er eattteeneEt
inten
dep x x n Lote - Ù cere
nda sa nose È + a rr A > ca n
raro coda mea ata : e : —rmncezla seen
dr
dn im
I e e
33 tea >
den
x Nasa a
BE o it ine 2
; ni 7 na z ae
= > es " 0 dm e oe e a
me % pini eat 1
© diniego
Medri
DL inietta gni dado al
di e II
©
È
Di
ni
o
DA
SL
Ì
-
+
I
{
è
n
I Un
î |
I 1
i
TI
il }
Y î
ei } LI \ i)
DAGIESTE I
DELLA
ACCADEMIA: GIOEMA
DI SCIENZE NATURALI
IN CATANIA
ANNO LXXII
1895
SE RESO ARTA:
VOLUME VIII.
CATANIA
COSMIPISDI CC. GALATOLA
1895.
.
I
3: di
È
ì
? 4
'
C)
7
A ’
'
E
'
A
CARICHE ACCADEMICHE
PER L'ANNO 1895.
UFFICIO DI PRESIDENZA
ZURRIA Comm. Prof. GIUSEPPE— residente
TOMASELLI Comm. Prof. SALVATORE— Vice Presidente
BUCCA Prof. LoRENZO—Segretario (Generale
VICE-SEGRETARII
ARADAS Prof. SALVATORE— Segretario della Sezione di Scienze naturali
FICHERA Cav. Prof. FILADELFO—Segretario della Sezione di Scienze
fisico-matematiche.
CONSIGLIO D' AMMINISTRAZIONE
SCIUTO-PATTI Cav. Prof. CARMELO
BERRETTA Cav. Uff. Prof. PAOLO
ARDINI Prof. D.r GIUSEPPE
ORSINI FARAONE Prof. D.r ANGELO
CAFICI Rev. P. GrusEPPE— Cassiere.
SOCI EFFETTIVI
. TORNABENE cav. prof. FRANCESCO
. ZURRIA comm. prof. GIUSEPPE
CAFICI rev. p. GIOVANNI
. BERRETTA cav. utt. prof. PAOLO
. SCIUTO-PATTI cav. prof. CARMELO
. ARDINI prof. GIUSEPPE
. TOMASELLI comm. prof. SALVATORE
. CLEMENTI cav. uff. prof. GESUALDO
. ORSINI FARAONE prof. ANGELO
. RONSISVALLE cav. prof. MARIO
. BASILE prof. GIOACHINO
. CAPPARELLI prof. ANDREA
5. MOLLAME prof. VINCENZO
. ARADAS prof. SALVATORE
. SANGIULIANO Marchese ANTONINO
. GRASSI prof. GIAMBATTISTA
. AMATO prof. DOMENICO
. UGHETTI prof. GIAMBATTISTA
. FERRARI cav. prof. PRIMO
. FICHERA cav. prof. FILADELFO
. CHIZZONI prof. FRANCESCO
. FELETTI prof. RAIMONDO
. PENNACCHIETTI prof. GIOVANNI
4. PETRONE cav. prof. ANGELO
. RICCÒ cav. prof. ANNIBALE
. CURCI prof. ANTONIO
27. BUCCA prof. LORENZO
. GRIMALDI prof. GIAN PIETRO
Memoria I.
Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
nell'uomo e negli animali
Memoria del Prof. Dott. EUGENIO DI MATTEI
PARTE I.
L'INFEZIONE MALARICA SPERIMENTALE NELL' UOMO
La questione etiologica della malaria, da Laveran fino al pre-
sente, è stata oggetto di moltissime ricerche da parte di numerosi
osservatori italiani e stranieri, i quali a dire il vero, non sempre
concordi, sono stati nei risultati ai quali sono pervenuti,
Per la natura di questo lavoro io mieterei nel campo altrui
se volessi entrare nella discussione delle singole osservazioni dei
diversi autori, relative allo studio importantissimo della parte mor-
fologica e del ciclo evolutivo dei parasiti malarici; ma d'altro la-
to per il genere delle presenti ricerche non posso fare a meno di
rilevare che dopo le prime e fortunate osservazioni di Laveran, e
dopo le consecutive più accurate, più rigorose e bellissime ricer-
che di Marchiafava, Celli e Guarnieri, che tanto largamente contri-
buirono ad illustrare 1° etiologia di questa infezione, con la scoperta
di forme diagnostiche importantissime, la questione della malaria
fino allora ancora un po’ intricata, veniva ad essere molto illumi-
nata e studiata con nuovi criterî e sopra un nuovo indirizzo per
le magistrali osservazioni di Golgi e per quelle posteriori ed inte-
ressanti di Grassi e Feletti, di Canalis e di tutti quei molti altri
oculati studiosi che ne seguirono la via.
La legge annunziata pel primo da (Golgi, che a forme clini-
che di febbri malariche ben definite vi corrispondono varietà di
ATTI Acc., Vor. VII, SERIE 4.28 — Memoria I. 1
2 Contributo allo studio dell’ infezione malarica sperimentale
parasiti malarici ben distinti, con rispettivo ciclo evolutivo, rimane
fin oggi inconcussa e da ogni sereno studioso confermata.
Le ricerche sperimentali del resto dovevano essere il vero e
il più razionale controllo di queste osservazioni; ma le prime di
esse, benchè fatte in epoca non lontana, quando però ancora non
si avevano concetti molto chiari e molto positivi sull’ etiologia di
questa infezione, non potevano certamente portarvi quella luce de-
siderata.
Si era, è vero, senza intrattenermi sulle esperienze molto discu-
tibili del Dochmann (1) e ripetute dal Leoni (2), fatto un gran passo
nella questione sperimentale con le prime ricerche del Gerhardt, (3)
il quale inoculando sangue di individuo malarico affetto da feb-
bre quotidiana, sotto Ta cute di individui sani, poteva riuscire in
due casì fra cinque a provocare degli accessi di febbre malarica
che guarivano col chinino ; e propriamente in uno ottenere, dopo
7 giorni d’incubazione, una febbre dapprima irregolare, e poi quo-
(1) DocamanN di Pietroburgo inoculò per iniezioni sottocutanee il contenuto sieroso del-
l erpes labialis di un malarico quartanario a un uomo sano, il quale dopo poche ore dall’ inocu-
lazione veniva preso da febbre che ripeteva il tipo quartano. Inoculò poscia il contenuto sieroso
dell’ erpes di un malarico con febbre quotidiana a quattro individui sani ed ottenne in due ca-
si risultato positivo, di una vera febbre intermittente; in un terzo caso un semplice malessere,
e nel quarto caso nessuna manifestazione morbosa.
“Zur Lebre von der Febris intermittens , Vorl. Mitt. Centrablatt fiir die Med. Wissensch.
1880, und Referat in Virchow—Hirsch Jahresber. 1880. II
(2) Gazzetta medica di Roma— Dicembre 1881.
Lreoxi di Roma ha ripetuto le esperienze di Dochmann, iniettando sotto la pelle di due gio-
vani contadini il liquido contenuto nelle vescicole erpetiche, sorte in gran numero sul mento e
sulle labbra di un malato di febbri intermittenti. In uno si manifestarono sul posto dell’iniezio-
ne vescicole consimili a quelle osservate nell’ infermo, la eruzione delle quali fu accompagnata
da malessere generale, senza lo sviluppo di un vero accesso febbrile. Nell'altro, alla fine del se- -
condo giorno, sì manifestò arrossamento al punto d’iniezione e quindi un accesso febbrile prece-
duto da brividi, terminato con sudore e che durò dieci ore. Nel giorno seguente si ripetè l’' ac-
cesso con maggiore intensità : amministrata la chinina non vennero più accessi. si
Lo stesso liquido fu inoculato allo stesso modo col quale s' inocula il pus vaccino, al brac-
cio di due fanciulli, i quali dal secondo al terzo giorno dall’ inoculazione manifestarono quello
stato di malessere che suol precedere un parossismo febbrile ,—( Dalla memoria di Cuboni e
Marchiafava “ Sulla natura della malaria , Atti della R. Accademia dei Lincei 1880-1881).
(3) Ueber intermittens-Impfungen — Zeitsch. fiir Klinisc. Medic. 1884 Bd. III
nell’ uomo e negli amimali 5)
tidiana ; e in un altro, dopo 12 giorni, ottenere accessi di febbre
quotidiana.
Si era più tardi andato ancora molto più avanti in ordine di
sicurezza, con le esperienze fatte per consiglio e sotto la direzione
di Marchiafava e Celli dagli assistenti Mariotti e Ciarocchi (1), i
quali inoculando sangue malarico prima con iniezioni sottocutanee,
credute sempre da loro negative, e poi con iniezioni intravenose ,
potevano riprodurre in quattro casì su quattro la infezione malarica.
Ma da quelli e da questi esperimenti nulla si poteva concludere al
di là del solo fatto, sempre importante del resto, della trasmissibilità
della febbre malarica; poichè essendo le iniezioni endovenose pra-
ticate negli stessi individui e ripetutamente e a volte a brevissimo
intervallo da quelle sottocutanee, non si poteva con vero criterio
parlare di un periodo d’ incubazione e nè riferire esclusivamente
alle iniezioni endovenose e a quale di esse in ordine di tempo,
tutto ciò che avrebbe ben potuto essere conseguenza delle sotto-
cutanee, come è del resto da ammetterlo con molta probabilità per
alcuni dei casi da questi autori riferiti. Nè questo è tutto, poichè
in uno stesso individuo venivano a breve intervallo, fatte inocula-
zioni di sangue, preso da individui malarici con diverso tipo feb-
brile.
Più tardi gli stessi Marchiafava e Celli (2) riferendo in esteso
e discutendo i 4 esperimenti sopradetti, più un quinto caso da lo-
ro condotto, conceludevano ammettendo soltanto in tre casì la ri-
produzione vera della febbre malarica, con decorso tipico, esclusi-
vamente per la via endovenosa.
Ammettevano inoltre anch’ essi la difficoltà di stabilire la du-
rata del periodo d’ incubazione, a causa delle troppe ripetute inie-
zioni di sangue fatte nei soggetti di esperimento, sebbene si mo-
strassero inclinati ad ammettere un’ incubazione a durata piuttosto
breve. Non avendo infatti potuto rigorosamente stabilire questo cri-
(1) Sulla trasmissibilità dell'infezione malarica — Lo sperimentale Fasc. 12— 1884.
(2) Nuove ricerche sull’'infezione malarica — Arch. p. le Scienze Med. Vol. IX. N. 15.
1885.
4 Contributo allo studio dell’ infezione malarica sperimentale
terio così interessante, esitavano a considerare come riuscite le inie-
zioni di sangue malarico con incubazione piuttosto lunga, sebbene
anche questi casì meritassero considerazione.
L'anno appresso questi sagaci osservatori, comunicando un
altro caso di febbre malarica sperimentale (1) in cui il periodo d’in-
cubazione fu brevissimo (2-3 giorni) conclusero ammettendo essere
questo generalmente corto, confermando così quanto avevano nelle
loro prime ricerche sospettato. (2)
Ma finora | indirizzo di queste ricerche sperimentali era piutto-
sto limitato e correva di pari passo alle conoscenze fornite dalla
clinica e dall’ osservazione microscopica, intorno alla etiologia del-
la malaria. Però venendo questa, per via di ben condotte osserva-
zioni mano mano più a rischiararsi, la questione sperimentale pi-
gliava una grande importanza, assumendo a se il compito di for-
nire la controprova di quanto le nuove ricerche microscopiche, sulla
base di casì clinici ben studiati, tendevano a stabilire ; si rendeva
così necessario di studiare sperimentalmente le correlazioni tra va-
rietà e ciclo evolutivo dei parasiti malarici e tipo febbrile, secondo
il concetto messo avanti dal Golgi (3).
Le prime esperienze che sì conoscano in proposito apparten-
gono alla Scuola della Clinica di Roma, diretta dal Baccelli.
Gualdi ed Antolisei (4) allo scopo di chiarire questo concetto
intrapresero delle esperienze e comunicarono due casì di febbre
malarica sperimentale, ottenuta con le iniezioni venose di sangue
preso da un quartanario (?). Però sebbene con la loro ricerca, il
periodo d’incubazione comincia a delucidarsi meglio, perchè eglino
prudentemente aspettarono più a lungo il risultato della iniezione
(1) MarcHiarava € CeLLi — Studi ulteriori. sull’infezione malarica. Arch. Scien. Med.
Vol. X. 1886.
(2) lav. cit. Arch. p. l. Scienze Mediche Vol. IX. 1885.
(3) Gorer— * Sull’infezione malarica, — “Sul ciclo evolutivo dei parasiti malarici nella
febbre terzana, — “ Sulle febbri intermittenti malariche a lunghi intervalli , — Arch. per le Scien-
ze Mediche Vol. X e Vol, XIV.
(4) Due casi di febbre malarica sperimentale — Bullett. dell’ Acc. Med. di Roma Fasc. 6
1888-89.
nell'uomo e negli animali Db
fatta, pure nulla ci dicono di preciso relativamente al tipo febbrile
e al reperto microscopico del sangue dell’ infermo malarico , né
mostrano di aver studiato per più tempo i due soggetti, né infine
(e questo è quel che più monta) si sono serviti di casì d’infezione
malarica primitiva.
Dimodochè concludono, e forse un po’ precipitosamente, che
per effetto della iniezione endovenosa si ottenne nel 1° caso una
febbre che ebbe 10 giorni d’incubazione e senza riproduzione di
tipo febbrile, e nel 2° caso una febbre con un’'incubazione di dodici
giorni, anche essa senza riproduzione di tipo febbrile.
Ma chi osserva attentamente la tabella termografica, annessa al
lavoro dei predetti autori, resterà impressionato nel vedere che la
febbre nell’inoculato del 1° caso s’iniziava il 20 Maggio con temp.
di 38°5, per raggiungere nel pomeriggio del 22 una temperat. di
40°8, per aversi il 24 un altro accesso in cui la temperatura rag-
giunse i 40°5, per continuare il 26 con un nuovo e più forte accesso,
in cui la temp. s’elevò a 41°5, per aversi il 28 un quinto accesso
con una temp. di 39°8 , fino a che dopo quel giorno non si modi-
ficò il tipo di quella febbre che con Vamministrazione del chinino.
E un dubbio anche più forte s’ insinua nell'animo del lettore,
dopo il reperto del sangue nell’ individuo inoculato, ove si descri-
vono forme di amebe che emettono e ritraggono i pseudopodi cow
assai vivacità, tanto da far dubitare che essi abbiano inoculato assie-
me a forme parasitarie della quartana le amebe della terzana, (come
vengono posteriormente loro stessi a confermare) e che probabilmen-
te queste ultime nell’ individuo inoculato, si siano con prevalenza
sviluppate, tanto più se si vuol dare peso al tipo febbrile prodotto.
Molto più vaghe e perciò ancor meno attendibili sono anche
le notizie che si riferiscono al secondo caso e quindi più facilmente
oppugnabili i risultati.
Per la stessa ragione merita altresì poca considerazione il ter-
zo caso (1) accennato dagli stessi autori e da loro nemmanco ac-
(1) GuaLpi E ANTOLISEI lav. cit.
6 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
cettato, per essersi l individuo allontanato dall’ ospedale dopo al-
cuni giorni dell’ inoculazione, e nel quale in seguito ad inoculazio-
ne di sangue di quartanario sì produsse una febbre quartana tipi-
ca con cinque accessi a regolare intervallo.
Con questi esperimenti dunque, i quali secondo la conclusione
degli autori parlavano più contrariamente che favorevolmente al
concetto delle diverse varietà dei parasiti malarici e del tipo feb-
brile rispettivo, il problema si schiariva ben poco.
Più tardi Antolisei ed Angelini (1) registrano due altri casi di
febbre malarica sperimentale; ma in questi essendo maggiori le
precauzioni usate, migliori e più attendibili dovevano essere 1 ri-
sultati. Infatti nei due soggetti inoculati con sangue preso da ter-
zanario si ottenne un’ incubazione di 11 giorni in ambo i casi, si
ottenne, relativamente alle forme parasitarie inoculate, un reperto mi-
croscopico di sangue negli individui inoculati, identico a quello
dell’ individuo da cui esso sangue fu preso, e si ottenne anche un
tipo febbrile che ricordava quello del terzanario. Ma però essi o
coerenti o tenaci alle loro prime vedute, mossero a loro stessi, di-
verse obiezioni non del tutto opportune; sì mostrarono perciò as-
sai riserbati nella conclusione relativa al tipo febbrile, affermarono
bensì che i caratteri morfologici dei parasiti inoculati li mettevano
al caso di dichiarare diverso l ematozoo della terzana da quello
della quartana e da quello a semiluna, appoggiando così in parte
la dottrina del Golgi, colla esistenza di diverse varietà di parasiti
malarici, ma non si sentirono per questo ancora autorizzati a le-
care a ciascuna varietà un tipo di febbre speciale.
Ma anche qui il terzanario non lasciava anch’ esso completa-
mente sereno l animo degli sperimentatori, poichè il tipo febbrile,
come gli stessi autori facevano travedere, non era tale da fare e-
scludere tutti i dubbî che si avevano sulla purezza del caso.
E quindi mentre da un lato si trova forse un pò giustificata
la loro titubanza e la loro riservatezza, si nota dall’ altro una con-
(1) Due altri casi di febbre malarica sperimentale— Riforma Medica Settembre 1889.
Co |
nell'uomo e negli animali
versione completa, solo poco tempo più tardi, quando uno di loro
l Antolisei assieme al Gualdi (1) hanno potuto avere 1 opportunità
di condurre esperimenti addirittura rigorosi. Avuto infatti un caso
di un individuo affetto da quartana primitiva pura, con tipo feb-
brile regolarissimo e nel cui sangue si riscontravano per assidue e
continuate osservazioni le sole forme del parasita della quartana,
ed inoculando il sangue di questo individuo in un altro che mal
aveva sofferto malaria, poterono allora, messi in tali condizioni fa-
vorevoli, riprodurre una febbre con un’incubazione di 12 giorni,
che sì svolse regolarmente con un tipo quartanario perfetto, e po-
terono all'esame del sangue dell’inoculato riscontrare e seguire l’evo-
luzione dell’ematozoo della quartana in tutto il suo ciclo biologico
già noto.
Messi così sull’ avviso che la riuscita degli esperimenti dipen-
deva dal modo rigoroso con cui essi venivano studiati e condotti,
gli stessi autori potevano in breve comunicare un altro caso (2)
nel quale con la inoculazione endovenosa di sangue malarico, con-
tenente parasiti di forma semilunare ad individuo sano, erano riu-
sciti a costatare nel sangue dell’ inoculato 1 ematozoo semilunare
col ciclo evolutivo, finora creduto da molti come appartenente a
questa varietà di parasiti; e dopo tredici giorni dall’ inoculazione
ottenere una febbre a tipo irregolarissima qual'è quella che da molti
oggidì ad essa varietà si vuol riferire.
Così le conclusioni sperimentali della scuola della Clinica di
Roma, per questi ultimi esperimenti ben condotti e ben riusciti, e-
rano molto decisive, e solo alla breve distanza di alcuni mesi dai
primi risultati incerti ed oscuri, l’ Antolisei (3) nell’ ultimo suo la-
voro scriveva che “ seguendo la precauzione di adoperare sangue
(1) GuaLpi ED ANTOLISEI— Una quartana sperimentale—Riforma Medica 1889.
(2) Guanpi ED AnroLiset—Inoculazione delle forme semilunari di Laveran Riforma Medi-
ca Nov. 1889. i
(3) Considerazioni intorno alla classificazione dei parasiti malarici—Riforma Medica Apri-
le 1890 (lavoro lasciato inedito e pubblicato, dopo la morte immatura dell’ Antolisei, per cura
del D.re Angelini).
le Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
preso da infermi affetti sempre da infezione malarica primitiva, i
risultati furono brillanti per la dottrina dell’ esistenza di più varie-
tà di parasiti malarici, poichè inoculando sangue di un infermo di
terzana primitiva si riprodusse una febbre con accenno al tipo feb-
brile terzanario e forme parasitarie identiche a quelle inoculate ;
inoculando sangue di infermo di quartana primitiva si ottenne, sia
la riproduzione delle forme del cielo evolutivo dell’ ematozoo della
quartana, sia la riproduzione della febbre quartana ; inoculando le
forme semilunari tolte da infermo affetto da infezione malarica pri-
mitiva, si ottenne una febbre irregolare comune a tale varietà e
con presenza nel sangue delle forme semilunari e del loro succes-
sivo sviluppo, come appunto si riscontra nelle infezioni di questa
specie ,. In conclusione “ inoculando una cultura pura di una va-
rietà parasitica malarica si ottenne la riproduzione della varietà -
noculata , col tipo febbrile corrispondente e non si ebbe più scam-
bio. (Giustifica infine la differenza fra i risultati indecisi delle pri-
me esperienze e quelli positivi delle ricerche posteriori, convenen-
do nell’ errore incorso per l’ impurezza dei casi scelti, essendo sta-
ti gli infermi già affetti altre volte da febbri malariche, sicchè uno
stesso individuo malarico poteva contenere nel suo sangue diverse
varietà adulte di parasiti malarici o per lo meno le amebe che nel
primo stadio, stante le lievissime differerize , possono facilmente
scambiarsi.
Sicchè la letteratura di casì veramente assodati e rigorosa-
mente studiati non ne contava ancora che pochissimi cioè i due
o tre surriferiti. E questa scarsezza apparrà giustificata se si pon
mente alla difficoltà che s' incontra di trovar soggetti con febbri
malariche primitive pure, e alla riluttanza che essi ed altri presen-
tano per servire come soggetti da esperimento. Nei nostri spedali
la difficoltà cresce enormemente per condurre tali esperienze.
E d'altro lato due o tre casi non possono davvero bastare
per illuminare completamente dal lato sperimentale il quadro delle
varietà parasitiche nella etiologia della malaria, tanto più che an-
cora esistono dissonanze fra gli osservatori in riguardo al lato mor-
nell'uomo e negli animali 0)
fologico della questione, nè tutti son d'accordo fino al presente di
ammettere una stessa classifica sistematica.
Era a questo punto la questione sperimentale della malaria,
quando con l aiuto valevole dei colleghi Grassi e Feletti (che quì
mi è caro ringraziare ) incominciai ad intraprendere nell’ uomo i
primi esperimenti, dei quali alcuni già in breve pubblicati (1) e
che adesso li riferirò tutti per esteso, allo scopo di contribuire a
portar luce alla questione etiologica della malaria, stante le peculiari
condizioni nelle quali questi esperimenti poterono essere condotti.
Il fatto messo avanti pel primo dal Gerhardt, dei successi spe-
rimentali d’imoculazione sottocutanea di sangue malarico con risul-
tato positivo, non confermato dalle esperienze simili, ma poco pa-
zienti di Mariotti e Ciarocchi già accennate, veniva tentato con più
fortuna e confermato da qualche esperimento nel Laboratorio di
Grassi, da Calandruccio (2) e reso più tardi di pubblica ragione
da Grassi e Feletti, sul resoconto del paziente stesso, come del re-
sto più tardi avremo occasione di dire.
Volli allora anch'io ritentare 1° esperimento, tanto più che mi
si offriva propizia l occasione, ed anche allo scopo di vagliare le
modalità dell’ esperienza.
La inoculazione ipodermica non richiede le cautele dell’ inie-
zione endovenosa, nè induce in chi la riceve quel senso di penosa
inquietitudine che produce quasi sempre quest’ultima nei pazienti.
Fra quindi più agevole poterne praticare parecchie in più individui.
ESPERIMENTO I.
Inoculazione di sangue di quartanario in individui sani.
G. Mantese, di Roccella Ionica, murifabbro, d’ anni 18, lavo-
rando alla Piana per lavori di arginazione del fiume Simeto , fu
(1) Di MartEI-Contributo allo studio dell’ infezione malarica sperimentale nell'uomo e ne-
gli animali. Riforma medica Maggio 1891.
(2) Citato da Grassi E FeLettI : Parassiti malarici degli uccelli—Classificazione dei parasi-
ti malarici—Bollett Accad. Gioenia Fasc. XVIII 1891.
ATTI Acc., Von. VII, SerIE 4.8 — Memoria I.
DO
10 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
preso dopo 20 giorni di permanenza colà, da un accesso violentis-
simo di febbre, che egli credè aver preso un giorno che si addor-
mentò in un’ ora di riposo presso il fiume. Quando la dimane tornò
a Catania era ancora febbricitante, sebbene sul luogo avesse preso
del chinino. Stette sfebbrato fino alla sera del quarto giorno, verso
le 4 p. m., quando fu preso da un secondo accesso più violento
del primo, pel quale fu costretto tenere il letto.
L'esame del sangue nei due giorni di apiressia fa notare den-
tro alcuni globuli rossi qualche rarissima ameba , più frequente si
trovano dei corpi prevalentemente a forma rotonda con granuli di
pigmento piuttosto periferici; nelle consecutive osservazioni, questi
corpi sì vedono ingrandire, a spese del glubolo rosso, fino alla fase
ultima di scissione.
Il reperto microscopico, continuato metodicamente, non lasciò
dubbio sulla natura dell’ ematozoo e sul tipo febbrile.
Nei due giorni consecutivi di apiressia prese 50 centigr. di
chinina; ciò però non tolse che dopo i due giorni e propriamente
al mattino del quarto giorno fosse colto da un terzo accesso.
Allora con siringa di Pravaz ben sterilizzata, da una delle ve-
ne superficiali del braccio destro dell’individuo, ancora febbricitante
sì cavarono 10 ce. di sangue, che vennero iniettati ipodermicamente
al braccio di quattro individui che si sono spontaneamente prestati
all’ esperimento.
I quattro soggetti non avevano mai sofferto malaria, nè erano
mai stati in luoghi malarici.
La quantità di sangue inoculata non fu la stessa per tutti gli
individui. S'iniettarono nel primo soggetto mezzo cc. di sangue,
nel secondo uno, nel terzo e nel quarto due.
Caso E. — G. P. riceve sotto la cute dell’avambraccio destro
2 ce. di sangue dell’ individuo sopradetto (14 Agosto).
Il P. ho occasione di vederlo tutti i giorni in laboratorio. Fac-
cio ad intervalli Vl esame del sangue periferico, colla puntura del
dito, ma sempre con risultato negativo. Egli stesso tutti i giorni
misura 2 volte al giorno la sua temp. all’ ascella.
nell'uomo e negli animali ll
Il P. s'era quasi dimenticato della iniezione patita, quando
il 1° Settembre, (16 giorni dopo l inoculazione) mentre era in La-
boratorio, vien preso da brividi di freddo, indi più tardi da forte
febbre che sali a 40°2, e che gli durò nove ore , cadendogli con
profuso sudore. La dimane l'individuo perfettamente apirettico, un
po’ stanco, ritorna in Laboratorio. L' esame del sangue fa notare
delle forme endoglubulari, pigmentate, piuttosto piccole e di forma
piuttosto rotonda. Il giorno appresso continua l apiressia, Vl indivi
duo è di buon umore; l esame del sangue fa notare un reperto
quasi uguale a quello di ieri, però le forme parasitarie sono au-
mentate di grandezza, invadendo alcune quasi il globulo rosso ; si
riscontra inoltre qualche forma endoglobulare con granuli di pig-
mento in via di centralizzarsi.
Si prevede un secondo accesso : infatti il 4 Settembre verso
le 11 a. m. l’ individuo avverte senso di freddo che va sempre
aumentando e indi è preso da febbre che raggiunge 40°. Il P. dice
che il freddo è sopportabile, le unghia non sono molto cianotiche,
la febbre non gli ha prodotto lo stordimento della prima volta. L'e-
same del sangue, dopo circa 4 ore dall’accesso, fa notare delle forme
endoglobulari senza pigmento, ma molto scarse, oltre ancora qual-
che rarissima forma pigmentata.
L'individuo credendo che la febbre lo lasciasse da sè non pi-
glia chinino. Ma dopo altri due giorni di completa apiressia, duran-
te i quali V esame del sangue aveva mostrato molte forme di quar-
tana, dalle piccole alle grosse, rotonde, endoglobulari e pigmentate,
il 7 Settembre alle 5 del mattino, mentre l'individuo era ancora al
letto fu svegliato per freddo agli arti inferiori, dopo il quale soprav-
venne la febbre. La temperatura salì a 39°5, per cadere completa-
mente verso le 3 p. m. con sudore. L’ esame del sangue, fatto po-
co dopo, lasciò scorgere delle rare forme di scissione che si resero
mano mano più rare fino a scomparire negli esami successivi,
Il giorno 10 verso le 9 a. m. è preso da un altro accesso for-
tissimo, la temp. salì a 40°, la febbre gli durò 16 ore e lasciò l’infer-
mo spossato; Fu allora che egli si decise di pigliare il chinino per
12 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
prevenire ulteriori accessi, e difatti la febbre non tornò più ( Vedi
tavola, Tabella termografica 18).
Caso EK.-N. Parisi è l'altro individuo che ebbe una inie-
zione ipodermica al braccio di cc. 2 di sangue del quartanario.
Il 25 Agosto, dopo 11 giorni dall’inoculazione, il soggetto che è
un ragazzo di 14 anni, fu preso alle 10 a. m. da un accesso mite
di febbre, nel quale la temperatura salì a 39° 5, e gli durò tutto il
giorno e anche la sera, declinandogli con scarso sudore. L'esame del
sangue che si ebbe occasione di fare, quasi dopo due ore dall’acces-
so, faceva ancora notare in discreto numero le forme di scissione
che negli esami successivi andarono mano mano a scomparire.
Il giorno dopo l’ accesso, cominciarono invece a notarsi le for-
me endoglobulari pigmentate, piccole regolari e nel giorno conse-
cutivo le forme mature più grandi ed irregolari con il pigmento a
zolla verso il centro.
Non si ebbe dubbio, dall’ esame microscopico, di rilevare la
varietà del parasita malarico con cui si aveva da fare che era ap-
punto quello della quartana; ed infatti la dimane, il 28 il ragazzo
verso le 4 p. m. ebbe un secondo accesso che fu più forte del
primo, la temperatura ascese a 40°.
Si decise troncare la febbre amministrando chinino, per via
della bocca (1 grammo bisolfato in 3 cartine), ma ad onta di ciò
la febbre ritornò il 51 Agosto alle due del mattino, piuttosto mi-
te 39° 2. L'esame del sangue lasciò notare nelle sue diverse fasi
di sviluppo l ematozoo della quartana. Continuata Vl amministrazio-
ne dei sali di chinina la febbre non tornò più. (V. tavola, Tabella
termografica 22.)
Caso EEE. — F. S. riceve 1 cc. di sangue del quartanario, al
solito sotto la cute dell’ avrambraccio destro. Lungo due mesi che
stette sotto la nostra osservazione non ebbe nulla a soffrire.
Caso EV.—E. D. M. riceve sotto la cute del braccio destro
l'iniezione di mezzo cc. di sangue del quartanario. Sono passati pa-
recchi mesi dall’iniezione, e l'individuo non ha nulla sofferto. L’e-
same del sangue fatto a varie riprese è stato sempre negativo.
nell'uomo e negli animali 13
A diverse considerazioni di non lieve interesse conduce que-
sta prima serie d’ esperienze. Si confermano prima d’ ogni altro
gli esperimenti del Gerhardt e di Galandruccio della possibile tra-
smissione della malaria per via della inoculazione ipodermica di san-
gue malarico, fino a quest’ ora trascurata dagli esperimentatori, i
quali, forse sotto la poco favorevole impressione dei primi esperi-
menti negativi, hanno messo da parte questa via importante di
trasmissione, ricorrendo sempre alla venosa. Non si nega però che
la via ipodermica non conduce sempre e colla stessa costanza
della via endovenosa a risultati positivi. Ed in forza dei miei due
esperimenti negativi, dove s' era iniettato in un soggetto mezzo cc.
e in un altro 1 cc. di sangue, io credo dover ammettere che la
quantità di sangue inoculato e per esso la quantità degli elementi
parasitarî contenuti, debbono molto influire alla riuscita dell’ espe-
rimento. Infatti mentre colle iniezioni endovenose anche con. pic-
cole quantità di sangue tutti i parasiti malarici entrano nel circolo,
ove compiono la loro evoluzione, colle iniezioni sottocutanee invece
è assal probabile che una parte di essi venga distrutto in sito ,
come pensa anche il Mannaberg.
L'altro fatto ancora più importante è quello che col sangue
dell’ infermo affetto da quartana primitiva si produsse in due casi
una quartana tipica. Viene così ad avvalorarsi sempre più il con-
cetto della esistenza di più varietà di parasiti malarici, e che quan-
do si ha la fortunata occasione di aver da fare con individui con
infezione malarica primitiva pura, il risultato positivo assume la co-
stanza di una legge.
Noi abbiamo potuto nell’ infermo quartanario, per via dell’ e-
same metodico del sangue, seguire il ciclo evolutivo dei parasiti
malarici della quartana e il corrispondente tipo febbrile, sempre ti-
pico per parecchio tempo ; e questo si costaterà sempre in quegli
individui che soggiornano in luoghi dove i parasiti malarici si tro-
vano a vivere più spesso separati.
14 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
ESPERIMENTO II.
Inoculazione di sangue malarico con semilune in individuo sano.
Mero già deciso, stante le non poche difficoltà che s'incon-
trano in questo genere di ricerche, di lasciare ad altri il compito
di lavorar più largamente e in circostanze più favorevoli sull’argo-
mento, quando mi occorse di studiare il seguente caso, del quale
riferisco in breve la importante storia clinica, e col quale potei
condurre una sola esperienza.
Fui il 10 Settembre chiamato presso un ragazzo quindicenne
P. Conti di povera famiglia, il quale lavorava alla Piana. Racconta
l’infermo che da quattro mesi aveva preso colà le febbri, che gli ve-
nivano ogni giorno, precedute da brividi e seguite da sudore; que-
ste febbri persistevano per 3, 5, 6, 8 giorni anche ad onta del
chinino del quale durante la febbre faceva largo uso, per poi dar-
gli una tregua di 10, 15 giorni. Ora le febbri gli erano ritornate
ed egli era già da quattro giorni a casa colla febbre addosso. Il
piccolo paziente aveva la febbre alta; nella giornata aveva avuto
2 forti epistassi, alle quali anche prima con frequenza andava sog-
getto ; e ci volle ben poco perchè avessi a persuadermi che ero
dinanzi a un caso di infezione malarica. Senz’altra preoccupazione
e senza esame di sangue, prescrissi 60 centigrammi di chinina in
due volte, per più giorni, durante i quali, la febbre scomparve.
Non avevo d’ allora riveduto il piccolo infermo quando dopo
8 giorni fui richiamato. Il ragazzo era stato ripreso dalla febbre,
e gli era sopravvenuta |’ epistassi.
Pensai allora di fare l'esame del sangue proveniente dalla pun-
tura del dito e da quello dell’epistassi. Il reperto era uguale : globuli
rossi molto pallidi, aumento di leucociti, rare forme di piccole emame-
be endoglobulari senza pigmento, qualche forma semilunare di Lave-
ran. Questo reperto è identico per altri giorni appresso, e per il
tempo non breve, durante il quale venne tenuto in osservazione.
Mi decido inoltre d’inoculare ipodermicamente il sangue prove-
i
nell'uomo e negli animali ita
niente dall’ epistassi. Dopo aver, con piccoli batuffoli di ovatta ste-
rilizzata imbevuti in soluzione debole di acido borico, fatta la pulizia
delle narici, e ripetuto il trattamento con altri batuffoli imbevuti
d’acqua sterilizzata, si facevano fuoruscire le prime gocce di sangue
dal naso, e si raccoglievano le altre in un tubo da saggio sterilizzato,
riempito per circa 2 ce. di acqua distillata sterilizzata e tenuta al-
la temperatura di 37°. In qualche minuto si raccoglieva tanto ma-
teriale da poter fare parecchi esperimenti. Io ebbi l opportunità di
poterne condurre un solo.
Caso I.--Il 18 Settembre alle ore 2 p. m. inoculo sotto la cute
di due punti dell’avambraccio destro 4 ce. di sangue (2 ce. di san-
gue in 2 cc. di acqua sterilizzata) al giovane N. Petralia, falegname
che si presta spontaneamente alla inoculazione. Il soggetto non ha
mai sofferto febbri malariche, nè è stato mai in luoghi palustri.
Per ben circa 14 giorni dalla inoculazione nulla ebbe a soffri-
re. Il 3 Ottobre verso le 11 a. m. egli è preso da cefalea, males-
sere, nausea, vomiti: avverte brividi di freddo ed indi è preso da
febbre. La temperatura non fu molto elevata, 39° 5 e reclinò sulla
mezzanotte con sudore. La dimane alle 4 p. m. è preso nuovamente
da brividi, la temperatura salì a 40°, per ridiscendere a 36,° 5 do-
po circa 7 ore, reclinando con lieve sudore. Il 5 verso le 6 p. m.
un nuovo accesso : la temperatura sale a 39,° 8 per cadere verso
il mattino del 6. Dopo due giorni di apiressia perfetta V infermo il
giorno 9 ha un altro accesso più mite dei precedenti: la tempera-
tura sale a 39° 2, non avvertì brividi forti, sebbene fosse abbattuto.
Il 10 la temperatura si mantenne a 38° 5 per parecchie ore e poi
questa andò mano mano scendendo fino a ridursi a 36,° 8.
Dopo 5 giorni di perfetta apiressia, il 16 ebbe un nuovo accesso
in cui la temperatura, raggiunse 39° senza brividi iniziali. Si ammi-
nistra perciò nelle ore di sera un grammo di chinina in tre volte, e
mezzo grammo alla mattina del 17. Ad onta di ciò durante il giorno
verso le 11 a. m. ebbe un ultimo accesso ; nel quale la tempera-
tura salì a 38° 5. Dopo quel giorno però prese quotidianamente
chinino, accompagnato da una cura corroborante, e così d’ allo-
16 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
ra non ha avuto più recidive (V. tavola, Tabella termografica 32.)
L’esame del sangue fatto accuratamente e a varie ore del
giorno ha dato il seguente reperto che per brevità riassumiamo.
Negativo, durante tutto il tempo che decorse dall’ inoculazione al
primo accesso febbrile. Lo stesso giorno dell’ accesso, prima e do-
po di questo, forme endoglobulari senza pigmento e piuttosto nu-
merose, non manca qualche forma ovale endoglobulare con gra-
nuli di pigmento al centro. Quasi identico reperto fino al giorno 10.
Il giorno 11 oltre le forme endoglobulari senza pigmento che erano
cià scarsissime si nota qualche forma parasitaria a semiluna. La
dimane queste forme semilunari aumentano, e qualcuna si mostra
con granuli di pigmento. Dall’ 11 al 17 le forme semilunari si
fanno più scarse, e si mostra più frequente qualche forma ovale
con granuli di pigmento al centro. Dal 17 in poi si notano le
stesse forme ma assai rare, e qualche giorno dopo, l esame è
perfettamente negativo, specialmente in questo ultimo tempo. La
graduale scomparsa delle varie forme comincia dall’ amministrazio-
ne del chinino.
Questa osservazione ci porta anch’ essa a considerazioni di ri-
lievo. Infatti da essa si desume che inoculando sangue malarico
con forme semilunari di Laveran si è riprodotta, dopo una incuba-
zione di 14 giorni, una febbre, che non mostra alcun andamento
ciclico ma bensì un tipo irregolarissimo; che essa febbre dapprima
resiste, per poi cedere definitivamente ai sali di chinina: e che l’ e-
same del sangue fa notare dapprima, nello stesso giorno dell’acces-
so, delle piccole forme endoglobulari senza pigmento, e che dopo 23
giorni dall’ inoculazione e dopo 9 dal primo accesso febbrile fa no-
tare le prime forme semilunari. che vanno a crescere prima e a
diminuire più tardi, fino a completa scomparsa per via del chinino.
Adunque riassumendo se noi diamo uno sguardo all’ anda-
mento febbrile lo troviamo irregolarissimo , come rilevasi me-
glio dalla tabella grafica che riguarda il tipo di febbre del sog-
getto inoculato ; e se consideriamo i parasiti trovati vediamo che
nell'uomo e negli animali IT
essi nella loro forma e ciclo sono simili a quella varietà, rappresen-
tata, nella sua fase di maggiore appariscenza, dalle semilune di
Laveran e descritta nelle febbri a tipo irregolare.
Così questa forma parasitaria verrebbe a considerarsi. anche
essa, come una varietà a sè, che inoculata sì riproduce col tipo
di febbre che ad essa si lega.
Questa osservazione molto analoga a quella di Gualdi ed An-
tolisei, viene a confermarla e ad assodare il concetto delle diverse
varietà dei parasiti malarici e della loro indipendenza nelle diverse
manifestazioni cliniche nell’ uomo.
Ma gli esperimenti finora condotti riguardavano come abbiamo
veduto la inoculazione di forme parasitiche malariche in un indivi-
duo sano. Sulla base di queste esperienze io ho voluto fare un
passo più avanti, cioè inoculare una varietà parasitica malarica ben
nota e determinata in individui che erano stati o che erano tutta-
via affetti da altri tipi di febbre malarica, anch’ essi ben studiati ,
onde veder meglio se esiste una vera indipendenza fra le diverse
varietà parasitiche malariche, nella occasione di una coesistenza di
diverse forme parasitiche ben note nello stesso individuo.
ESPERIMENTO III.
Inoculazione di sangue malarico in individuo malarico
Iniezione di sangue con semilune in individuo quartanario
Il caso presente si riferisce a due individui d’infezione mala-
rica primitiva, seguiti con quotidiane e reiterate osservazioni del
sangue e rispettivo tipo febbrile dai colleghi Grassi e Feletti e da
me che da lungo tempo li studiavamo. Non esisteva quindi alcun
dubbio sul reperto del sangue dei due soggetti dei quali aggiungo
quì in breve la storia clinica. Ambedue i soggetti, si sono prestati
volontariamente allo esperimento, legando anch’ essi vivo interesse
alla questione.
ArtI Acc., Vor. VII, SERIE 4.8 — Memoria I. 3
18 Contributo allo studio dell’ infezione malarica sperimentale
S. P. d'anni 22 non ha sofferto fin dalla nascita alcuna ma-
lattia. Nel luglio, per ragioni di lavoro recatosi in luoghi malarici,:
dopo 12 giorni dal suo arrivo, fu colpito da una febbre preceduta
da brividi e che cessò con abbondante sudore; la febbre ritornò la
dimane per mantenersi irregolare per più tempo. Tornato in Gata-
nia prese del chinino e la febbre gli cessò per alcuni giorni ma
per ricomparirgli più tardi. La tabella termografica dell’ individuo
c’indica che la sua febbre ha un decorso irregolarissimo. Due, tre,
quattro giorni di febbre fortissima, durante i quali la temperatura
saliva a 409-419, erano seguiti da perfette apiressie per 8-10 gior-
ni, le quali a loro volta erano seguite da altri accessi per altri 1-2
giorni con temperature di 39°-40°, per dar luogo a nuove e più lun-
ghe apiressie di 10-15-20 giorni.
L'esame del sangue accuratamente seguito per alcuni mesi
e per ripetute volte nello stesso giorno, non fece rilevare altro e
costantemente delle forme semilunari, accompagnate ora da piccole
forme endoglobulari apigmentate ed ora da qualcuna, benchè rara,
con granuli di pigmento verso il centro.
Per ben due mesi, durante i quali si è condotta la osservazio-
ne quotidiana del soggetto il reperto del sangue è stato sempre lo
stesso.
P. A. è l’altro individuo di anni 15 il quale fino dall’ infan-
fanzia non ha sofferto alcuna malattia. Dal Giugno all’ Agosto 1889
dimorò in luoghi malarici ove contrasse una febbre quartana tripla,
che si protrasse con lievi remittenze fino all’7 Gennaio 1890 e
mantenendo da ultimo il tipo di quartana semplice.
L'individuo trascurava la sua febbre, non prendeva medicine.
La febbre intanto gli veniva con brivido iniziale nelle ore a. m.
e cadeva nelle ore p. m. con profuso sudore, dopo aver raggiunto
una temperatura oscillante, fra 40° e 4005.
Il sangue, oggetto di accurate osservazioni durante il lungo
tempo che frequentò i Laboratori di Zoologia, di Clinica propedeu-
tica e quello d’Igiene, diede il seguente reperto: dopo l’accesso si
notavano forme endoglobulari pigmentate, piccole piuttosto a contorni
nell'uomo e negli animali 19
regolari e più tardi forme più mature più grandi, meno regolari ,
con accumuli di pigmento verso il centro e qualcuna con accenno
di segmentazione; e poi poco prima dell’accesso le solite forme di
segmentazione già compiuta, tutto il ciclo insomma del parasita
della quartana.
Ml 31 Gennaio 1890 T individuo non ebbe la febbre aspetta-
ta, non ebbe brividi e la temperatura, si tenne quel giorno norma-
le. Nel sangue con Vl avvenuta apiressia le amebe della quartana
diventarono mano mano più rare. In questo stesso giorno s’iniet-
tano per la via endovenosa, nella vena basilica del braccio destro
di quest’ individuo quartanario, poco meno di 2 cc. di sangue pre-
so con le solite cautele dalla vena mediana del braccio destro del-
l’individuo S. P. semilunare e di cui abbiamo riferito in preceden-
za la storia.
Il quartanario così inoculato non ebbe a risentir nulla dall’inie-
zione subita, nemmanco quella temporanea elevazione di temperatura
segnalata in qualche caso dagli sperimentatori, come probabile rea-
zione di questa.
L'esame del sangue fatto accuratamente a varie ore e control-
lato dai colleghi Grassi e Feletti, e le variazioni di temperatura die-
dero il seguente risultato che quì trascrivo in succinto.
Nei primi giorni dopo l’inoculazione le amebe della quartana
divennero rarissime fino alla loro totale scomparsa.
La temperatura fino al 16 Febbraio si mantenne con piccole
variazioni di nessuna entità.
D’ allora nel sangue si cominciarono a riscontrare delle picco-
le forme endoglobulari senza pigmento, dapprima rare (dal 16 al
20 Febbraio ) poi per qualche giorno consecutivo più numerose
(21-22 Febbraio) per infine scemare sempre più, fino al 25, gior-
no in cui si riscontrarono per la prima volta le forme semilunari ,
le quali poi si protrassero per lungo tempo.
La temperatura che fino al 16 Febbraio s'era mantenuta nor-
male, cominciò a mostrare dal 16 al 20 delle oscillazioni più marca-
te che andavano fino a 38°, E l’ individuo, che al giorno 16 sta-
20 Contributo allo studio dell’ infezione malarica sperimentale
va discretamente bene, cominciò più tardi ad avvertire stanchezza,
cefalea, nausea, inappetenza, tanto che pigliava il letto.
Il 21, dopo 6 giorni circa dalla nuova comparsa delle picco-
le forme endoglobulari rotonde, e cinque giorni prima della com-
parsa delle forme semilunari nel suo sangue, cioè dopo 21 gior-
ni dalla subita inoculazione e dopo circa 5 dai primi disturbi feb-
brili che cominciarono dopo 16 giorni della detta inoculazione, e
che coincisero con la presenza delle forme endoglobulari , } indivi-
duo si svegliò con febbre altissima che lo aveva assalito nella notte,
preceduta da forti brividi. AI mattino la temperatura era di 40° 5
e verso il mezzogiorno essa si rimetteva con abbondante sudore.
ll 22 apiressia e forme endoglobulari nel sangue.
N 23 e il 24 nelle ore a. m. la temperatura si eleva a 38°
per cadere nelle ore di sera di essi giorni.
Il 25 apiressia completa, nel sangue comparsa delle semilune.
Dal 25 al 28 continua Vl apiressia, continua la presenza delle
semilune.
Dal 29 in poi elavazioni termiche variabili, senza costanza,
senza forma, tenendo insomma per un certo lasso di tempo, un
andamento irregolarissimo, da non fare risaltare un tipo caratteri-
stico qualunque. Non vi fu più nessun accenno di ritorno al tipo
di febbre quartana primitiva (v. tav. Tab. termografica IV).
Dopo parecchi mesi l'individuo fu sottoposto a cura rigorosa
in seguito alla quale scomparvero le forme semilunari e le endo-
globulari, e con esse la febbre.
Riassumendo dalla presente osservazione ricaviamo i seguenti
fatti che riteniamo importanti.
Dalla inoculazione ai primi disturbi febbrili decorsero 16 gior-
ni, per poi aversi dei forti accessi dopo 21 giorni. La curva ter-
mica si mostrò durante questo periodo e dopo, molto irregolare.
Nel sangue, dapprima completa scomparsa delle forme quarta-
narie : comparsa delle prime forme endoglobulari senza pigmento
dopo 16 giorni dall’ inoculazione, e comparsa di semilune dopo 25
nell'uomo e negli animali 29
giorni da essa: coincidenza delle forme endoglobulari senza pig-
mento con i primi disturbi febbrili. Oltre le forme semilunari si
costatarono altre forme ovali, con pigmento a corona, proprie del
ciclo biologico di questa varietà di parasiti malarici.
Colla inoculazione dunque di sangue, contenente forme semi-
lunari, in un individuo già malarico a tipo quartanario, sì è ottenu-
ta una febbre a decorso irregolare, e la rispettiva riproduzione delle
forme semilunari, con tutto il ciclo biologico ad essa varietà pa-
rasitaria appartenente.
È questo il primo caso finora descritto d’ inoculazione di una
varietà di parasiti malarici ben noti nel sangue di altro individuo
malarico con altra varietà di parasiti. malarici anch’ essa ben de-
terminata. E da esso caso si ricava che neanco quando sì esperi-
menta sopra individui malarici ci è dato di poter vedere che una
varietà si muti in un'altra, anche se si segue l individuo con 0s-
servazioni rigorose del suo sangue per intervalli lunghi di tempo.
Ma di ciò ci occuperemo più diffusamente dopo aver dato luo-
go allo svolgimento della seguente seconda osservazione.
ESPERIMENTO IV.
Inoculazione di sangue di quartanario in individuo con semilune
Il seguente caso si riferisce a uno degli individui precedenti
cioè al P. A. che aveva, come abbiamo già riferito nella sua storia
clinica, delle febbri a tipo quartanario (quartana or tripla or sem-
plice) e nel sangue le forme parasitiche caratteristiche dell’ emato-
zoo della quartana; e a un secondo individuo malarico semilunare
P. S. di cui adesso daremo brevemente qualche accenno.
Quest’ individuo semilunare ha una storia molto semplice che
sì riassume in brevi parole. Individuo di anni 19, nessuna labe ere-
ditaria, nessuna malattia pregressa.
Lavorando per ragion del suo mestiere in. contrada malarica
prese le febbri. Queste febbri si mantennero con tipo irregolarissi-
mo per circa 6 mesi,
22 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Egli prese le febbri verso la fine di Ottobre e da quell’ epo-
ca sino alla fine di Marzo fu sotto la osservazione dei colleghi Gras-
si e Feletti, che ne esaminavano quotidianamente il sangue e l’an-
damento febbrile. Fin da quando si fece 1 esame del sangue la
prima volta si poterono osservare le semilune oltre delle altre pic-
cole forme endoglobulari senza pigmento. Per il lasso di tempo di
6 mesi il reperto del sangue fu sempre costante, lasciandoci notare
le forme predette. Negli ultimi tempi però le semilune cominciava-
no a vedersi più scarse.
Durante questo lungo periodo di tempo, 1’ esame del sangue ci
faceva confermare sempre più nel criterio che le forme semiluna-
ri e le altre del ciclo non si trasformano in verun’ altra. L’ indi-
viduo dopo 6 mesi che non si era allontanato mai dalla nostra
osservazione era sempre semilunare, ed eravamo quindi molto ben
sicuri della purezza del caso sul quale si esperimentava.
La febbre come abbiam detto era al solito irregolarissima, col-
piva 1 individuo all’ improvviso, senza che questi V aspettasse. Ora
erano dei lunghi intervalli di apiressia, framezzati da 1-2-3 giorni
di febbre, con accessi febbrili che si ripetevano qualche volta 2 vol-
te nello stesso giorno, ora erano dei brevi intervalli con accessi
più vicini o più isolati.
Im quanto all’ altro individuo quartanario la sua storia clinica
ci è già nota, come anche ben noto è il reperto del suo sangue.
Avevamo dunque individui, studiati per lungo tempo, con infezio-
ne malarica primitiva, due casi veramenti puri, l’uno con febbri irrego-
lari e con l’ematozoo semilunare nel sangue, l’altro con febbre a tipo
quartanario regolare e con 1’ ematozoo della quartana nel sangue.
Il 20 Marzo giorno d’ apiressia del semilunare e del quarta-
nario, vengono inoculati per via endovenosa all’ individuo semilu-
nare, in una delle vene superficiali del braccio, 2 cc. circa di san-
gue del quartanario.
Il semilunare nulla ebbe a soffrire dall’ iniezione, come fatto
reattivo, nessuna elevazione di temperatura nè dopo poche nè do-
po molte ore dall’ iniezione.
bo
Do
nell'uomo e negli animali
Dal 21 in poi il sangue di questo individuo è oggetto di lun-
ghe e reiterate osservazioni giornaliere. Anche la temperatura è ri-
gorosamente presa più volte al giorno metodicamente.
Riferisco in breve le osservazioni microscopiche e relative ter-
mometriche.
Dal 21 Marzo al 3 Aprile cioè per lo spazio di 14 giorni, il
reperto del sangue si può compendiare in brevi parole. Le semilu-
ne che erano discretamente numerose prima dell’ inoculazione so-
no diventate sempre più scarse fino alla completa scomparsa, le
forme endoglobulari senza pigmento che erano già scarse anch’es-
se diminuirono sempre più fino a scomparire, e la loro scompar-
sa precedette di qualche giorno le forme semilunari.
In questo spazio di tempo di 14 giorni la temperatura oscillò
sempre sul normale con variazioni insignificanti di alcuni decimi
di grado sopra o sotto 37°.
Ml 4 Aprile al mattino, 1’ esame del sangue dell’ individuo che
continuava nel suo stato di apiressia, lasciò scorgere delle forme
endoglobulari senza pigmento: qualcuna lasciava vedere leggieri
movimenti ameboidi ma molto torpidi, qualche forma in via di
scissione.
Da questo reperto che ci sorprese non poco si argomentò vi-
cino l accesso. Non passarono infatti alcune ore che l individuo
fu preso da forte cefalea, da brividi fortissimi, da nausea, da vo-
miti, infine da un accesso di febbre violenta, durante il quale ver-
so mezzogiorno la temperatura era salita a 40° 2.
Alla sera era ancora di 39° ma già cominciava più tardi a re-
clinare con profuso sudore.
Il 5 Vl esame del sangue fa notare globuli rossi con forme
endoglobulari piccole pigmentate e piuttosto rotonde, e il 6 aumen-
to di forme pigmentate ma più grandi e a contorni irregolari. man-
canza di forme endoglobulari senza pigmento.
La temperatura nei 2 giorni predetti, 5-6, si rimise quasi al
normale mantenendosi anzi alcuni decimi sotto 37°. Si ebbe così
due giorni di perfetta apiressia.
24 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Il giorno 7 al mattino V esame del sangue fa notare la scom-
parsa delle forme pigmentate, qualche rarissima forma endoglobu-
lare senza pigmento.
La temperatura intanto che al mattino è di 36° 8, si elevò a
mezzogiorno a 40°. L’ accesso febbrile però fu più mite, essendo
esso durato non molte ore come il primo.
Per esser breve, altri due giorni di apiressia (8-9) con forme
nel sangue uguali a quelle già descritte nel primo periodo apiret-
tico ed altro accesso febbrile il giorno dopo (il 10) con forme pa-
rasitiche malariche endoglobulari e senza pigmento.
Il malato piglia del chinino. La febbre gli recidiva spesso e
dopo 15 mesi, durante i quali egli non si è mai allontanato da
Catania, ed è rimasto sempre sotto la nostra osservazione egli ha
ancora febbri a tipo quartano ! con periodi più o meno lunghi di
apiressia dovuta al chinino.
Così riassumendo abbiamo che in seguito alla inoculazione del
sangue quartanario, nell’ individuo semilunare, le forme parasitiche.
relative in questo esistenti, sono divenute dapprima rare per scom-
parire più tardi completamente; che dalla inoculazione alla comparsa
del primo accesso febbrile decorsero 15 giorni: che si riprodusse
una febbre quartana tipica: che nel sangue le prime forme del pa-
rasita della quartana sì videro dopo circa 15 giorni dalla inocula-
zione e che indi si costatarono tutte le altre forme del ciclo biolo-
gico di questo ematozoo.
Da questa seconda esperienza che allarga ancora di molto le
vedute intorno alla etiologia della malaria e che conferma il risul-
tato della prima osservazione, si ricava eziandio che I ematozoo del
la quartana, introdotto anche in un individuo malarico avente in
atto altre forme parasitarie ben conosciute (semilune) può benis-
simo riprodursi, indipendentemente dalle forme parasitiche primi-
tive esistenti, e senza in nulla modificarsi nel suo ciclo biologico puo
nell’ uomo e negli animali 25
riprodurre clinicamente il tipo febbrile che ad esso ematozoo si
lega.
È molto probabile adunque che nell’ infezione malarica un
nuovo parasita ciclico che penetri nel sangue possa a volte e in
speciali condizioni, non certo molto facilmente determinabili, arre-
stare le manifestazioni di vita e di sviluppo di un altro preesistente
od avere su esso la prevalenza, per poi quest'ultimo dopo un periodo
più o meno lungo di tempo e in seguito a determinate condizioni
dell’ organismo uscire dallo stato latente e seguire o contempora-
neamente a quello secondo penetrato o dopo l'esaurimento di quello,
la sua evoluzione naturale con la forma clinica relativa.
Troverebbe così naturale spiegazione la prima sorpresa di
Gualdi ed Antolisei (1) nel caso da loro studiato nel 1889 (2) del-
l'individuo Lupi; nel quale, essendo egli stato inoculato il 10 Mag-
gio con sangue preso da quartanario, ma che aveva sofferto prece-
dentemente diverse febbri malariche a vario tipo, gli autori videro in-
sorgere verso la fine di Settembre (cioè dopo 5 mesi circa dall’ inocu-
lazione) un’ultima recidiva, durante la quale l’infermo senza essere u-
scito dall’ Ospedale e senza la possibilità di una reinfezione, pre-
sentava nel sangue oltre alle amebe anche forme semilunari, ovoi-
di, rotonde e flagellate.
Come eziandio troverebbe controllo sperimentale | altro caso
di Antolisei ed Angelini (3) osservato in persona di Isopi Luigi, il
quale, dopo aver sofferto per parecchi anni febbri malariche a va-
rio tipo, sì presentava all’ Ospedale per guarire di una quartana ti-
pica, controllata dal relativo reperto microscopico del sangue. Però
la quartana dopo vari accessi si esauriva spontaneamente e con
essa coincideva la scomparsa delle forme parasitarie della quartana,
allorquando dopo varî giorni di apiressia, avendo preso per or-
dine dei medici un bagno di pulizia piuttosto freddo, veniva colto
da brividi e da febbre alta, persistente alla chinina e non più a ti-
(1) AnroLiser—Considerazioni intorno alla classifica dei parasiti della malaria (Rif. med.
Apr. 1890).
(2) Guanpi ED AntoLIsEr-Due casi di febbre maiarica sperimentale—(lav. cit.)
(3) Archivio italiano di Clinica Medica-—Milano 1890.
ATTI Acc., Von. VII, SerIE 4.8 — Memoria I. 4
26 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
po quartanario, ma assumendo un andamento irregolare e con pre-
senza nel sangue, prima di forme endoglobulari senza pigmento e
poi di forme semilunari (1).
Troverebbero così infine spiegazione tutti i molteplici casì im-
puri che accrebbero le difficoltà nello studio dell’ etiologia dell’ in-
fezione malarica. E troverebbe controllo sperimentale il fatto rile-
vato dalla Clinica ed espresso dall’ Antolisei (2) delle possibili coe-
sistenze di più varietà di parasiti malarici nello stesso individuo,
affetto più volte da infezione malarica, sebbene a volte nel sangue
periferico, che è quello che viene preso ordinariamente in osserva-
zione, non se ne mostri che una forma, spesso causa della febbre più
recente, mantenendosi le altre in uno stato di latenza e in altri or-
gani, per aspettare momenti determinati, come causa del loro svi-
luppo e della loro rapida riproduzione e presenza nel sangue. E
così per effetto della terapia I’ infermo potrà guarire di una data for-
ma per potere andare incontro ad altre recidive per altre forme la-
tenti e resistenti.
a
Contemporaneamente a queste mie esperienze, nel Laboratorio
di Zoologia del Grassi altre se ne conducevano dal Dott. Calan-
druccio sullo stesso indirizzo di quelle da noi praticate e descritte
nella prima serie di queste ricerche, a proposito delle inoculazioni
di sangue malarico in individui sani.
Una di queste osservazioni sperimentali è riferita con parole
dello stesso Calandruccio in una comunicazione preliminare di Grassi
e Feletti (3).
Il Galandruccio ha eseguito su sè stesso l’ esperimento.
Il 10 Dicembre 1890 da un malarico affetto da quartana ora
tripla, ora semplice, tolse 1 cc. di sangue e se lo iniettò ipodermi-
(1) È noto come individui con febbre malarica della quale si sono guariti o creduti tali per
cure specifiche o per apiressie di mesi ed anni siano stati colpiti da recidive in seguito a di-
verse cause, p. es. per traumatismo del parto (Cuzzi) pel puerperio (MacaRIO) per influenza di
un purgante (Torti) per salassi (RAMAZZINI) per un primo bagno (Hertz) ecc.
(2) lav. preced. cit.
(3) Grassi E FeLETTI—Nuova contribuzione allo studio della malaria. Bollett. Acc. Gioenia
Genn. 25 1891.
DO
|
nell'uomo e negli animali
camente al suo braccio sinistro. Per 17 giorni consecutivi all’inie-
zione stette sempre bene; al 18" giorno fu colpito da un accesso
di febbre malarica che si ripetè per qualche tempo con tipo quar-
tano ora semplice ora triplo. Il reperto microscopico del sangue
continuato per parecchio tempo confermò la diagnosi di quartana.
Il Calandruccio non aveva mai sofferto malaria, nè era stato
‘mai in luoghi palustri. Il chinino troncò subito la quartana.
Dopo qualche tempo, il Calandruccio guarito perfettamente volle
ripetere su se stesso un altro esperimento. Egli da un infermo af-
fetto da infezione malarica primitiva con febbre irregolare e nel cui
sangue, studiato accuratamente per lungo tempo, non si riscontra-
vano che semilune, ne cava circa 1 cc. e se lo inietta ipodermica-
mente al braccio. Dopo 15 giorni fu colpito da un 1° accesso di feb-
bre ed indi da altri accessi senza tipo regolare. L° esame del san-
gue ripetuto metodicamente gli fece riscontrare oltre alle forme en-
doglobulari di piccole amebe, le forme semilunari. Guarì di queste
febbri con il chinino (1).
È naturale che queste esperienze per il rigore di come furo-
no condotte sono scevre di qualunque obiezione e meritano an-
ch’ esse speciale considerazione.
Dopo queste nostre esperienze veniva alla luce il lavoro del
Bein (2) dal quale si rileva che anch’ egli fin dal Maggio 1890
aveva cominciato ad iniziare nelle cliniche di Leyden e Senator
delle esperienze sul medesimo indirizzo.
Le sue inoculazioni sperimentali sono 8; in 4 delle quali il
risultato fu completo, in 2 il risultato fu dubbio, in 2 fu negativo.
Dei 4 casì ben riusciti, e dei quali ci occupiamo, qui, più diffusa-
mente per considerazioni speciali che si devono fare nella discus-
sione dei casi, l’ inoculazione in un caso fu endovenosa, negli al-
tri tre sottocutanea; negli altri casi dubbii e negativi Y inoculazione
era stata ugualmente sottocutanea. Il periodo d’ incubazione oscillò
da 9 a 12 giorni.
(1) Il D.r Calandruccio ne ha eseguite delle altre con risultati sempre positivi. Le sue os-
servazioni complete saranno rese tra breve di pubblica ragione.
(2) Brin— Aetiolog. u. experim. Beitrige zur malaria. Charité Annalen XVI Iahrg.
28 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Da una paziente malarica sofferente febbre a tipo terzano ca-
va 2 cc. di sangue e lo inietta per la via endovenosa in un indi-
viduo che mai aveva sofferto malaria e degente all'Ospedale per-
chè affetto da linfosarcoma. Dopo 11 giorni l’infermo presenta una
febbre che si mantiene a tipo quotidiano per parecchio tempo fin-
chè non fu domata dalla chinina.
Da questo individuo, reso così malarico sperimentalmente con
febbre a tipo quotidiano, durante il periodo febbrile viene cavato
del sangue ed iniettato sottocutaneamente in altri due individui de-
genti in Clinica per malattie croniche.
