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STUDI
DI STORIA DELLA FILOSOFIA
DEL
PROF. GIUSEPPE SOTTim
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fipOGBiiiA DEI rr. Numi
1873
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INDICE
Parte Prima. Della Filosofia greca e del Me-
todo avanti Aristotile . . . pag
I. Delle antichissime dottrine cosmogoniche ed eti-
che. — Metodo Teologico.
Condizioni originarie delVarte di pensare . »
Le antichissime dottrine filosofiche greche non
provengono dall'Oriente
Teologi propriamente detti
Teologi misti , . .
Metodo de* Teologi
Dottrine etiche primitive
Etica Omerica
Etica d'Esiodo e di altri
II. I Naturalisti Jom'ci antichi. — Metodo dommatico
naturalistico.
La prima ricerca filosofica dei naturalisti
Jonici
Metodo
III. I Pitagorici -— Metodo dommatico analogico.
Condizioni della scuola Pitagorica . . • .
Dottrine Pitagoriche
Metodo dei Pitagorici
IV. Gli Eleati. — Metodo dommatico Idealistico.
Dottrine Eleatiche
Metodo degli Eleati
Prima forma della dottrina della fissità del
pensiero
L'assoluto, sua prima comparsa, sua debolezza
filosofica
La Dialettica e suo cominciamento ....
IVI
9
11
13
14
15
16
17
20
22
25
27
29
33
37
39
40
42
V. i Neo-Jonici — Combinazione del Metodo Eleatico
coli' ionico.
Dottrine di Eraclito, Empedocle e Anassagora, pag. 44
Democrito » 47
Loro metodo » 48
VI. I Sofisti. — Reazione contro il metodo dommatico
e incominciamento del metodo critico.
La Sofistica^ sua reazione al dommatismoj sue
forme » 51
La Sofistica e i costumi greci del tempo . . » 53
Contenuto generale della Sofistica^ sue ten-
denze enciclopediche . » 54
Subiettivismo della sofistica. .*.... > 57
U — homo mensura — di Protagora ... » 58
Significato e importanza della reazione so^
fistica » 60
VII. Socrate — Metodo dialettico, critico, concettuale.
Opera filosofica di Socrate » 63
Smaschera la falsa persuasione di sapere nei
» contemporanei » 64
Odio accumulato contro Socrate dalla sua ironia
e dalla sua condizione di Sofista novatore. » 66
Metodo di Socrate; esso stabilisce >la validità
concettuale y» 69
Vili. Platone — Metodo dialettico, idealistico.
Le tre forme prese dalle dottrine Platoniche . » 72
L'Eros filosofico » 73
La Dialetticaj come sforzo per la copula ero-
tica mentale » 75
Il mondo Ideale e il mondo sensibile .... » 78
Il viaggio premondano delle anime e la remi-
niscenza » 80
Natura delle Idee platoniche ...... > 82
Metodo di Platone » 84
Vizi di quel metodo » 85
La fissità della scienza » 87
Mobilità delle idee in senso di progresso . . 9 88
Riassunto dei passi fatti dal metodo dagli
Ionici a Platone. . ^ » 91
— Ili —
Parte Seconda. Del Metodo di Aristotile . . pag. 95
I. Aristotile e l'opera sua.
Condizione poco scientifica dei lavori prece-
denti, e possibilità della scienza rigorosa. » ivi
Lavoro di Aristotile » 96
II. Arte di pensare e d! argomentare. — e special-
mente della Dialettica.
Varj gradi del pensiero di fronte alla certezza » 103
L'argomentazione probabile e la filosofica , . » 104
Distinzione Aristotelica tra la Dialettica e
l' Analitica » 106
Contrasto tra Aristotile e Platone su questo
punto » 112
III. Induzione, formazione dei principi, scienza imme-
diata sperimentale.
Non tutta la scienza è dimostrabile dedutti^
vamente » 115
I principj indimostrabili e V Universale proven-
gono dalla esperienza » 118
Altrettanto è di alcune definizioni e dei ter-
mini ..... ^ . . » 121
L'induzione è la fonte di tutta la scienza im-
mediata » 124
IV. Classazione dei concetti, loro espressione. — Ragio-
namento deduttivo.
Le Categorie, classificazione dei concetti . • » 127
La sostanzialità dell* individuo concreto, punto
centrale della classificazione » 130
Forma reale e mentale delle Categorie ... » 131
Le Categorie secondo dottrine più moderne . » 133
La Classificazione delle proposizioni .... » 134
Teoria del linguaggio » 135
Ragionamento deduttivo » 137
V. Riassunto della Jeorica della scienza — Il Partico-
lare e r UrJ/ersale in Aristotile. ~ Metodo
empirico , critico , concettuale .
Clie cosa è il vero metodo scientifico .... » 142
Ammaestramenti cavati dallastoria dellescienze
intorno alla base del metodo scientifico . » 144
Le idee e la loro formazione » 147
— IV —
Massime metodiche . . . • pag. 149
Condizione della Filosofia di fronte al me-
todo scientifico » 151
La Teorica della scienza secondo Aristotile . » 152
L' Universale » 155
Il Particolare sensibile » 158
Metodo d* osservazione 9 161
Metodo sperimentale p 162
Uso della storia; stile . > 164
Il dubbio metodico » 167
Parte Terza. Saggi di • Dottrine di Aristotile
richiamate a illustrazione del suo metodo.
I. La Poetica .
Scritti di Aristotile . » 171
La Teorica della Poesia e il metodo adoperato
in essa da Aristotile » 172
Impossibilità di formulare il Bello .... » 174
Dell' imitazione nelle arti belle > 175
Le tre unità nella Tragedia » 179
Lo scopo moì ale nell'arte » 181
Ammaestramenti tratti dai modelli greci. , . » 183
La natura maestra » 184
Aristotile non è pedante » 185
II. La Retorica.
La Retorica innanzi Aristolile, I . . . . » 188
Moralizzazione della Retorica per opera di
esso > 190
Il vero y come scopo dell'arte del dire, ... » 192
La Retorica e la Dialettica » 193
Materie trattate nella Retorica » 196
Brano sui costumi dei giovani, dei vecchi^ e
degli uomini di mezza età » 201
in. Scienze Naturali. — Meteorologia e Zoologia.
Gli studi dì Fisica e di Meteorologia ... > 206
DeboLzze Aristoteliche. • » 207
Astrazioni concretizzate » 208
Esempi di trattazione fisica > 210
Altro esempio > 212
Dottrina di Aristotile sul movimento dei con-
tinenti » 218
— V —
/ libri delle istorie degli animali pag. 2!^3
Anatomia generale^ descrittiva e comparata, » 224
Nozioni di Fisiologia » 227
Classificazione degli animali » 228
Falso metodo dei naturalisti scolastici ... » 229
IV. La Biologia.
Aristotile e i suoi predecessori negli studj
sull'anima » 231
L'anima come entelechia » 235
L' anima principio vitale » 237
La serie delle anime sino all'anima noetica, . » 240
4
Ufficio logico della Noùs » 241
La Noùs come anima superiore. — Forma e
Materia » J24S
Il corpo celestiale luogo delle Forme e delle
anime » 244
Attività e passività nelV anima analogamente
alla Forma e Materia nelle cose, — Intel-
lectus agens, intellectus patiens .... » 245
Mortalità c?e/nntellectus patiens » 246
Valutazione delle dottrine Aristoteliche in or-
dine alla presente controversia tra il Ma-
terialismo e lo Spiritualismo » 249
Dubbi intorno a tale controversia. La materia
non può pensare^ > 250
Graduazione e perfezione crescente nella scala
dei fenomeid naturali » 251
Lo spirito e V estensione » 254
Erronea pretensione ne' materialisti di abolire
la Psicologia in servigio della Fisiologia. » 255
V. L'Etica.
Le origini delle dottrine morali > 257
Falsa via tenuta dalle Religioni » 258
La Morale nelle mani de' filosofi » 259
Dottrina di Aristotile. Il summum bonum nella
Felicità » 263
La funzione propria dell'uomo nell'atto del-
l' anima conforme alla ragione .... » 266
Metodo delle dottrine Aristoteliche nella trat-
tazione dell'Etica > 269
VI —
(
Difetto della base sistematica delle dottrine
morali di Aristotile ..."..... pag. 272
Impossibiliià di conoscere il Buono assoluto . » 275
Relatività del Buono, e significato di questa
relatività » 277
VI. La Metafisica.
La parola « Metafisica » e la Scienza delle
cause prime » 280
Aristotile cadde nel difetto de^ filosofi prece-
denti di scambiare in queste ricerche i con-
cetti astratti colle realità concrete , . . » 281
Continuazione di questo difetto nella Metafisica
di poi » d83
Esempio del metodo Metafisico nella formazio-
ne del concetto di Dio » 285
Alcune dottrine metafisiche di Aristotile. —
Il Primo Logico » 289
Gli assiomi non si formano per opera del me-
todo metafisico » 292
Necessità metafisica, fisica e logica^ loro vero
significato ». 293
Primo Ontologico aristotelico ...... » 295
Primo Motore immobile t 297
Critica della teorica Aristotelica delle Cause —
La Metafisica è una scienza tutta^composta
di ipotesi e .... . > 299
La distinzione tra Materia e Forza è soltanto
di uso mentale » 300
Della nozione di Causa » 301
La Causa esprime sempre un come e non un
perchè . » ivi
Differenza tra le ipotesi scientifiche e le cause
ipotetiche metafisiche » 302
La ricerca delle cause prifne é speéso nociva
alla ricerca delle vére caU^e » 304
PARTE PRIMA
DELLA FILOSOFIA GRECA E DEL METODO
AVANTI ARISTOTILE
«^^«^■1^1^ «-aa^Mik^^i^kAM
AVVERTENZA
Il lavoro, die presento al pubblico, ha peculiarmente in
mira la valutazione dei gradi di miglioramento, pei quali è
passato il metodo scientifico nelV antichità greca.
La prima Parte darà un rapido sguardo alle condizioni,
nelle quali trovossi, rispetto al metodo, la filosofia greca
avanti Aristotile, la quale compendiava in se qtiasi tutta la
scienza di quel tempo.
La seconda Parte tratterà della vera fondazione della
scienza compiutasi per opera di Aristotile colla legislazione
logica. La terza Parte presenterà alcuni saggi del lavoro di
Aristotile, allo scopo di apprezzare l* usq fatto da esso del
metodo scientifico, nella trattazione delle singole materie,
colle modificazioni adattate alla natura di ognuna di esse,
secondochè comportava la ristrettezza dei mezzi allora pos-
seduti dalla scienza.
L'indole e lo scopo di questo scritto mi obbligano a rac^
cogliere e accennare di volo quel tanto delle dottrine degli
antichi filosofia che può conferire ad illustrare l' analisi
del loro metodo, e rimandare il lettore, desideroso di una più
ampia conoscenza storica, ai migliori trattati di Storia
— 6 —
della Filosofia greca, dei quali io stesso mi sono servilo, e
specialmente ai seguenti:
Zeller. Die Philosophie der Griechen.
Brandis Handbuch der Geschichte der Griechisch-Rumi-
schen Philosophie.
Schwegler. Geschichte der Philosophie
Ueberweg. Grundriss der Gesch. der Phil.
Bertini. La Filosofia Greca prima di Socrate.
Stahr. Aristotelia.
Ravaisson. La Métaphysique d'Aristote.
Barlhélemy Saint-Hilaire. La Logique d Aristote.
Altre opere, che illustrano le dottrine dei diversi filosofi e
di Aristotile, verranno richiamate nelle citazioni>
PARTE PRIMA
Delle antlelilssline Dottrine Cosmosonl-
ehe ed Etlehe — Metodo Teologleo.
Non v' è forse alcun che di più attraente, e ad un
tempo più utile a studiare, dei tentativi fatti dalla ragione
umana, per arrivare ad un sicuro metodo nella ricerca del
vero, quale sì vede oggi praticare dalla maggior parte delle
scienze.
L'arte di pensare, sebbene la si debba nei suoi primordj
ad uno di quei fatti originarj e spontanei della specie uma-
na, ai quali si debbe Y iniziamento di tutte quante le varie
forme della attività di essa, è per altro un arte difficile e
complicata, e non si arriva a possederla nella sua perfezio-
ne, se non che colla notizia piena di tutti gli strumenti
usati in quell'arte e di tutte le maniere di adoperargli. È
per questo, che essa è venuta ad un grado elevato di sicu-
rezza soltanto a passo a passo, cominciando da un arte
rudimentale, per finire in un arte riflessa, consapevole,
illuminata.
Come i primi navigatori viaggiarono il mare gettandosi
alla ventura, e perdendosi nella immensità delle acque, e
poi gradatamente incominciarono ad orientarsi con alcune
astuzie di arte marinaresca, e soltanto diventarono padroni
del loro cammino colla cognizione del cielo e colla scoperta
della Bussola; può dirsi, che il simigliaate è iatravvonuto
— 8 —
agli scienziati, i quali hanno con lunghi sforzi acquistato il
dominio del mare del pensiero. Anche nell'arte, che dovea
produrre la scienza, vi furono la confusione e il buio dei
primi tentativi, e i pericoli di un lungo errare nella immen-
sità dell'ignoto, prima di trovare la guida di sì incerto
cammino. Le speculazioni teologiche dell'antichità si asso-
migliano anche troppo agli errori dei primi naviganti. Come
dalle speculazioni teologiche si passò alle speculazioni filo-
sofiche? Come in queste si cominciò con passi mal fermi,
per arrivare ad un metodo sicuro di ricerca? Come dall'au-*
torità religiosa si passò all'autorità personale dei maestri,
e dal loro dommatismo all'obbligazione razionale, alla auto-
rità scientifica? Queste dou^ande trovano la loro risposta
nella storia della Filosofia Greca dai tempi primitivi sino
ad Aristotile. Con Aristotile la scienza è insediata sulla sua
base vera, sulla dimostrazione rigorosa.
Cotal risultato è tanto grande, che merita conto stu-
diarlo a minuto, ed è tanto fecondo d'insegnamenti anche
per la scienza presente, che non riuscirà inutile farne tesoro
per la nostra pratica scientifica. Il metodo è il complesso di
tutte quelle regole generali e speciali, che sieiio capaci di
condurre la speculazione scientifica a raggiungere la cer-
tezza^ suo scopo connaturale. Queste regole non furono
trovate d'un tratto, ma in diverse età e da diversi pensa-
tori, e provando e riprovando se ne raccolse quel tanto,
che resse all' uso e alla critica. Lo studio della storia del
metodo, è pertanto di massima utilità, affinchè non ne
incontri di adoperare^ alcuna di quelle regole, che furono
riprovate dall' uso, con trascuranza di quelle, che i buoni
frutti sanzionarono definitivamente.
Per ciò che concerne la Filosofia in particolare, un tale
studio della storia del metodo deve considerarsi oggi non
pure come un vantaggio, ma come una vera necessità^
Poiché non farebbe meraviglia, se ci venisse fatto di scuo-
prire, che in molti punti, e massime nel metodo, la Filo-
— 9 —
sofia (li certe epoche recenti sia indietreggiata e peggiorata
in confronto dell' opera di Aristotile.
Della vieta opinione, che la Grecia prendesse in pre-
stito la sua filosofia dall' Oriente, è stato ormai fatto giusti-
zia dalla critica ; e non v' è al presènte persona mediocre-
mente versata in cose di storia filosofica, che non sappia,
come Quella opinione, nata e avvalorata tra i Neoplatonici,
è priva di ogni fondamento di verità (*). Tutte le dottrine
degli antichi filosofi greci sono cosi semplici e così originali,
che impossibile riesce illudersi sul conto loro, e bisogna ri-
conoscerle come una ricerca primitiva e infantile, non vi si
jiscontrando che ben poche traccio e tardive di lavoro stra-
niero. Non vi è alcun conflitto tra le dottrine greche e le
estranie, nessun richiamo alle tradizioni scientifiche del
passato, nessuna di quelle servilità, che segnalano una filo-
sofia dipendente da un' altra, quali s' incontrano nella sco-
lastica. La filosofia greca de' primi tempi è una scienza che
comincia.
I Greci inoltre poteano forse a quel tempo imparare
alcun, che in filosofia dagli altri? Nessun popolo asiatico
aveva allora una filosofia. Aveansi delle Teologie e delle
Cosmogonie; ma queste si perdevano tanto nell'antichità,
ed erano cosi stranamente fantastiche, che i Greci non vi
poteano prender gusto, essi che non faceano quasi buon viso
ai lor propri miti puramente teologici. Quando nacquero
le prime Teogonie e Cosmogonie greche, ebbero anch' esse
fisonomia propria, ben diflferente da quella delle orientali;
e quasi unico si può citare un concetto sceso dall'Oriente,
la Metempsicosi, che prese posto nelle concezioni cosmo-
goniche dei Teologi greci.
D'altra parte vi si opponeva la condizione generale
(*) Zeller. Die Philosophie der Grìechen. l.'»" Theil. s. 18.
— Barthelemy Saint-Hilaire , Traile de la Production et de la
dobiruction dea choses d'Aristote. Introd. p. CLXX.
— 10 —
della cultura greca, la quale non era tanto avanzata da
potere render facili le comunicazioni colla scienza orien-
tale ; che anzi rarissima fu tra i Greci la cognizione delle
lingue straniere, e poverissima la Ermeneutica, che sola
potea guidargli nella interpetrazione di libri asiatici dif-
ficilissima. Questi ostacoli interni erano tali , che di per
se bastavano ad annullare il frutto di qualsiasi - comuni-
cazione coir Oriente in fatto di scienza.
Nella cultura primitiva dei greci non può dunque tro-
varsi che rarissime traccio di dottrina prettamente orien-
tale. Vero è, bene, che i Greci dalla sede comune asia-
tica della razza ariana anticamente portarono seco e lingua
e costumi e tradizioni mitologiche, ma tutto in condizione
rudimentale, che fu ben presto contraffatto in tal modo,
e composto ad indole nazionale , da non rintracciarsene
senza molto acume scientifico la provenienza e i carat-
teri uniformi della razza originaria. Al primo apparire
del pensiero greco ci troviamo tanto distanti dall' epoche
di quella cultura elementare, che la formazione della vera
indole greca ha già scancellato i tratti più riconoscibili
della cultura ariana. E così che quando si crearono delle
Teologie e delle Cosmogonie, queste ebbero indole nazio-
nale, e furono improntate del genio caratteristico de' greci.
La Religione è sempre la forma, nella quale si svolge
la prima volta una tal quale conoscenza delle attinen-
ze fra le cose, e studiasi l'azione di invisibili forze e
delle leggi universali. Questa ^ forma religiosa si spinge
tanto oltre e foggia le credenze de' primi speculatori in
tal guisa, che quanto nel mondo avviene, si attribuisce
ad occulte ragioni; si forma il concetto, che l'azione di-
vina si estende a tutte le parti del mondo; è la sola
sapienza degli Dei che si ravvisa nel lavoro deiruniverso:
dimodoché il più antico soggetto delle vkevthQ umane è
lo studio e lo scuoprimento delle traccie di questa sapienza
nelle leggi universali. E per questa guisa i primi tenta-
— Il ^
tivi della specuLazione sono sempre comparsi sotto forma
di Teologia.
Col nome di Teologi nelle origini della scienza greca,
hannosi a comprendere due classi di pensatori , una di
Teologi propriamente detti, ed una di Teologi misti^ come
gli chiama Aristotile, i quali non hanno abbandonato il
vecchio metodo teologico, e tuttavia sono anche un poco
proclivi verso il nuovo metodo filosofico , che sta per
nascere.
E prima d'ogni altra cosa rammenterò, come non si
possa, nello stato presente degli studi critici, riconoscere,
come speculazione teologica antica, tutta quella massa in-
forme di tradizioni, che vanno sotto il nome di. Orfiche.
Cicerone, il quale aveva a mano opere di Aristotile, oca
perdute, attesta, come esso ritenesse un' impostura la esi-
stenza d'Orfeo (^). E lo stesso si ricava dal modo, che tiene
Aristotele nel citare le tradizioni Orfiche, chiamandole, le
così dette poesie d' Orfeo (*). Del resto, è noto che quelle
tradizioni , se antiche , furono ai tempi dei Pisistratidi
rimaneggiate per opera di Onomacrito, e questo basterebbe
a spogliarle di qualunque autenticità.
Il popolo greco, dotato di così elevate facoltà, fu portato
a speculare sulle origini del mondo; e fin d'allora dio un
saggio di quel genio naturalistico , che lo differenziava
da' popoli orientali, e che dovea renderlo in seguito ca-
pace di creare le scienze e le arti. Le nozioni, se così può
dirsi , le più greche di Cosmogonia antica si hanno da
Esiodo ('), il quale peraltro non è neppure esso esente da
qualche interpolazione (*). Esiodo appartiene alla classe
(') De Nat. t. I, 38. Orphcam po(5tam docet Aristoteles nnm-
qnam faisse.
Q) Ti xa).oiiuiy2 *Ooc»£w; ìnn, ri 'Op^txi xa/o'u«va Ir».
(•) Herod. II. 53. àjtoi Sk ("OariDo; xat 'lIfflo(?o; ) ecVi oi Trot-
(*) V. Schoemann. Hesiodische Thoogonio. .
— 12 - -
dei Teologi propriamente detti, che ho sopra indicato; ma
digià le sue fantasie sono spogliate di ogni preconcetto
sacerdotale, si sente un profano che medita di problemi
sacri; la teologia è già secolarizzata. La ricerca delF ori-
gine delle cose non ha in Esiodo quell'indole prettamente
teologica, che proveniva dall'interesse, ne* sacerdoti^ di van-
taggiare questa o quella divinità, e cattivare ad essa la
buona opinione della geote, facendola comparire regola-
trice del mondo; ma non ha neppure l'importanza scien-
tifica, che si dette in seguito alla ricerca delle fonda-
menta dell'essere. E invece una curiosità quasi infantile,
di sapere chi abbia fatto e regoli il mondo. E nella Teo-
gonia d'Esiodo si risponde a questa domanda in senso
politeistico, il quale fa un bell'accordo con tutte le idee
greche le più popolari. Le parti del mondo e i suoi
più mirabili fenomeni sono personificati in molti Dei, e si
riesce così a descrivere la produzione del mondo stesso
col distendere un altero genealogico degli Dei, una Teo-
gonia. -
Oltre a ciò la più gran parte di x^otale genealogia é
ispirata da giuochi di immaginazione, è spesso un trave-
stimento di fenomeni naturali sorpresi nella loro appari-
scenza, più che nella sostanza. Così *Epe/2oà colla NO^ ge-
nera Al Brip e Hfispoc perchè il giorno col suo splendore
è come figlio della notte e delle tenebre: la terra parto-
risce di se il mare e in congiunzione col cielo i fiumi,
perchè le sorgenti dei fiumi si alimentano* della pioggia
celeste, e il mare sembra che scaturisca dalla profondità
della terra.
Il problema naturale posto dai Teologi non era, quali
fossero le condizioni o cause in mezzo alle quali si pro-
ducessero i grandi fenomeni della natura; essi non cer-
cavano che cosa è che produce il tuono , il fulmine , il
terremuoto, ma chi tuona, chi fulmina , chi fa tremare
la terra. E i greci de' tempi d'Esiodo erano soddisfatti
quando sì raccoiiLava Idi'o, che Zeus o Poscidon faceva
tutte queste cose. Il porre loro dinanzi una spiegazione
fisica, non solo sarebbe stato di poco accontentamento,
ma assurdo e ridicolo ed empio (').
In tutto questo lavoro si fa manifesta una investiga-
gazione della natura fatta non coli' intelletto ma colla
fantasia, una teorìa mitica e non scientifica. Il che si fa
anche maggiormente manifesto dal considerare, che colali
cosmogonie non si debbono alla speculazione individuale dei
poeti teologici, ma bensì al lavoro popolare delle prime raz-
ze greche, le quali sulle tradizioni mitiche d'origine asiatica
racchiuse nel patrimonio linguistico svolsero la loro mito-
logia antropomortìca ; i poeti ne furono collettori ed in-
terpetri. Ne accadde in seguito a ciò, che la scienza na-
turalistica de' primi filosofi venuti poi, sebbene fosse assai
meschina, pur quasi nulla ritenne de' concetti cosmogonici
primitivi, tranne il Caos ed Eros.
Esiodo è dunque il tipo de' Teologi greci , tipo ben
perfezionato se si voglia confrontare a' Teologi saceiilotali
specialmente asiatici od egiziani. Questa maggior perfe-
zione la si deve al gusto del popolo greco, popolo che
esigeva un pascolo più umano che non fossero le mostruo-
sità orientali , e che non avrebbe certimente tollerato le
astruse dottrine de' templi di Isis o dì Brdhma. E per la
stessa ragione si rendea necessario altresì vestirgli dì forme
poetiche la pomposa vanità della Teologia.
Ai Teologi-poeti primitivi successero alcuni Teologi
misti, che tentarono anche più decisamente di scuotere il
giogo delle tradizioni sacerdotali , avviandosi ad una inve-
stigazione libera. Aristotile gli designa egregiamente chia-
mandoli misti, perchè non dicono tutto miticamente, e
fra questi il più noto è Ferecide (').
0) Orote. Plato I. p. 2.
CTTct M'yitv, aiav tip ikìJbì xi
iripot xim . ■ UetaT. XIIL 4, 4.
— 14 —
Esso fa contemporaneo, credesi^ di Talete, e scrisse
un libro di Cosmogonia , di cui restano soltanto fram-
menti (^). Insegnò esservi tre principj delle cose, Zeus,
Chronos e Chthon. Chthon era per esso la terra coi mari,
Chronos il cielo più prossimo alla terra, Zeus il cielo al-
tissimo. Chronos generò del suo seme il fuoco, il vento
e l'acqua. Zeus generò Eros, virtù formatrice del mondo,
mentre upa caterva di Dei subalterni sotto la sorveglianza
di Chronos presiede all'ordine di esso. Il più notevole tra i
concetti di Ferecide è senza dubbio la distinzione da esso
posta tra la materia e la virtù ordinatrice. Air infuori di
questo concetto, poco altro pu^ trovarsi di filosofico nei
frammenti rimastici di quelle specula/ioni.
Dalla condizione generale delle dottrine teologiche è
facile ricavare, come loro propria caratteristica sia la asso-
luta mancanza di metodo. E perciò quando si nomina il
inetodo teologico^ si adopera questo linguaggio per pura
necessità di forma^ dappoiché come apparisce, vi è una
coptrapposizione e una ripugnanza fondamentale tra il me-
todo e la speculazione teologica. Che cosa è che guida le
ricerche dei Teologi antichi ? Qual norma di ragionamento
dà valore alle loro sentenze? Sarebbe diflScile l'indovinarlo.
. Nella stessa guisa che ai poeti non si può domandare una
ragione scientifica delle loro finzioni, così sarebbe vano
domandarla ai Teologi. E così bisogna ritenere che essi
non ci presentano della scienza, ma soltanto un preambolo
ad essa, preambolo bensì che ella dovrà dimenticare, se
pur vuole acquistare solidità.
La ragione precipua di cotale mancanza di metodo nei
Teologi, ò l'uso, che essi fanno della fantasia^ in luogo
della ragione. Aristotile si fa beffe delle cause assegnate
dai Teologi a certi fenomeni mondiali, ed attribuisce ad
(*) Pherecidis fragmenta collegit, emend. et illastr. Fr. G.
Sturz. Lipsiae 1824.'
— 15 —
ossi l'ambizione di darsi un tono più tragico della gente
di buon senso. « Gli antichi e quelli che si occupano di
teologia, suppongono che il mare ha delle sorgenti ....
Eglino si sono forse immaginati che questa era una maniera
di dare un carattere più elevato e più tragico alle loro
spiegazioni .... ed essi hanno creduto, che il cielo tutto
intiero non era fatto che in siervigio di questo punto ( la
terra ) attorno al quale era costituito, e che sarebbe il più
importante e il principio di tutto il resto. Ma le persone
più sagge, d' una saggezza puramente umana ec, . . . » (*)
Questo rimprovero di posa tragica che Aristotile getta
in faccia ai teologi, mostra come esso credesse poco alla
loro buona fede e invece gli sospettasse gravemente di ciur-
merla. Del resto è ben chiaro il ripudio che essi facevano
della ragione, è chiaro non potervi esser metodo laddove la
ragione prende appena un piccol posto come facoltà elemen-
tnre, in luogo di essere signora assoluta e direttrice di tutto
il lavoro mentale. Ben è vero, che anche ' in seno alla
scienza la ragione non acquistò così prontamente, come era
a desiderare, codesta preponderanza; e i progressi del suo
dominio segnano i progressi del metodo. Ma in seno alla
teologia è tale una sproporzione tra la fantasia e la rifles-
sione intellettiva, che i caratteri della scienza non vi com-
pariscono neppure nei loro minimi gradi .
Una notevole differenza passa tra le prime ricerche
cosmogoniche e le prime sentenze di Etica, avuto riguardo
specialmente al loro valore e al grado di sicurezza razionale
che presentano. Nella cosmogonia si hanno incertezze
infinite di speculazione, fantasie poetiche, cause misteriose;
neir Etica invece, sin dal suo nascere, s'incontra una legge
inconcussa, che può essere in seguito meglio approfondita
e applicata, mai sconfessata^ una sicurezza di risultati e
un'affermazione incrollabile di obbligazioni morali, una
(') Meteor. II, 1. 2.
— 16 —
prepotente idea del giusto. I popoli dotati di elevat§ facoltà
toccano rapidamente questo grado di sicurezza nelle inve-
stigazioni etiche; e i Greci ne mostrano un esempio lumi-
noso .
La ragione di questo fatto si trova nella indole propria
della scienza morale. Il vero, per essere cercato e trovato,
ha bisogno di un lungo tirocinio mentale, col quale si. scuo-
pra la via che mena ad esso; il vero non porta in se i
segnali della sua autenticità, e questa non può riconoscersi
che constatando la provenienza delle conclusioni e riper-
correndo la via che ha menato ad esse; il bene al contrario
porta in certo modo con se le impronte, che lo distinguono
dal male, e lo spirito è capace di carpire quelle impronte
con un cotal senso intimo, che fa in questo caso le veci
della ragione. Queir intimo senso, benché abbia anch' esso
bisogno di un tirocinio per arrivare alla pienezza del suo
ufficio, è per aUro assai più precoce che non la ragione. Il
che si riscontra nei popoli, come nei fanciulli, i quali più
precocemente arrivano ad apprezzare il bene e il male, che
non il vero ed il falso. Si gli uni che gli altri per sapere se
una cosa è vera o falsa, è mestieri, che apprendano a
ragionar legittimamente su di essa, e che siano informati
del modo per arrivare alla dimostrazione; ma per sapere se
una azione è buona o cattiva, nella maggior parte dei casi
non hanno alcun bisogno di ragionamento. In luogo del
quale sta il sentimento connaturale del proprio benessere,
quasi formulantesi in un precetto di rispetto per se e per
gli altri.
E per questo, che la riflessione etica si è andata for-
mando con maggior sicurezza, e la flJosofla dei tempi dipoi
ha dalla sapienza primitiva accettato i materiali per la
scienza Etica, mentre ha dovuto gettar via tutte ,le fanta-
sticherie cosmologiche.
Già nelle poesie Omeriche comparisce una libertà e
chiarezza di spirito, un senso armonico, una appreziazione
quasi istintiva del bello e del buono, una sapienza elemeu-
tare, che onora la fancidlozza dell'Umanilii. E sopratutto,
meglio che sapienza di sentenze, sapienza di fatti, di carat-
teri e di avventure. Achille nella sua forza, uell' amicizia
per Patroclo, nell'umanità verso Priamo, Ettore nel suo
simpatico patriottismo, nel suo coraggio, Andromaca nella
sua tenerezza di sposa, Agamennone nella sua regale mae-
stà, Nestore nella sua saggezza, Ulisse nella sua prudenza,
Penelope nella sua fedeltà formano l' incarnazione di con-
cetti morali elevati e attestano di una provetta sapienza di
vita. Anche alcune brevi sentenze ne fanno testimonianza,
come un grido eccitatore dei capi, che esprime un pensiero
sublime nella sua semplicità: « siate uomini » come le belle
parole di Ettore sul cimentarsi per la patria, e come tutte
le sentenze, che si incontrano tratto tratto nei poemi Ome-
rici, appropriate alla vita, alla divinità, alle virtù ed ai vizj.
Tutto ciò mostra nel popolo greco dell'epoca Omerica una
singolare attitudine all'apprezzamento dei fenomeni morali.
Non mancano dei tratti che rappresentano la barbarie
dell'epoca Omerica, come l'incrudelire di Achille sul cada-
vere di Ettore. Ma queste macchie non annidlano il valore
della sapienza morale già acquistata dagli uomini di quel-
l'età; provano soltanto che la riflessione applicata alla
moride è progressiva e perfettibile, come lo è in qualunque
altra delle sue applicazioni .
Benché in disposizione diversa, cioè a modo di precetto
e non di esempio vivo, troviamo Io stesso in Esiodo. Le
idee della giustizia e della rettitudine vi dominano. Giove
sta a guardare le opere degli uomini in perpetua vigilanza,
disposto n punirle, se malvagie, e premiarle, se buone.
Esiodo raccomanda la parsimonia, la diligenza; eccita a
tere il sentiero faticoso della virtù, e allontanarsi da
P'jafillo facile del vizio; consiglia la amorevolezza verso ìl
|«vasÌrao, la condiscendenza verso tutti quelli che sono con-
discendenti con noi.
— 18 -
Col primo apparire del pensiero filosofico greco, questo
tesoro di morale si accrebbe. A ciò contribuirono i cosi
detti Gnomici (sentenziosi) che ci sono giunti mescolata-
mente senza distinzione di tempo, e fra i quali si deve
annoverare anche Solone, Focilide e Teognide. Nella"
prima metà del sesto secolo viveva Esopo, che dette tanto
lustro ad una delle maniere di insegnare la morale, da
doventarne modello. Gli Gnomici del sesto secolo ebbero
opportunità dì applicare le massime della giustizia anche
agli ordinamenti degli Stati^ e ne derivò una nuova specie
di precetti e di sentenze morali intorno alla giustizia pub-
blica e sociale. Solone e Licurgo diventarono celebri legi-
slatori in questa scuola. Fra le loro massime sociali ne
risaltano alcune, che non disdirebbero al senno di una
società più provetta, come le seguenti: che non può aversi
Stato felice, se non è retto da leggi rispettabili e rispettate;
che la licenza e la discordia dei cittadini sono il massimo
delle calamità^ l'ordine e la legge il più grande dei beni;
che è mestieri vi sia diritto e libertà per tutti, sommissione
di tutti alFautorità, equa ripartizione di onori e potenza,
come cardini, che un legislatore debba fissare per render
felice uno Stato.
L'antichità stessa ha consacrato il principio e lo svolgi-
mento elementare della sapienza etica colla tradizionale
rinomanza dei Sette Savi. Le loro dottrine ci sono pervenute
assai guaste e manchevoli, del pari che i loro nomi, ma la
loro tradizione è viva e presente in tutto il tempo storico
della Grecia; il che mostra come il lavoro di etica attribuito
ai Sette S|avi abbia lasciato profonde traccio nella vita del
popolo greco.
Se si considerano queste dottrine morali dal lato del
metodo, si trova che elleno sono un prodotto di metodo ele-
mentare, ma non si può a meno di riconoscervi un progresso
sul metodo teologico dei cosmogonisti. Tenuto conto anche
della differenza generica tra le dottrine morali e le cosmo-
- 19 —
geniche, accennala di sopra, "e pur avendo presente quanto
la via del vero sia più difficile a tracciarsi, che la via del
buono; rimane sempre in favore dei moralisti dell' antichità
una tendenza al positivo, al pràtico, un aborrimento dalla
sonorità vuota, una costante e saggia delimitazione di con-
cetti, che fanno il pregio del loro metodo in contrapposto a
quello dei Teologi. Essi parlano bensì in nome e autorità
propria, e sono Dommatici; essi non danno fondamento
alle loro ricerche, e le loro dottrine non isvolgono come
catena di ragionamento, e sono Aforistici: ma già non
parlano quasi più in nome di alcun Dio conoscono V esi-
genza morale, già il vizio è vizio, e virtù la virtù non per
alcun domma uscito dalla antichità mitica, ma per pronun-
ziato di coscienza umana. Il metodo che ha portato a così
fatti risultati è tanto superiore a quello dei Teologi, che
sebbene non sia il metodo scientifico della morale, è tale
per altro da porre un evidente contrasto tra i suoi pochi ma
sicuri prodotti e le fanciullesche concezioni dei^cosmogonisti.
— so-
li.
1 Naturalisti Jonid antichi. — Metodo dommatico
naturalistico »
Quando sì incominciò a rivolgere la mente, scevra di
ogni pregiudizio mitico, alla considerazione delle cose del
mondo, si arrivò ben presto a riconoscere che dovea esservi
un che di fondamentale nella varietà degli esseri, un che
di elementare come base di tutte le formazioni complete.
Fosse egli questo un puro concetto della mente o la rap-
presentanza di alcun ente reale, certo è, che T at tenzione
dei primi filosofi si fermò su questo concetto, e si die alla
ricerca di questo fondamento della natura. Trovai*e un
principio elementare, che spieghi la formazione dell'insieme
delle cose, trovare una base fissa in fondo alla variabilità
delle molteplici manifestazioni della natura, ecco il proble-
ma di tutta la filosofia avanti Socrate.
I filosofi tuonici non posero questo problema in tutta la
sua ampiezza, ma si ristrinsero alla natura esteriore, alla
materia, (^) e la ricerca Jonica fu questa: quale degli elementi
naturali è T elemento fondamentale? Alcuni di essi riten-
nero che fosse V acqua, altri V aria, altri una materia
caotica.
Talete Q) fu il primo a porre in questa maniera il pro-
blema filosofico, e a risolverlo, dicendo, che V acqua è il
principio di tutte le cose. (') Aristotile riporta certe osserva-
zioni, che dovettero servire di appoggio a Talete per arri-
(') Anchd Aristotile accenna essere stata questa la itianiera di
pensare della maggior parte fra quelli, che primi filosofarono.
Metaf. I, 3,2, segg. ctcóv ^n tt^ùto» ^(^oero^Tio'àvruv oi Tr^ccorot ràc sv
w*X»JC eiVet fiiovac ùiQ^yieray OLpyk^ €i%ai Travtuv ...»
(') Fiori dal 620 al 560 av. G. C.
(») Arist. Metaf. I. 3.
,.v.^.«% ■-r.-jii^4-- ^•'•iK:T*^''''S,
- 21 -
vare acciai conclusione, osservazioui elementari ma iuiiior-
tanti, cioè che la soinenza degli animali e il loro nutrimento
sieno umidi, che il caldo si sprigioni dall' umidità, che
generalmente r umidità siala formatrice e la raantenilrice
della vita, la quale per seccore eccessivo perisce.
Il merito di Talete di fronte al metodo filosofico, consi-
ste nell' essere egli stalo il primo a tìlosofai-e in via di
ragione e non d' ira magi nazione. Mentre Omero coi Teologi
faceva padre di tutte le cose l'Oceano, persona mitica
rivestita fanlaslicamenle dì poteri soprannaturali, Talete
poneva invece la sostanza materiale dell'acqua, nella sua
condizione di natura, come universale fondamento di pro-
duzione alle cose. Questo pensiero di appoggiare per la
prima Tolta il suo principio fisico su basi diverse dalle
mitologiche per porre il piede sul terreno della scienza,
fece dare a Talete il titolo Aristotelico ben meritato di
«Istitutore di colai Filosofia (della Natura) ». A questo
egli si era disposto, se vuoisi prestar fede a certe tradi-
zioni, eoo degli studj positivi di Astronomia, coi quali
sarebbe giunto a predire un ecclisse solarc_, (') e di Geome-
tria, che esso avrebbe il primo insegnata alla Grecia (*).
Anassimandro, che alcuni vogliono scuolaro, altri con-
temiioraneo di Talete, dette più ampia forma alle dottrine
di esso ('). Per risolvei-o il problema filosofico sovraindi-
cato non pose a fondamento della natura nò l'acqua, uè
l'aria, né altro determinato elemento, ma un miscuglio
primitivo di tutti gli elementi, innanzi che avessero acqui-
stato la loro attuale determinazione, e lo chiamò appunto
«t l'indeterminato » ts «irsipoi' (*). Le sosUmze naturati
dovettero sprigionarsi dal seno di questo indelei'minatQ
{') Erodoto I. 74.
(') Proclo comm. ad Eaclido.
(•) Nacque a Miloto nel 611 av. G. C.
(') Arisi, l'hya. Aqso. III. 4.
— es-
cono svegliarsi di ciascuna delle sue forze latenti. E dubbia
la interpetrazione precisa da doversi dare a questa sostanza
elementare di Anassimandro, ma come dall' un lato essa
non era alcuno degli elementi, non era per altro immateriale;
ma probabilmente era una materia prima, da cui non eransi
ancora sprigionati e formati gli elementi, non determinata
né per la qualità né per la quantità, ma non affatto un
principio dinamico, bensì un fondamento materiale; infine
V indeterminato di Anassimandro può ritenersi come una
espressione filosofica di ciò che i Teologi chiamavano miti-
camente il Caos, e che modernamente potrebbe immaginarsi
somigliante ad un miscuglio di tutti gli elementi posti in
istato di indifferenza chimica .
Fra le cose notabili circa le dottrine di Anassimandro
non bisogna trascurare, che fu esso il primo a chiamare
principio ( ifx^ ) la sua sostanza elementare .
Anassimene (*) tornò a ravvicinarsi alle vedute fonda-
mentali di Talete. Egli pòse a principio del Mondo un aere
illimitato, che è in perpetuo moto, dal quale fossero formate
tutte le cose ò per dilatazione, come il fuoco, o per conden-
sazione, come la terra, l'acqua, la pietra. Esso osservò che
' l'aria abbraccia tutto il mondo, e che il respirarla assicura
l'attività della vita animale (').
Tutti questi concetti, che a noi sembrano puerili, rappre-
sentano quasi i primi vagiti della scienza. Quando si pren-
dono in considerazione dal punto di vista in cui siamo
collocati noi, si vede quanta distanza v' é dal metodo degli
Jonici^ al metodo scientifico. Ma se scendiamo dal culmine
della scienza moderna per mescolarci a quei primi pensa-
tori, ci dovrà far meraviglia invece che essi abbiano in cosi
piccolo spazio di tempo saputo staccarsi dalle dottrine
fantastiche dei Teologi, da cui l' oriente non erasi saputo
(•) Fiori verso il 500 av. G. 0.
(') Schwegler Geschichte der Phil. p. 8.
23 —
staccare in tanti secoli. Il merito principale infatti del
metodo Jonico sta, come ho avvertilo in proposito di Talete,
Dell'aver posto da b.T oda ogni concezione mitica, e nel-
l'aver principiato una serie di osservazioni, che sebbene
incomplete, deformi, sconnesse, lasciano pur trasparire un
barlume di quella potenza dello spirito, che dovea spiegarsi
coti buon successo in seguilo. Si ha qui soltanto un rudi-
mento di metodo, ma il metodo filosofico è nato.
Le massime che lo ispirarono e lo diressero, sebbene
non ci sieiio storicamente note, è facile i-icavarle dal con-
tenuto delle dottrino Joniche. In primo luogo apparisce
chiaro, che la natura materiale fu valutata in tutta l'impor-
tanza sua come base di ogni ricerca. I dati sensibili esterni
delle cose furono il punto di partenza, da cui mosse la
ricerca di un fondamento a tutta la formazione naturale.
L'astrazione poi, che su questi dati si fece, fu limitata alla
concezione di un dato comune spogliato delle sole condizioni
di tempo e di luogo, ma non si staccò radicalmente dalla
realità delle cose. Ciò mostra, che gl'Jonici furono vera-
mente naturalisti, benché per insufficienza di mezzi scru-
tassero ben poco a fondo i segreti della natura. Ma è facile
a congetturare , che se la filosofia Elcatica non avesse
poscia eoi suo idealismo sopratfatto la filosofia Jonica, ne
sarebbe stata atfrettita la nascita delle scienze, e rispar-
mialo molto lavoro inutile.
Non lascierò intanto di osservare, come fin da questo
momento si presenta una particolare abitudine melodica,
che dovea protrarsi fino alla Sofistica, voglio dire 1' abitu-
dine di esporre dottrine dommaticamente poco o nulla
curando la discussione e la polemica. Sembra che i pensa-
tori dell' antichità abbiano obbedito ad una tendenza della
natura umana, per la quale l'uomo è molto proclive a
chinarsi ad una qualunque autorità. Non appena il pensiero
a fu spastoiato dall'autorità religiosa, lo vediamo cercare
un appoggio nell'autorilà personale di un maestro. Anche
- 24 -
quando l'abitudine raziocinativa ebbe migliorato d' assai la
ricerca scientifica, perjlungo tempo Y autorità personale del
maestro pensatore rimase prevalente, e fu consacrata col-
Yavzoq Ì(poc dei Pitagorici, che restò vizio di molte scuole.
La debolezza mentale della maggior parte dei discepoli,
dinanzi alla fatica di pensare e di ricercare il vero, favoreg-
giò la tendenza dei maestri a dominare colla propria auto-
rità le opinioni dell' universale, e così avvenne che spesso i
pensatori trascurarono l'uso di dimostrare, e si tennero paghi
ad annunziare i loro concetti. E quando anche si diffuse
la pratica del raziocinio, spesso il dommatisn^o viziò le
premesse, e cosi sebbene se ne cavasse una catena infran-
gibile di sillogismi, r abuso d' autorità che avea fatto
accreditare delle premesse senza criticarle, rese vano tutto
il lavoro raziocinativo attaccato ad esse. Così avvenne anche
nei tempi dipoi in seno alla scolastica, che su proposizioni
di Aristotile o dei Padri accettate senza discussione fab-
bricò castelli di sillogismi senza fondamento.
Il metodo filosofico portava dunque in se fin dal suo
nascere i germi della sua forza, ma questi per kingo tempo
furono soffocati da un principio subiettivo, il quale sebbene
desse temporaneamente e casualmente autorità alle dottri-
ne, toglieva però altrettanto valore alla scienza.
III.
I Pilagorlcl. — Helodfr doinniatleo
analogico.
La scuola di Pitagora prese a risolvere il Problema
fondamentale delle ricerche naturalistiche da un punfo di
vista diverso da quello degl' Jonici primitivi. Essa cercò
l'elemento costitutivo delle cose fuori della materia, in un
principio che non è ancora ideale, nel senso Platonico,
ma è certamente astratto.
Sembra che Pitagora nascesse a Samn verso il 582 av.
G. C. Le tradizioni che lo riguardano ci sono pervenute
sovraccariche di favole; il suo nome fu di quelli che 1
novellieri Alessandrini predilegevano per I' esercizio della
loro fantasia.
Il primo punto chiaro nella storia di questo filosofo è il
suo passaggio nella Magna Grecia. Ma anche di questo
fatto ci sono rapportate le più prossime circostanze in modo
tanto contrarli ttorio, che si può appena riuscire a fissarne
approssimativamente la data, verso Ìl 530, e ci è affatto
impossibile precisare il motivo che lo indusse a emigrare.
Certo è che questo passaggio da Samo sua patria a
Crotone inlluì grandemente sull'esito e sulla maniera della
sua dottrina, la quale presenta l'aspetto e l'indole de'severi
costumi Dorici, che fiorivano specialmente in Crotone, iu
contrapposizione della mollezza Jonica di Samo. La sua
Scuola prese forma e costituzione nella sua seconda patria,
ed è per questo che ella vien rammentata anche né passi
Aristotelici colla denominazione di Scuola italica.
Lungo sarebbe, e qui inopportuno, il riferire le tradizioni
che ci ragguagliano intorno alle pratiche della Lega Pita-
gorica, Alla regola di vita o ai requisiti di perfezione morale
— 26 —
ricercata negli affiliati, tradizioni di cui è dubbiosa l'auten-
ticità. Certo sembra, anche per i ragguagli più vicini a
Pitagora e perciò più sicuri, che non molto tempo dopo la
sua morte esso fosse ritenuto come uomo di Scienza stra-
ordinaria, ma non di condizione soprannaturale, come fu
favoleggiato dipoi. La natura della sua scienza sembra
essere stata particolarmente religiosa, ma non somigliante
a quella di un Epimenide, ed altri personaggi del 7."* e 6.*
Secolo, che sfoggiarono vanti di ispirazione divina e alluci-
narono i creduli con pratiche misteriose.
Più chiara apparisce V indole della sua scuola. Pitagora
avea senza dubbio V intenzione di fondare nna Scuola
modello di religiosità e di puri costumi, di moderazione, di
ordine, di obbedienza alle leggi, di fedeltà nell'amicizia,
e generalmente di tutte quelle virtù che nell' ideale Dorico
formavano il carattere di un uomo.
Anche Io scopo politico della Lega Pitagorica è inne-
gabile, benché in esso non debba ricercarsi T originaria
condizione di quella società. L'aspetto politico preso dalla
Lega Pitagorica fu piuttosto un effetto susseguente che
una intenzione primaria. Effetto della somiglianza di gusti
e di costumi, di uniformità di indole e di massime colla
società Dorica, la quale essendo politicamente aristocratica,
ebbe appoggio dai Pitagorici contro la democrazia, e fu
ad essi inevitabilmente fatale. Il risvegliarsi dello spirito
democratico contro le primitive istituzioni aristocratiche, e
la preponderanza, che esso prese col tempo nella massima
parte degli stati greci, arrivò nelle popolose e indipendenti
città italiche più presto e con più violenza al suo colmo; e
poiché i sinedrj pitagorici erano il centro della fazione ari-
stocratica, cosi furon fatti bersaglio ad una persecuzione
acerrima, la quale imperversò con tal furia in tutta la bassa
Italia, che ne andarono arse le case di riunione deitPita-
gorici, essi medesimi uccisi o sbandati, le istituzioni Aristo-
cratiche abolite; finché colla mediazione degli Achei fu
- 27 —
combinato un accordo, pel quale si concesse ai superstiti
tra i fuorusciti dì ritornarsene in patria.
Credono alcuni, che Pitagora stesso fosse involto nei
massacri; altri, che scorato si rifugiasse e morisse a Meta-
ponto; altri aucora, che i massacri principiassero dopo la
morte di lui (').
Tutlociò lascia vedere, come l'attività, che i Pitagorici
consacrarono alla scienza, dovesse riuscire scomposta, e
guastata dai fini sccondarj della Lega. [Quasi nulla ci
rimane di scritti Pitagorici, tranne i frammenti di nn
libro di Filolao, vissuro al tempo di Socrate, qualche
brano dubbioso di Archita e poco più, assieme ad una
massa informe di falsificazioni di ogni tempo.
Il principio fondamentale Pitagorico è espresso in que-
sta formula: il numero è l'essenza di tutte le cose. 11
cencetto della misura e dell' armonia serve di base,
secondo i Pitagorici, a tutta la vita pratica e alta forma-
zione dì tutte le cose. Poiché nulla vi è senza forma e
misura, e il numero è l'espressione della misura, il numero
deve essere il principio stesso delle cose, come dell' ordine
con cui elleno si combinano ne! mondo. Aristotile lascia nel
dubbio se per i Pitagorici il numero fosse un principio
sostanziale delle cose, ovvero uu archetipo, un modello
secondo il quale fossero foggiate e ordinate; talora si esprime
nel primo significato, talora nel secondo ('). Si ritiene ora
quasi generalmente che la teoria Pitagorica dei numeri
abbia avuto diverse interpetrazioni consecutive, e che una
parte dei Pitagorici riconoscesse nei numeri delle sostanze,
un' altra soltanto degli archetipi delle cose. La prima inter-
petrazione sarebbe la più antica e originaria, e più recente
benché egualmente pitagorica la seconda.
Le applicazioni del principio « tutto è numero » nello
(') V. Zeller. Die Phil. der Griechsn. Voi. I. p. 206 e sog.
(*) Arist. JJatef. L 6. - Metaf. I, 5.
— 28 —
studio della realtà riusci nelle mani dei Pitagorici ad un
infruttuoso simbolismo privo di ogni interesse filosofico.
Esaminarono le cose, come dice Aristotilev('), secondo una
tal quale somiglianza coi numeri e colle proporzioni nume-
riche. Cosi dissero la giustizia stare nel numero quadrato
perchè è una moltiplicazione di eguale con eguale, e per
ciò essere la giustizia il 4 primo quadrato dei pari, o
il 9 primo quadrato dei dispari; Y unità fu la ragione, per-
chè invariabile, la dualità V opinione perchè variabile.
Come si vede, non seguivano le proprietà aritmetiche dei
numeri, ma qualche cosa di arbitrario, di convenzionale
che loro attribuivano. Di qui ne derivarono molte contra-
dizioni , secondo il pensare diverso , talché un numero
sovente indica più cose, ed una èosa è riportata a più
numeri secondo che paresse meglio a ciascuno.
I Pitagorici non si appagarono peraltro di questa disor-
dinata applicazione del loro principio fondamentale; ma
cercarono di trarne anche qualche teoria generale ottenuta
medoticamente, come nel loro sistema dei nùmeri, nella loro
teoria dei toni musicali e delle figure e in quella del
sistema del mondo. Poco abbiamo di sicuro intomo a queste
speculazioni, che dovettero fare il merito principale della
Scienza Pitagorica, perchè i frammenti stessi di Filolao sono
troppo malconci per darcene una informazione esatta. Un
concetto espressamente manifestato nella loro Teoria, è
quello secondo il quale tutti i corpi celesti, compresa
la terra, si muovono in un determinato e immutabile cam-
mino circolare attorno ad un centro comune, che è il fuoco
centrale, da cui irraggia la luce il calore e la vita in tutto
r universo. Che il mondo sia in tutto cosli*uito secondo forme
e misure armoniche, si ricava secondo i Pitagorici dalle
proprietà dei numeri applicati alle figure deicoi^i, essendo-
ché solo per 1 numeri si abbia la determinazione delle
(') Metaf, I. 5.
— 29 —
proporzioni quantitativo delle cose, come estensione, gran*
dezza, figura, composizione, distanza ec. Prodotte le cose
sopra un fondamento di numeri, di opposizioni numericbOi
bisognava trovare un legame, che^tenesse assieme le cose
prodotte in tal guisa. Questo legame è TArmonia, che da
Filolao è definita come unità delia varietà e combinazione
del discorde. Come la osserv'azione delle antitesi naturali (*)
si connette colla trattazione dei numeri e specialmente col
pari e dispari, unità e moltiplicità; cosi Tarmonìa che col<-
lega i numeri, fondamento delle cose, legame delle antitesi,
si connette colla trattcìzione della proporzionalità dei toni
musicali. Nella proporzionalità musicale dei toni riconosce-
vano i Pitagorici un che di anaiogo al legame dei contrap-
posti nelle cose, e perciò chiamavano armonia l'uno come
r altra.
Che cosa rimase di tanto lavoro Pitagorico nella scien-
za? Quasi nulla, fuorché il concetto primario del CQnside-
rare la natura dal punto di vista aritmetico e geometrico.
Questa debolezza di successo nelle dottrine è colpa di debo-
lezza nel metodo. I Pitagorici non aveano per anco trovata
la distinzione certa tra le idee universali e le cose concrete.
Ma essi si alzavano un grado di più che gì' Jonici nella
via della semplice astrazione.
La quantità è la prima astrazione fatta sulla materia;
(*) finito— infioito
dispari— pari
ano— più
destro— sinistro
maschile— femminile
qaiete— moto
retto— carTO
luce — tenebre
bene— male
quadrato— rettangolo
Arìst Metaf. I. i.
- 30 ^
il numero è l'astrazione della quantità. Impossessatisi i
Pitagorici di questo concetto due volte astratto, e appro-
fonditolo, credettero di aver trovato il segreto della ng.tura,
e lavorarono su questa astrazione a modo loro, come se ella
fosse una realità. E per questo che essi jincominciarono a
perdere di vista il reale concreto, e tenersi nell* astratto.
Vizio, che doveva essere spinto poi air ultimo segno dagli
Eleati; ma i Pitagorici stessi si furono invaghiti della loro
astrazione, e sebbene non trascurassero del tutto il reale,
si lasciarono poco frenare da qsso.
^ Infatti se prendesi a considerare V insieme dei loro
sludi, si troverà che essi chiamano bensì il reale a prender
posto nelle loro teorie, ma gli danno una parte secondaria,
e lo fanno servo della loro astrazione, piuttosto che chia-
marlo a produrla. Le cose perchè sono elleno in armonìa?
Perchè i numeri sono in fondo alle cose, e i numeri sono
espressione deirarmonìa musicale, dunque in fondo alle cose
è r armonìa. Il metodo sano avrebbe dovuto costatare
dapprima l'armonìa nelle cose, come ordine fisso e reale,
e non dedurla come conseguenza. Ciò avrebbe portato a
studiare le cose a minuto in se stesse, indipendentemente
dair astrazione €ei numeri, e la loro rappresentazione
numerica astrattiva sarebbe venuta in seguito. Cosi avven-
ne, che il metodo Pitagorico fu dommatico, perchè non
appoggiava su dimostrazioni rigorose la sua dottrina, e fu
astrattivo, perchè il vizio particolare ad esso si riscontra
nell' avere scambiato la astrazione numerica colla realità,
ed essersi servito di quella come base di ogni ricerca.
Vi fu progresso sul metodo Jonico, perchè in questo non
comparisce nettamente alcuna traccia di legge. 1 Pitagorici
segnano i primi questo stupendo trovato mentale, che si
chiama legge^ e che era destinato a darci la cognizione
della natura in modo tanto sincero, da farla strumento
nostro, quasi a riprova della solidità degli studj di cui
l'abbiamo fatta soggetto. E questo buon uffizio reso dai
ii«> - .-i-»
— 31 —
Pitagorici alla scienza, è dovuto senza dubbio al loro me-
todo aslrallivo, vero metodo della scienza; alla quale
sarebbe assai giovato di non uscire da esso per salire
ancora più in alto nel metodo ideale dei^filosofi dipoi; ma,
come ho detto, il metodo astrattivo, ricco in se stesso di
immense scoperte avvenire fu viziato col fondare l'astrazio-
ne sopra una minima parte del reale e col dar corpo alla
astrazione prodotta, talché ne venne guastato e annullato
l'uso proficuo del metodo stesso. Il che non sarebbe
intravvenuto, se i Pitagorici in luogo di proclamar
sostanza il numero, avessero il metodo stesso, che gli
avea portati a trovar la legge, che tutto è numero,
adoperato proficuamente alla ricerca delle leggi speciali
di tutte le cose.
Quanto poi vi fosse di vizioso anche nel metodo stesso,
che i Pitagorici adoperarono per concludere alla legge uni-
versale doH'armonìa, si fa chiaro dal considerare, come essi
appoggiassero la legge stessa sopra un fondamento di
Analogia, e non sopra una sana induzione. Analogia è
l'attinenza tra 1' armonia musicale e quella clie essi dissero
armonia delle sfere; analogia è la proporzione de' toni,
pareggiata alta proporzione e all'ordine delle cose; analogie
sono le diverso applicazioni del sistema numerico alla rap-
presentazione delle quahtà morali, delle istituzioni umane,
delle condizioni individuali e sociali. L'unica applicazione
'del sistema numerico che non sia analogica, si incontra nella
determinazione delle figure geometriche dei corpi, ma questo
esce dalla filosofia per entrare nella matematica, nella quale
i Pitagorici fecero notevoli progressi. Fu per gl'abuso della
analogia, che riuscirono vani e spesso rìdiceli i tentativi dì
definizioni lasciati da essi; il che se non fosse stato,
I avrebbero fatto avanzare il metodo di un gran passo, poiché
la definizione è una delle più importanti conquiste della
logica, avuto specialmente riguardo all' attinenza che la
definizione ha colla classificazione. Ma colle loro definizioni
- 32 —
numeriche, invece di riuscire alla dialettica, come doveva
essere, i Pitagorici riuscirono ad un simbolismo matematico,
simbolismo di nessun valore, perchè applicato a cose non
matematiche.
In generale si scorge, che i Pitagorici intravvidero
alcun che del metodo scientifico, ma soltanto in barlume,
e ne usarono al buio senza cognizione dello strumento
che adeperavano. Ma già il vantaggio era grande, perchè
in questa guisa il distacco dalla Teologia e dal metodo
teologico si faceva più deciso, che negl'Jonici; si rendeva
qualche ragione del mondo e del suo ordine, cavata da
esso medesimo; e si giustificava in qualche maniera V ab-
bandono del concetto mitico. 11 mondo possedeva un armo-
nia sua propria, una compensazione universale; l'ordine si
faceva per una linea circolare rientrante, sema l'intervento
di agenti mitici.
^ al.
— 83 —
IV.
Oli Kleatl — Metodo dommatleo
Idealistico.
Quando la Scuola Eleatica pervenne al suo colmo, il
problema fondamentale della filosofia contemporanea si
trovò trasformato. Non era più la base elementare della
natura, che si cercava, come erasi fatto dagli Jonici, né
la compostezza armonica delle cose, come dai Pitagorici;
ma quasi presumendo di aver già trovata quella base e defi-
nita quell'armonia, gli Eleati fissarono il pensiero sulla
stabilità di quella base e di quell'armonìa, e si accinsero a
spiegare, in qual rapporto stasse con quelle il mondo vario,
esterno, esistente realmente. E conclusero così: la stabilità
ed unità del fondamento delle cose deve riconoscersi essen-
ziale: solo un essere intimo sussiste; l'apparente varietà
delle cose è illusione, è nulla.
A questa conclusione non si arrivò d' un tratto, ma a
gradi. Senofane di Colofone partì da una serie di concetti
teologici; Parmenide, da astrazioni metafisiche; 2^none
appoggiò in modo dialettico le conclusioni di questo.
Sembra che Senofane Q) fosse il primo a pronunziare la
sentenza « Tutto è uno » senza peraltro spiegarsi chiaro
intorno a siffatta unità, specialmente se fosse materiale o
ideale, e si limitò,' come dice Aristotile, a volgere lo sguardo
sul mondo come il Tutto, ed a chiamare Dio l'Uno .
Dai frammenti che di esso ci rimangono si ricava, come
egli fosse condotto a questa conclusione per orrore della
religione politeistica dei Greci. Infitti egli si accende di
zelo contro il pregiudizio, che gli Dei fossero nati, avessero
voce e fisonomia umana, e lacera Omero ed Esiodo per
(•) Nato verso il 569. av, C.
- 34 —
aver cantato il furto, l'adulterio, la frode degli Dei. La
divinità, secondo esso, ò tutta vista^ tutta udito, tutta intel-
ligenza, instancabile dominatrice di tutto col suo pensiero, in
nulla somigliante agli uomini nò di forme né di intelligenza.
I Greci sonosi formati gli Dei a loro somiglianza; ma se i
cavalli i leoni avessero dovuto foggiare degli Dei, gli
avrebbero foggiati a loro somiglianza egualmente; gli
Etiopi foggiano i loro Dei colla pelle nera, i Tracj gli fanno
biondi ('). Esso sconcerta tutte le Teogonie architettate
per lo innanzi coli' antropomorfismo mitologico dei Greci, e
pone in loro vece il concetto della immutabilità divina. Ma ^
esso sconcertava egualmente ogni teoria precedente circa la
formazione delle cose, col dichiarare inammissibile qualun-
que generazione di cosa reale, ogni successione, cangia-
mento, principio e fine nelle cose come in Dio; e con questo
entrava nel campo filosofico. E quando riscontrava tanta
varietà di concetti umani ad onta della unità invariabile
delle cose, non la dis(;onosceva, 'ma quella varietà dichia-
rava esser cosa dell'uomo e non dell' universo, avere un
valore subiettivo e personale. Ben è vero, che Senofane non
avea posto per anche questo suo principio immutabile in
urto coir essere concreto e variabile del mondo, e non era
riuscito alla negazione di questo.
Parmenide {^) d'Elea fu il vero capo della Scuola Elea-
tica, e dette alla dottrina dell'unità dell'essere tutta l' im-
portanza filosofica di che essa era capace. I pochi frammenti
che di lui ci rimangono, benché incompleti, sono tuttavia
di un gran valore per darci notizia del suo pensiero. Una
parte di essi riguarda l'essere immutabile. Parmenide trae
decisamente alle ultime conseguenze le massime di Seno-
fane circa l'unità ed immutabilità del Tutto, spogliandola
dell'involucro religioso in che esso la lasciava involta,
(*) Xenophanis, Fragm. ed. Karsten. "^
(') Nato verso il 515 ay. 0.
suiccandola affatto dalla divinità per trasportarla al mondo,
in servigio ili mia Ontologia prettamente filosofica. Esso
dichiara, die il puro, unico Essere è in coatraslo con tutta
la varietà e riioltiplioità delle cose concrete; quello è vera-
mente l'Essere; queste sono apparenze, sono il Non-essere;
l'Ess-ire solo è, il Non-essere è nulla; l'Essere solo è pensa-
bile, il Non-essere è inescogitabile. L'Essere non può tro-
varsi in movimento, non può mutarsi né formarsi, non può
trovarai confinato dal tempo e dallo spazio, non divisibile,
non generabile, tutto ed unico, sempre eguale a se stesso.
Sola prerogativa sua i! pensiero «Essere e pensiero sono la
cosa stessa » (*).
In questo solo sta la verità. Tutte le altre nozioni sono
fallaci, appartengono all'ordine della opinione e non a quello
della certezza; tutto il fenomenale, il relativo, il mutabile
delle cose, la pluralità, la successione, il cambiamento, il
moto, la generazione e la distruzione, sono illusioni, che
hanno bensì un'azione sul pensiero, ma sono piene di falsità
se si attribuiscono all'essere. L'essere non cambia di luogo
né di tempo, né sì genera o si distrugge, e non è molte-
plice, ma unico.
La seconda porzione dei Frammenti tratta di quello
che Parmenide dichiara non essere, cioè il mondo concreto,
l'esteriorità, l'apparenza delle cose; ma ne parla soltanto
in via ipotetica. Tutte le illusioni che ci fanno parere cose
reali quei fenomeni, che in verità non sono altro che appa-
renza, derivano dai sensi; i quali in cotal guisa tengono il
punto opposto all'intelligenza; poiché essa ci presenta
l'essere, il vero, e quelli il fenomeno, il falso. Nessun lega-
me scientifico si trova tra la prima e la seconda parte degli
studj di Parmenide, essendix:hè il mondo esterno non
sussista -che nella imaginazione degli uomini; l'Ontologia e
" :
p. 687. B.
[ Clero. Alea. Strom. VI.
— sa-
la Fenomenologia non hanno alcuna attinenza tra loro, se
non in quanto V uomo trova nell' una la verità, nel!' altra
un illusione nocevole al suo pensiero ; e comq nell' ordine
della prima si producono le dottrine certe e fìsse, riell'ordi-
ne della seconda sorgono le innumerevoli opinioni degli
uomini.
Questi concetti di Parmenide dovettero parere sover-
chiamente paradossali anche ai contemporanei, i quali tro-
varono molti punti deboli in quella dottrina, che sosteneva
enervi un solo Ente continuo, e per combatterla, ad essa
contrapponevano la dottrina di molti enti discontinui.
Zenone di Elea (•), per sostenere e appoggiare con qualche
vigore la tesi del maestro tentò di mostrare agli avversarj,
come la loro teoria degli enti molteplici e discontinui fosse
gravida di contradizioni non meno urtanti di quelle, che
rimproveravano alla teoria di Parmenide. Questo avea
menomato il fenomenale, e l' avea respinto in un terreno
ristretto, ma l'avea tollerato; Zenone lo annullò, e^ingaggió
una polemica, rimasta celebre nella storia, per dar ragione
di cotale annullamento. Questa polemica gli valse da Ari-
stotile l'onorato titolo d'inventore della dialettica, non già
in grazia della tesi sostenuta, ma per gli artifizj dialettici
impiegati a sostenerla.
Le reliquie di tal polemica meritano di esser raccolte,
SQ non per il loro merito intrinseco, almeno per il loro
valore storico. Le argomentazioni, che ci rimangono, ten-
dono a provare, come non vi possa essere né moltipUciià
né movimento nelle cose.
Il molteplice, dice Zenone, é una quantità dell'Uno; un
verace Uno, non avente in sé moltiplicità, é indivisibile; or
l'indivisibile non ha alcuna grandezza (altrimenti potrebbe
esser diviso); in conseguenza il molteplice non ha gran-
dezza alcuna, e però è nulla. - Che se si prenda invece
(*) Nato verso il 495 ay. C.
- 37 ^
il molteplice come un complesso di cose veramente esistenti,
saranno cose ciascuna delle quali ha grandezza; avendo
grandezza, ciascuna cosa deve constare di parti, che a lor
volta hanno grandezza; questo parti debbono essere sepa-
rate l'una dall'altra da delle grandezze, altrimenti si
confonderebbero assieme: e queste grandezze interstizio
debbono èssere aiich' osse separate da grandezze, talché
ogni cosa risulterebbe di un numero infinito di grandezze;
ma ili cotal guisa resta sola la grandezza infinita^ scom-
pare ogni determinata grandezza, e scompare il molteplice.
Ancora: dato il molteplice, il numero dovrebbe esten-
dersi tanto quanto esso molteplice si estende, e non più:
invoce il numero è illimitato, talché al numero, quale è,'
può sempre aggiungersene un altro, e così air infinito.
E contro il movimento: un dardo lanciato dovrebbe,
innanzi di toccare il bersaglio, trascorrere dapprima la metà
della sua via, e la metà della metà avanti di quella, e cosi
in seguito; in breve dovrebbe percorrere un numero infinito
di porzioni di spazio, il che è impossibile; dunque non vi ò
passaggio possibile da un punto a un altro, dunque è
impossibile il movimento.
Di più: stare in riposo dicesi il rimanere in un solo e
in imo stesso luogo. Dividasi il tempo, durante il quale un
dardo vola, in momenti; in uno di questi, nel batter d' oc-
chio del momento presento, il dardo occupa un solo luogo;
adunque esso sta in riposo, e il movimento è un'illusione.
Questi, e pochi altri simili a questi sono gli argomenti,
coi quali Zenone tentava Aisfriiggere completamente il
mondo esterno nella sua moltiplicità e nel suo moto, per
porre in salvo la tesi Paniienidea dell' unico ed immobile
Essere.
11 Metodo, che gli Eleati seguivano in queste specula-
zioni, si fa chiaro dalla natura delle conclusioni a cui arri-
varono, come da quella dei principj da cui partivano. È
facile anche discernere come lo stesso metodo sia quello,
V
— S8 —
che ispira i concetti di tutti tre i filosofi sóvraccennati, non
essendovi tra loro differenza, fuorché nella maggiore o
minore portata che ciascuno dava alle conseguenze; il
significato delle loro dottrine è pressoché identico.
Il principio metodico di tutta la scienza eleatica è
questo: la* verità si trova soltanto nel pensiero. E quando
questo concetto fondamentale dirige a loro insaputa gli
eleatici nella speculazione filosofica, il pensiero a cui essi
si riferiscono, non è il pensiero diretto, foggiato sulle cose
concrete, ma il pensiero astrattissimo, staccato dalle cose
stesse, e spinto tanto oltre quanto portava la forza mentale
di quei pensatori. Ora il pensiero astratto possiede un'unità
sua propria, mentale, indipendente, nella quale tutte le
particolari. astrazioni e i concetti stessi delle cose rivestono
uniformità e invariabilità. Questa unità, trovata nei prodotti'
più elevati dell'astrazione, gli Eleati la attribuirono alle
cose stesse, e ne usci la conseguenza, che le cose fossero
tutte come fuse in un sostanziale ed unico Essere, e che le
diversità loro fossero soltanto apparenti. E vero infatti che
nella mente i concetti sono compenetrati in un composto di
natura ideale, la quale si manifesta in tutti colle sue pecu-
liari doti di universalità, di indipendenza, di invariabilità;
talché la generazione la distruzione, la variabilità e il
movimento spariscono dal mondo dei concetti i quali resta-
no incolumi anche al distruggersi delle cose.
Tanto riuscì facile trovare l'unità nel mondo del pen-
siero quanto invece era difficile trovarla nel mondo dellg
cose. L' avere scambiato l' ideale col reale, l'astratto col
concreto costituisce il vizio della filosofia eleatica, e dà
ragione delle conseguenze, distruttive del mondo esterno,
alle quali pervenne.
Per questa via Senofane ideava l'Unico Dio in luogo di
tutto il Panteon politeistico greco, e Parmenide 1' unico
Essere in luogo di tutta la moltiplicità delle cose. Il primo
neir ordine religioso, il secondo nell' ordine metafisico,
- 39 -^
nuir altro facevano, che prestare realità al concepimento
del pensiero e dar corpo allii unità razionale distruggendo
la moìtiplicità etfettiva della storia religiosa o della storia
naturale; senza curarsi se quesla unità, per essere nella
mente, si trovasse a suo agio del pari nelle cose, a cui per
forza la si attribuiva; e senza badare, se non si arrivasse
con questo a distruggere il mondo che si voleva spiegare.
Intanto fa mestieri osservare che fra. i vantaggi di
questo metodo Eleatico, il più importante per la filosofia fu
la iniziata proclamazione della fissità del pensiero scienti-
fico. Parmenide esagerando la realità del pensiero dà
luogo alla ricerca delle vere condizioni di solidità, che in
esso si riscontrano. E Platone stesso sembra voglia fargli
merito di aver mossa, cotal quistione introducendolo come
•protagonista di quello tra i suoi dialoghi, che era destinato
a esaltare il mondo delle idee, e farne base alla scienza.
