da Gradisca, 1688-1691.
Univ. artista (231).
192
547. Alessandro Dolcetti di Giacomo, da Trieste, t688. tJniv.
artista (231).
Alessandro Dolcetti, tergestino, 1688. Univ. leggista (32).
Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli, ve-
neto giurista nel gennaio del 1691 (111). V. Indice.
648. Agostino Beltrame di Zuanne, da Gorizia, 1688 — 1690.
Univ. artista (281). V. Indice.
549. Andrea Halobozich, da Trieste, 1688. Univ. artista (281).
660. (?) Gioseffo B a china di GBatta, furlan, 1688-1689. Univ.
artista (231). Cfr. 190. (Sarà forse dei conti Bocchina
da Cherso. G. Pusterla).
561. Antonio MuUé di Luca, da Gradisca, 1688 — 1690. Univ.
artista (231).
552. Bortolo Cando, da Gradisca^ 1688. Univ. artista (2S1).
553. Gioseffo Zebekeni di Massimiliano, da Gorizia, 1688 —
1690. Univ. artista (231).
554. (?) Pietro Gregolino, foroj., 1688 (32). 176, 479: massime
il n. 479.
555. Alvise Bagatai di Matteo, da Gorizia, 1688 — 1690.
Univ. artista (231).
556. Francesco Gioseffo Mei a e hi di Baldassare, da Gorizia,
1688. Univ. artista (281).
657. Felice Clinz di Marco, da Gradisca, 1688 — 1690. Univ.
artista (231).
558. Giovanni Giuliani, tergestino, 1688 (32). V. Indice.
559. Alvise Shnenk di Benedetto, da Gorizia, 1688 — 1694,
1697. Univ. artista (231).
560. Gabriele Bonfanti di Antonio, da Gorizia, 1688 — 1690.
Univ. artista (231).
561. Martino Dimiz di Andrea, da Gorizia, 1688 — 1690. Univ.
artista (231).
562. Bernardo Doleiniz di Sebastiano, da Gorisria, 1688 —
1690. Univ. artista (231).
563. Girolamo march. Gravisi, foroj. pupillus, 1688, 1690.
march. Girolamo Gravisi di Marco, furlan, 1688—1698 (43).
m. Hieronymus Gravisius, foroj., 1692, 1693, justìnop.
1692 (32). Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in
Coli, veneto giurista nel maggio del 1694 (112).
198
564. Francesco Baeta, da Gorizia, 1688. Univ. artista (231).
565. Francesco Saverio di Francesco Bartolomeo, da Trieste,
1688 — 1694. Univ. artista (231).
566. Giustino Garzolini di GBatta, da Cormons, 1688 —
1690 (87). Fa dottorato in Coli, veneto giurista nel
giugno del 1690 (78). Cfr. 932, 1S57.
567. Elio march. Gravisi, foroj. pupillo, 1688, justinop. 1689,
1690; istrius 1691; foroj. 1692, 1693 (82). Ebbe il certi-
ficato d'esame per il dottorato in Collegio veneto giurista
nel febbraio 1693 (111).
568. Marco Muschi di Bortolo, da Gorizia, 1688—1698.
Univ. artista (231).
569. Marco Scabesca (Shabekas) di Marco, da Gradisca, 1688^
Univ. artista (231).
570. GBatta Ee vii ani di Geo, da Gorizia, 1688 — 1690. Univ.
artista (231).
571. (?) Domenico Giusti di Giacomo, furlan, 1688—1692
(43). V. Indice. (Famiglia Capodistriana. G. Pusterla.^
572. Lorenzo Covati, gradiscanus, ebbe il certificato diesarne
per r ammissione al dottorato in Coli, veneto giurista
nel maggio 1689 (IH). V. Indice.
bis. Bartol. Nascimbene, nob. di Gorizia, fu dottorato in
filosofia e medicina nel marzo del 1689 (Dorigh.). V.
Indice,
574. Antonio Mattaloni de Cosulis, goriciensis, pupillus, 1689,
1690 ; forojul., 1692, 1698 (32) Cfr. 718. Ebbe il certi-
ficato d'esame per il dottorato in Coli, veneto giurista
nel febbraio 1691 (111).
Ant. Mattaloni de Cosulis, di Giov. Domenico, da Go-
rizia, 1689. Nel 1691 e 1692 matricolato artista (48).
575. Giose£fo Mariniz fa Domenico, da Trieste, 1689. Univ.
artista (281).
576. Jacobus Galassi fa Giulio, ex BuoUo feudo imperiale,
fu licenziato in chirurgia nel gennaio 1689 (236).
677. Giuseppe Franz onus, goriciensis, pupillus, 1689, 1690
(82).
Gioseffo Franzoni di Lunardo, da Gorizia, 1689 — 1691 ;
nel 1692 matricolato artista (43). Ebbe il certificato di
194
esame per il dottorato nel Coli, veneto giurista nel feb-
braio 1691 (III). Cfr. 1163.
578. Antonio Abelli di Silvestro^ da Fola, 1689, 1691. Univ.
artista (231).
579. Francesco Decanis di Nicolò, di Yiveo imperiai, 1689
— 1693. Univ. artista ('231).
Francesco Decano di Nicolò, da Gorizia, fu dottorato in
filosofia e medicina nel luglio 1()90 (Dorigh.).
58<). Francesco Beltrame fu Antonio, da Gorizia, 1689, 1690,
1692 -• 1695. Univ. artista (231). V. Indice.
581. Francesco de Fin, liber. baro gradiscanus pupillo, 1689,
1690 (32).
Frane, de Fin di Giulio, liber. baro da Gradisca, 1689(42).
582. Andrea de Fin, liber. baro gradiscanus pupillo, 1689,
1690 (82).
Andree de Fin del baron Giulio, da Gradisca, 1689 (43).
583. Luca Mauras di Filippo, da Trieste (Maurus?) 1689,
1690. Univ. artista (231).
584. Marco Antonio Baselli di Antonio da Gradisca, 1689-1690,
Univ. artista (231). Cfr. 528.
385. Mattio Treserini di GBatta da Gorizia, 1689, Univ.
artista (281).
586. Orazio Mauro di Mattio da Gorizia, 1689 — 1691, Univ.
artista (231). Cfr. 687.
587. Alberto Pittoni, cormonensis, pupillus, 1689 (32).
Alberto Piton di Matteo da Cormons, 1689. Cfr. 665, 1145.
588. Girolamo Budius, goriciensis, pupillo, 1690, 1691(32).
Qirol. Rudio di Vincenzo da Gorizia, 1690 — 1692 ; im-
matricolato artista, 1693, 1694, 1697 (43).
Girolamo Bossi di Vincenzo da Gorizia, fri dottorato in
filosofia e medicina nel maggio 1694. (Dorigh.). V. Indice.
589. Girolamo Duleri (?) di Fran.co da Gorizia, 1690, Univ.
artista (231).
590. Giovanni Stefano Zannutti, goritiensis, 1690, Univ.
artista (466); nel 1691 viene detto Philos. et Medicinae
doctor. Cfr. 334.
591. Giovanni Carlo Carusi, goriciensis, pupillus, 1690; foroj
gorit., 1691 (32).
196
CHov. Carlo Carasi fd Adamo da Q^orizia, 1690: nel 1692
immatricolato artista (43). Ebbe il certificato d' esame
per il dottorato in Coli. yen. giurista nel giugno del
1692 (111). Cfr. BOI.
692. Francesco Ciuran di Antonio da Trieste, 1690, 1692,
Univ. artista (231). Cfr. 602.
593. Carlo Romanus, goriciensis, 1690, 1693 (32). V. Indice.
Carlo Romani di QBatta da (j^orizia, 1690 — 1693 ; nel
1694 matric. artista (43). Ebbe il certificato d' esame
per il dottorato in Coli. yen. giurista nel giugno 1694
(111).
694. Donato Corso Funda di Giov. Pietro da Pirano, 1690,
anno primo (43).
Rey. Donatus a Funda, piranensis^ 1692 ~ 1694 (32).
Donato Fonda, piranese, ebbe il certificato d^esame per
ammissione al dottorato in Coli, yeneio giurista nel
giugno 1696 (112). V. Indice.
596. Rey. Giorgio Bello, rubinensis pupillus, 1691; forojul.
1692 ; rubin. 1696 ; foroj 1696 (32).
Zorzi Bello di Giacomo, robiense del Contado de Pesin
di Lubiana, 1691 (43). Ebbe il certificato d'esame per
il dottorato in CoU. yen. giur. nel settembre 1696 (112).
V. Indice.
596. ? Federico Codroipo fu Girolamo, furlan^ 1691 (43).
Cfr. 946.
697. Bernardino Piti a ni di Federigo da Gorizia, fu dotto-
rato in filosofia e medicina nell' aprile del 1691. (Dorigh.).
Cfr. 628, 1167.
698. Francesco Tracanelli di Francesco, fdrlan, imper., 1691
(93). V. Indice.
599. Giulio Rosaur, goritiensis, pupillus, 1691 (32); 1692,
1693 (32). Cfr. 206.
Giulio Resaur fu Fran.co da Gorizia, 1691 — 1693 ; nel
1694 — 1696 matric. artista (43).
600. Giuseppe Gragniz fu Paolo, tergestinus, fu licenziato
in chirurgia nell' ottobre del 1691 (286).
601. Giovanni Fran.co Romanus, foroj. goritiensis, pupillus,
1691, 1692. Rey. Fr. R. gor., 1693 (32).
196
Q-ioV. i'ratt.co Bom&no di Giovanni Carlo da Gorizia,
1691 (43). Ebbe il certificato d' esame per il dottorato
in Coli. ven. giurista nel marzo 1693 (111). V. Indice,
602. Andreas Brixianns, gradiscanns, pupilus, 1691, 1692,
1694 (32). V. Indice.
Andrea Bresciani fu Antonio da Gorizia, (?) 1691, 1692,
nel 1693 matric. artista (43).
603. Marco Marpurg d'Isac da Gorizia, 1691 — 1693,
Univ. artista (281). V. Indice.
Marco Marpurg fu Giuseppe da Gorizia fii dottorato
in filosofia e medicina nel giugno 1694 (285).
604. Giorgio Manzini, justinop., ebbe il certificato d'esame per
l'ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista nel luglio del
1691 (111). V. Indice. (Dei Manzini di Capo d'Istria vivono
i figli del Dr. Giovanni fu Nicolò. La famiglia dei Man-
zini d'Albona col titolo di marchese è estinta. G. Pusterla.)
606. Michele Rossi di Pietro da Gorizia, 1691 — 1694, Univ.
artista (231). V. Indice. Fu dottorato in filosofia e in
medicina nel giugno 1692. (Dorigh.)
606. GBatta Maria Bonavia di Rinaldo da Gorizia, 1692,
Univ. artista (231).
GB. Bonavia, goriciensis, censii, pedemontano, 1694,
Univ. leggista (32).
GB. Bonavia di Bainaldo, goric, fu dottorato in Coli.
ven. giurista nell' agosto 1694 (79). Cfr. 44, 1562.
607. Riccardo Brumati, for. goriciensis pupillus, 1692, 1693
(32). Cfr. 681, 1197.
Riccardo Brumati di Gasparo da Gorizia, 1692 (43).
Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nel marzo 1693 (111).
608. Giacomo Malva si fu Antonio da Gorizia, 1692, Univ.
artista (231).
609. Ioannes Zorzetta fu Sebastiano, istriensis da Buie, fu
licenziato in chirurgia nel marzo 1692 (286). Cfr. 1412.
610. Stefano Tortorini di GBatta da Gorizia, 1692, 1698.
Univ. artista (231). Cfr. 342.
611. Antonio Piccar di, tergestino pupillo^ 1692— 1694(32).
V. Indice.
197
Antonio Piccardi di Francesco da Trieste, 1692, anno
primo (43).
Ant. Piccardi di Fran.co, tergestino, fa dottorato in Coli,
ven. giurista nel maggio 1693 (78).
(A questa famiglia appartiene Aldrago Antonio de Pic-
cardi, tergestino, ultimo vescovo di Pedena, il quale è
stato traslocato nel 1778 al vescovato di Segna, ma si
trattenne costantemente a Trieste dove mori li 13 Set-
tembre 1789. G. Pusterla).
611 bis Antonio Piccardi, goritiensis, (?) ebbe il certificato di
esame per ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista
neir aprile 1693 (111) e (87). È errata l'indicazione della
patria? oppure è il precedente?
612. Antonio Bon afini fu Dom.co da Gorizia, 1692, 1693,
Univ. artista (231).
613. ? Marco Antonio Per t oidi fu Vincenzo, furlan, 1692
(43). V. Indice.
614. Dionisio marchio Gravisi di Marco, furlan, 1692 (43);
forojul. pupillus, 1692, 1698, 1696, justinop. 1697 (82).
V. Indice (La famiglia del marchese Dionisio è estinta
colla morte del marchese Girolamo. G. Posteria).
615. Antonio Spirondelli di Nicolò da Gradisca, 1692, Univ.
artista (231).
616. Nicolò Morosinì, justinop, 1692; N. Maurocenus, justi-
nopol., 1693 — 1697. Ofr. 981. (I Morosini di Capo-
d' Istria sono estinti. Possedevano la casa in contrada
Zubenaga (Musella) ora di Antonio Marsich fu Nazario
qm. Andrea del qm. Nazario. G. Pusterla).
Nicolò Morosini di Adrian da Capodistria, 1692 — 1697 (43).
617.? Antonio Dolcetti, foroj., 1692 (32). V. Indice.
618. Andrea Sigismondo de Luxetich, myterburgensis, 1692,
Univ. artista (466). V. Indice.
619. Grassin Gentilli di Giacob da Gorizia, 1692, Univ.
artista (231).
690., Claudius de Casella fu Castore, oivìs goritianus, fu
dottorato in Coli, veneto giurista nell'agosto 1692 (78).
621. Gioseffo Tarsia di Andrea da Capodistria, 1692 — 1696,
Univ. artista (231). Fu dottorato in filosofia e medicina
196
nel giugno 1696. (Dorigh.). (Della famiglia sulla calle
degli orti grandi. G. Pasterla).
622. Carlo Garnecius» goriciensis, 1692. (32). Cfr. 106.
623. Giuseppe Dolcetti, tergestino, 1693 (32). V. Indice,
624. GB. Dolcetti, tergestino, 1693 (32). V. Indice.
625. Marco Alcino, tergestino, forojiiL, 1694, 1695 (32).
Cfr. 678.
626. GB. Burici (?) di Lodovico da Gorizia, 1693, 1694, 1697,
Univ. artista (231). Cfr. 539.
627. Pietro Albertinus, goriciensis, 1693 (32).
628. Bernardin Piteani di Andrea da Gorizia, 1693, 1703,
Univ. artista (231). Cfr. 597, 1157.
629. Bev. Giov. Maria Lorocius,(?) goricimisis, 1693 (32).
(Lirutius ?)
630. Saverio Maitti di Pietro da Gorizia, 1693, Univ. artista
(231). Cfr. 1011.
631. Zuanne Muche di Zuanne da Gorizia, 1693, Univ. ar-
tista (231).
682. GBatta Vecchi, gradiscanus, 1693 (32).
GB. Vecchi fu Marco Antonio gradiscano, fu dottorato
in Coli. ven. giurista nell'aprile 1694 (79).
633. Silvester Antoninus, goriciensis, 1693 (32). Cfr. 453.
634. Imperius Pilastri, fri Sebastiano, justinop., fu licenziato
in chirurgia nel gennaio 1693 (287). Cfr. 350.
635. Alberto Perusius, gradiscanus, 1693 (32).
636« Annibale Bicus, (?) goriciensis, 1693 (32). V. Indice.
637. Placido Arrigonus, goriciensis, 1693 (32). Cfr. 1012.
638.? Francesco de Franciscis di Giovanni de Camie Ca-
nalis Gortis, ta licenziato in chirurgia nel marzo 1693
(287). Cfr. 941.
639. Pietro Piazza, gradiscanus, 1693 (32).
640. Giulio Contesini Ettoreo da Capodistria, 1693, leggista
e poi artista (43). (I Contesini erano da Isola. Chiesero
l' aggregazione al consiglio nobile di Capo d'Istria, ma
non la ottennero. Furono poi aggregati al consiglio di
Parenzo. G. Pusterla).
Lelio Contesini Ettoreo di Alvise da Capodistria, 1693
— 1701, Univ. artista (231). V. Indice. Cfr. 713.
199
641. Antonio Marozzus, gradiscano, 1693 (32). Ebbe il cer-
tificato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista
nel gennaio 1696 (112).
642. Antonio Caprileo di Silvio, furlan, 1693 — 1695, 1697,
Univ. artista (231). Cfr. 692, 1524.
643. Alessandro Alextis (Alessi ?)^ goriciensis, 1693 (32).
Alessandro Al e usi di Giorgio da Gorizia, 1693, anno
primo (43) Cfr. 761, 928.
644. Massimo Terrosi di Fran.co da Gorizia, 1693 — 1696,
Univ. artista (231).
645. Antonio Capelli, justinop., 1693 (32). V. Indice.
646. Fran.oo Liutti (Lirutti?) justinop, 1693 (32). V. Indice.
647. Andrea Maneti, goriciensis, 1693 (32). Cfr. 771, 924, 1162.
648. Giose£fo Ponzoni di Antonio da Gorizia, 1693, Univ.
artista (231).
649. Andrea Fedeli, justinop., 1693 (32). Cfr- 162.
Andrea Fedeli di Bortolo da Capodistria, 1693 (43).
650. Vincenzo Bagogna di Vincenzo da Capodistria, 1693 - •
1695, 1705, Univ. artista (231). (Il sacerdote don Vincenzo
agogna, dottore in teologia divenne canonico di questa
Cattedrale, istituì un benefizio ecclesiastico. L'attuale
benefiziato è il sacerdote don Luigi Vascon. Un campo
del benefizio in contrada Pastierano è ora posseduto da
Agostino Padovan fri Giovanni detto Sporta. Q. Pusterla).
Vincenzo Bagogna, justinop., 1701. Univ. leggista i32).
651. Stefano Giusto, justinop. 1693, 1694 (32). V. Indice.
(Nel 1640 era decano del capitolo cattedrale di Capo-
d'Istria don Giuseppe Giusti, sostenendo in pari tempo
r ufficio di cappellano del santuario della Madonna delle
grazie di Semedella. G. Pusterla).
652. Giuseppe Forni, justinop., 1693 (32).
653. Antonio Driutius, goriciensis, 1693, 1699, 1700 (32).
Ant. Driutius di Giov. Pietro di Gorizia, 1699 (44).
654. Lodovico Campana, justinop., 1693 (32).
655. Pandolfo de Pizzolattis, goriciensis pupillus, 1694(82).
656. Antonio Molina, aquileiensis, ebbe il certificato d'esame
per dottorato in CoU. ven. giurista nel maggio 1694 (112).
V. Indice.
200
657. Alessandro Alessandri, goriciensis, 1694 (32). Cfr. 1495.
658. Paolo Ce roti» foroj. imp., ebbe il certificato per il dot-
torato in ColL veneto giurista nell'agosto 1694 (112)
Paolo Ceroti di Antonio da Gorizia, 1693 (43). Y. Indice.
669. GBatta Bosizi fu Lodovico da Gorizia, fu dottorato in
filosofia e in medicina nel giugno del 1694. (Dorigli.)-
Ofir. 799, 1173.
660. Bev. Stefano Gallici, goriciensis, 1694 (32). Y. Indice.
660 bis.? Aev. Giov. Maria Gallici, foroj, 1694, 1696, 1697
(32). Y. Indice.
661.? Bartol. Tacco di Fran.co, furlan, 1694, Univ. artista
(231). Cfr. 320, 933. (Forse di Capo d'Istria. G. Pusterla).
662. Cristoforo Yictorius, justinop., 1694 — 1696 (32). Tro-
vasi lo stesso notato come pupillo nel 1692 (43). (Fu
Tavo di Pietro di Giulio Cesare, ultimo della famiglia
Yittori di Capo d'Istria. G. Pusterla).
663. Leopoldo Filippu ti, goriciensis, pupillus, 1694, 1695(32).
Leopoldo Filipusio di Sigismondo, furlan, 1694 (43).
Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nell'aprile 1696 (112).
664* Giov. DonLco Moretti di Leonardo, furlan, 1694 —
1696 (43).
Giov. Dom.co Moretti fu Leonardo, goriziano, fa dotto-
rato in Coli, veneto giurista nel luglio 1697 (79). Yedi
Indice.
665. Giovanni Francesco Pitto ni di Daniele, farlan, 1694 —
1697 (49).
Frane. Pittoni, camici. (Cormons?), ebbe il certificato
d' esame per il dottorato in ColL ven. giurista nell'agosto
1698 (112). Cfr. 587, 1145.
666. Carlo Yanini di Pietro, furlan, 1694, anno primo (43).
Carlo Yannino, goritiensis, ebbe il certificato d'esame
per il dottorato in Coli. venet(> giurista nell' agosto 1698
(112). Cfr. 896, 1515.
667.? Carlo Liutti, foroj, 1695 (32). Y. Indice.
668. Francesco Cari otti, justinop., 1695 (32).
669. Lodovico Yecchi fu Vtbjloo, nob. gradiscanus, fu dot-
torato in Coli. ven. giurista nell'aprile 1695 (29).
aoi
670. Antonio Biasioli di Fran.co d^ Istria, 1695, 1698) 1699,
Univ. artista (231).
671. Dionisio Salviati di Giuseppe, parentìnus, fu licenziato
in chirurgia nel giugno del 1695 (287).
672. Pietro Gavardo, justinop., 1695— 1697, 1701 (32).
Pietro Gavardi di Olimpio da Capodistria, 1695 — 1698
(44). (Il ramo del cavaliere dottor Olimpio Gavardo è
estinto. G Pusterla).
678. Eev. Giovanni Aloino, foroj., 1695 (32). Ofr. 625.
674. GBatta de Eubeis di Valentino, goritiensis, fu dottorato
in filosofia e in medicina nel giugno 1695 (285). Y. Indice.
676.? Gioseffo Antonio Camocin di Nicolò, furlan, 1695 —
1700 (44). V. Indice.
676. GBatta Wildanoff, goriciensis, 1695. GB. Willenoff, go-
rioen., 1696 (32).
GB. Wildenoff ebbe il certificato per il dottorato in Coli.
ven. giurista nel novembre 1696 (112).
676 bis. Carlo Maria a Jure di Gorizia, 1695 (32). V. Indice.
677? Tommaso Trac anelli, foroj., ebbe il certificato per il
dottorato in Coli. ven. giurista nel giugno 1695 (112).
Tomm. Tracanello di Francesco, furlan, 1691 — 1695
(43). V. Indice.
678. Zuanne Lo catelli di Giacomo, furlan da Cormons,
1695 — 1699, Univ. artista (231). V. Indice.
679. CHlo vanni Pascoli, camiol., sacerdos, dottorato in Coli,
ven. giurista nel maggio 1695 (79).
Zuanne Pascoli di Zuanne Daniele ex Camia, 1692 —
1695 (43). V. Indice.
6&0m Andrea Finus, justinop., pupillus, 1695 — 1697; 1701
(32) ; justinop., 1695 — 1698 (44). V. Indice.
681. Giovanni Giuseppe Bruma ti di Gasparo, furlan, 1695
(44). Cfr. 607 e 1197.
Giov. 0. Brumati, goritiensis, ebbe la fede per il dotto-
rato in Coli. ven. giurista nell' aprile 1696 (112).
682. Giovanni Antonio aFabris fa Fran.co, furlan, 1696 (42).
QìoY. Ant. a Fabris, goritiensis, ebbe il certificato di
esame per l' ammissione al dottorato in Coli. ven. giu^
rista nell'aprile 1696 (112). V. Indige,
202
G83. GBatta Drigano di Iseppo, hirlan imf^er, 1695 (44).
GB. Drigani, gradiscanus, ammesso al dottorato in Coli.
yen. giurista nel maggio 1696 (112).
684. Pietro Grisoni di Santo, justiuop., 1696 — 1700, nel
1701 matricolato artista (44).
Pietro Grisonius, justinop., 1696 — 1700 (32), ebbe la
fode per il dottorato in Collegio veneto giurista nel no-
vembre 1700 (113). V. Indice.
685. Nicolò Lugari di Lorenzo da Gradisca, 1696 - 1697.
Univ. artista (232).
Nicolò di Lughera fu Lorenzo del Friuli imper., fu dot-
torato in filosofia e medicina nel giugno del 1697. (Do-
righ). Cfr. 891, 1230.
686. (?) Valentino Giuliani (Julianus), foroj., 1696, 1697 (82)
V. Indice.
Valentino (Giuliani di Usualdo, furlan, 1696 (44).
687. Francesco Maurus, can. cath., polensis, ebbe il certi-
ficato d'esame per l'ammissione al dottorato in Coli,
ven. giurista nel febbraio 1696 (112). Cfr. 586.
688. Antonio Battiala, albonensis, pupillusj 1696; foroj.,
1697, 1698; Qiov. Antonio Albonensis, 1699 (32). Antonio
Battiala di Antonio, albonensis^ 1696, 1700; negli anni
1702, 1703 matricolato artista (44). Ebbe il certificato
d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel giugno
1700 (113). V. Indice.
689. Tommaso Giuseppe Bosethus fu Antonio, goriziano,
fu dottorato in filosofia e medicina nel gennaio 1696
(286). Cfr. 989.
690. Eev. Leonardo Tulius, goriciensis, 1696, 1697 (32).
Leonardo Tullio di GBatta da Gorizia, 1696 (44). Ebbe
la fede d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nel dicembre 1697 (112). Cfr. 691.
691. (?) Leonardo Tullio di Antonio, furlan, 1704, 1706.
Univ. artista (232). Cfr. 690.
692. Francesco Caprileus, gradiscanus, 1696 (32). Fr. Ca-
priles di Silvio, furlan, 1696, pup. (43). Ebbe la fede di
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio
J697 (112). Cfr. 642 e 1624.
ao8
693. Pietro Bertoldi di Vincenzo da Gorizia, 1696, 1697;
1704 — 1706. Univ. artista (232). V. Indice.
694. (?) Nicolò Marchi di Giorgio, furlan, 1696, 1699, leg-
gista; 1699, 1703, artista (44). V. Indice,
69o. Antonio Mollino, goriciensis, 1696 (32). V. Indice.
696. Annibale Megaluzzi, foroj. imper., 1696, 1702 — 1704,
1706 (32, 33). Cfr. 784.
Annibale Megalazzi di Leonardo da Versa sotto Gra-
disca (87).
Annibale Megaluzzi di Leonardo arciducale, 1696 (44).
Cfr. 784.
697. Andrea Bassin, goriciensis, 1696; Andrea Bacin, goric.
(32). Cfr. 1091.
698. Antonio Zaccaria di Fiorino da Pirano, 1696 — 1700,
1704-11 06. Univ. artista (232). Fu dottorato in filosofia
e medicina nel marzo 1701. (Dorigh.). V. Indice.
699. Giuseppe Modena, goriciensis, 1696 (32). Cfr. 1116, 1314.
700. Giacomo Moretti, goriciensis, pupillus, 1696 (32); di
Leonardo da Gorizia, 1697 (44). V. Indice.
701. Giov. Giacomo Morelli, foroj., ebbe il certificato d'esame
per l'ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista nel
luglio del 1699 (113). V. Indice.
702. GBatta Ortolani, furlan imper, 1696, 1697. Univ. artista
(232). V. Indice.
708. Francesco Flora di Iseppo da Gorizia, 1696 — 1698 (43).
Frane. Flora, goric , 1697 (32) Ebbe il certificato di esame
per il dottorato in Coli. yen. giurista nel giugno 1700 (113).
704. Francesco Seunis, justinop, pupillus, 1697 (82). (È
forse il medico Francesco Del Senno. G. Pusterla).
70B. (?) GBatta Zaccaria, foroj., 1697 (32). V. Indice.
706. (?) Sticotti Tommaso, foroj., ebbe la fede d'esame per
il dottorato in Coli, ven., giurista nel giugno 1697 (112);
trovasi immatricolato Tomm. Sticotti di Francesco, furlan,
negli anni 1692 — 1697 (43). V. Indice.
707. Teodoro Sporeni da Gorizia, 1697. Univ. artista (732).
Cfr. 911.
708. Giovanni Muli oc hi (Mulich?) di Andrea da Gorizia,
1697. Univ. artista (232). V. Indice.
90é
709. Valentino Barioni di Giovanni da Gorizia, 1697. Univ.
artista (283). Cfr. 486, 890.
7ia Bernardo Bifiani di Pietro da Goriaia, 1687; Univ. ar-
tista (282).
711. Varientus P e no tu s, gorioiensis, 1697 (82); Y. Penotti di G^
rizia, 1698 (44). Ebbe il oertifioato d'esame per rammissione
ài dottorato in ColL ven. ginr. nel luglio del 1699 (118).
712. Mario Usti a di Tommaso di Trieste, 1697. Univ. artista
(282); 1698, 1699, nniv. leggista (88). M. Antonio Ustìa,
tergestino, ebbe il oertifioato per U dottorato il OoQ. ven.
giurista nel lugUo 1700 (88). Cfr. 177, 127T.
718. Lelius Oontesinus Heotoreus, foroj., 1698; justinop.,
1699 (88), abbas just, 1700 (33). Abbas Lèlius Cont.
Hetc., ebbe il certificato d' esame per ammissione al dot-
torato in Coli. ven. giurista neir aprile 1701 (112). Cfr.
640. y. Indice. (L* abate dottor Lelio Contesini dei oonti
Hettoreo da Isola (Alieto) fu vescovo di Pola (1780-1782)
mori in concetto di santo nel 1782, e la di lui salma
venne trasportata ad Isola per esHore tumulata nella
chiesa del duomo sotto la tribuna dell'organo. G. Pusterla).
714. Carlo Lottieri da Gradisca, 1698(87). Carlo Lottierì di
Fr. Antonio, gradiscano, fu dottorato in Coli. ven. giu-
rista nel maggio 1698 (79).
716. Antonio Alessio Pe riboni, gradiscanus, 1696 (88); di
Carlo da Gradisca, 1698 (44). Alessio Periboni di Cario,
gradiscano^ fu dottorato in CoU. ven. giurista nell'agosto
del 169» (79).
716. Marco Faohinetti di Vendrame da Bovigno, 1698'—
1701 (44). V. Indice.
717. Nicolò Leonardo de Burlo, tergestino, 1698 (461), ebbe
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu-
rista nel luglio 1699 (113). V. Indice.
718. Francesco Mataloni Consoli da Gorizia, 1696. Univ.
artista (282).
Frane. Mataloni di Dom.co da Gorizia, fu dottorato in
filosofia e medicina nel luglio 1699. (Dorìgh.). Cfr. 674.
719. 'Antonio d^ Alberi di Giacomo da Trieste, 169a Univ.
artista (282). Cfr. 406.
à05
720. Pietro* Mollin ari di Ste&no da Bomans de Versa gotto
Gradiaoa, dottorando «in OoU. ren. giurista, 1698 (87).
Petrus MoUendinarius di Stefano, gradisoano, fu dotto-
rato nell'aprile del 1699 (79).
721. Mario Baleari di Orazio da Gorizia, 1698, 1699. Univ.
artista (282).
721 b. Mario Bai sari di Francesco da Gorizia, 1699. Univ.
leggista; nel 17014702 matricolato arista (44). Cfr.
737, 844.
722. Dionisio Cavedalis, goriciensis, pupillus, 1698 (88); di
ButiUo, 1698 (44).
Dion. Cavedalis di Butilio, fu dottorato in -filosofia e
medicina nell'aprile del 1699 (286).
728. Vincenzo Davanzo^ justinop., pupillus, 1698 (88); V.
a'Yanzo, justinop., 1699. Yinc. de Yanzo, justinopoL,
1700 (88). (La famiglia DayanzO' di Oapo d' Istria è estinta.
G. Posteria;.
Vincenzo Da Yanzo da Oapodistria di Giaoomo da Pa-
renzo, 1699-1702 (44).
Y. Davanzo,. parentìnO; ebbe il cert. per il dottorato in
Coli. ven. giurista nel giugno 1702 (118).
724. Abbas Simone Jacobus Picoli, gorioiensis 1696(88); di
FiBucesco, goric. (44). Ebbe la fede d' esame per il dot-
torato in Coli. yen. giurista nel giugno 1699 (118).
Cfr. 864.
725. Vincenzo Zeraricho (?) dì Paolo da Ch^so, fu dottorato
nel luglio 1698. (Dorigh.).
726» Bey. Ignazio Bianchini, goriciensis, 1698 (88).
Ignazio Bianclùni di Pietro da Gorizia, 1699 (44), ebbe
il certificato d' esame per il dottorato in Coli. yen. giù-
rista neir agosto 1699 (118). V. Indice.
727. Antonio Gillio di Carlo da (Jorizia, 1698, 1699. Uniy.
artista (282). Cfr. 608, 1124.
728. Francesco Palladinus, gorioiensis, 1699, 1700, 1702,
1708 ^) : di Taddeo, 1699 (44). Ebbe il certificato di
esame per il dottorato in Collegio veneto giurista nel
marzo 1701 (118). Cfr. 947.
729. Giovanni Dalla Torre di Tristano da Gorizia, 1699 (88).
206
780. Suison Morpargo di Salvator MoisÀ da Gkradisca, 1699-*
1705, 1707. Univ. artista (232). Fa dottorato in filosofia
e medicina nell' agosto 1700 (286).
781. Francesco Apollonio di Zorsi istriano, 1699^ 1701 —
1703, 1705. TTniy. artista (292). V. Indice.
Francesco di Zorzi Apollonio fu piranese e nacque nel
1780. (VidaU).
782. Francesco Serenus, justinop., 1699; 1701, 1702 (32).
Cfr. 28. (La famiglia Sereni si è trasferita a Trieste.
G. Pusterla).
Fran.co Sereni di Giacomo, justinop., 1697-1702 (44).
Ebbe il certificato d'esame per l'ammissione al dottorato
in Collegio veneto giurista nel giugno 1702 (113). Cfr 28.
788. Aloysius Capoannus, tergestino, pupillo, 1699 (83).
Alo. Capoanno fu (?) Marcello da Trieste, 1699 (44).
Ebbe il certificato d'esame per T ammissione al dottorato
in Coli. yen. giurista nel settembre 1700 (113). Cfr. 333.
784. Antonio Cosatinus, goriciensis, 1699 (33). Univ. leggista.
Ant. Cosatini di Giov. Domenico da Gorizia, 1699; negli
anni 1702 e 1703 matricolato artista (44); 1706. Univ.
artista (232).
Ant. Cosatini, goriciensis, ebbe il certificato per il dot-
torato in Coli. ven. giurista nell' agosto 1700 (113). V.
Indice.
736. Gioseffo Zanio di Gasparo da Gorizia, 1699, 1704, 1707.
Univ. artista (232).
786. Antonio de Brandis, foroj. arciduc, ebbe il certificato
d' esame per il dottorato in Collegio veneto giurista nel
maggio 1699 (113).
737. Giov. Martino Balzarus, goric, pupillo, 1699 (33).
Cfr. 721, 844.
Martino Balzar, foroj., ebbe il certificato per il dotto-
rato in Coli. ven. giurista nell'agosto (113). Cfr. 721.
738. Giacomo a Tur ri, goriciensis, pupillo, 1699, 1700 (33).
Giacomo à Turre di Tristano, goriziano, fu dottorato in
Coli. ven. giurista nel luglio 1701 (79).
Giacomo della Torre di Tristano da Gorizia, 1699; negli
anni 1701, 1702 matricolato artista (44).
207
739. Giovanni Antonio de Attimi 8, foroj., pupillus, 1699
(33). V. Indice.
740. Paschalinus Gobbi, ex Pisino, 1699 (460). Cfr. 1288,
1319.
741. Francesco Vermatus, gradiscano, 1699 (33). Cfr. 1266.
742. Giulio EomanuS; goritiensis, 1699 (33).
Giulio Romani di Giovanni Antonio da Gorizia, 1700 (44).
Giulio Gius. Romani, goric , ebbe la fede per il dottorando
in Coli. ven. giurista nel maggio 1700 (118). V. Indice,
743. Giuseppe a Pabris, goriciensis, 1700 (33).
Gioseffo a Fabris di Giov. Andrea da Gorizia, 1700 (44).
Fran.co Gius, de Fabris in Freyenbach, gorit., ebbe la
fede d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel
marzo 1701 (113). V. Indice.
744. Gasparo Valmasoni di Fran.co, carniol. imper. (44).
Fede d' esame per il dottorato in coli. ven. giurista nel
maggio 1701 (112).
745. Giov. Antonio Fontanelli di Bernardo da Gorizia,
1700, 1707. Univ. artista (232). Cfr. 968.
746. Carlo C ancia ni, foroj. ex Aquileia, ebbe la fede di
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel luglio
1700 (U?>). V Indice.
747. Francesco Michieli di GBatta da Gorizia, 1700-1707.
Univ. artista (232). Fu dottorato in filosofia e medicina
nel maggio 1702. (Dorigh.). Cfr. 426, 1206.
748 Zuanne Belgrado di Gibellini da Gorizia, 1700 (44, 88).
* Giovanni Belgrado di Gibellino, gorit., dottor. Coli. ven.
giurista nel maggio 1701 (79).
749. Pietro Gratto ni, gradiscano, 1700 (33); di Biasio, 1700
(44) Ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli,
ven. giurista, 1701 (113).
750. Giovanni Michele Stabili di Giacomo da Gorizia, 1700,
1701. Univ. artista (232).
751. (?) Giuseppe Antonio Camozzi, foroj., ebbe il certifi-
cato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel
febbraio 1700 (113). Cfr. 768.
752. Giov. Fran.co ab Attimi s ex com.tu, Goricise, pupillus,
17 0; foroj. imper., 1701, 1706 (33); di Nicolò, 1700(44).
àoò
Ebbe il certificato d'esame per ì^ ammissione al dottorato
in Collegio yen. giurista nell'aprile 1704 (113). V. LuUee.
768. Pabricio Tarsia, justinop., 1700-1701 (33). (Le famiglie
Tarsia di Capo d'Istria sono estinte. Gli ultimi forono
il conte Francesco ed il conte Dr. Alvise detto Tarsietto.
Or. Pusterla).
Fabricio Tarsia di Antonio, justinop., 1700 — 1705(44).
754. Giov. Valentino Bencig o Benicb di Bartol. da Gorizia,
1700, Univ. artista (232). Fu dottorato in filosofia e me-
dicina nel marzo del 1701. (Dorigh.). Cfr. 762.
755. Agostino Bruti, justinop., pupillo. 1700, 1701, 1703 (33)
foroj., 1702, 1705.
Agost. Bruti, justinop. et canon, emoniensis, ebbe la
fede d' esame per il dottorato in Coli. yen. giurista ne
luglio 1706 (114). (H conte dottor Agostino Bratti, ca-
nonico onorario di Ciittanova, abate d'Asola mori in
patria qual vescovo ed il suo ritratto esiste nella sacrestia
dei preti del duomo. G. Pusterla).
756« Giacomo Andrea de Morelli, gioriciensis, pupillus, 1700,
1701 (33). V. Indice.
Giacomo Andrea de Morelis di Andrea da Gorizia, 1700;
nel 1703 matricolato artista (44). Ebbe il certificato di
esame per V ammissione al dottorato in Coli. yen. giu-
rista nel giugno 1702 (113). V. Indice.
757. Girolamo Steffanei de Crauglio, furlan imper., 1700(44).
Girolamo Stafanutti, foroj. de Crauglio imper», pupillo^
1700 (33).
Hieronymus Stephanutius, foroj., 1701; Girol. Stepha-
nuzzi, for., 1702, 1704. Ebbe il certificato d'esame per
il dottorato in Coli. yen. giurista nel marzo 1705 (114).
758. Giovanni Camozzi, goriciensis, pupillo, 1700, 1701 (83).
Giovanni Camozzi di M. Antonio da Gorizia, 1700 (44).
Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nel lugHo 1701 (113). Cfr. 751.
759. Giovanni Costantini di Antonio da Bovigno, 1701.
Univ. artista (232). V. Indice.
760. GBatta Henricum di Bortol, furlan imperiale, 1701;
nel 1706 matricolato artista (44). Ebbe il certificato di
68&me per ammissione al dottorato in OoU. yen. ginrìsta
nel gingno 1706 (114).
761. Domenico de Aletiis, gradiscano, 1701 (33); 1703. Ofr.
643, 928.
Dom.co degli Alessi di Alfonso da Gradisca, 1701 (44),
ebbe il certificato d* esame per il dottorato in Coli. yen.
giurista nel maggio 1703 (IIS).
762. Valentino Benscic (Bencicb?) di Antonio da (3K>rizia,
1701— 1703; 1705, 1707, Uniy. artisU (232). Cfr. 754.
768. Nicolò Cagnolini di Gasparo de ciyitate Veglie, fu
licenziato in chinirgia nell'aprile 1701 (287).
764. Nicolò Traccanelli.foroj.imper. pupillo, 1701,-1708
(33). V. Indice.
Nicolò Trac, di Francesco, fiirlan imp., 1701 (44).
766. Antonins Bon fu GBatta da Grado, fu licenziato in
chirurgia nel maggio del 1701 (287). V. Indice.
766. Francesco Bossi, forojul. imperialis, 1701 (33). V. Indice,
Frane. Bossi di Bernardino, furlan imperiale, 1701 (44).
767. Giacomo Brutti, justinop., 1702 (33).
Ab. Giacomo Bruti di Marco, justinop., 1702 — 1704
(44).
768. GBatta Petronius, goriciensis, 1702 (83). V. Indice.
GB. Petronio di Luca da Gorizia, 1702; nel 1705 ma-
tricolato artista (44). Ebbe il certificato d'esame per il
dottorato in Coli. yen. giurista nel luglio 1702 (112).
769. (?) Lodovico Locatela, furlan, 1702 (44). V. Indice.
770. GBatta Cavassi di Antonio, furlan imper., 1702, 1706,
Uniy. artista (232).
771. Cesare Man etti di Aurelio, furlan imper. 1702 (44).
Cfi:. 647, 924 e 1162.
772. Fran.co Comelli di Dom.co da Gradisca, 1702 — 1707*
Uniy: artista (232). V. Indice.
773. Francesco Bon fu GBatta da Grado, fu licenziato in
chirurgia nell'agosto del 1702 (287). Y. Indice.
774. Bernardin Dall' gli o fii Fran.co da Aquileia, 1702 (44),
Bernardin Dall' Oglio, aquileiensis imper., 1703 (33). Ebbe
il certificato d' esame per il dottorato in Collegio veneto
giurista nell' agosto 1704 (114).
Ì2lO
776. Tommaso Steffani, foroj. imp, 1703 (44); Th. Stepha-
nius, gradiscanus, dottorando in Coli ven. giurista 1704
(88) ; Th. Steffaneus di Giovanni, gradiscano, fu dotto-
rato nel luglio 1704 (79).
776. Nicolò Bo se aro Ilo di GBatta da Gorizia, 1703 (232),
fu dottorato in filosofia e medicina nel maggio 1703.
(Dorigh.).
777. Giacomo de* Fabiis, goriciensis imp., pupillus, 1703
(33). V. Indice
Giacomo dei Fabiis di(?) Carlo da Gorizia (44, 88), fu
dottorato in Coli. ven. giurista nel febbraio 1705 (79).
778. Ottavio Gallateus, gradiscanus, 1703 (33, 88).
Ottavio Galateo di Claudio da Gradisca 1703; Ott. Ga-
lante di Claudio, 1703 (44). Fu dottorato in Coli. ven.
giurista nel febbraio 1705 (79). Cfr. 1222.
779. Francesco Antonio Canelli fu Gian. Dom.co da Gra-
disca, fu dottorato in filosofìa e medicina nel giugno
1703. (Dorigh.).
780. Lorenzo Colombani da Pirano, 1703 (44) L. Colomb.
foroj. imper., 1704 (33). V. Indice,
Lorenzo Colombani di Antonio, 1 703 (460). Ebbe il certifi-
cato d'esame per l'ammissione al dottorato in Coli, veneto
giurisU nel luglio 1705 (114). Nacque nel 1668. (Vidali.)
781. Silvestro Appolonius, piranensis, 1703 (33, 44, 460).
V. Indice.
Silvestro Apollonio, piranese, figlio di Becco fu
Silvestro, nacque nel 1686. (Vidali.)
782. Francesco Cornelio da Gradisca, 1703. Univ. artista
(232).
783. Fran.co Prop. Polli, (?) cervignanensis, ebbe l'attestato
di esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel-
r agosto 1703 (113). Cfr. 873, 1237 e 142P.
784. Giov. Francesco Megalucius, foroj , 1703 (33). Cfr. 696.
Giov. Fran.co Megaluci di Leonardo, furlan imper., 1701
(44, 88), fu dottorato in Coli, ven, giurista nel giugno
1706 (79). Cfr. 696.
786. (?) GBatta Gallicius, foroj., 1703— 1705(33); di Biasio,
1702 (44). V. Indice.
211
786. Giorgio Mormori, justinop., 1704 (33). I Mormori sono
greci.
788. Carlo de Salamanca, gradiscano, ebbe il certi6cato di
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio
1704 (114); di Iseppo, furlan (44). Cfr. 1303.
789. Andrea Galli eia, foroj. imper., 1704 (33). V. Indice,
And. Gali, di Lasi, furlan, 1704; negli anni 1705, 1706
matricolato artista (44).
790. Giuseppe Francesco Vociero (?) (Verrerio) di Daniele da
Trieste, V. Sindico degli artisti (670), fu dottorato in
filosofia e medicina nel luglio 1704. (Dorigh.).
791. Girolamo Bandiera, foroj. imper.^ 1704(33); di GBatta,
1704 (44), ebbe il certificato d'esame per il dottorato in
Coli. ven. giurista nel settembre 1706 (114).
792. Davide Morpurgli di Salvator Moisò da Gradisca, 1704,
1705. Univ. artista (231). V. Indice.
793. Girolamo Fonda, foroj. imp., 1704; goriciensis, 1705,
1706 (33), ebbe il certificato d'esame per il dottorato in
Coli. ven. giurista nel febbraio 1707 (114). V. Indice.
794. Antonio Mas otti, gradiscano, !704 (33, 44). Ant. Ma-
sotti, foroj, imper., ebbe il certificato d' esame per il
dottorato in Coli. ven. giurista nel settembre 1705 (114).
V. Indice.
795. Aloysius Beliate a Brigno, imper., 1704, 1705 (33);
Alvise Bellato a Brigno, 1705 (28).
796. Mathias Hermagoras Luxetich, myterburgensis, 1705
(461). V. Indice.
796 b. Mathias Luxetich, myterburgensis, 1717 (461).
797. Gerolamo Tonegazzo di Bernardo da Grado, licenziato
in chirurgia nel giugno 1705 (287). V. Indice.
798. Dionisio Brutti, justinop., 1705 (33). V. Indice. (Dionisio
Brutti dimorava a Boma ed era membro dell' accademia
dei Risorti in Capo d'Istria. In seguito alle di lui pre-
stazioni vennero i Pieristi per l'istruzione nel collegio
dei nobili in questa città. G. Pusterla)
799. Lauro Bosizio di Antonio da Gorizia, fu dottorato in
filosofia e medicina nel giugno 1705. (Dorigh.). Cfr. 659
e 1178.
312
-80O. Francesco Bcnffonitis, fMdisòano, 1706 {98).
Fran.co Scuffoui di Bartol. da Gradisca, 1706 filagli anni
1707, 1708 matrieolaio artisU (44>
801. Antonio Minio; forlan imper., 1705. Unir. astiata (232).
Antonio Minio di Pietro da Gorizia; fa dottorato in filo-
sofia e medicina nel giugno 1-705. (Dorìgh.). Y. JSulJce.
802. Marzio» Min io di Pietro da Oorisia, fu dottorato in filo-
sofia e medicina nel giugno 1705. (Dorigh.). Y:» Indice.
' 80B. Giacomo Scantius, foroj., piranensis, 1705 (SS).
801 Pietra Colossi di Nicolò, foroj. da Oormont, 1*705 (44).
Ofr. 942.
806. Antonio Lo catelli, foroj/ imper.; 1705 (SS).
M. Antonio Locatelli di Bemaido, foroj. imp., 1705 (44).
806. Pietro Bu betti di Pietro da Trieste, 1705. Univers.
artista (282).
807. Pietro Antonio Cerro ni, teif;estinus, 1705 (460).
P. Ant. CexToni di (Hammo, tergestino, fii dottorato in
Coli. yen. giurista nel luglio 1705 (79).
808. Giovanni Fagnani di (Giacomo da Trieste, 1705, Univ.
artista (282).
809. Antonio Bertolini, foroj. imper., 1705 (83).
Ant. Bartholini di Nicolò, foroj. imper., 1705 (44); ebbe
il certificato d' esame per il dottorato in GolL ven. gin-
rista nel lugtio 1707 (114).
810. Antonio Fachinetti di Gfiatta da (Gorizia, 1705. Univ.
artiata {282)/ Y. Indice.
811. Claudio Bonaldi di GBatta da Capodistria, 1705. Univ.
artista (282).
812. Francesco Silyerius, fòroj. imper., 1705 (88, 44). Pr.
Silverio di Paolo, fìi dottorato in filosofia e medicina
nel giugno 1707. (Dorigh.). (Gio. Batta Silyerio di questo
casato era nel 1860 direttore della Greca Ooncordiai So-
cietà d^Assicuraaione in Trieste. Il di lui fratello, tenente
del battaglione Lazzarich, fu ucciso nel 1809 al bombar-
damento di Capo dilatarla. G. Pusterla).
' 818. Damele Pisenti di GBatta, gradiscanOi llOòj pupillo
(33).
Daniele Pesenti di GBatta da (tradisca, 1706 (44).
318
814. BartoL. de Cavali eris di Simone, tergastino, pupillo,
1705, 1706 <3S); 1705, 1706 (44). Cfr. 1242.
Bort. de Cavaliens, foroj.» dottorato in OoU. yen. .giurista
nel maggio 1707 (114).
816..-GÌ0V. Giuseppe Bertoli di Giacomo, goriciensis, 1705
(Sfty 44) ; ebbe il certìfioato d* esame per il dottorato in
ColL yen. giurista nel dicembre 1706 (114). Cfr. 862. .
816. Antonio Oollona, foroj., Goriciad/ pupillo, 1706 (33).
Cfr* 362.
Ant. Collona di Andrea da Gorizia, 1706 (44), dottorato
nel Coli. yen. giurista, maggio 1702 (79).
817. GBatta Bressani, nob. imper, dottorando, 1706 (88),
ebbe la laurea in Coli. yen. giurista nell' agallo 1706
(75J). V. Indice.
8ia Pietro Apolonio de Piran, 1706^ Univ. artista (232).
V. Indice.
Figlio di Giorgio, nacque nel 168% (Vidali.)
819. Paolo Pancius di Gioyazmi, gradiscano, 1706 (44).
820L Stefano Morena di Vincenzo, tergestinoi fu licenziato
in chirurgia nel marzo del 1706 (287). Cfr. 421.
821. Giuseppe Borsetti, (?) goriciensis, 1706 (83)^
eaa: co. Marlus à Puekar, (?) gradiscano. 1706 (33).
828. Giuseppe Sigifredo Guerra di Lorenzo, tergestìno, fu
dottorato in filosofia e medicina nel marzo 1706 (288).
824. Zuanne Ziraoo di Valentino da Cormons, 1706^ TTaìv.
arfcUta^ (232). Cfr. 1336.
Gioyanni Ziraoo, foroj. imper., 1707 (44))»ebbe il certi-
ficato d'esame per il dottorato in ColL yen^.gìnrÌBta'Jftel
lugUo 1708 (114).
Gioyanni Zirano,(?) foroj. imp., 1707 (38);
83l(. Antonio Petronio, justinop., pupillo, 1706^ 1708 (33).
V. Indice. (La famiglia Petronio di Capo d*Irtria si
estinse colla morte dell'ingegnere Benedetto Petronio,
ayyenuta in Trieste. G. Pusterla)«
Antonio Petronio di Carlo da Capodistria, 170(**-1710 (44).
Ant» Petronio di Carlo, justinop., condlierius pedemon*
tane, 1709.
Ant. PetromOi foroj./ 1710»
214
826. Francesco Naxolinus, tergeatinO; pupillo, 1706 (33).
Fran.co Natolinì di Antonio da Trieste, 1706 (44), fa
dottorato nell' aprile 17(»7 in Coli ven. giurista (79).
827. Giacomo Schiavuzzius, foroj., 1706 (33); piranenais,
1707 (33), (460); nob. IstrìsB, prorector ac Syndicus dd.
artistarum, 1709(670); ebbe il certificato d'esame per
r ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista nel-
l'agosto 1710 (115). Cfr 868, 1426.
828. Giuseppe LirutuS; cormonensis, 1706; foroj. imper.,
1707 (33).
Iseppe Lirotti di Natale, cormonensis, 1706 (44). Ebbe
il certificato d' esame per il dottorato in Coli, yen* giu-
rista nel lugUo 1708 (114).
829. Nicolò Al pruni di Fran.co, foroj. imper., 1706 (44);
1707 (33); ebbe il certificato d'esame per il dottorato
in Coli. ven. giurista nell'aprile 1708 (114).
830. Antonio C eslari, foroj. imp., pupillus, 1707 (33).
831. Bernardo Marigotti, foroj. imp., ebbe il certificato di
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel dicembre
1707 (114). Cfir. 356.
832. Iseppo Stella fu Abramo da Piran, 1707, 1709, 1710.
Univ. artista (232). V. Indice. Fu dottorato in filosofia e
medicina nel settembre 1707 (288).
838. Stefano Buberti da Grado, 1707 (44).
834 co. Mario a P ut e o da Gradisca, 1707 (33). Y. Indice.
co. Mario dal Pozzo di Giov. Antonio da Gradisca,
1706 (44).
886. GBatta Sticoti di Antonio, furlan imper., 1707, 1708.
Univ. artista (232).
GBatta Sticoti di Francesco (?) da Bomans, imper., fu dot-
torato in medicina (soltanto) nel marzo 1 708 (288). Y. Indice.
886. Bertoldo Bertoldeus, foroj. imper., 1707 (33); di Bor-
tolo da Cormons, 1705 (44).
Bort. Pertoldeo, corm., ebbe il certificato per il dottorato
in Coli, veneto giurista nelP aprile 1707 (114). Y. jhdice.
837. Biasio Francesco Guerrij di Girolamo da Capodistrìa,
1707 — 1710. Univ. artista (232). (Non Guerrij ma Guerci;
forse errore dell'amanuense. G. Pusterla).
215
888. Tommaso Morandi fu Michele da Parenzo, fu licenziato
in chirurgia nel gennaio 1707 (287).
889. Bartol. Francisohe<;ti; foroj. imper, pupillus, 1707,
1708 (33, 44). Ebbe il certificato d' esame per il dotto-
rato in Coli. ven. giurista nel giugno 1709 (115).
840. Dom.co Pericinotti, foroj. imper., da Gorizia 1707(33).
Dom.co Pericinotti di Andrea, foroj. imper., 1707 (44).
841. Antonio Caesar, nob. Italus, goric, 1707 (460), (44).
Carlo Ant. Giacomo Cesare, gorit., ebbe il certificato
d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio
1709 (115).
842. Aloysius Giuliani, tergestino, 1707, 1708 (33). Alvise
Giuliani, 1708. V. Indice.
Alvise Giuliani di P. Paolo da Trieste, 1707, 1708, (44).
Aloysius loseph. Juliani, tergest., dottorando nel gennaio
1709 (115). V. Indice.
843. GBatta Beltram, goritiensis, 1707 (460), foroj. imper.,
1707 (44). V. Indice. Ammesso per certificato al dotto-
rato in Coli. ven. giurista nel luglio 1708 (114).
844. Fra co Balzarus, foroj. imper., 1707, 1708 (33). Ebbe
il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giu-
rista nel giugno 1709 (115). Cfr. 721, 737.
843. Alessandro co. Botta, istrius, momaniensis, pupillus, 1707
(33); di Pietro d'Istria, 1708 (44), V. Indice.
846. Gius. Lorenzo Pipan ex S. Daniele sub Com.tu Goricia,
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nel maggio 1707 (114). Cfr. 1631.
847. Alberto Antonio Ortolani nob. cormonensis, 1707 (460),
giurista.
Alb. Ant. Ortolani di Pran.co, fu dottorato nel maggio
1708 (79). V. Indice.
848. Nicolò Tonegazzo di Bernardo da Grado, fu licenziato
in chirurgia nel marzo 1708 (287). V. Indice,
849. Giulio Angelini, imper,, pupillus, 1708 (33). V. Indice.
Giulio Angelini da Trieste, 1708 (44).
849b. Giulio Servolo Angelini nob. de Fin, tergestinus,
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nel giugno 1709 (Ilo). V. Indice.
916
850. Oiov. Pietro Pattai, piBÌnensis, 1708 (46))-
QtìoY. Pietro Pattai, istrianus Bogliunenaìfl, ex Com.to
Piflino, imper., ebbe il certificato d' esame per il dotto-
rato giariflta nel giugno 1709 (115).
851. Antonio Cumiersaich (forse Eapfersein), imper., pa-
piUns, 1708 (33).
Ant Conferasaich da Trieste, 1708 (44).
852. Gasparo Bonifacio Saverio Bodella nob. imper., goti-
tiensiai, 1708 (461). Fede per il dottorato gioxìsta nel
giugno 1709 (115). C£r. 1265.
858. (?) Antonio Coluzzi, furlan, 1703 (44). V. Indù».
854. (?) Alessandro Piceli, foroj., pupillus, 1708 (33) i furlan,
1708 (44). Ofr. 724.
855. Giuseppe Ferra di Giovanni da Bovigno, fu licenziato
in chirurgia nel febbraio 1708 (287). Cfr. 1273.
856. Fabio Asquini fu Fran.co, foroj. imp., 1708 (44). V. Indice.
857. Fran.co Mai nardi di GBatta, furlan, 1708. Univ. ar^
tista (232). Cfr. 1305.
858. Yito Ignazio Miller di Silienburg fu GBatta nob. go-
ritiensiSy fu dottorato giurista nel luglio 1708 (79).
859. Cristoforo Bazze di Antonio da Pela, fu licenziato in
chirurgia nell'aprile 1708 (287).
860. Marquardo Appolonio di Girolamo, foroj., 1709; foroj.
imper., 1710, 1711 (33). Ebbe la fede d'esame per il
dottorato in legge nel maggio 1712 (115).
Marquajcdo Apollonio, foroj.| pupillus, 1708<33); furlan,
1708 (44); di Giovanni, (?) imper., 1709 (44).
Marquardo Apollonio di Girolamo, nacque in Pirano nel
1692. (VidalL)
861. GKov. Saverio Giunco (Giuroo); imper. da Trieste, 1708
(33). Giov. Saverio Jurico da Trieste, 1708 (44). V. In-
dice, Ebbe la fede d' esame per il dottorato in CoU. veiu
giurista nell' agosto 1710 (115).
868. Alberto Berteli del Frinì, 1708 (88); di Giacomo, foroj.
imper., 1707 (44).
Alberto BertoU di Giacomo, fu dottorato giurista nel
settembre 1710 (80). Cfr. 815.
868. Alberto Albertini fu Nasario, justinop., fa licenziato in
chirurgia nel gennaio 1709 (287). V. Indice.
217
864. Antonio de Portis di Fran.co, imper., 1709 (38 e 44).
Pietrus Antonìus de Porfcis, goritiensis, (?) 1709 (460).
Pietro Antonio de Portis, gradiscanus, (?) ebbe il certi-
ficato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista
nel giugno 1710 <115). Ofr. 461, 1800.
866. Agostino Codelli de Treufeld nob. di Gorizia, fa dot-
torato in medicina nel 1709;^ laureato dal Vallisnieri,
(Dorigh.); trovasi immatricolato nel 1706 (466). Cfr.
1070, 1377.
866. Gasparo Moruzola di Dom.co, imper., 1709 (33); foroj.
imper., 1706 (44). Ebbe il certificato diesarne per il dot-
torato giurista nel giugno 1709 (115).
867. Fran.co Saverio Marchetti di Valentino da Gorizia, fu
dottorato in filosofia e medicina nel giugno 1709 (Do-
righ.); trovasi immatr. 1708 (466). Ofr. 1174, 1462.
868. Filippo Schiavuzzi di Fran.co, foroj. imper., 1709 (38
e 44); 1711 Univ. artista (232). Cfr. 827, 1426.
Filippo Schiavuzzi, piranese, dottcH?ando in Coli. ven.
giurista nell'agosto 1710 (115).
869. Antonio Chinappi, pisinensis, 1709 (460).
Ant. Chinappi di Fràngo, pisinensis, fu dottorato in
Coli, ven, giurista nel febbraio 1709 (80).
870. Giov. Francesco BonmartinisdiZanandrea da Cherso,
oriundo da Veglia, 1709 (88), fu dottorato in Coli. ven.
giurista nel gennaio 1710 (80).
871. Fantino dei Fantini di Nicolò, foroj., imp., 1709, 1710
(33); 1709 (44). Cfr. 1244.
872. Leonardo Ti ani (o Tuni?) di Girolamo, foroj. imper.;
1709 — 1711 (33); 1709 (44). Cfr. 986, 1176.
873. Raimondo Polis di Antonio, foroj. imp., 1709, 1711 (33),
1709 (44). Cfr. 783, 1287 e 1428.
874. Luca Masotti di fseppo, foroj. imp., 1709 (33, 44), V.
Indice. Ebbe il certificato d' esame per il dottorato giu-
rista nel maggio 1711 (115).
875. Nicolò Sticoti di Franco, foroj. imp., 1709, 1711, 1713
(^), 1709 (44). V. Indice.
876. Silvio Locatellus di Giuseppe, foroj. imp., 1709, 1710
($S), 1708 (44), V. /m«o#.
218
877. Antonio Venier, goriziano, 1709, Univ. artista (466). V.
Indice,
878. Giovanni Bevilaqua di GBatta, foroj. imp , 17*» (33),
1708 (44). Ebbe il certificato d' esame per il dottorato
in Coli. ven. giurista nel giugno 1710 (116). V. Indice.
879. Giuseppe Pizzamei, gradiscano, 1709. Univ. arUsta
(466). (Nel 1732 era secondo medico in Capo d' Istria.
All'età di 80 anni rinunziò al posto G. Pusterla).
880. Pietro Zamberlani di Paolo, foroj. imp., 1709 (33,
44).
881. G-iuseppe Tartini di Giov. Antonio, piranese, 1709 (33).
Cfr. 980, 1038. (Divenne celebre compositore di musica
e primo violinista d'Europa. G. Pusterla).
882. Giovanni Giuseppe Zanetti, camiolus, Locopolitanus,
pbilos, doctor, 1709 (466). Cfr. 616.
883. Lodovico Locatelli di Giuseppe foroj. imper., 1709
(33). V. Indice,
883b. Lodovico Locatelli, cormonensis, dottorando giu-
rista nel lugUo 1722 (116).
884. Girolamo Petrelli di Paolo, foroj. imper., 1710, 1711
(33); di Pietro Paolo, 1712.
Girci. Petrei, foroj, imp,, 1713 (460).
Girci. Petrei, gradiscansis ac aquileiensis, ebbe il certi*
fìcato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel
giugno 1713 (115).. V. Indice.
885. Antonio Guerreri di Daniele da Gorizia fu licenziato
in chirurgia nel marzo 1710. (Dorigli).
886. GBatta Mazzoleni di Matteo, foroj, imp, 1710, 1711
(33), 1710 (44). Cfr. 990. Ebbe la fede d'esame per il
dottorato in Coli ven. giurista nel maggio 1711 (115).
887. Francesco Ventolari di Lunardo da Gorizia, fu dotta-
rato in filosofia e medicina nell'aprile 1710. (Dorigh.).
888. Fran.co Saverio Golob fu GBatta da Gorizia, fu dotta-
rato in filosofia e medicina nell' aprile 1710. (Dorigh.).
Trovasi immatr. 1709 (466). Cfr. 469, 637.
889. Maffeo Menar dinis dì Bartol., foroj. imper., 1710-1712
(33), (44) ; 1713 (460), ebbe la fede d* esame per il dot-
torato in Coli. ven. giurista nel maggio 1713 (116).
219
890. Giovanni Burlini di Antonio, foroj. imp , 1710 (33).
Cfr. 436. 709. (Forse sarà nato in Capo d' Istria. I Bur-
lini in questa città sono da diversi secoli. G. Pusterla).
891. Stefano Logar, Salcanensis^ ebbe il certificato d'esame
per il dottorato in Coli. ven. giurista nell'aprile 1710
(116). Cfr. 686, 1230.
892. Girolamo Scardo di Orazio, foroj. imper , 1710 (33); di
Orazio da Gorizia, 1710 (44); fu dottorato in Coli. ven.
giurista nel luglio 1711 (80).
893. Antonio Giuliani, tergestino, 1709. Univ. artista (466).
Antonio Giuliani di Giov. Iacopo da Trieste, fu dotto-
rato in filosofia e medicina nel giugno 1710. (Dorigh).
V. Indice.
894. Carlo More ti Pisoni di Bartol., foroj., imper., 1710
(33), (44); ebbe il certificato d'esame per il dottorato
in Coli. ven. giurista nel marzo 1712 (116). Y. Indice.
895. Leonardo Pini di GBatta, goriciensis, 1710 (33), 1711,
1712 (44) ; ebbe il certificato d' esame per 1' ammissione
al dottorato in Coli. ven. giurista neir ottobre 1712 (115).
Cfr. 461.
896. Giuseppe Vaninus di Giov. Pietro, foroj. imper., 1710.
1711 (33). Ebbe il certificato d' esame per il dottorato
in Coli. ven. giurista nel maggio 1712 (114). Cfr. 666, 1566.
897. Giulio Antonio Locatelli di Giuseppe, foroj. imper.,
1710-1713 (33); 1709 (44). V. Indice.
898. Osvaldo Cozzi Paluda, foroj. imper., 1713 (410).
Osvaldo Cozzi Paludea da Gorizia, dottorando giurista
nel settembre 1710 (116).
899. Antonio Thadeus di Antonio, foroj. imper., 17ll (33);
Antonio Tadeo di Ant., 1711 (44).
900. Antonio Angelini nob. tergestinus, 1711. Univ. artista
(466). V. Indice.
901. Fabio Masotti di Giuseppe, aquileiese, 1711. Univ. ar-
tista (232); fu dottorato in filosofia e medicina nel-
l'aprile 1711. (Dorigh). V. Indice.
902. Giuseppe Maria Martinelli di Arcangelo, foroj. ìmp.^
1711, 1712 (33); 1710, 1711 (44), dottorando in Coli. ven.
giurista nel gennaio 1713 (116).
820
903. Odorioo Colmano di GBatta, foroj. imper., 1711 (33),
(174).
Odor. Colmanus, goriciensis, 1712 (460). Cfr. 1457.
904« Giuseppe Cadis di Giovanni, foroj. imper., 1711 ^3
e 44).
905. Pietro Bossi Porgensis, goritiensis, ebbe la fede d'esame
per il dottorato in Coli. yen. giurista nel maggio 1712
(115). V. Indice.
P. Rossi (de Bubeis) fu Dom.co Purgiensis Goritiensia,
1711 (33).
906. Antonio de' Stefani, Lubranae civitatis, diooesis po-
lensiSy 1711 (460). (Laurano, Lovrana, era nel 1711 nella
diocesi di Pola con capitolo collegiale, ora si trova nella
diocesi di Trieste. G. Pusterla).
Ant. de Steffanis di Antonio Lovranensis, fii dottorato
in Coli. yen. giurista nel settembre 1711 (80).
907. Andrea del Taoho di Fran.co, foroj., 1711, 1713 (38)
Andrea Tacco, furlan, 1711-1714 (44). (Divenne vicario
generale del vescovo conte Agostino &utti ed in tale
qualità benedisse la chiesa di S. Girolamo sul monte
S. Minio Bossamarino. G. Pusterla).
co. Giov. Andrea del Tacco (Octacius), canon, catted.
di Capodistria, ebbe il certificato diesarne per il dotto-
rato in Coli. ven. giurista nel marzo 1715 (115). Vedi
Indice.
908. Giacomo de Bellis di Ottonello, foroj., 1711-1715 (33),
1711-1714, farlan (44). V. Indice. (Quale nipote del mar-
chese Giacomo Gravisi, sepolto questo nella chiesa di
S. Giusto, venne istituito da lui in suo erede. 6. Pusterla).
lac. de Bellis Othoneli, justinop , 1713, 1715 (33).
909. Giuseppe Petrei di Pietro Paolo, foroj. imper., 1711
(33, 44). V. Indice.
Giuseppe Petrei, foroj. imp., 1712 (460).
910. Giuseppe Bossina di Fran.co, foroj. imper., 1711 (33,
44).
911. Innocenzo Sporeni di GBatta, foroj. imper., 1711 (33,
44) ; ebbe il certificato d' esame per il dottorato in ColL
ven. giurista nel giugno 171? (115). Cfr. 707.
m
&là. 00. Sbranco fionooni di Antonio, aquileiese, 1711 (33);
1712 (li); ebbe il oertifieato d'esame per il dottorato
in Coli, ven., giurista nel luglio 1712 (115). V. Indice,
913. Giovanni Maria Tayelli di Pietro de Castro d. Petri,
fu dottorato in Coli. ven. giurista nell' agosto 1711
(80).
914, Agostino Cavalli di QBatta, foroj. imper., 1711, 1712
(44) ; ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli,
ven. giurista nel maggio 1712 (115).
»16. Giacomo Brutti di Cristoforo, ioroj., 1712, 1713 (38);
justinop., 1714 (34). V. Indice. (Nel 1745 era come il di
hii fratello Cristoforo, canonico del vescovo conte Ago-
stino Brutti. G. Pusterla).
916. Antonio Zanini di Giovanni, foroj. imper., 1712-1751
(33, 34).
917. Pietro Roncon delF eccell. Antonio da Aquileia, fu dot-
torato in filosofia e in medicina nel luglio 1712. (Do-
rigli.). V. Indice.
918. Domco Nass imbene di GBatta, foroj , 1712 (33, 45).
919. Leonardo Ant. Brainieh, goritienais. 1712 (33). Vedi
Indice.
990. Giuseppe lane si di Pietro, foroj. imper., 171 3 (33),
1711 (44). Ebbe il certificato d'esame per il dottorato
in ColL ven. giurista nel maggio 1713 (115). Y. Indice.