Dopo 9 giorni questi due individui inoculati sono colpiti da
febbre che in uno mantenne il tipo terzano primitivo, e nell’ altro
mantenne prima il tipo terzano (4 accessi) e indi il tipo quotidiano,
È intanto a notare che I’ esame microscopico del sangue era,
per quanto riguarda le forme parasitarie malariche, identico nei
due soggetti, ed anche identico a quello dell’individuo che servì da
fonte d’ innesto, e che a sua volta era stato inoculato col sangue
del terzanario.
Il 4° caso appartiene ad un individuo degente in Clinica, che
venne inoculato con sangue preso da individuo malarico sofferen-
te una febbre intermittente quotidiana (?) Dopo 12 giorni l' indivi-
duo è colpito da febbre che ripetè il tipo quotidiano. L'esame del
sangue fa notare nell’ inoculato forme simili a quelle iniettate, le
quali non presentavano differenza alcuna con le forme parasitarie
della paziente terzanaria.
I risultati del Bein, benchè interpretati dall’Autore sotto un punto
di vista che noi non dividiamo, sono del resto ugualmente importanti.
Il Bein basandosi sul fatto che in seguito alla inoculazione di
sangue terzanario si ottenne febbre a tipo quotidiana e che per la
inoculazione di sangue di questo individuo si riprodusse il tipo
terzanario e il quotidiano, viene alla conclusione, un po’ precipitata
se vuolsi, che per via dell’ innesto di una febbre quotidiana si può
ottenere una terzana e viceversa. E così, dice l Autore, il concet-
to del Golgi dei differenti tipi di parasiti malarici corrispondenti ai
nell'uomo e negli animali 29
diversi tipi febbrili, almeno per quanto riguarda la Terzana e la
Quotidiana non verrebbe affermato ; tanto più, sempre secondo lo
Autore, perchè una differenza delle forme parasitarie nei due tipi
febbrili non venne constatata.
Sono in vero diversi gli appunti che al Bein si debbono fare,
ed io mi unisco con tutto quanto saggiamente il Mannaberg (1) gli
osserva nel suo importante lavoro.
Ed infatti, appunto perchè I esame del sangue nei due tipi feb-
brili era lo stesso, doveva il Bein mettersi sull’avviso che aveva da
fare con una terzana che si ripeteva ora come terzana semplice ora
come terzana doppia, e non erano che due generazioni del parasi-
ta della terzana che compievano alternativamente il loro ciclo con
24 ore d’ intervallo nel tipo quotidiano osservato.
Nelle forme febbrili osservate in elinica, ed anche spesso nelle
febbri malariche prodotte sperimentalmente, avviene molto spesso
di vedere che una quartana semplice passi in una quartana dop-
pia o tripla, o una terzana semplice diventare doppia.
In ciascuno di questi casì, si sa bene, il parasita che produce
il tipo fondamentale è sempre uno, ma le generazioni di esso pos-
sono essere due o tre (due nel caso in specie) e compiere il loro
ciclo di sviluppo sempre nello stesso periodo di tempo, modifican-
do intanto apparentemente la forma fondamentale del tipo.
Il concetto del Golgi non verrebbe adunque per le osservazio-
nì del Bein infirmato, ma sempre più avvalorato. Se Bein invece
avesse visto una terzana diventare quartana o viceversa, allora i
suoi apprezzamenti avrebbero avuto valore. Ed è infine abbastanza
chiaro, per ognuno che coltiva da qualche tempo quest’ argomento,
per rilevare che i risultati sperimentali del Bein sono importanti,
e concordi nel risultato finale della trasmissione del tipo febbrile e
quindi analoghi agli altri surriferiti.
Chiude la serie delle ricerche sperimentali in proposito il Bac-
celli (2) sotto la cui illuminata direzione nella Clinica di Roma si
intrapresero quei primi esperimenti che iniziarono la seconda fase di
(1) MannaBERG — Die Malaria parasiten Wien 1833 pag. 76.
(2) Lavori del V. Congresso di Medicina Interna. Ott. 1832.
30 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
queste ricerche, che dovevano dare la prima spinta alla risoluzio-
ne sperimentale della questione del rapporto fra tipo febbrile e for-
me dei parasiti malarici.
“gli imoculando per la via endovenosa sangue d’ individuo ma-
larico terzanario a tipo di terzana doppia in individuo degente in
Clinica per malattia cronica, ottenne in questo infermo, dopo un’in-
cubazione di 6 giorni la riproduzione della febbre terzana, con lo
stesso tipo di terzana doppia e nel sangue dell’ individuo inoculato
si poterono constatare le due generazioni del parasita della terza-
na. Inoculando sangue di individuo quartanario in altro malato ero-
nico della clinica potè riprodurre in questo, dopo 12 giorni una
febbre che ripetè il tipo quartano con 6 accessi caratteristici, dopo
i quali si intervenne coll’ amministrazione del chinino. L'esame del
sangue dell’ inoculato faceva rilevare il parasita della quartana.
Nel primo caso si era sicuri che l infermo era terzanario per
infezione primitiva pura per averne seguito per più tempo il tipo
febbrile, e per avere contemporaneamente condotto accuratamente
l'esame del sangue. In esso caso, al tipo febbrile di terzana dop-
pia vi corrispondeva un reperto di due generazioni di parasiti della
terzana studiata metodicamente.
Nell’ altro caso l’ individuo sofferente da recente di quartana
era stato malarico da mesi con tipo di febbre terzanaria e della
quale era perfettamente guarito.
Benchè adunque questo caso non fosse d’ infezione malarica
primitiva, pure era da supporsi che della prima infezione terzanaria
fosse guarito. E questo caso è di grande importanza poichè ripro-
duce naturalmente ciò che si è fatto in via sperimentale e ci confer-
ma che uno stesso individuo può ammalare d’ infezione malarica
di un dato tipo, per soggiacere a una reinfezione malarica con altre
varietà di parasiti, che danno un tipo febbrile diverso dal primo.
A questo punto in base al contributo delle nostre riportate
esperienze e col conforto delle altre, già accennate e condotte in
questi ultimi tempi, noi crediamo in mezzo alle difficoltà delle varie
nell'uomo e negli animali SI
interpretazioni, di poter esprimere il nostro modo di vedere, intor-
no alla questione, tanto agitata fino al presente da illustri ricerca-
tori, della unicità e molteplicità dei parasiti malarici e dei rapporti
fra le forme dei parasiti malarici e i tipi febbrili.
È indispensabile che tale questione doveva subire Ie diverse fa-
si che ha subìto lo studio della malaria e che la risoluzione di es-
sa, checchè da altri sì possa pensare, doveva in gran parte essere
appoggiata alle ricerche sperimentali.
Le ricerche in proposito noi le possiamo dividere in due pe-
riodi, un primo periodo dal 1884 al 1889, e un secondo periodo
dal 1889 fino al presente.
Nel primo periodo, ove figurano i nomi di Gerhardt, Mariotti
e Giarocchi, Marchiafava e Celli, Guardi e Antolisei, si vede che
gli sperimentatori, stante le difficoltà delle conoscenze sull’etiologia
della malaria, ottengono dei risultati piuttosto limitati, ma preparano
il terreno per la risoluzione della questione sopradetta.
Nel secondo periodo dal 1889 in poi, figura in prima linea la
seconda serie delle esperienze della scuola della Clinica di Roma,
le quali formano il punto di partenza della nuova fase, che si chiu-
de con ricerche sperimentali del Baccelli stesso.
Sono Gualdi, Antolisei ed Angelini che, indecisi dapprima di
accettare le vedute del Golgi, se ne fanno più tardi i fautori e pre-
sentano esperienze che per l accuratezza con la quale sono con-
dotte, vengono a risultati importanti che dai fautori del parasita
unico e polimorfo sono accettati dapprima con riservatezza.
Vengono in seguito le mie cinque osservazioni, tra le quali
due su individui già malarici con diverso tipo febbrile, vengono le
altre del Calandruccio, quelle del Bein e quelle del Baccelli sullo
stesso indirizzo, con le quali si chiude la serie delle ricerche spe-
rimentali, che secondo noi tolgono di mezzo ogni dubbio sulla in-
terpretazione dei rapporti esistenti fra le diverse forme dei parasiti
malarici e i diversi tipi febbrili.
Crediamo utile pertanto riunire in tabelle e classificare in or-
dine di tempo tutte le esperienze che comprendono i due periodi
della questione sperimentale della malaria.
I° Periodo delle Inoculazioni
POCA
E
1884
1885
1886
N. d'ordine
10
10
INDIVIDUO FONTE D' INNESTO
—_— ___TreiDO0w5s;o; — II cememe——n=— VIA
AUTORI , na
Forme di parasiti . ò SID
I Tipo febbrile d'inocular
nel sangue
Gerhardt — quotidiana sottocuti
I
Gerhardt = quotidiana sottocuti
Mariotti, Ciarocchi forme svariate di scissione, | quotidiana e terza- | sottocut:
piomentate e semilune na doppia e venoi
Mariotti, Ciarocchi forme svariate di scissione, | tipo subentrante, ter- | intraven
pigmentate e semilune zana doppia, quoti-
diana
Mariotti, Ciarocchi semilune quotidiana, irrego- | sottocuti
lare venosa
Mariotti e Ciarocchi | forme in scissione, corpi | quotidiana, irrego- | sottocuti
pigmentati, semilune lare venosa
Marchiafava e Celli | forme pigmentate, semilune | quotidiana, irrego- | venosa
lare
Marchiatava e Celli _ quotidiana venosa
Gualdi ed Antolisei forme in riproduzione en- | quartana (?) venosa
dogena con pigmento al
centro
Gualdi Antolisei come sopra quartana (?) venosa
Gualdi Antolisei forme in scissione quartana venosa
_—————_———_—_—_—_———_—————..————.+—=»»»+»++»-+T)|y"y&-&+++++-+-+—— _ i i—mae-- si
geco»
35
li di sangue malarico (1884-1889).
InpIvinuo INocuULATO
i
= —_T7—T_—________ ee&am@e[eÒÒÙ@ui:u:. = _ _ CC x A Td
[a F ; LeLi Osservazioni |
. orme di parasiti q ; |
so BEL Tipo Febbrile |
nel sangue |
A
7 _ irregolare, indi quotidiana | Manca l'esame del sangue da ino-
cularsi; e quello del sangue dei |
soggetti inoculati.
î
|
2 = quotidiana come sopra
|
il
- forme pigmentate — Esperienze fatte sotto la dire-
zione di Marchiafava e Celli.
Perla molteplicità delle iniezioni,
è difficile a precisarsi la durata
dell'ineubazione e il tipo febbrile. |
E forme pigmentate i come sopra
- forme di scissione = come sopra
- —_ —_ come sopra
- — elevazioni insignificanti “i
3 forme endoglobulari di scissione | febbre continua _
Ù piccole amebe vivaci non pig- | quotidiana, terzanairre- | L'individuo da cui si cava il
| mentate più tardi semilune golare, forma indecisa sangue lascia molti dubbi sulla
| purezza della infezione.
2 amebe non pigmentate, piccole | lieve ed irregolare Come sopra.
e grandi e forme mature
= febbre quartana L'infermo inoculato uscì dall’ O-
spedale dopo l’inoculazione — Le
notizie del tipo febbrile sono do-
vute al medico condotto. Manca
l'esame del sangue.
ArtI Acc., Von. VII, SerIE 4.8 — Memoria L 5
32
I° Periodo delle Inoculazion; ptali di sangue malarico (1884-1889).
rr ——1—TzÉ7—€—€—€— __ 3
INDIVIDUO FONTE D INNESTO
—_—_——<-_’—
TOR 5 PRETE ERI:
AUTORI Forme di parasiti Tipo febbrile
nel sangue
1984 1 | Gerhardt 2 quotidiana
2 | Gerhardt - quotidiana
ISS4 3 | Mariotti, Ciarocchi forme svariate di scissione, quotidiana e terza-
: pigmentate e semilune na doppia
ta 4 | Mariotti, Ciarocchi forme svariate di scissione, | tipo subentrante, ter-
pigmentate e semiluno ZA doppia, quoti-
iana
5 5 | Mariotti, Ciarocchi semilune quotidiana, irrego-
lare
5 6 | Mariotti e Ciarocchi | forme in sessione, corpi | quotidiana, irrego-
pigmentati, semilune lare
1885 7 | Marchiafava e Celli | forme pigmentate, semilune | quotidiana, irrego-
lare
1886 8 | Marchiafava e Celli _ quotidiana
1889 9 | Gualdi ed Antolisei forme in riproduzione en- | quartana (?)
prod 1
dogena con pigmento al
centro
” 10 | Gualdi Antolisei come sopra quartana (?)
” 11 | Gualdi Antolisei forme in scissione quartana
d'inocila
Forme di parasiti
nel sangue
Inpivinuo InocuLaTo
———_——n —__
Tipo Febbrile
Osservazioni
Sottorai
SOttoma
Sottoni
e vai
intrara
sottocnt
venosi
sottoo
Vena
venosi
‘venosi
venosi
venos
venos
_ forme pigmentate
forme pigmentate
forme di scissione
piccole amebe vivaci non pig-
mentate più tardi semilune
12 O N
li amebe non pigmentate, piccole
e grandi e forme mature
forme endoglobulari di scissione
irregolare, indi quotidiana
quotidiana
elevazioni insignificanti
febbre continua
quotidiana, terzana irre-
golare, forma indecisa
lieve ed irregolare
febbre quartana
Manca l'esame del sangue da ino-
ceularsi; e quello del sangue dei
soggetti inoculati.
come sopra
Esperienze fatte sotto la dire-
zione di Marchiafava e Celli.
Perla molteplicità delle iniezioni,
è difficile a precisarsi la durata
dell'incubazione e il tipo febbrile.
come sopra
come sopra
come sopra
L'individuo da cui si cava il
sangue lascia molti dubbi sulla
purezza della infezione.
Come sopra.
L'infermo inoculato uscì dall’ O-
spedale dopo l'inoculazione — Le
notizie del tipo febbrile sono do-
vute al medico condotto. Manca
l'esame del sangue.
Amm Ace, Von. VII, SERIE 4.8 —
Memoria L
2° Periodo delle Inoculazioni spe”
cs)
3 ds INDIVIDUO FONTE D' INNESTO
Epoca 4=) | |nella __ VI
° . acre
della my AUTORI Forme di parasiti . . se
| esperienza ; nel sangue Tipo febbrile d'inocul
| Z
1889 Sett. I | Antolisei ed Angelini | amebe vivaci senza e con | terzana venosa
pigmento, forme adulte
E 2 | Antolisei ed Angelini | lo stesso caso del prece- | terzana,lo stessoca- | venosa
| dente so del precedente
1889 Nov. 3 | Gualdi ed Antolisei | le forme del parasita della | quartana venosa
| quartana
| 1889 Nov. 4 | Gualdi ed Antolisei | forme semilunari irregolare venosa
|
1890-91 5 | Di Mattei le forme del parasita della { quartana ipodern
quartana
n 6 | Di Mattei lo stesso sangue del caso | quartana ipodern
precedente
© 7 | Di Mattei forme semilunari, amebe | irregolare ipodern
endoglobulari senza pig-
mento
È 8 | Di Mattei semilune irregolare venosa
» 9 | Di Mattei le forme del parasita della | quartana venosa
quartana
1890-91 10 | Calandruccio i parasiti della quartana quartana ipodern
S 11 | Calandruccio forme semilunari irregolare ipodern
1891 12 | Bein parasiti della terzana terzana venosa
È 13 | Bein parasiti della terzana terzana a tipo quo- | ipoderm
tidiano
(0)
5 14 | Bein parasiti della terzana terzana a tipo quo- | ipoderm
tidiano
1892 15 | Baccelli parasiti della quartana quartana venosa
5 16 | Baccelli parasiti della terzana terzana doppia venosa
forme simili alle
/ {
(*) 13 bis — Bein | parasita della | terzana a tipo
inoculate
| terzana quotidiano
ipodermica | 9
i sangue malarico (1889-1892).
35
9)
INDIVIDUO INOCULATO
Forme di parasiti
nel sangue
||| _._._ o "n — —— ____
Tipo febbrile
Osservazioni
simili a quelle inoculate
simili a quelle inoculate
simili a quelle inoculate
forme ameboidi senza pigmento
indi semilune
forme simili a quelle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate, pri-
ma emamebe e poi semilune
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alla terzana
terzana indi quotidiana
irregolare indi terzana
quartana
irregolare
quartana
quartana
irregolare
irregolare
quartana
quartana semplice ora
tripla
irregolare
terzana a tipo quoti-
diano
terzana a tipo quoti-
diano
terzana semplice prima
indi a tipo quotidiano
quartana
terzana doppia
La terzana semplice diventa ter-
zana doppia
L'individuo inoculato era già
quartanario e divenne semilu-
nare con febbri irregolari.
L'individuo inoculato era semi- |
lunare e divenne quartanario ;
scomparsa delle semilune dopo
l’inoculazione.
Le esperienze di inoculazione
l'A. le eseguì su sè stesso.
come sopra
L'A. inoculando terzana ottiene
riproduzione di quotidiana (caso
12) ed inoculando questa (casi
13-14) riproduce ora quotidiana,
ora terzana che diventa quoti-
diana. Evidentemente l'A. non
pose mente che le quotidiane, |
sperimentalmente ottenute, era-
no terzane doppie
L'individuo fonte d’' innesto era
stato terzanario, e se ne era
guarito; più tardi riprese le feb-
bri a tipo quartano. |
Fra i casi accuratamente studiati,
il solo che presenta un'incuba-
zione breve.
i
2° Periodo delle Inoculazioni spe
INDIVIDUO FONTE D'INNESTO
VI
Di Mattei
6 | Di Mattei
È 7 | Di Mattei
i Mattei
1890-91 Calandruccio
Calandruccio
Bein
Bein
(*)
5: Bein
15 | Baccelli
Baccelli
le forme del parasita della
quartana
lo stesso sangue del caso
precedente
forme semilunari, amebe
endoglobulari senza pig-
mento
semilune
le forme del parasita della
quartana
i parasiti della quartana
forme semilunari
parasiti della terzana
parasiti della terzana
parasiti della terzana
parasiti della quartana
parasiti della terzana
purasita della
(*) 13 US — Boein
terzana
terzi a tipo
quotidiano
ipodermica |
quartana
quartana
irregolare
irregolare
quartana
quartana
irregolare
terzana
terzana a tipo quo-
tidiano
terzana a tipo quo-
tidiano
quartana
terzana doppia
y
inoculate
d) E __—_—__. .—T; *—»*r;r;P
Epoca ra I = K = —
della S AUTOR Forme di parasiti Tipo febbrile |atmot
esperienza | © nel sangue noculi
oz
Ì
o 1889 Sett 1 | Antolisei ed Angelini | amebe vivaci senza e con | terzana venosa
er / pigmento, forme adulte
| 2 | Antolisei ed Angelini | lo stesso caso del prece- | terzana, lo stessoca- | venou
r. dente so del precedente
1889 Nov 3 | Gualdi ed Antolisei | le forme del parasita della | quartana venosa
quartana
1889 Nov 4 | Gualdi ed Antolisei | forme semilunari irregolare venosi
venosa
‘venosi
gerzal
forme simili alle
più
di sa
gue malarico (1889-1892).
Forme di parasiti
nel sangue
INDIVIDUO INOCULATO
—————___
Tipo febbrile
Osservazioni
simili a quelle inoculate
simili a quelle inoculate
simili a quelle inoculate
forme ameboidi senza pigmento
indi semilune
forme simili a quelle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate, pri-
ma emamebe e poi semilune
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alle inoculate
forme simili alla terzana
terzana indi quotidiana
irregolare indi terzana
quartana
irregolare
quartana
quartana
irregolare
irregolare
quartana
quartana semplice ora
tripla
irregolare
terzana a tipo quoti-
diano
terzana a tipo quoti-
diano
terzana semplice prima
indi a tipo quotidiano
quartana
terzana doppia
La terzana semplice diventa ter-
zana doppia
L'individuo inoculato era già
quartanario e divenne semilu-
nare con febbri irregolari.
L'individuo inoculato era semi-
lunare e divenne quartanario ;
scomparsa delle semilune dopo
l'inoculazione.
Le esperienze di inoculazione
l'A. le eseguì su sè stesso.
come soprit
L'A. inoculando terzana ottiene
riproduzione di quotidiana (caso
12) ed inoculando questa (casi
13-14) riproduce ora quotidiana,
ora terzana che diventa quoti-
diana. Evidentemente l'A. non
pose mente che le quotidiane,
sperimentalmente ottenute, era-
no terzane doppie
L'individuo fonte d'innesto era
stato terzanario, e se ne era
guarito; più tardi riprese le feb-
bri a tipo quartano. È
Fra i casi accuratamente studiati,
il solo che presenta un'inenba-
zione breve.
36 Contributo allo studio dell’ infezione malarica sperimentale
Come si rileva dalle due tabelle abbiamo in tutto 28 espe-
rienze, 11 condotte nel primo periodo di confusionismo e delle qua-
li ben poco è il conto che può tenersi, e 17 molto ben riuscite
perchè accuratamente condotte nel secondo periodo.
In queste 17 esperienze, nelle quali le forme parasitiche di ma-
laria ben determinate, contenute nel sangue di individuo malarico
a tipo febbrile ben noto, hanno riprodotto costantemente il tipo feb-
brile, e rispettivamente, con la loro presenza nel sangue dell’ ino-
culato, abbiamo :
7 terzane che si riprodussero come terzane, ora semplici ora
doppie.
6 quartane che si riprodussero come quartane ora semplici,
ora doppie, ora triple.
4 irregolari con semilune che si riprodussero come irrego-
lari con le semilune.
Di fronte a queste esperienze nelle quali la terzana si trasmet-
te come terzana e si segue per lungo tempo sempre come tale ,
senza mai tramutarsi in altro tipo fondamentale, nelle quali la
quartana, la irregolare (sostenuta da semilune) si trasmettono co-
me tali e continuano come tali per molto tempo, e sempre con la
costante presenza dei parasiti rispettivi, a noi pare che il concetto
sistematico del Laveran (1) di un parasita unico, che nella sua evo-
luzione diventa polimorfo, non può reggere. E ciò tanto più quando
sì pon mente che i casi da me studiati, quelli del Calandruccio,
quelli di Grassi e Feletti venivano tenuti d’ occhio per lungo tem-
po ed osservati per lunghi mesi.
Davanti ai casi da me riferiti, nei quali a un malarico con in-
fezione di quartana ss’ inocula sangue con semilune d’ individuo
sofferente febbri irregolari, e quel malato cessa di essere quarta-
nario e scomparisce in esso il parasita della quartana, per suben-
trare le forme inoculate di semilune e il tipo febbrile relativo ; di
fronte all’ altro caso di individuo malarico, infetto di semilune, a cui
(1) LaverAN “ Le parasite est unique mais son évolution est variable , Du paludisme et
de son hematozoaire. Paris Masson 1891.
\
Zi
nell’ uomo e negli animali
sì inocula sangue di quartanario, e quegli cessa di aver febbri irrego-
lari e semilune nel sangue, per diventare quartanario col parasita
corrispondente, noi crediamo con ragione che non si dovrebbe più
parlare di parasita unico e di trasformazione o passaggio di una for-
ma nell’ altra, poichè i casi predetti stanno a provare la indipen-
denza perfetta delle diverse forme.
Fino a tanto che, come il Mannaberg (1) pensa non ci sono
casi accurati che dimostrino come una terzana coi suoi parasiti ri-
spettivi diventi quartana o viceversa, a noi pare che la questione del
passaggio di una forma nell’ altra dovrebbe tacere, perchè rimar-
rebbe ingiustificata. E dopo quanto abbiamo detto a proposito del-
le nostre esperienze d’ infezione miste e dei primi casì impuri, por-
tati avanti dagli autori nel primo periodo di queste ricerche, fino
alle più recenti del Bein, non crediamo che Laveran (2) abbia poi
argomenti validi e ricerche accurate per dimostrare quanto afferma
“
che “ chez un méme individu, on voit souvent le tipe de la fiévre
se modifier. ,
Nè possiamo esser d’ accordo con lui, quando come argomen-
to favorevole al polimorfismo erede che “ i caratteri. morfologici
assegnati a due, a tre o a cinque specie di ematozoarî sono insuffi-
cienti per permettere di riconoscere ciascuna di queste specie nelle
differenti fasi del suo sviluppo. ,
Come ci sembra che gli argomenti del Celli e della sua scuola sul-
l'opinione del polimorfismo del parasita, lascino luogo ad obbiezioni.
Nei 3 casi infatti riferiti da Gelli e Marchiafava nei quali, le
febbri estivo-autunnali col rispettivo parasita sì sono trasformate
durante l’ inverno in terzana col parasita della terzana stessa, non
sì può escludere una nuova infezione, per essere gli ammalati usci
ti dall’ ospedale e probabilmente andati in luoghi ove potevano re-
infettarsi (3).
(1) MAanNnaABERG lav. cit. pag.
(2) LaveraN — Paludisme Paris Masson 1892.
(3) CeLLi e Marcaiarava—Il reperto del sangue nelle febbri malariche invernali—- BoWett.
Acc. Med. di Roma, Anno XVI 1889-90.
IDEM. Sulle febbri malariche predominanti nell’ estate e nell’ autunno
in Roma.
38 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
La Clinica del resto porta il suo contributo importante in
alcune questioni ed essa ha già fissato leggi nettissime nella malaria.
D'altro lato quell’ illustre maestro che fu il Trousseau (1) am-
mette che il tipo febbrile sembra più tenere alla natura del mia-
sma e per meglio dire alla località che infetta, anzichè alle con-
dizioni inerenti all’ individuo colpito ; contraddicendo giustamente
a quanto Plehn (2) pensa che la disposizione individuale del col-
pito da malaria e la reazione delle cellule del suo organismo in-
fluiscano sul tipo della febbre.
Ma ancora nulla si conosce sul fatto che Y organismo umano
possa modificare la morfologia e biologia di un parasita.
A noi piuttosto pare che al Laveran (3) e ai suoi fautori re-
sterebbe a dimostrare, per provare l’unicismo del parasita e la sua
evoluzione polimorfa e la disposizione individuale di Plehn, come
e perchè in alcuni siti malarici abbiamo sempre forme determinate di
malaria che assumono tipi febbrili costanti e che per lungo volger
di tempo rimangano gli stessi ; e in altri luoghi, parasiti malarici
che danno tipi febbrili gravissimi e irregolari. Infatti a Gebbia Li-
berto, località vicino Fiumefreddo (Sicilia) tutti i malarici sono col-
piti da febbre a tipo quartano (Calandruccio); a Vienna in ogni sta-
gione i colpiti di malaria sono tutti affetti da febbre terzana e quar-
tana e mai da febbre con semilune (Mannaberg) ; nei dintorni di
Vienna sono invece frequentissimi e numerosissimi i casì di mala-
ria gravissima e con semilune, specialmente quelli provenienti dalla
Dalmazia ed Erzegovina (Mannaberg); a Tours sì notano soltanto ca-
si di febbre terzana; a Saumur, che ugualmente giace sulla riva
sinistra della Loira, domina esclusivamente la quartana; e i casi
di quartana osservati a Tours provengono da Saumur, e i casi
(1) Trousseau—Clinique medical 72 edit. Vol. III
(2) PLEHN — Beitrag zur Lehre von der Malaria — Infection Zeitschrift fiir Hygiene.
Band VII.
IDEM Zur Aetiologie der Malaria —Berl. Klin. Wochensch. 1890.
IDEM Aetiologische u. Klinische Malaria studien. Berl. 1890. A. Hirschwald.
(3) Laveran—lav. cit.
IDEM Des Hematozoaires du paludisme—Annales de l’ Institut Pasteur 1887.
nell'uomo e negli animati 39
di terzana osservati a Saumur provengono da Tours (Trousseau )
(1) e così via per altri luoghi.
Ciò naturalmente fa pensare ad una diversa distribuzione dei
parasiti malarici, come Grassi e Feletti avrebbero osservato per i
parasiti delle rane; poichè con il polimorfismo resterebbe completa-
mente inspiegabile come un parasita il quale in Dalmazia, in Italia
è polimorfo, a Vienna non lo è , presentandosi sempre e soltanto
in una e stessa forma—(Mannaberg).
Noi possiamo ammettere fino a un certo punto che le condi-
zioni cosmiche e telluriche, il clima, le stagioni, l umidità, la tempe-
ratura, possano più o meno favorevolmente influire sullo sviluppo di
questa o tal altra specie o varietà, come uno stesso terreno nutri-
tivo o un dato ambiente possa influire sullo sviluppo di questa o
di tal altra specie di microrganismi; ma in tutto ciò noi vediamo
argomenti più favorevoli alla molteplicità e alle differenti specie che
all’ unicismo del parasita, vediamo argomenti che mentre si rendono
spiegabili colla diversità delle specie, reggono poco bene col polimor-
fismo del parasita unico. E prova ne è il fatto che contempora-
neamente alle febbri estivo-autunnali non mancano i casi delle così
dette febbri primaverili.
Quando noi vediamo nello studio dei parasiti malarici che ogni
forma ha un ciclo per sè, che nasce, cresce, si moltiplica; che i
caratteri differenziali tra specie e specie non sono meno notevoli
di quelli tra molte specie di amebe e più notevoli di quelli fra va-
rie specie di batteri; quando noi vediamo che, anche biologicamen-
te considerati, questi parasiti malarici hanno un modo di com-
portarsi per alcuni farmaci ben diverso ; quando conosciamo che
nel vasto campo della batteriologia, esseri morfologicamente in-
distinguibili sono poi perfettamente diversi, e che vi sono specie
la cui forma ha ben poco valore specifico e che si distinguono so-
(1) TroussEAU racconta che una volta da Saumur andavano a Tours 14 soldati. Dopo pa-
recchi giorni, 9 di essi ammalarono tutti di malaria a tipo quartano. Essi avevano preso la feb-
bre a Saumur e si curavano a Tours dove in quel tempo dominava la febbre terzana ( Clinique
Medicas. lav. cit.).
40 Contributo allo studio dell’ infezione malarica sperimentale
lo per le proprietà biologiche ; quando infine noi pensiamo che il
monomorfismo in natura è la regola, il polimorfismo è 1’ eccezione
non sappiamo perchè si deve passar sopra a questi argomenti che
restano inspiegabili, per ricorrere a una teoria filogenetica che ci
porterebbe nel campo di discussioni molto ipotetiche (1).
Noi intanto in base alle nostre e alle esperienze degli altri,
confermando quanto avevamo in parte fatto ed espresso nella nota
preliminare del 1891, che vediamo già recentemente accettato anche
dal Mannaberg, sulla base di sue osservazioni lunghe ed accurate,
e colla scorta di una critica sagace, e dividendo le contemporanee
opinioni di Grassi Feletti ammettiamo :
Che i parasiti malarici appartengono a specie differenti, ben-
chè nei primi stadî si. avvicinino morfologicamente; che ciascuna
specie ha un ciclo biologico a sè e che mai luna passa o si muta
in un’altra :
Che tra le specie diverse dei parasiti malarici e i tipi febbrili
e è un indissolubile rapporto, stando essi come causa ed effetto;
che per conseguenza un tipo febbrile non si muta in un altro, es-
sendo esso sostenuto da una specie parasitaria a sè.
Che nelle forme febbrili malariche, ove manca un tipo fonda-
mentale, si deve spesso pensare a casi per così dire impuri, a ca-
sì d’infezione mista, a individui nel cui organismo c’ è stata la pe-
netrazione contemporanea o successiva di parecchie specie di para-
siti malarici.
(1) Rimandiamo al lavoro di Grassi e Feletti e a quello non meno importante .del Man-
naberg ambedue citati, coloro che hanno vaghezza di vedere più diffusamente trattata e in un
modo che non era compatibile con le presenti ricerche la questione del polimorfismo e dell'unità
o molteplicità dei parasiti malarici.
PARTE II.
L'INFEZIONE MALARICA SPERIMENTALE NEGLI ANIMALI
E GLI EMOPARASITI DEGLI UCCELLI
Quando si vuole studiare I etiologia di una malattia infettiva,
come si sa, fra le altre condizioni si deve, per via dell’ agente pa-
togeno, ritenuto specifico, isolato e coltivato in vario modo, o me-
diante materiali che lo contengono, provenienti dall’ esterno, o dal
corpo dell’ uomo malato, riprodurre negli animali e in determinate
condizioni anche nell’ uomo , un treno morboso con sintomi e le-
sioni anatomiche caratteristiche all’ infezione stessa.
E così come è avvenuto per quella serie di malattie infettive
che la scienza ha assodato definitivamente, sì è ugualmente prati-
cato, ma non ugualmente riuscito per 1 infezione malarica , nella
quale ad onta di numerose esperienze l'esito negli animali non è
stato incoraggiante.
Questo però non era d’impaccio a studî ulteriori, o valeva ad
arrestare il lavoro febbrile nella ricerca della etiologia dell’infezio-
ne predetta, poichè la patologia sperimentale e la esperienza uma-
na avevano assodato che alcune specie di animali sono immuni da
malattie che affliggono altre specie e che molte infezioni dell’ uo-
mo non occorrono spontaneamente negli animali, e viceversa.
Le vicende sperimentali che da circa tre lustri hanno accom-
pagnato la febbrile questione dell’ infezione malarica sperimentale
negli animali, non sono state di poco rilievo; ed in un lavoro come
il presente che si occupa in ispecie dell'argomento, non è del tutto
fuor di luogo ricordare almeno le ricerche più importanti fatte in
Anti Acc., Von. VIII, Serie 4.8 — Memoria I. 6
42 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
diversi periodi, sotto l’influenza dello stato attuale delle conoscenze
dell’ epoca.
Dopo gli studî di Salisbury (1) e di Balestra (2) i quali autori
con le alghe da loro descritte, la Palmella e 1° Alga filamentosa, non
curarono istituire esperienze per procurare la febbre intermittente
agli animali, con la introduzione di dette alghe nell’organismo di que-
sti, abbiamo gli studî di Lanzi e Terrigi (3) condotti per lunghi sei
anni. Per questi studî, durante i quali la Monilia pennicillata da lo-
ro dapprima scoperta, cedette il posto al prodotto cadaverico vegetale,
gli autori condussero una serie di esperienze negli animali.
Praticarono sui cani iniezioni intravenose ed ipodermiche col
limo d’ostia ma con risultato negativo, mentre altri esperimenti di
iniezioni ipodermiche, fatti con lo stesso limo ma sulle cavie , ed
altri ancora ponendo cavie in ambienti a respirare gli effluvî del
predetto limo, diedero per risultato la morte degli animali. E così
dalla pigmentazione nera della milza, osservata da loro nei predetti
animali, e da qualche elevazione di temperatura, gli autori suppo-
sero fossero riusciti per i primi a riprodurre sperimentalmente la
infezione malarica negli animali.
Verso quell’ epoca anche Antonio Selmi (4) e Franchi (5) isti-
tuirono esperienze sulle cavie e sui conigli, inoculando ipodermica-
mente il virus miasmatico , raccolto in diversa maniera nei luoghi
paludosi, ed ottennero nei predetti animali delle variazioni di tem-
peratura, coi caratteri di accessi di febbre che ritennero per malarica.
L’anno appresso il Griffini (6) portava alla nascente questio-
ne il suo contributo sperimentale con le inoculazioni, nei conigli e
(1) SaLissuryx—The american Journal of the Med. Scient. 1886
(2) BaLestra— Arch. di Med. Chirurg. ed Igiene — Roma 1869. Ricerche ed esperimenti
sulla natura e genesi del miasma palustre— Roma 1877.
(3) Lanzi e TERRIGIIl miasma palustre e il clima di Roma-- Acc. Med. Roma 1876.
(4) Antonio SeLmi—Relazione sulla Malaria al Congresso di Firenze 1869.
(5) SELMI E FraNcHI— Riso e Risaje—Lezioni di chimica agraria ed igiene rurale Milano
1875.
(6) GrIrFINI—Esperienze ed osservazioni sulla rugiada dei luoghi miasmatici Bollett. Crit-
tog. Milano 1874.
nell’ uomo e negli animali 43
nei cani di rugiada raccolta sulle paludi e sulle risaie. Questa ru-
giada che conteneva un'infinità di batterî, iniettata da 75 a 100 cc.
nelle vene dei cani, faceva ottenere rapide e passeggiere elevazio-
ni di temperatura di alcuna importanza; nei conigli invece produ-
ceva la morte ora con elevazioni, ora con abbassamenti di tempe-
ratura, ma senza lesioni caratteristiche agli organi interni.
Era però nel 1879 che l’ indirizzo delle ricerche sperimentali
cambiava completamente per gli studî di Klebs e Tommasi-Crudeli (1)
i quali avendo creduto di aver dimostrato che l’ etiologia dell’ in-
fezione malarica, fosse dovuta ad un dacillo da loro trovato in
luoghi paludosi, istituirono una lunga serie di elaborate e classiche
esperienze con materiali infettivi delle Paludi Pontine, col fango di
Caprolace, con le culture del bacillo trovato nel detto fango e nell’aria
di Ninfa e Fogliano, con terreni paludosi dell'Agro romano ecc. Le
esperienze condotte nei conigli fecero avere in questi animali dei
veri accessi di febbre e delle lesioni anatomo-patologiche tali, da
fare ritenere ai predetti illustri autori che negli animali si possono
produrre artificialmente le affezioni malariche, in quelle stesse forme
conosciute dalla patologia umana, e che queste affezioni malariche
artificialmente prodotte, sono suscitate da organismi che si trovano
nel suolo di terreni malarici.
A conferma delle superiori ricerche giungevano a tempo le
esperienze di Marchiafava e Cuboni (2) i quali studiavano la que-
stione se l’ infezione malarica fosse trasmissibile dall’ uomo agli
animali per mezzo del sangue malarico. Le esperienze furono ese-
guite specialmente nei cani.
La introduzione del sangue dei malarici nell’ organismo degli
animali fu fatta con iniezioni di sangue defibrinato per la via sot-
tocutanea, per trasfusione nel peritoneo, per iniezioni nella trachea.
Trovarono inefficaci le iniezioni sottocutanee nei cani, e credette-
(1) KLEBS e Tommasi-CrupeLI—Studî sulla natura della Malaria —Atti dell’Accademia dei
Lincei 1879.
(2) Marcuiarava e CuBoni — Nuovi studî sulla natura della Malaria — Accad. Lincei
1880-81.
44 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
ro efficaci le altre, per le quali ottennero degli accessi febbrili. Co-
sì per queste seconde esperienze ritennero probabile la trasmissio-
ne dell’ infezione malarica dall’ uomo all’ animale , per mezzo del
sangue, ove avevano costantemente confermato la presenza dell’ a-
gente specifico.
Per i sopradetti studî e per il chiaro nome degli autori che
li avevano condotti, il fermento fu grande.
Infatti, senza tener conto delle nuove esperienze di Antonio
Selmi (1) colle quali questo autore intendeva confermare le sue an-
tiche ricerche, che del resto tanto queste quanto quelle non avevano
alcun serio fondamento , sebbene avessero esclusivamente di mira
l’ obietto di combattere la scoperta del bacillo e i risultati con esso
ottenuti, ricordiamo che gli esperimenti sopradetti furono da molti
ricercatori ripetuti, ma con opposti risultati.
De Renzi (2) a Genova fece molti esperimenti nei cani, nei co-
nigli e nelle cavie; ed inoculando in diversi modi (trachea , sotto-
cute, cavo peritoneale ecc.) sangue malarico, preso da individuo
nel periodo del brivido, ottenne nei conigli e nelle cavie delle
elevazioni di temperatura, lievissime e di breve durata e di nessu-
na importanza, mentre nei cani la elevazione di temperatura rag-
giunse un grado più elevato ma non fu duratura. Non si può par-
lare quindi di veri accessi di intermittente, dovendosi riferire l’ele-
vazione di alcuni decimi di grado ad effetto del trauma. Nessun
esame di sangue veniva del resto praticato.
Orsi (3) a Pavia ripetendo gli esperimenti negli animali, cani
e conigli, ai quali iniettava sangue di individuo malarico , e negli
esami del quale non riscontrava il bacillo, otteneva risultati com-
pletamente negativi.
E mentre ad identici risultati dell’ Orsi pervenivano altri cli-
nici come De Giovanni a Padova, e Rummo a Napoli, i quali con
(1) SeLmI AntoNIO — La malaria e il miasma palustre—Civitavecchia 1882.
(2) De Renzi—Lezioni di Patalogia speciale medica Vol. III.
(3) Orsi— Curiosità cliniche—Gazzetta medica Italiana, Provincia Lombarda 1881.
nell’ uomo e negli animali 40
iniezioni sottocutanee e intraperitoneali negli stessi animali, giammai
poterono costatare nel sangue di questi il cercato bacillo, e giam-
mai poterono notare veri accessi di febbre; v'era invece il Ceci (1)
nel Laboratorio di Klebs a Praga, ove lavorava sull’ argomento
fin dal 1880, il quale veniva a risultati perfettamente opposti a
quelli dei predetti clinici, e conformi ai primi di Marchiafava e Cu-
boni e di Klebs e Tommasi-Crudeli. Iniettando liquidi di lavaggio di
terre malariche otteneva nei conigli delle febbri intense e a forma
chiaramente intermittente; e agli stessi risultati ancora egli perve-
niva quando iniettava culture in gelatina dei microrganismi conte-
nuti nelle terre malariche. Le lesioni degli organi e in ispecie della
milza ricordavano secondo l’ autore quelle tipiche dell’ infezione
malarica.
Ma il Silvestrini (2) non era tanto fortunato quanto il Ceci,
sebbene quegli avesse eseguito quasi analogo indirizzo nelle sue
ricerche. Silvestrini con diverse quantità di rugiada, raccolta nel-
l’ atmosfera di luoghi fortemente palustri, praticava iniezioni sotto-
cutanee e peritoneali in diversi animali cani, conigli, ma sempre
con risultato negativo; ripeteva poi le esperienze negli stessi ani-
mali con liquido di lavaggio di terre malariche con risultato iden-
tico al primo. (3)
Nello stesso anno a Costantina il Laveran (4) sulla base delle
ricerche di Klebs, Tommasi-Crudeli e Ceci istituiva delle esperienze,
allo scopo di provocare la febbre malarica nei conigli, con le inie-
zioni venose dei liquidi di cultura, preparati con i terreni paludosi
secondo il metodo degli autori predetti.
L’iniezione nelle vene di questi liquidi, o di quelli raccolti
nelle pozze d’ acqua di località paludose, provocava facilmente un
(1) Ceci—Arch. fiir experim. Path. u. Pharmak. 1882.
(2) SiLvestrIini—Sul miasma malarico—Gazzetta medica Italiana 1893.
(3) Esperienze di inoculazioni di rugiada e di acqua di lavaggio di terre malariche furono
dal Silvestrini praticate anche nell’ uomo con esito negativo.
(4) LaveRan—De la nature parasitaire de l’impaludisme—Acc. des Sciences 1882.
Po Traitè des fievres palustres, 1884 Paris.
46 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
accesso di febbre nel coniglio, ma l’accesso non si riproduceva pun-
to, l’animale si rimetteva subito e quando lo si uccideva non fa-
ceva osservare nessuna delle alterazioni da malaria.
Un anno dopo Chassin (1) riportando e discutendo le espe-
rienze sull’ argomento, istituiva egli stesso delle ricerche compara-
tive con acqua di palude e con acqua ordinaria. E mentre confer-
mava con le prime i risultati di Laveran, poteva ancora assodare
che nei conigli, anche semplicemente con le iniezioni venose di acqua
comune, si possono riprodurre degli accessi di febbre, analoghi ai
primi ottenuti con acqua di palude.
In mezzo a risultati così discordanti, comparivano alcune ri-
cerche di Schiavuzzi (2) sulle quali l’ autore più tardi ritornava
estendendole e confermandole, anche con esperienze negli animali;
ma con queste ricerche la questione più che andare avanti torna-
va indietro. Schiavuzzi nell’ aria, nell’ acqua, e nei terreni paludo-
si di Pola in Istria , isolava un bacillo simile a quello di Klebs e
e Tommasi-Crudeli ; lo iniettava sottocutaneamente nei conigli, che
soffrivano in seguito all’iniezione accessi di febbre intermittente e
all’autopsia mostravano lesioni anatomiche agli organi interni, ana-
loghe secondo lui a quelle della malaria. Goltivato il bacillo in di-
versi mezzi nutritivi, e iniettato negli animali riproduceva in essi i
disturbi accennati. Ma queste ricerche di Schiavuzzi, benchè appog-
giate dall’ autorevole parola di Cohn (3) al Congresso di Breslau
caddero completamente ; e si chiudeva l'epoca sperimentale del ba-
cillo della malaria con le esperienze di Golgi. (4)
Questo acuto osservatore ha cercato di verificare le osserva-
zioni di Schiavuzzi, ripetendo le esperienze sui conigli, con le cul-
(1) Cgassin—Sur l'inoculation de la fievre intermittente —These Paris 1885.
(2) Scniavuzzi—Ueber malaria in allgemeinen ins besondere in Istrien Vortrag VI. Cong. Int.
Wien 1887.
5 Untersuchungen iiber die malaria in Polen—Miinchen medic. Wochenschrift 1888.
(3) Conn Ueber die aetiologie der malaria —Vortrag d. schlesischen Gesellsch. fiir Vater-
land Kultur Breslau 1887.
(4) GoLeir — Intorno al preteso bacillo della malaria di Klebs—Tommasi-Crudeli e Schia-
vuzzi—Torino 1889 Arch. p. le scienze mediche.
nell'uomo e negli animali 47
ture del preteso bacillo, inviategli dallo stesso Schiavuzzi. Risultava
dalle esperienze di Golgi che l’inoculazione sottocutanea del predetto
bacillo, non determinava mai nel coniglio la febbre intermittente.
Si osservava in vero in seguito alla inoculazione una leggiera ele-
vazione di temperatura, ma questa, che non si riproduceva nei
giorni seguenti, non aveva nulla a vedere con l' intermittente ma-
larica, essendo invece analoga a quella che si nota in seguito a cul-
ture di microbi non patogeni. Il sangue dei conigli rivelava le stesse
alterazioni banali che si riproducono nel sangue normale dopo la
sua fuoriuscita dai vasi.
La conclusione del Golgi era che il bacillo di Schiavuzzi, si-
mile (?) a quello di Klebs e Tommasi-Crudeli, non aveva. nulla a
che fare con il vero agente malarico.
Chiuso così questo periodo storico e tanto controverso dei ri-
sultati sperimentali d’inoculazione e trasmissione della malaria negli
animali, che coinvolse tutte le altre esperienze fatte in quell'epoca
con quell’ indirizzo, sì apriva una nuova fase più razionale alla ri-
cerca sperimentale.
Infatti dopo che Laveran richiamava pel primo l’attenzione degli
scienziati su certe nuove forme parasitarie da lui scoperte nel sangue
malarico, dopochè Marchiafava, Celli, Golgi, Guarneri ecc. questi
istancabili e benemeriti osservatori italiani, rischiaravano con diligenti
e classiche ricerche la morfologia di questi parasiti e gettavano tanta
luce sulla etiologia dell’infezione malarica, dopo che così il dacillo
cedeva il posto ai nuovi parasiti (Emosporozoarì s. Laveran, Gelli
ecc; Sarcodini s. Golgi; Rizopodi s. Grassi, Feletti) la questione spe-
rimentale veniva ripresa con altro indirizzo e con maggior lena.
Era Guarneri (1) che faceva una serie di esperimenti d’ ino-
culazione di sangue malarico con presenza di ematozoarî anche in
(1) MarcHIarava e Celi Sull’infezione malarica — Memoria IV. — Arch. per le Scienze
Med. Vol. XII. 8.
48 Contributo allo studio dell’infezione malarica sperimentale
grandi quantità nel coniglio e nel cane, direttamente nelle vene o
nel cavo peritoneale ma sempre con risultato negativo.
Anche Laveran (1) più tardi veniva ad uguali risultati del
Guarnieri nelle sue esperienze d’inoculazione di sangue malarico
nelle vene dei conigli. Tentava poì d’inoculare per via endovenosa
lo stesso sangue malarico in una gazza, ma il risultato fu ugual-
mente negativo, benchè l esame del sangue dell’ animale fosse con-
tinuato per ben tre mesi.
Celli e Sanfelice (2) continuarono questo genere di esperimenti
su 14 specie di animali, ma sempre con risultato negativo, sebbe-
ne il sangue malarico fosse ben ricco di elementi parasitarî. Un
cavallo e un mulo furono inoculati per la vena giugulare; poi ino-
culazioni per varie vie furono fatte nelle cavie, nei topi bianchi,
in un riccio, in un pipistrello, in due colombe, in due tortorelle ,
in due civette, in quattro verdoni, in due testuggini, in otto ramarri,
in quattro rane, in due rospi, ma sempre senza alcun risultato.
Quasi contemporaneamente il Bein (3) a Berlino conduceva
analoghi esperimenti e con analoghi risultati. Praticava con sangue
d’individuo malarico delle inoculazioni venose, ipodermiche, e peri-
toneali nei cani, nei conigli, nei porcellini d’ India, nei topi, nelle
colombe: e mai potè in essi osservare alcun fenomeno morboso
che avesse attinenza con le iniezioni praticate. Queste ricerche fu-
rono estese anche nelle rane con risultati identici ai primi.
Angelini (4) nell’ anno istesso inoculava in due colombi do-
mestici sangue malarico d’individuo terzanario , ricco in elementi
parasitarì ma senza verun risultato ; inoculava inoltre sangue d’in-
dividuo quartanario in un cane levriero, ma sempre col successo
negativo del primo esperimento.
Di Mattei (5) nello stesso periodo di tempo iniettava del sangue
(1) Laveran— Des ematozoaires du Paludisme—Arch. d. medic. experim. 1890.
(2) CeLLi e SanrELIce—Sui parasiti del globulo rosso nell'uomo e negli animali—Annali
dell’ Istituto d' Igiene— Roma Vol. I.
(3) Bem—Acetiologische und experimentelle Beitrage zur Malaria — Charitè Annalen Bd XVT.
(4) AnGELINI—Nota e contributo sperimentale—Riforma Medica 1891.
(5) Di MartEr—Contributo all’infezione malarica nell'uomo e negli animali—Rif. Med. 1891.
nell’ uomo e negli animali 49
malarico di individuo semilunare in sedici colombe, in cinque per
la via ipodermica, in sette per la via endovenosa, in quattro per la
via addominale, ma con risultato negativo. Inoculava inoltre 6 co-
nigli e sei cavie ipodermicamente e nella cavità addominale, e cin-
que cani, due per la trachea, due per la via endovenosa, uno per la
via addominale, ma sempre con risultati negativi. Gli stessi animali
non mostravano nemmanco quella reazione febbrile passeggiera , no-
tata dal De-Renzi e riferibile al trauma.
Altri esperimenti condusse Di Mattei (1) a diverso periodo di
tempo sovra due gatti e sur un lupo. Fu praticato in uno dei gatti
un’ iniezione venosa e nell’ altro un’iniezione ipodermica di due cc.
di sangue malarico ; nel lupo fu praticata un’iniezione endovenosa
di ugual quantità di sangue.
Tenuti per parecchio tempo gli animali sotto osservazione, es-
sì non mostrarono mai alcuna sofferenza, alcun disturbo febbrile
e il loro reperto del sangue fu sempre negativo.
Infine anche negativi sono stati i risultati di Grassi e Felet-
ti (2) con le esperienze sulla rugiada di località malariche, data a
bere ai piccioni.
Questi esperimenti concordano tutti nel loro risultato finale
della refrattarietà degli animali in genere all’ infezione degli emo-
parasiti malarici dell’ uomo.
Però fra le tante specie di animali che servirono in gran nume-
ro per queste esperienze, molto scarso figura il contributo delle
ricerche di simile natura, istituite sulle scimmie. E ciò va ben spiega-
to per la difficoltà che si trova nel potersi provvedere di questa
specie di animali.
Eppure la scimmia è un reattivo prezioso per certe infezioni
dell’uomo che non attecchiscono negli altri animali domestici.
Le prime esperienze sulle scimmie appartengono a Richard (3)
(1) DI MartEI—Inoculazione di sangue malarico dell’ uomo nella scimmia, nel gatto, nel
lupo.—L' Uffiziale Sanitario, N. 10, 1894.
(2) Grassi e FeLETTI—Contribuzione allo studio dei Parasiti malarici—Acc. Gioenia Vol. V.
(3) RicHarp — Comunication sur les parasites de l'impaludisme— Acc, di Sciences 1882.
AmTI Acc., Von. VIII, SERIE 4.3 — Memoria TI. 7
50 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Egli inoculando a questi animali per la via ipodermica e venosa
del sangue malarico non potè notare in essi alcun disturbo feb-
brile consecutivo.
Il Fischer (1) di Kiel al Congresso internazionale d’Igiene e De-
mografia di Vienna, riferendo i suoi studî clinici e sperimentali sul-
l’argomento, portava due esperimenti condotti sulle scimmie. Mmo-
culando in due di questi animali, sangue d’individuo malarico nel
momento dell’ accesso febbrile e tenendoli parecchio tempo sotto
osservazione, non potè in essi notare nulla di morboso.
Bein (2) ebbe anche occasione di inoculare sangue d’ indivi-
duo malarico terzanario, in una scimmia. Disgraziatamente | ani-
male dopo alcuni giorni dall’ iniezione morì per cause accidentali,
ma tuttavia durante i giorni che rimase in vita, I’ esame del san-
gue dell’ animale fu negativo e nessun sintomo morboso si potè
legare alla iniezione fattagli.
Angelini (3) ebbe anche l’ opportunità di condurre nella Cli-
nica Medica di Roma un esperimento sopra un giovane scimmiotto
della specie Cynocephalus Sphynx. Nella vena ascellare sinistra del-
l’animale iniettò 2 cc. di sangue di individuo malarico. Per 26 gior-
ni egli non potè rilevare nulla di notevole; Vl esame del sangue ri-
petutamente fatto fu sempre negativo : nessun disturbo febbrile. Si
ripetè nell’ animale una seconda inoculazione endovenosa di sangue
malarico, ricco di elementi parasitari, ma anche questa volta il ri-
sultato fu completamente negativo.
Di Mattei (4) ebbe anche l opportunità d’ inoculare sangue
malarico per la via endovenosa in una scimmia appartenente alla
sottofamiglia delle Catharrine, e propriamente al genere Macaco; ma
il risultato dell’ osservazione, praticata per circa due mesi, fu nega-
tivo, per ciò che riguarda 1’ esame delle forme parasitiche inocu-
late e per ciò che riguarda la temperatura.
(1) Fiscaer—Internationaler Congress fiir Hygiene u. Demographie— Wien 1887.
(2) Bein—lav. cit.
(3) AneeLINI—La refrattarietà delle scimmie ecc.—Rif. med. lav. cit.
(4) Dr MartEI—Lav. preced. cit.
nell’ uomo e negli animali
Queste esperienze, il cui risultato è costante e per le quali si
dimostra anche la refrattarietà di alcune specie di scimmie contro
gli emoparasiti malarici dell’uomo, infirmano l'opinione di Pfeiffer (1)
che senza convenientemente dimostrarlo, ammette la riproduzione
dei parasiti malarici nelle scimmie, per via della trasfusione in esse
di sangue malarico.
Così sebbene ancora su altre specie di bruti rimanga di esten-
dere le esperienze accennate, pure i risultati della refrattarietà delle
scimmie, rafforzati da quelli sugli altri animali già sperimentati, ap-
poggiano la legge generale della refrattarietà degli animali all’ infe-
zione malarica.
LI
Era a questo punto la questione sperimentale della malaria
negli animali, e pareva che fosse almeno per la concordanza dei ri-
sultati ottenuti già definita, quando gli studî del Danilewsky (2)
sulla parasitologia comparata del sangue, e specialmente quelli im-
portanti sul sangue degli uccelli, dovevano per così dire rivoluzio-
nare l’ argomento e ricondurlo allo studio, sotto un indirizzo diverso
e sotto un punto di vista nuovo ed importante.
Danilewsky dopo aver segnalato pel primo la scoperta della pre-
senza nel sangue degli uccelli di alcuni parasiti, dopo averne seguito
lo sviluppo e le diverse fasi, benchè egli fosse un po’ incerto dap-
prima, pure più tardi finiva ad identificarli con quelli malarici del-
(1) PFEIFFER — Vergleichende Untersuchungen iiber Schwarmsporen u. s. w. Fort. d. Me-
dicine 1890.
(2) DaniLEwsky — Zur Frage iiber die Identitit der Patogenen Blutparasiten des Men-
schen u. s. w. Centralbl. fiir med. Wissensch. 1886.
A — Nouvelles recherches sur les parasites du sang des ciseaux—1889 Karkoff
Pe — Recherches sur les Haematozoaires des tortues—Karkoff 3 1889.
3; — Sur les microbes de l’infection malarique aigue et chronique, chez les
‘0iseaux et chez l homme — Annales d. l’Institut. Pasteur 1890.
ca — Etude de la microbiose malariques — Annales de l’Institut Pasteur 1891.
52 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
luomo. Ma la importante conclusione non poteva certamente essere
così alla prima accettata, senza che altre ricerche non la confer-
massero, tanto più che il Danilewsky, scendendo ai particolari, am-
metteva anche negli uccelli una malaria a forma acuta e a forma
cronica, identificando i parasiti dell'una e dell’altra forma a quelli
della malaria acuta e cronica dell’ uomo.
Era naturale che con queste conclusioni un campo nuovo si
apriva all’ osservazione, alla ricerca, allo esperimento. Data la iden-
tità segnalata dal Danilewsky, fra i parasiti degli uccelli e quelli
malarici dell’ uomo, i risultati sperimentali sugli animali dei quali
abbiamo discorso in principio dovevano venire in qualche modo
scossi; o per lo meno bisognava limitare la legge generale della re-
frattarietà degli animali all’ infezione malarica naturale e sperimen-
tale, dal momento che alcune specie di essi, cioè gli uccelli pote-
vano pigliarla naturalmente per conto loro.
Perciò lo studio dei così detti parasiti malarici degli uccelli,
dopo le ricerche del Danilewsky venne in breve largamente mie-
tuto da valorosi ricercatori (Celli e Sanfelice, Grassi e Feletti, Pfeif-
fer, Kruse ecc.) i quali però non si può dire che siano venuti ad
un vero accordo di risultati.
Ed in vero mentre essi in massima furono d’ accordo nel fat-
to principale di riconoscere non una vera identità nel senso di Da-
nilewsky, bensì una affinità tra gli emoparasiti degli uccelli e quelli
malarici dell’uomo, pure quando si trattò di precisare gl’ intimi
rapporti fra questi e quelli, e specialmente quando sì trattò di si-
stemare la loro classifica in rapporto alla morfologia, al loro svilup-
po, al loro ciclo, nacquero delle discrepanze.
Io non posso occuparmi per esteso e diffondermi nei dettagli
sugli argomenti di controversia degli autori, che coltivano questo
studio con tanto amore e con tanta fortuna, perchè io mi sono oc-
cupato soltanto limitatamente di questa parte di emoparasitologia
comparata, e solo per quel tanto che riflette i miei studî generali
sulla infezione malarica sperimentale negli animali.
Però soltanto allo scopo di rendere più giustificate le mie ri-
nell’ uomo e negli animali Da
cerche accennerò, ove converrà più opportunamente, per la maggio-
re illustrazione di esse, qualche cosa che riguarda anche la morfo-
logia, poichè è certo che questa da sola non può tutto assodare nel
vasto campo della patologia delle infezioni.
Danilewsky pur emettendo l’opinione che gli ematozoarî degli uc-
celli sono parasiti patogeni, simili a quelli dell’uomo, pur credendosi
dalle sue osservazioni autorizzato ad affermare questa identità sotto
ogni rapporto zoologico e patologico, non si sentiva poi abbastanza
sereno nelle sue affermazioni, poichè per delucidare meglio e com-
pletamente questa questione, credeva occorressero ricerche sperimen-
tali d’ inoculazione di sangue d’ uccello infetto ad uccello sano ; e
poi altre ricerche per tentare l' infezione artificiale nell'uomo con
gli emoparasiti degli uccelli, e 1’ infezione negli uccelli coi parasiti
del sangue di uomo malarico. Infatti annuncia egli una prima serie
di esperienze , cominciate con Tehouewsky sull’ infezione artifi-
ciale degli uccelli sani col sangue di uccelli malati; ma neanche
queste a quanto risulta dalle mie ricerche, pare che finora egli ab-
bia potuto condurre a fine, per non averle rese ancora di pubblica
ragione.
Ma la importanza di tale questione sperimentale, era stata ri-
conosciuta subito dagli altri osservatori; ed in Italia infatti quasi
contemporaneamente si cercava dagli studiosi, con diverso indirizzo
di ricerca, di approfondire 1 argomento per venire a qualche con-
clusione in proposito.
Ma anche quì i risultati non furono concordi, sebbene solo
pochi ricercatori abbiano istituite tali esperienze.
Celli e Sanfelice (1) erano i primi a comunicare i risultati delle
loro ricerche.
Le esperienze di questi osservatori, numerose più per le specie di
animali che inocularono che per gli individui della stessa specie inocu-
lati, condussero gli autori, in seguito a qualche risultato positivo del-
l’inoculazione, alla conclusione che i parasiti del globulo rosso de-
(1) CELLI e SANFELICE—lav. citato.
D4 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
gli uccelli, mediante l’ inoculazione del sangue di animale infetto,
sì riproducono nell’ animale sano della stessa specie e varietà.
Gli autori dicono che nelle colombe , le forme emoparasitiche
inoculate si sono riprodotte in 3 su 6 degli animali, dopo 2-4 gior-
ni d’incubazione. Spiegano i risultati negativi nelle altre tre colom-
be, come un’ immunità che possono godere questi animali, sia alla
infezione naturale sia a quella artificiale.
Risultati completamente negativi ottennero poi gli autori, nella
inoculazione di sangue infetto da varietà a varietà, da specie a
specie, da classe a classe.
Non vi sono altre esperienze in proposito , tranne di quelle
mie e quelle di Grassi e Feletti. Delle mie (1) però parlerò in ul-
timo, sebbene, fatte tutte nello stesso periodo di tempo di quelle
dei primi autori, e quasi contemporaneamente ad esse pubblicate.
Indi a breve distanza comparvero anche quelle di Laveran (2).
Inoculò egli in tutto 17 piccioni per diverse vie, col sangue di pic-
cioni infetti. Fra 10 inoculati, per via venosa, in due soli potè no-
tare, tre giorni dopo l’ iniezione, la presenza di qualche rarissimo
emoparasita endoglobulare che scomparve dopo quel giorno : negli
altri 8 Y esame fu negativo, come anche negativo fu in tutto il
resto degli animali. Imoculò poi delle allodole sane con sangue di
allodole infette, e dice di aver ottenuto un solo risultato positivo (3).
Infatti una sola delle allodole inoculate, mori dopo undici giorni
dall’ iniezione, mostrando nel sangue un’ invasione di parasiti.
Con queste esperienze isolate del Laveran, se da un lato Dani-
lewsky trova argomenti per rafforzare la sua fede sulla completa
identità dei parasiti e per giustificare le sue convinzioni sul potere
patogeno di essi, se vede insomma confermate le sue previsioni
sulla soluzione nel senso positivo dell’infezione artificiale, dall'altro
(1) Dr MarttEI- lav. citato.
(2) Laveran--Des hematozoares voisins des ceux du paludisme observè chez les oiseaux.—
Bullett. de la Societè di Biol. 1890 Paris.
(3) LAveRAN — Des hematozoaires de l'Alouette voisins de ceux du paludisme. Societè de
Biol.—Mai 1891 Paris.
nell'uomo e negli animali DD
lato il Laveran (1) ad onta dei suoi risultati positivi non crede af-
fatto di trovare argomenti che possano appoggiare le vedute del Dani-
lewsky. E viene anzi alla conclusione perfettamente contraria, cioè
che “ 1’ analogia degli ematozoarî degli uccelli con quelli del pa-
ludismo è evidente, ma questa analogia non implica affatto 1iden-
tità: che dal punto di vista morfologico si possono fra loro già
rilevare delle differenze : ma ciò che separa sopratutto questi pa-
rasiti è che l azione patogena e febbrigena degli ematozoarî degli
uccelli non è punto dimostrata , (2).
Ed è quasi la stessa, la conclusione anche di Celli e Sanfeli-
ce (3). i quali con tutti i loro risultati d’ inoculazione creduti post-
tivi, non si sentono autorizzati a stabilire 1° identità. fra gli uni e
gli altri ematozoarî; e si limitano solo ad ammettere che fra quelli
degli uccelli e quelli dell’uomo, i rapporti diventano tanto intimi da
trovare nelle forme parasitarie a sviluppo lento, accelerato e rapido
degli uccelli, la corrispondenza nelle forme malariche di quartana,
terzana e quotidiana dell’uomo.
Grassi e Feletti (4) come abbiamo detto, contemporaneamente
alle mie, e prima del Laveran istituivano alcune esperienze , limitan-
dole all’infezione artificiale. IMmocularono a 24 piccioni sani, sangue
di piccioni infetti, ma i loro risultati furono completamente negativi.