Or questa maniera di considerare la incrollabile natura
del pensiero, sebbene da Parmenide non fosse portata alle
sue vere conseguenze, né tenuta entro ai suoi limiti, rac-
chiudeva per altro una delle condizioni fondamentali del
Metodo scientifico. La scienza è nulla se non si può
contare sulla solidità di essa; il pensiero è un trastullo,
se r ordine col quale si svolge non ò condotto da leggi in-
violabili.
Ma se nei concetti Elcatici trovasi un germe di quella
dottrina, che dovea poscia assicurare alla scienza la sua
prerogativa di certezza, vi si riscontrano altresì dei germi
di quello scetticismo, che invase una parte della filosofia
dei tempi successivi. Per ciò che spetta a Senofane, pare
che esso medesimo riuscisse ad una specie di scetticismo,
dichiarando che nessuno può dire che cosa sia vero intorno
a tutte le cose del mondo. A questa conseguenza lo portava-
no le suo premesse, che sebbene si tenessero peculiarmente
nell'ordine religioso, faceano capo anche all' ordine filoso-
fico, annullando le opinioni esistenti circa la generazione e
— 40 —
la distruzione delle cose. La Teogonia essendo in quel tem-
po, per la gente religiosa come Senofane, strettamente
collegata colla cosmogonìa, la distruzione degli Dei portava
seco la distruzione delle forze e degli agènti molteplici del
mondo, e cosi ne seguiva un Panteismo o Pancosmisrao
che ben presto si trasformava in un vero scetticismo (*).
Parmenide dal canto suo, facendo una sostanziale sepa-
razione tra r Ontologìa e la Fenomenologìa, ed accordando
alla prima la verità dell'Essere, all'altra la sola probabilità
dell' opinione, apriva la strada alla negazione del valore
dei fenomeni, conseguenze tratte in seguito da Zenone. Il
metodo eleatico in cotal guisa da un lato avea fatto un
acquisto fissando la incroUabilità dell'Essere e del vero,
dall'altro era inferiore al metodo degli Jonici, i quali non
ponevano in dubbio il valore della fenomenalità. Ed infatti
t\on si saprebbe spiegare come, tolto il valore di questa, si
potea salvare il valore stesso dell'Essere unico, che si era
dalla mente trovato appoggiandosi pur sui fenomeni.
Fra i difetti del metodo eleatico citerò infine 1' uso
tacitamente allora introdotto per la prima volta del concetto
filosofico àeìV assoluto. La Metafisica,- che ha guastato molte
parti della Filosofia, entrò nel campo di essa con questo
concetto. Non è qui luogo a trattare partitamente la qui-
stione dell' assoluto: mi basterà osservare, che nell' ordine
metafisico esso è l'esagerazione di un processo mentale
legittimo, il quale diventa pernicioso alla scienza per via
di questa esagerazione. Tutti i concetti che i metafisici
vantano per assoluti non sono in se stessi che prodotti
dell'astrazione esercitata su particolari obietti, in nulla
differenti dagli altri prodotti di essa. Questo lavoro col
quale si astrae dalle condizioni di spazio, di tempo, di
forma ec. applicato ai fenomeni dà origine alla conce-
zione mentale delle leggi; applicato agli individui produce
(*) Grote. Plato, p. 18.
- 41 —
le specie, i generi ec.; applicato alle qualità delle cose
produce i concetti fondamentali di esse qualità, che i meta-
fisici battezzano per assoluti. Il concetto del bello, per es.
è il prodotto di una astrazione fitta coli' osservare molte
cose belle ritenendo di esse V effetto artistico, e trascurando
le diverse loro condizioni, come il concetto di uomo è il
prodotto di una astrazione fatta osservando molti uomini,
e trascurando le loro particolarità individuali^ per ritenere
i dati comuni. Questi due prodotti non differiscono di valore
tra loro, e non sono assoluti né Tuno né l'altro; soltanto
si elevano in perfezione quanto maggiore è il numero degli
obietti su cui la astrazione si è fatta, e quanto più fino è il
criterio col quale si é condotta la scelta e l'apprezzamento
di quegli obietti. Dimodoché ciascuno ha una più perfetta
idea dell' uomo, quanto più minutamente ha osservato gli
uomini nella loro struttura fisica e morale; e ciascuno ha
una più perfetta idea del bello, quanto maggior numero di
cose belle ha gustato in tutte le svariate arti e nelle pro-
gressive produzioni di esse. Da ciò deriva che cotali concetti .
sono progressivi o perfettivi a seconda della vigoria men-
tale di ciascuno, della educazione, e dell' abbondanza e
scelta delle particolari percezioni. Essi non sono adunque
assoluti.
Collo stesso ragionamento il concetto dell' Essere unico
di Parmenide, a riportarlo al suo vero valore, non è altro
che il prodotto di una astrazione massima tratta dall'osser-
vazione di tutta la fenomenalità. E così si aveva torto dì
ìiegare a nome di quel concetto la fenomenalità medesima,
e di attribuire ad esso un valore assoluto. Come chi a nome
di alcuna legge negasse il valore dei fatti che l' hanno
ispirata, e sclamasse che la legge è^ ma i fenomeni non
sono; a nome di alcuna specie negasse gì' individui; o a
nome del concetto del bello negasse lo cose belle. Il metodo
Eleatico rialzò il valore di queste astrazioni, e questo ò il
suo pr^Ì0| ma lo esagerò introducendovi una forma asso-
— 42 —
luta di concezione, e aprendo la strada alla metafisica, e
questo è il suo massimo difetto.
Dal vizio di dar corpo e realità all'astrazione più ele-
vata è del pari provenuto il controsenso, che giace in fondo
a tutti gli argomenti di Zenone. 11 suo dardo che vola al
bersaglio non può arrivare mai a toccarlo, se davvero esso
è obbligato a percorrere il numero infinito di divisioni in
progressione decrescente^ in cui è spezzato mentalmente
lo spazio da percorrere. Ma questa divisione è del tutto
mentale; la realità non presenta al dardo che la som-
ma effettiva di quegli spazi a percorrere: la divisione
astratta di essi non può applicarsi al fatto reale.
La polemica di Zenone per altro die origine alla dia-
lettica, e per questa via portò un colpo mortale al metodo
dommatico dei vecchi pensatori, la discussione divenne per
la prima volta abito scientifico, e cominciò a prevalere
Tautorità della ragione all' autorità personale, e l'uso della
parola cominciò a studiarsi come mezzo di persuasione. La
retorica e la dialettica, quasi appena uscite nel campo della
cultura, ebbero tanto abbagliato gli spiriti col presentimento
di una nuova e poderosa forza, che se ne esagerò la
portata; ma pur divennero un punto di passaggio per
arrivare alla fissazione del metodo logico. Il dommatismo
era spacciato. L'apparizione di Zenone, dice Grote, costi-
tuisce un' èra rimarchevole nella filosofia greca, perchè
esso* per primo messe in azione la forza straordinaria
aggressiva o negativa del metodo proprio alla dialettica.
Nella sua discussione concernente l'Unità e la Pluralità,
gli argomenti positivi per P una parte e per l'altra erano
del pari insufficienti e meschini, ma il vantaggio portato da
essa è nell' avere la domanda e la risposta fatta metodica-
mente, e nel comparire della abitudine critica nella specu-
lazione greca^ cioè di quella forza che dovea approfondire,
provare e scrutare. Smascherare non pure una menzogna
positiva, ma anche la affermazione senza prove, la confi-
- 48 -
ddnza esagerata in ciò che pure è dubbioso, o la pompa di
cognizioni i^enza fondo — considerare un problema sotto
tutti i suoi aspetti, e manifestare tutte le difficoltà che la
sua soluzione presenta; tutti questi procedimenti divengono
d' ora in poi abituali ai più grandi pensatori della Grecia.
— 44 —
Y.
I Mee-Jenicl. — Cemblnazlone del nietede
Eileatlce coir Jenlco .
Nei tempi che precedettero e susseguirono quello, in che
si andava facendo un mutamento radicale nel metodo colla
dialettica e con un rudimento di critica, il problema fonda-
mentale della natura era soggetto di nuovi studi, per opera
di Eraclito, di Empedocle, di Anassagora e di Democrito.
Ma tanto era il bisogno di fissare, innanzi ad ogni altra
ricerca, le basi del metodo, che le faticose e nuove teorie
di quei filosofi furono ben tosto poste in disparte, per dar
luogo alle sole innovazioni metodiche, e non furono riprese
che dà Aristotile, quando la tesi del metodo avea trovato il
suo pieno svolgimento.
Queste teorie dunque interessano poco la nostra tratta-
zione, e ci appagheremo di accennarle di volo. Gli Eleati
aveano posto in contradizione V Essere ( unità mentale ) col
Non-essere ( moltiplicità, varietà delle cose ) dichiarandoli
incompatibili, e sciogliendo la contradizione, a tutto carico
del mondo esterno, condannato come non-essere . Eraclito (^)
tentò conciliare questa contradizione riconoscen lo la compa-
tibilità, la realità, la coesistenza dell'Uno e del molteplice,
dell'Essere e del Non-essere. Esso faceva questa conciliazione
adoperando un suo concetto sulla formazione continua, che
include infatti l'essere e il non essere. E dichiarava questo
concetto col far vedere, come le cose stanno in perpetuo
flusso « Tuavra 'pec ». Nulla, egli dice, resta uguale a se
stesso, tutto cresce e scema, si dissolve e trapassa in nuove
formazioni, da tutto esce tutto, dalla vita la morte e dalla
(*) È incerta l' epoca della sua nascita e della sua morto —
Pare che fiorisse yerso il 500, av. G. C. e che fosse di Efeso.
I
— 45 —
morte la vita; eteroa ed universale rimane questa unica
vicenda del nascere e del trascorrere. la colai guisa rimane
in verità annullato l'Essere unico ed immobile degli Eleati,
[lerchò Eraclito non riconosce alcun che di perpetuo fuorché
il processo di cambiamento, cioè il formarsi continuo, o,
come dicono i tedeschi, il diventare.
Già, le speculazioni filosofiche erano distanti dal tempo,
che si cercava l'elemento fondainentalo della natura, e
all'epoca di Eraclito gli sguarnii erano volti di preferenza
a cercare 1' origine del movimento, invece che il principio
dell'essere materiale. Eraclito pose il fuoco come elemento
fondamentale, ma lo considerò piuttosto come agente primo
della generazione e distruzione delle cose, cioè del movi-
mento, che non come materia prima. Si potrebbe anzi in-
terpretare sovente il fuoco di Eraclito come un simbolo che
esprime la legge della trasmutazione delle cose, légge
espressa ancora cou altre metafore; fra ttitte questa del
fuoco primeggiava ed era pecidiarmente gradita ad Era-
clito, come la rappresentanza della più vivace mobilità.
La teoria di Eraclito lasciava inoltre molte lacune. II
reale nella teoria di Parmenide era dato 'la una astrazione
(atta sulle cose, in Eraclito era invece dato da una astra-
zione presa sui cambiamenti, sulla produzione e distruzione,
sulla variabilità ridotta a legge necessaria. Ma perchè
tutto l'essere ò un diventare? Perchè il Tutto è in uti
' costante flusso? Il problema posto in tal guisa fece si che
dopo Eraclito la ricerca primaria della Filosofia si volgesse
alla causa della perpetua formazione, al principio del
moto.
Per questa via Empedocle immaginò che alla formazione
del mondo prendessero parte quattro elementi eterni ed
immutabili, e in tal modo si accostò agli Eleati; deferì poi
ai concetti di Eraclito, facendo che questi quattro elementi
fossero posti in moto da due forze, l'amore e l'odio, l'ami-
cizia e la discordia. Egli suppone che questo due forze, le
— 46 —'
quali veramente non sono che personificazioni initiche^ si
mostrino perpetuamente operative, ma non sempre con
uguale efficacia; talvolta è predominante V una, talvolta
Taltra, talvolta vi è equilibrio tra esse. Così le cose girano
in un circolo, che sempre si rinnuova. Al preponderare
dell'amore, tutte le cose acquistano una compatta unità;
e la inimicizia tace per il momento. Ben tosto comincia
razione di questa^ e si entra in un periodo, durante il quale
Tamore e l'odio operano simultaneamente; dopo di che
r odio diventa temporaneamente padrone, ed ogni legame
allora è disciolto. Ma questa condizione di cose non può
durare. L' amore si fa nuovamente attivo, cosicché pre-
parandosi un altro accozzamento degli elementi a traverso
ad un nuovo equilibrio delle due forze, termina con un
nuovo impero dell'amore e dell'unione, e cosi di seguito.
Il solo risultato soddisfacente che può scoprirsi pene-
trando nelle viscere Ji questa teoria, più mitica che filoso-
fica, sembra essere la differenza così stabilita tra la materia
e la forza, e la separazione meccanica dell'una dall' altra.
La materia è 1' Essere stabile, la forza è il principio del
moto in queir Essere.
Distinzione questa, che sebbene inutile e spesso dannosa
alla scienza completa, dovette molto, sotto forma di stru-
mento mentale, agevolare l'analisi della natura delle cose.
Aristotile spese su questa distinzione una grandissima parte
dei suoi studj , e forse ad essa dovette molte scoperte; tan-
toché gli scolastici se ne invaghirono, ne abusarono, e gli
scienziati moderni appena incominciano a spastoiarsene.
Anassagora (*) mal soddisfatto dall'azione di quelle
forze indeterminate e inesplicabili, amore e, odio, e dispe-
rando di trovare una spiegazione puramente materialistica
del diventare e del principio del moto, assegnò alla materia
una Intelligenza ordinatrice, posta al di fuori di essa. Non
(<) Nato nel 450 av. 0. C.
riconobbe al modo degli Jonici una materia primordiale,
ritenendo esso die le cose preseuli non potessero conside-
rarsi come tr;i sformazioni di un solo essere, ma che doves-
sero avere una coudizione fissa e loro propria. Vu il Caos
primitivo la massa dalla quale l'Intelligenza secondo Anas-
sagora formò le cose, dando loro una propria natura e
finalità. Del resto questa dottrina ebbe poc-a voga: Anas-
sagora fu preso quasi per un sognatore, e Aristotile stesso
dice che non si sa che cosa volesse significare colla sua
intelligenza ordinatrice, essendosi spesso posto in coiitradi-
zione con se medesimo.
Aristotile, non ostante gli elogi che spesso tributa ad
Anassagora, si trova costretto a gettare a terra d'un colpo
decisivo il suo concetto fondamentale dell'Intelligenza ordi-
natrice. Esso dichiara incomprensibile un' Intelligenza che
sarebbe, secondo Anassagora, restata immobile un' eterni-
tà, e che quindi uscirebbe a un tratto dalla sua inerzia,
per imprimere il moto e l'ordine al mondo (').
Se si pone mente all'indole delle spiegazioni dell' ori-
gine del moto date da Empedocle e da Anassagora, si
trova che non dilferiscono molto tra loro; perchè 1' uno
invoca, per produrre il moto, duo forze mitiche; l' altro
chiama in suo soccorso un Deux ex machina (') un agente
sconosciuta) e improvviso, il quale avrebbe più bisogno di
essere spiegato e dichiarato esso stesso, di quello che possa
riuscire a render ragione di un fatto mondiale, quale è il
moto.
È per ques'to che Democrito (') e gli .^tomisti si appli-
carono a dar ragione del moto, appoggiandosi sopra una
innata e ineluttabile necessità dì natura. 11 moto era un
fatto, che gli Eleati non poteano mai arrivare a distrugge-
(') Arisi. Fi3. Vin. I. 15.
(') ArÌBt. Met. I. 4. 5. — Ava^a^opa; ti yip ji-it/ati ^P"^"'
— 48 —
re- Ma non avrebbe potuto esservi moto, se non vi fosse un
vìiotOy e se non vi fossero delle cose mobili, cioè un pieno.
Democrito adunque affermò che vi è nella composizione del
mondo una infinità di atomi, ( il pieno) indivisibili, indi-
struttibili^ separati fra loro da uno spazio ( il vuoto ), diffe-
renti di grandezza e di posizione, mobilissimi e capaci di
produrre le cose e la loro varietà con un nupiero infinito di
combinazioni. Vi è generazione allorché si forma una com-
binazione nuova di atomi; vi è distruzione, quando una
vecchia combinazione si scioglie. 11 movimento delle com-
binazioni è instancabile. Democrito non chiamava alcuna
forza mitica a dare il moto agli atomi. Essi giravano in
perpetuo per la loro stessa natura; la loro forza era eterna
€ome gli atomi stessi, indistruttibile, connaturata con essi.
E alla domanda: quale è T origine del moto? Democrito
rispondeva: questo è il corso della natura, è un fatto che
è successo sempre così. Le leggi delle cose erano costituite
da un ordine intimo inerente alla natura ed al moto degli
atomi. '
Siffatta teoria di Democrito fu in tutta l'antichità equa-
mente apprezzata da seguaci e da avversari, e si può dire
che nessuno dei filosofi naturalisti innanzi Aristotile lasciò
nella cosmologia di quel tempo traccio così durevoli delle
proprie dottrine.
La teoria di Democrito per altro aveva un valore non
solamente dal lato cosmologico^ che qui poco ci interessa,
ma ben anche dal lato metodico. Gli Eleati cacciavano
dalla scienza la nealità fenomenale delle cose. Che cosa
può mai portare di buono un metqdo che si scema dell' ap-
poggio dei fatti, che anzi gli dichiara illusorj, ingannevoli,
perniciosi alla verità scientifica? Democrito correggeva in
parte questo errore del metodo Eleatico, coll'accettare la
verità delle combinazioni atomiche: ma forse questa ripri-
(«) Nato nel 460 av. G. C.
— 49 —
stiaazione dei diritti del mondo esterno non era completa,
per la poca cura con cui si era fatto lo apprezzamento della
validità delle combinazioni stesse e della costante loro
riproduzione, validità che può sola dar saldo appoggio alle
leggi del mondo. Qualche cosa del flusso d'Eraclito rifiori-
sce attraverso alla teoria degli atomi, non per un vizio
radicale di cotal teoria, ma per un difettoso e poco
completo concepimento di essa. All' infuori di questa man-
chevolezza, Democrito può reclamare per se il vanto di
avere, molto meglio che i suoi contemporanei, intravve-
duto la vera traccia che la scienza era destinata a seguitare
nelle sue ricerche cosmologiche. È ben vero che finattanto
che questi naturalisti restavano nella isolata speculazione
delle cose non poteano trovare il modo di assicurare il loro
metodo; ma findove si potea spingersi oltre per questa
strada, Democrito lo fece con una rara perspicacia. Se
Democrito avesse studiato non pur T oggetto della scienza,
ma ben anche il soggetto, sarebbe forse stato tratto a fare
a ciascuno dei due la sua vera parte; separando V ordine
reale e l'ordine mentale, la fissità e la variabilità dell'uno,
come dell' altro; tenendo conto delle condizioni invariabili
e delle accidentali, che si verificano nelle cose, e del modo
di rappresentanza colla quale la mente se le ritrae, e di
quelle altre condizioni che essa vi pone con un suo proprio
lavoro. Ma la scienza era immatura per siffatti risultati,
coi quali Democrito avrebbe preso il passo ad Aristotile,
non che alla Sofistica e a Platone.
Dinanzi a Democrito i rimanenti Neo-Jonici sono
aifatto privi di importanza in ciò clìe spetta al progresso
del metodo. Eraclito fissò l'attenzione s pra la variabilità
delle cose, sulla loro distruzione e generazione, prendendo
come interpctrazione scientifica di esse il concetto di
trasformazione^ e foce un passo iiri])ortanfe per la s«iienza;
ma non tenne abbastanza conto del fondamento che a
questa trasformazione era necessario; e però nella situazio-
4
— 50 —
ne della dottrina di Eraclito la scienza, non che acquistar
metodo, diventa impossibile. Empedocle ed Anassagora si
rifugiano in delle forze mitiche per trovare questo fonda-
mento, e così tornano addietro verso il metodo dei Teo-
logi, in luogo di fare avanzare il metodo scientifico.
— 51 —
VI.
I Sofifitl — Reazione eontro li metodo
doniinatlco , e Ineoinlneiaineiito del
metodo erltleo.
Quella massa di dottrine apparentemente scomposte,
che i filosofi erano andati finora accumulando, e che abbia-
mo sommariamente delineato nei capitoli precedenti, aveano
gettato negli animi un turbamento nuovo, una inquietezza,
mista di desiderio di scienza e di sconforto del passato; e
da questa situazione dovea uscire un movimento intellet-
tuale, che sebbene dapprima sembrasse voler rovesciare
ogni solidità di dottrina, riuscì in fine per essere salutare
al metodo e alla scienza.
Per il passato erasi fatto un grande abuso del domma-
tismo; ciascun pensatore avea la costumanza di dettare i
suoi pronunziati scientifici, come un prodotto delle sue pro-
prie meditazioni, di avvalorargli colla sua parola di maestro;
che anzi non si conosceva quasi dottrina alcuna la quale
avesse altro appoggio, fuor dell' autorità personale dei filo-
s<jfi. Questo giogo d' autorità, sotto il quale si erano tenute
docili le menti insino allora, dovea essere spezzato, e vio-
lato quel sigillo, che avea coperto tanta falsa merce. Di qui
avvenne, che neir epoca, detta della sofistica, si fece un
moto di reazione contro le dottrine del passato qualunque
elleno fossero , e contro Y autorità domraatica che le
dettava. La sofistica prese decisamente aspetto di riflessione
invcstigatrice, rovesciò la soverchia fidanza degli antichi
filosofi, fu un vero razionalismo, la prima forma del libero
pensiero, guidato dalle sole leggi di ragione, e su quelle
sorretto.
— 52 —
Questo moto di reazione si mostra in tutta la sofistica
e nelle varie forme che ella prese, benché queste vestissero
apparenze proprie e speciali, analoghe alla provenienza
loro, seconilochò traevano origine da conseguenze di
dottrine passate, o da intemperanze presenti, o da
concepimenti di sorgente individuale e locale. Queste
diramazioni della sofistica sono molte e di vario grado
e valore; tre in parlicolar modo si resero cospicue per
servizi resi alla scienza ed al metodo, o per disordine e
vanità di lavoro. Vi ebbe una sofistica elevata, investiga-
trice, fiduci(»sa di sipere, maestra di ragionare — vi fu
una sofistica bassa, -venale, che facea della parola un
mestiere, abile alla dimostrazione del prò e del cantra ^
sceltica, negazione della scienza — vi fu una sofistica dia-*
lettica, ostile alle due prime, benché collegata con esse
contro il passato, studiosa del nuovo problema dello spirito,
avida di trovare nella morale il pernio fisso della scienza,
avversaria della sofistica prima, dichiarando le sue persua-
zioni mal fondate, e della seconda stimatizzando il mestiere
della parola e il turpe guadagno che se ne cavava. Della
prima son campioni Prodico, Gorgia e Protagora; della se-
conda un numero grande, tra cui quell'Eutidemo e Dioni-
sodoro messi in caricatura da Platone; della terza Socrate
e i Socratici.
Senza fare questa classazione nella sofistica, mal si po-
trebbe capire la intricata storia del pensiero in queir epoca
sì vigorosa, feconda in ogni bene e in ogni male; e si
inderebbe a pericolo facilmente di cadere nell'errore, che
è comune a molti fra gli storici della filosofia, i quali la
sofistica non conoscono altro che come un nome esecrabile.
Invero la sofistica é stata malamente calunniata, col
porre in rilievo soltanto alcune intemperanze di pensiero e
di disputa, a cui certi Sofisti si abbandonarono, intempe-
ranze che ebbero una parie del tutto secondaria; mentre
il vero pregio di essa fu invece trascurato o discoao-
- 53 —
sciuto (*). La satira di Platone ha avuto molta ctjlpa
in questo discredito; ma la satira, anche quando proviene
da Platone, non ò buon criterio storico. Che si direbbe se
si giudicasse Socrate dalle Nubi di Aristofane? Oltredichè
è da considerare che Platone, mentre morde crudelmente
i sofisti di bassa sfera, artefici di sofismi j come si
chiamano al presente, tiene invece assai conto della
sofistica elevata; dimodoché il concetto che Platone ci
presenta di Protagora (nel dialogo il Protagora ) e di Gor-
gia ( uel Gorgia ) è dei più lusinghieri; anzi spesso av-
viene che, sia caso o volontà, gli fa argomentare più giusta-
mente che Socrate stesso, del che me ne fa testimonianza, il
Protagora. — Platone stesso parla della sofistica vera, nel
Sofista, come di una nobile disciplina. E nella Repubblica (*)
nega che della corruzione ateniese abbiasi a farne carico
ai Sofisti.
Al contrario, quello che v' è di male nella sofistica,
vuoisi attribuire ai costumi generali di quel tempo. La vita
politica dei Greci era allora infetta di egoismo: la sofistica
ritrasse in parte dei vizi che guastavano la società, perchè i
frofisti erano pure uomini, e politici^ e partigiani, e ambiziosi
come tutti gli altri. Un egoismo pratico universale domi-
nava la diplomazia di ogni stato greco, egualmente che la
vita privata di ogni cittadino. In Atene in particolar modo
il senso morale avea gravemente sotFerto di quelle passioni
egoistiche e di quelle lotte partigiane che la straziarono
durante la guerra del Peloponneso; ciascun privato vivea por
86, poneva il suo personale interesse al di sepia di quello
dello Stato; si cercava nel proprio arbitrio o nel proprio
vantaggio la ragione di fare o non fare una cos'i, di f ivo-
rire altrui o di avversarlo. Le tradizioni aveano perduto la
(*) Vedi la difesa dtila Sofistica fatta egregiamente da Grote
110IU sua storia della Orecia. (trad. frane. Voi. 12. chap. 3).
O Eap. VL 6.
— 54 —
loro forza; cotalchè già si consideravano gli ordinamenti di
stato come una arbitraria legislazione, e la moltitudine si
stancava deir impaccio delle leggi fatte da essa; la legge
morale era stimata un frutto di prudenza politica; la pietà
già si valutava come una mera consuetudine di convivenza
civile^ inaugurata da una convenzione umana.
Questo abbassare l'ordine naturale delle cose, privan-
dolo del valore di necessità razionale, e riducendolo ad una
convenzione incerta e variabile, ad una furberia di politica,
era già nella pratica greca, quando in conformità di essa la
sofistica coi suoi concetti teorici abbassò T ordine di tutta
la cognizione intellettuale ad una apparenza soggettiva,
spogliandolo di ogni necessità di natura. Quale sia dunque
la prima fonte del guasto non è facile discernere; ma è pur
mestieri riconoscere, che i pravi costumi avendo necessità
di molto tempo per insinuarsi e diventare abito comune,
dovettero essere di lunga mano precedenti alle dottrine
della bassa sofistica, delle quali si conosce con precisione
la comparsa, se non improvvisa, certamente più rapida e
più recente delle male costumanze sociali e politiche.
Tuttavia sarebbe un falsare la storia, se in ogni caso
si riponesse in queste dottrine tutto il contenuto della
sofistica, e non si considerasse invece il male che <Ta in
esse come una condizione accessoria, come un traviamento
individuale di alcuni sofisti.
La sofistica, a osservarla da vicino, non contiene nel
suo proprio fondo alcun sistema: che anzi, in fatto di dot-
trine sistematiche, non ha creato gran cosa di nuovo: e non
è neppure una scuola, nello stretto significato della parola,
ma una moltitudine di pensatori, che stanchi del dommati-
smo dominante tra i filosofi, e vogliosi di atterrarlo a tutti i
costi, iniziano un regime di libera ricerca. Il libero esame
incomincia sempre col prendere a punto di partenza C Io
individuale. Questa mossa la si ripiglia sempre al momento,
che provasi il bisogno di svincolarsi da un passato sovracca-
— 55 —
rico di dottrino dommatiche e gravato dai ceppi dell* autorità
di persone o di libri sacri o profani. Un tale subietti vismo
genera la critica^ ed è salutare. In questa guisa appunto inco-
minciò la reazione, che ebbe luogo per opera della sofistica.
Sendochè le dottrine precedenti dei filosofi fossero mal corre-
date di prove suflScienti e non presentassero dati positivi, si
die* mano a soppiantarle, ponendo in loro vece le opinioni
individuali nuovamente cercate con una libera riflessione
investigatrice. Ciascuno tentò le vie buone o cattive di far
trionfare il proprio parere; tutto fu posto in dubbio; si volle
quasi incominciare daccapo. I migliori spiriti greci erano sazi
delle dottrine religiose, che urtavano di fronte il buon senso;
erano sazi del vaneggiare filosofico, prodigo di concetti
pomposi ed oscuri, ma il più delle volte sprovvisti di ragio-
nevolezza; erano sazi delle dottrine politiche, che portava-
no la Grecia in un giro di egemonie senza uscita.
Per un qualche lato sarebbe permesso dì paragonare
la sofistica alla filosofia francese del secolo passato, ed al
lavoro degli Enciclopedisti. Al tempo dell' Enciclopedia non
si ebbe propriamente un sistema dì dottrine, ma un metodo
dì ricerca. Si ponea tutto in discussione, e quasi si indovinava
il lato manchevole delle vecchie teoriche, se anche non sì
riusciva a svelarne il falso con dati scientifici. Voltaire,
benché non avesse modo di far crollare la Teologia minan-
dola colla scienza, pure la scosse colla derisione, e indo-
vinò i resultati, che soltanto la critica quasi un secolo
dopo dovea sanzionare scientificamente. Voltaire frustò
colla sua satira e colle sue risa quei dommi che tutta la
scienza ha oggi stimatizzato con maggior forza. U ope-
ra dei sofisti somiglia, per qualche lato, ali* opera dì Vol-
taire e dei filosofi del secolo passato. V è fra queste due
epoche anche una rassomiglianza di forma: V enciclopedia
è ben anche una abitudine della sofistica. L* educazione
universale è un programma di questa come degli Enciclo-
pedisti. Fu sentito il bisogno di abbattere quelle barriere^
- 56 -
che faceano della scienza un privilegio di pochi, per darsi
invece a diffondere il sapere, e quel poco che si fosse trova-
to, insegnarlo tutto ed a tutti.
Per ciò che concerne il valore intrinseco del lavoro dei
Sofisti, si vede la loro attività spiegarsi in tutte le branche
dello scibile coltivato in quel tempo. Trasimaco e Teodoro
pubblicarono dei precetti sull'arte retorica, che sembra ini-
ziassero l'analisi delle parti di un discorso; Prodico lavorò
intorno alla sinonimia delle parole; Protagora fu maestro di
morale, e d'una morale elevata, come apparisce dal dialogo
Platonico di questo nome; distinse, dicesi, il primo le forme
diverse del discorso e i tre generi di nomi, scrisse un trattato
filosofico sulla Veritàj al quale forse appartenne il celebre
detto, che di lui si conosce: « intorno agli Dei, non so se
esistano, o no, né quali siano i loro attributi; l' incertezza
del soggetto, la brevità della vita e molte altre cagioni mi
impediscono di conoscerlo». Questa rimarchevole frase ci
porterebbe ad un alta idea della sua maniera di delimitare i
problemi e le ricerche scientifiche. Gorgia, fu retore e polì-
tico, e nelle quistioni filosofiche si lanciò contro la tesi Elea-
tica, negando ad oltranza che vi fosse nulla di fisso nella
natura, e sostenendo che, lungi dall'essere il pensiero il punto
immobile della natura, era invece impossibile di conoscer
nulla di questa misteriosa Unità, di cui facevano tanto caso
gli Eleati. Simiglianti concetti attribuiti a Gorgia, e serbati
in uno scritto che va sotto il nome di Aristotile, sono i soli
resti di una tendenza scettica nella Sofistica. Ippia si ren-
deva celebre come storico, e oltre a ciò erasi applicato a
molti studj matematici, e avea composto una teoria sulla
mnemonica; altri si occupavano di arte pedagogica, altri
della illustrazione di antichi poeti, altri della strategia e del
maneggio delle armi, della ginnastica e della musica;
molti erano adoperati in ambascerìe diplomatiche, come
Gorgia, Prodico, Ippia: in breve i Sofisti si avanzarono in
tutti i campi di attività, in tutte le sfere della scienza. Fu
— 57 —
come uno svegliarsi improvviso dello spirito: tutti erano
Sofisti quelli che spendevano la loro fatica in qualuoque
esercizio mentale, e tutti ebbero comune il metodo, cioè
reazione ai durami, discussione e ricerca. Se quella fu un
epoca di scetticismo, come sostengono alcuni, bisogna dire
chiì lo scetticismo sia un veleno molto salutare, perchè
nessuna epoca di dommatismu fu mai più feoonda di quella.
Socrate non avrebbe potuto servirsi delle tradizioni di Pro-
dico, se questi non lo avesse preceduto con tutta la sofistica;
e massimamente il popolo greco non avrebbe senza di essa
goduto di quella profusione di scienza che fu allora gettata
prodigalmente nel suo seno. La sofistica sparse una maasa
fruttifera di germi di progresso, sollevò quistioni intorno
alla conoscenza, quistioni logiche e linguistiche, gettd la
fondamenta della trattazione metodica in molti rami del
sapere umano ('); fu essa che fondò in parte, e in parte
preparò quella meravigliosa attività spirituale che rese
inarrivabile Atene. Grandissimi sono anche ì suoi meriti
dinanzi alla lingua greca, nonché ì suoi meriti artistici.
Furono i Sofisti i primi che abbiano fallo soggetto di studio
lo stile, come strumento ad esprimerà artisticamente ì con-
cetti, e diventarono quasi creatori delta Prosa Attica, che
nelle loro mani toccò un grado elovatissimo di perfezione.
11 pregio principale della Sofistica dinjinzi alla scienza,
fu, come ho già osservato, lo aver portato la discussione su
tutte le dottrine, e Io avere iniziato il metodo critico. Tra
le quistioni sorte in allora, e che più tengono da vicino alla
formazione del metodo, è quella che sì riferisce all'attinenza
(') «Tennemimn è tono di tutti gli «torioi dslla filosofi» colui che
ha re^i) 1k giustizia più completn ai Siifiati, e ai può penaare eoa luì
che la Sotistica duTe etier computata poaìtivameate e negativk-
menla per una graa parte aella formaiione doUa Logica, di cai i
SdSitì sbizzaruno alcuna partì, e di cui fitcero aentire vivamente il
bitogoo, colle itrgio nburrazioni dell* loro dottrina >. BartbOlanij'-
SwQt-Hilaire. L.i Logii^ue d'Anstote. Voi. II. p. 107,
— 58 -
tra r oggetto conosciuto e il soggetto conoscente; ossia
r attenzione fissata per la prima volta sul grado di veridi-
cità, che deve attribuirsi al soggetto conoscente, e su quel
tanto che esso pone di suo nella conoscenza.
I precedenti filosofi aveano preso per sicuro che la scien-
za acquistata corrispondesse esattamente alle cose intorno a
cui la cognizione si aggirava; o per dir meglio, non si erano
preoccupati dell' attinenza tra la cognizione e la realità, né
della possibilità che vi fosse una illusione fondamentale o una.
incertezza la quale ne annullasse Teffetto. Questo problema
comparisce per la prima volta in tutta la sua crudezza e
importanza presso i sofisti. Come si fa chiaro, che le cose
sieno in realtà quali appai'iscono al soggetto pensante? Que-
sto problema era stato preparato dal flusso di Eraclito, e
dagli attacchi degli Eleati contro i dati sensibili. Se tutto
scorre, nulla è fisso, e ciò che conosciamo non è più al
momento stesso che lo affermiamo. Questa illazione getta-
va il turbamento in tutta la scienza. La sofistica su questo
terreno détte al soggetto una importanza primaria nella co-
gnizione e neir apprezzamento di essa. L' individualità di
ciascuno diventò la creatrice massima del vero. Ciò che
a ciascun pare, quello è vero: « V uomo è la misura di
tutte le cose » è la formula nella quale Protagora pare
concentrasse questo risultato dello studio del nuovo pro-
blema filosofico.
Grote ha alcune belle pagine in difesa di Protagora e
del suo famoso detto, (^) contro la polemica Platonica. Il
significato che Grote assegna a quel detto di Protagora è
plausibilissimo come interpetrazìone moderna; ma è deplo-
rabile, che non vi sieno neirantichità abbastanza documenti
capaci di confermare V interpetrazìone di Grote contro la in-
(*) Grote 's Plato. Voi. IL p. 345 e p. 507, vedi anche la sua
storia della Orecia, luogo citato.
lerpelrazione del tutto ostile e malevola di Platone. (') Grò
to sostiene, che Protagora iion ha voluto dire altro, che
questo: la verità qualunque ella sia, Don può essere acces-
sibile a noi, se non che conforme alle condizioni della nostra
mente, condizioni che presentano qualche pnrticolarità pro-
pria in ciascuno individuo: la verilà in se, è una parola
vuota di senso, perchè qualunque verità è necessario la si
(ogt^i a seconda della mente in cui penetra. Dinanzi a questa
interpetrazione cadono di leggieri tutte le argomentazioni
Platoniche contro Protagora.
Allorquando si stenta a credere, che quello fosse il vero
significato inteso da Protagora, egli è perchè in tal cascia
polemica di Platone sarebbe della più sconcia malafede: e
d' altra parte fa meraviglia di non trovare alcuno nell' anti-
chità, che abbia rimproverato a Pl.done una si trista inter-
petrazione e ristabilito il concetto di Protagora. Platone ha
certamente torto quando dal detto di Protagora — Homo
mensura — attribuisce ad esso la confusione della scien-
za colla sensazione; 1' uomo può essere misura delle cose
non solamente colla sensazione, ma col giudizio, che è pur
subiettivo; e in questo caso rimane intalto il detto di Pro-
tagora, senza la confusione della scienza colla sensazione,
controia quale argomenta Platone; ma forse questi ha ra-
gione di attribuire a Protagora l' intenzione di porre in ba-
lia del soggetto la verità. E Grote dal canto suo, quando
spiega la frase — Homo meiisura — come tale, che Ìndi-
chi soUato la necessità naturale, per cui la limitata capa-
cità del soggetto limita le verità conosciute, interpetra Pro-
tagora forse troppo con intendimenti moderni, li brano di
Sesto Empirico, nel quale è fatta menzione dì quella dottrina
di Pititagora, non sembra che risolva la questione; cL'aomo
(') Plutone no' Teeteto dichiara che il dotto di Protagora —
« I' nomo è l.iniisara tji tutte ìe cobo» — eqoiralo a qnoat' altro
e la scienza à la sensazione >.
— 60 -
è la mii^ra di tutte le cose: Protagora fa deiruoma il criterio
che ne apprezza la realità, degli esseri in quanto esistono ,
del niente in quanto non esiste. Protagora non ammette
dunque che ciò, «che si mostra agli occhi di ognuno » (*).
Sembra invero che Protagora nel dichiarare il subietto
misura dell' obietto, dasse una tal quale azione a quello
sopra di questo; talché la relatività della cognizione si
basasse per lui non nella necessità di rapporto naturale
tra le cose e la mente, ma in una azione di questa
sopra di quelle. La mente è una formazione lenta, succes-
sird, condizionata e legata a tutta la influenza che le cose
esercitano suU' uomo ; è dunque relativa: ma il soggetto
subisce V azione della cDse, non la modera, come sembra
che pretenda Protagora. Ad ogni modo la interpetrazione
di Grote è felicissimai in se stessa, e in nulla contraddetta,
benché neppure convalidata, da questa testimonianza di
Sesto Empirico; ma forse non è in simile accordo colla
testimonianza di Aristotile. (Metaf. 111. 5. 1 )
Quel detto di Protagora per altro, anche a considerarlo
secondo una parte della interpetrazione Platonica, cioè come
tale che dasse al soggetto una azione diretta sulla verità
concepita, sempre esclusa la confusione della scienza colla
sensazione, non è tale da giustificare le conseguenze di
scetticismo che Platone e i moderni gli attribuiscono. 1 con-*
temporanei di Protagora, forse attaccandosi al lato esterio-
re di quella frase, se ne giovarono per portare la libertà
dello spirito sino alla licenza; ma questa conseguenza sor^
passa la premessa di Protagora. Qualunque sia l'azione del-
la mente sulle verità concepite, siccome le menti di tutti gli
uomini, ^sebbene variano di condizioni accessorie, sono per
altro tutte conformi nella loro costituzione naturale e obbe-
discono tutte alle stesse leggi, ne segue che la verità debba
subire le stesse influenze in tutte le menti, e riacquistare così
(«) Pjrrrhon Hypot. Gap. XXXII. 216.
— 61 —
quel carattere di generalità, che sembraya le si togliesse
col detto di Protagora. Questa conseguenza è tanto giusta,
che fu tratta ben presto da Socrate. Il quale dòtte al sogget-
to tanta azione sulle cognizioni, quanto Protagora glie ne
avea data, ma fece d* altra parte rilevare la uniformità del-
le leggi a cui tutti i soggetti umani obbediscono, e ne esci
la conseguenza della uniformità dei concetti e della fissità
della scienza.
11 metodo dei sofisti adunque da una parte fu rÌToiUKÌo-
nario, e lasciò dietro a se le traccie di quel disordine che
tutte le rivoluzioni lasciano sulla loro strada. Ma da un* al-
tra parte esso entrò nella via della critica, via che dovea es-
sere poscia la sola, che la scienza lasciasse aperta a se stes-
sa. A vero dire erano più soggettivisti i dommatici del pas-
sato, che non i Sofisti, sebbene questi lo paressero più. V è
più pericolo per la verità nel lasciare balìa di legislatore
scientifico ad un solo pensatore o ad un solo libro, che non
nel porre in dubbio tutto il lavoro di tutti; v' è più pericolo
neir accettare senza ragionamento competente una dottrina
sola, che nel porre a massima, che è vero ciò che pare a
ciascuno. Appunto perchè le leggi fondamentali della ragio-
ne essendo uniformi, ciò che pare a ciascuno, se è il vero,
ben presto parrà a tutti, e se è il falso, a lungo andare non
parrà più a nessuno. La libertà individuale del pensiero è
cosi resa adatta alla pratica dall' incontrare i limiti in cia-
scun altro individuo pensante: il che torna a dire, che la
libertà del pensiero è limitata dai limiti del vero; il quale
solo è ragione e motore dell' azione limitatrice degli altri
individui pensanti, di fronte al nostro proprio pensiero. Azio-
ne che in verità non proviene da quest' individui pensanti,
ma piuttosto dalla condizione reale delle cose pensate. E co-
sì se vi è collisione tra le conclusioni, sarà necessario ricer-
care da chi nasca V errore, e V una delle opinioni pugnanti
dovrà modificarsi, se la ricerca è tale che possa ossero
rischiarata coi dati che si hanno alla mano.
— 62 —
Dal seao della sofistica usciva dunque il metodo spogliato
deir abitudine dommatica invalsa in addietro, ed arricchito
della forza dialettica, che sottoponeva tutte le dottrine al-
la critica. Assieme a questa modificazione esteriore, i pro-
blemi filosofici sinora agitati si completavano colle ricerche
nuove intorno al soggetto pensante e ali' attinenza di esso
colla natura. In questo nuovo problema si concentrava, più
che in tutto il resto, T avvenire della scienza, per la illustra-
zione che ne avrebbe ricevuto la quistione metodica.*
- 63 —
VII.
Socrate — Metodo dialettico, critico,
concettuale •
Chi dicesse, che la vera Filosofia comincia con Socrate,
non audrebbe forse molto lungi dal vero. Che il libero uso
della ragione e la sincera discussione delle dottrine sol-
tanto allora si posero in onore, e non pur la Filosofia,
ma tutte le scienze debbono a Socrate e all' epoca sua la
iniziata formazione della solida investigazione razionale.
Finché il dommatismo prevalse, il vero non ebbe guarenti-
gia di sorta, e le scuole non differirono gran fatto dalle
sètte religiose. La reazione contro il dommatismo fu, inco-
minciata e spinta ad ogni eccesso dalla Sofistica; ma fu. So-
crate (^) che trasse poi le più sano conseguenze di cotal
reazione, e purgò il subietlivismo dei sofisti, riprovando in
parte il malo uso che alcuni di loro facevano della nuova
libertà di pensiero.
La parte presa da Socrate a questo rinnuovamento della
scienza, rinnuovamento del quale poi tutta la umanità go-
dette il beneficio, si rende più simpatica e grandiosa per la
elevatezza morale di queir uomo e per la tragica fine colla
quale espiò V ardimento della sua parola.
Socrate non proclama un sistema, non ricerca una ma-
niera di spiegare la natura. Anzi la natura è come se non
esistesse dinanzi a lui. Esso non conosce degno oggetto del
suo filosofare airinfuori dello spirito, o meglio, dei fenomeni
morali e della società. E diflScile comprenderà Socrate,
altro che a vederlo in piena attività nel colmo di una
discussione, che stringe V avversario di riparo in riparo;
che poscia lo riconduce dolcemente a se e gli fa con*
(*) Nato nel 470 e morto nel 899 av. 0. 0.
— 64 —
cedere una conclusione, poi due, poi dicci; quindi lo
sconcerta con una giravolta improvvisa , lo devia , lo
trascina in un nuovo cammino, innanzi e in<lietro, lo fa
smarrire, e lo tira infine a confessare la propria igno-
ranza e quella di tutti. Tc*le è Socrate, e se non aves-
simo abbastanza dati per valutare la sua eletta indole
morale, sarebbe facile scambiarlo con un abile sofista bra-
moso di seminare per via lo scetticismo piuttostochè i germi
del vero.
Socrate nella sua qualità di uomo onesto e campione
delle dottrine morali ci è presentato nella miglior parte
da Senofonte. Ma Socrate filosofo bisogna cercarlo nella
prima porzione delle opere Platoniche. Sembra sicuro che
una porzione dei dialoghi Platonici siano stati scritti sotto
la ispirazione immediata di Socrate o vivente o morto di
fresca data, talché in quella porzione di dialoghi il ritratto
scientifico di Socrate debba ritenersi il più somigliante
all^ originale; mentre nelle altre fu alterato prima per ser-
vire alle idee eleatiche, poscia per fai* luogo ai concetti pro-
priamente Platonici. Nei primi dialoghi infatti tutto concorre
a mostrare T autenticità di quel ritratto. Un modo dialet-
tico genuino, una totale mancanza di conclusioni precise,
reminiscenze sofistiche, scena contemporanea degli ultimi
anni di Socrate, assenza di ogni concetto storico della filoso-
fia, contradizioni di tesi propugnate in senso opposto in di-
verse occasioni, bramosia di condurre V avversario a con-
fessar la sua ignoranza, e confessar la propria d' accordo;
questo è il fare che si riscontra in tutti i dialoghi Socratici.
Non già che le proprie parole e i concetti e la condotta di
quei dialoghi sieno da prendere per una riproduzione esatta
delle discussioni di Socrate; ma in essi trovasi il ritratto del
«uo pensiero^ del suo metodo, un pò* corretto e perfezionato,
come ritratto disegnato a memoria da abile pennello, ma
sicuramente fedele.
Or sa a qiuesti stessi dmlogbi domandasi il complesso
— 65 -
del lavoro filosofico di Socrate, si trova che tutto si com-
pendia principalmente nella missione, eh' esso dice d'avere
avuta da Dio, di mostrare come i suoi coetanei non
abbiano persuasioni ben fondate, e che bisogna rifar
da capo le fondamenta della società. 11 primo periodo
de' dialoghi Platonici non lascia alcun dubbio a questo
riguardo. Neil' Apologiay che certamente esprime il pen-
siero e le intenzioni di Socrate, è dichiarato in termini
precisi, comò esso avesse in mira di smascherare la presun-
zione burbanzosa di sapere nei contemporanei. Neil' Ippia
minore^ si ha un concetto chiaro del passaggio dal metodo
sofistico, a quello Socratico. Vi si ved^ Socrate ancora so-
fista di forma, ma già cambiato nella sostanza. Vi si
odono in bocca a Socrate dei sofismi appena tollerabili in
un Sofista, (^) e tutto il dialogo ostenta una bramosìa di
mostrare, come i più accreditali uomini del tempo non
sappiano bene in che propriamente stia la virtù e il vizio.
Socrate si» preoccupa unicamente di smascherare in essi la
falsa persuasione di saperlo, senza poi curarsi di porre nulla
di vero in luogo di quella. Di qui una disordinata battaglia
dialettica, una smania di atterrare, involgendo nella distru-
zione ogni cosa buona e cattiva. Altrove si preoccupa di
confondere e di umiliare gì' interpetri dei poeti mostrando
quanto sia falsa e presuntuosa la loro persuasione di sape-
re interpetrargli a dovere; e questo fa nell' Ione. Oppure
distrugge. nei demagoghi la persuasione di saper governare
lo Stato, scoprendo in essi povertà di cognizioni all'uopo e
difetto di rettitudine; come nell' Alcibiade primo: oppure
prendendo a minuto certe virtù, mostra che i Greci suoi con-
temporanei credono di sapere, ma non sanno, che cosa sia
la temperanza, come nel Carmide; o il coraggio, come nel
Laches; o 1' amicizia, come nel Lisis. Nel Protagora il vero
sofista è Socrate, e in quasi tutte le quistioni ( tranne quel-
i
(') V. Fiat. Ipp. min. passim.
— 66 -
la accessoria, che si riferisce ai poeti ) colui che ha più ra-
gione è Protagora, ma Socrate si maneggia con ogni argo-
mento della più sottil dialettica solamente per avviluppare^
l'avversario, e mostrargli la base mal ferma delle sue per-
suasioni anche buone, E non glie ne fa quasi rimprovero,
perchè esso stesso confessa di non esser più stabile di lui,
che anzi arrivato sulla fine del dialogo ad una conclusione
assurda ed equivoca, esce in una sentenza che potrebbe
passare per il programma di tutta V opera dialettica di
Socrate. « E' mi sembra, egli dice, che la conclusione
del nostro trattenimento si levi contro di noi e si faccia
belSfe di noi come persona viva, e che se potesse parlare,
essa ci direbbe: Socrate e Protagora, "voi siete V uno e
r altro bene inconseguenti. » L' opera di Socrate infatti
nella sua forma esterna era una specie di continua incon-
seguenza, uno sforzo perduto nel mostrare agli altri la
loro ignoranza e la propria, coronato e riassunto nel famoso
detto « questo solo so, che non so nulla ». Socrate nel suo
aspetto filosofico fu dunque un critico, il più instancabile di
tutti i critici, un critico universale, di tutto e di tutti, dei
Sofisti, dei Politici, dei Sacerdoti, degli amici e dei nemici,
e infine di se stesso. Ben è vero, che esso non fu uno
scettico; perchè il pensiero segreto del bene, che avreb-
bero ricavato dalla sua critica i contemporanei, illumi-
nava continuamente i labirinti delle sue discussioni; esso
era sicuro che se faceva il vuoto rielle menti, non avrebbe
questo tardato a colmarsi di nuovo,' perchè in fondo a
questo vuoto esso sapea destramente collocare la speranza
e il desiderio ardente del vero, doti che gli scettici non
ebbero mai.
Prima di passare oltre mi si permetta di richiamar
r attenzione sulle funeste conseguenze, che dovea portare a
danno della sua persona questo modo, tenuto da Socrate per
lunghi anni sulle piazze e sotto i porticati d' Atene. Esso
gettava lo scompiglio nei pensieri e nelle convinzioni di tutti.
— 67 -
biasimava i Sofisti, i Demagoghi, i Sacerdoti, e attirava
sopra di se l'odiosità che il biasimo accumula. Fa meraviglia
che la gran tempesta di persecuzione che sì scatenò contro
di lui già vecchio, non gli scoppiasse sul capo anche prima.
^ La ragione che mosse Aristofane a metter Socrate, in com-
media nelle sue Nuhiy è pur la stessa, che animava contro
di lui il risentimento generale degli Ateniesi. Aristofane
era uno degli^ entusiasti ammiratori del buon tempo antico
e il panegirista spiritoso delle vecchie tradizioni ,patrie.
Come esso porta a cielo costantemente il tempo passato,
così attacca pertinacemente il moderno, ed ogni tentativo
di innovazione in Politica, in Arte, in Filosofia. I novatori
formano V oggetto dell' odio implacabile di Aristofane, ed
esso gli morde di continuo per metterli in mala vista del
popolo già bastantemente inclinato ad odiarli; di qui le sue
tirate contro Cleonte demagogo, nei Cavalieri; contro Euri-
pide riformatore della Tragedia, nelle Rane e nei Tesmo^
foridi; contro Socrate sofista, nelle Nubi. Socrate come il
' più alto rappresentante di una filosofia distruggitrice del
vecchio domniatismo, dovea essergli particolarmente in ug-
gia; tanto più che in politica quella stessa filosofia era acca-
rezzata dal partito il più agitatore, il più inquieto, quello al
quale si attribuivano i recenti disastri. E così il pensiero
primario delle Nubi di Aristofane è di presentar Socrate
come il campione della Sofistica, cioè di quella maniera di
filosofare, che scotendo le tradizioni del passato appariva
come altamente corruttrice, della gioventù. Ed infatti
Socrate era veramente uno dei Sofisti, e in ciò Aristofane
avea ben còlto nel segno: ma il suo errore sta nell' aver
confuso Socrate cogli altri sofisti e specialmente con quelli
di bassi sfera; nell' aver disconosciuto il movimento e il
progresso che la Sofistica faceva per lui, progresso capace
di migliorarla a tal punto, da purgarla di tutta là sua
parte cattiva. // buon tempo antico è una finzione, che ha
fatto sempre illusione ai conservatori, e che pur -in questo
— ^ —
c?^9. allucinò taiitQ Aristofape, d^ fe<rlo esseife cosi. spOiOci^-
ifl^i^^ iijg|ius.feo eoa Sperata. Il tempo antico coUa sua igiw-
r^pj?^, colle sue supierstizioni, col suo dommatismo in. scieiir
za,, i^oR pptea piìjL, tornare; e Aristofane se ne vendica col
malfl^epar^. quelli che hanno precipuamente lavorato a sbar-
rajfgl^, per sempre la strada al ritorno. Socrate è comparso
i^eU5\ opjjjione. comune quello stesso che' era comparso- ad;
ArjsjLp^u^.^ La Sofistica, ave^. da espiare la colpa di aver
agimp^con un moto scompos^to la società greca/ e V espia-
zipi^p tOQcò a Sperate, che ne fu 1' unica ma la più imm0ri^
tev.pJQ. vitti nj/i. Lo stato sociale ateniese era allora in pei^
sjnjji^Qppdiziojjp pei rovesci toccati nella guerra del Pelo^
ppunesp, p^r- la signoria dei Trenta, e il malumore cbier
dpya uoo, sfogo. Appena gli occhi si voltarono ai liberi pen-
satori del tjempo, ai Sofisti, accagionandogli di tutti i. mali
pubblici, aullja di più dolce apparve, che il potere att^rrar-e
il più emin^pjte tra lorp e il vero rinnuovatore della. Sofistica,
la qu^aj^ «per es^o minacciava di riacquistare il credito per-
duto. Spt,tp qjjjBsto. as{}etto Socrate era anche più colpevole
deglj altri. JPerqhè la Sofistica futile effimera, vuota di
seusp e piepa.di baldanza, cadeva'daper se; ma si andava
a fpndare con lui una Sofistica seria, ammaestrata dall' er-
rore degli altri, capace davvero di presentarsi a prendere
il j|osto delje vecchie filosofie. Tutte queste ragioni di; odio
vanno cQi;nbin^te con quella sopra indicata della terribile,
irom*^. dialettica colla quale Socrate mostrava a tutti la
debolffzzadei Ipro pensieri, poche o punte certezze riedi-
ficando ^vl] terjreno di quelle abbattute. Laonde presto appar-
ve agli- occhi, di tutti come un malefico genio, il quale rom-
pendo r incanto, delle menti gettava in esse la desolazione
del vuoto; e fu.ip tal npodo considerato come il più terribile
avversari9 della società. Ed anche gli effetti delle sue dot-
trine^si credea di poter valutare fin d' ora; perchè sebbene
egli, non fosse aristocratico, si conoscevano le sue intimità
coOiU^Q 4ft' Trenta, che già era stato suo scuplaro, Critia,.
ora oligarchico, spartanpgglanfc; ed anche a suo setolalo
ateTa avnlo Alciljiade or.i egualmente inviso al popolo.
Questi due sciiolari erano il fruito vive-lte dinanzi al pufc-
blico dell' insegnamento di Socrate, e crebbero le antipatie
contro il toaestro.
Dopo ciò, non pnò far meraviglia la sna condanna. Anzi
io petlso che sia da meraviglirrre, che Soci*ate solo cadesSe
sotto i colpi di qnesta reazione prodoUa dal malumoi'e dèi
con3erva1ori contro i novatori, aiutata d.^1 dolorédei dìsastH
pubblici, presa a sfogd di vendetta cotìlro i nuovi peiisatòH
per la perdita del buon (enipo antico e per T acoumuliirsi
delle sciagTire che trassero a rovina la patria.
Se si prende a considerare I' o[>era di Socrate dal Ikto
dei tìielDd'Oj si troverà che essb ha portato nella filòèb'fia un
concetto nuovo, ma ne ha scartati moki vecchi e necessari.
U iliigliora mento portato nella Soffslica dando un pUuto fìsko
alte dottrine soggettive, ponendo ciascuna quasi sOjirà Un
ano pernio, sul concetto, e a queai' uopo facendo un b^ù
rilevantissimo della definizione e della classazione e di uba
aorta d' induzione, fece di Socrate il vero iiistàtirator^ della
dialettica e il rinnuovalore dèlia filOsdtì.i, specìalmeuté in
ciò che risguarda la cognizione del soggettò perisnnte. Esso
fii condotto in questa nuova via della necessità, da esso pro-
damala, di fermare siuceramente lo sguardo sullo spirito,
come oggetto primario di ricerca, staccaildo là niènte dàlie
cose in confhsó per voltarla al loro vero cérìtró, alta ùEltltrà
umafla. Unico oggetto degno di esercitare Vardor'e di sapere
gli apparve la conoscenza di so, e ftce sua la sentenza Dèl-
fica yyfSi) aoRtzòv.
Ma ben presto si scopre il manchévole di quella dottrina,
quando si vede in primo luògo che la parte positiva di que-
sta conoscenza é la sola natura dell' uomo nell' ordine mo-
rale: Socnilc mutilava in (;erto qual modo la natura umana,
nulla cercando irt essa all' infuori della pratica mOrale, e in
essa tH>n tmva&clo materia degAa dì i\M\b alt' infiori dr
- 70 ~
una ricerca intorno alla virtù. In secondo luogo e in conse-
guenza di questa prima lacuna di metodo^ esso trascurava
affatto la comunicazione ordinaria che lo spirito ha colle
cose del mondo esterno; e per questo motivo, non va, come
è detto nel Fedro di Platone, a passeggiare nella campa-
gna, perehè gli alberi e il paesaggio non gli possono inse-
gnar nulla. Se anche si voglia dare a quel passo del Fedro
un valore Platonico, certo è che dall' insieme delle dottrine
socratiche si ricava come quel detto sta a meraviglia in ' '
bocc? di Socrate stesso, il quale avea, se non un disprezzo,
certo una trascuranza notoria per lo stadio delle cose del
mondo, non che per tutte le dottrine dei pensatori pre-
cedenti.
Certo che rimarrà gloria perpetua di Socrate lo aver
rinnuovato il metodo coj solo richiamo della mente allo stu-
dio del pensiero in se stesso e nei suoi prodotti. I Sofisti
aveano spogliato di forza le dottrine coli' attribuire troppo
valore al subietto; e ciò avveniva dal prendere che essi
facevano i prodotti del pensiero senza criticargli, senza pa-
ragonargli, senza approfondirgli. Macon Socrate il concetto
morale diventò il pernio della retta scienza; e questo con-
cetto fu da esso abitualmente discusso, paragonato, criticato.
Cosi mentre il Metodo faceva un passo il più decisivo collo
studio del concetto, anche dal iato dialettico si otteneva un
miglioramento, perchè la libertà sfrenata dei Sofisti trovava
un limite. Il metodo Socratico è applicato a svegliare uni-
versalmente il sentimento di una necessità costante che i
prodotti individuali siano confrontati a una norma, il con-
cetto, e così possa il vero trovato da un solo diventare
patrimonio universale. 11 concetto stesso per altro essendo
depositato nelle menti secondo diverse gradazioni e con dei
contorni alcun poco variabili, ne avveniva esser necessario
confrontare e discutere. All' antico dommatismo, col quale
uno dei vecchi pensatori Jonici imponeva sulla sua auto-
rità le proprie concezioni, succedeva ora l' esame, pieno,
— 71 -
libero, ma razionale di ogni proposizione e V accettazione
scientifica di essa. In luogo della subiettività personale, era
una subiettività comune, se si può dire, quella che Socrate
facea prevalere; il che significa che la vera misura delle
cose non era ciò che trovasi in noi di individuale, diverso,
come la personalità, la credenza, la volontà, il parere^ che
non hanno forza di ngire sulla credenza e sulla volontà
degli altri; ma era una subiettività potente, che avea forza
di imporsi agli altri, era il pensiero ragionato. Il quale è
bensì subiettivo, ma è in ciascun soggetto nelle, condizioni
identiche e da identiche leggi è guidato; talché questa su-
biettività ha un fondamento di consonanza nella conforma-,
zione stessa della natura umana. Questa conformità che si
verifica nelle menti, benché nasca in seno al soggetto, non
è soggettiva, é invece del 'tutto oggettiva, perché nasce,
come ho osservato in addietro, da una condizione reale delle
cose pensate. Or ciascun pensante ha una coscienza, la
quale raccoglie i risultati del pensiero; e se questi furono
elaborati sinceramente alla luce della percezione e della
riflessione senza mistura alcuna di individualità inferiore,
volontà, passioni, pregiudizj, credenze religiose, questi
risultati possono comparire dinanzi al pensiero degli altri
uomini, che saranno come forzati da essi; e invece se
abbiano subito T azione della individualità inferiore, cia-
scuno gli accetterà quando consuonino colla sua stessa
volontà, passioni ec, ma non avranno che un valore
limitato più affettivo, che razionale. Così per ^opera di
Socrate si traeva delle viscere della Sofistica e si iniziava
la validità del pensiero individuale, v poggiandola sulla
invariabilità delle leggi del pensieso stèsso.
- 72 —
Vili.
I
Platone — Metodo dialettico. Idealistico.
Platone fu colpito profondameate dalla dottrina Socratica,
colla quale si stabiliva la forza razionale del pensiero
morale; e maravigliato di questo fenomeno della natura
umana, che è nel pensiero come temprata all' unisono, e che
non può sottrarsi alla sua forza prevalente, «i die' a cercare
. la causa di tal fenomeno, e trasportandosi dall'ordine morale
in quello scientifico generale, trovò siffatta causa in un
.mondo di enti separati creato a sua fantasia.
Sarebbe per altro far grave torto a Platone, giudicando
la sua opera grandiosa da questo semplice enunciato. Per
apprezzare giustamente Platone, è più di tutto necessario
di seguitare la sua mente attraverso allo svolgimento filoso-
fico che essa ebbe a subire. I dialoghi Platonici debbonsi
separare in tre grandi classi, che corrispondono a tre epoche
importanti della sua vita e a tre maniere di concepire filoso-
fiico da esso adottate. La 1 .* classe che coincide coi primi
studi di Platone, comprende dialoghi scritti sotto la ispira-
zione di Socrate vivente o morto di poco, e presenta una
serie di dottrine del tutto Socratica, limitata a concetti
morali, con prevalenza della dialettica minuta di Socrate.
Nella 2.* classe che corrisponde all'epoca dei viaggi di
Platone, si ha il primo sintomo del bisogno sentito da esso
di studiare la storia della Filosofia, trascurata, bandita da
Socrate; dì informarsi delle dottrine dei precedenti e dei
contemporanei; e di qui il progetto concepito di conciliare le
dottrine Socratiche colle straniere e specialmente colle
Eleatiche. A questa classe e a questo tempo appartiene il
trasporto fatto da Platone delle idee fondamentali di Socrate
dalla morale a tutta la scienza. La 3/ classe corrisponde
- TS —
ili' insegnamento dato da Platone nell'Accademia, e
racchiude la vera opera Platonica. Esso è a quest' ora in
pieno [Któsesso della sua Teorica delie Idee separate, e non
fa «he applicarla, da esse derivando tutta la organieazione
dei suoi concetti dlosofici intorno all' anima, .il jjioiido, alla
società. (')
Mosso su questa v.'a, Vl.i no peneirù con un ardire e
un genio sovrano nei più reconditi penetrali del vecchio
sapere, e creò di pianta un nuovo edificio di sublimi concetti,
architettando per la prima volta quella che oggi direbbesì
una Enciclopedia filosofica. Tutto il sapere filosofi-'O contem-
ptiraneo e il passato e quello dì sua creazione fu da esso
disposto in una armonia non concepita finora, e il mondo delle
cose e quello delle Idee, e l' ordine della Società e quello
dell' Arte si composero sotto 1' egemonia del Bene. Sarebbe
qui troppo lungo e fuori di proposilo in questo scritto chia-
mare in r.issegna tutto il lavoro Platonico. A me. basti
soffermarmi un poco su certi cardini fondamentali delle
dottrine di Platone, che pili hanno una attinenza diretta col
metodo* inaugurato da esso e favoreggiato lungamente da
varie scuole naie dalla tradizione .\ccademica.
I due cardini delle dottrine Pl-itoniche sono il concetto
della Scienza e la teorica delle Idee, sopra entrambi i quali
si tiene in equilibrio tutta la macchina del metodo di Platone.
L' uomo ha una tendenza vivissima a conquistare la
verità, una specie dì Amore ('Epwg), che si manifesta nello
sforzo della mente verso di essa. La trattazione mistica,
che Platone adopera svolgendo il Ci»ncct!o di quest'amore,
è del tutto conforma all' indole del suo lavoro intorno alle
ìe, lavoro ricco di fantasia e di entusiasmo. La bellezza
è per Plotone il legame tra la mente e la verità, la bellezza
di cui l'anima gustò una rapida eonlomplazione attraver-
(*) Da conBulture Gescliichte unJ Sysleni dar Plinto ni schen Phì-
asopbie Ton Karl. Fr. Eerm»!». ilaitlfilhorg 1839.
- 74. '-
sandoil modo delle idee prima di scender quaggiù a incarce-
rarsi in un corpo; della quale appena 1' anima scorge un
vestigio, si lancia verso di essa^ tratta dallo svegliarsi in lei
della reminiscenza del mondo ideale (^). Platone détte uno
scopo nuovo e degno all' attaccamento comune in Grecia di
uomini provetti verso i giovanetti, trasformò e idealizzò la
(pilla, cóìV assegnarle un fine spirituale, e fondando sopra
di essa il primo grado di tutto V amore della bellezza
universale delle cose e dei pensieri. Il sentimento primitivo
di trasporto verso una bella persona maschile nelle migliori
nature si cangiava, secondo Platone, in un attaccamento^
per la bellezza morale e mentale della persona amata. E un
sentimento anche più elevato si generava da esso, che si
esprimeva in un trasporto verso tutta la bellezza delle cose
e delle istituzioni, e delle arti, e delle scienze. E quando la
mente fosse arrivata a questo punto, se la sua indole fosse
privilegiata, se le bastassero le forze e l'amore, essa poteva
arrivare alla contemplazione della Bellezza in se, dell' Idea
del Bello.
Questo genere di trasporto verso le persone belle, e
verso la bellezza mentale e verso l' Idea del Bello era una
forma secondo Platone, di quella forza d' attrazione uni-
versale, che trae 1' umanità intiera verso la felicità. (*) E
d' altro lato, come l'impulso erotico produce una congiun-
zione tra r uomo e la donna per la procreazione dei figli;
in simil guisa gli effetti dell' Eros mentale portano le menti
a stringersi in una copula per la generazione dei prodotti
mentali. Da questa congiunzione e dallo sforzo reciproco
delle menti si produce la scienza. In tal guisa il conato verso
la bellezza, il quale si manifesta nell' amore, è parallelo al
conato verso la verità^ il quale si manifesta nella filosofia.
Entrambi questi conati arrivano a delle soddisfazioni par-
(') V. Fedro.
(*) Plat. Fedro a Simposio passim.
- 76 —
ziali sempre incomplete e sempre più eccitanti, senza mai
toccare il colmo e la meta dell* aspirazione. (*)
La via e il modo di questo accoppiamento e la serie delle
procreazioni mentali, colle quali si arriva al conseguimento
della scienza, prende nome di dialettica; nome che indica la
reciprocità dello sforzò mentale di due o più interlocutori,
i quali pongono in contatto le loro divergenze di opinione
per trovare T accordo, segno finale della scienza.
I concetti non si prestano tutti con egual facilità ed
attitudine a(i essere collegati, anzi spesso resistono alla
combinazione, che la mente si sforza di trarne, e per farlo
si rende però necessario T uso di una arte speciale^ che è la
dialettica .
Essa è lo strumento col quale la mente dalle sensibili
appariscenze e dai concetti delle cose concrete sale grado
a grado alla contemplazione dell' Idea. Quelle forme esterne,
quelle cose mondane che hanno servito di punto d* appoggio
per arrivare all' Idea sono come ipotesi^ che svaniscono,
che si rigettano da se una volta in possesso del vero principio.
Riporterò un brano della Repubblica, che spiega questa
formazione ideale. •
Socr. € Vediamo ora come è mestieri dividere il mondo
intelligibile.
GÌ. Come?
Socr. In due parti, delle quali V anima non arriva a
conquistare Li prima, che facendo uso dei dati del mondo
visibile, come di tante rassomiglianze, partendo da certe
ipotesi, non per rimontare al principio, ma per arrivare
alla conclusione; mentre che per conquistare la seconda,
essa va dall'ipotesi fino al principio che non ha uopo d'al-
cuna ipotesi, senzi fare uso alcuno delle immagini come
nel primo caso, e procedendo unicamente dalle idee consi-
derate in se stesse.
(*) Simposio 204. a.
^ T6 —
GÌ. Non capisco bene quel ohe tu dici.
Socr. Ora capirai meglio, dopo quello che ho detto.
Tu non ignori, che i geom 'tri e gli aritmetici partono da
due sorte di numeri, tre maniere d'angoli e così del resto,
secondo la dimostrazione che cercano: che fissati una volta
questi punti di partenza, queste ipotesi, essi le riguardano
come tante verità che tutto il mondo può riconoscere, e non
ne rendono conto né a se stessi né agli altrif che infine
partendo da queste ipotesi essi discendono per una catena
non interrotta, di proposizione in proposizione fino alla
coi^clusione che aveano in animo di dimostrare.
GÌ. Questo lo so perfettamente.
Socr. Per conseguenza, tu sai anche come essi si ser-
vono di figure visibili e ragionano su queste figure, sebbene
non pensino propriamente a quelle, ma ad altre figure
rappresentate da esse. Per esempio^ i loro ragionamenti
non rigu9,rdano il quadrato né la diagonale tali quali essi
gli tracciano, ma il quadrato quale é in se stesso colla sua
diagonale. Dico lo stesso di tutte le maniere di forme che
essi rappresentano. I Geometri le impiegano come altret-
tante immagini, e senza considerare altra cosa che quel-
l'altre figure di cui ho parlato, e che non possono carpirsi
che col solo pensiero.
GÌ. Tu dici il vero.
Socr. Questo io diceva essere il genere intelligibile, e
per conquistarlo 1' anima è costretta di servirsi d' ipotesi
non per andare fino al primo principio, perché essa non
può andare al di là delle sue ipotesi; ma essa impiega le
immagini che le son fornite degli oggetti terrestri e sensi-
bili, sciogliendo sempre fra esse quelle, che relativamente
ad altre sono stimate più vere.
GÌ. Capisco che tu parli di ciò che avviene in Geometria
e nelle scienze aflSni.
Socr. Apprendi ora che cosa io intendo per la seconda
4i visione delle cose intelligibili. Sono quelle che. l'anima
— w-
carpisce immeiliatainante culla dialettica, facendo delle
ipotesi che essa riguarda come tali, e non come principj, e
che le servono di gradi e di punti d'appoggio, per elevarsi
fino a mi primo prinéipio che non aratuette altra ipotesi.
Ella afferra questo principio e attaccandosi a tutte le con-
seguenze che ne dipeodono, ella scende di là fino all'ultima'
conclusione, respingendo ogni dalo sensibile^ per appog^
giarsi unicamente sulle idee pure, in esse cominciando,
procedendo e terminando » (').
Collo stesso tenore va spesso Platone insistendo sulla
natura e suU'utBcio della dialettica, attribuendo ad essa la
proprietà di svelare 1' essenza delle cose, e per essa sola
facendo possibile il vero sapere.
Questa foniiazione dei concetti supremi per opera della
dialetlica si compie per via di due peculiari operazioni, la
tnìittjii»yn e la Si^i^^-Jt^, cioè la formazione del concetto e la
divisione. Colla prima si ottiene dal molteplice 1' unità,
colla seconda si divide il composto nelle sue parti ('). Di
questi due ufficj della dialettica, il primo era stato messo in
onore da Socrate, Platone prendendo a migliorare tutta la
dottrina Socratica, ampliò l'uso della classazione concet-
tuale e la maneggiò con tanta finezza, quale può riscon-
trarsi da ogHUno che porga attenzione alla tessitura
dei dialoghi del periodo socratico. 11 cmcetto contiene il
significato generale della cosa in esso rappresentata, e
ad esso si può inalzarsi col ricercare l'elemento comune,
che trovasi in fondo ai concreti individui raccolti e classati
sotto quel concetto, rigettando le condizioni passeggiare
dì ciascuno individuo e ritenendo i caratteri della classa.
