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HARVARD COLLEGE
LIBRARY
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CHARLES SUMNER
CLASS OF 1830
Senaior jrom Massachusetts
FOB BOOES ftfiLATING TO
FOtmCS AND FENB AKT3
® MANUALI HOE^il
ARCHITETTURA ITALIANA
I
PARTE SECONDA:
ARCHITETTURA MEDIEVALE, DEL RZHASCIMENTO,
DEL CINQUECENTO, DEL SEICENTO,
DEL SETTECENTO E MODERNA.
dbll' abcbitbtto
ALFREDO mLANl
Prof, alla Scuola Super. d*Arte applicata air Industria
in Milano.
con 35 TAVOLE 9 50 FIOUBE INtEBOALATE NBL TESTO.
Seconda edizione totalmente rifuea.
à
ULRICO HOEPLI
IMTOU-UBKMO DBLU «lAl CASA
MILANO
NAPOLI ! PISA
1887
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SEP 5 Ibbb
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PROPRIETÀ LETTEBÀniA.
Milano. Tip. Bemardùni <fi C. lieheschivi e C
INDICE DEL TESTO
Bibliografia Pag, ix
CAPITOLO PRIMO.
Dell' AreMtettnra romanza Pag. 1
Osservazioni generali » ivi
Le Catacombe » 6
Le Basiliclie cristiane » 8
Il Simbolismo • » 13
I Castelli e ì Palazzi pubblici e privati . » 16
Costruzioni religiose » 18
Lo Stile bisantino » 25
Lo Stile lombardo » 40
I Campanili ' . . . . . » 65
Costruzioni militari e civili » 68
I Castelli e i Palazzi pubblici e privati . » 69'
CAPITOLO SECONDO.
Bell'AreUtettiira di transizione fra la lom-
barda e quella a aroU acuti . . . Pag. 74
CAPITOLO TERZO.
Dell'Areliitettura a archi acuti Pag. 79
Osservazioni generali » ivi
Costruzioni religiose » 100
Costruzioni militari e civili » 114
I Castelli e i Palazzi pubblici e privati . » ivi
IV Indice del testo.
CAPITOLO QUARTO,
Bell'Aroliitettiira del rinasoimento e oin-
duecento Pag. 131
Osservazioni generali ••...,.. » ivi
GOSTRUZIOKI BSLI6I0SB B CIVILI DSL RINASCI-
MENTO. • » 141
Lo stile brnnelleschìaiio » ivi
Lo Stile lombardesco » 150
Lo Stile bramantesco i>161
Lo Stile del Rinascimento nel Piemonte,
nella Ligaria, a Napoli, sua provincia, ecc. » 188
Costruzioni religiose e civili del ginque-
CEHTO » 194
CAPITOLO QUINTO.
Dell'Architettura del seicento Pag. 214
Osservazioni generali » ivi
Costruzioni religiose » 221
Costruzioni civili » 230
CAPITOLO SESTO.
Dell' Archltettiira del settecento Pag. 241
CAPITOLO SETTIMO.
DeU'Archltettnra moderna Pag. 248
INDICE DELLE INCISIONI
Basilica di S. Clemente, Roma Pag. 20
S. Paolo, fuori delle mura, Roma » 22
Pianta della chiesa di S. Paolo, Roma, fuori
delle mura » ivi
Pianta della basilica di Santa Prassede, Roma » 23
S. Sofìa, Costantinopoli (sezione longitudinale) » 27
Pianta della basilica di S. Sofia, Costantinopoli » ivi
Croce latina ». 28
Croce greca » ivi
Capitelli con pulvino in S. Vitale, Ravenna . » 29
Capitello in S. Marco, Venezia » 30
Fregio della chiesa di Dana, Siria settentrio-
nale, presso Aleppo » 32
S. Apollinare in classe, Ravenna » 33
Pianta della chiesa di S. Vitale, Ravenna . . » 34
S. Vitale, Ravenna (sezione longitudinale) . . » 36
Pianta della basilica di S. Marco, Venezia . . » 37
S. Ambrogio, Milano (angolo delFambone nel-
l'interno della basilica) » ^^
S. Ambrogio, Milano (sezione di una delle navi
minori) *
S. Ambrogio, Milano (motivo delle campate) .
S. Michele, Pavia (esempio del pennacchio a
tromba conica) " 50
S. Michele, Pavia (abside)
»
44
45
46
VI Indice delle incisioni.
Duomo di Parma Pag. 51
Duomo di Piacenza » 52
S. Andrea, Vercelli (motivo della cupola) ...» ivi
Parte del Battistero, il Duomo e il Campanile
di Pisa » 54
Cattedra Vescovile in S. Lorenzo, fuori delle
mura, Roma » 59
Musaici nella Cattedra Vescovile di S. Lorenzo,
fuori delle mura, Roma » ivi
Cappella Palatina, Palermo . » 60
Campanile di S. Maria in Cosmedin, Roma . » 67
Palazzo del Comune, Monza » 72
Loggetta del Bigallo, Firenze » 77
Duomo di Milano. » 85
S. Martino, Lucca (motivo delle campate esterne) » 86
S. Martino, Lucca (motivo delle campate inteme) » 87
Foglia arrampicante » 97
Fiore crociforme » 96
Duomo di Milano » 101
S. Maria del Fiore, Firenze » 106
S. Maria del Fiore e il suo Campanile, Firenze » 107
S. Maria del Fiore, Firenze » 108
S. Petronio, Bologna » 110
S. Petronio, Bologna (motivo delle campate in-
terne) . »111
Duomo d'Orvieto. » 112
Pianta del Duomo di Siena » 113
Duomo di Siena » ivi
Ca* d'Oro, Venezia » 120
Palazzo Comunale di Udine » 121
Casa in S. Gimignano » 125
Loggia dei Gonfalonieri, Cremona » 126
Tettoia sporgente in un palazzo di Siena . . » ivi
Indice delle incisióni. vn
Fregio del Rloascìmento di una porta a Santa
Maria delle Zattere, Venezia Pag. 138
Porta nel palazzo del Governatore, Roma . . » 139
Cappella dei Pazzìf Firenze, S. Croce ...» 142
S. Maria Novella, Firenze » 144
Palazzo Strozzi, Firenze » 146
Palazzo Guadagni, Firenze » 147
Porta nel Palazzo Gondi^ Firenze » 148
Palazzo Bucellai, Firenze » ivi
Pianta della chiesa di S. Salvatore, Venezia . » 153
S. Salvatore, Venezia » 154
Palazzo Ducale, Venezia (prospetto del cortile
dalla parte della Scala dei Giganti) ... » 157
Capitello di pilastro (da S. Maria dei Miracoli),
Venezia » ivi
Palazzo Vendramin, Venezia » 158
Palazzo del Consiglio, Venezia » 159
Palazzo Comunale di Brescia » 160
Chiesa della Madonna delle Grazie, Milano . » 164
Certosa di Pavia » 167
Spedale Maggiore, Milano » 170
Palazzo Torlonia, Roma » 171
Finestra nel palazzo della Cancelleria, Roma » 173
S. Pietro di Roma » 177
S. Pietro di Roma (stato attuale) » ivi
Villa di Agostino Chigi detta e la Farnesina »,
Roma » 180
Palazzo Farnese, Roma » 183
Palazzo Ducale, Urbino » 186
Casa detta «dei Caracci», Bologna .... » 192
Palazzo Fava, Bologna » 193
Basilica di Vicenza » ^^^
Palazzo Thiene, Vicenza » 200
vm Indice delle incisioni.
Palazzo Valmarana, Vicenza Pag. 200
Palazzo Bevilacqua, Verona » 201
Libreria di S. Marco, Venezia » 203
Decorazione nella chiesa del Gesù, Roma . . » 223
Monumento sepolcrale di Alessandro Vittoria,
Venezia, S. Zaccaria » 227
Palazzo Doria-Tursi, Genova » 238
Palazzo Doria-Tursi, Genova » 239
BIBLIOGRAFIA^
Batet, Ua/ri bizantine. Parigi, 1884.
BoiTO, L' Architettura del medio evo in Italia. Milano,
1880.
BuRCKHAHDT, Geschìchte der Renaissance in Italien, Se-
conda ediz. Stutt^jart, 1878.
Burckhardt ie Bode, Der Cicerone. Lipsia, 5* ediz.
BuHSEN, Les Basiliques chrétiennes de Rome. 1872.
Canina, Ricerche sull'architettura più propria dei tem-
pli cristiani. Roma, 1843.
Choist, L'Art de hdtir chez les Byzantins. Paris, 1882.
CicoGNARA, Le fàbbriche piit cospicue di Venezia. Ve-
nezia, 1815-20.
Dartein, Étude sur V architecture lombarde. 1865-82.
De GetmQlleb, Les projets primitifs pour Saint Pier-
re, ecc. Parigi, 1875-76.
— Raffaello studiato come architetto. Milano, 1884.
De GetmGller e Wìdmawn, Die Architeìctur der Renais-
sance in Toscana Pabblic. della Società San Giorgio
fatta sotto la direzione del barone De GeymAUer e di
A. Widmann con testo del Geymuller. (È in corso di
stampa.)
1 Tolti i libri notati nella presente bibliografia e nel corso del
Tolumetto si trovano yendibili alla Libreria editrice di Vlrico HgepH
in Milano.
Bibliografia:
Db Rossi, La Roma sotterranea cristiana. 1866-77.
— Bollettino di Archeologia cristiana, Roma.
D'AaiNGOURT, Storia dell'arte dimostrata coi monumenti.
Prato, 1826.
DiDRON, Manuel d* Iconographie chrétienne» Parigi, 1845.
DiEHL, Ravenne. Paris, 1886.
De Lutnes, Recherches sur les monuments et Vhistoire
des Normands et de la maison de Souabe dans l'Ita-
lie meridionale, Paris, 1844.
Di Marzo, Belle belle arti in Sicilia dai Normanni fifho
alla fine del secolo XVL Palermo, 1861.
FiLANOERT, Bocumenti per la storia, le arti e le indu-
strie delle Provincie napoletane, Napoli. (Fn corso di
pubblicazione.)
Friken a., Le Catacombe romane e i monumenti del-
l'arte cristiana, 1872-1885.
Gailhabaud, ^ L'Àrchitecture de V au XVll siede et
les arts qui en dépendent. Parigi, 1869-72.
— Monuments anciens et modernes, Parigi, 1850.
Garrucci, Storia dell' arte cristiana nei primi otto se-
coli della chiesa. Prato, 1872-80.
Gebhart, Les origines de la Renaissance en Italie, Pa-
rigi, 1879.
Gerbet, Rome chrétienne,^ Parigi, 1844.
Gravina, // Buomo di Monreale. Palermo, 1860.
Gregorovius, Storia di Roma nel medio evo, Venezia,
1872-76.
Gruner's, Terra-cotta Architecture of north Italy, 1865.
^ I libri del Gailhabaad sono raccomandabili specialmente per le
bellissime tavole. Le tavole colorite peraltro non corrispondono sem-
pre alla verità.
* Questo libro s' indica specialmente a chi vuole aver notizie sa
la disposizione dulie basiliche crisliaDo e le fregiature che l' ornano.
Bibliografia, xi
Hettker H., Italienische Studien zur Geschichte der Re-
naissance, Braunschweig, 1879.
Janitschkk, Die Gesellschaft der Renaissance in Italien
und die Kunst. Stoccarda, 1879.
Kraus, Die christliche Eunst in ihren fruhesten Anf,
KuGLER, Geschichte der Baukunst Stoccarda, 1868.
Laspjbtres, Die Kirchen der Renaissance in Mittel-Ita-
lien, Stoccarda, 1882.
Letarouillt, Edifices de Rome moderne ou recueil des
palaie, maisons, églises, eouvents et autres monuments
publics de la ville de Rome, Parigi, 1868.
— Le Vatican et la basilique de St. Pierre de Rome,
Parigi, 1882.
Marchi, Monumenti delle arti cristiane primitive. 1844.
ìlkHTiGTur, Bictionnaire des aniiquités chrétiennes, Pa-
rigi, 1865.
Messmer, Ueber den Ursprung der Basiliken. Lipsia, 1868.
Mazzanti R. e e., Del Lungo, Berti e Jodoco del Ba-
dia, Raccolta delle migliori fabbriche antiche e ino-
derne di Firenze. Firenze, 1876 e seg.
Muntz, Étude sur Vhistoire de la peinture et de V ico-
nographie chrétiennes (nuova ediz.). Parigi, 1886.
— Les Aris à la cour des Papes, 1878-82.
— Les précurseurs de la Renaissance. Parigi, 1882.
— Jm Renaissance en Italie et en France à V epoque
de Charles Vili. Parigi, 1885.
PiPER, Mythologie und Symbolik der christlichen Kunst,
Weimar, 1851.
Qdast, Die Altchristlichen Bauwerke von Ravenna. 1842.
Ricci, Storta dell'architettura in Italia, Modena, 1857.
RiCHA, Chiese fiorentine. Firenze, 1754-62.
Rio, De VArt chrétien, Parigi, 1861.
RoHAUi.T PE Fleuuy, La Toscane nu moyen àge. Parigi.
XII Bibliografia.
Salazaro, Studi sui monumenti dell'arte meridionale
dal IV al XIII secolo. 1871-83.
ScHULZ, Denkmaler der Kunst des Mittelalters in Sud-
Italien, 1844.
Selvatico, Dell'Architettura e Scultura in Venezia, Ve-
nezia, 1847.
— Le arti del disegno in Italia. Storia e critica. Milano.
Stare, Ilandbuch der Archeologie der Kunst. Lipsia,
1878.
Taccani, Storia dell'architettura in Europa. Milano, 1855«,
Tbxier, L'Architeeture bizantine ou Recueil des Monu*
ments des premiere temps. Londra, 1864.
Unger, Quellen der Byzantinischen Kunstgesehichtet
Vienna, 1878.
Verdier e Cattois, L'Architettura civile e domestica
nel medio evo, ecc. Venezia, 1866.^
Viollbt le Due, Dictionnaire raisonné de l'Architeeturé
frangaise du XI au XVI siede. Parigi, 1876.
Zestermann, Die antiken und die christlichen Basilikeni
Lipsia, 1847.*
1 È la traduzione dell' originale francese.
> L'Autore medesimo ne fece una tradazione latina.
IL MEDIOEVO.
A. ÌÌELANt.
CAPITOLO PRIMO.
DELL'ARCHITETTURA ROMANZA.
Osservazioni generali.
Caduta Roma pagana che aveva domÌDato il
mondo colla forza delle armi, sorse Roma cristiana
che doveva dominarlo colla forza della coscienza.
Dna rivoluzione sociale apportò la nova fede; —
la rivoluzione capitale della storia del mondo —
scrive E. Renan nel Jesus. * Poiché nelle dottrine
di Gesù Cristo oltre al rivolgimento religioso vi
era quello di tutta la vita civile. La famìglia dei
seguaci di Gesù fu in origine perseguitata; per
ciò i suoi primi templi — ma che templi? — i
suoi primi luoghi di ritrovo furono nascosti e
modesti in quella guisa che si confacevano al
novo culto che sdegnava le pompe del politeismo
e precorreva il pensiero moderno basato nella
diffusione delle idee che accomunano interessi
ed aspirazioni. La civiltà romana, mancò della
principale tra le condizioni di stabilità; fu me-
^ Gap. pr.: pag. 1.
'j
''''^^<^^o Pam
'■' "^olQ^iooe o,'?,''«'« apportò 1/'"'' «^"«efenr
'«ehi di ritrovo'f^':„„^2l?Lr
* ^ 1^ pompe <h| I
^3I0alla. mi»
Capitolo pnmOi
ravigliosa per la sua forza di accentramento ma
mancò affatto di generosità; perciò si trovò schiac-
ciata dal proprio peso dopoché il Cristianesimo
ebbe detto la prima parola sulla solidarietà dei
popoli.
11 Cristianesimo stato odiato e proscritto entrò
in una fase più quieta quando Costantino si fece
cristiano. Egli aveva trasferito la sede dell'impero
a Bisanzio e di qui dominava i contrasti deiroc-
cidente e favoriva il trionfo dei nuovi ideali. Al
principio del IV secolo il Cristianesimo era la
religione dello Stato e l'arte cristiana escita dai
nascondigli, avea già intraveduto qual carattere
dovevano avere i suoi templi. Non credasi per
questo che durante i primi trecent' anni, circa,
del Cristianesimo V arte abbia preoccupato la
mente dei Padri della Chiesa; perchè in generale
questi nei loro scritti non si interessano di arti
plastiche che per combattere la idolatria. ^
L'arte pagana nelle curie, negli anfiteatri, nelle
terme, nei palazzi volle essere una continua gloria
della bellezza corporea; l'arte cristiana voleva
essere invece un continuo e vivo trionfo dell'a-
nima sul corpo. Non e' è da meravigliarsi, se i
primi cristiani, appena poterono esercitare il loro
culto liberamente, attesero con grande interesse
alla distruzione di templi e idoli pagani : — i cri-
stiani volevano che fosser dimenticati per sempre
gli iddii dell'Olimpo. Se il pensiero per loro era
giusto, metterlo a eflFetto non era facile.
* Gfr. Pipier, Einleitung in die monumentale Theologie, 1867,
pag. 75 e segg^.
Dell' architettura romanza.
In questo periodo nel quale Tascetisiuo domi-
nava terribile e Tanima era pronta alle violenze
e agli avvilimenti, i primi cristiani consideravano
il corpo umano indegno di essere rappresentato
dairarte. Evidentemente era la reazione contro
il paganesimo lubrico e carnale che ispirava tali
eccessi, erano i deliri degli asceti che rispetta*
vano alla lettera il precetto di San Qiustino, di
San Basilio, di San Cirillo che diceva « del bello
si compiace soltanto l' avversario d' ogni bene »
Con queste opinioni era impossibile che l'arte
potesse fiorire; e difatti da Costantino fino al
milleduecento la scoltura, che fu Tarte prima a
liberarsi dall* arcaismo, ebbe un periodo di vita
assai tristo.
L'arte cristiana impotente a esprimere con forme
proprie i misteri del suo culto dovette spesso
ricorrere alle forme pagane; tale influenza antica
si fece sentire lungamente, sopratutto nella de-
corazione. 11 Le Blant* che aveva constatato nelle
inscrizioni la ripetizione di certe formole d' ori-
gine pagana rilevò ristesse tendenze nelle scul-
ture d'ornamenti: — il Le Blant avrebbe potuto
osservare quelle tendenze anche nelle pitture. *
Naturale, l'arte cristiana non poteva continuare
lungamente a vivere degli ultimi sintomi della
vita altrui. Cina dottrina giovane piena di entu-
siasmo doveva trovare forme proprie per espri-
mere le sue aspirazioni. Che non solo nelle parti-
^ Étudea sur Uà aareopha. chrétiena antiq.f ecc. 1878, pag. 26.
' Gfr. Melani, Manuale di pittura italiana, parte I, pa|^. 107
e ae^^, U. Hoepli. edit.
6 Capitolo primo.
colarità, l'arte cristiana primitiva scultorica e
pittorica si giovò dell'arte dei pagani, ma dovette
imitarla perfino nella distribuzione dei suoi tem-
pli. Notiamo però che mentre il culto pagano
aveva inalzato all'esterno ampi peristili da dove
i fedeli assistevano alle funzioni religiose, essendo
permesso soltanto ai sacerdoti di entrare nella
cella consacrata, il culto cristiano invece doveva
inalzare delle navate spaziose, perchè i seguaci
di Cristo si raccogliessero ivi a pregare lungi dal
rumore e dalla luce allegra del di fuori. Non ha
torto il Kraus, a dire che rispetto all'antichità
delle costruzioni ecclesiastiche di Roma dobbiamo
discendere nelle catacombe e trarre la luce da
quelle profondità. *
Le Catacombe. — Furono i sepolcri e i luoghi
di ritrovo dei primi cristiani. Nel secolo scorso
qualcuno disse che le catacombe erano cimiteri
comuni alla povera gente di qualsivoglia culto:
opinione errata che studi recenti * hanno desti-
tuita d'ogni fondamento. È tanto tempo che si
lavora intorno le catacombe, si sono scavati mi-
gliaia di sepolcri, non uno pagano tra tanti.
Ma è accertato che le catacombe furono opere
dei primi cristiani? Tal domanda ripetuta più
* Die chrlstUche Kunst in ihren friihesten Anfdngen, Lipsia,
1873, pag. 51.
• De Rossi, La Bontà sotterranea cristiana, — L* uso ha
stabilito che questi monumenti siano detti catacombe, ma ve-
ramente dovrebbero dirsi cimiteri. Quelle sole di S. $eba«
stiano sono catacombe (Eusebio, ^\, eccj. VU, 11),
Dell'architettura romanza.
volte ha dato luogo a molte discussioDi. A chi
affermava che i cristiani avevano scavato quei
sotterranei, fu osservato se era possibile che gente
povera e proscritta avesse potuto aver l'audacia
di forare quel numero considerevole di sotter-
ranei, proprio alle porte di Roma, sotto gli occhi
dei persecutori. Chi détte i denari? e la terra
scavata dove si gettò?
Perciò parve più possibile che quei sotterranei
fossero le antiche cave da dove i Romani avevano
estratto la pozzolana e che i cristiani trovandole
abbandonate se n'impadronissero e le riducessero
per uso loro.
L'ultima parola sulle catacombe è stata detta
recentemente da Michele De-Rossi (fratello del
De-Rossi notissimo, già citato) il quale, persuaso
che i cristiani si servirono d'alcune di quelle
cave, provò che la maggior parte dello catiacombe
fu scavata da cristiani.'
Nelle catacombe v' è la storia del Cristianesimo
primitivo, della sua vita agitata, delle sue perse-
cuzioni.
TTna visita a queste necropoli non si dimentica:
la prima volta la mente si smarrisce impressionata
^ Michele De Rossi stadiando la natura del terreno nel
quale sono scavati la più parte dei cimiteri romani notò che
gli scavatori evitavano sistematicamente i laoghi dove era la
pozzolana e lavoravano di preferenza in quelli dov'era certa
pietra spugnosa e consistente. Di fronte a questa ragione non
è permesso più discutere. La storia e i documenti affermano
bensì che i Cristiani si appropriarono qualcuna di quelle cave
abbandonate chiamate arenarifie ma su 25 o 80 cimiteri 5 soli
SODO cave witiche; il resto sono lavori dei cristiani.
Capitolo primo.
dalla lor vastità superiore a ogni aspettativa. Le
gallerie che sboccano liberamente sulla via pub-
blica, le aperture destinate a dare un po' d'aria
e di luce agli ipogei, appartengono a un periodo
in cui i cristiani erano tollerati dalle autorità;
invece le entrate scure, le vie tortuose ricordano
l'epoca delle persecuzioni. In questi tempi si co-
struirono certe piccole cappelle per la riunione
dei fedeli quando era loro impedito di celebrare
fraucamente il culto; esse si componevano di due
locali disposti in modo che pur essendo separati,
da ambedue si poteva assistere alle cerimonie
sacre; i due locali dividevano gli uomini dalle
donne che nella chiesa primitiva stettero sempre
separati. In fondo ad una delle due stanze sor-
geva la sedia che dipoi si chiamò gestatoria. Di
là i Santi Padri pronunziavano parole di concordia
e di conforto, di là leggevano le lettere che si
comunicavano le chiese; lettere ove si esprime-
vano dubbi, dolori, speranze avvenire; di là glo-
rificavano il martirio e infondevano ai fedeli il
coraggio di sfidar la morte per la nova religione.
Qua e là s'incontrano, in queste necropoli, pi-
lastri e colonne ornate di fregi rozzi, di iscri-
zioni in greco, delle pitture di molta importanza
per la storia del Cristianesimo e dell'Arte. Queste
inscrizioni e queste pitture per quanto mutilate
hanno una eloquenza straordinaria sulla mente
di chi studia.
Le Basiliche cristiane. — All'arte delle cata-
combe succede quella delle basiliche e dalla co-
stituzione delle b^isiUche principia timidttmente
Dell'architettura romanza. 9
l'èra gloriosa del Cristianesimo. Diciamo timida-
mente perchè anche durante il regno di Costan-
tino, che permise ai cristiani di inalzare libera-
mente le chiese, il Paganesimo continuò in Roma;
perciò le prime chiese cristiane furono inalzate
nei sobborghi o ad una cert^ distanza dalle mura.
Dopo Costantino, Tiraperatore Giuliano ristabili i
riti del paganesimo e Valentiniano, comecché si
citi fra i principi cristiani, inalzò nel Campi-
dòglio altari alla Vittoria. Le vittime furono ab-
brucciate sulle are pagane fino al regno di Teo-
dosio; il quale nel 889 scacciò i vecchi Dei dai
templi che parte atterrò, e ricordando la conver-
sione e il voto di Costantino, volle con autorità
di principe, che la religione cristiana fosse la
ufficiale.
Eccoci dunque alla Basilica cristiana.
Allo studioso non giunge novo questo nome:
basilica. Infatti gli abbiamo parlato di basiliche
discorrendogli di edifici civili di architettura ro-
mana. La basilica era la sede della giustizia umana;
Cristo era considerato dai suoi seguaci il simbolo
dell'eterna giustizia, perciò il suo tempio non
poteva avere espressione più conveniente di quella
che i Greci prima, e i Romani poi, avevano dato
al tribunale tempio della giustizia terrena. In-
somma i cristiani considerando che la disposizione
esterna e interna delle basiliche pagane si adat-
tava al tempio del loro culto presero le basiliche
pagane per modello delle loro chiese.
Le norme apostoliche volevano che la chiesa
rappresentasse la nave di S. Pietro;^ lo spazio
> Const. ap. L. II, cap. 57.
10 Capitolo primo.
dì mezzo delie Basiliche offriva appunto la im-
magine di questa nave (navis)] e gli spazi late-
rali mantenevano fra i due sessi la separazione
considerata nei tempi primitivi tanto necessaria
nelle chiese quanto nelle corti di giustizia. Parte
della navata separata dal rimanente, mediante un
tramezzo {solea) poteva venire, occupata dai can-
tori che salmeggiavano le lodi del Signore e dai
diaconi che leggevano le sacre carte. L'altare sul
quale si celebrava il sacrificio sorgeva natural-
mente all'estremità della navata, nel centro del-
l'area trasversale che per la sua direzione, ri-
spetto alla navata stessa, disegnava la croce,
vessillo della nova religione. À destra e a sinistra
dell'altare sorsero i pulpiti {amboni) nei quali si
leggeva l'Epistola ed il Vangelo. Il Vescovo si
collocò in fondo all'emiciclo che presso i Romani
servi di tribunale. Colà seduto, sur una sedia
rialzata , il Vescovo poteva dominare i fedeli
spartiti nelle navate. E poiché l'emiciclo era a
volta semisferica così fu detto apside o abside
che in greco vuol dire appunto volta, l/episeopus
o il Vescovo, (del quale nome e carica dicono
chiaro che il suo compito era di sopravvegliare
quanto lo circondava) era attorniato dai preti
che sedevano ove sedettero i magistrati del tri-
bunale romano, formando quello che dipoi si disse
coro.* L'emiciclo che i cristiani dissero greca-
* Vedi quello della cattedrale di Torcello a Venezia. I se-
dili del coro nelle chiese primitive erano fatti a gradinate
come le usavano i Romani nelle sale di recitazione (auditorio).
A Torcello yi sono ancora i i^radini g^iranti colla curva del
Dell'architettura romanza, 11
mente abside, ì pagani lo chiamarono, per l' uso
cui serviva, tribuna. Le basiliche cristiane erano
precedute da un portico {narthex) ad arcate rette
da colonne e chiuse, negli intercoloni, con tende
sospese a bastoni di ferro. In questo portico ohe
corrisponde al pronao dei templi antichi, stavano
i penitenti; i quali venivano ad ascoltare le le-
zioni pastorali prima di avere acquistato il diritto
di assistere alla celebrazione dei misteri, dalla
nave della chiesa.
I penitenti si dividevano in varie classi: lu-
genti, ascoltanti, prostrati, stanti, catecumeni,
energumeni, ecc.
II portico (narthex) venne poi ampliato e diventò
un atrio, quasi appendice alla chiesa; come ve-
desi p. e. al S. Ambrogio a Milano. L'atrio fu
ornato di piante simboliche, come: la vite, la
palma, la rosa e di una o più vasche che servi-
vano ai penitenti per lavarsi avanti d'entrare nel
tempio. ^ In seguito la forma primitiva della ba-
silica cristiana si muta. Il simbolismo ispira la
idea di dare alla chiesa la forma di una croce
allungata la quale non ha più a rammentare la
trinità come la croce greca, ma l'immagine di
Dio che spira e lo strumento del suo supplizio.
presbiterio, come a Grado e a Parenzo. Il Mothes {Geschichte
der Bauhunst und Bildauherei Vetiedigs, Voi. I, p. 29) notò
qaesti sedili in S. Maria in Toscanella e in S. Maria di Ga-
steUo a Gomelo. Veramente i prebisteri dì queste due chiese
sono un pò* diversi dal torcellano.
> Nelle nostre chiese la vasca del narth^^ antico k ricordata
^Ua pila dell'acqua santl^.
12 Capitolo primo.
L' architetto cristiano aggiunge alle tre navi
una nave orizzontale che è il braccio più corto
della croce: il transsept. Più tardi donne pie
volendosi dare alla religione e ritirarsi dal mondo
ispirano il triforium o 1 maironei^ cioè le gallerie
soprastanti alle navi laterali; gallerie che sui
primo furono incomode e in seguito furono ag-
grandite e anche adornate.
L'aggiunta della nave traversa non si deve ri-
ferire a un' epoca molto distante dalla erezione
delle prime basiliche, perchè fino dall' epoca di
Costantino (vale a dire fino dall'origine della ba-
sìlica cristiana) si trova usata qua e là; ma l'uso
di questa nave diventò familiare dopo i primi
tempi del Cristianesimo; poi si fece tipo carat-
teristico della chiesa cristiana la pianta a croce
che coU'andar del tempo subì delie trasformazioni
e invece che a tre si immaginò a cinque navi.
È bene notar subito che se fra poco avremo a
dire: la tal basilica è frammentaria intendiamo
significare che è composta di varie parti prose
qua e là da edifici pagani diversi di importanza
e d'uso. Gli architetti fino dall'epoca costantiniana,
sia per incapacità sia per economia, si giovarono
di quanto trovarono: capitelli, basi, cornici, fusti
di colonne, per erigere le basiliche cristiane. Se
avveniva che il fusto di una colonna raccolta,
mettiamo, in avanzi di terme, era troppo grosso
per un capitello trovato tra frammenti di un
tempio alla Vittoria, poco male; l'architetto se ne
serviva egualmente come se fosse stato eseguito
apposta per il fusto; e lo stesso faceva in ogni
toelV architettura rothanaa* IS
altro caso. Per la qual cosa si trovano ancora
delle chiese costrutte a frammenti (si durò a co-
struire fino al XII sec), e queste chiese si dicono
frammentarie.
Parecchie basiliche romane hanno la porta
principale rivolta ad occidente e Y abside ad
oriente perchè si volle alludere al passo del pro-
feta Zaccaria il quale dice che Cristo morendo
rivolse lo sguardo ad oriente. Il Cahier nota *
che le costituzioni apostoliche prescrivono tale
precettò, ma che non fu sempre seguito dai co-
strattori, poiché col volgere del tempo si ebbe
paura che mantenendo questa tradizione giudaica
si venisse a mostrar troppo il legame che vi era
in origine, fra il culto ebraico ed il cattolico.
Ad imitazione dei templi circolari sorti a Roma,
i cristiani del quarto e quinto secolo fabbricarono
In occidente anche delle chiese a pianta circolare
e poligonale somiglianti ai S. Sepolcro.
Ma parliamo del simbolismo e aspettiamo a dir
qualche parola su alcune basiliche cristiane che
in parte conservano ancora intatte le forme ori-
ginali di cui si è discorso.
Il Simbolismo! — Ogni religione nel suo prin*
cipio si orna di simboli; il simbolismo nella Ba-
silica cristiana è dappertutto nelle parti architet-
toniche, pittoriche e scultoriche o ornative. Se-
condo S. Paolino le quattro colonne che nelle
antiche basiliche sostenevano il ciborio dell' al-
» Ann. de phiì. chréi.y tom. XIX, pag. 352.
14 Capitolo primo*
tare rappresentavano i quattro Evangelisti che
furono le colonne della cristianità. Che ciò sia
vero lo prova il fatto di vedere efìSgiate o le
immagini o i simboli degli stessi Evangelisti in
ogni ciborio antico. Spesso in ogni lato della
basilica le finestre e le colonne sono sei a ricor-
dare i giorni della creazione a cui aggiungendo
l'ultimo del riposo si ottiene quel numero sette
usato tanto dalla sinagoga quanto dalla chiesa,
e rammentato in quella dal candelabro a sette
braccia, in questa dai sette sacramenti e dalle
virtù teologali e cardinali unite. Meno frequente
è usato il numero cinque; più d*ogni altro ha
preminenza il tre come emblema della Trinità.
Anzi in oriente quando si immaginò la croce
greca, vale a dire a quattro braccia eguali, si
trovò modo subito di attribuirle il significato
della Trinità. Ecco come: questa croce veniva
formata dalla combinazione di quattro gamma:;
(rY*a|ji.|jLa) e poiché la terza lettera dell'alfabeto
greco esprime il numero tre così si dette alla
figura composta a quel modo il nome di gara-
mada (Ya(j.{jiaSa) che significa trinità. Anche il
nove si trova spesso come unità fondamentale
dello sviluppo simbolico e costruttivo delle chie-
se. Per dare un esempio di questo simbolismo
ci viene in mente di rivolger gli occhi alla ba-
silica frammentaria di S. Vincenzo in Prato a
Milano che ora si ristaura.
Orbene in S. Vincenzo in Prato sono nove gli
archi e le colonne che sostengono il tempio, nove
le finestre superiori e inferiori, nove le porte,
nove gli scalini per cui si ascende all' ara, nove
lìelP architettura romanta, 18
gli ordini dei celesti dipinti negli scomparti del
coro, nove erano gli altari. E il nove è ripetuto
in ogni lato della basilica perchè numero per-
fetto; simbolo di maestà, di religione e di mi-
stero.
Le porte della fronte di una basilica general-
mente sono tre e corrispondono alle Ire navi ma
nei casi in cui le navi sono cinque, cinque per
conseguenza sono le porte d'ingresso; l'ultima
porta a destra è detta guidoncenea perchè le
guide facean passar di qui i pellegrini, V ultima
a sinistra è detta del giudizio perchè vi passa-
vano i cadaveri dei fedeli per essere tumulati;
la porta del mezzo è detta magna perchè serviva
all'ingresso dei sacerdoti e le altre erano le più
umili perchè servivano per il pubblico: una per
r ingrosso delle donne, V altra, per quello degli
uomini.
Non diciamo che la cupola significò la vòlta
celeste, come non ci fermiamo a discorrere su
il simbolismo delle sculture e delle pitture. *
Ma per quanto sia evidente che gli architetti
cristiani mirassero a svolgere nelle loro costru-
zioni un precetto simbolico, non deve credersi
ciecamente alle sottilità metafisiche di taluni
scrittori i quali a ogni forma sia organica sia de-
» Cfr. a tal proposito quel volumetto del Muntz Ètiides sur
V EisMre de la peinture et de Vieonographie chrétiennes. Nouv.
ed. Paris, 1886 e anche la 1* parte del nostro Manuale di Pit-
tura e di Scoltura. Milano, 1885-86. Meglio ancora si vegga il
Piper, Mythologie und SyntboUk der chriathichen Kunst. Wei-
mar, 1851.
16 Capitolo prtfnó.
corativa delle chiese medioevali hanno attribuito
significazione mistica.
Per esempio, alcuni eruditi tedeschi notando
che le absidi di alcune chiese sono spostate dal-
l'asse della nave di mezzo han voluto ravvisare
in tal spostamento la testa piegata del Signore
crocefisso. È ammissibile? dipende, lo sposta-
mento, da un'accidentalità costruttiva?
Qui possiamo accennare che le basiliche romane
dei secoli cristiani anteriori al più rozzo medio-
evo erano generalmente ornate di musaici neirab-
side e di affreschi e anco musaici nell'alto delle
pareti della nave maggiore: nel restante erano
ricoperte di marmi sovente lavorati a commesso,
come ne dà tm esempio, con data certa della
prima metà del V secolo, G. Battista de Rossi
nella sua. reputatissima storia dei Musaici delle
chiese di Roma e precisamente nella tavola della
chiesa di Santa Sabina sull'Aventino. Nelle ba-
siliche minori, dove tanto lusso di marmi non
era possibile, si cercò di imitarne l' effetto col
colore.
I Castelli e le Case private. — U castello e il
palazzo del medio evo esprimono l'aspro sen-
timento d'autorità di cui, specie il castello, è
simbolo e strumento. Chiesa e castello sono tutto
nell'architettura dei bassi tempi, come nella vita
sociale era tutto la fede e la forza.
1 castelli signoriU dei più potenti vassalli con-
sistevano in fabbriche irregolari, anguste, inco-
mode, con poche e piccole finestre, con una o
Dell'architettura romanza, 17
più cinte fortificate ed un giro di fossato. La
torre principale occupava per solito il centro e
le piccole torri di difesa fiancheggiavano i muri.
Nell'assi eme di quelle massiccie costruzioni vi è
il ricordo del castello romano del Castellum; ma
più del romano il castello medioevale, è rozzo,
bizzarro nella disposizione artistica e costruttiva.
Né meno bizzarro è il palazzo medioevo, la cui
facciata ha semprer un'impronta grave. Le mura
vigorose, le finestre sparse qua e là sulle fac-
ciate quasi sempre senza simmetria, spesso fiorite
di ornamenti fin troppo minuti perchè possano
intonarsi colla monotonia dei muraglioni su cui
si aprono, la disposizione icnografica variata:
ogni forma, ogni dimensione insomma attesta la
volontà individuale e la tendenza airisolamento,
che costituiscono il sentimento istintivo del medio
evo. I palazzi si distinguevano per un tal corona-
mento che si disse e si dice merlatura; la mer-
latura era di due specie: o rettangola o a coda
di rondine e indicava la fazione politica alla
quale apparteneva il proprietario del palazzo o
castello. Gli esempi che daremo a suo tempo
chiariranno le nostre parole.
Intorno le case comuni si può scrivere poco
perchè chi le erigeva non aveva preoccupazioni
artistiche; certo molte erano fatte con un si-
stema di poca durata.
Non importa far notare che la medesima tras-
formazione che subì lo stile medioevale chiesa-
stico per le varie regioni d'Italia, la subì lo stile
dei palazzi e dei castelli,
A. Melami. ^
18 Capitolo primo.
Divideremo il nostro studio sull*^architettura
del medio evo in due periodi: nel primo, parle-
remo dell'architettura roman%a, nel secondo del-
V architettura a archi acuti; accenneremo bensì
anco all'epoca intermediaria.
Ora parleremo delle costruzioni romanze.
COSTRUZIONI RELIGIOSE.
Come i filologi chiamano filologia romanza
quella che si propone di studiare la storia e le
origini di quel gruppo di lingue le quali sono
sorte dal latino volgare, epperò si dissero neo-
latine romane o romanze, così noi architetti riu-
niremo i vari tipi di architettura medioevale che
derivano dalFarchitettura romana decaduta, sotto
il nome collettivo di architettura romanza o neo*
latina. Ci siamo risolti di adottare questa deno-
minazione perchè trovammo che è la più logica
fra le tante che gli storici sono andati a pescare
chissà dove.
L'architettura romanza nasce dalle forme ar-
chitettoniche della decadenza romana e a poco
a poco si trasforma e a Bisanzio doventa biaan-
tina^ e in Lombardia doventa lombarda; e via
via da Bisanzio e dalla Lombardia si diffonde e
nelle varie regioni italiane assume caratteri ori-
ginali conservando però sempre il suo tipo ini-
ziale: il romano.
La dicano in Inghilterra architettura sassone,
la dicano in Germania gotica-anteriore, la dicano
in Francia romanzo-normanna, romanzo-borgo-
DelF architettura romanza. 19
gnone o anche romanzo-auvergnat; e la chiami il
Boito, cosmatesca a Roma, e il duca Serradìfalco,
siculo-normanna e l'abate Gravina sioulo-bisan-
Una in Sicilia, e il Rohault de Fleury lombarda
in Toscana; il fatto è che col nome romanza
diciamo in modo relativamente preciso quello che
vogliamo dire. ^ Per la qual cosa le basiliche
cristiane fanno parte dell'architettura romanza;
di quella primitiva sorta direttamente dall'archi-
tettura romana della decadenza.
A Roma vi sono un buon numero di chiese in
questo genere. Dall'epoca di Catone a quella di
Costantino le basiliche erette in Roma e in ogni
città del vastissimo impero sono innumerevoli.
Fino dal IV secolo nel palazzo de' Laterani di-
venuto imperiale, sorgeva la Basilica Costanti-
niana nei predi Vaticani, la Basilica di S. Pietro
negli Orti Variani, quella di S. Croce detta in
Gerusalemme e presso la porta Èsquìlina quella,
di Sicinino, detta più tardi Liberiana o di S. Ma-
ria Maggiore. Fra le basiliche di Roma ve ne
sono alcune assai conservate e qualcuna restau-
rata.
Una basilica da ricordarsi con interesse è quella
^ Abbiamo veduto che il Vitet ha censurato in modo as-
sai vivace nel Journal dea Savanta la denominazione romanza
{roman) che si vuol dare anche noi ali* architettura di cui ci
occupiamo. Non diciamo che il Vitet abbia torto nò che lo
abbia il Blanc {Gramm, dea arta du deasin p. 268) che gli dà
ragione in opposizione allMdee esposte dal Reynaud; ma a
che oggi cercare un* altra voce mentre questa esprime assai
bene la cosa da significarsi? L* importante sta neir intendersi.
C'intendiamo? sì; dunque basta.
20 Capitolo primo,
di S. Giovanni in Laterano riapertasi quest'anno
dopo i restauri eseguitivi assennatamente dal-
l' archìt. Vespignani per ordine dell'attuale pon-
tefice. Leone XIII ha voluto rimettere il Laterano
in quel posto d'onore che compete alla sua an-
tica dignità di cattedrale di Roma, di prima resi-
denza dei papi, e per cui Dante cantò entusiasti-
camente nel canto XXXI del Paradiso^ strofa 34 :
Veggendo Roma e Tardua saa opra
Stapefaceansi qaando Laterano
Alle cose mortali andò di sopra.
Nel X secolo cadendo per vetustà la basilica,
Sergio IH ne intraprese un generale restauro;
qui Innocenzo III, il più potente dei papi, adunò
quel concilio in cui depose Ottone, intimò la
quarta crociata e riformò la chiesa con Fran-
cesco d'Assisi. Ci duole di non aver potuto of-
frire i disegni di questa insigne basilica. Diamo
invece l'interno del S. Clemente al Monte Celio
dove è da studiarsi segnatamente la aolea mar-
morea cancellum destinata al coro dei Cantori
perchè vi è conservata benissimo.
Nel 18S8 furono fatti alcuni scavi nel piano
della basilica i quali fecero scoprire un'altra ba-
silica sottoposta all'attuale. Sino a quel tempo si
era creduto che l'edificio superiore fosse il pri-
mitivo restaurato e rinnovato in tempi posteriori ;
ma le scoperte del venerando P. MuUoly hanno
definito esattamente l'età della chiesa superiore
e rivelato l'inferiore colle sue splendide e pre-
ziose decorazioni.
L'edificio primitivo fu abbandonato per il novo
C/3
A I
DelV architettura romanza. 21
costruito a un livello più alto. A che epoca si
deve la nuova basilica è dimostrato dal fatto ohe
nel 1059 si seppelliva ancora nella chiesa inferiore
e sul principio del secolo successivo fu eretta la
tomba del cardinale Anastasio nel portico della
basilica superiore con una iscrizione alludente
al rinnovamento della chiesa.'
La basilica di S. Clemente è ragguardevolissima
non tanto perchè è fra le più conservate di Roma,
quanto per la singolarità che mostra nei capitelli
delle sue colonne, né corinti o a florami o ad em-
blemi, ma insolitamente ionici. All'esterno pre-
senta ancora il prothyrum e il narthex frammen-
tario fatto di colonne tolte a vari antichi edifici
di marmi e di misure diverse; e all'interno ha
intatte le tre navi divise da sedici colonne, la
solea come s'è detto e il pavimento a musaico
del genere denominato alessandrino. È interes-
santissimo il musaico. dell'abside di questa ba-
silica stato riprodotto benissimo dal Gruner in
un'opera magnifica. * Se non fosse stata distrutta
da un incendio, nói luglio del 1823, Roma, posse-
derebbe un'altra basilica insigne, la più grande
della cristianità: il S. Paolo extra muros che fon-
data, a quanto dicono le cronache, da Costantino
nel 324 fìi modernamente ingoffita con ornamenti
d'oro a florami e a figure. L'incendio calcinò
quasi tutta questa costruzione. Certi dischi di-
pinti, di gran pregio, risparmiati dall' incendio
^ Gfr. De Rossi, Bull, di arch. crist., 1870, pag. 129 e segg.
* Gruner, Specimens of Ornamentai Art selected front the
Best Models of the Classical EpocJcs, tav. 37.
22
Capitolo primo.
ora si trovano al Museo di S. Paolo. Il Gamicoi
Pianta della chiesa di S. Paolo. Roma, fuori delle mura.
li oflFre disegnati** Noi offriamo la pianta e la
veduta prospettica dell'interno della basilica quale
era prima dell' incendio. Traccio notevoli della
forma primitiva sussistono ancora in Sant'Agnese
(VII sec), in S. Sabina (V sec.) alterata, nella fine
del cinquecento da Sisto V, in S. Prassede (IX sec),
1 Garrucci, SL dell* Arte erist tav. 108-111,
TnTiro, Ri>ma*
Deir architettura romanza.
2S
in S. Lorenzo fuori delle mura (VI sec.) ove fti-
Pianta della basilica di Santa Prassede. Roma.
rono fatti dei restauri al tempo di Pio IX. Questa
basilica ci fa ricordare una monografia ancora
inedita eseguita sotto la direzione del De-Rossi
e dell'architetto Vespignani di cui vedemmo delle
tavole bellissime all'Esposiz. di Torino del 1884.
Traccio notevolissime sono anche in S. Maria in
Gosmedin (Vili sec), in S. Maria Maggiore (IV e
V sec), in S. Grisogono (Xll sec), in S. Maria
24 Capitolo primo.
in Trastevere (XII seo.) (questa è a intercolonni
con architravi anziché a arcate), in S. Giorgio in
Velabro (VII sec.) dove l'altare e la porta d'in-
gresso, non essendo stati alterati, si additano al ri-
cercator di cose originali. Fra le chiese a pianta
circolare, a Roma, è considerevole la chiesa di
S. Gostanza la cui pianta nell'interno ha venti
metri di diametro ; e è pure considerevole S. Ste-
fano, detto rotondo dalla pianta (V sec), e S. Gio-
vanni in Fonte dove, dicono, Costantino venne
battezzato dal papa S. Silvestro.
Intorno al mille e anche più in là, certo però
innanzi d'ogni influenza lombarda, troviamo in
Toscana un'arte originale che non ha punto la
impronta dell'arte severa dei bassi tempi del
medioevo ma ha poco seguito. Le reminiscenze
di Roma vi acquistano una mite e serena com-
postezza che non isfugge a chi tien dietro a tutte
le manifestazioni dell'arte. Vogliamo riferirci ai
S. Miniato a Firenze principiato nei primi anni
del mille con l'organismo di una basilica cristiana
sfiorato dal sentimento paesano, e alla Pieve di
Empoli coslxutta sulla fine del mille e che fa
venire in mente la chiesa fiorentina biancheg-
giante sur un'altura da cui si domina tutta quanta
la ridente città dei fiori.
Potremmo rivolger gli occhi a Ravenna in
questo momento ma è meglio trattar subito delle
generalità dello stile bisantino perchè non si può
parlare delle basiliche ravennati senza conoscer
prima gli elementi delio stile romano che Bisanzio
trasformò specialmente nelle particolarità orna-
i Dell' arekitettura romanza, ì%
tiVe. Abbiamo dunque due specie di chiese basi-
licali. Le latine cioè quelle di cui si è discorso
che hanno impronta romanissima e le cosiddette
bisantine quelle di cui parleremo che hanno in
certe parti impronta greca.
Lo Stife bisantino. — Dicesi bisantino da Bi-
sanzio da dove pigliò le mosse per diffondersi
in occidente. La influenza esercitata da Bisanzio
su le arti italiane allorché Bisanzio divenne sede
dell'impero occidentale è stata oggetto di disputa
calorosa; gli uni l'hanno troppo allargata, gli altri,
come succede sempre nelle dispute, l'hanno di-
minuita a tal segno da escluderla quasi affatto.
Questo non è un luogo per pronunziarsi su
controversie che si agitano da lungo tempo perchè
ogni opinione dovrebbe esser presentata con le
ragioni che la motivano; perciò sorvoliamo su
questo particolare per quanto interessante. * E
limitandoci alle generalità noteremo che l'archi-
tettura bisantina è originalissima, se non deve a
sé stessa tutto'quanto il suo sviluppo, è riescila
pertanto a assimilarsi bene le forme di altri po-
poli e di altri tempi e a combinarle in un orga-
nismo solido e grandioso. Si forma nel IV secolo
* Gfr. su tal soggetto Bizet, VArt Bizantin. Paris, p. 291
e segg., sebbene le nostre idee non si combinino del tutto con
quelle del eh. autore Salazaro, Studi sui monumenti dell'arie
meridionale dal IV al XIII secolo. 1871-1883, per quanto an-
che di questo eccellente autore non approviamo il pessimismo,
Schnaase, Gesch. del bild. Kunste, t. IV, pag. 718 e segg.; e
anco il nostro Manuafe di Pittura, parte I, pag. 120 e segg.
26 Capitolo primo.
dalla unione di elementi orientali e cristiani, in
un momento riesce a coordinare un sistema in
cui le forme della costruzione si innestano me-
ravigliosamente a quelle della decorazione, nel
IX secolo si cambia e dall' XI secolo in qua do-
venta più monastica e manierata, poi le crociate
ne promuovono il rinascimento che dura poco e
finalmente si immeschinisce dopo aver toccato il
suo apogèo. L'architettura bisantina non è dunque
uniforme nel suo svolgimento come si pensa da
tanti, anch'essa ebbe vari caratteri.
La basilica romana a Costantinopoli assunse
forme originali, di romana si fece bisantina. Ai
cavaletti delle tettoie si sostituirono le vòlte alla
romana; il cui uso in oriente si era conservato
fors'anche perchè là mancava il legname; le na-
vate della basilica occidentale si abbandonarono
e si fecero due navi di dimensioni eguali che
incrociandosi nel mezzo dettero luogo ad un qua-
drato che diventò la solea della nuova chiesa
orientale. Le due navi incrociandosi^ svilupparono
quattro angoli retti su ciascuno dei quali l'archi-
tetto di Costantinopoli basò un pilastro massiccio.
Voltò sopra i pilastri quattro arcate e vi inalzò
coraggiosamente la cupola; la quale, acciocché
riunisse, per quanto era possibile la leggerezza
e la solidità all'ampiezza, costruì spesso di tubi
vuoti collocati l'uno nell'altro.