Le obiezioni però che essi autori muovono ai colleghi di Ro-
ma e che io per mio conto estendo anche al Laveran, sono tali
come vedremo più tardi, da scuotere il valore di quei pochissimi
risultati creduti positivi, tanto da richiedere per lo meno che V ar-
gomento dell’infezione artificiale fosse più accuratamente approfondito.
Venivano quindi opportuni i miei esperimenti.
Però devo dire che, quando dopo i lavori di Danilewsky co-
minciai le mie ricerche sull’ argomento, non mi parve che esse si
dovevano limitare soltanto al fatto dell’ infezione artificiale , come
(1) Laveran—Des hematozoaires des oiseaux—Societè de Biol. Nov. 1891.
(2) Laveran—Paludisme—Masson—1892 Paris.
(3) CeLLI e SANFELICE—lav. cit.
(4) Grassi e FeLETTI—lav. cit.
56 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
praticavano i miei colleghi, per dimostrare o negare la identità zoo-
logica e patologica dei parasiti degli uccelli con quelli malarici del-
luomo; ma stimai invece che l'indirizzo da dare agli esperimenti
doveva essere basato sopra criterìî più larghi; e mi sembrò in spe-
cial modo opportuno di applicare allo studio degli emoparasiti de-
gli uccelli, quanto lo esperimento ha fatto conoscere per quelli del-
luomo. Così le conclusioni sui rapporti fra questi diversi emato-
zoarì potevano venire meglio definite.
Ho istituito così due serie di esperimenti.
In una 18 serie ho cercato di condurre :
a) una ricerca sistematica sulla temperatura degli uccelli
normali (sani) (1) e degli uccelli infetti con emoparasiti (malati) , allo
scopo di vedere come questa sì comporti nei due stati di salute
degli animali.
b) uno studio sull’ azione di alcuni rimedîì (specifici od effi-
caci per l infezione malarica dell’uomo) somministrati per diverse
vie agli animali infetti.
c) un saggio di esperimenti di inoculazione di sangue di uc-
celli infetti in uccelli sani per lo studio della infezione artificiale.
Con questi dati alla mano, per meglio contribuire alla com-
plessa questione e per avvalorare le prime ricerche stimai oppor-
tuno condurre poi una seconda serie di esperimenti per studiare:
a) la influenza delle diverse località salubri e malariche nel-
l infezione naturale di essi animali;
b) se è possibile l’ infezione per convivenza di uccelli sani
con uccelli infetti;
c) la influenza dell’ eredità;
d) gli effetti dell’ inoculazione di sangue di individuo mala-
rico agli uccelli sani e di sangue di uccelli infetti all’ uomo sano.
Reputo intanto opportuno di accennare fin da ora, e ciò va
bensì detto per tutti gli esperimenti, che gli animali da me scelti
in queste ricerche sono stati i colombi e propriamente i colombi
(1) Chiamo indifterentemente uccelli normali, sani, quelli nel cui sangue non si trovano gli
emoparasiti; ed infetti, malati, quegli altri che li contengono.
nell'uomo e negli animali 5I
domestici e i loro rispettivi figliuoli, da noi detti piccioni, materia-
le comodissimo presso noi per queste ricerche.
M'’ interessa inoltre di premettere che l' esame del sangue delle
colombe sane veniva ripetuto quotidianamente, per un lungo periodo
di giorni (15-20-30) prima di dichiararle tali; poichè risulta dalle mie
osservazioni e da quelle dei colleghi Grassi e Feletti, che molte
colombe possono apparentemente mostrare per più giorni un reper-
to negativo di parasiti nel loro sangue o contenere delle forme
parasitarie rarissime, tanto da poter sfuggire all’ osservazione di u-
no o più preparati, per poi presentare, negli esami dei giorni con-
secutivi, delle vere invasioni e moltiplicazioni parasitarie.
La colomba è un animale suscettibile a queste invasioni para-
sitiche del sangue; e benchè sana, bisogna tenerla in luoghi non
sospetti e controllare sempre con l osservazione V esame del san-
gue, per esser ben sicuri che non si sia più tardi infettata, e che
si abbia da fare con colomba veramente non infetta.
Ed è questo anche l avviso a cui vengono nelle loro ricerche
Grassì e Feletti, e al quale veniva anche Danilewsky che si espri-
me così in proposito : “ Qualche volta si può costatare una scom-
parsa temporanea degli ematozoi; ma dopo un periodo più o meno
lungo , questi parasiti appariscono di nuovo ed anche in. maggior
quantità di prima. È importante di notare che questa ricomparsa
si fa senza una nuova infezione e durante il soggiorno dell’ uccello
in Laboratorio. ,
Ed io stesso in proposito devo render noto che durante la pri-
ma serie degli esperimenti fatti, ho avuto due piccioni, comprati nel
centro della città e in luoghi non sospetti affatto; nei quali animali
l'esame del sangue per più giorni si mostrò negativo. Inoculatone
indi uno per via endovenosa la dimane si trovò infetto : ma ritor-
nato ad osservare il piccione fratello lasciato come controllo anch'esso
sì mostrò infetto. Ciò lasciò naturalmente supporre che ambedue i
piccioni erano infetti di parasiti e che in quei giorni d'osservazione
ed esperimento il loro sangue ne era temporaneamente libero.
ArTI Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria I. da]
58 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
SERIE 18
a) TEMPERATURA
Osservazioni sistematiche sulla temperatura delle colombe e di
altri uccelli infetti non ne conosco. Danilewsky non se ne occupa
in modo speciale. Egli con parole vaghe dice che la temperatura
degli uccelli (gazza, civetta ecc.) durante il ciclo del parasita nel
loro sangue, è elevatissima e che l escapsulamento del Polimitus
(forma flagellata) è sempre legato ad una temperatura più bassa.
Parlando poi di una forma cronica d’infezione degli uccelli, si espri-
me dicendo che la temperatura degli animali affetti da questa forma
d’infezione è simile a quella degli uccelli sani; mentre nell’altra for-
ma d’infezione acuta (corrispondente, secondo lui, alla terzana e quar-
tana dell’uomo) la temperatura si eleva moderatamente da 1° a 19,5;
e che le oscillazioni della temperatura negli uccelli, sono in cor-
relazione con lo stato del loro emocrobismo. Aggiunge infine che
la temperatura degli uccelli da lui studiati, oscillava fra 41° 5 e
490,5 e che una temperatura di 43° gli lasciava già supporre uno
stato di malattia.
Per le colombe infette, osservazioni non ce ne sono.
Nel mio caso la temperatura veniva presa alle colombe sem-
pre con termometri, la di cui esattezza ci era ben nota ; il bulbo
veniva introdotto nel retto sempre alla stessa profondità. Non re-
puto inutili queste particolarità, poichè non è indifferente negli ani-
mali e in specie nelle colombe , di vedere modificarsi la tempera-
tura a secondo la diversa profondità del bulbo nel retto.
La temperatura, lungo il periodo delle nostre osservazioni, ven-
ne misurata in tutto in 16 colombe infette, tre volte al giorno , e
metodicamente anche in altrettante colombe sane, come controllo.
L'esame del sangue delle colombe infette faceva osservare le
splendide forme semilunari in tutto il loro ciclo di sviluppo. Secon-
nell’ uomo e negli animali 59
do Grassi e Feletti (1) il piccione domestico nella provincia di Ca-
tania va soggetto ad una sola specie di parasiti malarici che è la
Laverania Danilewsky (forma semilunare): sono elementi parasitici
che hanno una forma più o meno rotonda nelle prime fasi del lo-
ro sviluppo, per poi assumere quella ovale ed indi quella di vere
semilune : hanno tutte un bel nucleo piuttosto ovalare ; le forme
giovani sono quasi sempre prive di pigmento, le forine adulte in-
vece hanno un pigmento, ora sparso irregolarmente, ora concentra-
to verso i poli, ora nel centro in unico mucchio : alcune forme so-
no dentro il globulo rosso, altre aderenti al nucleo, essendo già il
resto del globulo rosso, scomparso; altre forme sono libere nel pla-
sma: non è raro il caso nello stesso globulo di vedere fin due
forme semilunari guardantisi per la loro concavità.
Le colombe così infette non presentano dei disturbi apparenti
da farle distinguere dalle colombe non infette; nè dopo un lungo
tempo che le abbiamo tenute in osservazione esse hanno mostrato
segni apparenti di malattia. Una volta, è vero, una di queste colom-
be è morta, ma in questo caso non poterono essere completamente
escluse altre cause accidentali. L'esame del sangue di questa colom-
ba fatto post mortem, mostrò una grande quantità di forme para-
sitiche pigmentate, maggiore delle forme costatate in vita.
Riportiamo adesso le osservazioni termometriche fatte in di-
verso tempo.
(1) Grassi e FeLETTI—lav. citato.
Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
COLOMBE
SANE
TEMPERATURA
COLOMBE INFETTE
[Dara |
COL. 18
COL
Ta
COL.
5 OI pui COL. IVa COL. I* | con. ma | COL. IIa | COL. Iv*
mese {Matt | Seral Mi | S| M. | S| MU]. Ms Ms Ms. MS
1 Gen| 420 | 420 | 420,2) 4105 480 | 4201 4920,]| 4920 420.1| 420 | 490 | 4108
420,5| 420 430, | 420 410,9| 420 | 420.5) 410,7 i 420,2| 410,9
430 | 49203] 430, | 420,8] 420,8| 420,7 490 | 410,9] 420.3! 410.7] 420 | 410,5 i
420,8| 420,1 410,9! 410,5] 410,9] 410,5
420,8 49205 420,7| 420 | 420.1| 4920 490,1| 420 | 420,2] 410,9] 420,2] 410,5] 420,5] 420
420,2] 420,1 420,1] 420 | 420,6] 420,2] | 410,8| 410,4] 410,9) 420 | 420,2] 410,94 410,8| 410,6
430 | 420,5 420,9 420,1] 420,6] 42° | | A20,1| 420 | 429,3] 42° | 420, | 410,8
420,8| 420.11 420,5| 420.5 420,6| 420,19 | 420 | 4109 420. | 420
| 420,8| 410,9] | 420,2] 410,7] 420,1] 410,9] 420,4] 420 | 420,1) 410,8
4920,9| 420,5 4920,2| 420 4920,1| 410,8
COL. Va | COL. VIa {COL VII: {COL. VITTI | COL. Va | COL. VIa | COL. VIT: {COL. VIII
Ms. Ms. MS IM 8 Misim si Mus td mM | s
410,8| 420 | 420,9| 420,7 420,2] 420,1} | 420,1| 420 410,5) 410,5
49201] 42° | 430 | 420,7 420,4| 420,3] | 420.1] 420 410,7| 410,5
420,5] 420,2] 42°,8| 420.5] 420,1] 420,1 420,3| 420,1] 420 | 4920
430 | 420,7 420.4| 4202 420,2] 420 | 410,5| 410.4f 410,8] 410,6
4920,3| 420,3f 420,8] 420,5] 420,3| 420,1] | 420 | 410,9 410,8| 419,7} 420 | 410,9
4920.5| 420.3 420,2| 410,9] 410,9] 410.7] 41°,9| 410,8
430 | 490,7 420,2| 420 | 410,8) 410.4
490,2] 420,1 4920,7| 490,1 4920,5| 420,2] 420,1| 420 | 420,3] 420,1
410,9| 420 420,5) 420,2 410,9) 420 | 420,2) 410,9] 420,3] 420 | 420 | 410,8
420,5] 420,1] 4207| 420,5 420 4| 420 410,8] 419,6 41° 9| 410,7
430 | 420,7 410,7| 410,5
420,5] 420,3
COL. Dee COL. Xx | COL. Xi COLI (OL. IXa | COL. xa | COL. XI: | COL. XI®
_T——--——+ — —T_ — 1 — ——T— di ————P e e —
M. | SLM. | S. |M. | S. | M. | S. M | S. |M. { Ss. |M | S M. | S.
420 6| 420, 420,6| 420,3 420 1| 420] 41,99] 410,7 490 | 410,8
430 | 420,7 420,8| 420,6] 420.4| 420,5] 1420 | 420 | 420 | 420 4920,1| 419,9
420,7| 420.5 | 1905] 4203 420,7| 420,4 | 410,9| 410,7] 420,2] 420,9 ol
420,6| 420,4 420,6| 42° | 410,7] 410,7] 420,2] 420 { 410,9] 410,6
4920,5| 429.5 4920.5| 420 49° | 4109
49° 5| 42°.6 4920,3| 420
410,7] 419,6] 410,9| 410,7
420,2| 490 410,9] 410,9] | 420,3| 410,9] 420 | 410.8 420,2] 410,9
4920,3| 420 420,5] 420
49209| 420,1 430 | 420,7] | 420 420 | 420 | 420 | 4109
420,6 4920,5| 4209 420,8| 420,6] | 420,3 420,3| 420 | 42° | 410,8
420,5 430 | 420,7 420,3| 420
490,7
nn ———@QGG@‘@@0qccGCG_____’_@—_m@+——_m_-_—- —————_1____
nell'uomo e negli animali 61
Come si vede dalla tabella, la temperatura fra le colombe in-
fette e le sane non presenta differenza notevole. Le oscillazioni di
temperatura nelle ore di mattina e di sera nelle colombe sane, so-
no quasi analoghe a quelle delle colombe infette.
Anzi se qualche cosa si deve rilevare è che nelle colombe in-
fette la temperatura è sempre in media di alcuni decimi inferiore
a quella delle sane. Infatti nelle colombe sane molto spesso la tem-
peratura va al mattino da 42°, 5 a 43°, mentre queste cifre non
sono state che raramente raggiunte dalle infette. Nelle ore di sera
la temp. in tutte e due le serie di colombe s’ abbassa rispettiva-
mente di alcuni decimi da quella del giorno.
Come risultato adunque di massima delle mie osservazioni, le
colombe infette non presentano affatto alcuna elevazione di tem-
peratura, ma piuttosto lievissimo abbassamento.
Il Lassar afferma, dopo molte altre sue osservazioni, che gli uc-
celli in genere non vanno mai soggetti ad alcun fenomeno d’iper-
termia; e che allo stato sano essi possono presentare oscillazioni
di più decimi fino ad un grado. E parlando delle colombe , Chos-
sat in seguito a 600 osservazioni termometriche per più settimane,
considera queste oscillazioni come costanti, trovando in media
una temp. di 42°, 2 di giorno (mezzogiorno) e 41°, 5 di sera (mezza-
notte).
Queste oscillazioni di temperatura nelle colombe, Corin e Van
Beneden le portano fino a 2 gradi, ammettendo come limiti le ci-
fre di 41°, 5, e 43°, Db.
Cosicchè senza fare verun apprezzamento sulle elevazioni di
temperatura notate dal Danilewsky, il quale considera nelle sue ri-
cerche gli uccelli come febbricitanti, sol perchè la loro temperatura
oscillante in media da 41°, 5 a 42°, 5 saliva qualche volta a
49° 8, 43°, noi siamo inclinati a non ammettere veruna importan-
za alle lievissime differenze di temperatura osservate nelle due se-
rie di colombe da noi studiate, e ritenere perciò che 1 infezione
parasitica del sangue in questi animali non porta alcun disturbo
che si faccia rilevare con elevazioni di temperatura.
62 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
b) TENTATIVI TERAPEUTICI
Su questo indirizzo hanno soltanto istituito ricerche Celli e
Sanfelice (1).
Questi autori sperimentarono sulle colombe infette l’azione di
alcuni farmaci, chinina, antipirina, liquore arsenicale, acido fosfori-
co, carbonato di soda.
Con i predetti rimedî, tranne della chinina, ottennero risulta-
ti negativi. Colla chinina invece trovarono che essa, come per i
parasiti della malaria, paralizza i movimenti degli ematozoarî, sen-
za però avere su essi una più profonda azione deleteria. Le espe-
rienze non forniscono sufficienti dettagli e sono state condotte so-
pra un numero molto esiguo di colombe.
Contemporaneamente a quelle ricerche, io conduceva le mie, li-
mitandole a due preparati farmaceutici che spiegano tanta efficace
azione nell’ infezione malarica, cioè il chinino e l’arsenico, e a un al-
tro sale, tanto rinomato per il suo potere microbicida, cioè il sublimato.
Della chinina ho scelto il bisolfato, come quel. preparato che
per la sua solubilità si presta meglio all'esperienza d’inoculazione.
Un grammo veniva sciolto in 100 cc. d’acqua sterilizzata, cosicchè
ogni ce. della soluzione, conteneva 1 cc. del sale. Essa poi s’iniet-
tava alla dose di 1/4, di 1/9 fino a 1, ! cc., e per le diverse vie
ipodermica, venosa, addominale.
Dell’ arsenico ho adoperato dapprima l’acido arsenioso, secon-
do la formola debole del Buchner, fatta di 1 gr. di acido arsenio-
so in 2000 gr. d’ acqua ; cosicchè 1 cc. di questa soluzione veni-
va a contenere mezzo milligrammo di acido arsenioso. Di essa se
ne iniettava a dose sempre crescente 1 decimo di centimetro cu-
bico, fino a mezzo centimetro cubico. Però essa era sempre una
soluzione forte e veniva tollerata male, e non si poteva continua-
re per parecchi giorni.
Si preferì di allungare 1 cc. della predetta soluzione (conte-
nente mezzo milligrammo d’ acido arsenioso) in 100 cc. d’acqua:
(1) lav. cit.
nell’ uomo e negli animali 63
si fece così una soluzione debole che veniva iniettata a parecchi
centm. cubici e tollerata bene per più tempo dall’ animale.
Del sublimato ho fatto poi diverse soluzioni: ho cominciato
da una soluzione all’ 1 per 0/000, cosicchè 1 ce. di soluzione conte-
neva gr. 0, 0001 del sale, fino a una soluzione all’ uno per 5000,
cosicchè 1 cc. di soluzione conteneva, gr. 0, 0005 del sale.
Se ne iniettava all’ animale da un decimo a un 1 cc. , ora
dell’una ora dell’ altra soluzione.
Per avere un criterio approssimativo se le forme parasitarie,
in seguito al trattamento diminuissero o in qualche modo si modi-
ficassero si tenevano animali di controllo con uguale reperto di
sangue, e si facevano dei preparati a diverse ore del giorno, con-
tandosi rispettivamente il numero degli ematozoarì per ogni cam-
po di microscopio, e le modificazioni delle loro forme.
Sappiamo pur troppo che i criterì predetti sono molto relativi
ma d’altro lato con un reperto di sangue, da per sè variabilissimo,
ci dovevamo contentare di dati e controlli approssimativi.
1) cHININO
Le mie esperienze con questo sale sono le più numerose, co-
me quello che meritava maggiore attenzione, in rapporto all’ argo-
mento che ci occupa.
Gli esperimenti sono 5 per la via sottocutanea, 3 per la en-
dovenosa, 4 per la via endoaddominale. Li riferirò brevemente, tan-
to più che i risultati sono uniformi.
Via ipodermica— Esperienza I. — Colomba —-Sangue, con for-
me ovali, semilunari pigmentate, endoglobulari e libere. Riceve
mezzo cent. cub. della soluzione.
Dopo un’ ora, due ore, nessuna modificazione nelle forme emo-
parasitiche.
La dimane le forme parasitarie si mantengono uguali, s’inietta
altro mezzo cent. cub. di soluzione. Il terzo giorno reperto micro-
scopico uguale al precedente ; s’ inietta un cc. della soluzione. Il
64 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
quarto giorno reperto analogo al precedente : iniezione di un cc. Il
quinto giorno nessuna apparente modificazione nelle forme parasi-
tarie : iniezione matt. cc. 1, e sera cc. 2. Il sesto giorno, reperto
analogo : iniezione matt. cc. 2 !/ sera ec. 24 . Il settimo giorno
la colomba è trovata morta. L’ esame microscopico del sangue fa
notare scarse le forme ovali, le solite forme semilunari libere ed
endoglobulari, alcune appena. visibili entro i globuli raggrinzati ;
molti granuli di pigmento liberi nel plasma, riferiti ad alterazioni
cadaveriche.
Esperienza H.— (Colomba —Sangue con forme piuttosto rotonde
ed ovali a prevalenza, poche semilune endoglobulari, qualcuna rara
libera. Si pratica un’ iniezione quotidiana di 1 cc. della soluzione per
10 giorni. L'animale, dopo questo lasso di tempo, si trova morto.
Per tutto il tempo dell’osservazione, le forme parasitiche si vedono
poco modificate, le semilune si mantengono rare, il numero delle
forme ovali e rotonde sembra diminuito. Non pare che esse abbiano
subito alterazioni di forma.
Esperienza III.— Colomba —Sangue con forme endoglobulari pic-
cole, rotonde, allungate, strozzate a otto. Iniezione di 1 1/ cc. di so-
luzione.
Dopo alcune ore nessuna modificazione notevole nelle forme
emoparasitiche.
La dimane il reperto del sangue è identico ; s’ inietta altri
1/9 cc. di soluzione.
Il terzo e il quarto giorno non si fanno iniezioni : nel sangue
sì trovano le stesse forme di jeri. Il quinto giorno, iniezione di
altri 2 cce.: reperto del sangue analogo ai precedenti. Il sesto gior-
no, nessuna iniezione, l esame del sangue fa rilevare aumento
di forme ovali. Il settimo giorno, dopo l’ iniezione di altri 2 cc.
la colomba mostra segni evidenti di sofferenza : V esame del
sangue fa rilevare forme ovali, rese più allungate, strozzate al
centro.
L'animale muore nella notte. La dimane, fatto l esame mi-
croscopico, si notano molte forme distrutte e libere nel plasma.
nell'uomo e negli animali 65
Esperienza IV.--Colomba— Sangue con prevalenza di forme se-
milunari.
Iniezione di 2 cc. Al reperto, dopo due ore dall’ iniezione, nes-
suna modificazione delle forme osservate. La dimane, iniezione
di 2 cc. il reperto è analogo al precedente. Il terzo giorno la co-
lomba è sofferente. S'iniettano altri 2 ce: reperto del sangue in
nulla modificato, nè nel numero nè nella forma dei parasiti. Il quarto
giorno l’animale si trova morto. Reperto emoparasitico analogo ai
precedenti.
Esperienza V.— Colomba --Sangue con prevalenza di forme semi-
lunari.
Iniezione di mezzo cc. di soluzione, per cinque giorni; reperto del
sangue simile a quello prima delle iniezioni. Imdi iniezione di 1 c.c.
per altri 6 giorni. Il reperto del sangue sempre costante. Infine
iniezione di cc. 1/ per altri 5 giorni. Le semilune in massima
non sì sono modificate, però qualcuna si mostra più rigonfia più
trasparente.
Via endovenosa — Esperienza VI.— Colomba —Sangue con
invasione parasitaria in tutti gli stadì: forme rotonde, ovali, semi-
lune, endoglobulari e libere. Iniezione di 1 c.c. di soluzione nella
vena superficiale dell’ ala destra. Dopo due ore, dopo sei, dopo
ventiquattro ore, nessun cambiamento apprezzabile nel reperto del
sangue. Dopo 36 ore, s’ inietta cc. 1 nella vena dell’ ala sinistra.
Reperto del sangue dopo alcune ore dall’iniezione analogo al pre-
cedente. Per due giorni consecutivi si lascia in riposo | animale.
Il quinto giorno sì trova morto per cause indipendenti dall’ inocu-
lazione. Nel reperto del sangue nulla di nuovo.
Esperienza VIIL— Colomba —Sangue con prevalenza di forme se-
milunari, endoglobulari con e senza pigmento ; poche forme ovali.
Iniezione di 2 cc. di soluzione nella vena dell’ ala. Il reperto del
sangue dopo alcune ore non lascia vedere alcuna modificazione
nelle forme osservate. La dimane altra iniezione di 2 cc. nella vena
dell'altra ala. L'animale muore dopo sei ore. All'esame del sangue
AmtI Acc., Vor. VIII, SerIE 4.8 — Memoria I. 9
66 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
si vedono molte forme semilunari libere nel plasma ; molti granuli di
pigmento, molte forme ovali deformate ; le semilune avevano perduto
i loro netti contorni ed erano un po’ opache a bordi deformi.
Esperienza VIIL-— Colomba —Sangue con forme rotonde, piccole,
ovali, endoglobulari. Si fa un'iniezione di 1 cc. nella vena dell’ala
destra. Al reperto dopo 2, 4, 6 ore, nessuna modificazione delle
forme parasitiche del sangue. La dimane iniezione di 1 cc. nella
vena dell’ altra ala. Dopo 1, 3, 5 ore l’ osservazione del sangue è
analoga alla precedente. Si lascia in riposo tre giorni 1 animale ;
in questo tempo il sangue non presenta nulla di anormale.
Si ripete nella stessa vena dell’ ala destra l'iniezione di 1 cc.
Il reperto del sangue fa notare lieve aumento delle forme ovali.
Dopo altri 5 giorni, durante i quali 1’ osservazione giornaliera del
sangue non fece rilevare modificazioni notevoli delle forme parasi-
tiche, s’ iniettò 1 cc. nella vena dell’ ala sinistra, gia operata. Do-
po altri 3 giorni, diminuzione più evidente delle forme parasitari e
rotonde, piccole, e anche relativa diminuzione delle forme ovali.
Via endoperitoneale — Esperienza IX.— Colomba : Sangue
con prevalenza di forme semilunari libere ed endoglobulari con e
senza pigmento, con poche forme ovali — S’ inietta mezzo ce. al
giorno per 3 giorni. Il reperto del sangue dopo 2, 4, 6, e 24 ore
dall’iniezione è analogo a quello prima delle iniezioni. Per altri tre
giorni, iniezione di 1 cc. I reperto del sangue non si mostra in
nulla modificato.
EsperIENzA X.—Colomba—Sangue con forme parasitarie in tut-
te le fasi di sviluppo. Iniezione di 1 cc. di soluzione. Dopo 1, 2,
4, 6 ore, nessuna modificazione delle forme parasitarie. Il 2° gior-
no nuova iniezione di 1 cc. Il reperto del sangue si mostra ana-
logo al precedente.
Si lascia in riposo per due giorni | animale. Al 5° giorno,
terza iniezione di 1 cc. Il reperto del sangue non si mostra mo-
dificato. Al 7° giorno, quarta iniezione di 1 cc. Al reperto del san-
gue si nota una diminuzione delle forme rotonde. Al 9° giorno
IRAZIIRICT "
nell’ uomo e negli animali 67
quinta iniezione di 1 cc.; diminuzione delle forme parasitarie sem-
pre più marcata : al 12° giorno forme semilunari soltanto e in poca
quantità : si pratica una sesta iniezione di 1 ce.—Per altri 10 gior-
ni, durante i quali si fecero sempre con l'intervallo di un giorno
altre 5 iniezioni di 1 cc. ciascuna, il reperto delle forme emopa-
rasitiche non venne a modificarsi.
Esperienza XI.—Colomba—Sangue con forme parasitarie in tut-
te le fasi di sviluppo. Iniezione di 2 cc. di soluzione. Reperto del
sangue dopo 2, 4, 8, 12, 24 ore, sempre identico a quello avuto
prima dell’ iniezione. La dimane nuova iniezione di altri 2 ce.; il
reperto del sangue non sembra modificato. Il terzo giorno , terza
iniezione di 2 cc. Nel sangue le stesse forme parasitarie, senza
nessuna modificazione e senza veruna diminuzione: | animale al
4° giorno si trova morto. Il reperto del sangue non mostra nulla
di notevole.
Esperienza. XI. —Colomba—Sangue con pochissime forme ro-
tonde ed ovali piccole.
Iniezione di 1 cc. di soluzione. Dopo 2, 6, 16 ore, reperto
del sangue simile a quello prima dell’ iniezione. Il secondo giorno,
seconda iniezione di 1 cc. Il reperto del sangue, analogo al prece-
dente. Il terzo giorno, s’ iniettano 1 1/0 ce. Le forme ovali si mo-
strano più ingrossate. Al quinto giorno, quarta inoculazione di 1 1/9
cc: reperto del sangue sempre costante. Al settimo giorno, quinta
inoculazione di 14/5 cc. All’ esame del sangue le forme rotonde
sono diventate rarissime, anche poche sono le forme ovali. Al 10°
giorno un’ ultima iniezione di 2 ce. il reperto del sangue mostra
le sole forme ovali.
2). ARSENICO.
All’ arsenico le colombe resistono poco. Le mie esperienze non
sono nemmanco molte. Si limitano a tre per la via digestiva , tre
per la sottocutanea, due per la via endovenosa, due per la via ad-
dominale.
68 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Via digestiva—Esprrienza J.—Colomba—Sangue con forme
semilunari in prevalenza: esse non sono anche molte. S’ introduce
per la bocca mezzo cc. della soluzione forte. La dimane il reper-
to del sangue non è punto modificato : si introduce per la bocca
1 cc. della predetta soluzione. Il terzo giorno nel sangue si la-
sciano vedere le stesse forme : si fa ingerire ancora 1 cc. Il quar-
to giorno sì lascia in riposo l'animale. Il quinto giorno il reperto
del sangue è analogo ai precedenti: si fa ingerire all'animale 1 cc.
di liquido. Il sesto giorno il reperto del sangue è analogo. Dopo
ingestione di 2 cc. di soluzione Vl’ animale muore.
Esperienza IL — Colomba —Sangue con forme rotonde ed ovali
piccole, qualcuna di queste con pigmento—Ingestione quotidiana
di mezzo cent. cub. della soluzione debole per 20 giorni.
L'esame del sangue è sempre identico per i primi sei giorni,
indi predominanza di forme ovali; verso il quindicesimo giorno,
comparsa di qualche forma semilunare. L’ animale vive per altri 10
giorni, durante i quali si fanno ingerire altri 5 cc. di soluzione.
Esso si trova morto, ma nel sangue non si riscontra altro che
prevalenza di forme ovali, scarse anch’ esse e qualche semiluna.
Esperienza II. — Colomba -Sangue con invasione parasitaria in
tutti gli stadîì di sviluppo. Ingestione di 2 cc. della soluzione forte.
La dimane il reperto del sangue è analogo a quello del giorno
prima. L’ animale ingerisce altri 2 cc. di soluzione, e il reperto
del sangue non cambia. Il terzo giorno l’ animale ingerisce altri 2
ce. di soluzione. Dopo alcune ore si trova morto. Il reperto del
sangue fa notare le forme rotonde scarsissime , più numerose le
ovali, qualche semiluna. Nessuna modificazione nella forma dei pa-
rasiti.
Via ipodermica — Esperienza IV.— Colomba —Sangue con
forme parasitarie in tutti gli stadî. Inoculazione per cinque giorni
di 1 cc. della soluzione debole: nessuna modificazione nel reper-
to del sangue. Altra inoculazione quotidiana di 2. cc. per cinque
giorni : il reperto del sangue mostra diminuzione progressiva delle
nell’ uomo e negli animali 69
forme rotonde. Inoculazione per altri due giorni di due cc. di so-
luzione. Al 13° giorno l'animale si trova morto. Nel sangue si
riscontrano molte forme ovali, semilune scarse, qualcuna con pro-
toplasma molto pigmentato.
EspeRrIENZA V.—Colomba--Sangue con forme semilunari. Inie-
zione di 2 cc. della soluzione forte. L'animale si mostra sofferen-
te. La dimane, iniezione di altri 3 cc. di essa. L'animale muore
dopo quattro ore. Il reperto del sangue non si mostra molto mo-
dificato. Le semilune sembrano col protoplasma un po’ granuloso.
EsperIENzA VI.--Colomba—Sangue con prevalenza di forme se-
milunari.
S’ iniettano sei centimetri cubici della soluzione forte. Alla se-
ra Vl animale muore. L’ osservazione microscopica del sangue dopo
1, 2, 3, 4 ore dall’ iniezione, non fece rilevare nessuna notevole
modificazione nelle forme parasitarie.
Via endovenosa-—-FEsperienza VII. — Colomba — Sangue con
poche forme rotonde piccole, qualcuna ovale. Iniezione nella vena
dell’ala destra di 1 cc. delia soluzione forte. Dopo 2, 4,6 ore nessu-
na modificazione nel reperto del sangue. La dimane nuova iniezione
nella vena dell’ altra ala. Dopo 2, 4 ore, al reperto del sangue si
nota che le forme ovali hanno perduto la omogeneità del proto-
plasma. L'animale si trova morto.
EsperIENzA VIIL— Colomba —Sangue con forme semilunari. Inie-
zione di 1 ce. della soluzione debole (vena dell’ ala destra). Dopo
1, 2, 4, 24 ore il reperto del sangue non appare modificato. Dopo
due giorni di riposo nuova iniezione di 1 cc. (vena dell’ ala sini-
stra). Il reperto del sangue non presenta modificazioni notevoli.
All’ottavo giorno, terza iniezione nella vena dell’ala destra, di 1 cc.
Le semilune non perdono nulla delle loro qualità e forma. Al 12°
giorno, quarta iniezione nella vena dell’ala sinistra di 1 cc. Reper-
to del sangue invariato.
Via endoaddominale— Esperienza IX.— Colomba — Sangue
con poche forme semilunari. Iniezione di 1 cc. della soluzione de-
70 Contributo allo studio dell’infezione malarica sperimentale
bole. Nessuna modificazione nel reperto parasitico del sangue. Al 2°
giorno, seconda iniezione di 1 cc. Reperto del sangue invariabile.
Dal 4° al 10° giorno, iniezione di mezzo ce. della soluzione. Le for-
me semilunari rimangono sempre poche e non modificate.
EspeRIENZa X.— Colomba— Sangue con invasione parasitaria in
tutti gli stadî. Iniezione di 5 cc. di soluzione forte. Dopo 1, 2 ore,
l'osservazione del sangue non mostra niente di notevole. L’ ani-
male alla sera si trova morto. Il reperto del sangue si mostrò in-
variato.
3) SUBLIMATO.
Per le colombe, la via migliore e tollerata bene e a lungo è
la sottocutanea. I nostri esperimenti si limitano a due per la via
ipodermica, 1 per la via endovenosa, 2 per la cavità addominale.
Via ipodermica — Esperienza I. — Colomba — Sangue con
poche semilune. Iniezione di mezzo cent. cub. della soluzione de-
bole. Al reperto del sangue dopo 2, 4, 6, 24 ore, permanenza del-
le forme predette. Per otto giorni si continua la iniezione di mez-
zo ce. della detta soluzione. Al reperto del sangue le semilune
non si mostrano punto modificate. Si continua in questo trattamen-
to fino a 14 giorni. L’ animale muore, e il reperto del sangue si
mantiene costante.
Esperimento Il.— Colomba —Sangue con forme rotonde, piccole,
ed endoglobulari: qualche forma ovale. Iniezione di due centimetri
cubici della soluzione debole. Il reperto del sangue non è punto mo-
dificato. Al 2° giorno iniezione di altri 2 cc. della soluzione pre-
detta. Il reperto del sangue analogo al precedente. Al 3° giorno,
terza iniezione di 2 cc.; reperto del sangue sempre immutato. Do-
po due giorni di riposo l’ esame del sangue fa notare prevalenza
di forme ovali e qualcuna pigmentata. S’ iniettano allora 2 cc. del-
la soluzione forte. L’ animale muore : il reperto del sangue lascia
notare oltre le forme ovali pigmentate, qualche semiluna.
nell’ uomo e negli animali 71
Via endovenosa— Esperienza HI--Colomba — Sangue con
poche forme semilunari. Iniezione nell’ ala destra di 1 ce. della so-
luzione debole. Dopo 2, 6 ore, il reperto del sangue non si mostra
modificato. Il terzo giorno iniezione nell’ ala sinistra di due cc.
della soluzione forte. Dopo 1, 2, 6 ore, il reperto del sangue è
analogo ai precedenti. L’ animale al tardi si trova morto.
Via endoaddominale— Esperienza IV-- Colomba - Sangue
con poche forme endoglobulari, piccole, rotonde. Mmiezione di 1 cc.
della soluzione debole per tre giorni. Il reperto del sangue non
varia. Iniezione di 1 !/o cc. della detta soluzione per altri due giorni.
Il reperto del sangue è sempre costante. Dopo 3 giorni di riposo
iniezione di 1 cc. All'esame del sangue, oltre le forme rotonde si
notano anche delle forme ovali, qualcuna pigmentata. Dopo altri 5
giorni di riposo s’ inietta altro mezzo cc. della soluzione. Il reper-
to del sangue mostra preponderanza di forme ovali. Dopo altri 3
giorni di riposo, iniezione per 2 giorni di 1 cc. della soluzione. Al
reperto del sangue nessuna modificazione delle forme osservate è
comparsa di semilune.
Esperienza V.— Colomba —Sangue con invasione parasitaria in
tutti gli stadî.
Iniezione di mezzo centim. cub. di soluzione forte. Reperto
del sangue immutato. Il 2° giorno altro. mezzo centim. cub. Il re-
perto del sangue sempre invariato. Al quarto giorno , iniezione di
1 cc. Dopo 2, 4, 6 ore, il reperto è sempre analogo ai precedenti.
Al 5 giorno iniezione di 2 cc. Dopo 2, 4, 6 ore, il reperto del
sangue mostra una diminuzione notevole delle forme rotonde ed
ovali. Nessuna modificazione nel contenuto delle forme parasitiche
esistenti. L’ animale muore.
Credo utile intanto riassumere gli esperimenti nella seguente
tabella per vagliare meglio le conclusioni, alle quali ci fanno veni-
re i risultati ottenuti :
dell’ esperienza
MoDIFICAZIONI
del sangue
dopo l'iniezione
Esito
dell'animale
i
nessuna modificazione |-|(mortg)
sembra diminuito il t
numero delle forme
rotonde e ovali
molte forme ovali
sh
+
nessuna modificazione
id.
id. 1}
forme ovali e semilu-
ne deformate
diminuzione delle for-
me rotonde ed ovali
nessuna modificazione
forme rotonde scarse
nessuna modificazione i
prevalenza di forme
ovali
nessuna modificazione
forme ovali, qualche
semiluna
nessuna modificazione
forme ovali , semilu-
ne scarse
nessuna modificazione
id.
aumento di forme o-
vali
nessuna modificazione
forme ovali, semilune
diminuzione di tutte
72 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Tentativi terapeutici.
e 3 22
5 R AvnimaLe | FARMACO REPERTO DEL SANGUE VIA Si 5
Ra no ‘ima dell’ iniezi Siniezione I
Da 5 roculato | inoculato |prima de iniezione] d'iniezione ZE
1 | Colomba| Chinina | forme ovali, semilunari, endo- | ipodermica 7
globulari e libere
2 n È forme rotonde, ovali, qual- r 10
che semiluna
3 "i È forme rotonde , ovali, rare A "
semilune
i ci PI prevalenza di forme semilu- » 4
z nari
Di) ” 3; prevalenza di semilune - 15
6 si 3 forme rotonde, ovali, semi- | endovenosa 5
lune
7 ” ; prevalenza di semilune en- "i 2
doglobulari
3 » ” forme rotonde, piccole ed o- F 13
vali
9 » 5 prevalenza di semilune addominale 6
10) ” 5 forme rotonde, ovali, semilune 5 22
11 > 5 forme rotonde, ovali semi- 3 4
lune
12 % ; scarse forme rotonde ed ovali a 10
13 x Arsenico | scarse semilune, scarsissime | digestiva 6
forme ovali
14 È P forme rotonde, ovali ni 25
15 » s forme rotonde, ovali, semi- A 3
lune
16 » n forme rotonde, ovali, semi- | ipodermica | 12
lune
17 x n prevalenza di semilune a 9
18 A 7 prevalenza di semilune > li
19 » È scarse forme rotonde ed ovali | endovenosa 2
20 5 A forme semilunari 2 12
21 È 9 forme semilunari scarse addominale | 10
22 A — forme rotonde, ovali, semilune A 1
23 n Sublimato | poche forme semilunari ipodermica | 14
24 > È forme rotonde, scarse forme È 5
ovali
25 5 3: scarse forme semilunari endovenosa 3
26 n a scarse forme rotonde addominale 18
27 Di > forme rotonde, ovali, semi- 3 5
lune
le forme
Compendiati così i risultati, ottenuti in questa serie di tenta-
tivi terapeutici, noi possiamo venire ad alcune considerazioni che
ci permettono qualche conclusione.
Nell’indirizzo che si diede alle ricerche predette, si badò dap-
prima di introdurre il farmaco nell’ animale per le diverse vie, al-
nell'uomo e negli animali (3
lo scopo di vedere se per avventura per qualcuna di essa quello
sì mostrasse più attivo. Ad uguale quantità e dose, lo esperimento
ci ha ammaestrato, che relativamente agli emoparasiti delle colom-
be, l’azione del farmaco per le diverse vie è quasi uguale, facendosi
solo qualche riserva per le forti dosi introdotte per la via venosa.
Abbiamo poi avuto di mira di fare agire il farmaco a dosi di-
verse, deboli, medie, forti ; e sempre questo metodo, a parità di do-
se, è stato tenuto nella introduzione del farmaco per le diverse vie,
allo scopo di vedere come esso si comportasse in rapporto alla
sua intensità sugli emoparasiti. Non abbiamo in ciò perduto di vi-
sta, anche per la colomba, quel certo criterio del suo peso in rap-
porto alla quantità del farmaco da introdurre. Abbiamo così avuto
dei casi di animali a morte rapida, a media durata, a lunga du-
rata, e i casi di animali rimasti in vita. L’ esperimento ci ha di-
mostrato che la diversa intensità della dose del farmaco non ha
spiegato nessuna influenza sulle forme parasitarie, perchè le dosi
piccole e continuate per lungo tempo hanno mostrato azione ana-
loga alle dosi medie e alle dosi forti amministrate per breve
tempo.
Molte volte il reperto degli emoparasiti, alla fine della durata
dell’ esperimento, è sembrato diverso da quello fatto prima della
somministrazione del farmaco. E ciò si è verificato specialmente
nelle esperienze a durata media o lunga di tempo. Queste differen-
ze però non ci hanno impressionato menomamente, perchè riferi-
biti alle fasi d’evoluzione che presenta l’emoparasita nel suo ciclo
di vita, indipendentemente dall’ azione di ogni farmaco.
A questo concetto eravamo poi condotti dallo studio sullo svi-
luppo di questi emoparasiti nel sangue, oramai conosciuto per le
ricerche di Celli, Sanfelice, Grassi, Feletti ecc. e poi perchè le stes-
se variazioni si notavano anche in quegli animali di controllo, che
si lasciavano apposta senza inocularli.
Noi nelle nostre osservazioni tenevamo conto delle modifica-
zioni intime del parasita e propriamente di quelle che si riferisco-
no alla forma, al contenuto protoplasmatico, al nucleo, al pigmen-
AmTI Acc., Von. VIII, Serie 4.8 — Memoria I. 10
14 Contributo allo studio dell’infezione malarica sperimentale
to, ecc. ma di queste modificazioni non ne abbiamo osservato, che
alcune poche e trascurabili.
È bensì vero che qualche volta, durante la cura si notò una
diminuzione forte delle forme parasitarie esistenti; ma anche questa
diminuzione non la riferimmo sul conto dell’azione del farmaco ;
dopochè sappiamo che nelle colombe si può avere ora una vera
invasione di parasiti e più tardi una scomparsa perfetta, indipen-
dentemente da ogni cura.
Dei farmaci adoperati, nessuno mostrò una specificità nel sen-
so propriamente detto, e nemmanco | uno mostrò una maggiore
efficacia dell’ altro.
Celli e Sanfelice, come abbiamo detto, i soli che istituirono
ricerche in proposito, ottennero, è vero, risultati anch’ essi negati-
vi per i farmaci da loro adoperati, liquore arsenicale, antipirina ,
acido fosforico, carbonato di soda; ed in ciò i nostri risultati con-
fermano i loro ed estendono il concetto generale della inefficacia
dei predetti rimedî sugli emoparasiti degli uccelli; però i sullodati
ricercatori intendono fare qualche eccezione pel chinino, al quale
attribuiscono la proprietà di fare diventare rotonde le forme allun-
gate, paralizzandone insomma i movimenti, come per i veri emo-
parasiti della malaria dell’ uomo.
Io non ho avuto la fortuna di notare il predetto fenomeno,
benchè avessi condotte molte e pazienti osservazioni in proposito;
può darsi però che l’ argomento debba essere più approfondito.
Così in seguito ai risultati delle mie esperienze e per le con-
siderazioni predette inclino ad ammettere che i tentativi terapeuti-
ci con i farmaci studiati, riescono inefficaci a modificare sensibil-
mente la forma, o ad attenuare o distruggere la resistenza e la vi-
talità degli emoparasiti degli uccelli. E quando si pon mente che i
farmaci sperimentati sono di tanta utilità ed efficacia nell’infezione
malarica dell’uomo, mentre poi si mostrano tanti inutili per gli
emoparasiti degli uccelli, si rimane inclinati a ritenere che il criterio
terapeutico non conforta affatto il concetto della identità delle due
classi di emoparasiti.
nell’ uomo e negli animali 75
c) INFEZIONI SPERIMENTALI.
L'infezione malarica artificiale degli animali, come abbiamo
detto, è stata preoccupazione speciale degli studiosi dell'argomento.
Per Danilewsky rappresenta l esperimento cardinale, poichè è in
base ad esso che egli crede doversi avere la vera prova della iden-
tità patologica delle due specie di ematozoarî. Cosicchè di buon a-
nimo condussi una lunga serie di esperimenti per portare il mio
contributo alla questione.
Come già abbiamo detto, gli osservatori che hanno pubblicato
sull’ argomento prima di me sono Celli e Sanfelice: contemporanea-
mente a me Grassi e Feletti e posteriormente il Laveran. I risultati
come abbiamo accennato sono stati discordi. Grassi e Feletti per es.
per giustificare quelli loro negativi, obiettano ai colleghi di Roma
che nelle loro esperienze non hanno esaminato per un discreto nu-
mero di giorni prima della inoculazione il sangue delle colombe che
dovevano essere inoculate ; poichè l’esame del sangue, fatto sol per
qualche giorno prima e dopo l' inoculazione, lascia ampio sospetto
che l’ infezione nell’ animale preesistesse alla inoculazione.
L’ obiezione non è certamente priva di peso, specialmente se
si pensa al fatto che questi animali come già si è rilevato possono ap-
parentemente sembrare immuni e magari temporaneamente non pre-
sentare nel sangue alcuna forma di parasiti, per poi più tardi mo-
strarne anche in quantità. Il Laveran poì non va esente nemman-
co di queste obiezioni tanto per i suoi esperimenti sulle colombe ,
quanto per quelli sulle allodole.
Nella divergenza della questione credo utile di esporre breve-
mente la lunga serie di esperienze che ho condotto.
Le mie colombe, prima di dichiararle sane, venivano soggette
per un tempo non inferiore ai 20 giorni all'esame accurato del
sangue. Anche il sangue delle colombe infette veniva accuratamen-
te esaminato per più giorni prima che venisse inoculato, e ciò allo
scopo di prender conoscenza delle forme, del numero dei parasiti
76 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
esistenti ecc. Mediante siringa di Pravaz o di Tursini, dalla vena
ascellare della colomba infetta si aspirava una quantità necessaria
di sangue per essere iniettata. Le vie di iniezioni scelte sono state
la ipodermica, in uno o più punti del dorso, preparati colle solite
cautele asettiche; la via endovenosa, in una delle vene delle ali o
nella giugulare; la via endoaddominale, e la via endotoracica, pene-
trando in questa ultima con Vl ago della siringa dalla parte dorsale, al
limite esterno della colonna vertebrale.
Per questa inoculazione toracica si sono avuti, specialmente
nelle prime esperienze, alcuni insuccessi di morte dell’ animale, do-
vuti al metodo operatorio.
Celli e Sanfelice, nelle loro esperienze, invece di ricavare il
sangue infetto direttamente dai vasi con siringa di Pravaz, per
rapidamente inocularlo negli animali sani, temendo giustamente la
rapida coagulazione del sangue, ed anche per averne sufficiente
quantità hanno preferito il seguente metodo : salasso di una vena
giugulare , raccolta del sangue in recipiente di vetro sterilizzato
con palline di vetro e tenuto in stufa a 37°; indi agitamento forte
del sangue per qualche minuto. Così operando resta alla superficie
un liquido, un siero molto colorato per globuli rossi, contenenti pa-
rasiti con apparenze normali.
In base ai loro risultati essi sono al caso di asserire che la
via più possibile per l’ infezione è la intrapolmonare.
Abbiamo perciò voluto, oltre le nostre esperienze, condotte coi
metodi comuni già accennati, intraprendere altre esperienze, ripe-
tendo il metodo scelto dagli autori precitati e seguire anche la
stessa via d’inoculazione, per metterci nelle loro identiche condi-
zioni.
Per non trascrivere dal Giornale del Laboratorio le numerose
esperienze che ci porterebbero molto alla lunga, ci limitiamo com-
pendiarle nelle seguenti tabelle. Esse sono 18 per la via ipodermica
35 per la via endovenosa, 12 per la via intrapolmonare, 6 per la
via intraddominale, 12 col metodo Celli Sanfelice. In tutto 33 espe-
rimenti.
nell’ uomo e negli animali
164
In tutti gli animali, dopo inoculati si conduceva | esame ri-
goroso del sangue per un tempo piuttosto lungo, come del resto
meglio rilevasi dai quadri riassuntivi.
um. degli
esperimenti
$
DORAIADITPUNH
. degli
esperimenti
Num.
o a » 0 E |
Iniezioni
I. Via ipodermica.
sperimentali
Quantità Durata Risult
ANIMALE REPERTO DEL SANGUE INFETTO SLA È sultato
di dell’ osser- della
; . : 4 sangue vazione sserva-
di esperimento da inocularsi i BEGSO È 3 IR
inoculato|in giorni zione
Colomba sana Prevalenza di forme semilunari ce. 2 26 Negativo
> id. 2; 32 id.
È id. 2 28 id.
Ù id. 3 20 id.
E: id. 3 25 id.
5 id. 4 4 id.
x; i id. 4 35 id.
n Sole forme semilunari . 5 30 id.
D id. 5 35 id.
» id. d) 40) id.
n id. D 36 id.
È. id. 0) 92 id.
” id. 2 28 id.
x id. 2 26 id.
+ id. 4 51 id.
È, Forme rotonde ed ovali Ò 35 id.
a id. 4 29 id.
E id. 2 26 id.
II. Via endoaddominale.
Quantità Durata Risultato
ANIMALE REPERTO DEL SANGUE INFETTO "gd ; :
OAVRARASO hi di dell’ osser- della
5 - ? : sang azì sSserva-
di esperimento da inocularsi IRPI RA ORI ia
inoculatolin giorni] zione
Colomba sana Forme rotonde, ovali, semilune . ce. 3 22 Negativo
# id. 4 29 id.
A Sole forme rotonde . 4 35 id.
A id. 5 40 id.
> Sole forme semilunari . 5 60 id.
id. 2 90 id.
3 giorni
78 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
III. Via endovenosa.
sE Quantità Durata Risultato
[R0O ANIMALE Reperto del sangue infetto di dell’ osser-
g3 di esperimento da inocularsi sangue vazione Sa
zi © inoculatojin giorni osservazione
1 |Colomba sana) Forme ovali e semilune . CCA 24 Negativo
2 5 id. 1 28 id.
3 È id. 2 26 id.
4 " id. 2 30 id.
5 E, id. 3 45 Presenza di alcune
forme fino a 28 ore
6 ” Prevalenza di semilune 28 Negativo
fi Hi id. 1 30 id.
le) » id. 1 32 id.
È) SI id. sl d9 id.
10 si id. 3 49 Presenza di poche
semilune fino a 24
ore
1l Po id. 3 36 id.
12 h Forme rotonde ed ovali . 1 15 Negativo
13 n id. 2 8 id.
14 ” id. 2 18 id.
1 Ea) » id. 2 34 id.
16 îi id. d 02 Presenza di qualche
forma sino a 2 ore
Lr; q) Sole forme semilunari. Ii 24 Negativo
18 3 id. 2 25 id.
19 % id. 3 30 id.
20 Ri id. 28 Presenza di forme
fino a 4 ore
21 = id. 1 19 Negativo
22 pi id. 1 40 id.
23 ” Forme in tutti gli stadî. 1 35 id.
24 n id. 1 38 id.
25 > id. 2 29 id.
26 % id. 2 45 id.
ON i id. 3 40 Presenza di qualche
forma fino a 3 ore
28 2a id. 32 Negativo
da 29-35) Colombe 7 | Forme semilunari 35 da 1 ora a | Morte per trauma
operatorio.
nell’ uomo e negli animali
Tee,
IV. Via intrapolmonale
=== = _—_—_—— ———_____—_—TT_T_—T—T—T——————_—__—m
Da o > È : ì Quantità | Durata x
4 2 Animale REPERTO DEL SANGUE INFETTO AMBRA RISULTATO
ER di di sangue Si
3 S| esperimento da inocularsi Jell'osser: dell’osservazionte
>sper { sulars . . |dell'osservazione
2 © I inoculato | vazione
D
1 | Colombasana Forme rotonde ed ovali Cicli 16 Negativo
O n idem 5 6 ore Morte
3 1a idem 2 24 Negativo
4 si Forme prevalenti semilunari 2 20 id.
5 di idem 1 30 id.
6 " idem 1 45 id.
7 i Sole forme piccole rotonde £ 2 ore Morte
8 > idem 2 15 Negativo
9 35 idem i 28 id.
10 RS idem di 36 id.
11 "A Sole forme semilunari 5) 1 ora Morte
12 " idem 1 lora id.
V. Via intrapolmonale--Metodo Celli e Sanfelice
È Quantità | Durata
= . antità re
2.4 ®| Animale REPERTO DEL SANGUE INFETTO î ARRE RAC RISULTATO
SH È ; SIA FO OrNI
E Da di di sangue dGlaseoi
Bua ego g DE. + . SSer- | RAR Rive, AL
esperimento da inocularsi ? ; dell'osservazione
ZA i 3 inoculato | vazione ì
(sb)
1 |Colomba sana Sole forme rotonde piccole 1 36 Negativo
2 >, idem 40 id.
3 > Prevalenza di forme semilunari | 1 28 id.
4 vo idem 2 40 id.
5 ” idem 3 49 id.
6 n idem 5 1 ora Morte
7 ” Forme ovali e semilune 1 29 Negativo
8 " idem 2 38 id.
9 sm idem il 28 id.
10 3 Forme in tutti gli stadî 2 1 ora Morte
11 ” idem 1 36 Negativo
12 idem 1 48 id.
80 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Basta dare uno sguardo alle precedenti tabelle per ricavare
facilmente le conclusioni, alle quali conducono i risultati delle espe-
rienze; però è uopo che io ne chiarisca alcuni di essi.
Nella 1% e 2? serie delle inoculazioni per via ipodermica ed
addominale (24 esperimenti) io non ebbi a deplorare nessuna per-
dita di animale, ed ho potuto avere un reperto del sangue delle
colombe sane inoculate costantemente negativo, per tutto il tempo
non breve che esse furono tenute in osservazione.
Nella 38 serie delle inoculazioni endovenose (35 esperimenti)
ho avuto 7 colombe, nelle cui vene s’inoculò una quantità non in-
differente (3-5, cc.) di sangue infetto, che andarono a morire in
un periodo di tempo variabile da 1-2 ore a 3 giorni. Di questi re-
perti di morte non tengo alcun conto, perchè l’insuecesso io 1’ ho
ascritto, come ho avuto ragione di osservare e convincermi, al trau-
ma operatorio e alle sue conseguenze. Ho avuto poi 22 colombe ,
tenute in osservazione per uno spazio piuttosto lungo di tempo ,
nelle quali il reperto del sangue dopo Vl inoculazione fu costante-
mente negativo. È bene accennare che in esse, 1’ esame non potè
esser condotto prima delle 24 ore dopo l’inoculazione. Rimangono in-
fine altri 6 casi nei quali si potè condurre | osservazione, imme-
diatamente dopo fatta Vinoculazione. In questi 6 casi si potè no-
tare la presenza di alcune forme inoculate, durante un periodo di
tempo da qualche ora a 1-2 giorni.
Questi reperti, quasi analoghi a quelli ottenuti da Laveran,
che in seguito alla inoculazione endovenosa potè, su 10 piccioni
inoculati, in 2, fino a 2-3 giorni costatare qualche rara forma pa-
rasitaria endoglobulare che indi subito scomparve, non devono con-
siderarsi affatto come casi riusciti, per diverse ragioni che facil-
mente si comprendono , e fra le quali quella che in un caso di
inoculazione riuscita, le dette forme già scarse per sè, non dovreb-
bero dopo un brevissimo periodo di tempo scomparire, ma invece
persistere per un tempo più lungo e seguire le loro fasi naturali
di sviluppo. A parte poi dell’altro fatto non meno importante, che
penetrati questi emoparasiti nel circolo non presentano alcun in.
nell’ uomo e negli animali 81
dizio di periodo d’incubazione, come gli emoparasiti malarici; e si
può invece pensare al caso più banale che penetrando nel sangue
con la inoculazione una quantità enorme di questi emoparasiti, non
tutti possono venire distrutti ugualmente e in brevissimo tempo.
Del resto noi ancora ignoriamo completamente le cause per le quali
le colombe (inoculate coi metodi comuni ) presentano una immu-
nità all’infezione artificiale, per un genere di parasiti a loro comu-
ni nell’infezione naturale.
Abbiamo poi nella 4 serie di ricerche per via endopolmona-
le 12 esperimenti, dei quali se togli 4 casì d’ insuccesso, ne ri-
mangono altri 8, il cui risultato fu conforme agli altri, cioè negativo.
Nella 52 serie abbiamo gli altri 12 esperimenti condotti col
metodo di Celli e Sanfelice; dei quali esperimenti, tolti due casi
d’ insuccesso, rimangono altri 10 casì, nei quali il risultato fu con-
forme agli altri, cioè negativo.
Cosicchè ricapitolando, nei nostri non pochi esperimenti (83)
il risultato è stato sempre costantemente negativo. Ma con questa
conclusione basata soprai predetti nostri esperimenti negativi e su 24
di Grassi e Feletti, anch’ essì negativi e che uniti assieme supera-
no il centinaio, non intendiamo infirmare i pochi positivi (3 su 6)
ottenuti da Celli e Sanfelice, o qualche altro del Laveran, creduto
da lui positivo, poichè non si deve assolutamente escludere che da-
te certe condizioni che noi ignoriamo e che per ora ci sfuggono
gli animali potranno anch’ essi pigliare l’ infezione artificiale per via
dell’ inoculazione del sangue infetto. Epperò crediamo che sareb-
bero utili in proposito da parte dei fortunati autori altre esperienze,
tendenti a rischiarare il suaccennato concetto, purchè ben inteso ,
nuovi esperimenti siano al coverto da ogni obiezione e in specie da
quelle a loro già state mosse e da noi più in alto rassegnate.
La conclusione intanto che le nostre esperienze ci permettono
di tirare è abbastanza evidente : cioè che non è possibile la tras-
missione dell’ infezione parasitaria nelle colombe sane per mezzo
della inoculazione di sangue di colombe infette, qualunque sia la
via per la quale questa infezione venga a tentarsi.
ATTI Acc., Vor. VIII, Serie 4.8 — Memoria I. Il
82 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Questa conclusione ci porta ad un’ osservazione che si lega
alla questione generale della non identità delle due specie parasi-
tarie sotto il rapporto patologico. Se è possibile infatti trasmettere
nell’ infezione malarica, l’ infezione da individuo ad individuo per
mezzo del sangue, e se lo stesso risultato non s’ ottiene con gli
emoparasiti degli uccelli, con la inoculazione del sangue da animale
ad animale (colomba), bisogna pur convenire che il fondamento su
cui deve basarsi il concetto del criterio patalogico per la voluta
identità manca completamente.
SERIE Il?
Gli esperimenti della 18 serie, quelli dell’ infezione artificiale
in ispecie, non riflettono che solo unilateralmente il concetto della
identità, sostenuta dal Danilewsky; e da ciò la necessità di una
seconda serie di ricerche che io chiamo (sit venia verbo) la parte
epidemiologica del problema, comprendente lo studio della questio-
ne localistica e la sua influenza nella diffusione della infezione, pa-
ragonata ben inteso ai fattori conosciuti dell’infezione malarica del-
l’uomo. A questo modo soltanto |’ argomento poteva essere più
completamente studiato.
a) INFLUENZA LOCALISTICA NELLA INFEZIONE NATURALE DELLE COLOMBE.
Dove pigliano le colombe l infezione parasitaria?
È questa la prima domanda che s’ impone allo spirito, e la
cui risposta del resto può esser di molta luce alla questione.
Data l’ ipotesi della identità dei parasiti degli uccelli con quel-
li malarici dell’ uomo, bisogna a prima giunta pensare che i detti
parasiti si debbano trovare nei luoghi malarici. A tale uopo le pri-
me esperienze che abbiamo fatto consistono nell’ osservazione pro-
lungata del sangue di colombe domestiche allevate e cresciute in
luoghi malarici; ed indi come ricerca di controllo 1’ osservazione
nell’ uomo e negli animali 83
analoga del sangue di colombe domestiche nate ed allevate in cit-
tà, in luoghi salubri, e in quei centri sani, ritenuti immuni da
malaria.
Per lo studio della prima parte, mi sono appositamente reca-
to in diversi luoghi malarici, durante la stagione fortemente malarica
e durante la buona stagione. Ho preferito di condurre le mie os-
servazioni sul posto, direttamente nelle località malariche, anzichè
trasportare le colombe di quei luoghi in città; e ciò per mettermi
al possibile riparo dell’ obiezione, che nel caso di reperto negativo,
questo non si potesse legare all’ influenza del nuovo ambiente e della
cambiata residenza, o al regime diverso di allevamento e di vita.
Per la seconda parte studiavamo le colombe domestiche, com-
prate nei diversi quartieri della città, ed altre comprate in punti
lontani nella campagna sopra la Barriera del Bosco, veri luoghi
saluberrimi.
Erano anche necessarì gli esperimenti di controprova, per lo
studio del modo di comportarsi delle colombe sane di luoghi sani
in luoghi malarici, e delle colombe sane di luoghi malarici in luo-
ghi salubri.
Le colombe che abbiamo esaminato per questa serie di ricer-
che nei diversi luoghi e nelle diverse stagioni, e durante tre anni
sono moltissime. Ho raccolto un protocollo voluminoso delle osser-
vazioni fatte in questa occasione : e molte di esse saranno argo-
mento di un altro lavoro sur una questione affine.
Tolgo quindi dal Giornale del Laboratorio soltanto quelle ri-
cerche che servono per il presente studio.
Fortunatamente nella grande maggioranza dei casì i parasiti
degli uccelli nelle preparazioni microscopiche di sangue, a fresco ,
risaltano facilmente all’ occhio; e l’ osservazione si rende, per così
dire relativamente facile, per chi ha Vl occhio abituato a questo ge-
nere di ricerche; e richiede quindi poco tempo specialmente quan-
do si ha a disposizione un aiuto intelligente.
D’ altro lato le colombe nei nostri luoghi abbondano e le si
hanno facilmente a disposizione. Esse si ripartivano in una o due
84 Contributo allo studio dell’infezione malarica sperimentale
schiere, o magari a secondo la quantità in tre o quattro schiere; e
così l osservazione microscopica giornaliera cadeva sopra le colom-
be della prima o della seconda schiera, per ripeterla la dimane su
quelle della terza o quarta schiera. E così ciascuna colomba veni-
va regolarmente ad essere esaminata ogni giorno, o con l’ inter-
vallo di un giorno, e per un discreto periodo di tempo seguita.
Non è del tutto inutile accennare che spesso, e in specie nei
casì dubbì oltre alle semplici preparazioni di sangue a fresco, si
facevano delle preparazioni stabili, che venivano colorite colle co-
muni colorazioni d’ anilina.
1° Colombe di luoghi malarici durante la stagione malarica.
Le colombe, abbondanti nella regione malarica da noi scelta
per questo studio, non provenivano da altri luoghi; erano per co-
sì dire indigene, nate, cresciute nella contrada, allevate in casa e
in cortile, tenute libere o in gabbia.
La contrada malarica di cui parliamo è quella zona di terri-
torio che va compresa fra Acicastello e tutto il litorale di Capo-
molini, zona classificata come fortemente malarica durante la sta-
gione estivo-autunnale. Le colombe esaminate appartenevano alle
cascine sparse della regione (Capo-Molini, Maceratoio di canape e
lino, Molino Nuovo, Rocca tagliata, Metallisa, Torre S. Anna ecc.).
Sovra 70 colombe, seguite metodicamente con l osservazione del
sangue, per tutta la stagione estivo-autunnale nei luoghi predetti ,
io ne ho trovato infette 19, cioè circa il 27 °/o. Esse sono rima-
ste infette, alcune per 1 a 2 mesi, altre per 3 mesi, altre per un
tempo più lungo ancora.
2° Colombe di luoghi malarici durante la stagione invernale.
Sono 60 le colombe studiate e seguite con l osservazione mi-
croscopica del sangue, durante i mesi di Gennaio, Febbraio, Marzo.
Di esse, 10 furono trovate infette; e altre 3 si infettarono verso
nell'uomo e negli animali 85
la fine di Marzo. Abbiamo così in tutto 13 colombe infette, cioè a
dire il 21 °/..
