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ARCHIVIO STORICO
PER LE
PROVINCE NAPOLETANE
PUBBLICATO
A CURA DELLA SOCIETÀ DI STORIA PATRIA
NUOVA SERIE - ANNO VI.
XLV dell' intera collezione
FASC. I-II-30NOVEMBRE 1920
NAPOLI
LUIGI LUBRANO
192(
SOMMARIO
DEL FASCICOLO MI DEL 1920
Memorie :
I Curiali napoletani {contiti.) — A. Gallo .... pag. 5
Firf 7'. la Chiesa, e T avvento di Ladislao di Du-
r: 7 a1 trono di Napoli (cont.) — A. Mancarella » 28
Gli b t:ituti dell'Arte della seta in Napoli in rapporto al
privilegio di giurisdizione (fine). — R. Pescione . » 61
U esercito Napoletano dalla Minorità di Ferdinando
alla Repubblica del 1799 (contin.) — A. SiiviioNi . , » 88
Cause e importanza della Rivoluzione Napoletana del
1820— M. Schifa » 110
Da archivi e biblioteche :
Per la storia della Congiura dei Baroni. Documenti
inediti dell' Archivio Estense (1485-1487) (cont.). —
G. Paladino » 128
Gli a Avvertimenti ai nipoti » di Francesco d'Andrea
(contin.) — N. Cortese 152
Documenti inediti di artisti napoletani dei secoli XVI
e XVII. Dalle polizze dei Banchi (contin.) — G. B.
d'Addosio » 179
Varietà :
II diritto ad Amalfi nell'alto Medio Evo — G. Sal violi. » 191
Assemblea Generale dei Soci » 199
ARCHIVIO STORICO
PER LE PROVINCE NAPOLETANE
NUOVA SERIE - VOL. VI.
NAPOLI — Stab. Tip. Luigi Pierro e Figlio — Via Roma, 402.
ARCHIVIO STORICO
PER LE
PROVINCE NAPOLETANE
PUBBLICATO
A CURA DELLA SOCIETÀ DI STORIA PATRIA
NUOVA SERIE - ANNO VI.
XLV dell' INTE3RA COLLTOZIONB
NAPOLI
LUIGI LUBHANO, Editore
1920
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^
I CURIALI NAPOLETANI DEL MEDIOEVO
(Cont.: V. voi. prec, pp. 5-47)
SCRINIARII.
Sulla funzione di una tale categoria di persone si hanno tre
tesi prevalenti, che nascono o dall'esame molto sommario degU
atti napoletani o da confronti con quelli del territorio romano-
pontifìcio :
a) La prima rimonta al Bethmann-Hollweg, il quale, rial-
lacciando gli uffici di questi membri del corpo notarile alle se-
greterie (scrinia) degl' impiegati governativi, li classifica per
scrivani della curia municipale, ponendoli allo stesso grado dei
subalterni della città, e perciò ad un livello più basso del ta-
bularlo. Non riconosce loro l'esercizio pubblico, e li distingue
dai notai (tabelliones), che trova nella stessa sede (palatium) nebe-
neinander : nella corporazione vede perciò da una parte « i cu-
riali col loro primario» e da un'altra «gli scriniarii col tabu-
lano )>i.
b) Alcuni escludono una tale origine remota, ed attribui-
scono agli scriniarii napoletani la qualità di custodi di archivio
(scrinium), una specie di conservatori di atti pubbhci e privati,
i quali, pur non avendo la stessa autorità degli altri loro col-
leghi di grado superiore, potevano stipulare e rendere validi i
contratti. Ponendo a base di una tale opinione l'etimologia della
parola, e forse anche qualche analogia con gli omonimi uffiziali
che vivono nella sfera d'influenza della Chiesa romana, ove un
tale fenomeno persiste più a lungo, perdono di vista le notizie
provenienti dalla documentazione locale 2.
^ Bethmann-Hollweg, 173; Hegel, I, 84; Hartmann, Untersuchun-
gen, 141, 173; Mayer, I, 72.
* Gap., Mon., H», 114: «Scriniarii, ut ex ipsa nominis signiflca-
tione argui potest, scriniorum sive archarum, in quibus acta public»
atque scriplurae privatorum reponebantur, curiam agebant ».
— 6
e) Ma, pel Bressiau, lo scrinium è invece: « un ufficio soprav-
vissuto airantichità romana », da identificarsi col collegio stesso
dei curiali « i cui membri, detti scriniarii » sarebbero in tutto
simili ai tabellioni, salvo che, non avendo la capacità giuri-
dica di convalidare le stipule («ein zur Completion nicht ermà-
chtiger Schreiber »), debbono ricorrere di continuo all' altrui
absolutio. Non rifiuta le precedenti ipotesi, bensì mostra di
accettarle entrambe in certi determinati limiti. E cosi pone
questi notai accanto all'archivista di curia, le cui funzioni « era-
no dirette dal tabularlo », ed attribuisce loro l'ufficio di scri-
vani, addetti alla stesura quotidiana dei contratti i.
/ periodo (912-1030). Una volta ammessa la fusione del no-
tariato laico con quello ecclesiastico durante il IX secolo, re-
stano chiarite l'origine dell'instituto napoletano ed i suoi rap-
porti con l'antichità classica, attraverso gì' influssi delle scholae
pontifìcie ^ Lo scriniario resta quel che era nella curia vesco-
vile, un notaio della città che agisce per mandato di un'auto-
rità superiore a lui, adstans alle scritture contrattuali ^. Quando
* Bresslau, 440, il quale li ritiene quindi « gewòhnlich » discepoli dei
curiali (« Schuler der curiales »), e perciò di eguale grado con gli scriptores;
Redlich, 16.
* Mayer, I, 114 ; BouARD, 291. Possono considerarsi come una prova
dell'avvenuta fusione gli « exemplaria » dì documenti eseguiti da notai
ecclesiastici e ricopiati, con valore legale, dai tabularli e primari! della
curia civica, NisM., f. 210; Chioccarelli, 77; Gap. I, 62.
' Mon. sopp., I. 4, A Roma si dissero scriniarii, fin dal nono secolo,
sia gli scrittori di documenti pontifici (notarli S.R. E.) che gli scrittori di
documenti privati (tabelliones), Hartmann, XIV; Redlich, 16; Kehr,
Scrinium und palatium, 78, il quale mostra quale fu in seguito lo sviluppo
dello scriniariato romano e quali le cause che determinarono la sua scom-
parsa e la formazione di un notariato del S. Palazzo Lateranense; Me-
ROREs, 14 e segg. Anche a Ravenna si conserva integra, durante questo
periodo, la cancelleria ecclesiastica, con notai che non assunsero mai però
il titolo di scriniarii, bensì di tabellioni e curiali; e si mantenne la con-
suetudine di sceglierli quasi sempre dal clero cittadino; Savigny, I, 366;
Mayer, I, 117. Essi stipulavano determinate forme di contratti e segui-
vano l'arcivescovo nell' agro della città, come notai, o più lontano come
semplici testimoni e rappresentanti della loro Chiesa nelle allegationes;
Buzzi, 34. I curiales scriniarii di Gaeta rassomigliavano agli omonimi
uffiziali napoletani, ma rappresentano il trionfo della cancelleria eccle-
apparteneva al clero cittadino, ed egli stesso era diacono, i
documenti non sempre recano il nome del presule napoletano ^.
Se nella sua speciale condizione di impiegato locale rasso-
miglia al notarius regionarius della curia romana, non
rimane al livello di uno scriba , incaricato della sola ste-
sura di atti privati, ma conserva la capacità giuridica di
chiuderli con la formula completiva^. Va considerato quindi
il titolo che lo distingue in un'accezione assai vasta, compren-
dente il numeroso gruppo di scriniarii discipuli ed il corpo di
coloro che stipulavano col titolo di curiali scriniariU equiparati
in tutto agli altri membri del collegio per gli effetti legali
attribuiti ai loro atti, o comunque nascenti da essi, e per la
facoltà di tenere anche scuola ^ La doppia nomenclatura che
siastica su quella municipale, ad onta che non sempre appartengano al
clero della città, Cod. dipi, cajet., I, 23, 53; Mayer, I, 116. Così avviene
anche a Sorrento, dove sopravvive il presbiter notarius, Mon. sopp., I, 30;
NisS., n. 291, 789; RNAM., 1. 106; Gap., II \ 43. Nessuna traccia di uffiziali
ecclesiastici avanza invece ad Amalfi, Mayer, I, 116 e segg., il quale os-
serva che anche al notariato veneziano più a lungo « die Kleriker teil-
nehmen ».
^ Muratori, RIS, P, 414; Gap., I, 266, i quali riportano un atto di as-
sai dubbia autenticità, contenente la sottoscrizione del vescovo Attanasio,
mentre nel precedente atto (763) dei NisM., 210, pubblicato prima dal
Chioccarelli, Antistitum, 77, e poi dal Gap., I, 266, non appare l'inter-
vento dell'autorità ecclesiastica. Qualche differenza nell'ordine rogatorio
notasi a Ravenna, ove il notaio della Ghiesa poteva stipulare solo certe
speciali forme di contratti riguardanti affari dell'arcivescovo; Buzzi, 23 e sg.
^ Rivestiti di tale pubblica autorità si chiamano nel primo periodo
sempre curiali-scrinarii ; Mon. sopp., I, 10 ; NisS., n. 538 ; RNAM., I,
35; Gap., II 2, 23. Gade perciò la tesi del Bethmann-Hollweg, 1,84, il
quale non riconosce mai agli scriniarii una funzione superiore a quella di
scrivani di segreteria, e cioè di bassi impiegati. Pei confronti col nota-
riato pontifìcio, KBun,Scrinium und palatiumJS; Bouard, 292, e con quel-
lo ecclesiastico degli altri paesi bizantini, Mayer, I, 116 e segg.; Redlich,
16 ; Buzzi, 23.
» Mon. sopp., I, 11 ; NisS., n. 19, 1114; RNAM., I, 38, IV, 31; Gap.,
I S 25 202, ricordano lo scriniario, discepolo di curiali-scriniarii e di primari.
Per la loro qualità di testimoni, Mon. sopp., II, 121; NisS-, n. 374,
RNAM., II S 158 ; Gap. II, 107. Anche i curiali-scriniarii fanno queste
attestazioni di intervento, NisS., n. 994; RNAM., IV, 9; Gap., IP.,
195, come tutti gli altri loro colleghi, ai quali sono equiparati pel
— 8
si adopera per le corporazioni riunite (curiali e curiali scriniarii)
non indica una differenza di grado nella carriera notarile, ma
serba viva nella tradizione la diversa origine di due scholae
equiparate completamente in tutto ciò che rappresentava pra-
tica professionale. Trovansi così da una parte gli scrittori di-
scepoli che divenivano curiaU e da un'altra gli scriniarii di-
scepoli che divenivano curiali scriniarii.
Solo pei notori esiste un impiego multiforme di attività. Essi
pare che sostituissero tutti gli altri ufficiali appartenenti al
corpo municipale, e specialmente gli scriniarii^. Vi sono anzi
documenti in tutto il primo periodo che agevolano addirittura la
identificazione dei due termini: rievocandosi r« antiquata con-
suetudo » e le varie categorie di funzionari del collegio, al posto
dello scriniario è segnata esplicitamente la voce notariusK Nei
paesi tirrenici che si distaccarono da Napoli l'instituto con-
serva integre le sue qualità di origine, mentre qui si deforma
nella fusione, specie pel sopravvento che il corpo civico pigliò
su quello ecclesiastico^. Anche nelle zone vicine, e un tempo
soggette al Ducato, esiste uno scriniario o notaio chierico, nella
diritto che avevano di compiere et absolvere, Mon. sopp., II, 67; NisS.,
n. 554; RNAM., II, 39; Gap., II S 69, II M14, il quale, non sapendo spiegar-
si la inferiorità di grado degli scriniarii, discute sulle interpretazioni cui
si prestano le firme di questi scrittori di documenti : « At ex membranarum
ipsarum accurata observatione et ex locorum controversorum collatione,
satis patet utrorumque nominum diversitas, et alteros fere semper bre-
viatos, alteros totis litteris ac absque uUo scripturae compendio a curiali-
bus semper designatos fuisse protinus evincitur ». In tal modo si correg-
gono i seguenti atti: NisS, n, 1209, 1316; RNAM., V, 55, VI, 46; Gap.,
II S 303,381, dove appunto bisogna leggere scriptor in luogo di scriniarius.
^ infra, § Discipuli; Pfaff, 5; Ferrari, 9.
* Il primo gruppo costituito da diplomi in cui si consolida una formola
indicante quali categorie della corporazione potevano stipulare gli atti
sovrani, cioè « curialis vel tabularius, aut notarius et primarius »; ms.
TuTiNi, f. 15,22; Muratori, AIME., I, 198; JRiVAM., V, 26; Gap., US
277, II *, 20,21, 45 ; il secondo invece è fatto da due cariale offertionis
del 1003 e 1027, nelle quali si attribuisce Vannotatio al «curialis aut no-
tarius, vel tabularius sibe primarius », Mon. sopp., VI, 7, VII, 15; NitS.,
n. 274 ; RNAM., IV, 16, 189; Gap., II \ 196, 258.
^ Bresslau, 440; Mayer, I, 114; Ferrari, 10.
«
— 9
condizione pupillare di puro e semplice scriba, alla dipendenza
di un « prototabellio » o « pronotarius », che a Gaeta è diverso
dal curiale e in tutto eguale invece al curiale scriniario^.
È del resto assai discutibile la stessa prevalenza esercitata
dai notai municipali, poiché essi, nell'assimilarsi i loro colleghi
ecclesiastici e nel laicizzarli, fraternizzano nell'esercizio profes-
sionale e per un certo tempo eseguono il minor numero di
stipule^. La difTerenza di titolo sta ad indicare la loro dupHce
provenienza, e fors'anco il diritto che alcune famiglie avevano
di trasmettersi ereditariamente le cariche. Nelle scuole i disce-
poli seguono qualunque maestro, senza mostrare di tener conto
della speciale nomenclatura che lo distingue, né della qualifica
assunta all'atto di ammissione nel collegio^. E cosi i curiali-
scriniarii, come pubbUci uffiziali, eseguono ogni sorta di instru-
menti, non esclusi quelli tra la casa del duca ed i privati*.
Per l'assenza di cognomi e di altri elementi discriminativi,
e per le continue omonimie, non é possibile seguire la carriera
di questa categoria di notai, i quali, continuando l'ascensione
per gradus et ordines, dovevano rinunziare alla qualifica che
* I notai presbiteri di Sorrento, Mon. sopp., I, 30; NisS., n. 789; RNAM.,
I, 106 ; Gap, IP, 43, rassomigliano più ai curiali scrinii.rii di Gaeta e di
Napoli, Cod. dipi, cajet., I. 53; Mon. sopp., I, 1; NisS., n. 538; RNAM.,
I, 35; Gap., II* 23, che ai tabellioni ecclesiastici di Ravenna, Mayer,
I, 117; Buzzi, 23 e sg.
* Pel numero dei rogiti i curiali stanno in equa proporzione coi cu-
riali-seri niarji, specie nel primo periodo. Dal 912 al 922 si hanno per esem-
pio, quattro notai delia curia municipale: Gregorio, Leone, Giov. nni e Ste-
fano, Mon. sopp., I, 5, 6, 8, 9; NisS., nn. 744, 781, 881; NisG., n. 396;
RNAM., J, 19 24, 31, 33; Gap, US 19, 22, 23, 24, e due provenienti dalla
antica classe degli ecclesiastici, Gregorio e Giovanni, Mon. sopp., I, 4,
1C, XII, 585; NisS., n. 538; RNAM., 1, 14, 35,VI, 77; Gap., US 17, 18, 23.
' Vi sono scriniarii, discepoli di curiali-scriniarii e di primarii, Mon.sopp.,
I, n, VI, 14, VII, 16; NisS., 190, 880, 1114; RNAM., I, 38, IV, 31, 191;
Gap., IP, 25, 202, 259, e curiali-scriniarii, maestri di semplici scriptores,
Mon. sopp., II, 94, RNAM., II. 94, Gap., II S 38. Da scolari maggiorenni
intervengono agli atti come testimoni, ma di rado, Mon. sopp.. Ili, 121:
NisS., n. 374; RNAM., US 158; Gap., ll\ 107.
* Le chartule commutationis di Giovanni console e duca, stipulate
nel 949 e 951, furono condotte da Gregorio curiale-scriniario, Mon. sopp.,
II, 59; Prol. di S. Severino, f. 14, 28; RNAM.» II, 21; Gap.. II», 11.
— 10 —
aggiungevano alla voce curialis. Dai documenti napoletani in-
fatti non risulta confermata l'esistenza di un primario-seri niario,
che stipula alcuni diplomi, fra il 944 ed il 948, la cui auten-
ticità è per tanti riguardi insostenibile i.
Gli auihentica, relebata tardivamente dalle schede e dalle note
del protocollo municipale, non furono mai condotti dagli scri-
niarii, e dimostrano che essi non ebbero rapporti con Varchivium
civitatis, affidato alle cure del tabulano ed alla direzione del
primario ^
// periodo (1031-1298). Durante il quarto decennio del sec.
XI il vetusto instituto appare modificato nelle sue funzioni e
nei suoi rapporti col resto del collegio ; incomincia a scom-
parire il titolo « curialis scriniarius » e a consohdarsi quello più
semplice di « scriniarius » ^. Non è che l'antico notaio discepolo,
contrassegnato con questo nome, venga a mancare o ad eman-
ciparsi da ogni tutela e dagli antichi vincoli scolastici, per sop-
piantare nella pratica i gruppi superiori della corporazione; ma
è invece l'antico pubblico uffiziale, proveniente dalla sua ca-
tegoria, il curiale-scriniario, che muta nome*. Esistono anche
allora infatti i due antichi gradi, con le stesse Umitazioni di
diritti e di garenzie che avevano prima ; solo il curiale scriniario
si sottoscrive come scriniario^.
>■ Muratori, RIS., ì\ 432, 466; Gap., IP, 5, 107, pubblicano due di-
plomi ducali napoletani dal Chronicon Vulturnense, che sono pieni di
inesattezze diplomatiche.
* Mon. sopp., I, 37, VII, 16; NisS., n. 292, 875 ; NisG., f. 31; RNAM.,
131, 142; Gap, II S 48, 191.
^ Il primo documento in cui appare lo scriniario, con funzione di notaio
stipulante, è una e. venditionis del 1036, Mon. sopp., Vili, lOJ; RNAM.,
IV, 65; Gap., IP, 281. Ma dopo ritorna ancora negli escatocolli il curiale-
scriniario, fino alla metà del sec. XII, MS., I, 27 (21 quater), fino cioè
al 1154, NisG., f. 13.
< NisS., n. 658; RNAM., V, 84; Gap., US 320, in cui può vedersi
identificata la nomenclatura cariale e curiale scriniario. Basta confron-
tare una e. promissionis del 1104 con un diploma del 1107, in cui inter-
viene come amanuense Gregorio, disc, di Bernardo primario, una volta
con la qualifica di scriniario e una volta con quella di scrittore, per iden-
tificare i due termini, Mon. sopp., II, 64; Arch. di Gava, XXVIII, 8;
NisS., n. 1063; RNAM., V, 292; Gap., II ^; 164, 355.
* Per la identificazione dello scriniario discepolo, nella qualità di scrit-
11
Mentre questa unificazione di termini, usata per la categoria
dei notai provenienti dalla curia ecclesiastica, continua a man-
tenere viva nel corpo dei curiali una difTerenza di nomi che
non corrisponde a una varietà di funzioni, si afferma il prin-
cipio di trasmissione ereditaria, come privilegio di una famiglia
napoletana^. Il titolo scriniario finisce così per diventare co-
gnome, e spiega perchè fu conservato dopo che aveva perduto
ogni valore diflerenziativo, e, quanto a funzione, si era perfetta-
mente identificato col curialato e con la sua scuola*. Tolto il
principio di successione ereditaria alla carica scriniariale, non
vi è altra causa valevole a spiegare l'uso dei due termini, che,
se distinguono due gruppi di persone, servono a indicare lo
stesso ufììcio. Quando per scriniario stipulante s'intendeva il
curiale, il curiale-scriniario, gli si riconobbe il diritto di tenere
presso di sé, come discepoli, scrittori, notai e scriniarii, gio-
vanetti cioè appartenenti a tre categorie che si equivalevano
perfettamente ^.
La presenza di notai anche in questo secondo periodo, tenuti
nettamente distinti dagli scriniarii, spiega il valore del termine
curialis et protonotarius che compare in un documento del 1113*.
Il loro numero, che, nel primo periodo, oscilla intorno ai tre,
si va sempre più rarefacendo a misura che trionfa la succes-
tore, e, come tale, se maggiorenne, anche di testimone, NisS., n. 1210;
RNAM., V, 49; Gap., US 303,305.
1 MS., I, 57, (50): reca una inerissi del 1149, in cui non è ben chiaro se
il titolo conservi ancora l'antico valore, o sia agnome. Già un secolo avan-
ti si è trovato praticamente attuata la successione ereditaria. Stefano
scriniario è nello stesso tempo figlio e discepolo di Giovanni scriniario,
NisS., n. 1210; RNAM., V, 49; Gap-, ll\ 305.
■' Ms., XXIX, 2416, 2439; NisM., t 156, 378, 429, in cui vari rap-
presentanti della famiglia Scriniario figurano come curiali. L'esistenza
di uno scriniario avente per cognome « de donno Manso, » conferma il
dubbio che anche a qualche altra famiglia fosse conservato un tale pri-
vilegio, MS., XIII, 1148, XVII, 1434, XXVI, 2190.
=• NisS., n.30Q, 884; Minieri Riccio, App., n. 3; RNAM., VI, 111,
n. 3; Gap., Il», 395, 406; MS., III, 250.
*NisS., n. 1207; RNAM., V, 370; Gap., U\ 368, in cui Gregorio
« curialis et protonotarius » stipula una carta livellatica del monastero
— 12 —
sione ereditaria^. Appena la famiglia, che ne ha assunto il
cognome, è investita di altre cariche del collegio, il titolo perde
ogni valore distintivo, e l'ufficio scompare lentamente 2. Napoli
che salvò dalla eversione fridericiana gran parte dei suoi diritti
e tutto intero il corpo notarile, colpito direttamente dalle
nuove norme costituzionali non mostra nessuno interesse di
salvare lo scriniarato, per fare gì* interessi di poche famiglie ^.
Gli scriniarii uscirono ridotti nel numero, e rappresentati fra
il 1256 ed il 1279 da un solo individuo, che fu l'ultimo a por-
tare il titolo tradizionale*.
Come avanzo della curia del vescovo, urtava il vetusto insti-
tuto contro lo spirito dei tempi, in cui il ghibellino impe-
ratore aveva limitate le autonomie ecclesiastiche, e non avrebbe
permesso al presule napoletano di esercitare qualche influenza
sul municipio, divenuto universitas, o per lo meno non avrebbe
permesso agli scriniarii di rappresentare un principio di diritto
particolaristico ed a lui contrario ^ Ma Federico II mostra di
ignorare questa categoria di notai, che sono cosi unificati ed
immedesimati coi curiali da non meritare la considerazione di
un disposto di legge. Nei riguardi dello scriniariato, fu vano
dei SS. Sergio e Bacco, occupando il posto del curiale scriniario, col
quale riuscirà facile identificarlo solo che si ricordi il valore del notarius
equiparato allo scrittore.
^ Arch. di Cava, XX, 155 bis; Gap., II S 389, in cui figurano tre scri-
niarii, che si riducono a uno solo negli ultimi tempi, MS., XVIII, 1434.
' D'ordinario i discendenti degli scriniarii figurano come curiali, MS.,
XXIX, 2416, 2439, che iniziano la loro carriera da scrittori, MS., XXXI,
2619, ove c'è « Landò Ifus Scriniarius scriptor ».
3 Infra, § Curiali.
* MS., XIII, 1148 ; NisG., t, 82, in cui compare appunto Giovanni
de domno Manso.
* Su i divieti fatti agli ecclesiastici di esercitare il notariato, Zachariae,
Beiiràge, 181; Ferrari, / documerdi, 80. Per l'abolizione dei notai e giu-
dici ecclesiastici a tempo di Federico II, ConstiL LXXXII: « Contra pre-
dictam autem formam instrumenta confecta in posterum nuUam habeant
firmitatem; ilio tenaciter observando ut in aliquo locorum nostri demanii
clerici cuiuscumque sint ordinis in iudices et notarios nuUatenus assu-
mantur ».
13 —
il ritorno del popolo alle «rationabiles consuetudines appro-
batas^». Innocenzo IV che le ristabiliva, creando nuovi insti-
tuti, ad immagine e somiglianza di quelli adottati nelle città
« de patrimonio Beati Petri », aveva visto tramontare sotto i
suoi occhi lo stesso instituto nella curia romana, e poco valore
dovè attribuire alla scomparsa degli scriniarii, le cui funzioni
si erano già da un pezzo completamente obliterate ^
Restò al vescovo, che pur avendo dei notai propri e ri-
correva pei suoi affari all'opera dei curiali, il diritto di pre-
senziare gli atti degli ecclesiastici e di concedere alla elezione
dei nuovi uffiziah il suo assenso, una specie di TP^T^ èviaXxT^pto;
dei secoli precedenti 2.
Curiali.
Il carattere locale dell'instituto napoletano, cosi diverso da
quello omonimo dei paesi vicini, è in rapporto con le vicende
politiche della regione, ma sopratutto con la impenetrabilità
dell' organismo di curia alle invadenze barbariche, o comun-
que straniere^. Anche quando la curia ecclesiastica, recante
tradizioni di romanità, attraverso gl'influssi della schola pon-
tificia, fu unificata con quella laica, restò sempre distinta da
essa, se non per usi di pratica professionale, almeno per la
» Gli scriniari insieme coi discepoli, scrittori, tabularii e primari! vanno
compresi sotto la denominazione generica di curiali, Consist., LXXX.
- Kehr, 78 ; Hartmann-Merores, p. XXIV ; Bouard, 292, segna-
lano la scomparsa degli scriniarii pontifìcii durante il secolo XII.
» Bethman-Hollweg, 173, 205 ; Hegel, I, 84 ; Gap., Il*, 115 ; Bres-
SLAU, 440 ; Cod. dipi, cajet, I, 288, in cui compare appunto un curiale a
Gaeta; Camera, I, 223, II, 425, reca i nomi degli omonimi notai amalfi-
tani, con funzione di iudices; Mansi, XVIII, col. 472 ricorda il protoscri-
nario romano Leone come curiale ; Marini, 68, conserva il ricordo di cu-
riali pontifici, ma di natura diversa e come scrittori della Chiesa ; Fan-
Tuzzi, III, 2 ; Buzzi, 23, mostrano quali erano gli ufflcii dei tabellioni
curiali nel municipio ravennate, dipendente dall'arcivescovo della città.
Manca, per esempio, a Napoli il controllo giudiziario nei rogiti, così dif-
fuso nelle vicine terre longobarde, RNAM., IV, 267, 311, 322; Schupfer,
// diritto privato dei popoli germaniciy III, 77 e seg.; Mayer, Bemerkiingen,
45; Genuardi , 62, e segg.
14 —
sopravvivenza estrinseca di due gruppi di notai i. Quel non
avere accettata nella sostanza e nella forma la Novella impe-
riale, quello sforzo diuturno a consolidare l'autonomia del mu-
nicipio, quel tenace attaccamento a un mos et consuetudo di
origine classica, sono elementi bastevoli a spiegare come e per-
chè la compagine del loro corpo riuscisse a superare l'urto di
norme legislative, affermanti i diritti accentratori dell'Impero
su gli abusi delle comunità civiche 2. Essendo rimasto il ducato
napoletano chiuso alle correnti nuove della cultura romanistica,
ed avendo mostrato di accedere a un istituto ecclesiastico,
senza fondersi e confondersi con esso, solo perchè s'imponevano
la volontà di un signore e le esigenze politiche, i documenti
curialeschi mostrano nel suo vigore una tradizione classica che
sì conserva, quasi intatta, fino all'ultimo Medio Evo^.
Si mantiene integra la territoriaUtà della loro giurisdizione,
vale a dire l'obbligo di esercitare l'arte £V z'q To:aun(] x^pa 1-5
Selva xal xoX<; yuptoO-ev xal Trép:^, e cioè nei confini della regio
romana, coincidenti coi Umiti dei centri urbani del ducato*.
^ Infra § Scriniari. Esiste il discipulus scriptoFf che diveniva curialis
ed il discipulus scriniarius, che diveniva scriniarius.
^ Nov. Leon., XLVI, molto importante là dove parla delle curie.
Fin d'allora si era dunque generalizzato l'uso della norma consuetudi-
naria (vó^iiiAos iSatpog) che esautorava il potere centrale , rafforzando le
autorità locali. Per la sopravvivenza della curia e dei curiali, come af-
fermazione di un principio particolaristico, Gap., II*, 112 : Schifa, //
ducato 26, seg. ; Heinemann, Stadtverfassung, 39 ; Redlich, 18. Anche
a Sorrento e ad Amalfi si seguivano consuetudini proprie, Volpicella,
Le consuetudini di Sorrento, 1 e segg.; id. Le consuetudini di Amalfi, 1
e seg. L'antiqua consuetudo napoletana è spesso ricordata nei documenti,
Mon. sopp., VI, 7, VII, 15; NisS., n. 274; RNAM., IV, 16, 189: Gap., US
196, 258.
» Infra § Scriniari.
* Ferrari, Formularii, 44 ; id., / documenti, 10; Kehr, Scrinium und
palatium, 77, il quale stabilisce il rapporto che i notai regionari romani
avevano con l'autorità pontificia e con la zona in cui si svolgeva la loro
attività. E mentre essi non uscivano da Roma, i notai palatini seguivano il
papa dovunque si recava. Anche a Ravenna i notai laici potevano se-
guire l'arcivescovo nell'ager della città, dov'egli si recava per affari e
dove i notai della curia ecclesiastica non erano autorizzati ad intervenire ;
15
Considerando Gaeta ed Amalfi nella zona originaria di questo
dominio bizantino, si può con sicurezza affermare che a Na-
poli, come a Venezia, si cercasse di salvare anche la nomen-
clatura antichissima della curia ^. Ed il suo notariato civico
continuava ininterrotto sulla sponda tirrenica e su quella adria-
tica, mentre altrove aveva subita per lo meno l'influenza di
scuole nordiche o ecclesiastiche 2. Ma, più tardi, quando su i
territori della laguna incomincia ad affermarsi Vinvestiiio ed il
curiale diviene un judex, il ducato di Napoli resta solo a per-
petuare il principio classico^. Allora si erano già affrancati
dalla sua soggezione i gaetani, gli amalfitani ed i sorrentini, e
i confini politici del dominio si erano ridotti a poco più della
capitale e dei dintorni; ma presso le nuove formazioni politiche,
si conservava l'i nstituto dei curiali, modificato da esigenze nuove
che si andavano creando fra i loro governi e quelli dei popoli
finitimi *. Mentre quivi si fanno sentire gl'influssi papali o bar-
barici, Napoli, conserva integra una corporazione formatasi nel
periodo del basso Impero, e, rimasta attraverso epoche turbinose
Buzzi, 24. E così la curia Amalfitana non giunge con la sua giurisdizione
fino a Ravello, e quella gaetana fino a Terracina; Merores, 62, e segg.
I limiti di Napoli arrivano fino a Pozzuoli, Ischia , Somma, Mon. sopp.,
IV, 11, VII, 39; NisS,, 443,371; Prot. S. Sev.y f. 57; RNAM., II, 273,
IV, 241; Gap., US 138, 274, 380 ; Mayer, I, 117.
^ Il titolo curialis era comune a Venezia, Gaeta ed Amalfi, per quanto
con funzioni diverse, Baracchi, VI, 312, VII, 80; Camera, I, 223; Mayer,
I, 117.
" Quando in Roma si ebbero influenze di uomini nuovi « Nichtromer »,
il notariato antico subì profonde modificazioni ed assistette all'istallarsi
del minuscolo che veniva a soppiantare la curiale; Kehr , Scrinium und
palatium, 71. Nel territorio ravennate e gaetano si risente l'influenza pon-
tificia. Buzzi, 21 e seg. Influenze barbariche mutarono gl'istituti ad
lalfi, ove, per esempio, il curiale assunse, come nei paesi longobardi,
titolo di iudex, Camera, II, 425; Schifa, // ducato, 258; Mayer, 1, 116,
Jenuardi, 62 e seg.
' Roberti, Le magistraturey 169 ; Besta, in Nuovo arch. ven. I, 52.
* Cod. dipi cajtt.y I, 10, 11-19; Cap., I, 78; Schipa, // ducalo, 281. Pei
[rapporti di Gaeta ed Amalfi coi longobardi e coi pontefici, Cod. dipi, cajet.,
I, 358; Schifa, // ducalo, 322, 335; Merores, 11, 19-20, 24, 26 e seg.
ìorrento restò invece sotto una più diretta influenza del ducato napole-
Ita no ; Schifa, 0. e, 314 .
16 —
per la storia del notariato civico, la più cospicua isola di clas-
sicismo del Medio Evo italiano^.
Contrariamente a quanto si ritiene dalla generalità degli scrit-
tori, non coincidevano i confini giurisdizionali del collegio con
quello della civitas, ma con quello deìVager, e poi dei terriioria
vicini, escluso Sorrento, in cui funziona un collegio di presbiteri
notai ^. Per una così ampia accezione della X^P^' bizantina, com-
prendente diversi municipii, anzi tutti i paesi del ducato dei tempi
posteriori, i curiali prevaricano e fanno quasi coincidere la loro
circoscrizione, in quanto sono anche notai del duca e della sua
famiglia, coi limiti del potere politico 2. Avviene in altri ter-
» Hegel, I, 84 ; Mayer, I, 72, il quale a proposito della nomencla-
tura che adoperavano dice che « si conserva perfino la terminologia
dell'antichità romana ». Pei rapporti dell'istituto con l' autorità roma-
na, Bethmann-Hollweg, 205; Ciccaglione Delle istituzioni, 101; Brun-
ner, Rechtsgeschichte, 50; Mitteis, 290; Genuardi, 24. Anche il Redlich,
17, riconosce nella scuola e nella pratica napoletana una « unleugbare
romische Tradition ».
* Ferrari, 44 ; Mon. sopp., IV, 11; NisS., n. 443, 371; Prot. S. Sev.,
t 57; RNAM., II, 273, IV, 241; Gap., Il», 138, 274, 380, donde risulta
la presenza dei curiali nelle varie terre del Ducato, contrariamente alla
tesi del Gap., 11% 119, Il padum, 543, che attribuisce loro l'esercizio pro-
fessionale nella città ed in via eccezionale nella campagna, seguendo un
principio del Ghiarito, 9, accettato anche nei tempi posteriori, Mayer,
1,117, il quale, a proposito della curia e dei curiali di Ravello, sostiene
che anche ad Amalfi la curia «non esorbitava dai confini della città».
Pei notai presbiteri di Sorrento, Mon. sopp., I, 30; NisS., n. 789; RNAM.,
I, 106; Gap., II », 43. Gli abitanti dell'agro nolano rimasero sotto la giu-
risdizione dei curiali napoletani, NisS., n. 27; RNAM., Ili, 176, Gap.,
II S 187, in cui un presbitero, « abitator in loco qui vocatur Palma, et
nominatur Liciniana » fa scrivere a Napoli una carta promissionis in
favore del monastero, dei SS. Sergio e Bacco, Mon. sopp., V, 190; NisS.,
n. 803; RNAM., Ili, 170; Gap., ll\ 184, ove compare un abitante di Vil-
lanova.
« Mon. sopp., VI, 41, Vili, 43; Muratori, AI ME., I, 198; RNAM.,
IV, 103, V, 26, Gap., II *, 24, 45, dove si trovano appunto documenti du-
cali. Avanza anche qualche ricordo di un curiale Stefano, « qui nominatur
primarius », come distintivo agnominale, non perchè fosse investito di
tale carica, RNAM.,Y1, 135, Gap., II S 79. Nel territorio di Gaeta, a Suio,
Uri, Maranola, si ha un fenomeno analogo solo durante il periodo più an-
tico. Ma un centro di affari come Traetto (Mittelpunk) quasi eguale alla
— 17 —
mini uno sconfinamento territoriale in corrispondenza di un
altro di natura giuridica : per un lungo periodo il notarius civi-
taiis diviene notarius ducatuSy il quale stipula rogiti per uomi-
ni di Pozzuoli, Ischia e Somma, o chiama nella sede della
corporazione a documentare i rustici dell'agro di Nola^. Tale
ampliamento nella sfera della loro attività trova qualche spie-
gazione nel succedersi dei figli dei duchi alle contee vacanti,
ove forse si trasferivano coi pubblici ufìiziali che esercitavano
l'arte nella metropoli, o li facevano rogare per gli affari riguar-
danti i loro sudditi 2.
Curiale si diceva il au[ipoXaioYp^'^o?, colui che poteva auten-
ticare un atto ed intervenire come testimone a qualunque
negozio giuridico : in qualità di notaio corroborava la scrit-
tura con la completio et absoluiio, in qualità di adstans si sot-
toscriveva come un qualunque altro cittadino maggiorenne'.
Negli ascendenti di famiglia trovava tradizioni di questa pub-
blica autorità, che vincolavano alla curia sé stesso e la prole,
capitale del ducato, non esiste fra le contee soggette a Napoli, dove Nola
e Sorrento, se hanno proprii notai, godono solo una relativa autonomia.
1 Mon. sopp., IV, 11, V, 43, VII, 39; NisS, n. 272, 371, 443; ProL,
S, Sev., f. 57; RNAM., II, 273, III, 175, IV, 241; Gap., II», 138, 187,
274, 380; Mayer, I, 127. Nella documentazione bizantina non mancano
notai di nomina comitale, Syll. gr. m., n. 83; Bethmann-Hollweq, Der
Civilprozess, 240; Bresslau, 471; Posse, Die Lehre, 168.
2 Per la successione dei figli del duca alle contee vacanti, RNAM., I,
193; Schifa, // ducato, 99 e sg.
3 Tardy, 149; Ferrari, I documenti, 79. Il più antico documento na-
poletano che reca la completio di un curiale è del 916, Mon. sopp., 1, 5;
NisS, n. 781; RNAM., 1, 19; Gap,, US 19. Si trovano curiali testimoni
in tutti i tempi, Mon. sopp., I, 9; NisS., n. 881; RNAM., I, 33; Gap., II S
23, II', 115; Bresslau, 440. Secondo Mayer, I, 114, poiché «durante
l'indipendenza di Napoli è intervenuto alla redazione di un documento un
curiale », mancherebbe in questo primo periodo il carattere giudizia-
rio della carica, che egli sostiene invece per l'ultimo secolo di vita dell'in-
stituto, iD., Bemerk., 44, in cui, contrapponendosi alle giuste obbiezioni
mossegli dal Niese , ree. alla Verfassungsgeschichte , in Zeitsch. fùr
Sav., 379, insiste sulla costituzione napoletana del « Viermànnerkolleg t
curiale. Il Redlich, 17, invece dice che « i curiali potevano compilare tutti
i documenti pubblici e privati, e farne scrivere il contesto, di loro auto-
rità, ai figli ed ai discepoli »; Genuardi, 44.
Anno XLV. , 2
18
per cui egli ben presto, pure mostrandosi eguale, nell'uso dei
diritti garentiti dal potere e dalla consuetudine, a tutti gli
altri sudditi del ducato, sceglieva ben presto tra i figli o tra i
congiunti la persona che doveva succedergli nella carica ^. Auten-
ticare un contratto non significava scriverlo dalla prima all'ul-
tima parola, ma semplicemente concedergli validità giuridica
mercè la formola completiva^. Rende con esattezza un tale
concetto la voce absolutio, che si adoperava, con lo stesso
significato, per indicare l'autorizzazione che i collegi tutorii di
nobili concedevano ai contratti dei minori ^. Si è già visto come
provvedessero al lavoro materiale di scrittura, utilizzando l'opera
dei discepoli, provenienti da diverse categorie *.
Da tutto il complesso dei loro usi emerge il principio che i
singoli individui agivano in nome dell'intero collegio (aóXXoyo;)
il quale dava loro il vantaggio di rendere validi gli atti con la
semplice compleiio^. Restano simboli della tradizione le sacra-
mentalità che li vincolavano all' Impero ^. Anche quando il
^ La costituzione di una famiglia di curiali risulta da molti documenti,
Mon. sopp., IV, 21; NisS., n. 85, RNAM., Ili, 15; Gap., US 15, dove si ha
notizia di due figli di un curiale morto e di un altro curiale vivente che
appaiono come possessori di fondi rustici. Non più di un figlio destinavano
d'ordinario alla schola, Mon. sopp., IX, 151; NisS., n. 601; ms. Tutini,
f. 45; RNAM., V, 47; Gap., IP, 87, 304, che ricordano appunto i figli di
curiali estranei al corpo notarile. I membri del collegio contrattano come
tutti i cittadini, senza nessuna speciale prerogativa, Mon. sopp., I,
29; NisS., n. 324; RNAM., I, 101; Gap., II S 4 .
2 Bresslau, 440, già pone la differenza fra lo « schreiben » ed il « voll-
ziehen », che si trova più tardi anche nel Redlich, 6. Il Mayer, I, 114,
ribadendo un principio esposto dal Gap., II *, 1 16, a proposito dei documenti
imperfetti, afferma che i curiali « redigono la completio, mentre gli scri-
ptores eseguono il testo ».
2 Tutini, Orìgine, 68; Gap., I, 142, U\ 431: Schipa, Contese, 7, spie-
ga il significato di ahsolutio col termine autorizzazione.
* infra, § Discipuli. Il Redlich, 17, vede anche qui « unleugbare romi-
sche Tradition »; Ferrari, / documenti, 11.
' Gap. II, *, 117 ; Mayer, I, 114 ; Redlich, 17, il quale vede ricom-
parire una curia formale della città « che partecipa al collegio di scrit-
tori col diritto esclusivo di compilare gli atti ». Tale partecipazione si
compendia nella formola « probante curia », spesso adoperata , MS.,
XXXIII, 2786.
• Nov. Leon., LXXII, per la invocazione divina. I protocolli e le penali
19
governo locale andò affrancandosi da ogni soggezione e divenne
del tutto indipendente, i curiali continuarono a intestare i loro
atti agli Augusti, dai quali storicamente proveniva il giuridico
riconoscimento della civitas e della sua curia. Che le intitola-
zioni di tal fatta non fossero un mero atto di ossequio, sugge-
rito da un formalismo vuoto di senso, ma l'affermazione di un
principio tradizionale, che poneva il corpo notarile, come organo
del municipio, fuori di ogni arbitrio dei duchi e sotto la diretta
autorità di Costantinopoli, bastano a provarlo i documenti
del 955^. Nonostante che Giovanni III avesse suscitata una ri-
beUione contro l'Impero e che i bizantini avessero perfino stretta
Napoli di assedio, gì' instrumenti furono anche allora intestati
col nome di Costantino VII Porfìrogenito e di suo figlio Ro-
mano. Analogamente avveniva quando, dopo la morte di Ba-
silio II, i duchi orientarono la loro politica verso il partito te-
desco, accogliendo nelle mura della città Ottone II (981), ac-
clamando Ottone III (999), e più tardi facendo atto di obbe-
dienza ad Enrico 11^. Dai curiali il governo locale fu sempre
considerato in teoria come un'emanazione dell'autorità suprema
dello Stato, dalla quale dipendeva anche contemporaneamente
l'assemblea civica'. Le trasformazioni politiche successive non
mutarono affatto il concetto della curia: il re di Sicilia che
veniva ad occupare il territorio dell'Impero, si sostituiva giu-
ridicamente al sovrano bizantino nei suoi rapporti con notai*.
I
serbano consuetudini di rispetto alla Corte bizantina. Da alcuni si rial-
laccia per tal ragione \a schola ai tempi di Giustiniano, Heinemann,
Stadtverfassung, 39 ; Redlich, 18.
^ Gap., I, 112, nota 1 ; Schifa, Il ducato, 239. Documenti con tale
intestazione pel 955 si trovano in Mon. sopp., II, 66, 67, 68; NisS., n. 471,
554, 1214; RNAM., II. 36, 39, 41; Gap., Il», 68-71.
'' Gap., IP, 191; Schifa, // ducato, 254, 262, 268; Mon. sopp., IV, 18,
V, 49, VI, 7; NisS., n. 488; RNAM., III, 6 193, IV, 170; Gap., II, 142
191, 247.
3 A Napoli l'imperatore è il « dominus noster », rispetto al quale il duca
stesso rimane quel che era in origine un « Magister militum ».
* MS., l, 25 (21bis), in cui si vede che il nome di Ruggiero prende il
posto di quello degl'imperatori. Non esistono neanche documenti inte-
stati ad Anfuso, figlio del re, che appare nei documenti dei territori
vicini come dux Neapolitanorum, Gallo, La carta aversana, 14.
20
E perciò il duca era spodestato, ma il municipio sopravviveva
nella sua integrità, per quanto il territorio della sua azione si
fosse ridotto nuovamente nei confini della metropoli, e la com-
parsa del notariato regio si presentasse minaccioso per le sorti
dell'instituto ^.
In qualità di notaio il curiale si esimeva dalla rigida osser-
vanza della legge vigente, che obligava il TapouXXàpio? bizantino
a conoscere i quaranta libri dcìV Enchiridion e i sessanta dei
Basilici; e li trascurava sia nei limiti della sua eleggibilità, sia
nell'applicazione delle norme in esse statuite. E per quanto
riuscisse a stipulare bene, secondo usi locali banditi dalla No-
vella leonina 2 a leggere chiaro ed a scrivere rapidamente, man-
teneva in vita un collegio di notai che l' imperatore cercava
di sopprimere, senza avere la forza di sostituirlo con propri
rappresentanti *.
La sua permanenza nella curia, sotto la guida di un rappre-
sentante della schola ricorda il tirocinio dei notai imperiaU, e
l'uso che essi avevano di intestare all'imperatore i contratti*.
Nessuna traccia avanza, durante il Ducato, della cerimonia
sacramentale prestata da questi uffiziaU, né dell' autorità che
li accogUeva per un tale rito*^. Come emanazione di un prin-
cipio particolaristico, non si può ammettere che si costituissero
ai diretti rappresentanti dell' Imperatore ma al duca stesso «.
Questa ambiguità nel rispetto all'Impero rispecchia con la mag-
giore precisione uno dei lati della politica napoletana: non rico-
nosciuti dall'autorità e contravventori delle norme emanate da
essa, i curiali mostravano di riconoscere gli Augusti, i quali
alla loro volta vantavano solo teoricamente diritti dominicali sul
territorio del ducato.
* Non s'incontrano più dopo di allora documenti stipulati fuori di
Napoli, ma viene spesso ricordato invece il mos et consuetudo huius ci-
vitatis, MS., XX, 1639, XXX, 2547. Prima del periodo svevo pare che
il notariato regio sia stato mantenuto lontano dalla città, Chiarito, 118.
= Nov. Leon., CXV.
' Nov. Leon., XLVI, XLVII.
' Nov. Leon., XLVI, XLVII, XCXV.
' Nov. Leon., CXV.
* Una tale politica rimonta anch'essa ad epoca remota, Schifa, 60.
!
— 21 —
A tanti pericoli nuovi, insorgenti per la politica dei tempi
mutati, essi opponevano la vetusta tradizione che trovavano
concretata nelle principali loro prerogative, documentando di-
versamente da come facevano i pubblici uffiziali delle altre città
dell' Impero ^.
a) Potevano dopo un lungo tempo dare validità agli atti
imperfetti, per la mancanza della formola completiva, dovuta
0 a oscitanza di un curiale morto o a negligenza delle parti *.
Tali atti, benché privi di un elemento indispensabile al ricono-
scimento giuridico dell' affare in essi trattato, conservavano
autorità probatoria e dispositiva, per cui l'intervento di un
secondo curiale, a rivestire di legalità un tale stato di fatto con
la tardiva absolutio, «partibus petentibus et volentibus », era una
garanzia cui non tutti ricorrevano^.
■ Gap., US 112 ; Nov. Leon., CXV.
2 Mon. sopp., II, 106; NisS., n. 294; RNAM., II, 125; Gap., IP, 98,
dove Leone curiale, « dudum scriptor », compie nel 970 una carta vendi-
tioniSf che aveva fatto cinque anni innanzi per conto del suo maestro
Giovanni tabularlo. A proposito delle cause che produssero queste lacune
si ricorda la renovatio di una permuta, che « secundum humanam negli-
gentiam minime Inter partes exinde tacere curaverant », cinque anni prima,
quando cioè fu concluso il contratto, Mon. sopp., II, 126, IV, 18, 22;
NiìS., n. 452, 488; RNAM., II, 168, III, 6, 19; Gap., ll\ 110, 142, 146;
iD., Il padum, 543. Questa perogativa è di carattere esclusivamente lo-
cale, Bresslau, 439 ; Redlich, 17, il quale sostiene che « gli atti
rimasti incompleti per la morte di un curiale divenissero validi soId
quando erano autenticati dal primpjio », poiché tale diritto spetta in-
distintamente, come risulta dagli atti citati, anche ai semplici curiali. Tale
questa ipotesi è basata sulla Consuetudo, IV, formatasi posteriormente. A-
vanzano molti atti incompleti, Ms., XXVI, 2203.
» Man., sopp., VI, 46, VII, 44; NìsS., n. 703; RNAM., IV, 117, 251;
Gap., US 232, 278, contenente una e. promissioni^ del 1034, nella quale
il venditore di una terra tradii al compratore, per garenzia, una securitas
del 1017, ad onta che manchi della formola completiva, lasciando evi-
dentemente comprendere che si attribuisce ad essa validità probatoria
e dispositiva, Bresslau, 439. Tale consuetudine è giustificata dalla fa-
"^ilità con cui si poteva riscontrare la corrispondente schedala nell'archi-
io, specialmente se conteneva note testate, Gap., Il», 117; Schupfer,
A proposito della carta mater e della carta filia, 5 e sgg. In Mon. sopp.,
V, 45; RNAM., III, 140; Gap., US 177, potrà vedersi uno dei tanti atti,
cui manca la completio.
— 22 —
b) Erano autorizzati a compiere un documento dopo la
morte di uno o di due testimoni, assenti prò occupaiione mortis,
bastando a convalidare il negozio l'attestazione del curiale, la
cui fides et audoritas proveniva dall'implicito suo riferimento
alle note o schede di archivio^. Queste deficienze dimostrano
che fra l' inizio e la chiusura di un contratto passava molto
tempo 2.
e) Nelle convenzioni potevano, per la morte di una o di
ambo le parti, compiere egualmente ed apporre anche i signum
manus^. Lo stesso si dica dei disposila in cui lo stipulante,
sulla fede di quanto asserivano coloro che avevano udita la
espressa ultima volontà di un defunto, eseguiva il documento
del testatore morto, apponendovi anche il suo segno di mano *.
» Mon. sopp., II, 69; NisS., n. 340; RNAM., II, 43; Gap., U\ 71 :
« Ego lohannes curialis, post subscriptionem duorum testium et post
defunctionem quondam domni Leoni, qui in anc annotatione scriptum
fuit et in anc chedula minime scribere concurrit, compievi et absolvi,
per memorata indictione » ; Mon.y sopp., II, 103; NisS., n. 4660; RNAM.,
II, 116 ; Gap., II \ 96. « Ego Gregorius curialis, dudum scriptor, post sub-
scriptionem unum testium et post defunctionem Sergii, filio Petri, et
Stefano, filio Marini, qui in schedula huius dispositi scripti sunt, compievi
et absolvi ».
2 Mon., sopp., II, 103 VI, 7, VII, 15; NisS., n. 466; RNAM., II, 116, IV,
16, 189; Gap., US 96, 258, dai quali risulta che dalla compilazione delle
note alla chiusura dell'istrumento potevano passare anche diversi anni,
contrariamente a quel che dice il Trifone, Su//a redazione del documento,
5, il quale, riferendosi al periodo postfridericiano, assicura che « il tempo
assegnato per il completamento dell'atto, è secondo la pratica napoletana,
più breve di quello fissato negli altri territori d'Italia».
2 Mon., sopp., II, 68, 115; NisS., n. 474, 1214; RNAM., II, 41, 141,
Gap., US 41, 101.
* Mon., sopp., 1, 11; NisS., n. 643; RNAM., 1, 60, V, 225; Gap.,
II*, 30, 247. Il disposiium si poteva ricavare dai gesta depositati in archi-
vio e citati spesso « in defectu testamenti », Soc. stor., 9aa, III, 1;
Indice delle perg. dei mon. dei SS. Severino e Sossio, f., 90; Gap., II, 192;
Ghiarito, 5; Giccaglione, Delle istituzioni, 77; Genuardi, La presenza
del giudice, 50; Tirifone, 39. Nei documenti curialeschi di epoca tarda si
conserva qualcuno di questi gesta redatti ex testificatione et dictis di per-
sone fedegne, « in archivio curie civitatis Neapolis, proposita sacrosancta
evangelia, se sedentibus NN. primario et NN. tabularlo ipsius, a dee
probante curia » e in presenza di alcuni sacerdoti della chiesa di Napoli.
Si presentano numerosi « homines et mulieres », dicendo che non vengono
— 23 —
A tali atti dunque non presenziava il pubblico uffiziale, ma
erano indispensabili le attestationes che si facevano nella sede
dell'ufficio!.
d) Bastava che il curiale avesse menzionato un atto pre-
cedente 0 lo avesse redatto « de verbo ad verbum » per attri-
buire ad esso la « fides piena », come « si instrumentum, de
quo fit mentio, apparerete».
Nell'archivio allora si conservava un protocollo in forma di
cartelle separate, dette schedae, schedulae, chedulae, su cui si re-
gistravano le notae di quello che si era stabilito dai contraenti
in presenza dei curiali, brevi forma, senza cioè tutte le garenzie
adoperate nella istrumentazione ^. Esse potevano essere testate,
se sottoscritte dagl' intervenuti, e alve se prive di tale elemento,
e talvolta del nome del curiale che la esegui o del rogatario che
dette il mandato della stipula*. Anche note così incomplete
in curia per «im plorare » qualche cosa dall'ufflcio « et ex antiquata con-
suetudine », ma per denunziare che un signore della città infermo, « in
suo lectulo, licet egens consensu, compos sane mentis, et recta locutio,
et sistens invalidam suam infirmitatem, unde ipse mortus est », li fece
invitare e « convocare » nella propria casa, perchè raccogliessero dalla sua
bocca le espressioni di ultima volontà. Ed essi rendono « prò futuris tem-
poribus, ad cautelam », la doverosa iestificatio, MS., XXXIII, 2786.
'i MS., XXXIII, 2786.
* Consuetudo, V : « Si quilibet curialis, in instrumento quod confìcit,
alterius instrumenti confecti per curialem faciat mentionem, et de verbo
ad verbum alterius de quo fìt mentio tenorem redigat, fides piena datur
instrumento in quo redigitur, perinde ac si instrumentum, de quo fìt
mentio, appareret. Ita tamen si trium est curialium subscriptionibus
instrumentum roboratum, in quo alterius fìt mentio, sicut communiter
fit in aliis instrumentis, quae per curiales fiunt et subscribuntur ».
» C'è il ricordo della scheda nei documenti del 956 e del 964, Mon. sopp.,
II, 69, 103; NisS., n. 340, 466; RNAM., US 43, 116; Gap., II i, 71, 96, e
quello delle note, e dell'adno/a/io in NisS., n. 274; RNAM., IV, 16, 189;
Gap., IIS 196, 258, donde risulta che la registrazione era fatta da uno
qualunque dei notai ; mentre in MS., XXXIII, 2786, si trovano custodi
dell'archivio pubblico il primario e il tabulario. Per le analogie con Ro-
ma, ScHiAPARELLi, Cartario, 457; con Ravenna, Federici, Regesto di
S. Apollinare, n. 4; con Venezia, Baracchi, Le carte, VI, 312, VII, 80.
* NisS., 274; RNAM., IV, 16, contiene la renovatio di una e. offertionis
più antica, con la quale Giovanni, f. del q. Karemanno, dona alcune terre
al monastero dei SS. Sergio e Bacco, per mezzo del suo igumeno Sergio. Il
— 24 —
avevano valore non in se stesse, ma per la fede che acquista-
primario Mastalo premette al documento originale, che il Gap., II*, 119,
rimanda giustamente al 953 o al 967, la seguente nota : « Antiqua con-
suetudo huius civitatis est ut qualecunque chartula aut dispositum vel
testamentum annotaberint quaecunque curialis aut notarius vel tabu-
larius sibe primarius, qui huius civitatis prefuerid, illa vel illud ster-
nere et atimpleret, ut prò occasionem neminem periret. Nunc autem
mihi Mastalo primario note tesiatem de chartula offertionis quem scripsit
quondam lohannes curialis, qui cognominatur Billusi, set prò divina vo-
cationem minime illud concurrid ; proinde et ego memoratus Mastalus
primarius, secundum consuetudinem in anc pagina scripto et atfìrmo
illa ud de omnia et in omnibus que continet firma et stayilis perma-
nead, quibus ipse note continet ita ». Segue la nota, la cui scheda
originale esiste ancora e conserva le tracce del filo con cui fu cucita alla
membrana più grande, che contiene V atto del 1003. In un'altra pa-
gina della pergamena si legge una nota alba del 18 maggio, XII indizio-
ne, riprodotta per intero dal Gap., II ^ 119. Oltre qualche variante
questa nota trovasi tutta intera nell'istrumento trascritto da Mastalo
primario. Lo stesso preambolo, con notevoli varianti trovasi in un istru-
mento del 1027 in cui è riprodotto una nota del 1007, Man., sopp., VII,
66; RNAM., IV, 189; Gap., US 258, II*, 119: « Antiqua consuetudo
huius civitatis est ut qualecunque chartula aut dispositum vel testa-
mentum annotaberit aut notarius vel tabularius sive primarius, et prò
sua.. .vel illud sternere et compiere non concurrerit, postea primarius
qui huius civitatis prefuerit illa vel illud sternere et compiere et firmum
vel firma esset et permaneret, ut prò occansionem neminem periret.
Nunc autem benerunt mihi, Petro primario, note alve de chartula offer-
tionis, quam scripsit Leo curialis, set prò dibina bocationem minime illa
sternere concorrit, proinde ego memoratus Petrus primarius illa scribo
et firmo in hanc paginam, ud de omnia, qualiter continet, firma et stabi-
lis permaneat, et ipse note continent ita ». Ghiarito, 102 e sg. erronea-
mente ritiene che « non prima dei re angiuoini » « i curiali costumassero
i protocolli, chiamati scede e sede », e ricorda due diplomi di Roberto in
cui si fa parola del « prothocoUum seu sceda notarli curialis conficientis
olim instrumentum » e di alcuni istrumenti « in curìalisca scriptura », che
Nicola Gannuto « in suo redegit et scripsit, ut asseritur prothocollo », Reg.
ang., 276, f. 571, 1336, F (perduto), f. 186t ; e di certe suppliche a
Giovanna II « prout haec et alia in protocollo seu seda inde assumpta et
rogata dicuntur plenius et copiosius contineri », Reg. ang., 357, f. 86. L'e-
spressione notare trovasi in Reg. ang., 320 ,f. 89: « illud in suo prothocollo
notavit et scripsit » ; in Reg. ang., (perduto) 1342-44 G, f., 90t, per una
« querela di falsità» contro Giovanni Gannuto : il detto curiale « deposuit
quietationem factam fuisse per eum, ut curialem, prout in prothocollo
suo, in quo notata quietati© ipsa reperitur. Et demum, post aliquot dies
25 —
vano, quando, anche dopo molti anni, un primario della curia le
convalidava col suo intervento, o quando mancava l'originale ^.
Tali stipule, come gì' inventarli e le completiones di atti la-
cunosi continuarono indisturbati fmchè il popolo mediano osò ri-
bellarsi a Guglielmo I (1156), mentre i nobili, mantenendogli
fede, sedarono i tumulti 2. Si distrussero in quella occasione il
patto ducale del 1129 ed «altre carte d'incognito, ma probabil-
mente analogo contenuto^». Le provvisioni adottate dall'indulto
sovrano, col quale si « prescrisse che le carte fatte rompere dai
mediani», fossero restaurate nel loro stato antico, furono ese-
^ guite due anni più tardi (1 158) dal tabularlo Cesario, « per pre-
ceptu comestabiUum et iudicum istius civitatis » *.
Un tardivo riconoscimento della consuetudine antiqua si deve
a Tancredi (1190), il quale restaurò «quicquid statuit populus
Neapolitanus, et qui cum eo tenuerunt dare olim vel facere
dominio condam de patrueli nostro felicis memorie et curialibus
condicionaiis^yi. Che valore deve attribuirsi a quest'ultima
vocatus dictus exponens coram capitaneo huius civitatis, ut prothocoUum
in iudicio produceret et producto ilio per eum examinatus extitit, si di-
ctam notam quietationis eiusdem in dicto prothocollo manu sua scripsis-
set ». Il Cannuto si giustifica, attribuendola, a un suo discepolo. Analoga-
mente si trova in Reo. ang., 357, f. 90t, per un testamento attaccato
di falso « ex cuiusdam erroris, seu oblivionis eventu ». Compariva anche
spesso in curia il « prothocoUum seu sceda notarli curialis conficientis
olim instrumentum » « in defectu originalis », perchè ne fosse convalidata
la « fides plenaria » ed il «robur plenarium », Reg. ang., 276, f. 57t.
1 Mon., sopp., VII, 66; RNAM., IV, 189; Gap., II «, 258; Reo. ano.,
276, f. 57 t., in Chiarito, 103. Avanza qualche brano di dottrina curiale-
sca in cui si sostiene la necessità di convalidare, mercè le sottoscrizioni
dei testimoni, i contratti, « tantummodo verbis firmati ».
- Soc. STOR., 9aa, I, 1, contiene l'inventario di S. Severo, attribuito
dal Gap., II S 178, al 996, appunto perchè sembra scritto dalla stessa
mano che redasse i documenti di queir anno, e perchè una nota dorsale
reca la stessa data ;, id., 7/ pactum, 714, Schifa, Contese, 21.
' ScHiPA, Contese, 21.
' Gap., 7/ padum, 715, riporta la clausola al patto ducale, in cui 11
re ordina « cartas quas mediani rump ere fecerunt... restaurarentur ut a*
vetere tempore fuerunt ».
' Gap., 7/ padum, 735, in cui si trova il « privilegium concessum civi-
bus Neapolltanis per...Tancredum regem », Hartmann, Stadtverfassung, 36.
— 26 —
espressione ? Il re alludeva, secondo lo Schipa, al « generale
privilegium Neapolis, quod est inter nobiles et populum eiusdem
civitatis^». Si ritorna quindi all'antico significato di decurione,
da non confondere col notaio municipale; se no rimarrebbe
inesplicabile l'espressione condicionatus, che si riferisce precisa-
mente a coloro che per condizione sociale amministravano la
città. Già le Assise dimostrano l'uso incerto del termine cmialis,
che valeva anche ad indicare gl'impiegati della Corte regia *.
Tranne la rigorosa osservanza dei limiti giurisdizionali ed una
più larga partecipazione dei notai civici agli attestati di inter-
vento, non si può dire che il loro instituto abbia subito fino
al sec. XIII degli urti coi poteri supremi dello Stato, poiché
appaiono invece cresciute di molto le prerogative durante il
periodo normanno^.
Se la Novella di Leone il filosofo era rimasta inascoltata
perchè i rapporti semplicemente formali del Ducato con la corte
d'Oriente avevano contribuito a rendere inefficace l'eversione
* Schifa, Contese, 33; Merkel, 30, 35, in cui è riportato il capitolo delle
Assse « de iniuris personanim illatis curialibus » con Vadnotatio relativa, As-
sise, XIII, § XXXV: «De iniuris curialium — Observent judices diligentissi-
me ut in actione iniuriarum curialium personanim dignitatem et qualita-
tem eorum, quibus illatae sunt, et eorum qui faciunt, et quando et ubi
huiusmodi temeritates presumuntur: et sic ferant sententiam, quia non
ad ipsos dumtaxat, set ad regie dignitatis spectat offensam ». Questo
capitolo spiega la molteplicità dei significati del termine curialis : qui si
tratta di uomini di corte, Brandileone, Il diritto romano, 24. Con eguale
significato il termine curialis si trova anche posteriormente.
2 Non avanza nessun documento curialesco del periodo normanno re-
datto fuori della città, a Pozzuoli o ad Ischia, come nel periodo anteriore.
Per le condizioni favorevoli alle antiche prerogative, cf . Schifa, Contese, 46
e sg., il quale sostiene che, a tempo di Tancredi, Napoli, « indipendente-
mente dall'autorità regia, anzi quasi a dispetto di essa, decreta a favore
di una coloni? straniera, in perpetuo una pienezza di autonomia ammini-
strativa, giudiziaria, legislativa con una totale esenzione tributaria, vie-
tando a se stessa e ad ogni altro l'infrazione di quel decreto ».
3 Constitutiones, LXXIX, LXXX,. LXXXI ; Chiarito, 1 e segg.;
Cap., II «, 112; Mayer, I, 114; Redlich, 15 e segg. Avanza il privilegio
concesso dai Napoletani agli Amalfitani nel 1190, Schifa, Contese^ 47,
per quanto il territorio giiurisdizionale di Napoli si fosse ridotto alla sola
città, IVI, 5.
1
— 27 —
della curia, nei tempi nuovi si delineava una norma legislativa
che colpiva in pieno il corpo degli scrittori civici, limitando il
loro esercizio di antiche prerogative e subordinandoli alle leggi
dello Stato ^. Per quanto viva e tenace fosse la resistenza del-
l'organismo municipale ai divieti imposti dalla norma costitu-
zionale, inevitabile era il trionfo dell' imperatore svevo, che
direttamente provvedeva all'osservanza di un principio unitario
nell'organismo notarile del Regno 2.
continua
Alfonso Gallo
* Constitutiones, LXXIX, in cui è detto : « Examinatìonem autem
litterature et etiam juris scripti examini nostre curie reservamus ». Per la
efficacia della norma imperiale, cf. Trifone, Sulla redazione del docu-
mento, 1 e segg.
* Constitutiones, LXXX, da cui risulta che 1' imperatore legifera
contro gli antichi usi della città : « Consuetudinem quam olim in ali-
quibus regni partibus audivimus obtinere dilucida constitutione cas-
sanfes, decerminus instrumenta publica et quaslibet cautiones per litte-
raturam communem et legibìlem, per statutos a nobis notarios scribi
debere, scribendi modo qui in civitate Neapolis, ducatu Amalfìe ac Sur-
renti (atque per eorum pertinentias) omnino sublato » Questa costitu-
zione, rimonta al 1220, Chiarito, 117; Huillard-Bréholles, Historia
diplomatica, IV, p. 56. Per la revoca di prerogative speciali vigenti a
Napoli, e per l'affermazione esplìcita del principio di accentramento,
Constitutiones, LXXXI.
FIRENZE, LA CHIESA
E
L' AVVENTO DI LADISLAO DI DURAZZO
AL TRONO DI NAPOLI
(cont.: V. voi. prec, pp. 93-150)
CAPITOLO III.
La lega franco-fiorentina e la vittoria
DI Re Ladislao.
Incertezze ed esitazioni che precedettero le pratiche dell'alleanza franco-
fiorentina. - Le gravose condizioni richieste da Carlo VI e il contegno
del Comune fiorentino. - Conclusione e scioglimento dell'alleanza franco-
viscontea. - Primi progressi di Ladislao nel Regno. - Nuove esitazioni
precedenti alla stipulazione dell'alleanza franco-fiorentina. - La vittoria
di Ladislao e il capitolo della suddetta alleanza riflettente il conflitto
napoletano.
L'alleanza che i fiorentini nel settembre del 1396 strinsero
col re di Francia è il termine d' una lunga alternativa tra la
speranza di provvedere agli urgenti bisogni con una lega tra
gli stati varii d'Italia e il timore (che alla fine si tradusse in
ineluttabile realtà) di non potere, se non ricorrendo allo stra-
niero, salvaguardare i proprii interessi.
Abbiamo altrove accennato all' avversione che i fiorentini
avevano concepito per ogni traccia di dominazione, non solo
avignonese, ma anche francese in Italia ; e gli avvenimenti, i
sospetti, le tergiversazioni, che precedettero il trattato di Pa-
rigi, non servono che a confermare maggiormente questo stato
di cose.
— 29 —
Sin da quando il Visconti, molestando le piccole signorie
lombarde, evitando di legarsi le mani con accordi preventivi,
aveva chiaramente dimostrato quali erano le sue aspirazioni, i
fiorentini, temendo per sé e per i loro alleati, avevano atteso ad
armarsi e ad assoldare quante più genti avevan potuto.
Ma questi armamenti, sebbene effettuati con grande cautela,
non poterono sfuggire alle rimostranze di colui che li aveva
provocati. Il Visconti divulgò infatti quelle voci che trovarono
eco nei medesimi stati toscani, secondo le quali Firenze, man-
tenendo a sue spese le genti straniere, rendeva sempre più
tristi le condizioni d'Italia^. Da ciò Toccasione più che le cause
vere dell'attrito, mentre sia l'uno che 1' altro dei competitori,
si diedero da fare sia in ItaUa che fuori d' ItaUa per accapar-
rarsi l'amicizia di principi e di avventurieri 2.
Il nome del re di Francia, sebbene ancora siamo molto lon-
tani dalla stipulazione della lega, fu solo allora pronunziato in
tono amichevole, nei consigli del Comune. Allo scopo d'evitare
una coalizzazione franco- viscontea, e di spazzare certa ruggine
esistente nei rapporti franco -fiorentini, fu proposto d'inviare in
Francia un oratore « ad tentandum ^ ». Si sperava a Firenze
che persistessero ancora taluni di quei rancori che avevano due
anni prima interrotto le pratiche del matrimonio di Valentina
con Luigi di Turaine, e che avevano per un momento illuso il
Comune di potere imparentare con Ladislao la figlia di Gian
Galeazzo.
Ma in quei due anni ch'eran trascorsi i rapporti franco -vi-
scontei si erano interamente riconciliati: lo dimostrava il fatto
medesimo che il Visconti, chiedendo al Comune di rientrare in
trattative di lega, offriva la mediazione di Carlo VI*. Andrea
* P. Silva, 7/ governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni
col resto della Toscana e coi Visconti, Pisa, Nistri, 1911, pag, 229 sgg.
e CoLLiNO, La preparazione della guerra viscontea contro i Carraresi, Milano,
1907, pg. 30-31.
* Intorno al conflitto tra G. Galeazzo Visconti e i Fiorentini ved.
Cipolla, op. cit., pg. 204 sgg.; Silva, op. cit., cap. VI e opere ivi
citate.
=» A. S. F., Consulte, reg. XXVI, e. 221,
* A. S. F., ivi, reg. XXVII, e. 30.
— 30 —
degli Albizà, inviato in Francia per assumere più precise in-
formazioni, tornò quindi portando notizie poco soddisfacenti.
Solo per ciò che riguardava le relazioni passanti tra il Vi-
sconti e la corte avignonese, egli potè riferire « che il papa di
Vignone è male col conte di Virtù i».
Ben poca cosa però se si tien conto del limitato prestigio
di cui Clemente poteva godere sull'animo del re.
In considerazione di ciò Firenze non tardò ad accettare la
proposta che lo stesso Visconti le aveva fatta di rinnovare le
trattative per l'alleanza. Ma la solita diffidenza rese vani an-
cora una volta i negoziati. Il conte non voleva disinteressarsi
« dalla Serchia in qua» e pretendeva tra l'altro, che ognuno de-
gli alleati non dovesse rigettare i fuorusciti degli altri, ciò che
non pareva giusto al Comune, potendo riuscire « più di scan-
dalo che di concordia^». I fiorentini, persuasi che l'insuccesso
dei negoziati altro non significava che l'inizio delle ostilità, si
proposero allora di inviare nuovi oratori in Francia, in Pie-
monte « et ad omnia alia loca, ita quod excitentur malivoli
comitis^». Impedire che 1* amicizia franco-viscontea si risolvesse
in maggior danno e pericolo del Comune, si manifestò subito
come il più urgente dei fini politici da conseguire. E a rag-
giungere, senza perdere tempo, lo scopo, altro mezzo più effi-
cace non vi era che offrire a Carlo VI l'alleanza fiorentina.
Bisognava però che tale offerta non pregiudicasse la libertà e
l'indipendenza del Comune. Alla ricerca di una formula adatta
i fiorentini attesero insieme ai loro alleati: i bolognesi. Ma que-
sti erano molto più solleciti di quelli a contrarre presto la lega,
e, pur di fiaccare la potenza viscontea, erano persino disposti
a offrire al re di Francia le insegne imperiali : offerta che
avrebbe potuto costituire una minaccia continua per l'indipen-
denza dei Comuni. I fiorentini si opposero energicamente. A che
prò infatti, mentre si cercava di sfuggire un pericolo, andare
^ A. S. F., X di Balia, Commissioni etc. ; reg. I, e. 154.
2 A. S. F„ ivi, reg. cit., e. 167 (lettera a Luigi Guicciardini e a
Giovanni de' Ricci).
» A. S. F., Consulte, reg. XXVII, e. 90. Intorno alle vicende di que-
ste trattative e all'esito loro cfr. P. Silva, op. cit. pgg. 243-47.
31
incontro ad un altro, non meno grave e insidioso ? E quali
proteste, quali minacele sarebbero provenute dalla Germania,
ove i sovrani, si consideravano sempre i soli legittimi depositari
di quelle insegne ! Le ambizioni imperiali che si aveva pur ra-
gione di credere assopite, si sarebbero risvegliate, e alla coaliz-
zazione franco -vis contea si sarebbe potuta sostituire quella del
Visconti coi tedeschi, non meno gravida di minacele e di pericoli i.
L'ora però che i fiorentini attraversavano non permetteva
dilazioni; trattative d'alleanza intavolate col conte di Savoia
erano anch' esse fallite ^ ; sebbene a malincuore i X di Balia
formularono allora l' informazione per Alemanno Adimari, de-
stinato oratore al re di Francia.
Nessuna proposta però, nessuna concessione noi troviamo in
essa che si avvicinasse anche lontanamente a ciò che i bolo-
gnesi erano disposti a concedere.
L'unico compito, affidato all' Adimari, fu il seguente: invitare
con sollecitudine il re di Francia ad allearsi con Firenze, offrir-
gli in caso di guerra il comando delle forze alleate, ottenere dal
medesimo, qualora non aderisse all'invito, la libertà di praticare
coi suoi baroni e condottieri, e la ferma promessa che non si
irebbe ingerito nei fatti d'arme che la Repubblica avrebbe
|per conto suo potuto iniziare.
Quanto alle relazioni che passavano tra il Comune, il papa
Ladislao, l'oratore doveva assicurare la corte parigina che
la lega, di cui si era parlato, tra i fiorentini e Urbano, non
bra stata conchiusa, che scopo delle trattative era stato quello
[di staccare il papa dal conte di Virtù, che dei fatti del Regno
Repubbhca non si sarebbe più oltre impacciata « perchè
[la contesa è pur tra queUi della casa di Francia, i quali tutti
[abbiamo in riverentia ^ )>.
Ma non era ancora avvenuta la partenza dell'oratore, che
m tenue raggio di luce, apparso improvvisamente sul cielo
A. S. F., X di Balia, Commissioni etc. reg. I, e, 191 (lettera ai
[x di balìa del comune di Bologna). Romano, Niccolò Spinelli etc, loc.
voi. cit., pag. 444 e nota 1.
* Clemente Lupi, Delle relazioni della Repubblica di Firenze coi conti
duchi di Savoia, Firenze, 1863, pag, 102-3.
* Ved. Appendice dei Doc, n. 22.
32
torbido d'Italia, fece sperare ai fiorentini di potere ancora,
senza ricorrere al re di Francia, salvaguardare i propri inte-
ressi. Questa speranza venne ispirata loro da P. Gambacorta,
signore di Pisa, che, animato dalle più leali intenzioni, sia
verso Firenze che verso il Visconti, attese dal Luglio all'Otto-
bre a cercare di comporre i loro dissidii ^. Si parlò allora nei
consigli di sospendere ogni iniziativa coi francesi « nisi prius
videatur qualiter remanetur cum vicinis nostris et cum co-
mite, prius enim non esset aliquo modo (sic), nec posset con-
suli per eos^».
Ma le diffidenze, lungi dall' attenuarsi, si inasprirono mag-
giormente nel corso delle trattative; la pace, anche se si fosse
raggiunta, pareva sin d' allora destinata ad essere presto o
tardi violata; in tali condizioni di cose parve ai più esperti
consiglieri del Comune di non abbandonare il primitivo dise-
gno, di guadagnarsi cioè 1' alleanza o 1' amicizia del re di
Francia ^.
Le preoccupazioni erano accresciute dalle proteste che il re
di Francia aveva fatte presso il Comune per l'invio dell'Acuto
nel Regno e per gli sforzi con cui il condottiero si era ado-
perato per togliere le milizie all'angioino.
Carlo VI aveva senza dubbio avuto intorno a ciò impor-
tanti rivelazioni da parte del sire di Mongiò, ma non era in-
fondato il sospetto, nudrito dai fiorentini, che a confermare le
accuse erano intervenuti i nemici del Comune, e tra questi in
ispecial modo il Visconti, il quale aveva tanto da guadagnare,
mettendo sotto cattiva luce presso il re francese i suoi più
accaniti avversarli.
Affine di mitigare lo sdegno di Carlo, e di preparare quel
re ad accogliere benignamente gli oratori fiorentini, i Signori
non seppero trovare altro mezzo che quello di rigettare le ac-
cuse e di smentire quegli aiuti che pur avevano prestato alla
fazione durazzese. Scrissero perciò due lettere, l'una al gover-
1 Silva, op. cit., pag. 248-57.
2 A. S. F. Consulte, reg, XXVII, e. 132.
3 A, S, F., ivi, reg. cit. ce. 145, 154, 166. — Rajnerius Lojsìi dixit :
quod ei videtur coronam France esse ultimum et oportunum axilium
{Consulta del 15 settembre 1389).
\
— 33 —
natore di Napoli, Taltra allo stesso re. Nella prima cercarono
di persuadere il Mongiò, come le voci circolanti intorno alla
loro partecipazione nelle vicende del Regno, erano inverosi-
mili, non essendo a loro possibile impegnare altrove il danaro,
quando per provvedere alle proprie necessità «nulla detur in
gravandis nostris civibus respirandi facultas, sed sine intermis-
sione tributo tributum et subventioni subventio cumuletur ».
Nell'altra, dando alle accuse il valore di maligne insinuazioni
facevano, per ciò che riguardava 1' avvenire, solenne promessa
di non compier mai nulla « aut in regni negociis aut aliis
quibuscumque quod vestram clementiam perturbaret^».
Sebbene con minore chiarezza, tali promesse erano state fatte
altre volte al re di Francia ^ ; ma se negli anni precedenti alle
parole non erano corrisposti i fatti, a cominciare da questo
momento, il Comune fiorentino si seppe ben guardare dal con-
travvenire minimamente agli impegni che per ineluttabile ne-
cessità era costretto ad assumersi.
Un altro fatto però avvenne, non appena che la pace di Pisa,
fattasi sotto gli auspicii del Gambacorta, ebbe mostrato chia-
ramente la sua effìmera consistenza, che contribuì a differire
ancora 1* invio dell'Adimari a Parigi. Il 15 Ottobre 1389, dopo
11 anni di torbido pontifìcato, moriva a Roma Urbano VI.
L'esaltazione di un nuovo papa fece palpitare di gioia i fio-
rentini, anelanti di trovare in Italia, colla mediazione del pon-
tefice, la forza sufficiente per arrestare i progressi viscontei.
La speranza che arrideva loro era di poter vedere sul seggio
pontificio un loro concittadino e amico: Angelo Acciaioli, noto
sotto il nome di cardinal fiorentino, legato coi vincoli dell' a-
micizia e dell'interesse coi durazzesi di Napoli. A questo scopo
* Ved. Appendice di docc. n.i 23 e 24.
« II 20 settembre 1387 (A. S. F., Consulte, reg. XXVI e. 109) il
re di Francia aveva infatti scritto al Comune, esortandolo a prestare 1
suoi soccorsi a Luigi d'Anglò. Il comune rispose « quod stabit medius
et quot cavebit displicere altemtri partium ». Nel gennaio dell'anno
seguente il medesimo re inviò a Firenze oratori per lo stessa scopo.
I signori risposero, promettendo la più scrupolosa neutralità (Diario
d'Anonimo, p. 476; P. Boninseoni, op. cit„ pag. 686-87 ; Minerbetti,
op. e loc. cit., col. 146.
AnnoXLV. 3
— 34 —
si adoperarono, inviando a Roma segreti emissarii, raccoman-
dando l'esito della delicata impresa al sacro collegio i.
La pace del pontefice coi signori e Comuni della Romagna,
affettanti la più assoluta indipendenza, l'accordo del papa con
Ladislao, al quale 1 fiorentini, sebbene ormai con le mani le-
gate, guardavano sempre con occhio trepido e benevolo; la for-
mazione della solita grande lega, per cui avevan tanto lavorato,
tutto si sarebbe facilmente ottenuto qualora l'Acciaioli avesse
avuto la tiara. Ma gli sforzi del Comune si infransero contro
la resistenza dei cardinali romani che i loro voti avevano rac-
colto sul nome di PonceUo Orsini del titolo di S. Clemente ^.
Il conclave si protrasse dal 27 Ottobre al 2 Novembre, giorno
in cui le due opposte tendenze, rinunziando ai loro candidati,
si accordarono sull'elezione di un terzo : Pietro Tomacelli del
titolo di S. Anastasia, che assunse il nome di Bonifacio IX.
Firenze, fortemente delusa nelle sue aspettative, dovette su-
bire anche la taccia di simoniaca, per aver tentato col mezzo
dei suoi mercanti di comprare i voti del conclave ^. Non sap-
piamo quanto di vero ci sia in simile taccia; tenuto però
conto dell'ora torbida che il Comune attraversava e delle spe-
ranze, che, come abbiamo visto, aveva riposto nel prestigio che
il nuovo papa avrebbe potuto esercitare, non è impossibile
ch'essa avesse un fondamento di verità.
Il nuovo eletto non dispiacque tuttavia ai fiorentini, essendo
conosciuto per uomo « di singulare saggezza e prudenza for-
nito » e soprattutto perchè durante il suo canonicato nella me-
tropolitana di Napoli aveva manifestato sentimenti favorevoli
alla fazione durazzese.
1 Ved. Appendice di docc. n. 25. V Ammirato {Storia di Firenze
III, 115) afferma cbe i fiorentini si adoperarono per l'elezione del car-
dinale Corsini. Egli però, sebbene come nota, abbia letto il documento
citato, è evidentemente incorso in un equivoco.
' Intorno al Conclave tenutosi per la morte di Urbano VI, ved. L.
Zanutto , Il Pontefice Bonifazio IX, Udine, 1904, pgg. 18-24.
3 Ved. Appendice di docc, n, 25 ; e A. S. F., X di Balia, Commis-
sioni etc, reg. cit., e. 22 (lettera al collegio del cardinali del 6 No-
vembre 1389).
— 35 —
Taluni dei consiglieri proposero per ciò di sospendere la par-
tenza degli ambasciatori presso Carlo VI, fino a che non si
fosse consultato il parere di Bonifazio, proposta che non in-
contrò del resto l'approvazione della maggioranza, la quale,
pur desiderosa di tenersi in buoni rapporti colla corte romana
era però d'opinione d'inviare senz 'altra dilazione gli oratori in
Francia « quia Commune indiget favore temporali ^ ».
Fu per questo stabilito d'inviare contemporaneamente ora-
tori così a Parigi come a Roma, coH'incarico, affidato a questi
ultimi, di non far cenno a Bonifazio dei fatti del Regno « ne
provocetur rex Francie contra Commune 2. La certezza che Bo-
nifazio avrebbe, senza pressioni esterne, agevolato il trionfo di
Ladislao, metteva i fiorentini al sicuro per ciò che riguardava
uno dei principali obbiettivi della loro politica.
Il 13 Dicembre Filippo Corsini, Cristofano Spini, Filippo A-
dimari e Matteo di Iacopo Arrighi erano già sul punto di re-
carsi a Parigi con l'istruzione compilata fin dal Giugno tra-
scorso, e verso la fine del mese erano già partiti, mentre giun-
gevano a Firenze oratori di Bonifacio, i quali, prima ancora
che partissero per Roma gli inviati del Comune, potettero ri-
* Alexander Nicholai dixit: mictattur subito ambasciata ad papam et
sint homines nobiles et prudentes et graves ; et subito etìam mictatur
arabaxiata ad regem France, habito ab orato ribus nostris aliquid de
intentione pape et dispotitionne eius — Alexander de Nobilibus dixit; quod
ambaxiata honorabilium et pradentium hominum mictatur ad papam
et ambaxiata ad regem France mictatur habita et visa intentione pape.
— D. Fillipiis de Corsinis dixit : mictatur ambaxata ad visitandum pa-
pam, sed sit ad visitandum, congratulandum, offerendum, recommen-
dandum Commune. De ambasxiatorlbus Francie dixit quod Commune
indiget favore temporali et ideo sine expectando aliquid de papa, mic-
tantur (A. S. F., Consulte, reg. XVIII, e. 3).
» Antonius Santi prò gonf. dixit : quod de factis filli regis Karoli
nihil in singulari committatur oratoribus ituris Romam, sed si papa ali-
quid a se movet, tnne exhortetur — Philippua Johaneis dixit: quod in-
formatio facta oratoribus ituris ad papam ut ordinata est (remaneat)
salvo quod de factis filii regis, ne provocetur rex Francie contra Com-
mune — Nicholaus de Giugnis dixit : quod commune se non gravet nec
ponat in aliquo periculo et de factis Regni Co ni nume se non delegai
(sic) sed in generale recommendetur sibi Italia et ulterius non procedere
(sic) (A. S. F., Consulte, reg. XXVIII e. 11).
— 36 —
ferire come fosse intenzione del papa entrare mediatore nel-
l'attrito fiorentino-visconteo^. La proposta in sulle prime in-
contrò la piena approvazione dei consiglieri, ma non era stata
ancora ufficialmente accettata che si seppe a Firenze come
due degli oratori spediti in Francia, l'Adimari e l'Arrighi, es-
sendo partiti per terra a differenza dei loro compagni, erano
stati arrestati in quel di Genova dal marchese di Finale, amico
intimo del Visconti 2. Trattati segreti erano stati anche sco-
perti a S. Miniato al Tedesco e a Montepulciano, mentre in
Pisa il partito di Pietro Gambacorta, amico dei fiorentini,
perdeva sempre più terreno ^. La mediazione di Bonifacio non
poteva in tal modo riuscire proficua, e il Comune, spinto or-
mai dall'urgente necessità, ordinava a due altri oratori che fu-
rono nominati in sostituzione di quelli catturati, d' informare
delle insidie viscontee e guadagnare alla causa fiorentina anche
il papa avignonese*.
La mediazione offerta dai veneziani andò anch'essa delusa,
mentre il Visconti, ritenendo per sé opportuno troncare ogni
ulteriore dilazione, il 25 Aprile 1390, dichiarava guerra al
Comune ^
Il periodo che segue, fino al trattato di Parigi, è un pe-
riodo di lotta continua, interrotto da brevi tregue, durante il
quale i fatti del Regno hanno ormai un'eco molto flebile nei
consigli fiorentini.
La guerra col Visconti assorbe ormai tutte le energie del
Comune, e noi, trovandoci davanti a due campi, in cui si
la Repubblica che Ladislao combattono per interessi affatto
1 Sulla partenza di questi oratori da Firenze ved : Ser Naddo, op.
e loc. cìt., pag. 103 ; Minerbetti, op. e loc. cit., col. 191 — Intorno
all'arrivo degli oratori di Bonifacio e al contenuto della loro relazione
ved. A. S. F., Consulte, reg. cit., e. 27.
* BuoNiNSEGNi, op. cit., pgg. 693 sgg.; Minerbetti; op. e loc. cit.,
col, 194.
^ Silva, Il governo di Pietro Gambacorta, etc, pgg. 267 sgg.
* A. S. F„ Consulte, reg. XXVIII e. 31 v. e 41 v.
» Ved. Cipolla, op. cit., pag. 205 ; L. Frati, La lega dei bolognesi
e dei fiorentini contro G. G. Visconti in Arch, Stor. Lomb., Serie II, voi. VI,
1889, pg. 5-21.
ì
37
indipendenti, possiamo sugli eventi che raccompagnarono sor-
volare.
*
* *
Gli oratori fiorentini che si trovavano in Francia, nell'Aprile
successivo alla loro partenza, informarono i Signori suU' esito
della loro ambasciata. Il re aveva promesso di aderire alle
proposte, ma a patto che il Comune avesse abbracciato l'ubbi-
dienza avignonese e offerto a lui in segno di devozione un
dono e un annuo tributo ^ Quanto al Regno non abbiamo
nessun accenno: ma è evidente che nell'obbligo d'aderire alla
causa del papa avignonese, era compreso anche quello di so-
stenere la causa angioina.
Le pretensioni erano gravi e contenevano, com'è facile accor-
gersi, un attentato all'indipendenza del Comune. Quale sarebbe
stato infatti l'avvenire di Firenze, se in un momento in cui il
re di Francia aveva la mente e l'animo rivolti a costituire uno
stato francese nell'Italia centrale, si fosse a lui spontaneamente
legata con un annuo tributo ^ ? La città di Genova, in procin-
to di perdere l'indipendenza, era li ad attestare quanto terribili
fossero le conseguenze di un incauto passo.
Taluni dei consiglieri, illudendosi ancora di trovare il bandolo
dell' arruffata matassa, senza umiliarsi dinanzi allo straniero, pro-
1 Filippus ser lohannis dixit : quod omnia que petuntur per regem
Francie fiant, salvo que in mutando fidem papatus — D. Loltus de Ca-
siellanis dixit : quod de pecunia consentiatur; de facto autem fidei ni-
chil plus dicatui quam quod dictum sit et responsum, videlicet quod
Commune stabit concilio — Filippus Cionetti dixit : quod differatur con-
sultatio et quod omnes cogitent rationes prò et centra primo enim dare
donum et accipere signa et gentes regis Francie est species summis-
sionis et dare titulum regi; et si non fiat est periculum ne turbetur
rex; credere in papam avinionensem est centra fidem et ideo fiat sicut
dixit dominus Lottus (A. S. F., Consulte, reg. cit., e. 11).
* Intorno ai disegni che il re di Francia intendeva effettuare in Ita-
lia durante questo periodo, cfr, Valois, op. cit., I, 167 e passim ;
DuRRiEux: Le royaume, d'Adria, Paris 1880; G. Romano, Niccolò Spinelliy
etc. 512 sgg..
— 38 —
posero di rinnovare i colloqui col Visconti i. Ma i Signori, di nan-
zi al bivio che veniva ad aprirsi : o cedere alle pretese fran-
cesi e mettere in pericolo la propria indipendenza, o lasciare cam-
po libero al Visconti di macchinare coi francesi contro il Comune,
diedero ai Savi facoltà di cercare al più presto una via d'uscita.
Quel che i Savi stabilirono possiamo ricavarlo da una Consulta
del 30 Maggio. In essa si parla d'inviare, secondo il responso dei
requisiti, un altro oratore in Francia per tentare di indurre il re
a modificare le sue pretese e per dirgli che il dono e il tributo sa-
rebbe stato a lui concessso solo nel caso e per il tempo in cui i fio-
rentini lo avessero richiesto di genti e di capitani. Quanto al-
l'ubbidienza, si accettò con molta probabilità la proposta pre-
ponderante nei vari consigli tenutisi in quei giorni : non avrebbe
il Comune, senza venir meno ai dettami della propria coscienza,
potuto pubblicamente accettare l'ubbidienza avignonese, ma si
sarebbe con impegno adoperato per la convocazione immediata
del concilio 2.
Con ciò i fiorentini speravano d'aver trovato ilmezzo migliore
per rimanere « in gratia regis, in libertate, et fide ».
Ma il re non volle cedere di un passo sulle intenzioni manife-
state. A Firenze, essendosi nel l.'' Luglio bandita ogni speranza
di venire a un accomodamento, fu proposto di avvertire gli ora-
tori a non firmare il trattato « non indignando tamen commisarios
regis Francie et non rumpendo propterea colloquia, sed parum
dilatando ». Le pratiche furono cosi prolungate, ma coli' unico
scopo di tenere a bada il re e di paralizzare l'azione che presso il
medesimo svolgevano gli agenti viscontei. Contemporaneamente
* Filippus Cionetti dlxit : quod in fide non bidetur ei quod rationa-
bìliter Commune se debeat mutare ad petitionem alicuius principis nisi
aliud declaretur ; et dare pecunia est species servitutis, et est jam visa
una civitas... ; sed fiat ita quod non remaneatur in discordia cum rege
Francie, et fiat donum non annuale sed simul, in pecunia vel jocalibus, et
quod omnia praticentur in parvo numero civium ita quod in gratia re-
gis remaneatur, in nostra libertate et fide. (A. S. F., ivi, reg. cit., e. 61).
Evidentemente il consigliere fiorentino, colla reticenza surriferita, voleva
accennare a Genova, il cui annuale tributo al re di Francia gli costò la per-
dita della liberià (Ved. Jarry, Les orìgenes etc, pagg. 12 sgg.
» A. S. F. Consulte, reg. cit., e. 75 — Cfr. anche nel medesimo re-
gistro le consulte dell'Aprile e del Maggio 1390.
— 39-.
infatti furono da Firenze intavolate trattative col duca di Ba-
viera, coH'imperatore e con Giacomo III d'Armagnac. Ma il pri-
mo di costoro aveva anche lui pretese eccessive e il secondo non
garantiva di svolgere contro il Visconti un'azione energica^.
Unico rifugio restava in tal modo il condottiero francese, perso-
nalmente ostile a G. Galeazzo e in ottima relazione con Carlo VI
non ostante gli intrighi dei conti e dei baroni francesi , che cerca-
rono di dissuaderlo, l'Armagnac stipulò coi fiorentini un trat-
tato d'alleanza il 6 ottobre 1390 e combattè sempre al fianco
degli alleati 2.
Ma nei piani d'Alessandria, il 25 Luglio 1391, egli trovò la
morte. La perdita grave e inaspettata insieme alla solita ritrosia
di aderire alle eccessive pretese del re di Francia, indussero i fio-
rentini ad accettare la mediazione di Antoniotto Adorno, doge
di Genova. Il 20 Gennaio 1392 fu firmata una nuova pace, ma
con grande vantaggio del Visconti : cosi che tutti coloro i quali
della potenza viscontea si sentivano minacciati, videro accre-
sciuti i pericoli ^. Il re di Francia, offeso della mal celata baldan-
za con cui erano state respinte dai fiorentini le sue richieste, in
procinto di compiere la già preparata impresa d'Adria, ribadi
la sua nota amicizia con G. Gaeleazzo ; Niccolò Spinelli, l'acuto
e perspicace diplomatico, nemico dei fiorentini, non tralasciava
nessun mezzo, nessun tentativo per trasformare quest' amicizia
;in alleanza ed inasprire i rancori che Carlo VI nutriva contro
rFirenze *.
Le minacele insomma, i pericoli si andavano complicando ; e
gli oligarchi fiorentini, perduta ogni fiducia nel vigore dell' ulti-
10 trattato, segnarono una lega con Padova, Ferrara, Faenza,
Pavenna ed Imola. Più tardi, dopo un lungo periodo di incertez-
ze, fu ammesso nella lega anche il signore di Mantova ^ Que-
» A. S. F., Consulte del 10, 24, 25 Agosto e del 3, 10 settembre 1390.
* A. S. F., Consulte cit., e Valois, op. cit., II, 174; Romano, Niccolò
\Spinelli etc, voi. cit., pg. 450 sgg.
» DuRRiEux, Le royaume d'Adria, pag. 47 ; G. Romano, Niccolò Spi-
[nelli etc, pg. 457-61.
* G. Romano, Niccolò Spinelli etc, pg. 472 sgg.
' Intorno a questa lega Cfr. G. Romano, Gian Galeazzo Visconti e gli
ìeredi di Bernabò in Archivio storico lombardo, Serie III, fase I, pg. 49-
|60, oltre all'opera precedentemente citata, pg. 445 sgg.
— 40 —
sta unione, che inutilmente si era cercato di tener segreta, fu il
segnale della nuova guerra. Tutti gli alleati erano invisi al Vi-
sconti. Bonifacio IX, che, di fronte alle minaccio provenienti
d'oltralpe, si adoperava attivamente di unire contro lo straniero
le forze italiche, aveva con entusiasmo favorito l'esito delle trat-
tative ed egli stesso insieme con Ladislao aveva cercato d'en-
trare. I fiorentini però, sempre per un riguardo verso il re di Fran-
cia, si erano affrettati a respingere le sue preghiere^. Questo tut-
tavia non impedì a G. Galeazzo di attribuire agli alleati inten-
dimenti ostili non solo contro il re di Francia e il papa avigno-
nese, ma anche contro l'angioino. Per mezzo di Niccolò Spinelli,
egli insinuò astutamente che nella lega italica erano stati riser-
bati dei posti principali a Bonifacio e a Ladislao ^. Il re di Fran-
cia e l'angioino insorsero protestando. Nella speranza di spegnere
lo sdegno di Carlo VI, i fiorentini gli risposero, ribattendo sulla
più volte promessa neutralità, invitandolo a tenersi bene in guar-
dia contro le maligne insinuazioni dei loro nemici; ed aggiungen-
do che nella lega « contratta per la difesa degli stati tanto » non
si era creduto d'invitare il Visconti « perchè non era parso con-
veniente consentire a lui, quello che a Bonifacio e a Ladislao era
stato negato ^ ».
Tali affermazioni furono rinnovate anche agli oratori francesi,
venuti in Firenze nell'Aprile del 1393 per ricordare al Comune
l'osservanza delle promesse*. I disegni francesi, appoggiati dal
consenso visconteo, parevano alla vigilia della loro esplicazione.
Notizie allarmanti, inviate al loro governo dai mercanti fioren-
tini, trafficanti nelle parti di Francia e confermate da speciali
emissari, mandati « ad sciendum nova » giustificavano le appren-
sioni che in questo momento torbido della storia d' Italia turba-
vano gli animi ^. Il duca di Borgogna e il duca d'Orleans a\ evano
» A. S. F., Consulte, reg. XIX, e. 50.
2 I fiorentini erano stati informati « de infamia quam dominus Ni-
chela de Neapoli dedisse dicitur centra Communè in Francia » sin dal
Febbraio 1393 {Consulta del 5 febbraio, reg. XXIX e. 169, parole di Fi-
lippo Corsini).
« A. S. F., Signori Carteggio Missive, reg. XXIII, ce. 128 e 143.
« A. S. F., Consulte, reg. XXX, e. 17.
5 A. S. F., Signori, Carteggio, Missive, reg, XXIII, e. 88. Erano i
— 41 —
infatti apparecchiato i loro eserciti e si erano concentrati in Pro-
venza, allo scopo di varcar subito le Alpi e di piombare minac-
ciosi sullo stato pontifìcio ; il re d'Aragona, suocero di Luigi II
d'Angiò, preparato anche lui un esercito e allestita una flotta,
avvisava il comune di non frapporre ostacoli all'azione che gli
alleati avrebbero svolta contro il papa e i durazzesi; Tommaso
Sanseverino, anche lui alla testa di forze avignonesi, era in pro-
cinto secondo le voci correnti, di recarsi in Lombardia, e di là
nella Venezia, per salpare col consenso del doge, verso i porti del
Regno 1. A fugare ogni speranza che 1 fiorentini avevano sino a
quel momento nudrita contro la coalizzazione delle forze franco-
viscontee, si divulgò ben presto la voce che il re di Francia aveva
stipulato con Gian Galeazzo un patto d'alleanza. Né erano igno-
ti gli intenti cui i due alleati tendevano ; il Visconti avrebbe la-
sciato ai francesi libero campo nello stato pontificio e nel Regno
di Napoli, e i francesi avrebbero appoggiato l'azione ch'egli in-
tendeva svolgere in Toscana e specialmente contro Firenze 2.
L'ora insomma che i fiorentini attraversavano era delle più diffi-
cili e imbarazzanti. Tuttavia la loro sagace politica non fu meno
forte degli eventi. Essi, come vedremo, seppero trovare in se stes-
si la forza sufficiente per paralizzare, nel momento stesso in cui
si stringevano, le forze dei due potenti alleati.
*
Non essendo riuscita a impedire Tunione delle forze franco-vi-
scontee, la diplomazia fiorentina, senza lasciarsi avvilire dal si-
nistro successo, si propose di gettare tra gli alleati la gelosia e la
discordia.
La repubblica ligure, su cui avevano delle aspirazioni così l'uno
preparativi per la costituzione del famoso stato italico, tributario del re di
Francia, cui Carlo VI rivolse negli anni 1393-4 gli ultimi suoi sforzi. In-
torno alle cause che guastarono quest'impresa, cfr. Romano, Niccolò Spi-
nelli etc. pg. 517-19 e DunmEux, Le Royaiune d'Adria, pgg. cit.
1 A. S. F., Signori, Carteggio etc. reg. XXIII, ce. 88, 131, 133 (let-
tere al cardinal di Nono poli del 21 febbraio e al re d'Aragona del 28
luglio 1393).
- G. Romano, op. e voi. cit., pgg. 508-10.
42 —
come l'altro degli alleati, poteva benissimo prestarsi al gioco. Lu-
singare le ambizioni francesi su quella città ; provocare contro i
francesi la gelosia viscontea, avrebbe senza dubbio avuto per ef-
fetto lo scioglimento della lega. I fiorentini, bandito ogni scrupo-
lo intorno alla necessità di dovere immolare ai propri interessi la
libertà genovese, attesero con grande attività al conseguimento
dello scopo.
Incominciarono col rimuovere ogni occasione che potesse for-
nire a Carlo VI materia di rimostranze. Agli oratori fiorentini, de-
stinati a Roma nel Luglio 1394, per indurre il papa a cedere al-
cuni castelli delle Romagne, fu per questo ordinato di non visi-
tare Ladislao, il quale si era recato nella sacra città, in difesa del
papa, minacciato dagli insorti i. Allo scopo poi di preparare in
Francia il terreno all'esplicazione dei disegni concepiti, e d'acqui-
starsi a questo medesimo fine il favore avignonese, fu scritto nel
medesimo Luglio a Clemente VII, intercedendo la revoca dei
processi emanati contro Firenze da papa Gregorio XI e attestan-
do il desiderio e la speranza del Comune di vedere Clemente ve-
nerato universalmente solo e legittimo pontefice 2. Per riguardo
al re di Francia furono anche respinte le proposte d'alleanza che il
doge Adorno, cui faceva capo il partito avverso ai francesi, ave-
va fatte al Comune^. In seguito, nell' ottobre, fu nuovamente
scritto a Carlo VI, annunziandogli il prossimo arrivo nella sua
corte di oratori fiorentini, e augurandogli la grandezza dello stato
e il felice successo dei suoi disegni e il prossimo possesso di Ge-
nova, che sarebbe stato apportatore di pace e di tranquillità a
tutti i genovesi *.
La partecipazione dei fiorentini nei fatti del Regno, che nel
frattempo, avevano assunto una piega risolutiva, era del tutto
cessata, mentre intanto assumeva proporzioni sempre maggiori
l'attività dei medesimi per meritare il favore e la fiducia del re di
Francia. L'oratore a cui fu affidato il compito di praticare nella
corte parigina fu Bonaccorso Pitti, l'abile e ameno mercante che
1 A. S. F., Consulte, reg. XXX, e. 138.
* A. S. F., Signori Carteggio Missive, reg. XXIV, e. 57.
* Consulta del 4 aprile e del 9 Giugno 1394.
* A. S. F. Signori, Carteggio, Missive, reg. XXIV, e. 93.
— 43 —
in Francia vantava numerose amicizie i. Ad Avignone fu in-
vece inviato Ser Piero da S. Miniato, coU'incarico d'intendersela
innanzi tutto col cardinal Corsini, e d'operare poi insieme con lui
e con gli altri principi e cardinali, contro le mali arti di G. Galeazzo
il quale « con danari e con promesse, ha ordinato e fatto che Ge-
nova non è venuta nelle mani del re di Francia, perchè la vuole
per sé ^ ».
Non è nostro intento seguire in tutto il loro svolgimento le
pratiche dei due esperti diplomatici, bastandoci solo accennare
all'esito fortunoso da esse raggiunto.
Nel Marzo 1395, i baroni francesi erano già divisi in due parti :
amici e nemici del Visconti, mentre Isabella, moglie di Carlo VI
e nipote di Bernabò, nella quale il Pitti aveva trovato un appog-
gio facile ed efficace, si adoperava attivamente per staccare il
marito dall'alleanza viscontea. Poco dopo il sire de Coucy, in-
vestito del supremo comando dell'esercito, già accampato nei
pressi di Genova, ebbe l'ordine, di non più abbandonare l'Italia
settentrionale. L'audace impresa per la laicizzazione dello stato
pontificio, venne cosi quasi inaspettatamente a fallire.
*
* *
Coloro ai quali l'insuccesso dei disegni francesi tornò di spe-
ciale vantaggio furono, com'è facile suppore, non solo i fioren-
tini, ma anche Bonifazio e Ladislao. Il quale ultimo del resto, sin
dall'epoca della morte d'Urbano, aveva fatto dei rapidi progres-
si sulla via del trionfo. Bonifacio aveva ben presto compreso che
le forze del Regno e quelle della Chiesa, piuttosto che combat-
tersi, com'era avvenuto al tempo del suo predecessore, dovevano
tenersi intimamente collegate e rivolte contro il comune pericolo.
Prosciolse perciò Ladislao dalla scomunica, lo fece solennemente
incoronare re in Gaeta il 29 maggio 1390, gli assegnò qual balio
* Cfr. BoNAccoRso Pitti, Cronica, Bologna, 1906, pag. 81-2.
* A. S. F. X di balia. Commissioni etc, reg. II, e. 3. Per ampie no-
tizie in tomo all'azione che esplicarono in Francia gli oratori fiorentini,
vedi: Jarry, Les origines etc, loc. cit., pg. 126; Romano, Niccolò Spi-
nelli etc. voi. e loc. cit., pg. 251.
— 44 —
e tutore Angelo Acciaioli, il concittadino e amico dei fiorentini^.
Questi atti insieme al prestigio di cui godette nel Regno, duran-
te la minorità di Ladislao, il cardinal fiorentino, ci ricordano i ca-
pitoli che sin dal 1387 Firenze aveva proposto ad Urbano per l'ac-
cordo tanto desiderato ; e forse non erano stati dal papa sanzio-
nati senza l'abile, per quanto cauto e segreto, intervento del Co-
mune. In seguito Ladislao fu anche dispensato dal censo che i re
di Napoli dovevano alla Chiesa, ed ebbe ai suoi ordini, oltre alle
genti di Ottone e di Alberico, anche quelle di Giovanni Tomacello,
fratello del papa.
Per sopperire alle ingenti spese che dinanzi alle minacele fran-
cesi, il nuovo pontefice dovette sopportare, furono date a censo
città, cariche, onori, furono conchiusi trattati cogli usurpatori
dello Stato pontificio e ii^pegnati i tesori stessi delle Chiese 2.
Bonifacio fu per questo accusato di simonia ; ma le condizioni
economiche, politiche, religiose, della Chiesa eran tali da richie-
dere i più grandi sacrifizi e da giustificare qualsiasi mezzo adot-
tato per la loro restaurazione.
Col pontificato di Bonifacio IX gli angioini perdettero quindi
quel che era stato fino a quel momento il principale coefficiente
della loro fortuna, la discordia cioè dei loro avversari. Agli urba-
nisti e ai durazzesì si sostituì un unico partito : quello che, se-
» La data dell' incoronazione di Ladislao in Gaeta ci è stata tra-
mandata dai cronisti in modo inesatto. L' autore del Cronicon Siculum
infatti (pg. 93) afferma che Ladislao fu incoronato il 1» Giugno 1390; |
il MiNERBETTi (col. 206-7) fa risalire questa cerimonia al 24 aprile; l'au-
tore dei Diurnali (pag. 38) e I'Ammirato {Vita di re Ladislao, pg. 110)
airil Maggio del medesimo anno. La lettera però con cui Ladislao ebbe
a partecipare il fausto avvenimento ai capitani di Parte Guelfa del
Comune Fiorentino {Diplomatico, Riformazioni, Atti Pubblici, 30 Maggio
1390) e la risposta colla quale i Signori si compiacquero della solenne
cerimonia « die vigesima nona mensis mai proxime preteriti celebrata »
pubblicata dalla Valente in appendice al suo lavoro sopprimono ogni con-
tradizione in proposito.
2 Intorno alle relazioni tra Bonifazio e Ladislao, subito dopo l'ele-
zione pontifìcia, vedi Rainaldi, Annales etc, 1390, n. 11, 12, 13, 18.
Per i sacrifizi cui Bonifazio si dovette sobbarcare per favorire La-
dislao, vedi THEODomco de Niem, De scismale, lib. II, ca. VII ; S.
Antonino, Chronicorum opus etc, pag. 413-14. Cfr. anche A. Valente,
op. cit., cap. III, pag. 32 sgg.
— 45 —
guace dell'ubbidienza romana, non aveva alcun interesse a fa-
vorire una dinastia scismatica.
Fautori impenitenti della causa di Ladislao furono i mercan-
ti fiorentini ; giacché non bisogna pensare che la neutralità cui
Firenze fu costretta a sottoporsi, avesse determinato un eguale
atteggiamento da parte dei banchieri, trafficanti nel Regno. Co-
loro che in quest'attiva fedeltà si distinsero in ispecial mod"> fu-
rono i consanguinei del cardinal tutore, che, in considerazione
dei servizi prestati, ebbero da Ladislao cariche, feudi ed onori ^.
^ Il 14 settembre 1390, Ladislao, « actendentes merita sincere devo-
tionis et fìdei, grataque, grandia, utilia et accepta servicia... nullis suae
persone parcendo periculis, laboribus vel expensis » dona a Benedetto Ac-
ciaioli l'annua rendita di 500 once su alcuni beni feudali, e un giorno dopo
gli concede alcune terre tolte ai ribelli (Barone, Notizie storiche tratte dalla
cancelleria di Ladislao di Durazzo, in Archivio storico per le provincie napo-
letane, XII, pag. 501). Altre donazioni fatte da Ladislao allo stesso Benedetto
sono del 2 2 ottobre 1390 (Barone, op. cit., pg. 502) e del 21 No-
vembre 1392 (Arch. di Stato di Napoli, Reg. Ang., 363, e. 220 r.o).
Ladislao oltre che verso Bendetto Acciaioli, fu grato anche verso tutti
quei fiorentini che nel Regno avessego in un modo qualsiasi contribuito a
rendere migliori le sue condizioni. Perciò nell'ottobre 1387 investì della ba-
ronìa del Cilento Niccolò degli Adimari, conferendogli anche il diritto di
trasmetterla ai suoi figli ed eredi (Arch. di Stato di Napoli, Fase.
Ang. ; 93 P II«, e. 225) ; nel Novembre 1390 conferma a Nicola dei Buon-
delmonti l'annua rendita di 30 oncie (Barone, op.. cit., pg. 503) ; nel
Febbraio dell'anno successivo elegge Andrea Gargiolli di Firenze grande giu-
stiziere dello studio napoletano (Barone, op. cit., pag. 506) ; Anr
drea Cargiolli ebbe a più riprese a godere della gratitudine che il re gli
serbava. Il 6 giugno 1391 egli era stato già nominato ciambellano, fami-
liare e amico fedele del re, e veniva autorizzato a recarsi in Gaeta o in
altra parte del Regno, scortato da una o da più navi, tutte le volte che
a lui piacesse ; più tardi, nel 18 Ottobre, gli veniva assegnato l'annuo
compenso di oncie 132, per i ineriti che si era acquistati, togliendo
ai nemici del re il castello di Vico (Archivio di stato napoletano,
Reg. Ang., n. 361, e. 60 , 61, 65). Altri fiorentini che ebbero cari-
che e stipèndi da re Ladislao furono : Neri Acciaioli, eletto nel 21 mag-
gio 1391 milite balio è vicario regio nel principato di Acaia e nella
città di Metaponto (Barone, op. cit. pg. 507) ; Alessio degli Al-
bizzi (Arch. di Stato di Napoli, Reg. Ang., n. 363, e. 66 e 67) ;
Antonio di Giovanni de' Medici (A. S. F., Diplomatico 16 agosto 1388);
Averardo dei Torncquinct, Gabriele de' Brunelleschi, Luca Pecchia, ecc. (Ar-
chivio di stato napoletano, Reg. Ang., n. 364 ce. 90 e 104; n. 366
e. 125).
46
Ma a rendere sempre migliore la condizione di Ladislao, contri-
buirono, oltre a questi e ad altri coefficienti esterni che verremo
via via notando, anche una ragione inerente allo stato interno
del Regno: il cattivo governo cioè degli angioini. Il popolo napo-
letano aveva sin da Luglio dell'S? sperato invano la pace, e i nuo-
vi dominatori più che mitigare i metodi vessatori con cui si so-
levano riscuotere le gabelle, li avevano inaspriti, e si erano per
sopraggiunta immischiati in tutto ciò che nel governo della città
era di competenza speciale dei Seggi e dell'Università napole-
tana i. Molte speranze si erano fondate sulla venuta del re Luigi,
invano sollecitata fino all'Agosto del 1390 ; ma anche questa non
fu causa che di molto scarsi risultati 2. Il sire di Mongiò, privato
del suo ufficio di governatore, fu infatti elevato ad una carica
non meno ambita ed efficace : a quella di gran giustiziere. I ma-
lumori in tal modo, lungi dall' attenuarsi, ebbero materia di nuo-
vo inasprimento. Le genti d'arme, che non avevano ancora tra-
dito la parte, continuarono a restare inoperose e, per procacciarsi
1 viveri, erano costrette a ricorrere al saccheggio e alla rapina.
Le condizioni del Regno durante questo sciagurato periodo ci ven-
gono giustamente descritte dagli storici coi colori più tetri 2.
Era dovunque sentito il bisogno di una mano energica e di una
mente pronta e sagace per rimediare a tanti mali. Luigi II, de-
bole e inetto, che, come dice Angelo Di Costanzo, sembrava più
adatto a coltivare gli studi che a cingere la spada, non era teni-
pra adatta per ciò *. Timido, privo d' iniziativa, egli volle tener
^ Vedi Chronicom siculum, pag. 99, ove son ricordate le proteste
sollevate dall'università napoletana contro il cattivo governo angioino.
* Per costringere Luigi a non dilazionare più oltre la sua partenza
d'Avignone, ov'era stato incoronato sin dall'Ottobre 1389, furono dai
napoletani inviate numerose ambasciate, coll'ultima delle quali fu ad-
dirittura imposto un termine, oltre il quale i baroni di parte angioina
non si sentivano in grado di garentire la propria fedeltà (Chronicum Si-
culum, pg. 87). Finalmenie il 13 Agosto dell'anno successivo , scortato
da 14 galee, 11 navi e 12 brigantini, Luigi giunse in Napoli. Per gli
onori con cui fu ricevuto, cfr : Chronicon Siculum, pg. 95 ; Diurnali,
pg. 39.
» Cfr. Bianchini, Storia delle finanze di Napoli, Napoli, 1834, voi. I.
pg. 328-9.
* Angelo di Costanzo, op. cit., voi III, pg. 6.
— 47 —
lontana da sé l'avversa fortuna toccata al padre, e, rinchiusosi in
Gastelnuovo, riserbandosi la difesa della capitale, lasciò che i con-
ti ei baroni, nel resto del Regno, operassero invece sua. Più che
contro un centro di forze coordinate e tendenti a un unico fine,
Ladislao si trovava quindi di fronte ad altrettanti nuclei di ri-
belli, comandati da taluni dei ricchi feudatari, di fede molto dub-
bia e pronti a sacrificare al proprio l'interesse del loro signore.
Questa speciale situazione fu da Ladislao opportunamente sfrut-
_ tata ; e dove la forza delle armi non era sufficiente, contribuì a
B: far raggiungere senza grandi difficoltà insperati vantaggi.
B, Una spedizione che avrebbe potuto risolversi in una grave
Hjksconfitta per Ladislao e che invece terminò senza suo grande dan-
^Bbo, fu quella compiutasi nell'aprile del 1392 contro i Sanseverino.
^H)opo aver combattuto felicemente a Montecorvino, i durazzesi,
assaliti improvvisamente presso Ascoli, mentre s'inoltravano nella
Puglia, furono dispersi e i loro condottieri. Ottone ed Alberico,
fatti prigionieri 1. La sorte avversa toccata ai due valorosi capi-
tani fece palpitare di gioia l'angioino; ma per breve durata,
giacché i baroni nelle cui mani erano caduti i due condottieri,
senza punto preoccuparsi di Luigi, vendettero ai prigionieri la
libertà, mentre Benedetto Acciaioli, a capo di nuove bande du-
razzesi, vendicava nella stessa Puglia la patita sconfitta ^.
* Annales foroliv. in R. I. S. XXII, e. 198; Chronicon Siculiun, pg. 105;
Diunarli, pg. 42-3. Alberico di Barbiano dal maggio 1386, nel qual
tempo era tornato dall'Ungheria, aveva continuato a combattere sotto
le insegne di Ladislao (Chronicon Siculum, pg. 58, 62, 67 e passim.).
* Secondo l' autore del Chronicon Siculum, Alberico fu catturato su-
bito dopo il fatto di Montecorvino, cioè nell'Aprile o nel Maggio del
1392. Sembra però che la sua cattura fu compiuta verso la fine dell'anno.
Ricavo ciò da una lettera colla quale Ladislao, l'S gennaio del 1401,
concede a Benedetto Acciaioli la terra di Cerignola, per i meriti che
si era acquistati, liberando la Puglia « ab hostibus nostris », « olim jam
sunt anni elapsi octo vel circa, tempore scilicet quo vir magniflcus Al-
bericus de Barbiano, comes Cunii, magnus conestabilis regni Sicilie, in
partibus Apulee, una cum certis aliis nostri fidelibus et gentibus armi-
geris, captus fuit per certos nostros emulos et rebelles (Archivio di
stato Napoletano, reg. ang., n. 364, e. 185). La libertà fu venduta ad
Ottone mediante la cessione del territorio di Acerra a Raimondo Or-
sini conte di Lecce e il pagamento di 28.000 fiorini. Ad Alberico me-
— 48 —
Ladislao del resto con gesto ben atto a rilevare di fronte all'av-
versario la sua superiorità e a conciliarsi la simpatia dei sudditi,
si ripromise nel Novembre del 1392 di mettersi personalmente a
capo dei suoi eserciti i.
Nel marzo seguente i baroni, i conti a lui fedeli, si raccolsero
perciò a Capua, con tutte le loro genti, per farne mostra e conse-
gna al giovane re ^. Esempio unico per quei tempi, Ladislao riu-
sci in tal modo a formare un grande esercito nazionale. Tutti gli
uomini atti alle armi, dimoranti nei paesi ch'egli via via si as-
soggettava, venivano da lui arruolati e condotti a nuove con-
quiste^. Questo fatto insieme al valore ch'egli seppe spiegare
nei campi di battaglia valsero a procurargli non solo la devozio-
diante il pagamento di 30,000 fiorini e la promessa di non impugnare
le armi per il tempo di 10 anni contro i Sanseverino. (Cfr. Ricotti,
Storia delle compagnie di ventura tn Italia, Torino, 1845, voi. II, pg. 204;
nota n. 1).
1 Ne fìdeles nostri — scrisse LadzsZao il 30 novembre 1392 ad Anselmo
Bergec, suo viceregente, a Giovanni Acitillo, uomo d'armi e a Baldassarre
Caprese, maestro ostiario — graviora dapna defleant et turbo vehemens
ipsos asperius conquassent, dlsposuimus, deo previo, sub cuius favorem
justam causam prosequamur, persone nostre, quam plusquam singula
cara liceant, quoquomodo non parcere ac estim sudores et jemalis algores
aut quorumcumque laborum sponte ferendo pondera, ipsos fideles nostros,
ab omnis pertubacionis tedio, relevare. E li invita a raccogliere quante più
genti d'arme fosse possibile e di condurle poscia nei piani di Capua ove
sarebbero state sottoposte a rassegna {Registri Angioini, n. 363, e. 76).
2 Ladislao parti da Gaeta e si recò a Capua per assumere il comando
dell'esercito, nel Luglio 1393, quando avea poco più di 16 anni. L'autore
dei Diurnali racconta che la madre, affidando ai capitani il giovane re,
disse ; « signori sappiate che ve assigno e donove in mano ad vostra peti-J
clone l'alma, lo spirito et la speranza et tucto lo tesoro palese e segreto
mio (pag. 44) ».
a Re Lansalao, dice l'autore dei Diurnali (pg. 46), mandò coman-
damento ad Sexa, a la Rocca, ad Tiano, ad Capua, ad Aversc et ad
tucte le terre de sua majesta, che ogni homo che fosse de Napole, che,
dovesse seguitare in campo loro signore re Lansalao et chi non ce an»j
dava era in pena de tucto lo suo. La circolare cui accenna il cronista
è quella forse pubblicala dal Barone (op. cit. pg. 730) sotto forma j
di regesto.
— 49 —
ne dei sudditi ma anche 1' ammirazione degli altri principi d' I-
taliai.
Lasciato alla madre il vicariato di Gaeta ^ egli si recò dappri-
ma ad Aversa, che riuscì a prendere dopo disperato combatti-
mento^, e poi a Nocera e a Salerno, fugando anche da questa
città i fautori dell' avversario *. Nel 1394, dopo un vano tenta-
tivo contro la capitale si recò a Roma, per liberare il papa dalla
sommossa dei Banderesi. Raccontano i cronisti che se Bonifacio
fu salvo, ciò avvenne per il timore che nell'animo dei ribelli pro-
dusse la presenza in Roma di Ladislao^. Questo rapido ed effi-
cace intervento fruttò al giovane re altri sussidi sia in armi che
in danaro, coi quali, tornato nel Regno, potette infliggere al du-
ca di Venosa, che spadroneggiava in Basilicata, una seria scon-
fìtta, e dirigersi contro Aquila, la città che, dopo Napoli, era il
principale baluardo della resistenza angioina. Ma l'imponente
esercito di cui ormai Ladislao disponeva, la mancanza di soccorsi
da parte di Luigi, indussero gli aquilani ad aprire le porte della
città, ed inalberare sul castello la bandiera durazzese ^.
1 Dice Angelo di Costanzo (op. cit., voi. II, pag. 155) che Ladi-
slao « con la fama del valor della persona cominciò a ponere più spa-
vento a' nemici, che con le forze dello stato ». Vedi anche Ammirato,
Vita di re Ladislao, pg. 115-16.
* Archivio di Stato Napolatano, Registri angioini, n. 363, e. 173.
3 Chronicon Siculum, pg. 113 ; Diurnali, pg. 45-6.
* Chronicon Siculum, pg. 114.
* « Et infra questo mese, dice V autore dei Diurnali (pg. 45-6), re
Lansalao si fa forte per mare e per terra » Da Roma egli tornò, se-
condo la testimonianza del medesimo autore, con ricchi doni, fattigli
dal papa e dai cardinali e specialmente dal cardinal di Firenze. Ved.
anche : Sozomeno, op. e loc. cit., 1157 — S. Antonino, op. cit III, 22
cap. 3.
" A. S. F. Signori, Carteggio, Missive, reg. XXIV, e. 154 (Lettera con-
gratulatoria dei fiorentini del 3 settembre 1395). La presa di Aquila
non fu però definitiva. Non andò guari che gli aquilani, ribellatisi nuo-
vamente, mentre Ladislao attendeva alla conquista della Calabria, fe-
cero strage dei durazzesi. Aquila rimase l'ultimo baluardo angioino nel
Regno, essendo stata definitivamente sottomessa solo nell' aprile 1401
(ved. nuova lettera congratulatoria dei fiorentini a Ladislao del 6 mag-
gio 1401, in Signori, Carteggio, Missive, reg. XXV, e. 39). Ladislao,
pochi mesi dopo la definitiva conquista, investì del capitanato di Aquila,
Anno XLV. 4
50 —
Lo scioglimento della lega franco-viscontea fu una vittoria
indiscutibile della diplomazia fiorentina. Ma al Visconti non erano
sfuggite le arti sagaci con cui i fiorentini erano riusciti ad attra-
versargli il cammino. Era perciò necessario che Firenze si tenesse
bene in guardia e si procacciasse alleati (ed alleati potenti) per
controbilanciare le forze, contro le quali presto o tardi avrebbe
dovuto impugnare le armi. Il nome del re di Francia tornò allora
con maggiore insistenza ad esser pronunziato nei consigli del Co-
mune. Ripugnava però sempre, non meno che negli anni prece-
denti agli oligarchi fiorentini, il pensiero di dover sottostare alle
eccessive pretese di Francia. Perciò come anche per evitare ri-
mostranze da parte di Bonifacio e di Ladislao, pensarono d'inta-
volare trattative d'alleanza con Sigismondo d'Ungheria. Il ten-
tativo fu sollecitato da alcuni oratori inviati a Firenze dai ba-
roni ungheresi, i quali, dietro la morte della regina Maria, ave-
vano affacciato l'idea d'offrire a Sigismondo la mano di Giovan-
na, sorella di La dislao. Laproposta fu accolta con entusiasmo, e
con speranza di poterla mettere in esecuzione senza urtare per-
ciò il re di Francia, che con Sigismondo era in relazione d'amici-
zia i. Palmieri Altoviti e Onofrio Arnolfi furono per questo in-
viati a Roma. Oltre ad esortare il papa a tenere nel Patrimonio nel
ducato e nella Marca un cardinale energico ed attivo, per evitare
che i suoi sudditi passassero ad altri signori, essi ebbero per com-
pito di ricordare al medesimo « che una di quelle cose che darebbe
grandezza e stato alla Chiesa e alla sua Santità, sarebbe che il
Regno di Sicilia avesse riposo e venisse nelle mani e obbedientia
del re Ladislao, suo figliuolo, et uno dei modi a fare questo sareb-
be che madama Giovanna sirocchia del detto re si desse per sposa
al re d'Ungheria, di che seguirebbe che il regno d'Ungheria rimar-
rebbe pure nella reale schiatta di Puglia ; et il re Ladislao collo
aiuto e forza degli Ungheri, riacquisterebbe il Regno di Sicilia, e
un fiorentino : Andrea dei Vettori (Signori, Carteggio etc, reg. cit. e. 35,
lettera dell'S settembre).
^ A. S. F., Consulte (10 settembre 1395).
]
— 51
ridurrebbelo alla sua obendientia ^ ». Era la solita speranza di
veder uniti in un comune accordo, e magari sotto un unico scet-
tro i regni di Napoli e d'Ungheria, unione alla quale, come sap-
piamo, i fiorentini avevano altra volta indirizzato la loro attività.
Quasi contemporaneamente partirono anche ambasciatori a
Sigismondo per chiederlo d'alleanza ed esortarlo a contrarre il
matrimonio colla figlia di Carlo « donna bellissima et gratiosa
et nata per padre et per madre di reale schiatta n^.
Un'altra ragione che stimolava i fiorentini a combinare que-
sto matrimonio dipendeva dalle voci correnti, secondo le quali
Ladislao era in procinto d'allearsi col duca di Baviera. Questa
alleanza non avrebbe incontrato la loro simpatia, essendo noto
che la rivalità, dapprima esistente tra il duca di Baviera e il Vi-
sconti, s'era mutata in intima amicizia^.
Gli oratori, cosi da Roma come dall' oriente, ritornarono però
senza aver nulla conchiuso. Sembra che l'ostacolo principale si
fosse incontrato in Sigismondo, il quale più che contro il Vi-
sconti, era acceso d'inestinguibile sdegno contro i durazzesi.
La corte francese rimaneva ancora 1' unico, inevitabile rifu-
gio *.
Tuttavia il 18 Maggio 1396 fu stipulato in Firenze un accordo
tra il Comune e ilVisconti, nel quale, dopo le reciproche promesse
di lealtà, veniva contemplato il caso in cui un principe straniero
fosse sceso in Italia contro una delle parti. Il compromesso sta-
biliva in tal caso che tutti gli alleati dovessero correre in
aiuto del minacciato^.
Tutto ciò serve sempre più a dimostrarci lo scarso entusiasmo
che i fiorentini nutrivano per 1' alleanza col re di Francia ; e la
dura necessità che li costringeva, loro malgrado, a cercare al di-
fuori d' Italia, l'aiuto necessario. L' esito però dei negoziati pre-
' Ved. Appendice di docc. n. 28.