Cosi quando nel Menone Socrate domanda, che cosa sia
la virtù, egli vien risposto coli' indicare tali e tali virtù
de^i uomini e dello donne, esso insiste sulla domanda,
{') Rep. VI. 510- B.
(») Fedro 265, D. - Sofist. 253. B.
— 78 -
e dichiara di voler cercare che cosa sia la virtù, cioè
queir elemento comune pel quale tutte le sovra indicate
prendono aspetto di virtù.
Il metodo di divisione è considerato come una innova-
zione almeno un perfezionamento propriamente Platonico
nel campo della Logica. Con questa operazione si procede
dal generale al particolare, sezionando i concetti più com-
plessi e ritenendone una porzione, per sezionarla di nuovo,
e di nuovo ritenerne una parte, finché si arrivi ad avere
una determinazione di un concettò subalterno; il quale per
tal modo non solo diventa definito, ma classato. Questa
operazione assai imperfetta in se stessa, ma certo assai ,
importante al tempo di Platone, si fonda sulP operazione
logica della classazione. Molti esempi ne dà Platone stesso,
fra cui alcuni ben completi nella prima parte del Sofista.
Dai quali si vede come il metodo di divisione consiste
in una completa ed esatta enumerazione delle classi e sot-
toclassi contenute in una specie o in un genere, percorrendo
concettualmente la loro serie, allo scopo di trovare in essa
il grado occupato dal concetto che è in discussione.
Tutte queste minute pratiche di Platone per il ritrova-
mento della verità derivano poi da più al;e considerazioni
metodiche, che hanno le loro radici nella grande concezione
Platonica del mondo ideale di fronte al mondo sensibile.
L' obietto vero della scienza è secondo Piatone V Essere
in se; ma questo Essere ci è dato trovarlo soltanto nel
mondo ideale non già in questo mondo sensibile. Là è la
incrollabile solidità, invariabilità, eternità; qui invece è
continua niiitazione, fuggevolezza; là è dunque il vero
obietto della scienza, qui si agitano le opinioni degli uomini
che vanno dietro alla traccia dei sensi.
€ E mestieri a mio credere cominciare col distinguere
due cose, cosi leggesi nel Timeo: ciò che esiste sempre senza
esser mai nato; ciò che nasce conti uovamente senza esister
giammai. La prima cosa è compresa per via del pensiero
— 79 —
ragionante, perchè dura sempi'e in se stessa; la seconda è
congetturata per via di opinione accompagnata dalla sensa-
zione non ragionante, perchè essa nasce e perisce senza
essere mai completamente. Or tiittociò che nasce proviene
di necessità da una causa .... Qiiando dunque un artista,
coli' occhio fissato in ciò che mai non cambia, lavora dietro
nn modello di tal f;itta e si sforza di riprodurne l' idea e la
virtù, fa necessariamente una beli' opera; ed al contrario
se ha in mira soltanto ciò che è fuggevole e lavora dietro
UQ modello caduco, non fa nulla dì bello .... Or il mondo
è nato, perchè è visibile e corporeo; e tuttociò che possiede
UH condizioni è sensibile; e tuttociò che è sensibile, e cade
nel dominio dell' opinione aiutata dalla sensazione, nasce ed
è prodotto . . . Dietro qual modello l' architetto ha costruito
r Universo? .... Egli è perfettamente evidente che esso
è r imitazione di un modello eterno. 11 mondo è infatti la
più bella delle cose prodotte; il suo autore la migliore delle
cause. L'Universo cosi prodotto è stato dunque formato su
.li un modello che è compreso dalla ragione e dall' intelli-
genza, e tale rimane. Dal che si deduce che è la copia di
qualche cosa .... Bisogna perciò porre differenza tra la
copia e il modello ... I discorsi che si riferiscono alle cose
$tabdi, immutabili, intelligibili, debbono essere anch' essi
stabili inconcussi, invincibili, so è possibile, a tutti gli sforzi
di una confutazione, in una maniera assoluta. Quanto ai
discorsi che si riferiscono a ciò che è stato copiato su quelle
cose, noa si richiede se non che sieno verosimili, come pro-
venienti da copie. Infatti ciò che è 1' esistenza di fronte alla
produzione, lo stesso è la verità di fronte all' opinione. » (')
Le Idee secondo questi concetti Platonici formano un
mondo modello, di cui questo mondo sensibile è la copia. 11
mondo ideale serve per altrtì a due uffici: prima alla forma-
zione del mondo sensibile servendogli di modello, e dipoi
{') Timeo 28. il. seq.
— 30-
«
alla iatellrgenza scientifica e salda di questo mondo sensibile,
colla partecipazione che le menti acquistano del modello
stesso.
Or come si fa alle meati questa partecipazione? Un mito
metempsicostico è da Platone chiamato a dare spiegazione
di questo fatto. Ogni anima ha un potere essenziale di
mitovei' se stessa, ed è perciò causa del moto in tutte le
altre cose. Essa è dunque immortale, senza principio né
fine: tale è l'anima universale o cosmica e tali le anime indi-
viduali degli dei e degli uomini. Ciascuna anima può essere
paragonata ad un carro attaccato ad una pariglia di cavalli
alati. Neil' anima divina entrambi i cavalli sono eccellenti
e perfette le loro ale; nell' anima umana un solo di essi è'
buono, l'altro è furioso e bizzarro, spesso inobediente alla
mano del cocchiere, con ale deboli e spennacchiate. Gli Dei
coir aiuto de' loro cavalli buoni e ben piumati volano alla
sommità del Cielo, e girano cosi colla rotazione della sfera
celeste attorno alla terra. Nel corso di questa rotazione
essi contemplano le pure essenze e le Idee, realità e verità
senza forma, senza figura né colore; essi godono la visione
dell'assoluta Giustizia, Temperanza, Bellezza e Scienza. Le
anime umane colle loro deboli piume si sforzano di accompa-
gnare gli Dei; talune si attaccano ad un Dio tali altre ad un
altro per essere aiutate nell' ascensione. Ma alcune di essei
mancano per via, son trascinate alla terra per causa del loro
difettoso equipaggio e per lo zoppicare di uno dei cavalli:
alcune ottengono un qualche vantaggio, una parziale visione
della verità e delle Idee, benché in modo incompleto e
fuggevole. Quelle anime che non hanno potuto per nulla
godere la vista della verità e delle Idee, non possono vestire
un corpo umano, ma solo quello di alcuna bestia. E indispen-
sabile ad esse avere ottenuto una qualunque visione della
verità, per acquistare la condizione di anime umane. Perchè
la mente deve possedere la capacità di paragonare e combi-
nare le particolari sensazioni, per arrivare ad una concezione
— 81 —
generale per vìa della prigione. Ciò è reso possibile dal
processo della reminiscenza; è per essa, che rifioriscono le
traccie di quelle pure e vere bellezze ( Idee ) che già parzial-
mente furono contemplate dalle anime nella loro estra-cor-
porea esistenza, quando facean corteggio agli Dei. La facoltà
rudimentale dì ravvivare quelle magnifiche visioni, contem-
plate nel primo stato di esistenza, distingue T anima umana
da quella degli animali: ma in molti uomini la visione fu
così fuggitiva, che il potere di ravvivarla è fiacco e
dormente. Soltanto alcuni pochi filosofi, le menti dei quali
durante il primitivo stato volarono fin sul dosso della volta
celeste, e goderono una abbastanza ampia contemplazione
delle Idee, son capaci di ravvivarne le traccie con facilità
e successo durante la vita corporea. Alla reminiscenza del
filosofo queste Idee si presentano con tale splendore e fasci-
nazione, che esso dimentica ogni altra cura ed interesse.
Questo lo fa di tanto superiore al resto degli uomini.
E V aspetto della bellezza il movente primario che eccita
la reminiscenza. Fra tutte le Idee supreme, che si sono come
incarnate in questo mondo sensibile, la sola Idea della
Bellezza 'si è trasfusa nelle cose in maniera abbastanza
trasparente; le altre Idee, come quelle di giustizia, di tempe-
ranza ec. sono più occultate, ed esigono maggiore sforzo a
carpirle, mentre V Idea di bellezza si presenta quasi di per
se alla mente nella contemplazione del mondo. La mossa
data dalla facile e sollecita apprensione dell'Idea di Bellezza^
sveglia la reminiscenza delle altre Idee; ma senza questa
resterebbero latenti, e V uomo non si alzerebbe dalla condi^
rione fatta al bruto, né si staccherebbe da questo mondo
sensibile per contemplare le pure Idee. (^)
In questa maniera le Idee contemplate dalle anime più
avventurose, e ricordate imperfettamente da esse in questa
vita d' imprigionamento corporeo, air occasione precipua
O Fedro 24 R. - Vedi droto. Plato. Voi. 3. p. 217.
— 82 —
della vista del bello che è disseminato in tutto questo mondo
sensibile, ci rendono possibile la concezione di molte cose e
dei loro rapporti, e ci rendono possibile la conquista della
verità.
Ma rispetto alla natura di queste Idee, la mente Plato-
nica ci comparisce nei dialoghi in una continua trasforma-
zione; le nozioni si vanno aggruppando e completando^ e si
può dire che il contenuto di un dialogo non è quasi mai della
stessa portata del precedente. Per cotal guisa nella dottrina
delle Idee si hanno tante versioni quanti sono i dialoghi che
ne tengono proposito. Così nel Parmenide si ha una tratta-
zione elementare incerta, piuttosto polemica che dommatica,
e nella lotta che si épmbatte tra Socrate, Parmenide e
Zenone, la vittoria resta alle obiezioni di questi ultimi,
piuttostochè alla difesa delle Idee fatta dal primo; tantoché
il Parmenide potrebbe bene essere intitolato « dialogo contro
le Idee ». Le obiezioni, che Platone fa ivi a se stesso, son
tanto gravi, che alle più stringenti esso trascura perfino di
rispondere, e non le scioglie né in questo" né in altri dialo-
ghi. (^) Negli ultimi tempi durante il suo insegnamento Pla-
tone dimentica le obiezioni, prende la teorica delle Idee
come fatta e assicurata, e si dà unicamente pensiero di
applicarla.- Ma apche con questo intendimento la teorica
stessa è soggetta a delle oscillazioni, presentandoci le Idee
ora come cause, ora come intelligibili, ora come numeri
d' indole Pitagorica (*).
Il punto da cui si diparti Platone per immaginare le
Idee, era la dottrina Socratica della scienza. Sola la scienza
ideale, secondo Platone, può dare il vero sapere. Tutte le
cose sensibili sono in un continuo diventare, elleno non
possono dunque dare per prodotto la scienza, ma V opi-
(') Vedi Grote. Plato. Voi. 2. p. 276.
(*) Qaest' ultima caratteristica delle Idee Platoniche, ci viene
attestata da Aristotile.
□ione; la scienza può esser fiata solanieote dall'idea di un
ente fisso ini mutabile, divino fondamenlo di tutte le appa-
riscenze mondane. ìì concedo ili Socrate era cosi per opera
di Platone portato al grado di principio metafisico, e si
trasformava nell' Idea, perdendo la sua condizione sogget-
tiva che ancora riteneva, per vestire le forme della più alta
obiettività.
L'Idea è un che di fisso nella varia vicenda del mondo, è
1' Uno e l'Identico come base alla moltiphcità e al contrasto
delle cose. Essa è per conseguenza un Universale, di fronte
ai particolari individui. Ma qnesto Universale Platone lo
considera come una sostanza, laquale non è percepibile dalla
vista degli occhi corporei, bensì da quella della mente; la sua
sede è la Sfera celeste, ove come abbiamo sopra raccontato^
r anima ne ha goduto qualche visione. Il mondo di queste
Idee è molteplice e gerarchicamente disposto, è un tutto
reale nella realità delle sue parli. Platone allorquando
tien parola delle Idee, fa cenno di esse il pili delle volte
in plurale; il mondo delle Ideo è ciò che più interessa
a Platone, invece della condizione di questa o quella
Idea, benché in fatto eljeno sieno costituite in uba molti-
plicità ridotta ad unità. Fu forse 1' armonia come legame
di questa moltiplicità, che indusse Platone negli ultimi
tempi ad acconciarsi coi Pitagorici e dare alle sue Idee la
caratteristica di Numeri.
Ma la più rimarchevole tra le doti assegnate alle Idee,
fa la causalità, cercata in esse come in unico suo fonte. Una
notevole parte del Fedone è disposta a mostrare questo
officio delle Idee. Chi cerca le cause delle cose, non vada,
come il volgo, ad attaccarsi ai fenomeni, ma .si volga alla
ragione che gli darà nell' Idee separale la vera Causa. « Se
alcuno viene a dirmi, esclama Platone, che ciò che fa bella
una cosa, è la vivacità dei colori o la proporzione delle
parti, e altre simiglianti cose, io lascio là tutte queste
ragioni, che non fanno che turbarmi, e rispondo senza rag-
- 84 —
giri e senz' arte e forse troppo semplicemente, che nulla la
rende bella fuorché la presenza o la comunicazione di questa
Bellezza primaria, in qual siasi maniera si faccia cotal
comunicazione; perchè intorno a ciò non asserisco alcun
che; io asserisco solamente, che tutte le cose belle son belle
per la presenza del Bello in se. Cosi è della Grandezza e
della Piccolezza^ e perfino dell' Unità e della Duità, che
sole sono le cause per le quali una cosa è grande o piccola,
una due ». 0) Il che riconnesso col già detto di sopra a
proposito della visione delle Idee e della Reminiscenza, fa
conoscere la dpppia Causalità che Platone attribuiva alle
Idee, cioè la Causalità verso le cose per acconciarle nella
loro naturai condizione, e la Causalità intellettuale, per cui
la mente fosse fatta capace di intendere le cose stesse.
Tenendo dietro a questa sommaria esposizione delle
dottrine di Platone, è facile scorgere, come presso di lui
s' incontra per la prima volta una completa e decisa -forma-
zione di Metodo. Del qu?.le si può contestare la giustezza e
il valore dinanzi alla scienza, ma vuoisi al tempo stesso
riconoscere la consapevole intenzione che ne diresse 1' ordi-
namento. Tra i filosofi che lo precedettero alcuni non
hanno che un metodo rudimentale, pratica pensativa indi-
viduale, maggiore o minor giustezza relativa di concepire,
come accade negli Jonici ; oppure quando incominciasi a
formulare un metodo derivante da principj, come "fra gli
Eleati, si tiene in mira V obietto del pensiero solamente
trascurando tutto il pensiero stesso, formulando il metodo
sulla sola considerazione dell' inteso, e nulla curando V in-
telligenza; ovvero si cura la formazione di un metodo, che
dia norma e sicurezza al muoversi dell'intelligenza, creando
la prima volta le leggi della dialettica, ma si pone da parte
tutto il mondo fisico, e si riduce il metodo alla sola legisla-
zione dei prodotti di coscienza senza porre in salvo i legami
(0 Fedone XLIX. (100. d.).
-^ 85 —
che stringono quei prodotti col mondo esterno e coi fatti, il
che è avvenuto a Socrnte. Ma in Platone troviamo 1' analisi
del pensiero e del suo ordine dialettico, la pi^sizione gerar-
chica dei prodotti del pensiero stes-o fissata in una formazione
estramondiale, la critica dei prodotti del senso, e con essa
la valutazione dei fenomeni del mondo esterno, e infine una
estesa applicazione del metodo, così formato, al mondo e
alla società umana e alla coscienza. Fu sano e utile alla
scienza quel Metodo? Sarebbe malagevole V affermarlo, se
si prendesse quel metodo, come legislazione ultima e defini-
tiva della ragione. I princijy su ^aii quel Metodo si appoggia
soa mal sicuri; basterebbe a persuadercene il vedere come
esso riduce i sensibili, che ci provengono dalle cose, a mere
ipotesi, destinate solamente a risvegliarci e voltarci al
vero: quel che veramente ci può illuminare sul suo valore
scientifico è la sua storia, che inesorabilmente lo condanna.
Ciò per altro non toglie a Platone il merito di aver sentito
per primo e soddisfatto il bisogno di dare alla scienza una
prima fissazione del suo carattere, delle sue condizioni e dei
suoi limiti.
In verità il fondamento del metodo Platonico è tutto
appoggiato sulla natura e sugli uffici delle Idee separate
sostanziali. Ma che valore ha questa ipotesi? lo credo che
basti ad atterrarla, o almeno ad indebolirla tanto da non
potersene più cavare alcun costrutto filosofico, la serie di
obiezioni che Platone fa alla sua stessa ipotesi nel Parme-
nide, obiezioni che esso non isventò nò in quel dialogo né
altrove mai, e quelle che Aristotile accumulò ad ogni passo
contro le dottrine del suo maestro, obiezioni le une e le altre
le più forti, che siano state fatte nell' antichità alla teoria
dell' Idee separate sostanziali. Ben è vero che, come ho
detto, Platone rispetto a quelle, che esso medesimo fece a
se stesso, in seguito parve dimenticiirlè e trascurarle
affatto; e dominato da quella sua concezione del mondo
ideale, si abituò a considerarla in seguito come una verità
— 86 T^
inattaccabile; il che intravviene spesso alle menti di gran
forza immaginativa, quando si danno ad architettare quei
palazzi incantati , che abbagliano di luce etìmera ma
svaniscono al comparire del spie della scienza. Il tra-
scurare le minute necessità del ponsiero scientifico è
un vizio troppo comune ai più grandi pensatori dell' an-
tichità, perchè ci debba recare stupore di trovarlo in
Platone medesimo.
Da un altro lato, quanto più grande era il valore che
Platone attribuiva al mondo separato delle idee, altrettanto
ne menomava quello del mondo sensibile e reale. I dati
presentati dai sensi sono pieni di illusioni e di errori, e que-
sta debolezza della percezione sensitiva, invece di sospìngere
le ricerche Platoniche verso la scoperta dei rimedi, che la
dovessero rendere più sicura e veritiera^ lo portò a negare
ad essa ogni valore, lasciandole Y unico uflScio di svegliare
neir anima le traccio confuse dell' Idee. Nel Fedone e
altrove esso dichiara che le cose sensibili sono prive di
realità, di verità, incapaci di produrre la scienza.
Ora un cotal metodo il quale poggia sopra una base mal
fondata ( la teorica delle Idee separate ), che trascura dei
dati importanti per la formazione della scienza ( il mondo
sensibile ) qual valore può avere, e come può esso corri-
spondere al primario ufficio suo, quello, di produrre la
certezza scientifica? Esso in verità non corrispondeva ai
desideri del sapere antico, non che a quelli del nostro.
Come potevano gli antichi accettare quale soluzione della
quistione metodica una dottrina, che invece di dar ragione
del doppio ordine di fenomeni ( i fenomeni concettuali
e i fenomeni sensibili ), annullava gli uni a benefizio
degli altri? Questo fu, che produsse le lunghe tergi-
versazioni dei pensieri di Platone negli ultimi tempi del
suo insegnamento, e la facilità con che i suoi discepoli
immediati cedevano il terreno su tutti i punti, al mo-
mento che furono d' ogni parte pressati dagli avversari. '
— 87 —
Ma dal punto di vista moderno, ben più solidi sono gli
argomenti, che ci portano a considerare il metodo di Platone,
non pur come vano, ma come dannoso alla scienza. Dietro
le norme di esso tutto il lavoro delle scienze d' oggidì
sarebbe distrutto, perchè tutte lavorano prendendo a base
il sensibile, stimatizzato e rejetto da Platone: nel campo
scientifico oggi sarebbe tutto opinione, e non verità. Ed
invece fra le scienze, che di presente accumulano più gran
tesoro di verità, dopo le scienze esatte, sono da annoverare
quelle che più si tengono al sensibile.
L' illusione massima delle concezioni Platoniche è la
medesima, che giaceva in fondo alle dottrine Eleatiche. Il
concetto astratto è chiamato a prender posto di realità, e in .
suo nome si vuole spodestare il fenomenale, che pure avea
servito di sgabellò per salire ad esso. Si osservi per altro,.
che Platone stesso sentiva la necessità di un reale, per dar
fondamento alla scienza. E perciò ricorreva ad un reale
verOj secondo lui, sovrumano (separato), e in nome di
questo dava al reale sensibile mondano là funzione di reale
occasionalej per svegliare la reminiscenza del primo.
A questo si induceva Platone, per la necessità di assicurare
la fissità della scienza. Intorno alla quale per altro sembra
che Platone avesse dei concetti alquanto esagerati. Portato
dal suo amore per la scienza, e dal sentimento che la
minima debolezza la renderebbe del tutto vana, esso non si
rese conto delle vere condizioni della scienza stessa e della
sua fissità.
La scienza essendo composta di una serie di conclusioni,
ne deriva che essa sia fissa e incrollabile, finché incrollabili
restano le conclusioni stesse. Ora le conclusioni restano
incrollabili finché non variano le premesse, i dati, da cui
sono state *ca vate. Questi dati per altro, sieno essi sensibili
concettuali, vanno soggetti a variazione successiva, a
seconda dei progressi che si fanno nell'osservazione. Alcuni
fenomeni osservati un po' grossolanamente fanno argomen-
— 88 -
tare una legge ben diversa da quella, che i fenomeni stessi
mostreranno, quando siano osservati con maggior finezza,
quando sieno combinati coli' osservazipne di altri finora
sconosciuti . E cosi la scienza e le conclusioni sono soggette
a cambiamento, col migliorarsi dell' osservazione. Ma la
scienza benché incompleta è fissa, incrollabile anch' essa,
finattantochè i dati su cui essa è fondata non variano.
Ma la sua stessa natura la obbliga a cambiarsi, a perfezio-
narsi col cambiare dei dati. A questo modo, per un lato è
fissa, invariabile (stando fermi i dati delle sue conclusioni ),
per un altro la mutabilità è per la scienza una condizione
necessaria di vita; che assurdo sarebbe, se al cambiare delle
premesse, le conclusioni restassero immobili, quanto sarebbe
assurdo, se restando ferme le premesse, la scienza e le
conclusioni non fossero incrollabili. '
E cosi che le idee, le quali sono il prodotto di percezioni
di conclusioni, si trovano ad essere di natura ben diversa
da quella, che loro assegnava Platone. Ben lungi dall'avere
in esse dei tipi ben formati e completi, che servano di
norma per la valutazione del sensibile, si trova i^el fatto
che le idee si formano principalmente sui dati sensibili, e a
seconda di essi vanno migliorandosi nel loro contenuto.
Tantoché quella che potrebbe chiara^irsi sostanza ideale non
ha vita che dietro i sensibili, e coir accumularsi di questi si
migliora e si forma fino ad un grado di sufficiente comples-
sione. Tutte le idee sono in continua formazione negli
individui umani presi separatamente, come anche nella
moltitudine sociale e nella specie umana presa in massa.
Per aver un esempio della graduazione delle idee negl'intel-
letti individuali, si può aver ricorso alle idee del Bello, del
Giusto ec. idee che Platone riteneva come centrali nel
mondo assoluto e sostanziale da esso immaginato. Or l'idea
del Bello, come abbiamo anche in addietro accennato, non si
va formando che a costo del ripetuto godimento e della accu-
rata osservazione di numerosi e scelti modelli. £ chi non
abbia fatto questo tirocinio, invano si lusingherebbe di pos-
seJere l' idea dui Bello. Certo cba la venustà e la armonia
del)© forme sarà mille volte comparsa dinanzi agli occhi del
villano, che invece di pregiarla l' avrà derisa. Egli è perchè
la sua mente non era ancora stata, per lungo uso della con-
templazione delle cose belle, temprata a gustare il bello, ove
lo incontrasse. Il villauo terrà più in conto, e crederà
fermamente di maggior pregio uuo sguai:ito quadro, che
a colori vivaci rappresenti fiamme e mostri Ìq forma di
anime del Purgatoi'io, che non uno dei più bei lavori di ce-
lebrato pennello. Il selvaggio che ascoltasse una delle più
care melodie della Sonnambula o la sinfonia del Guglielmo
Teli, facilmente la prenderebbe per un vaniloquio musicale,
e ad essa preferirebbe certo lo strider de' suoi pifferi e lo
sconcio tintinnare dei suoi tamburi e dei suoi triangoli. E la
gradazione medesima si riscontra ben anche in mezzo agli
uomini colti. Quanti professori di estetica si potrebbero*
annoverare, che per essersi racchinsi in un piccol cerchio di
modelli, e quasi sepolti in esso, riescono mal acconci a
gustare II bello; come, per es. i clfissicisti puri, che non
sanno che farsi di Shake.spe.Tre! Or questo non sarebbe
possibile, se un idea sostanziale e completa del Bello inve-
stisse l'intelletto che si fosse ad essa rivolto. Le idee dunque
lungi dall' essere assolute, sono invece tanto relative, da
graduarsi secondo il numero e la capacità delle menti, e
secondo la infinita varietà delle osservazioni fatte sui dati
sensibili.
E lo stesso dicasi delle idee scientifiche. Ogni scienza
cammina e trasforma il suo proprio contenuto a seconda
dell'osservazione nuova e migliore dei fatti. Talché poche
Idee scientifiche si possono considerare come complete e
invariabili, e multe sono quelle che si vanno rinnuovando e
formando. Nelle stesse scienze esatte ove le conclusioni
deduttive per loro natura non soo soggette a cambiamento,
pur camminano i metodi, e le idee si trasformano, sebbene
— 90 —
restino salde le masse dei calcoli. Il mondo morale, come
quello sociale e quello scientifico è in un movimento costante
e progressivo, non già perchè esso in verità sia oscillante
ed incerto, ma perchè è in uno stato di miglioramento, per
l'aumentarsi dei dati sui quali fu formato, e le 'menti
muovendosi dietro ad essi. Ed il moto dello menti none
altro che moto delle idee. Egli è dunque assurdo il conce-
pire un mondo ideale immobile e sostanziale, che abbracciato
dalla mente umana, la illuminerebbe di una luce infinita,
ma nel tempo medesimo la fermerebbe..
Forse vorrebbesi che la gradazione delle idee dipen-
desse dall' accostarsi più o meno le menti a quel mondo
ideale e sostanziale? Ma questo riesce difficile a compren-
dere, come una idea sostanziale potesse esser carpita in
parte, e via via guadagnandone ogni di una porzione mag-
giore, si arrivasse al colmo del suo possesso con acquisti
consecutivi. L' idea così spezzata perderebbe la sua indole
di assolutezza, perchè nessuna mente potrebbe con qualche
ragionevolezza asseverare di possederla tutta; e l'assoluto
sparirebbe così dalle menti, per la stessa via, per la quale
si volea infonderlo in esse.
Che valore avrebbe l' assoluto, se restasse inaccessibile
alla mente? Che valore possono avere le idee sostanziali di
Platone, se un destino invidioso le confina al di sopra
della volta celeste, e solo ne concede allo menti privilegiate
una languida reminiscenza? Non potranno certo servir di '
modello, se non sieno possedute nella loro pienezza; che
non si può misurare, senza posseder la misura.
Questo ci mostra la ragione per cui il metodo Platonico,
benché germogliato nel campo della attività filosofica in un
momento cosi propizio, e quando tutti gli intelletti erano
bramosi di una regola che dasse ordine, limiti e pernj
alla scienza; benché vestito delle più pompose foggio della
fantasia, e consegnato al più beli' idioma che abbia mai
parlato la Filosofìa, non riusci a fondare una salda
- 91 —
dottrina, e ben presto attaccato di fronte dal genio Ari-
stotelico, cedette il terreno, e non riprese vita, che sotto
r ispirazione mistica dei Neoptatonici e dei Padri della
Chiesa. Ma allora esso perdette di vista la scienza, ed
allevato al servizio della religione, perde, assieme colle
grazie e gli ornamenti nativi, le pili belle tradizioni che
aveano fatto la gloria Platonica, e fu sovraccaricato di un
fardello non suo accumulato dal misticismo fantastico ed
anche dall' impostura.
Volgendo ora indietro lo sguardo, per rendersi conto
del cammino tenuto dal pensieri e degli acquisti fatti dal
Metodo, possiamo essere in grado di apprezzare il divario
che corre tra la speculazione dei tempi Platonici e quella dei
tempi primitivi. Con Platone il Metodo non era fissato; ma
gli elementi di esso sì combinavano e si accumulavano, coz-
zando tra loro ed armonizzandosi, e da questo lavoro
poteasi aspettare la scoperta dell' organismo della scienza.
Anche la nozione precisa di Metodo sarà più agevole
ricavarla dalla considerazione della storia del pensiero, che
non da speculazioni astratte. GÌ', Ionici ebbero conoscenza
della sola natura esterna, e questa accettarono quale era
data dai sensi, nulla preoccupandosi della veracità ed auten-
ticità delle facoltà umane impiegate a studiarla. E lo stesso
è dei Pitagorici, i quali alia natura materiale cercarono
un fondamento armonico, che ne spiegasse l'ordine, ad essa
ponendo accanto come soggetto di speculazione anche un
mondo morale, ma non istudiarono il valore delle facoltà
umane, né quelle del ragionamento. Cogli Eleali un ele-
mento ideale prendeva il posto della natura, e il metodo ne
era profondamente modificato, essendoché si accettasse
allora come base di esso il pensiero preso, quasi direi, in
blocco, e si rifiutasse il reale sensibile. Cotale innovazione
metodica, mentre da nn lalo portava l'attenzione sulla veri-
dicità delle facoltà umane, e svegliava la dialettica, ten-
deva dall' altro a distruggere il lavoro dell' intelletto,
— 92 —
coir annullare il valbre della osservazione e dell'esperienza.
Fra i Neo-Jonici prendeva origine la distinzione tra la
materia e la forza; concetto che si atteneva più all' ideale
Eleatico, che al reale Jonico, e dovea essere poi tanto
acqarezzato da Aristotile in quasi tutte le sue analisi
di metafisica, da diventare il vizio prevalente di quegli
studi aristotelici. La Sofistica creava la disputa e con essa
uftO dei più potenti argomenti per la distruzione dell' arbi-
trio scientifico e per l'impianto della libera ricerca del vero.
Socrate proclamava la necessità, che la disputa fosse ordi-
nata da norme concettuali per esser proficua; e Platone
riconnettendosi cogli Eleati e con Socrate, cercava di dar
base alla scienza e alla disputa portando lo sguardo sopra
un mondo Ideale modello, che doveva essere ragione per-
fezionatrice del conoscimento del mondo sensibile copiato
sopra di esso. In questa guisa il metodo si trovava a
dovere tener conto di due primarj elementi entrati in giuoco
finora, cioè del reale sensibile, e del concetto come rappre-
sentanza di esso. E siccome il valore del concetto, lungi
dall' esser posto in dubbio, era dalla massima parte delle
scuole esagerato, l'ufficio di un vero fondatore del metodo
scientifico consisteva nel porre il sensibile reale e il concetto
nel loro vero ordine, evitando di sacrificargli l'uno all'altro
come le scuole precedenti aveano fatto, e assicurando ad
un tempo il primo posto al reale sensibile.
Chi avesse combinato questo accordo del fenomenale e
del concettuale, ponendo il primo come espressione natu-
rale del vero, il secondo come dipendenza di quello e
riproduzione mentale del vero in esso contenuto, era sicuro
di porre le fondamenta per un solido metodo scientifico.
E (questo fece Aristotile.
PARTE SECONDA
DEL METODO DI ARISTOTILE
I
%
— 95 -'
PARTE SECONDA
I.
.%rlii(ollle e T opera lioa.
Il genio di Aristotile si mostra per la prima volta
nell'antichità greca come genio scientifico, staccandosi quasi
da un fondo di gemo artistico, che avea spiegato la sua
potenza nel passato. Tutti i pensatori precedenti aveano
sacrificato troppo alle Muse anche quando si accingevano a
formulare la. scienza. La fantasia aveasi fatta la miglior
parte nei concepimenti di Pitagora, di Parmenide e di
Platone, e più o meno in quelli degli altri minori, e tutti
ne aveano acquistato splendore, ma perduto molto di soli-
dità razionale. Le vecchie e le nuove filosofie somigliavano
piuttosto a dei poemi sulla natura, che a dei trattati didat-
tici. Air infuori di scarsi rudimenti di scienza nel campo
della geometria e di pochi altri rami del sapere, V eredità
del passato arricchiva i greci del tempo di Aristotile di
molta arte, ma poca scienza.
Ciò che in quel momento appariva chiaro, e guada-
gnava l'assenso universale, era la, possibilità della scienza
come prodotto di un lavoro ben diverso dal lavoro artistico,
come necessità immediata per la quiete dello spirito e per
l'armonia del mondo. A stabilire questa possibilità e ad
indurre nelle menti il concetto di una base incrollabile
connaturale alla scienza e di una forza razionale prepon-
- 96 -
I
derante come carattere di essa, avea grandemente contri-
buito Platone. Un fecondo principio era questo: la scienza
non è fittizia, non è effimera, essa s* impone all' intelletto,
essa ha un valore, il quale chi disconosca, uccide la propria
ragione. Questa tesi generale era guadagnata, e Platone
avea il vanto di essersi applicato a farla trionfare.
Era per altro una necessità immediata porre in pratica
questo concetto, e far la scienza con un metodo, che fosse
in accordo colla razionalità connaturale ad essa , che
mostrasse in azione la forza dimostrativa preponderante,
che ora alla scienza si attribuiva. Il lavoro di tutto il pas-
sato non presentava questa forma, e neppur quello di
Platone, che avea saputo fare riconoscere il valore della
scienza, e tentato, benché infelicemente, di darne ragione,
senzat esser per altro riuscito a trovare un metodo pratico,
che nei ditersi rami del sapere portasse in luce quel valore
già in tesi generale riconosciuto. Aristotile si détte a rifare
tutta la scienza del tempo suo, con quel rigore di forma,
che in essa era richiesto dal suo valore, dal suo carattere di
universalità e di preponderanza razionale. La scienza è ben
veramente un risultato razionale incrollabile,' prodotto dai
dati che si trovano presenti allo spirito, e fino a che
questi non sieno cambiati; ma non qualunque modo di
scienza; bensì quella sola che risulta da un processo
rigoroso della mente. Il rifare una cotale scienza fu
r òpera di Aristotile; il quale cosi per primo adoperò il
Vero metodo scientifico per quanto gli fu concesso dalle
condizioni e dagli argomenti razionali del tempo suo. Il
frutto di questo immenso lavoro fu non già la creazione
della scienza, ma la creazione del Metodo, e però la
origine di tutta la scienza dipoi.
Computando i libri di Aristotile pervenuti sino a noi, e
quelli numerosissimi che sono andati perduti, si vedrà che-
esso abbracciò tutto lo scibile del tempo suo, e dalla lettura
di qudli riiaaasti si può argomentare, che come'Mida esso
_ 9T —
cAmhia in oro tutto quel che toccava. Creò alcune acieoM,
Iq altre rinnuovò, e in tutte portò un metodo positivo ìnusi-
talo[fino allora.
Aristotile è riconosciuto universalmente come padre
della Logica. Sebbene lungo tempo innanzi ad esso vi fos-
sero dei rudimenti di Logica nei filosofi greci, pure si è per
lui soltanto ottenuto la prima volta una cognizione esatta
delle forme e delle leggi raziocinative. Tanto più che il la-
voro teorico sugli elementi della ragione fu da esso appog-
giato alla scoperta delle formule pratiche di essa, le quali
servirmio così di complemento' e di controllo alla teorica.
« Da Aristotile, dice Kant, data la Logica, come la Geo-
metria pura da Euclide; 1' una e l'altra ebbero pienezza di
scienza e d' allora in poi nessun miglioramento o cambia-
mento vi si è fatto, n Sebbene questo giudizio di Kant sì&
vero soltanto per la parta che spetta alla Logica deduttiva,
le scoperto logiche di Aristotile serbano tutto il loro
valore, essendoché non sieno infatti state mai sorpassale
dalla scienza dipoi, ma soltanto contornate di aggiunte e di
forme, che si irradiavano da esse come da centro
comune (*).
Innanzi ad esso, i limiti che separano le matematiche
dalla filosofia della natura, non erano tracciate con esat-
tezza; elleno sono ancora confuse in Platone: disgraziata-
mente i libri Aristotelici intorno alle matematiche sono
andati perduti. Ma dai passi che ci restano sparsi nelle altre
sue opere, si vede che esso determinò il primo le condizioni
di una dimostrazione rigorosa nelle Matematiche, le divise in
Matematiche pure e miste, separando cosi la Aritmetica, la
Geometria e la Stereometria dalla Meccanica, dall' Ottica,
dall' Astronomia e dalla Musica. Anche insistè sulla sepa-
(') Da Sophiat. Eleneh, cap, nlt. — Buhle. Commentatio do phì-
losophor graec. aoto Arist. iti artu logica couamimbua — RavaÙ-
•oa. La Logique d'Atiat. Furia 183S.
1
— 98 —
razione della Geometria dair Aritmetica, divisione che
giovò grandemente alla Geometria, la quale doveva ai
Pitagorici la sua confusione coir Arimetica.
Nelle scienze della Natura portò nuovità di ricerche,
creò la Storia naturale, e tracciò il primo la via di un vasto
empirismo. Nella Zoologia aggruppò la osservazione dei
secoli precedenti, pose a contributo i poeti, gli storici, i
trattati di caccia^ pesca, agricoltura, ove poteano ritrovarsi
delle nozioni circa la struttura e i costumi degli animali.
A queste aggiunse una preziosa e faticosa messe di osser-
vazioni sue proprie, attinte all' analisi minuta di un
immenso numero di animali procacciati ad esso dalla muni-
ficenza di Alessandro. Per questa stessa guisa portò una
ampia contribuzione anche all'Anatomia; e sebbene la
impossibilità di adoperare con piena sicurezza il metodo di
osservazione ancora nascente lo traesse in molti errori, le
sue scoperte in queste materie sono ammirate anche al dì
d' oggi. Anzi ad Aristotile è intravvenuto come ad Erodoto,
che non curato quanto meritava dai contemporanei e dai suc-
cessori immediati ha ottenuto giustizia dai moderni^ l' uno
alle sue notizie di geografia e di costumi e 1' altro alle sue
ricerche di storia naturale. (*)
Aristotile deve essere anche considerato come fondatore
della Botanica, sebbene Teofrasto suo scuoiare abbia in
essa acquistato rinomanza maggiore. Allo studio di questo
intelligente discepolo debbo aver fatto strada l' insegna-
mento del maestro. Il trattato delle Piante sebbene non sia
testo Aristotelico, ma traduzione dall' Arabo, riportata
poscia in Greco, e nuovamente tradotta, ci è testimone che
tra i libri perduti si debbo annoverare una trattazione di
Botanica. (*)
^ (') Sprengel. Pragmatische Geshichte der Medicin. — Weber.
Arìfit. Yefdienste tim die Wisseucbaftliche Bearbeitiing der Zoo-
logie.
(*) Henschel. De Arist. Botanico philosopho. Vratislaviae 1823.
I primordi degli studi di Fisica, ne! significato odieruo
della parola, si incontrano nel libro deUa Meteorologia, ove
spesso l'osservazione dei fenomeni fisici è feconda per
Aristotile di ispirazioni felici, e tentativi di esperienze, e
scoperte di leggi.
I libri della Fisica, nel senso Aristotelico, ncm profitta-
rono molto alla scienza della natura, perchè in essi eome
nei libri della Metatisica, Aristotile sacrificò il suo genio
alla tradizione delle scuole precedenti. Ma la sua cosmo-
logìa, che l;<le è il contoiiuto di quei libri, è ben lungi
dalle vanità dei Pitagorici o degli Eleati o del Timeo, e
basterebbe a darle importanza la trattazione delle condizioni
, generali del moto.
Fra le scienze naturali e le morali si trova situato in
mezzo il trattato dell' Anima. 11 inerito di esso non fu sola-
mente r aver posto da banda le concezioni spiritualistiche
e mitiche di Platone e dei predecessori, ma anche lo avere
in loro luogo sostituita una serie di concetti attinenti a tutta
la Biologìa, che oggi stesso ci maravigliamo di trovare in
Aristotile.
Nelle scienze morali esso non pure ha il vanto di aver
fissalo i cardini dell' Etica sulle condizioni della umana
felicità, e di avere tratteggiato con pennello maestro i linea-
menti delle più simpatiche virtù, e di averle classate; ma
più gran merito gli ;si debfae fare dall' aver fondato la teorìa
dello Slato, col desumerla dai principali modelli che i di-
versi popoli presentavano. Disgraziatamente si è perduta la
più grande opera politica di .Aristotile, nella quale erano
ammassati i materiali dei suoi studi politici coli' esame' di
più centinaia di costituzioni greche e barbare; ma l'opera
politica che ci rimane basta a farci conoscere la profondità
del suo genio politico e la sincera analisi che esso portava
nell'esame dei fatti sociali.
Ha rinnuovata la Retorica, della quale alcuni rudimenti
— 100 -
si aveaao avanti di luiO), ma si riferivano quasi esclusiva-
mente a pratiche minute oratorie, e non consideravano che
le maniere di ben parlare. Esso invece classò i generi
dell'oratoria, fondò il bea parlare sul ben pensare, organizzò
la dottriaa scientifica dell'invenzione, dell'argomentazione e
di tutte le vicissitudini dell'arti del dire. (*) A più forte
ragione esso è creatore della teoria deil'aj'te poetica e della
filosofia dell'arte. Perchè sebbene Platone avesse già stabi-
lito come base alle arti belle l' imitazione, esso tuttavia
sviluppò in una maniera più vasta questo principio, e fissò
l'attinenza tra la poesia e le arti belle e gli altri rami d'at-
tività dello spirito, applicando i suoi nuovi concetti alla
storia della poesia greca. (^)
Studiosissimo della storia del pensiero umano esso fii il
primo, che si facesse una abitudine costante di raccogliere
intorno a tutte le quistioni le opinioni dei precedenti filosofi,
e diveuQe così il primo storico della filosofia; oltre di che
colle sue ricerche intorno agli antichi poeti, coi numerosi
ragguagli intorno ai più recenti scrittori greci portò una
larga contribuzione alla storia della Letteratura e alla
Filologia.
Tutto questo cumulo di lavori dovuti al genio Aristotelico
si può ricavare dalla valutazione degli scritti pervenuti sino
a noi. Quanto più meraviglioso sarebbe riuscito l'insieme
di sì vasta opera, se ci fosse dato porre a calcolo il conte-
nuto dei libri perduti, che per numero e per importanza, a
stare alle tradizioni di Diogene Laerzio e di altri, non do-
veano cedere molto ai rimasti, o in alcuna parte gli supe-
ravano.
E più di tutto meravighosa è la sincerità e il valore
(') Spengel. Artium acrìptores ab initils usqne ad Arìat.
Stnttg. 1828.
(') Westermann. Oesch. der Grieoh. Beredaamk. Leipz. 1833.
(') B Mailer. Gesoh dar Thoorìa dar Etinat bei den Alten —
Bods. 00Bch der HeUenischen dicbtkunst. Leipzig 18S8.
À
— 101 -
DooTO ddl metodo, che Aristotile adoperò percorrendo èÌ
varie o vaste regioni del sapere. Anche questo metodo è
creazione sua: ò la combinazione, la prima volta formata,
dell' osservaaione e del pensiero, dell'empirismo e della
speculazione. L' ideale fu da esso corretto col tenerlo
costantemente associato al lavoro sperimentale. E se tal-
volta la speculazione prende in Aristotile la vecchia abitu-
dine di svolazzare nel vuoto, ciò addiviene, più che dal suo
intelletto, dalla attuale mancanza di dati sperimentali;
difetto non del metodo ma della ristrettezza degli strumenti
dalla scienza allpra posseduti; debolezza che accompagna
ogni creazione ed ogni riunuovamenlo — « quandoque
bonus dormitai Homerus » . ~ Esso da un altro canto non
trascura la speculazione; si serve di essa per concentrare
la sua scienza sperimentale, per dare unità al suo lavoro
empirico. Non parte dalla unità dì una ideao di un princi-
pio per trarne fuori sistematicamente il particolare; al con-
trario, il fondamento della sua speculazione è Io studio
completo dei fenomeni, la loro istoria e la loro compara-
zione; e da questo punto si avanza poi ad un lavoro intel-
lettuale di unificazione, cercando di risalire la scala delle
leggi fino a quel più alto grado che gli sia possibile.
Questa nuovità e perfezione di lavoro scientifico, inusi-
tata in tutta l'antichità, fu quella che cattivò ad Aristotile
il culto dell'epoche successive. La scolastica se ne invaghì
talmente, che nell'entusiasmo del suo omaggio oltrepassò
ogni limite, credette che Aristotile avesse pronunziato
Vultima parola della scienza, e per questa illusione spese
una intiera e laboriosa epoca a intrecciare catene di sillo-
gismi attaccate a un passo Aristotelico. Lavoro inutile anzi
dannoso e contrario allo spirito del metodo Aristotelico,
che volea fare maestra prima del pensiero la sola natura
delle cose conosciuta per esperienza. Ben a ragione diceva
Galileo agli Aristotelici del suo tempo: io sono più siuce-
rameate Aristotelico di voi, perchè voi prendete da Aristo-
~ 102 -
tile certe dottrine, e io prendo invece il suo metodo; talché
se Aristotile vivesse oggi, penserebbe come me e non
come voi.
Una parte delle cose, che qui sommariamente abbiamo
accennate, si farà più precisa in seguito per la considera-
zione del contenuto di alcuni tra i più importanti libri
Aristotelici.
II.
Arte di pensare e di argomentare,
e Mpeclalmente della dialettica.
U miglior moilo per arrivare alla tìssazione del metodo
scientifìco era quello di studiare la mente nel suo lavoro
logico, cercando di carpire 11 segreto di questo lavoro, e
determinare le leggi naturali, secondo le quali ella si con-
duce nella ricerca del vero. Queslo studio è stato fatto da
Aristotile con una sicurezza e una pienezza meravigliosa,
se si considera massimamente quale intricato labirinto
fosse l'argomentare tenuto dai predecessori -suoi, e quanto
difficile riuscisse orientarsi nel campo della discussione.
Sebbene alcune pratiche salutari, ma incomplete, fossero
poste in luce da Socrate e da Platone, non che dai Sofisti,'
e lo studio dell' argomentazione fosse una delle primarie
occupazioni dello spirito filosofico del tempo; tanta è per
altro la distanza che separa la precisione del metodo Aristo-
telico dalla incertezza che regnava tra i suoi contemporanei
medesimi, che merita si presti una particolare attenzione
alle trattazioni logiche di Aristotile, come quelle che hanno
la prima volta criticato la ragione e fissato il modo del suo
cammino nella ricerca del vero.
La certezza essendo il punto a cui tutta la scienza ha in
mira di pervenire, è stato preso da Aristotile questo punto
medesimo come centro a cui convergono gli studi suoi circa
il ragionamento, cercando di scuoprire 1' attinenza che le
singole maniere di argoment^ire hanno colla certezza. Il re-
sultato finale di questi studi porta, che vi sono varj gradi
dì certezza possibili ad ottenersi; 1." Dimostrazione da opi-
nioni probabili; 2." Induzione dal particolare al generale;
3.' Deduzione dal generale al particolare, o sillogistica.
Il primo grado dà per resultato principale la dialettica o
k
— 104 —
arte della disputa; il secondo la formazione dei principj o
arte di pensare; il 3.** e il 2/ riuniti la dimostrazione dedut-
tiva ossia r Analitica.
Prima di passar oltre nell'esame di questi tre gradi del
metodo logioo, è necessario esporre i concetti Aristotelici
intorno alla argomentazione filosofica, ossia scientifica, in
contrapposto alla non filosofica, ossia del probabile. È una
al»tudine costante di Aristotile quella di contrapporre la
trattazione filosofica ^alla trattazione dialettica intomo a
ciascheduna materia — « Dal punto di vista della filosofia
bisogna trattare le cose secondo la verità; dialetticamente
invece, secondo la probabilità » (^).
E altrove: « 8on diflferenti tra loro i ragionamenti che si
fanno secondo un diverso metodo, alcuni filosoficamentOj
altri non filosoficamente » (^).
In conformità di questo pensiero Aristotile avea diviso
anche la sua trattazione didattica. L'insegnamento suo gior-
naliero si divideva in due lezioni o passeggiate ^ secondo la
denominasione Peripatetica, in una delle quali esponeva le
sue dottrine'in maniera facile e rudimentale, accomodandosi
a quella cultura, che si trovava ad avere un uditorio ancora
troppo giovane e mal fornito di esercizio mentale, e perciò
incapace di profittare del più elevato insegnamento scienti-
fico. In queste lezioni non predominava V argomentazione
rigorosa, come troppo astrusa, ma una dimostrazione ca-
vata da ragioni 'probabili, come più alla portata della comu-
ne intelligenza, corredata di numerose digressioni, e colla
mira piuttosto di coltivare lo spirito che non di convincerlo.
L^ insegnamento filosofico, rigorosamente scientifico era
invece riserbate all'altra lezione, che indirizzavasi ad un
uditcH^io di coltura elevata, capace di valutare le dimostra-
ii9à^xi^^ ti itfii déìiayt. Top. Lib. I. It. 6.
C) Mcff. Ead. L (|.
— 106 -
ziooi senza essere arrestato di difficoltà secondarie, talché
r insegnante potesse per il corredo necessario di ciascuna
lezione richiamarsene all' insegnamento della prima manie-
ra. L' uno si chiamò exoterico e Taltro acromatico (*). Non
pur r insegnamento, ma i libri pubblicati da Aristotile,
sembra si dividessero nell'antichità in queste due categorie,
sebbene al presente forse iicrfòuiìo scritto ci rimanga di quelli
che si sospetta dovessero appartenere alla categoria degli
eioterici. Essi erano per altro nelle mani di Cicerone, e ben
conosciuti al tempo suo: esso pò tea vantare, certo con alla
mano gli esoterici, i fiumi di eloquenza di Aristotile^ e
contrapporgli al parlare monosillabico degli Stoici, e anche
aggiungere qualche rimprovero alle eleganze un po' caricate
dello Stagirita; cosa che davvero noi) potremmo far noi colle
sole opere che ci restano, scritte per la massima parte,
air infuori di pochi brani della Retorica o della Morale, con
uno stile severo e contorto, il cui pregio è la precisione, ma
non l'abbondanza. Cicerone ci ha ben anche tramandato un
brano Aristotelico nel quale comparisce veramente la dote
attribuitagli da (cicerone stesso di pienezza e ornatezza
d* eloquio, e che contrasta coU'indole dell'opere Aristoteli-
che, che abbiamo noi (*).
(*) V. Kavaisson. Estai sur la Méthaphjsiqne d'Arisiote.
Partie. III. Lib. I. Gap. I. Vedi anche Stahr. Aristotelia. Erster
Theil. 8. 272. foJg.
(*) De Nat. Deor. II. XXXVII. Praeclaro ergo Arìstoteles, e si
essente ìnqaìt, qui sub terr.i semper habitaTÌssent, boDÌs et illustri-
bns domicìliis, qaae essent ornata signis atque picturis, instructa-
qne rebas iis ooinlbus, quibus abundantii, qui beati putantur nec
tamen exissent unqnam supra tcrnim, accepissent antem fama et
anditione, eséo quoddam numen et vimdeorum; deuique aliquo tem*
pere, patefactis terrae faucibns, ex iHis abditis sodibus evadere in
haec loca, quae nos incolimus, atqne oxire potuissent: qunm repento
terram et maria coelamqno \idissent, nubium magnìtudinem, yen-
torumqne vim cognoTissent , adDpexissentque solem, eiusqao tum
magnitudinem, tum otiam efficienti am oognovissent, quod ìs diom
— 106 —
Arìstotile stesso nei suoi libri fQosofici rimanda sovoate
il lettore ai libri exoterici, e dall' insieme dei luoghi in cui
queste citazioni compariscono, risulta che esso rinvia a quei
libri, come a discussioni comuni già fatte frequentemente;
se ne appella ad essi soltanto per cognizioni elementari e di
corredo, non mai per dimostrazioni rigorose; e infine dalla
maniera di citazione apparisce che nel libro esoterico phe si
richiama^ è trattata in parte la stessa materia che quella
del libro filosofico che lo cita (*).
' Si può concludere da questo, che la distinzione di dot-
trina filosofica e non filosofica aveva una importanza grande
per Aristotile, e che era una abitudine sua di separare i
discepoli adatti a profittare dell' una piuttostochè dell'altra,
come anche di trattare le stesse materie in un modo rigo-
rosamente scientifico ed in un modo dialettico, ossia con
ragioaameati probabili.
Progredendo su questa via per arrivare alla formazione
del metodo, la distinzione introdotta da Aristotile tra Dia-
lettica e Analitica si mostra di capitale importanza, essen-
doché nessuno 1' avesse fatta insin allora, e non si fosse in
tal maniera graduato il valore delle argomentazioni diverse
dinanzi alla certezza. E veramente questa importante dif-
ferenza non era facile a rilevarsi, e senza di essa non si
sarebbe riusciti alla fissazione del metodo. Gli oratori, par-
lando nelle assemblee popolari e nei dibattimenti giudiciali,
adoperavano artificj di ogni maniera per commuovere le pas-
sioni; i retori poggiavano i loro argomenti con eguale indiffe-
renza su di un passo di poeta antico o su di un fatto storico
gfficeret, toio cuelo luce diffusa; quum autem terras nox opacasset,
tum coelum totum cernerent a^tris distinctum et ornatum, luaaeque
laminum varietatem tum. crescentis, tum senescentis, eorumque
omnium ortus et occasus, atque ia omni aeternitato ratos ìmmuta-
bilesque cursus: quae quum yìderent, profecto esse Deos et haec
tanta opera deorum esse arbitrarentur >. Atque haec quidem iUe.
(*) Y. Bavaisson loc. cit.
— 107 —
sa di un principio razionale, come se queste tre maniere
di premesse dassero delle conclusioni di uno stesso valore;
i dialettici si appagavano di trattare un soggetto colle armi
dell'avversario credendo aver messo in chraro la verità
quando lo avessero ridotto al silenzio; pochi erano quelli che
ragionassero partendo da un principio solido, e che sapes-
sero tenersi fedelmente a q:iel:0, scartando ogni argomento
che non fosse di un valore sostanziale alla quistione. In
questo intricato labirinto di argomentazioni bisognava porre
arditamento la mano, e tracciarvi le vie maestre e le dira-
mazioni secondarie. Questa opera ha fatto Aristotile spe-
cialmente col separare il sillogisino retorico dal dialettico
e àdiW analitico j in queste tre maniere di sillogizzare
facendo ravvisare tre gradi di argomentazione crescenti in
valore^ all'ultimo dei quali soltanto può spettare il primo
posto nella scienza.
« La Retorica e la Dialettica sono le sole arti del dire,
che arrivano talvolta a delle conclusioni contrarie al sillogi-
smo » (O-
L'argomentare si giova talvolta di aiuti secondarj, che
hanno in mira piuttosto lo scopo da raggiungersi, che non
la verità. Di questi mezzi si occupa massimamente la Reto-
rica non in ordine ad uno scopo scientifico, ma in ordine
all'argomentaìe dal probabile, di cui è comune l' uso tra la
maggior parte degli uomini. In cotal guisa la Retorica è una
succursale della Dialettica, è una particella di essa. («) Con
questa differenza, che siccome il precipuo ufficio del parla-
tore, che vuol persuadere, consiste nella buona condotta
dell' argomentazione; questa argomentazione, come conclu-
sione dal probabile si perviene alla Dialettica. Mentre la
Retorica è lo ammaestramento all' argomentare opinativo
in attinenza colla condizione peculiare del discorrere in
(«) Ehet. L 1. 12.
O Ibid. L 2. 7.
— 108 —
pubblioOi la Dialettica dal canto suo è lo ammaestramento
per la condotta dell' argomentazione opinativa in vista di
tutte le possibili eventualità della disputa.
« Il metodo artificioso della Retorica si affatica a for*
mare le persuasioni; perchè anche la persuasione ò una
specie di dimostrazione; ( che più si ha fiducia in quello che
è più. dimostrato); e la dimostrazione retorica è Tentimema,
capacissimo di generar fiducia; e l'entimema è una specie
di sillogismo; ora spetta alla Dialettica o ad una sua parte
la trattazione del sillogismo. Quegli che saprà determinare
con precisione la natura del sillogismo e le sue leggìi potrà
giudicare anche gli entimemi^ e qual sia la differenza tra
essi e i sillogismi logici. Perchè il vero e il verosimile spet-
tano alla medesima facoltà » (*).
Cosi tra la Retorica e la Dialettica vi è una somiglianza
nell'abitudine di trattenersi sull'opinabile, e vi è una dif-
ferenza sostanziale in quanto l' una presenta le forme della
eloquenza, e l'altra più si accosta alle forme del pensiero
scientifico. In mezzo tra la Retorica e la Dialettica si na-
sconde come serpe tra i fiori la Sofistica, quella Sofistica
bassa, che Platone e Aristotile a ragione schernivano. « Il
sofistico è tale per intenzione, il retore è costituito tale parte
dalla scienza parte dall'intenzione, il dialettico non dall' in-
tenzione ma dalla facoltà» (*). Il primo infatti vuol provare
il falso e il vero a suo piacere; riuscire, guadagnare- la per-»
suasione, nulla curando il vero e il falso, è l'intenzione che
predomina in tutto il suo lavoro; il retore ha predilezione per
il vero e se ne informa con certa cura, ma l' intenzione di
persuadere si associa costantemente al suo pensiero; il dia-
lettico cerca il vero, benché non lo cerchi con tutti i mezzi,
(*) Bei. 1. 1. 11. y. anche I. 2. 8. Un paragone del siliogitmo
e induzione, da parte deUa Dialettica, coirEntimoma e l' esempio
corrispondenti a quelli da parte della Retorica.
O Rhet. I. 1. 14.
— 109 —
serrendosi della dimostrazione dal probabile, ma pur il vero
aveodo in mira primariarneute e non la persuasione. 11 sofi-
sta sì atlacca anzi al falso con amore, riputando un trion-
fo il riuscire a farlo parer vero: « la Retorica specula intorno
al probabile e a ciò che ha l'apparenjia del probabile, corae
la dialettica intorno al sillogismo o a ciò che ha l'apparenza
dì sillogismo » (<).
Il che si farà più chiaro, per ciò che spetta alla Dialettica,
non essendo qui luogo di intrattenersi più oltre della
Retorica, dai seguenti passi, che alla Dialettica più diretta-
mente si riferiscono.
Abbiamo fatto notare, come per Aristotile vi sia un
modo di argomentare filosofico — vòlto alla verità — ed
Bno dialettico — vòlto hVÌ opinabile. Questo -paragone
esprime decisamente la differenza tra la dialettica e la
scienza. « I sillogismi dialettici si fanno con proposizioni
probabili » (').
< Fra la proposizione analitica o dimostrativa e la pro-
posizione dialettica corre questa differenza, che la dimostra-
tiva pone l'una delle due parti della contradizione; perchè
chi dimostra non interroga ma pone un principio; al contra-
rio la proposizione dialettica comprende in una interroga-
rione ambedue i lati della con tradizione. Ma questa
differenza non impedisce che nell'un caso e nell'altro si
&ccia un sillogismo; perchè tanto chi dimostra, che chi
interroga sillogizza sull'attinenza o non attinenza di una
cosa a un'altra ... La proposizione sillogistica è dimostra-
tiva, quando è vera, e deriva dalle condizioni primitiva-
mente poste. È dialettica quando sotto forma di interroga-
xione comprende le due parti della contradizione, e accetta
(') Eet. I. 1. 14.
Ò) Ami. pr. I. 30. 1. — Vedi anche Anal. post. I. 19. 4. —
Anal. pr. U. 18.8.
- 110 —
nella formazione del suo sillogismo V apparente e il pro-
• babile » (*).
Si vede assai chiaramente quale fosse la intenzione *di
Aristotile nel porre come preparazione alla scienza la
Dialettica. La scienza non parte che da principj riconosciuti
yeri, e non arriva che a conclusioni vere. La dimostrazione
è il suo organo legittimo. Ma prima eli possedere questi
principj veri, la mente deve essere passata per uno stadio
nel quale essa era perplessa fra due opinioni probabili. Se
Tuna delle due fosse evidentemente falsa, l'esercizio logico
della mente non avrebbe luogo, ella si getterebbe decisa-
mente verso la vera. E dunque necessario che la discussione
mentale capace di produrre il pensiero^ i principj, le propo-
sizioni fisse, e la discussione esterna capace di farle
accettare agli altri, abbiano luogo come propedeutica alla
dimostrazione, la quale non può farsi, che quando i principj
sono già riconosciuti. Il probabile è strada al certo, e questo
è punto di partenza alla dimostrazione scientifica.
Or quale è questo probabile che si incontra così sul
limitare della scienza ? e quando avrà esso diritto di essere
accettato legittimamente in questo posto?
Chiamasi probabile ciò che sembra tale o a tutti gli
uomini, alla maggior parte, o ai savi; e tra i savi o a tutti,
alla maggior parte, o ai più celebri e più credibili. (*),
Non tutte le scienze, né tutte le auistioni in ciascuna di
esse possono corredarsi di ricerche, le quali partano da dati
certi e riescano a conclusioni egualmente certe. Ma in molte
cose è necessario appagarsi della probabilità, e in questo
caso si hanno delle gradazioni di probabilità che ognor più
e più acquistano di forza, e così vanno accostandosi alla
(«) Anal.pr. 1.1.3*
O Top. 1. 1. 7.
- ni —
certezza: e il più probabile sarà quello che dovrà occupare
il posto dovuto al vero, in mancaaza di questo.
Non ogni proposizione, uè ogni problema può conside-
rarsi come dialettico, ma solamente quelli che non sono
dimostrabili filosoficamente, e pur serbano ancora tal grado
di ragionevolezza da non essere insostenibili affatto (').
Non bisogna del resto darsi la pena di esaminare qua-
Innque tesi e qualunque problema, ma quelli soli che possono
trarre vantaggio dal ragion-amento. Così la discussione non
deve applicarsi alle cose di cui la dimostrazione è del tutto
in pronto, né a quello di cui è troppo lontana; perchè le
une' non presentano alcun dubbio, le altre offrono troppa
difficoltà perchè chi ha mente sana si acconci ad occupar-
sene (*).
Una delle più notevoli particolarità di questa maniera
Aristotelica di considerare l' acquisto e 1' uso del vero, si
riscontra certamente negli ufficj attribuiti alla dialettica , e
massime nell'ultimo.
La dialettica serve ad alcuni uffici primarj, che sono la
ginnastica della mente, la disputa, la preparazione all'acqui-
sto filosofico dellascienza. È chiaro di per se che essa è utile
come ginnastica; perchè essendo forniti di un metodo, potremo
pili facilmente argomentare intorno alle quistioni proposte.
È utile per la disputa, perchè tenendo conto delle opinioni
degli interlocutori, potremo discutendo con loro, trattenergli
d'opinioni loro proprie, e scartarne gli errori. È utile per
l'acquisto filosofico della scienza, perchè col discutere il prò
e il centra, si scoprirà più agevolmente il vero e il falso.
E in questo ufficio è suo principal compito di farci cono-
scere gli elementi, i primi principj di tutte le scienze; perchè
i principj speciali delle scienze non possono insegnarci nulla
k
(')Top. I. 8.1.
(■) Top. I. 9. 10.
— 112 — ^
circa quei principj elementari, i quali sono comuni a tutte;
e cosi è mestieri studiarli ciascuno a parte dietro proposizioni
probabili che si riferiscono ad essi. Questo è l'oggetto
proprio e peculiarissimo della dialettica; perchè investiga*
trice corno ella è ci apre la strada ai principj di tutti i
metodi (*).
Quale sia la maniera che tiene la dialettica per arrivare
alla formazione dei principj indimostrabili, lo vedremo un
poco più oltre. Osserveremo qui che V importanza di tale
ufficio si ricava dalla necessità di dare alla dimostrazione un
sustrato indimostrabile, il quale sia tanto solido da reggere
tutta la catena sillogistica. E veramente qualunque nome sì
voglia dare a questa operazione preliminare dell' intelletto,
è indubitato che essa precede necessariamente tutto il lavoro
delle scienze, e senza di essa questo non potrebbe farsi in
modo alcuno. Tutto il materiale elementare del pensiero
debbo essere apparecchiato, quando si pon mano alla mole
della scienza. Vedremo che la dialettica adopera a formarlo
la esperienza e la induzione; ma questo è ciò che rende
r uso della^ Dialettica necessario a tutte le scienze, le quali
attingono da essa i loro principj comuni; ed è necessaria a
tutti gli individui in particolare, qualunque sia il grado
della loro cultura; perchè sebbene lo scienziato adoperi i
suoi principj valorosamente, e il villano con poca esperienza
e in modo quasi inconsapevole, l'uno e l'altro però hanno
avuto necessità di formarsi i loro principj innanzi, di poter
ragionare deduttivamente ('*).
Questo modo di considerare la Dialettica pone chiara- \
mente in contrasto Aristotile con Platone. Essa per Aristo-
tile serve di preparativo alla scienza, per Plalone è invece
l'organò più potente della scienza sfessa. Nella opposizione
(•) Top. I. 2.
(') Soph. II. 9. '
- 113 —
inUina che f^iace in fondo a r|ueste diverse maniero di consi-
ilerara la Dialettica, si risconlra un grnn progresso che si
compiè dn Aristolile in confronto all' opera di Plalone. La
impossibilità, che si abbia una dimostrazione rigorosa in
alcune branche del sapere, è dati dall'osservazione delle ma-
niere diverse, colte (inali il pensiero si manifesta, e giustilica
l'oratoria, la retorica, la discussione dell'opinabile. L'aver
distinto chiaranieiile questa impossibilità è uierilo di Aristo-
tile, il quale in simil guisa faceva una importante divisione
neir ordine della manifestazione del pensiero; e liberava
d' altra parte la dimostrazione rigorosa da una nociva
confusione colla dimostrazione opinabile, assegnando a
ciascuna un posto ed un ufficio proprio. Neil' istesso lempo
esso segnalava una gradazione nell' acquisto della certezza,
per cui lasciando una libertà assai larga alla formazione dì
concetti più e più vicini alla certezza medesima, dava il loro
speciale valore non solo a certe scienze, ma ancora a tulle
le gradazioni della cultura negl'individui. L'uomo igno-
rante e ruzzo ha una sua maniera di pensare e di argornen*
tare che è in ragione dei principj da esso conquistali, e die
perd è ioQma nell'ordine della dimostrazione, quaudo qiiosti
principj sono pochissimi o malamente corredali d'osserva-
uodì giuste. In questo grado si ha un risultato che è
immensamente distante dalla certezza, specialmenle nelle
materie a cui non serve 1" uso ordinario dei sensi per
rischiararle, che esigono invece un uso raffinato di essi, od
UD complesso di processi mentali e una combinazione
complicata di cognizioni. Da questo stato mentale dell'uomo
rozzo fino all' acume sorprendente dello scienziato coire una
infinità di gradi inierniedj nella cultura delle intelligenze,
le quali camminano verso la dìmnstrazione rigorosa, ma
non saranno nel loro pieno sviluppo che quando questa sia
diventata in loro rm' abitudine assicurata. Adunque le
scieoM sono tanto più perfette, quanto più aminettono 1' uso
à
— 114 —
dì questa abitudine: le nienti sono tanto più vicine alla
certezza, quanto più estendono l' uso di questa abitudine
nella loro speculazione in una data scienza; e l'uomo 6
tanto più colto, quanto più estende l'uso di questa abitudine
ad un maggior numero di scienze. Ecco il processo ascen-
sivo che va dall' infimo opinabile pei suoi gradi fino alla
certezza; dall' oratoria fino alla scienza di dimostrazione;
dal volgo fino allo scienziato.
III.
llndnzIoDe, formazione del prlncliJ,
Mstenza Immediata sperimentale.
Abbiamo veduto, come Aristotile, tra gli uiEci assegnati
alla Dialettica, annoveri quello della formazione dei prin-
cipj. Questo grande ufficio è sostanziale per la scienza,
perchè concentra in se la parte Ibndamentale dell'arte di
pensare, che deve precedere l'arte di rlimostrare ; e
vedremo con Aristotile che esso si rende possibile per l'oso
dell'induzione.
Aristotile non ha fatto nelle sue opere dialettiche la
, teoria dell'induttiva; l'Iia accennata di volo e come sboz-
zata con pochi tratti. Ne ha tenuto parola più volte nelle
opere analitiche; ma non ne ha data una legislazione,
come ha fatto per la deduttiva. Tuttavia è questo il luogo
di richiamare tutto ciò che Aristotile ha lasciato intorno
alla induzione, avendo in mira l'ufficio primario della
formazione dei principj, che l'analitica non può di perse
trovare né dimostrare, ma sui quali è necessario ch'ella si
appoggi.
E innanzi tutto è mestieri porre in saldo questo con-
cetto, che cicHÌ non tutta la scienza può essere capace di
essere dimostrata deduttivamente, ma vi è una parte fon-
damentale di essa, che è indimostrabile, ed è però scienza
immediata, dovuta soltanto allo esercizio elementare delle '
facoltà umane.
Quando si fa uu sillogismo in questa guisa; tutti gli
uomini sullo mortali — Socrate è lionio — dunque Socrate
è mortale; il sillogismo corre, a patto che sia vera la
maggiore e la minore. Ma la maggiore e la minore come
le abbiamo noi imparate? La maggiore si è ottenuta anno-
verando i casi di morte di tutti gli nomini conosciuti fiu
qui, cioè l'abbiamo avuta per indiizione; e questo prodotto
iQfìuttivo serve di principio Dell'indicato sillogismo. La
minore egualmente si è ottenuta confrontando le proprietà
caratterisliche di Socrate, e trovandole analoghe a quelle
degli altri uomini Io abbiamo potuio classitìcare con essi:
il che significa, che la minore ci è d.ita dall'osservazione.
Ora tanto più i priacipj elevali, che servono ad una vasta
catena di conclusioni sono in simil guisa indimostrabili
deduttivamente, e dati invece come scienza immediata dalla
induzione e dall' esercizio delle facoli.à elementari della
ragione. Se i principj dovessero essere dimostrati colla
deduzione, siccome ogni deduzione ha mestieri di essere
appoggiata sur un principio, ne verrebbe che la catena
deduttiva sarebbe infinita; i! che è assurdo ('). E dunque
impossibile che vi sia dimostrazione di tutto, perchè è
necessità che la dimostrazione parla da un punto dato ('}.
È per questo che Aristotile spesso ripete, come sia neces-
sario che ogni cognizione provenga da alcuni dati prece-
denti, specificando meglio, nel seguente passo esprime il
modo di cotal provenienza.
« Qualunque cognizione imparata proviene da cose
conosciute per lo innanzi, perchè qualunque siasi cono-
scenza si acquista o per induzione o per sillogismo.
L' induzione è inoltre anche principio dell' universale; e
il sillogismo è dedolto dall'universale. Così vi sono dei
principj dai quali proviene il sillogismo, e pei quali non vi
è più sillogismo possibile; essi sono dunque il risidlato
della induzione » (').
{') Anal. Post. I. 22. 11. — 23. 3.
(') Miitiif. II. 2. 10. — Anal. poat. I. 1. I.
(') 'Ex iTfjoyi^voiDtSfiiviiiv Si jràcH SiSxaxylix , . . v ii\
iitaytiyfit n Ss lulioyUTfiw. 'H fitv Sri in^yi^iit i^-jiìi tOTi
)!«3o1«u, Si o-uX/uyiOfiòg in TÌiv xi^òÀou. Kìiiv a^x ip/^ui,
aui.ì.ayiaiiìi, Zìi aùx ictti B-ulJoyiofu'f tffayw/i òf a Etic. Nu'.
Tedi anche Anal. pr. II. 25. 1.
- UT -
Da questa uecessilà di dnver conoscere certi elementi
primitivi, dice Aristotile, ne traggono alcuni la conse-
guenza, che non ò possibile alcnn;i scienza; e altri ammet-
lenJy la possibililà della scienza, credono che si possa
dimostrar tutto; opinioni entrambi che non sono né vere né
necessarie. Quando si ammetto che la scienza sia impossi-
bile, è peri.;hiì si crede che vi sia nella dimostrazione un
processo all'infinito; e si dico allora con ragione che non
si può arrivare a conoscere coso posteriori partendo da
antecedenti che non sono primiiivi di fronte ad esse; e
infatti è bene impossibile di percorrere l' iiifinilo. Ma, si
a^iunge, se la dimostrazione si arresta e se ti sono dei
principj, questi principj stessi sono sconosciuti, perchè non
vi ha dimostrazione di essi, e questi avversirj ritengono
che la dimostrazione deduttiva ('anroJji'Sn;) sia V unico
mezzo di conos<;ere. Gli altri ammettono ben la possibilità
del sapere, perchè dicono che per 1,1 sola dimostrazione SÌ
sa, ma pretendono ancora che nun vi sia alcun impedi-
mento a che tutto si possa dimostrare deduttivamente,
perchè la dimostrazione può essere circolare, e le cose
possono dimostrarsi le une per le altre.
Ma noi, dice Arist. sosteniamo dapprima che non tutta
la scienza si ha per dimosirnzione deduttiva, e clic gli
elementi imraedi.iti sono conosciuti senza dimostrazione.