Gli archi e le cupole costituiscono la partico-
larità essenziale dello stile bisantino; nel quale
a poco a poco, si sviluppano numerose gallerie
a archetti sorretti da piccole colonne; gallerie
che in Italia si svolgono in cento maniere come
È), Sofìa, CosUntìooj
Dell' architettura romanza.
27
vedremo dagli esempi che avremo cura di mo-
strare.
co
co
Se volgiamo gii occhi sulla sezione longitudi-
nale di S. Sofia riaffermiamo la nostra persuasione
che dette gallerie furono motivato dagli ampi
Capitolo primo.
matronei che in S. Sofia specialmente sono vi-
stosissimi. S. Sofia (notisi non è più quella di
Costantino rovinata poco tempo dopo che fu
eretta, ma la sontuosa di Giustiniano), S. Sofia,
diceyasi, è il tipo della chiesa bisantina in oriente.
Perciò la sua croce a braccia eguali, che per
distinguerla dalla latina si disse greca, il lusso
e:^
Croco Ialina.
Croce greca.
dei musaici a fondo d' oro, le arcate, le varie
cupole, le absidi ornate di Cristi e di Madonne
a colori scintillanti, furono imitate dagli archi-
tetti che inalzarono chiese in oriente e da quelli
che le inalzarono in occidente.
E qui non bisogna dimenticare di dire che gli
architetti bisantini hanno capito stupendamente
gli effetti derivanti dalla decorazione. In questo
interno di S. Sofia notiamo la mancanza assoluta
di sculture di molto rilievo: e ciò sta perfetta-
DelV a/rehiteitura romanza.
mente; perchè in ogni decorazione, ma sopratutto
in quelle interne, l'artista deve scegliere fra le
due: sottomettere la scoltura alla pittura o la
pittura alla scoltura. È così difficile armonizzare
gli effetti della decorazione scultorica con quelli
della decorazione pittorica che nella maggior
parte dei casi, quando Tana e Taltra sono unite,
si ha della confusione. E giacché parliamo di or-
namenti notiamo che lo stile bisantino non èi
giova più delle forme ornamentali romane ma si
vaie di nuove più conseguenti ai princfpi della
sua struttura. Diamo vari disegni per far vedere
Capitelli con paWino in S. Vitale. RaTenna.
che la decorazione scultorica orientale si ornò di
animali fantastici, di fiorami schiacciati e incisi,
di nastri che unì in cento guise dando luogo
sovente a motivi ingegnosi nei quali sta la ge-
nesi dell'intreccio dell'architettura moresca.
30
Capitolo primo.
Il Viollet-Le-Duc intese a provare, valendosi
in special modo del carattere della scultura orna-
mentale, che i bisantini si assimilarono elementi
asiatici della t^in>. e che ìd moDumeuti di Palestìoa
CapilcUo in S.jM3.rco^ V'eciuiia,
anteriori all'arte bisaotina si trovano delie forme
ornumcntali che si riveggono a Bisanzio, a Ra-
venna, ecc/
DelV architettura romanza. 31
Abbiamo pensato di offrire un pezzo di questa
ornamentazione siriaca. Se lo studioso avrà la
pazienza di confrontarla con gli ornati decoranti
l'architettura di cui si parla, troverà facilmente
le analogie accennate.
t L'arte bisantina penetrò nell'Esarcato di Ra-
^venna sotto il patrocinio di Teodorico prima,
eppoi di Giustiniano; e si introdusse a Venezia
per i commerci e i continui rapporti che aveva
questa città con Costantinopoli.
Nel X secolo l'architettura bisantina, dopo es-
sere stata adottata pel S. Marco di Venezia, si
introdusse in Francia; dove si costruirono in
questo stile Saint Front de Périgueux, e tutte le
altre chiese a cupola del Périgord, de l'Angoumois,
della Saintonge tanto bene studiate dal De Ver-
neilh nella sua opera: De VArehitecture hyzantine
en France. Ma l'occidente accoglie con freddezza
le forme orientali, perchè in occidente fino al
mille, l'anno della fine del mondo, tutto è istere-
lìto. Fino airXI secolo l'architettura occidentale
non si sveglia dal suo spaventoso assopimento;
passato l'anno fatale allora gli uomini si ridestano
e come Dante rinnovellati di novella fronda, af-
fermano con forme originali lo stile della nova
architettura. Il quale allontanandosi più dei pre-
cedenti dal tipo iniziale in Italia chiamasi lom-
bardo, in Francia romana in Inghilterra sasso-
ne, ecc.
cfr. a pag. 228 dove osserva che i Greci non trovarono gli
elementi nuovi dell'arte bizantina soltanto in Palestina; ma
tutta TAsia forse vi portò il suo contingente.
Dell' architettura romanza.
33
Innanzi di discorrere dello stile lombardo è
necessario accennare qualche chiesa dello stile
bisantino. Principiamo da Ravenna dove secondo
S. Apollinare in Glasse; Ravenna.
(Chiunque Tede (fa sé che la scala con quel parapetto non ha niente
a che fare colla costruzione originale della chiesa.)
A. Mblani. ^
34
Capitolo primo.
il Diehl più che in oriente, e nella stessa Costan-
tinopoli si può studiare l'arte bisantina del V e
VI secolo. ^ Se si eccettuano i due battisteri e
la chiesa di S. Vitale gli edifici sacri di Ravenna
sono tutti di un medesimo tipo: del tipo basili-
cale. Sant'Apollinare Novo e Sant'Apollinare in
Glasse ne sono due esempi splendidi; perciò se
Pianta della chiesa di S. Vitale; Ravenna.
si vuol vedere la basilica cristiana in tutta la
sua purezza originaria bisogna andare a Roma
a Ravenna e a Ravenna fermarsi specialmente
nella chiesa di Sant'Apollinare in Glasse (VI sec).
In questa basilica i ricchi musaici dell' abside e
^ Ravenne, Étu^ d' JrchéalogU h}/zanHne, Paris, 1886,
Rouam, pag. 1.
DeW architettura romanza. 35
dell'arco di trionfo, i sarcofaghi sparsi nelle na-
vate, le belle proporzioni dell'edificio, le colonne
ammirabili, tutto ciò interessa e fa ricordare i
primi tempi del Cristianesimo. Chi esamina su-
perficialmente le basiliche di Roma e quelle di
Ravenna non troverà certo le notevoli differenze
che vi sono b che il Rahn ha ingegnosamente
rilevate in un opuscolo a cui rimandiamo lo
studioso. *
Accanto alle basiliche, sorge in Ravenna il San
Vitale (VI sec.) di un tipo affatto caratteristico.
È composto di otto pilastri disposti in ottagono
e uniti da arcate sulle quali si inalza la cùpola
fatta di tubi vuoti e perciò leggerissima. I pilastri
sono rinforzati da esedre a due piani di colonne
come si può vedere nella tavola che offriamo.
Lungo e divertente sarebbe l'esame degli edi-
fici bisantini specialmente di Ravenna di questa
Pompei italo-biaantina^ come la chiama il citato
Diehl * che divenuta capitale dell'esarcato bisan-
tino ebbe in questo tempo più importanza di
Roma, per quanto Roma fosse rimasta la residenza
dei papi e la jcapitale del mondo cristiano. Ma il
lungo tema ne sospinge; e dopo aver citato la
bellezza di vari capitelli della chiesa di S. Vitale
immaginosi quanto mai si può dire, dopo averli di-
segnati per mostrare bene in che consiste il pul-
vino che è loro caratteristico (vedi pag. 29), dopo
aver notato una moltitudine di monumenti sparsi
a S. Vitale, a Sant'Apollinare Novo dove c'è
\ Bavenne, pag. 29 e segrg.
* Op. cit., pag. 2.
Capitolo primo.
3
co
r altare di Sant'Eleucadio di un tipo curiosissimo
Dell arcmtettura romanza.
37
atto a dare un'idea compiuta delia ricchezza e
varietà dell'ornamentazione bisantina ^ bisogna
lasciare Ravenna per Venezia. Discorriamo su-
bito del S. Marco.
La basilica di S. Marco a Venezia della quale
diamo la pianta, è, secondo il parere di alcuni,
^0
-,/^f.'
Pianta della basilica di S. Marco; Veuezia.
una S. Sofìa in miniatura, una riduzione sulla
scala dal pollice al piede della basilica Giusti-
nianea e così doveva essere; Venezia che breve
tratto di mare separa dalla Grecia, fu sempre in
» Cfr. De Rossi, Bull, di arch. crisi., 1877, pag. 98.
38 Capitolo primo,
commercio coli* Oriente; i suoi architetti dove-
vano più facilmente cercare di riprodurre iJ tipo
della chiesa che aveva fama di essere la più bella
e la più ricca della cristianità.
Lasciamo andare se il S. Marco è o non è la
S. Sofia in piccolo; il modello delle due chiese
sta certo nelle terme latine e S. Marco è bisan-
tinissìma colla sua croce greca, con le sue cinque
cupole girate su i quattro arconi della croce
airorientale cogli archi assai rialzati, colla dispo-
sizione secondo il rito orientale delle figure dei
suoi musaici. * Volere discorrere di S. Marco im-
ponendoci di rimanere nei limiti del nostro pro-
gramma è impossibile. Un monumento così insigne
ispira tutti, offre materia di studio airarcheologo,
all'architetto, allo storico, al pittore, allo scultore,
al filosofo, al poeta. In origine la chiesa aveva
la forma basilicale; e probabilmente di quelfan-
tico edificio di Giustiniano Fartecipazìo e di Pietro
Orseolo rimangono dei pezzi di muro, una parte
delle absidi, una parto dei fianchi e del prospetto.
Poi nel secondo periodo quando la pianta diventò
una croce coiraggiunta delle braccia minori e si
allargò l'area con l'aggiunta dei vestiboli e am-
bulacri, l'organismo esterno del S. Marco non fu
bisantino fu lombardo — osserva il Boito. * La
chiesa come oggidì vedesi è stata trasformata sen-
sibilmente nella parte organica e nella decora-
tiva; perciò il S. Marco che oggi si ammira dalia
» V. Didron, Manuel cTIconographie chritienne,
• ArehiteUura del Medio Evo in Italia, U. Hoepli, editore,
pag. 299 e segg.
Dea arcnttettura romania, s)3
piazza e dalla piazzetta viene in qua forse ai
primi del milledugento. Recenti restauri gli han
dato Tultimo sciagurato colpo. I musaici in ispe-
cial modo furono manomessi dai restauratori.
Oltre al S. Marco lo studioso di monumenti
bisantini trova nelle vicinanze di Venezia — nel-
r isola di Torcello — S. Fosca, che è una per-
fetta basilica alla maniera orientale, cioè con
pianta a croce greca sormontata da cupola, co-
struita nel IX secolo e a Murano il Duomo; su
lo stile medesimo di S. Fosca, assai diverso nella
forma. Il Ruskin notò che la pianta del Duomo
di Murano è sviluppata su base di rapporti arit-
metici; e il Selvatico confermò l'osservazione
dell' illustre architetto inglese dopo avere misu-
rato la pianta del Duomo. Del quale è notevole
l'esterno dell'abside che è di quel tipo bisantino
commisto d'arabo caratteristico dell'architettura
medioeva in Venezia.
Noteremo in questo stile anche la cattedrale
di Aquileia, di .Grado, di Parenzo. Dappertutto
troveremo da studiare specialmente nei partico-
lari fatti di animali, di nastri intrecciati, di foglie
con poco rilievo e come ne danno un'idea i ca-
pitelli che abbiamo pubblicato.
Tutte queste chiese si somigliano nella decora-
zione pittorica. Le solite figure in musaico; fi-
gure cogli occhi spiritati, goffe nel disegno, vi-
vaci nel colorito.
La decorazione obbediva a delle leggi; da ciò
deriva la somiglianza che andiamo segnalando.
Gli scultori sfoggiavano la fantasia subordinata,
nei capitelli ornati di fogliami, di emblemi, di
4Ó Capitato prinno.
sigle, di iolrecci geometrici. A poco a poco quei
capitelli acquistarono forme proprie; abbandona-
rono la trabeazione, alla quale sostituirono il pul-
vino che fti ornato talvolta di rilievi e rimase ca-
ratteristico dello stile orientale di questi tempi.
Lo Stile lombardo. — Uuali sono i distintivi di
questa architettura occidentale, che dopo le paure
del mille si svolse agile e sicura per tutta l'Italia
e all'Estero? Per ben comprendere storicamente
il tipo d'architettura che siamo per istudiare,
bisogna riandare con la mente al novo slancio
di speranza e di vita che si manifestò nei popoli
trascorso il mille. La Lombardia e gli Stati vi-
cini furono le prime parti dell'Europa occidentale
in cui si ridestarono idee d' industria, di com-
mercio e d'indipendenza. In Lombardia sorsero
allora le associazioni dei liberi -muratori le quali
rimaneggiando lo stile architettonico che pre-
cedette il secolo XI, riescirono a mettere assieme
una serie di forme originali le quali contribuirono
a dar luogo a un novo stile d'architettura cho'
si diffuse sollecito^ dappertutto pieno di speranza
e di avvenire ^ e assorse alla sua maggiore al-
* 11 Stieglitz, il Ramée, THope, fecero un romanzo archi-
tettonico, della storia dei liberi muratori. Alcuni altri scrittori
i quali si vollero occupare minutamente delle associazioni dei
liberi muratori non riescirono a trovare che pochi documenti,
e tutti posteriori alla più bell'epoca dell'arte archiacuta. Os-
serva giustamente il Taccani a proposito dei misteri a cui ac-
cenniamo « che neir esercizio di un' arte come l' architettura,
che deve mostrarsi a tutti, non vi possono essere segreti che
tosto tardi non vengano scoperti ». (Taccani, Storia dell* Ar-
chitettura in Europa^ pag. 96.)
Dell* architettura romanza. 41
tezza nel duodecimo secolo collo cattedrali di
Modena, di Piacenza, di Cremona, ecc. a cui ac-
cenneremo.
^ « La basilica lombarda — nota perfettamente
il Clericetti * — è altrettanto originale rimpetto
alla bisantina quanto la bisantina è a confronto
della romana: e se le chiese del V secolo, come
il S. Vitale di Ravenna e il S. Lorenzo di Milano,
sono da ritenersi ispirazioni bisantine nella loro
intera struttura, tale non è la basilica a volta
vera madre dell'architettura ogivale. » Rivolgendo
il pensiero a una chiesa lombarda notiamo subito
che le colonne vi sono sostituite da pilastri a
fascio ben detti dal Wiebeking pilastri polistili.
Il pilastro a fascio, che è prettamente lombardo,
si diffuse mercè lo zelo dei Maestri Comacini
(Magistri Gomacinorum). E si diffuse non sol-
tanto in Italia ma anche all'Estero; in Inghilterra,
in Francia, ecc. Non è molti anni il periodo ar-
chitettonico che attraversiamo era ignoratissimo.
Lo prova il fatto di vedere un tipo stesso d' ar-
chitettura pigliar vario denominazioni che ac-
cennano a una varietà di origini, nei diversi
paesi ove si sviluppa.
Co tal somiglianza di fatti indicata da svariati
nomi di battesimo spostava i capisaldi dell' ar-
cheologia architettonica. Ma la critica moderna
anche in questa questione ha portato i suoi ine-
stimabili benefici. Gli studi moderni hanno pro-
vato che nel decimo e più nel seguente secolo,
ebbe origine un sistema di costruzioni ecclesia-
^ Ricerche sulV architettura lombarda. Milano, 1869, pag. 24.
42
Capitolo primo.
stiche il cui germe è nei conventi dei Benedet-
tini; sistema che per mezzo di questi monaci si
diffuse in tutti i paesi civili professanti il cristia-
nesimo e si fece universale. 11 che spiega perchè
ha le stesse forme in Italia e all'Estero.
Il pilastro a fascio sviluppa la vòlta a crociera
con vigorosi cordoni, e con le vòlte sorgono le
S. Ambrogio; Milano.
(Angolo dell'ambone nell'interno della basilica.)
cupole, i pinnacoli, i frontoni delle facciate, le
finestre «tonde ampie e ornate, e le gallerie eie-
DelP architettura romanaa. 43
ganti che si svolgono per tutto, ora orizzontali
ora a salita correndo così parallele alle lìnee dei
frontoni; e il simbolismo si ravviva nelle de-
corazioni esterne ed interne cosicché la vite, il
palmizio, l'aquila, T agnello e cent* altri simboli
sì intrecciano alla croce, ai sacri monogrammi,
agli ornati e tutto — anche nell'architettura lom-
barda — parla un linguaggio di pace e di fede
che comprende e commove il cristiano. Il mat-
tone, qual materiale costruttivo piglia il primo
posto neir architettura che studiamo e la sua
forma geometrica dà luogo ad una serie di cor-
nici originali a sega, a dentelli sorrette da agili
archetti i quali, come le notate loggette, or si
arrampicano- su coi frontoni, or placidamente se-
guono la linea orizzontale della fabbrica. Le co-
lonnine agili componenti il pilastro a fascio, che
è la base del sistema lombardo, sono dovunque;
nelle facciate, tomo torno alle absidi, sulle torri,
sugli amboni e s'inalzano verticalmente e s'in-
curvano con grazia, in un cogli spicchi delle
crociere e la loro massa aumenta e scema col-
r inalzarsi e coli' abbassarsi, svelte e spigliate
sempre, comunque siano applicate. Ma lo studioso
più che da vaghi accenni si formerà un concetto
esatto dello stile lombardo segaendoci nelle ra-
pide note seguenti.
A Milano il S. Ambrogio è il monumento che
per la vetustà deve considerarsi il primo esempio
del novo modo d'architettare. La costruzione
della basilica ambrosiana quale è ora, sorta per
volere dei due arcivescovi Angilberto II (824-835)
e Ansperto da Blasono (868-882), va ai primi
44 Capitolo primo.
del IX secolo; la sua parte orientale è eviden-
temeDte più antica. L* importanza dì questo mo-
numento sta essenzialmente in ciò che presenta^
nel suo organismo il tipo completo della basi*
lica a vòlta: lo ha osservato giustamente il Dar-]
tein nel suo libro pregevole su V architettura i
lombarda ^ e lo ripetiamo noi anche dopo aver
letto uno studio pubblicato A^XVAllgemeine Bau-
aeiiung * dove si è voluto provare che le vòlte j
della nave maggiore del S. Ambrogio sono po-j
steriori ai pilastri a fascio.
Disegniamo T aspetto geometrico di una cam«
pata ove si svolge chiaramente il tipo inizialel
del pilastro polistilo che nell'architettura archi-
acuta, diventa più agile di qui. Vi vediamg per-
fettamente sviluppati i matronei, le cornioette a
archetti e i cordoni della poderosa crociera che
si staccano, di sulle colonnette angolari dei pi-
lastri suddividenti le campate. Queste vòlte gi-
rano tutte sopra pianta quadrangolare e ciascuno ;
spazio così coperto forma una campata a cui sono j
limite i piedritti reggenti le vòlte e gli archi
aggetto che le separano tra loro. Offriamo anch6
la sezione statica della costruzione delle na^
minori e i corrispondenti matronei affinchè > si"
capisca la semplicità costruttiva dell'organismo
lombardo. La cupola che succede alla vòlta nel
quarto campo, larga, spaziosa, capricciosa nel
suo insieme non è. quella del IX secolo — così
il Mongeri ' — ma appartiene più probabilmente
* Étude sur V architecture lombarde. Paris, 1865-82.
• 1867 agosto.
■ L'Arte a Milano. Note, ecc., pagf. 21.
S. Ambrogio, Milano (ri
4S
leca
gira
len-
iche
Be-
lano
l'in-
' su
lica
om-
ia.
ulla
di
>ro-
resi
. di
lei-
ima
no.
Illa
ai-
lire
ut-
ave
ISO
> si
3tti
gae-
one
Dell'architettura romanza. 45
al principio del decimoterzo. Cosicché la cieca
galleria a archi sorretti da colonne, che gira
I torno torno al tamburo della cupola e che è splen-
! dido esempio delle agili gallerie caratteristiche
dello stile lombardo, bisogna crederla del se-
colo XII. Nella cupola del S. Ambrogio a Milano
e in quella di S. Michele a Pavia è notevole l'in-
1 gegnoso passaggio del quadrato all'ottagono su
cui spicca la cupola. I pennacchi a tromba conica
■ che si trovano in altre chiesa di maniera lom-
barda sono una forma schiettamente lombarda.
Como, che pei Maestri Gomacini fu una culla
dell'architettura nova, possiede vari ediQzi di
stile lombardo. A questi Maestri Gomacini pro-
venienti in massima parte dai luoghi compresi
tra il Lago Maggiore e quelli di Lugano e di
Como ^ si debbono molte tra le costruzioni del-
l'Alta Italia dal 1000 al 1200. Però anche prima
deirXI secolo si trova qualche Maestro Gomacino.
Fino al XIII secolo, e anche un pò più in là, nulla
I di più naturale di veder notato in chiese o in al-
tre fàbbriche italiane dei Gomacini, vale a dire
Magistri de Gumia (Magtstri nel senso di costrut-
tori va più in là del medioevo). Ma non deve
sfuggire che questo nome < Gomacino » nel senso
di costruttore si fece comune in Italia dove si
chiamarono in tal guisa anche diversi architetti
* Qualche autore fa derivare la voce Gomacini da coUegae-
macinae trasformato in co-macini per la stessa abbreviazione
che ha prodotto i nomi di co-magistri^ co-liberti, — Troya,
Cod. diphm» longob, P. IV, pag. 8J.
46
Capitolo primo.
nient'affatto comacini; perciò non bisógna subito
S. Michele; Pam.
(Esempio del pennacchio a tromba conica.)
Deir architettura romanza. 47
attribuire a un architetto puro sangue comacino
una fabbrica su cui è scritto: Magisier Coma-
cinus. Certo è che non sono pochi i Maestri co-
macini del territorio di Como perchè se si guarda
la storia si trova che il costume di emigrare
nelle vallate delle alpi è antichissimo e partico-
larmente nelle popolazioni di sulle rive dei laghi
di Como, Lugano e Maggiore. Là tramezzo alle
pietre e ai legnami da costruzione gli uomini
crescono muratori, scarpellini, carpentieri e si
fanno scultori e architetti; l'aridità del suolo
montagnoso li obbliga a spatriare per vivere.
Ecco come si diffondono le famiglie di scultori
e tii costruttori; ecco come si diffusero i Co-
macini; ecco come nel XID. e. XIV secolo vien
da Campione una dinastia di scultori che lavora
a Modena ^ di padre in figlio per cinque gene-
razioni, ecco Giacomo da Campione nei lavori
della Certosa di Pavia, Matteo da Campione a
Monza nel S. Giovanni, Bonino da Campione a
Verona e tutti i campionesi che han parte nei
lavori del Duomo di Milano. E volendo andar
oltre, ecco nel XV secolo la Repubblica di Siena
fa costrurre il castello di Saturnia a un Alberto
di Lugano e Giovanni da Como costruisce a Ve-
nezia il campanile di S. Giorgio Maggiore, e nel
XVI e XVn secolo; ecco Fontana, Maderno e
Bòrromini nati sul territorio di Como a illustrare
i loro nomi a Roma."
> Gir. Odorici, La Cattedrale di Parma, Milano, 1864, p. 13.
■ Cfr. Cantù, Storia detta città e diocesi di Como. Firenze,
1866, Tol. VI, pag. 382 e segg.
48 Capitolo primo.
Il Romanelli notò che certi Lancianesi del 1203
si chiamayano Sodi C4omaeini essendo di Abruzzo.
Si fece lo stesso pel nome Antelami ^ Magiairi
Antelami, di cui parliamo più sotto e Antelami
significò costruttori, Ars Antelami. In seguito
dal nome comacini sì passò a quello di lombardi
e quindi lo scultore o T architetto veniva chia-
mato genericamente il lombardo come appren-
diamo dai Muratori.' Il Dartein è di parere che
questi Magiatri Comacini siano stati capimastri
senza escludere però che tra di loro vi siano stati
architetti.' Per noi erano famiglie e compagnie
di muratori di buon gusto e di buon senso. Un
capo l'avranno avuto di certo e questo sarà
stato il oapomastro. Comunque ciò sia, architetti
capomastri, buon numero di fabbriche lom-
barde si deve a loro.
Fermiamoci a Como un momento.
L'antica basilica comense di S, Abbondio dot-
tamente illustrata dal Boito nel suo pregevole
libro Architettura del medio evo in Italia,^ se
è seconda al Duomo quanto a importanza arti-
stica è prima quanto a importanza archeologica.
La basilica di S. Abbondio che vedesi oggi è
* Scoverte patrie nella Reg. Frentana, 1805, voi. II, p. 15i
' Si chiamarono lombardi per antonomasia anco i Solari
che lavorarono tanto a Venezia nel Rinascimento. Lo vedre*
mo. Ci pare che questi Solari possano essere un ramo dei
GampionesL
> Op. cit., pag. 84.
* Milano, 1880, pag. 3-64. U. Hoepli, editore.
DelP architettura romanza. 49
quella eretta dai Benedettini sulle rovine della
antica del V secolo. Nel 1027 alcuni milanesi
lasciarono delle somme per onorare S. Abbondio
e pare che queste somme siano state spese per
erigere la chiesa attuale. Originariamente do-
vette essere sontuosa davvero. La basilica era
tutta dipinta; si raccolsero chiare vestigia di
intonaco a colori, dappertutto. Sulla parete in-
terna dell'abside sono dipinte delle storie in af-
fresco e nelle interne braccia della nave tra-
versa figurano degli scompartimenti circondati
di riquadri imitanti i diversi colori di marmi.
Fra le chiese di Como merita speciale conside-
razione il S. Fedele per quanto appartenga a un
arte più avanzata di quella di S. Abbondio: e
merita questa considerazione per la sua singola-
rità. * La chiesa di S. Maria del Tiglio a Grave-
dona (fine del XIII sec.?) al labbro del lago di
Como col suo campanile impiantato sul mezzo
della facciata, richiama pure l'attenzione dello
studioso come tant' altre chiese sparse nella pro-
vincia comasca. * Questa di Gravedona è una
delle pochissime che, sfuggendo al guasto di
posteriori trasformazioni, ci sia rimasta nelle
sue forme originali.
A volere appena appena citare i monumenti
* Lo studioso troverà disegnata questa chiesa nelle ta^
vole 91, 92 e 93 dell' op. cit. del Dartein.
• Questa chiesa di Gravedona ha un carattere veramente
originale. Uno studio su di essa l'abbiamo trovato nella i?i-
vista archeologica della provincia di Como^ N. 1, B*ascicolò 3^
giugno 1873, da pag. 1 a 15.
A. Mblani. *
Capf/e/o primo.
-Avi!^"* '' ^ *«''»«'« è una costruzione inte-
.■^^rixT!!"*-*?*fr'V''^ probabilmente SI
^v^MX . („oe dollt medesima età dell'interno di
^ <mì^m. La ftcciata monocuspidata nella
-•»». J^rfo sHpM.iore ornata da una delk' «3;
.-'.>:.. ...oho a «.chetti. nell'insieme è sobri
♦ «w.M.A>^ <> d<,st« una certa curiosità per le tanto'
m:v ,1, -ni ^ fiorita il cui significato Z
«-. .<>.). .^ .scritture e in superstizioni pò
^- *A«,;.v. «1 S. Michele bisogna mettere
V .^A^ W. S fte<ro in Ciel d'Oro la S
v ' . ..., I,^\> fìx pesUtuita alla sua forma
- " VA ,^A K> .rAl^nsi dei secoli areva cZ
:;:vV"" \'''^^* ** <"»• fondazione vuoS
^vsv.. ,, ,,s,,^.^.,, .,,,.„j^^^ ^ ^^ studioso Da
.-^^l^.^rt.';:,^-!^ -'^^"l «''•^Jfl «ecoo 7n'
pi
i
II'
S. Ambrogio, Milano ^
so Capitolo primo.
sacri di stile lombardo sparsi qua e là dovre-mmo
occupare l'intiero volumetto. Dobbiamo proprio
restringerci ad alcuni dei più ragguardevoli.
A ogni modo non si può dimenticare Pavia
dove r architettura lombarda fiorì splendidamente
nel mentre tracciava vivissima impronta a Milano
col S. Ambrogio, col S. Eustorgio che nel nono
secolo si riformò ampiamente e dove si fecero
nel duecento dei lavori assai considerevoli, col
S. Simpliciano, col S. Gelso (fine del X sec?) col
S. Giovanni alla Conca, ecc.
A Pavia il S. Michele è una costruzione inte-
ressantissima anteriore assai probabilmente al se-
colo IX e cioè della medesima età dell'interno del
S. Ambrogio. La facciata monocuspidata, nella
sua parte superiore ornata da una delle solite
gallerie cieche a archetti, nell* insieme è sobria,
grandiosa e desta una certa curiosità per le tante
scolture di cui è fiorita il cui significato vuol
trovarsi nelle S. Scritture e in superstizioni po-
polari. ^ Accanto al S. Michele bisogna mettere
l'altra chiesa di S. Pietro in Giel d'Oro la cui
facciata fin dal 1880 fu restituita alla sua forma
primitiva che lo svolgersi dei secoli aveva com-
piìitamente svisata e la cui fondazione vuoisi
riportata, secondo l'opinione di uno studioso pa-
vese, (il sig. Vittorio Poggi) all' Vili, secolo. In
questa insigne costruzione piace molto la massa
dell'abside pel suo singoiar movimento di piani
(intendiamo di comprenderci anco la cupola ot-
» Gfr. Dartein, Op. cit. pag. 239-256 e Sacchi, Op. cit, pa-
gina 46-58.
S. Ambrogio, Milano (sezione delle navi minori
Al)8Ì4e di 3» Jlicliele, Pavia,
J
lìelf arehiteUura romanza. 51
tagona che sta sulle linee verticali dell' emiciclo
maggiore; che le apsidi qui a S. Pietro in Ciel
d'Oro sono tre). Citate queste due chiese si può
abbandonar Pavia perchè le altre in istile lom-
bardo e cioè: S. Teodoro (metà del Xn sec?)
S. Lanfranco, un po'fuori di Pavia (fine del XII se-
colo), S. Nazaro essa pure distante un pò dalla
città (metà del XII sec), S. Maria del Popolo non
offrono grande interesse ai lettori di un Manuale
come il nostro.
A Verona il S. Zeno compiuto nel 1138 è una
costruzione tra le primarie del tipo che studiamo^
a Parma il Battistero di una stuttura originale
e la cattedrale finita nel 1106 e ricostruita nel
secolo seguente, perchè crollò in gran parte per
causa di un terremoto, sono due costruzioni
molto interessanti. Anzi fanno capo a una que-
stione dìbattutissima riguardante le compagnie
di Maestri Antelami a cui si dovettero buon nu-
mero di costruzioni inalzate nell'Emilia come
alle compagnie dei Maestri Comacini si debbono
la maggior parte delle costruzioni erette in que-
sti tempi in Lombardia. ■— Secondo alcuni tanto
la Cattedrale quanto il Battistero parmense si
devono a un affiliato ad una di queste compa-
gnie d' Antelami. * Nella bellissima facciata del
* Furono detti Antelami dalla valle nativa di Anlelamo
che non si sa precisare se fosse nelle Alpi o nell'Appennino.
Le menzioni degli Antelami si trovano sempre tra il Po e
Genova perciò lasciano argomentare che patria degli Antelami
fosse una valle dell'Appennino (cfr. Sante Vami App. at. so-
pra Levanto con note e docum. 1870, pag. 93 a 100).
Capitolo primo.
Duomo di Parma, abbiamo un esempio ragguar-
devole delie gallerie a archetti sorretti da co-
lonnine più volte accennate. Quivi come nella
facciata del Duomo di Piacenza, (cominoiata nel
1122 e finita nel 1233) queste gallerie si svilup-
pano orizzontali e seguono
l'andatura delle falde del tet-
to; nel S. Michele a Pavia,
oltreché nella facciata e nelle
fiancate, si veggono nella
parte superiore dell' abside
intramezzate da piloni che
spartiscono l'abside stesso,
nella facciata della cattedrale
di Cremona (eseguita nella
sua parie principale dal 1129
al 1190) e in quella della ma-
gnifica chiesa di Sant'Andrea
,/ in Vercelli si trovano due file
di gallerie con ottimo effetto
decorativo.
La .chiesa di Vercelli, fon-
data nel 1219 e eretta in parte
su disegno di un architetto
inglese Domenico Brighintk
non ha l'interno in armonia
coir esterno e perciò c'è da
scommettere che non sorse
da una mente sola. La chiesa
però è bella e desta grandis-
sima impressione.
Nella facciata del Duomo di Modena (comin-
ciata nel 1099 e finita nel 1184 su disegno di un
S. Aodiea; Vercelli.
(Motivo della enpola.)
Duomo di Piacenza.
Dell'architettura romanza. 5S
Lanfranco)/ nel S. Zeno a Verona e in altre
chiese, fra la porta e il frontone vi è la finestra
rotonda, cioè la rosa, composta di raggi nascenti
da un centro comune collegati all'estremità da
archetti, ed inscritti in una circonferenza quasi
sempre riccamente intagliata. Intorno a questa
decorazione, composta per solito di membrature
architettoniche e di fiorami, sbucano talora delle
figure le quali rappresentano, da una parte, le
anime che salgono in cielo, dall'altra, quelle che
precipitano nell'inferno; almeno così si crede.
Non e' è rosa con figure simboliche nel S. An-
tonio di Padova ohe nella sua struttura imitante
il S. Marco di Venezia e inclinante verso l'arco-
acuto (è del XIV secolo) sono traccio lombarde,
non o' è neanche nel leggiad rissimo Duomo di
Trento costrutto in buona parte da Adamo di
Arogno (nato in quel di Mareggia, presso Cam-
pione, sul lago di Lugano) tra il secolo XI e il
XV dove pare che si incontrino due arti migranti
per così dire, l'una dall'Italia verso la Germania
e l'altra dalla Germania verso l'Italia. Ma cosa
importa? La rosa figurata resta sempre una forma
dell'architettura di cui parliamo.
Lo studioso esaminando la facciata di queste
chiese medioevo sarà restato come maravigliato
da certi lustrenti scodellini in maiolic^a dispostivi
a croce o in un'altra forma. È certo che si sarà
domandato l'origine di tal bizzarro ornamento.
* Gfr, Ricci, Storia delV Architettura in Italia, ecc. Modena,
1857. V. I, yay. m e nota n, %
94* i^apuow primo.
Le opinioni sono diverse. Chi dice che quelli sco-
dellini, solitamente azzurri o verdi, ebbero origine
dai Pisani che presero parte alla conquista di
Maiorca e al ritorno riportarono gli scodellini di
che ornarono le facciate delle loro chiese in segno
di trionfo. Chi dice che gli scodellini si colloca-
rono in questi edilizi sacri a dimostrare che vi
si ricevevano e alimentavano i pellegrini visi-
tanti i Santuari. Chi dice, infine, che gli scodel-
lini sono un ornamento simbolico e si mettevano
sulle facciate delle chiese per indicare lo splen-
dore della chiesa che in lontananza spande la
luce del Vangelo e della Verità come un sole;
secondo Tespressione dei Profeti. * La prima opi-
nione non ha verun fondamento perchè l'impresa
pisana è posteriore all'uso dell'ornamento di cui
parliamo; delle altre due preferiamo la prima.
Nelle facciate delle chiese lombarde più rag-
guardevoli vi sono tre porte; una larga in mezzo
e l'altre due più piccole dalle parti; ciascuna
sull'asse della rispettiva navata. Le finestre senza
essere altissime sono in generale molto strette
rispetto alla loro larghezza.
L'architettura lombarda si trasforma di regione
in regione. Così la vediamo mutata di fisonomia
per il mutato materiale di costruzione, segnata-
mente a Pistoia, a Pisa, a Lucca. A Pistoia il
S. Giovanni fuoreivitas dovuto, credesi, a un
Gruamons scultore (XII secolo), a Pisa il Duomo
fondato nel 1063 e il Campanile pendente fondato
» Ps. XVIII. 6. Is. XXX, 26. Malac, I, II Apoc. XII. 1 et. ajt,
Parte del Battistero, il fti
Dell'architettura romanza, * 55
da un Bonanno pisano nel 1123 e il Battistero
fondato nel 1163, e a Lucca il S. Frediano (prin-
cipiato nel 1112), il S. Martino (XI sec. in prin-
cipio), e il fioritissimo S. Michele (XII seo.) do-
vuto al Diotisalvi e a Guidetto da Como (Magister
Gomacinvs) architetto dell'esterno del Battistero
pisano il primo e della facciata di S. Martino il
secondo, e parecchie altre chiese inferiori for-
mano un tipo a sé di architettura medioeya ove
peraltro, le forme iniziali si scoprono tuttavia. *
Il mattone vi è sostituito dal marmo di Carrara
dal tufo e dal serpentino di Prato. Le mura vi
sono incrostate di strisce bianche e nere alter-
nate di ottimo effetto, quando sono bene equili-
brate e il tempo ha abbassato gli stridenti pas-
saggi. Abbandonato il mattone furono abbandonate
le cornici a sega e invece in Toscana, se ne eb-
bero di più modeste fatte di un guscio o di una
gola di un pianetto robusto sostenuto da men-
solette con fiori, con faccie umane o d'animali,
fatte di un solo guscio ampio con un corridietro
a fogliami. *
^ Si potrebbe notare che V architettura di queste città to-
scane se si somigUa nella parte sostanziale ha bensì carat-
tere personale di città in città. Per es., a Lucca le facciate
delle chiese di quesV epoca sono più ornate di musaico che a
Pistoia, eppoi a certi pilastri addossati al piano inferiore
delle facciate stesse a Lucca si trovano sostituite colonne. Lo
che dà aspetto più gentile e più armonioso all'assieme.
* Il signor architetto Perdoni ci comunica da Piacenza:
che presso questa città, a Ghiaravalle della Colomba, comune
di Alseno trovasi un chiostro stupendo del secolo XIII poco
noto che nelle sue lijiee generali ricorda il famoso Campo
56 Geritolo primo.
Il Rohault de Fleury che nel suo libro La To-
scane au moyen àge ha studiato, non sempre
con molta cura, i monumenti sacri della Toscana,
può essere consultato da chi vuol acquistare una
certa conoscenza dell* architettura lombarda alla
maniera che fu svolta principalmente nelle città
notate e anche a Prato nella Cattedrale (XII sec),
e a Arezzo nella Pieve famosa (XIII sec.) attri-
buita falsamente a un Marchionne d'Arezzo ar-
chitetto e scultore; autore delle scolture della
facciata di detta Pieve. Esaminando le vignette
dell'opera del Rohault de Fleury, si vedrà che
non è solo nelle citate particolarità che il lom-
bardo alla toscana si distingue dal lombardo che
si svolge in Lombardia. Le porte, a mo' d'esempio,
delle facciate nelle chiese di Lucca, Pistoia, Pisa,
Arezzo, ecc. sono originalissime; non vi è più
traccia, nelle facciate stesse, della rosa, la cui
ornamentazione fu tanto accarezzata dagli archi-
tetti che eressero chiese in Lombardia; là sì
trovano invece certi rombi decorativi fra arco
ed arco che inquadrano dei musaici di gentile e
bizzarro disegno. In una parola il lombardo to-
scano è più romano del lombardo propriamente
detto.
In Toscana poi ci dovrebbe essere lo stile di
Arnolfo, a detta di alcuni; ossia lo stile del tanto
Santo Pisano. Non si sa chi fu autore di questo monumento
di cui il si^or Perdoni ci parla con vivissimo interesse pre-
gandoci di non dimenticarlo nella lista dei monumenti ro-
manzi più insigni. Ringraziamo il collega della sua premura.
Dell' architettura romanza. 57
esaltalo architetto di Colle di Valdelsa (1240 f
1301) * dovrebbe trovarsi soltanto a Firenze ma
viceversa poi, non si trova neanche qui perdio
nessuno è in grado di accertare le fabbriche erette
da Arnolfo di Cambio e non di Lapo.
Nelle chiese e nei monasteri di Roma e sua
provincia, dal XII al XIV secolo si trovano certi
lavori singolarissimi che formano un genere spe-
ciale di monumenti nei quali si innesta Y arte
dell'architetto con quella del musaicista. Col ch.°
prof. Boito e con altri scrittori d'arte volemmo
attribuire ai valenti marmerai romani della fa-
miglia dei Cosmati la gloria di avere iniziato e
proseguito la maniera artistica di cui vogliamo
discorrere e che chiamammo cosmatesca. Ma studi
più diligenti ci hanno mostrato che il solo tra
questi artefici di nome Cosma — il più valoroso
di tutti -— non fu il primo a usar l'arte che ci
occupa. A Roma esisteva un buon secolo prima
di Cosma l'arte detta cosmatesca, perciò è in-
giusto estendere a tutti i lavori del medesimo
stile la qualifica di cosmateschi mentre si sa che
sono pochissime le opere accertate di questi ar-
tisti marmerai e altre scuole e altri artisti lavo-
rarono in tal guisa prima di Cosma.
Le famiglie e le scuole dei marmerai romani
incominciarono circa il principio del XII secolo.
Nel secolo XIV sì estinsero e con esse finì lo
stile che diremo romano-bizantino.
* Gfr. G. Guasti nella Rassega Nazionale; Arnolfo quando
è mortof
58 Capitolo primo.
Senonchè nella provincia di Roma si trovano
pochi ma singolari esempi di architettura lom-
barda propriamente detta e li abbiamo nel viter-
bese. Viterbo conserva ancora nella sua catte-
drale (XII sec.?), in S. Maria Nuova e in S. An-
drea moltissime parti della primitiva chiesa lom-
barda. La chiesa di S. Giovanni in Zoccoli è del
lombardo più legittimo. In Toscanella poi le due
chiese di San Pietro e di Santa Maria Maggiore
(XIII sec.) sono su le altre degne di attento esame.
Il Dartein scrisse che nell'VIlI secolo potevano
essersi stabiliti in Toscanella degli artisti coma-
cìdì rilevandosi dal Troia {fiod, diplom. Long,)
che nel 739 un Rodpert magister comaeinus ven-
deva in Toscanella una sua vigna. Questo è un
fatto isolato e di poca importanza ma ben altri
se ne hanno che mostrano che in Viterbo si
stanziarono uoa quantità di lombardi. Nell'ar-
chivio viterbese si trovarono contratti di lavori
assunti da maestri muratori di città lombarde.
Ma evitiamo i particolari fin dov' è possibile e
ritorniamo all'arte architettonico-musaicistica. La
ricchezza dei marmi, la splendidezza dei musaicii
la cura delicata dell'esecuzione sono i distintivi
di quest'arte romana che va dal XII al XIV se-
colo. Essa è la meno abbondante di forme orga-
niche, la meno atta ad assumere una grande
varietà d'espressione, la meno feconda di novi e
pratici risultamenti.
A dare un'idea del genere ornamentale di que
sto tipo architettonico riproduciamo la Cattedra
vescovile del S. Lorenzo a Roma, e alcuni mo-
saici che l'ornano. La cattedra di S. Lorenzo è
j
Dell aremtettura romanza.
5VI
la più bella cattedra, anzi T unica b^Ua che ci
rimanga del raedio evo a Roma. Nella varietà
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Mosaici Della Cattedra Vescovile di S. Lorenzo f. d m. Roma.
dei musaici, nella loro diligente esecuzione vi è
la impronta dell' architettura romana ^ di questi
tempi la quale nel cortile di S. Giovanni Late-
rano (Xlll secolo), e nel Chiostro di S. Paolo
(XIII sec.) fuori delle mura a Roma è addirit-
tura raa^niQca,
60 Capitolo primo.
Fra Tarchitettura romana e quella della bassa
Italia y' è una analogia non piccola, talvolta anzi
una somiglianza notevole. Tra le colonne del
Chiostro di Monreale, del 1174 circa, e le co-
lonne dei chiostri di S. Giovanni Laterano e di
S. Paolo fuori delle mura che sono della primai
metà del secolo seguente, v'è una rassomiglianza!
che si potrebbe dire parentela. I
Ripetiamo che in tutte le architetture miedioevej
le quali, partendosi dal comasco e paesi vicinij
coi Maestri comacini, si diffusero giù per l'Italia,
l'elemento iniziale resta costante; e, o poco o
molto, per tutto si vede, sebbene decorazioni e
rapporti proporzionali siano variati da una re-
gione all'altra. L'organismo è sempre lo stesso
dovunque: è il romano. Anche in Sicilia, e nelle
Puglie, per quanto anche le conquiste straniere
abbiano influito a imprimere una fisonomia ar-
chitettonica affatto caratteristica a quelle chiese
e agli ediQzi civili che s'innalzarono nel medio
evo. L'organismo di questa architettura si man-,
tenne romano anche colà. Il Duomo di Palermo;
(XII secolo), quello di Cefalù (XII secolo), quello i
di Monreale (XII secolo), la Cappella Palatina a|
Palermo (XII secolo), la chiesa di S. Maria del-
l'Ammiraglio (la Martorana) informino. *
Gli elementi che costituiscono lo stile siciliano
* Per farsi un'idea relativamente compiuta della splendi-
dezza di questa architettura siciliana si guardino le tavole
dell* opera principesca II Duomo di Monreale illustrato e ri-
portato in tavole cromo-litografiche da D. Domenico Bene-
^9tto Gravida aba^e Cassinese. Stab. tipogr. di F, ì^. I^o.
9
"Ti
Deir architettura romaMa. 61
del medioevo sono molti e molto variati appunto
^per le influenze straniere cui rìsola andò sog-
Ifetta. Tuttavia conveniamo col prof. Boito che
1* architettura del medio evo in Sicilia, benché
nata, cresciuta e fiorita sotto i re normanni ed
in gran parte per opera loro, è architettura si-
ciliana. Se i bisantini non poterono cavarne nulla;
se gli arabi non poterono imitarla; se i popoli
del settentrione non ne tolsero il loro stile che
non istà unicamente nell'arco a sesto acuto (poiché
in parecchi monumenti siciliani, vi è l'arco a se-
sto-acuto di araba provenienza) ma in un sistema
intiero il quale cominciava a svolgersi quando i
monumenti siciliani non erano ancora compiuti;
se dall'altro canto l'influenza dei popoli domina-
tori dell'isola non si può punto negare, è non
pertanto verissimo che l'arte di Sicilia fu creata
in Sicilia ed è l'imagine schietta, efficace del
temperamento siciliano.
Ci resta a dire dell'architettura nelle Puglie.
L'architettura della Puglia potrebbe dirsi lom-
barda pugliese. È strano assai che un popolo il
quale per più di due secoli interpolatamente fu
signoreggiato dai Greci, che soffrì il dominio dei
Normanni e le feroci scorrerie dei Saraceni abbia
potuto conservare nella sua architettura un'im-
pronta locale traverso anche a influenze nazio-
nali: lombarde e toscane.
Certe chiese dì Puglia sembrano affatto lom-
barde. Per esempio: il S. Nicola di Bari (XI sec.)
ha del S. Ambrogio di Milano. Ce ne sono di
quelle che in certe parti rammentano le chiese
6à Capitolo primo.
toscane di Pisa, Lucca e Pistoia. Per esempio il
fianco della cattedrale di Bitonto, eccezion fatta
del corpo più elevato che corrisponde alla nave
maggiore, ci fa venire in mente il fianco del
S. Giovanni fuorcivitas di Pistoia. La cattedrale
di Bitonto è dell'XI o XII secolo come le altre
di Molfetta, di Conversano, di Otranto, di Trani,
colla sua torre monumentale, di Ruvo, ecc. Que-
ste chiese hanno spesso la parte inferiore tutta
fatta a arcate a basso rilievo come al S. (jiovanni
suddetto, al S. Michele a Lucca, anzi in tutt«
le chiese di Pistoia, Lucca e Pisa. Vedansi le
cattedrali di Termoli, di Foggia, di Siponto. Il
sentimento del colore è una caratteristica locale
dell'architettura raedioeva pugliese che anche
dopo gli studi dello Schulz, del Salazàro, del
Lenormant può invogliare i nostri critici a stu-
diarla nelle sue particolarità.*
L'architettura pugliese trae partito d'effetto
dal movimento degli sfondi e da una certa so-
lenne compostezza di masse avvivate da orna-
menti isolati ma fini e pieni di grazia. É diffi-
cile trovare in quest' architettura traccio della
ornamentazione policromatica sul genere di quella
che dà una nota sì geniale al chiòstro e all'abside
di Monreale. Ricordiamo un solo esempio nella
facciata della cattedrale di Troia; l'arte sicula
si trova a Amalfi, Salerno e Caserta Vecchia.
Le facciate dunque sono generalmente liscie;
talora qualche ornamento pieno dì gusto o qual-
che traforo capriccioso rallegra quelle superficie
» Vedi la Bibliografia.
[
Deir architettura romana. 6S
itone come può vedersi nella facciata della gra-
ziosa chiesetta di S. Gregorio a Bari, nella fac-
jeiata della cattedrale di Trani, ove si trovano le
solite arcate adossate alle superfici dei muri e
toscaneggianti. Insomma gli architetti delle chiese
^fugliesi furono eccellenti decoratori: senza sfarzo
di ornamenti seppero dare risalto gradevole alle
loro costruzioni e imprimervi un tipo affatto per-
sonale. Si potrebbe quasi dire che Tarchilettura
! dell'Italia meridionale si svolge sopratutto nei
! particolari le cui trovate sono innumerevoli.
! L'eclettismo da cui sorse quest' architettura me-
dioeva che avrebbe potuto fossilizzare le imma-
ginazioni, valse invece a fecondarle.
j Gli artisti seppero approfittar bene dei molti e
svariati elementi che avevano a lor disposizione;
(bisantini, lombardi, arabi, toscani) li combina-
rono assieme in modo sì armonico da dar luogo
a uno stile caratteristico schietto, senza fronzoli,
sminentemente organico.
Di qui potremo dare un'occhiatina anche nelle
Marche, ma come si fa collo spazio sì limitato?
Queste regioni meridionali sono state dimenticate
troppo dalla critica. Mancarono alle città del mez-
zogiorno storici ed illustratori di patrii monu-
menti, non ebbero un Giorgio Vasari, nessuno
che tramandasse ai posteri nomi di scultori, di
pittori e di architetti degni di figurare accanto
a quelli di artisti altissimi della Toscana, del
Veneto, dell' Umbria, della Lombardia.
Delle Marche sono noti soltanto generalmente
il S. Ciriaco d'Ancona (XII e Xill sec.) e il San-
64 Capitolo primo.
tuario di Loreto; sono pochi che sanno per «s.
che a Ascoli Piceno la chiesa dei Santi Vincenzo
e Anastasio è un grande e prezioso palinsesto
architettonico.
Quanto si è detto per le provincie meridionali
sì può dire per la Sardegna troppo dimenticala
da tutti. 11 La Marmerà, lo Spano, il Paìs si sono
interessati di farla conoscere, ma sia perchè ef-
fettivamente in arte non ha un posto considere-
vole sìa perchè T indifferenza è contagiosa, la
Sardegna artistica non è punto nota alla mag-
gioranza degli Italiani.