931. Giovanni Dom.cus Romani nob. aquileiensis, 1711 (461).
V. Indice.
922. Leonardus Fini, goriciensis, 1712 (460). V. Indice.
923. Antonio Sossi di Andrea, foroj. imp., 1712 (83), 1712
(46). V. Indice.
924. Nob. Odoardus Cantianus Mannenti, gorit., 1712. Univ.
artista (466). Cfr. 647, 771, 1162.
926. Arsenio Filippo Romani, goriciensis, 1712' (460), ebbe
il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giu^
rista nel giugno 1713 (115). V. Indice.
GBatta Ciconius di Fran.co, foroj. imper., 1712 (33),
1712' (46). 1713 (460). Ebbe il certificato d'esame per il
dottorato in Coli. ven. giurista nel luglio 1713(115)
V. Indice.
m
927. Pietro Bresciani da Cervignano, 1?12 (460), ebte il
certificato d'esame per ^ dottorato in Coli. veiL giurista
nel lugUo 1713 (116). V. Indice.
928. Alexander Alecijs (Alessi) di Pietro, goriciensis, 1712
(33), 1712 (45) Cfr. 643, 761.
929. Fran.co Potrei di Pietro Paolo, foroj. imp., 1712. Univ.
artista (233), 1715 (466).
Fran.co Potrei di P. P. da Gorizia, fu dottorato in filo-
sofia e medicina nel febbraio 1716. (Dorìgh.). V. Indice.
930. Francesco Romano di Anzolo da Gorizia, 1712. Univ.
artista (233). Y. Indice.
931. Pietro Muli eh fu Zuanne da Gorizia, 1712. Univ. ar-
tista (233). V. Indice.
932. Antonio Garzo lini di Filippo da Gorizia, 1712. Univ.
artista (233). Cfr. 666, 1357.
933. Filippo Tacco di Giulio da Gorizia, 1712. Univ. artista
(233). Cfr. 320, 661.
934. Zuanne Callo di Lorenzo da Gorizia, 1712. Univ. ar-
tista (233). y. Indice.
935. Giulio Vecchi di Fran.co da Gradisca, 1712. Univ. ar-
tista (233).
936. Pietro Dolcetti fu Fran.co da Trieste, 1712. Univ. ar-
tista (233). y. Indice.
937. (?) GBatta de Comitibus di Lorenzo, foroj., 1713 (33).
938. co. Giovanni Dom.co Ronconi da S. Vito, nob. aqui*
leiensis, ebbe il certificato d' esame per il dottorato in
(/oll. yen. giurista nel maggio 1713 (115).
939. Leonardo yenerius di yenerio, foroj., 1713 (33), 1714
(34), furlan, 1713 (45).
940. GBatta Cigolotti, foroj. imper., 1713(460). Cfr. 1563.
Ebbe la fede d' esame per il dottorato giurista nel geu-
naio 1717 (116).
941. Cosmus Damianus de Franciscis, dell* eccoli. Francesco,
camiolus, fu licenziato in chirurgia nel maggio 1713 (289).
Cfr. 638.
942. Francesco Colusius goriciensisis, 1713 (460), ebbe il
certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giù-
rista nel marzo 1715 (115). Cfr. 804.
è4à. Carolus G. Merlucius aquileiensis 1713 (460).
C. Grifone Merlucius aquil., dottorando leggista (certi-
ficato) nel marzo 1714 (115).
944. Franciscus Pascuti, Hiasenrichensis ex territ. gradiscano
1313 (460); dottorando in Coli. ven. giurista nel set-
tembre 1714 (115). Ofr. 959, 1297.
945. Franciscus Oodroìpus, Hiasenrichensis ex territ. gra*
discano 1713 (460); certificato d'esame per il dottorato
in Coli, ven giurista nel settembre 1714 (115). Cfr. 596.
946. Domenico Ortolani di Gradisca, 1713 (460). V. Indice.
947. Bartol. Palatinli di Pietro Ant. foroj. imper., 1714(34);
1713 (45) Cfr. 728.
948. Francesco co. de Rottigno goritiensìs 1714 (460); ebbe
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu-
rista nel marzo 1717 (116). Cfr. 1069.
949. GBatta Casari di Francesco, foroj. imper. 1714 (34)
e (45).
950. (?) Giuseppe Vettori (Victorius) foroj., ebbe il certificato
d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel mag-
gio 1714 (1 15). (La famiglia Vittori di Capodistria, come
fu già avvertito, si estinse in questo secolo colla morte
di Giulio Cesare. Dalla stessa città proviene la famiglia
Vittori di Corfù; il cui ramo principale è ora rappre-
sentato dal Conte Antonio, denominato Capodistria, ni-
pote del conte Giovanni, che fu primo presidente della
Grecia. — G. Pusterla.)
951. Giuseppe Antonio P e tris, foroj. imper. 1714 (461). (La
famiglia Petris da Cherso è divisa in più rami, uno dei
quali si trova in Capodistria da diversi anni, rappre-
sentato da Stefano, del fu Stefano, professore ginnasiale.
— G. Pusterla.
952. Andreas Brainich goritiensis, 1714. Univ. aitista (460);
V. Indice.
953. (?) Mario a Turre di Nicolò forojul, 1714-1715 (34);
1715 (45). V. Indice.
954. Bemarditio Alghisi gradiscano, ebbe il certificato di
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel set-
tembre 1714 (115)
3à4
955. Edoardo C^kz^oiaui di Tonupoaso del f^rinli imper. #B
dottorato in filosofia e iu medicina nell' aprile 1714.
(Dorigh.). V. Indice.
956. (?) Loreii20 a Turre di Nicolò foroj., 1714-1718 (34);
dottorando per fede d^es^me in ColL yen. giurista nel
marzo 1709 (116).
957. Francesco S. Collorosìg di Gtoriaia, fa dottorato ìb
filosofia e medicina nell'aprile 1714. (Dorìgh.) (460).
959. Gasparo Fontanella di Leonardo^ foroj. imper., 1715
(34). Ofr. 745.
959. (?) Alessandro Pascuti di Frane. Antonio^ forlan, 171i5
(45). Ofr. 944, 1297.
960. Yrncenco de Montegnaco, cormonensis, 1715 (4(0^.
Univ. artista (466). Ofr. 1078.
961. Giovanni Bizaardo de' Bizzardis, foroj. imper.s 1715
(34).
962. GBatta Bota, foroj. imper., 1715 (460). Ebbe, certificato
d* esame per dottorato in ColL yen. giurista nell'apcilA
1716 (115).
963. Antonio Bona imperialis, ebbe il certificato d'esame per
il dottorato in Coli. ven. gii^ista nell'agosto 1715(115).
964. J^ietaco Macizzi(?) di Zuanne, gradis&hensis, 1715. Univ.
artista (233). Cfr. 1164.
965. Giuseppe Poserle di PietrOi foroj. imper., 1715 (34).
966. Antonio Troilo di GBatta, Istria, 1715. Univ. artista
(233). Fu licenziato in chirurgia nel mano 722 (289).
967. Giovanni M. Corte di Gasparo, nob» di Capodistria e
cittadino di Muggia 1715. Univ. artista (233); 1718.
Univ. leggista (34). Cfr. 1158, 1388. (Il Corte si trasferi
nelV Italia meridionale^ ove i suoi discendenti sono detti
Corti. — G. Pusterla.)
968. Cristoforo Tarsia di Corrado, tergestino, 171&(34); 1716
(45); 1718 (460). Dottorando per fede d'esame in CoU.
veQ. giurista nell'aprile 1719 (116). Y. Indiee.
969. Giacomo de Bellis di Francesco, justinop., 1716, 1717
(34). y. Indice. (Giacomo de Belli, nato nel 1689, condosae
in moglie la contessa Francesca Bruti, e fa istituito
erede del marchese Giacomo Gravisi — G* Pusterla.)
d?0. (iliweppe Antonio trinati, foroj. imp«r«, 1716. Univ. w-
tìata (466).
971. Axirelins Berioldous, gorioienBia, 1716 (460) Bbbe il
certificato d'esamt par ì^ammitnone al dottpfato^ in Coli.
yen. gitnirta nel settembre 1716 (116). Y. JwHoa
972. Andrea Oanoiani, Diù[àeiuuj» ]7ia Unir. arfcwU (466) -
1714 (4&>
Andsea Canciani di Fraaoesoa da BonoU» conte di Q^
rijsia^ fu dottorato in lilosi^a a medkina nel gennaio
1717 (288). V. Indice.
flrza P^rw ab. Agata, goritiensis, 1716 (4C0). SU>e il cer-
tificato diesarne per il dottorato in OolL yen. giurista
nel marzo 1717 (116).
974. Gioyiwni Mun^ini .di Nicolò, jnetinop., 1716 (34). T.
Jn^ce. (Fa ingegnere. — G. Pasteda.)
975. Giacomo Pinaffi di TonuMSO, eberseneìa; 1716-1719,
(34>
97^. PanloA Tanisi, connoneneia, 1716 (46<^; ebW il certi-
ficato d* esame per il dottorato in Coli. y^n. ginnsta nel
viaggio 1717 (116).
977. Gioy. Gixolamo d» Fabris^ gorioieauiLi, 171<> (460). V.
Indice.
Gioy. QJioL Fabris di Vincenzo gporit., fu dottorato gin-
rista nel luglio 1716 (81).
978. Antonio Giorgio Cherubini di Gio^. Paolo, gontiensis,
fu dottorajbo in filoeofiai e medicìiui nel dicembre 1716
(288).
979. Giusepjpd Lodoyico Schal:ettaxi, goxitienm, 171&(460^.
Gius. AnJL Lodoykso Scalettar! fa Franzo gorit., fu
dottorato in Coli. yen. ginrista nel macao 1717 (81).
9^(H Antonio Taxtini di Antonio, yegliensiay 1717 (94)1 Oh.
881, 1038
9fitl. Agpfitino Morosini, jnatinop., ebbe il eertìfioato. d'esano
per i) dottorato in Coli. yen. giuiiata nel giugno 1717
(116). Cfr. 616.
Agostino lloroaini fu Lucrezio^ fndaa, 1712] (45). (Iia
fa«Uglia Morosini ayeya ottenuto la nobiltà municipale
di Capodistria. — G. Pusterla.)
982. Giov. Daniele fiusinelli di Òormonzio, 17lt (46Ò); t>.
Bassinelli ex comtu Goriciae 1720 (460). ' Giov. Dan.
Businelli di Orazio, cormonensis, fu dottorato in Coli
yen. giurista nel marzo 1719 (81).
983. Ottaviano Stainpetta de Òormonzio, 1717 (460).J
Ottav. Stampetta dì Arcangelo da Cormons, fu dottorato
in filosofia e medicina nel marzo 1720 (81).
984. Leonardo Sbisà, nrsariensis, ebbe il certificato d'esame
per il dottorato in Coli. ven. giurista nell'agosto 1718
(116).
985. Francesco Tu ni gorìt., 1717 (460), ebbe il certificato di
esame per il dottorato in Collegio veneto giurista nel
febbraio 1718 (116): Cfr. 872, 1176.
986. r.do Domenico de Luca da Gorizia, 1717 (460), ebbe il
certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nel febbraio 1719 (116).
987. r.do Andreas Rosi di Gorizia, 1717 (460), ebbe il cer-
tificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nel giugno 1719 (116).
988. Giorgio Leonardo Pontoti, goriz., 1717 (460); ebbe il
certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nel maggio 1719 (116).
989. Lodovico Andrea Rossetti goritiensis, 1717. Univ. ar-
tista (466).
nob. Lodov. Andrea Rosetti di Giuseppe Tommaso, go-
ritiensis, fu dottorato in filosofia e medicina nel maggio
1717 (280). Cfr. 689.
990. Vincenzo Hazzoleni goritiensis^ 1717 (460); ebbe il
certificato d' esame per il dottorato in Coli, veneto giu-
rista nel febbraio 1718 (116). Cfr. 886.
991. Francesco Zanotino(?) di Giovanni da Òormonzio, 1718
(34).
992. Francesco Dom.co Petreius, foroj. imper., 1718 (460)
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nell'aprile 1720 (116). V. Indice.
993. Julius Ollenius, foroj. imper., 1718 (460).
994. Job. Bapta a Comite^ cormonensis, 1718. Univ. artista
(466).
227
ÒÒÒ. I^ranciscus Cleva di Giovanni, jnstinop.; fu licenziato
in chirurgia neU' aprile 1718 (289). Cfr. 1494.
996. Alessandro Bossi, foroj imper., 1718 (460), ebbe il cer-
tificato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista
nel maggio 1719 (116). Y. Indice.
997. (?) Jacobus Lo catelli di Giov. Maria, fu dottorato in
filosofia e medicina nell' agosto 1718 (288). Y. Indice.
998. Carlo Camozzinus, goritiensis, 1718 (460), ebbe il cer-
tificato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista
neiraprUe 1719 (116). Y. Indice.
999. Elio Belgramoni di Dom.co, justinop., 1718 (34); Orio
Belgr. di Dom.co just, 1719 (34).
Elio Belgr. di Lodovico (?) di Capodistria, 1718 (45).
Elius Beheltremon tergestini districtus imper., 1720 (460).
Elius Belgramoni, tergestinus, ebbe il certificato d' esame
per V ammissione al dottorato in Coli. ven. giurista nel
giugno 1721 (116). Cfr. 284, 516. (H dott. Elio Belgra-
moni di antica famiglia ora estinta, mori li 80 gennaio
1748. Possedeva la casa ora della vedova di G. Batta Bac-
canelli, dirimpetto la chiesa di S. Biagio. — G. Pusterla.)
1000. Giovanni Antonio Cristofoli goriz., ebbe il certificato
d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio
1718 (116). Cfr. 1226.
1001. Francesco Maria Bevilaqua fu Bortolo di Gorizia, 1716
(466), fu dottorato in filosofia e medicina nel 1718, mese
di giugno. (Dorigh.) Y. Indice.
1002 Domenico Costantini da Ursarìa, ebbe il certificato di
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nell' agosto
1719 (116). Cfr. 1061.
1003. GBatta Budio de' Budiis di Antonio, da Gorizia, fu
dottorato in filosofia e medicina neir aprile 1719 (Dorigh.) ;
immatr. Univ. artista, 1718 (466).
1004. Francesco Czars, foroj. imper.; fri dottorato in filosofia
e medicina nel luglio 1719 (Dorigh.); trovasi: Fr. Ant.
Czars salcanensis, 1718. Univ. artista (466).
1005. Alessandro Marcovich, praenob. goritiensis, 1720 (461).
1006. Nicolò Brusio h fu Giovanni, vegliensis, fu dottorato in
Collegio veneto giurista nell'aprile 1719 (81).
10O7. Biagio Tainadi di Lonardo, Soroj. ìmper., tu àoHorskù
in filoMia a medieìoa nell'aprile 1720 (Dorìgh.); im-
matncolMAa Jhàv. aiiiaka, 1719 (4«ft). Cfr. 1446.
lOOS. Antoains Cam eli ini, gcMritìenais, 171» (460). Giovanni
Ani Camellìni, dottorando in CiJl. ven, giiunsta nel
febbraio 1722 (116).
1009 I«8onardt» Panlonn» da Goriziai 1719(460), dottorando
in Collagi» veneto giarista, por oertifioato d' esame 2m»1
vario 1721 (116).
1010. Matiheus Peneohinv» di Ohneppo, gradiseanO; 1719
(460). Où, m.
1011. Lorenzo Ignazio do Malti, goritieneno, 1719 (46(^), ebbe
il ceitifioata d'esame per il dottorato in Coli, veneto
giurista mei febbraio 1720 (116). Cfr. 630.
10il2» Bemardiiio Arrigoni^goritieusis, 1719 (460); dottorando
m Coli. Ven. ginrìsta ael febbraio 1720 (116). Cfr. 637
10}3<. IVaneasco Minei, feroj. imper., 17119 (460). V. Imliee.
1014. Bartol. Marchi, aoquilojensiB, 1719 (460). Y. Indice.
101& Joaanea Braida, fero^ iiiq>er., 171» (460).
8iov. Braida di MiroO; ^bo il certificato d' esame per
il dottorato in ColL veneto^ giurisia nel maggio 1720
(ÌW), Cfr. 1247.
1016. Paolo Nasoimbene di Gìovaafniv foroj. imper., fk dot-
toratoi ÌBi filosofia e medicina nel magato 1720 (Doi'igb.)
immatEMoL Ubìvw artista^ 1718, 1720 (466).
1017. Giuseppe Beonzi di Dom.co, foroj. imper., fu dottorato
in filosofia a medaoiaa noU' agosto 1720 (Dorigb*)-
Joanaea Josapk Bontios feroj. imper., 1720^ Univ. artista
(466). Cfr. 207, 394. (Nel 172fr Giuseppe de Bonzi fu
asoBÌtto. al teimo ordine di S. Francesco ed aU» confrn-
temita dei Cmxliglieri nella chiesa di S. Francesco di
di Capodistria. — G« Pusterl».)
lOMi Francesco i#ovisoni ex S. G^oigio, gradiscano, 1720
(460).
Fran.co Lovisoni di Bom.co ex S^ Geòrgie foroj. imp.,
fti< dottorato in. Collegio veneto, giurista nel febbraio
l'790 (SI). Cfr. 1248.
1019. Ignazio Royis, geminensis ex com.tu pisinensì, 1720
(460); ebbe il certificato d'esame per dottorato in Oolt.
veneto giurista nel giugno 1721 (116).
1020. Leonardus de Burlo, tergestino 1720; (460); ebbe il cer-
tificato d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista
nel gennaio 1728 (116). Y. Indice.
1021. Daniel Fr. Francoll, tergestinO; 1720 (460); ebbe il
certificato d'esame per il dottorato in Coli. Yen. giurista
nel maggio 1722 (116). V. Indice.
1022. Joseph Maro ni, goritiensis, 1720 (460). Ofr. 373.
Giuseppe Mario Maroni, foroj., dottorando in Odi yen.
giurista nel gennaio 1724 (116).
1028. Oraaio de Fin, gradiscano, 1720 (460).
Orazio Fini di Andrea justinop., 17221-724 (45); justinop.
1722; 1728 (35).
Dottorando in Coli. yen. giurista nel marzo 1724 (116).
(La nobile famiglia dei conti Fini di Capodlstria si estinse
nel presento secolo colla morto dei fratelli conto Stefano
e canonico G. Battista. — Q Pustorla.)
1024. Aloysins Manziolius^ torgeiiini distriotos imper.; 1720.
(460), V. Indice.
Alvise Manzioli di Fran.co d* Istria, 1722 (45) ; istrienÉÌB
imp., 1722 (35).
Aly. Manz. imper. torgest., dottorando in CoU. yeneto
giurista nel gennaio 1723 (11-6). (La famiglia Mansioli
di Capodistria è estinta. — 3. Fustella.)
1025. G. Jacobus Biosa(?) fu Zuanne, trieeibras, 1720. Univ.
artista (466).
r.do Giacomo Bosa fu Giovamni t^'gestìno, fu dottorato
filos. e medie, noy.bre 1720 (288). Gfr. 1167.
1026. Agostino Tataro (?) di Costantino, istrio, 1720. Uniy.
artista (233).
1027. Domenico Morganti di Cesare da Lussin, t729. Uniy.
artista (233).
1028. Gioy. Giacomo Armelinus, fauliceMis (sic) imper.,
dottorando in ColL yeneto giurista nelf aprile 1720
(116).
1029. Enrico Serbolani di Filippo, istriano, 1720. Uniy. M-
tista (233).
280
1030. Antonio Trighelli di Bartol., istriano, 1720 Univ. ar-
tista (233).
1031. Francesco Danielis del Friuli imperiale 1720-1723.
Univ. artista (233).
Fran.co Danielis foroj. imper., 1719. Univ. artista (466).
1032. Antonio Marchettani di Pietro, cormonensis, 1721 (35)
(460) ; dottorando in Collegio ven. giurista nel giugno
1724 (116).
1033. Paolo Bullo di Andrea da Parenzo, 1721. Univ. artista.
(233).
1034. Giov. FUippo Pertot, goritiensis, dottorando in ColL
veneto giurista, con certificato d'esame nel luglio 1721
(116).
1035. Antonio Stagnus, cormonensis, 1721. Univ. artista (466)
V. Indice.
Ant. Stagnus fu Pietro, cormon , fu dottorato in filosofia
e medicina nell'aprile del 1721 (288).
1036. Bartol. Locatelli, cormonensis, 1721 (460); di Leonardo
cormonensis, 1722 (35); foroj., 1722-1724 (35); dottorando
in Coli. ven. giurista nel febbraio 1729 (117).
1037. Basilisco Basilisco di Carlo Luigi, da Pisino, 1722 (35);
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in CoU. ven.
giurista nell'aprUe 1723 (116). Cfr. 1314, 1548.
1038. Pietro Tartini fu Giov. Antonio, da Pirano, 1722 (35)
(45). Cfr. 881-980.
Pietro Tartini fu Giov. Ant., piranensi, orig.e fiorentina,
ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista neir aprile 1724 (116).
1039. Pietro Zaccaria di Apollonio, da Muggia, 1722. Univ
artista (233). V. Indice.
Fu dottorato in filosofia e medicina nel luglio 1725
(Dorigh.).
1040. Antonio Masato (?) di Pietro, d'Istria, 1722-1725. Univ.
artista (233).
Ant. Miseti(?) di Pietro di Bovigno fu dottorato in
filosofia e medicina nell'ottobre 1725 (Dorigh).
1041. rdo Giovanni Filinich, chersensis, fu dottorato in Coli.
ven. giurista nell'ottobre 1721 (81).
231
1042 Stefano Vucioh da Gorizia, dottorato in filosofia a
Vienna d'Austria nel 1717, fu dottorato in medicina a
Padova nel maggio del 1722 (Dorigh;).
1043. GBatta Barberini, gradiscanus 1721 (460).
r.do GB. Barberini di Fran.co gradisc, fu dottorato in
Coli. yen. giurista nel maggio del 1723 (81).
1044. GBatta Cristofforutti, goritiensis, dottorando in Coli,
yen. giurista per certificato d' esame nel luglio 1721
(116). Cfr. 477.
1045. Vito Modesto de Giuliani, tergestino, 1721 (460). Ebbe
il certificato d' esame per il dottorato in Coli, yeneto
giurista nel maggio 1722 (116). V. Indice.
1046. Ermenegildo Pera, goritiensis, ebbe il certificato d' esame
per il dottorato in Collegio yen. giurista nel maggio
1721 (116).
1047. Gasparo Antonio Tosonus de Yiyeo, comit.u gradiscae
1721 (460). Ebbe il certificato d'esame per il dottorato
in Coli. yen. giurista nelP aprile 1723 (116). Cfr 455.
1048. Antonio Pilottus, aquilejensis, 1721 (460).
1049. Giovanni Gasparo Mersius fu Vincenzo, tergestino, fu li-
cenziato in chirurgia nel giugno 1721 (289). Cfr. 1094, 1153.
1050. Pran.co Dom.co del Torre, goriziano, 1721 (460), ebbe
il certificato d'esame per il dottorato in Coli, yeneto
giurista neir aprile 1722 (116). V. Indice.
1051. Girolamo Bartol. de Bellarazzi, aquilejensis, 1722 (460).
1052. Paolo Tonegazzo fu Bernardino, da Grado, licenziato
in chirurgia nell'aprile del 1722 (289). V. Indice.
1053. Pietro Antonio Garellius de Cormontio, 1722 (460).
1054. Nicolò Rigo d'Aurelio da Cittanova, 1721, 1723, 1724
(45). V. Indice.
1055. Andrea Barnaba, goritiensis, 1722 (460), ebbe il certi-
ficato d^ esame per l' ammissione al dottorato in Coli,
yen. giurista nel marzo 1723 (116).
1056. Andreas Schauer, goritiensis, 1722 (460), fu dottorato
in filosofia e medicina more nobilium^ nell'aprile 1722
(Dorigh.).
Andreas Schauer gorit. imper., 1720 (466); syndicus
nationis german., 1724 (461).
1057; Petrus Gonoina di Pietro, cormonensis, 1722 (460), ebbe
la lede d'esame per il dottorato in Coli. Ten. giurista
nell'aprile 1723 (116).
1058. Francesoo Naioimbene di Bartol., jostlnop., 1722-17M
(35); 1723 (45). Y. Indice.
Fran.oo Naacimbene di Girolamo <?), jnstinop, 1725-1727
(35), 1722 anno primo, 1725 anno terso, 1726 ateLo
quarto, 1727 anno quinto (35).
1059. Andreas de P e tris, camiolus de Sanvis, fu Tommaso,
fu Ucenctato in ^irurgia nel luglio 1722 (289). V. hMeé.
1060. Gavapdo Oavardo di Cristoforo; justinop., 1722-1726
(35); 1727 (28). Y. Jbdu^eL (Il saroedote Gavardo (oavardo,
fratello di Gottardo, Antonio ad Alessandro, uòmo éi
mente efeyata e di grande cultura, UM^ri nell'età di soli
36 anni a Parigi li 19 settembre 1736. Fu aseritto alla
reale Aoeademia di Londra ed eletto a poeta della aie-
dasima con generoso stipendio. A Londra ebbe la dire-
zione del Teatro dell' opera di Hag-lCarket, pel quale
tradusse dall' iztglese in italiano i libretti del "Mitridate,,
e di altre opere, e compose alenni lavori originali —
O. Pnsteiia.)
1722-1727 (45), Gottaido Gavardi di Cristof. da CSa^o-
distria, 1723 (45).
1061. Giuseppe Costantini di Fran.co da Ursaria, justinop.,
1722 (35); ebbe il certificato d'esame per il dottorato
in Coli. yen. giurista nell'aprile 1723 (116). Cfr. lOM.
1062. Pietro Mario Bettadelli di Yinoenao da Gorizia, fu
dottorato in filoaofia e medicina nri luglio 1722. (Dorigk.).
Ofr. 115S.
1063. Nicolò Elio di Fran.co, istriensis, 1722 (35); jwtinopoL,
172» (85). ¥. btdice.
Nicolò d'Elio di FruLCo d'Istria, 1723 (45). (L^ antica,
nobile e ricca faÉdglia capodistriana degli Elio, che diede il
patriarca di Q^èriBalemine, Antonio Elio, ai estinse con
AUoaifda Elio, maritata Manzoni; — G. Pnsterla.)
1064. Giuseppe Cella di Giovanni; goritiensis, 1723(35); 1723
(45); ebbe il oertiiieato d' •esame fftor il dottorato in
Coli. yen. giurista nel dioembre 172S (116).
233
1065. Alessandro Fanzago di Pietro da Capodistria, 1723.
Univ. artista (233). Cfr. 218.
1066. Fran.co Saverio de Garzlarolli^ nob. camiolus Senosi-
zensis, ebbe il certificato d' esanae per il dottorato giu-
rista nel febbraio 1723 (116). Cfr. 235 e 1096.
1067. Qiov. Francesco Franceschinis di Girolamo, foroj. imp.,
1723 (460). Cfr. 1429, 1564.
Qiov. Fran.co Frano, goritiensis, dottorando in Coli,
ven. giurista nel gennaio 1723 (116). (A Montona esisteva
una famiglia di questo nome. — G. Pusterla.)
1068. Paolo Buda di Andrea, histriensis, 1723 (35); 1723 (45).
1069. Giuseppe Bottinus, goritiensis, ebbe il certificato di
esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel marzo
1723 (116). Cfr. 948.
1070. Giuseppe Antonio Codelli, gorit., 1723 (460); ebbe il
certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nel maggio 1723 (116). Cfr. 865, 1377.
1071. Carlo Manzini di Nicolò, justinop., 1723 (35-45). V.
Indice. (Morì li 6 gennaio 1728 e fu sepolto nella chiesa
di S. Francesco — G. Pusterla.)
1072. GBatta Mosterius, goritiensis, 1723 (460).
1073. (?) Nicolò Janesi di Antonio da Tulmetio, fu licenziato
in chirurgia nel marzo 1723 (290;. V. Indice.
1074. GBatta de Fabris e Freyenthal, goritiensis 1723 (460),
ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli, ve-
neto giurista nel giugno 1724 (116). Y. Indice.
1075. Antonio M. Salis di Fran.co, justinop., 1723, 1724 (35);
fu Fran.co, 1723, 1724 (45).
1076. Andrea Asquini, cormonensis, 1720 (460), ebbe il cer-
tificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nell'aprile 1724 (116).
1077. Carlo Fanti, gradiscano, 1723 (460).
1078. GBatta di Montegnacco, gradiscano, 1723 (460), ebbe
il certificato d' esame per il dottorato in Coli, veneto
giurista nel gennaio 1724 (116). Cfr. 960.
1079. Giuseppe Guella di Giacomo, tergestino, 1723 (35).
Gioseffo Gusella di Giacomo da Trieste, 1723 (45).
1080. Leonardo B idoli di GBatta, cormonensis, 1723 (460).
234
1081. Tommaso Balestri di Pietro da Civita vecchia, furlan,
1723, 1724 (45;.
1082. Domenico Peter, goritiensis, 1723 (460)
1083. Leonardo Mi ne elli di Leonardo, cormonensis, 1723 (460);
ebbe il certificato d* esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista neir aprile 1724 (116).
1084. Francesco Patrieolis, cormonensis, 1723 (460). Cfr. 1117.
Francesco Patrielli di Cormons, ebbe il certificato di
esame per l'ammissione al dottorato in Coli. ven. giu-
rista nel febbraio 1724 (116).
1085. Giovanni Maria Tavellins de Castro Porpeto, com-tu
gradiscano, 1723 (460), ebbe il certificato d'esame per
il dottorato in Coli. ven. giurista nel marzo del 1724
(116).
1086. Nazario Lu guani di Andrea, justinop., 1723-1726 (35);
1727 (28); 1724-1727 (45); ebbe il certificato d'esame
per il dottorato giurista nel maggio 1727 (117). (Nazario
Lugnani fu l' avvocato del soppresso convento dei Minori
conventuali di S. Francesco. — Gt. Pusterla.) V. Indice.
1087. Pietro Furi ani di Francesco da Gorizia, fa dottorato
in filosofia e in medicina nel marzo 1724 (Dorigh.).
Cfr. 1583.
1088. Giuseppe Minciottus, goritiensis, 1724 (460); ebbe il
certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nel dicembre 1724 (116).
1089. Agostini Fini di Andrea, justinop., 1723-24 (35). V. Indice.
Agostino FiniPola di Andrea, justinop., 1723, 1724, 1727
(45); 1724, 1725, 1726 (35), 1727 (28).
Dottorando in Coli. ven. giurista per certif. d' esame nel
giugno 1727 (117).
1090. Nicolò Floriani Epis., tergestino, 1724 (460).
Nicolò Floriani Epis., nob. tergestinus di GBatta, fd
dottorato in Coli, veneto giurista nel gennaio 1725 (81).
Cfr. 1364.
1091. Francesco Bassini di Andrea, goritiensis, dottorando in
Collegio veneto giurista nell'aprile 1724 (116). Cfr. 697.
1092. Andrea Petrini di Franco da Parenzo, 1724. Univ.
artista (233).
235
1093. Pietro Mei chi ori di Antonio da Parenzo, 1724. Univ,
artista (233). Cfr. 422.
1094. Lorenzo Mersius fu Vincenzo, tergestino, fu licenziato
in chirurgia nel marzo 1724 (289). Cfr. 1049, 1153.
1095. Martino Benedeti di Bartol. da Parenzo, 1724. Univ.
artista (233).
1096. GBatta Garzaroli di Andrea Daniele, Sinocezencis, fu
dottorato in filosofìa e medicina nell'aprile 1724 (290).
Cfr. 235, 1066.
1097. Gioseflfo Girardini d' Olivo d'Istria, di Veglia pup., 1724.
Univ. artista (233).
Fu dottorato in filosofia e medicina nel gennaio 1725 (290).
1098. Pietro Fran.co Cannetti fu Giovanni, gradiscano, fu
dottorato in filosofia e medicina nel giugno 1724 (290).
1099. Vincenzo Artusi di Paolo, istriano, 1724. Univ. artista
(233). (I discendenti di questa famiglia, Giovanni, Gio-
vanni Paolo e Marquado de Artusi fratelli, vivevano in
questo secolo a Parenzo. — G. Pusterla) V. Indice.
1100. Zuane Carlini di Angelo, istriano, 1724. Univ. artista
(233).
1101. Francesco Volpato di Tommaso, istriano, 1724. Univ.
artista (233).
1102. Nicolò Sonna di Paolo, istriano^ 1724. Univ. artista (233).
1103. Ottavio De oda ti di Pietro Antonio d'Aquileia, fu dot-
torato in filosofia e in medicina nel febbraio del 1724.
(Dorigh.).
1104. Lodovico Galena, aquileiensis, 1723-24, 1724 (35).
Lodovico Gallena d'Ippolito, aquilejensis, 1723, 1724 (45).
1105. Joannes Franciscus de Albertis, imper., 1724 (461).
for. o tr.
1106. Francesco Pruppi di GBatta da Gorizia^ fu dottorato
in filosofia e medicina nel giugno del 1725 (Dorigh.).
1107. Paolo Centenari da Pirano, chirurgo, 1725. Univ. ar-
tista (233). V. Indice.
1108. Giov. Vincenzo Lirutti, forojul., (117). V. Indice anno
1725.
1109. Gasparo Massaro di Zuanne, istriano, 1725. Univ. ar-
tista (233).
286
ino. Silvestro Cipriano di Nicolò da Parenzo, 1725 (35).
Ofr. 432. 1285.
un. Paolo Galleazzi di Pietro, istriano, 1725. Uniy. artista
(233).
1112. Marco Ingaldeo di Fran.co da Capodistria, 1725 (28).
Cfr. 1253. (La famiglia Ingaldeo si estinse nel secolo
decorso, lasciando erede della sua facoltà il conte Bar-
bano Bratti del fa Agostino, detto del Piaggio. — Q.
Pasterla.)
1113. Bomano Bomani di Pietro, justinop., 1725. Univ. ea-
lista (233). V. Indice. (Il canonico Bomano Bomani è
stato ascritto nel 1764 al terzo ordine di S. Francesco.
La sua famiglia vive ancora a Capodistria. — G-. Pusterla.)
1114. Cristoforo Federici di Pietro, gradiscanas, fu licenziato,
in chirurgia nel settembre 1725 (289).
1115. Bainaldus Modena fu Nicolò, justinop., fu licenziato in
chirurgia nel marzo 1725 (289). Cfr. 699, 1314.
1116 Antonio Zaccaria, justinop.. 1725-26 (35). V. Indice
1117. Valentino Leonardo Patri el li fu G Batta, cormonensis.
fu licenziato in chirurgia nell'ottobre 1725 (2?<9). Cfr.
1084.
1118. Aloysius Minissini di Giacomo, cormonensis, 1725 (35),
ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Coli,
ven. giurista nel giugno 1726 (116).
1119. Giovanni Maria Spessotti fu GBatta, cormonensis, 1726
(460).
1120. Vincenzo Lazarini di Camillo, aquilejensis, 1726 (460).
Cfr. 1453
1121. Julius Cesar Boreatus da Villanova, Castri Propeti,
1725 (460) ; ebbe il certificato d' esame per il dottorato
in Coli. ven. giurista nel maggio 1725 (117).
1122. Antonius M archesetti, nob. tergestino, 1725 (460).
Ant. Ignazio Marchesetti patritius tergestinus, ebbe il
certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nell'aprile 1727 (117). Cfr. 213, 1452.
1123. Giov. Giuseppe Millo st Salcanensis, 1725 (460), ebbe il
certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nel febbraio 1726 (117).
237
1124. Carlo Giglio, goritiensis, 1725 (460).
C. Giglio nob. de Lilienperch, goritiensis, ebbe il certi-
ficato d' esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nel
lebbraio 1726 (117). Cfr. 508, 727.
1125. Giovanni Matteo Marcuzzi da Curizia, 1725 (460).
r.do Giovanni Matteo Marcuzzi, goritiensis, fu dottorato
in Coli. ven. giurista nelP agosto 1727 (81).
1126. Giovanni Melchior Mollina, nob. aquilejensis, 1625(460),
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nel marzo 1726 (117). V. Indice.
1127. Domenico Filiasi de Curitia, 1725 (460), ebbe il cer-
tificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nel maggio 1726 (117).
1128. Doimus Cassio di Anselmo, veglensis, 1726 (85).
1129 Carlo Marzona fu Giacomo, cormonensis, fu dottorato
in filosofia e medicina nell'aprile 1726 (290).
1130. Dom.co Piva di GBatta, gradischensis, 1726 (460).
1131. Nicolò de Fabris di Antonio, goritiensis, 1726 (460);
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nel maggio 1727 (117). V. Indice,
1132. (?) Pietro Nascimbene di Fran.co, forojul., 1726 (35-
45). V. Indice.
1133. Giovanni Vito de Pancera di Antonio, cormonensis,
1726 (460); ebbe il certificato d'esame per il dottorato
in Coli. ven. giurista nell'aprile 1727 (117).
1134. Fran.co Antonio (?) Baroni us di Ant. Leopoldo, gori-
tiensis, 1726 (460), ebbe il certificato d'esame per il
dottorato in Coli. ven. giurista nel Xbre 1726 (117).
Cfr. 1181.
1135. Lorenzo Fu sari di Simeone, goritiensis, 1726 (460), ebbe
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu-
rista nel gennaio 1727 (117).
1136. Alessandro Gavardo di Cristoforo, justinop., 1726-1729
(35) (45). V. Indice, (Era questi fratello di Antonio e del
sacerdote Gavardo Gavardo. Morì celibe. — G. Pusterla )
1137. Petrus Some da di GBatta, cormonensis, 1726 (460);
ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nel gennaio 1727 (117).
238
1138. co. Petruzzi di Adalmerio Antonio, austriaco, 1726.
Univ. artista (233).
1139. Aloysius Abborta nob. gradiscano, ebbe il certificato
d* esame per il dottorato in ColL yen. giurista neir aprile
1726 (117) Cfr. 391, 449.
1140. Gregorio Miceli fu GBatta, justinop., 1726, 1727 (35)
(45). 1726 anno primo. Cfr. 1143.
1141. Antonio Saverio de Leo, patritius tergestinus, 1727
(461), fu dottorato in Collegio veneto giurista nell' agosto
1728 (81). V. Indice.
1142. Giuseppe Innocenti di Dom.co d' Aquileja, fii dottorato
in filosofia e medicina nel luglio 1727 (Dor gh.) (H dott
G. Antonio Innocenti venne creato nel 1746 a primo me*
dico di Capodistria. — G. Pusterla.)
1143. Giovanni Miceli fu GBatta da Pinguente, 1727 anno
quarto, 1728 anno quinto (35).
Giovanni Micoli fu GB. da Pinguente, 1724-1729 (45),
dottorando in Coli, veneto giurista con certificato di
esame nel maggio 1729 (117). Cfr. 1140.
1144 Geremia de Leo, patritius tergestinus, 1727 (461). Y.
Indice,
1145. (?) Daniele Pitoni di Fran.co, dalla Camia di Friuli
1727 (45). Cfr. 587, 665.
1146. Carolusde Bottoni, nob. tergestino, 1727 (461). Y. Indice,
Carlo de Bottoni di Fran.co Ignazio, tergestino, fu
dottorato in Coli. ven. giurista nel marzo 1727 (81). V.
Indice.
1147. Antonio Annibale de Bottoni, nob. tergestino, 1727
(461), di Francesco Ignazio, fu dottorato in ColL ven.
giurista nel marzo 1727 (81). V. Indice.
1148. Nicolò Attimis di Giov. Giuseppe, goritiensis, 1727
(461). V. Indice.
1149. Costantino Antonio de Faganea di Girolamo, goritiensis,
1727 (461); ebbe il certificato d'esame per il dottorato
in Coli. ven. giurista nel luglio 1727 (117).
1150. Geremia Vianelli da Cormons, 1727 (461); ebbe il cer-
tificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. gioiista
nell'ottobre 1727 (117).
239
1151. Pietro Valsecchi, goritiensis, 1727 (461), ebbe il cer-
tificato diesarne per il dottorato in Coli. yen. giurista
nel luglio 1728 (117).
1152 Pietro Bigalea da Cormons, 1728 (461).
Pietro Bigagia, oriundo da Connons, ebbe il certificato
d' esame per il dottorato in Coli. yen. giurista nel set-
tembre 1728 (117).
1153. Giuseppe Mersio fu Vincenzo, tergestino, fu licenziato
in chirurgia nel novembre 1728 (239). Cfr. 1049, 1094.
1154. Giovanni Ridolfi, goritiensis, 1728 (461); ebbe il cer-
tificato d'ammissione per il dottorato in Coli. yen. giu-
rista nel maggio 1729 (117).
1155. Benedetto Bettadelli di Vincenzo, da Gorizia, fu dot-
torata in filosofia e medicina nel giugno 1727 (Dorigh.)
Cfr. 1062.
1156. Orazio Bian chini di Vincenzo da Gorizia, fu dottorato
in filosofia e medicina nel luglio 1727; laureato dal
Morgagni (Dorigh.). V. Indice.
1157. .'Federico Petiani di Bernardino da Gorizia, fu dotto-
rato in filosofia e in medicina nel luglio 1727 (Dorigh).
Cfr. 597, 628.
1168. Pietro Paolo Corte di Gasparo, justinop., 1728 (35). Cfr.
967, 1388. (Era proprietario dei beni del comune di
Montosco, ora detto di Montetoso, i quali sono attual-
mente di Ferdinando Percolt. — G. Pusterla.)
1159. Francesco de Luxetich, Myterburgensis, 1728 (461). V.
Indice.
1160. co. Giuseppe M. Contesini Hectoreus, justinop., 1728
(35).
co. G. M. Contesini Ectoreus di Tommaso, justinop., 1732
primo anno, 1735 anno quarto (36).
co. Giuseppe Maria Contesini Hectoreus di Tommaso,
justinop., fu dottorato in Coli. yen. giurista nel maggio
1736 (81).
Gioseffo M. Contesini Ettoreo di Francesco (?) justinop.
1732-1736; nel maggio 1736 ebbe la fede del compiuto
quadrennio (45). V. Indice.
1161. Bartolomeo Cerniyàni di Pietro, da Capodistria, 1728,
240
Univ. artista (233). Cfr. 1437, 1491. pon Bartolomeo
Cemivanì verme inscritto nel 1716 nel!' albo dei Terziari
di S. Francesco e nella confraternita dei Cordiglieri
nella soppressa chiesa di S. Francesco dei Minori con-
ventuali. — G. Posteria.)
1162 Ign£kzio Canziano Manenti, f oroj , ebbe il certificato
d'esame per il dottorato in Coli. ven. giurista nell' aprile
1728 (117). Cfr. 647, 771, 924.
1163. Antonio Franzlon, goritiensis, 1729 (461): ebbe il cer-
tificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giurista
nel febbraio 1730 (117). Cfr. 577.
1164. Giovanni Macizza di Fran.co, canon, vegliensis, 1729
(35), fu dottorato in filosofia in Coli, ven, giurista nel
novembre 1729 (81). Cfr. 964.
1165. Carlo Bonisoli. goritiensis, ebbe il certificato d'esame
per il dottorato in Collegio ven. giurista nel luglio 1728
(117). Cfr. 1497.
1166. Francesco de Strasoldis, liber baro de Villano va, Sal-
cano, Medea, ecc., 1729 (461). Cfr. 138.
1167. r.do Ursin Eosa, vescovo di Veglia, 1729. Univ. artista
(233). Cfr. 1025.
1168. Giovanni Almerigotti di Giuseppe, justinop., 1729 anno
primo, 1732 (35) (36) ; dottorando in Coli. ven. giurista
nel maggio 1733 (118). V. Indice. (Era fratello del ca-
nonico tesoriere e del dott. Francesco. Mori celibe li
10 Novembre 1792 e fu tumulato nell'arca di sua £a-
miglia nella chiesa di S. Francesco. — Q. Pusterla.)
1169. Lelio Franco Pachini di Qiov. Ant. da Gorizia, fu
dottorato in filosofia e medicina nel gennaio del 1729
(Dorigh.).
1170. Giuseppe Gravisi di Alessandro, da Fola, 1729. V. Indice.
1171. Giuseppe Antonio Brainich da Gorizia, già prorettore
esindico dell'Università degli artisti (nel 1721) (670);
fu dottorato, more nobilium, in filosofia e medicina nel
febbraio 1729 (290). V. Indice.
1172. Giovanni Andrea de Molinis fu Fabio Augusto, da
Castro Duini, fu dottorato in filosofia e medicina nel-
l'agosto 1729 (290). V. Indice.
241
1173. Francesco Bosizi di GBatta, da Gorizia, fu dottorato in
filosofia e medicina nel 1729 (Dorigli.). Cfr. 659, 799.
1174. Valentino Marchetti di Qiovanni da Gorizia, fu dot-
torato in filosofia e medicina nel 1729 ; laureato dal
Morgagni (Dorigh.). Cfr. 867, 1462.
1175. Ambrogio de Belli di Fran.co, 1729/30, 1730 (35); 1729,
1730 (45). V. Indice.
1176. Domenico Tunni fu Leonardo, goritiensis, fu dottorato
in filosofia e medicina nell'ottobre 1729 (290). Cfr. 872,
985. (Esercitò il notariato, e molti dei suoi registri si
conservano nell'archivio del municipio di Capodistria.
— G. Pusterla.)
1177. Lorenzo Pasque ti di QBatta, parentino, 1730, 1731
(35), (45).
1178. Angelo Teruzini (?) di Nicolò, da Cherso, 1730 (45).
Antonio Ferraci ni di Nicolò, chersensis, 1730 (35).
1179. r.do Antonio Colognese da Ariis, subditus gorit., 1730
(461); 1731 (462).
1180. r.do Giacomo Colognese da Ariis, subditus goritiensis,
1730 (461); 1731 (462).
1181. Federico Massimiliano Baronius di Antonio Leopoldo,
goritiensis, fu dottorato in filosofia e medicina nel giu-
gno 1730 (290). Cfr. 1134.
1182. Carlo Vis en tini da Carlino, contado di Gorizia, 1730
(461).
C. Vicentini di GBatta da Carlino, distretto di Gorizia, fu
dottorato in Collegio ven. giurista nel maggio 1730 (81).
1183. Giuseppe Pravisini fu Alessandro da Pola, 1730 (45).
1184. Antonio Apolonio di Apolonio, d'Istria, 1730-1733.
Univ. artista (233). V. Indice.
(Antonio Apollonio di Apollonio, nacque a Pirano nel
nel 1705. Vidali.)
1185. Antonio de Comitibus da Cesana di Fran.co, foroj.,
1730 (35); 1727, 1731 (45).
Ebbe il certificato d'esame per il dottorato in Collegio
ven. giurista nel giugno 1731 (118). V. Indice.
1186. Zaccaria de Comitibus de Cesana, di Francesco, fo-
roj., 1731 (36). V. Indice.
24^
1187. Giovanni Maria Tonelli, carlinensis, ebbe il certificato
d'esame per il dottorato in Coli. yen. giurista nel feb-
braio 1731 (118).
1188. Franciscus Brandolinus, canonicus arcbidiaconns, ca-
tbedr. S. Justi martiris Tergesti — 1730 (641).
Fr. Brandolini, cormonense, dottorando in Coli. yen.
giurista nel dicembre 1729 (117).
1189. Aurelio de Belli di Giacomo, justinop., 1730-1732(35),
1730 (46). V. Indice. (Era figlio di Giacomo e della con-
tessa Francesca Bruti e fratello di Felice, Nicolò, Giacinto,
Cristoforo, Maria, Paola, Marianna e Marina de Belli.
La famiglia esiste ed è presentemente rappresentata dal
dott. Nicolò de Belli e dalla sorella Laura de' Gravisi.
G. Pusterla.)
1190. Francesco Almerigotti di Giuseppe, justinop., 1730-
1736 (35) (46). V. Indice. (Era fratello del dott. Giovanni
e di Carlo, canonico tesoriere della cattedrale di Capo-
distria. Condusse in moglie la marchesa Eufemia de Po-
lesini di Montona, sorella di Francesco, vescovo pria di
Pola, poi di Parenzo. Esercitò l'avvocatura ed ebbe fama
di letterato ed archeologo. Mori nel 1792 e venne sepolto
nella chiesa di S. Francesco dei Minori conventuali. G.
Pusterla.)
1191. Antonio Grisoni di Gabriele, justinop., 1730-1733 (35-36);
1730-1734 (46); ebbe il certificato d'esame per il dottorato
in Coli. yen. giurista nell'aprile 1734 (118). V. Indice.
1192. Giovanni Maria Tonchi (?) oriundus ex Carlino Comt
Gradiscae et adscriptus in comunitate civit. aquileiae
1731 (641).
1193. (?) Fabio Asquini di Pietro, furlan, 1731 (45). V. Indice.
1194. Alberto Man ni di Gabriele, justinop., 1731 (35), 1732
(36) e (45). Cfr. 1209.
Alberto Mani di Gabriele, d'Istria, 1731-1733. Univ.
artista (233). (La famiglia Manni possedeva in Capodistrìa
una grande conceria di pelli, prima in contrada Pusterla,
poscia in quella d'Ognissanti. G. Pusterla.)
1195. Giov. Francesco Eomanutti, da Cormons, 1731 (461),
dottorando in Coli. yen. giurista nel febbraio 1731 (118).
S43
1196. ì'rancesco Battiala di Q-. Antonio, albonensis, 1732,
1736 (35); 1732-1784 (46). V. Indice.
1197. Antonio Brumatti, goritiensis, 1732 (641). Cfr. 607, 681.
Fr. Antonio Bramati, de lacomino et Sigisberge, nob.
gorit. dottorando 1726 (117).
Ant. Bramati fu Giuseppe, gorit., fu dottorato in Coli,
ven. giurista nell'aprile del 1732 (81).
1198. Vincenzo Ernesto Lo catelli, patricius et nob. provin-
cialis gradiscanus 1732 (461); dottorando in Coli. yen.
giurista nel gennaio 1733 (118). V. Indice.
1199. Marco Caldana di Nicolò, piranensis, 1732-1734 (36);
1732-1736 (46); fu dottorato in Coli. ven. giurista nel
marzo 1737 (81). V. Indice.
1200. Nicolò de Portis, 1732 (641) guriciensis.
Nicolò Portis di Filippo, furlan, 1732-1736 (46); dottorando
in Coli. ven. giurista nel maggio 1736 (119). Cfr. 461, 864.
1201. Lodovico Gaetano de Picardis, tergestinus patritius,
1732 (641), dottorando in Coli. ven. giurista nel maggio
1732 (118).
1202. Giov. Fran.co Barbatus di Angelo, nob. pisinensis, ebbe
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu-
rista nel luglio 1732 (Il 8;. Cfr. 461 bis.
1203. Alvise Bottoni di Antonio, da Parenzo, 1732. Univ. ar-
tista (233). V. Indice.
1204. Nicolò FI ami a di Giuseppe, tukninensis, 1732 (36).
1206. Zaccaria De t a co fu Andrea, d'Istria, 1732. TJniv. artista
(233). V. Indice.
1206 Antonius Italus Micheli i, ajellensis, sub Com.tu Gradi-
scae, 1783 (461).
Ebbe il certificato d' esame per il dottorato in Coli. ven.
giurista nel maggio 1734 (118). Cfr. 426, 747.
1207. Giacomo Molinus di Bartol, vegliensis 1733 (36),, 1733
(46). V. Indice.
1208. Cristoforo Brutti di Barnaba, justinop., 1733-1786(36);
1733-1737 (46); ebbe il certificato d'esame per il dot-
torato in Coli. ven. giurista nell'aprile 1737 (119). V.
Indice. (Fu membro attivissimo dell'Accademia giustino-
politana dei Eisorti. G. Pusterla.)
sa
1209. Girolamo Mann! di Gabriele, d'Istria, 1733 Univ. at-
tista (233). Cfr. 1194.
1210. Girolamo Pompeo Molina, aquileiensis, ebbe il certi-
ficato d'esame per il dottorate in Coli. yen. giurista nel
maggio 1733 (118). V. Indice.
1211. Lorenzo Palati d'Agostino, da Parenzo^ 1733. Univ.
artista (233).
1212. (?) Oioseffo Gallici di Antonio, fnrlan, 1734-1738 (46).
V. Indice.
1213. Giuseppe Matteo Bit osa di Benedetto, montonensis,
1733 (86).
Giuseppe M. Vicini Bitosa fu Benedetto, montonensis,
1736 (36).
1214. Stefano Bitosa di Benedetto, montonensis, 1734 (36).
Stefano Vicini Bitosa fu Benedetto, mont., 1736 (36)
Stefano M. Bitosa fu Benedetto, da Montona, 1733-1737
(45).
1215. Marco de Vecchi di Vincenzo, da Gorizia, fu dottorato
in filosofia e medicina nel luglio 1734; laureato da GB.
Morgagni. (Dorigh). V. Indice.
1216. Giovanni Vecelli di Fran.co, d'Istria, 1734. Univ. ar-
tista (233). Cfr. 86, 1461.
1217. Nicolò Lirutti, foroj., dottorando in Coli, ven, giurista
1734 (118). V. Indice.
Nicolò Lirutti di Giorgio, farlan, 1731 (46).
1218. Antonio Colombani fu Lorenzo, d'Istria, fu dottorato
in filosofia e medicina nell'aprile del 1734 (Dorigh.). V.
Indice.
(Antonio Colombani fu Lorenzo fu Antonio, nacque nel
1710 — VidaU.)
1219. Giusto Antonio Fericioli fu Giacomo, da Cherso, 1734
(36); fu dottorato in Coli. ven. giurista nel febbraio 1735
(81). V. Indice.
1220. OBatta de Marchi, nato a Tabor Com. Goriciae, ebbe
il certificato d'esame per il dottorato in Coli. ven. giu-
rista nel maggio 1734 (118). V. Indice.
1221. Michele Leopoldo Benigni, natus Goritiae, oriundus
Tridento 1734 (641).
246
1222. (?) Carlo Q-allateo di Alessandro, furlan 1734 (45). Ofr.
778.
1223. r.do Giovanni Oolombani fu Antonio, archypresbyter
Pirani, 1734-36 (36), fu dottorato in Collegio ven. giu-
rista nel novembre 1735 (81). V. Indice.
1224. (?) Aloysius Contesinus Hectoreus di Tommaso, ve-
neto, 1735 (36). V. Indice.
1225. (?) Lelius Contesinus Hectoreus di Tommaso, veneto,
1735 (36). V. Indice.
1226. (?) Pietro Cristofori, foroj., dottorando giurista 1735
(118). Cfr. 1000.
1227. Giovanni M. Antonio Locatelli di Valentino da Cor-
mons, 1735. Univ. artista (233), fu dottorato in filosofia
e medicina nel novembre 1735 (290). V. Indice.
1228. Giovanni M. Locatelli, foroj., dottorando giurista nel
giugno dell'anno 1734 (118). Y. Indice.
1229 Gioseflfo Eivolla di Dom.co da Cormons, 1735. Univ.
artista (233).
Fu dottorato in filosofia e medicina nel maggio 1736
(290).
1230 (?) Pietro a. Lugara, foroj, dottorando giurista nel 1735
(118).
Pietro a. Lugara di Nicolò, furlan, 1731-1735 (45). Cfr.
685, 891.
1231. Sebastiano Civitico di Matteo, justinop., 1735 (36). (Fa-
miglia ora estinta. G Pusterla.)
1232. Giov. Francesco Locatelli, foroj. (fratello del 1228)
dottorando giurista nel giugno 1734 (118).
1233. Priamo Verbacz di Almerico, justinop., 1735, (36) (45).
Cfr. 1544.
1234. (?) Giacomo Camozzini di Agostino, 1736 (45). V. Indice.
1235. Fran.co co. Brutti di Barnaba, justinop., 1786 (36) (45).
V. Indice.
1236. Michele Giovanni Zoppolatidi Paolo, nob. cormonensis
fu dottorato in filosofia e medicina nel marzo 1736 (290).
1237. Giuseppe Antonio Poli di Fran.co, goritiensis, 1736 (641),
fu dottorato in Coli. ven. giurista nel maggio 1736 (81).
Cfr. 783, 873, 1428.
246
1238. (?) GioBeflfo Gallici di Giacomo, 1736 (46). V. Indice.
1239. Nicolò de Belli s di Giacomo, justinop., 1736 (36). V.
Indice. (Figlio di Giacomo de Bellis e di Francesca nata
contessa Bruti, fratello di Aurelio, Felice, Giacinto e
Cristoforo e di Maria, Paolina, Marianna e Marina. G.
Pusterla.)
1240. (?) Giuseppe Mirei di Fran.co, 1736 (46). V. Indice.
1241. Andrea GBatia In amo di Giacomo, goritiensis, ta dot-
torato in filosofia e medicina nel maggio del 1736 (290).
1242. Giov. Antonio Cavai He ri fu Girolamo, rubinensis,
1736-37 (36) (45), dottorando in Coli, yen. giurista nel
giugno 1737 (119). Cfr. 814.
1243. Lodovico Tinti di Valentino, foroj., 1737, 1738, 1740
anno quarto (36).
Lodovico Tinti di Valentino, furlan, 1736-1743 (45). Cfr. 9.
1244. Ignazio Fantini, 1737 (36). Cfr. 871.
1245. (?) co. Ascanio Dal Pozzo di Marco, furlan, 1738 (45).
1246. (?) co. Valerio Dal Pozzo di Marco, furlan, 1738 (45).
1247. Lunardo Braida di GBatta degli Olenii, da Gorizia,
fu dottorato in filosofia e medicina nell'ottobre 1737.
(Dorigh.) Cfr. 1015.
1248. Domenico Lo vi soni, cervignensis, dottorando giurista
nell'aprUe 1738 (119). Cfr. 1018.
1249. GBatta de Mori di Tommaso, goriciensis, 1737 (36).
Cfr. 1472.
1250. Giovanni Bensa di Giovanni, gradiscano, fu dottorato
in filosofia e medicina nel maggio 1738 (291).
1251. r.do ms. Pietro Zuccati (?) di GBatta, eletto vescovo
di Veglia, 1738, Univ. artista (233).
1252. Leonardo Carlo ni di Giov. Maria, goritiensis, fri dot-
torato in filosofia e medicina nel febbredo 1738 (291).
1253. Francesco Ingaldus di GBatta, justinop , 1738, 1740
(36); 1738-1741 (45). Cfr. 1112.
1254. Giovanni Pietro Righi di Aurelio, justinop., 1738, 1739,
1741 (36), 1738-1742 (45). Nel maggio 1743 ebbe la fede
del compiuto quadriennio (46). V. Indice.
1255. Giovanni Domenico Bighi di Aurelio, iustinop., 1738
1739, 1741 (36). V. Indice.
247
Gìov. Dom.co Eìghi di Aurelio, da Capodistria, 1738-
1743; nell'agosto 1743 ebbe la fede del compiuto qua-
driennio (46).
1256. Pietro Nicolò Q-iurco del fu Alvise, nob. di Trieste, fu
dottorato in filosofìa e medicina nel settembre 1738.
(Dorigh.). V. Indice.
1257. Alvise Tarsia di Giacomo, justinop., 1739-1742 (36),
fu dottorato nel maggio 1748 in Coli. ven. giurista (82),
V. Indice,
1258. Lucio Capello di Lorenzo, da Castro Pinguente, 1739
(36). Cfr. 355, 1274.
1259. Girolamo marchio Gravisi di Dionisio (?) justinop., 1739,
1740, 1742 (36). (Era del ramo di Vanto di Nicolò, cugino
del celebre Gian Einaldo CarlO; avendo sposata una
Barbabianca, ereditò tutta la facoltà di quella ricca fa-
miglia. Morì d'anni 92 nel 1812. G. Pusterla.)
Girolamo m. Gravisi di Domenico (?) da Capodistria,
1739-1743 (45). V. Indice.
1260. Giovanni Binaldo co. Carli di Binaldo, justinop., 1739,
1741, 1742 (36) 1739-1743 (46). Eletto professore ad
scientiae nauticae theoricam nel 1745, insegnò negli
anni 1745-1749 (234, 570). Cfr. 1401.
1261. Francesco Bradamante di Antonio, justinop, 1740-
1742 (36); 1740-1743 (45). V. Indice.
1262. Bocco Pitacco di Bartol., istriano^ fu dottorato in filo-
sofia e medicina nel marzo 1750. (Dorigh.). Trovasi im-
matricolato neirUniv. artista 1746-1750 (234).
1263. r do Annibale Giuliani di Vitale, da Trieste, 1738. Univ.
artista (233). V. Indice.
1264. Giovanni Pietro Pregi, goritiensis, 1740 (461).
r.do Giov. Pietro Pregi di Giuseppe Antonio, gorit.,
fu dottorato in Coli. ven. giurista nel gennaio 1740 (81).
1265. Antonio Gualberto Eodella, gorit., 1740 (461); dotto-
rando in Coli. ven. giurista nel maggio 1740 (119). Cfr.
862.
1266. GBatta de Vermati di Franco, gradiscano, 1740 (461);
dottorando in Coli. ven. giurista nel maggio 1740 (82).
Cfr. 741.
248
1267. (?) Alberto Camozzini, foroj., dottorando in Coli. ven.
giurista nel maggio 1740 (119).
Alberto Camozzini di Fran.co, furlan, 1736-1740 (45).
V. Indice.
1268. Antonina ab. Argento, patritins tergestinus, 1740(461),
fn dottorato in Coli. ven. giurista nell' agosto 1740 (82).
V. Indice,
1269. Antonio Centenari fu Bernardo da Pirano, fu licen-
ziato in chirurgia nel marzo 1740 (292). V. Indice.
1270. Giuseppe Antonio d'Ogaro, cormonensis, 1740 (461).
1271. Massimiliano Gioachino Maurisperg di Massimil., go-
ritiensis lucinicensis, fu dottorato in Coli. ven. giruista
nel novembre 1641 (82).
1272. Germanicus de Francolsperg, patritius tergestìnns,
canon, et decanus catted. ecclesiae tergestinae 1741 (461).
V. Indice.
Ebbe il certificato d' esame per 1' ammissione al dotto-
rato in Collegio veneto giurista nel marzo 1741 (119).
1272 bis. Francol de Francolsperg, di Eaimondo, tergestino,
1746 (461).
1273. Giovanni Ferra di Giuseppe, da Ko vigno, fu licenziato
in chirurgia nel settembre 1741 (292). Cfr. 855.
1274. Lucio Antonio Capello di Antonio, de Castro Pingaente,
1742 (36) (47). Cfr, 355, 1258.
1275. GBatta Bradamante di Antonio, da Fola, 1742, 1743
(36); 1742-1744 (47). V. Indice.
1276. Felice Petris di Giusto, chersensis, 1742 (36) (47); fa
dottorato in Collegio veneto giurista nell'aprile 1743 (82).
V. Indice.
1277. Tommaso Fran.co Ustia di Mario, tergestino, 1742 (461),
Cfr. 177, 712.
1278. Giacomo Toffetti di Stefano, da Pola, 1742 (47).
(Continua.)
<t;'U'OT?^i?i?i?i?w?^'q?i;wi^
Sulla lite per la deeima dell' olio
tra i vescovi di Capodistria ed il clero e popolo
piranese.
Documento del 1220 circa.
Ogni nuovo documento del primo tempo del medio evo
è importantissimo per conoscere meglio la storia dell' Istria
neir epoca intralciata del feudalismo, specialmente in quella
anteriore alla metà del secolo XIII. Il presente documento, la
cui pergamena originale conservasi nelP Archivio comunale di
Pirano, dev'essere circa del 1220, ma ricorda fatti e perso-
naggi del secolo antecedente, e precisamente tra la fine del
secolo XII ed il principio del secolo XIII.
E un' assunzione di testimonianza intomo alla lunga lite
sorta fra i vescovi di Capodistria ed il clero e popolo piranese
per la decima dell' olio, della quale volevano impadronirsi i
vescovi di Capodistria, mentr' essa spettava per diritto alla
chiesa di S. Giorgio di Pirano.
I testimoni contro il vescovo sono dodici cittadini di Pi-
rano, fra i quali trovasi Insto de Bona, uno degli undici uo-
mini (idoneìs hominibus) che assieme col podestà, coi consoli
e col popolo radunato in apposita conclone nella porta di Campo
strinsero un trattato di pace ed amicizia coi nunzi di Spalato
nel 1192.')
I suddetti testimoni sono tutti concordi nel negare ai
vescovi di Capodistria il loro preteso diritto alla decima del-
l' olio spettante da molti anni alla chiesa piranese, e tentano
') Morteani, Notizie atoriehe di Pirano^ pag. 14
260
di scagionare il clero di Pirano dall' accusa di aver fatto causa
comune coi laici e di essere stato costretto dal popolo a fare
la lite al proprio vescovo ; onde si vede che si voleva salvare
il clero dalle pene ecclesiastiche. Dalle testimonianze risulta
che la lite aveva cominciato già al tempo del vescovo Adal-
gìero (1187-1212), contro il quale il popolo piranese ricorse
persino al papa, mandando a JEtoma il proprio sindico Insto de
Bona, dopo ricevute lettere ammonitorie dal papa ; si vede che
il vescovo Adalgerio, che voleva arricchire la sua mensa ve-
scovile coir impadronirsi anche delle decime d'Isola, aveva
interdetto T ufficio divino al popolo ed aveva minacciato di
scomunicare il clero, se questo avesse fatto causa comune col
popolo. Ma popolo e clero, quantunque agissero prudentemente,
resistettero con tenacità per custodire i diritti della loro chiesa;
e dalle testimonianze risulta che si ricorse in appello al papa
e che il patriarca Giovanni di Grado (1190-1201) ed il vescovo
Leonardo di Torcello (1177-1197) furono incaricati di risolvere
tale questione.
Per comprendere meglio T oggetto per cui si litigava ag-
giungerò quanto il Benussi scrive in proposito delle decime
ecclesiastiche.
Nella nostra provincia — egli dice — come nella rima-
nente Italia, già nel V secolo vigeva Fuso che le rendite di
ogni chiesa fossero divise in quattro parti, cioè: la prima per
la fabbrica delle chiese, la seconda pei chierici, la terza pei
parroci, e la quarta pei forestieri e peregrini (poveri), assieme
al vescovo. Divenute obbligatorie le decime pei fedeli, esse
furono assegnate alla relativa chiesa plebanale; ed al vescovo
rimase soltanto il diritto al quartese goduto per Io innanzi. In
progresso di tempo, quando venne meno il bisogno di co-
struire nuove chiese e basiliche, quando 1' elemosina in sollievo
dei poveri venne considerata come dovere inerente al sacer-
dozio per il suo stesso uffizio, mentre si continuò a corrispon-
dere al vescovo il quartese dovutogli, le rimanenti tre quarti
della decima rimasero senza limitazione alcuna al clero, ctd
era affidata la cura d' anime nella rispettiva chiesa plebanale.^)
') Atti e memoney voi. X, pag. 846.
251
Dalle suddette testimonianze risalta chiaro che la decima
deir olio indicata nel documento non era né per origine ne
per il suo uso di quelle spettanti al vescovo, ma serviva esclu-
sivamente per V illuminazione della chiesa di S. Giorgio ed
anche delle altre ; ed un diacono, il candelario e 1* ostiario
della chiesa maggiore erano incaricati dal pievano, dai chierici,
dal gastaldo e dal popolo per la debita riscossione, mentre
dalle decime delle altre cose il clero non avea che il quartese,
essendo le altre parti di spettanza dei feudatari, come espres-
samente ci dice il primo testimonio. Ma il vescovo Adalgerio,
che aveva bisogno d' aumentare le rendite troppo ristrette del
suo vescovato, non volle adattarsi a riconoscere per buone le
opposizioni del clero e del popolo, per cui il papa Innocenzo HI
incaricò nel 1206 i vescovi Viguerio di Ferrara e Domenico di
Chioggia di por fine alla lite. Questi prelati proposero che
Adalgerio rinunciasse del tutto alla decima dell' olio ed a tutte
le attestazioni, prove, ragioni e sentenze da lui presentate,
specialmente a quella pronunziata dal vescovo di Trieste per
incarico del papa; che rinunziasse ad ogni istromento, privi-
legio e ad ogni eventuale diritto per sé e successori, conce-
dendo la suddetta decima in perpetuo alla chiesa di Pirano e
togliendo V interdetto e la scomunica, se data per tale oggetto.
Giacomo Viadro, sindico per i chiérici, e Insto (probabilmente
de Bona) per il popolo avrebbero dovuto cedere al vescovo le
due quarte decime delle altre cose ; esclusa quella dell* olio
riservata alla chiesa, cioè la quarta dei poveri e la quarta della
fabbrica della chiesa e riconoscerla di spettanza del vescovo
Adalgerio, pagandogli inoltre 275 lire venete di compenso, la
metà per la f*)sta della purificazione di Maria e V altra per la
prossima Pasqua. Nel giugno 1207 il papa ratificò il suddetto
compromesso pronunziato dai vescovi da lui delegati.^)
La suddetta transazione non fu accettata ne dal clero e
popolo piranese, i quali non volevano privare la loro chiesa
di rendite ormai acquisite, né dal vescovo, il quale pretendeva
per sé tutta la decima dell' olio; onde la lite, come si vede
^) Vedi i documenti relativi nel Codice di^omatico istriano^ 3 ot-
tobre X205 e ^vLfpOiO 1207.
dal presente documento, continuò anche col successoFe di Adal-
gerio, che fu Uretmaro. E difatti il testimonio assunto contro
i chierici ed il popolo piranese è il sacerdote I. Pietro, cap-
pellano del vescovo giustinopolitano, il quale dovrebbe essere
lo stesso ohe comparisce con tale carica nel 1216. ') Egli csi
dice d' essere stato due anni col vescovo Adalgerio ed otto col
successore di lui, cioè Uretmaro ; onde, essendo il vescovo
Adalgerio morto nel 1212; per quanto ne sappia, le deposizioni
del suddetto cappellano determinano chiaramente la data del
nostro documento, cioè verso il 1220, e dimostrano che i pi-
ranesi non vollero sapere mai di dare la decima dell* olio nò
all'uno uè all'altro vescovo. Il sunnominato testimonio prova
che anche Uretmaro si era rivolto al pontefice, il quale gli
mandò delle lettere ammonitorie per indurre il popolo piranese
al pagamento delle decima colla comminatoria di ritenere, in
caso contrario, per valida quella decisione che il vescovo avesse
a pronunciare contro il suddetto popolo.
