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Full text of "Architettura italiana: parte prima : architettura Pelasgica, Etrusca, Italo ..."

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TA '^IB^.i^ A 



HARVARD COLLEGE 
LIBRARY 

1^ ^W« U 




FROM THE BEQUEST OF 

CHARLES SUMNER 

CLASS OF 1830 

Senaior jrom Massachusetts 

FOB BOOES ftfiLATING TO 
FOtmCS AND FENB AKT3 






® MANUALI HOE^il 

ARCHITETTURA ITALIANA 



I 

PARTE SECONDA: 

ARCHITETTURA MEDIEVALE, DEL RZHASCIMENTO, 

DEL CINQUECENTO, DEL SEICENTO, 

DEL SETTECENTO E MODERNA. 

dbll' abcbitbtto 

ALFREDO mLANl 

Prof, alla Scuola Super. d*Arte applicata air Industria 
in Milano. 



con 35 TAVOLE 9 50 FIOUBE INtEBOALATE NBL TESTO. 



Seconda edizione totalmente rifuea. 




à 



ULRICO HOEPLI 

IMTOU-UBKMO DBLU «lAl CASA 

MILANO 
NAPOLI ! PISA 

1887 



TA2.;8^'^'ft). , 




SEP 5 Ibbb 




^VN 






PROPRIETÀ LETTEBÀniA. 






Milano. Tip. Bemardùni <fi C. lieheschivi e C 



INDICE DEL TESTO 



Bibliografia Pag, ix 

CAPITOLO PRIMO. 

Dell' AreMtettnra romanza Pag. 1 

Osservazioni generali » ivi 

Le Catacombe » 6 

Le Basiliclie cristiane » 8 

Il Simbolismo • » 13 

I Castelli e ì Palazzi pubblici e privati . » 16 

Costruzioni religiose » 18 

Lo Stile bisantino » 25 

Lo Stile lombardo » 40 

I Campanili ' . . . . . » 65 

Costruzioni militari e civili » 68 

I Castelli e i Palazzi pubblici e privati . » 69' 

CAPITOLO SECONDO. 
Bell'AreUtettiira di transizione fra la lom- 
barda e quella a aroU acuti . . . Pag. 74 

CAPITOLO TERZO. 

Dell'Areliitettura a archi acuti Pag. 79 

Osservazioni generali » ivi 

Costruzioni religiose » 100 

Costruzioni militari e civili » 114 

I Castelli e i Palazzi pubblici e privati . » ivi 



IV Indice del testo. 



CAPITOLO QUARTO, 

Bell'Aroliitettiira del rinasoimento e oin- 

duecento Pag. 131 

Osservazioni generali ••...,.. » ivi 

GOSTRUZIOKI BSLI6I0SB B CIVILI DSL RINASCI- 
MENTO. • » 141 

Lo stile brnnelleschìaiio » ivi 

Lo Stile lombardesco » 150 

Lo Stile bramantesco i>161 

Lo Stile del Rinascimento nel Piemonte, 

nella Ligaria, a Napoli, sua provincia, ecc. » 188 
Costruzioni religiose e civili del ginque- 

CEHTO » 194 

CAPITOLO QUINTO. 

Dell'Architettura del seicento Pag. 214 

Osservazioni generali » ivi 

Costruzioni religiose » 221 

Costruzioni civili » 230 

CAPITOLO SESTO. 

Dell' Archltettiira del settecento Pag. 241 

CAPITOLO SETTIMO. 
DeU'Archltettnra moderna Pag. 248 



INDICE DELLE INCISIONI 



Basilica di S. Clemente, Roma Pag. 20 

S. Paolo, fuori delle mura, Roma » 22 

Pianta della chiesa di S. Paolo, Roma, fuori 

delle mura » ivi 

Pianta della basilica di Santa Prassede, Roma » 23 

S. Sofìa, Costantinopoli (sezione longitudinale) » 27 

Pianta della basilica di S. Sofia, Costantinopoli » ivi 

Croce latina ». 28 

Croce greca » ivi 

Capitelli con pulvino in S. Vitale, Ravenna . » 29 

Capitello in S. Marco, Venezia » 30 

Fregio della chiesa di Dana, Siria settentrio- 
nale, presso Aleppo » 32 

S. Apollinare in classe, Ravenna » 33 

Pianta della chiesa di S. Vitale, Ravenna . . » 34 
S. Vitale, Ravenna (sezione longitudinale) . . » 36 
Pianta della basilica di S. Marco, Venezia . . » 37 
S. Ambrogio, Milano (angolo delFambone nel- 
l'interno della basilica) » ^^ 

S. Ambrogio, Milano (sezione di una delle navi 

minori) * 

S. Ambrogio, Milano (motivo delle campate) . 
S. Michele, Pavia (esempio del pennacchio a 

tromba conica) " 50 

S. Michele, Pavia (abside) 



» 



44 
45 

46 



VI Indice delle incisioni. 

Duomo di Parma Pag. 51 

Duomo di Piacenza » 52 

S. Andrea, Vercelli (motivo della cupola) ...» ivi 
Parte del Battistero, il Duomo e il Campanile 

di Pisa » 54 

Cattedra Vescovile in S. Lorenzo, fuori delle 

mura, Roma » 59 

Musaici nella Cattedra Vescovile di S. Lorenzo, 

fuori delle mura, Roma » ivi 

Cappella Palatina, Palermo . » 60 

Campanile di S. Maria in Cosmedin, Roma . » 67 

Palazzo del Comune, Monza » 72 

Loggetta del Bigallo, Firenze » 77 

Duomo di Milano. » 85 

S. Martino, Lucca (motivo delle campate esterne) » 86 

S. Martino, Lucca (motivo delle campate inteme) » 87 

Foglia arrampicante » 97 

Fiore crociforme » 96 

Duomo di Milano » 101 

S. Maria del Fiore, Firenze » 106 

S. Maria del Fiore e il suo Campanile, Firenze » 107 

S. Maria del Fiore, Firenze » 108 

S. Petronio, Bologna » 110 

S. Petronio, Bologna (motivo delle campate in- 
terne) . »111 

Duomo d'Orvieto. » 112 

Pianta del Duomo di Siena » 113 

Duomo di Siena » ivi 

Ca* d'Oro, Venezia » 120 

Palazzo Comunale di Udine » 121 

Casa in S. Gimignano » 125 

Loggia dei Gonfalonieri, Cremona » 126 

Tettoia sporgente in un palazzo di Siena . . » ivi 



Indice delle incisióni. vn 

Fregio del Rloascìmento di una porta a Santa 

Maria delle Zattere, Venezia Pag. 138 

Porta nel palazzo del Governatore, Roma . . » 139 

Cappella dei Pazzìf Firenze, S. Croce ...» 142 

S. Maria Novella, Firenze » 144 

Palazzo Strozzi, Firenze » 146 

Palazzo Guadagni, Firenze » 147 

Porta nel Palazzo Gondi^ Firenze » 148 

Palazzo Bucellai, Firenze » ivi 

Pianta della chiesa di S. Salvatore, Venezia . » 153 

S. Salvatore, Venezia » 154 

Palazzo Ducale, Venezia (prospetto del cortile 

dalla parte della Scala dei Giganti) ... » 157 
Capitello di pilastro (da S. Maria dei Miracoli), 

Venezia » ivi 

Palazzo Vendramin, Venezia » 158 

Palazzo del Consiglio, Venezia » 159 

Palazzo Comunale di Brescia » 160 

Chiesa della Madonna delle Grazie, Milano . » 164 

Certosa di Pavia » 167 

Spedale Maggiore, Milano » 170 

Palazzo Torlonia, Roma » 171 

Finestra nel palazzo della Cancelleria, Roma » 173 

S. Pietro di Roma » 177 

S. Pietro di Roma (stato attuale) » ivi 

Villa di Agostino Chigi detta e la Farnesina », 

Roma » 180 

Palazzo Farnese, Roma » 183 

Palazzo Ducale, Urbino » 186 

Casa detta «dei Caracci», Bologna .... » 192 

Palazzo Fava, Bologna » 193 

Basilica di Vicenza » ^^^ 

Palazzo Thiene, Vicenza » 200 



vm Indice delle incisioni. 

Palazzo Valmarana, Vicenza Pag. 200 

Palazzo Bevilacqua, Verona » 201 

Libreria di S. Marco, Venezia » 203 

Decorazione nella chiesa del Gesù, Roma . . » 223 
Monumento sepolcrale di Alessandro Vittoria, 

Venezia, S. Zaccaria » 227 

Palazzo Doria-Tursi, Genova » 238 

Palazzo Doria-Tursi, Genova » 239 



BIBLIOGRAFIA^ 



Batet, Ua/ri bizantine. Parigi, 1884. 

BoiTO, L' Architettura del medio evo in Italia. Milano, 
1880. 

BuRCKHAHDT, Geschìchte der Renaissance in Italien, Se- 
conda ediz. Stutt^jart, 1878. 

Burckhardt ie Bode, Der Cicerone. Lipsia, 5* ediz. 

BuHSEN, Les Basiliques chrétiennes de Rome. 1872. 

Canina, Ricerche sull'architettura più propria dei tem- 
pli cristiani. Roma, 1843. 

Choist, L'Art de hdtir chez les Byzantins. Paris, 1882. 

CicoGNARA, Le fàbbriche piit cospicue di Venezia. Ve- 
nezia, 1815-20. 

Dartein, Étude sur V architecture lombarde. 1865-82. 

De GetmQlleb, Les projets primitifs pour Saint Pier- 
re, ecc. Parigi, 1875-76. 

— Raffaello studiato come architetto. Milano, 1884. 

De GetmGller e Wìdmawn, Die Architeìctur der Renais- 
sance in Toscana Pabblic. della Società San Giorgio 
fatta sotto la direzione del barone De GeymAUer e di 
A. Widmann con testo del Geymuller. (È in corso di 
stampa.) 



1 Tolti i libri notati nella presente bibliografia e nel corso del 
Tolumetto si trovano yendibili alla Libreria editrice di Vlrico HgepH 
in Milano. 



Bibliografia: 



Db Rossi, La Roma sotterranea cristiana. 1866-77. 

— Bollettino di Archeologia cristiana, Roma. 
D'AaiNGOURT, Storia dell'arte dimostrata coi monumenti. 

Prato, 1826. 

DiDRON, Manuel d* Iconographie chrétienne» Parigi, 1845. 

DiEHL, Ravenne. Paris, 1886. 

De Lutnes, Recherches sur les monuments et Vhistoire 
des Normands et de la maison de Souabe dans l'Ita- 
lie meridionale, Paris, 1844. 

Di Marzo, Belle belle arti in Sicilia dai Normanni fifho 
alla fine del secolo XVL Palermo, 1861. 

FiLANOERT, Bocumenti per la storia, le arti e le indu- 
strie delle Provincie napoletane, Napoli. (Fn corso di 
pubblicazione.) 

Friken a., Le Catacombe romane e i monumenti del- 
l'arte cristiana, 1872-1885. 

Gailhabaud, ^ L'Àrchitecture de V au XVll siede et 
les arts qui en dépendent. Parigi, 1869-72. 

— Monuments anciens et modernes, Parigi, 1850. 
Garrucci, Storia dell' arte cristiana nei primi otto se- 
coli della chiesa. Prato, 1872-80. 

Gebhart, Les origines de la Renaissance en Italie, Pa- 
rigi, 1879. 

Gerbet, Rome chrétienne,^ Parigi, 1844. 

Gravina, // Buomo di Monreale. Palermo, 1860. 

Gregorovius, Storia di Roma nel medio evo, Venezia, 
1872-76. 

Gruner's, Terra-cotta Architecture of north Italy, 1865. 



^ I libri del Gailhabaad sono raccomandabili specialmente per le 
bellissime tavole. Le tavole colorite peraltro non corrispondono sem- 
pre alla verità. 

* Questo libro s' indica specialmente a chi vuole aver notizie sa 
la disposizione dulie basiliche crisliaDo e le fregiature che l' ornano. 



Bibliografia, xi 



Hettker H., Italienische Studien zur Geschichte der Re- 
naissance, Braunschweig, 1879. 

Janitschkk, Die Gesellschaft der Renaissance in Italien 
und die Kunst. Stoccarda, 1879. 

Kraus, Die christliche Eunst in ihren fruhesten Anf, 

KuGLER, Geschichte der Baukunst Stoccarda, 1868. 

Laspjbtres, Die Kirchen der Renaissance in Mittel-Ita- 
lien, Stoccarda, 1882. 

Letarouillt, Edifices de Rome moderne ou recueil des 
palaie, maisons, églises, eouvents et autres monuments 
publics de la ville de Rome, Parigi, 1868. 

— Le Vatican et la basilique de St. Pierre de Rome, 
Parigi, 1882. 

Marchi, Monumenti delle arti cristiane primitive. 1844. 

ìlkHTiGTur, Bictionnaire des aniiquités chrétiennes, Pa- 
rigi, 1865. 

Messmer, Ueber den Ursprung der Basiliken. Lipsia, 1868. 

Mazzanti R. e e., Del Lungo, Berti e Jodoco del Ba- 
dia, Raccolta delle migliori fabbriche antiche e ino- 
derne di Firenze. Firenze, 1876 e seg. 

Muntz, Étude sur Vhistoire de la peinture et de V ico- 
nographie chrétiennes (nuova ediz.). Parigi, 1886. 

— Les Aris à la cour des Papes, 1878-82. 

— Les précurseurs de la Renaissance. Parigi, 1882. 

— Jm Renaissance en Italie et en France à V epoque 
de Charles Vili. Parigi, 1885. 

PiPER, Mythologie und Symbolik der christlichen Kunst, 

Weimar, 1851. 
Qdast, Die Altchristlichen Bauwerke von Ravenna. 1842. 
Ricci, Storta dell'architettura in Italia, Modena, 1857. 
RiCHA, Chiese fiorentine. Firenze, 1754-62. 
Rio, De VArt chrétien, Parigi, 1861. 
RoHAUi.T PE Fleuuy, La Toscane nu moyen àge. Parigi. 



XII Bibliografia. 



Salazaro, Studi sui monumenti dell'arte meridionale 

dal IV al XIII secolo. 1871-83. 
ScHULZ, Denkmaler der Kunst des Mittelalters in Sud- 

Italien, 1844. 
Selvatico, Dell'Architettura e Scultura in Venezia, Ve- 
nezia, 1847. 
— Le arti del disegno in Italia. Storia e critica. Milano. 
Stare, Ilandbuch der Archeologie der Kunst. Lipsia, 

1878. 
Taccani, Storia dell'architettura in Europa. Milano, 1855«, 
Tbxier, L'Architeeture bizantine ou Recueil des Monu* 

ments des premiere temps. Londra, 1864. 
Unger, Quellen der Byzantinischen Kunstgesehichtet 

Vienna, 1878. 
Verdier e Cattois, L'Architettura civile e domestica 

nel medio evo, ecc. Venezia, 1866.^ 
Viollbt le Due, Dictionnaire raisonné de l'Architeeturé 

frangaise du XI au XVI siede. Parigi, 1876. 
Zestermann, Die antiken und die christlichen Basilikeni 

Lipsia, 1847.* 



1 È la traduzione dell' originale francese. 

> L'Autore medesimo ne fece una tradazione latina. 



IL MEDIOEVO. 



A. ÌÌELANt. 



CAPITOLO PRIMO. 
DELL'ARCHITETTURA ROMANZA. 



Osservazioni generali. 

Caduta Roma pagana che aveva domÌDato il 
mondo colla forza delle armi, sorse Roma cristiana 
che doveva dominarlo colla forza della coscienza. 
Dna rivoluzione sociale apportò la nova fede; — 
la rivoluzione capitale della storia del mondo — 
scrive E. Renan nel Jesus. * Poiché nelle dottrine 
di Gesù Cristo oltre al rivolgimento religioso vi 
era quello di tutta la vita civile. La famìglia dei 
seguaci di Gesù fu in origine perseguitata; per 
ciò i suoi primi templi — ma che templi? — i 
suoi primi luoghi di ritrovo furono nascosti e 
modesti in quella guisa che si confacevano al 
novo culto che sdegnava le pompe del politeismo 
e precorreva il pensiero moderno basato nella 
diffusione delle idee che accomunano interessi 
ed aspirazioni. La civiltà romana, mancò della 
principale tra le condizioni di stabilità; fu me- 



^ Gap. pr.: pag. 1. 



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Capitolo pnmOi 



ravigliosa per la sua forza di accentramento ma 
mancò affatto di generosità; perciò si trovò schiac- 
ciata dal proprio peso dopoché il Cristianesimo 
ebbe detto la prima parola sulla solidarietà dei 
popoli. 

11 Cristianesimo stato odiato e proscritto entrò 
in una fase più quieta quando Costantino si fece 
cristiano. Egli aveva trasferito la sede dell'impero 
a Bisanzio e di qui dominava i contrasti deiroc- 
cidente e favoriva il trionfo dei nuovi ideali. Al 
principio del IV secolo il Cristianesimo era la 
religione dello Stato e l'arte cristiana escita dai 
nascondigli, avea già intraveduto qual carattere 
dovevano avere i suoi templi. Non credasi per 
questo che durante i primi trecent' anni, circa, 
del Cristianesimo V arte abbia preoccupato la 
mente dei Padri della Chiesa; perchè in generale 
questi nei loro scritti non si interessano di arti 
plastiche che per combattere la idolatria. ^ 

L'arte pagana nelle curie, negli anfiteatri, nelle 
terme, nei palazzi volle essere una continua gloria 
della bellezza corporea; l'arte cristiana voleva 
essere invece un continuo e vivo trionfo dell'a- 
nima sul corpo. Non e' è da meravigliarsi, se i 
primi cristiani, appena poterono esercitare il loro 
culto liberamente, attesero con grande interesse 
alla distruzione di templi e idoli pagani : — i cri- 
stiani volevano che fosser dimenticati per sempre 
gli iddii dell'Olimpo. Se il pensiero per loro era 
giusto, metterlo a eflFetto non era facile. 



* Gfr. Pipier, Einleitung in die monumentale Theologie, 1867, 
pag. 75 e segg^. 



Dell' architettura romanza. 



In questo periodo nel quale Tascetisiuo domi- 
nava terribile e Tanima era pronta alle violenze 
e agli avvilimenti, i primi cristiani consideravano 
il corpo umano indegno di essere rappresentato 
dairarte. Evidentemente era la reazione contro 
il paganesimo lubrico e carnale che ispirava tali 
eccessi, erano i deliri degli asceti che rispetta* 
vano alla lettera il precetto di San Qiustino, di 
San Basilio, di San Cirillo che diceva « del bello 
si compiace soltanto l' avversario d' ogni bene » 
Con queste opinioni era impossibile che l'arte 
potesse fiorire; e difatti da Costantino fino al 
milleduecento la scoltura, che fu Tarte prima a 
liberarsi dall* arcaismo, ebbe un periodo di vita 
assai tristo. 

L'arte cristiana impotente a esprimere con forme 
proprie i misteri del suo culto dovette spesso 
ricorrere alle forme pagane; tale influenza antica 
si fece sentire lungamente, sopratutto nella de- 
corazione. 11 Le Blant* che aveva constatato nelle 
inscrizioni la ripetizione di certe formole d' ori- 
gine pagana rilevò ristesse tendenze nelle scul- 
ture d'ornamenti: — il Le Blant avrebbe potuto 
osservare quelle tendenze anche nelle pitture. * 

Naturale, l'arte cristiana non poteva continuare 
lungamente a vivere degli ultimi sintomi della 
vita altrui. Cina dottrina giovane piena di entu- 
siasmo doveva trovare forme proprie per espri- 
mere le sue aspirazioni. Che non solo nelle parti- 



^ Étudea sur Uà aareopha. chrétiena antiq.f ecc. 1878, pag. 26. 
' Gfr. Melani, Manuale di pittura italiana, parte I, pa|^. 107 
e ae^^, U. Hoepli. edit. 



6 Capitolo primo. 

colarità, l'arte cristiana primitiva scultorica e 
pittorica si giovò dell'arte dei pagani, ma dovette 
imitarla perfino nella distribuzione dei suoi tem- 
pli. Notiamo però che mentre il culto pagano 
aveva inalzato all'esterno ampi peristili da dove 
i fedeli assistevano alle funzioni religiose, essendo 
permesso soltanto ai sacerdoti di entrare nella 
cella consacrata, il culto cristiano invece doveva 
inalzare delle navate spaziose, perchè i seguaci 
di Cristo si raccogliessero ivi a pregare lungi dal 
rumore e dalla luce allegra del di fuori. Non ha 
torto il Kraus, a dire che rispetto all'antichità 
delle costruzioni ecclesiastiche di Roma dobbiamo 
discendere nelle catacombe e trarre la luce da 
quelle profondità. * 

Le Catacombe. — Furono i sepolcri e i luoghi 
di ritrovo dei primi cristiani. Nel secolo scorso 
qualcuno disse che le catacombe erano cimiteri 
comuni alla povera gente di qualsivoglia culto: 
opinione errata che studi recenti * hanno desti- 
tuita d'ogni fondamento. È tanto tempo che si 
lavora intorno le catacombe, si sono scavati mi- 
gliaia di sepolcri, non uno pagano tra tanti. 

Ma è accertato che le catacombe furono opere 
dei primi cristiani? Tal domanda ripetuta più 



* Die chrlstUche Kunst in ihren friihesten Anfdngen, Lipsia, 
1873, pag. 51. 

• De Rossi, La Bontà sotterranea cristiana, — L* uso ha 
stabilito che questi monumenti siano detti catacombe, ma ve- 
ramente dovrebbero dirsi cimiteri. Quelle sole di S. $eba« 
stiano sono catacombe (Eusebio, ^\, eccj. VU, 11), 



Dell'architettura romanza. 



volte ha dato luogo a molte discussioDi. A chi 
affermava che i cristiani avevano scavato quei 
sotterranei, fu osservato se era possibile che gente 
povera e proscritta avesse potuto aver l'audacia 
di forare quel numero considerevole di sotter- 
ranei, proprio alle porte di Roma, sotto gli occhi 
dei persecutori. Chi détte i denari? e la terra 
scavata dove si gettò? 

Perciò parve più possibile che quei sotterranei 
fossero le antiche cave da dove i Romani avevano 
estratto la pozzolana e che i cristiani trovandole 
abbandonate se n'impadronissero e le riducessero 
per uso loro. 

L'ultima parola sulle catacombe è stata detta 
recentemente da Michele De-Rossi (fratello del 
De-Rossi notissimo, già citato) il quale, persuaso 
che i cristiani si servirono d'alcune di quelle 
cave, provò che la maggior parte dello catiacombe 
fu scavata da cristiani.' 

Nelle catacombe v' è la storia del Cristianesimo 
primitivo, della sua vita agitata, delle sue perse- 
cuzioni. 

TTna visita a queste necropoli non si dimentica: 
la prima volta la mente si smarrisce impressionata 



^ Michele De Rossi stadiando la natura del terreno nel 
quale sono scavati la più parte dei cimiteri romani notò che 
gli scavatori evitavano sistematicamente i laoghi dove era la 
pozzolana e lavoravano di preferenza in quelli dov'era certa 
pietra spugnosa e consistente. Di fronte a questa ragione non 
è permesso più discutere. La storia e i documenti affermano 
bensì che i Cristiani si appropriarono qualcuna di quelle cave 
abbandonate chiamate arenarifie ma su 25 o 80 cimiteri 5 soli 
SODO cave witiche; il resto sono lavori dei cristiani. 



Capitolo primo. 



dalla lor vastità superiore a ogni aspettativa. Le 
gallerie che sboccano liberamente sulla via pub- 
blica, le aperture destinate a dare un po' d'aria 
e di luce agli ipogei, appartengono a un periodo 
in cui i cristiani erano tollerati dalle autorità; 
invece le entrate scure, le vie tortuose ricordano 
l'epoca delle persecuzioni. In questi tempi si co- 
struirono certe piccole cappelle per la riunione 
dei fedeli quando era loro impedito di celebrare 
fraucamente il culto; esse si componevano di due 
locali disposti in modo che pur essendo separati, 
da ambedue si poteva assistere alle cerimonie 
sacre; i due locali dividevano gli uomini dalle 
donne che nella chiesa primitiva stettero sempre 
separati. In fondo ad una delle due stanze sor- 
geva la sedia che dipoi si chiamò gestatoria. Di 
là i Santi Padri pronunziavano parole di concordia 
e di conforto, di là leggevano le lettere che si 
comunicavano le chiese; lettere ove si esprime- 
vano dubbi, dolori, speranze avvenire; di là glo- 
rificavano il martirio e infondevano ai fedeli il 
coraggio di sfidar la morte per la nova religione. 
Qua e là s'incontrano, in queste necropoli, pi- 
lastri e colonne ornate di fregi rozzi, di iscri- 
zioni in greco, delle pitture di molta importanza 
per la storia del Cristianesimo e dell'Arte. Queste 
inscrizioni e queste pitture per quanto mutilate 
hanno una eloquenza straordinaria sulla mente 
di chi studia. 

Le Basiliche cristiane. — All'arte delle cata- 
combe succede quella delle basiliche e dalla co- 
stituzione delle b^isiUche principia timidttmente 



Dell'architettura romanza. 9 

l'èra gloriosa del Cristianesimo. Diciamo timida- 
mente perchè anche durante il regno di Costan- 
tino, che permise ai cristiani di inalzare libera- 
mente le chiese, il Paganesimo continuò in Roma; 
perciò le prime chiese cristiane furono inalzate 
nei sobborghi o ad una cert^ distanza dalle mura. 
Dopo Costantino, Tiraperatore Giuliano ristabili i 
riti del paganesimo e Valentiniano, comecché si 
citi fra i principi cristiani, inalzò nel Campi- 
dòglio altari alla Vittoria. Le vittime furono ab- 
brucciate sulle are pagane fino al regno di Teo- 
dosio; il quale nel 889 scacciò i vecchi Dei dai 
templi che parte atterrò, e ricordando la conver- 
sione e il voto di Costantino, volle con autorità 
di principe, che la religione cristiana fosse la 
ufficiale. 

Eccoci dunque alla Basilica cristiana. 

Allo studioso non giunge novo questo nome: 
basilica. Infatti gli abbiamo parlato di basiliche 
discorrendogli di edifici civili di architettura ro- 
mana. La basilica era la sede della giustizia umana; 
Cristo era considerato dai suoi seguaci il simbolo 
dell'eterna giustizia, perciò il suo tempio non 
poteva avere espressione più conveniente di quella 
che i Greci prima, e i Romani poi, avevano dato 
al tribunale tempio della giustizia terrena. In- 
somma i cristiani considerando che la disposizione 
esterna e interna delle basiliche pagane si adat- 
tava al tempio del loro culto presero le basiliche 
pagane per modello delle loro chiese. 

Le norme apostoliche volevano che la chiesa 
rappresentasse la nave di S. Pietro;^ lo spazio 



> Const. ap. L. II, cap. 57. 



10 Capitolo primo. 



dì mezzo delie Basiliche offriva appunto la im- 
magine di questa nave (navis)] e gli spazi late- 
rali mantenevano fra i due sessi la separazione 
considerata nei tempi primitivi tanto necessaria 
nelle chiese quanto nelle corti di giustizia. Parte 
della navata separata dal rimanente, mediante un 
tramezzo {solea) poteva venire, occupata dai can- 
tori che salmeggiavano le lodi del Signore e dai 
diaconi che leggevano le sacre carte. L'altare sul 
quale si celebrava il sacrificio sorgeva natural- 
mente all'estremità della navata, nel centro del- 
l'area trasversale che per la sua direzione, ri- 
spetto alla navata stessa, disegnava la croce, 
vessillo della nova religione. À destra e a sinistra 
dell'altare sorsero i pulpiti {amboni) nei quali si 
leggeva l'Epistola ed il Vangelo. Il Vescovo si 
collocò in fondo all'emiciclo che presso i Romani 
servi di tribunale. Colà seduto, sur una sedia 
rialzata , il Vescovo poteva dominare i fedeli 
spartiti nelle navate. E poiché l'emiciclo era a 
volta semisferica così fu detto apside o abside 
che in greco vuol dire appunto volta, l/episeopus 
o il Vescovo, (del quale nome e carica dicono 
chiaro che il suo compito era di sopravvegliare 
quanto lo circondava) era attorniato dai preti 
che sedevano ove sedettero i magistrati del tri- 
bunale romano, formando quello che dipoi si disse 
coro.* L'emiciclo che i cristiani dissero greca- 



* Vedi quello della cattedrale di Torcello a Venezia. I se- 
dili del coro nelle chiese primitive erano fatti a gradinate 
come le usavano i Romani nelle sale di recitazione (auditorio). 
A Torcello yi sono ancora i i^radini g^iranti colla curva del 



Dell'architettura romanza, 11 

mente abside, ì pagani lo chiamarono, per l' uso 
cui serviva, tribuna. Le basiliche cristiane erano 
precedute da un portico {narthex) ad arcate rette 
da colonne e chiuse, negli intercoloni, con tende 
sospese a bastoni di ferro. In questo portico ohe 
corrisponde al pronao dei templi antichi, stavano 
i penitenti; i quali venivano ad ascoltare le le- 
zioni pastorali prima di avere acquistato il diritto 
di assistere alla celebrazione dei misteri, dalla 
nave della chiesa. 

I penitenti si dividevano in varie classi: lu- 
genti, ascoltanti, prostrati, stanti, catecumeni, 
energumeni, ecc. 

II portico (narthex) venne poi ampliato e diventò 
un atrio, quasi appendice alla chiesa; come ve- 
desi p. e. al S. Ambrogio a Milano. L'atrio fu 
ornato di piante simboliche, come: la vite, la 
palma, la rosa e di una o più vasche che servi- 
vano ai penitenti per lavarsi avanti d'entrare nel 
tempio. ^ In seguito la forma primitiva della ba- 
silica cristiana si muta. Il simbolismo ispira la 
idea di dare alla chiesa la forma di una croce 
allungata la quale non ha più a rammentare la 
trinità come la croce greca, ma l'immagine di 
Dio che spira e lo strumento del suo supplizio. 



presbiterio, come a Grado e a Parenzo. Il Mothes {Geschichte 
der Bauhunst und Bildauherei Vetiedigs, Voi. I, p. 29) notò 
qaesti sedili in S. Maria in Toscanella e in S. Maria di Ga- 
steUo a Gomelo. Veramente i prebisteri dì queste due chiese 
sono un pò* diversi dal torcellano. 

> Nelle nostre chiese la vasca del narth^^ antico k ricordata 
^Ua pila dell'acqua santl^. 



12 Capitolo primo. 



L' architetto cristiano aggiunge alle tre navi 
una nave orizzontale che è il braccio più corto 
della croce: il transsept. Più tardi donne pie 
volendosi dare alla religione e ritirarsi dal mondo 
ispirano il triforium o 1 maironei^ cioè le gallerie 
soprastanti alle navi laterali; gallerie che sui 
primo furono incomode e in seguito furono ag- 
grandite e anche adornate. 

L'aggiunta della nave traversa non si deve ri- 
ferire a un' epoca molto distante dalla erezione 
delle prime basiliche, perchè fino dall' epoca di 
Costantino (vale a dire fino dall'origine della ba- 
sìlica cristiana) si trova usata qua e là; ma l'uso 
di questa nave diventò familiare dopo i primi 
tempi del Cristianesimo; poi si fece tipo carat- 
teristico della chiesa cristiana la pianta a croce 
che coU'andar del tempo subì delie trasformazioni 
e invece che a tre si immaginò a cinque navi. 

È bene notar subito che se fra poco avremo a 
dire: la tal basilica è frammentaria intendiamo 
significare che è composta di varie parti prose 
qua e là da edifici pagani diversi di importanza 
e d'uso. Gli architetti fino dall'epoca costantiniana, 
sia per incapacità sia per economia, si giovarono 
di quanto trovarono: capitelli, basi, cornici, fusti 
di colonne, per erigere le basiliche cristiane. Se 
avveniva che il fusto di una colonna raccolta, 
mettiamo, in avanzi di terme, era troppo grosso 
per un capitello trovato tra frammenti di un 
tempio alla Vittoria, poco male; l'architetto se ne 
serviva egualmente come se fosse stato eseguito 
apposta per il fusto; e lo stesso faceva in ogni 



toelV architettura rothanaa* IS 

altro caso. Per la qual cosa si trovano ancora 
delle chiese costrutte a frammenti (si durò a co- 
struire fino al XII sec), e queste chiese si dicono 
frammentarie. 

Parecchie basiliche romane hanno la porta 
principale rivolta ad occidente e Y abside ad 
oriente perchè si volle alludere al passo del pro- 
feta Zaccaria il quale dice che Cristo morendo 
rivolse lo sguardo ad oriente. Il Cahier nota * 
che le costituzioni apostoliche prescrivono tale 
precettò, ma che non fu sempre seguito dai co- 
strattori, poiché col volgere del tempo si ebbe 
paura che mantenendo questa tradizione giudaica 
si venisse a mostrar troppo il legame che vi era 
in origine, fra il culto ebraico ed il cattolico. 

Ad imitazione dei templi circolari sorti a Roma, 
i cristiani del quarto e quinto secolo fabbricarono 
In occidente anche delle chiese a pianta circolare 
e poligonale somiglianti ai S. Sepolcro. 

Ma parliamo del simbolismo e aspettiamo a dir 
qualche parola su alcune basiliche cristiane che 
in parte conservano ancora intatte le forme ori- 
ginali di cui si è discorso. 

Il Simbolismo! — Ogni religione nel suo prin* 
cipio si orna di simboli; il simbolismo nella Ba- 
silica cristiana è dappertutto nelle parti architet- 
toniche, pittoriche e scultoriche o ornative. Se- 
condo S. Paolino le quattro colonne che nelle 
antiche basiliche sostenevano il ciborio dell' al- 



» Ann. de phiì. chréi.y tom. XIX, pag. 352. 



14 Capitolo primo* 

tare rappresentavano i quattro Evangelisti che 
furono le colonne della cristianità. Che ciò sia 
vero lo prova il fatto di vedere efìSgiate o le 
immagini o i simboli degli stessi Evangelisti in 
ogni ciborio antico. Spesso in ogni lato della 
basilica le finestre e le colonne sono sei a ricor- 
dare i giorni della creazione a cui aggiungendo 
l'ultimo del riposo si ottiene quel numero sette 
usato tanto dalla sinagoga quanto dalla chiesa, 
e rammentato in quella dal candelabro a sette 
braccia, in questa dai sette sacramenti e dalle 
virtù teologali e cardinali unite. Meno frequente 
è usato il numero cinque; più d*ogni altro ha 
preminenza il tre come emblema della Trinità. 
Anzi in oriente quando si immaginò la croce 
greca, vale a dire a quattro braccia eguali, si 
trovò modo subito di attribuirle il significato 
della Trinità. Ecco come: questa croce veniva 
formata dalla combinazione di quattro gamma:; 
(rY*a|ji.|jLa) e poiché la terza lettera dell'alfabeto 
greco esprime il numero tre così si dette alla 
figura composta a quel modo il nome di gara- 
mada (Ya(j.{jiaSa) che significa trinità. Anche il 
nove si trova spesso come unità fondamentale 
dello sviluppo simbolico e costruttivo delle chie- 
se. Per dare un esempio di questo simbolismo 
ci viene in mente di rivolger gli occhi alla ba- 
silica frammentaria di S. Vincenzo in Prato a 
Milano che ora si ristaura. 

Orbene in S. Vincenzo in Prato sono nove gli 
archi e le colonne che sostengono il tempio, nove 
le finestre superiori e inferiori, nove le porte, 
nove gli scalini per cui si ascende all' ara, nove 



lìelP architettura romanta, 18 

gli ordini dei celesti dipinti negli scomparti del 
coro, nove erano gli altari. E il nove è ripetuto 
in ogni lato della basilica perchè numero per- 
fetto; simbolo di maestà, di religione e di mi- 
stero. 

Le porte della fronte di una basilica general- 
mente sono tre e corrispondono alle Ire navi ma 
nei casi in cui le navi sono cinque, cinque per 
conseguenza sono le porte d'ingresso; l'ultima 
porta a destra è detta guidoncenea perchè le 
guide facean passar di qui i pellegrini, V ultima 
a sinistra è detta del giudizio perchè vi passa- 
vano i cadaveri dei fedeli per essere tumulati; 
la porta del mezzo è detta magna perchè serviva 
all'ingresso dei sacerdoti e le altre erano le più 
umili perchè servivano per il pubblico: una per 
r ingrosso delle donne, V altra, per quello degli 
uomini. 

Non diciamo che la cupola significò la vòlta 
celeste, come non ci fermiamo a discorrere su 
il simbolismo delle sculture e delle pitture. * 

Ma per quanto sia evidente che gli architetti 
cristiani mirassero a svolgere nelle loro costru- 
zioni un precetto simbolico, non deve credersi 
ciecamente alle sottilità metafisiche di taluni 
scrittori i quali a ogni forma sia organica sia de- 



» Cfr. a tal proposito quel volumetto del Muntz Ètiides sur 
V EisMre de la peinture et de Vieonographie chrétiennes. Nouv. 
ed. Paris, 1886 e anche la 1* parte del nostro Manuale di Pit- 
tura e di Scoltura. Milano, 1885-86. Meglio ancora si vegga il 
Piper, Mythologie und SyntboUk der chriathichen Kunst. Wei- 
mar, 1851. 



16 Capitolo prtfnó. 



corativa delle chiese medioevali hanno attribuito 
significazione mistica. 

Per esempio, alcuni eruditi tedeschi notando 
che le absidi di alcune chiese sono spostate dal- 
l'asse della nave di mezzo han voluto ravvisare 
in tal spostamento la testa piegata del Signore 
crocefisso. È ammissibile? dipende, lo sposta- 
mento, da un'accidentalità costruttiva? 

Qui possiamo accennare che le basiliche romane 
dei secoli cristiani anteriori al più rozzo medio- 
evo erano generalmente ornate di musaici neirab- 
side e di affreschi e anco musaici nell'alto delle 
pareti della nave maggiore: nel restante erano 
ricoperte di marmi sovente lavorati a commesso, 
come ne dà tm esempio, con data certa della 
prima metà del V secolo, G. Battista de Rossi 
nella sua. reputatissima storia dei Musaici delle 
chiese di Roma e precisamente nella tavola della 
chiesa di Santa Sabina sull'Aventino. Nelle ba- 
siliche minori, dove tanto lusso di marmi non 
era possibile, si cercò di imitarne l' effetto col 
colore. 

I Castelli e le Case private. — U castello e il 
palazzo del medio evo esprimono l'aspro sen- 
timento d'autorità di cui, specie il castello, è 
simbolo e strumento. Chiesa e castello sono tutto 
nell'architettura dei bassi tempi, come nella vita 
sociale era tutto la fede e la forza. 

1 castelli signoriU dei più potenti vassalli con- 
sistevano in fabbriche irregolari, anguste, inco- 
mode, con poche e piccole finestre, con una o 



Dell'architettura romanza, 17 

più cinte fortificate ed un giro di fossato. La 
torre principale occupava per solito il centro e 
le piccole torri di difesa fiancheggiavano i muri. 
Nell'assi eme di quelle massiccie costruzioni vi è 
il ricordo del castello romano del Castellum; ma 
più del romano il castello medioevale, è rozzo, 
bizzarro nella disposizione artistica e costruttiva. 
Né meno bizzarro è il palazzo medioevo, la cui 
facciata ha semprer un'impronta grave. Le mura 
vigorose, le finestre sparse qua e là sulle fac- 
ciate quasi sempre senza simmetria, spesso fiorite 
di ornamenti fin troppo minuti perchè possano 
intonarsi colla monotonia dei muraglioni su cui 
si aprono, la disposizione icnografica variata: 
ogni forma, ogni dimensione insomma attesta la 
volontà individuale e la tendenza airisolamento, 
che costituiscono il sentimento istintivo del medio 
evo. I palazzi si distinguevano per un tal corona- 
mento che si disse e si dice merlatura; la mer- 
latura era di due specie: o rettangola o a coda 
di rondine e indicava la fazione politica alla 
quale apparteneva il proprietario del palazzo o 
castello. Gli esempi che daremo a suo tempo 
chiariranno le nostre parole. 

Intorno le case comuni si può scrivere poco 
perchè chi le erigeva non aveva preoccupazioni 
artistiche; certo molte erano fatte con un si- 
stema di poca durata. 

Non importa far notare che la medesima tras- 
formazione che subì lo stile medioevale chiesa- 
stico per le varie regioni d'Italia, la subì lo stile 
dei palazzi e dei castelli, 

A. Melami. ^ 



18 Capitolo primo. 



Divideremo il nostro studio sull*^architettura 
del medio evo in due periodi: nel primo, parle- 
remo dell'architettura roman%a, nel secondo del- 
V architettura a archi acuti; accenneremo bensì 
anco all'epoca intermediaria. 

Ora parleremo delle costruzioni romanze. 



COSTRUZIONI RELIGIOSE. 

Come i filologi chiamano filologia romanza 
quella che si propone di studiare la storia e le 
origini di quel gruppo di lingue le quali sono 
sorte dal latino volgare, epperò si dissero neo- 
latine romane o romanze, così noi architetti riu- 
niremo i vari tipi di architettura medioevale che 
derivano dalFarchitettura romana decaduta, sotto 
il nome collettivo di architettura romanza o neo* 
latina. Ci siamo risolti di adottare questa deno- 
minazione perchè trovammo che è la più logica 
fra le tante che gli storici sono andati a pescare 
chissà dove. 

L'architettura romanza nasce dalle forme ar- 
chitettoniche della decadenza romana e a poco 
a poco si trasforma e a Bisanzio doventa biaan- 
tina^ e in Lombardia doventa lombarda; e via 
via da Bisanzio e dalla Lombardia si diffonde e 
nelle varie regioni italiane assume caratteri ori- 
ginali conservando però sempre il suo tipo ini- 
ziale: il romano. 

La dicano in Inghilterra architettura sassone, 
la dicano in Germania gotica-anteriore, la dicano 
in Francia romanzo-normanna, romanzo-borgo- 



DelF architettura romanza. 19 

gnone o anche romanzo-auvergnat; e la chiami il 
Boito, cosmatesca a Roma, e il duca Serradìfalco, 
siculo-normanna e l'abate Gravina sioulo-bisan- 
Una in Sicilia, e il Rohault de Fleury lombarda 
in Toscana; il fatto è che col nome romanza 
diciamo in modo relativamente preciso quello che 
vogliamo dire. ^ Per la qual cosa le basiliche 
cristiane fanno parte dell'architettura romanza; 
di quella primitiva sorta direttamente dall'archi- 
tettura romana della decadenza. 

A Roma vi sono un buon numero di chiese in 
questo genere. Dall'epoca di Catone a quella di 
Costantino le basiliche erette in Roma e in ogni 
città del vastissimo impero sono innumerevoli. 

Fino dal IV secolo nel palazzo de' Laterani di- 
venuto imperiale, sorgeva la Basilica Costanti- 
niana nei predi Vaticani, la Basilica di S. Pietro 
negli Orti Variani, quella di S. Croce detta in 
Gerusalemme e presso la porta Èsquìlina quella, 
di Sicinino, detta più tardi Liberiana o di S. Ma- 
ria Maggiore. Fra le basiliche di Roma ve ne 
sono alcune assai conservate e qualcuna restau- 
rata. 

Una basilica da ricordarsi con interesse è quella 



^ Abbiamo veduto che il Vitet ha censurato in modo as- 
sai vivace nel Journal dea Savanta la denominazione romanza 
{roman) che si vuol dare anche noi ali* architettura di cui ci 
occupiamo. Non diciamo che il Vitet abbia torto nò che lo 
abbia il Blanc {Gramm, dea arta du deasin p. 268) che gli dà 
ragione in opposizione allMdee esposte dal Reynaud; ma a 
che oggi cercare un* altra voce mentre questa esprime assai 
bene la cosa da significarsi? L* importante sta neir intendersi. 
C'intendiamo? sì; dunque basta. 



20 Capitolo primo, 

di S. Giovanni in Laterano riapertasi quest'anno 
dopo i restauri eseguitivi assennatamente dal- 
l' archìt. Vespignani per ordine dell'attuale pon- 
tefice. Leone XIII ha voluto rimettere il Laterano 
in quel posto d'onore che compete alla sua an- 
tica dignità di cattedrale di Roma, di prima resi- 
denza dei papi, e per cui Dante cantò entusiasti- 
camente nel canto XXXI del Paradiso^ strofa 34 : 

Veggendo Roma e Tardua saa opra 
Stapefaceansi qaando Laterano 
Alle cose mortali andò di sopra. 

Nel X secolo cadendo per vetustà la basilica, 
Sergio IH ne intraprese un generale restauro; 
qui Innocenzo III, il più potente dei papi, adunò 
quel concilio in cui depose Ottone, intimò la 
quarta crociata e riformò la chiesa con Fran- 
cesco d'Assisi. Ci duole di non aver potuto of- 
frire i disegni di questa insigne basilica. Diamo 
invece l'interno del S. Clemente al Monte Celio 
dove è da studiarsi segnatamente la aolea mar- 
morea cancellum destinata al coro dei Cantori 
perchè vi è conservata benissimo. 

Nel 18S8 furono fatti alcuni scavi nel piano 
della basilica i quali fecero scoprire un'altra ba- 
silica sottoposta all'attuale. Sino a quel tempo si 
era creduto che l'edificio superiore fosse il pri- 
mitivo restaurato e rinnovato in tempi posteriori ; 
ma le scoperte del venerando P. MuUoly hanno 
definito esattamente l'età della chiesa superiore 
e rivelato l'inferiore colle sue splendide e pre- 
ziose decorazioni. 

L'edificio primitivo fu abbandonato per il novo 




C/3 



A I 



DelV architettura romanza. 21 

costruito a un livello più alto. A che epoca si 
deve la nuova basilica è dimostrato dal fatto ohe 
nel 1059 si seppelliva ancora nella chiesa inferiore 
e sul principio del secolo successivo fu eretta la 
tomba del cardinale Anastasio nel portico della 
basilica superiore con una iscrizione alludente 
al rinnovamento della chiesa.' 

La basilica di S. Clemente è ragguardevolissima 
non tanto perchè è fra le più conservate di Roma, 
quanto per la singolarità che mostra nei capitelli 
delle sue colonne, né corinti o a florami o ad em- 
blemi, ma insolitamente ionici. All'esterno pre- 
senta ancora il prothyrum e il narthex frammen- 
tario fatto di colonne tolte a vari antichi edifici 
di marmi e di misure diverse; e all'interno ha 
intatte le tre navi divise da sedici colonne, la 
solea come s'è detto e il pavimento a musaico 
del genere denominato alessandrino. È interes- 
santissimo il musaico. dell'abside di questa ba- 
silica stato riprodotto benissimo dal Gruner in 
un'opera magnifica. * Se non fosse stata distrutta 
da un incendio, nói luglio del 1823, Roma, posse- 
derebbe un'altra basilica insigne, la più grande 
della cristianità: il S. Paolo extra muros che fon- 
data, a quanto dicono le cronache, da Costantino 
nel 324 fìi modernamente ingoffita con ornamenti 
d'oro a florami e a figure. L'incendio calcinò 
quasi tutta questa costruzione. Certi dischi di- 
pinti, di gran pregio, risparmiati dall' incendio 



^ Gfr. De Rossi, Bull, di arch. crist., 1870, pag. 129 e segg. 
* Gruner, Specimens of Ornamentai Art selected front the 
Best Models of the Classical EpocJcs, tav. 37. 



22 



Capitolo primo. 



ora si trovano al Museo di S. Paolo. Il Gamicoi 




Pianta della chiesa di S. Paolo. Roma, fuori delle mura. 



li oflFre disegnati** Noi offriamo la pianta e la 
veduta prospettica dell'interno della basilica quale 
era prima dell' incendio. Traccio notevoli della 
forma primitiva sussistono ancora in Sant'Agnese 
(VII sec), in S. Sabina (V sec.) alterata, nella fine 
del cinquecento da Sisto V, in S. Prassede (IX sec), 



1 Garrucci, SL dell* Arte erist tav. 108-111, 




TnTiro, Ri>ma* 



Deir architettura romanza. 



2S 



in S. Lorenzo fuori delle mura (VI sec.) ove fti- 




Pianta della basilica di Santa Prassede. Roma. 

rono fatti dei restauri al tempo di Pio IX. Questa 
basilica ci fa ricordare una monografia ancora 
inedita eseguita sotto la direzione del De-Rossi 
e dell'architetto Vespignani di cui vedemmo delle 
tavole bellissime all'Esposiz. di Torino del 1884. 
Traccio notevolissime sono anche in S. Maria in 
Gosmedin (Vili sec), in S. Maria Maggiore (IV e 
V sec), in S. Grisogono (Xll sec), in S. Maria 



24 Capitolo primo. 



in Trastevere (XII seo.) (questa è a intercolonni 
con architravi anziché a arcate), in S. Giorgio in 
Velabro (VII sec.) dove l'altare e la porta d'in- 
gresso, non essendo stati alterati, si additano al ri- 
cercator di cose originali. Fra le chiese a pianta 
circolare, a Roma, è considerevole la chiesa di 
S. Gostanza la cui pianta nell'interno ha venti 
metri di diametro ; e è pure considerevole S. Ste- 
fano, detto rotondo dalla pianta (V sec), e S. Gio- 
vanni in Fonte dove, dicono, Costantino venne 
battezzato dal papa S. Silvestro. 

Intorno al mille e anche più in là, certo però 
innanzi d'ogni influenza lombarda, troviamo in 
Toscana un'arte originale che non ha punto la 
impronta dell'arte severa dei bassi tempi del 
medioevo ma ha poco seguito. Le reminiscenze 
di Roma vi acquistano una mite e serena com- 
postezza che non isfugge a chi tien dietro a tutte 
le manifestazioni dell'arte. Vogliamo riferirci ai 
S. Miniato a Firenze principiato nei primi anni 
del mille con l'organismo di una basilica cristiana 
sfiorato dal sentimento paesano, e alla Pieve di 
Empoli coslxutta sulla fine del mille e che fa 
venire in mente la chiesa fiorentina biancheg- 
giante sur un'altura da cui si domina tutta quanta 
la ridente città dei fiori. 

Potremmo rivolger gli occhi a Ravenna in 
questo momento ma è meglio trattar subito delle 
generalità dello stile bisantino perchè non si può 
parlare delle basiliche ravennati senza conoscer 
prima gli elementi delio stile romano che Bisanzio 
trasformò specialmente nelle particolarità orna- 



i Dell' arekitettura romanza, ì% 

tiVe. Abbiamo dunque due specie di chiese basi- 
licali. Le latine cioè quelle di cui si è discorso 
che hanno impronta romanissima e le cosiddette 
bisantine quelle di cui parleremo che hanno in 
certe parti impronta greca. 

Lo Stife bisantino. — Dicesi bisantino da Bi- 
sanzio da dove pigliò le mosse per diffondersi 
in occidente. La influenza esercitata da Bisanzio 
su le arti italiane allorché Bisanzio divenne sede 
dell'impero occidentale è stata oggetto di disputa 
calorosa; gli uni l'hanno troppo allargata, gli altri, 
come succede sempre nelle dispute, l'hanno di- 
minuita a tal segno da escluderla quasi affatto. 

Questo non è un luogo per pronunziarsi su 
controversie che si agitano da lungo tempo perchè 
ogni opinione dovrebbe esser presentata con le 
ragioni che la motivano; perciò sorvoliamo su 
questo particolare per quanto interessante. * E 
limitandoci alle generalità noteremo che l'archi- 
tettura bisantina è originalissima, se non deve a 
sé stessa tutto'quanto il suo sviluppo, è riescila 
pertanto a assimilarsi bene le forme di altri po- 
poli e di altri tempi e a combinarle in un orga- 
nismo solido e grandioso. Si forma nel IV secolo 



* Gfr. su tal soggetto Bizet, VArt Bizantin. Paris, p. 291 
e segg., sebbene le nostre idee non si combinino del tutto con 
quelle del eh. autore Salazaro, Studi sui monumenti dell'arie 
meridionale dal IV al XIII secolo. 1871-1883, per quanto an- 
che di questo eccellente autore non approviamo il pessimismo, 
Schnaase, Gesch. del bild. Kunste, t. IV, pag. 718 e segg.; e 
anco il nostro Manuafe di Pittura, parte I, pag. 120 e segg. 



26 Capitolo primo. 



dalla unione di elementi orientali e cristiani, in 
un momento riesce a coordinare un sistema in 
cui le forme della costruzione si innestano me- 
ravigliosamente a quelle della decorazione, nel 
IX secolo si cambia e dall' XI secolo in qua do- 
venta più monastica e manierata, poi le crociate 
ne promuovono il rinascimento che dura poco e 
finalmente si immeschinisce dopo aver toccato il 
suo apogèo. L'architettura bisantina non è dunque 
uniforme nel suo svolgimento come si pensa da 
tanti, anch'essa ebbe vari caratteri. 

La basilica romana a Costantinopoli assunse 
forme originali, di romana si fece bisantina. Ai 
cavaletti delle tettoie si sostituirono le vòlte alla 
romana; il cui uso in oriente si era conservato 
fors'anche perchè là mancava il legname; le na- 
vate della basilica occidentale si abbandonarono 
e si fecero due navi di dimensioni eguali che 
incrociandosi nel mezzo dettero luogo ad un qua- 
drato che diventò la solea della nuova chiesa 
orientale. Le due navi incrociandosi^ svilupparono 
quattro angoli retti su ciascuno dei quali l'archi- 
tetto di Costantinopoli basò un pilastro massiccio. 
Voltò sopra i pilastri quattro arcate e vi inalzò 
coraggiosamente la cupola; la quale, acciocché 
riunisse, per quanto era possibile la leggerezza 
e la solidità all'ampiezza, costruì spesso di tubi 
vuoti collocati l'uno nell'altro. 