E che questo sia necessario appare manifesto; perchè è
necessario che si conoscano le cose che sono antecedenti a
qaelle da cui pende la dimostrazione, e che di più si debba
trovare nn punto fermo alla dimostrazione in seno agli
etementi immediati, i quali perciò dovranno essere indi-
mostrabili. Noi sosteniamo dunque, che la scienza esiste, e
che vi è per la scienza un principio, in quanto conosciamo
i termini della scienza stessa (').
« Quanto a sapere come i principj possono arrivare a
('} Ànal, posi. I. S.
- 118 -
cognizione nostra, e quale è la facoltà, che ce li fa cono-
scero, apparirà dalla soluzione di alcune rjuistioni. Intanto
cbiamansi principj in ciascun genere quei termini che non
possono dimostrarsi, come che cosa sia 1' unità e la linea
retta e il triangolo, e la grandezza ec. e soltanto per le
altre cose vi ha dimostrazione. Fra i principj dì cui si
servono le scienze dimostrative, alcuni sono speciali a
ciascuna scienza, altri comuni a tutte. Principj speciali
sono, per es. la definizione della linea, della retta ec; al
contrario comune è questo: se da quantità eguali tolgonsi
quantità eguali, i resti seguitano ad essere eguali. In ge-
nerale ogni scienza acquistata per dimostrazione si riferisce
■a tre cose; prima a tuttociò di cui si ammette 1' esistenza
senza dimostrazione, cioè il genere stesso di cui la scienza
studia le modificazioni; in secondo luogo, a quei principj
comuni che si chiamano assiomi, dai quali traggonsi pri-
mitivamente le dimostrazioni; e infine alle modificazioni di
quello stesso genere, delle quali bisogna ammettere senza
dimostrazione il significato (').
Or questi principj, che sono necessarj alla dimostra-
zione, e che non son dimostrabili essi stessi, come arrivano
alla nostra conoscenza? questa conoscenza che ne abbiamo
è della stessa natura che la conoscenza delle conclusioni?
Questi principi abituali (') sono acquistati e non primitivi?
oppure erano primitivi benché latenti? Quest' ultima suppo-
sizione è assurda ('); perchè ne seguireblje, che avendo
delle conoscenze piij esatte che la dimostrazione essa stessa,
noi le ignoriamo; e d'altra parte, se le acquistiamo, senza
averle in precedenza, come potremmo conoscerle e come
impararle senza una cognizione precedente? Il che è impos-
sibile, come abbiamo avvertito della dimostrazione. È ma-
(') Anal. post. I. 10.
(■) «..(.
(') Ciò va diritto contro Platont.
nifesto dunque che non è possibile che sì abbiano priniitiva-
meme colali principj, uè che si vadano formando senza
alcuna disposizione ad essi. Cosi è mestieri che noi abbiamo
qualche facoltà capane di acquislarli, che per «ttro non sia
superiore ed essi dal lato della certezza. Ora è questo che
si riscontra in tutti gli animali; ossi hanno tutti quella
potenza lunata di giudicare, che sì chiama seusitività. 11
senso essendo una facoltà innata di tutti gli animali, ìn
alcuni la percezione sensitiva lascia una traccia ('), in
allri no. In quelli che non serbano questa percezione, la
conoscenza non va al di là della sensazione siessa. Gli altri
invece conservano qualche cosa della sensazione nell'anima,
e son molti quelli cost costituiti. Ma v' è tuttavia tra loro
slessi questa differenza, che in alcuni dalla traccia di
queste sensazioni si origina la ragione, in altri no. Così la
memoria proviene dal senso, e dalla memoria delle sensa-
zioni spesso ripetute si origina l'esperienza ('). Che le ricor-
danze possono essere molte, ma l'esperienza è una. Ora
dall'esperienza, ossia da tutto l'imìversale, clie s'è formato
oetranima, come unità cavata da molle cose (*} e che si
trova unica e identica in esse, proviene il principio dell'arte
e ddla scienza; dell' arte, se si tratta di produrre alcun
che; della scienza, se si tratta di conoscere ciò che è.
Adunque questi principj abituali non sono in noi tutt' affatto
determinati, uè provengono da altri principj piìi notoij di
(*) È notevola qaesta descrixions dell' esperienza, nella quale
troveranoo un rimprovero qaei metaSaii'i d'oggìdi, che fanno vista
di credere ciio l'esperienza ( dei positivisti ) aia limitata alla sonsa-
■ìone. L'eaperifua è inTece prodotta dalla sensazione e dai concatti
che provengono da questa. Proclamare la necps9itù ddl'eaperionza
in tntts le scienze non è ridnrre l'uomo alla sola st'usazìoue, è porgli
on confine perchè nella conca tonali on e astrattiva dei concoUi non
ù allontani eccesiivaiuente da quella.
- 180 —
essi, ma soltanlo dalla sensazione (')■ Come in batlaglia,
in mezzo a ima rotta, se uno dei i'uggitiyi s' arresta un
altro s'arresta, poi un altro ancora, finché si riannoda
l'armata; nell'anima avviene qualche cosa di simigliente. Al
momento che .ilcuno degli oggetti individuali si ferma in
essa, di subito si forma nell' anima l'universale. Ben è vero
che si sentono gli oggetti a uno a uno, ma la sensibilità si
eleva all'universale e all'indivisibile. Così, per esempio, si
arresta nell'anima la sensazione di qnal tale animale, fin-
ché si abbia il concetto dell'animale, e similmente di tutto
il resto. E dunque ben evidente che è necessariamente l'in-
duzione, che ci fa conoscere i prineipj; perchè così avviene
ohe la sensazione ci dà di per se stessa 1' universale » ('),
Questo brano meritava di essere riportato per intiero,
avuto riguardo alla lucidezza, con cui vi è e.'iposta la
legge elementare della formazione del pensiero, e alla ma-
niera con cui si attribuisce alla stessa facoltà induttiva la
formazione dei concetti nella niente e quella dei prineipj. Di
qui deriva che i prineipj non sono dimostrabili, per la stessa
ragione per cui non stmo dimostrabili i concetti, i quali
. risultano da una formazione elementare, ì! cui valore è
dovuto unicamente all' attitudine delle facoltà mentali. Di
questa attitudine possiamo ben conoscere e analizzare il
lavoro, ma assurdo sarebbe chiedere quale sia il segreto,
e quale l'origine della forza concettuale nella nostra mente.
Tanto varrebbe domandare all'occhio perchè sia adatto alla
sensazione dei colori, e perchè la potenza sensitiva della
retina sia di un genere diverso da quella dei nervi acustici
odolfattorj. Per la stessa ragi'one è assurdo domandare
alla mente il perchè della sua capacità di tbrniare i prineipj,
che servono di base a tatto il lavoro dimostrativo. Questo
significa, e non altro, la indimostrabilità che Aristotile attri-
(■}>n»l.'pogt. II. 1».
— 121 -
biiisce ai principj, e il paragone che esso db fa colla indi-
mostrabilità dei concetti elementari, paragone che poteva
estendersi egualmente anche ai dati elementari della sensa-
zione. Questa cundizione della indimostrabilità dei principj è
tanto importante per Aristotile, che esso vi ritorna sopra a
pia riprese, e la estende ad altri dati primitivi del pensiero,
cpecialniente alle definizioni e ai termini, e spesso dichiara
) ufficio dell') niuzioau e dulia sensazione il fonnar-
cegli.
€ Bisogna che i principj, che son punto di partenza alla
dimostrazione, sieno indimostrabili — il principio della dimo-
strazione è la proposizione immediata, è (quella che non ha
altra proposizione avanti dì so — ancora è mestieri non
solamente che si conoscano i principj primitivi anterior-
mente o tutti o in parte, ma che si conoscano meglio di
tallo il resto; perchè quello, per cut una cosa esiste,
debbe esistere più di essa; come ciò, per cni amiamo un
Altra cosa, è amato da noi più di questa» (').
1 principj e i dati primitivi, di cui qui si tien parola,
sono gli assiomi (*), le definizioni immediate e alcuni medj
e termini immediati. Intorno agli assiomi apparisce chiaro il
pensiero di Aristotile dal detto fin qui. Resta ora a diro
alcun che delle altre due sorte di dati primitivi.
La definizione si fa col portare lo sguardo sulle cose che
Bono somiglianti e senza differenza tra loro, ricercando ciò
tntte possono avere di comune. È mestieri quindi f^r la
ricerca per le cose che appartenendo a! medesimo
genere, sono tra loro di specie identica, ma che differiscono
Ila specie delle prime che sì sono studiate. Una volta
ivalo per tutte queste cose il rapporto comune che possono
ivere, e trovatolo egualmente per tutte le altre, bisogna di
tUOTO ricercare nelle cose in tal guisa ravvicinate quale
(') A.DkL post. I. 2. e-12-U.
O Anal. po8t 1.7.2. — I. IO. 6.
- 122 —
identità hanno tr.'i loro, finché si arrivi a uoa espressione
unica per tutte. Questa espressione unica è la definizione
vera della cosa (').
Vi è una sorta di definizioni, che esprimono il significato
del nome delia cosa, e ve ne è un'altra sorta ohe esprimono
la causa della cosa. Le prime indicano ciò che è la cosa, ma
non la dimostrano, le altre sono una specie dì dimostrazione.
Infatti vi è differenza tra il dire che cosa è il tuono e il dire '
perchè tuona (*).
Le definizioni che danno per risaltato la causa della
cosa sono dimostrabili, prendendo la causa per medio ('}.
Ma vi sono le definizioni immediatej che sono principj
delle dimostrazioni, e delle quali non vi è dimostrazione
possibile, come dei principj. Di due cose 1' una, o i principj
saranno dimostrabili, ed anche i principj dei principj e così
all'infinito; oppure i dati primitivi dovranno essere alcune
definizioni indimostrabili (').
E questo deve estendersi a tutti i termini immediati,
dei quali la definizione è una tesi indimostrabile dell' es-
senza (») .
A proposito dell'essenza delle coso espressa dalla defini-
zione, Aristotile chiaramente esprime la ni;cessi(à, che la
cognizione di essa essenza ci venga data dalla cognizione
delle qualità, ed anzi riconosce come vana qualunque defini-
zione dell'essenza che non risulti dalla riunione del complesso
di quelle. « Certo sembra utile di conoscere l'essenza, per
(•) Aual. post. II. 12. 21.
(•) Anni. post. II. 9. 3.
(') Anal. post. II. 8. 2.
(') Anal. post. II. 3. 9. — i
» irfUTa o/itTjiOi
O — '« 3i Tùli àiiitti* iptajiii SiTK if'i Tsu TI i-TTi» ànBirorfii-
xToc — Anal, post. II. 9. 6. — e anche Anal. poat. I, 28. 7, — «Hi
— 123 —
comprenderà ciò che origina le qualilA in certe sostanze; e
cosi nelle matematiche, bisogna sapere che rosa sìa retto e
curvo, linea e superficie, per vedere a quanti angoli retti
sieno uguali gli angoli di un triangolo. Ma reciprocamente
la conoscenza delle qualità serve anche in gran parte a far
conoscere l'essenza delle cose. Infatti quando eoi possiamo
dietro le immagini sensibili spiegare le qualità della cosa, se
non tutte, almeno la maggior parte, si riesce a rendersi
conto della sua essenza. L'essenza è il vero principio di
ogni dimostrazione, e si ricava da questo, che ogni defini-
zione in cui non si ha cognizione de'jli accidenti della
cosa, sono evidenlemeate definizioni di pura dialettica e
del tutto vuote» (').
Vi sono adunque molti medj indimostrabili, i quali sono
dati dall'induzione o dall'esperienza sensibile. Per esempio
quando si dimostra che i pianeti son vicini alla terra perchè
DOQ scintillano. Nel qual caso lo scintillare o no dei pianeti
è un medio indimostrabile fornito dai sensi ('). Talvolta i dati
primitivi di una dimostrazione sono appunto i medj indimo-
strabili. Perchè vi è sempre tanti prìncipj ed elementi di di-
moetrazione quanti vi hanno termini meitj; e le proposizioni
che ai compongono dì quei termini sono i priucipj della dimo-
Rtrazione. Però nella guisa stessa che vi sono certi prìncipj
indimoatrabilì i quali atfermano che uua cosa è tale, vi sono
anche dei prìncipj indimostrabili i quali affermano che una
cosa non è tale. Quando vuol dimostrarsi alcun che di una
data cosa, bisogna prendere un termine medio che sia attri-
buito egualmente a quella cosa, e a ciò che di essa si vuol
dimostrare: e procedendo sempre cosi, siccome il medio deve
rientrare costantemente net limite dei termini, progredendo
nelle dimostrazioni l' intervallo si rinserra sempre più, e si
arriva ad una proposizione immediata. E come in tutte le
(*) De An. I. 1. 8.
(•) AdbI. poit. L 19. 2.
- 124 —
altre cose, il principio è qui una cosa semplice, ed è la pro-
posizione immediata (').
Tutiociò furma la scienza immediala, la quale è frutto
dell'arte naturale di peasare; arte chu, come abbiamo visto,
incomincia col fornire i concetti e sale alla formazione dei
principi, delle defiaizioni e dei termini medj, e così prepara
tutti i tnateriali indimostrabili della dimostrazione (*}.
Tutta questa scienza immediata è portata nella mente
dall'esercizio dell'induzione, la necessità della quale per
siffatto ufficio è da Aristotile chiaramente accennata in un
passo che abbiamo riportato di sopra. Esso non conosce
altra fonte di scienza tranne il sillogismo e la induzione (').
La quale abbiamo anche risto sopra come seiTa a formare i
principj, e genericamente si estenda a tutta la formazione
dell'Universale. Quello che importa di notare accuratamente
è la assiduità colla quale Aristotile collega l' esercizio della
induzione coll'uso dei sensi. Non vi è possibile alcuna indu-
zione, e però nessun principio e nessuna dimostrazione, se
non sia preceduta dalla sensazione.
Al mancare di alcun senso ne segue di necessità la
mancanza di qualche scieuza. Perchè non possiamo nulla
apprendere che per induzione o dinios (razione. Or la dimo-
strazione si cava da principj universali, e l'induzione dai
casi particolari. Ma è impossibile di conoscere gli universali
altrimenti cbe per induzione ■ . . ( che anche le cose astratta
son conosciute per induzione ) . . . Ora indui're è impossibile
per chi non ha la sensazione; perchè la sensazione si apjdica
agli oggetti particolari . , . non si può cavare la scienza
dagli univeisali senza l'induzione, né si può fare l'induzione
senea la i^ensazione (*}■ Il che fa sì, che l'induzione è per
(') Anal. post. I. 23. 5. logg.
O Anal. post. I. 3. 4.
(') ÀDal. pi', ir. 25. 1.
(') Aaal. post. I. 18. — iitxx,^iivy.i ii p-i) l^oviac bItS-hi
— i85-
noi anche più evidente del sillogismo doduttivo, benché que-
sto sin per natura più esatto di essa (').
QtiesU teorica cosi completa accurata e perfetta forse a
noi sembra oggi la più facile e naturale dottrina, ma ci farà
graodemenie maravigliare, se la si riporti al tempo che
Aristotile la delineava, allorquando l'argomentazione ei
. suoi mezzi erano poco conosciuti e gli elementi del pensiero
da altra parte erano stati anche falsati nella loro vera na-
tura per opera delia teoria di Platone, che chiamando in suo
servigio a dare spiegazione di essi le Idee separate, avea
gettalo nella quistione più complicanza ctie luce, e V avea
Catto con un genio da sgomentare ogni tentativo posteriore.
Il metodo di divisione, che Platone avea traccialo, sebbene
fosse un esempio nuovo e fecondo di classificazione dei con-
cetti, non toccava il fondo della quistione metodica intorno
alla formazione e alla gradazione dei concetti slessi (*).
Quando Platone sì appliaì a questo, non seppe che rifugiarsi
nel mondo ide-ile a tutto danno del inondo vero della
percezione. Aristotile ebbe il coraggio di non lasciarsi allu-
cinare dallo splendore dei concetti Platonici, e ripigliando
pazientemente il problema dell'arte elementare di pensare,
lo ricondusse nelle condizioni umane da cui Platone avea-
lo staccato.
Stuart-Mill ha rinnuovato recentemente con molla feli-
cità i concetti Aristo'elicJ, mostrando come la Induzione sia
I base necessaria della deduzione, e come la Induzione non
I possa aver luogo che partendo dai dati sensibili. Esso ha
inoltre completato la Teoria Aristotelica, col mostrare come
a base della vera o propria induzione ( formazioni; del
I generale sul particolare) siavi un processo di inferenza (dal
(') Anal. i.r. II. 25.8.
n V. tìroté'a Plato. Vo). 2.»
- 126 —
particolare al particolare) precedente a quella induzione ('):
e l'analisi datane da esso non lascia nulla a desiderare
dal lato dell'esattezza. Ma ciò non nuoce alla pienezza della
teorica Aristotelica, perchè, a vero dire, il processo di infe-
renza di Stuart-Mill è condizione necessaria del pensiero
volgare o rudimentale od oratorio, mentre Aristotile aveva
primariamente in mira il pensiero scientifico. L'un processo
serve di punto di partenza all' altro, e bisogna riconoscere
che in alcuna parte del loro lavoro hanno delle condizioni
comuni. Aristotile attribuisce all'induzione anche 1 prodotti
dell' inferenza, dicendo « che la retorica produce la persua-
sione per via d' esenipj (dal particolare al particolare) il
che non è dtro che induzione » {*).
(') Stuart-Mill. System of Logik. Voi. 1.
(*) Anni. poHt. I. 1. 3. — Vedi anche Bbet. I. 2. 8.
IV
ClaHMozIone «lei ooiipelll. loro espresslone-
Rnxluiianieiifo deduttivo.
Trovato, come abbiamo visto, il punto di partenza noi
sensi per la formazione dei concetti e dei principj, Aristotile
aveva in pronto la maniera di spiegare la combinazione di
tutto il mondo intellettuale, ed erasi preparato i materiali
per tutta la scienza della dimostrazione deduttiva.
Una volta iniziato il movimento dei sensi, e aperta la
via dell'intelligenza, le cose si affollano a prender posto
nella mente assieme colle loro qualità e colle loro relazioni,
col loro concetti e coi primi assiomi. Come porre l'ordine
in questa scomposta massa di nozioni, che si producono
incrociandosi e incatenandosi senza una regola (issa, ma
piuttosto seguendo il caso e l' eventualità della percezione
sensitiva, operazione elementare che varia infinitamente
a seconda della forza più o meno grande di intelligenza
e di attività negli uomini diversi, e della varia vivacità
dei temperamenti svegliati o pigri, e dell'acume dei sensi
vario negl' individui, e della più o meno curata educazione?
U libro delle Categorie adempie a questo ufficio dì
porre l' ordine nel mondo dei concetti. Le categorie di Ari-
stotile sono state molto infelici nella parte che ad esse
tianno attribuito gli amici e i nemici delle dottrine Aristote-
liche. Bacone ha detto, che Aristotile ha voluto fabbricare
un mondo colle sue Categorie, o ha voluto farlo uscire da
quelle. Altri hanno attribuito alle Categorie un significato
metafisico, ed anche un' aria di mistero, che davvero non
presentano nell'originale Aristotelico.
Che cosa snno queste Categorie? Sono il primo frutto
della Classificazione applicata ai fenomeni dell' intelletto.
Come nelle scienze naturali, per arrivare con sicurezza alla
cognizione degli individui svariati, che formano la materia
del loro studio, la necessità massima è la Classificazione, e
ne risulta un ordine nello accumularsi scomposto della co-
gnizione d' innumerevoli individui e varietà zoologiche o
botaniche; così nella scienza del pensiero la Classificazione
dei fenomeni intellettuali è la più elementare necessità e la
chiave di tutto l'edificio di quei fenomeni. Come ogni mine-
rale, studiato a minulo e nella sua condizione concreta,
presenta certe particolarità, per le quali si connette con
altri, e con essi tutti entra a far parte della classe, per
esempio, dei solfati o dei carbonati; così ò dei concetti, i
quali studiati singolarmente presentano caratteristiche, per
le quali si aggruppano a formare certe Classi, come quelle
della sostanza, della qualità ec. Con questa sola dilferenza,
che mentre là si classano varietà, specie, generi famiglie,
prendendo a considerare le particolarità di descrizione natu-
ralistica in ciascuno individuo studiato, qui invece sì classa
seguendo i varj aspetti menlalì che una sola cosa può rive-
stire. Mentre la classazione naturalistica non potrebbe farsi
che con molta varietà di individui; la classazione calegorica
si farebbe ben anche con un solo individuo purché fosse
mentalmente percepito.
Il concetto metodico, che ha presieduto alla formazione
delle Categorie Aristoteliche, è di quelli che tratto tratto
rinnuovano una scienza. Qualcuna delle classi del pensiero
erano già entrate a far parte di una classificazione rudi-
mentale nei tempi precedenti per opera specialmente di
Platone; ma la divisione completa, forse esuberante, che na
dà Aristotile ha portato nella scienza dei fenomeni intellet-
tuali un vero rinnuovamento. La scoperta delia classifica-
zione intellettuale è strettamente coUegata colla scoperta
delle leggi deduttive e di tutta la legislazione del raziocinio.
Lasciamo stare, se la class.tzione Aristotelica sia in tutte
le sue parti inappuntabile; (') certo è però che te diverso
formazioni del pensiero erano dai precedenti filosofi confti-
samente considerate, secondo caratteri spesso arbitrar], con
mire del tutto individuali e variabili nei diversi pensatori e
nei diversi aspetti delle dispute, come avviene della so-
stanza e della qualità di Platone. Una legge unica dì for-
mazione mancava, e la confusione regnava nelle complicata
diramazioni del pensiero. Colle Categorie di Aristotile com*
parisce nettamente quella legge. La sostanza è la base di
formazione del pensiero, perchè esso non può avere suo
punto primo di fermata altro che in un concreto; la sostanza
si riveste, a così dire, di varie speciali condizioni alle quali
il pensiero della sostanza stessa si applica modificandosi ih
diversa attitudine. E così esso prende aspetto di qualità,
qttantità ec. Nulla per altro è pensabile se non cotói*
sostanza, o appartenenza di sostanza, cioè come astrazione
cavata dalle condizioni particolari della sostanza stessa.
Oneste condizioni sono reali della realità del concreto a
cui sono inerenti, ed hanno un particolar valore mentalo
per r astrazione che ha prodotto il loro concetto.
Il pensiero fissandosi con più viva attenzione sulle con-
dizioni, che circondano la sostanza, dà luogo alla forma-
zione di questi concetti, che sebbene non sieno concetti di
sostanze, rispondono alla realtà, perchè son formati sopra
appartenenze e condizioni reali delle sostanze, ma prescin*
dono Deli' ordine mentale dal concetto primitivo della
sostanza e del concreto che loro ha dato orìgine. Cosi seb-
bene non si abbiano originariamente che individui sostan-
ziali e completi rappresentati nella formazione mentale; si
arriva poi ad avere i concetti anche delle appartenenze di
quegl' individui, appartenenze che mentalmente si astrag-
(') Afistotile stesso noQ ha Mmpre tenuto il medesimo nnaii^o
di classi, ritenenJone talvolta otto, nove, taUltra dieci, coU'ftOCeture
o rtspiagere alonne oUbbì secondarie.
»
i
- 130 —
goDO> betiiìhè nel fatto sieuo iusoparabili. I coocetti delltn
apparteoenze suppongono il concetto di sostanza e lo '
completano.
Meritano speciale attenzione nel libro delle categorie
certe qualificazioni cbe Aristotile attribuisce alle classi in
cui esso divide i concetti, e che fanno palese la sincera
analisi, colla quale esso era arrivato a concepire e tracciare
la sua classificazione.
Il pensiero piìi importante di Aristotile nella trattazione
delle Categorie è lo aver riposto la sostanza reale nel con-
creto sensibile individuale ('}. Mentre Platone poneva la
sostanzialità e la realità nell'ideale, visto cogli occhi della
mente, Aristotile al contrario la ripone nelle cose che
reggiamo e tocchiamo sensitivamente, alle quali Platone
assegnava un posto secondario nella formazione del mondo
intellettuale. Questa differenza è tanto grave, che in essa
giace tutta la controversia tra Aristotile e Platone, e tra la
scienza e la Metafisica. Sebbene la considerazione della
sostanza individuale al modo Aristotelico sia ben lungi dai
risultati della scienza moderna, essa costituiva ppr altro un
passo importantissimo verso il metodo scientifico. La più
rimarchevole particolarità di questo rinnuovamento fatto da
Aristotile era contenuto nella distinzione dell'Ente in fon-
damentale e concomitante, sostanza e accidente (*). Così il
punto centrale della formazione del pensiero era in —
questo uomo — questo cavallo — ec. i concetti generali
erano prodotto dalla mente, e le qualità erano reali soltanto
nei loro concreti. « Non bisogna credere che la sostanza
sia cosa diversa dei corpi e più che i corpi, ec, è impossibile
che la sostanza sia mai realmente separata ». (*) Ciò è
(') Cai. III. 1 e 2 — oùff
(*) eiiitt — 9u(ipsp»iiio(.
O Met, XII 2. 16.
Ti; àvSpronot, il
- 181 —
precisamente l' iuverso della teorìa Platonica, cella quale,
la bellezza, la grandezza e lutle le qualità erano entità
snstanziali, e di esse p.irtecipar doveano le cose per acqui-
stare (jiialolie T'ealUà.
Non i' diiiiqiiB iiilGrpfltrare Aristotile cnn inleiidìiticnlì
moderni lo attrihuirfjli un concetto della sostanza al lutto
alieuo della nozione metafìsica di essa, in modo da ritenere
che la sostanza non sia un cute separato dalle qiialiLà che la
foriuano nel loro complesso, e questo pensiero è conformato
da un brano del libro delle Categorie, lo esso si presenta la
sostanza come un vocabolo destinato ad indicare un rapporto
pÌutto3(ochi> un ente metafisico. (') II che farebbe concludere
che Terrore di prendere la sostanza come un ente distinio
dalle qualità sembra non possa .ittribuirsi ad Aristotde.
Ma questo interessa poco alla trattazione nostra, a cnì
più che delle dottrine importa tener conto del metodo. Il
pensiero, che condnceva Arisiolile a porre nell'individuo
concreto il centro e il punto dì partenza di ogni operazione
mentale, era lo stesso che ispiniva la teorica della forma-
zione dei prmcipj d;i! sensibile sperimentale per via d' indu-
zione, clie abbiamo visto in addietro.
Le Categorie non contengono dunquf altro significato,
che quello di una classificazione del reale nelle sue diverse
manifestazioni. E perù non sono forme subiettive del pensiero
introdotte per azione automatica dello spirito, come le cate-
gorie Kantiane. Elleno sono chiamate espressamente —
classi dell'essere — ('). Quante volte si esprìme alcuna
delle categorie, tante si esprime 1' essere (■). Dopo la fissa-
TI- 7.4.
— 132 —
zìone della sostania nell' individuo concreto, sono questi i
concetti più importanti di Aristotile intorno alle categorie,
cioè la loro rispondenza alla realità e il loro uso logico.
« Qualunque cosa dicasi secondo ciascuno schema delle
categorie, dicesi secondo la categoria dell'ente: talvolta
significando che cosa è, tal' altra quale è ec. » ('},
< L' Ente si esprime in molti modi. Talvolta ciò che è,
cioè una cosa particolare; altravolta quale o quanto ec. La
prima di queste maniere è quella che esprime la cosa, cioè,
la sostanza, le altre esprimono appartenenze di quella. Onde
alcuno dubiterà se il camminare e l'esser sano e lo star
seduto ec. sieno enti o no, e così delle somiglianti qualità.
Ma nessuna delle qualità può slare senza la sostanza: cosic-
ché il camminare e l' esser sano e lo star seduto è più ente.
Queste qualità ci appaiono maggiormente enti, perchè
hanno un subietto obbligato cioè la sostanza e il singolare
che si sottintende h quei predicati » (').
Le classi stesse per altro sono di uso mentale, non
trovandosi in natura la categoria sostanza o la categoria
qualità, ma questa o quella sostanza, questa o quella
qualità inerente a una sostanza. L'uso mentale delle cate-
gorie apparisce dal prestarsi elleno al vero e al falso
nelle loro combinazioni. Tutte le singole parti di questa
come di ogni altra classazione sono enumerate, ma non
combinate tra loro; si possono bensf con una affermazione
negazione collegare, e allora entrano in una proposizione
vera o falsa. Il che costituisce una operazione che spetta
alla mente f').
{') Met. IV. 28. 5.
(*) « . . . . àXU fiSUov, tUtp, to' ^a^i'Cou twm ovtuv ■
ti flà^kX^V ^Zl'vtTaE Itttt, JlOTt itti TI UTT^XEIUEVOV auToi
Met. VI. I. 3 e 4. Vedi anche Mot. Vili. 1. 1. Cat. III. I
5 — De Anidra I. 5,
C) Cat. II. 5 Big. — Mat V. 1. 1. >V«l Si n ffuunl
ì ti»ìfM\i iv Siavaia, ctlV ai!x tv Tat{ jrpàyftasi.
; . , . Tiùtì
(SfLufxevov.
— 133 —
Come si rode, le Categorie Aristoteliche nel loro genuino
significato sono ben, lungi dal legittimare l'abuso che i
logici scolastici ne facevano, presentandole come una dot-
trina misteriosa. Kant ha dato ad esse un significato
tutt' affatto alieno da quello Aristotelico, ispirandosi alle
tradizioni scolastiche intorno alle categorie e combinando
ad esse lo teoriche Leibuiziane intorno al contenuto origina-
rio dello spirito. Colalchè questa teorica cosi semplice in
Aristotile divenne col tempo il terreno più scabroso della
Filosofia, per opera delia Metafisica.
La quistione delle Categorie è posta da altri filosofi
d'oggidì in UH modo ben diverso da quello Scolastico e
Leibniziano e Kantiano, ma forse non tanto ripugnante al-
l'indole dei concelti Aristotelici . 1 filosofi che tftngono ancora
alle varie scuole recenti sono numerosi, e questi conside-
rano le categorie dal punto di vista Kantiano o da quello
Ontologico puro o da quello Hegeliano, cioò danno alle
Categorie un carattere e una origine psicologica, od ogget-
tiva , o idealistica , Per costoio la Categorie prendono
aspetto di forme dolio spirito, o di Idee inspirate da forza
sovrassubiettiva, o di composto in cui l'ideale assume
le qualifiche di un reale assoluto. Ma la loro tratta-
zione è oggi riprosa con molto frutto dalle scuole di
filosofia scientifica, e queste arrivano a delle conclusioni
molto somiglianti alla teoria Aristotelica, colla sola impor-
tantissima variante, per la quale il concetto di sostanza è
ridotto al suo vero valore di complesso delle qualità
conosciute. (') Un subietto, un sustrato, una sostanza,
come sostegno alle qualità, è un'illusione della mente, la
quale a vero dire non conosce, che i modi nei quali una cosa
le si è successivamente manifestata; e ad analizzare il con-
cetto di sostanza, non si trova in fondo ad esso, che ciò che
{') Abbiamo in addietro p. 122 citato un passo di Ariatotilo cha
porta questo medesimo concetto parlando della esaensa delle cose.
— 134 -
1' espenenz;i vi ha posto. E per esperienza s'intende il
complesso delle seasazioui e dei conceltl formati per astra-
zione sulle cose sensibdi. Cotale vai'iaiite è di molto valore
per l'analisi delle opercizioni mentali, ma uon annulla la
class,nzion6 Ai'iatotelica; invece la prende a base e la mi-
gliora, cacciando di mezzo ad essa una dottrina Scolastica
in cui si rifugiava spesso la Metafisica.
Un altro libro nel qusle Aristotile seguitava la classa-
zione incominciata eolie Categorie, e che serviva perciò di
soccorso alla dimostrazione scientifica, è il libro dell'Espres-
sione parlata o del Linguaggio.
La classazione delle cose e delle loro qualità si riferiva
al materiale^elementare intellettuale considerato come im-
mobile, inerte, scomposto come i caratteri dì una stamperia
allorché giacciono nelle loro scatole. Ma come di questi
caratteri ben tosto si può dar mano a comporre delle parole
e dei libri, e qui l'ordine o Li confusione si farà sentire per
la prima volta; così i concetti aggruppandosi possono essere
messi in un movimento dal quale esca formata tutta la serie
dei giudizi che la mente fa e che esprime in proposizioni.
Qui il vero e il falso incomincia, e la ricerca del metodo
scientifico si può grandemente giovare di una buona classa-
zione delle proposizioni.
Il nome, il verbo, e quindi la negazione, l'afFermaziono,
la enunciazione e il giudizio sono le materie trattate nel-
l'Hermeneia. Il nome e il verbo sono dapprima considerati
separatamente, e quindi nelle loro combinazioni, mercè le
quali sono aggruppati in proposizioni; la classazione delle
proposizioni e lo studio di esse nei loro diversi aspetti dà
luogo ad una analisi minuta e nuova che forma la parte
cospicua di quel trattato. Aristotile si trattiene lungamente
sulla teoria dell'opposizione delle proposizioni, sulle regole
della contradizione nei tre momenti principali del tempo,
il passato, il presente e il futuro. Dall' opposizione nelle
proposizioni categoriche passa all' opposizione nelle modali.
— 135 -
e termina il trattato coli' osp.Tre i prìncipj dell* opposizione
negli attributi.
Questo lavoro fii nell* antichità assai trascurato, e restò
per liinp;o tempo seppellito sotto una trista rinomanza di
oscurità, e sotto la taccia di non autenticità. Questa sem-
bra non sia giusta, ma certo non è priva di fondamento
la prima. Ad ogni modo esso resta come il primo ten-
tativo di classazione delle proposizioni, e così la prima
forma di una grammatica filosofica. La classazione delle
proposizioni, come essa è fatta da Aristotile, non possiede
tutta la lucidezza, che s'incontra nella classazione delle
Categorie. Ma anche di essa restarono molte traceie negli
studj che si fecero dipoi. Sebbene per allro la classazione
Aristotelica delle proposizioni lasci a desiderare dal lato
della chiarezza, è rimarchevole il pensiero che l'ha diretta.
La via, che Arislolìle apriva per la prima volta dinanzi a
se, era la vera e sicura per an-ivarc a scoprire l'ordine della
formazione mentale. Questa necessità della classazione degli
elementi primi del ragionamento non fii smentita mai più,
benché ad essa fosse provveduto in modo migliore.
Merita che si presti attenzione ad un luogo dell' Herme-
neia, ove è di volo accennata 1;» quistione generale intorno
al linguaggio, al suo ufficio e alla sua condizione.
« Le parole sono l'imagine delle modificazioni dell'ani-
ma, e la scrittura l'imagine delle parole. Nella manìem
che la scrittura non è identica per tutti gli uomini, anche
le lingue non sono somiglianti. Ma le modificazioni dell'ani-
ma sono le medesime per tutti gli uomini, perchè sono iden-
tiche le cose di cui sono immagini queste modificazioni ....
Il nome è una voce, che per consenso (') significa qualche
cosa .... Diciamo per consenso, perchè nessuna parola è
un nome per natura sua, ma diventa nome quando diventa
simbolo».
(') xatù «uy£i)ii|y.
- 136 -
In questo passo è dichiarato l'uflBcio del lioguaggio
come segnale, simbolo delle imagini, le quali a loro volta
sono indicate come simbolo delle cose. Un tal modo di
comprendere il linguaggio, sebbene imperfetto, mostra che
allora si studiò questa materia tenendosi all'ordino umano,
Dalla sognando le teoriche metafisiche dipoi.
Quello che Aristotile non vide, né lo poteva, è la filia-
aoDe dei gruppi dei linguaggi, filiazione che oggi scema
.notevolmente la difficoltà delle loro differenze. Furono
,quasttì differenze che indussero Aristotile nella falsa idea
di assegnare la convenzione e il consenso come ragione
all'origine del linguaggio. La filiazione dei linguaggi, fino
al punto a cui la si può condurre, allevia in parte questa
difficoltà, riducendo i tipi linguistici a sole quattro o cinque
forme diverse. Della diversità delle quali d'altra parte a
noi dà ragione la considerazione di tutte le altre particola-
rità, che rendono diverse tra loro originariamente le pri-
marie famiglie umane. Da questa difficoltà, a noi di leg-
gieri sormontabile, fu indotto Aristotile a disconoscere la
naturalità del linguaggio, e dar luogo invece ad un artificio
-convenzionale, li che è tanto erroneo, quanto la ideale
naturalità del linguaggio ammessa da Platone. Il qu^de
spingea questa naturalità fino a farne un rapporto neces-
-sario tra una data idea e una data parola. Per altro tra
tutte le ipotesi tentate finora, la piìi assurda è quella della
rivelazione divina del linguaggio, e della ragione delle
AìSej:tTiz& trovata nelladispersione Babelica, lo non richia-
merei qui una tate ipotesi, se non sapessi che, cosa impos-
sibile quasi a comprendersi, vi sono molti filosofi anch'oggi,
.che l'accarezzano; e mi preme in conseguenza di far notare
■ come certe scuote filosofiche in certe quistioni abbiano oggi
meno valore che non Aristotile e Platone stesso, anche
quando essi sbagliavano. 1 quali nella quistione del linguaggio
benché non arrivassero a un risultato scientifico soddisfa-
cente, tennero una vìa meno distante da quella tenuta oggi
— 187 —
dalla filologia. La teorica di Platone combina colla teo-
rica filologica nel riconoscere un rapporto naturale tra
l'idea e il linguaggio, ftenchò esageri questo rapporto sino
a dichiararlo assoluto. Aristotile si è con molto buon
sei^o astenuto dal farne una trattazione scientifica, ma
dalle poche parole, che ci danno qualche notizia dei suoi
pensieri in proposilo, si vede che esso tenea la quistlone
sul terreno naturalo, benché vi facesse agire troppo la
volontà ÌD luogo della spontaneità.
Per noi il linguaggio non è che una conseguenza del-
l'azione subita per opera dei sensi nella percezijjne. La
parola è la conseguente espressione, che tien dietro alla
impressione della percezione. Il cauto degli augelli, il grido
involontario di dolore o di piacere in tutti gli animali sono
formazioui analoghe a quella del linguaggio umano, seb-
bene in esso si arrivi a riprodurre non le sole impressioni
violente, ma ì mìnimi portati della sensazione.
La naturalità del linguaggio adottala da Platone indica
un falso rapporto tra certi segni e certe cose segnate. Al
contrario la naturalità del linguaggio, come oggi s'intende,
indica la disposizione naturale dell' uomo a parlare perchè
pensa, e include la tendenza generale della sensazione e
del concetto ad esprimersi in segni articolati.
L'ultimo tratto della furmazioue mentale entra nel
campo della scienza. I concetti categorici facendo dei gruppi
btnaij collegati dal verbo costituivano le proposizioni, e
queste facendo dei gruppi ternarj danno origine al sillogi-
smo, la pili serrata forma del ragionamento deduttivo. I
primi e secondi Analitici sono i libri nei quali Aristotile
lasciò un monumento imperituro del suo genio tratteggian-
do le forme sillogistiche e ponendo quasi nelle mani della
«cien2a il compasso per misurare i suoi prodotti e il loro
valore. Questa trattazione Ai'istotelica è tanto conosciuta,
che inutile riescirebbe darne qui un minuto ragguaglio,
r^ei primi Analitici è tutta la teorica del sillogismo, nei
— 138 —
secondi la ricerca del valore della dimostrazione, complesso
di sillogismi.
Quello che dal lato della qiiislione metodica ci interessa
più da vicino, è l'insieme delle caratteristiche attribuite da
Aristotile alla couchisione e alia dimostrazione, e il valore
loro assegnato scieotiflcamente. La grande scoperta colla
quale si riconduceva ad una sola forma di solidità incon-
cussa ogni ragionamento, col ridurlo ad un tipo unico di
due premesse dalle quali scende necessariamente una con-
clusione, manifesta una potenza stragrande di analisi. La
mente dei filosofi Indiani si era accostata a questa forma
di legislazione del pensiero, ma 1' avea quasi soltanto
intravveduta, senza riuscire a farne una esatta descrizione
e delimitazione ('). Il metodo di divisione Platonico, era
(') Nel Nyaya di Gotaina la Siddhiinta ( asierziona ) corri-
sponda al sinogismo Ariatotelico, benché molte sia distante da esso
per rigore di forma, 8 di analisi. Easa ha cinque membri, la propo-
sizione, la ragione, lo schiarimento, l'applicarione e la conclusione.
Colebrooke attribuisco all'Asserziono l'indole di un vero sillogismo.
Barthélemy-Saint-Hilaire traduttore del Nyaya contesta queato
Talore sillogistico. Ma l'esempio , da esso medesimo riportato dai
commenti, credo faccia dar ragione a Colebrooke. Benché la forma
del sillogismo non vi comparisca nella sua perfezione, e a cos\ dire,
ridotta ai suoi minimi termini; vi si trova per altro un sillogismo
plooiiastico. Ecco r esempio dei commentatori:
Propos. Questa montagna bnioia; [a)
Ragione. Perchè ella fuma; b)
Suhiarim, Ciò che fuma brucia, come Ìl fuocolare della cucina; (e)
Applicai. Egualmente la montagna fuma; (rf)
Gonclns. Dunque ella brucia, perchè ella fuma, (e),
(a) Tesi conclusione preanmiwsiata.
(b) Minore
(e) Maggiore eorredaia della Induzione corris})ondenle.
(d) Sipetieione della minore.
(e) Concìnsione corredata della minore.
Questa forma di ragionamento Barthélemy stesso confessa che
li ATTÌoina al sillogismo, e ohe di più è stata dalla Mimattta ridotta
ben lungi da rjuesto risultato; esso conteneva uno studio
del pensiero e rielle sue diramazioni e non lo norme della
dimostra^iono. Cotalchè il metodo di divisione non bastava
a dare esattezza al ragionamento, essendo esso slesso nelli.
necessità di essere diretto nella classazione analitica dei
con<:eiti, la quale sarebbe riuscita buona o cattiva a seconda
della abilità mentale e dialettica dei disputanti. Ma il
sillogismo Aristotelico collocò il ragionamento su basi
incrollabili. La Matematica non ha nulla di più solido nei
suoi metodi, benché soccorsi dn un simb-jlìsrao così per-
fetto.
Aristotile non si limitò ad organizzare il tipo fonda-
mentale del sillogismo, ma ne completò la teorica con una
intiera trattazii^ne intorno alla possibilità e agii elementi
della dimostrazione ('), alle sue diverse specie (*), alLi
incrollabili tà delle conclusioni ec. (') Dichiarò, come abbia-
mo visto in addietro, alla dimostrazione essere base la
esperienza, sola capace di formare ì principj, e non potersi
applicare alt' essenza, ma soltanto allo condizioni delle
cose (').
Un concetto del i^uale non mi sembra siasi abba-
stanza tenuto conto dai logici, e che sebbene da Aristotile
accennato di volo, può essere assai rilevante per la
scienza nostra, ò riuello che si riferisce al ricondurre la
induzione ad un sillogismo. La induzione è generalmente
ftd una espvestione in tre sole proposizioni, prendendo o le sole
prime tre ( un sillogiame rovesciato ) o le sole tre nltime ( siilogi-
amo vero e proprio ). — Manca per altro nel Nyaya ogni traccia
di quella analisi dell'organiamo sillogistico che fa il merito precipuo
di Aristotile, manca la acoperta del medio, che 6 il vero centro da
cut si irradia la fòrza Billogistica.
(') Anal. post I. sect. 2.'
(») Ibid. I. Bect. 5.'
(•) Ibid. I. 8. 1.
(■) Anal. pr. I. 30. 3. - Ànai. post II, 4. 1.
— 140 —
coasiderata come una forma di ragionamento di natura
differente dal tipo fondamentale del sillogismo, e alla quale
perciò i logici attribuiscono un valore inferiore o superiore
a quello sillogistico, secondocliò patteggiano per l' una
forma o per 1' altra. Non sembra die di tal parere fosse
Aristotile il quale dichiarò doversi la forma induttiva
ricondurre ad un sillogismo e valutare alla pari di quello.
Infatti esso appella l' induzione « sillogismo della proposi-
zione primitiva e immediata » di quella cioè che rende
possibile il sillogismo deduttivo senza poter essere mai
generata da esso. « L'induzioue e il sillogismo per iudu-
zione hanno luogo allorché si conclude l'uno degli estremi
del medio per via dell'altro estremo (') ».
Ma, come ho detto, quell'acLitissima analisi, che avea
condotto Aristotile a scuoprire il segreto della formazione
del materiale elementare del pensiero per via dell'azione
origiuaria dei sensi, in seguito alla quale prendevano ori-
gine per opera dell' induzione i concetti sotto forma di
termini, definizioni, assiomi, principj, proposizioni generali,
e si riusciva cosi all' universale; la stessa analisi, colla
quale esso era pen'enuto a districare le difficoltà delle varie
e scomposte maniere di argomentare in seno al discorso
volgare, oratorio, dialettico, filosofico e ad assegnare a cia-
scuna di esse il loro proprio valore dinanzi alla certezza;
questa medesima analisi la troviamo m azione al momento
che esso costruisce la teorica del sillogismo.
Se nell'arte di pensare il ragionamento preparatorio era
intricato, se la ricerca delle proposizioni generali era sca-
brosa, non si presentava meno arduo il problema deduttivo,
di trovare cioè una regola fissa colla quale riuscisse agevole
di ricondurre i casi particolari nuovi sotto il domiiiio delle
proposizioni generali già trovate, e salvarsi così dal rendere
perpetuo e inesauribile il lavoro induttivo.
(') Aliai, pr. II. 23.
L'abuso che la sa)lastica lece della logica formalo,
nocque gravemente alla teorica dei sillogismo, la screditò
colle iafiiiìte minuzie di cui l'ebbe sovraccaricata, la falsò
coli' attribuire ad essa come suo monopolio la facoltà di
scuoprire il vero, la ridusse a una macchina da fabbricare
ragionamenti.
Ma anche in questo lato Aristotile ha avuto la disgrazia
di (taderc in mano a troppo zelanti discepoli, che hanno
perduto di vista il suo metodo e il suo pensiero, per attenersi
alla lotterà morta dei libri. La trilogia sillogistica ha \m
ben più alto valore quando la sì prenda a considerare dal
lato del pensiero metodico che la ispirò, che non dal lato
delle formule, colle quali si tentò di compiere la classazione
delle Figure e dei Modi dei sillogismi possibili. Questo pen-
siero si compendiava nello studiarsi di concentrare il ragio-
namento deduttivo, scartandola esso ogni cog^nizione super-
Hua, ponendo un legame necessario di tre termini, 1 quali
per via di un congruo paragone di due di essi ad un terzo
dassero due premesse ed una conclusione, al modo che la
Geometria teneva, quando poneva in pratica iì suo assioma,
che due quantità eguali a una terza sono eguali tra loro.
Per questa via il frutto dell'arte di pensare e della
disputa scientilìca era assicurato. Appena si fosse col lavoro
mentale o col dialettico, e come oggi si direbbe, polemico,
toccato il punto fisso di una proposizione generale, la scienza
era tolta alle divagazioni e alle incertezze, e per ogni caso
speciale incontrato se ne richiamava alla proposizione gene-
krale sotto la quale poteva essere classato e qualificato.
In questa maniera nelle mani di Aristotile non pure si
I perfezionava il metodo dal lato del valore attribuito ai sen-
1 sibili e al mondo esterno, egualmente che al concettuale, ma,
ben anche si assicurava il pernio fisso della polemica acien-
L tifica, e le verità trovate si ponevano in salvo dalle basse
laiti de' mestieranti della parola.
Riassunto della Teorica della scienza. -
Il Particolare e T Universale In Ari-
stotile. Metodo empirico, critico, con-
cellnaie ■
La diversità dei prindpj e delle massime fondamentali,
che regolano le ricerche e le speculazioni di ciascuna scuola,
porta nel seno di essa una diversità di Metodo. per dir
meglio, le scuole si succedono, e si migliorano col migliorare
le loro massime fondamentali, e con esse il loro metodo. Per
tal maniera, abbiamo veduto per es. nei Teologi primitivi
un rudimento di metodo, degno appena di questo nome, nel
quale le massime fondamentali%rano costituite da assiomi
di sentimento, di fede, di iaterpetrazione fantastica della
natura. E però i dati propriamente razionali erano i meno
curati. Gli Eleati dal canto loro ebbero per massima fonda-
mentale metodica la nullità dei dati sensibili; e il loro
metodo in conseguenza tenne conto della speculazione pura
e rifiutò r esperienza .
Or se si domanda ad una scuola filosofica dell'antichità
dei tempi nostri, che cosa è il vero metodo scientifico?
Ciascuna ci risponderà a modo suo, e ne avremo tanta
scuole, tante definizioni del metodo; perchè ciascuna scuola
intravvede il metodo attraverso alle sue proprie massime.
Come è dunque possibile giudicare in questa varietà di opi-
nioni della validità di un metodo in confronto della nullità
di un altro ?
La miglior via per arrivare a questa mela è certamente
la computazione dei risultati ottenuti in ciascuna scuola. Le
scienze naturaU come hanno elleno fatto a giudicare e sce-
gliere il loro metodo, che ormai si sono assicurato? Hanno
valutato il pregio dei frutti che loro dava il metotlo speri-
— la-
mentale nei pochi tentativi fatti Dell' antichità, hanno con-
frontato il grande valore di questi pochi tentativi colla
I vanità degli sforzi immensi consumati attorno al metodo
1 aprioristico, e ne hanno concluso alla sanzione di quello e
all'abolizione di questo; conclusione che portata alla pratica
ha rimunerato largamente le scienze naturali della loro
preferenza.
Le scuole filosofiche non hanno ragione alcuna di riget-
I tare questa regola. E innanzi tutto è permesso di osservare
I che sebbeue in tutte le scuole filosofiche si abbia un concetto
I diverso del metodo, ciò nonostante debbono tutte sottostare
1 una condizione unica e primaria, che contiene il signifi-
I cato vero di esso. Qualunque sieno i concetti che si hanno
1 intorno al metodo d.tlle scuole diverse, tutte debbono partire
j da questa condizione, che il metodo dia per prodotto la
I certezza od il massimo avvicinamento ad essa.
La certezza e nuli' altro è ciò che domanda la scienza
! vera. La necessità di arrivare ad essa ha prodotto la riforma
j metodica di Socrate, e quella di Platone, e piìi di tutto ha
I prodotto il metodo di Aristotile; la stessa necessità, rinata
I dopo il Neoplatonismo e il falso Aristotelismo della Sco-
I lastica, produsse la Critica di Kant, e produce il desiderio
I universale, che si prova al presente, di dare un metodo
I scientifico alla filosofia.
E se ben si guarda, in alcuni casi la Logica sola può di
I per se darci la norma per giudicare della validità o della
\ nOD validità di un'metodo. Imperocchii un metodo errato ha
Isovente la radice del suo errore in un vizio di logica.
[ Pitagorici traevano da premesse aritmetiche delle conse*
Igaenze attinenti all'ordine morale. I Teologi partendo da
I prìncipj di Fede pretendeano arrivare a conclusioni che sono
I Del campo della ragione. Gii Eleati per ispiegare la natura,
Jcioè il mondo sensibile, partivano dal priocipio, che esso è
I nitUa, e le loro conclusioni si tenevano però nell* ordine
I della idealità, e non aveano che Care colla scienza del mondo
- U4 -
sensibile. Socrate partiva dal princìpio, che la coscienza
umana fosse tutto, e nulla la natura rimanente; le sue con-
clusioni perciò erano fatte entro limiti troppo ristretti, e non
fa meraTiglia se si trovavano poi in collisione colla storia
della società e colla natura. Platone per far la teorica del-
l' uomo e del mondo e delle loro condizioni, poneva a prin-
cipio un Mondo ed un Uomo ed una serie di enti separati
dotati di perfezione fantasticata, non mai vista né trovata
nei fatti naturali ed umani, e da questo principio traeva
conseguenze, che avrian dovuto comporre la scienza di que-
sto mondo reale e di questa Umanità; è per ciò che la pratica
non gli rispondeva, e quando provavasi a dar corpo alle sue
conclusioni, finiva nell'utopia, come nel caso della sua
Repubblica.
L' errore del metodo è d'ordinario una sproporzione tra
certe promesse e certe conclusioni, ovvero l' uso malaccorto
di principj non adatti alle scienze e alle ricerche a cui se ne
fa l'applicazione. Per avere un buon metodo à dunque neces-
sario mantenere fedelmente questa proporzione tra le pre-
messe e le conclusioni, tra ì dati che abbiamo alle mani e le
leggi, i principj, le conseguenze che se ne indusono o
deducono.
La certezza non sarà possibile ottenerla, quando si
osservassero anche tutte insieme le altre regole, ma si
trascurasse questa, che è il fondamento di tutte.
D'altra parte chiaro apparisce oggi dalla storia della
scienza, come la materia elementare di tutta la cognizione
nostra, e però il punto di partenza per ogni metodo debba
cercarsi nel mondo sensibile, fenomenale, esterno od interno,
poiché senza questa base si vedono diventare impossibili le
scienze, nessuna eccettuata.
La Matematìcaj per incominciare da questa, che è spesso
citata allo scopo di dare una mentita a quella massima, la
Matematica pone a fondamento del suo edifizio alcuni assio-
mi cavati originariamente dall' esperienza, e col corredo di
-1*-
postatati e di dcfìniziooi, che pur sono occasionate da espe-
rienza, trae per via deduttiva le sue conclusioni in un ordine
di combinazioni puramente razionali. Sarebbe per essa con-
trario al suo melode uscire da questo ordine, e misurare Itì
figure tracciate col tira-linee in luogo delle più vere figure
ideali. Da questo si può concludere, che l'esperienza conse-
cutiva alla teoria sarebbe per lo meno inutile alla Matema-
tica, ma mm se ne può concludere al cunlrario la possibilitÀ
di fare a meno della esperienza preparativa del lavorò
matemalico. È inutile la esperienza consecutiva, perchè IS
conclusioni matematiche si formano per via di combinaziomi
mentali tratte da un pici'olo numero dì concetti e di prlncìpj
formulati in una serie di simboli perfettissimi, e vano sa-
rebbe cercare nella realità una perfezione rispondente si ]
concetto materna Lieo, come vano sarebbe cercare nella realità ,
l'esistenza di una specie o di nagenere. Nessuno strumento
nostro il più sensibile varrebbe per es. a farci conoscere Ift \
curvatura di un piccolo ai-co tagliato sopra una circonferenza '
delineata con un raggio immenso, e quell'arco non è possi-
bile sperimentalmente distinguerlo da una linea retta, ben-
ché lo distingua benissimo il calcolo. Ma é vero ancora, che
senza l'esperienza preparativa ed originaria non avremmo
potato form-irci i concetti delle figure, e se non avessimo
avuta mai la percezione sensibile di un circolo approssima-
tivo, di un triangolo, di un quadrato, non saremmo diventati
mai geometri; come se non avessimo mai veduto la divisione
meccanica fatta con imperfetta esperienza di un tutto nelle
sue parti, non saremmo mai arrivati alla massima, che il
tutto è eguale all'insieme delle sue parti, perchè non
avremmo in nessun modo acquistato il concetto di tutto e
quello di parte.
Intorno alle scienze naturali non può sorger dubbio, che
tale sia l'abitudine loro, cinèdi tenersi costantemente all'e-
sperienza, abitudine che esse hanno contribuito grandemente
ad insinuare alle rimanenti scienze, che vi si mostravano
10
— 146 —
restie. Elleno accumulano col pia paziento lavoro i materiali
della osservazione e dello sperimento, e sovra di essi per vìa
d'induzione si elevano alle leggi, traomlo poi da queste al-
cune conseguenze, sempre soggette alla verifica e alla mi-
sura dei fatti. La pura razionalità deduttiva porterebbe la
morte delle scienze naturali,
Le scienze morali sono destinate dalla loro indole ad
adoperare un metodo misto di induzione e deduzione, e stu-
diare r andamento delle leggi mentali, prendendo a base
l'osservazione dell'uomo, e più che tutto la storia dei feno-
meni morali. Eesendochè l'osservazione dei fenomeni di
coscienza individuale sia difficilissima in pratica e spesso
illusoria, perchè in essa non si raccoglie che uno solo dei
casi i quali debbono in gran numero concorrere a darci for-
mulata la legge, le scienze morali si trovano nella necessità
di raccogliere il loro materiale sperimentalo osservando la
manifestazione dei fenomeni spirituali nella storia. E dalle
leggi cosi assicurate possono trarre deduttivamente molte
conseguenze in rapporto alla condizione dell' uomo in indivi-
duo o costituito in società, e portare tanti frutti alla esistenza
civile, quanti alla comodità della vita ne portano le scienze
naturali.
Ma nelle scienze morali sarebbe veramente farsi illusione
il credere che fosse per esser buon metodo il porre come
principio un'idea supposta assoluta, come certi metafisici
vorrebbero, e trarre deduttivamente da quella le conclusioni
relative alla materia di quelle scienze. Sarebbe illusione,
perchè quelle scienze a questo patto dovrebbero essere nella
condizione della Matematica, aver bisogno, come quella
dell' unico materiale elementare sperimentale, potere fare a
meno dell' esperienza consecutiva, ed anzi correggerla e di-
rigerla. Elleno sono ben^ungi da questa fortunata condizio-
ne della Matematica; elleno hanno bisogno di esperienza
continua, sia per trovare nuove leggi, sia per porre in pratica
le loro conseguenze. Prova di questo è che le scienze mo-
— 147 -
rali hanno iuiaUi tratto vantaggio unicamente dalla pratica
sociale, pn'ina ispirandosi agli ordini spontaneamente creati
dall' uomo, poi migliorandogli coll'applicazione del pensiero,
e sempre camminando con essi. So l'uomo non avesse
originariatucute , per opera della sua attività spontanea,
posto il fatto di un rudimento di vita sociale, sarebbero
forse nate lo scienze sociali? Se le società umane non andas-
sero via via soggette a continove esperienze di fatti sociali,
esperienze spesso dolorosissime, le scienze sociali avrebbero
elleno trovato le formule del giusto? Per creare le formule
del giusto, ò necessario avere in pronto dei fatti giusti e do-
gi' ingiusti per poter farne confronto, e trarne la regola.
La quale trovata cbe sia, servirà in seguito a classare i
nuovi fatti.
Hanno bensì anche le scienze morali una azione perfe-
zionatrice dei fatti umani, e ciò deriva dal contenuto che si
accumula nelle idee morali, particolarità che è analoga a
quanto s'è dotto avvenire nei concetti matematici. Partico-
larità che proviene da una forza ritentiva e costnittiva della
mente, per la quale essa è fatta capace di posarsi sull'espe-
rienza, e poi su quella spingersi ad una concezione piii per-
fetta dei dati sperimentali medesimi. Ma tanto nel caso della
Matematica, quanto e piii ancora nel caso delle scienze mo-
rali, non si può arrivare a quella perfezione concettuale senza
l'aiuto della natura slessa, senza imparare da lei, dai suoi
fatti. L'idea, che ò questo prodotto superiore, ha vita por
no perfezionamento dei concelti fatto per opera dell' astra-
zione, della fantasia e della costruttiva mentale. Come la
fiantasia combina le imagini, così la mente combina i con-
cetti. In questa combinazione sì l'una che l'altra non pongono
alcun che di nuovo nò di pi-oprio, ma ne traggono un
composto, il quale sorpassa in perfezione gì' individui perce-
piti, per r unica ragione che esso risulta della combinazione
da loro migliori elementi. La fantasia crea cosi le opero
d' arte, la ragione le idee. £ per di piìi la mento trovando
— 148 -
nei fatti della natura una scala di perfezionamenti via via
crescenti, come la Matematica i triaugoli di meglio in meglio
tracciati, impara dalla uniura la via di aecnmiilarele perfe-
zioni, e fatta abile da ciuesto tirocinio costruisce un'idea che
sorpassa i singoli falli. Questa idea si riveste di fanlasmi
anch'essi perfezionati per la combinazione dei veri fantasmi
percepiti, e per l' accurauiazione delie loro perfezioni.
Come avviene, se mi fosse permesso mi simile paragone,
che un convoglio sulle rotaie frascitiato dalla forza della
locomotiva seguita a correre anche olire al punto su cui fu
rinserrato il vapore, e va tant' oltre da se solo quanto lo porta
la spinta della forza accumulata, così la meute accumula le
perfezioni dei concetti, e va oltre ad essi sino a una idea,
che contenga queste accumulate perfezioni (') . Cosi il
Genere e la Specie contengono le comuni proprietà com-
binate dei concreti individui, astrazione fatta dalle casuali.
Così le idee del Bello; del Giusto, del Buono resultano
dalla combinazione dì perfezioni concettuali ottenute per
via della percezione di cose belle, giuste, buone, di cose
cioè che danno una grata impressione artistica, una sod-
disfazione di giustizia, una compiacenza di senso morale.
Ma queste idee sarebbero del tutto rese impossibili a for-
marsi per chi non avesse mai provato quella gradevole sen-
sazione proveniente da un'opera d'arte, o quella compiacenza
che portano le opere buone e la pi:atica della giustizia. E
come le menti sarebbero in tal caso incapaci di formar quelle
idee, del pari senza l'Arte e le opere d'Arte nelle loro varie
(') In che cosa consiste questa combinagione, accìtmtilaxione'i
Sono parole che esprimono la esistenza del fenomeno, non il sao
perchè. — Nella stessa maniera i Fisici non sanno dire in che con-
ciata quella specie di accumulazione di forza clie porta nn projettila
qnando eiBO parte dalla bocca di un cannone, né gli Àstrooomi cha
cosa sia l' attrazione dei corpi colesti ec. . Bisogna che anche i
Tisici adoperino, come noi, una parola analogica: ò poTertà di lin-
guigfpo « ignoranza del perchè dei fenomeni.
— 1« —
gradazioni dì bellezza, senza le società civili nelle loro varie
forme di governo e ne'varj gradì dì cullnra sociale, senza la
pratica umana personale nei vari gradi di opere virtuose,
sarebbero impossibili a formarsi le scienze delia Estetica,
della Politica, del Diritto e della Morale.
Ancora si fa manifesto per la storia delle scienze, che il
metodo essendo forzatamente ci indotto a prendere come base
i fatti sensibili, può nelle eoricliisioni elevarsi alla generalità,
come fa la mente salendo all'nniversale concettuale dal
concreto, e formulare sui fatti particolari la legge, ma non
può oltrepassare l'ordine naturale dei fatti stessi. Dimodo-
ché studiando i fatti umani, le leggi cavate da questo studio
non sieno portate in un ordine sovrumano; come studiando
i fatti fisici, le leggi loro non. sieno portate in un ordine
metafìsico; come studiando la natura, le conclusioni noD
sieno portate in un ordine sopraunaturale. E in consegueniii
la combinazione dei concetti, destinata alla formazione delle
idee analoghe, sarà mestieri sia concatenata colla più scm-
pulosa esattezza a quelle basi sperimentali da cui ebbero
origine i concetti stessi; ogni costruzione mentale che non
potesse ricondursi fin là sarebbe a dichiararsi opera vana
e iallace.
Per concludere dirò, che la storia delle scienze ci dà oggi
agevolmente ammaestramenti e norme per la costituzione
del metodo, mostrandoci come siensi fissate in proposito
alcune massime principali, di cui mi basta annoverarne tre
«he si attengono piti da vicino allo scopo del presente scritto.
I.' La realità fenomenatf, sensibile à la fonte primaria
della verità concettuale. II.' La monta non porta nella
rappresentanza di questo reale fenomenale, cioè nella cogni-
Bone, nuli' altro che la propria facoltà di astrarre par
formare i concelli, e di costruire combinandogli. 111.' L'or-
dine scientifico si compone dei concotti, delle classi e della
leggi ricavale immediatameute dai fenomeni percepiti;
l' ideale puro e l' uso dell' astrazione nei Buoi gradi più loa*
- 150 -
tani dal concreto deve essere criticato, e tenuto nel posto
delle ipotesi, non in quello delle leggi.
Per ciò che concerne la prima massima, se ne ha la
prova dal vedere, come ogni di più vada ammantandosi la
produzione dei buoni fratti, si diminuisca il lavoro perduto,
si acceleri il movimento delle idee in ciascuna scienza,
mano a mano che essa si accosta a questo punto, e acquista
la abitudine di appoggiarsi sullo studio dei feuomeni. La
serie progressiva di perfezionamento in questo ordine meto-
dico fa vedere il crescente apprezzamento della realità
fenomenale, che via via ha preso il posto delle concezioni
mitiche o metafisiche, ha cassato i problemi attinenti all'es-
senza misteriosa delle cose, ha abbandonato la sostanza
separata, ed ha ridotto anche il principio di causalità ad
una pura condizione di fenomeni concomitanti in ordine
fisso.
Rispetto alla seconda massima, già da lungo tempo fii
studiata la parte che spettava alla mente nella formazio-
ne dei concetti. Piatone e Leibuiz e Kant rappresentano
le diverse maniere di soluzione posto innanzi da quelli^
che in questo fatto ritenevano si avesse a cercare un
elemento straniero alla percezione. Ma Aristotile e altri
fllosofl antichi e moderni si sono dati a mostrare la poca
sohdità di quelle soluzioni; la riconosciuta vanità delle teorie
architettate da quei pensatori ha finito coli' indurre la per-
suasione, che la mente nulla pone di suo nei concetti; le
Idee separate sostanziali ( Platone ), le traccie originai-ie
simighanti a vene delineanii la statua nel blocco (Leibuiz ),
le forme dello spirito collo quali esso foggia e caratterizza
automicamente le impressioni di fuori ( Kant ), non conclu-
dono ad una soluzione seria del iiroblema; e si è cercato
rifugio neir unica teoria Aristotelica della formazione del
concettuale per opera della percezione sensitiva e della fa-
facoltà d'astrazione (Hartlsy, James Mill, John Stuai-t-Mill,
Baine, scuola positiva). Come l'occhio non pone nella vista
- 151 -
nulla più che la sua facoltà visiva, la facoltà cioè di perce-
pirò e ritenere lo immagini colorate, destinate ad essere
poscia combinate por via di costruziooo fantastica; cosi la
mente non pone nella cognÌKiono nulla più che la facoltà di
percepirci concreti, di scomporre, astrarre, ritenere o com-
binare i dati della percezione. E per questo lato il metodo
scieotiiico ha dovuto formularsi la massima, che le cogni-
zioni sono sincero e legittimo soltanto allorché elleno si
appoggiano sopra il lavoro della percezione sensibile o sulla
combinazione dei coucettì provenienti originariamente da
quella.
La terza massima ò derivata dall'analisi della ragione,
dei suoi portati, dei suoi errori, e dalla cousecutiva ricerca
dei suoi limiti; stadio fatto mirabilmente da Kant. La sua
critica è diventata la riformatrice di tutta la speculazione
odierna, di quella speculazione che ha innanzi lutto in mira
la certezza, ed aborro dalle sonorità vuote o dal lavoro
inutile.
Adunque lo studio dei fatti, doi fenomeni, dei casi
particolari per ogni scienza è necessità primaria di metodo,
studio che solo può aprire il passo verso la parte utile, reale
della teorica, dalla quale in seguito potrassi avere sicuro
appoggio a perfezionare la pratica di quei fatti stessi da
cui s'era partiti.
La filosofia in particolare, che è tenuta a ponderare il
valore dello strumento il quale serve a tutto il lavoro scien-
tifico, e a far conoscere qual sia il rapporto precìso che
passa ti'a l' ideale e il reale, e in qual misura il primo
sia rappresentanza del secondo e in quale non lo sia, non
ha per questo uiflcio altra strada a battere, che quella
medesima delle altre scienze, vale a diro Io studio dei
casi scientifici speciali in fui una data maniera di ado-
perare quello sLrumouto, che è la ragiono, abbia portato
il frutto voluto della certezza, e in quali casi abbia fallito
questo scopo. E cosi l'esperienza solarla cognizione storica
(
— 152 —
della pratica scientifica può preparare un conveniente
nasetto al metodo generale delle scienze, come la espe-
rienza sola poteva dare uii fondamento per la costituzione
delle scienze stesse.
Non è peraltro qui mio pensiero di dichiarare il luiglior
metodo per le scienze fllosoflciie, ma solamente di mostrare,
come il metodo adoperato da Aristotile fu uell' antichità
quello cUe più si assomigliò al metodo delle scienze d'og-
gidì. Io vorrei che dall' insieme di questi studj si facesse
manifesto come quel metodo scientifico fosse per Aristotile
il maggior titolo di gloria, e che quando esso Io praticò
accuratamente ne ebbe risultati che lo fecero creatore e
rianuovatore di molte scienze, e quando se ne lasciò stac^
care si accostò ai vaneggiamenti della massima parte dei
filosofi predecessori suoi e contemporanei. Vorrei che appa-
risse, come il più gran vantaggio che Ai-Ìstotile portasse
i^Ua scienza, fosse quello di essersi fatto avversario di Pla-
tone e fondatore del metodo empirico. Ciò si farà abba-
stajiaa chiaro da un saggio del lavoro Aristotelico, che
presenterò nella terza parte, scegliendo soltanto quell-i
ricerche e quei concetti che possono meglio conferire a darci
notizia della intenzione metodica.
Riassumerò intanto in questo Capitolo tuitociò, che può
servire a mostrare come il metodo adoperato da Aristotile
e le sue massime fondamentali sono somiglianti molto da
vicino al metodo e alle massime delle scienze moderne.
Aristotile avea trattato la questione del metodo in un
libro (AgSoiiità, il quale è perduto, e ci sarebbe forse riuscito
prezioso per la conoscenza dei principj che lo aveano diretto
ifei suoi lavori. Al presente non si può che raccogliere da
tutte le sue opere, che ci restano, le più importanti dottrine
intorno alla scienza e le massime qua e là inculcate per
arrivare ad essa.
Dietro quello che siamo audati esponendo intorno alla
;pi<ì.tica ed all'Analitica, è facile ora di rifare la teorica
I
— «ss —
della scienza secondo Aristotile, partendo dalla formazione
elementare di essa per via dei dati sensibili e concettuali
fino al suo sviluppo complesso nella dimostrazione . In
queata teorica giace imo dei problemi pii!i disputati dell;i
filosofìa, che avea già dato origine al sistema metafisico di
Platone, e che dipoi ha stancato le menti dì lutti i metafisici.
Kiassumendo lo dottrino di Aristoule è facile scorgere
il riunuovamento metodico, che si fa strada per esse, e mira
particolarmente a rovesciare ì concetti e il metodo di
.Platone.
Si l'uno che l'altro si preoccuparono di assegnare
all' opinione o al senso comune un posto di fronte alla
scienza, e separare quelle facoltà volgari, quei concetti
elementari, che vanno formandosi nella vita ordinaria degli
uotnini, da quella serie di dottrine che cou lunga fatica si
accuranlano per opera degli scienziati.
La Dialettica per Platone era la facoltà di risvegliare e
illurainare in sono al nostro intelletto quelle pure e incrolla-
bili Idee, che si erano contemplate più o meno rapidamente
in una vita ostramondanaj e che al nostro apparire in que-
sto mondo portammo latenti nella mente. La Dialettica era
per esso il sommo della scienza, e in conseguenza il prima-
rio lavoro melodico per acquistare la scienza vera si
riduceva a stimolare col dialogo la virtù dormente dell'ani-
ma eil aiutare la reminiscenza delle forme ideali eteme.
Tutto l'opinabile, secondo Platone, è un ombra del vero
sapere, è per natura sua transitorio, sprovvisto di ogni
valore, di ogni norma e di ogni realtà; la Retorica ne (a
soo argomento. Ma la Dialetti:a è il contrapposto della Re-
torica, al modo istesso che la scienza ò il contrapposto
dell'opinione.
Anche Aristotile separa la regione dell'opinabile da
quella della scieiza, e riguardri gli Universali come obietti
della scienza. Ma i suoi Universali sono ben differenti da
quelli di Platone; uon sono realità sostanziali separate.
— 154 —
viste nell'altro mondo e rammemorate qui all'occasione
delle sensazioni; e la Dialettica non ha per Aristotile l'offi-
cio Platonico di produrre quella reminiscenza. La Dialettica
por Aristotile è invoco nella regione dell'opinabile a fianco
della Retorica , e servo a formare l' apparecchio della
scienza.
Imparare per Aristotile significa combinare alcune no-
zioni preesistenti, e cavarne mentalmente una costruzione
a cui ciascuna di quelle preconoscenze porta il suo tributo.
Questo materiale per costruire è dato dai sensi e dai concetti
fatti dietro la percezione sensitiva. L'Universale ò la forma
che rende questo materiale adatto a entrare in quelle costru-
zioni mentali. Ora la Dialettica è destinata, secondo Aristo-
tile, ad apparecchiare, a scegliere, a dar forma di Univer-
sale a tutto quel materiale elementare del ragionamento
scientifico, e formare così la scienza immediata. La quale
sola, se abbia sufficiente complessione e solidità, può servire
di appoggio alla scienza dimostrativa.
Platone avea sciolto il problema della fissità della scienza
in modo mitico colla teorica della Reminiscenza. Aristotile
si applicò a scioglierlo studiando le condizioni umane in
mezzo a cui si origina la conoscenza, e trascurando la causa
ultima della conoscenza stessa. La formazione dell' Univer-
sale ossia del concettuale è da esso presa come un fatto, di
cui è vano cercare il segreto, e le cui coudizioni concomi-
tanti possono sole essere studiate con frutto. Non è certo
degno di poca attenzione il vedere un filosofo che passa per
un gran partigiano delle cause ultime rifiutarsi a cercare
la causa dell' Universale, cioò del pensiero, e limitarsi alle
condizioni stimolanti la sua formazione. Fatto rimarchevole,
che toglie ad Aristotile una parte della taccia di metafisico.