Oltre l'importanza giuridica del documento, che risulta
dalle assunzioni dei testimoni, dalle commissioni date ai {pa-
triarchi di Grado ed al vescovo di Torcello, dalle lettere pro-
batorie, dalle sentenze di vescovi confermate dal papa, le quali
cose tutte ci fanno conoscere il modo con cui si procedeva in
simili liti, il documento ci dà spiegazione della contituzione
in tema della città e dell' origine d'una giurisdizione baronale.
Oltre il gastaldo, i giudici e 1' arengo nominati nel docu-
mento, quello che più di tutto merita rilevare è la giurisdizione
comitale de' vescovi di Frisinga. I vescovi di questa città, che
trovasi suir Isar nella Baviera, avevano ottenuto già dall' im-
peratore Enrico IV con diploma del 24 ottobre 1062 alcuni
beni del fisco regio in Pirano e Gittanova pel monastero di
St. Andrea Apostolo di Frisinga.') Ed è certo che i territori
posseduti in Pirano dai suddetti vescovi godevano, come tutti
^) Codice diplomatico iatriano, documento 1216.
•) Schumi, Urk, u. Regestenhuch des Herz. Krains, pag. 51. ■In no-
mine sanctae et individuae trinitatis. H(einricus) divina t'avente clementis
rex Romanorum augustus. Omnium fidelium nostrorum tam presentiuir
quam et futurorum pie devotioni pateat, quomadmodum nos prò aetemi
263
gli altri territori vescovili, il pieno diritto d'immunità ed il
vescovo aveva sugli abitanti dei propri beni giurisdizione co-
mitale, senza che per questo i territori si considerassero stac-
cati dalla provincia dell' Istria, che dipendeva dall' alta giu-
risdizione del marchese, alla cui decisione i vescovi stessi
rimettevano le proprie liti. Il nostro documento ci pròva che
appunto uno dei diritti feudali del vescovo di Frisìnga era
quello di nominare il tabellione in Pirano, ossia il notaio chia-
mato a rogare gli atti pubblici. Il vescovo conferisce questo
diritto assieme colle possessioni a lui spettanti al conte Mainardo,
che è il Mainardo II della casa di Gorizia, il quale ebbe la
luogotenenza neiri4tria in nome del marchese Bertoldo III
degli Andechs, Tavvocazia nel vescovato di Parenzo ed una
serie d'altre terre per infeudazioni vescovili. Lo stesso Mainardo
dà a sua volta i feudi ed i diritti comitali in Pirano a certo
conte Bertoldo. La prova più chiara di quest' infeudazione e
subinfeudazione ci è data dalle parole del secondo testimonio,
il quale dice che il tabellione Domenico fu creato tale dal
conte del nostro castello, cioè da Bertoldo, che ricevette questo
potere ed il comitato dal conte Mainardo, questi dal vescovo
di Frisinga, il quale a sua volta lo ebbe dall'imperatore: pa-
role inoppugnabili, ripetute con poca differenza di forma
retributione et prò anima patris nostri boni memoriae Heinrici Boma-
nornm imperatoris augusti obque peticionem et interventum dilecti nostri
Annonis scilicet Coloniensis archiepiscopi, nec non ob devotum et fidele
servitium Ellenhardi Frisigensis sedis episcopi quasdam nostri juris
propriètates ad fÌBcum nostrum pertinentes in Marcha Histria in comi-
tatù marcblonis Odalrici, inque locis subnotatis, idem (idest), in Pyrian
et Nivvenburch sitas, cum omnibus utilitatibus ad eas rite pertinentibus,
lioc est mancipiis utriusque sexus, areis, aedifìciis, terris cultis et incultis,
agris, pratis, campis, pascuis, silvis, aquis, aquarumve decursibus, na-
-vìum stationibus, theloneis, molendinis, viis et inviis, exitibus et redi-
t;ibus, quesitis et inquirendis, cunctisque aliis appenditiis, que uUo modo
dici vel nominari possunt, ad monasterium S. Andreae apostoli in civi-
tAte Frisinga a prefato ejusdem civitatis episcopo in dei nomine ini-
oiatum et constructum, ex proprio in proprium donavimus ea videlicet
rcttione, ut patribus inibi deo militantibus in quantum ex eisdem bonis
pjrovideri possit, ad divinum officium peragendum victus et veitibus sin-
^xilis annis subministrentur....,.
anche dagli altri testimotii, per dimostrare 1^ orìgine del potere
e la legalità del notaio che rogò gli atti, con cui Artoico fa
nominato eindico dal clero e Insto de Bona dal popolo. ^)
Mentre i dodici testimoni in favore del clero e del popolo
insistono tatti per dimostrare la legalità degli atti rogati dal
suddetto notaio, il solo cappellano del vescovo giastinopolitano
pone in dubbio il diritto del conte Bertoldo sulla nomina del
tabellione: era un mezzo anche questo escogitato dal suddetto
cappellano per impugnare la validità degli atti contrari agli
interessi del suo vescovo. Noi ci troviamo in ogni jcaso in
un' epoca di transizione fra l' autorità baronale che doveva
avere la sua sede ormai ristretta al solo castello, ove risedeva
il burgravio, e per noi tale dev' essere stato il conte Bertoldo,
mentre fuori del castello era già sorto il Comune che dalla
battaglia di Legnano aveva preso incoraggiamento per riven-
dicare P antica libertà municipale romana e liberarsi dalle
autorità forestiere e contrarie al sentimento del popolo. Colla
parola potestas si indicherebbe dunque per noi un dei poteri
del suddetto conte Bertoldo, ma non mai il capo del comune
che aveva avuto il suo vero podestà ed i consoli già nel 1192,
quando, forte delle sue libertà municipali, strinse alleanza con
Spalato per tutelare i propri commerci, o quando nel 1202
conchiuso pace ed amicizia con Bovigno.
Dal nostro documento rilevasi inoltre una serie di sette
vescovi triestini e giustinopolitani, la quale serve a correggere
in parte quella riportata dal Kandler nelle Ifulicazioni dd lA-
forale e quella riportata dall' Archeografo triestino nel volarne
XV;pag. 514. Ed è il testimonio Odorlico deBipaldo, che ri-
corda i sette vescovi di Trieste e Capodistria, fra i quali uno
figlio di Stefano di Duino, il quale fu eletto e non consacrato,
come dice il primo testimonio che confessa di non ricordarsi
il nome ; e perciò il monosillabo tar del documento esprimerebbe
targestinus.
>) Nelle mie Notizie storiche su Pirano, pag. 11, é riportato questo
passo del documento eh* io attribuiva falsamente al 1201. É carioso di
notare il modo con cui il tabellione Domenico fu investito di tale ca-
rica :^cum lampulo mantelli, cum ciroteca, per lampulum pellium e per
clamidem comitia! ,
ì)alla tavola geneoìogica del Pichler, *) per i quattro figli
di Stefano di Daino non troviamo nessuno che qualche docu-
mento comprovi essere stato vescovo; non c'è che il solo
nome di Yolscalco (1188-1224), secondogenito, il quale è omo-
nimo del vescovo Volscalco, detto anche Wolfango, canonico
di Trieste, eletto nel 1190 al vescovato dai suoi colleghi, tut-
toché il patriarca d'Àquileia ne pretendesse il diritto di no-
mina, la quale resta perciò sospt>sa fino al 1192, in cui ebbe
fine la lite tra il patriarca ed il capitolo colla conferma del-
l' elezione di Voscalco. Secondo il Cappelletti, v. 8, pag. B88,
ad Enrico (il nostro Oldorico) successe Luìtoldo, il quale tro-
vasi presente a transazione tra V abate di Moggio ed Adelmota,
moglie di Stefano di Duino; ma anche questi non potrebbe
essere il nostro vescovo non consacrato. E probabile dunque
che, o uno de' quattro figli di Stefano di Duino sia stato ve-
scovo, che vi sia stato un quinto figlio, il quale non appare
nella serie dei vescovi perchè non consacrato.
Prendendo in fine ad esame la serie dei. vescovi nominati
dal testimonio Odorlico de Bipaldo, vediamo che la loro suc-
cessione è confermata anche dai documenti del Codice diplo-
matico istriano :
Detemaro (1134-1145), «) Artuico (1146-1148), «) Warnardo
(Bemardo-1 149-1186) *) Odolrico (1187),*) tor (gestinum) >ì/iuw
') Pichler, Il castello di Duino.
*) Codice diplomatico istriano^ doc. 1 novembre 1135, 20 giugno 1139,
agosto 1142, 28 lugUo 1145.
') Idem, doc. novembre 1152. In questo, con cui il papa Ales-
sandro III conferma la donazione fatta al monastero di S. Giorgio di
Venezia del luogo de* SS. Martiri dal vescovo Artuico (Herinicius) è detto
espressamente che Wernardo (Bernardo) è suo successore, come si vede
dalle parole: 'ecclesiam Sanctorum Martyrum, quemadmodum eamvobis
fierinicius qu. Tergestinus episcopus... et tam ipse^ quam snccessor
ejas W, nunc ejusdem loci episcopus scripto autentico roboraront vobis.,,
*) Idem, doc. febbraio 1149, agosto 1152, agosto 1152, novembre
11B2, 1166, marzo 1171, febbraio 1173, 1175, 1176, 9 marzo 1184.
*) Idem, doc. 11 aprile 1187. Giroldo da Pola chiede rinnovazione
d* investitura tendale di Caliaedo al vescovo Enrico di Trieste, che non
può essere altri che VOldaricua nominato dal nostro testimonio.
256
Stephani de Duino? Àdatgerio (1167-1212),') Uretmaro;^ i due
ultimi vescovi solo di Capodistria.
Se nel 1186 il Comune di Capodistria costituisce la dote
ai vescovi per 1' occasione che dopo la morte di Bernardo si
voleva far rivivere la serie dei propri vescovi, devesi ritenere
Adalgerio per il primo di questi^ col quale incomincia la lite,
di cui abbiamo parlato.
Nella chiusa del documento abbiamo inoltre un'altra
prova del tempo in cui aveva cominciato la lite, poiché il ve-
scovo nominato Leonardo di Torcello, contemporaneo di In-
nocenzo ni, fu vescovo negli anni 1177-1197.*)
prof. L. Morteani.
Testes clericormxx, et populo piranensiam, qai iara ioraruat
die quarto decima intrante de decembre, et examinati fueront die
XIV ezeunte predicto mense, centra lustinopolitanam episcopam.
Presbiter Venerius iurando dixit : quod dominicus tabellio qui
fecit cartas sindicatus quas Artuicus diaconns sindicus clericorum,
et lustus sindicus parrochianorum pii^anensium in iuditio exibuere
ad proband um se sindicos, tabellio est, et prò tabellione habetor,
in castro pirano, et omnia instrumenta eius que ipse facit, super
contractibus, et aliis negotiis, et testamenta autentica habentur in
castro pirano, et hic testis fuit presens ubi, et quando dictus do-
minicus fecit iuramentum tabellionatus, coram comi te bertoldo qui
est potestas ìllius loci per episcopum de frisingo, qui habuit hanc
potestatem ab imperatorem, et coram gastaldione et populo terre et
dictus Comes investivit dictum dominicum de tabellionatu cum lampulo
mantelli, et hoc fuit in triblo de porte domus, presentibas Alberico
*) Idem, doc. decembre 1189.
■) Idem, doc. 8 settembre 1216.
•) Cappelletti, Chiese d'Italia, voi. IX, pag. 365; Cornellio,
Ad ecclesioé veneto 8 et torcellanas^ Indiees, pag. 66; Codice dipi., 8 agosto
1177. In atto di Federico I trovasi conferma di beni in Istria al vescovo
Leonardo di Torcello.
à57
jrastaldioDe, Odolrico Ae ripaldo, tohanne filio eius, et lohanne de
ionane, Adalgerio de ciinÌ9a, et tìsone de plebano, pluribus aliis, et
hoc fait in quadragesima maiori proxime preterita. Id (terrogatas) si
iste Artnicus habuìt mandatum a plebano et clericiH piranensibus
agendi caasam istam? (Respondit) quod ìpse fìiit presens ubi ple-
banus et dominicns presbiter magister scolarum, et hic testis cum
advocato suo fecerunt dictiim A. sindicum ad agendam presentem
caasam, et hoc fuit mense Novembre proximo preterito, secando
die ezeunte, presentibns Adalgero de cnni9a et tiso de plebano, et
lastus de bona, et aliis plaribns, in porta de domo, et dicit quod
tane et ibi lastas de bona fìiit factus sindicus a gastaldione et pepalo
piranensinm, et dicit quod plebanus et presbiter dominicus, et hic
testis sponte et sine omni coactioni laìcorum fecerunt predìctum A.
sindicum ad agendam caasam istam, nec anqnam fuerunt coacti per
laicos, et dicit quod non fuerunt nisi quatuor clerici ordinarii in
ecclesia illa, silicet plebanus, presbiter dominicus, et hic testis, et
Artnicus diaconus^ et dicti clerici nuUam societatem fecerunt cum
parrochyanis saìs in causa ista, nec in alia contra episcopnm suum,
vel honorem snnm, et dixit quod in cena domini nuper preterita
Idem epìscopus excoraunicavit clerìcos piranenses sub acconditione
si fecissent, vel facerent de cetero societatem cum parrochianis suis
contra ipsum episcopnm. et tunc plebanus R(espondit) episcopo tu
non potes nos excomnnicare, nec debes quia parrochiani nostri ap-
pellavere ad dominum papam et. intraverunt cansam tecum, et si tu
viceris nos volumns libenter esse tecum. Super decima elei dicit
qaod ipso recordatur a triginta sex annis retro, et recordatur episcopi
Wamardi, et cuiusdam alterius tar(ge8tini?) qui fuit electus et non
consechratus nominìs cuius non recordatur, et episcopi Aldigerii et
hnius qui nane est, et non fuit eis soluta hec olei decima, set semper
solata est a sua recordatione Ar. diacono, Walterio candelariis, et
lohanni hostiario — accipientibus hanc decimam nomine ecclesie
8. Jeorgii, et aliarum ecclesiarum de pirano, et hii fuerunt instituti
ad hanc decimam accipiendam per plebanum et clerìcos et gastal-
dionem, et populum piranensem, et ipsi parrochyani solvunt et sol-
verunt hanc decimam olei prò recta decima^ et dicit quod hec
decima olei tota expendetur in ecclesiis illnminandis, et clerìci re-
linquerunt partem snam, et alias partes illuminationi ecclesiarum,
et dicit quod non recordatur unquam ftiisse motam controversiam
m
saper hanc decimam ne^ae contra clericos, neque contra laicos pira-
nenses, nec comunitatem, nec diviaim et quisquam portai decimmm
Sttam ad ecclesiam dantes eam candelariis, et dicit quod io dominica
prozìma post festoni omnium sanctorum nuper preterìtum episcopus
lustinopolitanus interdizit divinum offitium populo piranensi. et dicit
se nihil sivi esse de privilegio episcopi A. iastinopolitani, nisi pridie
quando ipse legit ipsam in iuditio litteras domini pape, qaibns di*
citar ammonoisse popalam ad solvendam decimam olei, hic testis non
yidit, nec audivi legi, de decimis aliaram reram dicit quod clerici
predicti non habent nisi qnartisiam, reliquas partes habent feoda-
tarii. libere est nec preciodactus.
Walterius de lohanne de Waltramo candelarìas iaratas dixit,
quod dominicus tabellio Aiit factus tabellio a bertoldo comìte ipsius
castri, et ipse habuit hanc potestatem, et comitatum ystum a cernite
Mainardo, et iste Mainardus habet comitatum istum ab episcopo de
frisingo, et ille habuit ab imperatore, et dicit quod iste tabellio
habetur prò tabellione in pirano, et instrumenta qaae ipse facit^
haberentur autentica et firma, hic tamen testis non interfoit sicut
ipse dicit quando predictus comes investivit predictum dominicom
de tabellionatu de mandato agendi causam istam dato a plebano et
clerìcis piranensibus, A. diacono confratri suo, et de die et loco,
idem quod venerius presbiter, dicit etiam lustum habere et habuisae
mandatum a gastaldione et populo piranensi ad agendi causam islam
et defendendi, tempus autem nescit distinguere, locum vero dicit
faisse in porta, dicit se nescire clericos fuisse coactos ad agendam
vel defendendam causam istam, et dicit eos sponte agere causam
istam, et per nallos fìiisse coactos. de ezcomunicatione nihil, et dicit
C|Uod recordatur a triginta annis et pluribus et semper data esse
decima olei ecclesie S. Jeorgi per istum et per antecessores saos,
et nunquam vidit controversiam inde moveri vel fieri per episcopos
War. et A. nisi modo per istum, et dicit se et Ar. diaconum insti-
tutos per clericos et laicos fuisse ad coUigendam decimam istam, et
dicit quod dant oleum istud prò recta decima^ sicut vidit anteces-
sores suos dare, et de ista decima restaurantur ecclesie et illumi-
nantur, decimarum vero aliarnm rerum quartisium habent clerici pira-
nenses, reliquas autem partem habent vassalli episcopi — de privilegio
et litteris episcopi nichil sit, nisi quia audivi in iuditio pridie legi extra-
ctum litterarum ipsarum et ipsum privileginm — libere nec precioductus.
tohannìs hostiarias ioratos dizit de tat>ellione silicei quod sii
£Eiotìi8 tabellio a bertoldo potestate pirani qui habet hanc potestatem
ab episcopo de frisingo, et ille dominicas habeatur prò tabellione in
pirano, et qaod instramenta confecta ab eo abeantur autentica, ibi,
et rata. Idem quod presbiter Yen., ezcepto quod non interfuit quando
ipse iaravit tabellionatum, et quando dictus bertoldus in vesti vit eum,
de tempore dicit quod sit circa medium annum quod fuit creatus
tabellio, de creatione A. sindici, idem quod presbiter V. sed ex
auditu de creatione Insti sindici facti in triblo in porta domus idem
quod presbiter V., et interfuit. de coactione clericomm Interrogatus
R(e8pondit) quod non fuerunt coacti a gastaldione et populo ad
agendum cansam istam sed sponte agunt eam, de excomunicatione
plebani et clericornm dicit se nichil scire, de privilegio episcopi
dicit clericos nichil sisse. Similiter de litteris domini pape missis ad
populum ad monendo eos ut decimam sol veroni episcopo dicit se
nichil sire, et de comissione facta patriarche nichil sit, de decima
olei dicit quod parrochiani de pirano solvunt eam ecclesie S. Jeorgii
integraliter, et hoc «iicit quia ipsi solvunt eam candelario, et can-
delarius dat isti testi in custodia, et ipse dividit per ecclesias, et
Iste habuit hoc offitium iam per quatuor annos, et ita data est
decima a quinquaginta annis retro, et tempore huius et tempore
predecessorum snorum videlicet dominici. Amici, et lohannis et Amici,
et nunqnam sit controversiam motam super hoc per episcopos Insti-
nopolitanos, et dicit quod clerici nnllam partem percipinnt de hac
decima; set totam relinquerunt ecdesiis illuminandis, et dicit quod
plebanus cnm clerìcis suis constitnit A. diaconum sindicum col-
lectorem huius decime, et Ghistaldnm ordinarium alterum nomine
Wal. qui colligunt dictam decimam nomine ecclesie S. Jeorgii de
decimis aliarum rerum Idem quod Wal. de numero clericomm idem
quod presbiter — libere nec precio ductus.
Tiso Index de pirano iuratus dixit quod dominicus tabellio
fuit factns tabellio a bertoldo comite de pirano, qui habet hanc po-
testatem a comite Mainardo, et Mainardus habuit hanc potestatem
ab episcopo de frìsingo, et episcopus habuit eam ab imperatore; et
dicit quod dictus dominicus habetur prò tabellione in terra illa, et
ìnstrumenta que ipse &cit in terra illa sunt autentica et firma et
rata, et dicit se interfuisse ubi plebanus et clerici instituerunt cum
suo advocato A. diaconem sindicum suum ad hanc cansam agendam
et gastaldias et populus inatitaemnt lustum de Bona sindicam suam
similiter ad hanc cansam agendam, et hoc fuit in porta domus, et
dicit qnod A. diaconus faìt instìtutus sindicus in vigilia S« Andree.
Justus vero aut param antea, ant parum postea, et dicit quod ple-
banus nec clerici nunquam faerunt coacti per laicos agere causam
istam. de excomunicatione nichil sit, nec aadivit, nisi altera die
quando episcopns dizit hoc in iaditio, et dicit qaod recordatur a
qninqaaginta annis retro, et a tempore sue recordationis semper fuit
soluta hec decima a parrochìanis piranensibas ecclesie S. Jeorgii, in
pace et quiete, et ad aliis ecclesiis, et nunquam fuit solata episcopis
iustinopolitanis, nec episcopo Wa. nec A. nec aliis, et nunquam fuit
mota controversia super hanc ab aliis episcopis nisi ab isto. Col-
lectores vel reaptores istius decime instituuntur a plebano et clericis,
et a gastaldiis, et populum piranensem, qui colligunt et recipiunt
eam nomine ecclesie, de qua decima clerici nichil sibi retinent, set
totam reliquerunt suis ecclesiis illuminandis et restaurandis ; et dicit
quod episcopus suspendit populum ab ofBtio divino dominica die
post festum omnium Sanctorum, et hoc fuit post appeliatione quam
populus fecerat ad dominum papam circa quadragesima proxime pre-
teritam — de privilegio episcopi, et litteris domini pape nichil scit,
nisi altero die quando lecte fuerunt in iuditio. de litteris comissionis
facto Gradensis patriarche dicit se sisse, et noscit quod littere pre-
sentis comissionis fuissent impetrate per mendacinm — libere nec
precio ductus.
Aldagerìus de cuni^a iuratus dixit de tabellione quod sit creatas
tabellio a bertoldo comes eorum qui habuit hanc potestatem a comite
Mainardo, qui Mainardus habet hanc potestatem ab episcopo de
frisingo, qui episcopus habet hanc potestatem ab imperatore, de
tempore et loco quo fuit factns tabellio iste, et quo istrumenta eiaa
facta autentica et rata ; idem quod tisO; de coactione clericoram
silicet quod non fuerunt coacti a laicis, et de creatione A. diaconi
in sindicum plebani et clericorum, et de loco et tempore creationis
Idem quod tiso, et nescit plebanum et clericos piranenses fìiisse
excomunicatos per episcopum, de decima olei, et aliarum rerum, et
de institutione reaptorum ipsius decime nomine ecclesie S. Jeorg^ii
Idem quod tiso, et hoc dicit observatum a quinqnaginta annis hinc
retro pacifico et quiete ; de interdictione offitii, et de tempore in-
terdicti Idem quod tiso, et dicit quod parrochiani piranenses
261
appellaverant ab episcopo ad domìnum papam longo tempore antea, et
dicit se Descire de privilegio episcopi aliqaid nisi postquam lectam
foit in iadidio, De litteris con monitoriis domini pape dicit eas datas
foisse gastaldioni sao. et postea habito Consilio, appellationem ad
domìnum papam, et dicit se scire de litteris commissionis facte
domino I. gra densi patriarche bone memorie, et dicit litteras co*
missionis facte torcello et primario gradensi obtentas per veritatem,
et dicit quod clerici nullam socletatem fecerunt cum laicis centra
episcopam sanm, libere nec predo ductas.
Johannes de Almerico ludex iaratus dixit de creatione tabel-
lionis facta a bertoldo, et loco e tempore^ et a quo vel a quibus
hec potestas emanaverit in bertoldum, et quod instrumenta facta per
tabellionem sint ibi autentica et firma, et de creatione A. diaconi
in sindicum facta a plebano et clericis pirauensibus, et loco et tempore,
et quod clerici non fuerunt coacti a laicis ad ageudam causam istam,
et nullam socie tatem fecerunt cum laicis centra episcopum suum, et
quod clerici non fuerunt excomunicati per episcopum. Idem quod
Adalgerius, dicit etiam quod lustus fuit creatus sindicus a populo
piranensi et gastaldione, sed quo die fuerit factus non recordatur.
de decima elei, et de institutione recipientium eam nomine ecclesie
pacifico et quiete a quinquaginta annis retro et plus, et de decima
aliarum rerum Id quod tiso, de tempore interdicti offitii — id quod
ad AL — dicit tamen fuisse appellationem ab istis ad dominum
papam tempore I. gradensis patriarche — de privilegio episcopi
dicit se nichil sisse, nisi cum lectum fuit in iuditio, de litteris am-
monitoriis domini pape nichil sit, et dicit se sire quod haec causa
fuit comissa domino I. gradensi patriarche, de impetratione comis-
sionis facte torcello, et primario gradensi — idem quod Adalgerius.
libere nec precio ductus. Idem lohannes ludex re versus dixit, quod
ipse mandato gastaldionis et populi nomine eorum appellavit ab
episcopo lustinopolitano ad dominum papam XI die intrante Marcio
proximo preterito ab omni gravamine.
Petrus dei mena iuratus dixit de creatione tabellionis facta a
bertoldo comite eorum, et loco et tempore, et de personis per quas
hec potestas evenerit in bertoldum, et quod instrumenta facta per
istum tabellionem sint autentica ibi et firma — idem quod Adal-
gerius, dicit tamen quod investivit eum bertoldus cum ciroteca. Item
de eo quod clerici non fuerunt coacti a laicis ad agendam causam
262
istam, et quod ipsi sponte creaverunt Ax. diaconem sindicum saam
ad cauBam istam agendam, et qaod clerici non sint excomnnicati per
episcopam idem qaod AdalgerìnS| de creatione Insti in Bindicnm
idem qaod tiso, de decima elei solata pacifico et qaiete ecclesie
8. Jeorgii a pepalo piranensi et de institatione recipientiom eam
nomine ecclesie, et de decimis aliaram reram — idem qnod tiso, de
interdicto of&tii facto pepalo piranensi ab episcopo, et de tempore.
Idem qaod Adalgerias^ dicit tamen prias faisse appellationem a
pepalo ad dominam papam silicet postqnam lastas reversas est
romam, de privilegio episcopi nicbil siebat, similiter de litteris am-
monitoriis domini pape nichil siebat, de litteris comisaionis facto
gradensi patriarche, et de litteris impetratis ad torcellam et pri*
mariam gradensem an faissent aabtente per mendatinm nichil sìt
libere nec precio dactas.
Odarlicas de ripaldo iaratas dixit de creatione dominici in
tabellionem facta a bertoldo, et loco et tempore, et de personis per
qaas et a qaibos hoc potestas pervenerit in bertoldum, et qood in-
stramenta §àciA per ipsam tabellionem sint ibi rata et aatentica, idem
qaod tiso, et dicit qood faìt investitos per lampalam pellium ber-
toldi, de institatione A. diaconi in sindicam clerìcoram dicit ex aadita.
Interfnit tamen ubi gastaldas et popalas institaerant I. sindicam
saam in arengo, dicit clerìcos non faisse coactos a laicis ad caosam
istam agendam, et non fecisse societatem cam laicis centra episcopom
saam, et nescit clericos fuìsse ezcomunicatos ab episcopo de inter-
ditione ofHtii et de tempore interdicti, idem qaod tiso, et dicit qaod
faerat appellatio per laicos prima die martii, et dicit qaod recor-
datar a sexaginta annis et plas qaod decima elei est data ecclesie
S. Jeorgii, in pace et qaiete, per ìstum t^stem et patrem saam et
avum saam et per alios homines piranenses. de institatione reci-
pientiam decimam istam nomine ecclesie S. Jeorgii, idem qaod tiso,
ed privilegio episcopi et de litteris ammonitoriis domini pape ad
popalum piranensem, nichil de litteris comissionis ad torcellam et
prìmariam gradensem an faisse aabtente per mendatinm nichil.
Scivit tamen cansam istam fuisse comissam domino I. gradenai pa-
triarche, et recordatar VII episcopos faisse in tergestina civitate, et
Instinopolitana, silicet Dietamarium, Artaicam, Wamardam, Odol-
ricum, tar(gestinam ?) filinm Stephani de Daino, Aldigerìnm et pre-
sentem, et nullo eoram foit hec decima elei solata, nec per eoa inde
268
mota controversia Disi modo per istum, de decimis aliaram reram,
at presbiter V. libere nec precio dactus.
Laurent! as de marzana iuratos dizit: de creatione tabelìonis dicit
non interfuit quando factas est, dicit tamen ipsum haberi prò ta-
bellione in castro ilio, et instrumenta facta per eum dicit ibi aberì
autentica et firma, de personis a quibus hec potestas defluxit in
bertoldum, concordat cum tisone, de creatione sindicorum dicit ex
anditu et dicit publicum esse ibi A. diaconem esse sindicum cleri*
corum, et lustum de bona esse sindicum laicomm, dicit clericos non
coactos a laicis set sponte agere causam istam et non fecernnt so-
cietatem cum laicis agendi causam istam centra episcopum, de esco-
municatione clericorum nicbil sit, de interdictione offitii, idem quod
alii, de appellatione nichil, de decima olei dicit quod recordatur a
qoinqaaginta annis et plus et semper data est ecclesie S. Jeorgii,
in pace et in quiete, et sine omni controversia, de creatione reci-
pientium dictam olei decimam nomine ecclesie, dicit quod unus eorum
qui est clericus instituitus per plebanum et clericos. Alter eorum
laicus instituitus per gastaldionem et populum. de litteris impetratis
a torcello et adprimarium gradensem, dicit quod fiierunt obtente per ve-
ritatem. de comissione facta patriarche dicit ex auditu. de privilegio epi-
scopi et litteris domini pape ammonitoriis nicbil. lìbere nec precio ductus.
lobannis de i mena iuratus dùrìt de creatione tabellionis facta
a bertoldo comite tempore et loco et personis a quibus hec potestas
pervenit in bertoldum, et quod instrumenta eius habeantur autentica
ibi, et de creatione A. diaconi in sindicum clericorum, et de loco
et tempore. Idem quod Adalgerius. de tempore creationis tabellionis
recordatar. de creatione Insti de bona in sindicum facta a populo in
porta de domo. Idem quod Wal. de tempore non recordatur. In
capitulo coactionis clerìcorum et societatis cum laicis, idem dicit
quod Adalgerius. de excomnnicatione clericorum nichil. de interdictione
offitii, idem quod Venerius presbiter, de decima olei soluta a laicis
ecclesie S. Jeorgii a triginta annis retro, et quod eam ipsa ecclesia
possederit tanto tempore pacifico et quiete, et de institutione reci-
pientium eam nomine ecclesie id quod Wal. de litteris ammonitoriifi
nichil. de privilegio tantum modo sivit, cum audivi ipsum legi in
iaditio. de litteris aubtentis a torcello et ad primarium gradensemi
idem quod Adalgerius. de litteris impetratis domino I. gradensi
patriarche sit quia eaa vidi — Ubere nec precio ductus.
264
lohanjxis corvellos iuratus dixit de creatione tabellionis, et
loco, et de persona qaa fuit creatoS; et de personis a quibas per-
sona creatis habuit anctoritatem creandi. et de investitura tabellio-
natas facta per damidem comitis et qnod instromenta sua sint
autentica ibi, et de creatione A. diaconi sindici clericonim, et de
loco sindici et tempore, idem qnod presbìter Venerios. de tempore
autem tabellionis non recordatnr, et dicit interfuit quando lustus de
bona fuit creatns sindicus a gastaldione et populo, silicet rìcordatur
quando, et de coactione clericonim et societate faota a laicis et
cum laicis. Idem quod Adalgerìus, de interdictione offitii et tempore,
idem quod presbiter Yen., et dicit appellationem factam a Insto, et
lohanne indice nomine populi ad domìnum papam ab ipso episcopo
mense marci, et hoc quia vidit instrumentum appellationis inde
factum, de decima elei data ecclesie S. Jeorgii a parrochianis pira-
nensibus, quiete et pacifico per triginta annos, et de institutione
recipientium eam nomine ecclesie, et quod ecclesia possederet eam
a triginta annis per dictum tempus, id quod presbiter V. de privi-
legio episcopi et litteris domini pape commonitorìis missis populo
piranensis prò decima olei solvenda episcopo nichil. dicit se scire
fnisse factam comissionem huius cause domine I. gradensi patrìarche,
et dicit littore comissionis aubtente a torcello et primario gradense.
sint aubtente per veiitatem, et non per mendatium. de ezcomunica-
tione dericorum nichil sit. libere nec precio ductus.
Albinus de domda iuratus dixit de creatione tabellionia a
bertoldo comite tempore et de loco, et de personis a quibus et per
quas iurisdictio illa venit in comitem bertoldum, et quod abeator
prò tabellione, et quod instrumenta sua sint autentica ibi. Idem
quod presbiter V. de creatione A. diaconi in sindicum dicit ex auditn.
de creatione Insti in sindicum dicit ex visu. Idem quod loh. cor-
veline, set non recordatur, et dicit clericos non fuisse coactos a laicis
ad agendam causam istam, nec sit quod societatem fecissent cum
laicis centra episcopum suum. de excomunica tiene clericornm nichil,
de decima olei data ecclesie S. Jeorgii a sexaginta annis retro pa-
cifico et quiete, et de institutione recipientium eam. Idem quod
presbiter Yen., et numquam fuit mota controversia dericis vel laicis
supra ac decima ab episcopis lustinopolitanis vel tergestinis, nisi
modo, set ecclesia S. Jeorgii pacifico et quiete possedit eam per
dictum spacium annorum, de interdictione offiti, idem quod presbite]
265
V., de appellatione nichil, de privilegio episcopi| et lltteris cornino-
nitoriis domini pape nichil, de comissione facta I. gradensi pa-
trìarche dicit ezaaditu. de litteris aubtentis a torcello, et primarium
gradensem fnisse impetratas per veritatem, et non per mendatium.
libere nec precio ductas.
Testes domini episcopi lustinopolitani centra clericos et pepalo
piranensi qui ioraverunt die XIV intrante decembre, et examinatus
est die £111 ezeunte eodem mense I. Prepbiter pe^rns cappellanas
lustinopolitani episcopi. luratas dixit. de facto tabellionis dominici
civium carte dncte snnt in iaditio ad probandam sindicatom Artai.
diaconi, et Insti de bona dixit se nescire an sit tabellio vel non, credit
tamen qnod bertoldus qui dicitur fecisse eum tabellionen non pò-
tuerìt eum &cere, quia non habet hanc potestatem. de coactione cle-
ricorum dicit se nichil scire, dicit tamen se interfuisse in cena
domini quando dominns episcopus lustinopolitanus ezcomunicavit
clericos piranenses, sub ac oonditione, si fecissent vel facerent so-
cietatem cum laicis piranensibus centra episcopum, et dicit quod
ipse est moratus cum episcopo iste per octo annos sicut credit et
circa duos cnm Aldigerio, et uterque eorum petunt decimam olei a
parrochianis piranepsibus, set non fuit eis soluta, et nescit quando
A. trazisset eos in causam, de iste dicit quod misit litteras dpi^ini
pape quibiis ammonebat eos ad decimam olei prestandam ipso
episcopo, et si noQ solve^ent quod dominus jpapa haberet ratam
sententiam quam ipse episcopus ferret in eos. Iste tamei^ autem
testis non interfuit representatigni litterarum, sed dicit hoc ez rela-
tione nuncii qui eas portavit et eor.um qui fuerunt cum eo. libero
nec precio ductus.
Ego Uan&edus presbite^ X(sti) Notarìus rogatus Interini
lurationi, et ezaminationi predi ctorunji testium, et iussa vissu domini
Leonardi dei gratia torcelli episcopi delegati domini pape Innocentii
9crìpsi compilavi et roboravi.
),f¥)fiJ^>MMi*^f<>MAÒAb^^
WfK'Wf^-WT^'WrrWS^-WÌI^-WS^yrf^'W
EDIFICIO ROMANO
seoperto nella villa di Baroola
Belazione degli scavi eseguiti per cura del civico Museo di
Antichità negli anni 1888 e 1889,
(V«di ToL XVI oon 1* HbMvtk tevoU.)
n.
Abbiamo dovuto interrompere la stampa della nostra
relazione su queste scoperte, non credendo di poterla prose-
guire senza unirvi i disegni dei pavimenti musivi ; avvegnacché
difficilmente colle sole parole saremmo riusciti a rilevare la
loro struttura e qualità. Riprendendola ora, ci corre l'obbligo
di ripetere i nostri ringraziamenti all' egregio sig. G. B. Sencig,
il quale, come abbiamo già menzionato, non solo ne eseguii!
rilievo di tutti, ma volle pure ritrarre le principali stanze^
facendo dono al civico Museo di Antichità di parecchi bellissmii
quadri. Con grato animo dobbiamo parimenti avvertire clid il
disegno degli altri e la riproduzione della maggior parte sulla
pietra sono opera diligente del signor Emesto Cortivo, e che
particolare riconoscenza va tributata agli egregi signori pro-
fessore 6. B. Baldo ed N. Camus, i quali con isquisita gen-
tilezza apprestarono le zincografie inserite nel testo.
Incantevole è la posizione di Barcola, e seppero apprez-
zarla gli antichi romani, che dalla sua configurazione naturale
chiamarono il luogo col nome di Vallicula. Da questa voce,
che nel gergo del popolo erasi già anticamente semplificata
in Vcdcula, mediante il passaggio della V in B, della { in r,
e della u in o, derivò il nome odierno di Barcóla^ nella stessa
guisa in cui si formarono Scorcola da Scolcula, Chiarbóla da
Calmila, Servala da Silvida, nomi anch' essi di contrade della
nostra Trieste.
La costiera rocciosa della Carsia, dopo aver seguito per
lungo tratto la spiaggia del mare, si volge verso Levante, for-
mando col poggio di Gretta un avvallamento^ cui il declivio
scendendo a scaglioni e terrazze dà 1' aspetto di un ampio
anfiteatro. Il verde cupo de' pini, co* quali si cerca ora di
restituire le antiche foreste a quelle vette, contrasta mirabil-
mente col colore biancastro delle rupi calcari, e più sotto
vigneti ed olivi spiccano con non minore armonia dal fondo
grigio e bruno degli strati marnosi. Più che in qualunque
altra parte dell' agro tergestino è qui rigogliosa la vegetazione,
alimentata da un suolo costantemente umido e protetta contro
l'infuriare de' venti, ove la favorisce il calore del sole estivo
temperato dall'aria fresca e pura del mare.
Accanto agli ulivi prosperano altre specie di alberi frut-
tiferi. Vi campeggiano il noce ed il castagno, ed il fico spinge
in ogni dove le serpeggianti radici e cogli indomiti rami
attraversa le siepi e sorpassa i muri. La vite non potrebbe
trovare dimora più acconcia, ed i vini del versante della riviera
dal Timavo a Trieste fino dall' antichità a ragione annove-
ravansi fra i più prelibati. Tale il pucino, che quale nettare
divino, raccolto in poche anfore, prolungò e rese lieta la vita
alla consorte di Augusto ; tale la ribolla, con cui Trieste pagava
i suoi tributi e che era ambita alle mense principesche e tenuta
in conto di farmaco miracoloso. Oggi la vite vi si coltiva con non
minore diligenza del passato, e noi la vediamo prosperare su ogni
zolla, finche è giovane, coi tralci avvinti alle pertiche, quindi ri-
piegati su basse pergole, per vetusto costume appropriato alla
forte inclinazione del luogo ed alla natura del terreno.^) Alla
campagna conferiscono vaghezza filari di gelsi e gruppi di lauri
^) Hehn V., Ktdturpflanzen und Hausthiere, Berlino, 1887.
268
sempre verdi, ed al paesaggio bello e ridente sono cornice i
boschi di frondose querce piantati nelle parti più elevate della
formazione arenaria Ovunque aiuole di verde smagliante de-
corano i giardini e gli orti, ed i fiori, che si avvicendano senza
posa da aprile a novembre, sono testimoni dell* ubertà del saolo
e della dolcezza del clima.
Negli ultimi tempi le condizioni di Barcola subirono note-
vole mutamento. L'industria fece sorgere vari opifici e vi attrasse
numerose famiglie di operai. I bagni marini creati su quella
stessa spiaggia, presso alla quale giacevano i ruderi romani da
noi esplorati, e le migliorate comunicazioni v'infusero nuova
vita ed aumentarono il numero degli abitanti e l'affluenza
de' cittadini. Rapidamente il piano e le pendici si popolarono
di ville e caseggiati ; nuove e belle stade vennero aperte, le
vecchie allargate ; le rive furono ricostruite e rafforzate con
solida muratura, offrendo alle barche un luogo di sicuro approdo
e convertendo lo spazio strappato al mare in grazioso giardino.
Vi s' introdusse 1* acqua delle fonti d* Aurisina, V illuminazione
a gas, ed i costumi e gli usi odierni v' apportano mai sempre
nuovi e non pochi conforti. Barcola diventò pertanto un vero
sobborgo della città, ma a scapito della sua naturale bellezza.
Le campagne, che prima sembravano quasi tuffarsi nelle onde,
si ritirarono ora sino alle falde del monte, cedendo il lor poste
ad edifici, nei quali, fatte poche eccezioni, invano si cercherebbe
il sentimento artistico. Vi predominano mostruosi raffazzona-
menti di stile eclettico, dal gotico al barocco, dal meridionale
al nordico, tutto vi è rappresentato, ma con si poco gasbo
estetico che le rozze e povere case coloniche nulla hanno per
vero da invidiare. Fra tante brutture non vi mancano nemme^
le cipolle moscovite, che qualche sognatore di siberiani amplessi
cerca di educare in questo suolo, dimenticando il povero illuso
che il nostro cielo è stato e sarà sempre micidiale a qualunque
coltura esotica, e che per nulla commosso dal pallido riflesso
di quell' oro, farà irremissibilmente meurcire anche le sue cipolle.
Non ostante queste novità Barcola offre ancor sempre
gradito ed attraente spettacolo, sia che la si osservi dal largo
del mare, sia che la si scorga dall' alto di Gretta o dalla gola
di Contovello o più sopra dal ciglio della Carsia. Com' oggi,
èssa fa anche in passato prediletto ritrovo de* cittadini, ed
ancorché difettino le fonti scritte, noi ci apponiamo al vero
stimando che più che mai ricercato ne fosse il soggiorno al
tempo della dominazione romana, quando Trieste fioriva non
solo quale colonia militare, ma altresì quale piazza di com-
mercio e capoluogo di una vasta regione, ed Aquileia godeva
di tanta rinomanza da essere riguardata per la seconda città
d' Italia. E crediamo che le condizioni del clima fossero allora
ancor migliori; giacché meno impetuose dovevano essere le
raffiche del vento^ rattenute e moderate dalle dense boscaglie del
Carso, che non erano state divelto già nelP epoca preistorica
per opera deUa capra, come a qualche egregio scienziato
piacque non ha guari di asserire, ma che secondo vari indizi
durarono invece sino nel medio evo, quando la loro distruzione
fu perpetrata dalla mano dell' uomo, di gran lunga più vorace
del dente di queir animale.
Le scoperte archeologiche, delle quali ci fu tramandata
memoria, confermano che nei punti più ameni della riviera,
massimamente nella valle di Barcola, esistevano spesse ville,
situate presso alla spiaggia, o più in alto in mezzo a freschi
boschetti e variopinti giardini, donde ancor più godevasi del-
l' immensa distesa del mare. Gli scavi da noi praticati ci danno
ragione per inferire che i villeggianti, oltre che da Tergeste,
y' affluissero anche da altri luoghi e principalmente da Aquileia,
ai cui abitanti questa riviera offriva la comodità di tenere le
loro dimore campestri in luogo non molto distante dalla città ed
accessibile tanto dalla parte di terra quanto per la via mare,
e di poter recarvisi pure durante T inverno per distrarsi dalle
fatiche, come non sarebbe stato possibile in altri punti della
costa, meno lontani, ma più esposti ai rigori del freddo e
causa i bassi fondi e lo spirare frequente dei venti sciroccali
di difficile approdo per le navi.
Le rovine, delle quali tratta la nostra relazione, sono gli
avanzi di una villa suburbana, corrispondente ad una villa di
delizia dei nostri giorni, le cui parti, come già abbiamo avvertito,
vennero erette in epoche diverse, a seconda che mutarono la
fortuna e le esigenze de' proprietari, che appartenendo alla
classe più elevata per censo^ erano maggiormente degli altri
proclivi ai capricci della moda e sdgaendo 1^ impulso clie vònivà
dalla capitale, adottavano spesso nuovi usi e costumi, non di-
versamente e forse più di quanto si suol fare a' giorni nostri.
Oiudicando dalle marcate differenze che si osservano nella
maniera di costruzione, ci pare di scorgere che originariamente
due edifici distinti, siti a breve distanza l'uno dall* altro,
formassero* il complesso di questa villa. Il primo giaceva a
sinistra di chi guarda dal mare, nello spazio che fu occupato
successivamente dall' emiciclo, che nella nostra pianta è se-
gnato colla lettera Z', e dalle stanze contigue. Besiduo ne
sarebbe la camera scoperta circa mezzo metro sotto il livello
dell' emiciclo medesimo. E di fatto il pavimento musivo di essa,
di lavoro molto accurato, palesa un' età più remota, alla quale,
vale a dire al primo secolo deir impero romano, spettano le
monete che si raccolsero nello stesso strato.
Il secondo edificio era posto a destra con una faccia sul
mare e con un' altra a mezzogiorno. Comprendeva parecchie
delle località enumerate colle lettere F a T, le quali erano
addossate ad un cavediO; che abbracciava parte dell'area, su
cui più tardi s'innalzò il peristilio U, ed aveva ai lati altre
camere e nel punto i il pozzo, che fìi trovato sotto il piano
della camera Y. I muri sono fabbricati con filari paralleli di
sola pietra riquadrata e bene connessa, ed i musaici dei pavi-
menti, all' opposto degli altri meno antichi; si compongono di
pietruzze diligentemente tagliate ed esattamente combinate.
Più tardi, forse alla fine del secondo secolo od agli inizi
del terzo, alcune delle primitive località vennero ricostruite a
a nuovo, altre vi si aggiunsero, e coU' andar del tempo la nostra
villa, sempre più ingrandita, si estese lungo la riva del mare
su d' una linea di quasi 140 metri, sorpassando da ambo le
parti i limiti delle due fabbriche preesistenti ed occupando
inoltre una vasta superficie dal lato postico, come dal piano
chiaramente si riconosce. Le porzioni rifatte e quelle aggre-
gatevi differiscono dalle primitive per il modo onde sono fab-
bricate. I loro muri, 1' uno dall' altro molto diversi in spessezza^
sono di pietra arenaria e calcare rozzamente spezzata ed adibita
alla rinfusa insieme con mattoni e per sino con laterizio che ante-
rio vmen te aveva servito ad altro uso, cioè avanzi di embrici, cU
271
tegole ed anche coòci di anfote e dolii. E quel genere di costru-
zione che gli antichi chiamavano opus incertum e che si può
paragonare con un' opera eseguita con somma precipitazione,
nella quale in mancanza di altro materiale si dovette impiegare
tutto ciò che trovavasi sottomano o potevasi raccogliere non
molto lungi dal luogo. Naturalmente i muri dovevano presentare
non pochi difetti ed irregolarità ; ma si queste che quelli prò-
curavansi di nascondere sotto l' intonaco, che sapevasi rendere
molto tenace e bene aderente. Similmente riguardo ai pavi-
menti musivi, dei quali ve ne sono alcuni pregevoli e per
disegno e per effetto, dobbiamo osservare che di tutti meno
finita è la fattura.
Quantunque i risultati delle nostre ricerche non furono
tali da cambiare ogni congettura in evidenza, nondimeno ci è
lecito di ammettere che questa villa fosse la residenza cam-
pestre di una ricca famiglia, la quale, come allora accostu-
mavasi, vi teneva numeroso stuolo di liberti e schiavi ed amava
poter godere di tutti gli agi ed i comodi confacenti alla vita
lussuriosa di quei tempo. Oltre alle camere destinate per abita-
zione de' propri e quelle riservate agli ospiti, v' erano le sale
per i convitti, le località per le riunioni ed i giuochi, un
appartamento con più stanze per il bagno, che abbenchè
fosse ristretto, era pure fornito dei comodi offerti dalle pub-
bliche terme, 1' alloggio per i servi, gli stallaggi, le rimesse,
i magazzini ed altri luoghi ancora. Cosi almeno crediamo di
poter dedurre dalla grande estensione del complesso degli
edifici, che compongono la nostra villa, alla quale, se teniamo
conto che da due lati non ci fu dato di raggiungerne il limite,
dobbiamo assegnare una superficie di almeno 4000 metri qua-
drati. Di questi ben 3460 furono da noi esplorati, e le molte e
varie località ridonate alla luce giustificano appieno il nostro
giudizio. Per lo contrario fu impossibile di stabilire quale fosse
la configurazione di ogni parte, quale 1' altezza, quali le de-
corazioni architettoniche, quale l'aspetto delle facciate. Lo
stato di deperimento in cui abbiamo trovato queste rovinei
non ci permette di addentrarci nei singoli dettagli. Tuttavia
riteniamo che mancasse un piano superiore, e se qualche località
r aveva, questo non poteva essere se non un ammezzato. Certo
è invece ohe la faccia Veréo ìné2S2ogiol!ixo 6ra fornita di tìii
portico sorretto da colonne di brdihé dòrico, che la fronte prin-
cipale, volta veiDò il hiare, era adorna pur essa di porticiEito,
ma che le sue parti, molto diverse V mia dall' altra, noìi si atte-
nevaiio alla dtessa linea e la sorpastovano a sinistra, ove un
corpo di fabbrica sporgeva sulla riva, che era validamente
morata e sulla quale scóndevasi per due scalinate. Qui per
certo èra uno dei punti d* at)pr6do delle barche ; mentre dal lato di
terra, la villa era méssa in comunicazione còlla via consolala,
che da Moncolano scehdeva a Tergeste, é come abbiamo veduto,
passava a breve distanza. L' abqùa in'ediante condotto tubolare
era derivata direttamente da qualche sorgente, forse da quella
stessa che oggi aliihenta il vicino hiscello, e bastava non aolo
ai bisogni domestici ed al bagno ; ma giovava anche alla coltura
del giardino e vi alimentava le piscine e le fontane zampillanti.
I pavimenti à musaico, il tórso mairmoreo rinvenuto nella
camera G, i frammenti di niarmi finissimi e le altre cose raccolts
ci assicurano clxe qn'esta vUla suhtirbcka èra fabbricata ed
addobbata con molto luséo nelle Sue parti inteme cóme al di
fiióri, secondo lo ^idigeVa il modo di Vivere nelle campagne,
ove sotevaìisi passare aU' aperto mólte ore del giorno per godere
della natura. Epperò presso i Romàni la painione edilizia ma-
nifestaVaàl nelle viU'é mólto più che n^Ue dimore cittadine.
Laddove la paHe esterna di queste era ge!neralmente negletta,
essendo per io più composta di nude muraglie, quelle ri8e^
vate ai jpiaceri, stiliuolo precipuo del Villeggiare^ sfoggiavano
invece esuberaii2a di ornamentazioni architettoniche e d' eltro
ge'nere sulle stesse faksciatè, che a differenza delle case di città,
erario qui formte di spaziose ^nestre e di vasti portici. Ha la
simmetrìa invece vi era di gran hi'Qgà più trascurata, essendo
che i costruttori cercavano di provvedere sopra ogni altra cosa
ai ;^ropri comodi ed ai bisogni creati dalle peculiari condi-
zioni del Itiogo, anche con iscapito della corrispondenza delle
liiiee e delle partì ; laonde lion deve far meraviglia se per avere
il sole dtirante V inverno o per esserùe al riparo ìiell' estate o
per altro effetto, aldune località sporgevano oltre la fronte.
Tuttavia rimpressióùe generate poteva riuscire mai sempre
gradevole e affascinante, e tale siamo persuasi che fosse l' aspetto
&7é
delia villa di Barcola, favorita é résa ^iù splèndida dalla
bellezza e dalla vivacità della natlira.
Nel descrivere le sne parti nói ci siamo proposti di atte^
nerci ai risultati delle ricerche ; cosicché evitando vaghe oon'^
gettare, ci soffermeremo intorno a quelle località, delle quali
sono evidenti la destinazione e l'uso, ovvero per via di con-
fironto riesce feicile di additarli. Per dire di più sarebbe neces^
Bario che la distruzione fosse avvenuta in pochi giorni e per
opera di altri fattori, che non avessero cancellato tutti i residui
della vita passata, o fatto sparire gli accessoil che sono propri
dei diversi ambienti di una casa. Non vi bastano lo studio di
Vitravio e la conoscenza dei celebri monumenti di Pompei.
Le dottrine ed i consigli del primo furono meritamente ap*
prezzati ed ascoltati daglj antichi ; ma non seguiti sempre, in
ogni dove ed in tutti i casi. I secondi, comunque offrano un
materiale oltre ogni dire prezioso per giudicare delle abitazioni
private e degli edifici pubblici, non possono essere riguardati
come guida infallibile. I romani erano gente pratica, che sapeva
valutare le condizioni locali, conformarvi le proprie opere ed
adattarvi le proprie usanze; onde è naturale che tra le case
dei paesi meridionali e quelle delle nostre contrade vi fossero
delle notevoli differenze.*)
^) C£r. Enrico Leibnitz, Die lihnischen Bàder bei BadentoeUer
im Schicarzioald, Lipsia, 1866.
Le opere principali che abbiamo consultate per questa relazione sono:
Vitravio, edizione coi commenti di Baldassare Orsini,*
Niccolini Fausto e Felice, Le case ed i monumenti di Pompei,
NapoU, 1854-96;
Overbeck-Mau, Pompefi in seinen Oébàuden, AlterthUmem und
Kunsiicerken, TV edizione, Lipsia, 1884;
Nissen H., Pompefanische Studien, Lipsia, 1877;
Man, Relazione degli scavi di Pompei nel BuUettino deW imp.
Istituto ArcheoiogieOf a. 1885 e seg. ;
Notizie degli scavi di antichità comunicate alla B. Accademia dei Lincei
per ordine di 8. E. il Ministro della Pubblica Istruzione;
ìiittheilungen der k, k, Central - Commission zur Erforschung und
Srhaltung der Kunst- und historischen Denkmale;
BuUettino della Commissione archeologica comunale di Boma;
Becker W. A., Qallus oder rdmische Scenen, Lipsia, 1863;
Fi creili G., Ville Stabiane, Appendice al dizionario delle antichità
g;recbe e romane del Bich.
Cominciamo dal ^oudo t^oUak,^) ove trovasi il lungo am-
bulacro segnato nella pianta colla lettera A, il quale va a
finire sotto la strada vicinale posta sulla riva destra del tor-
rente. È fuor di dubbio eh' esso conduceva ad una porta, forse
la principale della nostra villa, il cui vano è da ricercarsi non
all' estremità deU' ambulacro, perchè vi mancherebbe lo spazio
necessario, si bene nel muro di fondo. L'attuale strada giace
sul letto dell'antica, che non proseguiva, come ora, sino alk
riva del mare, ma arrestfivasi aUa villa, che essa metteva k
comunicazione colla strada principale da noi già accennata nel
capitolo precedente, la quale con piccole diversioni corrisposde
alla vecchia strada da Barcola a Trieste. L' ambulacro serviva
di passaggio per coloro che giungevano per la via di terra, e
nello stesso tempo costituiva uno dei lati d' un' area recintata,
che tra la casa ed il ruscello protendevasi sino alla spiag^
del mare, ed era coltivata a giardino, come ci parve di averlo
rilevato nei tentativi di scavo praticati in vari punti, dai quali
non si riconobbero vestigi di fabbrica, ma solamente una terra
vegetale feracissima, non mescolata nò con pietre, né con ro-
vinacci di altro genere.
n muro rappresenta la continuazione di quello postico
dell' edificio principale. Alla base, corrispondente al primitivo
piano del suolo, ha Io spessore di 70 cm.; superiormente di
soli 45 cm. Nel materiale di sterro si scorsero copiosi avanzi
dell'intonaco, end' erane rivestito il lato prospiciente il gisp
dino. La massicciata, che, secondo abbiamo già detto, venne
trovata a ridosso del muro, è stata costruita in epoca più re-
cente, e nuli' altro era che una strada la quale attraverso i
campi conduceva a qualche casa, come tante ancor se ne ve-
dono nelle campagne, con lastrico di pietre poste in taglio e
strettamente connesse, affine di evitare i danni dell'acqua.
L' androne trovato a mezzo metro sotto la medesima era largo
metri 8'6 ed aveva per pavimento un terrazzo del genere detto
*) Avvertiamo che la realità Pollak è ora possedata dalla Bane»
Dnione e che la casa ivi eretta porta il num. poi. 270, e che sul fondo
Artelli furono costruiti tre villini segnati coi num. poi. 905, 906 e 907
di proprietà del barone Michele Locatelli di CSormons.
vpus stgnìnufn, il quale veniva prodotto coii tn miscuglio di sasso-
lini, pezzettini di cotto e calcestruzzo fortemente battuto. H
margine dell'ambulacro opposto al muro svolgevasi a mo' di
crepidine non più alta di 10 cm. sul terrazzo, coperta da un
gradino di pietra calcare largo 86 cm., il quale, come ce ne
danno contezza le porzioni che si trovarono ancora intatte,
ad ogni tre metri e mezzo di distanza era interrotto da una
lastra quadrata, pur essa di calcare e di cm. 50 per lato, che
esternamente formava col gradino una linea sola. Queste lastre
servivano di plinto alle colonne di laterizio, delle quali alcune
giacevano distese al suolo ed erano in parte ancor rivestite
di stucco, la metà inferiore liscie e dipinte in rosso, la supe-
riore bianche e scanalate. Secondo il nostro criterio, esse sor-
reggevano una solida tettoia formando un portico nel vero
senso della parola, del quale il muro sopra descritto costituiva
la parete di fondo. Non abbiamo alcun serio motivo per cre-
dere, anzi ci pare di dover recisamente escludere, che il loro
ufficio fosse invece di sostenere una pergola trichilaj più grande
di qnella che fu scoperta a Pompei nella casa di Atteone.
Nel punto b, in cui il muro forma una specie d' alcova o
nicchia rettangolare di metri 1-7x1, sorgeva forse un osser-
va£orio, donde potevasi vedere il largo della valle, la strada
maggiore e gli altri edifici, la cui esistenza fa accertata quando
si piantarono le fondamenta del viadotto della ferrata. Il muro
indicato colla lettera d è opera di altra età; air incontro quello
colla lettera e subentrava in luogo delle colonne e convertiva
il portico in un andito del tutto chiuso, per il quale si entrava
nella casa. Non crediamo che il semicerchio e sia 1' avanzo
della periferia d'una piscina, ma piuttosto lo zoccolo in mu-
ratura d'una di quelle banchine, che dalla loro forma erano
dette hemicydia e si collocavano nell' intemo delle abitazioni,
nei giardini e lungo le pubbliche vie e che furono adoperate
anche per adagiarvi il letto triclinare, dopoché alle tavole qua-
drate furono sostituite le rotonde, onde questa sorte di sedile
solevasi appellare anche stibadium o sigma per la sua analogia
colla lettera greca di tal nome.
Non si potrebbe ideare sito più adatto e più propizio di
questo per allogarvi il giardino. Riparato a Tramontana dalla
casa, a Levante dal portico e dalla coUiUà che s^ innalza alla
sponda opposta del ruscello, era invece aperto alle brezze de*
liziose e benefiche del mare. Le notizie che gli antichi scrit-
tori recano dei giardini di quei tempi e dell' amore quasi esa-
gerato, che i romani dedicavano a questa parte importantis-
sima delle loro rustiche dimore, ci autorizzano a ritenere che
anche il nostro fosse acconciato secondo il gusto allora domi-
nante, che era stato introdotto in Europa dall'Oriente e che
con poca differenza si ravvisa nei giardini italiani e francesi
dei secoli passati.^)
Alle piantagioni non lasciavasi libero sviluppo ; ma gd
alberi e gli arboscelli dal capriccio del topiario venivano ag-
giogati e legati in molteplice guisa^ e col coltello e colie for-
bici costretti a prendere forme, spesso bizzarre, sempre con-
trarie alla loro natura. Le proporzioni e la simmetria, che assai
di frequente negli edifici delle ville venivano sacrificate, nei
giardini invece erano di regola generale, la quale aveva per
base un disegno geometrico, che per quanto fosse variato, do-
nava al complesso un aspetto uniforme e monotono. Viali di
platani, colonne ed archi di tassi, piramidi e coni di cipressi,
boschetti di lauro, cespugli di rosmarino, siepi di semprevivi
e pareti di bosso, si alternavano a vicenda ripetendosi spesso,
e cingevano gli spazi dedicati alla coltura dei fiori e delle
piante più delicate, ove incorniciate d' infimo bosso o d' altra
verzura erano roseti, aiuole sparse di viole e di narcisi, ove
educavasi il giglio ed il croco, ove nel mezzo inghirlandata
d'acanto vedevansi fontane zampillanti e vivai. Piante predi-
lette erano le rose, onde costruivansi ghirlande, spalliere e
gruppi, e l'edera, che rivestiva le pareti ed i muri, si attorci-
gliava alle colonne e serpeggiava intorno al tronco ed ai rami
degli alberi. Erano di moda gli ambulacri coperti dalle fronde
dei platani o della vite, la cui cultura non era disprezzata nei
giardini fatti per puro piacere, e pare che ve ne fossero anche
in questo; poiché a breve distanza dal portico ed in linea
perpendicolare al medesimo, movendo dalla sua metà, furono
*) Simonis, Uebet* die Gartenkunst der Rdmer, Blankenburg, 1865.
277
messi fdori alcuni fasti di colonna di fabbrica, che non pos«
sono confondersi con quelle più robuste del portico, ma che
probabilmente erano state adoperate per sorreggere un per-
golato.
Avendo dovuto rinunciare allo scavo di quel tratto di
terreno ove il portico del giardino, o meglio V androne che ne
forma la continuazione, si unisce colla casa, non si può preci-
sare qual fosse la località, in cui riuscivasi dopo sorpassato il
vano d' ingresso. E però probabile che si tratti di un andito,
il quale immetteva sotto il portico B ed era costeggiato dalla
cella C, ove forse v' aveva una porta di comunicazione coir in-
temo della casa e perciò era occupata dsìlV ostiario o da altro
servo. La porta /*, certamente opposta a quella delF ingresso,
ha per soglia una lastra calcare munita di fori per il cardine
del battente e per il paletto che lo fermava. Il pavimento si
compone di sole pìetruzze nere e sullo zoccolo delle pareti non
resta indizio di coloritura. SulP andito apresi in tutta la sua
larghezza l' ambiente D, che con esso giace sullo stesso piano,
n suo pavimento musivo con fondo bianco è cinto di doppia
cornice nera ed ha nel mezzo una riquadratura da cui risal-
tano dei cubetti rossi ordinati ad uguale distanza su linea
obliqua e tra essi dei tasselli lunghi e sottili di marmo nero,
che saltuariamente mutano di posizione (Tav. IH).
L'ambulacro del portico, largo quattro metri, è tutto pa-
vimentato a musaico di color nero, avente nella sua lunghezza
due fascie bianche, V una prossima al muro dell' edificio, V altra
al lato opposto. Conserva quasi intatta la sua sponda di
pietra calcare, la quale è interrotta da plinti che avevano ser-
vito di base alle colonne cui era affidato il tetto. Nove di
questi plinti rimangono tuttavia al loro posto, il quale è fissato
con si poco ordine, che i vani d'ingresso delle camere non
corrispondono agli intercolunni. Ma siffatta irregolarità non
va ascritta a colpa dei costruttori^ essendo in vero la conse-
guenza dei cambiamenti che furono praticati successivamente
nella fabbrica. Dalle macerie furono estratti tre capitelli di
pietra calcare d' ordine dorico, all' incontro nessun resto vi si
rinvenne delle colonne, il che prova che i loro fusti erano di
878
pietra e furono asportati ; laddove se fossero stati di fabbrica,
se ne sarebbero raccolti i frammenti, come nelle altre località.
Tralasciando per ora di occuparci del compreso E, che
per il suo pavimento impiantato sopra un livello più alto non
appartiene alle località esteme, passiamo alla graziosa came-
retta F. n mosaico del suo pavimento per gli smaglianti coioti
e per il disegno somiglia ad un vero tappeto alessandrino ed
è di lavoro finissimo, contesto di pietruzze minute, quali non
furono osservate in nessuna delle altre stanze. Due fascio, uba
bianca e l'altra nera, ne formano i lati. Nel campo un retico-
lato bianco racchiude dei quadretti spartiti diagonalmente, dei
quali parte sono di color nero e verde, parte di rosso copo e
di roseo chiaro, distribuiti in guisa da alternarsi a vicenda. H
quadro che ne risulta è reso più vago da una cornice con
meandri ingegnosamente intrecciati e di grande effetto per la
combinazione dei colori e per la graduazione delle tinte.
(Tav. V).
Il musaico si in questa che nelle altre località è fissato
sopra un letto di solido e compatto cemento dello spessore di
circa cent. 10. Questo a sua volta poggia su d' uno strato eguale
di calcestruzzo più grossolano, prodotto dall' impasto di mattoni
stritolati, calce, sabbia e minuti sassolini di fiume, sotto del
quale segue una sostruzione di 30 a 40 cm. formata con
rottami di laterizio, pietre e ciottoli, messi alla rinfìisa in
cemento, affine d' impedire che l' umidità del sottosuolo girmga
al pavimento.
La soglia deir entrata è adoma anch' essa di mosaico ed
esibisce un reticolato rosso coi vani riempiti di pietruzze bianche
e nere disposte in modo diverso. Serba inoltre ad ambe le
estremità i tasselli cogl' incavi, nei quali giravano i cardini
della porta, che era a due partite. Il musaico presenta tracce
di antiche rammendature, le quali non furono eseguite conforme
al disegno ; ma il restauratore si accontentò di colmare le
lacune nella stanza con pietruzze nere rozzamente tagliate,
sulla soglia con cubetti simili di pietra bianca.
Molto più grande è la camera G, la quale in origine
formava uno spazio solo colla fauce H. Il musaico del suo
pavimento è nero e nel mezzo ha un lungo e stretto campo,
279
che si ottenne coli' inserire nel fondo pezzi ineguali di marmo
venato e ciottoli Huviatili segati a metà^ bianchi e rossi, varia<
mente screziati (Tav. ni). Risulta che la soglia dell'ingresso
era pure lavorata a musaico; la si rinvenne però distrutta.
Solo ai lati restavano ancora i quadri di pietra di cm. 60 X 36
coi forami per la porta^ che stante l'ampiezza del vano sarà
stata composta di tre valvae.
In questa sala, presso alla parete di fondo e quasi
dirimpetto al vano d* ingresso, giaceva rovesciata a terra la
pregevole statua marmorea, che più volte abbiamo mentovata
nella nostra relazione. Vedevasi artificiosamente infranta ed i
suoi frammenti dispersi in questa e nelle camere vicine. Fru-
gando nel materiale di sterro si riuscì a ricuperare molti pezzi,
anche de' più minuti ; ma non essendo tutti tornati alla luce,
parecchi dei ricuperati non poterono servire per ricomporre la
statua. Dobbiamo ancor una volta tributare lode e gratitudine
all'egregio scultore Luigi Conti, che con diligenza ed abilità
ricommise il torso, che nella tavola X ci viene presentato
dì prospetto, di tergo e di fronte. Fra i frammenti staccati
restano ancora l' antibraccio destro coUa mano sino alla giuntura
delle dita, il metatarso e le dita del piede dritto, la parte
posteriore del sinistro, il dito pollice di una delle mani, vari
pezzi del tronco di sostegno ed altri, che stante la loro picco-
lezza non possono essere determinati.
Il marmo sembra di qualità greca e parie per la finezza
della grana. Ma la statua non fu scolpita in un sol masso,
si bene venne composta di parecchi pezzi, saldati col mezzo di
perni di ferro di forma quadrata, come era costume assai fre-
quente presso gli artisti antichi, che per tal modo venivano
ad avere risparmio di spesa, ed il marmo nel trasporto non
correva pericolo di spezzarsi. Da ciò fu resa più facile la distru-
zione della figura e lo sperperamento de' suoi rottami; ma
d' altro canto se essa fosse stata tutta d' un pezzo, noi oggi
forse non potremmo gloriarci di averne rinvenuto il torso.
Bovinata com' è, non permette di stabilire di chi vera-
mente essa sia stata la rappresentanza ; però da quanto rimane
appaiono evidenti le fattezze ideali di un atleta, affatto ignudo,
280
il quale insiste sulla gamba destra, appoggiato ad un tronco,
che non essendo stato possibile di ricomporre, venne sostituito
con un rozzo sostegno di pietra. Egli piega in avanti il
ginocchio sinistro, cosi che il piede veniva a stare di dietro ed
era per staccarsi dal suolo. L' attitudine è propria di chi si
avanza con passo fermo* La cavità che osservasi sulla parte
laterale della natica sinistra e che è prodotta dalla tensione
dei muscoli della coscia e dei glutei, avverte che questa gamba
oltre che tenere V equilibrio, concorre pur essa a portare il
corpo. Il torso è leggiermente piegato e col posare sulla gamba
destra cagiona una forte sporgenza della coscia; laddove il hto
manco presenta una linea più diritta. Per quanto si possa
discutere sul soggetto che avrebbe dovuto essere effigiato, pure
da tutto l' insieme risulta 1* imagine di un uomo sul fiore degli
axmi, il quale colla gr^ia della giovinezza accoppia il vigore
dell' età virile, che egli seppe educare e regolare mediante gh
esercizi e la disciplina. E vi corrisponde V atteggiamento datogli
dall' artista, il quale foggiò in grandezza pari al vero un corpo
robusto, di complessione normale, del quale le varie parti si
mostrano bene distinte; ancorché non tutte sieno scevre di
difetti e qua e là sieno espresse non senza esagerazione. Dai
muscoli apprendiamo che il braccio sinistro era alzato ; 1' avam-
braccio dritto poi ci avverte che l' estremità corrispondente
non era distesa, ma ripiegata in modo che la mano giungeva
all' altezza del costato e forse era nell' atto di tenere qualche
cosa, come crediamo dì poter rilevare da un foro esistente nelk
palma presso l'inserzione del dito anulare. Conficcato nd-
r anca scorgesi il rimasuglio di un perno di ferro, che, a parer
nostro, penetrava nel puntello di marmo fatto per sostenere
r avambraccio, dal quale in prossimità alla mano esce il perno
opposto, che essendo meglio conservato fornisce qualche indizio
circa la probabile posizione della mano stessa.