Gli archi e le cupole costituiscono la partico- 
larità essenziale dello stile bisantino; nel quale 
a poco a poco, si sviluppano numerose gallerie 
a archetti sorretti da piccole colonne; gallerie 
che in Italia si svolgono in cento maniere come 




È), Sofìa, CosUntìooj 



Dell' architettura romanza. 



27 



vedremo dagli esempi che avremo cura di mo- 
strare. 




co 
co 



Se volgiamo gii occhi sulla sezione longitudi- 
nale di S. Sofia riaffermiamo la nostra persuasione 
che dette gallerie furono motivato dagli ampi 



Capitolo primo. 



matronei che in S. Sofia specialmente sono vi- 
stosissimi. S. Sofia (notisi non è più quella di 
Costantino rovinata poco tempo dopo che fu 
eretta, ma la sontuosa di Giustiniano), S. Sofia, 
diceyasi, è il tipo della chiesa bisantina in oriente. 
Perciò la sua croce a braccia eguali, che per 
distinguerla dalla latina si disse greca, il lusso 



e:^ 




Croco Ialina. 



Croce greca. 



dei musaici a fondo d' oro, le arcate, le varie 
cupole, le absidi ornate di Cristi e di Madonne 
a colori scintillanti, furono imitate dagli archi- 
tetti che inalzarono chiese in oriente e da quelli 
che le inalzarono in occidente. 

E qui non bisogna dimenticare di dire che gli 
architetti bisantini hanno capito stupendamente 
gli effetti derivanti dalla decorazione. In questo 
interno di S. Sofia notiamo la mancanza assoluta 
di sculture di molto rilievo: e ciò sta perfetta- 



DelV a/rehiteitura romanza. 



mente; perchè in ogni decorazione, ma sopratutto 
in quelle interne, l'artista deve scegliere fra le 
due: sottomettere la scoltura alla pittura o la 
pittura alla scoltura. È così difficile armonizzare 
gli effetti della decorazione scultorica con quelli 
della decorazione pittorica che nella maggior 
parte dei casi, quando Tana e Taltra sono unite, 
si ha della confusione. E giacché parliamo di or- 
namenti notiamo che lo stile bisantino non èi 
giova più delle forme ornamentali romane ma si 
vaie di nuove più conseguenti ai princfpi della 
sua struttura. Diamo vari disegni per far vedere 





Capitelli con paWino in S. Vitale. RaTenna. 

che la decorazione scultorica orientale si ornò di 
animali fantastici, di fiorami schiacciati e incisi, 
di nastri che unì in cento guise dando luogo 
sovente a motivi ingegnosi nei quali sta la ge- 
nesi dell'intreccio dell'architettura moresca. 



30 



Capitolo primo. 



Il Viollet-Le-Duc intese a provare, valendosi 
in special modo del carattere della scultura orna- 
mentale, che i bisantini si assimilarono elementi 
asiatici della t^in>. e che ìd moDumeuti di Palestìoa 




CapilcUo in S.jM3.rco^ V'eciuiia, 

anteriori all'arte bisaotina si trovano delie forme 
ornumcntali che si riveggono a Bisanzio, a Ra- 
venna, ecc/ 



DelV architettura romanza. 31 

Abbiamo pensato di offrire un pezzo di questa 
ornamentazione siriaca. Se lo studioso avrà la 
pazienza di confrontarla con gli ornati decoranti 
l'architettura di cui si parla, troverà facilmente 
le analogie accennate. 
t L'arte bisantina penetrò nell'Esarcato di Ra- 
^venna sotto il patrocinio di Teodorico prima, 
eppoi di Giustiniano; e si introdusse a Venezia 
per i commerci e i continui rapporti che aveva 
questa città con Costantinopoli. 

Nel X secolo l'architettura bisantina, dopo es- 
sere stata adottata pel S. Marco di Venezia, si 
introdusse in Francia; dove si costruirono in 
questo stile Saint Front de Périgueux, e tutte le 
altre chiese a cupola del Périgord, de l'Angoumois, 
della Saintonge tanto bene studiate dal De Ver- 
neilh nella sua opera: De VArehitecture hyzantine 
en France. Ma l'occidente accoglie con freddezza 
le forme orientali, perchè in occidente fino al 
mille, l'anno della fine del mondo, tutto è istere- 
lìto. Fino airXI secolo l'architettura occidentale 
non si sveglia dal suo spaventoso assopimento; 
passato l'anno fatale allora gli uomini si ridestano 
e come Dante rinnovellati di novella fronda, af- 
fermano con forme originali lo stile della nova 
architettura. Il quale allontanandosi più dei pre- 
cedenti dal tipo iniziale in Italia chiamasi lom- 
bardo, in Francia romana in Inghilterra sasso- 
ne, ecc. 



cfr. a pag. 228 dove osserva che i Greci non trovarono gli 
elementi nuovi dell'arte bizantina soltanto in Palestina; ma 
tutta TAsia forse vi portò il suo contingente. 



Dell' architettura romanza. 



33 



Innanzi di discorrere dello stile lombardo è 
necessario accennare qualche chiesa dello stile 
bisantino. Principiamo da Ravenna dove secondo 




S. Apollinare in Glasse; Ravenna. 

(Chiunque Tede (fa sé che la scala con quel parapetto non ha niente 

a che fare colla costruzione originale della chiesa.) 

A. Mblani. ^ 



34 



Capitolo primo. 



il Diehl più che in oriente, e nella stessa Costan- 
tinopoli si può studiare l'arte bisantina del V e 
VI secolo. ^ Se si eccettuano i due battisteri e 
la chiesa di S. Vitale gli edifici sacri di Ravenna 
sono tutti di un medesimo tipo: del tipo basili- 
cale. Sant'Apollinare Novo e Sant'Apollinare in 
Glasse ne sono due esempi splendidi; perciò se 




Pianta della chiesa di S. Vitale; Ravenna. 

si vuol vedere la basilica cristiana in tutta la 
sua purezza originaria bisogna andare a Roma 
a Ravenna e a Ravenna fermarsi specialmente 
nella chiesa di Sant'Apollinare in Glasse (VI sec). 
In questa basilica i ricchi musaici dell' abside e 



^ Ravenne, Étu^ d' JrchéalogU h}/zanHne, Paris, 1886, 
Rouam, pag. 1. 



DeW architettura romanza. 35 

dell'arco di trionfo, i sarcofaghi sparsi nelle na- 
vate, le belle proporzioni dell'edificio, le colonne 
ammirabili, tutto ciò interessa e fa ricordare i 
primi tempi del Cristianesimo. Chi esamina su- 
perficialmente le basiliche di Roma e quelle di 
Ravenna non troverà certo le notevoli differenze 
che vi sono b che il Rahn ha ingegnosamente 
rilevate in un opuscolo a cui rimandiamo lo 
studioso. * 

Accanto alle basiliche, sorge in Ravenna il San 
Vitale (VI sec.) di un tipo affatto caratteristico. 
È composto di otto pilastri disposti in ottagono 
e uniti da arcate sulle quali si inalza la cùpola 
fatta di tubi vuoti e perciò leggerissima. I pilastri 
sono rinforzati da esedre a due piani di colonne 
come si può vedere nella tavola che offriamo. 
Lungo e divertente sarebbe l'esame degli edi- 
fici bisantini specialmente di Ravenna di questa 
Pompei italo-biaantina^ come la chiama il citato 
Diehl * che divenuta capitale dell'esarcato bisan- 
tino ebbe in questo tempo più importanza di 
Roma, per quanto Roma fosse rimasta la residenza 
dei papi e la jcapitale del mondo cristiano. Ma il 
lungo tema ne sospinge; e dopo aver citato la 
bellezza di vari capitelli della chiesa di S. Vitale 
immaginosi quanto mai si può dire, dopo averli di- 
segnati per mostrare bene in che consiste il pul- 
vino che è loro caratteristico (vedi pag. 29), dopo 
aver notato una moltitudine di monumenti sparsi 
a S. Vitale, a Sant'Apollinare Novo dove c'è 



\ Bavenne, pag. 29 e segrg. 
* Op. cit., pag. 2. 



Capitolo primo. 




3 

co 



r altare di Sant'Eleucadio di un tipo curiosissimo 



Dell arcmtettura romanza. 



37 



atto a dare un'idea compiuta delia ricchezza e 
varietà dell'ornamentazione bisantina ^ bisogna 
lasciare Ravenna per Venezia. Discorriamo su- 
bito del S. Marco. 

La basilica di S. Marco a Venezia della quale 
diamo la pianta, è, secondo il parere di alcuni, 




^0 



-,/^f.' 



Pianta della basilica di S. Marco; Veuezia. 

una S. Sofìa in miniatura, una riduzione sulla 
scala dal pollice al piede della basilica Giusti- 
nianea e così doveva essere; Venezia che breve 
tratto di mare separa dalla Grecia, fu sempre in 



» Cfr. De Rossi, Bull, di arch. crisi., 1877, pag. 98. 



38 Capitolo primo, 

commercio coli* Oriente; i suoi architetti dove- 
vano più facilmente cercare di riprodurre iJ tipo 
della chiesa che aveva fama di essere la più bella 
e la più ricca della cristianità. 

Lasciamo andare se il S. Marco è o non è la 
S. Sofia in piccolo; il modello delle due chiese 
sta certo nelle terme latine e S. Marco è bisan- 
tinissìma colla sua croce greca, con le sue cinque 
cupole girate su i quattro arconi della croce 
airorientale cogli archi assai rialzati, colla dispo- 
sizione secondo il rito orientale delle figure dei 
suoi musaici. * Volere discorrere di S. Marco im- 
ponendoci di rimanere nei limiti del nostro pro- 
gramma è impossibile. Un monumento così insigne 
ispira tutti, offre materia di studio airarcheologo, 
all'architetto, allo storico, al pittore, allo scultore, 
al filosofo, al poeta. In origine la chiesa aveva 
la forma basilicale; e probabilmente di quelfan- 
tico edificio di Giustiniano Fartecipazìo e di Pietro 
Orseolo rimangono dei pezzi di muro, una parte 
delle absidi, una parto dei fianchi e del prospetto. 
Poi nel secondo periodo quando la pianta diventò 
una croce coiraggiunta delle braccia minori e si 
allargò l'area con l'aggiunta dei vestiboli e am- 
bulacri, l'organismo esterno del S. Marco non fu 
bisantino fu lombardo — osserva il Boito. * La 
chiesa come oggidì vedesi è stata trasformata sen- 
sibilmente nella parte organica e nella decora- 
tiva; perciò il S. Marco che oggi si ammira dalia 



» V. Didron, Manuel cTIconographie chritienne, 
• ArehiteUura del Medio Evo in Italia, U. Hoepli, editore, 
pag. 299 e segg. 



Dea arcnttettura romania, s)3 

piazza e dalla piazzetta viene in qua forse ai 
primi del milledugento. Recenti restauri gli han 
dato Tultimo sciagurato colpo. I musaici in ispe- 
cial modo furono manomessi dai restauratori. 

Oltre al S. Marco lo studioso di monumenti 
bisantini trova nelle vicinanze di Venezia — nel- 
r isola di Torcello — S. Fosca, che è una per- 
fetta basilica alla maniera orientale, cioè con 
pianta a croce greca sormontata da cupola, co- 
struita nel IX secolo e a Murano il Duomo; su 
lo stile medesimo di S. Fosca, assai diverso nella 
forma. Il Ruskin notò che la pianta del Duomo 
di Murano è sviluppata su base di rapporti arit- 
metici; e il Selvatico confermò l'osservazione 
dell' illustre architetto inglese dopo avere misu- 
rato la pianta del Duomo. Del quale è notevole 
l'esterno dell'abside che è di quel tipo bisantino 
commisto d'arabo caratteristico dell'architettura 
medioeva in Venezia. 

Noteremo in questo stile anche la cattedrale 
di Aquileia, di .Grado, di Parenzo. Dappertutto 
troveremo da studiare specialmente nei partico- 
lari fatti di animali, di nastri intrecciati, di foglie 
con poco rilievo e come ne danno un'idea i ca- 
pitelli che abbiamo pubblicato. 

Tutte queste chiese si somigliano nella decora- 
zione pittorica. Le solite figure in musaico; fi- 
gure cogli occhi spiritati, goffe nel disegno, vi- 
vaci nel colorito. 

La decorazione obbediva a delle leggi; da ciò 
deriva la somiglianza che andiamo segnalando. 
Gli scultori sfoggiavano la fantasia subordinata, 
nei capitelli ornati di fogliami, di emblemi, di 



4Ó Capitato prinno. 



sigle, di iolrecci geometrici. A poco a poco quei 
capitelli acquistarono forme proprie; abbandona- 
rono la trabeazione, alla quale sostituirono il pul- 
vino che fti ornato talvolta di rilievi e rimase ca- 
ratteristico dello stile orientale di questi tempi. 

Lo Stile lombardo. — Uuali sono i distintivi di 
questa architettura occidentale, che dopo le paure 
del mille si svolse agile e sicura per tutta l'Italia 
e all'Estero? Per ben comprendere storicamente 
il tipo d'architettura che siamo per istudiare, 
bisogna riandare con la mente al novo slancio 
di speranza e di vita che si manifestò nei popoli 
trascorso il mille. La Lombardia e gli Stati vi- 
cini furono le prime parti dell'Europa occidentale 
in cui si ridestarono idee d' industria, di com- 
mercio e d'indipendenza. In Lombardia sorsero 
allora le associazioni dei liberi -muratori le quali 
rimaneggiando lo stile architettonico che pre- 
cedette il secolo XI, riescirono a mettere assieme 
una serie di forme originali le quali contribuirono 
a dar luogo a un novo stile d'architettura cho' 
si diffuse sollecito^ dappertutto pieno di speranza 
e di avvenire ^ e assorse alla sua maggiore al- 



* 11 Stieglitz, il Ramée, THope, fecero un romanzo archi- 
tettonico, della storia dei liberi muratori. Alcuni altri scrittori 
i quali si vollero occupare minutamente delle associazioni dei 
liberi muratori non riescirono a trovare che pochi documenti, 
e tutti posteriori alla più bell'epoca dell'arte archiacuta. Os- 
serva giustamente il Taccani a proposito dei misteri a cui ac- 
cenniamo « che neir esercizio di un' arte come l' architettura, 
che deve mostrarsi a tutti, non vi possono essere segreti che 
tosto tardi non vengano scoperti ». (Taccani, Storia dell* Ar- 
chitettura in Europa^ pag. 96.) 



Dell* architettura romanza. 41 

tezza nel duodecimo secolo collo cattedrali di 
Modena, di Piacenza, di Cremona, ecc. a cui ac- 
cenneremo. 

^ « La basilica lombarda — nota perfettamente 
il Clericetti * — è altrettanto originale rimpetto 
alla bisantina quanto la bisantina è a confronto 
della romana: e se le chiese del V secolo, come 
il S. Vitale di Ravenna e il S. Lorenzo di Milano, 
sono da ritenersi ispirazioni bisantine nella loro 
intera struttura, tale non è la basilica a volta 
vera madre dell'architettura ogivale. » Rivolgendo 
il pensiero a una chiesa lombarda notiamo subito 
che le colonne vi sono sostituite da pilastri a 
fascio ben detti dal Wiebeking pilastri polistili. 
Il pilastro a fascio, che è prettamente lombardo, 
si diffuse mercè lo zelo dei Maestri Comacini 
(Magistri Gomacinorum). E si diffuse non sol- 
tanto in Italia ma anche all'Estero; in Inghilterra, 
in Francia, ecc. Non è molti anni il periodo ar- 
chitettonico che attraversiamo era ignoratissimo. 
Lo prova il fatto di vedere un tipo stesso d' ar- 
chitettura pigliar vario denominazioni che ac- 
cennano a una varietà di origini, nei diversi 
paesi ove si sviluppa. 

Co tal somiglianza di fatti indicata da svariati 
nomi di battesimo spostava i capisaldi dell' ar- 
cheologia architettonica. Ma la critica moderna 
anche in questa questione ha portato i suoi ine- 
stimabili benefici. Gli studi moderni hanno pro- 
vato che nel decimo e più nel seguente secolo, 
ebbe origine un sistema di costruzioni ecclesia- 



^ Ricerche sulV architettura lombarda. Milano, 1869, pag. 24. 



42 



Capitolo primo. 



stiche il cui germe è nei conventi dei Benedet- 
tini; sistema che per mezzo di questi monaci si 
diffuse in tutti i paesi civili professanti il cristia- 
nesimo e si fece universale. 11 che spiega perchè 
ha le stesse forme in Italia e all'Estero. 

Il pilastro a fascio sviluppa la vòlta a crociera 
con vigorosi cordoni, e con le vòlte sorgono le 




S. Ambrogio; Milano. 
(Angolo dell'ambone nell'interno della basilica.) 

cupole, i pinnacoli, i frontoni delle facciate, le 
finestre «tonde ampie e ornate, e le gallerie eie- 



DelP architettura romanaa. 43 

ganti che si svolgono per tutto, ora orizzontali 
ora a salita correndo così parallele alle lìnee dei 
frontoni; e il simbolismo si ravviva nelle de- 
corazioni esterne ed interne cosicché la vite, il 
palmizio, l'aquila, T agnello e cent* altri simboli 
sì intrecciano alla croce, ai sacri monogrammi, 
agli ornati e tutto — anche nell'architettura lom- 
barda — parla un linguaggio di pace e di fede 
che comprende e commove il cristiano. Il mat- 
tone, qual materiale costruttivo piglia il primo 
posto neir architettura che studiamo e la sua 
forma geometrica dà luogo ad una serie di cor- 
nici originali a sega, a dentelli sorrette da agili 
archetti i quali, come le notate loggette, or si 
arrampicano- su coi frontoni, or placidamente se- 
guono la linea orizzontale della fabbrica. Le co- 
lonnine agili componenti il pilastro a fascio, che 
è la base del sistema lombardo, sono dovunque; 
nelle facciate, tomo torno alle absidi, sulle torri, 
sugli amboni e s'inalzano verticalmente e s'in- 
curvano con grazia, in un cogli spicchi delle 
crociere e la loro massa aumenta e scema col- 
r inalzarsi e coli' abbassarsi, svelte e spigliate 
sempre, comunque siano applicate. Ma lo studioso 
più che da vaghi accenni si formerà un concetto 
esatto dello stile lombardo segaendoci nelle ra- 
pide note seguenti. 

A Milano il S. Ambrogio è il monumento che 
per la vetustà deve considerarsi il primo esempio 
del novo modo d'architettare. La costruzione 
della basilica ambrosiana quale è ora, sorta per 
volere dei due arcivescovi Angilberto II (824-835) 
e Ansperto da Blasono (868-882), va ai primi 



44 Capitolo primo. 



del IX secolo; la sua parte orientale è eviden- 
temeDte più antica. L* importanza dì questo mo- 
numento sta essenzialmente in ciò che presenta^ 
nel suo organismo il tipo completo della basi* 
lica a vòlta: lo ha osservato giustamente il Dar-] 
tein nel suo libro pregevole su V architettura i 
lombarda ^ e lo ripetiamo noi anche dopo aver 
letto uno studio pubblicato A^XVAllgemeine Bau- 
aeiiung * dove si è voluto provare che le vòlte j 
della nave maggiore del S. Ambrogio sono po-j 
steriori ai pilastri a fascio. 

Disegniamo T aspetto geometrico di una cam« 
pata ove si svolge chiaramente il tipo inizialel 
del pilastro polistilo che nell'architettura archi- 
acuta, diventa più agile di qui. Vi vediamg per- 
fettamente sviluppati i matronei, le cornioette a 
archetti e i cordoni della poderosa crociera che 
si staccano, di sulle colonnette angolari dei pi- 
lastri suddividenti le campate. Queste vòlte gi- 
rano tutte sopra pianta quadrangolare e ciascuno ; 
spazio così coperto forma una campata a cui sono j 
limite i piedritti reggenti le vòlte e gli archi 
aggetto che le separano tra loro. Offriamo anch6 
la sezione statica della costruzione delle na^ 
minori e i corrispondenti matronei affinchè > si" 
capisca la semplicità costruttiva dell'organismo 
lombardo. La cupola che succede alla vòlta nel 
quarto campo, larga, spaziosa, capricciosa nel 
suo insieme non è. quella del IX secolo — così 
il Mongeri ' — ma appartiene più probabilmente 



* Étude sur V architecture lombarde. Paris, 1865-82. 

• 1867 agosto. 

■ L'Arte a Milano. Note, ecc., pagf. 21. 




S. Ambrogio, Milano (ri 



4S 

leca 
gira 
len- 
iche 
Be- 
lano 
l'in- 
' su 
lica 
om- 
ia. 

ulla 
di 
>ro- 
resi 
. di 
lei- 
ima 
no. 
Illa 
ai- 
lire 
ut- 
ave 

ISO 

> si 

3tti 



gae- 
one 



Dell'architettura romanza. 45 

al principio del decimoterzo. Cosicché la cieca 
galleria a archi sorretti da colonne, che gira 

I torno torno al tamburo della cupola e che è splen- 

! dido esempio delle agili gallerie caratteristiche 
dello stile lombardo, bisogna crederla del se- 
colo XII. Nella cupola del S. Ambrogio a Milano 
e in quella di S. Michele a Pavia è notevole l'in- 

1 gegnoso passaggio del quadrato all'ottagono su 
cui spicca la cupola. I pennacchi a tromba conica 

■ che si trovano in altre chiesa di maniera lom- 
barda sono una forma schiettamente lombarda. 

Como, che pei Maestri Gomacini fu una culla 
dell'architettura nova, possiede vari ediQzi di 
stile lombardo. A questi Maestri Gomacini pro- 
venienti in massima parte dai luoghi compresi 
tra il Lago Maggiore e quelli di Lugano e di 
Como ^ si debbono molte tra le costruzioni del- 
l'Alta Italia dal 1000 al 1200. Però anche prima 
deirXI secolo si trova qualche Maestro Gomacino. 
Fino al XIII secolo, e anche un pò più in là, nulla 
I di più naturale di veder notato in chiese o in al- 
tre fàbbriche italiane dei Gomacini, vale a dire 
Magistri de Gumia (Magtstri nel senso di costrut- 
tori va più in là del medioevo). Ma non deve 
sfuggire che questo nome < Gomacino » nel senso 
di costruttore si fece comune in Italia dove si 
chiamarono in tal guisa anche diversi architetti 



* Qualche autore fa derivare la voce Gomacini da coUegae- 
macinae trasformato in co-macini per la stessa abbreviazione 
che ha prodotto i nomi di co-magistri^ co-liberti, — Troya, 
Cod. diphm» longob, P. IV, pag. 8J. 



46 



Capitolo primo. 



nient'affatto comacini; perciò non bisógna subito 




S. Michele; Pam. 
(Esempio del pennacchio a tromba conica.) 



Deir architettura romanza. 47 

attribuire a un architetto puro sangue comacino 
una fabbrica su cui è scritto: Magisier Coma- 
cinus. Certo è che non sono pochi i Maestri co- 
macini del territorio di Como perchè se si guarda 
la storia si trova che il costume di emigrare 
nelle vallate delle alpi è antichissimo e partico- 
larmente nelle popolazioni di sulle rive dei laghi 
di Como, Lugano e Maggiore. Là tramezzo alle 
pietre e ai legnami da costruzione gli uomini 
crescono muratori, scarpellini, carpentieri e si 
fanno scultori e architetti; l'aridità del suolo 
montagnoso li obbliga a spatriare per vivere. 
Ecco come si diffondono le famiglie di scultori 
e tii costruttori; ecco come si diffusero i Co- 
macini; ecco come nel XID. e. XIV secolo vien 
da Campione una dinastia di scultori che lavora 
a Modena ^ di padre in figlio per cinque gene- 
razioni, ecco Giacomo da Campione nei lavori 
della Certosa di Pavia, Matteo da Campione a 
Monza nel S. Giovanni, Bonino da Campione a 
Verona e tutti i campionesi che han parte nei 
lavori del Duomo di Milano. E volendo andar 
oltre, ecco nel XV secolo la Repubblica di Siena 
fa costrurre il castello di Saturnia a un Alberto 
di Lugano e Giovanni da Como costruisce a Ve- 
nezia il campanile di S. Giorgio Maggiore, e nel 
XVI e XVn secolo; ecco Fontana, Maderno e 
Bòrromini nati sul territorio di Como a illustrare 
i loro nomi a Roma." 



> Gir. Odorici, La Cattedrale di Parma, Milano, 1864, p. 13. 
■ Cfr. Cantù, Storia detta città e diocesi di Como. Firenze, 
1866, Tol. VI, pag. 382 e segg. 



48 Capitolo primo. 



Il Romanelli notò che certi Lancianesi del 1203 
si chiamayano Sodi C4omaeini essendo di Abruzzo. 
Si fece lo stesso pel nome Antelami ^ Magiairi 
Antelami, di cui parliamo più sotto e Antelami 
significò costruttori, Ars Antelami. In seguito 
dal nome comacini sì passò a quello di lombardi 
e quindi lo scultore o T architetto veniva chia- 
mato genericamente il lombardo come appren- 
diamo dai Muratori.' Il Dartein è di parere che 
questi Magiatri Comacini siano stati capimastri 
senza escludere però che tra di loro vi siano stati 
architetti.' Per noi erano famiglie e compagnie 
di muratori di buon gusto e di buon senso. Un 
capo l'avranno avuto di certo e questo sarà 
stato il oapomastro. Comunque ciò sia, architetti 
capomastri, buon numero di fabbriche lom- 
barde si deve a loro. 

Fermiamoci a Como un momento. 

L'antica basilica comense di S, Abbondio dot- 
tamente illustrata dal Boito nel suo pregevole 
libro Architettura del medio evo in Italia,^ se 
è seconda al Duomo quanto a importanza arti- 
stica è prima quanto a importanza archeologica. 
La basilica di S. Abbondio che vedesi oggi è 



* Scoverte patrie nella Reg. Frentana, 1805, voi. II, p. 15i 
' Si chiamarono lombardi per antonomasia anco i Solari 

che lavorarono tanto a Venezia nel Rinascimento. Lo vedre* 
mo. Ci pare che questi Solari possano essere un ramo dei 
GampionesL 

> Op. cit., pag. 84. 

* Milano, 1880, pag. 3-64. U. Hoepli, editore. 



DelP architettura romanza. 49 

quella eretta dai Benedettini sulle rovine della 
antica del V secolo. Nel 1027 alcuni milanesi 
lasciarono delle somme per onorare S. Abbondio 
e pare che queste somme siano state spese per 
erigere la chiesa attuale. Originariamente do- 
vette essere sontuosa davvero. La basilica era 
tutta dipinta; si raccolsero chiare vestigia di 
intonaco a colori, dappertutto. Sulla parete in- 
terna dell'abside sono dipinte delle storie in af- 
fresco e nelle interne braccia della nave tra- 
versa figurano degli scompartimenti circondati 
di riquadri imitanti i diversi colori di marmi. 
Fra le chiese di Como merita speciale conside- 
razione il S. Fedele per quanto appartenga a un 
arte più avanzata di quella di S. Abbondio: e 
merita questa considerazione per la sua singola- 
rità. * La chiesa di S. Maria del Tiglio a Grave- 
dona (fine del XIII sec.?) al labbro del lago di 
Como col suo campanile impiantato sul mezzo 
della facciata, richiama pure l'attenzione dello 
studioso come tant' altre chiese sparse nella pro- 
vincia comasca. * Questa di Gravedona è una 
delle pochissime che, sfuggendo al guasto di 
posteriori trasformazioni, ci sia rimasta nelle 
sue forme originali. 
A volere appena appena citare i monumenti 



* Lo studioso troverà disegnata questa chiesa nelle ta^ 
vole 91, 92 e 93 dell' op. cit. del Dartein. 

• Questa chiesa di Gravedona ha un carattere veramente 
originale. Uno studio su di essa l'abbiamo trovato nella i?i- 
vista archeologica della provincia di Como^ N. 1, B*ascicolò 3^ 
giugno 1873, da pag. 1 a 15. 

A. Mblani. * 



Capf/e/o primo. 

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.■^^rixT!!"*-*?*fr'V''^ probabilmente SI 
^v^MX . („oe dollt medesima età dell'interno di 
^ <mì^m. La ftcciata monocuspidata nella 
-•»». J^rfo sHpM.iore ornata da una delk' «3; 
.-'.>:.. ...oho a «.chetti. nell'insieme è sobri 
♦ «w.M.A>^ <> d<,st« una certa curiosità per le tanto' 
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«-. .<>.). .^ .scritture e in superstizioni pò 
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V .^A^ W. S fte<ro in Ciel d'Oro la S 
v ' . ..., I,^\> fìx pesUtuita alla sua forma 
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.-^^l^.^rt.';:,^-!^ -'^^"l «''•^Jfl «ecoo 7n' 







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II' 



S. Ambrogio, Milano ^ 



so Capitolo primo. 



sacri di stile lombardo sparsi qua e là dovre-mmo 
occupare l'intiero volumetto. Dobbiamo proprio 
restringerci ad alcuni dei più ragguardevoli. 

A ogni modo non si può dimenticare Pavia 
dove r architettura lombarda fiorì splendidamente 
nel mentre tracciava vivissima impronta a Milano 
col S. Ambrogio, col S. Eustorgio che nel nono 
secolo si riformò ampiamente e dove si fecero 
nel duecento dei lavori assai considerevoli, col 
S. Simpliciano, col S. Gelso (fine del X sec?) col 
S. Giovanni alla Conca, ecc. 

A Pavia il S. Michele è una costruzione inte- 
ressantissima anteriore assai probabilmente al se- 
colo IX e cioè della medesima età dell'interno del 
S. Ambrogio. La facciata monocuspidata, nella 
sua parte superiore ornata da una delle solite 
gallerie cieche a archetti, nell* insieme è sobria, 
grandiosa e desta una certa curiosità per le tante 
scolture di cui è fiorita il cui significato vuol 
trovarsi nelle S. Scritture e in superstizioni po- 
polari. ^ Accanto al S. Michele bisogna mettere 
l'altra chiesa di S. Pietro in Giel d'Oro la cui 
facciata fin dal 1880 fu restituita alla sua forma 
primitiva che lo svolgersi dei secoli aveva com- 
piìitamente svisata e la cui fondazione vuoisi 
riportata, secondo l'opinione di uno studioso pa- 
vese, (il sig. Vittorio Poggi) all' Vili, secolo. In 
questa insigne costruzione piace molto la massa 
dell'abside pel suo singoiar movimento di piani 
(intendiamo di comprenderci anco la cupola ot- 



» Gfr. Dartein, Op. cit. pag. 239-256 e Sacchi, Op. cit, pa- 
gina 46-58. 




S. Ambrogio, Milano (sezione delle navi minori 







Al)8Ì4e di 3» Jlicliele, Pavia, 




J 



lìelf arehiteUura romanza. 51 

tagona che sta sulle linee verticali dell' emiciclo 
maggiore; che le apsidi qui a S. Pietro in Ciel 
d'Oro sono tre). Citate queste due chiese si può 
abbandonar Pavia perchè le altre in istile lom- 
bardo e cioè: S. Teodoro (metà del Xn sec?) 
S. Lanfranco, un po'fuori di Pavia (fine del XII se- 
colo), S. Nazaro essa pure distante un pò dalla 
città (metà del XII sec), S. Maria del Popolo non 
offrono grande interesse ai lettori di un Manuale 
come il nostro. 

A Verona il S. Zeno compiuto nel 1138 è una 
costruzione tra le primarie del tipo che studiamo^ 
a Parma il Battistero di una stuttura originale 
e la cattedrale finita nel 1106 e ricostruita nel 
secolo seguente, perchè crollò in gran parte per 
causa di un terremoto, sono due costruzioni 
molto interessanti. Anzi fanno capo a una que- 
stione dìbattutissima riguardante le compagnie 
di Maestri Antelami a cui si dovettero buon nu- 
mero di costruzioni inalzate nell'Emilia come 
alle compagnie dei Maestri Comacini si debbono 
la maggior parte delle costruzioni erette in que- 
sti tempi in Lombardia. ■— Secondo alcuni tanto 
la Cattedrale quanto il Battistero parmense si 
devono a un affiliato ad una di queste compa- 
gnie d' Antelami. * Nella bellissima facciata del 



* Furono detti Antelami dalla valle nativa di Anlelamo 
che non si sa precisare se fosse nelle Alpi o nell'Appennino. 
Le menzioni degli Antelami si trovano sempre tra il Po e 
Genova perciò lasciano argomentare che patria degli Antelami 
fosse una valle dell'Appennino (cfr. Sante Vami App. at. so- 
pra Levanto con note e docum. 1870, pag. 93 a 100). 



Capitolo primo. 



Duomo di Parma, abbiamo un esempio ragguar- 
devole delie gallerie a archetti sorretti da co- 
lonnine più volte accennate. Quivi come nella 
facciata del Duomo di Piacenza, (cominoiata nel 
1122 e finita nel 1233) queste gallerie si svilup- 
pano orizzontali e seguono 
l'andatura delle falde del tet- 
to; nel S. Michele a Pavia, 
oltreché nella facciata e nelle 
fiancate, si veggono nella 
parte superiore dell' abside 
intramezzate da piloni che 
spartiscono l'abside stesso, 
nella facciata della cattedrale 
di Cremona (eseguita nella 
sua parie principale dal 1129 
al 1190) e in quella della ma- 
gnifica chiesa di Sant'Andrea 
,/ in Vercelli si trovano due file 
di gallerie con ottimo effetto 
decorativo. 

La .chiesa di Vercelli, fon- 
data nel 1219 e eretta in parte 
su disegno di un architetto 
inglese Domenico Brighintk 
non ha l'interno in armonia 
coir esterno e perciò c'è da 
scommettere che non sorse 
da una mente sola. La chiesa 
però è bella e desta grandis- 
sima impressione. 
Nella facciata del Duomo di Modena (comin- 
ciata nel 1099 e finita nel 1184 su disegno di un 




S. Aodiea; Vercelli. 
(Motivo della enpola.) 







Duomo di Piacenza. 



Dell'architettura romanza. 5S 

Lanfranco)/ nel S. Zeno a Verona e in altre 
chiese, fra la porta e il frontone vi è la finestra 
rotonda, cioè la rosa, composta di raggi nascenti 
da un centro comune collegati all'estremità da 
archetti, ed inscritti in una circonferenza quasi 
sempre riccamente intagliata. Intorno a questa 
decorazione, composta per solito di membrature 
architettoniche e di fiorami, sbucano talora delle 
figure le quali rappresentano, da una parte, le 
anime che salgono in cielo, dall'altra, quelle che 
precipitano nell'inferno; almeno così si crede. 

Non e' è rosa con figure simboliche nel S. An- 
tonio di Padova ohe nella sua struttura imitante 
il S. Marco di Venezia e inclinante verso l'arco- 
acuto (è del XIV secolo) sono traccio lombarde, 
non o' è neanche nel leggiad rissimo Duomo di 
Trento costrutto in buona parte da Adamo di 
Arogno (nato in quel di Mareggia, presso Cam- 
pione, sul lago di Lugano) tra il secolo XI e il 
XV dove pare che si incontrino due arti migranti 
per così dire, l'una dall'Italia verso la Germania 
e l'altra dalla Germania verso l'Italia. Ma cosa 
importa? La rosa figurata resta sempre una forma 
dell'architettura di cui parliamo. 

Lo studioso esaminando la facciata di queste 
chiese medioevo sarà restato come maravigliato 
da certi lustrenti scodellini in maiolic^a dispostivi 
a croce o in un'altra forma. È certo che si sarà 
domandato l'origine di tal bizzarro ornamento. 



* Gfr, Ricci, Storia delV Architettura in Italia, ecc. Modena, 
1857. V. I, yay. m e nota n, % 



94* i^apuow primo. 



Le opinioni sono diverse. Chi dice che quelli sco- 
dellini, solitamente azzurri o verdi, ebbero origine 
dai Pisani che presero parte alla conquista di 
Maiorca e al ritorno riportarono gli scodellini di 
che ornarono le facciate delle loro chiese in segno 
di trionfo. Chi dice che gli scodellini si colloca- 
rono in questi edilizi sacri a dimostrare che vi 
si ricevevano e alimentavano i pellegrini visi- 
tanti i Santuari. Chi dice, infine, che gli scodel- 
lini sono un ornamento simbolico e si mettevano 
sulle facciate delle chiese per indicare lo splen- 
dore della chiesa che in lontananza spande la 
luce del Vangelo e della Verità come un sole; 
secondo Tespressione dei Profeti. * La prima opi- 
nione non ha verun fondamento perchè l'impresa 
pisana è posteriore all'uso dell'ornamento di cui 
parliamo; delle altre due preferiamo la prima. 

Nelle facciate delle chiese lombarde più rag- 
guardevoli vi sono tre porte; una larga in mezzo 
e l'altre due più piccole dalle parti; ciascuna 
sull'asse della rispettiva navata. Le finestre senza 
essere altissime sono in generale molto strette 
rispetto alla loro larghezza. 

L'architettura lombarda si trasforma di regione 
in regione. Così la vediamo mutata di fisonomia 
per il mutato materiale di costruzione, segnata- 
mente a Pistoia, a Pisa, a Lucca. A Pistoia il 
S. Giovanni fuoreivitas dovuto, credesi, a un 
Gruamons scultore (XII secolo), a Pisa il Duomo 
fondato nel 1063 e il Campanile pendente fondato 



» Ps. XVIII. 6. Is. XXX, 26. Malac, I, II Apoc. XII. 1 et. ajt, 




Parte del Battistero, il fti 



Dell'architettura romanza, * 55 

da un Bonanno pisano nel 1123 e il Battistero 
fondato nel 1163, e a Lucca il S. Frediano (prin- 
cipiato nel 1112), il S. Martino (XI sec. in prin- 
cipio), e il fioritissimo S. Michele (XII seo.) do- 
vuto al Diotisalvi e a Guidetto da Como (Magister 
Gomacinvs) architetto dell'esterno del Battistero 
pisano il primo e della facciata di S. Martino il 
secondo, e parecchie altre chiese inferiori for- 
mano un tipo a sé di architettura medioeya ove 
peraltro, le forme iniziali si scoprono tuttavia. * 
Il mattone vi è sostituito dal marmo di Carrara 
dal tufo e dal serpentino di Prato. Le mura vi 
sono incrostate di strisce bianche e nere alter- 
nate di ottimo effetto, quando sono bene equili- 
brate e il tempo ha abbassato gli stridenti pas- 
saggi. Abbandonato il mattone furono abbandonate 
le cornici a sega e invece in Toscana, se ne eb- 
bero di più modeste fatte di un guscio o di una 
gola di un pianetto robusto sostenuto da men- 
solette con fiori, con faccie umane o d'animali, 
fatte di un solo guscio ampio con un corridietro 
a fogliami. * 



^ Si potrebbe notare che V architettura di queste città to- 
scane se si somigUa nella parte sostanziale ha bensì carat- 
tere personale di città in città. Per es., a Lucca le facciate 
delle chiese di quesV epoca sono più ornate di musaico che a 
Pistoia, eppoi a certi pilastri addossati al piano inferiore 
delle facciate stesse a Lucca si trovano sostituite colonne. Lo 
che dà aspetto più gentile e più armonioso all'assieme. 

* Il signor architetto Perdoni ci comunica da Piacenza: 
che presso questa città, a Ghiaravalle della Colomba, comune 
di Alseno trovasi un chiostro stupendo del secolo XIII poco 
noto che nelle sue lijiee generali ricorda il famoso Campo 



56 Geritolo primo. 



Il Rohault de Fleury che nel suo libro La To- 
scane au moyen àge ha studiato, non sempre 
con molta cura, i monumenti sacri della Toscana, 
può essere consultato da chi vuol acquistare una 
certa conoscenza dell* architettura lombarda alla 
maniera che fu svolta principalmente nelle città 
notate e anche a Prato nella Cattedrale (XII sec), 
e a Arezzo nella Pieve famosa (XIII sec.) attri- 
buita falsamente a un Marchionne d'Arezzo ar- 
chitetto e scultore; autore delle scolture della 
facciata di detta Pieve. Esaminando le vignette 
dell'opera del Rohault de Fleury, si vedrà che 
non è solo nelle citate particolarità che il lom- 
bardo alla toscana si distingue dal lombardo che 
si svolge in Lombardia. Le porte, a mo' d'esempio, 
delle facciate nelle chiese di Lucca, Pistoia, Pisa, 
Arezzo, ecc. sono originalissime; non vi è più 
traccia, nelle facciate stesse, della rosa, la cui 
ornamentazione fu tanto accarezzata dagli archi- 
tetti che eressero chiese in Lombardia; là sì 
trovano invece certi rombi decorativi fra arco 
ed arco che inquadrano dei musaici di gentile e 
bizzarro disegno. In una parola il lombardo to- 
scano è più romano del lombardo propriamente 
detto. 

In Toscana poi ci dovrebbe essere lo stile di 
Arnolfo, a detta di alcuni; ossia lo stile del tanto 



Santo Pisano. Non si sa chi fu autore di questo monumento 
di cui il si^or Perdoni ci parla con vivissimo interesse pre- 
gandoci di non dimenticarlo nella lista dei monumenti ro- 
manzi più insigni. Ringraziamo il collega della sua premura. 



Dell' architettura romanza. 57 

esaltalo architetto di Colle di Valdelsa (1240 f 
1301) * dovrebbe trovarsi soltanto a Firenze ma 
viceversa poi, non si trova neanche qui perdio 
nessuno è in grado di accertare le fabbriche erette 
da Arnolfo di Cambio e non di Lapo. 

Nelle chiese e nei monasteri di Roma e sua 
provincia, dal XII al XIV secolo si trovano certi 
lavori singolarissimi che formano un genere spe- 
ciale di monumenti nei quali si innesta Y arte 
dell'architetto con quella del musaicista. Col ch.° 
prof. Boito e con altri scrittori d'arte volemmo 
attribuire ai valenti marmerai romani della fa- 
miglia dei Cosmati la gloria di avere iniziato e 
proseguito la maniera artistica di cui vogliamo 
discorrere e che chiamammo cosmatesca. Ma studi 
più diligenti ci hanno mostrato che il solo tra 
questi artefici di nome Cosma — il più valoroso 
di tutti -— non fu il primo a usar l'arte che ci 
occupa. A Roma esisteva un buon secolo prima 
di Cosma l'arte detta cosmatesca, perciò è in- 
giusto estendere a tutti i lavori del medesimo 
stile la qualifica di cosmateschi mentre si sa che 
sono pochissime le opere accertate di questi ar- 
tisti marmerai e altre scuole e altri artisti lavo- 
rarono in tal guisa prima di Cosma. 

Le famiglie e le scuole dei marmerai romani 
incominciarono circa il principio del XII secolo. 
Nel secolo XIV sì estinsero e con esse finì lo 
stile che diremo romano-bizantino. 



* Gfr. G. Guasti nella Rassega Nazionale; Arnolfo quando 
è mortof 



58 Capitolo primo. 



Senonchè nella provincia di Roma si trovano 
pochi ma singolari esempi di architettura lom- 
barda propriamente detta e li abbiamo nel viter- 
bese. Viterbo conserva ancora nella sua catte- 
drale (XII sec.?), in S. Maria Nuova e in S. An- 
drea moltissime parti della primitiva chiesa lom- 
barda. La chiesa di S. Giovanni in Zoccoli è del 
lombardo più legittimo. In Toscanella poi le due 
chiese di San Pietro e di Santa Maria Maggiore 
(XIII sec.) sono su le altre degne di attento esame. 
Il Dartein scrisse che nell'VIlI secolo potevano 
essersi stabiliti in Toscanella degli artisti coma- 
cìdì rilevandosi dal Troia {fiod, diplom. Long,) 
che nel 739 un Rodpert magister comaeinus ven- 
deva in Toscanella una sua vigna. Questo è un 
fatto isolato e di poca importanza ma ben altri 
se ne hanno che mostrano che in Viterbo si 
stanziarono uoa quantità di lombardi. Nell'ar- 
chivio viterbese si trovarono contratti di lavori 
assunti da maestri muratori di città lombarde. 

Ma evitiamo i particolari fin dov' è possibile e 
ritorniamo all'arte architettonico-musaicistica. La 
ricchezza dei marmi, la splendidezza dei musaicii 
la cura delicata dell'esecuzione sono i distintivi 
di quest'arte romana che va dal XII al XIV se- 
colo. Essa è la meno abbondante di forme orga- 
niche, la meno atta ad assumere una grande 
varietà d'espressione, la meno feconda di novi e 
pratici risultamenti. 

A dare un'idea del genere ornamentale di que 
sto tipo architettonico riproduciamo la Cattedra 
vescovile del S. Lorenzo a Roma, e alcuni mo- 
saici che l'ornano. La cattedra di S. Lorenzo è 



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Dell aremtettura romanza. 



5VI 



la più bella cattedra, anzi T unica b^Ua che ci 
rimanga del raedio evo a Roma. Nella varietà 




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Mosaici Della Cattedra Vescovile di S. Lorenzo f. d m. Roma. 

dei musaici, nella loro diligente esecuzione vi è 
la impronta dell' architettura romana ^ di questi 
tempi la quale nel cortile di S. Giovanni Late- 
rano (Xlll secolo), e nel Chiostro di S. Paolo 
(XIII sec.) fuori delle mura a Roma è addirit- 
tura raa^niQca, 



60 Capitolo primo. 



Fra Tarchitettura romana e quella della bassa 
Italia y' è una analogia non piccola, talvolta anzi 
una somiglianza notevole. Tra le colonne del 
Chiostro di Monreale, del 1174 circa, e le co- 
lonne dei chiostri di S. Giovanni Laterano e di 
S. Paolo fuori delle mura che sono della primai 
metà del secolo seguente, v'è una rassomiglianza! 
che si potrebbe dire parentela. I 

Ripetiamo che in tutte le architetture miedioevej 
le quali, partendosi dal comasco e paesi vicinij 
coi Maestri comacini, si diffusero giù per l'Italia, 
l'elemento iniziale resta costante; e, o poco o 
molto, per tutto si vede, sebbene decorazioni e 
rapporti proporzionali siano variati da una re- 
gione all'altra. L'organismo è sempre lo stesso 
dovunque: è il romano. Anche in Sicilia, e nelle 
Puglie, per quanto anche le conquiste straniere 
abbiano influito a imprimere una fisonomia ar- 
chitettonica affatto caratteristica a quelle chiese 
e agli ediQzi civili che s'innalzarono nel medio 
evo. L'organismo di questa architettura si man-, 
tenne romano anche colà. Il Duomo di Palermo; 
(XII secolo), quello di Cefalù (XII secolo), quello i 
di Monreale (XII secolo), la Cappella Palatina a| 
Palermo (XII secolo), la chiesa di S. Maria del- 
l'Ammiraglio (la Martorana) informino. * 

Gli elementi che costituiscono lo stile siciliano 



* Per farsi un'idea relativamente compiuta della splendi- 
dezza di questa architettura siciliana si guardino le tavole 
dell* opera principesca II Duomo di Monreale illustrato e ri- 
portato in tavole cromo-litografiche da D. Domenico Bene- 
^9tto Gravida aba^e Cassinese. Stab. tipogr. di F, ì^. I^o. 



9 



"Ti 




Deir architettura romaMa. 61 

del medioevo sono molti e molto variati appunto 
^per le influenze straniere cui rìsola andò sog- 
Ifetta. Tuttavia conveniamo col prof. Boito che 
1* architettura del medio evo in Sicilia, benché 
nata, cresciuta e fiorita sotto i re normanni ed 
in gran parte per opera loro, è architettura si- 
ciliana. Se i bisantini non poterono cavarne nulla; 
se gli arabi non poterono imitarla; se i popoli 
del settentrione non ne tolsero il loro stile che 
non istà unicamente nell'arco a sesto acuto (poiché 
in parecchi monumenti siciliani, vi è l'arco a se- 
sto-acuto di araba provenienza) ma in un sistema 
intiero il quale cominciava a svolgersi quando i 
monumenti siciliani non erano ancora compiuti; 
se dall'altro canto l'influenza dei popoli domina- 
tori dell'isola non si può punto negare, è non 
pertanto verissimo che l'arte di Sicilia fu creata 
in Sicilia ed è l'imagine schietta, efficace del 
temperamento siciliano. 

Ci resta a dire dell'architettura nelle Puglie. 

L'architettura della Puglia potrebbe dirsi lom- 
barda pugliese. È strano assai che un popolo il 
quale per più di due secoli interpolatamente fu 
signoreggiato dai Greci, che soffrì il dominio dei 
Normanni e le feroci scorrerie dei Saraceni abbia 
potuto conservare nella sua architettura un'im- 
pronta locale traverso anche a influenze nazio- 
nali: lombarde e toscane. 

Certe chiese dì Puglia sembrano affatto lom- 
barde. Per esempio: il S. Nicola di Bari (XI sec.) 
ha del S. Ambrogio di Milano. Ce ne sono di 
quelle che in certe parti rammentano le chiese 



6à Capitolo primo. 



toscane di Pisa, Lucca e Pistoia. Per esempio il 
fianco della cattedrale di Bitonto, eccezion fatta 
del corpo più elevato che corrisponde alla nave 
maggiore, ci fa venire in mente il fianco del 
S. Giovanni fuorcivitas di Pistoia. La cattedrale 
di Bitonto è dell'XI o XII secolo come le altre 
di Molfetta, di Conversano, di Otranto, di Trani, 
colla sua torre monumentale, di Ruvo, ecc. Que- 
ste chiese hanno spesso la parte inferiore tutta 
fatta a arcate a basso rilievo come al S. (jiovanni 
suddetto, al S. Michele a Lucca, anzi in tutt« 
le chiese di Pistoia, Lucca e Pisa. Vedansi le 
cattedrali di Termoli, di Foggia, di Siponto. Il 
sentimento del colore è una caratteristica locale 
dell'architettura raedioeva pugliese che anche 
dopo gli studi dello Schulz, del Salazàro, del 
Lenormant può invogliare i nostri critici a stu- 
diarla nelle sue particolarità.* 

L'architettura pugliese trae partito d'effetto 
dal movimento degli sfondi e da una certa so- 
lenne compostezza di masse avvivate da orna- 
menti isolati ma fini e pieni di grazia. É diffi- 
cile trovare in quest' architettura traccio della 
ornamentazione policromatica sul genere di quella 
che dà una nota sì geniale al chiòstro e all'abside 
di Monreale. Ricordiamo un solo esempio nella 
facciata della cattedrale di Troia; l'arte sicula 
si trova a Amalfi, Salerno e Caserta Vecchia. 

Le facciate dunque sono generalmente liscie; 
talora qualche ornamento pieno dì gusto o qual- 
che traforo capriccioso rallegra quelle superficie 



» Vedi la Bibliografia. 



[ 



Deir architettura romana. 6S 



itone come può vedersi nella facciata della gra- 
ziosa chiesetta di S. Gregorio a Bari, nella fac- 

jeiata della cattedrale di Trani, ove si trovano le 
solite arcate adossate alle superfici dei muri e 
toscaneggianti. Insomma gli architetti delle chiese 

^fugliesi furono eccellenti decoratori: senza sfarzo 
di ornamenti seppero dare risalto gradevole alle 
loro costruzioni e imprimervi un tipo affatto per- 
sonale. Si potrebbe quasi dire che Tarchilettura 

! dell'Italia meridionale si svolge sopratutto nei 

! particolari le cui trovate sono innumerevoli. 

! L'eclettismo da cui sorse quest' architettura me- 
dioeva che avrebbe potuto fossilizzare le imma- 
ginazioni, valse invece a fecondarle. 

j Gli artisti seppero approfittar bene dei molti e 
svariati elementi che avevano a lor disposizione; 
(bisantini, lombardi, arabi, toscani) li combina- 
rono assieme in modo sì armonico da dar luogo 
a uno stile caratteristico schietto, senza fronzoli, 
sminentemente organico. 

Di qui potremo dare un'occhiatina anche nelle 
Marche, ma come si fa collo spazio sì limitato? 
Queste regioni meridionali sono state dimenticate 
troppo dalla critica. Mancarono alle città del mez- 
zogiorno storici ed illustratori di patrii monu- 
menti, non ebbero un Giorgio Vasari, nessuno 
che tramandasse ai posteri nomi di scultori, di 
pittori e di architetti degni di figurare accanto 
a quelli di artisti altissimi della Toscana, del 
Veneto, dell' Umbria, della Lombardia. 

Delle Marche sono noti soltanto generalmente 
il S. Ciriaco d'Ancona (XII e Xill sec.) e il San- 



64 Capitolo primo. 



tuario di Loreto; sono pochi che sanno per «s. 
che a Ascoli Piceno la chiesa dei Santi Vincenzo 
e Anastasio è un grande e prezioso palinsesto 
architettonico. 

Quanto si è detto per le provincie meridionali 
sì può dire per la Sardegna troppo dimenticala 
da tutti. 11 La Marmerà, lo Spano, il Paìs si sono 
interessati di farla conoscere, ma sia perchè ef- 
fettivamente in arte non ha un posto considere- 
vole sìa perchè T indifferenza è contagiosa, la 
Sardegna artistica non è punto nota alla mag- 
gioranza degli Italiani. 

E invero V architettura medioeva di Sardegna 
potrebbe essere soggetto di studio. È noto che 
la Sardegna l'ebbero i Pisani e i Genovesi e fu il 
pomo della discordia fra queste due repubbliche; 
orbene l'influenza di Pisa è tracciata nei monu- 
menti superstiti. Ricordano le chiese pisane, a 
pilastri esili addossati al muro nelle facciate e 
sormontati da archi, S. Ardara consacrata sotto 
il pontefice Pasquale II nel 1107, la cattedrale di 
S. Simplicio in Terranuova a tre navate (XII sec.) 
r antica cattedrale di S. Giusta presso Oristano, 
celebre per il sinodo che vi si tenne nel 1127; 
ricordano le chiese pisane nella incrostatura 
esterna a filari alternati, S. Michele di Salven- 
nero presso Ploaghe (XII sec.) il cui abside è 
bellissimo, la chiesa dell'abbazia di Saccaragia 
presso Godrongìanos eretta nel 1116, chiesa molto 
ricca e ornata di pregevoli dipìnti, ecc., ecc. 