3° Colombe di luoghi salubri (città) durante le diverse stagioni.
Su 66 colombe allevate in città e raccolte in tutti i diversi,
quartieri di essa più o meno salubri, ma ritenuti immuni da ma-
laria se ne sono trovate infette 18, durante la stagione estivo-au-
tunnale cioè il 27, °/0; sovra 48 colombe poi, esaminate durante
la stagione invernale se ne sono trovate infette 9, cioè il 18 9.
Si è trovata una quota maggiore di colombe infette in quelle
allevate libere nei cortili e costrette a procacciarsi il cibo alla gior-
nata, anzichè in quelle allevate in gabbia.
4° Colombe di luoghi saluberrimi (campagna).
Appartengono a questa categoria solo 26 colombe. Nelle cam-
pagne, nelle case coloniche, questi animali sono allevati specialmen-
te nei cortili. Di esse, tenute in osservazione per circa un mese,
7 si trovarono infette, cioè nella regione del 23 0/o.
5° Colombe sane di città trasportate in luoghi malarici
durante la stagione malarica
Si trasportano a Capo Molini nel mese di Agosto, durante la
macerazione del lino, 36 colombe sane, controllate coll’ osservazio-
ne microscopica per molti giorni.
Si stabiliscono delle colonie di colombe in gabbie nei luoghi
adiacenti fortemente malarici, Metallisa, Capo-Molini, Roccatagliata,
diverse Cascine del luogo, entro il magazzino del lino, sull’ orlo delle
vasche di macerazione, sul piano dello stenditojo, sul lino da asciugare
ecc. Dopo circa due mesi di permanenza nei predetti luoghi, durante i
quali Vl esame del sangue, veniva metodicamente praticato ogni uno
o due giorni, otto colombe si mostrarono infette, cioè in rapporto al
29 °/o.
86 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
6° Colombe sane di città trasportate in luoghi malarici
durante la buona stagione.
Nei mesi di Marzo ed Aprile 24 colombe sane, che erano sta-
te qualche tempo in osservazione in città e si erano sempre mostra-
te esenti di emoparasiti sì trasportano nei luoghi predetti (Capo-Mo-
lini, Maceratojo, Cascine sparse, Metallisa ecc.) si dividono a grup-
pi in gabbie.
Dopo un mese già due erano infette; alla fine del secondo
mese, altre tre. Cosicchè in complesso se ne infettarono cinque,
cioè alla ragione del 22 0/0.
7° Colombe sane di luoghi malarici trasportate in luoghi salubri (città).
Si riferiscono a questa osservazione 12 colombe, che fu-
rono raccolte nei diversi luoghi malarici, e indi trasportate nel me-
se di Aprile in Laboratorio, sito in luogo piuttosto elevato e certa-
mente salubre. Per circa due settimane prima mi ero assicurato del-
la loro sanità, con Vl osservazione metodica del sangue. Sei di esse
colombe si lasciano libere in cortile chiuso, altre sei si mettono in
gabbia dentro stalle.
Dopo un mese e mezzo una di quelle libere si è mostrata in-
fetta; e dopo due mesi anche una di quelle della gabbia. In com-
plesso due colombe infette fra dodici, cioè alla ragione del 16 °/o.
8° Colombe sane in luoghi malarici e in luoghi salubri a diverse altezze.
Questi esperimenti erano fatti allo scopo di vedere l’ influenza
dell’ altezza nella propagazione dell’ infezione; cioè se i parasiti
degli uccelli sì trovino più comunemente verso le regioni basse o
le alte del suolo; e ciò per avere dei criterî per stabilire dove con
più probabilità esse colombe possono infettarsi.
In questa osservazione si comprendono colombe sane, allevate
in luoghi salubri della città e in luoghi saluberrimi di campagna,
pere. 2
nell'uomo e negli animali 8°
e colombe sane cresciute ed allevate in luoghi malarici durante la
stagione malarica e durante la buona stagione. Siccome i risultati
sono concordi, così raggruppiamo tutte le esperienze in proposito.
L'osservazione fu continuata per circa 3 mesi.
N. 6 Colombe sane, in luoghi salubri, tenute in gabbia, terrazza, elevaz. m. 24-Nessuna infetta
n 0 A 5 3 > 3 lo 0
» 6 2 L) b) » ” » ti 0
5 6 — 5 n pianterreno , n 0 1
SRO 3, P libere in cortile e O a 0 1
n 6 » in luoghi saluberrimi entro gabbia terrazza > Palo (0)
n 4 ”» » » »” ”» ” 0
» 6 > 5 libere in cortile, pianterreno, 5 0 2
, 0 " in luoghi malarici, entro gabbia A T, 4 16 0)
» 6 ”» » ”» » » Pio. 0
» 6 7 P libere in magazzino 3 EI) 1
Ricapitolando da quanto si è esposto, emerge chiaramente che
le colombe sane possono infettarsi indifferentemente tanto nei luo-
ghi malarici quanto nei luoghi salubri e saluberrimi ; e pare che
la percentuale delle colombe che s’ infettano nei luoghi malarici
non differisca di molto da quella delle colombe che s° infettano in
città e in campagna. Le stagioni sembra invece che mostrino una
certa influenza nell’ infezione delle colombe, essendo la media delle
infette in inverno, inferiore a quella delle infette in estate e in au-
tunno. Un fatto degno di nota è che l infezione è presa più facil-
mente nelle zone basse del terreno che nelle alte ; e ciò fa pen-
sare come probabile che gli emoparasiti delle colombe non possano
nelle condizioni normali dell’ ambiente elevarsi di molto, a causa
della loro grandezza e del loro peso specifico; sebbene non si
escluda la possibilità che essi possano essere trasportati a distanza
e in alto per via dei venti.
Dopo ciò noi crediamo di poter venire alla seguente conclu-
sione generale: che i parasiti degli uccelli (colombe) si trovano
diffusi dappertutto, tanto nei luoghi malarici che nei salubri; e che
l’ infezione non è legata alle condizioni speciali del suolo malarico,
88 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
potendo le colombe nelle loro condizioni naturali di vita, contrarla
in qualunque luogo e in qualsiasi stagione.
resterebbe così quasi nulla 1 influenza localistica specifica nel-
la diffusione dell’ infezione. Ne segue di conseguenza che questi
parasiti si allontanano da quelli malarici anche per le condizioni di
luogo e dell’ ambiente, essendo quelli dell’uomo legati a speciali
condizioni di vita, in luoghi determinati e sotto l’influenza di fattori
conosciuti, mentre invece quelli delle colombe non sono legati a
nessuna delle condizioni predette.
bd) CONVIVENZA DI COLOMBE SANE CON COLOMBE INFETTE.
Se la infezione parasitaria non può trasmettersi per via della
inoculazione del sangue da colomba infetta a colomba sana, non
può dirsi in modo assoluto che non ci siano altre vie di trasmissione
o di contagio. La convivenza che è tanto intima e tanto amorevole
in questi animali, poteva benissimo aprire nuove vie allo studio del-
l'argomento.
Nello studio delle infezioni questo criterio non deve essere
del tutto dimenticato.
Sono note le infezioni nelle stalle, ove insieme ad animali in-
fetti convivono animali sani, che contraggono per diretto contatto.
l’ infezione dei compagni. Sono note le infezioni per mezzo delle
feci, e ie infezioni negli animali che sono costretti di scegliere il
loro cibo fra i materiali di rifiuto di animali infetti; infine assistia-
mo talvolta a casi d’ infezione per convivenza di animali infetti con
i sani, nei quali ci sfugge o non ci riesce molto chiara la via del-
la trasmissione o del contagio.
Pertanto’ allo scopo di portare un contributo all’ argomento ho
intrapreso parecchie ricerche in proposito.
In locali salubri (dentro il giardino dell'Istituto) sì tengono tre
grandi gabbie: in una prima ho messo sei colombe infette e sei sane,
in una seconda cinque infette e undici sane, e in una terza sei sane
come controllo. Per evitare le possibili confusioni le colombe infette so-
nell'uomo e negli animali 89
no regolarmente marcate con fucsina alla testa, le sane sono sen-
za tinta.
Per più di due settimane le colombe di esperimento erano già
state oggetto di metodica osservazione microscopica del sangue.
Agli animali si somministrava il cibo alla mattina e al mezzo-
giorno, facendone cadere una porzione sul fondo della gabbia, cioè
sul suolo e una porzione in piccole vaschette. La pulizia delle gab-
bie veniva fatta ogni due, tre giorni. Si rendevano uguali per tut-
ti gli animali le condizioni dell’ esperimento. L' esame del sangue
delle colombe sane si faceva ogni giorno, quello delle infette a ogni
due giorni. Le colombe delle 3 gabbie furono tenute in osserva-
zione per circa tre mesi.
Ecco in breve i risultati. Nella prima gabbia (colombe 6 infet-
te, 6 sane) delle colombe infette 2 mostrarono dopo circa un me-
se una diminuzione notevole delle forme parasitarie, 2 una guari-
gione temporanea, perchè scomparse le forme, ricomparvero dopo
qualche tempo, 2 nulla di notevole. Delle 6 colombe sane convi-
venti, 5 si mantennero normali, una si mostrò infetta dopo circa
due mesi.
Nella seconda gabbia (colombe 5 infette, 11 sane) delle colom-
be infette 2 mostrarono una decrescenza graduale delle forme pa-
rasitarie, 3 nulla di notevole. Delle 11 colombe sane, 10 si man-
tennero normali e una sola dopo un mese e mezzo si mostrò in-
fetta.
Nella terza gabbia di controllo (6 colombe sane) una si mostrò
infetta dopo un mese e mezzo, cinque si mantennero sane.
Come si vede da questo breve resoconto, tanto nella gabbia
di colombe di controllo, quanto nelle due gabbie di colombe sane
confuse con le infette, si ebbero a costatare dei casi d’ infezione ;
come anche qualcuna delle infette guarì temporaneamente.
Ora si devono i nuovi casi d’ infezione sopravvenuti, legare a
qualche via di trasmissione pel fatto della convivenza, o alla possi-
bilità che le colombe sane, indipendentemente dalle altre infette, spe-
cialmente se a pian terreno, possono per se pigliare la infezione ?
AntI Acc., Vo. VIII, Serie 4.2 — Memoria I. 12
90 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Io ammetto la seconda ipotesi; ed invero se si dovesse mettere in
campo la convivenza non si saprebbe spiegare perchè I’ infezione
si limita a un solo animale, perchè questa avviene così tardivamen-
te, e non si saprebbe più conciliare anche 1’ infezione della colom-
ba nella gabbia controllo ; anzi pare che dovrebbe bastare questa
ultima osservazione per togliere ogni altra possibilità.
Concludendo pare che la convivenza delle colombe sane con
‘le infette non abbia alcuna influenza sulla trasmissione dell’ in-
fezione da colomba a colomba, e che essa invece debba ritenersi
come legata alle comuni condizioni di luogo. Il Prof. Grassi mi co-
municava oralmente che identici ai miei sono stati i suoi risultati su
esperienze analoghe da lui fatte sul passeri.
c) INFLUENZA DELLA EREDITÀ SULLA INFEZIONE.
Le superiori esperienze hanno dato luogo ad un altro ordine
di ricerche.
Nel corso di tutte queste esperienze ci era dato trovare spes-
so nelle gabbie ove si tenevano le colombe infette parecchie uova,
A volte si riusciva togliere le uova e le colombe che le avevano
emesse, per la cova. La più gran parte di esse uova però venivano
covate incompletamente ; di un’ altra parte di uova benchè piccola
si poterono avere dei nati morti, o che morivano dopo poco tem-
po, e anche dei piccioni che riuscivano a venir su.
Abbiamo così potuto avere un nuovo materiale formato di uo.
va, nati e piccioni, provenienti ed allevati quest’ ultimi da genitori
infetti, sul quale materiale abbiamo potuto condurre le nostre ricerche.
A questo studio io era condotto da alcune osservazioni fatte in pro-
posito dal Danilewsky. Questo sagace ricercatore aveva potuto no-
tare la presenza di forme parasitarie nel sangue di piccoli nati.
Per spiegare questa infezione che egli chiama ereditaria, am-
mette la possibilità che la trasmissione avvenga durante la forma-
zione dello strato albuminoso, attorno all’ uovo nel tubo di Falloppio.
L’ embrione dell’ ematozoo scappato fortuitamente dal sangue
nell’ uomo e negli animali SI
potrebbe penetrare nel corpo dell’ embrione e nel suo sangue, ove
si può sviluppare.
Ma avendo il Danilewsky più tardi cercato queste forme parasi-
tarie nei nati di varie specie di uccelli ed avendole trovato soltanto
in quelli che ricevono il cibo per l’imbeccatura dei genitori e non
in quelli che possono da sè nutrirsi, corresse la prima ipotesi ed
ammise con maggior probabilità che la trasmissione dell’ infezione
nei casi ordinari debba avvenire col nutrimento imbeccato dai ge-
nitori infetti.
Le esperienze del paragrafo precedente sulla convivenza, fino
a un certo punto non appoggerebbero la seconda ipotesi del Dani-
lewsky; ed essa infatti non viene nemmanco appoggiata dalle osser-
vazioni condotte sui piccioni imbeccati da genitori infetti. L'esame
del sangue di questi novellini, non fece mai riscontrare alcuna for-
ma parasitaria.
Ed anche la prima ipotesi non troverebbe conferma nelle no-
stre osservazioni fatte sulle uova, sugli embrioni, sui nati, nei quali
l’ esame per quanto accurato, è stato negativo.
A dire il vero le nostre esperienze in proposito non sono mol-
te; ma esse però riceverebbero una conferma in osservazioni con-
simili di Grassi e Feletti sui passeri. Mai avrebbero questi osser-
vatori veduto nelle loro ricerche sulle uova in via di sviluppo e
sui novellini, forme parasitarie, mentre le avrebbero riscontrato nel
sangue di quei novellini quasi atti al volo. Cosicchè per questo e
anche per l’ altro fatto che sono molti i genitori infetti e scarsì i
novellini che presentano l infezione, secondo loro dovrebbe esclu-
dersi l'infezione ereditaria e quella per via dell’ allevamento, ed am-
mettersi più razionalmente l’infezione più naturale che è quella da
parte dell’ ambiente.
d) INOCULAZIONI SPERIMENTALI.
La questione fondamentale proposta dal Danilewsky, ma non
cimentata dall’ esperimento, per comprovare la identità degli emo-
parasiti degli uccelli con quelli malarici dell’ uomo, era la inocula-
92 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
zione del sangue d’ uomo malarico in uccelli sani, e del sangue di
uccello infetto in uomo sano. I suoi studî lo inducevano a credere
fermamente che tale prova sperimentale sarebbe stata il vero con-
trollo del concetto della identità e del criterio patologico.
La inoculazione di sangue malarico in diversi animali sani, co-
me abbiamo visto nel corso di questo lavoro è stata da più tempo
tentata senza alcuna riuscita; infatti basta dare uno sguardo alle re-
centi ricerche di Celli e Sanfelice, e di altri, e delle quali abbiamo già
largamente parlato, per vedere quanto tutti questi benemeriti osserva-
tori hanno fatto su larga scala. Oltre ai soliti tentativi con succo di
milza d’individuo morto per perniciosa, col quale succo hanno inocu-
lato i soliti animali di laboratorio (cavie, conigli, topi ecc.) hanno anche
inoculato diverse specie di uccelli, colombe, tortore, civette, verdo-
ni, ma sempre con risultato negativo.
Però pel solo fatto che cambiate le modalità dello esperimen-
to, un risultato negativo, può forse diventare positivo; noi abbia-
mo voluto tentare altre esperienze.
Abbiamo inoculato 16 colombe con sangue proveniente da in-
dividuo malarico, sofferente febbri irregolari ed avente nel sangue
forme semilunari.
L’inoculazione venne fatta in 5 colombe ipodermicamente, in
7 per la via endovenosa, in 4 per la via addominale. Il sangue
dell’ individuo malarico gli fu cavato per via di un piccolo salasso
dalla vena basilica.
Le colombe prima dell’ inoculazione erano state per un paio
di settimane controllate con l’ osservazione microscopica del san-
gue per assicurarmi che esse erano sane. Fatta l’inoculazione ve-
nivano osservate dopo 2, 4, 6, 8 ore e poi regolarmente ogni u-
no o due giorni.
Riassumiamo tutte le nostre esperienze fatte in proposito nel-
la seguente tabella.
nell'uomo e negli animali }
1) Inoculazione di sangue d’ uomo malarico in colombe sane.
da Qualità n SERI
sE Reperto del sangue e quantità | Animale Via pe, IA: . Risultato
SoS 5 x i di della osser-
© di di , Ea della
SA sie 4 a inocula-| vazione i dr
3| dell individuo malarico sangue |esperimento Da ; “ __. | osservazione
4= : zione in giorni
VA) inoculato
1 |Forme semilunari e picco-| Non defibri-| Colomba | ipodermica 30 Negativo
le amebe endoglobulari .| nato cc. 2
2 ” n n 9 3 » 28 ù
3 » » L) 5 » 45 »
4 » i E > 38 i
5 » » » 5 ”» ”» 45 ”
6 D Defibrinato n | endovenosa 20 »
GICHI
7 » ag 5 » 30 »
8 x e x 40 Dopo 4ore for-
ma dubbia di
semiluna che
scompari
9 » » » 11/2 » » 27 Negativo
10 >» Non defibri- 3 Pa 45 3;
nato cc. 1
Li » si . S 30 \
12 ” » » 2 » » 28 »
13 | Forme rotonde pigmentate|Non defibri- È endo addo- 30 ”
nato ce. 1 minale
14 » » » 2 ”» ” 40 ”»
15 5 ez 3 A 36 »
16 ” » ”» 2 Ci) » 45 ”
Come si vede il nostro risultato è stato identico a quello de-
gli altri osservatori, cioè sempre negativo. Una volta sola nelle e-
sperienze per via endovenosa ci parve di vedere dopo 4 ore dal-
l’inoculazione, qualche semiluna con estremi rigonfi ed arrotonda-
ti, ma essa fu considerata come forma in via di distruzione. Dopo
quell’ osservazione non ci fu dato di riscontrarne altre.
Oltre che nelle colombe, come ho da principio detto, sono
state da me fatte altre inoculazioni di sangue malarico in altri a-
nimali, 5 cani, 6 conigli, 6 cavie, 2 gatti, 1 lupo, una scimmia ma
sempre con l’ identico risultato negativo degli altri autori.
94 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Come appendice alle prime io riassumo queste altre esperien-
ze nella seguente tabella.
1°») Inoculazione di sangue malarico in altri animali.
e
So QUEL Via Durata | Risultato
o. reperto del sangue e quantità | Animale nùi se TO
= ; 5 di della osser- della
o di di , 1 , :
È RIZIE: 5 | 2 inocula- azione |osserva-
usi dell’ individuo malarico sangue |esperimento Fac: n Co vi
Da inoculato 5 1
1, 2, 3| Forme parasitiche di |Non defibrî-| Conigli | ipodermica 30 Negativo
quartana nato c.c. 3
4,5, 6 n > 9 È endoaddo- 30 n
minale
7,8,9 si ROMAE Cavie |ipodermica 20 »
10,11,12 Pa 7 d " endoaddo- 26 6)
minale
13,14 E RE) Cani endovenosa 24 5
»” Î
15 Mi È A) A endoaddo- 20 =
mimale
16,17 n n N) 5; trachea 22 si
18 Forme ameboidi e pig- È SRD gatto endovenosa 35 I
mentate {
19 5 a VO gatto ipodermica 28 5
20 n = cia 12 lupo endovenosa 30 5
21 ; so» 2| scimmia |endovenosa 60 3;
La tabella è da per sè evidente, nel risultato costantemente ne-
gativo, e però ritengo inutile diffondermi su essa ulteriormente per
altre illustrazioni.
Tutti questi risultati adunque ci portano alla conclusione ge-
nerale che non è possibile la trasmissione dell’ infezione malarica
da uomo all’ animale, (almeno per le specie già sperimentate) me-
diante la inoculazione di sangue malarico, qualunque sia la via per
la quale si tenti la trasmissione.
2) Inoculazione di sangue di colomba infetta a uomo sano.
A controllo delle superiori esperienze, secondo la veduta del Dani-
lewsky, bisognava istituirne delle altre viceversa, cioè tentare la
inoculazione di sangue di colombe infette in uomo sano. Le diffi-
coltà che s’ incontrano in questo genere di ricerche non possono
sfuggire a nessuno per diverse ragioni d’ indole scientifica e prati-
nell’ uomo e negli animali 95
ca, e sulle quali credo poco opportuno d' intrattenermi. Io non so
se altri abbia tentato di simili ricerche, io non ne conosco alcu-
na. E nè le mie sono molte, poichè io stesso giustifico ben poco,
esperienze su questo indirizzo che possono essere non scevre di
qualche pericolo. Io ne ho condotto solo quattro. e di esse riferi-
sco brevemente i risultati.
Da una colomba infetta di semilune, penetrando con la sirin-
ga Tursini direttamente nella sua vena giugulare, sì cava del sangue
che viene subito iniettato, a tre individui che volontariamente si
esposero all’ esperimento. È inutile dire che in queste esperienze
si è preceduto colle più rigorose cautele antisettiche per evitare qual-
che dispiacevole accidente.
Il 1° B. C. riceve sotto la cute del braccio 1 cc. di sangue
della colomba non defibrinato. L'individuo stette sempre bene. Nel
suo sangue, esaminato per 40 giorni, non si riscontrò mai alcuna
delle forme inoculate. Al punto d’inoculazione dopo qualche gior-
no si formò una chiazza tendente al bluastro che poi man mano
venne a scomparire.
Il 2° A. M. riceve sotto la cute dell’ avambraccio 11/5 cc.
di sangue non defibrinato della colomba sopradetta. L’ individuo
non ebbe mai nulla a soffrire. AJ punto d’ innesto analoga chiazza
che diventa gialliccia.
Il sangue preso per via della solita puntura del dito, esami-
nato dopo 2, 4, 6 ore, e dopo regolarmente ogni giorno per 36
giorni diede sempre risultato negativo.
Il 3° A. S. riceve sotto la cute dell’ avambraccio 1 cc. di
sangue ben defibrinato della colomba infetta. L’ esame del sangue
dell’ individuo fino a 15 giorni dall’ inoculazione non fece mai ri-
levare nessuna delle forme inoculate.
La 4 esperienza merita maggior considerazione : 1 iniezione
del sangue preso dalla colomba infetta fu fatta per la via endovenosa.
Il sangue dell’ animale era pieno di forme semilunari, e di queste
moltissime ve ne erano al momento dell’ esperienza.
A. S. lo stesso individuo che 15 giorni prima aveva avuto
96 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
fatta l'iniezione ipodermica del sangue, volle volontariamente rice-
vere per via endovenosa il sangue della colomba infetta, benchè
egli fosse avvertito che lo esperimento non sarebbe stato scevro
di pericolo. A tal uopo previa accurata e rigorosa toilette del collo
della colomba, spogliato di tutte le piume, fatto un largo salasso
delle giugulari di essa, defibrinato convenientemente il sangue rac-
colto con tutte le dovute cautele, sterilizzata la siringa e tenuto il
tutto a temp. 37°, preparato per l'esperimento il braccio dell’indivi-
duo, venne praticata cautamente e lentamente 1 iniezione di 1 cc.
di detto sangue nella vena basilica di esso (*).
L'individuo immediatamente dopo, bevve un litro di vino in
due riprese e andò a dormire. Dormì profondamente 12 ore, e la
dimane sembrava ancora intontito dal sonno : e tranne di un po’ di
cefalea per aver dormito troppo e per l’ effetto del vino, secondo
come egli diceva, non avvertiva alcun altro malessere, tanto da
poter ripigliare il suo lavoro.
L'esame del sangue che non potè farsi se non dopo circa 24
ore, ripetuto con insistenza e lungamente per giorni e giorni, non
ci fece mai notare alcuna delle forme inoculate. L'individuo stette
sempre bene e mai fu preso da febbre o da altri notevoli disturbi;
e dopo 30 giorni da questa inoculazione egli si allontanava dalla
nostra osservazione.
Benchè questi esperimenti siano pochi, e non avendo inten-
zione alcuna di accrescerne il numero , limito la conclusione ai
miei pochi risultati ottenuti, in base ai quali l'infezione parasitaria
delle colombe all’ uomo non è trasmissibile con la iniezione ipo-
dermica e venosa del sangue infetto. Questa conclusione alla quale
io concedo soltanto un valore limitato , (potendone avere uno as-
soluto sol quando molte esperienze, certo non consigliabili, su que-
sto indirizzo fossero possibili) però avvalora e completa l’ altra ne-
(#) Prima di accingermi a fare l' iniezione endovenosa nell'individuo A. S. ne praticai pa-
recchie a due cani, con lo stesso sangue e con le stesse cautele, senza aver avuto verun inci-
dente da parte dell’ iniezione.
nell'uomo e negli animali 97
gativa, già assodata, cioè quella con l' inoculazione di sangue di
uomo malarico in colomba sana.
Il concetto sperimentale adunque sul quale Danilewsky fonda
il suo criterio dell’ identità patologica degli emoparasiti dell’ uomo
con quelli degli uccelli non viene confortata dall’ esperimento.
*
x
Se
L’ esposizione delle ricerche menzionate in questa seconda
parte generale del lavoro, ci fa ritenere necessario un riassunto dei
risultati più importanti ai quali siamo pervenuti, per dedurre quelle
conclusioni necessarie che devono servire di contributo alla. solu-
zione del problema relativo alla malaria degli uccelli e ai loro
emoparasiti.
Nella parte generale dopo aver passato in rassegna le vicen-
de dell'infezione malarica sperimentale negli animali, abbiamo po-
tuto confermare il risultato generale, al quale molti autori. erano
pervenuti sulla innocuità della inoculazione delsangue d’ individuo
malarico ai nostri animali domestici. Tutti i tentativi fatti in que-
sto senso, per quanto varie sono state le vie d’ inoculazione , per
quanto cambiate le modalità dell’ esperimento , per quanto varia:
te le specie di animali adoperati, compresa la scimmia, pure la
trasmissione della infezione malarica agli animali è stata impossi-
bile. Ciò implicitamente e’ induce ad ammettere una immunità na-
turale dei nostri animali in genere a questa infezione ; sebbene
ragioni di prudenza c'inducano a fare delle riserve per quelle altre
specie di animali che finora non sono state soggette all’esperimen-
to: quantunque ad appoggio della nostra tesi ci sarebbe il fatto
comunemente osservato che i nostri animali domestici possono
vivere nei luoghi fortemente malarici senza dimostrare disturbi appa-
renti, riferibili alla malaria.
La parte speciale delle nostre ricerche si occupa della que-
stione importante messa avanti dal Danilewsky, sulla malaria degli
uccelli, o meglio sulla scoperta da lui fatta di alcuni parasiti degli
uccelli, che identificò senz’ altro sotto il rapporto zoologico e pa-
ATTI Acc., Von. VIII, Serie 4.8 — Memoria I. 13
Ve)
(0 0)
Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
tologico a quelli malarici dell’uomo. Lo studio di tale questione
ha condotto a due serie di esperienze.
Nella prima serie ci siamo occupati del modo di comportarsi
della temperatura negli uccelli infetti col controllo dei sani, allo
scopo di studiarne meglio le differenze ; indi dell’ azione di alcuni
rimedì come tentativi di terapia; ed infine di alcuni esperimenti
d’ infezione artificiale fra questi animali.
Abbiamo così potuto assodare per quanto riguarda la tempe-
ratura che la presenza dei parasiti nel sangue delle colombe non
porta in queste alcun disturbo, che si faccia rilevare con elevazio-
ni di temperatura.
Per i tentativi terapeutici abbiamo assodato che i farmaci ado-
perati il chinino, l arsenico, il sublimato, somministrati per via ipo-
dermica, venosa, addominale e digestiva, continuati per vario tempo
e a dose diversa, si comportano inefficacemente sulla vitalità e re-
sistenza degli emoparasiti degli uccelli.
Infine per le inoculazioni artificiali di sangue di colombe. in-
fette a colombe sane per via ipodermica, addominale, venosa e pol-
monale, avendo ottenuto sempre risultati negativi, abbiamo assoda-
to che non è possibile la trasmissione dell’ infezione fra i detti animali.
Nella seconda serie di ricerche abbiamo allargato la base del-
l'esperimento per portare un contributo all’ infezione naturale degli
animali, e quindi abbiamo rivolta la nostra attenzione allo studio
dell’ influenza localistica, alla convivenza degli uccelli infetti coi sa-
ni, all’ eredità, all’ infezione artificiale.
Per quanto riguarda la influenza dei diversi luoghi sulla infe-
zione, le nostre esperienze ce’ inducono a ritenere che la infezione
parasitaria delle colombe, può da questi animali contrarsi ovunque
e con uguale facilità e in ogni stagione, tanto nei luoghi malarici
che nei salubri ; che questi parasiti sono sparsi dappertutto senza
legare a condizioni speciali del terreno o ad altri fattori fisici le
loro condizioni naturali di vita e di resistenza.
Intorno all’ influenza della convivenza sulla trasmissione della
infezione, le nostre esperienze ci permettono di escludere ogni pos-
; diana ?
nell'uomo e negli animali 99
sibilità; poichè avendo tenuti in comune uccelli sani con uccelli
infetti, i risultati sono stati negativi.
Anche l'influenza ereditaria e quella dell’ allevamento da par-
te dei genitori infetti ai nati sani, devono escludersi. per ammet-
tere più razionalmente | infezione naturale da parte del terreno e
dell’ ambiente anche per i piccoli nati.
Infine le inoculazioni sperimentali, come tentativi d’ infezione
reciproca per la via del sangue, tra uomo malarico e colomba sa-
na, e fra colomba infetta e uomo sano, hanno condotto a risultati
negativi, qualunque sia stata la via per la quale il tentativo d’ino-
culazione è stato fatto.
Le considerazioni che si possono. trarre dai risultati ottenuti
non sarebbero dunque molto favorevoli al concetto del Danilewsky
della identità zoologica e patologica di parasiti degli uccelli (colom-
be) con quelli malarici dell’uomo; perchè nessuno degli argomen-
ti che vi si riferiscono lo avvalora.
E così mentre dal lato zoologico Grassi e Feletti studiando
l’argomento dicono che i parasiti malarici degli uccelli non. sono
identificabili senz’ altro a quelli dell’ uomo, opinione anche adottata
in gran parte da Celli e Sanfelice e da Kruse, noi dal lato biologico
abbiamo trovato assai ben altre differenze, per allontanare sempre
più le due specie di emoparasiti, come del resto già abbiamo detto
e come meglio rilevasi dal seguente specchietto.
Nell’ individuo malarico
Elevazione di temperatura in for-
ma di accessi febbrili.
Accessi febbrili in rapporto al ciclo
dei parasiti.
Il chinino e l’ arsenico sono rimedî
efficaci.
Le condizioni localistiche sono un
un fattore importante ed essenzia-
le per l’infezione.
L’ infezione ereditaria da molti con-
fermata.
L’ inoculazione artificiale di sangue
malarico in individuo sano produ-
ce costantemente l’infezione.
Nella colomba infetta
Nessuna elevazione di temperatura.
Nessun rapporto fra ciclo di para-
siti e temperatura.
Il chinino o l’ arsenico non dimo-
strano alcuna efficacia.
L’ influenza localistica è nulla.
L'infezione ereditaria non avviene.
L'infezione artificiale per via del
sangue da colomba infetta a co-
omba sana non avviene.
100 Contributo allo studio dell’infezione malarica sperimentale
Possono invero molti parasiti essere apparentemente simili ,
morfologicamente vicini, appartenere anche a una stessa grande
classe, ma ciò non include la identità negli effetti. Nella immensa
classe dei microrganismi noì abbiamo molti microbi i quali pur
avendo morfologicamente grandi e stretti caratteri di affinità, tanto
da potersi dire morfologicamente simili, pure per la loro diversa
azione biologica, o anche per qualche solo carattere biologico dif-
ferente, sono considerati ben diversi l’ uno dall’ altro.
Ora potranno i zoologi credere fuori di dubbio questa comu-
nità di genere, questa parentela, questa affinità, fra gli emoparasiti
malarici dell’uomo e gli emoparasiti degli uccelli , rafforzate dalla
somiglianza delle forme; ma in quanto a me penso che gli emo-
parasiti degli uccelli, pur avéndo morfologicamente delle analogie
con quelli malarici dell’uomo, debbano stare ben lontani da questi.
E se oggidì ai parasiti della malaria va legato il concetto etiologi-
co di questa infezione nell’ uomo con i disturbi ad essa inerenti ;
e se per i risultati ottenuti, l’azione di questi emoparasiti malarici
è ben diversa da quella degli uccelli, io non saprei più essere di
accordo con Grassi e Feletti (benchè essi lo dicano per intenderci)
di estendere la denominazione di malarici anche agli emoparasiti
degli uccelli, denominazione che includerebbe il giusto concetto pa-
tologico che si ha di quelli dell’ uomo, e che appunto manca in
quelli degli uccelli.
Anzi appunto per intenderci io proporrei di non chiamare af-
fatto malarici questi emoparasiti degli uccelli, potendo soltanto ad-
divenire, in ragione alla loro analogia morfologica, di chiamarli
pseudo-malarici. E con ciò mentre da un lato rimarrebbe giustifica-
to il concetto zoologico della analogia morfologica, non verrebbe ad
essere implicitamente compromesso il criterio patologico. Così an-
che credo che si potrebbe giustificare la estensione di questa de-
nominazione di pseudo-malarici in genere, per tutti quei parasiti de-
gli uccelli, morfologicamente affini, e non ancora ben definiti biologi-
camente.
Celli e Sanfelice infatti pur ammettendo l’ affinità zoologica e
nell’ uomo e negli animali 101
pur avendo altri criterî biologici che le nostre esperienze non hanno
potuto assodare, non sì sentono inclinati a chiamare parasiti ma-
larici, i parasiti degli uccelli, ma semplicemente emoparasiti.
E ciò ci sembra in verità ben fatto poichè di quel passo, se più
tardi sempre in base all’ affinità zoologica, si rende questa sempre
più lata, e sì seguita ad estendere il concetto generico di parasiti ma-
larici anche agli emoparasiti degli animali a sangue freddo, certo
si arriverà al punto di smarrire la via in mezzo alle difficoltà della
classifica e della sistematica e senza alcun vantaggio per la biologia e
per le conoscenze già assodate dei veri parasiti malarici dell’uomo.
Interessa adesso di chiarire un fatto d’' ordine biologico e ri-
feribile agli uccelli esaminati.
Dal momento che la vita degli animali è compatibile con la
presenza di questi emoparasiti, dal momento, almeno per le colom-
be, che disturbi funzionali che possano compromettere la vita di
esse non se ne rilevano, qualunque sia la durata di tempo della
persistenza di questi parasiti nel sangue, dobbiamo considerare la
loro presenza, come una vera infezione dell’ organismo? In altri
termini questo parasitismo del sangue delle colombe deve conside-
sarsi come una vera e propria malattia infettiva nel concetto che
oggidì abbiamo di essa in patologia ?
Limitando sempre il fatto alle colombe, nel cui sangue questi
parasiti esplicano la loro esistenza, con tutti i fenomeni biochimici
della loro evoluzione, senza pregiudizio degli animali, dal momen-
to che noi ci troviamo davanti a un caso nel quale un parasita
profitta della sostanza dell’ organismo di un animale senza recargli
alcun pregiudizio, o alcun disturbo generale o almeno così lieve
che l’ organismo oste vi si accomoda facilmente per via dei suoi
poteri compensatori, a noi pare che il concetto di un parasitismo
( commensalismo di Van Beneden ) non debba del tutto rimanere
inconsiderato. .
102 Contributo allo studio dell'infezione malarica sperimentale
Secondo questo concetto “ 1 emocitozoismo delle colombe sa-
rebbe una malattia locale e parziale, malattia parasitica del sangue,
che non ha punto influenza sulla salute generale, solamente perchè
l'organismo si accomoda a questa coll’ aiuto di un’ alimentazione
forzata o dell’ ematopoesi ecc. Se questo parasitismo è forte, in se-
suito ad un indebolimento di compenso, l organismo può anche co-
minciare a soffrire visibilmente , anche soccombere, ma senza che
sì possa dire che esso sia soggiaciuto ad una vera e propria ma-
lattia infettiva.
Questa idea ha fatto dubitare dapprima moltissimo il Danilew-
sky: ma egli poi preoccupato dippiù del preconcetto della identità
zoologica e patologica, si lasciò da esso dominare e credè di tro-
vare tutti gli elementi per ammettere una vera e propria infezione
cenerale ed appigliarsi alla ipotesi di una vera malattia infettiva,
di una infezione malarica negli uccelli, simile a quella malarica del-
l’uomo, ipotesi, che come abbiamo veduto non sarebbe confortata
dalle presenti ricerche.
Del resto io non voglio insistere ulteriormente sul concetto
biologico di questo parasitismo delle colombe che richiede certa-
mente maggior riserva di apprezzamento, e per la soluzione del
quale non hanno certamente una diretta pretesa queste mie ricerche.
Dall'Istituto d'Igiene sperimentale della R. Università di Catania.
I OL eh|
ES 166 0%k 09
i |
ock 9g |
(50%, "er n09
PL ‘d '
fl poli SI IE È sile REA EER e
OTTelre].IenD ‘FJ p anbees lo II eIPUmpila9sS ‘Sq | a.v[oba.LII od e 21ggg Arorzea:] - atepoboLI op1Iggo] odt]- almplros doo anblres p alrorzatir JN
TA VIIIVHOOWUYIA | YTIANT], I{I YVOIIVHOOWIYA |, VTIAgY],
ì i : di JE ri APE E iv e Di
0£ Pi WAVIANZI
paro (1)
QUTUNYO A A a. SEE VT ZEANI OUTUTIYI 70 QUOTO prenrunuoo [7] 700107270776 790 NEC pop auormz0U7,
È n: EE ci 0% RIA RE : T - ==
i si - ok 9%
0e ae 08 0 |
È Ca Rana se
ARR ai ge 006 04
5% or SÌ
matta 00 ana J6e our 08
TOEVECnt oct Se 0Ck 96
ANDE i i T. ok 09 t Ot 09
nie Ere Ladd L dd
de i V7 a 0)
a
F TABELLA TERMOGRAFICA I
GL ORA di sargue di Quartanario Reazione Febbre quarlana
E a] È
N P Iniezione di sangue di Quarlanario -—Reazione Febbre guar “lana”
TABELLA TERMOGRAFICcA II
"I
Giorni delmese ilo 18|20|2 25/54 27 2 Giorni delmese AA
RESA ZE
WP-T.| poie i
A40 40° 60 440 40°
430 dò 4130 È
420 39° s0 120 39°
108) 455 4140
100 38° 40 400 38°
90 35. 90
80 37° 30 80 37°
70 25 70
60 36: 2060 56°
(1) Giorno d'inoculazione del vangue di RESSE [E] lorrministiazione di chiruno
TABELLA TERMOGRAFICA III
NP Imezione di sapgue con senglune — Tipo febbrile regolare - Reazione febbre a po irregolare
TABELLA TERMOGRAFICA \°
II Giorno dinoculazione del sangue di quarlana (JSornunstazione di chinino
Giorni dlmese FA A (213 AE 3 uk , (Gioni delmese
P.S. Semilunare imoculalo con sangue di PA.quarlanario
TATE
R.
60
55
50
45
40
35
30
25
20
Da
140
480
i 10
SI
L1) Grono d'inoculazione del sangue 2) PIRA IIS
TABELLA TERMOGRAFICA IV
in Quarlanario, moculato col sangue di Ss spenimare Reazione 1 PA.di febbre alipo irregolare
122 20 28
Grorni del mese [5 | 6|7|8|9|!%|4] 12}? |u]ts|!6|7|1s|2|20|21
14 |16|17
18 |19
mm
24|25
[1] Georno d'inoculazione di danque quarlanario I Somministrazione del chinino
M
2eerles 2/3 |4ls|elr
8 |9 |10|11
20 6 2
[1] Giorno dinoculazione di sangue con senilune
Memoria II,
Misure pireliometriche
eseguite durante l’eclisse solare del 16 Aprile 1893.
Nota di A. BARTOLI, E. STRACCIATI e G. RAFFO
I.—Fin qui non sono state fatte per quello che sappiamo, delle
esatte misure del calor solare, durante eclissi di sole : le ricerche
termiche in tali occasioni si sono limitate alla lettura di un ter-
mometro affumicato e del termometro ordinario, esposti al sole, al-
l’aria libera, o tutt'alpiù riparati entro un palloncino di vetro, dove
può esser fatto il vuoto (il cosiddetto attinometro di Arago); senza
tener conto dell’ influenza delle cause perturbatrici, delle correzioni
ai termometri etc.
Perciò ci sembra importante riferire i resultati di misure fatte
con metodo seriamente scientifico, nell’ occasione dell’ Eclissi del
16 Aprile 1893, a cui eravamo da lungo tempo preparati, per le
determinazioni che si eseguiscono sin dal 1885 , in tutti i giorni
in cui il cielo è perfettamente sereno, le osservazioni fatte nel gior-
no dell’ Eclisse non ci costarono perciò nessuna maggior fatica.
II. Pireliometri. Il pireliometro adoperato è quello già descrit-
to in altre nostre memorie (1).
(1) BartoLI e StRaccrari. Misure del calor solare, eseguite in Italia dal 1885 in poi; Bol-
lettino dell'Accademia Gioenia in Catania; Fascicolo VII, Maggio 1889; Bollettino mensuale del-
la società meteorologica Italiana, serie 22, volume XI, pag. 129. Nuovo Cimento, Pisa, 1891. Ri-
vista scientifico-industriale. Firenze 1892. Journal de Physique. Parigi, 1892, ecc.
— Formola relativa all’assorbimento delle radiazioni solari attraverso l' atmosfera. Atti della
Accademia Gioenia, Catania, 1892 Tip. Galàtola. Nuovo Cimento, Pisa, 1892: Bullettino men-
suale di Moncalieri, serie II® volume XIII. num. 4.
— Sulla correzione dovuta al raffreddamento nelle misure calorimetriche. Bullettino dell’Acca-
demia Gioenia. Catania 1892; Rivista scientifica industriale. Firenze 1893.
— Misura della potenza chimica delle radiazioni solari. Bullettino dell’ Accademia Gioenia.
Catania, fasc. XVI e Nuovo Cimento 1891.
A. BarroLi ed E. Straccrati. Misure actimometriche sul raffreddamento notturno, eseeuite
sull’ Etna. Bullettino dell’Accademia Gioenia, fase. XVI seduta del 28 dicembre 1890 e Nuovo
Cimento 1891.
A. BarroLI. Sulla trasmissibilità delle radiazioni solari nell'atmosfera carica di cenere
vulcanica ; Atti dell’Accademia Gioenia 1894.
ATTI Acc., Vor. VIII, SerIE 4.8 — Memoria II 1
2 Misure pireliometriche eseguite durante l’eclisse solare
Esso consta di tre parti :
1. Il calorimetro : 2. un involucro a doppie pareti pel quale
passa una corrente di acqua, e che serve a difendere completa-
mente il calorimetro dall’ agitazione dell’ aria, e dal raggiamento
dei corpi circostanti, munito di una fenditura dalla quale passa il
fascio dei raggi solari.
5. Un sostegno parallattico per mantenere il piano della fen-
ditura sempre perpendicolare al fascio solare.
Un cannocchiale ed un orientatore ad ombra servono a far
conoscere se la fenditura sia esattamente perpendicolare al faseio ;
due robuste viti di trasporto permettano di aggiustare l’orientazione.
Il calorimetro è formato da una cassetta parallelepipeda ret-
tangolare. Le sue pareti sono di ottone spesso un millimetro, niche-
late all’ esterno, salvo una faccia che viene affumicata regolarmente
con un lume a petrolio a cartoccio cilindrico , mosso automatica-
mente da un semplice apparecchio, ed essa viene ricoperta da uno
strato di nero fumo che abbia maximum di emissione e perciò an-
che di assorbimento (E. Villari, Nuovo Cimento 1878, pag. 5. )
La cassetta è munita di un agitatore, il quale consta di uno
stantuffo metallico vuoto e traforato che combacia esattamente colle
pareti interne della cassetta per un’ altezza di 5 centimetri. Nell’as-
se di questo stantuffo è un’ apertura circolare che dà passaggio
all’ asta del termometro (1), il quale è fissato con un tappo ad un
bocciolo saldato alla parte superiore della cassetta. Lo stantuffo sì
muove con due aste di ottone guidate da due piccoli tubi di ot-
tone. Onde impedire che l’acqua esca da tali tubi, vien legato a
ciascuno dei tubi all’ estremo di un tubo di caucciù il quale rive-
ste anche la parte dell’ asta sporgente dal tubo, ed è legato col-
l’altro estremo ad un ringrosso che si trova all’ estremo di questa.
Questi tubi di caucciù oltre ad impedire l’uscita dell’acqua, servo-
no bene a regolare il moto di salita e di discesa dello stantuffo.
L’involucro è formato di lastra di zinco a doppie pareti, raf-
(1) I termometri adoperati erano divisi in cinquantesimi o centesimi di grado: furon gli
stessi descritti nella memoria degli stessi Autori sul calore specifico dell’ acqua.
del 16 Aprile 1893. 3
forzata da sbarre di ferro: essa contiene nell’ interno una camera
parallelepipeda a base quadrata, adatta a contenere il calorimetro.
Fra le due pareti dell’ involucro circola una corrente di acqua
e, mancando per qualche tempo la corrente di acqua, si ricorre
agli agitatori, come nei calorimetri di Berthelot. Sulla faccia aper-
ta dell’ involucro si fissa per mezzo di viti una piastra di ferro
spessa 6 mill. perfettamente piana e munita di una fenditura qua-
drata di 5 decimetri quadri di area.
Per questa fenditura passa il fascio solare, normale alla. pia-
stra e batte sopra una gran parte della faccia annerita della cas-
setta pireliometrica. Alla piastra stessa è fissato solidamente l’orien-
tatore ad ombra e a fori.
La lettura del termometro si fa con un cannocchialino mobile
su di un’ asta di ferro, fissata perpendicolarmente alla faccia supe-
riore dell’ involucro: questo permette di apprezzare con sicurezza i
decimi di divisione, ossia 1/500 ovvero 1/1000 di grado. Infine vi è
un diaframma formato da una cassetta di zinco piena di acqua, e
coperta di cartoni, il quale può muoversi parallelamente alla. pia-
stra di ferro che porta la fenditura (ad una distanza da questa di
300mm), Coll alzare od abbassare del diaframma s’introduce oppure
si intercetta il fascio solare.
Con questa disposizione sono levati completamente gl’ inconve-
nienti del pireliometro di Pouillet. Nel nuovo pireliometro le misu-
re si fanno ugualmente bene come le ordinarie misure calorimetri-
che, anche quando soffia un vento impetuoso.
Il raffreddamento durante tempi uguali, avanti e dopo l’esperien-
za, sì può ridurre quasi ed anche del tutto trascurabile, col regolar
bene la corrente di acqua. Così per es. in una esperienza presa a
caso tra le diecine di migliaia da noi eseguite abbiamo trovato :
(Catania 1 Dicembre 1887)
Ora Temperatura
8 ant. 10'0",0 14, 215 ombra
a) LO X0R0 14, 219 s’ introduce sole
8 20' 0", 0 15, 280 s’ intercetta il sole
8 29960 15, 280 ombra
4 Misure pireliometriche eseguite durante l’eclisse solare
p
Per riprova, abbiamo sperimentato contemporaneamente con
due pireliometri uguali l’ uno contenente acqua nella cassetta ca-
lorimetrica, e 1 altro contenente idruro di amilo (liquido mobilissi-
mo), alcool, olio d’ oliva, glicerina densa 1, 26 (liquido viscosissi-
mo), mercurio (questo entro un calorimetro di acciajo con agitato-
re di acciajo) e così (tenuto conto dei calori specifici degli stessi
campioni di liquido misurati entro gli stessi limiti di temperatura)
abbiamo ottenuto dei risultati affatto identici (1).
HI.—Al mattino del 16 Aprile 1893 avevamo apparecchiato i
nostri strumenti, nelle due stazioni di Pavia (Torre dell’ Osserva-
torio unito al Gabinetto di Fisica dell’ Università) e a Catania sul-
la terrazza di Villa Zuccaro : Il cielo nuvoloso disturbò le misure
a Pavia, mentre a Catania un cielo perfettamente sereno permise
di fare una continua serie di misure pireliometriche dal sorgere
al tramontare del sole.
Gli strumenti adoperati erano :
Il pireliometro sopra descritto, con termometri a cinquantesi-
mi già studiati da noi accuratamente:
Un piccolo teodolite per la misura delle altezze del sole:
Un cronometro di marina ben regolato :
Un psicrometro e un igrometro a capello studiato precedente-
mente :
Un attinometro di Arago e un attinometro di Violle, già da
noi accuratamente studiati: Le misure pireliometriche erano fatte
a Catania dal D.r Raffo, coadiuvato da due assistenti i quali regi-
stravano i dati meteorologici, e le indicazioni degli altri attinome-
tri: Si era anche disposto un cannocchiale di 4 1/9 pollici, il qua-
le dava l’ immagine reale del sole proiettata su uno schermo uni-
to al cannocchiale stesso, la quale potevasi anche disegnare , per
avere così direttamente la fase dell’ eclisse.
L’illustre Prof. A. Venturi dell’ Università di Palermo, fu tan-
to gentile di calcolarci tutti gli elementi dell’ eclisse, e segnatamente
(1) La disposizione del nostro pireliometro, piacque al compianto Prof. G. A. Him, mem-
bro dell’ Istituto di Francia, il quale ce lo lodò in termini molto lusinghieri.
del 16 Aprile 1893. Ò
il rapporto o fra V area della parte eclissata del disco solare, e l area
dell’ intiero disco : corrispondente a tutte le diverse altezze del sole,
durante l’ eclisse.
Nelle tavole I e Il sono seritti i resultati delle nostre misu-
re; la prima tavola riporta quelli del mattino, la seconda quelli
della sera: le due serie riuscirono paragonabili, essendo il cielo ri-
masto perfettamente sereno durante tutto ‘il giorno del 16, il vento
sempre debole, e la tensione del vapore acqueo, essendo rimasta
quasi perfettamente costante :
L’essersi verificata questa condizione ci ha permesso di con-
frontare la serie del mattino con quella della sera onde ricavarne
la differenza della quantità di calore raggiata dal sole nelle diver-
se fasi dell’eclisse :
Avendo noi già esuberantemente dimostrato l'influenza che ha
il vapore acqueo dell’atmosfera nell’ assorbimento delle radiazioni
solari (1); non sarebbe pertanto stato esatto paragonare le osser-
vazioni pireliometriche del giorno 16 con quelle del giorno succes-
sivo 17, che fu abbastanza sereno, (tranne alcuni leggerissimi circ.)
ma in cui la tensione del vapore fu maggiore.
Seguono senz’ altro le tavole avvertendo che la durata del-
l’ esposizione al sole fu in ciascuna volta 2 minuti primi ; il peso
(1) L'influenza della massa del vapor d’acqua contenuto nell'atmosfera fu già dimostrata da
noi; Vedi Nuovo Cimento, Pisa 1891, da cui riferiamo quanto segue :
“ Tutte le nostre osservazioni provano inoltre che in una data stazione, nelle diverse epo-
che dell’anno e con la stessa altezza del sole (per es. 30°), le costanti A e p della formula
Q = Ap crescono col diminuire della tensione del vapor acqueo dell’ atmosfera : lo stesso
avviene per il prodotto AD?, dove D indica la lunghezza del raggio vettore che dal sole va
alla terra.
“ Così per esempio alla stazione di Pian grande (all altitudine di 515 metri), a venti chilo-
metri da Firenze, ottenemmo, l’ altezza del sole in queste misure essendo circa 30° e perciò
sei — 2001
“ Tensione del vapore ONT dim, 1 130, 1
P= 0, 8194 0, 80388 0, 7998
A=193, 8 181, 3 172, 8
AD? = 193, 3 183, 3 175, 4
“ Invece dalle nostre osservazioni non risulta che lo stato igrometrico dell’aria abbia sen-
« sibile influenza sui valori di A e di p. Questi fatti confermano quelli ottenuti dal Violle.
6 Misure periliometriche eseguite durante Veclisse solare
dell’acqua che riempiva il calorimetro fu grammi 2824, 6 (ridot-
ta al vuoto); l'equivalente in acqua del vaso calorimetro, più l’agi-
tatore, più il termometro, grammi 68, 3; L'area della fenditura per
la quale passavano i raggi solari che cadevano sulla faccia annerita
del calorimetro 848, 92 centimetri quadri: le temperature vennero
ridotte al termometro a idrogeno; e sì fecero le correzioni pel calore
specifico dell’acqua riferetdolo a quello di + 15°, preso come unità.
TAVOLA I.
Misure pireliometriche fatte a Catania, Villa Zuccaro, a 80
metri sul mare, dal levare del sole fino a mezzodì del 16 Aprile
1893, con cielo perfettamente sereno, e con vento leggerissimo di
Nord fino alla 48 misura, e di leggero Ovest nelle successive.
A indica V altezza del sole, misurata con un piccolo teodolite.
t il riscaldamento corretto del calorimetro esposto al sole per
1 minuto primo :
Q la quantità di calore (in piccole calorie ) ricevute normal-
mente, da 1 centimetro quadro di superficie, in un secondo :
e lo spessore dell’ atmosfera attraversata dai raggi solari, cal-
colata con la formula di Laplace.
E A t Q Temperatura TÉ G
3 dell’aria forza elastica
n=, data dal del vapore
2 | termometro acqueo nell’at-
E esposto @ mosfera
4 Nord
0 100 32" | 0,1355 0,01362 | 5, 308
120854 0, 1426 0, 01432 | + 8° 3 5,03 4, 401
2 | 140 55° 0, 1500 0, 01507 8 4 5, 3, 826
3 170 20” 0, 1560 0, 01567 e] 06) Sa) SIRIA
4 190 41’ 0, 1618 0, 01625 99 Di 6 2, 944
5 220 0° 0, 1679 0, 01687 10 2 5, 6 2, 650
CAO 0210 041675 0, 01738 10 9 5, 8 2,413
7 270 2 naval 0, 01778 110 5, 4 2, 192
8 290 51’ 0, 1816 0, 01823 i Digi Ual 2,002
9 | 8320 88’ 0, 1854 0, 01862 12 1 5, 4 1, 846
10 350 45° 0, 1901 0, 01910 1, 707
11) 390° 10’ 0, 1941 0, 01950 12 2 4, 8 1,579
12) 460 21’ 0, 2024 0, 02032 130 4, 8 1,380
dl 49° 52’ 0, 2070 0, 02079 1,307
14 | 53° 36° 0, 2099 0, 02108 14 9 5, 0 1, 242
15 590 8° 0, 2133 0, 02142 15 6 5, 4 1, 165
Misure fatte dal inezzodì al tramonto
del 16 Aprile 1893.
TaAvoLA II.
del sole ,
il giorno 16
Aprile 1893, a Catania, in Villa Zuccaro con cielo perfettamente
sereno, con vento leggerissimo di £St :
e indica l’area della porzione del disco solare eclissata, aven-
do preso come unità l’area dell’intiero disco solare :
1 — o area della porzione del disco solare non eclissata , a-
vendo presa come unità l’area dell’intiero disco solare.
È Tempo vero
5 A t (0) TELAI f ||di Catania D) 1-0 È
eo) 225 ge [forza elastica]| all’ istante
Lo; data dal . 4 ; È
E e ndmato del vapore in cui I
[ai I a : Ù a,
Si esposto acqueo sì misurò
S i Nod nell'atmosfera; l'altezza
3 Si delsole
2] 600 2720” | 0,2148 | 0, 02158 || 4 159,9 sm 6 0 Il ISI5D
3] 56025/15” | 0,2113 | 0, 02123 || + 16°, 1 6,1 (0) il 1,200
4| 530 2" 0” | 0,2079 | 0, 02089 || + 160, 2 6,0 0 1 1252
5] 49019710” | 0, 2055 | 0, 02065 16’, 2 6,0 0 1 163]
6] 46° 2/16” | 0, 2013 | 0, 02023 — — 0 1 1,389
7| 42019" 0” | 0, 1981 | 0, 01990 15,8 5, 6 0 il 1,481
8| 39040710” | 0, 1945 | 0, 01954 15,0 54 0 1 1,563
9) 360 87307 | 0, 1905 | 0, 01914 15,0 4,9 0 1 1,690
10] 32°50/10” | 0, 1857 | 0, 01866 14,7 D_6 0 I 1,838
11| 290 1720”! 0, 1803 | 0, 01811 — — 0 1 2,053
12) 25038’50” ! 0, 1749 | 0, 01758 14,6 DU 4,h22/, 0” 0 1 2,297
13| 22041710” | 0, 1581 | 0, 01588 14,2 5,4 4,377, 57 |0,0526 | 0, 9474 | 2,577
14| 20019740” | 0, 1327 |0,01333 14,0 5,6 4,497, 0”|0,1428 | 0, 8572 | 2,853
15| 1704410” | 0,1104 | 0, 01109 14,0 DAR 5, 2°, 4”/0,2329|0, 7671 | 3,248
16| 15021720” | 0, 0940 | 0, 00944 14,0 5,6 5,14, 67|0,2699/0, 7301 | 3,725
17| 13010/10” | 0° 0925 | 0, 00929 | 13,8 GI 5,25 58” | 0, 2451 |0, 7549 | 4355
18| 10042720” | 0, 0914 | 0, 00918 13, 6 on 5,377, 35” | 0, 1664 | 0, 8336 | 5,231
L’eclisse cominciò alle ore 4" 25' 26' tempo
li dobbiamo
alla
vero di Catania,
e finì alle ore 6" 1' 24" tempo vero di Catania. La fase massima
fu alle ore 5° 15' 18" tempo vero di Catania.
I calcoli dell’ eclissi
gentilezza dell’ Illustre
Prof. A. Venturi dell’ Università di Palermo, che quì pubblica-
mente ringraziamo.
Costruendo una curva che abbia per ascisse i valori : e
e
per
ordinate quelli di Q della tavola I, e un’ altra curva analoga coi
valori segnati nella tavola II, le due curve coincidono quasi per-
fettamente sino al principio dell’eclissi ; poscia la curva corrispon-
8 Misure pireliometriche eseguite durante l’eclisse solare
dente alla tavola II si abbassa uotevolmente, sotto quella corri-
spondente alla tavola I :
Questa coincidenza delle due curve permette di determinare i
valori di Q corrispondenti a tutti i valori di e e di Q' segnati nella
tavola I; in tal guisa abbiamo potuto calcolare i valori di nd :(1—- 0),
o È
e i valori di = , i quali avrebbero dovuto rimanere costanti ed
uguali ad 1 se, le diverse parti del disco solare, contribuissero
ugualmente al raggiamento : invece la tavola seguente mostra che
l’effetto maggiore venne prodotto dalle porzioni di superficie più
prosssime ai bordi :
TavoLa III (1).
A 5 ( N ua Ai 1 5 Q'
ALTEZZE ci 1—- 0 Re VA
del sole (2) Q ll
220 41/10” 0, 933 0, 9474 0, 985 1, 266
200 19 40” 0, 8110 0, 8572 0, 946 1, 322
170 44’ 10” 0, 7047 0, 7671 0, 919 1, 268
150 21’ 20” 0, 6248 0, 7301 0, 855 1, 392
13° 00” 10” 0, 6452 0, 7549 0, 854 1, 452
100 42’ 20” 0, 6728 0, 8336 0, 807 1, 970
I valori di Q della tavola precedente essendo stati dedotti gra-
ficamente, abbiamo voluto calcolarli, applicando una formula che
collega i valori di Q con e già da noi altra volta stabilita (2)
Qe=l
dove » e C sono due costanti da determinarsi in ciascheduna se-
rie di misure:
Questa formula si applica benissimo tanto alla serie della ta-
vola I, come alla serie della tavola HI escludendo da questa i va-
lori di Q ottenuti durante Vl ecclisse: I valori di n e di C sono gli
stessi per ambedue le serie : cioè
n = 0, 300; C = 0, 02243:
ciò è dimostrato dalle due tavole seguenti :
(1) In questa tavola @ rappresenta la quantità di calore (dedotta dalla curva) che avrebbe
ricevuto il pireliometro, se l’intiero disco solare fosse rimasto scoperto.
(2) BarroLi e Srraccrati, Formula relativa all’ assorbimento delle radiazioni solari attra-
verso l'atmosfera :
Nuovo Cimento 1892; Atti dell'Accademia Gioenia, Catania 1892; Bullettino mensuale di
Moncalieri serie II2, volum. XIII N. 4.
del 16 Aprile 1893.
TavoLa I. bis.
ei
Misure fatte nel mattino del 16 Aprile 1893.
ATTI Acc., Vor. VIII, SerIE 4.8 — Memoria II.
A
Altezza dell log. e log. @ log. C
sole
100 32” 0, 725 8,134 9, 349
12° 35 0, 652 8, 156 9,350
140 55° 0, 583 8, 178 9, 351
170 20” 0,521 8,195 9, 349
190 41’ 0, 469 8,211 9,350
220 0° 0, 423 8. 227 9, 352
240 21’ 0, 383 8, 240 9, 353 log. Q + 0,300 log. 3 = log. C.
DIOADC 0, 341 8, 250 9,350
290 51’ 0, 301 8, 261 9, 349
320 38° 0, 266 8,270 9, 348
350 45° 0, 232 8, 281 9,349
390 10 0, 198 8, 290 9, 348
460 21’ 0, 140 8, 308 9, 348
490 52’ 0, 116 8.318 9,551
530 367 0,094 3A39L 9, 350
590 8 0, 066 8, 331 9,348
TavoLa II. bis.
Misure fatte dopo il mezzodì del 16 Aprile 1893.
A
Altezza dell log. e log. Q' log. (”
sole
Disco solare
interamente
vsibile.
600 2/20” | 0,063 8, 33 9, 351 i
560 25/15” 0.079 8,327 9,349 ”
580 2’ 0” 0, 098 8.320 9,347 x
490 19/10” 0, 120 8,315 9,349 3) loc. Y + 0,300 log. s=log. Cc
460 216”| 0,143 8,306 9,347 si È Ù A
4920 19° 0”| 0,171 8,299 9, 348 A
390 40'10” 0, 194 8,291 9,347 S
360 8730” | 0,228 8,282 9, 348 E
320 50/10” 0, 264 8,271 9,348 P
9200 00%) 00312 8, 258 9, 350 ;
- 250 38/50” | 0,361 8,245 9,351 x
220 41710”| 0,411 8, 201 9322/00 E cominciato
200 1940” 0, 455 8,125 09209 >
170 4Y/10”| 0,512 8,045 9, 197 È
15° 21/20” | 0,571 7.975 9, 144 5
13° 00/10” | 0, 639 7.968 9. 158 A
100 42/20” 0, 719 7,963 9,177
10 Misure pireliometriche eseguite durante l’eclisse solare
Si osservi che nella nostra formula @e"”== C, la costante espri-
me il valore di @Q per : = 1, cioè quando il sole fosse allo zenit :
I valori di C' nella tavola II bis, indicano nettamente e meglio
che non le curve, che il raggiamento solare rimane regolare fino
al principio dell’ eclisse, e nessuna sensibile diminuzione di rag-
giamento si fa sentire avanti: resultato importante, che dimostra
che il raggiamento dovuto allo spazio circumambiente al sole (corona
solare) se pure esiste, è piccolissimo di fronte a quello dovuto alla
superficie solare; se fosse stato altrimenti, il raggiamento sarebbe
stato indebolito con molta precedenza al principio dell’ eclisse ;
dobbiamo aggiungere inoltre che i valori di Q corrispondenti a de-
terminati valori dell’ altezze del sole furono gli stessi (all’ incirca )
di quelli trovati a Catania in altre giornate perfettamente serene.
in cui la tensione del vapore acqueo fosse la stessa (1).
Dalle due formole
log ( +0,300 log e = 9,349
log @' +0,300 log s= log l'
sì deduce per gli stessi valori di £ al mattino e alla sera,
(9,
log — = log C' — 9,349
(0)
(1) Lunghi e pazienti confronti fatti da noi a Catania, sull’ Etna ed a Firenze con pirelio-
metri aventi fenditure sempre più piccole e sempre più distanti dalla superficie affumicata del
calorimetro, ( ci hanno provati che lo spazio celeste circumambiente al sole produce (quando il
cielo è perfettamente sereno ) un leggero raffreddamento dovuto al raggiamento del calorimetro
verso quello spazio: Da migliaia di confronti fatti col pireliometro normale sopra descritto, con
la fenditura di 848 centimetri quadri, distante circa sessanta centimetri dalla faccia annerita del
calorimetro, ed un'altro pireliometro, portante una fenditura circolare di 19 centimetri quadri ,
lontana 3 metri della faccia annerita del calorimetro, abbiamo trovato che per passare dalle in-
dicazioni del primo pireliometro a quelle date da quest’ ultino, bisognava moltiplicare le prime
pel coefficiente 1,0321 : coefficiente che si manteneva costante in tutte le giornate perfettamente
serene.