É indubitato che abbiamo dinanzi a noi una delle tante
copie che i romani facevano delle opere d'arte greca per
abbellire i palazzi e le ville. E per vero, psservando attenta-
mente il torso, ci pare di ravvisarvi alcunché del carattere
geniale dell'arte di Polideto, e tanto nella posa quanto in
alcuni dettagli una certa attinenza colle due figure più note,
281
il Doriforo ed il Diadiuneno.') Sarebbe presunzione troppo
grande il voler pronunciare un giudizio definitivo su di una
statua che, come la nostra, manca del collo, delle spalle ed è
troppo mutilata, perchè col confronto di semplici fotografie sia
possibile di formarsi un giusto criterio. Nondimeno noi repu-
tiamo che V artista, sia con intenzione, sia seguendo una ma-
niera divenuta quasi tradizionale nella scuola, abbia preso a
modello il secondo, vale a dire l'efebo che si cinge la benda,
premio della riportata vittoria, o almeno ad esso siasi inspirato
per iscolpire un soggetto analogo o per imporre gli stessi attri-
buti ad uno diverso. Vari sono adunque i punti di contatto,
ma vi si notano pure delle marcate differenze; si questi che
quelli abbiamo cercato di rilevare seguendo ilMichaelis nel-
r esame di quelle statue Policletee.')
Causa la pessima illuminazione della sala del nostro
museo, ove mancando altra località più adatta, si deve con-
servare il torso, nella riproduzione fotografica non tutto riusci
chiaramente distinto. Cosi per difetto d' ombreggiatura non vi
si osserva l'enfiagione al di sopra delle ginocchia, la quale in
realtà vi esiste molto più pronunciata sopra il destro, che per
essa viene ad essere alquanto sformato. Medesimamente spa-
riscono le cavità alle natiche, le quali pure vi sono, meno esa-
gerate che nel Diadumeno dell' Esquilino ed in quello di Yaison,
ma non corrispondenti al naturale, massime quella al lato
destro. Il piede è largo ed alto, il contomo del polpaccio rigido,
i grandi muscoli obliqui ed il retto molto sviluppati e chiara-
mente sono accennati i loro punti d' intersezione coli' arco delle
coste, il quale è però espresso con minor rilievo che nelle altre
statue. Eguale apparisco Y ombilico, simile ad un piccolo cerchio
^) Collignon M., Histoirt de la sculpture grecqué, Parigi, 18d3,
T. I, pag. 485 e seg.
Brunn H., Geschichte dev griechischen KUnsUer, Stoccarda, 1889,
voi. I, pag. 148 e seg.
Overbeck I., Getchichte der griechischen PUutik, Lipsia, 1869,
voi. I, pag. 840 e seg.
*) Michaelis Ad., Tre statue Pclicletee^ Annali dell* Institato di
corrispondenza archeologica, anno 1878.
piatto col centro distintamente indicato ; in egnal modo è di*
segnato e circoscritto il costato col serrato e col gran muscolo
dorsale ; però tale somiglianza si mostra maggiore al lato manco,
giacché al dritto il nostro torso è fortemente corroso e man-
cante di qualche pezzo. Del pari vi corrispondono la schiena
e la spina dorsale. All'incontro meno largo e ritondato è il
ventre, meno pieno il petto, e le vene, che spiccano sui piedi^
non si riconoscono né sull' antibraccio, nò sul dorso della mano.
E rimarchevole ò infine la coincidenza delle misure, in quanto
le medesime non sieno determinate dalla diversa posizione del
braccio destro.*) Ma le forme nella statua di Barcola sono in
generale meno robuste ed invece più svelte e delicate che nelle
due figure di PolicletO; e questa differenza per certo rilevante
apparisce dal raffronto col torso del Diadumeno rinvenuto nel
1882 a Boma suir Esquilino e colla statua trovata a Yaison
nel 1862, ora al museo Brittanico, la quale forse più d' ogni
altra s'accosta al tipo originale.
Ne viene adunque che la nostra non ò da riguardarsi in
nessun caso per una replica del Diadumeno. Essa potrebbe
esseme una variante, qualora l'artista, come reputiamo assai
probabile, imitandone la posa e le proporzioni, non avesse
inteso di raffigurare un altro soggetto, forse anche un efebo
in diverso atteggiamento, ovvero una divinità, un eroe od un
') Confrontando le misure del nostro torso con quelle rilevate dal
prof. Petersen sol Diadumero dell' Esquilino e da lai pubblicate nel
Bidlettino della Commissione archeologica comunale di Roma, a. XV 111, 1890,
pag. 185 e seg., troviamo che su ambedue la distanza dalla rotella del
ginocchio destro al pube è di cm. 40, al limite del basso ventre cm. A^
all' ombilico sul primo di cm. 57 e sul secondo di cm. 58^ allo stemo su
entrambi di cm. 77, da una mammella all'altra sul nostro di cm. 29 e
sul romano di cm. 80V,» dall'una all'altra inserzione del sartorio nella
spina iliaca su entrambi di cm. 26, dalla manunella destra alla insersione
sinistra del sartorio cm. 89 sul primo e cm. 38 sul secondo, dalla mammella
sinistra alla inserzione destra del sartorio cm. 41 su quello e cm. 41*/,
su questo, dall' ombilico alla mammella dritta su ambedue di cm. 24V«,
dall' ombilico alla mammella sinistra sul nostro di cm. 28 Va sull'altro di
cm. 90. Infine la lunghezza della coscia dritta è di cm. 57, quale è quella
del Doriforo di Napoli e quale la dedusse il Michaelis per il Diadunkeno
della collezione lanzè ora a Parigi.
288
personaggio reale con attributi atletici. Nel periodo romano
dell'arte, come osserva Raoul Bochette, erano assai frequenti
le trasposizioni di attitudini, le sostituzioni di un attributo al-
l' altro, per modo che copiavansi le opere dei grandi maestri
ripetendone le idee ed i tipi, ma adattando ad un motivo, ad
una intenzione ciò che era stato creato per un motivo ed
un' intenzione diversa. Laonde non pare male a proposito il
parere favoritoci dal chiarissimo professore Boberto von
Schneider di Vienna, il quale ascrive il carattere Policleteo
della statua di Barcola all' influenza della scuola di questo
artista, che era divenuta tradizionale e predominante nel primo
tempo dell' impero romano. D Doriforo ed il Diadumeno erano
i modelli allora più apprezzati ed il primo anzi ritenuto quale
canone della più perfetta simmetria^ ed è per tanto che se ne
trova cosi spesso copiato il motivo nelle opere romane. Comunque,
al nostro torso non si possono negare né importanza né pregi
artistici. Se esso appartenne alla figura di una divinità e posto
che in antico stesse nel sito ove l' abbiamo trovato, non è in-
verosimile che la sala G fosse destinata al culto in qualità di
sacrario privato.
Non stimiamo che questa fosse la sola statua che avesse
abbellita la villa. Fra le macerie si riconobbe qualche altro
pezzo di marmo, che, abbenchè fosse reso informe dal fuoco,
pare dal modo ond' era tagliato e da qualche linea ancor vi-
sibile, dimostrava di esser stato in antico parte di una figura.
Chi sa quali repliche della scoltura antica, acquistate ad altis-
simo prezzo e custodite gelosamente per più secoli fra queste
mura e negli altri edifici di Vaicela, non sieno state mutilate
o dal fanatismo religioso o dal furore de' barbari^ ed abbiano
più tardi fornito materiale alle fornaci di calce, dividendo la
sorte delle comici, degli architravi e degli altri fregi marmorei,
coi quali i romani avevano cercato di rendere più belli i loro
cospicui edifici suburbani !
Addossato alla fauce H giace il piccolo oecus I con tre
aditi egualmente ampli, uno sulla facciata principale dell'edi-
ficio, l'altro stQl' ambulacro del portico B e il terzo sito di-
rimpetto a questo sulla località segnata con L ; tutti e tre fatti
284
in modo da potersi chiudere con imposte, come lo manifestano
le lastre di pietra incavate^ che ancor rimangono al loro
posto. Qaesta piccola sala, che era destinata per convegni
e forse anche serviva da triclinio, ha per pavimento un mosaico
contornato di margine nero, che da fascie di egaal colore e
scompartito in tre campi bianchi, ciascuno con propria riqua-
dratura nel mezzo cinta di comicetta rossa. In quella de^
campo principale delle listelle e dei triangoletti neri si alternano
sul fondo bianco in modo da descrivere dei piccoli quadri,
diagonalmente divisi e disposti cosi che i lati bianchi com-
prendono la metà nera, ed i neri quella bianca. I campi minori
presentano delle file di rombi neri che racchiudono degli altri
bianchi risultanti dal colore del fondo (Tav. Vili). Le soglie
sono anch'esse ornate di mosaico con un disegno a greca,
che è comunissimo nelle ornamentazioni dei pavimenti romani.
"Egregieìssiente conservata è quella a sinistra, sulla quale delle
linee nere piegandosi ad angolo retto, chiudono cinque qua-
drati e tra l'uno e l'altro s'intersecano a croce. I quadrati
sono formati di doppia comicetta, ed il piccolo spazio che ne
risulta nel mezzo è diviso in due triangoli, l' uno di color rosso
e r altro di verde (Tav. VUl).
L' area che giace dinanzi a quest' oecuSy V ambiente in-
dicato colla lettera L, lo spazio compreso dall'angolo M, la
lunga corsia da noi distinta con N ed N' e l'ambulacro N''
avevano il piano lastricato con musaico nero, nel quale oltre
due fascie bianche, seguenti la sua lunghezza, vedevansi in-
cassati ad intervalli costanti dei pezzi irregolari di marmo
bianco (Tav. III).
Dalla località L la fauce H introduceva nella camera Q,
in cai si trovò la statua 'che abbiamo testé descritta. I due
tratti di muro, che costituiscono l' angolo M, ed il muro notato
con ;, il quale si diparte dal ciglio del portico B, in tutta
prossimità della odierna strada maestra, dimostrano che da questa
parte v'avevano ancor altre costruzioni. E veramente quando
furono fatte le fondamenta pel muro che chiude il fondo de
Bitter, si riconobbero gli avanzi di un lastricato musivo del
genere di quello che or ora abbiamo mentovato. Da ciò lice
arguire che la linea del muro i prolungata verso destra indiclii
265
il limite approssimaidvo degli ediàoi della villa sol lato ohe
fronteggia il mare. Per di più esaminando la pianta appare
evidente ohe nel punto M sorgesse una camera quasi sull' asse
di quella, che fu denudata sotto Tarea occupata dall'emiciclo
Z\ e finalmente non sembra inverosimile che il muro g sia il
residuo d'un corpo di fabbrica, che oltrepassando la linea
della facciata s'avanzava sulla riva del mare, come lo era il
il corpo scoperto air estremità opposta ed indicato nella pianta
colle lettere B^ C' e D".
Sullo spazio N riesce la camera con soglia lavorata a
musaico, il cui disegno si compone di piccoli triangoli bianchi
e neri, distribuiti a scacchiere, e di un lembo estemo rosso, che
vedovasi in parte rappezzato mediante l'inserzione di cubetti
neri. Neil' intemo il pavimento musivo nero ha uel mezzo, in
un riquadro cinto di larga cornice bianca, un reticolato di
questo colore, dal quale spiccano dei rombi neri (Tav. lY). Nero
seminato di rosette bianche è quello dello stanzino P (Tav. Ili),
una specie di vestibolo, che mette in relazione le camere
O ed B^ e dair estemo conduce nel chiuso A; il quale è fornito
di pavimento signino. L'ubicazione di questo rustico com-
preso induce a credere che per un vano praticato nella parete
opposta all'entrata e per alcuni gradini desse nella parte in-
tema della casa; però nulla è stato riconosciuto che possa
confermarlo. Le rovine del muro emergono tutt' ora per quasi
quindici cm. sul piano del peristilio e sul terrazzo del com-
preso per circa mezzo metro.
Nella camera B il pavimento è formato di piccoli cubet-
tini bianchi accuratamente tagliati e commessi senza alcun
ornamento all'infaori di una comicetta colmata di cemento
color brunO; la quale gira tutto all'intorno. Per l'opposto il
musaico della soglia principale si compone di cinque file di
triangoletti neri e bianchi, che alternativamente si succedono
avendo l' ipotenusa ora a destra, ora a sinistra. Il bordo sul
limitare estemo della porta è fatto di pietruzze rosse (Tav. VII).
L' esedra S è indipendente daUe camere ora descritte. In
tutta la sua larghezza si apre sullo spazio N, non essendovi
86 non una semplice zona di pietruzze bianche che separi
l'un dall'altro i pavimenti musivi delle due località. Quello
deir esedra circuito da due larghe fascie, 1^ una bianca e l' altra
nera, esibisce nel mezzo un quadro seminato di pezzi di marmo
e ciottoli rossi vagamente screziati e di piccoli tasselli di pietra
nera su fondo di cubetti bianchi, cui dando all' insieme bellis-
simo aspetto, forma cornice un complicato meandro di finito
lavoro, che nel suo motivo è simile a quello delle soglie del-
l' oect(3 I, eccetto che nei piccoli quadrati, i quali non sono a
due colori, ma hanno nel centro un tassello nero (Tav. VI).
Addossati alla parete destra ed in prossimità al vano d* ingresso
vedonsi due podi di fabbrica messi per sostegno di un sedile.
Lo stradone che conduce alla fabbrica di ghiaccio, c'im-
pedì di seguire lo sviluppo dell' edificio da questa parte ; tut-
tavia tenendo conto della direzione e corrispondenza dei muri,
appare verosimile che la fauce T mettesse quest'ambiente in
relassione coli* atrio G', dal quale o direttamente o attraversando
qualche località ancora da scoprirsi si perveniva nel peristilio
U. Questo, che nelle ville aveva la stessa importanza che
l'atrio nelle case di città, occupava la superficie di meisri
23 X 13. Il portico, ond'era circuito, misurava da metri 3*60
a 3.75 di larghezza ed era lastricato di mosaico bianco con
lembi neri larghi circa cm. 20, meno ohe nel punto e, opposto
alla porta/, ove presentava un piccolo riquadro circoscritto
da bende nere e lungo quanto la larghezza dell'ambulacro. H
colonnato, che sosteneva il coperto, era scomparso, lasciandovi
un unico capitello d'ordine dorico in pietra calcare, uguale a
quelli del portico B, ed abbondanti dischi di terracotta che
ne avevano formato i rocchi. Oltre a ciò rimanevano solida-
mente costruite le fondazioni sulle quali avevano poggiato le
colonne. L'aia nel mezzo costituiva a suo tempo il viridarìo
adomo di piante e fiorì, conforme al costume romano. In e
v'aveva probabilmente una piscina, la cui vasca ha le pareti
di laterìzio e il fondo fatto di tesellato nero. La costruzione
del portico la raccorcia, dimostrandoci che essa esisteva prima
di questo. Qui furono trovati il denaro argenteo dell'impera-
tore Nerone descrìtto al n. 6 nel capitolo precedente, dna
frammenti di cornice in pietra calcare con bella sagoma ed
una fibula romana di bronzo.
il peristilio, al pari di tutte le località che danno su di
esso, trovasi ad un livello ohe è di quasi mezzo metro più
alto di quello occupato dalle camere e dagli altri ambienti
finora esaminati e da noi, per la maniera onde sono costruiti,
riguardati come la parte più vecchia dell'edificio. La sala C
è senza dubbio la più importante della nostra villa, e per la
sua postura corrisponderebbe al tablinO; che nella casa romana
era la località di maggiore momento. Doveva essere riccamente
foggiata, e lo prova il mosaico del suo pavimento, il quale si
distingue per magnifico effetto, ancorché il lavoro sia condotto
con minore finitezza che quello della cameretta F. I lati sono
bianche; congiunti alle pareti mediante margini neri ; la parte
di mezzo cinta da una fila d' ovoletti e da due file di onde
marine, esibisce una ingegnosa combinazione di linee e figure
geometriche, che suddividono lo spazio in molti quadretti,
ciascuno chiuso da propria comicetta, nei quali s' avvicendano
scudi di amazzoni, serti d'edera, rami d'alloro e lastre di
finissima breccia africana. Il disegno è nero su fondo bianco
e l'insieme è rimarchevole per la composizione felicemente
riuscita (Tav. U). Egualmente a musaico sono lavorate le
soglie, degna sopra le altre di rilievo quella dell' ingresso prin-
cipale, che è adorna di due meandri d' edera^ che si dipartono
da un grazioso vasetto sito nel mezzo. Offre essa non poca
analogia colla soglia del tabUno nella casa dei capitelli figurati
ìa Pompei. Come in questa, cosi anche nella nostra il mosaico
fìi rotto presso le ante per introdurvi i tasselli di pietra con
gì' incavi per gli scapi, tra i quali applicavansi le cortine od
i veli con cui veniva chiuso il tablino. La conformazione del
muro dimostra inoltre che gli stìpiti, antepagmenta, dovevano
avere ricche modanature dalla parte intema della sala ed
essere invece di semplice lavoro da quella di fuori.
Fra i calcinacci si rinvennero molti frammenti Idell' into-
naco delle pareti tanto di questa sala quanto delle località
adiacenti, il quale mostra due strati dipinti. Quello di sotto
rappresenta la stabilitura più antica del muro, che non fu stac-
cata, ma semplicemente picchiettata e cospersa di malta quando
più tardi si rinnovarono le pitture a fresco. Mentre delle se-
conde quasi tutto è scomparso, le prime per lo contrario
238
serbano ancora a vivaci colori rami e foglie tnx fondo or rosso,
or azzurro, or bianco, or giallo. La superficie dipinta di ambo
gli strati consiste di stucco confezionato con polvere finismina
di marmo e reso ben Uscio; mentre il restante dell'intonaco
è fatto di cemento più grossolano.
Costeggiano la sala quattro cubicoli, i cui vani d'ingresso,
meno uno, venivano chiusi con porta. Adoma il pavimento
musivo A' una grande rosa, le cui foglie intersecandosi fra
loro descrivono dei triangoletti curvilinei bianchi e neri disposti
a scacchiere. La rosa è compresa entro una cornice fregiata
di due linee meandriformi combinate a mo' di treccia. Negli
angoli che risultano tra la rosa e la cornice si scorgono dei
graziosi calici, dai quali sortono dei rami d* edera.
n secondo cubicolo B' con margine e doppia cornice
nera, presenta un compartimento, nel quale s'avvicendano dei
r
2d9
triangoletti biancìii e neri; i secondi giacenti in guisa ohe
coli' anione dei loro lati maggiori generano dei riquadri inscritti
1' ano nell' altro. H centro è occupato da un piccolo nodo, che
scorgesi ripetuto nel musaico che orna la soglia dell' uscio, ohe
da questo cubicolo mette nel tablino (Tav. Y).
Nel pavimento del terzo cubicolo D ' rombi, quadrilateri,
triangoli e foglie d'edera ordinati con molta maestria produ-
cono un variato disegno nero su fondo bianco, reso ancor più
piacevole dalla cornice, che come nel primo cubicolo, è per-
corsa da una treccia formata mediante la combinazione di due
meandri. Tra il riquadro ed il muro hawi un largo spazio
bianco orlato di nero.
n quarto cubicolo E* è pavimentato di pietruzze bianche
con bordi neri e cosi pure Io sono le fauci F^ e Z.
2d0
Notevole ò la prima fauce^ che per il postico I metteTa
fuori della villa. La soglia di quest'uscio è di macigno, £atta
di quattro pezzi, ed ha impresse le cavità nelle quali giravano
i cardini della porta, composta di due partite, che venivano
aperte verso T estemo. La soglia della porta, che dalla fance
immette nel cubicolo E' è egualmente di macigno, ma di un
sol pezzo e senza alcun incavo ; laddove di tre pezzi della
stessa pietra è costruita quella dell'ingresso nel cubicolo 'D\
che giudicando dal forame ancor visibile chiude vasi con tma
sola banda.
Basente all' altra fauce giace la grande sala V, aperta sul
peristilio con ampio adito. Niun dato abbiamo per ritenere
che servisse da triclinio per i banchetti quotidiani della fa-
miglia; al quale effetto sembra invece corrispondere meglio il
tablino, che giaceva meno distante dalla cucina e con essa
aveva più facile comunicazione. Sebbene dalla condizione del
muro, che fu trovato diruto sino sotto la linea delle fonda-
menta, nulla risulti di evidente, tuttavia non osiamo tacere
che ci pare più che mai verisimile che questa località, piuttosto
che sala, fosse un vasto atrio coperto, dal quale attraverso la
cella C si scendeva nel giardino e per l' ambulacro del portico
A si sortiva dalla villa. Ciò sarebbe conforme alle parole di
Vitruvio, quando avverte trovarsi nelle ville il peristilicc in rela-
zione coli' entrata. Se cosi fu, T uscio dovrebbe essere stato
praticato nel punto, ove la parete divisoria si unisce col muro
postico dell'edifìcio, e propriamente dirimpetto alla porta che
dà nella fauce Z. U riquadro decorato del pavimento musivo
non giace nel mezzo, ma più vicino alla parete di fondo; lo
che ci avverte che 1' ambiente fu ampliato in epoca posteriorei
cioè quando fu interrato il pozzo i.
Quadrati e triangoli bianchi e neri distribuiti in guisa da
formare una semplice, ma elegante composizione, occupano il
riquadro del mosaico, che ha per cornice un disegno a greca,
eguale a quello osservato nell'esedra S. Nel cercare le fonda-
zioni del muro, sotto alcune grandi lastre di pietra, fu scoperto
il pozzo, che riteniamo essere divenuto superfluo, quando la
villa fu fornita d' acqua migliore colla costruzione di una con-
duttura, che la ritraeva da una delle sorgenti esistenti non
291
molto lungi da colà/Per prevenire eventuali danni, lo si colmo
allora dì); pietre e terriccio. Avendolo fatto vuotare, osservammo
che era di forma cilindrica, rivestito di pietra bene commessa
ed aveva oltre cinque metri di profondità e due metri di dia*
metro. Dalla melma del fondo si estrasse numeroso cocciame
di vasi fittili dell' uso giornaliero e di rozzo impasto, un co-
perchio circolare di un recipiente di bronzo, uno spiedo, veì-u,
vari chiodi ed altri pezzi di ferro, avanzi di legno ed ossa di
animali. Appena il pozzo fu liberato dal materiale ond'era
interrato, ricomparve copiosa V acqua, che nell' analisi chimica
fatta dair egregio professore Giovanni Perhauz, fu trovata di
qualità poco buona, appena potabile per eccesso di cloruri.
La piccola ala d presso alla sala V ha il proprio musaico
distinto da quello del peristilio con una sottile strìscia nera.
Parimenti bianco con lembi neri e di grossolana fattura, è il
pavimento del compreso E, che da una parete, di cui vedevansi
le tracce, era diviso in due celle, forse adibite quali cubicoli.
Non è però escluso che da una di queste si scendesse sotto il
m
portico B ; ma essendo i muri rovinati sino al pavimento^ nulla
si riconobbe che valesse a provarlo. Bensì appiedi del mnro
del vano D scorgesi una risega, la quale potrebbe essere tanto
il resto di un gradino, quanto il pogginolo di sostegno per una
banchina da sedere.
Dalla pianta chiaro apparisce che le rovine messe a giorno
nel fondo di proprietà del signor de Bitter ed in quello del
signor Artelli appartengono ad un solo edificio ; ma non avendo
potuto proseguire lo scavo sino alla loro unione, non ci è dato
di rilevare in via assoluta le precise relazioni delle partì fra
di loro. La direzione dei muri ed i dati altimetrici mettono
fuori di dubbio che le località H', T ed L', formanti l'apparta-
mento balneare, comunicano con altre che rasentano il peri-
stilio, delle quali ne confermano 1' esistenza la soglia / ed i pa-
vimenti osservati parzialmente, quando scavandosi il canale per
la fabbrica di ghiaccio, si fecero le prime scoperte. Quella soglia
lavorata a musaico bianco con quadruplice cornice nera spetta
all'adito di una camera, che ha un pavimento di pietamzze
bianche listato di nero e confina con un'altra, la quale giace
più verso marina, adoraa di un musaico che si distingue per
un motivo poco diverso da quello osservato quale cornice nei
pavimenti di altre località, vale a dire composto di un meandro
ricorrente di linee nero, che s' intersecano a croce e serrano
dei piccoli quadrati. Il campo è contomiato da una comicetta
che esibisce una fila di triangoletti neri volti col vertice verso
il lato estemo (Tav. IV).
Nel punto b la figura di \m delfino eseguita a musaico
policromo appartiene al pavimento deUa camera T, che per
un tratto giace nel fondo Artelli. In e fu riconosciuto il
lastricato nero maculato di bianco che occupa Tarea N, N' N",
e finalmente lungo la linea tirata in prosecuzione del muro<^y
v' aveva una piccola superfice, ove cubetti bianchi, rossi e neri,
disposti a scacchiere, costituivano il pavimento, nel quale ad
eguale distanza erano incastrati pezzi più grandi, in parte
ciottoli, degli stessi colori (Tav. VI). Finalmente tra & e e fi-
gurava la continuazione dell' atrio quadrilungo G' col suo
lastricato.
J
Bitornando alla fronte dell' edificio, passiamo nel fondo
Arfcelli e propriamente nel sito notato colla lettera N'. Qui la
facciata ritirandosi dalla linea i, dava luogo ad una piccola
spianata o piazzale, forse anticamente abbellito con piante.
Cosi veniamo edotti dal musaico, che lasciata la direzione del-
l' andito N'* e girato il grande pilastro, del quale vedesi l'anta
di fabbrica all'angolo estemo della sala ly, continua lungo il
muro di questa e lungo quello dell' atrio G^ e probabilmente
piegava una volta anche in prossimità dello spazio che abbiamo
segnato con M. Questo musaico, che aderisce al muro con un
lembo nero e tra due fascio bianche ha una larga corsia nera
seminata di tasselli bianchi, perfettamente uguale al pavimento
già descritto, rappresenta l'ambulacro, largo quasi metri d'/|,
di un portico, la cui covertura era sorretta o da colonne
da pilastri. Questo da tre lati circuiva il piazzale, che pro-
tendevasi sino alla linea i e forse sorpassatala, finiva in un pic-
colo molo. Sostiene taluno che sulla riva sieno stati trovati
alcuni resti di antico muramento ; comunque, la sponda murata
da noi riconosciuta e che tuttora si conserva sotto la strada di Mi-
ramare, offre motivo per credere possibile che davanti all' edi-
ficio ci fosse un porto simile e più grande di quello che esisteva
dinanzi alla villa romana di Cedasso.^)
Dall' ambulacro del portico estemo entravasi nelFatrio G'
per una porta praticata nel muro di fronte, ove ancora è visibile
il gradino di pietra coi fori per i cardini inferiori su cui gira-
vano le due partite della porta. L' atrio, costruito conforme
alle regole dell* atrio chiamato tuscanico, era in ogni lato prov-
veduto di tettoia, sotto della quale v' aveva 1' andito con pa-
vimento a musaico, che come quello della camera della statua,
era fatto di ciottoli fluviatili ed altri pezzi di marmo screziato,
disposti a capriccio entro un campo di piccoli cubettini neri,
limitato da due fascio bianche e da due bordi neri (Tav. QI).
La porzione scoverta, cioè l'impluvio^ era secondo la consue-
tudine, lastricata con piani d'arenaria ; ma la sua cornice sago-
mata e tagliata a guisa di pluteo, essendo di pietra più fina,
') Ireneo della Croce, Histaria di Trieste, ediz. del 1698, pag. 266.
Kandler P., Cedaa nell' Istria, yol. VII, pag. 25, 44, 48.
294
n' era stala levata. Rimaneva però ancora, soavato tntto in giro,
un piccolo canale per V asporto dell'acqua piovana. L'atrio co-
municava colle località interne della villa e propriamente
con quelle raggruppate intomo al peristilio. La sua posizione
confermerebbe la congettura che sulla riva di faccia, e propria-
mente davanti al piazzale, vi fosse un punto d'approdo per le
barche, indipendente da quello sito più a sinistra. Diversamente
parrebbe strano, che coloro che arrivavano per mare, doves-
sero passare dinanzi ad altre località, prima di penetrare nella
parte della villa che era riservata per abitazione.
Le camere H' ed I'^ come già dicemmo^ appartengono al
corpo centrale dell'edificio e sono allestite ad uso di bagno.
Nella prima era posto 11 caldario, il cui pavimento stava so-
speso su pilastrini e colonnette di laterizio, alte circa cm. GQ,
che alla lor volta poggiavano su d' un piano di mattoni I te-
goloni, che formavano la base del pavimento sospeso, erano
stati tolti già per lo passato. Si trovarono invece moltissimi
frammenti del musaico bianco, onde i medesimi erano coperti
e non pochi rottami dei tubi caloriferi, che avevano rivestite
le pareti, come pure parecchi esemplari delle grappe di ferro,
che avevano servito a fermarveli, ed una ingente quantità di
piombo, adoperato per turare le commissure o derivato dalle
fistule di piombo, che i saccheggiatori avevano dovuto spez-
zare. Nella nicchia semicircolare stava in antico il labrum o ba-
cino per le abluzioni coli' acqua fredda ; all' incontro in quella
rettangolare; incavata nel muro di fondo, sopra l'imboccatura
dell'ipocausto, era collocato Valveus del bagno caldo. H con-
dotto a rivestito ai lati di una specie di tufo serviva ad introdurre
il calore nel vespaio, donde penetrando nei tubi espandevasi
tutto in giro per le pareti. U soffitto, come lo apprende la strut-
tura dei muri, doveva essere costruito a vòlta oppure in forma
di tronco di cono ed avere lo spiraglio, che mediante uno scudo
metallico aprivasi e chiudevasi secondo che occorreva accrescere
o diminuire l' intensità del calore. Una soglia leggermente indi-
nata, sulla quale vedevansi effigiati in musaico un'anforetta e due
strigili, metteva dal sudatorio nella cameretta I' (Tav. Vili).
La maggior parte di questa, conforme venne avvertito,
giace sotto il muro e la strada del fondo de Eitter. Il suo
295
pavimento, che esibisce la figura d' un delfino^ ha il fondo fatto
di pezzi irregolari di marmo biancastro a vene nere e di grigio
oupo a vene bianche, abilmente combinati e compresi da una
cornice di piccole pietruzze, il cui colore con gradazione di
tono passa dal rosso al bianco. La rappresentazione della soglia
ìndica che la stanzuccia era adoperata per raschiare ed ungere
il corpo, destricf-arium ed unctorium, e come tale formava il tepidario
probabilmente insieme col compreso, in cui si ebbe ad avvertire
il musaico con disegno a greca, che più sopra abbiamo men-
tovato. La porta / dall'ambulacro del peristilio U avrebbe
dato comodo di comunicazione e col bagno e colla cucina ; in-
troduceva cioè da prima nel frigidario, che sarebbe lo spazio
coperto da semplice musaico bianco^ ove si trovò incassata nel
pavimento una lastra con foro circolare nel mezzo, la quale
garantiva il chiusino fatto per immettere T acqua di scolo nel
canale, che fu poi rintracciato nel fondo Artelli ed è indicato
nella pianta colla lettera o. Questo è tutto construito di laterizio
e con diligenza, ed attraversa il compreso S', del quale nuUa
sapremmo dire, essendo i muri pressoché rasati al suolo. Bensì
risulta diviso dal muro p in due parti ineguali. Può darsi che
la maggiore abbia servito da repositorio, e che nella minore
vi fosse r agiamento, che di solito era sito presso la cucina.
Il compreso L' serviva, quale pre/bmio, per il riscalda-
mento del bagno, avendo in a Vipocaosis, vale a dire la fornace
dalla quale il calore diffondevasi nelP ipocausto e nelle pareti
vacue della cella sudatoria^ ed in b un pogginolo di fabbrica, che
costituiva la base del focolare, sul quale stava la caldaia deiracqua.
n muro moderno impedì di esaminare in quale modo dall' abita-
zione si perveniva alla cucina^ e se il tepidario aveva pure sotto
il pavimento il vespaio delle suspensurae e le pareti addoppiate,
ovvero se veniva riscaldato per mezzo di stufa o braciere mo-
bile. La cucina propriamente detta, alla quale si accede per il
vano e occupava lo spazio B', ove la grande base in muratura
m rappresenta V avanzo del focolare ^) ed il piccolo muro che le
*) Nel precedente capitolo noi abbiamo ravvisato in questa grande
base di fabbrica (m. 1*60 X 1 20) il residuo di un poderoso pilastro eretto
colà per sostegno del tetto. Ma esaminata più attentamente la sua co-
struzione abbiamo compreso esser invece li medesimo l'avanzo di un
296
sta appresso, opposto al focolare della cucina, il sostegno del
serbatoio dell' acqua fredda, che introdottavi direttamente dal-
l' acquedotto, veniva da qui distribuita e nella caldaia e nel
labro ed in altre parti della casa. La cucina in tutta la sua
larghessa aprivasi su d'un cortile, ove nel punto n v* aveva
un secondo pozzo, men largo e profondo di quello che fìi sco-
perto sotto il piano della sala V. Era stato anch' esso interrato.
Il suo diametro è di poco maggiore d'un metro e la profon-
dità misura circa metri tre. Ha forma cilindrica ed è rivestito
di pietra arenaria esattamente tagliata. Lo si vuotò e dalla
melma si raccolsero le monete enee d'Augusto, Agrippa^ Ti-
berio, Tito e Marco Aurelio, da noi descritte, alcune stoviglie
di argilla, cioè vasi di varia forma ed uso, ma del genere più
comune, moltissime ossa di bue, capra, pecora e di volatili, ed
infine due chiavi e due piccoli coltelli di ferro, dei quali uno
con lama triangolare ad un taglio e l' altro simile a falcetto,
che serba ancor intatto il suo manico d'osso. Le monete erano
prive della solita ossidazione, ma corrose e terse talmente da
sembrare appena uscite dall' immersione in qualche acido.
L' acqua rientrata nel pozzo fu pure analizzata dall' egregio
prof. Perhauz e riconosciuta potabile, sebbene fosse di qualità
mediocre. Presso a questo pozzo abbiamo rinvenuto un grande
capitello composito, tutto rovinato dal fuoco. Sarebbe per vero
difficile indovinarne la provenienza.
Le località che ora prendiamo a dichiarare formano una
parte della villa affatto distinta da quella descritta e quasi
indipendente; imperocché tra le due non hawi ima diretta
comunicazione intema; ma solamente dall' una si può passare
neir altra per l' ambulacro del portico che trovasi sulla facciata
principale. Lioltre crediamo di dover avvertire che queste lo-
calità, più che per abitazione, sembrano esser state destinate
per convegni e divertimenti.
focolare, ed in questo giudizio dobbiamo ora insistere più che mal dopo
le scoperto fatto dai signori De Prisco alla PisanéUa presso Boscoreaift,
a circa tre chilometri a settontrione di Pompei. {Notizie degli scaoi A. 1895
pag. 207 e seg.) L* appartamento balneario e la cucina della villa romana,
che colà fu messa a nudo, presentano sorprendento somiglianza colle
stesse località della villa di Barcola.
297
Accanto all'atrio Q\ giace il pìccolo ambiente M\ Non si
conosce se tra V nno e V altro vi fosse un passaggio ; essen-
doché il vano segnato nella pianta, più che porta^ sembra rot-
tura accidentale del muro. Aprivasi questo invece sul corridoio
N*. Era privo di pavimento, ed il pogginolo di fabbrica a ed il
terreno nero abbruciato misto con gran copia di carbone dimo-
strano che qui v' aveva una piccola cucina^ dalla quale per i
due gradini b si entra nel compreso di forma irregolare 0\
che riceveva luce dall' atrio mediante la finestra e, appiedi della
quale havvi una banchina di pietra sopportata da uno zoccolo
di fabbrica. Questo compreso, il cui pavimento di mattoncelli
pende fortemente verso il punto d, ove una pietra forata in-
dica il principio del canale di scarico 2, pur esso in opera late-
rizia, ma di rozza fattura, ci rappresenta il frigidario di un se-
condo bagno molto più piccolo del primo. La località P', che
con esso comunica, si suddivide in cinque parti distinte. La
prima e ha un piano con pavimento di cubetti bianchi, incli-
nato, ') per il quale si ascende in un' angusta fauce, che a sua
volta da adito in una piccola cameretta, si questa che quella
con sottoposto vespaio e con pareti vacue, dovendo servire
Funa da tepidario, l'altra da caldario del bagno. Le suspenmrae
poggiano alla lor volta sopra uno strato di battuto. Il pavi-
mento sorretto dai pilastrini di cotto, componevasi di mattoni
grandi cm. 69 X 52 e grossi mm. 65, sui quali era stato appli-
cato imo strato di musaico bianco, che insieme col rispettivo
cemento aveva la spessezza di mm. 95. NeUo spazio g^ anche
esso piccolissimo, v' aveva il fornello od ipocausiSj tutto rivestito
di pietra vulcanica, che dai prof. dott. Brezina e dott. Moser
venne trovata di due specie, e propriamente di leucite iefritica
e di trachite con struttura eutassUica^ quest' ultima simile al pù
perno e probabilmente importatavi dai colli Euganei. Veramente
osservando la pianta sembrerebbe più naturale che al riscal-
damento si provvedesse dalla cucina M' e propriamente dal
focolare addossato al muro del caldario; ma a noi non riuscì
*) La quota altimetrica indicata nella nostra pianta con m. 1*48
deve essere corretta con m. 2*43.
298
di trovare nessun passaggio che lo mettesse in comunicazione
coli' ipocausto, e d' altro canto T imboccatura che si vede in g
è fatta in modo che solo può attagliarsi ad un prefurnio. Per
lo contrario è possibile che 1' acqua venisse riscaldata nella
cucina e quindi mediante fìstule di piombo trasmessa nel bagno.
L' ultima parte di questa località è occupata dalla vasca di
fabbrica /, scavata a mo' di alveo nel terreno per quasi un
metro, con pareti e fondo rivestiti di compatto stucco. Vi si
accedeva dal piano inclinato e. Le sue dimensioni sono tali
che appena vi capirebbe un uomo, come crediamo che tutto
il bagno non potesse essere usato che da una sola persona
per volta.
Scendendo due gradini h si entra nello spazioso recinto
di forma irregolare Q\ del quale non si potè riconoscere se
fosse un cavedio od un rustico compreso. Non avendovi scorto
alcun indizio di pavimento, né musivo, né di battuto, né di
altro genere, dobbiamo escludere che fosse mai stato adibito
per abitazione né nella sua parte maggiore, né nella minore
accennata colla lettera i. All' incontro reputiamo che la straor-
dinaria quantità di pietra squadrata, di laterizio e di calci-
naccio, che qui era accumulata, sia da attribuirsi ad un mez-
zanino, il quale sarebbe stato soprapposto a questa e forse a
qualcun' altra delle località vicine, e la cui esistenza ci pare
dimostrata anche dalla solida costruzione delle muraglie.
Biprendendo la descrizione dal lato che fronteggia il mare,
primo ci si affaccia V andito N" pavimentato di musaico nero con
pezzi bianchi disposti ad eguale distanza e con doppia fascia di
cubetti pure bianchi. Dal materiale di sterro e da una base
quadrata di calcare qui rinvenuta^ si deduce che la copertura
del portico era in questa parte sorretta da pilastri di fabbrica
anziché, come altrove, da colonne. Con ampio vano si apre
suir andito la sala T', il cui pavimento musivo, di lavoro molto
fino, esibisce un reticolato nero su fondo bianco, e la soglia
principale un disegno geometrico reso elegante da un abile
accordo di linee, rombi e quadrati degli stessi colori. Nella soglia
sono ancora incassati i tasselli coi forami per i cardini della
porta, che stante la sua ampiezza doveva comporsi almeno di
299
tre partite. In questa sala fu trovato il pogginolo d* un sedile
di pietra calcare. Nel fondo havvi P alcova a con una ban-
china di fabbrica lungo la parete maggiore, e dirimpetto una
rrn^;
stretta apertura mette nel!' ambiente U', al quale potè vasi ac-
cedere dalla stessa sala pure per altro ingresso^ di cui rimane
ancora la soglia di pietra colle cavità per le due valvde. Questo
ambiente affatto aperto sul? ambulacro costituisce un largo
corridoio, dal quale salendo due gradini e si entrava nel com-
preso Q'. Il suo pavimento è di musaico nero maculatp di
bianco, del tutto pari a quello dell' ambulacro estemo. Dna
sottile parete h^ che in tutta la sua altezza è munita di una
larga fessura, lo divide in due parti ineguali. In queste loca-
lità si raccolsero molti franmienti di lastre di marmo di varia
specie e di vari colori, che forse avranno rivestite le pareti.
doó
Contigua all' andito N"
e con esso in relazione per il
vano (f è la grande esedra
semicircolare Z', il cui dia-
metro misura oltre 20 metri,
con un ambulacro protetto
da tettoia e pavimentato di
musaico di grossolana fattura,
bianco, con fascia nera, largo
circa metri 3*50, cioè dal muro
perimetrale e fino al muro /
che ne forma la crepidine
estema. Questo ambulacro
comprendeva nella sua curva
una terrazza, che sostenuta
dal muro h arrivava alla linea
del muro t, ove verisimil-
mente era chiusa da una rin-
ghiera, che permetteva di go-
dere della grandiosa veduta
della marina che si apriva
dinanzi. Il piano della terrazza
era di due gradini g più basso
di quello dell' ambulacro. Si
r uno che V altro giacciono
sopra costruzioni più vecchie,
vale a dire sopra gli avanzi
dei muri perimetrali della
camera a% che serba ancor '
molto bene un musaico di
egregia fattura, composto di
un reticolato bianco in campo
nero, cinto di una cornice
bianca e rossa (Tav. VII).
Lavorata a musaico è pure
la soglia b\ La differenza di
Sogli* principale dell* sai* T*
livello tra il pavimento primitivo ed il posteriore è di circa
mezzo metro.
1 saggi pratdoati sotto gli spazi T', U' e Y\ coi quali si
recarono alla luce avanzi di musaici e muramenti più antichi
ci persuasero che non trattasi di un particolare fabbricato, ma
si bene della riedificazione di alcune parti ad un piano più alto
ed in una forma consenziente coi mutati bisogni degli abitatori.
Sull' emiciclo dava con larga porta la grande sala A". II
suo pavimento musivo presenta una riquadratura adoma di
figure geometriche nere di forma quadrangolare, che si toccano
coi loro angoli in modo da produrre sul fondo bianco una serie
di esagoni e triangoli ingegnosamente disposti, i secondi aventi
cadauno inscritto uno più piccolo nero. La cornice comprende
eleganti serti d' edera, che dipartendosi da un vasetto sito nel
mezzo di ogni lato ne percorrono a guisa di meandri V intera
lunghezza e s'intrecciano agli angoli della cornice. I vasetti
dei lati maggiori hanno la forma di un calice o cantaro^ quelli
dei minori somigliano ad un' anforetta. Quantunque fortemente
danneggiato, questo musaico offre a prima vista una chiara idea
dell'intera composizione ornamentale, che qui riproduciamo
secondo il ristauro fatto dal signor Sencig. La sala posta su
d' un piano più elevato che le altre camere, era destinata quale
triclinio^ ove la brezza vespertina ed il meraviglioso spetta-
colo del mare, dorato dal sole cadente o rischiarato dal lume
argenteo della luna, rallegravano i suntuosi banchetti.
Fiancheggiano il triclinio le celle H" ed F", ambedue
lastricate con opera signina, la prima adibita per dispensa, la
seconda con uscita sull' emiciclo ed in comunicazione con altre
località; fra le quali sarebbe da ricercare la cucina, che nelle
ville trovavasi assai di frequente staccata dal corpo principale
deir edificio, a meno che quella che abbiamo già descritta non
fosse bastata da sola a tutti i bisogni della villa. Parimenti
crediamo di dover ammettere che non lontano vi fosse pure un
ingresso^ pel quale potevasi accedere a queste località dalla via
che abbiamo scoperta a breve distanza appiedi della collina.
Dair emiciclo s' entra anche nel chiuso di forma irregolare Y\
il quale con forte pendenza è inclinato verso di esso ed ha nel
fondo un passaggio nel compreso Q*, in cui si scendeva per un
gradino. Il suo piano è coperto di grossi cubi di laterizio com-
binati a guisa di musaico.
302
n braccio sinistro dell' ambulacro si unisce airandrone B",
che ne forma la continuazione e mediante la scalinata {, pro-
tetta da palladiane, conduce sulla riva murata del mare. Basente
al medesimo sta il vasto oecus C'\ il quale termina nella rotonda,
donde per un'altra scalinata potevasi pure discendere alla
riva. Anche questa sala è adorna di bel musaico, che ai lati
ha un largo spazio bianco con bordo nero o uel meazo, chiuso
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304
entro cornioe composta di triangolii un compartimento, nel quale
8i presenta un bellissimo disegno a greca risaltante dal con-
corso di linee nere e di bende più larghe, queste prodotte da
qaadratelli e triangoli che si alternano sul fondo bianco. La
rotonda emerge sulla riva del mare e fino al livello del pavimento
musivo per oltre un metro, & solidamente costruita ed atta a
sostenere l'eventuale urto dei fluttL Alcuni rocchi di pietra
calcare; qui raccolti, e' inducono ad arguire che la sala C fosse
a questa estremità aperta e foggiata a modo di loggia. La sca-
linata consiste di quattro gradini rivestiti di pietra e posti uno
sull'altro cosi che la discesa poteva farsi da tre latL II gra-
dino superiore & lungo metri 1*60, l'inferiore metri 3. Sa
quest' ultimo era stata adagiata una lastra di pietra per ripa-
rare a qualche guasto o per diminuire l'altezza tra esso ed
il precedente e rendere più sicuro il passo.
Voecus è accostato dalla fauce D" colla quale comunica
mediante un vano, la cui soglia esibisce un musaico con orli
neri e nel mezzo una zona di esagoni circoscritti da linee nere
ritraenti un vespaio, e serba inoltre i tasselli di pietra per le
bande. La fauce è pavimentata con sole pietruzze nere. Rice-
veva luce dal lato prospiciente il mare, chiuso forse da un
semplice parapetto, ed aveva nel fondo un uscio n munito di
gradino, che metteva nello spazio E*', nel quale le tracce del-
l' edificio sono per modo scomparse da non lasciar visibile che
la soglia in mezzo a mucchi di rovinacci Ma il tratto di
muro p, dimostra che il fabbricato proseguiva verso sinistra.
I muramenti che noi abbiamo indicato con G^' giacciono su di
un piano più basso di quello delle altre località. Sono lastri-
cati con mattoncelli ordinati a spiga od a spina di pesce. Come
dicemmo, pare che qui fosse posta una cucina e le sue dipen-
denze, dalle quali attraverso la cella F" si perveniva al triclinio.
In qualunque caso queste rovine sono da rigoardarsi come il
residuo della parte meno importante della villa, quella cosid-
detta rustica, abitata dai servi, o assegnata per i magazzini, le
stalle, le rimesse ecc.
Descrivendo il tablino, abbiamo fatto cenno degli avanzi
di dipinti murali, trovati colà e nei cubicoli vicini. Eguali
30B
fìrammenti furono raccolti eziandio nelle altre località, ma in
minor copia. Anche da questi abbiamo rilevato lo stesso genere di
ornamentazione a rabeschi e fogliami. Fregiavano essi la parte
superiore delle pareti; lo zoccolo invece presentava una tinta
uniforme, oppure venata e scompartita in riquadri per imitare
la stabilitura con piani di marmo. I muri del nostro edifìcio
erano talmente rovinati che in alcuni punti appena emerge-
vano sopra la linea delle fondazioni ed in pochi toccavano
ancora T altezza di un metro. Per la qual cosa i pezzi d'into-
naco tuttavia aderenti non ci lasciano riconoscere se non lo
zoccolo. Questo era colorito di rosso sulle pareti del portico
che costeggia il lato di mezzogiorno e di quello lunghesso la
fronte principale dell' edificio. Bosso lo si osservò nel peristilio,
nell' atrio, nel tablino, nell' emiciclo, neWoecus che sporge verso
il mare e nella maggior parte delle altre località. Apparve in-
vece di color giallo nella camera della statua, nella stanzuccia
col musaico policromo, nel grande triclinio ed in tutte le fauci.
Alberto Puschi
■Ss;(SS2)5S55BZ)355?^^
OLIMPIA MORATO
Lettura tenuta nel Gabinetto di Minerva II 20 marzo 1896
dal prof. ALESSANDRO HOBPUBGO
Nel secolo nostro, massime ne' primi decenni, nomini insigni
dovettero abbandonare T Italia per chiedere altrove la libertà che
non era possibile in patria. Altrettanto era accaduto nel secolo
decimosesto; ma i profughi d'allora, che, per lo più, si sot-
traevano alle persecuzioni religiose, ebbero sorte più triste dei
moderni: a questi ardeva neir animo una forte speranza, la reden-
zione della patria e quindi il ritomo ; a quelli, invece, l'Italia non
avrebbe più riapertole braccia; e nella desolazione dell' esilio,
li vediamo erranti per Svìzzera, Germania, Polonia, Inghilterra,
finché la morte, più pietosa degli uomini, concederà loro la
pace da lungo, ma invano, desiderata.
Fra gli esuli italiani che abbracciarono la riforma reli-
giosa, ve n' ha d' illustri : Pier Paolo Vergerio e Matteo Flacio
istriani; Bernardino Ochino, Pietro Martire Vermigli, Lelio
e Fausto Scoino toscani; Celio Secondo Cnrione piemon-
tese; Girolamo Zanchi bergamasco, per ricordare solamente
alcuni de' più conosciuti. Sopra tutti però desta ammirazione
e compianto Olimpia Morato, fiore gentile, cresciuto nel rigoglio
del rinascimento italiano, ma che dal turbine della riforma
divelto al suolo nativo, langue e muore in terra straniera. I
Protestanti della Germania la esaltano come loro grande gloria,
in Italia è meno nota di quanto meriterebbe; e però non
inutile, dai pochi scritti che di lei rimangono, comporre le
vicende della sua vita e studiarne l'ingegno eletto, la squi-
sita cultura e, sopra tutto, le forti virtù per le quali avanza
tante donne del Cinquecento.
307
Fulvio Pellegrino Morato^), poeta e letterato mantovano,
bandito dalla città nativa, si era stabilito, intorno al 1520, in
Ferrara; e ivi accasatosi, venne in grande reputazione come
istruttore di nobili giovanetti ed espositore de* classici latini
a Sigismondo d'Este, cugino del duca Alfonso I. Ma pochi
anni dopo, o costretto dall' invidia degli emuli o sospetto di
aderire alle nuove idee religiose, lasciò Ferrara, alternando
il soggiorno tra Vicenza, Cesena e Venezia; finché le istanze
degli amici e singolarmente di Celio Galcagnini, ^) il quale
fortemente dolevasi che ai giovani fosse tolto maestro si
valente, gli procurarono il ritomo in Ferrara, dove, profes-
sore di rettorica e poesia all'università e istruttore de' figli
naturali di Alfonso I, visse ancora parecchi anni tranquillo e
onorato da tutti. Nel 1526, al tempo del primo soggiorno in
Ferrara, da Lucrezia Gozi ^) gli era nata Olimpia, che, d' in-
gegno pronto e vivace, sin dai primi anni venne dal padre
iniziata agli studi letterari. ^)
In Ferrara, che già nel Quattrocento era stata fra le città
più rinomate per cultura artistica e letteraria, il rinascimento era
ancora in tutto il suo splendore. Le davano rinomanza le acca-
demie; all'università accorrevano scolari da paesi lontani e
vi fiorivano letterati di gridO; quali Celio Galcagnini; i due
fratelli Ciliano e Giovanni Sinapio, venuti di Germania ad
insegnare letteratura greca e medicina ; i due Giraldi, Giovan
Battista Cinzie, poeta, filosofo e novelliere e Giglio Gregorio,
biografo de' poeti contemporanei ; Bernardo Tasso ; Bartolomeo
Bicci; Alberto LoUio ed altri. Questi letterati, stretti d' ami-
cizia al Morato, spesso lo visitavano ; e nella conversazione
erudita, quasi corollario degl' insegnamenti patemi, Olimpia
acquistava famigliarità coi nomi più grandi di Grecia e di
Roma e penetrava così a dentro nel pensiero e nel sentimento
de' grandi scrittori antichi, che, come gli umanisti del Quat-
trocento, esprimeva più facilmente e più naturalmente i suoi
pensieri nell' una o neir altra delle lingue classiche che non
nella materna ; onde gli scritti che di lei rimangono, eccettuate
308
due lettere italiane, sono greci o latini. E nell'amore allo
studio che ogni giorno diveniva più intenso, avrebbe quasi ne-
gletto ogni altra occupazione e, non ancora quindicenne, cosi
scriveva a Giliano Sinapio, il suo primo maestro di lingua greca *
"Come mai, essendo le lettere tanto superiori a ogni altra
cosa umana, il fuso e Tago potrebbero distrarmi dalle dolci
muse? come mai la canocchia e il telaio, nel loro silenzio,
potranno persuadermi? o forse queivilissimi strumenti avranno
mai, per sé stessi, alcuna lusinga^ ? %
Non è quindi da stupire che il Giraldi la chiamasse fanciulla
superiore al suo sesso e meraviglia di quanti la ascoltano. ^)
Se non che le ristrettezze della famiglia non avrebbero per-
messo ad Olimpia di seguire le disposizioni felici dell'ingegno,
se in suo aiuto non fosse venuta la corte estense, dove il
duca Ercole II proseguiva le tradizioni gloriose di Alfonso I.
Ma ancor più dovette sentire ammirazione per Olimpia la
duchessa Benata che accoglieva intomo a sé, in eletta
accademia, quanti erano uomini illustri in Ferrara» Renata di
Francia, figlia di Luigi XII e cognata di Francesco I, non
aveva, come già la suocera Lucrezia Borgia, il vanto della
bellezza ; e nel 1518 il giovane Ercole, recatosi a S. Germano
per farla sua sposa, scrive francamente al padre: ''Madama
Benea non è bella; pure se compensarà con le altre bone
conditioni....^.^) Né s^ngannava, perché fu donna di alto sentire
e d'ingegno cosi felice, da attendere, come i contemporanei
attestano, allo studio delle lingue classiche, della storia, della
matematica, della teologia e, secondo le costumanze del tempo,
anche all'astrologia. ^) Ma divenuta duchessa di Ferrara, Tideale
da lei propugnato di una politica francese, che sarebbe
stata contraria agl'interessi di Ercole II, e la propensione
alla riforma religiosa cagionarono gravi conflitti col duca,
finché, dopo la morte di questo, ritornata in Francia, rimpro-
verava, esempio raro di tolleranza in un secolo di violenti
passioni religiose, ai cattolici le crudeltà, le vendette agU
Ugonotti. *)
Eenata si dava cura costante dell' educazione di sua figlia
maggiore, la principessa Anna ; e non contenta di aver scelto
per lei i maestri più reputati, volendo ora darle una compagna
309
di studio pei' stimolarne l' emulazione, fece venire alla corte
Olimpia. Gli amici del Morato salutarono T invito come un
fortunato avvenimento; e il Calcagnini^ che vedeva assicu-
rato un lieto avvenire alla figlia dell'amico, le inviò congra-
tulazioni affettuose ed amorevoli consigli. *Tu rechi alla corte
gì' insegnamenti onesti de' tuoi genitori, la pudicizia, la modestia;
devi ora acquistarvi la sapienza, l' eleganza de' costumi, la
nobiltà d' animo e il disprezzo di ogni cosa volgare.^ ^^) Ben
presto fra le due fanciulle, benché Anna fosse cinque anni
più giovane, nella comunanza degli studi si strinse un forte
legame di amicizia; ed Olimpia, da tutti amata e accarezzata,
potè darsi liberamente alle occupazioni letterarie. Autore predi-
letto le divenne Cicerone, del quale scrisse un' apologia che
si affrettò d'inviare al Calcagnini; e questi, assicurandola di
aver riposto lo scritto fra i più sacri tesori della sua biblio-
teca, r ammira perchè, mentre le altre fanciulle sogliono cogliere
i fiori primaverili ed intesserne una corona variopinta, ella,
invece, non sceglieva i fiori che durano breve tempo, ma dai
prati fecondi delle muse sapeva cogliere gli amaranti im-
mortali che mai avvizziscono ed ogni giorno più verdeggiano;
oramai essere grande 1' aspettazione che di lei si aveva, né
possibile disertare la milizia alla quale, religiosamente, si era
ascritta. ") Parve in breve che la corte di Ferrara non potesse
fare senza Olimpia; e quando, colpita da grave malattia,
ritornò alla casa patema, il timore di perderla fu grande. Ma
guari; e Giovanni Sinapio, medico di Renata e precettore della
principessa Anna, la invitava a ritornare al palazzo ducale con
la medesima lettiga di corte ond' era partita. Si presentò nova-
mente air accademia della duchessa ; e salutata con maggiori
applausi del consueto, tenne alcune lezioni sui Paradossi di
Cicerone. ^*) "Eccomi qui — diceva, preludendo con garbata
modestia alla terza lezione — eccomi qui alquanto rinfrancata,
perché, come lo scultore imperito in possesso di un marmo
pario sembra compiere, per merito delia materia, alcuna cosa
di pregio, vi sono canti sì dolci e armoniosi che, anche emessi
da rozzo istrumento, appariscono giocondi; tali le parole del
mio Tullio, cosi belle e soavi che, in qualsivoglia modo esposte,
non perderanno né la grazia né la maestà. „^^)
810
I trattenimenti letterari erano frequenti alla corte; e il
Curione, ricordando di aver udito Olimpia declamare in latino,
parlare in greco, interpretare Cicerone, rispondere a dotte
interrogazioni, la paragona ad una fanciulla de' tempi antichi.'^)
Una di queste feste letterarie, forse la più splendida, fu data
nel 1543 alla presenza del pontefice Paolo in che, ospite del
duca, fu accolto con la magnificenza abituale degli Estensi,
allora maggiormente richiesta da ragioni politiche. E fra le
molte festività, in una corte, dove già ai tempi di Ercole I
era avvenuta la restaurazione del teatro classico, non poteva
mancare una rappresentazione drammatica L'ultima sera,
poiché il pontefice ebbe assistito ad una giostra, furono reci-
tati alla sua presenza gli Adelfi di Terenzio, essendo attori
principali i cinque figli di Ercole II: spettacolo singolare,
non però nuovo nel rinascimento italiano, il sentir recitare
con vivacità e grazia, in lingua latina, attori, de' quali il mag*
giore aveva tredici anni; il più giovane non più di cinque. I
cronisti non dicono che parte avesse Olimpia^ ma non è da
credere che essa, ornamento prezioso della corte estense, fosse
esclusa da questa rappresentazione.
Cosi, fra gli studi e le feste, passavano lietamente gli
anni della prima giovinezza; e il Giraldi, attratto da tanta
bellezza e ingegno, cantava di lei : " H tuo viso à tutto splen-
dore e grazia, o fanciulla cresciuta nella dimora delle virtù,
tra il virgineo coro di Renata e delle muse. Fortunata la
principessa che ti ha per compagna, fortunati i genitori che
ti chiamarono Olimpia e più fortunato Tuomo che ti otterrà in
isposa.'^) Di questi anni felici è giunto a noi, quasi eco lontana,
un epigramma greco di Olimpia che può dirsi V inno trionfale
della giovine poetessa: "Non a tutti i mortali Giove concesse
una mente istessa: Castore fu domatore di cavalli, Polluce
potente nel pugilato, e pure entrambi nati dal medesimo padre.
Ed io, benché nata donna, lasciate le cure muliebri, amo i
prati fioriti delle muse e i gioiosi cori del duplice Parnaso.
Altre donne si rallegreranno forse di altre cose; queste
sono la mia gloria, queste la mia gioia.,,^*) Altri versi greci
scrisse per la morte del Bembo, il cui nome^ ai tempi di Lucre-
zia Borgia, era risonato si alto nella corte ducale: "E morto il
311
Bembo, i' onore delle vergini muse, la luce di Venezia gloriosa
nel mare; ninno fra i mortali lo gareggia né in fatti né in
parole. Con la sua morte T eloquenza sembra spenta e Cice-
rone di nuovo disceso nel tetro Avemo.„^^).
II.
Mentre Olimpia, con ardore giovanile, si dava tutta al
culto della poesia ; alla corte estense e fra i letterati di Ferrara
studi e pensieri più gravi occupavano le menti. È noto come
la grande rivoluzione religiosa penetrasse dalla Germania anche
in Italia dove, più che un moto popolare, divenne un* aspira-
zione di alcuni spiriti superiori desiderosi di riformare i costumi
e la disciplina ecclesiastica. Ma quando venne istituito TUf-
ficio dell' Inquisizione e cominciarono le persecuzioni, i seguaci
delle nuove idee o dovettero sottomettersi o fuggire^ mentre
quelli che non vollero piegare, quali Giovanni Mollio, Aonio
Palearìo, Pietro Carnesecchi ed altri finirono la vita sul rogo.
Se non che la riforma religiosa, con tanto rigore repressa,
continua a serpeggiare, dall^ Istria alla Sicilia, in quasi tutte
le città italiane; ha i suoi proseliti, esuli e martiri; penetra
nelle corti de* principi e nelle accademie de* letterati, attrae
i filosofi e le donne più colte e gentili; è quindi per l'Italia
un avvenimento di alta importanza, che va studiato nelle ori-
gini, nelle manifestazioni e nelle conseguenze, chi voglia piena-
mente comprendere il Cinquecento italiano. '^) In Ferrara
ebbe un terreno forse più favorevole che altróve; di più, a fecon-
darne i germi esistenti, si aggiunse il soggiorno quanto celebre
altrettanto misterioso che vi fece Calvino nel 1536. D'allora
in poi Benata ebbe carteggio col grande riformatore ginevrino,
ed alla riforma aderirono, più o meno apertamente, anche i
letterati che convenivano alla corte ed i professori dell' univer-
sità. Fra gli altri, Giovanni Sinapio che aveva sposato Fran-
cesca Bucironia, damigella» francese del seguito di Renata, e
che ricordava sempre, con singolare compiacenza, 1' incontro
con Calvino al quale coleva rivolgersi per consiglio e per poter,
tra le molte insidie, rendere a Dio il dovuto omaggio. Quanto
a Pellegrino Morato, forse sin dalla prima dimora in Ferrara
conosceva le dottrine degl^ innovatori religiosi ; certo À cke
nel 1642, per opera di Celio Secondo Curione, divenne fervido
e valido campione della riforma. H Curione, valoroso letterato
ed umanista piemontese, che era stato de' primi a professare le dot-
trine evangeliche e per esse due volte aveva sofferto il carcere, era
in grande dimestichezza con la famiglia di Olimpia; e quand'egli
abbandonò Ferrara per recarsi a Lucca, altro focolare della riforma
italiana, il Morato gli scriveva: ''La tua partenza mi ha privato
di un divino precettore che Dio mi aveva mandato per istruzione;
ma nulla può alleviare il mio dolore quanto la fede che io
appartengo a Cristo e che egli non mi disdegna. La tua pront-a
favella e il tuo spirito eloquente mi hanno cosi efficacemente
commosso, che venni a conoscere le mie tenebre ed ora Cristo
vive in me ed io in lui.„ E, come tutti i seguaci della riforma,
manifestando il proponimento di far proseliti, aggiunge : "Ora
caldo e pieno di vita, sono capace di far ricchi gli altri, parte-
cipando i tesori che tu mi desti. ^®) Olimpia conobbe il Curione,
ma non possiamo dire quale efficacia avessero i suoi inse-
gnamenti sull'animo di lei ancor tutto pieno dell'antichità
pagana. Ella stessa asserì molti anni dopo che, per lungo
tempo, non aveva potuto apprendere nulla di alto e divino,
che neppure aveva letto i libri d^l vecchio e nuovo testa-
mento e che, credendo l'universo opera del caso, mai aveva
pensato che un Dio si curasse delle cose mortaU. *^) Se non
che anche in Olimpia doveva succedere quell' evoluzione alla
quale non si sottrassero altrì ingegni del Cinquecento i quali,
dallo studio dei classici, furono tratti alla meditazione religiosa;
e tanto più se si consideri che in Italia la donna acconsentì
alla riforma e la favori con opera efficace. Né poteva essere
altrimenti; che la donna italiana, essendo gran parte della
vita intellettuale della sua età, non volle ignorare il movimento
religioso e il tentativo di restaurazione morale che ne fu la
conseguenza, onde Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga e Cate-
tina Cibo duchessa di Camerino sgstennero una vera e Ixmga
lotta per migliorare i traviati costumi. E noto come la marchesa
di Pescara facesse tenere in Roma publiche conferenze contro
la corruzione femminile e come insieme alla duchessa di Carne-
rino proteggesse il nuovo ordine dei Cappuccini presso ai quali
àia
t)areva rivivere la semplicità de' primi seguaci di san Francesco.
Queste donne pietose ed altre che frequentarono il circolo reli-
gioso di Giovanni Valdes in Napoli, volevano richiamare la
società ai semplici costami cristiani, dai quali il Cinquecento
italiano si era tanto allontanato ; il loro, come dice il de Le va^*),
era un raccoglimento dell' anima, un' effusione di profonda
pietà, non un distacco dalla chiesa cattolica. Quando però ven-
nero i tristi giorni della reazione, furono anch' esse credute
luterane, confondendosi in questo nome coloro che miravano
ad una riforma nella disciplina con quelli che la volevano
anche nel dogma. ^^) Ma ai Luterani va ascritta, senza dubbio.
Olimpia Morato, che non seppe o non volle rimanere nei limiti
della chiesa cattolica e non vide altro rimedio, per la deside-
rata riforma dei costumi, che una chiesa diversa la quale ritor-
nasse ""alla semplicità ed alla purità del suo fondatore. » '^) Il
consorzio di Benata, le tendenze del padre e degli amici, il
contatto continuo coi riformati ne favorirono la conversione;
ad affrettarla si aggiunsero le sciagure domestiche.
m.
Nel 1648 Fulvio Pellegrino ammalò gravemente, e la
figlia lasciò tosto la corte per correre al letto del padre ; ma
nulla poterono le cure più amorose e dopo lunghe sofferenze,
sopportate, come narra Olimpia 2*), con fede esemplare, fu
tolto all'affetto de' suoi. A questa si aggiunse un'altra cala-
mità: la duchessa, dando ascolto alle calunnie de' malevoli,
privò Olimpia e tutta la famiglia della sua protezione. V ha
chi sospetta che le accuse partissero da Girolamo Bolsec, frate
carmelitano ed elimosiniere di Renata, ma giova credere che
la disgrazia di Olimpia sia stata promossa dal duca, costretto
dal pontefice a misure di rigore contro gli aderenti o i sospetti
di aderire alla riforma. Comunque sia, la duchessa, che pure
sappiamo buona e benefica, trattò Olimpia con inusato rigore,
sino a negarle le vesti lasciate alla corte e restituendole poi
lina sola per intercessione altrui. ^^) Giorni di grande incertezza
e di forte ambascia cominciarono per la giovane poetessa che
814
doveva pensare alla madre qnBsi sempre inferma, a tre sorelle
più giovani e ad un fratello di soli sei anni. Si vide abban-
donata da molti che altre volte si dicevano amici e temeva
di non poter più sollevarsi, mancandole anche T aiuto della
principessa Anna andata sposa a Francesco di Guisa, il cele-
lebre capo del partito cattolico in Francia. Ma Olimpia stette
salda nelle avversità: il dolore la fece donna. Con animo rasse-
gnato attendeva alle cure domestiche e all'educazione delle
sorelle e del fratello, trovando alcun conforto nell'adempi-
mento de' nuovi doveri e negli studi religiosi ai quali ora
si dava col più gran fervore, quasi volesse dimenticare il
passato che, nello zelo di neofita, le appariva vuoto e degno
di compianto. Ritraeva quindi 1' animo e la mente dai tesori
classici dell' antichità; e nelF idea del sacrifizio e dell' abne-
gazione la poetessa pagana, divenuta cristiana, dettava epigrammi
latini della stessa eleganza dei componimenti anteriori. '*)
Ma per quanto grande la forza dello spirito, per quanto ar-
dente la fede, non sarebbero bastate a quietarle l' animo turbato ;
ad assicurarla dell' avvenire le abbisognava un' anima nobile che
degnamente apprezzasse il tesoro di affetti racchiuso nel suo
cuore. Fra gli stranieri che studiavano nell' università di Fer-
rara segnalavasi un giovane tedesco, Andrea Gruntler, nativo
di Schweinfurth che, pur dedicandosi alla medicina, coltivava
con grande amore anche la letteratura greca e latina. Aveva
stretto amicizia coi letterati più illustri; e Cinzie Giraldi lo
teneva in tanta considerazione che nel dialogo sui poeti contem-
poranei, il Gruntler, uno degli interlocutori, parla de' poeti
di Germania e di Francia, ricevendo poi egli stesso i più
grandi elogi come valente verseggiatore. '^) Di religione prote-
stante, si senti attratto non pure dalla bellezza ma dalla pietà,
dalla dottrina e anche dalle sventure di Olimpia e la volle
sua sposa, vincendo, con la forza delP animo fortemente inna-
morato, tutti gli ostacoli che si opponevano ai suoi desideri. **)
Si sposarono verso la fine del 1650, e la musa cristiana di
Olimpia consacrò in versi greci questa unione: *0 Dio onni-
potente, supremo dominatore di tutti i regnanti, che al primo
uomo desti una compagna perché non si estirpasse il genere
umano, che volesti 1' anima dei mortali sposa al figlio tuo e
3iè
che questi a cagione di lei morisse; concedi a noi sposi feli-
cità e concordia, perché sono tua legge il nostro talamo e le
nostre nozze. „ ^^)
Il Gruntler conseguì la laurea di medicina '^) e sa-
rebbe forse potuto rimanere in Ferrara, ma le persecuzioni
religiose divenivano ogni giorno più violenti, ond' egli, seguendo
Tesempio dei fratelli Sinapio che erano ritornati in Germania,
deliberò procurarsi un' occupazione in patria. Non volendo però,
prima di un buon esito, esporre la giovane consorte alle fatiche
del lungo viaggio in paese travagliato dalla guerra civile,
parti, solo, neir inverno del 1660. E facile imaginare il dolore
di Olimpia che con lettere affettuosissime lo scongiurava di
affrettare il ritomo o^ almeno, di mandarle più frequenti no-
tizie. •') Grande speranza essa riponeva nell' aiuto di Giovanni
Sinapio che doveva raccomandarli al re Ferdinando e presen-
tare a questo e ad altri personaggi insigni le poesie di Olimpia ;
e però scriveva all' antico maestro perché adoperasse in loro
favore e presto le rimandasse il marito, che, se in Terenzio
v'ha chi afferma di non poter rimanere due giorni senza la
sposa, ella trovavasi due mesi senza il suo Andrea. ^^) Non
era però da tutti abbandonata: fra i pochi amici rimasti
fedeli, le dimostrava singolare benevolenza Lavinia della Itovere,
consorte di Paolo Orsini, che aveva già fatto parte del virgineo
coro di Renata cantato dal Giraldi. ^') Spesso le due amiche si
riducevano a intimo colloquio e la conversazione diveniva sempre
più elevata, come apparisce in un dialogo nel quale Olimpia
rifa la storia del suo passato e propone a sé medesima di
rivolgere a Dio tutto V ingegno. •*) Finalmente Andrea ritornò
a Ferrara; e benché non avesse ottenuto un collocamento
sicuro, volle condurre la consorte in Germania, nella speranza
che le promesse degli amici non dovessero fallire. Dolorosa
fu la separazione dalla madre che temeva di non più rivedere
la figlia, mentre questa, nell'abbandonare la patria e la famiglia,
aveva il conforto che più non sarebbe divisa dal marito né
avrebbe dovuto nascondere la fede evangelica, che era per lei
la più nobile sodisfazione della vita e per la quale dicevasi
pronta a seguire il consorte, non pure per gli erti gioghi delle
Alpi ma sino al Caucaso e sino agli ultimi confini dell' occidente.
die
IV.