Finiamo con un « eccetera, eccetera » per ri- 
constatare che si offre ai ricercatori dell'arte 
italiana un campo di studio inesploratissimo. 



Dell'architettura romanza, 65 

I Campanili. — Quasi tutte o tutte le chiese 
lombarde hanno una torre vicina. Però bisogna 
esser prudenti nel riportare a molta antichità 
l'età delle torri in Lombardia. La circostanza di 
trovare frequentemente il campanile aggiunto a 
un fianco della chiesa eretto in epoca posteriore 
realmente incassato in qualche parte della me- 
desima e d'averlo creduto più antico che non po- 
tesse essere ha fatto assai volte riportare ai se- 
coli del basso medioevo delle chiese non anteriori 
air XI secolo. Certo, insomma, la torre per le 
campane o campanile è un accessorio che la chiesa 
di stile lombardo ha avuto sempre. Nei campa- 
nili l'architettura lombarda ha fatto sfoggio di 
quelle gallerie sovrapponentisi che sono una delle 
sue caratteristiche segnatamente per il modo 
svariato con cui le adottò. Fra i campanili più 
geniali si cita quello di Milano del S. Gottardo, 
ottagono a sette piani e con cono alla cima, di 
un Francesco Pecorari, cremonese (XIV sec), 
quello dell'abbazia di Ghiaravalle nel milanese 
Ó^II sec), e quello della cattedrale di Crema sì 
fiorito nella sua parte superiore. * Fatli tutti in 
terra cotta qua e là tramezzata da pietre con 



^ Di questi tre campanili se ne vede accurata riproduzione 
colorita nell'opera: The Terra-Gotta Architecture of North 
Italy — from careful drawings and restoration by Federigo 
Lose, edited by Lewis Gruner — London John Murray Albe- 
marie Street 1867, Tav. 3 e 4 (Camp, di Ghiaravalle) 5 e 6 
(a di S. Gottardo) 23, 24 e 25 (G. di Grema). 

Vi si troiano riprodotte anche le facciate di varie chiese 
in stUe lombar<}o a cui accenneremo. 

A. Mklanl S 



66 Capitolo primo. 



qualche fondo a colore, questi campanili di Lòm* 
bardia sono sempre agili e ornati di colonne e 
di archi che si svolgono e si arrampicano su su, 
naturali, sino alla vetta ohe è un cono il quale 
colla sua punta aguzza pare un* implacabile mi- 
naccia alle nubi vicine. — Di questi campanili 
ve ne sono vari altri degni di attenzione, per 
esempio: quello del Carmine a Pavia, quello della 
chiesa dì Qravedona, quello di Cremona che è 
uno dei più alti d' Italia, e ve ne sono a Parma 
a Piacenza di questo stile lombardo legittimo il 
quale per la varietà bizzarra dei motivi per il 
libero svolgersi dei rapporti proporzionali per la 
aggraziata varietà dei particolari decorativi, si 
presta più di qualsivoglia altro tipo architelto- 
nico a dare agilità a questa nova forma del- 
l'arte. 

Dando un'occhiata qua e là al resto dellltalia 
quanti altri bei campanili incontreremmo. No- 
miniamoli in blocco. A Roma e provincia sono 
notevoli per vari rispetti: il campanile di S. Ma- 
ria in Cosmedin, di S. Maria in Trastevere eretto 
ai tempi di Innocenzo II, di S. Maria Maggiore 
che può riferirsi al secolo XII,, il campanile della 
Cattedrale di Viterbo che dev'essere stato eretto 
intorno la seconda metà del XllI secolo, quello 
di S. Maria in Velletri che è tutto fatto a filari 
alternati di tufo, di selce e di mattoni. A Firenze 
il famoso campanile di Giotto che non è di Giotto 
è dì Giotto solo nelle 11 braccia da basso * 



» Cfr. Il Campanile di S, Maria del Fiore: studi di A. ff ar- 
dirli Despotti Mospignotti. 



Dell' arehitettura romanza. 



67 




(XIV sec), quello di Pisa che è 
il più singolare di tutti. Fa me- 
raviglia per la sua iaclinaziotie 
che da quasi sette secoli si man- 
tiene Gosì, senza che abbia dato 
mai il minimo indizio di perico- 
lare. La questione se la pendenza 
sia artificiale o casuale fu agitata 
per questo campanile come per la 
celebre Garisenda di Bologna 
(XII sec. princ), la conclusione 
accettabile è questa, secondo noi: 
che il campanile di Pisa fu co- 
strutto a piombo come ogni altra 
torre e la sua pendenza è acci- 
dentale, causata cioè da cedimento 
parziale del terreno su cui sorge. 
Dicasi lo stesso per la Garisenda 
suddetta dopo gli studi del chia- 
rissimo Gozzadini. ^ 

Accanto alla Garisenda di Bo- 
logna starebbe bene la notissima 
Ghirlandina di Modena comin- 
ciata nel 1261 con disegno e sotto 
la direzione dell'architetto e scul- 
tore Arrigo di Campione e ter- 
minata nel 1319. E vicino a que- 
ste due torri starebbe bene un 
ricordo del campanile del S.Fran- 
cesco , ragguardevolissimo tem- 




« DeUe torri genHlizie, ecc., pag. 280, e ^^^^^^11,^, 
se^entL Roma. 



68 Capitolo primo. 



pio bolognese che dopo tanti anni di sollecita- 
zioni è stato appena principiato a restaurarsi. ^ 
Questo campanile fu inalzato nel 1402 da un Bo- 
nino e Nicola (come venne scoperto recente- 
mente) i quali probabilmente furon campionesi 
e il Bonino quello stesso che nel 1375 poneva 
in Verona l'arca di Can-Signorio, e dal 1387 al 
1393 fu tra gli architetti del Duomo di Milano 
(fu di casato Fusina). 

Sarebbe lunga la lista dei campanili italiani 
medioevi^ e diverrebbe più lunga se si dovesse 
stendere così in massa senza aver cura di far la 
distinzione fra i campanili religiosi e gli altri 
civili. In tal caso nella lista figurerebbero bene 
la notissima torre del Palazzo Vecchio a Firenze 
(XIII sec. in principio), l'agilissima torre del Pa- 
lazzo comunale di Siena detta del Mangia (tra 
il XIII e il XIV sec.) e quella altissima di Ve- 
rona (XII sec). 

COSTRUZIONI MILITARI E CIVILI. 

Nel medioevo il mondo non era occupato che 
dalla fede e dalla guerra. I vassalli erano in con- 
tinua guerra coi loro signori, i signori in per- 
petua guerra coi vicini. Le terre incolte erano 
infestate da masnadieri che costringevano i feu- 
datari alla difesa dei loro possessi. Per questo 
dopo le chiese, si costruirono numerosi castelli 



^ Si annuocia una illustrazione del S. Francesco di Bologna 
corredata di tavole per opera dell*erudito si^or Alfonso Bu 
biani. Sarà interessante. 



Dell'architettura romanza. 69 

e principiò così il vassallaggio duro, crudele che 
abbracciò tutte le classi sociali in una ferrea ca- 
tena i cui estremi furono i monarchi e i servi. 

I Castelli e i palazzi pubblici e privati. — I ca- 
stelli erano circondati da ampio fossato munito di 
ponte levatoio. Il fossato serviva a impedire che 
l'assalitore si respingesse coi gatti^ grilli e ca- 
stelli di legname fin sotto le mura o mettesse su 
puntelli le torri e le cortine per dirroccarle o 
avanzasse le opere di cavo sotto le fondamenta. 
Il fosso, vallo, terrapieno e lo steccato è di 
origine assai remota. Se ne servì Giulio Cesare 
per tagliare il passo agli Elvezi minaccianti le 
Gallio; se ne servirono i Longobardi per con- 
trastare la discesa a Carlo Magno. Talvolta si 
cingeva il castello di due ordini di fossati. Le 
cinte di forma rettangolare, o quasi rettangolare, 
erano munite di torri interne riquadrate ancorché 
non offrissero aggetti alla scarpa. All'esterno si 
addossavano alla cinta delle torricelle quadrate 
circolari o poligonali le quali servivano di luoghi 
d'agguato. All'ingresso dei castelli eravi sempre 
una torre e talvolta due, e tra le due porte (una 
esterna, l'altra interna) una camera nella quale 
lavorava il meccanismo delle erpici. Sulla volta 
una fenditura serviva al getto dei proiettili sui 
nemici che fin là si fossero spinti. Le porte si 
chiudevano con saracinesco le quali sebbene fos- 
sero state in uso anche presso i Romani, come 
afferma Tito Livio ^ furono in maggior voga da 



» Lib. 27, cap. 30. 



70 Capitolo primo. 



noi dopo le iiivasioni degli Arabi dai quali eb- 
bero il nome. Esse eran composte di fortissimi 
tavolati uniti da travi e sospesi a grosse funi o 
a catene di ferro e lo scopo loro principale era 
di sbarrare con sollecitudine il passaggio della 
porta quando trovandovisi insieme difensori e 
assalitori diventava quasi impossibile far girare 
le imposte sui cardini. * Per impedire al nemico 
l'accesso dalla cortina alle torri si usava di co- 
struire in legno i pavimenti delle torri in modo 
che si potessero smontare facilmente nel tempo 
che gli assalitori lavoravano a sfondare la porta; 
quando vi fossero riesciti, si trovavano davanti 
un vuoto il quale impediva loro di avanzarsi e 
passare la cortina opposta per salire ai piani 
superiori oppure discendere in città. I costrut- 
tori militari del medioevo mostrarono di essere 
espertissimi nella loro arte. Ma non è qui che pos- 
siamo studiare e ammirare i loro pregi tecnici. 
Bisognerebbe che il lettore avesse di già fatto 
studi riguardanti questa parte speciale della 
architettura, o che anche fugacemente noi accen- 
nassimo a talune particolarità tecniche riguar- 
danti Tarchitettura militare le quali ci menereb- 
bero fuori del nostro compito. 

Non si dimentichi che una caratteristica di 
queste costruzioni militari sta nel coronamento a 
merli diversi di forme a seconda dei tempi e dei 



* Si fecero saracinesche anche in ferro ; anzi in Piemonte, 
nel Medio Evo si usarono spesso in ferro; in Toscana e in 
molti altri luoghi erano abituali quelle di legno. Lo afferma 
il Machiavelli, Dell* arte della guerra, Lib. VII, pag. 38. 



Deir architettura romanza. 71 

paesi. In Italia i merli da fortezza, salve poche 
eccezioni, erano o rettangoli o a coda di rondine 
e nella lotta delle fazioni gli uni e gli altri ca- 
ratterizzarono i combattenti: così si ebbero merli 
guelfi, nei merli rettangoli, e merli ghibellini in 
quelli a coda di rondine. Perciò in Piemonte per 
esempio, dove prevaleva la parte imperiale, tro- 
viamo quasi sempre i merli a coda di rondine 
tranne in Valle di Susa.dove si esercitava la 
influenza guelfa del Delfinato. - 

È ormai da tutti saputo che il progresso della 
civiltà e le costituzioni liberali resero molte città 
autonome; perciò queste ebbero bisogno di Pa- 
lazzi pubblici Palazzi della Ragione dove i cit- 
tadini principali sì riunivano a consiglio per trat- 
tare le faccende pubbliche e dove abitava talvolta 
il primo Magistrato eletto con voto popolare. La 
architettura di codesti palazzi — che il Rohault 
de Fleury chiama architettura comunale ^ ha una 
impronta grave. Il carattere dei bassi tempi del 
medio evo severo come era, non poteva certo 
assumere fisonomia diversa nei palazzi pubblici 
per quanto talune volte si ornassero di decora- 
zioni spigliate che facevano risaltare la podero- 
sità delle muraglie. I palazzi pubblici che ap- 
partengono al periodo storico che traversiamo 
in buon numero son guasti e alterati. 

Citiamo il palazzo della Ragione di Monza, che 
per quanto piccolo e svisato può dare un'idea 
dei palazzi pubblio? che eran l'anima delle città 



1 Gtr, Palaìs publics de Pistoie« 



72 



Capitolo primo. 



in dove sorgevano (fu eretto nel 1168 per ordine 
di Federico I). Citiamo il palazzo della Ragione 
di Milano (1228-1233), il notevolissimo palazzo 
Comunale di Piacenza (fondato nel 1281) chiamato 




Palazzo del Cornane, MoDza. 

volgarmente il Palazzo gotico o il Gotico sem- 
plicemente, e dovuto a Pietro da Borghetto, 
Pietro Cagnano, Gherardo Campanaro e Negro 
dei Negri, il palazzo della Ragione a Padova la 
cui sala se non la più vasta è una delle più vaste 
del mondo (1172-1219) e il cui disegno fu im- 
maginato da Pietro di Cozzo di Limerà, e non 



Deir architettura romanza. 78 

dimentichiamo il palazzo Vecchio (XIII sec.) e il 
Bargello (XIII sec.) di Firenze che son vera- 
mente due tipi di quest' architettura severa e 
caratteristica delle costruzioni di cui parliamo. * 
Quanto ai Palazzi o Case private e' è poco da 
dire: sono pochi quelli che sfidarono con successo 
il lungo corso dei secoli e le esigenze della vita 
sociale che via via si è rinnovata. 



' Alcuni di questi edifici si potrebbero benìssimo classii- 
care fra quelli del periodo transitorio tra il lombardo e Parco 
acuto. 

Le costru2ioni sorte nei periodi di transizione o vicino a 
questi periodi si classificano male: Potendo fare degli esami 
senza la seccatura delle pagine fissate la classificazione sa- 
rebbe più facile per quanto talvolta mentre si è per affermare 
una qualsiasi opinione in proposito accade che una forma, 
prima sfuggita, corregga o rechi nova confusione nella nostra 
niente. Certi esami qui si è costretti a farli un pò* alla lon- 
tana; ma la parte più interessante è che lo studioso ca- 
pisca bene lo spirito delle classificazioni; poi sta a lui a vedere 
quanto le costruzioni che sono oggetto di studio partecipino 
di una forma stilistica e quanto di un* altra, prescindendo 
daUe rispettive età che qualche volta condurrebber fuor di 
strada anco gli esperti. 



CAPITOLO IL 

BELL'ÀBOHITETTUBl DI TBINSIZIONE 
FRI LÀ LOMBÀBBÀ E ^^UELLÀ À ARGHI ACUTL 



Lo stile di transizione è quello in cui le forme 
antiche si accompagnano alle nuove per dar luogo 
a UQ assieme che se può dirsi ibrido, non è ir- 
razionale considerato sotto il rispetto dello svi- 
luppo storico. La trasformazione non solo negli 
stili deir architettura ma in qualsivoglia umana 
manifestazione, non si compie che a poco a poco; 
a forza di leggeri e costanti mutamenti i quali 
annunziano l'albeggiare dell'età nova; età che 
dovrà lottare colla vecchia finché le idee nuove 
non vivranno nella coscienza di tutti. Questi co- 
nati sono rappresentati nella storia da quei pe- 
riodi cosiddetti di transizione, i quali iniziano le 
ère caratteristiche del movimento storico gene- 
rale. Rispetto air architettura il periodo storico 
che studiamo ora è uno dei più notevoli perchè 
inizia il passaggio di due epoche architettoniche 
sostanzialmente differenti l'una dall'altra. Le forme 
romane che da tanto tempo signoreggiavano la 



Dell' architettura di tran8i%ione, ecc. 7ff 

architettura cristiana anche traverso a tanti cam- 
biamenti, sono per essere abbandonate; Tarco 
rotondo e la cupola sferica saranno sostituiti da 
nuove forme originali le quali ora si presentano 
alternativamente neir architettura che si mostra 
qua e là con impronte diverse e modestamente 
tra il XIII e XIV secolo e si svolgeranno poi 
neirarchìtettura del Trecento che diciamo archia- 
cuta a archi acuti. ^ 

Ora si discorre dell'architettura di transizione 
che sta fra la lombarda e quella a archi acuti. 
Sicché vogliamo accennare alle fabbriche nelle 
quali Tarco acuto si accompagna all'arco rotondo 
dello stile lombardo; ove l'arco delle gallerie e 
delle finestrelle lombarde è suddiviso da segmenti 
circolari o lobi; ove il pilastro a fascio si orna 
di modanature minute ed assume insolita svel- 
tezza; ove l'ornamentazione acquista vivacità e 
indipendenza che .nell'architettura lombarda non 
ebbe inai. 

Nell'alta Italia, non meno che altrove^ si af- 
ferma quest'architettura di transizione della quale 
riconosciamo i primi sintomi nella facciata del 
Duomo di Ferrara, che pure è di un'epoca assai 
anteriore a quella su cui ora volgiamo il discorso. 
Malgrado ciò lo studioso la può guardare come 
esempio di stile misto; cioè dello stile dove l'arco 
acuto disputa la prevalenza all' arco a pieno 
centro. 

Spingendoci nel centro dell'Italia a Pistoia tro- 

» Vedi nelle pagine seguenti dove si parla di questa ar- 
chitettura. 



76 Capitolo secondo. 

viamo il Battistero di Andrea Pisano (1299tl305), 
ove le gugliette, i gattoni usatissimi neir archi- 
tettura a archi acuti, i pinnacoli s'intrecciano 
agli archi rotondi ed agli ornamenti della maniera 
toscana del XIII secolo. A Pisa il palazzo Gam- 
bacorti, la genialissima 8. Maria della Spina 
(eretta 1325-1336) già attribuita pare a torto a 
Nicola Pisano (nato tra il 1205 e il 1207 f 1278) è 
pure un esempio considerevole di architettura 
mista, a Siena il fioritissimo Duomo dove ai pi- 
lastri slanciati si innesta Tarco a pieno centro. Il 
Vasari asserisce che ne dette il disegno Nicola 
Pisano nel 1240, ma pare coll'istessa autorità 
colla quale afferma che Nicola eresse l'attiguo e 
leggiadro S. Giovanni fondato dopo il 1300 vale 
a dire vari anni dopo la morte del suo preteso 
architetto. * A Firenze vediamo una loggetta che 
fa angolo con la piazza del Duomo e la via dei 
Calzaioli comunemente detta del Bigallo. Non è 
impossibile che questa loggetta costrutta certa- 
mente tra il 1352 e il 1358 sia stata disognata 
dal fiorentino Andrea Orcagna (1308tl368) invece 
di quell'altra dei Lanzi attribuitagli dal Vasari 
che certamente 1' Orcagna non disegnò. La log- 
getta del Bigallo è uno splendido esempio delia 
architettura mista poiché oltre ad incontrarvisi 
r arco rotondo con l' arco acuto vi si trovano 
molti elementi decorativi che l'architettura ar- 
chiacuta s' impersonò, facendosene una delle sue 
attrattive principali. Vogliam riferirci a quei rin- 



^ Gfr. Note e Commenti al Vasari, edizione Sansoni. VoL I, 
pag. 903. 



DelF architettura di transizione, ecc. 77 



cassi minuti a quelle formelle policrome, alle 
altre minutaglie accarrezzate con industre scar- 
pello che nell'architettura archiacuta raggiunsero 




Loggetla del fiigaUo, Firenze. 

altissimo sviluppo e nella loggia del Bigallo ab- 
bondano. ^ 



» É stata restaurata recentemente dall* e^^egio amico mio 
prof. Gastellazzi che prese V iniziativa e diresse gratis et amore 
Dei, questo lavoro. Le pitture furono restaurate dal pittore 
restauratore Bianchi. 



78 Capitolo secondo. 

E necessario notare che nell'esame di questa 
architettura nella quale si innestano due stili 
diversi bisogna andare molto cauti, poiché, al- 
cune fabbriche nelle quali Tarco a pieno centro 
si trova aocompagnato a quello acuto, possono 
essere state eseguite in due tempi diversi cor- 
rispondenti precisamente ai due stili. 

Se volessimo continuare a citare esempi, do- 
vremmo dare a questo capitolo una larghezza 
maggiore di quella che deve avere rapporto agli 
altri. À noi basta aver mostrato cosa è questa 
architettura di transizione fra la lombarda e la 
archiacuta. 



CAPITOLO m. 
D£LL'AR€HIT£TTUBÀ À ARCHI ACUTL 



Osservazioni generali. 

Siamo dinanzi ad una delie solite questioni di 
nomi. L'architettura che ci siamo risolti di chia- 
mare archiacuta o ad archi acuti, fra gli altri 
nomi impropri ebbe quello datole dagl'Italiani, 
di architettura gottea; o architettura dei Goti, 
cioè dei Barbari (poiché in Italia gotico fu sino- 
nimo di barbaro). Difatti con questo nome di 
battesimo non tanto si volle determinare la pro- 
venienza di questa architettura, quanto se ne 
V4)ll« stimatizzare il sistema che si discosta com- 
pletamente dal classico. Bisogna sentire taluni 
scrittori come sputan veleno quando hanno da 
scrivere dell' architettura a archi acuti I Sarebbe 
curiosa una raccolta di tutte le diatribe conte- 
nute nei libri di storia architettonica dal Vasari 
in giù. Bisognerebbe prepararsi a sentirne di 
cotte e di crude, contro il « barbarico sistema » 
come lo chiama Gianfrancesco Napione nel fer- 
vorino « A cortesi leggitori » premesso ai suoi 



80 Capitolo terzo. 



tre volumetti sui Monumenti deli' architettura 
antica. Né il Napione è scrittore tanto veccliio, 
anzi; i suoi libri sono del MDGGGXX. £i scrìve: 
riportando Topinione del d'Agincourt che è poi 
la sua «...in quel sistema d* architettura detto 
volgarmente gotico che da tanto tempo dopo 
Teodorico venne in voga anche in Italia, si volle 
dare a tutto una sveltezza straordinaria onde 
convenne ricorrere agli archi acuti; si assotti- 
gliarono le colonne si attorcigliarono in istrava- 
gantissime guise e tutto era piramidi, tutto fi- 
nestre, tutto tabernacoli, tutto era minuzie e le 
foglie di cavoli (sic!) sostenevano ogni cosa. Lo 
indagare di onde sia venuta in Italia questa cat- 
tiva maniera di architettare, che a certi cervelli 
cui piace in tutto d' imbai*barire va pure a san- 
gue aggiorni nostri, non è tanto facile il determi- 
narlo ma poco dovrebbe premere eziandio a chi 
diritto ragiona. Gredesi comunemente che sia 
nata in Germania dove famosa è la Cattedrale di 
Strasborgo, onde dai più architettura Tedesca si 
denomina; altri dai Morì e Moresca perciò la di- 
cono, eco. > Qui il Napione seguita per conto suo 
a infilarne una più grossa delFaltra sicché è ina* 
tile seguirlo ancora. 

Sentiamo piuttosto l'opinione d'un antico scrit* 
tore ora che si è sentito quella d'un moderno: 
sentiamo cosa ne pensa Messer Giorgio. Nella 
introduzione delle Vite egli parla cosi dell'archi- 
tettura archiacuta: < Ecco un'altra specie di la- 
vori che sì chiamano tedeschi, i quali sono di 
ornamenti e di proporzioni molto differenti dagli 
antichi e da moderni: nò oggi si usano dagli 



DelP architettura a archi acuti. 81 

eccellenti ma son fuggati da loro come mostruosi 
e barbari mancando ogni lor cosa di ordine che 
piuttosto confusione o disordine si può chiamare, 
avendo fatto nelle lor fabbriche, che son tante 
che hanno ammorbato ii mondo, ecc. » Il resto 
s'indovina facilmente. La finale pietosa forse non 
si può indovinare, e Iddio scampi og^i paese da 
venir tale pensiero ed ordine di lavori, che per 
essere eglino talmente disformi alla bellezza delle 
fabbriche nostre meritano che non se ne favelli 
più che questo. » 

Non e' è da stupirsi; nel cinquecento, poco 
più poco meno, non si poteva parlar che in que- 
sto modo. Intorno T architettura archiacuta non 
parlano diverso del Vasari, Leonbattista Alberti 
e Raffaello; Francesco di Giorgio Martini, si.* 

Dicevamo che siamo risolti di chiamare questa 
architettura archiacuta o più correttamente a 
archi acuti, perchè derivò dall'arco acuto lo slancio 
verticale del suo sistema, la sua leggerezza e la 
sua varietà potendo avere l'arco acuto, vari centri 
e non uno costante, come il semicircolare. Il 
principio di questa architettura sta dunque nel- 
Tarco acuto. Lcr nostra denominazione, poi, non 
implica di essa architettura come tant' altre: 
gotica, normanna, arabo-bisantina, ecc., la pro- 
venienza che ha fatto scrivere tante corbellerie 



' Francesco di Giorgio Martini, invitato nel 1490 a dire la 
sua opinione sa il finimento della cattedrale inilanese, dichia- 
rava che i nuovi ornamenti dovesser convenire con gli an- 
tichi. Spriwger, Bilder aus der n^ieren Kunstgeachichte. Bonn^ 
1867, pag. 152. 

A. Mblani* ^ 



82 Capitolo terzo. 



anche a uomini saggi. Molti si sono martirizzati 
il cervello a cercare l'origine dell'arco acuto 
persuasi che trovata questa origine il problema 
sarebbe stato risoluto. 

Ma ove mai andaste a perdere il cervello o 
uomini illustri! — Certe questioni non sono nel 
dominio della storia. Cosa rispondereste se vi 
venisse domandato cretinamente chi ha inventato 
il circolo il triangolo? L'arco a sesto acuto è 
antico come il mondo. In Kgitto si trova nel 
Ramesseione di Tebe di trentaquattro secoli fa; 
in Urecia s'incontra nel tesoro d'Atreo, a Micene 
dell'età eroiche; in Asia si vede nella porta di 
Assos, in Etruria, in Sardegna lo abbiamo notato 
nelle tombe e nelle nuraghe, ^ in America lo 
hanno alcune costruzioni messicane dell'antichità 
più remota. E che serve andar tanto lontani? 
Volgiamo gli occhi all'Oratorio di Falaride a Agri- 
gento e alle mura di Praeneste se vogliamo ve- 
dere archi acuti antichissimi. È vero che l'arco 
acuto dei monumenti citati in generale non è 
fatto a cunei come nei monumenti del medio evo, 
ma a monoliti orizzontali uno poggiato soi>ra 
l'altro. 

Notisi frattanto che l'arco acuto è più forte di 
tutti gli altri archi e ne ha minore la spinta. È 
noto che dati due archi dello stesso diametro e 
della medesima grossezza, l'uno a pieno centro, 
l'altro a sesto acuto, la spinta di questo sta alla 
spinta di quello come 3 a 7 ; ed è noto che basta 
dare all'arco acuto i 7* della grossezza e della 



> Vedi la prima parte deìV Architettura Italiana, 



Dell aremtettura a areh* aeutt, o3 

forza dei punti d'appoggio dell'arco a pieno centro 
corrispondente perchè l'arco acuto stia su. Ciò 
posto non si confonda la origine d'un elemento 
di un sistema architettonico con tutto il sistema. 
L'architettura non è questa o quella forma, ma 
un organismo che ha un carattere particolare. 
Se r arco acuto è antico quanto il mondo, il si- 
stema architettonico archiacuto ebbe origine in- 
vece sugli ultimi del dugento e principiò timida- 
mente e fini nel trecento, o poco più, qui da noi, 
mentre all'estero si mantenne di più; quando in 
Italia le forme classiche già si riusavano da tutti. 
Insomma la questione dell'origine dell'arco acuto 
è inutile, vana, di veruna importanza per scio- 
gliere l'origine dell'architettura archiacuta. 

Tali -questioni sulle origini degli stili si somi- 
gliano tutte. Vedemmo nella prima parte del 
nostro studio sull'Architettura italiana in che 
modo ingegnoso fu trovato il rapporto fra le 
capanne e l'ordine dorico, da certi scrittori ; non 
v' è dunque da meravigliarsi a sentire che anche 
l'architettura archiacuta fu vista nello foreste colle 
sue guglie appuntate, coi suoi pinnacoli leggiadri, 
colle sue agili colonne a fascio;... sicuro! nelle 
foreste del nord, in istato embrionale. Il dotto 
Warburton, ed altri dopo di lui, rimasero colpiti 
dalla rassomiglianza che esiste fra un viale di 
alberi in una foresta nordica ed una vasta cat- 
tedrale del XIV secolo : — il VSTarburton vide la 
cattedrale in un viale d'alberi con le sue navate, 
coi suoi filari di pilastri a fascio « i cai robusti 
rami protendonsi e spingonsi d'ogni parte, le cui 
costole si intrecciano con quelle che partono dai 



84 Capitolo ter%o. 



pilastri vicini, formando una serie di arcate che 
lasciano penetrare la luce da innumerevoli fori 
e vanno a terminare in una specie di baldacchino 
meraviglioso, imitando tutto il lusso della ve- 
getazione delle foglie, del flore e dei bottoni ». 
Tale spettacolo, vedeva il dotto Warburton, nei 
tronchi poderosi che sMnalzaDo a distanze eguali 
i cui rami si riuniscono a una certa altezza e 
coprono la via profumata e ridente. Altri autori 
ricordandosi che i più antichi sacerdoti del nord, 
i Druidi, adempivano i loro riti nei boschi, im- 
maginarono che le meravigliose costruzioni ar- 
chiacute non erano che dei fac-simile, giusta la 
espressione dell* Hope, ^ un pochino abÌ3elliti del- 
l' antiche foreste in cui i Druidi abbrucciavano 
le vittime umane nei canestri di vinco. Un altro 
autore più moderno considerò il sistema archi- 
acuto « la copia delle primitive costruzioni for- 
mate di tronchi, di rami e di polloni tagliati nelle 
foreste indi ripiantati, intrecciati, e, a cagione 
della linfa conservata da essi, o da essi tolta ai 
circostanti elementi, producenti nuovi germogli 
e nuove foglie ». 

Basta colle novelle. 

È naturale che un novo stile architettonico 
non possa sorgere da oggi a domani, ma sia la 
conseguenza di forme anteriori le quali a forza 
di mutamenti abbandonano la loro origine per 
presentarsi finalmente sotto un novo aspetto che 
non ha più il minimo ricordo della forma iniziale. 
On est toujours Venfant de quelqu'un dice il 



* storia dèU'Arehitetturetf pag. 237. 



Dell'architettura a archi acuti, 83 

balbuziente Bèrid d'Oison nel Mariage de Figaro. 
Dunque noi crediamo di vedere nell'architettura 
archiacuta la continuazione regolare, naturalis- 
sima dell'architettura che la precedette; della 
lombarda; ben inteso, subordinata alle esigenze 
di paesi e di usi. Per intenderci ci vogliono due 
esempi; uno dello stile lombardo, l'altro dello 
stile ad archi acuti. Prendiamo la Basilica di 
S. Ambrogio pel primo e il Duomo di Milano 
pel seconxlo. Queste due costruzioni che racchiu- 
dono tutto il lungo movimento stilistico dell' ar- 
I chitettura medioevale e apparentemente sono tanto 
I disparate, hanno punti di contatto cosi signifl- 
; canti da convincerci che Tarchitettura archiacuta 
' procede direttamente dalla basilica lombarda e 
in Italia non è stata importata nientaflfatto dal- 
l'estero. 

Ma perchè il confronto riescisse più chiaro ci 
vorrebbe un altro esempio che servisse di irait 
d'union fra il Duomo e il S. Ambrogio; ci vor- 
rebbe la cattedrale di Siena oppure il S. Martino 
di Lucca. Ecco dunque una campata del S. Mar- 
tino; una parte dell'interno del Duomo di Milano 
in prospettiva e una campata del S. Ambrogio (Y. 
pag. 44). L'intelligente sarà colpito subito dalla 
differenza sostanziale che e' è fra il S. Ambrogio 
e il Duomo di Milano. Nel primo domina il mo- 
vimento orizzontale nella sua gravità solenne, 
nel secondo la linea verticale slanciasi su ardita 
e si piega e si contorce allegramente in cento 
guise. Se rivolgiamo gli occhi sulla campata del 
S. Martino troviamo che le differenze notate vi 
si correggono tra di loro. Nella struttura del 



Capitolo ferzo. 



Duomo di Milano mancano i matronei o il ùri- 
forium che non manca in molte altre chiese ar- 
chiacute; nò manca al S. Martino dove le linee 




S. MartiQO, Lucca. (Moklivo delle campate esterne.) 



complessive del triforium per intonarsi colla to- 
talità dell'organismo costruttivo hanno sviluppo 
verticale ragguardevole, mentre nel S. Ambrogio 
hanno sviluppo orizzontale. Sul pilastro a fascio 
polis t'ile non e' è da osservare niente avve- 
gnaché ci sembri tanto chiara la parentela fra il 
pilastro del S. Ambrogio e quello del Duomo (si 



Dell' architettura a archi acuti. 



87 



intende nel movimento icnografico) che è inu- 
tile soffermarsi a spiegare il rapporto dei due pi- 
lastri. 




S. MartÌDO, Lacca. (Motivo dulie campate ioterno.) 

È necessario di far qui una osservazione sulle 
vòlte. 

Si ricordi che le vòlte dei Romani risultavano 
dalla penetrazione di due cilindri tagliati longi- 
tudinalmente i quali si incrociavano a angoli 
retti. Questo sistema di vòlte ha una spinta vi- 
gorosissima e deve la sua solidità allo spessore 
dei quattro corpi di muratura su cui si svolge 
e ^lla bontà della malta romana die delle vòUq 



88 Capitolo terzo. 



Iacea una massa omogenea. I Romani rafforzavano 
inoltre il sistema con archi raddoppiati composti 
di archi sporgenti più bassi del resto della vòlta 
e dei contraflforti in curva. I Romani non sogna- 
rono mal di costruire i cordoni diagonali lungo 
le curve della vòlta là ove questa è sospesa nel 
vuoto. Questo novo elemento tanto utile per la 
stabilità e la prontezza costruttiva delle vòlte è 
aflfatto medioevale. Gli architetti del medioevo 
che, dopo averlo trovato, ne capirono tutta la 
utilità, lo adoperarono sempre. La vòlta medio- 
evale si basa tutta sui cordonali diagonali che 
diventano la armatura del sistema. I quattro tri- 
angoli che risultano non hanno nessuna impor- 
tanza statica; sono come i quattro spicchi di una 
tenda comune; sicché i triangoli poterono essere 
coperti di un leggero strato di muratura. Questa 
meravigliosa ossatura che dimostra negli archi- 
tetti d'allora grande conoscenza delle operazioni 
statiche apportò l'utilità di non tenere di spes- 
sore eguale tutto il muro perimetrale della fab- 
brica. La spinta delle vòlte si esercitava solo là 
ove queste si impostano sui pilastri; quindi l'at- 
tenzione del costruttore doveva rivolgersi sulle 
parti sostenenti gli archi diagonali che sono le 
spine dorsali delle vòlte. Siccome però il peso 
veniva tutto a gravare i pilastri e la spinta obliqua 
che ricevevano era più forte del solito, perchè 
l'arco era acuto, così si riconobbe la necessità 
di mettere degli appoggi esterni i quali colla 
lor massa neutralizzavano la forza tendente a 
schiantare l'arco. — Questi contrafforti, che na- 
scono logicamente colla vòlta a costoloni, al- 



Deir architettura a archi acuti, 89 

l'esterno furono ornati con maggiore o minore 
ricchezza a seconda della importanza minore o 
maggiore della costruzione. Applicali nelle chiese 
oltre a ornarle di fuori servirono a far capire il 
numero delle campate in cui erano spartite dentro. 
Giacche, è ben notare ora per sempre, l'archi- 
tettura archiacuta è l'architettura logica per ec- 
cellenza. Come nel regno vegetale e animale non 
e' è fenomeno che non derivi da una necessità 
organica, così nell' architettura archiacuta alla 
istessa guisa che nell'ordine dorico italo-greco, 
la costruzione è innestata alla decorazione con 
una severità, con una logica da meravigliar tutti. 
Se dunque la solidità dei muri perimetrali non 
dipende che dai pilastri su cui spiccano le vòlte, 
segue pei muri quello che seguì per le vòlte; 
cioè i muri che congiungono pilastro a pilastro 
non hanno nessuna importanza statica e possono 
essere fatti con un sistema di muratura sbriga- 
tivo. Ecco l'origine dei flnestroni i quali si veg- 
gono lungo le navate delle chiese archiacute e 
nelle absidi e nei trànsette, e che troviamo di 
aspetto più umile nelle chiese lombarde, dove, 
come nelle archiacute, hanno dimensioni variate 
e derivano dalla ossatura della fabbrica. 
Ma riveniamo al nostro conhronto. 

All'esterno del S. Martino abbiamo le gallerie 
finte e i pilastroni di divisione che si vedono, 
non solo nel S.. Ambrogio , ma in moltissime 
chiese alla maniera lombarda tanto in Lombardia 
quanto in Toscana: a Piacenza, a Parma, a Pavia, 
a Pisa, a Pistoia, a Arezzo. Queste medesime gal- 



90 Capitolo terzo. 



lerie si trovano poi nello stile archiacuto, dap- 
pertutto, nelli interni e negli esterni; a Siena, a 
Orvieto, a Assisi; in qualsivoglia costruzione 
sacra d'architettura archiacuta. E l'inclinazione 
del tetto senza cornice orizzontale è pure comune . 
ai tre esempi di chiese che stiamo studiando ; e 
molte e molte altre particolarità vi sono comuni 
e potremo notarle se qui potessimo fare un 'ana- 
lisi minuta coir aiuto di molte vignette e senza 
oltrepassare i limiti propostici. 

Da ciò che abbiamo detto possiamo conchiu- 
dere che l'architettura archiacuta ha la sua ge- 
nesi nella lombarda? che le caratteristiche delie 
costruzioni del novo stile sono: 

a) il costante uso dell'arco acuto; 

b) la costruzione delle vòlte con la ossatura 
a costoloni diagonali, con pilastri e contrafforti 
i quali formano la divisione e la interruzione 
delle superflci dei muri; 

e) la tendenza d'ogni parte a spingersi insù 
e il conseguente trionfo della linea verticale sulla 
orizzontale. 

Della ostinata controversia circa la paternità 
di questa architettura archiacuta le nosti'e con- 
clusioni dicono cosa pensiamo. Non ci commo- 
vono punto i dotti slanci del signor Milner che 
a ogni costo vuole aver trovato in Inghilterra 
delle date ed una combinazione di forme spe- 
ciali le quali dimostrano che le stile archiacuto 
è d'origine inglese; non ci sgomenta nemmeno 
la erudizione del cav. Wiebeking di Monaco che 
attribuisce a san Bernward vescovo d' Hilde- 
sbeim la origine dello stile archiacuto; né ci 



Dell'architettura a archi acuti. 91 

rende perplessi un momento la logica stringente 
di VioUet-le-Duc, o la parola facile e colorita di 
Carlo Blanc ambedue convinti ohe lo stile a archi 
acuti si partì dal nord della Francia e si intro- 
dusse a poco a poco nelle "varie regioni d'Europa: 
— niuno dei citati che sono i capi valorosi di 
una legione di scrittori che hanno ripetuto il 
verbo dei Maestri, niuno ci ha persuaso che la 
controversia sull'origine dell'architettura archi- 
acuta non sia stata falsata. 

Qui non si tratta di fare dello chauviniame in 
materia d'arte; si tratta di cercare la verità. Noi 
dunque dividiamo così la quistione: — l'origine 
dello stile e il suo sviluppo. Da dove originò 
questo stile? — Dove ebbe il suo pieno sviluppo? 

Rispondiamo alla prima domanda. — Lo stile 
archiacuto ebbe origine in Italia e dall'Italia 
passò. all'Estero. Alla seconda domanda rispon- 
diamo. — Lo stile archiacuto considerato nel 
suo compiuto e coordinato sistema ebbe il pieno 
svolgimento in Germania più che in Francia, in 
Inghilterra e in Italia — anzi men che meno in 
Italia 'dove, questo stile non attecchì perchè non 
poteva attecchire. Diciamo brevemente da che 
sono motivate le nostre risposte. Sappiamo ormai 
in cosa consiste lo stile lombardo, sappiamo che 
passò in Inghilterra e in Francia per mezzo di 
architetti lombardi. Scrive a questo proposito il 
signor Corderò nella pregiata sua storia Dell'ar- 
ohiiettura italiana durante la dominazione lom- 
barda:,.. « San Guglielmo già abate di S. Be- 
nigno di Digione (piemontese di nascita) perso- 
naggio di alto ingegno, e, secondo le condizioni 



98 Capitolo terzo. 



di quei tempi, in ogni maniera di arte versatis- 
simo, passò in Francia in compagnia dei celebre 
abate Chequi san Majolo sul cadere del secolo X. 
Quivi (assistito da un drappello di artisti italiani 
nel primo anno dopo il mille, gettò a Digione le 
fondamenta del nuovo tempio del Monastero di 
S. Benigno, ed egli stesso ne fu F architetto: 
quella gran fabbrica nella quale collocò trecento- 
sessanta colonne fatte venire da ogni parte fu 
riputata in quel tempo la fabbrica più magnifica 
delle Gallio ed a niun altra simile per la disposi- 
zione della sua architettura... nò era pur anco 
terminata quando l'abate Guglielmo fu chiamato 
dal duca di Normandia Riccardo II verso il 1010 
non solo per operare la riforma di quei mona- 
steri e a fondarne dei nuovi, ma ancora a diri- 
gere egli stesso le fabbriche. Nel corso di venti 
anni che vi dimorò attese al pubblico insegna- 
mento, vi fondò da quaranta monasteri e ri- 
staurò gli antichi. In tutte queste opere — pro- 
segue il cav. Corderò di S. Quintino — ebbe a 
compagni un buon numero di monaci italiani, 
ecc., ecc. > Si noti che anteriormente ali* epoc« 
citata la Normandia era paese tanto barbaro che 
Io stesso Guglielmo invitatovi innanzi al 1010 
rifiutò di recarvisi accennando alle barbarie in 
cui si trovava il paese. Il racconto del cav. Cor- 
derò è accettato da tutti. Ora se ne risulta che 
Tarchitettura lombarda passate le Alpi si piantò 
ih Normandia penetrò in Inghilterra, e poscia si 
diffuse sul Reno e per tutta la Germania col 
mezzo dei monaci soli architettori di quei giorni, 
nel racconto suddetto e' è la ragione che ci U 



Dell arcmtettura a archi acuti. 93 

rivendicare all' Italia 1' origine dell' architettura 
archiacuta. 

La ragione che spiega la seconda risposta sta 
nel fatto da tutti riconosciuto che i celebri edi- 
flzi in istile archiacuto sono in Germania: tali le 
cattedrali di Colonia, di Strasburgo, di Dima, di 
Ratisbona; i campanili di Colonia, di Friburgo, 
di Francoforte, d'Ulma, di Malines, di Vienna, i 
palazzi comunali di Norimberga, della Borsa di 
Magonza (demolito nel 1812) e molti altri palazzi 
e case private. 

E è qui, in Germania, in Francia, e anche nel- 
l'Inghilterra dove l'organismo ad archi acuti si 
svolge compiutamente; dove la delicatezza delle 
particolarità segna il suo più alto grado di svi- 
luppo. 

Di mano a mano che questa architettura si 
sviluppa acquista agilità e sforza quell'impronta 
di gentilezza la quale sta nel suo carattere. Nel 
XIV e XV secolo, a Strasburgo, a Norimberga, 
a Brou pare rinunci alle leggi della statica per 
abbandonarsi tutta alle fioriture. I muri sono 
tutti forati da finestroni: manca l'appoggio; se 
non ci fossero i contrafforti guai ! la costruzione 
crollerebbe. La cattedrale di Strasburgo formico- 
lante di ornati e statue fa l'impressione di un 
ricco lavoro in oreficeria degno di esser posto 
sotto una campana di cristallo per paura che il 
fiato lo sciupi. 

Insomma non crediamo con V Hope * che 1' ar- 
chitettura archiacuta sia venuta in Italia dalla 



1 Op. cit. pag. da 268 a 273. 



94 Capitolo terno. 



Germania; crediamo bensì che dalla Germania e 
dalla Francia si sia inoltrata e diflfusa in Inghil- 
terra ove acquistò un carattere nazionale qual- 
che tempo dopo che lo conseguì in Germania e 
in Francia. Difatti la S. Cappella a Parigi con- 
sacrata verso la metà del XIII secolo, sfoggia 
tutta Taerea leggerezza, tutti gli incantesimi del- 
l'architettura archiacuta in un'epoca in cui l'In- 
ghilterra appena mostra di avere abbandonato 
la vecchia e pesante architettura che precedette 
immediatamente quella a archi acuti: la catte- 
drale di Salisbury consacrata nel 12S8 informi. * 
In Italia se si eccettuano le cattedrali di Milano 
e di Assisi, non abbiamo monumenti da poter 
dire che Tarchitettura archiacuta ivi ebbe il bxxo 
compiuto sviluppo. Ora: — com' è possibile af- 
fermare che l'architettura archiacuta italiana de- 
riva da quella della Germania quando ì pochi 
monumenti italiani di questo stile, hanno una 



^ Con buona pace degli Inglesi continuatori della teoria 
milneriana bisogna proprio dire che T Inghilterra non presenta 
veruna forma archiacuta della quale non se ne trovi in con- 
tinente un tipo più antico; mentre molte delle nuove forme 
nate in Italia, Germania, Francia e Paesi Bassi non si vedono 
mai sul suolo della Gran Brettagna. L' Inghilterra non ha una 
cattedrale che si approssima alla vastità di quelle di Milano, 
di Colonia, di Parigi, di Anversa, nulla di paragonabile, offre 
r Inghilterra, ai campanili di Utrecht, di Anversa, di Malines, 
di Ulma, di Friburgo, di Vienna, nulla di fino e leggiadro che 
possa ricordare i particolari delle costruzioni di Beauvais, di 
Colonia, di Aquisgrana, di Reims, di Bordeaux. Solo la cat- 
tedrale di York ricorda il finimento dei cori di Milano, di 
Beauvais, di Colonia, di Aquisgrana. 



jjtib arvmwuura a arem acuii. yo 

fisoDomìa nazionale stranamente lontana dalla fi- 
sonomia dei monumenti tedeschi? 

Il clima mite dell'Italia si ribellava al sistema 
architettonico archiacuto che imponeva i tetti 
acGuminati, le piramidi lunghe, aguzze dapper- 
tutto, gli archi arrampicanti, i poderosi contraf- 
forti per assicurare i monumenti dalle nevi che 
su nel settentrione cadono molto più frequenti e 
insistenti che da noi. Questo stile non prosperò 
in Italia forse perchè gU Italiani abituati al vecchio 
sistema lombardo non vollero abbandonarlo per 
un altro che non valeva il vecchio; (secondo loro) 
forse perchè si avvivò troppo presto in Italia 
l'amore dell'antichità classiche onde lo sviluppo 
dell'architettura archiacuta venne come stroz- 
zato dal ritorno all' arte latina che è, come chi 
dicesse, il nostro albero genealogico-estetico. 

Non ha torto perciò, il Viollet-le-Duc a rilevare 
che lo studio deirarchitettura medioeva in Italia 
non può dare che biografie e non una storia e per 
conseguenza un insegnamento.^ 

Insomma l'architettura a archiacuti rappresenta 
un novo e solenne trionfo della scienza contro 
la tradizione. I suoi monumenti la cui struttura 
è basata su princfpi interamente novi, sono la 
espressione energica del lavoro libero e indipen- 
dente da ogni vecchia convenzione, sono la pro- 
testa più vivace contro le leggi del passato. 

L'architettura archiacuta anche nell'ornamenta- 
zione si scosta dai fogliami fantastici di tutto Ip 



» Mnt» sur VArch. — Sixihne entrei., pag. 241. 



96 Capitolo terzo. 



stile romanzo e vi sostituisce i fogliami imitati dalla 
natura tal quali li produce, tìli ornamenti vegetali 
sono per lo più foglie di cardo, di édera, di vite, 
di rosa, di quercia, di acero, di prezzemolo, di car- 
done e s'incastrano nelle modanature che in 
questo stile si contorgono, si affondano, si ani- 
mano di scuri forti; specie nel nord dove, il sole 
non essendo vivace come da noi, è necessario 
dar risalti notevoli a tutto, per ottenere effetti 
di luce brillanti. Non e' è architettura la quale 
come l'archiacuta si sia adornata di una flora 
ricca, varia e meno convenzionale. 

L'architettura a archi acuti non è inferiore alla 
greca nell'ordinare la sua ornamentazione: — lo 
scultore e l'architetto lavorano assieme; li move 
una sola ispirazione. Nell'arcoacuto la decorazione 
non è elemento di sola bellezza ficcato là a caso 
frammezzo le linee architettoniche; ma conse- 
guenza necessaria all'organismo per completarsi. 
Esempio: l'architetto alza il frontone a angolo 
acuto in cima alla sua fabbrica; questo frontone 
coi suoi spigoli taglienti stacca duramente sul 
cielo. Cosa fa l'architetto per rimediar a questo 
brutto effetto? Lungo gli spigoli fa arrampieare 
delle foglie accartocciate (gattoni) equidistanti, 
che oltre a ingentilire la massa del frontone, ac- 
cordandolo viepiù cogli effetti minuti delle altre 
parti della fabbrica, tagliuzzano lo spigolo retto. 
Queste foglie che poi si ritrovano su i baldac- 
chini dei tabernacoli e sui frontoni delle porte 
sono veramente di effetto eccellente e pare si 
rincorrano mantenendo sempre la stessa distanza 
fino a che giunte sulla vetta della piramide o 



DelV architettura a archi acuti. 



97 



della cuspide si immedesimano e dan luogo al 
fiore crociforme che pare immaginato apposta 
per coronare le parti più vistose di una chiesa 
cristiana. A questa ornamentazione nervosa e ab- 




Foglìa arrampicante. 

bendante bisogna aggiungere tutta T altra che 
deriva dalla rappresentazione di animali fanta- 
stici che fanno ora da mensola a qualche bella 
statua di santo ora fanno da grondaia sur un an- 
golo, ecc. ecc. 
Suir ornamentazione dell' architettura archia- 

A. Mblani. 7 



98 



Capitolo terzo. 



cuta sarebbe utile e curioso uno studio diligente. 
La conchiusione sarebbe che la logica rigorosa 
dell'ossatura delle fabbriche a archi acuti si ri- 




Fiore orociforme. 



trova nella loro ornamentazione. È proprio cosa 
stranissima che fra le tenebre del medio evo 
debba essere sorta un'architettura come questa 
•la quale rammenta la grazia geniale e la rigoro- 
sità statica dell'arte italo-greca. 



Dell' architettura a archi acuti, 99 

I grandi flaestroni deirarchitettura archiacuta 
divisi in due o più parti da leggiere colonne o 
liscie a spirale con galanti archetti traforati, 
furono abbelliti da immagini di Cristo e della 
Madonna, o dà istorie di santi e di profeti con 
splendore insuperato di vetri a colori vivaci. 
L'effetto delle invetriate a colori è sorprendente. 
La loro luce variopinta esercita sull'animo del 
cristiano un'impressione dolcissima. L'interno 
delle chiese freddo e lugubre si ravviva colla 
luce trasformata con splendori d'ametista di to- 
pazio e di smeraldo dalle finestre storiate, lun- 
ghe, bizzarre, ardite. 

Fra mezzo a tanta festività di colorazione le altre 
parti del tempio erano mute. Perciò si pensò di 
colorire anch'esse con tinte vivaci: — in Francia 
specialmente si fece molto uso della pittura po- 
licromica. A Parigi, alla Santa Cappella abbiamo 
un esempio splendido della decorazione policro- 
mica nelle chiese a archi acuti. Quivi la colora- 
zione è molto chiara perchè la Cappella venne 
restaurata, non molti anni fa, dal Duban, dal Las- 
sus, dal VioUet-le-Duc e da Boeswillwald. Tutto 
vi è colorito; le vòlte, i pilastri tutto ispira là 
dentro la gaiezza del giorno. In Italia ci si limitò 
a colorire le vòlte molto sovente a fondo blu e 
stelle, quasi a simboleggiare il cielo stellato; e 
come nello stile anteriore si dipinsero delle storio 
del Cristianesimo qua e là. 



100 Capitolo terzo. 



COSTRUZIONI RELIGIOSE. 

Fino dair epoca di GostantiDO nella Basilica 
cristiana si introdusse una modificazione radicale 
alla nave longitudinale si aggiunse una nave tra- 
versa per modo che la pianta della chiesa ebbe 
la imagine della croce. Nello stile archiacuto 
questa nave traversa acquistò un'importanza stra- 
ordinaria; alle due estremità ebbe le absidi come 
la nave longitudinale: talvolta, come nel Duomo 
di Firenze, si arricchì di cappelle, e come nel 
Duomo di Pisa all'incrociarsi coll'altra nave svi- 
luppò un altro corpo d'aggetto che sovente venne 
destinato alla sacrestia. La chiesa archiacuta si 
distinse poi dalla lombarda nella disposizione dei 
pilastri. La campata formata di quadrati (come 
nello stile romanzo) fu abbandonata dall' arte a 
archi acuti dove \ pilastri furono avvicinati tra 
loro, e i campi delle vòlte nella nave di mezzo 
formarono dei rettangoli in cui la parte più larga 
stabili la nave di mezzo e ogni pilastro portò 
la vòlta anche di questa nave. Non si costrui- 
rono più le cripte, epperò non si vide il no- 
tevole rialzamento della solca, che tutt' al più fu 
alta più del pavimento delle navate di due o tre 
scalini. Le absidi spesso abbandonarono il movi- 
mento circolare e pigliarono il poligonale. Talune 
volte come ai Frari a Venezia girò torno torno 
al perimetro del coro una corsia formata dalla 
continuazione delle ali della nave; e sviluppò 



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Dell' architettura a archi acuti. 101 

uua serie di cappelle costrutte tra i contrafforti 
dell'abside. * 

Citeremo qualche esempio. 