Invece, nelle giornate serene, ma con cielo chiaro, per nebbia equabilmente diffusa nell’at-
timosfera, quel coefficiente era sempre più piccolo e si riduceva spesso all’ unità: Con nebbia un
pò più forte esso diveniva minore dell’ unità, vale a dire che in tal caso #7 calorimetro che ve-
deva maggior spazio di cielo, si riscaldava leggermente pei raggi diffusi dalla nebbia illumi-
nata del sole.
del 16 Aprile 1893. 1l
: 2 () ; .
la quale dà modo di calcolare il rapporto di durante |’ eclisse :
I valori così calcolati sono quasi identici a quelli trovati con le
curve: come lo prova il prospetto seguente :
(4 (0
di; log log 7}
altezze del sole :
È dato dalla curva Calcolato con la formula
990 41’ 9, 970 9, 973
200 19 9, 909 9, 910
170 44 9, 848 9, 848
15° 31’ 9, 795 9, 795
13° 007 9, 809 9, 809
10° 42° 9, 828 9, 828
Questa tavola conferma pienamente i resultati della Tavola Il.
Infine per mostrare che nessuna svista occorse nelle misure
pireliometriche del giorno 16 Aprile 1893, riportiamo nella tavola
seguente in confronto coi valori di Q trovati col pireliometro, le
differenze di temperatura del termometro lucido e del termometro
annerito dell’ Attinometro Arago (modello identico a quello del-
l’ Osservatorio di Montsouris ) e del termometro entro la sfera do-
rata e quello entro la sfera annerita dell’ Attinometro di Violle
costruito dal Duboscq (1). Ripeto che riferiamo questi dati per mo-
strare che non fu preso abbaglio nel leggere i termometri del pi-
reliometro; giacchè le osservazioni fatte soltanto coll’ attinometro
Arago e con quello a sfera dorata e annerita di Violle possono
dare sì delle indicazioni preziose per 1’ agricoltura, ma sono da
proscrivere delle misure di rigore scientifico : ( come del resto ri-
conosce l’ illustre fisico Violle ).
(1) I due attinometri erano collocati sopra nn prato prossimo alla villetta Zuccaro, alto
quasi 2 metri dal suolo e venivano letti dall’ Egregio Sig. Giuseppe Pellegrino. Ben s’ intende
che i termometri dei due attinometri Arago e Violle erano stati accuratamente confrontati con
un termometro campione; che la palla lucida dell’ Attinometro Violle era stata dorata di fresco.
e che le bolle lucide e dell’ attinometro Arago, non avevano ancora presa la colorazione vio-
lacea per la troppo lunga esposizione al sole, avvertenze che ci sembrano essere state trasen -
rate da altri.
Misure pireliometriche eseguite durante l’eclisse solare
Il dopo mezzogiorno del 16 Aprile 1893.
TavoLa IV.
b) A
a Q DIFFERENZA |DIFFERENZA
di tempera-|di tempera- Q Q
ALTEZZE| para peL | tura fra i | tura fra i È =
termometri | termometri d A
peL SoLE |pireliometro|dell' attino- [dell attino-
metro arago | metro violle
600 2’ 0, 02158 130 9 100, 4 0, 00155 0, 0021
560 25° 0, 02123 13° 5 10.3 0, 00154 0, 0021 Cielo perfettamente
590042: 0, 02089 13° 5 10.1 0, 00155 0, 0021 |sereno e vento legge-
49° 19° 0, 02065 150 I 9.9 0, 00158 0,0021 |rissimo di Est.
460 2° 0, 02023 13. 0 9.8 0, 00156 0, 0021
4920 19” 0, 01990 12. 5 9.6 0, 00160 0, 0021
390 40° 0, 01954 12. 5 9. 4 0, 00157 0, 0021
360 8° 0, 01914 12. 4 955 0, 00154 0, 0021
320 50° 0, 01866 12. 1 9.0 0, 00154 0, 0023
290 1 0, 01811 12.0 8.9 0, 00151 0, 0020
250 38" | 0, 01758 11.5 858 0,00153 | 0,0020 | |
290 41’ 0, 01588 10. 2 7.4 0, 00155 0, 0021 E cominciato l’eclisse.
200 19’ 0, 01333 8.9 6.2 0, 00150 0, 0021
170 44 0, 01109 7.4 4.8 0, 00150 0, 0023
150 21’ 0, 00944 6. 8 4.4 0, 00139 0, 0021
13° 007 | 0, 00929 6.2 4.1 0, 00150 | 0, 0022
100 42’ 0, 00918 6. 0 40 0, 00153 0, 0025
Si vede dunque chiaramente , che gli attinometri empirici di
Arago e di Viclle, dettero indicazioni abbastanza concordanti colle
misure fatte col pireliometro di precisione.
Riassumendo, ecco i resultati a cui conducono le nostre mi-
sure pireliometriche, eseguite durante 1 eclisse del 16 Aprile 1893.
1. Che la radiazione solare sì mantenne normale fino all’ i-
stante in cui cominciò l eclisse, ed a partire da quell’ istante, di-
minuì regolarmente col crescere della porzione eclissata: e che
nessuna sensibile diminuzione della radiazione solare si fece senti-
re avanti il principio dell’ eclisse : ciò che prova che il raggiamento
dello spazio circumambiente al sole è inapprezzabile.
2. Che durante l’ eclissi, la quantità di radiazione non rimase
proporzionata all'area della porzione del disco solare non eclissata:
ma che invece le diverse parti del disco solare non contribuiscono
ugualmente al raggiamento ; il massimo raggiamento essendo eser-
citato delle parti vicine ai bordi.
del 10 Aprile 1898. 15
Questo ultimo resultato , che sarebbe di un’ altissima impor-
tanza, ha però bisogno di essere confermato da altre osservazioni
pireliometriche fatte in occasione di eclissi solari (1): le forti di-
minuzioni nelle indicazioni pireliometriche potendo essere attribuite
a una diminuzione della trasparenza termica dell’ atmosfera, avve-
nuta durante | eclisse; quantunque sembrasse il cielo rimanere
perfettamente sereno, anche intorno al sole, per tutta la giornata
del 16 Aprile 1893.
(1) Questo resultato sarebbe in opposizione con quello che è da molti ammesso :
Compara Secchi, Le Soleil, Livre II Chapitve I Paris, Ganthier Velleirs 1875.
(Gabinetto di Fisica ed Osservatorio dell'Università di Pavia, Aprile 189%.
Memoria III.
Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
dedotta dall'Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine.
Memoria del Prof. G. ZURRIA.
Sia data l’ equazione a differenze di primo grado, e di terzo
ordine
(1) fin+3) — (2a - c) fin+- 2) + (b+2ac) fin+1)— bdefin) = 0,
nella quale a, d, ec sono quantità costanti.
Se per integrare la data equazione si pone
AC
in cuì con r si denota una costante indeterminata, si otterrà per
la determinazione di » l equazione algebrica di terzo grado
ro — (2a +0) + (b+ 2ac)r — be = 0,
le tre radici della quale sono :
r=c, r=a+Va—b, r=a—Va—b.
In virtù di questi valori di » l’ integrale completo della (1)
viene espresso dalla formola
f(n)= Ala + Va? — b)" + Bla — Var — b)Y" + Ce”,
la quale soddisfa alla (1), qualunque sia l’ esponente », e qualun-
que siano anche le tre costanti arbitrarie A, B, C.
In conseguenza possiamo fare A= B=C=1; ed avremo
l’espressione
(2) fa) =(a+ Va = db)" + (a— Va — dl +e,
ATTI Acc., Vor. VIII, SerIE 4% — Memoria III. 1
2 Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
dalla quale, posto n = x; e fatto per semplicità
3 3
.{1 SR I ga
(7) ia also ire) Ve =z2,
si deduce la relazione
yZUHtvtez.
Sostituendo nel cubo di questa relazione, scritto sotto la forma
yo = u? + 0 + 23 — Zuvz +3(uv +uz + vz2)(u+%v+2),
1 valori di
Sr
(8) \ utv+z=y, w+e+2=2a+c, uve=pbe
IE di pe=
| uvtuz+ovz= Pd _ VE + yVe
si perviene all’ equazione completa di terzo grado
p persa dn pesa St
(4) y—3Ve.y +3(Ve — Vb )y—- @Qa+cT—3ybe)=0,
una radice della quale è evidentemente espressa dalla formola
e CES CSAR)
y=Va+Vpa-b+ (Ra: + Ve.
Onde far svanire il secondo termine della (4) poniamo
de
(5) y=L+VC ,
ed avremo l’ equazione
(6) PIV de
la quale può anche dedursi dalla stessa (4) facendo c = 0, e can-
giando la y in x.
Se fra le tre quantità a, d, c si stabilisce la relazione
(7) da +c— 3/5c=0:;
dedotta dall’Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine 3
e si elimina la a tra questa relazione, e la (6), si otterrà l' equa-
zione
® Esine cede
le tre radici della quale, avuto riguardo alla (5), ed essendo nullo
l’ ultimo termine della (4), sono espresse dalle formole
3
xax=— Ve,
Pen y/ (, ff sta Po Se
Ve +Vi2y5 — sy
(9) x 5
cia Via ape
9
Queste formole dimostrano che la (8), la quale facendo
(10) 3y5_ — pai Je q,
prende la forma
(11) x — pae +q=0,
ha sempre, conformemente alla nota proprietà delle equazioni di
. . . Se di
grado dispari, una radice reale, espressa da — ye , 0 da + ye
secondo che c è maggiore o minore di zero : che essa sia c posi-
tiva sia negativa, ha le tre radici reali nel caso di
rn pie
4VD > Ver;
e ne ha una reale, e due immaginarie, in quello di
9, = Rea
AVb <Ve :
che nell’ ipotesi di
she Fee:
vb = Ve
4 Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
ha due radici eguali, corrispondente ciascuna alla metà della terza
radice 7 Do presa con segno contrario : che essendo eguale a ze-
ro il coefficiente del suo secondo termine, è puranco eguale a ze-
ro la somma delle sue radici: e da ultimo che nel caso di d < 0
ha una radice reale e due immaginarie.
Dal caso rimarchevole, sopra notato, che le tre radici dell’equa-
zione (8) sono reali allorquando è 4AVT > Ve, se ne deduce la
conseguenza che le tre radici cardaniane della (11) divengono nel
medesimo caso immaginarie. Onde ciò dimostrare richiamiamo le ra-
dici, che portano il nome di Cardano, e che, come è notorio, sono
rappresentate dalle formole :
3 6)
VAR rar / q VE _ pî
a 2 4 21 2 4 27
3 3
aci q_/&_P Si Tia
5 placa aa
3 3
-1vz3/ CARON I AO PE Gol ti A TE
2 2 4 27 D 2 4 27°
Dalla composizione di queste formole, che possono anche ri-
cavarsi dalle (3) con porre c= 0, si rende evidente che per dimo-
strare il nostro assunto basta soltanto provare di essere
q
PI
27 4°
I
Dimostrazione—Denotando con % una quantità essenzialmente
positiva poniamo
3__ 3__
4Vb =Ve + h;
ed esprimiamo p, e g in funzione di c, e di % per mezzo delle (10).
dedotta dall’Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine D
Ciò fatto, otterremo
3 <DOISA, - DS
p_Ve +% q_ Ve (Ve — 3h
Se 4 CM agli 8 )
onde.
3 gia FR a
p__ We +hWVe+hn 9 _ VeVe— 3h
Daga 64 SI 64 î
ma
o 000 di. 3 000 8__
Vee +h> Ve, Ve+h> (Ve — 3h);
dunque
DIA
27 7 4
come si doveva dimostrare.
Da quanto precede ne deriva che la risoluzione analitica del-
la ($), ottenuta indipendentemente dalle radici cubiche dell’ unità,
non è soggetta alla contraddizione, che sussiste per la soluzione
cardaniana della (11), la quale contraddizione consiste, come si sa,
nel fatto che le tre radici di essa nel caso, di cui si tratta, sono
espresse sotto forma immaginaria, mentre sono effettivamente reali,
come sì dimostra sia sviluppandole in serie, sia esprimendole in
funzioni trigonometriche. L’impossibilità di ridurle algebricamente
in termini finiti sotto forma reale si suole denotare col nome di
caso irriducibile.
Invece di eliminare la @ tra la (6), e la (7) si potrebbe eli-
minare la 6; ma abbiamo stimato non occuparcene, perchè tale
eliminazione condurrebbe a risultati simili a quelli prodotti dalla
eliminazione di a. Neppure ci occuperemo della determinazione di
c in funzione di p, e di g, perchè essa, dipendendo dalla risoluzio-
ne di una equazione di terzo grado, condurrebbe a risultati sog-
getti all’ inconveniente di essere espressi sotto forma immaginaria.
6 Irisoluzione delle Equazioni di terzo grado
Nelle formole (10) potendosi attribuire alle due quantità d, e
cun numero qualunque di valori tali da soddisfare alla ineguaglian-
za 4VD > VE, ne consegue che si possono ottenere per p, e g un
numero infinito di valori, per mezzo dei quali potranno formarsi
un numero infinito di equazioni, le di cui radici sono reali ed
espresse in generale dalle (9).
La quistione però che ordinariamente si tratta di risolvere
non consiste nel determinare p, e q in funzione di d, e di e in
modo da formare equazioni di terzo grado, che abbiano le tre ra-
dici reali; ma viceversa nello esprimere d, e cin funzione dei coef-
ficienti p, e 9g della (11), i quali si suppongono conosciuti. Intorno
a ciò osserviamo che se è molto facile di ottenere il valore di
SI
7A da
dedotto dalla prima delle (10), non è lo stesso rispetto alla c ; poi-
chè, se si volesse esprimere questa quantità in funzione di p, e di
q per mezzo delle medesime (10), si cadrebbe nel caso irriducibile.
Tuttavia volendosi applicare le formole (9) alla risoluzione delle
equazioni numeriche di terzo grado crediamo utile rilevare, che se
mediante alcuno dei varî metodi conosciuti si determina una delle
tre radici della (11), allora si rende facile 1’ ottenere le altre due
per mezzo delle formole (9), le quali hanno il vantaggio di essere
applicabili alla determinazione delle radici commensurabili, ed in-
commensurabili di una data equazione di terzo grado , che consi-
deriamo ridotta alla forma (11) in modo, che i coefficienti p, e 9
di essa siano numeri interi.
Per facilitare la valutazione delle (9) esprimiamo con « la ra-
dice, come sopra determinata ; poniamo per brevità
di - prese
USS ET
e distinguiamo il caso, in cui « è positiva da quello, in cui essa
dedotta dall’Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine I
è negativa. Nel primo caso le tre radici della (11) sono sommini-
strate dalle formole
doi
| — a + Vip — 3a?
(12) 2
2
oe= — @
\ e ai de Srna
(13) ID 2
— V4p — 3a?
A i dat |
Da questi risultati si deduce, che le radici espresse dalle (12)
sono eguali a quelle rappresentate dalle (13), prese con segno con-
trario; e che le medesime formole coincidono esattamente con quel-
le, che si ottengono mercè l’ abbassamento dell’ equazione (11) dal
terzo al secondo grado allorquando si conosce una radice posiliva,
o negativa di essa.
Quantunque le formole (12), e (13) possono anche applicarsi
ai due casi di 4p < 3a), e di p<0, nei quali casi le radici risul-
tano una reale, e due immaginarie, tuttavia ne limitiamo l’applica-
zione al caso rimarchevole di 4p > 34°, in cui le tre radici sono reali.
E siccome in questo stesso caso quando le tre radici sono com-
mensurabili, o pure è una commensurabile, e due incommensura-
bili, la valutazione delle altre due si ottiene con facilità , così ci
atteniamo soltanto ad applicarle alla risoluzione di alcune equa-
zioni, le radici delle quali sono reali ed incommensurabili. In tale
caso dovendosi ricorrere per la determinazione di a ai metodi di
approssimazione, i quali sono spesso lunghi, e laboriosi, crediamo
essere bastevole di ottenere col soccorso di tali metodi, e sino al
8 Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
grado di approssimazione che si desidera, il valore di una qualun-
que delle tre radici; poichè quello delle altre due, senza ripetere
rispetto ad esse il medesimo procedimento, si può con facilità e
speditezza determinare, similmente approssimato , per mezzo delle
altre due formole del gruppo (12), o del gruppo (13) secondo che
la radice «a, già valutata, sia positiva o negativa. Ciò premesso, ci
occupiamo della soluzione delle seguenti equazioni :
19. a- ba —-3=0.
Questa equazione è stata risoluta dal Bourdon ‘l col metodo
di approssimazione dovuto a Lagrange. Egli primieramente ne ha
calcolato la radice positiva, ed ha ottenuto per tale radice il valore
xe =2, 49086,
esatto sino alla quinta cifra decimale inclusivamente. Si è fatto poi
a calcolare col medesimo metodo il valore delle altre due radici ;
ed ha ottenuto
a = — 0, 65662 , e =— 1, 83424.
Adottando il valore d’ una qualunque delle tre radici ( quello
della seconda ), determineremo il valore delle altre due col soc-
corso della seconda e terza formola del gruppo (13). Essendo
p=959, «= — 0, 656602, a° =0, 4311498244
V4p — 30 = V18, 7065505268 = 4, 325107,
le altre due radici, valutate sino a cinque cifre decimali, saranno
espresse da
e = 2, 49086, x =— 1, 83424.
Questi valori coincidono perfettamente con quelli determinati
(1) Bourpon— E/émentes d'Algèbre—Onzième édition—Bruxelles—1845.
dedotta dall’ Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine 9
dal su citato scrittore ; e perciò tralasciamo di sottoporli alla riprova
per riaffermarne l’ esattezza.
Vo) a —- 2la +37 =0.
Il Lottieri !) occupandosi della risoluzione di questa equazione
ha calcolato in primo luogo per mezzo del metodo di Lagrange
il valore di una delle due radici positive di essa ; ed ha ottenuto
il risultato
e = 2, 5739781,
esatto sino alla quinta cifra decimale. Poscia adoperando il mede-
simo procedimento per la determinazione delle altre due radici è
pervenuto ai due seguenti risultati :
x = 2, 7168819, x = — 5, 2908589.
Considerando come conosciuta la prima radice, avremo
p= 21, «= 2,5739781, aè = 6, 6236325927961,
Vip — 3a? = V64, 12391022216117 = 8, 00774064 ;
e le altre due, per mezzo della sostituzione di questi valori nella
seconda e terza formola del gruppo (12), saranno espresse da
e = 2, 7168813, = a = — 5, 2908594.
I valori di queste due radici coincidono sino a cinque decima-
li con quelli del Lottieri; e perciò anche essi sono esatti sino alla
medesima cifra.
3°, dae - "tax +7 =0.
Lagrange ( per mezzo del suo metodo di approssimazione è sta-
to il primo che diede la soluzione di questa equazione con espri-
(1) Lezioni di introduzione al Calcolo sublime — Nuova edizione corretta ed accresciuta—
Milano 1857.
(2) Oeuvres—Tome VIII— Rèsolution des èquations numeriques—Quatrièmo édition — Pa-
ris 1879.
ArtTI Acc., Vor. VIII, SERIE 48 — Memoria III. 2
10 Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
merne le radici sotto forma di frazioni continue. Se ne sono in
seguito occupati molti altri scrittori, fra i quali il Serret (), che
adottando il metodo di Newton ha ottenuto per una delle due ra-
dici positive di essa il valore
x = 1, 35689984,
esatto sino a sette decimali.
Considerando questo valore, come conosciuto, ed essendo nel
caso, di cui sì tratta,
p= 7, a = 1,3568984, 2 = 1,8411663206093056,
VAp — Bat = V22, 4765010381720837 = 4, 740938835 ,
i valori delle altre due radici, dedotti dalla seconda e terza for-
mola (12), attenendoci ad otto cifre decimali, saranno espressi da
x = 1,69202150, a = — 3,04891734.
Questi valori sostituiti nella proposta equazione la soddisfano pure
esattamente sino a sette decimali. Difatti sostituendo in essa il pri-
mo valore, si avrà
x — Te + 7 = 4,844150544 — 11,84415050 + 7 = 0,00000004 ;
e sostituendo il secondo valore si otterrà
ax3 — Tx + 7 = —- 28,34242139 + 21,34242138 + 7 = — 0,00000001.
Secondo il metodo che abbiamo tenuto la risoluzione delle
equazioni di terzo grado dipende dal valore di
Sii nd
Velino
per la determinazione del quale, allorquando le tre radici sono rea-
li ed incommensurabili, si deve ricorrere ai metodi di approssima-
zione. Fra questi metodi è notevole quello della risoluzione trigo-
nometrica delle medesime equazioni, la quale dedurremo pure
(1) Cours d’Algebre superieure—Troisiéme édition—1Tome premier— Paris 1866.
dedotta dall’ Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine 11
dall’ integrale della (1); e la estenderemo agli altri casi, in cui le
equazioni hanno una radice reale e due immaginarie.
A tal’ uopo poniamo nella (2), e nella (6)
SOR2S
Caio Pag
ed avremo
SITR n3\n fina 3\n
BE IRO / 9g p q / qQ Pp
(14) fin) = (2 +VE_ di +($-V4 LI
(15) x*—pa— q=0.
L’ espressione (14) rappresenta un’ integrale particolare della
equazione
l 3
fin +2) — qfin +1) + di fin) a
alla quale si riduce la (1) mercè la sostituzione dei precedenti va-
lori di a, d, c, e di n in vece di n+1.
Nel caso irriducibile essendo
«B
q mn}
4 < 91°
e risultando
ne segue che nella (14) si può fare
(16) 1 _ kcosp, Vr 9 = psenp;
2 DI
e si otterrà, in virtù del teorema di Moivre ,
fin) = 2p" cos. np;
12 Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
ma dalle (16) si ricava
(17) e V(2) , cospa= 39/3 ;
dunque, sostituendo in f (n) il valore di # espresso in funzione di
p, Sì otterrà
(18) f(n) = ol (2) S COS. ng .
Facendo in quest’ ultimo risultato » =} si ha
1 o —
r(3) = Ve ="das
e per mezzo delle (12) le tre radici della (15), tenuta presente la
nota eguaglianza
V3 = tan. 60°,
saranno espresse dalle formole :
3
(19) O VE. DE (alia Li I
| x=-2VÈ. cos pani
Se poi nella (15) si pone — « in vece di x si ha l'equazione
(20) ax —pe+q=0,
le radici della quale sono eguali a quelle della (15), prese con se-
gno contrario, cioè sono :
fu A/R p
n=- VD. cost,
/ 180° + 9
21 sol DI OI
(21) 2) 3. 008 | 3 (È
n= ol. COS (es ;
dedotta dall’ Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine 18
In tutte queste formole, esprimenti le radici della (15), e quel-
le della (20), dovrà sostituirsi il valore dell’ arco @ calcolato me-
diante la seconda delle due equazioni di marca (17).
Nel caso di
do PD
pe Ae og
47 27’
essendo
2pVp
PP <I1,
3g 3
può farsi
(22) 2pVp_ = Seù, 9;
34aV 3
e si avrà
de _ Pdf ,__ 4° _ geosp
279 20
Sostituendo nella (14) questa espressione di unita al valore di
pj/r
_ 3° 3
2 sen 9
dedotto dalla (22), si perviene al risultato
f(n) = (2) (cot.” I + tan." di ,
da cui posto 3n = 1 si deduce
3
e(4) = Va VAN z + Vtan.£)
Per esprimere questo risultato sotto forma monomia, onde ot-
tenerne facilmente il valore per mezzo delle tavole logaritmiche
poniamo , come in tale caso è solito farsi ,
3 CRA 3 RL.
(23) Vian. 2 —itan. do. è perciò Vai sa —d (111) 79 110E
14 Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
ed avremo
‘sen2L*
Mediante la sostituzione del valore di a nelle (12) e nelle (13)
le radici dell'equazione (15) sono espresse dalle formole :
/ /P 1
| si 3 ‘sen21’
VAN 1 Da
9 psi / Pp v Reti
(24) | e= | x oi Vp.cot24)V-1,
fp 1 PE =
ue l Vp.cot2Uy)V 1;
x | 101 + Wp. cot 24) 1
e quelle della (20) dalle formole :
| ESRI, A
3. sen20L
perni 1 Re” e
(25) TO LS RE Vo. DA
Î xv | 30 +Wp.cot 24) 1
co V2 RE Vp .cot2)V 1.
Spara 3. sen2L
In conseguenza, nel predetto caso, l’una e l’altra equazione han-
no una radice reale e due immaginarie, la valutazione delle quali
si ottiene con determinare prima 1 arco 9 per mezzo della (22),
e poscia l’ arco v col soccorso di una delle due eguaglianze (23).
In fine, nel caso di p < 0 la (15) prende la forma
(26) ddp tg="0
e la (14), essendo positivi i due termini sotto la radice quadrata,
è rimpiazzata dalla
(27) fa) (£ Di V£ SE EV + (2 — VEE I ni
la quale esprime un’ integrale particolare dell’ equazione
fin+2)—gfln+1)-E fm=o0.
dedotta dall’Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine 15
Facendo in tale caso
(28) Ri tan. @,
3g V3
si avrà
VC ALE EE
4027 2cosp
e quindi, sostituendo questa espressione nella (27),
> ca [reetie di no
ra = | COS p ai, | COS p °
ma dalla (28) si ricava
p/»
fd Bi,
2 tan ©
dunque
=: Za | n p n n Std |
fm = (È "I CCOL, pi De ckame Dai
: 1 ;
Se si pone n = gi; esesi fa uso, come nel caso precedente,
delle formole (23) onde ridurre a forma monomia le due funzioni
trigonometriche, scritte dentro parentesi, si avrà il valore di
per mezzo del quale. sostituito nelle (12), dopo aver cambiato il
segno della p in esse contenuta , si ottengono per le radici della
(26) i risultati :
(29) x = — VB cotav+ (12 )y=a :
VR a
= VE ct (A VET.
16 Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
Se poi nella (26) si mette — x invece di x si otterrà l’equa-
zione
(30) + pr +9=0,
le radici della quale essendo eguali, e di segno contrario, a quelle
della (26), sono espresse dalle formole :
n=— 2/2. cose,
I Lire
(31) i =V$. cot. = [0 Ver
| jon cot. 24 + | Vp_ est
sen 21
Dai risultati ottenuti relativamente al caso di p < 0 si ricava
che le radici della (26), e della (30) sono una reale e due immagi-
narie; e che per ottenerne il valore si deve calcolare l’arco © per
mezzo della (28), ed indi l'arco $, come nel caso precedente, me-
diante luna o l’altra delle due equazioni (23).
Ottenuta la soluzione trigonometrica delle equazioni di terzo
grado nei varî casi, che possono accadere rispetto alle radici di
esse, passiamo a farne l’applicazione ai seguenti esempiî :
Esempio primo — Facendo nella (20) p= 7, q== 7 si ha Ve-
quazione
ce —-le+Ul=0,
della di cui soluzione ci siamo precedentemente occupati. Se sì so-
stituisce il valore di p, e di q nella prima delle (21), e nella se-
conda delle (17), si ottengono le due espressioni :
27
er
. 0083 cosp=lV= ;
78
a V3, 3 98)
dalla seconda delle quali mercè l applicazione dei logaritmi sì de-
duce
log. cosg = 9,9921029 = log. cos 10° 53', 63,
dedotta dall’ Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine 17
onde
DB 128
p= 10053160, È —30271, 87, TELAIO 2° cos 3° 37, 87;
d i 3 3 > to)
ma
/28 107 a
log. | 3 = 0,4850184, log. cos. 3° 37', 87 = 9,9991273,
dunque
(298. NECERA DO
log. | 3 cos. 3° 371, 87= 0,4841457 = log. 3,0489178;
e quindi
xe = — 83, 0489178.
Le altre due radici ricavate dalla seconda, e terza formola (21)
sono espresse da
198 28 1
xe=|V 2 . cos. 63° 371,87, e = | 3 - 008. 56° 22, 13.
Or essendo
log. cos. 630 37!, 87 = 9,6475276,
log. cos. 56° 221, 13 = 9,7433879 ,
ne segue essere
LO.
log. |/ o cos. 63° 37!, 87 = 0,1325460 = log. 1,3568944,
/28 do00:
log. | 3 008. 56° 22, 13 = 0, 2284063 = log. 1,6920230,
e perciò le altre due radici della proposta equazione sono:
x = 1,3568944, x = 1,6920250.
I valori delle tre radici si accordano, per quanto lo permette la
estensione delle tavole, con quelli ottenuti per mezzo delle formo-
le (13). Basta poi cambiare soltanto il segno dei medesimi valori
per avere quelli delle radici dell’ equazione
8 -la—-7T=0,
le quali potrebbero anche dedursi dalle (19).
ATTI Acc., Vor. VIII, SerIE 48 — Memoria III. 3
18 Itisoluzione delle Equazioni di terzo grado
Esempio secondo — Se nella (15) si pone p = 2, q= 5, si
ottiene l'equazione di Newton :
x*—2x-b:=0,
la radice positiva e reale della quale, ricavata dalla prima delle (24),
è somministrata dalla formola;
SS
enna
3. sen. 2L
Per determinare l’ arco vt mettiamo il valore di p, e quello di
q nella (22); ed avremo
32.
675’
sen'ipi= y
onde
los: (sento — 9F35025i— log 2%54 9930,
e quindi
p = 12° 34, 5536.
Sostituito il valore di g nella prima delle (23), si trova
3
tan dv = Vtan 6° 172768 ;
ma
3 ——___________________€—
log. tantv = log. Vtan 6° 17,2768 = 9, 6807114
— log. tan 25° 36’, 284;
dunque
tan d = tan. 26° 36, 824;
e perciò
= 950 36, 824.
dedotta dall’ Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine 19
Ponendo il valore di $ nella precedente formola, esprimente la
radice reale e positiva dell’ equazione newtoniana, si ottiene
A l
o=| 3° sen. 51013, 648
e quindi
/8
log. e = log. | 3 + compl. log. sen. 51° 137,648
— 0,2129844 + 0,1081068
=:0;3210912 = log..2,0946512.
Si ottiene dunque per la predetta radice
xe = 2,0945512.
Per determinare le due radici immaginarie basta sostituire nella
seconda e terza delle formole (24) la metà della radice reale, già
ottenuta presa con segno negativo, e valutare il coefficiente della
quantità immaginaria V — 1, espresso da
Vp . cot.2L = V2 . cot. 51° 13648.
Essendo
log. Y2 =0,1505150, log. cot. 51° 13, 648 = 9, 9048408,
sì ha
log. V2 . cot. 51° 13’, 648 = 10, 0553558 = log. 1, 1359412;
e perciò
Vp . cot.2f = 1,1399412.
La sostituzione di questo risultato nella seconda, e terza delle
(24) di unita alla metà, come sopra, della radice reale, ci sommi-
nistra per le due radici immaginarie i valori
e = — 1, 0472756 — (1, 13594129) V—1,
x = — 1, 0472756 + (1, 13594129) V— 1.
20 risoluzione delle Equazioni di terzo grado
Se si cambia il segno delle tre radici della proposta equazio-
ne si otterranno quelle dell’ equazione
xd -2x+5=0,
le quali possono anche ricavarsi dalle (25).
Esempio terzo ed ultimo — Risoluzione dell’ equazione
ax + 6a —-2=0.
Ponendo p= 6, q=2 nella (28), e nella prima delle (29)
otterrassi
tangp= V8, x= 8 cot. 24;
onde
log. tan p = 10, 4515450 = log. tan. 70° 31’, 727,
tan..g== tan. 10%51,, 721, ip 70*3]G420.
Sostituendo nella prima delle (23) il valore di ? sì ha
tan d = Vian, 35019803 ;
e perciò
log. tan. d = 9,9498283 = log. tan 41° 41’,868,
L= 41° 41’, 868, x = V8. cot. 83° 23, 736.
Intanto essendo
log. V8 =0, 4515450, log. cot. 83° 23’, 736 = 9, 0636400,
ne segue, che si ha
log. 2 = 9,5151850= log. 0,3274802;
e che la radice reale, e positiva della proposta equazione è
x = 0, 3274802.
Per determinare le due radici immaginarie mettiamo il valore
dedotta dall’Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine 21
di p e di + nella seconda e terza delle (29); ed avremo
= V6 )
= — ODIARE “ S der
È V2. cot. 83023, 736 + (= nd ar fessi
x = — V2. cot. 83° 23’, 736 — | ATI Vedi
4 SEl9o 20.109
.
Il primo termine del secondo membro di queste due eguaglian-
ze essendo la metà della radice reale, cambiata di segno, è espres-
so da — 0,1637401.
In quanto al coefficiente del secondo termine immaginario, sic-
come si ha
log. V6 = 0,3890756, collog. sen. 83° 23/,736 = 0,0028917;
e quindi
V6.
108. \sen 83097756
) = 0,8919673 = log. 2,4658536,
così ne segue, che le due radici immaginarie risultano
xe = — 0, 1637401 + (2,4658536) V=1,
xe = — 0, 1637401 — (2, 4658536) V— 1.
In fine mettendo nella data equazione — x invece di x, e cam-
biando il segno delle radici di essa, si otterranno quelle dell’equa-
zione
L + 6r +2 = 0,
le quali potrebbero anche dedursi dalle formole (31).
Ottenuta la soluzione trigonometrica delle equazioni di terzo
grado per i varî casì, che possono accadere rispetto alle radici di
esse, daremo fine al presente lavoro con rilevare come per mezzo
della (18) si possono esprimere in prodotti infiniti, sotto forma ele-
gante, le radici delle medesime equazioni, specialmente nel caso ir-
22 Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
riducibile. A tal’ uopo mettiamo nella (18) la nota espressione in
fattori della funzione cos n? ; ed avremo
rat BILE] EN
Il fattore generale del secondo membro di questa eguaglianza,
essendo n, e 9 quantità finite, tende verso l’unità a misura che m
aumenta infinitamente. Se in essa si pone 3n = 1 si otterrà la for-
mola
32
col soccorso della quale mediante la sostituzione dell’ arco 9 rica-
vato dalla seconda delle (17), si otterranno ìn prodotti infiniti le
tre radici espresse dalle (19), o dalle (21), secondo che la prima
delle medesime radici è positiva, o negativa.
Così, per esempio, riguardo all’equazione
x — 6x0 — 4=0,
essendo p==6, q==4, si ricava dalla seconda delle (17)
= ‘008-499, ip: 4995
e per mezzo della sostituzione del valore di 9 nelle (19) si troverà
x =2V2. cos15°, a = —2V2. cos759, x = — 2V2. cos 45°.
Facendo successivamente nella (32)
dedotta dall’ Integrale di una equazione a differenze di terzo ordine 25
le tre radici della predetta equazione saranno espresse dalle for-
mole :
2=212.(1-(9 10-90-91] a
22-21] MOI a
22-27-17) 10-00]
le quali possono anche sceriversi sotto la forma
— 323. 2915. 8099...[18° (22m —1)°— 1]...
== DIE ’
ii 1.9.25....@m — 1f.18%...,
_—__ DC Ie n 2 (9 RS 2 __ 9
p=—2V57, 2099-2891. 8075...(18% (@re — 1} — 28]...
(e I i e e
glo etto —
s=—2V3 315. 2907. 8091....[18° (2m — 1° — 9)... 1
|ReT92o ae = 198,
In queste formole i valori di m si estendono da m == 1 ad m = ©.
Osserviamo intanto, che essendo
cos 75° = cos (45° + 309) = LEI i
cos 459 — de
Kari
le medesime radici sono anche rispettivamente espresse da
g=1+W3, e=1- 143 ARE.
Questi risultati sono perfettamente di accordo con quelli, che
sì traggono dalle formole analitiche (13) mediante la conoscenza
della radice commensurabile a= — 2, ottenuta col metodo dei di-
. . N 5) . È A . . . . Li
visori dell’ ultimo termine. Rileviamo anche che, eguagliando rispet-
24 Risoluzione delle Equazioni di terzo grado
tivamente i valori delle tre ultime radici con quelli delle tre radici
espresse in prodotti infiniti, si ottengono dei risultati notevoli, fra
i quali quello di
ve = 1-9-29: 4... Om 1°. 18m...
TC T315. 1290780010 NS Oa
derivante dall’eguaglianza della terza radice — 2 con la terza delle
radici sopra espresse in prodotti infiniti.
Se in quest’ultima espressione si sopprime il fattore 9, co-
mune a tutti i fattori del numeratore e del denominatore, si trova
la formola i $
— 6.6. 18.18. 30. 30....(12m — 6) (12m — 6)...
VO =; ;
Diet lee
la quale esprime la radice quadrata del numero 2 sotto forma
diversa di quella, ottenuta dall’ Eulero nella sua Introduzione al
Calcolo infinitesimale.
Catania 2 Dicembre 1894.
Memoria IV.
Ricerche sperimentali sull’avvelenamento da acido pirogallico
pel Dottor ANGELO PETRONE
Professore ordinario di Anatomia patologica a Catania.
PARTE I.
PERIZIA MEDICO - LEGALE
I
Storia — Ordine delle ricerche
La comparsa simultanea nei primi di Agosto 1893 di una
forma morbosa nella famiglia Speciale di S. Andrea a Catania,
che aveva del misterioso, come diceva il pubblico : che mostrato
avea come sintomi culminanti, itterizia comparsa rapidamente nei
primi giorni, febbre più o meno risentita, forte prostrazione: che ave-
va colpito tutti di casa, cioè il Barone di S. Andrea, 2 suoi fratelli
e 2 persone di servizio, e che verso il 7° giorno finì con la mor-
te del Barone e di un fratello, mentre l’ altro fratello e le 2 per-
sone di servizio, sebbene lentamente, guarirono : quest’apparenza di
morbo, che prima e dopo morte diede occasione ai giudizii più di-
sparati, anche da parte di medici, tra le altre supposizioni fece na-
scere il sospetto dell’ avvelenamento, e si domandò la sezione ca-
daverica dei 2 decessi dalla Giustizia, anche per calmare la trepi-
dazione del pubblico, perchè si temeva da molti una forma grave
e speciale di colera, ed il colera mieteva già vittime a Palermo ed
in varii altri paesi della Sicilia: da altri una forma grave di tifo it-
terode; da altri avvelenamento da carni o da acque malsane: da al-
tri perfino di febbre gialla. Ed il panico era straordinario, anche
perchè non ancora si sapeva la sorte degli altri colpiti, che erano
tanto gravi, da far dubitare anche della loro vita.
Io devo a queste 2 autopsie, fatte coi miei egregi amici Dot-
ATTI Acc., Vor. VIII, SERIE 4° — Memoria IV. 1
2 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
tori Raimondo Cannizzaro ed Annibale Costa l’ undici Agosto dei
2 cadaveri suddetti, circa 2 giorni dopo il decesso, per incarico
avuto dal distinto Signor Giudice Cantarella, una serie di ricerche
che ho continuato ogni giorno per più di un anno, e che per al-
tri scopi poi sto continuando ancora. Esporrò tutte queste ricerche
nel modo più breve possibile, onde giustificare meglio le conclusio-
ni: soltanto nel diario, così come io segnavo ogni giorno, sì trove-
rà la ragione delle ricerche stesse e la filiazione e cronologia dei
risultati ottenuti, i quali potranno interessare la Chimica, la Fisio-
patologia e la Medicina legale.
Comincio col riferire la diagnosi anatomica, formulata nel
giorno delle autopsie dei S. Andrea e dopo gli studii ulteriori, per
mostrare come dando il giusto valore a certi fatti particolari di
stologia e Chimica-patologica, che a prima giunta sembravano di
non molto interesse, ho potuto fare la serie delle presenti ricerche,
le quali non solo hanno reso possibile definire la causa della morte
dei S. Andrea, ma mi hanno dato una ricca serie di ammaestra-
menti, che ho creduto mio dovere riferire all’ XI Congresso inter-
nazionale di Medicina.
Le autopsie fatte dei 2 cadaveri dei S. Andrea diedero un
risultato identico in entrambi “ Putrefazione ritardata —Fegato gial-
lo-verdastro bruno: bile della cistifellea giallo - bruna, nerastra—
Milza nera, ma non ingrandita—Reni ingranditi, principalmente a
spese della sostanza corticale, divenuta giallo-bruna, terrea con
apparenza di infarti nerastri, radiali lungo i raggi midollari : urina
giallo-rossigna, come marsala —Degenerazione albuminosa e grassa
del muscolo cardiaco — Nessun’ altra lesione importante, special-
mente nel sistema vasale per l assenza perfino di macchie emor-
ragiche, e nel tubo digerente, che avesse potuto riferirsi ad infezio-
ni, o a veleni con azione locale irritante. ,
Dopo tale reperto, avendo assicurato l Autorità giudiziaria ap-
pena finita la sezione, anche per poter serenare il pubblico, che
non si trattava di colera, nè di febbre gialla, nè di tifo itterode,
nè di botulismo, nè di carni o acque puzzolenti, ho dovuto intra-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 3
prendere una serie di ricerche allo scopo di definire possibilmente
a che doveva incolparsi quel reperto anatomico speciale, se ad infe-
zione particolare poco conosciuta, ovvero ad un veleno, che mentre
cagiona quelle conseguenze non altera quasi per nulla le pareti del
tubo digerente.
Quindi una serie di studii batteriologici, adoperando, dopo il
primo esame diretto delle materie fecali e del sangue, i terreni di
cultura più svariati, e l acqua, ed il brodo e la gelatina nutritiva,
e l’ agar perfino glicerinata, ed il siero coagulato, tutto alla tempe-
ratura dell'ambiente che sorpassava in media 30° c., ovvero a 37° c.
nel termostato. Fatte anche le piastre, e l innesto sulle patate, ed
infine anche | inoculazione a conigli ed a cani, oltre lo studio della
goccia pendente. Come era a prevedersi, il risultato è*stato sempre
negativo per batterii patogeni, conosciuti o sconosciuti. Quindi la
probabilità sempre crescente di aver da fare con un avvelena-
mento.
Venne l'obbligo di ricercare il veleno. E prima ho potuto
escludere la serie ben nota degli avvelenamenti, che più comune-
mente succedono e che danno itterizia.
Due fatti intanto richiamavano la mia attenzione, cioè, il reper-
to istologico di una sostanza colorante giallo-bruna , nerastra nel
fegato, un poco meno nei reni, solubile nell'acqua, insolubile nella
glicerina, nell’ alcool assoluto, nel cloroformio, ecc: ed il fatto gros-
solano simile, ma in parte contradittorio, cioè che il fegato ed an-
che i reni nell’ alcool ordinario poco per volta si scoloravano, men-
tre la milza restava nerastra.
Allora ho dovuto sospettare l’ avvelenamento da acido piro-
gallico, il quale è solubilissimo nell'acqua, cagiona itterizia, ed al
suo derivato la pirogallina, la quale mentre ha quel caratteristico
colore, giallo-bruno, nero, è solubilissima nell’ acqua, insolubile nella
glicerina, nel cloroformio, ecc.
Dopo ciò, ho potuto , stabilire la presenza di acido pirogallico
nel contenuto di certe boccette sequestrate nella casa dei S. An-
drea e che si avevano in custodia dalla Giustizia : boccette le quali
4 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
servivano indubitamente per tingere in nero i capelli e la barba,
essendo conservate con spazzoline ad hoc.
Rendendosi sempre più probabile tale avvelenamento, intrapresi
la serie degli sperimenti con l acido pirogallico. Surse però la ne-
cessità di moltiplicare le ricerche , perchè nell’ estratto dei S. An-
drea vi era una sostanza colorante che probabilmente era pirogal-
lina, ma che non si poteva dimostrare più con reazioni chimiche,
non essendovi dopo 8 giorni dall’ avvelenamento più acido pirogal-
lico; e non avendo la pirogallina, con ciò che sinora insegna la
chimica, reazioni caratteristiche, positive.
Quindi una lunga serie di esperimenti sugli animali: ma per la
trasformazione nell’ organismo dell’ acido pirogallico in pirogallina,
mentre come acido pirogallico vi è 1 eliminazione quasi completa
nel primo giorno mediante l’ urina, non si potevano più avere le
reazioni positive dell’ acido pirogallico nelle stesse sperienze dopo
una giornata dall’ avvelenamento : negli animali però si era in pos-
sesso del veleno propinato. Intanto il quadro clinico ed anatomico
era sempre lo stesso, ed identico a quello dei S. Andrea : gli estrat-
ti del colore identico: mai avvelenamento procurato con questi
estratti, i quali, come nei S. Andrea si ricavavano sempre ed esclu-
sivamente dal fegato : somiglianza di questi estratti con tintura di
iodo e con la soluzione di vesuvina relativamente al colore : somi-
glianza e nello stesso tempo differenza con un’ altra serie numero-
sa di estratti, ottenuti dal fegato di altri animali sani o avvelena-
ti con altri veleni, ed anche dal fegato dell’ uomo senza alterazioni
apprezzabili, o con le più svariati lesioni, specialmente quelle che
si accompagnavano con itterizia. In modo che si poteva con co-
scienza conchiudere nei S. Andrea all’ avvelenamento per acido pi-
rogallico, sebbene mancasse la reazione positiva, così come deve
succedere sempre dopo i primi giorni dell’ avvelenamento.
Dopo tante ricerche, ed anche dietro molti tentativi di natura
chimica per cimentare la pirogallina a rispondere con una reazio-
ne positiva, mi riuscì finalmente di sdoppiare, o meglio, trasfor-
mare la pirogallina in acido metagallico per opera degli acidi forti,
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 8)
specialmente col nitrico : e da ciò la ricostituzione della reazione
pirogallica caratteristica. Dopo ho ottenuto anche la trasformazio-
ne della pirogallina in acido metagallico o galloulmico col calore,
e quindi un secondo mezzo per ricostituire la reazione. Confermato
allora tutto questo nell’ estratto del fegato dei S. Andrea, e quindi
definizione positiva dell’avveleuamento pirogallico in quel caso par-
ticolare, quando coi mezzi finora noti non sarebbe stato possibile.
In seguito a conferma cercai ricostituire le varie sostanze con-
tenute nelle diverse boccette sequestrate, e vi pervenni mischiando
acido pirogallico e nitrato di argento in modi diversi, sia per aver
la sostanza solida di una boccetta, sia la liquida di un’ altra : noto
fin d'ora, che vi era una 3? boccetta dei S. Andrea, che conte-
neva soluzione di nitrato di argento. Infine apprestando a due
cani un poco di quelle sostanze contenute nelle boccette sequestrate
ai S. Andrea, ho ottenuto l’ identico quadro clinico e reperto ana-
tomico dei 2 fratelli S. Andrea, e di tutta la serie degli animali av-
velenati con l’ acido pirogallico.
Da questi studii fui guidato ad una serie di ricerche chimiche
ed a nuovi esperimenti sull’ azione biologica dell’ acido pirogallico.
Ho dovuto servirmi, come esporrò dettagliatamente di più di
un centinaio di animali, pochi conigli, il resto cani: alcuni soltanto
ho sacrificato senza l avvelenamento per servirmene di paragone.
Per i mezzi molto limitati non ho potuto disporre di molti conigli,
e dalle poche sperienze fatte, pare probabile, che in questi lav-
velenamento è più difficile e sono necessarie dosi maggiori che nei
cani: chi sà che l’uomo avesse una suscettività e sensibilità anco-
ra maggiore al veleno in parola. Tutti però, meno differenze lie-
vi, danno lo stesso quadro clinico e reperto anatomico.
6 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
HE
Ricerche per definire la natura del morbo
nei $S. Andrea.
Siccome la serie delle ricerche fatte a questo scopo non im-
portano direttamente al presente lavoro, limitandomi a pubblicare
le sole ricerche fatte a proposito dell’ acido pirogallico , segnerò,
delle ricerche fatte per definire la natura del morbo che invase
la famiglia S. Andrea, il sunto e le conclusioni date alla Giustizia
il 17 Settembre 1893, dopo avere alla stessa consegnato per esteso
questa parte preliminare della perizia.
Trascrivo quest’ ultima parte dal titolo Considerazioni e Con-
clusioni.
Gli studi fatti in 45 giorni sia come osservazioni, sia come
sperimenti hanno messo in rilievo i fatti seguenti :
1°. Con culture fatte sui svariati terreni di nutrizione, con i
metodi meglio conosciuti e con tutto lo scrupolo e perseveranza
necessarî in queste ricerche, onde potere con coscienza dare il
giudizio sulla questione batteriologica, non si è mai ottenuto alcu-
na forma conosciuta di batterii patogeni per l’ uomo.
2.° Facendo coi metodi diversi di inoculazione l’iniezione della
cultura pura del dacterium colì comune, che tra gli ottenuti era il
solo che poteva restare dei dubbî, essendo in alcuni animali, cavie,
patogeno con forma settica; facendo, ripeto l inoculazione a 6 co-
nigli ed a 6 cani, tutti questi animali sono restati perfettamente
sani, anche nella temperatura del loro corpo. Ciò confermato, uc-
cidendo dopo 6 giorni dall’ inoculazione, 3 conigli e 3 cani col clo-
roformio, e facendone la sezione.
3.° L'esame microscopico, fatto a scopo batteriologico , con
tutti i metodi conosciuti, anche con quello di Gram, e perfino col
metodo di Loeffler per la colorazione delle spore, sui preparati ri-
cavati dal sangue, dalle materie fecali, e sui tagli microscopici de-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 7
gli organi di tutti e due i cadaveri S. Andrea, ha dato risultati ne-
gativi.
Si è quindi dallo studio batteriologico dovuto conchiudere, che
non solo non si tratta delle infezioni comuni meglio conosciute, co-
me affermammo nel giorno delle autopsie dei 2 cadaveri S. Andrea,
ma che si possono anche escludere infezioni speciali, nuove, sco-
nosciute.
4°, L’ esame istologico mette prima di ogni altro in rilievo la
necrosi più o meno progredita di una parte delle cellule degli or-
gani parenchimali, ed a preferenza del fegato, dei reni e del mu-
scolo cardiaco, prevalentemente sotto la forma del rigonfiamento
torbido e degenerazione grassa.
5. Mancano le note di flogosi importanti, meno pella milza,
ove si trova splenite cronica, residuale a malaria. Solo nel fegato
vi è accenno a fatti flogistici acuti, essendovi emigrazione dissemi-
nata di cellule bianche del sangue, e di altri elementi cellulari
amebiformi : vi sono anche apparenze di globi di leucina, come si
trovano nelle atrofie rapide del fegato.
6. Il trovato istologico più speciale ed importante, che giusti-
fica la particolare apparenza grossolana, consiste nel riempimento
della maggior delle cellule epatiche di una sostanza granulare gial-
lo-bruna nerastra. Invece le apparenze di leucociti, emigrati nel
fegato, hanno una colorazione verde-bruna diffusa, non granulare,
quasi come le gocciole di grasso colorate dall’ acido osmico: ed è
importante che di simile apparenze leucocitiche si trovano anche
nei rami portali del fegato. Anche nel rene, sebbene quasi esclu-
sivamente nei tubi ansiformi di Henle, si trova un poco di questa
sostanza granulare nerastra nell’ epitelio degli stessi, ma in molto
minore quantità delle cellule epatiche : non vi è apparenza di cel-
lule ameboidi con colorazione diffusa. Anche nelle cellule nervose
corticali del cervello si è potuto stabilire la presenza di questa so-
stanza granulare nerastra, che sebbene in piccola quantità è evi-
dente. Talora perfino in preparati di polmone, oltre il colorito ne-
ro per antracosi, si è potuto notare negli alveoli pulmonali una
8 Ricerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico
quantità di cellule indifferenti con contenuto di granuli nerastri :
pare che varii di questi granuli si decolorano con 1’ acqua.
7. Questa sostanza nerastra non è pigmento ematico, nè bilia-
re ridotti all’ ultima ossidazione, cioè non è melanina , nè biliumi-
na, che sono anche sostanze granulari e nerastre, non solo perchè
la sostanza in parola trovasi esclusivamente nelle cellule parenchi-
mali, e non nei vasi sanguigni o biliari; ma principalmente perchè
i due pigmenti così ossidati sono insolubili nell’ acqua, alcool or-
dinario, ecc., come è risaputo, ed ogni giorno si conferma da chi
lavora in Istologia patologica.
8. È invece una sostanza, la quale è solubile nell’ acqua di-
stillata, nell’ alcool ordinario, nell’ alcool assoluto con acido solfori-
co, ovvero con potassa caustica : mentre è insolubile uell’ alcool
assoluto, nell’ etere, nel cloroformio nella trementina, nella gliceri-
na pura. Non ho potuto avere da nessuna farmacia o drogheria ,
neanco dall’ Istituto chimico dell’ Università, però nell’ Agosto e
Settembre mesì di vacanza, il solfuro di carbonio ; e quindi non
ho potuto sperimentare la sua azione solvente sulla sostanza in
parola.
A conferma di ciò, non solo i preparati microscopici, compre-
sì anche quelli di cervello, sciolgono quella sostanza nerastra nel-
l’acqua o nell’ alcool ordinario; ma anche i pezzi grossi di fegato
dei S. Andrea, dopo un mese della loro conservazione in alcool
ordinario si sono decolorati per più di un centimetro di profondi-
tà nella loro parte esterna, restando la profonda colorata, come
bellamente si vede con nuove sezioni totali dei pezzi.
9. La luce solare, anche diretta, accentua soltanto un poco
quella colorazione brunastra, come si conferma nei preparati in cui
quella sostanza non è stata disciolta; e come si è visto fin dal
principio, che la colorazione brunastra corrisponde a preferenza e
più fortemente nella parte più esterna dei pezzi da cui si sono
tagliati i preparati microscopici, quella cioè che ha subito princi-
palmente | azione della luce. I preparati decolorati non si colora-
no più sotto l’ azione della luce: si colorano invece di nuovo, ma
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 9
p [
non più nel modo primigenio, quando si lascia lentamente depo-
sitare sugli stessi quella sostanza, che ai medesimi si è tolta, come
è successo nei preparati, decolorati nell’ alcool ordinario , fatti es-
siccare ; 1’ alcool si evapora e la sostanza colorante impregna di
nuovo i preparati, con la differenza, che il colore dei granuli riap-
pare di un marrone bruno, non più nerastro.
10. Il colorito bruno nerastro della milza, sia con l’ esame
microscopico, che con le appropriate analisi, si stabilisce essere
pigmento ematico diffuso, e non quella speciale sostanza colorante.
Da tutti questi risultati dell’ esame microscopico si è dovuto
escludere, che si tratti di una sostanza colorante, la quale proven-
ga dallo stesso organismo : quindi non trattandosi di un pigmento,
di cui poi mancherebbero anche le fasi genetiche, siamo convinti
che si tratta di una pseudomelanosi o falsa pigmentazione, dipen-
dente da una sostanza estranea. E siccome abbiamo trovato que-
sta principalmente ed in massima copia nel fegato, così oltre l’af-
finità che può avere col fegato, probabilmente questa sostanza vi
è arrivata per assorbimento dal tubo digerente, ove non si è tro-
vato traccia di quella sostanza, perchè tutta assorbita, e già da
più di una settimana.
Questa sostanza, che ordinariamente si trova allo stato omo-
geneo nelle cellule bianche o linfoidi, raccolta nelle cellule epati-
che è stata trasformata sotto l’ aspetto granulare nerastro: in pic-
cola parte poi è entrata nel torrente circolatorio generale, arrivan-
do perfino negli organi più lontani.
Questa sostanza non solo ha agito meccanicamente, sostituen-
do più o meno le sostanze organiche, ma ha pure cagionato pro-
fondi disturbi regressivi di nutrizione sino alla necrosi in organi
importanti, e quindi ha dovuto produrre la morte; perciò ha agito
come i veleni.
Spetta quindi all’ analisi chimica stabilire quale sia stata que-
sta sostanza, la quale, secondo noi, ingerita ha cagionato, come ve-
leno, la morte dei 2 fratelli S. Andrea.
ATTI Acc., Vor. VIII, Serie 43 — Memoria IV. 2
Iicerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico
II.
Ricerche chimiche e sperimentali per definire
la natura del veleno nei $. Andrea
Nel presentare al Giudice Istruttore Signor Cantarella la pe-
rizia scritta sull’ incarico avuto, cioè le ricerche microscopiche e
batteriologiche dei pezzi e liquidi ricavati dalle autopsie dei fratel-
li S. Andrea, il chiarissimo magistrato nel leggere l’ultima parte ,
con cui noi concludevamo principalmente per esclusione all’ avvele-
namento, e che era compito dell’ analisi chimica scovrire e defi-
nire possibilmente tale veleno, ci domandò verbalmente consiglio
sulla necessità, utilità e possibile riuscita di una perizia chimica ,
che sarebbe stato nell'interesse della Giustizia evitare dal lato eco-
nomico: ed invitò noi stessi periti concedendoci altro tempo, se
avessimo potuto risolvere la quistione. Accettammo , ed io dichia-
rai di assumere volentieri l’ ulteriore incarico delle stesse ricerche
chimiche nel bisogno, specialmente se le ricerche sperimentali con
ì veleni, che danno l'’ itterizia, non avessero corrisposto ad illumi-
nare definitivamente il quesito. E poi giustificammo anche l ac-
cettazione al nuovo incarico: 1. perchè la forma clinica e le note
necroscopiche dell’ avvelenamento erano strane e non si potevano
riportare agli avvelenamenti comuni conosciuti: 2. perchè i 2 indi-
vidui erano morti dopo circa 8 giorni dell’ avvelenamento, e quin-
di con probabilità le ricerche chimiche sarebbero riuscite infrut-
tuose per eliminazione già avvenuta della sostanza tossica per mez-
zo degli emuntoi dell’ organismo.
Nell’ accettare l’incarico pregai il Signor Giudice dirmi, se a-
vesse sequestrato sostanze speciali nella casa dei S. Andrea; e do-
po la risposta affermativa, lo pregai a volermi dare un poco di
quelle sostanze per avere un nuovo ed importante punto di par-
tenza alle ulteriori indagini, avvalendomi però sempre dei risultati
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico Ji
delle ricerche anatomiche già fatte, sia grosse che fine. Ed il Giu-
dice promise darmi una parte di queste sostanze il giorno seguente.
A.
Estratto del fegato.
In attesa di tali sostanze per guadagnar tempo e cominciare
Je ricerche con altro materiale, fondandomi sul fatto importante ,
che la sostanza speciale giallo-bruna nerastra trovata negli organi
dei S. Andrea e principalmente nel fegato , è solubile nell’ acqua,
ho creduto inutile, o almeno soverchio sottoporre quei pezzi di or-
gani a trattamenti speciali per estrarne la sostanza in quistione :
ho creduto invece mio dovere prendere 1 alcool ordinario , in cui
si erano conservati i piccoli pezzi, concessici dal Giudice nel tem-
po delle autopsie, perchè là avremmo dovuto avere almeno tracce
della sostanza venefica: e veramente quei pochi e piccoli pezzi e-
rano notevolmente decolorati, e 1° alcool aveva preso un colorito
giallo tendente al rossigno, così come non si ha coi pezzi delle
comuni autopsie. Per la poca quantità dei pezzi conservati, anche
l’ alcool essendo poco, ho dovuto servirmi, per concentrare il ve-
leno da ricercare, di tutto l alcool dell’ uno e dell’ altro vaso, cia-
scuno del rispettivo cadavere. Evaporato a bagnomaria per più di
due ore ho ottenuto un estratto, sempre liquido, a circa il vente-
simo. Questo estratto ha un forte odore empireumatico , estrema-
mente nauseante , di color giallo-rosso bruno , molto torbido; per-
ciò Vl ho fatto passare attraverso la carta da filtro svedese ; ed il
filtrato, conservando lo stesso odore nauseoso , è perfettamente
limpido e di un bellissimo color giallo-rosso-bruno , che in parte
rassomiglia ad una soluzione concentrata di vesuvina o di bruno
di Bismarch, ma meglio ad una soluzione concentrata di tintura di
iodio: però vi sono, se si fa attenzione 2 differenze caratteristiche,
cioè: la vesuvina ha colore rosso intenso a trasparenza, orlo della
superficie rosso, e se si smove tinge in rosso le pareti della pro-
12 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
vetta, restandovi il colore per un certo tempo attaccato, sempre
rosso, che poi diviene più sbiadito e finalmente scompare : la tin-
tura di iodo in massa a trasparenza non appare rossa, ma bruna,
nerastra; ha anche un orlo rosso-bruno, ma che tende un poco al
giallo; si attacca, smossa, alla parete del cristallo, e subito il co-
lorito che resta attaccato per un tempo notevole si fa rosso - gial-
lognolo e poi in ultimo giallo-carico : 1’ estratto dei S. Andrea in-
vece a trasparenza, in massa è di un colorito giallo-rosso-bruno ;
l'orlo è marcatamente giallastro, mai rosso, e non si attacca qua-
sì affatto alla parete quando si smuove, tingendola appena e poi
immediatamente scompare. È così caratteristico l’orlo giallo-bruno ,
che risalta anche quando la superficie non si smuove; e come ve-
dremo più tardi con ulteriori preparazioni sia di estratto dei S.
Andrea, sia di preparati artificiali della stessa sostanza, o anche
di estratti dell’ alcool in cui ci sono pezzi degli animali avvelenati
dello stesso modo, è caratteristico tale orlo anche in soluzioni con-
centratissime di questa particolare sostanza, perfino quando in massa
a trasparenza è quasi nera; ed allora si conferma il colore giallo-
bruno dell’ orlo non solo, ma smuovendo quel colore giallo - bruno
resta attaccato pochissimo tempo alla parete.
Diremo in seguito di molte altre differenze tra queste 3 solu-
zioni, quando esporremo le ricerche fatte ad loc estesamente, e non
solo con animali avvelenati con acido pirogallico, ma anche con altri
veleni, o senza alcun veleno, ecc.
Ho fatto il saggio dell’estratto dei S. Andrea con le carte rea-
genti: la carta di tornasole arrossisce immediatamente e quindi l’e-
stratto ha reazione acida. Bisogna però fin d’ora notare, che dopo
svariate e ripetute prove ho potuto assicurarmi che la reazione a-
cida si ha sempre nell’ estratto di pezzi cadaverici, anche di ani-
mali, quando la morte data da un paio di giorni, quando cioè la
putrefazione è più o meno progredita: più in là diremo di aver ciò
confermato non solo nell’ estratto di pezzi di fegato dell’ uomo, ma
di molti animali, anche uccisi nello stato sano. Segno quindi il
fatto dell’ acidità, notando che esso non ci impone pel caso speciale
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 165)
dell’ avvelenamento. Dall’ altra parte più tardi nel mostrare la rea-
zione speciale dell’acido pirogallico con la carta tornasole, confer-
merò che quest’ acidità dev'essere sostenuta da altre sostanze acide,
avendosi l’ arrossimento ordinario della carta di tornasole, e non
quel violaceo speciale dell’ acido pirogallico.
La quantità ricavata dell’ estratto essendo molto poca per po-
ter analizzare chimicamente su vasta scala, così riserbandomi di
pregare l’ Autorità giudiziaria a fornirmi ancora una parte dei
pezzi, massime del fegato e dell’ alcool ordinario in cui questi so-
no conservati, onde avere una quantità maggiore di estratto per
gli studi possibili ulteriori, ho conservato con le dovute norme
una parte dell’ estratto ottenuto , ed il resto ho allungato con 10
parti di acqua distillata, onde praticare le dovute analisi per la
scoverta di quel veleno, che più probabilmente può entrare nel
caso presente dei S. Andrea.
B.
Avvelenamenti
In questo esame ho dovuto fare da primo luogo calcolo della
nota clinica ed anatomica che più imponeva nei S. Andrea, la i
terizia e quindi
10
Esclusione dei veleni più comuni.
1. L’acido prussico o cianidrico, il quale non dà itterizia, invece
cianosi. E poi sarebbe stato avvertito in vita in primo tempo clinica-
mente per l’ odore caratteristico delle mandorle amare. Ed infine
con questo avvelenamento, che è il più letale a dosi minime, o si
muore presto, o se vi ha guarigione, questa succede con la stessa
rapidità dei gravi e minaccianti sintomi: non si è ammalati 8 gior-
ni, come i decessi; o parecchie settimane, come i sopravissuti.
2. La nitrobenzina, la quale dà anche un odore che rassomi-
14 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
glia alle mandorle amare; non dà itterizia ; ed infine succede an-
che con una certa rapidità la morte o la guarigione.
3. L’ ossido di carbonio, che non dà itterizia, invece il colore
speciale rosso-ciliegia vivo del sangue, ed il colorito rosso-porpora
vivo delle macchie ed ipostasi cadaveriche, oltre i segni classici
dell’ asfissia.
4. L’ alcool, mancando in questo avvelenamento l' itterizia ,
mentre poi vi sono fatti clinici ed anatomici caratteristici, special-
mente l odore alcoolico. Non si muore mai dopo varî giorni nel-
l’alcoolismo acuto, ma si guarisce.
5. Loppio e suoi composti, che non danno itterizia. Prevale
poi il reperto delle neuro-paralisi e dell’ asfissia. I cadaveri putre-
fano presto.