Il primo rifugio fu Augusta, città fiorente per i commerci
e gli studi ed in continue attinenze con l' Italia, sicché ad
Olimpia i^pn pareva trovarsi molto lontana dalla patria. Erano
ospitLdel consigliere imperiale Giorgio Hermann, ^^) uno dei
primi cittadini di Augusta^ già amico di Erasmo e di Fi-
lippe Melautone e che essendo ammalato tenne per aJciin
tempo presso di sé Andrea Gruntler. Col suo mezzo conob-
bero anche la potente famiglia dei Fugger che, arricchitisi
nei commerci, erano divenuti gran mecenati, mandavano i loro
figli all' università di Padova '*) ed abitavano uno splendido
palazzo adomo di tutte le magnificenze dell' arte antica e
moderna, onde meritarono di essere chiamati i Medici della
Germania. Olimpia visse alcuni giorni sereni tra lo studio
de' libri sacri e quello della poesia, attendendo anche all' edu-
cazione del fratello Emilio che, per sollevare la famiglia e per
averne sempre un dolce ricordo^ aveva preso con sé da Ferrara.
Uno de' primi pensieri fu di scrìvere al migliore de' suoi
amici da lei tenuto in conto di un secondo padre, al Curìone
che, dopo molte peripezie, insegnava eloquenza nell'università
di Basilea. Gli scrisse adunque con parole di grande affetto
per narrargli quanto le era succeduto dopo la morte del padre
e come, sbattuta dalle tempeste, avesse trovato in Germania
un porto sicuro; e, sapendo di fargli cosa gradita, univa a
questa lettera alcuni salmi da lei ridotti in versi greci. ^^) D
Curione le rispose con pari tenerezza, assicurandola che l'amava
come figliuola ed esortandola a proseguire nello studio della
poesia sacra. ^®) Ma anche nel tranquillo soggiorno di Augusta
il suo pensiero ricorreva di continuo alla patria ed alla fami-
glia, massime alla madre; ed a lei, col mezzo di un fido amico,
inviava alcune monete d' oro, dolendosi di non averne notizia.
Né la sicurezza in cui ora trovavasi le faceva dimenticare gli
infelici perseguitati per le opinioni religiose. Con calde parole
pregava l'amica Lavinia deUa Rovere d'intercedere presso il
pontefice e presso il duca a favore di Fannio di Faenza che^
accusato di eresia, da lungo tempo era rinchiuso nelle carceri
317
di Ferrara. ^^) Nulla poterono le preghiere delle donne pietose,
neppure di Renata: il duca Ercole dovette ubbidire agli ordini di
ILoma e il Fannio fu impiccato^ indi abbruciato e le ceneri gettate
nel Po. Olimpia n'ebbe grande rammarico e scrisse al Curione
che piuttosto sarebbe andata nelle più lontane contrade che ri-
tornare in un paese dove l'Anticristo esercitava tanto potere ;
e nel dolore le sfugge una parola amara contro la patria>^)
Dopo alcune settimane i giovani sposi partirono da Augu-
sta per andare a Wùrzburgo, invitati da Giovanni Sinapio,
medico del principe vescovo di quella città. L' antico maestro
fece ad Olimpia le più affettuose accoglienze, e mentre il marito
accompagnava il suo ospite al letto degli ammalati, il tempo
le trascorreva lietissimo nello studio de' libri sacri. Si sarebbe
quindi trattenuta a lungo presso la famiglia Sinapio, se il senato
di Schweinfurth, abbisognando di un valente medico per le mili.
zie imperiali^ non si fosse rivolto al Gruntler. Questi, in mancanza
di meglio, accettò l'invito e nell'autunno del 1661 lasciarono
Wùrzburgo *^) con grande commozione di Olimpia che, nel
congedarsi da Giovanni Sinapio e da Francesca Bucironia, si
distaccava quasi interamente da un passato doloroso si, ma
pieno di tanti ricordi. In Schweinfurth comincia veramente
l' esilio di Olimpia che, lontana dagli amici, ignara della lingua
tedesca, priva di notizie dall' Italia e mal sofferente il clima
rigido di quella città, desiderò presto un altro soggiorno.
Venne a proposito l' invito del re Ferdinando che, col mezzo
del consigliere Hermann, chiamava il Gruntler ad insegnare
medicina nell' accademia di Linz. Ma Olimpia, temendo che
questo ufficio potesse per avventura restringere la libertà
di fede che ora godevano illimitata, scrisse al figlio del
loro protettore una lettera, dove sono queste parole, nobile
documento di sincerità e di fermezza di carattere: "Tu sai
bene che noi apparteniamo alla milizia di Cristo e che
a lui siamo talmente obligati per giuramento che se man-
cassimo a questo ci attenderebbe V etema punizione.j^ ^^) E
gli chiede se anche a Linz siano perseguitati coloro che non
assistono alla messa e adorano Dio secondo le dottrine evan-
geliche. La risposta confermò ì dubbi e non accettarono l'of-
ferta. In quella vece sarebbero andati volentieri a Basilea
318
presso il Curione se Andrea avesse ottenuto una cattedra in
quell' università o avesse avuto speranza di trovarvi una buona
clientela. "Se ciò fosse possibile — scrive Olimpia al fedele
amico — ninna altra cosa mi potrebbe essere più gradita ;
sarei più vicina all'Italia e più spesso potrei ricevere lettere
da mia madre e dalle sorelle che ho sempre presenti ^ **) Ma
questo disegno non potè attuarsi. A confortarla alquanto giun-
sero finalmente buone notizie dalla famiglia: una sorella era
andata sposa ad un giovane milanese, un'altra era in Boma
con Lavinia della Bovere e la terza aveva trovato onorevole
collocamento presso Elena Baugone Benti voglio. Dall' Italia le
arrivarono anche i suoi libri ; come il cuore le sarà balzato di
gioia nel rivedere quelle opere già appartenute al padre diletto
e che a lei avevano dischiuso i tesori dell* arte e della sapienza
antica ; erano fedeli amici che tornavano a lei dopo lunga assenza.
Biprese quindi i cari studi e scrisse un dialogo sulla felicità, nel
quale, sotto il nome di Teofila, raccomanda a Lavinia fede e
rassegnazione. ^) Vi si parla delle donne di Ferrara e di altre
città italiane che vivono nell' ozio, si danno troppo cura delle
vesti, passeggiano in cocchi dorati e si adomano per piacere
non ai mariti ma agli altri A queste contrappone, modello di
virtù e fede in Dio, la moglie del duca di Sassonia, prigioniero
di Carlo Y. Singolarmente notevole è la chiusa del dialogo;
essa dimostra come Olimpia attendesse con amore anche alle
cure domestiche. A Filotima, cioè a Lavinia, che le chiede per-
ché vuol partire si presto, Teofila risponde di dover ritornare
a casa poiché, se manca la padrona^ gli altri pensano più
presto alle cose superflue che non alle necessarie. Lieta poi
che i suoi canti religiosi avessero Tapprovazione del Curione
e di altri dotti, continuava a comporre inni sacri, che spesso
il marito metteva in musica ; e fra essi ricorderemo una saffica
greca, riduzione del salmo "Una rocca è il nostro Signore, già
invocato da Lutero nel viaggio a Worms, quasi anche Olimpia,
prevedendo nuove calamità, si preparasse a future lotte. Né
erano vani presentimenti ; che, mentre essa attendeva agli studi
religiosi e air educazione di Emilio e di Teodora Sinapio, ^
interrompendo talora queste dolci occupazioni per sovvenire ai
miserabili e agli ammalati che, angelo consolatore, visitava
319
negli ospedali, una grave procella stava per rovesciarsi sulla
patria di Andrea Gruntler.
V.
Nel 1662 il re Ferdinando aveva conchiuso coi Protestanti
raccordo di Passavia che avrebbe dovuto restituire alla Ger-
mania, dopo tanti anni di guerre e turbolenze, pace e sicurezza.
Ma il margravio Alberto di Brandemburgo, uno di quelli irre-
quieti avventurieri, quali non mancavano allora in Germania,
non volle riconoscere i patti di Passavia; e fingendo amicizia
per l'imperatore, occupata la città di Schweinfurth, si diede
a saccheggiare i paesi vicini. Contro di lui si unirono i vescovi
di Wiirzburgo e Bamberga, il principe Maurizio di Sassonia,
il duca di Brunswik, la città di Norimberga e mossero tutti
contro Schweinfurth, che si vide ora colpita da doppia sciagura:
dagli assedianti che scagliavano continui proiettili contro la
città^ e dsAV insolenza e dalle minacce de' soldati che ne dovevano
essere i difensori. Le lettere di Olimpia, che per questo assedio
hanno valore di documento storico, narrano i patimenti che i
miseri cittadini sostennero per 14 mesi^ essendosi aggiunte ai
soliti danni della guerra, la carestia e la peste, onde molti mori-
rono, altri impazzirono. Anche il Gruntler ammalò di febbre
pestilenziale e stette più settimane fra la vita e la morte^
ma le cure di Olimpia vinsero la forza del male, benché
nella desolata città non fossero più neppure medicine. In
questa congiuntura la fede fu a lei di grande sostegno. "Unico
conforto — scrive a Lavinia della Rovere — ci fu la parola
di Dio e mai rivolsi lo sguardo alle ricchezze d'Egitto; amo
meglio qui la morte che altrove le maggiori gioie del mondo.;,
E congedandosi con aflfetto vivissimo : "Addio, mia dolcissima
Lavinia, che ho sempre in mente né mai dimenticherò finché
avrò un soffio di vita, di nuovo addio!» **^) Ma intanto l'assedio
diveniva ogni giorno più stretto e V impeto delle artiglierie tale
che ne stupivano gli stessi soldati : pareva talvolta che la città
fosse tutta per ardere e gli abitanti dovevano fuggire nei sot-
terranei. Finalmente il margravio, vedendo inutile ogni resi-
stenza, parti con le sue milizie ; ed i cittadini sperarono che,
320
obbedendo agli ordini dell'imperatore e de' principi, anche
gli assedianti si sarebbero allontanati. Ma qnesti, inferociti per
V ostinata difesa, penetrarono nella città e la misero a ferro e
a fuoco. Olimpia col marito e col fratello ricoverò in un tempio,
finché uno sconosciuto li consigliò di abbandonare la città per
non rimaner sepolti fra le ceneri. Fu una fuga disastrosa,
piena di peripezie narrate da Olimpia stessa con efficacia e
schiettezza in una lettera italiana a Cherubina Orsini: *
B mio consorte poi fu pigliato due volte da nemici, che
vi prometto, se mai io ebbi dolore, che allora Vho avuto:
e se mai pregai ardentemente, allora pregai. Io nel mio
cuore angustiato gridava con gemiti inenarrabili: aiutami,
aiutami Signore per Cristo: e mai cessai finché mi aiutò
e lo liberò. Vorrei che aveste visto come io era scapigliata,
coperta di straccie, che ci tolsero le veste d'attorno, e fug-
gendo io perdetti le scarpe, né aveva calze in piede: si che
mi bisognava fuggire sopra le pietre e sassi, che io non so
come arrivassi. Spesso io diceva : adesso io cascarò qui morta,
che non posso più : e poi diceva a Dio : Signore, se tu mi
vuoi viva; comanda alli tuoi angeli che mi tirino, che certo io non
posso. Mi maraviglio ancora quando io penso come il primo
giorno io facessi quelle dieci miglia, che io mi sentiva tutta
mancare, essendo io magrissima e malaticcia^ che era stata
malata ancora il giorno davanti, e per quella strachezza mi
veniva la febre terzana e per il viaggio sempre son stata
ammalata....»*^) Estenuata, giunse aHammelburg, ma in quale
stato ! Era malamente coperta di pochi cenci avuti per carità ;
e pure, tra le altre donne, esclama l' infeUce, io sembrava la
regina delle mendicanti ! Gli abitanti di Eammelburg accolsero
i fuggiaschi a malincuore e non fu possibile rimanere colà più
di quattro giorni. Sipresero il triste viaggio, nel quale Andrea
fu di nuovo imprigionato, ma anche questa volta lo lasciarono
libero, e alfine ebbero termine le privazioni, perché un signore
pietoso, che volle rimanere sconosciuto, fece loro pervenire
15 scudi d' oro ; e senza altre difficoltà giunsero presso il conte
di Beinek che li accolse amorevolmente, e poi a Fiirstenau,
castello dei conti di Erbach nelle amene colline della selva
odonia. I conti di Erbach erano un' antica famiglia della Fran*
321
conia; Eberardo, il capo della casa^ aveva sposato la sorella del
principe elettore del Palatinato e da Carlo Y era stato elevato
alla dignità di conte dell' impero. I profughi trovarono nel suo
castello la più ospitale accoglienza. E ben ne abbisognavano,
massime Olimpia: le angustie dell' assedio, la malattia del
marito, i pericoli della fuga V avevano fortemente scossa. La
contessa, d' animo pietoso e ammalata essa pure da molti anni,
le usò, insieme con le figlie, le cure più amorevoli ed in breve
Olimpia potò alquanto rimettersi e sperare un avvenire migliore,
n castello di Fùrstenau le era poi singolarmente gradito perché
i conti di Erbach le apparivano come la vera famiglia cristiana;
e nell'ammirazione religiosa, alla quale si univa un sentimento di
dolce e profonda gratitudine^ scriveva a Madonna Cherubina che
'questi signori per 1' Evangelio hanno posto la vita e la roba
in pericolo: che tanto vivono santamente che mi son stupita,,.^")
Nel frattempo il conte aveva raccomandato il Qruntler al
principe elettore e questi gli conferi una cattedra di medicina
all^ università di Aidelberga, mentre la consorte poteva divenire
dama d'onore della principessa palatina; ma Olimpia aveva
troppo duramente esperimentato la vita di corte per accettare
quest'ufficio. Nella state del 1564 partirono dal castello di
Fùrstenau con ricchi doni dei loro ospiti, e accompagnati da
una scorta giunsero a Hìrschhom, piccola borgata sulle rive del
Nekar. Qui, in un albergo^ conobbero un maestro di scuola che
stava esercitando i suoi allievi nella musica e nel canto.
Olimpia si pose attenta ad ascoltarli, ed osservando come quei
giovanetti, forse confiisi per la presenza dei forastieri, com-
mettevano alcuni errori, si avvicinò loro e con somma grazia
e benevelenza mostrò come dovessero cantare. Essa venne
da tutti applaudita ed il maestro, come apprese chi fossero,
andò a prendere alcune canzoni sacre musicate da Andrea
Gruntler. Non è a dirsi quanta fosse la meraviglia dei due pro-
fughi e la compiacenza di Olimpia che si rallegrava nel vedere
come sino in un'oscura borgata si rendesse onore all' ingegno del
marito. Ma quale contrasto fra il castello di Ferrara e un remoto
albergo della Germania, fra la corte coi dotti plaudenti e un
povero maestro di scuola circondato dai suoi discepoli! Ma
quanto diversa anche Olimpia: non più la leggiadra fanciulla,
8&9
tutto splendore e grazia, nel fiore della felice e confidente
giovinezza con la mente e il cuore fra i tesori del mondo
antico, ma la donna cristiana temprata dal dolore, con le forse
del corpo indebolite e V animo sempre più vigott>6o, che orAy
atteggiato il volto a serena tristezza, si trattiene con qnei
semplici ascoltatori ed è fatta segno ai loro applausi.^*)
VL
n dimani arrivarono alla meta del viaggio. Aidelberg»!
residenza del principe palatino, età un centro fiorente di stildi
e la sua università fra le più celebrate della Qermànick Olimpia
e il marito vi trovarono lieta accoglienza ; ma nei primi giorni
ebbero a lottare con'gravi difficoltà, perché i pochi denari che
avevano furono spesi in vesti, libri e nelle più necessarie tmp-
pellettili. Mantenevano inoltre due ragazzi profhghi di Schwein-
fhrth, ed Olimpia, sempre pietosa, inviava denari ad alcuni
infelici di quella città. Si trovarono in ristrettezze, e quando
il SinapiO; rimasto vedovo, le chiese di riprendere V educaatìone
della figlia, rispose che l'avrebbe fiotto volentieri purché Teo-
dora portasse con sé un letticciuolo. Andrea non aveva rice-
vuto ancora lo stipendio dall^ università, e verso pegno di una
catena, fbtse un c^ro dono dei conti di Erbach, dovette chie-
dere in prestito 90 fiorini d'oro da un amico, al quale si
rivolgeta anche Olimpia per avere una domestica. '^) Nel eae-
cheggio di Schweinfhrth avevano perduto ogni avere, ma la
perdita più dolorosa era stata la biblioteca patema ; e fu quindi
)^ta al Gurione e agli amici di lui, fra i quali i primi editori
di Basilea, che le inviarono in dono molti libri e ancor piA
a Giovanni Sinapio, che avendo ricuperato fira le ceneri di
Schwèiufurth un Plutarco col nome dell'amica, lo aveva tosto
mandato ad Olimpia 'quasi prigioniero riscattato dalle mani
dei pirati.,,*') Ben tosto riprese gli studi e il caitegg^o con gli
amici. Al Ourione chiesre un commento dei Treni di Geremia,
e r èsule piemontese la sodisfece senza indugio pensando che
Olimi^a volesse inspirarsi da quella sublime elegia per cantate
la distruzione di Schweinflirth e la esortava a compiere questo
Itivoro ^gno di Sofocle che le avrebbe meritato la coit>na poetica
m
ta questo mezzo la erano giunte notizie anche dairitaliai xaa
non liete. I rifornirti erano esposti a continue persecuzioni ; ^'joo;!
si rìspunniayfb — cosi le scrivevano — né ai sommi né agi' infimi ;
altri «ono imprigionati, altri cacciati, aljbrì provvedoxio (}a sé con
la fugi^n- Seppe axuoke della catastrofe di Sanata : il duca Ercole
finalmente ^ra stato costretto a procedere contro la <^onsorte ch^
da doitjUci a^ni non assisteva aU^ messa e voleva distorre anx^e
le figliuole dalle pratiche religiose. Aveva dunqqje inviato al
re di Francia la famosa lettera del HI marzo 1554 nella qual^i
facendo la st^a dell'eresia di Benata, scriveva: "....l^ono moìti
anjoi che con infinito dispiacere e molto obbrobrio della casa
mia e mala soddisfazione di tutti i miei sudditi e Bervìton,
ho dissimulato e sofGsrto al meglio che ho potuto, d per l'onor
dal saapgoe 4i Fra]^)ia come per il proprio della casa mì/|.... Il
rumore della sua eresia -è già sparso per tutta Italia» ^^. Enrico
II scrisse in tuono severo alla dmchessa e mandò a Ferrara
^ìllqui^itore di Frsjxoia. il teologo Oriz, ^un fraterino dice
r ambasciatore estense alla corte di Parigi, che par^ un sante-
reUo.„ ^*) Ma Benata possedeva un breve di Paolo HI che la
sottraeva ali' inquisizione di Ferrara assicurandole la prote-
zione del pooat^ce e dei cardinali inquisitori del santo uf&cio,
onde nulla potè VOiiz contro di lei. H duca però la separò
dalle figlie e la fece chiudere nell'antico palazso di casa
d' Este, finché l' amore materno, più forte della fede protestante,
indusse B^ata ad un comprxmiesso.: ascoltò la messa e le venne
concesso di abitare un palazzo vicino alle figlie e di vederle,
né durante il regno del marito ebbe altre molestie. Fu una
conversione sincera ? I più, giudicando dal passato e dal conte-
gno ohe ebbe poi ritornata in Francia, la credono, ,e mi
pare con ragione, appoìrente, mentre altri non ritiene la duchessa
capace di menzpgna.^^) Quanto alla Morato, essa è molto severa
cqn r antica protettrice ed asserisoe che, conoscendola intima*
mente, la cosa non le ha destato meraviglia, mentre invece
è sorpresa che altri siano defezionati da Cristo e si rallegra
dhe tra questi non sia la madre, rimasta sempre costante nella
vera fede. Olimpia ricorda questi avvenimenti in una lettera
di risposta al Yei^gerio. ^^) Aveva già letto gli acritti del
riformatore istriano ricevati in dono dall'autore ed ora lo
esorta a tradurre in italiano il cateckisnio di Lutero per dif-
fonderlo in Italia. La diffusione del culto evangelico era il
pensiero costante dei riformatori italiani; ed Olimpia^ clie
inviava segretamente agli amici gli opuscoli religiosi di Lutero,
aveva già pregato Matteo Flacio che ne traducesse in italiano
gli scritti oppure dettasse egli stesso qualche opera sulla
riforma.'^) Da Aidelberga scrisse anche a Lavinia della Rovere
e ad Anna d'Este. ^^) Con la prima si duole di essere priva
di notizie, la esorta ad essere forte ed incrollabile nella fede,
a temere Dio e non gli uomini e da ultimo le raccomanda la
sorella, non perché Y arricchisca ma la illumini nella scienza dì
Cristo ; ad Anna d' Este rammenta gli anni della prima giovi-
nezza e, pur temendo di esser caduta in disgrazia di lei, spera
che non sarà di animo cosi duro da averla interamente dimen-
ticata, la eccita quindi agli studi religiosi e ad intercedere
per i perseguitati, ricorrendo, piuttosto che nell' odio divino, in
quello del marito, del re, di tutti gli uominL La giovine princi-
pesda non dimenticò le paróle dell'antica amica; e quando,
alcuni anni dopo, per la congiura di Amboise, 1200 Ugonotti
morirono sulla forca o annegarono nella Loira, assistendo le
gentili dame di Francia, come a lieto spettacolo, al loro sup-
plizio, una sola voce si alzò a difendere quei miseri, la voce
di Anna d'Este.
Il carteggio con gli amici, V educazione del fratello, le
cure della famiglia, lo studio indefesso de' libri sacri erano
le occupazioni di Olimpia che, dopo tanti colpi dell^ avversa
fortuna, poteva chiamarsi felice, se la sua salute non fosse
andata peggiorando di giorno in giorno. Già durante l'assedio
di Schweinfurth era sofferente ; il male si era aggravato nella
fuga e le cure dei conti di Erbach non le avevano procurato
che un miglioramento passeggero. In Aidelberga ricadde am-
malata e andava lentamente struggendosi, la febbre non le
dava più requie e aveva continui deliqui. Strazia V animo il
leggere le ultime lettere nelle quali; rassegnata, anzi desi-
derosa di morire, annunzia agli amici la prossima fine. Nel
luglio del 1555 scrisse al Curione che si sentiva consumare
dalla forza del morbo e gli mandava i saluti per FOchino
che; scacciato d' Inghilterra, era rifuggito in Basilea. Il Curione,
alla sua volta in grande angoscia per una grave malattia della
figlia Violante, la consorte dell' esule Girolamo Zanchi, le rispose
tosto scongiurandola a curarsi e significandole tutto l' affetto suo
e degli amici. Olimpia, quasi esausta di forze^ volle scrivere al
Curione un' ultima lettera che, ancor oggi, dopo più di tre secoli,
desta in noi potente commozione. "Com' ebbi letto la tua
lettera — gli dice — non potei trattenere il pianto... Quanto a me,
o mio Celio, sappia che ogni speranza è oramai perduta ;
delle molte medicine che mi danno, nessuna ha più efficacia.
Di giorno in giorno, anzi di ora in ora, i miei aspettano di
vedermi morire e questa sarà 1* ultima lettera che riceverai da
me. Le forze del corpo sono affatto perdute, non posso più
prendere cibo, la tosse, giorno e notte, minaccia di soffocarmi;
la febbre ardente e continua, i dolori mi tolgono il sonno. Ma
è sempre vivo in me Io spirito e la memoria degli amici e
dei loro benefici e ringrazio te per i tuoi scritti e tutte le
buone persone che m'inviarono doni si pregiati. Ti racco-
mando la Chiesa; qualunque cosa tu faccia, sia a vantaggio
di lei. AddiO; ottimo Celio; quando ti giungerà notizia della
mia morte, non dolerti, perché allora solamente avrò vinto ed
io desidero morire ed essere con Cristo ... A tua richiesta t' invio
le poesie che, dopo la rovina di Schweinfiirth, trascrissi dalla
memoria; gli altri miei scritti sono periti. Ti prego di essere
il mio Aristaco e volerle correggere. Di nuovo addio.j, **) Cosi
scriveva pochi giorni prima di morire ; né smenti tanta forza
d' animO; veramente straordinaria, fino agli ultimi istanti dei
quali lasciò pietoso ricordo il marito Andrea ^*). Svegliatasi dal
sonno, sembrava dolcemente sorridere. Andrea le si avvicina
ed Olimpia gli dice : Parevami vedere un luogo ripieno di luce
bellissima. Ma vinta dalla debolezza, dovette interrompere;
quindi mormorò: sono lietissima; e volgendo gli occhi mo-
renti al marito e al fratello, disse ancora : appena vi riconosco,
tutto mi sembra pieno di bellissimi fiori. Furono le ultime
parole e poco stante, come vinta da sonno dolcissimo, spirò ;
era il 26 ottobre 1555 e non aveva che 29 anni. La morte di
Olimpia fu un duro colpo per l'infelice marito che, dando
libero sfogo al suo cordoglio, scrive al Curione: ^In tutti i
modi Dio mi affligge: ho perduto la patria, i beni, gli amici
m
e ivdttì. i parenti ed ora mi vìbu tolta la cUlettJASuna conjiorte
ohe, sola superstite, mi faceva tollerare ogni altro male.
Qnest' imxnenjut sciagura è come un nuoto fiotto ck», ao-
pravvenendo agii altri, mi travolge, i, ^^) N09 meno intenso
fu il dolore de^ Ouriope che dovette parteoipare aU'infelioe
Lucrezia la morte delia figlia e lo fece con parole di soiìqìimi
tenereua; quali sa trovare un anixno nobiloieote delicato e
provato dalla sventura. '^)
Andrea non sopravvisse obe due mesi aU|i consorte. Qìk
dal giugno infieriva in Aidelbeiga la pe^, V università era
chiusa e chi potova fìiggiva altrove. Nel dicembre il GrunUer,
colpito dal morbo, mori e pochi ^onà dopo lo segui nel
sepolcro il giovine cognato. Cosi una sola tomba, erette da
Oaglielmo Basoalon, gentiluomo frsAcese, professore dell' uni-
versità, accoglieva tutti e tre i profughi aifOrti nel fiore de^gU
aami ; ed oggi ancora, in una cappella della chiesa di San
Pietro in AiddH^ei^, si legge sul loro avello pietosa iscriaioDe*
Anche la città di Schweinfmih volle oncMrsre la memoria della
póetossa itaiiana ; per dedito pubblico fu ricostruita la casa
dove era dimorata tre anni e vi fu posta un' iscràione.
vn.
Sarebbe cosa troppo lunga ricordare tutti queUi che in
versi e in prosa piansero la morto di Olimpia e la oelebraromo
con le maggiori lodi sino a chiamarla la decima musa e sope-
liore a Saffo e a Corinna ; più affettuoso di tutti fu il compisaito
del Ourione ohe in eleganti endecasillabi latini ne fece V apo-
teosi. ^) Ma non si restrinse a questo, e volendo che della nhorta
amica rimanesse memoria più duratmra, igià nel 1568 ne pnhlioò
in Sasilea gli scritti greci e latini, che aveva potato racco*
gliela, con molto lettre latine^ una greca e due italiane. L'edi-
tore fu Pietro Pema, esule religioso da Lucca, divenuto uno
de' primi tipografi di Basilea e 1' edizione fu dedicata ad
Isabella Brisegna, moglie de] governatore spagnuolo di Piacenza,
ohe, aderendo alla riforma, era Aiggita in Germania e poi in
Svizzera. Nella pre&zione il Curione avverto di votleir resti-
tuire air Italia colei che l' Italia aveva genei^sto e ricorda g^
897
scritti di Olimpia che andarono perdati: molte poesie, singo-
larmente religiose, osservazioni su Omero e dialoghi greci e
latini ad imitazione di Platone e Cicerone. Accolta questa
prima edizione con grande favore, quattro anni dopo usci
un' altra, dedicata, come le successive del 1670 e 1580, ad Eli-
sabetta regina d' Inghilterra.
Cosi, per merito del Ourione, è dato conosoefe la vita e
almeno tina parte delle opere di Olimpia Morato. La quale,
benché figlia di chi per il primo aveva pubblicato un rimario
di Dante e del Petrarca, benché nata in una città dove era fiorito
l'Ariosto, sdegnar idioma materno e mostra conoscere "le grazie
del Boccaccio solo per volgerne in latino due novelle, terribili
di sottile ironia contro il clero romano. „^<) Con V animo pieno
di classicità, segue le tradisiionì del rinascimento italiano e ripro-
duce le forme e i pensieri de' grandi scrittori di Grecia e di
Roma ; ed anche quando i suoi scritti hanno intonazione diversa ed
edte, quasi dimentica degli affetti terreni, non segue che V in-
tento religioso, riveste il pensiero nelle forme] dell' antichità
pagana. Possiamo rimpiangere la perdita di tanti scritti di
Olimpia; tuttavia, a giudicare da quelli che restano, per quanto
ammiratori del suo ingegno e della sua coltura, è forza rico-
noscere che la Morato, più che una scrittrice originale, è una
abile imitatrice e non avanza i grandi poeti latini del Cinque-
cento: il Vida, il Sannazzaro e il Fracastoro. Ma più che per
i meriti letterari, è degna di rinomanza per 1' elevatezza del-
l' animo. Trascorsa la prima gioventù nel sorriso delle muse
e della corte estense, tra la sfolgorante magnificenza delle
ricchezze e dell' arte, fu presto colpita dall' avverso destino che
non r abbandonò più, poiché anche colui che le apparve come
un salvatore, per le tristi vicende onde fu involto, la trasse
in altri guai che affrettarono il termine di una vita si ango-
sciosa. ^) Ma dalla fede, che ebbe profondissima, venne a lei una
forza straordinaria di rassegnazione, e sopportando le proprie
sventure con serenità ed abnegazione, senti e sovvenne i dolori
altrui. Per tanta virtù e dolcezza d' animo emerge fra le altre
donne che nel Cinquecento coltivarono gli studi e meditarono
i grandi problemi morali e religiosi del secolo, onde possiamo
degnamente raffirontarla con Vittoria Colonna. £ anche i
328
contemporanei l'apprezzarono: oltre T amicizia di anime elette
e di chiari ingegni, quali Lavinia della Bovere e Celio Canone,
ebbe non pochi ammiratori. Negli ultimi anni di vita il nome
della poetessa ferrarese risonava glorioso per la Germania, le
sue lettere erano desiderate ed ammirate, e ravvicinarla te-
nuto a si grande onore, che il giureconsulto francese Carlo
Dumoulin assumeva con gran piacere il carico di portarle una
lettera del Yergerio per conoscere colei che egli chiama il
decoro delle donne. E Olimpia, pur essendo modestissima, aveva
coscienza della sua forza morale e non esita a muovere rim-
proveri acerbi a un predicatore tedesco per la sua vita scostu-
mata. Ai profughi italiani fu quindi modello insuperabile di
pietà e virtù e il più illustre di essi ne è V interprete chiaman-
dola 'Italiae nostrae decus..*^) A questi elogi fecero eco scrit-
tori insigni : Teodoro Beza nella vita di Calvino, il biografo
di Pietro Martire Vermigli che pone il suo nome vicino a
quello dell'infelice regina Giovanna Gray,^^) lo storico Tuano
ed altrL Ma più di tutti si sentì attratto dal suo ingegno e
dalle sue virtù l' abate Tiraboschi, il quale, pur rimproverando
Olimpia Morato di aver seguito le dottrine protestanti, la
chiama ^donna veramente nata a onor del suo sesso e di
tutta ItaUa.„«^)
NOTE.
^) Vedi Io stadio di Giuseppe Camp ori, Fulvio Pellegrino Moraio,
estratto dal yol.'VIII degli Atti e Memorie delle RB. Deputazioni di Storia
patria per le proyincie modenesi e parmensi.
*) Sono conservate parecchie lettere di Celio Calcagnini a Pelle-
grino Morato che mostrano la forte amicizia e il vivo affetto ond* erano
stretti i due letterati. Il Morato aveva lasciato da prima la famiglia a
Ferrara e il Calcagnini cosi scrive all'amico: *Tais vero familiaiiboB
nusquam defici, quoties me appellarunt Qoin et ipse ultra meaillis stadia
persaepe obtull, si quo modo in re aut illis aut causae tuae adiomento
esse possem,, (vedi Coelii Calcagnini Protonotarii Opera, BasUeae, 1544^
pag. 157). E continuamente si adoperava in suo favore. 'In re tua ita
enitar apud Prosperum atque adeo apud principem quoties se praebebit
occasio ut absens praesens intelligas diligentia et stadio malore ne-
minem procurasse rem saam„ (pagina 168). Quando la famiglia ebbe
329
radiante il Morato nell'esilio, il Calcagnini gli scriveva: '^Uxorem tuatn
foeminam laeiissmam salntabis et filiolas taas meo nomine exosculaberiSi,
(pag. 158). Notevole quest' altro passo in cui è fatto cenno di Olimpia :
"Deliae puellae iam festive, ut tu scribis, garrìenti in frontem et aurem
suaviolum meo nomine imprimes„ (pag. 182).
*) Cosi suppone il Campori nelF opuscolo citato, pag. 3.
*) Le notizie che diamo della vita e degli scritti di Olimpia Morato
sono tolte dalle sue opere : Olympiae Fulviae Moratae .... Opera omnia,
Basileae, ex officina Petri Pemae 1580. Ci siamo inoltre serviti della
biografia del Nolten, Dissertano kistorica de Olympiae Moratae vita, ecc.
Francoforti ad Viadrum, 1781 e del bellissimo lavoro diJulesBonnet,
Olympia Morata, Épisode de la Renaissance en ItaUe (Quatriéme Édition,
Paris, 1866) tradotto in italiano da Massimo Fabi, Milano 1854.
*) Opere, edizione citata, pag. 72 e 73.
*) ^Puella supra sexum ingeniosa; nam non contenta vemaculo
sermone Latinas et Graecas litteras apprime erudita miraculum fere
omnibus, qui eamaudiunt, esse videtur.g (L ili US Gregorius Gyraldus
De Poetis Nostrorum Temporum. Berlino, 1894, pag. 94.)
"*) Vedi Bartolomeo Fontana, Renata di Francia, duchessa di
Ferrara, voi. I, Roma, Forzani e C, 1889, pag. 28.
") Vedi il Tiraboscbi, Storia della letteratura italiana, Tomo VII,
P. I., Venezia, 1824, pag. 62 e 63.
*) Su Renata di Francia è uscita di recente una biografia di
E. Bodooanachi, Renée de France, Paris, 1896.
^^ Opere di O. M., pag. 81.
") Opere di O. M., pag. 82 e 83.
'') Nelle opere della Morato si trovano i proemi a tre di queste
lesioni.
■") Opere, pag. 7 e 8.
") Opere, pag. 97.
") Vedi il Bonnetj pag. 88, nota 1.
'«) Opere, pag. 242.
") Opere, pag. 240.
'") E pure la riforma italiana non ebbe ancora il suo vero storico,
che tale non può dirsi Cesare Cantù coi suoi Eretici éP Italia o i pro-
testanti stranieri che di preferenza se ne occuparono. Ben poteva dare
all'Italia questa storia l'insigne professore dell'università di Padova,
Giuseppe de Leva. Scrittore di profonda erudizione, sia nel vasto campo
della storia universale come nella filosofia, nella teologia e nel diritto,
di mente sagace, acuto e sicuro nella critica, che sapeva animare il
830
documento con uno stile, se non elegante, vibrato e scultorio, di un
sentimento di misura e imparzialità che non toglie calore alia narra-
zione ; se giudichiamo da quanto scrisse intomo alla riforma religiosa
nel suo poderoso Carlo K o in qualche altro lavoro più breve, nessuno
meglio di lui avrebbe colmato questa lacuna della nostra letteratura
storica. La tarda eik e la malferma salute non concessero al venerato
maestro di scrivere quest* opera che con altre, da molti anni, meditava ;
ma come la sua cara e buona imagine patema sarà sempre presente a
chi lo conobbe, cosi egli vivrà glorioso nei fasti delle scienze e lettere
italiane; e la Dalmazia, sua patria, con gratitudine e venerazione ricorderà
il suo nome insieme a quello degli altri insigni che nel secolo nostro
essa dava air Italia: Pier Alessandro Paravia, Roberto Visiani e Nicolò
Tommaseo.
'*) Lettera del Morato al Curione nelle Opere di Olimpia, pag. 315
e seg. Per il Curione vedi lo scritto dilules Bonnet, La famiUe de
Curione nei !*Itécit8 du seiziéme siécle,; Paris, 1864.
**) Lettera al Curione, Opere, pag. 96.
•*) Storia documentata di Carlo F, voi III, pag. 381.
^ Vedi r opera recente del dr. Bruto Amante Giulia Gonzaga
il movimento religioso femminile nd secolo XVI, Bologna, Zanichelli, 1896.
*') Amante, op. cit., pag. 904.
'*) Lettera citata al Curione, pag. 93 e seg.
*•) Opere, pag. 84.
") Opere, pag. 243 e seg.
•') Giraldi, ed. cit, pag. 71.
^) É probabile che la corte stessa si opponesse a questo matri-
monio. U Giraldi pone il Gruntler "Inter domesticos vel familiares Benatae
nostrae principisi (pag. 3).
••j Opere, pag. 241.
"^ ' lauream medicam cum applausu docentium est adeptus,.
Cosi si legge nelle Vitae Germanorum Medicor*um a Melchiorre Adamo,
Haidelbergae, 1620, pag. 81.
*') Opere, pag. 83, 134 e 135.
»•) Opere, pag. 87.
•^ Il Sanso vino nelle Historie di Casa Orsina ecc., Venezia, 156&, la
dice: 'donna di felicissimo e fecondissimo ingegno, poiché, oltre aU' altre
sue rarissime e nobilissime qualità, è tutta data alla filosofia et ali* altre
belle lettere humane. (parte II, pag. 23).
**) Opere, pag. 42 e seg.
•*J "Elogium Georgii Hermannia Guttemberg,, nello Schellhorn
Amoenitates Historiae Ecclesiasticae, voi. JI, pag. 693 e seg.
331
'*) Devo questa notizia al compianto professore Alfonso Costa il
quale* mi mandò un elenco di alcuni membri della famiglia Fugger che
studiarono a Padova. ^'Questo elenco è tolto dalla busta 469 delParchivio
antico dell'università, che è la matricola originale membranacea con
firme autografe degli scolari ascritti alVuniversità giurista dall' anno
1546 al 1G05; una più. antica della nazione germanica non esiste nella
raccolta,. Cosi mi scriveva il dotto prof. Costa nei primi giorni del
gennaio 1896; chi avrebbe detto che pochi giorni dopo ci sarebbe giunta
la notizia dell'improvvisa sua morte?
") Opere, pag. 93 e seg.
**) Opere, pag. 98 e seg.
'*) Opere, pag. 90 e seg. Questa lettera è scritta da Kaufbeuren,
cittadella a mezzogiorno di Augusta, dove allora si trovavano i coniugi
Gruntler ospiti del consigliere Hermann.
**) ''ingrata mea patria Ferraria„. Questa espressione si trova però
in una lettera posteriore scritta da Schweinfurth nel 1552. (Opere, pag. 109.)
*') Il lieto soggiorno di Wttrzburgo fu turbato un solo momento da
un grave incidente occorso ad Emilio che un giorno cadde da una finestra
sopra un mucchio di sassi. Tutti lo credettero perduto; invece il ragazzo
ne usci incolume, onde Olimpia si senti vieppiù confermata nella fede, attri-
buendo la salvezza del fratello a merito divino. (Opere, pag. 108 e 112.)
**) Opere, pag. 110.
*•) Opere, pag. 102.
^) Opere, pag. 52 e seg.
^*) Era la figlia di Giovanni Sinapio, che aveva condotto con sé da
WUrzburgo. Teodora rimase breve tempo con Olimpia, perché, essendosi
ammalata gravemente la madre, fu richiamata a Wùrzburgo.
^*) Opere, pag. 122 e seg.
^^) Opere, pag. 213 e seg.
*•) Opere, pag. 216.
**) Di questo episodio troviamo notizia in una lettera di Andrea
Campano al Curìone. (Opere di O M. pag, 210.)
^) Olimpia scrìve ad Andrea Campano (pag. 195) che la debolezza
della sua salute l'aveva obligata a prendere come domestica la sola
donna che si era potuta trovare ; ma questa chiedeva un fiorino d' oro
al mese, riservandosi anche il diritto di lavorare per sé. Non volendo
quindi sostenere una spesa si forte, neppure se avesse le ricchezze di
un satrapo, lo prega di procurarle un'altra fantesca, giovane od attempata
che sia, e le darebbe 5 fiorini all'anno.
*'} "tanquam captivum mancipium a piratis redemptum ad vos
remitto„. (Opere, pag. 139.)
332
»•) Vedi Jl Fontana, op. cit., voi. II, pag- 346 e 347.
") Vedi Ernesto Masi, I Burlamacchi ^ di alcuni documenti iniomo
a Bcnata D'Ette^ Bologna, 1876, pag. 192.
•*) Vedi U Fontana, voi. II, pag. 386 e 387.
■•) Opere, pag. 1B7.
•^ Opere, pag. 123.
•y Opere, pag. 173 e pag. 130.
*•) Opere, pag. 185.
^ In una lettera a Celio Gurione, Opere, pag. 187 e seg.
^) Lettera citata, pag. 187.
'*) Anche questa lettera è conservata, Opere, pag. 195.
•») Opere, pag. 249.
*') Cosi il prof. Giuseppe Agnelli in un pregevole discorso sa
Fulvia Olimpia Morato, Ferrara, 1892, pag. 18. Le due novelle sono quella
di ser Ciappelletto e di Abraam Giudeo. (Opere, pag. 18 e seg.). Fra
gli scritti giovanili va ricordato anche l'elogio di Quinto Muzio Scevola
in lingua greca, tradotto poi dalla stessa Olimpia in latino (pag. 9
e seg.).
•*) Vedi l'opera cit dell'Amante, p, 314
••) Cosi il Curione nelle Opere di 0. M. pag. 166.
**) JosiasSimler, Oratio de vita et obitu Petry MartytHs, Zurigo, 1563.
•') Tomo VII, parte V, ediz. cit, pag. 1610.
)A<)A0A<>A<>A0A0AO»2^^
STUDI AQDILEJESI
Continuazione redi "ArchéografOn XX, fa$e. 1,
51) Ara votiva di pietra calcare, ricomposta da due fram-
menti, alta 0*80, larga 0*27, grossa 0*22 (la parte di mezzo
larga 0.19, grossa 0*17) e fornita di plinto e finimento.
Quest'ultimo è alquanto guasto, ma conserva a destra
ancora le tracce di un acroterio a palmette liscie. Le lettere
sono alte 002-0*026, i caratteri del principio del HI dopo
Cristo.
Fu scoperta insieme alle altre iscrizioni votive a
Beleno edite nelV Archeografo (cfr. voi. XX, 1896, n. 44 segg.)
ed a quelle che pubblichiamo ora (cfr. 51 segg.) nelle
fondamenta di un' abside d' un edificio antico (cristiano ?).
BELENO
AVO
AESENNLV.
EVPISTIS
Btleno Aug(u8to). Aesennia Eupistis d((mo) d(edtt).
Inedita.
52) Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare alta 042,
larga 29; grossa 0*16 (nel mezzo larga 0*23, grossa 0*145).
Il finimento è alquanto guasto e conserva alla superficie
un' incavatura per apporvi qualche statuetta votiva ed ai
due angoli a sinistra due buchi per un' impiombatura. Le
lettere alte 004-0*05, i caratteri della seconda metà del
II secolo dopo Cristo.
dd4
BELINO
C-AVLIVa£±«
Belino C(aiu8) Aulim C(ai) l(ibertU8) Hy(fatus?)
Il cognome Hypatus (tkorroi;) riscontrasi p. e. C. Y.
1135 ed altrove.
Inedita,
63) Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare con
cornice e finimento alta 0*43, larga 0*37, grossa 0*31 (nel
mezzo larga 0*31, grossa 0*24). Il finimento fregiato di
acroterio a palmette conserva alla superficie due incava-
ture alquanto irregolari ed ai quattro angoli quattro pic-
cole incavature quadrate con tracce dell'impiombatura
antica qual sostegno di qualche simulacro.
L' inscrizione è scolpita entro ad una cornice, ed am-
bedue le parti laterali sono fregiate a specchietti. Le let-
tere alte 0-03-0-046, i caratteri del II secolo dopo Cristo.
BELINO
AVG
CANNIVS
[TVS_
Belino Aug(u8to) C(ait^) Annius (Antheìmius?
Invece di AnUiemius si potrebbero proporre altri co-
gnomi, come : Firtnius, Satnius o consimili.
Inedita.
64, Parte superiore di un' ara votiva alta 0-63, larga 0*23, grossa
0-23 (nel mezzo larga 0*155, grossa 018).
U finimento superiore è del tutto conservato e mostra
alla sua superficie un'incavatura per qualche simulacro.
Le lettere alte 002-O03, i caratteri del II secolo
dopo Cristo.
dsè
13 E L E N
AVG
P-ARTISCIvS
CORNELI
ANVSy
l. m.
7^:.
Belen(o) Aug(usto) P(M%ub) Artiscius Comelianus vfotnm)
s(olvU) l(ibens) m(ento),
n nome gentile Artiscius riscontrasi sull'ara dedicata
r anno dopo Cristo 166 a Mercurio Augusto (ofr, C. V. 798).
Inedita.
65) Ara votiva di pietra calcare ricomposta dai tre relativi
frammenti; alta 0-93, larga 0-32, grossa 024 (nel mezzo
larga 024, grossa 0*176). Il basamento e gli avanzi della
cornice a palmette liscie sono tuttora conservati, le let-
tere alte 0036-0*016, i caratteri poco simmetrici dell'epoca
della decadenza, circa alla fine del III secolo dopo Cristo.
B(eleno) D(eo) L{uciu8) Aur(elius) Pisinnus Aug(usti) l(ihertus)
d(ono) d(at).
Il cognome PISINNVS corrisponde al nostro nomi-
gnolo vezzeggiativo Piccino (cfr. Mart, 11, 7, 2).
Inedita.
56. Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare, alta
0*46, larga 0*24, grossa 0-17 (nel mezzo larga 0*23, grossa
017). Sulla superficie del linimento (che è alquanto guasto)
scorgonsi due incavature irregolari, di cui una è più pro-
fonda, qual sostegno di qualche simulacro. Le lettere alte
836
0*03, i caratteri molto eleganti appartengono circa al se-
condo secolo dopo Cristo.
ABARBIVS
A-
B-
iLPABNAy
A(ulus) BarbiuB A(uli) UjbertusJ Pamax B(eleno) v(oium)
8(o1vi0 l(ibens) fn(erito).
Inedita.
67) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da due frammenti,
alta 0*41, larga 0*24, grossa 0*19 (nel mezzo larga 0*17^
grossa 0*16). Snlla superficie del finimento riscontrasi la
solita incavatura, conservato è pure il plinto dell'ara. Le
eleganti lettere alte 0*0 16 -0-025, i caratteri del secolo II
dopo Cristo.
D E 0-
BELEN-AVa
L - CALPV BÌ^
HilUnUfHItlHlfìJTJJ'.
TKEIHE5ÌUPKE
5. Imil Vm • AQ
V-SLDDD
Dea Belen(o) Aug(u$to) Lfucius) Calpumi(u8) Patihenopae(us)
vinir Aq(uileiae) v(otum) s(ohit) 1(oco) d(ato) d(ecurionum)
d(€creto).
Inedita.
68. Ara votiva di pietra calcare, ricomposta da* tre relativi
frammenti, alta 0*87, larga 0*29, grossa 0*28-0*31 (nel
mezzo larga 0*19, grossa 0*18) e munita di plinto e fini-
mento, sulla cui superiice scorgesi la solita incavatura.
Le lettere alte 0*01 -0*03, i caratteri del secolo HI dopo
Cristo.
àà7
BELINO
AVG • SACR
Q • calve:^
5, V-S-L'M
Belino Aug(u8toJ 8acr(uinì Q(nintus) CalvenH(m) (PJollen-
Un(us) v(otufn) 3{ólvit) l(ibens) m(erito).
U cognome Pollentinus (cfr, C. V. 8263 ecc) è deri-
vato da Pollentia.
Inedita.
59) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da' tre corrispo-
denti frammenti, alta 0'98, larga 0*33, grossa 0*20 (nel
mezzo larga 0-231, grossa 0*16) e munita di plinto e di
finimento, sulla cui superficie scorgesi un' incavatura ver-
ticale di forme più regolari del solito. Le lettere alte
0*036-0046, i caratteri del principio del II secolo dopo
Cristo.
BELINO
V • S ' L • M
L- CANTIVS
6. LlB
IÓNICV8
Belino v(otum) sfolvit) l(ibens) m(erito) LfuciusJ C(antius)
Spendiisae lib(ertu8) Jótiictis.
Inedita.
60) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da tre frammenti
alta 0-87, larga 0-32-0*34, grossa 0*23 (nel mezzo larga
0'176, grossa 0*21), munita di plinto e finimento a pal-
mette liscie, sulla cui superficie trovasi la solita incava-
tara. Sulle parti laterali dell' ara sono scolpiti in basso
rilievo a destra una patera (alta 0*14), a sinistra un
à38
libatorio (urceusj di belle proporzioni (alto 0.21). Le lettere
alte 003-0-06, i caratteri del secolo II dopo Cristo.
BELINO
AVG
M -CARMINI
MLTROPÌMVS
V • S • L • M
Belino Aug(u8to) M(arcus) Carmini(us) M(arei) l(ibertusj
Trophimvs v(otum) $(olvU) Ifibens) m(erUo).
Il nome gentile Carminitis riscontrasi in Aquileja
anche impresso sugli antichi mattoni^ però nella forma
Karminius (cfr. C. v. 8110, 63-66.)
Inedita.
61) Parte superiore di un' ara votiva di marmo, alta 036,
larga 023; grossa 0*26, le cui parti laterali e la facciata
anteriore sono fregiate di una cornice. Le lettere alte
0-02-003, i caratteri della fine del II secolo dopo Cristo.
BELEN
.AV G
\5LClblvS
\LIVS
Bélen{ó) Aug(usto) {D)ecidius (Argi)liu8?... (votum sohyìi li-
bens merito).
Inedita.
62) Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare di forma
piuttosto bislunga e snella^ alta 0*46, larga 0*20, grossa
0*146 (nel mezzo larga 0*146) e munita di finimento. La
superfice dell' inscrizione è assai corrosa, la lezione perciò
difficile, tanto più che le lettere sono irregolari (alte
0-016-003). I caratteri del III secolo dopo Cristo.
///ENVS
L-LCOMM^
PROLEÌ^DO
SERVO
6. VS-L-M
BEL- SACR-
enius L(uci) l(ibertu8) Communis prò Lepido servo v(otuin)
s(olvit) l{ihens) m(erito) Bél(eno) sacr(um).
Inedita.
63) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da due frammenti,
alta 0*67, larga al plinto 0-36, nel mezzo 0*205, al fini-
mento 0-23, grossa 028 (0*16 nel mezzo). II finimento è
assai logoro e conserva poche tracce deir incavatura. Le
lettere alte 0-02-0-036, i caratteri del III secolo dopo
Cristo.
N • F
LO- V^SB
DD-L-M
L(uciu8) C{as3ius)? Ur(3io)? N(umm) f(ilius) S(ancto)?
B{eleno) d(ono) d(at) l(ibens) m(erito).
Inedita.
64) Ara votiva di pietra calcare ricomposta da due frammenti
e singolare per la sua forma insolita come d' un tronco d' al-
bero. Il plinto di sotto è largo 0296, grosso 0*25 ed alto
0*07, il finimento superiore ha un diametro di 0*25 ed è
alto 0-05. Tutta T ara è alta 0-75 (=0-63 + 0-07 + 06).
Sulla superficie del finimento, che è alquanto logoro, scor-
gesi un'incavatura quadrangolare (012x 0*10) il cui centro
è profondo 005-0'06, ad ambo i lati della superficie a
destra e sinistra scorgonsi le tracce di un' altra incava-
tura. L' iscrizione, di cui è insignita la parte anteriore
dell'ara, è suddivisa in 11 linee, e di queste le tre su-
periori (con lettere alte 0-03-0045) contengono il nome
del devoto che la dedicò, le altre 8 (alte 0-015) un carme
di occasione. I caratteri del secolo II dopo Cristo,
à40
assai probabilmente deirepoca dell' imperatore Commodo
(180-192 dopo Cristo).
H 1 L ARV5
SYRIACIAVCLIB
TABVL SEK
^PSJvWMUCHDhJADtOI
" iSS.'ilf M-DOMViiTvPACirA
PHOFBfDlDiSTl • VfRACL.
MSVOriSANNVATISTA
Ml\5
Incavatura di mezzo
0*06 - 0-05 h'«f.'
0-26
Snperflce
10.
HILARVS
STRIACI -AVG-LIB
TABVL SER-
PROME- HAEC • TIBI • QVAE
POT VI-FORTIA-DONA- DEDI
HIC-ORBEM- DOMVIT-TVPACEM
PHOEBE • DEDISTI • VTRAQ
RES • VOTIS • ANN VAT • ISTA
MEIS
841
Hilarus Syriaci Aug(usti) lib(ertij tabul{an) ser(vuH).
Accipe Phóebe (p)rec(or Ti)ryn{t)hia munera prò me!
haec Ubi, quae potuij forila dona dedi,
Hic orbem dotnuit, tu pacem, Phoebe, dedisti.
Utraq(cue) rea votis annuat ista meis!
Il carme, composto di due distici, la cui sicura le-
zione devesi all'egregio Prof. Biicheler dell'Università
di Benna, è diretto a Febo (Apollo), con cui in Aquileja
identificavasi Beleno (cfr. le are votive ad Apollo Beleno),
al quale vengono dedicate le armi di Ercole (chiamate
poeticamente Tirynthia munera, dalla città di Tiryns {Tipwq)
nell'Argolide dove Ercole fu educato, dacché Febo con-
cesse la pace, mentre il Tirintio domato aveva V orbe.
Quest' allusione alla pace concessa da Febo potrebbe
aver qualche attinenza isterica colla pace conchiusa da
Commodo co' Marcomanni e Quadi dopo le lunghe e terri-
bili guerre combattute da Marc' Aurelio in Germania
(166-180 dopo Cristo). — E generalmente nota la predi-
lezione di Commodo per il culto d" Ercole col quale egli
soleva identificarsi e la cui efiQge e simboli riscontransi
tanto spesso sulle monete coniate da codesto imperatore,
specisJmente nelle monete (Cohen, III, 1883 p. 250 n. 2dO
e 291 n. 474) dove veggonsi appese ad un albero le
armi d'Ercole.
Edita ed illustrata neWArchaeolog. epigr. Mittheilungen
voi. XIX, p. 209 segg. n. 4, dove trovansi altri cenni
letterari. Alla special cortesia dei signori Prof. dott. O.
Benndorf e dott. E. Bormann dell'Università di Vienna
devo il beneficio di poter riprodurre nelV Archeografo le
illustrazioni eseguite per il suUodato periodico.
Forse anche il seguente frammento della parte in-
feriore d'un' ara votiva di marmo, alta 0"36; larga 0-12,
grossa 0'17, trovata assieme a tutte le altre iscrizioni vo-
tive a Beleno avrà fatto cenno d'un impiegato addetto
all'uffizio tavolare (tabularium, cfr. Marquardt, Bòm. Staats-
verwaltung II 1884, p. 216 e 313 nota 3). Le piccole
lettere alte solo 0016.
342
TABI
V- l
iàbiulari)
v{otum) {solvit libens merito).
Inedita.
66) Parte superiore di un' ara votiva di msu'mo, alta O40, larga
al finimento OSI (nel mezzo 020); grossa 029 e 0-19. Il
finimento è relativamente più alto del solito ed ha i lati
alquanto incavati. L' iscrizione è scolpita per entro ad una
cornice. Le lettere sono 001-0026, i nitidi caratteri grechi
del II secolo dopo Cristo.
A r A e H
xr XH
ErSEINOI////
nanHopiaa//
AHTMI
<I> 1 BW
'Ay^Ov; T6xiq, 6Ù5£(vot(0 'AvTY)vop{B3t(i;) ATr;Tot, ^©{^w ['ApTé|jLi5t]..
343
L' introduzione di codest' iscrizione votiva contiene
la solita formola di buon augurio àyoGr) T6xy), corrispon-
dente a quello de' Eomani ^quod bonwn faustnm felix
foriunalumque sitj^ (cfr. Preller, Griechische MyOi.V p. 543) ;
riscrizione stessa è dedicata agli eroi eponimi dell'antica
Venezia, agli Antenoridi ospitali, ed alla triade divina La-
tona, Febo ed Artemide (Diana). (Cfr. Roscher, Ausfiihrl.
LexikoHj ad Leto, II, 1969 e 1966 segg.)
Il culto degli -4n/enor/rf* in Aquileja dimostra, quanto
viva sia stata la tradizione d' Antenore e del suo soggiorno
nella regione veneta (cfr. Tito Livio, 1^1: latn primutn
satis constai Troia capta Antenorem cum multitudine
Enettun venisse in intumum maris Hadriatici sinum, Eu-
ganeisque, qui inter mare Alpesque incolebaut, pidsis Enetos
Troianosque eas tenuisse terras, et in quem primo eyressi siint
hcum Troia vocatur^ pagoque inde Troiano nomen est ; gens
universa Veneti appellati.
Edita ed illustrata: Arch. epigr. Mitth. p. 207 segg.
n. 3, dove il prefato Prof. Biicheler ricompone anche
quest'iscrizione in forma metrica.
66) Parte superiore d' un' ara votiva di pietra calcare, alta
0*32; larga 0'29, grossa 0'21 (nel mezzo larga 0*21, grossa
019) e munita d' un finimento, alla cui superBcie trovasi
un' incavatura. Le lettere 0*03, i caratteri del II secolo
dopo Cristo.
BELENOn
AVG-SACR
M • LICINIVS
Beleno Aug(usto) sacr(um) M(arcus) LicinÌHs\...
Inedita.
67) Ara votiva di marmo ricomposta da due pezzi, alta 0-80,
larga 0*26, grossa 22 (nel mezzo larga 0'18, grossa 016)
e munita di plinto e finimento col relativo acroterio a
palmette e colla super6cie fornita della solita incavatura
qudl sostegno di qualche simulacro.
844
Le lettere alte 0023-0035 sono scolpite per entro
ad una cornice marginale^ i caratteri del secolo II dopo
Cristo.
D.B- A
LVCI
LIVS
MAR
5. CELLIN
VS LM
D(eo) B{elcno) A(tigusio) Lncilius Marcellin(us) v(oium) s{olvU)
l(ibens) m{erUo).
Inedita,
68) Ara votiva di pietra calcare, a cui non manca che il plinto,
alta 0-60 (V iscrizione 0-45), larga 29, grossa 28 (nel
mezzo 0*18 larga e 018 grossa). Sulla superficie del fini-
mento la solita incavatura. L' iscrizione per entro ad ima
cornice marginale, le lettere alte 0016-0026, i caratteri
del II secolo dopo Cristo.
BELINO
AVG
SEX ' MVTlLIVS
ABASCANT
Belino Aug(usU>) S€x{tu$) MtUilius Aba$cant{us) v(otum) s(ohii).
Inedita.
La gens Mutilia è menzionata in Aquileja C V. 1312,
11 cognome Abascantus è greco 'à^ìoxovtoc.
69) Ara di pietra calcare ricomposta da due frammenti, alta
0*69, larga 0*32, grossa 0*29 (nel mezzo larga 0*22, grossa
0.22) e munita di plinto e di finimento alquanto logoro.
Le lettere alte 0'03-0"045, i caratteri del II secolo dopo
Cristo.
345
L • PAlOlJvS
LLSEVERVS
Iml-VIB
AQVILEIA^
L(ucius) PcUronius L(uci) l(ibertus) Severm sexvir Aprileiae.
Dacché riscrizione non fa menzione della dedica-
zione alla divinità, il voto sarà stato espresso mediante
il simulacro, dedicato probabilmente come quasi tutte le
are votive scoperte nella stessa ubicazione, al Dio Bdeno.
Inedita.
70) Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare, alta
0.44, larga; 0296, grossa 022. Del finimento superiore
esistono ancora le tracce del lato sinistro, mentre la parte
destra e quella anteriore sono logore. L' iscrizione per
entro ad una cornice marginale; le lettere alte 0*02-0*035,
i caratteri del secolo II dopo Cristo.
BELINO
Q-PRESTIVS
VERECVN)V8
V-S-L-M
Belino Q{uintu8) Prestius Verecundus v(otuin) sfolvit) l(ibens)
m(erUo).
Inedita,
71) Ara votiva di pietra calcare, ricostruita da tre frammenti,
alta 0*8 i, larga 0*31, grossa 0*20 (nel mezzo grossa 0*17,
larga 0*23) e fornita del relativo plinto e finimento con
acroterio a palmette liscie, e con un' incavatura regolare
alla superficie qual sostegno di qualche dono votivo. Le
lettere alte 0026-0-030, i caratteri del secolo II dopo
Cristo.
BELINO -AVG
PVBLICIVS
BGMANIENSIS
V S L Jt
346
Bdino Aug(u8to), PMieim Placidm neg(ot̀Uor) Bomaniensis
v(otum) 8(olvit) l(ibeH8) m(€rito).
n nome gentilìzio I^lieius derivato da Papulicius è
proprio de' servi ptMici (Cfr. C.V. 6330) ; riguardo ai ne-
gatiatores pnossi riscontrare l'indice déìV Exempla inscrip-
tionum del Wilmanas^ e riguardo all'epiteto Bomaniensk
corrispondente al Ramanus^ i lessici (p. e. Georges, 7.a
ed., p. 21B1) e C. m, 3215, 14.
Inedita.
72) Piccola ara votiva di pietra calcare, alta 0*28, larga 18;
grossa 0*18 (nel mezza larga 0*13, grossa 013), munita del
relativo plinto e finimento colla solita incavatura sulla
superficie. Le lettere alte 0*02-0025, i carattere del II
secolo dopo Cristo.
Ttvdisivs
t-l-fvscvs
B*V*S*L*M
T(ihts) Tudisim T(Ui) l(ibertus) Fuscus B(deno) t((^m)
B(6lvU) l(ibens) mferito).
n nome gentile Tudisius o Tudicius riscontrasi p. e.
C. V. 2712, 2615 ecc.
Inedita.
73) Parte inferiore di un'ara votiva di pietra calcare, alta
0*44, larga, 0*37, grossa 0*33 (nel mezzo larga 0*26, grossa
0*26). Le lettere alte OOlB-0026, i caratteri del secolo II
dopo Cristo.
AÌÌVÌLiÌ1ìJ'JSaV._
VERIIVN
VERAE-ET
SEVERIAN-FIL-EIVS
6, ENCOLPVS
LIB
AquHeie(nsis) Veriiun(iori8}, Veraeet Severianaefiil(iarum)
eius Encólpt4s libertm.
347
Il principio dell' iscrizione avrà probabilmente men-
zionata la dedicazione al Dio Bdeno^ fatta dal liberto
Enoolpo prò salute delle persone a lui care. Biguardo al
cognome Eneolpo cfr. 0. V. 8a7, 832, 833.
Inedita.
74) Ara votiva di pietra calcare, ricomposta da due fram-
menti, con finimento molto logoro e colla solita incavatura,
ma senza il plinto inferiore, alta 0*63, larga 0*34, grossa
0''26 (nel mezzo larga 0*27, grossa 0186). Le lettere sono
alte 0066; i caratteri del I secolo d. Cr. trovansi scolpiti
tanto dalla parte anteriore che posteriore dell'ara (opi-
stografa). Edita in parte xaòWArch, epigr. MiUh, pag. 206.
«• b.
L-PIN>'///// V///
"l-lsopil^s~ vatelvdini
B • D
a.
L(uciu8) Pin(ni)u(8) L(uci) l(ibertfé8) 8op(h)Uus, B{eleno) dot,
b.
Valetudine
Il vateìudini dell'iscrizione originale non ò che un
errore del lapicida.
La bona valetudo e la bona mens valevano appo i
Bomani, quanto da noi la mente sana in corpo sano. Alla
bona mms si contrapponeva la mala mem^ la mens laeva e
Vamentia. E la bona mens oltre ad essere una virtù indi-
viduale, generalizzata quale mens publicaj era il simbolo
di quel buon tatto politico, capace di guidar per bene
le sorti delle genti. Perciò ne' tempi delle maggiori av-
versità i Bomani invocavano a loro tutela la Mene; cosi
dopo la disastrosa sconfitta al lago Trasimeno nella se-
conda guerra Punica, per ordine dei libri Sibillini venne
eretto sul Campidoglio un tempio alla Mene (nell'anno
217 a. Gr., cfr. Preller, B5m. Uytìi. Uj p. 628 e Bosoher
Lexicon ad v. Mene.)
348
Un consimile voto fece M. Emilio Scanro all'epoca
del terrore de' Cimbri e Tentoni, e con fine discernimento
politico Augusto cercò di coltivare il cnlto della Bona menSj
qual simbolo della lealtà verso la nuova dinastia, chiamata
a ristabilire l'ordine nell'orbe Bomano. Una brutta pa-
rodia del culto della bona mens de' Bomani fu il culto
officioso della • Ragione „ introdotto all' epoca della rivo-
luzione francese a Parigi li 19 novembre 1793.
Anche Aquileia Eomana ebbe un'ara votiva alla
Bona mene, dedicata forse ai tempi d'Augusto, al quale
questa metropoli della Venezia doveva uno specisJe svi-
luppo mercè l' incremento del suo pomerio ed il caraUere
di residenza imperiale.
76) Parte superiore d'un' ara votiva di pietra csdcare, sco-
perta insieme alle precedenti, con finimento, alta 0*23,
larga 0*36, grossa 0-32 (nel mezzo larga 0*21, grossa Ol9)
e con un' incavatura con entro altri due buchi alla su-
perfice.
La facciata coli* iscrizione e suddivisa in due scom-
partimenti, le lettere sono alte 0*035, i caratteri dell'epoca
d* Augusto.
BONAI
Bonai menti.
Bonai, forma arcaica invece di bonae.
Edita ed illustrata nelle Arch, ej)igr. Mith, p. 205 seg. Hx 1.
é49
?6) Insienie all'iscrizione dedicata alla Bona mem fa scoperto
il seguente frammento d'un' ara votiva di pietra calcare,
fornita di apposito finimento con una piccola incavatura
quadrata aUa superfice. La medesima è alta 0*28, larga
0-29, grossa 0*23 (nel mezzo larga 023, grossa 0*17). Le
lettere, alte 0*03, sebbene non cosi nitide quanto queUe
dell' ara precedente, potrebbero essere dell' epoca d'Augusto.
ATAMENTI
Atamenti
Tal parola è finora di color osctiro.
Edita ed illustrata nelle Arch. epigr. Miith. p. 206 seg. n. 2.
77) Frammento di un' ara votiva di pietra calcare, sJta 0*29,
larga 022, grossa 0'146; i cui lati convergono a forma
piramidale. Le lettere sono alte 0*025, i caratteri del ni
secolo d. Cr.
BELD D
....Bel(eno) d(ono) d(at).
Inedita.
78). Parte superiore di un' ara votiva di pietra calcare, alta 0*30,
larga 25, grossa 0*23 (nel mezzo larga 0*18, grossa 0*16),
la cui superficie è formata a foggia di plinto di colonna;
munito di una grande incavatura e buchi quale sostegno
di qualche simulacro. La facciata [anteriore e quelle la-
terali sono formate a specchietto, le lettere sono sJte 0*(®,
i caratteri del III secolo d. Cr.
à6ò
BELINO
V ' 8^
Belino v(atum) 9(fiMt).
Inedita.
79) Parte superiore di un'ara votiva di marmo, alta 036,
larga 0*39, grossa 0*27, sulla cui superfice veggonsi le
tracce d'un' incavatura ed! alla parte destra d'un buco.
Dell'iscrizione originale non sono conservate che due
lettere, alte O03.
SO
[Bdejno.
Inedita.
80) Parte inferiore d'un' ara votiva di pietra calcare, alta 0-41
larga 0*30^ grossa 0*25 (nel mezzo larga 0*20, grosaa 0-18).
La facciata e le parti laterali lavorate a specchietto. Le
lettere sono alte quasi 003, i caratteri irregolari della
fine del DI secolo d. Cr.
V • L • P-
v{otum) Uibene) p{p$uU).
Inedita.