Il Duomo di Milano cominciato nel 1386. ' È 
un fatto che l'aspetto delle eostruzioni archiacute 
esistenti in Italia è diverso dall'aspetto del Duomo 
di Milano che ricorda certi oggetti di oreficeria 
chiesastica anco italiani imaginati da grandissimi 
artisti. 

Si è bisticchiato tanto sul carattere di questo 
Duomo: si è detto francese, tedesco o... ostro- 
goto. Per noi il suo carattere è 8uo perchè non 
è di alcun altro monumento; che l'arte oltramon- 
tana l'abbia sfiorato è fuor di dubbio, ma ciò non 
autorizza alcuno a affermare che il Duomo di 
Milano è tedesco piuttosto che francese, è turco 
piuttosto che assabbeso. L' impressione che si ri- 
ceve vedendolo, è certo della più gran meraviglia. 



* Un esempio considerevole di questo motivo icnografico 
lo porge la Cattedrale di Colonia. Di chiese le cui absidi 
sono ornate di cappelle n'abbiamo varie anche noi. Ricor- 
diamo il S. Benedetto di Polirone, presso Mantova eretto da 
Giulio Romano su pianta basilicale e con abside pentilobata, 
e il S. Antonio di Padova. 

* Questa data secondo alcuni non è certa; Antonio Ceruti 
pone il principio del Duomo tra il 12 maggio e 12 ottobre 
del 1386; il 12 maggio 1386 il pio arcivescovo Antonio da 
Saluzzo emanò una bolla riguardante il Duomo ed il 12 ot- 
tobre 1386 Gian Galeazzo Visconti concede la facoltà di que- 
stuare nel contado di Milano per provvedere alle spese dell' in- 
nalzamento del Duomo. Ricerche recenti affermano che verso 
il 12 di ottobre 1386 la fabbrica era già stata incominciata 
(Gfr. Perseveranza 12 maggio 1886). 



102 Capitolo terzo. 



Se ne deve la fondazione al Duca Gian Galeazzo 
Visconti (lS47ti402). Il Gantù però intese a di- 
mostrare che la tradizione attribuisce a Gian 
Galeazzo la fondazione del Duomo ma colla stessa 
autorità con cui ne fa architetto Enrico Arler di 
Gmttnd chiamato qui Enrico Gamodia. ^ 

Il decano degli storici italiani dice che la fon- 
dazione del Duomo milanese è dovuta alla devo- 
zione del popolo, eorda fidelium. Che il popolo 
e' entri è certo. 11 Duomo di Milano fu proposito 
principesco imaginato col genio e messo a effetto 
col denaro del popolo. Il Duca ordinò, ir popolo 
fece. Le questue, le eredità abbondanti, la carità 
cittadina, seguiva l'elevarsi della stupenda mole 
che col concorso di tante menti veniva sa fin 
quasi dal principio con alacrità. Ma dopo per 
dubbi insorti, diminuito il primo entusiasmo, in- 
cominciò una serie di questioni rinascenti a ogni 
poco, che dovevano spesso interrompere il pro- 
seguimento dei lavori e turbare la concordia fra 
gli artefici. 

E gli architetti chi furono? 

Questione spinosa. Se si considera il monu- 
mento nel suo assieme compiuto, gli architetti 
che debbono avervi cooperato furono moltissimi; 
ma qui si tratterebbe di sapere chi primo ima- 
gioò il modello. Alcuni vorrebbero attribuir la 
gloria a uno dei maestri Gampionesi, ultima nume- 
rosa schiera dell'illustre coorte comacina, Marco 



» Gfr. G. Gantù, Le origini del Duomo di Milano. Giornale 
la Perseveranza 22 novembre 1885 e il nostro articolo su tal 
soggetto nel Courrier de VAri. Paris, 1 gennaio 1886. 



\ 




-.i^_ ^:^ 



S, Maria ad 




Santa Maria del Fiore e 




suo Campanile, Firenze. 



DelV architettura a archi acuti. 103 

Jacopo Simone da Orsenigo; chi ai Tedeschi 
ad Enrico Arler di Gmand; chi a uno scultore e 
architetto fiorito un secol dopo la fondazione del 
Duomo, rOmodeo; chi allcT stesso Duca Gian Ga- 
leazzo. Ma il merito vero pare che vada a un 
architetto ducale, a Andrea degli Organi da Mo- 
dena che fu il preferito dal Duca sebbene i mi- 
lanesi raccomandassero artisti «di Bruges e del 
Reno.* È notevole che in seguito si trovi preposto 
alla fabbrica e raccomandato dal Duca stesso il 
figliolo di detto Andrea, Filippo degli Organi 
(tl450) a cui si deve il finimento del Duomo e 
la gran rosa viscontea, essendone stato a capo 
dal 1400 al 1448.' Si trovano poi a lavorare in 
quest' opera colossale naturalmente vari altri ar- 



^ Il eh. ìng. Cesa Bianchi architetto del Duomo di Milano 
crede che quest'Andrea degli Organi possa essere nientemeno 
che il fiorentino Andrea di Gione Orcagna. L'idea è audacis- 
sima perchè contro di sé ha anche le ultime investigazioni 
fatte dagli annotatori del Vasari sulla vita dell'autore del ta- 
bernacolo dell' Or San Michele. Basta vedremo. 

■ Questo Filippino degli Organi da Modena che per mezzo 
secolo esercitò un' influenza capitaHssima sui lavori del Duomo 
ebbe per successore Giorgio degli Organi suo figliuolo ad 
istanza della nuova duchessa figlia di Filippo Maria. L' ap* 
poggio larghissimo che Filippino ha in tutti, può derivare in 
parte anche dai meriti del suo genitore a cui si vuole attri- 
buire il primo tracciato del Duomo. Il succedersi di padre in 
figlio può essere un argomento in favore di questa opinione. 
Dopo Filippino da Modena tengono il maggior posto nei la- 
vori del Duomo i Solari durante il quindicesimo secolo. Dal 
1490 in là r architetto più interessante del Duomo diviene 
Giovanni Antonio Omodeo. 



i04 ùapiloto terto» 



tisti nazionali e anóo foi*estieri, ma il Fernach, 
Marco de Frixono, il De Bonaventuris, il Mignot, 
Giovanni dei Grassi (Giovanni da Milano?) Gia- 
como e Alberto da Campione sono stati mezzi 
diretti al compimento del gran monumento che 
sbocciò intero e uno dalla mente di Andrea degli 
Organi. —- Così pensa il nostro amico architetto 
dei lavori del Duomo signor Cesa Bianchi il quale 
ha fatto delle ricerche che desidereremmo veder 
pubblicate. 

Che nel Duomo di* Milano ci sia influenza fo^ 
restiera è innegabile; il difficile sta nel convenire 
la misura di questa influenza perchè alcuni vo- 
glion vedervola grandissima altri limitatissima. A 
artisti nazionali — si ridica pure — si veggono 
spesso immischiati artisti forestieri; e i nomi di 
Niccola di Bonaventuris, di Giovanni di Fernach, 
di Giovanni di Friburgo, di Ulrico di Ensìngen, 
di Enrico Gamodia, di Giovanni Mignot che fu 
l'ultimo degli architetti esteri di qualche merito 
qui discesi (ott. 1399) ci capitano sott' occhio 
scartabellando gli Annali * clie si riferiscono alla 
fabbrica ove lavorarono anche scarpellini e ma- 
novali di oltremonte insieme a artefici nazionaU. 

Anche il S. Francesco d'Assisi è un monu- 
mente d'aspetto diverso da quello comune delle 
costruzioni archiacute nazionali. È fama che un 
frate Elia, concittadino e amico di S. Francesco 



1 È un'interessantissima pubblicazione degna del monu- 
mento insigne che illustra. Annali della Fabbrica del Duomo 
di Milano dall' origine fino al presente, pubblicati a cura della 
sua amministrazione dal volume V al IX, 1877-1885. 



Dell* architettura a arehi acuti. 105 

impetrasse da Federigo II un valente architetto 
per costruire questa famosa basilica; architetto 
che il Vasari disse tedesco e che altri più vero- 
similmente crede lombardo. A questo architetto 
di nome Lapo successe nel governo dei lavori 
il discepol suo frate Filippo da Campello a cui 
l'anno 1253 papa Innocenzo IV indirizzò una let- 
tera in forma di Breve comandandogli di porre 
r ultima mano alla fabbrica alla quale era pre- 
posto. Sappiamo che la prima pietra del S. Fran- 
cesco fu collocata nel 1228 e che i lavori furono 
spinti innanzi con tanta alacrità e furono tante 
e copiose le offerte per la costruzione della nuova 
chiesa che in capo a pochissimo tempo vi potè 
essere traslatato il corpo del Santo deposto nel- 
l'oratorio suburbano di S. Giorgio. 

La basilica composta di due chiese soprapposte 
e della cripta è un trionfo dell'arte a archi acuti, 
è un' opera splendida che contrasta coli' umiltà 
dell'uomo che Dante chiamò serafico in ardore 
alla cui gloria venne eretta. E non va conside- 
rata soltanto nelle sue linee architettoniche agili 
flessuose come steli di fiori, ma va anche apprez- 
zata come monumento inalzato alla gloria del- 
l' arte pittorica nazionale, perchè S. Francesco è 
stato la sorgente di quella sublime arte italo-cri- 
stiana che dalle creazioni di Cimabue traverso 
alle maestose composizioni di Giotto salì di per- 
fezione in perfezione sino alle pitture della stanza 
della Segnatura eseguite da Raffaello in Vaticano. 

Monumento archiacuto originalissimo e total- 
mente italiano nell'ispirazione e nelle forme è il 
Duomo di Firenze o S. Maria del Fiore che si 



106 Capitolo temo. 



voglia dire. Nel 1296 ne furono principiati i la- 
vori sotto la direzione di Arnolfo di Cambio, e 
da quell'anno si cominciò a fabbricare più o meno 
straccamente via via modificando e ampliando il 
concetto primitivo. Nel Duomo di Firenze tale è 
ora, di Arnolfo non vi è che lo zoccolo da basso 
con le sue modanature e uno spazio di sopra a 
rettangoli circondati da fasce nere; spazio che 
oggi, dopo le modificazioni introdotte più tardi 
nel basamento dell'edificio viene a costituire il 
dado del basamento medesimo. 

La tradizione attribuisce l'erezione di S. Maria 
del Fiore tutta quanta a Arnolfo; perchè Fran- 
cesco Talenti, Neri di Fioravante, Benci di Giono, 
Giovanni di Lapo Qhini, Simone di Francesco 
Talenti che ne sono i costruttori^ sono artisti 
richiamati in vita da pochi anni; artisti la cui 
gloria si riversava per intero sopra lo stesso 
Arnolfo di Cambio, Taddeo Qaddi, Andrea Or- 
cagna ai quali certamente ne rimane abbastanza 
in proprietà legittima da poter restituire, senza 
danno, la parto spettante ai diseredati. I novi 
studi hanno dimostrato dunque che quel mo- 
numento non è escito dalla mente di un artista 
solo, ma è l'opera collettiva di artisti, artefici, 
claustrali e cittadini che vi concorsero col lavoro 
e col consiglio. Lo stile del Duomo di Firenze, 
dicevamo, ha un carattere a so : si fonda sur 
un sistema policromo d'indole decorativa, sur 
una tendenza immanente airorizzontalismo, sulla 
forma tabernacolare e indipendente delle porte e 
delle finestre e sul coronamento finale per mezzo 
di anditi imbeccatellati con parapetti a traforo. 



DelV architettura a archi acuti. 107 

In quésti particolari sta il carattere delio stile 
del Duomo di Firenze y. a d. lo stile archi tet- 
tonico florentino per eccellenza e più che a ogni 
altro devesi a quel Francesco Talenti che di 
giorno in giorno acquista autorità. La parte più 
iasione dell' esterno del Duomo fiorentino è la 
cupola attribuita in tutto e per tutto al Brunel- 
leschi mentre pare veramente che il merito del 
bravo architetto fiorentino non istia nelF inven- 
zione della cupola, come sì è creduto fin qui, ma 
nella sua costruzione. * Certo è che la cupola 
del Duomo di Firenze è il primo esempio delle 
grandi cupole moderne e anche oggi ad onta di 
tante e si meravigliose che he furono edificate 
rimane la più considerevole. 

S. Maria del Fiore è addirittura mancante della 
fioritura di aguglie aguzze, di statue, di pinacoli 
che caratterizzano l'archiacuto oltramontano. Nel- 
r esterno la linea architettonica è forse un po' 
troppo nascosta dalla decorazione policromica; 
nell'interno invece domina la linea architettonica. 

Una delle prodigiose opere della Toscana, è il 
Campanile che sorge al lato di S. Maria del Fiore 
e che si cominciò a murare nel 1334 su disegno 
di Giotto (1266? 1 1337). Badisi, però: cominciare 
non vuol dir finire perchè si ha molte ragioni 
di credere che il Campanile come lo aveva di- 



* Gfr. Nardini-Despotti-Mospignotti, Filippo di Ser Sruneh 
lesco e la Cupola del Duomo di Firenze. Studi. Livorno, 1885. 
Vedi un riassunto di questo pregiato lavoro nella Domenica 
del Fracassa, pubblicato da noi, perchè il libro ebbe una ti- 
ratura poverissima. 



108 



Capitolo terzo. 




>. Maria del Fiore, Fireoie, 



Dell'architettura a archi acuti. 109 

segnato Giotto era diverso da quello che si vede 
ora ove è manifesta la cooperazione di Andrea 
Pisano e di Francesco Talenti. * Questa gran torre 
che Carlo V reputava degna di essere posta sotto 
una campana di cristallo, è esempio splendido 
delia maniera archiacuta toscana pervenuta al 
suo sviluppo maggiore. La torre di Firenze se è 
meno fantastica delle torri archiacute del nord, 
per esempio, delle torri di Friburgo, di Colonia, 
di Francoforte, di Ulma ne è più solenne nella 
sua massa parallelipipeda ragionevolmente slan- 
ciata e ornata di formelle e di statue senza ri- 
salti soverchi. 

A Firenze vi sono altre chiese notevoli in istile 
archiacuto : S. Croce iraaginata da Arnolfo di 
Cambio (?) (XIII sec.) e S. Maria Novella innal- 
zata da due domenicani fra Sisto (f 1289) e fra 
Ristoro (t 1283) aiutati dei confratelli, però in 
qualità di muratori e scarpellini. * La chiesa di S. 
Maria Novella è più allegra della prima nei pi- 
lastri slanciati, nell'aspetto totale dell' interno. 
Al solito in S. Maria Novella e in S. Croce non 
vi sono ornamenti sottili; l'effetto è ottenuto dalle 



* Cfr. Nardini-Despotti-Mospignotti, U Campanile di 8. Ma- 
ria del Fiore, Studi. Torino, 1885. L'autore riconosce il di- 
ségno originale del Campanile imaginato da Giotto in una 
pergamena che trovasi a Siena eseguita vivente Giotto tra il 
1334 e il 1336. Ci siamo procurati la fotografia della perga- 
mena e siamo d'accordo col signor architetto Nardini-Despotti- 
Mospìgnotti. 

• Cfr. Memoria dei più insigni pittori, scultori e architetti 
domenicani, ecc., ecc., del P. L. Vincenzo Marchese. Voi. I, 
pag. 53. Firenze, 1845. 



Ilo 



Capitolo terno. 



proporzioni agili e dalla dolce incurvatura delle 
arcato. Lo stesso dicasi del S. Petronio a Bologna 











S. Petronio, Bolog-.a, 



chiesa vastissima principiata nel 1390 su modello 
di Antonio del fu Vincenzo (Antonio Vincenzi) 
assistito da Andrea Manfredi faentino generale 



BeìV architettura a archi acuti. 



IH 



dei Serviti e incompiuta.* Anche l'interno della 




S. Petronio, Bologna. (Motivo delie campato interne.) 



* Neil' archivio di S. Petronio a Bologna esiste un modello 
in legno rappresentante la chiesa quale sarebbe compiuta colla 
cupola sull' incontro dei bracci della croce e due torri alla 
fine di ciascun braccio. Fu eseguito da Arduino Arriguzzi nel 
1514 come lo prova il Guidicini. L'Algarotti {Opere^ T. VI, pa- 
gina 232) tratto in inganno dal secentista Giambattista Natali 
pensò erroneamente che il modello fosse antico e Tommaso 
Temanza {Vita di A. Palladio^ pag. 57) lo riferì, con sbaglio 
accertato, a un tal Arduino scultore veneziano fiorito verso 
il 1340. Il marchese Amico Ricci ridando il progetto di S.Pe- 
tronio ai veri autori confuse Arduino con Arnolfo di Lapo 
(Op. cit, pag. 286). Gfr. Corrado Ricci, Basilica di S. Petronio 
in Bologna. Cenno storico in Italia, A. Ili, 1885, n." 11 e 12, 
pag. 167 e segg. 



112 Capitolo temo. 

Certosa di Pavia, bisogna citare in questa nota 
breve dei monumenti italici archiacuti. Così pure 
sono da nominarsi, fra i monumenti insigni, le 
chiese dei Santi Giovanni e Paolo (1390-1430) 
forse di fra Benvenuto dalla Cella, dei Servi (1318- 
1491), di S. Maria dell'Orto, di S. Stefano e dei 
Frari a Venezia (cornine, nel 1280). La chiesa 
dei Frari, che è una delle più leggiadre di Ve- 
nezia, si vuole eretta su disegni dell'insigne 
restauratore della scoltura italiana, Nicola Pisano. 
Questa asserzione è fondata su un passo del Va- 
sari, nella vita di Nicola Pisano, secondo noi 
male inteso, dove il biografo aretino accenna al 
fatto che Nicola dette il disegno della chiesa del 
Santo di Padova e dalla magnificenza di questa 
trae motivo per dire che « il Santo di Padova e 
la chiesa dei Frati Minori a Venezia sono fab- 
briche amendue magnifiche ed onorate ». Anche 
quando l'Aretino avesse decisamente affermato 
che le due chiese furono disegnate dal Pisano 
v' era da dubitare sulla veracità delle sue parole 
notando la differenza essenziale del tipo architet- 
tonico fra l'una e l'altra. Ma è inutile insistere: 
ormai è dimostrato che Nicola Pisano non ha dato 
il disegno per i Frari di Venezia né per il Santo 
di Padova cosi come è stato dimostrato che Taddeo 
Graddi non architettò V Orsanmichele di Firenze 
di cui parleremo e l'Orcagna non dette i disegni 
della loggia notissima. Qualunque sia l'architetto 
dei Frari il valore architettonico del tempio non 
varia; e resta sempre splendido l'abside esterno 
poligonale con le finestre archiacute slanciate e 
lavorate nell'interno con formelle geometriche, 




Orvieto. 




Duomi? 




ii Siena. 



JJelP architettura a archi acuti. 



113 



cou colonnette agilissime di fattura squisita. À 
Verona sono ragguardevoli le chiese di S. Fermo 
Maggiore (restaurata nel 1313J, di S. Eufemìa, 




Pianta del Daomo di Siena. 

del Duomo, di S. Anastasia (principiato nel 1281)) 
a Vicenza il S. Lorenzo eretto nel 1280. Spin- 
gendoci in giù troviamo a Orvieto il Duomo fa- 
moso la cui facciata (1310) dovuta ad un artista 

A. Milani. . 8 



114 Capitolo ierió. 



senese Lorenzo Maitani (h. Ì24Q tìv. n. 1310) ha 
impronta si schiettamente italiana, nel corona- 
mento a tre cuspidi, che volemmo riprodotta aé- 
canto a quella del Duomo di Siena di cui è so- 
rella germana. Il coronamento tricuspidale mentre 
apparisce all'esterno come un ornamento perchè 
non ha relazione con la costruzione, per l'interno 
del monumento di cui rappresenta la struttura 
schematica, è la vera e propria linea organica. 
Le cuspidi coronanti tre campate a questa maniera 
non si trovano che in Italia nei monumenti citati; 
perciò sono una forma puramente sacra. Le due 
facciate hanno altri punti di somiglianza. L'in- 
sieme però è più magistralmente condotto in 
quella d'Orvieto: in quella di Siena è slegato. 1 
pilastri a Siena sono poggiati in falso e le orna- 
mentazioni troppo abbondanti e minute; a Or- 
vieto i pilastri sono più massicci, meglio distri- 
buiti e le scolture sono spartite con maggioro 
parsimonia. La facciata d'Orvieto insomma con- 
tenta di più l'occhio. 

Spingendosi fino in Sicilia incontriamo a Mes- 
sina la Cattedrale e altre costruzioni religiose 
con l'arco acuto ma con la ossatura arabo-bi- 
santina. 



COSTRtJZlONI HILITÀRI E CIVILt 

I Castelli e i Palazzi pubblio! e privati. -» Noq 

BÌ può rivòlgere la mente alle costruzioni feudali 
di questi tempi senza pensare al Piemonte. 11 
Piemonte che fra le regioni d'Italia fu quella ohe 



DelF architettura a archi acuti. il5 

ìnanténne di più le forme archiacute vanta mei-» 
tissimi e notevoli monumenti del XV secolo dei 
quali è pressoché ignorata l'esistenza sì per la 
lor giacitura si per le successive condizioni sto* 
riche del paese. Il carattere generale dell'arte 
piemontese del XV secolo è archiacuto ed è clas- 
sico neir altre regioni d' Italia. La vita feudale 
prevalente ih guest' epoca nelle Provincie pie- 
montesi disseminava le dimore delle grandi fa- 
miglie nei piccoli villaggi delia piana o su pei 
greppi delle vallate alpine.. Ecco come si trovano 
nella Valle d'Aosta, del Ganavese, del Saluzzese, 
del Monferrato, delle Langhe, pregevolissime co- 
struzioni feudali su alcune delle quali vogliamo 
fermarci un pò* a discorrere. 

Da Ivrea al villaggio di Entrèves rannicchiato 
come di freddo ai piedi del Monte Bianco, si fa 
dinanzi a noi un numero considerevole di ròcche, 
di castelli, di torri. Chi non conosce i castelli di 
S. Martino, di Ghallant, d'Ussel, di Ghàtel-Àrgent, 
di Montjonet, di Ghatelard? 

Fra i molti castelli della Valle d'Aosta del 
XV secolo due giunsero a noi inalterati: quelli 
di Fenis e d'Issogne già appartenenti ai signori 
Di Ghallant a cui furono legato per molto tempo 
le vicende di questa vaga e originale regione 
d'Italia. 

A Issogne ora la casa palpita e vive dai tetti 
atla terra in ogni sua parte minuta e riposta. Il 
cortile, l'atrio, la scala, la cucina, la dispensa, le 
stanze signorili, le stanze d'abitazione comune, 
Toratorio, la sacrestia raccontano la vita intima, 
feudale, più che non potrebbero volumi interi di 



116 Capitolo terno. 



storia descrittiva. Il castello d'Issof^ne che nei 
primi tempi del XV secolo era divenuto la sede 
principale della famiglia Di Ghallant, ora appar- 
tiene al pittore Vittorio Avendo il quale im^ 
pensierito dallo stato di deperimento in cui trò- 
vavasi, lo restaurò bene assieme al Pastoris e al 
D'Andrade. 

Nell'interno di questi castelli le pitture talvolta 
s' intrecciano alle scritte bizzarre; è un vago 
concerto di colori vivaci che psurlano il linguag- 
gio araldico di quei rigidi feudatari del Medio 
evo ; è un lavorìo lieto di linee che s'attortigliano, 
di foglie che improvvisano mostri sbadiglianti e 
ridenti; è una festa di colori e di forme inattesa, 
in quelle dimore cupe, accigliate, gravi come il 
Ciclope di Vergilio. Il lavoro dissolvitore dei se- 
coU ha reso irriconoscibili molti dei castelli Val- 
dostani: quelli per esempio, di Graine, di Verrés, 
di Gly*di Montmajeur che hanno le mura esterne 
intere, e l'interno tutto diroccato. 

Accanto a questi castelli ricordiamo il castello 
di Pavia (XIV secolo) inalzato da Galeazzo Vi- 
sconti, il castello degli Sforza a Vigevano, il ca- 
stello di Milano la cui prima origine risale alla 
seconda metà del XIV secolo — severo maniero 
durante la ferrea dominazione viscontea, questo 
castello detto di Porta Giovia, si tramutò in reggia 
splendida, in un museo d'arte, sotto la dinastia 
sforzesca amante di tutte le raffinatezze. Ricor- 
diamo altresì il castello di Ferrara dove gli Estensi 
tennero la loro splendida corte, il Castel Novo di 
Napoli la cui fondazione viene attribuita a Gio- 
vanni Pisano (1250 circa f dopo il 1S28) e che 



Dell'architettura a archi acuti, 117 

fa finito nel XVI secolo sotto il governo di D. 
Pietro di Toledo, e il castello di S. Martino di 
sopra Zena detto dei Manzoli (distante da Bologna 
22 chilometri) che si può dire l'ultimo dei castelli 
alla maniera antica (XIV e XY secolo)/ 

I palazzi di Città, o come si dicono meglio del 
Comune, si somigliano tutti nella loggia a pian 
terreno e nel carattere di severità. Il più bello 
di tutti in Italia è il Palazzo Ducale di Venezia 
stato creduto dell' architetto Filippo Calendario 
nelle due facciate che prospettano la laguna e la 
Piazzetta. Ma chi assicura che siano di lui? Il 
Cicognara; ma i documenti no. I documenti fanno 
i nomi di Pietro Baseggio, di Giovanni, di Bar- 
tolomeo e di Pantaleone Bon ' e d'altri di artisti 
del Rinascimento. £ certo che la parte del Pa- 
lazzo volta dal lato della Piazzetta fu cominciata 
a rifare nel 1422: è superfluo rilevare che lejso- 
struzioni tli questa importanza è difficile appar- 
tengano a un solo e a una sola età. Nel Palazzo 



^ Su questo castello eostrnito in parte sur uno più antico 
(il castello dei Gaccianemici) V attuale proprietario conte Felice 
Gavazza ha pubblicato una elegante e artistica brochure neiÌA 
quale si trovano notizie intorno la sua architettura le diverse 
sue vicende, i restauri eseguitivi negli anni 1883-84-85 dacchò 
è posseduto da detto signor conte Gavazza. Gli scritti sono di 
A. Rubbiani, G. Ricci, 6. R. Rombello (questo di Rombello è 
del XVI secolo) le illustrazioni di A. Sezanne. Tip. Azzoguidi, 
Bologna, anno MDGGGLXXXV. La brochure non dev' essere in 
commercio. 

« Gfr. Gualandi, Memorie orig. italiane riguardanti le Belle 
jHif Serie VI, Bologna, 1845, pag. 108. 



118 Capitolo terzo. 



Ducale vi sono opere di scoltura come il capi- 
tello detto dei Matrimonio, eseguito tra il 1312 e 
il 13^8, e il capitello d* angolo verso la chiesa 
scolpito verso il 1438. Nientemeno con più d'un 
secolo di distanza! , 

Non vi è costruzione più robusta, più varia, e 
al tempo i^tesso più galante di questa del Palazzo 
dei Dogi. Sugli archi gravi del primo pianò, 
degno piede di tanto corpo, si svolge una catena 
leggiadrissima di archi a quadrilobi forati, la cui 
leggerezza spicca viepiù sulla massiccia muraglia 
ingentilita dal disegno geometrico dei marmi 
bianchi e rossi e dalla merlatura che spicca sul- 
r azzurro del cielo. Nel mezzo della catena di 
archi, un fineslrone accorda il movimento oriz- 
zontale che domina la facciata del Palazzo, con 
il verticale; e il finestroùe ricco di aguglie, di 
piramidette, di statue s'inalza sulla linea dei 
merli e la bipartisce nel mezzo con eccellente 
effetto di tutto l'assieme. Dell' istesso tempo del 
Palazzo Ducale è la cosiddetta Porta della Garta^ 
che dei monumenti archiacuti dell'Italia, è uno 
fra i più fioriti di statuette e colonne ; è un 
monumento che ha pregi di composizióne e di 
fattura ammirabili. È opera di Giovanni e di 
Mastro Bartolomeo Bon, * il più insigne di una 
famiglia di artisti che onorarono l'arte archiacuta 



* Si confuse questo Bartolomeo Bon con un altro Barto- 
lomeo Buono morto nel 1529 e di cui parleremo. Naturale 
che questo Buono non poteva essere autore di un'opera 
eretta ottantasei anni prima quale h la porta della Carta dove 
è inciso: opvs Bartolomei, 



Dell' architettura a archi acuti. 119 

ia Venezia, e forse autore del Palazzo Foscari sul 
Canal Grande. ' A volere accennare soltanto i 
Palazzi del Comune eretti in questo periodo ci 
sarebbe da empire pagine quante se ne volesse. 
Avremo occasione di citare il Palazzo Comunale 
di Siena, di Udine, citeremo quello di Como, con 
trifore bellissime alcune ornate di colonne ge- 
melle annodate nei lor fusti (colonne poco co- 
muni in Italia e dette ofitiche) citeremo il pa- 
lazzo del Comune di Bergamo, di Cremona, quello 
di Gubbio (1332?-1346) dovuto a Giovannello 
Maffei detto il Gattapone. 

^ I palazzi privati di Venezia, o meglio del Ve- 
neto — di Venezia, di Verona, di Padova, di Vi- 
cenza, ecc., sono moltissimi. Accenneremo oltre 
il Palazzo Foscari, i Palazzi Cavalli, Pisani, a 
S. Polo, Toppan, Cicogna, Contarini-Pasan, Giu- 
stiniani, Ca' d'oro per Venezia, le cui facciate 
ad archi variamente intrecciati si somigliano tra 
loro per una tal disposizione la quale è bene se- 
gnare. — Queste bellissime fabbriche che uni- 
scono in felice connubio il genio orientale e l'oc- 
cidentale hanno tale un'armonia di colori e di 
luci nelle cornici, nei capitelli, nei leggiadri fori 
da far dimenticare l'assoluta mancanza di sirae- 
tria tanto cara ai classicisti e tanto comoda agli 
architetti. La Ca' d'oro si può dire la più bella 
di queste fabbriche veneziane. Si vorrebbe at- 
tribuire a Filippo Calendario al quale venne at- 
tribuito dal Cicognara (lo vedemmo poco più insù) 



Cicojfnara, Fabbriche di Venezia^ v. I, pag. 119. 



120 



Capitolo terzo. 



il disegno delle due bellissime facciate del Pa- 
lazzo Ducale che sono a lui posteriori. Questo 
architetto e scultore (f nel 1424) esaltato dal Ci- 

cognara, dal SGlvatico e dai documenti sincroni 
andrebbe studiato per sapere quali ftibbriche e 
sculture facesse^ perchè per ora la sua operosità 
artistica è avvolta nelle tenebre. 




Guardiamo la Ga' d' oro. Si noterà che non ò 
divisa simmetricamente giacché l'ala destra ha 
una finestra di più dell'ala sinistra; questa fi- 
peptra fa parte bensì di un corpo che gemerà u« 



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Dell'architettura a arehi, acuti. 121 

appendice alla facciata. È foi*s6 uno sconcio? Forse 
la facciata ò meno leggiadra e simpatica per 
questo? Di quanta agile grazia non fanno mai 
sfoggio le finestrelle' ingegnosamente aggruppate 
e le merlature e i nastri che corrono dappertutto 1 
Il Gicognara notò che in questa facciata « tutti 
gli stili si veggono riuniti/ » però avrebbe po- 
tuto dire che l'assieme è armonico e ha carattere 
affatto paesano che sta tra Torientale e l'occiden- 
tale. Sono noti i rapporti che ebbe Venezia col- 
r oriente; da ciò l'influenza orientale nella sua 
architettura di questi tempi. Si sa, l'arte varia a 
seconda delle tradizioni e degli usi paesani e 
spesso anche a seconda del concetto di un artista 
possente e quindi imitato. 

Dicevamo che le facciate dei Palazzi veneti si 
somigliano molto nella spartizione della massa. 
Difatti quasi tutte sono spartite in tre campate 
di cui quella del mezzo è la maggiore. Al piano 
terreno sovente vi è i^n loggiato come alla Ga* 
d'oro diversamente una porta più o meno or- 
nata di scolture con finestre ai lati o semplice- 
mente rettangole o a colonne a seconda del gusto 
del costruttore. Costantemente le tre campate 
hanno una linea di loggìe a archetti sostenuti 
da colonne; e davanti terrazze a pilastrini e ba- 
laustri e formelle ingegnose di delicato disegno. 
Tal linea di loggie generalmente non continua 
come nella Ga' d'oro , è spartita in tre da un riposo 
piano ornato alcune volte di targhette, che è un 
egregio contrapposto al movimento di rette e 



i fcibhri^he (?» Yenesiia, lia W d'Qro, 



122 , Capitolo terzo. 



curve delle loggié. Di questa disposizione ab- 
biamo anche un esempio nel Palazzo del Comune 
di ndine restaurato non molti anni sono. L*Hope^ 
notando la disposizione che abbiam notata, os- 
serva giustamente, che a Venezia, dove Tistesso 
individuo riuniva il duplice carattere di nobile e 
di negoziante, facevano d' uopo magazzini spaziosi 
per le merci e vaste sale per le adunanze; quindi 
in tutti i palazzi notevoli, il centro dell' edifizio 
doveva essere occupato da un solo stanzone 
estendentesi da un capo air altro dell' edifizio. 
Tutte le sale, i corridoi e gli appartamenti desti- 
nati aHe persone della casa comunicavano perciò 
a destra e a sinistra con questa unica sala; e sic- 
come era profondissima, relativamente alla sua 
larghezza, così per illuminarla era necessario di 
far nelle facciate una fila di finestre vicine le 
une alle altre, ovvero ordinare una sola finestra 
continua suddivisa soltanto da pilastrini e da 
incorniciature intermedie. 

Nel Veneto sono più vaghi, più ornati che al- 
trove i palazzi; e doveanó essere proprio splen- 
didi quando le facciate erano allietate da pitture 
a colori smaglianti come si veggono ancora un 
po' rovinate su alcuni palazzi a Venezia, e su 
altri a Padova, a Verona, a Vicenza. 

In Toscana l'architettura archiacuta è, diremmo, 
più romana che nelle, altre regioni d' Italia. Di 
già se eccettuiamo Siena, in Toscana vi sono 
pochissime costruzioni civili nello stile archiacuto, 



Op. cit., pag. 221 è segg. 



Dell'architettura a archi acuti, \ì% 

e Siena ha un tipo a parto tutto suo; proprio 
senese di architettura di questo genere. L'archi- 
acuto conserva anche qui l'impronta severa ca- 
ratteristica di questo stile, però l'arco acuto di 
Siena è più snello; ha un garbo un po' duretto 
confrontato ali-arco acuto di qualsiasi altro paese 
d'Italia; si direbbe inglese la incurvatura dell'arco 
acuto senese, ed oltre a ciò l'arco acuto senese 
comprende fra le due curve un arco ellittico, 
quasi un'arco tudor, che fa da architrave all'arco 
acuto. È una struttura stranissima che vediamo 
soltanto a Siena ove sono numerosissimi i pa- 
lazzi da studiare in questo stile a archi acuti. 
Siena è una città che ha tuttora l' aspetto me- 
dioevale appunto pei^ i suoi palazzi e anche per 
certe costumanze cittadine. Fra i palazzi belli 
e' è quello Bonsignori, quello Tolomei (1205) en* 
trambi fatti a mattoni scoperti; ma il più note* 
vole di tutti è quello del Comune (1289-1305) jl 
tre piani, con finestre trifore agilissime, e la Torre 
la quale gli sta accosto di una slanciatezza audace. 
A Pistoia vi è il Palazzo del Comune (1295-1853) 
che ha un valore assai considerevole, e il Palazzo 
Pretorio (1367) addirittura trasformato da un pes- 
simo, restauro eseguito dal 1839 al 1846. A .Fi-' 
renze è notevole la Loggia dei Lanzi (princ. 1376) 
attribuita erroneamente a Andrea di Clone Orca- 
gna pittore, scultore, architetto fiorentino mentre 
è di Benci di Cione e di Simone di Francesco 
Talenti, architetti reputatissimi in questi tempi; 
il prinjo dei quali, morto nel 1388, lavorò in 
Or S. Michele di cui parleremo. La Loggia dei 
Lanzi comecché abbia gli archi a tutto seato, no» 



124 Capitolo terzo. 



tanto per Tepoca in cui veone eretta quanto per 
la slanciatezza dei pilastri a fascio e per le par- 
ticolarità ornamentali caratteristiche del sistema 
archiacuto liorentino, la additiamo ad esempio 
splendido del genere archiacuto toscano. Vi sono 
arditissimi gli archi che spiccano da pilastro a 
pilastro ornati nel contorno esterno di modana* 
ture che fanno parte degli agili pilastri; e di 
brillantissimo effetto è il suo ballatoio sorretto 
da una serie d' archetti trilobati. Questa specie 
di coronamento lo troviamo anche nel Palazzo 
di Or S. Michele, uno dei palazzi più ragguarde- 
voli di Firenze, principiato poco avanti il 1337. 
Anche la costruzione deirOr S. Michele sì attribuì 
per lungo tempo airOrcagna. Ma tutti gli storici 
non accettano favorevolmente questo nome; e Io 
vogliono sostituito chi da quello di Taddeo Gaddi,^ 
chi da quello di Simone Talenti, chi da quello 
di Neri di Fioravante, ohi da quello di Benci di 
Clone. Veramente non si sa chi primo fu pre- 
posto alla costruzione di cui ci occupiamo che si 
suole considerare spartita in due; la Loggia e il 
Palazzo ; e' è chi mette innanzi con molta auto- 
rità il nome di Francesco Talenti per la Loggia 
e quello di Simone Qgliuolo di Francesco per il 



^ Taddeo Gaddi non ha assolutamente lavorato nella log- 
gia di Or San Michele. Eppoi, quando fu architetto il Gaddi? 
Leggasi il commentario alla vita di lui pubblicato nelle Opere 
di Q, Vasari. Voi. I, pag. 587 e segg. (Ediz. Sansoni). Vi si 
prova che il Gaddi non lavorò nella loggia d' Or San Michele, 
né nel Campanile di S. Maria del Fiore, né può aver dato il 
modello del Ponte Vecchio e del Ponte a 3. Trinità, 



3' 




Dell'architettura a archi acuti. 12S 

Palazzo che si cominciò dopo il 1380. La costru- 
zione sia di chinnque il suo valore artistico è in- 
variato : e il vago intrecciamento nelle finestrate 
del pian terreno e la snellezza nelle bifore del 
primo e secondo piano del Palazzo e il delicato 
ballatoio, rimangon sempre parti degne di studio 
diligente. 

Poiché abbiamo accennato a talune caratte- 
ristiche dell' arcoacuto di Toscana non è male 
che richiamiamo V attenzione degli studiosi su 
l'uso di associare gli archi ellittici agli acuti, e 
lo facciamo con il bel disegnetto di una casa 
di S. Gimignano (Toscana). 

In Toscana son moltissimi i palazzi di questo 
genere con archi voltati come qui; con bifore 
agili non fiorite di fogliami, con muraglie forti e 
liscie e tettoie sporgenti che proiettano sul muro 
una massa ampia di ombra di effetto grandioso. 
Le tettoie sporgenti sono la nota più caratteristica 
delle costruzioni civili toscane. Coi beccatelli, 
con gli archi e con la merlatura non finivano 
che le torri o i palazzi di cittadini faziosi, le 
mura delle città o i palazzi del Comune. É troppa 
caratteristica alle costruzioni toscane la tettoia 
sporgente nei palazzi di quest' epoca e nella suc- 
cessiva perchè si possa fore a meno di darne un 
esempio. Quivi, come sempre, il legno è innestato 
alla pietra e legno e pietra svolgono assieme un 
motivo simpatico che impressiona vivamente chi 
lo vede la prima volta. L'esempio che mostriamo 
è tolto da un palazzo senese del XV secolo; 
epoca nella quale siffatte tettoie erano usatissime. 

A Cremona la Loggia dei Gonfalonieri attri- 



126 



Capitolo terno. 



buita all'architetto Pecorari è pure ragguardevole. 
Vaghissime finestre trifore danno luce a un ampio 
salone nella parte superiore. Nella parte inferiore 
gli archi erano aperti e davano accesso a ud 




portico ove si custodiva il Caroccio. Cessato l'use 
di questo arnese da guerra vennero chiusi gì 
archi e col praticarvi sconcie e basse botteghe 
e una scala esterna a monte, Tedifizio venne de- 




]jQ^a àéi ^opb 




^^*"tij Cremona* 



^ BelV arehiiettura a archi acuti. 127 

turpato in quella guisa che lo presenta la nostra 
vignetta. * 

Ma se continuassimo di questo passo sconfine- 
remmo. Ci pare anche senza altri esempi che lo 
studioso possa essersi fatto un concetto suffi- 
cientemente esatto dello stile archiacuto italiano. 
La cui nazionalità spiccherà di più a confrontare 
qualcuno dei monumenti di questo stile fra quei 
ehe abbiamo accennato, con alcuni forestieri: 
confronto che consigliamo di fare allo studioso 
diligente servendosi delle opere che giudicherà 
più opportune fra le varie che gir si sono in- 
dicate. 



' Abbiam sentito che questa beUa Loggia è stata restau- 
ftia dall^ architetto cremonese signor Marchetti. Tanto meglio 



IL KINASCIMENTO 
E IL CINQUECENTO. 



A. Melami. 



CAPITOLO IV. 

D£LL'AB€HIT£TTURA DEL BIICASCIMENTO 
E CINQUECENTO * 



Osservazioni generali. 

Da lungo tempo, fino dagli ultimi lustri del Tre- 
cento, tutto principiava a vivere un vita nuova. 

Evidentemente eravamo sulla soglia di un mu- 
tamento; la luce e l'aria erano penetrate con no- 
vello vigore negli intelletti; assurgevasi dalla 
preghiera, dal sacrificio, dal patimento e lo gi- 
nocchia dapprima stracche cominciavano a ria- 
bituarsi alla ginnastica del moto. I fatti memo- 
rabili del XV secolo apportarono alla società il 
cambiamento che indaghiamo. 

Il rinascimento della letteratura antica e delle 
arti antiche portò seco i grandi mecenati e gli 
studiosi innamorati doirantichità; l'invenzione di 
Gruttenberg accomunò i popoli e diffuse il gusto 



^ A qualcuno parrà strana la distinzione fra Rinascimento 
e Cinquecento : eppure in ' architettura bisogna farla ! — Si 
vedrà perchè nelle pagine seguenti. 



i32 Capitolo quarto. 



degli studi; la scoperta di Colombo scosse gli 
intelletti prodigiosamente. Insomma in questi 
tempi nella vita sociale e nella politica, nell'arte 
e nella letteratura si manifestò tutto un novo 
indirizzo. 

Gli uomini di guest' epoca dominali da un'ar- 
dente bramosfa di sapere, di emanciparsi da tutto 
ciò che può, anche apparentemente, impedire la 
ricerca scientifica, vogliono riannodare le tradi- 
zioni interrotte coll'antichità, e rivivere nella ci- 
viltà greco-latina. Ognuno dei grandi uomini di 
quest' epoca rappresenta per dir così uno degli 
elementi di trasformazione dello spirito medioevo, 
riproduce uno dei nuovi aspetti dell'attività umana. 

Alle arti sono cari specialmente i nomi dei 
Brunellesco e di Donatello, alle scienze storiche 
aventi affinità colle arti il nome del Bracciolini, 
la realtà la grande rinnovazione artistica del 
XV secolo ha il suo punta di partenza nel me- 
morabile viaggio, che circa il 1403, fecero a 
Roma il Brunellesco e il Donatello. ^ Quanto a 
Poggio Bracciolini, è noto che rovistando per 
gli archivi aveva esumato, oltre a varie opero 
insigni, un'opera di architettura che dava re- 
gole, indicazioni su. la maniera di costruire latina. 
Il lettore ha capito che vogliamo riferirci ai Li- 
bri deir architettura di Vitruvio di cui è discorso 
con qualche larg^hezza nell'ultimo capitolo del 
lirimo volumetto. -Precisamente; Poggio Braccio- 
lini (li^80tl459) aveva trovato i libri di Vitruvio. 



^ Gfr. Muntz, Lea Précursèurs de la Renaissance, pag. 54, 
Paris, 1882. 



Architettura del rinascimento^ ecc. 133 

In lui salutiamo dunque uno degli uomini che 
hanno reso i più segnalati servigi agli studi sto- 
rici, uno degli uomini che hanno dotato i'ar- 
ctieologia di inapprezzabili strumenti di lavoro. * 
1j' entusiasmo con cui venne accolta la scoperta 
dei libri di Vitruvio è più facile immaginarlo che 
descriverlo. 

Basta dire che l'Alberti, il precursore di Leo- 
nardo, basò tutta la sua vasta opera Ve re aedi- 
ficatoria sulle teorie vitruviane che rischiarò da 
quanto vi ha d'intralciato e d'oscuro; e che i libri 
di Vitruvio divennero il vangelo dell'architettura 
per essere stati scritti da un'architetto latino. I 
dieci libri De re aedificatoria segnano un novo e 
importante periodo della storia di quell'arte no- 
bilissima;' perocché se innanzi che venissero alia 
luce si ora cominciato a abbandonare lo stile 
erroneamente detto gotico, se per gli esempi del 
Brunellesco si bandiva intieramente dagli edifici 
sacri e profani, per mezzo degli scritti di Leon 



' V. Shepherd, Vita di Poggio Bracciolini, Firenze, 1825. 

' Questo Trattato di architettura ha alquanto dello strano. 
Composto dietro invito di Lionello d*Este, tradotto in latino 
dall' autore verso il 1452 offerto a papa Niccolò V comparve 
definitivamente nel 1485 per le cure del Poliziano che lo de- 
dicò a Lorenzo il Magnifico. V'è per esempio nel Lib. IX del 
cap. V che l'Alberti con uno sfarzo di immaginazione tenta 
di applicare all'architettura i principi della musica. Dà con- 
sigli essenzialmente pratici come questo al lib. X cap. XV. 
« Quomodo seig)entes, culices, cimices, muscae, mures, pulicGS, 
tinae et id genus molesta nocuaque perdantur et arceantnr » 
che si alternano a squarci di estetica trascendentale e dap- 
pertutto una varietà, un eclettismo inaudito. 



134 Capitolo quarto. 

Battista Alberti si divulgarono le idee nove sul- 
Tarte architettonica. E cosa dire di quel bizzarro 
ingegno di Francesco Colonna (il Polifilo)? Egli 
volendo dar saggio dei suoi gravissimi studi con 
un' opera sola e rendere così familiari le dottrine 
vitruviane, scrisse un romanzo artistico (1467) 
al quale pose un nome greco sesquipedale da 
atterrire il più coraggioso leggitore: la Hypne- 
rotomaehia di Poliphilo ossia Pugna di amore 
in sogno. Nel qual sogno, quanto mai si possa 
fantastico e bizzarro finse di aver veduto tutti 
gli oggetti di belle arti che ci vien descrivendo, 
e gli siano accaduti tutti i casi amorosi che oc- 
cupano non meno di un grosso volume in foglio. 

Persino quelli che non erano architetti dovevan 
conoscere i libri di Vitruvio! 

Pazienza I — Nel Quattrocento la diflfusione di 
questo vangelo era ancor limitata; nel Cinque- 
cento poi, mercè l'uso maggiore della stampa 
questi libri penetraron dappertutto; i traduttori 
e i commentatori sorsero numerosi; e da Fra Gio- 
condo * il primo serio illustratore di Vitruvio, ai 
nostri giorni, ne sono state stampate migliaia e 
migliaia di copie in tutte le lingue. 

Badisi di non sbagliare il primo periodo del 
Rinascimento col secondo; nel primo che va dal 
Quattrocento fino circa al primo ventennio del 
Cinquecento le forme latine sono imitate timida- 
mente, nel secondo che dal Cinquecento va fin 



* La prima edizione di Vitruvio che fece Fra Giocondo è 
di Venezia del 1511 ed è dedicata a Giulio II, due altre (1513 
e 1523) sono dedicate a Giuliano dei Medici. 



Architettura del rhìoadmento, ecc. 135 

quasi al Seicento, fin dopo Hicbelangiolo (1475 
1 1364), l'architettura abbandona la propria in- 
dipendenza e diventa umile imitatrice della ro- 
mana. Divideremo dunque cosi il periodo storico 
che studiamo: 

1.* Periodo; ohe diremo addirittura — Il 
Rinascimento ; * 

2p Periodo; ohe diremo — Il Cinquecento. 
Lo sviluppo dell'architettura del Cinquecento 
potrebbe poi essere suddiviso in duo fasi: quella 
che imita il classico e Taltra che se ne discosta 
per iniziare l'architettura del Seicento. Ma è inu- 
tile far la suddivisione quando si sa che allorché 
si parla di architettura del Cinquecento s'intende 
riferirsi alla classica del Palladio, del Vignola, 
dello Scamozzi, ecc. 

Fondere le tradizioni antiche nella civilizza- 
zione del proprio tempo: quésta era la formula 
originale a cui sì ispirava il Brunellesco nell* ar- 
chitettura e il Donatello nella scoltura; formola 
che l'Alberti non accettò sempre integralmente 
volendo andar più in là, volendo restaurare l'arte 
classica quale si presentava alla sua mente eru- 



* Con questa parola Rinttscimenio si volle significare l'arte 
che abbandonò lo stile medievale per le forme di Roma an- 
tica. Ma implicitamente con essa si vollero condannati gli 
stili che si dilontanarono dallo stile di Roma antica. Ciò che 
abbiamo detto intorno V architettura del Medio evo ci di- 
spensa dal notare l'erroneo giudizio di coloro che credettero 
rinata V arte sol perchè tornò ad ispirarsi a Roma. Noi ado- 
periamo la parola Bwascimento a significar V idea rinata nel 
Quattrocento di ispirarsi a Roma antica. 



136 Capilolo quarto. 



dita nelle sue linee sempiici e grandiose senza 
tener conto di tutto il tempo trascorso tra la ci- 
viltà classica e la moderna. A ogni modo sta in 
fatto che nel Rinascimento gli architetti non ab- 
bandonarono le forme organiche antiche per le 
romane; ina àdornaron queste alla latina con archi 
a pieno centro con colonne di un sol fasto con mo- 
danature latine e adoperando spesso la bifora nelle 
finestre; perciò la trasformazione deir architettura 
parlando a rigore, fu più apparente che reale nei 
Quattrocento. Ecco perchè non siamo meravigliati 
di coloro che dicono che lo stile architettonico 
di questo periodo è stile di transizione. Non 
che non abbia caratteri propri ma questi carat- 
teri non spiccano cosi da far dimenticare le forme 
precedenti da cui scaturirono. Se nel Quattro- 
cento non vedessimo, come vediamo, ancor vive 
alcuno forme deirepoca anteriore, mancheremmo 
dell* anello di congiunzione fra il classico puro^ 
imitatore e lo stile archiacuto. E tale anello non 
manca mai nella storia deir attività umana; — 
sarà più o meno evidente a seconda che i travol- 
gimeuti sono stati più o meno improvvisi, ma 
l'anello e' è sempre. * 



^ Su questo argomento indichiamo allo studioso il bellis- 
simo lavoro del Burckhardt, Geschichte der Benaissanee in Italien 
2/ ediz. Stuttgart 1878, e anche gli ingegnosi studi del Gebhart, 
Les Origines de la Renaissance en Italie. Paris, 1879. È inte- 
ressante lo studio del Janitschek, Die Geséllschaft der Renais- 
sance in Italien und die Kunst e lo indichiamo a quelli che 
vogliono essere specialmente informati dei rapporti tra lo 
Stato e le Belle Arti in questo tempo (pag. 73 e segg.). 



Architettura del rinascimento^ ecc. 1S7 

Nel secondo perìodo, cioè nel Cinquecento, la 
architettura segue servilmente le regole dettate 
da Vifruvio; gli ingegni s'innamorano dell'ordine 
e della fredda regolarità dello stile classico e vi 
atrofizzarono la fantasia. Il Palladio, neir architet- 
tura di questo periodo risalta fra tutti gli archi- 
tetti contemporanei, e, con lui Iacopo Sansovino, 
il Serlio, il Vignola, lo Scamozzi, il Daponte re- 
cansi a Roma a studiare V architettura romana 
che riproducono nelle ornamentazioni e nell'or- 
ganismo costruttivo in quella guisa che è pos- 
sibile coi loro tempi. Yolfango Goethe il quale 
viaggiò l'Italia, portandosi dietro, sempre, la pe- 
sante edizione dei Libri del Palladio^ visitando 
il Convento della Carità a Venezia notò che quivi 
il Palladio aveva inteso inspirarsi, alla magnifi- 
cenza ospitale dei ricchi dell'antichità. 

In Palladio si compendia il periodo architet- 
tonico del Cinquecento che si fa schiavo dell'ar- 
chitettura pagana e trionfa iu nomo delle anti- 
chità classiche. 