E invero V architettura medioeva di Sardegna
potrebbe essere soggetto di studio. È noto che
la Sardegna l'ebbero i Pisani e i Genovesi e fu il
pomo della discordia fra queste due repubbliche;
orbene l'influenza di Pisa è tracciata nei monu-
menti superstiti. Ricordano le chiese pisane, a
pilastri esili addossati al muro nelle facciate e
sormontati da archi, S. Ardara consacrata sotto
il pontefice Pasquale II nel 1107, la cattedrale di
S. Simplicio in Terranuova a tre navate (XII sec.)
r antica cattedrale di S. Giusta presso Oristano,
celebre per il sinodo che vi si tenne nel 1127;
ricordano le chiese pisane nella incrostatura
esterna a filari alternati, S. Michele di Salven-
nero presso Ploaghe (XII sec.) il cui abside è
bellissimo, la chiesa dell'abbazia di Saccaragia
presso Godrongìanos eretta nel 1116, chiesa molto
ricca e ornata di pregevoli dipìnti, ecc., ecc.
Finiamo con un « eccetera, eccetera » per ri-
constatare che si offre ai ricercatori dell'arte
italiana un campo di studio inesploratissimo.
Dell'architettura romanza, 65
I Campanili. — Quasi tutte o tutte le chiese
lombarde hanno una torre vicina. Però bisogna
esser prudenti nel riportare a molta antichità
l'età delle torri in Lombardia. La circostanza di
trovare frequentemente il campanile aggiunto a
un fianco della chiesa eretto in epoca posteriore
realmente incassato in qualche parte della me-
desima e d'averlo creduto più antico che non po-
tesse essere ha fatto assai volte riportare ai se-
coli del basso medioevo delle chiese non anteriori
air XI secolo. Certo, insomma, la torre per le
campane o campanile è un accessorio che la chiesa
di stile lombardo ha avuto sempre. Nei campa-
nili l'architettura lombarda ha fatto sfoggio di
quelle gallerie sovrapponentisi che sono una delle
sue caratteristiche segnatamente per il modo
svariato con cui le adottò. Fra i campanili più
geniali si cita quello di Milano del S. Gottardo,
ottagono a sette piani e con cono alla cima, di
un Francesco Pecorari, cremonese (XIV sec),
quello dell'abbazia di Ghiaravalle nel milanese
Ó^II sec), e quello della cattedrale di Crema sì
fiorito nella sua parte superiore. * Fatli tutti in
terra cotta qua e là tramezzata da pietre con
^ Di questi tre campanili se ne vede accurata riproduzione
colorita nell'opera: The Terra-Gotta Architecture of North
Italy — from careful drawings and restoration by Federigo
Lose, edited by Lewis Gruner — London John Murray Albe-
marie Street 1867, Tav. 3 e 4 (Camp, di Ghiaravalle) 5 e 6
(a di S. Gottardo) 23, 24 e 25 (G. di Grema).
Vi si troiano riprodotte anche le facciate di varie chiese
in stUe lombar<}o a cui accenneremo.
A. Mklanl S
66 Capitolo primo.
qualche fondo a colore, questi campanili di Lòm*
bardia sono sempre agili e ornati di colonne e
di archi che si svolgono e si arrampicano su su,
naturali, sino alla vetta ohe è un cono il quale
colla sua punta aguzza pare un* implacabile mi-
naccia alle nubi vicine. — Di questi campanili
ve ne sono vari altri degni di attenzione, per
esempio: quello del Carmine a Pavia, quello della
chiesa dì Qravedona, quello di Cremona che è
uno dei più alti d' Italia, e ve ne sono a Parma
a Piacenza di questo stile lombardo legittimo il
quale per la varietà bizzarra dei motivi per il
libero svolgersi dei rapporti proporzionali per la
aggraziata varietà dei particolari decorativi, si
presta più di qualsivoglia altro tipo architelto-
nico a dare agilità a questa nova forma del-
l'arte.
Dando un'occhiata qua e là al resto dellltalia
quanti altri bei campanili incontreremmo. No-
miniamoli in blocco. A Roma e provincia sono
notevoli per vari rispetti: il campanile di S. Ma-
ria in Cosmedin, di S. Maria in Trastevere eretto
ai tempi di Innocenzo II, di S. Maria Maggiore
che può riferirsi al secolo XII,, il campanile della
Cattedrale di Viterbo che dev'essere stato eretto
intorno la seconda metà del XllI secolo, quello
di S. Maria in Velletri che è tutto fatto a filari
alternati di tufo, di selce e di mattoni. A Firenze
il famoso campanile di Giotto che non è di Giotto
è dì Giotto solo nelle 11 braccia da basso *
» Cfr. Il Campanile di S, Maria del Fiore: studi di A. ff ar-
dirli Despotti Mospignotti.
Dell' arehitettura romanza.
67
(XIV sec), quello di Pisa che è
il più singolare di tutti. Fa me-
raviglia per la sua iaclinaziotie
che da quasi sette secoli si man-
tiene Gosì, senza che abbia dato
mai il minimo indizio di perico-
lare. La questione se la pendenza
sia artificiale o casuale fu agitata
per questo campanile come per la
celebre Garisenda di Bologna
(XII sec. princ), la conclusione
accettabile è questa, secondo noi:
che il campanile di Pisa fu co-
strutto a piombo come ogni altra
torre e la sua pendenza è acci-
dentale, causata cioè da cedimento
parziale del terreno su cui sorge.
Dicasi lo stesso per la Garisenda
suddetta dopo gli studi del chia-
rissimo Gozzadini. ^
Accanto alla Garisenda di Bo-
logna starebbe bene la notissima
Ghirlandina di Modena comin-
ciata nel 1261 con disegno e sotto
la direzione dell'architetto e scul-
tore Arrigo di Campione e ter-
minata nel 1319. E vicino a que-
ste due torri starebbe bene un
ricordo del campanile del S.Fran-
cesco , ragguardevolissimo tem-
« DeUe torri genHlizie, ecc., pag. 280, e ^^^^^^11,^,
se^entL Roma.
68 Capitolo primo.
pio bolognese che dopo tanti anni di sollecita-
zioni è stato appena principiato a restaurarsi. ^
Questo campanile fu inalzato nel 1402 da un Bo-
nino e Nicola (come venne scoperto recente-
mente) i quali probabilmente furon campionesi
e il Bonino quello stesso che nel 1375 poneva
in Verona l'arca di Can-Signorio, e dal 1387 al
1393 fu tra gli architetti del Duomo di Milano
(fu di casato Fusina).
Sarebbe lunga la lista dei campanili italiani
medioevi^ e diverrebbe più lunga se si dovesse
stendere così in massa senza aver cura di far la
distinzione fra i campanili religiosi e gli altri
civili. In tal caso nella lista figurerebbero bene
la notissima torre del Palazzo Vecchio a Firenze
(XIII sec. in principio), l'agilissima torre del Pa-
lazzo comunale di Siena detta del Mangia (tra
il XIII e il XIV sec.) e quella altissima di Ve-
rona (XII sec).
COSTRUZIONI MILITARI E CIVILI.
Nel medioevo il mondo non era occupato che
dalla fede e dalla guerra. I vassalli erano in con-
tinua guerra coi loro signori, i signori in per-
petua guerra coi vicini. Le terre incolte erano
infestate da masnadieri che costringevano i feu-
datari alla difesa dei loro possessi. Per questo
dopo le chiese, si costruirono numerosi castelli
^ Si annuocia una illustrazione del S. Francesco di Bologna
corredata di tavole per opera dell*erudito si^or Alfonso Bu
biani. Sarà interessante.
Dell'architettura romanza. 69
e principiò così il vassallaggio duro, crudele che
abbracciò tutte le classi sociali in una ferrea ca-
tena i cui estremi furono i monarchi e i servi.
I Castelli e i palazzi pubblici e privati. — I ca-
stelli erano circondati da ampio fossato munito di
ponte levatoio. Il fossato serviva a impedire che
l'assalitore si respingesse coi gatti^ grilli e ca-
stelli di legname fin sotto le mura o mettesse su
puntelli le torri e le cortine per dirroccarle o
avanzasse le opere di cavo sotto le fondamenta.
Il fosso, vallo, terrapieno e lo steccato è di
origine assai remota. Se ne servì Giulio Cesare
per tagliare il passo agli Elvezi minaccianti le
Gallio; se ne servirono i Longobardi per con-
trastare la discesa a Carlo Magno. Talvolta si
cingeva il castello di due ordini di fossati. Le
cinte di forma rettangolare, o quasi rettangolare,
erano munite di torri interne riquadrate ancorché
non offrissero aggetti alla scarpa. All'esterno si
addossavano alla cinta delle torricelle quadrate
circolari o poligonali le quali servivano di luoghi
d'agguato. All'ingresso dei castelli eravi sempre
una torre e talvolta due, e tra le due porte (una
esterna, l'altra interna) una camera nella quale
lavorava il meccanismo delle erpici. Sulla volta
una fenditura serviva al getto dei proiettili sui
nemici che fin là si fossero spinti. Le porte si
chiudevano con saracinesco le quali sebbene fos-
sero state in uso anche presso i Romani, come
afferma Tito Livio ^ furono in maggior voga da
» Lib. 27, cap. 30.
70 Capitolo primo.
noi dopo le iiivasioni degli Arabi dai quali eb-
bero il nome. Esse eran composte di fortissimi
tavolati uniti da travi e sospesi a grosse funi o
a catene di ferro e lo scopo loro principale era
di sbarrare con sollecitudine il passaggio della
porta quando trovandovisi insieme difensori e
assalitori diventava quasi impossibile far girare
le imposte sui cardini. * Per impedire al nemico
l'accesso dalla cortina alle torri si usava di co-
struire in legno i pavimenti delle torri in modo
che si potessero smontare facilmente nel tempo
che gli assalitori lavoravano a sfondare la porta;
quando vi fossero riesciti, si trovavano davanti
un vuoto il quale impediva loro di avanzarsi e
passare la cortina opposta per salire ai piani
superiori oppure discendere in città. I costrut-
tori militari del medioevo mostrarono di essere
espertissimi nella loro arte. Ma non è qui che pos-
siamo studiare e ammirare i loro pregi tecnici.
Bisognerebbe che il lettore avesse di già fatto
studi riguardanti questa parte speciale della
architettura, o che anche fugacemente noi accen-
nassimo a talune particolarità tecniche riguar-
danti Tarchitettura militare le quali ci menereb-
bero fuori del nostro compito.
Non si dimentichi che una caratteristica di
queste costruzioni militari sta nel coronamento a
merli diversi di forme a seconda dei tempi e dei
* Si fecero saracinesche anche in ferro ; anzi in Piemonte,
nel Medio Evo si usarono spesso in ferro; in Toscana e in
molti altri luoghi erano abituali quelle di legno. Lo afferma
il Machiavelli, Dell* arte della guerra, Lib. VII, pag. 38.
Deir architettura romanza. 71
paesi. In Italia i merli da fortezza, salve poche
eccezioni, erano o rettangoli o a coda di rondine
e nella lotta delle fazioni gli uni e gli altri ca-
ratterizzarono i combattenti: così si ebbero merli
guelfi, nei merli rettangoli, e merli ghibellini in
quelli a coda di rondine. Perciò in Piemonte per
esempio, dove prevaleva la parte imperiale, tro-
viamo quasi sempre i merli a coda di rondine
tranne in Valle di Susa.dove si esercitava la
influenza guelfa del Delfinato. -
È ormai da tutti saputo che il progresso della
civiltà e le costituzioni liberali resero molte città
autonome; perciò queste ebbero bisogno di Pa-
lazzi pubblici Palazzi della Ragione dove i cit-
tadini principali sì riunivano a consiglio per trat-
tare le faccende pubbliche e dove abitava talvolta
il primo Magistrato eletto con voto popolare. La
architettura di codesti palazzi — che il Rohault
de Fleury chiama architettura comunale ^ ha una
impronta grave. Il carattere dei bassi tempi del
medio evo severo come era, non poteva certo
assumere fisonomia diversa nei palazzi pubblici
per quanto talune volte si ornassero di decora-
zioni spigliate che facevano risaltare la podero-
sità delle muraglie. I palazzi pubblici che ap-
partengono al periodo storico che traversiamo
in buon numero son guasti e alterati.
Citiamo il palazzo della Ragione di Monza, che
per quanto piccolo e svisato può dare un'idea
dei palazzi pubblio? che eran l'anima delle città
1 Gtr, Palaìs publics de Pistoie«
72
Capitolo primo.
in dove sorgevano (fu eretto nel 1168 per ordine
di Federico I). Citiamo il palazzo della Ragione
di Milano (1228-1233), il notevolissimo palazzo
Comunale di Piacenza (fondato nel 1281) chiamato
Palazzo del Cornane, MoDza.
volgarmente il Palazzo gotico o il Gotico sem-
plicemente, e dovuto a Pietro da Borghetto,
Pietro Cagnano, Gherardo Campanaro e Negro
dei Negri, il palazzo della Ragione a Padova la
cui sala se non la più vasta è una delle più vaste
del mondo (1172-1219) e il cui disegno fu im-
maginato da Pietro di Cozzo di Limerà, e non
Deir architettura romanza. 78
dimentichiamo il palazzo Vecchio (XIII sec.) e il
Bargello (XIII sec.) di Firenze che son vera-
mente due tipi di quest' architettura severa e
caratteristica delle costruzioni di cui parliamo. *
Quanto ai Palazzi o Case private e' è poco da
dire: sono pochi quelli che sfidarono con successo
il lungo corso dei secoli e le esigenze della vita
sociale che via via si è rinnovata.
' Alcuni di questi edifici si potrebbero benìssimo classii-
care fra quelli del periodo transitorio tra il lombardo e Parco
acuto.
Le costru2ioni sorte nei periodi di transizione o vicino a
questi periodi si classificano male: Potendo fare degli esami
senza la seccatura delle pagine fissate la classificazione sa-
rebbe più facile per quanto talvolta mentre si è per affermare
una qualsiasi opinione in proposito accade che una forma,
prima sfuggita, corregga o rechi nova confusione nella nostra
niente. Certi esami qui si è costretti a farli un pò* alla lon-
tana; ma la parte più interessante è che lo studioso ca-
pisca bene lo spirito delle classificazioni; poi sta a lui a vedere
quanto le costruzioni che sono oggetto di studio partecipino
di una forma stilistica e quanto di un* altra, prescindendo
daUe rispettive età che qualche volta condurrebber fuor di
strada anco gli esperti.
CAPITOLO IL
BELL'ÀBOHITETTUBl DI TBINSIZIONE
FRI LÀ LOMBÀBBÀ E ^^UELLÀ À ARGHI ACUTL
Lo stile di transizione è quello in cui le forme
antiche si accompagnano alle nuove per dar luogo
a UQ assieme che se può dirsi ibrido, non è ir-
razionale considerato sotto il rispetto dello svi-
luppo storico. La trasformazione non solo negli
stili deir architettura ma in qualsivoglia umana
manifestazione, non si compie che a poco a poco;
a forza di leggeri e costanti mutamenti i quali
annunziano l'albeggiare dell'età nova; età che
dovrà lottare colla vecchia finché le idee nuove
non vivranno nella coscienza di tutti. Questi co-
nati sono rappresentati nella storia da quei pe-
riodi cosiddetti di transizione, i quali iniziano le
ère caratteristiche del movimento storico gene-
rale. Rispetto air architettura il periodo storico
che studiamo ora è uno dei più notevoli perchè
inizia il passaggio di due epoche architettoniche
sostanzialmente differenti l'una dall'altra. Le forme
romane che da tanto tempo signoreggiavano la
Dell' architettura di tran8i%ione, ecc. 7ff
architettura cristiana anche traverso a tanti cam-
biamenti, sono per essere abbandonate; Tarco
rotondo e la cupola sferica saranno sostituiti da
nuove forme originali le quali ora si presentano
alternativamente neir architettura che si mostra
qua e là con impronte diverse e modestamente
tra il XIII e XIV secolo e si svolgeranno poi
neirarchìtettura del Trecento che diciamo archia-
cuta a archi acuti. ^
Ora si discorre dell'architettura di transizione
che sta fra la lombarda e quella a archi acuti.
Sicché vogliamo accennare alle fabbriche nelle
quali Tarco acuto si accompagna all'arco rotondo
dello stile lombardo; ove l'arco delle gallerie e
delle finestrelle lombarde è suddiviso da segmenti
circolari o lobi; ove il pilastro a fascio si orna
di modanature minute ed assume insolita svel-
tezza; ove l'ornamentazione acquista vivacità e
indipendenza che .nell'architettura lombarda non
ebbe inai.
Nell'alta Italia, non meno che altrove^ si af-
ferma quest'architettura di transizione della quale
riconosciamo i primi sintomi nella facciata del
Duomo di Ferrara, che pure è di un'epoca assai
anteriore a quella su cui ora volgiamo il discorso.
Malgrado ciò lo studioso la può guardare come
esempio di stile misto; cioè dello stile dove l'arco
acuto disputa la prevalenza all' arco a pieno
centro.
Spingendoci nel centro dell'Italia a Pistoia tro-
» Vedi nelle pagine seguenti dove si parla di questa ar-
chitettura.
76 Capitolo secondo.
viamo il Battistero di Andrea Pisano (1299tl305),
ove le gugliette, i gattoni usatissimi neir archi-
tettura a archi acuti, i pinnacoli s'intrecciano
agli archi rotondi ed agli ornamenti della maniera
toscana del XIII secolo. A Pisa il palazzo Gam-
bacorti, la genialissima 8. Maria della Spina
(eretta 1325-1336) già attribuita pare a torto a
Nicola Pisano (nato tra il 1205 e il 1207 f 1278) è
pure un esempio considerevole di architettura
mista, a Siena il fioritissimo Duomo dove ai pi-
lastri slanciati si innesta Tarco a pieno centro. Il
Vasari asserisce che ne dette il disegno Nicola
Pisano nel 1240, ma pare coll'istessa autorità
colla quale afferma che Nicola eresse l'attiguo e
leggiadro S. Giovanni fondato dopo il 1300 vale
a dire vari anni dopo la morte del suo preteso
architetto. * A Firenze vediamo una loggetta che
fa angolo con la piazza del Duomo e la via dei
Calzaioli comunemente detta del Bigallo. Non è
impossibile che questa loggetta costrutta certa-
mente tra il 1352 e il 1358 sia stata disognata
dal fiorentino Andrea Orcagna (1308tl368) invece
di quell'altra dei Lanzi attribuitagli dal Vasari
che certamente 1' Orcagna non disegnò. La log-
getta del Bigallo è uno splendido esempio delia
architettura mista poiché oltre ad incontrarvisi
r arco rotondo con l' arco acuto vi si trovano
molti elementi decorativi che l'architettura ar-
chiacuta s' impersonò, facendosene una delle sue
attrattive principali. Vogliam riferirci a quei rin-
^ Gfr. Note e Commenti al Vasari, edizione Sansoni. VoL I,
pag. 903.
DelF architettura di transizione, ecc. 77
cassi minuti a quelle formelle policrome, alle
altre minutaglie accarrezzate con industre scar-
pello che nell'architettura archiacuta raggiunsero
Loggetla del fiigaUo, Firenze.
altissimo sviluppo e nella loggia del Bigallo ab-
bondano. ^
» É stata restaurata recentemente dall* e^^egio amico mio
prof. Gastellazzi che prese V iniziativa e diresse gratis et amore
Dei, questo lavoro. Le pitture furono restaurate dal pittore
restauratore Bianchi.
78 Capitolo secondo.
E necessario notare che nell'esame di questa
architettura nella quale si innestano due stili
diversi bisogna andare molto cauti, poiché, al-
cune fabbriche nelle quali Tarco a pieno centro
si trova aocompagnato a quello acuto, possono
essere state eseguite in due tempi diversi cor-
rispondenti precisamente ai due stili.
Se volessimo continuare a citare esempi, do-
vremmo dare a questo capitolo una larghezza
maggiore di quella che deve avere rapporto agli
altri. À noi basta aver mostrato cosa è questa
architettura di transizione fra la lombarda e la
archiacuta.
CAPITOLO m.
D£LL'AR€HIT£TTUBÀ À ARCHI ACUTL
Osservazioni generali.
Siamo dinanzi ad una delie solite questioni di
nomi. L'architettura che ci siamo risolti di chia-
mare archiacuta o ad archi acuti, fra gli altri
nomi impropri ebbe quello datole dagl'Italiani,
di architettura gottea; o architettura dei Goti,
cioè dei Barbari (poiché in Italia gotico fu sino-
nimo di barbaro). Difatti con questo nome di
battesimo non tanto si volle determinare la pro-
venienza di questa architettura, quanto se ne
V4)ll« stimatizzare il sistema che si discosta com-
pletamente dal classico. Bisogna sentire taluni
scrittori come sputan veleno quando hanno da
scrivere dell' architettura a archi acuti I Sarebbe
curiosa una raccolta di tutte le diatribe conte-
nute nei libri di storia architettonica dal Vasari
in giù. Bisognerebbe prepararsi a sentirne di
cotte e di crude, contro il « barbarico sistema »
come lo chiama Gianfrancesco Napione nel fer-
vorino « A cortesi leggitori » premesso ai suoi
80 Capitolo terzo.
tre volumetti sui Monumenti deli' architettura
antica. Né il Napione è scrittore tanto veccliio,
anzi; i suoi libri sono del MDGGGXX. £i scrìve:
riportando Topinione del d'Agincourt che è poi
la sua «...in quel sistema d* architettura detto
volgarmente gotico che da tanto tempo dopo
Teodorico venne in voga anche in Italia, si volle
dare a tutto una sveltezza straordinaria onde
convenne ricorrere agli archi acuti; si assotti-
gliarono le colonne si attorcigliarono in istrava-
gantissime guise e tutto era piramidi, tutto fi-
nestre, tutto tabernacoli, tutto era minuzie e le
foglie di cavoli (sic!) sostenevano ogni cosa. Lo
indagare di onde sia venuta in Italia questa cat-
tiva maniera di architettare, che a certi cervelli
cui piace in tutto d' imbai*barire va pure a san-
gue aggiorni nostri, non è tanto facile il determi-
narlo ma poco dovrebbe premere eziandio a chi
diritto ragiona. Gredesi comunemente che sia
nata in Germania dove famosa è la Cattedrale di
Strasborgo, onde dai più architettura Tedesca si
denomina; altri dai Morì e Moresca perciò la di-
cono, eco. > Qui il Napione seguita per conto suo
a infilarne una più grossa delFaltra sicché è ina*
tile seguirlo ancora.
Sentiamo piuttosto l'opinione d'un antico scrit*
tore ora che si è sentito quella d'un moderno:
sentiamo cosa ne pensa Messer Giorgio. Nella
introduzione delle Vite egli parla cosi dell'archi-
tettura archiacuta: < Ecco un'altra specie di la-
vori che sì chiamano tedeschi, i quali sono di
ornamenti e di proporzioni molto differenti dagli
antichi e da moderni: nò oggi si usano dagli
DelP architettura a archi acuti. 81
eccellenti ma son fuggati da loro come mostruosi
e barbari mancando ogni lor cosa di ordine che
piuttosto confusione o disordine si può chiamare,
avendo fatto nelle lor fabbriche, che son tante
che hanno ammorbato ii mondo, ecc. » Il resto
s'indovina facilmente. La finale pietosa forse non
si può indovinare, e Iddio scampi og^i paese da
venir tale pensiero ed ordine di lavori, che per
essere eglino talmente disformi alla bellezza delle
fabbriche nostre meritano che non se ne favelli
più che questo. »
Non e' è da stupirsi; nel cinquecento, poco
più poco meno, non si poteva parlar che in que-
sto modo. Intorno T architettura archiacuta non
parlano diverso del Vasari, Leonbattista Alberti
e Raffaello; Francesco di Giorgio Martini, si.*
Dicevamo che siamo risolti di chiamare questa
architettura archiacuta o più correttamente a
archi acuti, perchè derivò dall'arco acuto lo slancio
verticale del suo sistema, la sua leggerezza e la
sua varietà potendo avere l'arco acuto, vari centri
e non uno costante, come il semicircolare. Il
principio di questa architettura sta dunque nel-
Tarco acuto. Lcr nostra denominazione, poi, non
implica di essa architettura come tant' altre:
gotica, normanna, arabo-bisantina, ecc., la pro-
venienza che ha fatto scrivere tante corbellerie
' Francesco di Giorgio Martini, invitato nel 1490 a dire la
sua opinione sa il finimento della cattedrale inilanese, dichia-
rava che i nuovi ornamenti dovesser convenire con gli an-
tichi. Spriwger, Bilder aus der n^ieren Kunstgeachichte. Bonn^
1867, pag. 152.
A. Mblani* ^
82 Capitolo terzo.
anche a uomini saggi. Molti si sono martirizzati
il cervello a cercare l'origine dell'arco acuto
persuasi che trovata questa origine il problema
sarebbe stato risoluto.
Ma ove mai andaste a perdere il cervello o
uomini illustri! — Certe questioni non sono nel
dominio della storia. Cosa rispondereste se vi
venisse domandato cretinamente chi ha inventato
il circolo il triangolo? L'arco a sesto acuto è
antico come il mondo. In Kgitto si trova nel
Ramesseione di Tebe di trentaquattro secoli fa;
in Urecia s'incontra nel tesoro d'Atreo, a Micene
dell'età eroiche; in Asia si vede nella porta di
Assos, in Etruria, in Sardegna lo abbiamo notato
nelle tombe e nelle nuraghe, ^ in America lo
hanno alcune costruzioni messicane dell'antichità
più remota. E che serve andar tanto lontani?
Volgiamo gli occhi all'Oratorio di Falaride a Agri-
gento e alle mura di Praeneste se vogliamo ve-
dere archi acuti antichissimi. È vero che l'arco
acuto dei monumenti citati in generale non è
fatto a cunei come nei monumenti del medio evo,
ma a monoliti orizzontali uno poggiato soi>ra
l'altro.
Notisi frattanto che l'arco acuto è più forte di
tutti gli altri archi e ne ha minore la spinta. È
noto che dati due archi dello stesso diametro e
della medesima grossezza, l'uno a pieno centro,
l'altro a sesto acuto, la spinta di questo sta alla
spinta di quello come 3 a 7 ; ed è noto che basta
dare all'arco acuto i 7* della grossezza e della
> Vedi la prima parte deìV Architettura Italiana,
Dell aremtettura a areh* aeutt, o3
forza dei punti d'appoggio dell'arco a pieno centro
corrispondente perchè l'arco acuto stia su. Ciò
posto non si confonda la origine d'un elemento
di un sistema architettonico con tutto il sistema.
L'architettura non è questa o quella forma, ma
un organismo che ha un carattere particolare.
Se r arco acuto è antico quanto il mondo, il si-
stema architettonico archiacuto ebbe origine in-
vece sugli ultimi del dugento e principiò timida-
mente e fini nel trecento, o poco più, qui da noi,
mentre all'estero si mantenne di più; quando in
Italia le forme classiche già si riusavano da tutti.
Insomma la questione dell'origine dell'arco acuto
è inutile, vana, di veruna importanza per scio-
gliere l'origine dell'architettura archiacuta.
Tali -questioni sulle origini degli stili si somi-
gliano tutte. Vedemmo nella prima parte del
nostro studio sull'Architettura italiana in che
modo ingegnoso fu trovato il rapporto fra le
capanne e l'ordine dorico, da certi scrittori ; non
v' è dunque da meravigliarsi a sentire che anche
l'architettura archiacuta fu vista nello foreste colle
sue guglie appuntate, coi suoi pinnacoli leggiadri,
colle sue agili colonne a fascio;... sicuro! nelle
foreste del nord, in istato embrionale. Il dotto
Warburton, ed altri dopo di lui, rimasero colpiti
dalla rassomiglianza che esiste fra un viale di
alberi in una foresta nordica ed una vasta cat-
tedrale del XIV secolo : — il VSTarburton vide la
cattedrale in un viale d'alberi con le sue navate,
coi suoi filari di pilastri a fascio « i cai robusti
rami protendonsi e spingonsi d'ogni parte, le cui
costole si intrecciano con quelle che partono dai
84 Capitolo ter%o.
pilastri vicini, formando una serie di arcate che
lasciano penetrare la luce da innumerevoli fori
e vanno a terminare in una specie di baldacchino
meraviglioso, imitando tutto il lusso della ve-
getazione delle foglie, del flore e dei bottoni ».
Tale spettacolo, vedeva il dotto Warburton, nei
tronchi poderosi che sMnalzaDo a distanze eguali
i cui rami si riuniscono a una certa altezza e
coprono la via profumata e ridente. Altri autori
ricordandosi che i più antichi sacerdoti del nord,
i Druidi, adempivano i loro riti nei boschi, im-
maginarono che le meravigliose costruzioni ar-
chiacute non erano che dei fac-simile, giusta la
espressione dell* Hope, ^ un pochino abÌ3elliti del-
l' antiche foreste in cui i Druidi abbrucciavano
le vittime umane nei canestri di vinco. Un altro
autore più moderno considerò il sistema archi-
acuto « la copia delle primitive costruzioni for-
mate di tronchi, di rami e di polloni tagliati nelle
foreste indi ripiantati, intrecciati, e, a cagione
della linfa conservata da essi, o da essi tolta ai
circostanti elementi, producenti nuovi germogli
e nuove foglie ».
Basta colle novelle.
È naturale che un novo stile architettonico
non possa sorgere da oggi a domani, ma sia la
conseguenza di forme anteriori le quali a forza
di mutamenti abbandonano la loro origine per
presentarsi finalmente sotto un novo aspetto che
non ha più il minimo ricordo della forma iniziale.
On est toujours Venfant de quelqu'un dice il
* storia dèU'Arehitetturetf pag. 237.
Dell'architettura a archi acuti, 83
balbuziente Bèrid d'Oison nel Mariage de Figaro.
Dunque noi crediamo di vedere nell'architettura
archiacuta la continuazione regolare, naturalis-
sima dell'architettura che la precedette; della
lombarda; ben inteso, subordinata alle esigenze
di paesi e di usi. Per intenderci ci vogliono due
esempi; uno dello stile lombardo, l'altro dello
stile ad archi acuti. Prendiamo la Basilica di
S. Ambrogio pel primo e il Duomo di Milano
pel seconxlo. Queste due costruzioni che racchiu-
dono tutto il lungo movimento stilistico dell' ar-
I chitettura medioevale e apparentemente sono tanto
I disparate, hanno punti di contatto cosi signifl-
; canti da convincerci che Tarchitettura archiacuta
' procede direttamente dalla basilica lombarda e
in Italia non è stata importata nientaflfatto dal-
l'estero.
Ma perchè il confronto riescisse più chiaro ci
vorrebbe un altro esempio che servisse di irait
d'union fra il Duomo e il S. Ambrogio; ci vor-
rebbe la cattedrale di Siena oppure il S. Martino
di Lucca. Ecco dunque una campata del S. Mar-
tino; una parte dell'interno del Duomo di Milano
in prospettiva e una campata del S. Ambrogio (Y.
pag. 44). L'intelligente sarà colpito subito dalla
differenza sostanziale che e' è fra il S. Ambrogio
e il Duomo di Milano. Nel primo domina il mo-
vimento orizzontale nella sua gravità solenne,
nel secondo la linea verticale slanciasi su ardita
e si piega e si contorce allegramente in cento
guise. Se rivolgiamo gli occhi sulla campata del
S. Martino troviamo che le differenze notate vi
si correggono tra di loro. Nella struttura del
Capitolo ferzo.
Duomo di Milano mancano i matronei o il ùri-
forium che non manca in molte altre chiese ar-
chiacute; nò manca al S. Martino dove le linee
S. MartiQO, Lucca. (Moklivo delle campate esterne.)
complessive del triforium per intonarsi colla to-
talità dell'organismo costruttivo hanno sviluppo
verticale ragguardevole, mentre nel S. Ambrogio
hanno sviluppo orizzontale. Sul pilastro a fascio
polis t'ile non e' è da osservare niente avve-
gnaché ci sembri tanto chiara la parentela fra il
pilastro del S. Ambrogio e quello del Duomo (si
Dell' architettura a archi acuti.
87
intende nel movimento icnografico) che è inu-
tile soffermarsi a spiegare il rapporto dei due pi-
lastri.
S. MartÌDO, Lacca. (Motivo dulie campate ioterno.)
È necessario di far qui una osservazione sulle
vòlte.
Si ricordi che le vòlte dei Romani risultavano
dalla penetrazione di due cilindri tagliati longi-
tudinalmente i quali si incrociavano a angoli
retti. Questo sistema di vòlte ha una spinta vi-
gorosissima e deve la sua solidità allo spessore
dei quattro corpi di muratura su cui si svolge
e ^lla bontà della malta romana die delle vòUq
88 Capitolo terzo.
Iacea una massa omogenea. I Romani rafforzavano
inoltre il sistema con archi raddoppiati composti
di archi sporgenti più bassi del resto della vòlta
e dei contraflforti in curva. I Romani non sogna-
rono mal di costruire i cordoni diagonali lungo
le curve della vòlta là ove questa è sospesa nel
vuoto. Questo novo elemento tanto utile per la
stabilità e la prontezza costruttiva delle vòlte è
aflfatto medioevale. Gli architetti del medioevo
che, dopo averlo trovato, ne capirono tutta la
utilità, lo adoperarono sempre. La vòlta medio-
evale si basa tutta sui cordonali diagonali che
diventano la armatura del sistema. I quattro tri-
angoli che risultano non hanno nessuna impor-
tanza statica; sono come i quattro spicchi di una
tenda comune; sicché i triangoli poterono essere
coperti di un leggero strato di muratura. Questa
meravigliosa ossatura che dimostra negli archi-
tetti d'allora grande conoscenza delle operazioni
statiche apportò l'utilità di non tenere di spes-
sore eguale tutto il muro perimetrale della fab-
brica. La spinta delle vòlte si esercitava solo là
ove queste si impostano sui pilastri; quindi l'at-
tenzione del costruttore doveva rivolgersi sulle
parti sostenenti gli archi diagonali che sono le
spine dorsali delle vòlte. Siccome però il peso
veniva tutto a gravare i pilastri e la spinta obliqua
che ricevevano era più forte del solito, perchè
l'arco era acuto, così si riconobbe la necessità
di mettere degli appoggi esterni i quali colla
lor massa neutralizzavano la forza tendente a
schiantare l'arco. — Questi contrafforti, che na-
scono logicamente colla vòlta a costoloni, al-
Deir architettura a archi acuti, 89
l'esterno furono ornati con maggiore o minore
ricchezza a seconda della importanza minore o
maggiore della costruzione. Applicali nelle chiese
oltre a ornarle di fuori servirono a far capire il
numero delle campate in cui erano spartite dentro.
Giacche, è ben notare ora per sempre, l'archi-
tettura archiacuta è l'architettura logica per ec-
cellenza. Come nel regno vegetale e animale non
e' è fenomeno che non derivi da una necessità
organica, così nell' architettura archiacuta alla
istessa guisa che nell'ordine dorico italo-greco,
la costruzione è innestata alla decorazione con
una severità, con una logica da meravigliar tutti.
Se dunque la solidità dei muri perimetrali non
dipende che dai pilastri su cui spiccano le vòlte,
segue pei muri quello che seguì per le vòlte;
cioè i muri che congiungono pilastro a pilastro
non hanno nessuna importanza statica e possono
essere fatti con un sistema di muratura sbriga-
tivo. Ecco l'origine dei flnestroni i quali si veg-
gono lungo le navate delle chiese archiacute e
nelle absidi e nei trànsette, e che troviamo di
aspetto più umile nelle chiese lombarde, dove,
come nelle archiacute, hanno dimensioni variate
e derivano dalla ossatura della fabbrica.
Ma riveniamo al nostro conhronto.
All'esterno del S. Martino abbiamo le gallerie
finte e i pilastroni di divisione che si vedono,
non solo nel S.. Ambrogio , ma in moltissime
chiese alla maniera lombarda tanto in Lombardia
quanto in Toscana: a Piacenza, a Parma, a Pavia,
a Pisa, a Pistoia, a Arezzo. Queste medesime gal-
90 Capitolo terzo.
lerie si trovano poi nello stile archiacuto, dap-
pertutto, nelli interni e negli esterni; a Siena, a
Orvieto, a Assisi; in qualsivoglia costruzione
sacra d'architettura archiacuta. E l'inclinazione
del tetto senza cornice orizzontale è pure comune .
ai tre esempi di chiese che stiamo studiando ; e
molte e molte altre particolarità vi sono comuni
e potremo notarle se qui potessimo fare un 'ana-
lisi minuta coir aiuto di molte vignette e senza
oltrepassare i limiti propostici.
Da ciò che abbiamo detto possiamo conchiu-
dere che l'architettura archiacuta ha la sua ge-
nesi nella lombarda? che le caratteristiche delie
costruzioni del novo stile sono:
a) il costante uso dell'arco acuto;
b) la costruzione delle vòlte con la ossatura
a costoloni diagonali, con pilastri e contrafforti
i quali formano la divisione e la interruzione
delle superflci dei muri;
e) la tendenza d'ogni parte a spingersi insù
e il conseguente trionfo della linea verticale sulla
orizzontale.
Della ostinata controversia circa la paternità
di questa architettura archiacuta le nosti'e con-
clusioni dicono cosa pensiamo. Non ci commo-
vono punto i dotti slanci del signor Milner che
a ogni costo vuole aver trovato in Inghilterra
delle date ed una combinazione di forme spe-
ciali le quali dimostrano che le stile archiacuto
è d'origine inglese; non ci sgomenta nemmeno
la erudizione del cav. Wiebeking di Monaco che
attribuisce a san Bernward vescovo d' Hilde-
sbeim la origine dello stile archiacuto; né ci
Dell'architettura a archi acuti. 91
rende perplessi un momento la logica stringente
di VioUet-le-Duc, o la parola facile e colorita di
Carlo Blanc ambedue convinti ohe lo stile a archi
acuti si partì dal nord della Francia e si intro-
dusse a poco a poco nelle "varie regioni d'Europa:
— niuno dei citati che sono i capi valorosi di
una legione di scrittori che hanno ripetuto il
verbo dei Maestri, niuno ci ha persuaso che la
controversia sull'origine dell'architettura archi-
acuta non sia stata falsata.
Qui non si tratta di fare dello chauviniame in
materia d'arte; si tratta di cercare la verità. Noi
dunque dividiamo così la quistione: — l'origine
dello stile e il suo sviluppo. Da dove originò
questo stile? — Dove ebbe il suo pieno sviluppo?
Rispondiamo alla prima domanda. — Lo stile
archiacuto ebbe origine in Italia e dall'Italia
passò. all'Estero. Alla seconda domanda rispon-
diamo. — Lo stile archiacuto considerato nel
suo compiuto e coordinato sistema ebbe il pieno
svolgimento in Germania più che in Francia, in
Inghilterra e in Italia — anzi men che meno in
Italia 'dove, questo stile non attecchì perchè non
poteva attecchire. Diciamo brevemente da che
sono motivate le nostre risposte. Sappiamo ormai
in cosa consiste lo stile lombardo, sappiamo che
passò in Inghilterra e in Francia per mezzo di
architetti lombardi. Scrive a questo proposito il
signor Corderò nella pregiata sua storia Dell'ar-
ohiiettura italiana durante la dominazione lom-
barda:,.. « San Guglielmo già abate di S. Be-
nigno di Digione (piemontese di nascita) perso-
naggio di alto ingegno, e, secondo le condizioni
98 Capitolo terzo.
di quei tempi, in ogni maniera di arte versatis-
simo, passò in Francia in compagnia dei celebre
abate Chequi san Majolo sul cadere del secolo X.
Quivi (assistito da un drappello di artisti italiani
nel primo anno dopo il mille, gettò a Digione le
fondamenta del nuovo tempio del Monastero di
S. Benigno, ed egli stesso ne fu F architetto:
quella gran fabbrica nella quale collocò trecento-
sessanta colonne fatte venire da ogni parte fu
riputata in quel tempo la fabbrica più magnifica
delle Gallio ed a niun altra simile per la disposi-
zione della sua architettura... nò era pur anco
terminata quando l'abate Guglielmo fu chiamato
dal duca di Normandia Riccardo II verso il 1010
non solo per operare la riforma di quei mona-
steri e a fondarne dei nuovi, ma ancora a diri-
gere egli stesso le fabbriche. Nel corso di venti
anni che vi dimorò attese al pubblico insegna-
mento, vi fondò da quaranta monasteri e ri-
staurò gli antichi. In tutte queste opere — pro-
segue il cav. Corderò di S. Quintino — ebbe a
compagni un buon numero di monaci italiani,
ecc., ecc. > Si noti che anteriormente ali* epoc«
citata la Normandia era paese tanto barbaro che
Io stesso Guglielmo invitatovi innanzi al 1010
rifiutò di recarvisi accennando alle barbarie in
cui si trovava il paese. Il racconto del cav. Cor-
derò è accettato da tutti. Ora se ne risulta che
Tarchitettura lombarda passate le Alpi si piantò
ih Normandia penetrò in Inghilterra, e poscia si
diffuse sul Reno e per tutta la Germania col
mezzo dei monaci soli architettori di quei giorni,
nel racconto suddetto e' è la ragione che ci U
Dell arcmtettura a archi acuti. 93
rivendicare all' Italia 1' origine dell' architettura
archiacuta.
La ragione che spiega la seconda risposta sta
nel fatto da tutti riconosciuto che i celebri edi-
flzi in istile archiacuto sono in Germania: tali le
cattedrali di Colonia, di Strasburgo, di Dima, di
Ratisbona; i campanili di Colonia, di Friburgo,
di Francoforte, d'Ulma, di Malines, di Vienna, i
palazzi comunali di Norimberga, della Borsa di
Magonza (demolito nel 1812) e molti altri palazzi
e case private.
E è qui, in Germania, in Francia, e anche nel-
l'Inghilterra dove l'organismo ad archi acuti si
svolge compiutamente; dove la delicatezza delle
particolarità segna il suo più alto grado di svi-
luppo.
Di mano a mano che questa architettura si
sviluppa acquista agilità e sforza quell'impronta
di gentilezza la quale sta nel suo carattere. Nel
XIV e XV secolo, a Strasburgo, a Norimberga,
a Brou pare rinunci alle leggi della statica per
abbandonarsi tutta alle fioriture. I muri sono
tutti forati da finestroni: manca l'appoggio; se
non ci fossero i contrafforti guai ! la costruzione
crollerebbe. La cattedrale di Strasburgo formico-
lante di ornati e statue fa l'impressione di un
ricco lavoro in oreficeria degno di esser posto
sotto una campana di cristallo per paura che il
fiato lo sciupi.
Insomma non crediamo con V Hope * che 1' ar-
chitettura archiacuta sia venuta in Italia dalla
1 Op. cit. pag. da 268 a 273.
94 Capitolo terno.
Germania; crediamo bensì che dalla Germania e
dalla Francia si sia inoltrata e diflfusa in Inghil-
terra ove acquistò un carattere nazionale qual-
che tempo dopo che lo conseguì in Germania e
in Francia. Difatti la S. Cappella a Parigi con-
sacrata verso la metà del XIII secolo, sfoggia
tutta Taerea leggerezza, tutti gli incantesimi del-
l'architettura archiacuta in un'epoca in cui l'In-
ghilterra appena mostra di avere abbandonato
la vecchia e pesante architettura che precedette
immediatamente quella a archi acuti: la catte-
drale di Salisbury consacrata nel 12S8 informi. *
In Italia se si eccettuano le cattedrali di Milano
e di Assisi, non abbiamo monumenti da poter
dire che Tarchitettura archiacuta ivi ebbe il bxxo
compiuto sviluppo. Ora: — com' è possibile af-
fermare che l'architettura archiacuta italiana de-
riva da quella della Germania quando ì pochi
monumenti italiani di questo stile, hanno una
^ Con buona pace degli Inglesi continuatori della teoria
milneriana bisogna proprio dire che T Inghilterra non presenta
veruna forma archiacuta della quale non se ne trovi in con-
tinente un tipo più antico; mentre molte delle nuove forme
nate in Italia, Germania, Francia e Paesi Bassi non si vedono
mai sul suolo della Gran Brettagna. L' Inghilterra non ha una
cattedrale che si approssima alla vastità di quelle di Milano,
di Colonia, di Parigi, di Anversa, nulla di paragonabile, offre
r Inghilterra, ai campanili di Utrecht, di Anversa, di Malines,
di Ulma, di Friburgo, di Vienna, nulla di fino e leggiadro che
possa ricordare i particolari delle costruzioni di Beauvais, di
Colonia, di Aquisgrana, di Reims, di Bordeaux. Solo la cat-
tedrale di York ricorda il finimento dei cori di Milano, di
Beauvais, di Colonia, di Aquisgrana.
jjtib arvmwuura a arem acuii. yo
fisoDomìa nazionale stranamente lontana dalla fi-
sonomia dei monumenti tedeschi?
Il clima mite dell'Italia si ribellava al sistema
architettonico archiacuto che imponeva i tetti
acGuminati, le piramidi lunghe, aguzze dapper-
tutto, gli archi arrampicanti, i poderosi contraf-
forti per assicurare i monumenti dalle nevi che
su nel settentrione cadono molto più frequenti e
insistenti che da noi. Questo stile non prosperò
in Italia forse perchè gU Italiani abituati al vecchio
sistema lombardo non vollero abbandonarlo per
un altro che non valeva il vecchio; (secondo loro)
forse perchè si avvivò troppo presto in Italia
l'amore dell'antichità classiche onde lo sviluppo
dell'architettura archiacuta venne come stroz-
zato dal ritorno all' arte latina che è, come chi
dicesse, il nostro albero genealogico-estetico.
Non ha torto perciò, il Viollet-le-Duc a rilevare
che lo studio deirarchitettura medioeva in Italia
non può dare che biografie e non una storia e per
conseguenza un insegnamento.^
Insomma l'architettura a archiacuti rappresenta
un novo e solenne trionfo della scienza contro
la tradizione. I suoi monumenti la cui struttura
è basata su princfpi interamente novi, sono la
espressione energica del lavoro libero e indipen-
dente da ogni vecchia convenzione, sono la pro-
testa più vivace contro le leggi del passato.
L'architettura archiacuta anche nell'ornamenta-
zione si scosta dai fogliami fantastici di tutto Ip
» Mnt» sur VArch. — Sixihne entrei., pag. 241.
96 Capitolo terzo.
stile romanzo e vi sostituisce i fogliami imitati dalla
natura tal quali li produce, tìli ornamenti vegetali
sono per lo più foglie di cardo, di édera, di vite,
di rosa, di quercia, di acero, di prezzemolo, di car-
done e s'incastrano nelle modanature che in
questo stile si contorgono, si affondano, si ani-
mano di scuri forti; specie nel nord dove, il sole
non essendo vivace come da noi, è necessario
dar risalti notevoli a tutto, per ottenere effetti
di luce brillanti. Non e' è architettura la quale
come l'archiacuta si sia adornata di una flora
ricca, varia e meno convenzionale.
L'architettura a archi acuti non è inferiore alla
greca nell'ordinare la sua ornamentazione: — lo
scultore e l'architetto lavorano assieme; li move
una sola ispirazione. Nell'arcoacuto la decorazione
non è elemento di sola bellezza ficcato là a caso
frammezzo le linee architettoniche; ma conse-
guenza necessaria all'organismo per completarsi.
Esempio: l'architetto alza il frontone a angolo
acuto in cima alla sua fabbrica; questo frontone
coi suoi spigoli taglienti stacca duramente sul
cielo. Cosa fa l'architetto per rimediar a questo
brutto effetto? Lungo gli spigoli fa arrampieare
delle foglie accartocciate (gattoni) equidistanti,
che oltre a ingentilire la massa del frontone, ac-
cordandolo viepiù cogli effetti minuti delle altre
parti della fabbrica, tagliuzzano lo spigolo retto.
Queste foglie che poi si ritrovano su i baldac-
chini dei tabernacoli e sui frontoni delle porte
sono veramente di effetto eccellente e pare si
rincorrano mantenendo sempre la stessa distanza
fino a che giunte sulla vetta della piramide o
DelV architettura a archi acuti.
97
della cuspide si immedesimano e dan luogo al
fiore crociforme che pare immaginato apposta
per coronare le parti più vistose di una chiesa
cristiana. A questa ornamentazione nervosa e ab-
Foglìa arrampicante.
bendante bisogna aggiungere tutta T altra che
deriva dalla rappresentazione di animali fanta-
stici che fanno ora da mensola a qualche bella
statua di santo ora fanno da grondaia sur un an-
golo, ecc. ecc.
Suir ornamentazione dell' architettura archia-
A. Mblani. 7
98
Capitolo terzo.
cuta sarebbe utile e curioso uno studio diligente.
La conchiusione sarebbe che la logica rigorosa
dell'ossatura delle fabbriche a archi acuti si ri-
Fiore orociforme.
trova nella loro ornamentazione. È proprio cosa
stranissima che fra le tenebre del medio evo
debba essere sorta un'architettura come questa
•la quale rammenta la grazia geniale e la rigoro-
sità statica dell'arte italo-greca.
Dell' architettura a archi acuti, 99
I grandi flaestroni deirarchitettura archiacuta
divisi in due o più parti da leggiere colonne o
liscie a spirale con galanti archetti traforati,
furono abbelliti da immagini di Cristo e della
Madonna, o dà istorie di santi e di profeti con
splendore insuperato di vetri a colori vivaci.
L'effetto delle invetriate a colori è sorprendente.
La loro luce variopinta esercita sull'animo del
cristiano un'impressione dolcissima. L'interno
delle chiese freddo e lugubre si ravviva colla
luce trasformata con splendori d'ametista di to-
pazio e di smeraldo dalle finestre storiate, lun-
ghe, bizzarre, ardite.
Fra mezzo a tanta festività di colorazione le altre
parti del tempio erano mute. Perciò si pensò di
colorire anch'esse con tinte vivaci: — in Francia
specialmente si fece molto uso della pittura po-
licromica. A Parigi, alla Santa Cappella abbiamo
un esempio splendido della decorazione policro-
mica nelle chiese a archi acuti. Quivi la colora-
zione è molto chiara perchè la Cappella venne
restaurata, non molti anni fa, dal Duban, dal Las-
sus, dal VioUet-le-Duc e da Boeswillwald. Tutto
vi è colorito; le vòlte, i pilastri tutto ispira là
dentro la gaiezza del giorno. In Italia ci si limitò
a colorire le vòlte molto sovente a fondo blu e
stelle, quasi a simboleggiare il cielo stellato; e
come nello stile anteriore si dipinsero delle storio
del Cristianesimo qua e là.
100 Capitolo terzo.
COSTRUZIONI RELIGIOSE.
Fino dair epoca di GostantiDO nella Basilica
cristiana si introdusse una modificazione radicale
alla nave longitudinale si aggiunse una nave tra-
versa per modo che la pianta della chiesa ebbe
la imagine della croce. Nello stile archiacuto
questa nave traversa acquistò un'importanza stra-
ordinaria; alle due estremità ebbe le absidi come
la nave longitudinale: talvolta, come nel Duomo
di Firenze, si arricchì di cappelle, e come nel
Duomo di Pisa all'incrociarsi coll'altra nave svi-
luppò un altro corpo d'aggetto che sovente venne
destinato alla sacrestia. La chiesa archiacuta si
distinse poi dalla lombarda nella disposizione dei
pilastri. La campata formata di quadrati (come
nello stile romanzo) fu abbandonata dall' arte a
archi acuti dove \ pilastri furono avvicinati tra
loro, e i campi delle vòlte nella nave di mezzo
formarono dei rettangoli in cui la parte più larga
stabili la nave di mezzo e ogni pilastro portò
la vòlta anche di questa nave. Non si costrui-
rono più le cripte, epperò non si vide il no-
tevole rialzamento della solca, che tutt' al più fu
alta più del pavimento delle navate di due o tre
scalini. Le absidi spesso abbandonarono il movi-
mento circolare e pigliarono il poligonale. Talune
volte come ai Frari a Venezia girò torno torno
al perimetro del coro una corsia formata dalla
continuazione delle ali della nave; e sviluppò
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Dell' architettura a archi acuti. 101
uua serie di cappelle costrutte tra i contrafforti
dell'abside. *
Citeremo qualche esempio.