- A. S. F., X di Balia, Commissioni etc, reg. 2, e. 23.
' G. Romano, G. Galeazzo Visconti e gli eredi di Benabò, Ice. cit., pgg.
291 sgg.
* D. Filippus Corsinis dixit : et quod cum diligentia manuteneaUir
benivolentia regis Francie per omnem modum (Consulta del 26 novem-
bre 1395)
* Intorno a questo trattato cfr : Jarry, Les origines etc, pg. 29C-7
— 52 —
cedenti faceva nutrire poche speranze anche per quest' ultimo
patto. I fiorentini l'avevano concluso senza farsi troppe illusioni
e senza richiamare perciò i loro oratori da Parigi. Da parte sua il
Visconti, come chiaramente dimostra il suo successivo contegno,
aveva avuto di mira più che la pace, il tentativo d'intorbidare le
relazioni, divenute amichevoli, di Firenze col re di Francia. Egli
infatti continuò a prestare il suo appoggio, anche armato, ai
fuorusciti fiorentini che tramavano contro il governo dell'oli-
garchia ; non si preoccupò della promessa fatta di cedere i ca-
stelli che aveva occupato in Toscana e nella Romagna ; e, lungii
dal decimare, accrebbe il numero degli armati che aveva ai suo^
stipendi ^. Pur tuttavia, persino nel Luglio, l'intenzione dei fio-
rentini era d'evitare laguerra, e dirichiamare il Visconti all'osser-
vanza dei patti. A questo scopo cercarono di persuadere ilucchesi,i
il cui territorio era continuamente molestato dalle genti viscon-|
tee, a pazientare, fino a che ogni speranza nel vigore dei patti, noni
fosse del tutto svanita 2. Ma quando l' Appaiono, amico del)
Visconti e da lui sobillato, manifestò apertamente la sua inten-j
zione di volere invadere il territorio del Comune, quando Gian]
Galeazzo,valendosi appunto del compromesso firmato nel Maggio,|
cercava di far insinuare nell'animo del re di Francia la diffìdenzì
contro l'odiata Firenze, ogni riluttanza fu bandita, gli oratori fio-
rentini, dimoranti a Parigi, ebbero subito il mandato di affrettare
col re di Francia le trattative e stabilire con lui i patti dell'allean-
za ^. Invano il Visconti, valendosi delle sue alte aderenze nelh
corte parigina tornò nuovamente a divulgare false notizie circi
l'azione degli oligarchi nel Regno di Napoli *; le sue mene que-j
sta volta trovarono un insormontabile ostacolo nella rete di lu-
singhe e di accordi ordita dagli oratori fiorentini.
L'opera loro era stata facilitata dalla regina Elisabetta, il cui
odio contro il signore di Milano era sempre vivo.
» Consulte del Giugno e Luglio 1396. X di Balia, Commissioni, reg.j
2, e. 23.
* Ivi, Consulta del 21 luglio.
' Ivi, Consulte del 2 e del 5 Agosto; X di Balia, Commissioni etc,
reg. 2, ce. 48, 49, 50, 52.
* Ved: Append. di docc. n. 30.
53 —
A differenza di quanto era successo negli anni precedenti ave-
vano per questo avviato le pratiche verso una conclusione ra-
pida e dignitosa. Le prime condizioni, proposte da re Carlo, non
furono più oltre ri presentate. Il 29 settembre 1396 tutto era com-
piuto. Firenze con grande entusiasmo e soddisfazione riuscì a fir-
mare i capitoli dell'alleanza anche a nome dei suoi alleati i.
La notizia dell'alleanza franco-fiorentina, divenuta presto di
pubblico dominio, destò dovunque e specialmente a Roma, a
Gaeta e a Venezia grandi preoccupazioni. I veneziani, rimasti
fedeli alla curia romana, temevano che i francesi avessero tro-
vato nell'oligarchia fiorentina il consenso e l'appoggio per attua-
re la loro impresa in Italia. Questi sospetti, comuni in tutti i se-
guaci di Bonifacio, tennero per un momento gli animi sospesi ed
agitati. Ma Firenze si afi"rettò a giustificare in quasi tutte le corti
d'Italia la sua condotta, e ad annunziare « nella detta lega espres-
samente si contiene non essere né volere essere i fiorentini obbli-
gati a fare alcuna cosa contro alla sancta Chiesa, ne contro al pa-
pa, né contro ad alcuno disceso di Carlo conte d'Angiò e poi re di
Sicilia che é il re Ladislao, si che è tutto il contrario di quello che
per gli malivoli si va seminando ». Se colpa si volesse riscontrare
in quest'aver cercato oltr*alpi la forza necessaria pel salvaguar-
dare i proprii interessi, questa doversi tutta riversare sul duca di
Milano, il quale aveva con ogni mezzo cercato e cercava tuttavia
d'inimicare ai fiorentini i reali di Francia 2. Noi — dicono i
Signori a uno dei numerosi oratori inviati, a più riprese, presso
Bonifacio — abbiamo avuto cara la lega più per apparenza che per
cxistentia ^. E più tardi, quando fu manifesto come il re di
Francia cercava d'eludere quella parte del trattato che l'obbli-
gava a scendere in campo contro il Visconti, i medesimi oligarchi
^ Per più ampie notizie intomo a quest'alleanza, ved. l'opera ci-
tata del Jarry, Les origines etc, pg« 191 sgg.
' Ved. informazione agli oratori inviati a Venezia : Niccolò da liz-
zano e Antonio da Lapaccio (A. S. F., X di Balia, Commissioni etc,
reg. 2, e. 82 r).
^ Ved. Informazione a Leonardo Frescobaldi (Ivi, reg. cit., e. 70).
Sempre per l'identico scopo Firenze inviò oratori al papa anche il 13
luglio 1397 (Ivi, Signori, Legazioni, Conunissioni e lettere d'oratori, reg. I,
e. 89 r.).
— 54 —
incaricarono gli oratori, residenti a Roma, a ricordare al papa e a
Ladislao « dalla detta lega di Francia, non bisogna ne faccino sti-
ma, sì perchè tosto finisce, si perchè, noi per quella lega non ab-
biamo a fare né contro al papa né contro al re, si perchè siamo di-
sposti vivere e morire taliani et lasciare andare Francia et ogni
altro per conservatione di questo i».
Ladislao del resto non ebbe che a giovarsi del nuovo orienta-
mento della politica viscontea, seguito al trattato di Parigi 2.
Gian Galeazzo che, come sappiamo, era sempre stato francesiz-
zante in politica e fautore nel Regno della causa angioina, trovò
da allora in poi il suo tornaconto a rivolgersi verso quel gruppo
di forze che faceva capo a Bonifacio e che mirava a neutralizzare
le ambizioni dei francesi in Italia^. Sin da quando si erano ma-
nifestate le prime gelosie, così abilmente fomentate dai fiorentini e
che avevano avuto per effetto lo scioglimento della sua lega col
re di Francia, egli aveva cominciato a dar segni manifesti del nuo-
vo orientamento. Nell'ottobre 1394, quando le prime vittorie di
Ladislao gli avevano fatto chiaramente intravedere lo stato
vero degli avvenimenti napoletani, egli, pieno d'ammirazione,
non meno che gli altri principi e popoli d'Italia, per la giovanile
audacia di cui il figlio di Carlo dava visibile prova, gli aveva in-
viati doni ricchi ed augurali *. Di poi, alla vigilia possiamo dire
del trattato franco-fiorentino, promise al giovine re di aiutarlo
nella conquista del Regno, in cambio di una benevola accondi-
scendenza verso l'impresa ch'egli intendeva compiere contro gli
aragonesi di Sicilia ^Nessun documento ci attesta se G. Gaelazzo
» Ivi, Signori, Legazioni, etc, reg. Ili, e. 17 v.o (lettera agli ora-
tori fiorentini dimoranti a Roma)
2 Filippo Corsini nella consulta del 19 gennaio 1397 aveva perciò
insistito « quod pape et Ladislao responsio fiat declarando ecxeptio-
nes lige.»
3 G. Romano, / Visconti e la Sicilia, pg. 33-4.
* « E in questo dì (26 dicembre 1394), dice l' autore dei Diurnali
« (pag. 45) lo duca di Milano manda a re Lansalao uno bello presente
« d'arme per una persona et per altri ; per lui manda una bella co-
« racza coperta di panno d'oro et una altra scoperta ; panzere d'azaro,
« una dozana di chianetti et dui quarnimenti d'argento molto reale, et
« vennero a lo bisogno. »
* G. Romano, / Visconti e la Sicilia, pg. 35-6.
— 55 —
abbia oppur no mantenuta la promessa, ma il solo fatto dell'aver
egli rotto ogni relazione amichevole coll'angioino, legato agli
aragonesi di Sicilia di vincoli sia di sangue che d'interesse, era
già un aiuto di non lieve portata. E cosi, mentre i legami dell'al-
leanza franco-viscontea si rallentavano e si gettavano le basi
di quella franco-fiorentina, G. Galeazzo, senza contrarre alcuna
alleanza, era costretto dalla forza stessa degli eventi a schie-
rarsi palesemente contro i suoi vecchi alleati.
I fiorentini però, sebbene soddisfatti della piega che avevano
assunta gli avvenimenti del Regno, non potevano tuttavia guar-
dare con occhio tranquillo alle nuove relazioni di Ladislao. Nel
giro di pochi anni le cose erano radicalmente cambiate e ciò che
precedentemente avevano con ardore patrocinato, cercano ora
con eguale impegno d'impedire. Avvertiti perciò eh' erano in vi-
sta delle pratiche di matrimonio tra la sorella di Ladislao e Gio van
Maria Visconti, si adoperarono presso il papa in senso ostile ^ ;
e, conosciuti gli accordi stabilitisi tra Ladislao e G. Galeazzo in-
torno all'asilo nei porti del Regno alle navi viscontee, dirette ver-
so la Sicilia, si proposero di far comprendere al giovane re quan-
to fosse imprudente contrarre degli impegni con chi ambiva di-
venire padrone d' Italia tutta 2. Desiderosi di raggiungere l' in-
tento, non rifuggirono da una specie di ricatto : siccome infatti
Ladislao aveva di recente chiesto loro un mutuo, promisero pur
nelle disagiate condizioni finanziarie in cui versavano e senza far-
si scrupolo della neutralità più volte giurata, di insinuare nell'ani-
mo del re «quod cum papa fiet ita quod habebit intentionem
suam », se egli però non si fosse prestato a concedere asilo alle
navi viscontea
Se a questa promessa fossero corrisposti i fatti, si sarebbe ri-
petuto ciò che era avvenuto durante la lotta tra Luigi I d'Angiò
e Carlo III di Durazzo, quando l'Acuto, a nome del papa, ma al
soldo dei fiorentini, aveva contribuito alla consolidazione dei
durazzesi *. L'ora però che Firenze attraversava non era para-
^ A. S. F., Signori Legazioni, Commissarie ctc, reg. I, e. 160.
lettera agli oratori dimoranti a Roma).
- Ivi, Consulta del 9 maggio 1396.
» Ivi, Consulta del 10 maggio 1306.
* Temple-Leader-Marcotti, op. cit. pg. 141-3.
— 56 —
gonabile a quella della prima discesa angioina; e ogni passo inav-
veduto, ogni atto che avesse potuto far nascere dei sospetti, po-
teva avere le più gravi conseguenze. Ladislao inoltre, come di-
mostra il suo crescente attaccamento alla corte pavese, non si
curò delle pressioni fiorentine, e permise alle navi viscontee di
molestare la Sicilia dai porti occidentali del Regno. Abbiamo
quindi ogni ragione di credere che il mutuo non fu mai effet-
tuato.
Ai fatti del Regno i fiorentini avevano del resto provve-
duto, e non senza premeditato consenso, negli stessi capitoli del
trattato di Parigi. CoH'escludere infatti dal numero dei comuni
nemici, contro i quali era stata stipulata l'alleanza, qualsiasi di-
scendente di Carlo I d' Angiò, gli alleati s'impegnavano a non
impacciarsi più oltre della contesa esistente tra durazzeschi e an-
gioini ^. Sia Luigi che Ladislao rimanevano così privati di ogni
soccorso che poteva loro pervenire dalla Francia o dai fiorentini;
ma, mentre per il primo questo fatto costituiva la remozione della
sorgente di rifornimento che sino a quel momento era stata una
delle principali, per non dir l'unica delle sue risorse, per l'altro
invece non rappresentava che la continuazione di una politica
neutrale che da più di un lustro Firenze aveva dovuto adotta-
re 2. Né i contraenti ebbero in seguito occasione di farsi la
1 I capitoli della lega franco-fiorentina sono pubblicati dal Lunig,
Codex dìplomatieus Italiae, Francoforte, 1725, t. I, col. 1103-1112.
2 Osserva il Collino, La preparazione della guerra veneto -viscontea con-
tro i Carraresi, pg. 30, etc, che Carlo VI di Francia ebbe poco entu-
siasmo per l'impresa di Luigi II d'Angiò nel Regno. L'osservazione non
mi sembra però confermata dai documenti. Luigi II infatti, date le sue
tristi condizioni finanziarie, non potette recarsi in Italia, né spedire le
sue truppe, se non dopo aver ricevuto dal re di Francia 300.000 fio-
rini, che uniti al denaro che aveva ricavato dall'università de' proven-
zali, dal ducato d'Angiò e dal re d'Aragona, gli procurarono quei pochi
successi che seguirono alla sua entrata nel regno. Noti sono anche i
tentativi fatti da Carlo VI per acquistare a Luigi l'appoggio dei ba-
roni napoleiani, del conte di Virtù, del Comune di Genova e di Pisa
(Cronicon Siculum, pg. 85-6), per impedire il matrimonio di Costanza
Chiaramonte con Ladislao {Diurnali, pg. 37; Cronicon Siculum, pg. 87 e
note del De Blasiis) e per impedire, come abbiamo visto, che Firenze
uscisse dalla promessa neutralità. E' vero peraltro che negli anni corsi
tra il 1390 e la stipulazione della lega franco-fiorentina, il re di Fran_
I
— 57 —
minima rimostranza sulla violazione di questa parte del com-
promesso. Solo nel Gennaio dell'anno seguente, Carlo VI, aven-
do ormai abbandonata ogni speranza nell'impresa angioina, pro-
pose agli alleati di accordare i competitori mediante l'assegna-
zione a ciascuno di loro di una parte del Regno ^. Ma a Fi-
renze il cui scopo era sempre stato di evitare ogni frazionamento
di potere nelle provincie napoletane, si oppose energicamente,
adducendo l'obbligo del completo disinteresse.
La situazione dell'angioino si andò in tal modo aggravando ;
la morte di Clemente VII (Settembre 1397) cui successe quella di
Maria di Blois (Luglio 1398) la resero insosl enibile, mentre Carlo
VI, fedele ai patti, non osò più oltre rialzarla.
Senza troppo preoccuparsi di Luigi e delle sue forze, Ladislao
continuò ora a trattare ora a combattere coi feudatari. Nel Giu-
gno del '96, assoggettò i contadi e i baronati del Molise e del
Principato ; nell'Ottobre seguente inflisse una decisiva sconfitta
al conte di Tricarico, principale signore di Basilicata, che, colto
il momento in cui Ladislao era nelle parti d'Abruzzo, era pene-
trato nel Principato, al di qua di Sorrento e aveva assediato Sa-
lerno 2. Più lunga e accanita fu la lotta che dovette sostenere
contro il conte di Caserta; Iniziata sui primi anni del '97, essa fu
troncata da una tregua nell'Aprile dell'anno successivo, tregua
cui fece seguito a pochi giorni di distanza la pace definitiva ^
Con queste vittorie, annunziate una per una alla Repubblica
fiorentina, come a colei, che, pur essendo alleata del re di Francia,
non poteva non provarne un intimo compiacimento, Ladislao riu-
cia non ebbe agio apparentemente di occuparsi del Regno, compreso
com'era dei disegni ch'aveva in animo di presto effettuare nello stato
pontifìcio ; ma non era dubbio che dall'effettuazione di questi disegni
sarebbe necessariamente derivata la disfatta di Ladislao, e questo era
sufficiente per tener desta la speranza di Luigi nell' opera del re di
Francia. Se quindi si può parlare di poco entusiasmo francese nella
seconda lotta tra durazzeschi e angioini , questo non si deve dire che
del tempo seguito alla lega franco- fiorentina.
' A. S. F., Consulta del 9 gennaio 1387 (parole di Filippo Corsini).
2 Ved. Appendice di docc, n. 29, e 31.
' Archivio di stato napoletano, Reg. Ang., d. 363, e. 5; e Rainaldi,
op. cit., 1 giugno 1398.
— 58 —
sci ad afTermare il suo incontrastato dominio sulla parte più ricca
del Regno.
Restava la capitale, ove a incoraggiare la resistenza si
era recato dalla Provenza Carlo d'Angiò, fratello di Luigi. Ma le
vittorie di Ladislao avevano ormai scossa la fiducia e la speran-
za che la fazione angioina aveva riposto nel suo signore. La pre-
senza in Napoli del sire di Mongiò, il quale, come sappiamo,
era stato insignito della carica di gran giustiziere, continuava]
ad esser mal tollerata dai baroni e specialmente dai Sanseverino.<
Re Luigi cercò di rimediare a questo malcontento spogliando il|
Mongiò delle sue alte mansioni e dandogli lo sfratto dal Regno ^.
Ma era ormai tardi. I baroni con a capo i Sanseverino, desiderosij
di por fine alle continue guerre, decisero di prestare al più forte]
il loro omaggio, e, indotto Luigi a recarsi a Taranto con una par-
te delle sue milizie, aprirono a Ladislao le porte di Napoli
La notizia fu accolta in Firenze con quel vivo entusiasmo che suc-|
cede a un'alterna vicenda tra la speranza e il timore ^ Nessuno^
^ Racconta l'autore dei Diurnali, pg. 48 che il sire di Mongiò, la-1
sciata Napoli, si recò a Gaeta ove fu onorato da Ladislao, e di là passò|
poi ai servizi del duca di Milano.
» A. S. F., Consulta del 19 luglio 1399 (reg. XXXIV, e. 2). Intorno|
al tradimento dei Sanseverino vedi Delello, op. cit., pg. 385 ; Bonin-|
CONTRO, Historia (ms. cit.) e Diurnali pg. 49-50. Angelo di Costanzo,!
sulla scorta della cronaca di Pietro Umile di Gaeta, ora smarrita, nonj
crede al tradimento dei Sanseverino, e afferma invece, che la guarni-
gione angioina, rimasta a Napoli, fu costretta a cedere perchè Albericc
di Barbiano la teneva cinta di strettissimo assedio (op. cit., voi. Ili,
pgg. 22-3. In quel tempo però Alberico di Barbiano era ai servizi delj
Visconti (F. Giorgi, op. cit., pg. 120-21). Oltre a ciò che la città!
di Napoli abbia fatto atto volontario di sottomissione a Ladislao senza!
essere ridotta ancora in condizioni disperate, risulta dalla lettera conj
cui Margherita informava i fiorentini del lieto avvenimento. (Ved. Ap-
pendice di docc. n. 32).
' Ved. Consulta cit. del 19 luglio e Guasti, Commissioni di Rinaldo
degli Albizzi, in Docc. di storia italiana, voi. I, pg. 5. Portatore della no-^
tizia fu Giovanni Orsini, il quale era già a Firenze il 19 Luglio. I Si-
gnori gli donarono un cavallo, argenterie e drappi fini, per cui fu im-j
posto ai camerlenghi della Camera di pagare 730 fiorini d'oro, 9 lire
e 16 soldi {Provvisione del 19 settembre 1399). Per l'alloggio e il vitt(
che gli furono offerti il Comune spese la somma di lire 910 e soldi 111
(Provvisione del 27 novembre).
— 59 —
scrupolo si fecero i Signori della lega col re di Francia, ancora in
vigore, ma, come fosse stata una loro vittoria, ordinarono solen-
ni funzioni religiose e imposero nuove prestanze « in subsidium
regis » ; e stabilirono di inviare a Napoli una solenne ambascia-
ta, composta d' uomini « ad gradum militie assumendi ^ » Luigi
II, accortosi del tradimento, si vide perduto e non ebbe neppure
il coraggio di tentare la rivincita. Invano i suoi amici cercarono
di accendere in lui l'ardore della difesa, affacciandogli nella men-
te le sofferenze e la costanza di Margherita e di Ladislao. Egli,
che temeva di cader vittima, come il padre, di quel fatale desti-
no, che aveva fatto credere a molli come la Puglia fosse desti-
nata a esser tomba degli angioini, partì da Taranto, dirigendosi
per mare verso la Provenza.
Presso Ischia trattò con Ladislao per la cessione di Castelnuo-
vo e la liberazione di Carlo. Sembra però che i primi negoziati
fossero falliti. A differenza di Luigi, Carlo si mantenne ancora
sulla breccia e non cedette, sebbene poca speranza di vittoria gli
arridesse, se non nel Marzo dell' anno successivo ^.
Ladislao potè cosi ora colle armi, ora colle trattative diplo-
matiche, guadagnarsi l'ubbidienza di tutti i sudditi ; e, quando
le condizioni interne dello stato glielo permisero, spingere lo
sguardo anche al di fuori dei confini che gli erano comunemente
riconosciuti.
1 Ved. Provvisione del 26 Agosto 1399; Bonaccorso Pitti, op. cit.,
pg. Ili ; P. BoNiNSEGNi, op. cit., pg. 751 ; Minerbetti, op. cit.,
col. 406.
» Angelo di Costanzo non accenna a questa eroica resistenza di Carlo;
anzi, dopo aver parlato della fuga di Luigi da Taranto, aggiunge che
Carlo, comprata la libertà per consiglio del fratello colla cessione di
Castel Nuovo, ritornò anche lui in Provenza (op. cit., voi. Ili, pg. 26). Che
però Luigi avesse abbandonato il Regno sin dal Luglio del 1399, mentre
Carlo continuava ancora a resistere, risulta dalla lettera, riportata in
appendice (n. 32) di Margherita ai capitani di Parte. La pertinace re-
sistenza di Carlo è attestata anche in una lettera di Ladislao ai Signori
del 21 marzo 1401 (appendice di docc. n. 33) ; e dalla risposta dei Si-
gnori, seguita il 6 del mese successivo. A. S. F. Signori, Carteggio, Mis-
sive, reg. XXVIII, e. 34 v.o), nella quale ultima è detto che i Fiorentini
non avevan creduto compiacersi prima della definitiva vittoria «quoniam
remanserat non parvus continue scrupulus suspicionis, Castrum Novum,
— 60 —
Oggetto sino a questo momento di tutte le cupidigie, di tutte
le ambizioni straniere, il mezzogiorno d'Italia, diventa con lui
un centro d'espansione, il punto di partenza non il termine delle
avidità dinastiche. Firenze, che sino alla fuga precipitosa dell'an-
gioino aveva guardato a Ladislao come all'oggetto delle sue cure
e della sua tutela, vede ora che è giunto il momento di richiedere
da lui, in segno di gratitudine, il valido concorso nella vicende
che travagliavano l'Italia settentrionale^. Ma due e più anni di
trattative non valsero a farle conseguire l'intento desiderato.
Essa che non ignorava i buoni rapporti esistenti tra Ladislao e
la biscia viscontea, se ne insospettì, e i sospetti si tramutarono
in vivi timori, quando, morto Gian Galeazzo, sorse inaspettata e
minacciosa per i Comuni d'Italia la potenza di Ladislao.
continua
A. Mancarella
quod adhuc valido presidio per adversarium tenebatur » e che sino a
quel momento erano stati in continua apprensione « quiduam esset illius
resistertie pertinacia paritura ».
^ A. S. F. Signori, Legazioni e Commissarie, reg. II, ce. 13, 16 (Istru-
zione agli Oratori fiorentini destinati a Bologna) ; reg- III, ce. 13, 17 etc.
GLI STATUTI
DELL^ARTE DELLA SETA IN NAPOLI
IN RAPPORTO AL PRIVILEGIO DI GIURISDIZIONE
(da documenti inediti)
(contin. e fine: v. voL prec. pp. 157-190)
Pochi anni dopo, il 6 gennaio 1483, il re ordinò la pubblicazione
per mezzo dei trombetti e dei banditori di un altro bando in cui
si ripetevano molte cose già dette nei precedenti, specialmente
circa quanto riguardava la immunità e le franchigie concedute ^.
Si parla in esso di altri capitoli pubblicati di recente, dei quali
non mi è riuscito, però, di trovar traccia. Ma, con qualche fon-
datezza, si può argomentare che si alluda ai capitoli dati il 28
dicembre dello stesso anno 1483, che esporrò tra poco.
Questo bando pare sia stato pubblicato, più che altro, per esten-
dere le impunità e i privilegi anche ai tintori che fino a quest'epoca
non costituivano una vera e propria classe tra gli operai, secondo
se costuma fare in tucte le cita et lochi in li quali se opera, et fa dieta
Arte.
Certo, però, il provvedimento dovette esser dettato dal bisogno
di buoni maestri tintori in numero sufficiente a rispondere alle
esigenze della produzione di tessuti di seta che già cominciava
ad esser grande. Così, oltre le franchigie doganali, si ripete nel
bando la impunità conceduta non solo per tutti i delitti commessi
fuori dal regno, ma anche per quelli commessi nelFinterno, insieme
al diritto di farsi giudicare dal tribunale deir Arte e non da altro.
Dello stesso tenore, per quanto più estesi e di indole più generale,
sono i capitoli che portano la data del 28 dicembre 1483 ^.
^ « Danno et comandamento per parte del Serenìssimo et Illustrissimo
« Sig.re Rè D. Ferrando per la Divina Gratia Rè di Sicilia etc
« Datum in Castello Novo Givitatis Neapolis die VI Januarii anno
« MCGCGLXXXIII ».
^ « Capituli Acti, et conventione inìti, et firmati tra la Majestà delo
« Sig.re Rè ex una, et li Maestri et Mercatanti, quali sanno fare seta et oro
«in la Gita de Napoli Expedita fuerunt praesentia Capitula in Castello
• Novo Neapolis die XXVIII Decembris Anno D.ni MCCCCLXXXIII ».
— 62 — -
Per essi, alle franchigie già concedute, s'aggiunse il diritto di
non pagar nessuna gabella per la tintura dei drappi, per la loro
vendita o esportazione e per Tintroduzione nella città di tutte le
cose necessarie al buon andamento delFArte, come colori, attrezzi
etc, che fosse necessario far venire dalla Calabria o da altri paesi
del regno, o dall'estero. E si estesero la impunità e i diritti di
giurisdizione privilegiata anche ai maestri tintori.
Di questo documento, che non contiene se non la ripetizione
di quanto si era già detto, possiamo spiegarci l'esistenza con l'ipo-
tesi che i maestri dell'Arte ne avessero preteso la redazione per
richiamare in vigore qualcuno dei privilegi o delle concessioni
ottenute, e, di più, per estendere ?nche ai tintori i benefici con-
tenuti nei precedenti capitoli.
In tal caso mi par logico pensare che la data apposta in calce
non sia esatta, o che, almeno, non sia esatta quella del bando
innanzi esaminato (6 gennaio 1483) che dovette forse essere po-
steriore a questo e portar la data del 6 gennaio 1484.
.*♦
Di genere affatto diverso è un documento che contiene un or-
dine del re ai Consoli dell'Arte della Seta, Giacomo Siaca, Giovan
Martino de Gruttis e Gregorio Ratto ^
Il genovese Giacomo Palumbo, stando al servizio di quel Gabrie-
le Brancati di cui più volte abbiamo trovato menzione, rubò in
varie volte al padrone una quantità di seta lavorata pel valore di
trenta ducati. Condannato per questo furto dal tribunale della
Arte, indennizzò il Brancati del danno che gli aveva arrecato.
Ottenuto quindi in tal modo il consenso della parte lesa, ricorse al
re per ottenere che, anzi che lasciarlo languire in prigione, lo si
ammettesse dai Consoli dell'Arte alla composizione quale, per le
leggi del tempo, era consentita pei furti detti domestici.
Questo, e forse l'interessamento di qualche persona influente,
provocò la detta lettera in cui il re, sotto pena di una multa di
cento once e di incorrere nella sua ira, imponeva ai Consoli della
Arte di ammettere il Palumbo ad equa composizione , tenendo
conto delle sue condizioni finanziarie non molto floride.
1 ... « Datum in Castello Novo Neapolis die XV mensis Junii
« MCCCCLXXXIV ». Ha forma di lettera.
— 63 —
Questa lettera, secondo la pratica del tempo, venne notificata
curia prò tribunali sedente ai Consoli che subito, secondo le for-
mule di rito, dovettero dichiarare di essere disposti ad obbedire
alla volontà del re.
Ho voluto riferire anche di questo documento, come di uno dei
più interessanti per lo studio della procedura di quegli anni: esso
può dare un'idea del funzionamento del tribunale delFArte e delle
forme di rito per la trattazione delle cause e notifica degli atti.
♦**
Dello stesso anno è una supplica rivolta dai Consoli al re per
chiedere un emendamento al bando del 5 ottobre 1477.
In quel bando s'era ordinato che la multa di un'oncia, in cui
incorrevano i mercanti che dessero comunque a lavorar seta a
tessitori forestieri o a gente non iscritta nel libro di matricola, e
l'altra di quattro once, comminata a quelli che pegnorassero o
vendessero drappi di seta senza il permesso dei Consoli, spettasse
per metà al fisco e per metà all'Arte.
Contro tali disposizioni si mosse protesta, adducendo che la
carica di Console dell'Arte della Seta era divenuta più onerosa
che onorifica, e che l'Arte stessa versava in tali condizioni da far
temere che presto non si sarebbe più trovato chi di essa volesse
occuparsi. Si chiese quindi al re che rinunciasse in favore della
Arte e dei Consoli a quella metà degli introiti che era stata devo-
luta al fisco.
Questa nuova pretesa venne favorevolmente accolta, ed il regio
placet fu accordato il 7 settembre 1484.
Così Ferdinando compiva ancora qualche sacrificio per veder
prosperare 1' Arte che con tanta buona volontà era riuscito a
costituire.
Malgrado tutti i bandi e richiami all'ordine che abbiamo os-
osservati, la Corte della Vicaria continuava però qualche volta
ad ingerirsi delle cause in cui entravano gh uomini dell'Arte della
Seta.
A questo riguardo troviamo una lettera del conte di Policastro,
in data 22 febbraio 1486 indirizzata al Reggente della Vicaria,
nella quale, forse come delegato dal conte di Maddaloni, egli si
— 64 —
lagnava che ì capitoli e i privilegi non venivano rispettati e che
spesso si detenevano uomini appartenenti alla giurisdizione dei
tre Consoli. Così, nella specie, tra gli uomini dell'Arte era vivo mal-
contento perchè due dei loro erano stati arbitrariamente rinchiusi
nelle carceri della Vicaria, contro ogni disposizione di legge , e
specialmente contro la espressa volontà del re che la dieta Arte sia
acearezzata, et tenuta contenta, et che non li sia mancato uno pilo
de quanto per sua Majestà li è stato concesso. Conclude quindi
prospettando il male che potrebbe venire al buon andamento
deirArte se un simile abuso continuasse ad avverarsi, e dichiara
che, per ogni evento, ne sarà attribuita piena responsabilità al
Reggente.
Ed anche questa volta i giudici della Vicaria dovettero pie-
gare il capo a rimetter senz'altro i detenuti al tribunale deirArte.
***
Ma altre più gravi preoccupazioni sorsero pochi anni appressi
Alcuni malcontenti, d'accordo con i maggiorenti di qualch^
altra città, avevan cominciato a distogliere gli operai tessitori
tintori dal lavoro, per condurli ad impiantare l'Arte in una nuovi
sede.
Di ciò si lagnarono i Consoli e provocarono un bando abbastanza
vibrato che, se è esatto quanto appare, venne redattto, per ordinj
del re, da Gioviano Fontano.
La data del documento è del 5 maggio 1488 1, ma la pubbli
cazione a mezzo dei banditori e trombetti non avvenne se non
5 luglio dello stesso anno.
Ferdinando ricordò in quel bando tutto 1' interesse messo da li
per là buona riuscita dell'Arte e tutti i privilegi e grazie concedut
per favorirne lo sviluppo, e si dolse che, per il malvolere di pocl
si tentasse di diminuire il prestigio del Consolato. Per impedi]
quindi che altrove si fondassero altre sedi a detrimento di quellj
di Napoli, vietò assolutamente, sotto pena della perdita dell|
merce e di una multa di mille ducati, che si portassero altroi
attrezzi, colori, sete o altro occorrente all' industria, e che si di
^ « Banno, et Comandamento da parte delo Ill.mo, et Serenissir
« Sig. Rè D. Ferrando per la Divina Gratia, Rè di Sicilia, Hierusalem etcì
« Datum in Castello Novo Neapolìs die V mensis Maii MCGGGLXXXVIIl
« Dominus Rex mandavit mihi Jov. Fontano »
— 65 —
stogliessero gli operai dal lavoro. E poiché, naturalmente, quelli
che avevano interesse alla costituzione delle nuove sedi usavano
tutti i mezzi per tener nascosto il loro operato, il re ordinò che la
multa dei mille ducati fosse devoluta per tre quarti air Arte e per
un quarto a vantaggio di chi denunciasse tentativi di questo genere,
con ogni garanzia di segretezza per l'avvenuta delazione.
* *
Con questo bando si chiude la serie dei documenti redatti du-
rante il regno di Ferdinando I d'Aragona.
Il re cinque anni appresso moriva, dopo aver finalmente messo
sulla via della maggiore prosperità TArte della Seta che era desti-
nata a rimanere ancora per tre secoli a ricordo dell'opera da lui
svolta.
Tuttavia non bisogna dimenticare chi, insieme e forse più del
re, ebbe il merito di favorire la fondazione dell'Arte nei primi-
tempi, Antonello Petrucci, lo sventurato segretario, cui, sulla fede
di Camillo Porzio , debbono attribuirsi molte tra le maggiori
opere che resero illustri i primi due re Aragonesi. Qualche docu-
mento di quelli da me pubblicati porta la sua firma come delegato
dal re a questi affari, e non è affatto improbabile che tutto il me-
rito di questa iniziativa spetti a lui.
Con la morte di Ferdinando, però, non si chiudeva il periodo
ascensionale dell'Arte. Per fortuna il più era fatto, ed essa rimaneva
ormai saldamente costituita malgrado la noncuranza e l'abban-
dono in cui spesso la lasciarono i governi successivi.
Il suo ordinamento rimaneva quale Ferdinando l'aveva voluto,
e le garanzie accordate ai suoi uomini davano affidamento che
l'industria non sarebbe finita con la morte del re.
Certo una critica accurata potrebbe trovar qualche cosa a ridire
sull'opera di Ferdinando, ma, prima di giudicare, è necessario do-
mandarsi se era possibile, dati i tempi e il luogo, fare di meglio e
di diverso per raggiunger lo scopo, o se piuttosto l'opera di quel
re non debba considerarsi abbastanza illuminata, specialmente
in vantaggio dello sviluppo economico ed industriale del Regno.
♦♦♦
Interessante per la conoscenza della pratica giudiziaria è una pro-
visione della Sommaria 1, intesa a far rispettare ancora una volta
' « Provisio facta in Regia Camera Summariae... Datum Neapoli
Armo LXV. 5
— 66 —
il privilegio del mero e misto imperio cum gladii potestate et super
cognitione quarumvis causarum , in forza della quale, accoglien-
dosi un ricorso dei Consoli, si accordava agli uomini deirArte della
Seta una facilitazione di non poca importanza.
Accadeva spesso, come ho già rilevato, che uomini cui spettasse
di venir giudicati dal tribunale speciale deirArte, per isbaglio, o
perchè colti in flagrante quando si trattasse di cause penali, o
perchè convenuti da altre persone cui non interessava rispettare
i privilegi di giurisdizione quando invece si trattasse di cause ci-
vili, venissero chiamati a rispondere innanzi ai tribunali ordinari e
magari innanzi ad altri tribunali speciali.
Quando poi gFinteressati, o la stessa Arte, facendo valere i pro-
pri diritti, chiedevano V avocazione della causa al consolato, il
tribunale che doveva riconoscere la propria incompetenza faceva
carico all'imputato o al convenuto, prima di rimetterlo ai suoi giu-
dici, delle spese della procedura di rinvio, che spesso erano tali
da non poter venir pagate da chi non fosse in condizione di agia-
tezza.
Per eliminare questo inconveniente , la provvisione della Som-
maria dispose che, per il trasferimento, fosse sufficiente la presen-
tazione di un semplice bolletino deir Arte della Seta con Tannota-
zione delle generalità dell' interessato, invece delle lettere signi-
ficatoriali, e di tutte le altre formalità procedurali che prima in-
tralciavano la pratica 1.
In calce a questo documento trovo segnata la data e la relata
delle varie notifiche, fatte tutte un anno dopo, cioè TU aprile -
1495, alla Camera della Sommaria, alla Regia Dogana e alla Corte
della Vicaria.
«die III mensis Martii Anno D.ni MCCCCXCIV Regnorum nostrorum:
« scilicet Frane, duodeeimo Hierusalem, et Siciliae vero primo ».
* ... « Quadere dieta Camera et Commissarius annuentes petitioni
<i {dell' Arte) y hujusmodi intimetur idcirco Magn. Regenti, et Judicibus
« Magnae Curiae Vicariae quatenus placeat ut velint de caetero cum
« contingerit aliquem ex exercentibus Artem eandem Civitati, seu con-
«veniri prò quavis causa civili, vel criminali in eadem Magna Curia ad
«instantiam quorumcumque remittere ad Judicem, et Consules dictac;
« Artis solum ad signum bolectini fide ferentis cum annotatione nominisi
« illius Civitatis, et remittendì prout alia fieri consuevit, ut exponentes
«nostris praesentibus litteris sigillum nostrum iussimus , et fecimus^
« apponi in omnibus tamen nostro, et alieno iuribus semper salvis ».
— 67 —
Non c'è la firma del re, ma la redazione è fatta in suo nome, ed
è l'unico atto che resti all'Arte degli anni di Alfonso II.
Nessuno se ne ha del breve regno di Ferdinando II.
♦*♦
Di Federico invece ho trovato tre documenti che per se stessi
potrebbero parere di poca importanza ma che tuttavia riuscirono
di grandissimo interesse per il tribunale dell'Arte.
Il primo di essi è una copia del paragrafo riguardante gli uomini
dell'Arte della Seta e della ^Lana, contenuto nelle grazie chieste
dalla città di Napoli al re. Vi si invoca la riconferma di tutti i pri-
vilegi conceduti per il passato i.
Accordato il regio placet, e sebbene queste grazie si richiedes-
sero ormai per consuetudine a tutti i re, risultò presto chiaro tutto
il dietroscena che a prima vista non era possibile rilevare. Ne danno
esatta notizia le annotazioni che ho trovate in calce.
Dalla prima di esse risulta come il documento sia stato presen-
tato il 6 marzo 1497 innanzi alla Regia Camera in occasione di una
lite vertente tra i Consoli de l'Arte e il fisco perchè quest'ultimo,
profittando del passaggio di governo, aveva cercato di contrav-
venire alle grazie ed ai privilegi accordati. E come il fisco, anche
gli organi della giurisdizione ordinaria tentavano ogni mezzo per
surrogarsi al tribunale dell'Arte, rendendo, così, necessaria la ri-
chiesta fatta della conferma dei privilegi.
Questa necessità di stare continuamente in guardia per salvare i
propri diritti, contribuì certo a dare alla linea di condotta dell'Arte
una impronta di servilismo verso tutti i governi, che a prima vi-
sta sembra poco dignitosa. Ad ogni mutamento infatti, 1' Arte si
affrettò sempre a render omaggio al nuovo padrone, protestando
fedeltà incondizionata e chiedendo la riconferma delle grazie. Così,
nei rapidi rivolgimenti che subiron le cose del regno in quegli
anni, fu necessario chiedere il placet per evitare che il fisco da una
* ...« Item supplicano si degni Vra Maestà conflrmare, et qnus opus est
« de novo concedere alli exercitanti l'Arte dela Seta, et Lana in la cita di
« Napoli li capituli, immunità, et gratie à quilli concesse per li retro prin-
« cipi dela felice casa de Aragonia etiam de quilli quali non fussero in pos-
« sessione.
« Placet Regiae Maj esiati, prout hactenus in possessione fuerunt, quo
« vero ad ea quae in possessione non reperiuntur Regia Camera Summariae
« se informet, ut Regiae Majestati referat, et providebit opportune ».
68
parte e i tribunali ordinari dall'altra raggiungessero lo scopo di
esautorarla che valeva quanto dire provocarne la rovina.
Trovo, infatti, in un'altra annotazione del documento descritto,
essere stato necessario provocare dal re un nuovo ordine espresso
per ottenere il rinvio al tribunale dell'Arte di un tal Giuliano del-
l' Isola, arrestato per frode, furti ed altri delitti.
Del resto, in questo periodo, le controversie per la giurisdi-
zione furon continue e vive, ed occorse grande attività per riuscire
a far rispettare i privilegi.
Secondo risulta, infatti, da una lettera di Federico, data da
Pozzuoli il 21 gennaio 1501 e diretta al Luogotenente generale,
i giudici della Vicaria continuavano a seguire il vecchio sistema di
ritenere quelli che capitassero loro tra mani e di giudicarli senza
preoccuparsi delle proteste dei Consoli e degli interessati.
Anche questa volta l'Arte dovette ricorrere direttamente al re
e far richiamare all' ordine il Luogotenente e i giudici che dete-
nevano illecitamente un operaio della Seta.
Tuttavia il tenore di questa lettera è meno reciso di quello delle
altre ordinate in simili casi da Ferdinando L Vi si invita il Luo-
tenente stesso a fare una breve inchiesta e a provocare il rilascio
del detenuto qualora il Reggente non abbia in contrario potis-
sima causa.
Anche questo documento venne presentato 1' 11 febbraio nella
causa tra il fìsco e l'Arte della Seta circa la competenza del tri-
bunale speciale che, come ho detto, si tentava di ridurre e magari
di annullare. Ma questa volta la vertenza non finì bonariamente
come in passato, ai tempi del re Ferdinando, e fu trascinata, in-
vece, persino innanzi al Sacro Regio Consiglio.
Di quest'ultimo, infatti, ho trovato una deliberazione, data il
16 febbraio 1501, che riconosce la competenza del tribunale della
Arte in tutte le cause civili, e la limita, in quelle penali, alle impu-
tazioni per le quali non sia comminata la pena di morte naturale ^.
^ ...«Auditis in S. R. C. Magn. Reg. M. C. Vie. et Berardino de Mar-
ce chisiis Judice dictae curiae Artis Serici, ac visis Regiis litteris decretum
« est per dictum S. R. C. quod omnes causas criminales, de quibus venit
«imponenda aliqua poena praeter mortem naturalem, remittantur ad
a dictam Curiam Artià Serici, ubi vero venit imponenda poena mortis na-
« turalis consultetur Regia Majestatis (sic), ut inde provideri possit... »
— 69 —
Così, finalmente, le attribuzioni venivano assegnate con chia-
rezza, e si poteva sperare che in avvenire non dovessero più veri-
ficarsi quei conflitti di competenza a far sorgere i quali non sempre
era stato estraneo il malvolere dei giudici ordinari.
Tuttavia questi ultimi non avevano tutti i torti : il funziona-
mento del tribunale dell'Arte della Seta, come quello di tutti i tri-
bunali privilegiati in genere, non poteva naturalmente rispondere
ai bisogni della più retta amministrazione della giustizia poiché
molti inconvenienti dovevano verificarsi per la imperizia e per
rinteresse dei giudici improvvisati.
*%
A chi conosce bene le condizioni dell' amministrazione giudi-
ziaria in quegli anni tali cinconvenienti non faran certo mara-
viglia.
Né, d'altra parte, di tutto il male che poteva derivarne si deve
far carico al governo dei re Aragonesi. Alfonso d'Aragona, al
momento della sua incoronazione, aveva commesso un grave er-
rore concedendo a tutti i baroni il mero e misto imperio. Per questo
il governo Aragonese non ha fama di esser quello sotto il quale
la giustizia versò nelle più favorevoli condizioni. Tuttavia biso-
gna pensare che quella concessione, indubbiamente disastrosa,
segnava la necessità estrema che aveva il re, dopo tante avver-
sità e guerre, di propiziarsi l'animo dei baroni per ottenerne l'ap-
poggio. E quella necessità era ancora un triste retaggio del go-
verno angioino : quando Alfonso era salito al trono, il mero e mi-
sto imperio era già stato accordato a tanti feudatari che il suo
atto, più che una concessione, costituì una riconferma di privi-
legio.
L'opera successiva dei re Aragonesi fu tutta intesa a paraliz-
zare i dannosi effetti di quell'errore e a cercar di ravviare, se-
condo criteri più sani, la giustizia che tanto aveva sofferto (e sof-
friva ancora per le conseguenze) durante il periodo Angioino.
Cosi la costituzione dei tribunali privilegiati, per tutte le ragioni
che ho dette in principio di queste note, era necessaria perché
rappresentava 1' unica via per raggiungere lo scopo di far prospe-
rare le industrie che si volevano favorire.
Dal breve quadro che risulta dalla lettura dei documenti da me
studiati é facile riconoscere tale necessità ; poiché, malgrado tutti
i privilegi e concessioni, 1' Arte della Seta ebbe molte difficoltà da
— 70 —
superare, e senza Y assidua assistenza di Ferdinando I forse non
sarebbe riuscita a costituirsi su solida base ed a portare tanti
vantaggi alla città di Napoli ed al regno.
Con la fine del periodo Aragonese essa s*era ormai validamente
consolidata e poteva affrontare tutti gli eventi senza temere la
rovina. Tuttavia, per la conservazione di tutti i suoi privilegi, essa
tenne nel periodo delle guerre una linea di condotta per nulla in-
formata aUa riconoscenza verso la dinastia aragonese che ?aveva
creata ed aiutata con ogni mezzo. Tutti i rivolgimenti che segui-
rono poi la trovarono completamente passiva ; così che, appena
partito Federico d'Aragona, troviamo le sue proteste di fedeltà
prima al duca di Nemours e d'Armagnac, capo dell'esercito fran-
cese e vicario generale di Luigi XII, e poco appresso a Ferdinando
il Cattolico.
Del resto, anche per ben giudicare di questa condotta più o
meno leale, occorre tener conto delle esigenze dei tempi e dell'aspra
lotta che l'Arte sosteneva per la conservazione dei suoi privilegi.
VI.
Negli ultimi anni del .periodo Aragonese, come s'è visto, il con-
flitto di competenza culminò nel giudizio del Sacro Regio Consi-
glio che ho esposto innanzi ; ma non si arrestò a questo. Ne è prova
un documento del duca Lodovico di Nemours e d'Armagnac^.
I Consoli dell'Arte della Seta ricorsero a lui perchè, evidente-
mente, neanche il disposto del Sacro Regio Consiglio era riuscito
a far cessare le ostilità, e ne ottennero una lettera modellata su
quella di Ferdinando I del 6 luglio 1478.
Essa era indirizzata al Reggente e ai giudici della Vicaria,
al Doganiere, ai Credenzieri del Maggior Fondaco e della Dogana
ed agli altri ufficiali regi.
Vi si diceva esser pervenuto al Luogotenente un ricorso dei
Consoli dell'Arte della Seta e della Lana in cui si lagnavano del
poco rispetto che i sunnominati ufficiali avevano per i privilegi con-
ceduti in passato. E si ordinava perciò a tutti di compiere stret-
tamente il proprio dovere, rispettando i diritti sotto pena di in-
1 « Ludovicus Dux Nemesi Armaniatii, Giulieque comes, Chrìstianis-
« simi Domini Regis Francorum Neap. et Hierusalem, ac Ducis Mediolani
« in eodem Regno Neapolitano locumtenens generalis Datum in ca*
« stello Capuano Neapolis ultimo mensis Jannarii MDII ».
71
correre nell'ira e nella indignazione del duca oltre che nella multa
di mille ducati, quale era stata, come abbiamo visto, comminata
pure da Ferdinando I.
La lettera è redatta in latino e porta in calce la relata e la data
delle notifiche fatte a chi di ragione.
Ma essa, oltre airinteresse che può destare per il nostro studio,
ha anche un certo valore storico, poiché infatti potrebbe valere
a dimostrare una, sia pur breve, permanenza in Napoli del duca di
Nemours che, per comune opinione, com' è noto, si ritiene non
esser mai venuto in questa città.
Né, d'altra parte, é possibile dubitare della autenticità del do-
cumento che si trovava riportato anche nel primo registro della
Regia Dogana e che è dato in Castello Capuano Neapolis ultimo
mensis Januarii millesimo quingentesimo secundo. Vi sono indi-
cati tutti i titoli del duca, e si dà al re di Francia anche quello di
duca di Milano.
♦♦*
Dopo questa lettera, unica del breve periodo della dominazione
francese, trovo un paragrafo delle grazie richieste dalla cittadi-
nanza al Gran Capitano Consalvo in cui, come in quello redatto in
occasione dell'avvento al trono del re Federico d' Aragona, si chiede
la riconferma di tutti i precedenti privilegi i.
Un altro documento dello stesso tenore, in data 5 ottobre 1505,
segue a questo ; ma le grazie, invece che al Gran Capitano, sono
chieste direttamente a Ferdinando il Cattolico. Anch'esso è estratto
ex plurimis capitulis et gratiis concessis Universitati , Civibus , et
habitantibus Neapolis per Catholicam Majestatem Serenissimam
Domini Ferdinanda Dei Gratta Aragonum Siciliaeque utriusquCy
et Hierusalem reig.
Intanto però non erano finite le contese col fìsco e specialmente
con la Corte della Vicaria.
Il disposto del Sacro Regio Consiglio dell'll febbraio 1501,che
avrebbe dovuto esser definitivo, non riuscì a por termine a tutte
le controversie.
La Corte della Vicaria sperava forse nei rivolgimenti e muta-
menti di governo per far cadere in desuetudine o far abrogare i
privilegi e le concessioni di che l'Arte godeva.
* Cfr. Schifa M., Contese Sociali Napoletane nel M. E., in Arch. stor.
nap. XXXIII (1908) e cfr. pure le edizioni delle grazie concedute alla
Città di Napoli.
72
Così la contesa circa la competenza durava ancora : ne è prova
un documento del 26 settembre 1507 dal quale risulta che la ver-
tenza era finita di nuovo innanzi al Regio Consiglio che, in causa
dominorum Consulum Artis Serici Civitatis Neapolis cum Regio
Fisco, et M. C. Vicariae super petita remissione causarum crimi-
nalium, rifiutandosi di discutere nuovamente una causa già decisa,
si riportò a quanto aveva disposto ai tempi di Federico d' Ara-
gona. Nel documento, infatti, si fa menzione di quella decisione
e se ne torna a pubblicare il testo per tutti gli effetti di legge.
E da queir epoca il Sacro Regio Consiglio dovette occuparsi
assai spesso di questioni di questo genere, perchè la Gran Corte
della Vicaria, se dobbiamo prestar fede ai documenti, non si dava
per intesa delle disposizioni precedenti.
Il 6 febbraio 1511 dovette infatti ancora decidere per la escar-
cerazione di un tal Desiderio Januncolo, detenuto anche lui dalla
Vicaria.
Ma uno dei documenti più importanti per la procedura di quei
ricorsi innanzi al S. Regio Consiglio è quello del 1515, nella causa
mossa nell^interesse di un tal Simone De Rosa che era stato ar-
restato a Carinola sotto l'imputazione di un furto commesso a
Roma prima di venire ad iscriversi al libro dell'Arte della Seta.
Preso il ricorso in esame, il S. Consiglio dispose il 7 novembre
1515 che il De Rosa, a norma dei Capitoli delV Arie, dovesse venir
rilasciato a consegnato ai Consoli.
Di questo documento, redatto naturalmente in latino, venne
poi, nel 1539, fatta estrarre copia dal Consolato dell'Arte per la
esibizione in altro giudizio.
A prima vista può sembrare strano che i ricorsi dell'Arte della
Seta venissero presentati al Sacro Regio Consiglio, mentre innanzi,
e specialmente nei capitoli accordati a Francesco di Nerone, si
era detto che in grado di appello non si poteva ricorrere se non
alla Camera della Sommaria.
Tuttavia in pratica, per le cause penali riguardanti uomini
dell'Arte , questa procedura non venne mai seguita , poiché fin
dai tempi di Alfonso I la competenza della Sommaria era rimasta
limitata poco più che al solo contenzioso amministrativo per la
creazione del S. Regio Consiglio.
Quest'ultimo infatti, all'epoca di cui ci occupiamo, decideva
73
con giudizio inappellabile tutte le più gravi cause riguardanti le
persone, mentre alla Sommaria rimanevano le cause più lievi e
quelle concernenti questioni del mestiere.
Ma questa procedura, in seguito, come si vedrà, dovette anco-
ra mutare quando la competenza per la revisione di tutte le de-
cisioni del Consolato finì per spettare solamente al Sacro Regio
Consiglio, sebbene questa attribuzione discordasse, oltre che da-
gli Statuti dell'Arte della Seta, anche dalla prammatica 14 de
officio procuratoris Caesaris^, secondo la quale avrebbe dovuto
prender visione delle cause penali anche la Gran Corte della Vi-
caria e di quelle di affari d'amministrazione la Sommaria.
Questa confusione di competenze, accresciutasi, come ho detto,
nei tempi più inoltrati, e specialmente al finire del XVII e nel
XVIII secolo, che metteva la pratica forense in aperta contrad-
dizione col testo delle leggi e persino con le attribuzioni che al-
cuni organi deir amministrazione della giustizia avevano avuto fin
dair origine, del resto non maraviglierà affatto chi abbia seguito
to in qualche modo le vicende del diritto di questi secoli nelle pro-
vince napolitane.
Così, riassumendo quanto ho detto, la giurisdizione privilegiata
accordata air Arte della Seta, che avrebbe dovuto riconoscere, in
grado di appello e per ciò che riguardava i Consoli, la sola Camera
della Sommaria, riconosceva in quest'epoca anche il Sacro Regio
Consiglio, al quale ultimo, sul finire del secolo XVIII, rimase poi
il diritto di rivedere tutte le cause, di qualunque materia, esclu-
dendo definitivamente la Sommaria.
Durante il secolo XVI, dunque, la competenza rimaneva an-
cora divisa tra queste due corti supreme, e mentre il Sacro Con-
siglio si occupava di regolare i conflitti di competenza,la Sommaria
rivedeva i regolamenti interni e le questioni amministrative, ol-
tre le cause del mestiere.
L'ultimo documento, tra quelli da me studiati, in cui si parli
dell'ordinamento del Tribunale dell'Arte della Seta è infatti costi-
tuito da una nuova serie di Ordini et provisioni della Sommaria 2,
^ Prammatica a firma di don Fedro de Toledo, del 27 febbraio 1547.
^ '< Ordini et provisioni fatte per la Regia Camera dela Summaria da
« osservarse per li Mercanti Napolitani, et forastieri, et Textori dela Arte
— 74 —
da cui scaturisce specialmente chiara la procedura da osservarsi
nei giudizi di composizione.
Vi si ordina che i Consoli debbano trattare le composizioni come
tutte le altre cause, curia prò tribunali sedente, cioè con tutte le
forme di rito, e non con quella specie di giudizio in famiglia con
cui spesso regolavano le cause di minore importanza. Debbono
intervenire tutti e tre ì Consoli, o almeno due di essi purché l*as-
sente non sia quello napolitano, nel qual caso è necessario avvertire
la Sommaria.
Quanto alla sentenza, nei casi in cui due dei Consoli siano di
un parere, in discordanza dall' altro, essa dovrà sempre essere
espressione della maggioranza. E questa disposizione, che potrebbe
sembrar superflua, trovava la sua ragion d'essere nella consuetu-
dine invalsa di far prevalere il parere del Console Napolitano su
quello degli altri due.
In questi casi, come s'è detto, la competenza degli appelli, an-
che se promossi da qualcuno dei giudici, spettò alla Sommaria
che, indipendentemente da quanto si fosse deciso innanzi , emet-
teva nuovo giudicato.
Insieme ai Consoli, ogni volta che si riuniva il tribunale, doveva
esser presente il Mastro d'Atti del Consolato, cui era fatto obbligo
di tenere un registro delle composizioni, col nome delle persone,
la somma pagata e il reato commesso, e un altro per le querele
mosse dalle parti lese.
Per evitar poi che il danaro delle multe, tasse di matricola ed
altro, pagato dagli operai, andasse disperso, come qualche volta era
accaduto, si ordinò che le riscossioni d'ogni genere dovessero
farsi, oltre che alla presenza di almeno due dei consoli, con l'in-
tervento di un credenziere eletto ogni anno dai mercanti e tessitori
dell'Arte. E questo nuovo ufficiale ebbe appunto tra i suoi inca-
richi quello di tenere un registro per suo conto di tutti gli introiti,
e di firmare insieme al Console Napolitano e al Mastro d'Atti tutte
le composizioni, ricevute o altro che riguardasse le esazioni.
Eira espressamente vietato ai Consoli, anche se fossero tutti
presenti, di far grazia delle composizioni, multe etc, e solamente
« dela seta per buon reggimento, manutentione, et governatione de dieta
« Arte.... Expeditae fuerunt praesentes Ordinationes et provisiones per
« dictam Regiam Cameram auditis partibus die XVIII mensis novem-
«bris MDXXIII».
— 75 —
si concedeva loro, nelle forme già dette Innanzi, di poter condo-
nare una parte della somma.
La stessa iscrizione nel libro matricolare si doveva compiere
curia prò tribunali sedente, dopo che i Consoli avessero assunto in-
formazioi i sul conto di chi moveva istanza. E, per evitare Tin-
conveniente verificatosi assai spesse di trovare iscritte persone che
non avevano mai appartenuto all'Arte unicamente per sfuggire
alla giurisdizione dei tribunali ordinari, si ordinò pure che ogni
qual volta si iscrivesse qualcuno all'albo, i Consoli che lo avevano
accolto dovessero farne dichiarazione e apporre la propria firma
nel libro matricolare.
Si chiude così la parte di questo interessante documento che
riguarda il funzionamento del tribunale dell'Arte.
*%
Gli altri paragrafi concernono il riordinamento interno.
Ogni anno, in casa di tutti i maestri e lavoranti deF Arte, si
procedeva ad una ispezione dei telai. Per evitare le frodi, anche in
questo caso la Sommaria ordinò che al giro di ispezione parteci-
passero tutti tre i Consoli, o almeno due, secondo le norme già
enunciate nei precedenti paragrafi.
Tutti gli introiti, per multe, tasse d'iscrizione e altro, venivano
affidati al Console Napolitano, ma erano sotto il controllo diretto
dell'altro forestiero che doveva tenere un registro delle entrate e
degli esiti da consegnare a fin d'anno, per la revisione, ai Razio-
nali eletti dagli uomini dell'Arte. E se per caso, fatto il bilancio,
superasse qualche somma di denaro, essa doveva venir chiusa,
insieme ai registri, alle carte importanti, ai sigilli e alle misure
originali dei pettini, in una cassa speciale, di cui la Sommaria
aveva ordinata la costruzione, chiusa con tre diverse chiavi affi-
date rispettivamente ai tre Consoli.
I capitoli, i libri, i contratti ed altri documenti dell'Arte erano
affidati anch' essi al Console Napolitano che , però , all' atto di
lasciar la carica, doveva darne la consegna, con un completo inven-
tario, al suo successore.
Seguono quindi altre disposizioni di minore importanza come
quella per cui il Console forestiero doveva tenere il registro dei
drappi confezionati e venduti e delle sete ritirate dalla Dogana.
E finalmente, con due paragrafi intesi, l'uno ad evitare ogni con-
tesa tra i Consoli, imponendo che ogni anno, all'uscita dalla carica,
— 76 —
rendessero conto della gestione, e Taltro ad assicurare l'osservanza
delle disposizioni, comminando una pena di venticinque once ai
contravventori, si chiude questo documento.
Chiaro e completo com'è, vai bene a dare un'idea esatta del
funzionamento del Consolato nel secolo XVI.
Dal 1539 fino al 1553 segue una breve serie di documenti non
troppo importanti che contengono provvedimenti resi necessari
dalle difficoltà e dai piccoli inconvenienti che volta a volta si
manifestavano.
La prima di queste carte consiste in un ordine dei Consoli che
regola le dimensioni e la qualità dei tessuti, e specialmente di
quelli di nuovo genere, pei quali è fatto obbligo ai lavoranti e ai
maestri di venire a mettersi d'accordo sotto pena della perdita
del drappo e del pagamento di un'oncia di trenta carlini i.
Segue un'altra dello stesso tenore sulle misure dei tessuti nuovi,
in cui si impone che, nel termine di dieci giorni, debbano esser
finiti tutti i lavori fuori misura che fossero già messi a telaio 2.
E infine, tre anni dopo, un altro documento regolava i rapporti
tra maestri e garzoni. Questi ultimi, come è detto esplicitamente,
desiderando di apprendere il mestiere, si impegnavano a rimanere,
non retribuiti, per un determinato numero di anni, al servizio
dei maestri. Ma, appena trascorso qualche tempo, credendo di
essere al caso di far da sé, li piantavano in asso e andavano a la_
vorare presso altri che li retribuivano.
Da questo originavano spesso questioni e risse che i Consoli
volevano evitare.
Si ordinò quindi che ogni garzone o lavorante che agisse in tal
modo, insieme ai maestri che lo ammettessero al loro servizio
senza essersi prima informati intorno alla sua condizione, incor-
resse nella multa di un' oncia ; a meno che non avesse qualche
giusto motivo di lagnanza, nel qual caso aveva il diritto di ricor
rere al Consolato dell'Arte.
i
^ Il documento, omologato dalla Sommarla, venne pubblicato il 4 ago
sto 1539. Erano Consoli : Ferrante de Isapo, Majes Majorino e Ambrogio
Pesce ; Mastro d'Atti Andrea Cacciottolo.
2 Di carattere privato, e in relazione del precedente, quest'altro docu-
mento venne pubblicato il 18 dello stesso mese, quando, fatte le nuove
elezioni, erano stati eletti i Consoli Colangelo Cartone, Giovan Batt. Sta-
gnaro e Joannetto dell'Isola.
1
77 —
Ma un'ultima disposizione, che riguarda più specialmente lo
ordinamento giudiziario, venne pubblicata dalla Sommaria il
19 aprile 1553.
Dietro richiesta dei Consoli, infatti, gli Statuti del? Arte vennero
integrati con la disposizione che anche il Mastro d'Atti e il giudice
delegato ad assistere i Consoli nei giudizi si rinnovassero ogni
anno e fossero obbligati a render conto dell'opera loro.
È facile argomentare come avesse dato occasione a questa istan-
za dei Consoli la condotta del Mastro d' Atti e forse anche dello
stesso giudice che, sapendosi insindacabili ed insostituibili, si
abbandonavano ad atti indelicati e speculavano sulle contese e
sul disbrigo delle pratiche dei maestri e degli operai.
Così il Consolato raggiunse finalmente un assetto presso che
definitivo e poteva svolgere tutta la sua attività nelF industria
divenuta ormai fiorente.
Ma lo sviluppo dell'Arte in questi anni è meglio descritto in
un bando assai più lungo e completo dei precedenti i.
Per l'accuratezza della lavorazione e la migliore qualità della
seta, i drappi napolitani avevano presto acquistato così buona
fama che la produzione bastava appena alle richieste dell' espor-
tazione. Da questo, naturalmente, come si rileva dal bando stesso,
un grandissimo numero di cittadini traeva vantaggio, trovando
modo di occuparsi e di guadagnar di che vivere.
Ma negli ultimi tempi alcuni lavoranti e mercanti di poca fede
avevano cominciato a frodare i compratori fingendo di mettere in
commercio tessuti di nuovo tipo, nei quali entrasse più cotone che
seta, o adulterando i drappi di antico modello.
Da ciò, a lungo andare, sarebbe venuto il discredito, con grave
danno di quanti di quel lavoro vivevano e della stessa Dogana
che avrebbe visto diminuir le sue entrate per la minore esporta-
zione, se la Regia Camera non avesse creduto opportuno porvi
riparo a tempo con la pubblicazione del bando provocato dalle
lagnanze degli stessi Consoli dell' Arte.
Il contenuto di questo documento, perciò, è formato da una
^ Bando da parte di sua Cattolica, et Reale Maestà, et dela sua Regia
Camera dela Summaria... Datum Napoli in eadem Regia Camera die
XXI niensis Januarii MDLXXIII.
78
lunga serie di norme tassative per la buona lavorazione e per il
maggior controllo del commercio.
Si vietò, quindi, per esempio, per evitar frodi nel peso, sotto
pena della perdita della merce, che la seta non ancora lavorata si
legasse con altro che con matasse della stessa seta. E quando una
frode di questo genere venisse perpetrata, si promise la quarta
parte del valore della merce confiscata, insieme alla garanzia del
segreto, al delatore. E si minacciò la multa d'un' oncia ai filatori
che, per darle lucido e peso, ungessero la seta con olio o con mi-
sture speciali, e a tutti coloro che la comperassero al minuto da
garzoni o da servi di uomini dell'Arte.
Quanto alla cottura ed alla tintura, esse dovevano venir ese-
guite secondo le buone norme, sotto pena della confisca e del rim-
borso, da parte dei tintori, del valore della seta e dei danni a chi
gliel' avesse affidata in buona fede per farla cuocere o tingere. E
la multa raggiunse perciò le venticinque once per chi non si at-
tenesse alle limitazioni imposte circa la seta biscotta o cruda, di
cui era severamente vietata, oltre che lo smercio, persino la de-
tenzione, consentendosene l'uso solamente per alcuni determinati
generi di drappi.
Segue quindi nel documento una lunghissima serie di norme pre-
cise sulla lavorazione per ottenere stoffe di buon qualità.
Perchè poi non si frodassero i compratori col pretesto che ab-
biamo già osservato innanzi, di vender cioè loro drappi di nuovo
tipo, si ordinò che delle stoffe nuove dovesse venir autorizzata lì
fabbricazione dalla Regia Camera, sentito il parere dei Consol
dell'Arte.
La multa d'un'oncia e il sequestro della merce vennero pur<
comminati a coloro che dessero il bagno d'amido o d'acqua e gom-
ma di pruno a certo genere di drappi, o che, usando pettini di-
versi per dimensioni da quello conservato nella cassa a tre chia^
del consolato, non rispettassero le misure ordinate con precedenl
bandi.
Si vietò la fabbricazione e la detenzione di stoffe miste di setj
cotone, o con trama di cotone, a meno che non se ne avesse aut(
rizzazione dalla Regia Camera che l'accordava talvolta ai nobil
perchè potessero farne qualdrappe per cavalli o livree per la ser^
vitù. Ma, in questi casi, le stoffe dovevano esser controllate e bolj
late dai Consoli. Seguono, quindi , alcune osservazioni circa h
opportunità e l'utiUtà di continuare a rispettare il bando di Fer-I
dinando I d'Aragona, nel quale si vietava alla lavorazione d<
— 79 —
seta in altre città del regno, adducendo a miglior ragione la possi-
bilità che s'ha di esercitar più attivo controllo su tutti i lavoranti
quando essi lavorino nella città in cui ha sede il Consolato deirArte.
Si fa eccezione, però, per la città di Catanzaro che, come s' è già
detto, era stata la prima in Italia a conoscer Tindustria della seta
ed aveva perciò ottenuto speciali privilegi per poter continuare
anche quando a Napoli s'era costituito il Consolato.
Si permise tuttavia ai lavoranti di impiantare telai nei borghi
vicini alla città, purché però ne dessero prima avviso ai Consoli
per render possibili le visite di controllo che si prescrisse doves-
sero farsi ogni anno presso tutti i tessitori e in tutte le botteghe.
Queste visite avevano per iscopo di permettere ai Consoli di sco-
prir tessuti e sete in contravvenzione alle norme bandite, e seque-
strarli senza ammetter proteste di proprietà e senza usar riguardo
ad alcuno. La roba sequestrata doveva venir apprezzata e giudi-
cata da tre periti nominati dal Consolato ; e quel che da questi
venisse deciso doveva notificarsi agli interessati che potevano, a
loro volta, chiedere un nuovo esame della roba. Se l'ultima com-
missione giudicava in conformità della prima, la decisione si aveva
per definitiva ; salvo, s'intende, il diritto delle parti di ricorrere
alla Regia Camera della Sommaria. Ma se ì vari periti fossero di
parere discorde , rimaneva in facoltà del Coadiutore della Corte
e del Credenziere di far apprezzare una terza volta la merce se-
questrata e decidere poi d'accordo coi Consoli. A condizione, però,
che tutto questo procedimento non portasse le cose in lungo e
fosse espletato nei quindici giorni, poiché, in caso contrario, la
causa veniva avocata alla Regia Camera.
Ai Consoli, ancora, si fece obbligo di notificare in tempo utile al
Credenziere il giorno fissato per la visita, affinché potesse a sua
volta avvertirne V Avvocato fiscale del Regio Patrimonio che
aveva diritto di intervenirvi o di delegar persona di sua fiducia. E
la notifica doveva compiersi rigorosamente con tutte le forme di
rito, sotto pena della sospensione dalla carica e di cento ducati di
multa, perchè il Credenziere, per suo conto, aveva anche l'altro
obbligo di avvertire la R. Camera ogni volta che si sequestrasse
seta in contravvenzione ai bandi.
Ed infine il bando si chiudeva con l'ordine dato a tutti i mercan-
ti di avvertire i compratori, quando si trattasse di roba seque-
strata che si vendeva a beneficio dell' Arte, delle qualità e dei di-
letti della seta venduta, e di dichiarare se le stoffe fossero state
confezionate a Napoli o a Catanzaro.
80
Questo, per sommi capi, il contenuto dei più interessanti tra i
paragrafi del documento che dava un nuovo e definitivo ordina-
mento all'Arte e ne regolava il funzionamento.
La ragione addotta per la sua pubblicazione, quale ho già rife-
rita, lascia adito a far pensare che ormai il governo viceregnale
avesse compreso tutto il vantaggio che gli veniva dal fiorire della
industria nella città e nel regno, e che le tasse che il fìsco riscoteva
dessero un utile tanto rilevante da indurlo a sentirsi quasi coin-
teressato al buon andamento delFArte. Da ciò, naturalmente, sor-
geva l'interesse a che le stoffe si conservassero tali da tenere ono-
revolmente la piazza anche all'estero.
Per raggiunger questo scopo si cercava, come abbiamo visto spe-
cialmente nel bando del 18 novembre 1523, di imporre il più ac-
curato controllo, non solo all'opera dei maestri, lavoranti, tin-
tori e mercanti, ma agli stessi Consoli. E quando il controllo non
bastava si prometteva un compenso, oltre la grazia in caso di com-
plicità, ai delatori delle frodi, e si garantiva il segreto per evitare
vendette.
Ad onor del vero, questo sistema, usato su vasta scala dai re
Angioini anche per la persecuzione dei reati, non fu impiegato
che in piccola proporzione dagli Aragonesi, almeno per il buon
funzionamento dell'Arte della Seta, e tornò in onore al tempo dei
viceré ^ .
Tuttavia, malgrado ciò, e forse appunto per l'uso dì questi mezzi,
l'Arte continuò a prosperare, raggiungendo quel benessere e quello
sviluppo che gli storici, dal Summonte al Giannone, hanno con
tanto entusiasmo ammirato e descritto, e che meglio traspare
dalle prammatiche e dai bandi, anche negli anni del governo vi-
ceregnale.
VII.
Ma l'opera dei viceré si dimostrò meno accurata pel buon an-
damento dell'Arte e assai più interessata per i vantaggi derivanti
1 Del resto, un tal metodo non costituisce, come è noto, una preroga-
tiva del regno di Napoli, anche per quanto riguarda gli statuti dell'Arte j
della seta ; qualche cosa di simile si trova in quelli dell'Arte fiorentina, e
specialmente in quelli lucchesi (Cfr. Stai, lucchese del 1308, Rubrica CVIII).
— 81 —
al Fisco. Essi si preoccuparono non del benessere degli operai e
della prosperità dell'in dustria, ma del regolare pagamento delle
gabelle e della persecuzione del contrabbando. Cominciò quindi,
tra gli altri privilegi, a cadere in desuetudine quello già conceduto
da Ferdinando d'Aragona, e riconfermato negli ultimi tempi dagli
stessi Re spagnuoli, che concerneva il divieto di esercitar l'indu-
stria della seta fuori dalla città di Napoli e dai suoi casali. E questa
desuetudine ebbe anzi la sua sanzione quando si ordinò la pubbli-
cazione e l'applicazione delle prammatiche in favore degli Arren-
datori in tutte le terre di Calabria e in quelle di Sanseverino, di
Cava, di Amalfi, di Castellammare, di Ischia, di Capri etc, e in
generale in tutte le province del regno i.
I Capitoli de l'Arte rimasero sempre quali erano stati, ma al
Consolato venne a mancare ogni forza per farli rispettare, poiché
erano venuti meno la tutela e l' interessamento dei governanti.
La costituzione dell'Arte, tuttavia , aveva portato il massimo
giovamento allo sviluppo economico della Città ed anche a quello
di tutto il regno. Molte cose, nel suo organismo, relativamente ai
tempi, meritano ancor oggi la lode.
Così, oltre l'apposito fondo per l'assistenza degli operai infermi e
bisognosi, e l'obbligo delle onoranze ai defunti, di cui ho dato no-
tizia, era stata ordinata un'altra fondazione per dotare (maritaggi
di 5 ducati l'uno) le figlie degli operai poveri e di quelli morti. E
poiché molte di queste fanciulle, ricevuta la dote, non trovavan
subito marito, l'Arte, perché potessero attendere lontano dai pe-
ricoli l'ora del matrimonio, edificò nel 1582 un Conservatorio di
cento posti, annesso alla Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo che
già possedeva in via dei Berrettari^.
Presto però il numero di queste fanciulle crebbe, e fu necessario
ingrandire l'edifìcio. A tale scopo l'Arte comprò, nel 1593, l'at-
tiguo palazzo del Principe di Caserta, ricostruendo la Chiesa e
portando il numero delle ricoverate a trecento.
Questo conservatorio, rimasto ancora in vita fino a tempi più
recenti, contava nel 1845 cinquantuno ricoverate e nel 1857 meno
che quarantacinque^.
^ Cfr. Prammatiche del duca d'Alva, del duca di Medina e dell'Almirante.
2 Sigismondo Giuseppe, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi,
Nap. 1788, II, SS. Filippo e Giacomo.
* Celano, Notizie del bello, dell'antico ec, edizione Chiarini voi. 3.*'
pag. 701.
Anno XLV. 6
82 —
Tornando, dunque, agli ordini e ai bandi del XVII secolo, si
è subito costretti a notare che essi non vengono più pubblicati
neir interesse del Consolato dell'Arte, ma ódV Arredamento e degli
Arrendatori. Ed infatti la prima tra le prammatiche di questo secolo
concernenti questa industria può ben valere a darci un concetto
abbastanza esatto dei mutati spiriti da parte del governo. Essa
porta la data del 20 giugno 1628 e la firma del viceré duca d'Alba
oltre quella dello stesso Carlo di Tappia^.
Più che altro, questa lunghissima pramatica riguarda la Calabria,
e fu redatta per porre un freno al contrabbando che colà si eser-
citava su vastissima scala e che aveva anzi costretto il fìsco a
stipulare FafFitto deW Arrendamento per un prezzo inferiore a quel-
io degli anni precedenti. Vero è che la data della prammatica cor-
risponde a quella della nuova gestione dell' Arrendamento, così che
la sua redazione, richiesta forse in garanzia dall' Arrendatore, do-
vette più che altro servire a mantener alto il prezzo del fìtto, salvo
poi a tenersi di essa quel poco o nessun conto che si teneva abi-
tualmente di tutte le altre.
Quanto al suo contenuto, la pena per i contravventori agli or-
dini di denunziare e di pagare la tassa di manifattura e d'espor-
tazione non era lieve : poteva variare da quella pecuniaria di
dieci ducati per ogni libra di seta detenuta per cui non si fossero
pagati i tre carlini della gabella, fino a quella di dieci anni di ga-
lera per gli ignobili e della sospensione dall'esercizio della giurisdi-
zione e della relegazione pei baroni. E si comminava addirittura la
pena di morte ai padroni di barche che accettassero merce in
frode.
Naturalmente, per facilitare la persecuzione dei rei, si promet-
teva il quarto del valore della merce sequestrata, o della pena
pecuniaria inflitta , a chi avesse denunciato la frode , secondo
il sistema ormai invalso e tenuto in onore dai viceré.
Né vi deroga il duca di Medina de la Torres y Sabioneta in
un'altra prammatica dello stesso tenore pubblicata il 22 ottobre
1641 2 dove si ripete ai sensali, padroni di barche e compratori
in genere l'ordine di pretendere dai venditori 1' esibizione della
1 Altimari, Pramm. XXV. De Extractione, seu Exportatione etc.
Tit. LV.
2 Altim., Pramm. XXXII De Extractione seu Exportat. etc. Tit. LV.
83
spedizione. E le spedizioni consistevano in una specie di ricevuta o
dì bolletta rilasciata da VArrendatore, in cui veniva dichiarata
la qualità, quantità etc. delle sete su cui s' era pagata la gabella
e che potevano perciò venir messe liberamente in commercio.
Questa prammatica, più dettagliata per quanto meno lunga,
e più draconiana nelle sue disposizioni, destò vive proteste da
parte dei Consoli dell'Arte e di alcuni tra gli stessi baroni, che si
recarono in commissione dal duca di Medina a fargli constatare
Finopportunità del bando. E il duca, che certo non aveva troppa
fede nel proprio operato, ne sospese Tesecuzione.
Senonchè questa sospensione non poteva, per suo conto, non de-
stare le proteste degli Arrendatori ai quali forse si deve una nuova
determinazione da parte dello stesso duca e quindi una nuova
prammatica, del 22 dicembre 1643 1, in cui si fa ammenda del
provvedimento di sospensione, ordinando e comandando che la
prammatica precedente si osservi iuxta contienentiam et tenorem
con estremo rigore.
Bisogna dire, però, che quella del duca di Medina rimase fatica
persa, perchè i suoi bandi furono così poco rispettati, e i fìdelissimi
sudditi continuarono con tanto poco timore ad offendere nostro
Signore Dio frodando il Fisco, che 1' anno seguente (1644) ai 30
di giugno, in una nuova prammatica 2, TAlmirante dovette ripe-
tere testualmente quanto s'era ordinato, aggiungendo di suo una
abbastanza lunga querimonia negli interessi delV Arrendamento
e del Regio Patrimonio.
Né questa nuova pubblicazione ebbe miglior fortuna, poiché,
verso la fine dello stesso anno, lo stesso Almirante fu costretto a
ripetere 3 tutte le disposizioni date dai suoi predecessori fin dai
tempi del duca d'Alba.
Non so tuttavia quale sorte seguisse quest'ultima prammatica
ma non affermerei certo ch'essa venisse osservata meglio delle pre-
cedenti ; il fatto che con essa si pon termine ai bandi di questo
genere che non si trovan più ripetuti per l'avvenire, sta, forse, a
dimostrare lo scoraggiamento e l'abbandono completo di ogni
fiducia da parte degli Arrendatori che finalmente dovevano aver
compreso come fosse inutile sollecitare dai viceré disposizioni
destinate a lasciare il tempo che trovavano.
1 Altim., Pramm. XXXIII. De Extractione seu Export, etc. Tit. LV.
2 Altim., Pramm. XXXIV. De Extractione seu Exportat. etc. Tit. LV.
•'' Altim., Pramm. XXXVII. De Extractione seu Exportat. etc. Tit. LV.
— 84 —
Di tenore diverso, per ragioni che più chiare appariscono in
seguito, diventarono le prammatiche pochi anni appresso.
Per qualche tempo parve infatti che i governatori si preoccupas-
sero anche un poco degli interessi del Consolato del? Arte e si tro-
vassero nella stessa disposizione di spirito che aveva mosso i re
Aragonesi e forse anche Ferdinando il Cattolico e Carlo V in favor
dell'Arte. E parve anzi che questa tendenza a ravvicinarsi allo
antico indirizzo spingesse il duca D'Arcos a concedere una serie
di nuovi interessantissimi Capitoli che il marchese Angelo Gra-
nito, neir appendice alla prima parte deir edizione da lui curata
del « Diario di Francesco Capecelatro », riporta come omologati il
13 agosto 1647.
Fu questa Tultima raccolta di privilegi più o meno completa
dell'Arte, compilata da una commissione di trenta deputati presie-
duta dal sacerdote Giacomo Gallo.
Oltre le solite concessioni per la fabbricazione e l'esportazione
delle sete e le norme per una specie di regolamento interno, son
degne di nota le disposizioni circa il privilegio di giurisdizione,
in cui si protestò ancora una volta contro la G. Corte della Vi-
caria e si ottenne di poter avocar le cause degli uomini dell'Arte
al tribunale del Consolato con la più rapida procedura cui ho già
accennato (in Granito, §§ 4 e 14).
Si riconfermò intanto l'obbligo pietoso di mutuo soccorso e di
sepoltura dei moribondi, (§ 7) mentre si comminava la multa di
cento ducati contro quei Consoli che disponessero il ricovero nel
Conservatorio di fanciulle non appartenenti a famiglie di uomini
dell'Arte (§ 12).
Altri cento ducati, devoluti come i precedenti a benefìcio del
Conservatorio, oltre l'espulsione definitiva dalla Corporazione, si
minacciarono ai colpevoli di broglio per le elezioni alla carica dij
Console (§ 13).
E pur nuova fu la disposizione che nessun'altra corporazione]
potesse elegger Consoli, eccetto le arti della Lana e degli Orefici,
sui quali ultimi l'Arte della Seta chiese ed ottenne la precedenza
nella processione del Sacramento, in risoluzione di una annosaj
contesa vertente su tale argomento (§§ 17 e 18).
Seguivano ancora alcuni paragrafi che facevano obbligo di noni
assumere alle varie cariche ed uffici presso il Consolato, il Con-
— 85
servatorio, le chiese etc. della corporazione, altri che i figli di per-
sone regolarmente iscritte al libro di matricola (§§ 19 a 22).
Ma quel che meglio vale a dichiararci gli avvenimenti politici
che spinsero il duca D'Arcos a mostrarsi tanto favorevole ai desi-
deri degli uomini dell'Arte è Testensione dell'indulto pubblicato
pei tumulti di quell'anno anche a benefìcio di quei lavoranti che
avessero preso le armi durante la rivolta capitanata da Masa-
niello (§ 26).
Lo stesso D. Giulio Genoino, creato in quei giorni presidente
della R. Camera, lesse ai deputati dell'Arte della Seta questi capi-
toli accordati dal viceré, nei quali, oltre al resto, si permetteva
a tutti i lavoranti di portar persino spada e pugnale come a gente
di nobile rango.
Questa condiscendenza, cui il duca D'Arcos si vedeva costretto
dal timore di nuovi disordini e dal desiderio di placar l'ira po-
polare ^ gli dettò ancora altre prammatiche in favore dell'Arte.
Infatti una di esse, in data del 20 settembre 1647 ^ comminò
la pena di due once d'oro e della perdita degli utensili e merci a
chi non denunziasse entro quindici giorni, secondo era già stato
ordinato nei documenti manoscritti che abbiamo visti innanzi,
il numero dei telai tenuti in casa.
E, seguendo questo sistema, con una prammatica del 28 settem-
bre di quell'anno ^ richiamò persino in vigore l'antico privilegio
accordato da Ferdinando d'Aragona e ormai già caduto in desue-
tudine, ordinando la pena pecuniaria di cinquanta, once oltre la
confisca dei telai e di tutto l'occorrente contro coloro che lavoras-
sero la seta fuori dalla città di Napoli.
Ma anche questa prammatica sembra sia rimasta inosservata
poiché, due anni dopo, in data 24 ottobre 1649, il conte di Ognat-
Circa questo periodo, oltre il Granito in Capecelatro e tutti gli altri
lumerosi autori, cfr. specialmente M. Schifa, « La così detta rivoluzisne di
lasanìello e La mente di Masaniello, in Arch. stor. nap. (1916-1917).
2 Altim., Pramm. IX. De Magistris Artìum etc. Tit. LXXXII. Ripor-
ita pure da Angelo Granito in appendice alla prima parte della edizione
da lui curata del Diario di Francesco Capecelatro.
^ Altim., Pramm. X. De Magistris Artium etc. Tit. LXXXII riportata
pure dal Granito ncH'appendice al diario del Capecelatro.
— 86 —
te^, tornato ai vecchi metodi e preoccupandosi del più utile fun-
zionamento degli Arrendamentif tollerava e riconosceva di nuovo
rindustria in tutte le terre del regno, e dava alcune disposizioni
circa il numero dei governatori nelle varie province. Da questa
epoca rindustria della seta divenne libera nel regno, mantenendosi
tuttavia al Consolato di Napoli il privilegio di giurisdizione insieme
ad altri tra i più importanti.
Presto, anzi, per ordine espresso del re, oltre che delle sete mani-
fatturate nelle altre città, si volle la libera circolazione di quelle che
venivano dalla Spagna e s^impose, in una lunga prammatica di
Don Gaspar de Haro y Guzmann del 18 maggio 1684 2, anche il
sistema da seguir nella lavorazione per far che i drappi lavorati
nel regno risultassero uguali e non superiori a quelli di Spagna.
Edi questo stesso don Gaspar de Haro è un'altra prammatica
del 28 novembre 1685 ^ circa i prezzi dei drappi, che in quei tempi
s'erano di molto elevati , contenente il divieto, sotto pena di una
multa di mille ducati, di vendere i tessuti a prezzo superiore a
cinque ducati per canna.
Intanto la qualità delle sete manif atturate , tra il disordine e
l'abbandono e sotto le continue vessazioni del fìsco, diveniva
sempre peggiore, fino a costringere la Camera della Sommaria a
tentar qualche mezzo per porvi riparo.
Si nominò quindi una commissione di tecnici che studiasse
bene le cause e proponesse le opportune provvidenze, special-
mente per quel che riguardava la tinta dei drappi di seta nera, dei
quali addirittura non venivano più richieste dall'estero. E in base
alle conclusioni di questa commissione , in un bando del 5 no-
vembre 1703*, si ordinò un aumento (da 16 a 18 grana) del
compenso da corrispondersi ai tintori per ogni libra di seta, e
s'imposero i metodi e la tecnica che dovevano seguirsi per la tin-
tura, sotto pena di tre anni di galera e di venticinque once d'oro.
E con un altro bando del 22 gennaio 1704 5, su conforme ordine
del viceré, la Sommaria dispose l'assoluto divieto di esportazione
della galla crespa, necessaria alle tinte nere, per evitare che ne di-
minuisse la quantità e ne aumentasse il prezzo. JHj
1 Altim., Pramm. XXII. De Vectigalibus et Gabellis etc. Tit. CLXVII.
N. 13 e 14.
* Altim., Pramm. XIII De Magistris Artium etc. Tit. LXXXII.
3 Altim., Pramm. XIV. De Magistris Artium etc. Tit. LXXXII.
* Altim., Pramm. XVII De Magistris Artium etc. Tit. LXXXII.
6 Altim., Pramm. XVIII. De Magistris Artium, etc. Tit. LXXXII.
87
Così , con quest' ultimo documento , possiamo dire si chiuda
anche tra le prammatiche la serie delle disposizioni attinenti all'in-
dustria deUa seta in Napoli.
Quanto al tribunale del Consolato, sebbene ormai, come s'è detto,
l'industria fosse stata permessa in tutto il r gno, rimase in vita
fino a quando, per i moti liberali del 1799^, venne abolito insieme
alla massima parte delle istituzioni che avevano troppo spiccata
impronta medievale.
Del resto ormai esso era srpravvissuto allo scopo cui doveva la
sua fondazione ; e con esso finiva, in tutte le sue manifestazioni, a
vita stessa dell' A We della Seta.
Rimaneva invece un'altra fondazione sorta dall'utopia plato-
nica d'un altro principe : la colonia del vicino colle di San Leucio,
cui forse l'avvenire non avrebbe negato incremento e floridezza.
Già da un decennio Y industria vi si esercitava con prospera
fortuna dagli abitanti serenamente felici, quasi a rinnovare e su-
perare V ormai decrepita istituzione di Ferdinando I d'Aragna.
E la sua costituzione, ispirata dal Filangieri, glorificata dal Colletta
ed ammirata dal Dumas , sembrò così fatalmente conchiudere,
con un'altra iniziativa forse geniale, la vita di più che tre secoli
dei privilegi dell' Ar/e della Seta.
fine
Raffaele Pescioi^e
' Celano Carlo, Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di
Sapoli, ediz. del Chiarini, Napoli, 1858, III, pag. 698.
L'ESERCITO NAPOLETANO
DALLA
MINORITÀ DI FERDINANDO
ALLA
REPUBBLICA DEL 1799
L ORGANIZZAZIONE
(1759-1790)
SOMMARIO
L'esercito durante la minorità di Ferdinando — Il Palmieri e la riforma
del 1765 — G. Acton Direttore di guerra (1779-1780) : primo rinnova-
mento della fanteria (1786) — La « Reale Accademia Militare » (1786) —
Gl'istruttori stranieri : il Salis e il Pommereul — Trasformazione radi-
cale delle tre armi fondamentali (1787-88) — Intrighi di M. Carolina e
fallimento del piano di Salis: sua partenza (1790) — Critica degl'istituti
militari napoletani alla vigilia della Rivoluzione Francese.
Il maggiore T. Battaglini ha ricercato nella catastrofe del *60
la « fine » dell'esercito meridionale^: non sarà inutile studiare
su nuove fonti ^ le « origini » dello stesso esercito , che accanto
ad imprese ingloriose, ad episodi oscuri e disonorevoli, ebbe ful-
^ La fine di un esercito, Roma, Voghera, 1913.
2 II presente articolo si basa principalmente sulle seguenti fonti mano-
scritte :
1° LoGERoT, Memoria storica scientifico-politico-militare del Regno delle
Due Sicilie dal 1734 al 1815 (Ms. XXVI, C, 6 della Soc. Nap. di Storia
Patria).
2° Arch. di Stato di Napoli: Aff. Esteri, Scritture raccolte dalle
Segreterie di Stato di G. Acton, volumi XLII (nn. 12, 13, 14), XLIII(n. 28)
XLVI (nn. 2, 11), XLVII (nn. 2, 8).
3° Id., Segr. di Guerra, Beali Orrfmi (1767-1789).
4° Arch. di Stato di Venezia: Dispacci del Residente Veneto a Na-
poli - Filze 1% 2», 3» (1787-1790) - voli. 165-167.
— 89 —
gide pagine di perizia e di valore, e sui campi di Lombardia
nella prima campagna d'Italia, in Ispagna, in Germania e in
Russia durante le guerre napoleoniche, tenne alto nel mondo il
nome del soldato italiano.
È ben conosciuto il motto attribuito al Tanucci :
•" Principini, ville e casini,
principoni, armate e cannoni ;
ed è da tutti i vecchi storici ripetuta l'accusa, probabilmente
uscita dalla Corte stessa, che il celebre ministro toscano abbia
trascurato vergognosamente la difesa del regno.
Certo, anche nel periodo della minorità di Ferdinando (1759-
1767) poco fu fatto per l'esercito, minore d'un terzo della pianta
fissata, affidato nel consiglio di reggenza aD. Domenico di San-
gro capitan generale, «in tutt'altre faccende affaccendato ì)K
Bisogna tuttavia convenire che la lunga pace, (è noto che
a malgrado del « patto di famiglia » il regno di Napoli col
tacito consenso di Carlo III si era mantenuto neutrale nella
guerra per l' indipendenza degli Stati Uniti d'America) e la
mollezza dei costumi, triste retaggio della dominazione spa-
gnuola, avevano sviato dalla milizia l'opera del governo e im-
» Quali fossero le condizioni dell'esercito napcletano all'inizio del regno
di Carlo è stato narrato ampiamente dallo Schifa, Il regno di Napoli al
tempo di Cado di Borbone, Napoli, Pierro, 1904, p. 22 sgg. - Cfr. R. Pa-
risi, in Lega del Bene, a. VI (1891), nn. 37-39. Anche la « gloria di Vel-
letri » è da relegarsi tra le pietose menzogne : mons. Celestino Galiani,
« cappellano maggiore del regno e superiore spirituale dell'esercito » ci
espone nel suo Diario lo stato miserando dei reggimenti napoletani, ri-
dotti dalle diserzioni, indisciplinati, turbolenti, saccheggiatori (Diario della
guerra di Velletri scritto da mons. Celestino Galiani, in questo Archivio,
XXX (1905) p. 339 sgg.). E più tardi Ferdinando Galiani, reduce da
una gita ad Orbetello, ricordava al Tanucci argutamente il reggimento di
Hainaut « lacero, povero, ma contento », e le « usu-consumptae uniformi dei
soldati di Portolongone » ! (Nicolini, Lettere di B. Tanucci a F. Galiani,
in questo Archivio, XXX (1905) p. 218, n. 3). Nessuna notizia militare
è tanto nella monografia di C. Losurdo, Tanucci e la Reggenza al tempo
di Ferdinando IV {ottobre 1769-1765), Bari, Trizio, 1911, quanto nella
più recente di M. Vinciguerra, La reggenza borbonica nella minorità di
Ferdinando IV, in questo Archivio, n. s. I (1915), p. 576 sgg.
- 90 —
pedito il formarsi di quello spirito militare, senza del quale
ogni esercito non è che un'informe accozzaglia di uomini.
Ma nel 1761 vedevano la luce, meritamente lodate da Fede-
rico il Grande, quelle Riflessioni critiche sulV arte della guerra
del marchese Giuseppe Palmieri i, che segnano davvero il punto
di partezna delle prime riforme degl'istituti militari. Agi' in-
segnamento dell'insigne pugliese, il quale primo, a giudizio del
Blanc, « diede forma scientifica alla serie delle pratiche che co-
stituivano l'arte della guerra », s' ispirano infatti quelle parziali
riforme del 1765 che tendevano a semplificare i pesanti ordi-
namenti spagnuoli. Stabiliva infatti il re, per mezzo del Dipar-
timento di Guerra, allora diretto dal ten. gen. Antonio del Rio,
la riduzione allo stesso piede di tutti i reggimenti di fanteria
(veterani, provinciali, valloni e siciliani), la soppressione del
reggimento dei Corsi e la riforma dei 12 reggimenti provin-
ciali, che venivano ridotti a 6 con opportune fusioni e con più
larghi criteri di circoscrizione territoriale.
1 reggimenti svizzeri, che avevano le loro particolari capito-
lazioni, e la cavalleria, che già aveva visto aumentati da cinque
ad otto i suoi reggimenti con la formazione di Napoli e Sicilia,
dovuta ai principi di Cutò e di Campofranco, e dei dragoni di
Principe, rimanevano immutati 2. Sicché con la riforma del 1765
^ Cfr. G. Ferrarelli, Il marchese Palmieri e le sue riflessioni critiche
sull'arte della guerra, in Memorie militari del Mezzogiorno d'Italia, Bari, La-
terza, 1911, p. 99 sgg. - Il Palmieri, nato a Martignano (Lecce) il 5 mag-
gio 1721, era stato, da giovinetto, alfiere nel regg. di fanteria Real Bor-
bone, poi successivamente aiutante maggiore nelle Guardie Italiane (1744,
quando combattè a Velletri) e tenente colonnello di Calabria (1752). Dieci
anni dopo, pL'bblicato il suo maggior lavoro militare, si ritirava dall'eser-
cito, dandosi, com'è noto, agli studi d'economia. Cfr. B. De Rinaldis,
Sulla vita e le opere del marchese Palmieri, Lecce, 1850.
2 I due reggimenti di Abruzzo Citra ed Ultra furono riuniti con quello
di Molise, formando il regg. Sannio ; i due di Principato Citra ed Ultra
con quello di Terra di Lavoro costituirono il regg. Campagna, con l'appel-
lativo di Reale per la bella condotta tenuta a Velletri, quelli di Calabria
atra ed Ultra il regg. Calabria, quelli di Capitanata e Terra di Bari il
regg. di Puglia. I due di Basilicata e di Terra d'Otranto assunsero i nomi
di Lucania e di Messapia. I reggimenti siciliani R. Palermo, Agrigento e
Siracusa erano stati formati rispettivamente dai principi di Villafranca
di Calvaruso e di Pietrapersia.
I
91
l'esercito napoletano aveva nominalmente una forza di 35,011
uomini, cosi distribuiti:
Guardia Reale
Fanteria
Cavalleria
— (Reali Guardie Italiane e Svizzere) 2581
— 7 Reggimenti Veterani (Re, Regina,
R. Borbone, R. Farnese, R. Na-
poli, R. Palermo, R. Italiano)
— 1 Reggimento Estero (R. Macedo-
nia)
— 8 Reggimenti Nazionali (Real Cam-
pania, Puglia, Lucania, Sannio,
Messapia, Calabria, Agrigento, Si-
racusa) 16,000
— 3 svizzeri (Tschoudy, Wirtz e Jau-
ch) 1 6250
— 4 valloni (Hainaut, Namur, Borgo-
gna, Anversa) 4000 - 26,250
— 4 Cavalleria leggera (Re, Rossiglio-
ne, Napoli, Sicilia)
— 4 dragoni (Regina , Tarragona ,
Borbone, Principe)
Artiglieria
Truppe leggere
(Micheletti)
^ 5140
744
300
Totale— 35,011
Era quello il tempo in cui il giovane principe si divertiva
a far manovrare i suoi corpi scelti nel boschetto di Portici o
intorno alla piazza di Gaeta, e a racoglier le lodi, per T ele-
gante tenuta, di generali tedeschi come il duca di Brunswick
e il principe di Mechlemburgo-Strelitz; ma la lunga pace che
• seguì ai trattati d'Aquisgrana toglieva ogni occasione di speri-
mentare quelle truppe sui campi di battaglia ; che l'occupazione
di Benevento, avvenuta il 4 giugno 1768 da parte del briga-
diere Finocchietti — poco dopo l'uscita di minorità di Ferdi-
II regg. svizzero BaisUr non faceva più parte deiresercito.
— 92 —
nando — e di Pcntecorvo (cap. Longo, 6-7 giugno) per le note
vertenze con Roma^ non fu che una passeggiata militare.
Né, in attesa di più radicali riforme, si trascuravano gl'isti-
tuti di educazione militare.
Con ordinanza 26 dicembre 1769 l'antica Reale Accademia
d* Artiglieria (1744) e quella del Corpo degV Ingegneri (1754) ven-
nero fuse col nome « non bene appropriato » di Reale Accade-
mia Militare, primo germe di quel glorioso istituto che diede
all'esercito napoletano tanti valorosi ufficiali 2, e mentre veniva
istituito un corpo scelto di cadetti, prima detto della Real Bri-
gata, poi Battaglione Real Ferdinando, di cui il re stesso era
colonnello, il quale, secondo l'ordinanza, avrebbe dovuto servire
« di vivissima forza tattica ne' rincontri più difficili della guerra » \
si gettavano le basi di quell' Ufficio topografico militare, fondato
nel 1780 dal geografo padovano Antonio Rizzi-Zannoni, poi reso
celebre nei primi decenni del secolo XIX dall'opera del gene-
rale Ferdinando Visconti (1772-1845)4.
* Cfr. Del Pozzo, Cronaca civile e militare delle Due Sicilie sotto la di-
nastia borbonica dall'anno 17 34 in poi, Napoli, 1857, ad annum.
2 Ferrarelli, IZ Collegio Militare di Napoli, in Memorie militari cit.,
p. 12 sgg. - La sede di questo istituto era originariamente nel locale di
S. Lucia a Mare, detto la Panatica ; ne fu per qualche tempo ispettore i]
ten. col. Matteo Scalfati, uomo di grande merito, autore, fra altro, d'una
opera intitolata : Progetto d'una scienza militare. Per gli allievi di questa
scuola furono pubblicati (eccellente metodo) libri per quei tempi famosi :
Giuseppe Poli scrisse il suo Corso di Geografia e Storia Militare; Vito Cara-
velli, che vi fu « Direttore delle Scienze », un Corso di Matematica (Cfr.
Amodeo, Dai fratelli Di Martino a Vito CaravelU, in Atti Acc. Pont., 1902)
e gli Elementi di Astronomia ; Giuseppe Parisi (1750-1831), che fu quartier-
mastro generale nella guerra del 1798, i suoi celebrati Elementi di archi-
tettura militare.
3 II battaglione, sciolto con dispaccio 27 ottobre 1786, ebbe sede dapprima
nell'edificio della Croce di Palazzo (quest'edifìcio coi giardini occupava lo
spazio dove sorsero poi i palazzi dei principi di Salerno e di Capua), indi
dopo il 1774, separati gli allievi di minore età, che furono inviati a com
piere i loro studi nel Collegio Militare, in Castel S Elmo. Cfr. D'Ayala
Napoli Militare, Napoli, Stamp. dell'Iride, 1847, p. 93 ; Florio, Annali, i
questo Archivio, XXXI (1907), p. 46; Nap. nobilissima, VII (1898), p. 79.
* Ferrarelli, Intorno all'ufficio topografico e al gen. Ferdinando Visconti
in Memorie militari cit., p. 90 sgg.
i
;)."
~ 93 —
Ma r esercito napoletano aveva assoluto bisogno di ben più
ardite riforme, di svecchiamenti fondamentali : le grandi guerre
che avevano aperto il secolo e rivelato al mondo il genio mi-
litare di Federico di Prussia, avevano sconvolto la tattica e la
strategia nazionale, dato importanza capitale alle armi a lunga
portata e specialmente all' artiglieria leggera, mentre a capo
dell'esercito rimanevano sempre vecchie cariatidi del passato,
ricche d'anni e di decorazioni, ma non di studi e d'ingegno,
quali il gen. Antonio Ottero, ministro della guerra, buono ma
incapace, e il capitan generale Reggio principe di Campofiorito
Jaci, cadente per età, dopo lunghi anni d'ambascerie all'estero.
Codesta necessaria riforma degli ordini militari coincide con
due fatti politici di grande importanza pel regno : la venuta
di Giovanni Acton, l'emancipazione dalla Spagna. Togliersi dalla
sudditanza spagnuola voleva dire trasformare radicalmente l'eser-
cito, mutarne gl'ingranaggi e le ruote arruginite dal tempo;
affidarne il carico all'Acton significava non soltanto accentuare
questo distacco, ma orientare la riforma verso modelli ben defi-
niti, dare ad essa, d'altronde, un'impronta personale.
Così si ebbe per 1' esercito, dato il predominio della regina,
il trionfo dell'ordinamento tedesco, come per la marina un piano
originale voluto ed attuato dall'antico ufficiale al servizio to-
scano.
Già nei primi mesi del 1779 Giovanni Acton era segretario
di stato pel ripartimento della Marina, e l'anno dopo, nel giu-
gno, accentrava per volontà regia le due segreterie di Guerra
e Marina.
Non è, credo, ancor noto che Carlo III, avversario tenace
di ogni riforma dell'Acton, mandò a Napoli per modificare e
sospendere le divisate innovazioni, i generali spagnuoli Gioa-
chino Fons de Viela e Giuseppe Roca, inutilmente ; che anzi
la caduta del marchese della Sambuca, cioè la definitiva scon-
fitta del partito spagnuolo, coincide con la grande riforma mi-
litare del 1786.
La quale venne tuttavia preparata lentamente con nume-
rose disposizioni : furono, ad esempio, aboliti i reggimenti val-
loni di Namur ed Anversa e con essi completati gli altri due
di Hainaut e di Borgogna, regolata la distribuzione omogenea
— 94 — -
degli ufficiali e dei sottufficiali nei vari reggimenti e i loro sti-
pendi, riuniti sotto un'unica Intendenza generale delVesercito
tutti i servizi amministrativi, assegnato al « ramo militare »
uno stanziamento permanente di ducati 2,700,000, aumentabile
in via straordinaria di altri 300,000 ^ migliorati i corsi di
studio dell'Accademia, specialmente quelli scientifici.
Contemporaneamente, mentre scelti ufficiali d'artiglieria, fra
cui Tommaso Susanna e Filippo Castellano, venivano inviati a
perfezionarsi a Bologna alla scuola del celebre matematico Giro-
lamo Saladini, altri, come Macry, Pignatelli di Cerchiara, Bruni,
del Re, Genzano, Roxas, Serrano, erano nel 1782 incaricati di
recarsi in Francia e in Germania allo scopo di studiare i nuovi
regolamenti sull'amministrazione delle truppe, gristituti di e-
ducazione militare, le recenti scoperte nei servizi del genio e
dell' artiglieria 2. Li comandava, Giuseppe Parisi, il cui nome
è legato alla grande riforma dell'Accademia, qualche anno dopo
compiuta.
Notevoli sono, sopratutto, le opere militari e civili dovute^
in questo tempo al Corpo degl'Ingegneri, alcune delle qual^
ancora oggi sussistono, altre furono poi interrotte dall'incalzare
degli avvenimenti politici.
Mentre il Dipartimento di Guerra e Marina affidava al Rizzij
Zannoni lavori cartografici di grande importanza ^ ring. Ai
^ Il bilancio della guerra assorbiva per il servizio ordinario quasi
^Ig delle rendite dello stato, e la metà nel caso dell'aumento straorc
nario.
2 D'Ayala, Le vite dei più celebri capitani e soldati napoletani, Napoli
St. dell'Iride, 1843, pp. 7, 39, 372.
» Già fin dal 1769, com' è noto, lo Zannoni per incarico del Tanucc
aveva disegnato a Parigi, sotto la direzione di F. Galiani, allora segr€
tario di legazione, una carta in quattro fogli del regno di Napoli, la qualt
sebben fatta su vecchi materiali e lontano dai luoghi, era riuscita di grai
lunga superiore a quelle del Petrini, del Bulifon, del Pacichelli, del M£
gini. Cfr. A. Blessich, L'abate Galiani geografo, in Napoli nobilissima,
(1896), 145; id.. Un geografo italiano del sec. XVIII: Giovanni Antoni
Rizzi-Zannoni (1736-1814), in Boll. d. Soc. Geogr., s. Ili, 1898,p. 11.— V<
nuto a Napoli, oltre a vari lavori geodetici, lo Zannoni attese alla compi
lazione d'un atlante marittimo, ad una carta generale del regno di Napol
— 95 —
drea Pìgonati era inviato a restaurare l'antico porto militare
di Brindisi, si affidava a Francesco Securo il riattamento del
porto di Baia e la riedificazione del porto di Miseno con
la riapertura del Mar Morto, la bonifica dei terreni incolti di
Baia, Miseno , Bacoli , Miniscola e Cuma, lo scolo delle acque
del Fusaro, e l'apertura d'una nuova comunicazione fra il lago
d'Averno e il Lucrino. Al genio militare si deve la rico-
struzione di Messina, distrutta dal terremoto del 1783 ; ad un
altro ingegnere, Giuseppe Capri, che assieme ad Antonio Win-
speare e all'architetto civile Lorenzo Jaccarinc faceva parte della
Giunta delle Strade, la costruzione della nuova via d'Abruzzo ;
mentre nella capitale, per ricordare soltanto le cpere pubbliche
di maggior mole, il marchese di Montemayor dirigeva nel 1780
il lavoro della scarpata di Pizzofalcone verso il Chiatamone,
e sorgeva l'edificio dei Granili, dovuto all' opera dell'Ascione e
dell'ingegnere camerale Francesco Viti^.
* *
Il piano di trasformazione della fanteria di linea secondo i
criteri dell' Acton, a cui non furono estranei i suggerimenti e
gli studi del Parisi ritornato di Germania nel novembre 1785,
porta la data del 1786.
La fanteria veniva distribuita in 23 reggimenti: 1 di Reali
Guardie Italiane, 17 fra veterani, nazionali e valloni, 4 sviz-
zeri, fra cui uno di Guardie Reali, 1 di Macedoni, oltre al
corpo d'Artiglieria. E mentre quest' ultimo si portava ad una
forza quasi tripla della precedente, e al doppio quella del
Regg.to R. Macedone, si riduceva d'un terzo la forza degli
Svizzeri, di cui si divisava in tempo non lontano l'abolizione.
Nello stesso tempo si stabiliva che in caso di guerra tutti i reg-
divisa in più fogli, ad un'altra militare, e ad una carta geografica dei con-
fini settentrionali del regno per le eterne vertenze con Roma.
^ Per più ampi particolari vedi Logerot, ms. cit., cap. V, § 3» - Sui
Granili, iniziati alla fine del 1778, cfr. Florio, Annali cit., XXXI, 42)
LuD. DE LA Ville-sur-Yllon, Dal Carmine a Revigliano, in Nap. nob.,
Vili (1899), p. 4.
96
gimenti di fanteria, eccettuate le Guardie Italiane, si accresces-
sero d'un battaglione di milizie provinciali. Si aveva così in
pace una forza di fanteria di 31,462 uomini, in guerra di
46,643, compreso il Corpo Reale d'Artiglieria :
1 Guardia Reale (Reali Guardie Italiane) 1417
7 Veterani {Re, Regina, R. Borbone, R.
Farnese, R. Napoli, R. Palermo, R. I-
taliano)
8 Nazionali {Campania, Puglia, Lucania, { 20213
Sannio, Messapia, Calabria, Agrigento,
Siracusa)
2 Valloni {Borgogna, Hainauf)
1 Estero {Real Macedonia) 2012
4 Svizzeri {Reali Guardie Svizzere, Wirtz,
Tschoudy, Jauch) 5800
Provinciali (in tempo di guerra) 8500;
Artiglieria 2020;
Ognuno dei reggimenti di fanteria era composto di ducj
battaglioni di fucilieri e di due compagnie di granatieri, sa
eccezione delle Reali Guardie Italiane, che avevano quattro!
compagnie di granatieri. Nessun mutamento nelle altre armi:]
la cavalleria continuava ad esser composta di otto reggimenti
(dei quali 4 di dragoni) agli ordini dell'ispettor generale ma-
resciallo Filippo Spinelli ; l' artiglieria e il corpo degl' inge-
gneri conservavano il loro stato maggiore ; la fanteria dipendevi
da due ispettori, i marescialli Sanchez de Luna e Michele
Ódeai.
Ma l'anno stesso, aboliti il battaglione Real Ferdinando, il
Collegio Militare d'antica fondazione e la Reale Paggeria, ri-j
* Veniva contemporaneamente arredato con le più moderne esigenze]
della scienza l'ospedale militare di S. Giacomo degli ^Spagnoli, sotto il
governo della Real Casa dello Spedale, presieduto prima dal march.
Ferdinando Corradini, poi dal caporuota Basilio Palmieri ; ne fu primo
direttore generale il cav. Ferdinando Logerot, incaricato anche delle fun-
zioni d' intendente dell'esercito.
97
ceveva stabile assetto, eccellenti norme e, qualche mese dopo,
sede decorosa nel bello e vasto edifìcio della Nunziatella a
Pizzofalcone (un tempo noviziato dei Gesuiti, poi sede del Real
Collegio Ferdinando per giovinetti nobili, trasferito con dispaccio
18 maggio 1787 nell'Università) la Reale Accademia Militare.
Accoglieva essa, nel suo prime anno di vita, 240 allievi fra
cui 16 paggi, divisi in quattro brigate. Primo comandante ne
fu il maresciallo Domenico La Leonessa di Supino ; coman-
dante in seconda e ispettore degli studi il ten. col. Parisi, a
cui si deve il piano generale dell'istituto; governatore il ten.
gen. Francesco Pignatelli-Strongoli, comandanti di brigata i
capitani Vincenzo Perez-Conde, Stanislao Espin, Roberto Mira-
belli e Tommaso Susanna. E professori fra i più noti, come An-
nibale Giordano, Saverio Macry, Pasquale Baffi furono chiamati
ad insegnarvi, fornita la biblioteca delle migliori opere d'arte
militare, dotati i gabinetti dei più moderni strumenti, stabilita
la costruzione d'una specola astronomica, destinato il forte di
Vigliena e il terreno adiacente agli esercizi degli allievi.
Questo glorioso istituto, che superò immutato tutte le crisi
della monarchia borbonica, divenne fonte inesauribile di uffi-
ciali valorosi e colti, da A. Begani ai d'Ambrosio, dai Pepe al
Colletta, da Luigi Arcovito al d'Aquino, per ricordare soltanto
i migliori tra quelli che operarono durante il burrascoso pe-
riodo delle guerre napoleoniche i.
1
*%
Subito dopo, mentre ufficiali sopratutto delle armi speciali
venivano inviati a perfezionare la loro coltura tecnica in Fran-
cia e in Germania ^ G. Acton persuadeva il re a chiamar
* Cfr. FERRA.RELLI, Il Collegio Militare di Napoli, in Memorie militari,
cit. p 5 sgg. - Parecchie altre notizie sull'ordinamento della Nunziatella
e sui primi direttori ed insegnanti sono in Logerot, ms. cit., cap. V, § 5.»
' Vi andavano scelti ufficiali d'artiglieria, Luigi Parisi, Oronzo Massa,
Gavino Mena, Pietro Duchéne, Emanuele Ribas, sotto la guida del capi-
tano Giov. Antonio di Torrebruna, a visitare in Francia le più famose of-
ficine dell'arma, come la celebre fonderia di cannoni del Moncenisio e le
fabbriche tedesche di Strasburgo.
Anno XLV. 7
a Napoli direttori ed istruttori stranieri che, trasformando ra-
dicalmente l'esercito, traducessero in atto le conoscenze e le
esperienze della guerra dei Sette Anni e di quella per l'indi-
pendenza degli Stati Uniti d'America : per la fanteria il ge-
nerale Rodolfo de Salis-Marchlins, svizzero del Canton dei Gri-
g,ioni, il brigadiere Daniele de Gambs, gli ufficiali superiori
De Burckhardt, di Basilea, e de Rosenheim; per la cavalleria il
brigadiere Oreille e l'ufficiale superiore de Bock; per l'artiglieria
e il genio il brigadiere Renato de Pommereul e gli ufficiali su-
periori Rugìs e Lamartinière. E dalla Francia venivano fra gli
altri istruttori, Eblé, Devaux, Lahalle, Augereau: i due primi
divenuti più tardi generali di divisione sotto la Repubblica, il
terzo morto colonnello d'artiglieria a Napoli, il quarto — allora
sergente — divenuto sotto l' impero maresciallo di Francia e
duca di Castiglione. A questi uomini, e specialmente al Salis,
che un dispaccio della fine di novembre del 1787 dichiarava
« ispettore generale di tutta la truppa », all'Oreille e al Pom-
mereul, allievo del celebre Gribeauval, fu affidato il diffìcile
incarico di riorganizzare l'esercito napoletano nelle sue tre armi
fondamentali^.
1 II Salis (1732-1807), che dal 1780 aveva titolo di maresciallo di
campo dell'esercito francese, giunse a Napoli nella seconda metà di no-
vembre del 1787. Secondo il Gorani (Mémoires secrets et critiques des
couts, des gouvernemens et des moeiirs dcs principaux états de l'Italie, Paris,
Buisson , 1793, I. 200) e il Dumas (I Borboni di Napoli , Napoli, Iride,
1861, I, 254) il suo nome era stato fatto alla Corte da un fratello del-
l'Acton, anche lui maresciallo d'armata in Francia, che ne aveva magni-
ficato i talenti militari. M. Carolina aveva insistito presso la sorella per
averlo a Napoli. Il Residente Veneto informava il 2 ottobre il Senato ch'era
partita la fregata Santa Dorotea con due corvette per Marsiglia, avendo
a bordo gli ufficiali napoletani inviati in Francia per istruirsi nel ma-
neggio delle artiglierie ; sugli stessi legni avrebbero dovuto imbarcarsi al
ritorno gl'istruttori francesi. Alcuni di essi il 20 novembre erano già ar-
rivati ; altri, ed insieme con loro il bar. de Salis, giunsero poco dopo.
Gli fu dato un annuo assegno dì 10800 ducati ; in tutto gl'istruttori
stranieri costarono all'erario 37,000 ducati. (Arch. di Stato di Venezia,
Disp. del Resid. Veneto a Napoli: filza 1». n. 165, disp. 2 ottobre, 20 e
27 novembre, 4 dicembre 1787).
99 —
*
Il Salis si mise all'opera con grande energia, urtando subito
contro ostacoli im preveduti, specialmente contro la resistenza
degli ufficiali dei corpi privilegiati che vedevano in pericolo
le loro grasse sinecure e che trovavano — come vedremo — nella
regina, leggera ed intrigante, protezione e favore.
Fu decisa la soppressione dei due reggimenti delle Reali Guar-
die Italiane e Svizzere, del reggimento vallone di Hainaut (re-
stando soltanto quello di Borgogna , ma dichiarato nazionale)
e dei tre svizzeri di Wirtz, Tschoudy, Jauch : questi ultimi quat-
tro reggimenti sostituiti da due alemanni (1° e 2° Estero) e da
due macedoni (1° e 2° Real Macedonia).
Tutta la fanteria, regolata da speciale organico sui piedi di
pace e di guerra, e la cavalleria, aboliti i dragoni, furono di-
stribuite in 14 brigate formanti 7 divisioni : ogni divisione, su
due brigate, al comando di un maresciallo di campo, ogni bri-
gata, su due reggimenti, al comando d'un brigadiere i. — La
fanteria fu tutta vestita e in parte armata secondo i modelli
e coi fucili di Germania ; la cavalleria posta press' a poco sul
piede prussiano. Con questo piano l'esercito napoletano avrebbe
dovuto raggiungere un effettivo di 57.580 uomini in pace ,
61,543 in guerra , compresi 15.000 uomini di milizie provin-
ciali, secondo il prospetto seguente :
^ Ogni reggimento di fanteria comprendeva 3 battaglioni di fucilieri e
2 compagnie di granatieri, oltre alla piana maggiore e minore (22 teste).
I due primi battaglioni erano costituiti su quattro compagnie, il terzo
su due. Ciascuna compagnia di granatieri aveva 122 uomini, di fucilieri
144 uomini in pace, 164 in guerra ; 1' aumento riguardava però soltanto
i due primi battaglioni. Ogni reggimento di cavalleria era costituito da 4
squadroni attivi e mezzo di riserva, più lo stato maggiore e minore (21
uomini) ; ciascun squadrone comprendeva 142 uomini, di cui 120 mon-
tati. Ogni reggimento d'artiglieria, costituito su due battaglioni, si divi-
jdeva in 4 brigate e mezza ; ogni brigata comprendeva 4 compagnie di
►1 uomini in pace, 72 in guerra. Le due mezze brigate formavano una bri-
gata di minatori.
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Venivano parimenti stabiliti due campi di esercitazioni: per
la fanteria Capua, per la cavalleria Aversa, dov'era acquar-
tierata la brigata modello (Re e Regina)^.
Efficacia più duratura e profonda ebbe il nuovo ordinamento
delle artiglierie, secondo i modelli di Francia, dovuto all'ispet-
tore Pommereul. Un'ordinanza del 1788 approvava la costitu-
zione del Corpo Reale in due reggimenti. Re e Regina, ciascuno
su 16 compagnie in tempo di pace, 18 in tempo di guerra, più
due di minatori e zappatori.
Ottima l'istruzione degli ufficiali, eccellente 1' Arsenale , co-
struito su piani e disegni del Securo con le norme stabilite dal
Pommereul, dove per merito napoletano venivano modificate e
migliorate la fusione dei pezzi e la tecnica degli affusti; buone
le officine statali, sia le antiche, come la celebre fabbrica
d'armi di Torre Annunziata (1774) e le ferriere di Stilo, Atri-
palda. Piano d'Ardine e Scrino, sia le recenti e più importanti
di Acerno, Canneto, Poggioreale e Torre Annunziata 2.
La stessa ordinanza dell' 11 dicembre 1788 provvedeva alla
soppressione del Corpo degl'Ingegneri, che veniva riunito alFAr-
tiglieria, provvedimento assai discutibile che durò fino al 1799;
mentre in quegli anni si organizzava, sotto la guida del bri-
* Altri campi minori erano Gaeta per la fanteria, Nocera per la caval-
leria. Non vi era campo di manovre a Napoli (il Campo di Marte non fu
costruito che nel 1810) : le truppe si esercitavano nei piani di Bagnoli, di
Ghiaia e dei Granili.
* Cfr. D'Ayala, Napoli militare cit., p. 156 sgg. La sede del Corpo era
il Castel Nuovo. Per ordine del Pommereul furono istituite scuole metodiche
di fuochisti, di forze e manovre, di disegno, e per gli ufficiali corsi supe-
riori di chimica e di mineralogia svolti da Gaetano la Pira e dal celebre
abate Breislak. Dovevano, in seguito, essere stabilite altre tre scuole di ma-
tematica (fìsica, architettura militare ed idraulica), una grande scuola pra-
tica a Napoli e due minori in Sicilia e sul litorale adriatico.
La fusione dei pezzi era affidata al capitano austriaco Thiasky, ma la
costruzione dei nuovi affusti era diretta da abili ufficiali napoletani : Cim-
mlno, Blengini, Giulietti, de Cosiron, Dupuy e Montegaudier. Per quel che
riguarda le ferriere, è bene notare che se fin dal 1791 fu stabilita ura Fon-
deria reale e una Fabbrica d'armi presso la Mongiana, nella Calabria Ul-
tra II, dove esisteva una miniera di ferro e di grafite (cfr. Del Pozzo,
Cronaca cit., ad a.) essa coi boscosi terreni adiacenti non fu messa al
servizio dell'artiglieria che verso la fine del 1807.
102
gadiere Bompiede e poi di Enrico Sanchez de Luna, il genio
idraulico^ i cui primi ufficiali venivano inviati, al comando del
Dillon ad istruirsi presso le scuole di Metz e di Mézières e
presso i porti di Brest e di Cherbourg. Per merito del corpo
degr ingegneri, oltre ad opere pubbliche di abbellimento cit-
tadino come il teatro del Fondo allora compiuto, s' iniziava,
mettendo a profìtto le nuove applicazioni dell'ingegneria mili-
tare, queir armamento razionale del Cratere con batterie di
grosso calibro, che l'incalzare degli avvenimenti doveva far
completare alla meglio alla vigilia della dimostrazione navale
francese nel dicembre del 1792 1.
Tali i criteri di rinnovamento dell'esercito secondo i pro-
positi degl' ispettori chiamati dall'Acton, rinnovamento che
avrebbe importato una spesa annua, secondo le cifre ufficiali,
di oltre tre milioni di ducati pel solo continente 2. Ma interes-
sate resistenze, intrighi di corte, errori fondamentali, organica
impossibilità di rinnovamento impedirono — come vedremo —
ogni seria trasformazione delle istituzioni militari, preparando
di lunga mano la catastrofe del 1798.
* *
Il Residente veneto a Napoli, scrivendo al Senato intorno
ai principali avvenimenti politici del regno , si dilunga spesso
* Logerot, ms. cit., cap. VI, § 2° ; D' Ayala, Napoli militare cit., pa-
gina 183 sgg.
2 Fino al 1786 la spesa totale dell' esercito fu di 3 milioni di ducati,
dei quali 2.100,000 a carico del continente, 900,000 della Sicilia. La riforma
del 1787-88 portò l'assegnamento a 3,180,000 ; indi cominciate ad adden-
sarsi suir orizzonte politico le prime nubi, il bilancio della guerra fu
successivamente accresciuto : nel novembre del 1790, secondo il piano del
Residente Veneto, era salito con le spese ordinarie e straordinarie a du-
cati 3,327.039 (Galanti, Descrizione geografica e politica delle Sicilie, Na-
poli, I793, III, 80 ; Bianchini, Storia delle finanze del regno di Napoli, Na-
poli, 1835, III, 244 ; R. Arch. di St. di Venezia: Dispacci al Senato,
filza I», n. 156-Relaz. 24 novembre 1790). Anche l'amministrazione mi-^
li tare e la giurisdizione penale dell'esercito furono radicalmente trasfor-i
mate, quest'ultima con reali dispacci del 1789. Cfr. Logerot, ms- cit.,
cap. VI, §§ 4-5. pei tribunali militari vedi anche il Galanti, o. c, I, 366.
— 103 —
da mezzo il 1787 a tutto l'anno seguente, a parlare della ri-
forn^a dell'esercito, insistendo con critica misurata e serena
sugli ostacoli frapposti dagli stessi ufficiali superiori, in gran
parte nobili, all'attuazione dei piani del Salis, e sull'incapacità
dell'esercito stesso a trasformarsi.
Non era ancora giunto a Napoli il Salis che già, nel novembre
1787, cominciavano i malumori : « Non lascia intanto la di lui
venuta — scriveva il Residente — di produrre una somma sensa-
zione in questi Uffiziali spezialmente dello Stato Maggiore, non
tanto per la circostanza per loro umiliante di dovere assoggettarsi
in ora a nuovi metodi di disciplina per il governo dei rispettivi
loro reggimenti, quanto per il timore di vederne alcuno o rifor-
mato o destinato a servire in giro per le Provincie del regno ».
In seguito i malumori si tradussero in lotta aperta ed accanita,
quando (si disse anche per desiderio della regina) furono abo-
liti i Liparoti i « a malgrado dei maneggi degli ufficiali per la
maggior parte primogeniti delle più ragguardévoli famiglie»,
quando furono sciolti i reggimenti svizzeri, e specialmente al-
lorché si seppe che il re aveva ordinato lo scioglimento dei due
corpi privilegiati, le Reali Guardie Svizzere ed Italiane 2. Al-
lora scoppiò il grave incidente tra il Salis e la regina, che pa-
ralizzò per sempre l'opera dell'ispettore generale^.
k
* n corpo dei Liparoti, stabilito con r. dispaccio 16 ottobre 1774,
mposto dapprima di soldati nativi delle isole Lipari , destinati a far
sbucare la selvaggina a pelo nelle regie cacce di Capodimonte, Bovino,
Persano, era divenuto a poco a poco una specie di guardia del corpo so-
pratutto negli ufficiali. Cfr. Florio, Annali, cit., in questo Archivio, XXXI
(1906), pp. 28, 36.
= R. Arch. di Stato di Venezia : Dispacci cit., 20 e 27 novembre,
4 e 18 dicembre 1787, 1° e 8 gennaio 1788.
» L' aneddoto è variamente raccontato dal Gorani, 0. e, I, 200 sgg.
(copiato, come sempre, dal Dumas, I Borboni di MapoU cit., I, 258 sgg.) e
dal Rinieri (Della rovina di una monarchia. Relazioni storiche tra Pio VI
e la Corte di Napoli negli anni 1776-1799, Torino, U. T. E., 1901, pa-
gine 529-30) sulla scorta d'un 'importante lettera dell'ab. Servanzi al Bon-
compagni dei 22-29 febbraio 1788. Vi accenna sommariamente anche I'Or-
LOFF, Mémoires historiques, politiques et littéraires sur le royaume de Naples,
Paris, 1825, II, 171. Mi attengo alla narrazione del Residente veneto a
Napoli, la quale, anche per la fonte da cui deriva e per la proverbiale
104
Quado si giunse alla riforma delle Reali Guardie Italiane, i
cui ufficiali appartenevano alle più illustri famiglie della capi-
tale fu tale e tanta l'opposizione incontrata dal Salis, che que-
sti — sembra — ritenne opportuno sparger la voce di non es-
ser che l'esecutore materiale di ordini venutigli direttamente
da M. Carolina. Giunta la notizia agli orecchi della regina (si
noti ch'essa probabilmente aveva desiderato soltanto l' aboli-
zione dei Liparoti per la soverchia ed indecente confidenza
degli ufficiali col re), questa in una festa di corte, la sera del
4 febbraio 1788, circondata dall'ufficialità delle Guardie Italiane,
trovò modo di rimproverare il Salis della voce attribuitale e di
fargli, a torto o a ragione, ammettere esser lui soltanto l'au-
tore della divisata abolizione.
Il Salis cavallerescamente s'inchinò, ma il giorno dopo in-
viava all'Acton le dimissioni sue e degli altri istruttori. Fu ne-
cessario correre ai ripari , poiché la sua presenza era ancora
giudicata indispensabile ; il 14 febbraio l' Acton gì' indirizzava
una lettera di elogio, resa pubblica da tutte le gazzette, in cui
si ammetteva che M. Carolina era stata ingannata da « strani
rapporti pervenutile », e nello stesso tempo lo si assicurava « che
sarebbero stati esattamente e prontamente puniti gli autori
delle sparse voci ed imputazioni che a tanto disgusto ed inquie-
tudini hanno dato motivo ». Le file di tutto l'intrigo par certo,
secondo l'Alberti, che fossero nelle mani di un avventuriere
senza scrupoli, di quel cavaliere di Brissac, antico gentiluomo di
Borgogna che, venuto a Napoli nel 1775 povero e malfamato,
era riuscito a diventare a poco a poco il favorito e il confidente
di M. Carolina; e forse non erano estranei il Talleyrand, am-
basciatore di Francia, e sua moglie, nemici del Salis. Certo è
che alcuni giorno dopo il Brissac veniva rinchiuso in Castel
dell'Ovo, e poco appresso fatto partire per la Borgogna, ma
con una lauta pensione da parte della regina, che era stata co-
stretta ad approvare la lettera di scusa (nota il Residente ve-
neto) « non senza un vivo dispiacere di vedere in questa occa-
pnidenza degli ambasciatori della Serenissima, ha, senza dubbio, maggior
sapore d'autenticità {Dispacci cit, 12, 19, 26 ; febbraio 1788).