Perciò nelle costruzioni di stile cinquecenti- 
stico troviamo sempre il capitello corintio e la 
base attica ornata di abbellimenti alla romana e 
di finestre con frontespizi — imitazione non priva 
di logica delle masse dei pronai romani — e alti 
colonnami e archi girati sull'alette come si veggon 
nel Teatro di Marcello e nel Colosseo. 11 Rinasci- 
mento più Ubero e più spigliato del Cinquecento 
si giova di molta fantasia nei particolari da cui 
trae tanta festività; il Cinquecento è goffo e 
monotono a confronto del Rinascimento. La ma- 
niera d'ornamentare di questo stile è veramente 



138 



Capitolo quarto. 



splendida; le sue eandelabrine, i suoi fregetti, i 
suoi minuti fogliami non hanno nò troppo né 




Fregio del Rinascimento 
di ona porta da S. Maria delle Zattere, Venezia. 

poco rilievo; sono sagacemente equilibrati nei 
riposi e modellati con speditezza. Ofifriamo la porta 
del palazzo del Governatore a Roma che special- 
mente sotto il rispetto della decorazione è una 
delle più belle, delle più ricche di quest'epoca. 
Nel Cinquecento tali fregi sono più rari, anzi non 
si veggono quasi più; i festoni, le aquile, i ma- 
scheroni sostituiscono i girali galanti, i vasi fio- 
riti, le baccelliere; e il Cinquecento aumenta i 
rilievi, ingoffisce le modanature, tutto regolarizza 
tutto allinea. Le fabbriche del Rinascimento^ in 
Toscana, ogni tanto si aiTicchiscono di terre in- 
vetriate dei Della Robbia e ne traggono singoiar 
vaghezza. In Lombardia la terra cotta per la sua 
malleabilità offre modo agli architetti di sfoggiare 
ornamenti sottili agilissimi. 

Ma dopo tutto, questa mania di ricercare nel- 
l'arte architettonica latina le forme di quella del 
Quattro e Cinquecento è realmente da considerarsi 
un avvenimento lieto per Tarte? Non ci pare. È 
evidente che col Rinascimento viene precluso lo 



Architettura del rinascimento^ ecc. 1S9 

sviluppo dell' arte medieva e iniziato il regno 
del convenzionalismo architettonico del quale se 
ne sente tuttora le conseguenze tristi. 




Porta nel palazzo del Governatore, Roma. 

Li' architettura, dall'età primitiva sin qui, sì è 
vista cangiare in vari modi liberamente, sempre 
con forme nuove adatte ai vari costumi e ai vari 



140 Capitolo quarto. 



tempi; da ora ia là rotte le tradizioni secolari, 
si fa schiava dei voleri altrui per detto e fatto 
di una coltura nova che spadroneggia; o meglio 
di una coltura che rinasce dalle rovine di una 
antica che lasciò profondissime traccio di sé. Il 
Rinascimento è un' età la quale nel suo complesso 
non può che ammaliare gli spiriti elevati ; ma giu- 
dicata spassionatamente sotto il solo rispetto ar- 
chitettonico, no, non può sodisfare chi ama nel- 
l'arte la libertà. Perchè non si può rinnegare, 
come rinnegò il Rinascimento, tutto a un tratto 
un passato glorioso. 

Noi ammiriamo tuttavia le belle prodazioni 
dell'arte del Rinascimento, perchè siamo soliti 
di pigliare e stimare il buono ovunque si trovi 
ma quando pensiamo all'assurdità di quest'arte 
e, peggio, alle conseguenze che ne derivarono 
non possiamo che compiangere tanta energia ma- 
lamente diretta. 

È evidente che il Rinascimento portò nel suo 
amore verso l'antichità pagana più entusiasmo 
che riflessione. 

— Ma i tempi volevano così. 

— E sia pure. Noi siamo architetti e abbiamo 
giudicato da architetti. 

L'architettura che siamo per studiare è molto 
interessante per noi. 11 maggior sviluppo l'ebbe 
nella regione Toscana, Veneta, Lombarda e Ro- 
mana; ma specialmente nella veneta dove per 
virtù di una famiglia chiamata Lombardi venuta 
di Lombardia (la famiglia veramente chiamavasi 
Solari, secondo quanto viene affermato dal si- 



Architettura del rinascimento^ ecc. 141 

g'Qor M. Gaffi e era di Casate comasco)^ acquistò 
gentilezza straordinaria. Ebbe la sua culla in To- 
scana e architetti toscani la diffusero nelle varie 
parti d'Italia. 



COSTRUZIONI REUGIOSE E CIVILI 
DEL RINASCIMENTO. 

Lo Stile brunelleschiano. — Rechiamoci subito 
in Toscana dove il Rinascimento ebbe uno svi- 
luppo originale, dove» grazie alla dinastia Medi- 
cea nel XYI secolo si ebbe un completo rinno- 
vamento scientifico, letterario e artistico. 

In Toscana lo stile del Rinascimento non si 
fiori d'ornamenti come nel Veneto e nella Lom- 
bardia ma fu più sobrio; romanizzò per modo 
da essere aggruppato da qualche scrittore, con 
evidente sbaglio^ allo stile del Cinquecento con 
lo stile palladiano e tutto il classico imitatore. 

Il grande restitutore dell' architettura classica 
lu in Italia il fiorentino Filippo di Ser Brunel- 
lesco Filippo Brunelleschi (lS79tl446). Il Bru- 
uelleschi coli' esempio e Leon Battista Alberti 



' Arte e Storia N.« 11, 12 e 19 anno 1885 e Archivio sto- 
rico lontbardOf fase del 30 settembre 1885 che stampò tali 
quali gli scrìtti precedentemente pubblicati dair^r^ e Storia 
che furono indi stampati in opuscolo non messo jn commercio. 
Pare che non fosse de' Solari come è stato creduto lo scul- 
tore Moro che fu figliuolo di un Martino da Bergamo. — Gasate 
^ un paesuccio formante parte del Comune di Lezzeno in quel 
di Como, poco lungi da Bellagio verso la sponda orientalo 
del. lago. 



Capìtolo quarto. 



(1404 tl^72) cogli scritti divulgarono le idee nuove 
sull'architettura italiana, idee che si partirono 
dalla Toscana e trovarono eco dappertutto per 
virtù specialmente di artisti toscani. È certo che 
senza l'ardente iniziativa degli uomini di genio 
sorti in Firenze negli ultimi anni del XIV secolo, 
la rivoluzione che doveva, nel campo dell' arte, 
rinnovare le fonti dell'ispirazione e nel campo 
dei costumi, sostituire la civiltà moderna alla 
medieva, si sarebbe fatta aspettare ancora un po'. 
Il Brunelleschi e l'Alberti intesero a paganizzare 
l'architettura per la ragione che la società si pa- 
ganizzava. Se non ci fosse stato il mutamento 
nelle idee sociali del XV secolo il seme gettato 
dal Brunelleschi e dall'Alberti non avrebbe dato 
alcun frutto: — un arte non ha vita duratura se 
non è l'imagine dell'ambiente entro il quale deve 
svolgersi. 

Ecco il prospetto principale della Cappella dei 
Pazzi che Filippo Brunelleschi inalzò in Firenze. 
Questa Cappella corretta nei profili, armonica 
nelle proporzioni, equilibrata negli effetti di chia- 
roscuro, aggraziata nei particolari ornamentali, 
ò uno dei più interessanti fra i primi lavori del 
Brunelleschi. Il Brunelleschi (o Brunellesco come 
si dice) dette anche i disegni della chiesa di 
S. Lorenzo che è parimente a Firenze e di S. Spi- 
rito, due chiese che non potrebbero essere più 
sobriamente gentili. Graziosa è altresì — dello 
stess» autore — la Badia Fiesolana sulla strada 
tra Fiesole e Firenze; opera troppo dimenticata. 
Vi sono delle porte in forma così originale e 
tutte ornate di sottili festoni e modanature fiorite 



Architettura del rinctseimento^ ecc, 143 

che sono la quintessenza della delicatezza archi- 
tettonica. Cosa dire della geniale Loggia degli 
Innocenti in piazza della SS. Annunziata a Fi- 
renze? Il Brunelleschi ne cominciò la costruzione 
nel 1421, secondo l'aflermazione del Gaje. Chia- 
mato in questo tempo a Milano dal duca Filippo 
Maria lasciò l'incarico di dirigere la Loggia, anzi 
tutta la fabbrica per il ricetto dei fanciulli, a un 
suo scolaro Francesco Della Luna, fiorentino vis- 
suto nella prima metà del Quattrocento; e la fab- 
brica, come si vede ancora ben conservata, è 
leggiadrissima. 

E cosa dire del palazzo Pitti ordinato da messer 
Luca Pitti per il duca Cosimo al Brunelleschi? 
Ne scrive così il Vasari nella vita di Ser Filippo ^ 
« né potrebbe mai ninno che noi vedesse, immagi- 
narsi quanto sia a qualsivoglia altro regio ediflzio 
superiore ». Qual vedesi ora il Palazzo Pitti non 
è tutto itnaginato dal Brunelleschi. Dopo il di- 
segno del Brunelleschi fu seguito quello dell'Am- 
fflannati, di Giulio Parigi, ecc., grandi aggiunto 
e abbellimenti si fecero internamente e esterna- 
mente dagli architetti moderni Gaspare Paoletti, 
Giuseppe Cadali e Pasquale Poccianti. 

Fra le belle opere del Brunelleschi, il Vasari, 
mette un tempio degli Angioli eseguito in parte 
per la famiglia degli Scolari o di cui restano trac- 
eie visibilissime in via del Castellacelo (l'irenze). 
il Brunelleschi fece in Firenze ben altri lavori, 
tranne la Cupola di cui si è già discorso; dette 
il disegno della casa dei Barbadori che non fu 

» Gfr. Op. cit. Voi. II, pag. 375. 



144 



Capitolo quarto. 



messo in opera, dette quello della casa dei 6ìuq- 
tini incorporalo poi (si crede) al palazzo Gerì 
ora Mantellini ; e essendo pratico di fortificazioni 
fu chiamato per questo a Pisa, a Lucca, a V^ico- 
pisano, a Recine, alla GasCellina, ecc. 

Allo stile di cui ci occupiamo appartiene anche 
la squisita chiosa della Madonna delle Carceri in 
Prato eretta su disegno di Giuliano da Sangallo 
(1445? 1 1516) vi appartiene la bellissima porta 
di cui Leon Battista Alberti ornò la facciata di 
S. Maria Novella a Firenze, la chiesa di S. Fran- 




S. Maria NoTella, Firenze. 

Cesco che progettò per Rimini (eretta dopo la 
morte dell'Alberti) e la pìccola e galante chiesa 
di S. Sebastiano costrutta a Mantova anch'essa 
dopo la morte del suo progettista, che aveva 
studiato ì monumenti romani con indicibile en- 



Archiietlura del rinascimento^ eec, 14S 

tusiasmo. Abbiamo già osservato che Leon Bat- 
tista Alberti va considerato uno dei fautori cal- 
dissimi dell' architettura classica insieme al Bru- 
nelleschi * seguito in ciò dal suo cooperatore 
Bernardo Rossellino che eseguì vari suoi pro- 
getti. Anzi B. Rossellino (1409 f 1464) senza avere 
l'acutezza dì mente e la somma delle cognizioni 
dell'Alberti giovò alla causa del Rinascimento 
più di quanto possa apparire a prima vista. 

A Firenze seguirono la maniera romana i fra- 
telli Benedetto e Giuliano da Maiano (Benedetto 
1442 1 1497, Giuliano 143211490), i due Sangallo 
Giuliano ricordato poc' anzi e Antonio (1455? 
tl534) il maggiore,» il GronacJa (1457 1 1508), 
Baccio d'Agnolo (1462 f 1543) che dette lezioni a 
Raffaello; tutti quanti toscani. 



^ Intorno agli scritti artistici di Leon Battista Alberti reg- 
gasi il commentario che gli annotatori fiorentini del Vasari 
unirono alla sua vita. L'Alberti nacque a Venezia nel tempo 
che la sua famiglia, già perseguitata in Firenze, erasi colà ri- 
fugiata. 

^ Gli Antonio da Sangallo sono due : il maggiore o il vec- 
chio nato probabilmente nel 1445, e il giovine o nipote nato 
nel 1485. Il vecchio che lavorò molto in Toscana fu di casato 
Giamberti e figliolo, come Giuliano, di un Francesco di Bar- 
tolo di Stefano architetto al tempo di Cosimo dei Medici; il 
giovine che lavorò molto a Roma fu di casato Gordiani (am- 
bedue furono detti poi da Sangallo). Cfr. Albero dei Giamberti 
de' Gordiani e de' Da Sangallo nella edizione delle Opere del 
Vasari, G. G. Sansoni, Voi. IV, pag. 292 dove vedrai che nella 
famiglia da Sangallo vi fu un Gìovan Francesco architetto 
(1482 1 1530) un Battista gobbo architetto (n. 1496) un Ba- 
stiano detto Aristotele pittore (1484 -j- 1551) un Francesco scul- 
tore detto il Margolla (1494 1 1576), ecc., ecc. 

A Mklani. io 



146 Capitolo quarto, ij 

. « \\ 

E dove metliamo Michelozzo Michelozzi scwV \ 
toro e architetto fiorentino (1396? t i4!72) che j 
eresse in Firenze il palazzo che fu dei Medici e 
fino dal XVII secolo appartenne ai Riccardi fatto 
tutto a bugne rilevate piene di severità? Il Mi- 
chelozzi fu molto adoperato da Cosimo dei Me- 
dici; fece per lui il palazzo di Gafaggiuolo in 
Mugello, ora assai cambiato, dette i disegni o 
almeno diresse V esecuzione del Convento di 
S. Marco a Firenze, ivi inalzò il palazzo Torna- 
buoni ora Corsi, lavorò a Fiesole, fu eletto dopo 
la morte di Filippo Brunelleschi provveditore 
della cupola e lanterna di S. Maria del Fiore, fu 
insomma uno degli architetti più in voga dei 
suoi tempi. 

Nei palazzi fiorentini del Rinascimento domina 
il bugnato che non si estende soltanto sulla su- 
perficie inferiore delle facciate, ma le orna tutte 
quante di cima a fondo. Le fabbriche fiorentine 
hanno perciò un' impronta quasi di fortilizio in 
parte giustificata dalle condizioni particolari in 
cui trovavasi la città nel periodo storico che 
attraversiamo. 

Nel palazzo Strozzi abbiamo la più bella opera 
di Benedetto da Maiano e del Pollaiolo (detto il 
Cronaca) e il più bel palazzo privato di Firenze. 
Il bugnato che lo orna tutto, che scema d'ag- 
getto di piano in piano intersecato da cornicette 
dentellate , le bifore snelle coir ampio imbotte 
modinato che servono a far spiccare la impronta 
maschia dell'assieme, il cornicione grandioso di 
Simone Pollaiolo — uno dei più belli esciti dalia 
fantasia di un costruttore — tutto in questo pa- 
lazzo è degno di alta considerazione. 




Palazzo Sti 



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Palazzo Gli 



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K&i, Firenze. 



Architettura del rinascimento, ecc. 147 

Mostriamo un esempio di un altro genere di 
palazzi fiorentini nel palazzo Guadagni attribuito 
.all'autore del cornicione del palazzo Strozzi; al 
Pollaiolo. Bisogna vedere a Firenze l'effetto di 
cotesto insigne fabbricato, fiorito di pitture po- 
licrome con terrazza scoperta sostenuta da co- 
lonnette che airegeriscono la massa, che conser- 
vano nel piano terreno e negli angoli la sodezza 
tanto cara agli architetti fiorentini accordandosi 
\ con le parti più delicate per dare air assieme 
aspetto leggiadro diverso da quello del palazzo 
Pitti, del palazzo Strozzi, del palazzo Riccardi. 
! Richiamiamo l'attenzione dei diligenti sulla cor- 
j nice del palazzo Guadagni la quale ha un' ampia 
ì sporgenza e è fatta di due parti innestate in modo 
I affatto ingegnoso. — Per dare un esatto conto di 
I queste cornici, tanto comuni ai palazzi toscani 
del Quattrocento, si ricordi, abbiamo voluta in- 
|cisa la cornice di un palazzo senese ove si 
comprende perfettamente l' innesto della pietra 
con il legname. Siffatte cornici non si trovano, o 
almeno non sono comuni che in Toscana; e l'ef- 
fetto loro per la massa d'ombra che proiettano 
sulla fabbrica è a dirittura grandioso. [Jn altro 
palazzo grazioso, ma più classico di quelli citati, 
è il palazzo Rucellai eretto da Leon Battista Al- 
berti tra il 14S1 e il 1455, la cui facciata so- 
miglia quella del palazzo Piccolomini a Pienza 
eretto dallo scultore e architetto Bernardo Ros- 
sellino citato, e da Fr. di Giorgio Martini dopo 
che l'Alberti ebbe eretto la facciata del palazzo 
Rucellai. A dire il vero v' è chi pensa che anche 
il palazzo Rucellai sia del Rossellino ; non siamo 



148 



Capitolo quarto. 



molto lungi da crederlo anche noi per quanto 
certi particolari, come le mensole poco belle delle 
porte, ficordino certe mensole dell'Alberti a San 




Porta nel palano Gondi, Fireuze. 

Sebastiano di Mantova architettato da lui nel- 
1470 e ornato, in seguito, della cupola dallo Ju- 
vara. Fra i palazzi fiorentini è anche molto in- 




Palazzo Rul 




tó, Firenze. 



Architettura del rinaadmentOj ecc. 149 

teressante il palazzo Gondi di Giuliano da San- 
gallo a bugne rilevate come lo mostra la porta 
che offriamo il cui imbotte dà un'idea della gran- 
diosità con la quale gli architetti fiorentini mO' 
dinavano in questi tempi. 

A Firenze poi in questo stile del Rinascimento 
si trovano i palazzi Antinori di Giuliano da San- 
gallo (?) il palazzo Bartolini di Baccio d'Agnolo 
quasi ridotto ai minimi termini, il palazzo Ser- 
ristori dello stesso, il palazzo Quaratesi del Bru- 
nellesco, il palazzo Pitti già ricordato, ecc., ecc. 

Finora non abbiamo parlato che di Firenze 
eppure potremmo accennare altre città toscane 
dove il Rinascimento è rappresentato egregia- 
mente. Per esempio potremo accennare Siena e 
dir qualcosa della parte superiore della Loggia 
del Papa imaginata da Antonio Federighi (tl490) 
e fermarsi a discorrere del grandioso palazzo Pic- 
colomini di Bernardo Rossellino e dove nacquero 
gli architetti insigni Francesco di Giorgio Mar- 
tini (1439tl502)* che troviamo un po' dappertutto 
nelle corti italiane, dà i disegni dei palazzi co- 
munali di Iesi e di Ancona è scultore, pittore, 
architetto militare inventa il baluardo e la mina, 
dà la prima idea dei bastioni, edifica fuori di 
Cortona la Madonna del Calcinaio, è riputato 
autore di varie opere di architettura a Siena, ecc., 
e Baldassarre Peruzzi (1481tl537) su cui avremo 
a parlare tra poco, e Luca Fancelli architetto 



* Gfr. Milanesi, Documenti per la storia ^«il* arte senese^ t. li, 



ISO Capitolo quarto, 

fiorentino (143011493) esecutore di varie fabbriche 
disegnate Mal Brunelleschi e da Leon Battista 
Alberti e capomaestro di S. Maria del Fiore. Ma 
lo spazio ci impone di rinunziare a questi esami 
particolareggiati. Ci limiteremo a ricordare i pa- 
lagi Mocenni e Pollini eretti a Siena dal Peruzzi 
e rimanderemo a opere speciali chi vuole istruirsi 
bene su questa architettura toscana. 

Prima di chiudere questo paragrafo suirarchi- 
tettura toscana del Rinascimento si noti e non 
si dimentichi che gli artisti toscani in questi 
tempi ebbero influenza notevole in tutte le re- 
gioni della penisola. 

Andando avanti ce ne persuadéremo. 

In arte Tinclinazione naturale è tutto. 

Lo Stile lombardesco. — Neirarchitettura di Ve- 
nezia era naturale che l'elemento novo o rinato 
non dovesse sollecitamente attecchire o avere 
lo sviluppo che ebbe altrove. Erano troppo con- 
tinui e antichi i rapporti di Venezia coll'oriente 
e la sua architettura anche nel periodo archiacuto 
era troppo stata influenzata dalle forme straniere 
per poter subito abbandonarle e sostituirle da 
altre per quanto si confacessero di più allo spi- 
rito italiano. D'altronde anche questo vien mo- 
dificandosi; ma non si modifica a un tratto. Difatti 
nell'architettura del Rinascimento nel Veneto {e 
a Venezia più che a Padova, a Verona, a Vicenza}, 
le forme classiche mantengono inalterata la strut- 
tura delle fabbriche precedenti. Più che altrove, 
quivi si palesa evidente quello che afl'ermamrao: 
che il Rinascimento studia latinamente i partico- 



Architettura del rintisciniento, ecc. 151 

lari architettonici mantenendo inalterata T ossa- 
tura costruttiva. — Comunque sia anche Venezia 
abbandonò a poco per volta l'arte fantastica che 
adoperò sin verso la metà del XV secolo. Im- 
pressionata dalla rinascente antichità latina V^o- 
nezia deve, in modo particolare, alla famiglia So- 
lari (continueremo a dirla Lombardi per evi- 
tare confusione*) il passaggio tra 1* architettura 
archiacuta e la classica. Da ciò derivò la de- 
nominazione di stile lombardesco i cui migliori 
rappresentanti, nella famiglia Lombardi, ebber 
quasi tutti familiare il compasso e lo scarpello 
così come il loro emulo Antonio Riccio che fu 
UDO degli architetti del palazzo ducale. Va no- 
tato però che Miehelozzo Michelozzi (1396? f 1472) 
architetto e scultore fiorentino probabilmente do- 
vette esercitare in Venezia un'influenza assai 
notevole. Se ciò non si contrasta il Michelozzi 
sarebbe stato il primo a dare idea in Venezia di 
quello stile del Rinascimento in cui valsero tanto 
Martino, Pietro e Tullio Lombardi. 

Si è detto che questa maniera ebbe la sua 
culla in Firenze e si diffuse in Italia per mezzo 
di architetti fiorentini. Quanto a Venezia la sup- 
posizione s'avvalora tanto più quando si osservi 
che alcune forme dei Lombardi arieggiano quelle 
degli anteriori fiorentini. Per esempio le bifore del 
palazzo Vendramin e della Confìraternità di S. Roc- 
co paion inspirate da quelle del palazzo Riccardi 
Strozzi di Firenze. Ammessa Tinfluenza di Mi- 
ehelozzo si potrebbe ammettere che alcune opere 



* Vedi la nota a pag. 141. 



152 Capitolo quarto. 

appartenenti a questo tempo di ignoto autore 
siano architettate da lui. 

Seguendo la consuetudine parleremo subito di 
Pietro Lombardo o Solari (f circa il 1511) che si 
fa erroneamente capo stipite di questa famiglia 
artistica mentre per tale riconosciamo il geni- 
tore Martino ossìa Martin de Zuanne Lombardo 
taiapiera, (È noto . che in quest' epoca di aurea 
semplicità taiapiere murarii e lapicida si chia- 
mano gli architetti e gli scultori.) 

Adoperato a Ravenna in varie opere, Pietro 
prima di farsi il nome che si fece, dette mano in 
Venezia alla chiesa di S. Maria dei Miracoli ma 
però come semplice esecutofe; fece diversi altari 
e monumenti bellissimi, sostituì il Riccio nel 
1499 come direttore dei lavori pubblici, si cre- 
dette a torto l'architetto della Torre dell'Orologio 
eretta nel 1466 e con molto suo onore oggi si 
inclina a credere autore del palazzo Yendramin 
a cui accenneremo. 

Martin Lombardo si ritiene autore della chiesa 
di S. Zaccaria, fondata intorno al 1456. Però se 
ciò può essere in quanto spetta alla facciata, non 
crediamo si possa affermare per ciò che riguarda 
Tinterno, di certo anteriore a Martino e dell'età 
di transizione quando le forme archiacute si in- 
nestavano alle classiche. La facciata ha aspetto 
simpaticissimo; — «spartita in diversi ordini; 
agili colonnette binate e isolate formano i pilastri 
che la dividono verticalmente, e fra pilastro e 
pilastro si svolgono archetti leggieri inquadrati 
da. cornici e pilastrini a bassissimo rilievo. — 
Non è difficile scorgere nella facciata di S. Zac- 



Architettura del rinctaeimentOj ecc. 1S3 



caria Torganismo dello stile archiacuto mescolato 
air orientale. Altro insigne monumento di stile 
lombardesco è la cosìdetta Scuola di S. Marco, 
architettata senza dubbio nel 1485 da Martin 
Lombardo. Anche qui la preoccupazione dei par- 
ticolari spicca grandissimamente. Nella facciata è 
degna di considerazione la porta; vero tipo di ele- 




Pianta della chiesa di S. Salvatore, Venezia. 

ganza e magnificenza. Vi sono originali le colonne 
le quali spiccano su due piedestalli inalzantisi 
sul basamento che gira torno torno alla fabbrica. 
Il primo piedestallo è rettangolo, il secondo ro- 
tondo e fiorito airingiro di ornamenti scultorici 
eseguiti da Tullio Lombardo che fu artista vera- 



154 



Capitolo quarto. 



mente meraviglioso ed ebbe una gran fama, ia 
special modo come scultor di figura. Ma siccome 
oltre allo scarpello Tullio Lombardo sapeva ma- 
neggiare le sèste così gli furono affidati dei la- 
vori di architettura nei quali si distinse. Fra le 
opere architettoniche eseguite da lui a Venezia 
si cita la chiesa di S. Salvatore. Incominciata da 




S. Salvatore, Venezia. 

Giorgio Spavento, fiorito a quanto pare sul finire 
del XV secolo, fu dal nostro artista piuttosto ri- 
formata che proseguita. Si noti nel disegno che 
offriamo la sveltezza delle proporzioni e la sem- 
plicità graziosa della pianta. Tullio Lombardo 
oltre che a Venezia lavorò fuori; specialmente a 



Architettura del rinascimentOy ecc. 155 

Padova e a Treviso. Quivi si distinse come ar- 
chitetto ìq varie opere; la Cappella de! Sacramento 
in Duomo, la crociera della Madonna delle Grazie 
(1530), alcune cappelle nella chiesa di S. Paolo, ecc. 
Tullio figlio di Pietro dà molti si crede morto 
verso il 1559. * Della famiglia Lombardi oltre a 
un fratello di Tullio scultore (Antonio Lombardo 
che forse fu Y ingegno più debole della famiglia) 
resta da ricordare Sante e Moro. Sante nacque 
nel 1504 e morì nel 1560. Gli si attribuì con 
error manifesto, l'erezione della Scuola di S. Rocco 
e gli si deve il palazzo Trevisan a S. Maria For- 
mosa (Venezia) che non ha il pregio di quelli 
imaginati dagli altri Lombardi, per quanto ne di- 
cano il Cicognara e il Diedo. Moro lavorò nella 
Scuola di S* Marco e fece certo nel 1492 la rie- 
diBcazione di S. Maria Formosa attribuita a un 
Mauro da Bergamo che sarebbe appunto il Moro 
Moretto Lombardo figlio di un secondo Mar- 
tino, da non confondersi, come si confonde so- 
litamente, coll'erettore della chiesa di S. Zaccaria 
in Venezia. 



> 6. Milanesi neir albero genealogico di questa famiglia ar- 
tistica (Vedi Op. cit. Tomo IX. Indici, aggiunte e correzioni) 
segna la data della morte di Tullio 27 anni prima: nel 1532. 
La data 1559 è quella più comunemente accettata: — il be- 
nemerito annotatore delle opere vasariane non cita la ionte 
della notizia che dà. — Forse ha dedotto la data della morte 
di Tullio dal suo testamanto datato 14 novembre 1532. No- 
tiamo che in Venezia viveva nel 1537 un Tullio II pregevole 
scultore anche lui e rilevatore ma non bravo quanto il primo. 
La storia ci ha tramandato i nomi di altri lombardi ma tutti 
di ben poco merito. Sicché inutile parlar di loro. 



156 Capitolo quarto. 

Oltre ai Lombardi esercitò V architettura in 
Venezia con molto successo dal 1492 al 1539 
Bartolomeo Buono (f 1529) che probabilmente 
deve avere avuto gran parte nell'erezione della 
mole sontuosa delle Vecchie Procuratie, l'ebbe 
certo nell'erezione della Scuola di S. Rocco e a | 
quanto pare procedeva da queir altro M. Bario- 
lameo di ser Zuan Bon che insieme al padre 
Giovanni lavorò tra il 1438 e il 1442 la porta 
della Carta. Perciò anche questo Bartolomeo ar- 
chitetto discenderebbe da Bergamo come altri 
artisti emuli dei Lombardi in questo tempo. Eser- 
citò l'architettura anche Antonio Scarpagni detto 
Searpagnino (f 1558) più abile che famoso stato 
capo dei pubblici edifici (in sostituzione forse 
di Pietro Lombardo) autore della chiesetta vene- 
ziana di S. Giovanni Elemosinarlo e degli orna* 
menti vaghissimi che fregiano molte parti interne 
e la facciata principale di detta Scuola di San 
Rocco considerati il suo capo d'opera. 

E a proposito d'ornamenti: 

Da S. Maria dei Miracoli, opera già ricordata, 
di Pietro Lombardo, togliamo un bellissimo ca- 
pitello di pilastro da servire come tipo dei ca- 
pitelli caratteristici del Rinascimento. Se lo stu- 
dioso vuole che gli rimangano impresse le forme 
di questo capitello le confronti con quelle di un 
capitello corintio dell'epoca successiva; del Cin- 
quecento: vedrà che differenza nel gusto dell'or- 
namentazione e quanto sono caratteristici i ca- 
pitelli del Quattrocento! Ma lo faccia il confronto; 
capirà meglio la diversità tra lo stile arcbilet- 




Palazzo D( 
Protìpetlo del Cortile dall;i 




I Venezia. 

(e della Scak dei Giganti, 



Architettura del rinascimento^ ecc. 157 



tonico del Quattrocento e quello del Cinque- 
co nto. 




CapiU'llo di pilaslro. 
Ha S. MaricX d<JÌ mitraceli, VcDozh. 

Non abbiamo parlalo ancom del Riccio, 
Parlatalo di monumenti civili bisogna ciinrc 
subiti) il prospclto del corlib del palazzo Ducalo 
a Venezia, cbe sta insieme alla lamosa Scala dei 
Uigaulr. (jQe?^Ìo prospetto e ariclie la scida ò opera 
magistrale dì Antonio Riccio o Bregno (non si con- 
tonda con Andrea Riccio dcUo Grippo e Hriosco).' 



1 L'Anonima Moreniano, cioè M.ircaiihmlo Marfiiel, mo^fn'i 
rhiaramente dii era Amlrpa Tiìcf^io e Hit Anhinio liknìf». Aiv- 
ionio architolto e scultore verone^o unto nel I t-lO s^ecimdo il 
Miintz {tf's Artfì à ìa cour fJ^ Pìt^tt/ì^ err., imgr. ^ ^ ^^ lavorò 
motto in Venezia pino alla fin^ cIpI XV secolo; Andrea, i^oprtìn- 



158 Capitolo qìiarlo. 

Nel prospetto di cui si parla è strana la disposi- 
zione delle aperture; non è impossibile che qual- 
che purista la biasimi. Gli imparziali considerino 
intanto che l'architetto doleva rispettare delle 
flnestre preesistenti per modo che la sua bravura 
doveva mostrarsi anco nel saper ben mascherare 
la disposizione irregolare dei vuoti. Il Riccio ornò 
tutto di pilastri e armille, divise e suddivise con 
formelle gli spazi lisci e collocò entro le formelle 
targhe, festoni, fiori; sicché l'occhio distratto 
dall'ornamentazione rigogliosa non si accorgesse 
che tardi della disordinata spartizione dei vuoti; 
e difatti per quanto se n' accorga^ 1' occhio non 
rimane scontento. Questo bel prospetto dovrebbe 
essere molto studiato dagli architetti moderni i 
quali si trovano spesso nell'identica posizione 
del Riccio. L'insigne architetto da una difBcoltà 
trovò modo di mostrare la vivacità della sua fan- 
tasia e di far opera imaginosa e originale. 

Fra ì più bei palazzi di Venezia nello stile del 
Rinascimento bisogna mettere in primo luogo 
quello Vendramin (1481) fatto alzare da Andrea 
Loredan che riproduciamo. Se ne credette archi- 
tetto Sante Lombardo ma con errore manifesto. 
Che appartenga ai Lombardi è fuor di dubbio; 
ma a quale Lombardi? Forse a Pietro? al pre- 
sunto autore dell'altro bellissimo palazzo Corner 



nominato Briosco nacque a Padova (1470 tl532) e vi si di- 
stinse come architetto erigendo la chiesa di S. Giustina. Con* 
fronta 2{otizia d^ opere di disegno pubblicata e illustrata da 
Jacopo Morelli, 2.* edizione riveduta e aumentata da G. Frii- 
zoni, 1884, pag. 4 e 5. 



tHMMiff^Mmy^-W 




3ÌJ3, Venezia. 




Palazzo del 1 




So, Verona. 



Arehitetlura del rmasctmeiito^ eec, 1.^9 

Spinelli? La spartizione dei tre ordini, le bifore 
agilissimo, i particolari tutti di questo Palazzo 
sono da additarsi agli architetti che vogliono 
educare il gusto alle belle forme. Il palazzo Corner 
Spinelli si attribuisce all' istesso autore del pa- 
lazzo Vendramin sebbene non ne abbia l'aspetto 
gentile e vago. Anche la Torre dell' Orologio in 
piazza S. Marco è un edificio che va citato e con 
esso il basamento del monumento GoUeoni. il più 
ricco e il più galante che mai sia stato eretto 
in questo stile classico. 

Accennammo poco fa a Fra Giocondo (1433? 
1 1515) monaco veronese il qualp a Parigi costruì 
il ponte di Notre-Dame ed assisti a Roma Raf- 
faello nella edificazione del S. Pietro. Orbene a 
Fra Giocondo si deve il veneziano Fondaco dei 
Tedeschi e, credesi, il palazzo del Consiglio a 
Verona; graziosissima eostruzione di cui offriamo 
parte del prospetto recentemente restaurato. * 
AU'istesso Fra Giocondo si attribuì erroneamente 
il disegno di quella simpatica costruzione vicen- 
tina che è la Loggia del Vescovo eretta da Tom- 
maso Formenton (f 1503) di Vicenza autore del 
bellissimo Palazzo comunale di Brescia. 

Avremmo da scriver molto se volessimo con- 
tinuare a citare esempi. 

I * Questo Fra Giocondo fu uomo veramente raro. Dice un 
suo biografo «Egli ebbe familiari le scienze umane e le di- 
vine, fu peritissimo nel greco e nel latino, nelle dottrine delle 
antichità non ha chi^ lo pareggi, nelle matematiche fu insigne ; 
i né ignorò la storia naturale e le gentili e umane lettere >. Vedi 
I P. Marchese, Memorie degli ariisti domenicanij t. II, pag. 166. 
Firenze, 1845. 



160 



Capitolo quarto. 



Nel Veneto il Rinascimento ha avuto larga e 
brillante diffusione: la Toscana la quale più della 
Lombardia è ricca di costruzioni di questo stile" 




Palazzo comciDsik di Dr cascia. 



non lisi lauta copia di 
V<Miolo e spocialmeDlo 
dì lultu fai ti vi là della 
trocento. 



liei mùuumeull qtiaolo ìt 
Vetie/ia elio fu il ceulro 
rng-ioQe veneta del Quat- 1 



Architettura del rinascimento y ecc. 161 

Accanto a qaesti grandi centri come Venezia, 
Milano, Firenze, ecc., sorgevano in quest'epoca 
altri centri considerevoli dove la famiglia domi- 
nante cercava di distinguersi anche coli' incorag- 
giare gli studi e le arti: tali Ferrara, Urbino, 
Rìmini, Mantova; perciò bisogna dare un'occhiata 
anche a queste città dove la coltura e l'attività 
intellettuale aveva un carattere a sé. 

Vicino a Venezia accenniamo Ferrara, illustrata 
dalla casa d'Este, dall'Ariosto, dal Tasso, da Co- 
simo Tura — il forte, il burbero caposcuola fer- 
rarese — dal Garofalo (Benvenuto Tisi) e da al- 
tri ingegni superiori. A Ferrara vi troviamo il 
Brunellesohi tra il 1431 e il 1436; ma veramente 
Ferrara acquista un posto insigne nell' arte senza 
bisogno di influssi forestieri. Notò già il Lermo- 
lieff : che fra tutti i popoli dell'antica Emilia, cioè 
di quella provincia racchiusa dal Po, dagli Ap- 
pennini e dalla Marecchia, i Ferraresi sono i più 
dotati di sentimento artistico; e difatti basti a 
persuadersene una visita a questa città oggi at- 
tristata dalla mancanza di popolazione. Ferrara è 
ornata di bei palazzi; il grandioso eosidetto dei 
Diamanti per esser fatto tutto a bugne rilevate 
e tagliate a punta di diamante; il palazzo Schi- 
fanoia, Roverella, Scrofa e poi la famosa Certosa 
vasta e singolarissima (1498-1553). 

Lo Stile bramantesco {Lombardia e Lazio). — 
Per l'influenza che ebbe Bramante (1444 f 1514) 
nell'architettura di Lombardia, lo stile architet- 
tonico di questa parte settentrionale della peni- 

A. Mblani. il 



162 Capitolo quarto. 



_1 



sola, in questo tempo, sì disse bramantesco da 
Bramante; come si disse lombardesco dai Lom- 
bardi e non lombardo per non far confusione 
collo stile medioevo a noi già noto. Gli scrittori 
non sono concordi nel determinare Fanno in cui 
Bramante da Urbino capitò in Lombardia. U Va- 
sari assicura che il Bramante prima di recarsi in 
Milano visitò altre città dove eseguì alcuni la- 
vori d'importanza. Il Fungileoni dice che Bra- 
mante dev'esser giunto in Lombardia nel 1480, 
il De Pagavo ritiene che vi giungesse il 1476, 
cioè, quando per la fuga dei vescovo dì Faenza 
vennero sospesi i lavori della cattedrale faen- 
tina. Oggi par più probabile che la venata di 
Bramante in Lombardia debba riferirsi al 1472 e 
fors' anche a qualche anno prima. Certo è che 
capitato a Milano Bramante ebbe accoglienze 
oneste e liete alla corte di Lodovi<30 il Moro, alla 
quale erano ammessi i più chiarì ingegni del 
tempo. Il Do Pagavo dice poi ohe prima di giun- 
gere in Lombardia il Bramante (che non è vero 
fosse Lazzari di casato ma Bramante : Donato Bra- 
mante) ^ edificò in Romagna chiese, palazzi e al- 
tro fabbriche: ma ciò non è confermato da do- 
cumenti da analisi tecniche oculate. Delle opere 
architettoniche attribuite a Bramante prima e 
dopo la sua andata a Milano discorre il ohiaris- 



^ Intorno alla patria e alla famiglia del Bramante si legga 
quanto ne scrisse il chiarissimo architetto barone Di GeymuUer 
neir erudita sua opera: Les projets primitifs jpour la basilique 
de Saint Piet-re de Bome par Bramante, Baphael Sanzio, Fra 
Giocondo, les Sangallo, ecc. Paris, Baudry. 



Architettura del rinasciniento, ecc. 163 

Simo architetto Di GeymiiHer nella citata opera 
(vedi la nota a pag. 162) e fondandosi sul loro 
carattere architettonico accetta o rifiuta la pater- 
nità bramantesoa. 

Ma è singolare la moderna smania di volere 
attribuire al Bramante ogni genere di fabbriche ! 
Per es., in Lombardia furono molte, quasi innu- 
merevoli le opere che gli storici dell'arte lom- 
barda attribuirono alle seste dell'architetto ur- 
binate. ^ Ma la critica moderna ha sbugiardato 
le affermazioni erronee e senza pietà ha tolto o 
restituito a chi si pervengono le opere state ne- 
. gate ai loro legittimi autori. 

Se si dovesse seguire ciecamente il Vasari su 
questo punto avremmo ben poche cose da dire, 
i'ortuna che dei moderni studiosi hanno supplito 
al silenzio del biografo aretino! Con documenti 
chiari e guidati da una critica illuminata essi 
hanno assicurato quali sono gli edifici che l'ar- 
chitetto urbinate eresse in Milano e nei luoghi 
vicini sullo scorcio del XV secolo. Questi critici 



> Dunqae parrebbe che in questi tempi la Lombardia non 
avesse avuto architetti suoi propri. Avremo occasione di ram- 
mentarne vari ; frattanto notiamo che a sfogliare i documenti 
riguardanti la Fabbrica del Duomo milanese durante il sog- 
giorno di Bramante in questa città si trovano notati nomi di 
architetti quanti se ne vuole. Molti di essi debbono essere stati 
adoperati ; e non debbou essere stati tanto indietro nelle co- 
gnizioni se erano invitati a intervenire nelle lunghe e molte 
dispute che sorgevano durante la erezione del monumento 
magnifico o se concorrevano in qualità d'architetti pel suo 
compimento. 



164 Capitolo quarto. 



sono il Di GeymtlUer, * il Casati • e altri alle cui 
opere rimandiamo il lettore. À stare al Gasati, di 
tutti gli edifici di stile bramantesco sorti in Mi- 
lano e enumerati dal Pagavo ce ne son rimasti 
ben pochi e sono : la chiesa di S. Satiro colla sua 
sacrestia (dove il Bramante ebbe validissimo coo- 
peratore il Garadosso) il portico della canonica di 
S. Ambrogio e il suo monastero, ora Spedai mi- 
litare, qualche cosa della chiesa di S. Celso e del 
Castello... (ossia: che il Bramante abbia lavorato 
nel Castello non si può affermare perentoriamente 
dopo gli ultimi studi) ' il resto degli edifici o fu 
distrutto come le chiese milanesi di Santa Maria 
in Carugate e Santa Liberata e S. Giovanni sul 
Muro e vari palazzi — o fu svisato enormemente. 
Quanto poi alla tribuna grandiosa alle due cap- 
pelle laterali col coro, nonché alla porta mag- 
giore della Madonna delle Grazie le opinioni sono 
ancora molto discordi per poter formulare un 
giudizio assoluto. — La tradizione e vari autori 
attribuiscono tuttociò a Bramante; sarà proprio 
suo ? Comunque sia, questa parte magnifica della 
chiesa delle Grazie ornata da cima a fondo con 
insolita dovìzia rivela in chi la ideò una imagi- 
nazione fecondissima e desta in chi la guarda il 
più legittimo senso di meraviglia. Il materiale 
laterizio giova all'effetto di questa costruzione; 



1 Op. cit. nella nota a pag. 162. 

^ / capi d' arte di Bramante da Urbino nel Milanese, Milano, 
1870. 

» Gfr. L. Beltrami, li easteUo di Milano sotto U dominio 
degli Sforza, Milano, 1886, pag. 192-96. 



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Architettura del rinaaeimenlo, ecc. 165 

e il laterizio è appunto caratteristico degli edi- 
fici lombardi anche di quest'epoca. Fuori di Mi- 
lano si attribuisce al Bramante parte del palazzo 
\ di Vigevano ridotto ora a caserma; il magnifico 
I tempio della Beata Vergine Incoronata di Lodi, 
stato indi eseguito da Giovanni Battaggio ar- 
chitetto di qualche merito, e parte del prezioso 
Duomo di Como stata poi eseguita dall' architetto 
e scultore Tomaso Rodari (f 1526) e ove è ce- 
lebre la Porta della rana fioritissima firmata da 
Tomaso e Jacopo Rodari colla data 1507. 

Il Duomo di Como, dopo la cattedrale di Mi- 
lano e la Certosa di Pavia, è il tempio più con- 
siderevole della Lombardia sotto il rispetto del- 
l'arte. Cominciato nel 1396 su disegno, credesi, 
di Lorenzo degli Spazzi di Scaria in Val d'In- 
telvi, venne finito appena verso la metà dello 
scorso secolo quando lo Juvara l'ornò di una 
cupola svelta compiuta nel 1732. È quindi di 
vari stili, ma il più notevole è il bramantesco 
del fianco e delle tre absidi esterne eseguilo nel 
1513 da Tommaso Rodari di Mareggia e non di 
Bissone come alcuni credono. Ma infine il pro- 
getto è del Bramante o del Rodari? Nessuno può 
rispondere a questa domanda; lo assicuriamo. 

Il Bramante lavorò a Piacenza, nella Valtellina, 
a Busto Arsizio, a Pavia; dove, secondo si crede 
da qiìalcheduno, avrebbe eretto il Duomo, sorto 
più probabilmente su disegni di Cristoforo Rocchi 
e di Gio. Antonio Omadeo. Questo par certo: che 
Bramante era spessissimo consultato sui lavori 
che si erigevano in Lombardia durante il tempo 
che vi dimorò e richiesto di disegni di fabbriche 



166 Capitolo quarto. 



che venivano eseguite da altri architetti, forse 
suoi scolari; da ciò le tante attribuzioni fattegli 
di opere sulle quali egli non avrà esposto che 
il suo parere. Certo Bramante fu molto adoperato 
da Lodovico il Moro il quale ebbe presso di sé 
altri architetti di fuori: Giuliano da Sangallo, 
Luca Fancelli, Francesco di Giorgio Martini, per 
esempio. * 

Il Bramante ebbe dunque molte occasioni di 
mostrare il suo ingegno in Lombardia prima di 
recarsi a Roma. Accanto a lui lavorarono a Mi- 
lano, a Como, a Pavia, a Lodi, a Cremona, i lom- 
bardi Giovanni e Jacopo Dolcebuono, Cesare Gesa- 
riano (1483 f 1543) che si dice da sé scolaro di 
Bramante (cosa alla quale si può prestare anche 
poca fede se s'intende scolaro nel preciso senso 
della parola), ' Cristoforo Solari, Bernardo Zo- 
nale (t 1538), Tomaso Rodari, Cristoforo Rocchi, 
Giov. Battaggio, Giov. Antonio Omodeo o Ama- 
deo e l'architetto pittore Suardi detto Bramantino 
(circa 1455 tl536?) da non confondersi con un 
tal Bramante da Milano, che non è mai esistito. 

' A Milano poi si trovano a uno a uno molti architetti to- 
scani, oltre ai citati vi si trovano il Brunelleschi chiamatovi 
(la Filippo Maria Visconti verso il 1421 per fare il modello di 
una fortezza (Vasari, ediz. Sansoni, voL II, pag. 366 e segg.), 
il Michelozzi, il Filarete, ecc. Il Milanesi dice dì non conoscere 
alcuna memoria dell' andata a Milano del Brunelleschi, p. 368. 

2 Nota il Mongeri : efr. Archivio Storico Lombardo, fase. II, 
30 giugno 1886, anno III. — La facciata dél,JhiomOy ecc.: che 
se il Gesariano morì il 1543 di 60 anni doveva essere nato 
nel 1483. Il Bramante lasciò definitivamente Milano per Roma 
nel 1499, secondo il Di GeymùUer; onde il Gesariano allora 
non aveva àncora 17 anni. Al lettore il commento. 




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Architettura del rinaaeimento, ecc. 167 

E qui la nostra mente si rivolge subito alla 
Certosa presso Pavia; l'interno della chiesa in 
stile archiacuto è fuori del nostro studio d'oggi; 
noi ci rivolgiamo alla facciata ed ai chiostri in 
terra cotta che sono quanto di più delicato e di 
più fine ci si può immaginare. La facciata può 
spartirsi in due; la parte inferiore più ricca di 
ornati, e la superiore più modesta. Della prima 
parte più ricca stata cominciata nel 1476, se ne 
attribuisce il disegno a Giovanni Antonio Omo- 
deo. Sono splendidi i particolari di questa fac- 
ciata; splendidissime le finestre bifore rettangole 
con un' agile colonnetta a candelabro nel mezzo ; 
la quale è caratteristica dello stile del Rinasci- 
mento veneto e lombardo. Sono dello Zarabaia 
Bambaia (Agostino Busti f 1548). * La porta ri- 
chiama pure la nostra attenzione e specialmente 
si resta meravigliati dalla bellezza delle lesene 
ornate di scolture. Potremmo fermarci molto tem- 
po a discorrere su la bellezza e originalità di 
questa facciata, non potendo ne presentiamo 
una parte in una incisione dove l'industre bu- 
lino ha tentato di rappresentare la splendidezza 
delle decorazioni scultoriche che fanno della fac- 
ciata medesima un esempio unico nel suo ge- 
nere. La Certosa di Pavia ha due chiostri quello 
cosiddetto della Fontana e il grande chiostro. Il 
minore è addossato al fianco meridionale della 
chiesa e la sua costruzione si fa risalire agli ul- 
timi tempi di Filippo Maria Visconti. Questo chio- 
stro di forma rettangolare è composto di cin- 

Gfr. Le opere di G. Vasari, ediz. Sansoni, V. IV, p. 542 



168 Capitolo quarto. 



quanta arcate a tutto sesto; due de' suoi lati 
hanno la ornamentazione più ricca degli altri due 
più antichi. Gli archivolti sono fioriti di foglie di 
imperlati ecc., e fra arco e arco in mezzo a un 
tondo sporgono, secondo il sistema lombardo, dei 
busti di ottimo effetto tra mezzo la ornamenta- 
zione rigogliosissima. Evidentemente T ornamen- 
tazione di questo chiostro ricorda quella delle 
finestre dello Spedale Maggiore di Milano. Iden- 
tica è in tutte e due la lavorazione e T intaglio 
delle foglie e il cordone a spirale con perline e 
incanalature, e se non identici, assai somiglianti 
gJi intrecci di frutti e di pampini. Da questo chio- 
stro si passa all'altro men ricco di decorazioni 
scultoriche e più architettonico. Vogliam dire che 
nel chiostro grande della Certosa la linea archi- 
tettonica domina di più che nel chiostro della 
Fontana ove la ornamentazione figurativa e a 
fogliami risalta sull'architettura. Il Paravicini in 
un articolo sulla Certosa di Pavia stampato nel- 
VArte e Storia * rilevò che in tre lati del pìccolo 
chiostro sono evidentissime le traccie del colore 
e del mordente delle dorature che rivestivano 
tutta l'ornamentazione scolpita. 

Figurarsi l'effetto di questo piccolo chiostro 
quando, alle ornamentazioni rigogliose e alle do- 
rature e coloriture si aggiungevano le magnifi- 
che storie a fresco delle pareti! 

La Certosa di Pavia si deve a Gian Galeazzo 
Visconti. Fu principiata nel 1396 su disegno di 
Bernardo da Venezia e oltre avere una irapor- 

» Arie e Storia periodico artistico 11 novembre 1883, N." 45. 



Architettura del rinascimento^ ecc. 169 

tanza grandissima sulla storia dei Rinascimento 
architettonico italiano ha un interesse capitale 
sulla storia della scultura lombarda mostrando 
uno degli esempi più cospicui dell'innesto degli 
elementi pagani coi cristiani che distingue il pri- 
mo rinascimento. * 

E poiché dianzi abbiamo ricordato lo Spedale 
Maggiore di Milano vogliamo accennar subito 
un altro artista di fuori, fiorentino, che lavorò a 
Milano durante la seconda metà del XV secolo. 
È questi Antonio Averlino o Averulino scultore 
e architetto soprannominato il Filarete (vale a 
dire Amato re di VirttJt f 1465?) che nel 1456 
Francesco Sforza fece venire a Milano non a far 
tutto lo Spedale Maggiore, come dice il Vasari, 
ma a farne una parte che il Calvi ha creduto di 
determinare correttamente. * Il Filarete, che fu 
anche scrittore, mostrò sempre più coltura che 
ingegno e come artista più buona volontà che 
buon gusto. Si guardi ad esempio la porta del 
S. Pietro (messa a posto nel 1445) e di cui il 



» Gfr. E. Miintz, Im limaissaitce m Italie et en France à 
V epoque de Charles Vili. 

' Notizie sulla vita e le opere dei principali architetti, scul- 
tori e pittori che fiorirono a Milano durante il governo dei 
Visconti e degli Sforza, t. II, pag. 78 e segg. Sul Filarete si 
trovano notizie considerevoli nel Vasari, nel Miintz {Lea Artes 
() la Cour dea Pùpea^ t. I, pag. 34, 41-44, t. II, pag. 291 e segg., 
{Lea Précitraeura de la Beftaiaaance, pag. 90 e segg.), nel Dohme 
{Filaretea Tractat voti der Architectur\ nel Jahrhuch der K. 
preuaaiachen Kunataammlungen, anno 1880, pag. 225, nel Reper- 
torium fUr Kunatiriaaenachaffy anno 1884, pag. 291 e segg., ecc. 



170 Capitolo quarto. 



Qeffpoy fece uno studio finissimo. * La fabbrica 
dello Spedale di Milano fìi continuata dall'archi- 
tetto Guìniforte Solari, ma non fu Anita cbe nel- 
Tanno 1797. 

Accanto al Filarete potremmo citare Michelozzo 
Michelozzi eh» conoscemmo in Toscana e a Mi- 
lano ingrandì e ornò il palazzo oggi dei Vismara, 
(via dei Bossi) di cui scrisse Io stesso Filarete 
pel suo ms. Trattato d'Architettura, e fece per 
Pigello Portinari una sontuosa cappella in S. Eu- 
sLorgio nel 1462. Ma quanto spazio ci vorrebbe 
per dir di tutti? 

Volendo continuare questo paragrafo potremo 
qui accennare la squisita ornamentazione estema 
della chiesa dei Miracoli a Brescia, la cappella 
Golleoni a Bergamo dovuta alla ferace immagi- 
nazione dell' Omodeo della Certosa di Pavia, la 
famosa porta cremonese del palazzo Stanga, ora 
al Louvre, eseguita verso il 1496, all'altra un po' 
posteriore del Palazzo del Comune a Cremona e 
potremo accennare altre bellissime opere. 

Roma che alla fine del XV e al principio del 
XVI secolo era la città alla quale si rivolgevano 
gli artisti più valorosi d' Italia, tutti coloro cioè 
che si sentivano la forza di potersi cimentare 
in lavori di grande importanza, Roma attirò an- 
che il Bramante come attirò poi RaSfaello e Mi- 
chelangelo. Lombardi e toscani comandavano sulle 
rivo del Tebro in questo tempo perchè, d'artisti 
indigeni Roma n'ebbe ben pochi. Il fatto è che 

* Jifrue (ìes deux momìeSj 15 settembre 1879. 