Il Duomo di Milano cominciato nel 1386. ' È
un fatto che l'aspetto delle eostruzioni archiacute
esistenti in Italia è diverso dall'aspetto del Duomo
di Milano che ricorda certi oggetti di oreficeria
chiesastica anco italiani imaginati da grandissimi
artisti.
Si è bisticchiato tanto sul carattere di questo
Duomo: si è detto francese, tedesco o... ostro-
goto. Per noi il suo carattere è 8uo perchè non
è di alcun altro monumento; che l'arte oltramon-
tana l'abbia sfiorato è fuor di dubbio, ma ciò non
autorizza alcuno a affermare che il Duomo di
Milano è tedesco piuttosto che francese, è turco
piuttosto che assabbeso. L' impressione che si ri-
ceve vedendolo, è certo della più gran meraviglia.
* Un esempio considerevole di questo motivo icnografico
lo porge la Cattedrale di Colonia. Di chiese le cui absidi
sono ornate di cappelle n'abbiamo varie anche noi. Ricor-
diamo il S. Benedetto di Polirone, presso Mantova eretto da
Giulio Romano su pianta basilicale e con abside pentilobata,
e il S. Antonio di Padova.
* Questa data secondo alcuni non è certa; Antonio Ceruti
pone il principio del Duomo tra il 12 maggio e 12 ottobre
del 1386; il 12 maggio 1386 il pio arcivescovo Antonio da
Saluzzo emanò una bolla riguardante il Duomo ed il 12 ot-
tobre 1386 Gian Galeazzo Visconti concede la facoltà di que-
stuare nel contado di Milano per provvedere alle spese dell' in-
nalzamento del Duomo. Ricerche recenti affermano che verso
il 12 di ottobre 1386 la fabbrica era già stata incominciata
(Gfr. Perseveranza 12 maggio 1886).
102 Capitolo terzo.
Se ne deve la fondazione al Duca Gian Galeazzo
Visconti (lS47ti402). Il Gantù però intese a di-
mostrare che la tradizione attribuisce a Gian
Galeazzo la fondazione del Duomo ma colla stessa
autorità con cui ne fa architetto Enrico Arler di
Gmttnd chiamato qui Enrico Gamodia. ^
Il decano degli storici italiani dice che la fon-
dazione del Duomo milanese è dovuta alla devo-
zione del popolo, eorda fidelium. Che il popolo
e' entri è certo. 11 Duomo di Milano fu proposito
principesco imaginato col genio e messo a effetto
col denaro del popolo. Il Duca ordinò, ir popolo
fece. Le questue, le eredità abbondanti, la carità
cittadina, seguiva l'elevarsi della stupenda mole
che col concorso di tante menti veniva sa fin
quasi dal principio con alacrità. Ma dopo per
dubbi insorti, diminuito il primo entusiasmo, in-
cominciò una serie di questioni rinascenti a ogni
poco, che dovevano spesso interrompere il pro-
seguimento dei lavori e turbare la concordia fra
gli artefici.
E gli architetti chi furono?
Questione spinosa. Se si considera il monu-
mento nel suo assieme compiuto, gli architetti
che debbono avervi cooperato furono moltissimi;
ma qui si tratterebbe di sapere chi primo ima-
gioò il modello. Alcuni vorrebbero attribuir la
gloria a uno dei maestri Gampionesi, ultima nume-
rosa schiera dell'illustre coorte comacina, Marco
» Gfr. G. Gantù, Le origini del Duomo di Milano. Giornale
la Perseveranza 22 novembre 1885 e il nostro articolo su tal
soggetto nel Courrier de VAri. Paris, 1 gennaio 1886.
\
-.i^_ ^:^
S, Maria ad
Santa Maria del Fiore e
suo Campanile, Firenze.
DelV architettura a archi acuti. 103
Jacopo Simone da Orsenigo; chi ai Tedeschi
ad Enrico Arler di Gmand; chi a uno scultore e
architetto fiorito un secol dopo la fondazione del
Duomo, rOmodeo; chi allcT stesso Duca Gian Ga-
leazzo. Ma il merito vero pare che vada a un
architetto ducale, a Andrea degli Organi da Mo-
dena che fu il preferito dal Duca sebbene i mi-
lanesi raccomandassero artisti «di Bruges e del
Reno.* È notevole che in seguito si trovi preposto
alla fabbrica e raccomandato dal Duca stesso il
figliolo di detto Andrea, Filippo degli Organi
(tl450) a cui si deve il finimento del Duomo e
la gran rosa viscontea, essendone stato a capo
dal 1400 al 1448.' Si trovano poi a lavorare in
quest' opera colossale naturalmente vari altri ar-
^ Il eh. ìng. Cesa Bianchi architetto del Duomo di Milano
crede che quest'Andrea degli Organi possa essere nientemeno
che il fiorentino Andrea di Gione Orcagna. L'idea è audacis-
sima perchè contro di sé ha anche le ultime investigazioni
fatte dagli annotatori del Vasari sulla vita dell'autore del ta-
bernacolo dell' Or San Michele. Basta vedremo.
■ Questo Filippino degli Organi da Modena che per mezzo
secolo esercitò un' influenza capitaHssima sui lavori del Duomo
ebbe per successore Giorgio degli Organi suo figliuolo ad
istanza della nuova duchessa figlia di Filippo Maria. L' ap*
poggio larghissimo che Filippino ha in tutti, può derivare in
parte anche dai meriti del suo genitore a cui si vuole attri-
buire il primo tracciato del Duomo. Il succedersi di padre in
figlio può essere un argomento in favore di questa opinione.
Dopo Filippino da Modena tengono il maggior posto nei la-
vori del Duomo i Solari durante il quindicesimo secolo. Dal
1490 in là r architetto più interessante del Duomo diviene
Giovanni Antonio Omodeo.
i04 ùapiloto terto»
tisti nazionali e anóo foi*estieri, ma il Fernach,
Marco de Frixono, il De Bonaventuris, il Mignot,
Giovanni dei Grassi (Giovanni da Milano?) Gia-
como e Alberto da Campione sono stati mezzi
diretti al compimento del gran monumento che
sbocciò intero e uno dalla mente di Andrea degli
Organi. —- Così pensa il nostro amico architetto
dei lavori del Duomo signor Cesa Bianchi il quale
ha fatto delle ricerche che desidereremmo veder
pubblicate.
Che nel Duomo di* Milano ci sia influenza fo^
restiera è innegabile; il difficile sta nel convenire
la misura di questa influenza perchè alcuni vo-
glion vedervola grandissima altri limitatissima. A
artisti nazionali — si ridica pure — si veggono
spesso immischiati artisti forestieri; e i nomi di
Niccola di Bonaventuris, di Giovanni di Fernach,
di Giovanni di Friburgo, di Ulrico di Ensìngen,
di Enrico Gamodia, di Giovanni Mignot che fu
l'ultimo degli architetti esteri di qualche merito
qui discesi (ott. 1399) ci capitano sott' occhio
scartabellando gli Annali * clie si riferiscono alla
fabbrica ove lavorarono anche scarpellini e ma-
novali di oltremonte insieme a artefici nazionaU.
Anche il S. Francesco d'Assisi è un monu-
mente d'aspetto diverso da quello comune delle
costruzioni archiacute nazionali. È fama che un
frate Elia, concittadino e amico di S. Francesco
1 È un'interessantissima pubblicazione degna del monu-
mento insigne che illustra. Annali della Fabbrica del Duomo
di Milano dall' origine fino al presente, pubblicati a cura della
sua amministrazione dal volume V al IX, 1877-1885.
Dell* architettura a arehi acuti. 105
impetrasse da Federigo II un valente architetto
per costruire questa famosa basilica; architetto
che il Vasari disse tedesco e che altri più vero-
similmente crede lombardo. A questo architetto
di nome Lapo successe nel governo dei lavori
il discepol suo frate Filippo da Campello a cui
l'anno 1253 papa Innocenzo IV indirizzò una let-
tera in forma di Breve comandandogli di porre
r ultima mano alla fabbrica alla quale era pre-
posto. Sappiamo che la prima pietra del S. Fran-
cesco fu collocata nel 1228 e che i lavori furono
spinti innanzi con tanta alacrità e furono tante
e copiose le offerte per la costruzione della nuova
chiesa che in capo a pochissimo tempo vi potè
essere traslatato il corpo del Santo deposto nel-
l'oratorio suburbano di S. Giorgio.
La basilica composta di due chiese soprapposte
e della cripta è un trionfo dell'arte a archi acuti,
è un' opera splendida che contrasta coli' umiltà
dell'uomo che Dante chiamò serafico in ardore
alla cui gloria venne eretta. E non va conside-
rata soltanto nelle sue linee architettoniche agili
flessuose come steli di fiori, ma va anche apprez-
zata come monumento inalzato alla gloria del-
l' arte pittorica nazionale, perchè S. Francesco è
stato la sorgente di quella sublime arte italo-cri-
stiana che dalle creazioni di Cimabue traverso
alle maestose composizioni di Giotto salì di per-
fezione in perfezione sino alle pitture della stanza
della Segnatura eseguite da Raffaello in Vaticano.
Monumento archiacuto originalissimo e total-
mente italiano nell'ispirazione e nelle forme è il
Duomo di Firenze o S. Maria del Fiore che si
106 Capitolo temo.
voglia dire. Nel 1296 ne furono principiati i la-
vori sotto la direzione di Arnolfo di Cambio, e
da quell'anno si cominciò a fabbricare più o meno
straccamente via via modificando e ampliando il
concetto primitivo. Nel Duomo di Firenze tale è
ora, di Arnolfo non vi è che lo zoccolo da basso
con le sue modanature e uno spazio di sopra a
rettangoli circondati da fasce nere; spazio che
oggi, dopo le modificazioni introdotte più tardi
nel basamento dell'edificio viene a costituire il
dado del basamento medesimo.
La tradizione attribuisce l'erezione di S. Maria
del Fiore tutta quanta a Arnolfo; perchè Fran-
cesco Talenti, Neri di Fioravante, Benci di Giono,
Giovanni di Lapo Qhini, Simone di Francesco
Talenti che ne sono i costruttori^ sono artisti
richiamati in vita da pochi anni; artisti la cui
gloria si riversava per intero sopra lo stesso
Arnolfo di Cambio, Taddeo Qaddi, Andrea Or-
cagna ai quali certamente ne rimane abbastanza
in proprietà legittima da poter restituire, senza
danno, la parto spettante ai diseredati. I novi
studi hanno dimostrato dunque che quel mo-
numento non è escito dalla mente di un artista
solo, ma è l'opera collettiva di artisti, artefici,
claustrali e cittadini che vi concorsero col lavoro
e col consiglio. Lo stile del Duomo di Firenze,
dicevamo, ha un carattere a so : si fonda sur
un sistema policromo d'indole decorativa, sur
una tendenza immanente airorizzontalismo, sulla
forma tabernacolare e indipendente delle porte e
delle finestre e sul coronamento finale per mezzo
di anditi imbeccatellati con parapetti a traforo.
DelV architettura a archi acuti. 107
In quésti particolari sta il carattere delio stile
del Duomo di Firenze y. a d. lo stile archi tet-
tonico florentino per eccellenza e più che a ogni
altro devesi a quel Francesco Talenti che di
giorno in giorno acquista autorità. La parte più
iasione dell' esterno del Duomo fiorentino è la
cupola attribuita in tutto e per tutto al Brunel-
leschi mentre pare veramente che il merito del
bravo architetto fiorentino non istia nelF inven-
zione della cupola, come sì è creduto fin qui, ma
nella sua costruzione. * Certo è che la cupola
del Duomo di Firenze è il primo esempio delle
grandi cupole moderne e anche oggi ad onta di
tante e si meravigliose che he furono edificate
rimane la più considerevole.
S. Maria del Fiore è addirittura mancante della
fioritura di aguglie aguzze, di statue, di pinacoli
che caratterizzano l'archiacuto oltramontano. Nel-
r esterno la linea architettonica è forse un po'
troppo nascosta dalla decorazione policromica;
nell'interno invece domina la linea architettonica.
Una delle prodigiose opere della Toscana, è il
Campanile che sorge al lato di S. Maria del Fiore
e che si cominciò a murare nel 1334 su disegno
di Giotto (1266? 1 1337). Badisi, però: cominciare
non vuol dir finire perchè si ha molte ragioni
di credere che il Campanile come lo aveva di-
* Gfr. Nardini-Despotti-Mospignotti, Filippo di Ser Sruneh
lesco e la Cupola del Duomo di Firenze. Studi. Livorno, 1885.
Vedi un riassunto di questo pregiato lavoro nella Domenica
del Fracassa, pubblicato da noi, perchè il libro ebbe una ti-
ratura poverissima.
108
Capitolo terzo.
>. Maria del Fiore, Fireoie,
Dell'architettura a archi acuti. 109
segnato Giotto era diverso da quello che si vede
ora ove è manifesta la cooperazione di Andrea
Pisano e di Francesco Talenti. * Questa gran torre
che Carlo V reputava degna di essere posta sotto
una campana di cristallo, è esempio splendido
delia maniera archiacuta toscana pervenuta al
suo sviluppo maggiore. La torre di Firenze se è
meno fantastica delle torri archiacute del nord,
per esempio, delle torri di Friburgo, di Colonia,
di Francoforte, di Ulma ne è più solenne nella
sua massa parallelipipeda ragionevolmente slan-
ciata e ornata di formelle e di statue senza ri-
salti soverchi.
A Firenze vi sono altre chiese notevoli in istile
archiacuto : S. Croce iraaginata da Arnolfo di
Cambio (?) (XIII sec.) e S. Maria Novella innal-
zata da due domenicani fra Sisto (f 1289) e fra
Ristoro (t 1283) aiutati dei confratelli, però in
qualità di muratori e scarpellini. * La chiesa di S.
Maria Novella è più allegra della prima nei pi-
lastri slanciati, nell'aspetto totale dell' interno.
Al solito in S. Maria Novella e in S. Croce non
vi sono ornamenti sottili; l'effetto è ottenuto dalle
* Cfr. Nardini-Despotti-Mospignotti, U Campanile di 8. Ma-
ria del Fiore, Studi. Torino, 1885. L'autore riconosce il di-
ségno originale del Campanile imaginato da Giotto in una
pergamena che trovasi a Siena eseguita vivente Giotto tra il
1334 e il 1336. Ci siamo procurati la fotografia della perga-
mena e siamo d'accordo col signor architetto Nardini-Despotti-
Mospìgnotti.
• Cfr. Memoria dei più insigni pittori, scultori e architetti
domenicani, ecc., ecc., del P. L. Vincenzo Marchese. Voi. I,
pag. 53. Firenze, 1845.
Ilo
Capitolo terno.
proporzioni agili e dalla dolce incurvatura delle
arcato. Lo stesso dicasi del S. Petronio a Bologna
S. Petronio, Bolog-.a,
chiesa vastissima principiata nel 1390 su modello
di Antonio del fu Vincenzo (Antonio Vincenzi)
assistito da Andrea Manfredi faentino generale
BeìV architettura a archi acuti.
IH
dei Serviti e incompiuta.* Anche l'interno della
S. Petronio, Bologna. (Motivo delie campato interne.)
* Neil' archivio di S. Petronio a Bologna esiste un modello
in legno rappresentante la chiesa quale sarebbe compiuta colla
cupola sull' incontro dei bracci della croce e due torri alla
fine di ciascun braccio. Fu eseguito da Arduino Arriguzzi nel
1514 come lo prova il Guidicini. L'Algarotti {Opere^ T. VI, pa-
gina 232) tratto in inganno dal secentista Giambattista Natali
pensò erroneamente che il modello fosse antico e Tommaso
Temanza {Vita di A. Palladio^ pag. 57) lo riferì, con sbaglio
accertato, a un tal Arduino scultore veneziano fiorito verso
il 1340. Il marchese Amico Ricci ridando il progetto di S.Pe-
tronio ai veri autori confuse Arduino con Arnolfo di Lapo
(Op. cit, pag. 286). Gfr. Corrado Ricci, Basilica di S. Petronio
in Bologna. Cenno storico in Italia, A. Ili, 1885, n." 11 e 12,
pag. 167 e segg.
112 Capitolo temo.
Certosa di Pavia, bisogna citare in questa nota
breve dei monumenti italici archiacuti. Così pure
sono da nominarsi, fra i monumenti insigni, le
chiese dei Santi Giovanni e Paolo (1390-1430)
forse di fra Benvenuto dalla Cella, dei Servi (1318-
1491), di S. Maria dell'Orto, di S. Stefano e dei
Frari a Venezia (cornine, nel 1280). La chiesa
dei Frari, che è una delle più leggiadre di Ve-
nezia, si vuole eretta su disegni dell'insigne
restauratore della scoltura italiana, Nicola Pisano.
Questa asserzione è fondata su un passo del Va-
sari, nella vita di Nicola Pisano, secondo noi
male inteso, dove il biografo aretino accenna al
fatto che Nicola dette il disegno della chiesa del
Santo di Padova e dalla magnificenza di questa
trae motivo per dire che « il Santo di Padova e
la chiesa dei Frati Minori a Venezia sono fab-
briche amendue magnifiche ed onorate ». Anche
quando l'Aretino avesse decisamente affermato
che le due chiese furono disegnate dal Pisano
v' era da dubitare sulla veracità delle sue parole
notando la differenza essenziale del tipo architet-
tonico fra l'una e l'altra. Ma è inutile insistere:
ormai è dimostrato che Nicola Pisano non ha dato
il disegno per i Frari di Venezia né per il Santo
di Padova cosi come è stato dimostrato che Taddeo
Graddi non architettò V Orsanmichele di Firenze
di cui parleremo e l'Orcagna non dette i disegni
della loggia notissima. Qualunque sia l'architetto
dei Frari il valore architettonico del tempio non
varia; e resta sempre splendido l'abside esterno
poligonale con le finestre archiacute slanciate e
lavorate nell'interno con formelle geometriche,
Orvieto.
Duomi?
ii Siena.
JJelP architettura a archi acuti.
113
cou colonnette agilissime di fattura squisita. À
Verona sono ragguardevoli le chiese di S. Fermo
Maggiore (restaurata nel 1313J, di S. Eufemìa,
Pianta del Daomo di Siena.
del Duomo, di S. Anastasia (principiato nel 1281))
a Vicenza il S. Lorenzo eretto nel 1280. Spin-
gendoci in giù troviamo a Orvieto il Duomo fa-
moso la cui facciata (1310) dovuta ad un artista
A. Milani. . 8
114 Capitolo ierió.
senese Lorenzo Maitani (h. Ì24Q tìv. n. 1310) ha
impronta si schiettamente italiana, nel corona-
mento a tre cuspidi, che volemmo riprodotta aé-
canto a quella del Duomo di Siena di cui è so-
rella germana. Il coronamento tricuspidale mentre
apparisce all'esterno come un ornamento perchè
non ha relazione con la costruzione, per l'interno
del monumento di cui rappresenta la struttura
schematica, è la vera e propria linea organica.
Le cuspidi coronanti tre campate a questa maniera
non si trovano che in Italia nei monumenti citati;
perciò sono una forma puramente sacra. Le due
facciate hanno altri punti di somiglianza. L'in-
sieme però è più magistralmente condotto in
quella d'Orvieto: in quella di Siena è slegato. 1
pilastri a Siena sono poggiati in falso e le orna-
mentazioni troppo abbondanti e minute; a Or-
vieto i pilastri sono più massicci, meglio distri-
buiti e le scolture sono spartite con maggioro
parsimonia. La facciata d'Orvieto insomma con-
tenta di più l'occhio.
Spingendosi fino in Sicilia incontriamo a Mes-
sina la Cattedrale e altre costruzioni religiose
con l'arco acuto ma con la ossatura arabo-bi-
santina.
COSTRtJZlONI HILITÀRI E CIVILt
I Castelli e i Palazzi pubblio! e privati. -» Noq
BÌ può rivòlgere la mente alle costruzioni feudali
di questi tempi senza pensare al Piemonte. 11
Piemonte che fra le regioni d'Italia fu quella ohe
DelF architettura a archi acuti. il5
ìnanténne di più le forme archiacute vanta mei-»
tissimi e notevoli monumenti del XV secolo dei
quali è pressoché ignorata l'esistenza sì per la
lor giacitura si per le successive condizioni sto*
riche del paese. Il carattere generale dell'arte
piemontese del XV secolo è archiacuto ed è clas-
sico neir altre regioni d' Italia. La vita feudale
prevalente ih guest' epoca nelle Provincie pie-
montesi disseminava le dimore delle grandi fa-
miglie nei piccoli villaggi delia piana o su pei
greppi delle vallate alpine.. Ecco come si trovano
nella Valle d'Aosta, del Ganavese, del Saluzzese,
del Monferrato, delle Langhe, pregevolissime co-
struzioni feudali su alcune delle quali vogliamo
fermarci un pò* a discorrere.
Da Ivrea al villaggio di Entrèves rannicchiato
come di freddo ai piedi del Monte Bianco, si fa
dinanzi a noi un numero considerevole di ròcche,
di castelli, di torri. Chi non conosce i castelli di
S. Martino, di Ghallant, d'Ussel, di Ghàtel-Àrgent,
di Montjonet, di Ghatelard?
Fra i molti castelli della Valle d'Aosta del
XV secolo due giunsero a noi inalterati: quelli
di Fenis e d'Issogne già appartenenti ai signori
Di Ghallant a cui furono legato per molto tempo
le vicende di questa vaga e originale regione
d'Italia.
A Issogne ora la casa palpita e vive dai tetti
atla terra in ogni sua parte minuta e riposta. Il
cortile, l'atrio, la scala, la cucina, la dispensa, le
stanze signorili, le stanze d'abitazione comune,
Toratorio, la sacrestia raccontano la vita intima,
feudale, più che non potrebbero volumi interi di
116 Capitolo terno.
storia descrittiva. Il castello d'Issof^ne che nei
primi tempi del XV secolo era divenuto la sede
principale della famiglia Di Ghallant, ora appar-
tiene al pittore Vittorio Avendo il quale im^
pensierito dallo stato di deperimento in cui trò-
vavasi, lo restaurò bene assieme al Pastoris e al
D'Andrade.
Nell'interno di questi castelli le pitture talvolta
s' intrecciano alle scritte bizzarre; è un vago
concerto di colori vivaci che psurlano il linguag-
gio araldico di quei rigidi feudatari del Medio
evo ; è un lavorìo lieto di linee che s'attortigliano,
di foglie che improvvisano mostri sbadiglianti e
ridenti; è una festa di colori e di forme inattesa,
in quelle dimore cupe, accigliate, gravi come il
Ciclope di Vergilio. Il lavoro dissolvitore dei se-
coU ha reso irriconoscibili molti dei castelli Val-
dostani: quelli per esempio, di Graine, di Verrés,
di Gly*di Montmajeur che hanno le mura esterne
intere, e l'interno tutto diroccato.
Accanto a questi castelli ricordiamo il castello
di Pavia (XIV secolo) inalzato da Galeazzo Vi-
sconti, il castello degli Sforza a Vigevano, il ca-
stello di Milano la cui prima origine risale alla
seconda metà del XIV secolo — severo maniero
durante la ferrea dominazione viscontea, questo
castello detto di Porta Giovia, si tramutò in reggia
splendida, in un museo d'arte, sotto la dinastia
sforzesca amante di tutte le raffinatezze. Ricor-
diamo altresì il castello di Ferrara dove gli Estensi
tennero la loro splendida corte, il Castel Novo di
Napoli la cui fondazione viene attribuita a Gio-
vanni Pisano (1250 circa f dopo il 1S28) e che
Dell'architettura a archi acuti, 117
fa finito nel XVI secolo sotto il governo di D.
Pietro di Toledo, e il castello di S. Martino di
sopra Zena detto dei Manzoli (distante da Bologna
22 chilometri) che si può dire l'ultimo dei castelli
alla maniera antica (XIV e XY secolo)/
I palazzi di Città, o come si dicono meglio del
Comune, si somigliano tutti nella loggia a pian
terreno e nel carattere di severità. Il più bello
di tutti in Italia è il Palazzo Ducale di Venezia
stato creduto dell' architetto Filippo Calendario
nelle due facciate che prospettano la laguna e la
Piazzetta. Ma chi assicura che siano di lui? Il
Cicognara; ma i documenti no. I documenti fanno
i nomi di Pietro Baseggio, di Giovanni, di Bar-
tolomeo e di Pantaleone Bon ' e d'altri di artisti
del Rinascimento. £ certo che la parte del Pa-
lazzo volta dal lato della Piazzetta fu cominciata
a rifare nel 1422: è superfluo rilevare che lejso-
struzioni tli questa importanza è difficile appar-
tengano a un solo e a una sola età. Nel Palazzo
^ Su questo castello eostrnito in parte sur uno più antico
(il castello dei Gaccianemici) V attuale proprietario conte Felice
Gavazza ha pubblicato una elegante e artistica brochure neiÌA
quale si trovano notizie intorno la sua architettura le diverse
sue vicende, i restauri eseguitivi negli anni 1883-84-85 dacchò
è posseduto da detto signor conte Gavazza. Gli scritti sono di
A. Rubbiani, G. Ricci, 6. R. Rombello (questo di Rombello è
del XVI secolo) le illustrazioni di A. Sezanne. Tip. Azzoguidi,
Bologna, anno MDGGGLXXXV. La brochure non dev' essere in
commercio.
« Gfr. Gualandi, Memorie orig. italiane riguardanti le Belle
jHif Serie VI, Bologna, 1845, pag. 108.
118 Capitolo terzo.
Ducale vi sono opere di scoltura come il capi-
tello detto dei Matrimonio, eseguito tra il 1312 e
il 13^8, e il capitello d* angolo verso la chiesa
scolpito verso il 1438. Nientemeno con più d'un
secolo di distanza! ,
Non vi è costruzione più robusta, più varia, e
al tempo i^tesso più galante di questa del Palazzo
dei Dogi. Sugli archi gravi del primo pianò,
degno piede di tanto corpo, si svolge una catena
leggiadrissima di archi a quadrilobi forati, la cui
leggerezza spicca viepiù sulla massiccia muraglia
ingentilita dal disegno geometrico dei marmi
bianchi e rossi e dalla merlatura che spicca sul-
r azzurro del cielo. Nel mezzo della catena di
archi, un fineslrone accorda il movimento oriz-
zontale che domina la facciata del Palazzo, con
il verticale; e il finestroùe ricco di aguglie, di
piramidette, di statue s'inalza sulla linea dei
merli e la bipartisce nel mezzo con eccellente
effetto di tutto l'assieme. Dell' istesso tempo del
Palazzo Ducale è la cosiddetta Porta della Garta^
che dei monumenti archiacuti dell'Italia, è uno
fra i più fioriti di statuette e colonne ; è un
monumento che ha pregi di composizióne e di
fattura ammirabili. È opera di Giovanni e di
Mastro Bartolomeo Bon, * il più insigne di una
famiglia di artisti che onorarono l'arte archiacuta
* Si confuse questo Bartolomeo Bon con un altro Barto-
lomeo Buono morto nel 1529 e di cui parleremo. Naturale
che questo Buono non poteva essere autore di un'opera
eretta ottantasei anni prima quale h la porta della Carta dove
è inciso: opvs Bartolomei,
Dell' architettura a archi acuti. 119
ia Venezia, e forse autore del Palazzo Foscari sul
Canal Grande. ' A volere accennare soltanto i
Palazzi del Comune eretti in questo periodo ci
sarebbe da empire pagine quante se ne volesse.
Avremo occasione di citare il Palazzo Comunale
di Siena, di Udine, citeremo quello di Como, con
trifore bellissime alcune ornate di colonne ge-
melle annodate nei lor fusti (colonne poco co-
muni in Italia e dette ofitiche) citeremo il pa-
lazzo del Comune di Bergamo, di Cremona, quello
di Gubbio (1332?-1346) dovuto a Giovannello
Maffei detto il Gattapone.
^ I palazzi privati di Venezia, o meglio del Ve-
neto — di Venezia, di Verona, di Padova, di Vi-
cenza, ecc., sono moltissimi. Accenneremo oltre
il Palazzo Foscari, i Palazzi Cavalli, Pisani, a
S. Polo, Toppan, Cicogna, Contarini-Pasan, Giu-
stiniani, Ca' d'oro per Venezia, le cui facciate
ad archi variamente intrecciati si somigliano tra
loro per una tal disposizione la quale è bene se-
gnare. — Queste bellissime fabbriche che uni-
scono in felice connubio il genio orientale e l'oc-
cidentale hanno tale un'armonia di colori e di
luci nelle cornici, nei capitelli, nei leggiadri fori
da far dimenticare l'assoluta mancanza di sirae-
tria tanto cara ai classicisti e tanto comoda agli
architetti. La Ca' d'oro si può dire la più bella
di queste fabbriche veneziane. Si vorrebbe at-
tribuire a Filippo Calendario al quale venne at-
tribuito dal Cicognara (lo vedemmo poco più insù)
Cicojfnara, Fabbriche di Venezia^ v. I, pag. 119.
120
Capitolo terzo.
il disegno delle due bellissime facciate del Pa-
lazzo Ducale che sono a lui posteriori. Questo
architetto e scultore (f nel 1424) esaltato dal Ci-
cognara, dal SGlvatico e dai documenti sincroni
andrebbe studiato per sapere quali ftibbriche e
sculture facesse^ perchè per ora la sua operosità
artistica è avvolta nelle tenebre.
Guardiamo la Ga' d' oro. Si noterà che non ò
divisa simmetricamente giacché l'ala destra ha
una finestra di più dell'ala sinistra; questa fi-
peptra fa parte bensì di un corpo che gemerà u«
k
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Palaia Cd
grWSLùmm^ M ri, Anii mm
Èie di Udii3€.
Dell'architettura a arehi, acuti. 121
appendice alla facciata. È foi*s6 uno sconcio? Forse
la facciata ò meno leggiadra e simpatica per
questo? Di quanta agile grazia non fanno mai
sfoggio le finestrelle' ingegnosamente aggruppate
e le merlature e i nastri che corrono dappertutto 1
Il Gicognara notò che in questa facciata « tutti
gli stili si veggono riuniti/ » però avrebbe po-
tuto dire che l'assieme è armonico e ha carattere
affatto paesano che sta tra Torientale e l'occiden-
tale. Sono noti i rapporti che ebbe Venezia col-
r oriente; da ciò l'influenza orientale nella sua
architettura di questi tempi. Si sa, l'arte varia a
seconda delle tradizioni e degli usi paesani e
spesso anche a seconda del concetto di un artista
possente e quindi imitato.
Dicevamo che le facciate dei Palazzi veneti si
somigliano molto nella spartizione della massa.
Difatti quasi tutte sono spartite in tre campate
di cui quella del mezzo è la maggiore. Al piano
terreno sovente vi è i^n loggiato come alla Ga*
d'oro diversamente una porta più o meno or-
nata di scolture con finestre ai lati o semplice-
mente rettangole o a colonne a seconda del gusto
del costruttore. Costantemente le tre campate
hanno una linea di loggìe a archetti sostenuti
da colonne; e davanti terrazze a pilastrini e ba-
laustri e formelle ingegnose di delicato disegno.
Tal linea di loggie generalmente non continua
come nella Ga' d'oro , è spartita in tre da un riposo
piano ornato alcune volte di targhette, che è un
egregio contrapposto al movimento di rette e
i fcibhri^he (?» Yenesiia, lia W d'Qro,
122 , Capitolo terzo.
curve delle loggié. Di questa disposizione ab-
biamo anche un esempio nel Palazzo del Comune
di ndine restaurato non molti anni sono. L*Hope^
notando la disposizione che abbiam notata, os-
serva giustamente, che a Venezia, dove Tistesso
individuo riuniva il duplice carattere di nobile e
di negoziante, facevano d' uopo magazzini spaziosi
per le merci e vaste sale per le adunanze; quindi
in tutti i palazzi notevoli, il centro dell' edifizio
doveva essere occupato da un solo stanzone
estendentesi da un capo air altro dell' edifizio.
Tutte le sale, i corridoi e gli appartamenti desti-
nati aHe persone della casa comunicavano perciò
a destra e a sinistra con questa unica sala; e sic-
come era profondissima, relativamente alla sua
larghezza, così per illuminarla era necessario di
far nelle facciate una fila di finestre vicine le
une alle altre, ovvero ordinare una sola finestra
continua suddivisa soltanto da pilastrini e da
incorniciature intermedie.
Nel Veneto sono più vaghi, più ornati che al-
trove i palazzi; e doveanó essere proprio splen-
didi quando le facciate erano allietate da pitture
a colori smaglianti come si veggono ancora un
po' rovinate su alcuni palazzi a Venezia, e su
altri a Padova, a Verona, a Vicenza.
In Toscana l'architettura archiacuta è, diremmo,
più romana che nelle, altre regioni d' Italia. Di
già se eccettuiamo Siena, in Toscana vi sono
pochissime costruzioni civili nello stile archiacuto,
Op. cit., pag. 221 è segg.
Dell'architettura a archi acuti, \ì%
e Siena ha un tipo a parto tutto suo; proprio
senese di architettura di questo genere. L'archi-
acuto conserva anche qui l'impronta severa ca-
ratteristica di questo stile, però l'arco acuto di
Siena è più snello; ha un garbo un po' duretto
confrontato ali-arco acuto di qualsiasi altro paese
d'Italia; si direbbe inglese la incurvatura dell'arco
acuto senese, ed oltre a ciò l'arco acuto senese
comprende fra le due curve un arco ellittico,
quasi un'arco tudor, che fa da architrave all'arco
acuto. È una struttura stranissima che vediamo
soltanto a Siena ove sono numerosissimi i pa-
lazzi da studiare in questo stile a archi acuti.
Siena è una città che ha tuttora l' aspetto me-
dioevale appunto pei^ i suoi palazzi e anche per
certe costumanze cittadine. Fra i palazzi belli
e' è quello Bonsignori, quello Tolomei (1205) en*
trambi fatti a mattoni scoperti; ma il più note*
vole di tutti è quello del Comune (1289-1305) jl
tre piani, con finestre trifore agilissime, e la Torre
la quale gli sta accosto di una slanciatezza audace.
A Pistoia vi è il Palazzo del Comune (1295-1853)
che ha un valore assai considerevole, e il Palazzo
Pretorio (1367) addirittura trasformato da un pes-
simo, restauro eseguito dal 1839 al 1846. A .Fi-'
renze è notevole la Loggia dei Lanzi (princ. 1376)
attribuita erroneamente a Andrea di Clone Orca-
gna pittore, scultore, architetto fiorentino mentre
è di Benci di Cione e di Simone di Francesco
Talenti, architetti reputatissimi in questi tempi;
il prinjo dei quali, morto nel 1388, lavorò in
Or S. Michele di cui parleremo. La Loggia dei
Lanzi comecché abbia gli archi a tutto seato, no»
124 Capitolo terzo.
tanto per Tepoca in cui veone eretta quanto per
la slanciatezza dei pilastri a fascio e per le par-
ticolarità ornamentali caratteristiche del sistema
archiacuto liorentino, la additiamo ad esempio
splendido del genere archiacuto toscano. Vi sono
arditissimi gli archi che spiccano da pilastro a
pilastro ornati nel contorno esterno di modana*
ture che fanno parte degli agili pilastri; e di
brillantissimo effetto è il suo ballatoio sorretto
da una serie d' archetti trilobati. Questa specie
di coronamento lo troviamo anche nel Palazzo
di Or S. Michele, uno dei palazzi più ragguarde-
voli di Firenze, principiato poco avanti il 1337.
Anche la costruzione deirOr S. Michele sì attribuì
per lungo tempo airOrcagna. Ma tutti gli storici
non accettano favorevolmente questo nome; e Io
vogliono sostituito chi da quello di Taddeo Gaddi,^
chi da quello di Simone Talenti, chi da quello
di Neri di Fioravante, ohi da quello di Benci di
Clone. Veramente non si sa chi primo fu pre-
posto alla costruzione di cui ci occupiamo che si
suole considerare spartita in due; la Loggia e il
Palazzo ; e' è chi mette innanzi con molta auto-
rità il nome di Francesco Talenti per la Loggia
e quello di Simone Qgliuolo di Francesco per il
^ Taddeo Gaddi non ha assolutamente lavorato nella log-
gia di Or San Michele. Eppoi, quando fu architetto il Gaddi?
Leggasi il commentario alla vita di lui pubblicato nelle Opere
di Q, Vasari. Voi. I, pag. 587 e segg. (Ediz. Sansoni). Vi si
prova che il Gaddi non lavorò nella loggia d' Or San Michele,
né nel Campanile di S. Maria del Fiore, né può aver dato il
modello del Ponte Vecchio e del Ponte a 3. Trinità,
3'
Dell'architettura a archi acuti. 12S
Palazzo che si cominciò dopo il 1380. La costru-
zione sia di chinnque il suo valore artistico è in-
variato : e il vago intrecciamento nelle finestrate
del pian terreno e la snellezza nelle bifore del
primo e secondo piano del Palazzo e il delicato
ballatoio, rimangon sempre parti degne di studio
diligente.
Poiché abbiamo accennato a talune caratte-
ristiche dell' arcoacuto di Toscana non è male
che richiamiamo V attenzione degli studiosi su
l'uso di associare gli archi ellittici agli acuti, e
lo facciamo con il bel disegnetto di una casa
di S. Gimignano (Toscana).
In Toscana son moltissimi i palazzi di questo
genere con archi voltati come qui; con bifore
agili non fiorite di fogliami, con muraglie forti e
liscie e tettoie sporgenti che proiettano sul muro
una massa ampia di ombra di effetto grandioso.
Le tettoie sporgenti sono la nota più caratteristica
delle costruzioni civili toscane. Coi beccatelli,
con gli archi e con la merlatura non finivano
che le torri o i palazzi di cittadini faziosi, le
mura delle città o i palazzi del Comune. É troppa
caratteristica alle costruzioni toscane la tettoia
sporgente nei palazzi di quest' epoca e nella suc-
cessiva perchè si possa fore a meno di darne un
esempio. Quivi, come sempre, il legno è innestato
alla pietra e legno e pietra svolgono assieme un
motivo simpatico che impressiona vivamente chi
lo vede la prima volta. L'esempio che mostriamo
è tolto da un palazzo senese del XV secolo;
epoca nella quale siffatte tettoie erano usatissime.
A Cremona la Loggia dei Gonfalonieri attri-
126
Capitolo terno.
buita all'architetto Pecorari è pure ragguardevole.
Vaghissime finestre trifore danno luce a un ampio
salone nella parte superiore. Nella parte inferiore
gli archi erano aperti e davano accesso a ud
portico ove si custodiva il Caroccio. Cessato l'use
di questo arnese da guerra vennero chiusi gì
archi e col praticarvi sconcie e basse botteghe
e una scala esterna a monte, Tedifizio venne de-
]jQ^a àéi ^opb
^^*"tij Cremona*
^ BelV arehiiettura a archi acuti. 127
turpato in quella guisa che lo presenta la nostra
vignetta. *
Ma se continuassimo di questo passo sconfine-
remmo. Ci pare anche senza altri esempi che lo
studioso possa essersi fatto un concetto suffi-
cientemente esatto dello stile archiacuto italiano.
La cui nazionalità spiccherà di più a confrontare
qualcuno dei monumenti di questo stile fra quei
ehe abbiamo accennato, con alcuni forestieri:
confronto che consigliamo di fare allo studioso
diligente servendosi delle opere che giudicherà
più opportune fra le varie che gir si sono in-
dicate.
' Abbiam sentito che questa beUa Loggia è stata restau-
ftia dall^ architetto cremonese signor Marchetti. Tanto meglio
IL KINASCIMENTO
E IL CINQUECENTO.
A. Melami.
CAPITOLO IV.
D£LL'AB€HIT£TTURA DEL BIICASCIMENTO
E CINQUECENTO *
Osservazioni generali.
Da lungo tempo, fino dagli ultimi lustri del Tre-
cento, tutto principiava a vivere un vita nuova.
Evidentemente eravamo sulla soglia di un mu-
tamento; la luce e l'aria erano penetrate con no-
vello vigore negli intelletti; assurgevasi dalla
preghiera, dal sacrificio, dal patimento e lo gi-
nocchia dapprima stracche cominciavano a ria-
bituarsi alla ginnastica del moto. I fatti memo-
rabili del XV secolo apportarono alla società il
cambiamento che indaghiamo.
Il rinascimento della letteratura antica e delle
arti antiche portò seco i grandi mecenati e gli
studiosi innamorati doirantichità; l'invenzione di
Gruttenberg accomunò i popoli e diffuse il gusto
^ A qualcuno parrà strana la distinzione fra Rinascimento
e Cinquecento : eppure in ' architettura bisogna farla ! — Si
vedrà perchè nelle pagine seguenti.
i32 Capitolo quarto.
degli studi; la scoperta di Colombo scosse gli
intelletti prodigiosamente. Insomma in questi
tempi nella vita sociale e nella politica, nell'arte
e nella letteratura si manifestò tutto un novo
indirizzo.
Gli uomini di guest' epoca dominali da un'ar-
dente bramosfa di sapere, di emanciparsi da tutto
ciò che può, anche apparentemente, impedire la
ricerca scientifica, vogliono riannodare le tradi-
zioni interrotte coll'antichità, e rivivere nella ci-
viltà greco-latina. Ognuno dei grandi uomini di
quest' epoca rappresenta per dir così uno degli
elementi di trasformazione dello spirito medioevo,
riproduce uno dei nuovi aspetti dell'attività umana.
Alle arti sono cari specialmente i nomi dei
Brunellesco e di Donatello, alle scienze storiche
aventi affinità colle arti il nome del Bracciolini,
la realtà la grande rinnovazione artistica del
XV secolo ha il suo punta di partenza nel me-
morabile viaggio, che circa il 1403, fecero a
Roma il Brunellesco e il Donatello. ^ Quanto a
Poggio Bracciolini, è noto che rovistando per
gli archivi aveva esumato, oltre a varie opero
insigni, un'opera di architettura che dava re-
gole, indicazioni su. la maniera di costruire latina.
Il lettore ha capito che vogliamo riferirci ai Li-
bri deir architettura di Vitruvio di cui è discorso
con qualche larg^hezza nell'ultimo capitolo del
lirimo volumetto. -Precisamente; Poggio Braccio-
lini (li^80tl459) aveva trovato i libri di Vitruvio.
^ Gfr. Muntz, Lea Précursèurs de la Renaissance, pag. 54,
Paris, 1882.
Architettura del rinascimento^ ecc. 133
In lui salutiamo dunque uno degli uomini che
hanno reso i più segnalati servigi agli studi sto-
rici, uno degli uomini che hanno dotato i'ar-
ctieologia di inapprezzabili strumenti di lavoro. *
1j' entusiasmo con cui venne accolta la scoperta
dei libri di Vitruvio è più facile immaginarlo che
descriverlo.
Basta dire che l'Alberti, il precursore di Leo-
nardo, basò tutta la sua vasta opera Ve re aedi-
ficatoria sulle teorie vitruviane che rischiarò da
quanto vi ha d'intralciato e d'oscuro; e che i libri
di Vitruvio divennero il vangelo dell'architettura
per essere stati scritti da un'architetto latino. I
dieci libri De re aedificatoria segnano un novo e
importante periodo della storia di quell'arte no-
bilissima;' perocché se innanzi che venissero alia
luce si ora cominciato a abbandonare lo stile
erroneamente detto gotico, se per gli esempi del
Brunellesco si bandiva intieramente dagli edifici
sacri e profani, per mezzo degli scritti di Leon
' V. Shepherd, Vita di Poggio Bracciolini, Firenze, 1825.
' Questo Trattato di architettura ha alquanto dello strano.
Composto dietro invito di Lionello d*Este, tradotto in latino
dall' autore verso il 1452 offerto a papa Niccolò V comparve
definitivamente nel 1485 per le cure del Poliziano che lo de-
dicò a Lorenzo il Magnifico. V'è per esempio nel Lib. IX del
cap. V che l'Alberti con uno sfarzo di immaginazione tenta
di applicare all'architettura i principi della musica. Dà con-
sigli essenzialmente pratici come questo al lib. X cap. XV.
« Quomodo seig)entes, culices, cimices, muscae, mures, pulicGS,
tinae et id genus molesta nocuaque perdantur et arceantnr »
che si alternano a squarci di estetica trascendentale e dap-
pertutto una varietà, un eclettismo inaudito.
134 Capitolo quarto.
Battista Alberti si divulgarono le idee nove sul-
Tarte architettonica. E cosa dire di quel bizzarro
ingegno di Francesco Colonna (il Polifilo)? Egli
volendo dar saggio dei suoi gravissimi studi con
un' opera sola e rendere così familiari le dottrine
vitruviane, scrisse un romanzo artistico (1467)
al quale pose un nome greco sesquipedale da
atterrire il più coraggioso leggitore: la Hypne-
rotomaehia di Poliphilo ossia Pugna di amore
in sogno. Nel qual sogno, quanto mai si possa
fantastico e bizzarro finse di aver veduto tutti
gli oggetti di belle arti che ci vien descrivendo,
e gli siano accaduti tutti i casi amorosi che oc-
cupano non meno di un grosso volume in foglio.
Persino quelli che non erano architetti dovevan
conoscere i libri di Vitruvio!
Pazienza I — Nel Quattrocento la diflfusione di
questo vangelo era ancor limitata; nel Cinque-
cento poi, mercè l'uso maggiore della stampa
questi libri penetraron dappertutto; i traduttori
e i commentatori sorsero numerosi; e da Fra Gio-
condo * il primo serio illustratore di Vitruvio, ai
nostri giorni, ne sono state stampate migliaia e
migliaia di copie in tutte le lingue.
Badisi di non sbagliare il primo periodo del
Rinascimento col secondo; nel primo che va dal
Quattrocento fino circa al primo ventennio del
Cinquecento le forme latine sono imitate timida-
mente, nel secondo che dal Cinquecento va fin
* La prima edizione di Vitruvio che fece Fra Giocondo è
di Venezia del 1511 ed è dedicata a Giulio II, due altre (1513
e 1523) sono dedicate a Giuliano dei Medici.
Architettura del rhìoadmento, ecc. 135
quasi al Seicento, fin dopo Hicbelangiolo (1475
1 1364), l'architettura abbandona la propria in-
dipendenza e diventa umile imitatrice della ro-
mana. Divideremo dunque cosi il periodo storico
che studiamo:
1.* Periodo; ohe diremo addirittura — Il
Rinascimento ; *
2p Periodo; ohe diremo — Il Cinquecento.
Lo sviluppo dell'architettura del Cinquecento
potrebbe poi essere suddiviso in duo fasi: quella
che imita il classico e Taltra che se ne discosta
per iniziare l'architettura del Seicento. Ma è inu-
tile far la suddivisione quando si sa che allorché
si parla di architettura del Cinquecento s'intende
riferirsi alla classica del Palladio, del Vignola,
dello Scamozzi, ecc.
Fondere le tradizioni antiche nella civilizza-
zione del proprio tempo: quésta era la formula
originale a cui sì ispirava il Brunellesco nell* ar-
chitettura e il Donatello nella scoltura; formola
che l'Alberti non accettò sempre integralmente
volendo andar più in là, volendo restaurare l'arte
classica quale si presentava alla sua mente eru-
* Con questa parola Rinttscimenio si volle significare l'arte
che abbandonò lo stile medievale per le forme di Roma an-
tica. Ma implicitamente con essa si vollero condannati gli
stili che si dilontanarono dallo stile di Roma antica. Ciò che
abbiamo detto intorno V architettura del Medio evo ci di-
spensa dal notare l'erroneo giudizio di coloro che credettero
rinata V arte sol perchè tornò ad ispirarsi a Roma. Noi ado-
periamo la parola Bwascimento a significar V idea rinata nel
Quattrocento di ispirarsi a Roma antica.
136 Capilolo quarto.
dita nelle sue linee sempiici e grandiose senza
tener conto di tutto il tempo trascorso tra la ci-
viltà classica e la moderna. A ogni modo sta in
fatto che nel Rinascimento gli architetti non ab-
bandonarono le forme organiche antiche per le
romane; ina àdornaron queste alla latina con archi
a pieno centro con colonne di un sol fasto con mo-
danature latine e adoperando spesso la bifora nelle
finestre; perciò la trasformazione deir architettura
parlando a rigore, fu più apparente che reale nei
Quattrocento. Ecco perchè non siamo meravigliati
di coloro che dicono che lo stile architettonico
di questo periodo è stile di transizione. Non
che non abbia caratteri propri ma questi carat-
teri non spiccano cosi da far dimenticare le forme
precedenti da cui scaturirono. Se nel Quattro-
cento non vedessimo, come vediamo, ancor vive
alcuno forme deirepoca anteriore, mancheremmo
dell* anello di congiunzione fra il classico puro^
imitatore e lo stile archiacuto. E tale anello non
manca mai nella storia deir attività umana; —
sarà più o meno evidente a seconda che i travol-
gimeuti sono stati più o meno improvvisi, ma
l'anello e' è sempre. *
^ Su questo argomento indichiamo allo studioso il bellis-
simo lavoro del Burckhardt, Geschichte der Benaissanee in Italien
2/ ediz. Stuttgart 1878, e anche gli ingegnosi studi del Gebhart,
Les Origines de la Renaissance en Italie. Paris, 1879. È inte-
ressante lo studio del Janitschek, Die Geséllschaft der Renais-
sance in Italien und die Kunst e lo indichiamo a quelli che
vogliono essere specialmente informati dei rapporti tra lo
Stato e le Belle Arti in questo tempo (pag. 73 e segg.).
Architettura del rinascimento^ ecc. 1S7
Nel secondo perìodo, cioè nel Cinquecento, la
architettura segue servilmente le regole dettate
da Vifruvio; gli ingegni s'innamorano dell'ordine
e della fredda regolarità dello stile classico e vi
atrofizzarono la fantasia. Il Palladio, neir architet-
tura di questo periodo risalta fra tutti gli archi-
tetti contemporanei, e, con lui Iacopo Sansovino,
il Serlio, il Vignola, lo Scamozzi, il Daponte re-
cansi a Roma a studiare V architettura romana
che riproducono nelle ornamentazioni e nell'or-
ganismo costruttivo in quella guisa che è pos-
sibile coi loro tempi. Yolfango Goethe il quale
viaggiò l'Italia, portandosi dietro, sempre, la pe-
sante edizione dei Libri del Palladio^ visitando
il Convento della Carità a Venezia notò che quivi
il Palladio aveva inteso inspirarsi, alla magnifi-
cenza ospitale dei ricchi dell'antichità.
In Palladio si compendia il periodo architet-
tonico del Cinquecento che si fa schiavo dell'ar-
chitettura pagana e trionfa iu nomo delle anti-
chità classiche.