— 105 —
sione compromessa la propria dignità e la naturale sua superiorità
ed influenza »*.
Ma da questo episodio la sorte delle riforme del Salis fu se-
gnata. Con real dispaccio in data 31 ottobre 1790 si accettavano
le sue « ricercate dimissioni », concedendogli oltre una pensione
vitalizia, il soldo di generale in quartiere. Certo avevano con-
tribuito al congedo le vicende di Francia, ma la partenza del
Salis rappresentava il trionfo di quanti, in buona o in mala fede,
avevano combattuto questa invasione straniera nella direzione
dell'esercito napoletano.
Quali le conseguenze delle tanto decantate riforme ? Dopo
due anni di tentativi e quattro grossi volumi di ordinanze,
tutto era ancora « somma confusione » ; soltanto la prima bri-
gata di fanteria e di cavalleria, col nome pomposo di « brigate
modello » erano istruite secondo il nuovo sistema ; all'aumento
di 200.000 ducati annui del bilancio militare corrispondeva la
diminuzione di un terzo negli effettivi I Solo nell'artiglieria, a
malgrado anche qui di non infrequenti conflitti tra il direttore
di essa,ten. gen. Pietra e l'ispettore Pommereul, le riforme, frutto
d'una mente più organica, applicate d'altronde ad un corpo
scelto e ristretto, ebbero esito miigliore e più duraturo ; cosic-
ché quando nel settembre 1793, in seguito alle vicende della
Rivoluzione e della guerra con la Francia, vennero accettate le
dimissioni del Pommereul, il Corpo reale era un organismo so-
I
H * n cav. di Brissac, che il Borico mpagni in una lettera a mons. Caleppi
^ (in RiNiENi, o. e, p. 529) dice di pessima riputazione, « gira-mondo » e peg-
gio, era cugino del conte di Saint-Priest. Entrato nelle buone grazie dell'am-
basciatore di Francia a Napoli bar. di Breteuil e poi della duchessa di
Chartres, la futura «cittadina Egalité », era stato presentato a Corte ed
accolto nel battaglione dei Cadetti. A lui, quando scoppiarono più acri i
dissapori tra la Spagna e Napoli e vi fu mischiata la corte di Versailles, fu
dato l'incarico d'una missione particolare a Parigi, missione che fallì del
tutto. Tuttavia essa gli valse il grado di colonnello, il titolo di gentiluomo
di Camera d'entrata e una pensione di 1200 ducati, riversibile dopo morte
alla moglie e ai figli 1 E la pensione, naturalmente, conservò anche dopo
lo sfratto del 1788, né M. Carolina si dimenticò più tardi del suo favorito
in altre delicate incombenze. — Importanti documenti sulla sua tentata
opera di conciliazione fra le Corti borboniche sono nel R. Arch. di Stato
DI Napoli : Affari Esteri, f.» 4356 (Francia. Commissione Brissac, 1785).
106
lido e ben ordinato, che non sminuirà la sua fama negli avve-
nimenti posteriori.
Di tutti gr istruttori venuti nel 1787 il Burckhardt e il de
Gambs, rimasti a Napoli, raggiunsero i più alti gradi dell'eser-
cito, il primo che amò gallicizzarsi il nome in De Bourcard, morì
capitan generale a Palermo nel 1820, il secondo, dopo aver
serviti i Napoleonidi, fini tenente generale a Napoli nel 1823 ^.
*
Nel novembre del 1790 , inviando al Senato un' abbastanza
esatta relazione intorno all'esercito napoletano, il Residente ve-
neto accennava sommariamente alle cause della sua scarsa ef-
ficienza 2. Le cifre, notava, si leggono soltanto nel Piano, ma
era opinione comune che le forze di terra in tempo di pace non
superassero i 16,000 uomini.
Cagioni prime di questa grave situazione le difficoltà del re-
clutamento straniero, il naturale aborrimento del soldato per
la nuova disciplina instaurata coi regolamenti del 1786, i modi
imperiosi degl' istruttori stranieri che provocavano numerosis-
sime diserzioni, la deficienza di ufficiali, specie quando — abo-
liti i corpi privilegiati — i nobili avevano abbandonato l'esercito,
accontentandosi del privilegio concesso dal re di portare l'uni-
forme senza direttamente servire.
Ma queste non erano in fondo che piccole cause: ben più
grave e profonda era la cancrena degl'istituti militari alla vigi-
lia della Rivoluzione francese.
È senza dubbio esagerata l'accusa dei patrioti e degli scrit-
tori giacobini alla regina eh' ella intascasse pe' propri capricci
una parte delle somnae assegnate ai bisogni dell'esercito^; è
1 Su Emanuele Burckhardt (1744-1820), cfr., oltre al d'Ayala {Le vite
dei più celebri capitani e soldati napoletani, cit., p. 27 sgg.), la vita scritta
da Th. Burckhardt-Bidermann, in Basler Jahrbuch, 1883 ; su Giovanni
Daniele de Gambs di Strasburgo (1744-1823), vedi un cenno biografico in
Damas, Mémoiresy Paris, Plon, 1912, I, 302 n. 1.
* Dispacci cit. Relazione 20 novembre 1790.
3 Cfr. DE Fabriciis, Compendio storico della Rivoluzione e Controrivo-
luzione di Napoli. Ms. XXVI, B, 19 della Bibl. della Soc. Nap. di St.
— 107 —
più probabile che il denaro finisse per disperdersi nei rivoli cie-
chi della burocrazia militare.
Ma la riforma del Salis fallì non soltanto per mancanza di
mezzi : falli per insufficienza e per mala volontà di uomini, per
la decadenza dello spirito militare, per la corruzione morale,
da cui erano affetti tutti gl'istituti governativi:
Il barone de Salis — nota il generale Damas nelle sue pre-
ziose Memorie — uomo d'onore e di merito, ma piccolo di mente,
si accontentò dei particolari, cercò di foggiare null'altro che dei
campioni perfetti, a tale scopo adoperando il tempo che il ca-
rattere ombroso e invidioso di Acton poteva accordare alla sua
precaria preponderanza. Quando questi volle disfarsi del Salis,
gli fu facile comprometterlo dinanzi al re, alla regina, alla pub-
blica opinione, l'obbligò a furia di disgusti e di contrarietà a
dimettersi nel momento più delicato della crisi militare. Il Salis
partiva lasciando la nobiltà malcontenta, i reggimenti stranieri
soppressi o riformati prima che i nazionali fossero in condizione
di servire, « et le militaire tomba dans une nullité morale qui
n'existait pas à un degré aussi fàcheux avant qu'on eùt entre-
pis de l'en tirer » ^,
Ma la critica più efficace e più convincente degli ordinamenti
militari del regno in questo periodo e l'esposizione più precisa
delle cause della loro debolezza, è in un'opera, tuttavia inedita,
di un ufficiale napoletano, lontano da ogni simpatia giacobina,
Carlo Afan de Rivera che segui nel Decennio i reali in Sicilia,
e vi fu anche, dopo il 1815 , sotto direttore dell' Ufficio topo-
grafico 2.
Patria , e. 29t e sgg. ; Notes sur la Cour de l^aples et sur la Revolu-
tion et les causes qui l'ont amenée , in Documenti. Fondo Paribelli (17 99-
1806) Ms. id., XXVI, A, 9, e. 141 sgg. — Di queste accuse che s'iniziano
col GoRANi (I, 426) sono pieni, si può dire, tutti gli opuscoli, i pamphlets,
i fogli volanti pubblicati durante la Repubblica del 1799.
^ Mémoires cit., I, 270.
2 Memorie militari sul regno delle Due Sicilie di Carlo Afan de Ri-
VERA, Maggiore dello Stato Maggiore dell'esercito etc. in Palermo nell'anno
1817 (Ms. XXX, D, 8 della B ibi. della Soc. Nap. di Storia Patria).
L'opera che l'Afan de Ri vera stese per incarico del Consiglio di Guerra,
riguarda specialmente le fortificazioni del Regno « in rapporto al sistema
— 108 —
Egli risale, anzitutto, a giudicare spassionatamente l'Acton
come Direttore di guerra : « dotato di un ingegno pronto e fe-
condo », le sue qualità illudevano, avendo egli « più l'apparenza
che il dono del genio » e « l'abilità di annunziare maggiori ta-
lenti di quelli che possedeva ». Come in ogni ramo della sua
amministrazione alle grandiose vedute mal corrispondeva l'ap-
plicazione, pratica, cosi sotto di lui le istituzioni militari furono
più appariscenti che solide.
Ed il Salis in fondo non seguì nelle sue riforme che il pen-
siero dell' Acton. Gettò certamente le basi d'una buona organiz-
zazione, ma gli ufficiali venuti con lui non curarono che la tat-
tica elementare e l'esatta osservanza dei particolari, e i napole-
tani furono inviati in Francia e in Germania a esercitarvi « il ta-
lento d'imitazione », a copiarvi le apparenze degli eserciti stra-
nieri, trapiantate nel regno senza tener conto delle circostanze
e dei caratteri peculiari della nazione.
« Noi eravamo Spagnuoli; quindi fummo trasformati in Fran-
cesi, in Austriaci, in Prussiani, e finalmente in Russi ed Inglesi));
badando alFesteriorità della parata, fu perduto di vista lo scopo
principale dell'esercito, vale a dire le operazioni di guerra.
Ed altri pericolosi veleni s'erano a poco a poco infiltrati in
quell'organismo non sano: la migliore organizzazione era an-
data a scapito della forza morale. Si affievolirono maggiormente
il punto d'onore e lo spirito di corpo; la precipitata abolizione
dei corpi privilegiati, lodevole da un lato, ebbe troppo aperta-
mente carattere di persecuzione nobiliare : il primo ceto, indi-
spettito, si ritirò dal servizio e disprezzò la professione delle
armi.
Si volle tutto instaurare dalle fondamenta, le persone, la
morale, le opinioni. Gli ufficiali che mostrarono speciali atti-
tudini a tradurre in atto le inutili burocrazie dei regolameati,
raggiunsero gli alti gradi dell'esercito ; esclusi come vieti pre-
generale di difesa », ma vanno innanzi una densa introduzione intorno alle
condizioni geografiche, fisiche, morali e militari e un breve saggio sulla sto-
ria militare antica e moderna delle Due Sicilie, tanto più importante, in
quanto l'autore fu presente a molti dei fatti che narra e discute con cri-
tica minuziosa e serena.
109
giudizi l'onore, il decoro, il buon costume, parve suprema qua-
lità del soldato la lindura delle armi e del vestiario.
Trascurata la scelta rigorosa nella reclutazione, l'esercito di-
venne spesso ricettacolo d'indegni, di turbolenti, di facino-
rosi ; fu concesso di scontare col servizio militare pene anche
d'omicidio ; talvolta si giunse persino a vuotar le galere per
fare soldati I ^
Non ci meraviglieremo quindi se nell'ora del pericolo questo
esercito , róso da crisi interne , peggiorato da provvedimenti
improvvisati in mezzo all'anarchia governativa, minato dalla
propaganda rivoluzionaria, si sfascierà quasi senza combattere
innanzi all'impeto dei soldati francesi, più rozzamente vestiti
ed armati, ma condotti al cimento dalla virtù militare, dallo
spirito di sacrifìcio, da un elevato ideale di patria e d'umanità.
continua
Attilio Simioni
» Cfr. E. Gentile, // Tribunale dell' Anuniragliato e Consolato {17 83-
1808), Napoli, Jovene, 1909, pp. 35-36.
CAUSE E IMPORTANZA
DELLA
RIVOLUZIONE NAPOLETANA DEL 1820
In un recente libro sul nostro Risorgimento, dettato da un
compianto scrittore italiano, che fu critico geniale non meno che
elegante espositore, si legge quanto segue :
« Come quasi sempre è accaduto in Italia, il moto napoletano
del 1820 fu una ripercussione del moto spagnuolo, cominciato
con un pronunciamento militare a Cadice per riavere la costi-
tuzione del 1812.
« La sera del 2 luglio 1820, due luogotenenti di cavalleria,
il Morelli e il Silvati , che stanziavano a Nola , disertano e
s'avviano ad Avellino con 127 soldati, secondati da un prete
Menichini e da non più di venti settari. Con gli altri che s'uni-
rono ad essi, saranno stati un 150. Poco o nulla ci voleva a
disperderli. Ma invece i Carbonari di Napoli, alle prime notizie,
si agitano; il re s'impaurisce; di tre generali, mandati ad af-
frontare i ribelli, uno si. ritira; all'altro, scappano i soldati;
il terzo si unisce agli insorti e ne prende il comando.
a Quest'ultimo era Guglielmo Pepe.
« Nella notte del 5 luglio alcuni congiurati si presentano alla]
reggia in Napoli e chiedono senz'altro la costituzione. Il 6 lu-
glio, era concessa: quella di Spagna del 12. Ma in pari tempc
il Re nominava suo vicario il Principe ereditario ; disse poi sn-J
» Conferenza tenuta ai 13 giugno 1920 nella sala della « Unione dei
giornalisti di Napoli » per loro invito.
I
Ili
bito che aveva bisogno di riposo. Cosi Napoli fu costituzionale:
una commedia, che durò dal 6 luglio 20 al 23 marzo 21. Tutto
quanto fu fatto in questo tempo, non fu che rettorica e tea-
tralità... ; un sogno, un triste sogno, da cui molti si svegliarono
in esilio ; altri, nelle carceri ; il Morelli e il Silvati, i due ini-
ziatori del moto, sul patibolo... ».
È, come avete visto, una sfilata di stranezze, di maraviglie,
di sorprese : in due tenenti, la folle idea di porre in rivoluzione
un regno intero, e la non meno folle attuazione di sera : quando
la gente va a letto; di tre generali, l'impotenza di due e il
colpo di testa del terzo ; alla corte e nel re non altro che paura;
tutto il resto risolversi in commedia, in rettorica, in sogno...
Tanto più folle quella prima idea, se si ripensa al bene o-
perato dal governo dal 1815 al 1820.
Ognun di voi ha letto la storia del Colletta, che deirevento
d'un secolo fa ci lasciò la narrazione più ricca, più meditata e
più bella ; e che, pur giudicando severamente le persone dei mi-
nistri di Ferdinando I, ne descrisse con lode i buoni provve-
dimenti, in ogni ramo d'amministrazione, conchiudendo che si
ebbe allora governo benigno, monarchia moderata, stato pro-
spero ; dove, più che in ogni altro d'Europa, si custodiva quel
patrimonio di nuove idee, per cui s'era sparso tanto sangue
nel mondo.
E, allora, come mai, in uno Stato cosif atto, potè fermentare
lo spirito di rivoluzione ?
Ma consentite che alla risposta io premetta una breve di-
gressione, per colmare una lacuna del nostro insigne storio-
grafo. Tra le egregie opere del quinquennio anteriore alla Ri-
voluzione, il Colletta tacque la prima navigazione a vapore
nel Mediterraneo, che fu opera e gloria napoletana ; per la quale
Luigi de' Medici fu celebrato fuori del Regno come propulsore
d' ogni progresso, e « benemerito dell'Italia ».
Questo titolo lusinghiero gli dette , più autorevolmente che
altri, sul « Conciliatore » — il famoso organo del liberalismo lom-
bardo — il conte Luigi Porro Lambertenghi, che dal nostro
« Ferdinando I » a Genova trasse l'inspirazione alla costruzione
dell' « Eridano » per la navigazione Padana. Ma 1' « Eridano »
fatto costruire dal conte Porro in società col conte Federico
— 112 —
Gonfalonieri e col marchese Alessandro Visconti d'Aragona e
con r aiuto di Silvio Pellico, suo segretario, se in apparenza
doveva accelerare i traffici tra Milano e Venezia, in realtà fu
destinato ad accostare e fondere veneti e lombardi in servizio
della causa liberale, per la « preparazione di tempi migliori ».
E rispondo ora alla dimanda fatta.
Scoppiata la rivoluzione a Napoli, il principe Jablonowski,
ministro plenipotenziario austriaco presso Ferdinando I, ebbe
ad esclamare che si sarebbe aspettata una rivoluzione nella luna
prima che qui.
La sua meraviglia, come la meraviglia che potesse averne
ogni altro, va attribuita a superficialità di spirito e ad unila-
teralità d'osservazione. Come tutti i governi, anche quello del
Quinquennio presenta una doppia faccia; e occorre pesare se la
somma delle sue opere buone generasse fiducia, pace e felicità
più 0 meno di quanto le sue colpe e i suoi errori seminassero
diffidenza, malessere e malcontento. Messe nella bilancia le due
somme, si riconosce di maggior peso il male.
Lo stato di spirito dell'esercito fu ritratto con special compe-
tenza e magistralmente dal Colletta, e non occorre tornarci su.
Ma, fuori delle sfere militari, anche nella società rimanente il
governo non seppe né tener paghi abbastanza i borbonici né
convertire in tutto e cattivarsi i murattiani.
Tra le sue misure più odiose e più largamente biasimate fu
la forzosa restituzione dei beni e pensioni concesse dal governo
passato a compenso di servigi resi o a risarcimento di danni
patiti.
La maggioranza della Consulta votò contro quella restituzione,
giustamente considerandola violatrice del trattato di Casalanza
e delle solenni promesse del re ; e propose che, come in Fran-
cia, i danneggiati dai Napoleonidi fossero risarciti in altro modo.
Ma il Medici la volle, e la restituzione fu decretata (14 ago-
sto 1815). Agli efletti, udite due casi personali.
Una signora Ernandez, privata d'una pensione, trovò modo
di presentarsi al re, ed ebbe il coraggio di dirgli che era per-
niciosa a lui la condotta dei suoi ministri. « Ebbimo (così fu
detto che si esprimesse) la repubblica ed aveva un partito ; vi
sono stati Giuseppe Bonaparte e Murat ed avevano un partito;
— 113 —
V. M. non lo ha affatto. Questa è una verità, che solo da me
che son donna V. M. puoi sentire ».
Si afferma che il re ne arrossisse e segnasse lì per li l'ordine
che la pensione fosse conservata. Ma quanti ebbero V audacia
e la fortuna di quella signora ?
L'altro caso riguarda un personaggio di gran lunga più illustre,
il famoso duca di Gallo, che, avendo come diplomatico di Fer-
dinando IV cooperato alla pace di Gampoformio, aveva da Fran-
cesco d'Austria ricevuto in premio la promessa di una villa in
Ungheria. Ministro poi nel Decennio e dei nuovi servigi com-
pensato con poderi, migliorati da lui con gran dispendio, venne
ora, pur essendo consigliere di Stato, costretto a restituirli o a
versarne il valore.
Tra i due mali, scelto il minore, dovè sborsare 62 mila ducati;
per raccogliere la qual somma, ebbe a vendere le gioie, le ar-
genterie e le suppellettili più preziose della casa. Ma quanti altri
possedevano questo ben di Dio, per conservare una proprietà
che avean ragione di ritenere legittima ? E, in parentesi, ag-
giungo che, quando poi — come dirò tra poco — venne a Na-
poli l'Imperatore Austriaco e ricordò la promessa del 1797 non
ancora attenuta, si sdebitò verso il duca di Gallo col dono li-
quido di centomila fiorini : manna, che certamente a nessun
altro potè piovere dal cielo.
.**
Come la privata, cosi la pubblica economia venne lesa da
provvedimenti insani, quale la restituzione a pastura di gran
parte del Tavoliere. Altre ordinanze offesero l'intelletto, come
la soggezione a censura dei libri provenienti dall'estero. La li-
bertà di pensiero fu punita anche retroattivamente, come, con
scandalo e disgusto generale, nel giudice d' appello Pasquale
Borrelli, destituito per avere nel Decennio patrocinato e perso-
nalmente messo in atto il divorzio.
Più larga e profonda fu la riprovazione riscossa dal Concor-
dato del 1818. Curioso il ministero di conoscere ciò che se ne
pensasse nelle province, ne officiò i vari intendenti. E posse-
diamo manoscritta, presso la Società napoletana di Storia Patria,
Anno XLV. 8
— 114 —
una delle risposte : il « Rapporto » dell'intendente Acclavio di
Lecce ; il quale, dietro informazioni dei suoi subalterni e di
« molte intelligenti e probe persone », non esitò di riferire il
« generale disgusto » di quella remota e civile regione per ru-
minazione inflitta all'onore e agl'interessi del Regno sacrificati
alle pretese di Roma.
Anche un aulico capriccio puerile ebbe il suo peso. E quale
peso 1 Tutta 1* enorme e autorevole massa della magistratura
insorse contro la sua esclusione dalla processione del Corpus
Domini. Noi possiamo ora sorridere della cosa; ma a quel
tempo era cosa assai grave.
Ma queste ed altre particolarità, che ometto, restano tutte
al di sotto di una causa superiore, nella quale si riassume il
crescente dissidio tra governo e governati. Gl'ideali di libertà
e di eguaglianza, germogliati dalla letteratura politico-giuridica
del settecento, messi in atto dal contatto con la rivoluzione fran-
cese, diffusi poi e modificati con la trasformazione sociale pro-
dotta dalla eversione della feudalità, s'erano oramai fìssati nella
monarchia costituzionale. Questa s*era reclamata sotto il Murat
in Calabria (12) e in Abruzzo (13) e più solennemente poi dalla
nobiltà, dalla magistratura e dall'esercito tutti insieme (14).
Questa era stata in ultimo pomposamente concessa dall'infelice
re ; ma sull'orlo del precipizio. Questa inoltre era stata data ai
siciliani dal re Ferdinando : e per lui, re costituzionale, avean
cospirato contro Gioacchino i Carbonari di qua dal Faro. Que-
sta dalla Sicilia era stata promessa solennemente dallo stesso
Ferdinando ai napoletani a procaccio di adesioni. Ma, assicurato
che si fu sul trono di Napoli, tra i suoi primi atti colpi nelle
sette il liberalismo. E, prima, nello stesso anno 15, decretò che
ogni pubblico ufficiale dovesse prestare il seguente giuramento:
« Prometto e giuro di non appartenere a nessuna società se-
greta di qualsivoglia titolo, oggetto e denominazione. E, nel
caso che io appartenessi a qualcuna di tali società, prometto
e giuro di rinunciarvi da questo momento ». Poi, un anno dopo,
proscrisse per legge tutte le società segrete.
Che ne accadde ?
Da un lato, se ne acuì nel pubblico la curiosità di vedere
ciò che sarebbe successo, sapendosi che quanti erano a capo
115
de' principali uffici, tutti erano carbonari o massoni ; dall'altro,
se ne allargò la convinzione che la monarchia oramai era ferma
a mantenersi assoluta. Convinzione tanto più esasperante, in
quanto sempre più venne diffondendosi la certezza che l'assolu-
tismo era esercitato non dai re, ma dai suoi ministri, anzi da
un sol ministro, il Medici. Al qual proposito, piacciavi udire
qualche particolare curioso.
Discorrendo della riforma giudiziaria del 17, un diarista na-
poletano del tempo notò : « S. M. avrebbe voluto 1' antico ;
ma i ministri sono pel nuovo, e S. M. deve cedere ai ministri.
Sarà una facezia, ma si è detto che S. M., nell' espansione del
suo antico cuore^ avesse detto che niente gli avean fatto spun-
tare i ministri di quanto egli voleva... Solo il codino mi è ri-
masio, si vuole abbia detto, ed anco a questo fanno guerra, e
dovrò levarmelo ! »
Un altro cronista, ma lontano da Napoli, c'informa del me-
todo usato dal Medici per indurre il re al partito voluto. Ne
preavvertiva la Migliaccio ; e si recava al Consiglio. Qui propo-
neva l'affare; ma, prospettandolo molto scabroso, lo lasciava
sospeso. Dopo il consiglio, il re, di solito, visitava la consorte; e,
comunicandole le deliberazioni prese, accennava all'arduo punto
lasciato indeciso. La duchessa con disinvoltura scioglieva i
nodi della questione, suggerendo la soluzione che dovrebbe dar-
lesi. Nel prossimo consiglio il re richiamava il Medici su quel-
l'affare; e, riudendo le difficoltà già accampate, spiattellava
l'avviso suo. I ministri si mostravano abbagliati da tanta luce
di sapienza, e il decreto era bell'e fatto.
E ancora un'altra curiosità.
Quando il teatro S. Carlo fu distrutto da un incendio (1816)
vi si rinvenne un dipinto che rappresentava il re incoronato
in trono ; avanti a lui la consorte col ministro Tommasi, intesi
a distrarlo con moine ed ossequi; dietro, il Medici in atto di
carpirgli il diadema.
•**
Così, dunque, disposta la pubblica opinione, alle leggi con-
tro le sette si rispose con un fìtto fuoco di fila, che il governo
— 116 —
non potè più domare. H governatore di Napoli — D. Troiano
Marnili duca d'Ascoli — stando, con la polizia, tutt'occhi e o-
recchi a difesa del padrone, scoprì che per la notte del 12
aprile 16 si doveva dar fuoco alla reggia. Un mese dopo si tramò
di sorprendere al campo di Marte l'artiglieria austriaca e pian-
tarvi l'alberò della libertà. Dopo qualche altro mese — 22 ago-
sto 16 — si vide di mattina affisso per molti punti della città
un « Avviso patriottico » oltraggioso pel re e la Migliaccio ; in-
citante i vari partiti liberali ad unirsi e ad insorgere. Dalle
province fioccavano nella capitale avvisi, manifesti, proclami
d'ogni sorta ; stampati e manoscritti, annunzianti esortato il re
« da tutti gli angoli del Regno » a dare una costituzione libe-
rale, che a lui assicurasse il trono e al paese la felicità. Non
concedendosi, difendessero tutti il proprio diritto, cominciando
dal negare le imposte, non dovute ad un governo che discono-
sceva i diritti della nazione, e continuando, sino allo spar-
gimento di sangue.
E sangue se ne sparse, dove scesero a vie di fatto le parti
avverse; come, con gran rumore per tutto il Regno, accadde a
Lecce nel 1818 tra Carbonari e Calderari.
In qualche provincia il contrasto tra i partiti assunse formi
di conflitto di poteri tra le maggiori autorità. Così a Salerm
tra il generale Colletta e l'intendente Ferrante : l'uno aperto
prepotente protettore dei Carbonari, l'altro pavido e debole fau-
tore dei Calderari.
Contemporaneamente agli attentati, alle trame, alle minacce
accennate, la setta dei carbonari si riorganizzò più saldamente
mirò a sbarazzarsi degli elementi più impuri, intensificando la|
propaganda. Ora (si badi) nel più ardente tra i suoi focolari]
si trovava appunto quel reggimento Borbone, in cui militavan(
da sottotenenti Michele Morelli calabrese di Monteleone e il
napoletano Giuseppe Salvati i. Tale particolare ci resti nelh
memoria, perchè esso ci condurrà a spiegare ciò che a primi
vista ci parve inesplicabile. Quivi al comando della 3^ Divi-
* In questa forma è dato il cognome eccezionalmente da qualcuno ; mi
in questa forma — e non in quella dì Silvati — il cognome è assai comun
da noi.
— 117 —
sione stava il generale carbonaro Guglielmo Pepe, calabrese, già
nel 1799 giacobino o repubblicano, salito sui campi di battaglia
per tutti i gradi militari. Suo capo di stato maggiore era il
colonnello carbonaro Lorenzo de Concilj , avellinese, pur lui
repubblicano del 99. Alla dipendenza del generale Pepe coman-
dava a Foggia il reggimento Re cavalleria il colonnello carbonaro
Giovanni Russo, che poi, maresciallo, fu l'unico eroe — ed e-
roe vero — della battaglia di Rieti.
' Nella stessa circoscrizione territoriale sottoposta al Pepe, il
calabrese Gaetano Rodino carbonaro, già repubblicano del 99,
compagno del Pepe nelle cospirazioni della Calabria e nell' er-
gastolo della Favignana, era sottintendente a Bovino, poi a
Sansevero. Due preti erano Maestri in due vendite : D. Luigi
Minichini a Nola, D. Paolo Venusi nella stessa Sansevero. Tac-
cio di altri.
Ora — nel marzo 18 — il colonnello De Concilj, d'accordo col
Pepe, convocò in alta Vendita ad Avellino i deputati delle
Vendite della Puglia, della Campania e della Calabria. E in
quell'adunanza, deplorando per la Carboneria perduto il bell'o-
nore di esser convegno delle virtù e del patriottismo, fece de-
liberare che si attirassero alla setta tutti i possidenti onesti e
che le Vendite fossero riorganizzate militarmente.
Senonchè l'ormai non più occulto dissidio, tra sudditi e go-
verno, d'un tratto, al termine di quell'anno 18, parve sopito.
Causa di ciò fu un avvenimento inaspettato, straordinario, che
aprì a grande speranza l'anima dei liberali: il codino del re,
quel codino che vedemmo a lui tanto caro, ch'egli solo, tra i
sovrani europei, custodiva ancora come onor della nuca, cadde
reciso da un colpo di forbici.
Come già i giacobini nel 99, cosi apparvero ora al pubblico
scodinati tutti i cavalieri della Corte. Sconcertato il prefetto di
polizia Giampietro corse dal ministro, per chiedergli se dovesse
pur lui sottomettersi a quell'operazione. Dava una straordinaria
importanza alla cosa la voce sparsa in un attimo che ciò a-
vesse fatto il re « per dar segno di compiacenza » ai liberali o,
come si diceva, ai « Murattisti » ; perchè questi, più che altri,
avean dato prova di afflizione, in una recente mortale infer-
mità del sovrano, paventando la successione del figlio, risaputo
— 118 —
malvagio, dispotico ed intimo del principe di Canosa. Anche
il Colletta narra che gli stessi ministri divulgarono allora esser
prossimo il re a far cosa grata ai liberali ; e che questi, tra mille
felicità possibili, fermarono il pensiero nella costituzione.
Però si disse anche altro : si disse pure che, nel corso del
male, quell'appendice pelosa avea dato fastidio al vecchio re ;
sicché questi, dolendosene coi medici, fu consigliato a sbaraz-
zarsene una buona volta. E tale versione, più pedestre, è vero,
e più prosaica, ma più semplice, appunto perchè più semplice,,
appare più credibile.
Ad ogni modo, un nuovo fuoco di speranze ne venne acceso;
ma non arse che per pochi giorni. L'annunzio di una prossimaj
visita degli imperiali austriaci vi cadde su come una grandinata.
Da allora, dal principio del 19, non si pensò che a quella]
visita : nei circoli liberali non si parlò che di Francesco d'Au-
stria e di Clemente di Metternich.
* *
L'imperatore e l'imperatrice viaggiavano per l'Italia in inco-
gnito, come duca e duchessa di Mantova, con la figliuola Ca-
rolina. Li precedette a Napoli il primo ministro, già dal nostro]
re creato principe di Portella, che giunse il 20 aprile. Gran di
fare, dunque, grandi preparativi a Corte.
La reggia fu sgombrata e allestita per gli ospiti ; la famiglis
reale passò alla villa del Chiatamone. Il re col principe di Sa-
lerno e la costui consorte, altra figliuola dell' imperatore, usc|
ad incontrare verso Fondi o Mola gli augusti personaggi. Ri-
mase nella reggia a riceverli il duca con la duchessa di Calabria^
La città, questa nostra cara Napoli ostinatamente fida alle sue
tradizioni, anche per quell'ingresso solenne preparò la soliti
pioggia torrenziale, spazzando via ogni solennità. Sicché, versoj
l'una pomeridiana del 27 aprile, fu vista passare per le vie di'
tutta corsa sotto il rovescio scrosciante dell'acqua una « carret-
tella », che infilò il portone di Palazzo. Ne smontarono l' im-
peratore col re. Mezz'ora dopo, li raggiunsero le rispettive
famiglie. E dall'indomani fino all' ultimo giorno di maggio,
dalla visita al Real Museo, installato di recente nell'attuale sede
— 119 —
degli Studi, alla festa di S. Ferdinando, fu tutta una successione
di visite, di escursioni, di spettacoli, di solennità a svago e
sollazzo degli augusti stranieri.
Memorabile rimase un convito fantastico offerto di notte a
Capodimonte (l'il maggio) ad oltre mille persone, che a giu-
dizio dei competenti superò, nonché ogni magnificenza murat-
tiana, ogni magnificenza napoleonica. Vi fu poi, tra altre ma-
raviglie, anche un'ascensione in pallone: di una fanciulla quat-
tordicenne, madamigella Cecilia, alunna dell'aeronauta Garnerin
(20 maggio). In quel volò ella per la prima volta sperimentò,
su non so che quadrupede, il paracadute ; e s'impegnò a di-
scendere al punto di partenza. Viceversa, cadde in alto, tra
l'Arenella e Antignano, e si riseppe che per poco non era rima-
sta soffocata dal fumo della valvola. Tanto bastò perchè si be-
stemmiasse alla pericolosa e inutile invenzione: inutile, si di-
ceva, dacché non c'era modo di dar direzione a quei globi.
Ahimè, tali salvatori dell'umanità ci sono stati in ogni tempo :
ma, ad onta de' loro scalpori e delle loro maledizioni, il mondo
cammina sempre : considerazione questa non in tutto estranea
al tema che trattiamo.
Gran fervore, dunque, di feste e godimenti, da un lato ; ma
fremito di preoccupazioni e di sospetti, e cupi propositi, dal-
l'altro. Il dì seguente alla venuta di Metternich, parti .infatti
da Napoli per Avellino il generale Pepe; e, facendo mostra di
voler rassegnare i suoi soldati, girò per le due province di Avel-
lino e Foggia in compagnia del sottintendente Rodino. Ma un
assai strano scopo aveva quel viaggio: alla notizia che si sarebbe
offerto all'imperatore anche lo spettacolo di una solenne rivista
appunto ad Avellino, l'audace generale s'era proposto né più né
meno che di arrestare colà, in quella occasione, il re con l'im-
peratore e col cancelliere austriaco, e far proclamare la costitu-
zione. Trapelato il disegno al generale Colletta, questi — per
invidia (come asserì lo stesso Pepe) o piuttosto per prudenza —
lo sventò, descrivendo in tale stato la via tra Napoli ed Avel-
lino da non potervi avventurare l'imperatore.
A quel disegno del Pepe fecero rincontro la sfavorevole im-
pressione fatta dalla brutta meschinità fisica di Francesco
d'Austria e le sinistre voci che serpeggiarono sul suo conto.
— 120 —
Perchè si disse stretto allora un patto, per cui il re gli avrebbe
non solo sborsati 4 milioni di ducati nostri, ma anche promessi
15 mila soldati in pieno assetto. E si susurrò di peggio, di as-
sai peggio ; ma più tardi : d'una trama diabolica ordita allora
tra Metternich e Medici. Contrariato cioè il ministro austriaco
dal veder qui mantenuta tanta parte di novità francesi — ban-
dite in tutto dal resto d'Italia — avrebbe insinuato nel ministro
napoletano la convinzione che occorreva far nascere tal tram-
busto da fornir pretesto all'Austria d'intervenire e restaurare in
tutta la sua pienezza i vecchi sistemi. A questo fine, il Me-
dici avrebbe lasciato campo libero ai Carbonari. E, in verità,
il contegno governativo, di fronte all'agitazione liberale in ge-
nere e all'opera della setta in ispecie, varrebbe a dar credito
alla diceria. Eccovi qualche esempio.
Monsignor Lupoli, arcivescovo di Campagna, con quel sottin-
tendente Cipriani vennero apposta a Napoli, per informare il
ministro del movimento liberale o settario in quel distretto; ma
non potettero ottenere un'udienza. Il principe di Sant' Aga-
pito, intendente d' Avellino, mandò per la sua provincia av-
visi della stessa natura ; non ricevette risposta.
Avvenne anche altro. Il prefetto Patrizi rivelò personalmente
al re l'imminenza d'un rivolgimento, della presentazione da
parte dei generali di una carta, che il re avrebbe dovuto firmare,
se intendeva mantenersi sul trono ; gli esibì i nomi dei capi
della congiura. Il re ne parlò a Medici e a Tommasi : si seppe
che avesse detto che quel Patrizi lo faceva « morir di spavento ».
I ministri ne montarono in furore contro il Patrizi: lo chiama-
rono pazzo e gli tolsero l'impiego.
Era indolenza nirvanica o folle spensieratezza o supina im-
becillità ? Così ritennero molti ; tanto più impressionatamente
in quanto tutto intorno, da presso e da lungi, avrebbe dovuto
forzare i reggitori a vigilare e a prevenire. Il Giornale infatti
del 2 dicembre 19 annunziava invitate dal Gabinetto Prus-
siano tutte le Corti europee ad una comune azione contro i
perturbatori dell' ordine pubblico, che avean conquistato gli
animi specie della gioventù e scisso in sette l'Europa.
121
Lo stesso giornale, qualche mese dopo, riferiva, dai fogli stra-
nieri, lo sconvolgimento generale dell'Europa: forzato nella Spa-
gna il re, da una rivolta militare, ad accordare la costituzione;
assassinato in Francia l'erede presuntivo duca di Berry (genero
del nostro duca di Calabria) ; progettata dai radicali in Ger-
mania una costituzione in Repubblica di tutti i paesi tedeschi;
scoperta a Londra una congiura per trucidare tutti i ministri.
Ed anche pel nostro Regno dava 1' allarme, asserendovi mi-
nacciata la pubblica tranquillità.
Di fronte e in mezzo a questo gran movimento, che cosa
fecero i ministri di Ferdinando I ? La polizia scopri nientemeno
che a Viesti c'era un capitano carbonaro, e invitò il colonnello
Russo a mandarlo qui a scolparsi. Il capitano venne a Napoli;
ma, anziché dal prefetto di polizia, si recò dal generale Pepe.
E il generale si ritenne in diritto di querelarsene direttamente
col ministro Medici, dichiarando senz'ambagi che, se fossero
chiamati a Napoli i militari carbonari, egli avrebbe dovuto spe-
dire tutta la sua Divisione. Né si sa che il governo facesse
altro.
Ora, é arduo per noi attribuire tal contegno a indolenza o
ad imbecillità; ma non riesce neppur facile prestar fede intera
all'accennato accordo mediceo-metternichiano, proprio nel senso
che s'è detto: sarebbe stato suscitare un incendio, che poteva
bensì esser domato una volta e due ; ma che in ultimo poteva
anche ridurre in cenere il domatore. E, dacché ex nihilo nihil
fit ed anche nihil dicitur , in fondo a quella voce si potrebbe,
con più verosimiglianza, discernere un'assicurazione, da parte
del Metternich, che contro ogni evenienza la monarchia di Na-
poli avrebbe sempre avuto l'Austria alle spalle.
Giungiamo così alla crisi, che culmina bensì nella diserzione
di Nola ; ma non si apre con quella. La crisi si apre con
l'agitazione liberale cresciuta dopo la partenza dei non gra-
diti ospiti; con la dilatazione e l'intensificazione dell'attività
carbonara : quando dalle Magistrature provinciali si ordinò ai
Dicasteri distrettuali d' inviare visitatori a tutte le rispettive
Vendite per riceverne giuramento che a un dato segno tutti
sarebbero accorsi in armi a un punto dato. La crisi si sviluppa
con le grandi manovre di Sessa (nella terza settimana di mag-
— 122 —
gio 20) che servirono a moltiplicare e a meglio affiatare i
settari e a registrare più concreti accordi.
Sciolto infatti che fu il campo di Sessa (24 maggio), si de-
cise lo scoppio simultaneo in tutto il Regno pel giorno ono-
mastico del re. Per nuovi ordini delle Magistrature provin-
ciali e poi per emissari espressi dei Dicasteri, ogni Vendita si
preparò, per quel giorno, a marciare in armi sul capoluogo del
distretto, occuparne la ricevitoria e passare al capoluogo della
provincia. Ma subiti contrordini fecero richiamare gli emissari
già messi in moto; e il solo De Concilj, per richiamare i suoi,
ebbe a spendere non meno di millecinquecento ducati. Passò cosi
un altro mese, quantunque, tornato Pepe ad Avellino, udisse
dal colonnello Russo che il suo reggimento era bell'e pronto.
Col Russo il generale passò in Capitanata: s'abboccò a Sanse-
vero col prete D. Paolo Venusi (maestro di quella Vendita). A
Foggia fu raggiunto da De Concilj. Dispose quindi tutto, per-
chè l'insurrezione avesse luogo nell'ultimo giorno di quel mese
di giugno.
Ma venne fuori alla fine un provvedimento di governo d'unai
certa gravità : nelle province più sospette furon mutate le au-
torità militari e civili. A Salerno, messo a riposo l'inetto Fer-;
rante, andò come intendente il principe Zurlo ; il generale]
Nunziante soppiantò Colletta in quella provincia e fu seguito]
dal maresciallo Campana, Pepe fu da Avellino trasferito in Ca-
labria e in Avellino fu sostituito dal generale Colonna ; alla]
dipendenza del quale il colonnello Vincenzo d'Anna, duca di]
Laviano, fu incaricato di ricostituire e organizzare quel mutilo]
e lacunoso reggimento Borbone che già ho nominato di stanza
a Nola con un distaccamento ad Avella. Credo che tali traslo-j
chi avessero cagionato quell'ultimo indugio, che Pepe in seguito]
deplorò, all'esatta esecuzione degli ordini da lui impartiti.
Ninna fretta intanto egli si dette di raggiungere la nuova re-|
sidenza.
Rimasto a Napoli, in quel volgere di giugno, mantenne sem-
pre nelle sue mani le fila dell'ampia trama.
Raggiunto qui dal colonnello Vallante, lo rinviò subito inj
Capitanata, perchè adunasse una vendita a Lesina, dove, chia-j
mato Don Minichini, strinse con lui gli ultimi accordi.
— 123 —
Al colonnello Russo, venuto pur lui a trovarlo, assicurò tutto
esser pronto ; non mancare che una risposta del Carascosa.
Il non lieve compito di scandagliare l'animo dell'illustre gene-
rale siciliano (comandante la I divisione) fu dal Pepe affidato
al De Concilj, che, giovane nel 1794-97 aveva militato agli or-
dini del Carascosa (allora secondo tenente nel Reggimento Prin-
cipe) in guerra contro i francesi.
Lo stesso Carascosa c'informa di quel colloquio nelle sue
Memorie.
Il colonnello si recò da lui come per pura visita, ed entrò a
parlare, sulle generali, delle novità del giorno. Disse che un fo-
glio francese aveva annunziato la decisione delle grandi Potenze,
auspice la Russia, di non intervenire negli affari interni di un
popolo. Sicché, conchiuse De Concilj, sempre in linea generica,
un popolo, che insorgesse per mutare il suo sistema politico,
non si troverebbe di fronte che unicamente il proprio governo.
Lo interruppe il Carascosa, obiettando che in un paese a li-
bertà di stampa, come la Francia, era facile abbandonarsi alla
fantasia; ma che per la verità quella notizia francese era smen-
tita dall'annunzio, pubblicato nel Giornale delle due Sicilie, che
tra breve un congresso delle grandi Potenze avrebbe deciso circa
la rivoluzione spagnuola.
Quell'annunzio ebbe a colpire nel cuore il colonnello avelli-
nese, che ansioso dimandò in grazia quel giornale e 1' ebbe ;
e sicuramente si affrettò a recarlo al generale Pepe. Davanti
alla nuova minaccia urgeva ora rompere ogni altro indugio.
De Concilj ritornò ad Avellino, convocò i partigiani maggiori,
inviò a Nola un tenente Fresenga ; al quale i sottotenenti Mo-
relli e Salvati con un sergente Altomare dichiararono d' essere
pronti.
Era il 30 giugno (di venerdì). All'alba seguente in Avella fu
destato il sottotenente Nicola Luciano, carbonaro pur lui, da un
ordine di recarsi incontanente a Nola. Quivi seppe decisa la
mossa per la notte ; ebbe dai compagni nolani incarico di di-
sporre i suoi dipendenti, e quanti altri potesse del circondario
d'Avella, a ben accogliere gl'insorgenti verso le 5 e mezzo della
notte, e di spiccarne rapidamente avviso al Del Concilj.
Dopo tutto ciò, dunque — e sicuramente molti altri partico-
124
lari da me non indagati — a notte inoltrata, quando tutto il
quartiere era immerso nel sonno, sparso sul terreno strame e
letame, che attutisse il calpestio dei cavalli, Morelli e Salvati
ne trassero fuori un 120 tra graduati e militi; trovarono il Mi-
nichini con una ventina di settari borghesi ; e usciti dalla città
sulla via di Avellino spiegarono il vessillo tricolore della Car-
boneria al grido di « viva Dio, Viva il re, Vivala costituzione ».
Qualcuno però aveva avvertita la strana sortita, ed era corso
ad informarne il colonnello. Il buon duca di Laviano, nuovo al
reggimento, ignaro di tutto, destato di soprassalto, verificata
che ebbe la diserzione, non seppe far di meglio che denunciarla
a quel vescovo Monsignor Torrusio, per averne consiglio. Primo
avviso fu ch'egli montasse a cavallo, raggiungesse i ribelli, li
esortasse con le buone al ritorno, assicurando che il fallo sarebbe
rimasto sepolto nelle tenebre di quella notte.
Poi si pensò al rischio che il colonnello potesse restar prigio-
niero, esser forzato a marciare co' ribelli, apparirne condot-
tiero ; e l'avviso fu scartato. Infine si risolse di comunicare su-
bito a Napoli ciò ch'era avvenuto.
Ma intanto la breve notte estiva era trascorsa, e in quell'alba
domenicale le popolazioni, già deste ed in festa, accoglievano
giubilanti il drappello ribelle, ripetendone il grido di « Viva
Dio, Viva il re. Viva la costituzione I »
Il dado era tratto... ; ma qui m'arresto. Solo accennando,
aggiungo che, grazie all'abile tatto di Lorenzo de Goncilj, l'in-
tera provincia del principato Ultra, con tutte le sue autorità
civili, militari ed ecclesiastiche, venne pacificamente avvolta
nella rivoluzione, assicurando allo sviluppo di essa la più ri-
gida e più pura legalità.
Un momento però di trepidazione v' infuse l'indugiata pre-
senza del Pepe, che De Goncilj s'era affrettato a chiamare, man-
dando apposta a Napoli un capitano Cirillo. E in quel punto
Garascosa, Nunziante e Campana avrebbero potuto facilmente
punire i ribelli. Ma, non fidando nei soldati, non vollero com-
battere. Il Garascosa fece offerte di pace, e si disse anzi che re-
casse con sé, datigli dal re, ottomila ducati con dieci passa-
porti, per indurre i capi alla ritirata.
Quanto al Pepe — messo in così falsa luce nella pagina che
— 125 —
vi ho letto in principio — il Colletta lascia intendere che a torto
supponesse di dover esser arrestato. Ma sta in fatto che, la
notte del 5 luglio, chiamato dal duca d'Ascoli a render conto
di un proclama emanato con la sua firma da Avellino, il gene-
rale negò d'averlo scritto, e andò via. Il duca ripensò che me-
glio avrebbe fatto ad arrestarlo, e ne die l'ordine ; ma era tardi.
Pepe, corso a casa, e a quell'ora non trovato il cocchiere, al-
lestì da sé una « canestra » ; tolse a compagno il colonnello Tup-
puti e, superato un unico inciampo al ponte della Maddalena,
volò ad Avellino, dissipò ogni timore e incertezza, e assicurò il
trionfo della rivoluzione, salutata rapidamente da tutto il Regno.
Non rimaneva che il re. Opinione comune — derivata dal Col-
letta, dal Carascosa, da altri — è che, nel Consiglio dei ministri,
il re cedesse al supplice cordoglio del marchese di Circello, che
lo avrebbe esortato a trangugiare V amaro calice, concedendo
la costituzione. Un diarista napoletano, all'opposto, informa che
in quel consiglio solo a voler la resistenza fu Circello : infor-
mazione più credibile come più consona all' indurita, ma one-
sta mentalità del vecchio ministro assolutista ; laddove la
concessione sarebbe stata suggerita e sollecitata da Medici, da
Tommasi e dal duca di Calabria. E questo loro liberalismo
dell'ultima ora non può meglio spiegarsi se non con la loro
fiducia nell'Austria e con la certezza che la libertà con si rara
facilità sbocciata sarebbe stata strozzata sul nascere.
E conchiudo, senza più tener dietro alle vicende ulteriori.
Accodare la nostra rivoluzione, preparata da si lunga mano,
al pronunciamento spagnolo o, peggio ancora, presentarla come
un'a avventura » — la si battezza proprio così in un libro del-
l'anno scorso — è semplicemente ignorarla o non capirla. De-
finirla una violenza, imposta dalla Carboneria al re e al paese,
è ripetere una calunnia di cento anni fa, spiegabile nelle Po-
tenze reazionarie, che dovettero giustificare il mandato d'inter-
vento all'Austria ; ma inammissibile tra i giudizi della storia.
Rilevar, di quei nove mesi di vita costituzionale, solamente
il lato comico e teatrale — riscontrabile in tanti altri eventi
grandiosi e in tante altre azioni magnanime — rappresentare
quel parlamento come un'accozzaglia di retori esaltati, di de-
clamatori codardi, servi di una setta, stolti nella fiducia verso
— 126 --
il re e verso il principe ereditario, più stolidamente ostinati nel
feticismo per lo statuto di Cadice, è infermità di monocolo. Chi
vede meglio trova pur da ammirare quanto di serio e di buono
si operò in quei nove mesi ; si consideri soprattutto 1* enorme
progresso che la novità della discussione parlamentare rappre-
sentava rispetto alFumile e di solito inane supplica che dall'imo
fondo del suddito s'innalzava al culmine della Sacra Maestà
del Re Padrone.
Di fronte ai parolai e ai settari, non mancati mai in ogni
adunanza politica, bene s'elevarono in quel parlamento del 20-21
alte e pure personalità, figure da ogai lato luminosissime, affatto
estranee alla setta, che spiegarono tesori di dottrina nel recinte
di quell'assemblea.
Accostare in fine — come si è fatto in tempo lontano e vi-
cino— la rivoluzione del 20 a quella del 99, per dimostrarla,
al confronto, tanto meno importante, tanto men gloriosa, men
profìcua e n^en bella, è ignorare o dimenticare o non intendere
la nostra storia.
Per assegnare all'evento che qui oggi rievochiamo il suo giu-
sto valore e la sua vera importanza, occorre concatenarlo con
tutto il passato del nostro patriottismo, delle nostre aspirazioni
politiche, nate a un punto con la perdita dell'indipendenza, al-
l'inizio del cinquecento : lunga e dolorante catena, aspra via
crucis, sulla quale ciascuna generazione — variamente atteggiata
e orientata, secondo la diversità dei tempi e delle contingenze
— impresse un'orma e segnò una tappa, sempre andando a-
vanti.
Tra il brancolìo nel buio del cinque e seicento — quando s'im-
petrò un re dalla Spagna, dalla Francia, dalla Savoia, da
Roma — si mantenne vivo il sentimento dell'indipendenza. Da
un aborto di repubblica secentesca (1647-48) scaturita l'idea
d'una monarchia indipendente, questa fu vanamente chiesta
prima ad un bastardo spagnuolo, poi ad un cadetto austriaco,
e finalmente ottenuta con la casa Borbone. Ma, conseguita che
fu l'indipendenza, non bastò più sotto l'influsso del nuovo se-
colo. Si aspirò alla libertà e all'eguaglianza; e l'una e l'altra ci
portarono per pochi mesi le soldatesche del Direttorio, affian-
cate dai nostri patrioti, con la repubblica del 99. Ma, rispetto
— 127 —
a questa, il rivolgimento del 1820 fu sul serio uu regresso?
Ma si pensi che questo rivolgimento fu voluto e operato da
molti, che avevan preso parte strenua, eroica, gloriosa a quello
di ventun anni prima. Non depressi, non pentiti, in queir in-
tervallo di tempo e tanto meno involuti o rammolliti , accesi
sempre della stessa fiamma, avean meditato nei lunghi ozi degli
ergastoli, sviluppato il pensiero e slargata la cultuia al con-
tatto di altra gente nelle peregrinazioni dell'esilio. Da tale svi-
luppo era scaturito un dubbio fecondo: se cioè nel 99 errato
avesse il popolo, difendendo con sfrenatezza eroica il suo re, o
non piuttosto essi, i patrioti, introducendo nel proprio paese lo
straniero, tanto ben predicante quanto mal razzolante. Quindi
la visione della necessità della cooperazione del popolo, ricco
d'energia e d'avvenire e avviato nel Decennio ad elevarsi ma-
terialmente e moralmente ; quindi l'evoluzione del giacobinismo
in monarchismo liberale con le replicate istanze al Murat; quindi,
in fine, dopo svanita la speranza in Ferdinando I, la rivolu-
zione che oggi celebriamo. La quale — se altro non fece —
dette all'Italia il primo esempio di una monarchia costituzio-
nale. Questa monarchia perì, è vero, troppo presto, perchè at-
tossicata nella culla dall'insidia sovrana. Ma era un ammae-
stramento anche questo: e quale e quanto complesso ammae-
stramento I Ma le sopravvissero 1' esempio, la tradizione, Te-
sperimento, la fiaccola, che gli uomini del 20 consegnarono ai
loro figliuoli, mettendoli sull'avviso. « Non mai una nazione per
il suo nobile contegno acquistò diritti maggiori alla stima dei
contemporanei ed all'ammirazione dei posteri ». Cosi disse uno
dei deputati del 20 nella seduta parlamentare dell'S decembre,
riassumendo in quel giudizio 1' opera propria e degli altri au-
tori della rivoluzione compiuta. Poi, cadendo con essa, consegnò
la sua fiaccola nelle mani dei suoi figliuoli, che erano Alessan-
dro e Carlo Poerio.
Michelangelo Schifa
DA ARCHIVII E BIBLIOTECHE
PER LA
STORIA DELLA CONGIURA DEI BARONI
DOCUMENTI INEDITI
DELL'ARCHIVIO ESTENSE
1485-1487
(Contin. V. voi. prec, pp. 336-367)
XIV. Id., 28 agosto 1485.
...Questa sera sono venute lettere da Milano de XXI in le quali,
parlando el S. duca de Milano pur de queste cosse de baroni, et
che fusseno in boni termini per quello li havea scripto el suo
oratore, tamen li cometteva che offerisse de novo tucto quello
Stato ad omni bisogno de Sua M.ta. Unde andassemo tuti a ca-
stello, dove li retrovassemo solum el S. duca de Calabria per essere :
occupato el S. Re in altro, et lecta quella lettera ducale, fu
gratissima a Sua Ex.tia, e volse gli la lassasse per mostrarla
al Re.
(Cifrato) Dapoi se restrinse el duca de Calabria cum lo am-
bassatore de Milano et del Re^, cum il Secretarlo del Re et conte
de Matalone per certo spacio de tempo et parlorno insieme ;
et, presa licentia, ne partissimo tuti, et lo ambassatore de Mi-
lano mi dixe: — Messer Baptista, li è da fare assay et habiamo da
rodere Tosso — quasi su spirando, et dicendome : — Scies autem
postea — . Più ultra non scio ; staro atento, ma dubito che quel-
lo si è scripto per la relatione deli baroni, secundo dixe M. Impou,
^ Trattasi dell' ambasciatore del Re di Castiglia e d' Aragona.
— 129 —
non sii per contrario. Queste cose le hano mandate multo se-
crete da beri in qua, et se hanno guardato assay da m. Chri-
stofaro e da me, e non solo questa sera, ma etiam heri sera, quan-
do mandorno per li altri et non per nuy...
P.S. El ragionamento del duca de Calabria facto cum lo am-
bassatore de Milano ho veduto ; ni fano una comune tra loro,
et questa cavalchata mandano cum la celerità de la stafeta.
XV. Id., 29 agosto 1485.
(Cifrato). Per quello posso intendere, monstra che le cose de
qua non passino sine maxima suspicione per molti baroni, che
pareno siano simul coniurati, fra li quali è lo principe de Salerno,
de bisignano, de altamura, el grande Sinischalcho, lo duca de
Melfi ^ et questo quasi latenter, et il marchese di Bitonto, et
pare se intenda che pure habiano facto coadunatione de armi,
et che havessero intelligentia cum San Pietro in Vinculis et per
consequens cum el papa^, et cum lo prefecto, cognato del prin-
* In occasione delle feste per le nozze di Ippolita Sanseverino con Troiano
Caracciolo figlio del duca di Melfi, i baroni convennero in quella città per
stringere le fila della congiura. Circa la data dell' avvenimento accolgo
quanto dice il Vecoli, p. 35, n. 4, che con buone ragioni la pone tra quel-
la dell'arresto dei figli del duca d'Ascoli (20 maggio) e quella della cattura
del conte di Montorio (28 giugno), e più vicina alla seconda che alla prima.
* Ecco quel che ho potuto raccogliere dai Processi intorno alle prime
relazioni tra i baroni congiurati ed il pontefice. Dalle deposizioni di Benti-
voglio de' Bentivogli, di Gregorio di Samito e di Giovanni da Mignano
(ivi, pp. LII-III, LIX-LXII, XCII-III) risulta che il Conte di Sarno e il
Gran Siniscalco si dettero convegno a Mater Domini presso Nocera per
la notte successiva al giorno del battesimo del piccolo Roberto Sanseve-
rino (29 maggio). Non essendosi trovato il Gran Siniscalco al luogo stabi-
lito, il Coppola se ne tornò la notte stessa al suo castello di Sarno. Il gior-
no dopo (30 maggio)il Gran Siniscalco lo raggiunse colà ed ebbe con lui
un colloquio, nel quale si decise di inviare al papa il Bentivogli, perchè
lo informasse del proposito che i baroni nutrivano di ribellarsi al Re le-
vando le bandiere della Chiesa. Andato il Bentivogli a Roma e tornatone
con la richiesta da parte del pontefice di alcune cose che i baroni avreb-
bero dovuto adempiere, il principe di Salerno, il Gran Siniscalco ed il
Conte di Sarno (quest'ultimo anche a nome del Segretario Antonello Pe-
trucci) convennero segretamente di nuovo a Mater domini, dove « fo facta
una sciita per li baroni rebelli de la Sacra maiesta dello s. re, dove se
soctoscrisse de mano propria lo dicto conte de Sarno, et siginola con una
sua corniola, quale donava ipso conte de Sarno plenaria potestà allo gran
senescalco potere obbligare la vita et lo stato ala rebellione contra la Sa-
Anno XLV. 9
— 130 —
cipe de Salerno^, et similiter Thavessero etiam col S. Rober-
cra Maiesta dello s. re ». Tale convegno ebbe luogo in un giorno impre-
cisato del giugno (Processi, p. LXVIII). Il terzo giorno del mese succes-
sivo, trovandosi a Napoli il principe di Bisignano che abitava nel palazzo
del principe di Salerno, dopo viva discussione provocata dal conte di
Sarno, che voleva farsi mandare a Roma come rappresentante dei ba-
roni presso il papa, si deliberò di affidare tale incarico al Gran Siniscal-
co, e ciò per esaudire il desiderio di Innocenzo Vili, che voleva presso di
sé « uno delli baroni antiqui ». Di tale risoluzione si fecero scripiure tra il
Bisignano, il Coppola ed il Segretario, che furono consegnate a Gregorio
di Samito, cancelliere del Gran Siniscalco con l'incarico di portarle al suo
padrone (Processi, pp. LXXXV-VIII). Ma il Gran Siniscalco, contraria-
mente a quanto asserisce rALBiNo, p. 38, non andò dal papa, perchè a
Isola del Liri trovò un cognato del prefetto Giovanni Della Rovere, che
gli fece intendere « che le cose de Roma non erano in ordine ». Decise
perciò di tornarsene nel suo castello del Vasto, non senza averne dato
prima avviso al principe di Salerno, con la raccomandazione di scrivere
al conte di Sarno che, qualora il re venisse a sapere della sua partenza,
lo convincessero, egli ed il Segretario, della falsità della notizia. Dalla
deposizione di Gregorio di Samito sì rileva pure l'intenzione del Coppola
e del Petrucci di lasciar Napoli, appena il Gran Siniscalco arrivasse a
Roma. Ma, in seguito al ritorno del Guevara, non si mossero, e quando il
principe di Salerno e suo fratello il conte di Tursi, che in un nuovo con-
vegno tenuto a Diano col Bisignano ed altri baroni avevano riaffermato
il proposito di rivolgersi per aiuto al papa (Processi, pp. CXGV-VI), man-
darono a Napoli Antonio Calciano a sollecitare il Segretario ed il Cop-
pola a lasciare la città « per che era tempo de fare demonstratione de la
rebellione » contro il re {Processi, pp. LXXV-VI); — il conte rispose
che il momento dell'aperta rivolta non era ancor giunto, e che Anto-
nello Sanseverino avrebbe fatto bene ad inviare una seconda volta a
Roma il Bentivogli « ad sollecitare lo Papa havesse acellerato ad fare
novità ad Aquila contra la sacra maiesta del s. Re ». Della seconda gita
del Bentivogli a Roma nell'agosto si parlerà fra breve (v. doc. XVI).
Per ora basta dire che le pratiche dell'accordo fra i congiurati ed il
papa, dalla fine di maggio all'epoca a cui siamo arrivati, ebbero lo svol-
gimento qui accennato, almeno da quel che risulta dai Processi. Fran-
cesco Marchisio nella sua deposizione (pp. LVI-VII) asserì che la scritta,
con cui il Coppola impegnò i suoi beni e la sua vita, fu fatta a Sarno,
ma cadde in errore, come si può vedere facilmente mettendo a confronto
la deposizione sua con quella del Bentivogli, dal quale egli disse di aver
appresa la notizia, e che invece affermò che la famosa dichiarazione fu
fatta a Mater Domini dopo il suo ritorno da Roma.
^ Giovanni della Rovere, prefetto di Roma, aveva sposata Giovanna
figlia del duca di Urbino : il principe dì Salerno, marito dell'altra sorella
Costanza, era quindi suo cognato.
— 131 —
to^ et Genovesi. Et pero queste tre navi grosse, le quali già più dì
fumo in porto pisano et hora sono in lo canale de Piombino,
sono per questa causa armate de homini et de artiglierie 2. Et
come quisti baroni haveano dicto a M. Impou de venire a Napoli
ali XV del futuro, pare che fusseno parole et zanze, et che ha-
vessero ordinato, che in quello tempo se scoprissero quelle no-
vità erano fra loro deliberate fare in questo Regno, et ita etiam
le navi predicte facessero quello gli era sta imposto a quello ef-
fecto. Hor questo intendo fu il ragionamento hebe il duca de
Calabria cum lo ambassatore de Milano et del Re separata-
mente da M. Cristophoro e da me, et che li dicesse che tutto que-
sto gli ha revelato un altro barone, quale non volse nominare ^
et cussi rhano scripto ali signori suoi per la stafetta. Nondi-
mancho lo conte Brochardo me ha dicto che ha dicto al re, per
infinite ragioni et in scriptis, che mai se vedera, praesertim hoc
tempore, che li prenominati baroni macolino la fidelità loro con-
^ È questo il noto condottiero Roberto Sanseverino d'Aragona Vi-
sconti, conte di Cajazzo, sul quale puoi vedere la biografia del Volpi cella,
pp. 433-36.
2 Per altre notizie di preparativi dei Genovesi a favore dei baroni v.
doc. XXXIV.
3 È del più alto interesse conoscere il nome del barone, che teneva in-
formato il re dei veri intenti dei congiurati nell'atto in cui fìngevano di
voler accordarsi con luì. E dagli scarsi accenni che ricorrono nei Pro-
cessi sembra che questa colpa debba gravare o sul principe di Bisignano
o sul duca di Nardo. Don Paolo Ferrella depose infatti (pp. LXXXIX-
XCI) che il Bisignano e sua moglie gli avevano più volte dato incarico di
avvisare il re e il conte di Maddaloni, che non si fidassero del segretario e
del conte di Sarno « che erano i malori traditori dello mundo ». Senonchè
non pare che il Ferrella riuscisse mai a compiere la sua missione, senza dire
che nel caso presente non era il principe di Bisignano, assente da Venosa,
dove si erano svolte le trattative, quello che poteva conoscere meglio il
vero animo dei congiurati, né si poteva, almeno allora, accusare il Coppola
ed il Petrucci di tradimento. Eliminata quindi la possibilità che il Bisi-
gnano rivelasse al re la malafede. dei baroni, rimane che tale atto fu
compiuto dal duca di Nardo, il quale, com'egli stesso ebbe a deporre,
« in quello che per lo secretarlo, Francisco Coppola et misser Pou se tra-
ctava lo accordo tanto in Venosa quanto in Meglionico » venne a co-
noscenza che essi insieme coi baroni «ingannavano lo signore re in lo
tractamento de la pace e fecende avisata Sua Malesia » (pp. CCXX-XXI).
E forse ad Angliberto del Balzo volle accennare anche I'Albino quando
scrisse (p. 38) che il re apprese le mene dei congiurati da un ceHus auclor
~ 132 —
tra Sua M.ta, et pero non credere sii vera questa revelatione facta
al duca de Calabria, et che più presto la sia una arte de li baroni
per farsi magiore favore et reputatione, et che più presto il Re
condescenda a le sue domande. Et parla molto gagliardamente,
ut etiam audivi ipsum coram rege, quando M. Impoufecela re-
latione sua, dicendo ch'el se ne ralegrava, si per il publico, come
etiam per lo suo privato, per che essa relatione concorda cum
quello già più giorni havea {)raedicto a Sua M.ta del iuditio suo
su quisti baroni.
Il secretarlo non andò al principe de Altamura, come scripsi.
Et questo per che, dubitandosi non si concludesse quello che
haveano promesso a M. Impou, pareva tropo deminutione de
reputatione al Re che li fusse andato il secretarlo, qui est quo-
dammodo alter Rex, si l'andata sua fosse sta vacua et invano;
quello che havea facto le cose de pegiore condictione. Però li hano
mandato epso M. Impou cum quello modo li dovea ire el secre-
tarlo, et cum quella espeditione ristorno dacordo ^, quantunque
se creda non ne habii ad seguire altro che parole per quello ho
scripto de supra. Ma non voleno monstrare de intenderlo.
XVI. Id., 30 agosto 1485.
Ill.me princeps... Questa, sera, essendo tuti nui oraturi cum la
M.ta del S. Re, el magnifico Oratore fiorentino dixe bavere
havuto littere dali Signori diece de 24 del passato, et cussi li
fece legere, le quale primum conteneano la iustificatione de cin-
quanta ducati haveano dato al del S. Ruberto, che era stato
per conto del servitio vecchio, havendo demonstrato epso.. .non
bavere uno dinaro 2; secundario conteneano che haveano inteso
dal magnifico M. Marino regio oratore^, che pur el se erano de-
monstrati alcuni de li baroni de Sua M.ta non esser in qualche
parte obedienti a quella come solcano etc. Del che, quantunque
credesseno per la sua prudencia et potencia facilmente li farla
obedienti, non di mancho bisognando si offeriano per deffesa
sua, de li figlioli et del regno suo fare come farianoper lo proprio
loro stato, reputando ogni sua bona et mala f ussero comuni
et come sua.
* Il Pou parti per Venosa in uno degli ultimi giorni d'agosto. Il 3 set-
tembre era già in Puglia (v. doc. XIX).
2 Roberto Sanseverino era stato al servizio dei Fiorentini nella guerra
contro Bartolomeo Colleoni e i fuorusciti (1467).
3 Marino Tomacello, oratore degli Aragonesi a Firenze. V. su lui le
notizie raccolte dal Volpicella, pp. 451-52.
133
Et cortamente molte larghe offerte et cum parole molto effi-
caci al proposito, che furon gratissime a Sua M.ta et alo ill.mo S.
Duca de Calabria che era presente. Et dixe che non ni aspectava
altro, et che sempre havea indicato chel Stato de Milano, de
fiorenzà et de li altri soi colligati fusseno una medesima cosa,
et, essendo cussi, che se havesse affare per lo bene et comodo
de ciascuno quanto per lo proprio, et ita sperava indubitan-
ter se farla. Maisi che confortava epsi oraturi de Milano et de
fiorentini a scrivere in bona forma, perche se facesse subito
quanto era stato dicto de la gente darme. Impero che, se qui-
sti baroni barano bono amore de adaptarse cum Sua M.ta,
come sperava, lo farano presto ; se havessero altra volunta,
quando vedano che lo Stato de Milano et de fiorenzà faccia viva
demonstratione, starano più al signo ; et quelle forze, che li dano
qualche conforto, che non è da credere altro o sii il papa o chi li è
appresso, non considerando più ultra, barano cagione de ritirarse
et non dare più vento alla velia.
Resposero epsi oraturi che già haveano scripto et per staf-
fetta.... Dopoi el S. Re fece legere uno capitolo de una lettera
del M.co M. Anello^ de XXVIII ex urbe che contenea come,
essendo ito a Roma uno M. bentivoglio, che fu nipote de M.
Ioanne baptista regio consiliario, et che sta cum il principe de
Salerno 2, et che quello è de che se dubita sii stato la causa de
tuti quisti mali (et cussi crede la Sua M.ta dicendo chel principe
prefato de sua natura è bono) ; monstra che epso M. Anello,
havendo inteso de la venuta sua, dixe a la Santità de N. S. et
dimandola che havea portato ; et quel dicea rispose che quisti
baroni monstravano voler esser sicuri del S. Re, et la malore
* Anello Arcamone, ambasciatore napoletano a Roma. Anche per lui
è da vedere quello che scrive il Volpicella, pp. 65-66.
* Si tratta della seconda missione del Bentivogli a Roma, che ebbe luo-
go in seguito alle insistenze del conte di Sarno e del Segretario, e che era
diretta a sollecitare i preparativi del pontefice contro gli Aragonesi. Processi
pp. LXXV-VI. Gregorio di Samito depose infatti che « de pò fo inco-
menzata ad seguire dieta pratica (dell'accordo) per li dicti baruni rebelli...
con lo conte de Sarno et secretarlo, et cussi delloro volunta conclusero
se devesse seguire dieta pratica, et cussi con volunta del secretarlo et
conte de Sarno continuandola, fo appuntato se devesse mandare una
altra volta allo Papa, et cussi mandaro M. Bentivoglia da parte dello
principe de Salerno al Papa et M. Francisco Marchese da parte dell! ba-
runi rebelii ». Processi, pp. LXII-III.
— 134 —
difficulta che li vedesse monstrava fusse per non vederse quale
sicurtà et come se li havesse a dare ; et subiunxe che la M.ta
sua era prudentissima, pero li pensasse quello li paresse de fare,
perche era paratissima la Sua Santità de advitare questa ma-
teria più che le era possibile, offerendo etiam mandare qua uno
legato che fusse al proposito per componere et assetare questa
differentia.
Sua M.ta dixe, che per questi mezi che nunc erano interposti,
mai haveano facto mencione alcuna de questa securta ; quello
che li ha despiaciuto, che a lei habiano parlato tanto largamente
quanto dire se possa, imo de recusarla, et che non voglino al-
tra securta che la parola de Sua M.ta, et poi ad altri habiano
facto intendere de volere sicurtà ; che quando gli V havessero
richiesto, non li saria sta molesto, et saria sta contento farli
quella securta havessero voluto. Et dixe Sua M.ta che, per farli
bene sicuri, sarà necessario che N. S., il duca de Milano et Si-
gnori fiorentini siano quilli faciano questa securta.
El conte Brochardo, che era etiam presente a questi ragiona-
menti, infine dixe a Sua M.ta che cum sua bona gratia domane
gli dirla voluntieri certe parole, per le quali non dubitava lo
faria chiarissimo cum le ragioni in mano, et secundo che etiam
in scriptis li havea mandato, che ne venetiani se intremetteria
in queste cosse palam, nec scerete, et item quod minus li baroni
de quisto regno, et presertim quilli de li quali se suspecta, non
tarlano più di quello hano facto signo alcuno de rebellione, ne
infedelita verso Sua M.ta, et li porteria ogni gran pegno. Sua
M.ta li dixe che lo au dirla voluntieri.
Ultra scripta : intenda la V. Ex.tia che già più dì in Abruzo se
dete a la gente d'arme tre page., ed bora se gè ne da unaltra.
Serano in ordine da 1200 infino 1500 homini darme^, et tutavolta
fasse grande provisione de armature, se ne pigliano quante ne
hano li armaroli sono in Napoli, et similiter se provede per arme
de altre sorte. Et intendese che a Salerno etiam se fa prepara-
tione, quasi come ad campo li havesse ad andare.
Per non obmettere, el conte brochardo etiam dixe che era de
iuditio che per niente la Signoria darla licentia al S. Roberto.
» Notar Giacomo, parlando della rivolta dell'Aquila, p. 156, riferisce
che si trovavano colà per parte del re 1500 fanti. La notizia va rettificata
nel senso che quelle forze erano distribuite in varii luoghi dell' Abruzzo.
Ad Aquila non stanziavano più di 400 fanti. V. doc. XXXVII in fine.
135
Item che quisti baroni non havesseno intelligentia alcuna cum
N. S., ne che loro se movessero per quella, quando etiam la po-
tessero havere; imo, quando anche la volesseno, Sua Santità non
li aconsenteria, et tuto dixe offeriva de monstrare cum ragione
efficace et viva.
XVII. Id., 4 settembre 1485.
IlLme princeps... la. duchesa de Calabria, essendo hogi venuta
a Castelnuovo cum lo ducale oratore, se presentorno al conspecto
del S. Re et de la Regina, et dove era etiam el duca de Calabria
et el secretarlo , et quivi exposeno quanto haveano in commis-
sione, sed presertim epsa duchessa, a la quale era data questa
provintia, per quello li scrivea el duca de Milano per le sue de
XXVII del passato; quo facto, el S. Re ne fece chiamare lo
fiorentino, me et il conte Brochardo, et cussi fece iterum rele-
gere le litere tute in absentia tamen del prefato oratore del duca
de Milano, el quale paulo ante se era partuto et ito a Castello
Capuano, et in paucis queste lictere conteniano che, dubitando
pur de quisti baroni non potessero fare qualche novità et tur-
batione, senza essere rechiesto, reputando el bene et el male
de questo Stato come proprio, dal canto suo havea proveduto
in questo modo : de scrivere a Vinezia al oratore suo, adciò
intendesse da quella Signoria, quando altro non potesse sentire,
qui animus queve mens eius esset circa ista, et maxime per al-
cuni stradioti se sentivano essere innavati a sua posta; haven-
do similiter scripto al R.mo Monsign. de Visconti^, che nehavesse
ad essere cum N. S., insimul et separatim cum lo R.mo de Ara-
gonia, a pregarlo et confortarlo quando fusse a bisogno, quando
advenisse alcuna novitate, et in optima forma, secundo vi eran
etiam le copie de epse lictere al prefato Monsignore et M. Sci-
pione Barbavarra^; et, per intendere se quisti baroni potessero
havere qualche intelligentia in Francia, presertim cum el duca de
Loreno, havea spazato uno suo cancelliero la oltre; successive
offeriva di mandare oratori et a Roma et qua, se paresse cussi
expediente a Sua M.ta, et insuper oltra le gente darme, le quali
sempre serian parate fare questo et ogni altra cossa fusse al pro-
posito de Sua M.ta necessaria.
* Ascanio Sforza che, contrariamente al card. Giuliano della Rovere,
parteggiava per gli Aragonesi; v. su lui le notizie raccolte dal Volpicella,
pp. 442-43.
2 Scipione Barbavara oratore milanese a Venezia. V era ancora il 2
dicembre 1486. Liber Instructionum, p. 66 e n..
— 136 —
XVIII. Id., 5 settembre 1485.
Ill.medux... tornati noi oratori hogi ala M.ta del Re, dove etiam
era lo duca de Calabria cum el conte Brochardo, sua M.ta fece
legere alcune lettere da Roma dal R.mo Cardinale et m. Anello
del ragionamento haveano havuto più volte cum la S.ta de N. S.
sopra la sublevatione de alcuni de quisti baroni, et presertim
che la Sua Beatitudine dechiarasse de volere deffendere la Sua
M.ta da ogni novatione et turbatione gli volessino fare epsi ba-
roni, contra etiam ciascuno potentato che li volesse prestare
aiuto et favore, et maxime contra el S. Ruberto, che se dicea
volea venire ali danni soi, si come rechiedea el debito de Tobll-
gatione havea Sua S.ta per la concessione ha da la Santa Chiesa
epso re; havendo etiam facto instancia dicto cardinale et M. Anello
che la Sua Beatitudine volesse darne adviso a tutti li potentati di
Italia de questa sua insta et honestissima volunta et delibera-
tione. Et lecte ancora alcune altre lictere de diversi advisi, se
concluse, dopo lungo parlare che hebbeno, come Sua S.ta per
niente ha buono animo ne buoni pensieri, et non vole assecurare
el Re da la venuta del S. Ruberto adducendo molte scuse, et di-
mostrando la importantia grande de la cossa. Et tutavia, come
intendono. Sua S.ta prepara tute le zente de la Marcha et
de Romagna. Et havea parlato cum il S. Virginio Ursino^, il
quale havea facto intendere a M. Anello che havea usato rulR-
cio del buon servitore et vasallo verso el Re, et havea certificato
che le cosse non erano sincere ne integre. Et non se volse exten-
dere più oltra,che dovea essere cum il R.mo Monsign. de Arago-
nìa, a chi torsi bara aperto più inante. Ulterius se intende pur per
Sua M.ta qualche intelligentia ha N. S. cum Venetiani, et da
molte bande è scripto del certo chel S. Ruberto se levava cum
la zente; et, per una dele littere de sopra lecte, monstra che cum
questa deliberatione et intelligentia se discenda cum una gran-
dissima facilita al conquisto de questo Regno per la subleva-
tione de quisti baroni, consentendo ai Venetiani per una parte
le marine, come saria Trani, Barleta et Manfredonia, et per
unaltra, dicexe, l'isola de Sicilia a Venetiani et Sardegna a Ze-
noesi, che barano ad essere cum loro.
Quantunque la M.ta del Re non resti per tuti li mezi et modi
possibili pigliare adaptamenti cum li nominati baroni, et habia
undique da li soi bona speranza et conforto, et nil obmittatur
^ Rimando per Virginio Orsini a quel che dice il Volpicella, pp. 389-91.
— 137 —
per ipsam, quin res optimum sortìatur exitum, nìhilominus, ve-
dendo quisti tali preparativi et advisi, et subsequenter le ri-
poste del papa et quello intende de Venetiani, se diffida che habii
a seguire bona- conclusione; et teme sia differito et tenuto in tempo
per condurlo a tale che epsi baroni habino stabilito et segurato
el facto loro^. Et pur hoggi hebbe littere Sua M.ta da Salerno de
questo dì, dove sun dui capitoli bariti inserta la copia di quello
cancelliero de Venetiani, al quale per niente prestano fede, ma
f ano iuditio siano parole artificiose et simulate, perche più non se
intese de tal cancellerò.
Dopoi che fumo lecte et partecipate le predicte cosse, de le
quali forsi la V. Ex.tia ne bara havuto adviso da Roma et da
Milano da li oratori suoi pur ad pieno, el S. duca, lassato el S. Re,
se restrense cum noi oratori et cum alcuni del Regio consiglio et
el S. Secretarlo per consultare et deliberare quello fusse da fare
sopra le predicte cosse. Unde, dopo molta discussione, forno facte
concorditer le conclusioni infrascripte :
Primum che el S. duca de Milano et excelsa Signoria de Fiorenza
cum quella mazor cellerita fusse possibile dovesseno mandar novi
oratori de auctorita et prudentia al N. S., li quali li facesseno
intendere la incredibile molestia prendeano li signori loro di
questa nova machinatione facta contro la R.a M.ta, larga et
apertamente, la deliberatione de li loro ill.mi et excelsi Signori de
fare ogni sforzo possibile in favore et ad defensione di questo Re-
gno, operando qualuncha cossa et cum lo Stato et cum la potentia
contra ciaschedun offendesse Sua Serenità, monstrando insuper
il manifestissimo periculo de la subiugatione de la liberta de li
Stati d'Italia, et non mancho di questo de Sancta Chiesa, et
subsequenter la mina et consumptione de la fede Christiana, et
come più et meglio per sapientia de li prefati Ex.mi Sig.ri et deli
oratori electi saperano ordinare et commettere et epsi eseguire.
Secundo chel prefato S. duca de Milano et Signoria de Fiorenza
subito mandasseno qua a li oratori soi, in autenticha et suffi-
ciente forma, a promettere per parte de loro Sig.ri idonea se-
* Che i baroni trattassero la pace col re, non con l'intenzione di conclu-
derla veramente, ma per guadagnar tempo e dare agio al papa di pre-
parare la guerra contro gli Aragonesi, risulta dall' Albino, pp. 38-40,
e da molti luoghi dei Processi. Questi documenti aggiungono prove so-
lidissime a quelle che già si avevano intorno alla malafede dei baroni.
Cfr. il mio studio Un episodio della Congiura dei baroni, in questo Ar-
chivio, N. S., IV (1919).
— 138 — '
gurta, quando volesseno dessendere a qualche buono et pacifico
adaptamento et cuncordia cum il S. Re.
Tertio chel se scriva all'ili. mo S. Ludovico et Mag.co Lorenzo
che, parendoli, attento che quisti baroni non fano fundamento in
altro che in lo S. Ruberto, se fosse bene a tenire alcuna via et pra-
ticha cum epso S. Roberto per desviarlo, cum offerirli etiam del
stato de quelli che volesseno offendere questo S. Re adiutando li
baroni, et similiter de darli el bastone del capitaniato de Italia,
o sia de la lega.
Quarto chel Stato de Milano mandi un altro oratore a Vine-
zia, pur homo de auctoritate et experientia, et cussi farà la excelsa
republica de Firenze, insieme cum quello, quando cussi piaza alo
ill.mo S. Ludovico, perche, piazendo a Sua Ex.tia, etiam tunc pia-
cera al S. Re, i quali ambassatori cum quelle accomodate pa-
role et secundo le commissioni loro dechiarasseno a quella Si-
gnoria de Vinetia, che ogni inquietudine et turbatione facta al
S. Re reputarasse et extimarasse non altramente che se fusse
commessa particularmente a ciascuno de li loro Stati, et ma-
giormente quando che, non se movendo el S. Ruberto, se vede
Italia esser pacifica et tranquilla, et, lassandolo partir, tribulata,
affanata et piena de pericoli, contra la forma de li capitoli de la
pace mo fa Tanno celebrata et cum periculo de la sub versione de la
republica Christiana, et cum più et mancho parole, che sarà de-
clarato et commisso dali Stati predicti de Milano et de Fiorenza,
et in quel modo et forma che comprehendano et vedano el periculo
et li travagli ne li quali intravano, et le sue Ex.me Signorie ne
remangano iustificate.
Quinto se havesse a scrivere ala V. Ex.tia et al S. Marchese
de Mantova che havesseno a prohibire el passo al prefato S. Ro-
berto, et che, quando volesse passare per le terre loro, li ill.mi
Signori duca de Milano et de Bari mandino la zente che fusseno
bisogno per obstarli, et chel se scrivesse per il S. Re e S.ri fioren-
tini a l'oratori soi de Milano, ad ciò confortasseno la Extia del S.
Ludovico a tener contento et ben disposto el prefato S. Mar-
chese. Peroche pur se intende qualche sua mala contenteza.
El fu vero, Ex.mo mio S.re, quando se parlo che la V. S. havesse
ad obstare al passo del S. Ruberto, el se intese et fu dechiarito
che questo se dicea quando el venisse come capitanio de ventura,
et non quando la Signoria de Vinetia se descoprisse che lei lo
mandasse, quello che non se crede.
Ulterius lo ill.mo S.r Duca me dixe che da parte del S. Re et
— 139 —
sua volesse scrivere a V. Ex.tia che tenesse ben confortato et
disposto el prefato S. Marchese a benefìcio de la lega, et se in-
tendesse bene cum Milano. Li resposi lo farla voluntieri, ma ben
credea non fusse necessario dal canto de la V. Celsitudine, ne da
la Sua Ex.tia, peroche incontinente chel sentì la machinatione
del S. Ruberto, che li volesse dare le stantie cum il passo per
cinquecento, per quello scripse misser Prato i, subito mando
uno suo a Milano a condolerse del caso, et offerirseli cum la per-
sona et stato suo ; imo etiam che, richiesto dal S. Ruberto ut
supra, li dete repulsa et cussi sperava perseverarla et magior-
mente per beneffìcio del S. Re et Sua Ex.tia, ala quale intendea
portare singulare reverentia et affectione.
Similiter fu deliberato chel S. duca de Milano se vogli assi-
curare chel conte hieronimo non presti el transito al S. Ruberto,
ne a qualunque altro volesse venire ad offendere questo Regno^.
Sexto chel se scriva, per la M.ta del Re et per lo duca de Mi-
lano, per la affinità noviter contrahacta, al Ser.mo Re de Un-
garia, confortando et pregando la sua Ser.ta vogli mandare sci
oratori a Roma et a Venezia cum la medesma commissione et
secundo sera conveniente in la persona de Sua M.ta, perche,
essendo attinente a questo S. Re et Stato de Milano, potentis-
simo et hogi di molto appropinquatosse a Venetiani per l'acquisto
di Viena, dove anchora debbe essere, sarà tanto più presto a
questa provvisione et reputato et temuto^.
Septimo che, tractandosi de la Sicilia et de la Sardegna, fusse
bene et condegna cossa farlo assapere al Re de Castella per lo
interesse suo, excitando a le medesme provisioni et al prepararsi
cum le forze ad obstare et interrompere tanti ambitiosi et abo-
minevoli desiderii, et impero el S. Re expedisse al presente una
galea cum uno oratore a Sua M.ta per notificare el tuto; et sarà
forsi el S. Bartholamio Veri*.
* Simonetto Belprato, oratore aragonese a Milano. V. su lui Volpicella,
pp. 280-81.
2 Delle relazioni che correvano fra gli Aragonesi e Girolamo Riario,
signore di Imola e di Forlì, discorre brevemente il Volpicella, p. 409.
' Dell'azione diplomatica e militare spiegata da Beatrice d' Aragona
e dal marito di lei Mattia Corvino, re d'Ungheria, a favore degli Arago-
nesi in occasione della Congiura parla il Berzeviczy nel suo libro su
Beatrice d'Aragon, Paris, 1912; 2° voi., p. 36 e segg.
* Non sono riuscito finora a trovar notizie di questo personaggio,
il cui nome s' incontra altre volte nel dispacci del B. — Forse all' am-
140
Octavo fu etiam concluso chel Stato de Milano et Signori
fiorentini elligesseno, insieme cum questo S. Re, oraturi al
Turcho, et mandassenli a questa via, per dire et fare tute quelle
cose recercasse el bisogno de li comuni Stati, et ad eradicatione
de li cattivi penseri di qualunche altro, per non omettere cosa al-
cuna che possi exprimere et fare demonstratione effectuale a
quilli che intravano, non havendosi alcun riguardo per salvarsi;
et, secundo sarano li processi di queste machinationi, allargare et
restrengere le commissioni de li prefati oratori nel tempo con-
sumarano ne l'andare i.
Preterea fu concluso chel se confortasse postremo la Signoria
de Fiorenza a dare la medesima commissione a Milano, che havea
data a Roma, per la compositione de le diflerentie tra loro et
zenoesi, monstrandosi con questo mezo et con qualche spesa
(come bisognerà fare cum loro) seria molto utile et a proposito
poterli tirare a la parte de la liga, et molto efficacemente ne prego
et gravo la M.ta del Re et del duca lo oratore fiorentino a pregare
epsa sua Signoria.
Et perche queste sono tute parole, le qual senza effectuale de-
monstratione de l'armi picolo o nullo fructo tarlano, fu concluso
che 11 Stati de Milano et de Fiorenza dovesseno fare ogni sforzo
per prohibire el transito del S. Roberto, et, essendo el conte
hieronimo dal lato del papa, come se dubita, pare sii necessario!
che essi Stati de Milano et de Fiorenza f acino rompere cum doi-
millia homini darme a la via de perosa. Ma, quando el conte hie-
ronimo fusse cum el Stato de Milano, se habii a rompere in Ro--
magna prohibendo il passo al S. Ruberto. Questo è quanto éi
sta concluso, maxime circha lo venire et transito del S. Ruberto,
che sia opportuno et necessario per lo obstaculo suo. Quo veroj
ale cosse del papa et di baroni provederasse di qua, accertando]
chel duca de Calabria sera ala campagna cum 59 squadre etj
900 fanti fra sei zorni^.
XIX. Id., 6 settembre 1485.
Ill.me princeps... La M.ta del S. Re, havendoni hogi facto con-!
vocare noi oratori, dove etiam era el duca de Calabria et alcuni
basceria inviata allora dal re in Ispagna rispose il Cattolico con la let-
tera 18 novembre 1485, pubbl. dal Calmette, La poUtique espagnole ecc.
loc. cit., pp. 239-40.
1 V doc. XXXVI, dove è riferita la risposta del d. di Milano.
" Il d. di Calabria partì il 21 settembre « ad reperienda regia castra^
versus Aprutium » secondo sì esprime il Leo stello, p. 72.
— 141 —
del suo consiglio, fece legere per il S. Secretarlo quanto havea
scripto lo Rev.mo de Aragonia et M. Anello da Roma per le sue
de 3 del presente, che conteneano come loro cum lo R.mo Card,
de Vesconti erano andati a la S.ta de N. S. per sapere postremo
la sua ultima volunta circha quisti baroni ; unde che post multa
Vi concluse non li haveva facto altro penserò, ne volea farne altro,
se non consultare el sacro collegio de li soi fratelli cardinali ; et
non se volse mutare de sententia per replicatione li fusse facta,
et che la dimanda fusse honestissima et iustissima, et non avesse
bisogno de consulta d' alcuno, consistendo ne la sua simplice vo-
lunta, ne per periculo che fusse per seguire per la tardità et mora
che succederria in expectar de far collegio, del che se ha facto mal
concepto de la mente et dispositione de Sua S.ta. Pero essere ne-
cessario attendere ad altre provisioni et remedii, et maxime a
quilli de quibus supra.
Sua M.ta ulterius fece legere una littera de M. Joanne Impou
data in Venosa a di 3 de questo, in la quale, post multa demon-
strativa de bona volunta et dispositione di quilli baroni verso la
M.ta del S. Re, conclude che, quando loro parlasseno cum la Sua
M.ta, non dubita che restarian d acordo ; et pero son resta con-
tenti, quando Sua M.ta andasse in Puglia et in le terre de Sua M.ta,
che V andarian a retrovare cum speranza che restarian dacordo
cum quella. Unde che epso M. Joa. Impou ha confortato Sua M.ta
a doverli andare, sperandone bene per le parole loro, non li ve-
dendo nel core, et remettendose pero a la M.ta del Re. Unde che
Sua M.ta pose questo caso in consulta infra tuti nui quello che
fusse a fare, et tandem fo concluso per la magior parte, perche,
vel che restarla dacordo cum epsi baroni, et nihil esset optabi-
lius per le ragioni che sono manifeste, nec in hoc li seria diminu-
tione de reputatione, quia non curamus de modo dummodo ha-
beamus effectum, et in questo fu recordato quello fece quasi in
simil caso el Re de Pranza passato; et non di mancho, dum ista
sic tractarentur, non se restasse per niente da la executione de le
provisioni ordinate, le qual facendosi tutavia, più presto opera-
riano che li baroni se adaptasseno.
Vel, non seguendo lacordo, la M.ta Sua seria sempre excusata
de bavere facto tuto quello li fusse stato possibile per mezi secu-
lari et religiosi, et tandem non se bavere sdegnata di andare verso
loro pure per adaptarse et componerse cum essi per li modi ara-
gionati et scripti; et quando che dopoi la procedesse contra loro
a punitione, et cussi ne restarla iustificatissima, et dall'altro canto
142
li soi colligati veneriano qui prontamente a la defesa de SuaM.ta,
vedendo che per quella non jusse restato de fare ogni cossa per
componerse cum loro.
Post haec Sua M.ta fece dire per el Secretarlo quello era stato
racordato fra loro, videlicet che, dovendo andare Sua M.ta, seria
bene che la S.ra regina andasse a Venosa a visitare la sposa del
S. don Francesco, havendo Sua M.ta grande familiarità cum el
principe; et cussi la duchessa de Calabria havesse ad andare a
Salerno, la quale pariter ha grande domesticheza cum la princi-
pessa et principe. Et questo non solum perche luna et Taltra, che
hano pur grande auctorita et intelligentia, potessero persuadere ali
prefati Signori quando fu sseno bisogno, ma etiam perche più fa-
cilmente et più sicuri potessero dicti principi andare a trovare el
S. Re, essendo in le loro habitationi le prefate S.ra Regina et
duchessa. Quello che fu da tuti laudato et commendato.
XX. Id., 8 settembre 1485.
Ill.me dux... {Il B. riferisce il contenuto di due lettere giunte
da Firenze, in una delle quali Lorenzo de* Medici sosteneva esser
necessario collegarsi contro Venezia, che minacciava di stringersi
col papa; nell'altra i Dieci assicuravano di aver dato incarico al
loro rappresentante a Roma di agire dì pieno accordo con gli am-
basciatori del re e del duca di Milano^ e di aver ordinato V alle-
stimènto di cinque squadre).
Il Re subiunxe chel principe de Salerno, havendoli scripto Sua
M.ta de mano propria, che misser Impou li havea facto intendere
che lui non havea andare a certa congregatione de baroni sera
ordinata, etiam de consensu suo, ali XII di questo primum
Miglionico, loco del principe de Bisignano, et poi a Venosa; et che
la M.ta de la Regina, che vole andare cum la duchessa de Ca^
labria, tarlano quella via de Salerno, per vedere etiam la Sua S.rij
et la principessa; — epso principe li havea mandato uno suo cui
littere di credencia in rengraciare la Sua M.ta de lo adviso, ch(
per niente volesse mandare la M.ta dela Regina et la duchessa
casa sua, perche, oltra che non fusse parato a farli queUo honoi
meritavano et saria suo debito, se reputarla tropo graveza et ca-
rico che tante madame andasseno a casa de un loro vasallo et]
servo 1: et che lui se trovarla ad ogni modo, quello che non haveì
^ Don Paolo Ferrella depose che « lo secretarlo et conte de Sarno di-j
storbaro la andata della Regina in Salerno accio non fosse venuta ai
effecto la pace, et loro fossero stati discoperti. » Processi, p- LXXXVIIIj
— 143 —
prius deliberato, essere cum gli altri baroni a Venosa per fare
quello farian loro, et sempre in satisfatione de Sua M.ta, quando
etiamli fusse la securta sua, come non dubitava. Et dice Sua M.ta
che li ha usato li più dolci et meglior parole del mondo, ma che
era vero che era el più suspectoso homo de la terra, et racordo
che, ala morte del patre, come hebbe suspecto de tuti li soi et de
una sua avia dignissima dona, et senza el consiglio de la quale
non fa covelle^. Et cussi ha deliberato che la Regina non facia
più la via de Salerno, ma vadino per la drita a Venosa.
Lo duca de Calabria dixe al oratore ducale che volesse scrivere
al S.r Ludovico, che per dio volesse bavere buono reguardo chel
poterla essere chel S. Ruberto facesse voce de venire in lo Reame,
et forsi volesse venire in Lombardia, et havea pensato che questo
passar del pò lo potria fare in più lochi, o in Mantuana, quando
quel Signore gel volesse dare, o non li potesse obstare; et similiter
la V. Ex.tia che seria da Ficarolo, o per Ferrarla ala marina
verso Ravena, che saria più lungo; et in quale de quisti passasse,
come fusse dal canto de qua, non havendo obstaculo, se ne veni-
rla a sua posta insino a Roma che ninno li dirla niente, et, quando
havesse il passo per Mantuana, gii seria anco più presto; et pre-
supone la Sua S.ria che apresso li 600 homini darne che potesse
bavere cum lui, quando non ne havesse più, bari a la Mirandola
cum li soi; dubita de Carpi cum li soi, del conte Antonio de la
Mirandola per esser tuto suo, et de quilli di Corregio per esserli
parenti, et teme etiam de M. Nicolo per essere malcontento del
S. Ludovico, havendolo presertim levato da Castelazo; poi dice
troveria Montechio et Cavriago che sono neli mani deli Torelli, et
questi etiam haria per la gente sua et loci al favor suo, et haria
apresso quasi tutto el parmesano per Tamicitia li ha, et in pia-
sentino non li manchariano li Scotti, pero che dubita assai che
quello paese, et cum li amici de Rossi, non fusse in manifestissimo
periculo, et fa conto che, oltra quilli che lo poteriano seguire de
qua et de la et deli malicontenti, che haria cum li soi presso dia
1500 homini darme, che saria una gran compagnia da fare del
male assai. Pero dixe a M. Branda volesse scrivere a Milano in
Antonello Sanseverino avrebbe quindi obbedito ai suggerimenti del Pe-
trucci e del Coppola nello scrivere al re, che non facesse andare la regina
e la duchessa di Calabria a Salerno.
^ L'ava del principe di Salerno, a cui qui si accenna, era Giovanna
Sanseverino, sulla quale v. le notizie raccolte dal Volpicella, pp. 428-29.
— 144 —
bona forma, che stesse in ordine cum tte le sue gnemte darne,
et mandasse verso Bologna, et dove bisognasse, che costui non
facesse questo designo.
Poi dixe a me che volessi scrivere el medesmo ala V. Ex.tia,
perche la stesse cum gli ochi aperti, et che la volesse etiam scri-
verlo al S. Ludovico.
XXI. Id., 9 settembre 1485.
Ill.me dux.... Sua M.ta fece legere un'altra de M. Impou, la
quale replicava quello havea scripto per due altre, et che non se
poterla dire cum quanto desider o aspectano Sua M.ta cum pro-
posito et ferma intentione de fare tuto quello vora Sua M.ta quelli
che sono in Venosa; et tutavolta expectavano el principe de Bisi-
gnano et de Salerno, li quali s ariano in quello loco ali XV vel
circa del mese; et scrive che Sua M.ta stii de bona voglia che,
per le parole et quello comprehende, non poteriano esser meglio
disposti, et pero lo conforta a partir presto.
Sua M.ta monstro li piacesse assai questo scrivere, et dixe om-
nino se partirla domane, non havendo voluto partirse hogi per la
combustione de la luna, che ora sta ale octo bore la nocte pre-
cedente, et dicono alcuni che si sole differire XXIV bore, perche
tanto dura la sua mala influentia; et ben pero dice che M. Salve-
stro li havea dicto che potea partirse el dopo desinare et cum
bono ascendente 1. Et subiunxe che non li parca che la M.ta della
Regina se havesse a muovere insino non se havesse il parere loro,
adcio, se non li paresse, come non e aparso al principe de Salerno,
la non havesse questo disturbo, et etiam per più riputatione. Delo
andare et seguire de nui oraturi potevamo differire insino a lunedi,
perche lei andava per una via più longata, per modo che seriamo
quasi ad uno tempo tuti; et diceasse che del loco, dove se havea
andare, non essere anchora deliberato, ma se potria andare o a
Troia o a Barleta.
XXII. Id., 10 settembre 1485.
Ill.me princeps... La M.ta del Re hogi circa le XXI et meza
se posta a camino per andare in Puglia, et noi oratori gli habia-
mo facto compagnia uno pezo 2. Fara la via de Gapua et andara
^ Messer Silvestro Galeota, protomedico di Corte. Trovo notizia nelle
Cedole di Tesoreria (1485, voi. 114) di due pagamenti fatti a lui. Il suo
nome ricorre anche nel doc. CI.
' Il duca di Calabria accompagnò il re fino a Capua. Leostello,
p. 70. Ed ivi si spinsero anche gli ambasciatori, v. doc. XXIII. Secondo
— 145 —
sempre per le terre sue insino a Fogia, et li determinerassi dove
li baroni barano a venire al conspecto suo. Et prius che se par-
tisse, sua M.ta hebbe lictere da frate Francesco da Ragona da
Venosa 1 che Sua M.ta andasse liberamente, presto et alegramente,
chel principe d'Altamura et il gran Sinischalcho se voleano libera-
mente remettere in Sua M.ta et cum molte altre parole de la loro
bona dispositione. Anchora e venuto Jacobozo da Salerno, el qual
monstra habii portato bone nove de quello principe. El ducha de
Melphi ha scripto a Sua M.ta che li voi mandare suo figlio qui in
Napoli, perche la intendi che lui li voi esserli quel fedelissimo servo
et vassallo, che sempre li e stato, parato ad essere cum Sua M.ta
come vora et contra qualunche. Et molto largamente, per modo
che Sua M.ta se ne va alegra asai, havendone dicto a noi oratori,
che pur spera le cosse se adaptarano, dato, quod absit, etiam se-
guisse el contrario, et similiter a me ha dicto el duca de Ca-
labria.
XXIII. Id., Capua, 11 settembre 1485.
(Cifrato). Ill.mo principe, beri, inante se partisse il S. Re, uno
amicissimo de la V. Ex.tia me dixe che la nocte precedente il Re
Ferdinando havea havuto lectere chel principe d'altamura havea
fornita la Cera, castello suo qui vicino ad octo miglia, et che erano
sta intercepte lectere de quisti baroni al papa che presto , et
inanti ali XV de questo mese, volesse mandare le sue genti al
confine del reame.
XXIV. Minute ducali a Battista Bendedei. Bagnacavallo, 11
settembre 1485.
M. Baptista, per fare el debito nostro et quello richede la ser-
vitù et filiale affectione nostra verso il Re, volemo che ve presen-
tiate subito ad quella, et che gli faciate intendere per parte no-
stra, et cussi al duca de Calabria, secretamente et remotis arbitris,
quanto diremo qui appresso de le cose eh intendemo da Venetia,
pregando Sua M.ta et Sua Ex.tia, che per dio ce ne vogliano es-
sere bon secretarli, perche, quando se intendesseno queste cosse,
se metterla el nostro ambassatore a manifesto periculo, come el
fu altre volte, ultra che ce saria levata la faculta et commodita
de intendere cosa alcuna de quel luoco.
i Raimo, ap. Muratori, XXXIII, 235, Ferdinando mosse da Napoli con
400 cavalli leggieri.
* Fra Francesco d'Aragona era andato a Salerno (v. doc. XI), e di là
evidentemente era passato a Venosa.
Anno XLV. 10
— 146 —
Prima gli farete intendere come e stato a quella Signoria uno
messo de li baroni, il nome di quali ne del messo non habiamo
altramente potuto sapere, el quale ha domandato soccorso contro
el Re, offrendogli molte terre maritime de quelle de la predicta
M.ta, et che tandem gli e stato resposto in questa sustantia, che
siano pur valenthomini, che a loro non mancharano favori, et cum
molte bone parole hano spazato dicto messo facendoli bona ciera
et certi presenti^. Ma notate che non se hano voluto discoprire
in dire che gli vogliono dare favore, ma hano parlato più coper-
tamente in dire che non gli mancharano favori.
Item che etiam gli e stato uno ambassatore o messo del papa
chiamato M. Rainero dei Raineri a queDa Signoria per parte de
Sua S.ta et del card. San Petio ad Vincula, che bora e il tempo
che queUo Ex.mo Dominio può fare parte de le sue vendete con-
tra el Re, poiché quisti baroni se sono sublevati, et che, se epsa
Signoria vuole concedere a Sua S.ta el S. Ruberto et il S.r de Ca-
merino 2, che Sua S.ta torà V impresa de favorire li baroni; et a
questo si e sforzato dicto messo de indurre quello dominio, el
quale finalmente ha resposto non li parere de intrare in questa
cosa e dargli queste genti. Et cum questo pare se sia partito dicto
messo, et la ragione per cui essa Signoria ha facto tal resposta
pare sia stata perche il papa domandava la gente et non diceva
de pagarla, ma la spesa fuse pur de la Signoria; et molto più li
ha facto soprastare, perche pare che dubitano che questa non sia
una cosa facta a mane, dicendo non sapere ragion alcuna de
tanta inimicitia fra la S.ta del papa et S. Petro ad Vincula et
Sua M.ta, che loro debano voler pigliare questa impresa contra
Sua M.ta. Et tanto più se sono confìrmati in questo dubio, quanto
che, havendo loro domandato a dicto ambassatore per quale ra-
gione e venula tanta inimicitia fra el papa et San Petro ad Vin-
cula et Sua M.ta, lui non ha saputo dire altro se non chel duca
de Calabria ha domandato certe tere a Sua S.ta, il che non ha
consonato ala brigata.
^ Delle relazioni tra i baroni e i Veneziani e delle promesse fatte a
questi il re aveva già avuto qualche sentore (V. doc. XVIII). Chi si recò
a Venezia da parte dei congiurati fu il conte di Tursi, Giovanni Sanseve-
rino (v. doc. XXX).
2 Giulio Cesare Varano, al cui contegno nella guerra tra Ferdinando
d'Aragona e il papa accenna il Volpicplla, pp. 455-56. V. anche
doc. XXIX.
— 147 —
Item che Zacharia Barbaro, el quale e a Milano, ha scripto ala
Signoria che lui comprende che fra la M.ta del Re et il S. Ludo-
vico sia più presto unione et bona inteUigentia che disunione et
discordia, et che dubita che, quando monstrano el contrario, siano
simulationi ; per la quale lictera pare che la brigata sia sta molto
sospesa, et siano molto dubiosi, essendo alcuni di loro de parere
che tute queste mosse siano cum qualche artifìcio per metterli in
qualche ballo, et cussi se ne soprastano.
Questo e quanto habiamo sino a quest'hora, se ben tutavia po-
tria esser che loro simulassino, et che havesseno altra intentione
de quella monstrano ; però non ni pare che su queste cose sia da
fare più fondamento come se convenga ; ma per ogni respecto ni
e parso darne ad viso.
XXV. Battista Bendedei. Napoli, 12 settembre 1485.
Ill.me dux... la M.ta del Reparti alli X et andò aCapua, et de
li andò subito el secretarlo a Venosa, richiesto etiam da quiUi ba-
roni, per desgrossare la materia et per ordinare de loco, et come
se havessero da redure quisti baroni al regio conspecto \ Et beri,
essendo el S. duca ito cum Sua M.ta insino a Capua, retorno beri
qua, et questa mane per tempo etiam retorno a Capua, et ne dixe
a noi che, giunto fusse a Capua, come sperava hogi circa XIV bore,
chel Re subito andarla a la via de Puglia, et dice che mercuri
o zobidi ala più lunga se adrizaria in Abruzo, dove sono le gente
d^arme ^.
La duchessa de Calabria stara qua cum el conte de Magdalone
et quilli del Consiglio per lo mancamento del Re.
La regina and ara verso Abruzo ale tere sue per recreatione in
questo tempo stara fore el Re^.
XXVL Id..., (?) settembre 1485 4.
...El non fu vero quello scripsi in ziffara da Capua a la V. Ex.tia,
* Risulta dalla deposizione del conte di Carinola (Processi, pp. viii-ix)
che i congiurati erano soddisfatti dell'andata del Segretario a Venosa, per-
chè in tal modo si sarebbero meglio assicurata la sUa cooperazione. Si
ventilò anche l'idea di farlo prigioniero « con sua volontà » fin d'allora, come
più tardi si fece a Salerno.
^ Si metta in relazione tutto ciò con quanto dice il Leostbllo, p. 71,
ricordando che Alfonso si mosse definitivamente da Napoli alla volta degli
Abruzzi il 21 settembre ; ivi, p. 72.
3 La regina lasciò Napoli per gli Abruzzi il 12 settembre ; ivi, p. 71.
* Questo brano di lettera, interessante perchè ci aiuta a meglio inten-
dere il dispaccio dell'I 1 settembre (doc. xxiii), trovasi in modo slnmo con-
148
chel fussero sta intercepte littere de baroni, le quali soUicitasseno
el papa a mandare la sua gente al confine. Fu ben vero chel prin-
cipe d'Altamura quella nocte forni la cera, et lo S. duca de Ca-
labria cella dicto che la causa fu, questa che uno amico del S. don
Francesco suo fratello li scripse che saria bene, havendo le intrati
dela Cera, havesse etiam el castello o la rocha, e poi in ziffara li
scrivea che seria ben vedesse congiungerse cum la sposa sua, ad
ciò non possa poi revocarse. Unde che, essendo sta intercepta que-
sta littera per quelli del principe suo suocero, et vedendo in pri-
mis quello non era scripto in zifra de la natura era, suspecto che
la zifra fusse poi qualche cosa de pegio contra la sua persona, et
subito subito fece fornire dicto suo loco de la cerra, mandandoli
12 o 15 fanti ; et non Fhavendo mai potuto decifrare, et parlatone
cum M. Impou, se li e mandato Toriginale de colui che scripse et
la contrazifra, et cussi se retrovato, et per modo che epso principe
e resta satisfacto, dubitando prima fusse qualche cosa contra la sua
persona.
XXVII. Id. Troia, 16 settembre 1485.
Ill.me princeps, el mag.co orator fiorentino et io giunsemo beri
matina qui sani et salvi e la M.ta del Re li giunse alle XX bore,
al quali, essendoli ito incontro, ce dixe come le cosse de quisti ba-
roni passavano insin qua de bene in meglio per quanto li bave a
replicato frate Francesco et M. Impou ; et prima che andassemo
a lecto, ce mando una lettera ha scripto el Secretarlo da Venosa,
ne la quale scrive che non poterla essere meglio veduto et racolto
dal principe d'Altamura et dal Gran Siniscalcho, et come non pò-
teriano essere meglio disposti a fare tutto quello sarà de mente de
Sua M.sta. Domane li andara.
El duca de Melphi hogi debbe venire a la Sua M.tà^.
La M.ta del Re fu vero che ce dixe chel papa havea mandato
circa trecento fanti al Guasto 2, che e terra del Gran Siniscalcho,
fuso col dispaccio del 9 settembre (doc. xxi). La cosa può spiegarsi, credo,
con un errore del copista, di cui il Bendedei si serviva per trascrivere i
dispacci. L'ho stralciato dalla lettera ricordata, e lo riporto qui perchè mi
sembra che possa cronologicamente assegnarsi fra il 12 settembre, data del-
l'ultimo dispaccio che il Bendedei inviò da Napoli prima di recarsi in Pu-
glia, ed il 15 settembre, giornp in cui egli era già a Troia.
1 II duca di Melfi si recò a fare omaggio al re il 20 settembre. V. doc.
XXX in fine.
* Da una lettera di Aldobrandino Guidoni, oratore estense a Firenze, del
21 settembre 1485 risulta che « 300 provvisionati del pontefice imbarcatisi a
— 149 —
in la quale pero non se hano acceptati, ma sono stati posti in una
altra pur di esso Siniscalcho ; del che Sua M.tà non se ne guasta,
ne se dà molestia, purché non abbia a seguire quanto disopra e
scritto delo effecto che aspecta cum lui et cum gli altri.
Dopoi circa le 4 bore de nocte Sua M.ta ce mando littere li
havea scripto el Secretarlo da Ascoli, ne le quali li significava quanto
havea concluso et affìrmato cum loro baroni, secondo havean fir-
mato cum frate Francesco da Ragonia, et cussi se ne venia a Sua
M.ta a Fogia o dove fusse. Unde che Sua M.tà ha deliberato non
muoversi di qua prima che intenda quello bara facto, et cussi lo
aspecta cum piacere.
XXVIII. Minute ducali a Battista Benedei. Argenta, 16 set-
tembre 1485.
.., Nui semo sta richesti dal duca de Milano che vogliamo farvi
uno mandato ad instrumentum nomine nostro per fare quanto ri-
cercha el bisogno de la reconciliatione tra el Re et li baroni, come
dice bavere facto el medesmo al suo ambassatore; cusi de bona
voglia rhabiamo facto et ve lo ùiandamo.
Doppo che scrivessemo l'altra nostra in zifra, non havemo altro
da Venetia, se non che Tambassatore venetiano a Roma ha scripto
quanto caldamente el papa et S. Petro ad Vincula gli hano com-
messo scriva a quella Signoria, che voglia esser contenta de dargli
il S. Ruberto per questa impresa de quisti baroni, dicendo que-
sto esser il facto de la religione Christiana. Impero che essi baroni
sono in tal dispositione et tanto malcontenti del S. Re, che dicono
che, non se potendo loro aiutare per altra via, se darano al Turco ^,
de che pare Sua S.ta dubiti grandemente, maxime perche quasi
tuti loro hano le tere sue ala marina; ma non se intende che essa
Signoria habia facto sopra ciò ae iloederitbnalcuna.
XXIX. Battista Bendedei, Foggia, 19 settembre 1485.
Ill.me princeps... il S. don Federico giunse in Troia ali 16; giunse
etiam el Segretario el 17, e la M.ta del Re per sua S.ria ne fece
intendere quanto havea operato cum quiUi baroni a Venosa, che
Recanati » erano andati al Vasto. Costretti a riprender terra da una tem-
pesta, ripartirono quando il mare divenne tranquillo. A. Cappelli, Lettere
di Lorenzo de' Medici detto il Magnifico conservate nell' Archivio Palatino
di Modena con notizie tratte dai carteggi diplomatici degli oratori estensi a
Firenze, in « Atti e Mem. delle RR. Deput. di St. pat. per le prov. mo-
denesi e parmensi », I (1863), p. 272.
' Alle relazioni fra i baroni e i Turchi si accenna in più luoghi del Lì-
ber Instructionum, passim. V. anche Processi, p. CCLV.
150
fu in paucis, che, quanto ale parole et dimonstratione extrinsece,
non poteriano essere meglio disposti a concordare cum el Re, et
pur per quello modo havean concluso cum frate Francesco, et cum
quelle conditioni le quali erano molto honeste, iuste et ragionevoli,
et per le quali la M.ta del Re sperava tanto più che sequisse la
compositione ; per il che Sua M.ta delibero che esso Secretarlo quel
giorno se ne retornasse et andasse a Fogia et ad Ascoli, dove era
uno vescovo che etiam facea per essi baroni, pur per restringere
ben la cosa, ita che ala venuta del Re a Fogia poco restasse a
fare. Et Sua M.ta delibero de venirli el di seguente che fu beri,
et cussi noi oratori Thabiamo seguito.
Questa mane autem don Federico ni fece chiamare, et prius ni
partecipo alcune littere nuper ricevute da Roma dal card, de Ara-
gona et de M. Anello del XVI del presente, in le quali significa-
vano la perseverantia del mal animo de N. S. verso el Re et etiam
fare demonstratione pegior de Tusato, maxime in cerchare scrip-
ture vechie de privationi alias facte contro alcuni Ri de questo
regno, et per querelle de baroni ; et etiam che Sua S.ta havea facto
instantia chel S.r da Gamarino lo servisse, et lui respose non lo fa-
ria senza licentia de la Signoria ; et cum quella Thabii recercato
per haverlo et el S. Ruberto, et insin qui non Fhabino voluto fare,
ma se dubita del futuro.
Ni fece etiam intendere quanto scriveva el M.co Antonio Cici-
nello^ da TAquilla pur perdubio et suspecto di qualche tractato et
per fare provisione di circha 400 fanti. Perche uno de la casa del
conte di Montorio avea richiesto uno altro de la terra a darli
una porta, perche harian in favore subito squadre 25 del S. de
Camerino 2. Ulterius ce dixe che, per adviso hano havuto que-
1 Su Antonio Cicinello v. la biografia di Vespasiano da Bisticci, Vite,
di uomini illustri del sec. XV, Firenze, Barbèra, 1859 ; pp. 407 e segg.,
2 II congiunto del conte di Montorio, a cui qui si accenna, non può
essere altri che Antonuccio di Ercole Camponeschi scacciato dall'Aquila,
ma non catturato insieme agli altri di sua famiglia. V. Raccolta di memorie'
istoriche delle tre provincie degli Abruzzi di A. L. Antinori, tom. IV, Na-i
poli, 1783, p. 24. E cfr. E Carusi, Alcuni documenti per la congiura dei
baroni negli Abruzzi, in Bollett. della R. Deputaz. Abruzzese di Stor, pair.
S. Ili, an. I (1910), p. 12. Si opporrebbe all'identificazione il fatto che An
tonuccio, dopo la sua espulsione dall'Aquila, fu chiamato al servizio dei Ve-,
neziani, i quali gli dettero in conto del soldo 12000 ducati aurei con ga-
ranzia di quella comunità, se dall' Antinori stesso (op. e voi. cit., p. 33) non
apprendessimo che in realtà il Camponeschi non si mosse dagli Abruzzi.
k
— 151 —
sta nocte, monstra che al Guasto siano giunte nova quantità de
fanti de quilli del papa et circha 150 cavalli, li quali fanti et ca-
valli, pare, epsi del Guasto, come devoti del re et malcontenti del
Gran Siniscalcho, per niente li hano voluti acceptare. Per il che
dixe Sua Ex.tia che el Re assai dubita che questi baroni dano pa-
role et dicano una cosa et ne faciano un'altra, et menino la cosa
in lungo per adromentare Sua M.ta, e loro provedere a quanto
hanno designato et ordinato, et presertim che etiam e passato uno
priete del principe d'Altamura che viene da Roma, el quale cre-
deno habii portato la instructione habino ad usare. Ulterius non
e venuto qua ni a Troia el duca de Melfi, come havea scripto et
se expectava.
Quanto alo acordo de quisti baroni non Vha per desperato, se
ben ne dubita assai et, vedendo pur quisti movimenti, non li e
parso remandarli più el secretarlo, parendoli homo de tropo impor-
tantia, quando perseverasseno in malignare ; et bali remandato M.
Impou, che se e partito questa mane pur per vedere quello vo-
gliono fare, et, se perseverano in volerse componere, come hano
mostrato a lui, a frate Francesco et al Segretario, per esserne etiam
più chiaro, li mandara Bartholamio Veri, oratore del Re de Ca-
stella, et Antonio de Alexandro Regio Gonsiliario i.
Continua
G. Paladino
' Su Antonio d'Alessandro v. le notizie del Volpicella, pp. 220-221, al
quale è sfuggita la circostanza, risultante dai Processi (p. LXXX), che il
D'Alessandro fu incaricato dal re di giustificare la cattura dei figli del duca
d'Ascoli presso il principe di Bisignano, quando questi si recò a Napoli tra
la fine di giugno e i primi di luglio del 1485.
GLI AVVERTIMENTI AI NIPOTI
DI
FRANCESCO D'ANDREA
(contin. : v. voi. prec, pp. 227-289)
§ 2. — Gli avvocati napoletani sono stati sempre famosi non men
per l'eloquenza^ che per la dottrina.
Per mezzo del?awocazione in Napoli si ha modo di far pompa
del proprio talento così nella dottrina, come nell'eloquenza.
Come nella dottrina lo dimostrano molti libri de' nostri giure-
consulti celebri per tutta V Europa, che tutti furono avvocati e
diedero alle stampe i loro consulti con altre opere legali : il reg-
gente Loffredo, il reggente Villano, il reggente Da Ponte, il reg-
gente Lanario, il consigliere De Giorgio, i due Anna, i consiglieri
Grammatico e Paschale, il reggente Rovito, il reggente Galeota,
il consigliere Teodoro, lacovo Gallo, Marcello de Mauro, Orazio
Montano, Francesco de Petris, il reggente Capecelatro, i tre Mar-
ciani, i tre Staibani, li consiglieri De Rosa, Odierna, Prato, Rocco,
e tanti altri che se ne potrebbe formare una mezza libreria, oltre
moltissimi che, non inferiori di dottrina, anzi a molti de' suddetti
superiori, non hanno però stimato dover esponere alla luce del
mondo le loro fatiche.
E dell'eloquenza può dirsi che, decaduta totalmente dall'antico
splendore, quando fioriva ne' tempi deUa Romana Repubblica,
solo ne' nostri avvocati si sia veduta sino a' dì nostri risplendere
come necessaria alla Repubblica, e non per semplice esercitazione,
come nelle accademie, e per farne pompa, come nei pulpiti.
Poiché da che si lasciò d'orare nelle cause, tutto il pregio della
eloquenza par che si sia ristretta nelle sacre concioni che fansi dai
predicatori sui pergami, dove, non essendovi l'avversario che con-
traddica, né i giudici che determinano, par che si sia ridotta piut-
— 153 —
tosto ad una vana ossen^azione e per dar piacere agli ascoltanti,
per alcuna utilità o giovamento della Repubblica, e per conseguen-
za che sia priva totalmente del suo fine ch'era di mover gli animi
de' giudici e del popolo alle deliberazioni che si avean da prendere
nelli casi occorrenti. E se pure alcuna volta si son veduti de' pre-
dicatori strascinarsi lor dietro le turbe e ridurle agli atti della pe-
nitenza, ciò è stato per la fama della santità della loro vita e per la
forza della religione, non per l'eloquenza.
Onde solo appresso gli avvocati può dirsi che risiede e dimora
il pregio della vera eloquenza, i quali non colle barzellette e colli
scherzi, o con una stentata ed assettata dicitura, come con non
poco discapito di quel sacro ministero si usa dalla più parte dei
predicatori, ma con una eloquenza massiccia e con argomenti ga-
gliardi ed efficaci han da rappresentare le ragioni de' loro clienti,
non per dar diletto o far pompa del lor ingegno, come facevasi
anticamente nelle scuole de' retori, e come si fa oggi nelle accademie,
ma per convincere l'avversario con pruove ed argomenti reali,
ed in maniera che sia atta a riportar da' giudici favorevole la sen-
tenza . Cosa che in nessun'altra parte almeno della nostra Italia
si esercita così bene da' nostri avvocati, i quali, oltre le cause che
difendono continuamente nei nostri Tribunali, dove spesso chia-
mati improvvisamente ragionano per le giornate intiere, hanno
spesso da orare avanti il principe nel Supremo Collaterale nelle
cause così civili, come criminali, dove le vite e le sostanze degli
uomini dipendono dalla vigorosa eloquenza degli avvocati i.
> Si legga ciò che scriveva il Capaccio, // forastiero, Napoli, 1630,
pp. 604-05 : « Resta solo non vi rincresca, quando intenderete che là [nel
Foro] si trattano cause gravi, andar a sentir tanti supremi avvocati, dici-
tori che stimarete divini. Sentirete Andrea Marchese che prese l'oracolo da
quel gran padre suo Fabio, che fu meraviglia della giurisprudenza, e porta
seco il simbolo della grandezza di quelle ; Antonio Caracciolo nel quale non
è tanto il dire che sopravanza gli altri, quanto la maestà delle leggi che pro-
duce, e la speranza che orando apporta della vittoria ; Giovan Camillo
Cacace che potrebbe rifare il corpo del juò civile se si perdesse ; un Ottavip
Vitagliano dicitor così famoso. Havrete alle volte Carlo Brancaccio et
Rettore Capecelatro che ragionando scrivendo consultando persuadono ,
insegnano, e tutti i negozi riducono alla sincera verità che si va cercando.
Vorrei dire di un Hortensio del Pezzo gran giureconsulto et orator grande,
così d'un Giovan Tomaso di Rogiero germe nobilissimo di quel Giovan
Lorenzo lume dell'interpetrare, e le voci del quale ogni bora con grandis-
sima sua lode risona per gli studi napolitani, come lodatissimo si fa sentire
154
E benché in Venezia si faccia particola! professione di orare,
nelle cause, non parlando già delle orazioni che si fanno in Senato,
che stanno perpetuamente coverte dal loro impenetrabil segreto,
non ho veduto che gli avvocati veneziani portino alcun vantaggio
sopra ai nostri, i quali anticamente facevano particolare studio
nell' arte oratoria i. E per avvezzarsi a parlar bene era costume
ai nostri avvocati studiar le orazioni del Cieco di Adria 2, co-
stume oggi dissuaso per non esservene più di bisogno : poiché
da che sMntrodussero le accademie, che fu nel principio di questo
secolo, e propriamente nel 1611, quando si aprì T Accademia degli
Oziosi^, la nostra lingua natia si è andata sempre spurgando
dell'antica rozzezza, onde non vi è più bisogno del Cieco d'Adria
per assuefarsi al ben parlare.
Né perciò sono mai mancati tra i nostri avvocati dei celeberrimi
oratori ; e dura ancora oggi la memoria di tre famosi avvocati, che
a tempo de' nostri padri furono insigni per la fama dell'eloquenza
Antonio Caracciolo, Gio. Camillo Cacace ed Ottavio Vitagliano, 1
il figlio in quelle Ruote. Havrei molto che dire di un Alessandro Palmiero,
erario dei più occulti segreti degli studi legali, di un Francesco Marciano
che bevuto il latte della facondia del padre è divenuto miracolo, e di tanti
altri dei quali chi ragiona e non erra, chi difende e salva, chi è valoroso
e vince ».
^ I Veneziani difendevano le cause in dialetto: il calore della improvvi-
sazione li infiammava e faceva loro alzare la voce, sì che, racconta il Ge'
MELLi Carreri, I, 37, « uou parlavano ma fortemente gridavano, non di-
sputavano ma tenzonavano, e poi con quella loro favella da fare ismascel-
lar dalle rìsa anche le statue ». Cfr. Zanardelli, p. 41 ; Molmenti, III,
499-500.
2 Luigi Grotto cieco di Hadrìa, Orazzoni volgari e Zai me, Trevigi, 1609.
3 Le Accademie napoletane furono chiuse da D. Pietro di Toledo per
tema di disordini ; mutate le condizioni politiche, il conte di Lemos nel
1611 permise si aprisse quella degli Oziosi, che ebbe stanza dapprima nei
Chiostri di S. Maria delle Grazie e S. Agnello, e poi in quelli di S. Domenico
Maggiore. Sorse per opera del card. Brancaccio, e fu diretta in prosieguo
dal Manso. Le sue Leggi, redatte si crede dal De Petris, sono ora ed. dal
Padiglione. Di questa Accademia così parlava il Voss all'Einsio: «Neapoliro
si excurras, multos ibi invenies vìros mediocriter eruditos. Id ferme stu-
dium est Academicorum ea in urbe, qui se Otiosos vocant, et re vera sunt
(ed. BuRMANN, Syllog. Episi. ili. virorum., III, 567 ». Ma d' altra parte
il Capaccio, Episi., I, 105, scriveva al Manso: « Vitam Neapolitanae Urbi
dedisti ». Cfr. , oltre i noti studi del Giustiniani e del Minieri-Riccio sulle
Accademie napolitane , Borzelli, G. B. Manso, Napoli, 1916.
— 155 —
quali due primi a mio tempo furono reggenti, ed il terzo, che io
non conobbi, dopo di aver fondata la casa deirOratino co' danari
guadagnati dalFawocazione, non volle che vi entrasse a parte
Tautorità del ministero. Ma il primo, per quel che mi diceva la
buon'anima di nostro padre, era chiamato un fiume deireloquenza,
perchè era dotato di una vena naturale ed abbondante che, accom-
pagnata da un'affettata modestia e da una gratissima maniera
di rappresentare, rapiva gli animi di quei che l'ascoltavano. Il
secondo, all'incontro, non doveva niente alla natura, ma tutto
all'arte, e, per quel che io intesi da lui medesimo, quando già era
presidente di Camera e mi portava molto affetto, essendo per na-
tura timido, prese animo di darsi all'avvocazione da due orazioni
che fece nell'Accademia degli Oziosi con molto applauso: onde poi
anche nelle cause si premeditava il discorso a mente con eloquenza
più regolata che abbondante, ma con maggior dottrina ed argo-
menti più efficaci del primo. Il terzo fu come un mezzo fra questi
due con discorso vigoroso e naturale, ma non avea la dolcezza del
primo, né tutta la dottrina del secondo.
A' miei tempi, essendo io giovane, non ebbi motivo di ammirare
altri che il sig. D. Diego Moles, padre dell'odierno duca di Parete i;
avea nobil aspetto, gratissima voce, e si spiegava nobilis-
simamente senza affettazione, ardeva dove bisognava, le parole
erano anche scelte e proprie, accompagnate dal gesto : insomma
non avrei saputo che desiderarvi ; e Pietro Caravita ch'era suo
emulo e lo superava in dottrina, ma di più lunga inferiore nell'arte
del dire, non di altro il censurava, solo che diceva che imparava
la lezione a mente : il che s'era vero, tanto maggiore era il suo arti-
ficio, poiché non se li conosceva, e le parole pareva che se li sug-
gerissero nel medesimo tempo che le diceva.