Spedale Maggiore, Milano. 



Architettura del nnaacimento, ecc. 171 



presto Bramante vi divenne T architetto per ec- 
cellenza. Giulio 11 lo messe alla testa delle sue 




imprese perchè, di vista acuta, comprese che 
uomo era quegli che aveva ottenuto a Milano il 
favore di Lodovico il Moro. Ecco dunque Bra- 



172 Capilolo quarto. 



mante fondatore anche di una scuola romana di 
architettura ' nella quale troviamo i nomi di 
Antonio da San ttallo, di Raffaello, di Baldassare 
Peruzzi, d'Antonio del Ponte a Sieve che T Alber- 
tini cita accanto allo scultore e architetto An- 
drea, soprannominato Sansovino di Montesansa- 
vino (Gontucci 1460 1 1529) [da non confondersi 
con lo scultore e architetto fiorentino Jacopo so- 
prannominato Sansovino (Tatti 1486 1 1570) chia- 
mato a Roma da Giuliano da Sangallo nemico giu- 
rato del Bramante], di Giovanni Maria dell'Abbaco 
e di Antonio dell'Abbaco scolaro di Antonio da 
Sangallo (il giovine) che nei suoi Libri d'archi- 
teitura ricorda con orgoglio di aver fatto le prime 
armi sotto il Bramante. 

A Roma l'architetto Urbinate costruì il palazzo 
della Cancelleria per incarico del cardinale Ria- 
rio che è uno dei più belli di Roma; * costruì il 

» Bisogna intendersi bene su questo scuole bramantesche 
di architettura; perchè Bramante non ebbe una maniera soia. 
In Lombardia la sacrestia di S. Maria presso S. Satiro ha 
un tipo affatto diverso da quello della canonica di S. Ambro- 
gio e del chiostro di Santa Maria delle Grazie. A Roma si 
potrebbe quasi dire che i palazzi deUa Cancelleria e Giraud 
sono la continuazione della seconda maniera lombarda; i» 
tempietto poi di S. Pietro in Montorio fa parte deiruUiuia 
maniera del Bramante della quale fu continuatore Raffaeli»' 

• Per cura delF Amministrazione dei Sacri Palazzi si sono 
ordinati i lavori di abbattimento delle soffitte che deturpano 
l'attico della Cancelleria. Tutto l'edificio si viene restituendo 
nella sua forma primitiva e rinforzando nelle parti che minac- 
ciavano rovina. Al Comune spetta il merito di aver messo in 
piena evidenza questo capolavoro del Bramante mercè la di- 
struzione delle case che gli si erano addossate d' intomo, mas- 
sima dalla parte di oriente. 




Finestra nel palazzo delia Cancelleria! Roma. 



174 Capitolo quarto. 



1 



Palazzo Torlonia già Giraud (Borgo Novo), un 
tempietto genialissimo in S. Pietro ìq Montone 
e tra gli altri due ediQzi celebri quasi ignoti, il 
proprio palazzo ora distrutto e il palazzo di 
S. Biagio non terminato. Tutti e due questi 
edifici ebbero una grandissima influenza sullo 
sviluppo ulteriore dell'architettura moderna e 
appartengono a quel tipo d'arte che valse a Bra- 
mante tanti seguaci e iniziò sì bene il cinque- 
centismo. 

Ma r impresa maggiore del Bramante fu quella 
che gli propose il papa Giulio U di ricostruire 
il S. Pietro. Tutti avrebbero piegato sotto un co- 
sifatto peso; Bramante non si scosse minimamente 
e accettò. 

Il papa aveva deliberato di atterrare la basi- 
lica vaticana per farla di novo e da quanti ar- 
chitetti allora dimoravano in Roma aspettò che 
gli fossero presentati dei disegni. Fra gli altri 
Giuliano da Sangallo presentò il suo progetto 
persuaso che il pontefice, che aveva servito da 
cardinale, lo avrebbe preferito su gli altri. In- 
vece Giulio II non accettò che il modello di Bra- 
mante come il solo rispondente veramente al 
suo smisurato volere. Michelangelo scrivendo a 
un suo amico si espresse così sul conto del di- 
segno del Bramante: e le parole del Buonarroti 
hanno un gran peso data l'antipatia che lo scul- 
tore-pittore fiorentino aveva verso l'architetto 
Urbinate a cui attribuiva la causa prima dei 
tanti dispiaceri che ebbe a soffrire in Roma.* 

» Michelangiolo in un momento di collera poteva dirne 



Architettura del rinaaeimentOj ecc. 175 

« E' non si può negare, scriveva Michelangelo, che 
il Bramante non fosse valente nell'architettura 
quanto ogni altro ohe sia stato dagli antichi in 
qua, ecc., ecc. » e più sotto « chiunque si è di- 
scostato da detto ordine di Bramante come ha 
fatto il Sangallo si è discostato dalla verità ». * 
Perchè il Bramante mori prima che il suo di- 
segno fosse stato eseguito intieramente: < tirò la 
fabbrica alta Ano alla cornice dove sono gli ar- 
chi a tutti i quattro pilastri e voltò quelli con 
somma prestezza e arte; fece ancora volgere la 
cappella principalo dove è la nicchia attendendo 
insieme a far tirare innanzi la cappella che si 
chiama del re di Francia • ' (cioè, oltre a aver co- 



delle grosse contro i suoi nemici, ma è un fatto che lor sa- 
peva render giustizia. Oltre quest'esempio che si riferisce a 
Bramante e' è l'altro che riguarda Raffaello e le Sibille dipinte 
al Chigi. Si ricorda che Michelangiolo ne fissò il valore a 100 
ducati per testa raddoppiando così la somma stata fissata dal 
cassiere deU' illustre banchiere senese. La lettera in parte tra- 
scritta si trova nella collezione di autografi e docum. storici 
di Beniamino Fillon, serie IX e X, p. 123. 

* Lettere pittoriche^ tomo VI, pag. 40, edizione milanese. 
La lettera è diretta a Bartolomeo Ammannati. 

^ Le opere di Vasari, Edizione Sansoni, Voi. IV, pag. 161. 
H disegno della chiesa di S. Pietro, secondo l'idea del Bra- 
mante vedesi nell' opera del D'Agincourt dedotto da quello di 
certe medagUe coniate in onor del Bramante dal celebre Ga- 
radosso orefice lombardo. Vedi il disegno anco nel Bonanni 
Historia Templi Vaticani t. I, pag. 9. Gfr. altresì per ciò che 
riguarda il S. Pietro il lavoro interessantissimo del Di Gey- 
mùller, Les projets primitfs pour Saint Pierre, ecc. Paris, 
Baudry. 



176 Capitolo quarto. 



struito i quattro enormi pilastri sotto la cupola 
dette pure principio alle tribune della nav^ di 
mezzo e della nave trasversale meridionale). Dice 
il Vasari che apparve smisurato il concetto di 
Bramante in quest* opera ^ e come non poteva 
parere? Le dimensioni del S. Pietro sono colos- 
sali. Le cattedrali di Milano, di Mans, di Reims 
che son le più lunghe che esistono vengono ol- 
trepassate molto; quelle di Notre-Dame di Pa- 
rigi, di Chartres e di Brouges potrebbero staro 
nella nave traversa. 

Il Bramante, che aveva adottato pel S. Pietro 
la forma della croce greca, collocò la prima pietra 
della basilica il 18 aprile 1506 con grande solen- 
nità e < la fabbrica grandissima e terribilissima > 
(Vasari) fu condotta al punto che si è detto prima 
che morisse; morto ebbe successori, RafTaello, 
Fra Giocondo, Giuliano da Sangallo, il Peruzzi, 
Antonio da Sangallo (il giovine), Michelangelo, ecc. 
A Michelangelo toccò la costruzione della cupola 
che tra le imprese difficili fu una delle più; per- 
chè non è vero che la costruzione della cupola 
di S. Pietro non fosse stata che una ripetizione 
dello difficoltà incontrate in quella di S. Maria 
del Fiore, come si crede in generale ; nel S. Pie- 
tro il problema si presentava con forme nuove; 
perciò quando Michelangelo parlando della mole 
fiorentina, diceva di < andarne a far la sorella > 
parlava con modestia eccessiva. A Carlo Maderno 
toccò da Paolo V Y erezione della facciata del 
tempio sontuoso e a Lorenzo Bernini l'onore di 



* Op. et loc. cit, paif. 163. 




S. Piftr 




L Roma. 



Arehiteitura dal rinaseimento^ ecc. 177 



ionestarvi il portico che della piazza di S. Pietro 
fa una delle prime piazze del mondo. 




ft%i«tSS9« 

li m 

S. Pietro di Roma (stato attuale). 



A. Melam. 



li 



UUjf^ti^UKM ^l^^Ufl tfU, 



Su la costruzione del S. Pietro di Roma po- 
tremmo scrivere quante pagine vorremmo; du- 
rata per più di un secolo e mezzo, fu contem- 
poranea a ventidue papi, ebbe a direttori suc- 
cessivamente tredici architetti dal Bramatìte al 
Bernini, costò secondo i calcoli di Carlo Fontana 
la somma enorme di 251,450,000 lire italiane equi- 
valente a cinquecento milioni dei nostri giorni... 
Il S. Pietro insomma meraviglia, spaventa fa sen- 
tire che nella storia dei popoli queste costru- 
zioni non si fanno due volte. 

Gonchiudendo, in Bramante c'è più l'architetto 
di genio che una di quelle nature molteplici del 
Rinascimento veramente miracolose. * È tale la 
massa dei problemi che V architetto d' Urbino ha 
aflTrontato e risoluto nel campo severo delle di- 
scipline costruttive da dimenticare che fu an- 
che pittore e incisore. 

Intorno a Bramante in Roma, sorsero archi- 
tetti valenti e mediocri, i quali cercavano di 
secondarlo nelle sue idee perchè poteva servirsi 
di loro essendo sopraintendente di tutte le co- 
struzioni pontifici. Ma Giuliano da San Gallo — 
il fondatore illustre della famiglia d' artisti di 
questo nome — avvicinò poco o punto il Bra- 
mante; in ciò non doveva essere estranea un po' 
d* invidia: a Giuliano doveva parere -che fosse 
suo diritto essere preposto a Bramante. Comun- 
que gli sdegni del competitore irato non sor- 



» Gfr. Muntz, Raphael, Il edizione. Parigi, 1886, pag. 313 
paragrafo Bramante. 



Architettura del rinascimento, ecc, 179 

tirono alcun successo, e Bramante continuò a 
essere moltissimo adoperato. Però Giuliano fu a 
capo dei lavori del San Pietro con Raffaello e 
Fra Giocondo, vivente il Bramante, morto P 11 
di marzo del 1514 cioè poco dopo di due mesi 
che Giuliano fu insediato nella carica ambita. * 
Venuto a Roma assai presto, di circa 20 anni 
Giuliano s'era messo a studiare l'antichità con 
vera passione come lo provano delle raccolte di 
disegni suoi che si trovano una, alla biblioteca 
Barberini a Roma, l' altra alla biblioteca comu- 
nale di Siena. Fu considerato molto da Paolo II 
e se Sisto V non si giovò del suo ingegno, Giu- 
lio II il grande mecenate delle arti al quale 
Leone X usurpò parte della sua gloria, ebbe 
verso l'architetto fiorentino vivissima amicizia. 
Certo Bramante lo danneggiò; e quando salito 
al trono pontificio Leone X la fortuna pareva 
tornata a sorridere a Giuliano questi, poco dopo 
essere stato uno dei tre capi della costruzione 
del S. Pietro, si morì (20 ottobre 1516). Molti 
scrittori gli attribuiscono l'erezione del bellis- 
simo palazzo Venezia a Roma. 

Abbiamo detto che fra gli architetti che se- 
guirono le idee del Bramante a Roma vi fu Raf- 
faello Sanzio (1483 t 1S20). Il fatto capitale e 
meglio accertato della carriera architettonica dì 
Raffaello da Urbino è appunto Tessere stato no- 
minato successore del Bramante alla più grande 
impresa che sia mai stata proposta nei tempi 
antichi e moderni a un architetto,^ cioè la coetru- 



* Gaye, Carteggio ined., ecc. II, 135. 



Architettura del rmaaeimento, ecc. 181 

zione della mole vaticana. * Leone X ve lo no- 
minò per invito del Bramante ma gli dette per 
cooperatori due veterani dell'architettura: Giu- 
liano da San Gallo e Fra Giocondo. Morti peral- 
tro entrambi, Raffaello restò solo a dirigere 
la fabbrica immensa. Il Di GeymUller attribui- 
sce a Raffaello T erezione della Farnesina di cui 
dette i piani ad Agostino Chigi nel 1514. L'ele- 
gante palazzo Pandolflni a Firenze, è certo opera 
imaginata da Raffaello; non ne potè presiedere 
la costruzione perchè principiata dopo la sua 
morte. Perciò troviamo unito a questo palazzo 
i nomi dell' architetto Giovanni Francesco da 
San Gallo (f ISSO) e del pittore e architetto 
fiorentino Aristotile da San Gallo (1481 f ISSI). 
Il palazzo Pandolflni è il più geniale di quanti 
n' ha imaginati il pittor delle Stanze. La Farne- 
sina attribuita a Raffaello si è creduta sempre di 
Baldassare Peruzzi (1481 f 1S36) a cui la critica 
moderna non fu troppo benevola,'* Abbandonata 



' E. Di GeymùUer, Raffaele Sanzio studiato come architetto. 
Ulrico Hoepli, Milano, 188*, pag. 17. 

■ Raffaello pittore fecondo, pieno di fantasia, doventa in- 
fine anche archeologo e prende tanta passione alla archeolo- 
gia che negli ultimi anni di sua vita dà mano a una specie 
di ricostruzione ideale di Roma antica che la morte non gli 
lasciò finire. Questa ricostruzione, che il Grimm non vorrebbe 
attribuire a Rafaello e il Springer attribuisce a Fra Giocondo, 
è un Rapporto diretto a Leone X ove per la prima volta si 
accenna allo sviluppo degli stili, alle loro differenze, cosa a 
cui prima di Raffaello (che crediamo autore del Rapporto), 
uii^no avea pensato, tranne il Ghiberti nei suoi Comentari^ ma 



182 Capitolo quarto, 

Siena e giunto a Roma il Peruzzi acquistò nella 
capitale del mondo cattolico un posto conside- 
revole. Fu pittore e nel dipingere a chiaroscuro 
sfida i maggiori; quale architetto c'è chi lo 
vuole dei primissimi, c'è chi lo mette in se- 
conda linea, in Francia e in Germania se n'ò 
voluto far da qualcuno il più grande architetto 
del XV secolo e perciò si è anteposto allo stesso 
Bramante. ^ Insomma anche ammesso (e non tutti 
r ammettono per ora) che la Farnesina non sia 
del Peruzzi, questi ha il palazzo Massimi a Roma 
(detto delle Colonne), il palazzo Linotte, Ossoli, 
Altemps che gli assicurano una riputazione le- 
gittima. Egli poi lavorò a Carpi, a Bologna: a 
Carpi fece certo il Duomo, a Bologna gli si at- 
tribuiscono la facciata del palazzo Albergati, il 
palazzo Lambertino, la porta di S. Michele ia 
Bosco. A Roma ebbe alta fama anche Antonio 
da San (Jallo detto il giovine o il Sangallo ni- 
pote architetto operosissimo come ne fanno am- 
pia fede le fabbriche erette, e i suoi studi che 
si veggono in una raccolta della Galleria di 
Firenze il cui Catalogo fu ordinato diligente- 
mente dai benemeriti annotatori delle vite vasa- 
riane. A Roma si distinse oltre che col palazzo 

solo in ciò che spetta alla pittura medieva. É noto che U li- 
bro del Ghiberti, parte inedito, ha preceduto le biografie del 
Vasari di tutto un secolo. 

» D. Ramée, Hiatoire generale de VArchitecture, Paris, 1885, 
Benaieeanee, pag^. 143. Raccomando al chiarissimo autore di 
corregger bene questo suo lavoro in una seconda edizione 
perchè (almeno per la parte che riguarda 1* Italia) mi pare cb^ 
abbia bisogno di cj^ualche correzione, 



Architettura del rinascimento, ecc. 183 



Farnese con quello Sacchetti colla erezione della 
facciata della Zecca vecchia, già erroneamente 




a 

o 



attribuita al Bramante, con le opere di architet- 
tura militare che vi diresse, si distinse col novo 
ordine imaginato per Ja fabbricai di iSan Pietro 



184 Capitolo quarto. 



tanto Iodato dal Vasari e troppo spregiato dal 
Buonarroti. * Antonio da Sangallo il giovine (vedi 
la nota 2 a pag. 145) lavorò molto anco fuori di 
Roma quale architetto militare in special modo;* 
fece la fortezza di Perugia ora distrutta, il Bra- 
mante lo menò seco a Civitavecchia nel 1508 
quando Giulio avevagli commesso la fortifica- 
zione della città e il Sangallo ne componeva il 
rettangolo sotto la direzione del maestro. Perchè 
l'influenza più o meno bramantesca si estese per 
tutta la regione del Lazio. Bramante, per es., lo 
troviamo a Viterbo e -a Civitavecchia a dare di- 
segni per costruzioni. Senonchò non potendoci 
estendere bisogn.a fermarci al luogo da dove si 
partì il movimento artistico a meno che dei mo- 
numenti veramente insigni non ci impongano di- 
versamente: in questo caso non ci si può partire 
da Roma. 

I papi cercavano di ornare piiì la lor sede che 
le città circonvicine e noa avevano poi tutti i 
torti. Roma fu quindi ornata colle opere di altri 
architetti valorosi oltre i nominati; ma del Vi- 
gnola, di Giulio Romano, dello stesso Sansovino 
parleremo nel paragrafo seguente, per la divi- 
sione fatta tra T architettura del Rinascimento e 
del Cinquecento; che può far confondere un po' 
gli inesperti per quanto assoluta derivando da 



» Gfr. Ojpere di G. Vasari Con annotazioni e commenti di 
G. Milanesi, ediz. Sansoni, Voi. V, pag. 468. 

" Vedi A. Guglielmotti de' Predicatori, Storia delle forHji- 
caziofti nelle spiaggia romana^ risarcite ed accresciute dal 1560 
al 1570. Roma, 1880. 



Architettura del rinascimento, ecc. 185 

forme d'orìgine comune ma diverse tra loro. — 
Questa divisione certo è più diflQeile farla a Roma 
che, per es., nei Veneto; per la ragione che a 
Roma gli esempi latini tiranneggiarono più la 
fantasia degli artisti che li avevano sotto gli oc- 
chi continuamente; perciò là il classico imitatore 
spesso s'infiltrò anche dove avrebbe dovuto es- 
sere solo il classico creatore. 

Chi vuo'l capire bene questa divisione deve 
prendere un edificio lombardesco e uno palla- 
diano: le considerazioni ispirate dal confronto 
suppliranno alla insufficienza delle nostre parole. 

Qui in questo luogo sta bene T autore del pa- 
lazzo ducale di Gubbio e d'Urbino, e di Urbino 
sopratutto perchè la costruzione di questo deve 
Hvere influito tanto sulle attitudini architettoni- 
che del Sanzio. Questo palazzo (cominciato nel 
1468) fu ordinato dal nobil duca Federigo di Mon- 
teteltro che fece fiorire le arti e le lettere in 
questa regione italiana (| 1482). Fu imaginato 
dall'architetto dalmata Luciano di Lauranna * che 
ebbe per successore il senese Francesco di Gior- 
gio Martini. Su questo Lauranna bisognerebbe 
fermarsi un po'. Giovanni Santi nella Cronaca in 
terza rima lo rammenta così: 

Et l'architetto a tutti gli altri sopra 
fa Lacian Lauranna huomo exceliente 
che il nome vive benché morte el cuopra. 



* Di quest'architetto ha dato molte importanti notizie il 
^aye nel tomo I, pa^p. 214 e se^^. <Jel Carteggio ined., ecc. 



186 



Capitolo quarto. 



Ora se il padre di Raffaello artista più che me- 
diocre parlava così di un architetto, vuol dire 
che questo si meritava il plauso suo e della gente. 
E lo crediamo; il palazzo d'Urbino che il Ca- 







Palaizo ducale, Urbino. 



stiglione disse il più bel palazzo che ai suoi tempi 
fosse in Italia, ha la vaghezza e eleganza delle 
opere che poi si disser braraaatesche, Luciano, 



Architettura del rmaseimentOj ecc. 187 

non e' è che dire, formò il Bramante e Bramante 
finì di formare Raflfaello architetto che aveva stu- 
diato « Maestro Lutiano », sicché Luciano Lau- 
ranna va ricordato accosto al Bramante e il suo 
nome dovrebbe diventar familiare. Nel palazzo 
di Urbino forse lavorò Baccio Pontelli (n. 1450 
viv. n. 1492) architetto fiorentino al quale si at- 
tribuisce a torto il bel cortile che diamo inciso. 
Il Pontelli è stato un artista fortunato: per molto 
tempo gli sono state attribuite tante fabbriche di 
Roma' erette durante il pontificato di Sisto IV e 
lanocenzo Vili (1484-1492) che non possono es- 
sere state costruite da lui come vorrebbe il Va- 
sari. La fama goduta per quattro secoli da Baccio 
Pontelli come architetto degli edifizi di Roma deve 
essere con ragione rivendicata a favore di Meo 
del Caprina architetto di Settignano (vie. di Fi- 
renze, 1430 1 1301) molto valente nell'arte sua 
noia per ingiuria della fortuna rimasto fino ad ora 
immeritatamente sconosciuto. ' 

Da Urbino a Loreto è breve il passo; perciò 
qui possiamo ricordare anche il famoso Santua- 
rio della Madonna principiato da Giuliano da 
Maiano ornato in parte dal Bramante che dette 
i piani del palazzo apostolico (ora reale) loretano, 
nel 1510, e mèta ogni anno di migliaia di pel- 
legrini. Non c'è italiano che non abbia sentito 
parlare del tempio insigne; di questa « Santa 



« Cfr. Commentario alla vita di Baccio Pontelli in Opere di 
a, Vasari, edizione fiorentina de\ SmsQXà Voi. II, pa^. 659 



188 Capitolo quarto. 



Casa » e delle sue ricchezze. À questo monu- 
mento, oltre i nomi del Bramante e di Giuliano 
da Maiano, si uniscono quelli di Antonio Calca- 
gni (1536 1 1593) costruttore della facciata, del 
Pomarancio (Cristoforo Roncali) pittore degli af- 
freschi della cupola ettagona, del Sansovino, di 
Francesco da San Gallo, di Baccio Bandinelli, di 
Raffaello da Montelupo scultori delle storie della 
Vergine senza parlare di Luca Signorelli, di Fra 
Bartolomeo, ecc., eoe. j 

Lo stile del Rinascimento nel Piemonte, nella 
Liguria, a Napoli, sua provincia, ecc., ecc. — Del 

Piemonte ci occupiamo poco perchè, davvero, 
saremmo sgomenti a trovare, ad es., in Torino 
materia da trattenere fruttuosamente il lettore. 
Se ne togli il duomo elevato su disegno chi dice 
di Baccio Pontelli chi dice di Meo del Caprina 
(secondo noi Meo del Caprino da Sotlignano) non 
sapremmo dove rivolgere la mente in cerca di 
monumenti del Rinascimento in questa pittoresca 
e insigne capitale piemontese che quale è adesso l 
non va più in là, in architettura, del XVI secolo. 
Si sa che gli architetti piemontesi ftirono più 
ingegneri militari che artisti e difatti troviamo i 
più noti tra loro: Marino da Pinerolo, Giovanni 
da Vigono, Freilino di Mercadillo da Chieri — al 
servizio dei Milanesi e Fiorentini appunto in qua- 
lità d'ingegneri militari. Si rammenti inoltre che 
il Piemonte provincia di condne, signoreggiato 
da una famiglia che risiedeva parte dell'anno 
oltr'Alpi vi dominava e contraeva frequenti 
aUean;}e domestiche colla casft di Valois, fu più 



Architettura del rinascimento j ecc. 189 

lento delle altre provincie a accogliere i precetti 
dell'arte nova; e quando già nel rimanente d'I- 
talia le forme classiche vigoreggiavano, il Pie- 
monte seguitava a ispirarsi alla Francia e a col- 
tivare l'architettura archiacuta. Nemmeno della 
Liguria ci occupiamo perchè avrà avuto, come 
dice il Varni, un numero considerevole di artisti. 
in questi tempi, ma non ebbe una scuola archi- 
tettonica caratteristica e in ogui momento vi 
troviamo artisti toscani o lombardi o fiamminghi 
come nel Napoletano. Nel XV secolo troviamo a 
esercitar T arte a Napoli artisti di fuori in qual- 
sivoglia delle sue branche. Neil' ultimo decennio 
del secolo medesimo s' incontra in Napoli il fio- 
rentino Benedetto da Maiano a cui vuoisi attri- 
buire il palazzo Como; un palazzo sul genere di 
quello Strozzi di Firenze. ^ Là il Rossellino ci 
ricorda l'arte fiorentina coi suoi lavori della Cap- 
pella Piccolomini, e vi lavora moltissimo Giuliano 
da Maiano (altro toscano) a cui il Vasari attri- 
buisce l'opera più cospicua che ha Napoli in ar- 
chitettura e scoltura: l'Arco trionfale di Castel 
Novo (cominciato dopo il 1442 e non anco finito 
nel 1471) al quale lavorarono i più valenti scul- 
tori italiani di quest'epoca* Isaia da Pisa (fior.^ 
n. 1420) Andrea Domenico Lombardo, Francesco 
Azzarra, Paolo Romano, lo scultore favorito da 
Pio II, Silvestro e Andrea dell'Aquila e perfino 



* Gfr. Settembrini, TI palazzo di Como. Rivista Napolitana, 
del 20 agosto 1963. 

* Minieri Riccio, Oli artisti e artefici che lavoravano in Ca- 
stel Nwo, Napoli, 1S76. 



• 190 Capitolo quarto. 



Desiderio da Settignano. Considerato bene il fatto, 
Giuliano non può avere eseguito come notò an- 
che il MOntz, * l'Arco trionfale di cui si parla; è 
più facile che abbia architettato o almeno prin- 
cipiato a architettare la porta Capuana (1484-1535) 
ordinata da Ferdinando I (1458 f 1494). È accer- 
tato che Giuliano dal 1481 abbandonò la Toscana 
si recò a Napoli dovè restò e morì nel 1490. Gii 
si attribuisce anche la celebre villa del Poggio 
reale (cominciata dopo il 1481) creduta erronea- 
mente di quel Luciano di Latiranna architetto del 
palazzo ducale di Urbino e di cui non si hanno 
che i disegni pubblicati dal Serlio. * 

Bisogna ricordare anche i servizi prestati alla 
corte di Napoli da due altri architetti fiorentini: 
Antonio di Giorgio da Settignano e Luca Pan- 
celli; quest'ultimo lavorò al Castello Capuano. Di 
architetti indigeni vi si trova un assai proble- 
matico Andrea Ciccione (t 1455?) a cui si attri- 
buisce il chiostro di Monteoliveto, l'Oratorio di 
Fontano, parte della chiesa di S. Severino e il 
monumento maestoso d' aspetto, ma mediocre in 
linea d* arte, che in S. Giovanni dei Carbonari è 
inalzato a Gian Caracciolo (tl432). 

Basta; Napoli e la sua provincia fu troppo bat- 
tuta dagli stranieri vari d'indole e di voleri per- 



^ La Renaissance en Italie et en France^ ecc., pag. 4^5. 

* Intorno air andata di Giuliano a Napoli e alle opere fatte 
da lui per Alfonsa duca di Calabria si hanno alcune notizie 
importanti nelle Effemeridi di'Gio. Pietro Leostello pubblicata 
nel primo volume dei Documenti per la Stùria le ArH e U 
Ikdustrie Napoletane, del principe Don Gaetano Filangieri. 



Architettura del rinaacitnentOj ecc. 191 

che vi potesse germogliare un'arte locale carat- 
teristica. Per quanto gli storici di là si sforzino 
a crear magari qualche nome per dar credito a 
una scuola d'arte napoletana, i loro sforzi per 
ora sono senza successo ; il Burckhardt, il Bode, 
il Mttntz, il Morelli, il Frizzoni sono di questo 
parere. * 

Rivenendo insù (davvero ci vogliono le ali alle 
calcagna come ha Mercurio 1} troviamo in Bolo- 
gna una città che se nel movimento storico del 
Hìnascìmento non conseguì un posto a parte, 
malgrado la sua ricchezza e V energia degli abi- 
tanti, sotto r aspetto dell' arte ebbe riputazione 
singolarissima. Non dovendoci occupare delle 
opere scultoriche di Giacomo della Quercia, del 
fiorentino Francesco di Simone, di Niccolò da 
Bari che terminò la famosa arca cominciata da 
Niccola Pisano — il restauratore della scoltura 
italiana — né di quelle pittoriche del Francia e 
della sua scuola numerosa, né delle altre di cui 
due ferraresi Francesco Gossa e Lorenzo Costa 
ornaron Bologna sullo scorcio del quattrocento, 
volgendo gli occhi soltanto alle architetture, ivi 
troviamo intanto uno degli architetti più cospi- 
cui del XV secolo in Aristotile di Fioravante 
che lavorò nel palazzo del Podestà (1485), un 
palazzo assai vago con delle finestre arcuate, con 
pilastrelli addossati e fioriti di fini ornamenti 



* Su r arte a Napoli nel Rinascimento, si consulti lo studio 
del dott. Frizzoni pubblicato di9\V Archivio Storico Italiano^ 
anno 1878, serie IV 



192 



Capitolo quarto. 



quali sì veggono in altri palazzi di questa ma- 
gnifica e dotta città di cui scriveremmo se il no- 
stro studio dovesse avere maggiore estensione. 
Ma non vogliamo rinunziare a mostrare con un 
disegnetto l'angolo di una casa bolognese genia- 
lissima decorata con terracotte e con pitture nel 
fregio superiore e nello sporto del tetto qual 
vedesì dalla piazza Galderini; e lo mostriamo non 





Casa delta « dei Caracci », Bologna. 

senza notare che la casa è detta generalmente 
t Casa dei Caracci » tuttoché non si abbiano me- 
morie provanti che appartenesse mai a questa 
famiglia. 11 secolo sedicesimo ne alterò la origi- 



Architettura del rinaaeimento, ecc. 198 



naria struttura del secol precedente inalzando la 
parte alta dell'angolo oltre la cornice orizzontale 




Palazzo Fava, Bologna. 

che è r antica. Accanto a questo offriamo il pa- 
lazzo Fava che ha un carattere spiccatissimo e 



A. Mblàni. 



13 



194 Capitolo quarto. 



andrebbe molto studiato nei suoi particolari di 
una grazia incomparabile e notiamo la Loggia 
dei Mercanti terminata nel 1439, il Palazzo del- 
l'Arte degli Straociuoli, ecc., ecc. 

Ebbe una importanza reale nell* epoca del Ri- 
nascimento la simpatica città di Rimini grazie ai 
favori di Sigismondo Malatesta che seppe riu- 
nire alla sua corte artisti della forza di L. B. Al- 
berti, di Piero della Francesca « poeti e filosofi 
e eruditi di fama mondiale. Alcuni monumenti 
di Rimini di quest'epoca li abbiamo ricordati 
parlando di L. B. Alberti; qui ci limiteremo a 
accennare un'opera architettonica finissima in 
una chiesa di S. Michele a Pano vicino a Rimini 
sfuggita agli eruditi Burckhardt e Bode opera 
di un artista poco noto: Matteo Nuti di Fano 
che edificò nel 1452 anche la biblioteca Malate- 
stiana a Cesena. 

A coloro che del Rinascimento vogliono avere 
più estese cognizioni furono additati i libri op- 
portuni. 



COSTRUZIONI RELiaiOSE E CIVILI 
DEL CINQUECENTO. 

Basterebbe conoscere le costruzioni sacre di 
Andrea Palladio per avere un'idea esatta dell'ar- 
chitettura religiosa del Cinquecento. Il Palladio 
fece molti progetti di chiese, ma non tutti furono 
eseguiti. Nel 1567 era chiamato a Brescia per 
esaminare il disegno del Duomo presentato da 



Architettura del rinobseimento^ ecc, 195 



Lodovico Berretta bresciano (tllJ72}. Vi fece tante 
aggiunte e cangiamenti che ne uscì un disegno 
novo che ricorda quello fatto da lui pel S. ttiorgio' 
Maggiore a Venezia. Pece qualche studio anclie 
pel Duomo di Bergamo e pel S. Niccolò di Po- 
veglia; per Vicenza diede i piani di un tempio 
alla Vergine di Monte Berico, costruì un geniale 
tempietto a Maser nel trevisano isph*ato dal Pan- 
theon di Roma e disegnò quattro progetti per la 
tacciata del S. Petronio a Bologna, ed a Venezia 
olti'e al S. Giorgio Maggiore, costruì la Chiesa 
del Redentore la quale, secondo il Kugler, è la 
più bella delle chiese fabbricate dal Palladio, e 
secondo noi, non è meno delle altre accademi- 
camente noiosa. 

La pianta della chiesa del Redentore ha la 
forma di una croce latina nel cui braccio più 
lungo stanno tre cappelle internate nel muro 
con altrettanti altari eguali. Nel mezzo della cro- 
ciera sorge una cupola impostata sur un qua- 
drato minore della larghezza della nave centrale. 
La testa e le braccia della croce girano in se- 
micerchio; queste sono formate dal vivo del muro, 
quella si compone di quattro colonne corintie iso- 
late eguali a quelle dell'ordine ricorrente in tutta 
la chiesa. Dietro allo sfondo che forma il capo- 
croce, trovasi il coro di « umile struttura » dice 
il Diede, quale conveniva ai cappuccini uffizia- 
tori della chiesa. L'interno è d'ordine corintio. 
61i archi delle cappelle sono sostenuti da pilastri 
di un ordine minore di quelli che sostengono la 
trabeazione generale; e sopportano una cornice 
architravata che serve d'imposta e gira per tutto 



196 Capitolo qucvrto. 

il tempio. Negli intercolonni stanno due file di 
nicchie sovrapposte. L' estemo corrisponde poco 
airinterno, L* ordine composito con due colonne 
nel mezzo e due pilastri angolari si inalza sur 
un ampio basamento con scalinata. Lo iDterco- 
lonnio mediano è più del doppio dei due laterali. 
Le due ali sono formate da un ordine corintio a 
pilastri il quale si svolge lungo la linea dei fian- 
chi e entrando nello intercolonnio centrale, for- 
ma e orna la porta. La cornice di quest'ordine 
convertita in fascia naturale, passando gli inter- 
colonni non presenta risalti soverchi. — La co- 
pertura delle ale che stanno nella medesima li- 
nea della facciata va ad appoggiarsi alla parte 
di mezzo della fabbrica sviluppando due mezzi 
frontoni la cui inclinazione è parallela a quella 
del frontone del corpo mediano. Di questo stesso 
tipo sono anche le chiese del Palladio; il S. Gior- 
gio, e il S. Prancesco della Vigna, il cui interno 
fu eretto dal Sansovino. 

Lungi da noi Tidea di voler far qui la critica 
analitica dell' architettura palladiana, notiamo pe- 
raltro che r architetto vicentino mostrò nelle 
chiese una fiacchezza di fantasia la quale non si 
trova nelle sue costruzioni civili; per quanto an- 
che in queste il pronao, il fastigio alla romana 
non si facciano mai desiderare, non si può ragio- 
nevolmente scagliarsi contro il sistema architet- 
tonico palladiano che ha la sua ragiiAie d'essere 
nella vita del secolo in cui vigoreggiò. Il secolo 
latineggiava e il Palladio, che impersonò mara- 
vigliosamente le idee del suo tempo, latineggiò 
colia sua architettura caratteristica stata umiliata 



Architettura del rinascimento, ecc. 197 

dai soliti antipatici imitatori;^ da questi fossili 
della intelligenza cui piace tanto jurare in verha 
magiatri. 

Non fu tanto più liberale del Palladio Jacopo 
Sansovino (Tatti 1486 f 1570) nell'interno di 
S. Francesco della Vigna a Venezia cominciato 
nel 1534 che rammenta assai il movimento co- 
rintio del S. Giorgio Maggiore di Palladio. Per 
molto tempo si attribuì alle sèste del Sansovino 
la chiesa di S. Giorgio dei Greci, ma la venustà 
lombardesca di questa costruzione fé' nascere il 
desiderio di farvi nuovi studi. E difatti il pro- 
fessore Giovanni Veludo in una certa occasione 
esumò fra le carte della chiesa una carta con 
cui venivasi a stabilire che il Sansovino non en- 
trò in nulla alla edificazione del S. Giorgio. 11 
S. Giorgio è di Sante Lombardo e di quel Chiona 
il quale eresse il Collegio dei mercanti di Vino 
presso la chiesa di S. Silvestro. Del Sansovino 
è certamente la facciata della chiesa di S. Giu- 
liano e la chiesa ora distrutta di S. Giminiano. 

Ma, come rilevammo, è inutile continuare a ci- 
tare e descrivere chiese di questo stile, somi- 
gliandosi tutte perchè ispirate da una sola mente. 

11 Palladio stesso che nelle chiese si è visto 
ripetersi con tanta monotonia, nelle costruzioni 
civili è più vario e più spigliato. Si cita a ra- 
gione la Basilica di Vicenza, come suo capo la- 
voro. Il Palladio si vanta di avere eretto questa 
fabbrica nel Libro III della sua Architettura stam- 



* Vedi Palladio par Alfredo Melanì. Paris, Librairie de 
l'Art, j! Rouam éditeur, 1886. 



198 Capitolo quarto. 



patò nel 1570. t Una Basilica — son parole del 
Palladio — è io Vicenza della quale ho posto i 
disegni, perchè i portici ch'ella ha d'intorno 
sono di mia invenzione, e perchè non dubito che 
questa fabbrica non possa essere comparata agli 
cdiflzi antichi ed annoverata fra le maggiori e 
le più belle fabbriche che siano state fatte dagli 
antichi in qua, sì per la gi^andezza e pegli or- 
namenti suoi, come anco per la materia eh' è 
tutta di pietra durissima e viva, e sono state 
tutte le pietre connesse e legate insieme con 
somma diligenza. » Isella Basilica di Vicenza un 
motivo solo si ripete varie volle, identico, nel 
primo piano, e quasi identico nel secondo; ma 
è un motivo di ottima effetto e originale. Delle 
mezze colonne addossate sorreggono la trabea- 
zione e fra gli intercolonni altre due colonnette 
isolate sopportano una cornice architravata su 
cui s'impostano gli archi. Ogni colonnetta ha 
la rispettiva anta di ribattuta; e per intonare il 
vuoto fra V anta e la colonnetta isolata, nel tam- 
buro degli archi, l'architetto ha fatto un occhio 
rotondo che serve anche ad allegerire il peso 
\della massa di pietrame ohe le colonnette deb- 
bono sorreggere. La Basilica di Vicenza è cono- 
sciuta da tutti quanto e forse più della Rotonda 
(la singolarissima villa palladiana a un miglio, 
circa, fuori della porta Monte a Vicenza) e del 
Teatro Olimpico su cui lavorò lo Scamozzi se- 
guitatore intelligente dell' arte architettonica del 
Palladio. 

Vincenzo Scamozzi (1552 f 1616) - vicentino 
anche lui come il Palladio, di cui più che emulo 



iiir'iiH^^^^^ 



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Arehiteiiura del rinascimentOj ecc, 199 

fu rivale — fu uno degli architetti più fortunati 
del Veneto. Terminò a Venezia dove si recò nel 
1581 la Libreria di S. Marco principiata da Ja- 
copo Sansovino, eresse moltissime opere in Ve- 
nezia, Vicenza, Padova e in altre città d'Italia, 
ebbe insomma tante commissioni quante mai po- 
teva desiderare. Scrittore^ pubblicò un'opera che 
la morte non gli permise di finire col titolo pom- 
poso: Idea dell'architettura universale. Archi- 
tetto, seguì l'arte classica finché la vide ben ac- 
colta dal pubblico, quando s'accorse che lo stesso 
pubblico cominciava a inclinare verso i capricci 
secentistici, allora abbandò il Palladio e carezzò 
il Bernini. Cosicché lo Scamozzi morì additando 
ai suoi imitatori una via piena di attrattive ma 
irta di pericoli. Antonio Da Ponte (1512 f 1597) 
veneziano suo scolaro superò con disinvoltura i 
pericoli della nova via; noto men di quanto se 
lo meriterebbe il Da Ponte restaurò a Venezia il 
Palazzo Ducale a cui nel 1574 si appiccaron le 
fiamme, eresse il Ponte di Rialto su disegno dello 
Scamozzi (ma che può dirsi totalmente suo, tanto 
Io modificò) e inalzò secondo il Temanza il fa- 
moso Ponte dei Sospiri e le Prigioni a Venezia. 
A proposito: abbiamo lasciato il Palladio senza 
volerlo. Come si fa? A proporsi di discorrere di 
tutte le fabbriche erette dal Palladio soltanto a 
Vicenza, dove peraltro lavorò moltissimo, ci vor- 
rebbe tutto il volumetto. Ne scegliamo altre due 
di tipo differente: il palazzo Valmarana, roma- 
nissimo con que' pilastri anticipatamente tramez- 
zati dalle finestre con terrazzini; e il palazzo 
Thiene, incompiuto come la maggior parte degli 



200 



Capiioto quarto. 



edifl/J palladiani. Nella facciata del palazzo Thiene 
a Vicenza il Palladio svolge il sistema cosidetto 
bugnato che conobbero i Romani e del quale un 
contemporaneo di Palladio il Michele Sanmicheli 
veronese (1484 f 1559) se ne fece il suo tipo ar- 
chitettonico. Architetto militare, il Sanmicheli, 




Palazzo Yalmarana, Vicenza. 

portò anche nell' architettura civile un po' di quel- 
V elemento severo che distingue le fabbriche ci- 
vili dalle militari: a Verona, a Padova, a Vene- 
zia, a Legnago, eresse vari palazzi nel suo si- 
stema a bugne. Fra i migliori si cita il palazzo 
Corner a Venezia la cui facciata principale è 
spartita nientemeno da sei piani; si cita il pa- 
lazzo Grimani a S. Luca ove il Sanmicheli ab- 
bandonò il suo sistema prediletto. Quale oggi è 
codesto palazzo, non devesi tutto attribuire al 



ii^miir 




Palazxo Thii 




, Vicenza. 



Architettura del rinascimento^ ecc. 201 



Sanmicheli; il Temanza e il Diedo sospettarono, 




con ragione, che il terzo ordine fosse stato com- 



202 Capitolo quarto. 



piuto da qualche altro architetto dopo la morto 
del Sanmicheli. Eresse dei palazzi anco a Verona; 
qui, nel palazzo Bevilacqua, abbiamo un altro bel- 
lissimo esempio dello stile architettonico del San- 
micheli, detto da lui sanmicheliano. 

Ma in patria il nostro architetto si fa ammi- 
rare sopratutto nella Porta Nuova fatta a bugne 
e a mattoni severamente grandiosa come le altre 
sue costruzioni in questo genere, in quella del 
Bucintoro (all'Arsenale di Venezia), e nel Castello 
S. Andrea pure a Venezia. Il Sanmicheli si volle 
fare inventore dei baluardi angolari sostituiti ai 
rotondi; ma ora si sa che Francesco di Giorgio 
Martini di cui si è discorso più volte, aveva ima- 
ginato i baluardi in tal guisa assai innanzi del 
Sanmicheli. * E cosa importa? Il Sanmicheli può 
fare a meno della gloria che non gli perviene 
di diritto, ne ha tanta legittima da poter rinun- 
ziare senza danno a quella che gli fu data erro- 
neamente. 

Basta: riparliamo dello scultore e architetto 
fiorentino Jacopo Sansovino giacché si può ripar- 
larne senza abbandonare il Veneto, anzi Venezia, 
che in questi tempi seguitava a offrire alla ar- 
chitettura continue occasioni per essere adope- 
rata fruttuosamente. Pare che la prima opera di 
importanza eretta dal Sansovino in Venezia sia 
stata nel 1532, la scuola della Misericordia già 
principiata sino dal 1508 sul modello di Ales- 



» Gfr. G. Promis, Trattato di archUetlura civile e miliiarf H 
Francesco di Giorgio Martini architetto senese del secolo XV. 
Torino 1841, tomo li. 



Architettura del rinascimento, ecc. 20S 



saùdro Leopardo scultore eminente e architetto 
morto dopo il 1521, poi continuata da Pietro 
Lonabardo. * Tra le più lodate è dfv mettersi senza 
dubbio la Zecca, la Scala d'Oro che per la sua 
ricchezza prese il nome che ha tuttora e la Li- 
breria da noi riprodotta ove il Sansovino si mo- 
stra nella pienezza delle sue facoltà: la eresse 
nel 1SS6. Egli che spesso sacriflcava la fantasia 
alle regole vitruviane nella Libreria ebbe degli 
accenti liberali che non piacquero allora, ma ora 
r onorano al cospetto di ehi è persuaso che 
senza libertà non ci può essere arte nò artisti. 
I vitruviani strillarono anco contro la Loggetta 
sotto il Campanile di S. Marco, cominciata dal 
nostro architetto nel 1540. Senza classificarla tra 
le opere di primo ordine non sapremmo giudi- 
carla come la giudicò il Selvatico* il quale fu 
pure un antesignano valoroso delle teorie libe- 
rali che ai suoi tempi (1803 f 1880) erano giu- 
dicate nocive all'arte. Il Sansovino architettò in 
Venezia altre fabbriche e monumenti ove anche 
si mostrò lo scultore eccellente che fu. Lasciò 
scolari perchè aveva aperto a Venezia una specie 
d'Accademia, frequentatissima dalla gioventù, e 
non potò sottrarsi alla affascinante influenza di 
Michelangelo; lui discepolo di Andrea Gontucci 
dal Monte Sansovino (è questi l'altro Sansovino: 



1 Cfr. P. Selvatico, SulV Architettura e sulla Scnìtura hi Ve- 
nezia, ecc. Studi. Venezia, 1847, pag. 281. 

" « La loggetta del Sansovino sarebbe difflclle assai desi- 
derarla più ricca ma facilissimo architettarla più bella. » Op. 
cit., pag. 286. 



204 Capitolo quarto. 



si ricordi) sottile e raro intelletto. Alessandro 
Vittoria, quegli che introdusse il secentismo a 
Venezia, fu scolaro di Jacopo. 

Fra gli architetti classicisti fu Sebastiano Ser- 
lio bolognese (1480 f 1552) stato molto in Fran- 
cia ove si acquistò la protezione di Francesco I; 
forse ebbe parte nella costruzione del Louvre; 
lavorò certo nel castello di Fontainebleau. Il 
Serlio si distinse più qual conoscitore dei monu- 
menti di Roma antica che qual costruttore. Di- 
fatti pubblicò diverse opere suH'architettura stam- 
pate tutte a Venezia nel 1584, 1618 e 1619, 

Classicista impenitente fu Giacomo Barozzi di 
Vignola nel Modenese (1507 f 1573) che guidò 
(pur troppo 1) la mente degli architetti insino a' 
nostri giorni. 11 Vignola nel Castello della Gapra- 
rola edificato pel cardinale Farnese nipote di 
Paolo 111 architettò un' opera ammirevole. Gapra- 
rola è un luogo solitario distante da Roma circa 
trenta miglia; la costruzione del Vignola gli ha 
dato un po' di vita perchè i touristes intelligenti 
visitanti Roma rinunziino difficilmente a una 
gita là dove il più noto degli architetti cinque- 
centisti si inalzò un monumento di gloria. Il 
Vignola fu molto adoperato; a Bologna eresse nel 
1562 il portico dei Banchi, a Piacenza fece il di- 
segno del palazzo Farnese ma il campo della sua 
vita artistica fu Roma. Presentato da Giorgio Va- 
sari a Giulio III questi incaricò il Vignola di di- 
versi lavori; e lo nominò perfino architetto del 
S. Pietro, morto Michelangelo. Il nome del Vi- 
gnola va unito a un suo trattato sui cinque or- 
dini di architettura che ha recato più danno che 



Architettura del rinascimento, ecc. 205 

vantaggio. Infatti da che l'architettura fu ridotta 
a dottrina andò sempre declinando né è spera- 
bile ohe si rialzi sinché gli architetti fanciuUeg- 
geranno su gli ordini vignoleschi. A dire il vero 
il trattato del Vignola oggi è screditato. È un 
buon segno per l'avvenire. 

Scriveremmo su altri architetti cinquecentisti, 
su Giulio Pippi, pittore e architetto detto comu- 
nemente Giulio Romano (1492 f 1S46) che trattò 
pennelli e compassi con valentia come ne fanno 
fede i suoi lavori di Mantova eseguiti per ordine 
di Federigo Gonzaga ai cui servizi il Pippi si 
era messo fino dagli ultimi tempi del 1524. Egli 
mostrò quanto valesse come architetto col palazzo 
del T e col duomo di Mantova, col palazzo Cic- 
ciaporci e Maccarani a Roma e col suo progetto 
per la facciata di S. Petronio a Bologna; scri- 
veremmo di Giorgio Vasari pittore architetto e 
scultore d'Arezzo (1511 f 1574) e del suo log- 
giato degli Uffizi a Firenze e dei suoi lavori 
nella chiesa della Madonna dell' Umiltà a Pistoia 
fondata da un architetto locale, Ventura Vitoni 
liorito nel XV secolo (n. nel 1442 f dopo il 1509) 
che fu un bramantesco eccellente. Ma il capitolo 
è pur troppo digià lungo; onde non crediamo ne- 
cessario aggiungere agli architetti citati altri ar- 
chitetti ora che abbiam notato quelli che imper- 
sonano maravigliosamente il precettismo classico 
contro il quale, a mo' di reazione, sorse una 
scuola nova capitanata da un artista il cui nome 
è legione. 

Veramente non ci voleva che un colosso, non 



206 Capitolo quarto. 



ci voleva che Michelangelo BuoDarrx>ti (1475tl564) 
che insorgesse contro l'uggioso precettismo o 
con questo memorabili parole: « il compasso Tar- 
tefice r ha a avere negli occhj, » gettasse le 
basi di una scuola novella, la quale, assennata 
neiridea iniziale, talvolta si sperse nei suo svol- 
gimento e segnò uno dei periodi artistici più 
disprezzati. 

Secondo il Grimm,^ il Buonarroti cominciò tardi 
a dedicarsi in grandi proporzioni airarchitettura. 
Comunque sia Michelangelo si rese superiore in 
ampio senso agli architetti contemporanei per le 
idee che manifestò fin da quando dipingeva la 
vòlta della Cappella Sistina; ove il concetto cor- 
risponde all'ampiezza senza abbondanza dì mi- 
nutaglie che danneggiano l'impressione generale. 
Michelangelo fu il primo capace d' ideare e di 
riprodurre il genere colossale; lo ideò e lo ri- 
produsse nella scoltura, nella pittura e nell'ar- 
chitettura. Ci troviamo dunque davanti la Cupola 
di S. Pietro a Roma. Si è accennato già alle dif- 
ficoltà che presentava la costruzione di questa 
Cupola,' discorrendo del S. Pietro; ora non e' è 
che a paragonare con quello di Michelangelo, il 
modello lasciato da Bramante e da Antonio da 
Sangallo (il giovane) per iscoprire il pregio della 
Cupola michelangiolesca. Il Sangallo si spingeva 
insù ponendo un ordine di arcate con alette e 
colonne corintie alla romana sopra un ordine di 



» Gfr. Grimm, Michelangelo^ trad. A. di CossiUa voL li, 
pag. 325. Milano, 1875. 
« Vedi pag. 176. 



Architettura del rinascimento, ecc. 207 

arcate d'ordiae. ionico, su cui sviluppava lu curva; 
o a coronare l'assieme aveva ideato una lanterna 
a tre ordini e a quattro file di statue. Il Bra- 
mante aveva progettato una cupola più romana, 
eccellente di proporzioni con un solo ordine di 
colonne corintie sorreggenti la trabeazione 3ulla 
quale spiccavano degli scaglioni decrescenti su 
cui impostava la vòlta ornata di modestissima 
lanterna. Il progetto di Bramante era freddo, non 
aveva la monumentalità necessaria a una cupola 
che doveva coronar la mole del S. Pietro; il pro- 
getto del Sangallo era proprio meschino in con-, 
fronte a quello di Michelangelo, il quale aveva 
dato ampio sviluppo alla curvatura della vòlta, 
impostata su un solo ordine di colonne binato e 
corintie con un alto attico ornato di festoni. Nel- 
l'interno Michelangelo aveva mantenuto il motivo 
architettonico esterno abbassandone l' attico per 
non perdere lo slancio della curva della vòlta, il 
cui sviluppo ivi diminuiva per la grossezza della 
muratura. Insomma nessuno seppe ideare cose 
grandi al pari di Michelangelo perchè nessuno 
fu più grande di lui. Chi ha l'audacia di contrap- 
porsi al Buonarroti nei pensieri originali, colos- 
sali come il suo genio? Michelangelo oltre la 
Cupola della Basìlica Vaticana edificò a Roma i 
palazzi del Campidoglio, dopo la morte di Antonio 
da Sangallo compì il Palazzo Farnese, eresse ili 
Firenze la Biblioteca Lauren^iana e per tutto più 
meno impresse la traccia del suo genio gigante. 
Superiore a ogni influenza, scultore più che 
pittore, più che architetto, Michelangelo fece 
sempre a modo suo e fu così personalissimo. Le 



2U9 vapuoio quarto. 



sue arditezze sedussero tutti; gli spiriti mediocri < 
e i forti; giovarono i primi e daDueggiarono i 
secondi: ma Michelangelo resterà, se durerà T in- 
telletto del bello, il più grande rappresentante 
dell'arte moderna assieme a un altro genio che 
viene di giorno in giorno acquistando autorità; 
insieme al più originale dei pittori, al più cele- 
bre degli incisori: al Rembrandt (1607 f 1669). 