Perciò nelle costruzioni di stile cinquecenti-
stico troviamo sempre il capitello corintio e la
base attica ornata di abbellimenti alla romana e
di finestre con frontespizi — imitazione non priva
di logica delle masse dei pronai romani — e alti
colonnami e archi girati sull'alette come si veggon
nel Teatro di Marcello e nel Colosseo. 11 Rinasci-
mento più Ubero e più spigliato del Cinquecento
si giova di molta fantasia nei particolari da cui
trae tanta festività; il Cinquecento è goffo e
monotono a confronto del Rinascimento. La ma-
niera d'ornamentare di questo stile è veramente
138
Capitolo quarto.
splendida; le sue eandelabrine, i suoi fregetti, i
suoi minuti fogliami non hanno nò troppo né
Fregio del Rinascimento
di ona porta da S. Maria delle Zattere, Venezia.
poco rilievo; sono sagacemente equilibrati nei
riposi e modellati con speditezza. Ofifriamo la porta
del palazzo del Governatore a Roma che special-
mente sotto il rispetto della decorazione è una
delle più belle, delle più ricche di quest'epoca.
Nel Cinquecento tali fregi sono più rari, anzi non
si veggono quasi più; i festoni, le aquile, i ma-
scheroni sostituiscono i girali galanti, i vasi fio-
riti, le baccelliere; e il Cinquecento aumenta i
rilievi, ingoffisce le modanature, tutto regolarizza
tutto allinea. Le fabbriche del Rinascimento^ in
Toscana, ogni tanto si aiTicchiscono di terre in-
vetriate dei Della Robbia e ne traggono singoiar
vaghezza. In Lombardia la terra cotta per la sua
malleabilità offre modo agli architetti di sfoggiare
ornamenti sottili agilissimi.
Ma dopo tutto, questa mania di ricercare nel-
l'arte architettonica latina le forme di quella del
Quattro e Cinquecento è realmente da considerarsi
un avvenimento lieto per Tarte? Non ci pare. È
evidente che col Rinascimento viene precluso lo
Architettura del rinascimento^ ecc. 1S9
sviluppo dell' arte medieva e iniziato il regno
del convenzionalismo architettonico del quale se
ne sente tuttora le conseguenze tristi.
Porta nel palazzo del Governatore, Roma.
Li' architettura, dall'età primitiva sin qui, sì è
vista cangiare in vari modi liberamente, sempre
con forme nuove adatte ai vari costumi e ai vari
140 Capitolo quarto.
tempi; da ora ia là rotte le tradizioni secolari,
si fa schiava dei voleri altrui per detto e fatto
di una coltura nova che spadroneggia; o meglio
di una coltura che rinasce dalle rovine di una
antica che lasciò profondissime traccio di sé. Il
Rinascimento è un' età la quale nel suo complesso
non può che ammaliare gli spiriti elevati ; ma giu-
dicata spassionatamente sotto il solo rispetto ar-
chitettonico, no, non può sodisfare chi ama nel-
l'arte la libertà. Perchè non si può rinnegare,
come rinnegò il Rinascimento, tutto a un tratto
un passato glorioso.
Noi ammiriamo tuttavia le belle prodazioni
dell'arte del Rinascimento, perchè siamo soliti
di pigliare e stimare il buono ovunque si trovi
ma quando pensiamo all'assurdità di quest'arte
e, peggio, alle conseguenze che ne derivarono
non possiamo che compiangere tanta energia ma-
lamente diretta.
È evidente che il Rinascimento portò nel suo
amore verso l'antichità pagana più entusiasmo
che riflessione.
— Ma i tempi volevano così.
— E sia pure. Noi siamo architetti e abbiamo
giudicato da architetti.
L'architettura che siamo per studiare è molto
interessante per noi. 11 maggior sviluppo l'ebbe
nella regione Toscana, Veneta, Lombarda e Ro-
mana; ma specialmente nella veneta dove per
virtù di una famiglia chiamata Lombardi venuta
di Lombardia (la famiglia veramente chiamavasi
Solari, secondo quanto viene affermato dal si-
Architettura del rinascimento^ ecc. 141
g'Qor M. Gaffi e era di Casate comasco)^ acquistò
gentilezza straordinaria. Ebbe la sua culla in To-
scana e architetti toscani la diffusero nelle varie
parti d'Italia.
COSTRUZIONI REUGIOSE E CIVILI
DEL RINASCIMENTO.
Lo Stile brunelleschiano. — Rechiamoci subito
in Toscana dove il Rinascimento ebbe uno svi-
luppo originale, dove» grazie alla dinastia Medi-
cea nel XYI secolo si ebbe un completo rinno-
vamento scientifico, letterario e artistico.
In Toscana lo stile del Rinascimento non si
fiori d'ornamenti come nel Veneto e nella Lom-
bardia ma fu più sobrio; romanizzò per modo
da essere aggruppato da qualche scrittore, con
evidente sbaglio^ allo stile del Cinquecento con
lo stile palladiano e tutto il classico imitatore.
Il grande restitutore dell' architettura classica
lu in Italia il fiorentino Filippo di Ser Brunel-
lesco Filippo Brunelleschi (lS79tl446). Il Bru-
uelleschi coli' esempio e Leon Battista Alberti
' Arte e Storia N.« 11, 12 e 19 anno 1885 e Archivio sto-
rico lontbardOf fase del 30 settembre 1885 che stampò tali
quali gli scrìtti precedentemente pubblicati dair^r^ e Storia
che furono indi stampati in opuscolo non messo jn commercio.
Pare che non fosse de' Solari come è stato creduto lo scul-
tore Moro che fu figliuolo di un Martino da Bergamo. — Gasate
^ un paesuccio formante parte del Comune di Lezzeno in quel
di Como, poco lungi da Bellagio verso la sponda orientalo
del. lago.
Capìtolo quarto.
(1404 tl^72) cogli scritti divulgarono le idee nuove
sull'architettura italiana, idee che si partirono
dalla Toscana e trovarono eco dappertutto per
virtù specialmente di artisti toscani. È certo che
senza l'ardente iniziativa degli uomini di genio
sorti in Firenze negli ultimi anni del XIV secolo,
la rivoluzione che doveva, nel campo dell' arte,
rinnovare le fonti dell'ispirazione e nel campo
dei costumi, sostituire la civiltà moderna alla
medieva, si sarebbe fatta aspettare ancora un po'.
Il Brunelleschi e l'Alberti intesero a paganizzare
l'architettura per la ragione che la società si pa-
ganizzava. Se non ci fosse stato il mutamento
nelle idee sociali del XV secolo il seme gettato
dal Brunelleschi e dall'Alberti non avrebbe dato
alcun frutto: — un arte non ha vita duratura se
non è l'imagine dell'ambiente entro il quale deve
svolgersi.
Ecco il prospetto principale della Cappella dei
Pazzi che Filippo Brunelleschi inalzò in Firenze.
Questa Cappella corretta nei profili, armonica
nelle proporzioni, equilibrata negli effetti di chia-
roscuro, aggraziata nei particolari ornamentali,
ò uno dei più interessanti fra i primi lavori del
Brunelleschi. Il Brunelleschi (o Brunellesco come
si dice) dette anche i disegni della chiesa di
S. Lorenzo che è parimente a Firenze e di S. Spi-
rito, due chiese che non potrebbero essere più
sobriamente gentili. Graziosa è altresì — dello
stess» autore — la Badia Fiesolana sulla strada
tra Fiesole e Firenze; opera troppo dimenticata.
Vi sono delle porte in forma così originale e
tutte ornate di sottili festoni e modanature fiorite
Architettura del rinctseimento^ ecc, 143
che sono la quintessenza della delicatezza archi-
tettonica. Cosa dire della geniale Loggia degli
Innocenti in piazza della SS. Annunziata a Fi-
renze? Il Brunelleschi ne cominciò la costruzione
nel 1421, secondo l'aflermazione del Gaje. Chia-
mato in questo tempo a Milano dal duca Filippo
Maria lasciò l'incarico di dirigere la Loggia, anzi
tutta la fabbrica per il ricetto dei fanciulli, a un
suo scolaro Francesco Della Luna, fiorentino vis-
suto nella prima metà del Quattrocento; e la fab-
brica, come si vede ancora ben conservata, è
leggiadrissima.
E cosa dire del palazzo Pitti ordinato da messer
Luca Pitti per il duca Cosimo al Brunelleschi?
Ne scrive così il Vasari nella vita di Ser Filippo ^
« né potrebbe mai ninno che noi vedesse, immagi-
narsi quanto sia a qualsivoglia altro regio ediflzio
superiore ». Qual vedesi ora il Palazzo Pitti non
è tutto itnaginato dal Brunelleschi. Dopo il di-
segno del Brunelleschi fu seguito quello dell'Am-
fflannati, di Giulio Parigi, ecc., grandi aggiunto
e abbellimenti si fecero internamente e esterna-
mente dagli architetti moderni Gaspare Paoletti,
Giuseppe Cadali e Pasquale Poccianti.
Fra le belle opere del Brunelleschi, il Vasari,
mette un tempio degli Angioli eseguito in parte
per la famiglia degli Scolari o di cui restano trac-
eie visibilissime in via del Castellacelo (l'irenze).
il Brunelleschi fece in Firenze ben altri lavori,
tranne la Cupola di cui si è già discorso; dette
il disegno della casa dei Barbadori che non fu
» Gfr. Op. cit. Voi. II, pag. 375.
144
Capitolo quarto.
messo in opera, dette quello della casa dei 6ìuq-
tini incorporalo poi (si crede) al palazzo Gerì
ora Mantellini ; e essendo pratico di fortificazioni
fu chiamato per questo a Pisa, a Lucca, a V^ico-
pisano, a Recine, alla GasCellina, ecc.
Allo stile di cui ci occupiamo appartiene anche
la squisita chiosa della Madonna delle Carceri in
Prato eretta su disegno di Giuliano da Sangallo
(1445? 1 1516) vi appartiene la bellissima porta
di cui Leon Battista Alberti ornò la facciata di
S. Maria Novella a Firenze, la chiesa di S. Fran-
S. Maria NoTella, Firenze.
Cesco che progettò per Rimini (eretta dopo la
morte dell'Alberti) e la pìccola e galante chiesa
di S. Sebastiano costrutta a Mantova anch'essa
dopo la morte del suo progettista, che aveva
studiato ì monumenti romani con indicibile en-
Archiietlura del rinascimento^ eec, 14S
tusiasmo. Abbiamo già osservato che Leon Bat-
tista Alberti va considerato uno dei fautori cal-
dissimi dell' architettura classica insieme al Bru-
nelleschi * seguito in ciò dal suo cooperatore
Bernardo Rossellino che eseguì vari suoi pro-
getti. Anzi B. Rossellino (1409 f 1464) senza avere
l'acutezza dì mente e la somma delle cognizioni
dell'Alberti giovò alla causa del Rinascimento
più di quanto possa apparire a prima vista.
A Firenze seguirono la maniera romana i fra-
telli Benedetto e Giuliano da Maiano (Benedetto
1442 1 1497, Giuliano 143211490), i due Sangallo
Giuliano ricordato poc' anzi e Antonio (1455?
tl534) il maggiore,» il GronacJa (1457 1 1508),
Baccio d'Agnolo (1462 f 1543) che dette lezioni a
Raffaello; tutti quanti toscani.
^ Intorno agli scritti artistici di Leon Battista Alberti reg-
gasi il commentario che gli annotatori fiorentini del Vasari
unirono alla sua vita. L'Alberti nacque a Venezia nel tempo
che la sua famiglia, già perseguitata in Firenze, erasi colà ri-
fugiata.
^ Gli Antonio da Sangallo sono due : il maggiore o il vec-
chio nato probabilmente nel 1445, e il giovine o nipote nato
nel 1485. Il vecchio che lavorò molto in Toscana fu di casato
Giamberti e figliolo, come Giuliano, di un Francesco di Bar-
tolo di Stefano architetto al tempo di Cosimo dei Medici; il
giovine che lavorò molto a Roma fu di casato Gordiani (am-
bedue furono detti poi da Sangallo). Cfr. Albero dei Giamberti
de' Gordiani e de' Da Sangallo nella edizione delle Opere del
Vasari, G. G. Sansoni, Voi. IV, pag. 292 dove vedrai che nella
famiglia da Sangallo vi fu un Gìovan Francesco architetto
(1482 1 1530) un Battista gobbo architetto (n. 1496) un Ba-
stiano detto Aristotele pittore (1484 -j- 1551) un Francesco scul-
tore detto il Margolla (1494 1 1576), ecc., ecc.
A Mklani. io
146 Capitolo quarto, ij
. « \\
E dove metliamo Michelozzo Michelozzi scwV \
toro e architetto fiorentino (1396? t i4!72) che j
eresse in Firenze il palazzo che fu dei Medici e
fino dal XVII secolo appartenne ai Riccardi fatto
tutto a bugne rilevate piene di severità? Il Mi-
chelozzi fu molto adoperato da Cosimo dei Me-
dici; fece per lui il palazzo di Gafaggiuolo in
Mugello, ora assai cambiato, dette i disegni o
almeno diresse V esecuzione del Convento di
S. Marco a Firenze, ivi inalzò il palazzo Torna-
buoni ora Corsi, lavorò a Fiesole, fu eletto dopo
la morte di Filippo Brunelleschi provveditore
della cupola e lanterna di S. Maria del Fiore, fu
insomma uno degli architetti più in voga dei
suoi tempi.
Nei palazzi fiorentini del Rinascimento domina
il bugnato che non si estende soltanto sulla su-
perficie inferiore delle facciate, ma le orna tutte
quante di cima a fondo. Le fabbriche fiorentine
hanno perciò un' impronta quasi di fortilizio in
parte giustificata dalle condizioni particolari in
cui trovavasi la città nel periodo storico che
attraversiamo.
Nel palazzo Strozzi abbiamo la più bella opera
di Benedetto da Maiano e del Pollaiolo (detto il
Cronaca) e il più bel palazzo privato di Firenze.
Il bugnato che lo orna tutto, che scema d'ag-
getto di piano in piano intersecato da cornicette
dentellate , le bifore snelle coir ampio imbotte
modinato che servono a far spiccare la impronta
maschia dell'assieme, il cornicione grandioso di
Simone Pollaiolo — uno dei più belli esciti dalia
fantasia di un costruttore — tutto in questo pa-
lazzo è degno di alta considerazione.
Palazzo Sti
■ ■.■■■■». l:?
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:!:■ = "■:!:'!■:':■:! = ■:■!!
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IZ7.Ì, Firtìnxe*
Palazzo Gli
mmmm
K&i, Firenze.
Architettura del rinascimento, ecc. 147
Mostriamo un esempio di un altro genere di
palazzi fiorentini nel palazzo Guadagni attribuito
.all'autore del cornicione del palazzo Strozzi; al
Pollaiolo. Bisogna vedere a Firenze l'effetto di
cotesto insigne fabbricato, fiorito di pitture po-
licrome con terrazza scoperta sostenuta da co-
lonnette che airegeriscono la massa, che conser-
vano nel piano terreno e negli angoli la sodezza
tanto cara agli architetti fiorentini accordandosi
\ con le parti più delicate per dare air assieme
aspetto leggiadro diverso da quello del palazzo
Pitti, del palazzo Strozzi, del palazzo Riccardi.
! Richiamiamo l'attenzione dei diligenti sulla cor-
j nice del palazzo Guadagni la quale ha un' ampia
ì sporgenza e è fatta di due parti innestate in modo
I affatto ingegnoso. — Per dare un esatto conto di
I queste cornici, tanto comuni ai palazzi toscani
del Quattrocento, si ricordi, abbiamo voluta in-
|cisa la cornice di un palazzo senese ove si
comprende perfettamente l' innesto della pietra
con il legname. Siffatte cornici non si trovano, o
almeno non sono comuni che in Toscana; e l'ef-
fetto loro per la massa d'ombra che proiettano
sulla fabbrica è a dirittura grandioso. [Jn altro
palazzo grazioso, ma più classico di quelli citati,
è il palazzo Rucellai eretto da Leon Battista Al-
berti tra il 14S1 e il 1455, la cui facciata so-
miglia quella del palazzo Piccolomini a Pienza
eretto dallo scultore e architetto Bernardo Ros-
sellino citato, e da Fr. di Giorgio Martini dopo
che l'Alberti ebbe eretto la facciata del palazzo
Rucellai. A dire il vero v' è chi pensa che anche
il palazzo Rucellai sia del Rossellino ; non siamo
148
Capitolo quarto.
molto lungi da crederlo anche noi per quanto
certi particolari, come le mensole poco belle delle
porte, ficordino certe mensole dell'Alberti a San
Porta nel palano Gondi, Fireuze.
Sebastiano di Mantova architettato da lui nel-
1470 e ornato, in seguito, della cupola dallo Ju-
vara. Fra i palazzi fiorentini è anche molto in-
Palazzo Rul
tó, Firenze.
Architettura del rinaadmentOj ecc. 149
teressante il palazzo Gondi di Giuliano da San-
gallo a bugne rilevate come lo mostra la porta
che offriamo il cui imbotte dà un'idea della gran-
diosità con la quale gli architetti fiorentini mO'
dinavano in questi tempi.
A Firenze poi in questo stile del Rinascimento
si trovano i palazzi Antinori di Giuliano da San-
gallo (?) il palazzo Bartolini di Baccio d'Agnolo
quasi ridotto ai minimi termini, il palazzo Ser-
ristori dello stesso, il palazzo Quaratesi del Bru-
nellesco, il palazzo Pitti già ricordato, ecc., ecc.
Finora non abbiamo parlato che di Firenze
eppure potremmo accennare altre città toscane
dove il Rinascimento è rappresentato egregia-
mente. Per esempio potremo accennare Siena e
dir qualcosa della parte superiore della Loggia
del Papa imaginata da Antonio Federighi (tl490)
e fermarsi a discorrere del grandioso palazzo Pic-
colomini di Bernardo Rossellino e dove nacquero
gli architetti insigni Francesco di Giorgio Mar-
tini (1439tl502)* che troviamo un po' dappertutto
nelle corti italiane, dà i disegni dei palazzi co-
munali di Iesi e di Ancona è scultore, pittore,
architetto militare inventa il baluardo e la mina,
dà la prima idea dei bastioni, edifica fuori di
Cortona la Madonna del Calcinaio, è riputato
autore di varie opere di architettura a Siena, ecc.,
e Baldassarre Peruzzi (1481tl537) su cui avremo
a parlare tra poco, e Luca Fancelli architetto
* Gfr. Milanesi, Documenti per la storia ^«il* arte senese^ t. li,
ISO Capitolo quarto,
fiorentino (143011493) esecutore di varie fabbriche
disegnate Mal Brunelleschi e da Leon Battista
Alberti e capomaestro di S. Maria del Fiore. Ma
lo spazio ci impone di rinunziare a questi esami
particolareggiati. Ci limiteremo a ricordare i pa-
lagi Mocenni e Pollini eretti a Siena dal Peruzzi
e rimanderemo a opere speciali chi vuole istruirsi
bene su questa architettura toscana.
Prima di chiudere questo paragrafo suirarchi-
tettura toscana del Rinascimento si noti e non
si dimentichi che gli artisti toscani in questi
tempi ebbero influenza notevole in tutte le re-
gioni della penisola.
Andando avanti ce ne persuadéremo.
In arte Tinclinazione naturale è tutto.
Lo Stile lombardesco. — Neirarchitettura di Ve-
nezia era naturale che l'elemento novo o rinato
non dovesse sollecitamente attecchire o avere
lo sviluppo che ebbe altrove. Erano troppo con-
tinui e antichi i rapporti di Venezia coll'oriente
e la sua architettura anche nel periodo archiacuto
era troppo stata influenzata dalle forme straniere
per poter subito abbandonarle e sostituirle da
altre per quanto si confacessero di più allo spi-
rito italiano. D'altronde anche questo vien mo-
dificandosi; ma non si modifica a un tratto. Difatti
nell'architettura del Rinascimento nel Veneto {e
a Venezia più che a Padova, a Verona, a Vicenza},
le forme classiche mantengono inalterata la strut-
tura delle fabbriche precedenti. Più che altrove,
quivi si palesa evidente quello che afl'ermamrao:
che il Rinascimento studia latinamente i partico-
Architettura del rintisciniento, ecc. 151
lari architettonici mantenendo inalterata T ossa-
tura costruttiva. — Comunque sia anche Venezia
abbandonò a poco per volta l'arte fantastica che
adoperò sin verso la metà del XV secolo. Im-
pressionata dalla rinascente antichità latina V^o-
nezia deve, in modo particolare, alla famiglia So-
lari (continueremo a dirla Lombardi per evi-
tare confusione*) il passaggio tra 1* architettura
archiacuta e la classica. Da ciò derivò la de-
nominazione di stile lombardesco i cui migliori
rappresentanti, nella famiglia Lombardi, ebber
quasi tutti familiare il compasso e lo scarpello
così come il loro emulo Antonio Riccio che fu
UDO degli architetti del palazzo ducale. Va no-
tato però che Miehelozzo Michelozzi (1396? f 1472)
architetto e scultore fiorentino probabilmente do-
vette esercitare in Venezia un'influenza assai
notevole. Se ciò non si contrasta il Michelozzi
sarebbe stato il primo a dare idea in Venezia di
quello stile del Rinascimento in cui valsero tanto
Martino, Pietro e Tullio Lombardi.
Si è detto che questa maniera ebbe la sua
culla in Firenze e si diffuse in Italia per mezzo
di architetti fiorentini. Quanto a Venezia la sup-
posizione s'avvalora tanto più quando si osservi
che alcune forme dei Lombardi arieggiano quelle
degli anteriori fiorentini. Per esempio le bifore del
palazzo Vendramin e della Confìraternità di S. Roc-
co paion inspirate da quelle del palazzo Riccardi
Strozzi di Firenze. Ammessa Tinfluenza di Mi-
ehelozzo si potrebbe ammettere che alcune opere
* Vedi la nota a pag. 141.
152 Capitolo quarto.
appartenenti a questo tempo di ignoto autore
siano architettate da lui.
Seguendo la consuetudine parleremo subito di
Pietro Lombardo o Solari (f circa il 1511) che si
fa erroneamente capo stipite di questa famiglia
artistica mentre per tale riconosciamo il geni-
tore Martino ossìa Martin de Zuanne Lombardo
taiapiera, (È noto . che in quest' epoca di aurea
semplicità taiapiere murarii e lapicida si chia-
mano gli architetti e gli scultori.)
Adoperato a Ravenna in varie opere, Pietro
prima di farsi il nome che si fece, dette mano in
Venezia alla chiesa di S. Maria dei Miracoli ma
però come semplice esecutofe; fece diversi altari
e monumenti bellissimi, sostituì il Riccio nel
1499 come direttore dei lavori pubblici, si cre-
dette a torto l'architetto della Torre dell'Orologio
eretta nel 1466 e con molto suo onore oggi si
inclina a credere autore del palazzo Yendramin
a cui accenneremo.
Martin Lombardo si ritiene autore della chiesa
di S. Zaccaria, fondata intorno al 1456. Però se
ciò può essere in quanto spetta alla facciata, non
crediamo si possa affermare per ciò che riguarda
Tinterno, di certo anteriore a Martino e dell'età
di transizione quando le forme archiacute si in-
nestavano alle classiche. La facciata ha aspetto
simpaticissimo; — «spartita in diversi ordini;
agili colonnette binate e isolate formano i pilastri
che la dividono verticalmente, e fra pilastro e
pilastro si svolgono archetti leggieri inquadrati
da. cornici e pilastrini a bassissimo rilievo. —
Non è difficile scorgere nella facciata di S. Zac-
Architettura del rinctaeimentOj ecc. 1S3
caria Torganismo dello stile archiacuto mescolato
air orientale. Altro insigne monumento di stile
lombardesco è la cosìdetta Scuola di S. Marco,
architettata senza dubbio nel 1485 da Martin
Lombardo. Anche qui la preoccupazione dei par-
ticolari spicca grandissimamente. Nella facciata è
degna di considerazione la porta; vero tipo di ele-
Pianta della chiesa di S. Salvatore, Venezia.
ganza e magnificenza. Vi sono originali le colonne
le quali spiccano su due piedestalli inalzantisi
sul basamento che gira torno torno alla fabbrica.
Il primo piedestallo è rettangolo, il secondo ro-
tondo e fiorito airingiro di ornamenti scultorici
eseguiti da Tullio Lombardo che fu artista vera-
154
Capitolo quarto.
mente meraviglioso ed ebbe una gran fama, ia
special modo come scultor di figura. Ma siccome
oltre allo scarpello Tullio Lombardo sapeva ma-
neggiare le sèste così gli furono affidati dei la-
vori di architettura nei quali si distinse. Fra le
opere architettoniche eseguite da lui a Venezia
si cita la chiesa di S. Salvatore. Incominciata da
S. Salvatore, Venezia.
Giorgio Spavento, fiorito a quanto pare sul finire
del XV secolo, fu dal nostro artista piuttosto ri-
formata che proseguita. Si noti nel disegno che
offriamo la sveltezza delle proporzioni e la sem-
plicità graziosa della pianta. Tullio Lombardo
oltre che a Venezia lavorò fuori; specialmente a
Architettura del rinascimentOy ecc. 155
Padova e a Treviso. Quivi si distinse come ar-
chitetto ìq varie opere; la Cappella de! Sacramento
in Duomo, la crociera della Madonna delle Grazie
(1530), alcune cappelle nella chiesa di S. Paolo, ecc.
Tullio figlio di Pietro dà molti si crede morto
verso il 1559. * Della famiglia Lombardi oltre a
un fratello di Tullio scultore (Antonio Lombardo
che forse fu Y ingegno più debole della famiglia)
resta da ricordare Sante e Moro. Sante nacque
nel 1504 e morì nel 1560. Gli si attribuì con
error manifesto, l'erezione della Scuola di S. Rocco
e gli si deve il palazzo Trevisan a S. Maria For-
mosa (Venezia) che non ha il pregio di quelli
imaginati dagli altri Lombardi, per quanto ne di-
cano il Cicognara e il Diedo. Moro lavorò nella
Scuola di S* Marco e fece certo nel 1492 la rie-
diBcazione di S. Maria Formosa attribuita a un
Mauro da Bergamo che sarebbe appunto il Moro
Moretto Lombardo figlio di un secondo Mar-
tino, da non confondersi, come si confonde so-
litamente, coll'erettore della chiesa di S. Zaccaria
in Venezia.
> 6. Milanesi neir albero genealogico di questa famiglia ar-
tistica (Vedi Op. cit. Tomo IX. Indici, aggiunte e correzioni)
segna la data della morte di Tullio 27 anni prima: nel 1532.
La data 1559 è quella più comunemente accettata: — il be-
nemerito annotatore delle opere vasariane non cita la ionte
della notizia che dà. — Forse ha dedotto la data della morte
di Tullio dal suo testamanto datato 14 novembre 1532. No-
tiamo che in Venezia viveva nel 1537 un Tullio II pregevole
scultore anche lui e rilevatore ma non bravo quanto il primo.
La storia ci ha tramandato i nomi di altri lombardi ma tutti
di ben poco merito. Sicché inutile parlar di loro.
156 Capitolo quarto.
Oltre ai Lombardi esercitò V architettura in
Venezia con molto successo dal 1492 al 1539
Bartolomeo Buono (f 1529) che probabilmente
deve avere avuto gran parte nell'erezione della
mole sontuosa delle Vecchie Procuratie, l'ebbe
certo nell'erezione della Scuola di S. Rocco e a |
quanto pare procedeva da queir altro M. Bario-
lameo di ser Zuan Bon che insieme al padre
Giovanni lavorò tra il 1438 e il 1442 la porta
della Carta. Perciò anche questo Bartolomeo ar-
chitetto discenderebbe da Bergamo come altri
artisti emuli dei Lombardi in questo tempo. Eser-
citò l'architettura anche Antonio Scarpagni detto
Searpagnino (f 1558) più abile che famoso stato
capo dei pubblici edifici (in sostituzione forse
di Pietro Lombardo) autore della chiesetta vene-
ziana di S. Giovanni Elemosinarlo e degli orna*
menti vaghissimi che fregiano molte parti interne
e la facciata principale di detta Scuola di San
Rocco considerati il suo capo d'opera.
E a proposito d'ornamenti:
Da S. Maria dei Miracoli, opera già ricordata,
di Pietro Lombardo, togliamo un bellissimo ca-
pitello di pilastro da servire come tipo dei ca-
pitelli caratteristici del Rinascimento. Se lo stu-
dioso vuole che gli rimangano impresse le forme
di questo capitello le confronti con quelle di un
capitello corintio dell'epoca successiva; del Cin-
quecento: vedrà che differenza nel gusto dell'or-
namentazione e quanto sono caratteristici i ca-
pitelli del Quattrocento! Ma lo faccia il confronto;
capirà meglio la diversità tra lo stile arcbilet-
Palazzo D(
Protìpetlo del Cortile dall;i
I Venezia.
(e della Scak dei Giganti,
Architettura del rinascimento^ ecc. 157
tonico del Quattrocento e quello del Cinque-
co nto.
CapiU'llo di pilaslro.
Ha S. MaricX d<JÌ mitraceli, VcDozh.
Non abbiamo parlalo ancom del Riccio,
Parlatalo di monumenti civili bisogna ciinrc
subiti) il prospclto del corlib del palazzo Ducalo
a Venezia, cbe sta insieme alla lamosa Scala dei
Uigaulr. (jQe?^Ìo prospetto e ariclie la scida ò opera
magistrale dì Antonio Riccio o Bregno (non si con-
tonda con Andrea Riccio dcUo Grippo e Hriosco).'
1 L'Anonima Moreniano, cioè M.ircaiihmlo Marfiiel, mo^fn'i
rhiaramente dii era Amlrpa Tiìcf^io e Hit Anhinio liknìf». Aiv-
ionio architolto e scultore verone^o unto nel I t-lO s^ecimdo il
Miintz {tf's Artfì à ìa cour fJ^ Pìt^tt/ì^ err., imgr. ^ ^ ^^ lavorò
motto in Venezia pino alla fin^ cIpI XV secolo; Andrea, i^oprtìn-
158 Capitolo qìiarlo.
Nel prospetto di cui si parla è strana la disposi-
zione delle aperture; non è impossibile che qual-
che purista la biasimi. Gli imparziali considerino
intanto che l'architetto doleva rispettare delle
flnestre preesistenti per modo che la sua bravura
doveva mostrarsi anco nel saper ben mascherare
la disposizione irregolare dei vuoti. Il Riccio ornò
tutto di pilastri e armille, divise e suddivise con
formelle gli spazi lisci e collocò entro le formelle
targhe, festoni, fiori; sicché l'occhio distratto
dall'ornamentazione rigogliosa non si accorgesse
che tardi della disordinata spartizione dei vuoti;
e difatti per quanto se n' accorga^ 1' occhio non
rimane scontento. Questo bel prospetto dovrebbe
essere molto studiato dagli architetti moderni i
quali si trovano spesso nell'identica posizione
del Riccio. L'insigne architetto da una difBcoltà
trovò modo di mostrare la vivacità della sua fan-
tasia e di far opera imaginosa e originale.
Fra ì più bei palazzi di Venezia nello stile del
Rinascimento bisogna mettere in primo luogo
quello Vendramin (1481) fatto alzare da Andrea
Loredan che riproduciamo. Se ne credette archi-
tetto Sante Lombardo ma con errore manifesto.
Che appartenga ai Lombardi è fuor di dubbio;
ma a quale Lombardi? Forse a Pietro? al pre-
sunto autore dell'altro bellissimo palazzo Corner
nominato Briosco nacque a Padova (1470 tl532) e vi si di-
stinse come architetto erigendo la chiesa di S. Giustina. Con*
fronta 2{otizia d^ opere di disegno pubblicata e illustrata da
Jacopo Morelli, 2.* edizione riveduta e aumentata da G. Frii-
zoni, 1884, pag. 4 e 5.
tHMMiff^Mmy^-W
3ÌJ3, Venezia.
Palazzo del 1
So, Verona.
Arehitetlura del rmasctmeiito^ eec, 1.^9
Spinelli? La spartizione dei tre ordini, le bifore
agilissimo, i particolari tutti di questo Palazzo
sono da additarsi agli architetti che vogliono
educare il gusto alle belle forme. Il palazzo Corner
Spinelli si attribuisce all' istesso autore del pa-
lazzo Vendramin sebbene non ne abbia l'aspetto
gentile e vago. Anche la Torre dell' Orologio in
piazza S. Marco è un edificio che va citato e con
esso il basamento del monumento GoUeoni. il più
ricco e il più galante che mai sia stato eretto
in questo stile classico.
Accennammo poco fa a Fra Giocondo (1433?
1 1515) monaco veronese il qualp a Parigi costruì
il ponte di Notre-Dame ed assisti a Roma Raf-
faello nella edificazione del S. Pietro. Orbene a
Fra Giocondo si deve il veneziano Fondaco dei
Tedeschi e, credesi, il palazzo del Consiglio a
Verona; graziosissima eostruzione di cui offriamo
parte del prospetto recentemente restaurato. *
AU'istesso Fra Giocondo si attribuì erroneamente
il disegno di quella simpatica costruzione vicen-
tina che è la Loggia del Vescovo eretta da Tom-
maso Formenton (f 1503) di Vicenza autore del
bellissimo Palazzo comunale di Brescia.
Avremmo da scriver molto se volessimo con-
tinuare a citare esempi.
I * Questo Fra Giocondo fu uomo veramente raro. Dice un
suo biografo «Egli ebbe familiari le scienze umane e le di-
vine, fu peritissimo nel greco e nel latino, nelle dottrine delle
antichità non ha chi^ lo pareggi, nelle matematiche fu insigne ;
i né ignorò la storia naturale e le gentili e umane lettere >. Vedi
I P. Marchese, Memorie degli ariisti domenicanij t. II, pag. 166.
Firenze, 1845.
160
Capitolo quarto.
Nel Veneto il Rinascimento ha avuto larga e
brillante diffusione: la Toscana la quale più della
Lombardia è ricca di costruzioni di questo stile"
Palazzo comciDsik di Dr cascia.
non lisi lauta copia di
V<Miolo e spocialmeDlo
dì lultu fai ti vi là della
trocento.
liei mùuumeull qtiaolo ìt
Vetie/ia elio fu il ceulro
rng-ioQe veneta del Quat- 1
Architettura del rinascimento y ecc. 161
Accanto a qaesti grandi centri come Venezia,
Milano, Firenze, ecc., sorgevano in quest'epoca
altri centri considerevoli dove la famiglia domi-
nante cercava di distinguersi anche coli' incorag-
giare gli studi e le arti: tali Ferrara, Urbino,
Rìmini, Mantova; perciò bisogna dare un'occhiata
anche a queste città dove la coltura e l'attività
intellettuale aveva un carattere a sé.
Vicino a Venezia accenniamo Ferrara, illustrata
dalla casa d'Este, dall'Ariosto, dal Tasso, da Co-
simo Tura — il forte, il burbero caposcuola fer-
rarese — dal Garofalo (Benvenuto Tisi) e da al-
tri ingegni superiori. A Ferrara vi troviamo il
Brunellesohi tra il 1431 e il 1436; ma veramente
Ferrara acquista un posto insigne nell' arte senza
bisogno di influssi forestieri. Notò già il Lermo-
lieff : che fra tutti i popoli dell'antica Emilia, cioè
di quella provincia racchiusa dal Po, dagli Ap-
pennini e dalla Marecchia, i Ferraresi sono i più
dotati di sentimento artistico; e difatti basti a
persuadersene una visita a questa città oggi at-
tristata dalla mancanza di popolazione. Ferrara è
ornata di bei palazzi; il grandioso eosidetto dei
Diamanti per esser fatto tutto a bugne rilevate
e tagliate a punta di diamante; il palazzo Schi-
fanoia, Roverella, Scrofa e poi la famosa Certosa
vasta e singolarissima (1498-1553).
Lo Stile bramantesco {Lombardia e Lazio). —
Per l'influenza che ebbe Bramante (1444 f 1514)
nell'architettura di Lombardia, lo stile architet-
tonico di questa parte settentrionale della peni-
A. Mblani. il
162 Capitolo quarto.
_1
sola, in questo tempo, sì disse bramantesco da
Bramante; come si disse lombardesco dai Lom-
bardi e non lombardo per non far confusione
collo stile medioevo a noi già noto. Gli scrittori
non sono concordi nel determinare Fanno in cui
Bramante da Urbino capitò in Lombardia. U Va-
sari assicura che il Bramante prima di recarsi in
Milano visitò altre città dove eseguì alcuni la-
vori d'importanza. Il Fungileoni dice che Bra-
mante dev'esser giunto in Lombardia nel 1480,
il De Pagavo ritiene che vi giungesse il 1476,
cioè, quando per la fuga dei vescovo dì Faenza
vennero sospesi i lavori della cattedrale faen-
tina. Oggi par più probabile che la venata di
Bramante in Lombardia debba riferirsi al 1472 e
fors' anche a qualche anno prima. Certo è che
capitato a Milano Bramante ebbe accoglienze
oneste e liete alla corte di Lodovi<30 il Moro, alla
quale erano ammessi i più chiarì ingegni del
tempo. Il Do Pagavo dice poi ohe prima di giun-
gere in Lombardia il Bramante (che non è vero
fosse Lazzari di casato ma Bramante : Donato Bra-
mante) ^ edificò in Romagna chiese, palazzi e al-
tro fabbriche: ma ciò non è confermato da do-
cumenti da analisi tecniche oculate. Delle opere
architettoniche attribuite a Bramante prima e
dopo la sua andata a Milano discorre il ohiaris-
^ Intorno alla patria e alla famiglia del Bramante si legga
quanto ne scrisse il chiarissimo architetto barone Di GeymuUer
neir erudita sua opera: Les projets primitifs jpour la basilique
de Saint Piet-re de Bome par Bramante, Baphael Sanzio, Fra
Giocondo, les Sangallo, ecc. Paris, Baudry.
Architettura del rinasciniento, ecc. 163
Simo architetto Di GeymiiHer nella citata opera
(vedi la nota a pag. 162) e fondandosi sul loro
carattere architettonico accetta o rifiuta la pater-
nità bramantesoa.
Ma è singolare la moderna smania di volere
attribuire al Bramante ogni genere di fabbriche !
Per es., in Lombardia furono molte, quasi innu-
merevoli le opere che gli storici dell'arte lom-
barda attribuirono alle seste dell'architetto ur-
binate. ^ Ma la critica moderna ha sbugiardato
le affermazioni erronee e senza pietà ha tolto o
restituito a chi si pervengono le opere state ne-
. gate ai loro legittimi autori.
Se si dovesse seguire ciecamente il Vasari su
questo punto avremmo ben poche cose da dire,
i'ortuna che dei moderni studiosi hanno supplito
al silenzio del biografo aretino! Con documenti
chiari e guidati da una critica illuminata essi
hanno assicurato quali sono gli edifici che l'ar-
chitetto urbinate eresse in Milano e nei luoghi
vicini sullo scorcio del XV secolo. Questi critici
> Dunqae parrebbe che in questi tempi la Lombardia non
avesse avuto architetti suoi propri. Avremo occasione di ram-
mentarne vari ; frattanto notiamo che a sfogliare i documenti
riguardanti la Fabbrica del Duomo milanese durante il sog-
giorno di Bramante in questa città si trovano notati nomi di
architetti quanti se ne vuole. Molti di essi debbono essere stati
adoperati ; e non debbou essere stati tanto indietro nelle co-
gnizioni se erano invitati a intervenire nelle lunghe e molte
dispute che sorgevano durante la erezione del monumento
magnifico o se concorrevano in qualità d'architetti pel suo
compimento.
164 Capitolo quarto.
sono il Di GeymtlUer, * il Casati • e altri alle cui
opere rimandiamo il lettore. À stare al Gasati, di
tutti gli edifici di stile bramantesco sorti in Mi-
lano e enumerati dal Pagavo ce ne son rimasti
ben pochi e sono : la chiesa di S. Satiro colla sua
sacrestia (dove il Bramante ebbe validissimo coo-
peratore il Garadosso) il portico della canonica di
S. Ambrogio e il suo monastero, ora Spedai mi-
litare, qualche cosa della chiesa di S. Celso e del
Castello... (ossia: che il Bramante abbia lavorato
nel Castello non si può affermare perentoriamente
dopo gli ultimi studi) ' il resto degli edifici o fu
distrutto come le chiese milanesi di Santa Maria
in Carugate e Santa Liberata e S. Giovanni sul
Muro e vari palazzi — o fu svisato enormemente.
Quanto poi alla tribuna grandiosa alle due cap-
pelle laterali col coro, nonché alla porta mag-
giore della Madonna delle Grazie le opinioni sono
ancora molto discordi per poter formulare un
giudizio assoluto. — La tradizione e vari autori
attribuiscono tuttociò a Bramante; sarà proprio
suo ? Comunque sia, questa parte magnifica della
chiesa delle Grazie ornata da cima a fondo con
insolita dovìzia rivela in chi la ideò una imagi-
nazione fecondissima e desta in chi la guarda il
più legittimo senso di meraviglia. Il materiale
laterizio giova all'effetto di questa costruzione;
1 Op. cit. nella nota a pag. 162.
^ / capi d' arte di Bramante da Urbino nel Milanese, Milano,
1870.
» Gfr. L. Beltrami, li easteUo di Milano sotto U dominio
degli Sforza, Milano, 1886, pag. 192-96.
J
a
p
o
,12
Architettura del rinaaeimenlo, ecc. 165
e il laterizio è appunto caratteristico degli edi-
fici lombardi anche di quest'epoca. Fuori di Mi-
lano si attribuisce al Bramante parte del palazzo
\ di Vigevano ridotto ora a caserma; il magnifico
I tempio della Beata Vergine Incoronata di Lodi,
stato indi eseguito da Giovanni Battaggio ar-
chitetto di qualche merito, e parte del prezioso
Duomo di Como stata poi eseguita dall' architetto
e scultore Tomaso Rodari (f 1526) e ove è ce-
lebre la Porta della rana fioritissima firmata da
Tomaso e Jacopo Rodari colla data 1507.
Il Duomo di Como, dopo la cattedrale di Mi-
lano e la Certosa di Pavia, è il tempio più con-
siderevole della Lombardia sotto il rispetto del-
l'arte. Cominciato nel 1396 su disegno, credesi,
di Lorenzo degli Spazzi di Scaria in Val d'In-
telvi, venne finito appena verso la metà dello
scorso secolo quando lo Juvara l'ornò di una
cupola svelta compiuta nel 1732. È quindi di
vari stili, ma il più notevole è il bramantesco
del fianco e delle tre absidi esterne eseguilo nel
1513 da Tommaso Rodari di Mareggia e non di
Bissone come alcuni credono. Ma infine il pro-
getto è del Bramante o del Rodari? Nessuno può
rispondere a questa domanda; lo assicuriamo.
Il Bramante lavorò a Piacenza, nella Valtellina,
a Busto Arsizio, a Pavia; dove, secondo si crede
da qiìalcheduno, avrebbe eretto il Duomo, sorto
più probabilmente su disegni di Cristoforo Rocchi
e di Gio. Antonio Omadeo. Questo par certo: che
Bramante era spessissimo consultato sui lavori
che si erigevano in Lombardia durante il tempo
che vi dimorò e richiesto di disegni di fabbriche
166 Capitolo quarto.
che venivano eseguite da altri architetti, forse
suoi scolari; da ciò le tante attribuzioni fattegli
di opere sulle quali egli non avrà esposto che
il suo parere. Certo Bramante fu molto adoperato
da Lodovico il Moro il quale ebbe presso di sé
altri architetti di fuori: Giuliano da Sangallo,
Luca Fancelli, Francesco di Giorgio Martini, per
esempio. *
Il Bramante ebbe dunque molte occasioni di
mostrare il suo ingegno in Lombardia prima di
recarsi a Roma. Accanto a lui lavorarono a Mi-
lano, a Como, a Pavia, a Lodi, a Cremona, i lom-
bardi Giovanni e Jacopo Dolcebuono, Cesare Gesa-
riano (1483 f 1543) che si dice da sé scolaro di
Bramante (cosa alla quale si può prestare anche
poca fede se s'intende scolaro nel preciso senso
della parola), ' Cristoforo Solari, Bernardo Zo-
nale (t 1538), Tomaso Rodari, Cristoforo Rocchi,
Giov. Battaggio, Giov. Antonio Omodeo o Ama-
deo e l'architetto pittore Suardi detto Bramantino
(circa 1455 tl536?) da non confondersi con un
tal Bramante da Milano, che non è mai esistito.
' A Milano poi si trovano a uno a uno molti architetti to-
scani, oltre ai citati vi si trovano il Brunelleschi chiamatovi
(la Filippo Maria Visconti verso il 1421 per fare il modello di
una fortezza (Vasari, ediz. Sansoni, voL II, pag. 366 e segg.),
il Michelozzi, il Filarete, ecc. Il Milanesi dice dì non conoscere
alcuna memoria dell' andata a Milano del Brunelleschi, p. 368.
2 Nota il Mongeri : efr. Archivio Storico Lombardo, fase. II,
30 giugno 1886, anno III. — La facciata dél,JhiomOy ecc.: che
se il Gesariano morì il 1543 di 60 anni doveva essere nato
nel 1483. Il Bramante lasciò definitivamente Milano per Roma
nel 1499, secondo il Di GeymùUer; onde il Gesariano allora
non aveva àncora 17 anni. Al lettore il commento.
*>
a
O
•e
Architettura del rinaaeimento, ecc. 167
E qui la nostra mente si rivolge subito alla
Certosa presso Pavia; l'interno della chiesa in
stile archiacuto è fuori del nostro studio d'oggi;
noi ci rivolgiamo alla facciata ed ai chiostri in
terra cotta che sono quanto di più delicato e di
più fine ci si può immaginare. La facciata può
spartirsi in due; la parte inferiore più ricca di
ornati, e la superiore più modesta. Della prima
parte più ricca stata cominciata nel 1476, se ne
attribuisce il disegno a Giovanni Antonio Omo-
deo. Sono splendidi i particolari di questa fac-
ciata; splendidissime le finestre bifore rettangole
con un' agile colonnetta a candelabro nel mezzo ;
la quale è caratteristica dello stile del Rinasci-
mento veneto e lombardo. Sono dello Zarabaia
Bambaia (Agostino Busti f 1548). * La porta ri-
chiama pure la nostra attenzione e specialmente
si resta meravigliati dalla bellezza delle lesene
ornate di scolture. Potremmo fermarci molto tem-
po a discorrere su la bellezza e originalità di
questa facciata, non potendo ne presentiamo
una parte in una incisione dove l'industre bu-
lino ha tentato di rappresentare la splendidezza
delle decorazioni scultoriche che fanno della fac-
ciata medesima un esempio unico nel suo ge-
nere. La Certosa di Pavia ha due chiostri quello
cosiddetto della Fontana e il grande chiostro. Il
minore è addossato al fianco meridionale della
chiesa e la sua costruzione si fa risalire agli ul-
timi tempi di Filippo Maria Visconti. Questo chio-
stro di forma rettangolare è composto di cin-
Gfr. Le opere di G. Vasari, ediz. Sansoni, V. IV, p. 542
168 Capitolo quarto.
quanta arcate a tutto sesto; due de' suoi lati
hanno la ornamentazione più ricca degli altri due
più antichi. Gli archivolti sono fioriti di foglie di
imperlati ecc., e fra arco e arco in mezzo a un
tondo sporgono, secondo il sistema lombardo, dei
busti di ottimo effetto tra mezzo la ornamenta-
zione rigogliosissima. Evidentemente T ornamen-
tazione di questo chiostro ricorda quella delle
finestre dello Spedale Maggiore di Milano. Iden-
tica è in tutte e due la lavorazione e T intaglio
delle foglie e il cordone a spirale con perline e
incanalature, e se non identici, assai somiglianti
gJi intrecci di frutti e di pampini. Da questo chio-
stro si passa all'altro men ricco di decorazioni
scultoriche e più architettonico. Vogliam dire che
nel chiostro grande della Certosa la linea archi-
tettonica domina di più che nel chiostro della
Fontana ove la ornamentazione figurativa e a
fogliami risalta sull'architettura. Il Paravicini in
un articolo sulla Certosa di Pavia stampato nel-
VArte e Storia * rilevò che in tre lati del pìccolo
chiostro sono evidentissime le traccie del colore
e del mordente delle dorature che rivestivano
tutta l'ornamentazione scolpita.
Figurarsi l'effetto di questo piccolo chiostro
quando, alle ornamentazioni rigogliose e alle do-
rature e coloriture si aggiungevano le magnifi-
che storie a fresco delle pareti!
La Certosa di Pavia si deve a Gian Galeazzo
Visconti. Fu principiata nel 1396 su disegno di
Bernardo da Venezia e oltre avere una irapor-
» Arie e Storia periodico artistico 11 novembre 1883, N." 45.
Architettura del rinascimento^ ecc. 169
tanza grandissima sulla storia dei Rinascimento
architettonico italiano ha un interesse capitale
sulla storia della scultura lombarda mostrando
uno degli esempi più cospicui dell'innesto degli
elementi pagani coi cristiani che distingue il pri-
mo rinascimento. *
E poiché dianzi abbiamo ricordato lo Spedale
Maggiore di Milano vogliamo accennar subito
un altro artista di fuori, fiorentino, che lavorò a
Milano durante la seconda metà del XV secolo.
È questi Antonio Averlino o Averulino scultore
e architetto soprannominato il Filarete (vale a
dire Amato re di VirttJt f 1465?) che nel 1456
Francesco Sforza fece venire a Milano non a far
tutto lo Spedale Maggiore, come dice il Vasari,
ma a farne una parte che il Calvi ha creduto di
determinare correttamente. * Il Filarete, che fu
anche scrittore, mostrò sempre più coltura che
ingegno e come artista più buona volontà che
buon gusto. Si guardi ad esempio la porta del
S. Pietro (messa a posto nel 1445) e di cui il
» Gfr. E. Miintz, Im limaissaitce m Italie et en France à
V epoque de Charles Vili.
' Notizie sulla vita e le opere dei principali architetti, scul-
tori e pittori che fiorirono a Milano durante il governo dei
Visconti e degli Sforza, t. II, pag. 78 e segg. Sul Filarete si
trovano notizie considerevoli nel Vasari, nel Miintz {Lea Artes
() la Cour dea Pùpea^ t. I, pag. 34, 41-44, t. II, pag. 291 e segg.,
{Lea Précitraeura de la Beftaiaaance, pag. 90 e segg.), nel Dohme
{Filaretea Tractat voti der Architectur\ nel Jahrhuch der K.
preuaaiachen Kunataammlungen, anno 1880, pag. 225, nel Reper-
torium fUr Kunatiriaaenachaffy anno 1884, pag. 291 e segg., ecc.
170 Capitolo quarto.
Qeffpoy fece uno studio finissimo. * La fabbrica
dello Spedale di Milano fìi continuata dall'archi-
tetto Guìniforte Solari, ma non fu Anita cbe nel-
Tanno 1797.
Accanto al Filarete potremmo citare Michelozzo
Michelozzi eh» conoscemmo in Toscana e a Mi-
lano ingrandì e ornò il palazzo oggi dei Vismara,
(via dei Bossi) di cui scrisse Io stesso Filarete
pel suo ms. Trattato d'Architettura, e fece per
Pigello Portinari una sontuosa cappella in S. Eu-
sLorgio nel 1462. Ma quanto spazio ci vorrebbe
per dir di tutti?