6. Il tabacco e la nicotina, in cui manca lV'itterizia, nè vi sono
note anatomiche speciali: i fatti più imponenti sono i neuro-para-
litici. In primo tempo si può avere l odore caratteristico del ta-
bacco.
7. Il curaro, che non dà itterizia: vi è invece il reperto ne-
croscopico dell’ asfissia. Il quadro clinico poi sarebbe stato facil-
mente conosciuto. È quindi soverchio impiegare in questo caso la
reazione caratteristica dell’ acido solforico.
S. La digitale, che non dà itterizia, nè un reperto necrosco-
pico speciale : è quindi superfluo cimentare nel caso presente le
reazioni speciali della digitalina.
9. La nitroglicerina, la quale ha reazioni chimiche speciali,
ma che non si ricercano, perchè anche in questo avvelenamento
manca l' itterizia. In questo veneficio vi è poi un quadro anatomi-
co quasi caratteristico : vi sono principalmente iperemie delle me-
ningi, delle vie aeree, dei polmoni; oltre dei fatti flogistici notevoli
del tubo digerente fino a suffusioni ecchimotiche, e perfino un cer-
to odore dolciastro nell’ apertura dell’ addome e suoi visceri.
10. I petrolio, che nemmeno porta itterizia. Vi si trova ga-
stro-enterite più o meno intensa; odore di petrolio : mancano note
necroscopiche speciali.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 15
11. 22 veleno della salciccia, il così detto dotulismo. in cui manca
una vera itterizia. Dall’ altra parte non si può essere tratti in in-
ganno, perchè anche a non voler far calcolo della notizia anamne-
stica di aver mangiato salciccia, nel botulismo il reperto necrosco-
pico è negativo, e non solo mancano tutti gli altri veleni, ma an-
che tutti i batterî patogeni conosciuti. Vi è poi una sintomatologia
molto caratteristica e che si sarebbe da ognuno osservata in vita:
risalta nel botulismo la diminuzione di tutte le secrezioni, urine,
sudore, e quindi anche secchezza della pelle, delle mucose.
12. L’aconito, che, oltre all’ avere una sintomatologia carat-
teristica, non dà itterizia. Il reperto necroscopico non ha niente
di speciale, al di là dei fatti iperemici : vi può solo essere la di-
mostrazione obbiettiva del veleno pel rinvenimento di parti carat-
teristiche della pianta nelle vie digerenti.
13. L’ elleboro, che non dà itterizia : manca inoltre un reper-
to necroscopico caratteristico.
14. La stricnina, la quale non dà itterizia. Il quadro elinico
poi è caratteristico anche per i profani. Non dà alterazioni spe-
ciali negli organi interni. Inutile perciò tentare la reazione carat-
teristica con l acido solforico e bicromato di potassa.
15. La belladonna, lo siramonio, il giusquiamo. Questi veleni
non solo danno sintomi caratteristici che non sfuggono al Clinico,
ma pel nostro caso importa, che non danno itterizia, nè un reper-
to anatomico speciale.
16. / funghi, nel cui avvelenamento manca l'itterizia. Non vi
sono poi note necroscopiche speciali, meno il fatto, quando si è in
tempo per poter fare l’ osservazione, che la rigidità cadaverica com-
pare per poco tempo, e qualche volta non compare affatto.
17. Le cantaridi, ove manca anche |’ itterizia. Vi sono poi gra-
vi flogosi nel tubo digerente , nei reni, spesso si trovano residui
dei coleottori, cantaridi, nello stomaco.
13. Il cloroformio, che non dà itterizia. Inoltre la putrefazione
dei cadaveri è precoce : il reperto necroscopico non solo manca di
tti caratteristici, ma è quasi negativo. È caratteristico invece il
16 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
fatto, se si arriva in tempo, dell’ odore di cloroformio quando si
aprono le cavità, ed anche prima dell’ apertura delle stesse.
19. L’ etere solforico, in cui manca anche l’ itterizia e manca
un reperto anatomico positivo con note speciali. Può esservi l’ o-
dore caratteristico.
20. L’ idrato di cloralio, che non dà itterizia e manca un re-
perto necroscopico speciale.
Do
ded.
Esclusione dei veleni più comuni, che danno itterizia.
Dopo aver passato a rassegna tutti quei veleni, che con sicu-
rezza sì possono escludere nell’ avvelenamento dei S. Andrea, ora
cenniamo soltanto che si devono escludere tutti gli acidi comuni
e gli alcali, i quali non solo non danno l’ itterizia, ma danno sem-
pre guasti locali gravi nel tubo digerente, specialmente sulle prime
porzioni, oltre le loro reazioni spiccate, caratteristiche.
Passeremo ora a rassegna, prima di cimentare quel poco di
estratto dei S. Andrea, tutti gli altri avvelenamenti, che portano
itterizia.
1. Il fosforo — Si sà, che questo veleno ordinariamente al 2°
giorno fa comparire l itterizia. Ma in questo avvelenamento , oltre
le reazioni chimiche caratteristiche del fosforo, vi è un reperto ana-
tomico classico, a cominciare dalle gravi alterazioni locali del tubo
digerente a finire alla degenerazione grassa di alto grado degli or-
gani parenchimali, massime del fegato, in cui dopo varii giorni si
può trovare l’apparenza anatomica perfino dell’atrofia gialla-acuta.
Importanti sono anche le emorragie multiple degli organi parenchi-
mali stessi, specialmente del cervello per la rottura dietro degene-
razione grassa delle pareti vasali, per cui gli organi prendono
l'aspetto tigrato, variegato per macchie rosse, che si alternano e
mischiano col colore giallastro del parenchima più o meno pro-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 17
fondamente degenerato. Non vi sono mai annerimenti speciali di
organi.
9. L’ arsenico —Negli avvelenamenti per arsenico l’itterizia non
è frequente: si osserva a preferenza nei composti col rame, come
principalmente col verde di Scheele, arsenito di rame. Ma il re-
perto necroscopico in questi casi dà sempre gravi alterazioni ga-
stro-intestinali, da somigliare non solo anatomicamente, ma anche
clinicamente al Golera asiatico. Non vi è poi annerimento speciale
di organi interni : oltre poi le reazioni e ricerche chimicamente
caratteristiche.
3. IL piombo—Nella serie degli avvelenamenti per piombo, se
vi è itterizia, questa è poco pronunziata. Invece non mancano
quelle apparenze nerastre caratteristiche dei materiali contenuti nel-
l'intestino per la formazione di solfuro di piombo. E poi se 1 av-
velenamento dura da qualche giorno le gengive mostrano un colo-
rito grigio-oscuro caratteristico: il viso appare abbattuto, azzurro :
il fegato è pallido, la milza molle, e manca il colorito nerastro in
questi organi: spesso vi sono gravi fatti infiammatorii nel tubo di-
gerente.
Si hanno poi le reazioni chimiche ben note del piombo.
4. Il rame—-Negli avvelenamenti in parola la cosa più impor-
tante e decisiva è, che il rame si trova negli organi interni, spe-
cialmente nel fegato, anche dopo 2 e perfino 3 settimane dall’av-
velenamento. E come si sa, il rame anche in tenuissime dosi è sco-
verto dall’ ammoniaca, o da un pezzetto di ferro terso, brunito. Vi
è sovente itterizia, e talora forte, come negli avvelenamenti per ar-
senito di rame. Del resto non vi sono note anatomiche di organi
nerastii.
5. Il mercurio — Gli avvelenamenti per questo metallo e suoi
composti ordinariamente non danno itterizia, ovvero questa è mi-
nima. Nei casì acutissimi vi sono sempre gravi alterazioni locali
della bocca, dello stomaco, ed anche nel resto del tubo digerente.
Nei casì meno acuti vi è sempre la caratteristica stomatite. Vi so-
no poi le reazioni caratteristiche del mercurio, o dei suoi compo?-
ArtI Acc., Vor. VIII, SERIE 48 — Memoria IV. 3
18 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
sti. Mancano le note speciali di organi nerastri: manca il rigonfia-
mento torbido e degenerazione grassa degli organi parenchimali.
6. / gas delle cloache e l’acqua puzzolente del sottosuolo —In que-
sti avvelenamenti si ammala e perfino si muore per tanti prodotti
deleterii, principalmente l’ammoniaca, varii carburi d’ idrogeno, V'i-
drogeno solforato. Gli individui così avvelenati hanno il viso gial-
lo-pallido, ma questo colore non è mai una forte itterizia, tende in-
vece al verdastro : il sangue è di un bleu-oscuro nerastro, e da ciò
dipende il colorito nerastro di tutti gli organi; quindi non solo i
polmoni il fegato e la milza sono nerastri, ma anche i muscoli e
perfino il cuore mostrano un colorito bluastro, nerastro. Ed infine
i cadaveri tramandono un odore insopportabile di idrogeno solfora-
to: ed è speciale il fatto , che la putrefazione si presenta molto
precocemente e progredisce con molta rapidità ; per cui, anche
nelle autopsie che si praticano presto, nel minimo tempo che per-
mette la Legge, cioè dopo 24 ore dal decesso, perfino il cervello
mostra un colorito verde-grigiastro della sostanza corticale , prin-
cipalmente sul conto di putrefazione avanzata.
Sebbene pel già detto avessi potuto escludere i sei precedenti
avvelenamenti nei S. Andrea, pure ho voluto la conferma, prati-
cando con esito negativo le reazioni principali del fosforo, dell’ ar-
senico, del piombo, del rame e del mercurio sull’ estratto dei S.
Andrea, allungato con acqua distillata. L’ avvelenamento per i gas
delle cloache e per l’acqua puzzolente del sottosuolo, come si è
detto, ho dovuto escludere, principalmente perchè i cadaveri dei S.
Andrea erano poco putrefatti, anzi sino ad un certo punto ben con-
servati dopo più di 48 ore dal decesso , e poi verso la metà di
Agosto a Catania con un calore tropicale. Dall’ altra parte nei S.
Andrea nè i polmoni, nè i muscoli erano nerastri, anzi questi per-
fettamente rosso-bruni, come nello stato normale: mancava l’odore
caratteristico dell’ idrogeno solforato, che se non altro avrebbe do-
vuto in primo tempo attirare l’attenzione dei medici curanti e per-
fino dei profani.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 19
C.
Esame fisico del contenuto delle boccette sequestrate in casa dei S. Andrea.
Dopo aver escluso con sicurezza, sia per le note necroscopi-
che, sia per la mancanza di reazioni chimiche speciali tutti gli av-
velenamenti più comuni, dopo aver con parecchi reagenti, adope-
rati metodicamente, cimentato senza alcun profitto l’ estratto dei S.
Andrea, il quale è rimasto muto alle reazioni chimiche conosciute,
ho intrapreso, devo confessare un poco sgomentato , lo studio del
contenuto delle boccette sequestrate in casa S. Andrea, di cui VAu-
torità giudiziaria ci ha concesso un poco oggi stesso per ricerche
ulteriori. Il nostro sgomento , oltre che dalla grave responsabilità
presa, veniva dalla difficoltà di orientarsi, per cominciare a speri-
mentare qualche sostanza venefica sugli animali, allo scopo di ri-
costituire possibilmente il quadro clinico, specialmente l'itterizia, e
poi il reperto anatomico caratteristico dei S. Andrea. Avrei potuto
ricorrere all’ estratto, che mi proponeva di ricavare più tardi dagli
organi in massa dei S. Andrea, e, nel risultato più favorevole, ri-
costituire con lo sperimento il quadro clinico ed anatomico: ma la
sostanza venefica anche allora ci sarebbe rimasta ignota.
Esaminando però quel poco di sostanze concesseci dall’ Auto-
rità, abbiamo potuto cominciare ad illuminarci, ed iniziare la serie
degli sperimenti sugli animali con una sostanza determinata, che è
un veleno. Espongo perciò le ricerche da me fatte sulle sostanze
in parola. Queste sono 3, ognuna in una boccetta separata.
Nella 1.2 boccetta vi è una sostanza solida, ammassata , non
polverosa, di color grigio-brunastro, quasi nero, cosparsa alla su-
perficie di apparenze di piccoli cristalli biancastri, come pelurie di
cotone.
Nella 2.8 boccetta è contenuta una sostanza liquida, senza se-
dimento, di color giallo-rosso-bruno : il giallo si apprezza bene sol-
20 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
tanto all’ orlo della superficie del liquido, specialmente se si smuove.
Nella terza boccetta, che è di cristallo bleu, vi è un liquido
perfettamente limpido, senza sedimento, incolore.
Ho preso un poco di ciascuna di queste sostanze, conservan-
dole in 3 boccette nuove, una di cristallo bleu: queste boccette ,
sebbene pulite e terse anche nel loro interno, sì sono prima lavate
3 volte con acqua distillata : pratica, che per non ripetere ogni vol-
ta, noto fin d’ ora di avere scrupolosamente ripetuto sempre, mi-
gliaia e migliaia di volte in queste ricerche, specialmente con le
provette per lo studio giornaliero delle urine, della bile e del san-
gue degli animali in sperimento, come pure in tutte le analisi chi-
miche : in modo che ogni boccia, ogni provetta, ogni capsula, quan-
do già erano pulite, anche con gli acidi minerali, o con gli alcali
secondo il bisogno, e poi ripetutamente con l’acqua comune, sem-
pre dopo sono state lavate 3 volte con |’ acqua distillata. Esami-
nando il contenuto delle 3 boccette, mi hanno sorpreso i fatti se-
guenti :
Nella 1.8 boccetta, ove è stata messa la sostanza solida, sic-
come erano restate poche gocce di acqua distillata, questa inavver-
tenza di non farle scolare prima di serbarvi quel poco di sostan-
za è riuscita utilissima, in quanto che quei pochi centigrammi di
materia solida, forse 20 a 25 centigrammi, dopo un poco di tempo,
quasi mezz’ ora dopo, tempo impiegato per ritornare dal Tribunale
all'Istituto di anatomia patologica, si sono sciolti completamente, e la
sostanza si trova nel fondo della boccetta come una massa pasto-
sa, semiliquida, nerastra. L'orlo di questa sostanza , la quale
somiglia alla tinta semiliquida delle scarpe, appare giallo-bruno ,
specialmente se si smuove guardando quella che per un poco di
tempo resta attaccata alle pareti della boccetta dietro lo scuotimen-
to. E questo fatto della grande solubilità di quella sostanza soli-
da nell’ acqua mi ha tanto più impressionato, perchè quella sostan-
za nerastra, trovata per lo più in forma granulare specialmente
nelle cellule epatiche dei S. Andrea, era perfettamente solubile nel-
l’acqua. E siccome questa sostanza speciale trovata nei S. Andrea
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico DI
era invece insolubile in altri mestrui, tra cui ricordo a preferenza
la glicerina pura ed il cloroformio, ho voluto saggiare la sostanza
di questa prima boccetta con la glicerina e poi col cloroformio ,
mettendovi dentro tracce prese con la punta di un ago lanceolato,
sia della sostanza semiliquida nerastra raccolta nel fondo, sia di pic-
coli pezzettini della sostanza solida, ancora attaccati alla parete
interna del principio della bottiglina, là non essendo arrivate quelle
poche gocce di acqua per sciogliere. Il doppio sperimento tanto
nella glicerina che nel cloroformio dimostra l insolubilità assoluta
di quella sostanza nell’ una e nell’ altro: mentre messo un bricciolo
di quel poco di sostanza solida, attaccata ancora alla parete, nel-
l’acqua distillata , si scioglie rapidamente ; e siccome l’ acqua è in
quantità notevole, 4 a 5 gocce, verso quel minimo di sostanza, la
soluzione acquista un deciso colorito giallo-bruno.
Nella 2.8 boccetta mi ha impressionato il colorito della sostan-
za liquida, che è di un giallo-rosso-bruno, molto simile a quello dello
estratto al 20° dell’ alcool in cui si erano conservati quei pezzetti
dei cadaveri dei S. Andrea.
Nella 3.8 boccetta, come si è detto in sopra, vi è un conte-
nuto liquido, incolore, perfettamente trasparente.
Prima di continuare le ricerche ed analisi chimiche su queste
sostanze fo rilevare l’ importanza delle qualità fisiche trovate nelle
2 prime sostanze ; la prima, che ha un colore nerastro ed una so-
lubilità perfetta nell'acqua, ed insolubilità nella glicerina e nel clo-
roformio, precisamente come quella trovata negli organi interni dei
cadaveri dei S. Andrea: e la seconda sostanza liquida, la quale ri-
pete perfettamente il colore dell’ estratto al 20° dell’ alcool in cui
sì erano conservati quei pochi pezzi dei cadaveri nel tempo delle
autopsie per Je ricerche microscopiche e batteriologiche.
22 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
D.
Qualità fisiche dell'alcool di conservazione del fegato e del fegato stesso
dei S. Andrea dopo 40 giorni.
Per le ulteriori ricerche però sarebbe necessaria una quantità
maggiore di quell’ estratto al 20°, e siccome il fegato a preferenza
deve darlo contenendo la quantità maggiore di quella sostanza ne-
vastra, abbiamo perciò pregato il Signor Giudice Istruttore a vo-
lerci concedere una quantità maggiore dei 2 fegati, consegnati per
intiero suggellati in vasi separati alla Giustizia il giorno delle au-
topsie. Avuto ancora un quinto di ciascuno dei 2 fegati e mezzo
litro circa di alcool ordinario in cui erano conservati da circa 40
giorni, ho messo l alcool in un vaso separato ed i 2 pezzi dei 2
fegati, insieme in un altro vaso con alcool a 90°, per fare più tardi
anche da questo nuovo alcool | estratto.
Circa mezzo litro del primo alcool, lasciato in vase a riposo,
si mostra colorato naturalmente di un giallo-rossigno, tendente al
bruno: nel fondo vi è un sedimento abbondante di’ sostanze orga-
niche con lo stesso colore dell’ alcool, un poco più marcato.
Il fatto però che più ha fermato Vl attenzione è stato la super-
ficie del taglio, dovuta praticare nei 2 fegati per prenderne il pez-
zo; perchè essa mostra un colorito bruno-ardesiaco, quasi nero in
tutta V estensione, meno nella sola periferia dell’organo , ove per
circa 2 centimetri in giro a tutto l organo vi è un colorito gialla-
stro-terreo, che poi con una linea quasi netta di demarcazione pas-
sa nel colorito nerastro; e questo colorito è proprio quello, che
nel tempo dell’ autopsia era diffuso a tutto Vl organo, anche alla su-
perficie del taglio, e quindi anche alla periferia, ove presentemente
manca. Fatti alcuni preparati microscopici delle 2 parti differente-
mente colorate, si giustifica, come era a prevedersi , il fatto che
nello strato esterno le cellule epatiche non mostrano granuli ne-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 23
rastri, mentre questi si trovano nella massa profonda che conserva
tuttora il colore ardesiaco. Questo fatto conferma la solubilità di
quella sostanza nerastra nell’ alcool ordinario, e propriamente nel-
l’acqua dello stesso : ed una conferma ulteriore si è avuta nei giorni
successivi, quando nel rivedere questi pezzi conservati nel nuovo
alcool ordinario , abbiamo trovato tutta quella superficie di taglio
egualmente decolorata, senza poter più apprezzare dopo una decina
di giorni la menoma differenza di colore: mentre nuovi tagli nella
massa del pezzo facevano sempre notare la differenza tra la peri-
feria e la profondità, cioè tra la parte in contatto diretto con l’al-
cool, e quella in contatto mediato. Nello stesso tempo l’alcool era
colorato, sebbene non fortemente, come il mezzo litro del primo
alcool di conservazione.
E.
Esame chimico del contenuto delle boccette dei S. Andrea.
Nel procedere all’ analisi chimica in parola, ho creduto comin-
ciare dal contenuto liquido, limpido , incolore della 3 boccetta, il
quale anche perchè serbato in boccetta bleu, con molta probabilità
è una soluzione di nitrato di argento in acqua distillata. E senza
tentare tutte le altre reazioni, neanco quella della luce, per far
presto ho praticato la più caratteristica e che ne scovre le minime
tracce, cioè quella che dà il precipitato evidentissimo, abbondante,
biancastro, lattescente di cloruro di argento : messe perciò poche
gocce di quella sostanza in 2 provette, ed allungando con acqua
distillata, nel liquido restato perfettamente limpido ed incolore, ho
fatto cadere in una provetta una goccia di acido cloridrico, e nel-
l’altro poche goccie di soluzione di cloruro di sodio 0,75 per 100,
avendo questa soluzione pronta. In tutte due le provette si è avuto
immediatamente il precipitato caratteristico lattiginoso. Quindi in
quella 32 boccetta vi è soluzione di nitrato di argento.
Passato all’ esame del contenuto della 2 boccetta, quello con-
tenente il liquido giallo-rossastro bruno, ma limpido e senza se-
24 Ricerche sperimentali sull’avvelenamento da acido pirogallico
dimento, nel sospetto che anche qui vi sia nitrato di argento misto
con altra sostanza, essendo la bottiglia 2? dei S. Andrea anche di
cristallo bleu, fatta la reazione in 2 provette sia con l acido clo-
ridrico sia con la soluzione di cloruro di sodio, quella sostanza è
restata immutata anche nel suo colore: nessuna traccia di preci-
pitato. Saggiato il liquido della 22 boccetta con le carte reagenti,
dà reazione leggermente acida.
E siccome il colorito è molto simile, naturalmente più sbiadito,
dell’ orlo della sostanza della 18 boccetta, già resa semiliquida nella
nostra boccetta per le poche goccie di acqua distillata, così non
avendo ottenuto le reazioni chimiche più conosciute degli acidi co-
muni, ho stimato opportuno far prima l'esame del contenuto della
12 boccelta, per pol ritornare su quella della 22, nella quale però
abbiamo potuto già dimostrare lassenza del nitrato di argento.
Presa una piccola parte della sostanza nerastra, quasi solidi-
ficata nel fondo della 1% boccetta, in modo avere la consistenza
ed il colore quasi della tinta di scarpe racchiusa nelle scatolette di
stagno, e messa in una provetta contenente acqua distillata, sì è
sciolta immediatamente, dando un colorito giallo-rossigno tendente
al bruno, precisamente simile alla sostanza liquida contenuta nella
2a boccetta. Saggiata la reazione con le carte, si trova acida, con
intensità maggiore di quella della seconda boccetta. Anche quì ho po-
tuto escludere gli acidi comuni.
Certamente deve essere pel nostro scopo del più grande in-
teresse stabilire la natura chimica di questa sostanza, perchè non
solo essa si comporta come quella trovata negli organi dei S. Andrea,
come caratteri fisici di colore, di solubilità ma anche pel fatto, che
le boccette contenenti sostanze simili furono sequestrate nella ca-
sa dei S. Andrea.
Mettendoci innanzi alla mente tutti gli acidi conosciuti, ci sia-
mo fermati soltanto ad uno , il quale ha la proprietà di essere
estremamente solubile nell’ acqua e di assumere con grande faciltà
quel colore speciale giallo-rossigno tendente al bruno, che pare
nero, quando la soluzione è molto concentrata; e questo cambiamen-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 25
to di colore dipende dall’ appropriarsi 1’ ossigeno dell’ aria. Que-
sto è /” acido pirogallico, il quale, per quello che si sà della sua
azione sull’ organismo vivente, è un veleno, potendo piccole dosi
di questa sostanza chimica cagionare la morte: quello poi che più
importa al caso nostro è, che uno dei sintomi principali di questo
avvelenamento è 1° itterizia.
Dopo ciò ho creduto mio dovere ricordarmi la formula di
quest’acido ed i suoi caratteri, non essendo un acido comune: così
potrò procedere con maggiore coscienza nelle ulteriori ricerche, a
cominciare dall’ assicurarmi, se realmente nella 18 e forse anche
nella 2* boccetta vi è 1’ acido in parola.
Rio:
Acido pirogallico
L’acido pirogallico C°H°0°"=126 ovvero 1,275 si ha dallo sdop-
piamento dell’ acido gallico, il quale riscaldato sino a 200° si sdop-
pia in acido carbonico ed in acido pirogallico.
Infatti CEI A CEL Acido”pirosallico:
Acido gallico 1C* O'=Acido carbonico.
L’acido pirogallico, scoverto da Scheele, cristallizza ora in
piccoli aghi, ora in laminette biancastre. Ha un sapore amaro ed
astringente, fonde a 115° e si sublima a 210°. È solubilissimo
nell’ acqua; riduce a freddo i sali di oro, di platino e di argento;
colora in bleu intenso i sali di protossido di ferro, in rosso carico
i sali di perossido senza formarvi deposito ; ed infine col latte di
calce dà un precipitato porpora che poi passa al bruno. Non si
combina con gli alcali, ma sotto la loro influenza assorbe rapida-
mente l ossigeno dell’ aria e produce una sostanza nera la pirogal-
lina C°H® A2°*0”, (Rosing), avendosi nello stesso tempo la formazio-
ne di acido acetico e di acido carbonico. Si è appunto per questa
proprietà, che si impiega con vantaggio per analizzare l’ aria. Si
è creduto per lungo tempo, che la luce alterasse la bianchezza di
quest’ acido : invece è l ammoniaca dell’aria che produce questo
ATTI Acc., Vor. VIII, SerIE 4° — Memoria IV. 4
26 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
effetto. È quindi inutile conservarlo in boccette bleu, così come si
pratica generalmente (Bouis). L'acido pirogallico riscaldato a 250°,
ovvero mantenuto per lungo tempo ad una temperatura vicina al
suo punto di fusione sì sdoppia in acqua ed acido metagallico, det-
to anche galloulmico, sostanza nera, amorfa, inodore, quasi insolu-
bile nell’ acqua, solubile invece negli alcali.
Ce n° 0 (IH? O=Acqua.
Acido pirogallico 1C**4‘0’'=Acido Metagallico.
Questo è tutto quello che ho raccolto letteralmente a propo-
sito dell’ acido pirogallico da una delle opere più classiche di chi-
mica “ Malaguti — Lecons élementaires da Chimie — Deuxième Edi-
tion Deuxième Partie pag. 512, 515.
Dopo ciò comincio metodicamente 1 analisi chimica della so-
luzione della sostanza contenuta nella 1% boccetta S. Andrea. Già
quei cristalli biancastri finissimi e la grande solubilità nell’ acqua
depongono per l’ acido pirogallico, probabilmente mescolato con al-
tra sostanza, per cui ha un poco di colore nerastro; tanto più,
che tali boccette erano insieme con piccole spazzole, anche imbrat-
tate di sostanza nerastra: ciò doveva servire per tingere i capelli
ed i peli della barba: ed è risaputo, che l’ acido pirogallico si ado-
pera in queste circostanze per rafforzare l annerimento dei nitrato
di argento: e si sapeva che i 2 decessi S. Andrea si tingevano i
capelli e la barba, come si rileva chiaramente anche dall’ ispezione
dei cadaveri stessi.
Sciogliendo quella massa nerastra, pressochè solidificata nel
fondo della 1% boccetta, con 25 grammi di acqua distillata, tutta
la sostanza si scioglie in modo quasi perfetto : la soluzione però
è un poco torbida, e conserva il colorito giallo-bruno-nerastro. Fil-
trando 5 centimetri cubici di questo liquido si ha una sostanza
perfettamente limpida, di un colorito intenso giallo-bruno con mol-
ta accentuazione ad un colorito rossastro, mentre sul filtro resta
un poco di sostanza polverulenta, quasi nera.
Questo deposito sul filtro, trattato con l’acido nitrico si scio-
glie completamente, e la soluzione diventa non solo limpida, ma
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 27
incolore, formandosi nitrato di argento con le sue caratteristiche
reazioni: vuol dire, che quella sostanza nerastra, granulare era ar-
gento, che poi è sciolto dall’ acido nitrico.
Allungo questi 5 c. c. di filtrato con altri 20 di acqua distil-
lata per le reazioni dell’ acido pirogallico, mentre conservo i 20 c.
c. della primitiva soluzione nerastra per le ricerche ulteriori.
La sostanza, filtrata ed allungata la 2? volta, presenta sem-
pre lo stesso colore giallo-rosso-bruno, ma notevolmente più sbia-
dito. Praticate sulla stessa col massimo scrupolo ed attenzione le
reazioni opportune, queste sono risultate positive e caratteristiche
per l’ acido pirogallico : e cenno soltanto per brevità di aver avuto
le reazioni positive pirogalliche, 1. dall’’ammoniaca : 2. dal solfato
di ferro, soluzione di uno in cento di acqua distillata; e si sa che
il solfato di ferro è un sale a base di protossido : 3. dal perclo-
ruro di ferro liquido, che è un sale a base di perossido : 4. dal
latte di calce.
Devo notare, che anche la reazione di ridurre a freddo i sali
di argento si è già trovata compiuta nella sostanza solida della 1
boccetta, per quello che ho già esposto, cioè il colorito nerastro,
ed il precipitato della sostanza polverosa, nera.
Mi ha però impressionato la reazione con Vl ammoniaca , per-
chè non solo si è avuta la colorazione alla superficie in primo tem-
po di color giallo-rosso-bruno , prima lineare nel limite con V am-
moniaca e che poco per volta si estende con relativa lentezza; ma
la reazione, pur mostrando quel colore misto, è passata rapidamen-
te al nerastro, si è diffusa con prestezza a tutto il liquido, il qua-
le sì è intorbidato leggermente, come se fosse stato invaso da un
fumo nero. Ciò fa ritenere, che oltre l’acido pirogallico, vi sia una
combinazione con qualche altra sostanza, e per i precedenti ho so-
spettato l argento, oltre quello già precipitato sul filtro.
Ho intanto riesaminato il contenuto della 2? boccetta e facen-
do il paragone con la precedente filtrata si rileva la stessa appa-
renza, la stessa limpidezza, lo stesso colore : mi è sembrato quindi
probabile, anche prima di fare le analisi chimiche, che fosse la stessa
28 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
la miscela della 18 boccetta, allungata e filtrata, così come abbiamo
praticato noi. Le reazioni istituite per la ricerca dell’ acido piro-
gallico hanno risposto in un modo positivo, identico a quelle fatte
e notate pel filirato della sostanza della 1 boccetta : e quindi ho
conchiuso trattarsi in questa boccetta di acido pirogallico , combi-
nato o misto in soluzione perfetta con altre sostanze.
do,
Piroyallato di argento ?
Nel ricercare quale altra sostanza sta combinata o mischiata
con l acido pirogallico nella soluzione ricavata limpida dalla filtra-
zione ho dovuto prima far calcolo, che nella sostanza della 1% boc-
cetta dei S. Andrea vi era nitrato di argento, il quale più o meno
completamente precipitato dell’acido pirogallico dava quella sostanza
nerastra, che era trattenuta dal filtro.
Già devo notare prima di ogni altro, che la sostanza filtrata,
limpida, di quel color giallo -rossigno, raccolta in una provetta ed
esposta per 24 ore alla luce solare, anche diretta, non ha dato
il menomo cambiamento, come invece sarebbe dovuto succedere se
vi fosse stato ancora nitrato di argento genuino, libero. Con tutto
ciò ho creduto confermare l assenza del nitrato di argento con le
reazioni sensibilissime dell’ acido cloridrico e del cloruro di so-
dio. Quel liquido saggiato con questi 2 ultimi reagenti è restato
perfettamente immutato, in modo che si è potuto escludere il ni-
trato di argento. Perchè dunque quella reazione di rapido intorbi-
damento nerastro finissimo come nero di fumo molto forte con l’am-
moniaca, reazione che certamente non è quella dell’ acido piro-
gallico ?
Allora ho cercato, per possibilmente risolvere il quesito, di par-
tire da dati di fatto, preparando io stesso, se mi riuscirà possibile
quella sostanza, adoperando come primo tentativo sulla base del-
le osservazioni già fatte, la soluzione di acido pirogallico in acqua
distillata, ed aggiungendovi soluzione di nitrato di argento, e così
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 29
vedere se si ottengono le stesse reazioni positive e negative. E non
sapendo da quali dosi muovere, ho cominciato a tentare con una
soluzione di mezzo grammo di acido pirogallico in 50 di acqua di-
stillata, versandovi prima 10 centigrammi di nitrato di argento
cristallizzato, sciolto da 4-5 grammi di acqua distillata : immediata-
mente la miscela divenuta nerastra torbida: prendo 5 e. ce. della
stessa e filtro in una provetta. Sul filtro di carta svedese resta una
sostanza polverulenta plumbeo-scura, nerastra, mentre il liquido fil-
trato è di un vivo colorito rosso-chiaro , con orlo alla superficie
giallastro ; somiglia molto al colorito di una soluzione concentrata
di bicromato di potassa. Tappo questa provetta con cotone idrofilo
e la poso nella rastrelliera esposta alla luce: per riuscire chiari, in se-
guito indicheremo questa, come provetta 1%. Una volta ottenuto
questo colore speciale dal filtrato di quel liquido torbido nerastro,
colore che sebbene molto chiaro tende a quello ottenuto dalla 12
boccetta S. Andrea dopo la soluzione in acqua e filtrazione, ed a
quella della 2* S. Andrea; ho aggiunto altri 10 centigrammi di
nitrato di argento, sciolto da 5 grammi di acqua distillata alla pri-
ma miscela diventata nerastra: immediatamente il precipitato au-
menta e filtrandone anche 5 e. c. ho ottenuto un liquido limpido
rossigno, come il precedente, soltanto un poco di colorito più ca-
rico che raccolgo in una 2? provetta, la quale anche chiusa col co-
tone viene posata in uno secondo casello della rastrelliera, perciò
anche esposta alla luce.
Alla miscela col precipitato nerastro ho così successivamente
aggiunto 10 centigrammi la volta di nitrato di argento sciolti in
5 grammi di acqua togliendone ogni volta 5 c.c. e filtrando sino
a raggiungere la somma di 70 centigrammi di nitrato di argento
sul mezzo grammo dell’ acido pirogallico, messo la prima e sola
volta : in modo che ho ottenuto il filtrato in 7 provette, le quali
ho collocato in serie progressiva, in modo che la 18 rappresenta
il filtrato di 50 di acido pirogallico su 10 di nitrato di argento ,
l’ultimo quello di 50 del primo su 70 del secondo meno quelle
differenze che possono dipendere dalla successiva sottrazione fatta
30 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
per la nuova combinazione. È soverchio dire, che ogni volta che
si aggiungeva nitrato di argento, si rafforzava il precipitato polve-
roso, nerastro nella miscela. Mi sono poi arrestato alla proporzione
di 50 su 70 perchè gradatamente rafforzandosi il colorito rosso
con orlo giallastro, sono arrivato ad aver quel colore notato, molto
tendente al bruno, perfettamente simile a quello ottenuto dalle boc-
cette S. Andrea.
Tutte le provette così allineate e già chiuse con tappo di co-
tone ho lasciato esposto alla luce. In tutte la reazione provata
immediatamente, mentre il liquido filtrava, con le carte reagenti è
fortemente acida; la carta di tornasole si arrossisce di un rosso
intenso, chiaro, come rosso di fuoco, e che diciamo fin d’ora non
è quella speciale dell’ acido pirogallico : su questo argomento ritor-
nerò più tardi con studii speciali.
Dopo pochi minuti, ed in modo chiaro dopo un quarto di ora,
restando immutati nelle loro qualità fisiche i contenuti delle 2 pri-
me provette, sì comincia a vedere un lieve intorbidamento nelle
altre, che spicca sempre più successivamente sino all’ ultima pro-
vetta, in cui l’intorbidamento opalino e più accentuato ed apprez-
zabile.
Dopo un’ ora, restando ancora immutato il colorito della 12 e
2 provetta, quello delle altre si altera per I intorbidamento cre-
scente : sino a che dopo 3 ore di esposizione alla luce, non di-
retta ma diffusa, le 2 prime provette mostrano il colorito sempre
immutato, mentre in tutte le altre l’intorbidamento è cresciuto tanto,
che nelle ultime si comincia a stratificare alla parete interna della
provetta una massa verde-nerastra, di splendore metallico, opaco.
Lascierò queste provette sino a domani, per notare ciò che
succede dopo 24 ore, anche se continua l'acidità oggi notata.
Rivedendo le provette di ieri, si nota, che in tutte il contenuto
sì conserva acido. Relativamente alle apparenze fisiche nelle 2 pri-
me non si osserva alcun cambiamento restando la soluzione sem-
pre dello stesso colore giallo-rossastro, limpida, senza alcun depo-
sito alle pareti, nè in fondo, o appena tracce sparute : mentre nelle
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico al
altre, gradatamente crescendo sino all’ ultima si osserva in quantità
ancora maggiore di ieri il deposito metallico, che nelle ultime pro-
vette è così forte, da non far vedere neanco a trasparenza il con-
tenuto liquido : inclinando però le provette in modo che il liquido
contenuto si vede in parte attraverso il cristallo ancora terso e
senza alcun deposito, si osserva che il liquido è perfettamente
trasparente e di un colorito rossigno giallastro, sempre più carico
quanto più si avvicina alla 7® provetta, cioè all’ ultima. Vuol dire
quindi, che quando l’ acido pirogallico è molto in eccesso verso il
nitrato di argento, come nelle 2 prime provette, 50 su 10 e 50 su 20,
resta un liquido limpido dopo la precipitazione nerastra avvenuta,
che non deve contenere più nitrato di argento, ovvero che |’ ar-
gento in parte ha dovuto formare una combinazione solubile con
l'acido pirogallico, un pirogallato di argento di quella limpidezza e
colore speciale, inalterabile alla luce anche dopo 24 ore. E pare
che sia più vera la 2° ipotesi, perchè nelle provette successive, in
cui vi è una dose maggiore di nitrato di argento, sino a sorpassare
quella dell’ acido pirogallico si ha un colore rossigno sempre più
denso, sino ad avere quel rosso-giallo-bruno, come quello osservato
nella 2* boccetta S. Andrea. Ciò vuol dire, che nelle 5 ultime pro-
vette vi è una sostanza nuova più densa, e per meglio dire in
maggiore quantità delle 2 prime : quindi anche nelle prime vi deve
essere qualche cosa che appartiene al sale di argento in rapporto
all’ acido pirogallico ; e per conseguenza, che non tutto il sale di
argento è stato precipitato e restato sul filtro : diversamente il co-
lore del filtrato avrebbe dovuto essere eguale in tutte le provette,
anche con dosi forti di nitrato di argento. Invece, se si osserva
il filtrato in primo tempo di tutte le provette, si vede in tutte un li-
quido limpido, ma il primo è rosso-chiaro, l ultimo rosso-bruno molto
intenso : varianda di colorito, che in buona parte resta, anche quan-
do dopo le 24 ore si è depositata quella sostanza nerastra metal-
lica sulle pareti della provetta.
Dopo ciò si filtra, sempre attraverso la carta svedese, il con-
tenuto liquido di queste 7 provette in altre 7; ed allora si confer-
32 Iicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
ma quanto si è detto in sopra, potendosi meglio apprezzare la qua-
lità e densità di colore del liquido nelle nuove provette perfettamente
Lensci
Per stabilire se quel deposito metallico è argento ho versato
nelle provette intonacate internamente di quel grigio-nero metallico
dell’ acido nitrico in sostanza : quell’intonaco immediatamente si è
sciolto, la soluzione è perfettamente limpida, incolore, e le provette
completamente pulite. Aggiungendovi acqua distillata, nella convin-
zione che si fosse formato nitrato di argento, il liquido resta im-
mutato : cimentato poi con l’ acido cloridrico ed anche col cloruro
di sodio sì è avuto immediatamente il precipitato bianco caratteri-
stico, abbondante di cloruro di argento. E quindi mi è sembrato
probabile, che mentre nelle 2 prime provette vi dovrebbe essere un
nuovo composto, forse pirogallato di argento, capitato in tali pro-
porzioni tra acido pirogallico e nitrato di argento da non aversi
eccesso di questo sale che passerebbe insieme attraverso il filtro,
anzi ancora acido pirogallico da potersi saturare con 1 argento, co-
me lo dimostra il colore che si rinforza progressivamente nelle al-
tre provette, in queste altre vi deve essere quel dippiù di nitrato
di argento, che non potendo essere più sdoppiato dell’ acido piro-
gallico, che è tutto combinato, passa libero attraverso il filtro, si
mescola col pirogallato di argento , e poi poco per volta si preci-
pita per l’azione della luce, restando solo il supposto nuovo sale.
lo aveva pensato, che sotto l' azione dell’ ammoniaca dell’ aria, una
parte dell’ acido pirogallico trasformandosi in pirogallina, da una
parte accentua il colore, e dall’ altra fa precipitare l’ argento con
cui era combinato : ma ho dovuto abbandonare questa interpetra-
zione, perchè tale fatto con maggior ragione avrebbe dovuto avve-
rarsi nelle 2 prime provette, ove vi è eccesso di acido pirogallico;
mentre là il colore resta immutato, è più tenue, e non vi ha mai
precipitato di argento, anche dopo 2 settimane, come si può con-
fermare nei giorni successivi: notiamo qui di aver poi tolto il li-
quido per pulire le provette, nella certezza che la luce, anche con
un tempo maggiore, non avrebbe più fatto depositare l’ argento.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 33
Questa inalterabilità alla luce si avvera in egual modo anche
nel 2° filtrato delle ultime 5 provette, cioè in quelle ove dopo il
1° filtrato si era depositato nelle prime 24 ore l'argento alle pare-
ti: di modo che anche dopo 2 settimane, tutti quei liquidi esposti
alla luce, sono rimasti senza alcuna modificazione ; e conserviamo
ora dopo 2 mesi il liquido della 5? provetta , 50, su 50, perfetta-
mente inalterato, e che abbiamo mostrato all’ Autorità giudiziaria :
liquido che è perfettamente simile a quello trovato nella 2* boccetta
S. Andrea.
Si potrebbero credere queste ricerche un lusso; ma V inalte-
rabilità alla luce, se si tratta di un pirogallato di argento, importa
non solo come risultato scientifico e pratico, ma puranco nel caso
speciale, perchè anche nell’ estratto dei S. Andrea non si dovrebbe
poter escludere la presenza dell’ argento, soltanto perchè non sì è
annerito e precipitato per l’azione prolungata della luce.
Tentando però sul contenuto limpido di ciascuna delle
fi
7 pro-
vette, in cui sospettiamo che si sia formato pirogallato di argento,
con l acido cloridrico e col cloruro di sodio, i liquidi restano im-
mutati non solo di limpidezza, ma anche di colore: questo fatto fa
escludere il nitrato di argento libero, e con ciò conferma l’azione
negativa ulteriore della luce : e sebbene abbia scosso un poco la
nostra convinzione che si sia formato un altro sale di argento, il
pirogallato, pure non essendo ancora conosciute le speciali qualità
di un nuovo possibile sale, ho creduto saggiare il contenuto delle
singole provette anche con 1’ ammoniaca, verso cui l’ acido pirogal-
lico è così sensibile. Immediatamente si forma alla superficie un
intorbidamento come di fumo nerastro, che poi diventa rosso-bruno
nerastro : ciò che non succederebbe col solo acido pirogallico, se
non vi fosse un’altra sostanza combinata, e questa non dovrebbe
essere che 1’ argento, il quale è la sola sostanza che abbiamo im-
piegato, oltre l’ acido pirogallico.
Non essendo quindi l’acido pirogallico solo che può giustificare
questa reazione; nè potendosi invocare la pirogallina, che non ha
reazioni speciali; nè il nitrato di argento libero in miscela col primo
ATTI Acc., Von. VIII, Serie 48 — Memoria IV. 5
S4 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
o con la seconda perchè mancano le reazioni caratteristiche del
nitrato di argento, fino a dimostrazioni in contrario, è lecito conchiu-
dere da questi studii, che l’ acido pirogallico in contatto col nitrato di
argento dà prima un precipitato nerastro, ed oltre si forma un pi-
rogallato di argento ?, più o meno rosso-bruno intenso secondo la
densità.
Questo nuovo composto, quando non vi è più nitrato di ar-
gento libero, non è più alterato dalla luce, anche dopo mesi; è so-
lubile nell’ acqua, non precipita, nè mostra alcun cambiamento con
l'acido cloridrico e col cloruro di sodio: invece è scoverto imme-
diatamente, anche in soluzioni molto allungate, da una goccia di
ammoniaca, che dà un intorbidamento alla superficie nerastro, il
quale potrebbe essere 1’ argento messo in libertà nello strato super-
ficiale, là ove sta a galla la goccia di ammoniaca e quindi ove si
sdoppia il supposto pirogallato di argento.
39:
Ricerca del pirogallato di argento nelle boccette S. Andrea.
Dopo gli studii precedenti, principalmente coll’ aver preparato
una sostanza che pare pirogallato di argento, il quale è scoverto
solo dall’ ammoniaca , ritornando al contenuto delle prime 2 boc-
cette S. Andrea, ho potuto con sicurezza stabilire che contengono
questo composto speciale, sia pel colore delle soluzioni, sia per la
reazione caratteristica con l ammoniaca, sia anche per le mancan-
ti reazioni coll’ acido cloridrico e cloruro di sodio, e per la nes-
suna azione della luce. La differenza tra il contenuto delle 2 pri-
me boccette S. Andrea consiste in ciò, che il contenuto della 22
boccetta è una soluzione acquosa filtrata del contenuto della pri-
ma, la quale poi è un poco torbida pel precipitato di ossido di
argento.
Ho notato già e fo rilevare di nuovo, che del pirogallato di
argento si hanno soluzioni a titolo diverso, che si rileva non solo
dalla maggiore o minore quantità impiegata delle 2 sostanze, ma
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 35
p
anche dal colorito più o meno intenso : ed ho conservato delle di-
verse soluzioni una sola, la 5*, 50 su 50, perchè somiglia perfet-
tamente pel colore al contenuto delle due boccette S. Andrea.
F.
Esame chimico dell’ estratto dei S. Andrea.
Viene ora lo studio più importante in rapporto al fatto par-
ticolare dell’ avvelenamento dei S. Andrea. Faremo 1° esame sull’ e-
stratto al 20° dell’ alcool, in cui erano conservati i pezzi dei cada-
veri, specialmente il fegato: tanto più, che quest’estratto filtrato
somiglia pel colore perfettamente, o quasi, al contenuto della 2* boc-
cetta dei S. Andrea, ed al nostro preparato di pirogallato di argento.
Se avremo la reazione caratteristica nerastra alla superficie con
l ammoniaca, concluderemo al pirogallato di argento, che sarà al-
lora il veleno che ha ucciso i fratelli S. Andrea.
Per procedere col massimo scrupolo, dopo aver confermato ,
che anche Il’ estratto al 20° di questo alcool non subisce cambia-
menti alla luce, perfino dopo una settimana, ho voluto ripetere an-
che la reazione dell’ acido cloridrico, che, come si è detto , è ne-
gativa pel pirogallato di argento: ebbene, fatto lo sperimento , suc-
cede lo stesso con l’ estratto al 20°, il quale non ss’ intorbida af-
fatto, nè dà altri cambiamenti: soltanto se ’ acido si aggiunge in
quantità notevole, decolora, ma solo leggermente, l estratto. Fin
qui dunque pare, che tutti i fatti depongano per la presenza del
pirogallato di argento anche nell’ estratto, tanto più, che perfino la
reazione è acida, come quella delle soluzioni di pirogallato di ar-
gento, e del contenuto della boccetta 2% dei S. Andrea. Devo però
ricordare, che non si può fare molto calcolo della reazione acida,
perchè si ha similmente in tutti gli estratti di alcool, in cui sono
stati conservati pezzi con putrefazione più o meno progredita.
Passiamo dopo ciò alla reazione positiva, caratteristica dell’am-
moniaca versata a gocce, facendola strisciare sulla parete della
provetta, per fare che galleggi sul liquido, ed avere la reazione
36 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
ancora più convincente, così come facciamo per provare se in un
liquido vi sono tracce di acido pirogallico. Facendo questo tenta-
tivo, sono restato totalmente deluso, perchè nell’ estratto al 20°
l’ammoniaca non cagiona alcun intorbidamento, nè cambiamento di
colore di sorta. E tanto più è cresciuto lo scoraggiamento , per-
chè non solo sì è dovuto escludere il pirogallato di argento, ma
anche la presenza di acido pirogallico , il quale avrebbe dato la
reazione caratteristica con V ammoniaca alla superficie del liquido,
che avrebbe dovuto diventare più giallo-bruno alla superficie nel
limite con Vl ammoniaca, come succede sempre quando vi è acido
pirogallico libero, anche quando una buona parte di questo si è
trasformato in pirogallina, facendo allora assumere al liquido un
colore giallo-rosso-bruno perfettamente simile ai sinora mentovati :
se in questa soluzione di pirogallina vi sono ancora tracce di aci-
do pirogallico non trasformato si ha sempre la reazione caratteri-
stica dell’’ammoniaca: e devo aggiungere, che per far risaltare que-
sta reazione ho allungato con acqua distillata il liquido fortemente
colorato dalla pirogallina, ed allora la reazione si fa subito evi-
dente, essendo allungato e sbiadito il forte colore precedente: dopo
ciò ho praticato lo stesso allungando con acqua distillata l'estratto
al 20° dei S. Andrea, e la reazione all’ammoniaca è restata muta:
la stessa reazione è mancata anche completamente con la potassa.
In modo che ho dovuto conchiudere, che nell’ estratto al 20°
di quell’ alcool, pur essendovi quel colore speciale caratteristico ,
non vi è nè pirogallato di argento, nè acido pirogallico.
Un pò sgomentato da questi risultati negativi pel fatto spe-
ciale della perizia sulla morte dei S. Andrea, convinto per gli stu-
dii precedenti della grande probabilità dell’avvelenamento avvenuto
per acido pirogallico, ho creduto lecito supporre, che 1° estratto al
20° dei S. Andrea, ( dirò d’ora innanzi così l estratto al 20° del-
l'alcool in cui furono conservati i pezzi dei cadaveri ), non dasse
le reazioni caratteristiche, e principalmente dell’ acido pirogallico ,
forse perchè nell’ organismo vivente si trasforma tutto in pirogal-
lina, la quale non dà più la reazione dell’ acido pirogallico, nè al-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 37
tra reazione qualsiasi: solo dà quel colore speciale, oltre all'essere
perfettamente solubile nell’ acqua. E sebbene questo colore hanno
anche soluzioni di pirogallina in cui vi è ancora acido pirogallico
non ancora trasformato, come pure la soluzione di pirogallato di
argento, (la quale soltanto tende più al rosso, che al giallo ), €
manca una reazione chimica positiva che scovra la pirogallina, pu-
re ho voluto vedere, se in animali avvelenati con acido pirogallico
succede la trasformazione completa in pirogallina nell’ organismo
vivente; perchè allora anche mancandovi una reazione positiva della
pirogallina, potremmo per analogia conchiudere, dopo lo stesso
quadro clinico ed anatomico procurato dall’ acido pirogallico, che
anche nei S. Andrea l’ avvelenamento è stato quello, e che nel-
l’ estratto non si doveva trovare che la sola pirogallina.
Per questo scopo io avevo 2 giorni fà dato un grammo di
acido pirogallico ad un cane del peso di poco più di 5 chilogrammi
per fare un primo tentativo di avvelenamento: e quindi ho potuto
servirmi di questo animale, che già ha mostrato i sintomi dell’ av-
velenamento , ed ucciderlo dopo 38 ore dalla propinazione del
veleno, per vedere se tutto l'acido pirogallico è stato trasformato
in pirogallina. E senza fare e riferire altre osservazioni pel mo-
mento, dirò fin d’ ora, quello che è risultato con 1’ alcool in cui
sono stati conservati i pezzi degli organi del suddetto cane, a pre-
ferenza del fegato. L’ alcool è al titolo di 90°, e dopo 3 giorni ha
preso un colorito giallo-rosso-bruno, sebbene molto sbiadito, rim-
petto a quello notato per l'estratto dei S. Andrea, ecc. Preso un
poco di quest’alcool e fatta la reazione con l’ammoniaca, questa
scovre in modo evidente 1’ acido pirogallico libero mediante la rea-
zione caratteristica. Ed allora dubitando, che Vl alta temperatura
prolungata a bagnomaria per fare l’ estratto S. Andrea avesse po-
tuto contribuire alla mancanza della reazione, ho preso un poco del-
l’alcool ordinario in cui erano conservati i fegati S. Andrea, alcool
già diventato giallo-bruno ; e su quest’ alcool senza alcun assog-
gettamento a temperatura elevata ho tentato la reazione con l’am-
moniaca: assolutamente zero. Aggiungiamo , che lo stesso alcool
38 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
del cane ho assoggettato a bagnomaria prolungata, sino ad averne
l'estratto : con tutta questa azione prolungata di calore elevato,
l’alcool così ispessito mi ha dato la reazione caratteristica dell’ a-
cido pirogallico con lammoniaca.
La mancanza quindi della reazione negli estratti S. Andrea o
deve essere giustificata in altro modo, ovvero si deve escludere ,
o almeno non si può con coscienza dimostrare. Non per lusso per-
ciò, ma per lo stretto bisogno medico-legale ho dovuto istituire una
serie estesa di esperimenti sugli animali, perchè la pirogallina non
ha reazioni caratteristiche, ed è la sola sostanza che potrebbe tro-
varsi nell’ estratto dei S. Andrea.
GG.
Esperimenti.
Come ho esposto, io mi trovava nella difficile posizione , che
cioè : 1° manca il responso della Chimica, la quale resta muta vi-
cino alla pirogallina : 2° manca anche la sicurezza che questa so-
stanza, la quale probabilmente è pirogallina nell’estratto S. Andrea,
provenga da acido pirogallico, così come si è sicuri quando invece
si sperimenta con acido pirogallico e si arriva alla pirogallina. Ecco
la necessità di fare gli esperimenti per poter illuminare la quistio-
ne, quando la chimica si arresta.
Potremo con gli sperimenti sugli animali :
1. Ricostituire il quadro clinico, specialmente l’ itterizia.
2. Avere la ripetizione del reperto anatomico caratteristico dei
S. Andrea.
3. Ottenere un estratto simile dall’ alcool in cui si conservano
i pezzi, principalmente il fegato.
Arrivando a risultati positivi, la risoluzione sulla natura del-
l’avvelenamento sarà compiuta, almeno come sperimento : e que-
sto deve essere sufficiente, quando la chimica non risponde ulte-
riormente. Quando negli animali che più si avvicinano all’ uomo
(mammiferi) con veleno determinato avremo cagionato l’ avvelena-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 39
mento con itterizia, e poi le note necroscopiche identiche che non
si trovano in altri avvelenamenti, e poi lo stesso estratto dell’ al-
cool: tanto più, se questo veleno è uno di quelli contenuti nelle
boccette sequestrate nella casa S. Andrea, potremo concludere anche
senza reazioni chimiche positive, le quali poi non sono conosciute.
E movendo dalle sostanze sinora da noi studiate, e che for-
mano la base importante, venefica, del contenuto delle boccette S.
Andrea, ci troviamo con tre sostanze colorate allo stesso modo ,
in cui vi è sempre acido pirogallico libero, o combinato coll’ argento,
ovvero trasformato tutto in pirogallina. Queste sostanze che sì so-
migliano tra loro pel colore; che somigliano al contenuto della 2?
boccetta ed alla soluzione della 1% dei S. Andrea; e che somiglia-
no infine pel colore all’ estratto dell’ alcool dei pezzi, sono tutte e
tre venefiche? Lo sono egualmente? Quale di esse, propinata agli
animali, dà il quadro clinico ed il reperto anatomico più caratteri-
stico e simile a quello dei S. Andrea? Bisogna quindi :
1. Sperimentare con ciascuna di quelle sostanze separatamen-
te, e bisognerà tentare dosi diverse sino a che si arriva all’ avve-
lenamento.
2. Se è il solo acido pirogallico, o almeno esso la parte prin-
cipale, come è probabile, sperimentare dopo quanto tempo non ve
ne ha più nell’ organismo vivente, perchè eliminato. Quindi esami-
nare giornalmente l urina, ammesso che il veleno sia cacciato e
principalmente dai reni.
3. Ammesso che i renì eliminano l acido pirogallico, vedere ,
se, quando non vi è più reazione nell’ urina, nell'organismo vi è
l’ acido pirogallico, o la pirogallina.
4. Quindi l obbligo di fare l’ estratto al 20° anche dell’ alcool
in cui si sono conservati pezzi di animali avvelenati, ma nei quali
non solo dalle secrezioni, ma anche dagli organi non si può più
stabilire la presenza dell’ acido pirogallico : allora sarebbe la ripe-
tizione del caso dei S. Andrea. Bisogna pel paragone fare anche
l’ estratto dei pezzi di altri animali avvelenati con altri veleni, di
animali sani, e di fegato itterico dell’ uomo.
40 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
5. In quali organi si devono ricercare a preferenza l’ acido pi-
rogallico e la pirogallina.
6. Vedere se il pirogallato di argento passa inalterato attra-
verso | organismo ; e se come tale comparisce nell’ urina , nella
bile.
7. Provare, se l’ estratto dell’ alcool dei pezzi S. Andrea rie-
sce venefico per gli animali.
8. Provare anche sugli animali la velenosità del contenuto
delle boccette, sequestrate in casa S. Andrea.
9. Sperimentare sino a qual minimo l’ acido pirogallico reagi-
sce con l ammoniaca, per far giusto calcolo della mancanza di
questa reazione. Ed al proposito studiare, se altre reazioni sono
più sensibili dell’'ammoniaca stessa.
10. Ricercare con sperimenti, se la pirogallina che si prepara
nel laboratorio avvelena, ovvero è innocua.
Soltanto dopo la risoluzione di questi quesiti potremo illumi-
nare la Giustizia sulla causa vera della morte dei S. Andrea.
1°,
Esperimenti comparativi di avvelenamento.
Nitrato di argento — Solfato di rame — Acido pirogallico.
Per iniziare gli sperimenti sugli animali avremmo voluto poter
disporre di un numero considerevole di cani; ma non essendo sta-
to possibile averne pel momento, e rimettendo ad un tempo ulte-
riore le diverse prove sui cani, ho prima cercato di trattarne due,
che già aveva in deposito, con due sostanze che si potrebbero met-
tere in discussione nel caso attuale, cioè, il nitrato di argento tro-
vato nella 3* boccetta S. Andrea, e qualche sale di rame, perchè
i composti di questo metallo sono quelli che più facilmente danno
itterizia. Ed ho voluto far queste due prove per togliere di mezzo
alle presenti ricerche 2 sostanze le quali molto probabilmente non
entrano nella quistione, e che sarà utile escludere in modo defini-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 41
tivo anche all’ occhio profano, e non ritornarvi più sopra. Gli spe-
rimenti comparativi avrebbero dovuto essere numerosi, ma per lo
scopo speciale della perizia, faremo un semplice paragone coll’ aci-
do pirogallico.
Ad un 1° cane del peso di circa k. 3,750 si è apprestato
con una sonda gastrica fatta per la circostanza, (con un imbuto
di cristallo al quale segue un tubo di caoutchouc e poi un tubo
di vetro e poi un altro pezzo di tubo elastico e finalmente un ca-
tetere elastico che si fa penetrare sino nello stomaco ), mezzo
grammo di nitrato di argento cristallizzato , sciolto in 50 grammi
di acqua distillata.
Il piccolo cane ha ricevuto nel suo stomaco tutto il nitrato
di argento, anche perchè immediatamente vi abbiamo immesso, per
mezzo della stessa sonda non ancora ritirata, un’altra ventina di
grammi di acqua distillata: pratica che abbiamo sempre usata in tutti
gli sperimenti successivi, e che per brevità non ripeteremo. L’ani-
male non ha mostrato nelle ore successive sofferenze degne di rilievo.
Ad un 2° cagnolino, un poco più grosso del precedente del
peso di circa k. 4,430 abbiamo allo stesso modo somministrato 3
grammi di solfato di rame in 100 grammi di acqua distillata : il
cane l ha ingoiato tutto. Questo animale a differenza dell’ altro ,
appena sciolto è apparso sofferente, smanioso, e dopo pochi mi-
nuti, sempre agitandosi, camminando disordinatamente come ubbria-
co, ha mostrato prima vomiturizione che poi è finita col vomito
effettivo di massa liquida di color verde-bluastro-chiaro. L’ animale
è restato in calma per pochi minuti, poi ha ricominciato ad agi-
tarsi e finalmente si è ripetuto il vomito quasi come il precedente.
Questa scena si è rinnovata per 3 volte, e dopo il cane un po’ ab-
battuto si è adagiato con una calma relativa.
Dopo 3 ore non solo il 1° cane trattato col nitrato di argen-
to, ma anche il 2° sono allo stato di apparenza normale: ed allora
ho dato loro del pane asciutto, che hanno mangiato volentieri :
hanno anche bevuto. Misurata la temperatura è normale in en-
trambi, avendo il primo 39, 1, ed il secondo circa 39.
ArTI Acc., Von. VIII, Serie 4° — Memoria IV. 6
42 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Dopo 24 ore i 2 cani si trovano in condizioni apparentemen-
te normali: mangiano, saltano, sono allegri: le deiezioni alvine so-
no dure, conformate, nerastre nel primo (nitrato di argento); meno
conformate, quasi bovine, di color giallo-terreo nel secondo.
Nessuna traccia di itterizia, esaminando la congiuntiva.
Uccido questi 2 animali col cloroformio , e si pratica subito
l'autopsia. Nessun organo mostra alterazioni apprezzabili, e perciò
non vi è apparenza alcuna del reperto necroscopico dei fratelli S.
Andrea. La bile e l urina mostrano in entrambi le note fisiologi-
che. Analizziamo anche chimicamente questi 2 secreti in entrambi
gli animali, sia con l’ acido cloridrico nel 1° (nitrato di argento) ,
sia con V ammoniaca ed anche immergendo un ago terso nel 2° :
sono completamente assenti le reazioni chimiche classiche tanto del
nitrato di argento, che del rame. Riserberò a pratiche ulteriori
comparative la preparazione dell’ estratto al 20° dell’ alcool in cui
si sono conservati i pezzi di questi due animali.
Avendo avuto l opportunità di un terzo cane inglese bastardo
del peso di poco più di 4 kili, gli ho apprestato con la solita sonda
mezzo grammo di acido pirogallico, sciolto in 50 grammi di acqua
distillata. Per tenere la bocca divaricata nel tempo dell’operazione,
noto ora, e così abbiamo praticato sempre, si è messa una grossa
lima, impugnata pel manico, trasversalmente tra gli ultimi molari:
poi con la mano sinistra col pollice sulla mascella superiore e le
altre 4 dita afferrando Vl inferiore, si fermano le mascelle stesse
contro la lima, mentre un aiuto già tiene fissata la testa dell’ani-
male in decubito supino e prima fissato sul tavolo per i 4 arti :
così s’ introduce con una certa facoltà il catetere fin nello stoma-
co, ove si fa pervenire la soluzione. La temperatura, presa nel ret-
to e così abbiamo sempre praticato, prima dell’ operazione segnava
39, 3; dopo un’ ora 38, 8. Il cane non ha vomitato, e dopo tra-
scorsa l’ ora mangia il pane asciutto che gli si appresta , sebbene
con svogliatezza : è un poco indebolito nei movimenti, di cattiva
cera, un po’ sofferente.
Riveduto questo cane dopo 20 ore ha la temperatura 39, pre-
Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 43
sa nel retto: non ha vomitato : è andato di corpo materiali duri ,
brunastri: è vispo ed in tutto il resto mostra di star bene: solo le
congiuntive oculari mostrano lieve sub-itterizia. L’ urina, raccolta
in un bicchiere è di un colore giallo-bruno : reazione acida: albu-
mina, col saggio dell’ acido picrico, assente: acido pirogallico ,
con l’'ammoniaca fatta cadere a gocce strisciando sulla parete
della provetta in modo che galleggia sull’ urina, in notevole quan-
tità, e si manifesta non colla reazione ordinaria di un colorito
giallo-rossigno che poi diventa giallo-rosso-bruno nello strato di
ammoniaca, ma con un colorito grigio-bruno come di fumo, il qua-
le immediatamente si vede nella parte inferiore dell’ ammoniaca là
ove questa si limita coll’ urina, e che poi invade il resto dell’ am-
moniaca, e dopo varie ore, come nel giorno seguente anche il quar-
to superiore dell’ urina; diventa però dopo questo tempo la reazio-
ne del colorito caratteristica giallo-rosso-bruna, come è la reazione
propria dell’ acido pirogallico con l ammoniaca quando non ha at-
traversato l organismo. Pigmenti biliari, saggiati col cloroformio,
poco quantità, ma ben apprezzabile.
Dopo 7 ore è nelle medesime condizioni di apparente benes-
sere : temperatura 39, 3.
Non sapendo ancora con precisione la dose venefica pel cane,
gli appresto la sera 2 grammi di acido pirogallico, sciolto in circa
cento grammi di acqua, sempre con la sonda. Il cane però dopo
qualche minuto ha vomitato in gran parte la soluzione pirogallica.
I pezzi conservati in alcool assoluto dei 2 cani precedenti trat-
tati uno col nitrato di argento e l’altro col solfato di rame, non
mostrano al microscopio alcuna alterazione apprezzabile, confermando
così il giudizio grossolano : la mia attenzione principale è stata sui
preparati del fegato, ove non ho potuto riscontrare traccia di quei
granuli nerastri, trovati principalmente nelle cellule epatiche dei S.