Accanto a Michelangelo tra gli artisti dello 
scorcio del XVI secolo non starebbero male i 
florentini Bartolomeo Àmmannati (1511tlS92)e 
Bernardo Buontalenti detto Bernardo delle Gi- 
randole ingegnosissimo artefice (1536 f i608) fa- 
moso anche per ideare sorprendenti macchine 
teatrali. 

Citiamo qui anche loro, ormai. 

L'Ammannati scultore e architetto, più valente 
architetto che scultore, scolaro di Iacopo Sanso- 
vino lavorò nella fabbrica dei Pitti nella quale 
ebbe occasione — dice il Vasari — « di mostrare 
la virtù e grandezza dell'animo suo » studiò molto 
lo cose di Michelangelo, edificò a Firenze il pa- 
lazzo Giugni, Pucci, la facciata del palazzo Vitali, 
a Lucca il grandioso palazzo già Ducale, il pa- 
lazzo Gelanni, Bernardini e tutto con un senso di 
sobrietà grandiosa che non lascia indifferenti. II 
Buontalenti studioso come T Àmmannati di Mi- 
chelangelo fece in Firenze il palazzo Riccardi 
(da non confondersi coir altro eretto dal Miche- 
lozzi) il palazzo Martelli, le grotte meravigliose 
della Villa Medicea a Pratolino barbaramente in- 
terrate dalla gretteria lorenese e tante altre 



Architetlura del rmaseimentOj eoe 209 

pregevoli opere. Del Buontalenti pittore, minia- 
tore, scultore e architetto civile e militare scrisse 
parcamente il Vasari e lungamente, e con molte 
particolarità, il Baldinucci nello Notizie dei pro- 
fessori del disegno.^ Rimandiamo il lettore alla 
biografia baldinucciana ; il lettore che nel capitolò 
seguente troverà nominati altri artisti vissuti 
sullo scorcio del XVI secolo da non confondersi 
coi secentisti puro sangue né coi classicisti auste- 
ramente impenitenti. 



* Tomo VII, pag. 3 e segg. 



A. Melam. 44 



IL SEICENTO, 
IL SETTECENTO, ECC. 



CAPITOLO V. 
DELL'ÀBCUITETTURA DEL SEICENTO. 



Osservazioni generali. 

Siamo al Seicento: epoca d'invasione straniera, 
di fanatismo, di stravaganze. I costumi inforestic- 
rati cercavano di essere sfarzosi, principalmente. 

Insomma tutto era affievolimento, cascaggine, 
gonfiezza. Il cav. Marino faceva alla sua Madda- 
lena < bagnar coi soli ed asciugar con fiumi i i 
piedi di Cristo e « l'amore era diventato un pa- 
radiso infernale, un celeste inferno, un gelo ar- 
dente ed era ispirato da dame tutto fatte di co- 
rrilo, di filo d'oro, di gigli, di rose e d'avorio » . 
Il vestire, che rivela tanto l'indole di un secolo, 
ogni giorno più si caricava di trine, di sbufQ, di 
nastri, di fiocchi, di ricami; e ogni giorno più 
dimostrava la vanità della gente di questo secolo. 
L'Italia, rinunziato alla propria libertà e indipen- 
denza, fatta suddita dello straniero, s'era trovata 
divisa in plebe ignara dei diritti civili e in no- 
biltà che voleva ad ogni costo padroneggiare. 
Notava Aristofì^ne che quando Tuomo diventa 



214 Capitolo quinto. 



servo Giove gli toglie la metà* del senno. Ù fatto 
è che in questo secolo ì costami corrotti spinto- 
navano perfettamente col miserabile stato di di- 
pendenza nel quale si trovava T Italia e Tarte 
serviva ai ricchi come mezzo per dimostrare la 
propria potenza. 

É stato detto che il Secentismo venne importato 
in Italia tutto quanto dagli Spagnuoli. Ha è poi 
vero? Il Seicento è una esaltazione della fantasia, 
una esaltazione generale che muove da cause ge- 
nerali. Or come è possibile che un avvenimento 
particolare abbia avuto la influenza che gli si 
vuol attribuire? Noi pensiamo che se Tltalia non 
avesse avuto il Cinquecento il quale si nutrì di 
tutta la coltura antica soffocando ogni energia 
che si partiva dalFanima, la fantasia nel Seicento 
non sarebbe cresciuta libera e sola e non avrebbe 
prodotto quell'arte esuberante di vita che non vi 
muove la ragionei cioè non vi persuade, ma vi 
abbaglia e ove la forma è tutto. 

Nel Seicento si volle la ricchezza e Tornamento 
e arricchendo e ornando si incorse in tutte quelle 
bizzarrie di immagini esagerate, di concetti iper- 
bolici che tanto più garbavano alle masse quanto 
più erano matti e nuovi. 

In architettura la depravazione è riferibile più 
di quanto si pensi, alla parte ornamentale; non 
potendosi imputare di grettezza e di cattiva co- 
struzione gli ediBzi del XVII secolo i quali anzi, 
per sontuosità e ingegnosità statica spiccano 
grandissimamente nella storia della nostr'arte. 
Non deve recare maraviglia sentire che gli archi- 
tetti del Seicento si distinsero come costruttori 



Architettura del seicento, 215 

e effettisti, perocché il progredir prodigioso delie 
scienze meccaniciie ofiriva loro facii modo di af- 
frontare i più stravaganti problemi di statica; 
il desiderio poi del vasto e del pomposo e la li- 
bertà concessa agli architetti di quei tempi, dava 
luogo ai movimenti di linee caratteristici della 
architettura secentista o barocca, come si dice 
per dispregio. Dispregio ingiusto e insensato 
perchè se barocco si dice qualsivoglia lavoro che 
ha dello strano e goffo assieme, T architettura 
chiamata comunemente barocca non è nientaffatto 
tutta quanta strana e goffa. Ogni arte ha i suoi 
difetti come ogni uomo anche grande ha qualche 
turbamento nelle sue facoltà, e 1* architettura del 
Seicento ha i vizi propri del suo organismo come 
quella del Rinascimento ha i vizi del suo. 

Nell'architettura cosidetta barocca, nemica della 
semplicità, sempre nervosa e bizzarra, vi sono 
pregi che sfuggono soltanto a quelli i quali hanno 
un concetto restrittivo dell'arte. — La varietà 
e ricchezza delle composizioni, il pittoresco nei 
colonnami slanciati, l'intreccio allegro e svelto 
di curve e di rette, i rigonfiamenti, le volute, 
gli ornati vaghi e altezzosi fanno dell'architettura 
secentista un architettura personale e effettista 
piena di vita e di ardire. Non si sa capire perchè 
si debba condannare senza pietà l'architettura 
del Seicento per la sola ragione che si discosta 
dalla Cinquecentistica. Persuasi della assoluta 
esemplarità dei tipi classici si è sdegnato lunga- 
mente quest' arte libera e piena di carattere per 
causa di una critica insufficiente e viziosa che 
ormai ha fittto il suo tempo. 



216 Capitolo quinto. 



£ sia pure I perchè non e' è cosa più risibile 
nella storia della critica del pervertimento di 
certi scrittori, i quali si ostinano a condannare 
uu grande artista perchè lo trovano deficiente 
nelle doti proprie di un altro. Quello che diciamo 
rispetto agli artisti lo diciamo rispetto air arte; 
della quale è bene che, dimenticate le quistioni 
bizantine, ci avvezziamo a comprendere, gustare 
ed ammirare tutte le sincere espressioni. 

^oi accettiamo Y architettura secentista con 
tutte le sue stravaganze, come abbiano accettato 
r architettura romanza, come abbiano accettato 
la palladiana con tutta là sua fredda solennità 
e non solo accettiamo V architettura secentista 
quale sincera espressione di una società, vale a 
dire come rappresentazione legittima di un pe- 
riodo storico, ma perchè vorremmo che gli stu- 
diosi la considerassero in ciò che vale real- 
mente. 

Ma vi fu mai stile architettonico che abbia sa- 
puto, come il secentista, intonare e innestare la 
scoltura ornamentale e figurativa colle linee ar- 
chitettoniche? vi fu mai stile architettonico che 
abbia saputo svolgere come questo ì più arditi 
problemi costruttivi, ottenere eflfetti pittoreschi e 
grandiosi, impressionare colla arrogante rigoglio- 
sita degli ornati le fantasie più vivaci e indipen- 
denti? È vero; qualche volta gli architetti del 
Seicento perdettero ogni senso di misura, ma 
quando seppero frenarsi si resero degni di molta 
considerazione. 

Accettiamo l'architettura del Seicento qual*è: 
è sostanzialmente decorativa; studiamola sotto 



Architettura del seicento. 217 

questo rispetto e vi troveremo dei pregi consi- 
derevoli. * 

Gli architetti che più si distinsero nel!' archi- 
tettura del Seicento furono Lorenzo Bernini na- 
tivo di Napoli (1599 f 1680) e Francesco Borro- 
mini nativo di Bissone sui lago di Lugano (1599 
1 1667). Ambedue questi architetti si trovarono 
a Roma nello stesso tempo e furono uno emulo 
dell'altro; il Borromini poi divenne accerrimo 
nemico del Bernini il quale esercitava suir arte 
un potere universale essendo anche pittore e 
scultore; anzi il Bernini o cavalier Bernino come 
si disse, valse più come scultore che come ar- 
chitetto; il catalogo delle sue opere è spaventoso, 
lo ordinò il Baldinucci con molta cura e venne 
riprodotto da diversi autori. 

Il Borromini stette sotto la direzione di Carlo 
Maderno suo parente e anche lui fu molto ope- 
roso per voglia e naturai fecondità d'ingegno; 
ebbe il torto di volere superare il Bernini e si 
ingolfò così in un precipizio di stravaganze che 



* Per non adoperare la voce barocca diciamo tutta archi- . 
tettura del Seicento quella che o poco o molto si allontana 
dalle norme classiche. Vi sono costruzioni degli ultimi del 
Gmquecento inalzate vivente il Palladio (1508 f 1580) per es., 
quelle dell'Alessi (1512 tl572) con frontoni spezzati e dove 
spira cert'aria di libertà che dà coraggio ai timidi; parliamo 
in questo capitolo anche di queste costruzioni che a rigore, 
dovrebbero essere studiate a parte. Un purista però dirà « ba- 
rocca » tanto la famosa corte del palazzo Marino a Milano e 
la sua facciata di piazza S. Fedele, quanto i particolari delia 
chiesa del Gesù a Roma che diamo incisi, 



218 Capitolo quinto. 



rivelano pertanto la sua grande immaginazione: 
il Borromini fu insomma il Marini dell' architet^ | 
tura. Il fare di questi due artisti fu applaudito 
da tutti e da tutti seguito, perciò T analisi dei 
loro lavori è la storia dell'arte del XVII secolo. | 

Si, purtroppo! fu anche seguito: ma la maggior 
parte degli imitatori lo guastarono; perchè lo 
studio dei grandi maestri danneggia gli spiriti 
deboli che vi smarriscono quel poco che hanno i 
di suo e favorisce i forti sui quali i ricordi delle 1 
^opere altrui non lascian traccio profonde. L'ori- ^ 
ginalità che per l'artista è quello che il carattere 
è per r uomo dice V ultima parola col fiernini col 
Borromini e con pochi altri. 

La scuola secentista in Roma trovò la città che 
offriva le maggiori occasioni per essere adoperata. I 
Gaso strano! gli architetti che lavoravano in questi 
tempi nell'alma città erano lombardi in massima 
parte ! 

Dice il Bertolotti che nel XVII secolo era tanto 
numerosa la colonia artistica lombarda a Roma | 
che come fosse stata in casa propria aveva fon- 
dato chiese, spedali, confraternite. ^ Alle fortifica- 
zioni, ai palazzi papali si trovava sempre • il lom- 
bardo ». Se lo Stato si serviva dei lombardi pos- 
siam credere che se ne servissero i privati. 

Sta in fatto che a Roma allora le famiglie pa- 
pali gareggiavano nella magnificenza e nella ric- 



* Artisti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI e XVII. 
Studi e ricerche negli archivi romani. Voi. II, pa^. 272. Ulrico 
Hoepli editore. Milano, 1881. 



Architettura del seicento. 219 

chozza. Fu a quei tempi che la famiglia Borghese 
allargò la gran Villa fuori Porta del Popolo, che 
gli Odesoalchi edificarono il vasto palazzo in 
faccia i SS. Apostoli, che gli Altieri costruirono 
l'immenso edifizio presso il Gesù, che i Rospi- 
gliosi si stabilirono sul Quirinale, che i Corsini 
tornarono sul Gianicolo. A queste famiglie V arte 
del Seicento deve in parte i tanti palazzi romani 
dalle corti superbe, dagli scaloni ornati di statue 
di marmo, di fiorami di gesso e di stucco coi 
cupidi dorati, cogli affreschi pomposi del Maratta 
del Sacchi. 

1 papi poi, dal canto loro, sentivano un giorno 
più dell'altro il desiderio di inalzare palazzi, 
templi, fontane sontuose. Le ricchezze abbonda- 
vano alla Chiesa, come lo dimostrano i lavori ese- 
guili in questi tempi; cosi l'arte del Seicento si 
sviluppò e si diffuse. Carlo Maderno (1556 f 1629) i 
tre Lunghi, Martino, vissuto nella seconda metà 
del cinquecento, Onorio (1561 f 1619) e l'altro 
Martino (f 1657) Girolamo Rainaldi (1570 f 1655) 
e suo figlio Carlo (1611 f 1691), Gherardo Silvani 
(1579 t 1675), Cosimo Fanzaga (1591 t 1678), i 
Fontana, ' Alessandro Algardi (1602 1 1654) Gio- 
vanni Antonio dei Rossi (1616 f 1695), il padre 



> I Fontana sono una famiglia d' artisti. Domenico nato a 
Milì villaggio sul lago di Lugano (1543 1 1607) fu architetto, 
Giulio Cesare figlio di Domenico lavorò molto a Napoli in 
qualità di architetto, Giovanni fratello maggiore di Domenico 
fu buon architetto anche lui (1540 f 1614), Annibale fu incisore 
in pietre dure, Carlo (1634 f 1714) e Francesco ambedue fu- 
rono architetti... eppoi c'è una litania di Fontana pittori, jn* 
cisorì che dcpra tuttora, 



iii) Capitolo quinto. I 

Andrea Pozzo (1642 f 1709), ì Bolognesi detti Bib- 
biena, Ferdinando (1637 f 1745), Francesco (1656 
1 1729), Antonio (Borito nel Settecento) pittori e 
architetti e pittori segnatamente di prospettive 
e di apparati di feste, ecc. (il loro casato fu Galli 
e la loro orione toscana) illustrarono con opere 
ingegnose il diciasettesimo secolo e parte del 
diciottesimo perchè il ftre così detto barocco 
durò anche in parte del diciottesimo secolo, di- 
venendo pertanto meno monumentale ma più leg- 1 
giadro. 

A Milano rappresentarono la scuola che c'in- 
teressa, Galeazzo Alessi, Vincenzo Seregni (1S09 
tl594) e Francesco Richinì; a Torino ebbe se- 
guaci valenti nelF abate Juvara o Jvara, e nel 
gesuita Guarini; a Venezia sMntrodusse per mezzo 
di un ingegno maraviglioso, per mezzo deirima- 
ginoso Alessandro Vittoria (1525 f 1608) il Miche- 
langiolo veneziano, felice e pronto neir esecu- 
zione fecondo neir invenzione, celebratìssimo per 
gli stucchi che modellò in molti ediflzi. In Ve- 
nezia e in tutto il Veneto il Seicento spadroneggiò 
per virtù di una serie di artisti egregi fm i quali 
Girolamo Campagna veronese (n. il 1552, m. d. il 
1623) emulo del Vittoria che qualche volta su- 
però, il vanitoso Giulio del Moro (f 1615 ?) scul- 
tore, pittore ed architetto, e Baldassare Longhena 
(t 1682) nato a Venezia da padre nativo del lago 
di Como. Al Longhena devesi la bella Chiesa 
della Salute. Passò anche a Firenze la scuola dei 
cartocciami rilevati e delle volute; però ivi non 
vigoreggiò come nelle città accennate e a Ge- 
nova cbe sul finire del secolo decimosesto ew 



Architettura del seicento, 221 

una delle città d'Italia che colle sue ricchezze 
dava maggiormente da fare agli architetti, e come 
a Napoli oye ebbe altissimo grido Giambattista 
Gavagni, autore della Chiesa dei PP. Gerolomini 
(S. Filippo) compita nel 1597, una delle più splen- 
dide di Napoli. 



COSTRUZIONI RELIGIOSE. 

Si son già osservate lo condizioni favorevoli 
nelle quali si trovava la Chiesa nel Seicento. Sa- 
lito al pontificato il Borghese, che pigliò il nome 
di Paolo V, r architettura in Roma fu incorag- 
giata moltissimo. Paolo y promosse una quantità 
di ediflzi cospicui, i quali rivelano l'amore che 
egli portava all'architettura e il desiderio di la- 
sciare un ricordo ai posteri del suo pontificato. 
Questo Pontefice incaricò Carlo Maderno (l&56t 
1639) di compire la Chiesa degli Incurabili, di 
costruire il coro e la cupola di S. Giovanni dei 
Fiorentini nonché dell'alta direzione dei lavori 
del S. Pietro; incarico già tenuto come vedem- 
mo dal Bramante, da Raffaello, dal Peruzzi, da 
Michelangiolo. E Carlo Maderno si distinse così 
nei lavori del S. Pietro, da alcuni tanto biasi- 
mati, che dipoi non si costruiva fabbrica con- 
siderevole a Roma, senza che lui non c"^ entrasse 
per qualcosa. Carlo Maderno di Bissone, sul lago 
di Lugano, venuto a Roma a far lo stuccatore, 
era diventato architetto seguendo gli insegna- 
menti di suo zio Domenico Fontana. Costruì la cap- 
pella nel Palazzo di Montecavallo, edificò la Chiesa 



222 Capitolo quinto. 



della Vittoria ricca, fin troppo ricca, d' ornamenti 
e di dorature; costruì i Monasteri di S. Lucia in 
Selce e di S. Chiara; architettò per casa Aldobran- 
dìni una Cappella nella Chiesa delia Minerva, ecc. 
Morto il Mademo, Paolo V si rivolse a Flaminio 
Ponzi, altro lombardo, milanese (f 1613) il quale, 
siccome aveva ingegno vivace sodisfece i desi- 
deri tutt' altro che discreti del comittente nella 
ediflcazione d*una ricca Cappella in Santa Maria 
Maggiore. Quest'architetto è assai men noto di 
quanto dovrebbe e potrebbe. Fra gli architetti 
bene accetti da Paolo V, vi era anche Girolamo 
Rainaldi, scolaro del Fontana; e più di Girolamo, 
Carlo suo figliuolo diventò famoso fra gli archi- 
tetti di quei tempi. La Chiesa di Santa Maria in 
Campitelli (s* intende, si parla sempre di Roma) è 
uno degli esempi più brillantemente spavaldi del- 
l' architettura del XVII secolo. A Roma lavorò 
molto anco il lombardo Giacomo della Porta (1541 
11604):^ sono sue le facciate delle Chiese del 
Gesù, di S. Luigi dei Francesi e sorse sul suo 
disegno la Chiesa di Santa Maria ai Monti. E 
cosa dire dei gesuita padre Pozzo già ricordato T 
Strano imaginoso nel dipingere ma strano e più 
che mai imaginoso nell' architettare? È suo l'al- 
tare di S. Ignazio nella chiesa del Gesù a Roma 
e quello di S. Luigi nella chiesa di S. Ignazio 
— cosa dire del padre Pozzo a proposito del 
quale il Milizia scrisse senza complimenti: « chi 



» Vi è chi lo crede romano; il Berlolotti non si è occu- 
pato di chiarire la cosa. Cfr. Artisti lombardi a Boma, Voi. I, 
pag. 96. 



Architettura del seicento. 



Yuole essere architetto alla rovescia studi Y ar- 
chitettura di fra' Pozzo » ? Costui fu certo uno dei 
più strani e licenziosi architetti di questo secolo : 
— ecco tutto. 




Decorazione nella chiesa del Gesù, Roma. 

Ma la fama degli architetti secentisti che lavo- 
rarono a Roma e Aiori, viene eclissata da quella 
dei già notati Francesco Borromini e Lorenzo Ber- 



224 Capitolo quinto. 



dìdì. La Chiesa in fondo al cortile della Sapienza, 
con la facciata concava e con i Iati alternativa- 
mente concavi e convessi, l'Oratorio dei Padri 
«Iella Chiesa Nuova, la Cupola e il Campanile di 
Sant' Andrea delle Fratte , il rifacimento della 
gran navata di S. Giovanni Laterano, la Facciata 
(li S. Agnese in piazza Navona, uno dei migliori 
lavori del Borromini, la Chiesa di San Carlo alle 
quattro fontane Y opera borrominiana più fanta- 
stica, son gli ediflzi che diedero nome e autorità ' 
al nostro Borromino. 

Descrivere in parte o nel loro complesso qual- 
cuno di questi ediflzi sarebbe opera difficile e 
vana. Son sempre le solite masse sviluppate ener- 
gicamente, coi soliti colonnati caricati di inge- 
gnosi cartocciami; i soliti frontoni spezzati, con- 
torti, rannicchiati; sono sempre le solite figure 
dai manti inzaldati, i soliti angioloni svolazzanti, 
paffuti, ridenti, oranti che si arrampicano sulle 
cornici tumultuosamente mosse; sono le solite 
mensole su mensole, colonne su colonne, le so- 
lite diavolerie che impressionano la vista e la 
contentano quando sono immaginate da ingegni 
originali, quando sono opera di uomini che come 
il Bernini e il Borromini possono e sanno im- 
porsi colla vivacità della fantasia. 

Per quanto l'intonazione generale in tali co- 
struzioni sia sempre o quasi sempre la stessa, 
come avviene, del resto, in tutte le fabbriche 
erette in un dato stile, le particolarità derivanti 
dal diverso aggruppamento delle forme vi variano 
all'infinito come infinito è il linguaggio archi- 
tettonico di questo stile; infinito e personale. 



Architettura del seicento. 225 

poiché qualsivoglia architetto ricco d'immagina- 
zione può creare combinazioni nuove, le quali, 
per quanto strane, sono sempre accettate dallo 
stile architettonico del Seicento. Perciò volendo 
studiare a parte a parte le architetture borromine- 
sche, certo, troveremmo dappertutto nuove com- 
binazioni di forme, non tutte belle, ma tutte in- 
gegnose e rivelanti la versatilità di un ingegno 
che non ha né può aver freni. Lo stesso dicasi 
rapporto alle costruzioni del Bernini: fortunatis- 
simo artista che trovò in Urbano Vili un uomo 
che lo comprese e gli offrì modo di acquietare 
la sua fantasia sempre in tempesta. L'opera più 
interessante del Bernini, fra le moltissime che 
costruì, è il famoso portico di San Pietro : quel 
portico a quattro file di poderose colonne, con- 
siderato fra le più ammirevoli opere che abbia 
prodotto in Italia l'architettura dopo il suo ri- 
nascimento. Ne parleremo in quesf altro para- 
grafo. 

Qui bisogna accennare invece la Cattedra di 
S. Pietro tutta di metallo dorato che costò una 
somma favolosa, dove assieme all' architettura pit- 
toresca, il Bernini disegnò e scolpì le gigantesche 
figure dei quattro Dottori della Chiesa involti in 
una farraggine di pieghe secche e schiacciate, stra- 
vagantissime ; e va citato il Monumento sepol- 
crale che Urbano Vili, vivo, richiese al Bernini 
come già l'avea richiesto a Michelangiolo Giu- 
lio II; ove scoltura e architettura si intrecciano con 
effetto magnifico, e la famosa Confessione di San 
Pietro, una delle opere più grandiose che lo stesso 

A. Milani* 15 



Capitolo quinto. 



Papa ordinò al Bernini. ^ Nella lista andrebbero 
agg^iunte la Rotonda di San Giovanni in Oleo, la 
Chiesa di Santa Bibiana e di Sant'Andrea dei 
Gesuiti, ove sono reali bellezze miste a stranezze 
audaci ohe lo studioso deye conoscere e può stu- 
diare se ha ingegno e coraggio. 

Dopo Roma, Venezia è la città ove T architet- 
tura secentistica ebbe agio di sfoggiare le sue 
fantasticherie. La Cappella del Rosario eseguita 
sotto la direzione di Alessandro Vittoria, tuttoché 
eretta nel 1571, negli ornamenti ha il gusto del 
Seicento;' il quale si sfoga nelle costruzioni di 
Baldassare Longhena costruttore esimio. La chiesa 
della Salute cominciata nel 1631 e nel 1660 non 
ancora compiuta • è forse il primo ediflzio impor- 
tante che edificò il Longhena; è certo uno dei 
più considereroli del secolo diciassettesimo. Non 
vi può essere spregiatore dell' arte secentista il 
quale non debba confessare che, specialmente 

' Raccontasi a proposito di quest' opera che il papa avendo 
chiesto a un prelato che somma credeva si potesse dare in 
ricompensa al' Bernini alla risposta del prelato « Una cateoa 
d' oro della valuta di 500 ducati > Urbano riprese : < Bene, la 
catena per voi e V oro per il Bernini ». 

' n 16 agosto 1867 per una causa restata seonosciata fio 
qui, si appiccò il fuoco alla Cappella del Rosario causandovi 
un danno gravissimo. Per sommo di sventura neUa cappella 
erano stati collocati provvisoriamente dei quadri pregevolis- 
simi di scuola veneziana; tra gli altri il famoso IHeiro Ilar- 
tire di Tiziano. Inutile aggiungere che furono incenerita 

» Martinòni, Nofs alla Venezia éfeserifta ehi Sansovino, pa- 
gina 378. 



Architettura del seicento. 227 



nell'esterno di questo tempio e nella ben girata 
cupola, vi è tale impronta sontuosa da restarne 
ammirati. 

La cupola contornata da poderosi llanchi di 
eccellente effetto è anche molto interessante come 
costruzione — nell'interno semicircolare ed a 
mattoni; all'esterno costruita in legname inca- 
tenato con ingegnosa semplicità. Il Reymond in 
un suo studio diretto all'Istituto Nazionale di 
Francia, stese una diligente descrizione di questa 
cupola e confrontatola con quella degli Invalidi 
le dette la preferenza.* 

Il Longhena costruì a Venezia nel 1640 anche 
la Facciata della ex-Chiesa di Santa Giustina, ma 
la sua fantasia si mostrò più che altrove nel mo- 
numento Pesaro ai Frari, dove la intonazione 
grandiosa impressiona tanto, da far dimenticare 
la posa lirica di tutte le statue che ornano il 
monumento. Il Longhena seguendo la moda del 
tempo ai pilastri e alle colonne sostituì spesso le 
figure. Sostituì alle colonne le figure nella fac- 
ciata dell' Ospedaletto e nel suntuoso monumento 
Pesaro. 

Tra i bei monumenti sepolcrali in stile secen- 
tista a Venezia è notevolissimo quello che il Vit- 
toria eseguì per sé in S. Zaccaria — è un capo 
d'opera: le cariatidi e il busto ci fecer sempre 
una impressione grandissima. Il Vittoria se lo 
principiò nel 1395 cioè tredici anni prima di mo- 
rire e la iscrizione : Alexander Victoria qui vivena 



* Memoires de Vlnstitut National dea Sciences et At-tSj t III, 
pag. 89. 



228 Capitolo quinto. 



duxit e marmore vultus (Alessandro Vittoria che 
vivente ha tratto dal marmo esseri viventi) non 
poteva essere più a suo posto. 

Da Venezia rechiamoci a Milano dove il Sei- 
cento ha edifizi insigni che debbono essere cono- 
sciuti. La Facciala della Chiesa di S. Gelso è una 
delle opere migliori di Galeazzo Alessi, (1512 1 
1572) perugino. Non è soverchiamente sbrigliata, 
ma è un po' trita. Il tempio di S. Vittore è pure 
dell' Alessi dappertutto invitato a far progetti di 
chiese, di palazzi, di fontane. Fra le costruzioni 
lombarde del Seicento va notato, anche il cam- 
panile di S. Pietro a Piacenza: a quest'ora sa- 
rebbe stato demolito se avesse avuto corso una 
deliberazione della Giunta piacentina. A Napoli 
non si può far a meno di ricordare con interesse 
la Certosa di S. Martino collocata in luogo ame- 
nissimo, ridotta al gusto del XVII secolo da Co- 
simo Fasanga (1591 f 1678). A entrare nella Chiesa 
di San Martino par di entrare in uno di quei pa- 
lazzi fantastici descritti nell'Adone dal Marini, 
ricchissimi di mai*mì, d'alabastri, di lapislazzuli, 
di agate, di onici, di diamanti, di berilli, d'inta- 
gli, di pitture e chi n'ha più ne metta. È l'am- 
mirazione del volgo che suole esaltare la ric- 
chezza e il trionfo della materia sul pensiero; 
comunque, il savio che ha coscienza non può che 
ammirare la fantasia del Fasanga. Notiamo an- 
cora a Napoli S. Filippo e la Facciata di Gesù 
Novo, per ritornare subito insù e per ricordare 
che in Toscana l'arte secentista berniniana si 
introdusse come nelle altre Provincie d'Italia, 



Architettura del seicento, 229 

ma senza farvi però il chiasso che fece a Roma, 
a Torino e a Genova. 

Torino nella seconda metà del XVII secolo, fu 
ornata di molte ragguardevoli costruzioni, buona 
parte delle quali si attribuisce agli architetti pie- 
montesi conti Carlo e Amedeo di Gasteilamonte. 
Ne erano tutti architetti piemontesi quelli che 
lavoravano in questi e nei tempi successivi nella 
capitale del Piemonte perchè a Torino vi furono 
chiamati dai duchi di Savoia architetti di altis- 
simo merito quale il padre Guarino Guarini mo- 
denese (1624 t 1683) e l'abate Filippo Juvara o 
Jvara messinese (1685 f 1735) che colia loro arte 
s' imposero agli architetti indigeni. Ciò sia detto 
specialmente per il Juvara al quale Torino deve 
le migliori sue fabbriche. A questi deve infatti 
la basilica di Superga, la Chiesa del Carmine e 
il palazzo Madama, tre opere che bastano a fare 
una riputazione legittima e duratura. Al Guarini 
deve Torino la famosa Cappella della SS. Sidone, 
la Chiesa dell'Arcivescovado, della Consolata, di 
S. Lorenzo e dei palazzi magnifici che accenne- 
remo in quest' altro paragrafo. 

Resta Genova. Si è detto che in questi tempi 
Genova poteva disporre di molti mezzi. Per que- 
sto oltre r Alessi vi lavorarono molto gli archi- 
tetti comaschi: Andrea Vanone (fior, nel 1590), 
Rocco Pennone detto Rocco Lombardo (f 1657) 
e Giovanni Battista Castello (tl569). 

Di chiese del diciassettesimo secolo o degli ul- 
timi anni del sedicesimo non scarseggia. S. Am- 
brogio, la SS, Annunziata, San Siro, ecc. senza 



230 Capitolo quinto. 



contare gli altari n le sculture da chiesa che 
vanno considerate da chi visita Genova deside- 
roso di vedere opere nello stile di cui si parla. 



COSTRUZIONI CIVILI. 

11 piazzale davanti S. Pietro di Roma è una 
delle opere più indovinate del Bernini ed è ac- 
cettata anche dai più fieri oppositori della sua 
arte. Gli è un portico su pianta elissoidale, a 
quattro file di grosse colonne con capitelli dorici 
e con statue collocate sull'asse d'ogni colonna. 
Il motivo architettonico non potrebbe essere più 
semplice; considerando poi che venne immagi- 
nato dal Bernini, non ci si può persuadere faci^ 
mente della sua semplicità cinquecentistica. 11 
motivo del portico si compone di colonne senza 
piedestallo con capitello dorico, con trabeazione 
profilata correttamente e di un attico con ba- 
laustri intramezzato da piedestalli sorreggenti le 
statue. I due ingressi d' ogni lato del loggiato 
chinici da una fronte a quattro robusti pilastri, 
sono coronati da un frontone angolare modestii 
Simo senza cartocciami né volute. L' effetto d 
portico del S. Pietro risulta principalmente dal 
pianta e dalle proporzioni ampie dell' assiema 
Ha un bei dire il Milizia, parlando della piazzi 
di S. Pietro, che: « situandosi verso l'estremiti 
del diametro maggiore dell' olissi, niente o poci 
si vede della facciata della chiesa; che servendo] 
quei portici di comunicazione alla chiesa, il co 
municarvi per una curva è incomodo e dispì) 



Architettura del seicento. 231 



cevole » ^ ma quando si vede il porticato del Ber- 
nini si rimane impressionati e la impressione non 
è momentanea. Chiedete a un forestiero stato a 
Roma, l'impressione dell'eterna città e sentirete 
cosa vi risponde. Non si dimenticherà di par- 
larvi della piazza di S. Pietro, che riputiamo una 
delle opere più insigni di Roma papale. L'ingegno 
del Bernini rifulse anche nella Scala regia che 
dal porticato mena alla sala di Costantino. È una 
scala comoda, luminosa, adorna di colonne ioni- 
che, che il Bernini riesci a ficcare in un' area 
misera e oscura, dando prova non solo della sua 
fantasia feconda, ma anco della sua bravura di 
statico. Narrano che il Bernini avesse sempre in 
bocca ^questa massima: t Che l'abilità dell'archi- 
tetto si conosce principalmente nel convertire i 
difetti del luogo in bellezza. > II Bernini applicò 
luminosamente questa massima nella Scala del 
palazzo Vaticano, che basterebbe sola a pro- 
vare la valentia di un architetto. Un altro lavoro 
insigne del Bernini è la Fontana di piazza Na- 
vona della quale si parla nel nostro Manuale sulla 
Scultura. L'accenniamo per constatare che il 
Bernini con tale opera meravigliò perfino l'ar- 
rabbiatissimo suo emulo, Borromini: il quale di- 
sperando forse di superare nell' arte il Bernini, 
si suicidò. * 

A Roma sorgono molte costruzioni nello scorcio 
del decimosesto e nel diciasettesimo secolo olire 



' Tomo VII, pag. 3 e seg. 

3 II Bertolotti nell'Op. et loc. cit. pubblicò un documento 
intorno al suicidio del Borromino o Borromini, pag. 37-40. 



282 Capitolo quinto. 



quelle delBernÌDi e del Borromini. * Citiamo senza 
ordine determinato il Palazzo Borghese comin- 
ciato nel 1590 da Martino Longhi (il maggiore) 
dove è una galleria di quadri splendida e termi- 
nato da Flaminio Ponzi, la scala del palazzo 6ae- 
tani oggi Ruspoli nella via del Corso : — un ca- 
polavoro! il palazzo Corsini e della Consulta di 
Ferdinando Fuga, il palazzo del Laterano la cui 
facciata è di Domenico Fontana, il palazzo Mat- 
tei del Maderno^ il palazzo Torlonia (piazza Santi 
Apostoli) di Carlo Fontana e i palazzi di Flami- 
nio Ponzi, cioè del Quirinale costrutto nel 1374 
sotto Gregorio XIII, Rospigliosi (1603) e la bel- 
lissima facciata del palazzo Sciarra-Colonna. 

Seguendo in questo paragrafo ristesse ordino 
del procedente, dobbiamo rivolgerci ora a Ve- 
nezia dove ci aspetta l'ardito Longhena. Costui 
mostrò la vivacità della fantasia, oltreché in altri 
lavori, nella Facciata dell' Ospedaletto ove del 
nervosi telamoni sorreggono una trabeazione, e 
alla lor volta vengono sostenuti da pilastri di 
forma singolarissima larghi in cima e stretti in 
fondo al punto in cui la base spicca su piede- 
stalli alti e rilevati. Ma dove si scatenò davvero 
la fantasia del Longhena fu in alcuni palazzi 
patrizi; nel Palazzo jche eresse per la famiglia Pe- 
saro : mole gigantesca, la quale ferma lo sguardo 
di chiunque traversi il Canal Grande. Il basamento 



» Il Borromini eresse a Roma la facciata del palazzo Para- 
phyli, quella del palazzo Valvasori, rimodernò il palazzo Fal- 
conieri, ecc. 



ArehiteUura del seicento, ^3S 

in cui stanno due grandi portoni, ingressi dalla 
parte del Canale, è ornato da bugne a punte 
di diamante le quali giovano a dare aspetto di 
solidità e ricchezza al palazzo. Robusta la cornice 
del basamento su cui ^i imposta una terrazza 
assai comoda. Questo piano è ornato da colonne 
ioniche binate negli angoli e nel secondo inter- 
colunnio laterale; le colonne sono isolate negli 
altri piani. Le colossali finestre che si aprono fra 
gli intercolonni sono ad arco semicircolare alla 
cui chiave, invece della solita serraglia, l'archi- 
totto cacciò elmi piumati con abbondanza di or- 
namenti. Il secondo ordine composito ha T iden- 
tica disposizione generale del primo; senonchè 
mentre ivi la terrazza è continaa, nel secondo 
ordine è solo davanti le finestre. La trabeazione 
che corona la fabbrica è quasi la metà dell' or- 
dine; né per questo è pesante: l'architetto svi- 
luppò molto il fregio collocandovi mensole assai 
alte a sorreggere la cornice sporgente. 

Il Longhena si distinse eziandio nella costru- 
zione del Palazzo Rezzonico * il cui basamento 
spartito a bugne, e la scala e T atrio sono vera- 
mente da studiarsi. Ma ò singolare questo ar- 
chitetto ! Neil' Ospedaletto lo troviamo eccessi- 
vamente barocco, nel monumento Pesaro, nel 
palazzo Gapovilla si mostra pure un nervoso 
manipolator di volute e di cartocci, ma che è che 
non è, la sua mano abituata a segnar curve stra- 
vaganti:, pare senta il bisogno d'un po' di riposo; 

' Il l3onghena lo eresse fino al second' ordine. 



ÌÈi Capìtolo quinto. 



e segna sulla cai*ta motiyi semplici e freddi di 
una freddezza palladiana. Chi mai direbbe che 
il palazzo Giustinian Lolin sul Canal Grande, è 
disegnato dall'immaginoso Longhena? Si con- 
fronti il palazzo Qiustinian col palazzo Gapovilla 
eppoi si dica se non è da notarsi la differenza 
fra questo e quello. A codesta singolarità forse 
non tutti sanno dare il peso che ha. À noi ar- 
chitetti moderni non dovrebbe far caso vedere 
un architetto oggi costruire alla maniera secen- 
tistica, domani alla maniera classica, considerando 
che per non avere stile proprio, noi costruiamo 
in tutti gli stili; ma se pensiamo con animo 
quieto alla indipendenza dei costruttori secen- 
tisti, e riflettiamo alla sincerità della loro arte, 
allora la singolarità che notiamo nel Longhena, 
e avremmo potuto notare nel Bernini, acquista il 
rilievo reale su cui abbiam voluto richiamata la 
mente dello studioso. 

Tralasciamo di parlare qui del Vittoria perchè 
se nel complesso fu artista meraviglioso e eser- 
citò una grande influenza a Venezia, quale ar- 
chitetto realmente non fu grande; il Vittoria fu 
grandissimo scultore, decoratore, ritrattista eccel- 
lente, senza rivali a Venezia. * Comunque la sua 
arte nel complesso esercitò altissima influenza: 
si è detto. 



* Veggasi lo studio su Alessandro Vittoria pubblicato dal 
Geresole neìVAri, ll.o anno, tomo I, pag. 93 e tomo II, pa- 
gine. 28, 93, 111 e 164. A pag. 168 e 169. Veggansi sopratntto 
i due fac-simili di bei progetti di facciata imaginati dal Vit- 
toria i cui originali appartengono al Guggenheim. 



Architettura del seicento, àS8 

Fra lo opere più insigni di cui l'arte secentista 
può vantarsi vi è il Palazzo Marino a Milano; il 
capo d'opera di Galeazzo Alessi. L'arte dell' A- 
lessi ha un carattere affatto monumentale, non 
ha bisogno di nervosità eccessive per ottenere 
effetti; non ha la fredda sobrietà del classico, ma 
neanche il convulso dell' arte più caratteristica 
del Seicento. 

L'architettura dell' Alessi o del suo genere 
si potrebbe considerare il trait d'union fra il 
classico e il Seicento. Difatti davanti il palazzo 
Marino gli sfoghi del più implacabile Purista tro- 
vano tregua cortese. — L'interno del palazzo 
contiene due cortili di cui uno è assolutamente 
magnifico. Il barocco si svolge nel portico supe- 
riore perchè nell'inferiore l' Alessi si mostra mo- 
derato e accetta il dorico vignolesco. Nel piano 
superiore le cariatidi, le balaustrate, la trabea- 
zione, le cartelle, i festoni ben rilevati della loggia 
soprastante al piano terreno, sono di ottimo effetto 
e perfettamente aggruppati. Tutto vi è al suo 
posto, le volute non vanno, come accade spesso, 
ad occupare sgarbatamente il posto di altre forme; 
non vi sono avvoltolamenti e risalti eccessivi; 
tutto vi è bello, grandioso, magistrale. Di gusto 
delicato è la fronte del palazzo divisa in tre or- 
dini con colonne doriche, ioniche e con ante in- 
gegnosissime ornate di capitelli a forma di teste 
femminili e chiusi da mensoloni sviluppati nel 
senso verticale. 

A Milano, fra le costruzioni secentiste che 
dovrebbero studiare gli architetti, avvi il Pa- 
lazzo di Brera architettato dal milanese France- 



286 Capitolo quinto. 



SCO Maria Richini (1S83 f i658) * con un cortile 
ad arcate e a due piani di effetto prospettico 
sorprendente, con la facciata a pietra e mattoni, 
robusta, maestosa; il Palazzo Burini, opera dello 
stesso Richini, d'un barocco incipiente, ma ricco 
e immaginoso, il Palazzo Annoni attribuito al- 
l' istesso architetto, il Palazzo Elvetico di Fabio 
Mangone, fiorito al principio del deciraosettimo 
secolo, e del Richini, e il Palazzo Litta richi- 
niano pur esso, che unisce la più altezzosa sbri- 
gliatezza della fronte al classicismo goffo é pe- 
sante del cortile: arte ibrida che pare preoccu- 
pata dal timor di parer semplice in pubblico e 
spossata, si abbandona nelF interno a una gelida, 
cupa serietà. Tipo spiccatissimo di quel genere 
secentistico che si contorce in cento guise, che 
si orna di riccioli, di festoni, di formelle, di men- 
sole dappertutto, è il Palazzo Cusani, che nella 
sua vitalità sanamente giovanile, nel suo fasto 
grandioso ha quella poesia d'ombre e di luci, 
quella robusta e allegra varietà di forme che Li 
cinque ordini del Vignola non raggiunsero né 
cercarono mai. Intendiamo parlare del prospetto 
eseguito sui disegni di Anton Maria Ruggeri 
fiorito nella prima metà del Settecento. Milano 



' I] Richini fu uno degli architetti più valorosi del suo 
tenì^ . A Milano lavorò moltissimo. Oltre i palazzi ai quali 
accenni;. me eresse qui il S. Giuseppe che si reputa il suo ca- 
polavoro (principiato ■ J607 e finito durante il 1630), S. Maria 
della Porta finita da ..arlo Castelli, rifabbricò il S. Giovanni 
alle Case Rotte e stette al servizio della fabbrica del duomo 
dal 1605 al 1638. 



Architettura del seicento. 237 

\xa moltissime costruzioni di sìmil genere come 
tutte le città italiane che ebbero importanza in 
questa epoca. N'abbiam citate assai, eppure non 
non si è parlato di quelle di Pellegrino Tibaldi 
detto it Pellegrini, di Puria (Valsolda) (1527 f 1593 
circa), favorito dall'Arcivescovo Carlo Borromeo. 
Fu architetto delle Porte del Duomo di Milano, 
che basterebbero a mostrarlo quale fu uno dei più 
immaginosi architetti dell' epoca qui interessata. 
Le porte del Duomo milanese sono un esempio 
della maniera colla quale si può innestare la 
scoltura all'architettura; in queste porte le fi- 
gure, gli ornati, le linee architettoniche compon- 
gono un assieme tanto più da ammirarsi in quanto 
oggi pare si sia perduto il germe degli architetti 
che dell' arte loro hanno un concetto compiuto. 
Volendo continuare quanto mai ancora potremmo 
scrivere intorno ai monumenti secentisti di Mi- 
lano? Ma abbiamo o almeno avremmo altre città 
da visitare; avremmo Napoli, avremmo Torino, 
avremmo Genova, avremmo Bologna, avremmo 
Firenze, avremmo tutta la bassa Italia ancora; 
ma bisogna pur considerare che non ci siamo 
proposti di fare un elenco di tutte le fabbriche 
civili secentistiche sparse per tutta la Penisola. 
Comunque, di Torino noteremo fra i palazzi il bel- 
lissimo Levaldigi, ora de Margherita, quello dei 
conti Balbiano di Viale, ora residenza della Banca 
Nazionale, degli architetti conti di Gastellanaonte, 
già ricordati e le opere del Guarini, cioè il fa- 
moso palazzo Garignano dei conti GoUegno, del- 
l' Accademia delle Scienze e quelle del Juvara 
vale a dire la facciata e lo scalone del palazzo 



238 



Capìtolo quinto. 



Madama, il SemiDario, la villa reale dì Stupinigi, 
e le opere di Carlo Emanuele Lanfranchi che non 
furono poche in questa seconda metà del XVU 
secolo in cui Torino si rinnovò, si ornò magni- 
ficamente. Volendo parlar di Genova non avremmo 
che da scegliere; T Alessi vi inalzò vari palazzi: 




Palazzo Doria-Tarsi, Genova. 

il palazzo Sauli, de Amicis, Adorno, Serra, Ler- 
cari, sono dell' Alessi; il palazzo Doria Tursi 
(Municipio) dell'architetto Rocco Lurago (f 1590?) 
appartiene al genere alessiano. Ci sarebbe da ci- 
tare il Palazzo reale costrutto dal 1650 al 1657 ] 
dal comasco Andrea Vannone, e il Palazzo del- 
l' Università sorto per volere dei Gesuiti su di- 
segno di Bartolomeo Bianco (f e 1656) nel 1612 e 
dove la corte e lo scalone sono ammirabili. Sia 
i cortili magnifici a Genova sono frequenti. In- 



Architettura del seicento. 



somma Genova ci darebbe modo di parlare lun- 




o 
Q 



gamente dello stile architettonico di cui ci oc- 



240 Capitolo quinto. 

cupiamo perchè oltre le costruzioni citate ve ne 
sarebbero da citare ben altre. Ma facciamo punto 
colla persuasione di avere scritto quanto basta 
per essere assolti dal peccato di qualche involon- 
taria dimenticanza. 



CAPITOLO VI. 
DELL' ABCHITETTURÀ BEL SETTECENTO. 



11 secolo dell' Accademie che sorgevano e mo- 
rivano dappertutto, che si chiamavano con nomi 
che erano allusioni, indovinelli, scherzi, il secolo 
che si pavoneggiava pettoruto tra la sdolcinata 
magnificenza dei saloni, ebbe anche in Italia i 
suoi caratteri spiccati che lo fecero distinguere 
dalle boriose vaporosità del secolo anteriore e 
dall' ecclettismo borghese del secol tiostro. Il 
Settecento non solo non è stato studiato fino ad 
ora, ma non è stato neanche considerato seria- 
mente. È inutile dire che anche l'Italia ebbe il 
suo Settecento nei costumi e nell' arte. 

Quand' era di moda il Romanticismo era cosa 
da mente illustre parlar con disprezzo del secolo 
del Codino e della Cipria. Codino e Cipria! Con 
ciò i signori Romantici credevano di avere suffi- 
cientemente contrassegnato questa epoca condan- 
nandola a un disprezzo meritato. 

Certo in Italia il movimento settecentistfco fu 
scolpito meno che altrove, segnatamente in Fran- 

A. BAxLANi. 16 



242 Capitolo sesto. 



eia. « Gli Italiani — afferma Vernon Lee nel suo 
libro sul Settecento ^ — non erano nepoti di avi 
mezzo barbari come i Tedeschi e come gli Inglesi, 
ma di borghesi liberi, illuminati e civili; serba- 
vano ricordi delle repubbliche commerciali, e non 
erano abituati a un orribile sistema feudale come 
i Francesi; fra gli Italiani nessuna ineguaglianza 
di classe, né grande miseria, né alto potere con- 
trastantisi da secoli. > i 

Nel Settecento in Italia come altrove dominava I 
un gusto frivolo. Dalle curve galanti e flessuose 
piene di fiori e di vilucchi derivanti dall'arte 
secentista solenne e maestosa quanto la sette- 
centista fu femminea e leggiadra, si passò sulla 
metà del secolo, a un' arte fredda e insipida de- 
rivante dalla classica a cui gii intelletti si rivol- 
sero ancora. Perciò il Settecento architettonico 
potrebbe essere spartito in due periodi; il primo 
più vicino air arte del Seicento ; il secondo, ini- 
ziante l'accademismo più vicino al classico. 

Rilevammo che i caratteri del Settecento in 
Italia furono meno scolpiti che altrove, specie in 
Francia (intendiamo accennare all'arte settecen- 
tista del primo periodo). La pomposità degli 
ornati, la maestosità dello curve nelle masse ar- 
chitettoniche avevano ottenuto nel diciassette- 
simo secolo il favore degli architetti e del pub- 
blico ; passato questo secolo scomparve lo sfarzo 
dell' architettura secentistica, si libandonarono 
le sue volute panciute, le sue cartelle bizzarre, 
e da questa maniera ne sorse una nuova effemi- 



» Siudiee of eigthteentg Century tu Italy^ pag. 87. 



Architettura del settecento, 243 

nata che non interessava per la imponenza delle 
masse, ma s'imponeva per mezzo dei particolari 
g^azàosi in forma di ciuffetti, di iof;\\Q lunghe e 
rotondeggianti e di frondeggiature. In Italia in 
questi tempi si disse rococò* uno stile leggiadro e 
seducente che si diffuse poco e si presta mirabil- 
mente alla decorazione e a far mobili in modo 
particolarissimo. Lo stile rococò ebbe vita splen- 
dida in Francia; là si ebbero cosi gli stili LuigiXV 
e XYI che sostanzialmente esistono più per virtù 
di una convenzione erronea che in realtà. È pro- 
vato che lo stile detto oggi di Luigi XYI ebbe 
origine sotto Luigi XY , e si deve air iniziativa di 
M."** di Pompadour la reazione contro le esagera- 
zioni che vigoreggiarono specialmente durante la 
Reggenza. La Francia ha lo stile di Luigi XIY, e 
la gloria di Carlo Le Brun che fa risplendere vi- 
vamente il nome del gran re — del Rai Soleil — 
è sola e una traverso gli stili successivi che come 
s' intendono in generale sono una convenzione di 
linguaggio e non altro.' 

Li* Italia che aveva seguito fino oltre la metà 
del secolo decimottavo Io stile rococò, vèrso la 
metà del Settecento ritorna alla forme classiche. 
Luigi Vanvitelli, napoletano (1700 1 1773) a Ca- 
serta col Palazzo Reale fu il primo nella bassa 



^ Siccome gli axnmassi di conchiglie di cui si faceva uso 
in quest* architettura si chiamano in francese rocaiUe, così si 
dette il nome di genre rocaille e poi di stile rococò a quello 
stile che nel Settecento ottenne tanto favore in Francia. 

« Cfr. VArt^ N. 524 e 525, anno dodicesimo. — • La Gollection 
Stein par Noél Gehuzac. 



244 Cajniolo sesto. 



Italia a riapplicare le colonne e le trabeazioni 
nella loro purezza romana senza fronzoli area- 
deggianti. Gol palazzo di Caserta il Yanvitelii si 
fece un nome straordinario. A Napoli viveva in 
quei tempi Tarchìtetto Gavasale; egli acquistò alta 
riputazione col Teatro di 8. Carlo finito neir ot- 
tobre del 1787. * Ma la fama maggiore F ebbe il 
Yanvitelii ; difatti fu richiesto anche da Milano di 
un disegno per riformare radicalmente il vecchio 
Palazzo Ducale (ora Palazzo Reale). Yanvitelii 
presentò il disegno ma vedendo che gli si impo- 
nevano delle condizioni non accettabili rinunziò 
il lavoro in favore del suo scolaro Giuseppe Pier- 
marmi diPoligno (1786 1 1808) che trovò nella me- 
tropoli lombarda' grandissima accoglienza, molte 
commissioni e modo quindi di far valere il suo 
ingegno svegliato. Il notissimo Teatro della Scala 
fu eretto fra 1776 e il 1778 da lui, è suo il gran- 
dioso Palazzo Belgioioso sorto nel 1777 e deriva 
dalla sua arte la magnifica Yilla Reale, già Bei- 
gioioso, i cui piani furono immaginati dal suo 
discepolo e aiuto Leopoldo PoUach di Yienna 
(1750 t 1806) negli ultimi anni del secolo scorso. 
In questi medesimi tempi fiorirono (ed alcuni 
toccarono i primi anni del secolo nostro), Ignazio 
Vincenzo Paterno Castello che eresse in Sicflia il 
Ponte di trent' un arco sul Simeto (com. n. 1765) 
fiorì ad Imola Cosimo Morelli, architetto valorosis- 
simo (1729 1 1812) uno dei migliori del suo tempo 



* Leggasi ciò che scrive il Colletta nella sua Storia dei 
Reame di Napoli su questo architetto morto miseramente in 
prigione e sul teatro di S. Carlo. 