Prima di porre fine a questa ricca serie d'iscrizioni
dedicate a Bdeno, al Nume principale d' Aquileia Romana
e procedere nella pubblicazione delle altre iscrizioni aqni-
leiesi, siami concesso d' osservare, che Y ara votiva da me
accennata neW Areheografo^'KK, p. 188^ n. 35, conservasi
tuttora a Venezia nel palazzo fu Qrimani a S.ta Maria
Formosa. La medesima è di marmo, alta 0*88, larga 475,
grossa 021, in alcune parti alquanto rappezzata, ed anche
essa mostra sulla superfice la solita incavatura. Dalla
collazione fatta da me nel novembre 1895 sull'originale
non risultò veruna discrepanza dal testo publicato dal
chiarissimo prof. Mommsen nel C. V. 749.
Aquileia, nel marzo 1897.
fC(mtinua.j Prof. E. Maioaica.
^^^^^^S^^S^ì^j^^^?^^^^^^^?3^^^S^^^^S^^iS^Ì^
Altre costruzioni romane scoperte nella villa di
Barcola dal novembre 1890 al ma^io 1891
(con rma pianta)
Il nostro giudìzio sul!' importanza di Barcola al tempo
dei romani venne pienamente confermato dalle scoperte suc-
cessive, che qui prendiamo a riferire.
Già nel 1888, praticaadosi lo sterro per introdurre l' acqua
delle fonti d'Aurisina nel nuovo edificio scolastico, nella via
che fiancheggia l'orto del curato, furono osservati alcuni ve-
stigi di antica muratura e raccolti vari quadrelli di marmo
finissimo, che senza dubbio provenivano da qualche pavimento
musivo. Due anni dopo, quando l'esplorazione della grande
villa, che chiameremo della «tatua, era già stata ultimata, nel
fondo n. cat. 515/6, per opera dell'egregio barone Giuseppe
de Sartorio, appassionato fautore delle ricerche archeologiche,
vennero messe alla luce le rovine di un' altra costruzione del-
l' epoca romana. Il chiarissimo ingegnere doti. Eugenio Gai-
ringer a proprie spese e con importi largiti dai signori Adolfo
Gentilli, dott. Federigo Perugia e dal medesimo barone de
Sartorio, prosegui allora lo scavo ed avutone favorevole risul-
tato, lo estese tanto in quello, quanto nei fondi vicini, dopoché
i proprietari signori aw. dott. Gioachino Coen e cav. Domenico
Idone gentilmente vi ebbero accordato il loro permesso.
Questi fondi sono situati lungo la strada di Miramare e
formano la continuaziane dell' area sulla quale sorgeva la prima
villa romana. ^
^) Devesi avvertire che i fondi dei signori aw. Cf. Coen e cav. D.
Idone sono ora proprietà del signor Alessandro Cesare, il quale vi eresse
un grande edificio ad oso di Hotel. H fondo che fa già del signor An-
tonio Pogorelc è ora occupato da un edificio appartenente al signor
Vittorio Sinigaglia.
a»
Nei mesi di novembre e dicembre del 1890 fa esaminata
nna superficie di quasi 800 metri quadrati. Affine di rilevare
l' ossatura degli edifici che si stavano scoprendo e formarsi un
concetto della loro natura, si segui la linea dei muri, dapprima
lunghesso la strada maestra per un tratto di 35 metri, quindi
alla volta del monte per 22 metri» Si riconobbe allora essere
queste le rovÌ2te di un edificio forse ancor più importante di
quello anteriormente scavato, per certo costruito con maggiore
solidità, il quale protendevasi in direzione di tramontana verso
la chiesa del villaggio e doveva abbracciare uno spazio rile-
vaaste aaeh» in larghezza.
'L'indagare; lo scoprire, il conservare e T illustrare ^
avanzi delle antichità, , dice Domenico de Rossetti, "comunque
a molti possa parere opera di niun pregio ed a non pochi
perfino frivola inezia; fu ella e sarà mai sempre per opinione
de' saggia opera ben anzi e doverosa e utile per ogni popolo
e tempo e luogo, ove la civiltà e la dottrina abbiano gettato
le prime fondamenta del beato loro reggimento. , E tale fìi
r opinione dell'inclito Consiglio municipale, allorquando nella
seduta delli 30 dicembre 1890 riconoscendo proficua l'esplora-
zione cominciata e favorita a tutto vantaggio della patria
storia dalle benenerite persone che abbiamo nominate, decretò
che la si continuasse- a spese del Comune e mise a disposizione
del civico museo di antichità la somma di fior. 600, alla quale
nel mese di aprile dell'anno seguente furono aggiunti altri
fior. 600 e propriamente fior. 100 assegnati dall'inclita Dele-
gazione nella seduta del giorno 7 e fior. 400 votati dall' inclito
Consiglio la sera del giorno 16. Con questi importi 'si sosten-
nero tutte le spese per lo sterro e quelle necessarie per rein^
terrare le parti scoperte non appena fossero eseguiti i rilievi,
essendo stato cosi convenuto coi proprietari dei fondi.
Le ricerche vennero riprese alli 8 di febbraio del 1891 e
con tutta alacrità e senza interruzione proseguite sino al giorno
9 del mese di maggio. L'ingegnere dott. Gairinger, verso del
quale noi ci sentiamo legati da particolare dovere di ricono-
scenza, ne prese gentilmente la direzione, prepose ai lavori
un abile ed intelligente capodarte ed infine provvide a tutti i
rilievi plani ed altimetrici, sulla base dei quali fu eseguita per
363
Operài sua la pianta generale, che in sóala ridotta e riportata
nella tavola unita alla nostra relazione. I signori cav. Giuseppe
Hainisch ed Antonio Pogorelc con pronta condiscendenza ci
offersero la possibilità d' inoltrarci collo scavo anche nei terreni
di loro proprietà, siti più vicino alla chiesa e a fianco della
via vicinale già menzionata. A questi come a tutti gli altri
rinnoviamo ora i nostri più vivi ringraziamenti.
Abbiamo pertanto potuto estendere le nostre ricerche su
di un'area di ben 3,000 metri quadrati, posta tra la strada di
Miramare e quella che giace dinanzi al nuovo edificio scola-
stico, tra i fondi che già furono del cav. Filippo Artelli e la
suddetta via vicinale. In alcune parti le rovine furono rag-
giunte ad una fondezza di un solo metro ; nelle altre convenne
scendere sino a tre, principalmente in quella anteriore, nella
quale l'opera dello sterro era divenuta quanto mai difficile
causa una massa di sassi e ghiaia, che ui^a volta il mare aveva
colà trasportato. Ma ovunque esse furono trovate nello stato
di distruzione quasi completa. Pochi muri soltanto conservavano
ancora un* altezza maggiore di mezzo metro ; i più erano diruti
quasi al paro del suolo e di alcuni vedevansi appena le tracce
delle fondazioni, attalché in parecchie camere non si poterono
riscontrare nemmeno i passaggi da un vano all'altro. I pavi-
menti musivi erano pure scomparsi, ad eccezione di due soglie
e di alcuni piccolissimi frammenti in prossimità alle pareti, e
solo dalla straordinaria quantità di pietruzze rimaste in vari
ambienti si comprese che il lastrico di questi era stato altra
volta di cotal genere. Ne tampoco più fortunati fummo colla
scoperta di altri oggetti. Se ne rinvennero pochissimi e di scarso
valore. Tra i medesimi sono parecchie monete enee, una lancia
di ferro, rimasugli di piombo e molti frantumi di stoviglie co-
muni e di lucerne fittili. Mancavano quasi interamente gli avanzi
di fregi architettonici; all'incontro si raccolsero innumerevoli
pezzi di marmo di differenti colori e di qualità finissima, e vari
residui del musaico vitreo che aveva addobbato due nicchie.
Parlando dei primi ritrovi di antichità in Barcola, abbiamo
osservato che le incursioni dei barbari, le quali provocarono
la caduta dell'impero romano e per molto tempo continuarono
a funestare l'Italia, costrinsero gli abitanti ad abbandonare
à64
qneste deliziose dimore. Saccheggiate e rovinate, esse séfvirònd
allora e per lungo tempo di ricovero ai nomadi, che ne con-
tinuarono il guasto ; diventarono poscia una ricca miniera di
pietra da fabbrica e da calce, fino a tanto che il terrìccio tras-
portatovi dalle acque sottrasse alla vista ciò che ancora ne
rimaneva. Ma non ne cancellò la memoria, la quale conservatasi
per tradizione presso i villani, fece si che anche in tempi meno
lontani si continuasse a demolirle, e quando finalmente sia per
il succedersi delle generazioni, sia per la venuta di nuove
genti, ella fu assopita, non si arrestò la consuetudine del frugare ;
imperocché, come ci narrarono alcuni vecchi, sapevasi di tro-
vare, scavando li sotto, la pietra bella e pronta ogni qualvolta
se ne avesse di bisogno per costruire.^) Non è adunque da
meravigliarsi se ad onta delle più pazienti ricerche, né fra
questi ruderi, né fra quegli esplorati negli anni precedenti,
non siamo riusciti a rinvenire alcun monumento scrittO; che
ci desse contezza dei personaggi che nell'antichità avevano
fatto della deliziosa YaUicula il loro soggiorno prediletto.
Benché i risultati di questo scavo non abbiano piena-
mente corrisposto all'aspettazione, e scarse sieno le notizie
che potemmo ricavare dall'esame delle rovine dissotterrate,
pure non mancano prove concludenti della qualità degli edifici
che una volta qui sorgevano, e chiaro apparisce che alcuni
di essi, come distinguevansi dalla vUla della statua per costru-
zione più perfetta e più solida, cosi non meno la superavano
nella ricchezza e nella magnificenza delle decorazioni.
Nella pianta furono segnate col colore azzurro tutte le
località che avevano avuto un pavimento musivo, col giallo
quelle che lo avevano avuto adomo di piani di marmo, pam-
mentum secHle, o consistente di terrazzo o di solo coccio pesto
refrattario all' umidità, e senza alcun colore sono quelle o che
non frirono mai lastricate o che non ne conservavano più traccia.
Uno stretto vicolo a' divide il complesso degli edifici in
due gruppi principali. L' anteriore conteneva un bagno costruito
^) y. riguardo a questo sistema generale di distruggere gli avanxi
dell'antichità quanto scrive £. aus'm Weerth, Dae Bad der rihnis^un
Villa bei AUenz, Bonn 186L
d66
àul modello di mi Vero é proprio stabilimento termale, il quale,
oltre ohe dal proprietario, veniva forse frequentato anche dagli
abitanti delle ville vicine. E ciò è naturale; imperocché lungi
dalle cure dei pubblici negozi e dalle private occupazioni
maggiore era P incitamento ai piaceri e con esso il desiderio
dei lieti convegni. I bagni nella vita dei romani tenevano un
posto di gran lunga più importante che non ai giorni nostri,
n bisogno di lavare spesso tutto il corpo, richiesto dalle abi-
tudini quotidiane, era trasmodato in vera passione ai tempi
degl'imperatori; onde abbiamo notizia che taluni solevano ba-
gnarsi dalle sette alle otto volte al giorno ; chò le effeminate
generazioni di allora^ come osserva Columella, nell^uso in-
cessante dell'acqua calda e nella frequenza dei sudatori cer-
cavano lo stimolo al mangiare ed al bere, all' opposto degli
avi, che col lavoro dei campi e con altri strapazzi del corpo
solevano promuovere l'appetito e la sete. In seguito ai mutati
costumi ed alle maggiori esigenze della moda il balneoìum
angustum^ tenebricasum ex cansueiudine antiqua, che, come Seneca
ci ricorda, era stato abbastanza per la villa d'uno Scipione
Africano, venne sostituito da amplio e belle camere con pavi-
menti sospesi e pareti vacue, ed in luogo dei bagni pubblici,
che lo stesso filosofo designa per obscura et gregali teetorio in-
duda, sorsero edifici imponenti e per vastità e per magnificenza,
dei quali quelli di Boma, che da Ammiano Marcellino fu-*
rono detti in modum provinciarum extructa ìavacra, nelle stesse
loro rovine destano la più grande meraviglia. In tutti i paesi
che fecero parte dell'impero romano, si trovano rovine di edifici
balneari, cosi nelle grandi che nelle piccole città e persino
nelle campagne, ove poche case avevano costituito un centro
abitato. E gli appartamenti destinati per i bagni non mancano
quasi mai nelle ville, e vi sono spesso fomiti di tali comodità
e foggiati con tanto lusso da imitare le terme cittadine. Di
essi non tutti servivano solo per la famiglia e per i suoi ospiti ;
ma parecchi erano resi accessibili anche agli estranei verso
pagamento di ima tassa ed appartenevano alla classe dei cosi
detti balnea merHoriu. Le persone agiate pur potendo curare
la pulizia e l'igiene del corpo entro le pareti domestiche, ac-
correvano non meno volentieri alle terme pubbliche o a quelle
à66
private aperte al pubblico^ essendo si le une cHe le altre luogo
prediletto di ritrovo, ove agli avventori era offerta l'occasione
di passare il tempo conversando cogli amici, di assistere e
partecipare o a trattenimenti musicali e poetici o a giuochi ed
esercizi ginnici e di appagare i sensi con distrazioni e spassi
d'altro genere.
Le piccole terme di Barcola, sebbene non possano gareg-
giare coi bagni delle suntuose ville suburbane di Koma e di
altri paesi, pure erano costruite come lo esigeva l'ambizione
di persone appartenenti alla classe signorile ed in maniera da
ritrarre profitto delle particolari condizioni del luogo. Prospet-
tavano colla lor fronte principale il mare e giacendo in imme-
diata vicinanza al medesimo, univano i bagni di acqua dolce
con quelli di acqua marina/) per modo che chi usava dei se-
condi poteva prenderli caldi in stanza chiusa; ovvero tuffarsi
nelle onde a cielo scoperto. A tale effetto la spiaggia non doveva
essere qui munita di sponda murata, la quale se fosse una volta
esistita, ne avremmo per certo scorto qualche indizio; mentre
invece il materiale di sterro lungo questo lato e per un buon
metro sopra le fondazioni della fabbrica componevasi esclusi-
vamente di sassi, arena ed altri detriti propri del lido di mare.
E qui dobbiamo avvertire che per lo appunto dalla violenza
del mare furono distrutte alcune località di questo edificio, e
che solo molto tempo dopo, quando le loro tracce erano ormai
quasi del tutto scomparse, la terra discesa per la china del
montC; arrestandone la devastazione, converti anche questo
spazio in fertile campagna ed elevò la superficie di oltre tre
metri sopra V antico livello.
Nell'ordine che fu seguito dallo scavo, prima si presenta
la camera a, che era pavimentata a musaico. Essa aveva due
porte praticate nelle pareti maggiori, una di fronte all'altra,
') Che le terme servissero anche per i bagni con acqua dì mare
emerge dalla seguente iscrizione scoperta a Pompei nel 1749 dinanzi ]a
porta d'Ercolano: Thennae M, Crassi Frugi aqua marina et baltiea aqua
duld, Januariua libertus. Cfr. Overbeck-Mau, Pampefi] e Niccolini,
Le case ed i monumenti di Pampeif voi. I.
357
delle quali restano ancora le soglie, che son fatte di signino e
conservano i tasselli di pietra coi fori per i cardini dell'im-
posta e per i paletti che la tenevano serrata. Addossati a
questa camera sono lo stanzino & e la fauce e, quello senza
:alcun lastricato, questa con pavimento fatto di pietruzze nere
e seminato di pezzi di marmo d' altro colore, rozzamente tagliati
e disposti ad intervalli capricciosi. Le località che succedono,
indicate colle lettere d ad n, spettano all'appartamento bal-
neare, al quale erano annesse ancora delle altre, il cui ufficio,
Atante la pessima conservazione, riesce ora malagevole di pre-
cisare. Dalla fauce non si accedeva se non al solo preformo;
laddove l'ingresso nel bagno avveniva dall'atrio o.
L' ubicazione dell' edificio s' accorda colle regole di
Yitruvio,^) essendo il luogo e per la naturale sua posizione
e per le fabbriche che gli stanno appresso, riparato dal set-
tentrione e dall'aquilone. E conforme ai dettami di questo
scrittore ne sono distribuite le parti: poste ad oriente quelle
dei bagni freddi, ad occidente invece le stanze dei caldi e
tiepidi ; che essendo il tempo di lavarsi assegnato dal mezzodì
alla sera, interessava che queste fossero esposte al sole^ affin-
chè non vi difettasse la luce, nò la temperatura di fupri ren-
desse meno efficace o rallentasse il riscaldamento al di dentro.
La camera n era adibita per spogliatoio, apodt/teriufn^ e
formava un solo compreso col frigidarium^ cella frigidaria, del
quale è rimasta scavata nel terreno la piscina pel bagno freddo^
che gli antichi chiamavano anche baptisterium^ e se era molto
vasta naiatio. La nostra è lunga metri 77t) larga 47, e fonda VJ^y
onde poteva contenere almeno dieci persone per volta. Tutto
in giro presso alle pareti una risega costituiva il sostegno di
una banchina da sedere, e tre gradini addossati ad uno dei
lati minori servivano per discendere nella piscina; si quella
che questi erano rivestiti di lastre di marmo bianco, come lo era il
fondo e come pare lo fosse tutta la camera, se argomentiamo
dai frammenti che in gran copia vi furono raccolti. H podio
che scorgesi costruito in muratura rasente al muro nel mezzo
*) De arehitectura^ edizione di C. Lorentzen, GotikA 1857, Lib, V,
Caput. ZI.
368
dell' altro lato minore, è l'avanzo del piedistallo che sopportava
una figura d'uomo o d'animale, ovvero una maschera, dalla
quale V acqua sgorgava nel bacino. Il vano praticato nel muro
opposto all'ingresso apparteneva ad una spaziosa finestra, che
dava sul vicolo a* e rischiarava il irigidario. La stabilitura dei
muri di questo ambiente consiste di matton pesto combinato
con calce, e lo zoccolo è colorito di rosso.
Coloro che usavano dei bagni caldi e del sudatorio non
potevano spogliarsi e vestirsi in una sala fredda e poco ripa-
rata, quale Y apodyterium, che da noi era unito col frigidario.
A questi occorreva una stanza tepida, in cui evitando il re-
pentino e pericoloso passaggio dall'una all'altra temperatura,
il corpo venisse disposto alla più calda impressione delle stale
e delle lavande calde e viceversa nel sortire dalle medesime
non avesse a provare subitamente il contatto dell' atmosfera
più fredda.^) Tale località dal modico riscaldamento solevasi
appellare tepidarium e, come insegna Yitruvio, doveva essere
congiunta e col ìaeaniemn e colle sudalianes. Era quella stanza
che Plinio il giovane chiama cMa media tra il frigidario
ed il caldario, e nella quale Celso raccomandava siA veste
primum paidlum in$udare^ ibi ungi, tum transire in oalidarttim.')
In alcune terme il tepidario conteneva pure una tinozza con
acqua tepida; generalmente però oltre che da spogliatoio e da
sala d' aspetto per la traspirazione, veniva usato come unduo-
rium per ungere il corpo e come destrietarium '} per raschiarlo
ed astergerlo, e per altre operazioni allora necessarie alla cura
della persona, che Lucilio^) enumera colle parole: scàbar,
suppUoTy desquamar^ pumicor^ ornar ^ expihr^ pingor, e per le quali
nei grandi stabilimenti balneari di Boma erano assegnate varie
località.
1) BechiGuglielmo: relazioni intomo ai bagni scoperti a Pompei
nel II voi. del R. Museo Borbonico, pag. 12-28 e seg. ^
Michaelis Ad. Die neuen Bàder in Pompefi, neU^Archeólc^che Zei-
iung del Gerhard, a. 1869, pag. 89.
*) Becker-Bein: OMus^ voi. HI, pag. 94.
*) MichaeliSi 1. e, pag. 41
*) Beuker-Bein, 1. e, pag. 86.
J
369
Il tq^idarium del nostro bagno era collocato nella camera/,
quadrata, di oltre m. G'/j per lato. Aveva il pavimento sospeso
ed il piano del sotterraneo dolcemente inclinato verso uno dei
lati, ove per un taglio praticato nel muro dal vicino caldano
penetrava l'aria calda, che espandendosi nel vespaio e per le
pareti vacue effettuava il riscaldamento di tutto T ambiente.
Dei pilastrelli che avevano sorretto il pavimento esistevano
pressoché intatti alcuni di quegli aderenti ai muri. Ma in maggior
numero se ne rinvennero nel caldano e. Si gli uni che gli altri
presentano un lato maggiore di 42-44 cm. ed uno minore di
21-22 cm. Sono costruiti di mattoni quadri aventi intomo a
cm. 21 di latO; e la spessezza di circa 7 cm. L'altezza dei pi-
lastrelli varia secondo la loro postura da 50 a 60 cm. Nel co-
struirli furono seguite le dottrine di Yitruvio, il quale insegna:
latercidis bessàlibus pilae strtMntur ita dispositae^ tUi hipedales
tegtdae passini supra esse collocatae, e subito dopo aggiunge :
aUitudinem autem pilae habeatU pedes duo.
Dei quadroni di terracotta, che quale base del pavimento
erano una volta collocati sopra i pilastrini, non abbiamo potuto
osservare se non alcuni frammenti; ma corrispondendo essi a
quelli trovati intieri nella villa della statua, risulta che erano
larghi cm. 60 in quadro e grossi mm. 66. All'incontro la su-
perficie del pavimento in ambe le località, anzi che di musaico,
era adoma di marmo screziato nero, bianco é bigio, tagliato
a quadrelli di varie dimensioni, pavimentum sedUe, e soprapposto
Brd uno strato di calcestruzzo di 80 mm. H suolo dei sotterranei
è fatto di cemento battuto con calce e coccio pesto, e quello
del caldano pende verso la fornace, quasi per dieci centimetri
di differenza dall'uno all'altro lato, essendo cioè come lo vuole
Yitruvio inelinatum ad hypocausimy uti pila cum mUtatur^ non
possit iniro resistere^ sed rurstis redeat ad praefurnium ipsa per
sej ita fiamma facilius pervagàbitur sub suspensione.
Il caldariumy e, è pure di forma quadrata^ ma alquanto
più grande del tepidario, e comprende la nicchia m, entro cui
trovavasi il labrum, vasca schiacciata simile ad una coppa, ri-
posante su d'un piede, la quale serviva per le abluzioni che
solevansi fare coir acqua fredda dopo di aver sudato. È pro-
babile ohe al lato opposto, in prossimità all' Ayi^ocatisis, vi fosse
360
il bacino per le lavande calde, alveus, calida piscina. Quattro
poderosi pilastri di fabbrica^ dei quali si scorgono i residui
nei quattro angoli, sopportavano il tetto fatto a vòlta e munito
di pertugi destinati a dare luce ed a regolare la temperatura;
laddove un' altra finestra nella callotta dell' abside avrà illumi-
nato lo spazio riservato al làbrum, schola labriy nella stessa
maniera che ci è fatto di osservcure nelle terme di Pompei. Il
sito della finestra viene determinato da Yitruvio colle parole:
labt-um stih lutnine faeiendum videtur^ ne stantes eircum suis umbris
obscurent lueem. Le pareti tanto del caldano quanto del tepi-
dario erano vacue, cioò addoppiate, camerae duplices, mediante
tubi caloriferi di laterizio, -che Plinio in un luogo ci dice
inventati nel settimo secolo di Boma da Sergio Orata, in un
altro dal medico Asclepiade.
Di questi tubi o canne d'argilla si raccolsero moltissimi
rottami, coi quali ci fu possibile di ricoDcunettere qualche esem-
plare, da cui risulta eh' erano lunghi circa 30 cm. ed avevano
due lati maggiori presso a poco di 21 cm. e due minori di
12-13 cm. e smussati gli angoli si interni che esterni. Venivano
essi impostati l'uno sull'altro in modo da costituire delle alte
pile che, quasi canne d'un organo, si fissavano con una delle,
faccio maggiori al muro mediante grappe di ferro imitanti
nella forma la lettera T. Avendo i lati minori, che venivano a
stare di fianco, un' apertura quadrata nel mezzo, il canale di
ciascuna pila era messo in comunicazione coi canali delle pile
contigue; onde Taria calda che s'innalzava dal vespaio del-
l' hypocaustum poteva circolare ed espandersi per ogni dove.
Le commessure tra i tubi e tra le pile erano ermeticamente
turate con stuccO; e tutta la superficie cospersa d' intonaco, che
bene doveva aderire, essendo le faccio maggiori dei tubi calo-
riferi fomite di scanalature e di ombelici.
Secondo Vitruvio, come già abbiamo accennato, al te-
pidario vanno uniti il laconico ed il caldano: laeonieum suda-
tionesque sunt coniungendae tepidario. E veramente il nostro dava
passaggio al caldano già descritto e ad una piccola ceUa di
m, 4 X 3, A, la quale veniva riscaldata da proprio fornello
posto nello spazio g ed aveva il pavimento sospeso non su
pilastreUi, come le altre due camere, ma su grossi podi di
361
opera laterizia, quasi che rilevante dovesse essere il peso che
esso sopportava. E però nel primo momento abbiamo pensato
che questa cella fosse destinata ad accogliere la piscina del-
l' acqua calda, che comunemente nei bagni pubblici quanto nei
privati stava nel sudatorio e propriamente nella parte del me-
desimo che è opposta alla nicchia del làbrum. Ma dopo più
maturo esame ci parve che altro avesse potuto essere il suo
ufficio, come ora procureremo di rilevare, senza voler per tanto
escludere la prima ipotesi.
Le scoperte di Pompei rimovendo parecchie incertezze e
controversie; derivate dal modo diverso d'interpretare gli an-
tichi scrittori, costituiscono la fonte più autorevole per ricono-
scere il bagno romano nelle singole sue parti. Cosi da esse
abbiamo i dati necessari per determinare il laconicum^ la loca-
lità, intomo alla quale non si potevano accordare i giudizi dei
moderni. Da due passi di Vitruvio*) risulta ch'esso era fatto
A foggia di torricella terminante in emisferio, affinchè la forza
della fiamma e del vapore si espandesse egualmente dal suo
mezzo tutto intorno per le curvità. A tale effetto il laconico
doveva avere le pareti e la volta addoppiate, e la fornace co-
struita in guisa da produrre una rapida e forte calefazione. La
cella h del nostro bagno è di forma quadrata, ma ciò non toglie
che internamente, quando era rivestita di tubi caloriferi, sia
stata rotonda, od almeno abbia avuto gli angoli arrotondati.
Dalla sua hypocausis g^ si poteva facilmente conseguire la più
alta temperatura.
Se non che Vitruvio in un altro passo,') parlando del
sudatorio, concamerata sudatìo, o caldario, assegna ad una
estremità il bagno caldo e pone nella parte opposta il laconico,
identificandolo colla nicchia in cui stava il labrum. Se cosi
era, nel bagno che descriviamo, sarebbe in verità molto dif-
ficile di spiegare come la nicchia, che rappresenta un corpo
quasi staccato senza comunicazione coìT hypocaustum e senza
pareti vuote ed è la più lontana dalla fornace, abbia potuto
venire riscaldata maggiormente delle altri parti della stanza.
«) Lib. V, caput XI, 5 e Ub. VII, caput X.
») Lib. V, caput. Xn, 1.
362
La parola ìaconicutn^) era éconosciuta agli antichi greci.
Furono gli scrittori romani che negli ultimi tempi della re-
pubblica cominciarono ad adoperarla per dinotare un genere di
bagno dalla Grecia recato in Italia, ove solevasi cosi appellare,
forse perchè era stato inventato dagli spartani o perchè presso
di loro era specialmente in uso. Sinonimo di laconieum divenne
più tardi thólus, voce greca che indica un edifìcio rotondo sor-
montato da cupola. E veramente in Atene i bagni erano per
lo più di forma circolare, aventi nel mezzo della vòlta un^aper-
tura che veniva chiusa mediante un ombelico di bronzo. E col
nome di Thólos^ oltre che con quello più generico di pyricUerion,
già prima delle terme romane distinguevasi dai greci quella
località dei loro ginnasi e delle loro palestre, che fortemente
riscaldata serviva a promuovere la traspirazione ed il sudore.')
È fuor di dubbio che il laconieum delle terme romane
era la parte, nella quale la temperatura veniva eleVata al
massimo grado che dall' uomo si possa sopportare. Laonde
consisteva di una stufa, come il sudatorium; ma la sua strat-
tura ne era diversa, essendo fatta in modo da corrispondere ad
una stufa secca, assa sudcUio, nella quale si cercava soltanto di
sudare, e propriamente come dicevano gli antichi ad flammam^
ad ignem sudare; ma che poteva eventualmente oflErire anche
un bagno a vapore, se sul pavimento torrefatto, fervens pavi-
mentum^ si fosse versata dell'acqua fredda.') Non sempre il
laconieum costituiva un ambiente da sé a sé. In molti stabili-
menti balneari esso formava un solo compreso col caldano,
come nelle piccole terme e in quelle dette Stabiane a Pompei,^)
') Daremberg et Saglio: Dictìonnaire dea antiquités grétcqties et
romaines, voi. I, pag. 650 e seg.
«) Becker-G6ll: ChankUs, III, pag. 105. — Marquardt: Hand-
buch der rómischen Privat-Alterthumer, voi. II, pag. 293 e seg.
') Daremberg et S aglio: op. cit, pag. 657 e seg.
*) In unMscrizione che fa rinvenuta nelle terme stabiane, come
parti delle stesse, vengono mentovati il laconieum ed il destrictarium. Esa-
minando le singole località, non se ne trova alcuna che presenti i re-
quisiti d'un laconico; ma si bene si comprende che questo nome si
riferisce al caldario; laddove col secondo viene indicato il tepidario.
Cfr. Overbeck-Mau op. cit, al capitolo: Die gi-dsaerén Thet-men,
ì
363
non cosi nelle terme centrali della stessa città, ove lo vediamo
separato da questo, avendo l'ingresso dal tepidario, conforme
prescrive Vitruvio, ed essendo fabbricato in guisa che al
di fuori è perfettamente quadrato, mentre di dentro al posto
degli angoli figurano quattro nicchie rotonde e le pareti sono
leggermente incavate. Esso era coperto da una bassa cupola,
che essendo in parte crollata più non conserva il pertugio,
dal quale all'occorrenza lasciavasi sfogare il troppo calore.
Sotto al pavimento havvi il vespaio delle sospensure e tanto
le pareti quanto la vòlta sono doppie, affinchè la circolazione
dell'aria calda potesse succedere ugualmente tutto in giro. H
laconico ed il caldano di queste terme vengono ad avere in-
sieme col tepidario la stessa disposizione, ohe nel piccolo bagno
di Barcola hanno le tre stanze da noi descritte ; laonde anche
il loro riscaldamento avveniva nella stessa maniera, vale a
dire da un solo preformo, mediante due condotti diversi. ')
Dalle scoperte fatte fino ad ora emerge che non tutti gli
stabilimenti termali avevano un proprio laconico e che questo
generalmente mancava nei minori, ove la concamerata sudatio^
cioè il caldario, ne faceva le veci. Più spesso invece lo si tro-
vava nelle case e nelle ville dei privati, i quali adattavano il
loro bagno alle proprie abitudini ed ai propri desideri, prefe-
rendoli alle norme che solevansi seguire per gli edifici pubblici
o per queUi destinati al pubblico uso. Da quanto fu esposto
si deduce che la cella h del nostro bagno potrebbe essere il
residuo d' un vero laconicum, il quale nell' intemo essendo tutto
rivestito di tubi caloriferi avrebbe avuto forma circolare od
almeno ovale. Devesi ancora osservare che il suolo del sot-
terraneo è inclinato verso l' hypocausis, la cui costruzione è
quale era necessaria per poter sviluppare una grande quantità
di calore e spingere il fuoco sino sotto il pavimento sospeso
della cella. La base ed i lati di essa erano fatti di grosse
lastre di lava ; laddove quelli del fornello che serviva a riscal-
dare il caldario, erano coperti di grandi pezzi di pietra tufacea.
>) La pianta di queste terme fu pubblicata da Overbeck^Mau
nel capitolo: Die CentrahThermen,
364
Si accendevano entrambi da un comune -preformo^ propnigeum^
sito nel chiuso d, ove è probabile che addossato alla parete
sinistra stesse il serbatoio dell' acqua fredda, il quale alimentava
la piscina del frigidario e forniva le caldaie del focolare, posto
sopra il canale della fornace del caldano. L' egregio prof. dott.
Carlo Moser, che ebbe la gentilezza di esaminare la lava ed il
tufo dei due fornelli, trovò la prima essere lava basaltica di
incerta provenienza con augite, sanidino e olivina, questa prin-
cipalmente bianca, ed il secondo tufo peperino dei monti Albani
racchiudente cristalli di mica nera (biotite), rubellana, augite,
leucite e nuclei di magnetite.
Dal vicolo a' si entra neir atrio tetrastilo o, il quale dava
passaggio alle località del bagno che ora abbiamo descritte.
Il pavimento dello spazio sottoposto alla tettoia consiste di
musaico bianco con liste e margini neri, V impluvio p è fornito
di sponde di pietra calcare, che agli angoli si combinano coi
plinti delle colonne, che in antico sorreggevano la copertura.
Un canale, che passa sotto la soglia dell'uscio, asportava l'ac-
qua fuori dal bacino dell' impluvio. Nel muro opposto all'in-
gresso vedesi praticata una nicchia rettangolare, profonda più
di mezzo metro, nella quale era forse collocato il lararium^
vale a dire il santuario domestico. La stabilitura delle pareti
è di malta comune, cospersa alla superfice di stucco finissimo,
confezionato con calce e polvere di marmo. Lo zoccolo è co-
lorito di rosso purpureo. La soglia del vano d' entrata conserva
ancora i piani di pietra colle cavità per la porta, la quale era
composta di due bande. La grande camera z, la quale per
certo era in comunicazione coli' atrio, presenta pur essa al
medesimo lato una nicchia, alquanto più piccola ma non meno
profonda dell' altra. Lo zoccolo delle pareti è qui di color
giallognolo, e del pavimento resta ancora il sostrato di cemento
infarcito di scaglie di pietra e di rottami di terracotta, sul
quale erano adagiate le lastre di marmo grigio, i cui pezzi
abbiamo rinvenuto sparpagliati qua e là. Fiancheggia questa
camera l'angusta fauce g^ la cui destinazione più non si riconosce.
La località più rimarchevole ò quella additata colla let-
tera tj la quale da tutte le altre differisce e per il modo ond'è
366
costruita e per le decorazioni che V adornavano. Ha forma di
un andito lungo oltre ventun metro, largo appena quattro, clie
ad ambo i capi comprende un'abside o nicchia circolare pro-
fonda circa due metri e mezzo. Si presenta come edificio a sé
con propri muri, solidissimi e per fattura e per grossezza, i
quali alla lor volta da ogni parte sono chiusi dai muri della
fabbrica vicina e da altri che con questi si collegano e girano
intomo alle due absidi. Il muro interno dal lato volto verso
il monte, grosso un metro e mezzo, è munito di cinque con-
trafforti distribuiti in modo da alternarsi cogli speroni che raf-
forzano il muro dell'altro edificio. Le intercapedini che ne
risultano, non sono né unite V una all' altra, né uniformi, più
larga quella al lato or ora mentovato, meno quella al lato
opposto, e tra queste e gì' interstizi nei muri delle absidi manca
ogni comunicazione. Considerevole doveva in vero essere 1' al-
tezza dell'ambiente, il quale aveva il tetto costruito a volta
a botte e le nicchie con volta semisferica. Però giova avvertire
che i muri nello stato in cui furono trovati, superano appena
di qualche palmo la linea del pavimento; laonde non si può
escludere che la considerevole grossezza della parte inferiore
derivi da una risega, che lungo le pareti maggiori avrebbe
costituito il podio per una banchina da sedere.
Il pavimento è quasi per intero scomparso, ma dal poco
che resta ancora, e dai rottami che vi sono dispersi rilevasi
che era composto di tavolette di marmo policromo, fra le quali
figurano stupende brecce di Numidia e Spagna, ed altre di
qualità molto apprezzata dagli antichi. Queste tavolette sono
di varia grandezza, quadrate e triangolari, ed erano state
distribuite in guisa da produrre una composizione di figure
geometriche, cui gli smaglianti colori del marmo donavano
vaghezza ed appariscenza. Di calcestruzzo molto tenace, con-
fezionato con coccio pesto e cemento, é il letto sul quale
erano applicati i marmi.
Le due edicole non erano decorate meno sfarzosamente.
Avevano lo zoccolo rivestito di quadrelli di marmo rosso, molto
diverso e per le gradazioni della tinta e per l'aspetto che vi
donavano le venature e le macchie. Il tratto superiore e la volta
erano invece incrostate di musaico vitreo, del quale si poterono
366
raccogliere parecchi pezzi attaccati con mastice molto tenace
sulle tavelle di terracotta, onde il musaico era stato fissato al
muro. Da questi frammenti si comprende che la superficie era
scompartita in piccoli riquadri, distìnti V uno dall' altro me-
diante assicciuole di vetro naturale combinate con filamenti
bianchi attorcigliati a mo' di spira. I riquadri, dal cui fondo
turchino con vivaci colori spiccavano alternandosi fiori, fogliami
ed altri rabeschi, erano distribuiti a zone, e tra una zona e
l'altra e tutto in giro nella nicchia e nel timpano v'avevano
comici composte di varie conchiglie, abbondando gli sconcigli
rappresentati dal murex trunculus e dal murex brandaris, che
sono i due molluschi dai quali gli antichi estraevano la porpora.
Le due nicchie erano foggiate alla stessa maniera delle edicole
delle fontane che si veggono a Pompei in parecchie case, e
per quanto fu osservato, riteniamo che anch'esse fossero de-
stinate allo stesso scopo, vale a dire a contenere uno o più
getti d' acqua.
È fuor di dubbio che alle nicchie ed al pavimento facevano
degno riscontro le ornamentazioni del soffitto e delle pareti ;
ma di tutto ciò non ci furono conservati se non alcuni fram-
menti dello zoccolo, che qua e là si mostrano coloriti di rosso,
e dai quali si riconosce che rintonaco era preparato con trit-
tumi di cotto e calce, come forse lo richiedeva la grande umi-
dità della sala.
Presso all'edicola sita a destra di chi guarda dal mare,
havvi nel pavimento una cavità circolare, simile a pozzo, del
diametro di quasi due metri e profonda un metro e trenta cen-
timetri, nella quale danno parecchi canali in opera laterizia
molto solida, coperti da vòlta a botte retta di pieno centro e
rivestiti di cemento, i quali poggiano sul medesimo piano fatto
di battuto, ma sono di differente capacità (vedi le sezioni C D
ed E F). Essendo il pavimente in buona parte crollato, non fu
possibile di seguire il corso di questi canali; non di meno è
certo eh' essi percorrevano il sotterraneo di tutto il compreso,
nel quale verisimilmente davanti all' altra nicchia v' aveva un
secondo pozzo. Come apparisce dalla sezione A B, i canaU
sottoposti alla parte principale della sala sono indipendenti
l'uno dall'altro; per lo contrario i due canali che [vengono a
367
giacere sotto 1^ edicola, comunicano tra loro mediante tre vani
di differente ampiezza praticati nel loro lato comune. Un ca-
nale congiunge il pozzo colla celletta r, la quale è inoltre
messa in relazione coir interstizio esistente tra i muri dell' abside.
£guali comunicazioni doveva avere pure la cella t?, posta al-
l' altra estremità dell* edificio, ove il muro principale conserva
ancora i vestigi del canale che Io attraversava.
Esaminate attentamente queste rovine e dedottane la
probabile configurazione dell' edificio, sorge spontanea la do-
manda a quale uso il medesimo sia stato assegnato. Per la
stessa sua struttura crediamo di dover negare che qui V avesse
un sudatorio o un bagno caldo d' altro genere, cui di certo
non si confacevano le ricche incrostazioni delle nicchie, che
non avrebbero potuto resistere ad una temperatura molto ele-
vata. I canali che percorrono il sotterraneo e che erroneamente
si vollero attribuire ad un hypocaustumj non sono fatti per in-
trodurre e diffondere nell' ambiente il calore, sì bene per tras-
portare l'acqua, che proveniente dagli zampilli delle fontane
cascava nelle piscine circolari situate appiedi delle edicole.
Arrogi pure che fra le macerie non si osservarono frammenti di
tubi caloriferi, come copiosamente ne abbiamo rinvenuti nelle
altre località, ne delle cosiddette tegulae mamatae^ che del
pari venivano adoperate per formare le pareti vacue delle
stufe. Air incontro non mancavano i rimasugli di piombo, de-
rivati dal sistema di tubi, per mezzo del quale i serbatoi, che
con molta apparenza di verità riteniamo collocati nelle celle
t; ed r e forse anche in g, alimentavano gli sbocchi artificiali
e spingevano l' acqua in altri punti dell' edificio ; laddove i
canali di scarico, già indicati, passando sotto il piano delle
prime due celle, la conducevano al mare.
Stimiamo pertanto che quivi fosse un nymphamm^ vale a
dire una di quelle camere, dagli antichi distinte con tale appel-
lativo, che spesso erano annesse alle terme ed ai palagi più sun-
tuosi ed offrivano piacevole ritrovo alle persone del bel mondo.
Epperò questo, acciocché più aggradevole riuscisse la magnifica
veduta che gli si parava dinanzi, doveva essere aperto nel
lato che fronteggia il mare, e costruito a modo di loggia avente
la copertura sorretta da pilastri o da colonne, cui davanti
d68
giaceva l'ambulacro n, anch'esso lastricato di marmo e para-
lello alla spiaggia, alla quale forse scendevasi mediante alcuni
gradini. Ma ammettendo d'altro canto che anche questa sala
costituisse una parte del bagno propriamente detto, devesi
convenire che la medesima non poteva essere adibita se non
quale frigidario; laonde considerata la sua postura, è pure
probabile che se ne servisse chi si bagnava nel mare aperto
per le lavande coli' acqua dolce, la quale cadeva dall'alto e
formava delle docce, sorta questa di bagno che era in uso
fino dagli antichi tempi della Grecia, come ne rendono testi-
monianza alcuni vasi figurati di stile arcaico. ^) Però analoga
potrebbe essere stata la destinazione della lunga sala s, divisa
dal corpo principale dell' edificio mediante lo spazio l, la quale
per la massima parte fa asportata dalle onde del mare, per
modo che più non rimane se non uno dei suoi muri principali e
porzione della nicchia che occupava una delle sue estremità.
Fiancheggia il lato postico delle terme il vicolo a\ che
le separa da un altro vasto edificio, le cui parti giacendo su
d'una superficie pendente verso marina; sono cosi distribuite
da donare all' insieme V aspetto di un teatro. E veramente in*
tomo all'area scoperta e', che ha la forma di amplio emiciclo,
misurando la sua maggior distanza ben 34 metri e la minore
14 metri, gira 1* ambulacro di un portico &', sul quale danno
parecchie camere, che si succedono lunghesso il suo muro di
fondo. Questo edificio serviva per abitazione, e come fu già
osservato, costituiva un solo complesso colle fabbriche adiacenti
e colle terme ; noto essendo che ricchi privati innalzavano nei
loro poderi ed in tutta prossimità alle case riservate al loro
uso particolare, stabilimenti di pubblica utilità^ ovvero per
comodo di altre persone estranee alla loro famiglia. E però
potrebbe essere questa la dimora del proprietario dei bagni,
il quale in essa raccoglieva gli amici, intrattenendoli con eser-
cizi ginnici e con altri giuochi nella spaziosa corte^ che per
la stessa sua forma ci sembra adoperata quale palestra. Non
doveva la medesima essere priva di decorazioni architettoniche ;
') Daremberg et Saglio: op. cit, pag. 649 e seg.
369
ckè il muro principale presenta ad eguali intervalli delle ante
di fabbrica, residuo di antichi pilastri, sui quali sorgevano dei
capitelli di pietra lavorati a fogliami. Di questi si trovò ancora
qualche esemplare, e parimenti un capitello dorico, che appar-
teneva alle colonne, cui era affidata la tettoia del portico, e
che erano di opera laterizia ricoverta di stabilitura policroma.
Lo zoccolo di pietra calcare, che vedesi nell'emiciclo presso
al muro della fronte, era il sostegno d'una banchina da sedere.
Dal vicolo si entra nell' edificio per due porte, che mettono
nel cavedio e sono site al limite deir ambulacro, Tuna a destra e
l'altra a sinistra, e per un adito più ampio, dal quale si riesce
nella camera d\ Tra i due ingressi a sinistra del riguardante e
nella parete che chiude il portico^ havvi una finestra, larga quanto
questo, dalla quale potevasi scorgere ciò che accadeva di fuori.
Meno i compresi g' ed h\ che non serbano indizio di la-
stricato, tutte le stanze avevano pavimento musivo, il quale
pur troppO; quando noi le abbiamo rimesse a nudo, era già
interamente distrutto, salvo che nelle soglie delle due porte,
che danno passaggio dalla cella V alla m* e da questa alla
cella n\ La prima soglia esibisce una rosa nera in campo
bianco, e la seconda, eseguita con pietruzze pure nere, quel-
1' accoppiamento di linee, cui gli archeologi assegnano il nome
di suasiica. Si queste che le altre soglie non colpite dalla demo-
lizione, hanno ancora incassati i quadri di pietra calcare colle
cavità per ì cardini delle porte, che secondo lo esigeva 1' am-
piezza del vano consisteva di una o più partite, ed in alcune
non manca il tassello forato per il paletto che le fermava.
Oltre agli usci, che poco dianzi abbiamo indicati, rimane ancor
uno che serviva per comunicare colP estemo, vale a dire quello
che si vede nella cella n\
La sala principale e per posizione e per vastità è quella
segnata colla lettera i\ la sola di questo edificio, dalla quale
non sia scomparso il colore dello zoccolo delle pareti, che qui
era rosso. Lunga m. 12 e larga m. 9, è essa di forma regolare
con grande entrata e doveva esser adibita come tablino o al-
trimenti riservata ai banchetti ed ai convegni. E per triclinio
poteva adoperarsi pure la camera/*, la quale ha due aditi sotto
il portico ed è congiunta col vicino cubicolo e\
370
Il muro perimetrale diritto delP emiciclo continua a sinistra
tra il vicolo e Io spazio g* e va ad unirsi ad un' altra fabbrica^
che si protende verso V attuale chiesa di Barcola, passando
sotto la strada vicinale e quindi sotto il giardino e la casa
del curato. Delle località che qui si poterono restituire alla
luce, la più importante è la sala v% che ha un lato foggiato
a guisa di nicchia, le pareti rivestite di marmo bianco ed il
pavimento lastricato con tavelle di marmo bianco e nero e di
breccia gialla svariata per macchie sanguigne. Mediante ampio
accesso comunica colla stanza u* ; laddove un grosso muro la
divide dal compreso a'\ nel quale si osserva essere l'intonaco
parietale fatto di calce mescolata con polvere di mattone, di-
versamente che nelle altre camere^ che non formano parte del
bagno, ed in cui il medesimo consiste di malta comune. Ad-
dossata a questo sta l'altro compreso r\ che forse dava sullo
spazio scoperto s' e per mezzo di esso era in relazione col-
l'edificio centrale.
Dal lato opposto, cioè a destra del riguardante che si trovi
sulla strada di Miramare, furono scoperte le rovine di una
costruzione di minor importanza, nella quale, a nostro giudizio,
sono da cercarsi l'abitazione servile, gli stallaggi, le rimesse, i
granai e tutte le altre località costituenti la parte della villa
cosiddetta rustica, che sembra essere stata cinta da muri, uno
dei quali sarebbe quello che fu segnato colla lettera iv. Fra
queste rovine si riconosce l'andito b'\ che ha il pavimento di
mattonelle a spiga e lo zoccolo delle pareti colorito in rosso,
il grande stanzone d'\ ed il piccolo chiuso c'\ che dal cemento
di calce e mattone, ond' è rivestito, riteniamo che avesse con-
tenuto un serbatoio d' acqua. Tutto il rimanente ci è pervenuto
nello stato della più avanzata degradazione, per la quale non
fu possibile di rilevare nemmeno la semplice ossatura dei muri.
Chiudeva dalla parte del monte il complesso di questi
edifici il lungo muro k-k, che più verso levante era fabbricato
con maggiore solidità. Al di là del medesimo si trovò un bat-
tuto di ghiaia e ciottoloni, posto su d'un piano più elevato
di quello della villa, il quale ci rappresenta il residuo del letto
della strada che dal varco di Moncolano^ attenendosi alla linea
d'un sentiero che tuttora viene praticato, scendeva a Vaicela
371
6 quindi continuando per il poggio di Gretta riusciva a Ter-
geste, dopo aver seguito presso a poco il percorso delle presenti
vie del Belvedere e del Torrente e dopo essersi congiunto
colla strada dell' Istria nel sito dell' attuale piazza delle Legna.
Accostato al muro stava un altro serbatoio d'acqua, a?, che
alimentato dall' acquedotto doveva provvedere le abitazioni ed
il bagno. Tra questo ed il muro del compreso j', nel punto y,
furono rinvenute due camere sepolcrali, di rozza fattura e di
epoca più vicina, le quali contenevano cadauna quattro scheletri
umani, che erano stati deposti cosi che le teste venivano a
toccare la parete divisoria delle due tombe, ma mancavano di
suppellettile funeraria. Quattro crani sono ora custoditi dal civico
Museo di storia naturale, e vennero studiati dall'egregio nostro
concittadino, il dott. Ugo Vram, assistente all' istituto antropolo-
gico della r. Università di Eoma, il quale ci favorì gentilmente il
cenno, che pubblichiamo in chiusa della nostra relazione, dopo
premesso V elenco delle monete e delle marche di fabbrica dei
laterizi che abbiamo potuto raccogliere.
Monete.
Ottaviano Augusto (31 av. 0. — 14 d. C).
1. dr. IMP. CAESAR DIVI F. AVGVSTVS IMP. XX. Testa
nuda volta a sin.
p. PONTIF. MAXIM. TRIBVN. POTEST. XXXIIII. Nel
campo S. C.
Bronzo mezzano coniato nell' anno 764 di Roma ; due
esemplari.
Cohen: MédaiUes impériales, U ed., voi. I, n. 296.
2. dr. DIVVS AVGVSTVS PATER. Testa di Augusto con
corona radiata volta a sin.
p. PROVIDENT. Ara fiancheggiata dalle lettere S. e C.
Bronzo mezzano coniato sotto Tiberio; quattro esemplari.
Cohen: voi. I, pag. 94, n. 228.
3. dr. AVGVSTVS TRIBVNIC. POTEST. nel campo in tre
linee entro corona di quercia.
T. L. 8VRDINVS m VIR AAA'FÌ*- nel campo S. C.
Lucio Nevio Snrdino fu zecchiere intorno l'anno 739 di B.
Bronzo mezzano.
Babelon: Mmnaie$ caniuiaires, voi. U, pag. 92, n. 801.
4. dr. DIVVS AVQVSTVS PATER. Testa con corona radiata
volta a sin.
r. S. C. Aquila spiegata su di un globo.
Bronzo mezzano coniato sotto Tiberio.
Cohen : voi. I, n. 247.
Tiberio Augusto (14-87 d. C).
5. dr. TI. CAESAR DIVI AVG. P. AVQVSTVS IMP. YIL
Testa nuda volta a dritta.
r. PONTIF. MAXIM. TRIBVN. POTEST. XVH S. C. Livia
velata seduta a dritta, tenendo una patera ed uno scettro.
Bronzo mezzano dell'anno 768 di B. ; due esemplari.
Cohen: voi. I; n. 17.
Caligola (37-41 d. C).
6. dr. C. CAESAR AVG. GERMANICVS PON. M. TR. POT.
Testa nuda volta a sin.
r. VESTA S. C. Vesta velata, assisa a sin. tiene una pa-
tera ed uno scettro.
Bronzo mezzano.
Cohen: voi. I, n. 27.
Galba (68-69).
7. dr. IMP. SER. SVLP. GALBA CAES. AVG. TR. P. Test»
nuda a dritta.
p. LIBERTAS PVBLICA S. C. La libertà ritta a sinistra
tiene un berretto ed uno scettro.
Bronzo mezzano.
Cohen: voL I, n. 12a
Flavio VespaHiano (69-79).
8. dp. IMP. CAES. VESP. AVG. P. M. T. P. COS. III. Testa
laureata a destra.
378
p. S. C. La Speranza in atto di procedere verso sin. tiene
un fiore e solleva la veste.
Bronzo mezzano battuto nell'anno 71.
Cohen : voi. I, n. 449.
Domiziano (81-96).
9. dp. CAESAR AVG. F. DOMITIAN. COS. II. Testa laureata
a dritta.
p. AEQVITAS AVG. S. C. L'Equità ritta a sinistra tiene
una bilancia ed uno scettro.
Bronzo mezzano coniato Tanno 73.
Cohen: voi. I^ n. 1.
10. dp. IMP. CAES. DOMITIAN. AVG. GERM. COS. XI. Testa
con corona radiata a dritta.
p. FORTVNAE AVGVSTI S. C. La Fortuna ritta a sinistra
tiene un timone ed una cornucopia.
Bronzo mezzano battuto Fanno 85.
Cohen: voi. I, n. 120.
11. dr. IMP. CAES. DOMIT. AVG. GERM. COS. XI. CENS.
POT. P. P. P. Busto laureato e coperto dall'egida a destra.
p. lOVI VICTORI S. C. Giove seduto a sinistra tiene una
Vittoria ed uno scettro.
Grande bronzo coniato Fanno 85.
Cohen: voi. I, n. 307.
12. dp. IMP. CAES. DOMIT. AVG. GERM. COS. XI. CENS.
POT. P. P. Busto come nella precedente.
p. MONETA AVG. S. C. La Moneta ritta a sinistra tiene
una bilancia ed una cornucopia.
Bronzo mezzano coniato Fanno 86.
Cohen: voi. I, n. B26.
13. dp. CAESAR AVG. P. DOMITIAN. COS. II. Testa lau-
reata a dritta.
p. PAX AVGVST. S. C. La Pace in piedi a sinistra, ap-
poggiata ad una colonna, tiene un caduceo ed un ramo d'olivo.
Bronzo mezzano coniato Fanno 73.
Coh«n: voi. I, n. 847.
374
Traiano (98-117).
14. dr. IMP. CAES. NERVAE TRAIANO AVG. GER. DAC. P.
M. TR. P. COS. V. P. P. Testa laureata a dritta.
P. S. P. Q. R. OPTIMO PRINCIPI S. C. Vittoria in piedi
a dritta, tiene uno stilo ed appende ad un albero uno scudo,
sul quale ha scritto VIC. DAC.
Bronzo mezzano coniato tra il 104 - 110.
Cohen: voi. II. n. 455.
Antonino Pio (138-161).
16. dr. ANTONmVS AVG. PIVS. P. P. TR. P. XVII. Testa
laureata a dritta.
p. FELICITAS COS. UH S. C. La Felicità ritta a sinistra
tiene un caduceo e due spighe.
Bronzo mezzano coniato V anno 154.
Cohen: voi. II, n. 871.
Faustina Madre (f 141).
16. dr. DIVA PAVSTINA. Busto a destra.
p. AVQVSTA S. C. Cerere velata ritta a sinistra tiene una
fiaccola e due spighe.
Bronzo mezzano.
Cohen: voi. II, n. 89.
Alessandro Severo (222-34).
17. dp. IMP. ALEXANDER PIVS AVG. Busto laureato a destra.
p. PROVIDENTIA AVG. La Previdenza ritta di faccia e
guardando a sinistra tiene delle spighe ed un'ancora, ai suoi
piedi havvi il medio.
Bronzo mezzano.
Cohen: voi. IV, n. 510.
Massenzio (306-312).
18. dp. IMP. MAXENTIVS P. F. AVG. Testa laureata a destra.
p. CONSERV. VRB. SVAE. Tempio tetrastilo nel quale
Boma volta a sinistra è seduta su d'uno scudo e tiene un globo
ed uno scettro ; la Vittoria ritta in piedi, volta a destra, met-
tendo un piede sopra un prigioniero e tenendo una palma le
oflBre una corona. Sopra il tempio due Vittorie.
376
Bronzo mezzano.
Cohen: voi. VII, n. 35.
Oltre a queste monete, ne furono trovate varie altre di
bronzo degl' imperatori Claudio I, Tito Vespasiano, Traiano
Adriano, Marco Aurelio, Gordiano III, Treboniano Gallo, Probo,
Claudio II Gotico, Costantino Magno, Placidio Valentijiiano,
Arcadie ecc., le quali per la loro pessima conservazione non
poterono venire classificate.
Marche di fabbrica.
1.
r F' C'Q'é J
Lettere in rilievo alte mm. 23. Alcuni frammenti di tegola
di color rossiccio. Cfr. la relazione degli scavi eseguiti in Bar-
cola negli anni 1888-89, parte prima, n. 1.
2.
T- COELI
Lettere in rilievo alte mm. 20. Tegola di argilla giallastra,
sei esemplari. Cfr. la relazione citata al n. 2.
e
COEL-L-'ER
:>
Lettere in rilievo alte mm. 16. Tegola di argilla giallastra.
Tre esemplari con questa marca. La medesima fu già rinvenuta
presso Portogruaro.
Paia: C. L L. Supplemenia Italica, n. 1076, 81.
cìisì>iJll^
Lettere in rilievo alte mm. 17. Terra biancastra. Alcuni
frammenti di tegole e di mattoni. Cfr. la relazione citata al n. 3.
376
( 18 Po IV'RI SAB D J
Lettere in rilievo alte mm. 27. Terra rossa. Tre pezdi
mattone. Cfr. la relazione citata al n. 5.
r TINVCVL^ J
Lettere in rilievo alte mm. 10. Terra rossiccia. Due
toni. Cfr. la relazione indicata al n. 6.
7.
M • POBLICI • D • F
Lettere incise alte mm. 14. Terra rossiccia. Grande
tone, sol quale era applicato il musaico vitreo di una
edicole della sala L
Nella collezione Zandonati in Aquileia si sarebbe tto^i
la variante con lettere in rilievo:
D • POBLICI • D • F
Mominsen: C. /. L., V, 8110, 118.
Gregomtti: Arch, TtHest., voi. XIV, pag. 382, n. 149.
8.
L-5lVSf
Lettere incise alte mm. 22. Terra rossa. Mattone.
L.S-IVS+
Lettere incise alte mm. 88. Terra gialliccia. Tegola
cm. 60 X cm. 47.
Di ambedue queste varianti si trovarono esemplari
Aquileia, a Monfalcone e nell'Istria.
Mommseii: C. I. L., V, 8110, 137.
Gregomtti : op. cit , pag. 387, n. 172.
\lK
Lettere incise alte mm. 16. Terra gialliccia. Franime
di tegola o di mattone. Dovrebbe essere la marca
C'TTI-miEROT
TV.. '
J
r-1
• \
-fi *.\ *• ' • l
l
-^H u"<«*
377
della quale si tirovarono esemplari in Aquileia, a Trieste presso
Servola ed a S. Lorenzo di Dalla nell'Istria.
Mommsen: C. L L., V, 8110, 144.
Gregomtti: op. cit., pag. S91; u. 189.
10.
lA\i' ET • CRIS
Lettere in rilievo alte mm. 13. Due mattoni di terra gial-
liccia. Cfr. la relazione indicata al n. 8.
11. \iÈfe-E-MGN^/
e/
Lettere incise alte mm. 15. Terra gialliccia. Frammento
di tegola. La marca dovrebbe completarsi in
che il Gregorutti legge: Vcderiae Maynae Eindiana Avitiana.
Di questa si rinvennero molti esemplari in Aquileia, a
Trieste ed in altre parti deiristria.
Hommsen: C. L L., V, 8110, 152.
Gregomtti: op. cit., pag. 894, n. 201.
12. /E VIBI
3
Lettere in rilievo alte mm. 19. Terra rossa. Frammento
di mattone. Deve completarsi in
( PANSiE VIBI j
Hommsen : C. i. L., n. 8110, 1.
Alberto Puschi
378
Osservazioni intomo ai crani trovati nel secondo
edificio di Barcola.
Avendo il prof. Paschi già descritto il sito del rinveni-
mento, a me non resta che il compito di studiare semplicemente
i quattro teschi che si trovano depositati al civico Museo di
storia naturale. Questi teschi restaurati sono tutti frammentari
e mancano dello scheletro facciale e di parte della base, qual-
cuno anche di altre parti d^ossa; perciò di due non potei mi-
surare i diametri frontali. L'altezza o diametro basilo-bregma-
tico, non fu presa, come al solito, misurando la distanza che
unisce il basic al bregma, ma bensì la distanza in proiezione
che passa fra il bregma e il margine superiore del foro audi-
tivo esterno.
Questa distanza differisce di poco dalla basilo-bregmatica,
le altre misure sono le massime lì ove cadono.
I quattro teschi da me esa-
minati appartengono alle se-
guenti varietà : ^)
I. Eìlipsoides,
Chiamasi con questo nome
quella varietà di cranio che
nella norma verticale presenta
un contomo ellittico. La massima
larghezza divide per metà la mai
sima lunghezza, le sporgenze
sono di regola arrotondate, k
bozze parietali sono evanescenti
e liscie o non esistono afiatto,
r occipite non è mai appianato
(vedi fig. 1).
Fig. 1.
*) G. Sergi: Le varietà umane, prhicìin e metodo di dassìjicazione ^Atti
della Società Komana di Antropologia^, voi. I, f. 1, 1893.
Detto, The Varieties of the Human Species, Washington, 18if4.
Detto, Africa^ antropologia della stirpe camitica^ Torino, 1897, Bocca ed
379
Questa varietà è rappresentata da tre crani della serie,
appartenenti alle seguenti sottovarietà :
a) Ellipsoides cuneatus, J Questa sottovarietà si distingue da
tutti gli altri ellissoidi, perchè termina posteriormente a forma
di cuneo arrotondato, carattere ben visibile dalla norma laterale.
A questa sottovarietà appartiene il cranio segnato col N. 1, che
non si può presentare come prototipo della sottovarietà; conserva
però i caratteri della sottovarietà cimeattis, le parti laterali vanno
leggermente restringendosi verso il frontale, carattere che si
riscontra nei crani africani. Visto dalla norma occipitale, si os-
servano i lati quasi verticali dalle bozze parietali alla base^
e le parti superiori a leggerissimo displuvio. La glabella è
poco sporgente, le apofisi orbitarie esteme sono robuste, le linee
semicircolari ben marcate, esiste la sutura metopica, le apofisi
mastoidee sono robuste, le ossa sono grosse. Le principali mi-
sure sono:
massimo diametro antero-posteriore 187 ì . ,. ,. , , „»
\ i>ir r indice di larghezza 77
„ „ trasverso 145 J ®
altezza 104; larghezza frontale, massima 125, minima 105.
b) lì cranio N. 2 porta i caratteri deìTellij^soides africus ro-
tunclus, l Questa sottovarietà è caratterizzata dalla rotondità del-
Toccipite tanto se visto dalla norma verticale che dalla laterale.
Il massimo diametro trasverso o larghezza massima si
trova circa a metà della lunghezza massima, molto in basso
verso la sutura squamoso-parietale, i lati vanno poi restringen-
dosi verso la fronte, il cranio della nostra serie si presenta con
un'ossatura robusta, glabella poco sporgente, apofisi mastoidee
robuste, occipitale aspro, suture ben saldate, wormìani lungo la
lambdoidea. Le misure che ho potuto prendere su questo teschio
sono le seguenti:
massimo diametro antero-posteriore 186 1 . ,. ,. , , „n
. ^ Mr. i indice di larghezza 76
„ „ trasverso 140 I
altezza 112.
e) La terza sottovarietà è Vellip»oides sphyroides, J caratte-
rizzata dall'occipite conformato a calcagno che riposa con tutta
la sua parte inferiore alla linea mucale superiore, sul piano della
base. Il teschio N. 3 appartenente a questa sottovarietà, ha
i lati che vanno restringendosi verso il fronte, dalla norma
380
verticale si vede V apofisi orbitaria estema di sinistra soltanto,
mancando quella di destra. U frontale e basso con arcate soprac-
cigliari sporgenti, l'osso grosso, le apofìsi mastoidee robuste, le
suture sono saldate. Ecco le misure che ho potuto prendere:
massimo diametro antero-posteriore 196 1 . j. .. , , ^
. ^ «^ J indice di larghezza 69
, , trasverso 136 I
altezza 106.
La seconda varietà della serie è:
II. Sphenoides.
Questa varietà è caratterizzata dalla norma verticale, U
quale ci presenta una figura troncoconica col lato minore dalla
parte frontale. La massima larghezza è molto indietro, la parte
posteriore del cranio è ora appiattita ora arrotondata e verti-
cale, senza protuberanza (vedi
fig. 2). Il cranio segnato col N.
4 J della nostra serie appartiene
alla varietà sphenoides, ed è dif-
ficile di determinare la sottova-
rietà causa i difetti del cranio.
Egli presenta una fronte verticale
quasi parallela alla parte poste-
riore, la squama dell'occipitale
sporge dai parietali; sotto alle
linee semi circolari v'è un rigon-
fiamento sopra, la sutura tem-
poro - parietale un' insolcatura,
sopra questa sutura hawi la mas-
F^^ 2. ^^^^ espansione^ ed il teschio
visto dalla norma occipitale si
arrotonda sopra e sotto alla massima espansione, le suture son
saldate, l'ossatura è robusta, robuste le apofisi mastoidee. Le
misure prese sono le seguenti;
massimo diametro antero-posteriore 181 [
y, „ trasverso 144 |
altezza 112; larghezza frontale massima 107, minima 103.
Seguendo la distribuzione geografica di queste due varieti
craniche, risulta che la varietà eUipsoides è una della più dif-
fuse fra le varietà che si trovano nella stirpe camitica (specie
indice di larghezza 79
881
Èuro-africana, Sergi)*); mentre la varietà sfenoides è propria di
altra stirpe, che ha origine differente. Questa sarebbe aria e
il teschio di Barcola appartiene a quest'ultima stirpe. Cosi che
i quattro crani esaminati sono tutti mesocefali, tre pertinenti
alle varietà della stirpe camitica, uno probabilmente ario.
Doti. Ugo G. Vram
*) G. Sergi: Afnca, antropologia della stirpe camitica^ op. cit.
Detto, Origine e diffusione della Bthpe mediterranea^ induzioni antro^
pologiehej Società editrice Dante Alighieri, Roma, 1895.
■^J^?j?wi^???5u?'57I^^^
LA CLASSICA LIUTERIA ITALIANA
Lettura fatta alla "Società di Minerva „
dal prof, doti. Michele Stenta
Meglio era poter ammirare con voi lo stradivari e l'arco
di Sarasate o d'Alfredo Piatti che radunarvi qui, clementi di
un'ora di rassegnazione, a dar retta ad un indagatore appassio-
nato di cose spettanti all'arte liutaresca delle scuole di Brescia,
di Bologna, di Cremona, o di quante altre mai fiorirono in Italia
dal secolo XV alla seconda metà del XViil. Ma la circostanza
ora non concede che parole sulla musica; per cui sarete indul-
genti se le mie riguardano alcuni congegni armonici, semplici
assai, ma atti a produiTC i più delicati suoni che finora deli-
ziassero orecchio umano : — intendo quella famiglia di stru-
menti, che ha il nome dal violino.
Se mi fermo a delincarne lo sviluppo da umili principi
fino alla perfezione, che alla liuteria procurò Antonio Stradivari,
padre di numerosa eletta scuola, io non fo altro che aprirvi
una pagina di storia della cultura, — dunque mi mantengo os-
sequioso al programma, onde il severo patrio sodalizio di Mi-
nerva vuole regolata la propria attività.
Le mie note si fondano su quanto in venti anni e più ho
potuto io stesso osservare in molti strumenti ad arco o appren-
dere da persone competenti, specie da abili ristauratori, e sulle
publicazioni relative di Hcrittori autorevoli, principalmente di
Luigi Francesco Valdrighi di Modena, acuto ed instancabile in-
dagatore della liuteria passata, il quale per giunta possiede
pregevolissima collezione di diversi strumenti di musica.*)
383
Ritrassi ammaestramento anche dagli errori, si involontari
che di presunzione, di coloro che volendo perfezionare cosa
già perfetta finirono col guastarla o almeno col complicarla.
Mi giovarono anche le esagerazioni liriche di taluno, che
in ogni fibra dell'armonioso legno pretese la dimora d'un por-
tento canoro, in ogni bischero la virtù d'uno speciale coeffi-
ciente acustico.
I pedissequi delle opinioni altrui ho seguito nel loro fer-
vore delle teorie e delle ipotesi fisiche, sovente male intese e
peggio applicate, — neUe citazioni di fatti imaginari, come i do-
dici violini donati da Giacomo Stainer ai dodici principi del-
l' impero, mentrechè le loro alte signorie allora non erano che
otto, — • o quando incapaci di correggere una svista di Fétis^)
e di Hart,^) scrittori tanto benemeriti, dell'italiano Giovita Bo-
diani facevano le cento volte un barbaro lavietta Btidianì,^) e
prendevano per artefici Acew e Sapino, che invece significano
acero e sapin (abete), di cui è fatto il corpo d' un buono stru-
mento ad arco.
Teorie sforzate ed opinioni arbitrarie, per quanto sieno
combinate ingegnosamente; mai risolveranno un problema anche
meno scientifico e piuttosto empirico, quale è appunto il caso
d'un corpo sonoro, semplice assai ma il meglio indovinato,
dico del classico violinO; che si meritò il titolo di "re degli
strumenti musicali,,.
La sua manifestazione appartiene all'epoca memorabile
del cinquecento, quando da noi rinascevano arti e scienze;
ma tardò molto la sua vittoria definitiva che per due secoli
procurar doveva fama ai liutari italiani e alle città delle loro
scuole, principalmente a Cremona che vanta la più illustre.
Antichissimo è l'uso di cavare suoni armonici da un corpo
risonante armato d'una o più corde tese. Ce lo prova la mi-
tologia attribuendo a Mercurio l'invenzione della lira, che il
dio, più speculatore che musicale, cedette ad Apollo, da cui
nobilitata l'ebbero Anfione e Orfeo, poeti e poetesse del lim-
pido cielo ellenico.
Bawisiamo un progresso notevole nella maniera di rendere
uguale e prolungata la vibrazione della corda collo sfregamento
384
dell'arco; metodo pure antico e quasi retaggio caratteristico
della stirpe indo-europea.