Volendo continuare questo paragrafo potremo
qui accennare la squisita ornamentazione estema
della chiesa dei Miracoli a Brescia, la cappella
Golleoni a Bergamo dovuta alla ferace immagi-
nazione dell' Omodeo della Certosa di Pavia, la
famosa porta cremonese del palazzo Stanga, ora
al Louvre, eseguita verso il 1496, all'altra un po'
posteriore del Palazzo del Comune a Cremona e
potremo accennare altre bellissime opere.
Roma che alla fine del XV e al principio del
XVI secolo era la città alla quale si rivolgevano
gli artisti più valorosi d' Italia, tutti coloro cioè
che si sentivano la forza di potersi cimentare
in lavori di grande importanza, Roma attirò an-
che il Bramante come attirò poi RaSfaello e Mi-
chelangelo. Lombardi e toscani comandavano sulle
rivo del Tebro in questo tempo perchè, d'artisti
indigeni Roma n'ebbe ben pochi. Il fatto è che
* Jifrue (ìes deux momìeSj 15 settembre 1879.
Spedale Maggiore, Milano.
Architettura del nnaacimento, ecc. 171
presto Bramante vi divenne T architetto per ec-
cellenza. Giulio 11 lo messe alla testa delle sue
imprese perchè, di vista acuta, comprese che
uomo era quegli che aveva ottenuto a Milano il
favore di Lodovico il Moro. Ecco dunque Bra-
172 Capilolo quarto.
mante fondatore anche di una scuola romana di
architettura ' nella quale troviamo i nomi di
Antonio da San ttallo, di Raffaello, di Baldassare
Peruzzi, d'Antonio del Ponte a Sieve che T Alber-
tini cita accanto allo scultore e architetto An-
drea, soprannominato Sansovino di Montesansa-
vino (Gontucci 1460 1 1529) [da non confondersi
con lo scultore e architetto fiorentino Jacopo so-
prannominato Sansovino (Tatti 1486 1 1570) chia-
mato a Roma da Giuliano da Sangallo nemico giu-
rato del Bramante], di Giovanni Maria dell'Abbaco
e di Antonio dell'Abbaco scolaro di Antonio da
Sangallo (il giovine) che nei suoi Libri d'archi-
teitura ricorda con orgoglio di aver fatto le prime
armi sotto il Bramante.
A Roma l'architetto Urbinate costruì il palazzo
della Cancelleria per incarico del cardinale Ria-
rio che è uno dei più belli di Roma; * costruì il
» Bisogna intendersi bene su questo scuole bramantesche
di architettura; perchè Bramante non ebbe una maniera soia.
In Lombardia la sacrestia di S. Maria presso S. Satiro ha
un tipo affatto diverso da quello della canonica di S. Ambro-
gio e del chiostro di Santa Maria delle Grazie. A Roma si
potrebbe quasi dire che i palazzi deUa Cancelleria e Giraud
sono la continuazione della seconda maniera lombarda; i»
tempietto poi di S. Pietro in Montorio fa parte deiruUiuia
maniera del Bramante della quale fu continuatore Raffaeli»'
• Per cura delF Amministrazione dei Sacri Palazzi si sono
ordinati i lavori di abbattimento delle soffitte che deturpano
l'attico della Cancelleria. Tutto l'edificio si viene restituendo
nella sua forma primitiva e rinforzando nelle parti che minac-
ciavano rovina. Al Comune spetta il merito di aver messo in
piena evidenza questo capolavoro del Bramante mercè la di-
struzione delle case che gli si erano addossate d' intomo, mas-
sima dalla parte di oriente.
Finestra nel palazzo delia Cancelleria! Roma.
174 Capitolo quarto.
1
Palazzo Torlonia già Giraud (Borgo Novo), un
tempietto genialissimo in S. Pietro ìq Montone
e tra gli altri due ediQzi celebri quasi ignoti, il
proprio palazzo ora distrutto e il palazzo di
S. Biagio non terminato. Tutti e due questi
edifici ebbero una grandissima influenza sullo
sviluppo ulteriore dell'architettura moderna e
appartengono a quel tipo d'arte che valse a Bra-
mante tanti seguaci e iniziò sì bene il cinque-
centismo.
Ma r impresa maggiore del Bramante fu quella
che gli propose il papa Giulio U di ricostruire
il S. Pietro. Tutti avrebbero piegato sotto un co-
sifatto peso; Bramante non si scosse minimamente
e accettò.
Il papa aveva deliberato di atterrare la basi-
lica vaticana per farla di novo e da quanti ar-
chitetti allora dimoravano in Roma aspettò che
gli fossero presentati dei disegni. Fra gli altri
Giuliano da Sangallo presentò il suo progetto
persuaso che il pontefice, che aveva servito da
cardinale, lo avrebbe preferito su gli altri. In-
vece Giulio II non accettò che il modello di Bra-
mante come il solo rispondente veramente al
suo smisurato volere. Michelangelo scrivendo a
un suo amico si espresse così sul conto del di-
segno del Bramante: e le parole del Buonarroti
hanno un gran peso data l'antipatia che lo scul-
tore-pittore fiorentino aveva verso l'architetto
Urbinate a cui attribuiva la causa prima dei
tanti dispiaceri che ebbe a soffrire in Roma.*
» Michelangiolo in un momento di collera poteva dirne
Architettura del rinaaeimentOj ecc. 175
« E' non si può negare, scriveva Michelangelo, che
il Bramante non fosse valente nell'architettura
quanto ogni altro ohe sia stato dagli antichi in
qua, ecc., ecc. » e più sotto « chiunque si è di-
scostato da detto ordine di Bramante come ha
fatto il Sangallo si è discostato dalla verità ». *
Perchè il Bramante mori prima che il suo di-
segno fosse stato eseguito intieramente: < tirò la
fabbrica alta Ano alla cornice dove sono gli ar-
chi a tutti i quattro pilastri e voltò quelli con
somma prestezza e arte; fece ancora volgere la
cappella principalo dove è la nicchia attendendo
insieme a far tirare innanzi la cappella che si
chiama del re di Francia • ' (cioè, oltre a aver co-
delle grosse contro i suoi nemici, ma è un fatto che lor sa-
peva render giustizia. Oltre quest'esempio che si riferisce a
Bramante e' è l'altro che riguarda Raffaello e le Sibille dipinte
al Chigi. Si ricorda che Michelangiolo ne fissò il valore a 100
ducati per testa raddoppiando così la somma stata fissata dal
cassiere deU' illustre banchiere senese. La lettera in parte tra-
scritta si trova nella collezione di autografi e docum. storici
di Beniamino Fillon, serie IX e X, p. 123.
* Lettere pittoriche^ tomo VI, pag. 40, edizione milanese.
La lettera è diretta a Bartolomeo Ammannati.
^ Le opere di Vasari, Edizione Sansoni, Voi. IV, pag. 161.
H disegno della chiesa di S. Pietro, secondo l'idea del Bra-
mante vedesi nell' opera del D'Agincourt dedotto da quello di
certe medagUe coniate in onor del Bramante dal celebre Ga-
radosso orefice lombardo. Vedi il disegno anco nel Bonanni
Historia Templi Vaticani t. I, pag. 9. Gfr. altresì per ciò che
riguarda il S. Pietro il lavoro interessantissimo del Di Gey-
mùller, Les projets primitfs pour Saint Pierre, ecc. Paris,
Baudry.
176 Capitolo quarto.
struito i quattro enormi pilastri sotto la cupola
dette pure principio alle tribune della nav^ di
mezzo e della nave trasversale meridionale). Dice
il Vasari che apparve smisurato il concetto di
Bramante in quest* opera ^ e come non poteva
parere? Le dimensioni del S. Pietro sono colos-
sali. Le cattedrali di Milano, di Mans, di Reims
che son le più lunghe che esistono vengono ol-
trepassate molto; quelle di Notre-Dame di Pa-
rigi, di Chartres e di Brouges potrebbero staro
nella nave traversa.
Il Bramante, che aveva adottato pel S. Pietro
la forma della croce greca, collocò la prima pietra
della basilica il 18 aprile 1506 con grande solen-
nità e < la fabbrica grandissima e terribilissima >
(Vasari) fu condotta al punto che si è detto prima
che morisse; morto ebbe successori, RafTaello,
Fra Giocondo, Giuliano da Sangallo, il Peruzzi,
Antonio da Sangallo (il giovine), Michelangelo, ecc.
A Michelangelo toccò la costruzione della cupola
che tra le imprese difficili fu una delle più; per-
chè non è vero che la costruzione della cupola
di S. Pietro non fosse stata che una ripetizione
dello difficoltà incontrate in quella di S. Maria
del Fiore, come si crede in generale ; nel S. Pie-
tro il problema si presentava con forme nuove;
perciò quando Michelangelo parlando della mole
fiorentina, diceva di < andarne a far la sorella >
parlava con modestia eccessiva. A Carlo Maderno
toccò da Paolo V Y erezione della facciata del
tempio sontuoso e a Lorenzo Bernini l'onore di
* Op. et loc. cit, paif. 163.
S. Piftr
L Roma.
Arehiteitura dal rinaseimento^ ecc. 177
ionestarvi il portico che della piazza di S. Pietro
fa una delle prime piazze del mondo.
ft%i«tSS9«
li m
S. Pietro di Roma (stato attuale).
A. Melam.
li
UUjf^ti^UKM ^l^^Ufl tfU,
Su la costruzione del S. Pietro di Roma po-
tremmo scrivere quante pagine vorremmo; du-
rata per più di un secolo e mezzo, fu contem-
poranea a ventidue papi, ebbe a direttori suc-
cessivamente tredici architetti dal Bramatìte al
Bernini, costò secondo i calcoli di Carlo Fontana
la somma enorme di 251,450,000 lire italiane equi-
valente a cinquecento milioni dei nostri giorni...
Il S. Pietro insomma meraviglia, spaventa fa sen-
tire che nella storia dei popoli queste costru-
zioni non si fanno due volte.
Gonchiudendo, in Bramante c'è più l'architetto
di genio che una di quelle nature molteplici del
Rinascimento veramente miracolose. * È tale la
massa dei problemi che V architetto d' Urbino ha
aflTrontato e risoluto nel campo severo delle di-
scipline costruttive da dimenticare che fu an-
che pittore e incisore.
Intorno a Bramante in Roma, sorsero archi-
tetti valenti e mediocri, i quali cercavano di
secondarlo nelle sue idee perchè poteva servirsi
di loro essendo sopraintendente di tutte le co-
struzioni pontifici. Ma Giuliano da San Gallo —
il fondatore illustre della famiglia d' artisti di
questo nome — avvicinò poco o punto il Bra-
mante; in ciò non doveva essere estranea un po'
d* invidia: a Giuliano doveva parere -che fosse
suo diritto essere preposto a Bramante. Comun-
que gli sdegni del competitore irato non sor-
» Gfr. Muntz, Raphael, Il edizione. Parigi, 1886, pag. 313
paragrafo Bramante.
Architettura del rinascimento, ecc, 179
tirono alcun successo, e Bramante continuò a
essere moltissimo adoperato. Però Giuliano fu a
capo dei lavori del San Pietro con Raffaello e
Fra Giocondo, vivente il Bramante, morto P 11
di marzo del 1514 cioè poco dopo di due mesi
che Giuliano fu insediato nella carica ambita. *
Venuto a Roma assai presto, di circa 20 anni
Giuliano s'era messo a studiare l'antichità con
vera passione come lo provano delle raccolte di
disegni suoi che si trovano una, alla biblioteca
Barberini a Roma, l' altra alla biblioteca comu-
nale di Siena. Fu considerato molto da Paolo II
e se Sisto V non si giovò del suo ingegno, Giu-
lio II il grande mecenate delle arti al quale
Leone X usurpò parte della sua gloria, ebbe
verso l'architetto fiorentino vivissima amicizia.
Certo Bramante lo danneggiò; e quando salito
al trono pontificio Leone X la fortuna pareva
tornata a sorridere a Giuliano questi, poco dopo
essere stato uno dei tre capi della costruzione
del S. Pietro, si morì (20 ottobre 1516). Molti
scrittori gli attribuiscono l'erezione del bellis-
simo palazzo Venezia a Roma.
Abbiamo detto che fra gli architetti che se-
guirono le idee del Bramante a Roma vi fu Raf-
faello Sanzio (1483 t 1S20). Il fatto capitale e
meglio accertato della carriera architettonica dì
Raffaello da Urbino è appunto Tessere stato no-
minato successore del Bramante alla più grande
impresa che sia mai stata proposta nei tempi
antichi e moderni a un architetto,^ cioè la coetru-
* Gaye, Carteggio ined., ecc. II, 135.
Architettura del rmaaeimento, ecc. 181
zione della mole vaticana. * Leone X ve lo no-
minò per invito del Bramante ma gli dette per
cooperatori due veterani dell'architettura: Giu-
liano da San Gallo e Fra Giocondo. Morti peral-
tro entrambi, Raffaello restò solo a dirigere
la fabbrica immensa. Il Di GeymUller attribui-
sce a Raffaello T erezione della Farnesina di cui
dette i piani ad Agostino Chigi nel 1514. L'ele-
gante palazzo Pandolflni a Firenze, è certo opera
imaginata da Raffaello; non ne potè presiedere
la costruzione perchè principiata dopo la sua
morte. Perciò troviamo unito a questo palazzo
i nomi dell' architetto Giovanni Francesco da
San Gallo (f ISSO) e del pittore e architetto
fiorentino Aristotile da San Gallo (1481 f ISSI).
Il palazzo Pandolflni è il più geniale di quanti
n' ha imaginati il pittor delle Stanze. La Farne-
sina attribuita a Raffaello si è creduta sempre di
Baldassare Peruzzi (1481 f 1S36) a cui la critica
moderna non fu troppo benevola,'* Abbandonata
' E. Di GeymùUer, Raffaele Sanzio studiato come architetto.
Ulrico Hoepli, Milano, 188*, pag. 17.
■ Raffaello pittore fecondo, pieno di fantasia, doventa in-
fine anche archeologo e prende tanta passione alla archeolo-
gia che negli ultimi anni di sua vita dà mano a una specie
di ricostruzione ideale di Roma antica che la morte non gli
lasciò finire. Questa ricostruzione, che il Grimm non vorrebbe
attribuire a Rafaello e il Springer attribuisce a Fra Giocondo,
è un Rapporto diretto a Leone X ove per la prima volta si
accenna allo sviluppo degli stili, alle loro differenze, cosa a
cui prima di Raffaello (che crediamo autore del Rapporto),
uii^no avea pensato, tranne il Ghiberti nei suoi Comentari^ ma
182 Capitolo quarto,
Siena e giunto a Roma il Peruzzi acquistò nella
capitale del mondo cattolico un posto conside-
revole. Fu pittore e nel dipingere a chiaroscuro
sfida i maggiori; quale architetto c'è chi lo
vuole dei primissimi, c'è chi lo mette in se-
conda linea, in Francia e in Germania se n'ò
voluto far da qualcuno il più grande architetto
del XV secolo e perciò si è anteposto allo stesso
Bramante. ^ Insomma anche ammesso (e non tutti
r ammettono per ora) che la Farnesina non sia
del Peruzzi, questi ha il palazzo Massimi a Roma
(detto delle Colonne), il palazzo Linotte, Ossoli,
Altemps che gli assicurano una riputazione le-
gittima. Egli poi lavorò a Carpi, a Bologna: a
Carpi fece certo il Duomo, a Bologna gli si at-
tribuiscono la facciata del palazzo Albergati, il
palazzo Lambertino, la porta di S. Michele ia
Bosco. A Roma ebbe alta fama anche Antonio
da San (Jallo detto il giovine o il Sangallo ni-
pote architetto operosissimo come ne fanno am-
pia fede le fabbriche erette, e i suoi studi che
si veggono in una raccolta della Galleria di
Firenze il cui Catalogo fu ordinato diligente-
mente dai benemeriti annotatori delle vite vasa-
riane. A Roma si distinse oltre che col palazzo
solo in ciò che spetta alla pittura medieva. É noto che U li-
bro del Ghiberti, parte inedito, ha preceduto le biografie del
Vasari di tutto un secolo.
» D. Ramée, Hiatoire generale de VArchitecture, Paris, 1885,
Benaieeanee, pag^. 143. Raccomando al chiarissimo autore di
corregger bene questo suo lavoro in una seconda edizione
perchè (almeno per la parte che riguarda 1* Italia) mi pare cb^
abbia bisogno di cj^ualche correzione,
Architettura del rinascimento, ecc. 183
Farnese con quello Sacchetti colla erezione della
facciata della Zecca vecchia, già erroneamente
a
o
attribuita al Bramante, con le opere di architet-
tura militare che vi diresse, si distinse col novo
ordine imaginato per Ja fabbricai di iSan Pietro
184 Capitolo quarto.
tanto Iodato dal Vasari e troppo spregiato dal
Buonarroti. * Antonio da Sangallo il giovine (vedi
la nota 2 a pag. 145) lavorò molto anco fuori di
Roma quale architetto militare in special modo;*
fece la fortezza di Perugia ora distrutta, il Bra-
mante lo menò seco a Civitavecchia nel 1508
quando Giulio avevagli commesso la fortifica-
zione della città e il Sangallo ne componeva il
rettangolo sotto la direzione del maestro. Perchè
l'influenza più o meno bramantesca si estese per
tutta la regione del Lazio. Bramante, per es., lo
troviamo a Viterbo e -a Civitavecchia a dare di-
segni per costruzioni. Senonchò non potendoci
estendere bisogn.a fermarci al luogo da dove si
partì il movimento artistico a meno che dei mo-
numenti veramente insigni non ci impongano di-
versamente: in questo caso non ci si può partire
da Roma.
I papi cercavano di ornare piiì la lor sede che
le città circonvicine e noa avevano poi tutti i
torti. Roma fu quindi ornata colle opere di altri
architetti valorosi oltre i nominati; ma del Vi-
gnola, di Giulio Romano, dello stesso Sansovino
parleremo nel paragrafo seguente, per la divi-
sione fatta tra T architettura del Rinascimento e
del Cinquecento; che può far confondere un po'
gli inesperti per quanto assoluta derivando da
» Gfr. Ojpere di G. Vasari Con annotazioni e commenti di
G. Milanesi, ediz. Sansoni, Voi. V, pag. 468.
" Vedi A. Guglielmotti de' Predicatori, Storia delle forHji-
caziofti nelle spiaggia romana^ risarcite ed accresciute dal 1560
al 1570. Roma, 1880.
Architettura del rinascimento, ecc. 185
forme d'orìgine comune ma diverse tra loro. —
Questa divisione certo è più diflQeile farla a Roma
che, per es., nei Veneto; per la ragione che a
Roma gli esempi latini tiranneggiarono più la
fantasia degli artisti che li avevano sotto gli oc-
chi continuamente; perciò là il classico imitatore
spesso s'infiltrò anche dove avrebbe dovuto es-
sere solo il classico creatore.
Chi vuo'l capire bene questa divisione deve
prendere un edificio lombardesco e uno palla-
diano: le considerazioni ispirate dal confronto
suppliranno alla insufficienza delle nostre parole.
Qui in questo luogo sta bene T autore del pa-
lazzo ducale di Gubbio e d'Urbino, e di Urbino
sopratutto perchè la costruzione di questo deve
Hvere influito tanto sulle attitudini architettoni-
che del Sanzio. Questo palazzo (cominciato nel
1468) fu ordinato dal nobil duca Federigo di Mon-
teteltro che fece fiorire le arti e le lettere in
questa regione italiana (| 1482). Fu imaginato
dall'architetto dalmata Luciano di Lauranna * che
ebbe per successore il senese Francesco di Gior-
gio Martini. Su questo Lauranna bisognerebbe
fermarsi un po'. Giovanni Santi nella Cronaca in
terza rima lo rammenta così:
Et l'architetto a tutti gli altri sopra
fa Lacian Lauranna huomo exceliente
che il nome vive benché morte el cuopra.
* Di quest'architetto ha dato molte importanti notizie il
^aye nel tomo I, pa^p. 214 e se^^. <Jel Carteggio ined., ecc.
186
Capitolo quarto.
Ora se il padre di Raffaello artista più che me-
diocre parlava così di un architetto, vuol dire
che questo si meritava il plauso suo e della gente.
E lo crediamo; il palazzo d'Urbino che il Ca-
Palaizo ducale, Urbino.
stiglione disse il più bel palazzo che ai suoi tempi
fosse in Italia, ha la vaghezza e eleganza delle
opere che poi si disser braraaatesche, Luciano,
Architettura del rmaseimentOj ecc. 187
non e' è che dire, formò il Bramante e Bramante
finì di formare Raflfaello architetto che aveva stu-
diato « Maestro Lutiano », sicché Luciano Lau-
ranna va ricordato accosto al Bramante e il suo
nome dovrebbe diventar familiare. Nel palazzo
di Urbino forse lavorò Baccio Pontelli (n. 1450
viv. n. 1492) architetto fiorentino al quale si at-
tribuisce a torto il bel cortile che diamo inciso.
Il Pontelli è stato un artista fortunato: per molto
tempo gli sono state attribuite tante fabbriche di
Roma' erette durante il pontificato di Sisto IV e
lanocenzo Vili (1484-1492) che non possono es-
sere state costruite da lui come vorrebbe il Va-
sari. La fama goduta per quattro secoli da Baccio
Pontelli come architetto degli edifizi di Roma deve
essere con ragione rivendicata a favore di Meo
del Caprina architetto di Settignano (vie. di Fi-
renze, 1430 1 1301) molto valente nell'arte sua
noia per ingiuria della fortuna rimasto fino ad ora
immeritatamente sconosciuto. '
Da Urbino a Loreto è breve il passo; perciò
qui possiamo ricordare anche il famoso Santua-
rio della Madonna principiato da Giuliano da
Maiano ornato in parte dal Bramante che dette
i piani del palazzo apostolico (ora reale) loretano,
nel 1510, e mèta ogni anno di migliaia di pel-
legrini. Non c'è italiano che non abbia sentito
parlare del tempio insigne; di questa « Santa
« Cfr. Commentario alla vita di Baccio Pontelli in Opere di
a, Vasari, edizione fiorentina de\ SmsQXà Voi. II, pa^. 659
188 Capitolo quarto.
Casa » e delle sue ricchezze. À questo monu-
mento, oltre i nomi del Bramante e di Giuliano
da Maiano, si uniscono quelli di Antonio Calca-
gni (1536 1 1593) costruttore della facciata, del
Pomarancio (Cristoforo Roncali) pittore degli af-
freschi della cupola ettagona, del Sansovino, di
Francesco da San Gallo, di Baccio Bandinelli, di
Raffaello da Montelupo scultori delle storie della
Vergine senza parlare di Luca Signorelli, di Fra
Bartolomeo, ecc., eoe. j
Lo stile del Rinascimento nel Piemonte, nella
Liguria, a Napoli, sua provincia, ecc., ecc. — Del
Piemonte ci occupiamo poco perchè, davvero,
saremmo sgomenti a trovare, ad es., in Torino
materia da trattenere fruttuosamente il lettore.
Se ne togli il duomo elevato su disegno chi dice
di Baccio Pontelli chi dice di Meo del Caprina
(secondo noi Meo del Caprino da Sotlignano) non
sapremmo dove rivolgere la mente in cerca di
monumenti del Rinascimento in questa pittoresca
e insigne capitale piemontese che quale è adesso l
non va più in là, in architettura, del XVI secolo.
Si sa che gli architetti piemontesi ftirono più
ingegneri militari che artisti e difatti troviamo i
più noti tra loro: Marino da Pinerolo, Giovanni
da Vigono, Freilino di Mercadillo da Chieri — al
servizio dei Milanesi e Fiorentini appunto in qua-
lità d'ingegneri militari. Si rammenti inoltre che
il Piemonte provincia di condne, signoreggiato
da una famiglia che risiedeva parte dell'anno
oltr'Alpi vi dominava e contraeva frequenti
aUean;}e domestiche colla casft di Valois, fu più
Architettura del rinascimento j ecc. 189
lento delle altre provincie a accogliere i precetti
dell'arte nova; e quando già nel rimanente d'I-
talia le forme classiche vigoreggiavano, il Pie-
monte seguitava a ispirarsi alla Francia e a col-
tivare l'architettura archiacuta. Nemmeno della
Liguria ci occupiamo perchè avrà avuto, come
dice il Varni, un numero considerevole di artisti.
in questi tempi, ma non ebbe una scuola archi-
tettonica caratteristica e in ogui momento vi
troviamo artisti toscani o lombardi o fiamminghi
come nel Napoletano. Nel XV secolo troviamo a
esercitar T arte a Napoli artisti di fuori in qual-
sivoglia delle sue branche. Neil' ultimo decennio
del secolo medesimo s' incontra in Napoli il fio-
rentino Benedetto da Maiano a cui vuoisi attri-
buire il palazzo Como; un palazzo sul genere di
quello Strozzi di Firenze. ^ Là il Rossellino ci
ricorda l'arte fiorentina coi suoi lavori della Cap-
pella Piccolomini, e vi lavora moltissimo Giuliano
da Maiano (altro toscano) a cui il Vasari attri-
buisce l'opera più cospicua che ha Napoli in ar-
chitettura e scoltura: l'Arco trionfale di Castel
Novo (cominciato dopo il 1442 e non anco finito
nel 1471) al quale lavorarono i più valenti scul-
tori italiani di quest'epoca* Isaia da Pisa (fior.^
n. 1420) Andrea Domenico Lombardo, Francesco
Azzarra, Paolo Romano, lo scultore favorito da
Pio II, Silvestro e Andrea dell'Aquila e perfino
* Gfr. Settembrini, TI palazzo di Como. Rivista Napolitana,
del 20 agosto 1963.
* Minieri Riccio, Oli artisti e artefici che lavoravano in Ca-
stel Nwo, Napoli, 1S76.
• 190 Capitolo quarto.
Desiderio da Settignano. Considerato bene il fatto,
Giuliano non può avere eseguito come notò an-
che il MOntz, * l'Arco trionfale di cui si parla; è
più facile che abbia architettato o almeno prin-
cipiato a architettare la porta Capuana (1484-1535)
ordinata da Ferdinando I (1458 f 1494). È accer-
tato che Giuliano dal 1481 abbandonò la Toscana
si recò a Napoli dovè restò e morì nel 1490. Gii
si attribuisce anche la celebre villa del Poggio
reale (cominciata dopo il 1481) creduta erronea-
mente di quel Luciano di Latiranna architetto del
palazzo ducale di Urbino e di cui non si hanno
che i disegni pubblicati dal Serlio. *
Bisogna ricordare anche i servizi prestati alla
corte di Napoli da due altri architetti fiorentini:
Antonio di Giorgio da Settignano e Luca Pan-
celli; quest'ultimo lavorò al Castello Capuano. Di
architetti indigeni vi si trova un assai proble-
matico Andrea Ciccione (t 1455?) a cui si attri-
buisce il chiostro di Monteoliveto, l'Oratorio di
Fontano, parte della chiesa di S. Severino e il
monumento maestoso d' aspetto, ma mediocre in
linea d* arte, che in S. Giovanni dei Carbonari è
inalzato a Gian Caracciolo (tl432).
Basta; Napoli e la sua provincia fu troppo bat-
tuta dagli stranieri vari d'indole e di voleri per-
^ La Renaissance en Italie et en France^ ecc., pag. 4^5.
* Intorno air andata di Giuliano a Napoli e alle opere fatte
da lui per Alfonsa duca di Calabria si hanno alcune notizie
importanti nelle Effemeridi di'Gio. Pietro Leostello pubblicata
nel primo volume dei Documenti per la Stùria le ArH e U
Ikdustrie Napoletane, del principe Don Gaetano Filangieri.
Architettura del rinaacitnentOj ecc. 191
che vi potesse germogliare un'arte locale carat-
teristica. Per quanto gli storici di là si sforzino
a crear magari qualche nome per dar credito a
una scuola d'arte napoletana, i loro sforzi per
ora sono senza successo ; il Burckhardt, il Bode,
il Mttntz, il Morelli, il Frizzoni sono di questo
parere. *
Rivenendo insù (davvero ci vogliono le ali alle
calcagna come ha Mercurio 1} troviamo in Bolo-
gna una città che se nel movimento storico del
Hìnascìmento non conseguì un posto a parte,
malgrado la sua ricchezza e V energia degli abi-
tanti, sotto r aspetto dell' arte ebbe riputazione
singolarissima. Non dovendoci occupare delle
opere scultoriche di Giacomo della Quercia, del
fiorentino Francesco di Simone, di Niccolò da
Bari che terminò la famosa arca cominciata da
Niccola Pisano — il restauratore della scoltura
italiana — né di quelle pittoriche del Francia e
della sua scuola numerosa, né delle altre di cui
due ferraresi Francesco Gossa e Lorenzo Costa
ornaron Bologna sullo scorcio del quattrocento,
volgendo gli occhi soltanto alle architetture, ivi
troviamo intanto uno degli architetti più cospi-
cui del XV secolo in Aristotile di Fioravante
che lavorò nel palazzo del Podestà (1485), un
palazzo assai vago con delle finestre arcuate, con
pilastrelli addossati e fioriti di fini ornamenti
* Su r arte a Napoli nel Rinascimento, si consulti lo studio
del dott. Frizzoni pubblicato di9\V Archivio Storico Italiano^
anno 1878, serie IV
192
Capitolo quarto.
quali sì veggono in altri palazzi di questa ma-
gnifica e dotta città di cui scriveremmo se il no-
stro studio dovesse avere maggiore estensione.
Ma non vogliamo rinunziare a mostrare con un
disegnetto l'angolo di una casa bolognese genia-
lissima decorata con terracotte e con pitture nel
fregio superiore e nello sporto del tetto qual
vedesì dalla piazza Galderini; e lo mostriamo non
Casa delta « dei Caracci », Bologna.
senza notare che la casa è detta generalmente
t Casa dei Caracci » tuttoché non si abbiano me-
morie provanti che appartenesse mai a questa
famiglia. 11 secolo sedicesimo ne alterò la origi-
Architettura del rinaaeimento, ecc. 198
naria struttura del secol precedente inalzando la
parte alta dell'angolo oltre la cornice orizzontale
Palazzo Fava, Bologna.
che è r antica. Accanto a questo offriamo il pa-
lazzo Fava che ha un carattere spiccatissimo e
A. Mblàni.
13
194 Capitolo quarto.
andrebbe molto studiato nei suoi particolari di
una grazia incomparabile e notiamo la Loggia
dei Mercanti terminata nel 1439, il Palazzo del-
l'Arte degli Straociuoli, ecc., ecc.
Ebbe una importanza reale nell* epoca del Ri-
nascimento la simpatica città di Rimini grazie ai
favori di Sigismondo Malatesta che seppe riu-
nire alla sua corte artisti della forza di L. B. Al-
berti, di Piero della Francesca « poeti e filosofi
e eruditi di fama mondiale. Alcuni monumenti
di Rimini di quest'epoca li abbiamo ricordati
parlando di L. B. Alberti; qui ci limiteremo a
accennare un'opera architettonica finissima in
una chiesa di S. Michele a Pano vicino a Rimini
sfuggita agli eruditi Burckhardt e Bode opera
di un artista poco noto: Matteo Nuti di Fano
che edificò nel 1452 anche la biblioteca Malate-
stiana a Cesena.
A coloro che del Rinascimento vogliono avere
più estese cognizioni furono additati i libri op-
portuni.
COSTRUZIONI RELiaiOSE E CIVILI
DEL CINQUECENTO.
Basterebbe conoscere le costruzioni sacre di
Andrea Palladio per avere un'idea esatta dell'ar-
chitettura religiosa del Cinquecento. Il Palladio
fece molti progetti di chiese, ma non tutti furono
eseguiti. Nel 1567 era chiamato a Brescia per
esaminare il disegno del Duomo presentato da
Architettura del rinobseimento^ ecc, 195
Lodovico Berretta bresciano (tllJ72}. Vi fece tante
aggiunte e cangiamenti che ne uscì un disegno
novo che ricorda quello fatto da lui pel S. ttiorgio'
Maggiore a Venezia. Pece qualche studio anclie
pel Duomo di Bergamo e pel S. Niccolò di Po-
veglia; per Vicenza diede i piani di un tempio
alla Vergine di Monte Berico, costruì un geniale
tempietto a Maser nel trevisano isph*ato dal Pan-
theon di Roma e disegnò quattro progetti per la
tacciata del S. Petronio a Bologna, ed a Venezia
olti'e al S. Giorgio Maggiore, costruì la Chiesa
del Redentore la quale, secondo il Kugler, è la
più bella delle chiese fabbricate dal Palladio, e
secondo noi, non è meno delle altre accademi-
camente noiosa.
La pianta della chiesa del Redentore ha la
forma di una croce latina nel cui braccio più
lungo stanno tre cappelle internate nel muro
con altrettanti altari eguali. Nel mezzo della cro-
ciera sorge una cupola impostata sur un qua-
drato minore della larghezza della nave centrale.
La testa e le braccia della croce girano in se-
micerchio; queste sono formate dal vivo del muro,
quella si compone di quattro colonne corintie iso-
late eguali a quelle dell'ordine ricorrente in tutta
la chiesa. Dietro allo sfondo che forma il capo-
croce, trovasi il coro di « umile struttura » dice
il Diede, quale conveniva ai cappuccini uffizia-
tori della chiesa. L'interno è d'ordine corintio.
61i archi delle cappelle sono sostenuti da pilastri
di un ordine minore di quelli che sostengono la
trabeazione generale; e sopportano una cornice
architravata che serve d'imposta e gira per tutto
196 Capitolo qucvrto.
il tempio. Negli intercolonni stanno due file di
nicchie sovrapposte. L' estemo corrisponde poco
airinterno, L* ordine composito con due colonne
nel mezzo e due pilastri angolari si inalza sur
un ampio basamento con scalinata. Lo iDterco-
lonnio mediano è più del doppio dei due laterali.
Le due ali sono formate da un ordine corintio a
pilastri il quale si svolge lungo la linea dei fian-
chi e entrando nello intercolonnio centrale, for-
ma e orna la porta. La cornice di quest'ordine
convertita in fascia naturale, passando gli inter-
colonni non presenta risalti soverchi. — La co-
pertura delle ale che stanno nella medesima li-
nea della facciata va ad appoggiarsi alla parte
di mezzo della fabbrica sviluppando due mezzi
frontoni la cui inclinazione è parallela a quella
del frontone del corpo mediano. Di questo stesso
tipo sono anche le chiese del Palladio; il S. Gior-
gio, e il S. Prancesco della Vigna, il cui interno
fu eretto dal Sansovino.
Lungi da noi Tidea di voler far qui la critica
analitica dell' architettura palladiana, notiamo pe-
raltro che r architetto vicentino mostrò nelle
chiese una fiacchezza di fantasia la quale non si
trova nelle sue costruzioni civili; per quanto an-
che in queste il pronao, il fastigio alla romana
non si facciano mai desiderare, non si può ragio-
nevolmente scagliarsi contro il sistema architet-
tonico palladiano che ha la sua ragiiAie d'essere
nella vita del secolo in cui vigoreggiò. Il secolo
latineggiava e il Palladio, che impersonò mara-
vigliosamente le idee del suo tempo, latineggiò
colia sua architettura caratteristica stata umiliata
Architettura del rinascimento, ecc. 197
dai soliti antipatici imitatori;^ da questi fossili
della intelligenza cui piace tanto jurare in verha
magiatri.
Non fu tanto più liberale del Palladio Jacopo
Sansovino (Tatti 1486 f 1570) nell'interno di
S. Francesco della Vigna a Venezia cominciato
nel 1534 che rammenta assai il movimento co-
rintio del S. Giorgio Maggiore di Palladio. Per
molto tempo si attribuì alle sèste del Sansovino
la chiesa di S. Giorgio dei Greci, ma la venustà
lombardesca di questa costruzione fé' nascere il
desiderio di farvi nuovi studi. E difatti il pro-
fessore Giovanni Veludo in una certa occasione
esumò fra le carte della chiesa una carta con
cui venivasi a stabilire che il Sansovino non en-
trò in nulla alla edificazione del S. Giorgio. 11
S. Giorgio è di Sante Lombardo e di quel Chiona
il quale eresse il Collegio dei mercanti di Vino
presso la chiesa di S. Silvestro. Del Sansovino
è certamente la facciata della chiesa di S. Giu-
liano e la chiesa ora distrutta di S. Giminiano.
Ma, come rilevammo, è inutile continuare a ci-
tare e descrivere chiese di questo stile, somi-
gliandosi tutte perchè ispirate da una sola mente.
11 Palladio stesso che nelle chiese si è visto
ripetersi con tanta monotonia, nelle costruzioni
civili è più vario e più spigliato. Si cita a ra-
gione la Basilica di Vicenza, come suo capo la-
voro. Il Palladio si vanta di avere eretto questa
fabbrica nel Libro III della sua Architettura stam-
* Vedi Palladio par Alfredo Melanì. Paris, Librairie de
l'Art, j! Rouam éditeur, 1886.
198 Capitolo quarto.
patò nel 1570. t Una Basilica — son parole del
Palladio — è io Vicenza della quale ho posto i
disegni, perchè i portici ch'ella ha d'intorno
sono di mia invenzione, e perchè non dubito che
questa fabbrica non possa essere comparata agli
cdiflzi antichi ed annoverata fra le maggiori e
le più belle fabbriche che siano state fatte dagli
antichi in qua, sì per la gi^andezza e pegli or-
namenti suoi, come anco per la materia eh' è
tutta di pietra durissima e viva, e sono state
tutte le pietre connesse e legate insieme con
somma diligenza. » Isella Basilica di Vicenza un
motivo solo si ripete varie volle, identico, nel
primo piano, e quasi identico nel secondo; ma
è un motivo di ottima effetto e originale. Delle
mezze colonne addossate sorreggono la trabea-
zione e fra gli intercolonni altre due colonnette
isolate sopportano una cornice architravata su
cui s'impostano gli archi. Ogni colonnetta ha
la rispettiva anta di ribattuta; e per intonare il
vuoto fra V anta e la colonnetta isolata, nel tam-
buro degli archi, l'architetto ha fatto un occhio
rotondo che serve anche ad allegerire il peso
\della massa di pietrame ohe le colonnette deb-
bono sorreggere. La Basilica di Vicenza è cono-
sciuta da tutti quanto e forse più della Rotonda
(la singolarissima villa palladiana a un miglio,
circa, fuori della porta Monte a Vicenza) e del
Teatro Olimpico su cui lavorò lo Scamozzi se-
guitatore intelligente dell' arte architettonica del
Palladio.
Vincenzo Scamozzi (1552 f 1616) - vicentino
anche lui come il Palladio, di cui più che emulo
iiir'iiH^^^^^
Wi^^
w// /mmmk
CQ
Arehiteiiura del rinascimentOj ecc, 199
fu rivale — fu uno degli architetti più fortunati
del Veneto. Terminò a Venezia dove si recò nel
1581 la Libreria di S. Marco principiata da Ja-
copo Sansovino, eresse moltissime opere in Ve-
nezia, Vicenza, Padova e in altre città d'Italia,
ebbe insomma tante commissioni quante mai po-
teva desiderare. Scrittore^ pubblicò un'opera che
la morte non gli permise di finire col titolo pom-
poso: Idea dell'architettura universale. Archi-
tetto, seguì l'arte classica finché la vide ben ac-
colta dal pubblico, quando s'accorse che lo stesso
pubblico cominciava a inclinare verso i capricci
secentistici, allora abbandò il Palladio e carezzò
il Bernini. Cosicché lo Scamozzi morì additando
ai suoi imitatori una via piena di attrattive ma
irta di pericoli. Antonio Da Ponte (1512 f 1597)
veneziano suo scolaro superò con disinvoltura i
pericoli della nova via; noto men di quanto se
lo meriterebbe il Da Ponte restaurò a Venezia il
Palazzo Ducale a cui nel 1574 si appiccaron le
fiamme, eresse il Ponte di Rialto su disegno dello
Scamozzi (ma che può dirsi totalmente suo, tanto
Io modificò) e inalzò secondo il Temanza il fa-
moso Ponte dei Sospiri e le Prigioni a Venezia.
A proposito: abbiamo lasciato il Palladio senza
volerlo. Come si fa? A proporsi di discorrere di
tutte le fabbriche erette dal Palladio soltanto a
Vicenza, dove peraltro lavorò moltissimo, ci vor-
rebbe tutto il volumetto. Ne scegliamo altre due
di tipo differente: il palazzo Valmarana, roma-
nissimo con que' pilastri anticipatamente tramez-
zati dalle finestre con terrazzini; e il palazzo
Thiene, incompiuto come la maggior parte degli
200
Capiioto quarto.
edifl/J palladiani. Nella facciata del palazzo Thiene
a Vicenza il Palladio svolge il sistema cosidetto
bugnato che conobbero i Romani e del quale un
contemporaneo di Palladio il Michele Sanmicheli
veronese (1484 f 1559) se ne fece il suo tipo ar-
chitettonico. Architetto militare, il Sanmicheli,
Palazzo Yalmarana, Vicenza.
portò anche nell' architettura civile un po' di quel-
V elemento severo che distingue le fabbriche ci-
vili dalle militari: a Verona, a Padova, a Vene-
zia, a Legnago, eresse vari palazzi nel suo si-
stema a bugne. Fra i migliori si cita il palazzo
Corner a Venezia la cui facciata principale è
spartita nientemeno da sei piani; si cita il pa-
lazzo Grimani a S. Luca ove il Sanmicheli ab-
bandonò il suo sistema prediletto. Quale oggi è
codesto palazzo, non devesi tutto attribuire al
ii^miir
Palazxo Thii
, Vicenza.
Architettura del rinascimento^ ecc. 201
Sanmicheli; il Temanza e il Diedo sospettarono,
con ragione, che il terzo ordine fosse stato com-
202 Capitolo quarto.
piuto da qualche altro architetto dopo la morto
del Sanmicheli. Eresse dei palazzi anco a Verona;
qui, nel palazzo Bevilacqua, abbiamo un altro bel-
lissimo esempio dello stile architettonico del San-
micheli, detto da lui sanmicheliano.
Ma in patria il nostro architetto si fa ammi-
rare sopratutto nella Porta Nuova fatta a bugne
e a mattoni severamente grandiosa come le altre
sue costruzioni in questo genere, in quella del
Bucintoro (all'Arsenale di Venezia), e nel Castello
S. Andrea pure a Venezia. Il Sanmicheli si volle
fare inventore dei baluardi angolari sostituiti ai
rotondi; ma ora si sa che Francesco di Giorgio
Martini di cui si è discorso più volte, aveva ima-
ginato i baluardi in tal guisa assai innanzi del
Sanmicheli. * E cosa importa? Il Sanmicheli può
fare a meno della gloria che non gli perviene
di diritto, ne ha tanta legittima da poter rinun-
ziare senza danno a quella che gli fu data erro-
neamente.
Basta: riparliamo dello scultore e architetto
fiorentino Jacopo Sansovino giacché si può ripar-
larne senza abbandonare il Veneto, anzi Venezia,
che in questi tempi seguitava a offrire alla ar-
chitettura continue occasioni per essere adope-
rata fruttuosamente. Pare che la prima opera di
importanza eretta dal Sansovino in Venezia sia
stata nel 1532, la scuola della Misericordia già
principiata sino dal 1508 sul modello di Ales-
» Gfr. G. Promis, Trattato di archUetlura civile e miliiarf H
Francesco di Giorgio Martini architetto senese del secolo XV.
Torino 1841, tomo li.
Architettura del rinascimento, ecc. 20S
saùdro Leopardo scultore eminente e architetto
morto dopo il 1521, poi continuata da Pietro
Lonabardo. * Tra le più lodate è dfv mettersi senza
dubbio la Zecca, la Scala d'Oro che per la sua
ricchezza prese il nome che ha tuttora e la Li-
breria da noi riprodotta ove il Sansovino si mo-
stra nella pienezza delle sue facoltà: la eresse
nel 1SS6. Egli che spesso sacriflcava la fantasia
alle regole vitruviane nella Libreria ebbe degli
accenti liberali che non piacquero allora, ma ora
r onorano al cospetto di ehi è persuaso che
senza libertà non ci può essere arte nò artisti.
I vitruviani strillarono anco contro la Loggetta
sotto il Campanile di S. Marco, cominciata dal
nostro architetto nel 1540. Senza classificarla tra
le opere di primo ordine non sapremmo giudi-
carla come la giudicò il Selvatico* il quale fu
pure un antesignano valoroso delle teorie libe-
rali che ai suoi tempi (1803 f 1880) erano giu-
dicate nocive all'arte. Il Sansovino architettò in
Venezia altre fabbriche e monumenti ove anche
si mostrò lo scultore eccellente che fu. Lasciò
scolari perchè aveva aperto a Venezia una specie
d'Accademia, frequentatissima dalla gioventù, e
non potò sottrarsi alla affascinante influenza di
Michelangelo; lui discepolo di Andrea Gontucci
dal Monte Sansovino (è questi l'altro Sansovino:
1 Cfr. P. Selvatico, SulV Architettura e sulla Scnìtura hi Ve-
nezia, ecc. Studi. Venezia, 1847, pag. 281.
" « La loggetta del Sansovino sarebbe difflclle assai desi-
derarla più ricca ma facilissimo architettarla più bella. » Op.
cit., pag. 286.
204 Capitolo quarto.
si ricordi) sottile e raro intelletto. Alessandro
Vittoria, quegli che introdusse il secentismo a
Venezia, fu scolaro di Jacopo.
Fra gli architetti classicisti fu Sebastiano Ser-
lio bolognese (1480 f 1552) stato molto in Fran-
cia ove si acquistò la protezione di Francesco I;
forse ebbe parte nella costruzione del Louvre;
lavorò certo nel castello di Fontainebleau. Il
Serlio si distinse più qual conoscitore dei monu-
menti di Roma antica che qual costruttore. Di-
fatti pubblicò diverse opere suH'architettura stam-
pate tutte a Venezia nel 1584, 1618 e 1619,
Classicista impenitente fu Giacomo Barozzi di
Vignola nel Modenese (1507 f 1573) che guidò
(pur troppo 1) la mente degli architetti insino a'
nostri giorni. 11 Vignola nel Castello della Gapra-
rola edificato pel cardinale Farnese nipote di
Paolo 111 architettò un' opera ammirevole. Gapra-
rola è un luogo solitario distante da Roma circa
trenta miglia; la costruzione del Vignola gli ha
dato un po' di vita perchè i touristes intelligenti
visitanti Roma rinunziino difficilmente a una
gita là dove il più noto degli architetti cinque-
centisti si inalzò un monumento di gloria. Il
Vignola fu molto adoperato; a Bologna eresse nel
1562 il portico dei Banchi, a Piacenza fece il di-
segno del palazzo Farnese ma il campo della sua
vita artistica fu Roma. Presentato da Giorgio Va-
sari a Giulio III questi incaricò il Vignola di di-
versi lavori; e lo nominò perfino architetto del
S. Pietro, morto Michelangelo. Il nome del Vi-
gnola va unito a un suo trattato sui cinque or-
dini di architettura che ha recato più danno che
Architettura del rinascimento, ecc. 205
vantaggio. Infatti da che l'architettura fu ridotta
a dottrina andò sempre declinando né è spera-
bile ohe si rialzi sinché gli architetti fanciuUeg-
geranno su gli ordini vignoleschi. A dire il vero
il trattato del Vignola oggi è screditato. È un
buon segno per l'avvenire.
Scriveremmo su altri architetti cinquecentisti,
su Giulio Pippi, pittore e architetto detto comu-
nemente Giulio Romano (1492 f 1S46) che trattò
pennelli e compassi con valentia come ne fanno
fede i suoi lavori di Mantova eseguiti per ordine
di Federigo Gonzaga ai cui servizi il Pippi si
era messo fino dagli ultimi tempi del 1524. Egli
mostrò quanto valesse come architetto col palazzo
del T e col duomo di Mantova, col palazzo Cic-
ciaporci e Maccarani a Roma e col suo progetto
per la facciata di S. Petronio a Bologna; scri-
veremmo di Giorgio Vasari pittore architetto e
scultore d'Arezzo (1511 f 1574) e del suo log-
giato degli Uffizi a Firenze e dei suoi lavori
nella chiesa della Madonna dell' Umiltà a Pistoia
fondata da un architetto locale, Ventura Vitoni
liorito nel XV secolo (n. nel 1442 f dopo il 1509)
che fu un bramantesco eccellente. Ma il capitolo
è pur troppo digià lungo; onde non crediamo ne-
cessario aggiungere agli architetti citati altri ar-
chitetti ora che abbiam notato quelli che imper-
sonano maravigliosamente il precettismo classico
contro il quale, a mo' di reazione, sorse una
scuola nova capitanata da un artista il cui nome
è legione.
Veramente non ci voleva che un colosso, non
206 Capitolo quarto.
ci voleva che Michelangelo BuoDarrx>ti (1475tl564)
che insorgesse contro l'uggioso precettismo o
con questo memorabili parole: « il compasso Tar-
tefice r ha a avere negli occhj, » gettasse le
basi di una scuola novella, la quale, assennata
neiridea iniziale, talvolta si sperse nei suo svol-
gimento e segnò uno dei periodi artistici più
disprezzati.
Secondo il Grimm,^ il Buonarroti cominciò tardi
a dedicarsi in grandi proporzioni airarchitettura.
Comunque sia Michelangelo si rese superiore in
ampio senso agli architetti contemporanei per le
idee che manifestò fin da quando dipingeva la
vòlta della Cappella Sistina; ove il concetto cor-
risponde all'ampiezza senza abbondanza dì mi-
nutaglie che danneggiano l'impressione generale.
Michelangelo fu il primo capace d' ideare e di
riprodurre il genere colossale; lo ideò e lo ri-
produsse nella scoltura, nella pittura e nell'ar-
chitettura. Ci troviamo dunque davanti la Cupola
di S. Pietro a Roma. Si è accennato già alle dif-
ficoltà che presentava la costruzione di questa
Cupola,' discorrendo del S. Pietro; ora non e' è
che a paragonare con quello di Michelangelo, il
modello lasciato da Bramante e da Antonio da
Sangallo (il giovane) per iscoprire il pregio della
Cupola michelangiolesca. Il Sangallo si spingeva
insù ponendo un ordine di arcate con alette e
colonne corintie alla romana sopra un ordine di
» Gfr. Grimm, Michelangelo^ trad. A. di CossiUa voL li,
pag. 325. Milano, 1875.
« Vedi pag. 176.
Architettura del rinascimento, ecc. 207
arcate d'ordiae. ionico, su cui sviluppava lu curva;
o a coronare l'assieme aveva ideato una lanterna
a tre ordini e a quattro file di statue. Il Bra-
mante aveva progettato una cupola più romana,
eccellente di proporzioni con un solo ordine di
colonne corintie sorreggenti la trabeazione 3ulla
quale spiccavano degli scaglioni decrescenti su
cui impostava la vòlta ornata di modestissima
lanterna. Il progetto di Bramante era freddo, non
aveva la monumentalità necessaria a una cupola
che doveva coronar la mole del S. Pietro; il pro-
getto del Sangallo era proprio meschino in con-,
fronte a quello di Michelangelo, il quale aveva
dato ampio sviluppo alla curvatura della vòlta,
impostata su un solo ordine di colonne binato e
corintie con un alto attico ornato di festoni. Nel-
l'interno Michelangelo aveva mantenuto il motivo
architettonico esterno abbassandone l' attico per
non perdere lo slancio della curva della vòlta, il
cui sviluppo ivi diminuiva per la grossezza della
muratura. Insomma nessuno seppe ideare cose
grandi al pari di Michelangelo perchè nessuno
fu più grande di lui. Chi ha l'audacia di contrap-
porsi al Buonarroti nei pensieri originali, colos-
sali come il suo genio? Michelangelo oltre la
Cupola della Basìlica Vaticana edificò a Roma i
palazzi del Campidoglio, dopo la morte di Antonio
da Sangallo compì il Palazzo Farnese, eresse ili
Firenze la Biblioteca Lauren^iana e per tutto più
meno impresse la traccia del suo genio gigante.