Comunemente però era stimato più facondo Girolamo de Fi-
lippo, il quale aveva un'affluenza naturale accompagnata ancora
dall'arte, ed una maniera più dolce ed affabile; ma poco s'ingeriva,
ed in tutto privo di quel che é tanto necessario ad un perfetto
oratore : il discorso però era più pieno di parole che di cose, e come
di lui disse il sig. conte di Pefiorada, mentre fu avvocato fiscale
in Camera, muchas vignas y pocas ubas : onde di forza ed efficacia
nel dire non poteva paragonarsi coll'altro.
Il sig. Giulio Caracciolo avea un discorso aggiustato, sicché pare-
' Francesco Moles ; su cui cfr. Avvertimenti, § 31.
— 156 —
va premeditato: non aveva però molta facondia, ma suppliva col
decoro e concetto condegno di cavaliere; e per le qualità della na-
tura prese gran nome tra la nobiltà, ma, morto quasi nel prin-
cipio della sua carriera, fu più famoso per quel che si stimava che
avrebbe fatto, che per quello che fece.
Francesco Maria Prato credeva d'essere grande oratore, ma a
mio giudizio e di tutti gli altri non poteva riporsi neanco tra i me-
diocri; aveva una maniera affettata ed un accento leccese che piut-
tosto lo rendeva ridicolo, benché non li mancasse dottrina, per
quanto era necessaria nell'uso dell'orare. Si pregiava di parlare
spagnuolo, onde due cause celebri in Collaterale, alla presenza del
sig. duca d'Arcos i, le parlò in lingua spagnuola, ciò che non si era
fatto da nessuno altro prima, com'egli se ne pregiò in uno de' suo
volumacci dato alle stampe ^ ; ma le perde tutte e due, e una fu
quella della Congregazione di s. Ivone, che solo guadagnai con-
tro i Padri Gesuiti che volevan far l'altra del medesimo istituto
nella Casa Professa, benché la parlassi improvviso ed in età di 22
anni ^ : per la quale il sig. Viceré si mosse ad inviarmi avvocato
fiscale in Abruzzo. Ne fa la decisione il sig. reggente Capecelatro
nel secondo tomo *. L'altra causa fu in difesa di un cavalier spa-
gnuolo, dove ebbe contrario il suddetto Giulio Caracciolo.
Bartolomeo de Franco fu grand' avvocato, ma solo nelle cause
de' rei. Aveva una maniera sua propria, quale non saprei a chi as-
somigliarla, colla quale però parlava le tre e le quattro ore, e non
dispiaceva. Era però più famoso per le minuzie che osservava nei
processi e per gli difetti che apparivano circa l'ordine giudiziario,
che per rappresentare bene la giustizia, quale più delle volte non
aveva. Talmente che il sig. consigliere Arias de Mesa^ soleva
^ Il duca d'Arcos fu viceré in Napoli dal 1646 al 1648.
» Prato, Discept. Forens., Napoli, 1648, II, 30.
* Della causa per S. Ivone il D'Andrea parla a lungo nel § 19 di questi
Avvertimenti. Cfr. su di essa Cortese, La Congregazione di 5. Ivone ed il
patrocinio dei poveri in Napoli, (secc. XVI-XVII), in Napoli nobilissima,
n. s., 1920, I, 3, 33-35.
* Capecelatro, DecfsiOTies noviss. S. R. C.,Neapoli, 1652, II, deqis. 169.
5 Ferdinando Arias de Mesa (m. 1646), lusitano, cattedratico di diritto
pontif. vesp. a Salamanca, e poi di civile della sera a Napoli, ove fu cappel-
lano magg., dal 1638 cons. Scrisse : Variarum resolut. et interpret. juris
libri III, Napoli, 1643. Cfr. Toppi, De origine omnium Tribunalium, Napoli,
1655-66, II, 83, 369 ; Kònigius, Bibl. vetus et nova, Altdorfì, 1678, p. 478;
Antonio, Bibl. hispana, Roma, 1672, I, 281; De Fortis, Del governo pò-
— 157 —
dire che avrebbe voluto fargli dare una cattedra primaiùa : De
ordine iudiciorum, con duemila ducati di salario Fanno, para
extruccion de los avogados j procuradores, ma impedirgli Fuso del-
Favvocazione.
Sorse dopo tutti questi Giuseppe de Rosa, di chi non poteva
dirsi che non parlasse assai bene e che alla molta dottrina non ac-
compagnasse anco il pregio di esplicare ottimamente i suoi sensi :
ma F esplicava in maniera che pareva che piuttosto insegnasse che
orasse : onde comunemente fu stimato più dotto che eloquente.
Al contrario di Paolo Malangone, che con un suo discorsetto po-
ntino, nudo di ogni dottrina, anche della più comunale, ma con voce
assai grata e piacevole, acquistò presso il volgo fama di bel dicitore,
talmente che in una commedia che si rappresentò in Napoli in un
carnevale da quel che faceva il Pulcinella li fu dato il secondo luogo
dopo un altro che senza contraddizione era stimato il primo nella
lode delF eloquenza : giudizio veramente da Policinella, perchè nel
Malangone io non ravvisai mai cosa che non fosse sotto la medio-
crità assai, e vi erano molti che parlavano, se non così pulito, assai
però più efficace e più conchiudente di lui, non consistendo F elo-
quenza nelle sole parole , ma assai più nel vigore e nella robustezza
delle ragioni.
Anche Fabio Crivelli, che venne dopo di lui, aveva una vena
abbondantissima, sicché parlava tre e quattr'ore continue senza
stracccarsi, come se avesse narrato un conto ; anzi per aprirsi
campo di parlare assai, o pure per far pompa della sua abilità,
soleva ripetere tutto ciò che si era detto dalF avversario e spesso con
maggior giro di parole che non avea fatto Favversario medesimo,
per poi poterle confutare: ma questa era loquacità, e non eloquenza.
Il sig. Vincenzo Vidman, d'origine calabrese per ragion del
padre, — benché egli abbia avuto una somma avversione con una
tal nazione, e forse per lo genio contrario che aveva avuto col sig.
Serafino Biscardi, — egli é stato buon oratore, parlando con ef-
ficacia e con fondamento; però si é fatto conoscere sempre troppo
aspro. Questo è stato buon avvocato così nella professione crimi-
nale, come poi nella civile ; e se in lui non avesse molto predomi-
nato, come domina, Firascibile, avrebbe potuto far fortuna mag-
giore così in acquisto di facoltà, come di cariche : benché oggi
si trova da consigUere di S. Chiara passato presidente di Camera,
litico, Napoli, 1755, p. 82; Origlia, Ist. dello Studio di Napoli, Napoli»
1754, II, 95.
158
ma non molto ben visto dalla generalità per la sua asprezza e per
liberi sermoni.
li sig. Serafino Biscardi, ancor calabrese, — sendo egli d'un pic-
ciolo castello di Calabria Gitra quaFè Altomonte, terra del sig.
principe di Bisignano, di dove è originario, — benché poi si fusse cre-
sciuto in altro castello delli Carolei, che è del sig. marchese della
Valle, — ove passò suo padre, uomo per altro di bassi natali e del
mestier di tinger cappelli, col quale viveva, ritiratosi nella città
di Cosenza colla bottega della sua arte, per mezzo della quale so-
stenne tanto il sig. Serafino quanto il sig. Giacinto alla scuola, — spas-
sato in Napoli, per mezzo dell' avvocazione ha fatto quella fortuna
che di presente sta agli occhi di tutti, essendo egli Avvocato fi-
scale di Camera. Parlava bene ed al proposito, e sapeva Tarte della
vera eloquenza, benché coiraccento della sua nazione; ma parve che
disprezzasse Teloquenza, conoscendo forse che le cause al dì di
oggi si guadagnano più col maneggiare che col parlare,e più col go-
verno (termine però nuovo, non men che scelerato, e da me sempre
abborrito), che non per la strada vera; ed anco perché si è introdotto
lo stile che una causa, dopo parlata otto o dieci giornate, quando
si arriva a doversi votare, se pur a votar si arriva, si appunta più
mesi dopo parlata, sicché i ministri se ne sono scordati. Il parlar
bene, tolto il plauso che se n'acquista mentre si parla, si stima
inutile ; ma non é così, perché quando i giudici non ài movono per
passione o per altro maneggio importa assai il concetto che abbiano
formato della causa, quando l'hanno intesa parlare, perché quando
poi si mettono a ristudiarla abbiano inclinazione verso quella
parte a favore della quale abbiano formato il concetto che tenga
giustizia ^.
Ma il sig. Serafino intanto ne avea acquistato fama, onore e te-
sori, poscìacché, oltre del degnissimo posto di Avvocato fiscale,
ed oltre delle facoltà accumulate, caso il sig. Giacinto suo fratello
colla figlia di Paolo Anastasio, e quello, sebbene persona molto or-
dinaria, n'ebbe in dote la somma di ducati 50 mila, — facendo
col suo modo comparire come avvocato ancora il sig. Giacinto,
ch'egli diceva essere un Papiniano nello scrivere, benché infelice
nel parlare : però tutto faceva il sig. Serafino,da me ben conosciuto
1 Cfr. Cortese, S. Biscardi, Laureana di Borrello, 1918 (estr. dal
Boll, della Soc. Calabrese di Storia patria, II, 1-2), e il documento ivi pub-
blicato sulla viva lotta sostenuta dal Biscardi per essere ammesso al Se-
dile dei Nobili di Cosenza.
— 159 -
fin dai suoi principi che accudì meco. Ed oltre di ciò si è fatto
ultimamente, dopo asceso al posto di Avvocato fiscale del Real Pa-
trimonio, aggregare (col favore però del sig. Viceré) alla nobiltà
di Gosenza,con tutto che egli non fusse stato neppure dell'ordine dei
cittadini di quella città, ma solo della provincia, eh' è stato il mag-
gior colpo da lui bramato e stimato, per essere quel seggio stimato
chiuso : benché sessanta anni addietro incirca era aperto, e vi en-
travano varie sorte di persone, ed in particolare lettori di legge,
benché fossero stati figli di artisti, e sino a' medici, fisici e cerusici,
come si legge da' processi che in tempo mio ne stavano nel Sacro
Consiglio. Ed ebbi l'occasione di riconoscerli quando alcuni dot-
tori pretendevano entrare come prima, e vidi il modo come fu ser-
rata la Piazza suddetta con conclusione di quelle famiglie che si tro-
varono quando entrò il Merenda di Paterno, casal della città, come
dottore ; ed in detti processi esservi l'origine di molte famiglie ag-
gregate come dottori, a' quali era lecito l'entrarvi, ed altri benché
figli d'artisti, ed in particolare aggregato un musico : onde la vir-
tuosa canagUa ancor possa godere gli onori della Piazza, benché
nei processi medesimi osservasi ancora esservi in quella città e
casali nella Piazza medesima molte famiglie assai antiche e nobili.
Non ci avrebbe mala attitudine il sig. D. Cesare Natale, poi pre-
sidente di Camera, ed oggi consigliere, di che il sig. Serafino, che era
suo emolo, diceva che si portava scritto in carta il suo discorso,
e, facendo mostra di leggere i punti che si avea notati, recitava ad
verbum come l'aveva scritti ; ma l'avere procurato d'essere mi-
nistro quando già incominciava ad aver numero di negozi non li
die tempo di perfezionarsi, e se questo suggello fosse stato più
forte e più veritiero avrebbe potuto o potrebbe far fortune mag-
giori 1.
Molti altri ve ne sono che, se non hanno uguagliata la gloria
degli antichi, non però lasciano di parlare bene assai : de' quali
sarebbe troppo noioso il tener catalogo. Né perciò può dirsi di-
minuita nel nostro Sacro Cosiglio la gloria dell'eloquenza, per quanto
non sia stata mai celebre ne' tempi andati. E tal vi é stato a' di
nostri, che ha meritato il titolo di Cicerone napolitano 2, come il
^ Il brano manca in quasi tutti i mss. degli Avvertimenti; forse sarà
una posteriore interpolazione. Il Natale fu molto amico del D'Andrea,
e scrisse la lettera proemiale alla sua Disputazione feudale.
' Il D'Andrea allude a se stesso.
160
consigliere Ciavari spagnuolo nella sua Didascalia i, il Redi fioren-
tino nel suo Ditirambo ^, li Fasano napoletano nella Gerusalemme 3,
il padre Mabillon ^ francese ed il sig. Burnet ^ inglese ne' loro viaggi
nella relazione di Napoli, ed altri ne fanno amplissima testimo-
nianza ^.
» Ciavari, Didascalia muUiplex veteris, mediae et novae jurispruden-
tiae, Napoli, presso gli eredi di M. A. Ferri, s. a.
* Redi, Bacco in Toscana, vv. 105-114 ; e sono versi notissimi :
E se ben Ciccio d'Andrea
con amabile fierezza
con terribile dolcezza
tra gran tuoni d'eloquenza
nella propria mia presenza
innalzare un di volea
quel d'Aversa acido asprino
ch'è non so se agreste o vino,
così a Napoli solca
del superbo Fasano in compagnia
E annotava il Redi stesso : « Questi si è il sig. Don F. d'Andrea nobilis-
simo avvocato napoletano, anch'esso mio riveritissimo amico, che alta-
mente possiede tutte le belle arti e tutte le belle scienze che in un animo
nobile possono allignare », riferendogli il noto verso d' Aristofane, così da
lui stesso tradotto : Tonabat, fulgurabat, permiscebat Graeciam. Tra il
Redi e il D'Andrea corse certamente attivo carteggio ; alcune delle lettere
del primo furono pubbl. in Lettere di F. Redi, Milano, 1811, voi. IV.
3 Lo Tasso napoletano, zoè la Gierosalemme libberata de lo sio Torquato]
Tasso, votata a Ilengua nosta da Gabriele Fasano, Napole, J. Rail-
lardo, 1689, pp. 5 e 359 ; I, 30 ; XIX, 29.
* Mabillon, Iter italicum litterarium, Parigi, 1687, p. 105 : « F. An-
drea, patronus causarum emeritus, quem in causa principis Satriani ma-
gno cum eloquentiae flumine et fulmine perorantem non semel auscul-l
tavimus ».
5 GiLB. Burnet, Voyage de Suisse, d'Italie et de quelques endroUs
d'Allemagne et de France, faites es-annèes 1685-86 avec des lemarques^
d'une personne de qualité touchant la Suisse et l'Italie, Rotterdam, Acher,
1687, p. 293 : nella biblioteca del Valletta a Napoli aveva conosciuto!
«un savant jurisconsulte, nommé Francois Andrea, lequel est regardé^
comme un des plus curieux de tonte l'assemblée ».
« Lungo ed inutile sarebbe l'elenco di coloro che lodarono 1' eloquenza j
ed il sapere giuridico del D'Andrea. B. Ma joli d'AviTABiLE nella sua Vita
di F. D'Andrea, in Le vite degli Arcadi Illustri, ed. G. M. Crescimbeni,
Roma, 1708, I, 29 sgg., cita una serie di opere e di autori. Ricorderò solo
che il FuiDORO ci dipinge il nostro « di color bruno, ma acceso di fuoco.
161
g 3. — Uavvocazione in Napoli è stata sempre la strada più facile
per ascendere a* magistrati supremi.
Ma tutto ciò che si è detto del pregio dell' avvocazione in Napoli
è poco, anzi nulla, rispetto alFessere stata l'unica strada di ascen-
dere alle supreme dignità del magistrato. E se V autorità che ten-
gono gli avvocati sopra i primi signori del regno è grande solo
perchè difendono le loro cause ne' supremi tribunali, qual crederò
essere l'autorità dei ministri i sopra li medesimi, che tengono la
potestà di giudicarle ? Non vi è parte del mondo dove i ministri
engano maggiore autorità che in Napoli : poiché, come non ten-
caldo di cervello, fervoroso nel parlare, in modo tale che il suono sembrava
iracondia ». Il Giannelli, Educazione al figlio, arricchita di note istorico-
critiche dell'avv. Basilio Giannelli 7un., Napoli, 1781, ne dà un giudizio
che sarà opportuno qui riportare : « Egli era ottimo giureconsulto, ed a
lui si deve la lode d'aver introdotto nel nostro Foro l'uso di disputare, ed
interpretar le leggi de' suoi principi: egli cominciò a dar notizia, ed a porre
innanzi i più culti scrittori, come Cujacio, Duareno, Fabro, l'Ottomano,
etc, in quel tempo o non conosciuti o riputati poco. Era oltre a ciò dili-
gentissimo nell'esame de' fatti, laonde in ciò poco si affidava a' procura-
tori, leggendo «sso e rileggendo minutamente i processi : per la qual cosa
per concessione delli stessi avvocati suoi emuli era formidabile nel difen-
der le cause e nell'orare ; e siccome quello che avea già letti i poeti, l'isto-
rici e gli oratori, così latini come italiani, era felice nella copia e prontezza
delle parole, e ne' varj lumi delle lingue. Accoppiava a tutte queste virtù
un'audacia grande, veemente nel dire, di rado si stancava per molto che
avesse orato. Si lasciava nondimeno assai trarre nelle digressioni, sicché
spesso parlava fuori della casa, e la voce, oltre che sonora e piena, era
nondimeno aspra e feroce. Le sue orazioni furon da lui dettate nell'una
e nell'altra lingua, anzi io credo ch'egli incominciasse il primo a scriverle
in italiano. Le latine o niente o poco sono migliori della lingua di quegli
avvocati suoi coetanei scritte in latino rozzo e barbaro. La locuzione delle
sue orazioni italiane è propria, non affettata né oscura : potrebbe essere
bensì più pura, anche per quello che si conviene all'uso del Foro. Ma gli
si può condonare per avventura questo difetto, essendo stato egli il primo
a scriverle nella nostra lingua nativa. L'orazione da lui scritta a difesa
dell'arte chimica [è la Difesa del Di Capua] è più eulta nello stile , e ba-
stantemente pura è quella che fece pel Re di Spagna nella successione
del Brabante, in cui, oltre alla dottrina, ci ravvisi de' più bei lumi
dell'eloquenza».
* Ministro-magistrato.
Anno XLV. 11
— 162 —
gono obbligazione di render conto delle loro azioni che al re nostro
signore, il quale è lontano, né i sig.ri viceré tengono sopra loro
alcuna giurisdizione, la loro potestà si riconosce tanto maggiore
quanto é più indipendente, talmente che nei tempi addietro erano
comunemente chiamati dii terreni, né vi mancavano di quei che,
men superbi che sciocchi, tal titolo se l'arrogavano come dovuto,
onde nacque il ditterio presso le male lingue che erano dii terreni,
cioè diavoli, perché non altri che i diavoli erano dii della terra.
E se è grande l'autorità che nella nostra città attribuiscono alli
cavalieri delle Piazze, perché essi soli tengono Tamministrazione
delle cose pubbliche, qual diremo esser quella de' ministri, che
tengono in mano il governo di tutto il regno e che esercitano giu-
risdizione sopra le medesime Piazze ?
Autorità sì grande é particolarmente quella dei reggenti, che in-
tesi una volta dire da un uomo pratico della Corte di Roma che,
tolta la facoltà di eleggere il papa, la stimava meglio di quella dei
cardinali, i quali non sono niente, se non quando vuole il papa o i
nipoti del papa; ciò che non andava così de' nostri reggenti, i quali
avevano autorità propria, ed i medesimi signori viceré avevano
bisogno di loro^.
E benché oggi quest'autorità sia assai diminuita, perché dopo
le rivoluzioni del 1647 é andata sempre crescendo l'autorità del
viceré, e per conseguenza han fatto mancare quella dei reggenti 2,
non é perciò che non 1' abbian fatta crescere per un' altra via,
poiché per fare quello che vogliono, e per giustificarlo in Spagna,
si servono della loro consulta : onde se é mancata in universale,
è cresciuta in particolare.
Per la qual ragione essendo che ordinariamente dall' avvocazione
si passa al ministero, e da quello poi per gradi si ascende al reg-
gentato, non è maraviglia che i cavalieri delle Piazze non altra
' A questo proposito basterà citare per tutti la testimonianza di G. B.
Vico, Scienza nuova, ed. F. Nicolini, Bari, 1916, III, 1011 sg. : « Dei
...parlamenti eroici serba un gran vestigio il Sagro Consiglio napoletano, al
cui presidente si dà titolo di ' Sagra Regal Maestà ', i consiglieri s'appellano
milites [in realtà si chiamavano, come a ragione osserva il Nicolini, sena-
tores], e vi tengono luogo di commessali... e dalle di lui sentenze non v'è
appellazione ad altro giudice, ma solamente il richiamo al medesimo tribu-
nale ». Notissimo era il detto : « Auctoritas S. R. Consilii me terret ». Cfr.
Cenni, Napoli e l'Italia, considerazioni, Napoli, 1861, pp. 19-20.
2 Per la storia di questo periodo cfr. Schifa, La cosi detta rivoluzionei
di Masaniello, Napoli, 1918, estr. Arch. stor. Nap., n. s., II-III.
163
cosa invidiano che questa facilità di potere dall'awocazione ar-
rivare al ministero. Onde il sig. D. Diego Capecelatroi, figliuolo
del reggente 2, che era mio grande amico, ed eravamo contrari
neir Accademia 3, quando io fui fatto fiscale di Chieti mi disse
che se ne rallegrava, perchè tra poco tempo non sarebbe stato cosi
facile a quei che non erano di Piazza ascendere al ministero, per-
chè correva un arcano tra la nobiltà di applicarsi tutti alla profes-
sione legale per metter tutti in mano loro i posti di toga : sicché tra
pochi anni tutti i ministri sarebbero stati cavalieri, intendendo per
cavalieri i soli nobili delle Piazze, per lo bisogno che diceva avean
di loro i Spagnuoli. Ed in effetto in quel tempo si ritrovarono
quattro reggenti italiani tutti di Piazza : il reggente Sanf elice della
Piazza di Montagna, ed i reggenti Galeota, Caracciolo e Capece-
latro, tutti di Capuana, oltre il segretario del regno, il duca di
Caivano, della medesima Piazza, che valeva più egli solo che tutto
il Collaterale unito.
Ed è stata grazia di Dio che questo pensiero la nobiltà delle
Piazze, dopo le rivoluzioni, non l'abbiano posto in esecuzione, e
per difetto di abilità, e per abborrimento dalla fatica, o perchè,
cessata Toccasione di concorrere air imposiz.'one delle gabelle, si
videro chiusa quella strada per la quale stimavano che gli Spa-
gnuoli avessero di bisogno di loro; con che si è mantenuto aperto
Tadito come prima a tutti gli ordini delle persone di Piazza, fuori
di Piazza del popolo, ed anco del regno, di giungere alla supre-
ma dignità, così del reggentato, come di tutti gli altri posti supre-
mi, e nel Sacro Consiglio, e nella Regia Camera. Onde di tanti posti
vacanti dopo la rivoluzione, che sono stati moltissimi, come non
poteva esser di meno tra lo spazio di quarantotto anni, veggiamo
non esserne stati occupati più che cinque soli da' cavalieri di Piazza:
il sig. D. Trojano Miroballo oggi reggente, i consiglieri Scondito,
Caracciolo, Muscettola, Brancaccio ; e tutti gli altri li troveremo
o nobili fuori di Piazza o del popolo.
E se ci restringeremo ai soli reggenti, vedremo che, di ventidue
che sono stati creati da detto tempo delle rivoluzioni sin oggi,
non vi sono stati più di quattro di Piazza, tre dei quali erano già
ministri prima delle dette rivoluzioni: il reggente Galeota figliuolo
^ Diego Capecelatro, « di grandissime speranze », avviato all' avvoca-
zione, ma morto giovanissimo.
= Ettore Capecelatro, per il quale cfr. Avvertimenti, § 12.
' L'accademia degli Oziosi.
— 164 —
del primo, il reggente Muscettola che era decano del Sacro Consiglio,
ed i due Miroballo zio e nipote ; e gli altri diciotto tutti fuori di
Piazza : Cacace, Brandolino, Marciano, Aquino, De Marinis, Capo-
bianco, Cala e Taltro Marciano, De Philippis, Gaeta, Fiorillo, Pe-
trone, Moles, Provensale, Raetano, De Risi, il nostro reggente ^ ed
ultimamente Andreasso ; poiché due, Gaeta e Moles, erano stati
creati reggenti pria che fusse uno reintegrato al Sedil di Porto, l'a-
tro aggregato a quello di Portauova ; e tutti erano stati avvocati
e figli di avvocati, e tra loro alcuno datosi air av vocazione da stato
poverissimo, e taluni da vilissima nascita : che V awocazione le
persone vili rinnalza, le mediocri illustra, ed anco quelle che sono
della prima nobiltà.
Ma perchè gli esempi, quando non sono descritti con tutte le
loro circostanze,f anno negli animi di chi legge picciola impressione,
questa scrittura io la fo perché abbia da conservarsi segreta tra le
pareti private dei nostri posteri, a' quali gioverà sapere molte no-
tizie che al presente si sanno da pochi, e tra pochi anni non si sa-
pranno da nessuno, — ed essendo la nostra casa arrivata al su-
premo onore del reggentato, par bene che non solamente sappiano
per quali vie ci é pervenuta, ma assieme per quali vie ci sono per-
venuti tutti gli altri reggenti italiani che sono stati a mio tempo.
Ho stimato perciò descrivere puntualmente le loro qualità ed il
loro stato, così per quello ch'erano prima che ascendessero al mi-
nistero, come per quello nel quale lasciarono dopo la morte le
case de' loro successori: dal vero stato di ciascheduna delle quali
potranno i nostri figli ricevere ottimi documenti come debbano
guidarsi nella condotta della loro vita. Non lasciando di andar anco
ricordando di passo in passo il sito nel quale era la nostra casa, da
che io cominciai ad aver l'uso della ragione, e come, dalla depressione
nella quale allora si ritrovava, si è andata a poco a poco continua-
mente sollevando, finché é arrivata allo stato nel quale al presente
si ritrova, perché tal notizia serva a loro come di specchio per rav-
visarsi l'uno e l'altro stato della prospera e dell'avversa fortuna,
e sappino che se continueranno la medesima strada che abbiamo te-
nuta noi, — ciò che a loro sarà più facile perché avranno maggior
comodità, — le cose non potranno non andare continuamente bene;
ed all'incontro se vorranno abbandonarla, tutto quel che si è fatto
non servirà per niente, e si esporranno a' medesimi rischi ne' quali
vedranno esser cadute altre case di reggenti assai migliori di ric-
* Allude a suo fratello.
— 165 —
chezza che non è la nostra. E la qualità della nascita senza le ric-
chezze non servirà a loro che per maggior pena, quando non la po-
tranno sostenere con il dovuto decoro.
§ 4. — La casa del sig.r reggente Scipione Rovito.
Comincio pertanto in primo luogo dalla casa del sig. reggente
Rovito perchè, ancorché lui fosse morto alcuni anni prima che io mi
addottorassi i, non lasciai però di conoscerlo negli anni della prima
mia puerizia. Anzi diluirne ne stanno sì vivamente impresse nella
memoria le specie, che non ho possuto mai scordarmene, perchè
continuamente passava sotto le finestre della nostra casa, quando
scendeva dalla sua villa di Capodimonte, e continuamente mi era
proposto per idea dal nostro buon padre, perchè avessi dovuto imi-
tarlo nello studio e nella gravità de' costumi, per poter ascendere
alla medesima dignità.
Mi aveva in quel tempo nostro padre dalla città di Ravello,dove
io nacqui e dove mi aveva allevato in casa della nostra sig.ra madre
sin air età di otto anni, condotto seco in Napoli per farmi attendere
ad imparar la grammatica, edavea preso casa nel Borgo delle Vergi-
ni nella strada maestra, per la quale si sale a Capodimonte; appunto
quella casa che fu pochi anni dopo comprata dal sig. D. Giuseppe
Caracciolo, ed abbiamo veduta a' nostri tempi abitata dal sig. con-
sigliere Caracciolo di lui figlio : e fu appunto nel tempo che venne
l'avviso della morte del re di Svezia, Gustavo Adolfo 2. E per sotto
le nostre finestre passava continuamente, come ho detto, il sig.
reggente Rovito, quando scendeva dal suo Capimonzio ^ onde ave-
va spesso occasione di osservarlo: uomo veramente degno di am-
mirazione, e che può servire per esempio di quello che può dare la
professione di avvocato senz'altra prerogativa, che del proprio-
merito, così nella buona, come nella cattiva fortuna.
Venne egli in Napoli da Tortorella sua patria, piccola terric-
ciola nella provincia di Basihcata*, e visse molti anni in vilis-
simo stato, esercitandosi nella procura ; ma essendo uomo di molta
' Il Rovito morì nel 1636 ; il D'Andrea si addottorò nel 1642.
* Gustavo Adolfo il Grande fu ucciso nella battaglia di Lutzen il
16 novembre 1632.
' Ai tempi del D'Andrea si andava a Capodimonte per la strada dei
Vergini, che la grande via pel ponte della Sanità è del tempo murattiano.
* Più propriamente in prov. di Salerno, ciré, di Sala Consilina.
— 166 —
fatica nello studio, e di gran puntualità ed integrità di vita, comin-
ciò a poco a poco a difendere qualche causa, e die in luce i suoi primi
Commentar] sulle prammatiche'^^ ne* quali non sdegnò in quei
principi di ponere il nome della sua patria, come che poi nella se-
conda edizione si chiamasse napolitano. Prese con ciò qualche
nome, si pose in posto di avvocato, patrocinò molte cause dei
primi signori del regno, come da* suoi volumi de* Consigli^, e
fé* per conseguenza nobil acquisto di fama e di ricchezza.
Difendendo la causa della successione dello stato di Bisignano in
Collaterale, a favore del conte della Saponara alla presenza del sig.
conte di Benavente 3, nella quale si supponeva fattosi un decreto
a suo favore, di cui fosse stata dal viceré impedita la pubblicazione,
ardì di dire, che se quelle mura avessero potuto parlare, avreb-
bero attestata la verità di quel che diceva: del che sdegnato fie-
ramente il viceré sonò il campanello e pretese che si dovesse tagliarli
la testa, o come ad impostore, se il fatto non era vero, o come avesse
ardito di pubblicare un decreto, che il viceré ed il Collaterale avea
stimato doversi tener occulto *. Onde il Collaterale, per dar tempo
che lo sdegno sfogasse, consultò che dovesse mandarsi addirittura
in galera, e così fu eseguito, mentre egli con tempestiva costanza,
consultato dagli amici a porsi in salvo, non volle partirsi dalFan.
ticamera, ditendo di non aver fallato, e che dovevano aspettare la
risoluzione del Collaterale; della quale dolutosi egli poi, come vi fus-
* RoviTi, Pragmaticarum regni Neapolis commentaria, Venetiis, 1590.
^ RoviTi, Consilia seu juris responso, Neapoli, 1622, n. XI.
' Il conte D. Giov. Alfonso Pimendel d' Errerà conte di Benavente fu
viceré in Napoli dal 1603 al 1610.
* Lo Schifa, Da povertà plebea ad una corona ducale, Venezia, 1914,.
(estr. dalla raccolta : In memoria di Giov. Monticolo), pubblica una bio-
grafia del Rovito, estratta dal ms. XXII. C. 6. della S.S.N., che ha molti;
punti di rassomiglianza con il presente paragrafo degli Avvertimenti. L'ano-
nimo scrittore narra con maggiori particolari questo episodio. Il Rovito'
difendeva il conte della Saponara Sanseverino che pretendeva la succes- 1
sione dello stato di Bisignano ; il Benavente, data l'importanza della cau-
sa, dispose che il Sacro Consiglio avesse riferito il suo parere in Colla-'
terale; quello e questo diedero ragione al Rovito. Ma il viceré ordinò che
il decreto non fosse pubblicato, in attesa della risposta del re di Spagna
cui aveva scritto. Il Rovito, allora, discutendosi in Collaterale un'altra;
causa, rivolse amare parole al viceré, e indicando gli arazzi che adorna-
vano le pareti soggiunse che se avessero potuto parlare avrebbero ri-j
velato la verità. Sembra che gli arazzi fossero stati comprati con denaroj
avuto dalla parte soccombente.
— 167 —
sere concorsi alcuni reggenti amici suoi, li si fu fatto intendere,
ch'egli non sapeva il pericolo che avea passato i. Fu visitate nella
galera da tutta la sua clientela, facendo tutti a gara in quella di-
sgrazia di maggiormente onorarlo 2, e, benché se li ponesse il ferro
al piede, mi diceva nostro padre che non fu raso come gli altri :
onde liberato, dopo placato il viceré, di là a pochi giorni 3, seguitò
la sua avvocazione con maggior fama, e, per ostentazione di costan-
za, quando stampò i Consigli, i primi in ordine di tempo pose quei
che aveva scritti nella detta causa. E dopo fatto consigliere, essen-
do andato in casa del già reggente Costanzo * marchese di Corleto,
per eseguire una risulta della visita incaricatali dalla Corte, ed es-
sendoseli rinfacciato dalla vedova, marchesa di Corleto^, come
avesse tanto ardire in casa sua un galeotto, rispose non ver-
gognarsi di esser andato in galera per sdegno di principe, ma
che si sarebbe ben vergognato se ne fusse stimato degno per
mariolo.
Fu fatto consigliere del sig. conte di Lemos^ successore del
Benavente con altri tre celebri avvocati, a' quali fé* venire i privi-
legi, senza che ne avessero alcuna antecedente notizia, Gio. Batta
Megliore, Ferrante Branda e Camillo Villano; e di là alcuni anni
passò in Camera, fu promosso alla suprema dignità di reggente,
esercitata da lui con fama forse di soverchia autorità, poiché nella
* Fu condannato a tre mesi « di galera a disposizione di S. E. ». « Intese la
ria novella di sua condanna, immediatamente con intrepidezza d'animo
grande calò dalle scale e con proprii piedi pertossi nel molo, senza però guar-
dia di sbirri, ma col solo accompagnamento di un capitano spagnolo, che tro-
vavasi con altri ufficiali a passeggiare avanti a la Real Casa, e fu posto alla
poppa di una galea con picciol ferro al piede, senza catena e senza che li
fusse raso il capo ». Così I'Anonimo, ed. Schifa, p. 162.
2 Narra 1' Anonimo, ed. Schifa, p. 162, che in quei giorni tennero con
lui carteggio « i primi signori e le dame clienti di sì grande avvocato », e spesso
gl'inviavano regali di viveri e di vini scelti, di cui sapevano ben ghiotto il
Rovito.
' Venti giorni secondo I'Anonimo, ivi.
* Fulvio di Costanzo, marchese di Corleto.
^ Lucrezia Carafa de' principi della Roccella, già vedova d' Ippolito
Sanseverino, signore di S. Donato : cfr. Capecelatro, Annali, Napoh,
1849, pp. 64 segg., che la disse « donna superba e di ritrosi costumi », e
Schifa cit., p. 162.
" Il conte di Lemos succedette al Benavente nel 1610 e rimase a
Napoli sino al 1616.
168
morale affettava essere seguace della dottrina delli Stoici, come
Pietro Lasena i, eh' era suo amico, attestò al sig. Camillo Pelle-
grino 2, da chi io poi Tintesi.
Ma il vigore che usava con altri non seppe osservar nella sua casa,
poiché, benché avesse più figlioli, non ebbe per la loro troppo in-
dulgente educazione di molto rallegrarsi d' averli avuti tra di
essi, divenuti più famosi per gli proprj vizi che per le paterne
virtù. Talmente che, venuti tra di loro a contesa per causa poco
onesta, uno si rese omicida delT altro, sì che il Rovito per dolore
e vergogna ne cadde in terra tramortito, ben che per affettar il stoi-
cismo non lasciasse il medesimo giorno di negoziare 3. Ed a que§to
proposito mi ricordo una strofa che il sig. D. Camillo Colonna, che
fu mio gran signore, e sotto i suoi auspicj ebbi Tonore nella mia
adolescenza di apprendere i primi lumi della vera letteratura, fé'
in una sua satira che per ischerzo compose contro un suo parente
cavaliere, moteggiandolo per certo giovane a lui grato che dal reg-
gente Rovito come delegato de* vagabondi era stato impiccato in
galera :
^ Su Pietro Lasena cfr. la vita che ne scrisse J. J. Bouchard, Roma,
1637 ; per la quale vedi L. Marcheix, Un parisien à Rome et à Naples en
1632 d'après un manuscrit inedit de J. J. Bouchard, Paris, E.Leroux,
s. a-, p. 95. D'origine francese, (il padre, Lésin, era stato un orologiaio
di Longjumeau), godè gran nome in Napoli sino al 1636, nel quale anno morì
in Roma. Giureconsulto e filologo, riceveva la miglior parte della nostra
città nella sua casa di Napoli e nella sua villa di Sorrento, e poneva a loro
disposizione «une petite bibliothèque aussi complete et aussi remplie de
bons rares livres qu' aucune autre à Naples ni à Rome », come riferisce
il Bouchard, che gli fu molto amico (Marcheix cit., p. 95; cfr. L. Cambini,
in Arch. stor. Nap., XXXII, 1907, pp. 842 sgg.). Il Bouchard stesso, op.
cit., p. 97, accenna alla profonda amicizia che legava il Lasena con il Pel-
legrino. Per alcune lettere del Lasena cfr. S. S. N., ms. XXI. A. 9.
2 Per Camillo Pellegrini cfr. il cit. ms. della S. S. N., ove conservansi
i numerosi documenti raccolti da F. Daniele per una sua biografia, che non
vide mai la luce. Anche egli fu amico del Bouchard, e cfr. la nota del
Marcheix a p. 97.
3 Narra I'Anonimo cit., p. 164, che il fratricidio fu commesso alla pre-
senza del padre, il quale cadde svenuto. Riavutosi, fece fuggire l'omicida
verso Roma per salvarlo, e posto il morto in altra stanza diedesi secondo il
solito a negoziare, « dicendo agli amici che lo dissuadevano di ciò, che pas-
sandogli il re suo padrone il soldo in quella giornata dovea egli servirlo ».
— 169 —
Scipion Rovito, che d'un vizio tale
Era a ragion nemico, poiché a scorno
Due figli insanì, ed il terzo micidalc
Fatto gli avea, padre infelice al mondo !
A Ferrante, il primogenito, aveva comprato Tofficio di segre-
tario del regno, che sarebbe stato un ottimo mezzo per perpetuare
la sua casa, se ne avesse pagato il prezzo, e non fusse stato però
obbligato a cederlo al duca di Galvano ^ allora avvocato, che sep-
pe imbrogliarlo di maniera che non solo non potè ricuperare la
parte del prezzo da lui sborsato, ma non potè nemmeno arrivare a
liquidargli Tistrumento, benché si dicesse che a questo effetto fa-
cesse fare quella prammatica cosi rigorosa dal Collaterale circa la
liquidazione. Invece del segretariato comprò per lo suo figliuolo
la terra di Castelsaracino, e fattosi vincere dall'ambizione, malgrado
il suo stoicismo, volle mettere la casa in signoria, ottenuto il ti-
tolo di duca sopra di essa; onde sopra la porta della sua casa, nella
strada di S. Maria Maggiore, non senza nota di molta vanità, per-
mise si mettesse la corona, che ancora oggi si vede, con derisione
di tutti quei che si ricordavano della tenuità del suoi principi 2.
Solo in pregiudizio della sua casa ostentò la stoica costanza,
quando divenne già vecchio travagliato da molte infermità, sic-
ché malamente poteva adempire l'obbligazione del suo posto.
Avendoli il sig. conte di Monterey ^ fatto offrire una piazza di
presidente di Camera per Alessandro altro suo figlio, ch'era fiscale
di provincia, quando si fosse disposto ad accettare la giubilazione
sua di reggente, perchè desiderava di sostituire in di lui luogo il
consigliere Andrea de Gennaro, non volle accettarla, risponden-
do : « E la perdita fia morte e non scorno ».
Con che morto di là a non molto di ottant' anni *, lasciò la sua
casa senz' appoggio ed in stato miserabile, non avendoli la corona
sopra 1' arma servito che per maggior vergogna, avendo io cono-
sciuto il suo non so se figliuolo o nipote dopo le rivoluzioni, che
l'Giov. Angelo Barile, duca di Galvano.
* Il Rovito comprò il palazzo d' Arpaja, (di fronte al campanile della
Pietrasanta o S. Maria Maggiore), che era stato già del Fontano: oggi è
interamente rovinato. Cfr. Beltrano, Descrizione del regno di Napoli,
Napoli, 1640, p. 206 ; e Capasso, in Strenna Giannini, Napoli, 1892,
pp. 97-104.
=* Il conte di Monterey fu viceré in Napoli dal 1631 al 1637.
« Mori ni luglio 1636; era nato nel 1556.
170
veniva alla conversazione in casa del sig. Mario Rota^ in abbiet-
tissima fortuna, e col volto tutto macchiato da una scoppettata
di pallini, che li fu tirata dentro la propria casa, per occasione
della moglie, che fu una signora spagnola, che rapportò più in-
famia colla sua impudicizia, che onore colla nobiltà della famiglia.
Sicché di tanti figliuoli del reggente non vi è rimasta oggi alcuna
memoria, ciò che non sarebbe accaduto se, in cambio di titoli ed al-
tre vanità, avesse procurato che ,vivendo i figliuoli con modestia ed
istradandosi per la via della virtù, avessero seguitate le sue mede-
sime pedate, e continuando la via dell' avvocazione e della toga
avessero atteso ad aumentare, non a distruggere, il di loro patri-
monio, non bastando una vita sola a poter fondare una casa, che
abbia ad aver durazione^.
§ 5. — Stato della nostra casa dopo che dal borgo delle Vergini
passammo ad abitar dentro Napoli , e male indirizzo che ebbi
nelle vie delle scienze sino al mio dottorato.
Morì il reggente Rovito nel 1636, e quasi nel medesimo tempo
che ci eravamo partiti dal Borgo delle Vergini per venire ad abi-
tare dentro Napoli, mossosi a ciò fare nostro padre per trovarsi
più vicino ai Tribunali, avendo già cominciato ad acquistare al-
cuni pochi negozi, e per provvedermi di miglior maestro nella gram-
matica. Ci presimo casa nella calata di s. Giovanni a Carbonara 3,
nella casa ancor oggi detta della joiemaf per un arbore di joiema *
* Per Mario Rota, dì antica famiglia sorrentina, amioo del Lasena, del
Pellegrino, frequentatore della Libreria della Junta, « autrefois très beau
garfon et qui avait un très gentil esprit, » presidente deirAccademia degli
Incauti^ come racconta il Bouchard , cfr. Marcheix cit., p. 100.
* Sui figli di Rovito cfr. Capaccio, // forastiero, pp. 614-15. Ne ebbe
16, ma ne sopravvissero 6 : Alessandro fiscale di Calabria « con fama che
si accosta a quella del padre » ; Ferrante, padrone del Capaccio, grande
avvocato, giudice criminale, segretario del regno, duca di Castelsa-
raceno ; Fabrizio capitano, che fece la campagna di Valtellina; Annibale
gesuita, « chiaro per lettere, integrità e ogni altra virtù» ; Orazio Cap-
pellano Regio e poi abbate Concistoriale dell' abbadia di S. Angelo a
Raparo. Ma, evidentemente, ii Capaccio era troppo interessato per dire
la verità.
2 La via S. Giovanni a Carbonara è vicinissima a Castel Capuano, sede
dei Tribunali.
* In dialetto napoletano joicma= giuggiola.
I
171
assai antico che stava al principio d'un cortile assai lungo con
altri arbori ed impergolata che rendeva assai vaga l'entrata ; tal-
mente che il marchese di Villa, principe allora degli Oziosi, es-
sendo venuto a visitarci per ragione di nostro zio ^, che era della
sua Accademia, la rassomigliò alla casa di Evandro presso Virgilio,
alla quale si entrava per un lungo viale di arbori ; come che oggi,
per essersi fabbricate alcune altre stanze, il cortile si sia assai ri-
stretto.
Passati in detta casa, essendo io in età di dieci anni, nostro padre
mi fece entrare nella Congregazione dei PP. Gerolomini, dove in
breve tempo acquistai nome di maestro di memoria, poiché, coli' oc-
casione di dover dire attorno quel che ciascheduno di noi avea
notato nel sermone del padre della Congregazione, io, quando
toccò a me, lo ripetei tutto intero, cosa che data occasione di gran
maraviglia e sparsane la fama mi facevano spesse volte la festa
far ripetere il sermone che il P. Antonio Glielmi faceva nella
Chiesa le domeniche alla presenza di molti cavalieri e persone par-
ticolari, che avean gusto di sentirmi ^. Ciò che mi pregiudicò assais-
simo per l'acquisto delle scienze, poiché non avendo ancor com-
pito il corso della grammatica, mentre si stava in pensiero di man-
darmi alla scuola de' PP. Gesuiti, per ivi esercitarmi nelli studi
dell'umanità e poi avanzarmi alla logica ed alla filosofìa, nella
quale si stimava che consistesse a quei tempi tutto il sapere, ne
fu dissuaso nostro padre dagli amici, per tema dicevano che i PP.
Gesuiti conoscendomi di qualche ingegno avrebbero procurato di
farmi entrare nella loro compagnia, e con ciò si sarebbe privata la
casa dell'avanzamento che avrebbe potuto sperare dalla mia riu-
scita. E, quel che fu peggio, ingannatosi nostro padre da quel co-
mune concetto di volgo, che per riuscire gran legista non si ricer-
chi altro che memoria, si figurò che essendo io di gran memoria
avrei potuto, se mi fussi dato subito alla legge, guadagnare danari
fra poco tempo, desiderio di quello di che avea maggior bisogno.
Onde, fattomi appena finire la grammatica e malamente in una
scuola, che i PP. Gerolomini aveano fatta aprire vicino alla loro
casa per tutti li figliuoli della Congregazione, mi mandò appena
compito l'undecimo anno,nudo d'ogni disciplina e senza cognizione
* Onofrio d' Andrea, cui abbiamo accennato parlando della famiglia
lei nostro.
* P. Antonio Glielmi fu fatto dipoi cardinale : Majou, Vita di F d 'An-
irea, p. 31.
-- 172 —
di lettere umane, allo studio della legge; ciò che cagionò in me una
tal diffidenza che, tenendomi meno di tutti gli altri, non mi confidai
mai fare alcun'azione pubblica in tutti quei cinque anni che mi
fecero perdere inutilmente in scrivere e sottoscrivere le lezioni della
legge,non considerando che la legge ricerca un giudizio maturo, e
che quell'età, anco per insegnamento di Aristotile, non era età atta
per intendere la giustizia ed ingiustizia dell'azioni umane, come
sono li contratti, le doti, i testamenti e tutte le altre cose, attorno
le quali si raggira tutta la nostra giurisprudenza. Onde Tetà di
cominciare ad apprenderla avrebbe dovuto essere quella appunto
quando io la finii, poiché allora e non prima cominciai a formarne
qualche concetto ; ed intanto tutti quelli anni, se avessi avuto
migliore indirizzo, avrei potuto impiegarli a perfezionarmi nella
lingua latina, nella prosodia, nella rettorica e neiraltre discipline
che sono proprie di quella età, come sono anche la geometria,
Taritmetica, sebbene ciò non sarebbe stato sperabile in quei tempi
ne' quali la loro utilità non si conosceva, e pur necessarissima tanto
per l'uso della vita che per la perfetta cognizione delle altre scienze,
del quale mancamento de' miei direttori ebbi poi occasione di do-
lermene per tutta la mia vita.
Una sola cosa fecero di buono, nella quale però ebbe più possa il
caso che il consiglio, che essendo stato nostro padre discepolo nella
legge di Gio. Domenico Coscia, detto Coscietta, calabrese, che
avea un infinito numero di scolari, ma goffo al maggior segno e
privo di ogni sorta di erudizione, mi avrebbe volentieri mandato da
lui, se la nostra lontananza di casa,perchè abitava alla Pignasecca,
non l'avesse persuaso a mandarmi da Gio. Andrea di Paolo, che
abitava al vico de' Giganti, uomo eruditissimo, oratore eccellente,
e con chi, dopo Alessandro Turamino, di chi fu discepolo, può dirsi
ne' nostri studi visse e morì il vero modo d'insegnare ad interpre-
tare le leggi; dalla cui viva voce, dopo che fui dottorato, per la fa-
miliarità che con lui continuai, appresi la vera maniera d'intendere
le leggi per i loro principj e di sapere distinguere le vere opinioni
de' nostri dottori dalle false, studio che non, come il volgo crede,
ricerca solo memoria, o, come altri dicono, solamente leggere, ma
assai più ricerca ingegno ed un giudizio sopraffino.
Stando nella detta casa della joiema, si portò in Napoli con
tutta la casa la sig.ra madre. Onde per avere casa più vicina alla
chiesa, non tenendosi da noi in quel tempo carrozza, passammo ad
abitare nella casa ultima della strada di S. Gaudioso incontro
S. Maria delle Grazie, nella quale nacque il sig. reggente, che solo
— 173 —
di tutti noi altri nacque in Napoli. Ed ivi stemmo tre anni, e poi
per prendere casa più grande andammo ad abitare a Seggio di
Nido nella casa di Landulfl, incontro la chiesa di D. Romita. Ivi
compiti già cinque anni dello studio ed i diciassette della mia età
risolse nostro padre di farmi dottorare. Onde il primo ministro
che io conobbi fu il reggente Carlo di Tapia marchese di Bei-
monte, decano in quel tempo del Collaterale, avanti di chi fui me-
nato dal duca di Caivano, come segretario del Regno, per ottenere
la dispensa delFetà; che, interrogatomi quanti anni io teneva e
dettoglieli, disse che ancor egli si era dottorato della medesima età.
E, poi, rivoltosi al duca disse : Quantum juniores, tantum perspi-
caciores i.
Che perciò, dopo aver parlato della casa del reggente Rovito,
sarà anche bene parlar di quella del reggente Tapia, e di altri stati
dopo di lui.
§ 6. Della casa del sig. reggente Carlo di Tapia marchese di
Belmonte,
Il reggente Carlo di Tapia fu forse Tultimo in quei tempi dei
Ministri italiani, che arrivasse a' posti grandi senza essere pas-
sato prima per Tavvocazione. La ragione fu perchè egli, benché
nato in Lanciano, — onde da Lanciano si vien vantato come lor
cittadino, e nato, come essi dicono, da una signora di casa Ric-
cia nobile della medesima città, e per tal ragione fu creato con-
sigliere in piazza italiana, e poi reggente in piazza sopranume-
raria pure italiana, — fu così per padre come per madre spa-
gnolo, come nato dal presidente di Camera Egidio Tapia ^ spa-
* Quale età occorresse per divenire dottore ce lo dice il Borzelli, //
cau. G.B. Marino, Napoli, 1898, p. 4. Sino al 1591 erano obbligatori 17 anni,
ma dal settembre di quell'anno, « per levar l'occasione di molti abusi », per
ordine del viceré conte di Miranda ne occorsero 21: l'età doveva risultare
da regolare fede autentica estratta dai libri parrocchiali ; di più era neces-
sario dimostrare di essere stato « immatricolato veridicamente e di aver stu-
diato per ^nque anni ». Da ciò che dice il D'Andrea appare evidente che
era ammessa « la dispensa dell'età ». Egli si addottorò nel 1642.
« Egidio Tapia, giudice di Vicaria Criminale nel 1566, della Civile nel
1574, dipoi presidente della Sommaria; cfr.: Toppi, De origine, ITI, 21, 48,
113, 494, e in genere chi scrisse del Aglio. Fu seppellito nella Chiesa di
S. Giacomo, e Carlo vi pose un ricordo: Croce, Memorie degli Spagnuoli
nella città di Napoli, in Napoli Nobilissima, III, 11, pag. 173.
— 174 —
gnolo, padrone delle case a Toledo dove ancor oggi si dice il
ponte di Tapia^, il quale si caso in Lanciano con Isabella pur
Tapia, e non altrimenti Riccia, come malamente scrisse il Toppi
nella sua seconda parte 2, seguitato col medesimo errore da
D. Niccola Antonio nella sua Biblioteca Ispana^. La quale
Isabella fu figliola del capitano Francesco Tapia spagnolo, che
si caso in Lanciano con Violante Riccia, famiglia assai nobile in
quella città, e che ebbe due figliole: la prima maritata con il
presidente Tapia, del medesimo casato benché di altra famiglia,
e la seconda con il marchese di Paglieta Pignatelli, terra vicino
a Lanciano, come il tutto consta dalla decisione 261 del presi-
dente De Franchis *, dove Isabella madre del reggente vien chia-
mata Tapia e non Riccia, e l'arbore presentato in consiglio nella
lite della successione al maj orato istituito dal reggente tra il
duca di Diano D. Carlo Cala di lui pronipote, e de' PP. Teatini
della Casa di Loreto 5.
Morì il presidente Eggidio lasciando il figliolo assai piccolo
sotto l'educazione del reggente Ribera^ pure spagnolo, il quale,
^ Nel 1566-67 Egidio Tapia si fece costruire una casa in via Toledo,
all'angolo della strada Baglivo Uries. Dipoi nel 1574 acquistò le case di
A. Genoino e di F. Mola: ed ivi elevò il suo palazzo. E poiché una via
trasversale lo divideva dalla casa edificata precedentemente, li unì col
ponte che ancor oggi si chiama di Tapia. Cfr. B. Croce, art. cit., in
Napoli Nobilissima, III, 7, 1894, p. 110; ed A. Colombo, La strada di
Toledo, ivi, IV, 7, 1895, pp. 105-06.
* Toppi, De origine, II, 59-60, 326-30.
* Antonio, Bibl. hispana, 1, 181-82.
* V. DE Franchis, Decisiones, Venezia, 1580, n. 261.
* Appresso dirà il D'Andrea per quali motivi spettasse al Cala l'eredità
del Tapia. La nipote di questo, D. Marianna de Vargas e Tapia marchesa
di S. Vincenzo e Belmonte, lasciò i suoi beni ai PP. Teatini della Chiesa
di S. Maria di Loreto. Contro il testamento insorse il Cala che scrisse due
allegazioni in proposito, cui il fratello, Girolamo, ne aggiunse una terza,
quando i Teatini li attaccarono con un'anonima dissertazione. Cfr. Giu-
stiniani, Scrittori legali, 1, 155, 157. Ne riparleremo quando tratteremo
più particolarmente del Cala, che vinse la lite nel dicembre 1682.
^ Francesco Alvarez Ribera, n. nel 1530, prese parte alla guerra di
Siena; dopo una lunga permanenza in Toscana ritornò in Spagna, e di
qui fu inviato a Napoli come presidente di R. Camera, e dipoi come reg-
gente. Cfr. Toppi, De origine. III, 112, 113 sgg., e specialmente 202-13,
ove ne tesse lungo elogio. Una vera e propria biografia, divenuta ormai
rarissima, [il Giustiniani non la conosce], e che, scritta in latino, dovette
— 175 —
fattolo studiare, dopo aver dato in luce in età assai giovane la
sua celebre ripetizione sulla Rubrica « et legem finalem de con-
stituctionibus principum » \ l'avviò secondo l'uso de'spagnoli per
la via degli officj. Onde fu due volte uditore di Provincia, poi
giudice di Vicaria, e indi nell'anno 1612, come si ha dalla de-
cisione 65 del reggente Rovito 2, reggente, essendo poi morto de-
cano di Collaterale nel principio del 1643.
Piima di essere consigliere si caso con una nobilissima signora i
di casa Leiva, nipote del principe di Ascoli, ed ottenne anche
il titolo di marchese di Castelnuovo in Abruzzo, pervenutoli dal-
l'eredità di Violante Riccia sua ava, che poi permutò con quello
di marchese di Belmonte. Comprò la terra di Villamajna e pos-
sedè molti altri beni descritti particolarmente nel suo majorato.
Dalla moglie di casa Leiva non ebbe che un figliolo, per chi ot-
tenne il titolo di conte del Vasto Aimone, ed il quale, casatolo
in Spagna con una signora di casa Vargas, che poi fu marchese
di s. Vincenzo, non ebbe che un'unica nipote morta a' di nostri
senza discendenti con titolo di contessa del Vasto. E nel di lei
majorato è succeduto il duca di Diano come figliolo d'una sorella del
reggente Merlino, poi presidente del S. C, che discendeva da
D. Beatrice Tapia, marchesa di Paglieta, sorella dell'Isabella che
fu madre del reggente'. Sicché, sebbene la sua discendenza si
estinse, non potè però dirsi estinta la casa, che prima col reggente
Merlino, poi col reggente Cala si è continuata con perpetuo mini-
stero, cominciando dal presidente Egidio, per più di cento anni.
Fu uomo per le sue canizie, e per una somma gravità che af-
fettò in tutte le cose, tenuto in gran venerazione dalli sig.ri vi-
ceré e da tutto l'ordine del regno. Ma per una straordinaria lun-
avere una traduzione spagnuola, citandola in questa versione I'Antonio
nella sua Biblioteca, fu compilata dal Tapia stesso. Una copia è in B. N.,
147, F, 22, ed ha il seg. titolo: Francisci Alvarez Riberae Regentis in Su-
premo Italiae Consilio prò Regno Neapolitano vita a Carolo Tapia in
eod. Consilio Regenie descripta, di ce. 24, s.n.t. — 11 Tapia inoltre pub-
blicò: Additiones ad responsum F. Alvarez de Ribera: De success. Por-
tugalliae, Madrid, 1621.
^ Commentarium ad rubricam: et legem finalem ff. de Constitutionibus
principum, Napoli, 1586.
- RoviTO, Decisiones, Napoli, 1696, n. LXV.
^ La nipote (e non figlia, come crede il Colombo) Marianna morì il
9 marzo 1679, a 53 anni : Colombo, in Napoli Nobilissima, IV, 7,
pag. 105.
— 176 —
ghezza colla quale stancava i negozianti, benché non si prendesse
mai un'ora di riposo, e per certe formalità, delle quali era rigido
conservatore, benché in cose di nessuna importanza, acquistossi
nome piuttosto di ministro faticoso che grande; onde di lui solca
dirsi: o magnum virum in nihil agendo occupatum! E se ne rac-
contavano graziosissime novelle, delle quali per la di lui morte si
estinse la memoria.
§ 7. Casa del sig. reggente Ferrante Branda duca di Belvedere.
Successore del reggente Tapia nel decanato fu il reggente Bran-
cia. Questo era un povero gentiluomo, che così chiamavasi in
quel tempo, della città di Sorrento, come sono quasi tutti di
quella nobiltà quanto antica altrettanto povera. Venuto in Napoli
a studiare, riuscì uno dei più dotti avvocati de' suoi tempi, par-
ticolarmente nella materia feudale, come attesta il reggente De
Marinis nell'Epistola delle Opere postume di Camerario. Ed avendo
acquistate molte ricchezze, fu fatto consigliere, come si disse ^,
come gli altri tre dal sig. conte di Lemos; passò poi in Spagna
reggente, e se ne ritornò con il titolo di duca ed altre mercedi.
Ma non avendo avuto figlioli maschi, non potè perpetuare la sua
casa, benché due sue figliole le collocasse altamente: la prima col
principe di Pettorano primogenito del duca di Popoli 2, 1' altra col
principe di Montecorvino ', fratello del duca di Monteleone.
E per favor speciale, in quei tempi che così l'aggregazione co-
me Tintegrazione alle Piazze di Napoli si stimava impossibile, ot-
tenne di essere reintegrato agli onori di quel Seggio Capuano*.
Il che r ottenne da quella Piazza Capuana alla quale antica-
mente la sua famiglia avea appartenuto, come hanno apparte-j
nuto a tutte le Piazze di Napoli la maggior parte delle famiglie
Sorrentine, e quasi tutte quelle deUa costa d'Amalfi. Onde, men-
tre visse, stiede nella maggiore riputazione nella quale sia stato j
* Insieme con Camillo Villano, Gio. Batta Megliore e Scipione Rovito:
cfr. Avvertimenti, § 4.
* Sposò nel 1640 Fabrizio Cantelmo duca di Popoli e principe di Pet-
torano. Il Capecelatro, Diario, ed. A. Granito, Napoli, 1854, III, 208,
la dice « donna di somma estimazione ».
» Aniello Pignatelli principe di Montecorvino.
* Sulla nobiltà del Brancia cfr. [C. Padiglione], Tavole genealogiche
dei Broncia, Napoli, 1883, tav. IV, e n. 230.
— 177 —
altro ministro. E potrebbe servire per idea di quelli che da po-
verissimo stato possono in Napoli arrivare per mezzo delFavvo-
cazlone a tali onori. Ma non avendo potuto perpetuare tanta
grandezza nella sra casa, rimase estinta con lui, e gli altri Bran-
cia in Sorrento non sono niente più degli altri nobili di quella
città. Onde da molti fu biasimato, perchè, mirando solo all'onore
della sua per")na, poco si fusse curato di quello della sua fa-
miglia: quando delle figlie se n'avesse maritata una con uno dei
suoi Branda, e Taltra procurato di farla monaca, avrebbe fon-
dato una casa assai più ricca ed illustre, e il cognome di Brancia
non si sarebbe seppellito con lui medesimo.
§ 8. Della casa del sig. reggente Fabio Capece Galeota duca
della Regina.
Per la morte seguita in Spagna del reggente Andrea di Gen-
naro duca di Gantalupo i, che io non conobbi, fu fatto reggente
in Spagna, in tempo del sig. duca di Medina de las Torres, il
presidente Fabio Galeota.
Questi era cavaliere del seggio Capuano, ma ne' suoi principj
poco accomodato de' beni di fortuna; la madre era De Curtis,
figliola del cons. De Curtis nipote del reggente 2, che diede alle
stampe il suo Diversorio dei Feudi, che da Gio. Andrea di Paolo,
mio maestro, che non poteva soffrire le barbarie di quei tempi,
era chiamato: la taverna dei feudi.
Applicatosi all'avvocazione riusci celebre per la dottrina e per
l'efficacia nel rappresentare.
Prese in moglie l'erede di Camillo de' Medici s, ch'era di Gra-
gnano, ma celeberrimo avvocato, come si vede dai suoi Consigli,
sicché meritò dal Granduca di Toscana esser dichiarato della
sua famiglia con una commenda nella sua Religione di S. Ste-
fano. Colla dote della moglie e con quel che guadagnò coli' av-
vocazione fece un patrimonio assai opulento; sicché potè soste-
nere con decoro la dignità di consigliere, poi di fiscale e presi-
dente della Regia Camera, e finalmente reggente.
* Andrea di Gennaro morì nel dicembre 1638 nel borgo di Cadachee
vicino a Barcellona in casa di un pescatore.
2 Camillo de Curtis, regg. dal 1608.
^ Sposò Anna, una delle due figlie del Medici : il fratello di Fabio,
Marcello, sposò l'altra, Maria. Il Medici le aveva avute da Laura Orsini.
Anno XLV. 12
178
Fu assai dotto nella materia legale, come sì vede dalle sue
Controversie e da' suoi Responsi fiscali, fu di animo libero, e go-
dea di essere tenuto per pazzo, accomodando però la sua pazzia
a' suoi disegni. Sene ritornò da Spagna con titolo di duca della
Regina, ch'era una sua massaria datagli dalla moglie di quella
terra di Gragnano ; ed avendo destinato per suo successore il
suo primogenito, padre deirodierno duca della Regina, pensò
però con un prudentissimo avviso dì non lasciar la sua casa di-
scomparata dalla toga, benché, per esser la sua famiglia delle
prime di Capuana, paresse che non ne tenesse di bisogno, ba-
stando in Napoli esser di Piazza per avere tutti gli onori e
tutta la stima che può desiderarsi. Onde Giacomo, il suo secon-
dogenito, lo fece per tutta la sua gioventù stare applicato alli
studj; e, andando in Spagna, lo fé fare giudice di Vicaria per
passarlo immediatamente al posto di Presidente di Camera,
qual poi fu similmente reggente e padre deirodierno D. Giulio,
giudice di Vicaria, come si dirà a suo tempo i.
continua
Nino Cortese
Cfr. Avvertimenti, § 21.
DOCUMENTI INEDITI
DI ARTISTI NAPOLETANI DEI SEGOLI XVI E XVII
DALLE POLIZZE DEI BANCHI
(Contin.: v. voi, prec. pp. 375-397)
Maldacea Gio. Bbrardino. — Ecco un nuovo nome di pit-
tore, le cui opere sono ancora da identificare.
A 23 novembre 1604. Scipione Magnacervo paga D.ti 12 a
Berardino Maldacea pittore a comp.to di D.ti 15, per il prezzo
di uno quatro di S. Nicola Tolentino , tanto comunemente ap-
prezzato da esperti dell'arte, et resta interamente soddisfatto.
A 3 aprile 1607. Pompeo Pantucci paga D.ti 20 a Gio: Berar-
dino Maltacea pittore a comp.to di D.ti 65, et in conto di D.ti
80 li deve per lo prezzo di una cona per uso della sua cappella
costrutta dentro la chiesa di S. Francesco di Capodimonte ^.
Mauritio Tommaso. — Se i documenti già pubblicati* si
riferivano ad una pittura del Mauritio oramai perduta per sem-
pre, i nuovi ne indicano un'altra, a S. Maria la Nova, per
fortuna ancora esistente.
A 5 marzo 1599. Pompeo Galvanico paga D.ti 10 a Tomase
Mauritio a comp.to di D.ti 25, et in conto delle pitture che fa
alli quadri della intempiatura del' ecclesia di S.a Maria la
Nova.
A 4 marzo 1599. Roberto del Pezo paga D.ti 12,33 a Tomase
Mauritii in conto d' uno quadro che depinge de suo ordine per
mandarsi in Sulmona,
^ D'Enqenio, o. c, p. 637; Catalogo di S. Giorgio ad forum in Arch.
stor. nap., XIII, 294.
« Arch. stor nap., XXXVIII, 254.
180
A 18 maggio 1600. Donato Mottula paga D.ti 49, a Thomase
Mauritii per parte del duca di Montelione, a comp.to di quanto
se li deve per tutta la pittura fatta e che ha fatto fare ne la
sua casa in la Barra sendo soddisfatto di tutto.
Mauro (di) Marcello i.
A 27 agosto 1609. Gio: de Rosa paga D.ti 7 a Marcello di
Mauro a conto di un quadro di pittura fa per la chiesa del car-
dinale Paravicini in Taranto.
A 9 agosto 1610. F.co Antonio Ametrano paga D.ti 9 a Mar-
cello di Mauro a comp.to di D.ti 25, per il prezzo di un quadro
con figura di Madalena; che l'altri 1' have ricevuti la bon' anima
di Tomase de Rosa suo cognato.
A 5 ottobre 1611. D. Giovanni Delagone paga D.ti 10 a
Marcello de Mauro in conto di D.ti 24, che sono per un quadro
li ha da fare de la Madonna del Carmine e quattro figure di
palmi 7 alto , e 5 longo conforme ha pattuito il marchese
d'Arpaia.
A 21 aprile 1612. F.co Antonio Ametrano paga D.ti 7 a
comp.to di D.ti 10, a Marcello de Mauro per un quadro di
S. Carlo Borromeo che l'ha pittato.
A 22 febbraio 1616. Ascentio Pisano paga D.ti 30, a Marcello
de Mauro a comp.to di D.ti 50, per lo prezzo de la cona de
la Madonna della Gratia et l'anime del Purgatorio ad esso con-
signata mercè ist.to per n.r Gio: Berardino luliano.
Mele Marco 2,
A 4 febbraio 1600. Biagio Ciminiello paga D.ti 10 a Marco
Mele per un quadro d'una imagine della Madonna et del Sal-|
vatore fattoli.
A 26 giugno 1601. Gio: Salvo e Lorenzo Vuolo pagano D.ti
12 a comp.to di D.ti 42 a Marco Mele per lo prezzo di una
pittura che fa in uno loro quadro in S.ta Maria la Nova li ha pin-
1 Arch. stor. nap., XXXVIII, 255.
« Ivi.
— 181 —
tato et anco per la pittura di uno panno et della tavola di d.ta
cona, dichiarandosi fra essi saldi ^.
A 27 settembre 1614. Li mastri consoli della cappella di
S. Marco delli Magazzinieri pagano a Marco Mele D.ti 15 , a
comp.to di D.ti 20, per la pittura che ha fatto del quadro di
S. Carlo, con haver posto esso lo telaro,
MoLiNARo Andrea. — La prima polizza che pubblichiamo
su questo pittore conferma che è sua la pittura del quadro
d'altare della cappella De Simone nella chiesa del Rosario
di Palazzo ^. L'altra ci indica nuove opere nella cappella Sanchez
in S. Domenico Maggiore.
A 18 novembre 1596. Carmosina de Simone paga D.ti 25 ad
Andrea Molinaro pittore in parte di D.ti 75 per prezzo di una
cona nerecclesia di S.ta Maria del Rosario nella cappella novi-
ter facienda per adempimento della q.m Diamante de Simone
sua sorella giusta ist.to per n.r lovene.
A 7 novembre 1601. D. Brianda Sanchez de Luna paga D.ti
12 ad Andrea Molinaro per final pagamento di tutta l'opera che
ha fatto a rinovare la pittura de la cappella de S.ta Andrea den-
tro la v.le chiesa di S. Domenico et se l' è fatto anco bono l' oro
posteci et ogni altra spesa.
Montella Gio. Tomaso. — All'opera già accertata da noi al
Montella nella chiesa di S. Maria la Nova di Aversa^, possiamo
aggiungere quest'altra nella chiesa della Sapienza. Per fortuna
tutte e due le pitture si conservano tuttora.
A 14 novembre 1607. Il Monistero della Sapienza paga D.ti
5, 1,5 a Gio. Tomaso Montella in conto d'un quadro dell'Angeli
che li bavera da fare per servitio suo.
MuGNOS Francesco. — Non è conosciuto per altri lavori.
A 4 febbraio 1613. Giuseppe Ametrano paga D.ti 5 a France-
* De Lellis, 0. e, 215.
* Filangieri, Indice, II, 177.
» Arch. stor. nap., XXXVII, 258.
— 182 —
SCO Mugnos a comp.to di D.ti 15, et a conto del prezzo di certi
quadri che sa lavorando.
A 6 aprile 1613, Francesco Ametrano paga D.ti 2 a comp.to di
D.ti 40. a Francesco Mugnos per prezzo di certi quadri li ha ven-
duti et consignati.
Nucci Avanzino. — Abbiamo già indicati i lavori che que-
sto pittore eseguì nel 1598 nell Annunziata in collaborazione con
B. Corenzio, e nella chiesa dei Gerolamini. Di altri precedenti,
in S. Maria di Costantinopoli, e in S. Martino, ci parlano le
polizze che ora trascriviamo \
A 30 agosto 1595. Bartolomeo di Liguoro paga D.ti 4.3.10 al m.ro
Avanzino Nucci a comp.to di D.ti 15 per saldo tra loro de l'opra
seu pittura fatta per esso a fresco nella sua cappella di S. Bar-
tolomeo sita nell'Ecclesia di S. Maria di Costantinopoli.
A 17 aprile 1596. Il Monistero di S. Martino per mano di D. Sa-
verio Turbolo suo Priore paga D.ti 30 ad Avanzino Nucci pittore
a conto della pittura fa in d.to Monistero.
Papa Simone. — Per la biografìa di questo pittore, ancora
incerta 2, riescono utili i seguenti documenti che fissano il tempo
in cui egli dipinse alcuni quadri per privati.
A 2 agosto 1614. Thomase Aniello de Lione paga D.ti 8 a Si-
mone Papa per lo prezzo di sei quadri della Creatione del Mondo.
A 21 agosto 1614. Andrea dello Doce paga D.ti 5 a Simone Papa
per uno ritratto di palmi 3, et 2 ^4 di larghezza, quale promette
darcelo per martedì.
A 11 settembre 1614. Thomase Aniello de Lione paga D.ti 2 a
comp.to di D.ti 8 a Simone Papa per la vendita et consignatione
ad esso fatta dei sei quadri di colore ad acqua con la storia da
che Nostro Signore creò il mundo per insino la morte di Adamo.
Rao (de) Pier Luise. — L'elenco ancora scarso delle pit-
ture finora note del De Rao si accresce di un'altra indicazione".
^ Conf. in questo Arch., XXXVII, 38, e XXXVIII, 484.
' Filangieri Doc, III, 511; VI, 249.
^ Arch. stor. nap., XXXVIII, 499.
— 183 ~
A 13 gennaio 1598. Anello Pereda paga D.ti 4 ^ /j a Pi Lois re
de Rao a comp.to di D.ti 30 et in conto della pittura et indora-
tura delle armi delli Sig.ri Ri d'Aragona dentro la sala reale di
Castelnuovo.
RoDRiGUES Luigi. — Nuove utili indicazioni perle opere ese-
guite in Napoli da questo pittore messinese risultano dalle po-
lizze seguenti 1.
A 6 settembre 1594. Li Amministratori de la Solidad pagano
D.ti 3 a m.ro Loise Rodrigues a comp.to di D.ti 7 per la pittura
di S. Pietro e S. Paolo che ha fatto in la Custodia de V Ecclesia
di d.ta S.a Casa.
A 23 dicembre 1600. Ottavio Brancaccio paga D.ti 5 a Loise Ro-
dèrico pittore per final pagamento di tutta la pittura et opera
fatta neUa cappella di M.gnor di Taranto nel Vescovato.
A 26 marzo 1602. La Congregatione dell'Oratorio paga D.ti 10
a Loisio Rodriguès pittore in conto di una cona che Tha da fare
in d.ta chiesa, cioè la madonna con una Gloria di tutt'i Santi
di palmi 13 di altezza, et 8 di larghezza, et che habbia fare il
cartone della medesima grandezza della cona a sue spese, et d.ta
cona Tha da fare a soddisfatione del P. Antonio Talpa Rettore
della d.ta Congregatione per spazio di un anno e mezo dalli 22
stante et questo per prezzo di D.ti 70 et ci debba mettere colori
fini di tutta perfettione.
A 17 lugUo 1606. D. Francesco Bernardo d'Aquiros come tu-
tore di D. Remando de Majorga paga D.ti 25 a Loijsé Rodriques
in conto della pittura a fresco che ha fatto et ha da fare in la
tribuna della cappella del q.m Secretano Majorca ^
Rosa de Tommaso. — Scrivemmo già di questo artista
dando per la prima volta nenuotizia di una conila chiesa della
Stella.
Altre opere sue ci rivelas no i documentienti.
A 25 marzo 1598. Lucretia Martirana della Quatra paga D.ti 9
a Tomase de Rosa pittore a comp.to di D.ti 10 per prezzo d'un
quatro ha fatto per la principessa di SquiUace.
' Conf. Arch. slor. nap., XXXIII, 495.
» D'Enqenio, 0. e, p. 542; Arch. stor. nap., XXX Vili, 499.
184
A 1° Giugno 1598. Carlo Tappia paga D.ti 8 a Tomase de Rosa
pittore per la copia de un quatro di Marta et Matalena pintato
per servitio suo.
A 15 settembre 1600. Antonio Serubbo paga D.ti 35 a Tomaso
de Rosa et se li pagano cioè D.ti 20 improntatili li mesi passati,
D.ti 10 prezzo di un quatro di Marta e Matalena et D.ti 5 in
conto di D.ti 10 che ce li paga di suo beneplacito per servitii
fatti.
A 6 febbraio 1601. Thomas' Aniello de Lione paga D.ti 6 a Tho-
mase de Rosa a compito di D.ti 23 et in conto di D.ti 25, per
la manifattura di uno quadro che pinta del glorioso S. Erasmo di
palmi 9 alto et palmi 6 largo per d.to prezzo de colore ad oglio
sopra di tela, con il Martirio de basso che se li cavano le stentine
et promette darlo finito pel 10 stante di pittura tantum in una
cappella nello Spirito Santo.
A 23 febbraio 1602. Clemente Geronimo paga D.ti 20 a Tomaso
di Rosa per caparra di un quadro in tela della Natività di N. S.
con Fimagine di S. Gioseffo, pastori et altro conforme il disegno
alto palmi 10 largo palmi 7 de buoni colori fini : per il prezzo
sarà stimato da due pittori a sua scelta, che non ecceda la somma
di D.ti 50 circa.
A 24 aprile 1602. Gio. Battista Bovio de Bitonto paga D.ti 10
a Tomase Rosa pittore per caparro d'un quadro della SS. An-
nuntiata che ha da fare come quello che sta alla sachristia di
S. Martino sopra NapoU per prezzo di D.ti 30 et è per gli Sca-
mardelli di Monte Paone di Calabria.
A 26 giugno 1602. Geronima Goscinà paga D.ti 15 a Tomaso
di Rosa in conto d'una cona Tha da fare con la Madonna in mezzo
con S. Francesco d'Assisi et di Paula dalle due parti : di colori
fini di altezza palmi 10 e largo 7.
A 23 dicembre 1602. Geromina Coscinà paga D.ti 14 a Tomaso
de Rosa e disse D.ti 10 a saldo del quadro li ha fatto per la
cappella del q.m Gio. Alfonso Morrone, avendo ricevuto altri
D.ti 30 a comp.to di D.ti 40 ch'è stato apprezzato, e D.ti 4 per
la tela di un quatrillo di de.ta Geronima del ben morire.
Rubino Gio : Angelo. — Il nome ed alcune opere di questo
artista risultano dalle polizze seguenti.
A 28 gennaio 1608. L'abate D. lacovo Sances paga D.ti 5 a Gio:
Angelo Rubino pittore per caparro di un cona li bavera da fare
— 185 ~
et consignare per la 1» di Quadragesima del quadro della Ma-
donna della mano di Andrea del Sarto dentro la chiesa di S. la-
covo delli Spagnuoli, quale li bavera da pintare di colori strafini
et acqua oltramarina.
A 20 marzo 1608. L'abate D. lacovo Sances paga D.ti 5 a Gio.
Angelo Rubino a comp.to di D.ti 10 per lo prezzo di una copia
dello quadro li ha consignato della Madonna di Andrea del Sarto
in la chiesa di S. lacovo delli Spagnoli.
A 8 lugUo 1608. F.co Graffoglietti paga D.ti 5 V2 a Gio: Angelo
Rubino a comp.to del prezzo di un quadro di S. Gio: Battista
havuto da lui.
A 12 ottobre 1610, Gio: Battista Spinola paga D.ti 5 a Gio: An-
gelo Rubino in conto et manifattura d'un quadro che l*ha datare
de Timagine di S. Domenico^.
A 10 aprile 1612. D. Clemente di Napoli paga D.ti 10 al P.re
D. Gregorio di Catania Abate di Bari e per esso a Gio. Angelo
Robino a conto di D.ti 30 per il prezzo d'un quadro Thaverà da
fare di tutta perfettione di palmi 11 di altezza e 8 di larghezza,
conforme al disegno fatto, quale si conserva in potere del P.re
D. Clemente Priore del Monistero di S. San Severino.
Santafede Fabrizio. — Al contributo notevole, che per la
biografia del Santafede portarono le polizze già da noi pubbli-
cate 2, aggiungiamo questo che ci consentono i nuovi documenti.
Pei quali restano confermate le attribuzioni dei dipinti in
Monteoliveto e nello Spirito Santo ^ e si fissa l'anno in cui fu-
rono eseguiti. Ricaviamo inoltre la notizia di altre opere finora
ignorate.
A 23 gennaio 1601, D. Ottavio Tuttavilla paga D.ti a Fabrizio
Santafede in conto di talune opere che li fa : e per lui ad An-
drea Genuino suo discepolo.
A 18 dicembre 1606. Il Monistero di Monteoliveto paga D.ti 35
a comp.to di D.ti 100 a Fabritio Santefede per saldo di tutto il
prezzo della pittura del quadro che ha fatto nella cappella del
Vasto nella loro chiesa : per esso ad Andrea Genoino suo discepolo.
1 De Lellis, 0. e, p. 218.
^ Conf. in questo Archivio, XXXVIII, 502.
' D'Engenio, Napoli Sacra, p. 512, 520 ; Celano, ed. Chiarini, III,
20, 320.
186
Ai 15 Giugno 1607. Fabio Riccardo paga D.ti 50 a Fabritio
Santafede a saldo et final pagamento della pittura d'una icona
con Pimagine de la Madonna del Soccorso, che li ha fatto et po-
sta nella sua cappella della chiesa dello Spirito Santo.
A 12 dicembre 1609. Il Governo dello Spirito Santo paga D.ti
a Fabritio Santafèdè in conto di D.ti 208 promessoli per la pit-
tura della cona dell'altare maggiore di loro chiesa, g.ta ist.o per
n.r Lorenzo Biondo.
A 7 aprile 1610. Il Governo dello Spirito Santo paga D.ti 30 a
comp.to di D.ti 200 a Fabritio Santafede per Tintiero prezzo della
pittura della cona delF altare maggiore di questa chiesa, del quale
resta interamente soddisfatto.
A 14 marzo 1611. Fra D. Cesare Falco Bresegna paga D.ti 24
a Fabritio Santefade a comp.to di D.ti 30 per un quadro della
Madonna che ha fatto da mettersi nella Rota Criminale della
Vicaria per ordine del Sig. Reggente.
A 19 novembre 1614. Il Monistero di Giesù Maria paga D.ti 3 a
Fabritio Santafede a conto del prezzo della pittura della cona di
Nostro Signore che ha da venire nella cappella della q,m D. Ma-
ria Orsini, sita nella loro chiesa di Giesù Maria : qual prezzo s'ha-
verà da Uquidare per il Sacro Consiglio, fatto prima l'apprezzo
dalli esperti.
Sellitti Carlo. — È noto principalmente pei quadri che
dipinse per la chiesa di S. Anna dei Lombardi ^ che ora sono
in quella di Monteoliveto. Con la conferma di questa informa-
zione le polizze seguenti ci parlano di altre opere e assodano
che questo pittore morì nel 1614.
A 5 gennaio 1608. D. Honorio de Galatina paga D.ti 10 a Carlo
Sellitto pittore in conto di D.ti 30 per lo integro prezzo di un qua-
dro in tela li bavera da pegnere di mano sua con la figura di
S. Michele Arcangelo et un'altra figura del naturale ingenocchiata:
et d.to quadro sarà di altezza di palmi 7 et larghezza palmi 4 ^^
da finirlo per tutto febbraro venturo, con patto che debia ponere
azuro oltramarino et farlo di tutta perfettione.
A 23 gennaio 1608. Carlo de Sangro paga D.ti 10 a Carlo Sel-
litto pittore a comp.to di D.ti 20 per fattura di un ritratto del
^ Celano, ed Chiarini, III, 313, 314.
— 187 —
principe di Sansevero suo fratello, d' ordine del quale paga d.ti
denari.
A 28 luglio 1608. Pietro e Gio: Domenico Coitone pagano D.ti
15 a comp,to di D.ti 50 a Carlo Séllitto a conto di un quadro
grande che deve fare per la loro cappella nella chiesa di S. Anna
della loro nazione lombarda.
A 22 settembre 1610. Fabritio Albertino paga D.ti 10 a Carlo
Séllitto pittore in conto d' uno retratto che ha da fare del q.m
Gio. Vincenzo Revertera in nome di D. Francesco Revertera suo
figlio.
A 30 Giugno 1611. Natale Ranieri paga D.ti 10 a Carlo Séllitto
a comp.to di D. 45 et in conto della fattura d'un quadro della
SS. Annuntiata.
A 24 gennaio 1614. Cesare Gesualdo paga D.ti 15 a Carlo Sel-
lato in conto d'un ritratto del Arcivescovo di Bari suo fratello,
A 27 settembre 1616. Gio. Matteo Giannasio paga D.ti 68 a Carlo
Séllitto in nome e parte di D. Cesare Curti Cantore della Terra
di Senise. e cioè D.ti 45 a comp.to di D.ti 90 per integro prezzo
della pittura d'una cona della SS.ma Concettione, e li restanti D.ti
33 a comp.to di D.ti 113 per il prezzo della cornice tanto del le-
gname quanto dell'indoratura che il d.to Carlo bavera da pagare,
atteso la d.ta cona l'ha ricevuta in suo potere in nome di d.to
Cantore.
A 15 ottobre 1614. Francescantonio Séllitto paga D.ti 50 a Gio:
Agostino Séllitto, e ce li paga come herede del q.m Carlo Séllitto
suo fratello, li quale ce li ha lasciati nel testamento, che li ser-
ranno per mettere poteche della sua arte di pittore.
Sollazzo Simone. — Era specialista per le pitture sul rame.
A 31 maggio 1613. Horatio Venturi paga D.ti 10 a Simone Sol-
lazzo in conto del prezzo di quattro quadri in rame che l'haverà
da consignare tra un mese, dichiarando che ha ricevuto D.ti 6 per
rame.
A 25 giugno 1613. Gio: Vincenzo Sebastiani paga D.ti 15 a Si-
mone Sollazzo a comp.to di D.ti 20 in conto del prezzo di quat-
tro quatri piccoli dipinti in rame, due dei quali l'ha consignati,
et li altri due alla fine del presente.
Soldi ERI o Soldoveri Lorenzo. — Che il Soldieri era un
188
pittore mediocre è assodato dai quadri rinvenuti in Pescopa-
gano sulla indicazione delle polizze che seguono.
A 5 giugno 1606. Giustiniano Amendola paga D.ti 18 a Gio.
Lorenzo Soldieri pittore a comp,to di D.ti 35 Yz, cioè D.ti 30 per
la pittura dell' icona di S.to Rocco della chiesa di S. Giovanni
in Pescopagano, et D.ti 5^ per l'intaglio della cornice di d.ta
icona.
A 18 maggio 1607. Alonzo Vargas paga D.ti 3 a Gio. Lorenzo
Sodoleri a comp.to di D.ti 19 per lo prezzo di quattro quadri
delle quattro parti del mondo che li ha venduti.
A 18 aprile 1608. Giustiniano Amendola paga D.ti 8 ^ a comp.to
di D.ti a Gio. Lorenzo Solderi pittore, et sono per un quadro
dell'Annuntiata dell'Oratorio di Pescopagano vendutoli et consi-
gnatoli \
Torres Pietro. — Ai documenti già trascritti ^ altri si ag-
giungono su questo dimenticato pittore fiammingo.
A 30 luglio 1597. Cesare d' Afflitto paga D.ti 10 a Pietro
Torres flamengo pittore, disse a comp.to di D.ti 25, et sono per
il prezzo d'una cona con la cornice indorata che la figura è di
S. Stefano et altre, declarando essere stato di d.ta cona soddi-
sfatto.
A 2 marzo 1598. Vincenzo di Leo paga D.ti 6 a Pietro
Torres flamengo pittore, habitante vicino la Carità a Strada To-
ledo, in parte di D.ti 11, per l' integro prezzo di una cona 1' ha
da fare alla sua cappella di S.ta Maria della Gratia Maggiore di
Napoli con il scandello con tre figure grandi la Madonna de lo
Reto et due S. Francesco intieri con gli angioli che bisognano
con colori finissimi, conforme la cona che sta entro la sacrestia
di d.ta ecclesia, con il friso grande d'oro finissimo, con ponere le
* Sulla esistenza di questi due quadri del Solderi in Pescopagano aven-
done pregato Tamico e pittore di colà Sig. Laviano, a cui rendo ora le do-
vute grazie, gentilmente rispose che quello di S. Rocco su tela di m. 1,90
per m. 1.50 è discretamente conservato, mentre l'altro dell'Annunziata pure
su tela di m. 1.80 per 1.48 è stato orribilmente ritoccato, screpolato, e
scrostato ; entrambi i dipinti sono di poca importanza artistica.
« Conf. in questo Archivio, XXXVIII, 575.
— 189 —
tavole et ogni altra cosa bisognerà in d.ta cona, larga palmi 4, e
più, et alta palmi 5 1/2.
A 17 novembre 1598. D. Persio de Feuli paga D.ti 10, a
m.ro Pietro Torres fìamengo per caparro d'un quadro che fa fare
per l'Università di Mormanno in Calabria, per lo prezzo di D.ti 30
solo lo quadro, et D.ti 15, le cornice larghe però a proportione
del quadro intagliate et bene indorate. Quale quadro habbia da
essere di palmi 11, alto et 9, largho con la Madonna in mezzo
di tutta mostra con il Ghristo in braccio et da V uno canto del
quatro S. Caterina apparente con li Misterii, similmente di colori
fini et di tutta perfettione.
A 26 maggio 1600. Agostino Bernalli paga D.ti 15 a Pietro
Torres pittore in Napoli, ce li pago in nome et parte di D.a Lo-
cretia del Tufo Orsina contessa de la città di Muro, et di soi
propri denari lasciatoli in suo nome da Antonio dell' Abbadessa
suo creato a comp.to di D.ti 70, per 1' integro prezzo et paga-
mento di una cona in tela con la figura della SS. a Concettione
della Madre di Dio nostro Signore, et li soi Misterii intorno, et
quadro de Iddio Padre in cima al frontespizio, siccome appare
da ist.o celebrato tra d.ti Pietro et il D.r GiuUo Capobianco di
Muro in curia di Notar F.co de la Calce.
A 25 maggio 1601. Trojano de Filippo paga D.ti 20, a
Pietro Torres pittore per ordine del duca di Popoli in conto
dell'opera e guarnìmento di una cona della Madonna et un qua-
tretto che fa per servitio di detto duca, per li quali ha avuto
altri D.ti 27.
A 20 giugno 1602. Dom.co Spinello Consolo paga D.ti 15
a Pietro Torres a comp.to di quindici quadri di apostoli nella
chiesa di S. Gio. dei Fiorentini.
A 28 giugno 1603. Il Marchese di erottola paga a Pietro
Torres pittore D.ti 10, per uno quadro dei SS.ti Pietro e Paolo
l'ha consignato.
ViNS 0 ViNx Abramo. — Questo pittore fiammingo operava
a Napoli nel primo ventennio del 1600 nella particolare branca
dei ritratti, come risulta dai documenti già pubblicati^ e dagli
altri più numerosi che seguono.
Conf. in questo Archivio, XXXVIII (1913), p. 520
— 190 —
A 18 luglio 1603. Scipione Magnacervo paga D.ti 3, ad A-
braghamo Vinchix per uno retratto che li ha da fare et consi-
gnare.
A 16 febbraio 1604. D.a Beatrice de Ghevara paga D.ti 11,
3,10 ad Abram Vinchs in conto de doi retratti che Tha da fare
a sua electione.
A 10 ottobre 1606. Geronimo Ladislao de Fundo paga D.ti
70 ad Abraam Vinx a comp.to di D.ti 140, per final pagamento
di tre ritratti che Tha fatto, cioè due per esso et uno di caccia
et un altro di D.a Beatrice Moles sua moglie, talché resta inte-
ramente soddisfatto.
A 15 marzo 1606. D. Rodrigo de Salazar paga D.ti 8 ad
Abramo Vinchs pittore a comp.to di D.ti 12, per un ritratto fatto
della sua effigie.
A 7 febbraio 1607. Gio. F.co Pignatiello paga D.ti 6, ad
Abramo Vins a conto di D.ti 15, convenuti per lo prezzo di un
ritratto che li bavera da fare della b. a. del marchese di Modu-
gno suo cognato, et di più d.to Abramo li doverà consignare l'al-
tro retratto che ha fatto del detto marchese a tempo che passò
a miglior vita accomodato et aggiustato.
A 7 maggio 1608. Gio: Aniello Russo paga D.ti 15, ad
Abram Vinches a comp.to di D.ti 35, et in conto di D.ti 55, per
lo prezzo di dui quadri seu ritratti de li sig.ri Gio: Geronimo
Natale et Antonia Barba sua moglie integri, quali bavera da
consignare per tutto maggio.
A 24 maggio 1608. Gio. F.co Vitale paga D.ti 25 ad Abram
Vinx pittore a comp.to di D.ti 60, per li retratti del principe
et p.pessa di Roccaromana fatti di loro ordine.
A 18 giugno 1608. Geronima Goscinà paga D.ti 60, ad Abra-
ham Vinchs a comp.to di D.ti 72, per li tre quadri di ritratti
che ha fatti nelle persone del principe e principessa di Cariati et
per donna Zeza figlia, atteso li altri D.ti 12, li ha ricevuti con-
tanti.
continua
Giambattista d' Addosio
VARIETÀ
IL DIRITTO AD AMALFI
NELL'ALTO MEDIO EVO
È veramente un acquisto prezioso che ha ottenuto la storia
si politica che giuridica dell'Italia meridionale colla pubblicazione
del Codice Diplomatico Amalfitano, curata in modo egregio dal
dottor Riccardo Filangieri di Candida (Napoli, 1918). Trattasi
di documenti che vanno dal secolo X al XII, ossia per un pe-
riodo di storia scarso di notizie eppure importante perchè in
esso metton le radici istituti e consuetudini che poi si presen-
teranno già formate nelle epoche posteriori. La Campania con la
penisola Sorrentina non hanno gran dovizia di carte medievali
edite : non poche attendono chi le tragga alla luce : al che i
tempi non volgono propizi ; motivo maggiore perchè quest'ottima
pubblicazione del Filangieri venga presa in esame per rilevare
gli elementi che queste carte amalfitane offrono a una migliore
conoscenza del diritto praticato in questo lembo d'Italia.
La raccolta contiene una parte, probabilmente la più impor-
tante e la più antica delle carte proveniente dai monasteri amal-
fitani, dai quali originano altre varie carte ancora inedite, come
il Codice Perris. Altri documenti ha l'Archivio di Ravello ; poi
vi è un fondo di carte del Monastero di S. Trinità e S. Chiara
pure di Ravello. Questo saggio di documenti offre già di per
sé larga messe di studi tanto per chiarire alcuni punti della
storia politica del ducato di Amalfi quanto del diritto praticato
nel suo territorio.
11 ducato di Amalfi fu in certo senso presto politicamente
segregato dai territori finitimi ; fu il più esposto alle frequenti
incursioni dei Saraceni che ne depredavano i beni, e ne caccia.
— 192 —
vano gli abitanti « nudi et vacui » come diceva Sergio dux Amal-
fitanorum nel 1009. Amalfi cosi restò un'oasi in riguardo alle
popolazioni circostanti : e le sue relazioni col mondo svolge vansi
per via del mare che le si apriva dinanzi : i suoi figli, intrepidi
naviganti correvano i mari, trafficavano colla Sardegna, le coste
di Africa e T Oriente ; e sbarcavano i carichi a Napoli, il mag-
gior mercato delle importazioni amalfitane.
Ed allora in questa completa autonomia, in questa indipen-
denza specialmente da Salerno, Amalfi conservò il diritto suo
antico, consuetudinario che si riallacciava al diritto romano; e
cosi vissero le sue genti nell'epoca a cui si riferiscono i docu-
menti pubblicati dal Filangieri. Questi non fanno mai alcuna
allusione al diritto barbarico, né vi è parola che ad esso si ri-
porti : e se nella raccolta vi è una carta che menziona il mor-
gengab, la carta è di Salerno, qui redatta per persone del Sa-
lernitano (an. 997 n. 16) ; e i formulari notarili non conobbero
parola o formola che avesse attinenza a pratiche di origine fo-
restiera.
Amalfi si mantenne fedele al diritto romano, non conosciuto
in un testo qualsiasi, ma seguito per consuetudine tradizionale:
e la stessa menzione di una lex et consuetudo Romanorum av-
viene in epoca quando già la sua conoscenza erasi altrove af-
fermata (an. 1176, n. 192: an. 1196 n. 236), alle consuetudini^
locali alludono chiaramente le parole usus civiiatis Amalphie\
della carta 192 (an. 1176).
Non è possibile dai documenti ora pubblicati ricostruire molto j
di queste consuetudini : la vita di quelle genti era semplice :|
date alla cultura dei campi e alla navigazione non avevano bi-j
sogno di molte norme. Le carte si riassumono in pochi negozi]
e 1 più usuali: vendite, donazioni, testamenti, successioni, no-
mina di esecutori testamentari. Nemmeno vi è accenno a con-
tratti marittimi e sì che spesso ricorre il ricordo di mariti ej
figli e fratelU, lontani ad navigandum (an. 1036 n. 45). I formu-
lari notarih sono semplici, sobri, alieni da retorica e da quelle
clausole che con tanta abbondanza inseriscono i notai dei ter-
ritori longobardi.
Fra le consuetudini amalfitane la più notevole è la condizione
che è fatta alla donna sia moglie, sia vedova o nubile, in quanto
— 193 —
le è riconosciuta piena capacità giuridica, cosi che stipula, vende
dona, dà in affitto senza assistenza di alcuno, non sottoposta
ad alcuna tutela vera domina nella sua casa. Nel 1036 le so-
relle Boccia ed Anna assieme alla cognata moglie del loro fra-
tello M. quod est ad navigandum concedono a pastinato alcune
terre (n. 45): nel 1087 Aloara filia et vera germana nostra qui
mortua est, dona la quota dei beni pervenutile per testamento
dal padre (n. 82) : nel 1190 Sardena filia naturalis d. P. coi
suoi figli naturali et prò parte de Dulacesia naturalis filia mea
qui est sine hetate vende terre, ecc. (n. 223). Parimenti agisce
da sola la vedova rappresentando i figli minori e all'occorrenza
gli assenti : investita di pieni poteri, coll'intera gestione di af-
fari, senza intervento di parenti o di tribunale: A. relieta dà
la figlia a servire (an. 1090 n. 85) : un'altra vedova vende terre
(an. 1036 n. 46) : un'altra vende anche a nome dei figli qui
sunt fores terram et ego quindinio (an. 1079 n. 74) : una vedova
prò vice de loti filii et filie mee et ego istud quidenio a partibus
eorum e poi caduta in povertà restituisce un castagneto che
non può coltivare (an. 1112 n. 113) e gli esempi continuano (an.
1117 n. 119 : an. 1134 n. 140 : an. 1138 n. 142 : an. 1157 n. 163,
164: an. 1159 n. 166: an. 1193 n. 231: an. 1194 n. 232:
an. 1197 n. 235).
Ora questa posizione di domna et domina che ha la vedova,
possiede anche la moglie associata ad Amalfi a tutti i negozi del
marito. Della sua origine e natura parlò già il Tamassia e non
occorre tornarvi sopra. I do e. amalfitani mostrano che dove il
marito negozia e contratta e si obbliga, interviene anche la mo-
glie ; e non vi è documento ove assieme al marito non parte-
cipi anche la moglie. Ne ho notato 24 esempi, e ne riporto i più
antichi : an. 931 Leo seu et Maria jugalis vendidimus atque in
presentis cessimus et contradidimus le porzioni che a Leone per-
vennero dall'eredità patema (n. 3) : an. 940 /. et Drosu jugalia
ecc. (n. 6) : an. 984 Urso eManso coUe rispettive mogli vendono
(n. 11): an. 984 all'an. 998 n. 12, 13, 14, 15, 17: an. 1008,
1018, 1044, n. 25, 27, 35, 58 : an. 1184, 1186, 1187, 1192, n. 216,
218, 220. 229. L'assenso della moglie è anche cosi espresso an.
1066 X per consensum et absolutionem A,' uxofis mee dona ecc.
(n. 70) an. 1086, 1090 n. 80, 84,
Anno XLV. 13
— 194 —
E assieme alla moglie intervengono i figli : an. 1082 il prete
S. e sua moglie e i figli prò vice nostra et prò vice de totis ip-
sis filiis et germanis et nos quindeniamus a parte eorum qui
sunt sine hetate vendono terre (n. 88): an. 1093, 1133, 1142,
n. 91, 136, 146 : an. 1122 S. con moglie e figli vende Vheredi-
tas (n. 121): 1197 Leone e sua moglie col figlio e a nome de-
gli altri figli assenti e minorenni vendono (n. 239) : an. 1127,
1157, 1139, 1197 n. 131, 141, 144, 238.
Questi documenti fanno supporre una perfetta associazione
sì nel possesso che nell'amministrazione dei beni della famiglia,
sia che questi beni siano di patrimoni um o dì matrimonium come
si esprime una carta del 1180 (n. 244), cioè beni provenienti
al marito o dall'eredità paterna o dal suo lavoro, oppure beni
portati dalla moglie in occasione del matrimonio. Qualunque
sia la provenienza, essi costituiscono una sostanza comune, sulla
quale la moglie ha diritti e della quale la moglie ha l'ammini-
strazione nella assenza del marito : così nel 1007 la moglie a
nome del marito qui est ad nauigandum procede ad accordi col
vescovo intorno a certi beni (n. 21) : an. 1130 D. uxor anche
a nome del marito assente vende ecc. (n. 100, 101). E come
il padre vende a nome dei figh assenti o minorenni (an. 1104
n. 103 : an. 1142 n. 146), e i figli contrattano a nome della ma-
dre qui est infirma et non potuit venire (an. 1184 n. 104), così
la madre vedova, come la moglie, compie tutti i negozi nell'in-
teresse suo e dei figli senza intervento di cognati e del magi-
strato. E quando il marito stipula un contratto, la moglie in-
terviene non per semplice formalità, ma per esprimere il suo
assentimento « per consensum et absolutionem » (an. 1066 n. 70:
an. 1086 n. 80 : an. 1090 n. 84).
Da questi documenti è legittimo trarre la conclusione che
tali atti compiuti da ambo i coniugi in comune presuppongono
quella consuetudine che il Roberti ha recentemente illustrata
a proposito della comunione dei beni, dei quali i coniugi erano
proprietari. Che l'origine di essa si rannodi a pratiche romane
pare doversi ammettere senz'altro e non è a supporre influenza
di elementi estranei, che certo non penetrarono ad Amalfi : e
non sarebbe spiegabile come il territorio amalfitano avesse con-
servato in tutto le sue consuetudini, fatta eccezione per questa
— 195 —
materia. Nelle epoche di scarsa civiltà, dove le comunicazioni
e gli scambi fra i popoli sono pochi e lenti, il diritto conserva
un carattere locale e non ha quella diffusibilità che del resto
nemmeno si riscontra in epoche più evolute. Intanto queste
carte accertano che Amalfi fu una regione immune e che si
mantenne ligia alla tradizione giuridica romanica. Per ora non
si può concludere diversamente.
Restando sempre sulla capacità giuridica della donna, giacché
questo è il punto più di rilievo che si presta ad essere illustrato
dalle carte amalfitane, va notato come di frequente essa sia
chiamata ad adempiere le funzioni di esecutrice testamentaria:
an; 1082 M. relieta et ego I. qui sumus genitrix et filius qui su-
mus distributores de Aloara filia et vera germana nostra (n. 82):
an. 1099 X. distributrix (n. 96): an, 1125 X. monaco assieme
ad A, distributrix (n. 127) : an. 1127 la suocera col genero in-
caricata dell'esecuzione di testamento (n. 129) : an. 1094 n. 58:
an. 1126 n. 150.
Siffatta posizione in cui fu posta la donna amaKitana trova
riscontro in quello che io notai nel 1897 (Rivista di Storia e fi-
losofia del diritto, Palermo, an. I fase. IV pag. 198, 206) per la
la donna genovese. A Genova, città dove vari elementi etnici
vivevano gli uni accanto agli altri, quali secundum usum et
consuetudinem terrae ed erano i resti di origine germanica, quali
secundum legem ed erano gli indigeni, nei secoli X e XI le donne
donavano e vendevano senza intervento dei parenti o dell'au-
torità pubblica, del judex qui in loco fuerit, il quale invece è
menzionato nei documenti di Cava {Codex diplom. cavensis I n.
21, 22, 25, 66, 75, 97: II n. 241, 348: III n. 490: IV n.
564, 648, 697 : V n. 732, 750), per nulla dire di quelli del-
l'Italia Centrale, come Lucca (Memorie e doc. di Lucca) IV parte
II n. 115 an. 1112 : n. 127 an. 1153: V parte III n. 1389 an.
961Ì, come Parma (Affò Storia di Parma II n. 66), di Modena
(Tiraboschi, Memorie storiche moden., I n. 45 : II n. 88) : e
basti per tutto citare il Liber papié nsis {form. adLiutpr. 22: Expo-
sitio id. e ad Roth 204, Cartul. long. n. 3) ove è palese Vinter-
rogatio della donna da parte del giudice.
Nulla di tutto ciò ad Amalfi : e intanto questa coincidenza
con la consuetudine di Genova non può spiegarsi altro che col
— 196 —
manifestarsi nei due territori condizioni identiche che conferivano
alla donna queir indipendenza necessaria per l'amministrazione
del patrimonio familiare. Entrambe città di mare, mentre gli
uomini erano ad navigandum avevano riconosciuto necessario
conferire alla donne la facoltà di negoziare e stipulare in rap-
presentanza dei mariti dei fratelli e dei figli lontani. Non occorre
quindi ricercare se queste facoltà nascevano da questo o quel
diritto : esistevano e si erano formate, determinate dalle neces-
sità della vita quotidiana.
I documenti amalfitani offrono anche qualche particolarità
sul valore della carta: an. 1018 chartula exinde si inbenta fuerit
aliquando apud qualemcumque persona qui sint propria de
ista hereditate quam vohis vendidimus et non eam nos et nostri
heredes miserimus ad poiestatem vestram (a. 34) : an. 1024 n. 37:
an. 1035 n. 42 : colle quali parole si riconosce che la carta ha
più che valore probatorio, quello costituitivo di diritto, e la legit-
timazione della proprietà discende dal possesso del titolo, cosi-
chè i venditori si obbligano ad assicurare che questo sia sempre
nelle mani dei compratori. Ancora : A. relieta dà sua figha a
famulato, e il ricevente poiestatem habeatisvos vel vestri missi cum
ano cartulam illam comprehendere (an. 1090 n. 85) : an. 1142
Coniugi vendono una terra e danno i titoli, salvo quelli che per-
dettero quando Ravello fu presa dai Pisani sed firmamus vohis
ut si aliquando tempore inbenta dederit ipsa mittamus (n. 146). Il
valore degli istrumenti risulta da questo doc. del 1 150 col quale
i debitori dederunt mihi in pignus charte 15 ubi continent omnia
illorum causa (n. 153). E nel senso delle precedenti spiegazioni
cadono ancora le espressioni di questi doc. : an. 1157 consorte»
et partionarii eccl. vendono terre, ma non hanno alcuna cartam
veterem, sed firmamus vobis ut si aliquando tempore aliqua char-
tula pervenerit vel inventa dederit nos et nostri heredes mittere
ecc. (n. 165): an. 1007 è venduto un fondo senza carta: il com-
pratore rivende e stende la carta et si aliquando inventa dede- 1
rit, ipse chartula offertionis mittere se debeat apud ss. monaste-
rium (n. 18 e 22).
II testamento segreto è ricordato (an. 1087 n. 82), ed è am-
messa la sostituzione : an. 1125 un prete nomina suo erede il
— 197 —
nipote, e questo morto dispose che l'eredità perveniat in pò-
testate de totis propinquis consanguineis meis (n. 126).
Poche altre notizie che interessano la storia del diritto ; an.
1150 un prete presta a interesse su pegno di 15 documenti:
non soddisfatto si rivolge allo stratigoto di Ravello che emette
epistolam testatam con ingiunzione di pagare, e in seguito auto-
rizza il creditore a prender possesso dei beni del debitore e a
venderli fino alla concorrenza del suo credito (n. 153).
An. 939 X dona beni a suo famulus ac libertus : questi muore
senza eredi : i beni suoi toccano al padrone (n. 5).
An. 1090 una vedova concede sua figlia a famulato : il rice-
vente si obbliga di nutrirla, vestirla, calzare^ facere ad eam bene
ut habeatis de illa mercedem et nomea bonum. Se fuggirà, la
madre dovrà restituirla. Potestatem habeatis vos et vestri missi
cum anc cartulam comprehendere et disciplinare misericorditer.
Alla morte del padrone, riceverà un letto, abito e sarà libera
(n. 85): anche questi segni di una società povera (an. 1105 un
letto, un lenzuolo, un mantello n. 126: an. 1180 piccola dote
data dalla sorella nr. 214).
Prima di chiudere questi brevi cenni, voglio ricordare la carta
del 1004, 1091, 1113 dove parlasi del publicum e di beni de-
maniali : an. 1004 Manso dux et Johannes dux dona al monast.
omnia quod habuit ipse pubblicus noster (n. 18) : an. 1091. Rug-
giero duca conferma al vescovo plagiam arena maris (n. 87:
an. 1113 Gwjlielmus dux conferma ad abbate plenariam et in-
tegram hereditatem que fuit de ipso nostro palacio positam iuxta
plagia arena maris (n. 114).
Risulta cosi che il publicum è tenuto distinto dai beni patri-
moniali del duca : il publicum è proprietà dello Stato, di cui
il duca ha il possesso, come era nel ducato di Napoli. Secondo
il diritto romano gli arenili, le spiaggie erano pubblico dema-
nio, (come di recente hanno dimostrato Costa e Maroi): e
come i duces nelle p'rovincie originariamente bizantine acqui-
starono poteri di sovrana autonomia, così considerarono come
loro proprietà quel demanio, col diritto di riscuoter tasse,
portuatica, litoralica che prima appartenevano al fìsco, e lo alie-
narono (cfr. docum. an. 1007 in Camera, Memorie storiche di
Amalfi, I, 221).
— 198 —
Da questa esposizione emerge come la popolazione di Amalfi
non modificò il suo diritto con elementi di origine germanica,
visse fedele alle sue tradizionali consuetudini che si collegano
alla pratica romana, naturalmente adattata alle condizioni create
dalla semibarbarie medievale.
Giuseppe Salvigli.
ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCII
DEL 28 Giugno 1920
ORDINE DELLA DISCUSSIONE
1) Comunicazione della Presidenza.
2) Il Prof. M. Schipa darà notizia di un manoscritto recente-
mente donato alla Società.
3) Bilanci consuntivi del 1918-1919.
4) Relazione dei Revisori dei conti.
5) Proposta di Bilancio.
6) Elezione del Consiglio Direttivo e dei Revisori dei
conti.
Presiede il prof. M. Schipa e intervengono col prof. Teti, che
rappresenta anche il Commissario al Comune, comm. Giuseppe
Faggiolari, quaranta Soci.
Alle ore 21 si inizia la discussione, dopo approvato il verbale
dell'adunanza del 18 maggio 1918.
Il Presidente Schipa saluta e ringrazia gr intervenuti, scusa il
Consiglio direttivo del non avere adunata Tanno scorso V assem-
blea e delT aver indugiato la pubblicazione dello " Archivio ,, , e
crede interpetrare il voto dì tutti i soci, felicitandosi con Bene-
detto Croce, segretario della Società, per la sua assunzione al Mi-
nistero dell'Istruzione.
Passa quindi a commemorare i soci defunti nel 1919-1920 :
Ludovico de La Ville, bibliotecario. Nunzio Federico Faraglia e
il consigliere avv. Enrico Riccio. E segnala tra gli acquisti fatti
nel biennio dalla Società la cronaca autografa di Antonio Stas-
sano donatale dal dottore Pietro Stassano, nipote dell' autore.
Dando un largo conto di questo manoscritto, lo confronta con
una copia che la Società precedentemente possedeva e ne rileva
r importanza. La sua comunicazione è stata pubblicata nei Ren-
diconti della R. Accad. dei Lincei.
De Montemayor riferisce sui conti del 1918-1919. Il primo si
chiuse con un introito di Lire 15793.36, e con un esito di
L. 13673.21, e perciò con un supero di L. 2120.15.
n secondo si chiuse con un introito di L. 14.469.35 e con un
esito di L. 12.649.37 e col supero di L. 1819.98.
— 200 —
Il socio duca Enrico Catemario di Quadri, anche a nome del-
Taltro revisore conte Vincenzo del Balzo, legge la relazione sui
conti del 1918 e 1919 proponendone T approvazione con un voto
di plauso al Consiglio Direttivo.
L'assemblea ad unanimità approva i conti del 1918 e 1919.
De Montemayor espone il bilancio preventivo pel 1920 che pa-
reggia nella somma di L. 22396.05 compreso lo stanziamento alle
eventuali di L. 2137.38 Fa rilevare che il notevole aumento
nelle somme previste airintroito ha origine in parte dai residui
attivi degli esercizi scorsi, in parte dall' aumentato numero dei
socii e dalla vendita anch'essa aumentata dello « Archivio storico »,
e delle altre pubblicazioni della Società.
Ma se questi aumenti agli introiti hanno per una parte carat-
tere transitorio, sono purtroppo definitivi gli aumenti delle spese
e specialmente quelle per la stampa dell' « Archivio storico », che,
per le difficili condizioni fatte ora all'industria tipografica, è salita
a circa 8500 lire e avrà altri aumenti in seguito.
Perchè il bilancio del 1920 si chiuda non soltanto in pareggio
ma con un fondo di cassa tale, che come pel passato assicuri
una prospera vita alla nostra Società, occorre provvedere a nuovi
introiti straordinari per i quali il Consiglio direttivo assume l'im-
pegno di spendere ogni cura.
L'assemblea approva il preventivo pel 1920.
Si procede in fine all'elezione del Consiglio che su proposta dei
socii G. Sacchi Lodispoto e Nino Cortese è fatta per acclama-
zione aggiungendosi agli uscenti :
Prof. Michelangelo Schipa, prof. Nicola Barone, marchese
Giuseppe De Montemayor, senatore Benedetto Croce, prof. Fran-
cesco Torraca, prof. Giulio de Petra, dott. Giuseppe Ceci, cav.
Tommaso Persico, il socio marchese Emilio Nunziante.
n Presidente per delegazione dell'assemblea conferma revisori
dei conti pel 1920 i soci Enrico Catemario e conte Vincenzo
Del Balzo.
Alle ore 23 essendosi esaurito l'ordine del giorno il Presidente
dichiara sciolta l'adunanza.
Direttore prof. Michelangelo Schifa
Gerente responsabile d.r Fausto Nicolini
PUBBLICAZIONI
SOCIETÀ NAPOLETANA DI STORIA PATRIA
(Piazza Dante, 93)
Con r annata XL si è iniziata la seconda serie deìV Archivio
storico per le province napoletane, che viene inviato gratuita-
mente ai soci. Pei non soci il prezzo di un fascicolo separato
della seconda serie è di lire 7,50; di un'intera annata, di lire 30,00.
Per l'Estero il pagamento deve esser fatto in oro.
Della prima serie, le annate II, IV, V, VI sono esaurite; le al-
tre, fino alla XX, si vendono a lire 25,00 l'annata, e a lire 20,00
le successive.
I fascicoli, che risultassero disponibili dall'elenco conservato
in Segreteria, si vendono separatamente al prezzo di hre 6,25
ciascuno. Ai soli soci si accorda lo sconto del 25%.
Altre pubblicazioni della Società Napoletana di Storia Patria :
i. Monumenti storici (in-quarto).
e APASSO B., Monumenta ad NeapoUlani Ducatus Historiam per-
tinemia, tomi tre, 1881-5. L. 2O0,('O
De Blasiis G., Chronicon Siculum incerti authoris ab anno 3 40 ad
an. 1396 ex inedito codice Otioboniano Vaticano, ISf^l. ...» 20,00
(JfAUDENzi A., Ignoti Monachi Cislcrciensis S. Marisa de Ferraria
Chronica, et Riccardi de Sancto Germano Chionica priora, 1888. >- 20,00
De Montemayor G., Diurnali di Scipione Guerra, 1891. » <ì '
Fahagi.ia N. F., Diurnali detti del duca di Monteleone,, 18U5. 2U,0U
Ani GN ENTE G. > Domini Blusii de Morcone : De differentiis
'rr jiis Loni/obardorn: Romanorum tractatus. 1012
voLPicELLA L., Ferdinandi Pruni Jnstructionun' / '1186-88),
con note storiche e biografiche . .
li. Documenti per la stdTfk, le arti e le industrie delle province
napoletane (Nuova Serie, in-quarto):
Bbrtaux e., S. Maria di Donna Regina e l'arte senese a Napoli nel secolo
XIV, con figure e tavole, 1899 L. 35,00
III. Varia (iu-ottavo).
Capasso B., Descrizione di Napoli nei principii del sec. X.VII di
Giulio Cesare Capaccio, 1882 » 5,00
Capasso B., Masaniello ed alcuni di sua famiglia effigiati nei quadri,
nelle figure, e nelh stampe del tempo, 1897 » 7,00
Del Giudice G., Commemorazione di Barlolommeo Capasso 1900. » 2,00
Croce B., Relazioni di patrioti napoletani col Direttorio e col con-
solato e l'idea della Unità Italiana, 1901 » 3,00
Capasso B., Napoli greco-romana, opera postuma edita da G. de
Petra, 1905. Un voi. rilegato in tela col ritratto dell'Autore,
con 16 tavole intercalate nel testo e con la pianta della città
greco-romana " 30.00
De Nicola Carlo, Diario napoletano (1798-1825), 1905, voi. tre . » 50,00
Egidi P., La colonia saracena di Lucerà e la sua distruzione, 1915 . » 15,00
Egidi P., Codice Saraceno di Lucerà, 1917 » 30,00
Schifa M., La così detta rivoluzione di Masaniello, 1919 « 10,00
Sono in vendita presso Ja Società le seguenti altre opere:
1. Filangieri d1 Satriano Gaetano, Documenti per la storia, le arti e le
industrie delle Provincie Napoletane, voli, cinque (il primo è esaurito);
II, 1884 , pp. XXVIII-494 ; III , 1885 , pp. XLIII-680 ; IV, 1888 ,
pp. XLVIII-548; V, 1891, pp. XIX-627; VI, 1891, pp. VIII-678 L. 187,50
I volumi V e VI >' "100,00
IL Biblioteca Napoletana di storia e letteratura:
Percopo e.. Il Chariteo, 1892, Un voi. di pp. CCXCIX . . » 6,50
Croce B., Lo canto de li cunti (il Pentamerone) di G. B. Basile,
1891. Un voi., pp. CLXXXIX-293. ' 6,00
AVVISO
Lettere, libri e manoscritti debbono inviarsi alla sede della
Società: Piazza Dante, 93.
I pagamenti dei soci si fanno direttamente o per mezzo di
vaglia postale al signor marchese Giuseppe de Montemayor
nella predetta sede.
Per l'abbonamento e la vendita dei fascicoli e delle altre
pubblicazioni • rivolgersi all' editore Luigi Lubrano presso la
sede della Società.
11^
'<4.'':.-.
ARCHIVIO STORICO
PER LE
PROVINCE NAPOLETANE
PUBBLICATO
A CURA DELLA SOCIETÀ DI STORIA PATRIA
NUOVA SERIE - ANNO VI.
XLV dell'intera collkzionb
FASC. III-IV-15 DICEMBRE 1921
NAPOLI
LUIGI LUBBANO, Editork
1920
SOMMARIO
DEL FASCICOLO IIl-lV DEL 1920
Memorie :
I Curiali napoletani (contin.) — A. Gallo .... pag. 201
I cartai e librai a Napoli nel Rinascimento (coni.) —
M. Fava-G. Bresciani » 228
La congiura del Principe di Montesarchio (fine)-'—
M. Schifa » 251
La prigionia di Malizia Garafa e le sue suppliche a
Papa Clemente XI — M. Martini » 280
V esercito Napoletano dalla minorità di Ferdinando
alla Repubblica del 1799 (contin.) — A. Simioni . . »
Da archivi e biblioteche :
Per la storia della Congiura dei Baroni. Documenti
inediti dell'Archivio Estense (1485-1487) (cont.),—
G. Paladino » 325j
Gli «Avvertimenti ai nipoti» di Francesco d'Andrea
(contin.) — N. Cortese ...:....■ » 352i
Atti della Società — Nuovi sodi ...:.. » 3981
I CURIALI NAPOLETANI DEL MEDIOEVO
(Cont.: V. pp. 5-27)
. •>./
Federico II pel primo attentò alle franchigie curiali, statuèjttìo
«instrumenta publica et quaslibet cautiones, per litteraturam
communem et legibilem scribere debere », e che fosse riserba-
to l'ius stipulandi unicamente ai « nota,rii statuti » dalla sua
cortei II motivo sostanziale che giustifica un tale provvedi-
mento è il «modus scribendi, qui in ci vitate Neapoli, ducatus
Amalfie ac Surrenti atque per eorum pertinentias hactenus
servabatur » ; donde la necessità « ut predicta instrumenta et
alie cautiones nonnisi in posterum conscribantur » ^. Questo
enunciato, notevole per l'accenno alle circoscrizioni in cui si
esercita l'arte curialesca, è generico per l'applicabilità della nor-
ma stessa, determinata meglio nella seconda parte, in quanto
toglie alla eversione dei protocolli il carattere retroattivo :
« cum eorum (e cioè instrumentorum et aliarum cautionum) fi-
des multis futuris temporibus duratura speretur, instrum esse
1 Constitutiones, LXXX, da cui risulta che 1' imperatore legifera con-
tro gli anlichi usi della città : « Consuetudinem quam olim in aliquibus
regni partibus audivimus obtinere dilucida contitutione cassantes, decer-
nimus instrumenta publica et quaslibet cautiones per litteratam commu-
nem et legibilem, per statutos a nobis notarios scribi debere, scribenti
modo qui in civitate Neapolis, ducatu Amalfìe ac Surrenti [atque per
eorum pertinentias] omnino sublato». Questa costituzione rimonta al 1220;
Chiarito, 117: Huillard-Breholles, Historia diplomatica, IV, p. I, 56.
Per la revoca di prerogative speciali vigenti a Napoli e per l'affermazione
esplicita del principio di accentramento, Constitutiones, LXXXI.
* Constitutiones, LXXX : « Volumus etiam et sancimus ut predicta
instrumenta publica et alie similes cautiones nonnisi in posterum con-
scribantur ».
Anno XLV. 14
— 202 —
decernimus ut ex vetustate forsitan destructionis periculo non
succumbat » ^. Viene cioè riconosciuto il valore della prece-
dente documentazione pei suoi lunghi effetti nei rapporti dei
privati fra loro, e garentita dalla norma conservativa della leg-
ge^. La limitazione probatoria salva le apoche e le antapoche,
e colpisce indistintamente «instrumenta in chartis papyri vel
alio modo quam, ut predictum est, scripta ^», in linea giudi-
ziaria ed estragiudiziaria, ottenendo un' osservanza così piena
nella pratica che del materiale papiraceo proprio nulla è avan-
zato. Non si vede chiaro intanto quali possano essere le carte
scritte alio modo, poiché mancano elementi dimostrativi pel
contenuto di questa espressione interpolata. Il termine instru-
menta è associato altra volta ad alie cautiones ; ma si può iden-
tificare perciò tale dicitura coi documenti scritti in altro modo ?
Bisognerebbe ritenere che le cautiones si scrivessero su di un
materiale diverso dalla carta (charta papyri), tenendo conto
della differenza estrinseca enunciata dal testo e rifiutando
come inammissibile l' ipotesi che la stessa costituzione, cosi
provvida per la fldes dei documenti non cartacei, avrebbe poi
statuita la loro nuUità probatoria. 0 V ut predictum est si ri-
ferisce a tali cauzioni scritte alio modo, o vi si parla in gene-j
rale delle stipule eseguite su materiale diverso, ad onta che stai
bilisca poi analogamente : « que tamen in predictis chartis borni
bycinis sunt redacte scripture in predictis locis..., infra bien^
nium a die edite sanctionis istius ad communem litteraturai
et legibilem redigantur » *. Nulla però si dice delle carte memj
branacee, che continuarono a redigersi e ad affermare le antiche
1 Ivi.
* Ivi : « scripturis preteritis in suo robore duraturis ».
8 Ivi : « Ex instrumentis in chartis papyri vel alio modo, ut prc
dictum est, scriptis, nisi apoche vel antapoche, in iudiciis vel extra iudi|
eia nulla omnino probatio assumatur ». L'interpolazione contenente Tii
ciso controverso potrebbe anche essere una glossa introdotta nel teste
Ma tale ipotesi non può sostenersi per la mancanza di materiale dim<
strativo. Il Tamassia, L'ellenismo, 78, sostiene che i curiali « fedeli ali
tradizioni elleniche » avrebbero scritto, fino al X secolo, « gli atti su papiro(?)
che non resistettero alle ingiurie del tempo e degli uomini, come le cart|
pergamenacee »; Chiarito, 13 e sgg.; Meister, Grundriss, I, 31 e sg.
* Ivi.
— 203 —
prerogative dei curiali, mentre dei documenti scritti su qua-
lunque altro materiale manca ogni notizia dopo di allora^.
La norma eversiva più che raggiungere direttamente la co-
stituzione del collegio, colpiva Tesercizio di una tecnica, che
aveva resi arbitri della scrittura e della lettura degli atti i suoi
membri. Avendo già creata l'offìciatura del notariato regio e
domato il disordine preesistente nella regione, prescriveva la
uniformità grafica anche ai napoletani e inviava nella loro cit-
tà, come in pochissime altre, « quinque iudices et notarli»^.
Obbligati a trascurare il tradizionale modus scribendU che si
era serbato, impenetrabile agli estranei, quasi un monopolio
della loro casta, avrebbero dovuto seguire gli specimina dei
pubblici notai, e cioè da maestri dell'arte divenire discepoli,
con grande discapito della stima e della fiducia che godevano
nella città. Una temibile concorrenza facevano loro i nuovi in-
viati della Corte, i quali offrivano al pubblico un maggiore
credito, una grafia leggibile, che rendeva controllabile ogni atto,
equiparando la validità delle contrattazioni a quelle che si
facevano in tutti i paesi del Regno ^. Le loro nomine non pro-
cedevano più dai giustizieri o dai camerarii, ma direttamente
dall'Imperatore, il quale provvedeva in linea definitiva agli a-
busi commessi prima di lui : «Quos homines etiam sub tah cau-
tela decernimus promoventes ut nullus index vel notarius pu-
blicus, nisi sit de demanio et homo demanii, statuatur, ita quod
nulli sit servitio vel conditioni subiectus, nec aUcui alii persone
ecclesiastice vel seculari, sed immediate nobis tantum tenea-
1 Avanza memoria di documenti scritti prima d' allora in papiro detta
carta de tumbo o de fummo, Gap., II', 58, 98, 126.
* Conslilutiones, LXXIX : « In locis demanii nostri ubique per re-
gnum iudices non plures tribus et notarios sex volumus ordinari, civita-
tibus Neapolis, Salerni et Capue tantum exceptis, in quibus quinque iu-
dices et octo notarios esse volumus statuendos, in quibus fere contractus
omnes coram iudicibus et notariis celebrantur ».
» I primi documenti redatti da questi regi ufflziali a Napoli rimonta-
no al 1232 ed al 1235, Chiarito, 118, e confermano l'ipotesi che rimanda
l'applicazione di tali norme ad un'epoca posteriore all'assemblea di Melfi
(1231) ; Mayer, Bemerkungen, 44; Genuardi, La presenza del giudice, 53.
Qualche conferma della unificazione del notariato in tutti i paesi del Regno
si troverà anche in Costiluliunes, LXXXI.
— 204-^
tur ))^. Per tal motivo i curiali, in quanto erano al servizio della
municipalità e « subiecti » a consuetudini locali, venivano a
trovarsi fuori legge, ed a sostenere le sorti di un principio che
attingeva le fonti della sua stessa vita al diritto classico. Se non
tenebant da una persona ecclesiastica, erano per loro natura
contro il nuovo orientamento del demanio e contro il disposto
costituzionale, che li poneva nella dura necessità di sospendere
la rimunerativa pratica quotidiana delle stipule^. Diminuita
in tal modo la loro autorità e scossa la fiducia del pubblico che
in questo periodo appunto incominciava a roga,re i notai regi,
fino allora estranei alla documentazione napoletana, grave si
presentò loro la forza della nuova norma, al cui primo urto il
* Constitutiones, LXXIX, statuisce le modalità per l'elezione dei giù-
dici e dei notai « quos non ut olim a magistris vel camerariis, sed a nobis
tantummodo ordinari sancimus, preter indie em et actorum notarium
quos, ut prescriptum est, poterunt magistri camerarii ordinari ». Tra,
sforma anche altre magistrature, che avevano funzioni delimitate dal-
le formule elettive. « Cum nova nostri nominis statutum sit iudices de que-
stionibus cognoscentes per nostram celsitudinem debeant promoveri-
adiunctos et admezatores qui per privatorum consensus ad decidendas,
questiones in predictis locis Neapolis, Amalfie et Surrenti (et in circum^
stantibus) eligebantur hucusque, qui nullam aliam iurisdictionem habej
bant nisi que ab eligentibus conferebatur eisdem, in posterum eligi pr(
hibemus, sed per iudices tantum a nobis statutos coram eorum bajulis e^
compalatiis causas omnes examinari volumus et per sententiam terminarl
A quorum sententiis appellationes non ad compares vel adiunctos, ut
dictum est, sed ad celsitudinem nostram vel ad officiales nostros, carne
rarios, iusticiarios, sicut in reliquis regni partibus, deferantur : aibitrij
super rebus de quibus potest de iure in arbitros compromitti, propterei
non negandis »; Constitutiones, LXXXI. Si noti in quest'ultima parte comi
l'imperatore abbia colpito nel vivo una delle prerogative speciali dell'ori^
ginario ducato napoletano, nel cui ambito si trovano le due altre citU
ricordate dal testo, affermando il principio di perequazione («sicut in re
liquibus regni partibus »). Sull' orientamento di questi uffizi, Mayer,
114, Bemerkungen, 44; Niese, nella recensione alla Verfassungsgeschicht
del Mayer, in Zeitsch. fur. Sav. Stifi., XXXIT, 379; Trifone, Sulla redi
zione del documento, 1 e sgg.,; Genuardi, 18, 53.