Dall'Asia viene a noi il sole; dall'Asia vennero un di i
patriarchi delle nazioni d'Europa; l'Asia ci diede le prime re-
ligioni e leggi, la bussola, la polvere pirica e la carta; l'Asia
trasmise a noi anche il primo tipo e semplicissimo, dal quale
per una serie di trasformazioni risultò finalmente il nostro violino
L'embrione abbiamo nel bin^) degli antichi Indù, consi-
stente in una zucca vuota e secca, da cui mediante l'archetto
primitivo cavavasi un suono speciale, non saprei se piacevole
meno, somigliante al rombo o zonfo che dir si voglia. Lo
trovereste ancora per la campagna dell'Emilia cotesto ordigno,
onde i girovaghi torototella imprimono la monotona cadenza
finale alle loro strofe.^
Pure dall' Lidia proviene il ravanastron, così denominato
in onore del principe singalese Bavanà e precursore già più
ammodo degli odierni strumenti ad arco. Un tubo d'abete co-
stituisce la sua cassa armonica, chiusa sopra da una pelle di ser-
pente tesa, nel mezzo della quale poggia il ponticello sormon-
tato da due corde fissate all'uno dei capi d'un' asta lunga, che
diametralmente attraversa il tubo, e stirate all'altro dai bischeri.
Coir andar del tempo la cassa armonica si faceva di noce
di cocco tagliata per un terzo e chiusa da una sottile tavoletta
d'abete, la quale aveva due coppie di fori ellittici disposte sim-
metricamente ai lati delle due corde raccomandate d' abbasso
al bottone, sopra ai bischeri, tese sul ponticello, prossimo al-
l' orlo inferiore, e sul capotaste fissato all' estremità superiore
del manico. Cosi è fatto Vomertì, che mostra già più curati gli
elementi essenziali della futura viola.
Modificato nella forma esterna coli' essere incavato a due
seni laterali nel coperchio, esso si cangiò in sarìnda, ove ai
quattro fori della tavola armonica sono subentrati due tagli
bislunghi, come due virgoloni, quali si vedono tuttora in certe
viole antiche; il ponticello sopportava tre corde fermate nella
cordiera e nei bischeri; il manico terminava sopra in una vo-
luta, rozzamente abbozzata se si vuole, circa come quella dei
violinetti più economici che sonori^ che ogni amio il buon
San Nicolò reca in dono ai bambini, affinchè per una mezza
386
giornata intanto al proprio strillare abbiano un arrendevole
sostituto. — La sarinda veniva sonata con arco di bambù.
Accennato cosi il graduale sviluppo degli strumenti ad
arco presso gli Indiani, ora conviene notare come dalla più
avanzata forma loro, vale a dire dalla sarinda, gli Arabi de-
rivarono il rebab, consistente in una cassa armonica di noce di
cocco o di guscio della tartaruga, con una pelle animale tesavi
a tavola armonica e V armamento di tre corde da sonare col-
r arco.
Cotesta nazione, sorta d'improvviso a severa imponenza
monoteistica e guerriera, nelle sue rapide conquiste trasportò
pure benefiche istituzioni civili come all'Asia citeriore così
anche oltre l'Africa boreale nella Spagna, dove sulle rovine
del romanizzato dominio visigotico crebbe poi vigorosa la cul-
tura materiale e l'intellettuale dell'emirato e del califfato di
Cordova. Cosi venne in Europa nel secolo Vili anche il rebab^
e pare se ne divulgasse l'uso in breve tempo perocché nel IX
e X secolo i Francesi hanno il rebec, gl'Italiani le ribeche o
ribebe^ in G-ermania i ribebani^ e i bardi bretoni il crouth, se
pure non identici ma sempre rassomiglianti e affini allo stru-
mento originale degli Arabi, nella stessa guisa che al contem-
poraneo allaud moresco corrispondono esattamente quegli stru-
menti da tasto che con voce romana vennero denominati land,
loti, lu, lento e liìito.'^)
Nei secoli seguenti gli animi sembrano in generale bene
disposti alla musica, in onore di Dio misericordioso che al
genere umano volle risparmiato il finimondo nel compiersi del
primo millennio cristiano, in omaggio ad Amore, il potente
ispiratore dei cavalieri crociati e comuni; cosi almeno è lecito
d'arguire dall'uso assai frequente dei liuti e delle ribeche.
Per la nostra considerazione è decisivo il momento, in
cui il rebab modificandoci si trasforma in quella specie di stru-
menti, detti viola, — voce italiana corrispondente alla francese
vieille, alla tedesca fidel o fidtda, tutte poi derivate dalla latina
vUtda e fidicida.
886
E non difettano prove storiche relative. Nella chiesa di
S. Michele a Pavia nn rilievo del secolo XI rafiBgura nn so-
natore di strumento ad arco, e di quel tempo sono alcune statue
nella chiesa di S. Giorgio di Bocherville in atto di sonare
strumenti somiglianti alla viola; altrettali si trovano nella badia
di S. Germano di Parigi ed appartengono al secolo XII. Al-
cune vignette di manoscritti parigini e parecchi vetri dipinti
del secolo Xm recano il rebab molto simile al violino; vi
troviamo i due seni laterali, che prima mancavano o erano
appena accennati da una leggera curva, e sul coperchio due
fori a mezzaluna, rivolti colle linee piane l'uno contro l'altro,
i quali accennano gli effe dei nostri strumenti. Differiscono
poco dai detti modelli i disegni nel manoscritto del museo di
Praga, che sono del 1202-1212, e nella bibbia di Jaromir del
1269.®) Nei Nibelunghi, grave poema tedesco del secolo XII, è
Volker che col suono della Jidel rinfranca i compagni burgun-
dioni alla corte d'Etzel contro l'imminente vendetta dell'ini*
placabile Crimilde.
In Italia l'uso frequente della viola ad arco, specie nel
secolo XV, ci attestano le miniature di codici, gli affreschi e
le tele di parecchi pittori. Quivi essa fu perfezionata nella forma
e nelle dimensioni conforme allo scopo che i sonatori si pre-
figgevano.
Cosi la discendente dal rebab potè un giorno inaugurare
la sua egemonia su tutti gli .strumenti a pizzico contemporanei.
La sua numerosa figliolanza serba poi il tipo materno fino al
secolo XVn.
Eccovi dunque la viola in tutte le varietà sovrana nei
concerti d'allora. Entro il contomo cadenzato e rumorosamente
indefinito dei lironi, chitarroni, liuti ed arciliuti, delle chitarre,
tiorbe, cetre e pandore, dei cistri, Unti attiorbati e mandolini,
e di qualche arpa, la mesta alleata, serpeggia il lungo gemito
delle viole d'amore, intercede il cicalio delle violette e viole
da braccio, sottentra il monito grave delle viole da gamba,
delle viole bordone, bastarde e pompose, scatta il rombo dei
bassi di viola o violoni.
**E la parte meccanica come era trattata? Coli' arco im-
pugnato alla metà circa, sfregando la corda ne cavavano il
snono. „^)
Incontestabile, se anche non determinato da regola e da
misura, è l'effetto della musica sull'animo, quindi sulle idee
dell'uomo; ed è per questo, che gli antichi Ateniesi la pre-
scrissero nell'educazione dei giovani. — Ora io mi sono figu-
rato più volte il problema, come abbia influito la melodia, come
la sinfonia di quei tanti strumenti dal suono nasale, stridulo
ed ottuso sull'umore del publico di quella volta, sul tempera-
mento d' eminenti uomini di stato, guerrieri, letterati ed artisti,
e forse anche sulle generali condizioni sociali e politiche in
Italia durante il cinquecento. Arduo quesito a risolvere e forse
un po' bizzarro, ma p\n*e ammissibile come l' altro che si rife-
risce alla medesima epoca e contemplerebbe l' influsso delle
droghe d'India sulle funzioni fisiche e psichiche della crapulosa
società di trecento anni fa. Se i due problemi metto in corre-
lazione di tempo e luogo, non faccio cosa arbitraria, poiché
quella musica rallegrava i banchetti luculliani dei Medici e
degli Estensi, di papi e cardinali, e im concerto di viole non
manca quasi mai nelle tele del cinquecento ove il soggetto ne
sia una festa nuziale e un convito biblico o profano.
Siamo all^ ingresso dell'evo moderno, quando nella gaz-
zarra violesca apparisce a pena ed umile il violino. Venne al
mondo, se con proposito o a caso non si sa; ma al neonato
sorride propizio il destino, perchè esso compirà un grande ri-
volgimento musicale tanto nella composizione che nell' ese-
cuzione.
L'evidenza del sistema copernicano ebbe lungamente restio
il coro degli scienziati, astronomi e astrologhi insieme, per una
certa cocciutaggine propria al dottrinarismo di scuola. Né mi
sorprende, che anche il futuro re degli strumenti non entrasse
in grazia che tardi causa il solito ostacolo delF usanza e dell'in-
dolenza, troppo spesso appaiate come si sa. E valga il vero:
un secolo dopo la comparsa del gentile strumento, cioè nel
1607, alla rappresentazione dell' "Orfeo„ di Claudio Monteverde
388
a Mantova nell'orchestra di ben quindici tra viole da braccio,
bassi da gamba e contraì>assi di viola, di tre strumenti da pìz-
zico, di due gravicembani, di due organi di legno e un piccolo
organo portatile, d'altri undici strumenti a fiato, come flautini,
clarini, cornetti, trombe e tromboni, ^^) sono ammessi due grami
violini — duci violini alla flranzese, come annunzia il mani-
festo. — Mi rincresce di non conoscere la parte che ad essi
spettava e di non poter rendere l'effetto dell'interessante sin-
fonia. Però mi conforta la licenza poetica dell'analogia data
da una cappella corale, in cui il giorno di sagra nella chiesa
della borgata le voci bianche di due vispi ragazzi vanno sgat-
taiolando di sotto all'incubo d'una mezza dozzina di focosi
tenori e d'una dozzina di bassi formidabili.
E chi mai fu l'inventore del violino?
La tradizione ricorda Testator il vecchio, liutaro a Milano
tra il XV e XVI secolo, che per facilitare il maneggio della
viola ne avrebbe ridotte le dimensioni, onde risultò una pic-
cola viola, detta appunto per ciò violinoM) Esso si divulgò tosto
in Francia e pare fosse ammesso anche in Italia, dove nelle
pitture sovente si vedono strumenti più piccoli della viola.
Altri poi opinano, che primo a diminuire la viola fosse
già intomo al 1460 a Brescia un tale KerlinOj nome italianizzato
probabilmente d'uno dei Gerle, che alla metà del secolo XV
costituivano una ragguardevole famiglia di liutari a Norim-
berga.^*) Kerlino, Duiffopruggar, Maler, Unverdorben, Pray sono
tutti nomi d'artefici tedeschi, i quali venuti in Italia in una
o altra città vi esercitarono l'arte appresa in patria, ove già
era fiorente prima che altrove.
Lasciando da parte le congetture per venire al fatto os^
servo, che costruì violini Gasparo Tieffenhruchei* ossia Duifopì'uggar
come veniva chiamato dagli Italiani. È oramai sfatata la leg-
genda onde lo circondava l' apologia dei biografi tra il 1813
e il 1888, e a suo riguardo rimane quel po' di verità mercè i
documenti publicati recentemente da Enrico Coutagne.^^) Il fa-
moso liutaro nacque a Frisinga di Baviera, e non nel Tirolo
come taluno sostiene; superata l'educazione professionale in
Germania, egli venne a lavorare a Bologna, poi andò a Parigi,
j
389
invitatovi dai reali di Francia, in fine prese dimora a Lione,
ove mori nel 1670. In questa città continuava l'opera sua il
figlio Giovanni intomo al 1586. 1 violini di Gasparo Duiffopruggar
sono rarissimi; il Valdrighi ritiene apocrifi quelli che comune-
mente gli si attribuiscono.^^) Comunque sia, deve sorprendere
che i violini in Aquisgrana,^^) Londra, Pietroburgo e Bologna
hanno tutti quanti la data del 1610-1617, appartengono dunque
all'età giovanile dell'autore, mentrechè dell'epoca lionese non
si conoscono che viole e liuti. Autentico sarebbe il violino
del 1639, un tempo conservato a Bruxelles e che basta ad infor-
marci della maniera osservata dal Duifibpruggar in questo genere
di strumenti: il contorno è ancora poco sviluppato e piuttosto
arrotondato, il corpo è largo e robusto, gli efie hanno poca in-
flessione e l'apertura uguale quasi in tutta la lunghezza, il solito
riccio è sostituito da una testa umana artisticamente intagliata.
L' odierna forma del violino dobbiamo a Gasparo da Salòj
al patriarca della liuteria bresciana. II suo cognome, dimenticato
per l' addietro, fu scoperto nelle vecchie carte dal cav. Giovanni
Livij le cui ricerche ci informano anche sulle cose particolari
della vita e delle opere di cotesto celebrato artista. ^^) Egli
nacque a Salò sul lago di Garda nel 1642, figlio a Francesco
BertoloUi pittore sopranominato il violìy da cui forse apprese i
rudimenti della liuteria. Trasferitosi a Brescia lavorò viole,
violoncelli e bassi più che violini, conforme all'indirizzo musi-
cale dei suoi tempi ; vi mori nel 1609. Ai suoi strumenti manca
l'eleganza e la fina fattura, ma vi rimane la sonorità maestosa;
i violini hanno le volte molto pronunciate; negli effe larghi e
quasi paralleli notiamo un distintivo della vecchia scuola bre-
sciana; le vernici sono bruno-scure, talvolta giallo-scure a ri-
flesso dorato.
Francesco BertoloUi, figlio di Gasparo, esercitò l'arte a
Brescia attenendosi alle norme paterne.
Giovanni Paolo Maggini, contemporaneo e forse allievo di
Gasparo da Salò, è degno rappresentante della scuola di Brescia,
ove lavorò fino al 1640 dedicando l'amore e lo studio all'in-
separabile famiglia di strumenti, che tuttora formano il quar-
tetto sovrano dell'orchestra, cioè violino, viola, violoncello e
890
oontrabasso. Diede al suo violino contorno più piacevole e ne
ornò sovente il fondo di artistici disegni. Gli effe allungati ed
alqaanto appuntiti ritroveremo poi in Guameri del Gesù. Spicca
con una voluta di più il riccio arditamente modellato e il doppio
filetto rafforza l'orlo del coperchio e del fondo, moderatamente
convessi. I violini di Giovanni Paolo, verniciati finamente a
colore ambra chiaro-bruna, per la giusta proporzione di tutte
le parti hanno voce imponente e grave, con una leggera tinta
di malinconia.
Fra i liutari bresciani nominerò ancora Sante Muggini
(1612-1650), figlio di Giovanni Paolo, lodatissimo per centra-
bassi, Giooita Rodiani (sec. XVI), ArUonio Maria Lansa^^) (1650-
1716) e Dotnenico Pasta (sec. XVIII), i quali osservarono le
regole stabilite dai sunnominati celebri riform^ttori.^^)
Per vetustà pari alla bresciana ma inferiore per fecondità
e per eccellenza del lavoro è la scuola bolognese. Tra i fon-
datori essa ha Latix o Luca Maler (Mailer), tedesco d'origine
e predecessore del noto Duiffopruggar. Secondando il gusto
contemporaneo egli fece liuti e viole fino al 1475. Un altro
Maler, Sigismondo il "tedesco^ (1460-1526), lavorò prima a Bologna
poi a Venezia ed era ricercato per la bontà della sua vernice.
Appartengono a questa scuola un Antonius Bononiensi^,
autore di viole da gamba e violoncelli d' amore, e Hierongmtis
Brensius, noto per viole da braccio. Entrambi vissero nel se-
colo XVI.
Buon numero di liutari nativi di Bologna, come pure
altri di Modena e Ferrara, appartengono alla scuola di Cremona,
ove appresa la migliore tecnica ne divulgarono poi i pregi in
patria o in altre città italiane.
Dal giorno in cui fu posta là sul Po la colonia romana a
fronteggiare i fieri Insubri mai rifulse Cremona di gloria pari
a quella, che le ridondò dai suoi liutari, gli Amati, i Guai*iieri
e sopra tutti Antonio Stradivari. Partendo dalle norme gene-
rali della liuteria bresciana, per esperienza riconosciute le mi-
gliori, costoro perfezionarono gli strumenti ad arco per quello
391
che concerne la forma e la sonorità e garantirono per V avve-
nire il predominio al violino, cura precipua della loro vita
laboriosa.
£ che di più elegante di quel suo contomo, che coli' ar-
monia di elementi circolari ed ellittici chiude il bel corpo bi-
convesso e marcato nel vago rilievo di quattro angoli acuti?
— di quegli eflfe lunghi e dolcemente inflessi, che s'aprono tra
le sfumature d'una vernice trasparente sopra l'ordito irrepren-
sibile di sottili fibre parallele, pronte a trasmettere il mirabile
concento dei suoni principali, concomitanti e tartiniani? — Il
riccio poi, simmetrico e slanciato, nelle profonde volute, quasi
due occhioni meditabondi, sembra riflettere il fremito delle
corde intonate.
Chi poi volesse esaminare l' intemo dell' organo delicato
vi troverebbe ammirabile semplicità d' opera empirica sorretta
dal calcolo proporzionale di spessori concentrici delle due ta-
vole, ^^) disposizione meditata delle parti vitali, cioè catena ed
anima, assenza d'ogni materialità dottrinaria poiché l'esecuzione
pratica si conforma alle esigenze individuali dello strumento.
Tale il prodigio dell'arte di Cremona!
Ma conobbero quei liutari la potenzialità musicale di cui
i loro cavi legni erano capaci? — Ne dubiteremo, che, mentre
essi creavano le voci divine, l'arte di sonare il violino era ai
primi albori; quando poi essa raggiungerà la perfezione al-
lora la classica liuteria sarà morta da un pezzo ! — Lavorarono
dunque per i posteri, cosi che anche una volta si conferma il
"sic voS; non vobis„ della leggenda virgiliana.
Caposcuola della liuteria cremonese fu Andrea Amati. Per
opera sua e dei suoi figli Antonio e Oirolamo l'arte fu promossa
colla creazione d' una officina e coir esercizio ereditario in fa-
miglia, onde poi si raffermò la scuola sistematica, conscia di
quanto voleva e poteva raggiungere. Non avendo un disegno
determinato i più vecchi artefici s'erano abbandonati talvolta
a bizzarrie della propria e dell'altrui imaginazione; gli Amati
invece fissarono la forma agli strumenti ad arco secondo il
modello del loro violino.
892
È probabile che Andrea Amati abbia appresa l'arte da
Dui£fopraggar o da Gianmarco di Busseto, contemporaneo e se-
gaace di Gasparo da Salò. Tenne un formato piuttosto grande^)
e ne abbassò poi le volte, certo a vantaggio della qualità del
suono. Mori nel 1680 lasciando l'officina ai due figli, che un
tempo lavorarono uniti e perfezionarono il modello del padre
curando che la voce fosse piuttosto amabile che forte.^^) Sebbene
nel formato grande di entrambi convenga lodare T eccellenza
del legname e del lavoro, pure Girolamo viene preferito per
gli effe più avvicinati ed eleganti, la vernice viva e trasparente
ed il riccio meglio slanciato.
A costui successe il figlio Nicolò, il più celebre tra i suoi
parenti liutari. Vissuto 88 anni (1596-1684) ebbe agio e talento
a sperimentare tutto quello che potesse rendergli il suono
dolce ed animato; per ciò alla forma comunemente piccola,
dalle volte singolari e piatte all'estremità, sostituì una più
grande, moderatamente convessa, più spiccata negli angoli e
più elegante.
Altri sette Amati seguirono la tradizione di famiglia fino
nella seconda metà del secolo XVIII divulgando centinaia di
strumenti, che oggidì l'astuzia dei fornitori e la buona fede
o la fatuità degli acquirenti attribuisce al grande Nicolò.
Cogli Amati ha qualche analogia la famiglia dei Gnar-
neri, nove artefici di merito, di cui l'anziano è Andrea (1660-
1696) e l'ultimo un Piergiovanni (morto nel 1766).
Andrea seguiva dapprima le norme del suo maestro Nicolò
Amati; più tardi le modificò alquanto riguardo al taglio degli
effe ed alle volte, che tenne un po' meno convesse.
Suo figlio Giuseppe (1676-1780) diminuì la larghezza del
modello tra i seni, negli effe combinò il tipo di Gasparo da
Salò e di Nicolò Amati e li pose più bassi e più vicini all'orlo.
La vernice irreprensibile dona ai suoi violini un suono nobi-
lissimo.
Suo fratello Pietro (1670-1726) aumentò invece la dimen-
sione mediana, fece gli effe più rotondi e più convesso il co-
perchio che ha legno finissimo a larghe fibre. In ciò egli fa
imitato dal nipote Piergiovanni di Giuseppe (1726-1766).
393
Supera tutti i congiunti Giuseppe Guarneri del Gesù (1683-
1746), detto così dal monogramma che usava nei polizzini. È
figlio d'un Giambattista fratello d'Andrea. Non s'attenne con-
seguentemente né alla maniera della famiglia ne a quella di
Antonio Stradivari, suo maestro secondo l'opinione di molti,
ma ebbe tre fasi nei suoi lavori: dapprima egli è trascurato,
poi veramente classico ed emulo di Stradivari, infine ritorna
scadente. Caratteristica nei suoi violini è la volta appena con-
vessa e crescente subito dall'orlo. I lunghi eflfe imitano ele-
gantemente il taglio dei migliori autori bresciani.
La liuteria italiana tocca l' apogeo della gloria con Antonio
Stradivari di Cremona, il maestro dei maestri, a cui s'inchina-
vano i contemporanei, s'inchinano riverenti i posteri, perocché
suoni così graditi e vellicanti l'orecchio ed il cuore umano
mai uscirono da strumento ad arco che non fosse il suo. Chi
intese un violino di lui, sia pure una volta sola, aderirà di
buon animo al Valdrighi quando esclama: "Innanzi a questo
nome non v' ha fama che resista al confronto : ad esso devono
inchinarsi tutte le potenze liutaresche caelestium^ terrestrìum et
in/ernorum^,^^)
E l'elogio al massimo artefice é pienamente giustificato,
sia che lo abbia pronunziato il biografo coscienzioso ^^) sia con
nobile metro armonizzato il poeta,") perché nessuno prima o
dopo Stradivari da un fragile congegno di otto assicelle seppe
produrre effetti armonici così squisiti, così commoventi.
Pervenne a tanta altezza sviluppando collo studio inde-
fesso, coir esperimento esatto T abilità tecnica acquistata nel-
l'officina di Nicolò Amati, dove si distinse per saggi di violini,
detti poi ^amatizzati,, perché non si scostavano dal tipo della
scuola. La prova del suo talento divinatorio e dell^ inestinguibile
desiderio di far meglio che altri noi l'abbiamo in ciò, che dal
1670 in poi per venticinque anni egli produsse poco, ma in
quella vece molto esperimentò: ridusse il formato, variò gli
spessori delle tavole, diminuì ripetutamente la convessità, colorò
diversamente la vernice. Il periodo aureo del suo magistero
va dal 1700 al 1725, fecondo di lavori bellissimi per forma,
inaiTivabili per sonorità, a cui contribuiscono armonicamente
394
tutte le parti iuterue ed esterne dei suoi strumenti. Le varianti
nello spessore del coperchio e nella disposizione degli effe
eleganti dimostrano come l'autore saggiamente modificasse le
norme generali a seconda del materiale, cioè della consistenza
e delle proprietà acustiche del legname. Egli tiene però fermo
alla poca convessità delle volte siccome indispensabile a un
suono grato e vigoroso insieme, certamente preferibile al timbro
cupo dei vecchi strumenti bresciani e di alcuni cremonesi.^^)
Dopo il 1726 la vegliarda mano sembra stancheggiata
dalla lunga operosità; all' eccellenza del suono rimane addietro
la finitezza del lavoro.
Antonio Stradivari diffuse per l'Italia da 700 violini,
300 tra viole e violoncelli, molti liuti ed alcune arpe. Il violino
del 1736 è l'ultimo; il polizzino reca l'autografo del nome del
geniale maestro, che l'anno dopo moriva a Cremona di no-
vantrè anni.
Fissata una volta la regola alla buona violineria da non
potersi impunemente trascurare né modificare se non a detri-
mento del suono, vediamo conseguire due fatti. U primo ri-
guarda i liutari italiani, che fedeli alle massime di Nicolò
Amati, dei Guameri e di Stradivari sanno conservare alto il
prestigio alla nobilissima arte. L'altro ne dimostra purtroppo
la decadenza, la degenerazione dalla seconda metà del se-
colo XVIII in poi.
Dalla disciplina di Stradivari uscirono i pregiati autori:
Carlo Bergonzi, il quale assieme a suo figlio Michelangelo andò
ad occupare la casa e l'ofiBlcina del maestro, Tommaso Balestrieri^
Lorenzo Giuidagnini, David Techler^ Francesco Gobetti, Alessandro
Gagliano e Domenico Montagnana. Alcuni di essi, come pure
altri allievi degli Amati, cioè Gioffredo Cappa, Paolo Orancino,
Giambattista Buggeri Bon, Francesco Buggeri detto il Per, fonda-
rono o perfezionarono le liuterie di Eoma, Venezia, Mantova,
Ferrara, Modena, Padova, Milano, Napoli e del Piemonte, che
vantano fabbricatori abilissimi.
Il merito degli antesignani cremonesi fu onorato anche
fuori d'Italia, principalmente poi nel limitrofo Tirolo, ove il
secondo Mattia Albani di Bolzano imitò egregiamente il suo
396
maestro Nicolò Amati, e Giacomo Stainer d'Absam, conoscitore
dei modelli italiani ^^), seppe dare ai suoi bellissimi violini quello
che l'autorevole Sibire chiama ^la creme du beau son„. La
maniera dello Stainer, caratterizzata dalle volte molto pronun-
ciate, dominò in Germania e in Inghilterra fino al principio
del nostro secolo. Anche la famosa officina dei Klotz a Mit-
tenwald in Baviera, fondata da Mattia (1640-1696), il quale
aveva lavorato a Cremona, s'attenne alla medesima producendo
ottimi strumenti, oggidì ancora spacciati per fattura del pre-
giato caposcuola tedesco morto nel 1683.
Decade l'arte sempre più fino allo stato di incredibile lan-
guore tostochè nella foga del lavoro per le orchestre rinforzate
e lo sciame di sonatori ambulanti è subentrata la speculazione,
che avida e volgare trascura le fonti della scienza né si dà
pensiero alcuno dei segreti della costruzione.^^)
In luogo di delinearvi siflFatto deterioramento progressivo ci-
tando un'infinità di nomi oscuri, mi limiterò ad un abbozzo della
miseria per i nostri tempi: la dura verità apparisce istessamente.
Un sedicente liutaro, sovente poco versato nelle cognizioni
rudimentali del falegname, ha improvvisato un violino e lo
battezza, come è di prammatica, secondo Amati *-^®) o Stainer o
comunque la scelta cada sopra un padrino illustre. (Recente-
mente io vidi uno strumento arrogantello, a cui la bugia si
leggeva sulla fronte, cioè la doppia bugia sul polizzino nel
nome di Andrea (!) Stradivari.) Egli mise ogni studio a far
bene il contorno, ma per una certa ambizione d'originalità,
che sentono in ogni tempo anche gli infimi, alterò qua e là
le linee geometriche, p. e. aprendo troppo i seni come per
isquartare, ripiegando l'uno contro l'altro gli angoli come il
becco adunco di quattro sparvieri arrabbiati, spalancando gli
effe quasi a riso sgangherato. Ma il buon uomo, ohe non co-
nosce acustica, ignorante o indolente a sperimentare, non si
dà molta briga degli spessori, non pensa nemmeno al modo di
diminuirli gradualmente sullo schema circolare o ellittico; si
sbraccia invece a piallare e a scalpellare alla ventura, ricor-
rendo a un compasso grossolano quando pure dubiti del proprio
occhio. — Compaginato è finalmente il cassettino; ci si applica
39G
il manico sormontato dal suo bravo riccio, che ora somiglia a
un ranocchio approdato, ora a un lungo malinconico punto
interrogativo. Una mano di color giallo, poi una di bruno o
rossiccio con alcune pennellate di vernice di drogheria, ed ecco
abbigliato il fantoccione di legno a cui nulla manca tranne la
voce del violino : esso stride, grida, mugola a tutta delizia delle
orecchie grosse, a cui conferisce meglio il boato da taverna
che non il canto educato dell'artista.
Modo alquanto diverso ma non meno iniquo seguono le
moderne fabbriche di strumenti ad arco. Non vi trovi da lodare
se non la divisione del lavoro, fondamento a ogni grande in-
dustria. Scelto il legname ancora fresco e ridotto a tavolette
come si deve, queste vengono messe a seccare nel fornello ri-
scaldato moderatamente, come dagli agronomi si usa coi graticci
ricolmi di prugne e albicocche. Quindi si adattano le parti e si
plasma il corpo, incensurabilmente, si sa, giacche T ipocrisia vuole
salva almeno la forma estema. La tastiera è già applicata e la
cordiera d'ebano, le corde di minugia e le ramate sono già tese.
Allora voi contemplate appaiati là nella mostra, col cartellino
al collo come due delinquenti, U pseudoamati e il pseudostra-
divari, giallastro l'unO; l'altro rubicondo, entrambi lustrissimi
come mobilinì usciti or ora dal lavoratorio: toccateli coli' arco
e vi risponderanno in gergo barbaro.
Contro si grave sciagura, che ha snaturati i più simpatici
organi della musica, reagirono di quando in quando con monito
generoso alcuni galantuomini, ma la loro voce si perdeva nel
deserto. Reagirono con miglior successo pochi abili e coscien-
ziosi fabbricatori, i quali per provvedere al bisogno di strumenti
passabili ricorrevano ai modelli della vecchia liuterìa italiana.
Fra questi benemeriti conviene ricordare con gratitudine Gio-
vanni Battista Viiillaumey appartenente a famiglia liutaresca del-
l' industre Mirecourt. Nella prima metà di questo secolo lavorò
a Parigi seguendo fedelmente le norme dei grandi Cremonesi
desunte dai loro strumenti, che doveva ristaurare. E di meglio
non poteva fare, dopoché i suoi molteplici esperimenti e quelli
del fisico SatHirt lo ebbero convinto dell'inutilità di qualunque
modificazione e del danno di ogni alterazione al modello di
Stradivari e dei suoi illustri conterranei.^^)
à9?
Tenne già la medesima via ed acquistò così bellissimo
nome nelParte parigina Nicolò Lupai tra il 1790 e il 1824.
Anche Giorgio Chanot ai nostri tempi copiava egregiamente
i migliori Guarneri e Stradivari.
Dato lina volta V impulso a sollevare artisticamente la
violineria francese, non tardarono a manifestarsi i salutari ef-
fetti anche nelle officine d'Italia e di Germania ed il ristauro
di strumenti italiani animò a copiarli esattamente in ogni loro
parte. Presso i Tedeschi, felicemente disposti ad esaminare le
cose tranquilli e ad eseguirle perseveranti, si vedono publicate
tecnologie apposite a guida sicura per la costruzione di buoni
violini'^) ed aperte scuole professionali relative; e in tutto ciò
domina il desiderio di fornirci di opere non indegne del ma-
gistero di Cremona. Così anche in questo campo abbiamo la
prova essere il ritomo ai sobri modelli del passato il miglior
rimedio contro il capriccio presuntuoso e manierato dei nova-
tori. La storia della letteratura e delle arti offre anche essa
analoghi esempi salutari.
Ora si domanda: secondo quali criteri procedevano i vecchi
liutari italiani nel lavoro degli strumenti ad arco? quali regole
ne vennero ai posteri perchè si potesse tentare a rimettere in
piedi una nobilissima arte decaduta?
Prima d'addurre fatti, che ritengo inoppugnabili, vorrei
escluso un concetto per me falso addirittura, cioè che quegli
artefici di Cremona, di Brescia, di Bologna nella disposizione
innata e nell'abilità tecnica superassero meravigliosamente gli
attuali di Milano, Dresda e Parigi, cosa che finora nessuno ha
potuto dimostrare. Quanto poi agli ordigni necessari al lavoro,
1 nostri tempi dispongono di così perfetti e molteplici da su-
perare i passati.
Se si volesse alludere all'incoraggiamento del talento
costruttore, non v'è dubbio che per la pretesa e la generosità
di committenti come anche per il bisogno di grandissimo nu-
mero di strumenti noi siamo avvantaggiati in confronto di
duecento e cento anni fa.
Nego anche 1' efficacia del tempo sulla bontà degli stru-
menti.^^) Quando tutte le parti d'un violino sieno bene a posto,
398
cioè quando la cassa armonica siasi accomodata alla pressione
delle corde mediante il ponticello ed alla resistenza dell'anima
e della catena ed abbia raggiunta l'elasticità necessaria alle
regolari vibrazioni acustiche, quando la vernice sia pienamente
asciutta, ciò che avviene in breve, allora uno strumento lavo-
rato secondo le regole sarà buono, uno malamente esagito
non migliorerà ne in dieci anni né mai più. Intesi più volte
da fabbricatori e possessori di violini e violoncelli, che quelli
attualmente ruvidi, rauchi ed inuguali in un secolo a forza di
arcate abilmente domati canterebbero deliziosamente all'orecchio
dei pronipoti riconoscenti. Pregiudizio e illusione fallace ! Meglio
era confessare il difetto di costruzione e rassegnarsi al reo
destino, perocché il tempo non toglie le conseguenze dell'im-
perizia e dell'errore. Se la teoria di costoro fosse buona, tro-
veremmo noi anche tra i vecchi strumenti italiani tanto numero
di scadenti?
Bi tornando all'argomento risponderò che i grandi maestri
d'altri tempi erano scnipolosi nella scelta del legname d'ottima
qualità. Per la tavola annonica preferivano l'abete cresciuto
sul versante meridionale delle Alpi tirolesi; per il suo tessuto
sviluppatosi più lentamente col vegetare sopra un terreno re-
lativamente roccioso, e forse anche per certe condizioni speciali
del clima locale esso risponde meglio d' ogni altro alle esigenze
acustiche. Per il fondo, le fasce ed il manico adoperavano l'acero,
preferendo il bel disegno listato e trasparente per sodisfare
la ragione estetica.
Il materiale cosi acquistato rimaneva lungo tempo a gia-
cere in luogo riparato, dove naturalmente si potesse compiere
il lento processo di disseccamento.
Quindi incominciava il lavoro di ogni singolo pezzo de-
stinato a formare il corpo sonoro. Somma esattezza richiedeva
sopra tutto il coperchio siccome quella parte, che più essen-
zialmente contribuisce a rinforzare le vibrazioni delle corde e
ad arrotondarle a suoni grati all'udito. Che tale funzione non
si competa al fondo, come molti erroneamente credono, '2) a
cui incombe invece di chiudere, unitamente alle fasce, la cassa
armonica, e mercè il suo spessore, che non deve discendere
al di sotto d'un giusto minimo, di secondare con vibrazioni
to9
subordinate quelle decisive del coperchio non interferendo a
danno della sonorità^ io ho ragione di desumere dal fatto che
in molti violini antichi esso è ora di acero, ora di pero, di
tiglio, di faggio, dunque legname diverso anche rispetto al
coefficiente acustico, e spesso è ornato dentarsi o di pitture,
mentrechè la tavola armonica è sempre d'abete, perfettamente
omogenea e non mai alterata dalP unione con corpi estranei,
che turberebbero le vibrazioni regolari, cioè renderebbero in-
uguale il suono; i filetti poi, commessi nell'orlo del coperchio,
non danneggiano la voce perchè corrono air intomo per i punti
morti che non hanno oscillazione.
Dopo ciò taluno potrebbe con ragione osservarmi, come
mai avvenga, che moderni strumenti ad arco, fatti secondo le
norme dei classici e sovente imitazioni degli originali cremo-
nesi cosi esatte da trarre in inganno il più esperto conoscitore,
sotto l'arco producono effetti armonici assai inferiori all'aspet-
tativa.
Tutto ciò è vero. Ma vi è il perchè: vi è un segreto,
intomo ciii già da un secolo s'affaticano i più famosi liutari
invano — il segreto della vernice.
Il profano non ha forse mai posto attenzione che il violino
è colorato e inverniciato. Al concerto egli nemmeno considera
lo strumento per la voce che ha, alla musica bada si e no a
seconda della momentanea disposizione d'animo, molto osserva
invece il sonatore, cui a pezzo finito si sbraccerà anche a
chiamare alla ribalta. Eppure tutto quel sussulto di nervi, quel
lavorio di muscoli generatori di formidabile applauso non è
provocato soltanto dalla figura simpatica dell'artista bensì in
gran parte dal suono incantevole dello strumento, onde inconsci
egli ci rapisce.
Ebbene, cotesto caratteristico timbro del violino, la sua
voce gentile, insinuante, ineffabile dipende massimamente dalla
vernice — premesso però che esso abbia in giusto grado tutte
le qualità indispensabili d'una buona costruzione.
La vernice, comunque sia colorata, non ha già l'unico
scopo di rendere lo strumento piacevole all'occhio. Neppure è
destinata solo a preservarlo dall'umidità e dalle variazioni di
temperatura, perchè altrimenti ne l'avrebbero spalmato anche di
400
dentro dove per i fori degli effe penetra liberamente Ilaria e
il vapore acqueo.
Che la qualità della wce in uno strumento ad arco dipenda
massimamente dalla vernice, nella stessa guisa che la sonorità
dalla proporzionata disposizione delle parti, ciò io sostengo
non mica per ismania di teorie nuove, le quali male si reggono
sulle gambe sottili anche delle ipotesi più ingegnose^ ma lo
sostengo onestamente, confortato dai fatti che oramai mi sento
in dovere di comunicarvi.
Una tavoletta d'abete, che sia naturalmente seccata e poi
adattata a vibrare liberamente, mentre è ancora puro legno
vi darà un determinato suono. Appiccicatele oggetto estraneo
di varia specie e ne caverete tante qualità di suono diverse
Tuna dall'altra. Impregnatela finalmente d'un liquido e asciutta
che essa sia vi dà un timbro diverso da tutti i precedenti,
il quale è conforme alla proprietà delle sostanze introdotte nei
pori del legname, dunque dipende dall'ignota alterazione pro-
dotta cosi nell'aggregato molecolare degli strati lignei e delle
fibre divisorie. Tutto questo mi pare incontestabile.
Ora proviamoci a ripetere lo sperimento col violino. Se
fatto inappuntabilmente e mentre ancora non è manipolato
esso risponde con un suono speciale, piacevole si, ma vuoto —
ha insomma la voce legnosa. Inverniciato e colorato risuona
diversamente, cioè rende altrettante qualità di voce quante
furono le differenze specifiche della vernice e del colore. Finora
la migliore vernice possibile è la cremonese : come fosse pre-
parata, come applicata, ciò appunto costituisce la grande inco-
gnita. Se molti pregiati strumenti moderni presentano una
costruzione regolare, copiata scrupolosamente dai classici mo-
delli — se nella proporzionalità di tutte le parti, ottenuta con
misurazioni quasi micrometriche, il Vuillaume p. e. copiò Stra-
divari e Quameri del Q-esù — e se con tutto ciò non si ottenne
la desiderata pienezza e rotondità di voce, bisogna pur inferire
che il difetto sta nella vernice.
E questo per noi il famoso segreto, 1' enigma indecifrato
che uomini digiuni di cognizioni chimiche ma per compenso
ben fomiti d' intuitiva e -d' esperienza, conoscitori provetti
di balsami e di resine della patria campagna, vollero legato
40l
air acume dei posteri, liutari o famosi scienziati delle alte scuole
dì Parigi e di Mouaco.'')
Riflettiamo ancora qiiesto: se la vernice italiana negli
strumenti non fosse che cosa accessoria, occorreva poi fame
tanto mistero? I segreti si riferiscono notoriamente a cose di
qualche importanza, a cose essenziali; onde non mi pare am-
missibile, che quegli uomini schietti e positivi volessero darsi
buon tempo con un trastullo puerile, fingendo misteri dove non
ce n'è bisogno, ma nel loro geloso silenzio vedo piuttosto
un mezzo atto a garantire al proprio prodotto la superiorità
siiiV altrui.
Yale la pena di rilevare anche una circostanza, cioè che
nei vecchi strumenti la bontà del suono sta in una certa cor-
relazione colla bellezza della vernice. Esclusi i lavori fatti con
imperizia o negligenza, restano in buon numero altri, che ese-
guiti bene sono tuttavia acusticamente deficienti ; osservatene
la vernice e la troverete scadente — coincidenza questa, che
mi sembra apprezzabile.
C'è un altro fatto a darmi ragione, e l'ebbi a constatare
troppo spesso: vecchi violini e violoncelli buoni, che abbiso-
gnavano di qualche lieve ristauro, deteriorarono sempre se
ritoccati con vernice moderna e perdettero aflfatto il bel timbro
originale se sopraverniciati per intero.
In fine riferisco una memoria storica, che milita in favore
della mia tesi. Già nei primordi della liuteria italiana si dava
peso alla vernice e alla maniera d'adoperarla. Cosi trovo, che
nel 1526 Alfonso I duca di Ferrara, raccoglitore appassionato
di viole e liuti, ordinava al suo ambasciatore a Venezia Jacopo
Tibaldi di chiedere al noto Sigismondo Maler come si faceva e
come si applicava la vernice.")
Ed ora io debbo esprimere la mia convinzione ed in pari
tempo formulare il compito a quei liutari, che hanno a cuore
la ristaurazione della loro arte :
EestUuite al violino la buona vernice italiana^ ed esso vi ren-
derà la bella voce italiana degli strumenti cremonesi.^^)
Dopo quanto ho esposto poco saprei aggiungere in merito
degli organi musicali d' una gloriosa epoca tramontata. Le
M
questioni pni'amente tecnologiche della violineria non richie-
dono qui altro trattato speciale.
Accennerò invece i delinquenti del violino!
Perchè non mi si fraintenda e non mi si accusi di fero-
cità, io protesto innanzi a voi che nelle mie parole non è
ombra d* allusione a quei felicissimi esseri, che troppo di fre-
quente a uno, a due, a tre o più insieme da altrettante finestre
spalancate (cosi richiede il vezzo filantropico invalso nei centri
popolosi, anche per strumenti più mastodontici) effondono sn
voi una benedizione di scale, trilli e accordi, ' d' arie, elegie e
altra grazia di dio, quasi per irrorarvi di mirifica interferenza
il cervello inaridito da problemi di matematica o magari di
filosofia trascendentale. Anzi io stimo costoro molto benemeriti
del violino.
La mia accusa colpisce ben altri: quei nipoti degeneri,
nobili e dell' alta borghesia d' Italia i quali, sostituendo più
materiali passatempi ai lieti convegni di famiglia, i classici
cremonesi, ambito retaggio in tempi migliori, vollero relegati
su per le soffitte ad ammutolire all'allegra danza dei topi e al
sottile lavoro del ragno premuroso di coprire colla sua tela la
vergogna altrui. Ben li desterà dal letargo lo scaltro intercet-
tatore e li recherà al mercato di Parigi, di Londra, di Pietro-
burgo, ove sovente passeranno a figurare muto ornamento
nella sala del migliore offerente accanto ai cocci etruschi, alle
scimitarre orientali, alle ramose corna del ruminante boschereccio
tradito alla caccia.
Accuso quegli sciagurati; che nella demenza della moda
hanno ucciso il più belio, il più nobile suono mutilando le
tavole armoniche a forza d' abrasioni, raschiamenti e simili
operazioni vandaliche, per cui ne fu assottigliato lo spessore
a tutto danno della sonorità e lesa la vernice nella parte vitale.
E tutto ciò essi hanno perpetrato per secondare i leziosi eroi
pariniani e le loro incipriate deesse, che non avrebbero potuto
sopportare una robusta voce cremonese turbatrice villana dei
convenzionali bisbigli e delle diplomatiche congiure, a cui meglio
teneva bordone il miagolio d'un gramo ventriloquo di leg^o.
Accuso quei ristauratori materialoni e dottrinari — e sono
molti purtroppo! — che ignoranti delle più elementari regole
deir acustica, per rimettere un organismo di violino intisichito
da tanta anatomia, vi applicano senza riguardo e abbondante-
mente il rinforzo intemo in forma della cosidetta camicia, o
nel delicato corpo cacciano una catena grossa e lunghissima, e
finiscono poi col togliere alla tavola armonica quel po' di energia
rimasta ancora dopo Tempia mutilazione, o del loro lustro bre-
vettato spalmando il leso istrumento ne distruggono T impronta
originale e, peggio ancora, il residuo filo di voce soave italiana,
tuttavia preferibile al noioso ronfare provocato per ignoranza.
Ma la condanna di tutti costoro è la loro opera!
Dei falsificatori, i quali se pure non abbiano potuto rubare
un polizzino originale dal fondo d'uno strumento di pregio lo
contraffanno onde vie meglio accreditare presso qualche ingenuo
la recente mistificazione compiuta con imposture d' ogni sorta,
di loro non dico nulla : spettano al giudice criminale i messeri.
Dalle acque basse e torbide d'oggigiorno rimiriamo ras-
segnati le pure fonti, i limpidi e gagliardi rivi della liuteria
passata, e confortiamoci che almeno la sua storia è sincera
nel rammentare un nobilissimo prodotto della civiltà e perpe-
tuare il nome glorioso di tutti quelli che vi hanno collaborato !
NOTE.
') Il conto Luigi Francesco Valdrighi, già conosciuto per varie
dotte monografie, pubUcò un pregevolissimo lavoro sui FabMcatoH di
strumenti armcnici, corredato di note esplicative che si riferiscono ai più
distinti artefici da lui segnati neir elenco contenente più di 4600 nomi, tra
cui più di 1500 appartengono a fabbricatori di strumenti ad arco. Vedi
Memorie della Regia Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena, serie li,
voi. II, VI e X, sezione di arti,
«) F. I. Fétis, Antoine Stradivari, Paris, VuUlaume, 1856.
') George Hart, The violini its famaus makers and their imittUors,
London, 1884.
*) Il merito d'aver corretta l'alterazione spetta a Valdrighi; vedi
op. cit., voi. II, pag. 201.
^) I disegni del bin e degli strumenti da esso derivati si trovano
alle pag. 3-5 dell' opera di Guglielmo Quarenghi, Metodo di violoncello^
Milano, 1877.
40é
•) Valdrìghi, op. cit., voi. it, pag. V-VI; Quarenghi, op. cit. pag. à
^) Valdrighi, op. cit., voL II, pag. VI.
•) Doti. E. Schebeck, BeHcht Uber die aìlgemeine AgricuUur' une
Imìu9tn^' Auutellung zu Paris im Jàhre 1855, Wien, ia57-58, voi. Ili, fase. 2a
pag. 65-123. Il rapporto contiene cose int'eressantissime riguardo gli spe-
rimenti fatti a Parigi con vecchi violini e nuovi. — Hart, op. cit., pag. 3,
cita altri esempi relativi.
•) Quarenghi; op. cit, pag. 7.
") Quarenghi, op. cit, pag. 7.
'*) Ritengo questa Tunica interpretazione vera del nome; vedi
Joh. Wilh. V. Wasielewski, Die Violine und ihre Meister, Leipzig.
1869, pag. 4.
■•) Dott. E. Schebeck, Der Geigenbau iti Itaìien und sein deutscher
Ur$prung, pag. 64 (estratto dal Jahrbuch des deutschen Vereines zur Ver-
hreitung gemeinniJfziger Kenninisse in Pfog^ 1875),
*•) Valdrighi, op. cit., voi. X, pag. 36.
") Valdrighi, op, cit, voi. II, pag. 143.
**) Friedrich Ni ederheitmann, Crwtona, Il.a ediz., Leipzig, 1884,
pag. 6-7.
'•) Giovanni Livi, Gasparo da Salò e Vinvenzione del violino. La
dotta memoria fu publicata nella ''Nuova Antologia,,, Roma, IILa serie
voi. XXXIV, fase. XVI, pag. 66^-681.
'*) Trovasi scritto anche Lanza. Non so perchè alcuni scrittori
usano Lausa. Cosi anche Herrmann Starcke (Die Geige eiCfjyresàerì^
1884, pag. 34), il quale per giunta prende una cantonata dicendo che i
violini del Lansa sono fatti esattamente sul modello di Gasparo da Salò
e di Maggini, mentre l' epoca 1530-1550 da lui stesso annotata contradice
a quella aggiunta ai due illustri nomi, perchè è impossibile copiare un
autore nato appena ed un altro che nascerà dopo 40 anni ! Vedi op. cit.,
pag. 21, 22 e 24.
") Ommetto la citazione di molti nomi, che qui ritengo non indi-
spensabili, tanto più che gli elenchi di liutari si trovano riportati da
vari scrittori.
"•) Fétis, op. cit, pag. 80-81.
••> Valdrighi, op. cit, voi. Il, pag. 110.
") Fétis, op. cit, pag. 66-67; Wasielewski, op. cit, pag. 9.
••) Valdrighi, op. cit, voi. Il, pag. 214.
•^ Fétis, op. cit.
**) Hart, op. cit, pag. 166 e 167, reca i versi di Longfellow e
George Eliot.
406
») Fétis, op. cit., pag. 78-79 e 90-91.
^ Alcuni ammettono, negano altri che Giacomo Stainer fosse al-
lievo di Nicolò Amati. Mi persuade più la versione dello Starcke (op*
cit., pag. 70-71), secondo la quale Stainer non è mai andato né a Venezia
né a Cremona a perfezionarsi neirarte, ma ha potuto studiare buoni
violini italiani, specialmente quelli di Nicolò Amati, a Innsbruck, dove
alla corte dell'arciduca Leopoldo e di Claudia dei Medici allora si
davano frequenti feste musicali con artisti d'Italia. — In proposito si
confronti anche Hart, op. cit, pag. 262-264.
") Valdrighi, op. cit, voi, II, pag. V-VI. — Del resto le giusti-
ficate lamentazioni si possono leggere in ogni libro che tratti della liuteria.
"•) Livi, op. cit, pag. 679, nell'annotazione riporta le belle parole
di Vi dal: "Le nom d'Amati est celui dont on a le plus abusé: il n'y
a pas de produit bàtard des époques primitives ayant quelque apparence
italienne qui n'ait été baptisé du nom d' un des Amati ; et leurs étiquettes,
imitées avec une audace déplorable, ornent aujourd'hui quantité d'in-
struments hoUandais, belges, allemands, fran9ais et anglais des XVII.
e XVIIL siècles, qui ne tirent leur valeur que de l' Imagination trop
facile & satisfaire des nombreux amateurs enthousiastes.,,
^) Si legga il giudizio lusinghiero per Vuillaume pronunciato dal
famoso critico musicale Dott Ed. Hanslick nei suoi rapporti sull'espo-
sizione di Londra (Oesterr» Bericht ilber die internationale Austtellung in
London 1862, Wien, 1863, pag. 438-439) e di Parigi (Bericht Ober die Weit-
Ausstélluny zu Paris in Jahre 1867, Wien, 1869, voi. I. fase. 3, pag. 34-36).
*®) Paul Otto Apian-Bennewitz, Die Oeige, der Geigenbau und
die Bogenverfertigung, Weimar, 1892.
*') Fétis, op. cit, pag. 78: ''il y a donc autre chose que le temps
pour donner la qualité aux instruments, et méme autre chose qu'une
construction satisfaisante l'oeil: 11 y a des loi9 d* acoustique ; ce sont elles
qu'il s'agit de découvrir.,,
") Antonio Bagatella, autore delle Regole per la costruzione dei
violini, oioloncdli e violoni, che furono premiate dall'Accademia di Padova
nel 1782, raccomanda d'essere molto cauti nella scelta del legno per il
fondo, perché dal fondo specialmente dipende la bontà dello strumento.
Cosi leggo a pag. 20 della traduzione tedesca di I. O. H. Schaum di
Lipsia, che fortunatamente ho potuto acquistare da un antiquario di libri
prima che il Valdrighi riproducesse l'originale nella ''Rivista periodica
di Padova,,. — L' opinione del Bagatella però non corrisponde alla verità
fisica, perocché il legno del fondo come conduttore del suono per sua natura
è molto inferiore all'abete del coperchio; essa non è conforme alla costru-
zione degli strumenti ad arco ed alla conseguente diretta trasmissione
sonora dalle corde alla tavola armonica.
■*) Starcke, op. cit, pag. 10.
406
") Valdrighi, op. cit, voi. Il, pag. 176 e 267, voi. X, pag. la —
Trascrìvo qui il passo che interessa:
''D. XX. Genn. an. 1626. Venetiis. ^ Iacopo Tibaldi al Duca a
Ferrara.
U magnifico Sigismundo Maler Thedescho m^ha promesso far, Limi
proximo, bavere in scripto come se fa la vernice et come Tadoprì nelli
sua liuti, secondo r£x.tu V.ir« me scrive desiderare d' bavere.,
**) Il segreto della vecchia vernice italiana preoccupa, come fu ac-
cennato, i mìgUori fabbrìcatori moderni di strumenti ad arco. Tra i
quali cito Otto Migge di Coblenza, che nel 1894 pubi! cava un opuscolo
per dimostrare d'aver finalmente trovato il bandolo della matassa, ossia
di conoscere la maniera di fare i violini non interiori agli stradi varlani.
Ho studiato il libro della rivelazione promessa e qui esterno il mio giu-
dizio in proposito. Che la bontà degli strumenti cremonesi dipenda anche
dair invemiciatura del coperchio prima che esso sia incollato al corpo,
perchè altrimenti diventa rigido, ossia si priva delP elasticità volata
in ciò il Migge può aver ragione. Ma non mi pare riuscito niente affatto
nella pretesa scoperta della vernice stradi variana e neppure d'una acu-
sticamente equivalente, se devo credere più ai fatti che alle parole. Il
solerte editore triestino Carlo Schmidl, che certo ha molta esperienza
negli sbinimeuti armonici, avuto a prova un violino del Migge, volle tosto
convincersi, e convincere noi interessati, di cotanto successo che avrebbe
procurato a ognuno strumenti da concerto e a buon prezzo, dispensandolo
dal dare la caccia a qualche vecchio italiano e dal relativo sacrifizio d'un
peculio addirittura. Quindi in una sala si fece il saggio musicale dal
miglior arco che vanti la nostra città. Tutto andava bene: lo stradivario
di Coblenza, di forma irreprensibile e lavorato artisticamente, rendeva i
suoni limpidi e uguali tanto nelle basse che nelle acute, ma pure ci man-
cava quel non so che di toccante, d'incantevole: mancava la voce piena
e pastosa d*uno stradivario cremonese. Innanzi a un Gofiriller e imo
Stainer sonati imparzialmente dal medesimo artista il violino del Migge
dovè capitolare a discrezione.
/Wum*uw^;WW«w*mwmmwH*wwwwHmwu^
ANTICHITÀ
scoperte a Trieste e nel suo territorio
nel deeennio 1887-1896.
Dal di che la città cominciò ad estendersi al di là delle
vecchie mura, furono ritrovati molti depositi di anticaglie e
rovine di costruzioni dell'epoca romana, anche nelle più lon-
tane contrade, alle pendici e lungo le falde dei colli, in mezzo
ai campi ed ai boschi, ove nessuno avrebbe mai pensato che
ne' primi secoli dell' era volgare avessero esistito luoghi abitati
e sedi del vivere civile. Queste scoperte avvalorarono le leg-
gende e le tradizioni, che narrano essere stato il dominio romano
per Trieste fecondo di grandezza e splendore, ed avrebbero gio-
vato a ricostruirne la topografia e dato alla sua storia ancor
altre preziose notizie, se molte volte non fossero state trascu-
rate, disperse e distrutte prima di venir portate a conoscenza
del publico e valutate da persone competenti. Lo stato di cose
creato nel secolo passato dall'istituzione del porto franco, le
cure della vecchia e della nuova gente rivolte quasi tutte ai
commerci ed alle industrie, la fretta onde dovevansi apprestare
le fabbriche occorrenti, scusano cotale negligenza, sebbene sia
da rimpiangersi che per essa venisse interrotta l'opera del
nostro Ireneo, il quale porgendo ai posteri. nobilissimo esempio,
aveva fatto si grande tesoro dei monumenti della sua patria.
Veruna ragione invece la scuserebbe oggi che per la maggiore
civiltà è universalmente riconosciuta l'importanza degli studi sto-
rici; ed a vero dire, anche appo di noi viene con sollecitudine fa-
vorita la ricerca e la conservazione degli avanzi dell' antichità.
Nondimanco accade talvolta, e lo crediamo inevitabile, che o
per ignoranza o per indifferenza, molte cose non sieno osservate,
406
ovvero per altri motivi si tengano nascoste; ma è soprattutto
a deplorarsi quando persone istruite, essendone per le loro
stesse incombenze informate, non vi pongano mente, o sosti-
tuendo il proprio aU* altrui giudizio, tralascino di annunciarle,
come prescrive la legge.
In queste poche pagine comprendiamo per ordine di
tempo alcune scoperte, che oltre a quelle dichiarate nelle pre-
cedenti relazioni, furono fatte a Trieste e nel suo territorio negli
ultimi dieci anni. Ai benemeriti signori che ebbero la bontà
di darcene notizia e che ci agevolarono le relative indagini,
manifestiamo anche in questa occasione la nostra sincera rico-
noscenza. A tutti gli altri poi raccomandiamo vivamente d' imi-
tarli, se imprendendo lavori di sterro o di livellazione, toccale
loro di rinvenire tracce di vetuste costruzioni od altri oggetti
antichi. Il civico museo archeologico, che ha per compito pre-
cipuo di raccogliere tutto ciò che può servire ad illostrare
la storia patria, non mancherà di far eseguire tosto i rilievi
necessari, procurando che per essi quei lavori non vengano
inceppati né abbiano a subire alcun ritardo.
Nel demolire le case che occupavano Tarea sulla quale
tra la piazza Vecchia e la via di Riborgo venne eretto l'edi-
ficio delle scuole popolari di Città Vecchia, all'angolo dell'an-
drena Rusconi, ora scomparsa, nel mese di settembre del 1887,
si trovò incassata nel muro della casa n. tav. 58 una lastra
di pietra calcare di S.ta Croce, alta m. l'54, larga m. 0*52 e
grossa m. 0*16, la quale sul lato che era stato sottratto alla
vista, ad un metro dalla base, porta incise le lettere:
HM-H-NS-
hoc monumentum heredem non sequetur^ che c'informano esser
essa stata levata da una tomba romana. Venne trasportata al
civico museo lapidario.
Facendosi lo scavo per le fondazioni dello stesso edificio,
a circa m. 1*5 sotto il piano attuale della strada, vennero ri-
conosciuti gli avanzi di una costruzione medievale, che ci
diede quattro capitelli, uno grande e tre piccoli, due modiglioni
I
409
ed alcuni pezzi di cornice di pietra calcare, probabilmente del
secolo decimoquarto, ed un piccolo frammento d' iscrizione con
lettere gotiche della stessa epoca, che leggesi
S E P V l\
SVNT'
/e R N I T A ^/
/maro
Oltre a questi oggetti si rinvennero una bella catinella di
maiolica faentina con rappresentazione mitologica, quattro boc-
cali pure di maiolica e molti rottami di vasi di terra e di vetro,
ed infine una lapide di pietra calcare d' Istria, che porta scol-
pito uno stemma, il quale è troppo guasto per potersi deter-
minare, ma sembra esser stato quello della famiglia dei Coppo.
Proseguito lo sterro fino alla fondezza di circa tre metri,
fu raggiunta la superficie che aveva il suolo al tempo romano,
e fu messa a nudo la spiaggia del mare, il quale allora arri-
vava a un dipresso sino alla linea segnata dalla facciata ante-
riore del nuovo edificio scolastico. Non v' aveva qui sponda
murata, si bene un piccolo molo per approdo delle barche, le
quali venivano legate ad un rocchio di pietra che era rimasto
al suo posto. Non lungi dal molo si scoperse un tratto di pa-
vimento costruito di piccoli mattoni e più in là un angusto
canale in opera laterizia di accurata esecuzione, il quale deri-
vava dal luogo ove esistono ancora le rovine del teatro romano,
e metteva nel mare dopo aver ricevuto un altro canale di
uguale grandézza e fattura, che passa sotto la casa, in cui
nacque il padre Irono della Croce. Nei due canali furono rin-
venuti un vasetto d' argilla in forma di calice e varie monete
romane di bronzo, tra cui una mezzana di Marco Aurelio cogli
istrumenti sacerdotali e la leggenda PIETAS AVO. ed alcune
piccole di Costantino e dei suoi figli ; inoltre qua e là dispersi
molti cocci di anfore e pezzi di mattoni, tegole ed embrici.
Nella contrada di S. Sabba, non lungi dal luogo, ove
nell'anno 1886 furono scoperte e parzialmente esplorato le
410
rovine di una follonica romana,') e neir immediata vicinanza
dei magazzini del petrolio, scavandosi il materiale per l'ampliar
mento di quel porto, nel mese di gennaio del 1888, fu trovata
una testa di marmo greco, residuo di un busto o di una statua
di donna scolpita in proporzioni corrispondenti al naturale.
La si rinvenne ad un metro di profondità distante circa otto
metri dall'abside della chiesuola consacrata a quel santo, in*
sieme con pezzi di tegole e frammenti di vasi di terracotta,
con un gradino di pietra calcare ed una lastra della stessa pietra
tagliata alla foggia di tittdus e con due monete enee imperiali,
che per la loro pessima conservazione non poterono determinarsi*
La testa, che non è di cattivo lavoro, rappresenta V effigie
di una donna piuttosto attempata. La capigliatura è acconciata
conforme alla moda che vigeva nella prima metà del terzo
secolo dell'era volgare. Potrebbe esser questo il ritratto di
una principessa della famiglia dei Severi, forse di Julia Maesa,
zia di Caracalla ed ava di Eliogabalo, morta nell'anno 223.
La testa venne donata al civico museo di antichità dal-
l' impresa Cecconi, conduttrice dei lavori di allargamento del
porto pel petrolio.
L'esplorazione della follonica di S. Sabba, interrotta uel
1886; non potè venii*e ripresa negli anni seguenti, perchè uno
dei proprietari dei fondi, nei quali sarebbesi dovuto proseguire
lo scavo, ignoriamo per quale motivo, ci negò il suo consenso,
ad onta che gli altri l'avessero gentilmente s^scordato e noi
ci fossimo obbligati a risarcire tutti i danni e scoprendosi
oggetti d'oro o d'argento, a pagare il prezzo corrispondente
al valore del metallo prezioso. Quando però nel 1892 si fab-
bricarono colà gli edifici per la raffineria di olii minerali, ab-
biamo potuto osservare che tutto il rimante constava d' un
tale ammasso di macerie da non sapersi raccapezzare, essendo
impossibile di distinguere le parti una dall'altra.
Da qui passando nella vicina villa di Servola, dobbiamo
avvertire che nel 1889, costruendosi il tronco della ferrovia
*) Archéografo Triestino, voi. XIl, 1886, ed Atti del mtiseo civico di
antichità j n. 1.
411
che mena al porlo di S. Sabba, dirimpetto al sito che prima
era occupato dal cantiere di S. Lorenzo, sul chilometro 2*860
della ferrovia, alla profondità di uno a due metri ed in mezzo
al terriccio, vennero trovate undici monete enee romane di
tutti i secoli, oltremodo corrose, un frammento di serratura di
bronzo e vari altri oggetti di questo metallo e di ferro di ori-
gine romana, ma di nessuna importanza, ed un pezzo d'urna
cineraria in pietra calcare. E nel 1896 poco lungi da questo
punto ed in prossimità alla riva del mare, mentre s'appresta-
vano le fondazioni pel primo alto forno deUa Società metallurgica
triestina, propriamente al confine dei fondi n ri cat 414 e 420,
gli scavatori s'imbatterono in un pavimento musivo composto
di pietruzze bianche, in un'urna cineraria di pietra calcare
frammentata ed in alcuni rottami di terracotta.
Nell'aprile del 1888 furono denudati gli avanzi di una
casa d'epoca romana nel giardino del conte Giacomo Prandi
in via S. Michele, mentre nella parte del medesimo che è sot-
toposta all' erta che sale alla Cattedrale, stavasi scavando per
le fondamenta d'un villino. Si scoprirono alcuni muri e nel
mezzo un tratto di pavimento a musaico formato di sole pie-
truzze bianche. Disperse fra le macerie si raccolsero due mo-
nete enee dei primi anni dell' impero d' Augusto e col nome
dello zecchiere Publio Lurio Agrippa. Dal lato principale pre-
sentano queste la testa nuda del principe volta a destra e la
leggenda CAESAR AVGVST. PONT. MAX. TRIBVNIC. POT.
= Caesar Angustus ponti/ex maximtis tribunicia potestate; al ro-
vescio la leggenda P. LVRIVS AGRIPPA HIVIR A. A. A. F. F.
con le lettere 8. C. nel mezzo = Publitis Lurius Agrippa, triumvir
aere^ argento^ auro, flando, feriundo — senatus constdio. Ambe le
monete sono doppiamente contrassegnate avendo incusso : IMP.
AVG. e TIB. AVG. Furono rinvenuti inoltre un bronzo mez-
zano dell'imperatore Flavio Vespasiano coli' aquila spiegata
su di un globo, coniato neir anno 71 d. C, una piccola mone-
tina dello stesso metallo di Claudio II Gotico ed altra di Co-
stantino Magno.
Entro lo spazio circoscritto dai muri romani giacevano
sette scheletri umani; dei quali quattro erano deposti nella
412
terra e tre rinchiusi in un sarcofago di opera laterizia. E con
gli scheletri vennero trovati tre scuri da guerra, una cuspide
di lancia, un frammento di grande spada con paramano, dae
coltelli, due chiavi, alcuni punteruoli, chiodi ed altri pezzi di
ferro. Ì)i oggetti d'ornamento si ebbero soltanto un ago cri-
nale e due anelli di bronzo, questi adorni di piccolissimi cer-
chielli impressi. I resti umani appartengono di certo ad un'età
posteriore a quella della casa, forse all'epoca dei Carolingi^
nella quale, essendosi di molto ristretta la città, pare che
questo luogo sia stato convertito in cimitero.
Il sepellire i cadaveri entro il recinto delle case abban-
donate, non era insolito nel medioevo, e nell' Istria assai dì
frequente si rinvengono resti umani, venendo scoperte le rovine
di quelle. Per citare un esempio, ricordiamo il beli' edificio
romano, le cui vestigia sono ancora visibili, in vicinanza al
mare, nella località chiamata Zambrattia, tra Sipar e Salvore.
Si grande fu il numero dei morti trovati nelle sue camere,
che taluno, tratto in errore eziandio dalla solidissima o perfetta
costruzione dei muri, volle vedervi gli avanzi di un grandioso
mausoleo. Un altro esempio ci dà il compianto e benemerito
Dario Bertolini nella relazione degli scavi di Concordia Sagit-
taria, ove narra essere venuto colà alla luce neU' anno 1876
il muro di cinta di una stanza, che conservava ancora il suo
pavimento, ed ivi sopra uno strato di ruderi, alto quasi mezzo
metro, nel quale si trovarono parecchie tombe in laterizi e
parecchie anfore vinarie addossate ai muri, talune infisse nei
muri medesimi, contenendo ciascuna lo scheletro di un bambino.^)
Il signor conte Giacomo Prandi con gentile pensiero fece
consegnare tutte le cose al nostro civico museo di antichità,
afiSnchè vi fossero conservate insieme coi pregevolissimi oggetti
da lui affidati in custodia al tempo della fondazione di questo
istituto.
In seguito all'ampliamento della necropoli cattolica di
St: Anna, al di là del torrentello, che prima ne lambiva il
*) Notizie degli scavi, unno 1876, pag. 179.
413
lato di mezzogiorno, siil fondo n. cat. 126 di S ta Maria Madr
dalena inferiore, nella primavera del 1893, ricomparvero alla
luce alcune rovine di un edificio romano, senza dubbio di una
villa^ che giaceva non lontano dalla strada consolare dell'Istria,
su dolce declivio, in amenissima posizione, dalla quale la vista
spazia sul pittoresco seno di Muggia, che tra le colline di
S. Sabba e di Servola le si apre dinanzi. A circa 60 cm. di
fondezza vennero scoperte sette camere addossate Tuna air altra,
lungo un muro che è grosso mezzo metro e segue per trenta
metri la direzione da greco a libeccio. Gli altri muri non
erano che in parte conservati e si univano col principale ad
angolo retto; ma di una sola stanza rimaneva tutto intero
il recinto, tav. IX, n. 1.
Due stanze avevano ancora il loro pavimento, formato
di mosaico, che neiruna era bianco con lembi e doppia cor-
nicetta nera e nell'altra esibiva un riquadro^ nel quale dal
fondo bianco spiccavano piccoli triangoli e quadrati neri or-
dinati in modo che ne risultava una scacchiera per T alternarsi
delle figure bianche con quelle nere, tav. I. Sotto il pavimento
della prima camera fu osservato un piccolo canale con sponde
e copertura di pietra, il quale la percorreva in lunghezza at-
traversando il muro dei lati minori. Queste località non costi-
tuiscono se non uno dei lati dVun edificio molto più vasto, il
quale protendevasi anche verso la strada, e nella parte ante-
riore, che era la principale, v' avevano portici con tetto sorretto
da colonne, come si potò rilevarlo nel marzo del 1897, quando
scavandosi un fessone per deporvi le salme, fu accertata l' esi-
stenza di altri muramenti e vennero estratti alcuni pezzi di
colonna di pietra calcare.
Subito dopo le prime scoperte, approfittando dei lavori
che allora si stavano eseguendo per livellare il terreno, per
cura del civico UflOicio delle pubbliche costruzioni, si cercò di
seguire da ogni parte le tracce di questo edificio. Ma V esito
fu negativo, essendosi trovato che quasi tutto era stato scon-
volto e distrutto; allorquando il campo fa posto a coltura.
Air incontro col materiale di sterro si levarono vari residui
^di pietra lavorata: una base di colonna, un capitello d'ordine
dorico, due grandi pesi ed alcuni gradini; moltissimi pezzi di
414
mAttoni, tegole, embrici, e monete enee di Vespasiano, Domi-
ziano^ Traiano, Adriano e Costantino, che per il lor infimo
grado di conservazione non possiamo descrivere. Sai laterizi
si riscontrarono le seguenti marche di fabbrica:
1.
PANSJBVIBI
Lettere in rilievo alte mm. 20. Terra rossa, tegola. C. 1. L,
V, n. 8110, 1.
Un secondo esemplare presenta sotto il nome, entro un
quadrato, la figura di un' ancora fatta in rilievo.
2.
Q. CLobAlBRO è
Lettere incise alte mm. 23. Terra giallastra, tegola. C. L L.
V, n. 8110, 70.
3.