Superiore a ogni influenza, scultore più che
pittore, più che architetto, Michelangelo fece
sempre a modo suo e fu così personalissimo. Le
2U9 vapuoio quarto.
sue arditezze sedussero tutti; gli spiriti mediocri <
e i forti; giovarono i primi e daDueggiarono i
secondi: ma Michelangelo resterà, se durerà T in-
telletto del bello, il più grande rappresentante
dell'arte moderna assieme a un altro genio che
viene di giorno in giorno acquistando autorità;
insieme al più originale dei pittori, al più cele-
bre degli incisori: al Rembrandt (1607 f 1669).
Accanto a Michelangelo tra gli artisti dello
scorcio del XVI secolo non starebbero male i
florentini Bartolomeo Àmmannati (1511tlS92)e
Bernardo Buontalenti detto Bernardo delle Gi-
randole ingegnosissimo artefice (1536 f i608) fa-
moso anche per ideare sorprendenti macchine
teatrali.
Citiamo qui anche loro, ormai.
L'Ammannati scultore e architetto, più valente
architetto che scultore, scolaro di Iacopo Sanso-
vino lavorò nella fabbrica dei Pitti nella quale
ebbe occasione — dice il Vasari — « di mostrare
la virtù e grandezza dell'animo suo » studiò molto
lo cose di Michelangelo, edificò a Firenze il pa-
lazzo Giugni, Pucci, la facciata del palazzo Vitali,
a Lucca il grandioso palazzo già Ducale, il pa-
lazzo Gelanni, Bernardini e tutto con un senso di
sobrietà grandiosa che non lascia indifferenti. II
Buontalenti studioso come T Àmmannati di Mi-
chelangelo fece in Firenze il palazzo Riccardi
(da non confondersi coir altro eretto dal Miche-
lozzi) il palazzo Martelli, le grotte meravigliose
della Villa Medicea a Pratolino barbaramente in-
terrate dalla gretteria lorenese e tante altre
Architetlura del rmaseimentOj eoe 209
pregevoli opere. Del Buontalenti pittore, minia-
tore, scultore e architetto civile e militare scrisse
parcamente il Vasari e lungamente, e con molte
particolarità, il Baldinucci nello Notizie dei pro-
fessori del disegno.^ Rimandiamo il lettore alla
biografia baldinucciana ; il lettore che nel capitolò
seguente troverà nominati altri artisti vissuti
sullo scorcio del XVI secolo da non confondersi
coi secentisti puro sangue né coi classicisti auste-
ramente impenitenti.
* Tomo VII, pag. 3 e segg.
A. Melam. 44
IL SEICENTO,
IL SETTECENTO, ECC.
CAPITOLO V.
DELL'ÀBCUITETTURA DEL SEICENTO.
Osservazioni generali.
Siamo al Seicento: epoca d'invasione straniera,
di fanatismo, di stravaganze. I costumi inforestic-
rati cercavano di essere sfarzosi, principalmente.
Insomma tutto era affievolimento, cascaggine,
gonfiezza. Il cav. Marino faceva alla sua Madda-
lena < bagnar coi soli ed asciugar con fiumi i i
piedi di Cristo e « l'amore era diventato un pa-
radiso infernale, un celeste inferno, un gelo ar-
dente ed era ispirato da dame tutto fatte di co-
rrilo, di filo d'oro, di gigli, di rose e d'avorio » .
Il vestire, che rivela tanto l'indole di un secolo,
ogni giorno più si caricava di trine, di sbufQ, di
nastri, di fiocchi, di ricami; e ogni giorno più
dimostrava la vanità della gente di questo secolo.
L'Italia, rinunziato alla propria libertà e indipen-
denza, fatta suddita dello straniero, s'era trovata
divisa in plebe ignara dei diritti civili e in no-
biltà che voleva ad ogni costo padroneggiare.
Notava Aristofì^ne che quando Tuomo diventa
214 Capitolo quinto.
servo Giove gli toglie la metà* del senno. Ù fatto
è che in questo secolo ì costami corrotti spinto-
navano perfettamente col miserabile stato di di-
pendenza nel quale si trovava T Italia e Tarte
serviva ai ricchi come mezzo per dimostrare la
propria potenza.
É stato detto che il Secentismo venne importato
in Italia tutto quanto dagli Spagnuoli. Ha è poi
vero? Il Seicento è una esaltazione della fantasia,
una esaltazione generale che muove da cause ge-
nerali. Or come è possibile che un avvenimento
particolare abbia avuto la influenza che gli si
vuol attribuire? Noi pensiamo che se Tltalia non
avesse avuto il Cinquecento il quale si nutrì di
tutta la coltura antica soffocando ogni energia
che si partiva dalFanima, la fantasia nel Seicento
non sarebbe cresciuta libera e sola e non avrebbe
prodotto quell'arte esuberante di vita che non vi
muove la ragionei cioè non vi persuade, ma vi
abbaglia e ove la forma è tutto.
Nel Seicento si volle la ricchezza e Tornamento
e arricchendo e ornando si incorse in tutte quelle
bizzarrie di immagini esagerate, di concetti iper-
bolici che tanto più garbavano alle masse quanto
più erano matti e nuovi.
In architettura la depravazione è riferibile più
di quanto si pensi, alla parte ornamentale; non
potendosi imputare di grettezza e di cattiva co-
struzione gli ediBzi del XVII secolo i quali anzi,
per sontuosità e ingegnosità statica spiccano
grandissimamente nella storia della nostr'arte.
Non deve recare maraviglia sentire che gli archi-
tetti del Seicento si distinsero come costruttori
Architettura del seicento, 215
e effettisti, perocché il progredir prodigioso delie
scienze meccaniciie ofiriva loro facii modo di af-
frontare i più stravaganti problemi di statica;
il desiderio poi del vasto e del pomposo e la li-
bertà concessa agli architetti di quei tempi, dava
luogo ai movimenti di linee caratteristici della
architettura secentista o barocca, come si dice
per dispregio. Dispregio ingiusto e insensato
perchè se barocco si dice qualsivoglia lavoro che
ha dello strano e goffo assieme, T architettura
chiamata comunemente barocca non è nientaffatto
tutta quanta strana e goffa. Ogni arte ha i suoi
difetti come ogni uomo anche grande ha qualche
turbamento nelle sue facoltà, e 1* architettura del
Seicento ha i vizi propri del suo organismo come
quella del Rinascimento ha i vizi del suo.
Nell'architettura cosidetta barocca, nemica della
semplicità, sempre nervosa e bizzarra, vi sono
pregi che sfuggono soltanto a quelli i quali hanno
un concetto restrittivo dell'arte. — La varietà
e ricchezza delle composizioni, il pittoresco nei
colonnami slanciati, l'intreccio allegro e svelto
di curve e di rette, i rigonfiamenti, le volute,
gli ornati vaghi e altezzosi fanno dell'architettura
secentista un architettura personale e effettista
piena di vita e di ardire. Non si sa capire perchè
si debba condannare senza pietà l'architettura
del Seicento per la sola ragione che si discosta
dalla Cinquecentistica. Persuasi della assoluta
esemplarità dei tipi classici si è sdegnato lunga-
mente quest' arte libera e piena di carattere per
causa di una critica insufficiente e viziosa che
ormai ha fittto il suo tempo.
216 Capitolo quinto.
£ sia pure I perchè non e' è cosa più risibile
nella storia della critica del pervertimento di
certi scrittori, i quali si ostinano a condannare
uu grande artista perchè lo trovano deficiente
nelle doti proprie di un altro. Quello che diciamo
rispetto agli artisti lo diciamo rispetto air arte;
della quale è bene che, dimenticate le quistioni
bizantine, ci avvezziamo a comprendere, gustare
ed ammirare tutte le sincere espressioni.
^oi accettiamo Y architettura secentista con
tutte le sue stravaganze, come abbiano accettato
r architettura romanza, come abbiano accettato
la palladiana con tutta là sua fredda solennità
e non solo accettiamo V architettura secentista
quale sincera espressione di una società, vale a
dire come rappresentazione legittima di un pe-
riodo storico, ma perchè vorremmo che gli stu-
diosi la considerassero in ciò che vale real-
mente.
Ma vi fu mai stile architettonico che abbia sa-
puto, come il secentista, intonare e innestare la
scoltura ornamentale e figurativa colle linee ar-
chitettoniche? vi fu mai stile architettonico che
abbia saputo svolgere come questo ì più arditi
problemi costruttivi, ottenere eflfetti pittoreschi e
grandiosi, impressionare colla arrogante rigoglio-
sita degli ornati le fantasie più vivaci e indipen-
denti? È vero; qualche volta gli architetti del
Seicento perdettero ogni senso di misura, ma
quando seppero frenarsi si resero degni di molta
considerazione.
Accettiamo l'architettura del Seicento qual*è:
è sostanzialmente decorativa; studiamola sotto
Architettura del seicento. 217
questo rispetto e vi troveremo dei pregi consi-
derevoli. *
Gli architetti che più si distinsero nel!' archi-
tettura del Seicento furono Lorenzo Bernini na-
tivo di Napoli (1599 f 1680) e Francesco Borro-
mini nativo di Bissone sui lago di Lugano (1599
1 1667). Ambedue questi architetti si trovarono
a Roma nello stesso tempo e furono uno emulo
dell'altro; il Borromini poi divenne accerrimo
nemico del Bernini il quale esercitava suir arte
un potere universale essendo anche pittore e
scultore; anzi il Bernini o cavalier Bernino come
si disse, valse più come scultore che come ar-
chitetto; il catalogo delle sue opere è spaventoso,
lo ordinò il Baldinucci con molta cura e venne
riprodotto da diversi autori.
Il Borromini stette sotto la direzione di Carlo
Maderno suo parente e anche lui fu molto ope-
roso per voglia e naturai fecondità d'ingegno;
ebbe il torto di volere superare il Bernini e si
ingolfò così in un precipizio di stravaganze che
* Per non adoperare la voce barocca diciamo tutta archi- .
tettura del Seicento quella che o poco o molto si allontana
dalle norme classiche. Vi sono costruzioni degli ultimi del
Gmquecento inalzate vivente il Palladio (1508 f 1580) per es.,
quelle dell'Alessi (1512 tl572) con frontoni spezzati e dove
spira cert'aria di libertà che dà coraggio ai timidi; parliamo
in questo capitolo anche di queste costruzioni che a rigore,
dovrebbero essere studiate a parte. Un purista però dirà « ba-
rocca » tanto la famosa corte del palazzo Marino a Milano e
la sua facciata di piazza S. Fedele, quanto i particolari delia
chiesa del Gesù a Roma che diamo incisi,
218 Capitolo quinto.
rivelano pertanto la sua grande immaginazione:
il Borromini fu insomma il Marini dell' architet^ |
tura. Il fare di questi due artisti fu applaudito
da tutti e da tutti seguito, perciò T analisi dei
loro lavori è la storia dell'arte del XVII secolo. |
Si, purtroppo! fu anche seguito: ma la maggior
parte degli imitatori lo guastarono; perchè lo
studio dei grandi maestri danneggia gli spiriti
deboli che vi smarriscono quel poco che hanno i
di suo e favorisce i forti sui quali i ricordi delle 1
^opere altrui non lascian traccio profonde. L'ori- ^
ginalità che per l'artista è quello che il carattere
è per r uomo dice V ultima parola col fiernini col
Borromini e con pochi altri.
La scuola secentista in Roma trovò la città che
offriva le maggiori occasioni per essere adoperata. I
Gaso strano! gli architetti che lavoravano in questi
tempi nell'alma città erano lombardi in massima
parte !
Dice il Bertolotti che nel XVII secolo era tanto
numerosa la colonia artistica lombarda a Roma |
che come fosse stata in casa propria aveva fon-
dato chiese, spedali, confraternite. ^ Alle fortifica-
zioni, ai palazzi papali si trovava sempre • il lom-
bardo ». Se lo Stato si serviva dei lombardi pos-
siam credere che se ne servissero i privati.
Sta in fatto che a Roma allora le famiglie pa-
pali gareggiavano nella magnificenza e nella ric-
* Artisti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI e XVII.
Studi e ricerche negli archivi romani. Voi. II, pa^. 272. Ulrico
Hoepli editore. Milano, 1881.
Architettura del seicento. 219
chozza. Fu a quei tempi che la famiglia Borghese
allargò la gran Villa fuori Porta del Popolo, che
gli Odesoalchi edificarono il vasto palazzo in
faccia i SS. Apostoli, che gli Altieri costruirono
l'immenso edifizio presso il Gesù, che i Rospi-
gliosi si stabilirono sul Quirinale, che i Corsini
tornarono sul Gianicolo. A queste famiglie V arte
del Seicento deve in parte i tanti palazzi romani
dalle corti superbe, dagli scaloni ornati di statue
di marmo, di fiorami di gesso e di stucco coi
cupidi dorati, cogli affreschi pomposi del Maratta
del Sacchi.
1 papi poi, dal canto loro, sentivano un giorno
più dell'altro il desiderio di inalzare palazzi,
templi, fontane sontuose. Le ricchezze abbonda-
vano alla Chiesa, come lo dimostrano i lavori ese-
guili in questi tempi; cosi l'arte del Seicento si
sviluppò e si diffuse. Carlo Maderno (1556 f 1629) i
tre Lunghi, Martino, vissuto nella seconda metà
del cinquecento, Onorio (1561 f 1619) e l'altro
Martino (f 1657) Girolamo Rainaldi (1570 f 1655)
e suo figlio Carlo (1611 f 1691), Gherardo Silvani
(1579 t 1675), Cosimo Fanzaga (1591 t 1678), i
Fontana, ' Alessandro Algardi (1602 1 1654) Gio-
vanni Antonio dei Rossi (1616 f 1695), il padre
> I Fontana sono una famiglia d' artisti. Domenico nato a
Milì villaggio sul lago di Lugano (1543 1 1607) fu architetto,
Giulio Cesare figlio di Domenico lavorò molto a Napoli in
qualità di architetto, Giovanni fratello maggiore di Domenico
fu buon architetto anche lui (1540 f 1614), Annibale fu incisore
in pietre dure, Carlo (1634 f 1714) e Francesco ambedue fu-
rono architetti... eppoi c'è una litania di Fontana pittori, jn*
cisorì che dcpra tuttora,
iii) Capitolo quinto. I
Andrea Pozzo (1642 f 1709), ì Bolognesi detti Bib-
biena, Ferdinando (1637 f 1745), Francesco (1656
1 1729), Antonio (Borito nel Settecento) pittori e
architetti e pittori segnatamente di prospettive
e di apparati di feste, ecc. (il loro casato fu Galli
e la loro orione toscana) illustrarono con opere
ingegnose il diciasettesimo secolo e parte del
diciottesimo perchè il ftre così detto barocco
durò anche in parte del diciottesimo secolo, di-
venendo pertanto meno monumentale ma più leg- 1
giadro.
A Milano rappresentarono la scuola che c'in-
teressa, Galeazzo Alessi, Vincenzo Seregni (1S09
tl594) e Francesco Richinì; a Torino ebbe se-
guaci valenti nelF abate Juvara o Jvara, e nel
gesuita Guarini; a Venezia sMntrodusse per mezzo
di un ingegno maraviglioso, per mezzo deirima-
ginoso Alessandro Vittoria (1525 f 1608) il Miche-
langiolo veneziano, felice e pronto neir esecu-
zione fecondo neir invenzione, celebratìssimo per
gli stucchi che modellò in molti ediflzi. In Ve-
nezia e in tutto il Veneto il Seicento spadroneggiò
per virtù di una serie di artisti egregi fm i quali
Girolamo Campagna veronese (n. il 1552, m. d. il
1623) emulo del Vittoria che qualche volta su-
però, il vanitoso Giulio del Moro (f 1615 ?) scul-
tore, pittore ed architetto, e Baldassare Longhena
(t 1682) nato a Venezia da padre nativo del lago
di Como. Al Longhena devesi la bella Chiesa
della Salute. Passò anche a Firenze la scuola dei
cartocciami rilevati e delle volute; però ivi non
vigoreggiò come nelle città accennate e a Ge-
nova cbe sul finire del secolo decimosesto ew
Architettura del seicento, 221
una delle città d'Italia che colle sue ricchezze
dava maggiormente da fare agli architetti, e come
a Napoli oye ebbe altissimo grido Giambattista
Gavagni, autore della Chiesa dei PP. Gerolomini
(S. Filippo) compita nel 1597, una delle più splen-
dide di Napoli.
COSTRUZIONI RELIGIOSE.
Si son già osservate lo condizioni favorevoli
nelle quali si trovava la Chiesa nel Seicento. Sa-
lito al pontificato il Borghese, che pigliò il nome
di Paolo V, r architettura in Roma fu incorag-
giata moltissimo. Paolo y promosse una quantità
di ediflzi cospicui, i quali rivelano l'amore che
egli portava all'architettura e il desiderio di la-
sciare un ricordo ai posteri del suo pontificato.
Questo Pontefice incaricò Carlo Maderno (l&56t
1639) di compire la Chiesa degli Incurabili, di
costruire il coro e la cupola di S. Giovanni dei
Fiorentini nonché dell'alta direzione dei lavori
del S. Pietro; incarico già tenuto come vedem-
mo dal Bramante, da Raffaello, dal Peruzzi, da
Michelangiolo. E Carlo Maderno si distinse così
nei lavori del S. Pietro, da alcuni tanto biasi-
mati, che dipoi non si costruiva fabbrica con-
siderevole a Roma, senza che lui non c"^ entrasse
per qualcosa. Carlo Maderno di Bissone, sul lago
di Lugano, venuto a Roma a far lo stuccatore,
era diventato architetto seguendo gli insegna-
menti di suo zio Domenico Fontana. Costruì la cap-
pella nel Palazzo di Montecavallo, edificò la Chiesa
222 Capitolo quinto.
della Vittoria ricca, fin troppo ricca, d' ornamenti
e di dorature; costruì i Monasteri di S. Lucia in
Selce e di S. Chiara; architettò per casa Aldobran-
dìni una Cappella nella Chiesa delia Minerva, ecc.
Morto il Mademo, Paolo V si rivolse a Flaminio
Ponzi, altro lombardo, milanese (f 1613) il quale,
siccome aveva ingegno vivace sodisfece i desi-
deri tutt' altro che discreti del comittente nella
ediflcazione d*una ricca Cappella in Santa Maria
Maggiore. Quest'architetto è assai men noto di
quanto dovrebbe e potrebbe. Fra gli architetti
bene accetti da Paolo V, vi era anche Girolamo
Rainaldi, scolaro del Fontana; e più di Girolamo,
Carlo suo figliuolo diventò famoso fra gli archi-
tetti di quei tempi. La Chiesa di Santa Maria in
Campitelli (s* intende, si parla sempre di Roma) è
uno degli esempi più brillantemente spavaldi del-
l' architettura del XVII secolo. A Roma lavorò
molto anco il lombardo Giacomo della Porta (1541
11604):^ sono sue le facciate delle Chiese del
Gesù, di S. Luigi dei Francesi e sorse sul suo
disegno la Chiesa di Santa Maria ai Monti. E
cosa dire dei gesuita padre Pozzo già ricordato T
Strano imaginoso nel dipingere ma strano e più
che mai imaginoso nell' architettare? È suo l'al-
tare di S. Ignazio nella chiesa del Gesù a Roma
e quello di S. Luigi nella chiesa di S. Ignazio
— cosa dire del padre Pozzo a proposito del
quale il Milizia scrisse senza complimenti: « chi
» Vi è chi lo crede romano; il Berlolotti non si è occu-
pato di chiarire la cosa. Cfr. Artisti lombardi a Boma, Voi. I,
pag. 96.
Architettura del seicento.
Yuole essere architetto alla rovescia studi Y ar-
chitettura di fra' Pozzo » ? Costui fu certo uno dei
più strani e licenziosi architetti di questo secolo :
— ecco tutto.
Decorazione nella chiesa del Gesù, Roma.
Ma la fama degli architetti secentisti che lavo-
rarono a Roma e Aiori, viene eclissata da quella
dei già notati Francesco Borromini e Lorenzo Ber-
224 Capitolo quinto.
dìdì. La Chiesa in fondo al cortile della Sapienza,
con la facciata concava e con i Iati alternativa-
mente concavi e convessi, l'Oratorio dei Padri
«Iella Chiesa Nuova, la Cupola e il Campanile di
Sant' Andrea delle Fratte , il rifacimento della
gran navata di S. Giovanni Laterano, la Facciata
(li S. Agnese in piazza Navona, uno dei migliori
lavori del Borromini, la Chiesa di San Carlo alle
quattro fontane Y opera borrominiana più fanta-
stica, son gli ediflzi che diedero nome e autorità '
al nostro Borromino.
Descrivere in parte o nel loro complesso qual-
cuno di questi ediflzi sarebbe opera difficile e
vana. Son sempre le solite masse sviluppate ener-
gicamente, coi soliti colonnati caricati di inge-
gnosi cartocciami; i soliti frontoni spezzati, con-
torti, rannicchiati; sono sempre le solite figure
dai manti inzaldati, i soliti angioloni svolazzanti,
paffuti, ridenti, oranti che si arrampicano sulle
cornici tumultuosamente mosse; sono le solite
mensole su mensole, colonne su colonne, le so-
lite diavolerie che impressionano la vista e la
contentano quando sono immaginate da ingegni
originali, quando sono opera di uomini che come
il Bernini e il Borromini possono e sanno im-
porsi colla vivacità della fantasia.
Per quanto l'intonazione generale in tali co-
struzioni sia sempre o quasi sempre la stessa,
come avviene, del resto, in tutte le fabbriche
erette in un dato stile, le particolarità derivanti
dal diverso aggruppamento delle forme vi variano
all'infinito come infinito è il linguaggio archi-
tettonico di questo stile; infinito e personale.
Architettura del seicento. 225
poiché qualsivoglia architetto ricco d'immagina-
zione può creare combinazioni nuove, le quali,
per quanto strane, sono sempre accettate dallo
stile architettonico del Seicento. Perciò volendo
studiare a parte a parte le architetture borromine-
sche, certo, troveremmo dappertutto nuove com-
binazioni di forme, non tutte belle, ma tutte in-
gegnose e rivelanti la versatilità di un ingegno
che non ha né può aver freni. Lo stesso dicasi
rapporto alle costruzioni del Bernini: fortunatis-
simo artista che trovò in Urbano Vili un uomo
che lo comprese e gli offrì modo di acquietare
la sua fantasia sempre in tempesta. L'opera più
interessante del Bernini, fra le moltissime che
costruì, è il famoso portico di San Pietro : quel
portico a quattro file di poderose colonne, con-
siderato fra le più ammirevoli opere che abbia
prodotto in Italia l'architettura dopo il suo ri-
nascimento. Ne parleremo in quesf altro para-
grafo.
Qui bisogna accennare invece la Cattedra di
S. Pietro tutta di metallo dorato che costò una
somma favolosa, dove assieme all' architettura pit-
toresca, il Bernini disegnò e scolpì le gigantesche
figure dei quattro Dottori della Chiesa involti in
una farraggine di pieghe secche e schiacciate, stra-
vagantissime ; e va citato il Monumento sepol-
crale che Urbano Vili, vivo, richiese al Bernini
come già l'avea richiesto a Michelangiolo Giu-
lio II; ove scoltura e architettura si intrecciano con
effetto magnifico, e la famosa Confessione di San
Pietro, una delle opere più grandiose che lo stesso
A. Milani* 15
Capitolo quinto.
Papa ordinò al Bernini. ^ Nella lista andrebbero
agg^iunte la Rotonda di San Giovanni in Oleo, la
Chiesa di Santa Bibiana e di Sant'Andrea dei
Gesuiti, ove sono reali bellezze miste a stranezze
audaci ohe lo studioso deye conoscere e può stu-
diare se ha ingegno e coraggio.
Dopo Roma, Venezia è la città ove T architet-
tura secentistica ebbe agio di sfoggiare le sue
fantasticherie. La Cappella del Rosario eseguita
sotto la direzione di Alessandro Vittoria, tuttoché
eretta nel 1571, negli ornamenti ha il gusto del
Seicento;' il quale si sfoga nelle costruzioni di
Baldassare Longhena costruttore esimio. La chiesa
della Salute cominciata nel 1631 e nel 1660 non
ancora compiuta • è forse il primo ediflzio impor-
tante che edificò il Longhena; è certo uno dei
più considereroli del secolo diciassettesimo. Non
vi può essere spregiatore dell' arte secentista il
quale non debba confessare che, specialmente
' Raccontasi a proposito di quest' opera che il papa avendo
chiesto a un prelato che somma credeva si potesse dare in
ricompensa al' Bernini alla risposta del prelato « Una cateoa
d' oro della valuta di 500 ducati > Urbano riprese : < Bene, la
catena per voi e V oro per il Bernini ».
' n 16 agosto 1867 per una causa restata seonosciata fio
qui, si appiccò il fuoco alla Cappella del Rosario causandovi
un danno gravissimo. Per sommo di sventura neUa cappella
erano stati collocati provvisoriamente dei quadri pregevolis-
simi di scuola veneziana; tra gli altri il famoso IHeiro Ilar-
tire di Tiziano. Inutile aggiungere che furono incenerita
» Martinòni, Nofs alla Venezia éfeserifta ehi Sansovino, pa-
gina 378.
Architettura del seicento. 227
nell'esterno di questo tempio e nella ben girata
cupola, vi è tale impronta sontuosa da restarne
ammirati.
La cupola contornata da poderosi llanchi di
eccellente effetto è anche molto interessante come
costruzione — nell'interno semicircolare ed a
mattoni; all'esterno costruita in legname inca-
tenato con ingegnosa semplicità. Il Reymond in
un suo studio diretto all'Istituto Nazionale di
Francia, stese una diligente descrizione di questa
cupola e confrontatola con quella degli Invalidi
le dette la preferenza.*
Il Longhena costruì a Venezia nel 1640 anche
la Facciata della ex-Chiesa di Santa Giustina, ma
la sua fantasia si mostrò più che altrove nel mo-
numento Pesaro ai Frari, dove la intonazione
grandiosa impressiona tanto, da far dimenticare
la posa lirica di tutte le statue che ornano il
monumento. Il Longhena seguendo la moda del
tempo ai pilastri e alle colonne sostituì spesso le
figure. Sostituì alle colonne le figure nella fac-
ciata dell' Ospedaletto e nel suntuoso monumento
Pesaro.
Tra i bei monumenti sepolcrali in stile secen-
tista a Venezia è notevolissimo quello che il Vit-
toria eseguì per sé in S. Zaccaria — è un capo
d'opera: le cariatidi e il busto ci fecer sempre
una impressione grandissima. Il Vittoria se lo
principiò nel 1395 cioè tredici anni prima di mo-
rire e la iscrizione : Alexander Victoria qui vivena
* Memoires de Vlnstitut National dea Sciences et At-tSj t III,
pag. 89.
228 Capitolo quinto.
duxit e marmore vultus (Alessandro Vittoria che
vivente ha tratto dal marmo esseri viventi) non
poteva essere più a suo posto.
Da Venezia rechiamoci a Milano dove il Sei-
cento ha edifizi insigni che debbono essere cono-
sciuti. La Facciala della Chiesa di S. Gelso è una
delle opere migliori di Galeazzo Alessi, (1512 1
1572) perugino. Non è soverchiamente sbrigliata,
ma è un po' trita. Il tempio di S. Vittore è pure
dell' Alessi dappertutto invitato a far progetti di
chiese, di palazzi, di fontane. Fra le costruzioni
lombarde del Seicento va notato, anche il cam-
panile di S. Pietro a Piacenza: a quest'ora sa-
rebbe stato demolito se avesse avuto corso una
deliberazione della Giunta piacentina. A Napoli
non si può far a meno di ricordare con interesse
la Certosa di S. Martino collocata in luogo ame-
nissimo, ridotta al gusto del XVII secolo da Co-
simo Fasanga (1591 f 1678). A entrare nella Chiesa
di San Martino par di entrare in uno di quei pa-
lazzi fantastici descritti nell'Adone dal Marini,
ricchissimi di mai*mì, d'alabastri, di lapislazzuli,
di agate, di onici, di diamanti, di berilli, d'inta-
gli, di pitture e chi n'ha più ne metta. È l'am-
mirazione del volgo che suole esaltare la ric-
chezza e il trionfo della materia sul pensiero;
comunque, il savio che ha coscienza non può che
ammirare la fantasia del Fasanga. Notiamo an-
cora a Napoli S. Filippo e la Facciata di Gesù
Novo, per ritornare subito insù e per ricordare
che in Toscana l'arte secentista berniniana si
introdusse come nelle altre Provincie d'Italia,
Architettura del seicento, 229
ma senza farvi però il chiasso che fece a Roma,
a Torino e a Genova.
Torino nella seconda metà del XVII secolo, fu
ornata di molte ragguardevoli costruzioni, buona
parte delle quali si attribuisce agli architetti pie-
montesi conti Carlo e Amedeo di Gasteilamonte.
Ne erano tutti architetti piemontesi quelli che
lavoravano in questi e nei tempi successivi nella
capitale del Piemonte perchè a Torino vi furono
chiamati dai duchi di Savoia architetti di altis-
simo merito quale il padre Guarino Guarini mo-
denese (1624 t 1683) e l'abate Filippo Juvara o
Jvara messinese (1685 f 1735) che colia loro arte
s' imposero agli architetti indigeni. Ciò sia detto
specialmente per il Juvara al quale Torino deve
le migliori sue fabbriche. A questi deve infatti
la basilica di Superga, la Chiesa del Carmine e
il palazzo Madama, tre opere che bastano a fare
una riputazione legittima e duratura. Al Guarini
deve Torino la famosa Cappella della SS. Sidone,
la Chiesa dell'Arcivescovado, della Consolata, di
S. Lorenzo e dei palazzi magnifici che accenne-
remo in quest' altro paragrafo.
Resta Genova. Si è detto che in questi tempi
Genova poteva disporre di molti mezzi. Per que-
sto oltre r Alessi vi lavorarono molto gli archi-
tetti comaschi: Andrea Vanone (fior, nel 1590),
Rocco Pennone detto Rocco Lombardo (f 1657)
e Giovanni Battista Castello (tl569).
Di chiese del diciassettesimo secolo o degli ul-
timi anni del sedicesimo non scarseggia. S. Am-
brogio, la SS, Annunziata, San Siro, ecc. senza
230 Capitolo quinto.
contare gli altari n le sculture da chiesa che
vanno considerate da chi visita Genova deside-
roso di vedere opere nello stile di cui si parla.
COSTRUZIONI CIVILI.
11 piazzale davanti S. Pietro di Roma è una
delle opere più indovinate del Bernini ed è ac-
cettata anche dai più fieri oppositori della sua
arte. Gli è un portico su pianta elissoidale, a
quattro file di grosse colonne con capitelli dorici
e con statue collocate sull'asse d'ogni colonna.
Il motivo architettonico non potrebbe essere più
semplice; considerando poi che venne immagi-
nato dal Bernini, non ci si può persuadere faci^
mente della sua semplicità cinquecentistica. 11
motivo del portico si compone di colonne senza
piedestallo con capitello dorico, con trabeazione
profilata correttamente e di un attico con ba-
laustri intramezzato da piedestalli sorreggenti le
statue. I due ingressi d' ogni lato del loggiato
chinici da una fronte a quattro robusti pilastri,
sono coronati da un frontone angolare modestii
Simo senza cartocciami né volute. L' effetto d
portico del S. Pietro risulta principalmente dal
pianta e dalle proporzioni ampie dell' assiema
Ha un bei dire il Milizia, parlando della piazzi
di S. Pietro, che: « situandosi verso l'estremiti
del diametro maggiore dell' olissi, niente o poci
si vede della facciata della chiesa; che servendo]
quei portici di comunicazione alla chiesa, il co
municarvi per una curva è incomodo e dispì)
Architettura del seicento. 231
cevole » ^ ma quando si vede il porticato del Ber-
nini si rimane impressionati e la impressione non
è momentanea. Chiedete a un forestiero stato a
Roma, l'impressione dell'eterna città e sentirete
cosa vi risponde. Non si dimenticherà di par-
larvi della piazza di S. Pietro, che riputiamo una
delle opere più insigni di Roma papale. L'ingegno
del Bernini rifulse anche nella Scala regia che
dal porticato mena alla sala di Costantino. È una
scala comoda, luminosa, adorna di colonne ioni-
che, che il Bernini riesci a ficcare in un' area
misera e oscura, dando prova non solo della sua
fantasia feconda, ma anco della sua bravura di
statico. Narrano che il Bernini avesse sempre in
bocca ^questa massima: t Che l'abilità dell'archi-
tetto si conosce principalmente nel convertire i
difetti del luogo in bellezza. > II Bernini applicò
luminosamente questa massima nella Scala del
palazzo Vaticano, che basterebbe sola a pro-
vare la valentia di un architetto. Un altro lavoro
insigne del Bernini è la Fontana di piazza Na-
vona della quale si parla nel nostro Manuale sulla
Scultura. L'accenniamo per constatare che il
Bernini con tale opera meravigliò perfino l'ar-
rabbiatissimo suo emulo, Borromini: il quale di-
sperando forse di superare nell' arte il Bernini,
si suicidò. *
A Roma sorgono molte costruzioni nello scorcio
del decimosesto e nel diciasettesimo secolo olire
' Tomo VII, pag. 3 e seg.
3 II Bertolotti nell'Op. et loc. cit. pubblicò un documento
intorno al suicidio del Borromino o Borromini, pag. 37-40.
282 Capitolo quinto.
quelle delBernÌDi e del Borromini. * Citiamo senza
ordine determinato il Palazzo Borghese comin-
ciato nel 1590 da Martino Longhi (il maggiore)
dove è una galleria di quadri splendida e termi-
nato da Flaminio Ponzi, la scala del palazzo 6ae-
tani oggi Ruspoli nella via del Corso : — un ca-
polavoro! il palazzo Corsini e della Consulta di
Ferdinando Fuga, il palazzo del Laterano la cui
facciata è di Domenico Fontana, il palazzo Mat-
tei del Maderno^ il palazzo Torlonia (piazza Santi
Apostoli) di Carlo Fontana e i palazzi di Flami-
nio Ponzi, cioè del Quirinale costrutto nel 1374
sotto Gregorio XIII, Rospigliosi (1603) e la bel-
lissima facciata del palazzo Sciarra-Colonna.
Seguendo in questo paragrafo ristesse ordino
del procedente, dobbiamo rivolgerci ora a Ve-
nezia dove ci aspetta l'ardito Longhena. Costui
mostrò la vivacità della fantasia, oltreché in altri
lavori, nella Facciata dell' Ospedaletto ove del
nervosi telamoni sorreggono una trabeazione, e
alla lor volta vengono sostenuti da pilastri di
forma singolarissima larghi in cima e stretti in
fondo al punto in cui la base spicca su piede-
stalli alti e rilevati. Ma dove si scatenò davvero
la fantasia del Longhena fu in alcuni palazzi
patrizi; nel Palazzo jche eresse per la famiglia Pe-
saro : mole gigantesca, la quale ferma lo sguardo
di chiunque traversi il Canal Grande. Il basamento
» Il Borromini eresse a Roma la facciata del palazzo Para-
phyli, quella del palazzo Valvasori, rimodernò il palazzo Fal-
conieri, ecc.
ArehiteUura del seicento, ^3S
in cui stanno due grandi portoni, ingressi dalla
parte del Canale, è ornato da bugne a punte
di diamante le quali giovano a dare aspetto di
solidità e ricchezza al palazzo. Robusta la cornice
del basamento su cui ^i imposta una terrazza
assai comoda. Questo piano è ornato da colonne
ioniche binate negli angoli e nel secondo inter-
colunnio laterale; le colonne sono isolate negli
altri piani. Le colossali finestre che si aprono fra
gli intercolonni sono ad arco semicircolare alla
cui chiave, invece della solita serraglia, l'archi-
totto cacciò elmi piumati con abbondanza di or-
namenti. Il secondo ordine composito ha T iden-
tica disposizione generale del primo; senonchè
mentre ivi la terrazza è continaa, nel secondo
ordine è solo davanti le finestre. La trabeazione
che corona la fabbrica è quasi la metà dell' or-
dine; né per questo è pesante: l'architetto svi-
luppò molto il fregio collocandovi mensole assai
alte a sorreggere la cornice sporgente.
Il Longhena si distinse eziandio nella costru-
zione del Palazzo Rezzonico * il cui basamento
spartito a bugne, e la scala e T atrio sono vera-
mente da studiarsi. Ma ò singolare questo ar-
chitetto ! Neil' Ospedaletto lo troviamo eccessi-
vamente barocco, nel monumento Pesaro, nel
palazzo Gapovilla si mostra pure un nervoso
manipolator di volute e di cartocci, ma che è che
non è, la sua mano abituata a segnar curve stra-
vaganti:, pare senta il bisogno d'un po' di riposo;
' Il l3onghena lo eresse fino al second' ordine.
ÌÈi Capìtolo quinto.
e segna sulla cai*ta motiyi semplici e freddi di
una freddezza palladiana. Chi mai direbbe che
il palazzo Giustinian Lolin sul Canal Grande, è
disegnato dall'immaginoso Longhena? Si con-
fronti il palazzo Qiustinian col palazzo Gapovilla
eppoi si dica se non è da notarsi la differenza
fra questo e quello. A codesta singolarità forse
non tutti sanno dare il peso che ha. À noi ar-
chitetti moderni non dovrebbe far caso vedere
un architetto oggi costruire alla maniera secen-
tistica, domani alla maniera classica, considerando
che per non avere stile proprio, noi costruiamo
in tutti gli stili; ma se pensiamo con animo
quieto alla indipendenza dei costruttori secen-
tisti, e riflettiamo alla sincerità della loro arte,
allora la singolarità che notiamo nel Longhena,
e avremmo potuto notare nel Bernini, acquista il
rilievo reale su cui abbiam voluto richiamata la
mente dello studioso.
Tralasciamo di parlare qui del Vittoria perchè
se nel complesso fu artista meraviglioso e eser-
citò una grande influenza a Venezia, quale ar-
chitetto realmente non fu grande; il Vittoria fu
grandissimo scultore, decoratore, ritrattista eccel-
lente, senza rivali a Venezia. * Comunque la sua
arte nel complesso esercitò altissima influenza:
si è detto.
* Veggasi lo studio su Alessandro Vittoria pubblicato dal
Geresole neìVAri, ll.o anno, tomo I, pag. 93 e tomo II, pa-
gine. 28, 93, 111 e 164. A pag. 168 e 169. Veggansi sopratntto
i due fac-simili di bei progetti di facciata imaginati dal Vit-
toria i cui originali appartengono al Guggenheim.
Architettura del seicento, àS8
Fra lo opere più insigni di cui l'arte secentista
può vantarsi vi è il Palazzo Marino a Milano; il
capo d'opera di Galeazzo Alessi. L'arte dell' A-
lessi ha un carattere affatto monumentale, non
ha bisogno di nervosità eccessive per ottenere
effetti; non ha la fredda sobrietà del classico, ma
neanche il convulso dell' arte più caratteristica
del Seicento.
L'architettura dell' Alessi o del suo genere
si potrebbe considerare il trait d'union fra il
classico e il Seicento. Difatti davanti il palazzo
Marino gli sfoghi del più implacabile Purista tro-
vano tregua cortese. — L'interno del palazzo
contiene due cortili di cui uno è assolutamente
magnifico. Il barocco si svolge nel portico supe-
riore perchè nell'inferiore l' Alessi si mostra mo-
derato e accetta il dorico vignolesco. Nel piano
superiore le cariatidi, le balaustrate, la trabea-
zione, le cartelle, i festoni ben rilevati della loggia
soprastante al piano terreno, sono di ottimo effetto
e perfettamente aggruppati. Tutto vi è al suo
posto, le volute non vanno, come accade spesso,
ad occupare sgarbatamente il posto di altre forme;
non vi sono avvoltolamenti e risalti eccessivi;
tutto vi è bello, grandioso, magistrale. Di gusto
delicato è la fronte del palazzo divisa in tre or-
dini con colonne doriche, ioniche e con ante in-
gegnosissime ornate di capitelli a forma di teste
femminili e chiusi da mensoloni sviluppati nel
senso verticale.
A Milano, fra le costruzioni secentiste che
dovrebbero studiare gli architetti, avvi il Pa-
lazzo di Brera architettato dal milanese France-
286 Capitolo quinto.
SCO Maria Richini (1S83 f i658) * con un cortile
ad arcate e a due piani di effetto prospettico
sorprendente, con la facciata a pietra e mattoni,
robusta, maestosa; il Palazzo Burini, opera dello
stesso Richini, d'un barocco incipiente, ma ricco
e immaginoso, il Palazzo Annoni attribuito al-
l' istesso architetto, il Palazzo Elvetico di Fabio
Mangone, fiorito al principio del deciraosettimo
secolo, e del Richini, e il Palazzo Litta richi-
niano pur esso, che unisce la più altezzosa sbri-
gliatezza della fronte al classicismo goffo é pe-
sante del cortile: arte ibrida che pare preoccu-
pata dal timor di parer semplice in pubblico e
spossata, si abbandona nelF interno a una gelida,
cupa serietà. Tipo spiccatissimo di quel genere
secentistico che si contorce in cento guise, che
si orna di riccioli, di festoni, di formelle, di men-
sole dappertutto, è il Palazzo Cusani, che nella
sua vitalità sanamente giovanile, nel suo fasto
grandioso ha quella poesia d'ombre e di luci,
quella robusta e allegra varietà di forme che Li
cinque ordini del Vignola non raggiunsero né
cercarono mai. Intendiamo parlare del prospetto
eseguito sui disegni di Anton Maria Ruggeri
fiorito nella prima metà del Settecento. Milano
' I] Richini fu uno degli architetti più valorosi del suo
tenì^ . A Milano lavorò moltissimo. Oltre i palazzi ai quali
accenni;. me eresse qui il S. Giuseppe che si reputa il suo ca-
polavoro (principiato ■ J607 e finito durante il 1630), S. Maria
della Porta finita da ..arlo Castelli, rifabbricò il S. Giovanni
alle Case Rotte e stette al servizio della fabbrica del duomo
dal 1605 al 1638.
Architettura del seicento. 237
\xa moltissime costruzioni di sìmil genere come
tutte le città italiane che ebbero importanza in
questa epoca. N'abbiam citate assai, eppure non
non si è parlato di quelle di Pellegrino Tibaldi
detto it Pellegrini, di Puria (Valsolda) (1527 f 1593
circa), favorito dall'Arcivescovo Carlo Borromeo.
Fu architetto delle Porte del Duomo di Milano,
che basterebbero a mostrarlo quale fu uno dei più
immaginosi architetti dell' epoca qui interessata.
Le porte del Duomo milanese sono un esempio
della maniera colla quale si può innestare la
scoltura all'architettura; in queste porte le fi-
gure, gli ornati, le linee architettoniche compon-
gono un assieme tanto più da ammirarsi in quanto
oggi pare si sia perduto il germe degli architetti
che dell' arte loro hanno un concetto compiuto.
Volendo continuare quanto mai ancora potremmo
scrivere intorno ai monumenti secentisti di Mi-
lano? Ma abbiamo o almeno avremmo altre città
da visitare; avremmo Napoli, avremmo Torino,
avremmo Genova, avremmo Bologna, avremmo
Firenze, avremmo tutta la bassa Italia ancora;
ma bisogna pur considerare che non ci siamo
proposti di fare un elenco di tutte le fabbriche
civili secentistiche sparse per tutta la Penisola.
Comunque, di Torino noteremo fra i palazzi il bel-
lissimo Levaldigi, ora de Margherita, quello dei
conti Balbiano di Viale, ora residenza della Banca
Nazionale, degli architetti conti di Gastellanaonte,
già ricordati e le opere del Guarini, cioè il fa-
moso palazzo Garignano dei conti GoUegno, del-
l' Accademia delle Scienze e quelle del Juvara
vale a dire la facciata e lo scalone del palazzo
238
Capìtolo quinto.
Madama, il SemiDario, la villa reale dì Stupinigi,
e le opere di Carlo Emanuele Lanfranchi che non
furono poche in questa seconda metà del XVU
secolo in cui Torino si rinnovò, si ornò magni-
ficamente. Volendo parlar di Genova non avremmo
che da scegliere; T Alessi vi inalzò vari palazzi:
Palazzo Doria-Tarsi, Genova.
il palazzo Sauli, de Amicis, Adorno, Serra, Ler-
cari, sono dell' Alessi; il palazzo Doria Tursi
(Municipio) dell'architetto Rocco Lurago (f 1590?)
appartiene al genere alessiano. Ci sarebbe da ci-
tare il Palazzo reale costrutto dal 1650 al 1657 ]
dal comasco Andrea Vannone, e il Palazzo del-
l' Università sorto per volere dei Gesuiti su di-
segno di Bartolomeo Bianco (f e 1656) nel 1612 e
dove la corte e lo scalone sono ammirabili. Sia
i cortili magnifici a Genova sono frequenti. In-
Architettura del seicento.
somma Genova ci darebbe modo di parlare lun-
o
Q
gamente dello stile architettonico di cui ci oc-
240 Capitolo quinto.
cupiamo perchè oltre le costruzioni citate ve ne
sarebbero da citare ben altre. Ma facciamo punto
colla persuasione di avere scritto quanto basta
per essere assolti dal peccato di qualche involon-
taria dimenticanza.
CAPITOLO VI.
DELL' ABCHITETTURÀ BEL SETTECENTO.
11 secolo dell' Accademie che sorgevano e mo-
rivano dappertutto, che si chiamavano con nomi
che erano allusioni, indovinelli, scherzi, il secolo
che si pavoneggiava pettoruto tra la sdolcinata
magnificenza dei saloni, ebbe anche in Italia i
suoi caratteri spiccati che lo fecero distinguere
dalle boriose vaporosità del secolo anteriore e
dall' ecclettismo borghese del secol tiostro. Il
Settecento non solo non è stato studiato fino ad
ora, ma non è stato neanche considerato seria-
mente. È inutile dire che anche l'Italia ebbe il
suo Settecento nei costumi e nell' arte.
Quand' era di moda il Romanticismo era cosa
da mente illustre parlar con disprezzo del secolo
del Codino e della Cipria. Codino e Cipria! Con
ciò i signori Romantici credevano di avere suffi-
cientemente contrassegnato questa epoca condan-
nandola a un disprezzo meritato.
Certo in Italia il movimento settecentistfco fu
scolpito meno che altrove, segnatamente in Fran-
A. BAxLANi. 16
242 Capitolo sesto.
eia. « Gli Italiani — afferma Vernon Lee nel suo
libro sul Settecento ^ — non erano nepoti di avi
mezzo barbari come i Tedeschi e come gli Inglesi,
ma di borghesi liberi, illuminati e civili; serba-
vano ricordi delle repubbliche commerciali, e non
erano abituati a un orribile sistema feudale come
i Francesi; fra gli Italiani nessuna ineguaglianza
di classe, né grande miseria, né alto potere con-
trastantisi da secoli. > i
Nel Settecento in Italia come altrove dominava I
un gusto frivolo. Dalle curve galanti e flessuose
piene di fiori e di vilucchi derivanti dall'arte
secentista solenne e maestosa quanto la sette-
centista fu femminea e leggiadra, si passò sulla
metà del secolo, a un' arte fredda e insipida de-
rivante dalla classica a cui gii intelletti si rivol-
sero ancora. Perciò il Settecento architettonico
potrebbe essere spartito in due periodi; il primo
più vicino air arte del Seicento ; il secondo, ini-
ziante l'accademismo più vicino al classico.
Rilevammo che i caratteri del Settecento in
Italia furono meno scolpiti che altrove, specie in
Francia (intendiamo accennare all'arte settecen-
tista del primo periodo). La pomposità degli
ornati, la maestosità dello curve nelle masse ar-
chitettoniche avevano ottenuto nel diciassette-
simo secolo il favore degli architetti e del pub-
blico ; passato questo secolo scomparve lo sfarzo
dell' architettura secentistica, si libandonarono
le sue volute panciute, le sue cartelle bizzarre,
e da questa maniera ne sorse una nuova effemi-
» Siudiee of eigthteentg Century tu Italy^ pag. 87.
Architettura del settecento, 243
nata che non interessava per la imponenza delle
masse, ma s'imponeva per mezzo dei particolari
g^azàosi in forma di ciuffetti, di iof;\\Q lunghe e
rotondeggianti e di frondeggiature. In Italia in
questi tempi si disse rococò* uno stile leggiadro e
seducente che si diffuse poco e si presta mirabil-
mente alla decorazione e a far mobili in modo
particolarissimo. Lo stile rococò ebbe vita splen-
dida in Francia; là si ebbero cosi gli stili LuigiXV
e XYI che sostanzialmente esistono più per virtù
di una convenzione erronea che in realtà. È pro-
vato che lo stile detto oggi di Luigi XYI ebbe
origine sotto Luigi XY , e si deve air iniziativa di
M."** di Pompadour la reazione contro le esagera-
zioni che vigoreggiarono specialmente durante la
Reggenza. La Francia ha lo stile di Luigi XIY, e
la gloria di Carlo Le Brun che fa risplendere vi-
vamente il nome del gran re — del Rai Soleil —
è sola e una traverso gli stili successivi che come
s' intendono in generale sono una convenzione di
linguaggio e non altro.'
Li* Italia che aveva seguito fino oltre la metà
del secolo decimottavo Io stile rococò, vèrso la
metà del Settecento ritorna alla forme classiche.
Luigi Vanvitelli, napoletano (1700 1 1773) a Ca-
serta col Palazzo Reale fu il primo nella bassa
^ Siccome gli axnmassi di conchiglie di cui si faceva uso
in quest* architettura si chiamano in francese rocaiUe, così si
dette il nome di genre rocaille e poi di stile rococò a quello
stile che nel Settecento ottenne tanto favore in Francia.
« Cfr. VArt^ N. 524 e 525, anno dodicesimo. — • La Gollection
Stein par Noél Gehuzac.
244 Cajniolo sesto.
Italia a riapplicare le colonne e le trabeazioni
nella loro purezza romana senza fronzoli area-
deggianti. Gol palazzo di Caserta il Yanvitelii si
fece un nome straordinario. A Napoli viveva in
quei tempi Tarchìtetto Gavasale; egli acquistò alta
riputazione col Teatro di 8. Carlo finito neir ot-
tobre del 1787. * Ma la fama maggiore F ebbe il
Yanvitelii ; difatti fu richiesto anche da Milano di
un disegno per riformare radicalmente il vecchio
Palazzo Ducale (ora Palazzo Reale). Yanvitelii
presentò il disegno ma vedendo che gli si impo-
nevano delle condizioni non accettabili rinunziò
il lavoro in favore del suo scolaro Giuseppe Pier-
marmi diPoligno (1786 1 1808) che trovò nella me-
tropoli lombarda' grandissima accoglienza, molte
commissioni e modo quindi di far valere il suo
ingegno svegliato. Il notissimo Teatro della Scala
fu eretto fra 1776 e il 1778 da lui, è suo il gran-
dioso Palazzo Belgioioso sorto nel 1777 e deriva
dalla sua arte la magnifica Yilla Reale, già Bei-
gioioso, i cui piani furono immaginati dal suo
discepolo e aiuto Leopoldo PoUach di Yienna
(1750 t 1806) negli ultimi anni del secolo scorso.