* Nel testo greco delle costituzioni la frase : « nisi sit de demanio et
homo demanio », è tradotta : sì |iy) lev àvGpcoTtos xoD '/jiiYjtépoD Sonav^ou;!
Trifone, // testo greco delle costituzioni, 12.
205
curialato amalfitano ancora potente era scomparso del tutto ^.
Dal canto suo l'Imperatore, con l'abolire la scrittura^ decretò
la lenta scomparsa di questi notai, ma non ebbe il coraggio di
inimicarsi la fedeltà dell'antico Ducato bizantino e di rifiutare
del tutto l'opera di un instituto che aveva nelle mani le sorti
di tutti gli affari civili della città, arbitro della interpretato-
ne dei documenti e garante di tanti impegni contrattuali 2.
Si possono ritenere quindi come abrogate solamente in teoria
« ad tempus quo Fridericus imperator suas constitutiones in
regno edidit », le « rationabiles et approbatae consuetudines »,
poiché nella pratica curiale continuarono a regolare le proce-
dure e acquistarono un cosi rinnovato vigore da sostenere a
lungo le sorti della scuola. Finché non si terrà conto della li-
mitazione enunciata nella seconda parte del testo, apparirà
sempre inconcihabile il dissidio fra un tassativo disposto di leg-
ge e la resistenza che il collegio oppone ad esso, specie nei pri-
mi tempi ^. Mentre infatti si cerca di colpire in pieno la scrit-
tura, si ammette poi la necessità di redigere «infra biennium
ad letteraturam legibilem » i soli documenti in bambagina,
lasciando impregiudicata la sopravvivenza delle pergamene *.
Ecco perché di questo materiale, non rinnovato, né abolito,
avanza tanta copia negli archivi della regione. Bisogna rite-
nere che il mantenimento di un tale instituto non dipenda da
tolleranza dell'Imperatore 0 da tacito suo permesso, ma dal-
l'attaccamento dei cittadini alla consuetudine, per cui in ogni
^ Bresslau, 440 ; Mayer, I, 116; Chiarito, 115, riporta un docu-
mento di Ravello (1220) dal quale risulta che nel territorio del ducato
amalfitano la norma fu osservata « secundum edictum imperiale » e le carte
curialesche nel biennio furono rinnovate dai pubblici notai. Constitutiones,
LXXX, LXXXI, in cui mentre abolisce la scrittura antiquata e le speciali
magistrature cittadine, tace sulla sorte dei curiali.
" Innocentìi IV ep. fin Gap., Historia diplomatica, 22, datata 13 dicem-
bre 1251 e Indirizzata «Communi Neapolitano »; Schifa, Contese, 58.
■ Chiarito, 118 : «A noi è ignota la cagione per cui dopo 1' espresso
divieto dell'augusto Federico d'usaisi il carattere dei curiali fosstsi il me-
desimo continuato »; Cap., II, 112.
* Conslituliones, LXXX : « Que tamen in predictis chartis bombyci-
nis sunt redacte scripture in predictis locis... infra biennium a die edite
sanctionis islius ad communcm litteraturam et legibilem redigantur ».
— 206 —
tempo « ad curiales potius et confi dentius, quam ad alios no-
tarios recurratur » 1. Del resto gli stessi notai regi ammettono ^
alle prove, come persone degne di fede, i membri della schola e|
riconoscono loro il diritto di scrivere documenti destinati adj
avere validità probatoria e dispositiva^.
Il Mayer, sulla fede di un passo de 1 Napodano, crede che i?
curiali, dopo la costituzione sveva, fossero divenuti degli iudi-
ces e avessero partecipato a tutte le contrattazioni fra privati ^.
* Reg. ang. (perduto), 1288, f. 294, in Chiarito, 118, il quale ricordi
una disposizione eversiva di Roberto per la scrittura degli Amalfltaai,
Reg. ang. (perduto), 1313, XII indiz., f. 116 t.
« Chiarito, 116, riporta una e. securitatis, ora perduta, conchiusa fri
il monastero « de Cappellis » e quello di S. Maria di Positano il 12 nov^
1257, e stipulata da un notaio regio della città, in presenza del giudice^
V'intervengono l'abate del mon». di S. Gennaro « foris de Neapolis » Gi(
vanni Laczio « summiarca » della Chiesa maggiore e Pietro Jeiuno, curii
le e primario, in qualità di « arbitri, arbitratores et amicabiles composi|
tores », per l'attribuzione controversa di una terra a Baia. La lite si com-^
pone, ma a patto che « ad cautelam utriusque monasterii predictorui
confici debeant duo securitatis similia instrumenta Inter monasteria suij
pradicta, scripta per curiales Neapolis »
» Napodano, in ConsueL, p. 146, dice : 1» che i curiali provenivano
«de genere militum » e che occupavano un ufficio vaissimo ; 2° che intei
devano alla cosa pubblica per decidere iurgìa e per supplire airautoritl
del magistrato ; 3*> che essi occupavano la curia e i tabellioni la station
per cui il Mayer, I, 115 ritiene che tutti i giudici di Napoli eletti e aj
provati dalla corte rappresentino gViudices contraduum delle Constiti
tìones, LXXIX, ricorrendo anche qui al Napodano, in Consuetudines, 28f
il quale dice che «isti plurimum intendebant reipublicae circa iurgia deci
denda », riferendosi alle questiones che essi presenziarono in tutti i temp^
non già alla qualità esplicita di Ricbter, nata dopo l'eversione svevi
Manca qualunque conferma nei documenti per dimostrare « die Beteili
gung an den beiden Funktionen », che egli pur vede « offenbar ». Nelli
recensione alla Verfassungsgeschichte, il Niese, 379, obbiettava che noi
si può sostenere il carattere giudiziario dell'instituto, sopratutto percW
l'allegatio stessa nei gesta è assolutamente sfornita di tale fisionomia. M«
il Mayer, Bemerkungen, 44, rifiuta l'ipotesi che esclude 1' identificazior
del curiale col notaio, e, riferendosi alla giureprudenza romana e bizantini
ritorna per Napoli sulle stesse fonti citate, che cerca di sostenere col coi
fronto dei documenti veneziani. Anche ad Amalfi esiste 1' « iudex curialis
così diverso dal notaio napoletano. Del resto la coesistenza deìViudex e di
curialis primarius nello stesso documento del periodo svevo, ChiaritoJ
116, dimostra come siano rimasti profondamente diversi quei due pul
— 207 —
Erano sorte queste magistrature giudiziarie quando si volle
garentire nei negozi la piena osservanza delle norme legisla-
tive, per la sopravvenuta sfiducia nell'opera del notaio ; e rap-
presentano l'intervento del potere centrale, specie . nei terri-
torii longobardi del Mezzogiorno ^ Ma i curiali, funzionarli
di un municipio, che rifiutavano di accettare la legislazione
nuova, e, chiusi nell'antico formahsmo, trionfavano sulla nor-
ma imperiale per volere di popolo, non esercitarono mai un
tale controllo all' opera del collega rogato 2. Come testimoni
essi intervenivano per sostituire, con un senso di maggiore re-
sponsabilità, i semplici cittadini, senza perciò esercitare una
funzione giudiziaria ^ Mentre i giudici -emanavano diretta-
mente dall'autorità del sovrano ed agivano in suo nome, i cu-
riali restarono membri della schola civica, e per rendere validi
i loro atti dinanzi alle autorità dello stato, si facevano ricono-
scere dal re*. C è la coesistenza del documento notarile e di
quello curialesco, come osserva giustamente il Niese, ad eli-
blicl ufflziali ; Genuardi, 53. Lo Heineman, Stadtuerfassung, 12, altri
buisce le « Urtheiler » all'opera di uno 0 più impiegati municipali, i qual
non sono altro che i curiali, pigliando come punto di paragone Gaeta, ove,
come dice la Merores, 122, durante questo primo periodo, le attribuzioni
pei giudici « mehr dcnen unserer Notare entspreclien ». Anche la docu-
mentazione bizantina ci mostra esplicitamente dei notai che intervenivano
ai contratti rivestiti di potere giudiziario, SglL gr. m., n. 273, Ferrari,
I documenti, 16, 20.
^ Mayer, I, 104, 116, Bemerkungen, 45; Redlich, 19; Genuardi, 62
e sgg. Si possono trovare curiali investiti di funzioni giudiziarie special-
mente a Gaeta ed ad Amalfi, Camera, Ann., II, app., XXIII e sg.,
Heinemann, 13.
« Reg. ang. (perduto), 1288 C, f. 294 t. ; Niese, 379 ; Genuardi, 53
Erroneamerte I'Heinemann, Sladiverfassung, 23, parla della « richterliche
ThàtJgkeit der boni homines », riferendosi alle « e. combenientie », In cui
crede di vedere « der Klàger » e « der Beklagte».
• L' « instrumentum curialiscum » è redatto, come dicono 1 testi « se-
cundum usum Neapolis », MS., XX, 1639, NiSM., f. 591, 593, « secundum
mores et consuetudines civitatis Neapolis », Soc. stor., 9 AA, I, 6 e 7,
9 BB, III, 16, benché ricorrano spesso ricordi delle « constitutiones Impe-
riales, regales et papales », come di norme estranee alla pratica dei cu-
riales, MS., XXIII, 1943, XXIV, 1974, XXXI, 2599, 2650; Heinemann,
Stadtuerfassung, 39.
* Reg. ang., 1271, n. 12, f. 25, 1294 A, n. 72, f. 58.
— 208 —
minare qualunque dubbio sulla diversa natura dei due ufficii ^.
Vennero anche ultimamente identificati i curiali coi giurati
(turati), specie di agenti di polizia, che si trovano allora in tutti
i paesi del Mezzogiorno ; ma si attribuì loro il solo ufficio della
compilazione dèi contratti 2. Una tale ipotesi non trova riscon-
tro alcuno nella documentazione, e porterebbe assai lontano
l'instituto dalla sua origine. A provare che essi non ebbero liiai
funzioni giudiziarie, e cioè facoltà di discriminare la veridicità
di quanto forma oggetto dei contratti, basterà ricordare quel che
avveniva dei gesta, ritenuti privi di valore quando la parte in-
teressata riusciva ad attaccare la fides delle persone « de quorum
dictis et testificatione dieta instrumenta conf ecta sunt » ^. No-
tevole è un gruppo di atti nei quali si dice che i curiali « ncque
iudices ncque notarli non sunt », pur considerandosi, in virtù
della consuetudine «tàmquam si veri iudices et notarli fuis-
sent » *. Quando si sottoscrivevano fra i testimoni non agi-
vano in qualità di personae publicae, ma di privati, e pigliava-
no il posto tli quei cittadini literati 0 illiterati che intervenivano
nelle carte anteriori alla metà del sec. XIIP. Escludendo
^ NiESE, 379 ; Genuardi, 53.
" Genuardi, 10 e sgg. : « Il fatto che non troviamo durante il sec.
XIII in Napoli quegli «jurati» che si vedono stabiliti da Federico II ii
tutte le città ed i comuni dell'Italia meridionale, mi fa sospettare che
curiali nel periodo svevo e nel seguente avessero avuto quei poteri di po-
lizia che altrove ebbero i giurati, pur mantenendo l'ufficio di redigere gli
atti, abusivamente conservando fin quasi alla fine del sec. XVI » (per er-
rore tipografico forse, invece di XIV) « quelle forme grafiche nella scrit-
tura dei contratti, che Federico II, con la costituzione Consuetudine!
quam olim, voleva abolite ».
" Consuet, I, dopo avere determinata la procedura del dispositum,
dice : « Idem in ànstrumento quod Neapoli dicitur gesta ; salvo tamei
quod liceat volenti opponere contra id, quod in ipso instrumento, quo<
dicitur gesta, continetur, quod potest dici contra personas testium et
dieta, de quorum dictis et testifìcatione dictum instrumentum, quod di:
citur gesta, confectum est ».
* MS., XV, 1286, nel cui testo leggesi : «vobis obligavimus corar
illis curialibus subscriptis, tamquam si veri iudices et notarli de supra-^
scripto loco fuissent, sciens eos quia ncque iudices nec notarli non sunt ».\
Agiscono però sempre «tamquam persona publica », Soc. stor., 9 BB,
IV, 6 e 9 BB, III, 16,
* MS., XVII, 1383 bis ; NiSM., f. 151; Niese, 379 ; Genuardi, 53.
— 209 —
quindi che tali testimoni col collega rogato rappresentino un
Viermannerkolleg, rivestito di potere giudiziario, risulta evi-
dente che la garenzia che essi offrivano alle parti li indusse ad
attestare de suo proprio, anche quando figurano, tra gli ad-
stantes, maestri razionah della r. Corte e professori di diritto
civile, come Andrea d'Isernia o Bartolomeo Brancaccio^.
Molti documenti risentirono gli effetti della legislazione fri-
dericiana e furono trascritti « in letteraturam legibilem », per-
chè gli interessati vollero assicurarsene, attraverso la rinno-
vata veste scrittoria e procedurale, la piena validità giuri-
dica 2. Altre trascrizioi^i si ebbero, sempre in virtù della sacrae
* So e. STOR., Perg. di S. Domenico, XI, A, I, 383. A una permuta del
1291 intervengono i razionali e professori «juris civilis » Tommaso Sti-
lato e Andrea d'Isernia, MS., XXIV, 2058, e ad una vendita del 1324
anche come testimone, Bartolomeo Brancaccio « iuris civilis professor »,
XXXIV, 2859.
* Le renovationes, incominciano fra il 1234 e il 1235, MS, X, 876, NisG.,
f. 62 ; ma divengono più frequenti nel secolo successivo, Reg, ang., 1333-
1334 D., n. 294, f. 41, in cui il re con lettere patenti regola una copia :
«Antiquorum gesta in autenticam scripturam prò nostrorum fidelium
pieni mque cautela producimus et persepe ut rei geste memoriam tantum-
modo pateat per nostre scriptionis seriem renovamus ». PieJLro Crispano
nel 1333 esibisce un «puplicum instrumentum seu privilegium de curia-
lisca scriptuta confectum » del 1067, contenente grazie ed Immunità in fa-
vore del suo antenato Sergio Crispano. «Et quia scriptura ipsa erat com-
muniter sensibus innota legeniium, idem Petrus nobis supplicavit attentius
ut transferri ipsum privilegium sive scriptum in latinam linguam siue
scripturam non quod probatìo vel cautela aliqua exinde quomodolibet
assumatur, sed tantummodo ad claram et distinctam lecturam illius, ut
ad quandam ostensionem seu demostrationem, clarus de ipso legentibus
prodeat intellectus, mandare benìgnius dignaremur » Il re permette che
«predictum privilegium sive scriptum curialium llcterarum ..., subscri-
ptione munitum, per dictum Petrum.in nostra curia presentatum, tunc
corrupta gramatica et in stilo sive forma dicenti per certos curiales ci-
vitates NeapoHs iuratos ad hoc, qui de scripturis ipsis habent in legendo
et intelligendo experientiam satis notam, fìdeliter de scriptura curia-
lisca in latinam transferri et prescntibus annotare mandavimus. » E, nel-
l'atto che toglie validità probatoria alla copia sia giudiziariamente che
estragiudìziariamente, aggiunge: «set illam (scil. translationis paginam)
et has nostras licteras valere tantummodo volumus, ut ex Iraslatione pre-
senti legentium singulorum aspectibus concessa res pateat, et de gestis
preteritis illis notitiam presentis translate scripture claram et apertam
— 210 —
imperiales constitutiones per gli atti eseguiti durante il periodo
di Ottone IV, i quali, recando nella formola protocollare il no-
me di uno degV invasores reg'ni, andarono distrutti^. Tali copie
representet » Analogamente si ha per una renovatio del 1394, fatta nella
curia baiulare, di un istrumento « curialiscum in carta de coyro litteris
curialischis, iuxta morem et consuetudinem curialium Neapolis scriptum »
autentico, «ut dicti curiales eorum presenti testificatione iurata et re-
cepta dixerunt » La loro dichiarazione era fatta « coram eis (baglivo e giu-
dici) et testibus de verbo ad verbum per eosdem curiales expertos in ta-
libus, qui prestito prius corporali ad sancta Des evangelia debito iura-
mento » assicurano che può « autenticari, exemplari, insinuari et in pu-
blicam formam redigi, nihil in eo, mutato, addito, vel subtracto, per quod
facti substantia mutaretur, sed de verbo ad verbum, prout in eodem ori-
ginali instrumento continetur », Chiarito, 50, 51.
^ Nel 1235, per esempio, si rinnova una e. venditionis, che bisogna
attribuire al 1212, per la concorrenza della XV indizione coi nomi di Pie-
tro e Matteo curiali e di Giovanni primario, non che dell'uso di datare col
nome di Ottone IV. La trascrizione con le nuove formole croniche si fa-
ceva nel seguente modo : « Cum sacris imparialibus constitucionibus sit
statutum ut instrumenta tamen facta temporibus invasorum regni de-
beant inno vari, et eorum rem otis nominibus, titulo imperialis nominis
presigniri, coram nobis Stephano curialis curie huius civitatis Neapolis
et domino Gregorio Cimista curialis curie huius civitatis Neapolis eiusdem
presentibus aliis curialibus testibus infrascriptis ad oc specialiter convo-
catis et rogatis, videlicet domino lohanne Modiosolido, et domino lohanne
Sariperto, et domino Andrea Pulderico curialibus civitatis Neapoli, ve-
nientes ecc., abbas Cacapice S. Pantaleonis ecc., rogavit nos ut quoddam
instrumentum pertinens de ipsa ecclesia ecc., predicto tempore factum
scriptum per manus Ropertus scriptor, dischipulus quondam domini
Petri curialis istius civitatis Neapolis, sublato nomine invasorum reten-
tis in dicto anni et tempore, sibi facere innovar!. Nos vero actendentes
sacras imperiales constituciones, et in istas presentes ipsi vero domino
lohanni Cacapice ecc., vidimus et legimus coram infrascriptis curialibus
testibus, quod erat ex omni sui parti perfectu[m] et fìrmum, annos vero
ipsius instrumenti collegimus a tempore confectionis usque in die duo-
decima de mensis iunii de indictìone septima, quomodo preterita, anni
viginti unum, cuius instrumenti tenor, sublato nomine invasoris, per
omnia talis est ». Segue la copia che fu eseguita il 15 febbraio dell'VIII
indizione, durante il 15° anno di Federico II imperatore, il 38° di Sicilia,
il 2° di Napoli, il 10° dì Gerusalemme ed il 15° di suo figlio Enrico. C'è
un errore nel calcolo che il curiale fa degli anni trascorsi a tempore con-
fectionis : sono ventidue e non ventuno, come egli dice. Conta la chiusura
degli anni al 12 giugno, e rileva che, facendosi la copia prima di tale ri-
correnza, non è ancora compiuto il ciclo solare in corso. Dopo aver tra-
— 211 —
dovevano essere rifatte e «titulo imperialis nominis (scil. Fri-
derici) presigniri ))^. La renovatio, fatta « de verbo ad verbum »
e sottoscritta dagl'intervenuti, riportava la esplicita denunzia
del possessore dell'atto a due curiali, uno fungente da giudice
e un altro da notaio, in presenza di due altri che figuravano
« testes ad hoc convocati et rogati », perchè si assicurassero di-
rettamente che l'antico rogito «erat ex omni sui parte perfec-
tum et firmum » ^. Ricorre posteriormente la copia « in pu-
plica forma » e l'autentica, « nil addendo vel minuendo » di
« instrumenta » redatti «iuxta usum et consuetudinem Nea-
polis,- in lictera curialisca », presenti il giudice e i testimoni 3.
Era la parte che faceva questa presentatio estr agiudiziaria, ed
il magistrato che « legi faciebat » l'atto pubbhco *.
scritto Toriginale integralmente, vi aggiunsero : « Quod instrumentum de
verbo ad verbum renobatu[m], sicut superius legitur, et firmum scriptum
per manus [me]i Stephani curialis per indictione Vili » Si sottoscrivono
come testimoni i suoi colleghi Andrea e due Giovanni, e poi i due che
raccolsero la domanda fatta dal Cacapice : « Ego qui supra Gregorius
curialis, curie huius civitatis Neapolis oc instrumentum coram etc. inno-
vari, ab originali relevatum sicut superius legitur, post subscriptionis su-
prascriptorum testium et prò ampliore eius fìrmitate manus mea propria
subscripsi per indictione memorata octava. Ego Stefanus ecc. (come
sopra) compievi et absolvi per indictione memorata octava ». MS., X,
876. Solo in questo caso si potrebbe sostenere con vantaggio la tesi che
uno dei curiali, Gregorio, non testimone e non stipulante, abbia il ca-
rattere di un iudexy tanto più che tale magistrato è espressamente richiesto
dalla norma legislativa a rendere valida la renovatio. Un così eccezionale
impiego non si può confondere con la regola posta dal Mayer, I, 115. Vi
è un altra copia analoga in NisG., 62 fatta il 2 febbraio 1234. Riproduce
un atto del 22 giugno 1212, stipulato da Giovanni curiale. Intervengono
come testimoni alla renovatio Gregorio de Cìmina, Tommaso Moccia e
Riccardo, curiali ; fungono rispettivamente da giudice e da stipulante
Andrea Pulderico e Stefano Manco, curiali. Notevole la variante del for-
mulario « Cum vigore constitutionum sit statutum » al principio del do-
cumento. Si noti che tali copie non si facevano « in litteraturam legibilem »
ma in « lictera curialisca ».
• MS., X, 876, NisG., f. 62
- Ivi.
' MS., XX, 1601, in cui la parte « presentavit et legi fecit » all' « index
et testes » un atto curialesco che fu « exemplatum et in publicam formam
receptum, nil addendo vel minuendo »
• Vanno considerate anche tra le presentationes estragiudiziarie i
— 212 —
Tutto ciò dimostra che i negozii di qualunque specie si fa-
cevano negli ufficii di curia, e non in casa degl'interessati, e
si redigevano prima dal notaio « brevi forma » in una nota o
scheda fornita ordinariamente delle sottoscrizioni dei testimo-
ni 1. Lo scriptor ne traeva l'originale, la carta consimile, la « car-
ta recapitulata », la «e. recatati ba» e r«exemplar» ^. Pei casi
d'inadempienza previsti dai contraenti, i curiali, detti anche prò
parte curie stipulantes, sono indicati come coloro ai quali si pa-
gano le penali imposte nelle clausole comminatorie, perchè le
facciano pervenire alla corte regia o arcivescovile, o alla parte
designata ^.
Per quanto resistesse tutto intero il collegio alle vicende dei
tempi nuovi, sostenuto dalla fiducia del popolo, non potè sal-
vare intatta la somma delle sue consuetudini, che vanno len-
tamente trasformandosi, appena a Napoli compaiono i primi
regi notai a scrivere rogiti pei monasteri della città*. Già si è no-
tata la sostituzione dei curiaH ai testimoni dei secoli anteriori,
testimoniali che si rendevano in curia, MS., XXXIII, 2786, che contiene
V allcgatio di un atto di ultima volontà; MS., XXXII, 2675, in cui a pie
di pagina in gotico sono ricordati i nomi dei curiali che intervennero alla
compilazione di una nota venditionis : «in presencia domini Guindacii,
et domini lohannis Berrinis, et Nicolai Scriniarii, et Francisci Caradenti,
et Rogeris Marce ». Le presentazioni giudiziarie sono segnate anche in
gotico a pie del documento, sia che il procuratore esibisca gli atti alla « ma-
gna curia Vicarie », MS., XI, 921, XXXII, 2729, 2760, XXXVII, 3141,
Soc. STOR., 2AA, III, 75, sia che li esibisca alla curia arcivescovile, MS.,
II, 36 (119 ter), LIV, 4630. Talvolta il procuratore vi aggiungeva una
nota riassuntiva, MS., XLIII, 3693, ove, sotto la formola solita, » si legge :
MS., XV, 1281 : « venumdedi tibi ecc. ». Queste formole esibitive non
sono posteriori al sec. XIV, e si possono considerare quasi sincrone ai
testi. Mayer, I, 72, 115 ; Genuardi, 35
» Reg. ang., 276, f. 57t., 1336 F. (perduto), f. 186t., 320, f. 89t.
342, f. 9, 357, f. 9 t.. Chiarito, 102; cf. Hirschfeld, 42 e sg.
* Reg. ang. 32, f. 89 t., in cui il curiale Nicola Mantella confessa che
«pressus pondere senectutls testamentum ipsum scribendum seu ingros-
sandum commisit, ut moris est in dieta civitate, Francisco Sarache eius]
discipulo », il quale errò nella data dell'anno « dum illud scriberet in formam
publicam ; Gap., II», 115.
' MS., XXVII, 2239, XXIX, 245; NiSM., f. 499.
* Chiarito, 118, in cui sono ricordati i primi documenti di notai regi
fra il 1232 ed il 1235.
— 213 —
attribuita da alcuni per errore ad un nuovo ufficio giudizia-
rio che si esercitava nella capitale dell' antico ducato bizantino ^.
Qualche elemento nuovo si riscontra negli schermi diploma-
tici della seconda metà del sec. XIII, recanti nel protocollo
oltre le antiche note cronologiche di governo, Tuso esphcito
della cifra cristiana, e, nel testo dispositivo, le clausole rinun-
ziative, assolutamente insolite prima d'allora 2. Il Mayer, uti-
Uzzando un passo del Napodano, che ha un valore puramente
storico per le origini del curialato afferma che « die curiales
werden dabei zu Ende des 13. Jahrhunderts aus den milites
von Neapel genommen, wàhrend die tabelhones aus den nie-
deren Klasse stammen ^ )>. Fin dalla legislazione bizantina del
X secolo è fatto obhgo al curiale di indossare l'abito mihtare
(ècp£oip(^), donde potè nascere l'equivoco nel glossatore; ma non
risulta da altro elemento che appartenesse a una tale classe *.
È certo solo che si mantenne in vigore la consuetudine della
successione ereditaria^. Cresciuto il numero delle famighe che
godevano la prerogativa di partecipare al notariato civico, fino
ad un centinaio, raggiungono le promozioni per gradus et or-
dines individui appartenenti a tutte le categorie sociali ®.
^ Mayer, I, 115, Bemerkungeny 44; Niese, 379; Genuardi, 44, 53.
« Soc. STOR., 9BB, III, 16; MS., XXII, 188, Trifone, // diritto, 60.
" Mayer, I, 115; Napodano, in Consuet., I, p. 146: « sed certe illi cu-
riales non sunt proprii tabelliones : primo, quia alia flebant de genere mi-
litum; sed in tabellione secus, cum sit vilissimum cuius officium ».
* Nov. Leon., CXV : Nel 1303 trovasi ancora 1' espressione « repudìatus
est habitus a quondam... archiepiscopo neapolitano » usata per un discepolo
che non era stato ammesso alla curia « propter defectus eius aliquos »; Reg.
ang., 122, t. 266.
» MS., XXIII, 1943, XXXVI, 3029.
" Le seguenti famiglie godevano il privilegio di partecipare alle ca-
riche di curia: Aciapacia, MS., XXIV, 2025 bis, de domno Aczo, XXXVII,
3119, Affasciagallo, XXVI, 2195, Apucefalo, XX, 1601, Arcamone, XXV,
2072, Artusa, XXIX, 2451, Azzura, NiSG., f. 213, Barbozza, MS., XX,
1684, Bario, XLII, 3636, de Basento, XXXII, 2708, de Besanzio, XXVI,
2136, Bespulo o Vespulo, XXXI, 2654, Boccamusca, XXXVI, 3029,
Boffa, XXIV, 2058, Boniscolo, XLVII, 41 1, de domno Bono, XX, 1684,
Boccatorta, Soc. stor., 2 AA, III, 75, Cacamodio, MS., XXII 1799,
Cagnabacciolo, XIX, 1551, CajctanO; NiSM., f. 205, Cannuto, MS.,
XXXIV, 2859, Capuano, XXX, 2527, Caputo, Soc. stor., 9 BB, IV, 20,
— 214 —
Vi sono molti cittadini iscritti alla nobiltà napoletana antica,
come gli Arzura e gli Orilia, ricordati anche come militi, ed a
quella degli AientU come i Guindazzo, entrati verso la fine del
sec. XIII nell'aristocrazia di Capuana^. Uscirono anche dei
militi dalle case curiali degli Scriniario e dei Guindazzo. ^. Non
erano escluse famigUe di popolani delle Platee (i Pagniczato, i
Manco, gli Sparella e i de lacca) dal beneficio della carriera no-
tarile ^. Partecipando cosi alla « schola » tutte le classi della cit-
Garidente, MS., XXIV, 1988, Caritoso, XXXVIII, 3211, de Cimina,
XXVIII, 2369, Girilone, XXXIII, 2766, Coco, XXVIII, 2369, Contento,
XXXI, 2669, de Costanzo, NiSM., f. 145, Cozzalo, MS., XXII, 1809bis,
de Crimina, XXIX, 2416, Cupiano, NiSM., f. 158, Curbi, MS., XIX,
1546, Cutavino, LUI, 4572, de Eusebio, NiSM., f. 207, Faglila, NìSG.,
f. 8, Fellapane, MS. XLII, 3576, Ferula, LUI, 4572, de Filippo, XXVIII,
2357, Gado, XXXII, 2708, de Gaudioso, XXXI, 2670, de Goffredo, XXX-
VIII, 3258, Grassullo o Graccullo, XXXIII, 2786, NiSG., f. 144, Gruc-
cialma, MS., XXIV, 2031, Guindazzo, XXXII, 2675, laiuno, XIV, 1170,
de latta o de lacca, XLI, 3463, XLIII, 3693, de donino lohanne, NiSM.,
f. 155, luntulo, MS., XXIX, 2451, Laturre, XXXVIII, 3231, Lazaro o
Latro, XLI, 3464, XLV II, 4101, de Leta, XXXIII, 2826 bis, Longo,
XXXII, 2696, Macedone, XXXVII, 3132, Magnozia, XXVIII 2362,
f. 30, Malasorte, Soc. stor., Perg. S. Dom., XI, A, 3, 83, Mammulo,, iVzSG.,
f. 30, Manco, MS., XXIV, 2024, de domno Manso, XX, 1639, Mantella,
XXXIII, 2779, Marca o Masca, XXVII, 3111, 3114, Marino, XXXVII,
3119, Marogano, XXV, 2088, Maurella, XXX, 2572, de domno Mauro,
Soc. STOR., 10 AA, I, 2, Medico, MS, XXII, 1809 bis, Mincuccia, XXV,
2088, Modiosolido, XIII, 1098, Mormile, NiSM., f. 182, Mota, LV, 4818,
de Musca, XIV, 1220, Nubisca, Reg. ang. ; 101, 180, Oriczalma, Scritt.
dei SS. Pietro e Seb., f. 136, Orilia, MS., XVII, 1434, Pagniczato, NiSM.
f. 181, Pappacena, MS., XXI, 2615, Ponticarulo, Reg. ang., 96, f. 234,
de Porpora, XVII, 138 bis, Pulderico, XXVI, 2173, Purciano, XXIII,
1909, Rasato, XXXVI, 3029, Roncella, XXVI, 2173, Rubeo, Reg. ang.
10, 180, Saiperto, MS., XVIII, 1425 bis, Saraca, Reg. ang., 320, f. 89 t.
Scalense, MS., LUI, 4532, Scriniario, XXVI, 3069 ter, Sicenolfo, NiSG.,
t 328, Siliario, MS., XVIII, 1447, Spadaro, XXVI, 2195, Sparella o Spa-
sella, XXVI, 2163, Spati, NiSG., ì. 2, Spizzicacasu, MS., XIII, 1098,
de Tarento, XXIX, 2441, Zambictulla, XXI, 1741 bis,
1 Alicto, f. 36 t. 38, 42, 45; ms. Bolvito, I, 3, V, 28; ms. Di Sangro
f. 3 e sgg.; Soc. stor., XX, C, 30, f. 256 ; Summonte, III, 405 ; Schifa,
Contese, 28, 108, 159, 180
2 Alicto, f. 28; Camera, Annali, II, 211; Schifa, Contese, 80, 92.
3 Alicto, f. 43, Camera; Annali, II, 59 ; Schifa, Contese, 126. Un
de lacca « sutor caput artis » è ricordato nel Chronicon suessanum, 72,
— 215 —
tà, si perde quel carattere di esclusivismo connesso al posto
di pubblico uifiziale, e riesce possibile ai notai di raggiungere
posti elevati nell'amministrazione municipale e nel governo
cittadino ^. Gli altri membri non curiali di queste famìglie
sono di solito investiti di cariche giudiziarie o notarili, e sola-
mente in linea eccezionale si trovano alcuni fra essi nominati
collettori e sindici ^.
La città di Napoli che aveva concepito il disegno di sottrar-
si al dominio svevo « etiam ante Fridericum decessum », riacqui-
stò il ripristino delle « rationabiles consuetudines », quando
Innocenzo IV la chiamò a lottare 1' erede svevo del trono '.
Ritornavano da Roma medievale gli ultimi riflessi di una tra-
dizione classica ad influenzare la tardiva rinascenza della scuola,
contaminata da un un cinquantennio di adattamenti agl'insti-
tuti nuovi *. Dalla lunga lotta il corpo notarile esce scosso, ma
mentre nel Chronìcon siculum, 11 vien detto « aurifex », Badley, 410;
Schifa, o. c, 143.
* Alicto, f. 28 e sg.: Gap., Il pacium, 740 ; Schifa, Contese, 92, e sgg..
Nei primi anni del sec. XIV, si trova il curiale Paolo Cozzulo e tre altri
appartenenti a famiglie del suo rango (Guindazzo, Marogano e Cacamo-
dio), fra i « Sei probi aventi la cura speciale e la direzione del Consiglio
della Città », e più tardi s'incontra nella stessa magistratura un Cado e
un Russo (Rubeo ?). Bartolomeo Guindazzo nel 1257 « tenet » una terra
dal monastero di Positano, Chiarito, 117.
* Reg. ang., 141, f. 23 t., Nicola Rubeo notaio ; 365, f. 169, Cubone
Malasorte giudice; ms. Soc. stor., XX, C, 30, f. 11, Angelo Marogano
giudice. Schifa, Contese, 127, 108, 120 136, 197; Alicto, f. 29, 36 t., 42,
45 ; TuTiNi, 44, ricordano per esempio Cristofaro Marogano collettore
e un tal Leone della stessa famiglia investilo (1306) della carica sindacale.
Quest' ultimo funziona da curiale fin dal 1253, NiSG., f. 182, e nel 1307,
viene promosso primario, Reg. ang., 1306 T, n. 160, f. 202 t.
* Ep. Innocentii IV, comuni Neapolitano (13 die. 1251), in Cap., Hi-
storia, 22, archiepiscopis, ivi, 10. Il papa dà alla città «tutissimama et dele-
ctabilem libertatem » e rievoca le ordinationes.. inter milites et populares
civitatis seguite alla morte dell'imperatore. «Tra quelle probabilmente,
dice lo Schifa, Contese, 58, ebbe luogo il ripristinamento delle consue-
tudini ». Divenuto sovrano della città, il Pontefice dice : « rationabiles, con-
suetudines, approbatas dudum in civitate ipsa et paciflce observatas us-
que ad tempus, quo iamdictus Fridericus suas constitutiones in regno
edidit ».
* Trifone, Il diritto consuetudinario^ 60 : « Ancora una volta qualche
— 216 —
non discreditato ^. Cresce il numero degli scolari e dei praticanti,
in ragione inversa dei documenti, nei quali si va afferman-
do sempre più l'offìciatura regia, non tanto « quod probatio vel
cautela aliqua exinde quomodolibet assumatur », quanto per la
« Clara et distincta lectura » e per giovare « de ipso legentibus »
r intelligenza dei testi (« clarus intellectus ») 2. A nulla valse
il rispetto che ostentavano i curiali alle « constitutiones impe-
riales et regales » ed il riconoscimento del loro vigor negli affari
e nelle procedure, poiché la vita stessa della scuola emanava
dalla disconosciuta ed abolita vis consuetudinaria ^. Esiste-
vano ancora !'« instrumentum curialiscum » e 1' « i. notariscum »
a incarnare la coesistenza di principii antitetici: l'uno che affer-
mava l'autonomia municipale, l'altro che l'abrogava, senza riu-
scire effettivamente a distruggerla, in nome dell'autorità im-
periale e regia alla quale era informata *.
Si deve a Carlo II il riordinamento delle consuetudini che le
generazioni remote avevano trasmesse solo oralmente, e che
cosa delle costumanze longobarde entrava nelle consuetudini napoletane,
attraverso le leggi di Federico II »: Bouard, 291.
* Reg. ang., (perduto) 1288 C, f. 294, in Chiarito, 118 : « Cum in civi-
tate Neapolis publici notariatus et curialatus offlcium exercetur ad idj
diverso modo scribendi ; et ad curiales potius et confidentius, quam adj
alios notarios recurratur ecc. »
» Reg. ang., 1333-1334 D., n. 294, f. 41. Si faceva « fideliter » la tran-
slatio « de scriptura curialisca in latina », perchè quella grafia « erat com-
muniter sensibus innota legentium » e non poteva prestarsi : ad quandai
ostensionem seu demonstrationem ». Pel numero dei discepoli e dei prati-
canti, infra § Discepoli,
» MS., XXIII, 1943, XXIV, 1974, XXXI, 2599, 2650, in cui sonj
ricordate anche le «constitutiones papales ». Ma !'« instrumentum cu-l
rialiscum [est] confectum secundum usum Neapolis », MS., XX, 1639,
NiSM., f. 591, 593. Frequente è il ricordo dei «mores et consuetudinesj
civitatis Neapolis », Soc. stor., 9 AA, I, 6,7 ; MS., XXX, 2547, e dello^
« usus civitatis », MS., Vili, 669.
* Chiarito, 118 ; Trifone, // diritto ; 60, ritiene che « con 1' aver pa-
rificato, secondo speciali criteri, gli atti compiuti dai curiali con quelli
scritti dai giudici, a ciò delegati, si era venuto anche a riconoscere quel che!
aveva stabilito lo svevo, ed a tracciare una via di mezzo tra ciò che era!
stato imposto dalla legislazione di costui e ciò che era prima, e, in parte]
dopo di lui ». NiESE, 379.
— 217 —
fino agl'inizi del sec. XIV si prestarono a contradittorii inter-
minabili per gli abusi e gli spergiuri dei Napoletani ^. Col far-
1 II primo mandato di porre in iscritto le consuetudini è dei tempi
del principe vicario Carlo Martello (1293), il quale scrive «nobili viro Ro-
stayno Cantelmi, militi, capitanio Neapolis », che a lui « persepe pulsavit
auditum » la domanda degli « homines Neapolis regii fideles, devoti nostri »
affinchè « consuetudines civitatis ipsius, ad cautelam presentium et memo-
riam futurorum in scriptis, sub sigillo nostro redigi mandaremus ». E, vo-
lendo « de consuetudinibus ipsis plenius certificari » ordina che se ne affidi
la redazione ai Napoletani (« in numero oportuno ») più vecchi e più attac-
cati al bene della città e alla norma consuetudinaria, sotto la guida del-
l'arcivescovo. Reg. ang. 1291 )J( (perduto), f. 165, in Chiarito, 11 ; Reg.
ang., 101, f. 174, contiene un mandato regio del 14 luglio 1300 a Porzio
de Montilio, capitano di Napoli, perchè rendesse pubblica l'imposizione
fatta dalla Corte all'università «ut infra quindenum spacium a die tue
{scil. capitanei) jussionis in antea computandum, eligat duodecim vite ac
opiniones electe discretos atque instructos in talibus, qui una cum ve-
nerabili ipsius civitatis antistite, consiliario et familiari nostro dilecto,
quem salutis et status prosperi ipsius civitatis et civium novimus ama-
torem, usque per totum mensem decembris futurum quartedecim indic-
tionis, ad tardius, omnes veras, antiquas et approbatas consuetudines
universitatis eiusdem, quas, ex concordi proborum virorum testimonio
vel alia probacione legitima, reperiri poterunt ». Il 3 dicembre successivo
il re informava Guglielmo de Recuperanzia, « de vicecomitibus Pisanis »,
milite capitano di Napoli, e consigliero « quod prefixum terminum per nos
datum per totum mensem decembrem unius quartedecime indictionis,
ad tardius, Neapolitanis civibus ad conscribendas in designatis volumi-
nibus consuetudines approbatas, antiquas et veras universitatis eiusdem »,
rimaneva prorogato «usque ad proximum futurum festum Resurrectionis
Dominice », Reg. ang. 1300-1301 B., f. 151 t. ; Minieri Riccio, Studio,
82. Non può dirsi se tali studi preliminari sulla codificazione delle con-
suetudini andassero falliti o continuassero ininterrottamente fino al
1306, quando cioè si effettuava il regio mandato ; Trifone, // diritto, 5.
Vien riprodotto un diploma di quell'epoca, proemio di due consuetu-
dini, nel quale il re lamenta l'abuso, l'incertezza e la varietà di queste
norme orali, e dice che « dum in emergentibus causis allegatur interdum
consuetudinis longaevique usus auctoritas, ad contrarium obiicitur alia,
in elisionem primo propositae ». Per discriminare gli usi veri ed antichi
da quelli falsi ed arbitrarli si obbligavano le parti ad addurre testimo-
nianze ; ma « dum fit plerumque utriusque probatio et consequentia ne-
cessitatis implicitae, tecta veritate sub modio, periurii reatus incurritur,
et veritatis perplexitas intricatur ». Chiarito, 10, Pecchia, III, 266,
GiANNONE, IV, 355, Schifa, Contese, 99; il quale crede che le querele
alla Corte regia siano da attribuirsi alle persone maggiormente danneggiate
dall'abuso, piuttosto che all'intera università.
Anno XLV. 15
— 218 —
le mettere in iscritto le sottraeva alle incertezze di arbitrarli
enunciati, sostenute in forme diversissime dai causidici e dai
litiganti, eliminando tanti errori quodidiani, che portavano
differimenti e complicanze giudiziarie, non che difformità ne*
verdetti \ Fece raccogliere « consuetudines omnes et singulae »
accettate per vere con testimonianze « de civibus antiquioribus,
et fidehoribus, et consuetudinibus ipsis magis instructis et ip-
sius civitatis statum bonum zelantibus » e con altre prove *.
Affidò taU indagini all'arcivescovo FiUppo Minutolo e a dodici
uomini « ab universitate eligendis », i quali le raccolsero tutte
« in uno volumine » e le divulgarono « pubUce » (1306), avendo
il re attribuita ad esse forza di legge ^. La norma scritta sor-
* Nel diploma posto avanti alle due consuetudini, Chiarito, 11, si
legge ; « Ex quibus utique quotidianis enoribus, differuntur iudicia, offen-
ditur veritas, lites crescunt, et oriuntur, et incidunt animorum et corporum
quotidiana discrimina. Pecchia, III, 266, Giannone, IV, 355, Schifa,
Contese, 99.
* Reg. ang.y 154, f. 213 t. e sg, 1291 ^, (perduto), f. 165, Proemio alle^
Consuetudini, in cui il re, nel constatare il ristabilimento della verità
della giustizia e la soppressione dell'arbitrio nel citare norme contradit-|
torie, dice che ha fatto raccogliere «in seriosam script uram... infra pre-
fìxum terminum... omnes veras, antiquas et approbatas consuetudines
civitatis... quas, ex concordi proborum virorum testimonio vel alia pro-J
batione, ipsi reperir! valerent », Chiarito, 11; Schifa, Contese, 99; Tri-
fone, // diritto, 5.
" La compilazione ebbe luogo «per venerabilem patrem... antistite!
civitatis et duodecim viros vite ac opinionis electae discretos et inH
structos... ab universitate eligendos ». Presentate a lui le consuetudii
« in scripturam redactis », insieme col « voto et communi consensu uni-
versitatis », perchè le giudicasse e le ritenesse « per authoritatem appro-
bationis... obnixius roboratae », furono esaminate e accolte come il
prodotto della « communis concordia civium et rationis approbandac
censura ». Nonostante tale dichiarazione il re, toltene alcune e « qui-j
busdam declarationem congruam additis », ne affidò la redazione ultimai
al protonotario Bartolomeo di Capua «in stylo dictaminis eorumdemj
civium », raccomandandogli di conservare « magis proprie... usualia
verba », e statuendo : « auctoritatis nostre comprobate iudicio, in dieta]
civitate Neapolis eiusque districtu, in iudiciis et extra iudicia vim legunij
obtineant, et robur consuetudinum approbatarum ». Ad assicurarci che!
il testo delle consuetudini giunto fino a noi non sia l'originale compilazionej
dei dodici probi, presieduti da Filippo Minutolo, ma quella rimaneggiati
dal protonotario, basterà ricordare il diploma del Reg. ang., 154, f. 213 t.
— 219 —
prese la scuola napoletana nella sua ultima fase, e segarentiva
la legalità degli atti curiali, lasciava inalterati gli arcaici sche-
mi e le procedure inadattabili ai nuovi bisogni del pubblico ^.
Anche per la nomina di coloro che erano promossi dai gradi
inferiori a queUi superiori del corpo notarile interveniva allora
r autorità sovrana, quasi equiparandoli ai regi uffiziali ^. Con-
tinuava V universitas civitatis ad eleggerh, ma il suo atto rima-
neva una teorica affermazione di ■ autonomia, che doveva es-
e sg : « Sane consuetudines civitatis Neapolis disgregatas et dubias, sub
nuUius complicatione congesta, quibusdam detractis, aliquibus additis
per declarationis opportune sufiragium, in uno volumine compilali man-
davimus ». Per dare pubblicità alle consuetudini ne inviava copia all'ar-
chivio della R. Corte, al Capitano della città, ai baglivi e giudici, all'ar-
civescovo, perchè l'avesse custodita « perpetuo in Thesauro Ecclesiae »,
e al « librorum stationario civitatis », Reg. ang. 154, f. e, 157, f. 183 t.,
ove si legge: «volumus igitur... quatenus, congregata universitate Nea-
polis, edictionem dicti voluminis divulges publice, ac ex more serves te-
naciter... et facias per alios observare »; ivi, f. 184, in cui il re dice: «ut
earum veritas, cum casus exigit, se patenter exhibet, recensque memoria
per excursum revoluti temporis non decrescat, cuius compilati voluminis
seriem multiplicari provise fecimus in diversis locis diligentius conser-
vandum, ut eo potius eius certitudo permaneat, quo pluribus locis ipsa
fuerit patefacta », Chiarito, 12 ; Trifone, // diritto 7, ritiene che nelle
consuetudini « su uno strato di norme romane se ne trovi uno di diritto
.giustinianeo, che alle volte si confonde col primo » e, su tutto ciò « spunti
qualche germe di diritto bizantino e qualche germoglio di usanze stra-
niere, il quale riuscito ad infiltrarsi, attraverso la legislazione sveva, più
che direttamente, di tratto in tratto apparisce e si assoda »; cf. Pitzorno,
// diritto, 16.
» Chiarito, 10 e sgg. ; Cap., II* 112; Trifone, // diritto, 8,60: «Per
gli atti curiali si oscilla fra gli antichi privilegi difesi dagli Angioini e le
riforme fridericiane »; da un pezzo le formole si sarebbero ridotte a
ben poche, e liberate « da quei vincoli e da quelle sacramentalità proprie
- dell'antico formalismo romano e germanico ». Nella parificazione degli
atti curiali a quelli dei regi notai e giudici, per quanto la diversità di for-
mole sia rimasta, egli vede « ancora una volta qualche cosa delle costu-
manze longobarde entrare nelle consuetudini napoletane, attraverso le
leggi di Federico II ».
• Questo intervento dell' autorità sovrana si trova nei documenti fin
dai primi anni degli angioini, Reg. ang., 5, f. 182 t., 15, f. 90; Trifone,
60 ; ma si rìconnette alla legislazione sveva, Constitutiones, LXXIX, in
cui appunto si riverbera la equipollenza dei curiali e dei notai.
— 220 —
sere omologata da una lettera patente per divenire esecutiva^.
Il curiale si sceglieva fra i Napoletani (concives) devoti alla
Corte, e la sua idoneità all'esercizio professionale, non che la
« fides, legalitas ac sufFicientia », dovevano essere garentite da
un pubblico testimoniale scriptum dell'assemblea elettiva in-
viato al re 2. Prima di prestare il giuramento il candidato so-
steneva un examen per essere riconosciuto « ad ipsum officium
suffìcientem » ^ Spettava al giustiziero o al capitano della cit-
tà indire le elezioni, che avevano luogo nel palatium presso
S. Paolo, e più tardi in S. Giovanni maggiore, presenziare un
cosi importante atto deUberativo ed assicurarsi della perfetta
osservanza delle procedure vigenti *. Si recava quindi il can-
^ Reg. ang., 46, f. 109, pare che 1' elezione sia affidata ai soli curiali.
Per la indispensabilità dell'intervento sovrano, cf. Reg. ang., 122, f. 266,
nel quale si affermano però i diritti dell' « universitas » ed il valore di tale
«disciimen» sulla decisione delle controversie, che potranno eventual-
mente sorgere in avvenire.
'^ Reg. ang., 46, f. 109, in cui mercè il solito formulario viene investito
della carica Pietro Pappacena, con lettera patente del 23 febbraio 1303 ;
ma verso la fine di aprile dello stesso ann), Reg. ang., 122, f. 266, essendosi
alla R. Corte «graviter... oblata petitio » ^ universorum curialium seu
notariorum curialis ritus civitatis Neapolis » circa la illegale sua elezione,
per avere, « subreptitie », ottenuto il pubblico esercizio, « contra modui
et formam in hoc solitos et antiquos », gli fu proibita la pratica professi(
naie dal capitano della città. Questo diploma dimostra anche la necessit
per il neo eletto di avere 1' « autoritatis assensus » dell'arcivescovo e II
parte prevalente, se non unica, dei curiali alla scelta del candidato : «
ceteribus curialibus memoratis temere presumpsit, diebus proximis,.;
se in cuiialem publicum, propter obreptionem, facere eligi ». Nella compi
lazione del « publicum testimoniale » si risente la diretta influenza dell^
legislazione sveva, in cui appunto, per la elezione dei giudici e dei noti
si richiedono le « littere testimoniales hominum ipsius loci » nel quale de
vono esercitare la loro carica, Constitutiones, LXXIX
» Reg. ang., 65, f. 113, f. 265 t. Non è altro che 1' « examinatio ai
tem litterature et etiam iuris scripti », che l'imperatore aveva riservate
« examini » della sua Corte, Constitutiones, LXXIX.
* Reg. ang., 202, f. 172 ; Chiarito, 21 ; del Giudice, Codice, 1, 150j
Schifa, Contese, 100, stenta a credere che l'università si raccogliesse
sedi stabili. Per la equiparazione della procedura elettiva di questo p<
riodo con quella della legislazione sveva, cf. Constitutiones, LXXIX, dovi
è tolta la facoltà ai giustizieri di « ordinare » i giudici e i notai, essend^
questo diritto riserbato al re.
— 221 —
didato alla Corte regia col «laudabile testimonium », e prestava
« corporaliter » il giuramento « fidelitatis et de officio exer-
cendo », dopo essere stato talvolta « examinatum utique ad
ipsum offìcium et sufficientem inventum » ^. Il re « conce-
debat », con lettera patente indirizzata « universis hominibus
civitatis Neapolis, fidelibus regis, devotis suis », di fargli indos-
sare Vhabitus, di assumerlo in servizio « tamquam curialem no-
strum » ovvero « publicum » ^. Questa notifica non solo è in
» Reg. ang., 123, f. 373 t.
' Si conservano oggi molte di queste lettere patenti : Reg. ang., 10,
f. 180, «prò Guillelmo Ferula», «prò lohanne Ferula», «prò Petro Spada-
io », « prò Lauro Domnibono », « prò Tomasìo de Saponto », « prò Enrico
Cagnabatiolo », « prò Rogerio Masca », « prò Henrico Nubisca », « prò
Georgio Rubeo » ; 15, f. 90, « prò Robbino de Musco » ; 26, f. CCIIt.,
« prò lohanne Sparella » ; 12, f. 25, 192, « prò Raffaldo Cado ; 72, f. 58,
« prò lohanne Lazaro », « prò Thomasio Boffa », « prò Philippo Coco » ;
170, ff. 80, «prò Pace Magnolia»; 80, f. 295 t. «prò Ansaldo Spatario »;
96, ff. 234, 240, « prò lohanne Ponticarulo », « prò Matheo Roncella »,
II, f. 88, «prò lohanne Buccartortio »; 101, f. 386 t, «prò Philippo Buc-
catortio »; 46, ff. 109, 111, « prò Antonio Morimile », « prò Petro Papa-
cena », « prò Nicolao Scriniario de Neapoli » ; 123, f. 265 t. 373 t, altre
patenti « prò Antonio Morimili », « prò Petro Papacena », « prò Nicolao
Scriniario de Neapoli » ; 160, f. 190 t. « prò Matheo de Costantio » ; 164,
f. 354 t., «prò Nicolao Gruccialma » ; 164, f. 351, «prò Neapolitano Ar-
zura », « prò Petro Vespulo », « prò Petro Masca », « prò Francisco Pannic-
zato », « prò Francisco Caridente », « prò Martutio Cimino » ; 202, f. 172,
« prò Nicolao Cannuto », « prò lohanne Gruccialma », « prò Marino lun-
tulo »; 175, f. 228, «prò Matheo Buccamusto »; 332, f. 28 t. «prò Nico-
lao Caputo » ; 200, ff. 224, 225, 243, «prò Rogerio Marca », «prò Stephano
de Constatio », « prò lohanne de domno Aczo », « prò lohanne luntula »,
« prò lohanne Coczulo », « prò Petro Fecula », « prò Petro de Gaudioso »;
217, f. 364 t., «prò Nicolao Mantella»; 247, f. 288,» «prò Francisco de
Mantella»; 255, f. 138 (CLXXVIII), «prò Thomasio Gruccialma»; 259,
f. 172 t, «prò Philippo de Leta » ; 275, f. 85, «prò Andrea de Costantio »
t prò Landulfo Scriniario », « prò Petro Macidono, dicto Murrono », « prò
Leonardo Lazaro » ; 297, f. 45, 70, « prò Francisco de Goffrldo », « prò
Petro Mascha de Neapoli»; 320, f. 264 t. 266 t, «prò Petro Grassullo »,
«prò lohanne Cannuto»; 325, f. 233, «prò Marino lunlulo ; 327, f. 174
t., «prò Martuccio Arsura»; 333, f. 124, «prò lacobo Bespulo », «prò
lacobo Mascha ». La enumerazione di questi mandati regi è stata fatta
secondo il loro ordine cronologico. Sì ripete sempre lo stesso formulario
« Karolus (o altro successore) Dei gratia Sicilie, ducatus Apulie ecc., uni-
versis hominibus civitatis Neapolis, fidelibus suis, gratiam suam et bo-
— 222 —
rapporto con l'assemblea che ha designato il neo eletto alh
Corte, ma determina la circoscrizione nella quale il novello uf-
fiziale esercita il suo mandato i. GH è concesso di provveder
« omnibus quae ad curialatus spectant officium », e non ad al-
tro (« ad honorem et fidelitatem nostram et heredum nostro-'
rum de cetero recurratis ») 2.
Nel 1294 si mette per la prima volta in evidenza la parte
cipazione di due curiali alla pubblica appreziatura, e cioè al-
l'ufficio che si occupava della misura dei fondi rustici ed uri
bani secondo il sistema metrico locale^. La fides del coUegic
nam voluntatem. Noverit universitas vestra quod nos concivem vestrui
de cuius fide, legalitate ac suflfìcientia ad publici curialatus offlcium, p<
testimoniale publicum scriptum universitati vestre, in nostra curia preseni
tatum laudabile testimonium curia ipsa recepit, examinatum utique ac
ipsum offlcium et sufflcientem inventum, vobis in publicum curialem n(
strum, recepto prius ab eo solito fidelitatis et de officio exercendo fidelitc
corporaliter iuramento, duximus tenore presentium concedendum fid<
litati vestre precipiendo mandantes ad eundem NN., tamquam ad curii
lem publicum per nos vobis concessum et de omnibus que ad huiusmo(
publici curialatus offlcium pertinere, ad honorem et fidelitatem nostram
heredum nostrorum de cetero recurratis. Datum Neapjoli... die... i
dictionis ». Basta richiamare la legislazione fridericiana relativa alla eie
zione dei giudici e notai per vedere come il sistema elettivo sia precisa^
mente quello voluto dall'Imperatore svevo, Constitutìones, LXXIX : « Prc
dicti autem tam iudices quam notarli, cum licteris testimonialibus he
minum loci ipsius in quo statuendi sunt, ad presentiam nostram vel eìi
qui vicem njstram, in absentia nostra in regno universaliter procurabit, ac
cedant. Que littere testimonium fides et morum iudicis vel notarli statuer
di continere debebunt, et quod in ipsius loci consuetudinibus sii instrudm
Examinationem autem litterature et etiam iuris scripti examini nosti
curie reservamus »
» Gli « universi homines civitatis Neapolis » in altri termini non soM
rappresentano il corpo elettorale che ha designato il nuovo curiale, per mez|
zo del collegio notarile, Reg. ang., 46, f. 109; bensì « homines loci ipsius
quo statuendi sunt», Constitutiones, LXXIX.
■ Reg. ang., 72, f. 58.
* L' « extimatio » divenuta servizio pubblico in tutto il regno di Slj
cilia, DuRRiEU, I, 89; Cadier, 23, 45; Schifa, Contese, 101, era prerogs
tiva inerente alla carica notarile civica, nei tempi anteriori, quando cioj
essa non aveva finalità tributarie, ma semplicemente edilizie oagro nomi
che. Fin dal tempo ducale si ha notizia degli appretiatores, Mon. sopp.,
44, NisS, n. 787, RNAM., Ili, 178, Gap. II, 188. I curiali adoperavano
— 223 —
era stata fino allora sufficiente garenzia alla esattezza con cui
si eseguivano tutte le formalità volute dalla consuetudine e de-
signava con un ordine interno le persone destinate a certi ser-
vizi speciali 1. Giacomo Cozzulo, presentandosi al re col « pu-
blicum instrumentum universitatis », assicura che da tempo an-
tichissimo si eleggevano due curiali alla carica di appreziatori
per le funzioni estimatorie che la curia cittadina esercitava
sulla proprietà privata 2. Tale ufficio per gli accertamenti delle
misure agrarie cade allora sotto la giurisdizione dell'autorità
sovrana, per opera del nuovo eletto, che non si doveva sentire
abbastanza sicuro nel posto assegnatogli dalla «universitas»'.
Con lo statizzarsi completo del servizio notarile civico vien sot-
tratta anche la scelta degli appreziatori all'arbitrio dei curia-
ìì e creata come una nuova carica alla quale potevano perve-
nire tutti i curiali della schola*. Nel richiedere la ratifica
al « publicum instrumentum », Giacomo Cozzulo viene inve-
stito dell' « officium loco patris sui », per la specifica compe-
tenza che aveva « in certis articulis qui inter [homines civitatis
NeapoHs] occurrunt » ^. Pur riconoscendo la sopravvivenza
della successione ereditaria nella carica, non si deve però in-
tendere che un tal principio valesse solo pei discendenti di co-
loro che esercitavano lo stesso ufficio; ma in generale per qua-
lunque figlio di curiale idoneo alla pratica dell'agrimensura*.
« passus f erreus » della chiesa di Napoli e le misure di capacità che compa-
iono nei numerosi documenti napoletani, Summonte, 348. Erano anche
competenti nell' appreziatura alcuni « probi viri, experti in tali bus », Reg.
ang., 351, f. 51. t.,
* Per la statizzazione di questo servizio e per la sua speciale funzione
unificata in tutto il regno. Camera, Ann., II, 32, 126.
* Reg. ang. 53, f. 199, in cui il principe vicario dice : « venit ad presen-
tiam nostram lacobus Coczulus, curialis Neapolis, concives noster, devo-
tus noster, et asserens nobis esse ab antiquo et pristino solitum duos appre-
tiatores habere i> ; Alicto, f. 28; Gap., // pactum, 740; Schifa, Contese, 92,
in cui s'incontra Paolo Cozzulo nel consiglio dei « Sei probi »
« Reg. ang.y 160, f. 204; questi curiali sono promossi «tamquam ap-
pretiatores » regi.
* Reg. ang.y 261, f. 222.
* Ivi.
* Ivi, Giacomo Cozzulo « admicti se ad dictum offlcium loco lohannis
— 224 —
Contemporaneamente restano ben distinti i due titoli nella
stessa persona, che, in quanto provvede al disbrigo delle pra-
tiche notarili, vien detto curiale, e, in quanto funziona per Vex-
timatio, piglia il nome di appreziatore^. Viene cosi a mancare
il principio pel quale i singoli individui della schola agiscono in
nome di tutta la corporazione. Non si avvantaggiava più la
collettività municipale del monopolio estimatorio, ma solo i
due membri designati per elezione, i quali, liberi dai vincoli
consuetudinarii, sono a disposizione delle magistrature citta-
dine^. Conservavano gli appreziatori il solo privilegio di es-
sere scelti fra i napoletani appartenenti alla « schola » e di a-
vere un campo di azione assai più vasto dei loro colleghi no-
tai^. Alcuni di essi anzi si trovano come componenti di una
Coczuli patris noviter vita functi unius videlicet de duobus eiusdem sup-
pliciter postulavit », ponendo questo principio come un titolo di prefe-
renza per la sua promozione. Con la stessa motivazione Paolo Cozzulo è
investito della carica di appreziatore il 20 agosto 1307, Reg. ang., 164,
f. 354. Qualcuno degli ufficiali si trova invece promosso, non pel principio
ereditario, ma « ad utilitatem civitatis », Reg. ang., 261, f. 222.
^ Erroneamente il Chiarito, 40, li considera ancora come ufficiali del-
l'università, mentre essi rappresentano invece gl'interessi dell'erario re-
gio, come si trovano in altri luoghi del Regno, Camera, Ann., II, 126; Mi-
NiERi-Riccio, Della dominazione angioina, 10, Schifa, Contese, 101; Un man-
dato di Roberto, Reg. ang., 261, f. 222, stabilisce « quod nullus alius civi-
tatis prefate (sciL Neapolis) dictum officium absque nostro speciali man-
dato, debeat exercere, nisi hii qui per universitatem prefatam fuerint electi
et per nostras literas confirmati. »
* Anche V intervento dell' università aveva perduto ogni valore pra-
tico ed era rimasta mera affermazione di un diritto storico, tanto che erano
sempre necessarii 1' « examen » e la patente sovrana per autorizzare il neo
eletto a praticare un tale ufficio, Reg. ang., 160, f. 204. Il loro lavoro si
compiva fuori della curia cittadina, Durrieu, I, 89; Cadier, 23 e sg.; Del
Giudice, Codice, II, 253, Schifa, Contese, 102, 105.
" Reg. ang., 164, f. 204, 354 : « Robertus etc. Universis hominibus ci-
vitatis Neapolis fidelibus regiis devotis suis etc. Venit ad presentiam no-
stram Paulus Coczulus curialis de Neapoli, concivis vester, devotus no-
ster, et asserens vobis esse ab antiquo et pristino solitus duos appretia-
tores habere quorum judicio in certis articulis qui Inter vos occurrunt prò
tempore infierente admicti se ad officium ipsum, loco lacobi Coczuli, fra-
tris sui, noviter ut posuit vita functi unius videlicet de duobus eisdem sup-
pliciter postulavit, quia ergo per quoddam instrumentum puplicum uni-
versitatis vestre quod dictus Paulus nobis in curia prese ntavit de fide le-
— 225 —
magistratura collegiale stabile, che appare a Napoli nel 1309,
composta di « sei probi aventi la cura speciale del Consiglio della
città » ^. Questa partecipazione al corpo civico si riconnette
con l'incarico prettamente tecnico che i suoi membri ebbero da
principio di sopraintendere alla edilizia di Napoli ^. Il nome di
Paolo Cozzulo curiale ricorre appunto nel divieto fatto a Man-
fredello Milloso di costruirsi una casa nella contrada Porto,
presso il mare^
Posteriormente qualche curiale cumulò anche la carica di
giudice, e, dopo avere ricevuto la totahtà dei suffragi, in virtù
di « decreta » municipah, contenenti « testimonia laudedigna »,
si fece promuovere « appretiator et extimator » « ad utilitatem
civitatis Neapohs » *. Non era immesso nella carica come tutti
galitate ac sufììcientia eius electi per vos ad idem oflflcium laudabile te-
stimonium prohibetur, nos accepto prius ab eo solito fldelitatis et de huius-
modi appreciatorio officio exercendo fideliter corporaliter iuramento, eun-
dem Paulum in appreciatorem loco memoria unius de duobus predictis,
vobis duximus, auctoritate qua fungimur, tenore presentium conceden-
dum, devotionis vestre mandantes quatenus ad dictum Paulum, tan-
quam ad appreciatorem vestrum in dictis articulis, de omnibus que ad ip-
sum appreciatorem spectant officium, ad honorem et fidelitatem regis in-
cliti domini patris nostri heredumque suorum fiducialiter de cetero iuxta
solitum recurratis. Datum Neapoli, per Nicolam Fricziam de Ravello etc.
Anno Domini mcccvii., die. xx. augusti, . v. indictionis » jRe^. an^., 153,
f. 19, 374, f. 430 t., in cui è detto che il curiale è competente nell' apprezzo.
Chiarito, 40 e sg.; Schifa, Contese, 101.
* Questa ipotesi messa innanzi la prima volta in modo alquanto oscuro
dal SuMMONTE, I, 165, è combattuta da scrittori posteriori. Gap., Circo-
scrizione, 19 e sg. ; DuRRiEu, I, 89 ; Cadier, 23; Del Giudice, Codice, II «,
253 ; Schifa, Contese, 101, 105, i quali invero si fermano a discutere la par-
tecipazione delle classi sociali al Consiglio dei « Sei probi », ma non le ana-
logie fra la nuova magistratura civica e l'ufficio dell'* extimatio ». Nessuno
infatti può escludere, la parte che ebbe il curiale Paolo Cozzulo al primo
gruppo dei «sei» che si formò a Napoli, Reg. ang., 180, f. 46, Alicto
f. 28. Agevolano la identificazione degli estimatori con questi speciali com-
missari per gli apprezzi, che furono fatti nel sec. XIV, 1 sgg. docc: Reg.
ang., 200, f. 20 t., 276, f. 84 t., 268, f. 64 t., 263, f. 53; Chiarito, 41.
» Summonte, I, 164 ; Schifa, 92 ; Reg. ang., 200, f. 20 t. 276, f. 84 t.
268 f., 64 t, nei quali si trovano costituiti questi collegi edilizi, secondo le
consuetudini napoletane.
» Alicto, f. 28.
* Reg. ang., 261, f. 222.
— 226 —
gli altri, ma con la forinola : « universitati vestre preci piendo
mandamus quatenus ad eundem iudicem, curialem et appre-
tiatorem, per nostrani maiestatem, vobis (sdì. «hominibus
civitatis Neapolis») concessum in omnibus que ad huismodi
officium spectare noscuntur fiducialiter de cetero recurratis » ^.
La ingerenza diretta del sovrano si afferma ancora meglio quan-
do tassativamente statuisce : « quod nuUus alius civitatis pre-
fate dictum officium et ubicumque aliquod de extimatione seu
valore bonorum stabilium tangitur seu agitur in dieta ci vi-
tate, absque nostro speciali mandato , debeat exercere ».
E con questa disposizione si chiuse la possibilità ai curiali di
pervenire a un tale ufficio lucroso ed onorifico, che cadde de-
finitivamente nelle mani dei primari e dei tabulari, veri mono-
polizzatori di Lutti i maggiori utili che si potevano ancora per-
cepire dall' esercizio professionale ^. Si deve precisamente a
queste violazioni dell'antico rito collegiale, al disinteresse dei
funzionari più alti per tutto ciò che rappresentava gratuita pre--
* Ivi: Robertus etc. Universis hominibus civitatis Neapolis, fidelibus
suis, gratiam etc. Noverit universitas vestra quod nos iudicem Bartolomeum
Puldericum curialem concivem vestrum fìdelem nostrum, de cuius fide et
legalitate ac sufficientia, per decretum Universitatis vestre, nostre curie
presentatum testimonium accepimus laude dignum ipsum vobis in appre-
ciatorem et extimatorem ad utilitatem civitatis eiusdem et nostre curie
tenore presentium duximus concedendum, recepto prius ab eo de offi-
cio ipso exercendo fìdeliter corporali ad sancta Dei evangelia iuramento;
quapropter universitati vestre precipiendo mandamus quatenus ad eun-
dem iudicem Bartholomeum curialem et extimatorem ac appretiatorem
per nostram maiestatem vobis concessum in omnibus que ad huinsmodi
officium spectare noscuntur fiducialiter de cetero recurratis, mandante»
expresse quod nuUus alius civitatis prefate dictum officium ubicumque
aliquod de extimatione seu valore bonorum stabilium tangitur seu agi-
tur In dieta civitate, absque nostro speciali mandato debeat exercere,
nisi hii qui per universitatem prefatam electi fuerint, et per nostras licte-
ras conflrmati. In cuius rei testimonium et predicti iudicis Bartholomei
cautelam presentes nostras licteras fieri fecrimus et pendenti sigillo maie-
statis nostre iussimus communiri. ecc ». Chiarito, 40.
« Reg. ang., 317, f. Ili t., 261. 222. Chiarito, 41, 44, riporta un doc.
perduto del 1335, in cui un territorio è «mensuratum et appretiatum per
curialem »; fino al 1344; Reg. ang., 344, f. 99, il cur. Giovanni Cannuto
interviene alla « extimatio » di alcuni beni appartenuti alla defunta regina
Sancìa.
— 227 —
rogativa della collettività, alla scomparsa lenta e continua delle
autonomie locali, la decadenza ultima del curialato. Non ven-
nero meno di un colpo, ma scomparvero a poco a poco gli an-
tichi notai napoletani, a misura che si estinguevano i più ac-
creditati maestri e che la clientela fu completamente assorbita
dalle ofTiciature regie. Nel 1386 uno dei Ferula era ancora
curiale, nei primi anni del '400 fu promosso al grado di tabularlo
senza lasciare dopo di sé altro esempio, che valga a far rite-
nere viva la scuola ^. Cadde l' instituto come afTermazione ^ì
un principio politico di decentramento; ma sopravvisse il nome,
per indicare coloro che erano provetti nella lettura e nella co-
pia degl' instrumenti curialeschi ^. Fino ai tempi del Chia-
rito restò incompresa l'opera tenace della scuola napoletana
che aveva solennemente affermata, durante il millennio del
medioevo, contro tutte le forme di governo che si erano avvi-
cendate sul suo territorio, la vis della più classica tradizione
municipalistica. Essa rappresenta per la storia del notariato
itahano l'ultima voce, l'ultimo baghore di romanità che si spe-
gne sotto la bufera dell'accentramento monarchico.
continua
Alfonso Gallo
* Chiarito, 44
» MS., LX, 4818; NiSM., 554; Reg. ang., 374, f. 430 1.
I LIBRAI ED I CARTAI DI NAPOLI
NEL RINASCIMENTO
(Cont.; V. voi. XLIII, pp. 253-70)
22. Martino o Martinello Carnefice (1465-1489).
Fu per 22 anni bidello dello Studio di Napoli, come con molta
copia di notizie dimostrò il Gannavale^. Tale ufficio gli venne
conferito nel 1465 ed era retribuito con lo stipendio di due du-
cati al mese 2. Come già si accennò nel capo I, i bidelli delle
Università furono di solito, nel medio evo, anche venditori
di libri. E tale fu pure il nostro Martinello, il quale non si con-
tentò di essere un semplice libraio, ma volle fare anche il li-
braio editore, come ora diremmo, avendo a sue spese fatto
stampare da Sisto Riessinger VApparatus di Andrea da Isernia,
impresso nel 1472. L'opera fu pubblicata a spese e per cura di
Martino Carnefice, il quale si dette molto pensiero perchè Te-
dizione riuscisse corretta, facendola rivedere per due volte da
Pietro Ohverio. E volle che della sua iniziativa e delle sue cure
rimanesse un ricordo nei seguenti versi, che si leggono alla
fine delV Apparatus ;
Hoc martinus opus miro fecit ordine condì
Sumptibus et cartis bibliopola suis.
Sistus hoc impressit sed bis tamen ante reuisit
Egregius doctor Petrus oliverius.
At tu quisquis emis lector studiose libellum
Letus emas : mendis nam caret istud opus.
^ Lo Studio di Napoli nel Rinascimento, Napoli, 1895.
^ «A Marino (sic) carniffice e a lucha mancho... novament ordenats
vedells del studi de napols viii d... per la provisio... de dos mesos 90 es
octubre e nohembre... a raho de il. per cascu lo mes » (Cedole, v. 43,
e. 290a).
— 229 —
L'ufficio di bidello fu in certo modo ereditario nella sua fa-
miglia, perchè lo tennero anche i suoi figli Vincenzo e Giovanni,
come vedremo.
Alcune notizie sulla famigha Carnefice si leggono in una Lo-
catio in perpetuum prò Martinello carnefice [de neapoli, librario]
Candida {orina [de neapoli, eius uxore] et Vincendo carnefice
[filio ipsorum coniugum] del 18 apr. 1486^.
Dalla moglie Candida Forina o de Forina ebbe Vincenzo e
Giovanni.
11 maggio 1471. Il notaio Roberto Incugna da Melfi si di-
dichiara debitore verso Martinello di 10 ducati per un messale
vendutogli da costui 2.
24 luglio 1473. È presente, come testimone, in una Cessio
debiti prò Silvestro trara de neapoli ^.
21 settembre 1476. È testimone in un altro atto *.
24 marzo 1477. È testimone in un altro atto ^.
10 settembre 1477. Stringe società, pel commercio dei libri
col nobile uomo Angilberto de Laghezza da Monopoli *.
24 febbraio 1480. È testimone in un atto'.
2 novembre 1484. GU si pagano 6 ducati « li quali lo S. Re
li comanda dare per far fare le banche de li audituri dove se
lege et altre cose necessarie » ^.
5 maggio 1485. È teste in un altro atto ®.
30 dee. 1487. È teste in un altro atto i^.
18 giugno 1487. È teste in un altro atto ^^.
' Prot. di C. Maintano, 1485-86, e. 142b.
" V. Appendice' I, n. 1. Questo documento, già indicato dal Filangieri
(Indice), è stato recentemente pubblicato da T. de Marinis (Nozze Padoa-
Sacerdoti, p. 11). Il D. M. ricorda ivi un altro documento del 1478.
» Prot. di Fr. Russo, 1473-75, e. 16b.
« Ivi, a. 1476-1477, e. 12a.
» Ibidem, e. 12a. Prot. di M. di Fiore, 1477-78, e. viiija.
• V. questo nome : V. pure appendice I, n. 10.
' Prot. di Fr. Russo, 1479-80, e. 17«.
* Gannavale, op. cit., p. evi (doc. 973).
» Prot. di Fr. Russo, 1484-85, e. 272».
»o Prot. di M. di Fiore, 1486-88, e. 32a.
^1 Ibidem, e. 102.
— 230 —
13 agosto 1489. È teste in un altro atto \
24 dee. 1489. È teste in un altro atto 2.
23. Luca Mancho (1466-1471).
Fu bidello dello Studio di Napoli dall'anno 1466 al 1471 ^ e,
quindi, presumibilmente, venditore di libri.
24. Antonio de Simone, fiorentino (1466-1489).
3 giugno 1466. Vende alla Corte per 18 due. e 15 t. 33 quin-
terni di pergamena, da servire per lo scrittore della biblioteca
reale Tommaso de Venia*.
20 luglio 1469. Vende 6 pells de moltonina de Firenze^.
26 ottobre 1470 Riceve 5 due. pel costo d'un libro mem-
branaceo (Petrarca, de viris illustribus) e 5 due. per 11 quin-
terni di pergamena rasata^.
Crediamo sia la stessa persona quell'Antonio de Florentia
che s'incontra in un atto del 10 luglio 1489''.
25. Girolamo d'Ambrosio (1471-1500).
Fu di Valentino o S. Valentino, terra del Principato citeriore,
e venne a stabilirsi in Napoli, dove fece ottimi affari, essendo
uomo di grande attività.
Sposò Palma Testa, come risulta da un documento ®, ed eser-
citò anche l'arte della legatoria, nella quale dovette essere abi-
lissimo, perchè sappiamo da un altro documento che Baldas-
sare ScarigUa gli dava a rilegare i libri della biblioteca reale,
e che si uni con lui in società per l'esercizio della legatoria,
vita durante®.
1 Ib., e. 127b.
2 Ib., e. 166a.
3 Canna VALE, op. cit., pp. 45-47.
* Ged., V. 44, e. 331a
5 Ged., V. 51, e. Illa.
^ Barone, Cedole cit.
' Prot. d. M. di Fiore, 1488-98, e. 116b.
8 Prot di Fior. Santoro, a 1491-1500, a e. s. n.
» V. il testo del contratto in Fava-Bresciano, op. cit., I, 197.
— 231 —
7 aprile 1471. È nominato come testimone un Jeronimo de
ambrosio de neapoli^.
13 maggio 1476. Figura come teste nella Laborandia por
Matheo scanciono^
27 gennaio 1477. Fa due compre ^.
22 gennaio 1478. Fa un'altra compra*.
1 agosto 1478. È teste in un atto ^.
22 settembre 1482. È teste in un altro atto ^.
7 marzo 1485. Egli ed un cognato, Nicola di Giovanni Natale,
parimenti libraio, contraggono di comune accordo società per
esercitare insieme il commercio dei libri, per la durata di sei
anni, obbligandosi di stare insieme nella stessa strada e bottega,
di dividere tra loro ogni guadagno, dedotte le spese, e di tenere
a spese comuni un garzone nella detta bottega'.
15 e 26 aprile, 15 giugno e 8 agosto 1487. È presente come
teste in alcuni atti®.
19 maggio, 17 giugno 9 agosto e 13 agosto 1488. È testimone
in altri atti».
4 maggio 1489. È presente come teste in un altro atto^°.
19 ottobre 1490. S' incontra, come testimone, in un altro
attori.
10 nov. 1490. Si unisce in società con Baldassare Scariglia
e col figlio di costui Giacomo, vita durante, per esercitare l'arte
della legatoria, in ligacione et impressione librorum^^.
21 agosto 1491. Compra una terra ^^
' Prot. di Ben. de Bienna, 1467-71, e. 57.
» Prot. di Fr. Russo, 1475-76, e. 87a.
■ Ibid., a 1477-78, e. 9a {Emptio prò Geronimo de ambrosio).
* Ib., 1478-79, e. 9.
» Prot. di M. di Fiore, 1477-78, e. 5a.
* Prot. di Fr. Russo, 1482-83, e. 43a.
' V. Appendice I, n. 20.
« Prot. di M. Fiore, 1486-88, ce. 85b e lOlb. Ib.,cc.ll2b, 211a.
* Ib., e. 221a, 235a, 241a, 248a.
10 Ib., a. 1488-89, e. 91b.
*» Ib., 1486-88, e. 17a.
'• Fava-Bresciano, op. cit., I, 197.
» ' Prot. di Luigi Castaldo, 1491, e. 184
— 232 —
26 giugno 1491. Ottiene una Concessio in emphiteosim'^.
1496. È presente come testimone in un atto ^.
Era già morto nel settembre del 1500, trovandosi nominata in
un documento del 7 sett. palma testa vidua relieta quondam Je-
ronimi de ambrosio librarii^.
In un atto notarile del 22 settembre 1502 troviamo come
testimone un Benedetto d'Ambrosio di Napoli, libraio, che si
può credere figlio di Girolamo*.
26. Giacomo Candel (1471-1491).
Come Guglielmo Candel, sopra mientovato, ebbe nella R. Corte
l'officio di scrivano^, ma forse lo tenne per breve tempo, tro-
vandosi il suo nome soltanto dal 1471 al 1474 6, Godeva lo sti-
pendio di 72 ducati'. Come si è detto, insieme con l'Arcella^
condusse la stampa del Breviarium Valentinae Bioeceseos, di cui
si tirarono 700 esemplari.
27. Battista Vergara (Cassavergara) napoletano (1472-
1481).
Fu padre del noto Minichello^ e chiamato, al par di lui,^
Caruso, nelle carte del tempo.
Riteniamo, per le ragioni addotte altrove, che esercitasscij
come il figlio ed il nepote^^ il commercio dei libri e della carta,
26 ottobre 1472. Dichiara insieme col fìgho Domenico di avei
ricevuto da Cola di Pietro da Siena e socii tre balle « pagina-
rum realium unius ex eis bulignensis, unius bastarde et alteriu!
realio, que in totum sunt in numero reseme viginte due », pe
prezzo di once 6 e tari 10 ^^.
» Prot. di L. Castaldo, 1491, e. 151 (2a num.)-
« Prot. d. M. di Fiore, 1488-98, e. 245.
8 Prot. di Fior. Santoro, 1491-1500, e. s. n. (fase. sleg.).
* Prot. di L. Castaldo, 1502-1504, e. 4a.
» Ced., V. 56, e. 85a.
« Ced., V. 56, e 416b ; v. 63, e. 350a, v. 66, e. 216a.
' Ced., V. 60, e. 363b.
" V. questo nome.
» V. il n. 20.
lo V. il n. 88.
»i Prot, di notar G. Ingrignetti, n. 1472-1474, e. 30a.
— 233 —
26 ottobre 1481. In una Quietaiio prò baptista cassavergara
figurano il figlio Domenico e la prima moglie di costui, a nome
Penta De Pisis^.
28. Guglielmo Teotonico (1472-1500?) altro familiare
di Francesco del Tuppo.
19 maggio 1472. Il Re informa il capitano di Roccamonfina
che Guillelmo todisco habitatore In quessa terra ha esposto nella
Camera della Sommaria che, dopo aver questionato colla moglie,
per inadempienza di certi servizi commessile, preso dall'ira,
le gittò in testa certe chiavi che aveva in mano, e cavaole certo
sango. Esso Capitano, allora, fece pigliare detto Guglielmo e
lo tenne prigione per alcune settimane, facendogU togUere una
squarcella contenente 20 carUni ed una spada, e non lo si volle
mai hberare dai ferri e ceppi, se prima per sua composizione non
avesse lasciato il danaro e la spada. EgU ricorre al Re, che,
trovando giusto quanto espone, ordina siano a lui restituiti il
danaro e la spada ecc. ^.
19 agosto 1472. Il Re riscrive al detto Capitano, a proposito
del processo e inquisitione da lui fatto contro esso Guglielmo,
e si maraviglia che di «si minima cosa si sia facto tanto caso».
Gh ordina, pertanto, sotto pena di 25 once, di far restituire
il danaro a Guglielmo tedesco, e di comparire personalmente
nella R. Camera della Sommaria, per giustificarsi per quale
ragione non debba essere condannato ai danni e spese ecc. *.
16 febbraio 1481. Si spedisce una litera passus ad istanza di
guglielmo teotonico familiare di Francesco Del Tuppo, colla fa-
coltà di portare e vendere libri stampati per tutto il Regno *.
Fra i testamenti rogati nell' anno 1500 dal notaro Cesare
Malfitano si trova un testamentum prò Guilelmo teotonico.
29. Raffaele de Apenna (da Penne ?).
17 sett. (1472) Bald. Scariglia si dichiara debitore verso
Raffaele de Apenna di Napoli mercante, di 18 once per prezzo
' Prot. di notar Giov. De Carpanis, 1481, ce. 74b-75a.
^ Partium Summar., voi. 5, e. 62a {prò Guillelmo theotonico).
* Partium Summar., voi. 4«, e. 69 (prò Guillelmo todisco).
* Priv. Summ., v. 53, e. llb.
Anno XLV. 16
— 234 —
di una certa quantità cartarum de Sando frabiano diversarum
sortarum vendutagli dal detto Raffaele ^. Supponiamo sia stato
un congiunto di Raffaele quel Tomaso de apenna, medico, di cui
si parla in un documento del 1. giugno 1487 2.
30. Pietro Pug Oliverio (1473).
14 marzo 1473. Come libraio si trova nominato insieme coi
Giovanni Vaglies in un documento ^.
31. Francesco di Dino (1474).
È il noto tipografo fiorentino che nel 1478-80 stampò in Na-j
poli parecchi libri e più tardi si trasferi a Firenze, dove con{
tinuò a stampare (1481-1497). Nel 1474 era già in Napoli e v^
esercitava, come altri tipografi, la professione di libraio. Ci(
si rileva chiaramente da una quietanza dell' 11 giugno 147^
(Cfr. T. De Marinis in : Bibliofilia, IV, p. 101-103).
32. Antonio Scariglia (1474-1492).
Fu copista-alluminatore e libraio. Era prete.
13 maggio 1474. È teste nel Debitum prò catharina de duce *j
17 nov. 1492. Riceve 15 due. per alcune miniature^.
33. Alessandro de Calcedoniis di Ludovico, veneziane
(1474-1497).
Si trova nominato anche semplicemente Alessandro de
dovico e talora solo Alessandro.
9 settembre 1474. Espone alla R. Corte che nel lugho di
quell'anno fece portare in Napoli da Venezia 12 casse di libri
« ibidem ad stampam confectorum. » Passando per Trani fu co-
stretto dal r. doganiere e gabelliere a pagare il dritto di fondacci
1 Prot. di Andrea d'Afeltro, 1469-1471, e. 160a.
2 Concessio cuiusdam terre prò mag.co ariium et medicine doctore thomasic
de apenna: prot. di not. Marco Laudario, ann. 1486-1488, e. s. n., verse
la fine.
» Pro Joh. vaglies et petro pug.: prot. di N. A. Casanova, 1472-73, ci
49a.
* Prot. di n. Fr. Russo, 1473-75, e. 78b.
" Filangieri, op. cit.. Indice.
— 235 —
al quale esso esponente non era tenuto ratione quod libros per
neapolim ex venecijs exiraxit e che per essi una volta sola e
non già due era tenuto a pagare.
E poiché, secondo il rito del Regno <.(nemo inuitus cogitur
merces suas fundicare nisi vendat sed tantum cauere de eundo ad
terram Jundicum habentemne secondo le informazioni assunte
è vero quanto si espone, si ordina ai detti gabelUeri e doganiere
di restituire all'esponente o ad un Mattia Bomizole veronese,
a nome di lui, la somma indebitamente esatta. Inoltre, in avve-
nire si permetta all'esponente, se vorrà portare o far portare
altri libri nel Regno, l'esenzione da ogni dazio di passaggio,
osservando le lettere camerali dei 14 agosto 1474 ecc. ^ sotto
pena di once 50 per ciascuno ecc.
27 settembre 1474. Si ordina ai gabellieri di restituire quello
che avevano esatto da Alessandro « el quale secundo ve ha-
nemo scripto ha condutti li libri de stampa in lo fundico de nea-
poli 2 »
12 ottobre 1474. Si ordina al doganiere e gabellieri di Trani
di non frapporre verun impaccio ad Alexandro de ludovico de
venecia, il quale ha spedito da Venezia a Napoli capse dui de
libri de stampa^.
18 marzo 1477. Innico d' Avalos ordina agli stessi di non
esigere alcuna tassa dal nobil uomo Alessandro di Ludovico de
Calcedoniis, mercante veneto che aveva fatto venire da Vene-
zia una quantità di libri per venderli in Napoli, trattenuti alla
dogana di Trani pel diritto di fondaco ; e di restituirgli subito
quello che già avessero esatto*.
16 giugno 1477. Si ordina a Nicola d' Avanzo, Maestro Por-
tolano di Trani, di far restituire ad Alessandro di Lodovico
veneto, mercante di libri la « pregiarla » che fu indebitamente
riscossa dal doganiero del Fondaco di Trani pei libri fatti ve-
nire da Venezia e destinati a Napoli, in virtù d'un capitolo fatto
di accordo tra i Veneziani e la detta dogana, pel quale si dove-
vano da essi pagare grana 12 per oncia per ogni merce, che pas-
' Comune Summ., voi. 18, e. 193.
2 Part. Summ., voi. 7, e. 223a.
=» Part. Summ., voi. 7, e. 228.
* V. appendice I, n. 7.
— 236 —
sava nel fondaco di Trani. Si spiega che, non pagandosi pei libri
stampati verun diritto fiscale nella dogana di Napoli, altret-
tanto si doveva praticare nelle altre dogane del Regno. E poi-
ché nemo invitus cogitar merces suas fundacare nisi vendaU es-j
sendosi data « pregiarla » di portare essi libri direttamente nel
fondaco di Napoli, non dovevano i doganieri di Trani esigere
veruna somma dal commesso del libraio Alessandro ecc. ^.
7 agosto 1477. Riferendosi alla precedente lettera, il cui te
nore non fu osservato, si riscrive al detto Maestro Portolano^
ordinandogli di far restituire al detto Alessandro tutta la quan-
tità di danaro esatto ingiustamente dai doganieri di Trani p(
sopradetti libri, soddisfacendolo altresì delle spese da lui legil
timamente fatte per causa di essi ecc. ^.
16 settembre 1478. È creditore del nobile Ferdinando Fran-^
Cesco da Cosenza, giureconsulto, di ducati 20, tari 2 e grani
10, per il prezzo di alcuni libri legati, a lui venduti e consc
guati 3.
31 maggio 1479. Si concede dal Re una litera passus (frad
chigia di passi e gabelle) ad Alessandro di Ludovico, che in|
tendeva spedire da Napoli in varie parti del Regno alcuni Ubi
stampati *.
7 febbraio 1482. Per parte di paulo de Joanne^ et alexan\
dro de calcidonijs mercatanti veneciani è stato esposto alla
Corte che, avendo essi fatto venire una certa quantit à di libi
stampati da Venezia nella giurisdizione e distretto del fonda(
di Cosenza per venderli colà e in altri luoghi, furono costretl
da Marino Minerva, mastro portolano e secreto di Calabria, e di
Angelo Serraglia suo successore a pagare per detti hbri la ga^
bella di passaggio... Si ordina, vista la dehberazione della R. Ca^
mera, fatta ad istanza di esso Alessandro, che non pagando;
verun diritto per tali libri nella dogana di NapoU, lo stesi
debba farsi per gU altri fondaci del Regno. Ad ogni istanza
quindi, degli esponenti, i signori Marino ed Angelo sieno obbl
^ V. Appendice I, n. 8.
^ V. Appendice I, n. 9
• V. appendice I, n. 13.
* V. appendice I, n. 13 bis.
» V. il n. 55.
— 237 —
gati a non richiedere agli esponenti verun pagamento di diritto
di fondaco, e se avessero indebitamente esatto danaro, deb-
bano quello restituire ecc. ^.
27 ottobre 1497. Il Re scrive da Fratta ai membri del S. R.
Consiglio interessandoli di sollecitare la decisione di una causa,
che verte fra alexandro calcedony et francisco de palmieri.
Non si accenna nella lettera all' oggetto della controversia ^.
In un testamento dell'anno 1497 è teste Alessandro Calci-
donis mercatore veneto^.
Dell'agiatezza di questo libraio si ha la prova in un docu-
mento del nostro archivio notarile, da cui si rileva che egli
sborsò la somma di 100 ducati all' artefice Sancio de Cuncto
per un padiglione ordinato a costui e che doveva essere « comò
quillo del Duca de Calabria » ecc. *.
33^". Pietro de Grassis (1475).
19 luglio 1475. Espone che, avendo portati alcuni libri «de
stampa» a Castellammare, si pretendeva da lui il pagamento
de' diritti fiscali, a cui non era tenuto ^.
34. Pietro Molino (1475-1508).
Come vedemmo altrove^, fu socio del tipografo Mattia Mo-
ravo e di Giovan Marco Cinico.
Pare che prendesse poca parte, e solo per breve tempo, nelle
imprese tipografiche e nel commercio dei libri. Si occupò anche,
come altri hbrai, del commercio delle pergamene. Fu valente
caUigrafo e verisimilmente custos o librarius della Bibhoteca
Aragonese.
' Pro paulo de Joanne et Alexandro de Calcidonijs: Part. Summ, voi.
19, ce. lb-2a.
» Collat. Com., Vili, e. 121a.
' Testamenti rogati da notar Frane. Russo, ann. 1495-1497, e. 173b :
Arch. notarile di Napoli.
• Prot. di Palm. Ferrante, a. 1478-79, e. 61. Saneio de Cuneto era riea-
matore della Corte del Duea di Calabria. V. Barone, Le Cedole cit. in
Arch. Star. Nap., IX, 424.
• Part. Summ., v. 11, e. 72.
• FAVA-BREsaANO, op. cit-, I, 74-77.
— 238 —
35. Giovanni De Risi (1476-1491).
Potrebbe a lui riferirsi un documento del 14 marzo 1476 del
nostro archivio di Stato ^.
22. febbraio 1491. Riceve 30 ducati per 50 quinterni « de
carta ferentina de coyro de forma reale bulognese, a ra^ de
iii t. lo quinterno per preczo facto per baldaxarro scariglia » ^.
36. Angilberto di Laghezza di Monopoli (1477).
Della sua famiglia pochissimo sappiamo.
Un documento del nostro Archivio di Stato ^ e' informa che
il 13 gennaio 1464 ai nobili Giovanni Antonio de Lagheza di
Monopoli, fedele del Re, e al fratello Pietro della R. Scrivania
(probabilmente zii di Angilberto) pei loro servizi si concede
l'ufficio di R. Doganiere della R. Dogana di MonopoH, loro
vita durante, con la provvigione di 25 once annue.
Un Pietro di Laghezza da Monopoli, fratello, forse di An-
gilberto, era Doganiere di essa città fm dal 3 sett. 1478 (Part.
Summ. V. 14, a e. 23b), e conservava ancora tale carica ai
13 aprile 1482 (Part. Summ. voi. 19, a e. 123).
Apprendiamo da un atto del 10 settembre 1477 che Angil-I
berto, essendo studente di legge a Napoli, col consenso dell
padre Renzo, fece un contratto di società col Ubraio Martinelloj
Carnefice per esercitare il commercio dei Ubri e per altri ne-j
gozii. Angilberto asserisce aver fatto reciprocamente il conto
finale di tutto il venduto, per tutto il tempo passato, e che]
Martinello rimaneva debitore de liquido di esso Angilberto di]
once 11 e di alcuni libri, che sono indicati nel documento*.
37. Francesco Rufolo (1477-1489).
I Rufolo erano di nobile famigUa, come può vedersi pressoi
genealogisti.
1477. È presente come teste in un atto ^.
^ Part. Summ., voi. 10, e. 81.
2 Ced. Tes. Arag., voi. 142, e. 349b.
« Esecutoriale 4, (1462-1464), e. 205b.
* V. Appendice I, n. 7.
* Prot. di C. Malfitano, 1477-78, e. 9b.
— 239 —
1483. S'incontra, come testimone, in un altro atto ^.
22 maggio 1484. Prende a servizio una persona 2.
14 luglio 1489. È debitore di una somma ^.
38. Francesco d'Ambrosio (1478).
Fu pure di Valentino, in provincia di Salerno, come il fra-
tello Girolamo *. e venne a stabilirsi in Napoli.
22 gennaio 1478. Fa una comprai
2 dicembre 1478. Prende seco a bottega il ragazzo di 8 anni
Nicola Jannicelli, figlio di Antonella Jannicelli, da Salerno,
per la durata di 8 anni. Francesco promette, tra l'altro, inse-
gnargli la sua arte et ministerium ligandi et coperiendi libros^.
39. Bartolomeo di Francesco milanese (1478).
28 maggio 1478. Innico d'Avalos ordina a tutti i gabellotti,
doganieri... esattori e percettori di dogana di tutto il Regno
di non esigere veruna tassa dal nobile uomo Bartolomeo di Fran-
cesco milanese, il quale intende « transmictere seu transmicii
facere certos libros Inpressos (sic) seu de stampa ; causa eos ven-
dendi))... nel Regno, poiché nulla si esige dalla R. Dogana di
Napoli per detti libri, essendo franchi ed immuni da tassa ^.
40. Cristoforo di Errico Teotonico (1478-1493).
22 giugno 1478. Innico d' Avalos concede un lasci a-passare
(litera passus) ad istanza di Maestro christofali de enrico teoto-
nici », cui si dà facoltà di potere portare e vendere libri stam-
pati, in tutto il Regno ^. Nello stesso di Francesco del Tuppo
di Napoli si obbliga di pagare, in favore di detto Cristofaro,
quanto fu indicato, per detta causa, dalla Camera della Som-
maria, sotto pena di once 10^.
1 Ib., a. 1482 83, e. 106a.
2 Locatio persone prò francìsco rufulo: prot. di G. Ingrignetti 1482-84,
e. 88a.
» Prot. di G. de Carpanis, 1488-89, e. 225.
« V. il n. 25.
' Emptio prò Francisco de ambrosio: prot. d. Fr. Russo, 1478-79, e. 9b.
" Locatio persone prò eodem: Ibidem, ce. lOOb-lOla.
' Priv. Summ.; v. 53, e. 8.
« Ibidem, e. llb.
' Ibidem, e. llb.
— 240 —
Nell'anno 1493 doveva essere già morto giacché in un do-
cumento del 9 gennaio 1493 s'incontra il nome di una Anto-
nella fìssiella moglie del quondam christoforo teotonico ecc. ^.
41. Giovanni de Genenpach, o Giovanni Alemanno,
o Giovanni Teotonico (1478-1482).
Uno dei Germani fidelissimi di Francesco del Tuppo, di cui
è detto familiare e che talora gli fa malleveria.
25 giugno 1478. Una litera passus è emessa da Innico d'Ava-
los in favore e ad istanza del nobile uomo Giovanni alemanno
ad presens hdbitator neapolU colla facoltà di potere portare e
vendere libri a stampa per tutto il Regno ^.
16 febbraio 1479. Altro lascia-passare (litera passus) si con-
cede ad istanza ed in favore di Maestro Giovanni de genenpach,
al quale si dà facoltà di portare e vendere libri stampati per
tutto il Regno ^
11. gennaio 1481. Si emette un altro lascia-passare in favore
di Giovanni theotonico per lo stesso scopo. Se ne rende malleva-
dore Francesco del Tuppo *.
13 dicembre 1482. Altro lascia-passare, per lo stesso scopo,
si accorda a Johanne theothonico, familiaris francisci de tuppo,
A noi pare che questo Giovanni de genenpach non sia diverso
da quel Giovanni di Ugone de Gengenbach (Johannes Hugonis
de Gengenbach) che stampò più tardi (1482 — 1485) in Roma
alcune opere (Cfr. Audiffredi, p. 272).
42. Nicola di Benedetto Veneziano ^ (1478).
4 agosto 1478. Si unisce in società con Nicola Jacopo de Lu-
ciferis, per esercitare la tipografìa^.
^ Com. Summ., voi. 35, ce. 101-102.
2 Priv. Summ., v. 53, e. llb.
=« Ibidem, e. llb.
* Ib., e. 137b.
« Supponiamo possa identificarsi col noto Nicolaus de Benedictis, ti-
pografo, che stampò dal 1490 al 1519 a Lione ed a Torino: cfr. Copinger,
op. cit., index-Burger, p. 343.
" V. Fava-Bresciano, op. cit., 1, 89-90.
I
— 241 —
43. Giorgio Stratigopuli napoletano (1478).
17 ottobre 1478. Ser Giorgio Straticopulis de neapoli, avendo
condotto per mare nella R. Dogana di Otranto e di là estratto
dopo aver prima pagato il diritto di fondaco, « pelle rosse, tra
cordovana e montonine, cento et dece, et quelle mandando in
Napoli et de transita arrivando in taranto per seguire per Na-
poli » il Doganiero di Taranto le prese per contrabbando, perchè
non si erano notificate nel modo prescritto. Si ordina al Do-
ganiero che subito restituisca le pelli ^.
44. Guglielmo Cristiantino (1479).
26 gennaio 1479. Guglielmo Cristiantino libraio, dimorante
in Napoli, dovendo conseguire da un Daniele Pantano, da
Brescia, 34 ducati di oro, ed impedito di fare tale riscossione,
nomina suoi procuratori legittimi a riscuotere tale somma il
noto tipografo Nicola Jenson, che dimorava a Venezia, ed i
socii di lui 2.
45. Marino Vetticano o Vetticanio napoletano (1479).
19 aprile 1479. Si dichiara debitore di Matteo Castagnola di
Napoli e di Ambrogio Tramontano di Napoli della somma di
18 ducati per il prezzo di 100 pelli di cordovana vendutegli e
consegnategli da costoro^.
46. Matteo Castagnola di Napoh (1479).
Si vegga il n. 45.
47. Ambrogio Tramontano, da Napoli (1479).
Si veda il n. 45.
48. Francesco Scarola, napoletano (1479).
27 maggio 1479. Dichiara di aver ricevuto da Troiano Coppola
e Renzo Ferrare di Napoli 50 ducati per una certa quantità
di pelli a loro vendute ecc. *.
' Pari. Summ., voi. 14, e. 118b.
2 V. Appendice I, n. 13.
» Prot. di Palmerio Ferrante, a. 1478-79, e. 87.
* Ibidem, e. 118.
— 242 —
49. Troiano Coppola napoletano (1479).
V. il n. 48.
50. Renzo Ferraro, napoletano (1479).
Vedasi il n. 48.
51. Antonio Veneto (1480).
19 maggio 1480. Innico d'Avalos spedisce una litera passus
ad istanza di Maestro Antonio librarius venetus, al quale si dà
facoltà di poter trasmettere al mercato di Lanciano « certam
quantitatem librorum impressorum seu de stampa » per venderli
colà, senza alcuna tassa ^.
29 maggio 1495. Giovanni Dargramont francese dichiara
aver ricevuto dal magnifico Pietro De Bosco, regio protono-
tario, stipulante a nome di Antonio libraio, erede del fu Brea-
mont-Cordella, 16 ducati e 2 tari di carlini d'argento della somma
di scudi 20, legati dal fu Breamont ad esso Giovanni. Questi
dichiara, inoltre, di aver ricevuto da detto Antonio il residuo
a complemento di detti 20 scudi... ecc.. 2.
Crediamo che VAntonius librarius di altri documenti sia la
stessa persona di Antonius Venetus. Uno stampatore Anto-
nius Venetus (Antonio di Francesco Veneziano) insieme col
tipografo Ser Francesco Bonaccorsi stampò in Firenze varie
opere, dal 18 febbraio all'ultimo di ottobre 1488^. Probabil-
mente è la stessa persona, che esercitò prima in Napoli il com-
mercio librario e poi a Firenze la tipografìa.
52. Salomone Falcone ebreo (1481-1493).
V. il capo 3.
53. PoNZiANo Sarret francese (1481-1491).
13 novembre 1481. Si concede dalla R. Corte una litiera pas-
sus a Maestro ponciano jrancigena, che ha facoltà di portare
1 Priv. Summ., v. 53, e. 37b.
* V. Appendice I, n. 47.
» Hatn, n. 13572, 12904, 6207, 7108.
— 243--
e vendere nel Regno libros impressos seu de stampa sine tabulis
et cartas impressas figuratasi.
25 ottobre 1482. Se ne emette un'altra, per lo stesso scopo,
ad istanza di pontianus jrancigena. Gaspare teotonico fami-
liare del Conte Camerlengo si rende mallevadore di detto Pon-
zi ano -.
21 marzo 1485. Se ne concede un'altra per lo stesso scopo ^.
8 marzo 1489. In una Locatio persone prò meneca de robert
si accenna a magistro punciano sarrebi librario neapolis^.
7 febbraio 1491. Si accorda dalla R. Corte a lui e a 4 altri
librai, dimoranti in Napoli, un'altra litera passuSy pel commercio
di libri, esenti dal pagamento di qualunque diritto fiscale*.
Sarà stato, forse, un suo congiunto quel Petrus Raymundus
sarrety mercator jrancigena, arrendator pellium che figura in 3
documenti degli anni 1490, 1493 e 1494 ^.
Infruttuose sono riescite le ricerche fatte, gentilmente, per
nostro conto dal chiarissimo Enrico Stein, al quale rendiamo
le debite grazie, negli Archives Nationales di Parigi, per rin-
tracciare notizie di questo libraio e del seguente.
54. Guglielmo Francese (1481-1491).
13 novembre 1481. Si emette una litera passus, in suo favore,
per la Ubera vendita nel Regno di libri stampati ^.
20 ottobre 1483. Altro lascia-passare ad istanza di guglielmo
jrancigena habitator civitatis neapolis, per lo stesso scopo. Si
rende mallevadore Socius rujulus de neapoli librarius '.
4 febbraio 1488. Fa una compra s.
14 giugno 1488. Si spedisce dalla R. Corte un'altra litera pas-
1 Privileg. Summ., v. cit., I. e.
2 Priv. Summ., v. 53, 1. e.
^ Prot. di notar Buongiorno Vinciguerra, anno 1489, e. 45b.
• Vedi, in fine. Appendice I, n. 35.
^ Pro peiro ray mando sarret : Com. Summ., voi. 33, ce. 131 e 136;
Pro parte mag.cì philippi gombe: Com. Summ., voi. 35, e. 56b ; Collat.
Privileg., v. 6, e. 69.
• Priv. Summ., v. 53, e. 80.
' Ib., e. 146a.
• Prot. di Vinc. De Boffe, 1488-89, e. 12a.
— 244 —
SMS, a sua istanza diretta ai gabellieri, doganieri e custodi di
passi pei detti libri a stampa ^.
1491. Fa una cessione 2.
55. Paolo di Giovanni, veneziano (1482-1488).
7 febbraio 1482. Da parte di paulo de Joanne et alexandro
de calcidoniis mercatanti veneciani si espone alla R. Corte che,
avendo essi fatto venire da Venezia nella giurisdizione e di-
stretto del Fondaco di Cosenza una certa quantità di libri stam-
pati, per venderli colà ed in altri luoghi del Regno, furono co-
stretti da Marino Minerva Maestro Portolano e Secreto di Ca-
labria e da Angelo SerragUa suo successore a pagare per detti
libri la gabella di passaggio... Vista la deUberazione della R. Ca-
mera, ad istanza di detto Alessandro, si ordina che, non pa-
gandosi pei detti hbri stampati nella dogana di NapT)li verun
dritto fiscale, lo stesso debba osservarsi per gli altri fondaci del
Regno. I detti Marino ed Angelo, pertanto, non debbano richie-
dere agli esponenti verun pagamento di dritto di fondaco, e se
per tale causa avessero già riscosso del danaro, debbano tosto
restituirlo agh esponenti ecc. ^.
14 giugno 1488. Insieme coi librai Biagio Castagna, Ponziano
francese e Guglielmo francese ricorre al Re, per ottenere la re-
stituzione del danaro indebitamente esatto dai GabelHeri di
Cosenza, pei Ubri stampati che portavano a vendere a Cosenza
ecc.*. Nuli' altro sappiamo di lui.
56. Matteo di Antonio (1482-1500).
Fu fiorentino e si stabili in Napoli. Sposò Margherita de Bo-
no Homine di Napoli.
14 aprile 1482. È testimone col libraio S, Rufolo in un atto
notarile -^
^ Part. Summ., voi. 26, e. 45.
2 Prot. di Fr. Russo, 1491, e. 201b.
' Pro paulo de Joanne et Alexandro de Calcidoniis: Partium Summ., voi.
19, ce. lb-2a.
* Vedi Appendice I, n. 27.
* Magisiro Matheo fiorentino librario et Socio rufulo librario: Prot. di
G. Malfitano, a. 1481-82, e. 136a.
— 245 —
20 ottobre 1483. È teste in un altro atto i.
21 febbr. 1486. È testimone in un altro atto ^.
6 giugno 1487. Vende per 2 due. e 1 1. 12 quaderni di perga-
mena, sulla quale Gio. Rainaldo Mennio doveva scrivere un
Ufficio ^
22 sett. 1487. È testimone in un altro atto notarile *.
22 marzo 1489. Prende una persona ai suoi servizi ^.
16 ottobre 1494. È presente, come teste, in un altro atto^.
14 aprile 1500. Compare nuovamente come testimone '.
57. BlSFALLQ BOLiOGNESE (1482).
22. marzo 1482. Si spedisce una litera passuso foglio d'immu-
nità dal pagamento di qualsiasi diritto fiscale in favore di Mae-
stro Bisfallus boloniensis habitator neapolis, al quale si permette
di portare e vendere" per tutto il Regno libri a stampa, immuni
da tassa®.
58. Antonio Gontier (1482-1498) francese.
Il noto tipografo del quale discorremmo già altrove ^ cre-
diamo possa identificarsi con qxieìV Antonius jrancigena habi-
tator ciuitatis neapolis, al quale la R. Corte concesse, addì 20
giugno 1482, la solita litera passus ovvero licenza di libero tran-
sito nel Regno, a scopo di commercio di libri stampati ^°.
20 aprile 1498. Il Re informa il Capitano di Paola che Gia-
como Carbonelli, notar Tomaso ed Alfonso baiuli di detta
città avevano costretto indebitamente Maestro Antonius gun-
terus venditor librorum de stampa (che aveva portato colà al-
^ Nella Emptio prò Angelo de verso: Ibidem, a. 1483, e. 29b.
^ Nella Emptio prò Brancadoro gagliardo: Ibid., a. 1485-86.
• Filangieri, op. cit.. Indice.
« Prot. di Fr. Russo, a. 1487-88, e. 24a.
^ Locaiio seruitiorum prò Magistro Matheo antonii de florentia, habiia-
tore neapolis, librario et Margarita de bono homine de neapoli coniugibus:
prot. di M. di Fiore, a. 1488-89, e. 79b.
• Prot. di Fr. Russo, a. 1494, e. 41.
' Ibidem, a. 1498-99, e. 53a.
• Priv. Summ., v. 53, e. 82a
» Fava-Bresciano, op. cit., I, 106.
^o Privil. Somm., v. 53, ce. 83b-84a.
— 246 —
cuni libri stampati a scopo di commercio) al pagamento di
una certa somma di danaro come diritto baiulationis, non
ostante che esso Gontier avesse loro esibito le lettere patenti
della R. Camera, le quali esimevano esso libraio dal pagamento fl
di qualunque diritto fiscale. E però il Re ordina che subito
essi baiuli restituiscano tutta la somma riscossa all'esponente,
0 ad altra legittima persona, sotto la pena di 25 once ecc. ^.
Forse fu un parente di Antonio quel Giacomo Gontier lega-
tore di libri, autore di una bella legatura fiamminga, fatta
prima dell'anno 1500, che si conserva nella BibUoteca già Im-
periale di Vienna, ed è riprodotta dal GottUeb ^.
59. Giovanni di Giovanni di Augusta (1482).
27 giugno 1482. Fu spedita un'altra litera passus per lo stessoj
scopo, in favore di Johannes Johannis [de] Augusta Theothonicw
habitator civitatis neapolis^.
60. Gualtiero tedesco (1482).
13 luglio 1482. Viene concesso un altro lascia-passare per 1<
stesso scopo ad istanza ed in favore di Balthirus de alamanea]
ad presens neapoli commorans^.
61. Alberto Tedesco (1482).
13 luglio 1482. Nella litera passus indicata al n. precedente]
è nominato pure un Albertus de alamanea ad presens neapol^
commorans^.
62. Claudio Pelligerio o Claudio francese (1482).
11 dicembre 1482. Altro lascia-passare, per lo stesso scopo,
è concesso a claudius jrancigena mercator librorum, utasseruit,]
habitator civitatis neapolis^.
^ V. appendice I, n. 48.
2 K. K. Hofbibliothek Bucheinhànde, tav. 35.
8 Priv. Summ., voi. cit., 1. e.
* Ib., V. 53, e. 87b.
'' Priv. Summ., v. 53, e. 87b.
• Ibidem, e. 100.
— 247 —
13 luglio 1484. Vincenzo di Chiaricia da Salerno si pone a
bottega con Maestro Claudio Pelligerio, per la durata di un anno,
col compenso di 9 ducati di carlini d'argento. Claudio promette
d'insegnare al detto Vincenzo la sua arte ed il leggere ^.
63. Sossio Rufolo (1482-1488).
Fu napoletano, forse fratello di Francesco Rufolo, di cui si
è discorso sopra 2.
12 dicembre 1482. Giovanni di Ferro tta di S. Agata, procu-
ratore di Marco Antonio Perrotta, pone quest'ultimo a bottega
da Sossio Rufulo, di Napoli libraio, per la durata di 9 anni, coi
seguenti patti : Marco Antonio promette di esercitare bene,
fedelmente e legalmente il mestiere di esso Rufolo, obbeden-
dogli in ogni cosa lecita ed onesta, durante il detto tempo. Il
Rufolo, oltre l'alloggio, il vitto e le scarpe, promette di tenerlo
bene, trattarlo secondo la sua condizione, farlo dotto, inse-
gnargli a leggere e scrivere siccome esso Rufolo è dotto e sa
leggere e scrivere e insegnargli la sua arte '.
6 marzo 1483. Compare con^e testimone *.
7 marzo 1483. È nominato procuratore del magnifico Pal-
merio de Achilles^.
20 ottobre 1483. Si rende mallevadore di Guglielmo Fran-
cese libraio^.
6 marzo 1484. Compare come testimone in un atto ''.
13 luglio 1484. È testimone in un atto^.
11 ottobre 1485. È testimone in un' altro atto^.
12 febbraio 1486. S'incontra come testimone in un atto^®.
^ Locatio persone prò magistro Claudio pelligerii : prot. di C. Malfìtano
a. 1483-84, e. 281b.
•' Vedi n. 37.
' V. appendice I, n. 15.
* Prot. di C. Malfìtano, a. 1483, e. 161.
'• V. appendice I, n. 16.
" Vedi sopra il n. 54.
^ Prot. di C. Malfìtano, a. 1483-84, e. 161. Ai 7 maggio 1484 ha una pro-
cura : Procurano prò Sotìo rufulo: ibid., e. 163.
» Ibid., e. 281.
• Ib., a. 1485-86, e. 27a.
'o Ib., e. 120b.
— 248 —
22 sett. 1487. Interviene come testimone in un' altro atto.^.
4 aprile 1490. È testimone in un altro atto 2.
22 giugno 1495. È testimone in un atto ^.
22 maggio 1497. È testimone in un altro atto *.
64. IvoNE o IvoNETTo RuFFo (Le Roux), fraucese (1483).
6 marzo 1483. Fu spedita una litera passus in favore di ybo-
neh ruffb jrancigena, per portare e far commercio di libri, li-
beramente, nel Regno ^. Appartenne alla famiglia dei Le Roux
stampatori e librai, che dimoravano a Parigi, nei secoli XV e
XVI. Il più antico è Goffredo Le Roux libraio (1481-1492).
Un documento degli Archives Générales di Parigi nomina un
« Yvonetus Ruffus » libraio e doratore a Parigi nel 1529.
65. Giovanni inglese (1483).
15 marzo 1483. Si emette una litera-passus ad istanza di
« Johanne englesio » pel commercio di libri, esenti da tassa per
tutto il Regno ^.
66. Riccardo Tedesco (1483),
8 aprile 1483. Si accorda una litera passus ad istanza Rizardi
Theothonici famuli nobilis viri francisci de Tuppo de neapoli,
per lo stesso scopo ^.
67. Baldassare De Nastasio (1483-1490).
Fu di Amalfi, ma dimorò in Napoli. Ebbe in moglie Elisa-
betta Gorziale.
31 maggio 1483. Comparisce come testimone in un atto no-
tarile.
» Prot. di Fr. Russo, a. 1487-88, e. 24a. Ai 18 agosto 1488 prende una
persona ai suoi servizii. V. Locatio servicìorum prò Sotto rufulo: Prot.
d. M. di Fiore, 1486-88, e. 247b.
2 Prot. di C. Malfitano, a. 1489-90, e. 243.
» Ibid., a. 1494-95, e. 271b.
* Ib., a. 1496-97, e. 253b.
« Privileg. Somm., voi. 53, 1. e.
* Priv. Summ. v. 53, 1. e.
' Ibidem., e. 106a.
— 249 —
18 novembre 1490. Maestro Baldassare de Nastasio e la moglie
Elisabetta de Corziale dichiarano aver ricevuto dal magnifico
messer Michele Riccio da Napoh, a nome di società, ducati
12 di carlini d'argento del danaro dotale di Mariella Carbone,
di lui consorte, per ispenderli in alcune cose, spettanti all'arte
Hbraria, per lo spazio di 6 mesi. Alla fine di ogni mese rende-
ranno a messer Michele regolare conto delle cose comprate e
vendute, dando ad esso l'intera metà del guadagno ed alla fìne
dei sei mesi i detti 12 ducati. L'altra metà spetterà ai detti co-
niugi per le loro fatiche, col patto che se capiti iattura nella
società, messer Michele ne risenta per metà e i coniugi per
l'altra metà. Inoltre che questi non possano in verun modo fare
credenza alcuna di detto danaro, e che se non facciano a messer
Michele "il conto stabilito, ogni mese, questi abbia diritto di
chieder loro la restituzione dei 12 ducati che i coniugi deb-
bano restituire ad ogni richiesta ecc. \
68. Baldassarre Fiorentino (1483).
5 lugho 1483. Si accorda una liiera passus in favore e ad
istanza balthasaris fiorentini mercatoris lihrorum per lo stesso
scopo 2.
69. Raffaele Tarano (1483).
Fu di Scala', in provincia di Salerno, e venne a stabilirsi in
Napoli.
5 settembre 1483. Stringe un contratto di società nell' arte
hbraria con Andrea Vitolo^.
70. Onofrio Arina di Tricarico (1483).
2 ottobre 1483. Caterina Dalmacia, madre di Berardino Dal-
macio, pone a bottega il figlio da Maestro Nojrio arina de in-
carico libraro, per la durata di 7 anni, il quale, oltre la propria
arte, promette d'insegnargli a leggere e a scrivere*.
* Vedi, in fine, Appendice I, n. 33.
2 Priv. Sum., V. 53, e. 115b.
■' V. il n. 15.
* Locatio persone prò Nofrio librario : prot. di C. Malfltano, a. 1483,
e. 16.
Anno XLV. 17
— 250 —
71. Raimondo Bunaldi (1484).
30 gennaio 1484. Il nobile Raimondo Bunaldi faceva com«*
mercio di pergamene ^. Molto probabilmente, per le ragioi
espresse innanzi circa la connessione delle professioni di librale
legatore e cartaio, fu pure libraio.
72. Matteo Francese (1484).
28 marzo 1484. Si emette una litera passus ad istanza ed ii
favore di matheus francigena mercator librorum habitator net
polis, per potere liberamente portare e vendere libri stampai
per tutto il Regno 2.
73. Andrea Fontano (1484).
28 marzo 1484. Altra litera passus, per lo stesso scopo, si ri«
lascia ad Andrea pontani^.
continua
M. Fava-G.Bresciano
^ V. Appendice I, n. 19.
2 Prìv. Summ., v. 53, e. 146a.
^ Ibidem, 1. e.
LA CONGIURA
DEL
PRINCIPE DI MONTESARCHIO
(1648)
(Contin. e fine : v. voi. prec. pp. 191-226)
PARTE SECONDA
LE CO SPI R A Z I ONI
CAPO III.
La grande congiura.
SOMMARIO
1. Nuova spedizione navale francese nel regno di Napoli : condotta equivo-
ca di Andrea d'Avalos. — 2. Allontanamento di don Giovanni d' Au-
stria ; nuovi malcontenti suscitati dal viceré ; sua lettera del 16 ottobre.
Un tafferuglio tra popolani e soldati al largo della Carità. — 3. Inizi
della congiura : principali autori ; Antonino Maresca. — 4. Il più impor-
tante documento della congiura: una lettera del principe di Montesarchio
a don Giovanni d'Austria.
1
Un mese e mezzo prima di quei fatti era apparsa nel nostro
golfo una squadra francese — una quarantina tra vascelli e ga-
lere. Non era che un'avanguardia d'assaggio, a cui doveva tener
dietro una grossa armata sotto il comando del principe Tommaso
di Carignano.Pensava il primo ministro di Francia che le condi-
zioni del nostro paese gli fossero propizie piùora,dopo la restau-
razione spagnuola, che non prima, sotto la signoria del duca fran-
cese: « coi pensieri chimerici di cui si pasceva ». Pensava così,
perchè Pastena, Colessa, altri capibanda repubblicani o francofili,
--252 —
fuggiti a Roma, giuravano a quell'ambasciatore francese che la
generalità dei napoletani non vedeva 1' ora di tornare ad insor-
gere e rimettersi in libertà; che ad un loro cenno si sarebbero
arresi gli abitanti di Posilipo, di Ghiaia, rivoltata tutta la città \
Quella squadra d'avanguardia quindi, che aveva già imbar-
cato « molti Lazzari e Popolari fuggiti da Napoli », come apparve
nelle nostre acque (4 giugno), si accostò a Posilipo, a Ghiaia, pro-
vocando qualche lieve rumore; ma senza ottenere alcun movi-
mento importante e tanto meno riuscire a « fare rivoltare Napoli »,
Bastò r apparizione del conte d' Onatte sui punti minacciati o
sospetti ad impedire ogni novità. Anzi Giuseppe Palumbo gli
si presentò a capo della gente della Selleria, offrendogli in ser-
vigio della corona l'aiuto di tutti i quartieri del Mercato 2; onde
il conte ebbe ad «intenerirsi della fedeltà dimostrata dal po-
polo », e proprio da quel popolo del Mercato, e «tanto più si
persuase che la colpa della sollevazione ricadeva sull'oppres-
sione » impostagli dai ceti più alti ^.
Trovata sorda la terraferma, il nemico tentò l'isola di Procida.
Procida era uno dei molti e vasti domini del marchese del
Vasto grancamerario del regno, che da tre mesi erasi ritirato a
Roma, aduggiato dalle guerre e dai disordini del suo paese. Ma
il cugino suo principe di Montesarchio, dopo la fortunata cam-
pagna condotta in Puglia contro i repubblicani, aveva fatto ri-
torno a Napoli, e in quel punto si trovava a Procida. Qui dun-
que il principe di Montesarchio accolse a colpi di cannone la
visita delle navi francesi e le forzò ad allontanarsi; inviò feluche
a spiarne i movimenti ulteriori; riuscì per una di esse a cattu-
rare una tartana dov'era imbarcato don Tiberio del Ferro (pa-
dre dell'ambasciatore di Francia) con buona provvista di ritratti
di Luigi XIV e di cartelli eccitanti a rivolta. Mandò quindi a
Napoli al viceré il prigioniero*.
Allontanatasi la squadra nemica, dopo due settimane di
> Mazarino a Du Plessis, 5 maggio e 4 settembre '48, in Capecelatro,
III, Ann., pp. 75 e 115.
2 M. Verde, Registro dei Bianchi, p. 134 sgg.
3 Tartaglia.
« Diario. Cfr. Capecelatro, III, 273 sgg. ; 321.
— 253--
vana esplorazione e di sterili tentativi, ai 22 giugno, don Ti-
berio del Ferro fu impiccato allargo del Castello insieme con
un volgare assassino ad un' unica forca. Ad un'altra forca fu-
rono contemporaneamente impiccati due giovani, un mari-
naio ed un fruttivendolo, rei d* intelligenza coi francesi testé
partiti. E in mezzo alle due forche per lo stesso delitto lasciò
il capo sul palco l'exgeneralissimo Gennaro Annese^.
Ma li ebbe fine la seconda serie di benemerenze spagnole
di don Andrea d' Avalos. Quando, ai 4 agosto, apparve tra
Ponza ed Ischia il grosso dell'armata francese, il principe si
trovava a Napoli. Eppure da parecchi giorni qui era stato prean-
nunziato queir arrivo. Molti emigrati napoletani facevano corteo
a Tommaso di Carignano, comandante supremo di quella flotta.
E primeggiava tra loro il marchese d'Acaia, vecchio nemico di
Spagna e vecchio cospiratore contro la signoria spagnola.
Il principe di Montesarchio si recò a porre in salvo Procida ;
ma solo la mattina del 6 agosto: quando già da un giorno vi
si erano istallati da padroni i nemici. Due loro aderenti —
un procidano a nome Vincenzo Salano e un certo Onofrio
Schiavo, nativo di Napoli, ma casato nell'isola — ve li ave-
vano introdotti a tradimento. H principe, che, sbarcato, fu
informato dell'avvenuto da un prete, nell'impeto dell'ira,
colpì con la spada al capo il disgraziato nunzio. Pensò chia-
mare i maggiorenti dell'isola per tentar qualche cosa ; ma si
vide preso di mira ed in grave pericolo e fuggi per salvarsi,
gittandosi con tanta furia in una feluca da sconciarsi un braccio.
Questo si legge in qualche diario contemporaneo. Ma si trova
anche asserito che, se il principe potè mettersi in salvo, fu perchè
il marchese d'Acaia ordinò che fosse lasciato fuggire^.
E, quantunque poi, falliti i tentativi francesi su Ischia e Poz-
zuoli e trasferiti nel Salernitano, il principe si offrisse ad agire
colà; quantunque una tartana, recante legno da costruzione
ai francesi di Procida, rimanesse una notte pre(Ja di un vas-
sallo del principe®; il viceré, che dovè conoscere meglio le cose.
^ Registro dei Bianchi, pp. 132 sgg.
• M. Verde ; Tartaglia. Cfr. Capecelatro, III, 394 sgg.
» Capecelatro, III, 407 sgg., e 433,
— 254 —
perseverò poi nella convinzione che la fallita impresa di Tom-
maso di Savoia più che avversata fosse stata favorita da don
Andrea d'Avalos^
Si ripresero quindi i processi e le condanne di quanti vennero
ulteriormente accusati d'intelligenza col nemico. Ma nel tempo
stesso si attese pure la concessione delle grazie già chieste al
plenipotenziario don Giovanni da quanti, in alto ed in basso,
avevano servito o credevano o asserivano d'aver servito la co-
rona nelle emergenze passate con maggior zelo e con maggior
sacrifizio.
Il principe di Montesarchio, come quelli di Roccaromana
e Della Rocca e il conte di Conversano e i duchi d'Andria e di
Maddaloni, si attendeva a compenso uno degli onori supremi
del Grandato di Spagna o del Toson d'oro ^ Ma, mentre don
Giovanni aveva segnalati quelli ed altri alregal genitore, rice-
vendone promessa di guiderdoni adeguati^, il viceré avvisava
esser più urgente l'estirpazione, in alto ed in basso, di ogni
seme di commozioni future, che non l'elargizione di premi e
di favori. E alla Corte rappresentò come il baronaggio, dispre-
giatore dell'autorità vicereale con « pravo esempio » e « gran-
dissimo pregiudizio agl'interessi della Monarchia », era stato
già troppo gonfiato dal favore incontrato presso don Giovanni.
Si aggiunge anzi che quel favore egli prospettasse e spiegasse
in modo obliquo, rendendo «sospetto alla Corte di Spagna»
il figlio di Filippo IV di ambire la corona di Napoli e di cer-
care a quel fine il seguito dei baroni*.
Comunque sia, la Corte nominò viceré di Sicilia don Giovanni;
e ai 23 settembre, questi «ad ore 22 s' imbarcò lasciando deso-
lati i popoli ridotti all'arbitrio del viceré di più rigoroso natu-
1 Lettera di Onatte a Filippo IV del 16 ottobre 1648, citata in seguito.
2 Ms. XXI, B. 13 bis.
3 Archivo general de Simancas, Secretarias provine, lib. 742, ff. 9, 16
sgg. 30 — dove, tra i popolari da premiare, figura anche Gennaro Annese—
f. 413 sgg. Secretarla de Estado, legajo 218, f. 240.
* Campanile-Fuidoro.
— 255 —
rale ». Ma non solamente per questo. Partendo alla volta di Mes-
sina, egli lasciava a Napoli solamente « bone parole» ; non una
delle grazie chiestegli «pubblicata né conceduta». E sì che mol-
tissimi se ne attendevano, oltre i baroni e cavalieri. « Molti sol-
dati (nota un contemporaneo) pretendevano remunerazione ;
le università fedeli privilegi; ed alcuni dottori piazze di ministri
e molti del popolo civile portatosi così fedelmente diverse gra-
zie e riconoscimenti » ^.