Architettura del settecento. 248 

le cui opere; il Duomo di Imola, Fermo, Fos- 
sombrone, MaceraCa, i teatri di Osimo, Forlì, Fer- 
rara, ecc., rappresentano questa seconda fase 
deir architettura settecentistica italiana, la quale 
stanca degli sforzi della prima metà del Sette- 
cento ritorna al classico consigliato dal Milizia 
come runico stile da seguirsi. Lo rappresentano 
altresì egregiamente a Bologna i bolognesi Fran- 
cesco Tadolini (op. n. 1760) e Angelo Venturoli 
(n. 17Si), il primo col freddo Palazzo Malvasia, 
con quello Stella e a Faenza colla Chiesa dei 
DomenicaDi, il secondo colla Chiesa di S. Giu- 
liano. In questa epoca a Bergamo sorge un ar- 
chitetto valoroso: Giacomo Quarenghi (nato 1744 
t 1817) che si reca in Russia a inalzare fab- 
briche alla maniera palladiana, ^ e a Vicenza la 
patria del Palladio e dello Scamozzi si rifa vivo 
il palladianismo e Ottone Calderari (1730 f 1803) 
onora 1* architettura palladiana nei palazzi Sola, 
Bonin, Cordellina tutt'e tre a Vicenza ove il pal- 
ladianismo trova ancora altri notevoli imitatori 
nell'abate Domenico Cerato (1715 1 1792), nel conte 
Enea Arnaldi (1716 1 1794), in Giovanni Miglio- 
ranza (1798 f 1861), * ecc. Treviso vede nel suo 



1 Nel Quarenghi v' è proprio tutto lo spirito di questi tempi ; 
v' è r uomo che si ribella ali* arte cosiddetta barocca per darsi 
tutto alla classica. Prima pittore e scolaro del gesuita An- 
drea Pozzo a un tratto si innamora delle teorie palladiane e 
inalza in Russia il teatro dell* Eremitaggio sulla forma degli 
antichi e il bagno a Gzarcotzelo e il palazzo del principe Bis- 
barobko, ecc., ecc. 

' Gfr. il nostro PalMio sa vie, son oeuvre. Paris^ Rouam, 
1887. 



246 Capitolo sesto. 



Giordano Ricati un teorico e un pratico eccellente 
(1709 t 1790) e Venezia vede fiorire Antonio 
Visentini (1688 1 1782) e Tomaso Temanza (1705 
1 1789), ambedue veneziani, il primo dei quali 
disegna le prospettive più belle della sua patria 
e pubblica le osservazioni al Trattato del Grailac- 
Cini ove trova modo di inveire contro il rococò 
che si mostra in pubblico ancora ogni tanto ti- 
midamente; il secondo mostra il suo valore con 
varie costruzioni religiose e civili e più special- 
mente colla Chiesa di Santa Maria Maddalena a 
Venezia, una delle più belle del secolo e eolla 
Loggia dei Zanobrio (pure a Venezia) ove il 
Temanza seguì la purità e il candore dello stile 
palladiano. 

Molti altri architetti, fiorirono in Italia per rap- 
presentare il classicismo slombato come abbiam 
detto. Fra tanti non citati si inalza Giuseppe 
Soli che ebbe i natali nel 1745 a Vignola e fu 
r ultimo architetto che eresse a Venezia un' opera 
d'importanza: il palazzo regio. Accanto a lui sta 
bene Antonio Diedo (1772 f 1847), segretario, 
preside e professore di Estetica neir Accademia 
delle Delle Arti di Venezia; omino alla vecchia, 
buono come il pane, un po' architetto innamorato 
del Palladio — entusiasta del Canova, letterato, 
allevato e cresciuto nelle oasi del Parnaso al 
quale non si poteva parlare dell'arte del primo 
periodo settecentista senza vederlo inorridire. 
Aveva ragione, aveva delle idee, era coscienzioso 
e faceva bene a essere intransigente. 

Ma già ai tempi beati del Diedo chi non sa- 
rebbe arrossito ft sentire discorrevo di svplaw 



Architettwra del settecento. 247 

e di frondeggiature ? Allora la grandezza del- 
l'arte stava nel seguire pecorescamente i precetti 
di Vitruvio e nel saper imitare il Palladio e il 
Vignola; perchè al di là degli stampi palladiani 
e vignoleschi non e' era salvezza. L'architettura 
si faceva coi numeri e colla memoria: ricordarsi 
bene le leggi del Vitruvio e del Palladio era da 
architetti virtuosi; esser dotti nella costruzione 
della voluta ionica era addirittuta un pregio da 

professori e da cavalieri. 

Non sorrida amico lettore; — consideri: l'arte 
accademica di cui parliamo fu la protesta contro 
l'arte libera e talvolta spavalda del Seicento, così 
come l'arte del Seicento fu la protesta contro 
l'arte del Rinascimento. 



CAPITOLO VII. 
DELL' ARCHITETTURA MODERNA. 



Per completare il nostro studio dobbiamo pur 
toccare dell' Architettura moderna; e lo facciamo 
brevemente. Nel capitolo precedente accennammo 
il risveglio degli studi classici dell' architettura 
e dicemmo che con questi studi si chiudeva il 
Settecento ; ora rileviamo che col neo-classicismo 
si apre in Italia il nostro secolo ; secolo pieno di 
desideri, di grande attività, ma non favorevole 
allo sviluppo dell'architettura. 

Dopo che le pastorellerie dell'Accademie eb- 
bero finito di appagare il gusto degli architetti 
italiani, l' architettura per liberarsi dal giogo 
greco e romano, si trovò precipitata in un goffo 
eclettismo dove ora sguazza senza speranza di 
uscirne presto. A questa scuola neo-classica si 
debbono : la già notata Villa Reale a Milano edi- 
ficata nel 1790 dal Pollach, certamente una delle 
più distinte opere architettoniche del genere, 
l'Arco della Pace (autore: Luigi Gagnola 1762 
t 1833), imitazione degli archi romani, uno dei 



Architettura moderna. 249 

più significanti monumenti della prima metà del 
nostro secolo e tanti altri edifici di Firenze, Roma 
e Napoli. 

Ma gli architetti stanchi oramai di seguire un 
sistema architettonico che imprigionava la imma- 
nazione e non corrispondeva ai bisogni che si 
rinnovavano, liberatisi dal classico freddamente 
accademico si videro sbizzarire in cento modi 
diversi e andar qua e là in cerca di forme nuo- 
ve da rinnovarsi, e tutto ciò senza criteri de- 
terminati; sicché presto si accorsero di trovarsi 
fuor di strada più di prima o quanto prima. Il se- 
colo volgeva air affarismo e Y architetto per non 
essere bugiardo doveva essere affarista. Per la 
qual cosa avemmo l' architettura afiarista e bu- 
giarda. 

Insomma Y architettura moderna somiglia a 
corpo morto cui il galvanismo dà fuggevoli scatti 
di vita. E non può esser diversamente di così, 
se è vero che l'architettura è l'immagine dello 
ambiente entro al quale deve svolgersi. 

Il Quidini osserva giustamente in un suo studio 
suir architettura moderna : « Che templi volete 
che Tarte vi dia se v'accapigliate sulla esistenza 
e sulla insussistenza di Dio? Che reggie, se in- 
vocate altamente l'abolizione di ogni autocrazia? 
Che monumenti pubblici, se trovate che l'attuale 
organamento sociale è vizioso e deve rifarsi com- 
pletamente su base più naturale? Che edifizi e 
abitazioni in epoche di utilità dolose e di inte- 
ressi capitalizzati?» L'arte architettonica tende a 
fondersi colla scienza; dunque l'architettura bi- 
sognerà che (Lccetti dalla scieaza quello che le 



' 250 Capitolo settimo. , 



è utile. La scienza non uccide l'arte ma soltanto 
quelle forme caduche le quali più non convengo- 
no all'ordine di idee recente. Il tempo trasforma 
idee Q. sentimenti del pari che flore e faune onde 
la riflessione non toglie ma sposta la fantasia. 

Dopo tutto la scienza esercitò sempre sulle 
belle arti un'azione^ immanente, continua, sposso 
invisibile e lenta, ma sempre immanchevole negli 
effetti: però bisogna che la sua ingerenza non 
sia soverchia se no, guai I — pei*ohè in generale 
la scienza non soffoca la ispirazione se questa vi 
è; il male sta che il più delle volte manca la 
ispirazione e allora vigoreggia la scienza; questo 
infatti è ciò che avviene oggi solitamente: oggi 
che gli architetti hanno fatto legge dell' arte la 
simetria. Timidi seguitatori dell' architettura del 
Cinquecento, costruiscono i loro ediflci alla guisa 
istessa che il musaicista mette assieme gli aba- 
culi del suo lavoro; prendendo un po' di qua e 
un po' di là e facendosi belli di un artificio che 
è il nemico più formidabile dell' arte. 

Gli architetti moderni sono giudicati dalla cri- 
tica per la maggiore o minor conoscenza che 
hanno degli stili architettonici antichi, quando 
non lo sono con i criteri miserevoli dell' utilita- 
rismo che fa dell'arte un mestiere. 

Fu detto: l'eclettismo moderno rappresenta 
un' èra artistica di transizione, da esso dovrà 
sprigionarsi la scintilla che irradierà il mondo 
dell'arte avvenire; fu detto: non può mancare 
di carattere proprio il secolo nel quale ogni ge- 
nerazione vuol compire da sé i propri desideri, 
il secolo che fora in pochi anni il Cenisio, che 



Architettura moderna. 2S1 

taglia r Istmo di Suez, che getta ponti tabulari 
sopra il più tempestoso braccio di mare che di- 
vide nazioni europee, che inalza all' industria, 
per fruirne pochi mesi, sterminati palazzi di cri- 
stallo, di ferro e di legno ; fu detto : avremo lo 
stile novo dell'architettura nazionale il giorno 
in cui le virtù tanto diverse degli Italiani si 
accorderanno davvero insieme per creare una 
bellezza comune e tutta popolare e veramente 
contemporanea; fu detto: — e questo lo disse 
il Blasioli, un prete arzillo tanto amico del Ce- 
lentano — in fatto di bello giova aver fede. 

E abbiamo pur fedel Ma per carità dateci delle 
istituzioni tutto d'un pezzo; delle abitudini e dei 
gusti che non abbian nulla a che fare col pas- 
sato; fate che si possa dimenticare quanto si 
è fatto prima di noi; allora potremo avere l'ar- 
chitettura nova; la potremo avere se si met- 
terà nel suo studio un po' di quel raziocinio 
che sappiamo applicare sì bene nelle cose della 
vita pratica.* 

Purtroppo è difficile impare ma è più diffi- 
cile dimenticare. Auguriamoci tuttavia che venga 
davvero il giorno in cui l'architettura della nova 
Italia s' illumini dello splendore del quale s' il- 
luminò nei secoli migliori traversati da noi. 

^ Perchè a Roma, specialmente prima del 1870 V architet- 
tura ha languito più che altrove ? Perchè gli architetti romani 
non possono dimenticare Tarte del Pantheon e del Colos- 
seo: gli architetti romani si fermano troppo air antico e lo 
copiano più che non lo studino. 

FINE, 



MDIGE 

DKI MONUMENTI GITATI * 



Agrigento.^ 

Oratorio di Falaride, 82. 

Ancona. 
S. Ciriaco, 63. 
Palazzo Comunale, 149. 

Aosta (Valle d'). 
Castello di Cly, 114. 
» Fenis, 115. 
» Graine, 114. 
^ Issogne, 115. 
» Montmajeur, 114. 
Verrés, 114. 

Aquileia. 
Duomo, 39. 

Aquisgrana. 

Duomo (n), 94. 

Arezzo. 
Pieve, 56. 

Ascoli-Piceno. 
SS. Vincenzo e Anastasio, 64. 

Assisi. 

Duomo (S. Rufino)^ 94. 
S. Francesco, 104. 



Bari. 

S. Gregorio, 63. 
S. Nicola, 61. 

Bergamo. 

Cappella GoUeoni, 170. 
Palazzo del Comune, 119. 

Bitonto. 
Duomo, 62. 

Bologna. 

S. Francesco, 67 e seg. 

S. Michele in Bosco (Porta), 
182. 

S. Petronio, 110. 

Facciata pel S. Petronio (prò- 
getti), 195, 205. 

Palazzo Podestà, 191. 

Gasa dei Garacci 191. 

Palazzo Albergati, 182. 

» delParte degli strac- 
ciaioli, 194. 

Palazzo Fava, 193. 

» Lambertino, 182. 
» Malvasia, 245. 

La OarisendOf 67. 

Loggia dei Mercanti, 194. 

Portico dei Banchi, 204. 



1 La (o) significa che il monameato é citato in nota. 

s Abbiamo disposto in ordine alfabetico prima le chiese, mettendo 
a capo di esse il Daomo ; poi i Palazzi mettendo capofila 11 Palazzo 
Comunale; indi gli altri edifici in genere. 



254 



Indice dei monumenti citati^ 



Bologna (vicinanze). 
Castello di S. Martino di so- 

Sra Zena detto dei Manzo- 
, 117. 

Brescia. 
Duomo, 194. 

S. Maria dei Miracoli, 170. 
Palazzo Comunale, 159. 

Brouges. 
Duomo, 176. 

Carpi. 

Duomo, 182. 

Caprarola. 
Castello, aOi. 

Caserta. 

Palazzo Reale, 243. 

Cesena. 
Biblioteca Malatestiana, 194. 

Cefalù. 

Duomo, 60. 

Chartres. 
Duomo, 176. 

Cliiaravalle. 
Abbazia, 65. 

Codrongianos 

(provincia di Sassari). 

Abbazia di Saccaragia (Chiesa 
della), 64. 

Colonia. 
Duomo, 93, 101 (n). 

Conversano. 
Duomo, 62. 

Como^ 
Duomo, 48, 165. 
[Parta d, Bana% 165. 
S. Abbondio, 48 e seg. 



S. Fedele, 49. 

Palazzo Comunale, 119. , 

Crema. 
Campanile del Duomo 65. , 

Cremona. 
Duomo, 41, 52. 
Palazzo Comunale, 119. 

» Stanga (Porta), 170. 
Loggia dei Gonfalonieri. 125 e 
seg. 

Cortona (vicinanze). 
Madonna del Calcinaio, 149. 1 

Costantinopoli. 
S. Sofia, 27 e seg., 37 e seg. 

Empoli. 
Pieve, 24. 

Faenza. 
Chiesa dei Domenicani, 245. 

Fermo. 
Duomo, 245. 

Ferrara. 
Duomo, 75, 
Certosa, 161. 

Palazzo dei Diamanti, 161. 
» Roverella, 161. 
» Scrofa, 161. 
» Schifanoia, 161. 
Castello, 161. 
Teatro, 245. 

Firense. 
Duomo, 100, 105 e seg. 
Angioli (Chiesa degli), 143. 
S. Croce, 109. 
S. Lorenzo, 142. 
S. Maria Novella, 109. 
S. M. Nov. (Porta, di Leon. 

Batt. Alberti), 144. 
S. Marco (Convento), 146. 
S. Michele (Or.) 112, 123 e seg. 
S. Miniato al Monte, 24. 



Indice dei monumenti diati. 



255 



Pazzi (Cappella dei), 142. 

S. Spirito, 142. 

Palazzo Comunale (V. Palazzo 

Vecchio), 
Casa dei Barbadori 143. 
Palazzo Antinori, 149. 
» Bartolini, 149. 
» Geri (ora Mantellini), 
144. 
Palazzo Giugni, 208. 
» Giuntini, 144. 
» Gondi, 149. 
■» Guadagni, 147. 

Martelli; 20S, 
» Pandolfini, 181. 

Pitti, 148-208. 
» Pucci, 208. 
» Quaratesi, 149. 
» Riccardi (Piazza del 
Duomo), 208. 
Palazzo Riccardi già dei Me- 
dici, 146, 
Palazzo Rucellai, 147. 
T> Serristori, 149. 
» Strozzi, 146, 151, 189. 
» Tomabuoni ora Corsi, 
146. 
Palazzo Vecchio, 73. 

Vitali, 208. 
Bargello, 73. 

Biblioteca Laurenziana, 207. 
Campanile detto volgarmente 

di Giotto, 66, 107. 
Loggetta del Bigallo, 76. 
Loggia degli Innocenti, 143. 
Loggia dei Lanzi, 76, 123 e seg. 
Loggiato degli Uffizi, 205. 
Torre di Palazzo Vecchio, 68. 

Foggia. 

Duomo, 62. 

Fontainebleau. 

Castello, 204. 

Forlì. 
Teatro, 245. 



Friburgo. 
Duomo, 93. 

Genova. 
S. Ambrogio, 229. 
SS. Annunziata, 229. 
S. Siro, 229. 
Palazzo Adomo, 238. 

» De Amicis, 238. 

» Doria- Tursi (Munici- 
pio), 238. 
Palazzo Lercari, 288. 

» Reale, 238. 

» Sauli, 238. 

» Serra, 238. 

» dell'Università, 238. 

Grado. 

Duomo, 11 (n), 39. 

Gravedona. 

S. Maria del Tiglio, 49. 
Campanile di S. Maria del Ti- 
glio, 66. 

Gubbio. 
Palazzo del Comune, 119. 
» Ducale, 185. 

Imola. 
Duomo, 245. 

Jesi. 
Palazzo Comunale, 149. 

Jork. 
Duomo, 94 (ii). 

Lodi. 

Incoronata, 165. 

Loreto. 
Santuario, 64, Ì87. 
Palazzo Reale, 187. 

Lucca. 

S. Frediano. 55. 

S. Martino, 55, 85 e 89. 



256 



Indice dei monumenti eilali. 



S. Michele, 55, 62. 
Palazzo Bernardini, 208. 

» Gelanni, 208. 

» già Ducale, 208. 

Mantova. 

Duomo, 205. 
S. Sebastiano, 144, 148. 
Palazzo del T., 205. 
» della Borsa, 93 

Maser (vie. a Treviso). 

Tempietto del Palladio, 195. 

Messina. 

Duomo, 114. 

Milano. 

Duomo, 47, 85, 94, 101 e seg. 

S. Ambrogio,. 11, 43 e seg. 
50, 61, 85, 89. 

S. Ambrogio (Portico della Ca- 
nonica), 164, 172 (n). 

S. Gelso, 50, 228. 

S. Eustorgio, 50. 

» (Cappella del Mi- 

chelozzi), 170. 

S. Giovanni alle Case Rotte, 
236 (n). 

S. Giovanni alla Conca. 50. 

S. Giovanni sul Muro, 164. 

S. Giuseppe, 236 (n). 

S. Liberata, 164. 

S. Lorenzo, 41. 

S. Maria in Carugate, 164. 

S. Maria delle Grazie, 164, 172 
(n). 

S. Satiro, 164, 172 (n). 

S. Simpliciano, 60. 

S. Vincenzo in Prato, 14. 

S. Vittore, 228. 

Palazzo Comunale (V. Palazzo 
Marino). 

Palazzo Annoni, 236. 
» di Brera, 235. 
» Belgioioso, 244. 
» Cusani, 236. 



Palazzo Durini, 236. 

» Elvetico, 236. 

» Litta, 236. 

» Marino, 235. i 

» della Ragione, 72. { 

» Reale, 244. 
Villa Reale, 244, 248. 
Arco della Pace. 248. 
Campanile del S. Gottardo, 65. 
Castello di Porta Giovia, 116, 

164. 
Porte del Duomo, 237. I 

Spedale Maggiore, 168, 169* ' 
Teatro della Scala, 244. 

Micene. 

Tesoro d'Atreo, 82. 
Modena. 
Duomo, 41, 52. 
Ghirlandina, 67. 

Molfetta. 

Duomo, 62. i 



Monza. 
Palazzo della Ragione, 71. 

Monreale. 
Duomo, 60. 
Chiostro, 60, 

Mugello (Toscana). 
Palazzo di Cafaggiolo, 146. 

Napoli. 

S. Filippo (dei PP. Gerolomi- 
ni), 221, 228. 

Gesù Novo, 228. 

S. Giovanni dei Carbonari (mo- 
numento Caracciolo), 190. 

S. Martino (Certosa), 228. 

Montoliveto (Chiostro), 190. 
» Cappella Pìccolo- 

mini, 189. 

Oratorio di Pontano, 190. 

S. Severino, 190. 

Palazzo Como, 189. 



Indice dei monumenti citati. 



257 



Teatro S. Carlo, 224. 
Villa di Pogrgio Reale, 190. 
Castel Novo, 116. 

» Arco di G. N., 189. 
Porta Capuana, 190. 

Norimberga. 
Palazzo Comunale, 93. 

Oristano. ^ 
S. Giusta, 64. 

Orvieto. 
Duomo, 113. 

Otranto. 
Duomo, 62. 

Padova. 

S. Antonio, 53. 
o il SantOf 101 (n), 112. 
S. Giustina, 158 (n). 
Palazzo della Ragione, 72. 

Palestrina (Praeneste). 
Mura, 82. 

Palermo. 
Duomo, 60. 
S Maria dell'Ammiraglio (la 

Martorana) 60. 
Cappella Palatina, 60. 

Parigi. 
Notre-Dame, 176. 
Santa Cappella, 94, 99. 

Parma. 

Duomo, 51. 
Battistero, 51. 

Parenzo. 
Duomo, 11 (n), 39. 

Pavia. 
Duomo, 165. 
Certosa, 47, 112, 167. 
S. Lanfranco, 51. 

A. Milani. 



S. Maria del Popolo, 51. 

S. Michele, 50, 52. 

S. Nazaro, 51. 

S. Pietro in Ciel d'Oro, 50. 

S. Teodoro, 51. 

Campanile del Carmine, 66. 

Castello, 116. 

Piacenza. 
Duomo, 41, 52. 
Palazzo Gotico o il Gotico, 72. 
Palazzo Farnese, 204. 
Campanile di S. Pietro, 228. 

Piacenza 
(Ghiaravalle della Colomba). 

Chiostro, 55. 

Pienza. 

Palazzo Piccolomini, 147. 

Pisa. 

Duomo, 54, 100. 
Battistero, 55. 
Camposanto (n), 55. 
S. Maria della Spina, 76. 
Palazzo Gambacorti, 76. 
Campanile del Duomo, 54, 67. 

Pistoia* 
Battistero detto volgarmente 

«7 8, Giovannino, 76. 
S Giovanni fuorcivitaa, 54, 62. 
Madonna dell' UmilU, 205. - 
Palazzo Comunale, 123. 
» Pretorio, 123. 

Poltrone presso Mantova. 

S. Benedetto. 101 (n). 

Ploaghe. 

S. Michele di Salvennero, 64. 

Prato. 

Duomo, 56. 

Madonna delle Carceri (Chie- 
sa), 144. 

17 



258 



Indice dei monumenti oitsM. 



Pratolino 

(provincia di Firenze). 

Grotte d. Villa Medicea, 206. 

Ratisbona. 
Duomo, 93. 

RaTenna. 

Sani* Apollinare in Glasse, 34. 
8. Apollinare Novo, 34. 
S. Vitale, 34 e seg. 41. 

Reims. , 
Daomo, 94 (n). 

Rimini. 
S. Francesco, 144. 

Roma. 

S. Agnese, 22, 224. 

S. Andrea dei Gesuiti (Via del 
Quirinale), 226. 

S. Bibiana, 226. 

S. Carlo alle quattro fontane, 
224. 

S. Clemente al Monte Celio, 20. 

S. Costanza, 24. 

S. Crisogono, 28. 

S. Croce detta in Gerusalem- 
me, 19. 

S. Giovanni dei Fiorentini, 221. 

S. Giovanni in Laterano, 20. 

Gesù, 217 (n). 

S. Giorgio in Velabro, 24. 

S. Giovanni in Fonte (lo stesso 
di S. Giovanni Laterano), 24. 

Incurabili, 221. 

S. Paolo f. d. m., 21. 

S. Pietro in Montorio, 172 (n). 
174. 

S. Pietro in Vaticano, 174, 183. 

S. Prassede, 22. 

S. Maria in Gampitelli, 222. 

S. Maria in Cosmedin, 23. 

S. Maria Maggiore, 19, 23. 

S. Maria ai Monti, 222. 

S. Maria in Trastevere, 24. 



S. Lorenzo f. d. m., 23. 

S. Luigi dei Francesi, 222. 

S. Sabina 16, 22. 

S. Stefano detto rotondo, 24. 

Vittoria, 222. 

Palazzo Altemps, 182. 

Borghese, 2^ 

di S. Biagio, 174. 

di Bramante, 174. 

del Campidoglio, 207. 

della Cancelleria, 172. 

Cicciaporci, 205. 

d. Consulta, 232. 

Corsini, 232. 

Farnese, 183, 207. 

Gaetani oggi Ruspolì 
(Scala) 232. 
Farnesina, 181. 
Palazzo di Laterano, 232. 

Maccarani, 205. 

Massimi, 182. 

Mattei, 232. 

Ossoli, 182. 

Pamphyli, 232 (n). 

del Quirinale, 232. 

Rospigliosi, 9S2. 

Sacchetti, 183. 

Sciarr a- Colonna, 232. 

Torlonia (piazza Santi 
Apostoli), 232. 
Palazzo Torlonia (già Giraud) 

Borgo Novo, 174. 
Padazzo Valvasorì, 232 (n). 

> Venezia, 179. 
Campanile di S. Maria in Co- 

smedin, 66. 
Campanile di S. Maria Mag- 
giore, 66. 
Campanile di S. Maria in Tra- 
stevere, 66. 
Catacombe di S. Sebastiano, 6. 
Cattedra di S. Lorenzo, 58. 
Cattedra di S. Pietro, 225. 
Chiostro di S. Paolo f. d. m., 

59 e 60. 
Cortile di S. Giovanni Late- 
rano, 59 e 60. 



Indice dei monumenti citati. 



259 



Confessione di S. Pietro, 226. 
Cupola di San Pietro, 176, 206. 
Fontana di piazza Navona, 231. 
Piazza di S. Pietro, 177, 225, 

230. 
Scala Regia, 231. 

RUTO. 

Duomo, 62. 

Salisburgo. 

Duòmo, 94. 

San Doinenioo 
(vie. a Fiesole). 
Badia fiesolese, 142. 

Siponto. 
Duomo, 62. 

Siena. 
Duomo, 76, 85, 114. 
S. Giovanni, 76. 
Palazzo Comunale, 119, 123. 
Bonsignorì, 123. 
Mocenni, 150. 
Piccolomini, 149. 
Pollini, 150. 
Tolomei, 123. 
Castello di Saturnia, 47. 
Loggia del Papa, 149. 
Torre del palazzo Comunale 
di Siena detta volgarmente 
d. Mangia, 68. 

Strasburgo. 
Duòmo, 93. 

Tebe. 
Ramesseione, 82. 

Termoli. 
Duomo, 62. 

Terranova Pausania. 
S. Simplicio,* 64. 

Torcello. 
Duomo, 10 (n). 



Toscanella. 

S. Maria, 11 (n) e 58. 
S. Pietro, 58. 

Torino. 

Duomo, 229. 

Arcivescovado (Chiesa), 229. 

Carmine, 229. 

Consolata, 229. 

S. Lorenzo, 229. 

SS. Sidone, 229. 

Superga, 229. 

Palazzo deir Accademia delle 
Scienze, 237. 

Palazzo Balbiano di Viale, 237. 
> Carignano, 237. 
» Levaldigi (ora di Mar- 
gherita), 287. 

Palazzo Madama, 229, 237 e 
238. 

Villa reale di Stupinigi, 238. 

Seminario, 288. 

Trani. 

Duomo e la sua Torre, 62. 
Treviso. 

Duomo (Cappella del Sacra- 
mento), 155. 
S. Maria delle Grazie, 155. 
S. Paolo (Cappella), 155. 

Trento. 
Duomo, 53. 

Troia. 
Duomo, 62. 

Udine. 
Palazzo Comunale, 119. 

Urbino. 
Palazzo Ducale, 185. 
Venezia. 
S. Francesco della Vigna, 196 
e 197. 



260 



Indice dei monumerdi citati. 



S. Marco, 81, 87 e seg. 53. 

Frari, 100, 112. 

S. Gimignano, 197. 

S. Giorgio Maggiore, 195, 197. 

S. Giorgio dei Greci, 197. 

S. Giovanni Elemosinano, 156. 

SS. Giovanni e Paolo, 112. 

S. Giuliano, 197. 

S. Giustina (ex- chiesa), 227. 

S. Maria Maddalena, 246. 

S. Maria dei Miracoli, 152, 156. 

S. Maria deU'Orto, 112. 

Redentore, 195. 

Rosario ((^appella del) 226. 

La Salute, 220, 226. 

S. Salvatore, 154. 

S. Stefano, 112. 

S. Zaccaria, 152. 

Palazzo Ducale, 117, 120, 157 

e seg., 199. 
Palazzo Gapovilla, 233. 
Ga' d'Oro, 119 e seg. 
Palazzo Cavalli, 119. 

» Cicogna, 119. 

» Contarinì-Fasan, 119. 

» Corner • Spinelli, 158, 
200. 
Palazzo Foscari, 119. 

» Grimani (a S. Luca), 
200. 
Palazzo Giustiniani, 119. 234. 

» Pesaro, 232. 

» Pisani (a S Polo), 119. 

» Reale, 246. 

» Rezzonico, 233. 

» Toppan, 119. 

» Trevisan (S. M. For- 
mosa), 155. 
Palazzo Yendramin, 151, 152, 

158. 
Arsenale, 202. 

Basamento del monum. Col- 
leoni, 159. 
Campanile di S. Giorgio Mag- 
giore, 47. 
GasteUo di S. Andrea, 202, 
Confraternita di S. Rocco, 151. 



Fondaco dei Tedeschi, 159- 

Porta della Carta, 118, 156. 

Prigioni, 199. 

Libreria di S. Marco, 199-208. 

Loggetta di S. Marco, 203. 

Monumento Pesaro ai Frari, 
227. 

Monumento Vittoria, a S. Zac- 
caria, 227. 

Loggia di Zanobrio, 246. 

Ospedaletto, 227, 232, 233. 

Ponte di Rialto, 199. 

Ponte dei Sospiri, 199. 

Scala dei Giganti, 157. 

Scuola di S. Marco, 153, 155. 

Scuola della Misericordia, 202. 

Scuola di S. Rocco, 155, 156. 

Torre dell' Orologio, 152, 159. 

Vecchie Procuratie, 156. 

Zecca, 203. 

Venezia (Murano). 

Duoiho, 39. 

Venezia (Torcello). 

S. Fosca, 39. 

Vercelli. 

S. Andrea, 52. 

Verona. 

Duomo, 113. 

S. Anastasia, 113. 

S. Eufemia, 113. 

S. Fermo, 113. 

S. Zeno, 51, 53. 

Palazzo del Consiglio, 159. 

» Bevilacqua, 202. 
Arca di Can-Signorìo, 68. 
Porta Nuova, 202. 

Vicenza. 

S. Lorenzo, 113. 
Madonna di Monte Berìco, 195. 
Palazzo Bonin, 245. 
» Cordellina, 245. 



Indice dei monumenti cifafi. 



261 



Vicenza. 

Palazzo Sola, 245. 

» Thiene, 199. 

» Valmarana, 199. 
Basìlica, 197. 
LiOggia, del Vescovo, 159. 
Rotonda (Villa detta), 198 
Teatro Olimpico, 198. 



Vigevano. 

Castello degli Sforza, 116. 

Viterbo. 
Duomo, 58. 
S. Andrea, 58. 
S. Maria Nuova, 58. 
S. Giovanni in Zoccoli, 58. 
Campanile del Duomo, 66. 



INDICE 

DEGLI ARTISTI K DRI PERSONAGGI CONSIDEREVOLI* 



Abbaco Giov. Maria, 172. 

» Antonio, 172 
Agnolo (d') Baccio, 145. 149. 
Alberti Leonbattista, 81, 132 

seg., 141 e seg., 147, 194. 
Alessi Galeazzo, 21 7, /(n), 220, 

228 e seg., 235, 238. 
Algardi Alessandro, 219. 
Ammannati Bartolomeo, 128, 

143, 175 (n). 
Antelami (Maestri), 48, 51 e 

seg. 
Arduino, 111. 

Arezzo (d*) Marchionne, 56. 
Arler Enrico di Gmùnd o Ga- 

modia, 102 e seg. 
Arnaldi Enea, 245. 
Arogno (di) Adamo, 53. 
Arrìguzzi Arduino, 111. 
Averlino o Averulino Antonio 

V. Filarete. 
Azzarra Francesco, 189. 

liambaia (Agostino Busti), 

167. 
Bandinelli Baccio, 188. 
Barozzi Giacomo, V. Vignola. 
Basseggio Pietro, 117. 
Battaggio Giovanni, 165, 166. 



Bergamo (da) Mauro, 155. 
Bernini Lorenzo, 176, 199, 217, 

228, 230 e seg. 
Berretta Lodovico, 195. 
Bianco Bartolomeo, 238. 
Bibbiena Antonio, 220 
» Ferdinando, 290. 
> Francesco, 220. 
Boeswillwald, 99. 
Bonanno, 55. 
Bon Giovanni, 117 e 118. 

» Bartolomeo, 117 e 118. 

> Pantaleone, 117 e 118. 
Borghetto (da) Pietro, 72. 
Borromini Francesco, 47, 217, 

223 e seg. e 231. 
Bracciolini Poggio, 132. 
Brìghintk Domenico, 52. 
Brunellesco Filippo, 132 e seg., 

141 e seg., 149, 161, 166 (n). 
Bramante Donato, 161 e seg., 

171 e seg., 178, 182, 183, 

187, 206, 221. 
Buontalenti Bernardo, 206. 
Buono Bartolomeo, 118 (n), 

156. 
Busti Agostino, Y. Bambola. 

(campione (da) Alberto, lOlw 
» Arrigo, 67. 



1 S* iDtende considerevoli per V influenza esercitata da loro tallo 
svilappo dell'arte. — La (n) messa accanto al numero significa che 
TartisU ò citato ia'^nota. 



Indice degli artisti e dei personaggi, 26S 



Cam pione (da) Bonino, 47, 68. 
" "*' Il 4 Giacomo, 47. 

104. 
Campione (da) Matteo, 47. 
Cam Dello (da) Filippo, 105. 
Cambio (di) Arnolfo, 56, 57, 

106, 109, IH (n) 
Calendario Filippo, 117, 119. 
Cadali Giuseppe, 143. 
Cagnano Pietro, 72. 
Campanaro Gherardo, 72. 
Caradosso (Foppa), 164. 
Caprina (del) Meo, 187, 188. 
Calcagni Antonio, 188. 
Campagna Gerolamo, 220. 
Castelli Cario, 236 (n). 
Castello Giovanni Battista, 229. 
Castello-PatemoVincenzo, 244. 
Cavagni Giambattista, 221. 
Gavasale, 244. 
Calderari Ottone, 245. 
Castellamonte Cario, 229, 237, 
» Amedeo, 229, 

237. 
Cagnola Luigi, 248. 
Cella (dalla) fra Benvenuto, 

112. 
Gesariano Cesare, 166. 
Cerato Domenico, 245. 
Chiona, 197. 
Ciccione Andrea, 190. 
Cione (di) Bencì, 106, 123. 
Cosma (Cosimo), 57. 
Cosmati, 57 e seg. 
Como (da) Giovanni, 47. 
Como (da) Guidetto, 55. 
Gomacini (Maestri), 46 6 seg., 

60.» 
Gontucci Andrea, V. Sansovi- 

no Andrea. 
Cozzo (di) Pietro, 72. 
Cronaca (Simone Pollaiolo), 

145, 146. 



Daponte Giovanni, 137. 
Daponte Antonio, 199. 
De Bonaventuris Niccola, 104. 
Diedo Antonio, 246. 
Diotisalvi, 55. 
Dolcebuono Giovanni, 166. 

» Jacopo, 166. 

Donatello (Donato Bardi), 132 

e seg. 
Duban, 99; 

llnsingen (di) Ulrico, 104. 

Fancelli Luca, 149, 166, 190. 
Fansaga Cosimo, 219, 228. 
Fontana Annibale, 219 (n). 

» Carlo, 219 (n), 232, 

» Domenico, 219 (n), 
221, 232. 
Fontana Francesco, 219 (n). 

> Giovanni, 219 (n). 

» Giulio Cesare, 219 (n). 
Federighi Antonio, 149. 
Federigo II, 105. 
Fernach (di) Giovanni, 104. 
Fioravante (di) Aristotele, 191. 
» Neri, 106, 124. 

Formenton Tomaso, 159. 
Filarete (Ant Averulino), 166 

(n), 169. 
Fra Giocondo, 134, 159, 179, 

181. 
Francesco (della) Piero, 194. 
Friburgo (di) Giovanni, 104. 
Frixono (de) Marco, 104. 
Fuga Ferdinando, 232. 

Oaddi Taddeo, 106, 112. 124. 

Galli Ferd. Frane. Ant., V. Bib- 
biena. 

Gamodia Enrico, V. Arler Enr. 

Gattapone. Y. Maffei Giovan« 
nello. 



* Vedi «ncbe la Note aggiunta nell'Errata corrige. 



264 Indice degli artisti e dei personaggi. 



Ghiberti, 181 (n). 

Ghini Giovanni di Lapo^ 106. 

Giotto, 107. 

Girandole (delle) Bernardo, V. 

Buontalenti Bernardo. 
Gonzaga Federigo, 205. 
Grassi (dei) Giovanni, 104. 
Gruamons, 54. 
Giulio II, 171, 174. 
Giulio HI, 20*. 
Guarini Guarino, 220, 229, 237. 

Juvara o Ivara, Filippo, 148. 
220, 229, 237. 

Lanfranco, 53. 

Lanfranchi Carlo Emanuele, 

238. 
Lapo, 105. 
Lapo (di) Arnolfo, V. Cambio 

(di) Arnolfo. 
Lassus, 99, 
Lauranna (di) Luciano, 185 e 

seg. 190. 
Le Brun Carlo, 243. 
Leopardo Alessandro, 208. 
Lombardo Andrea Dom. 189. 

» Antonio, 155. 

» Martino, 152, 153. 

^ Martino II, 155. 

» Moro, 155. 

> Pietro, 152 e seg. 
158, 203. 

Lombardo Rocco, V. Pennone 

Rocco. 
Lombardo Sante, 155, 158, 197. 

> Tullio, 153 e seg. 
155 (n). 

Lombardo Tullio II, 155 (n). 
Longhena Baldassarre, 220, 

226 e seg., 232 e seg. 
Lugano (di) Alberto, 47. 
Luna (Della) Francesco, 143. 
Lunghi Martino (il min.), 219. 
» Onorio, 219. 



Lunghi Martino (il maggiore), 

219, 232. 
Lurago Rocco, 238. 

Maderno Carlo, 47, 176, 217, 

219, 221, 232. 
Mafifei Giovannello, detto il 

QaUapone, 119. 
Maiano (da) Benedetto, 145, 

146, 189. 
Maiano (da) Giuliano, 145, 187, 

189. 
Maitani Lorenzo, 114. 
Malatesta Sigismondo, 194. 
Manfredi Andrea, 110. 
Mangone Fabio, 236. 
Martini Francesco di Giorgio, 

81, 147, 149, 166, 185, 202. 
Medici (dei) Cosimo 146 e seg. 
Mercadillo (di) Freilino, 188. 
Michelangiolo, 170, 174, 175 

(n) 176, 184, 203, 204, a06 

e seg., 221. 
MichelozziMichelozzo, 146, 151^ 

166 (n), 170. 
Mignot Giovanni, 104. 
Milano (da) Bramante, 166. 
Milano (da) Giovanni, 104. 
Miglioranza Giovanni, 245. 
Moro (il) Lodovico, 166. 
Monte feltro (dì) Federigo, 185. 
Moro (del) Giulio, 220, 
Morelli Cosimo, 244. 

Negri (dei) Negro, 72. 
Nati MaUeo, 194. 

Omodeo, Gio. Ant. 103, 165 
e seg., 170. 

Orcagna Andrea. 76, 103 (n), 
106, 123, 124. 

Organi (degli) Andrea, 103. 

Organi (degli) Filippo o Filip- 
pino, 103. 

Organi (degli) Giorgio, 103. 



Indice degli artisti e dei personaggi 265 



Orsenigo, Marco, Jacopo. Si- 
mone, 108. 

1 aoletti Gaspare, 143. 

Paolo V., 176. 

Palladio Andrea, 194 e seg., 
199, 217 (n), 247. 

Parigi Giulio, 143 

Pecorari Francesco, 65, 126. 

Pennone Rocco detto Rocco 
Lombardo, 229. 

Pellegrini (il), V. Tibaldi Pel- 
legrino. 

Peruzzi Baldassarre, 149, 172, 
176, 181 e seg., 221. 

Pinerolo (da) Marino, 188. 

Pisa (da) Isaia, 189. 

Pisano Nicola, 76, 112. 
> Andrea, 76, 109. 
» Giovanni, 116. 

Piermarini Giuseppe, 244. 

Pippi Giulio (V. Romano Giu- 
lio.) 

Poccianti Pasquale, 143. 

Pollach Leopoldo. 244. . 

Pollaiolo Simone, Vedi Cro- 
naca. 

Pontelli Baccio, 187. 188. 

Porta (della) Giacomo, 222. 

Ponzi Flaminio, 222, 232. 

Pozzo padre Andrea, 220, 222, 
245 (n). 

Uuarenghi Giacomo, 245. 

BaffaeUo, 81, 105, 145, 172, 

175 (n), 176, 185, 187, 221. 
Rainaldi Girolamo e Carlo , 

219, 222. , 
Rembrandt, 208. 
Ricati Giordano, 246. 
Riccio Antonio, 151, 152, 157 

e seg. . 
Riccio Andrea, detto Crispo e 

Briosco, 157. 



Rìchini Francesco Maria, 210, 

236. 
Ristoro, (fra), 109. 
Rocchi Cristoforo, 165, 166. 
Rodari Tommaso, 165, 166. 
Romano Giulio, 101 (n), 184, 

205. 
Romano Paolo, 189. 
Rossellino Bernardo, 145, 147, 

149, 189. 
Rossi (dei) Giovanni Antonio, 

219. 
Ruggeri Anton Maria, 236. 

Oangallo (da) Antonio (il vec- 
chio), 145 e seg. 

Sangallo (da) Antonio (il gio- 
vine) 145, 172, 176, 182, 206. 

SangaUo (da) Aristotele, 181. 
» Francesco, 188. 

» Giovanni Fran- 

cesco, 181. 

SangaUo (da) Giuliano, 144, 
145, 149, 166, 172. 174, 176, 
178 e seg., 181. 

San Guglielmo abate di S. Be- 
nigno di Digioné, 91. 

Sanmicheli Michele, 200 e seg. 

Sansovino Iacopo (Tatti), 137, 
172, 197, 199, 202, 208. 

Sansovino Andrea (Gontucci), 
172, 203. 

Santi Giovanni, 185. 

Scamozzi Vincenzo, 137, 198 
e seg. 

Scarpagni Antonio, detto Scar- 
pcigninOf 156. 

Serlio Sebastiano, 137, 190, 
204, 

Seregni Vincenzo, 220. 

Settignano (da) Antonio di 
Giorgio, 190. 

Settignano (da) Desiderio, 190. 

Sieve (da) Ponte Antonio, 172. 

Silvani Gherardo, 219. 

Sisto, (fra), 109. 



2ò6 ìndice degli arlisii e dei personaggi. 



Solari (famiglia), 140, 151. 

» Cristoforo, 166. 

» Guiniforte, 170. 
Soli Giuseppe, 246. 
Spavento Giorgio, 154. 
Spazzi (degli) Lorenzo, 165. 
Suardi, detto Bramantino, 166. 

ladolini Francesco, 245. 

Talenti Francesco, 106, 107, 
109, 124. 

Talenti Simone di Francesco, 
106, 123, 124. 

Tatti Iacopo, V. Sansovino Ia- 
copo. 

Temanza Tomaso, 246. 

Tibaidi Pellegrino, 237. 

Tiziano, 226 (n). 



u 



rbano Vili, 225. 



V anone Andrea, 229, 238. 
Vanvitelli Luigi,^243. 
Vasari Giorgio, 205.* 
Vignola, 137, 184, 204, 236, 247. 
Venezia (da) Bernardo, 168. 
Venturoli Angiolo, 245. 
Vigone (da) Giovanni, 188. 
Vincenzi Antonio, 110. 
Violet-Le-Duc, 99." 
Visconti Gian Galeazzo, 101 (n), 

.102 e seg. 
Visentini Antonio, 246, 
Vitoni Ventura, 205. 
Vitnivio, 132 e seg-, 247. 
Vittoria Alessandro, 204, 22(), 
226 e seg., 234. 

Zambaia, V. Bambaia. 
Zenale Bernardo, 166. 



^ È citato poi in molti luoghi dol volumetto. 
> È citato parecchi9 altre volte nel Tolumetto. 



ERRATA-CORRIGE 



A pag. 47 riga 28 territorfo di Como, leggi : territorio di Lugano. 
» tOl » iO bisticchiato, » bisticciato. 
» i44 » 12 eretta dopo la mor- 
te dell'Alberti, » eretta vivente l'Alberti 
tra il 1447 e il 1450. 
» 148 » 4 architettato da loi 

nel 1470, » principiato nel 1460. 

Noia affffiunia alla pag. 47 dove, parlando dei Maestri Co- 
macioi, scriviamo che « il costarne di emigrare nelle vallatn delle 
Alpi ò antichissimo». Anche ora gli abitanti della Valle d'Intelvi, 
delle vicinanze di Lugano, di Como si danno pib specialmente ai la- 
vori di costrusione e di decorazione, e sono muratori, scarpellini, im- 
biancatori e emigrano; e vanno a Milano, a Torino, a Genova, in 
Svizzera, in Francia, in Austria e perfino in America: il bello è che 
se vanno via muratori tornano assistenti o capomastri, insomma si 
perfezionano sempre e talvolta si arricchiscono. Ciò mostra che hanno 
attitudine ancora ai lavori murari, volontà di lavorare e molto giu- 
dizio. Nei paesi ricordati gli uomini che vi restano sono vecchi, o 
impotenti per disgrazia naturale, o bambini. 



Sei^ie Soieiitifica> 

in'32 legati a L. 1.60 



i Chimica, di Rosoob, Paveèi. 

2 Fisica, di BalfoobStbwart, Cantonù 

3 Geograflaf Itlca, di Giiku, Stoppani 

4 Geologia, di Guuk, Stoppani. 

5 Astronomia, di Lockybb, Schiapa- 

velli. 

6 Fisiologia, di Fostbh, Albini. 

7 Botanica, di Hooub, Pedicino. 

8 Logica, di Jbvons, Di Giorgio. 

9 Geografia classlca,di ToiM.GeniiU 

10 Letteratura Italiana, di C. Fbnini. 

11 Etnografia, di B. Malfatti. 

12 Geografia, dì Gbotb, Galletti. 

13 Letteratura tedesca, di Lanob^Pa- 

ganiui» 

14 Antropologia, di Ganistbimi. 

15 Letteratura francese, di Margillag, 

Paganini. 

16 Logismografia, di C. Cykbsa. 

17 Storia Italiana, di Gbsarb CantIi. 

18 Letteratura Inglese, di E. Solaui. 

19 Agronomia, di F. Garboadi Muriccb. 

20 Economia politica. ìtL^om- Solagli. 

21 Diritti e Doveri, di D. Maffiou. 

22 Algebra, di S. Pimcbbrlb. 

i3 Energia fisica, di R. Fbrhim. 
U Letteratura greca, di V. Inama. 

25 Mineralogia generaie,diL.BoMBicci. 

26 Meocanloa, di Ball, Benetti, 

27 Computisteria, di V. Gitti. 

i8 Antichità Romane, di KoppJfore«cA2 

29 Omero, di Gladstonb, Palumbo- 

Fiorilli. 

30 Mitologia, di A. Db Gdbirnatis. 

31 Ragioneria, di V. Gim. 

32 Geometria pura, di s. Pinchbrlb 

33 Letteratura spagnuoia, di L. Gap- 

PILLITTI. 

34 Protlstologia, di L. Maggi. 

35 Geometria metrica e Trigonome- 

tria, di S. Pinchbrlb. 

36 Letteratura Indiana, dì A. Db Go- 

BBRIIATIS. 

37 Metrica del Greci e del Romani, 

di MiìLLia, Lami. 



38 Religioni e lingue dell' india in- 

glese, di Gost, De Gubematie. 

39 Archeologia, Arte Greca, di I. Gbn- 

TILB. 

40 Archeologia, Arte Romana, di 1. 

Gentile. 

41 Logaritmi, di 0. Mùllie. 

42 Vita di Dante, di 6. A. Sgartaibihi. 

43 Opero di Dante, di G. A. Sgabtazzini. 

44 Sismologia, di L. Gatta. 

45 Errori e pregludizii popolari, di 

STRAFfOaBLLO. 

46 Vulcanismo, di L. Gatta. 

47 Zooiogia 1, Invertebrati, di Gisuoli. 

Oavanna, 

48 Dinamica elementare, di Cattarm 

49 Letteratura americana, di G. 

Strafforbllo. 

50 Lingue dell'Africa, di Cvst, De Gu- 

bematie. 

51 Termodinamica, di C. Gattanbo. 

52 Paleoetnologla, di L Rbgamoni. 

53 Assicurazioni, di G. Pagami. 

64 EiettrlcitA, di Jbnkin, Ferrini. 

55 Spettroscopio, di Proctor, Porro, 
66-57 Mineralogia descrittiva, di L. 

BOMBICCl. 

58 Diritto Romano, di C. Ferrini. 

59 Luce e Colori, di G. Bbllotti. 

60 Letteratura romana, di F. Ramo- 

RINO. 

61 Zoologia li. Vertebrati, (Ittiop- 

Sidi) di GlGLIOLI. 

62 Zoologia III, Vertebrati, (Saa- 
ropsidi, Teriopsidi) di Giglioli. 

63 Geometria Proiettiva di F. Aschieri. 
6i Geometria Descrittiva di Fbrd. 

Aschibri. 

65 Fonologia Italiana, di L. Stoppato. 

66 Diritto penale, di a. Stoppato. 

67 Letteratura persiana, di I. Pnii. 

68 il Mare, di V. Bbllìo. 

69 Igroscoóll, Igrometri e umidità, 

ai P. Gantonl 

70 Mandato commerciale, di E. Vidari. 



Ulrico Hobpli, Editore-Libraio, Milano-Piaa-Napoli. 



1 lSei*ie Pratica. 



Adulteraztone e falftitcaziono de« 

fli alimenti, di L. Gaéba. 
Alimantaziont, di 6. Stràpto- 

RFLLO, ' ' 

Analisi del Vino, di Barth-Gom- 

BONI, con incisioni. 
Atlante geografico<« ni vertale, di 

R. KiEPKRT, con testo di G. 

Gnrollo^ 6« cdiz. di 25 tav. 
i.^plcoltura, di 6. Canestrini. 

con 82 incisioni. 
Arte mineraria, di Y. Zoppetti, 

con 18 tavole. 
Bacili da seta, di Tito Numgi, 

con 41 ine. e 2 tavole lit. 
Bibliografia, di G. Ottimo, con 

11 incisioni. 
Caseificio, di L. Manstti, con 

18 incisioni. 
Colombi domestici, di P. Io- 
nizzi, con incisioni. 
Colori e vernici, di G. Gorini. 
Concia delle pelli, di G. Gorini. 
Conserve alimentari, di G orini. 
Enologia, dì 0. Ottavi. 12 ine. 
Fotografia, di MaPFONE, con ine. 
Frumento e Mais, di G. Can- 
toni, con 18 Jncisioni. 
Galvanoplastica, di R. Ferrini, 

2 volumi con 45 incisioni. 
^«eometria pratica, di 6. Erede, 

con 124 incisioni. 
Imbalsamatore, di R. Gestro, 

con 80 incisioni. 
Industria della seta, di L. Gabba. 



J 



Infezione, disinfeziene, disinl 
tanti, di Alessandri, con ine 

insetti utili, di F. Francbsghivi 
con 48 ine. e 1 tavola. 

Interesse e sconto, di E. Ga- 
gliardi. 

Macoiiinista e fuochiata, dì 6. 
Gavterò, con 28 incisioni. 

Metalli preziosi, di G. Gorini, 
eon 9 incisioni. 

Naturalista viaggiatore, Ai r» 
sbl-Gsstro, con molte inci- 
sioni. 

Olii, di G. Gorini, eon 1 ine. 

Operaio, di G. Belluomini. 

Panificazione razionale, di Pomì 
piuo. 

Piante industriali, di G. Gorihi. 

Piccole industrie, di A. Errerà. 

Pietre preziose, di G. Gorinij 
con 12 incisioni. 

Prato (II), di G. Cantoni, coi 
18 incisioni. 

Riscaldamento e Ventilazione, d 
R. Ferrini, 2 voi. con 9J 
incis. e "8 tavole. 

Tabacco, di G. Cantoni, con 6 in 
cisiom. 

Tecnologia e terminologia mo- 
netaria, di G. Sacchetti. 

Telefono, di D. V. Piccoli, coi 
88 incisioni. 

Tintore, di R. Lbpetit. 

Viticoltura razionale, di 0. Or 
TAvi, con' 22 incisioni. 
Hur.ur*; L., Esercizi geografici e quesiti suirAtlante geografico nniversal* 
(li K>crier:-MàlfaUi, 2» edizione concordante colla 5* deirAtlantino, L. i 
(Pubblicato come appendice alPAtlante di Kifpert.) 

Ulbico Hoepli, Editorc-Libraio, Milano -Pisa- Napoli. 



FA2188.4 




3 2044 034 396 093