In questi medesimi tempi fiorirono (ed alcuni
toccarono i primi anni del secolo nostro), Ignazio
Vincenzo Paterno Castello che eresse in Sicflia il
Ponte di trent' un arco sul Simeto (com. n. 1765)
fiorì ad Imola Cosimo Morelli, architetto valorosis-
simo (1729 1 1812) uno dei migliori del suo tempo
* Leggasi ciò che scrive il Colletta nella sua Storia dei
Reame di Napoli su questo architetto morto miseramente in
prigione e sul teatro di S. Carlo.
Architettura del settecento. 248
le cui opere; il Duomo di Imola, Fermo, Fos-
sombrone, MaceraCa, i teatri di Osimo, Forlì, Fer-
rara, ecc., rappresentano questa seconda fase
deir architettura settecentistica italiana, la quale
stanca degli sforzi della prima metà del Sette-
cento ritorna al classico consigliato dal Milizia
come runico stile da seguirsi. Lo rappresentano
altresì egregiamente a Bologna i bolognesi Fran-
cesco Tadolini (op. n. 1760) e Angelo Venturoli
(n. 17Si), il primo col freddo Palazzo Malvasia,
con quello Stella e a Faenza colla Chiesa dei
DomenicaDi, il secondo colla Chiesa di S. Giu-
liano. In questa epoca a Bergamo sorge un ar-
chitetto valoroso: Giacomo Quarenghi (nato 1744
t 1817) che si reca in Russia a inalzare fab-
briche alla maniera palladiana, ^ e a Vicenza la
patria del Palladio e dello Scamozzi si rifa vivo
il palladianismo e Ottone Calderari (1730 f 1803)
onora 1* architettura palladiana nei palazzi Sola,
Bonin, Cordellina tutt'e tre a Vicenza ove il pal-
ladianismo trova ancora altri notevoli imitatori
nell'abate Domenico Cerato (1715 1 1792), nel conte
Enea Arnaldi (1716 1 1794), in Giovanni Miglio-
ranza (1798 f 1861), * ecc. Treviso vede nel suo
1 Nel Quarenghi v' è proprio tutto lo spirito di questi tempi ;
v' è r uomo che si ribella ali* arte cosiddetta barocca per darsi
tutto alla classica. Prima pittore e scolaro del gesuita An-
drea Pozzo a un tratto si innamora delle teorie palladiane e
inalza in Russia il teatro dell* Eremitaggio sulla forma degli
antichi e il bagno a Gzarcotzelo e il palazzo del principe Bis-
barobko, ecc., ecc.
' Gfr. il nostro PalMio sa vie, son oeuvre. Paris^ Rouam,
1887.
246 Capitolo sesto.
Giordano Ricati un teorico e un pratico eccellente
(1709 t 1790) e Venezia vede fiorire Antonio
Visentini (1688 1 1782) e Tomaso Temanza (1705
1 1789), ambedue veneziani, il primo dei quali
disegna le prospettive più belle della sua patria
e pubblica le osservazioni al Trattato del Grailac-
Cini ove trova modo di inveire contro il rococò
che si mostra in pubblico ancora ogni tanto ti-
midamente; il secondo mostra il suo valore con
varie costruzioni religiose e civili e più special-
mente colla Chiesa di Santa Maria Maddalena a
Venezia, una delle più belle del secolo e eolla
Loggia dei Zanobrio (pure a Venezia) ove il
Temanza seguì la purità e il candore dello stile
palladiano.
Molti altri architetti, fiorirono in Italia per rap-
presentare il classicismo slombato come abbiam
detto. Fra tanti non citati si inalza Giuseppe
Soli che ebbe i natali nel 1745 a Vignola e fu
r ultimo architetto che eresse a Venezia un' opera
d'importanza: il palazzo regio. Accanto a lui sta
bene Antonio Diedo (1772 f 1847), segretario,
preside e professore di Estetica neir Accademia
delle Delle Arti di Venezia; omino alla vecchia,
buono come il pane, un po' architetto innamorato
del Palladio — entusiasta del Canova, letterato,
allevato e cresciuto nelle oasi del Parnaso al
quale non si poteva parlare dell'arte del primo
periodo settecentista senza vederlo inorridire.
Aveva ragione, aveva delle idee, era coscienzioso
e faceva bene a essere intransigente.
Ma già ai tempi beati del Diedo chi non sa-
rebbe arrossito ft sentire discorrevo di svplaw
Architettwra del settecento. 247
e di frondeggiature ? Allora la grandezza del-
l'arte stava nel seguire pecorescamente i precetti
di Vitruvio e nel saper imitare il Palladio e il
Vignola; perchè al di là degli stampi palladiani
e vignoleschi non e' era salvezza. L'architettura
si faceva coi numeri e colla memoria: ricordarsi
bene le leggi del Vitruvio e del Palladio era da
architetti virtuosi; esser dotti nella costruzione
della voluta ionica era addirittuta un pregio da
professori e da cavalieri.
Non sorrida amico lettore; — consideri: l'arte
accademica di cui parliamo fu la protesta contro
l'arte libera e talvolta spavalda del Seicento, così
come l'arte del Seicento fu la protesta contro
l'arte del Rinascimento.
CAPITOLO VII.
DELL' ARCHITETTURA MODERNA.
Per completare il nostro studio dobbiamo pur
toccare dell' Architettura moderna; e lo facciamo
brevemente. Nel capitolo precedente accennammo
il risveglio degli studi classici dell' architettura
e dicemmo che con questi studi si chiudeva il
Settecento ; ora rileviamo che col neo-classicismo
si apre in Italia il nostro secolo ; secolo pieno di
desideri, di grande attività, ma non favorevole
allo sviluppo dell'architettura.
Dopo che le pastorellerie dell'Accademie eb-
bero finito di appagare il gusto degli architetti
italiani, l' architettura per liberarsi dal giogo
greco e romano, si trovò precipitata in un goffo
eclettismo dove ora sguazza senza speranza di
uscirne presto. A questa scuola neo-classica si
debbono : la già notata Villa Reale a Milano edi-
ficata nel 1790 dal Pollach, certamente una delle
più distinte opere architettoniche del genere,
l'Arco della Pace (autore: Luigi Gagnola 1762
t 1833), imitazione degli archi romani, uno dei
Architettura moderna. 249
più significanti monumenti della prima metà del
nostro secolo e tanti altri edifici di Firenze, Roma
e Napoli.
Ma gli architetti stanchi oramai di seguire un
sistema architettonico che imprigionava la imma-
nazione e non corrispondeva ai bisogni che si
rinnovavano, liberatisi dal classico freddamente
accademico si videro sbizzarire in cento modi
diversi e andar qua e là in cerca di forme nuo-
ve da rinnovarsi, e tutto ciò senza criteri de-
terminati; sicché presto si accorsero di trovarsi
fuor di strada più di prima o quanto prima. Il se-
colo volgeva air affarismo e Y architetto per non
essere bugiardo doveva essere affarista. Per la
qual cosa avemmo l' architettura afiarista e bu-
giarda.
Insomma Y architettura moderna somiglia a
corpo morto cui il galvanismo dà fuggevoli scatti
di vita. E non può esser diversamente di così,
se è vero che l'architettura è l'immagine dello
ambiente entro al quale deve svolgersi.
Il Quidini osserva giustamente in un suo studio
suir architettura moderna : « Che templi volete
che Tarte vi dia se v'accapigliate sulla esistenza
e sulla insussistenza di Dio? Che reggie, se in-
vocate altamente l'abolizione di ogni autocrazia?
Che monumenti pubblici, se trovate che l'attuale
organamento sociale è vizioso e deve rifarsi com-
pletamente su base più naturale? Che edifizi e
abitazioni in epoche di utilità dolose e di inte-
ressi capitalizzati?» L'arte architettonica tende a
fondersi colla scienza; dunque l'architettura bi-
sognerà che (Lccetti dalla scieaza quello che le
' 250 Capitolo settimo. ,
è utile. La scienza non uccide l'arte ma soltanto
quelle forme caduche le quali più non convengo-
no all'ordine di idee recente. Il tempo trasforma
idee Q. sentimenti del pari che flore e faune onde
la riflessione non toglie ma sposta la fantasia.
Dopo tutto la scienza esercitò sempre sulle
belle arti un'azione^ immanente, continua, sposso
invisibile e lenta, ma sempre immanchevole negli
effetti: però bisogna che la sua ingerenza non
sia soverchia se no, guai I — pei*ohè in generale
la scienza non soffoca la ispirazione se questa vi
è; il male sta che il più delle volte manca la
ispirazione e allora vigoreggia la scienza; questo
infatti è ciò che avviene oggi solitamente: oggi
che gli architetti hanno fatto legge dell' arte la
simetria. Timidi seguitatori dell' architettura del
Cinquecento, costruiscono i loro ediflci alla guisa
istessa che il musaicista mette assieme gli aba-
culi del suo lavoro; prendendo un po' di qua e
un po' di là e facendosi belli di un artificio che
è il nemico più formidabile dell' arte.
Gli architetti moderni sono giudicati dalla cri-
tica per la maggiore o minor conoscenza che
hanno degli stili architettonici antichi, quando
non lo sono con i criteri miserevoli dell' utilita-
rismo che fa dell'arte un mestiere.
Fu detto: l'eclettismo moderno rappresenta
un' èra artistica di transizione, da esso dovrà
sprigionarsi la scintilla che irradierà il mondo
dell'arte avvenire; fu detto: non può mancare
di carattere proprio il secolo nel quale ogni ge-
nerazione vuol compire da sé i propri desideri,
il secolo che fora in pochi anni il Cenisio, che
Architettura moderna. 2S1
taglia r Istmo di Suez, che getta ponti tabulari
sopra il più tempestoso braccio di mare che di-
vide nazioni europee, che inalza all' industria,
per fruirne pochi mesi, sterminati palazzi di cri-
stallo, di ferro e di legno ; fu detto : avremo lo
stile novo dell'architettura nazionale il giorno
in cui le virtù tanto diverse degli Italiani si
accorderanno davvero insieme per creare una
bellezza comune e tutta popolare e veramente
contemporanea; fu detto: — e questo lo disse
il Blasioli, un prete arzillo tanto amico del Ce-
lentano — in fatto di bello giova aver fede.
E abbiamo pur fedel Ma per carità dateci delle
istituzioni tutto d'un pezzo; delle abitudini e dei
gusti che non abbian nulla a che fare col pas-
sato; fate che si possa dimenticare quanto si
è fatto prima di noi; allora potremo avere l'ar-
chitettura nova; la potremo avere se si met-
terà nel suo studio un po' di quel raziocinio
che sappiamo applicare sì bene nelle cose della
vita pratica.*
Purtroppo è difficile impare ma è più diffi-
cile dimenticare. Auguriamoci tuttavia che venga
davvero il giorno in cui l'architettura della nova
Italia s' illumini dello splendore del quale s' il-
luminò nei secoli migliori traversati da noi.
^ Perchè a Roma, specialmente prima del 1870 V architet-
tura ha languito più che altrove ? Perchè gli architetti romani
non possono dimenticare Tarte del Pantheon e del Colos-
seo: gli architetti romani si fermano troppo air antico e lo
copiano più che non lo studino.
FINE,
MDIGE
DKI MONUMENTI GITATI *
Agrigento.^
Oratorio di Falaride, 82.
Ancona.
S. Ciriaco, 63.
Palazzo Comunale, 149.
Aosta (Valle d').
Castello di Cly, 114.
» Fenis, 115.
» Graine, 114.
^ Issogne, 115.
» Montmajeur, 114.
Verrés, 114.
Aquileia.
Duomo, 39.
Aquisgrana.
Duomo (n), 94.
Arezzo.
Pieve, 56.
Ascoli-Piceno.
SS. Vincenzo e Anastasio, 64.
Assisi.
Duomo (S. Rufino)^ 94.
S. Francesco, 104.
Bari.
S. Gregorio, 63.
S. Nicola, 61.
Bergamo.
Cappella GoUeoni, 170.
Palazzo del Comune, 119.
Bitonto.
Duomo, 62.
Bologna.
S. Francesco, 67 e seg.
S. Michele in Bosco (Porta),
182.
S. Petronio, 110.
Facciata pel S. Petronio (prò-
getti), 195, 205.
Palazzo Podestà, 191.
Gasa dei Garacci 191.
Palazzo Albergati, 182.
» delParte degli strac-
ciaioli, 194.
Palazzo Fava, 193.
» Lambertino, 182.
» Malvasia, 245.
La OarisendOf 67.
Loggia dei Mercanti, 194.
Portico dei Banchi, 204.
1 La (o) significa che il monameato é citato in nota.
s Abbiamo disposto in ordine alfabetico prima le chiese, mettendo
a capo di esse il Daomo ; poi i Palazzi mettendo capofila 11 Palazzo
Comunale; indi gli altri edifici in genere.
254
Indice dei monumenti citati^
Bologna (vicinanze).
Castello di S. Martino di so-
Sra Zena detto dei Manzo-
, 117.
Brescia.
Duomo, 194.
S. Maria dei Miracoli, 170.
Palazzo Comunale, 159.
Brouges.
Duomo, 176.
Carpi.
Duomo, 182.
Caprarola.
Castello, aOi.
Caserta.
Palazzo Reale, 243.
Cesena.
Biblioteca Malatestiana, 194.
Cefalù.
Duomo, 60.
Chartres.
Duomo, 176.
Cliiaravalle.
Abbazia, 65.
Codrongianos
(provincia di Sassari).
Abbazia di Saccaragia (Chiesa
della), 64.
Colonia.
Duomo, 93, 101 (n).
Conversano.
Duomo, 62.
Como^
Duomo, 48, 165.
[Parta d, Bana% 165.
S. Abbondio, 48 e seg.
S. Fedele, 49.
Palazzo Comunale, 119. ,
Crema.
Campanile del Duomo 65. ,
Cremona.
Duomo, 41, 52.
Palazzo Comunale, 119.
» Stanga (Porta), 170.
Loggia dei Gonfalonieri. 125 e
seg.
Cortona (vicinanze).
Madonna del Calcinaio, 149. 1
Costantinopoli.
S. Sofia, 27 e seg., 37 e seg.
Empoli.
Pieve, 24.
Faenza.
Chiesa dei Domenicani, 245.
Fermo.
Duomo, 245.
Ferrara.
Duomo, 75,
Certosa, 161.
Palazzo dei Diamanti, 161.
» Roverella, 161.
» Scrofa, 161.
» Schifanoia, 161.
Castello, 161.
Teatro, 245.
Firense.
Duomo, 100, 105 e seg.
Angioli (Chiesa degli), 143.
S. Croce, 109.
S. Lorenzo, 142.
S. Maria Novella, 109.
S. M. Nov. (Porta, di Leon.
Batt. Alberti), 144.
S. Marco (Convento), 146.
S. Michele (Or.) 112, 123 e seg.
S. Miniato al Monte, 24.
Indice dei monumenti diati.
255
Pazzi (Cappella dei), 142.
S. Spirito, 142.
Palazzo Comunale (V. Palazzo
Vecchio),
Casa dei Barbadori 143.
Palazzo Antinori, 149.
» Bartolini, 149.
» Geri (ora Mantellini),
144.
Palazzo Giugni, 208.
» Giuntini, 144.
» Gondi, 149.
■» Guadagni, 147.
Martelli; 20S,
» Pandolfini, 181.
Pitti, 148-208.
» Pucci, 208.
» Quaratesi, 149.
» Riccardi (Piazza del
Duomo), 208.
Palazzo Riccardi già dei Me-
dici, 146,
Palazzo Rucellai, 147.
T> Serristori, 149.
» Strozzi, 146, 151, 189.
» Tomabuoni ora Corsi,
146.
Palazzo Vecchio, 73.
Vitali, 208.
Bargello, 73.
Biblioteca Laurenziana, 207.
Campanile detto volgarmente
di Giotto, 66, 107.
Loggetta del Bigallo, 76.
Loggia degli Innocenti, 143.
Loggia dei Lanzi, 76, 123 e seg.
Loggiato degli Uffizi, 205.
Torre di Palazzo Vecchio, 68.
Foggia.
Duomo, 62.
Fontainebleau.
Castello, 204.
Forlì.
Teatro, 245.
Friburgo.
Duomo, 93.
Genova.
S. Ambrogio, 229.
SS. Annunziata, 229.
S. Siro, 229.
Palazzo Adomo, 238.
» De Amicis, 238.
» Doria- Tursi (Munici-
pio), 238.
Palazzo Lercari, 288.
» Reale, 238.
» Sauli, 238.
» Serra, 238.
» dell'Università, 238.
Grado.
Duomo, 11 (n), 39.
Gravedona.
S. Maria del Tiglio, 49.
Campanile di S. Maria del Ti-
glio, 66.
Gubbio.
Palazzo del Comune, 119.
» Ducale, 185.
Imola.
Duomo, 245.
Jesi.
Palazzo Comunale, 149.
Jork.
Duomo, 94 (ii).
Lodi.
Incoronata, 165.
Loreto.
Santuario, 64, Ì87.
Palazzo Reale, 187.
Lucca.
S. Frediano. 55.
S. Martino, 55, 85 e 89.
256
Indice dei monumenti eilali.
S. Michele, 55, 62.
Palazzo Bernardini, 208.
» Gelanni, 208.
» già Ducale, 208.
Mantova.
Duomo, 205.
S. Sebastiano, 144, 148.
Palazzo del T., 205.
» della Borsa, 93
Maser (vie. a Treviso).
Tempietto del Palladio, 195.
Messina.
Duomo, 114.
Milano.
Duomo, 47, 85, 94, 101 e seg.
S. Ambrogio,. 11, 43 e seg.
50, 61, 85, 89.
S. Ambrogio (Portico della Ca-
nonica), 164, 172 (n).
S. Gelso, 50, 228.
S. Eustorgio, 50.
» (Cappella del Mi-
chelozzi), 170.
S. Giovanni alle Case Rotte,
236 (n).
S. Giovanni alla Conca. 50.
S. Giovanni sul Muro, 164.
S. Giuseppe, 236 (n).
S. Liberata, 164.
S. Lorenzo, 41.
S. Maria in Carugate, 164.
S. Maria delle Grazie, 164, 172
(n).
S. Satiro, 164, 172 (n).
S. Simpliciano, 60.
S. Vincenzo in Prato, 14.
S. Vittore, 228.
Palazzo Comunale (V. Palazzo
Marino).
Palazzo Annoni, 236.
» di Brera, 235.
» Belgioioso, 244.
» Cusani, 236.
Palazzo Durini, 236.
» Elvetico, 236.
» Litta, 236.
» Marino, 235. i
» della Ragione, 72. {
» Reale, 244.
Villa Reale, 244, 248.
Arco della Pace. 248.
Campanile del S. Gottardo, 65.
Castello di Porta Giovia, 116,
164.
Porte del Duomo, 237. I
Spedale Maggiore, 168, 169* '
Teatro della Scala, 244.
Micene.
Tesoro d'Atreo, 82.
Modena.
Duomo, 41, 52.
Ghirlandina, 67.
Molfetta.
Duomo, 62. i
Monza.
Palazzo della Ragione, 71.
Monreale.
Duomo, 60.
Chiostro, 60,
Mugello (Toscana).
Palazzo di Cafaggiolo, 146.
Napoli.
S. Filippo (dei PP. Gerolomi-
ni), 221, 228.
Gesù Novo, 228.
S. Giovanni dei Carbonari (mo-
numento Caracciolo), 190.
S. Martino (Certosa), 228.
Montoliveto (Chiostro), 190.
» Cappella Pìccolo-
mini, 189.
Oratorio di Pontano, 190.
S. Severino, 190.
Palazzo Como, 189.
Indice dei monumenti citati.
257
Teatro S. Carlo, 224.
Villa di Pogrgio Reale, 190.
Castel Novo, 116.
» Arco di G. N., 189.
Porta Capuana, 190.
Norimberga.
Palazzo Comunale, 93.
Oristano. ^
S. Giusta, 64.
Orvieto.
Duomo, 113.
Otranto.
Duomo, 62.
Padova.
S. Antonio, 53.
o il SantOf 101 (n), 112.
S. Giustina, 158 (n).
Palazzo della Ragione, 72.
Palestrina (Praeneste).
Mura, 82.
Palermo.
Duomo, 60.
S Maria dell'Ammiraglio (la
Martorana) 60.
Cappella Palatina, 60.
Parigi.
Notre-Dame, 176.
Santa Cappella, 94, 99.
Parma.
Duomo, 51.
Battistero, 51.
Parenzo.
Duomo, 11 (n), 39.
Pavia.
Duomo, 165.
Certosa, 47, 112, 167.
S. Lanfranco, 51.
A. Milani.
S. Maria del Popolo, 51.
S. Michele, 50, 52.
S. Nazaro, 51.
S. Pietro in Ciel d'Oro, 50.
S. Teodoro, 51.
Campanile del Carmine, 66.
Castello, 116.
Piacenza.
Duomo, 41, 52.
Palazzo Gotico o il Gotico, 72.
Palazzo Farnese, 204.
Campanile di S. Pietro, 228.
Piacenza
(Ghiaravalle della Colomba).
Chiostro, 55.
Pienza.
Palazzo Piccolomini, 147.
Pisa.
Duomo, 54, 100.
Battistero, 55.
Camposanto (n), 55.
S. Maria della Spina, 76.
Palazzo Gambacorti, 76.
Campanile del Duomo, 54, 67.
Pistoia*
Battistero detto volgarmente
«7 8, Giovannino, 76.
S Giovanni fuorcivitaa, 54, 62.
Madonna dell' UmilU, 205. -
Palazzo Comunale, 123.
» Pretorio, 123.
Poltrone presso Mantova.
S. Benedetto. 101 (n).
Ploaghe.
S. Michele di Salvennero, 64.
Prato.
Duomo, 56.
Madonna delle Carceri (Chie-
sa), 144.
17
258
Indice dei monumenti oitsM.
Pratolino
(provincia di Firenze).
Grotte d. Villa Medicea, 206.
Ratisbona.
Duomo, 93.
RaTenna.
Sani* Apollinare in Glasse, 34.
8. Apollinare Novo, 34.
S. Vitale, 34 e seg. 41.
Reims. ,
Daomo, 94 (n).
Rimini.
S. Francesco, 144.
Roma.
S. Agnese, 22, 224.
S. Andrea dei Gesuiti (Via del
Quirinale), 226.
S. Bibiana, 226.
S. Carlo alle quattro fontane,
224.
S. Clemente al Monte Celio, 20.
S. Costanza, 24.
S. Crisogono, 28.
S. Croce detta in Gerusalem-
me, 19.
S. Giovanni dei Fiorentini, 221.
S. Giovanni in Laterano, 20.
Gesù, 217 (n).
S. Giorgio in Velabro, 24.
S. Giovanni in Fonte (lo stesso
di S. Giovanni Laterano), 24.
Incurabili, 221.
S. Paolo f. d. m., 21.
S. Pietro in Montorio, 172 (n).
174.
S. Pietro in Vaticano, 174, 183.
S. Prassede, 22.
S. Maria in Gampitelli, 222.
S. Maria in Cosmedin, 23.
S. Maria Maggiore, 19, 23.
S. Maria ai Monti, 222.
S. Maria in Trastevere, 24.
S. Lorenzo f. d. m., 23.
S. Luigi dei Francesi, 222.
S. Sabina 16, 22.
S. Stefano detto rotondo, 24.
Vittoria, 222.
Palazzo Altemps, 182.
Borghese, 2^
di S. Biagio, 174.
di Bramante, 174.
del Campidoglio, 207.
della Cancelleria, 172.
Cicciaporci, 205.
d. Consulta, 232.
Corsini, 232.
Farnese, 183, 207.
Gaetani oggi Ruspolì
(Scala) 232.
Farnesina, 181.
Palazzo di Laterano, 232.
Maccarani, 205.
Massimi, 182.
Mattei, 232.
Ossoli, 182.
Pamphyli, 232 (n).
del Quirinale, 232.
Rospigliosi, 9S2.
Sacchetti, 183.
Sciarr a- Colonna, 232.
Torlonia (piazza Santi
Apostoli), 232.
Palazzo Torlonia (già Giraud)
Borgo Novo, 174.
Padazzo Valvasorì, 232 (n).
> Venezia, 179.
Campanile di S. Maria in Co-
smedin, 66.
Campanile di S. Maria Mag-
giore, 66.
Campanile di S. Maria in Tra-
stevere, 66.
Catacombe di S. Sebastiano, 6.
Cattedra di S. Lorenzo, 58.
Cattedra di S. Pietro, 225.
Chiostro di S. Paolo f. d. m.,
59 e 60.
Cortile di S. Giovanni Late-
rano, 59 e 60.
Indice dei monumenti citati.
259
Confessione di S. Pietro, 226.
Cupola di San Pietro, 176, 206.
Fontana di piazza Navona, 231.
Piazza di S. Pietro, 177, 225,
230.
Scala Regia, 231.
RUTO.
Duomo, 62.
Salisburgo.
Duòmo, 94.
San Doinenioo
(vie. a Fiesole).
Badia fiesolese, 142.
Siponto.
Duomo, 62.
Siena.
Duomo, 76, 85, 114.
S. Giovanni, 76.
Palazzo Comunale, 119, 123.
Bonsignorì, 123.
Mocenni, 150.
Piccolomini, 149.
Pollini, 150.
Tolomei, 123.
Castello di Saturnia, 47.
Loggia del Papa, 149.
Torre del palazzo Comunale
di Siena detta volgarmente
d. Mangia, 68.
Strasburgo.
Duòmo, 93.
Tebe.
Ramesseione, 82.
Termoli.
Duomo, 62.
Terranova Pausania.
S. Simplicio,* 64.
Torcello.
Duomo, 10 (n).
Toscanella.
S. Maria, 11 (n) e 58.
S. Pietro, 58.
Torino.
Duomo, 229.
Arcivescovado (Chiesa), 229.
Carmine, 229.
Consolata, 229.
S. Lorenzo, 229.
SS. Sidone, 229.
Superga, 229.
Palazzo deir Accademia delle
Scienze, 237.
Palazzo Balbiano di Viale, 237.
> Carignano, 237.
» Levaldigi (ora di Mar-
gherita), 287.
Palazzo Madama, 229, 237 e
238.
Villa reale di Stupinigi, 238.
Seminario, 288.
Trani.
Duomo e la sua Torre, 62.
Treviso.
Duomo (Cappella del Sacra-
mento), 155.
S. Maria delle Grazie, 155.
S. Paolo (Cappella), 155.
Trento.
Duomo, 53.
Troia.
Duomo, 62.
Udine.
Palazzo Comunale, 119.
Urbino.
Palazzo Ducale, 185.
Venezia.
S. Francesco della Vigna, 196
e 197.
260
Indice dei monumerdi citati.
S. Marco, 81, 87 e seg. 53.
Frari, 100, 112.
S. Gimignano, 197.
S. Giorgio Maggiore, 195, 197.
S. Giorgio dei Greci, 197.
S. Giovanni Elemosinano, 156.
SS. Giovanni e Paolo, 112.
S. Giuliano, 197.
S. Giustina (ex- chiesa), 227.
S. Maria Maddalena, 246.
S. Maria dei Miracoli, 152, 156.
S. Maria deU'Orto, 112.
Redentore, 195.
Rosario ((^appella del) 226.
La Salute, 220, 226.
S. Salvatore, 154.
S. Stefano, 112.
S. Zaccaria, 152.
Palazzo Ducale, 117, 120, 157
e seg., 199.
Palazzo Gapovilla, 233.
Ga' d'Oro, 119 e seg.
Palazzo Cavalli, 119.
» Cicogna, 119.
» Contarinì-Fasan, 119.
» Corner • Spinelli, 158,
200.
Palazzo Foscari, 119.
» Grimani (a S. Luca),
200.
Palazzo Giustiniani, 119. 234.
» Pesaro, 232.
» Pisani (a S Polo), 119.
» Reale, 246.
» Rezzonico, 233.
» Toppan, 119.
» Trevisan (S. M. For-
mosa), 155.
Palazzo Yendramin, 151, 152,
158.
Arsenale, 202.
Basamento del monum. Col-
leoni, 159.
Campanile di S. Giorgio Mag-
giore, 47.
GasteUo di S. Andrea, 202,
Confraternita di S. Rocco, 151.
Fondaco dei Tedeschi, 159-
Porta della Carta, 118, 156.
Prigioni, 199.
Libreria di S. Marco, 199-208.
Loggetta di S. Marco, 203.
Monumento Pesaro ai Frari,
227.
Monumento Vittoria, a S. Zac-
caria, 227.
Loggia di Zanobrio, 246.
Ospedaletto, 227, 232, 233.
Ponte di Rialto, 199.
Ponte dei Sospiri, 199.
Scala dei Giganti, 157.
Scuola di S. Marco, 153, 155.
Scuola della Misericordia, 202.
Scuola di S. Rocco, 155, 156.
Torre dell' Orologio, 152, 159.
Vecchie Procuratie, 156.
Zecca, 203.
Venezia (Murano).
Duoiho, 39.
Venezia (Torcello).
S. Fosca, 39.
Vercelli.
S. Andrea, 52.
Verona.
Duomo, 113.
S. Anastasia, 113.
S. Eufemia, 113.
S. Fermo, 113.
S. Zeno, 51, 53.
Palazzo del Consiglio, 159.
» Bevilacqua, 202.
Arca di Can-Signorìo, 68.
Porta Nuova, 202.
Vicenza.
S. Lorenzo, 113.
Madonna di Monte Berìco, 195.
Palazzo Bonin, 245.
» Cordellina, 245.
Indice dei monumenti cifafi.
261
Vicenza.
Palazzo Sola, 245.
» Thiene, 199.
» Valmarana, 199.
Basìlica, 197.
LiOggia, del Vescovo, 159.
Rotonda (Villa detta), 198
Teatro Olimpico, 198.
Vigevano.
Castello degli Sforza, 116.
Viterbo.
Duomo, 58.
S. Andrea, 58.
S. Maria Nuova, 58.
S. Giovanni in Zoccoli, 58.
Campanile del Duomo, 66.
INDICE
DEGLI ARTISTI K DRI PERSONAGGI CONSIDEREVOLI*
Abbaco Giov. Maria, 172.
» Antonio, 172
Agnolo (d') Baccio, 145. 149.
Alberti Leonbattista, 81, 132
seg., 141 e seg., 147, 194.
Alessi Galeazzo, 21 7, /(n), 220,
228 e seg., 235, 238.
Algardi Alessandro, 219.
Ammannati Bartolomeo, 128,
143, 175 (n).
Antelami (Maestri), 48, 51 e
seg.
Arduino, 111.
Arezzo (d*) Marchionne, 56.
Arler Enrico di Gmùnd o Ga-
modia, 102 e seg.
Arnaldi Enea, 245.
Arogno (di) Adamo, 53.
Arrìguzzi Arduino, 111.
Averlino o Averulino Antonio
V. Filarete.
Azzarra Francesco, 189.
liambaia (Agostino Busti),
167.
Bandinelli Baccio, 188.
Barozzi Giacomo, V. Vignola.
Basseggio Pietro, 117.
Battaggio Giovanni, 165, 166.
Bergamo (da) Mauro, 155.
Bernini Lorenzo, 176, 199, 217,
228, 230 e seg.
Berretta Lodovico, 195.
Bianco Bartolomeo, 238.
Bibbiena Antonio, 220
» Ferdinando, 290.
> Francesco, 220.
Boeswillwald, 99.
Bonanno, 55.
Bon Giovanni, 117 e 118.
» Bartolomeo, 117 e 118.
> Pantaleone, 117 e 118.
Borghetto (da) Pietro, 72.
Borromini Francesco, 47, 217,
223 e seg. e 231.
Bracciolini Poggio, 132.
Brìghintk Domenico, 52.
Brunellesco Filippo, 132 e seg.,
141 e seg., 149, 161, 166 (n).
Bramante Donato, 161 e seg.,
171 e seg., 178, 182, 183,
187, 206, 221.
Buontalenti Bernardo, 206.
Buono Bartolomeo, 118 (n),
156.
Busti Agostino, Y. Bambola.
(campione (da) Alberto, lOlw
» Arrigo, 67.
1 S* iDtende considerevoli per V influenza esercitata da loro tallo
svilappo dell'arte. — La (n) messa accanto al numero significa che
TartisU ò citato ia'^nota.
Indice degli artisti e dei personaggi, 26S
Cam pione (da) Bonino, 47, 68.
" "*' Il 4 Giacomo, 47.
104.
Campione (da) Matteo, 47.
Cam Dello (da) Filippo, 105.
Cambio (di) Arnolfo, 56, 57,
106, 109, IH (n)
Calendario Filippo, 117, 119.
Cadali Giuseppe, 143.
Cagnano Pietro, 72.
Campanaro Gherardo, 72.
Caradosso (Foppa), 164.
Caprina (del) Meo, 187, 188.
Calcagni Antonio, 188.
Campagna Gerolamo, 220.
Castelli Cario, 236 (n).
Castello Giovanni Battista, 229.
Castello-PatemoVincenzo, 244.
Cavagni Giambattista, 221.
Gavasale, 244.
Calderari Ottone, 245.
Castellamonte Cario, 229, 237,
» Amedeo, 229,
237.
Cagnola Luigi, 248.
Cella (dalla) fra Benvenuto,
112.
Gesariano Cesare, 166.
Cerato Domenico, 245.
Chiona, 197.
Ciccione Andrea, 190.
Cione (di) Bencì, 106, 123.
Cosma (Cosimo), 57.
Cosmati, 57 e seg.
Como (da) Giovanni, 47.
Como (da) Guidetto, 55.
Gomacini (Maestri), 46 6 seg.,
60.»
Gontucci Andrea, V. Sansovi-
no Andrea.
Cozzo (di) Pietro, 72.
Cronaca (Simone Pollaiolo),
145, 146.
Daponte Giovanni, 137.
Daponte Antonio, 199.
De Bonaventuris Niccola, 104.
Diedo Antonio, 246.
Diotisalvi, 55.
Dolcebuono Giovanni, 166.
» Jacopo, 166.
Donatello (Donato Bardi), 132
e seg.
Duban, 99;
llnsingen (di) Ulrico, 104.
Fancelli Luca, 149, 166, 190.
Fansaga Cosimo, 219, 228.
Fontana Annibale, 219 (n).
» Carlo, 219 (n), 232,
» Domenico, 219 (n),
221, 232.
Fontana Francesco, 219 (n).
> Giovanni, 219 (n).
» Giulio Cesare, 219 (n).
Federighi Antonio, 149.
Federigo II, 105.
Fernach (di) Giovanni, 104.
Fioravante (di) Aristotele, 191.
» Neri, 106, 124.
Formenton Tomaso, 159.
Filarete (Ant Averulino), 166
(n), 169.
Fra Giocondo, 134, 159, 179,
181.
Francesco (della) Piero, 194.
Friburgo (di) Giovanni, 104.
Frixono (de) Marco, 104.
Fuga Ferdinando, 232.
Oaddi Taddeo, 106, 112. 124.
Galli Ferd. Frane. Ant., V. Bib-
biena.
Gamodia Enrico, V. Arler Enr.
Gattapone. Y. Maffei Giovan«
nello.
* Vedi «ncbe la Note aggiunta nell'Errata corrige.
264 Indice degli artisti e dei personaggi.
Ghiberti, 181 (n).
Ghini Giovanni di Lapo^ 106.
Giotto, 107.
Girandole (delle) Bernardo, V.
Buontalenti Bernardo.
Gonzaga Federigo, 205.
Grassi (dei) Giovanni, 104.
Gruamons, 54.
Giulio II, 171, 174.
Giulio HI, 20*.
Guarini Guarino, 220, 229, 237.
Juvara o Ivara, Filippo, 148.
220, 229, 237.
Lanfranco, 53.
Lanfranchi Carlo Emanuele,
238.
Lapo, 105.
Lapo (di) Arnolfo, V. Cambio
(di) Arnolfo.
Lassus, 99,
Lauranna (di) Luciano, 185 e
seg. 190.
Le Brun Carlo, 243.
Leopardo Alessandro, 208.
Lombardo Andrea Dom. 189.
» Antonio, 155.
» Martino, 152, 153.
^ Martino II, 155.
» Moro, 155.
> Pietro, 152 e seg.
158, 203.
Lombardo Rocco, V. Pennone
Rocco.
Lombardo Sante, 155, 158, 197.
> Tullio, 153 e seg.
155 (n).
Lombardo Tullio II, 155 (n).
Longhena Baldassarre, 220,
226 e seg., 232 e seg.
Lugano (di) Alberto, 47.
Luna (Della) Francesco, 143.
Lunghi Martino (il min.), 219.
» Onorio, 219.
Lunghi Martino (il maggiore),
219, 232.
Lurago Rocco, 238.
Maderno Carlo, 47, 176, 217,
219, 221, 232.
Mafifei Giovannello, detto il
QaUapone, 119.
Maiano (da) Benedetto, 145,
146, 189.
Maiano (da) Giuliano, 145, 187,
189.
Maitani Lorenzo, 114.
Malatesta Sigismondo, 194.
Manfredi Andrea, 110.
Mangone Fabio, 236.
Martini Francesco di Giorgio,
81, 147, 149, 166, 185, 202.
Medici (dei) Cosimo 146 e seg.
Mercadillo (di) Freilino, 188.
Michelangiolo, 170, 174, 175
(n) 176, 184, 203, 204, a06
e seg., 221.
MichelozziMichelozzo, 146, 151^
166 (n), 170.
Mignot Giovanni, 104.
Milano (da) Bramante, 166.
Milano (da) Giovanni, 104.
Miglioranza Giovanni, 245.
Moro (il) Lodovico, 166.
Monte feltro (dì) Federigo, 185.
Moro (del) Giulio, 220,
Morelli Cosimo, 244.
Negri (dei) Negro, 72.
Nati MaUeo, 194.
Omodeo, Gio. Ant. 103, 165
e seg., 170.
Orcagna Andrea. 76, 103 (n),
106, 123, 124.
Organi (degli) Andrea, 103.
Organi (degli) Filippo o Filip-
pino, 103.
Organi (degli) Giorgio, 103.
Indice degli artisti e dei personaggi 265
Orsenigo, Marco, Jacopo. Si-
mone, 108.
1 aoletti Gaspare, 143.
Paolo V., 176.
Palladio Andrea, 194 e seg.,
199, 217 (n), 247.
Parigi Giulio, 143
Pecorari Francesco, 65, 126.
Pennone Rocco detto Rocco
Lombardo, 229.
Pellegrini (il), V. Tibaldi Pel-
legrino.
Peruzzi Baldassarre, 149, 172,
176, 181 e seg., 221.
Pinerolo (da) Marino, 188.
Pisa (da) Isaia, 189.
Pisano Nicola, 76, 112.
> Andrea, 76, 109.
» Giovanni, 116.
Piermarini Giuseppe, 244.
Pippi Giulio (V. Romano Giu-
lio.)
Poccianti Pasquale, 143.
Pollach Leopoldo. 244. .
Pollaiolo Simone, Vedi Cro-
naca.
Pontelli Baccio, 187. 188.
Porta (della) Giacomo, 222.
Ponzi Flaminio, 222, 232.
Pozzo padre Andrea, 220, 222,
245 (n).
Uuarenghi Giacomo, 245.
BaffaeUo, 81, 105, 145, 172,
175 (n), 176, 185, 187, 221.
Rainaldi Girolamo e Carlo ,
219, 222. ,
Rembrandt, 208.
Ricati Giordano, 246.
Riccio Antonio, 151, 152, 157
e seg. .
Riccio Andrea, detto Crispo e
Briosco, 157.
Rìchini Francesco Maria, 210,
236.
Ristoro, (fra), 109.
Rocchi Cristoforo, 165, 166.
Rodari Tommaso, 165, 166.
Romano Giulio, 101 (n), 184,
205.
Romano Paolo, 189.
Rossellino Bernardo, 145, 147,
149, 189.
Rossi (dei) Giovanni Antonio,
219.
Ruggeri Anton Maria, 236.
Oangallo (da) Antonio (il vec-
chio), 145 e seg.
Sangallo (da) Antonio (il gio-
vine) 145, 172, 176, 182, 206.
SangaUo (da) Aristotele, 181.
» Francesco, 188.
» Giovanni Fran-
cesco, 181.
SangaUo (da) Giuliano, 144,
145, 149, 166, 172. 174, 176,
178 e seg., 181.
San Guglielmo abate di S. Be-
nigno di Digioné, 91.
Sanmicheli Michele, 200 e seg.
Sansovino Iacopo (Tatti), 137,
172, 197, 199, 202, 208.
Sansovino Andrea (Gontucci),
172, 203.
Santi Giovanni, 185.
Scamozzi Vincenzo, 137, 198
e seg.
Scarpagni Antonio, detto Scar-
pcigninOf 156.
Serlio Sebastiano, 137, 190,
204,
Seregni Vincenzo, 220.
Settignano (da) Antonio di
Giorgio, 190.
Settignano (da) Desiderio, 190.
Sieve (da) Ponte Antonio, 172.
Silvani Gherardo, 219.
Sisto, (fra), 109.
2ò6 ìndice degli arlisii e dei personaggi.
Solari (famiglia), 140, 151.
» Cristoforo, 166.
» Guiniforte, 170.
Soli Giuseppe, 246.
Spavento Giorgio, 154.
Spazzi (degli) Lorenzo, 165.
Suardi, detto Bramantino, 166.
ladolini Francesco, 245.
Talenti Francesco, 106, 107,
109, 124.
Talenti Simone di Francesco,
106, 123, 124.
Tatti Iacopo, V. Sansovino Ia-
copo.
Temanza Tomaso, 246.
Tibaidi Pellegrino, 237.
Tiziano, 226 (n).
u
rbano Vili, 225.
V anone Andrea, 229, 238.
Vanvitelli Luigi,^243.
Vasari Giorgio, 205.*
Vignola, 137, 184, 204, 236, 247.
Venezia (da) Bernardo, 168.
Venturoli Angiolo, 245.
Vigone (da) Giovanni, 188.
Vincenzi Antonio, 110.
Violet-Le-Duc, 99."
Visconti Gian Galeazzo, 101 (n),
.102 e seg.
Visentini Antonio, 246,
Vitoni Ventura, 205.
Vitnivio, 132 e seg-, 247.
Vittoria Alessandro, 204, 22(),
226 e seg., 234.
Zambaia, V. Bambaia.
Zenale Bernardo, 166.
^ È citato poi in molti luoghi dol volumetto.
> È citato parecchi9 altre volte nel Tolumetto.
ERRATA-CORRIGE
A pag. 47 riga 28 territorfo di Como, leggi : territorio di Lugano.
» tOl » iO bisticchiato, » bisticciato.
» i44 » 12 eretta dopo la mor-
te dell'Alberti, » eretta vivente l'Alberti
tra il 1447 e il 1450.
» 148 » 4 architettato da loi
nel 1470, » principiato nel 1460.
Noia affffiunia alla pag. 47 dove, parlando dei Maestri Co-
macioi, scriviamo che « il costarne di emigrare nelle vallatn delle
Alpi ò antichissimo». Anche ora gli abitanti della Valle d'Intelvi,
delle vicinanze di Lugano, di Como si danno pib specialmente ai la-
vori di costrusione e di decorazione, e sono muratori, scarpellini, im-
biancatori e emigrano; e vanno a Milano, a Torino, a Genova, in
Svizzera, in Francia, in Austria e perfino in America: il bello è che
se vanno via muratori tornano assistenti o capomastri, insomma si
perfezionano sempre e talvolta si arricchiscono. Ciò mostra che hanno
attitudine ancora ai lavori murari, volontà di lavorare e molto giu-
dizio. Nei paesi ricordati gli uomini che vi restano sono vecchi, o
impotenti per disgrazia naturale, o bambini.
Sei^ie Soieiitifica>
in'32 legati a L. 1.60
i Chimica, di Rosoob, Paveèi.
2 Fisica, di BalfoobStbwart, Cantonù
3 Geograflaf Itlca, di Giiku, Stoppani
4 Geologia, di Guuk, Stoppani.
5 Astronomia, di Lockybb, Schiapa-
velli.
6 Fisiologia, di Fostbh, Albini.
7 Botanica, di Hooub, Pedicino.
8 Logica, di Jbvons, Di Giorgio.
9 Geografia classlca,di ToiM.GeniiU
10 Letteratura Italiana, di C. Fbnini.
11 Etnografia, di B. Malfatti.
12 Geografia, dì Gbotb, Galletti.
13 Letteratura tedesca, di Lanob^Pa-
ganiui»
14 Antropologia, di Ganistbimi.
15 Letteratura francese, di Margillag,
Paganini.
16 Logismografia, di C. Cykbsa.
17 Storia Italiana, di Gbsarb CantIi.
18 Letteratura Inglese, di E. Solaui.
19 Agronomia, di F. Garboadi Muriccb.
20 Economia politica. ìtL^om- Solagli.
21 Diritti e Doveri, di D. Maffiou.
22 Algebra, di S. Pimcbbrlb.
i3 Energia fisica, di R. Fbrhim.
U Letteratura greca, di V. Inama.
25 Mineralogia generaie,diL.BoMBicci.
26 Meocanloa, di Ball, Benetti,
27 Computisteria, di V. Gitti.
i8 Antichità Romane, di KoppJfore«cA2
29 Omero, di Gladstonb, Palumbo-
Fiorilli.
30 Mitologia, di A. Db Gdbirnatis.
31 Ragioneria, di V. Gim.
32 Geometria pura, di s. Pinchbrlb
33 Letteratura spagnuoia, di L. Gap-
PILLITTI.
34 Protlstologia, di L. Maggi.
35 Geometria metrica e Trigonome-
tria, di S. Pinchbrlb.
36 Letteratura Indiana, dì A. Db Go-
BBRIIATIS.
37 Metrica del Greci e del Romani,
di MiìLLia, Lami.
38 Religioni e lingue dell' india in-
glese, di Gost, De Gubematie.
39 Archeologia, Arte Greca, di I. Gbn-
TILB.
40 Archeologia, Arte Romana, di 1.
Gentile.
41 Logaritmi, di 0. Mùllie.
42 Vita di Dante, di 6. A. Sgartaibihi.
43 Opero di Dante, di G. A. Sgabtazzini.
44 Sismologia, di L. Gatta.
45 Errori e pregludizii popolari, di
STRAFfOaBLLO.
46 Vulcanismo, di L. Gatta.
47 Zooiogia 1, Invertebrati, di Gisuoli.
Oavanna,
48 Dinamica elementare, di Cattarm
49 Letteratura americana, di G.
Strafforbllo.
50 Lingue dell'Africa, di Cvst, De Gu-
bematie.
51 Termodinamica, di C. Gattanbo.
52 Paleoetnologla, di L Rbgamoni.
53 Assicurazioni, di G. Pagami.
64 EiettrlcitA, di Jbnkin, Ferrini.
55 Spettroscopio, di Proctor, Porro,
66-57 Mineralogia descrittiva, di L.
BOMBICCl.
58 Diritto Romano, di C. Ferrini.
59 Luce e Colori, di G. Bbllotti.
60 Letteratura romana, di F. Ramo-
RINO.
61 Zoologia li. Vertebrati, (Ittiop-
Sidi) di GlGLIOLI.
62 Zoologia III, Vertebrati, (Saa-
ropsidi, Teriopsidi) di Giglioli.
63 Geometria Proiettiva di F. Aschieri.
6i Geometria Descrittiva di Fbrd.
Aschibri.
65 Fonologia Italiana, di L. Stoppato.
66 Diritto penale, di a. Stoppato.
67 Letteratura persiana, di I. Pnii.
68 il Mare, di V. Bbllìo.
69 Igroscoóll, Igrometri e umidità,
ai P. Gantonl
70 Mandato commerciale, di E. Vidari.
Ulrico Hobpli, Editore-Libraio, Milano-Piaa-Napoli.
1 lSei*ie Pratica.
Adulteraztone e falftitcaziono de«
fli alimenti, di L. Gaéba.
Alimantaziont, di 6. Stràpto-
RFLLO, ' '
Analisi del Vino, di Barth-Gom-
BONI, con incisioni.
Atlante geografico<« ni vertale, di
R. KiEPKRT, con testo di G.
Gnrollo^ 6« cdiz. di 25 tav.
i.^plcoltura, di 6. Canestrini.
con 82 incisioni.
Arte mineraria, di Y. Zoppetti,
con 18 tavole.
Bacili da seta, di Tito Numgi,
con 41 ine. e 2 tavole lit.
Bibliografia, di G. Ottimo, con
11 incisioni.
Caseificio, di L. Manstti, con
18 incisioni.
Colombi domestici, di P. Io-
nizzi, con incisioni.
Colori e vernici, di G. Gorini.
Concia delle pelli, di G. Gorini.
Conserve alimentari, di G orini.
Enologia, dì 0. Ottavi. 12 ine.
Fotografia, di MaPFONE, con ine.
Frumento e Mais, di G. Can-
toni, con 18 Jncisioni.
Galvanoplastica, di R. Ferrini,
2 volumi con 45 incisioni.
^«eometria pratica, di 6. Erede,
con 124 incisioni.
Imbalsamatore, di R. Gestro,
con 80 incisioni.
Industria della seta, di L. Gabba.
J
Infezione, disinfeziene, disinl
tanti, di Alessandri, con ine
insetti utili, di F. Francbsghivi
con 48 ine. e 1 tavola.
Interesse e sconto, di E. Ga-
gliardi.
Macoiiinista e fuochiata, dì 6.
Gavterò, con 28 incisioni.
Metalli preziosi, di G. Gorini,
eon 9 incisioni.
Naturalista viaggiatore, Ai r»
sbl-Gsstro, con molte inci-
sioni.
Olii, di G. Gorini, eon 1 ine.
Operaio, di G. Belluomini.
Panificazione razionale, di Pomì
piuo.
Piante industriali, di G. Gorihi.
Piccole industrie, di A. Errerà.
Pietre preziose, di G. Gorinij
con 12 incisioni.
Prato (II), di G. Cantoni, coi
18 incisioni.
Riscaldamento e Ventilazione, d
R. Ferrini, 2 voi. con 9J
incis. e "8 tavole.
Tabacco, di G. Cantoni, con 6 in
cisiom.
Tecnologia e terminologia mo-
netaria, di G. Sacchetti.
Telefono, di D. V. Piccoli, coi
88 incisioni.
Tintore, di R. Lbpetit.
Viticoltura razionale, di 0. Or
TAvi, con' 22 incisioni.
Hur.ur*; L., Esercizi geografici e quesiti suirAtlante geografico nniversal*
(li K>crier:-MàlfaUi, 2» edizione concordante colla 5* deirAtlantino, L. i
(Pubblicato come appendice alPAtlante di Kifpert.)
Ulbico Hoepli, Editorc-Libraio, Milano -Pisa- Napoli.
FA2188.4
3 2044 034 396 093