Con altri soldati che seguirono don Giovanni s'imbarcò l'ul-
tima leva del principe di Montesarchio. Questi, al momento del-
la partenza del principe spagnolo, giaceva a letto nuovamente
infermo ^. Ma il conte d' Onatte, disimpacciato oramai nel-
l'esplicazione del suo programma, giudicò opportuno allonta-
narlo dal regno in maniera da non destare scandalo.
La sua politica ci è così riassunta nello stile del tempo : « Con
meravigliosa destrezza il viceré, tra li preziosi sonniferi di cor
tesia e gentilezza addormentando li capi principali dei più sedi-
ziosi, con nuove imputazioni andava di quando in quando
troncando quei fiori che pregni di pessime sementi sogliono
ammorbare li giardini del buono e quieto governo y>^.
Quanto ai gregari, il conte d' Onatte pose ora ad effetto
l'espediente già suggerito dal cardinale Filomaiino : comperò
cioè segretatamente le armi tenute dai popolani, e così riuscì a
disarmarli*. Ma sopra tutto volle eliminare o almen scemare
la causa prima del loro malcontento. «Perché buona parte del-
le sollevazioni per il Regno venivano imputate alli soverchi
rigori di alcuni nobili, il viceré chiamò a Napoli quasi tutti
li Baroni e titolati acciò, divertiti da perseguitare li popoli,
maggiormente non si esacerbassero; e apparentemente dimo-
strò di volerli presso di sé col pretesto di averli pronti ad ogni
accidente » ^.
' Ms. XXI, B, 13 bis.
^ Ms. cit Istoria delle guerre ciò. Tartaglia. Cfr. Capecelatro, III,
485.
^ Diario ms. M. Verde.
» Arch. cit. di Simancas, Secr. prov., lib. 623, f. 279 : Onatte al re, 7
febbr. 49 ; lib. 742, 1. 226 : il re a Onatte, 2 marzo 49.
^ M. Verde. Diario. Cfr. Capecelatro, III, 253.
— 256 —
Egli stesso, ai 16 ottobre, « nella forma più segreta» informò il
re dei propri disegni e dei propri propositi riguarda alla nobiltà
in genere e al principe di Montesarchio in ispecie. Ammetteva
che una parte dei nobili, e la più numerosa, avesse ben servito
la corona nei moti recenti. Ma reputava necessario tener d'oc-
chio attentamente gli altri, pur senza punirli in massa né mo-
strare di differenziarli dai benemeriti. In conseguenza avrebbe
fatto mostra di onorare e premiare il prindpe di Montesarchio
conferendogli il comando di due «terzi» del Milanese. Ma in ef-
fetti lo avrebbe tenuto, come doveva, lontano dal regno. Giac-
ché era certezza per lui aveie don Andrea d'Avalcs accettato
salvaguardia dal duca di Guisa, nonostante che s'ostentasse
partigiane del re. Di ciò avealo assicurato il principe di Ca-
stellaneta, che l'Avalos invano aveva tentato di trascinare
alla parte sua. E in seguito, venuta la flotta francese, l'Avalcs
a giudizio del viceré era stato più amico che avversario dei ne-
mici e dei traditori del re^.
» Arch. Simancas, Secr. de Estado, leg. 218, f. 383. Ecco testualmente
l'importante documento :
« Senor. Cìerto es que los mas de estos Cavalleros han servido mui bien
y los que de estos se an apartado pueden ser mirados con mas cuidado
pero no castigados derechamente ni aun diversificados en los favores y
cosas generales, por esto yo se los he hecho al Principe de Montesarchio y
le he deseado sacar del Reyno y para elio le encargue zerca de dos tercios
para Milan dandole el nombre de dos tercios porque haviendo tenido Ti-
tulo de Capitan General de la Cavalleria que el Duque de Arcos comenzo
a levantar quando quiso ir sobre Puerto Longon era menester darle si-
quiera este honor de dos Tercios para salir de aqui. Ma yo le hice ajustan-
do primero, que en llegando a Milan se contentase de que solo un tercio
quedare en pie y el otro se lo formase. Hame parecido dar quente dello a
V. M. y de que yo desseo sacar de aqui al Principe con qualquiera prete-
sto porque no solo es cierto que aunque estava de està otra parte recivio
salvaguardia del Duque de Guisa. Pero el Principe de Castilaneta me ha
contado a mi que le deseò enlazar a el, y sobre elio paso disgusto entre los
dos. Pero despues quando la segunda venida de la Armada de Francia me
tuvo con certos celos y cuidados, sin que yo aya podido averiguar el caso,
mas si visto muchas senales y tenido mui perjudiciales avisos, que todavia
conserva el dar de comer y ayudar a muchos que tenemos por traidores, y
que por todo lo que puede suceder, me ha parecido que V. M. tenga està
noticia en està forma mas secreta paraque siempre me mande Io que fuere
de su mayor servicio. Nuestro Senor » etc.
— 257 —
Ma per quanto segrete rimanessero quelle rivelazioni, per
circospetto che fosse il contegno del viceré verso i più alti ba-
roni sospetti, non potè il conte d' Onatte evitare nuovi moti-
vi di rancori e di accuse a suo danno di singoli e di masse.
Quel priore Gianbattista Caracciolo, che prima, ai 5 febbraio,
aveva giurato in nome di tutta la nobiltà di voler vivere quin-
di innanzi coi popolani nella «unione e fratellanza che Dio co-
manda », e poi s' era unito cci più fieri e più efficaci oppositori
della parità di voto reclamata dai popolani ; chiese ora al viceré
il generalato delle artiglierie, asserendo che glielo avesse con-
cesso il re. Ma il viceré glielo negò i.
Verso lo stesso tempo, morta la vecchia marchesa del Vasto,
il principe di Montesarchio suo nipote pretese succederle nel do
minio dell'isola d' Ischia, devoluto alla corona. Ma, fattane ri-
chiesta al conte d' Onatte, questi gli rispose invitandolo a vol-
gersi al re; egli, il viceré, avrebbe poi eseguito il comando so-
vrano ^
Nuova materia di disgusto tra il principe napoletano e il
conte spagnolo sopraggiunse nel mese successivo.
Frattanto, perdurando la carestia e facendosene colpa princi-
palmente all' ingordigia dei grandi proprietari feudafi, che te-
nevano il grano nelle fosse per venderlo a prezzo più alto, «Sua
Eccellenza destinò commissionari per le provincie con bandi
che fossero manifestati i grani nascosti e venduti a c^irlini 22
il tomolo ». Ma il grano continuò a vendersi, come prima, a
quattro ducati (40 carlini) il tomolo 3.
Opportunamente, in quel mezzo ottobre, giunse a Napoli la
notizia della congiura spagnola del duca di Hijar. Secondo la
voce corsane qui, « molti nobili spagnoli » avevano tramato di
ammazzare Filippo IV per «distribuirsi li Regni di Spagna»*.
Il fresco incidente si prestava ad utifi interpetrazioni per quanti
volevano disfarsi del conte d' Onatte. Ma prima si ritentò l'op-
posizione legale. Una nuova ambasceria aire destinarono i seggi
1 Gapecelatro, III, 495 ogg
2 Piacente, p. 378.
^ Tartaglia.
* Tartaglia. Cfr. Lafuente, XII, 66 ; Hume, pp. 392 sgg.
— 258
contro di lui. La scelta dell'ambasciatore cadde su un personag-
gio di primo ordine, Luigi Poderico, che aveva già capitanato le
forze baronali contro i repubblicani. E gli fu data un'istruzione
che lasciava supporre assai gravi propositi ne' mandanti: che
cioè, non ottenendo il ristabilimento delle gabelle abolite, si
astenesse dal chieder altro e ripartisse immediatamente per Na-
poli. L' ambasciatore partì il 17 ottobre in compagnia di Giam-
battista Caracciolo, che aveva un conto suo personale contro il
viceré ^.
Ad un mese di distanza da quella partenza capitò un episo-
dio, che colmò la misura nell' animo esasperato del principe di
Montesarchio.
O che al largo della Carità tre soldati spagnoli negassero a
un macellaio il prezzo di una coscia di vitello da loro presa,
o che nel prossimo vico del Nunzio in una casa di mal affare
venissero a briga per motivo di donne soldati spagnoli con
vassalli del principe, il lieve tafferuglio si dilatò in breve in
zuffa tra soldati e cittadini. Si sparò gran quantità di archi-
bugiate, molti caddero morti o feriti. E tra questi parecchi
della gente del principe (18 novembre) ^.
Della sua gente rimastavi morta ebbe a dolersi il principe
ragionando con vari amici (Cesare Carafa, Gennaro Petagna,
Michele Baldacchini, Ottavio Caracciolo). E nello sfogo del
risentimento espresse propositi di vendetta variamente riferiti
poi : o che volesse «mandare a sangue e a fuoco il Palazzo e il
signor Viceré » o che, se non fosse il suo rispetto pel viceré,
« questi spagnuoli li manderia a sangue e fuoco » ^.
I
Da quell'istante don Andrea d'Avalos divenne centro di quanti
per diversi motivi avversavano il viceré, e da questo molte-
plice cumulo di odi venne a sbocciare l'idea di restituire al
paese l'indipendenza sotto lo scettro di don Giovanni d'Austria.
^ Capecelatro, III, 495 sgg.
2 Cfr. Capecelatro, III, 504, e Pollio cit., dal De Blasiis in Arch.
sior. Nap.y IX, 144.
' V. la doppia deposizione del Giannella in Registro dei Bianchi, p. 144.
I
— 259-—
Ad arte o in buona fede le mire di don Rodrigo de Silva, di
don Carlo Padilla e degli altri autori della sventata congiura
spagnola si collegarono conia persona e con la politica del conte
d' Onatte. Egli apparteneva a quella nobiltà ch'era riuscita
ad isolare il sovrano cattolico, sopprimendone i fratelli e il fi-
gliolo legittimo, tutti immaturamente usciti dal mondo. All'am-
pia monarchia mancava un erede. Allora allora Filippo IV si
era congiunto in nuove nozze con la giovinetta nipote Mariana,
già fidanzata del principe ereditario defunto. Ma, invecchiato
anzi tempo, logoro di corpo come di spirito, più che speranza di
un nuovo erede dava timore che spirasse anche lui da un mo-
mento all' altro. E quella scomparsa si diceva che attendessero
e bramassero i nobili di Spagna cupidi di smembrare a proprio
vantaggio i territori del regno. Tra quegli ambiziosi veniva se-
gnalato r Onatte, a cui s' imputava il disegno di mutare il mi-
nistero in principato, come già s' era detto del duca d'Os-
suna.
Tali apprensioni, vere o simulate, strinsero intorno al nome
di don Giovanni d'Austria «la nobiltà di tutto il regno », come fu
indicata al viceré da uno dei baroni, che la denunciò quale co-
spiratrice e traditrice i. Ma di essa pochi nomi ci è dato di riferire:
queUi cioè del piincipe di Troia, fratello di Andrea d'Avalos, di
Cesare Carafa e probabilmente degli altri presenti alla con-
versazione accennata ; di don Gregorio Carafa, figlio del prin-
cipe della Roccella, cavaliere di S. Giovanni e priore della Roc-
cella ; del già menzionato Fra Titta o Battista Caracciolo ; di
due cavaUeri del seggio di Porto : Paolo Venato e Andrea Mi-
roballo. Ma a questi i narratori aggiungono in modo vago, oltre
molti altri nobili, anche « riformati e compagnoni » o « smar-
giassi, conosciuti o protetti o dipendenti dai nobili, che, per aver
servito la corona nelle passate guerre, erano divenuti assai au-
torevoli e più che insolenti » ; e poi preti e frati e in fine gran
quantità di gente del popolo cosi civile come minuto 2.
» Vedi lettera del Montesarchio riferita in seguito.
* Cfr. Tartaglia ; Rubino dottor Andrea, Notìzia di quanto è occorso
in Napoli dalla. 1648 per tutto l'a. 1657, to. I (ms. XXIII, D, 14); Verde;
Piacente, p. 378.
— 260 —
Anello di congiunzione tra le classi estreme per la congiura
dovette essere un grosso borghese, che merita bene una men-
zione speciale. Mattia Maresca, fabbricante di calze nel rione
di S. Pietro Martire, negoziando principalmente con case to-
scane nella « nobile mercanzia della seta », aveva ammassato
tanta ricchezza da diventare poi imprenditore di «partiti con
la Corte ». Ereditata dal figlio Antonino questa stessa specu-
lazione, gli appalti, da un lato, e i prestiti alla corona, dall'al-
tro, gli avevan fruttato tanto guadagno, « che si ritrovava in suo
podere da un conto d'oro » (un milione). A rivalsa di uno dei
suoi crediti verso la corte Antonino Maresca aveva ricevuto un
« assegno » nella regia dogana di 25 grana per ogni peso di mer- Jj
ce. Ma, non si sa perchè, questo assegno, poi, prima dei tumulti
popolari, era stato tolto a lui e concesso al fiammingo Giovanni
Vandeinden — già « poverissimo sensale casato con una f emina
che imposimava collari » ; ora « per li moderni partiti di navi e
vascelli fiammenghi, pervenuto a straordinaria ricchezza e ap-
parentato con famighe Nobili ».
Indarno il Maresca s' era volto ai tribunali per avere giusti-
zia, quando scoppiò l' insurrezione di luglio. Allora, « avendo
bisogno i Regii di gente atta all'armi e di danari», per po-
tere con più vigore ributtare le forze popolari, il Maresca, nella
« vana ambizione di esser rifatto di tutta la sua perdita in un
subito » [cosi nota uno dei diaristi] provvide all' uno e all' altro
bisogno. Non solamente forni nuovo danaro ; ma, chiesto e
ottenuto il grado di maestro di campo di un « terzo » di volon-
tari, questo egli reclutò e mantenne a proprie spese e condusse
anche sulle navi spagnole, combattendo contro i francesi.
Ora, cessata la guerra, di tanta benemerenza il conte d' 0-
iiatte non tenne quel conto che Antonino Maresca si attendeva.
Per quante istanze ne ricevesse, il viceré non gli restituì 1' asse-
gno in dogana, non solo; ma, poiché con l'anno 1647 spirava
l'Elettato del dottor Cangiano, posta dal Maresca la sua candi-
datura alla successione, le sue sollecitudini e le brighe non val-
sero a propiziargli l'animo del viceré. Questi gli preferi Felice J
Basile, e del Maresca così si fece un nemico mortale.
« Si disse e si pubblicò che il Maresca avesse congiurato col j
principe di Montesarchio e con un pescivendolo del fondaco di
— 261 —
S. Giacomo a Porto chiamato Ciccio Guallecchia, già Capitano
del popolo in quel quartiere » ^,
In un suntuoso banchetto da lui ordinato a Posilipo adunò
molti caporioni popolari : Giuseppe Palumbo, che, promosso
maestro di campo dal duca di Guisa, vedemmo ultimamen-
te convertito in tutto alla fede spagnola e al servizio del viceré ;
i fratelli Andrea e Ciullo o Giulio Ricca, il dottor Carlo Gen-
zale, i due capitani di giustizia Giambattista Sparano e Giu-
seppe de Palma, Agostino Mannara cartaro, Francesco Maz-
ziotta mercante di mante a S. Pietro a Fusariello, Francesco
Marranzino, « tutti persone machinatrici e suoi aderenti ».
Colà si decise « il modo che si aveva a tenere per una nuova
sollevazione » con uccisione del conte di Onatte e la procla-
mazione di don Giovanni d'Austria a re delle due Sicilie 2. Ciò
doveva eseguirsi, secondo alcuni, al prossimo 3 giugno ((festi-
vità del Corpus di Cristo » ; secondo altri, e più probabilmen-
te, venti giorni dopo, alla (( vigilia di S. Giovanni Battista, gior-
nata solennissima per la festa che si celebrava in Napoli, mentre
[il viceré] con la cavalcata si stava godendo la festa » ^ Le se-
conda data è da preferire in quanto è confermata da un avviso
scritto ad Ippolito Pastena — e rivelato nella tortura da un reo
di crimenlese — (( che stesse allegramente, perché a S. Giovanni
si rivoltava Napoli »*.
Quanto al viceré, urgeva toglierlo di mezzo, perché egli, in-
formato che (( la nobiltà di tutto il Regno destinava per il suo
Re e Signore » il figlio di FiUppo IV, si asseriva che avesse « giu-
rato di troncare con il vivere » del giovane principe (( il filo delle
speranze napoletane». E, quanto a don Giovanni, si diceva
* Tartaglia con le ali re fonti sopra citate.
* Rubino.
' Gfr. Verde ; Rubino ; Campanile-Fuidoro; Istoria delle guerre
civili.
* Registro dei Bianchi^ p. 143.
— 262 —
« pubblicamente che li congiurati avessero inviato a Sua Al-
tezza alcune capitolazioni in Sicilia, dove si trovava viceré »i.
Ma è giunto fino a noi il testo dell' appello destinato per lui»
Fu attribuita al principe di Montesarchio la paternità di questa
scrittura. Ma, se può mettersi in dubbio tale attribuzione, cer- |l
to è, ad ogni modo, ch'essa rispecchia il pensiero politico di una
parte dell'aristocrazia napoletana del tempo; e però merita di
esser resa di pubblica ragione 2.
« Serenissimo ed Invittissimo Principe,
«Benché il dar consiglio a Grandi fosse sempre stimato da'
più saggi fatto non meno periglioso che difficile, rivolgendosi
sovente la colpa dei non conseguiti disegni contro di chi non J|
ebbe mai altro peccato che di procurare Tavanzamento del suo ^
Signore, non temo Io ad ogni modo di rendermi all'A. V. odioso
arrischiandomi, con riverenti avvisi, e ben fondate ragioni, di
promuoverla alla conquista di questi Regni, dei quali già è
neir animo de' popoli anticipatamente acclamata per Re. Fa-
vello, o Eroe Invittissimo, dei Regni di Napoli mia Patria e
Sicilia ; nei quali, non già con la crudeltà dei Neroni e con le
proscrizioni dei Tiberi, praticate colà dal Conte Viceré, ma con
la clemenza d'Augusto Tautorità del nostro potentissimo Re e
Principe si stabilisce.
«A così generosa Impresa TA. V. al presente destinata dal
Cielo, chiamata dai Popoli, invitata dai Grandi, augurata dalle
Stelle, diretta dal suo valore, é consigliata dalla mia devotissi-
ma sincerità, che mancherebbe a se stessa, ed al debito di vas-
sallaggio, se non Le proponessi tutti quei motivi, che sollecitar
la possono a farsi Re di Napoli e di Sicilia.
«Proporrei all' A. V. ; per primo ed efficace motivo delle sue
1 Tartaglia.
^ Fu inserito con la firma « Il principe di Montesarchio » a p. 266 del-
ì'Istoria delle guerre civili (ms. XXVI, B, 18 della Soc. Stor. Nap., ester-
namente intitolato Rivoluzioni ed altro occorso nella città e regno di Napoli
dall' a. 1647 al 1655) ed anche a ff. 122 sgg. del volume miscellaneo ms.
XXVI, B, 16 di Notizie diverse di Napoli; col titolo di « Lettera scritta da
un Principe Napolitano al Sig. D. Giovanni d'Austria, intercetta dal Vice-
rè di Napoli, nella quale viene esortato a farsi Re di Napoli e di Sicilia »,
con pochissime e lievissime varianti e con la firma « 11 Principe N. N. ».
— 263 —
incontrastabili risoluzioni, V evidenza dell' attentate violenze
dei Spagnoli Ministri contro la sua Real Persona, ed insieme
rodio eterno, col quale sarà sempre insidiata ; e non pregiudi-
carà a quel cuore, che non conoscendo timore, non s'arresti
giamai, per conseguimento di gloria, di cimentarsi con la morte
stessa. Ma, perchè non è men disagio il dubitare di quello sia
di valoroso il non temere, dovrà l'A. V., con quella prudenza
che Le scorsi sempre in ogni sua azione, farsi presente alla ri-
cordanza dei Zii e del Fratello, Carlo e Ferdinando e Baldas-
sarre, consecrati vittime innocenti al furore de' Ministri Spa-
gnuoli, che ad altro non aspirano che a spengersi affatto nella
Spagna la prosapia degli Austriaci, a fine di dividersi fra di
loro i Regni di tutto la Monarchia i. È questa verità posta
in chiaro dall'esecranda congiura attentata li giorni passati
dalla maggior parte de' Grandi di Spagna contro il cattolico
Re vostro Padre, e viene più di presente manifestata dalle im-
pertinenti dichiarazioni del Consiglio di Spagna, che non vuole,
che passi colà Ferdinando Re d'Ungaria vostro Cugino ^ te-
mendo, con l'esempio di Carlo V, che si vadi perpetuando
negli Austriaci per mezzo de' matrimoni] l'Imperio di quei
Regni. Di queste diaboliche massime di Stati intestati quei
scelarati; siate sicura, come non trasanderanno occasioni di le-
varsegli dagli occhi, che hanno pieni di sangue di mille ven-
dette, ancorché avessero a lasciar Dio per il Regno.
«Dio vi guardi, Innocentissimo Principe, di far tregua col
sospetto ; che vi giuro, che indubitatamente sarete tradito.
Non vi lusinghino le apparenze, perchè sotto di queste, come
nei frutti di Cleopatra, ritrovarete il veleno di che sono i Spa-
gnuoli impertinentissimi fabbri.
«Il Ministro che disegnano mandare ad assistervi, non è per
altro fine, che per assicurarsi della vostra persona. Del Borgia
più che di ogni altro avete a temere, perchè più di chi si sia è
ambizioso' ; siate avvisato, come già per le adunanzze d'Italia
» Sulle morti degl'infanti Carlo (1632) e Ferdinando cardinale (1641) e
del principe ereditario Baldassare (1646), v. Hume, pp. 245, 362 e 385.
« Ferdinando, generato all'imperatore Ferdinando III dalla sua prima
consorte, sorella di Filippo IV, e premorto al padre.
» Allude probabilmente a D. Fernando de Borgia, stato già ufficialmen-
te aomigliere di corpo del principe ereditario deiunto, effcUivanionlt suo
aio. V. Pellegrini, Relazioni cit., p. 75.
^264 —
s'odono i susurri della vostra caduta, prefissata per iscopo
principale della sua barbarie dal Conte d' Onatte, a cui dal
Prencipe di Monticchio con animo plebeo essendo stato fatto
palese, come vi destinava la Nobiltà di tutto il Regno per il
suo Re e Signore, giurò di troncare con il viver vostro il filo
delle speranze Napolitane^.
«Ma, quando le accennate non fossero'veritàpiù che evidenti
ma bensì trasognati racconti, non dovrebbe riempir Tanimo
vostro, o Principe valoroso, d'imperturbabile ardire, per esser
pur troppo certo, o di passar per le violenze dei Tiranni, o di
viver fuggitivo e ramingo vita privata e meschina, su assicu-
rarsi con la successione nei vostri fratelli i possessi dei Regni
di Spagna 2. Non sarete voi astretto ad esser privato Cava-
liere, ed in sospetto al Padre, a fratelli, ed al Regno di Spagna,
non sarete, e nel Padre averà fine la serie dei Regni. Non scor-
gete, come attendono solo i Ministri Spagnuoli, disgustando
tutti i Potentati d'Europa ed alienandoli tutti dalla divozione
e corritpondenza con vostro Padre, di portarsi, calcando Te-
sempio degli altri, al comando assoluto dei Stati? Il Conte
d'Ognatte, Vice Re di Napoli, con fare dei miseri Napoletani
sanguinoso macello, e con assicurarsi del più potenti, e con rat-
tentato di nuove fortificazioni, guarnite e presidiate di genti
a sé divote, non si batte la strada, tanto più che ne attende di
giorno in giorno la morte di vostro Parde, alla tirannia di Na-
poli ? Non credetelo a me ; osservate le sue azioni, e mi dica
[se] Fautorità del Cattolico o la propria procura in Napoli di
stabilire. Non sono Io già avvisato come ad alcuni Baroni suoi
aderenti (a' quali fa concepire alte speranze) ha già motivato
questo suo ambizioso disegno ? E come, dunque, potrà Tanimo
glorioso ed invitto di D. Giovanni d'Austria tollerar che un vas-
sallo gli tolga di capo quel Diadema, che sol fu destinato alla
sua virtù ? Vorrà egli vivere non Dionigi, ma con la spada di
Dionigi sopra del Capo, e non acconsentire, che senza contrasti
s'usurpi il Tiranno l'Imperio ?
^ Un «principato » di Monticchio non so che sia mai esistito. Un feudo
di Monticchio (in Principato ultra, presso S. Angelo dei Lombardi) era sta-
to venduto pochi anni avanti dagli Aldane al principe di Gallicano Pom-
peo Colonna. Avesse l'autore della lettera voluto anche con quel titolo con-
fermare il suo disprezzo pel delatore ?
■ Non s'intende quest'ultima frase. Il testo vi è certamente corrotto,
come pure nel periodo che immediatamente segue.
— 265 —
« Quai difficoltà possono arrestarvi, o Prìncipe infaticabile,
che frettoloso non accorriate ai sospiri dei miseri Napolitani, che
con supplichevoli voti vi attendono, che li sottragghiate dalla
crudeltà del Tiranno oppressore ? Non siete più che accertato
della divozione dei Popoli? Non leggevate già, mentre eravate
in Napoli, caratterizzato ne' sembianti di tutti il vivo [desi-
lerio ?] dell'augurato Regno ? Risolvetevi. Che aspettate d'es-
*ser prevenuto dal tradimento, o d'esser rimosso dal Comando e
da'Regni d'Italia? Avete i cuori dei Popoli, il braccio de' Grandi;
ed averete ancora il favore di tutti i Potentati d'Europa, quali
secondaranno i vostri generosi attentati, non s'ingannaranno
[sic] d'assicurare i loro Stati da quella Potenza, che si rendeva
già con le rapine odiosa e temuta da tutto io Mondo.
«I Signori Veneziani non mancheranno a quella saviezza,
che sempre suggerì loro, col dividere i più Potenti d'Europa,
di stabilir con la proria la libertà di tutta l'Italia, ed insie-
me d'assicurare i propri Stati dalle severe ed ingiuste invasioni
dei Spagnuoli, se [pure] non darà a voi quelli agiuti, che per
ristessa ragione di Stato diede già all'Olanda.
« La Chiesa Romana stimar à a sua fortuna l'aver un Principe
confidente, confederato, benemerito ed obligato, e di non esser
dubbiosa di vedere la Città Santa di Roma un'altra volta sac-
cheggiata dai Spagnuoli; ond'è che vi farà sentire i suoi potenti
sovvenimenti, quando di presente a ciò fare l'hanno con bar-
bara ingratidudina invitata nell'impresa di Castro i Ministri di
Spagna.
a Le Altezze Serenissime di Fiorenza e di Parma, fisse sem-
pre nelle massime dell'Italiana Libertà, dubbio non vi è, che
non aderischino alle vostre deliberazioni, non solo per assicu-
rare li Stati loro dalla voracità Spagnuola. che sempre disegnò
d'usurpaglieli, quanto per liberarsi anco da quei tributi, che
pretendono i Spagnuoli per le guerre di Napoli e di Milano.
« Il Serenissimo di Modena, se non mancò a' Francesi per le-
vare dallo Stato di Milano i Spagnuoli, non mancarà a voi, per
scacciarli dal Regno di Napoli.
«Il Duca di Mantova, che piange ancora la calamità del suo
Stato, conoscendo nelle perdite Spagnuole migliorare i suoi van-
taggi, se bene pare che abbino procurato di affezionarselo per
mezzo di matrimonio, non credete che si scordi di esser vero
figlio e Prencipe d'Italia, amico della Francia, e nemico di colo-
ro che con nuove usurpazioni, or di Sabioneta, or della Miran-
randola, non temono d'ingelosirlo nel proprio Stato.
Anno XLV, 18
— 266 —
« La Repubblica di Genova, benché creduta dal Mondo per
Spagnuola, farà conoscere che grinteresssi privati di alcuni suoi
Cittadini saranno inefficaci a trattenerla che non dia mano al
vostropartito, conoscendo quei Padri quanto sia a proposito, per
levare una volta i Spagnuoli d'Italia, che vi facciate Re di Na-
poli. So che siete a parte dei disgusti che passano di presente fra
quella Repubblica e i Ministri della Maestà Cattolica: condi-
zioni tutte che migliorano il vostro partito.
« La Signoria di Lucca, disobligata dalla divozione che pro-
fessa alla Spagna in risentimento dei strapazzi ricevuti nella
persona del suo Ambasciatore, che generosamente ribattette
alla Magnada [sic] gli affronti dei Spagnuoli, se non vi sommi-
nistrarà agiuti, goderà almeno che siate agiutato^.
« L'Altezza di Savoia, benché più d'ogni altro Prencipe Ita-
liano sia lontano da Napoli, si farà altrettanto sperimentare da
vicino più d'ogn'altra potenza dei vostri vantaggi parziale ;
impercioché il giovinetto Eroe non potrà meglio assicurare il
suo Stato, tante volte, ma invano, insidiatogli dagli Spagnuoli
ed anco parte usurpatogli, come la Città di Vercelli, in tempo
che non era in età d'imbrandire lo stocco alla difesa, che col
smembrare li Stati e Regni loro.
«Le Repubbliche dei Grigioni non vedond l'ora che si perda
dai Spagnoli questo Regno, acciò possano veder in esempio
alienato quello di Milano, per mezzo del quale hanno fatto più
volta quelle Arpie disegno, con pretesti apparenti di religione,
di togliarli la libertà, lo Stato, sono questi Popoli agguerriti,
gente valorosa, e facile a far che pieghi la vittoria ove piegano
l'armi loro. Quindi è che nell' aggiuto loro avete a fare gran
capitale.
« Il Re di Portogallo D. Giovanni IV, non cedendo ad alcunj
Potentato, farà che sentiate il valore delle sue potentissime ar-
mate, sapendo dalla divisione dei Regni Spagnuoli fondamen-
tarsi la pace della sua Monarchia ; siccome di presente noni
manca alla Francia, da cui riconosce la sua fortuna, così noni
mancherà a voi, dal quale sperarà l'assodamento della sua fe-j
licita.
^ Ambasciatore residente di Lucca a Madrid, dopo Alessandro MasseiJ
fu Giovanni Guinigi dall'agosto 1646 all'agosto 1649 ; ma dalla relazioni
che abbiamo della sua ambasceria (Pellegrini, op. cit., n. XII, p. 80 sgg.j
nulla traspare che faccia luce sull'incidente qui accennato. Quella Magna'
da potrebbe essere una storpiatura di Maqueda.
— 267 —
jH «Le sacre Maestà dell'Imperatore e del Re d'Ungaria Tuna
HMisgustata dei Spagnuoli per gli ultimi trattati della Germania,
^H'altra per li strapazzi fattili dal Ministro del Cattolico, e per-
^Bonalmente dal Duca di Maqueda nel viaggio della sorella Re-
^"gina e vostra Madre ^, non sarannno entrambi per denegare
agiuti, tanto più che si tratta di stabilire sul trono un Cugino,
Principe e parente del Sangue.
«La Francia riflettendo agFinteressi dello Stato ed a' suoi
vantaggi, oblierà le sue ragioni che tiene sul Regno di Napoli;
vi manderà agiuti potenti, acciò possiate coronare li vostri glo-
riosi disegni; e senza dubio trattare con più sinceri.à con voi
di quello facessero agli Angioini quelli di Castiglia e d'Aragona.
Molto accertato d'assicurarvi l'assistenza di questa potentissi-
ma Corona sarà, se resisterete [sic] voi con serenissimi mari-
taggi di madamigella d'Orleans, Dama e Principessa la più bella
che adori il sole.
« Lo Stato di Milano, avvertendo esser Napoli catena alla sua
libertà, ed esso a quella di Napoli, nell'istesso tempo che procu-
rarete di farvi Re di quel Regno, incontrando congiontura cosi
a proposito, si riportarà anch'esso sotto il comando de' suoi
antichi e naturali Padroni 2. Non saranno i Milanesi così scioc-
chi come furono i miei Napoletani, che depongano la spada,
se una volta si risolvono d'imbrandirla per liberarsi dalla ser-
vitù dei Spagnuoli, de' quali non è più il numero in quello
Stato di 4000 — ; sed quid inter tantos ?
« Oltre la somma di tutti questi aggiuti ha poi l'A. V. da
sapere che [altri ne avrà] dai Regni stessi di Napoli e di Si-
cilia, oppressi e traditi da' Spagnoli, che ad altro non aspirano,
che (facendoli passare alle calamità delle Indie) a votarli af-
fatto d'abitanti. Scorgono ora i miei concittadini cosa sia por
mano alla spada contro Spagnuoli, per rinfodrarla poi a suo
* Madre in quanto moglie del padre di don Giovanni. Quel viaggio di
Marianna d'Austria quindicenne dall'Ungheria per l'Italia alla volta del
vecchio zio datole per marito è ben descritto da Hume, pp. 396 sgg. Visi
nota pur qui « come il Duca di Najera e Maqueda, che avevala accompa-
gnata dall' Italia in Ispagna, venne congedato al suo arrivo (a Denia] per
una mancanza di rispetto che gli si rimproverava ». Ma non più di tanto.
* Allude ai duchi di Savoia 0 ad altri ? Quanto al valore dell' asserzione
circa la reciproca influenza delle sorti di Napoli e Milano, vedi ora Fero-
RELLi, / patrioti meridionali rifugiati in LombardiOy in questo Archivio^
XLUI, p. 300.
— 268 —
danno -.Meglio, meglio, disse il Duca di Mad aloni a chi il con-
sigliava di disarmarsi, è morire con la spada alle mani che col
canape al collo. Questo Principe, ch'è uno dei più potenti e
valorosi del Regno, vi farà, quando vi risolverete, acclamare
da tutte le Provincie per Re, e ricevere per Capitano.
« Non fluttui Tanimo vostro, generoso novello campione, in-
traprendere questa condotta, benché vediate molti Baroni del
Regno aderire alle crudeltà del conte Vice Re, perchè sono
tutti arteficij, così della necessità come del consiglio, sapendosi
benissimo come l'odiano a morte, non stando altro attendendo
che le candele [?] di Cesare; che, sinché una volta il Mago, che
tiene appresso di sé non gli rivela la congiura, se bene da sensati
vien creduto che il scoprimento di molti trattati siano politici
arteficij, del Conte d' Ognatte, per togliersi dagr occhi molti
Grandi innocenti affatto, invero dame conosciuto, sì che non
cada questo Tiranno o che voi a altri passino all'assoluto coman-
do del regno ^.
« Gran vantaggi averete voi,se intraprenderete questa impresa,
(più) di quello conseguisse Tomaso Aniello, primo condottiero
e gran Capitano del Regno, poiché, se a quello obediente si mo-
strò la plebe, a voi la plebe e nobiltà é ossequiosa.
« Del Regno di Sicilia non voglio parlare, perchè avete speri-
mentato Tanimo di quei Popoli. Questo solo non posso tacere
che, se già i Siciliani cantavano contro i Francesi i Vesperi in-
tonati da Alfonso rinquieto d'Aragona [sic] ricantaranno ancora
contro i Spagnuoli le compiete, se voi darete principio. Buon fu
per li Spagnuoli, che passasse a governare nel Regno il Cardi-
nal Trivulzio, amico più della spada che del Breviario, che per
altro credo che [sic] sarebbe già compiuto.
« Resta ora, o gran Prencipe e gran Capitano, che non vogliate
pregiudicare a voi stesso ed a quella fama che, splendendo per
tutto il Mondo glorioso il vostro nome, fa che non solo siate ri-
verito per vero discendente di quel gran Carlo, che fu il primo
fra i quinti, ma ancora acclamato per il più valoroso e saggio
Principe di questo secolo. Sete in possesso di queste glorie, pro-
curatevene lo stabilimento; eccovi l'occasione di farvi Re, non
la trascurate, quando anche s'arrischiasse la vita, non essendo
mal impiegata quella, che ha per premio le corone dei Regni.
Con questo sentimento parlò quella gran Donna Luisa di
^ II testo qui è sicuramente guastato.
— 269 —
Gusman 3 di Braganza, al presente Regina gloriosissima di Por-
togallo, al Serenissimo Re suo consorte allora che stava in forse
di porsi in capo quel Diadema, che a nome del Cielo e di tutto
il Popolo gli offerivano i Grandi del Regno : Meglio é, o mio Si-
gnore e marito (disse questa gran Donna) morire Re e Regina di
Portogallo che viver Duca e Duchessa di Braganza, Lo stesso dico
a voi, o Prencipe Magnanimo, meglio è che procuriate di farvi
Re di Napoli e di Sicilia, che sopravvivere in stato privato sog-
getto alle insidie dei Spagnuoli. Fate che abbiano li Principi
d'Europa da applaudire alle vostre fortune, e da non compas-
sionare alle vostre miserie: ed accettate intanto con ciglio se-
reno questi avvertimenti figli d' un divotissimo affetto e d'una
più che ferventissima divozione, con la quale sto supplicando
il Cielo ch'esaudendo i miei voti feliciti le vostre glorie.
« Di V. A. Serenissima
<( Umilissimo e devotissimo Servitore e Vassallo
« Il Prencipe di Montesarchio ».
CAPO IV.
Il fallimento della congiura.
SOMMARIO
1. La scoperta : il delatore ; arresto del principe di Montesarchio, prote-
teste sollevatene — 2. Una Giunta di Stato napoletana a mezz ; il seco-
1 o XVII : memoriale del marchese di Gervinara; la Giunta di Spagna. —
3. Giustizie eseguite in Napoli : fine di Antonino Maresca ; giudizi su
quelle condanne — 4. Prigionia di Andrea d'Avalos in Spagna ; con-
sulta della Giunta spagnuola — 5. Azione ulteriore del principe di Mon-
tesarchio : sotto Filippo IV, Carlo II e Filippo V ; postuma attuazione
del suo giovanile ideale d'indipendenza.
«Ma come che il Cielo benegno, mitigato per intercessione
di tanti santi protettori della città, non aspirava più alla ruina
di quella Napoli, che con le passate sollevazioni era divenuta
campo di Marte, ove troppo spietata trionfava la morte, per-
mise che questi machinatori confidassero il machinatL a chi fe-
delissimo non era per consentire a si enorme trattato ; ma solo
era per scovrire e difendersi dalla crudel barbarie che aveano
intrapresa gl'infidi ».
— 270 —
In tal modo il pacifico dottor Rubino informa che, attirato
nella congiura un fautore di Spagna incapace di tradire, rivelò
al viceré il « tradimento ». Ma il Rubino è il solo che attribuisse
tal merito al più volte menzionato priore fra Titta Caraccio-
lo, che abbiamo visto tra i più ardenti avversari del conte di
Oli atte. Gli altri narratori unanimemente indicano come de-
latore don Pietro Carafa, figlio del marchese di Anzi, che, ri-
fugiatosi nella rocca di S. Elmo durante i tumulti di agosto e
saccheggiatagli la casa, era poi rientrato nella città ai 6 di aprile
con l'avanguardia di don Giovanni ed era stato nominato go-
vernatore di Castellammare ^.
E poco credibile è la notizia che il principe di Montesarchio
chiedesse « licenza al Viceré d'andare in Sicilia a visitare D. Gio-
vanni d'Austria, viceré di quel Regno, il quale gli offerì una gale-
ra» pel viaggio 2. Più verisimile, invece, e risultante da varie
testimonianze, é ch'egli, guarito dalla recente infermità, spar-
gesse la voce di « voler visitare la chiesa di S. Domenico a So-
riano », e con questa «scusa» s'imbarcasse «con suoi creati» in
una galera, « per fuggirsene » ^. Ma sul punto di salpare, o (come
qualcuno riferisce) giunto già a Soriano, mentre voleva con fe-
luche trasferirsi nell' isola, fu arrestato, ricondotto a NapoH e
chiuso nel castello dell' Ovo (la notte del 17 decembre 1648) *.
Con lui furono catturati, ed egualmente rinchiusi in castel
dell' Ovo, don Cesare Carafa e « moltissimi altri » : « tutti li suoi
aderenti, salvo quelli che potettero fuggirsene a Roma, come
Peppo d'Avento, persona facinorosa, benché avesse servito h
Regij nella passata guerra » ; e don Francesco d' Avalos principe
di Troia, fuggito al primo avviso dell'arresto del fratello.
Ai primi arresti altri ne tennero dietro nei giorni successivi :
del priore della Roccella don Gregorio Carafa (6 gennaio 1649) di
Fra Paolo Venato, di don Andrea Miroballo ^; e poi altri ed altri:
* Istoria delle guerre civili ; Campanile - Fuidoro ; M. Verde. Cfr.
Capecelatro, I, 197 ; III, 10 e 209.
2 Tartaglia.
' Verde e Istoria cit.
* Tartaglia; Verde; Istoria cit.
» Tartaglia.
I
— 271 —
nobili e assai più popolani. Fra i primi di questi ultimi, Antonino
Maresca fu rinchiuso nel castello di S. Elmo (marzo 1649) ^
Ma la cattura di un personaggio della qualità del principe di
Montesarchio impressionò più largamente e più profondamente.
Fu discussa e variamente spiegata « secondo le passioni e
gl'interessi di ciascuno» 2. In generale, i legittimisti prestarono
fede alla trama da lui ordita col Maresca, col Guallecchia, con
Io stesso don Giovanni contro il viceré, al fine di dare la co-
rona del Regno al figlio di Filippo IV. Qualcuno ne dubitò : «il
trattato (scrisse uno dei diaristi) si dice fosse stato scoperto
da D. Pietro Carafa; io non lo posso deponere come gli altri
non di meno fu pubblicato » ^ Altri lo negarono addirittura.
Particolarmente se ne risentì « quasi tutta la Nobiltà, parendo
che le operazioni fatte da questi Cavalieri in servizio del Re,
in congiuntura così grave, non meritasse simile ricompensa. E si
andava disseminando da quelli che non approvavano il gover-
no degli spagnuoli che questi, sempre emuli ed invidiosi della
gloria acquistata dai Cavalieri napoletani, andassero procu-
rando di annientarli coi loro artifizi e pretesti per screditarli
e nell'abbassamento di questi far risplendere il solo nome e
l'autorità loro. Altri attribuivano simili novità alla massima
di assicurarsi nel dominio piuttosto con la violenza che con
l'amore, ben conoscendo infruttuosi li lenitivi, quando la mate-
ria richiede purganti. Ed altri non tralasciarono di sospettare che
tutto fosse artifizio, per più raddolcire il popolo ed esacerbare
la nobiltà, a cui indossavansi dalli spagnuoli le colpe degli eser-
citati rigori, per sgravarsi dell' odio portato ai loro governo »*.
« Molti nobili andavano a supplicare il Viceré » per conoscere
« la causa della carcerazione del Principe » e dargli agio di « di-
fendersi dall'imputazione. Disse l'Onatte che, se egh non aves-
se avuta causa bastante, non l'averia fatto arrestare, che col
tempo si saria pubbhcata la causa». Ma «per molti mesi si
tenne celata, per non insospettire li complici x^.
* Verde ; Istoria.
* Piacente, p. 378.
* Campanile - P'uidoro.
* Diario.
* Tartaglia.
— 272 —
Per essa il viceré compose una vera giunta di stato : con
reggenti, Zufia (a capo), Garcia, e, si vuole da qualcuno, anche
Casanate; il presidente del Sacro Consiglio don Francesco Mer-
lino e il Luogotenente della Camera della Sommaria don Diego
de Uceda ; i consiglieri don Biase de Artiaga (o de Buliaca)
come fiscale e don Benedetto Trelles, e i giudici Aniello Porzio
e Giovanni de Burgos. Il consigliere Trelles « scriveva di suo
pugno r informazione » con 1' assistenza dell' attuario Gregorio
Ferraro ^ Venne chiamata la «Giunta dei ribelli», e fu «tutta
rigore» per esser formata di magistrati tutti confidenti del con-
te; il quale poteva dirsene il presidente effettivo, inteso minu-
tamente come volle essere di quanto vi si faceva.
Le confessioni e le rivelazioni, che quella Giunta estorse con
la tortura, provocarono succesivamente altri imprigionamenti.
Cosi, tormentato Antonino Maresca con un'ora di «poliedro»
(«tormentato alla Spagnuola»), «confessò il tutto e chiamò
molti altri, che anche furono carcerati ed atrocemente tormen-
tati per ordine della Giunta »: confermò la complicità del priore
della Roccella, di Andrea d'Avalos, del Venato, e del Miroballo
« tutti nobili di seggio » ; rivelò quello di Andrea e Giulio Ricca
« gran macchinatori ed omicidi », che furono catturati alla fine
di maggio (1649)2. Qqs^ ^n pescivendolo padrone di barca
Francesco Giannella (che par da identificare col Guallecchia
dei cronisti) già capitano popolare di Porto, giurò d'avere udito
il principe di Montesarchio dire che volesse mandare a sangue e
a fuoco il Palazzo e il Viceré. Ma, al momento del supplizio
(7 ottobre 49) per sgravio di coscenza dichiarò aver giurato per
« paura dei tormenti », avendo il principe detto invece sola-
mente che , se non era il suo rispetto pel viceré, « questi Spa-
gnuoli li manderia a sangue e fuoco »^
Il principe, come il priore, si tenne fermo nella negativa di
» Cfr. Verde; Istoria, e Tartaglia.
* Cfr. Tartaglia; Verde.
3 Registro dei Bianchi, p. 144.
— 273 —
fronte ai giudici. In nome della nobiltà napoletana in generale,
fu spedita al re in Spagna una relazione della cattura del d' A-
valos « eseguita con circostanze di notevole pregiudizio alla
qualità della casa d' Avalos e dell'intera nobiltà napoletana ».
Il marchese di Cervinara, altro cognato del principe, mandò un
memoriale a parte. Testimone del valore spiegato dal principe
in servizio della corona, del dispendio da lui sostenuto e della fi-
nezza dimostrata nei passati tumulti ; conscio di quanto il buon
credito di un tal cavaliere e della sua casa importava al reale
servizio, il marchese di Cervinara supplicò il sovrano di ordina-
re l'invio del principe alla sua Corte per punirlo di sua reale
mano, se fosse giusto, o premiarlo con cariche ed onori e lasciar-
lo continuare nel reale servizio, sull'esempio dei suoi antenati
benemeriti dello stabilimento e della conservazione della co-
rona. Ricadeva (non mancò di avvertire il ricorrente) sopratut-
to sulla persona del conte-viceré il carico delle calunnie di ne-
mici, cumulato contro il principe di Montesarchio; e però alla
giustizia di sua Maestà toccava sottrarre la causa dalle mani
di un giudice falsamente irritato, che in fin dei conti veniva
ad essere parte ^
Ma anche il viceré, dal canto suo, spedì a Fihppo IV una sua
relazione (10 maggio 1649) per dar conto del processo istruito
contro il principe, dichiarando però che non sarebbe passato ad
esecuzione di sorta senza previo ordine di Sua Maestà. Alla
Corte di Spagna la cosa fu riconosciuta della più alta impor-
tanza. Interpellatone dal re il Consiglio di Stato (29 giugno
1649), espresse il parere che il principe dovesse esser tradotto
in Spagna. In considerazione della gravità eccezionale della
materia, Filippo IV formò, di suoi ministri di stato e di mi-
nistri del Consiglio d'Italia, una nuova Giunta consultiva; che
poi, pel giudizio definitivo, ampliò ancora, chiamando a farne
parte le più eminenti personalità di Spagna, come i conti di
Monterey, di Mora e di Peiiaranda; i marchesi di Leganes e
di Veleda; il duca della Montagna, i reggenti don Gaspare di
Sobramonte e Tomaso Brandolino napoletano (15 giugnol651) ^
» Arch. Simancas, Estado, Legajo 218, f. 16 sg.
» Arch. cit., Leg. cit.
— 274 —
Parere di quella prima giunta consultiva fu che una causa
contro il principe di Montesarchio si sarebbe dovuta dilatare
anche al marchese del Vasto e ad altri cavalieri della più alta
nobiltà del paese; consistere bensì la maggior sicurezza della
giustizia nel lasciarne libero il corso contro i colpevoli ; ma ciò
non sembrare la cosa più conveniente nel presente caso, datele
circostanze attuali, l'esempio dei Paesi Bassi e la necessità di
acchetare e conservare il regno: necessità senza dubbio più ur-
gente della stessa giustizia e però da far prevalere.
In questi sensi quindi rispose il Sovrano al viceré, in cifra e
per corriere espresso, ordinandogli di separare gl'imputati con-
fessi dai negativi; far giustizia d'alcuni, evitan o quanto fosse
possibile il tormento « come cadavere»; e, quanto al principe di
Montesarchio e al priore della Roccella, inviarli in Ispagna se-
paratamente su navi diverse sotto buona scorta, quand'anche
se ne fossero chiusi i processi, e con loro spedire altresì i voti
e le motivazioni dei giudici. A spedizione eseguita, si pubblicasse
perdono generale fino a quel yorno, esclusine i carcerati e con-
fessi per la stessa causa (10 decembre 1649) ^.
Quando quegli ordini giunsero a NapoH, da un anno incirca
erano cominciati i supplizi «per la nuova congiura di volere am-
mazzare Sua Eccellenza » ^.
A quegli ordini il viceré si dichiarò pronto ad obbedire, a pa-
role. Agli effetti però, scusandosi di dover per allora « imbaraz-
zare » ad altro scopo i vasceUi e le galere disponibili, e adducendo
di aver motivi per non procedere per allora a pubblicità di sorta
(2 febbraio 1650) ^ continaò a lasciar eseguire le condanne ca-
pitali decretate della « Re^^ia Giunta » napoletana. E, se di essa,
come qualcuno asserì, faceva parte .il reggente di Cancelleria
Mattia Casanatte, il rigore del viceré non si arrestò nemmeno
» Ivi.
* Registro dei Bianchi, p. 140 : presenta impiccato per quella causa un
Carlo Feroce pescatore ventottenne ai 27 febbraio 1649.
» Arch. Simancas, loc. cit. : Monterey al re, 21 aprile 1650.
— 275 —
davanti ai membri della stessa Giunta. Perchè, senza che se
ne dica il motivo, sappiamo che egli ordinò la relegazione di
quell'insigne magistrato nel castello di Taranto agh 11 febbraio
1651 ; e, benché vecchio e malsano, lo fece partire in quella
stessa giornata di quella dura stagione. Sicché ai 4 lugho suc-
cessivo giunse a Napoli la notizia della sua morte \ Un mese
dopo, fu decapitato il cavaliere don Ferrante delU Monti dei
marchesi di Corigliano, da tre anni rinchiuso nel carcere di Ca-
stelnuovo (18 marzo 1651) \ Fu dopo quel supplizio che il conte
d'Onatte potè annunziare alla Corte di Spagna che s'era con-
dotta a termine la compilazione del processo dei rei confessi
0 convinti di fellonia posteriore alla pacificazione dell'aprile
1648 ; che erano prossimi i pubblici supphzi dei peggiori delin-
quenti ,come i Ricca , il Palumbo, il Maresca e compagni; e
con ciò si sarebbero una buona volta estinte le trame, che dopo
la pace non avevan cessato di alterare questo popolo. « Il po-
polo (aggiungeva il viceré a comento) col suo Eletto mi ha man-
dato a dire che, se voglio, saranno essi stessi i boia (verdugos)
di questi uomini. Vostra Maestà può stare sicura dell'affetto di
queste popolo ». Solo allora in fine informò che avrebbe spedito
il principe di Montesarchio e il priore della Roccella con copia
autentica della parte che li riguardava del processo e relazione
al re degli espedienti risolati pei prigionieri di minor qualità
o di colpa men grave (10 maggio 1651)^.
Spedì infati quella copia, fatta stendere di pugno dagli stessi
ministri della Giunta, e impartì gh ordini per l'imbarco e il tra-
gitto fino a Valenza dei due prigionieri più illustri *.
Prima di qu'^Ua partenza fu giustiziato nella piazza del Mer-
cato, dopo due anni di carcere, Andrea Ricca. Gli si accordò «il
privilegio di decapitarlo per esser stato un tempo capitano di
Strada » (9 maggio 1651). Lo segui, il giorno dopo, suo fratello
GiuUo 0 Giulio, e, dopo due altri giorni, il dottore Carlo Censale
1 Giornale istorico dei tumulti popolari e dei loro eventi accaduti t delle
pene dei delinquenti da Luglio 1647 per li 16 Gennaro 1662, ms. XXVI, B,
14 della Soc. Stor., f. 84.
« Reg. dei Bianchi, p. 147.
» Ardi. Simancas, Leg. cit., f. 14 sg.
* Arch. clt., Leg. cit., t. 13 sg.
— 276 —
e i capitani Giuseppe Palumbo, Giambattista Sparano e Giu-
seppe de Palma. Furono poi impiccati (ai 15 maggio) Francesco
Marranzino, scrivano di dogana, Agostino Mandara, negoziante
di drappi, e Francesco Mazziotta.
Antonino Mar esca, « per sfuggire la morte si fìnse pazo». Non
gli valse. Tradotto, quella stessa mattina del 15 maggio, dal
carcere del Castello a quello di S. Giacomo e consegnato ai
Bianchi per essere condotto al Mercato, «stiede ostinato a non
confessarsi sino alla metà della strada; ma poi si confessò e
comunicò innanzi al Carmine», ed ebbe mozzo il capo: « pena
molto poca (giudicò questa e le altre il dottor Andrea Ru-
bino) ai loro misfatti » ^. E naturalmente non solo il Rubino.
Il luogotenente della regia Camera (don Diego de Uceda,
ch'era poi uno dei componenti della Giunta napoletana), incari-
cato dal governo centrale di avvisare se mai il viceré trasgre-
disse ai sovrani voleri o si arrogasse provvedimenti riservati a
Sua Maestà, assicurò che quelle giustizie si erano eseguite « con
gran so disfazione della gente del Mercato e dei quartieri vicini » ;
che non si « poteva parlare di rigore, ma di pietà e generosità » ^
Da cotale pietà solo a stento potè salvare l'essere «titolati e
di gran sangue ». Andrea Miroballo povero, ma nobile di seggio,
ebbe carcere a vita nel Castello di Manfredonia. Il principe di
Montesarchio e il priore della Roccella furono imbarcati su due
vascelli diversi della squadra che salpò ai 23 maggio 1651 per
rilevare a Finale truppe milanesi e siciliane e condurle all'as-
sedio di Barcellona ^
Egualmente in Spagna gl'imputati furono chiusi in carceri
separate, e ci rimasero per più di un anno. Prima del loro ar-
rivo a Valenza, la Giunta di stato, ampliata nel modo che si dis-
se, aveva ricevuto ordine di presentare al re una consulta circa
il partito più conveniente, prima di sentenziare di giustizia.
1 Cfr. Rubino ; Istoria delle guerre civ.; Reg. dei Bianchi, p. 148.
=^ Lettera del 23 maggio 1651 nell'Arch. di Simancas, Leg. cit.;, f. 16.
' Cfr. Rubino ; Verde ; Istoria cit.
— 277 —
Dall'esame del processo napoletano, dallo studio di tutta la
congerie dei documenti allegati, evidentemente non risultò
punto un' inesistenza di reato, perchè la consulta, redatta ai
18 ottobre 1652, lascia intendere che il reato fu visto. Ma, bi-
lanciate le ragioni giudiriche con le convenienze politiche è sta-
tali ; reputata più utile al servizio del re la considerazione di
queste ultime, si consigliò che non si procedesse oltre per ter-
mini di giustizia, e in conseguenza fossero rimessi in libertà
gl'imputati. Senonchè, per non trascurare in tutto i risultati
del processo informativo e la conseguente tensione fra gl'impu-
tati e il viceré, si opinò che, almeno durante il governo del
conte di Onatte, fosse loro vietato il rimpatrio, divertendoli
con impieghi del real servizio dove e come piacesse al re ^
Per tale calcolata clemenza Andi-ea d' Avalos riebbe la li-
bertà, ma con la «grazia» di non lasciar la Corte per qualche
tempo. E in Corte rimase « a servire (fu scritto, e si legge con
qualche sorpresa) Sua Maestà appresso il Serenissimo Signor
don Giovanni d'Austria, che con particolare prudenza conobbe
il valore di questo personaggio e la sua fedeltà» ^ E in Corte ten-
ne alto e fece rispettare l'onore del suo paese e piacque allo spi-
rito ibericamente cavalleresco di Filippo IV o, come si disse, alla
« innata pietà di un re amatore del giusto ». Un giorno nell'an-
ticamera del re s'incontrò con Luca de Andrada, che in Napoli
(notò sarcasticamente il nostro diarista) aveva servito Sua
Maestà da sergente maggiore durante i tumulti, «pigliando
ogni sera il Palazzo, quando con ogni sicurezza assisteva al-
l'entrata di Guardia, e pigliar le smisurate paghe del soldo,
senza il beneficio che di più ne traeva con l'approveccio (per
non dire hurto o furto ) delle paghe delli poveri soldati bisogno-
si». E, poiché lo udì parlare di NapoU e rammentare che questa
nostra città si fosse prima venduta ai francesi e poi lasciata ri-
conquistare dagli spagnoli, gli dette pubblicamente del mentito-
re e lo sfidò a duello. La giusta indignazione parve ai cortigiani
audace mancanza di rispetto verso il re ; e ghene fecero rimo-
stranza. Ma questi «approvò l'ardire dell'Avalos per degno di
^ Ardi. Simancas; Lcg. cit., f. 11 sgg. e 21 sgg.
* Istoria delle guerre civili. Cfr. Verde.
— 278 —
un signor valoroso e amatore della riputazione della sua patria
e fedele al suo re » ^.
A parte ogni altra ragione e convenienza politica, lo stesso
crimenlese del principe di Montesarchio pel cuore di Filippo IV
poteva non essere stato che un eccesso di amore pel suo dilet-
tissimo e finallora unico figliolo. Ad ogni modo, egli colmò di
favori, di cariche e di onori il graziato fellone. Al termine del
doppio triennio del governo del conte d' Onatte Filippo IV
assegnò al principe d'Avalos una pensione privilegiata (1654) ^
Lasciato quindi rimpatriare ^, nominato generale dei vascelli
napoletani, poi governatore dell' armata spagnola, poi capi^
tano generale delle galee siciliane, elevato « per la sua per-
sona e casa » a Grande di Spagna (onore che gli fruttò un' an-
nua rendita di altri ottomila ducati)*, ben visto e sempre pro-
tetto da don Giovanni d'Austria, non maraviglia che il prin-
cipe di Montesarchio si piegasse alla forza del fato e (caso non
raro) convertisse gl'indocili spiriti di ribellione degli anni gio-
vanili in lealismo zelante e fedeltà operosa verso lo stesso Fi-
lippo IV e poi verso Carlo Ile verso il sucessore da costui de-
signato al trono di Spagna.
Partecipò in servizio del primo alla guerra di Portogallo
(1660) ; servi il secondo, guerreggiando la ribelle Messina ^.
E, quando dall'opposizione napoletana alla successione borbo-
nica in Spagna, parve risbocciare l' idea dell'indipendenza, in-
carnata nel secondogenito di Leopoldo d'Austria imperatore, la
* Campanile - Fuidoro. Cfr. Capegelatro, III, Ann., p. 19.
* Di ducati 1500 annui « sopra gli efletti t>traordinari » esente da ogni
ordine di sospensione di mercedi. V. Giuliano Biagio, Pandetta seu Re-
pertorio de Regali ordini di S. M. dai principii del XVI sec. all' a. 1722; to.
I e II (ms. XXVII, B; 11 bis e 12 della Soc. Stor.): cedole del 13 nov. 1674,
e del 29 maggio 1695.
3 In Napoli nel 1659 ricevè per 1' « apprezzo dei suoi vassalli » Reali
Castigliani 423. 848 ; dei quali decretò il re che il principe non dovesse dar
conto veruno, come nemmeno di quante altre partite gli si erano date « per
conto dei suoi Assienti » : Carta reale del 17 aprile 1662, in Giuliano cit.,
tom. I.
* Giuliano cit., to. II : ordine del 2 agosto 1702 e 2 maggio 1703.
' Aldimari B., Memorie Hist. di diverse famiglie, p. 16; Parrino, Tea
irò, HI, 92, 419, 453 e 474.
— 279 —
vecchiaia (se pure non nonagenaria, come si asserì) sicuramente
inoltrata, non impedi al principe di Montesarchio di uscire in
campo in seggetta, guidando la nobiltà borbonica e la solda-
tesca spagnola contro gl'insorti austriacanti (23 settembre
1701).
Tra questi ultimi si era gittato l'inetto e borioso cugino
suo, don Cesare d'Avalos, marchese del Vasto e di Pescara,
gran camerario del regno. Costretto quindi ad enaigrare, fu
dall'imperatore nominato suo maresciallo di campo; da Fi-
lippo V condannato a morte ed alla confisca \ Onde il vecchio
principe apri l'animo alla speranza di congiungere al suo il
pingue dominio del congiunto ; e lo richiese ^ Ma, se avea po-
tuto disperdere i tumultanti del 1701, i suoi e gh altrui sforzi^
di sei anni dopo non valsero ad impedire l'entrata in Napoli
degli Austriaci^.
Quel trionfo dei suoi avversari, del resto, si sa che non pro-
dusse l'indipendenza speratane; mantenne ancora per altri ven-
tisette anni soggetto il regno ad un sovrano lontano — Carlo
allora terzo di Spagna, poi sesto imperatore. Ma il soccom-
bente vegliardo non potè sicuramente sopravvivere tant' altro
da vedere un figlio del re di Spagna, non erede di quel regno,
venire a restaurare l'indipendenza delle due Sicilie, come di
don Giovanni egh aveva sognato nella sua giovinezza.
fine
Michelangelo Schifa
» Diploma imperiale del 16 decembre 1701 e sentenza di Filippo V in
Granito, La congiura di Macchia^ I, Ann.^ p. 84; II, Ann., p. 10.
* Giuliano, II : ordine del 9 settembre 1703 per distinta informazione
» circa la pretenzione del Principe di Montesarchio sopra la causa del Mar-
chese del Vasto y Pescara per delitto della ribellione ».
• Granito, op. clt., I, 124 ; II, 157.
LA PRIGIONIA DI MALIZIA CARAFA
E LE
SUE SUPPLICHE A PAPA CLEMENTE XI
Fallito il tentativo di abbattere il governo spagnolo a Na-
poli col sanguinoso tumulto del 23-24 settembre 1701, Malizia
Garafa, che della congiura era stato tra i più audaci organizza-
tori, dopo d'essersi accanitamente, ma invano, battuto con le
milizie del duca di Popoli, riusci a scampare con altri amici ed
avviarsi a Benevento. Quivi s'era appunto «manipolata la mi-
na che poi scoppiò a Napoli »^; quivi, lontani dagli occhi indi-
screti del viceré, tra le mura guardate dai birri del Gover-
natore, i turbolenti s'eran dato per l'innanzi convegno, non
ostante gli scrupoli del cardinale Orsini, tenero dei Francesi
come degli Spagnoli ^. Tanto più che il principe della Riccia,
padrone di molti feudi in Altavilla, vantava stretta parentela
tra i patrizi della città e contava numerosi vassalli fìnanco^
tra i gendarmi del bargello laicale ^. Malizia, perciò, memon
dell'affetto che lo legava al principe e sicuro della protezione
di lui, credeva di trovarsi come in casa propria con don Sa-
1 Archivio segr. Vaticano, Cardinali, t. 66, p. 144, lettera originalej
di Orsini a Paolucci, segretario di Stato.
2 Dopo la battaglia di Luzzara fece cantare un solenne Te Deum per li
vittoria dell'armata cattolica, indicendo preghiere con pubblico awis(
del 24 agosto per la salute di Filippo V. Cfr. Landau, Rom, Wien, Neapell
Leipzig, 1885, p. 133, nota. Appena sedati i tumulti del 23-24 sett. si afH
frettava a congratularsi col Viceré, di cui si protestava « fedele vassallo
V. Archivio della Curia di Benevento, Lettere di Ministri Regi, t. 28^
p. 61.
» Arch. segr. Vaticano, 1. e.
— 281 —
verio Rocca, suo compagno di sventura. Onde quando gli ar-
migeri del Riccia gli uscirono incontro a S. Leucio — paese
dello Stato pontificio — col pretesto di soccorrerlo, era ben lon-
tano dal supporre un'insidia e un tradimento.
Quel che avvenne in seguito è noto per la narrazione del
Granito ^. — Legati entrambi e trascinati fino allo « stretto di
Barba », Carafa, già rassegnato a morire, aveva chiesto di con-
fessarsi a un frate che per caso di là passava 2, e sarebbe stato
certamente ucciso se la pietà della moglie del principe non
avesse scongiurato gli ordini del perfido marito.
Una relazione inedita di Orsini al cardinale Paolucci — Se-
gretario di Stato — aggiunge qualche altro particolare scono-
sciuto: « La notte del lunedi — 26 settembre — calarono a pie-
di in un'osteria presso Benevento ; la mattina del martedì si
rifugiarono nella^ chiesa vicina della Libera ^ e dimandarono la
fiela a mons. Governatore, che prudentemente negolla.
« Dubitando poi di essere con facilità uccisi fuori delle mura,
entrarono in città verso 1' bora di pranzo, e presero addi-
rittura il cammino verso l'Episcopio, e, trovatolo chiuso, anda-
rono alla.porta laterale della Metropolitana, che parimente era
chiusa. Quindi si fermarono fino a 23 bore, protestandosi che
volevano bagnare col loro sangue quella sacra soglia, dolendosi
che non gli era aperta la porta dai Canonici. In tutto questo
tempo vi fu gran concorso di popolo, affollatosi per curiosità.
Dicesi che l'accennata sig.ra principessa per compassione fa-
cesse loro dire da un suo domestico che la notte potevano in
quel luogo aperto correre pericolo di essere uccisi, e che perciò
si ritirassero nella vicina chiesa di S. Bartolomeo*.
* Granito - Belmonte, Storia della congiura del principe di Mac-
chia, Napoli, 1861, I, 159.
' Arch. segr. Vaticano, 1. e.
' Cappella rurale distante meno di un chilometro dalla Porta Ruflna,
sulla via provinciale che mena a Napoli.
* Ricostruita dalle fondamenta per il terremoto del 1688 non era an-
cora aperta al culto e « prestava secura ritirata » ai delinquenti, comuni-
cando con un edifizio di poche stanze, anch'esso fatto costruire da Orsini.
(Cfr. Arch. segr. Vaticano, Nunziatura di Napoli, t. 128, leti, del Go-
vernatore di Benevento, 30 sett. 1701).
Anno XLV. 19
— 282 —
« Accettato il consiglio, cominciarono a far istanza che si par-
tisse la gente ragunata, o che fussero rassicurati nel transito du-
bitando di qualche archibusata nel passaggio. Vi accorsero i cur-
sori della mia Curia, che fecero slontanare la folla del popolo
ed in tal maniera amendue, il don Malizia e il don Saverio, verso
le 23 ore entrarono nella suddetta Chiesa. In questa, la mattina
e il giorno seguente si ritirarono parimente in habiti di frati gli
altri due: Lopez e Calideo nella congiuntura che si celebra-
vano l'esequie a un defunto Canonico di quella Collegiata » ^.
Frattanto T i rei vescovo che si trovava a Castelpagano per
la santa visita, informato del fatto, spediva nella notte stessa
del 27 settembre un corriere al suo vicario, con l'ordine di ar-
restare i profughi a tenore della bolla di Clemente Vili, e di
consegnarli con pubblico istrumento alle carceri del castello,
in attesa delle disposizioni pontifìcie. Questi, invece, cominciò
a discutere sull'ubbidienza al suo prelato, e mons. Valerio Rota,
allora governatore della città, pur essendo in ottime relazioni
con l'Orsini — fatto rarissimo fìno allora — , si ricusò di riceverli,
« perchè doveva mostrarsi indifferente come ministro di Sua
Beatitudine. »
A ciò si aggiunsero i maneggi di Malizia che temeva di essere
avvelenato dagli sbirri, tra i quali alcuni eran dipendenti del
Riccia. Il popolo allora cominciò a commuoversi per la venti-
lata minaccia di un assedio, ma il governatore, senza troppo
preoccuparsi dell'avvenire, rispondeva al Nunzio di Napoli :
«se verrà la violenza delle milizie del regno, io ne sarò scusato:
per altro non voglio impegnare la mia persona, né tampoco h
S. Sede in queste materie » ^.
In verità monsignore, per guardarsi le spalle ed anche perchi
«era mal' affetto alla Corona di Spagna» 3, non poteva rego-
larsi meglio, ma al pio Orsini non piacque il comodo ripiegojl
ne fu anzi turbato, e, abituato a scansare tutti gl'inciampi»!
magari dando un po' di ragione a tutti, senza sconciarsi co]
1 Arch. segr. Vaticano, Cardinali, t. 66, p. 144.
» Arch. segr. Vaticano, Nunziatura di Napoli, t. 128, lett. del 29 sett.;
1701.
» Ivi, t. 130.
— 283 —
alcuno, si dibatteva fra le angustie di una risoluzione che
fosse meno nociva ^ Erano vivi infatti i ricordi dei furiosi
tumulti sollevati nella piccola città del Papa a tempo dell'ar-
civescovo Poppa, suo predecessore, quando colà ripararono
don Giuseppe Carafa, chierico beneficiato, ed il padre del Prin-
cipe della Riccia E così per non errare in « cosa cotanto ge-
losa », ci tenne a chieder consigli al cardinale Cantelmo, di
Napoli, uomo anch'esso abbastanza pratico della politica vice-
reale per aver avuto più d'una volta bisticci col Collaterale.
E questi che poco prima aveva alzato la mano benedicente sui
soldati diretti alle barricate di S. Lorenzo, e nella Cattedrale
aveva a lungo pregato S. Gennaro per la disfatta dei ribelli 2,
ora s' affrettava a suggerire all' amico — amico tanto da chia-
marlo al suo letto di morte ed affidargli il testamento ove di-
ceva di morire senza un carlino ^ — il partito di assicurare don
Malizia nelle prigioni del Vescovado, senza troppo preoccu-
parsi dell'evidente violazione dell'immunità. Oramai — scri-
veva — il papa avea già da tempo rilasciata l'antica disciplina
su questo punto, e a lui pure avea concessa più d'una volta la
facoltà d'estrarre financo dai chiostri i monaci sediziosi, che
impunemente tramavano congiure e rivolte*.
Comunque, tra Clemente XI e Medina passò un frettoloso
carteggio, e fu deciso di rinchiudere i cospiratori nelle carceri
ecclesiastiche, in attesa di tempi migliori^.
A Benevento intanto sospetti e malumori crescevano a dismi-
sura.
La notte del 3 ottobre bastò la falsa voce che le truppe di Na-
^ « Non ho ordinato » — scriveva 1' Arcivescovo al Cardinal Segretario —
«che i due si custodissero nelle mie carceri... affinchè non apprendesse il
Sig. Viceré che io difendo nel mio Episcopio i traditori di questo Regno »:
Arch. segr. Vaticano, Cardinali, t. 66; pp. 144 e sgg.
2 Granito, op. e, 1, 137.
* Arch. segr. Vaticano, Cardinali, t. 67, p. 346, lettera di Orsini al
Papa sulla morte del cardinal Cantelmo, del 15 die. 1702.
« Ivi, Clemente XI, t. 45, passim. Per maggiori particolari vedi il mio
scritto: L'Acqua tufania a Napoli e le contese del card. Francesco Pignatelli,
in questo Archivio, XL, 3-4 e XLI, 2-3.
» Ivi, Cardinali, t. 66, pp. 156 e sgg.
— 284 —
poli erano entrate nello Stato pontificio, perchè il popolo si met-
tesse in scompiglio: il vicario fece sonare le campane a 1' armi e
cento « patentati», muniti di daghe e di pistole, si distribuirono
parte al campanile del duomo e parte a S. Bartolomeo ^. Ma in
verità, quell' assedio, che tutti gli storici ricordano, non si veri-
ficò mai, tanto meno era mai passato per la mente del viceré ^.
Piuttosto la minaccia e 1' allarme si dovettero unicamente alla
spavalderia di un maestro di campo, il quale, andato dal pro-
curatore di S. Chiara per ottenere migliore trattamento ai sol-
dati posti a guardia di quella chiesa, si era millantato con lui
« che subito che le truppe fossero giunte da Milano e da Spagna,
non si sarebbe mancato di mandarne un buon numero a Bene-
vento per prendere con la forza Malizia e compagni e che
si sarebbe portato all'occorenza anche il cannone » ^.
Muniti di armi e di vettovaglie, e fatte murare le finestre della
casa attigua alla chiesa, Garafa e Rocca non vollero arrender-
si ai cursori della Curia, e si dovè ricorrere al preside di Monte-
fusco per ottenere un valido presidio di soldati ed evitare guai
maggiori*.
Assediato l'edifìcio, si sperava ridurli per fame.
La resistenza durò quasi una settimana. Finalmente la sera
del 7 ottobre dopo un violento incrocio di fucilate, i birri riusci-
rono a penetrare nell'interno, e trassero fuori con forza Fran-
cesco Lopez, Gaetano Noto, che si faceva chiamare di Tota, Ni-
colò CedroH, Nicola Rubino — conosciuto sotto il falso nome di
Galideo — e tre servi: Francesco di Peppe, Andrea Simonetto e
Nicola Riccio. Questi due ultimi furono rilasciati per mancanza
d' indizi; a Lopez e a Rubino si permise di ricoverare nella chiesa
di S. Modesto; gli altri passarono con don Malizia alla prigione
del Vescovado^. Ma l'inconsulta preferenza del vicario neppure
1 Ivi, Nunziatura di Napoli, t. 128, p. 128, lettera di Mons. Rota al|
Nunzio del 4 ott.
2 Ivi, Nunziatura di Napoli, Cifre segrete del Nunzio, 1. 129, p. 27, 19nov.
3 Ivi, 1. e.
< Ivi, Vescovi, t. 93, p. 543, comunicazioni di Mons. Rota al card. Pao-i
lucci, non già per assediare la città ed estrarre con violenza i profughi, co-j
me afferma il Granito (1. e.)
6 Ivi, Cardinali, t. 66, p. 162.
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andò a genio al timido arcivescovo ed ecco nuove dispute presso
il Collaterale perchè si ponderassero le ragioni degli altri ^.
Quel giorno il trasporto dei rei alle carceri non era avvenuto
senza proteste ed alterchi e tra gli amici di Malizia s'era fatto
gran bisbiglio, perchè mai come allora gli ecclesiastici aveano of-
fesa con più violenza l'immunità; mai come allora s'era compiuta
più grave ingiustizia. Ed eccitandosi gli animi, e ribollendo di sde-
gno, non tardarono i prigionieri a far giungere le loro lagnanze
al papa: per giunta la sbirraglia non aveva alcun freno nel trat-
tarli malamente ^ e insolentiva fin troppo contro il grado di lor
nobiltà. E il cardinale, paziente e mite sempre, fatto consapevole
dal Paolucci, mandò da Vitulano il suo confessore, il cameriere
ed il medico Volpe per provvederli del necessario ^ e poiché la
fazione s' ingrossava, temendosi « qualche insulto alle carceri
arcivescovili », il governatore del castello, messo sull'avviso dal
duca di Medina Coeh, non esitò a munire di più accorta guarni-
gione le porte della città, affinchè si arrestasse la gente so-
spetta *. Furon perquisite le case dei patrizi e lo stesso monastero
di S. Vittorino fu posto a soqquadro, mormorandosi in città che
il principe della Riccia bazzicasse in clausura con grave scandalo
del pubblico ^. Fra le altre corsero dicerie pure sul conto del ca-
uonico Baglioni, abate di S. Sofia e procuratore dei canonici
regolari, essendosi trovata nel chiostro che fu benedettino, « una
delle quattro casse di archibusi detti focilarU con monizione di
polveri e di palle da moschetto, mandatevi dal suddetto prin-
cipe, quando faceva collezione di gente » «. GonsigUato daU'ar-
» Ivi, pp. 189, 231, 259, corrispondenza col vicario.
« Così parrebbe dalle lettere del Carafa ai suoi famigliari e specialmen-
te dalla sua supplica al papa dove si parla di « segrete orribili et oscure ».
Invece una relazione di mons. Valerio Rota al Cardinal Segretario di Stato
c'informa che Orsini ebbe continui richiami dal viceré per la soverchia li-
bertà da lui concessa ai detenuti, limitata soltanto verso gli ultimi giorni.
Cfr. Arch. segr. Vaticano, Vescovi, t. 96, p. 68.
3 Ivi, Cardinali, t. 66, p. 200, lett. al card. Paolucci, 27 nov. 1701.
* Ivi, p. 259.
' Ivi, p. 61, Relazione di Orsini sulla condotta del Principe della Riccia
durante la sua dimora a Benevento.
*» Ivi, Nunziatura di Napoli, t. 128, lettera del Governatore di B. al
card. Paolucci, 27 sett. 1701; Vescovi, t. 93, p. 480. Per altre notizie circa
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civescovo ad allontanarsi dal paese per non incappare negli ar-
tigli della polizia, l'imprudente prelato si portò invece a Napoli,
vivendo ramingo di monastero in monastero i.
In tale stato di cose papa Clemente, poiché aveva impegnata
la parola di non lasciar sfuggire i colpevoli, risolse di farli tra-
sportare il 17 gennaio nella rocca attigua al palazzo del De-
legato pontifìcio — anch'esso una volta monastero di Benedet-
tine — innalzata da Giovanni XX li, per sicurezza dei Rettori 2.
È interessante per la storia della sua topografìa interna quanto
mons. governatore scriveva allora al papa: «...Le carceri di que-
sto castello, cosi chiamato non per l'ampiezza et fortezza del
luogo, ma rispettivamente alla situazione in riguardo alla par-
te più bassa del resto della Città, si racchiudono tutte entro una
antica torre che da due lati che riguardano il recinto della Cit-
tà, è circondata da un fosso secco, et dall'altra parte corri-
sponde sopra il cortile di quest'abitazione, per dove ha il suo
ingresso. Si divide interiormente in tre piani : 1' uno sotterra-
neo, dove stanno le secreto allo scuro, molto ben riposte e mu-
nite, poiché si sprofondano dentro la fossa; 1' altro superiore,
dove é la cappella per il bisogno della messa, ha tutta la liber-
tà dei merli della torre e del passeggio Ubero di quel sito. Così
che si restrigne nel piano di mezzo la sola abitazione per li car-
cerati. Questa non consiste che in due stanze per custodia, ser-
vendo un'altra di guardia. Mi è convenuto levare di qua tutti
li carcerati di questo tribunale che con molto incomodo si so-
no malamente distribuiti altrove, per lasciare quest' unica abi-
tazione a don Malizia Carafa et suoi seguaci, che sono al tutto in
numero di sette. La loro assicurazione viene raccomandata ad
una semplice chiave e quel che più importa in mano d' uno di
questi sbirri del tribunale eh' é del Regno, come sono tutti quan-
ti gli altri, i quali, non potendosi bavere altrove, si prendono
dalle squadre et dal servizio dei Reggi. In tale forma resta to-
talmente esposta l'assicurazione delli detti carcerati ad ogni
violenza così interna come esterna, et ogni più attenta vigilan-
le condizioni dei monasteri di Napoli e la vita chiericale cfr.: Cardinali,
t. 66, p. 125.
1 Ivi, Cardinali, i. 66, p. 189.
2 Ivi, Vescovi, t. 95, pp. 161, 231.
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za non può in verun conto impedire quelle insidie che per ogni
parte si devono temere, perchè 1' accesso alle carceri in ogni ora
del giorno dev'essere libero et frequentato da qualsiasi sorta di
persona per i bisogni che occorrono » ^.
Per questo il preside di Montefusco aveva fatto chiamare dal
cardinale parecchi tra frati e gentiluomini della città, troppo
teneri della sorte del Garafa, e il delegato pontifìcio nel-
l'invocare gli «oracoli supremi» del segretario di Stato card.
Paolucci, fu tutto premuroso a licenziare alcuni carcerieri so-
spetti e ad istituire un corpo speciale per la ronda intorno al
castello 2.
Se non che altri guai dovevano aggravare le miserie e le tri-
stezze del patrizio cospiratore: il terremoto del 14 marzo di
quell' anno I
Le case furon quasi tutte abbattute al suolo, il prossimo pa-
lazzo del governatore e 1' Episcopio lesi in gran parte e cadenti;
la stessa rocca, pur forte della sua mole massiccia, rovinata
nelle mura esterne, s'ebbe squassati l'interno del torrione e la
carcere di don Malizia. « Uno dei prigionieri restò sepolto sotto
le rovine, gU altri rimasero attaccati in aria alle ferrate dei fì-
nestroni, da dove implorando pietà, fu di necessità, con scale
a mano, non senza molto stento e gravissimo rischio mentre per
ogni parte la terra tremava, l'aria con neve e vento furioso in-
crudeUva, per farli scendere dalle mine per via di funi per non
vederli perire miseramente in così tragica fine. » E perchè non
evadessero « furono esposti nel giardino del palazzo Apostolico
sotto d'una baracca, guardati da soldati, che sono in luogo dei
Corsi, et assicurati dalla fuga per il proprio loro timore, e per
vedere i Regi che vegUano con troppa attentione per osservare
gU andamenti dei medesimi»^. Oltre di che, abbandonati dal-
1 Ivi, t. 96, p. 68. Cfr. E. M. Martini, Indiscrezioni postume sulla vita
d'A. de Biasio, storico beneventano; in Rivista St. del Sannio, I, 5.
2 Ivi, t. 95, p. 161.
' Ivi, Carpinea, t. 55 p. 1, 2. Per la circostanza il viceré scriveva ad
Orsini..: «Con este motivo (del terremoto) tenendo por conveniente insi-
nuar à V». E», que haviendo entendido que con el del damno que ha receu-
do el Gastillo donde estavan los pressos inquisidos en la rebellion d'està
Giudad se les quiere passar al Convento de los Capuchinos, que està situa-
— 288 —
le famiglie e privi di danaro eran costretti a mendicare dalla pie-
tà degli amici un po' di cibo.., e non sempre arrivava ai cancelli.
Purtroppo la borsa del governatore, — per avarizia o per po-
vertà — , era piccola a sopperire al bisogno dei reclusi : tante
volte, invano, se n'era doluto con papa Clemente ^I
Esposti, così, alle intemperie, parecchi non tardarono ad
ammalarsi gravemente : il giovine patrizio non dimenticava gli
aiuti che dalla protezione del Lamberg poteva ora ripromettersi,
ma troppo lontano era il giorno della liberazione, e le manovre
dei Napoletani a Vienna e il progetto di nuove spedizioni nel
Regno, commovendolo, gli aprivano l'animo a più audaci di-
segni di riscossa 2. Il governatore, consapevole ed astuto, po-
teva sorriderne ed abilmente insinuare al Collaterale l'espediente
di trasferire i rei a Roma in Castel S. Angelo, ma il viceré, cui
prima era parsa buona l' idea, in seguito se ne adombrò e franco
ribattè « che non ammetteva in conto alcuno la protesta della
fuga, poiché se fusse seguita, sarebbe stato per opera di mons.
Rota, più ribelle degli stessi ribelli » ^.
E monsignore e papa Clemente prudentemente tacquero al-
lora e rinfacciarono poi l'accusa al duca di Uxeda quando nel-
l'ultima sollevazione di Abbruzzo, scoperte le insidie e le trame
del Garafa, ebbero invito di sedare quei tumulti*.
Gli odi s'inferocirono.
Nell'agosto il patrizio, dichiarato pubblico nemico, mani-
festo ribelle e reo di lesa maestà, fu spogUato del grado di no-
do fuera de lo habitado de donde se deve riponer qui tengan mucha faxi-
lidad para cometer fuga, y dolver à fomentar enquietudes contra este Rey-
no. » Il cardinale fu sollecito a dire « che molte diligenze si praticavano
per impedire la fuga, e di ciò poteva esser testimone il rappresentante
regio di Montefusco e lo stesso Montalcini, maestro di Campo »: Arch. della
Mensa Arciv. di Benevento, Lettere del Viceré, Ministri etc, t. 3, p. 79
e sgg. Quando nel febbraio dell' anno seguente il nuovo Governatore
mons. Grispolti entrava nella città trovò che era guardata da 60 sbirri e
120 dragoni: Arch. segr. Vatic, Vescovi, t. 97 p. 156.
1 Arch. segr. Vaticano, Vescovi, t. 95 p. 161.
2 Ivi, I. e, p. 234; Landau, op. e, p. 133.
3 Ivi, 1. e, t. e, p. 200, t. 96, p. 68, e Nunziatura di Napoli, t. 130, re-
lazione segreta di mons. Casoni al papa (6 giugno 1702).
* Ivi, Nunziatura di Napoli, t. 131 (15 luglio 1702).
— 289 —
biltà e prescritto dal regno. In seguito, scovertasi una seconda
congiura sotto gli occhi stessi dell' Imperatore, altri sediziosi
riuscivano a scampare a Benevento, fra cui Ignazio Prete, mu-
sico, e Gaetano d'Amico, entrambi intimi di Malizia^. Ed Or-
sini, pronto a dar soddisfazione al viceré Vigliena, anche questa
volta ordinava una minuta inchiesta sulla loro condotta, trat-
tandosi di « pericolosi soggetti » dipendenti dal principe di Ca-
serta e in corrispondenza col cardinal Grimani. Carico di debiti
e spiacente al popolo, il primo ; insidiatore di fanciulle e di
talami, il secondo, furono catturati e chiusi anche essi nel ca-
stello 2.
Frattanto mons. Rota stanco e sfiduciato aveva lasciato il
« Palazzo » di Benevento e a sostituirlo nella carica era venuto
Anton Felice, in qualità di vicegerente. Ne profittarono i pri-
gionieri, specialmente Gaetano Noto e Francesco Lopez, i quali,
fatti animosi dalla larghezza loro concessa dal nuovo prelato,
un bel giorno se la svignarono, scavalcando la muragUa del cor-
tile. Fu buona ventura del governo ecclesiastico se poterono essere
raggiunti nella chiesa di S. Domenico ed essere ricondotti alla
carcere: il cardinale, per quanto non uso a sgridare, trovò que-
sta volta termini forti nel rimprovero, ma finì col regalare dieci
ducati al Lopez, che non aveva di che mangiare^. E fosse il
timore di saperli a l'improvviso passeri di bosco, fossero le in-
sistenze della curia romana 0 i continui brogli dei cospiratori,
fosse la certezza del prossimo arrivo degli Austriaci, ben presto
si tornò alle trattative per trasportarli tutti a Roma.
Il carteggio irto di modalità durò più di un mese. Finalmente
nel marzo il nuovo governatore mons. Crispolti ottenne di po-
terli affidare al capo della guarnigione pontifìcia, e, scortati da
diciotto soldati, da due sbirri del castello e da altri gendarmi vi-
cereali, presero di buon'ora la via di Arienzo *.
' Cfr. Granito, 11, passim.
- Arch. segr. Vaticano, Cardinali, t. 67, p. 262.
' Ivi, Vescovi, t. 97, p. 36.
* Arch. segr. Vaticano, Vescovi, t. 97 p. 238. Nel documento di conse-
gna si rilevono i seguenti connotati: « Malitia Carafa, neapolitanus, altae
staturae, aetatis suae annorum 50, capillis tonsis, sive abrasis coloris mi-
schi, cum perucca coloris nigrì ; Xaverius Rocca, neapolitanus, staturae
— 290 —
MVepitafflo di Prosinone ventidue soldati corsi, quattordi-
ci birri e dodici cavalleggeri del papa ricevettero i detenuti i.
Purtroppo la «Mole Adriana» segnava un altro calvario ed
altre amarezze eran preparate ai generosi proscritti I
In quel tempo soprintendeva colà il vice castellano capi-
tano Origo, uomo fanatico ed ambizioso, di fede spagnolo,
che senza riguardi a blasoni ed a livree, per quanto nobile an-
ch'esso, sapeva a suo tempo por mano a tutti i meschini espe-
dienti dell' aguzzino stupido e malvagio, pur di mostrarsi scru-
poloso co' suoi padroni, schivo di simpatie, immune da debo-
lezze. Non gli parve vero allora d'aver sì buona preda !
Rinchiuse don Malizia e i compagni « in due miserabili et an-
guste stanze con la proibizione di non poter parlare nemmeno con
la sentinella 2 mentre il luogo del passeggio— scriveva don
Malizia — cognominato dal Sig. Vice-Castellano il cortile o via
corridore, consiste(ya) per lunghezza in palmi quindici et in
larghezza palmi sei»^.
Non valsero proteste e preghiere perchè gli smodati rigori si
mitigassero. Si rivolsero al lontano arcivescovo di Benevento,
profittarono delle amicizie che lo stesso Origo vantava tra la no-
biltà romana ; qualcuno tentò anche lì la fuga e la ribellione, ma,
a nulla riuscendo, picchiarono al cuore del papa, inviandogli
una lettera pietosa in cui invocavano giustizia, per la loro pri-
gionia contraria ad ogni procedura. «La Congregazione dell'Im-
munità ecclesiastica» — dicevano essi — « dispone che tah, estratti
e ritenuti nomine Ecclesiae, debbano trattarsi caritativamente
plus altae quam bassae, aetatis suae annorum 26 circiter, capillis pariter
abrasis coloris castaneae et cum perucca colorìs biondi ; Frane. Lopez iu-
stae staturae, annorum 37, capillis tonsìs, coloris castaneae obscurae et
perucca coloris nigri; Caietanus Notus de Calabria Citeriori staturae iuxtae,
aetatis suae annorum 42 circiter, capillis coloris, nigri abrasis et cum pe-
rucca coloris nigri. Nicolaus Cedrola de Policastro Regni, iustae staturae,
aetatis suae annorum 34 circiter, capillis tonsis coloris rubei et perucca
coloris castaneae; Franciscus de Peppo, neapolitanus, altae staturae, aetatis
suae annorum 21, capillis nigris abrasis. » Ivi, p. 25.
1 Ivi, Particolari, t. 93 p. 184.
2 Ivi, Clemente XI, t. 56.
' Ivi, 1. e. Memoria per li carcerati di Castello.
— 291 —
nelle carceri laxiori et non orribili et oscure come quelle, nelle
quali per lo spatio di sei mesi sono stati ristretti li suddetti. Non
v'è dubbio che rimane non poco lesa l'immunità della detta Chie-
sa da dove furono estratti, anche per il di più di haver essi, dopo
detti sei mesi di sì dura carcerazione, patito il trasporto in quel
Castello, ove nell'anno susseguente sopravvenne il flagello del
terremoto, e stiedero per quattro ore sepolti sotto le mine et un
loro compagno parimente estratto dalla d.* Chiesa, ne restò
morto » ^.
Proprio in quei giorni — era noto — doveva giungere a Roma
un messo imperiale e qualcosa certamente si sarebbe ottenuto
per mezzo di lui I
Invece, contro ogni previsione, la supplica sortì l'effetto con-
trario. I prigionieri, fatti segno all'odio dei carcerieri, furon trat-
tati come ribelli, più aspramente di prima: il vice castellano «per
un suo mal genio contro i medesimi, ossia per compiacere i per-
secutori dei suddetti carcerati, aveva dichiarato che non ha ves-
serò sperato ombra di maggior larghezza, e che quando ciò ve-
nisse hordinato da nostro Signore egli havrebbe ostacolato e
repUcato fortemente all' bordine di S. Santità » ^.
Fremevan di sdegno, ma, impotenti a vendetta, i reclusi ri-
mastica van la bile, pensando alle palesi ingiustizie: a quel tempo
eran chiusi in S. Angelo i peggiori arnesi, quali un Borra, capo
di setta eretica, Emilio Ruiz, fratricida e stupratore, il prin-
cipe della Matrice, uxoricida e pubblico concubinario, «et que-
sti havevano il passaggio per tutto il maschio e potevano trat-
tare e discorrere con tutti ».
Don Malizia non ristette. In un secondo memoriale^ fece
particolarmente osservare al pontefice che non così il re di
* Ivi, 1. e. Senza dubbio vi si rivela 1' animo passionato di Malizia Ca-
rata circa il trattamento ricevuto da Orsini, giacché stette rinchiuso nel
Vescovado non per sei mesi, ma solo dalla sera del 7 ottobre al mattino
del 17 gennaio 1702. Il Cardinale, poi, amicissimo di casa Carafa, non po-
teva tanto invelenirsi; ed è risaputo che quando l'Imperatore venne a Na-
poli piatì in favore di don Malizia e di Tiberio, suo nipote, non ostante le
Aere proteste del vecchio padre, il principe di Chiusano.
2 Ivi, 1. e, Memoria per li carcerati ecc.
» Ivi, Clemente XI, t. 56.
— 292 —
Francia trattava il principe della Riccia cui si concedeva di
uscire a cavallo benché carcerato alla Bastiglia; e neppure in-
crudeliva contro don Giuseppe Garafa, figlio suo naturale, che
nella torre di Tolone giocava e sedeva a mensa col comandante.
« Maggior convenienza et urbanità s'è ricevuta dall' istessi ne-
mici francesi, che dai ministri della Corte di Roma, che si pro-
fessa santa e neutrale e protettrice! ».
Era d'inverno. Privi d'indumenti, colmi d' amarezza ed av-
viliti, i cospiratori si rassegnavano ormai a passare la giornata
sotto le coverte per riscaldarsi dal freddo, poiché non era stato
neanche possibile vendere alcune camicie ed un mantello scar-
latto di don Malizia per acquistare le necessarie calze: « non era
honore del Castello che i carcerati si havessero venduta tanta
roba ! »
Si tavoleggiava in una lurida taverna posta nel cortile della
«Mole», dove di solito si forniva qualcosa ai prigionieri più
facoltosi: e cortesie di oste e finezze di gu atteri non manca van
mai, « con le robbe mal conciate e sporche benché si pagassero
salato » 1
Invano il segretario imperiale, Wetzel, in una visita al papa
aveva anch' egli implorato la grazia della liberazione : a nuove
speranze sorrisero gli animi solo quando il conte Martinitz,
venuto a Roma nel giugno di quell'anno, prese per sé la cosa,
deciso di risolverla ad ogni costo^.
Da principio papa Clemente s'era schermito dalle insistenze
del conte « col motivo di essersi impegnato a parola col duca
d'Uxeda, ambasciatore cattolico, di non liberar (Malizia) e che
bisognava trovare un mezzo opportuno di esaudire l'istanza del-
l' Imperatore senza venir meno alla parola data » ^. Ma, insi-
stendo il Martinitz essere ordine di Carlo VI di non partir da
Roma senza i sei prigionieri, il papa lo accontentò assicuran-
dolo di rilasciarli non appena le truppe austriache sarebbero
entrate nel regno.
Ma, fosse caso o raffinata astuzia diplomatica, quelle spe-
ranze si fondavano sull'equivoco.
Entrare nel Regno non significava conquistarlo, ed il papa
1 Landau, op. cit., 1. e. ; Granito, op. e, II, p. 26.
'^ Ivi, Nunziatura di Napoli, t. 138, relazione del 9 luglio 1707.
— 293 —
non avrebbe potuto così leggermente annuire al rappresentante
dell' imperatore, senza compromettere gì' impegni assunti con
rUxe da: consegnerebbe perciò Carafa solo quando Napoli fosse
realmente in dominio . i Carlo. Cosi doversi intendersi e non
altrimenti il significato della sua parola 1
All'alba della conquista fu pertanto burla la papale promessa 1
Corsero messaggi e proteste da una parte e dall' altra: don
Malizia anche ora si acconciò ad attendere tempi migliori, men-
tre si andava per le lunghe tra gli intrighi dei mestatori e gl'in-
toppi della procedura. Per ripiego finalmente si decise il ritorno
dei carcerati a Benevento, donde — restituiti alla chiesa S. Bar-
tolomeo — uscirebbero spontaneamente. Il Carafa non se ne
dolse, ma suo figlio Giuseppe corse invece a protestare dal
Nunzio mons. Casoni, vivamente preoccupato che « la mutazione
dell'aria » non danneggiasse la salute del padre ^.
n Landau, su l'autorità del Granito, asserisce a torto che il
giovane patrizio si presentò al Nunzio con una squadra di gra-
natieri e che in tono minaccioso gli annunzi ola prigionia, se non
facesse liberare i reclusi al più presto 2. Al contrario — come
premurosamente il Nunzio comunicava al papa in cifre segre-
te — egli si lasciò accompagnare soltanto dal segretario impe-
riale, e, anziché minacciare, pregò d'intercedere in favore del
padre, di cui consegnò una lettera « a sugello volante » con la
prescrizione delle norme per il prossimo viaggio^.
Ma in sostanza, le difficoltà per la scarcerazione non erano
né gl'impegni assunti dal papa con gli Spagnoli, né le moda-
lità procedurali, sibbene... « un grosso debito » che Malizia aveva
contratto con l'oste e gli speziali di Castel S. Angelo*, piccante
particolare sfuggito alle ricerche, il quale riveste d'inaspettata
comicità la rammatica scena del tradito cavaliere partenopeo.
Mons. Casoni fece intravedere l'intoppo al Martinitz, e giusta-
mente questi « s'inviperì in maniera che diede in smania », di-
' Ivi, 1. e.
2 Landau, op. cit., 1. e. Granito, op. e, II, 184 .
^ Arch. segr. Vaticano, Nunziatura di Napoli, t. 138, lettera del G agosto
1707 : importante anche il carteggio tra il Nunzio e il conte Marlinetz per
quest'affare.
* Ivi, 1. e, 9 agosto 1707.
— 294 —
cendo che ciò era un pretesto per martoriare sempre più i pri-
gionieri. Carafa — diceva il conte — comunque ridotto alla mi-
seria, era sempre un gentiluomo degno di fede nelle sue pro-
messe, e se questo non bastava, ben volentieri prenderebbe lui
su di sé i debiti di tutti cospiratori pur di saperli liberi in patria
loro. E Kaunitz da parte sua strepitava a Roma, volendo che
tutto pagasse Clemente XI, il maggior colpevole di tanti guai \
Senza por tempo in mezzo Giuseppe Carafa ebbe ah ai piedi,
ed inviato dal viceré raggiunse i confini dello Stato per incon-
trarsi col padre, invecchiato dal dolore.
Giunsero a Napoli il 27 agosto.
Seguirono litigi pel pagamento: «buone risposte da parte del
conte « — scriveva il Nunzio — «ma danaro non se ne vede »
E mai non se ne vide ! ^
Cosi le simpatie per gli Spagnoli e le insidiose promesse
costarono all'inclemente pontefice il mal' animo e l'ironia de-
gli Austriaci, ed anche.... lo scotto al bettoliere di Castel S.
Angelo I
E. M. Martini
1 Ivi, 1. e, 16 agosto 1707.
^ Ivi, 1. e. Corrispondenza varia, agosto- dicembre 1707.
L'ESERCITO NAPOLETANO
DALLA
MINORITÀ DI FERDINANDO
ALLA
REPUBBLICA DEL 1799
(Cont. V. fase, prec, pp. 88-109).
II.
NELLA PRIMA COALIZIONE
(1791-1796)
SOMMAR IO
Tentativi di federazione degli stati italiani e primi preparativi militari —
La spedizione dell'ammiraglio La Touche-Tréville (dicembre 1792) —
Napoli nella 1* coalizione: I Napoletani a Tolone (16
settembre - 19 dicembre 1793) — Trattative con Vienna per la spedi-
zione in Lombardia — Il campo di Sessa (aprile-giugno 1794) — I reg-
gimenti di cavalleria partono da Napoli — La difesa del regno : leva
straordinaria del 5 agosto 1794 ed altri provvedimenti militari — Co-
stituzione delle brigate e delle divisioni (29 giugno 1795) — L' azione
della cavalleria napoletana nell'Alta Italiafìno
all'armistizio di Brescia (5 giugno 1796) — Il pericolo del-
l'invasione francese: l'esercito alla frontiera — Pace di Parigi (10 otto-
bre 1796).
Dopo la partenza del Salis e degli altri istruttori francesi,
a cui non furono estranei i primi timori per gli avvenimenti di
Francia, l'organizzazione dell'esercito napoletano non subì,
fino al momento della prova, altre radicali trasformazioni.
Nel maggio del 1791 fu ordinata la formazione d'un secondo
reggimento macedone col nome d'Illirico^; e poco appresso —
frutto, crediamo, del viaggio in Austria e in Gennania dei so-
^ R. Archivio di Stato di Venezia, Dispacci del residente Fontana
al Senato, 31 maggio 1791.
— 296-.
vrani di Napoli — venivano nel regno, accolti con trasporto,
specie da Maria Carolina, per sostituire nell'armata di terra
l'influsso francese, i precursori di Zehenter e di Mack, vale a
dire i principi di Hassia Philippstadt e di Wurtemberg; mentre
il Pommereul, ispettore dell'artiglieria, veniva messo nelle con-
dizioni di non nuocere e, pur in mezzo a studiati elogi e con lauta
pensione, quasi forzato ad abbandonare l'ufficio affidatogli ^
Gli eventi precipitavano : fallito il primo tentativo di fede-
razione degli stati italiani per opporsi agli eserciti rivoluzio-
nari che si ammassavano sulle Alpi, i sovrani di Napoli, tor-
nati da Vienna, si occupavano più attivamente del governo :
frequenti consigli di stato avevano luogo a Caserta, a S. Leucio,
a Portici, e il re dava ogni sua cura perchè l'esercito fosse por-
tato all'efficienza stabihta, in tempo di pace, dal piano del Sa-
lisi. D Cacault, rappresentante della Francia a Napoli, calco-
lava nel dicembre 1791 che l'esercito, forte sulla carta di 40 mi-
la uomini, non ne avesse effettivamente che 15 mila ; a non più
di 18 mila uomini, oltre a 15 mila miUziotti provinciali, tro-
vandosi la maggior parte dei reggimenti alla metà appena dei
loro effettivi, lo faceva ascendere il Fontana ^.
Tali condizioni precarie, più forse che ragioni di prudenza po-
litica, spiegano l'incerto contegno della Corte di Napoli di
fronte alla guerra dichiarata dalla Convenzione francese al-
^ Fontana al Senato veneto, 29 novembre 1791. Il principe di Hassia,
colonnello graduato, ebbe il comando d'uno squadrone del reggimento
cavalleria Re, il principe Alessandro di Wiirtemberg il grado di coman-
dante di squadrone, aggregato al regg. di cavalleria Regina (Cfr. Arch.
DI STATO DI Napoli (Guerra), Reali Ordini, voi. 77, disp. 18 giugno 1792).
Il principe d'Hassia (1766-1816) era figlio del langravio Guglielmo II :
una sorella della moglie, contessa di Bergh, aveva sposato il maresciallo
Acton, fratello del ministro: Mémoires du comte Roger de Damas, 1787-
1806, Paris, Alcan, 1912, I, 278, n. 2. Egli ebbe parte importante, come
è noto, negli avvenimenti posteriori del regno ; il dùca di Wiirtemberg
lasciò invece il servizio napoletano nel febbraio del 1794, chiamato dal
padre a servire in un reggimento tedesco (Busenello al Senato veneto,
4 marzo 1794).
^ Fontana al Senato veneto, 31 maggio 1791.
^ Fontana al Senato veneto, 26 luglio 1791 ; Franchetti, Le relazioni
diplomatiche fra la Corte di Napoli e la Francia dal 1791 al 1793, in Riv.
stor. del Risorg. Italiano, I (1895-96), p. 606.
— 297 —
l'Austria e poco dopo alla Prussia — moralmente legata alla
prima da Pillnitz — nell'aprile del 1792. Titubante tra il
desiderio di salvare la famiglia reale di Francia, il timore di
perderla e il pericolo di vedersi rapidamente trascinata in una
guerra, alla quale il regno era assolutamente impreparato, la
Corte s'era limitata ad aderire al concerto delle potenze pro-
posto dall'imperatore Leopoldo e rinnovato dal successore,
ma, per quel che riguardava la partecipazione diretta alle ope-
razioni militari, aveva espresso concetti assai vaghi e prudenti,
e il marchese di Gallo era riuscito a persuader Vienna dell'im-
possibilità di « portar fuori una parte delle sue forze o dei suoi
mezzi, fintantoché non fosse sicuro di non averne bisogno nel-
l'interno del paese ; il quale se venisse attaccato dalla parte
di mare, non potrebbe mai per la sua posizione esser soccorso
dagU alleati » ^.
Vero è che, poco più tardi, quando Vittorio Amedeo III di
Savoia, certo onnai d'una imminente aggressione ai passi delle
Alpi, cercò dappertutto soccorsi, il re di Napoli, dichiarando
che «la causa del Piemonte era la causa di tutti i principi di
ItaUa )), promise d'inviar truppe a guardar la Toscana e la Lom-
bardia, liberando così contingenti austriaci che avrebbero po-
tuto unirsi ai piemontesi ^ ; ma, di lì a poco, ammonito dal
^ Arch. di Stato di Napoli, Affari Esteri, Austria, Diversi, voi. 70
(Gallo ad Acten, 22 e 28 aprile 1792).
^ I particolari di questo accordo, che fu conseguenza di lunghi e segreti
colloqui tra l'Acton e il Ministro di Torino, conte di Gastelalfèro, ci sono
tramandati con la consueta diligenza dal Fontana. Secondo il piano, tra-
smesso a Vienna per l'approvazione alla fine di giugno, Napoli avrebbe
dovuto soccorrere il Piemonte con 6000 uomini di fanteria, una brigata
di otto 0 novecento uomini di cavalleria e un treno di 24 cannoni da cam-
pagna. Queste truppe, al comando del maresciallo de Gambs, traspor-
tate per mare a Livorno e di là avviate in Lombaidia, avrebbero dovuto
sostituirvi i reggimenti austriaci passati in Piemonte. L'Acton però si
era riservato il diritto di modificare il piano secondo l'opinione di Vienna
ed anche (ciò è strano) di sostituire le truppe con un soccorso mensile
di denaro al re di Sardegna. Il disegno era stato approvato dall'impera-
tore, il quale aveva fatto formale richiesta delle truppe napoletane, con
la modificazione che 2000 uomini dovevano essere destinati a presidiar
la Toscana, neutrale, ma paurosa d'un colpo di mano della flotta francese
di Tolone, date le sue strette relazioni con Vienna. Per occultare poi le vere
Anno XLV. 20
— 298 —
fratello Carlo IV di Spagna a meditare i pericoli a cui andava
incontro, si schermì dal mandare anche pochi reggimenti nel
Milanese, adducendo, come già ne' dispacci a Vienna, la neces-
sità di difendere i suoi stati da probabili aggressioni navali.
Cosi, ogni principe mettendo in campo — come il re di Napoli — i
propri egoistici motivi per tener incrociate le braccia, le irrompenti
schiere repubblicane non si trovarono di fronte nelle invasioni
della Savoia e del Nizzardo (22-29 settembre) che i battaglioni
piemontesi. Né miglior esito ebbero le esortazioni e le propo-
ste del re di Sardegna, quando, perdute quelle due provincie,
cercò nuovamente di stringere in un sol fascio le forze della pe-
nisola. Dopo lungo esame della situazione il marchese di Gallo
ebbe ordine d'informare il principe di Kaunitz che la Corte giu-
dicava prudente non togliere un uomo o un cannone dalle fron-
tiere ; solo, nei primi giorni di ottobre, il governo di Napoli,
largo di promesse sulla carta, si piegava ai desideri del re di Sar-
degna e dell'Imperatore, impegnandosi ad armare e a stipen-
diare a sue spese, per una somma di 400 mila ducati annui fino
al termine della campagna, un corpo di 5000 svizzeri che dove-
vano mihtare sotto le bandiere del Piemonte; ma della somma
pattuita il re di Napoli non pagò al conte di Castelalfèro che il
primo trimestre ! Buon espediente ad ogni modo, scrive il resi-
dente veneto, poiché l'esercito napoletano, come il re aveva « con
stupore » constatato, era per numero molto al di sotto delle pom-
pose cifre degli almanacchi, parecchie delle navi che l'avrebbero
dovuto trasportare a Livorno disarmate, i soldati « affatto
inesperti e da lunghi anni lontani da qualunque cimento ^ ».
Ma quando giunsero, chiare ed esplicite, le gravissime nuove
di Francia e la proclamazione della repubbUca, quando dopo
la cannonade di Valmy e la ritirata del Brunswick, gli eserciti
della Rivoluzione, proclan^ata dall'Assemblea l'annessione di
Nizza e della Savoia, invadevano il Belgio vendicando a Je-
intenzioni della Corte di Napoli, la prima divisione doveva sbarcare nei
Presidi, pronta però alle richieste del Granduca; gli altri 4000 uomini eia
cavalleria dovevano figurare come truppe mercenarie al soldo dell'Impe-
ratore. (Fontana al Senato Veneto, 3 luglio 1792).
> Gallo ad Acton, 12 ottobre 1792 (Austria, voi. 70) ; Fontana ai
Senato veneto, 9 ottobre 1792.
— 299 —
mappes i rovesci dell'anno precedente, la Corte di Napoli, con-
scia del pericolo, mentre dava opera a ricostituire le milizie e
ad armare la flotta, prendeva l'iniziativa d'una lega militare,
(( tendente non solo a garentire generalmente la nazione da una
qualsiasi irruzione, ma eziandio i propri rispettivi Stati e la
forma attuale delli esistenti Governi ».
Anche questo tentativo falli per la gelosia dei governi ita-
liani e pel malvolere dell'Austria che bramava mantenere la
supremazia poUtica nella penisola, dirigendo ai suoi fini par-
ticolari gli sforzi dei principi collegati^; ma quanta colpa pei
mancati accordi non spetta anche a quel regno di Napoh che
l'indecisione, i timori interni, il disordine della pubbhca ammi-
nistrazione doveva rendere « a Dio spiacente ed a' nemici sui >» l
H primo aperto atto d'ostilità della Francia contro il regno
di Napoli è — com'è ben noto — la spedizione dell'ammira-
gUo La Touche-Tréville nel decembre 1792^
Ma già prima, in previsione d'un colpo di mano della squadra
di Tolone contro il regno che, pur fuori della guerra, non aveva
celato le sue simpatie per la duplice austro-prussiana (almeno
per quel che riguarda la Corte e il governo), erano cominciati i
preparativi militari.
Verso la metà di maggio si iniziavano febbrili opere di di-
fesa dei forti e del Cratere : si davano disposizioni per lo sta-
biUmento di guardiani d'artigUeria nelle batterie di Vighena,
PosilUpo, Sermoneta, Pietrarsa, Galastro, Torre Scassata etc,
si spedivano a Gaeta 12 lance cannoniere, si raddoppiava il nu-
mero dei pezzi a difesa del porto e della rada, altre batterie si
armavano lungo la spiaggia, tra cui una di diciotto cannoni a
* Cfr. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 fino al 1861,
Roma-Torino, Bocca, 1877, II, 58 sgg. ; Garutti, Storia della Corte di Sa-
voia durante la Rivoluzione e l'Impero francese, Roma-Torino, Roux, 1892,
I, 170 ; RoMANiN, Storia documentata di Venezia, Venezia, 1860, IX, 199
sgg. ; Conforti, Napoli dal 17 89 al 17 96, Napoli, Anfossi, 1887, p. 95 sgg.
- SiMioNi, La gptdizione dell'ammiraglio La Touche-Tréville a Napoli nel
dectmbre 1792, Napoli, Pierro, 1912 (estr. da qutsV Archivio, voi. XXXVII).
— 300 —
Castellamare, si ordinava ai vascelli Tancredi, Guiscardo e Par-
tenope e ad alcune fregate di rimanere nel golfo in pieno assetto
di guerra ^.
E i preparativi, a mano a mano che gli avvenimenti incal-
zavano, divenivano più intensi : se il dispaccio 11 giugno 1792
per il prestito del famoso milione di ducati garantiva che tal
somma sarebbe stata unicamente impiegata per soddisfare i
particolari debiti della Casa Reale, era certo invece che la mag-
gior parte di essa si sarebbe spesa per gli armamenti del Cra-
tere e per gl'impegni con Vienna. ^
Nel luglio si completavano con le nuove reclute alcuni reg-
gimenti che si dicevano destinati in Lombardia ; ma la spedi-
zione— se pur ventilata — sfumava ai primi d'agosto, ed an-
che veniva sospesa la partenza di 2000 uomini che avrebbero
dovuto concentrarsi nei Presidi di Toscana ; intanto si affret-
tavano i lavori del nuovo vascello il Sannita, che veniva varato
il 13 agosto a Castellamare, e si avviavano trattative con Vien-
na, a mezzo del Gallo, per ottenere il più sollecitamente pos-
sibile fucili, polvere e proiettili da cannone ^.
Ma nell'ottobre, proclamata la Repubblica, dato in Francia
novello vigore alla poUtica estera, le notizie fm'allora incerte
e contradditorie si precisano rapidamente.
La squadra del Mediterraneo ha cooperato con le truppe di
terra alla conquista di Nizza e del territorio di Villafranca, ed
una nuova divisione (quella, effettivamente, del La Touche)
è già salpata da Brest per raggiungerla.
Quale Sarebbe stato il piano dell'amm. Truguet ? Si parlava
d'un colpo di mano sulle coste dello Stato pontifìcio ed anche
della possibilità d'un tentativo nell'Adriatico contro i porti
della PugUa, ma il pericolo maggiore era per Napoli e la Siciha.
^ Arch. di St. Napoli (Guerra): Reali Ordini, voi. 77, disp. 15 maggio
1792 ; Fontana al Senato, stessa data, in Romanin, o. c, IX, 469. Questi
preparativi sono confermati da un dispaccio di Cacault al ministro Lebrun
(5 maggio), in Franchetti, o. c, p. 607.
* Fontana al Senato veneto, 26 giugno 1792.
* Fontana al Senato veneto, 10 e 31 luglio, 14 agosto 1792. Arch.
DI Stato di Napoli, Affari Esteri, Austria, fascio 71 (Wallis a Gallo, 26
agosto 1792).
— 301 —
La conquista dell'isola costituiva un vecchio sogno francese,
onde verso la metà d'ottobre la Corte ordinava il passaggio da
Capua a Palermo del reggimento Calabria sul nuovo piede di
1200 teste e il rapido armamento del Tancredi e di 4 fregate,
che unite al Guiscardo, già pronto, e a due altre fregate incro-
cianti sulle coste della Sicilia, avrebbero formato una discreta
armatella ^.
Per Napoli un dispaccio del 28 ottobre ordinava il concen-
tramento alle frontiere e sul litorale di 18 battaghoni di fante-
ria e di 12 squadroni di cavalleria, volendo il re, nel timore di
un'aggressione, assicurare il suo popolo e garantire efficacemente
la religione, la quiete pubblica e le proprietà dei cittadini ^.
Maria GaroUna, più che mai nervosa ed inquieta, tradisce il
crescente interno turbamento. E con quella sfiducia che la tur-
bolenta regina ebbe sempre pei napoletani, — già presaga della
guerra imminente — chiede con insistenza a Vienna un generale,
0 Braun o Goburg o Wartensleben, che venga a Napoli a rior-
ganizzar le milizie, a prepararle contro la Francia sanguinaria ^.
Quando la squadra del La Touche si spiegava il 16 dicembre
dinanzi la rada diNapoU, i mezzi di difesa erano davvero im-
1 Fontana al Senato veneto, 16, 23 e 30 ottobre 1792.
' Codesto dispaccio, riportato dal Fontana (4 novembre), ordinava che
si tenessero pronte a marciare per le frontiere e pel litorale le truppe se-
guenti : della guarnigione di Napoli, 4 compagnie di fucilieri e 2 di gra-
natieri, sul piede di pace, dei reggimenti Regina, R. Italiano, Puglia, Lu-
cania e Sannio, 8 compagnie di R. Macedonia sul piede di guerra, 4 di fu-
cilieri e 2 di granatieri del 1° Estero ; in tutto 8 batt. di fucilieri e 3 di grana-
tieri. Della guarnigione di Capua, 3 batt. di fucilieri e 1 di granatieri dei
reggimenti Re e Borgogna. Della guarnigione di Gaeta, 4 compagnie di
fucilieri e due di granatieri per ciascuno dei regg.ti JR. Napoli e Messapia.
Per la cavalleria, 8 squadroni della I brigata, più uno squadrone per cia-
scuno dei regg. Rossiglione, Tarragona e Principe, seguiti dal rispettivo treno
d'artiglieria del Corpo Reale. Le guarnigioni dovevano essere sostituite
dalle milizie provinciali sul piede di guerra. Il piedilista di tutte le truppe
marcianti comprendeva, secondo il r. dispaccio 28 ottobre, 9861 uomini
di fanteria, 1828 di cavalleria, 3300 miliziotti, vale a dire 14,989 uomini.
Cfr. anche Fontana al Senato, 13 novembre e Reali Ordini, vol.cit., passim.
* Correspondance inèdite de Marie- Caroli ne auec le marquis de Gallo,
publiée et annotée par M. H. Weil et C. di Somma Circello, Paris, E-
mile-Paul, 1911, I, 49.
— 302 —
ponenti : le batterie del Cratere, già provviste di 206 cannoni
di diverso calibro, erano state rinforzate con 23 mortai, 4 obici
e 179 pezzi d'artiglieria ; l'intera flotta posta in pieno assetto
di combattimento ; 150 cannoniere e 60 barche coralline armate
a difesa del golfo ; rinforzato il corpo degli artiglieri litorali e
poderosamente munite le batterie di Posillipo, di Vigliena e di
Pietrarsa ; 15 mila uomini di truppe di linea sul piede di guerra,
altri 12 reggimenti di milizie provinciali pronti all'azione *.
Sappiamo come le paure di Maria Carolina, più che qual-
siasi altro motivo d'ordine interno, abbiano reso vano tanto
apparato di forze militari, e come il singolare episodio segnasse
r umiliazione della Corte e del governo, costretti ad accogliere
sotto la minaccia del bombardamento quel che il La Touche
e il Mackau, ambasciatore di Francia a Napoli, avevano chie-
sto con la burbanzosa forma della nuova diplomazia repub-
blicana.
Solo pochi mesi dopo, quando i battaglioni napoletani, pro-
tetti dalle navi di 0. Nelson, movevano verso Tolone, solo al-
lora parve a M. Carolina di aver vendicato l'onta del dicembre
e la fiera umiliazione impostale dalla squadra dell'ammiraglio
La Touche.
Ma della convenzione anglo-napoletana pel Mediterraneo
(l2 luglio 1793), che sanciva con l'entrata del regno di Napoli
nella prima coaUzione il servaggio dell'esercito e della marina
agl'interessi egoistici dell'Inghilterra e dell'Austria, e della con-
seguente partecipazione delle forze napoletane all' assedio di
Tolone (16 settembre-19 dicembre 1793), già abbiamo ampia-
mente trattato, sulle relazioni ufficiah, in altro studio ^. Con-
1 Arch. di Stato di Napoli (Guerra), Reali Ordini, voi. 77 ; Segr.
di polizia, Disp. al Reggente, 25 e 27 novembre 1792, voi. I, f. 346 e 350 ;
Fontana al Senato veneto 20 novembre ; Logerot, Memorie storico - po-
litiche, ms. cit., cap. VI, § 1. ; La Storia dell'anno MDCCXCII, p. II, Ve-
nezia, 5. a., p. 217; Arrighi, Saggio storico ecc., Napoli, 1809-1813, III,
37; Marulli, Ragguagli storici sul regno delle due Sicilie etc, Napoli, 1845-
46, I, 28-29; Conforti, Napoli dal 1789 al 1796 cit., p. 107, Correspon-
dance inèdite cit., I, 52, 59, 64, 65 etc.
' / Napoletani a Tolone (1793), Napoli, Pierre, 1913 (estr. da questo
Archivio, anni XXXVII-XXXVIII).
— 303 —
verrà tuttavia affermare che se i battaglioni napoletani in quel
memorabile e confuso assedio non si coprirono di gloria, fecero
tuttavia — specie la marina e il corpo reale d'artiglieria — il
loro dovere ; 'né giunti in condizioni miserande nella rada di
Gaeta sulle navi del Forteguerri, i soldati delle Due Sicilie me-
ritavano le accuse e il sospetto che la regina, attratta nelle fa-
tali spire della poUtica inglese, riversò ingiustamente sulla
parte mighore del suo esercito, a cui invano chiederà qualche
anno dopo la propria salvezza.
L'organizzazione delle miUzie di Tolone era stata opera del
maresciallo ungherese Giuseppe von Zehenter, giunto a Napoli
il 30 aprile 1793 e nominato poco appresso ispettore generale
delle truppe. Le disperate richieste di Maria CaroUna erano
state finalmente esaudite, mercè le insistenze del marchese di
Gallo presso l'imperatore. Ma la scelta — a malgrado degh
alti elogi del Gallo — non era stata felice : le sue scarse quahtà
di organizzatore e, sopratutto, la sua rigidezza tedesca lo posero
tosto in conflitto con l'esercito, affetto da mali insanabili : la
neghgenza e la malafede degli ufficiah superiori, la rilassatezza
della discipUna, l'avversione pel duro travagho dei continui
esercizi, provocarono anche dei complotti mihtari ; con dispaccio
in data 1° ottobre 1794 il re accogheva le sue dimissioni «onde
potesse ritornare in Germania per dar riposo alla sua sconcer-
tata salute », ed egli lasciò definitivamente le mihzie al capitan
generale marchese Arezzo, non senza, a quanto pare, qualche
recriminazione sul conto della Corte di Napoh \
Ma innanzi alla partenza dello Zehenter importanti avveni-
» Lo Zehenter (1733-1812), vivamente raccomandato dal Gallo che lo
giudicava un uomo « che farebbe l'invidia d' ogni Potenza e di cui qui
iatesso [a Viennal si sente sempre più il merito e l'importanza », era feld-
maresciallo dal 1790 (Arch. di St. di Napoli, Austria, Diversi, voi. 72,
confidenziale all'Acton s. d., ma dell'aprile 1793). Per la sua venuta a Na-
poli cfr. Correspondance inèdite de Marie-Caroline cit., I, 96, 101 ; Buse-
ncUo al Senato veneto, disp. 5, 17 marzo, 9 aprile, 2 luglio 1793. Il gen.
Damas lo giudica « insufflsant à sa place » {Mémoires cit., I, 272). Il di-
— 304 —
menti si erano maturati. Il ritorno delle truppe da Tolone non
aveva evidentemente sottratto il regno di Napoli agli obblighi
dell'alleanza ; e già prima che la squadra scortante le polacche
cariche di truppe giungesse a Gaeta, correva voce di nuove
leve per completare i reggimenti di Tolone e per inviare un con-
tingente di truppe in Lombardia, a fianco degli austriaci ^.
A mezzo gennaio un corriere straordinario del marchese di Gal-
lo portava infatti a Napoli la formale richiesta dell'imperatore
per un soccorso di truppe a difesa della Lombardia austriaca
minacciata dai concentramenti francesi sulle Alpi, ed un con-
sigUo di stato, in cui dovette assai pesare la volontà della re-
gina, che in una lettera al suo fido ambasciatore si doleva di
non poter fare « mieux, plus et plus vite », si stabiliva di concor-
rere alla difesa d'Itaha con un corpo di 18.000 uomini 2.
Ai primi di febbraio, a malgrado della situazione interna
assai oscura e della voragine finanziaria che la spedizione di
Tolone aveva smisuratamente allargata, cominciavano i pre-
parativi febbrili : la fanteria e l'artigUeria avrebbero dovuto
imbarcarsi a Napoli e passare a Livorno 0 ad Onegha, la ca-
valleria raggiungere i quartieri assegnati per via di terra. Erano
in tutto, secondo le cifre dei dispacci ufficiali, 23 battaghoni
di fanteria (14,284 uomini), 2000 uomini d'artigUeria ed altret-
tanti di cavalleria, che si volevano far partire tra i primi di mar-
zo e l'aprile ^. Senonchè, oltre alle difficoltà infinite che in quel-
spaccio che ne accetta le dimissioni è in Reali Ordini cit., voi. 77. —
Per la sua partenza cfr. Busenello al Senato, disp. 7 ottobre 1794 ; M. Ca-
rolina a Gallo (Corresp., I, 251). Lo Zehenter, avvertiva il Gallo (voi. 72
cit.), era giunto a Vienna nel dicembre 1794, destinato all'armata di Cler-
fayt. « Spero che egli non farà doglianze, né rapporti esagerati, nel qual
caso non mancherò di dissiparli ». Morì a Graz il 20 aprile 1812.
' Busenello al Senato veneto, 7 gennaio 1794.
" Id. 21 e 28 gennaio 1794. Correspondance inèdite de Marie-Caroline,
I, 173. La corrispondenza confidenziale del marchese di Gallo con l'Acton
del gennaio 1794 è piena appunto di accenni alle decisioni della Corte di
Napoli : nel dispaccio 23 gennaio è l'invito formale da parte di Vienna di
mandare un ufficiale o un commissario a Milano per prendere accordi con
l'arciduca Ferdinando, governatore della Lombardia (Arch. di St. di Na-
poli, Austria, Diversi, voi. 73).
— 305 —
le condizioni si dovevano superare, l'Hamilton chiedeva a sua
volta alla Corte il mantenimento degl'impegni fissati dalla con-
venzione di luglio non solo per quanto riguardava le unità na-
vali che avrebbero dovuto riunirsi alla squadra dell'ammi-
raglio Hood, ma anche pei 6000 uomini di truppa, che l'In-
ghilterra avrebbe voluto impiegare nell'impresa di Corsica, e,
d'altra parte, notizie da Vienna riducendo i promessi rinforzi
austriaci in Piemonte per la necessità di tenere un corpo di ri-
serva sul Reno, la Corte di Napoli si apprestava a ridurre a
sua volta (presa tra i due fuochi delle insistenze di Hamilton e
dell'ambasciatore cesareo), il numero delle truppe fissato per
entrare in campagna 2.
Tuttavia ogni divergenza, con grande letizia di M. Carohna,
sembrava appianata, accontentandosi l'Hamilton dell'ausiUo
della marina da guerra e del permesso di arrolare un certo nu-
mero di marinai, e l'Imperatore avendo dato pressanti ordini
perchè 40 mila uomini fossero concentrati in ItaHa ^ quando
alla fme di marzo veniva scoperta a Napoli la famosa congiura
giacobina che, minacciando gravemente lo stato, mutava com-
pletamente la faccia delle cose *.
Allontanare in quei frangenti le truppe mighori sarebbe sta-
to per la Corte un suicidio : ogni pensiero di spedizione in Lom-
bardia venne sospeso, e fu amara, indeclinabile decisione, pro-
prio quando le vittorie francesi di Saorgio, di Onegha, di Loano
contro le truppe del re di Sardegna rendevano assai grave il
pericolo per la coaUzione in Itaha^ Tuttavia, e per tener u-
nite le truppe raccolte nell'eventualità d' un' azione offensiva
della flotta di Tolone, e per far fronte, anche, ad ogni evenienza
1 Busenello al Senato veneto, 4 e 11 febbraio 1794. Le truppe avreb-
bero dovuto venir divise in due corpi: al 1° erano assegnati contingenti
di Re, R. Napoli, Messapia, Borgogna, Calabria, 2*> Estero e Macedonia,
al 2° reparti di Regina, R. Italiano, R. Borbone, R. Farnese, R. Cam-
pagna, Puglia, Lucania e Sannio.
- Busenello al Senato veneto, 25 febbraio, 4, 11 e 18 marzo 1794.
' Id., 4 e 25 marzo 1794.
* SiMiONi, La congiura giacobina del 17 94 a Napoli, Napoli, Pierre,
1914 (estr. da quest'Archivio, anno XXXIX).
* Busenello al Senato veneto, 8 e 22 aprile 1794.
— 306 —
interna — date le giornaliere -scoperte di trame giacobine nella
capitale e nelle provin^iie — , fu deciso di costituire un campo di
osservazione tra Sessa e il Garigliano, con carattere provviso-
rio. « Per non agitare — scrive il residente veneto — questa
popolazione ora tanto turbata, né potendosi dare di nascosto
queste disposizioni, si è fatto spargere la voce che il campo si
è fatto per preparare la nota spedizione in Lombardia, e che
non durerà che 40 giorni, e se ne è dato il comando al mare-
sciallo Daniele de Gambs, con l'ordine di fare qualche evolu-
zione^... ».
Un real dispaccio, infatti, del 29 aprile 1794 ordinava nel luo-
go detto di S.Maria la Piana presso Sessa, prescelto dal mare-
sciallo de Gambs e dal capitano ing. D. Ludovico de Sauget,
un campo « per ora » di 5 reggimenti di fanteria (Re, R. Na-
poli, Messapia, Borgogna e Calabria) e di 6 squadroni della P
brigata di cavalleria, « per poterne uscire ed impiegarsi util-j
mente in campagna, ove la necessità ed urgenza possa richie-:
derlo », agli ordini del de Gambs e dei brigadieri Micheroux e
Montalto ^. H campo di Sessa (che non valse ad impedire le
numerosissime diserzioni, dovute alla sottile propaganda ri-
voluzionaria favorita dalle fatiche della truppa e dalla paga
insufficiente, diserzioni che dettero luogo nel maggio e nel giu-
gno a cruenti episodi ad A versa e a Napoh) fu sciolto il 30 giu-
gno per le malattie infettive scoppiate tra le truppe, ma so-
pratutto per le nuove decisioni della Corte in seguito alle ri-
chieste di Vienna^.