11 seguito delle ricerche intorno al metodo e specialmente il
frutto ottenuto dalle scienze per questa stessa via ha dato
piena ragione a questo positivismo di Aristotile.
La sua teorica della conoscenza e della scienza è tutta
- 165 -
intiera dominata dallo stesso concetto. La sensazione pro-
dnce la conoscenza, l' Universale, i principj. La scienza sì
appoff^ia sui dati portati da qiiesln lavoro elementare. 1
passi che si riferiscono a questa teorica sono innumerevoli.
Ne citeremo alcuni dei più importanti.
L'ultimo capitolo degli Analitici posteriori, che abbiamo
già riport,ito ('), racch'nde titlto il pensiero di Aristotile
intorno alla formazione dei concetti sui dati sensibili. Ma
esso non è isolato uè di secondaria importanza; che anzi
qnei pensieri Aristotelici compariscono quasi ad ogni istante,
tutte le volte che è tenuto proposito di conoscenza, di prin-
cipj, di Universali.
« Il sensibile è il più noto rispetto a noi, cioè è il punto
di partenza della nostra conoscenza; benché l'Universale
fWssieda maggiori elementi conoscitivi. » {*)
« Ma gli Universali non possono formarsi senza il sen-
sìbile. Tanfxjchò al mancare di un senso, è conseguente la
mancanza di una classe di nognizioui » C).
« La sensazione isolatamente presa non dà la scienza di-
mostrativa, ma senza la sensazione la scienza è impossibile.
Perchè sebbene il senso sia ordinato ad una qualità e non
solamente ad un dato oggetto, puro è necessario sentire
tina cosa particolare in tal luogo e in tal momento . . .
L'Universale non può esser sentito, perchè non è una cosa
speciale ... Il merito dell'Universale sta nel farcì cono-
score la causa. Cosi per le cose, che hanno una causa fuori
di se, la nozione universale è al di sopra della sensazione
e del pensiero; ma per gli elementi primilivi il modo di
conoscerli è differente » {*).
L' Universale ha per Aristotile un' alto valore nella
(■) V.paR. US.
(») Anal. post. I. 2. II.
C) ]l>ia. 1.18. 1.
(')Ibid. I. 31.1. aoq.
— 158 —
formazione scientifica, ma è ben lontano, dalla natura metafi-
sica che molti gli attribuirono. Aristotile respìnse il sistema
delle Idee ( V Universale separato ) patrocinato da Platone;
ma quel che più importa, dichiarò che l'Universale non era
per lui che r espressione vera di una pluralità, e ch'esso
Don ha esistenza che nella coadizione di un appellativo
applicabile a più individui.
« Non vi è alcuna necessità, che esistano delle Idee,
(^ Platoniche J, per rendere possibile la dimostrazione,
nò che vi sieno delle unità distinte e separate dalla
pluralità. E necessario soltanto che una sola e medesima,
^icsa possa essere attribuita veracemente a più esseri; (')
parche senza questa condizione non vi è Universale;
senza Universale, non si ha termine medio, e così non.
SI avrà più dimostrazione. Bisogna dunque unicamente
che sia possibile, che una sola e medesima cosa si trovi
in più esseri ».
« Siccome non vi è, al di fuori delle cose estese, nulla
che eia separato al modo che ci compariscono le cose sen-
s'bili, è necessario riconoscere che le cose intelligibili sono
u ilio forme sensibili, come vi sono le cose astratte e tuttocìò
r'ie è qualità o modificazione delle cose sensibili. Ed ecco
perchè chi nulla sentisse, non potrebbe nulla sapere né
comprendere; ma quando taluno concepisce qualche cosa,
bisogna che esso pure concepisca qualche imagìne, perchè
le imagini sono una sorta di sensazioni, ma sensazioni senza
materia » (*).
« Nulla è possibile pensare se non appoggiandosi sui
dati sensibili » (').
{') AnaJ. post. I. II. l.
O De An. III. 8. 3.
(') Do sensu: oJJi
- fv ìtaxk irtt.luv i.ly\5i( ilm
ù( tÌ txTÒt fili ft«t' aÌo5tisiui óvT».
Far ciò chd si riferi9i:e alla formaaione dei princìpj a delle propoai-
Z'o&i immadiate auU' esperienza seDSìbila rimando il lettore indietro
u pag. 115 e B8gg.
Come I' Universale concettuale sì forma sopra un lavoro
precedente dei sensi, e sugli slessi;dati di esperienza^si ap ■
poggiano tutti i prìncipj, gli assiomi, le definizioni, non
(die i termini e le premesse generali; per la stessa guisa,
secondo Aristotile, ogni manifestazione di scienza provieni!
da una cognizione precedente, e attraverso a questa dal ■
l'ordine intellettuale elementare e dalla sensazione.
« Ogni conoscenza, insegnata o acquistata, proviene!
sempre da nozioni antecedenti. L'osservazione mostra chù
ciò è vero in tutte le scienze; perchè questo è il procedi -
mento delle scienze matematiche e di tutte le altre senza
eccezione. E questo ancora il procedimento di tutti i ragio
namenti della dialettica, tanto di quelli che si fanno per via
di sillogismo, che di quelli per induzione. Si gli uni, che
gli altri, l' istruzione che danno, la cavano sempre »la
nozioni anteriori; i primi supponendo delle nozioni com-
prese e accordate, gli altri, dimostrando l'Universale
per via dell' evidenza stessa del particolare. È con quesio
metodo del pari, che i ragionamenti retorici generano la
persuasione; perchè essi arrivano ad essa o per viad'eser.'-
pi, cioè per induzione; o per vìa d'entimemi, cioè per sil-
logismi (<),
« La scienza si applìca'a tuttociò che può esser saputo;
e questo doiiiìnio si sfende tanto lontano quanto la dimo-
strazione e il ragionamento » (') .
« La scienza dimostrata si confonde colla dimostrazione
essa stessa ('), e la conclusione di ogni dimostrazione fi
etema» (*).
« Noi pensiamo di sapere le cose'in una maniera asso .
Iuta, e non in una maniera soJistica, puramente accidentale,
(<) Anol. poli. 1. 1.
Ci Mag. Mor. I. S2.
(') Anal. poat. II. Il
nibid. 1.8. I.
- 158 -
quando pensiamo di sapere die la causa per cui la cosa
esiste, è veramente la causa di quella cosa; talché noi pen-
siamo che la cosa non possa esser diversa da quello che noi
sappiamo » ('). « La scienza ó dunque cognizione dì certe
cause e principj » (*).
Questi concetti che si sono qui richiamati, haaoo for-
mato materia di piii ampia trattazione nei capitoli prece-
denti. Essi fanno parto per altro dell' intiero sistema
metodico di Aristotile, anzi ne presentano i tratti fonda-
mentali. Da essi apparisce come esso tenesse a base di tutta
la scienza, in tutte le sue manifestazioni le piii rudimentali
le più complete, il mondo reale sensibile, sul quale la
mente lavorava dando vita ad un mondo concettuale,
elevato sopra di quello, ma non separato.
Allo stesso risultato arriveremo raccogliendo le mas-
sime, che Aristotile qua e là ha lasciato sfuggire, attinenti
ad abitudini di pensiero scientifico, necessarie per la con-
quista della verità. Da quelle possiamo ricavare alcuno dei
pensieri Aristotelici intorno al metodo generale e ai metodi
speciali, lo domando scusa al lettore, se qui gli pongo
innanzi agli occhi una lista di citazioni alquanto numerosa;
mi induco a questo neU' intento di mostrare, come la
necessità di fondare la ricerca scientifica sul sensibile ©
sui fatti sia una dottrina propugnata da Aristotile io tutti
i suoi libri, ed inculcata con tanta costanza, da recara
meraviglia che tanti secoli si ostinassero a disconoscere
questi suoi precetti metodici, pur ritenendo di lui le
meno felici ispirazioni.
« Non perdiamo di vista che vi è grande differenza tra
le teorie, che partono dai principj e quelle che salgono ai
principj. Platone avea ben ragione di domandarsi e di
ricercare se il vero metodo consiste nel partire dai principj
(') Anal. post. I. 2. 1.
O Metaf. I. 1,
— 169 —
) salire ad ossi ... Ma bisogna sempre incominciare dalle
wse note ».
« Noto sono alcune cose rispetto a noi, altro in se stes-
(') . . Forse è mestieri incominciare dalle cose note rispetto
. Principio è il fatto { il come ) e quando questo
Ùa sufficientemente conosciuto, non si farà molto desiderare
% cognizione della causa ( il perchè ). Colui che conosce il
(') < Primo e pid oonoicibile per natura o assoluiammte, primo
t più oonoscibilc rispeito a noi — qae%ti due modi di cogatzione non
•ono soltanto distinti, ma l'ano è antitesi all'altro. Rispetto a noi
^tengono il primo posto ì eensibili particolari, e sono i primitivi og-
I getti del nostro sapere. liispelto a noi aiguifica l'ampia Tarietà
Ideile menti individuali, cho impercettibilmente si elevano dalle
tnplict capacità dell'infanzia alla matnra complessione degli anni
[ odnltj; ciascuno va formando il ano corredo di impressioni sensitive,
L.nmmenta, paragona, associa; ciascuno impara nn linguaggio, il
I quale serba concentrata in parole generali « proposizioni lo classìfi-
Eesiioni nconoBciute degli oggetti, e trasmette le credenze affettive
' piti comuni. Noi tutti abbiamo cominciato coli' imparare; e per dif-
t ferenti gradi salgbianio a qnelle nozioni o credenze nnìveraali che
[ «impongono il corredo elementare dell' inteìlelto culto, cbe in atcu-
] tu menti urriva a svilupparsi in prindpj di filosofia e loro coose-
I gaenze. Per natura o assobilamente qaosi i principj sono considerati
e primi, e come tali che formano un panto di partenza: rìgnar-
[ dando come guadagnata quella elevata posizione, il passa che si
e da quella non è passo di novizio, ma di adulto camminatore,
l.clie avendo già molto imparato, ii pronto a far duo parti, imparar
r ài piii e insegnare agli altri . . . Per cose più conoBcìbìli per natura
I .Aristotile intende neli' uomo quel compinto corredo che proviene da
E oognizioni precedenti e ad altre ci rendo atti, corredo portato dal-
li' età matura; iioto-a natura sono gli acquisti, i punti di vista,!
i, cbe più o meno completamente son famigliari all' uomo
t naturo e alle società provette. Notiora noòis sono qnei fatti e pro-
ti coi quali ognuno comincia o che servono d'appoggio al lavoro
intellettuale tanto nel suo pili alto che nel piil basso stadio; con
I questo, cbe nel più alto stadio sono impiegati, dirotti e modificati
I tu dipendenza dì nn capitalo acquistato e dì un permanente mecca-
[ nlemo di parole uoirerMalmente accettate, nello quali qaol capitale
I è investito >. Grato. ArìstoUo. Voi. I. pag. 282.
— ìm -
fatto, g:ià è in possesso del principio, o faciimente lo con-
quista » ('). "~
È difficile fissare con più precisione la necessità dei t
dinanzi alla scienza. Questo brano così rimarcbevolò*
seguito e corredato da molti altri di eguale importanza.
< La causa che ha fatto sì, che certi filosofi hanno spe?
culato peggio degli altri su certi fenomeni, è la mancanza
d'osservazione. Al contrario quelli che hanno atteso di più
all'esame della natura soùo meglio in condizione di scuo-
prire i principj ... Ma coloro che perdendosi dietro a
teorie complicate, non osservano i fatti reah, fìssatio gli
occhi sopra un numero troppo ristretto di fenomeni; ed essi
pronunziano più facilmente. Di qui si può anche vedere tutta
la difl'erenza che separa il vero studio della natura da
uno studio puramente logico » (*).
« Tali sono le teorie di questi filosofi ... e senza dah-
hio ^ si ha, riguardo a puri ragionamenti semhvR che le
cose stieno in quella guisa, ma se si considerano i fatti,
sembrano follie » (').
« Essi inventano . . . non cercando di appoggiare le
loro spiegazioni e le cause, che indicano, sull' osservjizione
dei fenomeni; ma al contrario piegando e accomodando i
fenomeni a seconda di certe opinioni o spiegazioni loro
proprie, e tentando di fare concordare il tutto come
possono » {').
Innumerevoli sono i luoghi in cui Aristotite fa sempli-
I 11 TsuTo (petivaiTO apKtuvTuc, nuotv irpotr-
V Stafi-
(ftno.1 TOC JtÒT-i. 'O Ji
Nicom. I. 4. 7.
(•) De General. I. 2. 10. 'iSm J' &■, TI5 «il
fovaiv ai f uiTinùt n=' loyiniit oxoiroivTK
{') De Gen. I. 8. i. insl Si siri piv twv Xo'yu» rfoxtt tkùtk tm^Pai
vitu, iir'i ii Tcòv jTpayciartdV fiivin napan'iàiaiav «''vai tb Sa^ii^sv
(*) De Coelo. II. 13. 1.
— 161 —
cernente appetto alla testimonianza dei sensi contro ragiona-
menti teorici, e del pari sono per esso espressioni familiari
quelle con cui accenna alla osservazione dei dati sensibili
come base del suo proprio ragionamento. « E chiaro il
fatto {') — non è questo ciò che accade (') — si pud vedere
L dall' osservazione dei fatti ('). — ec. »
E questi precetti intorno all' uso dei fatti nella specula-
ione scientifica Aristotile stesso seguiva, e consigliava
Jerciò la pratica induttiva e il metodo d' osservazione e
■nello sperimentale.
« Non basta porre un principio in una maniera univer*
ì per via della sola ragione; bisogna ancora mostrarne
l'applicazione a tutti i fatti particolari ed ai fatti_os8ervabili,
i quali medesimi ci debbono servire a fondare delle teorie
generali, e coi quaJi queste teorie debbono, secondo noi,
sempre accordarsi(*) ».
La scienza moderna non potrebbe dir davvantaggio, né
meglio. Tanto piìi che qaesto pensiero è confermato larga-
mente e colla più grande lucidità in molti luoghi, che
sembrano scritti sotto l' ispirazione del nostro metodo
scientifico.
« Vedendo i fenomeni ripeteì-si spesso noi possiamo,
cercando l' Universale, arrivare alla dimostrazione; perchè
l'Universale si forma evidentemente della riunione di più
casi particolari (») » .
< In tutte le scienze i principj sono speciali la maggior
parte; e tocca all' esperienza a provvedere questi principj
per ciascuna di loro. Per esempio, l' esperienza astronomica
I
<■) Meteor. I. 14. 25.
OJbid. n. 3. 17.
(') Ibid. U. i. 6.
(') De motii An. I. 8.
(■) Anal. post. I. 31. 5. — i
< M*d' ria«^K irXiidnwv ri
- 162 —
fornisce i principj dell' astronomia; e soltanto dopo aver
luHffamenie osservali i fenomeni si è potuto arrivare alle
dimostrazioni astronomiche. Tutte le arti e tutte le scienze
sono in questa condizione. Ma dal momento che i principj
solio acquistati per ciascun' obietto, uoi possiamo trarne
delle dimostrazioni regolari. Se nella osservazione non si
è nulla omesso di ciò che appartiene realmente al soggetto,
noi potremo in tuttociò che è suscettibile di esser dimo-
strato, scuoprire la dimostrazione ed esporla; e se la dimo-
strazione è Daturalmenté impossibile, noi potremo rendere
evidente anche questo (') ».
Aristotile si serve constantemente di questo metodo per
fare la critica delle opinioni dei suoi predecessori, e per
convalidare le proprio. Il metodo d' osservazione con tutte
le sue primarie caratteristiche serve di guida alla più gran
parte degli studi Aristotelici, e se la metodologia moderna
ha migliorato assai questo strumento rendendolo capace
delle più svariate forme d'applicazione e di uso, non può
per altro negarsi che esso fosse largamente adoperato
nell' anticliità, benché noi siamo assuefatti a considerarlo
come privilegio dell'epoca nostra.
In conseguenza non ci dee recar meraviglia di trovare
in Aristotile^, medesimo la pratica, se non completa, certo
inaugurata, del metodo sperimenlale. La difficoltà di orga-
nizzare le esperienze è molto superiore a quella del semplice
osservare; essendoché richieda un maneggio facile di agenti
naturali, combinato con una vasta messe di cognizioni e
di leggi assicurale, e con una finitezza e precisione non
ordinaria di strumenti , e facile provvista di materie
adatte all'esecuzione dell'esperienze. Un laboratorio era
cosa impossibile nell' antichità. E ciò non ostante il metodo
sperimentale era stato da Aristotile intravveduto, avendosi
da esso citate parecchie esperienze, buone o cattive che
01
1. 31. ;
163 —
sieno, indirizzate a convalidare co] l'osservazione fatta sopra
di esse una qualche opiaione.
« È dietro r esperienza, che noi sosteniamo, che l'a-
cqaa col vaporizzarsi diventa pot-ibile, e che la parte vapo-
rizzala non toma acqua di mare allorché si condensa di
nuovo (') ».
« Quello che prova, che la salsedine del mare deriva
dalla presenza di qualche sosianza, è il detto sin qui, e
l'esperienza seguente. Se si pone nel mare un vaso di cera
modellato a quest' uso, tappandone la bocca con materie
impermeabili all' acqua di mare, ciù che passa attraverso
le pareti di cera, è acqua potabile. La parte terrosa è la-
sciata fuori come da mi vaglio, egualmente che la sostanza
che produce la salsedine. È questa sostanza ancora quella
che produce il peso e la densità dell' acqua di mare, che è
più pesa dell' act|ua potabile.
« La sua densità è tanto considerevole, che dei vascelli,
che col medesimo carico starebbero per calare a fondo nei
fiumi, si trovano, appena arrivano in mare, ad avere giusto
il carico per navigare. Così l'ignoranza di questo fatto ha
spesso cagionato dei danni, perchè dei vascelli si trovarono
troppo carichi all' entrare nei fiumi. Quello che prova che
la densità del mare proviene dal miscuglio di una sostanza
particolare è Tesperioiiza cho segue. Se si prende dell'acqua
e si rende salmastra col mischiarvi molto sale, si vede che
le uova possono stare a galla benché sieno piene; perchè
l'acqua, dùventa allora una specie di mota. 11 mare ha
nella sua massa qualche cosa di denso, ed è questo che
produce la salsedine (*) ».
« L'arco-baleno, che si forma sotto i remi cavati dal-
l'acqiia, è, quanto alla posizione, dol tutto simile a quello
che si fijrma nel cielo ... La refrazione proviene da goc-
(') Mptflor. II. 3,31.
(') Metoor. II. 3.35.esog.
— 164 —
cioline piccolissimB, ma continuG ... Si forma egualmente
un arco-baleno, quando si schizzano delle goccioline d'acqua
leggiere in no sito posto al sole ia maniera, che un lato sia
rischiarato dal sole e vi sia ombra nell'altro. Se in un luogo
così disposto si gettano delle goccie d' acqua dal di fuori,
r arco-baleno si forma (') » .
Certo è gran distanza da questi rudimenti di esperienze
al lavoro complicato e fecondo dei nostri laboratorj; ma non
si può a meno di riconoscere in questi incerti tentativi, la
stessa mano della scienza che oggi lavora con tanta sicu-
rezza ,
Meritano poi una particolare attenzione altre abitudini
di metodo, che hanno attinenza colla sana ricerca del vero,
e che Aristotile il primo praticò e pose in onore; tra le quali
sono da annoverare in primo luogo 1' uso delle tradizioni
storiche, e la maniera scientifica di esporre le dottrine in uno
stile spoglio di ogni ornamento. La prima di queste abitu-
dini mentre ha reso un servigio eminente ai nostri studi
storici, ed ha assicurato ad Aristotile il posto di primo sto-
rico delle scienze, mostra d' altra parte nella sua maniera
di trattare la scienza un amore spassionato del vero che lo
induceva a ricercare e accettare le dottrine buone di tutti i
pensatori precedenti. Tutta la nostra cultura è il frutto del
passato, che si va^da noi aumentando a benefizio dell'avve-
nire; e tanto varrebbe per noi lo sconfessare i prodotti che la
tradizione ci tramanda, quanto ridursi a rifare il lavoro
intiero da capo; Aristotile vide questa necessità e conforme-
mente ad essa si abituò a richiamare in esame su ciascuna
materia i pensieri dei filosofi precedenti, accettandogli o con-
dannandogli, ma non trascurandogli mai. Non vi è quasi
alcun^libro Aristotelico in cui questa abitudine non sia
praticata. (*}_E8So era a ciò indotto dalla persuasione, che
(') Hoteor. III. 4.117. e seg.
(') Qduì unico libro Ariatotetico ma acanta di ragguagli Btorìci
luUe dottrine, tnttftte è la Istoria degli animali.
— 165 —
qualcosa di vero si dovesse trovare anche nelle dottrine più
erronee. « Di queste opinioni, dice nell' Etica, alcune sono
state sostenute da lungo teaipo e da graa numero di parti-
giaoi; altre non lo sodo state che da uomini in piccol
□amerò, ma illustri, È ragionevole di supporre, che tanto
gli uui che gli altri, non sieno caduti in errore sopra tutti
i punti, e che almeno alibiano veduto chiaro sopra alcuni o
anche su quasi tutti (') ».
€ Debbesi saper grado non pure a quelli, alle cui opi-
qìoqì ci accostiamo, ma anche a quelli che trattarono la
materia superficialmente. Perchè anche questi hanno con-
tribuito ad esercitare la nostra facoltà. Se Timoteo non fosse
stato, non avremmo tanto progredito nella melopèa: ma se
non era Frine, non sarebbesi avuto Timoteo. Lo stesso
accade di quelli che ricercarono la verità.[Da taluni avemmo
in retaggio alcune dottrine; altri dettero origine al prodursi
di quelli (*) ».
« Poiché ci proponiamo di studiare l'anima, è neces-
sario . . . esaminare e raccogliere, prima d'andar oltre, le
opinioni di tutti coloro che innanzi a noi ne hanno detto
qualche cosa; noi prenderemo da quelle ciò che hanno di
vero, e se vi sono errori impareremo a guardarcene (') ».
È con questi intendimenti che nel libro dell' Anima
esamina le opinioni di Democrito, di Leucippo, dei Pita-
gorici, d'Anassagora, di Platone ec. Quasi tutto il primo
libro della Metafisica è consacrato alla storia della teorica
delle cause da Talete a Platone. Cosi è nel, libro della
Fìsica, e nel libro della Meteorologia ad ogni passo si in-
contrano le sentenze dei precedenti filosofi riportate e criti-
cate su pressoché tutti Ì fenomeni di cui è quislione in quel
libro.
(') Eth. Nic. I. 6. 6.
OMetaph. I. 1. (« il«i) S.
(')DeAn. 1. 2. 1.
— 166 —
Aristotile pose in voga per primo uno stile didattico che
$i confacesso alia natura severa e rigorosa della scienza, col
bandire i fiori della eloquenza e della poesia, che fin allora
aveano fatto mala prova nello stile lìlosofico. 1 Filosofi
antichi aveano per vezzo di cantare in poemi filosofici le
loro teorie; Platone si era molto scostato da quei tentativi
infantili, ed avea abbellito i suoi concetti della più gustosa
prosa, che forse abbia udito la Grecia; ma sovente anch'esso
sacrificava troppo alle muse, e il ragionamento filosofico seb-
bene ne acquistasse venustà, n'era scemato assai di valore.
In questo proposito Aristotile la ruppe con tutto il passato:
dettò i suoi concetti confinandogli a stare in una frase che
presentasse i soli elementi necessarj ad esprimergli, nulla
curando il periodeggiare rotondo, o il parlar figurato, o la
maniera insinuante per cattivarsi il lettore: la scienza nuda,
dovette ai suoi occhi apparire più seducente, che vestita
dei più pomposi abbigliamenti,
« Non è meno ridicolo, dice nella Meteorologìa, imma-
ginarsi di dire qualche cosa di chiaro, sostenendo, come
Empedocle, che il mare è il sudore della terra. lu poesia,
spiegazioni di tal sorta possono bene sembrar sufBcienti;
perchè la metafora appartiene alla poesia; ma sono del tutto
insufficienti per far conoscere la natura (*) ».
D' altra parte questa particolarità dello stile Aristotelico
non dipendeva da insufficienza di scrittore, come ne fa fede
lo stile dei libri exoterici, di cui abbiamo qualche tradizio(ie,
e ehe ci viene presentato come ricco delle più peregrine
forme dell'oratoria (*).
Darò fine a questo capitolo col citare ancora un brano,
da cui si ricava, come condizione massima del lavoro scieiir
tifico fosse per Aristotile, non meno che per la scieiiz^
moderna, il dubbio, stimolo di ogni ricerca, e germe
{') Meteor. II. 3. 12.
O V. aopra p. 105.
— 167 —
r fecondo di verità, e più che tutto salvaguardia del metodo
' scientifico contro ogni invasione dell'autorità dommatica di
uno scienziato o di una scuola o di uu libro. 11 brano clic
segue è tanto più importante, in quanto contiene implicita-
mente la condanna di quella apoteosi, colla quale la scola-
stica sacrificò ad Aristotile la scienza e la verità,
[■ dichiarandolo infallibile, maestro dell' ultima parola, e
I condannandosi per devozione ad esso all'inerzia mentale.
Quelli che aspirano ad avere qualche valore, è
■ mestieri che sappiano bene dubitare; perchè il valore di
■ poi è lo scioglimento del dubitato innanzi, ma sciogliere
ì non può chi non conosce il modo ».
( Ora, quando ripensando s'ha un dubbio, vuol dire
L appunto che nella cosa c'è un nodo; che quando si dubita
m è in una condizione somigliante a quella, di chi si trova
legato; infatti uell' un caso e nell' altro ci riesce impossibile
iàrsi avanti. Perciò bisogna avere considerato da prima
tutte le difficoltà, tra per le ragioni allegate, e perchè chi
cerca senza aver prima dubitato fa come colui che non sa
dove va: in simil guisa non può in seguito sapere se sia
riescilo a trovare quel che cercava; poiché non vede chiaro
il fine; ben lo vede chi ha dubitato ('} ».
Da tutto questo apparirà chiaro quanto abbiamo sopra
accennato, come cioè in Aristotile comparisce per la prima
volta nella storia del pensiero un metodo, che più di tutti
quelli praticati in addietro, si accosta all'indole del metodo
scientiSco moderno.
Questo ci si farà anche più manifesto dalla considera-
ròme di alcune poche dottrine Aristotehche, che sceglierò
me raccoglierò nella terza parte, per farle principalmente
lerrire all'illustrazione del metodo di Aristotile, del quale
ì accennato fin qui le massime fondamentali.
<■) Mei II. 1. i
PARTE TERZA
SAGGI DI DOTTRINE DI ARISTOTILE
RICHIAMATE A ILLUSTRAZIONE DEL SUO METOD
La Poetica.
Gli scritti dì Aristotile, all'opposto di quelli di Platone,
fiirono sfortunati ssìmi; e a tener dietro alla loro storia, rie-
sce maraviglioso il vedere salvati quelli che pur ci riman-
gono. Un numero stragrande di essi andò perduto, e qui
non si arresta il danno; ciiè l'esame accurato di quelli
rimasti ce gli fa apparire pressoché tutti come un ammasso
di frammenti. A considerargli nella condizione in che ci sono
stali tramandali da una tradizione stranamente disattenta,
si assomiglierebbero quasi alle mine di alcuno dei piìi
splendidi monumenti dell'antichità, che il tempo e la
barbarie abbiano devast-ilo. Magnifici pezzi, ma dislocatì; I
statue, architravi e colonne, in mezzo a macerie e mura*!
diroccate. Tali sono le Opere di Aristotile. L'idee del mae- (
stro sono riconoscibili però anche in mezzo alle mine, e se J
i discepoli suoi dell'antichità tennero sì poco conto del*'
l'edificio intiero, da lasciarlo straziare sì sconciamente, è I
possìbile ogcridi il ricostruirlo ripigliando le linee indicate^
dai pezzi rimasti in piedi.
Non è tale lo scopo di questa ultima parte del mio
scritto; che già una sitfatta ricostruzione è stata compiuta
da storici di alto valore, come Brandiss e Zeller: è mio i
pensiero invece dì raccogliere e di commentare quei brani, '
che pili spiccati presentano i caratteri del metodo scientifico^
sopra delineato, e che perciò meritarono di doventare fon-
damento a tutta la scienza di poi.
Prima dì entrare in materia, mi pernietLo di esprimere I
un desiderio, cioè che il lettore, il quale trovasse che akune-l
osservazioni sopra le dottrine Aristoteliche riprodotte, non ^
consonassero pienamente coi suo giudizio abituale sopra dì
esse, voglia accertarsi delia veracità critica, non già rìcor-
— 172 ~
rendo al primo vcniito tra gli espositori di Aristotile, ma
invece ad Aristotile stesso ed alle sue opere in origioale.
È questa la primaria condizione per potere apprezzare con
giusto criterio i concetti di Aristotile. Nulla di più erroneo,
che giudicarlo dietro le sentenze che la Scolastica gli ha
attribuito falsamente, od anche diefro la guida di recenti
storio della Filosofia. La Scolastica non pure defigurò la
sua Metafisica e la sua Psicologia, ma abiurò il suo metodo,
interpetrò malamente alcune delle più importanti dottrine,
gli prestò lo sue. E da essa furono lungamente ingannati
gli storici della filosofia, e a mo' d'esempio, la stessa critica
letteraria di pochi anni addietro prestava ancora ad Ari-
stotile ( e se ne facea bandiera) la tei>rica delle (re uniià
nella tragedia, ie fpiali or ora ci verrà fatto di ridurre al
loro vero valore.
Non ci è dato di conoscere con pienezza la teorica delle
arti del Bello secondo Aristotile; perchè una sola opera ci
resta su questa materia, opera frammentaria, incompleta (')
ed interpolata (*), che porta per titolo « della Poetica ».
Dalle frequenti allusioni alla musica ed alla pittura ci è reso
più pungente il danno della perdita degli altri libri intorno
alla teorica del Bello.
A noi assuefatti già da un luogo tirocìnio di filosofia
applicata alla illustrazione dei diversi rami di attiviià uma-
na, non fa certo una gran meraviglia l'udire a citare un
trattato di Filosofia del Bello, di Teorica della Poesia o
dell'arte. Ma al momento che Aristotile tracciava le linee
della sua Poetica, essa compariva come uno sforzo di niente
creatrice non inferiore a quelli da cui esci la Logica o la
Politica. Il dare ordine alle diverse manifestazioni dell'arte.
(') Manca evidentemente In tratLazioae della Commsiìia, pro-
messa in ani priacipio.
(*) Il Cap. XX. e aeguenti sono interpolati; ma non si sa. &
cbi attribuirgli.
- 173 —
e nella Poesia Greca classare i rnonunienli, e ravarno leggi
loro proprie, è opera di elevatissima filosofia u di t:usto
squisito. L'ubo del pensiero applicato a studiare lo sviluppo
umano non era ancora incominciato; V iniziarlo era opera di
genio sovrano, quale l'applicazione del pensiero a [Kirre
ordine nella storia di tutta la attività umana, e a creare la
filosofia delia Politica, della Legislazione, delle Religioni,
della Storia.
Sin da questi scritti di Aristotile si vede l'iipplìcazione
dal suo metodo. Esso parte d;ii fatti, fondiinJo la sua teorica
dell' arte poetica suH" ossorvazione dei modelli già posseduti
dalla Grecia, modelli che esso conosce profondamente, e
che ammira con tanta passione. Questo lavoro è ben diverso
da una certa maniera metafisica di tracciare una Estetica
vuota di senso, quale si è veduta dipoi uscire dalle mentì di
molti filoBofi. Il genio artistico vuoisi studiare sui suoi prò 1
dotti, e sulle sue manifestazioni storiche, non altrimenti che
il genio scientìfico e morale e polìtico. La storia è la base
necessaria di tutte le teoriche relativo all'attività, dello spi-
rilo; il tentativo di costruire quelle teoriche a pHori, è
infruttuoso dinanzi all' arte, chianumdo spesso le betfe
dei pratici, ed è falso dinanzi alla scienza. Aristotile nel
tratteggiare per es. le leggi della tr.-igedia non parte dalla
natura di essa, ma esemplifica, e negli esempi à V unica
giustificarione delle sue leggi. Di ciò gli è stato anzi fatto
ufl rimprovero, accusandolo di avere dato ì risultati del suo ■
studio sulla tragedia greca, e non le leggi generali; md J
questa accusa fa il suo pregio, separandolo dalla scliier» J
degli estetici visionarj . Chi facesse oggi una teorica della <
tragedia, sarebbe certo giustamente rimproverato dì tener |
conto unicamente dell' arte greca, trascurando Shakespeare |
e Schiller e Corneìllc e Racine e Alfieri: ma per la ragione |
stessa sarebbe stato male ispirato Aristotile, se fosse andato j
al dì lA dei modelli che conosceva. Poniamo che l' arte
greca non avesse alcun modello, sarebbe stato assurdo fare
- 174 -
la teorica della tragedia o di qiuil siasi altro genere di pro-
duzione poetica.
Un altro merito, di cui credo si debba tener conto ad
Aristotile, è il nt-ii essersi affatto occupato di definire il
Bellp. Esso HOQ ama di lanciarsi in balìa del pensiero puro
per cercare la formula assoluta del Bello, ma soltanto, date
le cose belle, spiega le condizioni in mezzo a cui il Bello si
manifesta. Un sentimento, quale ci è porto dalla presenza
delle cose belle, sfugge alla analisi razionale, per essere
composto di numerosi elementi sensitivi e subiettivi, aiutati
dall'educazione e dalla pratica. Nel Bello non si incontra
un rapporto preciso o delimitato tra elementi facili a para-
gonarsi.
Lo spirito umano osservando e pregiando 11 meglio
nella natura dal lato estetico, riproduce in molte maniere
il bello, creando opere artificiali che inspirano lo stesso sen-
timento delle naturali le più perfette. Un codice del Bello
non può farsi che andando dietro alle traccio seguite dagli
artisti per ottenere queir effetto d'emozione artistica. Un
codice del Bello è perciò via via perfezionabile.
Anche in ordine al Giusto, la pratica e il sentimento del
benessere sociale aiuta la formazione di Godici di diritto.
Codici perfezionabili a seconda delle piii perfette società.
Ma tra il Bello e il Giusto è questa differenza, che quando
un Codice di di giustizia è scritto, qualunque sia la sua per-
fezione nel momento presente, nella massima parte del casi
la produzione dei fenomeni di giustizia individuale e siiciale
si compie per un rapporto preciso tra 1' azione e la legge,
termini ben definiti; ma del Bello ciò non può dirsi, per
cagione della parte che alla produzione dì esso prende la
imaginativa. È perciò che Aristotile concentra la sua at-
tenzione suir arte invece che sul Bello in se stesso. Le cose
belle sono a ciascuno accessibili e apprezzabili con più o
meno vivacità. Quello che i più non vedono, è l' insieme
delle condizioni in mezzo a cui l' arte ha prodotto le cose
- 175 —
belle. Aocke oggi, che tanto elucubrazioni si sonu fatte
sopra (li ciò, nessuno saprebbe definire il Bello, altro che
per contrasto al Brutto; perchè i prodotti del sentimento
non si definiscono, come non si definiscono le sensazioni,
altro che per analogia.
Una delle condizioni primarie del Belio ò secondo Ari-
stotile la proporzione. « Siccome un animale o una cosa
qualunque composta di parti diverse non può avere bellezza,
se non abhia queste parti disposte in un ceno ordine, e che
sieno di una dimensione non arbitraria, perchè il bello coa-
sisle neir ordine e nella grandezza, ne segue che un lell'a-
nimale non potreblje essere né troppo piccolo, perchè non si
vedrebbe che confusamente, producendosene la vista in un
istante quasi impercettibile; né smisuratamente grande,
perchè non si potrebbe allora goderne la vista nell'insieme,
e l'unilà e tuttociò che quella vista dovrebbe darci sfuggi-
rebbe agli sguardi; come per es. se l'oggetto avesse dieci-
mila stadj di lunghezza » (').
Tra le più rimarchevoli particolarità che troviamo
nella Poetica di Aristotile, è la fissazione di un concetto
generale intorno alle arti belle, ad alcune delle quali esso
assegna come condizione primaria la imitazione.
« Evidentemente l'epopea e la tragedia, la commedia
e il ditirambo, del pari che l'arte del fiauto e della lira
quasi intieramente non sono nel loro insieme che delle imi-
tazioni .... Si imita un gran numero dì cose, talvolta
per mezzo dei colori e delle forme che si disegnano, o colle
regole d'arte, o per semplice abitudine, tal altro per mezzo
della voce »(•)...
€ L'uomo è per natura imitatore sin dalla fanciullezza;
e ciò che lo distingue da tutti gli altri animali, e ch'esso è
piti imitatore di tutti loro: esso comincia la sua prima edu-
CJ Poet. VU. 8. ugg.
Ò) Po»t. I. 3. lagg.
— 176 —
cazione coll'imiiare. Tutti gli umniiii si dilettano nell'imi-
taziono delle cose. Per convincersene, basta osservare i
fatti. Le cose che noi non vedremmo che con dolore nella
realtà ci fanno gran piacere a contemplarle nelle loro ripro-
duzioni più esatte; per esempio, la rappresentazione delle
bestie più schifoso, e dei cadaveri .... Così l' imitazioue
è connatnrale a noi » (').
« Siccome nell' imitare si imita sempre degli esseri in
azione, e le persone imitate non possono essere che buone
eattive ... ne segue die bisogna necossariainente rap-
pr^eotarle o migliori di noi, o peggiori, o somiglianti al
comune degli uomini. Ciò accade anche ai pittori. Polignoto
dipingeva gli uomini più belli che in natura, Pausone
più brutti, e Dionigi tali quali È così che Omero
rappresenta gli uomini più grandi che non sono mentre
Cleofonte gli rappresenta tali quali, ed Egemone Tasio, che
primo fece le parodie, gli imbruttisce » (*),
Da questi passi apparisce come Aristotile ritenesse
essenziale a certe arti la imitazione, Il che si fa mani-
festo più chiaramente rispetto alla tragedia, per la quale
esso pone quasi il L-eutro nell' Azione imitala^ cioè nella
favola.
«. La tragedia è la imitazione di una azione, e questa
azione essendo 1' opera di personaggi che agiscouo, ne
accade che i personaggi inedcaimi hanno necessariamente
un carattere e uu modo di pensare, che gli fa quali sono;
condizione che d' altronde serve a qualificare anche gli atti
umani. Or vi sono due cause che determinano natural-
mente tutte le nostre azioni; e sono il modo di pensare e il
carattere, che nella vita egualmente decidono sempre del
nostri successi e dei nostri rovesci. È la favola quella che
imita l'azione, e per favola intendo l'intreccio dei fatti.
(') Poet. IV. 2. seg.
(*) Post. II. 1. aeg.
— !T7-^
Il raralteru o ì costumi disti ug unno i porsonapryi che ngi-
soouo e permettono di qualificargli; il muito di [«usare è
riasieme iloÌ discorsi coi quali si esprime :ilcuiia cosa, u si
svela il t'ondo del proprio pensiero * (').
li conotìtto della iiuittzione iitìll*arLu è sialo di quelli
che hanno dato appiglio alle più lunghe e ostinate conipo-
versie. Gl'idealisti iVemooo a sentire far parola dell' imita-
lione: i realisti si f:inno licffi ilell' ideale, b ne» reggono
the la natura. L'Estetica è stata il te;ilro di una lotta
perenne tra questo due scuole. Se sì cotii^iderano i pochi
passi Aristotelici risguardanti la iraitazidne, farà t-erto
meraviglia di vedere la quistinne posta e delitiiitjila con
nna precisione rimarchevole. In primo luugo vi apparisce
chiara la necessità della imitazione della natura studiala
neirinsietue delle sue forme {'). Certo die la m.tssiraa
parte d<!llc aiti beile non snrtiùljtì possÌl)Ìle, se mi esso
mancassero i tipi corrispondemi da imitare. Nella pittu-
ra la prima imitazione è quella clic forma la educazione
della mano, V altra è la riproinzione di sceno nelle
quali 1' uomo e gli animali e il paciaggio compariscono dì-
versaineute aggruppati, ma obbedendo sempre all' lyrdine
che la natura avrebbe tenuto se avesse fatto lei nn (ale ag-
gruppamento. Supponiamo che il cavallo nou esistesse, non
potrebbe 1' arte riprodurlo. Pulrebbe l'arte creare un ani-
male fantastico, coirje 1' l|)pogrifo. ma le membra staccate
di questo animale sono date in natura; e se ale e zampe e
(asta grifjigna non fossero stale mai, l' Ippngrifo non avreb-
besi potuto comporre. E lascio stare che una tale riprodu-
zione fantastica sLl sugli estrerai limiti dell'arte. Ma ad
i^i modo l'ordine della natura imitato è condizione
necessaria e inevitabile all' arte bella.
Nessun pittore di battaglie, qualunque sìa il modo di ag-
(*) Post. VI. 7, seg.
- Po«t.L2.
— 178 -
gruppamento tónnto da esso dei soldati e cavalli e cannoni,
si sottrarrà mai alla necessità di porre le masse dei soldati
che salgono nna collina curvate in avanti, e i morti distesi
a terra, e le i'accie volte al nemico neir assalto, e volte le
spalle nella fuga. Nessuna battaglia sarà mai successa nel
modo ideale combinato dall'artista, ma questa stessa bal^
taglia noo potrà sottrarsi alle condizioai delle battaglie
r&iU imitate nel loro ordine dato dalla natura. Questo
pensiero col quale si attribuisce alcun che 3Ì[' vlealCf e la
massima parte alla imitazione dfil reale, sembra essere
espresso esattamente da Aristotile a proposito della poe-
sia. « Tutto ciò che abbiamo delto dimostra, che ufficio
del poeta è di raccontare non tutto ciò che è avvenuto, ma '
ciò che sarebbe stato possibile ad accadere secondo la vero-
simiglianza la necessità». (') E qui mi piace di fare
osservare che Aristotile non parla neppur d'ideale, parola
di cui mi son servito per deferire al linguaggio estetico
nostro, ma solamente di possibile.
Tutlociò mostra che quando dicesi con Aristotile o cui
realisti moderni, che l'imitazione è il fondamento dell' arte,
non s' intende di ridurre il genio artistico alla sterilità o
all' ufficio manuale di copista, uè si conclude che la foto-
grafia sia il ralmo dell'arte. Ma il genio artistico trova
nell'imitazione i soccorsi necessari al suo proprio lavoro e
la guida e la bussola senza di cui si smarrirebbe nell'im-
mensità della fantasia. Aristotile stesso ritiene che la natura
si può migliorare, come esso indica che facea Polignoto.
Ma la natura non può essere migUorata, che imparando da
lei medesima, cioè studiando a minuto e. imitando le grada- "
zioni di bello che essa ci presenta nei suoi tipi. Salendo
questa scala naturala del bello il genio artistico pun arri-
(*) ?="-
9 àvayxBÌBy, Foet. IX. 1.
- 179 -
vare ad imparare il segreto del bello, e i» lai condizione
potrà imitare non più gli oggetti naturali, me Varto della
natura. Questo tirocinio peraltro non può farsi t-he sui
modelli della natura. I Greci coniprendeTniio facilmente il
concetto imitativo Aristotelico, ed essi furono grcindissimi '
artisti, disegnatori lyefl/i, come vogliono frli estetici Idea-
listi, perchè aveano dinanzi agli occhi i più bei tipi reali.
La Venere, copiata sulle cintjiiu modelle, se è una favola,
esprime tuttavia l'abitudine artistica greca, abitudine J
invero che era resa facile agli artisti dalla ginnastiiM, che j
perfezionava i contorni delle iiienibra.. e dalla tollerauza 1
del gusto e del costume greco, che poneva in mostra libo- \
Talmente ogni giorno i più bei nudi agli occhi dì tutti.
I concetti Aristotelici furono da discepoli e da avver-
sai] denaturati a segno, da mostrarcelo come il capo-
scuola della pedanteria, tìuello che andrenjo aggiungendo
mostrerà quanto sia falsa questa accusa: esso appella di J
continuo alla natura come maostr.t, abitudine scomisciuta 1
ai pedanti.
Si è fatto gran rumore attorno alle tre unità, che
attribuivano ad Aristotile, come leirgi invariabili pir ei
nella composizione della Tragedia. Nulla di piii strano di j
cotale importanza data a questi fantasmi di leggi, che
Aristotile appena accennava Cime una pratica dai medesimi <
tragici greci curata pochissimo. Queste leggi, invece di 1
prescriverle imperiosamente, non le ha conosciute affatto i
come leggi. Nessuna allusione all' unità di luogo, che i!
teatro greco non ha mai osservato, e di cui non sembra ]
siasi molto preoccupato. {')
Per ciò che concerne 1' unità di tempo, ecco il passo ]
Aristotelico, al quale si è attribuito valore di legge: « La
(') Bftrthelemy Saint-Ili taire, l'rcl. a li
P.IVII.
TraJ, de la l'oeU
— 180 —
tragedia si sforzerà, quanto ò possibile, di racchiudersi
in una sola rivoluzione di sole o poco più. L' epopea al con-
trario non ha limite di tcTopo; sebbene da prima si tenea
per la tragedia lo stesso modo che per l'epopea». (') in
questo passo si constata unicamente, che la tragedia greca
dopo essersi prosa una gran libertà nei limiti del tempo per
la sua favola, si restrinse poscia ad un tempo determinato.
Anzi a questo proposito si può forse applicare al tempo favo-
loso della tragedia quello che Aristotile dice altrove, cioè che
« per dare una detìnizione assoluta, bisogna dire che la vera
misura d" una tragedia è quella In cui, dietro la successione
verosimile o necessaria degli eventi, i personaggi hanno
tutto il tempo convenevole di passare dalla felicità alla
infelicità, o viceversa » Cj.
L'unità di soggetto è anch'essa da Aristotile indicata
nella maniera piii larga e meno pedantesca, lacendosene
una necessilà inerente a tutte le composizioni artistiche, e
collegandola colla natura di una azione completa, cioè né
esuberante nò difettosa. Ecco le sue parole: « Se duaque
in tutte le altre arti imitative l'unità della imitazione risul-
ta dall' unità del soggetto, bisogna egualmente che nella
tragedia la favola,, che imita l'azione, non imiti che una
azione unica e completa, e che le parti del dramma sieno
disposte di tal maniera, da non potersene spostare né
tagliar fuori una sola senza scomporre l' intiero; perchè ciò
che può indiiferentemente figurare o non figurare nell' o-
pera, senza portarvi alcuna luce, non dee far parte
dell'insieme » (^).
Della ragionevolezza e naturalezza di questo principio
non v' è alcun romantico, che possa mostrarsi restìo a
« Poet. V. 8.
{*) Poet. VII. 12.
(') Poet. VUI. 4.
perstiailerai, come non v'è alcun classico, che si possa
credere autorizzato a trarne conseguenze esagerate e pe-
dautesche.
Un errore somigliante a quello che faceva attribuire ad
Aristotile le Ire unità, gli prestava anche una pretesa
necessità di scopo morale nell'arte. «La tragedia, dice
Aristotile, debba arrivare, eccitando in noi la pietà e il
terrore, a purificare questi due sentimenti > ( '). Da questo
passo si concluse alla purificazione dei costumi come scopo
imposto da Aristotile alla tragedia. Certo questo concetto
sarebbe in urto coi pronunziati della Estetica moderna,
che ben ragionoTolmente non vuole per l'arte altro scopo
che 1' arte stessa. Uno scopo moi-ale o politico distrug-
ge r arte. SÌ .-wrebbe tante specie di arce quanti potes-
sero essere i fini secondar) presi di mira; ed invece l'arte
non ha che una specie, quella cioè che prende a riprodurre
il bello.
È probabile che la morale guadagnerà per opera della
vera arte, parche il vizio artisticamente, cioè in tutta la
sua bruttezza riprodotto, è capace di svegliare un' avver-
sione altamente morale, egualmente che la virtù è capace
di attrarre le simpatie. Lo vediamo giornalmente nei
teatri nostri, ove, sebbene l'illusione sia alquanto inde-
bolita dal grande uso di essi, pur tuttavia il popolo e le
donne sovente si trasportano contro a questo o quel tiran-
no, tristo marito, o amante sleale, e a' inteneriscono alle
lacrime delle mogli e delle amanti tradite e di figli fatti
orfani dal delitto.
In ogni modo il Bello è per natura sua altamente mora-
lizzatore: il sentire e gustare il Bello è segnale di felice
diaposizione a gustare© pregiare U Buono, Ma indipenden-
temente da ciò, non ò certo ad Aristotile che deve attri-
buirsi l'intrusione dello scopo morale nell'afte.
(') PMt. VI. 2.
— 182 —
sovracìtalo trova la sua spiegazione Ìii un altro, già ripor-
tato da noi a proposito dell'imitazione, ove dicesi che un
cadavere imitato diventa piacevole a vedersi, benché faccia
ribrezzo un cadavere vero. La pietà e il terrore che sve-
glia una madre uccisa dal proprio figlio nella Tragedia,
non è quella stessa che si proverebbe assistendo a un vero
misfatto: Li pietà a il terrore in quel caso sono purifi-
cati, e non vanno scevri di piacere. In questo e non in
altro consiste la puritìcazione degli affetti indicata da
Aristotile.
Un secondo passo sul quale si è tentato da alcuni
di appciggiare la teoria della necessità di costumi mo-
rali nella tragedia è sul principio del Gap.- XV. Ma
quel passo suona ben altro, « Ne' costumi la prima cosa
a cui bisogna guardare, è eh' e' sieno dee/ni. Il costume
sarà der/no quando le parole o le azioni manifestino una
risoluzione che sia degna », La parola xp^^^o; che qui
traduco degno, è stata la pieira dello scandalo, essendosi
dati alcuni a interpetrarla per buono. Interpetrazione equi-
voca, perchè quella parola può avere molti significati, per
esempio quello di — servibile, utile, idoneo, felice nell'arte
sua, buono nella sua specie, e cosi buono in senso di scel-
tezza — ma è molio più raro il significato di onesto, di
intono in senso morale, per indicare il quale i Greci adope-
ravano xa>oi e ctyxBoi. Non v'è dunque ragione di adottare
invece del significato genuino e comune quello più raro,
che a detta di molti critici, renderebbe privo di buon senso
quel passo.
Non posso qui trattenermi sulla analisi del contenuto
generale della Poetica Aristotelica, né formare un quadro
delle dottrine, che per la prima volta la filosofia appli-
cava all' arte , dottrine che conservarono tanto valore
dipoi, da non essere piiì smentite dalla scienza. Solo mi
preme di osservare, in ordine al metodo di Aristotile nella
Poetica, come esso tracciasse i suoi concetti, non si dipar-
— 183 —
tóndo mai dai migliori modelli greci, e il più delle volte
chiamando a maestra la natura. Per mostrare l'importanza
data ai modelli greci, basta portare l'attenzione sulla teorica
del Riconoscimento ('), che Aristotile tratteggia largamen-
te, e che nessuno ha poi ridotto a legge, benché tenga
nella Poetica maggior posto, che le leggi che vi si vollero
trovare. Essa è un abìtndine d'intreccio nei tragici greci,
il quale Aristotile copiava e delineava dietro i lom esempi,
come del i-esto adoperava in tutta l'analisi della tragedia,
appallandosi spesso ai tragici (*).
Aristotile, lungi da! farsi maestro, sulle parole del
quale si abbia a giurare, lungi'dall'imraobilizzarsi in quella
apoteosi che di lui fecero poi gli scolastici, dichiara che la
vera e sola maestra dei precetti del bello, come di tutte le
leggi, è la natura, e che alla scuola dì lei vuoisi progre-
dire nell' apprendere. Le regole della tragedia da esso
Indicate non sono le sole ed invariabili, ma esso medesimo
le dichiara capaci di mighoramento.
« Quanto al sapere se la tragedia abbia preso tutte
le forme poetiche di cui è capace, tanto in sé stessa,
che rispetto alle condizioni del teatro, è un' altra qui-
stione (*) ».
Questo passo mostra come Aristotile intravvedesse le
U'asformazioni della tragedia, e forse ne trattò in alcuno
scritto perduto. Esso mostra anche come di (atto ella si
fosse andata perfezionando sino a prendere la sua forma
naturale, che per altro, come dal passo precedente appa-
, risce, non era la perfettissima né l' ultima.
« Da principio la tragedia fu tutta improvvisazione,
I egualmente che lacommedia; perchè l'una rimonta ai primi
cantori di ditirambi, e l'altra ai primi cantori di quegl'inni
(■) Poet. XI. XIV. e XVI.
(•) V. Poet. VI. 7 « puBim
(') Poet. IV. U.
— 184 -
fallici, che la legge autorizza anch'oggi in più d'una città.
Grado a grado essa sì sviluppò a misura che si scòrsero ì
miglioramenti the vi si potevano introdurre; e dopo molte
trasformazioni, si fermò quand'ebbe raggiunto la sua forma
naturale .... Fu assai tardi che la tragedia, abbando-
nando i soggetti troppo corti e lo stile burlesco proprio del
genere satirico da cui ella proveniva, prese tutta la sua
grandezza e la sua pompa, e il verso doveutò giambico in
luogo di tetrametro: infatti da prima erasi fatto uso
del tetrametro, perchè la poesia era allora destinata
ad accompagnare la danza dei satiri. Ma quando fu
adottato il dialogo , la natura forni ben presto di per
sé stessa il metro più conveniente: perchè il giambo è il
metro che sta meglio al dialogo; e la prova è che si fanno
più giambi che altra sorta di versi nella conversazione,
l>ochissimi esametri, e soltanto quando si esce dal tono
ordinario » (').
La natura a cui qui si attribuisce l'impiego del verso
giambico è sovente chiamata a dare le norme del bello e
i precetti per ottenere l'intento dell'arte. È per queato lato
che Aristotile si dichiara entusiasta d'Omero.
« Ma Omero, che per ogni riguardo è tanto superiore,
lo è anche per questo lato; esso ha perfettamente visto il
oero, ispirato dall' arie e dalia natura » (*),
L' arte e la natura, ecco i segreti argomenti per la
riproduzione del bello; la natura come modello e 1' arte
come tirocinio a bene osservarla e comprenderla.
« È mestieri identificarsi alle situazioni. 1 personaggi,
che provano una passione, sono eminentemente persuasivi,
quando coloro che gli fanno parlare hanno la stessa impres-
sione; si arriva a commuovere veracemente quando si è
(') Poet. IV. 15 e seg.
(•) Poet. Vili. 3.
- 185 —
commossi: si insulta veracemente quando si ò in col-
lera 0).
€ Gli antichi poeti prestavano ai loro personaggi dei
veri discorsi d'uomini di Stato; oggi son piuttosto decla-
mazioni di retori » (>).
« La tragedia non è solamente imitazione degli uomini;
ò anche imitazione della loro attività^ della loro vita, della
loro felicità e della loro sventura » (').
Avuto riguardo peculiarmente all'accusa di pedantismo
procurata dallo zelo degli Aristotelici ad Aristotile^ accusa
che ha intaccato la sua fama come filosofo estetico, mi per-
metterò di riportare qui come saggio alcuni pochi brani, nei
quali si contengono osservazioni e precetti del tutto alieni
dalla pedanteria, e che possono far testimonianza dello
spirito e della razionalità che predomina nel libro della
Poetica.
« Infilzare le une accanto alle altre delle sentenze mo-
rali, delle frasi , dei pensieri ben contornati, non si chiama
fare una tragedia; la vera tragedia è piuttosto quella che
difetta da questo lato, ma che ha una favola e una azione
bene intrecciata. Inoltre i più perenti argomenti della tra-
gedia per commuovere, cioè le peripezie e i riconoscimenti,
son parti della favola. Un' altra prova si è che gli autori
principianti arrivano a saper cavarsene bene dal lato dello
stile e dei costumi, prima di saper comporre una buona
azione; e questo è stato lo scoglio di quasi tutti gli antichi
poeti. La favola è dunque il principio e, quasi direi, l'ani-
ma della tragedia; in secondo luogo vengono i costumi. Un
fenomeno analogo succede nella pittura. Un pittore che
distendesse in disordine i più bei colori sopra una tela, non
(«) Poet. XVII. 3.
(•) Poet. VI. 23.
O l'oet. VI. 12.
13
— 186 —
ci farebbe tanto piacere quanto col solo tracciare una figura
col gesso. ...»(*).
« Nella tragedia ci si attiene di preferenza ai nomi
conosciuti e già fatti. La ragione di ciò è, che il possibile è
sempre credibile; perchè quando le cose non sono accadute,
non siamo punto sicuri che le sieno possibili, ma una volta
accadute, son possibili evidentemente, perchè non sareb-
bero accadute se erano impossibili. Si può tuttavia permet-
tersi, come vedesi in alcune tragedie, di non avere che uno
due nomi conosciuti, e inventare tutti gli altri, la alcune
poi non vi è. pur un nome che non sia inventato, come nel
Fiore di Agatone, dove tutto è finzione, il fatto come i
nomi, e tuttavia non reca meno piacere. Non bisogna
dunque farsi un troppo stretto dovere di attenersi unica-
mente alle favole tradizionali, che tratta d' ordinario la
tragedia. Ciò non potrebbe a meno di essere ridicolo; per-
chè i nomi anche i più conosciuti, non lo sono che da piccol
numero di persone, benché tutti prendano piacere alla rap-
presentazione » (^).
« 11 terrore e la pietà possono provenire dallo spettacolo
che si pone sotto gli occhi degli spettatori; ma si può far
generare questi sentimenti dall' intreccio del dramma, il
che è molto miglior partito, ed indica un poeta più abile.
La favola debbo essere combinata in tal maniera, che basti
udire le cose, anche senza vederle, per rabbrividire e inte-
nerirsi al racconto .... cercare di produrre questo effetto
col porre le cose direttamente sotto gli occhi è molto meno
degno deirarte, e non necessita che le spese della rappre-
sentazione. Quanto a coloro che hanno in mira di produrre
con quello che fanno vedere sulla scena^ non già il terrore,
ma uno spavento mostruoso, non capiscono nulla della tra-
(•) Poet. VI. 16. e seg.
O Poet. IX. 6. e seg.
— 187 —
gedia; alla quale non bisogna domandare ogni sorta di
piaceri, ma quei soli che le sou proprj » (*).
« Lo scioglimento in tutti i drammi deve uscire dal
fondo stesso del dramma; e non deve venire da una mac-
china .... Non si può adoperare la macchina altro che
per gli avvenimenti che, essendo fuori del dramma o anteriori
all'azione, sfuggono alia conoscenza dell'uomo, o per gli
avvenimenti susseguenti che hanno mestieri di essere pro-
fetizzati. Ma nell'azione stessa, non bisogna lasciare entrar
nulla che urti la ragione ....>(*).
(•) Poet. XIV. 2. e seg.
(•) Poct. XV. 11. e seg.
- 188 -
II
lia Retorica.
Se nella Poetica e nella filosofia deir arte Aristotile fu
creatore, nella Retorica fu restauratore. La prima non
aveva alcun precedente scientifico: i soli tratti Platonici che
ad essa si riferiscono, sono piuttosto osservazioni o concetti
di parlatore colto gettati là in una conversazione elegante e
fina, che non pensieri di filosofo. Spesso si odono in bocca
di Socrate delle frasi spiritose intorno a' poeti in generale
in particolare ad Omero, ma che non rivelano un pensa-
re giusto né scientifico. E quando Platone si adopera a
farsi un concetto da questo lato, dà in molte stranezze e fi-
nisce col distruggere la poesia e le arti del bello in luogo
di trovar la legge della loro formazione. Questo gli accade
appunto nei libri della Repubblica, ove stimatizzando tutta
Tarte poetica del passato si propone di farla servire all'e-
ducazione de' suoi cittadini, incaricandola di tramandare
miti nuovi e fatti ad arte in servizio della politica, e dichia-
rando dannosa ogni altra maniera di poetare.
L' arte retorica aveva innanzi Aristotile trovato cultori
pratici in gran numero e alcuni legislatori, ma l'opera di
questi era troppo meschina e ridotta a condizione di studio
sullo stile e sugli artifizi diretti a guadagnare a tutti i costi
l'assenso, invece che alla considerazione delle leggi fonda-
mentali dell'eloquenza. Nulla perciò di meno scientifico,
che questi tentativi di speculazione sull'arte retorica fatti
avanti Aristotile.
La maggior parte dei critici si accordano a ritenere che
la Retorica nascesse in Sicilia. Empedocle d'Agrigento
détte il primo alcuni precetti: poi Corace Siracusano compo-
se un trattato di qualche importanza. Tisia suo discepolo lo
portò seco in Grecia. Ma colui che ve lo acclimatò fu Gor-
- 180 —
già Leoulino. Mandato a domandar soccorso agli Ateniesi,
parlò nell'assemblea del popolo, e dilett(3 siffattamente col-
la splendida nuovità del suo linguaggio, che gli Ateniesi
lo pregarono di restare tra loro, e di prendere ad istruire i
loro figli (*).
Ben presto la eloquenza fu cominciata a coltivare con
gran frutto in Grecia, ma'non resta dal lato teorico alcu-
no de' numerosi trattati che dovettero esser composti in-
nanzi la Retorica di Aristotile . Sarebbe un prezioso mo-
numento l'opera nella quale Aristotile avea raccolto tutti i
risaltati de' lavori precedenti. Cicerone riteneva quel libro
come un modello di tal genere di compilazione. «Aristotile,
dice esso, raccolse tutti gli antichi retori da Tisia primo
inventore di quell' arte, e aggruppò sotto il loro nome,
ooUa più gran cura, tutti i precetti, che essi aveano dati .
Gii spiegò e gli svolse con chiarezza, e sorpassò tanto
gFìnventori stessi per la piacevolezza e la precisione dei
suo stiie, che nissuno conosce più i loro precetti dietro let-
tura de' loro libri; ma a»loro, che vogliono imparare ie le-
zioni di questi retori si rivolgono al filosofo, come ad un in-
terpetre molto più chiaro (>) ».
Ci rimangono degli antichi retori alcuni frammenti rac-
colti da Spengel, e che possono darci una qualche idea dei
loro trattati originali. Il resto è andato perduto, come il
lavoro compilato da Aristotile su quelli .
L'epoca della pubblicazione della Retorica di Aristotile
ò stata indicata specialmente da M. Max Schmidt (')• Esso
argomenta che debba considerarsi come pubblicata un paio
d'anni dopo il ritorno di Aristotile ad Atene e la fonda-
zione della scuola nel Liceo. Ciò accadde, secondo la testi-
(') Speng«l. Ariium serìptores. Stuttgard. 1826.
(•) Qio. De invent. IL 2.
(*) Gommentat. do temp. quo ab Arili. Rothor. co^3pript. et
edit, sii. Halissaxonum 1837.
— 190 —
monianza di Apollodoro, nella 01. 111. 2.® (335 a C. ), e
d'altra parte tutto porta a credere che questo libro fosse
pubblicato ad Atene .
Oltre a certe mancanze che Aristotile rimprovera al-
l'arte retorica precedente, come il non si occupare della
pronunzia e dell'azione (*), e di non tener proposito che
quasi esclusivamente del genere giudiziario (*); il vizio ra-
dicale di tutti i precedenti trattati, e che mosse Aristotile
ad instaurare quello studio, è la trascuranza del vero fondo
dell'arte di persuadere, per attaccarsi invece all' artifizio;
dimodoché la retorica ne doventasse debole, vana, ed an-
che immorale. Platone avea tentato di correggere in parte
i vizi della Relorica, ma il suo pensiero non è ben determi-
nato, oscillando tra l'annullamento della Retorica, come nel
Gorgia^ e la riforma di essa, come nel Fedro. Ed in questo
secondo caso le sue dottrine si scostano troppo dalla comu-
ne abitudine degli oratori per gettarsi nelle regioni più
elevate del pensiero, si tengono in una generalità poco
profittevole, e non rispondono all'esigenze minute di una
educazione letteraria . Aristotile vide che Gorgia, sebbene
infiammasse il popolo Ateniese, non dovette ottenere que-
sto efifetto, né cosi pieno, né cosi durevole, né coi mezzi
stessi di Pericle; e ciò a' suoi occhi separava l'oratore dal
retore, l'arte fondata sul vero, sulla prova, sulla convin-
zione, suli' affetto sincero, dall'artifizio appoggiato sur un
lavoro effimero e superficiale di cadenze studiate, di meta-
fore pompose, di frasi eleganti, di suoni e di gesti piacevoli
all' orecchio ed all'occhio ma sprovvisti di forza attinta
alla sorgente del vero .
Il vero, ecco il principio inspiratore della riforma ope-
rata da Aristotile nella Retorica; il vero come tesi da pa-
trocinare, il vero come analisi delle vere condizioni in
(') Rhet. III. 1. 5.
O Bhet. III. 13.
— 191 —
mezzo a cui sì dovea ottenere l'effetto persuasivo, il vero
come affetto sincero che infiammasse Foratore .
Anche qui ci apparisce il metodo Aristotelico fondato
sulla natura che getta da se gli artifizi illusori, per tenersi
al prodotto della scienza e dell' affetto .
A considerare l'introduzione della Retorica di Arislotile,
si scorge che esso è nauseato dell'abuso, che di essa fa-
ceano i Sofisti; quasi gli dispiace di dover trattare di que-
sta arte. Vi si rassegna come per necessità; ma quale esso
la trova in voga gli sembra un giuoco puerile ed anche
nocivo alla repubblica. Ed è per questo che esso si accinge
con ogni sua possa a ritemprarne la fibra, a consolidarla
col vero, a purgarla di ogni artifizio ciarlatenesco, a mo-
ralizzarla .
€ Quelli che al presente accozzano i precetti circa le
arti del dire, non hanno posto mano che ad una meschina
parte di esse. 11 produrre la persuasione è il vero scopo di
quelle arti, il resto è un accessorio; e costoro non fanno
parola degli entimemi, nei quali davvero sta il nerbo della
persuasione, e invece fanno gran caso di moltissime cose,
che sono un fuor d'opera. Infatti l'invettiva e la pietà e
l'ira, e altre simili perturbazioni d'animo, non concernono
la materia trattata, ma investono il giudice. Tantoché se in
tatti i giudizi si adoperasse alla maniera che si tiene in
alcune città, e particolarmente in quelle regolate da buone
leggi, costoro non avrebbero campo di dir nulla. Perchè là
tutti ritengono che le leggi /anno bene a provvedere; e
nella pratica impediscono che nel parlare si esca dalla
causa; nell'areopago stesso si tiene questa proibizione, e
ootal legge è buona. Non è infatti conveniente che si
distragga il giudice, col risvegliare in esso Tira e l'invidia
la pietà; sarebbe lo stesso che alcuno, mentre sta per
adoperare una misura, la storcesse (*) » .
(*) Bhet. I. 1. 3. seg. Vedi anche Ibid. 10 seg.
~ 192 —
La primaria necessità per le arti del dire secondo Ari-
stotile, è riposta nella loro indissolubile attinenza col vero.
È perciò che tutto il lavoro suo mira a combinare la Reto-
rica colla Dialettica. Esso non sa comprendere come un arte
che ponesse i suoi metodi in servizio del falso, possa otte-
ner favore e cultori: esso che tanto amava il vero, da farsi
per quello quasi ingrato a Platone suo maestro, dovea
sentire un profondo orrore per Varie del falso. Ciò appa-
risce dal disprezzo che mostra per lo studio del portamento
de' gestire della voce, come finezze ordinate a blandire
l'occhio e l'orecchio, ma del tutto estranee alla verità o alla
falsità delle cose dette. « Tre cose studiano i retorici sul
portamento della, voce, la forza, l'armonia e il ritmo. Delle
quali chi ben sa servirsi suole guadagnare il premio nei
certami; e come oggi valgono meglio che i poeti gl'istrioni,
lo stesso accade anche nelle controversie civili a gran de-
trimento delle repubbliche (*) ».
La più gran forza della vera Retorica debbo scaturire
dall'uso delle prove, cioè dall' uso della Dialettica; e un
trattato di quell'arte debbo perciò richiamarsi dalla censi*
derazione sofistica delle parti di un discorso alla vera ricerca
dell'arte di persuadere .
«È manifesto che il metodo dell'arte vera si occupa della
persuasione; e la persuasione è una specie di dimostrazione
(perchè allora massimamente prestasi fede quando^ credia-
mo dimostrata una cosa ); or la dimostrazione retorica è
l'entimema, potentissimo a produrre la persuasione, essendo
esso un sillogismo. Alla Dialettica spetta l' analisi di tutto
ciò che concerne il sillogismo (*) ».
Come nella Logica (Analitica) Aristotile ha fatto delle
(*) xai xa^CTTrip ixe? fAti^ov ^uvavrai vuv t&)V TroiiQTfijv oì un'oxjDirat
xal xarà roù; 7roXiTixoù( àyuvac $i% Tyjv po;^5y}pZav tqì>v TroÀiTiióav.—
Rhet. III. 1. 4.
O Bhet. 1. 1. 11. Ibid. L 2. 7.
^ 193 —
ricerche intorno all' argomentazione scientifica, e nella
Dialettica (Topici) circa rargomenlazione probabile, cosi
nella Retorica esso studia altri aiuti dell' argomentatore,
non in servigio dell' argomentare scientifico , ma del-
l'argomentare probabile, che è comune uso della mag-
gior parte degli uomini. I sofisti e i retori del tempo
suo staccavano completamente l'arte del dire dall'arte
di pensare e di argomentare, riducendo la prima a nulla
più che un metodo di buona dicitura. Invece Aristotile di-
chiara, che il vero e il simile al vero spettano alla medesi-
ma facoltà (*), e perciò la Dialettica è una succursale della
Logica, e la Retorica è una corrispondenza della Dialet-
tica O .
La Retorica e la Dialettica hanno entrambi natura di
scienza comune preparatoria, non avendo un soggetto spe-
ciale, ma applicandosi generalmente a tutte le forme del
pensiero. E tutti si accingono talvolta a fare delle ricerche,
a sostenere alcuna tesi, o a difendere ed accusare. Al-
cuni lo fanno spontaneamente, senz'arte, altri con metodo
e consuetudine, e cosi si può per essi tracciare una uianiera
razionale di farlo (') .
Fra la Dialettica e la Retorica corrono molte ditferenze,
fra le quali si possono particolarmente annoverare quelle che
si riferiscono alla condotta dell'argomentazione Alla Dia-
lettica si appartiene di fissare le basi dei sillogismi e degli
entimemi, e la loro materia, e la differenza che è fra que-
sti e i sillogismi logici (*).
La Retorica ammaestra ad argomentare sulla stessa via
della Dialettica, ma tenendo conto più particolarmente delle
condizioni di un discorso la pubblico, e servendosi a questo
(•) Rhet. I. 1. 11.
(') i pmroptìii to-Tiv àiridxpofOi xri (rta>cxTixn — Bei. I. 1. 1,
Tnv pDTopixiòv otov Trapse^vf'c ti tn? ^t3t>.ej{Tiy.n;. — Bet I. 3* 7.
(') Rhet. I. 1. 2.
C) Bbét. 1. 11.
— 194 —
effetto delle opinioni plausibili, che piìi sono alla portata
dell'udi torio, o professate da personaggi per esso autore-
voli, e in generale avendo in mira'^di adattare la scelta
delle opinioni, poste in campo per formulare una argomen-
tazione, alle tendenze universali degli uomini e a quelle in
particolare degli uditori, e aggrupparle in guisa da trarne
il maggior frutto per la provaMel%ero (*).
Da entrambi si diflPerenzia la Sofistica. Perchè la Dialet-
tica è caratterizzata dalla facoltà dell'argomentazione; la
Retorica si giova della facoltà della scienza, e vi aggiunge
un maneggio^dovuto all'intenzione; la Sofistica sta tutta
nel maneggio d'intenzione (*).
La Retorica ridotta in tal guisa alla facoltà di scuoprire
in ciascuna cosa ciò che vi può essere di acconcio a pro-
durre la persuasione ('), e fondata sulla Dialettica e sugli
elementi del vero, diventa un'arte morale ed utile alla
repubblica.
« Appresso certuni, anche ad avere una scienza super-
lativa,- non è agevole con essa sola produrre la persuasione.
È natura dell'insegnamento'di mirare a un discorso scien-
tifico, ma questo riesce impossibile, se prima non si parta
da ragioni comuni per provare e argomentare, come fu già
detto ne' Topici del modo di conversare colla moltitudine. —
D'altra parie è bene conoscere il modo di inculcare l'una e
l'altra delle tesi opposte, come anche nei sillogismi, non già
per farlo (che non bisogna patrocinare il falso ) ma per co-
noscere l'artifizio, e se taluno adopera con noi di tali argo-
menti a torto, ci sia possibile distrigargli .... Sarebbe as-
surdo che si considerasse come indegno il non sapersi aita-
(•) Rhet. II.*19-20.21 passim.
pYìTtap, ^ia^fxT(xo( ^c où xarà ryjv npooLÌpsoiv àX^k xarà Tnv ^ùvapLiv.
Rei. I. 1. U.