TCOELI
Lettere in rilievo alte mm. 20. Terra di color pallido,
tegola. C. 1. L. n. 8110, 64.
4.
CORN-AGA
'E'T'FL'AOT
Corneli Agathopus et Titi Flavi Agtetm.
Lettere incise alte mm. 13. Terra rossiccia, tegola. Di
questa marca si trovarono esemplari ad Aquileia e nella Dal-
mazia. C. /. L. V, n. 8110, 72 e HI n. 3214, 4.
6.
EVAEI8TI
Lettere incise alte mm. 22. Terra rossa, tegola. Esemplari
con questo nome furono trovati a Trieste, nelP Istria, ad Aqui-
leia ed altrove. C. /. L. V, n. 8110, 80.
L-S-IUSt
6.
Lettere incise alte mm.
V, n. 8110, 137.
Terra rossa, mattone. C J. L.
416
Carattere corsivo, lettere impresse col dito. Terra pallida;
tegola.
Molto spesso accade di osservare vestigi di abitazioni
romane in tiitte le parti della città e nelle contrade suburbane.
Cosi, secondo le informazioni che ci furono fomite da persone
degne di fede, nel 1877 prolungandosi la via Amalia, nei fondi
CoUioud, vicino alla via della Pietà, vennero scoperti alcuni
muri ed un tratto di pavimento di mattoncelli disposti a spiga
e trovata una bella lucerna fittile aretina, ora in possesso del
civico museo, la quale presenta in rilievo la figura comica di
una scimia, che procedendo a destra porta una scala ed un
vaso ed ha in capo un cappuccio, cucuMio, che scendendo a
guisa di mantellina le copre il tergo. Cosi nel 1882 facendosi
uno scavo nel piccolo giardino che è annesso alla casa n. 22
di via S. Michele, si rilevò un pavimento musivo bianco con
cornice nera.
Nel 1885 in piazza della Stazione, durante la costnizione
del palazzo Economo, neir area destinata pel giardino, al li-
mite di tramontana, si misero a giorno dei muri ed un ampio
pavimento di mosaico bianco e vi si rinvennero molte monete
romane di bronzo, alcuni oggetti di metallo e di terracotta,
fra i quali un mattone grande cm. 41x28 e grosso cm. 6,
che da un lato è munito di tre protuberanze, e con lettere in
rilievo alte mm. 22-25 ha la marca:
IMP.ANTOAVGPI
della quale già altri esemplari vennero raccolti a Trieste. Cfr.
C. I. L. V, n. 8110, 30. Trattasi delle rovine di un edificio
che giaceva presso alla spiaggia del mare, lunghesso alla
quale in vicinanza altri Éincora ne sarebbero esistiti; uno di
416
questi, a qaanto ci narrano, sull^ area ora occupata dal palazzo
Kalister, nella stessa piazza della Stazione, essendosene vedute
le tracce qnando si fece lo scavo per le fondazioni.
Avanzi d'una casa vennero trovati nel 1891, nella con-
trada di Rozzo!, nel cosiddetto prato del canicida^ sullo spazio
ove presentemente sorge T ippodromo di Montebello. Fra le
altre cose si rinvennero qui un' ansa di vaso di bronzo con
bella maschera muliebre, un asse semi-onciale della repubblica
romana ed un bronzo mezzano dell' imperatore Callig^a, bat-
tuto Tanno di C. 37, il quale sul diritto ha: C. CA£SÀR
AVG. GERMANICVS PON. M. TR. POT e la testa nuda del
principe volta a sin. e sul rovescio: VESTA S. C. e l'ima-
gine della dea Vesta, che è seduta a sin. e tiene una patera
ed uno scettro. Questi oggetti furono donati al museo dal chiar*
ingegnere dott. Eugenio Gairinger.
Nella contrada di Sta Maria Maddalena superiore, tra
l'antica via di Fiume e quella dell'Istria, entro la cinta del
nuovo ospitale per le malattie contagiose, e propriamente ra-
sente il muro Nord Est della camera mortuaria, a circa mezzo
metro sotto la superficie attuale, nel novembre del 1894, com-
parve alla luce un pavimento musivo bianco con doppia cor-
nice nera, composto di piccolissime pietruzze accuratamente
connesse, ed un tratto di muro grosso cm. 46, che formava
uno dei lati d' una stanza e che dalla parte intema conservava
ancora la sua stabilitura. Tutto il rimanente sembra essere
stato distrutto già in passato per impiantarvi viti ed olivi.
Alcuni pezzi dell'intonaco parietale presentano ancora molto
bene distinti fogliami e rabeschi su fondo rosso cupo.
Rovine di costruzioni parimenti d' epoca romana furono
scoperte nel 1896 nella realità del cav. Giuseppe Basevi, altri-
menti chiamata Bosco Pontini, in quella parte ove sorge lo
stabile n. 1 di via S. Giusto. Vi si riconobbero due muri della
spessezza di ben 76 cm. e quattro poderosi pilastri di fabbrica,
residuo d'un portico prospiciente la via della Madonnina, il
quale comprendeva un ambulacro largo poco meno che quattro
metri ma privo di lastricato. Nel grosso strato di ruderi, che
vi stava sopra, fu trovata un'anfora di laterizio segata per lungo,
entro la quale era deposto uno scheletro di persona adulta in
hi
guisa che dal collo sortiva la testa, la qiiale probabilmente
era una volta coperta da altro vaso, che andò in frantumi.
Si rinvennero pure altre ossa umane, dalle quali comprendesi
che anche questo fabbricato in epoca posteriore era stato ado-
perato per sepoltura, e insieme con esse si raccolsero frammenti
di vasi di terra e vetro e qualche moneta romana di bronzo.
Nella parte più elevata della stessa realità si osservarono altre
tracce di muramenti ed un antico canale, e qua e là furono rac-
colte monete degl'imperatori, delle quali sono da mentovarsi
due bronzi mezzani di Flavio e di Tito Vespasiano. Il primo co-
niato nel 76 ha: dr. IMP. CAES. VESP. AVG. P. M. T. P. COS. VI.
Testa con corona radiata a destra; e p. PELICITAS PVBLICA S. C.
La Felicità ritta in piedi a sin. tiene un caduceo ed un cornu-
copia. La seconda, che fu donata al museo, ha : dr. T. CAESAR
IMP. COS. III. GENS. Testa con eguale corona a destra; é
p. PELICITAS PVBLICA S. C. La Felicità nello stesso atteg-
giamento.
Neir aprile del 1896 vennero ritrovati avanzi di tombe
romane tra la via del Molino a vento e la via delF Istria,
nell'area che già fu parte della villa Bousquet e che venne
quindi acquistata dal Comune per erigervi P edificio della scuola
succursale di Kena nuova. Edotti da precedenti scoperte fatte
a breve distanza da questo luogo e nello stesso podere, prima
che si desse mano all'opera di livellazione del terreno, noi
avevamo raccomandato di usare la massima vigilanza e di ri-
chiamare la nostra attenzione su qualunque cosa avvenisse di
osservare. Eppure molto era già stato distrutto e non pochi
oggetti asportati, allorquando venimmo ad apprendere che
s'erano messe fuori delle urne cinerarie.
Proseguito allora lo scavo sotto la nostra direzione e
praticate altre indagini, abbiamo potuto riconoscere le rovine
di un grande sepolcro, consistente di un recinto quadrato, che
nella fronte misura 62 piedi romani pari a 15 metri e nel
fianco 40 piedi pari a metri 11-6. Nella tavola IX al n. 2 è
indicata con linee marcate la pianta della tomba, laddove la
linea tratto-punto segna il limite tra lo sterro eseguito per la
livellazione e lo spazio che fa da noi esplorato, e la doppia
418
linea tratto-punto il viale, che dall' ingresso posto sul bivio
formato dalle due vie predette introduceva nella villa Bonsquet
I muri di cinta che di poco superano ancora la primitiva
superficie del suolo, sono grossi circa 70 cm. e da ambe le
parti rivestiti d'intonaco. Il vano d'ingresso trovasi nel lato
di mezzogiorno, che fronteggiava l'antica strada, la quale a
nostro avviso dovrebbe coincidere colla presente via dell' Istria
o soltanto di poco scostarsene. Non era sito nel mezzo, ma a
destra del riguardante, metteva dapprima in un androne o
vestibolo lungo tre metri, sopra del quale sarebbe sorto il
monumento, come ci pare di argomentarlo dallo zoccolo dei
muri che ha la spessezza di oltre due metri. Entro il recint-o,
lungo il muro della fronte e quello di ponente vedevasi ancora
conservato un ambulacro, largo circa quattro metri, il quale
aveva un selciato di ciottoli messi in cemento ; laddove il rima-
nente della tomba era distrutto. E del pari era stato già in antico
manomesso il sotterraneo riservato ai defunti, ma non frugato
per ogni dove.
Nel recinto si rinvenne:
1. A metà circa della distanza tra l' ingresso ed il muro
opposto, ma più vicino al lato di levante, presso a poco a mezzo
metro di fondezza sotto il piano deir acciottolato, un' arca
o cella di opera laterizia, grande m. 1*9 X 09 e con pareti
grosse cm. 30, la quale conteneva delle ossa combuste, una lu-
cerna fittile colla marca F0RTI8, tre balsamari oblunghi di vetro
comune ed una moneta di bronzo di mezzana grandezza
dell'imperatore Claudio I, 41-54 d. Or., che ha nel dr. TI.
CLAVDIVS CAESAR • AVG. P. M. TR. P. IMP. e la testa nuda
del principe volta a sin., e nel p. LIBERTAS AVGVSTA S. C. e la
Libertà ritta in piedi in atto di protendere la mano sinistra
e di tenere nella dritta un berretto. In altro punto dello stesso
sepolcro fu trovato un secondo esemplare di questa moneta,
che offre una variante nell' iscrizione del lato principale, es-
sendovi aggiunte le lettere P. P. equivalenti a pater pairiae.
2. Presso al lato di levante tra l'arca e l'ingresso del se-
polcro un'urna di pietra calcare, di forma cilindrica, alta cm. 47
e del diametro di cm. 38, con coperchio della stessa pietra^ la
quale conteneva soltanto le ossa e le ceneri del defunto.
419
3. Vicino alla stessa un* urna simile alla precedente, alta
cm. 36 e del diametro di cm. 29, con coperchio, nella quale
oltre i residui della cremazione erano chiusi due unguentari
di vetro comune, uno oblungo, l'altro sferico.
4. Nel tratto posto tra il muro del vestibolo ed il lato
di ponente del recinto, sotto l'acciottolato, tre olle cinerarie
di terra infrante; e col residuo della cremazione due lu-
cerne fittili, una colla figura in rilievo di un amorino che
tiene un delfino per la coda, l'altra colla marca PRONTO,
vari pezzi di vetro comune e frammenti d' una ciotola di vetro
azzurro, una fibula di bronzo del tipo predominante nel primo
secolo dell'impero, una lamina di bronzo ed una seconda di
ferro con bullette di bronzo, alcuni chiodi di ferro ed un
bronzo mezzano coli' effigie dell' imperatore Domiziano, 81 - 96.
5. Tra il muro opposto all'ingresso e l'arca, le ossa cre-
mate giacevano nella nuda terra e vicino ad esse furono trovati:
un bronzo mezzano dell' imperatore Flavio Vespasiano, battuto
nell'anno 74, il quale ha nel dr. IMP. CAESAR VESP. AVG.
COS. V. GENS, colla testa laureata a destra, e nel r. S. C. e
la Speranza che procede verso sinistra sollevando la veste e
tenendo un fiore ; due altre monete dello stesso metallo molto
corrose, un grande unguentario di vetro comune e due a ventre
rigonfio fomiti di ansa e con bocca trilobata, un vasetto in-
franto, pure di vetro, con coperchio, tre chiodi, un coltellino
e due grappe di ferro, un ago da cucire ed un stilo di bronzo,
un pezzo di guarnizione da cintura con anello in argento, e
due piccoli vasetti di bronzo fatti alla foggia di piede umano,
i quali, mediante perni di ferro, ancor visibili, dovevano aderire
a qualche altro oggetto ed essere destinati a ricevere aghi,
stili e simili. Ma la scoperta di maggior momento è quella di
un calamaio, che consta di due vasetti di bronzo cilindrici,
alti mm. 44 e aventi un diametro di mm. 23,
i quali una volta erano attaccati cosi da
formare un solo oggetto. Il disco che ser-
viva da coperchio doveva essere applicato
su un tappo di legno o di severo, che in-
trodotto nel vasetto teneva il coperchio
bene aderente, impedendo che il liquido
m
trapelasse e agevolando il
pulimento del vaso stesso.
Ciascun coperchio ha nel
mezzo un'apertura circolare
per la quale intignevasi la
penna, e che a sua volta
era provveduta di proprio
coperchiello, il quale fer-
mato da una parte mediante
cerniera, veniva dall'altra
tenuto chiuso mercè una la-
minetta, che movevasi toc-
cando una pallottolina posta sopra il coperchiello e della quale
vedesi ancora il perno. La superficie estema del calamaio è
riccamente decorata; come si può rilevare dal disegno che qui
riportiamo. Presenta tre fascio damaschinate in argento, le
estreme adorne di cosiddette onde marine, quella di mezzo
d'un serto d^ edera e tra una fascia e l'altra corre in giro una
listella d'argento. Fregiano il coperchio due comicette dama-
schinate in argento con onde marine che comprendono una
zona, nella quale scorgonsi ancora gli avanzi di un viticcio
d' oro, che vi era incastrato. Entro i vasetti si trovò H residuo
dell' atramento od inchiostro nero, che venne sottoposto ad
analisi chimica, ma senza alcun effetto, avendo subito l'in-
fluenza del recipiente metallico ed essendosi mescolato col
terrìccio. Accanto al calamaio furono rinvenute pure due penne
di ferro, formanti un pezzo solo coli' assicella del manico, il
quale è guarnito di anelletti di bronzo.
6. Fuori del recinto si scopersero altre sepolture. Alcuni
metri lontano dall'ingresso un' olla cineraria di terra contenente
oltre gli avanzi della cremazione; un unguentario oblungo di
vetro comune.
7. Accanto al muro di ponente altra olla fittile, entro la
quale era deposto un ciottolo, un chiodo di ferro ed una mo-
neta di bronzo di modulo mediocre, uguale a quella descritta
di sopra al n. 5.
8. Presso al lato di levante ossa cremate deposte nella
nuda terra, alcuni cocci di fattura aretina, pezzi di un'ampolla
421
vitrea ed il seguente bronzo mezzano delP imperatore Traiano
98-117: dr. IMP. CAES. NERVAE TRAIANO AVG. GER. DAC.
P. M. TR. P. COS. V. P. P. Testa laureata del principe a destra;
r. S. P. Q. R. OPTIMO PRINCIPI S. C. L'imperatore a cavallo
atterra un nemico.
9. Poco lontano dal muro di tramontana, avanzi di un
cadavere inumato, due chiodi di ferro, pezzi di piombo, fram-
menti d'una scodella e d'un urceolo di argilla.
10. Poco discosto dal precedente un' oUa cineraria di terra
con entro gli avanzi della cremazione, due unguentari oblunghi
di vetro comune e cocci di vaso aretino.
11. Alquanto più a levante sulla linea tirata in continua-
zione del muro postico del recinto, un'olla cineraria di terra
infranta, quattro chiodi di ferro, una ciotola di terra, rottami
di ampolle vitree ed un unguentario deformato dal fuoco.
La terra al di là di questa tomba, per un grosso strato
conteneva una tale quantità di ossa e di altre sostanze bru-
ciate, che noi non esitiamo punto a riconoscervi Vustrinum, vale
a dire il luogo ove praticavasi la solenne cremazione dei cada-
veri e la raccolta delle ossa, ossilegiumj che chiuse nelle urne
o senza altro apparato, venivano quindi deposte nei sepolcri.
Riteniamo che se ci sarà permesso di proseguire l'esplo-
razione, potremo quanto prima segnalare altre e non meno
interessanti scoperte nei fondi della villa Bousquet. Ne abbiamo
fidanza, perchè nella medesima furono avvertite altre tombe,
allorquando dietro alla casa, più verso S. Giacomo, avanti
quindici anni, venne aperta la strada che congiunge la via
dell'Istria con quella del Molino a vento. Si rinvenne allora
il cippo sepolcrale che il chiarissimo ingegnere Federico Angeli
donò al museo di antichità e la cui epigrafe ora per la prima
volta pubblichiamo.
Q'A,fe'SEC'ET
WTITI^ AB
IN'FR- P- L
IN'AGR'P'XXX
Il cippo è di pietra calcare d' Istria, alto cm. 43, largo
cm. 33 e grosso cm. 16.
422
Nella località detta degli Schillanì, poco lungi dalla villa
del Cacciatore, std versante che prospetta Monte Bello, dietro
la casa n. 172, di Antonio Schillan del fa Andrea, sopranno-
minato Loia, in mi campo del medesimo, il giorno 29 di maggio
del 1896, alla fondezza di quasi un metro, fu scoperta una
tomba costruita di mattoni e lastre di pietra, in forma di
sarcofago, nella quale giaceva uno scheletro umano col capo
a settentrione, e presso di lui un vasetto di argilla infirantx)
e nove monete enee di mediocre grandezza dell'imperatore
Massenzio, 306-312, delle quali una ha al rovescio Castore e
Polluce coi loro cavalli e la leggenda AETEBNITAS AVO. N. ;
quattro hanno la figura di Boma seduta nel mezzo d'un tempio
e CONS£RV. VBB. SUAE, e le altre tre la stessa leggenda ma
invece Roma che viene coronata dalla Vittoria, la quale poggia
un piede su d'un prigioniero. Un pezzo di tegola, di terra
molto rossa, presenta in rilievo le lettere alte mm. 20:
oìsif;',(Lcei
Un frammento di questa stessa marca viene ricordato dal-
l'Ireneo ed è riportato dal Mommsen nel C. L L. V,
n. 1810, 186.
Alberto Paschi
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.BIBLIOGRAFIA
Gr. Sergi, Africa, antroj}ologia della stirpe camitica
con 118 figure e una cai-ta. Fratelli Bocca, Torino, 18U7.
Or fa un anno in un piccolo libro, che però ha già avuto
P onore d'esser tradotto in tedesco,^) l'illustre antropologo di
Roma ci presentava i suoi studi sulla famiglia mediterranea,
e ci diceva che l'origine di questa famiglia era da ricercarsi
nell'Africa. Nel presente volume il Sergi tenta di ricostruire
la stirpe, che ha occupato fino da antichissimi tempi e occupa
tutt'ora quel continente.
Coloro che sanno, che T antropologia per mancanza d'un
metodo razionale e naturalistico non aveva dato risultati sod-
disfacenti, certamente non si meravìglieranno, se cosi accadeva
anche per l'antropologia africana. Le migliori classificazioni
erano a base linguistica, ma queste non possono essere esatte,
perchè le lingue mutano, come mutano i costumi. Una classi-
ficazione a base fisica non era stata mai fatta; ed il caos era
tale, che pareva non vi fosse speranza di farne una.
L'autore adopera il suo metodo nuovo,*) d'alcuni anni
iniziato, e da molti già adottato.^) In questo egli distingue i
^) 6. Sergi, Orìgine e diffusione della stirpe mediterranea, Roma,
Società editrice Dante Aliglieri, l&i)b. Ursprung und Verhreitung dea mit-
telUindischen Stamines tìbersetzt v. Dr. A. Byham, Leipzig, 1897, W. Friedrich.
') G, Sergi, Varietà umane, principi e metodo di classificazione ^ "Atti
della Società Homana d^ antropologia^ , voi. I, f. 1, 1893.
') Vedi: Moschen, Mingazziui, De Biasio, Cascella, Ardu-
Omnis, Vram, Niceforo. Anche fuori d^ Italia hanno accettato o con-
siderato importante il nuovo metodo del Sergi; vedi HSlder, Nftche,
Anuccin, Martin, Llssaner ed altri.
424
caratteri fisici dei popoli iu due principali categorie, cioè: in
caratteri primari^ che sono gli scheletrici, e fra questi primeg-
giano quelli del cranio e della faccia; e in secandan, che son
quelli del tegumento, pelle coi suoi colori, barba, capelli, forma
e colore, colore dell'iride. A questi due caratteri principali egli
aggiunge una terza serie di caratteri, che chiama iniermedU,
che corrispondono alle differenti forme di sviluppo muscolare
e ad altri fatti accessori, nella faccia specialmente, naso, bocca,
labbra, forme orbitali ecc. Stabilisce per mezzo di una serie di
fatti e di numerose osservazioni, che i caratteri primari, spe-
cialmente quelli del cranio e della forma facciale, sono inva-
riabili nel tempo e nello spazio, né soggetti ad influenze di
qualsiasi genere che non sia patologico, mentre i caratteri se-
condari sono soggetti a variazioni, secondo il clima, l'altitudine,
l'alimentazione ecc., cosi anche gì' intermedii.
Dopo di ciò l'autore passa a studiare un popolo, cioè
r egiziano antico e moderno; e dopo aver constatato in questo
alcuni tipi caratteristici, studia altri gruppi di popolazioni nel-
l'Africa per vedere se quei caratteri^ ch'egli ha trovato nel
popolo egiziano, si trovino anche negli altri popoli.
Cosi ha constatato, che malgrado la differenza di colore
nella pelle, di qualche differenza di forma nei capelli e nella
barba, i caratteri scheletrici della faccia e del cranio s'incon-
trano in tutte le diverse variazioni nei seguenti popoli: Egi-
ziani, Nubi, Begia, Abissini, Scioani, Galla, Danachili, Somali,
Massai, e Wahuma, che costituiscono il ramo orientale della
stirpe camitica, e nei Libi e Berberi, del ramo settentrionale
contenuti nelle popolazioni non arabiche di Tripoli, di Tunisi,
del Marocco, del Sahara, nei Tebu e nei Fulbi, e infine in
quelli delle isole Canarie.
Tutte queste popolazioni formano oggi tante nazioni con
molti caratteri esteriori propri e particolari, ma con caratteri
scheletrici convergenti e che dimostrano l'unità dell'unica stirpe,
divisa e diffusa nella grande zona d'Africa che dall'Atlantico
va al Mare indiano, dal Mediterraneo fino all' 8^ latitudine sud,
dalla parte orientale, e fino all'8<^ latitudine nord dalla parte
occidentale, *un' immensa regione superiore a quella occupata
dall'altra stirpe inferiore, cioè la negra.
425
Essendo penetrata qua e là fra la stirpe superiore la stirpe
inferiore o negra si sono prodotte delle mescolanze, ma colà ove
trovansi questi elementi inferiori è facile riconoscerli per le
forme ibride che ha prodotto la mescolanza.
Anche gli elementi arabi sono separati dagli altri, benché
numerosissimi, fra mediterranei e nel Marocco.
Questa stirpe alla quale Fautore conservò il suo vecchio
nome di camitica, contiene molte forme craniche {EUipmdes,
Pentaganoides, Owides, Sfenaides;*^) meno numerosi i ParaUdepi-
pedoidesj Platicefali ed i Trapezoidi) che sono variazioni del tipo
primitivo della stirpe e molte forme facciali; anche come va-
riazioni distinte e chiaramente ereditarie (le forme faccicJi sono :
ovoidali^ ellissoidalij tetragonali^ triangolari e pentagondli). Queste
forme come vedesi dalle figure dimostrative dell'opera, sono
diffuse in tutta la distribuzione geografica della stirpe.
L' autore considera queste variazioni come varietà di
specie, perchè esse sono ereditarie e si conservano fin da epoche
immemorabili, e denomina quindi la stirpe camìtica, specie
Eurafricana, perchè la trova in Africa, come ce l'ha presen-
tata in quest'operai e la trova anco in Europa, come dimostrerà
in una prossima sua opera ch'egli ci promette.
Eurafricana, questo nome non è certamente nuovo agli an-
tropoioghi. Brìnton e £eane hanno denominato rasasa Eurafri-
cana tanto questa dell'Africa studiata dall'autore che quelle tutte
dell'Europa. Essi però hanno confuso tutti i popoli europei nella
loro razza, mescolando Celti, Slavi ed altri che hanno differenti
caratteri fisici interiori o scheletrici. L'autore accetta dunque
il nome, ma non accetta i popoli dagli altri compresi sotto
questo nome, e di più egli dà il nome di specie e non di razza.
Per quanto riguarda gli elementi fisici intemi o schele-
trici, Fautore si è servito della ricca collezione ohe si trova
al museo d^ antropologia dell'Università di Boma, per lo studio
delle fisonomie sul vivo si è servito di fotografie originali di
molti viaggiatori italiani ed esteri.
Ugo G. Vram
*) Della varietà Sfenoides proprio dell* Africa non v'ò che Io Sphenoidn
tiégyptiaeus s* Stenomttopui e nelle Canarie lo Sph. canarieneis.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^PiOiS,0%%CW
RELAZIONE
DELL'ANNATA LXXXVI DELLA SOCIETÀ DI MINERVA
letta dal Presidente
Dott LORENZO LORENZUTTI
nel Congreeao generale del 1^ Luglio 1896.
Onorevoli Signori/
Compiutosi 1' ottantesimo sesto anno di esistenza della nostra
Minerva, permettete che, come mi corre V obbligo, di esso vi ricordi
ora brevemente la storia. Fin dalle prime dirò francamente che non
fu segnalato da particolari avvenimenti ; che nulla di straordinario
accadde che toglier od accrescer potesse alla nostra istituzione qnel
lustro e quella importanza, eh' ella aveva in precedenza raggiunto.
Tuttavia, V operosità di lei nel recentissimo periodo eh' ella percorse,
non va reputata cosi fiacca, come forse, ar primo entro, altri po-
trebbe ritenere; che, se nuovi fatti e di ragguardevole portata per
lei non vi si avverarono, non sono davvero a dimenticare alcuni,
che seme esser potrebbero di cose nobilissime in non lontano avvenire.
Ma prima che di queste vagheggiate speranze io v' intrattenga, siami
concesso riferirvi succintamente la cronaca de' fatti ormai compiutL
£ per riepilogarla, accennerò innanzi ogni altra cosa^ che^ scaduto
alla fine della annata precedente il mandato dei direttori Nabile e
Pepeu, ed avendosi a rimpiazzare il compianto dott. Pervanoglù,
trapassato alla fine del dicembre 1894, vennero chiamati a far parte
della direnione il signor Oiuseppe Caprin, ed i prefati due signori
uscenti di carica. Completata per tal modo la rappresentanza del
noBtro sodalizio, si ricostituiva ella riaffidando a ciascuno dei suoi
membri le mansioni dell' anno prima, e deputando il neo-eletto signor
Caprin nel collegio dei censori. Poi, senza frapporre indugi, si ebbe
a discutere da essa e dei provvedimenti da prendersi per aumentare-
427
il Domerò dei soci, e delle pratiche da farsi per assicurarci lettori
e conferenzieri per il nuovo ciclo di trattenimenti scientifico-letterari,
e dell'opportunità di aprire per soci e non soci un corso di lingua
e letteratura italiana, da tenersi da distinto professore dall' estero.
Pur troppo né questo giustissimo desiderio, né quello di provvedere
convenientemente ali* aumento de' soci, poterono essere tradotti in
atto, fo anzi giuocoforza studiare novamente e profondamente cosi
fatte quistioni ; e questi studi condussero poi la vostra direzione a
deliberazioni, onde da qui a poco sarò per toccare. Frattanto 1' egregio
direttore dott. Alberto Boccardi si dette, con la sua consueta sol-
lecitudine, ad accaparrare lettori e conferenzieri, né scarse si ebbe
egli le promesse ; sventuratamente anche sta volta però parecchie
dileguarono. Nullameno non si attenua in noi quel debito di grati-
tudine, che abbiamo all'egregio Boccardi, per la zelante opera sua,
strenua tanto più quanto maggiori le difficoltà che gli si pararono
dinanzi, e perciò appunto tanto più commendevole.
Nel mentre queste pratiche e queste cure della vostra dire-
zione ancor continuavano, tristi eventi si venivano avanzando a
portare irreparabili dolori agli animi nostri, al cuore affettuoso e
riconoscente della nostra Minerva. — Onorato Occioni, che a Trieste
due volte era stato docente ammiratissimo ; Onorato Occioni^ che da
Trieste, sempre memore di lei, sempre a lei legato da amor quasi
figliale, era passato professore all' antichissima Università di Padova,
e poi a quella della Sapienza in Roma ; Onorato Occioni, che pochi
anni addietro dalla Città Etema aveva dedicato al nostro Attilio
fiortis quel peregrino suo carme dal titolo : Vecchio e Nuovo, non
doveva più far ritomo fra noi ! Ai 10 di novembre '95, fulminato da
subitaneo, violentissimo insulto apoplettico, reclinava egli il capo al
sonno della morte, inopinatamente, in un'aula della romana Uni-
versità, dove, omato della toga professorale, aveva appena appena
terminato di esaminare un candidato al magistero di belle lettere !
Io a Voi, che tutti conosceste quell' insigne, non tenterò neppure di
ricordare né i simpatici e gravi lineamenti di lui; né le sue prime
vicende nella natia Venezia, né passo passo tutta quanta la sua
carriera d' insegnante, né i lavori letterari per cui, già da pezza, era
a lui venuta fama intangibile di uno de' più valorosi scrittori italiani
della nostra età ; né rammenterò di nuovo il costante e grandissimo
affetto che portava alla città nostra ed al suo Ginnasio comunale ; né vi
488
ripeterò in quale concetto qnesti cittadini, e specie coloro che avevano
avuta la bella ventura di esser stati saoi discepoli, lo tenessero;
né ridirò a voi anco una volta di qual dolore qui fosse cagione la
sua inesorabile dipartita ; mi limiterò invece ad accennare come la
nostra Minerva, ali* improvviso annuncio della perdita di qaesto
illustre suo consocio onorario, per deliberato unanime della sua
direzione, si condolesse profondamente con la famiglia e coi colleghi
dell' estinto, com' ella pregasse il magnifico Rettore della Sapienza a
volerla rappresentare ai funerali, com' ella deponesse su quella
lagrimata bara memori fiorì, com* ella decretasse che, nel trigesimo
dalla morte di lui, qui se ne avesse ad onorare la memoria con
solenne orazione di Attilio Hortis. £ questo pietoso voto della vostra
diresione ebbe di&tti suo compimento la sera dei 10 del seguente
dicembre, ma non in quest'aula, troppo angusta a tal cerimonia,
bensì in quella assai più capace della Società filarmonico-dramatica,
con isquisita e prontissima gentilezza all' uopo concessa da quella
benemerita Direzione. Fu li adunque, in quella sala, che, dopo brevi
parole pronunciate per la mesta ricorrenza dal presidente della
Minerva, fu li che Attilio Hortis disse quella sera deUa vita e
delle opere di Onorato Occioni, tutto quanto la vivissima memoiia
e l' affetto grande e perenne di lui gli vennero opportunamente sug-
gerendo ed inspirando.
E più lungamente, com' era naturale, e con più minuti dettagli,
s* intrattenne su quanto il suo maestro aveva operato fra noi, specie
poi intomo alle sue cure per dar vita rigogliosa, efficace e nobilis-
sima al nostro Ginnasio comunale. Prossimo a chiudere il suo splen-
dido discorso, rammentò come, pochi anni prima, 1' Occioni, venuto
a passare le sue vacanze qui, presso 1' egregia famiglia Valerio a
lui congiunta, aveva partecipato con la più schietta esultanza alla
festa dei 26 anni della fondazione di quell* istituto a lui ed a noi
pure carissimo, rinnovando per esso nell' aula stessa, che ora echeg-
giava delle postume lodi di lui, e che in altri tempi aveva risonato
della sua voce celebrante i primi fasti del Ginnasio, e l' imperituro
Alighieri nella solennità Dantesca del 1865, rinnovando per la pro-
sperità di quello voti ed auguri, quali il suo cuore sentiva, e con
1' elettissima parola eh* egli sapeva.
Ora fra le doriche colonne dell' atrio del Ginnasio si erge mar^
moreo busto che ritrae i severi lineamenti dell' Alighieri ; e V Hortis,
429
terminando, tra quelle forti colonne riconduce il suo amato maestro,
e questi si sofferma in faccia al simulacro dell'altissimo poeta, lo
fissa, poi guarda intomo ogni sciagura indi deprecando !
La commozione, l' entusiasmo fiao allora repressi erompono
improvvisi ; il primo cittadino di Trieste, e con lui tutto V uditorio
sorgono quasi di scatto, e con memorando applauso attestano rico-
noscenza ed ammirazione indelebili all'illustre commemorato ed al
suo degno commemoratore !
Prima che del 1895 sonasse l' ultima ora, era fatale un' altra
esistenza, a noi tutti carissima, avessesi a spegnere. Giglio Padovan,
affranto da lunghissima e tormentosa malattia, vi soccombeva nella
notte dai 30 ai 31 dicembre, e la mattina del 1.^ gennaio la salma
di lui veniva trasportata in Sant'Anna. Era una mattina mite, serena,
splendida; oh come la bellezza di quelle prime ore dell' anno novello
contrastava col lugubre dolore di tanta parte di questi cittadini !
Oh come la bellezza di quel primo giorno esser doveva prova novella
dell' ingannevole apparenza delle cose, e come spesso ai lieti auguri
ed ai confortevoli presagi non succeda che amarissimo lutto I
Lungo stuolo segui mesto e commosso quel feretro alla chiesa
del Taumaturgo, ed indi al cimitero. Fatale coincidenza I L' anno
prima, in quel giorno medesimo, gli stessi cittadini avevano accom-
pagnato alla tomba Pietro Pervanoglù ; al sorgere di questo vi scor-
tavano il povero Oiglio : insigne cultore delle patrie storie quegli,
questi insigne scrittore nei vernacoli di queste terre ; ambedue lustro
ed onore della natia Trieste e di questa nostra Minerva ! Celebrate
le ultime esequie, il feretro veniva deposto innanzi al pronao della
cappella del campo santo, ed ivi il preside della Minerva dava
1' estremo addio al nuovo perduto, ricordando con brevissime parole
1' operosità letteraria di lui, le virtù della sua vita integra ed illibata.
Ma né quel saluto, nò quel cenno, né una pietosa elargizione po-
tevano essere 1' estreme onoranze al caro trapassato ; altri doveva
ricordarlo, ed in modo che degno veramente fosse di lui, ai consoci
della Minerva ed ai concittadini. Epperò, officiato 1' egregio Giulio
Piazza a volersene incaricare, saliva egli la nostra cattedra la sera
dei 12 marzo a tenervi la disiderata mestissima commemorazione.
£ vi si accinse con cuore di cittadino e di amico, e con intelligenza
di artista, chò e del carattere mite e gioviale, e dei sentimenti e
delle aspirazioni e dell' opera patrìotica del povero Giglio, egli seppe
430
offrire un' immagine viva e brillante, addacendo aneddoti della sua
vitaj e riportando, e opportunamente illustrando, brani delle poesie
vernacole di lui, e delle sue traduzioni dello Shakespeare, e de^
suoi epigrammi e delle sue epigrafi.
Il discorso del Piazza non fu un funebre elogio, non una mi-
nuziosa biografia, non una critica pedantesca delle produzioni let-
terarie del trapassato ; fu piuttosto ritratto verissimo di lui e del-
r ambiente, e del tempo in cui visse ; un ritratto diligentemente
miniato con tinte gentili, punto adulatorio, e piacevolissimo si che
tutta quanta V adunanza di quella sera fosse unanime nel giudicarlo
grazioso e vero del pari, e nel professare la più schietta ricono-
scenza e la più sincera sodisfazione al suo felicissimo autore.
Addi 3 novembre '95 moriva in Padova, avanzato negli anni
ed avanzato in nobile &ma, il prof. Giuseppe de Leva, che, decenni
addietro, era stato ascoltatissimo maestro di storiche discipline anche
a molti dei nostri concittadini, onde in oggi Trieste particolarmente
si onora. All' annunzio fatale la Minerva prontamente facevasi in-
terprete del dolore sincero e profondo, che da qui rispondeva a
quello della patria dell' estinto, e della studiosa città, ove egli aveva
passata la miglior parte di sua vita, insegnando dalla cattedra e
con dottissimi scritti.
Non ha guari scoprivasi in Sebenico lapide ricordante che ivi
era nato quel Nicolò Tomaseo, che fu uno de' più illustri letterati
d' Italia del secolo che declina, e la Minerva sollecitamente partecipò,
con riverente e memore saluto, a quella manifestazione della incan-
cellabile gratitudine dei posteri a quel celeberrimo figlio della
Dalmazia.
Accennato con queste poche parole alle meste onoranze, che
la vostra Direzione, in nome della nosti'a Minerva, ebbe a porgere,
od alle quali ebbe ad associarsi negli ultimi tempi, ini corre ora
1' obbligo di dar qui pubblica e solenne espressione di cordoglio per
la morte di quella illustrazione della scienza e delle lettere, che si
fu Cristoforo Negri, il quale, già molti anni or sono, era stato
sggreg&to, qual membro onorario, a questa nostra associazione.
A petto di questi funerei ricordi un solo di lieto ho a notare,
quello, cioè, della partecipazione della Minerva alla festa accademica,
onde OioBuè Carducci fu meritamente onorato nella sua Bologna ai
9 febbraio a. e, quando vi ebbe a compiere trent'anni d' insegnamento.
431
Ciò detto, siami ora lecito passare in rapidissima rassegna le
varie letture, onde la nostra cattedra ebbe ad andar lieta ed onorata
nelle stagioni invernale e primaverile testé scorse. Oltre alle dae
commemorative^ piii sopra accennate, altre otto ne farono tenute.
Prima per ordine di tempo va ricordata quella del prof. Emilio Sil-
vestri, dal tema: Amleto. Esordi asserendo che i confronti anziché
odiosi sono istruttivi ; e considerando la differenza del teatro Sha-
kespeariano dair attuale. Parlando poi del suo protagonista, s' in-
dustriò a dimostrare come questi, ben lungi dall' essere un pazzo
od un mattoide, come molti lo vollero e molti tuttavia lo vorrebbero,
è a ritenersi piuttosto quale filosofo che si addolora delle umane
nequizie, e le disvela^ perchè sieno condannate^ né più si rinnovino.
Ed a confortare questa sua tesi analizzò con acutissimo studio tutto
il capolavoro del tragediografo inglese, soffermandosi specialmente,
al soliloquio dell^ essere e non essere, che è di vero ragionatore, e
non di un povero mentecatto ; e poi a quella gravissima riflessione
che fa Amleto nel momento che si sente tentato ad uccidere il pa-
drigno, per vendicare il proprio genitore. Se io lo uccido, prorompe,
procuro a lui espiazione e salvezza dell' anima, e infliggo invece al-
l' anima mia eterna dannazione ed il regicida resta impunito I Amleto
non è che un grande sventurato, accasciato da supremi dolori ; é
conscio dei delitti altrui e ne vorrebbe vendicare le vittime, ma, sul
punto di farlo, obbedisce invece al bisogno di restar virtuoso. Sca-
gionando cosi Amleto, polemizza egli con tutti coloro che deir in-
felice principe di Danimarca vollero fare nuli' altro che un essere
patologico degno di profonda compassione. Chiude la sua conferenza
con un nuovo attacco a tutti quei moderni, che vorrebbero ridurre
la scena ad ospedale ed a manicomio, ed augurando agli Italiani
eh' eglino sappiano schermirsi dai perigliosi influssi d' una scuola
iperborea, e che avvedutamente ritornino ai buoni insegnamenti della
classica antichità!
La sera dei 22 novembre 1896 saliva per la prima volta la
nostra cattedra il dottor Aristide Costellos. Gh:eco di origine e di
nazionalità, nato e cresciuto fra noi, e qui esercente avvocatura,
cultore eziandio appassionato di studi letterari, s' era proposto di
parlare sul tema : Romanticmno e modernità neUa poesia neo^
ellenica. Pigliò le mòsse dalle canzoni popolari della Ghrecia risor-
gente, per giungere ai migliori poeti di lei rifatta nazione. Si
432
intrattenae particolannente sui fratelli Sossis, ani Valanritis, ani Solamos
e sul Parnicos, ooservando che tanto questi, quanto altri ancora
a clattrificare si abbiano tra i romantici. Avvertì che la scuola verista
di altre nasioni non trovò ancora un' eco tra gli scrittori ellenici
moderni^ la maggior parte dei quali, piuttosto che produrre cose
originali, dedicano i loro ingegni a disquisisioni filologiche, non
inopportune, al certo, ove si peasi che la Grecia va ora rìcostitaendo
anche la propria lingua, riaccostandola via via sempre più alla
classica dei tempi antichi. Parlò poi diffusamente anche del Snrìs,
che publica un periodico settimanale satirico, il quale, seguitando a
veder la luce, formerà, sensa dubbio, pregevole documento non solo
della vita letteraria della Ghreoia moderna, ma benanco della storia
politica di questa. Terminò, augurando che anche la letteratura greca
non tardi .a mutar indirizzo, non avendosi a tenere i veristi delle
altre nazioni siccome altrettanti degenerati, le cai audaci dottrine
abbiano a nuocere, anziché a salutarmente giovare.
In altra serata il prof. Michele Stenta trattò, con la grande
competenza che gli è propria, della importantissima quistione delle
attuali colonie europee. Accennato da principio a quelle dei Fenici,
ed a quelle che i Greci antichi avevano stabilite in Asia e nell' Oc-
cidente di Europa, e toccato di quelle medioevali dei Genovesi e
dei Veneziani, venne a dire di quelle più recenti dei Portoghesi,
degli Spagnuoli, degli Olandesi, e poi delle inglesi, e giù e giù fino
alle più recenti dei Tedeschi e degli Italiani, ricapitolandone bre-
vemente la storia. L'espansione coloniale è un bene perchè è stru-
mento di civiltà, impulso ai commerci ed alle industrie, perchè
valvola utilissima ad opportune emigrazioni da paesi soverchiamente
popolati e non sufficientemente produttivi. Ma i coloni non hanno
ad essere riguardati dalla madre -patria siccome schiavi, che la
abbiano a nutrire magari col loro sangue, bensì qnali liberi cittadini
parificati a quelli del paese natio. A rendere efficaci le colonie, cadano
vieti protezionismi, sia accordato il libero scambio ; P Inghilterra non
avrebbe perduti gli Stati Uniti soltanto, ove a queste idee non si
fosse per tempo piegata ed informata. Gli altri paesi sappiano
adunque imitarne V esempio, e così le loro colonie saranno fonti di
ricchezza ai poveri emigrati, né questi brameranno il distacco po-
litico dalla madre-patria; ma e questa, e la novella patria lontana,
e gli indigeni degli occupati paesi saranno in fine una cosa sola, e
433
V equilibrio sociale sarà facilmente dappertutto assicurato. Queste le
pensate e nobili idee dell* egregio oratore.
Del romanzo tnedioevale straniero. Questo V argomento che
la gentil signorina Vittoria Pardo — in arte Rina del Prado —
erasi prefissa di trattare dinanzi al pubblico della Minerva, la prima
volta eh' ella ad esso si presentava. Lo svolse, tratteggiando dapprima
sommariamente i caratteri del romanzo dell'età di mezzo, venendo
poi ad esaminare particolarmente quello del Cavaliere del leon ^ oro
di Cristiano de Troyes, e quello del tedesco Sch&fPel, dal titolo :
Ekkehardt, Lungi dal fare una disamina minuziosa, pedantesca
dei singoli romanzi di quell' epoca, la solerte signorina Pardo
volle darci un' idea precisa, una sintesi di quei componimenti, pren-
dendo a scorta quello francese, originale del medio evo, e l'altro
moderno, che dei tedeschi di quel tempo è fedele rip|pdnzione.
Chiuse con un breve parallelo tra i romanzi di allora ed i moderni
della scuola romantica da una parte, e dei veristi dell'epoca attuale
dall' altra, non dissimulando sua minore predilezione per questi ultimi.
Anco la via degli studi letterari non è scevra di difficoltà, e noi
auguriamo di gran cuore alla nostra novella lettrice che tutte mano
mano ella le venga superando^ come di molte e di gravissime ella
seppe vincere fin qui, si che al sincero applauso, onde il pubblico
la salutò in questa prima prova all' arringo della nostra Minerva,
ella di sempre maggiori ne aggiunga, che la rimeritino delle nobili
fatiche cui, con tanto ardore e con tanto desiderio di tornar altrui
utile, ella si sommette.
Giorgio Benedetti, professore di lingua e letteratura italiana a
questa Accademia di commercio e nautica, accettava l' invito di
parlare in seno alla nostra società, e per questa sua prima confe-
renza sceglieva egli a tema quella vera gloria della gentile Pirano,
che si fu Giuseppe Tartini. E disse di questo suo concittadino con
affetto caldissimo e con profonda erudizione, si da meritarsi la
miglior riconoscenza nonché dal pubblico della Minerva, dalla pro-
vincia tutta dalle Giulie al Quamero. Giuseppe Tartini, nato a
Pirano addi 8 aprile 1692, veniva destinato dal padre suo dapprima
agli studi teologici, poi a quelli delle leggi. Ma il genio di lui,
riluttante alle speculazioni ed agli ascettismi, rifuggiva del pari
anche dalle pettegole contese e dai codici chiamati a comporlo ed
a punirle ; il suo genio era creato per 1' arte, per quella, forse più
484
flublime di ogni altra, che À la musica. Fin da giovanetto, ancor
prima di lasciare la casa patema, aveva egli cominciato a trattar
V arco, e questo veramente dargli dovea gloria imperitura. Studente
a Padova, scelse tra Temi ed Euterpe, ed a questa soltanto ai volse
e si votò. Fu a Loreto, fu a Roma, ritornò a Padova, basse in
Boemia presso un suo parente, e dappertutto raccolse nuovi, im-
marcescibili allori, e come egregio esecutore, e come compositore
efficacissimo. Oggi ancora, dopo due secoli, dopo tanto avvicendarsi
di musicisti e di svariatissime scuole, si suonano le sue composi-
2Ìoni, ammiratissima tra tutte quella del Icilio del diavolo, cbe im
fantastico sogno gli aveva inspirata in una notte irrequieta, angosciosa.
Tra le opere di teorica della musica resta ancor sempre am-
miratissima quel suo "Trattato di musica secondo la vera scienza
dell' arm<lliia„ (Padova 1754 per 0. Manfrè) e, come ancora mag^
giore suo vanto, resta quello della invenzione del terzo suono.
Non mi toma possibile di dare più diffaso riassunto della erudi-
tissima monografia del Benedetti ; mi auguro invece eh' ella non
tardi ad essere publicata, e spero che cosi veramente avvenga per
il giomo in cui a Pirano si scoprirà il monumento del Tartini sonito
dal Veneziano Dal Zotto, perchè ella riuscirà la più chiara prova
della ragione dell'insigne onorificenza che dai posteri si volle tri-
butare alla memoria dell' estinto concittadino.
Lesse poi V egregio prof. Alessandro Morpurgo un suo studio
su Olimpia Morato. H padre di lei, Lodovico Morato, Mantovano,
erasi trasferito a Ferrara, quando da Wittemberga si spandeva per
la Oermania, ed indi per i più colti paesi di Europa la riforma di
Lutero. Alla corte degli Estensi, come in ogni altra d'Italia, con-
venivano i più eletti ingegni della capitale, e vi si intrattenevano in
eraditi ragionamenti. Olimpia Morato, prediletta dalla duchoasa
Renata, veniva, giovanotta ancora, ammessa a quei dotti convegni,
né molto andò eh' ella medesima vi prendesse parte attivissima, e
declamando poesie latine e greche, eh' ella stessa componeva, e dispu-
tando su vari argomenti. Aveavi allora in Ferrara una corrente fa-
vorevole alla riforma religiosa, e la colta giovane facilmente di questa
ebbe ad entusiasmarsi, si che in breve fu tra i più ardenti proseliti
delle novelle idee. Andrea Oruntler, musicista é letterato tedesco, ve-
nuto allora in Italia, e sofifermatosi più a lungo a Ferrara, come la ebbe
conosciuta, se ne invaghi e la fece sua sposa. Subentrata frattanto la
43Ò
«
reazione, i dae giovani sposi ripararono in AUemagna, fermandosi
e in Angusta, e a Wùrzburgo, e a Schweinfurth, e da ultimo a
Heidelberga; ed ovunque la Olimpia facevasi ammirare, e per le sue
rare virtù, e per la sua vasta coltura, e per il suo spiccatissimo
trasporto alle teorie dei riformatori. Ma questi entusiasmi non tar-
darono a riuscire esiziali alle delicatissime sue fibre, e ad attirare
anche su di lei odi implacabili, ed angustie d'ogni genere. Fra
queste lotte infermò, e venne a morte il diletto suo sposo; ed ella,
affranta da ultimo da questa insopportabile sciagura, ammalò a sua
volta, e, due mesi dopo la morte di quello, lo segui nella tomba,
compiuti appena 29 anni di vita. Di questa giovane donna, che il
Ourione ebbe a chiamare decima Musa, e che fu tanto ammirata dai
suoi contemporanei, e che fn vittima precoce di ardente brama di
sapere e di idee con tanto entusiasmo abbracciate, volle dire il
prefate prof. Morpurgo, e lo fece con si appassionata ed erudita
parola, come di qua dalle Alpi forse ancor nessuno dei posteri ebbe
a ricordarla.
Gesta delle linee» Era questo il titolo e l'argomento delU con-
ferenza che tenne qnest' anno Silvio Benco. Dedicatosi con vero
trasporto allo studio delle discipline letterarie e delle arti bellO; nel
trattarne egli non vuol seguire né ampliare le idee altrui, anzi, da
queste deliberatamente schermendosi, vuole studiare, osservare e
giudicare con la propria intuizione, con la propria mente soltanto.
Originale adunque, come quella dell' anno scorso sull' esteticismo,
riusci anche questa sua conferenza. Le arti del rinascimento cercano
riprodurre le classiche forme dell' antichità ; ma i tempi sono mutati !
Le linee gravi e belle che foggiavano 1' eroico cavaliere della croce
e del torneo non convengono più ai Don Chisciotte ed ai gaudenti
abati che li rimpiazzarono ; ed elle mutano, incurvandosi, contorcen-
dosi, allungandosi, secondo il caso. Poche linee, segnate abilmente
dalla mano di acuto osservatore, bastano a rappresentare tutta una
casta, tutta una folla di viziosi, tutta la sintesi e le conseguenze di
una istituzione, o di un avvenimento. Ai tempi della riforma, le due
schiere avversarie si sbeffeggiavano con comiche figure, le quali
chiaramente caratterizzavano la parte che avevano a rappresentare.
Vi tengon dietro, nei secoli seguenti, affinati caricaturisti, e le loro
abili linee ritraggono con verità le persone, e fan sogghignare delle
loro presunzioni, dei loro difetti, delle sciocche loro idee. E il
486
ridicolo, contenuto tra le poche linee di nna caricatane finisce per
istillar odi implacabili, e per provocar il riconoscimento stesso di
concalcati diritti. Fan sorridere e ridere il Longhì, il Villette, il
Forain, ma il riso, che destano, non è mero divertimento, è monito,
è condanna; ed il vero ed il meglio si fan riconoscere e rispettare
attraverso poche linee grottesche, che in salie prime forse furono
derise siccome bizzarrie di fanciullo inesperto ed ingenuo.
Ferdinando Galanti, professore di belle lettere e rettore del
regio liceo di Padova, onorava la cattedra della nostra Minerva con
la sua ornata ed infiammata parola^ la sera dei 30 marzo dell* anno
in corso. Preceduto da ben meritata fama, aveva destata di sé gran-
dissima ouriosità nelle classi più colte della nostra cittadinanza,
opperò straordinario concorso di persone si ebbe egli alla interes-
sante sua conferenza su Giacomo Leopardi. Esordi con fraterno
saluto alla città nostra ed alla nostra Minerva, che ha per genio
tutelare l' alma sdegnosa dell' Alighieri ; e venne poi a parlare de
celebre Recanatese. Toccò delle varie vicende della sua vita, tra-
lasciò di diflFondersi su gli studi filologici di lai; particolarmente
invece lo considerò siccome poeta del dolore, siccome melanconico
e fortissimo cantore delle sciagure d' Italia. £, ricordando quelle
fiere e nobilissime canzoni, U Ghdanti colse il destro per deplorare
i recentissimi disastri patiti da tanti eroici figli d' Italia guerre^
gianti in lontane terre straniere ; ed a questo subitaneo slancio di
cordoglio e di amore, rispose il pubblico con un subito applauso,
che, al tempo istesso, significar voleva a ammirazione e affettuoso
consentimento, e quasi nobil protesta. Il Leopardi, sfiduciato sempre
più di sé, e degli uomini, e d'ogni cosa, accasciato dall'idea che
anche 1' essere riamato da diletta donna eragli conteso dalla mala
sorte di sua deformità, schiuse l'animo al più amaro scetticismo.
Di questo tutto compreso, dettò e Bruto Minore, e l'ultimo canto
di Saffo, e il Canto del Pastore nel deserto. Ma se Amleto dubitava.
Leopardi nega ; con tutto ciò l' uomo resta in lotta col poeta : V uno
vorrebbe la fede, la speranza, T amore; l'altro non sente che il dolore
e la disperazione, il nulla. £gli appartiene ai maggiori poeti della
prima metà di questo secolo, e sta a lato al Foscolo ed al Manzoni,
che con lui formano eccelsa triade di lirici. Chi ben voglia com-
prendere ed apprezzare il Leopardi, ne deve studiare i sommi dolori
e le deluse speranze ; si, soltanto cosi facendo, ne saprà intuire i
487
concetti, i sentimenti, l' altezza tutta deir opera sua. £ cosi volle
fare l' egregio prof. Galanti in questa conferenza, che la Minerva
ascrive a vero onore di poter annoverare tra le altre belle del*
l'ultimo ciclo.
Ed ora che vi ho brevemente riferito dei nostri ultimi con-
vegni letterari, siami concesso ringraziare in nome di noi tutti quegli
egregi e volonterosi che vi prestarono 1' opera loro, loro significando
come all'applauso degli intervenuti fanno unanime riscontro la nostra
vivissima riconoscenza ed il nostro vivissimo desiderio di riudirli
novamente, e di vederne largamente imitato, nel prossimo avvenire,
il loro preziosissimo esempio.
E ringraziamenti non meno doverosi e sinceri io rivolgo sia
air egregio professore Alberto Puschi per la cura costante ed intel-
ligente con la quale accudì alla publicazione dell' Arduo^afo, ri-
masto tuttavia in quell' alta fama, cui da più anni aveva raggiunta.
£ grazie non meno sentite io debbo alla stampa cittadina, che di
ogni evento lieto o triste della nostra Minerva volle occuparsi, anche
nell'annata decorsa, con sollecito interesse e con affettuoso com-
piacimento ; e cosi pure attestar mi è caro la più viva riconoscenza
a tutte le migliori associazioni di questa città, le quali con frequenti
inviti alle loro feste ed alle loro memorabili solennità diedero sicura
espressione di inalterata devozione alla nostra Minerva.
Ed ora, o Signori, dopo tante soavi, un' altra nota dolente.
Purtroppo, come già accennai dapprincipio, il numero dei nostri
soci si venne novamente assottigliando. La vostra direzione non tra-
lasciò davvero di officiare i dimissionari a voler recedere dai loro
propositi, come non fa da lei trascurato di procurare l' aggregazione
di novelli ; ma tutte queste pratiche non giunsero a colmare le de-
plorate lacune, né a render meno sensibile la sovrastante minaccia.
Ciò posto, si ebbe a studiare se non fosse il caso di allargare il
numero dei soci istituendone un ordine novello, quello cioè de' soci
straordinari, che sarebbe composto di giovani dai 18 ai 24 anni, che
si dessero a qaalche studio, a qualche arte liberale, ma che, non
avendo ancora redditi sufficienti, avessero a pagare il tenue canone
annuo di soli fiorini quattro. A questi soci però, attesa la loro posi-
Eione eccezionale, non sarebbero consentiti che diritti limitati, quelli
cioè di giovarsi della biblioteca e dei periodici del gabinetto di
lettura, e di partecipare ai trattenimenti scientifici e letterari,
438
rimauando esclusi da quelli di disporre delle sorti e degli averi
della società, di eleggervi o di esseme eletti rappresentanti.
Speranza affida la vostra direzione che questa innovazione sia
per dar maggior rigoglio alla vita del nostro sodalizio, epperò ella
oggi la sottopone al vostro illuminato giudizio ed al vostro voto.
Vi ripropone poi la vostra rappresentanza un altro cambiamento del
nostro statuto, quello, cioè, che il principio dell' anno sociale sia
trasportato dal giugno all' ottobre, e ciò perchè cessi finalmente il
tanto lamentato guaio dello scarso concorso ai nostri congressi ge-
nerali, reputando la vostra direzione, che, terminate le villeggiature,
e cessati i calori delF estate, ed al riaprirsi del circolo delle nostre
conferenze, più facilmente ottener si possa che le annuali adunanze
deliberative non vadano deserte, o si tengano con iscarsissimo inter-
vento, e che tornino quindi veramente proficue alla nostra associazione.
Altra innovazione che vi viene proposta è quella di conceder
ai soci il diritto di eleggere i direttori della società anche mediante
scheda inviata, anziché da essi personalmente consegnata al congresso,
e ciò per non defraudare più nessuno del prezioso e cosi importante
diritto di concorrere all' elezione dei rappresentanti deUa società.
Con questi intendimenti la vostra direzione vi propone le accennate
riforme ; possano elle, se da voi, o Signori, oggi adottate, cor-
rispondere alle vagheggiate aspettative e compiere il nostro costante
desiderio, che la nostra Minerva viva, fiorisca e porti a noi ed ai
nostri successori quei soavissimi frutti, onde vera scienza e vera carità
del natio loco, assieme congiunte, dovunque e sempre frurono capaci!
Trieste, giugno 1896.
u\^
Archeogmfo Triestino
EDITO PER CURA DELLA
SOCIETÀ DEL GABINETTO DI MINERVA
fi
NUOVA SERIE ' '
VOLUME XXI
ANNO 1896 — FASCICOLO PRIMO, PARTE PRIMA
PUBBLICATA IN OCCASIONE DELLA
INAUGURAZIONE DEL MONUMENTO A GIUSEPPE TARTINI
IN PIRANO
Benedetti prof. Giorgio: GIUSEPPE TARTINI, studio.
' ^ \ y * ~
TRIESTE
Stabilimento Artistico Tipogr. G. Caprin
Agosto 1896.
Ufficio di Redazione ed Amministrazione nella Sede della
Società di Minerva, in Trieste, Via del Pesce, 4.
Elenco del Signori Associati al volume XXI.
Copit
Alber-Glanst&tten A.
bar. de, Trieste . . 1
Amoroso Avv. Doti.
Andrea, Parenzo . . 1
D'Angeli Avv. Dott.
Guido, Trieste. ... 1
Archivio Generale di
Venezia 1
Artelli Filippo, Trieste 1
A. Asher e 0., Buch-
handlung, Berlino . 1
Basevi Cav. Giuseppe,
Trieste 1
Besso Cav. G., Trieste 1
Biblioteca civ.. Fiume 1
Biblioteca ci V., Gorizia 1
Bibl. Estense, Modena 1
Biblioteca N^azionale,
Parin 1
Bibl. Keale, Parma . . 1
Bozza Aw. Dott. Ca-
millo, Trieste .... 1
Bucbnandlung der
Actienbuchdru-
ckerei, Zagabria . 1.
Camera di commercio
e d*ind«, Rovifipao . 1
Campitelli Dr. Matteo
Parenzo 1
Caprin Gius., Trieste . 1
Casino civ., Kovigno . 1
Circolo art., Trieste. . 1
eleva Dott. G. Parenzo 1
Consolo Avv. Dottor
Felice, Trieste. . . . 1
S.E.Coronini conte F.,
Gorizia 1
Dase Julius, libraio,
Trieste 6
Deputazione di Borsa,
Trieste 15
Di Demetrio Giov. A.
cav., Trieste 1
Gabinetto di lettura,
Gorizia • . . 1
Gabinetto di lettura
popolare. Pola .... 1
Geiringer Dr. Eugenio,
Trieste 1
Giunta provine, della
Contea principesca
di Gorizia e Gradisca 2
Giunta provine. del-
l'Istria, Parenzo . . 2
Hermet Carlo, Trieste 1
Copie
Hortis Dott. Attilio,
Trieste
Laudi Dottor Vitale,
Trieste
Libr. Ròhrscheid A Eb-
becke, Bonn
Libreria Furchheim,
Napoli
Libr. C. Klincksieck,
Parigi
Libr. Loescher e C,
Roma
Libr. Ulrico Hoepli,
Milano
Lorenzutti Dott. E.,
Trieste
Lorenzutti Dott. L. ,
Trieste
Machlig Dott. * Carici
Trieste
Madonizza (de) Nicolò,
Capodistria
Manussi Dott. Cav. de
Alessandro, Trieste .
Manzano (di) Conte
Alfredo. Giassicco .
Marinitscn Giuseppe,
Trieste
Marsich Andrea, Ca-
podistria
Marussich Ferdinando,
Cormons
Mauroner L., Trieste .
Mazzoli Ermenegildo,
Trieste
Milella Vito, Trieste .
Monti Gius^ Trieste .
Morpurgo Dott. Eu-
genio, Trieste ....
Mrach Avvocato Dott.
Egidio, Pisino ....
Municipio di Capo-
distria
Municipio di Pirano .
Municipio di Pola . .
Municipio di Trieste . 25
Nervegna G., Brindisi
Neumann Cav. Enrico,
Trieste
Nordio prof. Enrico,
Trieste
Patemolli, libraio, Go-
rizia
Pavani E., Trieste . .
Pitteri R., Trieste . .
Copi*
Polesini Marchese Be-
nedetto, Parenzo . . 1
Porenta (de) Comm.
Dott. Carlo. Trieste 1
Presidenza aell' Ecc.
i. r. Luogotenenza,
Trieste 1
R. Museo d'Antichità,
Parma 1
Righetti Cav. Dott.
Giovanni, Trieste . . 1
Rota Conte £., Venezia 1
Rusconi aw. Arturo,
Trieste 1
Sardotsch Ing. Dott.
Nicolò, Trieste ... 1
Sartorio Gius., Trieste 1
SbisÀ Dott. Tullio,
Parenzo 1
Schillerverein, Trieste 1
Società Filarmonico-
Drammatica, Trieste 1
Stanze di radunanza
dei signori Commer-
cianti, Trieste .... 2
Suvich Pietro, Trieste 1
Swida Dott. Prof.
Francesco, Trieste . 1
Tamaro Dott. M., Pa-
renzo 1
Tanzi Cav. A., Trieste 1
ThallóczvDott. Layos,
i. r. Consigliere di
Governo e J&irettore
dell'eccelso Archivio
di Corte in Vienna 1
Tommasini (de) Cav.
Avvocato Dott. A.,
Trieste 1
Tonicelli Aw. Dott
Giacomo, Trieste . . 1
Unione Gin. Trieste . 1
Vaglieri Dante Dott,
Roma 1
Venezian Avv. Dott
Felice, Trieste. ... 1
Venuti Avv. Dott
Carlo, Gorizia .... 1
Vergottini Dott Tom-
maso de, Parenzo . . 1
Vianello L., Trieste. . 1
Vidacovich Aw. Dott
Girolamo, Trieste. . 1
Vram Ettore, libraio,
Trieste 2
PATTI D' ASSOLIMI!
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Il ja?fiinM tJi iiiuit'U!* ^1 r- ■ iniettivi' X/'m tiiti-ir*!»!
il presso d* ftsdOGijidaiid òi
pur Trìi^t4i (tmnm n il
pnr fatta In Moniirrliin (ti
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per Vì^-^' i" i.w^.x^ - M. "j.-r- 1
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Via ilei P<*«r'
I Si«xriori A sniffali iliiiiorniiU fuori «li l*riwlf «♦»•'
(Cf* Hill me lite im^p.tti ili fjn- |MMVf*iiii<* <|ii!tiitn ^*n»n
rflatìvo importo.
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RCHEOGRAFO TRIESTINO
EDITO PER CURA DELLA
SOCIETÀ DEL GABINETTO DI MINERVA
fi
NUOVA SERIE
VOLUME XXI
ANNO 1896 — PARTE II DEL FASC. /, E FASC, 11
TOMASIN dott. PIETRO — Notizie storiche intonio all'Ordine
dei frati Minori conventuali in Sta Maria del Soccorso e
nella Cella Vecchia in Trieste e in Sta Maria di Griguano pag. lOtJ
COSTA prof. ALFONSO — Studenti foroiulieusi orientali, trie-
stini ed istriani all'Università di Padova (continuazione) ,, 185
MORTEANI prof. LUIGI — Sulla lite per la decima dell'olio
tra i vescovi di Capodistria ed il clero e popolo piranese „ 240
PUSCHl prof. ALBERTO — Edificio romano scoperto nella villa
di éarcola (coutin. e fine); con incisioni intercalate e ta-
vole allegate 2G6
MORPURGO prof. ALESSANDRO — Olimpia Morato ; lettura „ 306
;MAI0N1CA prof. ENRICO — Studi aquilejesi (continuazione);
con incisioni intercalate „ -3^38
'PUSCHl prof. ALBERTO — Altre costruzioni romane scoperte
\ nella villa di Barcola dal novembre IHiX) al maggio 1891;
; con una pianta „ 'iól
VRAM dott. UGO G. — Osservazioni intorno ai crani trovati
nel secondo edificio di Barcola; con incisioni intercalate p B78
STENTA prof. MICHELE — La classica liuteria italiana; lettura „ 382
3*USCHI prof. ALBERTO — Antichità scoperte a Trieste e nel
suo territorio nel decennio 1887-181)6; con incis. intercalate
e tavole allegate , . • „ 407
VRAM dott. UGO G. — Bibliografia: ^r. Nfrc/i, "Africa, antropo-
logia della stirpe camitica,, , 423
LORENZUTTI dott. LORENZO — Relazione della LXXXVI
f annata della '^Società di Minerva, „ 426
TRIESTE
Stabilimento Artist. Tipogr. G. Caprin.
18}>6-18J)7.
Ufficio di Redazione ed Aniniinistrnzione nella Sede della
Società di Minerva, in Trieste, Via del Pesce, 4.
PUBBLICAZIONI PERIODICHE
che pervengono in cambio dell' "Archeografo,,
ArchiÌ€Ìlogi9chrep%graphÌ9ehe MUthedungen aus Oesterreich, pubblicate da 0. Besn
dorf ed F. Bormann — Vienna.
Archivio storico lombardo^ giornale della Società storica lombarda — Milano.
Archivio storico per le provincie napoletane, publicato a cura deUa Società di storia
patria e diretto dal prof. Giuseppe de Blasiis — Napoli.
Archivio deUa r. Società romana di storia patria — Roma.
Archivio storico siciliano, pubblicazione periodica della Società siciliana per k
storia patria — Palermo.
Archivio trentino, pubblicato per cura della Direzione della Biblioteca e del
Museo comunali di Trento.
Archivio veneto, pubblicazione periodica della r. Deputazione veneta sopì» fi ;
studi di storia patria — Venezia.
Ateneo ligure, rassegna mensile deUa Società di letture e conversazioni scientif
iicbe di Genova.
Ateneo veneto, rivista mensile di scienze, lettere ed arti diretta da S. A. de Ki-
riaki e 0. Gambari — Venezia.
Atti del reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti — Venezia.
Atti e memorie della r. Deputazione di storia patria per le provinole di Ro-
magna - Bologna.
Atti e memorie dell' imp. Società arcbeologica russa — Mosca.
Atti e memorie, pubblicazione della Società istriana di archeologia e st^
patria — Parenzo.
Beitràge zur Kunde steiertnàrkischer Geschichtsqudlen, berausgegeben vom hist^sì-
scben Vereine fftr Steiermark — Graz.
Biblioteca dell'Accademia storico -giuridica — Roma.
BuUettino di archeologia e storia dalmata, diretto dal prof. F. Bui io — Spahlx^
BuUettino della Commissione archeologica comunale di Roma ^- Roma.
BuUettino ddl* Istituto storico italiano, pubblicato dal r. Ministero della istroziflM
pubblica — Roma.
BuUettino ddVimp, Istituto archeologico germanico — Sezione romana — Roma
BuUettino deUa Società adriatica di scienze naturali in Trieste, redatto dal
tarlo prof. A, Vierthaler — Trieste.
La cultura, rivista di scienze, lettere ed arti, diretta da R. Bonghi — Rook:
Documents inédits rdativs à Vhistoire de la Grece au mogen àge, publiés soos
auspices de la chambre des députés de Grece par C. N. Sathas — P;
Ephemeris epigraphica, pubblicazione dell' imp. istituto archeologico romano
Berlino.
Giornale araldico-genealogico-diplomaticOf pubblicato dalla r. Accademia araldica
^ italiana e diretto dai cav. G. B. di Crollalanza — Fisa.
, Giornale ligustico di archeologia, storia e belle arti, fondato e diretto da L. T. Bei-
grano ed A. Neri — Genova.
Miacdlanea di storia italiana, edita per cura della regia Deputazione di storia
patria — Torino.
I Mittheilungen des historischen Vereines fUr Steiermark, herausgegeben von dessen
Ausschusse — Graz.
Mittheilungen des Institutes fUr dsterr. Geschichtsforschung, pubblicate colla coope-
razione di Th. Sickel e H. R. de Zeissberg, da E. Mlihlbacher —
, Innsbruck.
Mittheilungen des Musealvereines fttr Krain — Lubiana.
Monumenti, editi dalla r. Deputazione veneta sopra gli studi di storia patria —
Venezia.
Notizie degli scatti di antichità comunicate alla r. Accademia dei Lincei per ordine
di S. E. il Ministro della pubblica istruzione — Koma.
'PWyWWto», Bevue bibliographique universelle. Segretario della redazione il
signor M. A. Le Vavasseur — Pai-igi.
La Provincia ddl'Istria, periodico bimensile — Capodistria.
Rendiconti del r. Istituto lombardo di scienze e lettere — Milano.
Rivista italiana per le scienze giuridiche, diretta da F. Schupfer e G. Fusi-
nato — Roma.
Rivista storica italiana, diretta dal prof. Rinaudo, con collaborazione di A. Fa-
bretti, P. Villari e G. de Leva — Torino.
Sludi e documenti di storia e diritto, pubblicazione periodica dell^ Accademia di
conferenze storico - guridiche — Roma.
-H^-K-
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THE NEW YORK PUBUC LIBRARY
RBPERBNCB DBPARTMBNT
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