"■ Id., 6 maggio 1794.
» Arch. Di St. di Napoli (Guerra), Reali OrdinU voi. 77 (disp. 29
aprile 1794). Cfr. anche Logerot, ms. cit., capo VII, §. 3»; Busenello al
Senato Veneto, 6 e 13 maggio 1794.
^ Reali Ordini cit., voi. 77 (disp. 25 giugno 1794). I reggimenti Re,\
R. Napoli, Messapia e i granatieri di Borgogna vennero acquartierati a\
Gapua, i fucilieri di Borgogna a Gaeta. La paga delle truppe era di cinque"
grana per gli alimenti. Un severo dispaccio del 6 maggio comminava ri-
gorosi castighi ai disertori ; ciò non impediva che insubordinazioni gravi
avvenissero nel regg. R. Macedone e si avessero vere battaglie ad Aversa
tra disertori e regolari il 26 maggio e tra disertori e lazzari a Napoli presso
Porta Capuana, ai primi di giugno (Busenello al Senato Veneto, 27 maggio
e 10 giugno 1794).
— 307 —
Il residente veneto, l'S luglio, informava il Senato deirarri-
vo d'un corriere espresso da IVIilano con lettere dell'imperatore
inviate tosto a Caserta. Si trattava di nuove, pressantissime
domande di rinforzi e specialmente di cavalleria, poiché la ca-
valleria alleata era di gran lunga inferiore alla francese, che si
raccogheva a Nizza. Dopo numerosi e segreti Consigli di stato,
non potendo aderire la Corte per le truppe di fanteria, fu deciso
di mandare nella Lombardia austriaca 12 squadroni di caval-
leria, imbarcandoli — ad onta del maggiore dispendio — so-
pra polacche e bastimenti mercantili, scortati da legni da guer-
ra fino a Livorno, allo scopo di affrettarne il più che fosse pos-
sibile r arrivo a destinazione ^.
La notizia era esatta : fin dal 16 giugno il Gallo aveva scritto
a Napoli che l'imperatore, a mezzo del Thugut, gli aveva fatto
premura di pregare il re di Napoli a « voler soccorrere alla di-
fesa d'Italia con un corpo, almeno, di cavalleria e con qualche
bastimento di guerra sottile, che incroci sulle coste di Ponente
ed impedisca i trasporti francesi per la riviera in munizioni e
viveri ^ ». Per quanto si scegliesse l'ambigua via d'inviare gli
^ Dispaccio 8 luglio 1794.
» Gallo ad Acton (confidenziale), 16 giugno 1794 (Arch. di St. di Na-
poli, A. E., Austria, voi. 73). I documenti ufficiali dell'accordo per Ir.
spedizione di Lombardia sono in Arch. di St. di Napoli, f. 2006, Sardegna,
Diversi 1790-1798. La lettera di richiesta, firmata dal Thugut, è in data
3 1 maggio da Valenciennes : in essa il ministro austriaco a nome dell'im-
peratore, pur riconoscendo «les motifs fondés de circospection et de pru-
dence, que les circonstances de l'odieux complot decouvert à Naples peu-
vent indiquer à la sagesse de S. M. Sicilienne », non dubita che la Corte di
Napoli prenderà parte « à la glorieuse entreprise de defendre l'Italie contre
des barbares par qui tonte cette belle partie de l'Europe se trouveroit
incontestablement exposée à une bouleversement total dès qu' ils auroient
réussi à envahir la Lombardie », e chiede un corpo di cavalleria da riu-
nire all'esercito imperiale e una flottiglia di bastimenti leggeri che dovrà
intercettare lungo la riviera di Genova i trasporti d'approvvigionamento
e di munizione pel nemico. Richiede quindi al re di Napoli una persona di
fiducia da mandare a Milano per intendersi coll'arciduca Ferdinando,
governatore della Lombardia, come avevano già fatto altri principi d'Ita-
lia, fra cui il Papa, che aveva scelto a tale scopo il card. Albani. Il 1° luglio
la regina stessa annunziava con due lettere all'arciduca Ferdinando la de-
cisione presa dalla Corte di Napoli, e una nota ufficiale veniva inviata
— 308 —
squadroni non verso i passi delle Alpi, ma nei piani lombardi,
è evidente che la decisione finalmente attuata dalla Corte rap-
presentava il deciso intervento del regno di Napoli nelle vicen-
de militari della prima coalizione.
Un dispaccio in data 5 luglio, diretto all'intendenza dell'e-
sercito, ordinava il rapido approntamento di 12 squadroni, os-
sia di tre reggimenti di cavalleria, da inviarsi nella valle del
Po : otto squadroni dovevano scegliersi dalla prima brigata,
cioè quattro per ciascuno dei reggimenti Re e Regina, gli altri
quattro dovevano formarsi dai reggimenti Rossiglione, Tana-
gona, Principe, Napoli e Sicilia, in modo da costituire il terzo
reggimento che avrebbe dovuto portare il nome e le uniformi
di Principe. Poiché ogni squadrone doveva essere composto di
135 uomini, la forza totale dei dodici squadroni, compresi gh
stati maggiori (66 uomini), comprendeva 1686 cavalieri, oltre
a una piccola riserva di 120 uomini montati ^.
dall'Acton al marchese di Gallo ; il 14 luglio questi rimetteva al Thugut
la risposta alla lettera di Valenciennes, d'ordine del suo re: « Malgrez que le
Gouvernement Napolitain n'ait pas encore pu étouffer entièrement les suites
de cet infame complot, qui s'etoit ourdi à Naples, et qu'on en decouvre
méme encore presque chaque jour des ramifications dans différentes pro-
vinces tant du Royaume de Naples que de celui de Sicile..., cependant
S. M. Sicilienne ne balance pas à faire quelque sacrifice de ses propres moy-
cns pour donner à S. M. l'Empereur une nouvelle preuve de l'energie des
sentimens qui l'animent à son regard ; et saìsissant pour cet ellet ce qui a
été propose dans la lettre de S. E. M.r le baron de Thugut, S. M. vient de
donner ordre à un Corps de Gavalerie compose de 12 Escadrons, sous les
ordres du Brigadier Prince de Cutò de partir immediatement et ma.lgré
les grandes chaleurs, pour étre à la disposition entière et illimitée de S.M.
l'Empereur pour la defence de la Lombardie et sous les ordres du general
commandant de son armée en Italie ». A tale scopo partiva immediata-
mente per Milano il commissario D. Giuseppe Bisogno. Quanto ài basti-
menti leggeri, non appena scomparso il pericolo d'un attacco della flotta
francese di Tolone, essi, già pronti, saranno inviati nella riviera di Genova.
^ Arch. di St. di Napoli (Guerra) f. 537, Dispacci per la campagna
di Lombardia (1794-96: Arch. dell'Intendenza dell'Esercito), disp. 5 luglio
1794.
— 309 —
I tre primi reggimenti che dovevano tener alto il nome della
cavalleria napoletana sui campi di Lombardia, erano dunque
all'atto della partenza :
1.° Re — colonnello bar. D. Abramo de Bock.
2-^ Regina — colonnello D. Enrico bar. di Metsch.
3.^ Principe — colonnello D. Francesco Federici.
Comandante in capo era il maresciallo di campo principe di
Cutò ; comniissario di guerra il capitano graduato D. Ferdi-
nando Bucarne, primo tenente di Borgogna^.
Ed era con essi, veramente, il fior fiore della nobiltà e delle
armi napoletane : nomi non soltanto di intrepidi cavalieri che
9Ì segnalarono contro le agguerrite schiere del Bonaparte nella
prima campagna d'Italia, ma di soldati che servivono col brac-
cio, nel 1799, l'effimera «repubblica dei filosofi», che sali-
rono — come il Federici — il patibolo o conobbero le dure vie
dell'esiUo, che più tardi, nel Decennio ed oltre, diedero lustro
alla patria, raggiungendo alcuni i più alti fastigi della mihzia :
il tenente colonnello principe di Hassia PhiUppstadt, i primi
maggiori Diego PignatelU di Marsico ed Agostino Colonna, i
secondi maggiori Dionisio Corsi e Giovanni Battista Fardella,
il capitan tenente Ottavio Spinelh, i primi tenenti Mattia An-
tonio Grutter e Giuseppe Staiti, il secondo tenente Michele Ca-
rascosa, ed altri molti che ommettiamo per amor di brevità ^.
^ Cito qui, una volta per sempre, gli scritti più importanti sull'azione
della cavalleria napoletana in Lombardia, avvertendo però che si tratta
sempre di notizie sommarie, esemplate quasi totalmente sul racconto del
Marulli, 0. e, I, 82-83 ; 87 sgg. Tali sono : « Un antico uffìziale di arti-
glieria » [Andrea d e Angelis ; cfr. B. Croce, Una famiglia di patrioti
ed altri saggi storici e critici, Bari, Laterza, 1919, p. 105], La cavalleria na-
poletana nell'alta Italia dall'anno 1794 al 1796, in Antologia Militare [com-
pilata da A. Ullga], a. V (1840), n. 10, poi in [Ullga], Fatti di guerra
dei soldati napoletani, Napoli, R. Tip. Militare, 1852, n. 1; Ferrarelli,
Memorie storiche militari cit. ; E. de Rossi, La cavalleria napoletana nel-
l'Alta Italia dal 17 94 al 1796, nelle Memorie Storiche Militari, f. Ili (di-
cembre 1910), p. 1 sgg. — Cfr. anche B. Maresca, La pace del 1796 fra le
Due Sicilie e la Francia, Napoli, Jovene, 1887, p. 1; Conforti, Napoli dal
1789 al 1796, cit., p. 243 sgg.
* Per le biografie di alcuni fra gli ufficiali che raggiunsero poi i più alti
gradi dell'esercito cfr. M. D'Ayala, Vite de' più celebri capitani e soldati
— 310—
M. Carolina era entusiasta de* suoi cavalieri: «Je vois par-
tir nostre cavalerie avec douleur,— scriveva al Gallo, il 19 lu-
glio. G* est là ce que nous avons de mieux et je crains que nous
en reverrons peu, ayànt trop peu de monde pour tenir téte aux
ennemis... Pour la volonté et le point d'honneur, c'est ce que
nous avons de mieux. Gutò les commandera prò jorma, et les
trois colonels effectivement ; c'est Bock^ Metsch et Federici.
Metsch est le meilleur des trois, mauvaise ligure, mauvaise tour-
nure, mais adoré de ses soldats. Il les a montés et après des
peines infinies, il en est très aimé. Enfm, j 'espère qu'ils et nous
se feront honneur ^ ».
napoletani, Napoli, St. dell'Iride, 1843 (Faldella, p. 91 ; principe di Cutò
p. 239 ; Colonna, p. 397 ; Pinedo, p. 451 ; Zenardy, p. 543; Federici, p. 569;
Russo, p . 597). Su Francesco Federici, martire della repubblica napole-
tana, vedi anche D'Ayala, Vite degl'Italiani... uccisi dal carnefice, Torino-
Roma, Bocca, 1883, p. 271. Qualche altro particolare . nel cit. fascio 537
(Dispacci per la campagna di Lombardia) dell'Archivio di Guerra. Cfr.
anche Elenco delle promozioni fatte nei tre reggimenti di Lombardia, annesso
al disp. 22 luglio del residente veneto. Secondo il Croce (La rivoluzione na-
poletana del 1799, 3»ediz. Bari, Laterza, 1912, p. 385) sarebbe partito tra
i primi anche il principe di Moliterno, Girolamo Pignatelli, che fin dallo
scoppio della guerra contro la Francia era accorso volontario in Piemonte,
era stato aiutante di campo del comandante in capo dell'esercito austro-
sardo bar. Devins, e ferito e fatto prigioniero nell'azione di Giletta (ottobre
1793), era stato di li a poco liberato. Due nuovi documenti ci permettono
di precisare i fatti. Una lettera del principe di Marsico, ambasciatore di
Napoli a Torino, del 2 luglio 1794, annunzia all'Acton che suo figlio prin-
cipe di Moliterno, il maggiore Pausback e il cap. Piantanida del regg. Ca-
prara, taciti prigionieri a Giletta, erano stati scambiati col gen. Casablanca
« sulla parola di non più combattere contro la Francia ». Il Moliterno par-
tiva da Torino il 4 luglio per Napoli. (Arch. di St. di Napoli, A. E., Sar-
degna, R. Missione, f. 1996). Ma il principe non raggiunse i reggimenti di
Lombardia che nel luglio 1795 ; lo attesta un dispaccio del brig. Arriola
al Logerot : « Avendo il Re permesso al Principe di Moliterno, capitano ag-
gregato al regg. di cavalleria di Napoli di passare in Lombardia a far cam-
pagna in qualità di capitano aggregato al regg. di cav. Regina, vuole S. M.
che nel solo tempo in cui egli rimarrà in campagna, conseguisca il soldo
di capitano vivo, in due. 30 al mese, il soprassoldo mensuale di altri du-
cati 20, e tre razioni di pane e cinque di foraggio». (Arch. di Guerra,
f. 537 cit., disp. 15 luglio 1795).
* Correspondance inèdite cit., I, 223.
— 311 —
Dapprima si era pensato di far partire i tre reggimenti per
via di terra, attraverso lo stato romano, poi ragioni di oppor-
tunità e di rapidità avevano fatto prescegliere la via di mare
e lo sbarco a Livorno, dopo trattative con la Toscana e con la
repubblica di Lucca, un po' riluttante al passaggio ^.
Il 22 e il 23 luglio aveva luogo l'imbarco dei primi otto squa-
droni (Re e Regina) su 54 tra polacche e bastimenti da carico,
e il 23 stesso, scortato da una divisione di nove legni da guerra,
accompagnato per un tratto, fino alle bocche di Capri, dal re,
imbarcato sul Guiscardo e vestito con l'uniforme del suo reggi-
mento, il convoglio salpava da Napoli per Livorno, dove giun-
geva la sera del 3 agosto.
Il 24, ritornate le navi da trasporto, partivano gli altri quat-
tro squadroni di Principe su 26 polacche, scortate dalla mede-
sima squadra, giungendo il 7 settembre a Livorno. Di là gli squa-
droni napoletani, dopo qualche giorno di riposo, si ponevano
in marcia verso Pavia : nella seconda metà di settembre i reg-
gimenti di Napoli erano accampati intorno a Lodi in attesa de-
gli avvenimenti 2.
L'intervento diretto delle mihzie napoletane nella guerra di
Italia obbligava la Corte ad apprestare nel regno un esercito
che fosse in grado di respingere qualsiasi pericolo d'aggressione
francese nel caso di rovesci alleati in Lombardia. Infatti, un
dispaccio, datato da Caserta 5 agosto 1794 ^ stabihva di ac-
crescere di 67.300 uomini la forza miUtare, valutata, anche con
le recenti leve ordinarie, ad appena 22.000 uomini.
* Cfr. Arch. di Stato di Napoli, A. E., Sardegna, Diversi, 1790-98.
* Fasci citati, passim; Busenello al Senato veneto, 29 luglio, 12, 19,
26 agosto, 9, 16 settembre 1794.
* « R. Dispaccio con cui per le attuali circostanze di guerra si ordina
nel regno la leva di 16 mila reclute per l'Esercito, la formazione di truppe
volontarie ausiliarie, consistenti in 60 battaglioni di fanteria e 20 squa-
droni di cavalleria, e il tenersi pronta la gente atta alle armi, allistata fin
dal 1792 » (5 agosto 1794), in Arch. di Stato di Napoli (Guerra), f. 628,
Decreti a stampa (1746-1799). Cfr, anche Busenello al Senato veneto, 12
agosto 1794.
— 312 —
Le Università avrebbero dovuto somministrare, per la du-
rata della guerra, o « volontariamente o con bussola », una for-
za di 16.000 reclute, da incorporarsi nei reggimenti di fante-
ria esistenti. Si accettava l'offerta fatta nel 1792 da diversi ba-
roni, cavalieri e gentiluomini S di formare a loro spese delle
compagnie di soldati per la difesa del regno ; uguale facoltà era
concessa a tutti i sudditi, secolari ed ecclesiastici,, in modo da
formare, per la durata della guerra, 60 battaglioni di volon-
tari ausiliari, ognuno di 800 uomini, da avviarsi alle frontiere
del regno da Aquila a S. Germano e nelle provincie di Salerno
e di Montefusco. Questi battaglioni, costituiti in gruppi di tre
col nome di 1°, 2°, 3° battaglione di volontari ausiliari, dove-
vano essere aggregati a ciascuno dei 20 reggimenti di fanteria.
Si commetteva inoltre a tutti i sudditi, e a loro spese, la for-
mazione di 20 squadroni di cavalleria, ognuno di 165 uomini,
composti di volontari benestanti, da incorporarsi nei reggimenti
Rossiglione, Tarragona» Napoli e Sicilia, i quali avrebbero do-
vuto essere raccolti nella capitale a disposizione del coman-
dante della Piazza, gen. Pignatelli, e dell'ispettore della ca-
valleria, ten. gen. Filippo Spinelli.
Era, senza dubbio, un imponente aumento delle forze del-
l'esercito che in gran parte lo Stato affidava al patriottismo d(
sudditi ; ma se non mancarono anche nel 1794 le cospicue of-
ferte dei cavalieri e dei gentiluomini più prossimi alla Corte]
difficoltà d*ogni genere si affacciarono fin dai primi giorni
il gran numero di volontari che si chiedevano, la precaria si-]
tuazione delle finanze, le condizioni dei baroni spossati datanl
pesi, i pessimi sistemi di reclutazione, la contrarietà invincil
^ Tra essi il dispaccio regio ricorda il duca di Cassano, il principe di
Supino, il duca d. Alfonso Crivelli, il duca di Maddaloni, il duca di Laurino,
il principe di Leporano, il barone D. Giulio Cesare Donnaperna, il bar. d.
Francesco Farina di Chieti, D. Fabrizio, Saverio e Raffaele Marincola,
D. Vitaliano de Riso, D. Odoardo d'Ippolito, D. Saverio Laudari, D. Giu-
seppe e D. Francesco Salzano della prov. di Catanzaro, il cav. d. Lelio Ri-
vera dell'Aquila, D. Fr. Antonio Rusciani di Terranova, i tenenti D. Sci-
pione La Marra di Sessa e D. Filippo Ciavoli dell'Aquila, D. Costantino
Perifano di Foggia, D. Eugenio Fiorillo Cavaselice dì Campobasso etc.
— 313 —
bile del popolo pel servizio militare obbligatorio, resero assai
lenta e tumultuaria la formazione dell'esercito di guerra ^.
Bisognò accordare sempre nuove facilitazioni, bisognò —
gravissima disposizione — permettere l'arrolamento dei rei di
omicidi in rissa, di ferite e di armi proibite « tanto se si tro-
vassero sotto giudizio, come se fossero condannati a tempo-
ranee pene afflittive di corpo, anche di galera » ^, bisognò so-
spendere, su proposta del gen. Pignatelli, la vecchia consue-
tudine di esimersi dal servizio militare col pagamento di 200
ducati, poiché, se in pochi giorni si erano in tal modo raccolti
365 mila ducati, era stato necessario elevare dal 4 al 12 ®/o la
percentuale di leva per le singole Università ^. Bene osservava
il residente veneto: la guerra, voluta dalla Corte e specialmen-
te da Maria Garohna, non era né desiderata né sentita dalla na-
zione, che nelle sue classi colte, anche in quelle immuni da idee
francofile e giacobine, considerava l'impreparazione del paese,
il baratro finanziario, l'arresto di ogni progresso economico dello
Stato, per soddisfare l'orgoglio e il livore della regina e l' in-
teresse dell'Austria e dell'Inghilterra, e nel popolo temeva, con
l'arresto dei traffici, il rincaro dei generi di prima necessità ed
una miseria sempre maggiore. — Così le difficoltà aumentavano
di giorno in giorno, specie in quelle provincie, come nelle due
Calabrie, dove peggiori erano le condizioni generali e più pro-
fondo il malcontento.
Tuttavia, nel dicembre, pareva che in seguito alle insistenze
di Vienna, si pensasse seriamente ad inviare in Lombardia un
contingente di truppe di hnea: un dispaccio regio ordinava infatti
che si tenessero pronti a marciare in campagna 19 battaglioni di
fanteria, oltre a un corpo di 900 artiglieri (12,128 uomini in tutto),
^ Gfr. Busenello al Senato veneto, 19 agosto, 2 e 16 settembre 1794.
M. Carolina aveva previsto le difficoltà del reclutamento : « Le Roi — scri-
veva al Gallo — a ordonné une nouvelle levée très consldérable... Ce pays
n'ayant jamais été préparé à la guerre, je doute et je crois qu'il sera très,
très diffìcile de trouver tanL de recrues, mais on fera de tout » (Correspon-
dance inèdite cit., I, 226).
^ R. Dispaccio 21 agosto 1794, in Busenello al Senato veneto, 26 a-
gosto.
* Id., dispacci 4 novembre, 16 e 23 dicembre 1794.
Anno XLV. 21
—au-
se pure tutti questi preparativi — come insinua il residente
veneto — non rappresentassero che delle parate per acque-
tare le continue ricerche della Corte di Vienna e per giustifi-
care agli occhi del pubbHco le spese del governo e le gravi mi-
sure finanziarie \ Certo si è che il Gallo aveva l' ordine di di-
mostrare a Vienna l'impossibilità d'inviare il desiderato con-
tingente di truppe in Lombardia, mentre i regni di Napoli e
di SiciUa erano minacciati « da interne pericolose sedizioni »
e da possibili aggressioni dal mare, e nel marzo 1795 pareva il
Thugut persuaso delle eccellenti ragioni del ministro napole-
tano '.
In quei primi mesi del 1795 non è difficile notare tra le ri-
ghe della corrispondenza ufficiale con Vienna e nello spirito
dei dispacci miUtari uno stridente contrasto tra la volontà e
la possibilità : mentre il pericolo era ancora, in fondo, lontano
e gli eserciti francesi non riuscivano, a malgrado dei successi
del Massena, a sboccare dalla Riviera di Genova, la Corte, che
pur avrebbe voluto partecipare attivamente alle operazioni in
Piemonte, preferiva — impressionata dalle difficoltà interne
ognora crescenti — preparare nel regno lo strumento della
sua difesa.
Cosi, mentre appunto in un consiglio del 2 marzo (pochi
giorni dopo l'arresto del Medici e la scoperta della nuova grande
congiura di Stato) si era stabilito, contro il parere della re-
gina e dell' Acton, di non allontanare altre truppe dal paese
e di concentrarle invece al confine per impedire i minacciati
ostili propositi, si riprendeva il disegno, già in parte attuato
l'anno innanzi, di fonnare un campo tra Sessa e S. Germano,
» Reali Ordini cit., voi. 77, disp. 29 dicembre 1794. I battaglioni di
fanteria dovevano essere costituiti da due compagnie di granatieri e da diie
battaglioni di fucilieri sul piede di guerra deiregg. Re, R. Napoli, Meesapia
e Borgogna ; di due battaglioni di fucilieri di Calabria ; di un battaglione
di fucilieri di Regina, R. Italiano, Puglia, Lucania e Sannio; di un batta-
glione, sul piede di 164 teste per compagnia, di R. Macedonia ; delle ri-
spettive compagnie di granatieri aumentate fino a 164 teste, dei regg. 1»
e 2« Esiero. Cfr. anche Busenello al Senato veneto, 23 e 30 dicembre 1794,
6 gennaio 1795.
* Gallo ad Acton, confid. 4 marzo 1795 : Arch. di St. di Napoli, A. E.,
Austria, voi, 74, Diversi (1795-1796).
— 315 —
riunendovi la maggior parte delle guarnigioni di Gaeta e di
Capua che obbedivano rispettivamente al ten. gen. Tschoudy
e al maresciallo di campo De Gambs ^. E mentre si procedeva
alla riforma di qualche reggimento che non aveva dato buona
prova per le numerosissime diserzioni, come il R. Macedonia 2,
e, in seguito a gravi disordini, s'impartivano ordini severi per
la reclutazione ^ un dispaccio in data 29 giugno 1795 ordi-
nava in brigate ed in divisioni, secondo lo specchio seguente,
i 20 reggimenti di fanteria regolare :
) P Brigata — Re e Regina
1^ Divisione >
(Daniele De Gambs) ) 2* Brigata — R. Borbone e R. Farnese
2* Divisione
(Carlo Tschoudy)
1* Brigata — R. Napoli e R. Palermo
2* Brigata — R. Italiano e R. Campagna
1* Brigata — 1^ e 2^ Illirico
3^ Divisione 7
(Diego Naselli) ; 2* Brigata — Puglia e Lucania
[con r ispezione dei Fucilieri
di Montagna e degl'Invalidi]
4* Divisione
(Fabrizio Pignatelli
di Gerchiara)
P Brigata — Sannio e Messapia
2* Brigata — Calabria ed Agrigento
^ Busenello al Senato veneto, 3, 10, 17 marzo 1795.
« Id., 5 e 12 maggio 1795.
» Il residente veneto racconta che molte reclute, appena arrolate, di-
sertavano ; altre, specialmente in Terra di Lavoro e nel Principato cite-
riore, o avevano ucciso gli agenti pubblici 0 s'erano privati d'una mano o
d'un occhio, pur di non servire. Le Calabrie avevano dato uno scarsissimo
contingente « per gli eccessi minacciosi di quelle torbide popolazioni ».
Nuclei di disertori, unitisi a malviventi in bande di trenta 0 quaranta per-
sone, rendevano impraticabile la via dagli Abruzzi a Lecce, rapinando e
uccidendo, sicché erano stati dati ordini severissimi al Marulli, preside di
Lecce e direttore generale dell'Adriatico (id., 26 maggio e 9 giugno).
— 316 —
Ìia Brigata — Siracusa e Borgogna
2^ Brigata — 1^ e 2^ Estero ^
[coi volontari di Longone
e dei Presidi di Toscana]
Così tra richieste e diplomatiche ripulse, tra difficoltà tec-
niche e finanziarie sempre crescenti, passò quasi tutto il 1795,
senza che un solo uomo, oltre i tre reggimenti di cavalleria,
fosse inviato a rafforzare l'esercito del Devins. Ma nel dicem-
bre le insistenze di Vienna si fecero così vive, non solo sul Ga-
binetto di Napoli, ma presso tutti i principi d'Italia, che nel
febbraio 1796 poteva il Gallo assicurare il Thugut essere pron-
to un corpo di circa 10.000 uomini per unirsi agli austro-pie-
montesi. Esso avrebbe dovuto comprendere il reggimento di ca-
valleria Napoli su 4 squadroni, oltre due mezzi squadroni di ri-
monta ed i servizi (1170 uomini), due battaghoni di fuciheri della
guarnigione di Gaeta (Re e Borgogna), sei battaghoni di fuciheri
e due di granatieri (Real Napoli e Messapia) della guarnigione
di Gapua, due battaglioni di fuciheri ed uno di granatieri deUa
guarnigione di Napoh (P Estero e \^ R.l Macedonia), (8220
uomini), un distaccamento con 40 pezzi del Corpo Reale di
artigheria (630 uomini) ; in tutto 10.020 soldati.
Ma di essi, soltanto la cavalleria avrebbe dovuto partire im-
mediatamente ; la fanteria e la cavalleria, scriveva Acton al
Gallo il 16 febbraio, avrebbe lasciato le guarnigioni sol « quando
le circostanze di questo regno lo permetteranno ». E subito si
^ Arch. di St. di Napoli. Scritture diverse raccolte dalle Segreterie
Stato di G. Acton, voi. XLVII, n. 2; Reali Ordini cit., voi. 77,disp. 29 giugi
1795. Le due prime brigate, di marcia, erano rispettivamente agli ordii
dei brigadieri Francesco Pignatelli di Casalnuovo (già comandante di Li
canta) ed Antonio Alberto Micheroux. È noto che nel maggio era avvi
nuta una radicale riforma nel governo : l'Acton pur conservando sempre
l'antica influenza, aveva lasciato gli affari esteri, e i suoi carichi erano stai
divisi fra due direttori, l'uno per gli affari di Stato ed Esteri, Marina e Coi
mercio, e fu il principe di Gastelcicala, l'altro per la Guerra e fu scelto
brigadiere Giambattista Manuel e Arriola, che con r. dispaccio 19 genm
1795 era stato inviato in Sicilia come interino ispettore di fanteria in luoj
del defunto D. Giuseppe Dusmet : Reali Ordini cit. ; Busenello al Senatj
veneto, 5 maggio 1795.
— 317 —
iniziavano le pratiche col Papa e con le Corti di Toscana, di Mo-
dena e di Parma per il libero passaggio degli squadroni napo-
letani che avrebbero dovuto raggiungere per via di terra i quar-
tieri di Lodi. È noto per gli studi del Maresca ^ come — mentre
il papa accoglieva tosto le richieste di Napoli e le trattative
facilmente approdavano tra il card. Zelada e V inviato napo-
letano, il conte Gaetano di Ventimiglia dei principi di Bei-
monte — la Toscana oppose cosi tenacemente i suoi doveri
di stato neutrale, che bisognò mutare itinerario e scegliere la
più lunga via degli Abruzzi e della Romagna ; né forse que-
st'improvviso ostacolo fu estraneo al mancato invio dei reggi-
menti di fanteria, quando si pensi che, seguendo la stessa stra-
da (poiché non si poteva più fare assegnamento sul porto di
Livorno o su quelli della riviera di Genova), sarebbero occorsi
più di tre mesi di disastrosa e dispendiosissima marcia perché
giungessero a destinazione.
Cosi mentre il VentimigHa, dopo i felici accordi di Roma,
era inviato in qualità di ministro plenipotenziario presso la
Corte di Parma ed i governi di Milano e di Genova, e special-
mente incaricato di risiedere per ogni evenienza presso il ge-
nerale comandante dell'esercito imperiale in Italia, ai primi
di marzo si fissava pel 15 la partenza a scaglioni del reggimento
Napoli cavalleria, agli ordini del colonnello Antonio Pinedo,
e si stabilivano da Aversa e da Santa Maria a Lodi, dove avreb-
be dovuto giungere tra il 18 e il 28 aprile, gl'itinerari di mar-
cia. Con esso partiva il brigadiere D. Prospero Ruiz de Cara-
vantes, il quale, agli ordini del principe di Cutò, avrebbe do-
vuto assumere il comando della II brigata (Principe e Napoli)^.
Quando, alla fine d'aprile, gli squadroni di Pinedo giunge-
vano, dopo faticosissima marcia, sui campi lombardi, già il
* La pace del 17 96 tra le Due Sicilie e la Francia, cit., pp. 17-22.
2 Per i preparativi di partenza, gì' itinerari e gli scopi della missione
Ventimiglia, cfr. Arch. di St. di Napoli, A. E., f. 4264 (Spedizione di Ven-
timiglia in Milano, Genova e Parma). I. reali dispacci in f. 537: Dispacci
per la campagna di Lombardia cit. Cfr. anche Busenello al Senato veneto.
23 febbraio, 1°, 8, 15, 22 e 29 marzo 1796. Intorno alle continue richieste
di Vienna per rinforzi di fanteria e di artiglieria è da vedersi una notevole
lettera di M. Carolina al Gallo, in Correspondancc inèdite cit. I, 368.
— 318 —
Bonaparte aveva iniziato, sul Tanaro, la sua travolgente,
offensiva.
I reggin^enti Re, Regina e Principe erano giunti alla fine
di settenibre del 1794 nei quartieri d'inverno loro assegnati dal
Devins : i due primi a Lodi, il terzo tra Godogno, Casalpuster-
lengo e Malleo ^ Né durante la campagna del 1795 erano sta-
ti seriamente impegnati, all'infuori di Re, che nella breve of-
fensiva austro-sarda del giugno diretta dal Colli, aveva operato
nella zona di Vado-Finale-S. Giacomo, e contribuito a cacciare
alcuni battaglioni di Kellermann dalle loro posizioni presso il
Toirano K
Quando, successo lo Schérer al comando dell'esercito d'Ita-
lia, i francesi sferrarono improvvisamente quel vittorioso at--
tacco contro il Devins che culminò nella battaglia di Loam
(23-28 novembre 1795), la cavalleria napoletana, concentrati
nel campo di S. Salvatore presso Alessandria, era già in cammi-
no per raggiungere gli accantonamenti tra Lodi e Piacenza
la marcia fu sospesa per qualche giorno, poi — cessati gli at-
tacchi francesi — i reggimenti del Cutò movevano verso i quar-j
ti eri d'inverno dell'anno innanzi.
> Per la narrazione delle azioni dì guerra della cavalleria napoletani
in Lombardia, pur avendo innanzi agli occhi i racconti già ricordati de
Marnili, del de Angelis, del Ferrarelli, del De Rossi, seguo dappresso i raj
porti ufficiali che sono nell'ARCH. di St. di Napoli, A. E. fascio 4340 (Guem
in Italia, 1796-97), e Carteggi diversi n. 178 (Carteggio col conte di Venti
miglia- 1796). I conti della cassa militare formano un grosso fascio de
I'Arch. di Guerra (f. 596). Per la parte generale cfr. E. Gachot, La pi
mière campagne d'Italie (1795-1798), Paris, Perrin, 1901, e F. Bguviei
Bonaparte en Italie (1796)*, Paris, Cerf, 1902.
* Al l» novembre 1795 i tre reggimenti avevano la seguente forzs
Jìe — ufficiali 25 — truppa 520
Regina — » 24 — » 548
Principe — « 25 — » 526
74
1594
oltre a 10 ufficiali dello stato maggiore e al cap. principe di Moliterno, ^
gregato al regg. Regina.
— 319 —
Allorché il 25 aprile 1796 il conte Ventimiglia giungeva a
Parma coi primi due squadroni di Napoli, la cavalleria napole-
tana aveva lasciato gli accantonamenti ed era passata in Pie-
monte, agli ordini del nuovo generale in capo degli austro-sardi,
il Beaulieu.
Già il Bonaparte, preso il comando dell'esercito d'Italia,
era piombato, fulmine di guerra, sul nemico, aveva separato
nelle giornate di Dego e di Millesimo austriaci e piemontesi,
inseguito questi ultimi e battuti ripetutamente a Ceva, alla
Bicocca, a Mondovi, obbligando il re di Sardegna all'armisti-
zio di Gherasco (26 aprile 1796).
I reggimenti napoletani erano entrati in azione dopo la bat-
taglia di Mondovi. Informato il Beaulieu delle pratiche ini-
ziate dalla Corte di Torino, timoroso delle conseguenze mih-
tari della defezione del re di Sardegna, egli aveva tentato una
azione d'avanguardia su Asti, S. Stefano di Belbo e Nizza della
Paglia, movendo dalle alture di Terzo il corpo del Liptay, con
cui era il reggimento Regina, e da Bosco, lungo la Bormida, il
corpo del generale Nicoletti, da cui dipendeva il reggimento
Napoli, allora giunto, e già collocato verso la sponda destra
del Ticino, a custodia del ponte di Pavia. Col grosso marcia-
vano i reggimenti Regina e Principe. Era ormai troppo tardi:
sconcertato dalla « fatale » notizia dell'armistizio piemontese,
minacciato dall' avanzarsi del Bonaparte su Possano, il Beau-
lieu ordinava la ritirata generale; ma nello stesso tempo, per ri-
tardare la marcia del nemico, tentava di occupare con un colpo
di mano le fortezze di Tortona, di Alessandria e di Valenza.
La sorpresa delle due prime, affidata rispettivamente alla
brigata Pittony e a due reggimenti di ussari, falli per l'accor-
gimento dei loro comandanti e per la lentezza delle mosse au-
striache ; ma il reggimento Re, avanguardia d'una colonna
agli ordini del gen. Nicoletti, riusciva sotto la guida del prin-
cipe d'Hassia e del ten. col. Fardella ad occupare Valenza.
Intanto il 29 aprile il Beaulieu proseguendo nella sua ritirata
passava la Bormida sul fianco destro di Alessandria ed il 30
si riuniva in Valenza alla colonna Nicoletti; di là il 2 maggio,
ordinato lo sgombro della città, dopo aver inchiodati i canno-
ni e bruciato il ponte sul Po, il grosso dell'esercito austriaco
— 320 —
coi cavalieri napoletani si concentrava nel campo di Otto-
biano, la destra appoggiata all'Agogna e la sinistra a Valeggio.
Il corpo del gen. Rosselmini, composto di 9 battaglioni e del
regg. Napoli, che si ritirava da Tortona, si schierava presso il
ponte sul Po, a Pavia.
Ingannato dalle abili mosse del Bonaparte, che ostentata-
mente mostrava di voler passare il Po a Valenza, il Beaulieu
aveva concentrate da quella parte le sue difese ; quando, trop-
po tardi, fu avvertito che l'avanguardia di Laharpe, condotta
dal gen. Dallemagne, era giunta il mattino del 7 maggio a Pia-
cenza e che la sera stessa aveva lanciato oltre il Po, verso Fom-
bio, 500 granatieri di Lannes, per costituirvi una solida testa
di ponte e prendere quindi a rovescio le posizioni occupate
dagli austriaci. D BeauHeu inviava allora a marce forzate la
divisione Liptay, forte di 4 battaglioni di fanteria, di due reg-
gimenti di ussari e dei quattro squadroni di Regina, allo scopo
di ributtare nel fiume l'avanguardia francese, mentre egli stes-
so si spostava a Lomello e poi sulla destra di Pavia, di là dal
Ticino. Il regg. Regina, giunto di buon trotto innanzi, attac-
cava animosamente, guidato dal col. di Metsch, i quadrati
francesi, li sgominava, rompeva il ponte di barche sul Po, fin-
ché veniva arrestato nel bosco della Mezzana dai granatieri
del col. Lanusse. L'azione, che durava fino a notte, costava
ai napoletani una sessantina di uomini posti fuori di combat-
timento 0 prigionieri : tra essi il principe di Moliterno, capi-
tano del 4** squadrone, gravemente ferito da un colpo di mo-
schetto che gli aveva spezzato un occhio e rotto il naso ^. Nella
* Cfr. Croce, La rivoluzione napoletana cit., p. 385. Il conte di Venti-
miglìa scriveva all'Acton il 12 maggio : «Giunto in Mantova circa le ore
9 della sera trovai alla locanda il principe di Moliterni in letto, il quale
molto soffriva per la ferita ricevuta, ma che con tutto ciò sarebbe partito
domane per Verona per non rischiare di rimaner qui prigioniere » {Car-
teggi diversi cit.). Un ritratto del principe Moliterno, con l'occhio coperto
da una benda, è nel Museo di S. Martino, e fu riprodotto da B. Croce in
questo Archivio, XXVII (1902), p. 101. Per questo, durante l'epico gen-
naio del 1799 egli era insultato dalla plebe col nome di cecato fauzo : vedi
La rivoluzione napol. del 1799 illustrata etc. a cura di B. Croce, G. Ceci,
M. d'Ayala, S. di Giacomo, Napoli, Morano, 1899, p. 12. Per l'azione del-
VS maggio, cfr. Cairo G., La battaglia di Fombio e la sorpresa di Codogno
— 321 —
notte il Liptay ritirava a Fombio la truppa ; ciò dava tem-
po ai francesi di riattare il ponte e di riprendere il passaggio
del fiume. La mattina del 9 il nemico di gran lunga rinforzato
attaccava il corpo del Liptay e l'obbligava a ritirarsi a Codo-
gno e quindi a Pizzighettone, continuamente molestando il
regg. Regina passato alla retroguardia, il quale ebbe nella ri-
tirata tre ufficiali feriti e 40 uomini fuori combattimento, e
che fu l'ultimo a passare l'Adda, e a ritirarsi quindi, d'ordine
superiore, a Cremona.
Intanto il Beaulieu, credendo il Liptay ancora a Fombio,
marciava a quella volta col grosso delle sue truppe, ed avendo
alla testa il regg. Re, entrava alle undici di sera a Godogno
credendola occupata dagli austriaci, mentre vi era già stan-
ziata la divisione Laharpe. Il primo squadrone di i?6, il solo
entrato in città, fu immediatamente accerchiato, e dovette
aprirsi la strada con molto sangue: nel trambusto di quella tra-
gica notte cadeva ucciso per isbaglio dai suoi lo stesso gen. La-
harpe ^-
All'alba gli austriaci, accortosi dell'errore, riparavano a Ca-
salpusterlengo e di là a Lodi (9 maggio) ; i regg. Re e Principe
protessero la retroguardia con duri combattimenti e furono gU
ultimi a traversare l'Adda.
La ritirata fu disastrosa. Il Beaulieu, dato ordine che la co-
lonna Sebottendorf, composta di 5 battaglioni di fanteria, una
divisione di ussari e il regg. Napoli, la quale era rimasta a guar-
dia del Po ad oriente di Pavia, si ritirasse a marce forzate per
tutte le strade, e che il gen. Colh, che era a Vigevano, prendesse
la via di Milano e del lago di Como, riordinava a Lodi l'armata
coll'intento di difendere ad oltranza il passaggio dell'Adda :
minava il ponte, poneva ai posti avanzati i due reggimenti
napoletani, ordinava il deflusso delle artigherie e lo sgombro
(1796), in Napoleone, s. II, a. 1917, nn. 3-4. L'arciduca Ferdinando, venuto a
Mantova da Milano, aveva fatto grandi elogi del regg. Regina, che aveva
avuto due volontari morti, due ufficiali (Moliterno e Resta) e 6 soldati
feriti, un uflìciale (Navarrete) e parecchi soldati prigionieri.
» Cfr. Secrétant, Le general Amédée de Laharpe, Lausanne - Paris,
Chevalier, 1898.
322
dei magazzini; indi, giunto la sera il corpo del Sebottendorf
e quello del gen. Schubirz, che aveva formato i corpi avanzati
sul Po, decideva invece di proseguire la ritirata in direzione
di Crema, con alla testa i regg. Re e Principe.
Al corpo del Sebottendorf, a cui appartenevano, come di-
cemmo, gli squadroni di Napoli, fu affidato il compito di di-
fendere il ponte di Lodi. È noto il temerario assalto dei gra-
natieri francesi, guidati dal Bonaparte, preceduti dal Massena,
dal Berthier, dal Lannes, dal Cervoni (10 maggio) e la tenace
difesa del Sebottendorf, prima di battere in ritirata la sera
sulle orme del suo duce supremo^.
Nella dura mischia il regg. Napoli, per quanto « stanco e
sbigottito », si segnalò per valore e per rapidità di mosse e
contribuì validamente a respingere, nelle prime azioni, la foga
dei soldati repubblicani.
Intanto il corpo del Liptay, separato dal grosso dell'eserci-
to austriaco, si era fortificato il 9 a Pizzighettone, inviando due
battaglioni e il regg. Regina a Casalmaggiore per impedire al
nemico il passaggio del Po. Ma la mattina del 10 preferiva ri-
tirarsi verso Cremona in cerca del Beaulieu, mentre il nemico,
occupata la città, incalzava il distaccamento di Regina, riti-
rato dalla confluenza dell'Adda col Po. Raccolte faticosamente
e con gravi perdite le sue forze, il Beaulieu proseguiva la marcia
verso il Mincio, lasciando a guardia dei ponti suU'Oglio il ten.
col. Fardella con due squadroni di Re, due battaglioni di gra-
natieri ungheresi e quattro pezzi d'artiglieria leggera. Più volte
attaccato, il Fardella si difese valorosamente ; quando seppe
della ritirata del Beaulieu oltre il Mincio, fece saltare i ponti,]
incendiò le barche, indi raggiunse, continuamente molestato,!
il grosso dell'esercito austriaco.
La marcia del Beaulieu non era stata facile : premuto dal
nemico, egli aveva piegato a sud-est e dopo essersi riunito col
Liptay, toccava Cremona, Marcaria, Rivalta; quindi raccoltoj
il regg. Napoli, che copriva la retroguardia del corpo del gen.
Schubirz, e gli avanzi di Sebottendorf, concentrava l'armata
^ FRAyiCUKTTi, Storia d' Italia dal 17 89 al 1799, Milano, Vallardi, s. a.
pp. 307-308.
— 323 —
la mattina del 16 maggio a Roverbella, dove lo raggiungeva
cinque giorni dopo il Colli con le sue truppe decimate.
Il 18 il Beaulieu, lasciate le posizioni di Borgoforte e Rivalta,
si spostava col quartiere generale a Roverbella, e mentre av-
viava il grosso col gen. Liptay verso il Trentino, guarniva la
linea del Mincio per ritardare la marcia del Bonaparte : la de-
stra a Peschiera, il centro tra Valeggio e Borghetto (brigata
Pittony con gli squadroni di Regina), la sinistra col gen. Colli
a Goito (regg. Re e Principe) ; Napoli in riserva tra Villafranca
e Castelnuovo. Il 29 maggio, improvvisamente, il Massena,
giunto sul Mincio con una rapida marcia d'avvicinamento, lan-
ciava l'avanguardia oltre il fiume dinanzi a Borghetto. I gra-
natieri, passato a guado il Mincio con l'acqua fin sopra il petto,
s'impadroniscono sotto la mitraglia dell'artiglieria nemica e
delle alture circostanti ; sulle loro orme la cavalleria di Kil-
maine penetra sciabolando in Valeggio, dov'era il Beauheu
ammalato. Per salvare il comando, si dà ordine a una divi-
sione di ulani (Maszaras), ad un'altra di ussari dell'Arciduca
Giuseppe e ai napoletani di Regina di attaccare la cavalleria
nemica negli abitati di Valeggio e di Borghetto. I nostri squa-
droni caricano i francesi con grande impeto, ed a prezzo di gra-
vi perdite permettono al Beaulieu e alla fanteria austriaca di
sciogliersi dalla stretta e di ritirarsi sull'Adige : costretti a pie-
gare, di nuovo attaccati ed accerchiati sulla via dell'Adige, si
difendono con coraggio : il reggimento ha centocinquanta
uomini fuori di combattimento ; il cap. Basurdi, gravemente
ferito, muore a Villafranca, l'aiutante Preca è pure ferito, lo
stesso principe di Cutò, il tenente colonnello Colonna di Sti-
gliano, ed altri ufficiali e soldati cadono prigionieri. All'azione,
brillantemente sostenuta dai napoletani, partecipa anche uno
squadrone di Napoli, comandato dal capitano G. B. Caracciolo.
Intanto i reggimenti Re e Principe, sotto la guida del briga-
diere Ruiz, sostenendo aspri combattimenti di retroguardia,
si ritiravano per Villafranca e Castelnuovo, verso l'Adige, che
il 31 maggio valicavano, a Rivoli, anche i resti del reggimento
Regina. Il giorno dopo la cavalleria napoletana era avviata
verso Trento, diretta ad acquartierarsi nell'alto Adige fra Me-
rano e Schlauders, quando l'armistizio di Brescia (5 giugno)
324
chiudeva la sua brillante azione di guerra, e la traeva, poco
appresso, ad attendere con l'arme al piede la non lontana pace
negli stati veneti : il regg. Principe a Rezzato, Napoli fra Pa-
lazzolo e Rovato, Regina a Rergamo, Re a Crema (luglio 1796) ^.
Ferdinando IV coniò per essa, com'è noto, una medaglia
comi?iemorativa ^ ; il principe di Cutò, condotto prigioniero
a Lodi con tutti gli onori, ebbe dalla Corte le più alte lodi ^ ;
ma l'elogio migliore venne ai cavalieri napoletani dal Rona-
parte, a cui i « diavoli bianchi » (dal colore delle loro divise),
dettero filo da torcere sovente in quella fulminea campagna,
e che al Ruiz, da lui convitato a Rrescia, dopo le vittorie del
giugno e del luglio, diceva: « Generale, mi sono bene avveduto
che tra' nostri nemici mancava la vostra buona e bella caval-
leria )) *.
Prova luminosa questa, che l'esercito napoletano, quando
ebbe capi valenti ed animosi, quando non fu massa raccogli-
ticcia di malcontenti o di criminaU, quando non lo inquina-
rono quei germi di dissolvimento, che la corruzione e l'anar-
chia del governo e della Corte alimentarono nel prossimo 1798,
fu assai migliore della sua fama e seppe coghere, come più tar-
di sui campi d'Europa, allori non perituri.
continua
Attilio Simioni
1 Gfr. Maresca, La pace del 17 96 tra le Due Sicilie e la Francia cit.,
pp. 32-79, dove sono ampi particolari sulle mosse della cavalleria napo-
letana dall'armistizio di Brescia alla pace di Parigi (giugno-ottobre).
^ Marulli, Ragguagli, 1. e. ; Albo della Rivoluzione napoletana cit.,
tav. VI e n. 12 delle illustrazioni.
^ Arch. di St. di Napoli, A. E., f. 4660 (Acton al principe di Cutò,
2 aprile 1797).
* D'Ayala, Le vite de' più celebri capitani e soldati napoletani cit.
p. 249.
DA ARCHIVII E BIBLIOTECHE
PER LA
STORIA DELLA CONGIURA DEI BARONI
DOCUMENTI INEDITI
DELL'ARCHIVIO ESTENSE
1485-1487
(Contili. V. fase, prec, pp. 128-151)
XXX.Id. Foggia, 20 settembre 1485.
III. me princeps, el m.co m. Branda ducale oratore, essendo
noi altri, il Fiorentino et io, nanti al conspetto regio, dove etiam
erano el S. don Federico et il Secretarlo et il conte Brochardo,
dixe havere havute, poiché se parti da Napoli, due cavalchate
de Milano. Eran per resposta de la comune scripta el 27 del pas-
sato, le quali in paucis conteneano che, quanto al cercare de
fare nova lega generale, vel reformare la particulare, non li parea
fusse in proposito ; prima, per la generale, per non dare umbra
ala Signoria de Vinetia, et per non darli occasione de stringerse
cum il papa, et similiter a Sua St.a con loro ; de la particulare
autem per non dare diminutione a la lega et suspecto ad altri
che la non fusse ben unita. Del mandare autem insino a cinque
squadre in Romagna, non li parea fusse in buon proposito per
non dare materia a la Signoria de suspectare, vedendo muoversi
giente darme per Milano, maxime non facendo altro effecto; et
pur, quando bisognasse, fariano muovere de quelle terre M.
Joanne in Bologna^ et de quelle del conte hieronimo sono in Ro-
magna. Ma, per dare pur adiuto a S. Mta. et tale che li possa gio-
vare et non nocere a niuno, li era parso subito scrivere a Fran-
* Giovanni II Bentivoglio, le cui relazioni cogli Aragonesi si possono
vedere in Volpicella, pp. 281-82-
— 326 —
Cesco Oliva^ suo cancelliere, el quale e appresso il conte hiero-
nimo, ad ciò se adrizasse volando a N. S. a Roma, per farli in-
tendere che quello Stato, havendo inteso quella comotione deli
baroni contro el Re, et cum speranza del favore de Sua Beati-
tudine, la conforta et priega, per non dare materia de pertur-
bare la pace de Italia, che la Sua S.ta. se vogli intromettere per
questa cosa, mostrandoli che ogni mal del Re sera comune a
quello Stato; offerendo etiam mandarli uno altro più digno ora-
tore, el quale non habii a fare altro sopra questa materia cum
Sua S.ta., se non quanto sarà de parere de Sua M.ta. et che li
dirla lo R.mo. card, suo figliuolo et M. Anello.
Il re dixe che pensasseno de levarli da le spale el papa, el
quale, come se vede manifestamente, non cessa d'ogni canto
dargli noglia, et non se curarla per qualunque modo li fusse
levata questa molestia li da Sua S.ta., che non li potesse dare
travaglio, perchè poi de li baroni se ne adiutaria.
El ducale oratore dixe che Sua M.ta posseva star di buona
voglia, poiché vedeva chel S. Ruberto non se havea a muovere,
non parendo ala Signoria, si per non turbare la pace de Italia,
si etiam per non fare despiacere al S.r suo et S.r Ludovico, che
se ne erano travagliati ; unde manchando questo caldo nel quale
speravano li baroni, era da credere che, non se confidando de
quello del papa essendo solo, non havendo etiam più forza di
quello habii, se adaptarano ad omni cossa cum Sua M.ta, maxime
promettendoli etiam el S.r suo et S.ri fiorentini, come haveano
già l'uno et l'altro li mandati. Imo etiam se posseva indubitanter
credere che N.S. se levarla da questa impresa, poiché vedea che
la Signoria non se volea impazare, come tanto più se intendeva
esser vero, quanto che havea havute littere da Roma dal Card.
Vesconte, che a Venetia era ito Mons. Ibletoet el conte de Torse
ad instar per la licentia del S. Ruberto et S. de Camerino 2, che
'■ Di Giovan Francesco Oliva si trovano alcune lettere al d, di Milano
nel secondo volume del Rosmini, Dell'istoria intorno alle militari imprese
e alla vita di Gian Iacopo Trivulzio, Milano, 1815, p. 149 e sgg. Da esse si
rileva che l'Oliva fu rappresentante degli Sforza presso Alfonso di Ara-
gona, e come tale appare in una cedola della Tesoreria aragonese del di-
cembre 1486, ricordata dal Volpicella. V. anche doc. CXXXVI.
2 Della missione di Giovanni Sanseverino, conte di Tursi, a Venezia,
che fu preceduta da un'altra a Roma, parla I'Albino, pp. 38-39 ; e vi si
accenna anche nei Processi^ p. XII. Il conte di Policastro infatti confessò
di avere scritta una lettera « de sua propria mano... ad effecto de non fare
— 327 —
e signo che la Signoria non vole, se ha bisognato mandarli di
novo li prefati. Ulterius dixe che, havendo mandato il Sr. suo
a Roma quello Francesco Oliva suo cancelliert, et mandandoli
etiam uno altro più digno da Milano a fare intendere a Sua S.ta
quanto bisogna, non dubita che tanto più restara.
Il fiorentino dixe che, per littere scripte in primis al orator
loro in Roma, questi farla cum N.S. tanto quanto li sera imposto
per lo card, de Aragona . Quanto al parlare de la lega, concor-
revano cum il parere de Sua S.ria. De le gente darme subito
le hano spazate verso Cortona.
Sua M.ta dixe che più volte a Napoli l'havea detto ad ambi-
due, et credea non bisognasse più lo dicesse quello desiderasse.
Pur, poiché M. Branda glilo domandava, iterum ze lo diria. Et
subiunxe che voria fusse facto come lei ha operato quando son
achaduti li bisogni loro. Etracordo che al tempo de la f.m. del
duca Francesco, subito drizo uno consiglio de digne persone,
che ogni di et ogni zorno erano inseme cum Sua S.ria da per se,
per pensare et consultare quello fusse in proposito et beneficio
di quello Stato. Et cusì advisava et significava bora per bora, in
modo che trovarianse etiam le littere che li erano resposte, che
dei gratia non li erano necessarii tanti soi racordi. Successive,
quando accadete elcaso de Bartholamio da Bergamo, che se mosse
andando in Romagna contro el Stato de Fiorenza, subito fece
cavalchare el S. don Alfonso et el cavalero Ursino volando per
neve et per piove in modo che, etiam chel vi andasse dopoi el
duca Galeazzo, se non vi fossero stati li soi cussi presto come
fumo, la cosa era spazata. Si che fece in quelli casi quello era
suo debito et non altramente, che se quilli Stati fussero stati li
proprii. Cussi li parerla fusse da fare in questo caso, che è de tanta
importantia quanto se possa dire, si per lei come per li coUigati.
Per lei che li va lo Stato et ciò ha in questo mondo et li figliuoli
et la vita propria, sapendo che, se perdesse el Stato, perderla la
vita et rhonor appresso. Et quando cussi seguisse, poteriano
pensare et vedere li altri soi coUigati come stesseno li Stati loro,
non se valendo de la Sua M.ta, o per essere travagliata da
quisti baroni, o quando perdesse il Stato, quod absit. Unde li
parerla che per quisti dui respecti importantissimi se dovesse
firmare lo conte de Turso in Roma, ma de passare ultra al S. Ruberto de
Sanseverino ». Per l'esito della missione veneziana del conte di Tursi v.
doc. XLIV.
— 328
pigliare altra cura non se fa, et non andare cum tante ragioni
et reguardi, però che il caso noi richiede, non se havendo a fare
cum gente che li ponga tanto sale. Gunciosiiche tuta questa
mossa non poterla esser facta cum mancho sentimento et ra-
gione, sì dal canto de li Baroni, come da quello de N.S.et di chi
gli e apresso. Dicendo Sua M.ta che in extraordinariis ordo est
ordinem non servare, et che li era tropo gran molestia et affano,
quando ogni zorno vedea et sentiva chel papa non cessava per
ogni via et modo dargli travaglio, mo in fare qualche tractato,
come e stato verso TAquilla^, mo in infestare quisti baroni et
sollicitarli, mo in volere fare processi contra et per mille altri
modi. Quantunque de li processi ne facesse piccol caso, perchè
cum verità non se ne potria fare se non per una causa, che ha-
vesse tropo supportato et indulto ali baroni in angariare et
maltractare li subditi soi, et non già per altro se non per esserli
tropo buono et volerli meglio non meritano. Siche voria per li
colligati li fusse celeriter provisto, o per uno modo o per un altro,
che a Sua S.ta fusse necessario de attendere et bavere el penserò
ad altro che darli noglia ; et magiormente li preme et vuole,
quando pensa chi e il papa, qual dice lo conosce meglio, et quanto
vale, che non se conosce lui medesimo, et quanto el scia di guera
et di pace, et quali siano li soi consulturi, et che gente haet quanti
dinari, et che habii animo di dargli noglia, et dica che sapii ben
che Milano non se ne impazara, dicendo Sua M.ta che, quando
li soi colligati vorano, saperano ben fare, etiam senza arme, che
se levara da la impresa per molti modi et mexi, et parli che non
se debba expectare che se scoprisca più de quanto, perchè
quello bora se faria cum poche spese et quasi cum parole, quando;
le cose passassero più oltre, poterla andare tanto che poi non se.
li potria rimediare cum picoli remedii et senza spesa grandissima,!
ne senza molti periculi come sono ne le guere. Et interim, stando^
le cose in questo suspecto, lei se perderà la doana dele pecore^l
^ Da nessuno degli scrittori che si sono occupati di cose aquilane, né'
dall'ANTiNORi, op. e voi. cit., p. 31 e segg., né dal Rivera, La dedizione degliì
Aquilani ad Innocenzo Vili meglio dichiarata da alcuni brevi dello stesso]
pontefice, in Bollettino della Società di Storia patria A. L. Antinori negli
Abruzzi, I (1885) p. 4 e segg., né dal Carusi, Alcuni documenti ecc., ri-
sulta che il papa abbia avuto rapporti con gli Aquilani prima del 21 set-
tembre, data del breve col quale Innocenzo Vili spedì ad Aquila il vescovo.]
di Bagnorea. Ma poiché l'accenno del nostro documento è molto preciso,]
bisogna supporre che anche in precedenza vi furono trattative fra il papa^
e i suoi aderenti nella città.
— 329 —
che non venirian in Puglia, come hora ne vene el tempo, che e la
summa de circha centomillia ducati ; se ne perderà etiam la
tracta de li grani, che sono più de altri tanti; le altre insuper
sue entrate patirano diminutione et danno grandissimo^. Et
cussi ne seguiran inconvenienti pure assai in detrimento et
preiudicio grandissimo de Sua M.ta, quando non se li prò veda
altrimenti che cum littere, subiungendo che per li oratori dela
lega sono a Roma oltra se havesse a depingere a Sua S.ta Tin-
ferno et de levarli la obedientia quando non cessasse, etiam se
dovria tenire de le pratiche nele terre sue, come seria per Sig.ri
fiorentini in quello de Perosa, et etiam de temptare cum el S.r
Virginio Ursino de condurlo et de adaptare li Colonisi cum lui,
come dimonstrano hano voglia per chiamarse hora malcontenti
del papa, quando pero cussi paresse ad epso S.r Virginio del
quale se ha bona speranza 2. Et in questo modo dixe Sua M.ta
sperarla che le cosse dovessero andare bene, et chel papa las-
sarla questa provintia et non se haria cagione de venire a le
armi. Et, quando quisti baroni non se volessero poi adaptare,
ne facea pocho caso, perchè li bastava Tanimo et le forze sue
senza aiuto d'altri, non solum in defendersi, imo in castigarli
et punirli de la rebellione loro, dicendo assai chiaramente che
de lacordo suo hora manco ne spera che habii facto sin qui. Anzi
l'ha per desperato per molti mali signi.
P.S. Ut supra, XXI septembris. Nanfe se spazasse la caval-
cata, giunse el duca de Melfi, che era circa hore XX, in Fogia
et subito andò a basare la mano al Re cum debita reverentia, el
quale lo abrazo et monstroli gran festa cum bona cera, et la Sua
M.ta andò ala casa et menolo cum se cum multi parlamenti.
' XXXI. Id. Foggia, 21 settembre 1485.
Ill.me princeps... El Re desidera in primis che tuti li oraturi
de la liga habiano commissione da li Signori loro di fare quanto
dira el card, de Aragona et m. Anello.
Secundo che S.ri fiorentini quelle 20 squadre, che havevano
spazate et comenzate a drizare, continuassero in mandarle verso
* Che le condizioni finanziarie dello Stato non fossero in quel tempo
molto floride è provato dagli aggravi fiscali imposti poco prima (v. doc.
VII). A questo proposito si tenga presente quanto depose il Bentivogli
{Processi, p. LI), che riferì la seguente frase del princ. di Salerno : « Mo
me ha dicto Io e. de Sarno che Io Re non ha uno meczo carlino >. Cfr. anche
Liber Instrudionum, pp. 8-9.
* Sui fatti qui accennati cfr. Volpicella, p. 389.
AnnoXLV. 22
— 330 —
Perosa suso quello di Cortona, et similiter lo duca de Milano
n'havesse a mandare vinte altre per unirse con quelle e rompere
guerra contro el N.S. in quello de Perosa.
Terzio che S.ri fiorentini vedano cum quilli modi saperano fare
de operare che Perosa se adrizi a la via de la lega, la quale
sforzarasse de ponerla in libertà et conservaglila; similiter se faci
Verso Cita de Castello.
Quarto fare intendere al duca de Milano et S. r Ludovico l'andata
de Mons. Ibleto et del conte de Torse a Vinetia a persuadere
quella Signoria che dialicentia al S. Ruberto et al S. deCamarino,
adcio perseverino in confortare essa Signoria de Venetia a
denegarliela, et pregare le sue S.rie de dare li avvisi necessarii
al Re.
Il secretarlo ce dixe chel duca de Calabria havea scripto al
Re, come una persona venuta de Cicilia gli havea referito che
l'armata dela Signoria de Vinetia de tredese galee, tre galeaze
et quatro navi grosse havea preso in Cicilia una cita nominata
Agosta, et la quale ha porto ; non se intende la causa, ma sti-
masse per alcuni che la Signoria Thabii facto per una galeaza, la
quale già più mesi prese el Re de Castella, forsi a fine de compo-
nersi^.
Dixe anchora che TOrator regio per littere da Fiorenza de XII
scrivea che Sforza betino havea dicto chel S. March, de Mantoa
era accunzato cum la Signoria de Vinetia, et che U se ne dubitava
per intendere che quello S.re era malcontento de Milano ; quello
che, se fusse vero, molto despiaceria qua. Ma fu dicto che non
dovea esser vero, considerato che l'oratore ducale dice che in
le sue littere, date etiam ali XII del presente, non gli ne facta
mentione alcuna, che non e da credere, quod si sic fuisset et
prius illic intellectum scriptumque fuisset. Fu etiam chi dixe
che la V.Ex tia, per quanto l'havesse possuto, non permisisset.
XXXII. Id. Foggia, 2 settembre 1485.
Ill.me princeps... Tornati M. Bartholamio Veri et Antonio
de Alexandro da Venosa, heri Sua M.ta a tuti nui oraturi ne li
fece audire per quello haveano operato cum quilli baroni. In pau-
cis non poteriano referire meglio de la loro dispositione in volerse
adaptare cum il S. Re; non de manco Sua M.ta dixe, poiché ha-
vean dato uno pocho de lunga a certa cosa, et che voleano parlare
al Secretarlo, non ni stava senza suspecto che f ussero tucte pa-
» V. doc. XXXV in fine.
— 331 —
rolle, et dicessero ad uno modo et havesseno un'altra intentione.
Et pero ni temeva più che vi fusse speranza per quello havesseno
dicto et facto cum loro et epsiregii consigliarli et tuti li altri
vi sono stati, havendo veduto che sempre hano portato la cosa
in lungo. Maisì, perchè non fusse mai imputato ne da altri ne
da se medesimo, havea voluto mandare la matina passata esso
secretano, et ha scripto di sua mano al gran Siniscalco, sperando
più in questo suo scrivere, che in un'altra cossa, per essere pro-
prio la medicina de quello male che appare.
Questa mane ne mandete a vedere lalittera scripta da Venosa
dal Secretarlo de XXII ale XXIII hore, in la quale conclude
che, havendo data la littera al Siniscalcho, ni e stato tanto
alegro et consolato quanto dire se possa, affermando pur che,
quando segui la loro honesta et conveniente segurta, che tenga
per certo che loro baroni serano parati a tuto quelo vora Sua
M.ta .Et e vero, perchè el principe de Bisignano ha pure grande
confidentia del conte di Sarno, haria carissimo parlare prius
cum si, pero, quando Sua M.ta non havesse mandato per lui, gli
mandi volando ^.
Dopoi desinare hogi ce dixe che, havendo littere de M. A-
nello chel papa monstrava essere de pegiore dispositione lusse
sta, et che tuttavia preparava da ogni canto, et de novo erano
venuti alcuni fanti dal canto de qua de li soi, li pareva non pro-
cedesse da altro se non chel non sentiva che Milano et Fiorenza
se movessero per tal modo che ne havesse a temere. Pero che
non era de cussi pocho intellecto, chel credesse el papa cussi
grosso et de pocho vedere, che, quando sentisse Milano et Fio-
renza fare quello doveriano, che subito el non lassasse l'impresa.
XXXIII. Id. Foggia, 24 settembre 1485.
Gloriam in excelsis Deo et in terra pax. La Vostra Sublimita
per le altre mie bara inteso de l'andata del secretarlo a Venosa;
hora sapera che questa nocte gionsero le sue littere al Re come,
ad gaudium et perpetuo stabellimento del Stato Suo, havea
concluso et firmato lacordo cum quisti baroni secundo la inten-
tione et proposito de Sua M.ta, et come havea firmato etiam et
concluso el parenta cum el principe de Altamura de la figlia de
Sua M.ta, che era sta promessa al duca de Urbino, et che le noze
* Allora e non prima il conte di Sarno fu inviato dal re a trattare l'ac-
cordo coi baroni. Egli era partito da Napoli insieme col sovrano e col se-
gretario, cfr. Processi, p. LXXXVIII.
— 332 —
se havessero a fare ali X di octobre proximo in Andria i; et come
questa mane li dovea essere consegnata la torre de Alemanni,
che era ne le mani del principe de Altamura; et cussi se ne ve-
niva tutavolta a Sua M.ta cum Irate Francesco. Unde che, do^
poi giunti hogi et conferito el tuto cum el Re, ne fece chiamar^
noi oratori lo ill.mo S. don Federico, dove etiam era lo secreta^
rio, et cum grande i'ubilatione ne confirmorno essere verissima
questa conclusione de pace cum tuti li baroni de quibus dubiti
batur, et già loro erano per scriptura obligati taliter che non pos
sevano contradire ni recusare, imo già bavere havuta la torr^
predicta, che era de summa importantia, et similiter etiai
haverla consignata a quilli del card, de Parma, del quale e
beneficio de S. Lunardo. Et dixe che a total sigillatione ej
stabilimento di questo adaptamento, non li bisognava se noi
lo assenso del Re prò confirmacione totius ; perchè Sua M.ti
domane li remandava esso Secretarlo cum el conte de Sarn^
a significarli lo assenso suo et clarissimo consentimento. Quj
facto tutti essi baroni, li quali se hanno a trovare bora in Migli(
nico^, dove sarà etiam el principe de Bisignano et forsi etiai
^ Sì tratta della figliuola naturale del re donna Lucrezia, già promes
a Guidobaldo di Montefeltro duca di Urbino: cfr. Volpicella, p. 263
Liber Instrudionum, pp. 29-31. Le nozze tra lei e Pirro del Balzo, fiss
prima pel .10 ottobre e differite poi al 10 novembre (docc. XLV e XLV
non ebbero mai luogo, forse perchè Ferdinando temeva che la nascita
nuovi eredi danneggiassero gl'interessi di Francesco suo figlio, promesi
sposo di Isabella Del Balzo. Nel 1487, quando il principe di Altamura e]
in Napoli, nei mesi che precedettero il suo arresto, egli ebbe a lamenta
più volte del re, perchè « se vedeva delegiare de lo matrimonio con don
Lucrecia ». Processi, pp. CLXXXVI e CCXVHI.
^ Depose Gregorio di Samito (Processi, p. LXIII) che «tractando
la pace tra la Maiesta del S.re Re et ipsi baroni, se dava dilatione alle cosi
adfm chel Papa havesse possuto providere secundo la conclusione et a]
puntamento pigliati tra loro per la Victoria de la impresa contra della mai
sta dello S. Re. Et retardandose de se mandare ad effecto dicti conclusio:
et appuntamenti, fo ordinato per dicti baruni se dovesse andare in
glionico sub pretestum ad dieta pace pure con simulatione et ingan
adfìn che havesse possuto providere el Papa ad dare faore ali baroni re-
belli con volunta de ipso conte de Sarno et Secretarlo, secondo ipso Gran
Sinischalcho dicea et communicava con ipso testimonio ». Anche il prin-
cipe di Bisignano confessò che « da poi lo Signor Roberto non venne al
tempo... besognio che se unessero in Miglionico et la fare consìglio «. Pro;^
cessi, p. GXCVII.
— 333 —
el principe de Salerno, et quando non in persona vi sera omnino
uno suo (ma già però e firmato cum la Sua Sig.ria per il man-
dato de procura che havea da la Sua Sig.ria el gran Sinischalcho);
barano a venire a basare el pedeetla mano a Sua M.ta dove vora,
et farianose le noze alo di preferito, dove se li trovara Sua M.ta
et vole cbe etiam sui oraturi ve siamo. Fra tri o quatro zorni
andara a Barleta per essere in loco più comodo. Et dice el se-
cretarlo che dei clementia questo asseto e facto senza opera ni
bisogno de verun altro, et per consequens non li serano necessarie
altre promesse ni securita de ninno. Le condictioni autem et le
particu Ilarità de questa concordia un' altra volta li serano facte
intendere 1 ; per bora basti (cussi ni e stato dicto) questa con-
clusione de optima pace facta cum tanta dolceza et carità
cbe nil supra, et cum malore reputatione del S. Re, obedientia
et reverentia de essi baroni verso Sua M.ta, che havesse mai
più Re alcuno che fosse signore di questo regno.
XXXIV. Id. Foggia, 25 settembre 1485.
Ill.me princeps... La M.ta del Re ni ha facto exporre da don
Federico che diversi advisi erano giunti da Roma et Milano
come N.S. non cessava cum omni diligentia fare tute le pro-
visioni posseva de guerra, et come a Genoa seran armate quatro
galee et una nave cum mille fanti per volerse adrizare a Salerno^.
Per il che Sua M.ta non stava senza suspecto et, dato le cose de
quisti baroni siano neli termini deli quali beri scripsi, non de
manco, sentendo ogni dì il papa essere più gaiardo a questa im-
presa, et chel prefecto e venuto cum le sue genti verso Sora, al
obstaculo del quale pero li e andato el duca de Melfi cum XII
squadre^, et subsequenter Sua S.ta essere pegio disposta verso
Sua M.ta ; non e absque suspitione magna che per quisti ba-
roni se li possa usare qualche tradimento, bavendo dicto et
promesso et facto quanto sta scripto, et poi facessenoel contrario.
Impero don Federico prego nui, et presertim lo ducale et fio-
rentino, a voler scrivere ali S.ri loro che per dio non volesseno,
per ravviso d'heri, ne cessare ne tardare de continuare le pro-
visioni richieste. Perchè, quando essi baroni volessero usare
Iraude et proditione, non se fusse colti aPimproviso. Seben Sua
* Un accenno alle condizioni dell'accordo tra il re e i baroni ricorre nel
doc. LXV.
•Antonello Sanseverino ricevette realmente aiuti dai Genovesi. Cfr. docc.
XLII e LVII.
. » Cfr. doc. LXII.
— 334 —
M.ta non resta de sperare che Tacordo habii a succedere, et cus-
si già li ha remandato el Secretarlo cum el conte de Sarno, se-
condo l'ordine preso, et per exequire quanto est a concluso frj
loro baroni et sua Sig.ria, che Thaveno a retornare cum dechia-i
ratione expressa de la confirmationeetapprobatione deSuaM.ti
XXXV. Id. Foggia, 27 settembre 1485.
Ill.me princeps... El Re me dixe chel secretarlo li havei
scrlpto et slmlllter el conte de Sarno come andavano a Meglii
nico, quantunque havesse llttere de Roma de mala natura p<
quello preparava N.S.
Paulo post fece lezere la littera di Mons. de Ragona et
Anello li quali respondeano che, quantunque Sua M.ta haveS5
scripto che stava pur non senza speranza del acordo, quello ch^
molto li piacerla, non de mancho temeano molto del contrarie
maxime intendendo che mo M. Raniero de Maschii era retornati
da Venetia dal S. Ruberto al papa, et monstrava fusse contenti
servire Sua S.ta cum 700 homlni darme per 70000 ducati, da]
dogllne adesso 30000 et, quando fusse a Cesena, 10 altri, dicend<
quando fusse a Sena, revolt'aria quello Stato al proposito d<
papa, et poi se aviaria verso al reame. Successive scriveanj
chel prefecto et lacomo Conte* erano venuti a Sora cum 50 h<
mini darme molto in freta, et solum cum li corpi de le coraz<
et che tutavolta li altri si preparavano a seguire tuti salvo
Ursini et Colonesi. Però indicavano che N.S. fusse in mal
disposltione de guerra contra Sua sl.ta, polche se era tanl
scoperto, presertlm che havea mandato 20000 ducati al S. Ri
berto per un genoese ed altri li ne porto M. Ibleto; che non
da credere che, quando sentesse in altra disposltione dacord<
non volesse spendere et che non se retrahesse. Però conforti
vano Sua M.ta a volere fare bona et celere provislone perchi
quando Sua S.ta vedesse quelle et le intendesse, forsi mutari
sententia, et tanto più quando li baroni havessero altro pensieri
come havea scrlpto la Sua M.ta sperare.
Lecte queste lettere. Sua M.ta dixe che, quantunque havessl
bone et optime llttere dal Secretarlo et dal conte de Sarn^
giunti a Venosa, et come la matina seguente doveano andare
Mlglionico, dove saria el principe etiam de Rislgnano et un^
altro per lo principe de Salerno, tamen non stava senza suspecti
che li potesse essere qualche ingano et tradimento, vedendo
* Su Giacomo Conti cfr. Volpi cella, pp. 320-21.
— 335 —
el papa tanto inante et tanto infocato, et già bavere spesi tanti
dinari. Però instava pur che Milano et Fiorenza volesseno fare
tale demonstratione al papa, che intendesse Tanima de loro
colligati soi non manchare a Sua M.ta.
Monstra non sii vero quello fu scripto al Re de Augusta, cita
de Sicilia, fusse sta presa da Tarmata venetiana.
XXXVI. Id. Foggia, 28 settembre 1485.
Ill.me princeps... El secretarlo scrive, per l'ultime sue, che
erano in camino per andare a Miglionico et li era el gran Sini-
schalcho cum tri cavalli solum, dove essi del Re erano cum più
de XXV. Scrive però chel principe d'Altamura non li ha voluto
venire cum loro per certo suspecto li e venuto in capo^ ; ma non
de mancho che Sua M.ta stii di bona voglia, che per questo non
restara non succeda lacordo, et cussi spera li condura ali pedi
de Sua M.ta. Del che Sua M.ta dixe, licet el Secretarlo scriva
cussi gaiardamente, tamen dubita assai sera inganato, et parli
che dicto secretarlo per la sua bunta creda più non bisogni,
subiungendo che fa gran caso che esso principe bora non habii
voluto andare a Miglionico come sempre ha dicto et offerto
andarli. Ulterius li pare gran facto che, sei papa intendesse che
per lo vero li baroni fusseno in bona dispositione de accordarse
cum lui, che Sua S.ta potesse perseverare in fare quello fa et
preparare da ogni banda contra Sua M.ta.
P.S. Non obmettere chel principe d'Altamura, quantunque
per allora dicesse non volere andare a Miglionico, tamen el di
seguente gli andarla.
XXXVII. Id. Foggia, 29 settembre 1485.
Ill.me princeps... La M.ta del Re ne fece legere alcune lit-
tere di M. Belprato, oratore suo in Milano, le quali conteneano
che airill.mo Marchese de Mantoa se havea mandato zoglie
per 10000 ducati, et scripto ala V. Ex.tia et S.ria sua che prohi-
bisseno el passo al S. Ruberto, offrendoli mandare quelle gente
d'arme fusseno al bisogno. Sua M.ta ne resto consolata per ha-
verli scripto chel S. Ludovico non solum li ha dicto chel duca
de Milano mandara quelle genti darme serano al bisogno, perchè
se uniscano in Toschana cum quelle de' Fiorentini verso Perosia
per rompere contro il papa, ma scrive quod etiam iuravit.
Successive Sua M.ta fece legere quanto li scrivea lo R.mo
» Il principe d'Altamura andò a Miglionico e fu presente alla conclu-
sione dell'accordo. Cfr. doc. XL.
— 336 —
cardinale suo figlio et M. Anello per le sue de XXII da Roma,
continenti la perseverantia de N.S. in la mala despositione con-
tro el Re. Item alcune altre del duca de Sora^ al duca de Calabria
et de la sore de la contessa moglie fu óel conte Camerlengo alla
duchessa de Calabria ; per le quali Sua M.ta dixe che non bi-
sognava più dubitare dell'animo di N.S., perchè non solum se
era scoperto in parole et demonstrationi preparative contro Sua
M.ta ma in facti ; per modo che se posseva dire che, havendo
facto el prefecto de volunta et cummissione de Sua S.ta, la guer-
ra fusse ropta dal canto suo. Però li pareva fusse necessario
etiam dal canto de lì coUigati et suo se havesse mo a fare altro
che parole per defensione sua.
Paulo post el prefato S. Federico se ne venne a noi per consul-
tare insieme quello paresse de fare in questo caso, poiché se
vedeva già dal canto de N.S. essere pur ropta la guerra, tem-
ptando el Prefecto che se levi le bandiere de la chiesa et mina-
zando la guerra. Del che, post multa invicem collata, sua Ex.tia
dixe che li parca se dovesse mandare a Roma copia de epsa lit-
tera de la sore dela Marchesa et del conte di Sora, monstrandola
prima ali oraturi de la liga, li quali, inseme col cardinale et M.
Anello, se debbano presentare al papa, et in primis intendere
da la Sua S.ta l'animo et deliberatione sua, e subsequenter
se quello fa el Prefecto procede per suo ordine, che, quando
cussi fusse, epsi oraturi se ne maravigliariano, non li essendo
sta data mai causa alcuna per lo Re. Et, quando quella dicesse
che non fusse sta cum sua volunta, se li habii a replicare che, per
verificare che cussi sia, voglia incontinente demonstrare che a
tutto il mondo sia noto Sua S.ta essere sta malcontenta detal^
novità et de non essere sta facto de sua volunta. Ma, quando il
tendano essere facto cum suo ordine, come ha dicto el Pr<
fecto, debianli protestare che, se Sua S.ta offende el Re cum 1|
* Duca di Sora era allora Giovanni della Rovere ; ma qui si tratta
Giovan Paolo Cantelmo, già signore di quella città, di cui era stato spo;
sessato da re Ferdinando per aver seguite le parti di Giovanni d'Angi
Il Cantelmo continuò a chiamarsi duca di Sora e trasmise il titolo al figliò
Sigismondo, che visse sempre alla corte di Ferrara- Nella guerra dei ba-
roni egli tornò a schierarsi nel campo contrario agli Aragonesi (V. docc.
XLII e LV), ma con poco frutto a quanto si rileva da una lettera di A.
Guidoni (Cappelli, p. 276), poiché la prima cosa che gli si chiese fu quella
di rinunziare ad ogni sua ragione sul feudo di Sora.
1
— 337 —
armi, che etiam cum le armi li sera resposto, et aspecti guerra
dal Re, duca de Milano et Fiorentini.
Item che li dicano che li levarano la obedentia a Sua S.ta,
revocando tutti li prelati, che sono in corte de Roma, de loro
cita, comminandoli che, non se partendo, serano privati de le
intrate de loro beneficii, li quali prelati habiino andare a la cura
de le sue chiesie, però che epsi intendono convocare el concilio
et operare che se faci nova electione de Pastore, conservatore
de la pace et fede de Christiani, et non perturbatore, et che la
ponga in periculo de soversione, come e Sua S.ta.
Ulterius subiunxe chel Re priega lo ducale et fiorentino vo-
glino scrivere ali S.ri soi, che se faci ogni opera per condure li
baroni de le terre de la Chiesia, videlicet Ursini et CoUonisi,
al soldo de la liga cum quelle migliori conditioni se potrà, pi-
gliandoli in protectione, et promittendoli la defensione delli
Stati loro ; cossa che non poterla essere più utile non solum per
le presenti contingentie, ma etiam per tenire el papa restrecto
più non saria.
Item el fiorentino vogli pregare li S.ri soi, che subito mandino
le genti loro verso Corthona cum commissione che, quamprimum
M. Anello li scriva, d ebano rompere in quello de Perosia o dove
meglio sarà indicato, et che cominzasseno a tractare de offendere
le terre dela Chiesia come fa el papa le terre del Re.
Item chel ducale scriva al duca de Bari che preghi la Signoria
de Vinetia, che le gente adunate a Cittadella le faci tornare
ali primi alogiamenti, comandando a dicti soldati, sotto pena di
essere posti a sachomano, che non se partino dele loro stantie,
et similiter comandi ali Rectori et officiali de le terre et cita sue,
che non li lassino passare da locho a locho, che in questo modo
non poterà passare uno cavallo. Et chel duca di Bari scriva et
replichi ala V. Ex.tia et al marchese de Mantoa, che nullo modo
dagino el passo al S. Ruberto, offerendoli de novo et man-
dando quelle genti li bisognarano ad obstare al suo transito.
Et in ispetie Sua Ex.tia me dixe dovessi pregarve per parte del
Re perchè V. S. stesse in ordine che, mandandogli le gente
necessarie el prefato duca de Milano, la faci come spera in quello
ad ciò per niente passi. Et insuper, quando li paresse che a
questo proposito fusse necessario fare più una provisione che
un'altra, voglia racordarlo a chi et dove sarà bisogno, et simi-
liter tenire ben disposto a questo effecto el prefato marchese
— 338 —
de Mantoa, perchè presertim dal duca de Milano gli e sta dato
un monte di dinari.
Successive chel prefato S. Ludovico vogli scrivere che non
solum la V. Ex.tia et el prefato Marchese, ma etiam Zoanne:
Bentivogli et il conte Hieronimo tengano le genti parate per
posserle adoperare ala prohibitione de dicto transito.
Postremo che volesse pregare el dicto duca de Bari che senza
perdimento di tempo mandi in Toschana quella gente darme,j
che ha offerto Sua S.ria, adunirse cum le genti de Fiorentini)
et rompere guerra al papa.
P.S. Ut supra ultimo septembris. El re ce dixe questa manej
come allora allora havea havute nuove da più bande come in]
l'Aquilla sera levato romore et cridato : Arme, arme ! FerroJ
ferro ! Mora lì forastieri ! et come se dicea essere stato mortoj
uno deli soi caporali de fanti, che ben gli n' ha circa 400, et peri
anchora non bavere la verità de la cossa, nelittereda Antonio]
Gincinello che se trova in l'Aquilla. Vero che hebbe una suj
de XXIV che non ne fa mentione alcuna, ma queste sono de 26;
et credesse che debba essere stapiù presto qualche contemptione,
che possi essere nata fra qualche fante et qualcuno dela terrj
come accade.
Del secretarlo non e successo altro adviso, et credesse pro-
ceda chel Principe di Altamura, el quale non volse andare
Miglionico quello di li andarono gli altri, ma che doveva andari
el seguente, bara differito el potere concludere prima li sii giunto^
XXXVIII. Id. Foggia, 30 settembre 1485.
Ill.me princeps.. Su Thora de vespero giunsero littere dé\
secretarlo date pridie, che fumo 29, in Miglionico, el quale
scrive che, essendoli venuto etiam el principe de Bisignano^
monstra sii pur molto umbroso de la sicurtà sua et, per open
del Siniscalco, e stato contento che, andando a Matera secre-
tamente don Federico, gli parlarano voluntieri. Et per questo el
Secretarlo per parte loro, sed presertim del Siniscalco, ha pre-i
gato el Re gli lo vogli mandare. Unde che Sua M.ta fece chiamare
nui oratori, et post multa fu concluso che, polche la M.ta sua
era venuta qua, magiormente dovea mandare el figlio per non
lassare cossa a fare, che sii sta richesta da loro, et presertim
che poterla essere voriano fare questo acordo per più suo onore
cum filio regis quam cum alio, sed praecipue per che per l'andata
sua saltem se ne caverà la totale resolutione dela conclusione
o dela dissolutione. Et cussi ha deliberato Sua M.ta, quantunque
— 339 —
creda siano parole, tamen subito li vadi et secretamente cum sei
cavalli, andando a Materia larga da Miglionico miglia sei, et li
pigliara l'ordine de parlare cum loro in quello loco meglio li
parerà.
XXXIX. Id. Foggia, 1 ottobre 1485.
Ill.me dux. El re ne fece legere una littera delo arcidiacono
del'Aquilla *, in la quale scrivea come quello di fu Thora de la
nona, essendo sta levato uno romore cridando : Ferro, ferro t
Mora li forastieri !, monstra che in quella zuffa fosse morto
Bianchino caporale cum 5 fanti. Del che se mosse Antonio
Cincinello cum quilli de la Camera, et sedo quello tumulto; ma
non senza periculo de la persona. Dapoi per certo spatio de
intervallo alcuni tristi se levorno un'altra fiata, et andorno
a la casa di M. Antonio et lo amazorno cum 4 o 5 de li soi, et
poseno la casa a sachomano. Non dice essere seguito altro, ma
che dubita non li sii pegio, et, se dovrà essere, sera la nocte se-
guente, la qual cosa li pare de natura che più presto se ada-
ptara cum destreza che cum forza. Unde che Sua M.ta dìxe che
questo era caso molto li dispiaceva, si per la iactura de tanto
homo, come etiam che se puoi credere che questo sii sta per
opera et cura de N.S.
La M.ta del Re ha scripto dolcemente, mostrando de non fare
tropo stima del caso, et che credesse fusse intervenuto più per
colpa de M. Antonio che de loro aquillani, et tutta volta conforta-
doli a perseverare in fede, et non di mancho aspectando inten-
dere sei sera successo pegio ; che quando fusse, se li provederia
poi secundo meglio fusse indicato.
XL. Id. Foggia, 2 ottobre 1485.
Deo sii semper laus et gloria. Tornato el Secretarlo cum el
conte de Sarno da Miglionico cum la conclusione dela pace, el
Re subito mi dixe chel Secretarlo havea reportato la fermeza
de la pace conclusa et stabelita cum lo principe d'Altamura,
lo principe de Bisignano, cum el gran Sinischalcho et cum el
messo del principe de Salerno, subscripta de mano loro propria
et sigillata del sigillo de ciascun de loro cum quilli capituli che
sono restati dacordo, et tali che Sua M.ta ce dixe altri non po-
teriano più satisfare per essere honesti et iustissimi. Uno dei
primi e che don Federico pigliara per moglie una figlia del gran
» Era Vespasiano Gaglioffi promotore della rivolta insieme col fratello
G. Battista.
340
Sinischalcho de età hora circa 8 o 9 anni ^. El principe de Bisi-
gnano dice non ha domandato cosa alcuna se non che, havendo
in pegno una sua gabella per 18 milia ducati, fra uno anno li
ha a dare Sua M.ta et lui rendere la gabella 2, et fra lui e Sua
M.ta non li e sta mai differentia alcuna, ni etiam fra el princ.
de Salerno, el quale non ha richesto covelle. Et in paucis Sua
M.ta e molto consolata, imponendone che subito vogliamo
scrivere questa bona nova ali S.ri, li quali pero non voglino de-
sistere da le provisioni già facte, ad ciò, sei S. Ruberto contro
la volunta de la Signoria volesse passare, et N.S. non volesse
desistere dall'impresa pur per fare guerra al Re, le provisioni
possano obstarli et giovare quanto sera necessario.
M. Anello ha scripto da Roma, per sue de XXVII, come in
Roma era giunto uno messo del princ. d^ Alt amura et del Gran
Sinischalcho retornato dal Prefecto, al quale haveano scripto,
et lui referito per parte loro, che più non se affaticasse in nome de
N.S. per sue S.rie, non essendo più bisognio, poiché erano com-
posti cum el Re.
XLI. Id. Foggia, 4 ottobre 1485.
Ill.me dux. El secretarlo porto una littera de loro baroni a
la comunità de TAquilla che contenea comò, per satisfactione
de la M.ta sua che cussi li havea imposto, li advisavano come,
anchora che sempre siano stati fidelissimi vasalli de Sua M.ta,
non de mancho, per el suspecto se havea havuto de loro, mon-
strava che essi et altri deffidassero de mandare le sue pecore et
bestie in Puglia. Però li certificavano come erano in optima con-
cordia cum la M.ta, et che mandassero le loro bestie, che non
solo non seriano offese da li soi vasaUi et gente darme, ma sa-
riano acareza et defese da qualunque altro li volesse dare no-
glia. Et cussi la M.ta sua Tha mandata sottoscritta per mano
loro propria et sigillata del suo sigillo et del principe di Salerno.
Et dixe beri che quisti baroni già haveano ordine de levare
li stendardi de Sancta chiesa et di Sancto Angelo o sii San Mi-
chele.
La M.ta del Re questa mane se ne ito a Barleta, et cussi do-
1 Due figliuole ebbe Pietro di Guevara da Gisotta Ginevra del Balzo :
non so se qui si alluda alla primogenita Eleonora, che più tardi il re voleva
dare in moglie a Pietro d'Aragona. Cfr. doc. CXX. Il Volpicella dedica
alla Eleonora una breve biografìa, pp. 344-45.
« Trattasi della gabella delle sete, Cfr. Volpicella, p. 425.
— 341 —
mane lo seguiremo nui, dove stara circha octo zorni, et interim
se farano forsi le noze del principe d'Altamura cum filia Regis.
XLII. Id. Barletta, 7 ottobre 1485.
Ill.me princeps... Partiti noi heri Taltro da Fogia, pridie giun-
gessemo qua, et el Re primum ne fece legere una lettera de M.
Impou da Miglionico de 5, in la quale demonstrava quanto de-
spiacere haveano havuto quilli baroni del caso de TAquilla, più
per la morte de Antonio Cicinello, che per altro; peroche quella era
recuperabile, al resto se poteva provedere facilmente per Sua M.ta,
non dubitando che contro Sua M.ta quel populo non farà altra
novità. Et subiungendo che essi baruni non poteriano essere meglio
disposti al servitio de Sua M.ta, et non desiderare altro che la
exequtione de li apontamenti facti cum el Secretarlo, la quale
cunsiste ne la volunta del Re, et quanto più presto tanto li sarà
più grato. Dice che hano havuto littere del princ. de Salerno che
e contento de quello hano facto; ne se dubiti Sua M.ta per 5oo
fanti et quatro galee giunte da Genoa a Salerno.
Dopoi fece legere un'altra littera del princ. de Bisignano et del
Gran Siniscalco in absenza del princ. d'Altamura, ito a vedere
certe sue terre propinque, direct iva al Re^.
El secretarlo parti ali 4 da Fogia, sicché li doveva essere quello
zorno che scripseno la sua, et non dubita Sua M.ta se ne havessero
a mutar voluntà.
Postea dixe chel papa ognhora se monstrava inanimato, come
vedea in molti modi, primum che per due fiate o tre havea man-
date genti et fanti al Guasto; el Prefecto li era venuto a Sora
cum molte genti darme et havea trovato chel duca de Sora havea
levate le bandere de la Chiesa, et la march, de Pescara mandati
500 fanti e 4 galee a Salerno ; tentare avere el S. Ruberto, come
tutavolta non desiste ; haverli havuto uno castelleto ; drizate
genti a le confaze de TAquilla et essere sta causa de quello e se-
quito in quella cita. Et cussi non cessa per tutte le vie pò darli
noglia, quasi che non faccia conto ne stima non solum de Sua M.ta,
ma ni de Milano ni de Fiorenza, et più li dole che se intenda chia-
ramente che la Signoria de Vinezia non se vole impazare de questa
materia, ni vole dare licentia al S. Ruberto. Et questo non pro-
cede da altro se non perchè Sua M.ta non intende ni da Milano
* Nella lettera del princ. di Bisignano e del Siniscalco si dicevano le
stesse cose esposte in quella del Pou. Ho tralasciato perciò il brano del di-
spaccio, in cui il B.ne riassunse il contenuto.
— 342 —
ni da Fiorenza li siano altro che parole in difesa sua. A noi libe-
ramente ha diete come e sta advisato che Milano mai in questa
cosa li darà subsidio altro che verbale, et per questo piglia ordine
de fare come vole. Perchè se li fusse facto intendere per el stato
de Milano et de Fiorenza che andariano ali danni soi, et che se
facesse cum effecto, et se gli levasse la obedientia et minazasse
concilio, non poterla credere fusse de cusì poco intellecto, che
temptasse quello tempta lui et S. Pietro ad Vincula, quasi che
siano li più savii et potenti de Italia. Et scia questo che li mati
hano pocho animo et sono spaurosi de le bote, et vedesse che le
bastonate castigano li pazi. Però dixe essere necessario chel duca
de Milano et i Fiorentini facesseno f acti et non dicessero parole.
Et, quando epsi Signori non gli paresse pure de fare, almancho
voglino farlo intendere, perchè provedaria meglio o per la via del
Turco o per qualche altro modo. Li pontifici hano sempre questo
animo et desiderio de augumentare lo Stato et de papa Eugenio
insino al presente tuti sono stati de questa ambizione, maxime
centra questo regno, exceptuando solum papa Eugenio et papa
Nicolo.
El ducale oratore crede che el Signor suo non habia mancato
in cosa alcuna, allegando che sera interposto cum la Signoria
de Vinetia, perche non desse licentia al S. Ruberto, et che per sue
de XXVI scrivea chescrivea alcard. Vesconti, che dovesse essere
cum N. S. et farli intendere che, non desistendo dal dar mole-
stia a Sua M.ta, ala quale se li rompesse guerra, li seria etiam
ropta a la sua B.ne, et non se hàrià respecto à li soi interdicti;
et subiungendo che havea scripto ai fiorentini, che rompesseno
guerra a Sua S.ta quamprimum sentisseno che hàvesseno ropto
centra Sua M.ta, offerendoli de pagare ©mandare la rata sua
de li fanti bisognassene.
L'oratore fiorentino dixe che li suoi S.ri haveano preparate
le 5 squadre richieste e dato danaro a tute le zenti darme, che,
da quelle poche in fuori li bisognavano per defensione contro
Genovesi, tute le altre seriano a suo comando et ali soi bisogni
et cussi ogni altra cosa restasse da fare. Perchè, havendo posta
la mano ala bursa et dati dinari ale genti darme, presto se fa
el resto ; et quanto al protestare de concilio et de revocatione
prelatorum, intenderìano quelle volesse fare Milane, et se con-
formariane a tute quelle fusse de mente et determinatiene de li
confederati.
— 343 —
XLIII. Id. Barletta, 8 ottobre 1485.
Ill.me dux. La M.ta del Re ce dixe come per due volte el S.
Ludovico li havea facto scrivere come li parerla ben facto che
Sua M.ta mandasse qualche suo homo a rengraciare Vinetia dela
licentia denegata al S. Ruberto ; unde havea deliberato mandare
M. Francesco Galeotto ^ a Ferrarla per mare cum ordinatione
che, giunto costì, subito scrivesse al S. Ludovico de la sua giunt a
costì cum commissione de fare quanto imponeva la Sua E.tia,
non tanto per l'andata a Vinetia, quanto per quello bara a fare
et a dire.
Del che per tuti noi fu subiunto che saria ben facto che questa
sua andata fusse secreta più che se potesse, et havesse voce che
venisse a Ferrarla, et de li a Milano, ad fine che, se non paresse
al S. Ludovico per qualche nova contingentia che più vi havesse
andare, el non habii ad essere de qualche graveza ala Sua M.ta
questa voce che mandasse M. Francesco a Vinetia et poi restasse,
pe ter consequens levasse occasione de mormorare et dare che
dire a Venetiani et ad altri.
Per Sua M.ta fu comprobato questo, et cussi sera tenuta se-
creta questa sua andata et montara in barcha forsi domane.
P.S. Le cose de qua vano a bon camino, essendo andato a
Miglionico et lo S. don Federico.
XLIV. Ibid. Minute ducali a Battista Bendedei. Ferrara,
10 ottobre 1485.
M. Baptista, Per advisi da Venetia habiamo che uno secre-
tarlo de la Signoria de Vinetia, che e appresso al S. Roberto, ha
scripto ad epsa Signoria chel S. Ruberto se vuole levare lunidi
per andare ala via de Roma, et successive ala impresa del Rea-
me, et chel passara pel Ferrarese, dove già passo el capitano,
perche nui gli diamo el passo i3er virtù de un breve che ne scrive
el papa che gè dobiamo dare el passo, et che da Ferrarese ne va
a Ravenna, et de li a Cesena, et che mena cum lui nel Reame
40 squadre, de le quali adesso ne ha seco 30, et come li a Cesena
ne ha altre 10.
Et scrive epso secretarlo come el S. Roberto ha parlato et
parla cum lui ogni zorno molto largamente, et che gli ha dicto
la divisione che hano facta del Reame, la quale e tra il Papa, Sua
Ex.tia et li baroni; et prima dice chel papa se chiamerà general
Signore de tuto il Reame et de Capua cum altre terre circo-
* Cfr. su lui quello che dice il Volpicella, pp. 338-39.
— 344 —
stanti, et al S. Roberto dia Stato dove vora et intrata de due.
50000 et Manfredonia, che vuole sopra marina per haver addito
ad venire et mandare a Venetia da questa Signoria cum la qual
ha deliberato finire sua vita et sempre stargli suggetto et ser
vitore; et il resto del Reame sera de li baroni, li quali lo parti
rano, secondo che a loro parerà chel toca per la successione et
ragioni loro antique.
Et scrive che Sua Ex.tia dice chel persuade questa Signori
ad esser contenta che lui la incorpori et faccia essere una cosa]
medesma cum el papa, perche il fa per questo seren.mo Stato j
impero che quando el papa sera signore del Reame, el sera u;
gran signore, et poche persone li potrano nuocere, et seran
rotte queste lighe, le quali già tanto tempo sono state in Itali
per danno de questa Signoria, pur che Thavesseno potuto dan
neggiare ; la qual liga epso S. Roberto ha deliberato de romper
et extirpare, et cussi vuole cominciare dal capo grosso et princi
pale, el quale Sua S.ria ha per più facile, secundo chel dice in
parole, chel non ha da metterse le armi indosso perchè in poco
tempo el vuole deschazare la M.ta del Re da quel Reame.
Scrive etiam come el S. Ruberto gli ha dicto chel papa li scriv
chel ha che li baroni dano bone parole et demonstrationi alaM.ti
del Re de volerse acordare, et che lo fano cum intelligentia d
Sua S.ta per tenere la cosa in tempo, expectando epso S. Ruberto
et che per Dio el soUicita l'andata sua, per la quale lui ha havut
quatro cavallari in pochi zorni. Et dice epso S. Roberto che quest
bon christianello del Re, che vuole vendere li altri, se lassa oscili
lare da li baroni, che li dano parole, et trovarasse poi cum l
mani piene de mosche. Et finalmente scrive epso secretario che
S. Ruberto, mettendo questa impresa per expedita et el Re per
expulso del Reame, conclude lui bavere el più bel giocho eh
già gran tempo havesse capitano veruno de Italia et essere molt
fortunato. Al che epso secretario ha resposto esser vero et baveri
racordata una dovisa la quale fece Sua Ex.tia, che fu de tre e
Ione che tiene uno homo abrazate, la quale se intende per la Si
gnoria de Vinetia, che Sua Ex.tia vuol tenere abrazata et non se
despizare da l'amore de quella, et uno homo nudo tenuto per
li capilli da un altro, che se intende per la fortuna che epso S.
Ruberto impresta per li capilli et non la vuol lassare, la quale
fortuna adesso se li e aprestata et monstrage de honorevoli et
fructiferi partiti.
Et poi adimanda epso Secretario se lui ha ad accompagnare epso
)er
1
— 345 —
S. Roberto in questa sua pratita saltem per le terre de San Marco;
al che subito la Signoria ha resposto che non lo accompagni,
perchè se darla da dire ad altri; ma che con bel modo pigli li-
centia, et se ne venga dopo haverlo rengraciato da parte de la
Signoria de le bone intentioni ha dicto bavere verso epso Stato,
et de li amorevoli suoi racordi, cum dirgli che epso Stato sera
sempre disposto ad ogni suo bene et favore, et che pregarano
Dio che Sua Ex.tia exequisse ogni suo desiderio, et che le cose
li vadino prospere, et che vadi in bona gratia accompagnato da
misser Dominedio, et voglia provedere che le sue genti nel suo
andare non faciano dano ale gente loro. Sogionge etiam essere
gionto al S. Ruberto uno messo de li baroni, m. Bentivoglio, che
lo tene molto sollicito che vadi, et che non s'especta che lui e,
gionto che sia, s' incominciara a fare facti, et che a Sua S.ria
se aparecchia bene assai, perchè questa volta posa acquistare
stato per lui et per li figlioli, ma che vadi presto i. Et epso Ben-
tivoglio ha pregato Sua Ex.tia per parte de li baroni, che non
se voglia più far chiamare de la casa de Ragona, perchè in quella
parte non porla dirse cosa più exosa ad homo quanto sentire
nominare la casa de Ragona, et per questo, se Sua S.ria vuole
in tuto essere benvisa, non se faci più chiamare de la casa de
Ragona, et cussi ha commesso ai sol cavallari che più non scri-
vano de Ar agonia.
Havemo etiam come el figliolo del C. de Torse ^ se e portato a
quella Signoria et ha exposto lui essere mandato dal papa et dai
baroni per fare instantia de dare licentia al S. Roberto, ad ciò
potesse andare a servire Sua S.ta a questa impresa del Reame ;
ma che, havendo trovato Sua Ser.ta haverge dato licentia, non
bisognava insistere più circa questo, ma solo per parte del papa
et baroni rengraciare la Signoria, facendo intendere che li ba-
roni restarano obligati sempre a questo dominio loro, havendo
certa questa impresa et la expulsione de la M.ta del Re facilis-
sima, perchè tuti li subditi gli sono dispostissimi et tuti li buoni
inanimati, li quali più tosto stariano a manzare li propri figliuoli,
che venire mai a compositione cum Sua M.ta, et che queste pra-
* L'andata del Bentivogli al Sanseverino, che non si conosceva dalle
altre fonti, ebbe luogo dopo la sua missione a Roma, per la quale cfr. n.
4 al doc. XVI.
2 Qui v'è una inesattezza. Non il figlio del e. di Tursi, ma il padre stesso,
Giovanni Sanseverino, si recò a Venezia. Cfr. doc. XXX, n. 3 e XLVIII.
Anno XLV, 23
346
tìche erano tute facte per lenirlo in tempo tanto chel S. Roberto
fosse conducto da le bande di la a questa impresa per la quale il
papa era tanto disposto, et per la quale se trovarano 110 squadre,
40 cum el S. Ruberto^, 40 cum el papa et 30 cum li baroni. Al
che la Signoria respose che haveano dato licentia al S. Roberto,
perchè cusì volea iustitia et ragione per essere homo libero et non
obligato alo Stato.
Intedemo anche come questa Signoria ha dal suo ambasciatore
in Roma, come el papa parla honorevolmente de quello Stato,
dicendo che vuol far mettere littere in marmore che attestino
la intelligentia et fide de questo dominio verso la sede aposto-
lica , et che Sua S.ta va signando che quella Signoria se dovea
resolvere ad intrare in questa impresa del Reame, se ben per an-
chora non Thabia apertamente richesta. Al che epso ambassa-
tore ha risposto cum parole generali.
Havemo etiam come epso Ambassatore scrive ala Signoria la
rebellione dell'Aquila, et come li baroni sono in pratiche dacordo
per tener suspeso el Re, che non proveda ali facti suoi, il che
pare li venga facto ; et intendemo che quando questa parte fu
lecta, che la brigata uscirno in queste parole : Anche de la rolpe
se piglia.
XLV. Ibid. Battista Bendedei. Barletta, 11 ottobre 1485.
Tornato el secretarlo hogi, Antonio de Alexandre et m. Impou
da Miglionico, el Re ni dixe come dei clementia le cosse erano
concluse et firmate in presentia de don Federico tra Sua M.ta
et li baroni tanto bene amorevolmente quanto se potesse cre-
dere, secondo le conventioni fra loro convenute honeste et
iuste, le quali non se publicariano altramente, ma haveano a
stare scerete alcuni di per satisfatione de epsi baroni ; quantun-
que Sua M.ta un altra volta ce le farla intendere. Et fra le altre
ce dixe che le noze del princ. d'Alt amura cum eius fllia se erano
differite ali X de Novembre, et chel tuto era facto cum volontà
etiam del princ. de Salerno per l'homo suo, che sempre li e in-
tervenuto cum el mandato, el quale similiter ha approbato et
facto come li altri nomine ipsìus principis ^, et non de manche
* Che il Sanseverino fosse atteso nel regno con quaranta squadre depose
il e. di Carinola. Processi, p. Vili.
2 Al convegno di Miglionico mandò un suo rappresentante anche il e.
di Lauria, Barnaba Sanseverino, che fu il suo Cancelliere Giacomo d'A-
meglio di Amendolara. Cfr. Processi, p. CL
— 347 —
erano iti il Gran Sinischalcho et il e. di Sarno a Salerno per
abraciarse ^ ; et inter alia essendo rimasti dacordo et contenti
li baroni predicti che habino subito a mandare un messo al papa
per notificarli lacordo, et però non essere più bisogno che Sua
S.ta per epsi se affatichi, ne pigli altra molestia, rengraziandola
quanto più potrà. Et, quando la non volesse desistere da quello
ha facto, la protesterà etiam in presentia cardinalium si opus
fuerit, che si quid temptabit ulterius et aget contra regem, quod
ipsis invitis fiet et contra sua volontà, imo che totis viribus li
resisterano come fldelissimi vassali de Sua M.ta. Ma, perchè Sua
M.ta non dubitasse che esso suo messo dicesse fare una cosa et
poi ne facesse un'altra, hano voluto che la Sua M.ta mandi uno
suo homo, et cussi sono restati dacordo del prefato e. di Sarno
che, subito poi che sarà sta a Salerno cum el Gran Siniscalco,
facta la visitatione, perchè e tuto de quel signore, se ne andarà
volando a Roma a fare quanto disopra e dicto. Et per questo
respecto loro baroni hano dimandato che questa cosa non se
scriva per noi altri, ad ciò prima vada ipso e. de Sarno a Roma,
chel papa non intenda la sii publicata per più reverentia de Sua
S.ta.
Successive dixe Sua M.ta che più non era bisognò lei stesse
qua, et passato domane se levarla de qua, che serano ali XIII.
Veramente de questa pace tractata se ne ha a dare summa
laude in primis al factore de tuto, poi ala M.ta Sua, postremo al
Secretarlo che, non perdonando a faticha, che e sta grandissima
si per reta sua come per bavere cavalcato da cavallaro per
questi caldi sono di qua excessivi, cum la sua dextreza et optime
manere ha saputo ben exequire le regie commissioni et redure
le cose ad optato fine.
P.S. Nelparth:ela Sua M.ta da Fogia dete licentia al d. di
Melfi che se ne tornasse a casa, del quale e restato Sua M.ta
* Il Gran Siniscalco ed il e. di Sarno non andarono subito a Salerno
(v. docc. XLVIII, XLIX e L). Anche dalla deposizione di Gregorio di
Samito (Processi, p. LXIV) appare che il Guevara e il Coppola andarono
a trovare Antonello Sanseverino dopo il convegno di Miglionico. Ma se
li tien presente quello che riferi lo stesso testimonio, che cioè i due baroni,
strada facendo, si dettero a criticare vivacemente il re per l'assegnazione
ai Carafa delle terre del card. d'Aragona, morto a Roma il 17 ottobre, si
riconoscerà che fra la fìnta pace di Miglionico e l'andata del Siniscalco e
del Conte a Salerno corsero varii giorni. Per ciò che fece il Coppola a Mi-
glionico il 10 ottobre all'insaputa del re cfr. doc. CV.
— 348 —
plusquam optime satisfacto per la demonstracìone de la sincera
fidelità sua, et ita l'ha veduto molto alegramente et offertoli ^
assai, che non se dubita etiam gli ne renderà digno merito^.
XLVI. Id, Barletta, 2 ottobre 14852.
P.S. Quello che non ho voluto scrivere in litteris credesse che,,
fra gli altri capitoli, sii questo in primis chel S. don Federico]
habii ad bavere tutto quello tenea el princ. de Taranto, videliceti
quello e al presente del domanio, et che non e dato in altri ; itemi
che habii ad bavere quella figlia del Gran Sinischalcho, et la
figlia de Sua Extia, che ha in Francia, habii ad essere moglie
del figlio del princ. di Bisignano, et in dote habii ad bavere el^
principato de Squilatio che tene epso d. Federico ^, et etiam donj
Francesco habii ad bavere... El principe d'Altamura habii ad
bavere la figliuola del Re et fare le noze ali X de novembre, neH
qual tempo habii ad essere exequito tuto quello e promesso hinc]
inde. Non affermo pero tute queste cose, sed solum illa de qui-
bus in litteris. De queste altre cussi se ragiona et credesse :]
affirmo etiam del Stato fu del princ. de Taranto chesera de d. Fe-
derico, che al presente è ito a Matera.
Nauti se sia expedita questa cavalchata el S. don Federicoi
è giunto qua, el quale ha refermato l'acordo facto cum grande]
carità, et quanto dolcemente Thano veduto quelli baroni, et hi
dicto de dovere, partito el Re, che sera pur domane, andare a|
pigliare possessione del Stato se e convenuto*.
^ Depose il princ. di Bisignano (Processi, p. CXCVII) che, quando
baroni si trovavano a Miglionico, si recò colà da parte della duchessa
Melfi fra Bartolomeo dell'Ordine di Sant'Agostino di quella città, por
tando le condizioni messe innanzi dal duca per entrare nella congiura
Nella stessa deposizione sono indicati i patti, che furono accettati dai
altri baroni.
^ Questa poscritta seguiva il dispaccio della stessa data che è perduto
2 Trattasi di Carlotta, che don Federico aveva avuto dalla prima mo-
glie Anna di Savoia, e che visse sempre nella corte di Francia. Il figlio del
princ. di Bisignano, al quale qui si è accenna, è forse il primogenito Be-
rardino.
* « In questo anno (1485) die 12 ottobre, lo S. Re donau e fece caval-
care per Napoli lo S. don Federico princ. di Taranto, e. di Lecce ». Così
A. CoNiGER nelle sue Cronache, Napoli, 1782, p. 23. Ma dal nostro do-
cumento risulta che Federico non tornò allora a Napoli, e invece si recò
direttamente nel suo nuovo Stato. Narra infatti lo stesso cronista, p 23,
che il 23 ottobre «lo ill.mo S. don Federico, prencipe di Taranto e conte
di Lecce, intrò in Lecce a pilliare la possessione, e fo receputo con gran
trionfo et honore ». Il 12 ottobre neppure il re trovavasi a Napoli.
— 349 —
XLVII. Id. Napoli, 21 ottobre 1485.
III. me due. L'oratore fiorentino et io, partito el S. Re ali XIII
presente per venire a Napoli, facendo la via de Ascoli, partissimo
da Barleta ali XIV et giunsemo ali XVIII, restando el ducale o-
ratore per partire ali XV, el quale non e anchora giunto^.
Intenderà come, nel venire de Su? M.ta, el Gran Sinischalcho
se gli fece incontro et basoli el pede et la mano, et accompagnolo
per alcune miglia, el quale el re abracio teneramente, et ando-
sene ad Ariano et terre sue cum 5 o 6 cavalli che havea*.
Sua M.ta dixe a nui oraturi che la non podea far che non se
dolesse et agravasse assai, parendoli de credere che ogni homo
se sii acordato che questo Regno vadi in preda et a fare grande
la Chiesia et Vinetiani, la maiorita et augumento de ciascuno
de li quali ha da essere la ruina del resto de Italia, facendosi
cossi pocho conto per tutti de questo regno, come sei fusse in
capo al mondo, et che non se ne havessero a valere, o che mai
non havesse giovato a ninno de li sol coUigati, dolendosse de
tutti, li quali, se havessero facto quello doveano pure cum pa-
role per modo chel papa havesse inteso, non solo non haria per-
seguito rimpresa, ma haria confortato li baroni alo acordo, quel-
lo mo non se poterà fare cussi presto, ne facilmente, ne senza
grandissima opera et pericolo, presertim che hogi havea havuto
lettere che l'Aquila havea gitato fuori le bandiere de la chiesa,
che a recuperarla non sera se non difficile, et interim da più
bande li potrà dare molestia dove la confina 3. Et cussi se dolse
in primis chel Stato de Milano non havea facte che parole, et in
dire chel S. Ruberto non venirla, ni la Signoria mai li darla li-
centia, come bora s'intende licentiato et venirsene. Successive
» Branda Castiglioni, oratore del d. di Milano, giunse a Napoli il 22 ot-
tobre. Gfr. doc. XLVIII.
' Questo incontro del re con Pietro di Guevara, che avvenne sopra
Grottaminarda (Raimo, ap. Muratori, XXIII, 236), spiega un passo della
deposizione di Antonio da Mignano (Processi, pp. LXXI-II), dove è detto
che, trovandosi egli a Salerno due giorni innanzi l'alzata delle bandiere,
il Gran Siniscalco gli mostrò una lettera in cifra pervenutagli dall'Abruzzo,
In cui lo si rimproverava t che era reducto ad parlare con la S. M.ta dello
Sig. Re et non lo bavere amazato, et che lo S. Re non havea facto minore
errore, havendolo possuto pigliare et non lo bavere pigliato ».
» Tra la rivolta degli Aquilani e la dedizione alla Chiesa intercedettero
alcuni giorni. Cfr. L. A. Antinori, op. e voi. cit., p. 23 e sgg. e Ri vera
op. cit., pp. 31 e sgg.
— 350 —
come per il mezo suo se e adaptata la cossa fra li Ungari e la Si-
gnoria per quello f accano contro Trieste et Fiume, quello de
che se dolse assai, parendoli che, quando non se levavano li Un-
gari da quella impresa, la Signoria non haria dato licentia al S .
Ruberto. Pariter se dolse de Fiorentini, li quali monstravano
non volesseno rompere contra el papa, allegando la guerra cum
Genoisi et il suspecto de Siena, bisognandola guardare et de-
fendere, et, non havendo più gente de quelle se habino, non po-
tere bastare a tante cosse. Dicendo Sua M.ta chel S. Ludovico
li havea pure facto dire per il suo oratore che de Genoisi non
dubitasseno, perchè havea pur saldato cum loro et colligatoli
cum quello Stato, et che loro non li dariano impazo. Per Siena
non bisognava dubitassero d'altri che del papa, et questo havea
tropo che fare dela impresa contro Sua M.ta, et molto più ne
haria quando lo rompesseno contra, come recercava el bisogno
suo per divertere Sua S.ta; che erano cosse, che quando non
volesseno fare per vigore de capitoli et de confederatione, et per
utile de Sua M.ta, almanco se deveriano fare per comodo et
benefitii loro per non perdere de poterse ad ogni bisogno valerse
de questo Stato, si come se ha pur visto quanto l'ha giovato
alle cossa de Ferrarla et de Lombardia, et già etiam per loro
Fiorentini al tempo de Bartholomeo da Bergamo, extendendosse
molto sopra questo parlare, dolendose et gravandose che se
demonstri non solum de non intendere la ruina de Italia per
questo caso, ma se li dia favore et aiuto per ruinarla più presto.
L'oratore fiorentino dixe che questa venuta del S. Ruberto
era sta contro el parere suo et contra ogni ragione, vedendo
quanto continuamente haveano resposto Venetiani al S. Ludo-
vico, et per Zacharia Barbaro et per l'oratore ducale sta in Ve-
netia, che mai li dariano licentia, et etiam per non se denudare
de tanta gente darme; non de mancho, venendo pure et non se
havendo possuto proibirli el passo, volea credere chel Stato de
Milano farla el debito suo et tanto più quanto che sii sta inganato
da Venetiani. Cussi non dubita farà la sua Republica et non li
mancherà. Et a quest'ora haverne facto malore demonstratione,
perchè non solum hano dato dinari a le sue genti darme, ma
etiam ne hano facto cavalchare parte. Et se non mostrano de
volere cussi presto rompere guerra, lo fano per non essere soli.
Preterea non vedeno Milano facia cum effecto, imo Sua M-ta
non ha ropto contro el papa, che doverla essere stato il primo,
et farlo più presto se potesse in offendere le terre de la Chiesa,
I
— 351 —
prius che se faccia più grosso el suo exercito, et darli una sbar-
buzata, come se potrà fare per Tanimosita del d. di Calabria
et per le gente debe bavere, che sarà etiam causa che li col-
ligati lo seguirano, e specialmente la sua Republica, che non du-
bita, se li dovessero impegnare figli e moglie, serano promptis-
simi a quello sera debito loro et in satisfactione de Sua M.ta.
Sua M.ta replico che havea dicto più volte che, stando in su-
specto de quisti baroni, li era sta forza a tenire le gente danne
sparse de qua e de là dove erano li dubii. Però non essere sta modo
che habii possuto offendere el papa per forma che fusse honore-
vole et cum reputatione, et che ninno debbe credere fusse sta
negligente a fare quello fusse stato suo utile et benefficio, et
per intendere el mostro de le armi, pur alquanto non li e sta fa-
cultà de quello seria sta necessario et de bombarde et altre cos-
se. Quanto ala parte che non voriano esser soli ala roptura et
che reguardano a Milano dixe che, licet el speri che Milano habii
a fare el debito, tamen, quando non lo facesse, mai per questo
non deveriano restare de fare quello a che sono obligati verso
Sua M.ta. Et che bene sa Sua Magn.tia quando fu el principio
dela guerra sua cum Genoisi, lui lo domando per parte deli soi
S.ri se volea adiutarli contra epsi Genoesi, dato che el Stato
de Milano non volesse, et lei li rispose affirmative de si. Et sim-
pliciter, non havendo voluto in quello bavere respecto a Milano,
et però non volse intendere se volea o no, ne volse differire la
risposta perchè, dato che Milano non havesse voluto aiutarli,
omnino havea deliberato de darli quello adiuto rechiedesseno
et potesse, et cussi li servete de le galee liberamente, che li
costorno molte migliara de ducati. Cussi voria se facesse verso
Sua M.ta et non bavere reguardo ad altri de quello se e obli-
gato.
continua
Giuseppe Paladino.
GLI AVVERTIMENTI AI NIPOTI
FRANCESCO D'ANDREA
(contin. : v. in questo voi., pp. 152-178)
§ 9. — Casa del sig. reggente Gio. Francesco Sanf elice.
Nel medesimo tempo che il reggente Galeota ^ fu fatto reg-
gente per Spagna, fu anche creato reggente di Napoli per la morte
del reggente Branda ^ il consigliere Gio. Francesco Sanf elice.
Di questo ministro, la di cui vita non fu che una indefessa ap-
plicazione a governar la nostra città nelle cose criminali, non
posso sapere se si avviasse al principio per Tavvocazione, che
credo facilmente che no, perchè fu poverissimo ; onde o non fu
mai avvocato, o non lo fece che per pochissimo tempo, né dovè
averci fortuna. Fu insigne per l'innocenza de' costumi, e per
rintegrità della vita, non discompagnata dalla dottrina, come
lo dimostrano i suoi tre tomi di Decisioni ^ ; fu severissimo nel
castigare i delitti, ma con tal tranquillità che quando condan-
nava i rei pareva che li assolvesse. Né fu meno ammirabile per
l'indicibile pazienza colla quale ascoltava tutte le differenze che
succedevano in Napoli, anco tra povere donnicciole e tra per-
sone d'infima plebe, e per l'equità nel terminarie ; sicché la sua
vita poteva dirsi un esercizio continuo in amministrare a tutti
indifferentemente la giustizia. Fu anche prò vicecancelliere del
Collegio de' Dottori : quale officio non isdegnò di esercitare anco
fatto reggente, mentre il vicecancelliere era il duca di Galvano
* Cfr. Avvertimenti, § 8.
2 Cfr. ivi, § 7
3 Decisionum supremorum
1642-64,
Tribunalium Regni Neapolitani, Napoli,
1
— 353 —
Segretario del regno *; e da lui, essendo reggente e prò vicecan-
celliere, ricevei io la laurea del dottorato \
Lasciò tre nipoti, credo figliuoli del fratello ; Il primo fu duca
di Lauriana ^ il secondo fu arcivescovo di Cosenza *; il terzo
il dottore D. Alfonso, ch'egli forse pensava che avesse dovuto
seguire la strada della toga. Ma quello, non avutovi genio, dopo
le rivoluzioni si pose per la spada; fummo però condiscepoli nello
studio della legge, e, benché egli fusse di minor età, si dottorò
prima di me ^; onde mi precede oggi nel Collegio de' Dottori;
ma non può dirsi che la loro casa abbia ricevuto né dall'avvoca-
zione né dalla toga alcuno avanzamento.
§ 10. — Della casa del sig. Andrea Marchese presidente del nostro
Sacro Consiglio.
Ma grandissimo all'incontro fu lo splendore che dall'una e
dall'altra ricevè la casa del sig. Andrea Marchese presidente del
S. C, che dovrebbe proporsi per idea a tutte le persone nobili
che non sono di Piazza, quando si applicano alla nostra profes-
sione; poiché in essa si vede sin dove può arrivare per 1' avvo-
catura in Napoli una privata famiglia.
Fu egli figliuolo di Fabio Marchese, che, nato in Capua ed in
mediocrissima fortuna, come ne vive ancor oggi la fama in quella
città, venuto in Napoli ed applicatosi all' av vocazione, riuscì in
essa così celebre, e con sì grande acquisto di ricchezze e di ri-
putazione, che non solo superò tutti quei che erano stati prima
i Cfr. Avvertimenti, § 13.
2 II D' Andrea si addottorò nel marzo 1641 : cfr. Diligentissima
Neapolitanorum Dociorum nunc viventium nomenclatura, Napoli, F. Savi,
1653, p. 99.
» Cfr. Giustiniani, Dizionario geografico del regno di Napoli, Napoli,
1802, V, 233. Lauriana è in prov. di Salerno.
« Il Giustiniani, Scrittori legali, III, 154, n. 12, cita una biografia di
Diego Mazza, Compendio della vita di mons. Gius. Maria San felice arcive-
scovo di Cosenza e Nunzio Apostolico. Questo Sanfelice fu arciv. di Cosenza
dal 22 agosto 1650 al 10 nov. 1660, nel quale anno mori: cfr. Gams, Series
episcoporum Ecclesiae Catholicae, Ratisbonae, 1873, p. 879. Era figlio di
un Flaminio e di Lucia dei baroni di Mirabella; per la sua vita cfr. Ughelli,
Italia sacra, ed. Venezia 1721, IX, 269.
» Alfonso Sanfelice si addottorò nell' ottobre 1640 : cfr. la cit.
Nomenclatura, p. 98.
— 354 —
di lui, ma tolse la speranza a quei che verranno di potervi mai
arrivare. Onde, stimando inferiore al suo merito il posto più
volte offertogli di consigliere, non volle accettare, e datosi a con-
sultare in casa, la vide sempre piena de' signori primari del re-
gno, che dipendevano dalle sue risposte come da oracoli. In ma-
niera che le di lui consulte erano stimate più delle sentenze del
medesimo S. C. Visse con fasto eguale alla stima che di lui faceva
il mondo; onde non fu contento della riverenza che se li portava
per lo suo proprio valore, ma volle poi far pompa della grandezza
de' suoi antepassati, de' quali per la loro antichità se n' era
spenta la memoria, procurando però di mettere in chiaro la no-
biltà della sua discendenza, come può vedersi dal Discorso della
sua casa fra le Memorie del duca della Guardia \
Dalla moglie di casa della Marra, della casa del medesimo du-
ca, generò Andrea, del quale si parla, e Girolamo, che fu il pri-
mogenito. E volle che ambedue si avviassero per la strada del-
l'avvocazione, ben conoscendo che la medesima avvocazione,
che avea portata alla sua casa la grandezza, dovea conservar-
gliela ; e riuscirono ambedue insigni nella professione. Ma Gi-
rolamo, essendosi casato con una signora di casa di Sangro della
casa de' principi di s. Severo, dopo la di lei morte, con magna-
nima, non men che pia risoluzione, se n' entrò fra i PP. della com^
pagnia del Gesù, con che non lasciasse ivi anco di consultare,
essere arbitro delle più gravi differenze tra' magnati del regno*
e r unica figlia che ebbe stimò bene, con dispensa del Sommo
1 Ferrante della Marra duca della Guardia, Discorsi delle fi
glie estinte, forastiere o non, comprese ne' Seggi di Napoli imparentate
casa della Marra, Napoli, 1641, pp. 222-236. Fabio, morto TU novembre
1593, ebbe dalla moglie, Lucrezia della Marra, tre figli : Tommaso, Girola
mo e Andrea, e tre figlie: Eleonora, Ippolita e Isabella. Girolamo sposò
D. Orinthia di Sangro ed ebbe quattro figlie. Ma, morta quella, si fece g
suita ; e, fattesi monache tre figliuole, la quarta, sua primogenita, sposò
zio Andrea portandogli ricca dote. Girolamo « apportò nella sua Comp
gnia col valore, zelo e prudenza sua benefici immensi » ; ottenne, fra 1'
tro, una donazione dì 150 mila scudi dalla duchessa di Gravina ; nel 163i
era consultore della provincia, « carico solito darsi a' Padri di gran talento
e sapere, perlochè anche non corre nella città controversia civile tra uo-
mini grandi, e che sia di grande importanza, che non si comprometta in lui
per la fede che s'ha da tutti alla sua bontà e dottrina eminentissima : è sta-
to poi preposito della casa Professa, e poscia provinciale del Regno »
— 355 —
Pontefice, maritarla col fratello per non fare uscire le ricchezze
dalla casa.
Il quale, divenuto perciò signore di tutte le robe, esercitò la
professione più da principe che da uomo privato, e, non inferiore
al padre nella dottrina, pare che lo superasse nell' eccellenza del-
l'ingegno e nel fasto, abitando nel superbo palagio del principe
di S. Severo ^, dove pareva che facessero a gara i maggiori signori
del regno di venire a fargli la corte, co' quali solca uscire la festa
a piedi, godendo di così splendido corteggio ; ed il medesimo
stile osservò poi fatto ministro ed anche presidente del S. C, non
avendo in nessuna cosa mutata l'antica forma di trattare. Con-
forme, la cattedra de' Feudi, che ebbe da che era avvocato, si
pregiò di continuaria anco presidente, dove, oltre gli avvocati
e ministri, veniva gran numero di nobiltà a sentirìo per acqui-
star la sua grazia.
Costituitosi in sì alto grado, non lasciò però di conoscere
che la sua casa allora sarebbe cominciata a declinare, quando
le fusse mancato il sostegno della toga ; onde de' più figliuoli
ch'ebbe, Giuseppe, il primogenito, cavaliere di bellissima indole,
ma di talenti e complessione assai debole, avendoli ottenuto il
titolo di principe di Montemarano, e casatolo coli' erede del prin-
cipe di Crucoli di casa d'Aquino \ destinò per la professione D.