(»J Ehet. I. 2. 1.
_ 195 —
re del suo corpo, e non fosse invece indegno di non saperlo
fare colle ragioni, le quali sono più uso umano che non
quello della forza. Si può opporre che può essere di grave
danno, se alcuno adoperi in male questa facoltà di ragiona-
re, ma questo è comune a tutte le cose buone, eccetto la
virtù, e più di tutto alle cose le più utili, come la forza, la
salute, la ricchezza e la tatticvi guerresca. Di simili cose
verrà gran profitto se sieno adoperate in bene, e gran dan-
no, se in male C) » .
Il paragone tra la Retorica e la Dialettica è da Ari-
stotile applicato alle speciali maniere di argomentazione
che Tuna e r altra adopera più spesso. «Nella Dirnlettica
si ha r induzione, e il sillogismo vero o falso: lo stesso
avviene nella Retorica. Poiché l'esempio è un'induzione, e
Tentimema un sillogismo. E chiamo così l'entimema, sillo-
gismo oratorio; l'esempio, induzione oratoria. Ogni volta
che si produce la persuasione, si ottiene ciò con dimostra-
zioni cavate da esempi o con entimemi^ e quasi nuU'al-
troO >•
La Tessitura generale del libro della Retorica fa vede-
re nella pratica la cura assidua di Aristotile di tenersi ai
principj esposti sin qui, e particolarmente alla riconosciuta
necessità di avvezzare a ben pensare le cose, chi voglia
diventare un buono oratore; il ben dirle verrà in seguito a
questo, e in secondo luogo. La massima parte del libro è
trattazione psicologica, politica , morale, economica, è una
rassegna di quasi tutta l'attività umana; una minima por-
zione di esso è consacrata all'arte del dire .
Le condizioni in mezzo alle quali si forma la persuasio-
ne tengono a due classi primarie di concetti, l'una delle
quali è costituita dalla materia trattata e dalle sue specie,
l'altra dalla posizione del parlatore e del giudice. Vi è una
(*) Rhet. I. 1. 12 e segg.
Rhet. I. 2. 8.
— 196 —
necessità inerente alla trattazione delle cose, ed un'altra
agli individui che debbono fare o ascoltare quella tratta-
zione.
A tre forme della materia trattata corrispondono tre
sorte di discorsi retorici, e si ha cosi il genere Deliberati-
vo, il Dimostrativo e il Giudiciale (*).
La materia appartenente al genere deliberativo è tutta
quanta caratterizzata dalla possibilità che la cosa in qui-
stione possa essere fatta o non fatta (2), e può dividersi in
cinque capi, attorno ai quali si aggirano quotidianamente
le deliberazioni: del bilancio dello Stato, della pace, della
guerra, della difesa del. paese, del comriiercio e della legi-
slazione. (^) Io riporterò qui un brano, dal quale apparisce,
come p^ Aristotile, la primaria qualità per un oratore
uomo di Stato, sia la profonda cognizione della scienza
politica . « Or chi prenderà a deliberare intorno alle
rendite, fa d' uopo che conosca i proventi della città ;
quali e quanti sieno, per potere, se ne manchi alcuno,
aggiungerlo; e se alcuno sia basso, aumentarlo. Inoltre
conosca tutte le spese della ci ttà^ perchè se ve ne sia
di superflue, siano tolte, e se di troppo forti sieno dimi-
nuite. Poiché non pur coli' aumentare l'entrata si arric-
chisce, ma ben anche col detrarre dall' uscita. Il che non
basta saperlo per privata esperienza, ma è necessario
aver cognizione isterica degli spedienti adoperati dagli
altri per poter deliberare su tali cose. — Per la pace e la
guerra bisogna conoscere la forza della città; quanta sia in
piede, e quanta se ne possa approntare, e di che natura sia
la forza presente e quella da aggiungersi. E di più quante
guerre abbia fatto e con che esito. Bisogna saper questo
non pur della propria città^ ma anche delle confinanti. Od
C) Rhet. I. 3, 3.
(*) Rhet. I. 4. 4.
(») Rhet. I 4. 7.
— 197 —
ancora con che sorta di nemico s'abbia a combattere, per
potere* far la pace coi più forti, e coi da meno lasciare
ad essi la scelta di entrare in guerra o no. E le forze,
se sieno uguali o disuguali, perchè anche in questo non è
indifferente essere superiori o inferiori. A questo effetto è
necessario avere studiato non pur le proprie, ma le guerre
altrui ed il loro esito; in casi simili possono aversi avveni-
menti simili. — Per la guardia del paese, bisogna non
ignorare la maniera di guardarlo, e il numero dei soldati
e la forma e le località adatte per le piazze forti ( e questo
non si pud, se non si ha cognizione del paese ), per aumen-
tare la guardia ove sia debole, e alleggerirla ove sia su-
perflua, e concentrarla nei luogi più adatti . — Oltre a ciò
intorno airapprovvigionamento, quanta spesa basti ad ali-
mentare la città, e che cosa produca ossa, e che cosa sia
d'importazione, e di quali cose possa farsi esportazione ed
importazione, per potere a proposito concludere patti e con-
venzioni; è necessario proteggere i buoni cittadini tanto
contro i più potenti, che contro i monopolisti. — Per la
sicurezza poi è mestieri potere aver cognizione di tutte in-
sieme queste cose; e non è cosa da poco l'intendersi di le-
gislazione, che nelle leggi sta la salvezza della città. E
però bisogna sapere quante sono le forme di governo^ e
quali a ciascuna città sieno profittevoli, e da quali elementi
sieno guaste, si propri, che eslranei. . . . Laonde è mani-
festo essere alla legislazione di giovamento i viaggi ( dove
s'imparano a conoscere le leggi dei popoli ), e alle delibe-
razioni politiche le isforie di coloro che descrivono gli avve-
nimenti: le quali cose tutte spetta alla Politica e non alla
Retorica V insegnarle. Ma sono queste alle quaU più di
tutto deve attendere chi si accinge a deliberare » (').
Questo quadro delle cognizioni necessarie a possedersi
dall'uomo di Stato, mostra l'indole sincera e nuova che
(') Rhat. I. 4. 8. segg.
- 198 —
Aristotile attribuiva alla Retorica, corredandola di un sus-
sidio di solida scienza attinta alla Politica^ o come vedrem
dopo, alla Psicologia o ad altre fonti .
Prendendo la cosa più da alto, si può in fondo ad ogni
deliberazione rintracciare un elemento comune a tutte, e
che serve a dirigerle. La felicità è la base di ogni delibe-
razione; ad essa e alle sue attinenze ed ai suoi contrari si
riferiscono tutte le persuasioni e le dissuasioni Q). Ciò che
conferisce alla felicità, cioè l'utile, è il fine di ogni delibe-
razione. Ma non è di questo che si disputa, che nessuno
contradirebbe alla ricerca dell' utile, ma dei mezzi che por-
tano a questo fine; questi sono ricercati nelle azioni (*).
Sarà dunque necessario conoscere il bene in tutte le sue
manifestazioni (^), e i segni ai quali si può ravvisare il
maggiore o minor grado dei diversi beni {*) .
Ma più di tutto conferisce allo scopo della persuasione
nel genere deliberativo la piena cognizione di tutte le co-
stituzioni politiche, non che il fine di ciascuna di esse, per-
chè nel deliberare si possa scegliere i provvedimenti che
ciascuna costituzione conducono al suo fine. « Il fine della
Democrazia è la libertà; dell' Oligarchia, la ricchezza;
dell' Aristocrazia la disciplina, della Tirannide la conr
servazione. E evidente che in ciascuna si abbiano a distin-
guere costumi, leggi, ed espedienti, che sieno in ordine al
suo fine (^) » .
Il genere dimostrativo ha per oggetto la lode e il bia-
simo. A questo deve dunque prepararsi l'oratore colla co-
gnizione della virtù e del vizio, del bello e del turpe, del
lodevole e del biasimevole, imparando ad applicare con giu-
stezza queste nozioni (^).
{•) Rhet. I. 5. 2.
n Rhet. I. 6. 4.
(•) Rhet. I. 6.
(*) Rhet. I. 7.
(») Rhet. I. 8.
(•) Rhet. I. 9- >. ^ '
— 199 -
Nel genere giiidiciario avendosi ad accusare e difen-
dere, e trattare le ragioni del giusto e dell'ingiusto, sarà
mestieri conoscere la vera qualificazione dell'ingiuria colle
sue attinenze, sapere caratterizzare il giusto, ed usare ac-
conciamente i dati del dibattimento. Le cagioni dell'ingiu-
ria si trovano nel desiderio di trarre a se il bene, (*) ovve-
ro nella bramosia del piacere (*). Oltre di che l'ingiuria
debbe essere studiata nella parte di chi la fa e di chi la
riceve ('). Il concetto dell'ingiustizia si dee completare
colla considerazione della natura e dei gradi del giusto, (*)
in attinenza dei qipli puossi graduare l'ingiuria {^).
Per arrivare a produrre la persuasione, la cognizione
delle cose è una necessità fondamentale; ma accanto a que-
sta debbe tenersi conto di alcune condizioni attinenti al
parlatore e al giudice. E importante nei giudizi saper di-
sporre in proprio favore il giudice, che la benevolenza fa
piegare il giudizio dalla parte ove piega l'affetto, testimoni
gli amanti nel giudicare le colpe delle loro belle (^). Tut-
tociò richiede per altro una cognizione profonda del cuore
umano, in modo da potere con facilità volgerne ambo le
chiavi. A questo riuscirà soltanto chi sappia come s' ecciti
altrui all'ira (^), come si ammansisca (**), qual sia il segreto
dell'amore e dell'odio (*), come si svegli il timore (**) e la
vergogna (\^), come s'ingrazionisca e si svegli la misericor-
{'] Rhet. I. 10.
n Rhet. I. 11.
(•) Rhet. I. 12.
Ci Rhet. I. 13.
(•) Rhet. I. U.
(•) Rhet. IL 4.
C) Rhet. II. 2.
(•) Rhit. TI. 3,
(•) Rhit. II. 4.
(*•) Rhet. IL 5.
(••) Rhet. IL 6.
- 200 —
dia e lo sdegno, Tinvidia e l'emulazione, (*) Tutte le età
hanno i lor propri affetti e una particolar maniera di sen-
tire, che rende difficile il maneggio del cuore a chi non
conosca per qual via si arrivi ad esso. Che diversa è la via
da tenere coi giovani, (*) e coi vecchi (^) e cogli uomini
fatti. {*) Né lo stesso tono può adottarsi con le condizioni
varie degli uomini, come coi nobili (^), e coi ricchi (*), e
coi potenti (^).
Coiranimo arricchito di siffatte cognizioni può Foratore
con piena sicurezza aggruppare una potente falange di
esempi, di sentenze, di entimemi, e scompaginare le mac-
chine deir avversario, e guadagnare la persuasione. Al
che se si aggiungerà una elocuzione peregrina, adorna di
tutte le virtù del dire, e specialmente pura (^), decorosa,
armonica elaborata e con uno stile adatto alla materia trat-
tata, reso efficace da tutte le astuzie di un abile maneg-
giatore di armi oratorie, come V interrogazione, il ridicolo
ec. avrassi un oratore perfetto (*).
Questo abbozzo delle materie trattate nella Reto-
rica di Aristotile, può facilmente apprendere al lettore la
verità di ciò che abbiamo sopra indicato circa la moralizza-
zione e la riforma dell'arte del dire, e far conoscere il me-
todo che Aristotile ha seguito nel trattarla. Tutto il libro
è dominato dalFodio del falso; e all'oratore s'inculca di pro-
curarsi scienza profonda delle cose, de' costumi, della natu-
ra umana e delle sue debolezze, e il tutto porre in servizio
(')Rhet. II. 7. 8. 9. 10. 11.
O Rhet. II. 12.
O Rhet. II. 13.
(») Rhet. II. 14.
(•) Rhet. II. 15.
(•) Rhet. II. 16.
f) Rhet. IL 17.
(') c<jtt ^ipx^ fic ^£?«c TÒ i>X>jvtCiiv. Rhet. III. 2 o segg.
O Rhet. III. 2 segg.
■SOI
del vero. Se si^dasse un'occhiata anche a molti retori
d'oggidì, sarebbe facile accorgersi, quanto sieno arretrati,
almeno in fa^to di metodo, di fronte nd Aristotile. E la
scienza che Aristotile esige dall'oratore, non si appaga di
consigliarla e dichiararla necessaria, ma quasi sempre ne
traccia un rapido lua lucido contorno. Già ne abbiamo visto
no saggio a proposito del genere deliberativo. Non posso
trattenermi dal riportare qui come snggio Psicologico, un
brano rimasto famoso come studio di costumi, ove si deli-
nea un quadro delle tre età dell'uomo e delle variazioni che
elleno portano sul suo modo di sentire, di giudicare e di
agire .
< I giovani dunque per costume son facili a concepire
delle voglie, e pronti a cavarsele. locliini strabocchevol-
mente alle cupidigie corporee si lasciano adescare ai pia-
ceri venerei, e non son buoni a frenargli. Con gran legge-
rezza mutano di voglie, e con quanto ardore s'invaghisco-
no d'una cosa, con altrettanta facilità la prendono a noia;
perchè le loro voglie sono acute, ma non durevoli, come fa
la sete e la fame negli ammalati. Sono iracondi e di subita
collera, e da quella si lascirino trasportare a' fatti. Perchè
l'ira gli vince, e per punto d'onore non sopportano d'esser
tennti a vile, ma'piglian fuoco al sospetto della menoma
ingiuria. Ambiscono d'esser tenuti in gran contfl, ma più
ancora di riuscire; perchè la gioventù ama di sopraffare
gli altri, e a questo la porta il riuscire in qualunque modo.
L'onore e la^'riuscita sono entrambi preferiti da loro alla
ricchezza;\i 'danari non^gli tirano gran fatto, percliè non
hanno'per anche provato ad aver bisogno.
Non sono scaltriti, ma generosi e semplici per non aver
ancora visto molta raalvagiià, si fidano di leggieri, per
non essere stati ancora messi in mezzo troppo di frequente.
Cosi abhandonansi facile alla speranza; che Ì giovani sono
per loro natura in calore, come sono gli avvinazzati; e poi
non hanno avuto tempo di provare molli disinganni. Anzi
— 202 —
i più vivono di speranza; che chi ha dell'avenire innanzi a se,
spera; e chi non può guardare che il passato, è ridotto alle
ricordanze. Ora i giovani hanno il più innanzi a se, e breve
è il loro passato. A quella prima età npn sanno d'aver nul-
la da ricordare, e allargansi nella speranza. E così per
la stessa ragione sono illusi e speranzosi. Però ne diven-
tano più coraggiosi, essendo pieni d'ardore e di speranza;
l'uno gli fa sprezzatori del pericolo, e l'altra fiduciosi della
vittoria; chi va in furia non ha paura di nulla, e chi spera
bene, diventa intraprendente .
Sono anche verecondi; perchè non son tratti da molto
varie apparenze di bello, ma pur da quelle che la disciplina
educativa ha loro insinuate. E pieni di grandezze e di sfarzi
perchè la vita non gli ha ancora schiacciati: anzi ignorano
le minute necessità, e la grandigia gli persuade di doversi
occupare solamente delle cose grandi. E abitudine anche
questa di gente speranzosa .
Nelle loro azioni s'attengono piuttosto all'onesto che al-
l'utile, perchè nel vivere guardano più alla creanza, che al
conto loro. Quando si guarda al conto proprio si prende in
mira l'utile, mentre il buon costume mira all'onesto.
Pregiano l'amicizia e la compagnia assai più che le
altre età, per il piacere che trovano nella comunanza di
vita, e non misurano ancora le cose alla stregua delPutile,
e cosi neppure gli amici .
Se incappano in qualche fallo, lo fanno il più delle
volte perchè trasmodano; hanno il vezzo di fare ogni
cosa troppo. Troppo amano, troppo odiano, e in ogni altra
cosa ad un modo. Si presumono di saper tutto, e lo spac-
ciano; anzi è questa la ragione che gli fa trasmodare in tutte
le altre cose.
Quando fanno ingiuria ad alcuno, la fanno per ispregio,
npn per fargli del male: sono invece compassionevoli per-
chè tengono tutti per gente per bene e più valente che non
sia; misurano gli altri dalla innocenza propria, e si persua-
dono che sia a tutti fatto del male a torto.
a
- 203 —
Amano la giocondità; perciò sono spesso faceti: la fa-
cezia è un modo civile di malmenare la gente. Tali sono i
costumi de' giovani .
Ma i vecchi e quelli che toccano ormai ad un* età
avanzata han costumi per la maggior parte opposti a' primi.
Per aver vissuto una lunga età, ed esser passati attraverso a
molti inganni e molti errori, e aver visto che nella massima
parte delle cose umane vi son de' malanni, non tengono
nulla per sicuro, e di qualsiasi cosa fanno minore stima
che non meriti. Hanno sempre delle opinioni,' ma non di-
cono di saper nulla. Stanno sempre intra due, e soggiun-
gono ad ogni istante /brs^, facilmente^ e a ogni discorso
fanno questa riserva e non accertano mai nulla.
Sono maligni; è uso della malizia pigliare ogni cosa
in mala parte. Sono anche sospettosi, per la lor diffiden-
za; diffidenti per esperienza. E perciò non amano né odia-
no con calore, ma secondo il precetto di Tiante amano come
chi sta per odiare, odiano come chi sta per amare. E sono
tangheri; perchè essendo una delle prime necessità la copia
degli averi, eglino sanno anche per esperienza quanto è
difficile far danaro e quanlo è facile dissiparlo. Son meti-
culosi e d'ogni cosa s'allarmano; e in questo tengono oppo-
sto costume de' giovani, che essi hanno cuor diaccio, e que-
sti focoso. Dappoiché la vecchiezza apre la strada a ogni
paura, e la paura è una specie di freddo dell'anima. Sono
attaccati alla vita, e piili vanno attaccandosi eoll'avvicinarsi
de' giorni estremi, perchè si fa viepiù viva la brama di ciò
che si sente sfuggire, e le cos(^ che ci mancano son quelle
che più si desiderano.
Essi son teneri della propria persona più del dovere;
questa tenerezza é una maniera di pusillanimità. E così
vivon per T utile, invece che per il bello e l'onesto, assai
più che non vuoisi, perché amano troppo se stessi; e
r utile è bene per il nostro proprio essere, mentre l'one-
sto è Ijene genericamente. S^)no slacciati piuttostochè
\
— 204 —
riservati; perchè non facendo stima conven^vol© dell'one-
sto e dell' utile, fanno poco conto di quel che altri pensi
di loro.
Non hanno quasi mai buona speranza per causa della
loro esperienza; la massima parte delle cose di questo
mondo son mal disposte, e però ne segue che molte le vanno
male; a questa esperienza aggipngesi in loro Tesser meti-
culosi. Vivono di memorie meglio che di speranze; perchè
la parte di vita che loro avanza è poca, ed è molta quella
trascorsa, e l'avvenire è il terreno della speranza cornei
lo è della memoria il passato. Questo dà ragione della;
gran voglia di cicalare che hanno; vanno da mane a sera.
raccontando quel che accadeva al loro tempo, e sì godono
a ricordarlo.
I loro sdegni sono aspri, ma impotenti, e i loro desiderji
parte se ne sono andati, parte affievoliti, tantoché nop
hanno più voglie né cercano di cavarsele, ma guardano
unicamente al danaro. E però si vedono essere tempe-
ranti a quelP età; perchè le loro cupidigie si allacchironoi,
e son devoti al quattrino.
Cosi regolano la loro vita secondo i loro disegni invece'
di badare al retto costume; perchè il ragionamento gli
mena all' utile, mentre il costume ha in mira la virtù. B"^
quando ingiuriano alcuno, lo fanno a fine di nuocergli^
non per fagli spregio .
Anche i vecchi sono compassionevoli, ma non per la
stessa cagione che i giovani; che questi lo fanno per filan-
tropia, e quelli per debolezza; perchè ad essi pare di sen*
tirsi cascare sul capo ogni malanno, cosa che avviene a'
piagnucolosi per debolezza. Laonde non rifinano di lamen-
tarsi, schifano le facezie e gli scherzi; che l'essere piagnu-
coloso fa a' cozzi collo scherzevole.
Quelli poi che si trovano nel vigor dell'età si vedono
in fatto di costumi tenere una via di mezzo tra i giovani e
i vecchi; scartando quanto v'è negli uni e negli altri di
- 205 -
smodato; e così non fanno troppo a fidanza, uso della gen-
te temeraria, né son troppo timorosi, ma stanno con giusta
misura tra l'uno e l'altro. Non prestano credenza a tutti e
neppure sono sfiduciati di tutti, ma piuttosto si regolano
secondo un sano criterio. Non indirizzano la loro vita all'o-
nesto solamente, né al solo utile, ma ad entrambi. Non
alla gretteria né alla prodigalità, ma al convenevole. Lo
stesso modo tengono in fatto di collere e di cupidigie. Son
prudenti con coraggio, coraggiosi con prudenza. E invece
ne' vecchi e ne' giovani queste virtù son separate; perchè
i giovani sono coraggiosi e sventati, e i vecchi sono pru-
denti e paurosi. Per dir tutto in uno, quello che hanno di
Uiono separatamente la gioventù e la vecchiaia, lo riuui-
soono gli uomini fatti; e quello in che esse trasmodano o
mancano, lo portano essi in una convenevole misura.
In questo colmo d'età ci troviamo, in quanto al corpo, di
trenta anni fino in trentacinque; quanto all'animo, circa li
quarantanove » (0*
0) Bbct. II. 12. e segg.
— 206 —
III
Scienze Maturali. — Meteorologia
e Zoologia
Degli studi di Aristotile in scienze Naturali, poco più
ci rimane oggidì che i libri della Meteorologia e delle Isto-
rie degli animali . Il trattato della Fisica benché in alcuna
parte contenga ricerche naturali, corrisponde piuttosto per il
suo tenore generale a quello che noi chiameremmo oggi un
trattato di Cosmologia — o anche Sistema del Mondo .
Una parte delle ricerche, che oggi sono annoverate e
classate nella Fisica, sono da Aristotile presentate nel suo
libro della Meteorologia.
Lo studio minuto de'fenomeni fisici era quello che si pre-
sentava circondato per un elevato intelletto delle più grandi
attrattive, ma non avea per base che pochissime conclusioni
già fissate, ed era invece reso malagevole da ogni sorta d'in-
certezza e di falsa apparenza. Le tradizioni scientifiche nel
fatto di questi studi erano a' tempi d'Aristotile più assai di
danno che di soccorso. I fenomeni che erano stati campo
alle esercitazioni fantastiche de' teologi, e che coU'andare
del tempo erano stati dalle . più strane teorie abbuiati o
trattati senza ordine o metodo uniforme, in servizio di cia-
scun pensatore e di ciascuna dottrina falsati, presentavano
alla mano dello scienziato, che tentasse strigare una ma-
tassa arruffata in tanti secoli, delle difficoltà pressoché in-
sormontabili. Furono queste che sovente portarono il ge-
nio Aristotelico a doversi appagare di alcuna spiegazione
di fenomeni del lutto insufficiente, non valendo la forza di
un solo uomo a rompere d'un tratto l'illusione creata da
tante speculazioni .
Ma Aristotile nelle scienze naturali, se si ha riguardo
particolarmente al suo metodo, ci comparisce come il primo
-. 207 —
cbe sotioposo a minuta aualiai razionale tutti i fenomeni na-
turali, scartando del tutto le concezioni fantastiche, e tjiianriu
errava, errando colla ragione non colla fantasìa. Ciò si fa
chiaro dal vedere come es.so in tutti i libri di scienz;i natu-
rale pone da banda tutte le spiegazioni mìtiche, anche
quAndo la sua spiegazione razionale non è esatta. Per que-
sto lalo esso diventa come un ponte di passaggio tra la Fi-
sica fantastica degli antichi e la nostra. Ben è vero che
esso prende spesso a patrocinare àei^ìì enti di ragione,
astratti, e gli tratta spesso come realità, ma quegli enti non
sono più mitici, sono razionali. E in ciò sta anche la differen-
za tra Aristotile e i naturalisti moderni. Che mentre esso
cercava con tutta l'antichità iramediataraente successiva ^e
realità che si nascondevano sotto la forma esteriore delle
cose, i moderni cercano soltanto di scuoprire nella fenome-
nalità l'ordine della coesistenza e della successione: la
realità intima è dichiarata ricerca illusoria. (')
Se a questa fondamentale mancanza metodica si ag-
giunge la totale povertà dei mezzi di ricerca d'allora, aiuti
che il ttimpo ha aumentalo in servizio della scienza nostra,
farà meraviglia che Aristotile abbia potuto mettersi sulla
strada delle ricerche naturali con tal successo, da fondare
le origini della scienza. Citerò ad esempio la tesi generale,
che uno dei primarj agenti dell' atmosfera è il calorico, tesi
proclamata da Aristotile, egualmente che dai moderni. Con
questa differenza, che 1' uno si è dovuto limitare a mostrar-
ne l' azione nella formazione dei venti, o della pioggia e
della rugiada, mentre gli altri coi sensibili strumenti che la
scienza attuale possiede, hanno dato alla stessa lesi V ap-
poggio di un numero sorprendente di fatti, e ne hanno
tratto una serie di innumerevoli applicazioni. Lo stesso è
avvenuto di ben molti e felici concetti intomo a* fenomeni
nattirali, che Aristotile ha posto il primo in evidenza; dai
(') Uw»i. Arìitot. Oratili. TTtbaruti. p. 123.
- 208 —
quali tuttavia, per la impossibilità di condurre le osservazioni
colla pienezza necessaria, non ha potuto trarre il vantaggio
che poteasene aspettare, e spesso gli ha immersi in una
confusa farragine di concetti falsi.
€ La Meteorologia, secondo Aristotile, racchiude tutti
quei fenomeni, che sebben prodotti da leggi naturali, hanno
tuttavia delle condizioni meno regolari che quelle dell' ele-
mento primo dei corpi (V etere 7noventesi circolarmente Jj
e che hanno luogo nello spazio più vicino alla rivoluzione
degli astri; voglio dire, per es. la via lattea, le comete, le
meteore ignite e a movimento rapido, che possiamo riguar-
dare come delle accidentalità comuni air aria e all' acqua.
Infine questa scienza contiene lo studio di tutte le specie
della terra, delle sue parti, o delle proprietà di queste parti,
che ci possono servire alla spiegazione de' venti e de' teiTi^
moti, e di tutte le circostanze che accompagnano i movi-
menti provocati da essi. Fra questi fenomeni, alcuni ci sono
inesplicabili; gli altri ci sono accessibili in una certa mi-
sura. Noi tratteremo anche della caduta dei fulmini, degli
uragani, delle tempeste, e di tutta quella serie di fenomeni,
che colla loro combinazione divengono modificazioni di quei
medesimi corpi (*) ».
Questa descrizione del soggetto e della materia della
Meteorologia non è molto chiara; e di qui si scorge in ch^
stato di confusione fossero le ricerche naturali, se Aristotile
stesso non arriva a riprodurle con ordine; ed è bene a pro-
posito sulla fine del brano citato presentata al lettore una
dichiarazione di incompetenza alla trattazione di alcune
quistioni.
In sul principio della Meteorologia comparisce un esem-
pio di quella formazione mentale di enti astratti, alla qual^
si deve l'inferiorità di Aristotile di fronte alla scienza moder-
na, come abbiamo accennato di sopra. < Da prima fa duopp
(') lIet«or. L 1. S.
— £09 —
losoere che questo mondo si coonette senza disooa-
lUità, in qualunque modo ciò avvenga, alle rivoluzitmi
.periori, di tal guisa che tutto il suo potente ordinamentu
governato da quelle. Infatti il principio che dà U moto
m tutte le cose deve essere considerato come causa prima.
Di più questa causa è eterna; essa non ha &ne per il moto
e circolare J che si compie nello Sfiazio; ma va a compirsi
eternamente. Quanto a tutti .jutsti corpi .... il fuoco, la
■terra e gli elementi analoghi servono ai fenomeni come
una specie di materia; perchè è col nome di macèria che si
chiama il sustrato dei fenomeni; mentre ciò che è causa,
■nel senso di principio del moto, deve essere riguardato
come la potenza propria ai corpi di cui il moto è eterno(') ».
Questa divisione tra la materia e la forza, sulla quale
Spesso ritorna Aristotile, e che la scienza moderna ha do-
Tuto porre da banda, benché a ciò siasi risolta assai tardi,
k il tipo di tutte quelle astrazioni, di cui fece sì grande
■abuso la scolastica. All' infuori di questo malvezzo, dì cui
l'origino Aristotelica è ben nota, di crearsi delle entità,
4dle quasi-personiticazioni, delle cause e degli agenti a
rappresentare la combinazione fenomenale di certi fatti, il
inetodo seguito nella meteorologia e negli altri scritti di
«cienze naturali, è quello stesso che te scienze tengono
;gidì. La ditfereuza tra i Fisici-Teologi , o Ì Fisici-
ìtafisici, i Fisici propriamente detti, cioò gli scienziati,
pkella loro gradazione dì tempo come di metodo, è accennata
I Aristotile in un passo, che già abbiamo in parte citato
[trova.
« Gli antichi e quelli che si occupano di Teologia Gup-
Ipoagono che il mare abbia delle sorgenti, ed'è un{modo per
essi di spiegare i principi e le radici della terra e del mare.
Ettsi si son forse figurati di aver cosi un modo di presentare
.qualche cosa di pili elevato e di più tragico nelle loro spi^a-
(>)Metoor. I. 2.2.
— 210 —
zioni su questa parte dell* universo si considerevole ai loro
occhi; ed hanno creduto, che il cielo tutto intiero non era
fatto, che in servigio di questo punto attorno al quale era'
costruito, e che questo fosse il più importante e il principio
di tutto il resto ».
« Ma delle genti più saggio, a senso di una saggezza
puramente umana^ spiegano la formazione del mare col
dire, che da prima la terra tutta intiera, e ciò che l'attor-
nia, era liquida, e che una parte disseccata dal sole, e
vaporizzandosi, cagionò i venti e i movimenti diversi del
sole e della luna, e l'altra parte che restò diventò mare.
Ed aggiungono essi che il mare disseccandosi diminuisce di
volume, e che al fine si asciugherà per intiero. Alcuni di
questi filosofi dicono anche che la terra scaldata dal sole
produce una sorta di sudore, e che ciò rende salato il mare,
perchè il sudore, secondo loro, è salato ».
« Ma senza andar più oltre, bisogna dimostrare colla
scorta dei fatti , che è impossibile, che il mare abbia delle
sorgenti (*) ».
Non essendo qui il luogo di esporre per esteso le dot-
trine meteorologiche o fisiche di Aristotile, dovrò limitarmi
a citare qualche passo da cui si vegga l' importanza meto-
dica del suo lavoro nelle scienze naturali e la felice ispira-
zione di alcuni concetti, in cui quasi potrebbe scorgersi
un'anticipazione di scoperte che la scienza moderna per
altre vie ha ripreso e sancito.
E in primo luogo citerò un brano, nel quale sembra
che Aristotile abbia presentito tutta la connessione, che la
nostra scienza ha riconosciuto tra il moto e il calore; tanto-
ché esso va all' esagerazione di questo legame, dichiarando
quasi unica sorgente del calore solare il suo moto.
« Noi vediamo con certezza che il movimento può divi-
der r aria e infiammarla, a tal segno che i corpi trasportati
(*) Meteor II. 1. 2. e segg.
— 211 —
in un movimento rapido sembrano talvolta liquefarsi.
L' unica rivoluzione del sole basta dunque perchè il seccore
e il calore si produca; perchè basta che il moto sia rapido e
non troppo lontano. Il corso degli astri è rapido; ma è a
troppa gran distanza; quello della luna è più vicino, ma è
lento. Quello del sole riunisce i due caratteri in una giusta
proporzione. Ciò che può farci credere con piena ragione
che il calore è prodotto principalmente dal sole, sono i feno-
meni somiglianti che l'osservazione ci insegna accadere
presso di noi. Cosi noi vediamo sulla nostra terra Taria
divenir caldissima, dove essa è in contatto con un corpo
mosso violentissimamente; ed è cosa naturale, essendoché
allora il moto del corpo solido divida Tarla estrema-
mente (*) ».
Questo brano mostra un esempio del come nelle dottrine
naturali di Aristotile s' incontri spesso in mezzo a molti
errori e false appreziazioni alcun concetto che mostra
almeno la buona intenzione di tenersi alla osservazione dei
fatti. Odasi con qual giustezza si parla della formazione
delle nubi e della pioggia.
€ La terra essendo immobile, il liquido che la circonda
vaporizzato dai raggi del sole e da tutto il calore che pro-
viene dall' alto, è portato in alto. Quando il calore che lo
ha innalzato viene a mancare, sia che esso si disperda nella
region superiore, sia che si estingua per esser portato più
lungi neir aria che è al di sopra della terra, il vapore raf-
freddato [per la scomparsa del calore e per il luogo^ si
condensa di nuo^o, e ridiventa acqua, di aria- che era;
r acqua così ricomposta è trascinata di nuovo verso la terra.
L* esalazione che esce dall' acqua è vapore; e l'esalazione
dell' aria cangiata in acqua è una nube. La nebbia è il resi-
duo della conversione della nube in acqua, ed è perciò che
essa annunzia il bel tempo piuttosto che la pioggia; perchè
;* Matcor. I. 3. 20.
- fil? —
la nebbia è uaa sorta di nube, che non è formata. Del resto
il cerchio di qu^sli fenumeni imita il cerchio del sole; per-
chè ne! tempo stetìso che il sole prosegue il suo corso
obliquo e cangiante, nel tempo stesso l'altro cerchio va
anch'esso girando d'jilto in basso; e bisogna riguardario
come UQ fiume, che scorre in alto e in basso circolarmente,
e che è ad un tempo composto d' acqua e d'aria. Cosi quan-
do il sole è vicino, il fiume di vapore scorre verso l'alto;
quando è lontano, il fiume dell'acqua scorre in basso: e
questo sembra accadere senza interruzione con una certa
regolarità, di tal maniera che quell'Oceano, di cui gli anti-
chi tennero parola, potrebbe esser preso per questo fiume
che circola attorno alla terra. 11 liquido essendo sempre
inalzato dalla forza del calore, ed essendo di nuovo precipi-
tato per il raffreddamento verso la terra, si è trovato dei
nomi convenienti per questi fenomeni e per alcune delle
loro varietà (') ».
11 lettore mi permetterà di citare ancora due brani, in-
vero di una lunghezza eccezionale; citazione che è per altro
resa inevitabile dalla impossibilità di far conoscere 11 meto-
do Aristotelico nelle scienze naturali, altro che col porre
innanzi agli occhi lo svolgimento di alcuna dottrina; il
tracciare un quadro del contenuto totale de' libri dì scienza
naturala, sarebbe fuori di luogo, e non raggiungerebbe lo
scopo cercato. La salsedine del mare e alcune quislioni
connesse danno ad Aristotile occasione di mostrare la sua
maniera di pensare, e di richiamare le opinioni degli anti-
chi, e contro di essi appellare costantemente ai fenomeni
osservati .
« Bisogna ora trattare della salsedine del mare, e
domandarsi se il mare è sempre lo slesso, ovvero se ad
una certa epoca esso non esisteva, e se ad un'altra epoca
sia per cessare d'esistere, opinione che alcuni fllosotì 80-
(') Met«or. 1. 9. 2. • aigg.
J
I
— 218 —
steDgODO. Dapprima è ud punto sul quale tutti sodo d'ac-
cordo, cioè che il mare ha avuto uu cominci amento, se sì
ritiene che il mondo intiero ahbia cominciato; perchè tutti
sembra riconoscano che esso ha dovuto formarsi col mondo;
e la conseguenza evidente di ciò è che se il mondo è eterno,
bisogna credere che il mare lo sia con esso. — Ma l'imma-
ginarsi, come fa Democrito, che il mare continuamente
vada diminuendo di quantità, e che alfine s.'omparirà, è
una opinione che sembra degna delle favole d' Esopo ('). E
in tal maniera infatti che Esopo ci narra come Cariddi
avendo dne volte inghiottito le acque nelle sue caverne, fe-
ce sì che da prima uscissero fuori le montagne, in seguito
le isole, e che infine metterà all'asciuto tutta la terra con
una terza boccata. Era pienamente nell'indole del narra-
tore di fivole, di spacciare questo racconto, per vendetta
contro un navalestro col quale era in collera; ma questa
maniera di fare non si conviene a chi cerca la verità;
perchè qual che si sia la causa che da principio ha con-
dotto il mare nel luogo che occupa, sia Ìl peso delle
sue acque, come alcuni ritengono, spiegazione che si pre-
senta a prima vista a chi faccia un po' d'osservazione, o
sia qualunque altra, è evidente che la medesima legge de-
ve necessariamente esser causa che il mare rimanga nella
stessa posizione per l'avvenire. Infatti di due cose 1' una;
o bisogna sostenere che l'acqua trasportata via per opera
del sole, non tornerà sulla terra; o sì ella ritorna, biso-
gna riconoscere di necessità, che questo fenomeno avrà
I luogo sempre, diminuendosi il mare di una certa quantità,
Hmcc[uistandola quando la porzione potabile sottratta sarà
' (') Aristotile nel libro d« U a MDt«orologi& tratta quali abitnal-
ment» con molto disprezzo Ì Fisici-Metafìiici, comti ti vode ancba
da quAsto pnsso. Le sae opinioni non Bono il più delle volte di
tns^or valore che quelle dei predecessori saoi, ma i affare di me-
todo. Le false opinioni di Aristotile erano fondate fin ftilse OBSem-
nonii e però correggibili. Le loro, su miti; • però iacorreggibili.
- 214 —
tornata di nuovo. Così il mare non si asciuga mai; perchè
quella parte che prima se n'è andata, ben presto ritor-
na in massa eguale; e ciò che si dice d'una volta, vale per
tutte. — Che se si pretende di arrestare il sole nel suo
corso, qual sarà allora il corpo che asciugherà il mare?
Ma se si lascia che esso prosegua la sua rivoluzione, è
chiaro, come abbiamo esposto, che la sua presenza porterà
via sempre una parte potabile^ e la sua lontananza la la-
scierà ricadere. Ciò che può aver dato origine a siffatta
opinione sul mare^ è che si è potuto osservare come molti
luoghi sieno in secco oggi^ e non lo erano in addietro. Ma
noi abbiamo detto quale è la causa di questo fenomeno (*).
E per una ragione analoga, una abbondanza eccessiva
d'acqua sopravvenuta in certe epoche non costituisce che
una modificazione dell'acqua e delle sue partii e non un
cangiamento nella massa totale che essa forma. In seguito
di tempo avverrà [tutto il contrario, e dopoché l'acqua si
sarà prodotta, si asciugherà di nuovo, in guisa che il
fenomeno si ripeta necessariamente in un circolo perpetuo.
È infatti più razionale supporre che le cose stieno così,
invece di credere che il cielo intiero sia posto a soqquadro
da questi fenomeni.
« Quanto alla salsedine del mare , coloro che la fanno
prodursi tutto in un tratto, e coloro in genere che riten-
gono che la si produca, sono nella impossibilità di spiegare
come il mare sia salato. Infatti, sia che di tutta l'acqua
sparsa sulla terra, parte sia stata elevata dal sole, e
il resto sia divenuto mare, sia che in questa massa enor-
me d'acqua, dapprima dolce, siasi mischiato un succo
particolare proveniente da mistione di terra avente gusto di
sale, non è meno certo che il mare ha dovuto esser salato
sin dal principio ; 1' acqua vaporizzata torna poi ed in
quantità eguale. Oppure se il mare, non era salato da prin-
(') Vedi il brano ciluto più oltre.
I
— 215 -
oipio, non poteva diventarlo più tardi. Ora se da principio
era tale, resta sempre a dirne la causa, e nel tempo stesso
a spiegare, se allora si vaporizzò in stato di acqua salsa,
come avviene che oggi non succede lo stesso. DÌ piìi, quan-
do si attribuisce la salsedine del mare alla terra che vi è
mischiata, o dicesi che la terra ha sapori di tutte le sorte
e che portata dai fiumi nel mare lo fa diventar salato
mescolando visi, quando, dico, si sostiene tale opinione, si
dovrebbe scorgere che riesce impossibile di comprendere
come i fiumi non sieno salati al pari del mare. Come
sarebbe possibile infatti che in una così gran massa d'acqna
il miscuglio di questa terra fosse tanto sensibile, e che non
lo fosse invece in ciascuna parte di questa acqua che viene
per i fiumi. Perchè evidentemente il mare non è che tutta
1* acqua fluviale; la quale non differisce da quella dei fiumi
che per esser salata, e questa salsedine non si fa sentire nei
fiumi altra che nel luogo ove tutti si riuniscono iu massa.
« Non è meno ridicolo figurarsi di dire qualche cosa di
chiaro, sostenendo, come Empedocle, che il mare è il sudore
della terra. In poesia spiegazioni di tal sorta possono bene
parer sufficienti; perchè la metafora è eminentemente poe-
tica; ma sono evidentemente insufficienti a far conoscere la
natura. Non si fa vedere neppure con questa teoria, come
mai da una bevanda dolce provenga un sudore salato, e se
ciò avvenga per disparizione della parte più dolce, o per
mescolanza di qualche altro corpo, come nel caso delle ac-
que filtrate attraverso alla cenere. La causa sembra essere
qui la stessa che per la secrezione che si forma nella vescica;
essa è amara e salata, benché la bevanda ingerita e il liqui-
do che si trova negli alimenti sieno dolci. Se dunque, nella
stessa guisa che l'acqua filtrata nella cenere doventa
amara, succede lo stesso in entrambi le materie, perchè
l'orina riceve nel movimento di discesa e nell' agglomera-
zione dei liquidi una proprietà analoga a quella della salse-
dine, a giudicarne al deposito che si forma al fondo dei
— 2ie .
vasi, e il sudore presenta questa stessa salsedine, che è
estratta dalle carni, come se 1' umido che esce dal corpo
trascinasse con se qualche cosa col lavarlo; è chiaro del
pari che la porzione di terra che viene a mischiarsi col
liquido è causa della salsedine del mare. Net corpo questa
materia non è che un residuo di alimento non digerito.
Resta a dire come ella si tro-va nella terra
Così tutto ciò che si è detto sulla salsedine del mare sembra
contrastare colla ragione.
• Noi abbiamo stabilito che l'esalazione è di due sorte,
r una umida e l'altra secca ('); e devesi evidentemente
pensare che qui sta il principio di questi fenomeni. È di qui
che partiremo ancora per risolvere questa quistione, che
dobbiamo discutere prima di tutto, cioè se il mare sussista
conservando le sue parti sempre eguali in numero, oppure
se le sue parti sono in un perpetuo cangiamento di specie e
di quantità; come lo souo le parti dell'aria, dell'acqua pota-
bile e del fuoco. Ciascuno di questi elementi infatti cangia
perpetuamente: ma la specie delia massa totale di ciascuno
sussiste, come il flusso delle acque che scorrono e Ìl flusso
della fiamma. Ora è evidente, '^e devesi ammettere che è
impossibile che la legge di tutti questi elementi non sia la
stessa. Evidentemeute non differiscono che per la lentezza
la rapidità del cangiamento; ma v' è per tutti produzione
e distruzione, e il cangiamento si applica regolarmente a
tatti senza eccezione. Ciò posto, è necessario tentare dì dare
la spiegazione della salsedine del mare.
« È chiaro da molti indizj , che quel sapore deve prove-
nire dal miscuglio di una certa materia. Così nel corpo la
parte meno digerita è salsa ed amara, come abbiamo detto,
ed è la secrezione degli alimenti liquidi quella meno digeri-
ta; ora ogni residuo ha quella qualità, ma sopra tutto quello"
della vescica. La prova ne è, che quel residuo è motto leg-
{') EBalniioQs rapoTosa ed eaal&EÌoiie gassosa ( ? )
I
- 317 —
glero, mentre tutte le cose cotte si condensano natural-
mente. 11 residuo che in seguito è più leggiero, è il sudore,
e in tutti i casi è la secrezione del medesimo corpo che pro-
duce il sapore salso. Lo stesso avviene ne' corpi bruciati;
perchè la parte non consumata dal calore doventa negli or-
ganismi viventi il residuo, e nelle sostanze bruciale la
cenere. È questo, che ha fatto pensare a certi filosofi che il
maro provenga dalla combustione della terra. È assurdo
di esprimersi cosi; ma è ben varo che la salsedine del mare
proviene realmente da questa specie di terra. Ciò che suc-
cede infatti nel caso citato, deve succedere anche per il
mondo intiero; e secondo che vcdesi nei fenomeni che la
natura produce e che si compiono secondo la natura, biso-
gna credere anche che pei corpi bruciati il residuo è una
terra di cotal fatta, e lo stesso per l'esalazione totale nella
esalazione secca. È essa infatti che fornisce egualmente la
più gran parte di questa massa |imniensn. Or l'esalazione
umida e l'esalazione secca venendo a mischiarsi, come ab-
biamo detto, quando si cambinno in iiulti ed acqua, bisogna
necessariamente che raccolgano in se qualche parte dì
quella proprietà. Allora quella proprietà si trova traspor-
tata nelle pioggia, e scende con esse; e tutti questi fenomeni
procedono con un certo ordine, secondochè questi fatti com-
portano •
Del resto torneremo su tal soggetto in una occasione più
conveniente. Ci basti di dire qui, che il mare essendo tale,
vi è una parte di esso sollevata in alto, che diviene pota-
bile, e che dopo essersi modificala in un'altra sostanza,
ricade dall'alto sotto forma di pioggia. . . . Ciò che
prova, che la salsedine del ra.ire proviene da qualche so-
stanza è l'esperienza seguente. Se si pone nel mare un vaso
di cera modellato a tale etTetto, e se ne tappa la bocca con
materie impenetrabili al m.^^e, ciò che passa attraverso la
parete di cera è acqua potabile. La parte terrosa è respìnta
come da un filtro, e così anche quella sostanza, che produce
— 218 —
col suo miscuglio la salsedine del mare. È questa parte
egualmente che fa il peso e la densità dell'acqua del mare.
La sua densità è tanto considerevole che dei navigli, i quali
collo stesso peso sarebbero colati a fondo nei fiumi, si tro-
vano ad avere, appena giunti in mare, il carico giusto per
navigare. Così Y ignoranza di questo fotto ha spesso cagio-
nato dei disastri, perchè alcuni navigli si trovarono stra-
carichi air entrare dal mare nei fiumi (0 *•
In tutto questo brano e in altri moltissimi somiglianti a
questo, sebbene poco o nulla si riscontri che possa soddi-
sfare uno scienziato moderno, è peraltro rimarchevole Fuso
largo e completo dell'iuduzione scientifica, la quale si vede
qui in azione, e da se sola dirige tutta la trattazione e
legittima o annulla le conclusioni. L'uso dell'induzione in
Aristotile è silfattamente connaturato alla sua maniera di
pensare e di argomentare, che non ne fa a meno in nessuno
dei suoi libri.
L'cJtro brano, che ho sopra accennato di voler citare,
è il seguente, dal quale si ricava come Aristotile sapessa
anche innalzarsi a quel grado elevatissiuìo di divinazione
induttiva, che spesso caratterizza i più grandi genj scienti-
fici. Il capitolo XIV del libro primo della Meteorologia, in
cui si parla dei cangiamenti perpetui e reciproci dei mari
e dei continenti, ricorda le più grandi divinazioni induttive
dei genj naturalisti, che hanno la facoltà di intravvedere
spesso delle grandi verità, benché sproporzionate al piccolo
materiale scientifico da essi posseduto, come è avvenuto a
Copernico e ad altri.
€ I medesimi luoghi della terra non son sempre umidi
asciutti; ma la loro condizione cambia a seconda del for-
marsi sparire dei corsi d'acqua. Questo fa si che il conti-
nente ei mari cambiano di posizione, e i medesimi luoghi
non son sempre terre nò sempre mari. Il mare si avanza
(*; Mwteor. II. 3.
*w„
»
ì
— 219 -
là ove era terraferma; e la terra emorgejà tti uuovo là dove
di preseote vedcsi il mare. Bisogna credere d'altra parte,
che questi fenomeni si succedono con un certo ordine e una
certa periodicitii. 11 principio e la causa di colali movimenti
si trova in questo, che l'interno della terra, al pari dtìl
corpo delle piante e degli animali, ha le sue epoche di
vigore e di deperimento. La sola ditìerenza è, che nelle
piante e negli animali questi cauibìamenti non hanno luogo
nelle parti separate soltanto, ma tutto intiero l'essere per
una legge necessaria fiorisce o decade, menire per la terra
al contrario questi cambiamenti sì fanno parzialmente per
opera del freddo e del caldo ».
« Quel che fa si che questi fenomeni ci sfuggono, è che
tutta questa formazione naturale della terra si compie per
via di aggiunte successive nell" intervallo di tempi iranien-
Bamente lunghi, a paragonargli a quello della nostra esi-
stenza; intiere nazioni spariscono e muoiono prima che si
possa tener conio delle memorie relative a questi grandi
cambiamenti dalla loro origine sino alla fine. Le distruzioni
dei popoli sono considerevolmente rapide nelle guerre, altre
volte provengono da delle epidemie o da careetie, e queste
cause talvolta struggono i popoli d' un tratto, tal altra a
poco per volta. Egualmente non ci sì rende conto delle
trasmigrazioni dei popoli; mentre gli uni abbandonano
affaltA la contrada, altri durano a resi.irvi sino a tanto che
il suolo non sia più capace di nutrire alcuno. Tra la prima
ossen'azione e 1' ultima deesi credere dio sia scorso un
tempo così considerevole, che nessuno ne ha conservato
memoria, e che quegli che poterono salvarsi e restarono,
han tutto dimenticato per ciusa del lungo intervallo. Per
la medesima maniera ci sfugge 1' epoca del primo stabili-
mento delle nazioni sui terreni che si suu cingiali, e che
essendo prima sommersi d<dle acque reslartmu in secco.
Egli è perchè questo accrescimento del suolo abitabile non
SÌ compie che poco a poco e nell' intervallo di lunghi secoli,
— 220 —
di maniera che non si sa più quali fossero ì primi ad abi-
tark», né a quale epoca vi arrivarono, né quale fosse la
condizione della contrada quando essi vi presero stanza.
Questo appunto è accaduto all'Egitto. Quel paese sembra
essere stato sempre più asciutto degli akri, e il terreno
mostra ii' essere tutto formato dall'alluvione del Nilo; msk
siccome i popoli vicini non si poterono recare ad abitarlo
che dopo il successivo prosciugamento delle paludi^ la lon**
tananza delle epoche ha fatto perdere ogni traccia delle
origini. Si vede bene che anche tutte le bocche del fiume^
ad eccezione di una sola, quella di Canopo, mostrano d' es-
sere state fatte per mano d'uomo e non per lavoro del fiume.
Ai tempi addietro l'Egitto era ridotto alla regione che oggi
chiamasi di Tebe; e ben lo prova la testimonianza d' Ome-
ro, che era un testimone più prossimo a quei cambiamenti.
Esso infatti parla di quei luoghi come se Mentì non esi-
stesse ancora, o almeno non in quella floridezza che ebbe
dipoi. E secondo ogni verosimiglianza le cose debbono
infatti essere andate a quel modo; perchè le contrade basse
hanno dovuto essere popolate dopo le regioni elevate.
Infatti i luoghi più prossimi all'alluvione dovettero restare
più a lungo paludosi, perché le acque stagnano sempre più
nei luoghi bassi. Poi questa condizione si cambia e il suolo
in seguito si risana. Ora i luoghi che restano all' asciutto
diventano ognora più comodi, e quelli invece che già erano i
più abitabili, disseccatisi oltre misura, lo divengono meno.
È appunto ciò che è avvenuto in Grecia del paese d'Argo e
di Micene. Infatti all' epoca della guerra di Troia la terra
degli Argivi che era tutta paludosa non poteva nutrire che
un piccol numero d' abitanti, la Micenia al contrario era
allora in eccellente condizione; e da questo derivò la sua
gloria. Oggi è precisamente il contrario, per la causa già
detta. La Micenia è diventata del tutto sterile e riarsa; e le
parti dell' Argolide che allora erano isterilite dall'inondazione
^on diventate fertilissime. Or questo che è accaduto per quel
- 221 -
cantuccio di terra, accade precisamente allo stesso modo,
secondo ogni apparenza, per contrade estesissime e paesi
intieri.
Coloro pertanto che non osservano altro che imperfet-
tamente, credono che la causa di questi fenomeni e di
questi cambiamenti risegga nel cambiamento dell'universo e
del cielo intiero. E così essi affermano che il mare dimi-
nuisce perchè va disBecc;^n(^lPsi, e che vcdonsi oggi in più
gran numero luoghi cosi cambiati, di quello che non se ne
vedesse prima. In queste asserzioni v'è del vero e del falso.
È ben vero che pili luoghi sono allo scoperto oggi e mutati
in terra ferma, che prima erano coperti dalle acque; ma
succede anche il contrario, e a ben guardare si troveranno
parecchi luoghi che il mare ha invasi. Non bisogna attri-
buire al principio del mondo questi fenomeni, perchè sarebbe
ràlicolo di ci^edere che l'universo si muova per cambiamenti
sì pìccoli e sì meschini. La massa della terra e la sua gi-an-
deeza è nulla se la sì paragona a tutto intero il cielo, asso-
lutamente nulla.
La causa che si potrebbe assegnare a tutti questi fatti è
che, come a certe epoche fisse nell' anno 1' inverno prende
posto tra le stagioni, egualmente si produca nn grande
iovarno che abbia luogo a intervalli d' immensa durata, e
che porti seco una stragrande abbondanza di pioggie ....
Talché bisogna credere, che i luoghi che ricevono questo
ammasso enorme di acque ne serbino come nua sorta di
umidità permanente. E col tempo un luogo si secchi più
e un altro meno, dopo essere stati ben bene ìnnafflatì,
finché si svolga nuovamente questo gran periodo verso il
luo ritorno.
Siccome v' è necessariamente qualche cambiamento del-
l' universo, senza che per altro ne consegua por esso nascita
o distruiione, dacché e' sussiste eternamente, v' è egual
necessità, eecondo che noi sosteniamo, che i medesimi
luoghi non sieno sempre bagnati dal mare o dai fiumi,
— 222 —
e non sieno sempre riarsi i medesimi. I fatti son là per
provarlo. Cosi gli Egiziani , che riconosciamo per i più
antichi popoli, occupano un paese che mostra di essere
ed è tutto intero opera del fiume. È facile convincersene
osservando le loro contrade; e le rive del Mar Rosso ne sono
un testimonio irrefragabile. Uno dei loro Re tentò aprire un
canale; che se tutta la contrada fosse divenuta navigabile,
i vantaggi che ne avrebbe risentito sarebbero stati conside-
revoli; e fu Sesostri, dicono, che il primo tra gli antichi Re
tentò questa impresa. Ma trovò che il Mare era più alto
della terra. Lasciò dunque lo scavamento del canale, come
dovette fare più tardi Dario, per timore che il mare venendo
a mischiarsi col fiume non ne sbarrasse il corso del tutto. E
dunque evidente che tutti questi luoghi non erano in antico
che un mare non interrotto. E da questo proviene che la
Libia e il paese d'Aramone sembrano più bassi e più sca-
vati che non dovrebbe essere in confronto delle contrade di
sotto. Ma è chiaro che formandosi V alluvione si origina-
rono acque stagnanti e terra ferma, e col tempo l' acqua
rimasta e che s' era impaludata venne a prosciugarsi del
tutto.
Nella palude Meotide le alluvioni dei fiumi sono state
tanto considerevoli, che i batielli che s'adoprano oggi sono
molto più piccoli di quelli di sessanta anni fa. Da questo
is può facilmente concludere che neir origine quella palude
fu come molte altre formata per opera di riviere, e che ella
finirà per colmarsi del tutto. Di più il Bosforo ha sempre
una corrente a causa delle alluvioni; e si può accertarsi coi
propri occhi come vanno le cose. -Quando la corrente ebbe
fatto un interramento dalla parte dell'Asia, quel che restava
dietro diventò dapprima un piccolo padule, e poi si seccò;
poi venne a formarsi un nuovo interramento dopo il primo
e cosi un altro padule ancora. E cosi seguita perpetua-
mente, A forza di ripetersi a più riprese questa formazione,
fu ben forza cho col tempo ne nascesse un fiume il quale
— 223 —
finirà anch'esso col disseccarsi. È chiaro per conseguenza,
che siccome il tempo non si arresta e l' universo è eter-
no, il Tanai e il Nilo non hanno avuto sempre il loro corso,
e il luogo dove corrono oggi le loro acque era una volta
in secco; perchè la loro azione ha un limite e il tempo non
rha, e questa osservazione può applicarsi a tutti i fiumi.
Ma se i fiumi nascono e spaiiscono, o se i medesimi luoghi
della terra non sono sempre coperti dalle acque, è mestieri
di necessità che il mare subisca i modesimi cambiamenti.
Dal momento che il mare lascia scopei'ti certi luoghi e va a
bagnarne certi altri, è chiaro che sulla terra non sempre le
medesime contrade son mari o continenti, ma tutte cam-
biano di condizione coi secoli ».
I libri di Zoologia, che ci restano, sombi'a sieno una
parte soltanto di un grande lavoro di Aristotile intorno
alle scienze naturali. Lo stilo frazionario in che ci son per-
venuti, e tradizioni di scoliasti e di sforici degli studj peri-
patetici lo confermano. A giudicarne particolarmente dalle
parole di Plinio, Aristotile avrebbe composto una grande
opera, in cui le sue conoscenze di storia naturale si trova -
vano presentate tanto sotto l'aspetto descrittivo che filoso-
fico. La storia degli Animali è una parte di questo lavoro,
ed è, nel genere descrittivo, il più cospicuo libro che ci
abbia lasciato l' antichità. Per la parte filosofica non ci
rimangono che pochi opuscoli di autenticità dubbiosa.
Ma la descrizione naturalistica nelle mani di Aristotile
non potea mancare di indole scientifica e filosofica; le sue
liste ed enumerazioni di parti, le sue osservazioni sui costu-
mi e sulla vita, sulla nascita e sul movimento degli animali
portano infatti una impronta di mente organizzatrice, che
sa trarre dai fatti osservati una legge di classificazione e
distribuzione metodica.
Considerando il contenuto della storia degli Animali,
— Sg4 —
si vede distribuita Ih materia in quattro grandi Sezioni,
alcuna delle quali è rimasta nelle abitudini della scienza
zoologica dei tempi nostri.
La prima grande Sezione tratta della conformazione e
degli Organi degli Animali, ed occupa i primi tre libri fino
a tutto il capitolo settimo del quarto. « Fin qui, dicesi alla
fine di quel capitolo, abbiamo trattato delle parti sì interiori
che esteriori di tutti gli animali, tanto di quelle proprie »i
singoli generi, che di quelle comuni » (').
In questa Sezione s'incontrano delle suddivisioni, che
ci mostrano avere Aristotile intravveduto, anzi creato il
principio di costruzione della scienza anatomica, introdu-
cendo in essa la divisione in Anatomia generale, Anatomia
descrittiva ed Anatomia comparata. « Le parti degli ani-
mali alcune sono semplici, perchè si dividono in particelle
similari ( eì; ófiom^Epvi ) come la carne in carni; altre com-
poste, perchè si dividono in parti dissimih («i; avoiJ.atofi£pri ):
infatti non si divide la mano in mani, né la faccia in facràe.
E però alcune di queste non si chiamano parti, ma mem-
bra. ... Or tutte le anoraeomerie son composte dì
omeomerie, come la mano di carne, nervi ed ossa » (*). In
questa suddivisione, la trattazione delle omeomerie corri-
sponde all'anatomia generale dei moderni, cioè al trattiito
delle parti elementari di cui si compongono gU organi, ed
occupa nel lavoro Aristotelico la piìl gran parte del libro
terzo ( Gap. 2 sino al fine del libro ). La trattazione delle
anomeomerie risponde all' anatomia descrittiva, occupando
il primo e secondo libro e una parte del quarto. Qua e là
disseminati s' incontrano poi i concetti fondamentali dell' A-
natomia comparata, concetti che esso dovette creare, non
trovandosi^alcun che di somigliante nei lavori e nelle idee
de' suoi predecessori. Cerio che a noi, abituati ormai allo
(') De An. hist. IV. 7. 8.
(*) Ibid.I. 1.1.
— «25 —
studio il piò completo dell' anatonoìa comparata i concetti
Aristotelici sembrano mes<Ahiiia coea; ma in queslo ordine
di pensieri più ancora che in qualunque altro vuoisi tenere
a mente la deboleeza dell' in&nzia scientìfioa, dtirante la
quale c^ni piccolo giuocojdi forza che a noi può parere
giuoco iofantile richiese maggiore ai-dire, che non fona i
nostri sforzi giganteschi. Fin dal principio della istoria de-
animali Aristotile aiccnn.'i a dei concetti di anatomia com-
parata, che dovcano servirgli di guida nelle ricerche. «Ma
il maggior numero delle parti degli animali differiscono tra
loro per contrasto di formazione, come colore e figura;
alcune sono in maggiore, alcune in minor grado conformale;
e altrettanto avviene della abbondanza o della scarsezza,
della grossezza o della piccolezza, e in generale dell'eccesso
o della mancanza. Taluni animali hanno la carne molle,
altri wda, alcuni un lungo becco, altri corto, alcuni niolte
penne, alcuni poche. Fra gli uccelli stessi v' hanno alcuni
eoo delle parti loro proprie; alcuni hanno lo sprone, altri
no, alcuni hanno la cresta, che non hanno altri. Ma, a dir-
la schietta, il maggior numero delle parti onde si compone
l'insieme o sono le stesse, o differiscono per opposizione
derivante da eccesso o difetto, (') Infine in certi altri ani-
mali troviamo delle parti che non sono di specie identica,
né eccessive o difettose, ma analoghe: in questo rapporto
sta l'osso alla lisca, e l'unghia allo zocedo, e la mano alla
zampa fessa, e la penna alla squamma; ciò che è la peana
aell'uocello, lo stesso è la squamma nel pesce. (') Per le
membra dunque in cotal modo differiscono o concordano
gli animali; ma anche per la disposizione di esse, essendo-
ri molti animali forniti delle stesse membra ma diveraa-
(') Fru8 rimArclWToUuiQ
mautt conssorato.
(■] De Ah. HJat. I. 1.4.
1, ch4 ta icieuza attutla ha piena*
È
~ 226 —
mente situate: come le mammelle, alcuni le hanno al petto,
altri vicino alle coscio. » Q)
In conformità di questi concetti intorno all'Anatomia
comparata si vedono da Aristotile poste in confronto le
membra dell'uomo con quelle degli animali, e queste ricon-
dotte nella classificazione a quelle dell'uomo, del quale pri-
mariamente avea dato la descrizione, come di « animale
più noto (*) ». E creando l'Anatomia comparata, non pure
esso paragonò l'insieme delle parti esterne degli animali,
ma ben anche fece conoscere l'analogia degli organi inter-
ni, considerando per es. le branchie come analoghe ai pol-
moni, e spingendo molto oltre il confronto degl' organi in-
servienti alla digestione in tutto il regno animale. Tanto-
ché se ne può ragionevolmente concludere, che il principio
dell' analogia degli organi, benché spesso da Aristotile
erroneamente applicato^ costituisce il vero principio del*
l'anatomìa comparata; come può ricavarsi dalla conside-
razione della scienza anatomica moderna, la quale ha
tratto precisamente dall'analogia le più feconde conse-
guenze; ed oggi dando a quel medesimo principio una più
vasta portata, accenna con Darwin di voler sopra di esso
ricostruire tutto il regno animale, e corredare quel con-
cetto mentale di una base nuova nell'ordine della formazione
successiva delle specie .
L'anatomia umana in questa Sezione si riduce per altro
a poco più che una descrizione topografica delle membra
esterne, essendo le interne^ secondo l'espressione di Aristo»
tile, pochissimo conosciute, ed essendo però necessario trat-
tarne dietro all'esame de' visceri negli animali più vicini
^'uomo. La massima parte degli errori anatomici di Arista*
tile sono conosciutissimi, ina il più delle volte si è fatto carico
ad esso de' suoi sbagli troppo più, che non siasi tenutp conto
(') De An. Hist. 1. 4; 2. e segg.
{•) De An. Hist. I. 6. 5.
delle sue scoperta. Esso conosco il cervello e la membrana
(meninge) che lo circonda; i nervi oUici, con-io via tra il cer-
vello e g^li occhi, benché neghi l'esistenza una simile via Ira
esso e gli orecchi; conosce le trombe Eustachiane, la trachea
e la sua biforcazione e l'entrata ne' polmoni, ma ritiene una
comunicazione tra i polmoni e il cuore del tutto erronea»
facendola esso servire alla comunicazione dell'aria. Conosce
l'esofago col suo ingr-^sso nHlo slomnco, e piil oltre nell'in-
testino, come il peritoneo e il mesenterio. Descrive, sebbe-
ne incompletamente 1' aorta, la vena cava, la carotide ec.
Rammenta il diaframma, il fegato, le vessichette del fiele,
i reni, la pelvi ec. Distingue le vene, i tendini, le libre, le
ossa, le (rartilagini, la sostanza coiuea, la pelle e i capelli
ec. e paragona la carne, il grasso, il sangue, il midollo, il
latte, e lo sperma secondo la loro densità, colore ec. Tut-
tocifì è contornato dalla descrizione delle parti nel loro com-
plesso e nella loro posizione reciproca, e corredato di notizie
inforno all'ordinamento di esse e alle loro funzioni.
La seconda Sezione della storia degli Animali, che va
dal cap. 8 del quarto Libro, fino alla fine del libro stesso,
comprende la trattazione dell'uso e della disposizione degli
organi dei sensi e della voce, si occupa del sonno, del sesso ec.
Dal che si vede essere questa Sezione un assieme di consi-
derazioni fisiologiche. Questa parte è i>er altro del tutto
incompleta. Nulla sa Aristotile della circolazione del san-
gue; la funzione del cuore è ridotta alla produzione e al-
l'impulso del sangue, il cuore è ritenuto erroneamente
centro nervoso, è sbagliata la descrizione delle funzioni pol-
monari, e molto incerta quella degli organi digestivi. Più
precise sono le considerazioni relative ai cinque sensi. Ma
la più gran confusione regna nell'analisi delle funzioni
nei-vose tanto nel loro rappoito ai sensi, quanto nella dira-
mazione dei nervi verso i centri .
La terza Sezione (quinto e sesto libro) tratta della gene-
razione dello sviluppo degli animali. Questa parte presenta
gVQflrìcameate i pregi e i difetti della antecedente. Mentre
vi si riacontra una potenza di genio straordinaria nel susci-
tare le ricerche e le quistioni, il difetto di esperienze suftì-
cienti porta Aristotile in molti errori. E qual meraviglia di
ciò, se intorno ai problemi della generazione e dello sviluppo
degli animali si atfatiea anch' oggi con grande sforzo la
scienza, e appena si può dire che abbia incominciato ad
accumulare pochi dati sicuri? Aristotile presenta una nume-
rosa serie di fatti relativi all'accoppiamento, all'epoche
dell'amore, all'uso dei pesci di porre le uova, e osservazioni
intorno alle uova di tutti gli ovipari, come un accurato stu-
dio dello sviluppo del pulcino nell'uovo, della formazione
del cuore, del cervello, degli occhi ec. assieme a molte
notizie sulla vita embrionale di certi animali, e sulla durata
della gestazione ec. La quarta ed ultima Sezione ( ottavo
libro ) tratta delle abitudini ed istinti degli animali, partico-
larmente in confronto coli' uomo.
Un principio di Classificazione degli animali è tentata
da Aristotile, col dividere il regno animale in generi,
generi massimi, specie ec. Queste parole non hanno per
altro la significazione loro attribuita dalla zoologia moder-
na, ma piuttosto sono una nomenclatura portata a indicare
le classi generalmente ricoaosciule negli animali al tempo
di Aristotile, classi più popolari che scientifiche. La Clasea-
zloae Aristotelica riconosce due grandi divisiooi dagli
animali:
'Evect/zct (rispondente ai vertebrati)
1 . {oMTeKsOvra tvavzoCi (Manamiferi)
2. Spvt^Ei (Uccelli)
3. ■tttpdiitoùa ri àna3x t.>"eTO«ouwTa(Rettill ed Anfibi)
4. l'x^wì (Pesci)
A'wai^a ( rispondente ai non vertebrati )
5. fieùjiìtta ( Cefalopodi )
6. fiakaxóaTpiii.Kx (Crostacei)
- 229-
7. ivroiia (Insetti, Aracnidi, Vermi)
8. (yTTpxxoiipiKXTa (Conchiglie, Lumache ec.) (*).
Di tutto questo lavoro di Aristotile Cuvier faceva la più
alta stima, e certo a questa fu portato dal considerare di
quanta utilità per la scienza zoologica fu Y opera della
storia degli animali, benché incompleta, benché sovraccarica
d'errori. Egli è, che il metodo di ricerca era Inidato, ed
ogni scienza, più che di tutto, ha mestieri di un metodo.
Sarebbe inutile spender parole a indicare la somiglianza
del metodo Aristotelico con quello della Zoologia moderna.
L'elemento descrittivo, ebbe la prevalenza allora e l' ha di
presente, e come Aristotile intitolò il suo libro storie m-
tomo agli Animali, la scienza moderna prese con inten*
dimenti analoghi il nome di storia naturale.
Non voglio per altro tralasciare di richiamare Tatten-
zione sul modo anti-aristotelico che tennero gli Aristotelici
scolatici nel trattare le quistoni naturalistiche. Essi impa-
rarono quel che Aristotile avea scoperto, ma non impara*
rono da lui il metodo e l'abitudine di andare a scuola dalla
natura sola maestra: ne accadde che essi centuplicarono
gli errori di Aristotile, e sotto di essi affogarono le sue fé*
liei ispirazioni, di cui solamente avriano dovuto fare buona
messe. È una cosa rimarchevole, che nel libro delle storie
degli animali Aristotile non cita mai l'autorità di alcuno;
la descrizione procede sempre come racconto di un testimo-
ne oculare. Ad Aristotile può rimproverarsi di aver osser-
vato male, ma non certo di aver trascurato l'osservazione.
Vedasi ora l'abitudine degli anatomici aristotelici, come
stia in armonia col metodo di Aristotile. « Mi trovai un
giorno, racconta Sagredo nel dialogo de' Massimi sistemi,
in casa un medico molto stimato in Venezia, dove alcuni
(*) Vedi Àubert und Wimmer. Arist. Thierkunde. Einl. s* 94
e segg.
— 230 -
per lo studio, ed altri per curiosità convenivano talvolta a
veder qualche taglio di notomia per mano di uno veramente
non men dotto che diligente e pratico notomista. Ed accad-
de quel giorno che si andava ricercando l'origine e nasci-
mento dei nervi^ sopra di che è famosa controversia tra i
medici Galenisti e i Peripatetici; e mostrando il notomista,
come partendosi dal cervello e passando per la nuca il gran-
dissimo ceppo dei nervi, si andava pei distendendo per la
spinale e diramandosi per tutto il corpo, e che solo un filo
sottilissimo come il refe arrivava al cuore, voltosi ad un
gentiluomo, ch'egli conosceva per filosofo Peripatetico, e
per la presenza del quale egli avea con estraordinaria dili-
genza scoperto e mostrato il tutto, gli domandò s'ei restava
ben pago e sicuro, l'origine dei nervi venire dal cervello e
non dal cuore; al quale il filosofo, dopo essere stato alquanto
sopra di se, rispose; Voi mi avete fatto vedere questa cosa
talmente aperta e sensata, che quando il testo di Ari--
stotile non fusse^ in contrariOy che apertamente dice i
nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza con-
fessarla per vera (*) ».
(*} Galileo opere. Voi. I. p. 121, ediz. Albóri.
— 281 —
IV.
Ìj tt Biologia.
Non è senza ragione l' intitolare Bioloffia il contenuto
del presente capitolo. Questa parola aioderna applicata ad
una scienza moderna, si adatta a capello al modo di trat-
tare la qiiistione dell'anima tenuto da Aristotile nel suo
libro dell'Anima; unico esempio dell' antichità, s' incon-
tra in quel libro uno sguardo generale alle manifestazioni
graduate della vita, le quali soltanto la Biologia nostra
ha saputo valutare nel toro vero ordine.
I predecessori di Aristotile, e particolarmente Platone,
aveano presentato il concetto dell'anima ( razionale ) come
di un ente sostanziale, distinto dal corpo, e in esso rac-
chiuso, simile ad un prigioniero nel suo carcere, o ad un
uomo nella sua abitazione, o ad un nocchiero nella sua
nave, t'otal dottrina si ispirava originariamente alle tradi-
zioni religiose della Metempsicosi, e Platone se n' era
silfattamenle invaghito da fare quasi una teoria scìentifìca
di questa, come abbiamo visto di sopra.
Aristotile si rivolta il primo contro queste dottrine e
contro r ente sostanziale separato di Platone, e facendo del-
l'anima la funzione primaria della vita organica , trasporta
le sue ricerche dalla specie umana a tutto il regno orga-
nico.
II libro dell'auima in cui Aristotile espone i suoi concetti
in proposito, è dei più rimarchevoli, e nella massima parte
della trattazione sì vede essere forse giustificata l'accusa di
materidisruo, ciie gli hanno fatto alcuni filosofi dell' anti-
chità e del tempo moderno.