Andrea: con l’imbibizione al picrocarminio si conferma lo stato
normale.
Il terzo cane al quale si apprestò ieri l'acido pirogallico (2
grammi) è un poco abbattuto, sub-itterico nelle congiuntive: ha
44 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
mangiato appena un poco di quel pane asciutto che in quantità
notevole gli si è messo vicino : la notte ha vomitato un liquido
che ha lasciato una macchia nerastra , ed in cui vi è mischiato
un poco di pane in parte digerito: le feci sono semiliquide e co-
lorate in nerastro. Temperatura 39, 7. Urine più scure di ieri ed
un poco torbide: reazione debolmente acida: albumina tracce :
acido pirogallico quantità forte, in primo tempo di quell’ aspetto
speciale, come poi abbiamo trovato sempre nell’ avvelenamento : ab-
bondanti i fosfati: notevole quantità di pigmenti biliari.
Sebbene il cane fosse abbattuto, sub-itterico e non avendo in
questi primi sperimenti norme sicure per la dose letale dell’ acido
pirogallico nel cane, non potendo far calcolo della dose propinata
ieri, avendola il cane vomitata in gran parte subito, avendo l in-
teresse di sezionare l’animale dopo forte avvelenamento, gli ho ap-
prestato 3 grammi di acido pirogallico, sciolto sempre in cento gram-
mi di acqua. Dopo pochi minuti il cane si abbatte molto, tende a
cadere, vomita residui di pane con un liquido giallo-verdastro-bru-
no. Durante la prima ora il vomito si ripete varie volte, ed appa-
re come una bile giallo-bruna, che poi diventa nerastra dopo esse-
re stata per un certo tempo esposta all'aria. L° animale non può
più reggersi in piedi e cade principalmente sugli arti posteriori : ha
uno sguardo incerto, atono : soltanto trascinato a viva forza dà
qualche passo vacillante, ma subito ricade su sè stesso. Non vuol
mangiare neanco la carne cotta, non beve brodo e nemmeno il
latte : si comporta egualmente con l’acqua; gli viene dalla bocca
una bava continua. Presa la temperatura appena finita l’operazio-
ne si ha 39,8: ripresa poi dopo circa un’ora vi sono 2 gradi di me-
no, segnando il termometro 37, 8. L’ipotermia è andata sempre
crescendo, in modo che dopo 5 ore riveduto l’ animale, che è di-
steso a terra come morto , si sente già freddo, anche toccandolo
nella regione inguinale : il termometro segna 36, 6.
Il giorno seguente il cane si è trovato morto. Fattane l’autop-
sia, il reperto anatomico trovato importa molto anche per la peri-
zia, rilevandosi nel cane le alterazioni principali trovate negli or-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 45
gani dei S. Andrea, e che espongo succintamente. Ed in prima si
conferma la sub-itterizia nelle congiuntive. Il fegato è un poco in-
grossato e di colore giallo-verdastro-bruno : cistifella contenente
molta bile densa, bruna quasi nera, con orlo giallo-bruno alla su-
perficie, ed anche quando si attacca alla parete della provetta die-
tro la scossa impartita. Milza di volume normale o soltanto legger-
mente ingrandita, non più di quel colorito rosso-violaceo caratteristi-
co dei cani sani, ma di color bruno, quasi nero, anche alla su-
perficie del taglio : vescica paralitica contenente molta urina san-
guinolenta : tanto la bile che l’ urina saggiate con Vl ammoniaca do-
po averle allungate con dieci parti di acqua distillata, per veder
meglio la reazione, danno la reazione caratteristica, ma allotropica
dell’ acido pirogallico. I reni sono un poco ingranditi, la sostanza
corticale sporge appena alla superficie del taglio, è un poco tor-
bida e di colorito marrò scuro, come caffè; i raggi midollari della
sostanza corticale, massime nel limite tra questa e la midollare ,
spiccano fortemente pel loro colorito giallo-biancastro torbido ; la
capsula fibrosa del rene si distacca con faciltà dalla corteccia del-
l’organo. Stomaco ed intestini con lievi fatti catarrali acuti; il muco
ed i materiali residuali sono di un colorito brunastro. Cuore con
forte dilatazione delle cavità, specialmente destre, con riempimento
di sangue rosso-bruno nerastro , fortemente coagulato: il muscolo
cardiaco è diminuito nella sua consistenza, e di aspetto torbido
alla superficie del taglio. Polmoni niente di speciale , meno |’ ipo-
stasi cadaverica nelle parti posteriori e basse. Massa encefalica
nessuna alterazione apprezzabile ad occhio nudo.
Conservo una porzione di ciascuno di questi organi in alcool
assoluto per l’ esame microscopico, gli avanzi del cane faremo re-
stare ancora 3 giorni, per vedere ogni 24 ore, quali cambiamenti
massime di colore, induce la putrefazione : e così ho fatto in se-
guito di ogni animale assoggettato allo sperimento, per avvicinarci
sempre più alle condizioni, anche di tempo, in cui sezionammo i
S. Andrea.
Ho fatto anche preparati microscopici dal pezzo fresco, e pro-
46 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
priamente dal fegato, senza aggiungervi alcun reagente ; e così fa-
rò di tutti gli sperimenti. Nelle cellule epatiche vi è rigonfiamen-
to torbido, granulazioni grasse giallastre , degenerazione grassa :
nessuna apparenza di granuli neri: nucleo poco visibile: imbibi-
zione al picrocarminio diminuita.
Riveduto il fegato del cane sezionato ieri, è un poco più bru-
no ma ben conservato, nel senso che non si può parlare di pu-
trefazione. Se ne conserva un pezzettino in alcool assolute , do-
po aver raschiata la superficie del taglio: con questa raschiatura si
fa un preparato microscopico, nel quale si confermano le alterazio-
ni notate ieri, ma non vi è alcuna apparenza caratteristica di gra-
nuli nerì nelle cellule epatiche: ed insisterò in questa ricerca per-
chè bisogna vedere, se il reperto dei granuli nerastri trovati nelle
cellule epatiche dei S. Andrea è un fatto, a cui dopo il fondo del-
l’avvelenamento pirogallico, ha contribuito positivamente l’incipien-
te putrefazione per la produzione esagerata di idrogeno solforato,
ecc.
Il giorno seguente, 55 a 60 ore dopo la morte il fegato di
questo 3° cane comincia a mostrare le note della putrefazione, cioè
cattivo odore, colorito verde-bruno-sporco, consistenza molto dimi-
nuita. Si conserva un pezzo in alcool assoluto e dal preparato fre-
sco per raschiatura si nota il disgregamento granulare delle cellule
epatiche: vi sono molti granuli nerastri piccoli, sparsi in tutto il
campo del preparato, senza che il fatto sia esclusivo delle cellule
epatiche come nei S. Andrea. Si notano inoltre delle apparenze di
cellule rotonde o ovalari di color giallo-bruno nerastro, e talora
sotto la forma speciale della gemmazione o della scissione: per lo
più hanno un nucleo evidente e somigliano perfettamente a quel-
le cellule rotonde nerastre disposte a gruppi nel fegato dei S. Andrea.
Dopo i risultati sperimentali di questo 1° nostro tentativo, i
quali sono anatomicamente e clinicamente simili a quelli dei S. An-
drea, inizieremo la serie delle ricerche sistematiche : non potendo
però disporre di altri cani pel momento, cominceremo gli sperimen-
ti sui conigli.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 47
(9 10)
del.
Avvelenamento da acido pirogallico nei conigli.
Di 3 conigli maschi di peso quasi eguale, 950 grammi ognuno,
diamo al 1° mezzo grammo di acido pirogallico, sciolto in 50 gram-
mi di acqua distillata per mezzo della sonda nello stomaco. Al 2°
un grammo, sciolto anche in 50 grammi di acqua. Al 3° ho credu-
to opportuno darne una dose piccola, 5 centigrammi, non sapen-
do la dose letale per questi animali.
Devo notare, che 1’ apprestazione ai conigli riesce più lunga e
più difficile che per i cani, stantechè i conigli frequentemente in-
cidono il catetere elastico, anche quando s° impiega tutta 1 atten-
zione e diligenza ; e poi l’ esofago è così stretto che talora viene
leso dal catetere, sino alla perforazione, come ci è capitato 2 vol-
te: il catetere per entrare meglio deve avere 1’ anima metallica,
che poi si ritira; e, come è chiaro, deve essere di un diametro
piccolo.
Dopo un giorno i 3 conigli stavano bene, proprio come se non
fossero stati operati; mangiano, corrono appena inseguiti, nessuno
mostra traccia di itterizia nelle congiuntive: la temperatura è negli
stessi quasi come nello stato fisiologico. Si appresta allora al primo
coniglio un altro mezzo grammo ; al 2° quello che ieri ha avuto
un grammo, e ne diamo un grammo e mezzo ; al terzo infine si
amministra una 22 dose di 5 centigrammi.
I 3 conigli, operati ieri la 2* volta mostrano di star bene, cam-
minano con sveltezza, mangiano : l orina di qualcuno di essi è di-
ventata nerastra a terra. Al 1° si appresta ancora mezzo gram-
mo di acido pirogallico : ma nell’ entrare il catetere nell’ esofago
si è incontrata una certa difficoltà, tanto da far venire il sospet-
to di aver cagionato un maltrattamento meccanico del canale in
parte avvenuto ieri e cresciuto oggi. Il 2° coniglio, che è il solo
meno svelto degli altri due ha però mangiato : è leggermente sub-
itterico nelle congiuntive: gli si appresta ancora un grammo e mez-
48 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
zo di acido pirogallico, e poco dopo si è messo a mangiare di nuo-
vo delle foglie di cavoli. Al 3° coniglio si è apprestata la misce-
la nerastra in parte precipitata, di 10 centigrammi di acido piro-
gallico con 20 centigrammi di nitrato di argento.
Riveduti i conigli dopo 4 ore, i 2 primi sono abbattuti, il 3°
invece cammina con sveltezza e mostra di essere sano.
Il giorno seguente troviamo morti i due primi conigli: il terzo
sta bene.
La sezione del primo coniglio, cioè quello a cui per 3 giorni
consecutivi si è apprestato mezzo grammo la volta di acido piro-
Fegato
“4
gallico per la via dello stomaco, mostra i fatti seguenti:
con rigonfiamento torbido e con degenerazione grassa: cistifellea ri-
piena di bile di colore giallo-bruno intenso. Milza nerastra non in-
grandita. Reni con colorazione giallo-bruna terrea della sostanza
corticale. Pleurite acuta siero-fibrinosa a sinistra: pericardite si-
mile, ma di intensità minore. Muscolo cardiaco con rigonfiamento
torbido. Forte reazione pirogallica nella bile. L’ urina di color gial-
lo-bruno come moscato torbido, mostra anche notevole reazione pi-
rogallica con l ammoniaca : presenza di pigmenti biliari. Aperto
l’esofago, sì trova una lacerazione superficiale della mucosa e sotto-
mucosa nel terzo inferiore con lieve flogosi circostante, senza che
la parete fosse completamente perforata. ,
La sezione del 2° coniglio, quello, cioè, a cui in 3 giorni suc-
cessivi si è dato in 3 volte 4 grammi di acido pirogallico per lo
Lieve sub-itterizia nelle congiun-
“
stomaco dà il reperto seguente:
tive. Fegato leggermente ingrandito con colorito giallo-verdastro-
bruno : lo stesso aspetto della sostanza corticale dei reni, la quale
pare aumentata un poco di volume ed è torbida. La cistifellea
contiene bile densa, di color giallo-bruno, quasi nero, con l’orlo
nettamente giallo-bruno. La vescica fortemente distesa da urina di
aspetto sanguinolento; il microscopio però non rivela corpuscoli
rossi, quindi il colore è fatto dalla sola emoglobina, fa notare in-
vece quatche cilindro epiteliale con degenerazione grassa. L’ esame
ulteriore dell’ urina con l'acido picrico fa rilevare forte quantità di
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da ucido pirogallico 49
albumina, con l’ ammoniaca grande quantità di acido pirogallico ,
e col cloroformio emoglobina e poghi pigmenti biliari. Anche la
bile saggiata con l’ ammoniaca dà forte reazione di acido pirogal-
lico. I preparati microscopici a fresco di fegato del 1° e del 2° co-
niglio mostrano entrambi rigonfiamento torbido, degenerazione gras-
sa ed imbibizione debole al carminio. ,
Piccoli pezzi di ciascuno di questi conigli si conservano in
alcool assoluto per le ricerche ulteriori.
Al terzo coniglio rimasto in vita si ritorna a dare 5. centi-
grammi di acido pirogallico, essendo rimasta senza effetto la mi-
scela nerastra di ieri. Il giorno seguente il coniglio sta bene, e gli
si apprestano ancora 5 centigrammi di acido pirogallico , sempre
per lo stomaco.
I 2 conigli, sezionati il giorno precedente , sì conservano an-
cora bene, e bisogna notare che l’ ambiente è ancora notevolmente
caldo (Settembre a Catania). Pezzettini di ciascuno dei 2 fegati si
conservano in alcool assoluto, dopo aver fatto dei preparati a fre-
sco dalla raschiatura della superficie di sezione fatta. L’ osservazione
microscopica conferma i fatti osservati ieri, cioè la degenerazione
albuminosa e grassa, e la debole imbibizione al carminio. Dopo al-
tre 24 ore, questi conigli morti da più di 50 ore, mostrano note-
vole putrefazione: il fegato è divenuto verde-brunastro : sì conser-
vano pezzetti in alcool assoluto, e dai preparati a fresco fatti dalla
raschiatura, il microscopio mostra di nuovo soltanto la comparsa
di granuli nerastri irregolarmente sparsi, piccoli, che non si disciol-
gono però con l’acqua: si notano ancora piccoli elementi rotondeg-
gianti di un colorito giallo-bruno, nerastro: le cellule epatiche sono
in via di disfacimento granulare.
Si operano altri 2 conigli, che per essere brevi nell’ esposi-
zione diremo 4° e 5°, ,
Al 4° coniglio si fa arrivare nello stomaco una soluzione ac-
quosa filtrata di 15 centigrammi di acido pirogallico, mescolato
con 30 centigrammi di nitrato di argento cristallizzato. AI 5° coni-
glio invece apprestiamo il precipitato grigio-nerastro restato sul fil-
Arti Acc., Vor. VIII, Serie 4° — Memoria IV. 7
50 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
tro e nella capsula della miscela precedente , raccogliendolo e te-
nendolo in sospensione nell’ acqua distillata. Questi animali, osser-
vati varie volte nelle 3 ore successive all’ operazione non mostrano
alcuna manifestazione anormale.
Il 3° coniglio , dopo essere stato operato per 5 giorni, sì è
trovato morto al 6°. Ricordiamo, che a questo coniglio per 4 giorni
sì sono apprestati 5 centigrammi la volta di acido pirogallico , e
nel giorno di mezzo, vuol dire il 3° giorno, la miscela di 10 cen-
tigrammi di acido pirogallico con 20 di nitrato di argento. L’ ani-
male aveva mangiato sempre, e pareva di star bene. Fatta la se-
zione, “ la maggior parte degli organi si mostra normale o quasi:
la milza ha un colorito bruno-nerastro. I reni appariscono sani :
l urina contenuta in vescica di aspetto normale : bile bruna con
orlo giallastro : tanto la bile che l urina, saggiando con Vl ammoniaca,
danno la reazione caratteristica dell’ acido pirogallico.
Il fatto che più ferma l’attenzione è il colorito del fegato , il
quale non solo all’ esterno, ina principalmente alla superficie del
taglio, mostra un colorito decisamente ardesiaco, come sinora non
abbiamo trovato mai negli animali avvelenati, e che ripete quasi la
stessa apparenza grossolana del fegato dei S. Andrea.
Conserviamo i pezzi dei varii organi in alcool assoluto e dal-
la superficie del taglio del fegato con la solita raschiatura facciamo
un preparato a fresco, sempre senza alcun reagente.
L'esame microscopico giustifica Vl apparenza grossolana, per-
chè la maggior parte delle cellule epatiche contengono una note-
vole quantità di grossi granuli nerastri, precisamente come nei S.
Andrea. Dopo ciò, avendo potuto stabilire, che quella lesione spe-
ciale delle cellule epatiche non dipende da putrefazione, essendo
l’animale morto soltanto da poche ore, non si farà più V esame
nei giorni successivi.
Il 4° ed il 5° coniglio operati ieri col filtrato uno, e col pre-
cipitato l’ altro, ricavati dalla miscela di acido pirogallico con ni-
trato di argento, stanno bene. Si ripete la stessa operazione in
entrambi con eguale dose. Il giorno seguente stanno entrambi bene:
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico DI
anche la temperatura è quasi normale, segnando in uno 39, 7, nel-
l’altro 39, 9. Si ripete la stessa operazione praticata nei 2 giorni
precedenti ; e riveduti parecchie ore dopo si mostrano in condi-
zioni fisiologiche ; nessuna traccia di itterizia; le loro urine non
si anneriscono quando si asciuttano sul pavimento a mattoni della
stanza ove sono ricoverati.
Avendo avuto quel reperto speciale nelle cellule epatiche di
quel coniglio, al quale oltre le piccole dosì ripetute si era una vol-
ta somministrata la miscela intera dell’ acido pirogallico e nitrato
di argento, ad un 6° coniglio del peso di 780 grammi apprestiamo
la miscela di 15 centigrammi di acido pirogallico con 30 di nitrato
di argento in 50 grammi di acqua distillata, senza filtrare, dando
così tutto in massa, in modo da potere ottenere 1° effetto riunito
del precipitato e del filtrato, che separatamente abbiamo già dato
ai 2 ultimi conigli. Dopo 3 ore, anche questo coniglio si mostra
sano, mangia; la sua temperatura non ha sofferto variazioni sensi-
bili dal normale. i
Ad un 7° coniglio, più grosso del precedente, circa un kilo,
si è apprestato anche per lo stomaco 10 centimetri cubici dell’ e-
stratto al 20° dell’ alcool, in cui erano conservati i fegati dei S.
Andrea, e che ci fornì la Giustizia nel 21 Settembre 1893. L’ani-
male anche dopo 2 ore mostra di star bene.
I due conigli 4° e 5° il giorno seguente sono in stato perfet-
to: si ripete oggi la 4 volta 1’ operato dei giorni precedenti, dan-
do ad uno il filtrato, all’ altro il precipitato. Fino alla sera questi
2 animali continuano a star bene.
Gli ultimi 2 conigli operati ieri la 1? volta, il 6° e 7°, stanno
bene. Si ripete oggi la 2* volta la stessa operazione di ieri. An-
che dopo ciò non mostrano alcuna sofferenza sino alla sera.
I conigli 4° e 5°, operati ieri la 4 volta, stanno bene: si ri-
pete la stessa operazione, e sino alla sera non mostrano alcun sin-
tomo anormale.
Anche il 6° ed il 7° coniglio si mostrano sani, e perciò si
appresta loro per la 3? volta la miscela al 6°, e la dose dell’estrat-
52 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
to dell’alcool dei S. Andrea al 7°: anche essi stanno bene sino alla
sera.
Il giorno seguente i 4 conigli continuano a mostrarsi sani: si
ripete perciò ad ognuno l operazione dei giorni precedenti.
Tutti i conigli continuano a star bene dopo un altro giorno.
Al 4° e 5° si ripete l’ operazione la 78 volta, ed al 6° e 7° la 52
volta.
Riveduti la sera non mostrano alcun fatto anormale. E siccome
non posso disporre pel momento di altro estratto dell’ alcool dei
S. Andrea, e dall’ altra parte questo estratto si è apprestato 5 vol-
te senza alcun risultato di avvelenamento, domani si uccideranno
i conigli 6° e 7°, essendo che anche l’ altro si è operato lo stes-
so numero di volte con la miscela di acido pirogallico e nitrato di
argento, senza risentirne male alcuno: semplificherò così il lavoro,
sbarazzandomi di 2 conigli, che certamente non darebbero fatti in-
teressanti con ulteriori sperimenti; dobbiamo però vedere, se vi è
qualche alterazione specifica, specialmente se vi è colorito nerastro
degli organi, e particolarmente quell’ alterazione particolare del fe-
gato : certo non vi è stato avvelenamento, e bisogna studiare , se
la mancanza di questo sta con qualcuna di quelle alterazioni , le
quali allora sarebbero indipendenti dal vero veleno, e soltanto di-
pendenti da altre cause: tanto più che dagli sperimenti fatti risul-
ta, che anche con grave avvelenamento per acido pirogallico vi
sono le altre lesioni caratteristiche, ma manca quella speciale del
fegato dei S. Andrea, cioè la presenza dei grossi granuli neri, ecc.
Al 4° e 5° coniglio ripeterò ancora per alcuni giorni l’ ope-
razione, sia per cumulare lo sperimento, sia per non complicarmi
nelle osservazioni con molti animali uccisi.
E non potendo ancora disporre di cani, mi servirò di 2 altri
conigli, per ripetere ad uno l’ amministrazione di piccole dosì di
acido pirogallico, 5 centigrammi per lo stomaco, avendo già otte-
nuto nell’ animale così sottoposto allo sperimento, quel reperto ca-
ratteristico del fegato (fac-simile di quello dei S. Andrea); all’altro
daremo dosi intermedie di veleno. Quindi ad un 8° coniglio del
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 53
peso di poco più di 800 grammi si apprestano per lo stomaco 5
centigrammi di acido pirogallico; all’ altro, che pesa circa 860 gram-
mi, 20 centigrammi dell’ acido in parola. i
Riveduti dopo un giorno i conigli operati, dal 4° al 9°, stan-
no tutti bene.
Si ammazzano i 2 conigli, 6° e 7°, con un colpo secco alla
nuca, tenendoli sospesi con la testa in giù, in modo da lussare
le prime vertebre del collo e schiacciare il principio del midollo
spinale: così gli animali per lo più muoiono quasi immediatamente.
Dopo si operano per la 8? volta i conigli 4° e 5°, e la 2* vol-
ta i conigli operati ieri, cioè l’ 8° ed il 9°. L’ ottavo, quello a cui
diamo la 2* volta, 5 centigrammi di acido pirogallico per lo sto-
maco, si mostra subito dopo molto sofferente, affannoso: messo a
terra poco sì regge, e sì adagia sul ventre: smosso, non può cam-
minare, e dopo pochi minuti dietro leggieri movimenti convulsivi
clonici muore: allora ho avuto sospetto di perforazione interna ca-
gionata dal catetere.
Restano dopo ciò in vita tre soli conigli, cioè il 4°, il 5° ed
aoo:
Si pratica l’ autopsia dei 3 conigli 6°, 7° ed 8°,
Il 6° coniglio, al quale per 5 giorni consecutivi abbiamo ogni
24 ore apprestato la miscela di acido pirogallico e nitrato di ar-
gento, mostra alla sezione: “ Lievi fatti catarrali del tubo digeren-
te. Fegato più bruno dell’ ordinario: bile della cistifellea densa e di
color giallo-bruno; allungata la bile con l’ acqua distillata e saggia-
ta con l ammoniaca dà la reazione positiva dell’ acido pirogallico.
Negli altri organi mancano le alterazioni caratteristiche dell’ avve-
lenamento pirogallico : nessuna reazione pirogallica nell’ urina, la
quale grossolanamente appare normale. , Conserviamo un pezzet-
to di fegato e di altri organi nell’ alcool assoluto; e dal preparato
microscopico a fresco della raschiatura non si hanno alterazioni
spiccate delle cellule epatiche : in alcune però si possono apprez-
zare dei granuli nerastri, sebbene in scarso numero.
Il 7° coniglio, quello a cui per 5 giorni consecutivi si è dato
D4 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
l'estratto dell’ alcool dei S. Andrea, mostra alla sezione: “ Edema
sottocutaneo diffuso, probabilmente sul conto di sostanze organiche
speciali, ptomaine, contenute nell’ estratto. Nessuna altra lesione
apparente degli organi interni: il fegato anche apparisce sano, e la
bile della cistifellea conserva il colorito verde-bruno normale. , Si
conservano anche pezzetti dei diversi organi nell’ alcool assoluto,
e dal preparato avuto per raschiamento dal fegato si conferma lo
stato normale dell’ organo.
L’' $° coniglio, al quale ieri abbiamo apprestato soltanto 5 cen-
tigrammi di acido pirogallico per lo stomaco e ripetuta 1’ operazio-
ne oggi, dopo la quale è subito morto, mostra alla sezione : “ Una
piccola perforazione dello stomaco verso il gran cul di sacco : li-
quido nel peritoneo con la reazione caratteristica pirogallica. Gli
altri organi di aspetto normale, almeno ad occhio nudo : bile leg-
cermente tendente al giallo-bruno. Saggiata la bile e l'urina, si
conferma in entrambe la presenza dell’ acido pirogallico. , Si con-
servano i soliti pezzetti, e dal preparato a fresco del fegato sì può
confermare lo stato normale, o quasi, delle cellule epatiche.
Il giorno seguente i 3 conigli rimasti in vita, il 4°, 5° e 9°,
continuano a star bene. Operiamo perciò la nona volta i 2 primi,
dando come nei giorni passati ad uno il filtrato, all’ altro il preci-
pitato, ottenuti dalla miscela di acido pirogallico e nitrato di ar-
gento.
AI 9° coniglio ripetiamo la 3? volta 1’ amministrazione di 20
centigrammi di acido pirogallico.
Sino alla sera, 4 ore dopo l’ operazione, gli animali stanno bene.
Devo notare, che riosservati i fegati dei 3 conigli sezionati
ieri, e conservati appositamente nel proprio animale per paragonare
il fatto della putrefazione, quello meglio conservato è il fegato del
6°; anche ben conservato è quello dell’ 8° ; con note chiare di pu-
trefazione quello del 7°; ed appunto a questo coniglio non si è
dato acido pirogallico, almeno libero, mentre poi il liquido conte-
neva sostanze organiche estratte da pezzi con incipiente putrefa-
zione.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 55
I 3 conigli, 4°, 5° e 9° appaiono il giorno seguente senza al-
cuna sofferenza: hanno mangiato e mangiano sotto i nostri occhi,
se si dà loro della verdura. Al 4° ed al 5° ripetiamo per la 10? volta
l’ operazione dei giorni precedenti; e siccome sinora non hanno
‘mostrato sofferenze positive, domani li uccideremo, per vedere se
dopo tanto tempo si sieno lentamente prodotte le alterazioni carat-
teristiche, massime del fegato, come nei S. Andrea.
Al 9° coniglio per la 4* volta si apprestano i 20 centigrammi
di acido pirogallico.
I 3 animali sino a sera inoltrata stanno bene.
Riveduto i fegati dei 3 conigli al principio della 3* giornata
dalla morte , possiamo confermare la forte putrefazione in quello
trattato coll’ estratto, che è diventato giallo-sporco-bruno, molto la-
cerabile; mentre gli altri 2 si conservano ancora discretamente.
Anche oggi stanno bene i conigli 4°, 5° e 9°, A quest’ ul-
timo apprestiamo per la 5* volta i 20 centigrammi di acido piro-
gallico, e sino alla sera sta bene.
Ammazziamo i 2 conigli 4° e 5°, sempre con un colpo secco,
dato col lato ulnare della mano destra alla nuca dall’ alto in basso
un po’ obliquamente, tenendo l’animale sospeso per i piedi coll’al-
tra mano. Immediatamente se ne fa V autopsia.
Il 4° coniglio, al quale abbiamo dato per 10 giorni consecuti-
vi il filtrato di 15 centigrammi di acido pirogallico mescolato con
30 centigrammi di nitrato di argento per ogni giorno, quindi il pi-
rogallato di argento, mostra alla sezione i fatti seguenti.
“ Stato catarrale lieve del tubo digerente. Reni apparentemente
sani: vescica urinaria contratta, vuota di urina: milza più bruna
del normale. Fegato, marcatamente più bruno, ed alla superficie del
taglio di un colore rosso-bruno , tendente all’ ardesiaco : cistifellea
contenente bile bruna con orlo giallastro. Gli altri organi e tessuti
si mostrano sani, meno il grande omento, trasformato in una spe-
cie di mola idatigena per tante piccole cisti più grosse di un pi-
sello, le quali rappresentano lo stato idatideo della tenia pisiforme
del cane : e siccome ho trovato ciò in altri conigli dello stesso re-
56 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
cinto, molto probabilmente ciò ha dipeso dal fatto, che il luogo
dei conigli è attaccato con quello dei cani, essendovi soltanto un
sottile muro di divisione. Allungata la bile e fatta la reazione con
l’ammoniaca, si scovre la presenza dell’acido pirogallico, o meglio
del pirogallato di argento, essendo molto bruno il colore, come di
fumo nerastro. Conserviamo alcuni pezzetti in alcool assoluto , e
l'esame microscopico immediato della raschiatura fa notare qualche
eranulo nerastro nelle cellule epatiche, del resto normali, meno un
poco di degenerazione grassa; anche granuli nerastri simili trovia-
mo in cellule rotonde, linfoidi, libere nel campo del preparato.
L'imbibizione al picro-carminio dopo qualche ora, è riuscita per-
fetta. ,
Il 5° coniglio, al quale ricordiamo di aver dato per 10 giorni
il precipitato del filtrato ottenuto dalla preparazione del pirogallato .
di argento, apprestato al 4° coniglio, mostra alla sezione: “ Organi
di aspetto normale nella loro apparenza grossolana: anche il fe-
gato ha il colorito normale: la bile contenuta nella cistifellea è di
colorito verde-bruno, come nello stato normale. , Si conservano
i soliti pezzi in alcool assoluto ; e dal preparato a fresco della ra-
schiatura del fegato si conferma che le cellule epatiche, sono nor-
mali, non mostrano traccia di granuli nerastri, e si imbibiscono
perfettamente al picrocarminio. Allungata la bile con acqua e
saggiando con l ammoniaca non vi ha ombra di reazione pirogal-
lica, o di pirogallato di argento, anche rivedendo la provetta dopo
tre ore. Vuol dire: 1° che in quel precipitato non vi è più nè
acido pirogallico, nè pirogallato di argento : 2° che quel precipitato,
anche in granuli finissimi, non è assorbito.
L’ ultimo coniglio rimasto in vita , il 99, mostra di star bene
anche nel giorno successivo, e quindi gli si apprestano per la 6
volta i 20 centigrammi di acido pirogallico. Sino alla sera sì con-
serva in stato normale.
Prendiamo un pezzo del fegato del 4° coniglio ucciso ieri, re-
stato appositivamente pel trovato speciale dei granuli nerastri, e
lo conserviamo in alcool assoluto. Notiamo che il fegato è ben con-
Ricerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico DT
servato, e risalta ancora meglio il colorito tendente all’ ardesiaco ;
ciò, che del resto si osserva in tutti i casi, dipende dal fatto ,
che Vl animale appena ucciso ha gli organi pieni di sangue, ed il
colorito del sangue in parte vela il colorito proprio dell’ organo ,
sia normale che patologico. Facendo ed esaminando altri preparati
a fresco per raschiamento, si conferma il trovato dei granuli nera-
stri, notati ieri.
Il 9° coniglio sta bene anche oggi, e per la 7? volta gli som-
ministriamo i 20 centigrammi di acido pirogallico. Nel tempo del-
l’ operazione si sente, che la sonda ha incontrato qualche diffi-
coltà attraverso 1 esofago. Appena lasciato libero, l'animale bar-
colla, ha dispnea, ipotermia e dopo 7 ad 8 minuti manifestando
lievi convulsioni cloniche , muore. Dopo ciò sorge il sospetto di
perforazione : del resto il danno non è stato grande per le nostre
ricerche, avendo l animale già avuto sino a ieri 6 propinazioni di
veleno in modo perfetto, ed avremmo già dovuto ammazzarlo tra
qualche giorno.
Si fa subito ! autopsia di questo coniglio e troviamo i fatti
seguenti. ©“ Perforazione dell’ esofago nella cavità pleurica sinistra,
ove rattrovasi un liquido, che dà la reazione classica dell’ acido
pirogallico con V ammoniaca. Degli altri organi interni, la milza ha
un colorito bruno, i reni hanno la sostanza corticale di un giallo-
bruno terreo, il tubo digerente non mostra alterazioni di rilievo, il
fegato appare appena più bruno dell’ ordinario : la cistifellea è ri-
piena di bile nerastra con orlo giallo-bruno intenso : allungata la
bile con acqua si ha la reazione propria dell’ acido pirogallico : uri-
na di un giallo più carico con lievissima reazione pirogallica. Ne-
gli altri organi niente da fermare l’ attenzione. , Conserviamo dopo
i pezzetti di organi in alcool assoluto, e dal preparato a fresco
della raschiatura del fegato, meno lieve degenerazione grassa delle
cellule epatiche, non si ha altro: nessuna apparenza di granuli
nerastri.
Non potendo disporre di altri conigli pel momento , restando
a risolvere con sperimenti ulteriori la dose venefica dell’ acido pi-
ATTI Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria IV. 8
58 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
rogallico in rapporto al peso di questi animali; dopo aver fatto ed
esaminato i preparati microscopici per taglio di tutti i pezzi con-
servati in alcool assoluto, e che per brevità si omette la descri-
zione; riserbandomi più tardi di fare 1’ estratto al 20° dell'alcool in
cui si sono conservati i pezzi e di esporne i risultati; dovendo ora
incominciare gli sperimenti sui cani, credo utile riassumere i ri-
sultati avuti sul coniglio con le seguenti
CONCLUSIONI
1. Il coniglio resiste a dosi relativamente forti di acido piro-
gallico apprestato per la via dello stomaco : tenendo sempre conto
del peso, il cane è avvelenato dalla metà della dose, e probabil-
mente anche dalla terza parte.
2. Aumentando dippiù la dose anche il coniglio soffre | av-
velenamento nel modo caratteristico, meno l' itterizia che è più
evidente nei cani e forte nell’ uomo. Col forte avvelenamento ordi-
nariamente il coniglio muore dopo uno o due giorni.
53. Nel coniglio sì può avere qualche cosa di simile all’altera-
zione speciale del fegato dei S. Andrea sia con piccole dosi ripe-
tute di acido pirogallico, sia col pirogallato di argento : i granuli
giallo-bruni o nerastri sono solubili nell’ acqua, insolubili nel clo-
roformio, ecc. Dietro la somministrazione del pirogallato di argen-
to la presenza dei granuli nerastri nelle cellule epatiche è più spic-
cata.
4. Con questa alterazione caratteristica del fegato tante volte
non si ha il vero avvelenamento; e propriamente quando la dose
dell’ acido pirogallico libero, che è quello che agisce come veleno,
non è sufficiente.
5. Invece le lesioni anatomiche caratteristiche dell’ avvelena-
mento forte sono: degenerazione albuminosa e grassa principalmen-
te del fegato, del cuore, dei reni: bile giallo-bruna nerastra con
reazione pirogallica positiva : urina sanguinolenta: milza nera per
diffusione di emoglobina.
La presenza dei granuli nerastri nelle cellule epatiche è sem-
Ricerche sperimentali sull’avvelenamento da acido pirogallico 59
pre accompagnata da granulazione giallo-bruna nell’ endotelio rigon-
fio dei vasi linfatici interlobulari, ed anche in parte dei capillari
dell’ acino, specialmente quelli della zona esterna: anche le cellule
bianche entro i capillari dell’ acino, o già emigrate si mostrano
colorate in giallo-bruno o mostrano granuli giallo-bruni.
6. La dimostrazione che sia l acido pirogallico il vero veleno,
oltrechè dal fatto della somministrazione, anche del solo acido in
parola, è data anche dal reperto caratteristico, se non del fegato,
certamente della qualità della bile, dall’ alterazione della milza (ne-
ra), e poi del muscolo cardiaco. E pel caso nostro facciamo rile-
vare che furono queste press’ a poco le alterazioni trovate negli
organi dei S. Andrea.
7. Anche nel coniglio i primi effetti del grave avvelenamento
sono l’ ipotermia e la dissoluzione dell'emoglobina: quindi la milza
nera, l’emoglobulinuria. ecc. Edotti dalle proprietà chimiche dell’aci-
do pirogallico, vuol dire, che questo, per la presenza degli alcali
nel sangue, assorbe e toglie l ossigeno all’ ossiemoglobina.
8. Mentre sì producono profondi fatti degenerativi ed anche
infiammazione nei parenchimi, specialmente nel fegato, l’azione to-
pica sul tubo gastro-intestinale è modica, non andando al di là dei
semplici fatti catarrali, quando si appresta in soluzione allungata.
9. L’avvelenamento per acido pirogallico ritarda la putrefa-
zione.
10. L’ estratto dell’ aleool in cui erano conservati i pezzi dei
S. Andrea non ha cagionato nel coniglio | avvelenamento carat-
teristico, nè alcun’ altra lesione da poterlo far ritenere lieve, ini-
ziale.
3°.
Avvelenamento da acido pirogallico nei cani.
a) Dosi minori diverse, crescenti di acido pirogallico. Miscela di acido pirogallico
e nitrato di argento.
Cominciamo gli sperimenti sui cani, sia con l'acido pirogalli-
co dato a 2 dosi differenti, allo scopo di confermare la resistenza
60 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
di questi animali pel veleno ; sia con la miscela di acido pirogal-
lieo e nitrato di argento, ossia col pirogallato di argento, essendo
veramente quest’ ultimo la sostanza sequestrata in 2 boccette S.
Andrea, e che poi ci ha dato anche il trovato dei granuli nerastri
nelle cellule epatiche dei conigli in un modo più evidente, che in
quelli avvelenati col solo acido pirogallico. E questi sperimenti sui
cani, salvo i tentativi ulteriori per altre vie, faremo apprestando
la sostanza venefica per la via dello stomaco, che senza dubbio
ha dovuto essere quella avvenuta nel caso dei S. Andrea.
Operiamo prima 3 cani grossi, riserbando l operazione a pa-
recchi altri molto più piccoli. allo scopo di economia per la vit-
titazione.
1. Cane di caccia a pelo corto del peso di K. 14,300. Abbia-
mo cominciato con una dose debole in rapporto al peso dell’ ani-
male, per tenerlo in vita parecchi giorni e possibilmente otto, come
avvenne ai S. Andrea.
Altri cani con dosi più forti certamente moriranno nell’ acme
dell’ avvelenamento, e quindi si avrà anche il reperto più recente.
Dopo aver misurato la temperatura nel retto, 39°, 1 gli appre-
stiamo con la sonda gastrica mezzo grammo di acido pirogallico
sciolto in 50 grammi di acqua distillata.
2. Cagna di caccia, anche a pelo corto del peso di circa K. 13.
Temperatura nel retto 39°, 2. Le si appresta sempre con la sonda
gastrica, la miscela di 40 centigrammi di nitrato di argento cristal-
lizzato in 50 grammi di acqua distillata con 20 centigrammi di a-
cido pirogallico, dando anche il precipitato nerastro.
5. Cane barbone del peso di circa Kili 12, avente nel retto
la temperatura 39°: prende 20 centigrammi di acido pirogallico in
50 grammi di acqua distillata, anche per mezzo della sonda ga-
strica.
Questi 3 cani avevano mangiato pane asciutto circa 3 ore e
mezzo prima. Dopo l’ operazione nessuno di essi mostra sofferen-
ze; non hanno vomitato, nè vi è stata tendenza al vomito.
Dopo 3 ore si è loro apprestato altro pane asciutto, che tut-
Ricerche sperimentali sull’’avrelenamento da acido pirogallico 61
ti e tre hanno mangiato con avidità, specialmente il cane barbone.
Presa la temperatura in tutti, si trova quasi invariata, avendo il
110:390- all (20 399, 2. il 303909, 1,
I 3 cani si sono legati in 3 siti diversi in una stanza con
pavimento a mattoni, per vedere domani se hanno vomitato du-
rante la notte, se hanno bevuto l acqua, e poi le materie fecali,
’ urina ecc.
I cani operati ieri mostrano di star bene: nessuno ha vomita-
to: tutti hanno mangiato, hanno bevuto: materie fecali dure, ma
di colorito più bruno, specialmente quelli della cagna, n. 2.
Nessuno mostra itterizia, neanco lieve, nelle congiuntive. Han-
no urinato a terra, ma, meno nel cane n. 1, le cui macchie resi-
duali sono leggermente brune, le macchie degli altri due non mo-
strano alcuna colorazione anormale.
Sempre tenuti per la catena, dopo averli fatti girare uno per vol-
ta nel giardino attiguo, possiamo raccogliere in 2 bicchieri differenti
l’ urina del 1. e del 3. in quantità piuttosto grande: dalla cagna,
non essendo stato possibile, le abbiamo estratto l urina col catetere.
L’urina del cane 1. è limpida, di colore giallo-ambra chiaro ,
senza sedimento nemmeno dopo un’ ora di riposo : reazione acida.
E come sempre abbiamo praticato, con provette terse, lavate in ul-
timo anche con acqua distillata e poi con la stessa urina, si è ot-
tenuto : albumina zero: acido pirogallico allotropico evidente e fin
dal primo momento, sebbene non in quantità forte: pigmenti bilia-
ri discreta quantità. Nel saggio con VY ammoniaca, oltre la reazione
pirogallica, nello strato superiore dell'urina, quello che limita con
l’ammoniaca, comincia ben presto un intorbidamento opalino bian-
castro, che presto diventa finamente fioccoso e discende andandosi
lentamente a depositare nel fondo della provetta: questo precipita-
to è dovuto ad abbondanza di fosfati.
A proposito della reazione pirogallica devo notare di nuovo,
che le 4 a 5 gocce di ammoniaca bisogna farle arrivare sull’ uri-
na insensibilmente, facendole strisciare prima sulla parete della pro-
vetta inclinata ; così l ammoniaca resta tutta a galla, e sì distin-
62 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
gue recisamente dall’ urina sottostante per essere incolore: a que-
sto modo si vede la reazione quando comincia e se ne distinguo-
no anche le tracce. Se l' ammoniaca si fa cadere direttamente sul-
urina, vi si mescola, e le minime quantità di acido pirogallico
non possono essere apprezzate in modo sicuro ed in primo tempo,
perchè il nuovo colorito sì mescola con tutto il liquido ed appare
poco, o affatto.
L'urina della cagna 2* non solo è normale all’ aspetto, ma
ancora in tutte le analisi fatte, come nell’ urina precedente: assen-
te anche il pirogallato di argento.
L’urina del cane barbone, N. 3, anche appare normale : rea-
zione acida: albumina zero: acido pirogallico tracce, ma evidenti :
pigmenti biliari zero : fosfati normali.
A tutti tre si ripete la stessa operazione.
Aivedute le provette delle analisi fatte ieri e lasciate apposi-
tamente, se ne conferma il risultato : la reazione dell’ acido piro-
gallico, che è ‘più accentuata e divenuta del colore caratteristico
ciallo-rosso bruno, manca soltanto nella cagna 2%. Devo qui notare,
che è molto utile di riosservare le analisi fatte, dopo un giorno,
perchè quantità minime di acido pirogallico, o di albumina non si
possono apprezzare con sicurezza che soltanto dopo varie ore.
I 53 cani operati stanno bene.
Il N. 1 è anche più svelto di ieri: mangia volentieri il pane
asciutto : ha emesso materiali duri, giallo-bruni. L’ urina ha colore
giallo-bruno, è limpida: reazione leggermente acida: albumina assente:
acido pirogallico notevole quantità: pigmenti biliari discreta quanti-
tà: fosfati abbondanti.
Il N. 2, sempre svelto, mangia con appetito : le materie fe-
cali sono bovine di colorito bruno nerastro.
L’ urina è perfettamente limpida, di color giallo-paglierino: rea-
zione acida: albumina niente : reazione dell’ acido pirogallico, o del
pirogallato assolutamente mancante, anche dopo alcune ore: pig-
menti biliari zero : fosfati normali.
Il N. 3, barbone, è il più vivace di tutti: mangia con molta
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 63
avidità il pane asciutto. L’ urina all’ esame fisico e chimico è per-
fettamente normale.
Dopo ciò diamo le suddette sostanze con le stesse dosi dei 2
giorni precedenti a ciascuno dei cani, dopo aver notato la tempe-
ratura normale in tutti. Passate parecchie ore i cani continuano a
star bene.
Rivedute le provette di ieri, si può in generale confermare
tutto; e fo notare principalmente la mancanza assoluta di reazione
pirogallica nell’ urina del N. 2: mentre nell’ urina del N. 3 si può
dopo 24 ore notare la reazione, sebbene lieve dell acido pirogal-
lico.
I 3 cani stanno bene: il solo N. 1 pare di avere lieve tinta
sub-itterica delle congiuntive. Temperatura pressochè invariata in
tutti. Raccolta da ciascuno l urina, l'aspetto di essa è per ognuno
simile a quella di ieri. Fatte le debite analisi, riferiamo per brevi-
tà, di aver avuto lo stesso risultato : i fatti più salienti sono: nel
cane N. 1 la presenza dei pigmenti biliari e dell’ acido pirogallico:
nel N. 2 la completa mancanza di reazione dell’ acido in parola :
nel N. 3 la reazione positiva dell’ acido pirogallico, meno forte che
nel 1.: in tutte 3 le urine manca assolutamente 1 albumina.
Dopo la prova di 3 giorni, convinto che quella dose, come
era da aspettarsi, non dà veri effetti di avvelenamento a cani co-
sì grossi, abbiamo dato le stesse sostanze ai 2 primi a dose dop-
pia, in modo che il N. 1 ha avuto un grammo di acido pirogal-
lico; il N. 2 la miscela di 40 centigrammi di acido pirogallico
su $0 di nitrato di argento. Al solo barbone, N. 3, si è data la
stessa dose dei giorni precedenti, 20 centigrammi, per vedere se
le piccole dosi hanno un’ azione speciale sul colorito del fegato pel
lento deposito.
Le analisi delle urine di ieri sono confermate dopo 24 ore.
Il N. 1, che ieri ha avuto un grammo di acido pirogallico ,
è un poco abbattuto, mangia poco, cammina trascinato per forza,
è sub-itterico nelle congiuntive: da 2 giorni non ha deiezioni al-
vine. Appena esce a passeggiare nel giardino , sempre assicurato
64 Iricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
con la catena, emette più di 300 centimetri cubici di urina, con
un certo stento, di color giallo-bruno intenso, simile ad una solu-
zione concentrata di vesuvina, o meglio alla soluzione di pirogal-
lina: reazione neutra: albumina tracce: acido pirogallico forte quan-
tità: pigmenti biliari abbondanti: fosfati in eccesso.
Il N. 2, che ieri ha preso 40 centigrammi di acido pirogallico
miste ad 80 centigrammi di nitrato di argento ha vomitato del pane,
in parte digerito, con molto muco: ha avuto ripetute deiezioni alvine
liquide nerastre con muco ed anche tracce di sangue: il suo ori-
fizio anale, dopo l’ ultima evacuazione avvenuta sotto i nostri oc-
chi, è sporco di sangue. È anche un poco abbattuto, ma meno
del precedente: apprestandogli pane asciutto, lo mangia con avidità,
ma dopo una decina di minuti lo vomita: passata circa mezz’ ora
mangia il pane vomitato e lo ritiene. Nessuna traccia di itterizia.
Non ha voluto urinare nel giardino, e si è costretti perciò a pra-
ticare di nuovo il cateterismo, estraendo circa 200 grammi di uri-
na, che sembra perfettamente normale pel suo colorito giallo-paglie-
rino, ecc: reazione acida: albumina zero: acido pirogallico zero:
pigmenti biliarl zero.
Il cane barbone N. 3 appare nelle condizioni più normali:
salta, baia, mangia avidamente il pane asciutto : ha defecato ma-
teriali duri, solo un poco più bruni del normale. Appena uscito a
passeggiare nel giardino, si può raccogliere molta urina che appare
normale : reazione acida : albumina zero: acido pirogallico evidente,
sebbene in poca quantità: i pigmenti biliari zero, o quasi.
Si conservano tutte le provette per rivederle domani.
Dopo si operano di nuovo i 3 cani, somministrando a ciascu-
no le stesse sostanze ed alla stessa dose di ieri.
Stante la moltiplicità delle osservazioni, quest’ oggi per dimen-
ticanza non si è presa la temperatura.
Le provette restate ieri con le analisi fatte, conferinano lo stes-
so risultato in un modo più evidente.
I 3 cani operati mostrano i fatti seguenti.
Il N. 1 è sdraiato a terra, notevolmente abbattuto, dallo sguar-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 65
do atono, con itterizia spiccata delle congiuntive, anche del muco che
sì addensa nell’ angolo interno delle palpebre : non ha voluto man-
giare il pane asciutto; ha bevuto però 1 acqua.
Per portarlo nel giardino bisogna cominciarlo a trascinare, e
poi cammina a stento, vacillando : urina con difficoltà, ma abbon-
dantemente, potendosene raccogliere circa 200 grammi. Dopo ab-
biamo tentato fargli mangiare della pasta cotta da poco con del
formaggio, e ne ha mangiato a stento pochissimo. Temperatura
40, 4. L’ urina è spumosa, sanguinolenta, apparendo come vino
cotto : è torbida: reazione appena acida: albumina più del 2 per
1000 : acido pirogallico forte quantità : pigmenti biliari quantità no-
tevole mescolati, nel cloroformio sedimentato, coll’ emoglobina. Al-
l'esame microscopico niente globuli rossi, parecchi globuli bianchi
invece, molti cilindri adiposi, grande numero di spermatozoi; e seb-
bene per la mancanza di vere vescichette seminali il cane anche
nelle condizioni più normali mostra spermatozoi nell’ urina, come
io ho voluto anche confermare con esami comparativi di cani sani,
pure nel caso attuale la quantità degli spermatozoi è enorme.
Il N. 2 sta bene in piedi, fà festa appena ci avviciniamo : ha
mangiato e continua a mangiare con avidità il pane asciutto : però
ha vomitato di nuovo il pane, in parte digerito, con molto muco,
e poi I’ ha rimangiato. Mangia poi con grande avidità la pasta col
formaggio, che non ha mangiato il n. 1: si vede però, che men-
tre mangia ha una certa difficoltà nel passaggio del bolo attraverso
l’esofago. Dopo un certo tempo vomita la pasta e poi la mangia
di nuovo. Beve Il’ acqua con molta avidità. Ha defecato varie volte
semiliquido, bruno quasi nero, e dell’ ano fuoresce ancora del muco
sanguinolento. ‘Temperatura 39, 5. Ha urinato spontaneamente di
un color giallo paglierino, limpido : reazione acida: albumina zero:
acido pirogallico zero : pigmenti biliari zero.
Il barbone N. 3 sta benissimo, salta, baia, mangia con grande
avidità il pane asciutto : nella congiuntiva non si può apprezzare la
più lieve itterizia. Temperatura 39, 6. L’ urina raccolta è perfet-
tamente normale; non vi è nemmeno reazione pirogallica evidente.
ATI Acc., Vor. VIII, Serie 4° — Memoria IV. 9
66 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Si opera soltanto il cane barbone, apprestandogli per la 62
volta i 20 centigrammi di acido pirogallico. I due primi cani non
sì opereranno più, e se non moriranno, li uccideremo dopo
alcuni giorni, quando saremo sicuri, che è scomparsa ogni traccia
di acido pirogallico nell’ urina.
Confermiamo prima in modo più sicuro tutti i fatti osservati
ieri nell’ esame delle 3 urine.
Visitando i 3 cani, notiamo i fatti seguenti :
Il N. 1 è più abbattuto di ieri, sta sdraiato con sguardo apa-
tico, atono : è sub-itterico nelle congiuntive : appare molto dima-
grato. Non è stato possibile fargli mangiare qualche cosa; beve
però l acqua. Cammina stentatamente, e soltanto allora emette l’u-
rina a stento: se ne possono però raccogliere in una sola volta
più di 150 grammi, e mostra un aspetto decisamente sanguinolen-
te, più di ierl: reazione acida debole: albumina forte quantità, più
del 6 per 1000: acido pirogallico tracce: pigmenti biliari ed emo-
globina abbondanti. Esame microscopico: niente corpuscoli rossi,
parecchie cellule linfoidi, molti cilindri adiposi e spermatozoi. Tem-
peratura 39, 6.
Il N. 2 invece appare sano; nessuna ombra di itterizia. Man-
gia bene il pane asciutto: non ha vomitato. Dandogli però la pasta
col formaggio, che non ha toccato affatto il N. 1, la divora più
che mangiare, ma l' inghiotte con una certa difficoltà e poi vomi-
ta: dopo poco rimangia la pasta vomitata e la ritiene. Beve molta
acqua. Non ha defecato. Urina abbondante di aspetto normale: rea-
zione acida: albumina, acido pirogallico e pigmenti biliari assenti.
Temperatura 39, 7.
Il N. 3 sta benissimo, mangia sempre con molta avidità, salta,
baia, ecc. Itterizia nulla. Urina abbondante, apparentemente nor-
male: reazione acida, albumina assente; acido pirogallico reazione
debole, ma evidente : pigmenti billiari non apprezzabili. Tempera-
tura 40°.
Per dimenticanza non si è dato neanco a barbone i soliti 20
centigrammi di acido pirogallico.
Ricerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico 67
Rivedute dopo 24 ore le provette, si può meglio confermare
il risultato ottenuto ieri.
Visitando i 3 cani possiamo notare il diario seguente :
Il N. 1 non ha mangiato, è ancora molto abbattuto; si regge
con sforzo in piedi, vacillando : messogli avanti del latte, non ne
beve: beve invece Vl acqua: e sub-itterico. Dopo aver bevuto, stimo-
lato mangia appena un poco di pane asciutto, ma subito si stanca
e lo rifiuta. Non ha defecato. Portandolo nel giardino possiamo rac-
cogliere tutta l urina che emette, più di 200 grammi, la quale non
è più decisamente sanguinolenta, ma invece di un giallo-bruno in-
tenso, che nella grossa massa del bicchiere sembra quasi nero : il
giallo bruno si vede specialmente all’ orlo, e resta attaccato per un
certo tempo al bicchiere smuovendo l urina: questa ha fatto meno
spuma ed è meno densa di ieri: reazione acida debole : acido pi-
rogallico zero: albumina notevolmente diminuita, non più dell’ uno
e mezzo per mille: pigmenti biliari più apprezzabili. L' esame mi-
croscopico mostra minore quantità di cilindri adiposi, molte goc-
‘ciole di grasso libere , detrito e molto spermatozoi. Temperatura
39, D.
Il N. 2 appare di star bene : niente itterizia. Mangia il pane
«con molta avidità, ma dopo un certo tempo l ha vomitato e poi
rimangiato come nei giorni precedenti. Ha defecato materiali bovi-
mi, senza muco, senza sangue. L’ urina è perfettamente normale,
anche in tutte le minuziose analisi fatte. Temperatura 39, 4.
Il N. 3 sta benissimo, è svelto, mangia con molto appetito. La
sua urina ha l'aspetto normale, e ciò si conferma nell’ analisi chi-
mica; anche l’ acido pirogallico è assente. Temperatura 38, 6.
Si opera soltanto quest’ ultimo, apprestandogli i soliti 20 cen-
tigrammi di acido pirogallico.
Nel rivedere le provette delle analisi fatte, si può dopo 24
ore confermare il già notato : solo nell’ urina del cane barbone si
possono apprezzare tracce di acido pirogallico.
Il N. 1 è meno abbattuto dei giorni precedenti, ancora sub-
itterico nelle congiuntive , si regge meglio in piedi: ha mangiato
68 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
brodo con carne triturata. L’ urina è meno scura e torbida dei
giorni precedenti, ma ha ancora un colorito giallo-verdastro-bruno:
reazione leggermente acida : albumina meno del mezzo per mille :
acido pirogallico assente : pigmenti biliari grande quantità. Tempe-
Faiura®35, 9
Il N. 2 sta benissimo: mangia con molto appetito senza più
vomitare: materie fecali di aspetto normale. Urina normale in tutto.
Temperatura 39, 2.
Il N. 3 è perfetto : deiezioni alvine normali. Urina normale ,
meno la presenza dell’ acido pirogallico, che sì può apprezzare si-
curamente dopo pochi minuti. Temperatura 39, 3.
E siccome oltre del N. 2, anche il N. 1 è in via di guarigione
e non mostra da alcuni giorni acido pirogallico nell’ urina, li am-
mazzeremo domani per studiarne i reperti.
AI N. 3, che è restato per tanti giorni indifferente a 20 cen-
tigrammi la volta di acido pirogallico, ne apprestiamo oggi un
grammo e mezzo in 3 volte, mezzo grammo ogni 2 ore; e per
evitare l operazione con la sonda, tentiamo di dare il veleno le 2
prime volte mescolato con la pasta, la 3* volta nel latte : il cane
prende tutte e tre le volte con avidità sia la pasta che il latte col
veleno. Dopo 3 ore mostra di star bene; è allegro , salta, baia e
mangia con avidità il pane asciutto: non ha vomitato.
Si conferma prima nel giorno seguente il risultato delle anali-
si di urina.
Raccogliamo poi l urina dei 3 cani, i quali mostrano di star
bene ; quella del N. 2 è normale : quella del N. 1 ha solo tracce
di albumina ed ancora notevole quantità di pigmenti biliari. L’uri-
na del cane barbone raccolta alle 7 a. m., quando il cane aveva
2 volte urinato la notte lasciando una macchia scura, si mostra
normale nell’ apparenza: reazione leggermente acida : albumina ze-
ro: acido pirogallico zero: pigmenti biliari zero. Meravigliato di que-
sto risultato, ho fatto raccogliere altra urina di questo cane alle 3
p. m. la stessa apparenza normale e lo stesso risultato negativo
alle rispettive analisi; la reazione dell’ acido pirogallico all’ ammo-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 69
niaca è decisamente nulla, anche dopo parecchie ore. Temperatu-
ra 39, 9.
Avendo 1 animale tollerato questa dose di acido pirogallico sen-
za inconvenienti, anche con | urina raccolta normale, ne abbiamo
dato un grammo e mezzo nel latte, sciogliendo prima il veleno
nell’ acqua, in una sola volta colla sonda gastrica. Sino alla sera ,
4 ore dopo la propinazione del veleno, il cane sta bene e mangia
con avidità il pane: di vomito non ha avuto nemmeno la tenden-
za. Temperatura, 4 ore dopo il veleno, 39, 2.
Si ammazzano i due cani N. 1 e 2 col cloroformio: in tutti
e due ci importerà di trovare il reperto caratteristico : nel N. 1
importa a preferenza, 1° che l acido pirogallico non vi era più
nell’ urina : 2° che l avvelenamento caratteristico già avvenuto, do-
po 5 giorni è quasi scomparso, anche nelle manifestazioni dell’ u-
rina. Nel 2° ci importerà principalmente la possibile presenza di
granuli nerastri nelle cellule epatiche, essendosi propinato il piro-
gallato di argento, ed avendo nel fegato dei conigli trovato a pre-
ferenza quell’ alterazione, probabilmente pel pirogallato di argento.
Alla sezione il cane N. 1 mostra © Fegato giallo-verdastro-bruno,
un po’ rammollito e diminuito di volume: molta bile nella cistifel-
lea dell’ aspetto caratteristico di questo avvelenamento, cioè, densa,
di color giallo-bruno intenso, quasi nero ; una piccola quantità di
essa, allungata con 20 parti di acqua distillata, diventa di un co-
lor giallo-arancio sporco; praticandovi la reazione con Vl ammonia- -
ca, immediatamente si dimostra la presenza dell’ acido pirogallico,
e la reazione gradatamente diventa fortissima, in modo che quella
bile così allungata, giallastra in poche ore diventa di un colorito
giallo-rosso-bruno, quasi nero, cominciando sempre la reazione dalla
superficie nell’ ammoniaca. Milza di colorito nerastro, non ingran-
dita. Stato normale del tubo gastro-intestinale. Reni leggermente
ingranditi, mostrano alla loro superficie esterna, dopo il distacco
della capsula, disseminati degli infossamenti nerastri della grandez-
za di un acino di miglio a quello di canape; la capsula fibrosa è
un poco più aderente : al taglio la sostanza corticale è di un co-
70 Ricerche sperimentali sull’avvelenamento da acido pirogallico
lorito grigio-giallastro-bruno , e vi risaltano varii raggi di colorito
nerastro, conici, colla base che finisce verso gli infossamenti notati
alla superficie e I apice nella sostanza midollare. Vescica urinaria
con poca urina, nella quale non si può scovrire traccia di acido
pirogallico. Muscolo cardiaco un poco rammollito, di colore rosso-
giallastro. Polmoni anemici, con macchioline miliari nerastre sotto-
pleurali, e che alla superficie del taglio si notano anche nel paren-
chima. Massa encefalica anemica, senza altra lesione apprezzabile. ,
Conserviamo in alcool assoluto un pezzettino di ciascuno di questi
organi, e facciamo un preparato a fresco per raschiamento dal fe-
gato e dal rene: nel fegato all’ esame microscopico si nota, impic-
ciolimento delle cellule epatiche e degenerazione grassa, e poi una
quantità di altre cellule simili alle epatiche contenenti come dei
grossi granuli giallastri: nel rene vi è anche degenerazione grassa
dell’ epitelio dei tuboli contorti, meno marcato che nel fegato ; e
dalla parte, ove appariscono quella specie di infarti nerastri, si
osservano i tubi dei raggi midollari, specialmente gli ansiformi ri-
pieni di cilindri colorati in verde-nerastro, come se fossero colorati
dall’ acido osmico, se la loro natura fosse grassosa. Questi prepa-
rati, sebbene debolmente, si sono imbibiti al carminio.
Praticata la sezione della cagna N. 2, meno uno stato catar-
rale sub-acuto del tubo digerente, negli altri organi non si trova
alcuna lesione caratteristica dell’ avvelenamento : solo il fegato ap-
pare un poco più rosso-bruno dell’ ordinario, ma la bile ha i ca-
ratteri normali e non vi è reazione di acido pirogallico, o di piro-
gallato di argento: la milza non è nera; i reni sono sani, come
pure il cuore, i polmoni, il cervello. Fatto un preparato del fegato
per raschiamento, le cellule epatiche si mostrano normali, meno
qualche granulo nerastro nel loro protoplasma.
Notiamo semplicemente, sebbene non vi fosse interesse per
questi nostri studii, che nella milza di questi 2 cani ci sono tumo-
ri: nel N. 1 un tumore di apparenza sarcomatosa fuso-cellulare ,
della grandezza di un’ avellana: nel N. 2 nella milza vi sono tu-
mori multipli con metamorfosi colloidea, che infiltrano gran parte
Ricerche sperimentali sull avvelenamento da acido pirogallico 161
dell’ organo; e nel fegato vi è neoformazione più infiltrata, che a
nodi, dello stesso aspetto dei nodi splenici: probabilmente qui si
tratta di forma sarcomatosa endoteliale colloidea, e la lesione del
fegato è secondaria a quella della milza. Riserbando ad altro tem-
po lo studio minuto di questi tumori , si conservano i soliti. pez-
zetti in alcool assoluto.
Rivedute dopo un giorno le provette con Vl analisi dell’ urina
del cane barbone, si può confermare 1 assenza di acido pirogallico.
Questo cane stà del suo umore ordinario, sempre svelto , al-
legro: ha mangiato e mangia con appetito il pane asciutto. Raccolta
però l urina, questa è di colorito giallo-verde-bruno , ma non tor-
bida e senza alcun sedimento, anche dopo varie ore: la reazione
è acida; albumina zero ; acido pirogallico grande quantità per cui
la reazione non solo è evidente nell’ urina allungata con acqua di-
stillata, ma risalta ancora nell’ urina non allungata contenuta nel
bicchiere; con tutto il colorito bruno dell’ urina, la reazione si ve-
de circa pel 4° della massa dell’ urina superiormente, vuol dire là
ove l’ urina ha sentito Vl azione dell’ ammoniaca dell’ aria. Pigmenti
biliari notevole quantità: naturalmente in questo caso sì tratta prin-
cipalmente di urobilina, ed esporremo in seguito le ricerche appo-
sitamente fatte a questo scopo. L'esame microscopico, meno dei
cristalli di fosfati e spermatozoi in discreta quantità, non mostra
altri fatti degni di attenzione. Temperatura 38, 8, dopo circa 24
ore dall’ ultima dose presa.
Tutto ciò anche mi ha sorpreso, perchè mentre il veleno a
quella dose forte è stato assorbito, come è dimostrato dall’ analisi
dell’ urina in cui vi sono anche prodotti che dinotano un’ esagera-
ta distruzione dell’ emoglobina, ecc., pure il cane non mostra al-
cuna sofferenza, nè debolezza ed ha mangiato con appetito. E per-
ciò ad evitare la possibile influenza salutare del latte, gli appre-
stiamo un grammo e mezzo di acido pirogallico in 100 di acqua
con la sonda gastrica. Sino alla sera l' animale appare nelle stesse
condizioni di sanità.
12 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
L’ analisi fatta ieri sull’ urina del cane barbone è confermata
oggi: si può escludere ogni traccia di albumina.
Il cane in parola sta nelle stesse buone condizioni dei giorni
precedenti; mangia il pane asciutto con appetito, è forte nei suoi
movimenti, ecc. Soltanto si nota lieve itterizia nelle congiuntive.