Gerolamo, il secondo, che dimostrava gran spirito: onde sperava
averio per suo successore nel pregio così dell' avvocazione come
del ministero. Ma la morte avendosi preso il padre mentre stava
neir auge delle grandezze, rapì anche dopo il figliuolo, prima
che avesse potuto corrispondere a quel che di lui sperava; ed un
altro figliuolo, che poteva aver miglior ingegno di tutti, per le
imperfezioni del corpo fu obbligato farsi frate di S. Domenico,
che ultimamente abbiamo poi veduto per la bontà della vita e
la dottrina fatto vescovo di Pozzuoli ^.
* Sul palazzo del principe di S. Severo cfr. F. Colonna di Stigliano,
in Napoli Nobilissima, IV, 1895, pp. 33 sgg.
2 Giuseppe Belprato - MarcheRe, princ. di S. Vito, sposò nel 1646
Girolama d' Aquino (1629-54), principessa di Crucoli [Calabria citeriorel,
Cfr. Scandone, / d' Aquino, Napoli, 1905, tav. XXXV. Giuseppe il 15
die. 1653 ottenne che il titolo sopra Montemarano passasse su S. Vito:
L. Serra, 1 registri Titolalorum del Collaterale, Napoli, 1910, p. 12; e Ricca,
Nobiltà, Napoli, 1859 sgg., Ili, 260-1.
' Andrea ebbe dalla moglie cinque figli : Fabio (morto nel 1625), Giu-
seppe, Girolamo, Ignazio e Fabio, e due figlie : Maria e Lucrezia: cfr. Del-
— 356 —
Così la casa, benché accresciuta di titoli, è rimasta assai di-
minuita di facoltà. Poiché, venduta la terra di Montemarano, bi-
sognò trasferire il titolo in S. Vito, picciola terra nella provincia
di Lecce ; e Bartolommeo di Franco, famoso avvocato nella di-
fesa de' rei, ma che si stimava poco favorito dal padre, mentre
fu presidente se ne vendicò contro la casa, con avocarle tutte le
cause contro: ciò che non sarebbe succeduto se ci fusse stato un
ministro o un avvocato celebre che 1' avesse protetta. E Todierno
principe abitando quasi sempre nella sua terra fuori di Napoli,
la casa può dirsi che non stia oggi in nessuna stima rispetto a
quella che godè quando quei che la fondarono non erano principi,
ma avvocati.
§ 11. — Casa del sig. reggente Antonio Caracciolo marchese di
S. Sebastiano,
Quasi nel medesimo tempo che il sig. Andrea fu fatto presi-
dente del S. C, fu fatto ancora reggente il presidente di Camera
Antonio Caracciolo.
Era egli stato, conforme si disse \ il più eloquente avvocato
de* suoi tempi, ed avrebbe accumulato molte ricchezze, se, de-
dito per natura e per consuetudine agli amori, non avesse eser-
citato la professione più con vanità di cavaliere che con serietà
d'avvocato, avendo profuso tutto ciò che guadagnò in servir
dame ; e correva una fama di lui che, per farsi vedere orare in
Consiglio da una dama da lui amoreggiata, che con vanità fem-
minile ardentemente il desiderava, procurò di farla venire una
mattina in una casa che sta incontro le Ruote del S. C, dalla fi-
nestra della quale, quando la finestra di una di esse Ruote sta
aperta, nella quale Ruota egli quella mattina avea da difendei
una causa, può vedersi assai da vicino l'avvocato che sta pj
landò da quella parte.
Perde però molto di concetto colla nobiltà, quando per ra^
gione de' suoi amori, ritrovato in casa di una gentildonna di Poz-^
zuoli, fu obbligato da' fratelli togliersela per moglie, benché di
LA Marra cit., p. 234. L' Ughelli, ed. cit., VI, 290, e quindi il Gams
p. 195, ricordano come vescovo di Pozzuoli dal 31 maggio 1688 un Domenico
Maria Marchese, morto nel 1692 : quale dei due ultimi figli dì Andrea sia
questi non saprei dire.
» Cfr. ADvertimentìy § 2.
— 357 —
nascita molto inferiore alla sua. Ma pericolo assai maggiore in-
corse quando, dato di sospetto che amoreggiasse con una dama
di gran qualità, né senza qualche corrispondenza, si suppose
che la dama dal marito fusse fatta morire di veleno, ed egli ne
stiede gran pezzo ritirato per tema di perdere la vita ; sin che
cessato poi quel sospetto, o pure che si fusse fatta nota la sua
innocenza, o che per altra ragione si assicurasse, ritornò all'av-
vocazione.
Né qui perciò finirono li suoi infortunj ; poiché, disgustatosi
col sig. duca di Ossuna^ viceré per la sua differenza eh' ebbe
sempre colle Piazze, procurò il viceré, che. aveva alcune risolu-
zioni stravaganti, di farlo carcerare mentre si giaceva una notte
con una donna ordinaria in una casetta sotto le finestre de' frati
di S. Maria delle Grazie ^ dato ordine al capitano de' birri che
l'avesse menato in una sedia chiusa a Palazzo così nudo, come
r avesse ritrovato: sicché tutto 1' arbitrio che potè fargli fu di
lasciargli vestire le mutande. Onde, fattoli così stare un pezzo nel-
l'anticamera dentro la sedia, uscito il viceré, quando vi era mol-
ta gente, alzate di propria mano le bandariole, gli ;disse per
ischerzo: Quìen puotes mas el Duque, o Antuono; e senza dirgli
altro, com'era di genio capriccioso, lo rimandò a casa. Del che
rimasto gravemente offeso, procurò, dopo partito 1' Ossuna,
di essere fatto ministro di Camera, e poi sotto il duca Medina
reggente ^.
» Il duca di Ossuna fu viceré dal 1616 al 1620.
2 Su S. Maria delle Grazie a Caponapoli cfr. G. Filangieri, Docc. per
la storia, le arti e le industrie delle provincie Napoletane, Napoli, 1888, IV,
5-391.
» Per la lotta tra l'Ossuna e le Piazze nobili, e per la parte che vi ebbe il
Caracciolo, cfr. Schifa, La pretesa fellonia del duca d'Ossuna, Napoli, 1912,
II, 57-58. Lo Zazzera, Giornali, ms. XX. B. 32 della S. S. N., (da prefe-
rirsi all'ediz. del Palermo in Arch. stor. Hai, IX, 1846, pp. 471-617), e. 226,
parla dell'odio del viceré verso il nostro. Il quale, eletto dalle Piazze per an-
pare in Spagna a parlare contro l'Ossuna, in sostituzione di P. Lorenzo da
Brindisi, timoroso delle minacce di quello, tentò nascondersi, ma, « sta-
nato da una fregola intempestiva, incappò nella rete in modo ignominioso
— scrive lo Schifa, p. 58 — , onde restò moralmente diminuito se non de-
molito ». Racconta lo Zazzera, c. 226 : « [ L' Ossuna 1 nell' odj era perti-
nace e vendicativo, in tanto che coloro che l'odiava li perseguitava sempre,
come tra l'altri... contro del sig. D. Antonio Caracciolo, gran jurisconsulto
e cavaliere, al quale hebbe odio per le Piazze fatte contro di lui. E
per questo, essendose appartato, procurò d'haverlo nelle mani, come alfine
— 358 —
Della di lui casa non può parlarsene, perchè si estinse nella di
lui morte. Una sola figliola, che ebbe dalla prima moglie, la ma-
ritò al duca di Ruoti di casa Capece di Seggio di Nido ^. Dalla
seconda, che fu una signora di casa Bologna, non ebbe alcuna
prole. E, come poco applicato all'economia, visse sempre povero;
talmente che, dopo le rivoluzioni, ottenuta per la sua grave età
la giubilazione, si sostenne malamente col solo soldo di reggente ;
e benché fusse stato di genio benefico, e non avesse mai fatto
male ad alcuno, come la memoria de' benefici, tosto si estinse
anche prima di morire la di lui memoria.
§ 12. — Della casa del sig.
del Torello.
reggente Ettore Capecelatro marchese
Non così il reggente Capecelatro, il quale, benché fusse nato
ancor egli poverissimo cavaliere, ebbe però fortuna d'acqui-
stare gran ricchezze, così nel tempo che fu avvocato, come dopo
che fu reggente, sicché potè lasciar la sua casa assai ricca, ed
accresciuta di titoli e signorie. Il principio delle sue fortune
nacque dalla disgrazia di un cavaliere assai ricco della sua istessa
famiglia, che, ucciso d'archibugiata nel casale di S. Anastasia,
dove possedeva i suoi beni, come per non aver figliuoli si ritro-
vava aver istituito erede l'Ospedale della Gasa Santa della SS.
Nunziata, persuaso poco prima che spirasse da un cavaliere suo
amico, che venne ad assisterli in quell'ultimo passo, che più ope-
l'hebbe, perciocché fu pigliato prigione una notte in casa di un povero huc
mo l'anno 1619, dove era quella notte andato detto sig. Antonio a ritrovi
una sua cara, per la quale haveva patiti molti infortuni, per dormire et
quella. E così nudi furono portati in Palazzo, dandogli appena il capitai
Modana di ponersi un paio di calzonetti de tela bianca, e a quella signoi
una coperta di letto sopra; e, perchè era inverno, patirno molta incomm<
dita in quel modo in Palazzo fino al giorno et hora che se levò S. E. de
letto; e vistili a quel modo, fé dare colazione a quella signora, et il signor
D. Antonio mandatolo carcerato in Vicaria. E quantunque se ne fusse spe-
rato male di tal causa per inquirerlo d'adulterio, tuttavia hebbe felice fine,
perché furono liberati indi a poco, ed il tutto per l'esame di quella si-
gnora ». Anche l'Ossuna aveva vizi uguali a quelli del Caracciolo. Cfr. an-
cora Giuliani, Successi, ms. della B. N., X. B. 32, ff.20 sgg.; e Rivoluzione
di Masaniello ms. della S. S. N., XXII. C. 6, pp. 313 - 17.
» Ruoti é in Basilicata, ed era dei Capece Minutolo. Cfr. Giustiniani,
Dizionario, Vili, 81.
— 359 —
ra dì pietà saria stata se avesse lasciato la roba al suo parente
che si trovava in necessità, ed anco più decoro della sua fami-
glia, rivocato il primo testamento, il lasciò suo erede con perpe-
tuo fedecommesso a favore della sua discendenza.
Accresciuto però così notabilmente di facoltà, si rese più abile a
far progressi nell'avvocazione, sempre stimatosi che per riuscire
bene in questa professione bisogna che chi l'esercita non ab-
bia da far conto di vivere colla professione, e che tanto compa-
rirà maggiore, quanto sta più agiato de' beni di fortuna ; onde,
benché non avesse alcuna facondia nel pariare, ebbe però cause
di grandissima importanza, come può vedersi da' due tomi delle
sue Consultazioni i, supplendo con la fatica e colla dottrina al
difetto dell'eloquenza, sicché col guadagno dell' avvocazione e
colla perfetta economia potè di molto aumentare il suo patri-
monio. Onde, fatto consigliere, esercitò il posto con non minor
integrità che decoro ; e, divenuto padre di più figliuoli, comprò
per lo primogenito la terra di Siano ^ con titolo di duca. Tra-
sportato poi dall' ambizione di divenir reggente, non ebbe ri-
paro di portarsi in Ispagna con titolo di ambasciatore della città
contro il voto della medesima sua Piazza ad istanza del duca di
Medina viceré, per opporlo al duca di S. Giovanni andatovi po-
co prima col medesimo tìtolo per rappresentare alcuni pretesi
aggravi in nome della nobiltà contro il viceré ; ed il motivo fu
che, avendo il viceré alla comparsa dell'armata di Francia, co-
mandata da Monsù di Bordeos, date l'armi al popolo sotto i suoi
capi popolari, un governo indipendente dalla nobiltà, pretesero
le Piazze nobili^ che ciò fusse contro l'antico stile ; onde desti-
narono ambasciatore in Spagna il duca di S. Giovanni in nome
della Città, per gravarsene. Ma il popolo pretese che le Piazze
nobili non potessero rappresentar Città, quando si trattava di
una differenza particolare tra la nobiltà e il popolo ; onde il duca
di Medina, non fatto ricevere in Spagna il duca di S. Giovanni
come ambasciatore, procurò dal popolo e dalle tre Piazze pic-
cole si mandasse un altro ambasciatore per altri negozi univer-
sali della Città, e che si eligesse il sig. Ettore, benché le Piazze
di Nido e Capuana vi dissentissero, perché dicean di non ricono-
scere altro ambasciatore che il duca di S. Giovanni ^.
» ConsuUationum juria selectiorum in variis ac frequentioribus facti con-
tingentiis, Napoli, 1643.
» In provincia di Salerno.
» Cfr. Parrino, Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del regno di
— 360 —
Ritornato da Spagna con felice esito de' suoi negoziati, portò
per sé la mercede di marchese di Torello, e T altra della prima
piazza di reggente che fusse vacata, della quale le ne fu data
dal viceré anticipatamente la possessione con titolo di proreg-
gente, e da Spagna fu dichiarato reggente sopranumerario ; e
finalmente la piazza fu dichiarata ordinaria dopo che si aggiustò
la terza piazza Spagnola ad istanza della Camera d'Aragona.
Sopravvisse nel posto molti anni, ed andato due volte in Fog-
gia in tempo del sig. conte d'Onatte ^ per rimettere in piedi gli
effetti della Dogana, che per le passate rivoluzioni stavano non
mediocremente turbate, fu fama che accumulasse gran contanti^ ,
quali però la maggior parte l'impiegò in mantenere D. Diego,
uno de* suoi figliuoli, prelato in Roma, e nel mantenere il duca
suo primogenito nella guerra dello stato di Milano con posto di
maestro di campo, e nella spesa del di lui matrimonio con una
signora di casa Caracciolo vedova del sig. duca della Regina.
Ma tutti questi posti conoscendo che sarebbero stati alla
casa piuttosto di peso che di profitto, tutte le sue speranze le
aveva poste in D. Giulio suo ultimo figliuolo, giovane di grandis-
sima aspettazione, e l'avviò per l'avvocazione, ma, sopraggiunto
dalla morte, non potè godere la riuscita ; e sarebbe riuscito D,
Giuseppe, che fu mio grandissimo amico, assai maggiore del pa-
dre, se da fiera morte non fusse stato rapito nel fiore degli anni
dal contagio del 1656, insieme con monsignor Capecelatro il
fratello, che per sua avventura si ritrovò poco prima venuto in
Napoli.
Rimase la casa sostenuta dal duca di Siano primogenito, che,
cavaliere di molto giudizio, per supplire con risparmio a quel che
li veniva a mancare per la morte del padre, si ritirò a far vita
privata nella villa di Minadois comprata pochi anni prima dal
reggente alla Montagnola \ sicché la stimava la sua delizia; e
mentre visse, essendo stato per i servizi del padre e per i prò-
I
Napoli, ediz. Napoli, Gravier,1770, II, 37 sgg.; Giannone, Storia, XXXVIII
4. Il duca dì Medina fu viceré dal 1637 al 1644.
^ n conte di Ofiatte fu viceré dal 1648 al 1650.
« Per la missione del Capecelatro alla Dogana di Fogglp, 1648, cfr. De
DoMiNicis, Lo stato politico ed economico della Dogana della mena delle pe-
core di Puglia, Napoli, 1781, II, 220 sgg.
» La villa, a Capodimonte, fu costruita dal regg. Minadois; cfr. Celano,^
ed. Chiarini, V, 382; Croce, in Napoli Nobilissima, III, 7, 1894, p. 11
— 361 —
pri più volte preside di provincia, non lasciò di far figura ; ma
dopo la sua morte, rimasti i figliuoli pupilli, e non nell'abilità
del padre, la casa, tolto il titolo di duca di Siano, non ha rice-
vuto niente più di quel che abbiano gli altri privati cavalieri
della sua Piazza.
§ 13. — Casa del signor Gio. Angelo Barile duca di Caivano e Se-
gretario del regno.
Non devo io tra le case, che dagli avvocati furono sollevate
al posto di reggente o di presidente del S. R. C, tralasciare di
annoverare quella del duca di Caivano, Gio. Angelo Barile, che,
di avvocato divenuto segretario del Regno, ascese per suo me-
rito a così alto segno di potenza, che divenne arbitro di tutto il
regno.
Questo, che benché fusse cavaliere della Piazza di Capuana,
e della più antica famiglia, come discendente dalli più antichi
conti dei Marsi e baroni di S. Arcangelo, terra antica della sua
casa ^, non sdegnò, per sollevarla a maggiore fortuna, di appli-
carsi air avvocazione, nella quale riuscì di tanta abilità, che
seppe rapir di mano del reggente Rovito il posto di segretario
del regno 2, che, per non estinguersi che con la vita, lo stimò
migliore di qualunque posto di reggente; e li riuscì così maravi-
glioso con buone e con cattive arti, che sotto i due viceré, il conte
di Monterey e il duca di Medina, non vi fu negozio grave nel
regno che non passasse per le sue mani, in tempo che, per l'in-
finite gravezze che si posero, il regno potè dirsi che più volte
si vendesse, e più volte si comprasse. Sicché potè pagare non
solo il prezzo dell' officio, ma comprare la terra di Caivano ^ e
fare acquisto d'immense ricchezze. Con una profonda e somma
simulazione non fece mai ostentazione della sua potenza, ed
usando la medesima forma di vestire, come quando era avvo-
» Sulla famiglia Barile cfr. S. S. N., ms. XXII. E. 7, ce. 28 t-29. Appar-
teneva al Seggio di Capuana, e si diceva discendente dagli antichi « conti
di Marsi » : « però io non ardisco affermarlo, non avendone pruova certa ».
Ebbe il casale di S. Angelo, «poche miglia distante da Napoli »; ma, dive-
nuta povera, abitava fuori città, quando a farle acquistare ricchezza giun-
se in buon punto il nostro.
* Cfr. Avvertimenti, § 4.
• Giustiniani, Dizionario, III, 27.
Anno XLV. 24
— 362 —
cato, copriva i suoi talenti con un volto sempre ridente e scher-
zante.
Sotto il visitatore Giaccone ^, in tempo del sig. Ammirante
di Gastiglia 2, patì gran persecuzione dalla visita. Sospeso dal-
l'esercizio dell'officio ed esentato poi anche dalla Città, quando
tutti lo credevano caduto, si vide ristituito nel governo dal sig.
conte di Ofiatte, ma non con quell'aura e quella potenza di prima.
Lasciò la casa assai ricca al suo successore, che per ritrovarsi
duca di Galvano esercitò l'officio di Segretario colla spada; ma
poco tempo il godè, perchè, assalito da febbre terzana, quale per
aver intempestivamente presa la china, divenne continua, si morì
lasciando due figliuole pupille, delle quali la prima si caso col
primogenito del marchese di Fuscaldo^, che sdegnò di eserci-
tare l'officio di Segretario del regno, non conveniente alla sfera
dei Signori, ed ottenne da Spagna che potesse nominare altri per
esercitarlo, e per la medesima ragione sdegnò anche di assumere
il titolo di duca di Galvano, già fatto troppo famoso nel posto
di Segretario, ed impetrò da Spagna il titolo di principe di S. Ar-
cangelo.
La seconda figlia si maritò col figliuolo del marchese di Alta-
villa *, Golonna figliolo di sua zia. Ma l'officio di Segretario colla
podestà di nominarlo toccò alla prima, onde si possedè per lungo
tempo dal marchese di Fuscaldo, da cui si mercantava la nomina
all'esercizio di Segretario da tutti quei che ambivano per quella
strada ascendere alla toga perpetua, benché oggi per conven-
zione tra loro questa prerogativa sia passata alla casa del mar-
chese di Altavilla; cosa di grandissima importanza, perchè dal
posto di Segretario si sono veduti già tre passati a quello di
ministro perpetuo : Giulio Gesare Bonito d'avvocato fatto Se-
gretario, poi duca dell'Isola ^ fiscale di Gamera, ed oggi consi-
1 Don Giovanni Chacon Ponz de Leon, detto comunemente Don Gio-
vanni Ciaccone, fu il sesto visitatore generale del regno. Venne nel gennaio
1645, e la sua opera finì nel 1647, allo scoppio della rivoluzione. Cfr. E. Gen-
tile, / visitatori generali del regno di Napoli, CsLsalhordìno, 1914, pj). 13-16.
- D. Gìo. Alfonso Enriquez di Cabrerà ammiraglio di Gastiglia fu
viceré dal 1644 al 1646.
3 Fuscaldo era in possesso di casa Spinelli dal sec. XVI : cfr. Giusti-
niani, Dizionario, IV, 40'}.
* Altavilla, in provincia di Salerno, comprata da Giacomo Colonna nel
1646 come marchesato : cfr. Giustiniani, Dizionario, I, 141.
' Isola, poco distante da Aversa : cfr. Giustiniani, Dizionario, V, 177.
— 363 —
gliere ; D. Gio. Battista d'Afflitto da Segretario fatto ancor
esso consigliere, e Federico Cavaliere da avvocato similmente
Segretario con nomina della marchesa di Altavilla, poi fiscal
di Camera ed oggi presidente, esercitandosi presentemente l'of-
ficio da D. Domenico Fiorillo del fu reggente Fiorillo, che aspira
al medesimo posto di consigliere; sicché può dirsi questa la mag-
giore prerogativa della casa d'Altavilla ^.
1 Maggiori particolari dà il ms. della S. S. N., XXII, C. 6, pp. 277-285,
sulla Rivoluzione di Masaniello, già cit. pel Rovito: » Ancor questi da po-
vero cavaliere del Seggio di Capoano e barone di S. Arcangelo si die all'e-
sercizio del Foro, nel quale col suo prodigioso cervello riuscì così scaltro,
che seppe rapir di mano dal reggente Scipione Rovito l'officio di Segreta-
rio del regno, che comprato avea per il suo figlio primogenito, imbroglian-
dolo di tal maniera, che non solamente non potè ricuperare parte del prez-
zo da lui sborsato, ma né anco potè arrivare a liquidare l'istromento. Fu
per verità uomo di gran destrezza e gran trafficone ; ed ebbe sempre mira
con buone e cattive arti farsi autorevole appo de' viceré del suo tempo in
danno della Patria, a segno tale che, sotto il governo de' due viceré, conte
di Monterey e duca di Medina, nel qual tempo dir si può che per l'infinite
gravezze e gabelle questo regno più volte s! vendesse e co mprasse, non vi
fu negozio che non passasse per le sue mani. Quindi è che si rese l'arbitro
di tutto il regno, accumulando perciò immense ricchezze. Lui fu uno dei
principali autori che s'imponesse la gabella de' frutti, edera solito, in ogni
volta che doveasi trattare d'imponere qualche dazio, di andare nelle ore
che si teneano le Piazze l'un dopo l'altra, persuadendo i più fermi e mezzo
costanti, e qualunque altro che vacillasse contro l'intento che si avea ad ot-
tenere, facendoli prevaricare con denari ai più poveri, con capitanati a
guerra ai miUtari, e con uditorati di Provincie e toghe ai dottori. — A guisa
di volpe, con una profonda simolazione, non fece mai otsentazione della
sua potenza, usando sempre l'istessa foggia di vestire e tenore di vita
come quando era avvocato, cuoprendo i suoi talenti con un volto sempre
ridente e scherzante. Sotto il visitatore Ciaccon, nel governo dell'Almirante
di Castiglia, per i grandi riclamori che si ebbero di lui fu sospeso dall'e-
sercizio del suo impiego, ed anco esentato poi dalla Città. Ma, quando
liti Io credeano caduto, si vidde di bel nuovo costituito nel suo ufficio.
M 1 fervore di queste sollevazioni gli fu dall'arrabbiata plebe incendiato il
suo palagio, a fianco della porta picciola di S. Chiara, e propriamente nella
strada che chiamasi del Pallonetto incontro il muro della Clausura di S.
1 rancesco delle Monache, che fu prima del principe di Stigliano Carafa. E
ii fu fatto con maggior improperio quest'oltragio, perchè si lasciò dire
' lie non avea paura di quattro scalzi ; quindi è che gl'incendiarono il più
liceo e nobile suppellettile che mai gran principe potesse tenere; e perchè
[)oi la plebe seppe che gran parte di gioie, argenti, oro e denari stavano
364
§ 14. — Della casa del sig, reggente D. Francesco Merlino marchese \
di Ramonte.
Il reggente Merlino fu un privato gentiluomo di Sulmona
famiglia però nobile ed antica di quella città. La madre fu Pi-
gnatelli figliuola del marchese di Paglieta e di D. Beatrice Tap-
riposti in un certo nascondiglio, vi ritornò dì bel nuovo, e il tutto poce
fiamme, a segno tale che il colo del prezioso metallo a guisa di lava scorre-
va per quella strada, e non bastando il gran fuoco che Ingombrava tutte
e due le strade, ne fecero un altro in mezzo al cortile. Tra l'altre cose gl'in^
céndiarono una famosa libraria, di libri assai curiosi e rari, e tutte U
scritture e libri della Real Cancelleria, che come Segretario del regno con^
servava. Teneva egli in alcune camere di sopra alcuni stipi grandiosi tutl
pieni di scritture, che ^i dimandavano il Secretorum Curine, che contenean<
le scritture più segrete del re non solo per la città, ma per tutto il regno ;
nel piano del cortile (ove era l'archivio della Cancelleria) teneva quantità
di credenzoni, ne' quali conservava i registri e scritture dei passati
tanto Aragonesi, cominciando da Alfonso I sino a Federico ultimo di qu(
sta casa, quanto degli Austriaci, che conteneano gli assensi regi per
beni feudali, vendite di terre, provisioni del Collaterale, lettere regie]
concessioni regie, vendite d'offizj, assenzi di vescovadi, benefìzi regi, et
altre scritture di privilegi e grazie regie, tutte concernenti all'universale"
della città e regno, come anche de' particolari, che furono con irrepa-
rabile danno del pubblico incendiate. Fu sì grande la fiamma di questo
incendio che avvampava in alto dai tre lati de' fuochi suddetti, che le vi-
cine monache di S. Francesco si credeano di dovere andare tutte a fuoco; la
cui forza era sì grande che sospingeva in alto i fogli de' libri, e di questi ne
venne a cadere uno intiero nel claustro delle monache, che trattava della
nobiltà degli antichi conti de' Marsi, di dove pretendeva discendesse la sua
famìglia. Gli bruciarono ancora alcuni animali curiosi, ch'erano di D. Fran-
cesco suo figlio : tra quali un leoncino, che non molto prima eragli stato con-
dotto da Levante; e per fin i cavalli della sua stalla fecero vivi entrare nel
grande incendio; e non potendo far altro evacuarono tutte le botti piene
di vino, che stavano in cantina. In somma si fece il conto, che dal vorace
fuoco fosse stato consumato il valsente di ben cento ottanta mila ducati.
Ruppero ancora tutte le statue antiche di marmo del suo magnifico palagio
che stava egli fabricando nella Riviera di Chiaia [passato dipoi ai principi
di Teora], e non contenti di ciò, in odio del padre, incendiarono similmente
il palazzo del duca di Marianella, suo primogenito, a S. Lucia a Mare, uomo
niente meno tiranno del padre. Dopo sedati i tumulti attese di bel nuovo
al suo impiego, ma non già con quell'aura e prepotenza di prima. Lasciò
dopo sua morte la sua casa assai ricca a due suoi figliuoli, D. Francesco e D.
— 365 —
pia, sorella, come si disse ^, della madre del reggente Tappia,
per la quale si professava di lui nipote, e per ostentazione del
quarto materno s'intitolò sempre Merlino Pignatelli. Fatto il
zio reggente, ebbe genio di menarlo seco in Spagna, ancorché
in età assai giovane; sotto la cui educazione attese grandemente
allo studio e ad imbeversi tutto della gravità e de' costumi della
Nazione.
Onde, ritornato poi in Napoli, stimò per divenir ministro non
aver bisogno di applicarsi all'avvocazione, o perchè non vi avesse
genio, o piuttosto perchè, trasformatosi ne' costumi Spagnoli,
volle seguitare quella medesima strada ch'era stata battuta dal
Antonio. D. Francesco, che fu suo primogenito e duca di Marianella (che poi
come titolato esercitò l'ufflcìo di segretario colla spada), ebbe per moglie D.
beatrice Orsino, sorella del principe dell'Amatrice, colla quale non molto
tempo visse, essendo morto senza lasciare di sé prole alcuna, di febre ter-
zana, la quale per aver intempestivamente presa la china divenne ettica.
D. Antonio altro suo figliuolo, comecché dalla sua gioventù erasi esercitato
nella milizia, ed in più fatti d'armi erasi dimostrato assai prode, ottenne
grazia da S. M., anco per i meriti del padre, dell'onore di Mastro di campo;
ed essendo poi morto il fratello senza figli, succede nella ricca eredità pa-
terna e nel titolo di duca di Marianella e di Galvano, e volendosi casare pre-
se per moglie D. Popa di Somma, figlia di D. Fabrizio marchese di Circello,
dama belUssima, colla quale similmente visse poco tempo. Ed essendo ri-
masta vedova in giovanile età, coll'occasione che fin da che vivea il marito
coabitava in sua casa D. Gio. Pignatelli figlio del marchese di Casalnuovo
e nipote del duca D. Antonio, datosi occhio con questo, finalmente con di-
spensa di Roma si sposarono assieme. Lasciò di sé due sole figlie pupille,
delle quali la prima si caso col primogenito del marchese di Fuscaldo, Spi-
nelli, che, isdegnando di assumere il titolo dì duca di Galvano, già divenuto
troppo famoso nel posto di Segretario, ottenne dalla Gorte di Spagna il ti-
tolo di principe di S. Arcangelo [in Basilicata]. La seconda si maritò col fi-
glio del marchese di Altavilla Golonna, ch'era figho di una sua zia. L'uffi-
io poi di Segretario del regno per convenzione avuta tra di loro toccò alla
()rima; e perchè la casa di Fuscaldo isdegnava di esercitarlo di persona,
( ome non conveniente alla sua sfera, ottenne dalla Gorte di Spagna di
poter nominare altri ; qual nomina per qualche tempo si è mercadantata
da questa casa, e tutti quei che ambivano per questa strada di ascendere
alla toga han procurato vantaggiare la loro offerta al marchese. Passò poi
per nuova convenzione nella casa del marchese di Altavilla; dal quale ancor
fu mercadantata la nomina, finché di nuovo é ricaduta alla Gorte ». — Per
litri particolari cfr. A. Fiordelisi, Gì' incendi in Napoli ai tempi di Masa-
niello, Napoli, 1895, pp. 8-13.
' Gfr. Avvertimenti, § 6.
— 366 —
zio, ed ancora perchè colla di lui protezione si assicurava di giun-
gere in breve al ministero.
Né gli fallì il pensiero, perchè, andato Uditore in Salerno ed
ivi casatosi con una gentildonna di casa Longhi e fatto poi giu-
dice di Vicaria Criminale e Civile, e poi commessario di cam-
pagna, in brevissimo tempo fu consigliere; ma, non essendo stato
avvocato, non potè fare acquisto di ricchezze; onde, per soste-
nere il posto con decoro, procurò dal sig. duca di Monteleone
a titolo di parentela aver la protezione de' suoi stati con mille
ducati di provvisione Tanno. Per essere stato creatura del conte
di Monterey fu poco grato al sig. duca di Medina ; ma poi per
la medesima ragione fu dall' Ammirate di Castiglia passato pre-
sidente in Camera, e indi a pochi mesi reggente, portatosi in
tutti i posti con somma lode di valore, d'integrità e di dottrina ;
onde ai due suoi tomi delle Controversie ^ dai moderni scrit-
tori del regno comunemente si dà il primo luogo.
Ha fatto in tutte le sue azioni in primo luogo il sussieguo per
dimostrarsi degno nipote del reggente suo zio, di chi ostentava
di riverire la memoria; e dal non essere stato avvocato prese
una certa avversione a quei che allora l'erano ; onde nel suo se-
condo tomo parve inclinare nell'opinione dell' Alciato ne' suoi
Emblemi, che gli avvocati non furono buoni per giudici:
Venali vir lingua, et causis servire suetus
ludicium libero non feret arbitrio.
E dopo che ritornò da Spagna e fu presidente del S. C, era
solito di dire che in consiglio non vi erano più avvocati, tutto
che a suo tempo ve ne fossero moltissimi famosi, non meno per
dottrina che per eloquenza.
O forse dispiaceva in lui ed in loro quel medesimo, per lo che
avrebbe avuto ammirare, cioè 1' eloquenza, perchè egli non la
possedeva ; onde, andato in Roma per certo negozio di giuri-
sdizione, fu scritto da quella Corte che non aveva dato altro sag-
gio del suo sapere, che nel poco parlare; e perchè abbattuto ne-
gli ultimi anni dall'infermità contratte nella sua gioventù e non
mai ben curate, era venuto noioso a se medesimo, né cosa tanto
li dispiaceva quanto un lungo discorso : onde spesse volte nelle
1 Controversiarum forensium juris communìs et regni Neapolitani cen-
turia I et II, Napoli, 1645.
i
— 367 —
due Ruote, mentre si parlavano le cause, si addormentava, sic-
ché passavano sensibilmente l'ore senza che se ne accorgesse.
Ma per altro, essendosi egli in altro luogo delle sue opere van-
tato di essere stato non solo imitatore, ma emulatore dell' offi-
cio di giudicare delle virtù del reggente Rovito, che fu sì grande
avvocato, ben molto mostrò, per sua propria confessione, che
l'idea del ministero non altronde dovea prendersi in Napoli, che
dall' ordine degli avvocati.
Ed avendo destinato per successore della sua casa (non avuto
fortuna aver figlioli) il nipote figliolo di sua sorella il sig. D. Carlo
Cala ^, volle, forse per supplire quello che aveva mancato in
se stesso, che si avviasse per l'avvocazione; con che mostrò con
fatti, più che parole, il concetto che ne tenea del pregio dell'av-
vocazione in Napoli, poiché per essa sola alla dignità del mini-
stero possono unirsi anco le ricchezze, senza le quali le stesse di-
gnità si rendono vili.
§ 15. — Casa del sig. reggente Gio. Camillo Cacace.
Partito il reggente Merlino per Spagna, e succeduto al go-
verno dell' Ammirante di Castiglia il sig. duca d' Arcos, segui-
rono appresso l'anno susseguente le rivoluzioni popolari, quali
supite nelli primi mesi del 1648 e creato il reggente Merlino pre-
sidente del S. C, fu eletto in suo luogo per reggente di Spagna il
presidente di Camera Gio. Camillo Cacace.
Questo, come si disse^, era stato un grandissimo avvocato e per
la dottrina celebre e per l'arte del dire, che solca pregiarsi che
ne' mezzanini della sua casa, dalla quale non volle partirsi mai,
incontro S. Lorenzo ^ e dove solca negoziare quando era av-
vocato, non vi era stato signore del regno che non fusse ve-
nuto a prendersi le consulte. Il di lui padre fu di Castellammare
e di ordinari natali *; ma, venuto in Napoli ed acquistata medio-
cri ricchezze, furono poi quelle da lui eccessivamente cresciute
col guadagno dell' avvocazione e con una somma parsimonia ;
1 Cfr. Avvertimenti, §28.
2 Cfr. ivi, § 2.
•^ Sulla chiesa di S. Lorenzo, ove i Cacace ebbero cappella, nella quale
fu seppellito il nostro, cfr. Celano, ed. Chiarini, III, 135 sgg.
^ Il padre fu Giovan Bernardino Cacace, « avvocato di buone lettere
e di buona fama », e la madre Vittoria de Caro. Cfr. G. Ceci, / Reali Edu-
candati femminili di Napoli*, Napoli, 1900, p. 10.
— 368 —
talmente che stava in opinione del più ricco ministro del suo
tempo. Onde quando fu avvocato fiscale di Camera, il duca di
Galvano, venuto in sua casa a rallegrarsene, il disse, colle sue so-
lite facezie, che da gran tempo il fisco non era stato così ricco,
come sotto di lui.
Fu però un uomo zotico e di genio tetro e niente accomodato
per la società civile; onde non volle mai ammogliarsi, dicendo,
né senza ragione, che se sua moglie fusse stata tale che avesse
piaciuto a lui, egli non avrebbe piaciuto a lei, e se egli fusse pia-
ciuto alla moglie, ella non avrebbe potuto piacere a lui ^.
Fatto reggente, per un indicibile abborrimento ch'ebbe al
viaggiare per mare rinunciò il posto, ed in suo luogo fu eletto
il reggente Brandolino; ma di là a pochi anni fu eletto di nuovo
reggente per Napoli, concedutosi ciò a' suoi meriti, senza obli-
gazione di andare in Spagna. Ma molto poco d'appresso morto,
non avendo chi lasciare erede della sua famiglia, fondò di tutta
la sua roba un monistero detto de' Miracoli di donne povere,
che si chiama anche oggi il monistero di Cacace, onde della sua
casa non vi è che parlarne ^.
§ 16. — Della casa del sig. reggente Tommaso Brandolino.
Tommaso Brandolino fu fiscale di Vicaria; fatto avvocato
fiscale della Camera, fu con esempio non altre volte praticato
promosso al supremo grado di reggente.
Era egli figliolo di Scipione Brandolino, che, d'avvocato in Na-
poli fatto Eletto del Popolo, fu poi consigliere ed indi ancor
egli reggente, morto in età assai giovane mentre se ne ritornava
da Spagna; ed il di lui padre dicono i Brandolini di Procida che
da Procida aveva trasferito il suo domicilio in Napoli. Avea que-
» Scrisse il Celano che lo conobbe, ed. Chiarini, V, 405 : « Era que-
sto grande uomo ricco di beni ereditari, che arrivavano al valore di due-
centomila scudi, quali accrebbe e con le sue fatiche nell'avvocazione, e con
la parsimonia fino alla somma di cinquecentomila scudi. Visse celibe e così
continente, che comunemente si stima che fosse andato vergine alla sepol-
tura come nacque. Era così amico del celibato, che a tutte le sue parenti,
che monacar si volevano, non solo dava la dote che bisognava, ma commode
sovvenzioni vitalizie. Fu gran custode della modestia del corpo, in modo
che fuor delle braccia e dei piedi non vi fu persona che poteva dire d'averne
veduta parte che vien coverta dalla veste. »
* Cfr. l'opuscolo cit. del Ceci.
gli avuto più figlioli; per lo primogenito, coir ordinario costume
degli uomini di farsi abbagliare dalla prosperità della fortuna,
avea ottenuto il titolo di duca di Melito, di cui poi ne' suoi
discendenti non ha mai servito farsi menzione; per lo secondo-
genito Giuseppe ottenne una piazza di consigliere in età di 27
anni, che poco dopo morì *; onde Tommaso, che fu il terzo, con
* Il BuccA, ms. X. C. 20, ce. 13-14. della B. N., scrive : « Sorse nella
nostra città, de l'ordine peròpopulare, Scipione Brandolino, il quale, datosi
a seguire il studio, in processo di tempo ne divenne buon dottore, e stato
alcuni anni avocato primario, procurò esser creato Eletto della sua Piaz-
za del Popolo. Con questa occasione, servendo il viceré e mostrando la sua
abilità, fu conosciuto per uomo meritevole, per il che ottenne in breve no-
mina in Corte, e fu creato presidente di Camera molto giovane. Visse in
questo posto molti anni, sì che arrivò ad essere decano. Fu sibene sempre
travagliato dalle podagre ; però del resto fu sempre in vita e morte felice,
e fortunatissimo in tutte le cose, et huomo da bene, e di gran letteratura;
fu sibene alquanto ritrosetto causatoli forse dal male. Vidde otto figli arri-
vati ad età perfetta e tutti bene incaminati : tre de' quali furono dottori.
Intanto la fortuna, che voleva portarlo più in su per darli maggior preci-
pìzio, fé' venire occasione dì haversi da eligere un regente persona dotta
ed intendente de' negozi di Camera per mandarci in Corte, mentre che il re
ne voleva conto e lo cercava. Per il che fu subito nominato et eletto lui, ben-
ché fusse di persona inabile e quasi cionco. Andò costui con nome di giusto
e dotto ministro, e fu molto ben visto et honorato da Sua Maestà, il quale*
per finire di sublimare Brandolino, in arrivare lì diede titolo di marchese
di Melito. Poco dipoi ne ottenne piazza di consigliere in persona di Giuseppe
suo secondogenito. Indi per stabilire meglio 1» casa sua si pensò che fusse
stato creato Eletto del Popolo di Napoli Gio. Batta Apicella suo carnai ne-
pote, a pena dottor di nome. Il quale, avendo esercitato l'officio costi po-
chi mesi, fé', benché poco lo meritasse, arrivare ad esser ancor luì creato con-
sigliero. Stava intanto questa Casa nel colmo della felicità, e, per maggior-
mente prevalere, Gioseppe, già consigliere, passato ad assistere nella Vicarìa
Criminale, giovane che non arrivava a 25 anni, essendo mancato il regente
di Vicaria, esercitava luì quel carico. Et infine non ci era a che più aspirare
essendo regenti il padre et il figlio in un tempo : cosa non successa mai per
l'adietro. Stava intanto in questa felicità e cercava di accasarsi, che lo ha-
veria fatto con grande avantaggio, quando non vi essendo dove passar più
avanti era forza tornar indietro, e così cominciò la fortuna a voltarli il ter-
go. Poiché, venuto a morte il regente, mentre per esser stato tanti anni offi-
ciale si credeva dovesse lasciar un tesoro perché sì era portato da christiano,
non lasciò a' figli quanto li fusse bastato a sostentarnosi. Saria questo colpo
Etato soffribile, poiché, rimasto Gioseppe giovane di spirito e tanti fra-
telli di buona aspettazione, quando havessero havuto appoggio, se ne poteva
sperar bene ; ma la fortuna, fastidita di sostentarli più, volle in tutto som-
370
aver avuto un padre reggente e un fratello consigliere fu obli-
gato avviarsi per la via degli uffici, e cominciò dal giudicato di
Aversa; e fatte poi diverse udienze, fu giudice di Vicaria e indi
avvocato fiscale del medesimo tribunale, posto che, esercitato da
lui per molti anni con somma lode ed integrità ed intrepidezza,
partorì l'odio della nobiltà.
Da fiscale di Vicaria passò a fiscale di Camera, ed essendo
intanto sopravvenute le rivoluzioni popolari, si trovò per sua
fortuna abitar negli quartieri de' Spagnuoli; onde dopo, quelle
quietate, avendosi da eleggere il reggente per Spagna, parve
al Consiglio d'Italia che da nessun avriano potuto avere le re-
lazioni de' passati moti e dello stato dell'Azienda Reale con mag-
giore dispassione, che da lui ; onde fu ordinato che prendesse
possessione di presidente, ed indi immediatamente si trasferisse
in Spagna reggente.
Il sig. Luigi Poderico, che si ritrovava in Spagna inviato dal-
la nobiltà per rappresentare i di lei servizi ne' passati tumulti,
stimandolo odioso del loro ordine, lo ricusò come sospetto, e scris-
se in Napoli alla Deputazione che avesse fatto istanza al sig.
viceré, che li avesse trattenuta la possessione; ciò che in cambio
di nuocerli li giovò, poiché il conte di Oiiatte, che per non averlo
nominato si supponeva che avesse poca volontà di dargliela,
avendo saputo che la Deputazione aveva da venire a suppli-
carlo per questo effetto, affinché non si ponessero in possessione
le Piazze d' intromettersi nell'elezione de' reggenti, il mandò a
chiamare, e credendo egli di essere chiamato per altro affare,
quando vide aprirseli la porta del Collaterale, volendo levarsi il
ferraiolo, sentì dirsi dal portiere : « Colla cappa, sig. reggente » ;
onde entrato se li diede subito la possessione; il che fatto, fu
licenziato il Collaterale. E mentre il reggente Capecelatro se ne
calava, non introdotto in quel tempo lo stile che li reggenti se
mergerli, poiché, venute a costui le bone, in pochi dì li tolsero la vita mo-
rendo per regente, con serrar affatto la via alle speranze ed al li concetti di
una casa da niente elevata alle stelle. Fu costui così huomo da bene, che di-
cono esser morto vergine, e non lasciò a' fratelli altra lieredità che un buon
nome senza un carlino di suo acquisto. E perciò restò la casp in tutto di-
strutta, povera e miserabile, e solo ricca di miserie, essendo rimasti sette
fratelli poverissimi senza spirito et senza aiuto : vero esempio della fragilità
delle humane grandezze che in un momento svaniscono ancor che siano
accumulate nel corso di molti anni, e con reiterati sudori male spesi. »
— svi-
ne calassero in sedia, incontrati i deputati per le scale, domandò
loro quello venivano a fare, ed intesolo, disse che se ne poteano
ritornare perchè la possessione si era già data ; onde poco dopo
se ne passò in Spagna.
Mase il padre similmente reggente si morì nel ritorno di Spagna,
egli se ne morì prima che partisse; e quel che accrebbe la sua di-
sgrazia fu un'infermità cagionatali, per quel che si disse, da' mali
de' giovani, che per non scuoprirla tralasciò di curare. E non
avendo avuto mai moglie, rimase Carlo ultimo dei fratelli, che
quanto fu pieno di bontà, tanto fu voto di ogni sorte di lettere;
onde per li servizi del padre e del fratello fu fatto fiscale della
provincia dell'Aquila, quale vive ancor oggi padre di più figlioli,
e per essere ultimamente entrato nella parte grossa del colleggio
de' Dottori ha rinunciato il posto per venirla a godere, rimasta
perciò la casa dopo due reggenti, un duca ed un consigliere
in nessuna estimazione e povera.
Donde può vedersi quanto i titoli, le toghe, le dignità anco
supreme siano inutili agli eredi, quando non sono accompagnate
dalle ricchezze, le quali non possono né onestamente acquistarsi
né acquistate conservarsi per altra strada, che per quella del-
l'avvocazione: la quale in questa casa, perchè mancò parte per
l'ambizione, parte per l'inabilità de' successori, facilmente si
ricondusse a niente, sicché oggi li Brandolini di Procida non si
riconoscono molto inferiori a quelli di Napoli.
§17. — Casa del sig. reggente Gio. Francesco Marciano.
Non succede già così della casa del sig. reggente Gio. France-
sco Marciano.
Questi fu figliolo del consigliere Marcello Marciano, il quale,
stato prima non men dotto che celebre avvocato, come dimo-
strano i due tomi de' suoi Consigli^, fé' acquisto di molte ric-
chezze; anzi, per non perdere il guadagno dell' avvocazione, aven-
do potuto essere molto prima fiscale di Camera ricusò di esserlo.
Onde è Ama che il viceré di quel tempo dicesse: Marcello Mar-
ciano non quiere ser reggente.
Fabbricò il suo nobil palagio nella strada di Costantinopoli 2,
e, casato il figliolo nobilmente, l'avviò per l'anzidetta strada del-
' Consiliorum sive Juris responsorum, Napoli, 1636-46.
2 Sul palazzo Marciano cfr. Celano, ed. Chiarini, III, 49.
— 372 —
r avvocazione, nella quale riusci non men dotto del padre, come
si vede da' due tomi delle sue Disputazioni ^ come che non
avesse molta eloquenza ; onde fu assai più stimato nello scri-
vere che nel parlare.
Così potè mantenere la casa nel medesimo stato, supplendo
col guadagno delFavvocazione alla diminuzione della roba la-
sciatali dal padre cagionata dalla mutazione de' tempi; ed aven-
do casato il figliolo con una nobilissima signora di casa Castriota
e con buona dote, l'inviò similmente per l' avvocazione, ben co-
noscendo che la casa non avea da conservarsi con altri mezzi
che con quelli, co' quali egli e il padre l'avevano fondata.
E benché non trascurasse il pensiero di nobilitarla, né lo pro-
curò per mezzo de' titoli e di altre vanità; ma, fattosi da' no-
bili della città di Scala reintegrare a quella nobiltà, procurò di
ponere per fra Andrea suo secondogenito, che oggi vive l'abito
di Malta. E poco dopo fatto reggente, sopraggiunto dalla
morte, non godette il reggentato, né le congratulazioni degli
amici. Lasciò però la casa bene accomodata, ed il figliolo erede
non men della virtù, che della speranza paterna. Onde poco
dopo il vidimo consigliere in età assai giovane ed indi fiscale di
Camera e reggente ; e benché prevenuto dalla morte in Spagna
che poco potesse godere il reggentato 2, lasciò però il figliolo
D. Francesco che oggi in atto é consigliere, con speranza di per-
venire al terzo reggentato. Onde la casa si é andata per lo spa-
zio ormai di cento anni piuttosto avanzando che mancando di
estimazione ^.
^ Disputationum forensium, Napoli, 1654.
2 Cfr. Avvertimenti, § 26.
3 Scrive il Confuorto, ms. XX. B. 28, della S. S. N., ce. 61-62: « Questa
famiglia [dei Marciano] venne in Napoli nelli primieri anni del secolo pre
sente [sec. XVII] con la perdona di Marcello dalla terra di Durazzano [prov.
di Benevento]; il quale, essendo divenuto non imperito nella scienza legale
nella quale s'era applicato, postosi poi ad avvocare ne' Regi Tribunali.-
riusci famoso dottore ed avvocato, onde da S. M. ottenne cedola nel 1623
di R. consigliero del Consìglio di S. Chiara di Napoli, e tre anni prima, cioè
nel 1620, fu uno de' Mastri popolari della Santa Casa A. G. P. di Napoli.
Hebbe per moglie donna di casa Vitale di quei della Cava, colla quale ge-
nerò un figliuolo detto Gio. Francesco, ed alcune f emine... Gio. Francesco,
avendo seguitate le vestigia paterne, divenne anch'egli peritissimo nelle
leggi. Compose due volumi di Controversie, che diede alla luce del mondo
colla stampa, come altresì Marcello suo padre n'avea dato due de' Consi-
373
§ 18. — Della casa del sig. reggente Tommaso d' Aquino.
In luogo del reggente Marciano fu creato reggente il consi-
gliere Tommaso d'Aquino, assai vecchio e non molto agiato
nei beni di fortuna.
Questo era della nobilissima famiglia degli Aquino di Casti-
glione ; ma di un ramo molto prima disseparatone; onde, non
avendo modo di vivere con decoro corrispondente alla nobiltà
della nascita, si diede così egli come il fratello Landulfo alla pro-
fessione della legge ^.
Procurò nel principio andare uditore nella provincia di Lecce,
come anco il fratello andò uditore in quella di Chieti, dove si
caso con una signora di casa Valignani 2, famiglia, senza contro-
versia, in quella città la prima e forse nella provincia ; ma l'uno
e l'altro conoscendo forse quella strada male adattata per lo
loro bisogno, ritornati in Napoli, si applicarono all'avvocazione.
Non vi fecero gran fortuna, ma questo bastò per sostenerli,
e Tommaso, ch'era il primogenito, fé' acquisto di mediocre fa-
coltà, e non avendo figlioli ^ si elesse per suoi eredi uno de' fi-
glioli del fratello ^.
gli. Fu promosso anch'egli al ministerio, essendo stato creato nell'anno 1645
R. consigliero, indi nel 1655 regente della R. Cancellaria; ma non potè go-
dere della suprema carica, per avellila Parcp rotto lo stame vitale ne! me-
desimo anno. Fé' reintegrare la sua famiglia nella città di Scala della nobi-
lissima costiera d'Amalfi, facendo apparire non so come che in tempo antico
vi era stata ; il che non era difficile maxime a ministro della sua qualità
di far constare. Si congiunse in matrimonio con donna della nobil famiglia
Saracino di Lecce, colla quale procreò Marcello [vedi appresso], Andrea, che
prese l'abito militare della Religione di Malta con meravigUa di tutti per
le sue prove passate di nobiltà, Giuseppe, che si fé' religioso Gesuita, e Gio-
vanni, che pria prese l'abito Gerosolimitano, indi si fé' prete sacerdote del-
l'Oratorio di S. Filippo Neri, ed al presente che noi scriviamo è proposito
di detta Chiesa, ed è soggetto di molta stima, et in particolare appresso il
cardinale Cantelmo. »
» Furono tutti e due figli di Alessandro e di Beatrice Recco, e discende-
vano da un ramo laterale dei signori di Castiglione. Cfr. Scandone, La fa-
miglia D'Aquino^ in Litta, Famiglie celebri ilaliane, serie II, Napoli, 1905,
tav. XXXV e XXXVl.
* Landolfo sposò il 14 aprile 1628 Violante Valignani di Alfonso.
'* Tommaso sposò il 29 aprile 1629 Costanza Siscara di Carlo.
• Antonio (1632-1692), figlio di Landolfo .
— 374 —
Fatto consigliere, visse molti anni con fama di molta integrità,
onde finalmente fu fatto reggente ; ma appena acquistata quella
dignità, con fatto molto differente a quello del reggente Mar-
ciano, si morì nel contagio del 1656; rimasta per esso la casa piut-
tosto povera, che tutte le speranze rimasero appoggiate a D.
Luigi figliolo di Landulfo, che, applicato similmente all'avvoca-
zione, dava indizi di dover riuscire, se per la morte del zio e del
padre non si fusse quasi arrestato nel principio della sua carriera^.
Ma la fortuna, ciò che per una strada li tolse, glielo rendè
centuplicatamente per un'altra. Poiché essendo stato ucciso il
principe di Castiglione ^ senza eredi mascoli, e rimasta la prin-
cipessa vedova assai giovane ^ ch'era l'erede dello Stato, ri-
solse di maritarsi con D. Luigi, per non far uscir la grandezza
dalla famiglia : si risolvè così persuasa dalla principessa * sua
madre, eh' era della medesima casa, e di cui D. Luigi era avvo-
cato. Il quale così, d'avvocato divenuto principe di Castiglione,
portò nello stato di principe il giudizio e la frugalità della vita
* Luigi fu il primogenito dei quindici figli di Landolfo. Di lui così scrive
lo ScANDONE cit., tav. XXXVI: «Nacque V8 maggio 1629. Ixi un docu-
mento del 15 febbraio 1664 ci si presenta come « il magnifico dottore in utro-
que iure Aloisio d'Aquino di Napoli, di anni 34 circa ». Abitava nella piazza
di S. Domenico Maggiore nella casa dì proprietà della principessa di Casti-
glione e Pietraelcina, che quattro anni di poi divenne sua moglie, vedova
da pochi mesi del principe di Pietraelcina. Egli fu dedito non solo agli studi
e alla toga, ma anche alle armi. Ancora giovinetto nella sommossa di Masa-
niello, insieme con lo zio si battè per gli Spagnuoli, e assistè all'entrata in
Napoli di D. Giovanni d'Austria, che poi lo ebbe molto caro per il suo va-
lore. Quando insorse Messina, a lui fu dato il comando della difesa delle co-
ste Calabresi, dal capo di Tropea ad Amantea, e potè liberare Castiglione
a cui i nemici avevano posto l'assedio Dopo il 1687, quando il figlio Tom-
maso, principe di Feroleto, sposò la figlia del duca della Mirandola, chiese
al re di esser aggregato al seggio di Porto, cui erano stati ascritti i suoi con-
giunti Cesare, principe di Pietraelcina, e il fratello di lui, Girolamo, trapas-
sati senza lasciar figliuoli maschi. Morì nel 1697. »
" Cesare d'Aquino, principe di Pietraelcina, ucciso il 26 marzo 1668 da
Ramiro Ravaschieri perchè gli aveva negato la mano della primogenita:
cfr. ScANDONE, tav. XXXIII.
=» Giovanna Battista d'Aquino, tìgha di Cesare III principe di Casti-
ghone ; aveva sposato Cesare il 20 aprile 1651 : era nata a Nicotera il 27
giugno 1638; rimase vedova, perciò, a trenta anni: cfr. Scandone, tav.
XXXV.
* Laura d'Aquino, figlia di Tommaso princ. di S. Mango : cfr. Scan-
done, tav. XXXII.
— 375 —
privata ; onde attese ad accrescere l'azienda, maritò due figliole
del morto principe, l'una col duca d'Ielsi Carafa ^ e 1' altra col
marchese di Casalbore Caracciolo ^; e, divenuto padre di più fi-
glioli ^ caso il primogenito con una figliola del duca di Miran-
dola ^ con cui acquistò la parentela di quasi tutti i principi di
Altezza d'Italia ; sicché oggi la sua casa è una delle più illustri,
non meno che delle più ricche case del regno.
§ 19. — Progressi da me fatti tra questo mentre nella legge come
nella via delle scienze e principio di miglioramento di fortuna
nella nostra casa.
Io intanto, dopo che fui dottorato, secondo quel che avea in-
teso essere stato solito osservarsi dagli antichi avvocati, mi ap-
plicai allo studio Camerario de' Testi, Glossa e Bartolo, sceltomi
il quarto libro del Codice per apprendere la maniera de' con-
tratti, della quale stavo affatto digiuno; e vi aggiunsi la lettura
di Paolo di Castro ^ che mi parve più conclusiva del medesimo
Bartolo; e mi parve allora la legge una cosa talmente nuova
sicché tutti quei cinque anni, ne' quali non avea fatto altro che
scrivere e trascrivere una infinità di lezioni, delle quali teneva ri-
piena una gran cassa, non mi aveva servito per altro, che per
produrmi un desiderio d'impararla.
Mi trattenni un anno a quello studio, col quale mi assuefeci a
studiar le materie continue e pei loro principi, con legger prima
di ogni altra cosa tutti i testi che parlavano di quelle materie ;
onde non potei mai accomodarmi all'uso introdotto in quei tem-
pi da' giovani, di studiar gli articoli di materie disparate l'una
» Antonia (1656-1717) il 23 giugno 1672 spoj^ò Mario Caìafa, duco
di Jelsi- cfr. Scandone. tav. XXXIII.
^ Caterina (n. 1657), nel 16T0 sposò Marcello Caracciolo march, di Ca-
salbore e princ. di Terranova ; ed in seconde nozze il 19 marzo 1699 Dome-
nico di Sangro princ. di Castelfranco : cfr. Scandone, tav. XXXIII.
» Lo Scandone, tav. XXXVI, ne ricorda solo due : Carlo Tommaso,
chierico, morto giovanissimo, e Tommaso.
« Tommaso, princ. di Castiglione, di s. Mango e di Feroleto, duca di Ni-
castro (1669-1721), sposò il 29 novembre 1687 Fulvia Pico della Mirandola
(1663-1691), figlia del duca Alessandro II e di Anna Beatrice d'Este : cfr.
Scandone, tav. XXXVI.
• Celebre giureconsulto, morto alla metà del sec. XV. Il Cujacio soleva
dire : Qui non habet Paulum de Castro tunicam vendat et emat.
— 376 —
dall'altra colle Decisioni del presidente de Franchis S nelle qua-
li pareva che allora si credesse consistere tutto il sapere per lo
caso del Foro. Onde dal presidente Orsino 2, che fu gran giure-
consulto e sommamente testuale, erano chiamati i nostri avvo-
cati: letterados de Vincentio de Franchis.
Cominciai indi a venire in Consiglio col nostro sig. padre ed
a studiare gli articoli che occorrevano nelle sue cause, e la prima
allegazione, che stampai, fu sopra un articolo che eccitossi in
una causa del principe di Casalmaggiore, se l'interesse di più an-
ni poteva eccedere il doppio della sorte principale. Articolo che,
per non essere ancora stato impreso nel S. C, e da me disputato
con tutti li testi che parlavano della materia e con tutti gli au-
tori eruditi, de* quali anco procurai d'imitar lo stile, diede molto
che parlare, non meno ai ministri che a tutti gli avvocati ; tal-
mente che il consigliere Arias de Mesa, che, cattedrario di Sa-
lamanca, era venuto pochi anni prima in Napoli per consigliere
e leggeva ancor la prima cattedra ne' nostri Studi, disse che
quello era il primo papel che aveva veduto in Napoli secondo
la vera maniera di doversi disputar gli articoli; e che io l'aveva
appresa da lui, inanimandomi a continuarla.
Onde non molto dopo ne feci un altro, che mi costò assai più
fatica, e di maggior importanza, nella causa del principe di Pie-
traelcina col duca di Acerenza circa la risoluzione del contratto
della vendita di Giugliano ^ in risposta dell' allegazione con-
traria fatta dal sig. D. Giulio Caracciolo, che tutto consiste in
intelletti di testi, secondo l' interpetrazione di Cujacio e degli
altri eruditi, non discompagnati dalle comuni tradizioni de' dot-
tori, che, per esser cosa che non avea come l'altre l'uso di giu-
»
* Vincenzo De Franchis, Decisiones Sacri Regii Consilii, Venezia
1580.
2 Pietro Giordano Orsino, « il più eminente et elevato spirito che sia
tra i ministri della Corona di Spagna, alla quale ha servito là medesimo in
tanti carichi, nei quali ha sempre dimostrato l'eccellenza della sua persona,
nobiltà e sapere, col quale pare a me che sopravanzi l'esser homo, e che hog-
gi tiene in tanta Maestà il Tribunale del Consiglio, dove con la sua bontà
et esquisitezza di sapere e di valore è fatto ammirabile » : Capaccio,
pp. 596-97.
^ Galeazzo Pinelli duca di Acerenza nel 1639 vendè Giugliano, oggi inj
prov. di Napoli, a Cesare d'Aquino principe di Pietraelcina. Per le poste-
riori vicende della terra cfr. A. Basile, Memorie storiche della terra di\
Giugliano, Napoli, 1800, pp. 128-131.
— 377 —
dicare in contrario, fu assai più applaudita. Sicché io fui il pri-
mo che introdusse in Consiglio V uso di disputare gli articoli se-
condo i veri principi della giurisprudenza, che fece sentire nei
nostri Tribunali il nome di Cujacio e degli altri eruditi, appli-
cando la loro dottrina all'uso del Foro. E dell'una e dell'altra al-
legazione ne stampò poi più capitoli il sig. Cariantonio Moccia
nella sua Silva S e della seconda ne fa menzione il consigliere
Staibano nel secondo tomo ^.
Né solamente introdussi questo stile nello scrivere, ma anco
nel difendere le cause in Ruota ; poiché, giunto all'età di venti
anni, cominciai a difendere le cause, e la prima fu una causa de'
Quatini di terra di Bari contro un laudo di Cario Maranta da
lui stampato nel terzo tomo delle sue Controversie ^ che con-
sisteva tutto in articoli legali cavati da' più intimi penetrali del-
la giurisprudenza, come può vedersi dallo scritto nel primo vo-
lume delle mie allegazioni'*; quale, avendola parlata lungamente
alla presenza del presidente Marchese ^ che a caso si trovò,
mi ascoltò con un'attenzione straordinaria senza mai tormi l'oc-
chio da sopra e senza interrompermi una parola, cosa insolita
a lui, che non faceva molto applauso agli avvocati, particolar-
mente quando si entrava in articoli legali. Onde, avendola gua-
dagnata, disse egli la sera alla conversazione che si teneva or-
dinariamente nel quarto del sig. Bernardino Belprato ^ nel
palagio da lui abitato del sig. principe di S. Severo, che io sa-
rei riuscito il primo avvocato del Consiglio, come il signor Ce-
sare Gallucci, che si trovò presente, ne diede immediatamente
contezza a nostro padre, congratulandosi seco ; onde per tutto
quel tempo che io stiedi in Napoli, mi continuò sempre i mede-
simi favori.
Ma non avrei io già potuto dar tal saggio de' miei talenti, se
non mi fusse prima almeno in parte liberato da quella grossa
ignoranza, nella quale mi avevano i miei direttori tenuto di tutte
'■ Moggia, Silva casuum forensiumt Napoli, 1649.
* Staibano, Resolutionumforensium centuria II, Napoli, 1719,risol. 185.
•^ Maranta, Controversarum juris utriusque responsionum in Foro caus-
sariim Ecclesiastico praesertim discussarum, Napoli, 1643, t. U.
* Il D' Andrea cita una raccolta delle sue allegazioni, che non mi è
stato possibile trovare.
» Andrea Marchese, pel quale cfr. Avvertimenti, § 10.
* U marchese D. Berardino Belprato è ricordato dal Capecelatro, Dia-
rio, III, 12 ; e Annali, p. 206.
Anno XLV. 25
— 378 —
le buone lettere ; di che non ebbi obligazione che a me mede-
simo ; poiché, per lo gran diletto che provava nel leggere Ti-
storia, procurai di leggere tutti gli istorici così latini, come greci,
tradotti in latino, ed anco l'istorie favolose, come T Iliade, V O-
dissea d'Omero, ed in somma ogni altra cosa che avesse appa-
renza di istoria; con che, fattomi familiare la lingua latina, potei
facilmente intendere il vero senso de' nostri testi e gli autori
eruditi che l'interpetrano, poiché l'intendea senza fatica e niente
meno che se avessero scritto in italiano.
Mi adornai con questa occasione l'animo dell'erudizione degli
antichi ; onde non vi fu quasi libro toccante all'erudizione de-
gli antichi ed anco allo studio critico che io non procurassi di
leggere; e come la maggior parte de' libri me l'imprestava il sig.
D. Ottavio di Felice \ un vecchio assai erudito e molto affezio-
nato della nostra casa, mi disse che per goder meglio dell' istorie
saria stato bene far qualche studio nella Geografia. Onde mi
diede a leggere Tolomeo con la geografìa del Mancino, il quale
studiai ex professo con qualche notizia della sfera, che fu la pri-
ma disciplina che mi aprì la mente alla cognizione di questo
globo che abitiamo e di questo gran tetto che ci copre, scienza
che sempre stimai dover essere la prima a prendersi per sapere
che era questo mondo nel quale viviamo, e non abitarci come
peregrini senza saperne i confini, né la struttura.
Aveva egli consumato tutta la sua vita nello studio della lin-
gua greca e della filosofia morale di Aristotile ; onde mi per-
suasi a studiar l'una e l'altra; ma nella lingua greca poco mi ci
applicai, e quel poco che ne appresi poco dopo me lo scordai ;
ma nell'Etica d'Aristotile ci ebbi maggior diletto, per poter di-
scorrere nelle conversazioni da filosofo dei vizi e delle virtù, non
facendovi però altra fatica, che tradurre il testo in lingua ita-
liana, con che cominciai anche ad assuefarmi a comporre nella
nostra lingua.
Cominciai con ciò a perdere in parte quella diffidenza che
avea di me stesso per riconoscermi nudo di tutte le discipline,
poiché tra gli altri miei coetanei mi parca che ancor sapessi
qualche cosa più di loro ; ma l'obhgazione maggiore l'ebbi poi
dalla familiarità che contrassi col signor Camillo Colonna zio
1 Ottavio de Felice è ricordato anche dal Bouchard, ed. Marcheix,
p. 100, Era « un bon petit homme qui s'était mis à étudier sur le tard », e
voleva dimostrare che l'Iliade era un'allegoria politica.
— 379 —
del sig. principe di Gallicano, che era un signore dotato d'un
intendimento così sublime, che parca che trascendesse la con-
dizione degli altri uomini. Sicché poteva commemorarsi tra gli
eroi, il quale, coli* occasione che abitava alle Mortelle, vicino
al giardino del sig. Ciccio Porzio ^ dove io solca spesso an-
dare, avendomi un giorno menato da lui il signor D. Cesare della
Marra, di chi era compadre, ebbe tal gusto di conoscermi, e mi
prese tal' affetto, che mi stimò degno d'introdurmi in un'accade-
mia letteraria, che era fatta ogni settimana in sua casa, nella quale
esponeva all'esame di vari letterati e particolarmente religiosi
di tutti gli ordini alcune sue speculazioni circa una nuova filo-
sofia che intendeva formare, non gran fatto molto dissimile da
quella che oggi chiamano atomista ; onde, sentendo io quelle
alterazioni che si facevano da' frati circa la creazione ex nihilo
e circa i principi delle cose naturali, con quei loro termini sco-
lastici che, per parlarsi in italiano, erano obbligati lor malgrado
esplicare con parole più intelligibili, e coi continui discorsi che
ne faceva con me il signor D. Camillo, mi accorsi in breve tempo
che quei termini astratti non erano che puri concetti della no-
stra mente, ma non avevano niente di reale ; sicché la filosofia
delle scuole, alla quale han dato il nome di peripatetica, non era
che un giuoco di parole per parere dotti appresso il volgo, il qua-
le stima sempre più quelle cose che meno intende, ma che per
verità, non essendo cose intelligibili dall'umano intendimento,
1 II Celano, ed. Chiarini, IV, 566 sgg., parlando delle Mortelle, non
ricorda il giardino del Porzio, né il palazzo del Colonna. Parla però di quello
del D'Andrea, che il nostro si fece costruire dopo: la prima ediz. del Celano
è del 1692;ed è descrizione che vale la pena rileggere, perchè oggi non
esiste più l'oggetto. Sorgeva ove sono le rampe Brancaccio ed era» biz-
zarrissimo », « eretto col disegno del suo ingegnosissimo padrone >. < Questo,
ancorché non finito, mostra un'architettura che più bizzarra e nobile desi-
derar non si può. Non parlo poi del sito, perchè non so se la natura possa
formarne uno più dilettoso ed ameno; perchè oltre alla bontà dell' aria che
più perfetta desiderar non si può, soggetta al dominio della sua vista una
parte più bella del nostro cratere con tutti i luoghi che li fanno riviera ; e
dall'altra parte tutte quasi le nostre fertilissime colline di S. Ermo, dei Ca-
maldoli e di Posilipo. Vi ha situati ben coltivati giardinetti ; ed acciocché
in essi non manchi ogni delizia, vi si vedono capricciose fontane che pren-
dono le acque da alcuni pensili cisternoni che paiono opre dei Romani; ed
in uno di questi giardini si vedono le piante del pepe che danno frutti ,
cosa curiosai »
-- 380 —
il quale non può intendere quello che non conosce per mezzo
del senso, non erano intese ne meno da quei che T insegnavano^.
Toltomisi perciò il maggior ostacolo che mi pareva di aver
per lo difetto della filosofìa, mi rimanea ancor quello che, per
non aver studiato rettorica, non mi fidava di fare alcune fun-
zioni pubbliche in materia letteraria: dal che anco me ne liberò il
sig. D. Camillo con assicurarmi che in pochi giorni mi avrebbe
fatto divenire un grande oratore. Onde, datomi alcuni precetti
particolarmente circa lo stile con la notizia di buoni autori, mi
inanimò anco a leggere i nostri poeti, scoprendomi le bellezze
del Petrarca, di cui era adoratore, benché poi nel componere
fusse più tosto imitatore dello stile del Gasa; sicché facilmente
conobbi l'arte oratoria non essere così diffìcile come 'io pensavo,
benché circa la poesia le muse mi fussero così poco propizie che,
ancorché sentissi gran gusto nel leggere i buoni poeti, non mi
conobbi mai abile a componere un verso.
Quindi, preso già animo, in una solennità che si celebrò nella
nostra congregazione di S. Ivone, nella quale si usava in quel
tempo che un giovane della medesima congregazione facesse
l'orazione in lode dell'Istituto, non ebbi diffìcultà di accettare
il peso, cosa che' non mi era mai fìdato di fare dal principio, ed
avendola fatta con tutti li precetti dell'arte e pienissima di eru-
dizione, nella quale il medesimo sig. D. Camillo mi fé' 1' onore
di voler intervenire, mi riusci di maggiore plauso di quel che
avrei saputo desiderare, e fu la prima funzione pubblica che io
facessi.
Onde nell'occasione poi che nacque qualche tempo appresso
di trattarsi in Collaterale la causa della medesima Congregazione
coi PP. Gesuiti, che volevano fare l'altra del medesimo istituto,
alla presenza del sig. duca d' Arcos, mentre 1' avvocato che
portava per noi il peso della causa quella mattina non vi si trovò,
e mentre nessuno degli avvocati della Congregazione, che si
trovavano in Collaterale per altri affari, ardì d' opporsi al discorso
che con gran pompa d'eloquenza fu fatto dal consigliere Prato
allora avvocato ed in lìngua spagnola, io solo non diffìdai di
risponderli improvviso, ributtando parte per parte tutto il di
lui discorso, tutto con autori non meno politici che giurecon-
sulti e gran copia d'erudizione, perchè avevo scritto nella causa;
Della filosofia « colonnese » abbiamo parlato neirintroduzione.
— 381 —
sicché non solo ne portai la vittoria, ma riuscì quella 1' azione
per me più gloriosa che facessi in mia vita \
Per premio di questa vittoria il duca d' Arcos volle onorarmi
del posto di avvocato fiscale della provincia di Chieti; qual,
mentre tutti gli amici dissuasero mio padre di farìo accettare,
perchè non lasciassi l'avvocazione colla quale dicevano che
non avrei potuto non ingrandire la casa, nessuna cosa m'indusse
tanto ad accettarlo quanto il vedermi sfornito di tutti quei mezzi
necessari alla professione per poterla fare con decoro, mentre quei
pochi negozi che nostro padre teneva, per la sua naturale mo-
destia e per la poca attitudine che ebbe sempre in far danari,
poco li rendevano, ed anco perchè, essendo il viceré venuto di
fresco al governo, si considerava che avrebbe avuto tempo di
avanzarmi a posto maggiore.
Ma svanì bentosto questa speranza, quando, sopravvenute
pochi mesi dopo le rivoluzioni popolari, il sig. duca d' Arcos
fu obbligato partirsi dal regno, patendo, come egli diceva, le pene
delle colpe dei viceré che erano stati prima di lui ; onde, essen-
domi sopravvenuto il proprietario da Spagna, mentre io non
vi era che per Vinterium, e fu il sig. D. Girolamo Natale, padre
dell' odierno sig. D. Cesare consigliere ^ me ne ritornai in Na-
poli nel mese di novembre 1648. Non mi fu però del tutto inu-
tile l'andata in Abruzzo per la cognizione delle scienze ; poi-
ché, mentre per la rivolta seguita nella città di Lanciano, mi
ebbi a trattenere un mese al governo di quella città, abitando
nel convento dei PP. Agostiniani mi venne a caso in mano una
logica manoscritta ; onde mi eccitò subito la curiosità di ve-
dere che cosa era questa logica che faceva tanto rumore nel
mondo, e senza la quale si diceva non potersi apprendere alcu-
na scienza, e vidi che, tolte le formole di argomentare per Teser-
citazione della scuola, era una cosa non necessaria, potendo al
tutto supplire la logica naturale, o che forse era meglio a pren-
derla dopo ingravidata prima la mente della cognizione delle
cose, dovendosi prima fare l'apparato delle cose e poi imparare
il modo di disporle, e che si potea imparale in pochissimi giorni.
E poi nella rivolta della città di Chieti, convenutomi stare due
* Sulla causa cfr. Cortese, La Congrefl'az/one di S. Ivone cit., in ìs'afioli
Nobilissima, n. s. I, 1920, pp. 33-35, e l' introduzione.
* Su Cesare Natale cfr. Auoertimenti, § 2.
— 382 --
mesi ritirato presso i PP. delle Scuole Pie \ lessi tutte le opere
di Cicerone, che stavano ivi in una libraria picciola, e partico-
larmente le filosofiche, e vi ritrovai ancora un volume mano-
scritto delle quistioni filosofiche del P. Campanella, che mi
piacque tanto che me lo feci dare da' Padri quando partii per
Napoli, che fu nel settembre del 1648 ^.
1 Scrive il Ravizza, Collezione di diplomi e di altri docc. de' tempi di mez-
zo e recenti per servire alla storia della città di Chieti^ Napoli, 1833, II, 135:
* La Religione de' Chierici Regolari delle Scuole Pie, fondata da 5?. Giuseppe
Calasanzio, di nazione Spagnuolo, tu l'ultima a comparire nelle mura, la
più utile in vero pel loro istituto, ma ncgligentata negli ultimi tempi. Nel-
l'anno 1636 essi furono invitati in Chieti. Le scuole furono aperte nell'anno
1640. Gfr. inoltre G. Nicolino, H istoria della città dz C/j?'c/z, Napoli, 1657,
pp. 257-58.
2 Non è il caso di dire qui tutto ciò che il D' Andrea facesse in
Abruzzo durante la rivoluzione di Masaniello. Egli stesso lo raccontò
in una sua Relazione de' servizi fatti nel tempo eh' esercitò il posto di
avvocato fiscale nella provincia di Abruzzo Citra, e particolarmente di tutto
ciò che da lui si operò in servizio di S. M. mentre durarono le rivolu-
zioni populari, cominciate in Napoli nel dì 7 di luglio 1647 et estinte
nel dì 6 di aprile 1648 sotto il Presidato del sig. D. Michele Pigna-
tello preside e governatore delle armi, in quel tempo, di ambedue le Pro-
vincie di Abruzzo , s. n, t., di ce. 26 ; per la quale vedi V introdu-
zione. Per errore tipografico, nell' introduzione si legge che essa fu
stampata in Napoli nel 1628; il D 'Andrea la diede alla luce soltanto
parecchio dopo il 1648, ed anche dopo il 1682, allorché molti lo accusarono
di esser parente ed anche di esser lo stesso Francesco d' Andrea che aveva
preso sì viva parte alla rivoluzìon di Masaniello. E così conchiudeva
la sua interessantissima memoria : « Così il suddetto Francesco d' An-
drea, dopo ritornato da Abbruzzo, fece in Napoli nell' avvocazione e
in altri ecercizij letterarìj quella figura eh' è nota al mondo. E ben-
ché, per tutto il tempo della sua vita, havesse seguitate le medesime
massime, più adattate veramente agli antichi secoli, che a quello, nel
qual viviamo, di non far conto dell' applauso volgare. Onde anche in cose
di assai maggiore importanza, ordinateli da' Signori Vice Ré, per servi-
zio di S. M. e da lui eseguite, in quel miglior modo, che gli è stato
permesso dalla sua abilità, non sol non n'ha mai preteso alcun premio,
ma in qualche scrittura data alle stampe, in servizio di S. M., e non
ricevuta senza lode, non vi ha posto neanche il suo nome. Ad ogni
maniera, come non tutti i tempi comportano un medesimo tenor di
vivere, e tal cosa può succedere air huomo, per costante che sia, nel
lungo corso di una vita, che senza nota d' incostanza, 1' obblighi a
mutar sentimenti, ha stimato, quando già di queste cose parca per-
— 383 —
Ritornato dunque a Napoli, ritrovai che nostro padre, quale
durante le rivoluzioni si era con tutta la casa trasferito in Ra-
vello, era già ritornato ed abitava insieme con mio fratello nel-
la casa grande del sig. Mario Rota ^ al vico del Fico, di dove
per migliorare di sito stimai dovessimo passare in quella del si-
gnor principe di S. Severo, che fa penisola intorno al suo pa-
lagio grande nella strada della Pietatella^, dove, avendo assunto
con carico la causa del sig. principe di Cassano contro il sig.
principe della Roccella per la consecuzione del prezzo della
Grotteria ^ che fu una causa assai celebre, avendo avuti per
contrari Bartolomeo di Franco con altri avvocati primari del
Consiglio, vi feci più allegazioni in jure ed in fatto, e finalmente
la guadagnai, e cominciai a crescere di clientela e di fama.
Onde, essendo già in questo mentre ritornata in Napoli la no-
stra signora madre, col palmario di quella causa e con altri negozi
portatimi d'Abruzzo feci la compra della massaria di Posilipo,
che fu la prima compra che da me si facesse per due mila du-
cati, con indicibile contento della signora madre, alla quale parve
che quello fusse il principio di miglior fortuna.
Non lasciavo per tanto di attendere anche allo studio delle
belle lettere e di altre scienze. Onde, venuto in Napoli da Roma
l'anno 1649 il nostro signor Tommaso Cornelio, a cui la nostra
città deve tutto ciò che ancor oggi si sa di più verosimile nella
filosofìa e nella medicina, io fui il primo che abbracciassi quella
maniera da lui propostami di filosofare, con far venire in Napoli le
opere di Renato des Cartes, di cui sino a quel tempo n'era stato
a noi incognito il nome. E, restituitasi nel medesimo tempo l'ac-
cademia degli Oziosi sotto il governo del signor duca di S. Gio-
(luta la memoria, di rinovarla al mondo. Perchè possa servire per
oddisf azione de' posteri, e perchè in nessun tempo la verità possa
rimanere offuscata dalla viltà dell'altrui malignità o della bugia.
1 Su Mario Rota cfr. Avvertimenti, § 4.
* La strada della Pietatella corrisponde all'attuale vicolo S. Severo:
si chiamava così perchè vi sorge la Chiesa di S. Maria della Pietà, allora
volgarmente detta « la Pietatella », fino a vari anni fa unita con un ponte,
o[»gi caduto, al palazzo Sansevero. Cfr. Celano, ed. Chiarini, III, 442.
' Il march. Gaspare Aragona de Ajerbis, avendo avuto dalla moglie D
Girolama de Curtis il principato di Cassano in Puglia, vendè il feudo di
<^rrotteria (prov. di Reggio Calabria) al march. D. Vincenzo Carafa principe
«Iella Roccella nel 1630: cfr. D. Lupis- Crisafi, Cronaca di Grotteria, Ge-
lace Marina, 1887, pp. 146 e 251.
— 384 —
vanni, tra le molte orazioni che vi feci due furono le più celebri,
che per le loro novità diedero molto che dire, e forsi incontrai
rodio di molti; nell'una delle quali dimostrai che per essere per-
fetto giureconsulto bisognava aver anco la notizia di tutte le
altre scienze, e nell'altra, mostrando di scherzare, dimostrai su
quanti deboli fondamenti si appoggiasse la volgare filosofìa, e
quanto dovesse per conseguenza esserli preferita la novella ma-
niera di filosofare ^.
Ma, sopravvenuto pochi anni dopo il contagio, tutti questi
studi bisognò lasciare, onde io fui de' primi a partirmi da Napoli
assieme col sig. principe di Gassano, che mi menò seco nel suo
stato di Alessano nella provincia di Lecce; e nostro padre assieme
col sig. reggente, che allora non so se avesse compiuti quattor-
dici anni, si ritirò di nuovo in Ravello, dove pochi mesi prima si
era portata la nostra signora madre per ricevere dall'aere nativo
alcun sollievo ad una grave indisposizione. Donde non ritornam-
mo in Napoli che di là ad un altr'anno, quando io, ritirato d'A-
lessano, mi portai in Ravello, donde ce ne venimmo in Napoh.
Qui avea fatta prender la casa del Monte della Monica incontro
la porta piccola di S. Domenico, alla quale io poi unii l'altra casa
attaccata del medesimo Monte, che avea l'entrata dalla strada
Maestra \ rompendo il muro che divide le due entrate e li due
cortili, sicché riuscì un'entrata ed una abitazione assai cospicua.
E, ritrovato morto gran numero di avvocati particolarmente de'
giovani, crebbi in brevissimo tempo in gran numero di clientela,
sicché mi posi in posto di avvocato primario, e la nostra casa
cominciò a fare altra figura di quella che avea fatta sino a
quel tempo ^.
^ Vedi l'introduzione.
» La strada « maestra » dev'essere l'attuale via Forcella. La « porta pic-
cola » di S. Domenico è quella che dà sulla piazza omonima.
' Scrive C. F. Riaco, // giudicio di Napoli, Perugia, 1658, pp. 221-22 :
« Certo se v'ha città nel mondo in cui si professino in grado eminente le scien-
ze legali, Napoli è quella a cui s'attribuisce il primato, e perciò allieva in
essa gran moltitudine di dottori, che, parte in Vicaria Civile e Criminale,
e '1 meglio in Consiglio, ostentano sopra i testi il lor ingegno; fra la turba
di costoro sì fraraesse la morte, e non curando l'allegazioni de' testi: nemo
impune est occidendus, confermate colla prattica universale e le decisioni
communi, da duicentosessanta sentenzìonne a morte, venticinque de' quali
di grido non ordinario e di scienza mirabile sepelì nella tomba dell'oblio-
vione, altri, che forastieri attendevano a' proprii ed altrui interessi, vi ri-
— 385 —
Rimane dunque ora che si riferiscano brevemente le case
de' reggenti Italiani che furono fatti dopo il contagio.
§ 20. Del sig. reggente Giacomo Galeota.
Il primo che s'incontra è il reggente Giacomo Galeota, quale,
sebbene non fu avvocato, non si dubita però che tutto il suo
essere lo doveva all' av vocazione del padre \ il quale da avvo-
cato, essendo poi asceso al reggentato ed andato in Spagna, lo
fé' fare giudice di Vicaria e poco dopo presidente di Camera,
donde poi passò in Spagna reggente.
E forse il non essere stato avvocato, ed il non aver avuto per
conseguenza onesto modo di acquistar azienda per mezzo del-
l'avvocazione gli pregiudicò sommamente e fu causa della sua
disgrazia; poiché, avendo voluto prender moglie e fare un'altra
casa distintamente da quella del duca della Regina suo nipote,
non tralasciò per lasciarla ricca alcun mezzo di far danari ; onde
fé' compra di massarie, fabbricò case e palagi ^ comprò lo stato
di S. Angelo, e vi ottenne il titolo di duca ^, sicché nella visita
del visitatore Casati si vide esentato dalla patria e sospeso dal
posto, del che se ne accorò talmente che ne perde indi a poco la
vita *; onde, dopo sua morte, per restituirli in parte la fama, fu
masero per sempre cittadini, e '1 resto fra l'aumento delle grazie e 1 mag-
giore degl'acquisti involontarj si recisero. »
^ Fabio Capece Galeota, pel quale cfr. Avveramenti , § 8.
2 Fra gli altri comprò il palazzo del Panormita che fa angolo fra vico
Bisi e piazza Nilo, e « con molta spesa l'abbellì e lo ridusse al moderno »:
Celano, ed. Chiarini, II, 639.
* Sant'Angelo a Fasanella, in prov. di Salerno: cfr. Giustiniani, Di-
zionario, Vili, 285.
* II reggente Danese Casati fu l'ultimo visitatore del regno ; venne in
Napoli alla fine dell'aprile 1679 e vi rimase fino all'aprile 1681 : cfr. E. Gen-
tile, / visitatori generali del regno di Napoli clt., pp. 16-18; ed anche Par-
ring, Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del regno di Napoli, ed.
Napoli, Gravier, 1770, II, 551 sgg. Scrive il Confuorto, ms. S.S. N., XX.
C. 20, in data 14 marzo 1680, e. 76: « U sig. Visitatore [Casati, del quale
parla a lungo] mandò Bernardo Rossi suo secretarlo d'imbasciata al sig.
duca di S. Angelo regente Giacomo Capece Galeota, con ordine che si esen-
tasse da Napoli con tutta la sua famiglia, et andasse in alcun luogo di suo
compiacimento distante però sessanta miglia da essa, che cosi compliva al
servizio di Sua Maestà. Certamente ciò diede maraviglia a tutta la città per
essere un gran ministro, di gran talento e grandissimi espedienti, e tale che
386
fatto il figliolo giudice di Vicaria, in chi stanno riposte le spe-
ranze della perpetuazione della toga ^.
forse in tutt'Europa non havea pari. La cagione di quest'esilio non si sa dì
certo, sino ad hora ; et lo stesso ordine d'assentarsi da questa città è stato
anche fatto alli Signori duca di Montesardo suo genero, et duca della Re-
gina suo nipote, a questi però per trenta miglia, acciò, cred'io, non andassero
questi impedendo l'informazione che contra quello si pigliava. E benché,
per ritrovarsi in atto il duca di Regina eletto della città per la sua Piazza,
fussero gli altri suoi compagni andati dal sig. viceré a supplicarlo, che si
adoperasse col sig. Visitatore di non farlo partire per non impedire gli af-
fari del publico, con tutto ciò, essendo il Visitatore venuto in Palazzo, ri-
spose al sig. viceré che non poteva lui revocare dett'ordine, essendo il tutto
venuto ordinato da Spagna. Furono anche carcerati alcuni creati più fami-
liari et intimi del sig. regente, e posti criminalmente in carceri separate.
Certo che ciò ha fatto stui)ire il mondo, vedendosi in un volger d'occhi uno,
che poco prima era l'assoluto arbitro del regno, stimato, riverito, di gran
senno e sapere, caduto dall'alto grado, nel quale si trovava, in piana terra
con poca speranza di risorgere ». E in data 17 marzo, e. 77 : « Domenica di
molto ben matino si é partito da Napoli il sig. regente Galeota con suoi
figli e moglie per la città di Gaeta, ove s'have eletto la sua stanza, finché si
vedranno li suoi affari. A detto dì si è anche partito il duca di Montesardo
per Vietri, ove s'have eletto di fare il suo esilio. A 18 detto lunedì s'è par-
tito il duca della Regina per Castello a mare ». Ed ancora, in data l*» giu-
gno, e. 87 t. : « Gli affari del sig. regente Galeota hanno cominciato ad ba-
vere buon esito ; poiché da Gaeta, ove stava confinato, bave ottenuto li-
cenza di venire in qualche luoco vicino Napoli di suo conpiacimento ; e per-
ciò è venuto nel casale di Trocchia ; et è venuto due giorni prima il sig.
duca di Regina a ripatriare in Napoli, conforme anche da molti giorni vi
stava il sig. duca di Montesardo. Se dice che il sig. regente habbia ha-
vuto alla Corte di Spagna gran favori e lettere di raccomandazione de' suoi
affari caldamente da alcuni signori principi di Germania, et sin dal sig.
duca d'Orleans, padre della nostra regina, procurategli da' RR. PP. Ge-
suiti suoi fautori ». Ed ancora, in data 16 giugno, e. 88: «Domenica matina
è morto quasi di subito il sig. regente Giacomo Capece Galeota nel casale
di Trocchia, ove era venuto da Gaeta. Infine, quando si credeva di ritornare
nelle pristine grandezze, havendo navigato per tempestoso mare, dentro al
porto ha trovato il naufragio : misera humanità. La sua morte è succe-
duta del modo che siegue. Volendo prendere una medicina per purgare il
corpo dalla bile causata dalli disgusti e travagli patiti, si accinse a prender
la detta dì domenica, et havendola presa con molta nausea, li venne un
vomito poco doppo, e la buttò; per Io che li fu data la conserva, qual'an-
che presa con nausea, li caggionò una gagliarda sincope, che in breve hora
lo condusse a morte ».
* Scrive il CoNFuoRTO, sotto la data 17 giugno, e. 88t : « Il sig. viceré
— 387
§ 21. — Del sig, reggente Francesco Antonio Musceitola.
Quasi nel medesimo tempo fu ancor fatto reggente il consi-
gliere Francesco Antonio Muscettola. Questo al principio fu avvo-
cato, e da avvocato fatto giudice di Vicaria, e dopo uscito d'officio
ritornò con gran disinvoltura all' avvocazione; onde a quei che
lo salutavano rispondeva con gran franchezza: Servitore di V. 5.
in ogni stato. Ma dopo breve tempo fu fatto consigliere, ed in
questo tempo comprò il casale di Melito ^ vicino Napoli, con
titolo di duca per lo suo primogenito; ed essendo già decano del
S. C. fu fatto reggente.
Conoscendo quanto l'avvocazione sia necessaria per lo man-
tenimento delle case, fece che Michele suo secondogenito si av-
viasse per quella strada: il quale poi, non avendosi avuto molta
attitudine, morto il padre, procurò di essere giudice di Vicaria,
ed indi fu consigliere, e poi presidente di Camera; in ciò più pru-
dente del reggente Galeota, che voluto casarsi non volle prender
moglie che fusse in età di far figlioli ; onde, morto pochi anni or
sono, lasciò tutta la sua facoltà al nipote figliolo del primogenito
duca di Melito 2.
§ 22. — Del sig. reggente Antonio Miroballo.
Venuto al governo del regno il sig. duca di Penaranda^ fé' im-
mediatamente reggente il consigliere Antonio Miroballo, stimato
assai per la dottrina, onde era lettor de' feudi ne* nostri StudJ,
mandò biglietto di giudice di Vicaria al sig. D. Giulio del morto sig. re-
gente, che attende allo studio delle leggi «. Fu dipoi nominato consigliere
del Sacro Regio Consiglio nel 1698 : cfr. De Fortis, Governo politico, p. 68;
e Giustiniani, Scrittori legali, I, 183. — Il reggente Giacomo fu seppellito
nella Chiesa di S. Maria dell'Arco. Ma il suo corpo, portato di nascosto in
Napoli, fu trasportato nella propria cappella dell'Arcivescovato. Il Parrino
accenna con poche parole al Galeota, senza fame il nome. Antonio Buli-
fon gli dedicò nel 1675 il primo voi. della ristampa del Summonte.
» Melito in prov. di Napoli ; cfr. Giustiniani; Dizionario, V, 430.
« Evidentemente il Giustiniani, Scrittori legali, II, 289, è incorso in
due errori, dicendo che Michele era primogenito di Francescantonio, e da-
tando la sua morte « verso il 1700 •.
> Il duca di Pefiaranda fu viceré dal 1659 al 1664.
— 388 —
cattedra siano a quel tempo mantenutasi sempre in somma ri-
putazione.
Cominciò egli similmente dall' avvocazione, e sarebbe facilmen-
te riuscito il primo in quella professione se avesse più tardato ad
esser ministro ; ma, fatto consigliere troppo per tempo, non ebbe
tempo da far grandi acquisti. Essendo per altro nato non molto
agiato de* beni di fortuna, si accomodò non per tanto colla dote
della moglie, che fu una signora di casa Guarina, famiglia assai
nobile ed antica nella provincia dì Lecce e sorella alla signora
duchessa di Alessano \
Fatto reggente, appena presane la possessione se ne morì,
sicché non potè andare in Spagna; e, lasciata una figliola, fu dalla
madre maritata col sig. Troiano figliolo di Rinaldo fratello del
reggente, quale, poco dopo T avvocazione, ancor egli fu fatto
consigliere ed oggi è reggente col tìtolo di duca di Campomele ^;
sicché la casa non ha perduto niente di estimazione, e si man-
tiene con moderate ricchezze.
§ 2.3. — Del sig. reggente Donato Antonio de Marinis.
In suo luogo fu fatto reggente il presidente di Camera D. A.
De Marinis, uno degli avvocati che dal sig. conte di Castrillo^
furono fatti giudici dì Vicaria e poi tutti passati a' posti supremi:
Raimo de Ponte, Francesco Rocco, Francesco Maria Prato, ed
il suddetto de Marinis, Antonio Fiorillo, Ortensio Pepe, Ascanio
Raetano, Paolo Giannattasìo, e Gio. Battista Odierna.
Fu Donato Antonio (ciò che é suo maggiore onore) un povero
studente d'una picciola terricciola delregno nominata Giungano*,
— mi diceva il sig. Alvaro della Quadra, — che venne in Napoli per
accompagnare un figliolo di un cavaliere suo padrone allo studio.
E con quella occasione, essendo di buon ingegno, si diede ancor
» Sui Miroballo cfr. A. Galietti Sabino, Memorie de' personaggi illu-
stri della famiglia Miroballo d'Aragona, s. n. t. [1785] ; e del med., La ma-
gistratura vendicata, apologia delle « Memorie de' personaggi illustri della fa-
miglia Miroballo », Napoli, 1786. Sui due opuscoli cfr. anche Giustiniani,
Scrittori legali. III, 265-66. Abitava nel palazzo del duca di Trajetto Ruffo
al Borgo dei Vergini : cfr. Fiordelisi, Gl'incendi al tempo di Masaniello,
pp. 66-69.
2 Su Trojano Miroballo cfr. Avvertimenti, § 31.
5 lì conte di Castrino fu viceré dal 1653 al 1659.
* Giungano, in prov. di Salerno. Cfr. Giustiniani, Dizionario, V, 181.
— 389 —
egli a studiare; visse però sempre da studente, e, non avendo
avuta alcuna abilità al parlare, si diede a scrivere in alcune cause;
onde stampò il primo tomo delle sue Risoluzioni quotidiane ^.
CoU'integrità de' costumi e con una certa sua maniera libera
e lontana da ogni affettazione si rendè grato a tutti gli avvo-
cati più principali ; sicché in tutte le cause era chiamato a col-
legiare; onde cresciuto d'opinione cominciò egli ancora a difen-
dere qualche causa, e diede in luce il secondo tomo delle sue
Risoluzioni 2, e vivendo con somma parsimonia accumolò qual-
che contante. Non volle che mai si sapesse la sua origine, né che
avesse alcun parente. Onde fu fama che, essendo venuto il padre
a vederlo per essere ancor egli a parte delle sue fortune, il fé'
rinchiudere in una camera perché nessuno il vedesse, e, fattoli
fare un vestito, il fé' partire di notte, insinuandoli che se altra
volta fosse venuto si sarebbe egli partito da Napoli, perché non
era figliolo che di se stesso.
Ma se mentre fu avvocato seppe resistere agl'impulsi della
natura, eletto ministro non seppe star saldo al vento della va-
nità. Onde l'entrò il capriccio di esser venuto da' Marini di Ge-
nova, raccogliendo da scritture dell'Archivio che a tal' effetto
gli eran portate da D. Andrea Gizzio^; e venuto a morte, empio
di tutti i suoi e verso la patria, lasciò erede di tutti i suoi beni,
che consistevano in contanti ed in una buona libraria, i PP.
Scalzi di S. Teresa per ambizione che li rizzassero una statua
di marmo, come fecero nella lor Chiesa *.
» Resolutìonum quotidianarum juris Pontificii, Caesarei et Regni Nea-
polis liber primus, Napoli, 1632.
* Il secondo voi. fu pubblicato nel 1650.
* Su Andrea Giuseppe Gizìo cfr. Giustiniani, Scrittori legali, II, 114-16,
che cosi scrive : « Ma non tantosto ei giunse a qualche età, che infantasti-
chi tanto per la sua nobiltà, che nuli'altra apphcìizione stimò più degna, che
trovar monumenti, onde fissare la sua genealogia e quella degli altri. Egli
intanto essendosi molto adoperato con Niccolò Toppi, archivario della R.
Camera della Sommaria, per impolverarsi instancabilmente in quel dovi-
zioso Archivio, ritrovò delle molte carte e diplomi appartenenti al celebre
Pietro Marco Gipsio nobile Chietino, di cui Io stesso Toppi ne aveva già
parlato; e con siffatti materiali incominciò a tesser la storia della sua imma-
ginaria famiglia e discendenza, con farsi dichiarare dell'istessa famigha,
portando a tal eccesso questo suo entusiasmo, che divenne presso tutti il
più ridicolo uomo della terra ». Ricercò *e origini di molte famiglie napole
tane, ma scrisse solamente su quella dei Tocco.
* Cfr. Celano, ed. Chiarini, V, 262.
390
§ 24. — Del sig. reggente Antonio Capobianco.
Il reggente Capobianco non fu avvocato, ma era figliolo di
Gio. Francesco Capobianco autor del trattato De auctoritate
Baronuniy che fu giudice di Vicaria, né so se prima fusse stato
avvocato ^.
Era egli della città dì Muro, ma si era fatto aggregare alla no-
biltà di Benevento; fu uditor fiscale di Chieti e poi di Vicaria, e
finalmente consigliere e reggente; fu di mediocrissimi talenti,
ma col risparmio ed essere stato auditore della Dogana di Fog-
gia accumolò molto contante; se ne ritornò di Spagna con titolo
di marchese di Caritè per un suo nipote, di chi poi non si è sa-
puto altro, ed un altro suo parente procurò che fusse giudice di
Vicaria. Fu uomo in estremo, e che solo colle udienze e colli
giudicati dopo la sua morte si è andato sostenendo ^.
* Su Giov. Francesco Capobianco cfr. Giustiniani, Scrittori legali, I,
191-95; pubblicò il Trac/af US de jure e/ auctoritate Baronum erga vassallos
burgenses, Venezia, 1603.
* Scrive il Confuorto, ms. XXIV. D. 2, ce. 187-89: « La famiglia Capo-
bianco non ha dubbio alcuno che fu una delle famiglie antiche della città
di Benevento, della quale se ne leggono onorate memorie co^ì ne' Regi re-
gistri de' publici archivi, come nelle carte de' scrittori ; et ho detto bene
che fu perchè non vi è più, essendosi già questa estinta da molti anni sono
nella persona di D. Diego, e sua sorella maritata nell'altra famiglia del me-
desimo cognome, della quale semo posti a parlare, divers'affatto d'origine
e di nobiltà che quella, la quale pi presente come reintegrata nella città di
Benevento ne gode gli onori di nobiltà. Gio. Frane. Capobianco trasse con
il natale l'origine dalla città di Muro, della provincia di Basilicata, da pa-
renti assai civili fra gli altri di quella città, prima di ristretta nobiltà, come
sono quasi tutte le altre di quella provincia; poiché il suo padre, chiamato
Flavio, fu dottore in legge. Venne in Napoli ne' confini del passato secolo
ad apprender la scienza legale, nella quale si approfittò, e ne prese la lau-
rea nel dottorato; e ben mostrò d'avere ingegno e dottrina, poiché sin dalla
sua gioventù compose l'opera De jure et auctoritate Baronum erga vassallos,
mandata in luce colle stampe la prima volta in 4° nell'anno 1603 ; nel fron-
tespizio della quale afferma lui medesimo essere della città di Muro, anzi
la dedica a Flaminio Orsino suo padrone e signore della città di Muro, come
si legge dalla lettera dedicatoria nel principio di dett'opera. Quale poi,
avendola accresciuta con alcune annotazioni, ristampò nell'anno 1624 si-
milmente in 40, e la dedicò al regg. Fulvio di Costanzo marchese di Cor-
leto, et ivi anche afferma esser di Muro. Ma alcuni anni doppo, cioè nel-
— 391
§ 25. — Del sìg, reggente D. Marcello Marciano.
Avrebbe il reggente Marciano fatti gran progressi nell' av-
vocazione, se come la cominciò l'avesse voluta continuare, non
l'anno 1632, avendola di novo accresciuta, la ristampò in f,, e la dedicò al
conte di Monterey viceré in questo regno di Napoli ; et ivi, negando la sua
patria, si disse originario Beneventano. E finalmente, ristampandosi più
volte da' suoi posteri, fu detto Patrizio Beneventano, perchè già la fami-
glia era stata reintegrata in detta città, come diremo. Applicatosi Gio.
Francesco dopo la laurea del dottorato ne' Regi Assessorati d'alcune città
nel regno, indi esercitò la carica d'auditore nella provincia di Calabria Ci-
tra, sotto il governo del conte di Lemos, viceré del regno. Finalmente nel
1630 fu promosso dal conte di Monterey del giudicato di Vicaria, che eser-
citò un biennio ; fra il qual mentre, avendo fatto compra della rocca di S.
Felice, terra posta nella provincia di Principat* ultra, e con ciò strin-
gendo amicizia col dott. Tommaso Gapobianco nobile di Benevento ma
povero de' beni di fortuna, ottenne facilmente da questo pubblica dichia-
razione d'esser della famiglia sua; con che e con stringer matrimonio fra
una figliola del detto dottor Tommaso, sorella di D. Diego, nel quale
s'estinse la nobil famiglia Gapobianco, et Antonio, suo figliolo primo-
genito, senza dote alcuna, fu reintegrato come della medesima, con altri
suoi parenti della famiglia, a quella nobiltà della quale li posteri di
lui negarono gli onori. Ebbe Gio. Francesco per moglie Laura Goscia,
della quale io non ho potuto rinvenire la prosapia. Gostei, dopo la morte
del marito, fé' compra della terra di Garife posta nella medesima provin-
cia; e posso credere che fusse donna di talento et ambiziosa di beneficare
li suoi figlioli procreati col marito, quali furono Antonio primogenito,
Stefano, Gio. Batta e Paolo... Antonio, applicatosi allo studio delle leggi,
ne divenne mediocremente perito, ma assai fortunato ; poiché, seguendo
le vestigie paterne, fé' molti assessorati in molte città del regno, ove diede
buon saggio di sé. Perloché nel 1646 fu mandato in Foggia con carica d'au-
ditore e premincasa della toga di giudice. Fatto poi nel 1648 ritorno in Na-
poli, dal viceré conte di Ofiatte fu di novo promosso al giudicato di
•Vicaria criminale, ed esercitò anche l'officio di profiscale del medesimo tri-
bunale ; indi nel 1650 promosso alla carica di R. Gonsigliere di S. Ghiara ;
finalmente nel 1665 alla Garica suprema di reggente della R. Gancellaria.
Fu decorato altresì da S. M. nel 1667 di due titoli di marchese sopra Garife
e l'altro per D. Domenico Gapobianco, suo nipote, sopra la Rocca S. Felice.
Non li mancò per compimento della felicità che solo d'aver prole ; benché
havesse avuto due mogli, ne fu privo: la prima, vivente Gio. Francesco suo
padre, fu figlia di D. Tommaso Gapobianco...; ma, rimasto dopo pochi ann
di questa vedovo, passò a seconde nozze con D. Teresa Vulgano, sorella
— 392 —
mancatali alcuna di quelle parti che ricercasi per riuscir grande
in tale professione, gran capacità, gran dottrina, grand' erudi-
zione, petto, ed in età assai giovane gran maturità di giudizio.
Ma quasi prevedendo non aver a vivere molto, procurò as-
sai per tempo d'esser ministro. Onde, fatto giudice di Vicaria
carnale di Paolo, che gode gli onori del Seggio di Nido, donna assai vaga e
bella, di cui Antonio visse sempre mai molto geloso, quale, condotta da suo
marito in Foggia, dove andò nel 1646 ad esercitar la carica d'auditore, ivi
non mancomo alcuni che s'abbagliassero la vista ne' raggi della sua bel-
lezza con gran martello del marito. Ma, essendo successe nell'anno 1647 le
rivoluzioni popolari in quasi tutte le terre e città nel regno che seguirono
il malo esempio della capitale, fra quelle fu Foggia che ricalcitrò, come le
altre, contro il suo re, perlochè fu bisogno sopra tutti i ministri regi di
scappar via da quella città e ricoverarsi in altra dependente dal partito
regio , si come fece Antonio, che colla sua vezzosa moglie si ritirò in Man-
fredonia, ove ebbe ricetto in casa di Lodovico d'Aprile geiitilomo di quella
città. Sedate poi le rivoluzioni, nel mese d'aprile 1648 fé ritorno in Foggia,
ove, avendo seguitato ad esercitar la sua carica per due altri mesi, fu chia-
mato in Napoli e promosso al ministerio, come si è detto, da S. E. Onde
con nessuna di dette moglie Antonio fé' prole alcuna, e morendo restò suo
universale erede ne' beni feudali D. Domenico suo nipote, come si dirà.
Stefano, che dicemmo esser secondo nato di Gio. Francesco, si congiunse in
matrimonio con Livia Pisano di quei di Bovino, e con detta moglie procreò
due maschi: il primo chiamato D. Domenico, detto di sopra, et il secondo
similmente Stefano come suo padre per esser nato postumo. Don Domenico
successe ne' feudi d' Antonio suo zio, fu secondo marchese e cavaliere del-
l' abito di S. Giacomo, del quale S. M. le ne fa mercede; si caso nobilmente
con D. Lucrezia Protonobilissima de' marchesi di Specchio, che godono
gli onori del Seggio di Capuana, colla quale procreò la posterità in due ma-
schi che sono appresso la madre : il primo de' quali, detto D. Giuseppe,
è divenuto per la morte del padre il terzo marchese di Carif e, e il secondo
detto Gio. Batta, et altrettante femmine, una chiamata D. Livia e l'altra
D. Isabella, che si educano dentro il Monasteri© di Regina Coeli di Napoli. —
Fu Pietro con molti suoi figlioli, così maschi come femine, assai scarso de'
beni di fortuna, perlochè gli è stato di bisogno,volendo collocare in matrimo-
nio una delle sue figlie, chiamata D. Giulia, di darla per moglie al razionale
Di Franco, figlio di Carlo, che tiene bottega di drappi di seta vicino le car-
ceri dell'arte della seta a Portauova. Questo Pietro è stato auditore in mol-
te Provincie del regno et anco giudice criminale della Vicaria ; ma ciò se-
guì per essere stato appadrinato dal reggente mentre visse. Ma, mancato
quest'appoggio, l'è mancato l'esercizio del ministerio ; onde se ne vive in
molte necessità. E costui fu figliuolo di Giulio, che nacque da Bartolomeo,
il quale fu fratello carnale di Flavio padre di Gio. Francesco, menzionato
nel principio di questo discorso ».
— 393 —
Civile dal sig. conte di Castrillo, poi Criminale, fu poi poco ap-
presso dal sig. conte di Penaranda fatto consigliere, e dal mede-
simo poi passato in Camera avvocato fiscale, donde nel principio
del governo del fu sig. D. Pietro d'Aragona ^ andò reggente in
Spagna, dove di là a non molto se ne morì.
Lasciò figlioli di assai poca età e la casa assai diminuita, anzi
che no, di ricchezze; qual però si conserva in gran speranza dal
di lui primogenito che, stato più anni giudice di Vicaria, si trova
oggi consigliere e con concetto di essere uno de' più abili per
giungere al terzo reggentato 2.
§ 26. — Del sig. reggente Girolamo de Philippis.
Il reggente de PhiUppis fu, come si disse ^ uno de' più ce-
1 D. Pietro di Aragona fu viceré dal 1666 al 1671.
- Scrive il Confuorto, ms. XXIV. D. 2, e. 62, della S. S. N.: « Marcello,
primogenito del Regente Gio. Francesco, seguì le pedate di suo padre et
avo così nello studio delle scienze legali, nelle quali fu molto perito, come
nel ministerio. Poiché fu promosso prima al giudicato della Gran Corte
della Vicaria, indi alla carica di R. Consigliero del Ccnsìgho di S. Chiara,
poi a quella d'avvocato fiscale della R. Camera della Summaria, e final-
mente alla suprema dignità di regente del Consìglio Collaterale d'Italia
nella Corte d'Ispagna, ove, essendosi egli portato, l'esercitò per alcuni
anni con somma lode di dottrina, et integrità ; ma, sperando di far
ritorno alla patria et esercitare il suo ministero nella R. Cancelleria di
Napoli, li fu preclusa la strada dalla morte, che ivi li sopragiunse. Fu ca-
sato con Camilla Castriota nobile della città di Lecce, figlia di Ercole ed Ip-
polita Castriota, con la quale procreò quattro figliuoli et una femina, quale
sife'monica in Napoli nel monisterio di S. Gio. Batta. Li figliuoli furono :
Francesco, Domenico, Ercule e Gennaro. Francesco non tralignando punto
da' suoi maggiori ha chiarito al mondo esser la sua Casa veramente sena-
toria. Fu questo virtuoso soggetto nel fiore della sua gioventù pria assonto
alla carica di giudice di Vicarìa, indi a quella di R. Consigliero, et ultima-
mente di regente del Consiglio di Italia nella Corte d'Ispagna, ove anco
come suo padre pria di ritornarsene alla patria n'è morto, parendo fatale
alla lor casa la Corte d'Ispagna. Non fu mai casato. Ercole per ordine del
re fu graduato capitano di milizia, et adesso havendo perduta la vista se
ne sta assieme con Gennaro suo fratello in una massaria nella città di
Sorrento, dove si dice l'Aya. Domenico è cherico, e se ne sta in Napoli, et
essendoli più volte stata offerta una piazza di giudice di Vicaria l'ha sem-
pre rinunciata parendoli espediente non lasciare sei 0 settecento scudi di
annui benefici ecclesiastici provisteli con ordine del re di Spagna per il
giudicato di Vicaria, e bora é di bonissimi costumi ».
• Cfr. Avvertimenti, § 2.
Anno XLV. 26
— 394 —
lebri avvocati de' suoi tempi. Era originario di Sanseverino,
benché nato in Napoli, dove suo padre stato ancor avvocato
aveva trasferito il domicilio.
Non ci fu avvocato de' suoi tempi, che più di lui sapesse con-
ciliarsi l'affetto e la stima de' suoi clienti; ebbe gran clientela,
ma non fece gran ricchezze o per la mutazione de' tempi o per-
chè più affettasse il parere, che l'essere. Comprò non per tanto
il casale di Miano vicino Napoli, sopra il quale poi, fatto reg-
gente, ottenne il titolo di marchese ; procurò farsi aggregare
alla nobiltà della sua patria, maritò una sua figliola con un ca-
valiere di casa Capano del Seggio di Nido, e poscia passò a se-
conde nozze con un altro cavaliere chiamato D. Francesco Ca-
pece Scondito di Seggio Capuano; ed al suo primogenito diede
per moglie una dama di casa Caracciolo. Onde non fu mara-
viglia che la casa rimanesse povera.
Fu il primo degli avvocati eletti da' sig. conte di Castrillo
per giudice di Vicaria, ma, scusatosi col titolo de' bisogni della
sua casa, ne incorse nella sua indignazione. Onde poi fatto in
Spagna avvocato fiscale di Camera senza nomina del viceré
per pieno sforzo del reggente Trelles ^ suo grande amico, per
più mesi l'esecuzione del suo privilegio li fu trattenuto.
Da avvocato fiscale passò consigliere, indi di nuovo in Ca-
mera e poi reggente ; ma poco ne godè ; perchè morì in Spagna
e la casa si sostiene oggi dal figliolo marchese di Miano in assai
mediocre fortuna col posto di giudice perpetuo di Vicaria, da
chi una bellissima libraria, che lasciò, si trova la maggior parte
venduta \
* Benedetto Trelles, marchese di Toralve, fu consigliere nel 1644, di-
poi consultore della monarchia di Sicilia, e finalmente nel 1653 presidente
del S. R. C. : cfr. Fortis, p. 48.
« Scrive il Confuorto, ms. XXIV. D. 2, della S. S. N., ce. 177-179:
a Questa famiglia è originaria del casale di Villa di S. Severino. Il primo di
essa che venne in Napoli, e cominciò di vii condizione a farla, e poscia di-
venne riguardevole, fu Antonio, il quale, applicatosi alla disciplina legale,
ne prese in Napoli la laurea del dottorato : ove si fermò a fare la sua resi-
denza per trovarsi la sua fortuna, com'in effetto la ritirò, perchè,essendo riu-
scito non imperfetto nella professione, fé' acquisto di numerosa clientela,
e nell'anno 1625 fu uno de' mastri della S. Casa di A. G. P. di Napoli per il
Popolo. Prese per moglie una donna di casa Cangiano, di famiglia popolare
napolitana, sorella del dott. Giacinto, che poi divenne eletto del Popolo,
indi giudice di Vicaria e finalmente R. consigliere. Con la qual moglie prò-
395
§ 27. — Del sig. reggente Antonio di Gaeta,
Il reggente di Gaeta fu di famiglia nobilissima di Cosenza ,
ma quanto nobile, altrettanto povera, benché il padre si fusse
creò tre maschi, che furono Geronimo, Lonardo e Antonio, che nacque postu-
mo, nati et allevati nella Casa ove sempre haveva dimorato, esistente nel vico
de' Christi vicino all'Annunziata [cfr. Celano, ed. Chiarini, III, 822], e pro-
prio alla fontana. Qusle casa hoggi sta inclusa nel comprensorio della fa-
brica del Monasterio di Moniche di S. Maria Egiziaca. Tutti tre questi fra-
telli furono molto studiosi della scienza legale, nella quale divennero peri-
tissimi; ma sopra gli altri due molto s'avanzò Geronimo ». Questi, « primo
nato de' figlioli, non solo riuscì nella legale disciplina peritissimo, ma di mi-
rabil facondia nel orare, perchè fu stimato il più celebre avvocato del suo
tempo ne' reggi tribunali di Napoli, onde fece acquisto d'una fioritissima
clientela, e le cause di maggior importanza erano appoggiate in lui. Per-
ciò hebbe tempo di accumulare molte ricchezze, colle quali fé' compra di
molti beni stabili, e particolarmente del casale di Miano poco distante da
Napoli. Et essendoli già venuto il prorito di far la sua casa nobile, procurò
et ottenne con facoltà esser agregato alla stimata nobiltà di S. Severino sua
patria originaria. Veramente questo personaggio in tutte le parti compe-
tentissimo era dotto, eloquente, amabile con tutti, cortesissimo e degno di
esaltazione, onde ragionevolmente fu da S. M. promosso prima alla carica
di fiscale del suo patrimonio in Napoli, indi a quella di presidente del Con-
siglio d'Italia in Spagna, nella quale morì. Fu due volte casato : la prima
con Dianora Rocco, figlia di Francesca Antonio e di una damigella del conte
di Lemos, viceré di Napoli, di Casa Lugo y Maldonato, e con tal moglie pro-
creò un maschio chiamato D. Gennaro et una femina detta D. Grazia..;
ma essendo remasto vedovo passò alle seconde nozze con D.Anna Palazzo;
eh' era vedova di Carlo Lopez R. Consegliero..., e con questa non fé prole,
e passò all'altra vita in Spagna, carico di gloria e d'onori e contento d'ha-
ver posto la sua casa in grado risguardevole di nobiltà e di honorate cariche,
nelle quali per i suoi meriti e virtù fu esaltato, come anche della signoria
del feudo per li nobili matrimoni fatti fare uno doppo l'altro a D. Grazia
sua figlia, che degenerò dall'esser suo... Il primo marito... fu un cavaliere
della famiglia Capano del Seggio di Nido de' baroni di Caracuso, figlio di
D. Carlo e di una dama di Cosanzia (?) di quei di Capua, dal quale matri-
monio nacque D. Carlo, come il suo avo, il quale è dottore di legge, et hoggi
è vivente. Ma essendo D. Grazia rimasta vedova del Capano, lo medesimo
reggente padre la fé passare alle seconde nozze con D. Ciccio Capece Scon-
dito; che era rimasto anch'egli vedovo della moglie Giuditta figlia del reg-
gente Paolo Giannattasio, col quale secondo marito ha procreato tre femi-
ne... II figlio maschio, chiamato D. Gennaro, fu condotto dal padre in Spa-
— 396~-
casato in Napoli così nobilmente con una signora di casa Pisci-
celli 1.
Come suo padre e nostro padre erano nati di due sorelle fi-
gliole del barone di Rofrano, vissimo nella nostra prima età egli
ed io con gran domestichezza, andando ad una medesima con-
gregazione e ad una medesima scuola, sino che poi ci separam-
mo, andato io alla legge ed egli alla scuola de' PP. Giesuiti alla
filosofìa 2.
Era d'ottimo ingegno e di candidissimi costumi, ma parendoli
la strada dell' avvocazione assai lunga, astretto dalle urgenze
della sua casa, pensò avviarsi a quella degli uffìcj ; onde per mez-
zo di Tommaso d'Aquino ^, che avea apparentato con Piscicelli,
procurò dal conte d'Onatte essere mandato giudice a Nola.
Ma né meno quella strada trovatala atta per lo suo bisogno, ri-
tornato in Napoli, si diede alla difesa delle cause criminali e
gli riuscì. Onde, acquistatovi qualche nome, vacato l'officio di
avvocato de' poveri, fu conferito a lui; ma senza obbligazione di
portar toga per poter attendere alle altre cause che li davano
guadagno, colle quali e con utì matrimonio d'una signora spa-
gnola di casa Astorga accresciuto di facoltà, fu dal conte di
Peiiaranda fatto fiscale dì Vicaria ed indi consigliere.
Partito poi il conte e passato al posto di presidente d'Italia,
fu per sua opra eletto da S. M. per uno de' due ministri cl^e dal
nostro regno e dallo Stato di Milano andarono in Roma per ot-
tenere qualche riforma dagli abusi dell'immunità ecclesiastica,
missione che, per altro inutile, riuscì utilissima per lui perchè.
gna, e doppo la morte ivi seguita di quello hebbe da S. M., per li meriti del
medesimo, titolo di marchese sopra il casale di Miano e di una toga perpe-
tua di giudice della G. C. della Vicaria Criminale, della quale carica fatto
ritomo in Napoli ne prese il possesso. Si caso dopo il suo ritomo da Spagna
con una bella, vezzosa e legiadra giovinetta della nobilissima famiglia Ca-
racciolo, chiamata D. Ottavia, figlia di D. Francesco detto del Pallonetto il
sgobbo e di D. Adriana Pallavicino.., ch'è stata et è la sua stella, ma non nella
procreazione de* figlioli, essendo sterile ».
* Sulla famiglia Gaeta cfr. F. Castiglione Morelli, De patricia Co-
sentina Nobilitate monimentorum epitome, Venezia, 1713, pp. 29-31.
* Sulle scuole dei gesuiti a Nicoli nel Seicento cfr. Schinosi, Istoria
della compagnia di Gesù appartenente al regno di Napoli, Napoli, Muzi,
1711; e l'introduzione a Michele Volpe, I Gesuiti nel Napoletano, Napoli,
M. d'Auria, 1914, I, 1 sgg.
' Cfr. Avvertimenti, § 18,
— 397 —
acquistata la confidenza del sig. marchese dell' Asterga* al-
lora ambasciatore, fu da lui venuto viceré immediatamente
nominato al reggentato. Onde andato in Spagna ed ivi tro-
vatosi non so come parente del Valenzuela, fu creato luogo-
tenente della Regia Camera, posto che si era perduta la memoria
che si fosse occupato da italiano, quale esercitatolo per più an-
ni, mai parendoli poter supplire alle continue richieste della
Corte di danari, chiesta più volte licenza, finalmente l'ottenne,
passando in Collaterale con titolo di reggente sopranumerario;
e dopo non molto si morì.
Lasciò di sé gran desiderio per la bontà e placidezza de' co-
stumi, per la quale meritò da' cavalieri della Piazza di Porto,
dove la sua casa avea anticamente goduto, essere reintegrato
agli onori di quella Piazza, rimasta la sua casa in concetto piut-
tosto di non povera che di ricca, che col figliolo giudice di Vi-
caria casato con una signora di casa Dentice della medesima Piaz-
za si mantiene in stima colla speranza della toga perpetua 2.
continua
Nino Cortese
» Il marchese di Asterga fu viceré dal 1672 al 1675.
* Credo sia Ottavio di Gaeta, che il Castiglione, p. 30, diceva « consi-
liarius meritissimus et hodie a latere consiliarius cum sex filiis ».
ATTI DELLA SOCIETÀ
Nuovi Socii
Amodio avv. Cesare
Napoli
Angelillis dottor Ciro
Badia Tedalda (Arezzo)
Baldi dottor Raffaele
Cava dei Tirreni (Salerno]
Barattiere conte ing. Dionigi
Piacenza
Bartoletti prof. Amelia
Napoli
Botti dott. Alberto
»
Briscese prof. Rocco
Venosa (Potenza)
Camardella dott. Pietro
Napoli
Canino Mario
»
Coco Frimaldo Lett. G.le 0. M.
Galatone (Lecce)
Cortese dott. Aniello
Casoria (Napoli)
D'Atri avv. Ferdinando
Napoli
Forte dott. Giovanni
»
Gaida dott. Giacinto
Grella dott. Vincenzo
Minervini Nicola
Padula prof. comm. Antonio
Pagliara prof. Antonietta
Quintieri Rachele
Riso Alimena Angela
Ruocco colonnello Vincenzo
Ventrone cav. Giuseppe
Villani dott. Enrico
Aliano (Caserta)
INDICE DEL VOLUME VI, SERIE SECONDA
(XLV deli/ intera collezione)
Memorie
Bresciani G. — Fava M-, I librai ed i cartai di
Napoli del Rinascimento {contin.) pag. 228
Gallo A., I Curiali napoletani {contin.). ...» 5, 201
Mancarella a., Firenze, la Chiesa, e T avvento
di Ladislao di Durazzo al trono di Napoli (con^) » 28
Martini E. M;, La prigionia di Malizia Carafa e
le suppliche a Papa Clemente XI » 280
Pescione R., Gli Statuti dell' Arte della seta in
Napoli in rapporto al privilegio di giurisdi-
zione (fine) » 61
Schifa M., Cause e importanza della Rivoluzione
Napoletana del 1820 » 110
Id., La congiura del Principe di Montesarchio
(1648) (fine) » 251
SiMiONi A., L'esercito Napoletano dalla minorità
di Ferdinando alla Repubblica del 1799 (con/.). » 88, 295
Da Archivi e Biblioteche
Cortese N., Gli « Avvertimenti ai nipoti » di
Francesco D'Andrea (contin.) » 152, 352
— 400 —
D'Addosio G. B., Documenti inediti di artisti na-
poletani dei secoli XVI e XVII. Dalle polizze
dei Banchi {contin.) pag. 179
Paladino G., Per la storia della congiura dei
Baroni. Documenti inediti dell'Archivio Eeten-
se (1485-1487) (contin.) » 128, 325
Varietà
Salvigli G.. Il diritto ad Amalfi neir alto Me-
dio Evo » 191
Atti della Società: Assemblea Generale dei Soci » 199
Nuovi soci » 398
Direttore prof. Michelangelo Schifa
Gerente responsabile d.r Fausto Nicolini
PUBBLICAZIONI
DELLA
SOCIETÀ NAPOLETANA DI STORIA PATRIA
(Piazza Dante, 93)
Con r annata XL si è iniziata la seconda serie deW Archivio
storico per le province napoletane^ che viene inviato gratuita-
mente ai soci. Pei non soci il prezzo di un fascicolo separato
della seconda serie è di lire 7,50; di un'intera annata, di lire 30,00.
Per l'Estero il pagamento deve esser fatto in oro.
Della prima serie, le annate II, IV, V, VI sono esaurite; le al-
tre, fino alla XX, si vendono a lire 25,00 l'annata, e a lire 20,00
le successive.
I fascicoli, che risultassero disponibili dall'elenco conservato
in Segreteria, si vendono separatamente al prezzo di lire 6,25
ciascuno. Ai soli soci si accorda lo sconto del 25%.
Altre pubblicazioni della Società Napoletana di Storia Patria :
1. Monumenti storici (in-quarto).
Capasso B., Monumenta ad Neapolitani Ducaius Hisioriam per-
tinentia, tomi tre, 1881-5 I- 200.00
\)K Blasus G.,Chronicon Siculum incerti authoris ab anno 340 ad
an, 1396 ex inedito codice Ottoboniano Vaticano, ISSI. ...» 20,00
-AUDENzi A., Ignoti Monachi Cisterciensis S. Marim de h errarla
Chronica, et Riccardi de Sancto Germano Chronica priora, 1888. » 20,00
De Montemayor G., Diurnali di Scipione Guerra, 1891. . » 20,00
Faraolia N, F., Diurnali detti del duca di Monteleone, 1895. » 20,00
Abignente G. , Domini Blasii de Morcone : De differeniiis
inter jus Lowjobardorum et jus Romanorum tractatus, 1912. » 05,00
\Olpi cella L., Ferdinandi Primi Jnslrucfirr'^- ,' •'.♦r ^' isr. vsk
con note storiche e biografiche . . • <>5,00
II. Documenti per la storia, le arti e le industrie delle province
napoletane (Nuova Serie, in-quarto):
Bertaux e., S. Maria di Donna Regina e l'arte senese a Napoli nel secolo
XIV, con figure e tavole, 1899 L. 35,00
'!. Varia (ia-ottavo).
(APASSO B., Descrizione di Napoli nei principii del sec. XVII di
GiULio Cesare Capaccio, 1882 » 5,00
Capasso B., Masaniello ed alcuni di sua famiglia effigiati nei quadri,
nelle figure, e nelle stampe del tempo, 1897 » 7,00
Del Giudice G., Commemorazione di Bariolommeo Capasso 190O. » 2,00
C'.ocE B., Relazioni di patrioti napoletani col Direttorio e col Con-
solato e l'idea della Unit<\ Italiana, 1901 » 3,00
Capasso B., Napoli greco-romana, opera postuma edita da G. de
Petra, 1905. Un voi. rilegato in tela col ritratto dell'Autore,
con 16 tavole intercalate nel testo e con la pianta della città
greco-romana » 30.00
De Nicola Carlo, Dzarzo napoletano (1798-1825), 1905, voi. tre . «50,00
Egidi P., La colonia saracena di Lucerà e la sua distruzione, 1915 . > 15,00
Eqidi P., Codice Saraceno di Lucerà, 1917 s 30,00
ScHiPA M., La così deità rivoluzione di Masaniello, 1919 » 10.00
Sono in vendita presso la Società le seguenti aJtre opere :
I. Filangieri di S atri ano Gaetano, Documenti per la storia, le arti e le
industrie delle Provincie Napoletane, voli, cinque (il primo è esaurito);
II, 1884 , pp. XXVIII-494 ; III , 1885 , pp. XLIII-680 ; IV, 1888 ,
pp. XLVIII-548; V, 1891, pp. XIX-627; VI, 1891, pp. VIII-678 L. 187,50
I volumi V e VI ...» 100,00
II. Biblioteca Napoletana di storia e letteratura :
Percopo e., // Chariteo, 1892, Un voi. di pp. CCXCIX . . » 6,50
C'AOcn P., Lo canto de li cunti (il Pentamerone) di G. B. Basile,
1891. Un voi., pp. CLXXXIX-293 6,00
AVVISO
Lettere, libri e manoscritti debbono inviarsi alla sede della
Società: Piazza Dante. 93.
I pagamenti dei soci si fanno direttamente o per mezzo di
vaglia postale al signor marchese Giuseppe de Montemayor
nella predetta sede.
Per l'abbonamento e la vendita dei fascicoli e delle altre
pubblicazioni rivolgersi all' editore Luigi Lubrano presso la
sede della Società.
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