Non è senza interesse dì incominciare ad udire alcuni
pensieri che sommariatuente Aristotile esprime nell'atto di
- £32 —
rigettare tutte le teorie dei predecessori intorno all'anima.
«Tutti i filosofi, può dirsi, definiscono l'anima per tre
caratteri: il movimento , la sensazione e l' immateria-
lità ....(') Anassagora solo pretende, che l' intelligenza
è impassibile, e eh' essa non ha nulla di comune con tutto
il resto. Ma se è tale, come può fare a conoscere, e per
qiial causa? è ciò die esso non ha detto, e non si può argui-
re ....('') È inesatto dire che l'anima sia una grandez-
za .... L' intelligenza è una e continua nel modo stesso
che il pensiero; ora il pensiero sono i pensieri. E questi
formano unità, perchè sì succedono, eguale a quella del
numero, e non a quella della grandezza. Ecco perchè l' in-
telligenza non è continua al modo della grandezza ...(')
Inoltre il pensiero rassomiglia, può dirsi piuttosto a un
riposo, elle ad un movimento ( circolare ) ed è lo stesso del
sillogismo. D'altra parte una cosa non porta felicità quando
non è facile e si eseguisce per forza; e se il movimento
(circolare) non è l'essenza dell'intelligenza, l'anima sa-
rebbe dunque mossa contro sua natura. Ed è ancora una
condizione penosa per essa dì essere unita al corpo, in modo
da non potersene liberare. Ben più è uno stato ch'essa de-
ve fuggire, se per l'intelligenza, come si sente dire, è me-
glio non essere unita al corpo (').
« Dicesi che l'anima è un'armonia; l'armonia, aggiun-
gesi, è un miscuglio e un composto di contrari, e il
cwpo è anch'esso composto di contrari. Ma l'armonìa
è un rai^rto, o nna combinazione di cose mischiate,
e non è possibile che l'anima sia l'una cosa uè l'altra.
Di pili produrre il movimento non si addice a un' armo-
nìa; eppure è all' anima che tutti, per così dire, attri-
(') Do An. I. 2. 20,
0) Ibid. I. 2. 22.
(•)DeAii.LS. 13.
(')lbiiì. I. 8. 17.
buisooDO questo effetto. La parola armonìa bì adatterebbe
alla salute e io generale alle virtù corporee assai meglio
che all'anima ... Se la parola armonia ha due sensi prio-
, che non bisogna perdere di vista, nel suo signiticato
più speciale si applica alle grandezze considerate nelle cose
che sono in movimento e proporzione, per esprimere la
combinazione di quelle grandezze, quando elleno si armo-
nizzano io maniera da non presentare tra loro nulla d' o-
mogeneo. Di più significa an'^ora la proporzione delle cosa
mischiate; ma si vede ciie questa parola non è applicabile
qui né in un senso né ncLl' altro. Quanto a supporre, che
l'anima è la combinazione delle parti del corpo, è facile
confutare questa ipotesi. Le combinazioni di queste parti
&yao tanto numerose quanto diverse. Ora di quali elementi
puoBsi egli supporre che l'intelligenza sia la coni binazione?
Come mai la sensibilità o la passione sarebbe essa una com-
lùnazione dital sorta? E egualmente assurdo di credere che
l'anima sia la proporzione del miscuglio; percliè il miscu-
glio degli elementi che formano la carne non ha il medesi-
mo rapporto di quello che forma le ossa. Bisognerà dunque
sostenere che vi sono tante anime, quanti corpi, se è vero
che tutti i corpi provengono da elementi mischiati, e che il
rapporto del miscuglio sia l'armonia e l'anima .... Tali
sono le quistioni che si possono porro innanzi qui. Ma se
l'anima è qualche cosa di diverso da quel miscuglio, per-
chè la vita le vien tolta nel tempo stesso che è tolta alla
carne e alle altre parti dell'essere animato? Di più poiché
ciascuna delle ptrtt del corpo non ha un'anima, se l'anima
non è il rapporto di quel miscuglio, che cosa Ò dunque che
vien distrutto quando l'anima viene a mancare? (<)
« La maggior parte delle altre teoriche che si son date
intorno all' anima, sono erronee per questo lato, che si pre-
tende unire l'anima al corpo nel quale la si pone, e non si
0) De An. I. 4. 10.
~ 234 —
determina per qual causa vi si unisce, e come è disposto il
corpo a riceverla; il che sembrava necessario a farsi ....
parrebbe che qualunque anima senza preferenza subisca qua-
lunque corpo, come favoleggiano i Pitagorici; invece sembra
che ciascuna cosa debba avere la sua particolare specie e
funzione. Il loro discorso suona, come chi dicesse che V ar-
te del fabbro si possa servire di cornette musicali; perchè,
al loro dire, come l'arte si Serve degli attrezzi, cosi l'anima
del corpo (*) >.
€ Si potrebbe dubitare con più di ragione, che l'anima
si muova, fondandosi sulle seguenti considerazioni: l'anima
si rattrista e si rallegra, ella è sicura o tremebonda, si
sdegna e sente e pensa. Questi sembrano tanti movimenti;
e però potrebbe credersi, che l'anima si muova. Ma tal
condizione non è necessaria. Infatti il rattristarsi o il ralle-
grarsi il pensare sono, dicesi, certamente dei movimenti,
ed è l'anima che gli produce. Per esempio sdegnarsi, te-
mere avranno luogo perchè il cuore sarà mosso di una certa
maniera, e il pensare è forse qualche cosa di simile o qual-
cosa di analogo. Or questi fenomeni si producono per lo
spostamento di alcuni elementi messi in moto o per l'alte-
razione di certi altri . . . Ma sostenere che è l' anima che
si sdegna, torna lo stesso che dire, che è l'anima- che tesse
una tela, o che fabbrica una casa. Sarebbe forse meglio
dire, non che è l'anima che s'impietosisce o impara o pen-
sa, ma l'uomo coli' anima (^) ».
Io ho raccolti questi sparsi pensieri, disseminati nella
polemica di Aristotile contro i suoi predecessori circa la
quistione dell'anima, perchè possono servire a dilucidare
e preparare le dottrine che sono esposte in seguito. Aristo-
tile rigetta tutte le teorie poste innanzi dai filosofi prede-
cessori suoij ma specialmente le due seguenti: quella che
(') De An. I. 3. 22. legg.
0)lbid. 1.4. 40.
sosteneva che 1' anima dovesse il suo potere conoscitivo al
fatto dell'essere composta dei quattro elenieati, e quella poi
che dava all' anima la qualifica di semovente.
Esso osserva che nessuno dei filosofi ha messo in buo-
na luce il pensiero e la considerazione di tutta la varietà,
delle anime nella loro cradszione, talché le loro teorie non
possono servire a classificare le anime stesse, né a formare
uo concetto ciiiaro della loro essenza.
Aristotile riconosce la uecessilà che una buona teorìa
dell'anima deve egualmente soddìstare alla spiegazione
dell'anima vegetale, come alla spiegazione delle elevate
funzioni dell'anima umana e divina.
Per comporre la sua teoria, esso non ricorre alla vita
eatramondana, come Platine, ma consideia le cose nella
presente condizione del mondo, e si serve di un concetto
che domina tutta la sua Ontologia, la distinzione tra la
Materia e la Forma.
Nel primo e secondo capitolo del secondo Libro de
Anima si trovano espressi ì concetti di Aristotile intorno
idl'anima umana e a tutta la natura animata, con tanta
chiarezza, da non aver bisogno di alcuna interpetrazione.
« Tentiamo di definire che cosa è l'amma, e darne la
nozione più generale possibile.
< Diciamo dapprima che la sostanza è un genere parti-
colare fra le cose che esistono; e nella sostanza bisogna di-
•tinguere in primo luogo la materia, che è ciò che non à
costituito di per se in una data individualità; e poi la /'or-
ma e la specie, che fa che una cosa sia quel eh' eli' è; in
terzo luogo la cosa risult;inte da tjueste due. La materia è
poten 3 ia lilà, \3i. specie è atto e funzione perfetta (èvrtW-
X«<a)- Sono i corpi quelli che massimamente sembrano esse-
re sostanze, e fra questi più particolarmente i corpi delia
natura, perchè son principio degli altri (prodotti dell'artej.
Fra i corpi naturali, alcuni hanno la vita, alcuni nò; e vita
chiamiamo il nutrirsi di per se, lo svilupparsi e il deperire.
Così ogni corpo naturale vìvente è sostanza, e sostania
composta nella maniera sopraindicata. Tale essendo il cor-
po, e così dotato di vita, il corpo non sarà anima: perchè
il corpo non è di quelle cose che possono attribuirsi ad un
soggetto, ma piuttosto esso fa da soggetto e materia. È
necessario dunque che l'anima sia sostanza solamente in
quanto è specie di un corpo naturale, che ha in potenza la
vita, sostanza come funziono perfetta, funzione perfetta di
un siffatto corpo .... E bisogna intendere di un corpo or-
ganico. Così le parti stesse dolle piante sono degli organi,
ma degli organi eccessivamente semplici, come il petalo,
che è l'inviluppo del pericarpo, il quale è l'inviluppo del
frutto. Lo radici rispondono alla bocca; perchè dall'una e
dalle altre si ingerisce| l'alimento. Se dunque vuoisi una
definizione comune ad ogni sorta d'anima, si dirà essere
la superiore funzione perfetta di un corpo naturale
orgaìiico (')».
Non deesi dunque domandare, se il corpo e l'anima sie-
no la stessa cosa, come non si domanda se sia lo stesso la
cera e la figura impressa, e così neppure la materia di qua-
lunque cosa e ciò di cui è materia ....
Abbiamo dunque detto in universale, che cosa è l'ani-
ma: è la sostanza razionalmente concepita; or questa per
un corpo qualunque è d'essere ciò che esso è; e per esem-
pio se uno degli stromenti di cui ci serviamo potesse esserft
nn corpo naturale, poniamo un'ascia, la sua sostanza ra-
zionalo sarebbe di essere ascia, e questa sarebbe l'anima
sua, perduta la quale, non sarebbe ascia se non che di no-
me Si può applicare questo anche alle parti dell' es-
sere animato. Se l'occhio fosse l'animale, la sua anima sa-
rebbe la vista; perchè questa è la sostanza razionale del-
l'occhio; e l'occhio è la materia della vista; la quale se
venga a mancare, non si avrà che \\i\ occhio di nome, non
(') i.r.\,
t'x»* n ft^wTn 7«ùfi<iT«e fvtiwi «pyrnuv. Di Ab. IL 1. 6.
■^ --j.
I
— «37 —
diverso da nno scolpito o dipinto. Or ciò che s'è detto di
una parte, è mestieri applicarlo a tutto il rorpo vivente. . .
Come dunque la facoltà di tagliare è l'essenza dell'ascia, e
la vista è l'essenza dell'occhio, cosi l'anima ò lo stesso che
la vista neir^occhio e il filo nell' ascia: il corpo è ciò che è
in potenza; ma come l'occhio si compone della pupilla e
della vista, cosi l'anima e il corpo formano l'animalo (') » .
A render completa questa dottrina sull'anima, Aristo-
tile volge uno sguardo a tutto il mondo organico, a tutte
le manifestazioni della vita, e dichiara che l'anima e la
vita umana non sono che il gradino supremo della scala
degli esseri viventi .
« L' essere animato si distingue dall' essere inanimato
per il vivere. Vivere sì dice in più modi: un essere vive,
quando possiede anche una sola delle seguenti cose: intel-
letto, senso, locomozione e riposo nello spazio, movimento
per fatto di nutrizione, accrescimento e deperimento. Laonde
anche le piante appariscono dotate di vita, per avere in se
stesse una forza e un principio dal quale traggono il loro
accrescimento e il loro deperimento in sensi contrari. Per-
chè non crescono solamente in alto e non in basso; ma si
sviluppano e si nutriscono egualmente nell'una e nell'altra
direzione e in qualunque verso, e vivono tutto il tempo
che possono trarre il nutrimento. Egli è perchè questa fun-
zione può essere separata dalle altre, ma le altre da essa
no, negli esseri mortali: il che si vede nelle piante, nelle
quali nessun'altra potenza dell'anima s'incontra. Questo è
dunque il principio della vita in tutti gli esseri viventi: ma
l'animale è costituito primitivamente dal senso; ed è per
questo che anche gli esseri che non sono dotati dì locomo-
zione, se hanno la'sensihtiità, diciamo che non solamente vi-
vono, ma sono 'animali. Il primo senso che appartiene a tutti
gli animali è il tatto: e come la nutrizione può isolarsi dal
ODeAn. li. 1. l.flMgg.
— 238 —
tatto e da ogni sensibilità, egualmente il tatto può isolarsi
da tutti gli altri sensi. Noi chiamiamo facoltà di nutrizione
quella parte dell'anima che è comune anche alle piante; ma
tutti gli animali senza eccezione sembra che abbiano il sen-
so del tatto. Diremo più tardi la causa di ciascuno di questi
fenomeni. Per il momento limitiamoci a dire, che V anima
è il principio delle facoltà sopra indicate e si trova definita
da esse, cioè: la nutrizione, la sensibilità, il pensiero, il
moto.
Ciascuna di queste facoltà è essa l'anima, o solamente
una parte dell'anima? E se è una parte, è tale che possa
separarsi soltanto mentalmente oppure anche materialmen-
te? Sono quistioni, alcune delle quali possono facilmente
essere risolute, ed altre presentano grandi difficoltà. Così,
come nelle piante alcune vivono dopo averle divise e sepa-
rate, quasiché l'anima per questi esseri fosse perfettamente
e realmente una in ciascuno di essi, e molteplice in poten-
za; del pari vediamo in un'altra classe d'anime, un feno-
meno analogo prodursi negl'insetti che si tagliano. Ciascuna
delle loro parti possiede la sensibilità e la locomozione; e
se hanno la sensibilità, hanno ancora l'immaginazione e
l'appetito; perchè dove è senzazione, havvi pena e piacere,
e dove sono queste affezioni, vi ha necessariamente cupidi-
tà. Non v'è nulla di chiaro ancora intorno all'intelletto e
alla virtù speculativa; ma sembra essere un diverso genere
d'anima, e questo solo possa separarsi come l'eterno dal
caduco. Quanto all' altre parti dell'anima, i fatti provano
bene che non sono separabili, come si è sostenuto talvolta;
ma razionalmente elleno sono differenti; manifestamente
perchè è diverso l'essere sensitivo dall'essere pensante, per-
chè sentire e giudicare son cose diverse. E così delle altre
facoltà nominate. Di più alcuni animali le possegono tutte,
altri alcune, altri una sola. Ciò costituisce la loro differen-
za; e noi vedremo più tardi quale è la causa di questo. Ma
avviene qualche cosa di somigliante per i sensi; altri non
ne haano che alcuni; altri un solo, ed è allora il più neces-
sario, il tatto (')».
II pensiero di Aristotile apparisce qui abbastanza mani-
festo. Esso trasporta la quistione dell'anima sul terreno
della Biologia, e non esita a porre l'anima come funzione
superiore del corpo vivente. Questa dottrina cozza con qua-
si tutte quelle dei predecessori, ma è poi essenzialmente
antagonistica di quella di i'iatone.
Le conseguenze che se ne possono trarre, e che Aristo-
tile stesso ne ha trntto, cons-uonauo col significato generale
di quella dottrina. La più importante di queste è la identi-
ficazione dell'anima colla funzione vitale. La vita, dice
espressamente Aristotile, si manifesta per quattro gradi, nu-
trizione, locomozione, sensilività e intelligenza. Eia tutti
questi gradi è l'anima che rappresenta la funzione superiore
del corpo vivente ed organico, secondo che esso sia vege-
tale, animale, od umano. Esso dichiara espressamente, che
se vi fosse una causa della vita diversa dall'anima, quella
sarebbe la. vera anima (*). Nella vita si ha una serie ascen-
dente in perfezione, che aumenta la facoltà degli ordini
inferiori e loro ne aggiunge uno suo caratteristico. Questa
serie determina i suoi gradi con varie specie di funzioni
proprie, che si dicono anime. La legge di questa serie
regolare porta « che senza nutrizione non ha luogo sensi-
bilità; ma la nutrizione nelle piante è separata dalla sen-
sibilità. I)'altr.i parte senza il tiitto nessun '+l(ro senso esiste.
Ma il tatto può esistere senza gli altri; cosi molti animali
non hanno uè la vista né l'udito, e son privi dell'odoralo.
Fra gli esseri dotati di sensibilità, alcuni possiedono la loco-
mozione, altri no. Intìpe pochi animati hanno ti ragionamento
e il pensiero. Quelli che hanno il ragionamento, hanno
anche tutte le altre facoltà; ma quelli che non ne hanno
(■) De An. II. 2. 1.
(*) De An. I. 5. 23. t 34.
— 240 ~
che una, non hétnnò tutti il ragionamento. Inoltre alcuni
sono privi d*immaginazione, mentre altri non vivono che
per essa. Dell' intelletto speculativo, sarà parlato a suo
tmipo. E dunque evidente, che la definizione che conviene
meglio a ciascuna di queste facoltà, è anche quella che me-
glie conviene all'anima (^) » .
È uno de' più bei lavori Aristotelici l'insieme delle os--
servazioni; colle quali la serie de' gradi della vita è illu-
strata, incominciando dalla nutrizione fino all'intelligenza.
L'esame di quelle dottrine ci devierebbe dal nostro scopo,
che è di conoscere il metodo di Aristotile nello studio della
Psicologia. E mestieri dunque limitarsi a qualche raggua-
glio circa la suprema tra le anime quella che porta per
caratteristica la intelligenza .
L'anima, secondo i concetti di Aristotile, è comune a
tutti i corpi viventi, e si classifica secondo diverse varietà.
Ma queste varietà non sono aggruppate quasi in un gene-
re, di cui elleno sieno specie, ma sono distribuite in gradi
successivi che si restringono in estensione mentre si allar-
gano in comprensione. Il primo o più basso grado che ha
tutta l'estensione della serie de' corpi viventi è caratterish
zato da due o tre semplici attributi; l'altro aumenta di al-
cuni attributi sul primo e comprende meno esseri viventi;
il terzo aggiunge ancora a' due precedenti qualche attributo
e comprende sempre meno esseri viventi; e cosi di seguito.
Così si va per gradi cominciando da una classe Ji esseri
viventi, che posseggono l'anima nutritiva^ e passando ad
un'altra classe che possiede la nutritiva e la senziente^ ed
un altra che alle due precedenti aggiunge la locomovente,
r appetitiva la fantastica , ed un altra che a tutte aggiunge
la noetica (intellettiva).
Si può osservare qui^ che la classificazione Psicologica
di Aristotile cammina a rovescio di quella di Platone. Nel
(') De An, II. 3. 7.
- 241 -
Timeo si comincia colla grande anima del mondo, e per
successive forme di degradazione siamo coodoUi all'uomo,
9gli animali, alle piante; mentre Aristotile prende le mosse
dal più largo e numeroso complesso d'iiidiviihii viventi, che
«imprende tntta la vita, e ci porta a diversi gradi di anime
per aggiunta di proprietà nuo^'e, ma senza perdere mai la
base dell'infimo grido pn?if,o t fondamento di tutta la vita.
Il posto più elevato tra lo animo è tenuto dall'anima
intellettiva, dalia Noiìs.
Nei secondi Analitici Aristotile dice: cirt-a le abitudini
(iK^ttuv) che spettano al pensiero, e per le quali raggiun-
giamo la verità, alcune sono eternamente veraci, altre
vanno soggette al pericolo del falso, come l'opinione e la
disputa; ma la scienza e la intelligenza (voùr) sono eter-
namente veraci. Nessun altro genere è più certo della
scienza, all'infuori della sola Noùs. Siccome inoltre i prin-
cipj della dimostrazione sono pin noti di essa, ed ogni
scienza è ragionata, ne segue che la scienza non dimostra
i principi; ma poichà non v'ù che la Noùs che possa es-
sere più verace della scienza, spetta alla Noùs la abitu-
dine di formare i prìncipj. Questi possono essere conosciuti
soltanto per via delia Noùs, che gli cava dai particolari.
Per via dei principj così procacciati dalla Nnùa la scienza
sì fa strada alle sue conclusioni. La Noùs è il gran prin-
cipio della scienza (')».
In questa guisa ì principj e tutta la scienza immediata
di cui abbiamo a lungo parlato in addietro, come prodotto
dell'induzione, è da Aristotile riportata a facoltà e abito
della Noùs dotata di eterna certenza.
Aristotile ereditò da Platone questa dottrina di una in-
fallibile Noós intelligenza, che è posta in condizione di
completa immunità dall'errore. Ma in luogo di appoggiarla
(come Platone avea fitto) sulla Reminiscenza delle Idee
(•) An»l. po«t. n. 15. 8.
- 242 —
contemplate in una vita estramondana, la collega invece
col lavoro della induzione.
In questa maniera la Noùs comparisce essere la facoltà
d'intendere nel suo esercizio abituale, facoltà alla quale si
attribuisce la eternità e la infallibilità, in quel modo che
r una e r altra si attribuisce alla conclusione. Eternità e
infallibilità, che significano la destinazione delle facoltà co-
noscitive in ordine al vero, secondo loro natura; significano
la impossibilità di porre in dubbio i loro prodotti al modo
che teneano gli scettici; significano la necessità di accet-
tarle quali eternamente ce le presenta la natura umana, e
là necessità di riconoscere la condizione invariabile della
loro funzione. E un postulato naturale contro gli scettici, e
contro tutti quelli che sostenevano non essere possibile usci-
re dall'incertezza, dal dubbio, dal pericolo dell'errore^ non
potersi acquistare il criterio della verità, né queir impera-
tivo razionale che impone alla ragione l'assenso.
Tutto ciò riguarda l' ufficio logico della Noùs; ma non
interessa meno la condizione di essa come culmine delle
anime e come altissimo prodotto nella scala della . vita.
Aristotile definisce prelimiparmente la Noùs, come quella
parte dell'anima razionalmente distinguibile dalle altri
parti,, ma non realmente divisa, la quale è destinata a cono-
scere e riflettere mentalmente ('). Conformemente allo sche-
ma generale costantemente seguito da Aristotile nella trat-
tazione dell' Animalità, la più elevata parte dell' Anima,
benché distinta dalle inferiori, le presuppone tutte. Come
r anima sensitiva suppone la nutritiva, del pari la pensante
suppone la nutritiva, la sensitiva, la fantastica, la remini-
scente. Aristotile distingue accuratamente la regione del
senso neir anima dalla regione del pensiero, e confuta spes-
so la dottrina dei filosofi, che le confondevano o identifica-
vano. Ma d'altra parte ha gran cura egualmente di
(^) De. An. IL 4. 1. e segg.
ooastatara il rapporto tra esse, e di presentare la facoltà
sensitiva non pure come tale che accoglie in se in una certa
proporzione la proprietà di giudicare, ma anche come con-
dizione essenziale e fonfiaiiieutale per l'esercizio delle
funzioni del pensiero, e come porzione neeeas'iria dell'anima
umana. Esso afferma nell;v più esplicita maniera, che
l'anima non può pensare o ragii »n.ire senza fantasmi, che
i fantasmi sono indispensabili per l' attuale lavoro delta
Noùs.
La dottrina di Aristotile circa la Xoiìs è s(a(a molto
imbarazzante fin dal tempo de' primi comiuentatori. Parte
per la oscurità inerente al subietto, parie per la dìtfettosa
condizione del testo, quale ci è pervenuto, il vero senso
dell'autore non è agevole a comprendere.
Aristotile avea riconnesso la sua teoria biologica tutta
intiera, come sopra abbiamo accennato, colle idee da esso
introdotte nella sua Ontologia circa la Forma e la Materia.
Esso considerava la sostanza o l' essenza come un composto
ideale; non solamente in quanto fosse corredalo di tutti gli
accidenti classati nelle Categorie, ma anche capace di es-
sere analizzato idealmente in se stesso. E in questa analisi,
all' infuori delle accidentalità categoriche, Aristotile rite-
neva vi fùssei'o uella sostanza d'ie elementi nSlratti, logici,
concettuali, o princijìj — La Forma e la Materia. Sono
questi i due peroj di tutta l'ontologia Aristotelica, dei quali
si trova f:ìtto uso in mille maniere, alcune ingegnose, altre
strane e piene di soUigtiezze. Questi due priucipj mentali
sono due correìativi V nno dell'altro, combinati insepara-
bilmente nel fatto reala in ciascimo individuo, cha vien
rappresentalo da un nome sostantivo; sono mentalmente
separabili e capaci di essere denominali e considerati a
parte l'uno dopo l'altro. Io questa maniera l'analisi Ari-
stotelica in proposito della sostanza individuale concreta ci
porta a una triplice divisione mentale, colla quale si
scopre in essa: 1 ." La Forma, 2.° La Materia, 3." La Cosa,
- 844 -
ossia il composto delle due precedenti. Questa terza osser-
vazione ci conduce dall'ordine mentale al reale, dall' astra-
zione al fatto concreto.
La Forma chiede per suo correlativo la Materia, e
separata da questa è nulla, come del pari la Materia
richiama la Forma. La completa realità, il concreto indivi-
duale è il solo esisteuto in realtà; i costituenti di esso,
Forma e Materia, non hinno esistenza separata, ma una
esistenza concettuale prodotta per via d' astrazione.
Da un altro punto di vista, la Materia e la Forma
esprime il Potenziale e 1' Attuale. La Materia è il
potenziale, imperfetto, in stato di semplice possibilità,
ai quale sopravvenendo la Forma, Io attualizza e lo
rende perfetto e compiuto. Questo passaggio dalla poten-
zialità all'attualità dà al concreto che ne nasce la sua
entelechia.
Orala Forma e la Materia essendo Tuua all'altra
essenzialmente relative, hanno varj gradi di relazione
di maggiore o minore importanza. Cosi un blocco di
marmo è un concreto, un completo, il quale risulta
dalla Materia e dalla Forma ( marmorea ); ma questo
completo può a sua volta essere semplice Materia che
aspetta una nuova Forma relativamente ad un nuovo
completo, la statua .
Il Corpo celestiale è la grande regione delle Forme,
secondo Aristotile, ed è quella gran massa che circonda il
nostro Globo. In^quelìo è incorruttibilità, in questo gene-
razione e distruzione. Ogni Forma, egualmente che ogni
anima che informa il corpo vivente, trae la sua facohà
vivificante da quella regione celestiale. Ogni semenza di
vita racchiude in se un certo spirituale o gassoso calore,
più divino che i quattro elementi, proveniente dal Sole e di
natura affine a quello delle stelle. Cotal calore solare o cele-
stiale è diverso genericamente dal calore del fuoco. È
r unica sorgente da cui si origina la vita col calore animala
— 246 —
che la accompagna. L'anima, iii tutte le sue varietà, pro-
viene da quello (•).
Ma sebbene tutte le varietà di anima provengano
dalla medesima sorgente celestiale, elleno ritengono ~il
divino elemento in gradì difTerenli e sono molto disugaalì
comparativamente in valore e dignità. Per questi gradi
si ha la scala ascensiva dall'anima nutritiva sino alla
noé^ca.
Ma l'anima nutritiva e la senziente hanno ciascuna una
speciale attività corporea da svegliare e un movimento con-
forme ad essa. Mentre la Noùs, o l'anima razionale, non
è destinala a generare nessuna stmigliante attività corpc^-
rea. Non v' è nessuna speciale corporea potenzialità ( per
parlare il linguaggio Aristotelico ) che essa sia destinata
ad attualizzare. Essa procede dalla medesima sostanza
celestiale, ma essa si sovrappone alle anime nutritiva e
senziente, e sopraggiunge in un età dell'individuo più
avanzata di quella che porta le due prime. E anche per
questo che essa è separabile dal corpo organizzato e viven-
te, perchè le potenzialità di esso come corpo vivente sono
attualizzate dalle altre due anime. La vera Noùs è entele-
chia del corpo celestiale. Ma da quello una certa intluenza
di Nofìs è tramandata ad alcuni mortali abitanti della ter-
ra, dell'acqua e dell' aria. E per questa via alle due fun-
zioni dell'animale, nutritiva e sensitiva è aggiunta una
terza funzione noetica, che porta seco una sua specialissima
attitudine a raccogliere il Formale di tutte le cose e l' Uni-
versale. E così l'anima noètica è chiamata da Aristotile
« il luogo delle Forme » « la potenzialità delle Forme *
« il correlativo delle cose, astrazion fatta dalla loro mate-
« ria».
Ora la distinzione e correlazione, che, secondo Aristotile,
(') Orote. Aristotle. Voi. li. De Anim».— Ariit. DeQeirtrat.
i
— 246 —
si trova diffusa in tutta la natura, quella cioè della Forma
e della Materia, la medesima si trova anche nel seno stes-
so della Noùs. In questa bisogna riconoscere un Intellectus
agens o costruttivo, e un Intellectus patiens o recettivo (*).
IJ agens è la grande energia intellettuale che' investe il
corpo celestiale, ed agisce sui corpi animati capaci della
sua influenza; analogo alla luce, che illumina i corpi dia-
fani, e quello che era colore in potenza lo fa colore in atto
e visibile. Il patiens è la recettività intellettuale prodot-
tasi in ciascuno individuo per il sopravvenire deir agensy
e che lo rende capace di intendere le cose. Il patiens è
anteriore all' agens cronologicamente, avuto riguardo alla
formazione dell'individuo, mentre V agens è come fatto
generale anteriore per natura. Entrambi sono peraltro cor-
relativi. U Intellectus agens è pura intellettuale energia,
senza mistura di sorta^ inimpressionabile dal di fuori, sepa-
rabile da tutti i corpi animali; e in questo senso esso è im-
mortale, è il solo immortale, mentre l' intellectus patiens
perisce colle altre anime e col corpo. Cosi sebbene V Intel-
lectus agens sia eterno, e sebbene ne abbiamo noi una
partecipazione, noi non possiamo ricordarci nessuna delle
sue operazioni precedenti alla nostra maturità; perchè per
rimembrare e pensare noi nel nostro particolare abbiamo
bisogno del concorso delY Intellectus patiens y che comincia
e finisce con noi (^).
Si vede qui in tutta la sua estensione la differenza della
dottrina di Aristotile da quella di Platone rispetto alla im-
mortalità deir anima. Aristotile definisce V anima come la
prima attualizazione di un corpo che ha potenzialità di vita
con un determinato organismo. Conseguenza di ciò, ed
Aristotile lo dichiara espressamente, è che V anima e il
corpo nel caso di ciascuno individuo formano una cosa indi-
ODeAn. III.
(«) De An. III.
— S47 —
visibile, talché l' anima di Socrate perisce di necessità col
corpo di Socrate. Ma Aristotile stesso salva da questa
morte la Noùs speculativa, non dipendente dall'organismo
corporeo ma capace di esserne separala come dal mortale
l'eterno. Questa riserva assicura l'eternità alla energia
speculativa, ma non all'anima razionale di Socrate. La
Noùs speculativa che esiste in Socrate, Platone, Democrito
ec. è individualizzata in ciascuno, e di tferenl emente indivi-
dualizzata. Essa riippresenla la combinazione dell' Inlelle-
ctus agens, Noùs Formale, universale e permanente,
coW Iniellectus pnfiens o recettività noetica propria di cia-
scuno individuo. Come la Forma prevale alla Materia in
tutta la natura, cosi prevale nella Noùs e neiranlma
genericamente. Or ciascuno individuo non pud sussistere
nella sua qualità di pensante senza la cooperazione dell' a-
gens e del paliens, Forma e Materia. Ma \' Intellectus
patiens viene a mancare colla morte dell'individuo. In
conseguenza la vita intellettuale di Socrate non può essere
protratta più oltre. Cessa col mancare della vita nutritiva
e sensitiva. L'uomo intettuale, come individuo, non è più
immortale che l'uomo senziente,
L'individualità ( l'essere imo numericamente in una
specie) e la immortalità sono per Aristotile incompatibili,
l'una eselude l'altra. Ogni individuo vivente aspira a
diventare immortale, ma la natura gli ha posto un ostacolo,
oppure Timmortalilà è incompatibile coli' individualità; ed
è perciò che ogni indivìduo procreando il suo simile cerca
di avvicinarsi all'immorUilità col perpetuare la specie (').
Come la specie delle piante, degli animali, degli uomini sì
fa immortale attraverso a una sucwssione d'individui mor-
tali; la Noùs è immortale, mentre gl'individui pensanti
periscono (*).
(*) De Geaerat. Animai. II. 1. — De Ad. TI. 4. — Oecon. I.
{*) Oroto. Ariitotle. De Ànim. panini.
— 2® ^
Nel dare questi pochi traiti della teorica di Aristotile
intorno alle anime, ho seguito le traccio di Grote, che ns
presenta una anahei la più chiara e la più compiala. Come
è facile vedere, in questa teoria Aristotile si abbandona ai
concetti che formano la base della soa Ontologia o Metafi-
sica, e una gran parte delle dottrine che nascono da questo
connubio di osservazioni del mondo vivente e di astrazioni
metafisiche, perdono affatto ogni valore scientifico. Questo
ronzare attorno ai palazzi incantati della Metafisica colla
Bua dottrina del corpo celestiale incorruttibile, e colla teo-
rica della Forma e della Materia, dell' Intellectus Agens e
dell' Intellectus patiens, non distoglie tanto Aristotile dalla
via dell' osservazione che gli è bì famigliare, che il libro
dell'anima non presenti ad ogni passo concetti del più alto
valore scientifico sulla nutrizione, sulla sensi-vita, sulla fan-
tasia ec. E molto meno n' è menomato il valore del concetta
fondamentale biologico dal quale Aristotile partiva, facendo
la sua teoria dell'anima in considerazione di lutti i corpi
organici viventi.
La dottrina poi dell'intelletto attivo eterno, imperso-
nale, e dell' intelletto passivo, personale, umano mortale,
ha una speciale importanza dal lato storico, perchè tocca a
qaistioni gravissime.
Aristotile, sembra, non si facea scrupolo di strapparsi
dal cuore questa brama di immortalità, che ci tormenta di
contimio, e neppure di legare il pensiero alle vicende di
nascita, di accrescimento, di decadimento e di morte del
nostro corpo. Ed affrontava tranquillo i Platonici e i Pita-
gorici; ed essi non pare se ne scandulezz:nssero gran fatto
dal lato morale. Segno, che le quistionì filosofiche a quel
tempo erano più calme che a' nostri giorni.
Infatti in queste dottrine Aristoteliche è riposta la s&>
menza di una gravissima controversia, che data da luogo
tempo e oggi fa più rumore del solito, la controversia tra
la Materia e lo Spirito.
I
Aristotile è egli materialista? Se per materìaliata si vuo-
le intendere chi ritiene che Don esista nel corpo un ente di
natura a. parte (spirituale), personale, separabile, immor-
tale, Aristotile è materialista certamente. Esso non accorda
l'immortalità che all'Essere impersonale. Se invece per
materiahsta s'intende chi non fa distinzione di classe tra i
fenomeni, e dichiara che i fenomeni intellettuali sono un
semplice processo della materia corporea, senz'altro, Ari-
stotile col suo Intellectus agens si separa dai materialisti,
benché non si accosti agli spiritualisti puri.
Queste dottrine di Aristotile hanno un'importanza
gravissima tanto dal lato storico, quanto dal lato del loro
significato, considerato dal punto di vista moderno. La di-
scussione tra i materialisti e gli spiritualisti è oggi al suo
colmo. Ma è forse esagerata la portata delle conseguenza
nell'una scuola e nell'altra. Gli spiritualisti navigano io
piena metafisica, e un po' di metafisica rifiorisce qualche
volta anche di sotto al materialismo. Dallo studio dei feno-
meni spirituali nella loro orìgine materiale, si potrà avere
la spiegazione di questi fenomeni? Non lo credo, e ne darò
una ragione piì» avanti. Dalla esistenza di un ente sostan-
ziale, spirito, ente contrapposto alla materia', anzi alla
natura, si può avere la spiegazione di quei fenomeni? La
presente controversia, figlia di una controversia antichis-
sima, prova, che una spiegazione di tal fatto è insufficiente.
Egli è, che impossibile riesce in questi fenomeni, come
in tutti gli altri, trovare la spiegazione della loro essenza,
e ci d forza limitarsi alla cognizione delle loro condizioni.
Senza aver la pretesa di risolvere I.a quìstione, mi per-
metterò di esporre alcuni dubbi, i quali si riferiscono talu-
ni alla tesi sostenuta dagli spiritualisti, altri a quella dei
materialisti.
Certo mi sembra, che questa controversia turba og^
pili del dovere le serene regioni della scienza. Dico più del
dovere, perchd ritengo assurdo, che le concluuoni scianti-
X7
— 250 —
fiche' di qualunque portata siano, possano portare lo scom-
piglio negli ordini sociali e Io sconforto nel cuore. Lo
scienziato, che si agita e si spaventa per una conclusione
scientifica, mostra di non essere scienziato, ma settario. Le
conclusioni a cui a(;jC!ennano oggi certi slud] biologici, e in
specie fisiologici, hanno messo a remore il campo delle
scienze morali. I cultori di queste, parte se ne sono impen-
sieriti, per tema che certe conseguenze minaccino il quieto
vivere della società, parte si sono gettati ad avversare la
Fisiologia partendo da un tradizionale rispetto di venerate
dottrine, parte hanno abbracciato con tutta franchezza le
nuove dottrine per nulla allarmandosi delle loro conseguen-
ze, ritenendo come necessità inevitabile T accettazione del
vero, e fidando nella naturale tendenza delle forze sociali
ad equilibrarsi e a rendere innocui i momentanei turbamenti
che uno spostamento delle vecchie dottrine potrebbe portare
neir ordine morale.
Gli spiritualisti puri sono quelli che ritengono esservi in
ogni individuo umano uno spirito, ente distinto dal corpo,
personale, principio e cagione di tutti i fenomeni mentali e
morali, che si serve della materia corporea come strumento
per compiergli. I Materialisti sono quelli (;he ritengono non
esservi alcun ente di tal natura, i fenomeni spirituali pro-
venire da processi della materia organizzata, fenomeni di
un ordine più elevato che i fenomeni fisici e i sensori, ma
* non di opposta natura.
I dubbi che possono sorgere in chi esamini le teorie
degli uni e degli altri con occhio spassionato, sono molti.
Lo spirito è una sostanza diversa dalla materia? Cioè a
dire, i fenomeni che si chiamano spirituali sono prodotti da
un ente sostanziale diverso da tutti gli enti materiali? Che
cosa è lo spirito? Nessuno lo sa. E infatti non v'è mezzo
di conoscerlo, perchè tutti i fenomeni spirituali ci arrivano
rivestiti di materia, e senza essa svaniscono.
Egli è, che lo spiritualismo risulta da una ipotesi, che
»
- 251 —
ha in mira la spiegazione de' fenomeni che si preaentauo
nell'animale ragionevole, ma in verità non conferisce gran
fatto a rischiarargli, perchè essi medesimi restano involti
nella oscurila che si trova attorno alla base ipotetica spi-
ritualistica. Dicesi, (') la materia non può pensare. Perchè?
Che cosa autorizza questa delimitazione delle proprietà del-
la materia? Lo essere la materia estesa, mentre il pensiero
è inesteso. A vero dire, l' inestensione del pensiero non po-
trebbe oggi armettersi ragionevolmente. 11 pensiero è per
lo meno successivo; se tale non fosse, Ì suoi prodotti, non
potrebbero essere percepiti dal nostro proprio senso intimo;
è forse più istantaneo che certi altri fenomeni materiali, ma
la sua istantaneità è invero una quasi-istantaneità. Quella
che nei fenomeni del pensiero ci sembra inestensione e im-
materialità, è forse estrema finezza di essi, che gli renda
impercettibili a' nostri organi, ed è complicatezza massima,
che c'impedisce di seguitargli nella loro evoluzione.
D'altra parte non vi sono gradazioni nei fenomeni del
mondo, che ci mostrano l'azione della materia, a così dire,
pili e pili assottigliata; come quando da' fenomeni mecca-
nici si passa a' processi chimici, dall'inerzia alla estrema
mobilità, dalla caduta de' gravi alla luce e all'elettrico? Chi
potrebbe porre un confine alla crescente perfezione de' fe-
nomeni materiali? se non conoscessimo che sola la caduta
dei gravi, supporremmo forse impossibili i fenomeni della
luce e dell'elettrico.
Nella natura e ne' suoi fenomeni troviamo ima ffra-
dazione ascendente; sui primi gradini i fenomeni, se coat
pud dirai i più materiali, come la gravitazione, lo spo-
stamento, la coesione, l'impenetrabilità ec; nell' ultimo
gradino i fenomeni spirituali, il pensiero, la coscienza, la
volontà. Nell'intermezzo si hanno dei fenomeni che non
I italA profeiiat» kaclis d»
(') QaeitK opinioDB sambra e
liùtotile .V. Da Aa. HI. 4. 12.
— 252 -
somigliano ai primis né hanno l'altezza degli uhimi; hetn^
no una energia loro particolare^ talvolta tinà efiitfettìa
priscisione^ e si possono coli' intermezzo di strumenti o
talvolta senza, rendere accessibili a' nostri sensi. Ln
teienza gli chiama processi, e se ne origina la luce, il
calorico, Telettrico ec. In questa gradazione di fenomeni
è notevole la persistenza della materia con qualità sem»
pre più perfette. Nei fenomeni meccanici il moto è confi^
nato in certi limiti, nei fenomeni prodotti dai processi il
moto sovente acquista proporzioni straordinarie, nei feno»^
meni spirituali il moto è quasi istantaneo. Lo stesso 6
delle altre proprietà fenomenali, che vanno in questa gra^
dazione perfezionandosi.
Altrettanto si vede succedere nella complicanza dei
fenomeni. Anche in questa i fenomeni naturali mostrano
una gradazione, per la quale vanno crescendo di oomples^
sione nella loro propria classe e nelle varie classi. Dei
fenomeni meccanici si possono talvolta assegnare le leggi e
la loro concatenazione, accumulare i dati per calcolare il
loro movimento, predire il complesso del fenomeno; cosi
nella Balistica si dirige un proiettile, così si predicono i
movimenti dei corpi celesti. Talvolta la complessità dei
fenomeni diventa cosi grande, che, sebbene si conoscano
le loro leggi fisse, non si arriva a concepitane la concatena*»
«one, per la impossibilità di aggruppare certi dati che
sfuggono alla percezione. Cosi per la caduta di un sasso in
un lago di acqua, sebbene si possa conoscere là le^e gene-
rica colla quale un liquido di una data densità sposta le sae
onde percosse; ciò non ostante non si può calcolare il
punto in cui una data molecola d'acqua si troverà in uti
momento dato, in seguito all'urto del sasso: perchè in que-
sto fenomeno agiscono diversi dati impossibili a por» in
calcolo come la forma irregolare del sasso, la scabrosità
delle ripe ec. In eguale modo, benché assolutamente par-
lando, si potrebbero conoscere le leggi con cui divei^se palle
sì voltolano in una urna, non si può per altro calcolare la
palla che verrà estratta, perchè nella produzione di questo
fenomeno non si possono enumerare moltissimi dali sempre
varj che si verificano nel moto dell'urna e nella posiziona
delle palle raccliìuae. Il calcolo delle probabilità, iioa segue
ì dati del moto meccanico delle palle nell'urna, ma tutt' altri
dati. Questa complessione di fenomeni diventa esorbitante
negli esseri viventi e sensitivi, e benché si conoscano gene-
rìeaioente le leggi dell* istinto, non si può per altro predire
dove si troverà in un nioaiento dato uu animale lasciato in
libertà. Complessila che diventa anche piìi grande nei
feDomeni spirituali, nei quali innumerevoli dati ignoti
pceodono parte alla loro produzione, e danno per risultante
il eotsplesao del pensieri, dei voleri, degli atti umani e degli
avvenimenti. Questa impossibilità di applicare le le^i
conosciute, questa serie di dati ignoti si personifica nel
linguaggio comune nella fortuna per il caso delle proba-
bilità, e pei rimanenti nel vagabondaggio dell' animale, €
Delta libertà e nel pensiero dell' uomo.
Una gradazione analoga si riscontra nei composti
mtturuU e nel loro modo d' azione. Si hanno i composti
iaorganiei derivanti dalla più semplice combinazione dei
iSKtUUi metalloidi eloro prodotti; si hanno le fermentazioni
mistura di ooinposti inorganici ed organici; si ha la cellula
organica vegetale; la cellula organica animale; i composti
a&iniali sensitivi in serie crescente; i composti animali sen-
sitivi, che presentano fenomeni intellettuali. Tutti per altre
questi composti naturali presentano una combinazione di
elementi minerali variabile nella proporzione, invariabile
nella qualità. La diveraità dei fenomeni provenienti da
questi diversi gradi di formazione non può mettersi in dub-
bio; ma non sì può negare la uniformità fondamentale degli
dementi componenti. Il complesso dei loro effetti cì pra^
Mata dei modi d'azione variati, che chiamiamo forze e
sono yM es. moto, affinità, attrazione, calore, luce, elettri-
— 254 —
dtà, senso^ intelligenza. Quale ò il segreto della formazione
di queste forze in seno a quei composti di elementi mine-
rali sempre i medesimi in varia proporzione? È impossibile
il dirlo; se ne conosce solamente il modo e le condizioni
adatte. Quale è la ragione ultima che fa si, che quei com-
posti prendano aspetto di combinazione chimica, di organi-
smo vivente, di animalità sensitiva, d' intelligenza? È del
pari impossibile a dirsi.
Or tutta questa gradazione nei fenomeni e nei composti
naturali ci dovrebbe far cauti nelF assegnare il limite a
quella specie di raffinamento che la materia ci mostra, e
farci anzi vedere l' impossibilità di arrestarla ad un punto
dato, e di porre un abisso tra i più elevati fenomeni mate-
riali e gì* intellettuali . Ciò acquista tanto maggior valore,
quando si consideri che dagli stessi spiritualisti la miglior
parte dei fenomeni sensorj sono dichiarati fenomeni spiri-
tuali; e in verità per il lato della semplicità, dell'apparente
inestensione, simultaneità ec. certi fenomeni dell' immagi-
nativa non differiscono molto dai fenomeni intellettuali, o
soltanto per grado, non per natura. Or questi fenomeni
sensitivi sono prodotti in varia gradazione* anche in seno
air animalità bruta. Il sentire, e talvolta V immaginare
degli animali è analogo a quello dell' uomo. V è dunque
uno spirito, ente immateriale, cagione di quei fenomeni nel
corpo degli animali bruti? Oppure se non v' è, può la mate-
ria organica produrre i fenomeni sensitivi, e gl'intellettuali
no? Non v'è ragione di fare questa differenza, né v'è
ragione di porre un limite all'azione e alle capacità della
materia.
I materialisti hanno così un gran vantaggio, ed è che
essi possono definire la materia per via d'attributi positivi.
Essi dichiarano il loro concetto di materia, dicendo che
essa ha per caratteristica r estensione. E per estensione
intendesi la successione di due o più punti^ successione
sótto forma di tempo o di spaziowv Ora siccone i fenomeni
- 255 —
mentali si presentano in qualche modo estesi, da questo
partono i materialisti por arrivare a classare i fenomeni
. mentali assiemo con quelli elio universalmente si appellano
fenomeni materiali.
Ma gli spiritualisti quando si pongono a definire lo spi-
rito, non ci riescono, che per esclusione di dati positivi. E
dicono infatti ch^ lo spirilo ò un ente che ha caratteri op-
posti a quelli dell i matnia, clic ò seitiplice, che non ha
estensione. Questo modi,» di caratterizzare lo spirito è del
tutto negativo. L'cstonsioue si con- sce, perchè è forma di
tutte le nostre sensazioni; ma la semplicità non si conosce
che per 1* esclusione montale della ostensione. Per questa
via gli spiritualisti non polendo disc(»noscere la caratteri-
stica di estensione noi fonoiiioni mentali, si contentano di
attribuire Li semplicità a un fine i[)Ototico che gli produce.
E aggiungono, che la ostonsi'.>ne di quei fenomeni dipende
dalla necessità che In lo spiriio di servirsi d'un oy^gano
esteso per produrgli, ma che lo spirito stesso è inesteso.
Tutto ciò lascia una irrande incertezza dal lato scienti-
fico a tutto d'inno dogli sì^iriiualisti. Resta sempre inespli-
cabile il modo d'agire di qiiesro ente inesteso sul suo
organo esteso.
Ma i materialisti, che son tratti dalla loro dottrina ad
attribuire la fonniziouo doì ieno.noni montali ad un processo
fisiologico cort'bralo, I;annu, se.nbrami, dal canto loro un
torto gravissimo di cercaro soltanto nel pn»cesso fisiologico
le leggi del pensiero, e di invanii-sì tanto dolio studio della
fisiologia api)li'.-ata alh spio^rizione dei fenomeni mentali,
da voler per essa distruggere la Psicologia . Essi fanno
troppo a fidanzi c«»n questi proMomi, quando fanno sem-
bianza di credere, che una vulta trovata la base dei feno-
meni intellettuali nella materia, questi fenomeni avranno
trovato la loro spiegazione.
Il pensiero si i pure pi-ovenionte da un processo fisiolo-
gico cerebrale. — La luce è pure un processo chimico, —
-«56-
I fisiologi par altro sorpassano il valore delle premesse tra-
endone la conseguenzai che la Fisiologia è una Bcieuza
capaee di studiare il pensiero. Ciò sarebbe esatto^ se il peii*
siero avesse le leggi medesime del processo da cui dipende*
La luce è bene un processo chimico, ma le leggi di questo
sono diverse dalle leggi d^lla luce. Così è del pensiero: I9
sue leggi sono ben diverse dalle leggi del processo fisiolo-
gico che lo ha^ prodottò. Il pensiero mostra una for^a, un'^-
sione nuova di molto diverj^a da quella del processo fisiplo^p
gicp, come la luce mostra una azione e una forza diversa
da quella del processo chimico. Jlia combinandone chimica
nuova che si origina per via dello sfregamento di m
fiammifero^ è un fatto che ha regole sue proprie» e
ne nasce fiamma, calore e luce. Ma le leggi di questa
luce prodotta sono diverse da quelle della combinai;ion9
chimica. Cob^ ò del pensiero: e le leggi del processo
chimico spettano alla Chimica, le leggi della luce all' Ottica;
e del pari le leggi del processo fisiologico alla Fisiologia,
e quelle del pensiero alla Psicologia. E però la Fisiologia
non deve invadere il campo della Psicologia, come la Chimi-
ca non invade quello dell' Ottica. E cosi, se mi è permesso
dirlo, una buona Psicologia deve essere l'Ottica del pen-r
siero comoi r Ottica $ quasi la Psicologia della luce.
Lotica
Quando si prende a studiare la storia del Buone, sì
resta maravigliati, che per lunghissimo tempo, per opera
di Sacerdoti o di Filosofi il Buono si trovi cuufiiso col
Divino .
Le idee e i costumi morali incominciarono a farsi stra-
da appeoa le azioni umane poterono essere valutate e pa-
ragonate. Prima di diventare obietto delle ricerche filosofi-
che, la Morale fu da' tempi remotissimi ìnsei^nat:» dalla
Religione, come una legge direttamente emanata dal cielo,
ed occupò i legislatori, i sacerdoti, i poeti. I fondatori delle
religioni, o le caste che sotto la bandiera di un norne favo-
reggiarono alcune idee religiose, si occuparono sempre di
lasciare ai discepoli uh codice di precetti morali, e di con-
validargli con qualche maniera di sanzione divina.
Ma nella maggior parte dei casi la morale religiosa si
vesti di una farragine di strani concepimenti, s'impauri di
minacce lanciate da una terribile divinità; e questo vizio,
sebbene andasse via via diminuendo, non lo perdette giam-
mai. All'uomo fu allora inculcato, che esso portava con se
un sentimento razionale, che gli facea ributtante il vizio,
ma che esso dovea tenersi lontano da questo, perchè oltre
al sao sentimento di ripugnanza, eravi una pena preparata
per chi a quel sentimento non obbedisse. La Religione
invece dì dare una grande importanza al valore di quel
sentimento razionale, si gettò piuttosto a far valere quella
paura delle pene. È questa la ragione, per cui la morale
religiosa proiluce così dì frequente le esagerazioni dell'a-
scetismo piuttostochè delle solide virtù, e porta ordinaria-
mente alla superstizione e allo scrupolo, e non al vero
amore del beae. SitTatta conseguensa è inevitabile dal mo-
. ~ 258 —
mento che in ordine all'onestà delle azioni la Religione ha
dato il sopravvento non al contenuto morale della virtù e
del vizio ma alle punizioni e ai premi che portano seco.
Tutta la Morale di tutte le Religioni fa capo al Para-
diso e all' Inferno. E i sacerdoti in luogo di moderare quel-
la fantastica tendenza dei popoli rozzi a immaginarsi la
irata Divinità, e facilitare ad essi l'acquisto di una abitudine
morale, per la quale si astenessero dal vizio per vero orrore
del male e del brutto morale, favoreggiarono invece 1' abi-
tudine di abborrire il vizio per sola questa paura delle fusti-
gazioni diaboliche. Paura che al momento piìi critico nella
vita riesce infruttuosa; inquantochè la punizione lontana
non salva dal fascino del vizio presente. Ed è ben naturale;
che la morale non si avvantagiò mai col deturparne il con-
cetto. Un impulso potente esiste, che trae l'uomo al bene;
ad esso si deve la sua uscita dallo stato selvaggio; ma tale
impulso non si presenta davvero sotto la forma della paura
di un male avvenire, paura che all'alto delittuoso si dimen-
tica^ e soltanto punge dipoi; maè invece il gusto per la
virtù e il sentimento profondo del dovere che insinuandosi
nell'animo può farci capaci di miglioramento morale. Quan-
do fu mai maggior paura dell' Inferno, di quella che sentì
una certa epoca del medio evo? Le chiese risuonarono di
descrizioni de' tormenti e dei tormentati; le leggende n'era-
no piene, . diventavano canti e poemi; la pittura lottava di
fantasia coi poeti e coi predicatori; il giudizio finale era lo
spauracchio del medio-evo. Vero spauracchio, perchè non
v!è stata gente più immorale di quella, a cominciare dal
Clero.
Accanto a questo ingombro di premi e di pene fantasticate
tutte le Religioni posseggono quale più quale meno un tesoro
di morale, e rimontando alla più lontana antichità le si ve-
dono dispensare precetti e consigli, e più o meno sanamen-
te porre in rilievo il concetto della virtù. Questo primo mo-
vimento morale, di cui sono interpetri le religioni, germina
- 259 - ■
direltamente dai moversi della cultura umana nei popoli
primitivi, che cominciavano ad apprezzare il Buono e il
Giusto. E un prodotto di quella spontaneiìà di apprezziazio-
ne, che a poco a poco fece gli uomini capaci di giudicare se
Blcssi come le altre cose. Ma per eccessiva fantasia nasceva
nei medesimi popoli l'apprensione di forze soprannaturali, e
a queste perciò si legavano, corno tutti i loro pensieri, an-
che le apprezziazioni dfl^enc. E i sacerdoti mccoglievano
questa mistura di concetti mitici e morali, e lìngeano disceso
dal cielo quel che era emanato dalla coscienza dell' uomo.
E finivano col monopolizzare nello proprie mani la Teologia
e la Morale. Essi estendevano ed esageravano i concetti di
premio e di pena, dando ad essi una portata che ^lUrepassa
la vita presente, e ponevano il compimento della morale nel
mondo di là. E^sebbene questa aspirazione la si debba ri-
conoscere, come un portato del uos(ro amor dell'esistenza,
e della nostra coscienza che si giudica e si applaude tenen-
dosi meritevole di ricompensa, o si rimorde e si sente de-
gna di pena; quando cotale aspirazione è esagerata, è ca-
pace di sbandire la nozione vera del Buono. Esso ha uno
scopo nella vita, un ordine nella società; questa è la fonte
primaria della sua importanza, il resto non serve che ad
oscurarlo.
Quando la Morale passò dalle mani dei sacerdoti e dei
teologi in quelle dei filosofi, il che avvenne in Grecia per
la prima volta, non potè all'istante dimenticare la vita
passata nel tempio, e|tra i Pitagorici, benché foLse abbellita
caW'ayyiore fraterno, cùW eguaglianza, e fondata sul prin-
cipio che quanto si farà agli altri tanto s'avrà in ricambio,
fu tuttavia tenuta legata al Divino per mezzo del concetto
della metempsicosi, che era una forma particolare della
sanzione divina della morale per via di premio e di puni-
lione. Ben è vero che, non essendo il Dio di Pitagora un
ente personale, ma quasi un cerchio di cui il centro è dap-
pertutto e la circonferenza in nessun luogo, la sanzione
- 260 —
morale Pitagorica prendeva aspetto di una necessità di
natura. Ma questa però non cessava* di tenere obbligata la
morale ad un legame sovrumano.
Socrate affermava senza riserva la realità naturale ed
umana del Buono^ e sappiamo anzi che non volea si sepa-
rasse questo dal bello e dall'utile. Esso non determinava,
è vero, con precisione in che cosa consistesse il bene e il
male; ma se ne appellava sempre alla coscienza, per pro-
vare che ad onta di qualunque sottigliezza vi sono alcune
cose naturalmente buone ed altre naturalmente eattive.
A chi si tributa ammirazione, a colui che sperpera la
fortuna pubblica e si arricchisce, ovvero a chi forma la
felicità d' un popolo colla sua amministrazione giudiziosa e
disinteressata? Chi non è buono a nulla si copre d^ infamia.
La voluttà, diceva Socrate, è tenuta in ispregio dalla
brava gente, mentre la virtù accarezzata dagli uomini
saggi riceve gli onori che le son dovuti in cielo e m terra.
Chiunque rientra in se stesso non può, senza mentire,
negare la differenza tra il bene e il male; e Socrate, pw
convincere altrui di questa verità non ha bisogno di eem**
tare i voti e di interrogare tutto il genere umano; si con-
tenta invece della risposta del vostro proprio cuore. Ma il
senso comune parla al modo stesso della vostra coscienza.
Tutti i popoli distinguono il valoroso dal codardo, il
temperante da chi è dedito agli stravizzi, l'impostore, b
spergiuro, dall' uomo onesto che all' occasione muore in
omaggio alla verità. Gli Stati . hanno ricompense per la
santità e per la giustizia, dei biasimi e delle pene peic
r ingiustizia e V empietà. I Greci e i barbari non si sono
xoai posti d'accordo, eppure sono unanimi a riconoscere certe
leggi che non sonp mai state scritte. La voce del mondo e
quella della coscienza si accordano dunque meravigUosa-
mente a proclamare la disciplina naturale del bene e del
male, del giusto e dell'ingiusto. Che se il bene esiste per
natura e non per convenzione, è dovere regolare dietro ad
— «61 <^
esso la vila. Agir così, è la sola cosa che meriti nome di
aiiioue. L'uomo deve dunque occuparsi a far il bene e fare
il bene vuol dire farsi del bene, farsi felice. V'è una gran
differenza tra la felicità e k fortuna. Questa è effetto del
caso, quella è frutto del lavoro e della scienza. Questo ben
essere (eyirpajta), di cui Socrate parla così spesso, è il
nostro destino, la nostra vita, il nostro dovere, la nostra
felicità (').
Si vede in tal ^uisa, come Socrate avesse staccato af-
fatto la Morale dal Divino, riportandola alle vere condi-
zioni umane, ricavando il suo valore dal gusto del Buono, e
ordinandola al fine della felicità umana in questo mondo.
Platone che volle trovare una base fissa al concetto
socratico, tenue lo stesso modo colla Morale socratica; e
quello e questa riconnesse con "una gerarchia di Idee sostan-
ziali, separate, sovrumane, e così condusse di nuovo la
Morale a connettersi col Divino. Sebbene i concetti di Pla-
tone su questo punto sieno, come su tutti gli altri, svariati
e in formazione successiva nei diversi dialoghi che ne ten-
gono parola, l'ultima dottrina di Platone sulla Morale può
ritenersi essere espressa nel Fitebo nella Repubblica e
Delle Leggi.
L' Idea del Buono tiene il posto culminante nella cele-
ste regionfl delle Idee. In quella si affissa il filosofo e ne
trae le norme dell'onestà, della santilà, dell'eroismo; il
volgo non ne sa che ben poco. Allorquando Platone si ab-
bandona all'entusiasmo, che l'idea del bene desta nell'a-
nima sua, diventa veramente il poeta della Morale.
Tutto quel che vi è di grande, di bello, di mara-
viglioso nel completo culto della virlij è da Platone
ritratto coi piii splendidi colori, e ne esce dalle sue
mani un quadro abbagliante. In fondo all'essere nostro
(') Memorab. pKMÌm. V. Denis. Hiit, desTbaoriea at dea idén
morales dana l'Aot. 1. 1>%.
— ges-
si svolge un dramm.i di situazioni coutrapposte, una lotta
tra il visibile e l'invisibile, tra il divino e il terrestre.
L'uomo è posto tra il cielo e la terra; per via dei corpo
dei sensi, dei desideri carnali, e per via di questa intelli-
genza bastarda, che si forma in forza dell'unione dell'ani-
ma col corpo, esso tiene a questa terra di morte che è il
luogo del suo esiglio; per via dell' intelligenza pura, « per
via dell'amore, della reminiscenza, del desiderio dell'i-
deale, s'accosta al cielo sua vera patria. Se coi suoi pensie-
ri e coi suoi desideri s'attacca a quel che v'è in lui di ter-
restre e di mortale, si degrada si abb;)ssa, e per quanto è
possibile, perisce. Se al contrario si unisce colla ragione
alla verità eterna, coli' amore alla suprema bellezza, esso
tende alla sua salute e vi arriva, cioè al vero essere e
alla vera vita. E per questo che la temperanza e la forza
sono le più grandi virtù, che elleno ci staccano dal corpo,
e ci aiutano a rianuovare in noi il vero uomo, ci lasciano
libertà di volgerci alla nostra vera patria, il cielo. I beni di
questa terra non si agognano e si disputano fra noi che
per ignoranza. 11 bene supremo e il suo possesso porta con
se il più intenso piacere di questa vita e la felicità. L'uomo
retto è sempre felice, il malvagio sempre infehce. L'anima
è immortale, ha goduto una visione fuggitiva dell'Idea del
bene corteggiando gli Dei in una vita premondana; se qaì
seguirà la reminiscenza di quella visione sarà latta degna
di godere la visione dello Idee eternamente. Altrimenti
sarà inchiodata in corpi di bestie, finché la sua espiazione
non sia finita.
Questo poema sulla virtù ricco di così nobili senti-
menti mostra i caratteri dell'amore e dell'entusiasmo, ma
invano si chiederebbe ad esso una dottrina scientifica. Ari-
stotile il primo volle sistematizzare anche la Morale, e per
quel gusto delle dottrine positive che l'avea portato a farsi
avversario a Platone in tutti i rami della scibile, si accinsa
a riiare la Teoria della morale riconnettendosi con Socrate,
— 263 -
prendendo da Platone un riccliissimo materiale descrittivo
e le traccie delle primarie virtù, e combinando il tutto in
un sistema, che avesse per scopo primario di ricondurre la
Morrile nelle condizioni umane, staccarla dal Divino, pre-
sentarla come speculazione di scienziato osservatore della
natura umana, non come fantasia di poeta.
Aristotile incomincia dal porre a fondamento della sua
trattazione la condizione del bene come fine a cui tutte le
cose tendono, e applicando all'uomo questo concetto, trova
che il ben supremo dell'uomo è la felicità, la quale non può
trovarsi che nell'opera dell'anima compiuta secondo la sua
più elevata funzione, cioè secondo la ragione retta dalla
virtù.
€ Tutte le arti, tutte le ricerche metodiche dello spiri-
to, egualmente che tutti i nostri atti e tutte le nostre de-
terminazioni morali, sembra che abbiano sempre in vista
alcun bene che noi cerchiamo di raggiungere; e per questo
si r perfettamente definito il bene quando s'è detto che è
ciò che tutte le coso desiderano .... Il bene a cui ogni no-
stra conoscenza, ogni nostra determinazione si volge è un
bene supremo a cui in tutti gli atti della nostra vita volgia-
mo la mira. La parola che lo indica è accettata pressoché
da tutti; il volgo del pari che la gente illuminata lo chia-
ma felicità. Ma sulla natura e suU' essenza della felicità
son divisi i pareri, e su questo il volgo è lungi dall' accor-
darsi coi savi. Alcuni la pongono in certe cose'appariscenti
e che danno nell' occhio, come il piacere, la ricchezza, gli
onori, mentre altri la ripongono altrove. Aggiungasi che
l'opinione d'un medesimo individuo varia spesso su tal
soggetto; quando si è malati, crediamo che la felicità sta
nella salute; povei'i, nella ricchezza; oppure quando s' ha
coscienza della propria ignoranza, ci contentiamo di ammi-
rare coloro che parlano della felicità in termini pomposi, e
che se no fanno una imagine superiore e quella che ce ne
facciamo noi. Talvolta s'è creduto (da Platone) che al di
— 264 —
sopra di tulti questi beni particolari esista un altro Bene iu
9e, che è la causa unica che fa beni tutte queste cose se^
coiidarie .... ma se il Bene che si attribuisce a tante coaB
e si fa comune a tutte, come pretendesi, è uno, od è qual-
che l'osa di separato che esiste da per se, è del tutto eviden-
te eh' esso non potrà mai essere posseduto né praticato
dall' uomo ■»
« Le nature volgari e grossolane credono che la felicità
sia nel piacere; ed ecco perchè non amano che la vita di
godimenli materiali. Infatti vi hanno tre modi di vita, che
si possono particolarmente distinguere: prima questa vita
dì cui parlavamo, poi la vita politica o pubblica, e infine la
vita contemplativa e intellettuale. La maggior parte degli
uomini, tali quali si mostrano, sono veri schiavi che mena-
no per gusto una vita da bruti; e quel che loro dà qualche
ragione e sembra ginstificargli è che la più gran parte di
quelli che hanno il potere, non ne profittano d' ordinario
che per abbandonarsi ad eccessi degni di Sardanapalo. Al
contrario gli spiriti eletti e veramente attivi pongono la fe-
licità nella gloria, che è lo scopo più comune della vita pcn
litica. Ma la felicità intesa in questo modo è qualche cosa
di più superficiale e di meno solido di quella che si cerca
qui. La gloria e gli onori sembra che appartengano a quelli
che gli dispensano, meglio che a chijgli riceve; mentre il
bene quale è quello proclamato da noi è qualche cosa di
affatto personale, e che non bì può senza molta difficoltà
rubare a chi ne è in possesso. Debbo aggiungere che so-
vente sembra non si corra dietro alla gloria altroché per
confermarsi nella Idea che abbiamo della nostra propria
virtù; si cerca di cattivarsi la stima della gente saggi! a
delle persone che ci conoscono, perchè la si considera un
giusto omaggio al merito che ci supponiamo d'avere. Ne
concludo, che anche agli occhi degli uomini che son con-
dotti da quei moventi, la virtù ha la preminenza sulla gloria
che essi ambiscono. E di qui sì può arguire che la virtù è
il vero fine dell'uomo, piuttosto che la vita politica .
— 265 —
« Ma la virtù essa stessa è evidentemente troppo in-
completa, quando è sola; perchè non sarebbe impossibile
che la vita d'un uomo pieno di virtù non fosse che un lun-
go sonno e una perpetua inazione. Potrebbe anch'essere che
un uomo siffatto soffrisse i più vivi dolori e i più grandi in-
fortuni; ora non potrebbesi mai ritenere, salvo il caso d'a-
vere una tesi affatto personale da patrocinare, che l'uomo
che vivesse in tali condizioni fosse felice >
« Quanto alla vita nella quale ci si propone soltanto di
arrichirò, è una sorta di violenza e di lotta continua; ma
evidentemente la ricchezza non è il bene che si va cercando;
la ricchezza è una cosa utile e ricercata soltanto in vista di
altre cose diverse da lei .... »
€ Siccome vi sono diversi fini, a quanto sembra, e sic-
come noi possiamo ricercarne alcuni in vista di altri, come
p. es. la ricchezza, la musica, e in generale tutti quei fini
che possono chiamarsi strumenti, è l3ene evidente che tutti
questi fini indistintamente non sono compiuti e definitivi in
se stessi. Ora il bene supremo dove essere qualche cosa di
compiuto e di definitivo. Per conseguenza, se esiste una
sola cosa che sia definitiva e perfetta, quella sarà precisa-
mente il bene che cerchiamo; e se ve ne è più di sìmil ge-
nere, la più definitiva tra esse è il bene. Ora, a nostro pa-
rere, il bene che vuol essere cercato per se stesso è più
definitivo di quello che si cerca in vista d'un altro bene; in
una parola, il perfetto, il definitivo, il completo è ciò che è
eternamente ricercabile per se stesso. Ma questo è appunto
il carattere che mostra d'avere la felicità; è per se stessa e
sempre por se sola, che noi la cerchiamo, non in vista
d'altra cosa .... »
€ Questa conclusione a cui siamo arrivati, sembra che
si ricavi anche dall'idea d'indipendenza, che si attribuisce
al bene perfetto, al bene supremo. Evidentemente lo rite-
niamo per indipendente da tutto. E quando parliamo d'in-
dipendenza, non intendiamo affatto limitarlo all' uomo che
- 266 —
trae vita solitaria; ma può appartenere anche a chi vive
pei suoi parenti, pei figli, per la moglie, e in generale pei
suoi amici e concittadini, poiché l'uomo è naturalmente un
essere socievole e politico. Per il momento, intendiamo per
indipendenza ciò che preso isolatamente basta a farci ac-
cettare la vita, e fa sì che essa non abbia altro bisogno di
sorta; ora in questa condizione è appunto, secondo noi, la
felicità .... »
« Ma forse, accordato che la felicità è senza contrasto
il pili grande dei beni, il bene supremo, si può desiderare
ancora di conoscerne meglio la natura. Il modo più sicuro
per ottenere questa nozione completa, è di sapere qual' è
l'opera propria dell' uomo. Così al modo che per il musico,
per lo scultore, per ogni artista e ingenerale per tutti
quelli che producono qualche cosa e operano in qualche mo-
do, il bene, la perfezione, sembra, stanno nell'opera spe-
ciale che compiono; per simil guisa l'uomo deve trovare il
bene nella sua opera propria, se v'e un'opera speciale che
l'uomo debba compiere. Ma sarebbe forse possibile, che
mentre il muratore, il tornitore ec. hanno un'opera specia-
le e atti propri, l'uomo solo non ne avesse? sarebb'egli con-
dannato dalla natura all'inazione? piuttosto come roc-
chio, la mano, il piede e ciascuna parte del corpo compie
una funzione speciale, non deesi del pari ritenere che l'uo-
mo, indipendentemente da tutte queste funzioni diverse,
ha ben anche un'azione sua propria? Ma quale può esser
questa funzione caratteristica? Vivere è una funzione che
l'uomo ha comune colle piante; e qui cercasi ciò che gli è
proprio. Bisogna dunque porre da banda la vita di nutri-
zione e di sviluppo. In seguita trovasi la vita di sensibilità;
ma dal canto suo questa vita si mostra egualmente comune
ad altri esseri, al cavallo, al bove, a tutti gli animali, co-
me all'uomo. Resta dunque la vita attiva dell'essere fornito
di ragione . . . Cosi la funzione propria dell'uomo sarebbe
l'atto dell'anima conforme alla ragione. D'altra parte quan-
M
— 267 —
do diciamo che una funzione è propria di un dato essere,
intendiamo che essa è la funzione di quel!' esere ben confor-
mato, come l'opera propria del musico è l'opera del buon
musico. Egualmente in lutti i casi senza eccezione si ag-
giunge all' idea semplice dell'opera l'idea della perfezione
superiore alla quale quell'opera può essere portata. Se ciò
è vero, possiamo ammettere che l'opera propria dell'uomo
in generale è una vita d'un certo genere; e che questa vita
particolare è l'attività dell'anima e una continuità d'azioni
che la ragione accompagna; possiamo ritenere, che nell'uo^
rao ben conformato tutte queste funzioni si compiono rego-
larmente e bene. Ma il bene la perfezione in ciascuna cosa
varia a seconda della virtù speciale di quella cosa. Per con-
seguenza il bene proprio dell' uomo è 1' attività dell' anima
diretta dalla virtii; e se vi sono più virtù, diretta dalla piii
elevala e più perfetta di tutte. Aggiungasi che queste con-
dizioni debbono essere adempiute durante un'intiera vita;
perchè una sola rondinella non fa primavera, e neppure un
solo giorno di bel tempo ...»
« Tuttavia,' la iclicità per essere completa, sembra non
possa fare a meno di alcuni beni esterni. E impossibile, o
almeno' non è facile fare il liene quando si soflre la man-
canza dijtutto; vi sono molte cose che abbisognano di
strumenti indispensabili, quali sono gli amici, le ricchezze,
l'influenza politica. Vi sono ancora cose, la privazione delle
quali guasta la felicità; come la nobiltà, la iamiglia agiata,
la bellezza. Non si può dire che un uomo sia felice se
è di una bruttezza ributtante, se è di cattiva nascita, se è
isolato e senza tigli; anche meno può dirsi che un uomo sia
felice, se ha dei figli e degli amici del lutto perversi; o se
la morte gli; ha rapito gli amici e figli virtuosi ch'esso
ptissedeva. »
« Non potremmo egualmente chiamare felice né un ca-
vallo uè un bove né altro animale qualunque, perchè nessu-
no di essi è capace della nobile attività che attribuiamo al-
— 268 —
Tuomo. Per la stessa ragione non può dirsi d' un fanciullo
che esso è felice; la sua età non gli consente quell'attività
che costituisce la felicità .... »
« E chiaro che se noi volessimo tener dietro a tutte le
avventure d'un uomo, ci avverrebbe spesso di dover chia-
mare il medesimo individuo felice e infelice. Ma bisognerà
dunque dare tanta importanza alle fortunose vicende degli
uomini? Non è in questo che trovasi la felicità o l'infelicità;
la vita umana è esposta a queste vicissitudini inevitabili:
ma sono gli atti di virtù che soli decidono sovranamente
della felicità. Non vi è nulla nelle cose umane che sia
costante e assicurato tanto quanto lo sono gli atti e la pra-
tica della virtù: questi atti ci appariscono più stabili che la
scienza stessa. Ben più, tra le abitudini virtuose quelle che
fanno più onore all'uomo, sono anche le più durevoli, ap-
punto perchè in esse soprattutto si compiacciono a vivere
con più costanza le persone veramente fortunate. Così que-
sta perseveranza che noi cerchiamo è quella dell'uomo feli-
ce, ed esso la conserverà durante la sua vita intera; non
praticherà e non terrà in conto che ciò che è virtuoso. Esso
sopporterà le traversìe della fortuna con un ammirabile
sangue freddo, saprà sempre rassegnarsi con dignità a tutte
le prove, se abbia una virtù sincera e senza macchia; e sarà
tetragono a' colpi di ventura. Le vicende della fortuna es-
sendo molteplici e d'importanza varia, i piccoli rovesci
saranno senza influenza sulla sua vita. Ma gli eventi gra-
vissimi e ripetuti, se favorevoli, danno un nuovo lustro
alla virtù; se sfavorevoli, scuotono e appannano la felicità;
perchè ci portano de' crepacuori che pongono molti impedi-
menti alla nostra attività. Ma in queste medesime prove
la virtù brilla di tutto il suo splendore, quando un uomo
sopporta con serenità gravi e frequenti infortunj , non per
insensibilità ma per magnanimità. Se gli atti di virtù deci-
dono sovranamente della vita dell'uomo, mai l'uomo onesto
che noa chiede felicità altro che alla virtù, potrà diventar
miserabile, poicbd non commetterà mai azioni biasimevoli e
cattive. A nostro parere l'uomo veramente virtuoso e saggio
sa portare ogni vicenda di fortuna senza perder nulla della
sua dignità; sa tirare il miglior partito dalle circostanze,
come un buon generalo sa impiegare nel modo più utile
l'armata di cui dispone, come Ìl cakolajo sa fare la miglior
calzatura possibile col cuoio che gli si dà. Se questo è vero,
l'uomo che è felice perchè è onesto, non sarà mai infelice,
anche se non sarà più fortunato, anche se cadesse per caso
in mezzo a dei malanni pari a (luelli di Priamo. . . E sottin-
teso che quando parlasi di felicità, se ne tratta sempre nel-
la proporzione che è dato all'uomo acquistarla (') ».
Questa bella introduzione contiene tutta la parto più
originale dell'opera di Aristotile intorno ai costumi, la
parte in cui il complesso delle virlìi è ridotto a sistema. Il
corpo del trattato contiene la descrizione delle virtìi spe-
ciali, la teoria del giusto mezzo per certe virtù, uno
studio sul volontario e sull'involontario, e la teoria del
piacere. Il trattato delle' virtù tutto intiero è un modello
di studio Psicologico, di finezza di gusto, di perfetta cono-
scenza delle condizioni umane. A volerne dare un saggio
sarebbe troppo imbarazzante la scelta; e non si saprebbe
resistere al desiderio di riportarlo tutto. Un libro intero
nella Morale a Nicomaco consacrato alla trattazione della
giustizia, sia individuale che sociale, la descrizione della
magnificenza e della magnanimità, della temperanza, del
coraggio, dell' amicizia e perfino delle virtù della buona
compagnia, amabilità, socievolezza, franchezza, spirito, e
loro contrari, danno a questa opera la più grande impor-
tanza descrittiva, educativa, scientifica e letteraria.
Quello che più ci interessa qui dal lato del metodo, ò la
posizione c)ie Aristotile assegna al Buono nell'online dell'at-
tività umana e la caratteristica scientifica che esso attribiii-
(*) Eth. Nic. I. II. III. e Beg.
- 270 —
sce alla Morale. ' In proposito di questa^ Aristotile inculca
a più riprese, che la Morale non debba considerarsi come
una scienza alla pari delle altre, come quella che avendo in
mira particolarmente la pratica umana, resiste alla ridu-
zione a principj fissi, perchè le azioni umane rispetto alla
loro bontà sono poco facili a sistematizzarsi e ridursi a prin-
cipj, e perchè in ogni individuo umano si riscontra quella
impecio di idiosincrasia che lo rende più o meno adatto a
comprendere e operare il bene, e perchè nelle condizioni
che circostanziano ciascuna azione in particolare si trova
una cosi inesauribile varietà', da non poterne fare la
legislaaone fissa. « Ci è forza in prima convenire, dice nel
secondo dell'Etica a Nicomaco, che ogni discussione la quale
tratta delle azioni dell'uomo, non può mai essere altro che
un abbozzo assai vago e senza precisione, come abbiamo
fatto osservare, perchè non si può nei ragionamenti otte-
nere che quel tanto di rigore che ne comporta ^la materia
trattata. Or le azioni e gì' interassi degli uomini non pos-
sono ricevere nissuna prescrizione immutabile e precisa,
del pari che le condizioni diverse della sanità. Ma se lo
studio generale delle azioni umane presenta questi inconve-
nienti, a più forte ragione lo studio speciale di ciascuna
delle azioni in particolare presenterà anche meno precisio-
ne, perche esso non rientra nel dominio di un'arte regelare,
e neppure in quello di alcun precetto formale. Ma quando
st agisce^ è una necessità costante di condursi a seconda
delle circostanze uQlle quali si è posti^ assolutamente come
si fa neir arte della medicina e in quella della naviga-
zione (*) » .
Questo passo per altro deve interpetrarsi, non già come
una negazione della possibilità di ridurre in qualche modo
a principj e leggi riconosciute il contenuto della Morale,
come interpetxa Barthélemy-Saint-Hilaire, ma piuttosto
(•) Etlu Nic. U. 2. 8.
— 271 —
come una ricognizione della complessità pratica dei fatti
morali, complessità per la quale è reso spesso difficilis-
simo il valutare la loro portata e la loro condizione di
fronte alle leggi morali. Il Buono, benché possa essere for-
mulato in certe leggi sommarie, sfugge spesso ad una
legislazione ben determinata, e non si assomiglia al Vero,
il quale nei casi scientifici particolari i più minuti può essere
misurato e controllato; ma piuttosto si avvicina al Bello,
che sebbene abbia alcune leggi, lascia nei casi particolari e
nella infinita varietà di forme che può assumere un largo
campo alla scelta dell' artista e alla conseguente apprezia-
zione degli altri. Quando s'è voluto fare la legislazione mi-
nutissima dei fatti morali, si è incappato nella casuistica^
come è avvenuto alla morale che alcuni teologi cattolici
hanno tracciato per uso del confessionale .
Nell'insieme delle sparse dottrine che sono contenute
nell'Etica di Aristotile s'incontra uno squisito senso del ret-
to, e un grande amore per la virtù. Non v'è quasi capitolo,
che preso e parte non contenga concetti di alto valore mo-
rale. Vera, e pienamente umana, e feconda dei più preziosi
frutti è la corrispondenza che Aristotile pone tra la perfe-
zione e l'attività. La virtù dell'uomo consiste nel vivere,
nell'agire, nel dispiegare tutte le sue facoltà, sia in se
stesse, sia nei loro rapporti alle persone e alle cose; come
la virtù di un Popolo sta nel mettere in opera tutte le risor-
se del proprio genio e quelle del paese ch'esso abita. Vivere
bene peraltro, per gl'individui come per le nazioni, è agire
bene, è agire conformemente alla natura razionale del-
l'uomo. Questo concetto Aristotile lo attingeva all'osserva-
zione della vita del popolo greco ne'suoi momenti più felici.
Ne' quali il genio greco era una manifestazione della virtù
della umanità nel suo più alto grado; il che avviene quando
l'umanità non è abbrutita da bassezza di razza, né da
eventi micidiali, nò da stupide legislazioni (*) .
(*) Denis Hiit dM Theor. ec. Voi. I. p. 189.
— 272 —
Rapporto alla base sistematica adottata da Aristotile
nella morale, io debbo esporre qui un mio dubbio, che si
riferisce, non pure a quella base Aristotelica, ma a molte
altre che i filosofi venuti dipoi hanno posto a sostegno
sistematico dei concetti morali.
Quando ci si studiò di sistematizzare il vero, si arrivò
a trovarne le formule esatte, e tutte furono insediate sul
principio di contradizione. D'allora in poi le formule
fondamentali non sono più cambiate; molto meno è cambiato
il pernio di quelle formule; l'aggiunta di alcune altre fatta
modernamente ha lasciato intatta la base di tutto il lavoro
logico, cioè il principio di contradizione che Aristotile vi
avea posto.
Invece il concetto fondamentale che dovrebbe servire
di base alle formule del Buono o a quelle del Bello, è
andato cambiandosi in mille modi e per lo più senza fi:utto.
Oggi siamo a tal punto,, che nel fatto della morale scien-
tifica due scuole si disputano il terreno, alcune di prove-
nienza Platonica, e fanno una morale fondata sul concetto
di Dio sul concetto del Bene assoluto, altre di provenienza
Aristotelica, che fanno una morale senza. Dio e senza meta-
fisica, e tengono a fondamento del loro sistema il concetto
della felicità trasformato in quello della utilità.
È un fenomeno mentale degno d'osservazione che il
vero nei ragionamenti particolari non si può esattamente
valutare senza l'uso tacito o espresso del principio di con-
tradizione. E a rovescio il Buono, come il Bello, è facilissimo
sieno valutati e pregiati nei loro fenomeni particolari da chi
abbia' cultura appropriata, indipendentemente da tutti i
concetti che furono adoperati per dar loro una base siste-
matica, e sono contrastati da scuole varie e numerose.
Sembra talvolta che il principio sistematico serva ad anneb-
biare piuttostochè ad illuminare i fatti particolari morali.
È facile provare questo effetto, quando si fissa il pensiero
sul primum bonum di Aristotile, la felicità; ovvero su
— 273 -
quello di Platone, il Bene assoluto. La felicità di Aristotile
non ci dà affatto, anche con tutte le illustrazioni elevale di
cui la correda, il significato \oro dell'azione morale. Mollo
meno ci esprime questo signi tìcato il Bene assoluto. Ari-
stotile ha ragione di dire a Platone, che ogni bene è rela-
tivo ( Eth. 1. 3. IO. ). Ma dal canto suo esso ci devia per
un'altra parte dal gustare e o imprendere il bene, quando a
quella relaziono ila per termine corrispondente la felicità.
Il bene ha, sembrami, per termine correlativo ,11 migliora-
mento della volontà; non già iiuello di tutto l'essere umano,
che veramente costituirebbe l;i felicità. L'assoluto è invero
una fantasia, ed ogni bene è relativo, ma non per una
attinenza che esso abbia ad una comiizione di felicità, bensì
per l'ordine che esso ha vers» la perfezione delta volontà,
nella quale si assomma tutto lo sforzo morale di cui siamo
capaci. La volontà e la sua perfezione è il vero centro del
bene, centro che è in noi, non fuori di noi, come sarebbe
il bene assoluto. Lo stesso vorrei dire di tutte le altre
specie di summmn Oonuìn immaginate dai moralisti, fino
alla utilità inclusive.
Se d'altra parte dimentichiamo lutte le teorie relative
a questo summwn honum, e riteniamo soltanto la nostra
pratica della vita, aprendo il libro dell'Etica di Aristolile
od altro o essendo spettatori di un bel fenomeno morale, ci
troviamo senza alcuna tergiversazione portati a dichiarare,
che quelle descrizioni sono vere descrizioni di elevate virtù,
che queir atto è un atto veramente virtuoso.
Che anzi allorquando per istudi.'ire la legittimità di un
processo razionale ci fermiamo appositamente a fare un uso
non tacito ma espresso del principio di con tradizione, ridu-
cendo il raziocinio alle sue forme più rigorose, troviamo
che la nostra ragiona si sente veramente illuminata, e que-
sto richiamo del principio sistematico ci aiuta veramente a
conoscere il verti nel caso parlicolaro. E al contrario nei
casi speciali della morale se ci rechiamo a mente alcuni de;
- 274 —
prihcìpj sistematici, sia il bene assoluto, sia la felicità, sia
Futilità, il nostro giudizio sul fenomeno morale presente ne
viene intorbidato, o almeno infruttuosamente distratto.
Tutti i quaranta e più sistemi, che sono stati immaginati
per dar fondamento all'Etica, ci presentano il loro sum-
mum bonum come una forma speciale della bellezza, della
dignità, dei vantaggi, dei piaceri della vita virtuosa, ma
nessuno di loro ci dà più di quel tanto che ci vien porto
dal nostro gusto per la bontà delle azioni . Un cattivo ragio-
natore può col mezzo del suìnmum logicum essere condotto
a valutare con giustezza i ragionamenti; ma nessuno dei
summum bonum finora escogitati sarebbe capace di indurre
l'abilità pratica di discernere le azioni buone in colui che
fosse sprovvisto del senso morale.
Questa condizione dei fenomeni morali proviene, secon-
do ogni probabilità, dall'essere il Buono percepibile da noi
per via di una facoltà mista di sentimento e di razionalità,
non altrimenti che il Bello. Colla diflferenza, che mentre
il Bello è ordinato al solo godimento estetico, il Buono
è ordinato alla pratica umana, e però porta seco il
dovere, che l'altro non porta. Questo sentimento si educa
più facilmente che la ragione, ma ha bisogno pur esso di
essere educato. ^
Tale sembra essere stata l'opinione anche di Aristotile,
il quale fa osservare più volte, e specialmente trattando
della prudenza virtù regolati*ice delle azioni, come V espe-
rienza della vita e la pratica delle azioni buone fatino na-
scere nel riostro spirito quasi un occhio che discerne a prima
vista i veri principj, che debbono regolare la nostra con-
dotta, e ciò che è buono o cattivo in un caso particolare e
determinato. E perciò noi dobbiamo seguire queste intui-
zioni dell'occhio spirituale colla stessa confidenza con cui
accettiamo i principj scientifici; e coloro che non hanno
abbastanza pratica e conoscenza della vita, se aspirano alla
onestà, non debbono essere meno attenti e meno sottomessi
— 275 —
alle decisioni degli uomini sporiraentati e prudenti, che alle
dimostrazioni della scieuza (').
II risultato di queste considerazioni mi porterebbe a
concludere, che ò irapossibilo ridurre la Morale a uua
generalo e unica formula, coiac d'altra parte ritengo impos-
sibile fare altrettanto per 1' Estetica; e che l'unica ragione
dell'oscillare e del" frequeme vaneggiare dei sistemi di
Etica, in mezzo alla pili iiiij[iida e sincera suppellettile di
fatti morali, s'abbia a ricercare nell' uso di tratiare melafi-
sicamento il Buono,
Che cosa è il Buono? Noi sappiamo liensì che cosa è
buono oggi, e che cosa era buono nei tempi addietro, e l'idea
del Buono che noi abbiamo proviene dall'accumulazione di
tutte le esperienze morali del passato. Ma questa idea
è perfezionabile. Se si fosse domandato a Solone, o a
Licurgo che cosa è il Buono, certamente avvebber dato
una beila risposta, ma che a noi sembrerebbe man-
chevole. Dicono alcuni filosofi, che sebbene le cose buone
non siano sempre le slesse, in quantoche certe cose che
erano buone per gli antichi non lo sono più per noi,
viceversa, tuttavia il Buono assoluto si sa che cosa è.
Ma questa asserzione dipende da una strana illusione di
scuola. Se il Buono assoluto si conoscesse, come avreb-
bonsi meglio che quaranta sistemi di £l.ica, ì quali ap-
punto diversificano tra loro nella definizione di questo
Buono assoluto? Mentre questi medesimi sistemi in ciò che
si conosce davvero, cioè nella descrizione delle virtù, gareg-
giano di sincera analisi, mostrano poca o nissnna diversità,
avendosi le poche varianti ad attribuire alla varia condi-
zione sociale del tempo in cui nacquero certi sistemi. Or
che significa questo? Significa, sembrami, che l'apprezza-
mento della bontà delle azioni si compie originariamente in
noi per opera di un sentimento, al quale sopraggiunge
(•) Bth. Nic. VI. 12. 43.
~ 276 --
la ragione. E infatti i prodotti del sentimento sono quelli
che non si definiscono affatto. Ed è perciò assurdo definire
il Buono, come è assurdo, in un ordine di minor portata,
definire il Rosso o il Celeste.
Aristotile sentì questa impossibilità^ e in conseguenza
scansò la definizione del Buono, e per sistematizzare l'Etica
spostò la tesi fondamentale di essa; trasportandola dal
Buono ad una delle primarie sue condizioni concomitanti,
la Felicità; e appena esaurita questa tesi, in tutto il trat-
tato non fece che ritrarre dal vero, dalla pratica dell' uomo
onesto i lineamenti delle più nobili virtù. E appunto perchè,
invece di ragionare, descrive, l'Etica di Aristotile si è gua-
dagnata una classicità perpetua. Egli è che sulla virtù
e sulla bontà delle azioni è vano il ragionare; si può accon-
tentarsi di descrivere; e la descrizione sveglia l'assenso e
l'attaccamento assai più che il ragionamento, come avviene
per le opere d'arte. Laonde per la Morale non potrà mai
farsi un sistema, come è stato vagheggiato ostinatamente
dai filosofi; ma solamente una classificazione come per
le scienze naturali; solamente un codice descrittivo che
diventa codice di precetti. Ma chi sancirà questi pre-
cetti? Quel sentimento razionale che ci dà le grate sen-
sazioni provenienti dalle opere buone, quello stesso ci dà
il rimorso', quando si è rimasti paghi ad ammirare le
opere buone senza imitarle. E questo rimorso è una delle
forme della sanzione. Tutto questo si vede avvenire nel
fatto, quando il fanciullo sente a dire come il leone, veden-
do l'agnello dissetarsi al ruscello in cui era solito bere, lo
rampognava ch'e' gli avesse intorbidato l'acqua, mentre il
meschinello stava bevendo lungo la corrente più in basso;
e quando il fanciullo ode a raccontare come di questo
delitto la prepotente bestia fingeva di punirlo facendosene
un lauto pasto, la descrizione del vizio è qui molto più
efficace moralmente di qualunque ragionamento. Ottenuto
una volta questo effetto morale, il dovere si può ragie-
»
— 2Tr -
nare, perchè la regola allora è posta, e la regola e l'atto
umano sono duo termini ben definiti . E anche per questo
motivo, che la Morale è il campo dell'educazione piuttosto-
che quello della istruzione.
Ciò non ostante non bisogna dimenticare, che il Buono
si manifesta nell'individuo come nei popoli, in diversi gradi,
e io ciascuno di essi si piega in modo diverso all'applica-
zione della ragione. 11 Buono si percepisce originariamente
pervia di un sentimento individuale, a cui si aggiunge in
seguito la comprensione intellettiva di quell'ordine e perfe-
zione che caratterizza le opere buone. Nel suo primo appa-
rire il Buono è buono per noi; coll'andar del tempo si ar-
riva a intendere e pregiare il buono per tutti. Infatti nei
popoli giovani e nei fanciulli il sentimento del bene è
sentimento egoistico. A ragione fu detto: nessuno più
spietato dei fanciulli . Altrettanto può dirsi dei popoli
incolti. Il Buono pregiato così per opera di un senti-
mento egoistico, fa strada più tardi alla comprensione
del Buono considerato in rapporto al benessere di tutti i
nostri simili e anche di tutte le creature, e si forma
in precetto morale, e si piega a essere trattato e classato
ragionevolmente .
II Buono nelle azioni umane e il Bello artificiale sono
un riflesso di un ordino naturale delle cose, e danno origine
alle opere buone e alle opere d'arte per effetto di una pro-
duttività libera nell'un caso, doverosa nell'altro, ma sem-
pre radicata nell' attività individuale. Una volta prodotta
in pratica alcuna forma di Buono o di Bello, essa diventa
patrimonio e conquista assicurata di un intero popolo o
anche dell'umanità, salvo il caso che la distrugga la vio-
lenza di un popolo più barbaro , o l' azione cornittrice di
basse passioni la faccia porre in dimenticanza. Quell'uomo
che in seno a una tribù selvaggia si astenne il primo dal
mangiare i suoi prigionieri di guerra, quello ebbe conqui-
stato una forma di Buono, che il sentimento dogli altri
J
_ 278 -
uomini imparò in seguito ad apprezzare, e la pose in pratica
e la accreditò con crescente diffusione, finché diventasse
precetto quell'astinenza. Lo stesso dicasi di tutte le virtù.
La storia di esse si potrebbe fare intieraj^ se avessimo alla
mano documenti bastevoli sulle età primitive dell'uomo, se
potessimo fare la storia della fanciullezza del genere umano.
Lo troveremmo spovvisto di tutte, lo vedremmo acquistarle
a una a una in lunghi secoli, fino a quante ne possiede og-
gidì. E il vocabolario della virtù sta scrivendosi ancora, e
non si chiuderà che coli' ultimo uomo .
L'idea del Buono nelle condizioni umane potrebbe
aversi soltanto allora, e non già Y idea del Bene in
se, ma della portata delle facoltà umane nel • riprodurre
l'ordine che lo costituisce. Tanto meno si può conoscere
l'essenza del Buono finché esso é in formazione, e Aristo-
tile fu condotto da questo pensiero a rigettare il Bene in se
di Platone, rifiutandosi di poiTe a base del valore morale
delle azioni umane un che di estraumano e di estramon-
diale. Ma quando esso connetteva scientificamente l' idea
del Buono con quella della Felicità, considerava, a quanto
sembrami, come condizione essenziale ciò che è condizione
accessoria, benché abitualmente concomitante, e sostituiva
ad una astrazione metafisica Platonica una divagazione
scientifica .
Aristotile cita a più riprese nel suo trattato dell'Etica,
come punto di partenza all'osservazione morale € quel che
fa r uomo virtuoso» il che sarebbe un circolo, se per giu-
dicare e pregiare la pratica virtuosa non avessimo un
sentimento, che, come ho accennato sopra, previene la
ragione, al modo appunto che l'uso generale dei sensi
precede la formazione intellettuale dei principi in tutto
l'ordine mentale.
Questa base sperimentale che Aristotile cercava nel*
l'Etica, a più forte ragione la gli bisognava nella Politica
o scienza sociale. E infatti tutto il lavoro Aristotelico sulla
— 279 —
Politica non è che il riassunto filosofico di tutta la storia
dell'organamento sociale secondo le forme che eransi rag-
giunte sino allora. Il metodo seguito da Aristotile in
quegli studj è così evidente, che mi dispensa dal farne
parola. Nella Politica vedesi lavorare la medesima mano
che dclineava il trattato delle virtù; e con una simigliante
giustezza d'apprezzamento vedonsi ritratte le caratteristi-
che delle diverse forme di Governo, delle condizioni so-
ciali, delle necessità fondamentali della convivenza umana,
dei rapporti tra lo stato e i cittadini, delle virtù e delle
condizioni del viver libero; come anche vedonsi trattati
teoricamente e posti in grado di dottrine alcuni difetti
sociali che viziavano il mondo antico. Questa particolarità
della trattazione politica di Aristotile, mostra come esso
credesse infruttuoso anzi dannoso lo scostarsi dall' espe-
rienza sociale nel tratteggiare le necessità e le condizioni
politiche, per rifare la società a priori, come avea pra-
ticato Platone.
280
VI.
Lia Mctafllsilca.
La parola « Metafisica'» ò entrata nella filosofia quasi
di contrabbando. Il contenuto di essa esisteva già da un
pezzo, quando fu adottata a significare una parte delle
ricerche filosofiche. Aristotile, o piuttosto il raccoglitore
delle opere sue, dovendo assegnare a ciascun libro il suo
posto, dispose le opere in un ordine che parve indicato
dalle materie trattate, e arrivato a collocare le opere /?-
siche, fece sì che a queste tenesse dietro un libro Ari-
stotelico poco facile a classare per la materia e per la
difficoltà dello studio, perchè trattava di certe generalità
applicabili a tutto il lavoro scientifico precedente, e lo
intitolò « dopo le opere fisiche » « (lercx xa (pvaiìta » .
Aristotile trattava in quel libro la Filosofia prima,
ossia scienza delle cause prime. E di questo genere di
ricerche s'invaghirono poi i filosofi tanto calorosamente,
che, certo contro la volontà del maestro, concentrarono
in esse tutto il loro lavoro, e trasportarono a tutti gli
argomenti filosofici un metodo che era speciale e proprio
alla ricerca delle cause prime. In questa maniera la Me-
tafisica si occupò incessantemente nel fabbricare un edi-
fizio di teorie, che dassero le ragioni ultime di Dio, ^iel
Mondo, del pensiero, del moto, di tutte le forze e di tutti
gli aspetti sotto di cui le forze si manifestano.
È facile scorgere, che se grandi oscurità s' incontrano
nello scrutare le ragioni prossime e le leggi viventi degli
esseri^ foltissime ed impenetrabili dovrannosi incontrare
in quelle profondità metafisiche.
Non fa certo meraviglia, che il genio dello Stagirita,
dopo aver percorsa tutta la natura e tutto lo scibile allora
— 281 -
conosciuto, si raccogliesse in una gran eiotesi a -veder di
scrutare la profondità dell'essere. Esao grande scopritor
di mondi nella scienza, tentò quei recessi spiando se nulla
sì scorgesse di vivente in quelle tenebre. Ma fa però
meraviglia che i filosofi cotanto si invaghissero poi di
quelle profondità, da trascurare per esse le piii produttive
ricerche intorno alle cause prossime.
A proposito di cift che forma l'oggetto della Metafisica,
cioè la ricerca delle cause prime, sembra che Aristotile
fosse tratto ad occuparsene della intenzione di correggere
le conclusioni di filosofi suoi predecessori, e specialmente
di Platone, che avea fatto delle cause prime tante forze
produttrici estramondane, e la loro azione avea diffusa
sopra tutte le forme dell'essere e dell'intelligenza. Aristo-
tile dovette molto avere a cuore di ricondurre nell'ordine
umano e mondano anche queste fondamenta dell'essere e
dell'intendere. Che molto lo preoccupasse il pensiero di
correggere i predecessori, si vede dalla cura particolare
che esso pone nel richiamare le loro dottrine in un intiero
libro, e nel farne critica accuratissima, specialmente di
quelle dei Pitagorici e di Platone.
Ma certo dal difetto radicale della Metafisica, quello
di prendere un concetto astratto e adoperarlo come un
reale, non si guardò abbastanza Aristolile stesso in questa
sua ricostituzione della Metafisica.
Egli incomincia dal constatare come la sola cognizione
delle cause è capace di formare la scienza. Ed esempli-
fica questa premessa, mostrando come la cognizione di
certe cause prossime sia generatrice di certe particolari
scienze. Egli argomenta in seguito dall' esservi delle
scienze particolari, che si aggirano intorno a cause par-
ticolari, che si debba risalire di causa in causa fino alle
cause supreme, le quali sieno la materia di una scienza
prima.
< Ci è una scienza, che contempla l'ente in quanto
— 282 —
ente e le proprietà sue essenziali. La non s' identifica con
veruna delle scienze particolari: giacché nessuna di queste
medita in universale sull'ente in quanto ente; ma ciascuna
studia le proprietà di sola quella parte dell'ente, che
riseca per se; così fanno, per esempio le matematiche.
E poiché noi cerchiamo i principj e le supremissime cause,
è chiaro che devono necessariamente essere principj e
cause d'wwa natura per se» (^).
Di quali cause si parla, quando si nomina le cause
prime? Certo di alcune cause che possono esser tutto, fuor-
ché cause speciali. Se fossero cause speciali di fatti spe-
ciali, produrrebbero le scienze minute già annoverate.
Sono dunque cause di fatti universali. Ma i ftxttì universali
dove sono, di grazia ? Dinanzi a noi non vi è che fatti
particolari. L'ente in quanto ente, che qui si cita come
un fatto universale, non è, a vero dire, un fatto, è invece
una astrazione presa dai fatti particolari, eJ alla quale
si è dato valore di fatto. E già s'intende, come fatto
universale sia una contradizione nei termini. Ora perché
la conclusione addotta fosse legittima, bisognava dimo-
strare che vi erano delle cause prime e dei fatti universali
come erasi adoperato perle cause prossime e speciali. E
ciò Aristotile non fa. E bisognava dimostrare, che la legge
trovata buona per le cause speciali e prossime, lo fosse
egualmente per queste supposte cause prime. Il che dav-
vero é pericoloso a presumersi senza dimostrarlo; perchè
si tratta di cambiare ordine e sfera^ applicando cioè una
conclusione trovata nell'ordine dei fatti, all'ordine ben
diverso di una astrazione presa per fatto. A patto soltanto
di legittimarla, si potea dunque trarre quella conclusione.
Ma il trarla così per analogìa, risalendo una catena di
cause, mentre questa catena stessa non poteva arrivare
(*) Metaph. IV. 1.1.
— 283 —
fino alle cause supreme, costituite per loro natura al di
là delle cause speciali, era abbastanza arbitrario.
L'errore commesso da Aristotile in siffatto ragiona-
mento, dipende da questo, che mentre per ciò che si rife-
risce alle cause speciali, si tenne alla realità ed alla espe-
rienza, per le cause supreme invece ha preso un concetto
astratto, formato sulle cause prossime avute dall'espe-
rienza, e lo ha valutato come reale. Il che si vede dal-
l'avere dato valore di cause ai concetti clje ne provenivano,
come vedremo di quello di Forma e di quello di Materia.
Questo errore dell'aver attribuito azione reale ad una
astrazione, si propagò in tutta la Metafisica posteriore.
Se prendasi a riscontrare tutta la storia della Metafisica,
si troverà che il vago e l'incerto di tutto il suo anda-
mento, si rapporta precisamente a questo vizio, che tutta
la guasta da capo a fondo. E quanto più l'astrazione che
è stata vestita di forme reali è sublime, tanto più l'errore
è grave, e più proteiforme l'aspetto delle dottrine che ne
provengono. Dal vedere agire un essere si è fatta l'astra-
zione della forza, del potere, della causa, e queste astra-
zioni si sono considerate in seguito come esistenze ine-
renti, benché distinte, ai concreti, in cui risiedono, e che
animano in qualche modo. Così in seguito si ebbe una
forza vegetativa e una forza plastica e un principio
vitale ed egualmente V essenza e la sostanza, finte realità.
I fenomeni furono cosi presi a considerare come partico-
lari tendenze della astrazione massima realizzata, la Na-
tura, la quale fu considerata quasi come impersonale, e
fu immaginata operante per diversi motivi e in certo
modo più o meno analogo a quello degli esseri che
hanno coscienza. Per questa via si attribuì il salire del-
l'acqua nella pompa all'orrore della natura per il vuoto.
La caduta dei gravi e l'ascensione della fiannna furono
spiegati colla natura che cerca il suo posto. Alcune im-
portanti conseguenze furono tratte dalla dottrina^ che la
— 284 -
natura non opera a salti. la Medicina la vis medtcatrix
naturae détte il modo di spiegare il processo riparativo
che i moderni fisiologi attribuiscono a particolari agenti
6 loro leggi.
Basta una piccola cognizione della storia del pensiero,
per convincersi, che si scambiò l'astrazione colla realità
durante il periodo speculativo di quasi tutta l'antichità e
del Medio-Evo. Anche avanti Aristotile questo scambio
era stato generalizzato e applicato sistematicamente nelle
Idee di Platone. Quello che tutti i Metafisici faceano e
fecero poi nelle particolari nozioni, esso lo fece nell'or-
dinamento generale dell'Intelletto, dichiarando che. le Idee
erano vere realità sussistenti. Gli Aristotelici presero una
diversa via, ma non furono da meno dei Platonici nel dar
xjorpo alle astrazioni. Essenze, quiddità, virtù occulte
delle cose, erano da essi accettate in buona fede come
spiegazione dei fenomeni. Il Realismo della Scolastica non
era che la conseguenza più logica di tutto il metodo me-
tafisico. Non solo le qualità astratte, ma i nomi dei generi
e delle specie furono da esso ridotti ad obiettive esistenze.
Si arrivò a credere che fossero sostanze generali corri-
rispondenti alle classi conosciute delle cose.
Il Realismo scomparve, traendo seco la sostanza Uomo,
la sostanza Albero, la sostanza Animale;* ma Y essenze ^ le
quiddità, le virtù e qualità occulte sopravvissero, e
fiarono i Cartesiani che primi le vollero sbandite. Nel
sistema Cartesiano tutti i fenomeni naturali erano spiegati
colla materia e col moto, che non sono astrazioni, ma
invariabili leggi fisiche: tanta fu per altro la parte fatta
air ipotetico nel loro sistema, che non riuscirono a portare
la scienza filosofica sopra il suo vero terreno. Lungo tempo
infatti dopo i Cartesiani, le fittizie entità continuavano ad
essere immaginate, come mezzi di spiegare i più misteriosi
fenomeni. Una grande varietà di frasi, un profluvio di
forze e principj tentavano di coprire la nudità della
scienza, e facean viata di spiegare i fenomeni della natura
organizzata. Nei motlerni tììosofi metafisici questo imbro-
glio si incontra portato alla massima confusione; i nomi
astratti delle classi di fenomeni hanno nelle loro mani
preso realtà; e formatisi certi accozzi d'idee o di immagini,
prendono corpo, e collo sparire della loro natura di crea-
zioni mentali, sì fanno passare per cause efficienti (•).
È per questa via che i filosofi facendo poi a loro bell'agio
giuocare i vani concetti nella mente, gli intrecciano ìd
isvariati sistemi, ciascuno dei quali va ad urtare in un
sistema avversario, il quale facilmente lo smonta, e poco
dopo è smontato esso medesimo da un altro, che sarà
amontato a piccolo intervallo con -vicenda indefinita.
Che cosa è rimasto di tanti magnifici sistemi, che i
filosofi a grandi spese di fantasia hanno architettato, per
sorreggere l'edificio delle cause prime, se non che un vano
suono, e peggio un disgusto della Filosofia? Lasciando
stare lo spreco della virtù intellettuale, che potrebbe essere
adoperata in meglio, e la compassione svegliata negli
spettatori, il peggio è, che questo travolgimento delle
astrazioni colla reahtà diventa un grave imbarazzo della
filosofia, la quale dovrà faticare assai per disbrigarsi da
sì trista eredità.
E questo malvezzo non è soltanto dalla Metafisica
adoperato nei casi speciali del ragionamento scientifico e
I nelle dottrine di piccola portata, ma nelle più importanti
[ e nelle più complicate, di preferenza.
A questo modo per es. dal vedere tra i concreti na-
turali questo e quell'essere mettersi in azione, se ne cava
legittimamente la cognizione della forza di queslo o quel-
Tessere, il concetto astratto della sua causalità ec. La
Forza e la Causalità non concrete, sono enti di puro uso
mentale, adatti a soccorrerci nel porre a calcolo le proprietà
(') Rtiiart, Mill. Auguste Cointe und FosìtiviBm.
— 286 —
di un essere, sono nulla più che i numeri in un libro di
contabilità, i quali non hanno che un rapporto mentale
col danaro vero ch'essi rappresentano.
La mente fermandosi su quelle astrazioni, ha creato
le Cause le Forze ^ in luogo di quella causa, quella forza.
Astrazione che può ancora legittimamente sussistere; pur-
ché non sia trattata al modo di realità, come farebbe chi
invece del danaro dasse in pagamento le cifre del libro
mastro.
In seguito la Metafisica prendendo queste Cav^e e
queste Forze e a poco a poco lasciandosi andare a con-
siderarle come enti, ha voltato il tergo ai fatti, da cui
avea tratto questi concetti, ed ha creato una gerarchia
di cause e di forze, colla quale ha preteso di spiegar la
natura e il suo movimento. Le Forze sono diventate anima
della materia, le Cause sono diventate regolatrici del
moto.
Dalla moltiplicità delle Cause è passata alla Causa unica
generatrice di tutte. Questa è la terza astrazione, in cui
il concreto è ormai tanto lontano, che non si scorge più
affatto.
Si è andati più oltre: questa Causa unica s'è dichiarata
fuori della natara. Nella stessa maniera che dal concetto
di Essere, collo spogliarlo della caratteristica dell'esistenza
seguendo un'abitudine di funzione astrattiva della mente,
la Metafisica ha tratto il concetto del Nulla; collo stesso
processo dalla Causa unica naturale ha tratto il concetto
di Causa unica sovrannaturale, . per via della ragion dei
contrarj .
Il concetto di Dio era sorto in tal guisa, non come
gli uomini primitivamente lo concepirono, ma come lo
sapea fare la Metafisica, portato all'altezza della più lon-
tana astrazione.
I primi concetti dei popoli intorno alla Divinità par-
tivano dal sentimento del maraviglioso, e salendo al culto
-- 287 —
della natura benefica, o malefica, od orrida, o incantevole,
riuscivano a foriuarc una Divinità in ogni fatto che tra-
scendesse la forza umana.
(iuesto procedimento assieme a tutte le sue conse-
guenze, dee valutarsi come prodotto del senso intimo,
doH'affetto, della fantasia e della intelligenza dei poi)oli
primitivi, ma non ha valore nel campo della scienza. Infatti
presso tutti i popoli, nessuno escluso, si trova anche un
presontimenlo vivissimo ed un culto della magia, delle
streghe, degli spiriti familiari. -E anche questo ha valore
nell'ordine delle f icoltà affetti ve e fantastiche, ma non in
quello della ragione scientifica.
La Metafisica volle infatti colmare questa lacuna, ten-
tativo già fatto dalla Teologia di tutti i popoli, volle rin-
nuovare il concetto di Dio, dandogli una espressione ra-
zionale, utilizzando quella sua teoria della causa prima,
e così lo trasportò dalle regioni del seìiso intimo in quelle
della speculazione pura. Ma in realtà in questa nuova sede
la Divinità si trovò più disagiata, che nella prima.
Infatti per corredare questo Dio metafisico di qualità
suo proprie, cosa si fece? Presso a poco quello, che faceano
gli Alchimisti p' r formar Y oro; voleasi comporre Y oro
coH'estratto dei metalli. Così fecero i* Metafisici: vollero
comporre Dio quasi coU'estratto delle cose naturali. Hanno
dunque detto, che siccome la volontà è la miglior cosa,
che si possa attribuire agli esseri naturali. Dio è personale;
che siccon)e le cose sono buone, ma relativamente. Dio è
Beno assoluto; che siccome tutte le forze nostre sono finite,
por ragion dei centrar]. Dio ò infinito ec.
[)i questo passo la Metafisica ha fatto Dio, pigliando
a lovescio le imperfezioni delle cose, e moltiplicando per
un certo infinito ideale le loro qualità buone.
Or questo modo di costruire i grandi prodotti della
idealità essendo illegittimo, la conseguenza necessaria che
ne derivava, era elio le idt'e così costruite non avessero in se
la preponderanza razionale irresistibile, la quale è caratte-
ristica dei concetti legittimamente formati, e può sola sfor-
zare l'assenso di tutti gli uomini. N'è seguito uno scisma
filosofico: i metafisici si dividono oggi, e si divideano lungo
tempo addietro in due grandi classi, l'una delle quali pro-
pugna l'esistenza di un Dio personale, e l'altra tiene per
un Ente panteistico; e nessuna delle due ha argomenti
bastanti a ridurre al silenzio l'avversaria. Or questo noa
può provenire altro che dalla impotenza razionale del con-
cetto metaliaico di Dio e della Causa prima.
Si potrebbero facilmente analizzare molti altri concetti
metafisici con un procedimento analogo, e in fondo a tutti
troverebbesi una personificazione o concretizazione di ele-
vatissimi concetti astratti. Che significalo porta in se l'Idea
di Hegel, se non che la considerazione della forza mentale
come una manifestazione suprema della natura, e la con-
seguente trasformazione della piii alta idealità nella più
alta realità, attribuendo la realità della mente produttrice
all' idea prodotta?
Ma non è qui mio pensiero di fare il processo alla Me-
tafisica. Dal punto di vista di questi vizi di metodo, Aristo-
tile ha contribuito alla loro diff'usione piuttosto per la cele-
brità ottenuta dalle sue opere, che per la radicale viziosità
delle sue dottrine. Perocché esso è certamente il meno
metafisico fra i filosofi; e la metafisica dell' età moderna è
piuttosto figlia di Piatone che di Aristotile. Dal contenuto
dei libri Aristotelici di metafisica sceglierò due dottrine:
1. quella che si riferisce ai primi principj dell'ordine logico;
2. quella che ai riferisce allo cause prime dell'ordine onto-
logico. Nella prima non s'ha nulla dì metafisico, essendo
una analisi dei processi mentali conservati nel loro proprio
ordine; nella seconda si trova, a confrontarla colle dottrine
dì altri filosofi, un minimum di metafisica. Dico un mini-
mum, perchè questa trattazione, sebbene mostri l'intenzione
di fare delle Cause dei veri principj ontologici, negli altri
suoi libri, all'occasione (lolle varie ricerche filosofiche, Ari-
stotile non bì serve in generale di queste cause altro che
per uso logico, e iu quelli e in questo libro medesimo serba
gelosamente la prerogativa di vera entità naturale al solo
composto, al concreto individuale.
Una delle importanti dottrine della filosofia prima, se-
condo Aristotile, è, come ho l'.etto, quella che si riferisce al
Primo logico.
€ S'ha inoltre a dire, se la scienza che tratta dei cosi
detti in matematica assiomi, faccia o no tutt'uno con quella
che tratta dell'essenza.
« Ora è evidente che sì, e che è la scienza appunto del
filosofo; di fatto s'applicano a tutti gli enti, e non solo ad
un genere d'enti in particolare ad esclusione degli altri... »
Perciò nessuno di quelli che hanno soggetti di studio
parziali, non il geometra, non l'aritmetico, s'attentano
punto di discorrere, loro, sulla verità o falsità di questi
assiomi .... »
« In ogni materia, chi n' ha la più gran cognizione pos-
sibile, bisogna dire, che ne possegga i più fermi principj:
di maniera, che chi conosce l'ente in quanto onte, deve
possedere i principj pili fermi. Ora, questo è appunto il fi-
losofo > .
« Il principio poi il più fermo è quello su cui è impossi-
bile di errare: giacché bisogna ohe esso sia addirittura il
più conosciuto ( di fatto tutti errano in quelle cose che non
conoscono ) e non ipotetico Ora, che Ìl princìpio il
più fermo deve esser cosi, è chiaro: quale poi sia, veniamo
a dirlo. »
< L'impossibilità che una stessa cosa stia insieme e non
stia in una cosa stessa e secondo lo stesso rispetto, è ap-
punto il più fermo dì tutti i principj: di fatto, si riscontra
colla definizione data. Giacché è impossibile, che uomo al
mondo pensi che lo stesso sia e non sia. Certi credono che
Eraclito lo dica: ma non d poi necessario, le cose che uno
_ 290 —
dice, che le pensi anche. Davvero, se i contrarj non posso-
no stare insieme nella stessa cosa, e nella contradittoria ci
sono due giudizj Tuno contrario all'altro, si vede essere im-
possibile, che lo stesso uomo pensi che la stessa cosa sia e
non sia: perchè chi fosse in questo errore, avrebbe a un
teqapo i due giudizi contrarj. Perciò tutti quelli che dimo-
strano, riducono a questo principio ultimo; perchè è princi-
pio di sua natura, e va avanti a tutti gli assiomi ......
« Pure c'è di quelli, che come s'è detto, affermano, che
una cosa stessa possa insieme essere e non essere, e che
loro lo pensino. Invece, noi abbiamo assunto per impossibile
che una cosa sia insieme e non sia, e da questa impossi-
bilità ritraemmo che questo sia appunto il più fermo di tutti
i principj. Ora alcuni pretendono che si dimostri loro anche
questo; ignoranti davvero: giacché è pure un'ignoranza
a non sapere di quali cose bisogni dimandare la dimostra-
zione, di quali no. Difatto, non è possibile che si dia di-
mostrazione d'ogni cosa addirittura; s'andrebbe all'infinito;
di maniera che neppure cosi non ci sarebbe la dimostra-
zione. E se c'è cosa, di cui non bisogna cercare dimostra-
. zione, un principio che pretendano più atto a farne senza,
non ce lo saprebbero dire. »
€ Se non che si può dimostrare anche questa impos-
sibilità in via di redarguizione, se solamente l 'avver-
sario dice qualcosa; che se non dice nulla, è ridicolo di
cercare un ragionamento contro a chi non ragiona di nulla. >
«... Essere uomo non può voler dire il medesimo, che
non essere uomo, se pure la parola uomo ha un significato
unico non solamente perchè si predica d'un soggetto unico,
ma perchè ne significa un solo .... Ed ora non si dubita
già, se lo stesso possa insieme essere e non essere uomo di
nome ma di fatto .... »
« In generale poi quelli che affermano, che es'sere uomo
e non essere uomo sia la stessa cosa, distruggono l'essenza
e la quiddità. Di fatto, se varrà qualcosa V avere la
I
— 291 —
quidctità di uomo, doq equivarrà di certo ad aver quella
di non uoìno o a non aver quella di uomo, che ne son pure
le negazioni. Giacchò ciò che quello significava, era ima
cosa sola, e questa cosa sola i-ra l'essenza di qualcosa. Ora,
significare l'essenza di una cosa vuol diro che quella lai
cosa non abbia punto altro essere .... »
« Oltre di che, è chifiro cìie se le contradittorie, dette
dello stesso, fossero vere, si farebbe di tutte le cose uua
sola. Giacché sarebbero lo stesso e hHreme o paréte e wo-
mo, se d'ogni cosa ai può affermare o negare qualunque
altra».
« .... A costoro non è lecito di aprir bocca né di par-
lare: giacché dicono insieme una cosa e non la dicono ....
Ma il punto, dove si vede che nessuno né di quelli che fanno
di questi discorsi, né degli altri, n'è persuaso, é questo.
Perchè mai va a Megara, e non se ne sta invece, figuran-
dosi che ci vada? Perchè uno non se ne va, un bel giorno,
a gittarsi, poniamo, in un pozzo o in un burrone, anzi si
vede che se ne guarda appunto come se non peusasse che sia
tanto buono quanto non buono il caderci dentro? E dunque
chiaro, che crede che ci sia del meglio e del peggio... {') »
Un altro principio analogo al principio di contradi-
zione, di cui s*è parlalo finora, & quello del mezzo escluso
fra i contraditlorj .
« Anzi non ci può essere niente di mezzo fra i contra-
dittorj, ma d'una qualunque cosa è necessario dì negare o
affermarne una qualunque altra .... Quel qualcosa di mezzo
sarebbe come il bigio tra il bianco e il nero, ovvero corno
il né Puno ìiè l'altro tra uomo e cavallo. Ora, se di que-
st'ultim.T maniera, non andrebbe mai soggetto a cangia-
mento; di fatto il cangiamento accade dal non buono al
buono da questo al non buono: e invece è quello che si
crede sempre, non ci essendo cangiamento altro che negli
(') MstupL. IV. 3. e aeg. Trail, di Uuggiero Bonghi.
— 29« —
opposti e negr intermedi. E se il mezzo è delFaltra maniera
ma sempre tra contradittorj , ci sarebbe del pari una gene-
razione del bianco non dal bianco; e chi l'ha mai vista?
« Di più, ogni cosa, che la mente pensi o intenda, o
rafferma o la nega: il che risulta chiaramante dalla defl*-
nizione di quando coglie il vero o cade nel falso. Quando
cioè negando e affermando, congiunge a questa maniera,
sta nel vero; quando a quest'altra, sta nel falso » Q).
Questi principj, che presentano quasi l'ultima formula
del valore del giudizio e del raziocinio, benché trattali da
Aristotile nei suoi libri di Metafìsica, sono tutt'altro che me-
tafisici. Sono invece veri e proprj principj sperimentali non
altrimenti che tutti i così detti assiomi. La stessa indimo-
strabilità di essi invocata da Aristotile ce lo indica. Ed esso
medesimo riconosce che la indimostrabilità di tutti i princi-
pj proviene dalla impossibilità che per formargli si adoperi
la dimostraziene deduttiva, e gli fonda invece sull'espe-
rienza e sull'induzione fatta all'occasione dei sensibili. Gli
assiomi sono tutti di provenienza sperimentale, e questi as-
siomi massimi non differiscono dagli altri, che per la esten-
sione maggiore che hanno, abbracciando essi tutti i feno-
meni e tutti i concetti, non differiscono gik per la loro
natura né per le condizioni della loro formazione •
E una improprietà di linguaggio l'uso invalso tra' filo-
iDsofi di chiamare necessità metafisica il valore di certi
principj assiomatici, come questo di contradizione o altri
analoghi. Il loro valore dipende invece da una vera e pro-
pria necessità fisica, cioè proveniente dalle cose come elleno
sono e si presentano alla percezione. La necessità metafi-
sica, a propriamente parlare, è quella che proviene da pura
combinazione di idee, e che porta ad una conclusione nel- .
l'ordine ideale, senza che per altro questa conclusione me-
desima la si possa verificare fisicamente o sperimental-
(«) Metaph. IV. 7.
— S93 —
mente. Che quattro pift quattro faccia otto, non è una con-
clusione fornita di necessità metafisica, ma di necessità fi-
sica, perchè ella dipende dalla natura delle cose conosciuta
sperimentalmente, e dal novero fatto e sperimentato dei
concreti, senza il quale neppure il vero concetto di numero
si avreblw avuto. Limitare la necessità fisica alle conclu-
sioni che esprimono lo leggi della natura, è inesatto. Nel
caso delle quali invece non si ha una vera e propria neces-
sità fisica, ma logica. Allorquando da una serie di fenomeni
si trae induttivamente una legge, questa è un portato logico
di quei fenomeni, e potrà cambiarsi questo portato logico
col solo osservar meglio i fenomeni stessi o collo scoprirsene
uno nuovo. Chi può mai dire quali sono le leggi vere della
natura? siamo noi certi di averne ancora definita una sola
con precisione? Dunque non v'e nelle leggi trovate da noi
necessità fisica. Ma ó l^ensi questa necessità fisica negli
assiomi, i quali eontengon conclusioni provenienti da espe-
rienza fissa, invariata e invariabile, come quando si afferma
ohe il tutto è eguale all'insieme delle sue parti; o in certi
postulati, come in quello che due linee parallele non pos-
sono incontrarsi. Qui, ripeto, è vera e propria necessità
fisica, perchè è la osservazione dei fenomeni considerati in
tutta la loro estensione e nella loro comune natura, che ci
ha portato a questa conclusione induttiva. Mentre la conclu-
sione induttiva delle leggi ci è data da un aggruppamento
concettuale dei fenomeni, il quale non sappiamo se, o quan-
do, diventerà per noi aggruppamento naturale. Dall' altro
canto la necessità metafisica ci vien data da un aggruppa-
mento di idee pure, senza alcun controllo sperimentale, e ci
conduce alla ipotesi. Tale è, per esempio, la necessità
razionale, che Aristotile adopera per provare come il primo
motore debba essere immobile; o quella che i filosofi ado-
perano per provare che il mondo sia causato e che vi debba
essere una causa prima fuori del mondo .
Gli assiomi sì formano sopra i concetti tratti immedia-
■
— 294 —
tamente dai concreti percepiti; in conseguenza non oltre-
passano r esperienza, anzi i' hanno continuamente conna-
turata a se talmente, da non si potere enunciare un concetto
od un fatto attinente alla loro categoria senza enunciargli
implicitamente; la loro esperienza è perciò completa ed
esaurita; hanno valore di necessità fisica, tale cioè che
significa, che nessun ente e nessun concetto potrebbe aver
posto nella natura senza essere una prova della loro
veracità.
Le leggi si cavano da gruppi di fatti sperimentali;
V esperienza non è oltrepassata né prima né dopo la forma-
zione della legge, è pronta sempre alla verifica, ma non è
esaurita; le leggi hanno valore finché restino intatti i dati
sperimentali da cui furono tratte, dati che potrebbero
cambiare.
Le cause supreme si cavano da gruppi di astrazioni
lontanissime dal concreto; l' esperienza è oltrepassata tanto,
che non può più aver luogo la verifica; hanno, valore di
necessità metafisica, cioè qualcosa meno che ipotetica. Le
cause supreme sono in condizioni di ipotesi, perché è ipote-
tico ciò che non è verificabile. Ma di fronte alla scienza
hanno meno valore che non le ipotesi, perchè queste si
ammettono talvolta anche nella formazione delle leggi, e
sono allora leggi posticcie destinate prima o poi ad essere
abbandonate o diventare vere e proprie leggi, in quanto
che aspettano alcuni fatti che le smentiscano o le confer-
mino; mentre le cause supreme sono ipotesi che son desti-
nate a restare perpetuamente nella condizione di ipotesi;
elleno non aspettano fatti nuovi, essendoché il materiale da
cui furono cavate non è composto di fatti, ma di astrazioni
elevatissime, le quali per quanti fatti nuovi sieno per
sopraggiungere, non cambiano carattere mai; cosi la forza^
la causa, V ente, sono astrazioni ( materiale delle cause
supreme ) nelle mani dei metafisici immobilizzate talmente,
che se nuovi fatti non solo, ma un nuovo universo soprag-
giungesse^ non sì cambierebbero d'un pelo.
— 295 —
La vera Metafisica comincia dunque colla ricerca di
queste causo supreme ipotetiche, che senza essere potute
verificare in seno alla fenomenalità hanno vita soltanto per
via di un solitario lavoro ideale, che sembra faccia conclu-
dere alla loro esistenza, e le caratterizzi in modo da farne
un fondamento e insieme un contrapposto a tutto V ordine
fisico. Queste cause supreme costituiscono per Aristotile il
Primo Ontologico.
« E dunque manifesto che bisogna acquistare la scienza
(Ielle cause prime: e di fatto, allora diciamo di sapere una
cosa quando ci paia di conoscerne la prima causa. Ora,
causa si dice in quattro sensi. In un senso diciamo causa
V essenza la quiddità; di fatto il perchè si riduce da ultimo
al concetto, e il primo perché è causa e principio. L' altra
causa è la materia, il soggetto. La terza quella di dove è
il principio del movimento. La quarta è la contrapposta a
quest'ultima, il fine ])er cui e il bene, essendo essa il
termine d'ogni generazione e movimento . . . 0) ».
« E manifesto che vi sono delle cause, e che il numero
di esse è appunto quale lo abbiamo noi fissato, dacché la
ricerca delle cause involge precisamente quattro specie di
domande. E così la causa d' una cosa si riporta: o all' es-
senza stessa dell'oggetto, termine ultimo nelle cose cJie non
hanno moto, e per esempio nelle matematiche, dove la
ricerca ultima fa capo alla definizione della linea retta, o
a quella della proporzione o ad altra simile idea; ovvero
al motore primordiale; e per esempio, da che proviene che
un tal popolo ha fatto la guerra? Da questo, che gli aveano
fatto una razzìa; ovvero al fine che si ha in mira; e per
esempio ancora, perchè un tal popolo ha fatto la guerra?
Affino di estendere il suo dominio; ovvero finalmente alla
materia, degli oggetti che nascono e si producono ... ».
« Bisogna rendersi conto, dietro la scorta delle leggi
(') Metaph. 1. 3.
— 296 —
naturali 9 della materia^ della forma^ del moto e del fine
delle^cose >.
M
« Spesso tre di queste cause si riducono a una sola.
Così l'essenza e il^fine si riuniscono; e di più la causa dalla
quale proviene il movimento iniziale si confonde special-
mente con quelle due ... ».
« In conseguenza la causa delle cose si trova, sia stu*
diando la loro materia, sia studiando la loro essenza che le
fa essere ciò che sono, sia infine studiando il motore ini-
ziale ... Vi sono due principi nella natura, che possono
muovere le cose, Y uno non ha in se Torigine del movi-
mento, e tale è V essere, se e' è, che può muovere senza
esser mosso, come sarebbe Tessere assolutamente immobile
e anteriore a tutti gli esseri; l'altro principio è l'essenza e
la forma, perchè la forma è il fine in vista del quale è jEatto
tutto il resto (*) ».
« La natura può concepirsi in doppio aspetto: da una
parte come materia, dall' altra come forma. Ora, la forma
essendo un fine e tutto il resto ordinandosi al fine , può
dirsi che la forma è il perchè delle cose e la loro causa
finale («) ».
« Il necessario nella natura è ciò che in essa prende
aspetto di materia, coi movimenti che questa materia riceve.
Queste due specie di cause, materia e fine, debbono essere
spiegate; ma è mestieri attenersi più alla causa finale;
perchè il fine è causa della materia, mentre la materia non
è causa del fine {^) » .
Le molteplici considerazioni che Aristotile fa nei diversi
suoi libri e in quelli della Metafisica intorno all'essenza,
alla materia, alla forma, alla causa finale, sono le più
intricate analisi, e quelle che possono portare il vanto
(*) Phys. n.^:7.
(») Phys. II. 8.
(») Pby8. ir. 9.
— «97 —
sopra tatto di sottigliezza e spesso dì acume portentoso.
Ma l'essenza e la causa finale si fondono, a così dire,
colla forma, una delle più notevoli creazioni della Metafi-
sica di Aristotile. Dimodoché tutta la teoria sua delle cause
si volge su questi due pernj, la forma e la materia ('),
le quali prendono respetti vamen te in ordine alia produzione
delle cose condizione di aito e di potenza, di essenza e di
suslrato; separate son nulla, la loro importanza comincia
dal momento della loro combinazione; la materia è eterna,
ma inerte; la forma è eterna e proviene dal corpo celestiale
primo mobile; la forma in conseguenza porta seco ìl moto
attinto nel primo mobile e lo trasmette alla materia. Così
nascono e si distruggono le cose. La produzione delle cose
è passaggio di forme attraverso alla materia; da una parte
si ha completa attiviL^, dall'altra assoluta passività; la
materia è una e identica; le forme sono disposte in gerar-
chia, da quelle della materia inorganica fino alle anime
direttrici della vita e del pensiero. Il corpo celestiale, che
è il luogo delle forme, e che come primo mobile trasmette
ad esse il suo moto, è in contatto col primo motore immo-
bile, il quale ò ìl vero centro e principio del moto, benché
esso medesimo non sia in movimento.
Cosi dalla teoria delle cause Aristotile si fìt strada a
quella del Primo motore immobile.
« Tutto ciò che è mosso deve necessariamente esser
mosso da qualche cosa. Perchè se il mobile non ba in se
stesso il principio del suo moto, è evidente, che deve rice-
verlo da un' altro, e che è quest' altro il vero motore ... *
« Ma se ogni mobile è musso necessariamente da qual-
che cosa, e se è mestieri del pari che tuttociò che è mosso
nello spazio sia mosso da un altro mobile, allora il motore
è mosso da un altro mobile, che è mosso anch' esso; e
(') Vedi ia proposito della forma e della materia, aopra — Bio-
logìa. —
— 298 —
quelFaltro ancora è mosso da un altro, e così sempre di
seguito (*) » .
« Bisogna bene tuttavia che vi sia qualche causa prima
e iniziale del movimento, perchè non si può andare al-
l' infinito... E dunque necessario che siavi un punto fermo,
e che necessariamente abbiasi anche un primo motore e
un primo mobile (*) ».
«Il movimento è eterno, perchè è eterno il tempo,
che è il numero del movimento o un movimento d'una
certa specie.... il movimento è indistruttibile... »
« Poiché bisogna che il movimento sia perpetuo e non
cessi giammai, bisogna necessariamente che vi sia qualche
cosa eterna che muova originariamente... e che il motore
primitivo sia eterno come il movimento... O ».
« Se esiste effettivamente un principio eterno, che sia,
come diciamo motore, restando immobile ed eterno, biso-
gna che il primo mobile che esso mette in movimento sia
eterno come lui... (*) »•
«Non vi ha di movimento continuo altro che quello
prodotto dall' immobile; perchè essendo eternamente iden-
tico, sarà di fronte al mobile in un rapporto sempre lo
stesso e continuo.,. Il motore primo ed immobile non pud
avere grandezza alcuna; perchè se ne avesse una, biso-
gnerebbe ch'ella fosse finita o infinita. Or abbiamo dimo-
strato che non vi può essere grandezza infinita; e abbiamo,
dimostrato che il finito non può avere una forza infinita,
e che una cosa finita non può neanche produrre il mo-
vimento durante un tempo infinito. Per ultimo abbiamo
fissato che il primo motore produce un molo eterno, e
ch'esso lo produce per un tempo infinito. Dunque non è
meno chiaro che il primo motore è indivisibile, che è senza
(«) Phys. VII. 1.
(•) Phys. VII. 2.
(•) Phys. Vm. 7.
0) Phys. vm. 9.
— 299 —
partì, e che non ha assolutamente alcuna specie di gran-
dezza (') ».
Questa teoria delle Cause, che è la più bella dottrina
dell'antichità sui principj metafisici dell'Ontologia, e che
di fronte alle altre dottrine di simil genere non ha riscon-
tro per solidità e completezza, se non fosse nella dottrina
atomica di Democrito, ai nostri occhi perde la più gran
parte della sua importanza, perchè diventa povera di
significato e di valore naturalistico. La natura e le cause
e le forze e la materia si vedono oggi sotto un punto di
vista Ijen diverso, anche da quelli che avrebbero una gran
tendenza a tenersi alle vecchie dottrine. Molto più perde di
valore per chi sottoponga le cause ai criterj nuovi col quali
sì trattano oggi te qui^tionì fondamentali della natura; in
questo caso la dottrina Aristotelica, anche a rendere la
più completa giustizia al genio dell'autore, non può a meno
di sembrare vana e illusoria .
E innanzi tutto, come si può far buon viso oggi a una'
scienza, che come la Metafisica, si compone tutta intiera
d'ipotesi? Che veramente, come ho sopra accennato; le
cause prime sono tutte allo stato di ipotesi. Infatti ogni
scuola ha le sue, ha le sue ogni paese, e sto per dire ogni
città; lo scuoiare ne accarezza di quelle che non sono le
favorite del maestro; e quasi si terrebbe a onta di non
inventare il suo sistema metafisico, chi voglia acquistar
grido di vero filosofo. Una scuola di Metafisica che al
modo della Chimica o della Fisica camminasse insegnando,
e dove i discepoli trovassero nuove dottrine come conse-
guenze di quelle imparate, senza sconfessare le teoriche
del maestro, sembra, a pensarci, una cosa tanto inusitata,
che si sarebbe tentati di pigliarla per impossibile. Qual
meraviglia dunque se ne n.isce uno sconforto di tal aorta
di dottrine, e se la scienza scredita la Metafisica? Qual
(') Phyfc VIU. 15.
— 300 —
meraviglia se^ in mancanza dei veri dati razionali, se ne
mischia Tamor di setta; se le dispute metafisiche non sono
tranquille al pari delle dispute scientifiche, ma focose smo-
datamente, e però mentre alcuni sorridono di compassione,
altri restano estatici e si elevano fino ali* entusiasmo ?
Queste non sono abitudini della scienza.
Ben è vero, che la scienza non ha da porre nulla in
luogo delle dottrine metafisiche. Ed è naturale: là ove i
fatti non hanno portata, la scienza non può penetrare. So-
lamente intorno al modo d'agire delle cause prime, quando
le si mostrano sotto forma di cause seconde e mondane la
scienza può dire la sua parola, e anche correggere certe
asserzioni metafisiche.
La materia e la forza non possono separarsi se non
che mentalmente, non già ontologicamente. La materia
in azione, è la forza. Ma non si dà materia che non sia
azione più o meno energica, più o meno sensibile e rico-
noscibile. La materia inerte nel senso di privazione asso-
luta d' azione, è una astrazione della nostra mente,'
astrazione che s'è fatta sul dato della materia comune,
cioè della materia agente, prescindendo concettualmente
dalla sua azione. La materia concreta può essere inerte
di fronte a una forza che non è sua propria, ma non ne
viene per questo^ che essa non sia in azione per una forza
sua. Ora, se non si dà affatto materia che non sia attiva,
come puossi" separare ontologicamente la materia dalia
forza? Mentalmente si può, ma è assurdo dare a questo
prodotto mentale valore di causa, e dichiarare che la forza
è causa reale del moto nella materia. La forza è indistrut-
tibile, perchè è indistruttibile la materia; le forze circolano
e si trasformano, perchè circola la materia; quando si sen-
tono le forze, è la materia in realtà che si sente. E se
non fosse un lungo abuso d'astrazione che ci avesse abi-
tuati a nominare due cose invece d'una, la forza e la ma-
teria, ci maraviglieremmo che al fenomeno unico e solo
I
— 301 —
e QOD bipartito della materia si daasero due appellativi.
L'educazione scientifìca metafisica per questo lato ci oacura
la cognizioue.
Altreltauto può dirsi della nozione di causa, della quale
I luQgauieute abusato aiuo ai tempi moderai per creare
sistemi e dottrine le più varie, da quelle di Aristotile e
degli Scolastici, a quelle di Spinoza e di Hegel, nozione che
tra i più dei filosofi si consi lera come significante una effi-
cienza reale, come qualcosa di simigliante a un rapporto
sostanziale tra un essere e un altro. Anche in questo caso
quel che era una astrazione mentale formata sulla produ-
zione d'un fenomeno, si conduce ad un valore reale; e
mentre come strumento mentale poteva essere utile quel
modo di considerare l'efifetto e la causa e il loro rapporto,
portato nel campo dell'ontologia dà luogo ad una serie
ideale successiva io cima alla quale sta la causa prima,
aliena affatto dai fenomeni reali da cui s'era partiti.
Mentre a considerare i fatti, Ìl legame misterioso e la
forza intima e la viKù generatrice dell'effetto non si
trovano per nulla. Quel che si trova è una combinazione
di fenomeni in ordine fisso ai quali ne tien dietro un altro
invariabilmente.
Allorquando si spara un fucile contro al petto d*nn
uomo, che ne è colpito a morte, quale è la causa della
morte? Non il fucile, che in molti altri casi non spara,
non la polvere, che è innocua, né la palla, né la mano
dell'uomo che ha mù^to. Ma la serie de' fenomeni, cioè,
il fucile caricato con polvere e palla, e puntato al petto
d'un uomo, serie di fenomeni in ordine fisso, perchè al
solo variare uno di questi, il complesso de' fenomeni con-
secutivi come effetto, non avrebbe pili luogo. Ora in que-
ste due serie che si succedono e formano il vero significato
della causa e dell'effetto, la prima risultanza mentale è il
come delle due serie di fenomeni, non il loro perchè.
Infatti l'(»:dine fìsso dai feoomeoi ò la condixiooe primar»
— 802—
per la produzione consecutiva della serie corrispondente.
Noi apprendiamo -dall^esperienza, dice Stuart-Mill, che vi
è nella natura un ordine di successione invariabile^ e che
ciascun fatto vi è sempre preceduto da un altro fatto.
Chiamiamo causa Yantecedente invarHabiley effetto il con-
segttente invariabile... La causa reale è la serie delle
condizioni, l'insieme degli antecedenti senza i quali l'effetto
non sarebbe avvenuto... Non vi è fondamento scientifico
nella distinzione che si fa tra la causa d'un fenomeno e
e le sue condizioni.... La distinzione che si stabilisce tra
il paziente e l'agente è puramente verbale... La causa è
la somma delle condizioni negative e positive prese in-
sieme, la totalità delle circostanze e contingenze di ogni
specie, le quali una volta poste, sono invariabilmente se-
guite dal conseguente... »
Il pensiero che conduce i metafisici a oltrepassare
questa nozione dell'antecedente invariabile e del conse-
guente invariabile, è la smania del perchè^ smania che
a noi non è dato mai di soddisfare. Nei casi in cui ci
figuriamo di essere appagati in questa ricerca, siamo vit-
time di un' illusione. I perchè che noi arriviamo a cono-
scere sono dei come mascherati. Neil' esempio addotto di
sopra, che è dei minimi, il fucile sparò, perchè la polvere
fu incendiata dal fuoco, cioè a dire quando la polvere fu
incendiata. Non saprei mai dire perchè il fuoco allora e
sempre incendia la polvere.
E lascio stare, che massimamente nelle dottrine rela-
lative alle cause ultime, la difficoltà che si tentava con
quelle ipotesi di risolvere, non è quasi mai risolta; mentre
nelle ipotesi scientìfiche almeno questa condizione si ha,
e se le ipotesi non sono appoggiate dai fatti, benché nep-
pur contradette, si reggono almeno sulla facilitazione che
presentano per risolvere alcune difficoltà. Ma nella dottrina
delle cause prime la cercata soluzione delle difficoltà è
illusoria. Quando si è con Aristotile arrivati ad ottenere
— 308 -
la ipotesi di un Primo inotore immobile, si è forse risoluta
quistione del principio del raotol SÌ è trovata una formula
ideale, che è in se stessa pugnante, che fa ai cozzi col
concetto cavato dal moto reale, che lascia una difficoltà
insolubile nella immobilità movente di questo Motore. Come
mai ciò che è immoto ed immobile può muovere? Come
mai l'energia del muovere non è essa stessa nn moto?
Il Motore immobile riesce tanto incomprensibile, quanto
il moto senza principio.
1x3 stesso può dirsi di altre soluzioni metafisiche intomo
a problemi relativi a cause prime. Quando s'è trovato in
una sostanza ideale, all'uso di Platone, la ipotesi con cui
si vorrebbe spiegare la formazione e la natura di tutti i
prodotti mentali, il segreto di questa formazione è esso ve-
ramente trovato? Supposta vera la ipotesi, resterebbe
sempre a spiegare come il reale possa essere ideale, perchè
il particolare prenda forma d'universale, perchè il moto
delle idee nostre provenga da un mondo ideale immobile.
La difficoltà della coesistenza del reale coH'ideale, che si
riscontra nell'ordine mondano, non persiste forse anche
nell'ordine estramondano, che si suppone fonte ed origine
del realee dell'ideale nostro? L' ideale obiettivo, divino,
come si voglia, è tanto difficile a concepirsi nella sua for-
mazione sul reale obiettivo, divino, quanto può esserlo la
formazione dell'ideale subiettivo sul reale contingente. I
Metafisici trovano comodo di velare queste difficoltà por-
tando in campo un concetto, oscuro quanto quelle, Ìl con-
cetto dell'assoluto. L'ordine assoluto ha, si suppone, carat-
teri diversi dall'ordine relativo. Ma che cosa è l'assoluto?
Non si conosce altro che per una contrapposizione mentale
col relativo; cioè colla negazione astrattiva dei caratteri
positivi del relativo. Ma a forza di negazioni non si crea
un concetto, si ottiene una forma rovesciata di un altro
concetto che si aveva. Quando si è arrivati a dare una
origine al mondo per via del concetto di creazione, la dif-
— 304 —
ficoltà di qaesta origine è ella risolta? Non mi pare. È
spostata si, ma non risolta. Il mondo eterno ci riesce in-
comprensibile; perchè non deve riuscire a noi egualmente
incomprensibile un Dio eterno? Non è Tattribuire la carat-
teristica d'eternità al mondo, piuttostochè a Dio, ciò che
strazia la nostra ragione; è il concetto stesso d'eternità
che ci strazia. Un Dio eterno, creante, che dà origine al
mondo, aspetta esso medesimo un'origine, un fondamento
della sua forza . La quistione dunque è spostata, traspor-
tandola dal mondo in Dio.
Ognuno converrà con Barthélemy-Saint-Hilaire che
Aristotile ha fatto la più completa teoria metafisca del
moto, ma ciò solamente in quanto il moto potea tollerare
di essere sottoposto a una teoria metafisica. Ma si ha torto
di credere che la scienza si possa contentare di questa, e
molto meno servirsene. Barthélemy rimprovera Laplace (*)
di aver lasciato fuori Dio dalla scienza astronomica, se-
condo che si vede dal contenuto dell' Esposizione del
sistema del Mondo y e in conformità del motto che narrasi
Laplace dasse in risppsta a Napoleone, che lo interrogava
su quella esclusione — * « non ho avuto bisogno di quella
ipotesi » . — Neir interesse della scienza quella esclusione
era salutare. Se gli astronomi si fossero acquetati alla
conclusione di Keplero e di Newton, i quali arrivati a
spiegare le perturbazioni del sistema solare provate dalle
osservazioni, si piacquero di invocare una forza divina
riparatrice (^), gli astronomi, dico, con questa fiducia in
Dio e nell'intervento miracoloso della sua mano non
avrebbero ricercato la vera legge della periodica ripara-
zione di quelle perturbazioni.
(') Vedi. Barthelemy-Saini-Hilaire. Preface à la Trad. de la
Physiqnd d'Arist.
(*) Keplero. Manam emendatricen desideraret.
— 305 —
Non è raro il caso veramente che la ricerca delle cause
prime, e specialmente T acquetamento nella fede metafi-
sica, distragga dei fortissimi intelletti dallo studio delle
leggi e dei fenomeni di questo basso mondo.
FINE
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