L’urina raccolta in forte quantità, mostra un colorito giallo-bruno
intenso, senza deposito: reazione leggermente acida; albumina zero:
acido pirogallico grande quantità : pigmenti biliari in quantità mag-
ciore di ieri: esame microscopico nessun fatto degno di attenzione.
Temperatura 38, 7.
torniamo oggi a somministrare un altro grammo e mezzo di
acido pirogallico per la 4 volta senza latte, sciolto invece nell’ ac-
qua: dopo parecchie ore il cane continua a star bene. i
Confermato il risultato dell’ analisi fatta ieri sull’ urina del ca-
ne barbone.
Questo cane continua nel suo benessere: mangia benone, schia-
mazza e baia appena ci accostiamo : è sub-itterico. La sua urina
raccolta in grande quantità, più di 300 grammi in una sola volta,
ha un colorito giallo-arancio , leggermente bruno : reazione acida :
albumina assente: acido pirogallico evidente immediatamente , ma
in minore quantità di ieri: pigmenti biliari anche diminuiti: esame
microscopico negativo : Temperatura 39, 3.
Sempre meravigliati della mancanza di un vero avvelenamento
nel cane barboue, gli apprestiamo per la 5% volta un grammo e
mezzo di acido pirogallico; e come era prevedibile, Il animale fino
alla sera continua a star bene.
Confermato tutto nell’ analisi dell’ urina fatta ieri.
Il cane barbone, che già in 5 giorni ha ingoiato ed assorbito
grammi 7, 50 di acido pirogallico, oltre le dosi minori prese nei
giorni precedenti, si trova in stato lodevole, senza alcun segno di
sofferenza; è sempre svelto, allegro, salta, baia, mangia da affamato :
soltanto continua ad essere sub-itterico nelle congiuntive. La molta
urina raccolta è di color giallo-arancio un po’ sbiadito : reazione
leggermente acida : albumina zero: acido pirogallico grande quantità:
gd.
(9)
Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
pigmenti biliari notevole quantità. Esame microscopico negativo,
meno un’abbondanza di fosfati. Temperatura 39, 1.
Gli apprestiamo ancora, per vedere fin dove si spinge la tol-
leranza e l’ assuefazione pel veleno un altro grammo e mezzo dello
stesso : riveduto la sera sta sempre bene.
Essendo poi ben induriti i pezzetti presi dai cani N. 1 e 2 dopo
aver fatto e studiato una serie di preparati microscopici per taglio,
possiamo dedurre, che le alterazioni principali, per quanto si rife-
risce ad avvelenamento, sono nel fegato e nei reni del N. 1, quello
avvelenato coll’ acido pirogallico : nel N. 2 non vi sono lesioni che
sì possono riportare all’ avvelenamento : in modo che, mentre nel
primo vi sono nel fegato alterazioni degenerative (degenerazione
albuminosa, grassa e pigmentazione biliare), e flogistiche, ( emigra-
zione di leucociti e modificazioni fagocitarie degli endotelii vasali); e
nel rene alterazioni degenerative e colorazione pirogallinica caratteri-
stica dei cilindri; nel 2° si rinvengono soltanto pochi granuli nera-
stri nelle cellule epatiche. L’imbibizione al carminio un poco debole
nei pezzi del 1°, invece è perfetta in quelli del 2°. Si è potuto con-
fermare che la putrefazione, nei pezzi conservati sino a 3 giorni
dopo il decesso , fa un poco accentuare |’ apparenza dei granuli
nerastri.
Si è confermato il risultato dell’ analisi fatta ieri sull’ urina del
cane barbone. Il quale stà in condizioni lodevoli, sebbene abbia vo-
mitato la notte una sostanza verde-bruna con del pane in parte di-
gerito. Con tutto ciò è svelto, allegro, salta e mangia con avidità
altro pane: non vomita più nella giornata: è itterico. Raccogliamo
abbondante urina di color giallo-verde-bruno molto intenso ; però
anche dopo varie ore non vi è traccia di sedimento : reazione aci-
da leggermente: albumina zero : acido pirogallico enorme quantità,
con reazione immediata: pigmenti biliari forte quantità: esame micro-
scopico, meno abbondanza di fosfati, negativo. Temperatura 38,8.
Dopo questi risultati gli propiniamo per la 7* volta la stessa
dose. Sino alla sera non ha vomitato e stà bene.
ATTI Acc., Vor. VIII, SERIE 4% — Memoria IV. 10
74 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Anche oggi si conferma il risultato dell’ analisi fatta ieri sul.
l'urina di barbone. Si è ripetuto stanotte il vomito, ma il cane ap-
parisce di star bene: mangia con appetito la sua quota di pane :
ha emesso materiali duri, nerastri: è itterico. Raccogliamo molta
urina, la quale a distanza sembra nera e veramente è di un giallo-
bruno intensissimo; il giallo si apprezza soltanto nell’ agitare la pro-
vetta e guardando |’ orlo della superficie dell’ urina: non vi è però
alcun sedimento, anche dopo varie ore: reazione acida debole : al-
bumina decisamente zero : acido pirogallico in grande quantità, ap-
parendo immediatamente la reazione all’’ammoniaca anche con la
urina allungata 3 volte con l acqua distillata : pigmenti biliari in
grande quantità da colorare il cloroformio in un bel verde chiaro.
Temperatura, 39,5.
Si ripete per l'8® volta la propinazione di un grammo e mezzo
di acido pirogallico.
Confermata pienamente l analisi di ieri.
Il cane ha vomitato la notte, e poi anche nella mattinata; pri-
ma e dopo ha mangiato il pane asciutto. Il vomito è bilioso, giallo-
verdastro-bruno : materiali semiliquidi di un verde-bruno intenso :
beve acqua con avidità: congiuntive itteriche. Con tutte queste
manifestazioni il cane sta bene in piedi, sebbene fosse meno svelto
ed allegro nei giorni precedenti. L’urina somiglia a quella di ieri ,
ma è meno scura: non è torbida, nè fa sedimento: reazione acida:
albumina zero: acido pirogallico grande quantità: pigmenti biliari
tanto abbondanti da colorare il cloroformio in giallo-verde-bruno.
Esame microscopico negativo. Temperatura 39,7.
Per la 9* volta gli si appresta un grammo e mezzo di acido
pirogallico.
Si conferma il risultato dell’ analisi fatta ieri. Il cane sembra
di star bene: la notte non ha vomitato: ha mangiato il pane asciut-
to: è sub-itterico. Stamattina, dopo aver mangiato il pane, l’ha vo-
mitato con una sostanza verdastra come bile: dopo un certo tem-
po ha rimangiato il pane vomitato : non ha defecato. L’ urina rac-
colta è più scolorata di quella di ieri, mostrando un colorito gial-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 11)
lo-verdognolo chiaro ; nessun sedimento : reazione acida : albumina
zero : acido pirogallico notevole quantità, ma meno di ieri: pigmenti
biliari forte quantità, ma anche un poco meno di ieri, e ciò si può
apprezzare facendo il paragone colle provette restate. Temperatu-
Ta t99-02:
Per la 10? volta gli sì appresta il grammo e mezzo di veleno.
Anche oggi si conferma l’analisi fatta dell’ urina del cane bar-
bone. Il quale è sempre svelto ed appare sano, quand’ anche aves-
se vomitato il pane, che poi ha rimangiato : nel corso della gior-
nata mangia con avidità altro pane e non lo vomita : ha avuto
escrementi semiliquidi nerastri: è sub-itterico L’ urina raccolta mo-
stra gli stessi caratteri di quella di ieri, ed ai reagenti risponde
precisamente allo stesso modo. Temperatura 38, 8.
Gli si dà per V11? volta un’ eguale dose di veleno.
Dopo aver confermato il risultato dell’ analisi fatta ieri, tro-
viamo il cane barbone apparentemente nelle condizioni di sanità:
è vispo, mangia con appetito il pane asciutto: non ha vomitato. È
sempre sub-itterico. L’ urina raccolta in quantità notevole di un
colore giallo leggermente scuro, senza sedimento, mostra all’ anali-
si; reazione leggermente acida : albumina zero: acido pirogallico
forte quantità : pigmenti biliari abbondanti. Temperatura 38, 8.
Si ripete per la 12* volta la dose di acido pirogallico.
Il risultato dell’ analisi fatta ieri si conferma ; e per brevità
l’ometteremo in seguito, meno quando dopo 24 ore abbiamo a no-
tare qualche fatto che non si è potuto apprezzare coll’ analisi im-
mediata.
Il cane ieri sera tardi vomitò il pane, che poi stamattina non
si è trovato, avendolo mangiato di nuovo : è allegro, salta, baia,
mangia con avidità altro pane: continua la sub-itterizia. Fin dalle 7
del mattino si sono raccolte più di 300 grammi di urina limpida,
quasi del colore giallo-paglia normale, solo leggermente verdogno-
lo : restata nel bicchiere per 5 ore non mostra alcun sedimento,
ma alla superficie per più di un centimetro spicca la reazione gial-
lo-bruna caratteristica dell’ acido pirogallico , s’ intende senza aver
76 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
aggiunto ammoniaca: reazione neutra: albumina zero: acido pirogal-
lico forte quantità, anche facendo calcolo della reazione avvenuta :
pigmenti biliari poca quantità : molti fosfati. Temperatura 39, 1.
Per la 138 volta gli si appresta la stessa dose.
Il giorno seguente il cane contina ad essere vispo, forte, alle-
gro: mangia pane asciutto con appetito, non ha vomitato: ha de-
fecato bovino, nerastro. L’urina raccolta in grande quantità è somi-
gliante a quella di ieri, diun colore giallo-chiaro, leggermente ver-
dognolo: reazione acida debole: albumina zero : acido pirogallico
notevole quantità : pigmenti biliari in poca quantità , ma ben ap-
prezzabili. Temperatura 39, 4.
Per la 14 volta prende il grammo e mezzo di veleno.
Il giorno dopo il cane è meno vispo dei giorni precedenti, ma
mangia il pane: è sub-itterico sempre: non ha defecato. La urina
raccolta in grande quantità è di un colore giallo-arancio-bruno, come
marsala ; è però perfettamente limpida e senza sedimento: reazio-
ne leggermente acida: albumina zero : acido pirogallico forte quan-
tità : pigmenti biliari abbondanti. Temperatura 39, 9.
Gli apprestiamo per la 15? volta la solita dose.
Dopo 24 ore il cane sta bene, è più svelto, mangia con avi-
dità il pane: ha defecato materiali conformati, solo in parte bovini
di colore verde-scuro : continua la sub-itterizia. L’ urina, emessa in
grande quantità, è di color giallo-bruno, ma limpida e senza sedi-
mento: reazione acida: albumina zero: acido pirogallico grande quan-
tità: pigmenti biliari molto abbondanti, da colorare il cloroformio in
verde-bruno. Temperatura 38, 8.
Prende un altro grammo e mezzo di acido pirogallico per la 162
volta.
Il cane barbone continua a star bene, anzi |’ è meglio di ieri:
mangia da lupo: ha avuto deiezioni alvine conformate, nerastre :
è sempre sub-itterico nelle congiuntive. La molta urina raccolta, si
intende, in una sola volta, è di color giallo sbiadito, soltanto leg-
germente bruno, in modo da far contrasto con quella bruna di
ieri: sembra urina da sano, limpida e senza sedimento : reazione
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico (K
acida : albumina assente: acido pirogallico relativamente diminuito:
pigmenti biliari tracce. Temperatura 38, 6.
Per la 172 volta gli si appresta lo stesso dei giorni precedenti.
Al solito il cane barbone sta bene, meno la sub-itterizia delle
congiuntive. L’ urina sempre abbondante è di color. giallo-arancio-
bruno , limpida , senza sedimento: reazione acida: albumina zero:
acido pirogallico poca quantità in paragone degli altri giorni: pigmenti
biliari discreta quantità, più di ieri. Temperatura 38, 8.
Devesi notare, che l'urina così analizzata, stava raccolta da 7
ore nel bicchiere, esposta all’ aria ed alla luce; e che alla superfi-
cie per più di 2 centimetri si è fatta spontaneamente la reazione
pirogallica, notandosi un colorito giallo-bruno-nerastro, che risalta
verso il giallo-arancio-bruno dell’ urina sottostante, quindi la poca
reazione ottenuta con l'aggiunta dell’ammoniaca, ha dovuto dipen-
dere dal fatto, che l'acido pirogallico in gran parte si era sponta-
neamente trasformato in pirogallina, e quindi non ha dato la reazio-
ne che soltanto la minima parte rimasta inalterata.
Apprestiamo a questo cane per la 18* volta un grammo e
mezzo di acido pirogallico, e domani l’ uccideremo, dopo aver ac-
quistato la convinzione che non risente più l’ acido pirogallico, come
veleno, a quella forte dose tante volte ripetuta, di cui una sola rie-
sce spesso letale per gli altri cani.
L’ urina raccolta oggi del cane barbone , il quale appare in
perfetta sanità, ha le stesse note di ieri, anche all’analisi. Il cane
ha la temperatura 38, 9.
Si uccide questo cane col cloroformio, e notiamo che esso mo-
stra una resistenza notevole e fa sforzi straordinarii nel tempo della
cloroformizzazione.
Prima di esporre il risultato dell’autopsia, ricordiamo, che que-
sto cane:
1° per 18 giorni consecutivi, precedenti alla sua morte, ha
preso per la via dello stomaco un grammo e mezzo di acido piro-
gallico al giorno, che certamente era assorbito, come lo dimostra-
va l’ analisi dell’ urina ed anche l’ itterizia;
78 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
2° per 7 giorni precedenti aveva anche per la via gastrica,
preso 20 centigrammi al giorno del veleno senza risentirne effetti
nocivi ;
3° che i 2 primi giorni, in cui si apprestò la forte dose, il
veicolo fu l alimento e principalmente il latte.
Altri sperimenti dovranno stabilire, se la refrattarietà di que-
sto cane al veleno ha dipeso dalle piccole dosi preventive, o dal
latte: per ora facciamo solo risaltare, anche per ciò che si troverà
all’autopsia, che questo cane in 25 giorni consecutivi ha preso per
la stomaco ed assorbito grammi 28,40 di acido pirogallico, senza
aver sofferto l avvelenamento; e sono sicuro, che si sarebbe po-
tuto continuare nell’apprestazione del veleno , senza cagionare allo
animale grave danno.
L'autopsia di questo cane mostra i fatti seguenti: “ Fegato
leggermente ingrandito di colore più rosso-bruno dell’ ordinario, più
ricco in sangue, lavato il quale, la superficie del taglio appare di
un colorito tendente al grigio-scuro: del resto non si può scorgere
altro nel parenchima, nel connettivo, nei vasi: la bile contenuta nella
cistifellea è di colorito giallo-bruno quasi nero, caratteristico per l’a-
cido pirogallico. Reni perfettamente sani, se si eccettua un lieve
colorito giallo-bruno della sostanza corticale. Tubo digerente senza
fatti catarrali. Milza non nera, invece del colorito violaceo norma-
le, anche alla superficie del taglio; ed è questo fatto di notevole
interesse, perchè dimostra che con tutta quella quantità di acido
pirogallico nel circolo per 25 giorni continui è mancata la milza
nera, la quale perciò non è dovuta al ristagno del veleno o dei
suoi derivati, ma all’ alterazione grave dell'emoglobina: e quest’al-
terazione nel caso in parola con tutta la enorme dose non è av-
venuta, come è stato dimostrato dal benessere dell’ animale, dalla
mancanza dell’ emoglobinuria, ecc. ; e perciò è mancata la milza
nera. Tutti gli altri organi sani. L’ esame microscopico della ra-
schiatura del fegato, mostra soltanto quell’ alterazione speciale del
protoplasma delle cellule epatiche e probabilmente anche degli en-
dotelii vasali in forma di grossi granuli giallo-bruni: l’ esame dei
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 19
tagli chiarirà meglio il fatto. , Questo reperto anatomico quasi nor-
male, meno le note di asfissia ecc. cagionata dal cloroformio, giu-
stifica il benessere dell’ animale con tutte le forti e ripetute dosi di
veleno. Conserviamo diversi pezzetti in alcool assoluto per lo stu-
dio ulteriore.
b) Pirogallato di argento con prevalenza di acido pirogallico.
Effetto sui cani.
Dopo aver acquistato la convinzione che il misto di acido pi-
rogallico e nitrato di argento riesce venefico soltanto se vi è acido
pirogallico in eccesso, libero; diversamente non cagiona altro che
fatti irritativi del tubo gastro-intestinale: mentre dall'altra parte
quando vi entra anche il sale di argento si hanno a preferenza
quei granuli neri nelle cellule epatiche, (che si sciolgono con la sola
acqua e quindi trattasi di pirogallato di argento), abbiamo creduto
giusto di sperimentare con una miscela nella quale fosse in ecces-
so l’ acido pirogallico sul nitrato di argento: se in questo modo
otterremo l’ avvelenamento ed il reperto speciale del fegato, ci ac-
costeremo dippiù al fatto dei fratelli S. Andrea, che da una parte
morirono probabilmente avvelenati dall’ acido pirogallico, e dall’al-
tra mostrarono quel reperto caratteristico di granuli nerastri nelle
cellule epatiche, come veramente non si ha in modo spiccato e ca-
ratteristico col solo acido pirogallico nei conigli e nei cani.
Quindi ad un cane, al quale daremo il N. 4, per conservare
un numero progressivo, di razza inglese bastardo, del peso di Ki-
li 5, 400, con la temperatura 39, 2, abbiamo con la sonda gastrica
apprestato la miscela seguente : acqua distillata grammi 50, acido
pirogallico grammo uno e nitrato di argento cristallizzato centigram-
mi 20. Il cane, dopo poco, si abbatte e mostra propensione al
vomito : poi vomita ripetutamente una massa liquida nerastra. La
temperatura presa 3 ore dopo segna 38, 7.
Il cane N. 4, che ieri ebbe tanto vomito, oggi appare di star
bene : è svelto, allegro, mangia con appetito il pane asciutto. Si
sono raccolti circa 100 grammi di urina, la quale è di un colorito
giallo-bruno non intenso, senza sedimento: reazione quasi neutra:
80 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
albumina tracce: acido pirogallico in quantità notevole: pigmenti bi-
liari non apprezzabili col cloroformio. Temperatura 39, 6. Gli si ap-
presta la miscela come ieri e nelle stesse proporzioni.
Dopo le 24 ore il N. 4 è un poco abbattuto, però sta in pie-
di: non mangia il pane asciutto, prende invece zuppa di pane nel
brodo : beve molta acqua: non ha traccia itterizia: non ha defe-
cato. L’ urina raccolta in notevole quantità è di un colore giallo-
bruno intenso, in grande massa quasi nero, con poco sedimento
come posa di caffè : reazione quasi neutra : albumina tracce : acido
pirogallico forte quantità : pigmenti biliari poca quantità. Esame
microscopico del sedimento, molti fosfati, qualche corpuscolo bian-
co con granuli nerastri, molti spermatozoi. Temperatura 38, 7.
(li ripetiamo per la 38 volta la stessa operazione con la miscela
identica a quella dei 2 giorni precedenti. Riveduto dopo 6 ore
è notevolmente abbattuto.
II N. 4 oggi è più abbattuto: mangia, ma a stento un poco di
pane nel brodo : è itterico nelle congiuntive, le quali sono edema-
tose da dare un certo grado di chemosi. Deiezioni alvine semi-
liquide, nerastre. La poca urina raccolta pare quasi nera, con se-
dimento abbondante posa di caffè: reazione leggermente acida :
albumina circa il 5 per 1000: acido pirogallico forte quantità : pig-
menti biliari scarsi. L'esame microscopico del sedimento dà una
grande quantità di cilindri adiposi, cellule epiteliali del rene e del-
la vescica e globuli bianchi spesso con granuli nerastri. Tempe-
ratura 30038
Stante questo stato grave, oggi non si opera, nè si opererà
più questo cane.
Il giorno seguente il cane N. 4 è più abbattuto ancora dei gior-
ni precedenti: non mangia nulla : beve poca acqua : è sempre sdraia-
to a terra, e se è forzato può poco reggersi in piedi: continua l’it-
terizia con chemosi delle congiuntive. Anche oggi si è potuto rac-
cogliere poca urina, che è di color bruno intenso un pò tendente
al rosso: reazione appena acida: albumina più del 4 per 1000 :
acido pirogallico assente : pigmenti biliari scarsi. Temperatura 38,6.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 81
Il cane è meno abbattutto di ieri: mangia poco, svogliato, ma
anche il pane asciutto : è sempre itterico, la chemosi è notevol-
mente diminuita. Si è raccolta abbondante urina leggermente tor-
bida, di color giallo-bruno meno forte dei giorni precedenti: rea-
zione debolmente acida: albumina diminuita, poco più dell’ uno per
1000: acido pirogallico zero: pigmenti biliari forte quantità. Tem-
peratura 38, 7.
Il N. 4, sebbene ancora itterico , pare di star quasi bene: è
svelto, mangia con appetito il pane asciutto: sta bene in piedi.
L’ abbondante urina raccolta è giallo-bruna, non torbida, senza se-
dimento: reazione leggermente acida: albumina tracce: acido piro-
gallico zero: pigmenti biliari in quantità discreta, ma molto minore
di ieri. Temperatura 39, 4.
Il cane N. 4 oggi, meno un poco di coloramento itterico del-
le congiuntive, nel resto pare sano. Materie fecali giallo-brune, con-
formate. L’ urina, raccolta anche oggi in molta quantità, è di co-
lor giallo-arancio-bruno : reazione acida debole : albumina zero, 0
quasi: acido pirogallico assente: pigmenti biliari pochi, ma ancora
apprezzabili. Temperatura 39, 7.
Premendoci il reperto anatomico, si uccide questo cane col
cloroformio.
Ricordiamo prima, che questo cane è stato operato per 3
giorni successivi, dandogli ogni volta con la sonda gastrica la mi-
scela in acqua distillata di un grammo di acido pirogallico con
20 centigrammi di nitrato di argento ; e poi, dopo aver sofferto
tutti i sintomi gravi dell’ avvelenamento per acido pirogallico , al
5° giorno dell’ ultima operazione era rimesso. Prima però di fare
l'autopsia dobbiamo far rilevare due fatti: 1° che la miscela di
acido pirogallico e nitrato di argento avvelena quando prevale il
primo, a differenza di altri nostri sperimenti già fatti con le dosi
inverse: perciò il veleno è l’ acido pirogallico: 2° che l’ aggiunta del
nitrato di argento ne diminuisce la velenosità, perchè la dose del-
l'acido pirogallico è diminuita dalla miscela, formandosi in parte
pirogallato di argento : infatti qualunque altro cane di quel peso ,
ArTI Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria IV. 11
82 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da ucido pirogallico
ed anche dippiù, sarebbe stato ucciso da 3 grammi di acido piro-
gallico, dato solo, in tre giorni successivi.
All’ autopsia troviamo i fatti seguenti : “ La milza appare di
color bruno-nerastro, ma non così accentuato come negli altri casi
di recente avvelenamento ; infatti si comincia a vedere il colorito
violaceo normale. Il fegato appare meno rosso-bruno del normale,
invece un poco tendente all’ ardesiaco, specialmente alla superficie
del taglio: moita bile nella cistifellea di color giallo-verde-oscuro, la
quale allungata con acqua distillata non dà evidente reazione di
acido pirogallico. Reni leggermente ingranditi, con capsula facilmen-
te distaccabile, corteccia esterna disseminata di punti nerastri leg-
germente infossati, ed ai quali corrispondono simili raggi brunastri
nella superficie del taglio, come quelli descritti in altri cani. Tutti
gli altri organi appariscono sani. La vescica contiene poca urina,
come quella raccolta e studiata ieri. ,
Conserviamo i soliti pezzetti in alcool assoluto ; e dal prepa-
rato a fresco fatto dalla raschiatura del fegato si nota qualche gra-
nulo nerastro nelle cellule epatiche, e colorazione bruna di varie
cellule bianche del sangue ; lieve degenerazione grassa delle cellule
epatiche. Fatto anche un preparato a fresco del rene sì trova dege-
nerazione grassa residuale negli epitelii, e colorazione pirogallinica
dei cilindri.
L'importanza principale di questo reperto anatomico sta nel
fatto, che la milza nera va riacquistando il colorito normale dopo
5 giorni dell’ ultima apprestazione di veleno; e ciò corrisponde al
fatto osservato in vita del miglioramento, quasi come guarigione :
probabilmente ha dovuto contribuire ancora Vl avvelenamento me-
no forte, perchè non si è data tutta quella dose come acido piro-
gallico puro.
Dopo lo sperimento precedente, allo scopo di studiare il re-
perto anatomico nell’acme dell’ avvelenamento, apprestiamo ad un
cane inglese bastardo, che diremo N. 5 la stessa miscela del N. 4,
cioè un grammo di acido pirogallico con 20 centigrammi di nitra-
to di argento: uccideremo questo cane nel forte dell’ avvelenamen-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 83
to, mentre il N. 4 uccidemmo quando era guarito o quasi; e quin-
di potrebbe sorgere il dubbio, che i cani eliminando precocemen-
te queste sostanze non facessero più trovare quel reperto dei gra-
nuli neri nelle cellule epatiche, che in modo caratteristico sì trova-
rono, nel fegato dei S. Andrea ed anche di varî conigli. Dopo
qualche ora il cane vomita nerastro.
Nel dubbio poi, che il cane N. 5 morisse dopo la prima o la
seconda operazione e quindi non vi sarebbe il tempo sufficiente
per l’ assorbimento e deposito caratteristico nel fegato, ad un altro
cane simile al precedente, e che denomineremo N. 6 abbiamo ap-
prestato anche con la sonda gastrica la metà della dose della pre-
cedente miscela, sempre nella stessa quantità di acqua; quindi mez-
zo grammo di acido pirogallico con dieci centigrammi di nitrato di
argento: così l’ avvelenamento avverrà ma in un tempo più lungo;
e dall altra parte la quantità maggiore di acqua potrà favorire l'as-
sorbimento. Anche questo cane vomita nerastro la sera tardi.
Ognuno di questi cani pesa circa Kili 5 e mezzo.
Il N. 5 nel giorno seguente pare di star bene: mangia il pa-
ne asciutto, ma con svogliatezza : nel camminare appare un poco
debole con gli arti posteriori: è sub-itterico nelle congiuntive. L'uri-
na raccolta in quantità notevole è di color giallo-bruno intenso, ma
senza alcun sedimento: reazione leggermente acida: albumina zero:
acido pirogallico forte quantità: pigmenti biliari notevole quantità.
Temperatura 39,9.
Il cane N. 6 che come il precedente vomitò ieri sera, mostra
anche di star bene: sta in piedi meglio del precedente : pare che
abbia un poco di colorazione itterica delle congiuntive. L’ urina è
di color giallo-bruno con orlo giallo-verdognolo; non vi è traccia di
sedimento: reazione debolmente acida : albumina zero : acido piro-
gallico quantità notevole: pigmenti biliari molta quantità. Tempera-
tura 9931
Dopo questi risultati ripetiamo loro la stessa operazione di ieri;
e la sera, dopo varie ore, non presentano alcun fenomeno da fis-
sare l’ attenzione.
84 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Il N. 5 nel giorno seguente mangia bene il pane asciutto; non
ha vomitato: sta discretamente in piedi e cammina benino: è sub-
itterico: deiezioni alvine nerastre, bovine. Si è raccolta molta uri-
na, la quale è di un verde-bruno-nerastro, con tracce di sedimen-
to : reazione acida debole; albumina più dell’ uno per 1000: acido
pirogallico forte quantità, spiccando la reazione con l ammoniaca
con tutto il colorito verde-bruno dell’ urina: pigmenti biliari in enor-
me quantità da colorare il cloroformio in un verde-bruno intenso.
L'esame microscopico del sedimento fa notare una discreta quan-
tità di cilindri adiposi. Temperatura 539, 6.
Il N. 6 appare perfetto : mangia con avidità il pane asciutto
e nemmeno esso ha vomitato: ciò vuol dire , che dopo la prima
somministrazione lo stomaco si abitua. Sta benissimo in piedi: è sub-
itterico: ha avuto, come il precedente, deiezioni alvine semiliquide,
giallo-brune. L’ urina raccolta in poca quantità è di color verde-
bruno, ma meno carico di quella del N. 5, perfettamente limpida
e senza traccia di sedimento: reazione acida: albumina zero: acido
pirogallico notevole quantità, ma meno forte del precedente : pig-
menti biliari forte quantità, sempre meno però del precedente. Tem-
peratura 39, 9.
Si ripete loro la stessa operazione dei 2 giorni passati. Rive-
duti la sera, dopo varie ore si presentano entrambi abbattuti, me-
no però il N. 6. Nessuno dei due ha vomitato.
Il giorno dopo troviamo il N. 5 molto abbattuto : quasi non
può restare in piedi: è itterico: non ha voluto mangiare nulla: de-
iezioni alvine semiliquide, nerastre. L' urina, raccolta in quantità
notevole, è sanguinolenta, nerastra, con molta spuma persistente
e con sedimento posa di caffè : reazione appena acida : albumina
più del 2 per 1000: acido pirogallico forte quantità: pigmenti bilia-
ri quantità notevole. Esame microscopico, cilindri prevalentemente
adiposi. Vi è lieve ipotermia, 38, 3.
Il N. 6 è anche abbattuto, ma meno : ha mangiato svogliata-
mente poco pane: deiezioni alvine conformate, nerastre: è sub-itte-
rico. Si è raccolta poca urina di color verde-bruno con tracce di
Ricerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico 85
sedimento: reazione quasi neutra: albumina circa V uno per mille :
acido pirogallico poca quantità: pigmenti biliari notevole quantità.
Temperatura 39, 2.
Come avevamo stabilito, si uccide il N. 5 col cloroformio, e si
lascia l’ altro senza operarlo.
Ricordiamo che il cane N. 5 ha avuto per 3 giorni successi-
vi, sino a ieri, la miscela di un grammo di acido pirogallieo con
20 centigrammi di nitrato di argento; e che dopo ciò aveva avuto
i sintomi del forte avvelenamento; si è ucciso perciò al quarto
giorno della prima apprestazione. L’' autopsia mostra i fatti seguen-
ti: “ Vescica urinaria fortemente distesa da urina sangvinolenta.
Il fegato è un poco più grosso e più bruno, ed alla superficie del
taglio appare di un rosso-bruno-grigiastro: la cistifellea è ripiena di
bile densa, di colore giallo-bruno-nerastro, contenente molto acido
pirogallico. I reni leggermente ingranditi, hanno la sostanza corticale
di un colorito giallo-verdastro-bruno, come ardesiaco; questa appa-
renza è interrotta da alcuni focolari triangolari più neri, e nel li-
mite tra sostanza corticale e midollare risaltano i raggi midollari
di un colorito giallo-chiaro , torbido, come linee convergenti verso
l’ ilo dell’ organo. Cuore con rigonfiamento torbido e cavità enor-
memente dilatate: massa encefalica niente di apprezzabile ad occhio
nudo. Milza nera. , L'esame a fresco della raschiatura del fegato,
oltre i soliti fatti degenerativi delle cellule epatiche, mostra anche
una quantità notevole di cellule rotonde di colore giallo-bruno. Con-
serviamo in alcool assoluto i soliti pezzetti.
Nel giorno seguente il N. 6 è molto più abbattuto : ha vomi-
tato la notte un liquido bruno con residui di pane: non mangia
affatto: niente deiezioni alvine: è sub-itterico. L’ urina raccolta in
poca quantità è di color giallo-nero, con sedimento nerastro : rea-
zione leggermente acida: albumina quasi il 3 per 1000: acido pi-
rogallico piccola quantità: pigmenti biliari abbondanti: esame micro-
scopico dei sedimenti i soliti cilindri adiposi. Ipotermia, avendo 36, 4.
Il cane in sperimento si trova nel giorno seguente disteso a
terra molto abbattuto, non può reggersi affatto in piedi, ed obbligato
86 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
cade subito sugli arti posteriori: trascinato barcolla con forte inco-
ordinazione dei movimenti, e riportato a suo posto, cade a terra
anche colla testa, come se fosse morto. Non ha mangiato nulla:
niente deiezioni alvine: è itterico. L’urina raccolta è di color gial-
lo-arancio bruno, torbida: reazione acida: albumina molto diminui-
ta, non più del mezzo per mille: acido pirogallico non apprezzabile:
pigmenti biliari grande quantità. Temperatura 35, 7.
Si ammazza questo cane col cloroformio, sempre allo scopo
di vederne il reperto nel forte dell’avvelenamento. Ricordiamo che
al N. 6 per 4 giorni successivi si è propinata la miscela di mez-
zo grammo la volta di acido pirogallico con 10 centigrammi di
nitrato di argento per lo stomaco; che ha sofferto tutti i sintomi
del forte avvelenamento pirogallico, e poi dopo 2 giorni, quando
giù stava scomparendo l’albuminuria, sì è ucciso. Autopsia: £ Mil-
za nera. Fegato giallastro-pallido, con gli acini che risaltano pel lo-
ro colorito giallo-pallido verso la zona esterna e periacinosa che è
erigiastra bruna, come ardesiaca: la molta bile contenuta nella ci-
stifellea è di color giallo-verdognolo-bruno e con la reazione am-
moniacale mostra 1 acido pirogallico, sebbene in tenue quantità. I
reni hanno la sostanza corticale un po’ rigonfia di color giallo-grigio-
nerastro, con qualche infarto nerastro lungo i raggi midollari, come
i già descritti per altri cani. Muscolo cardiaco con degenerazione
albuminosa. ,
Dopo aver conservati i soliti pezzettini in alcool assoluto, fac-
ciamo l'esame microscopico di un preparato a fresco, e vi si no-
ta forte degenerazione grassa delle cellule epatiche, ed apparenze
leucocitiche di color giallo-bruno.
Dagli sperimenti suddetti risulta, che nei cani 1’ avvelenamen-
to di acido pirogallico mescolato e combinato col nitrato di argen-
to si ha quando Vacido pirogallico è in eccesso; e che anche av-
venuto il forte avvelenamento, sia nell’ acme dello stesso, sia
quando il cane migliora e si avvia verso la guarigione non si ha
il reperto caratteristico dei granuli neri nelle cellule epatiche, come
invece si ha nei conigli, e pel caso dei S. Andrea, anche nell’uomo.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 87
c) Dose venefica approssimativa dell’ acido pirogallico per i cani.
1g
Avendo notato, che un grammo di acido pirogallico può dare
i sintomi gravi dell’ avvelenamento nei cani quando sì ripete nei
giorni successivi, vogliamo ora studiare la dose venefica, data una
sola volta, in rapporto al peso dell'animale. Cercheremo anche di
confermare la sintomatologia ed il reperto anatomico.
Ad altro cane quindi, che chiameremo N. 7 mastino, del pe-
so di circa Kili 5,600, con la temperatura, presa sempre nel ret-
to, 39,1 si appresta per lo stomaco un grammo di acido pirogal-
lico, poco meno di 20 centigrammi per Kilo. Il cane dopo 10 0
15 minuti appare sofferente, indebolito ed incerto nei movimenti
e dopo circa mezz'ora vomita il pane già mangiato ed in gran
parte digerito con un poco di liquido verdastro-scuro: il vomito si
ripete ancora 3 volte nella 1% ora. Dopo quasi 2 ore dall’ingestio-
ne del veleno la temperatura è discesa a 38,4. Continua sino al-
la sera in queste condizioni di malessere: non mangia più il pane.
Il N. 7 oggi è molto prostrato: non mangia niente, non beve
nemmeno l’acqua. Non è stato possibile raccogliere urina, che poi
non ha nemmeno emesso a terra nelle 24 ore. Temperatura 37,6.
Il cane continua ad essere molto abbattuto: non si regge affat-
to in piedi: è sub-itterico : non mangia nemmeno la carne cotta,
il brodo, il latte; non ha defecato. Si raccoglie poco urina, la quale
è decisamente sanguinolenta con sedimento di piccoli grumi rosso-
bruni: reazione debolmente acida: albumina forte quantità, circa 1°8
per 1000, come si conferma dopo 24 ore: acido pirogallico quan-
tità tenue : pigmenti biliari discreta quantità, ma prevalente l’emo-
globina dietro l’ impiego del cloroformio: molti cilindri adiposi e
globuli rossi nell'esame microscopico del sedimento, oltre gli sper-
matozoi. Temperatura 39, 4.
Nel timore che questo cane possa morire da un giorno all’al-
tro, siccome ci premerebbe di tenerlo in vita dopo sì gravi sin-
tomi, anche dopo parecchi giorni da che sarà scomparso | acido
pirogallico dall’urina ed ogni conseguenza sintomatica dell’ avvele-
88 Iticerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico
namento, per avere un reperto anatomico press’a poco della stes-
sa data dei S. Andrea; e poi anche per confermare il fatto della
dose, ad un altro cane, anche piccolo mastino di Kili 4,300, e
che denomireremo N. 8, apprestiamo sempre per lo stomaco un
grammo di acido pirogallico. Prima dell’ operazione la temperatu-
Ta era 99,5:
Nelle prime ore il N. 8 non vomita, ma diventa di cattivo
umore, non baia più, caccia una quantità di bava, ed è notevolmen-
te indebolito negli arti, quando si obbliga a stare in piedi, cadendo
subito a terra. Dopo 3 ore la temperatura è discesa di circa un
grado, misurando 38,4.
Il N. 7 è meno abbattuto di ieri: continua ad essere sub-itte-
rico: non ha voluto latte: ha mangiato appena un poco di pane
asciutto : non ha defecato. L’urina raccolta è ancora molto sangui-
nolenta : reazione acida : albumina circa il 5 per 1000 : acido pi-
rogallico non più apprezzabile, anche dopo 2 ore: pigmenti biliari
ed emoglobina notevole quantità. L'esame microscopico del sedi-
mento mostra i cilindri adiposi un poco diminuiti, e poi globuli bian-
chi e cellule epiteliali del rene con degenerazione grassa. Tempe-
ratura 39,4.
Invece il cane operato ieri la prima volta, cioè il N. 8 sta mol-
to male : ha avuto vomito bilioso, non ha voluto mangiar nulla, è
leggermente itterico. Abbiamo potuto raccogliere poca urina, che è
di un colore giallo-bruno molto forte, quasi nero, con poco sedi-
mento : reazione acida: albumina poco meno dell’ uno per mille :
acido pirogallico forte quantità : pigmenti biliari abbondanti: qual-
che cilindro grassoso all’ esame microscopico. Temperatura 39, 7.
Nelle ore pomeridiane il cane si abbatte sempre più, da parere
quasi moribondo : la sera alle 10 ha la temperatura molto bassa,
36, 2, e probabilmente tra qualche ora sarà morto. E così questo
cane che volevano conservare in vita per sopperire alla probabile
perdita del N. 7, morirà appena un giorno e mezzo dopo l’ avve-
lenamento : fortunatamente il N. 7 pare di star meglio, e quindi
speriamo di non dover ripetere lo stesso sperimento ad un 3° cane.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 89
Il N. 8 si è trovato morto alle 7 del mattino e senza dubbio
era morto da alcune ore: in modo che un grammo di acido piro-
gallico per lo stomaco 1’ ha ucciso in circa 36 ore.
I Il N. 7 invece è ancora abbattuto ma meno, si regge poco in
piedi: mangia poca carne cotta, beve con avidità l’acqua : alvo chiu-
so, è sub-itterico. L’ urina raccolta in notevole quantità non è più
sanguinolenta, ma di un colore giallo-verdastro-bruno, con poco se-
dimento come posa di caffè : reazione quasi neutra: albumina circa
luno e mezzo per mille: acido pirogallico assente: pigmenti biliari
notevole quantità: molti fosfati, anche all'esame microscopico. Tem-
peratura 39,1.
Facciamo subito la sezione del N. 8. “ Fegato un poco impic-
ciolito, rammollito, giallo-verdastro con tendenza al grigio: poca
bile nella cistifellea, ma di colore caratteristico giallo-bruno-nero e
con forte reazione di acido pirogallico: vari calcoli biliari nel dutto
cistico. Milza nera. Reni con sostanza corticale rigonfia e colorata
in giallo-verdastro-bruno. Vescica fortemente distesa da urina, come
quella che si raccolse ieri e con le stesse reazioni. Degenerazione
albuminosa e grassa del muscolo cardiaco. Tubo digerente senza
fatti irritativi. Polmoni e centri nervosi di aspetto normale, meno
una profonda anemia. , Dopo aver conservato i soliti pezzettini in
alcool assoluto, come continueremo a far sempre con tutti gli altri
animali in sperimento, esaminiamo il preparato a fresco del fegato
nel quale notasi, oltre le solite degenerazioni di questo avvelena-
mento, un certo grado di atrofia biliare delle cellule epatiche, nelle
quali però non vi è apparenza di granuli nerastri: le cellule bian-
che invece sono più o meno colorate in giallo-bruno.
Il N. 7 è ancora sub-itterico, ma pare rianimato : mangia spe-
ditamente la carne cotta, il pane con lentezza: ha defecato pochi
materiali duri di apparenza normale, anche pel colore. Circa 150
grammi di urina raccolta sono di colore giallo-bruno, come mosca-
to, senza deposito: reazione quasi neutra: albumina appena tracce:
acido pirogallico zero: pigmenti biliari ancora in quantità notevole:
Arti Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria IV. 12
90 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
all’ esame microscopico, meno numerosi cristalli di fosfato ammo-
nico-magnesiaco, niente altro. Temperatura, 39.
Il cane N. 7 oggi sta molto meglio: mangia con appetito car-
ne, brodo e pane nel brodo: continua la sub-itterizia: sì regge be-
ne in piedi. Le urine raccolte hanno ancora la tinta giallo-bruna,
ma molto meno di ieri, somigliando molto al marsala: nessun sedi-
mento: reazione leggeramente acida; albumina ed acido pirogallico
assenti; pigmenti biliari ancora notevole quantità. Temperatura 39,2.
Il cane continua nella miglioria, mangia con appetito il pane
asciutto: conserva però ancora la tinta sub-itterica delle congiunti-
ve. L’ urina è molto meno colorata dei giorni precedenti: reazione
acida: albumina ed acido pirogallico zero: pigmenti biliari ancora
quantità discreta. Temperatura 39, 1.
Il cane in sperimento appare quasi ristabilito ; è soltanto an-
cora un poco sub-itterico: è vispo, risponde con intelligenza. L’uri-
na raccolta in quantità notevole è di color giallo-arancio-scuro sen-
za ombra di sedimento: reazione leggermente acida: acido pirogal-
lico ed albumina assenti: pigmenti biliari ancora in notevole quan-
tità. Temperatura 39.
Sebbene ancora leggermente itterico il N. 7 appare sano: ma-
terie fecali come nello stato normale. L' urina è di colore giallo-
arancio chiaro: reazione acida: albumina ed acido pirogallico man-
canti: pigmenti biliari diminuiti, ma ancora ben apprezzabili. Tem-
peratura 39, 2.
Il N. 7 sta bene: la poca urina raccolta è di apparenza pres-
sochè normale, specialmente pel colore molto prossimo al paglierino:
reazione leggermente acida: albumina ed acido pirogallico zero: pig-
menti biliari tracce. Temperatura 39, 3.
Il giorno seguente il cane è perfetto: la sub-itterizia non si può
più apprezzare nelle congiuntive : l’ urina apparisce normale e ciò
si conferma con l’ analisi. Temperatura circa 39.
Dopo ciò si uccide col cloroformio.
Ricordiamo, che a questo cane si apprestò un grammo di aci-
do pirogallico con la sonda gastrica 11 giorni addietro : che ebbe
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 91
vomito ripetuto, a cominciare però soltanto mezz’ ora dopo la pro-
pinazione del veleno: che nei giorni seguenti ebbe manifestazioni
gravi di avvelenamento, di cui soltanto l' itterizia sì è mantenuta
quasi sino ad oggi, mentre del resto il cane era perfettamente ri-
stabilito: ricordiamo anche, che dopo il primo grammo non fu ap-
prestato altro veleno. “ All’autopsia si trova soltanto la bile ancora
di colorito giallo-bruno, però molto attenuato, in modo che questo
colore , sempre caratteristico dell’ avvelenamento, si ha dalla bile
giallo-bruna-nerastra degli animali nell’alto dell’avvelenamento, solo
allangandola una ventina di volte con l’acqua distillata : lieve rea-
zione pirogallica. Il fegato non mostra alterazioni evidenti. La milza
non è più nera, invece quasi del colorito rosso-violaceo normale.
Anche gli altri organi sono sani, meno i reni, che mostrano la
lesione più importante , perchè la superficie esterna è disseminata
di piccoli infossamenti nerastri, ai quali nella sezione del rene cor-
rispondono sottili apparenze triangolari disposte in modo raggiato,
con la base alla periferia e che poi attraversano tutto il rene fino
alle papille renali; sembrano sottili infarti di color giallo-verdastro-
bruno: nel resto del rene non sì possono ad occhio nudo apprez-
zare altri fatti, meno che la capsula fibrosa è leggermente ade-
rente alla corteccia del rene nei punti infossati. Tutti gli altri
organi appariscono sani. , Dal preparato di raschiamento fatto dal
fegato non si osserva alcun fatto degno di nota: nessuna apparenza
di granuli nerastri.
Avendo dedotto dallo sperimento precedente, che i cani di 5
a 6 kili difficilmente muoiono con un grammo di acido pirogallico
dato in una sola volta, sebbene avessero tutti i sintomi gravi di
avvelenamento; e poi in 5 o 6 giorni si rimettono quasi completa-
mente, meno ancora un poco di itterizia residuale, ed un grado
pronunziato di magrezza, vogliamo sperimentare, se i cani del sud-
detto peso resistono anche ad una dose maggiore, e propriamente
alla dose doppia, data in 2 giorni successivi. Quindi in un altro
cane mastino, del peso di kili 6,300, e che denomineremo N. 9 si
appresta con la sonda gastrica un grammo di acido pirogallico: se
92 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
l’animale si conserverà in vita ripeteremo domani la stessa dose.
Prima di essere operato il cane ha la temperatura 39, 1. La
sera, dopo 5 ore la temperatura è 38, 3. Non ha voluto mangiare,
ma non ha vomitato : è un poco abbattuto.
Il N. 9 è notevolmente abbattuto : non ha voluto mangiare
nulla: pare un poco itterico: beve solo un poco di acqua: non ha
vomitato : obbligato ad alzarsi cade sugli arti posteriori. L’ urina
raccolta in quantità notevole è di un colore giallo-verde-bruno, qua-
sì nero, e vi è un poco di sedimento : reazione acida : albumina
circa il 2 per 1000: acido pirogallico grande quantità: pigmenti bi-
liari notevole quantità: all’ esame microscopico pochi cilindri adipo-
si. Temperatura 38, 1.
Gli si appresta un altro grammo di acido pirogallico. La sera
é abbattuto molto di più ed il termometro segna 37, 3.
Il N. 9 è ancora più abbattuto di ieri: non mangia nulla, nè
beve : è insensibile alle chiamate, agli urti: è sub-itterico. La poca
urina raccolta è di color verde-bruno-nero, torbida, con sedimento
verde-nerastro; reazione debolmente acida: albumina circa il 6 per
1000: acido pirogallico grande quantità: pigmenti biliari scarsi: al-
l'esame microscopico del sedimento molti cilindri adiposi. Tempe-
ratura 36, 8.
La sera alle 10 è ancora di più aggravato; è freddo da sem-
brare moribondo.
ll cane N. 9 si è trovato morto; in modo che sì acquista la
convinzione, che 2 grammi di acido pirogallico dati per la via del-
lo stomaco, in 2 giorni successivi, un grammo in una sola volta
per giorno, bastano ad uccidere un cane del peso di 6 kili in 3
giorni.
“
L’ autopsia dimostra “ Sub-itterizia. Vescica fortemente diste-
sa, paralitica, contiene molta urina sanguinolenta, di reazione aci-
da, con enorme quantità di albumina, circa 8 per 1000, con note-
vole quantità di acido pirogallico, con pigmenti biliari scarsi: molti
cilindri all’ esame microscopico. I reni un poco ingranditi, di colo-
rito bluastro all’ esterno, mostrano alla superficie del taglio la so-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 93
stanza corticale rigonfia, torbida, di color roseo-nerastro. Il fegato
più grosso e più molle del normale, di color giallo-verdastro, alla
sezione fa risaltare ad evidenza il contorno degli acini per un co-
lorito grigio-bruno: il parenchima è torbido. La cistifellea contiene
molta bile giallo-nera, molto densa, con forte reazione di acido pi-
rogallico. La milza è nera, anche alla superficie del taglio. Lieve
stato catarrale acuto delle vie digerenti, specialmente dello stoma-
co e duodeno: conserviamo in alcool assoluto i dutti biliari extra-
epatici, allo scopo di vedere se vi è catarro acuto degli stessi, che
ad occhio nudo non si può apprezzare. Cuore paralitico, con rigon-
fiamento torbido e degenerazione grassa del miocardio. Polmoni
anemici con leggiera ipostasi. Meningi cerebrali sub-itteriche. , Sì
è conservato anche un pezzetto di pancreas, il quale ad occhio
nudo non mostrava alterazioni.
Fatta l’analisi microscopica del solito preparato a fresco, ot-
tenuto per raschiamento dal fegato , nelle cellule epatiche si nota
degenerazione albuminosa e grassa. Importante poi sembra il trovato
nelle stesse cellule di piccoli cristalli giallo-bruni , aghiformi , si-
mili ad un lungo e sottile bacillo, in numero di uno, due ed an-
che più: talora appariscono come granuli rotondeggianti o ovalari
sempre di quel colore: non si sciolgono col cloroformio, si sciolgo-
no invece coll’ acqua. Questo fatto non pare privo di interesse, per-
chè apparenze simili abbiamo ottenuto nel primo preparato, che si
conserva ancora bene dopo più di un anno in glicerina, del rene
dei S. Andrea, fatto nello stesso giorno dell’ autopsia : in seguito
non ho potuto più ottenere apparenze simili, ma ciò è spiegabile
pel fatto che l' acqua dell’ alcool ordinario ha dovuto lentamente
sciogliere quella sostanza dai pezzi grossi. E poi apparenze simili,
perfettamente dello stesso colore e con la medesima solubilità ed
insolubilità, abbiamo trovato in altri cani avvelenati, nel sedimen-
to delle loro urine, quando l albuminuria, o meglio , 1’ emoglobi-
nuria era alla fine, come si dirà altrove: queste. apparenze aghi-
formi giallo-brune erano contenute nelle cellule epiteliali dei cilin-
dri e nei corpuscoli bianchi. Con molta probabilità quindi in que-
94 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
sti 3 casi trattasi di cristalli di acido pirogallico , o dei suoi deri-
vati; e risalta subito I interesse medico-legale , di essersi trovati
anche negli organi dei S. Andrea.
Dopo questi ultimi sperimenti si conferma, che la dose di aci-
do pirogallico, apprestato per lo stomaco ai cani, è venefica alla
dose di 20 centigrammi per kilo di peso: che però l’ animale può
sopravvivere ai forti sintomi di avvelenamento se specialmente, in
primo tempo interviene il vomito.
d) Velenosità dell'acido pirogallico sciolto nel latte.
Vogliamo ora sperimentare, se il latte impedisce o attenua l’azio-
ne venefica dell’ acido pirogallico, avendo potuto stabilirne la dose
venefica per i cani. Ad un cane inglese del peso di poco più di
5 kili si appresta un grammo di acido pirogallico sciolto in 200
erammi di latte di capra. Notiamo, che anche agitando resta nel
fondo, senza sciogliersi, un poco di acido pirogallico: intanto non vi
è stato bisogno di amministrarlo con la sonda gastrica, perchè il
cane l ha bevuto con molta avidità, e poi alla fine lecca e pulisce
perfettamente il piatto.
Chiameremo questo cane N. 10.
Il cane N. 10 dopo 24 ore sta benino: mangia il pane asciut-
to: ha avuto deiezioni alvine dure, giallo-brune: è leggermente sub-
itterico nelle congiuntive. L’ urina raccolta in discreta quantità è
di colorito giallo-bruno tendente al verdastro, senza traccia di sedi-
mento. Se si obbliga V animale a camminare lo fa con una certa
difficoltà e di tanto in tanto cade sugli arti posteriori e si urina ;
poi mostra lievi contratture degli arti specialmente dei posteriori, e
solo dopo qualche minuto si alza e cammina discretamente dopo
essere stato tirato a forza. L’urina ha reazione neutra : albumina
zero : appena si vede la reazione pirogallica in primo tempo , ma
dopo pochi minuti si accentua : pigmenti biliari notevole quantità.
Temperatura 39,1.
Dietro questo risultato si ripete la stessa operazione di ieri,
si appresta, cioè, al N. 10 un altro grammo di veleno nel latte.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 95
Nel giorno seguente il N. 10, che non ha vomitato, è notevol-
mente abbattuto: obbligato ad alzarsi, cade subito sugli arti poste-
riori, che poi contrae un poco clonicamente: mangia appena un
poco di pane: ha avuto poche deiezioni alvine semiliquide giallo-
brune. La poca urina raccolta è di colore verde-bruno-nerastro,
senza sedimento apprezzabile: reazione neutra: albumina circa Puno
per mille: acido pirogallico non apprezzabile in primo tempo, ap-
pena nelle ore successive: pigmenti biliari poca quantità. Tempera-
lurast99-to.
In questo stato il cane non si opera.
Il cane N. 10 è meno abbattuto di ieri : sebbene in piccola
quantità, mangia un poco di pane: è sub-itterico: non ha defecato.
L’ urina raccolta è scarsa, sanguinolenta, scura, con poco sedimen-
to: reazione debolmente acida: albumina circa il 2 per 1000; acido
pirogallico non apprezzabile: pigmenti biliari poca quantità. Tempe-
ratura 39, 1.
Nemmeno oggi si opera.
Il N. 10 è gettato a terra molto prostrato, non mangia nulla:
sì regge appena in piedi e cammina stentatamente: appena si ob-
bliga a camminare si urina, e soltanto dopo cade a terra comin-
ciando dagli arti posteriori e non si può più muovere: trascinato
e messo a forza in piedi si muove a stento barcollando, e poi ri-
prende la sua andatura debole. È sub-itterico : niente deiezioni al-
vine. La poca urina raccolta è di color giallo-verdastro-scuro tor-
bida e con poco sedimento : reazione acida: albumina diminuita,
ma ancora evidente: acido pirogallico zero: pigmenti biliari forte
quantità. Temperatura 38, 6.
Il cane in sperimento è più animato, sta benino in piedi,
non cade sugli arti posteriori: ha mangiato un poco di pane asciut-
to ed ha bevuto l acqua. Niente deiezioni alvine: è ancora sub-it-
terico. La poca urina raccolta è di color giallo-arancio-bruno, co-
me moscato: reazione acida: albumina zero o quasi: acido pirogal-
lico zero: pigmenti biliari forte quantità. Temperatura 38, 6.
Dopo ancora un giorno il N. 10 sta discretamente bene: man-
96 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
gia il pane asciutto con un poco di appetito: ha ancora sub-itterizia.
L’urina, raccolta in discreta quantità è di color giallo-verdastro,
appena bruno, un poco torbida e con leggiero sedimento: reazione
acida: albumina lievi tracce: acido pirogallico zero: pigmenti biliari
poca quantità, ma apprezzabili. L'esame microscopico del sedimento
mostra qualche cilindro epiteliale, leucociti contenenti qualche gra-
nulo giallo-bruno. Temperatura 38, 9. Si deve infine notare, che
sebbene il cane fosse ancora un poco debole nel camminare, non
cade più di sè stesso.
Nel giorno seguente il N. 10 sta abbastanza bene: 1’ urina è
giallo-bruna, perfettamente limpida e senza sedimento, anche dopo
varie ore: reazione acida: albumina ed acido pirogallico zero : pig-
menti biliari ancora bene apprezzabili. Temperatura 39, 2.
Il N. 10 sta bene nei due giorni successivi: ed essendo arri-
vata l urina ad essere perfettamente normale, per studiarne il re-
perto anatomico, si uccide con una ferita al cuore.
Prima di far l autopsia, riepilogando ricordiamo, che questo
cane 11 giorni prima prese nei 2 primi giorni un grammo la volta
di acido pirogallico nel latte: che ebbe dopo la 2? dose tutti i sin-
tomi del grave avvelenamento: poi sempre migliorando, all’ 11° gior-
no non aveva più itterizia, ed era perfetto in tutto il resto.
Autopsia—La milza è quasi dell’aspetto normale, principalmen-
te pel colorito violetto-grigiastro ; anche la superficie del taglio è
rosso-bruno, un poco più scuro del normale, ma non nero. Il fe-
gato è di aspetto normale; anche alla superficie del taglio non mo-
stra lesioni apprezzabili ad occhio nudo: la bile contenuta nella ci-
stifellea è attenuata di colorito giallo-verdastro, tendente al bruno,
come si vede all’ orlo: fatta la reazione coll’ ammoniaca vi è anco-
ra una certa quantità di acido pirogallico. Reni colla sostanza cor-
ticale di color mattone, senza infossamenti; infarti triangolari ecc.
Polmoni ed altri organi normali.
Si conservano i soliti pezzi, e poi dallo studio del preparato a
fresco, ricavato dal fegato, non si hanno alterazioni rilevanti, salvo
poi a ricercare i pezzi già induriti.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 97
Da questo sperimento emerge, che il latte attenua le conse-
guenze dell’avvelenamento forte, ma non lo impedisce, manifestan-
dosi questo in tutta la sua gravezza se si ripete nel 2° giorno la
dose venefica.
Dopo il già esposto abbiamo voluto sperimentare l’ azione del-
l'acido pirogallico, a dose minore delle già apprestate, nel latte; e
poi raddoppiare la dose, per vedere allora se il cane tollera bene
la dose forte col latte.
Così potrà risolversi il quesito, se le piccole dosi ripetute suc-
cessivamente col latte arrivano a dare l’ abitudine, e quindi a tol-
lerare forti dosi del veleno.
Ad un altro cane inglese bastardo, del peso di circa kili 7, e
che chiameremo N. 11, si appresta mezzo grammo di acido piro-
gallico, sciolto prima in un poco di acqua distillata e poi mesco-
lato col latte.
Sino alla sera il cane non mostra alcun fatto anormale.
Il N. 11 non ha vomitato : ha avuto deiezioni alvine configu-
rate giallo-brune. È vispo, salta, mangia con avidità il pane asciut-
to. Si è raccolta abbondante urina di color giallo-arancio legger-
mente bruno, senza sedimento : reazione leggermente acida : albu-
mina zero: acido pirogallico forte quantità: pigmenti biliari quantità
discreta. Temperatura 39.
Gli sì appresta di nuovo mezzo grammo di veleno nel latte.
Anche nel giorno seguente il cane N. 11 continua a star be-
ne: mangia con appetito. Non è stato possibile prendere la tempe-
ratura, perchè si duole, si dimena e cerca di mordere mentre si
applica il termometro. Abbiamo raccolto abbondante quantità di
urina di color giallo-arancio un po’ scuro , perfettamente limpida ,
‘ senza sedimento : reazione acida: albumina zero: acido pirogallico
non apprezzabile in primo tempo: pigmenti biliari notevole quanti-
tà: notiamo che l ammoniaca cagiona un abbondante intorbidamento
biancastro nello strato superiore dell’urina per abbondanza di fosfati.
Stante il benessere del cane gli si appresta un grammo di
acido pirogallico col latte.
ArtI Acc., Vor. VIII, SERIE 48 — Memoria IV. 13
98 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Ii cane N. 11 sta bene con tutta la 22 dose di un grammo
di acido pirogallico preso ieri nel latte. Mangia con avidità il pane
asciutto, salta, baia. È leggermente sub-itterico. L’ abbondante uri-
na raccolta è di color marsala scuro , limpida, senza sedimento :
reazione acida: albumina zero: acido pirogallico forte quantità: pig-
menti biliari abbondanti. Temperatura 39, 8.
Si aspetterà sino a domani per vedere se vi sono sintomi gra-
vi di avvelenamento; se il cane starà bene gli si appresterà un al-
tro grammo di veleno.
Anche oggi il cane in sperimento appare di star bene: si rae-
coglie molta urina di color giallo-verdastro-bruno, quasi nero, non
torbida, senza sedimento: reazione neutra o quasi: albumina zero :
acido pirogallico poca quantità : pigmenti biliari enorme quantità
da tingere il cloroformio in verde-bruno. Temperatura 39, 1.
Si appresta a questo cane un altro grammo di acido pirogal-
lico col latte ; e sino alla sera tardi V animale pare di star bene.
Il N. 11 mangia poco e con poca volontà : e indebolito negli
arti, ma non molto abbattuto. Si raccolgono abbondanti urine di
un colorito verde-bruno intenso quasi nero, un poco torbide, spu-
mose. Le congiuntive sono itteriche. L° urina ha reazione perfetta-
mente neutra: albumina circa il 2 per 1000: acido pirogallico enor-
me quantità con reazione immediata: pigmenti biliari anche enorme
quantità da colorare il cloroformio in verde-bruno nerastro. Tem-
peratura 39, 3.
Essendosi presentati i sintomi del forte avvelenamento, si ve-
drà domani se le manifestazioni venefiche aumentano; e nell’ affer-
mativa, rendendosi inutile l ulteriore osservazione si ucciderà que-
sto cane per confermare il reperto anatomico dell’ avvelenamento.
Il cane N. 11 è fortemente abbattuto, itterico: non mangia af-
fatto. L’ abbondante urina raccolta è di color verde-bruno-nerastro,
e di aspetto torbido: reazione leggermente acida: albumina più del
3 per 1000: poca quantità di acido pirogallico: molti pigmenti
biliari. Temperatura 39.
Si uccide col cloroformio.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 99
Prima di esporre il risultato dell’ autopsia ricordiamo, che a
questo cane 6 giorni prima si è dato mezzo grammo di acido pi-
rogallico nel latte ; il 2° giorno la stessa dose col latte, il 3° un
grammo anche nel latte, il 4° non si dà il veleno , il 5° un altro
grammo del latte, il 6° non si dà veleno essendo cominciati i sin-
tomi del grave avvelenamento, il 7°, quando Vl’ animale mostra l’av-
velenamento forte, si uccide.
Autopsia—Milza nera. Fegato giallo-bruno , alla superficie del
taglio quasi ardesiaco con risalto di punti giallastri corrispondenti
agli acini: bile della cistifellea caratteristica e con forte reazione
pirogallica. Reni coi soliti infarti nerastri. Rigonfiamento torbido
del muscolo cardiaco con degenerazione grassa. Il preparato a fre-
sco per raschiamento del fegato mostra degenerazione albuminosa
e grassa delle cellule epatiche, e cellule rotonde colorate in giallo
più o meno bruno.
Abbiamo creduto soverchio sperimentare in altri cani, essendo
il risultato di quest’ ultimo sperimento positivo. Pel quale pare le-
cito di conchiudere, che il latte fa assorbire il veleno, ma ne at-
tenua gli effetti venefici, probabilmente per la diuresi aumentata
e quindi l eliminazione più rapida. Se però si insiste nella dose
venefica dopo la 22 o 3 volta, la somma degli effetti sull’ organi-
smo è tale da produrre le gravi manifestazioni dell’ avvelenamento,
ed il reperto anatomico caratteristico.
e) Modificazioni grossolane nel sangue degli avvelenati. Probabile influenza salutare
del salasso nell’ avvelenamento.
Allo scopo di studiare le modificazioni macroscopiche del san-
gue degli avvelenati, e principalmente la presenza nel sangue del-
l'acido pirogallico col saggio dell’'ammoniaca, disponendo di un
piccolo cane maltese, che chiameremo N. 12, del peso di circa kili
3, gli apprestiamo con la sonda gastrica 60 centigrammi di veleno.
Dopo poco più di 3 ore si è raccolto un poco di urina, prin-
cipalmente per vedere se vi è reazione pirogallica nell’urina stessa,
perchè nel caso affermativo si è sicuri che il veleno è stato assor-
100 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da ucido pirogallico
bito e passato per mezzo del sangue. Devesi notare che il cane
nella prima ora dopo la propinazione del veleno ha vomitato il pa-
ne che aveva mangiato prima, in parte digerito e mescolato con un
poco di liquido giallastro, che poi si imbrunisce all’ aria, lasciando
sul pavimento una macchia nerastra. L’ urina ottenuta è chiara,
senza sedimento, ma di colorito giallo-ambra carico tendente al bru-
no: reazione acida: albumina zero: acido pirogallico forte quantità,
e la reazione si manifesta immediatamente dopo l’ aggiunta dell’am-
moniaca : pigmenti biliari ben apprezzabili.
Stabilita la presenza di acido pirogallico nell’ urina, si estrag-
gono circa 20 centimetri cubici di sangue dalla giugulare esterna
destra e si raccolgono in una provetta. Il sangue 1° è di un co-
lorito rosso-ciliegia bruno, tendente al nero: 2° ha reazione debol-
mente alcalina: 3° coagula rapidamente ed in modo completo dopo
un minuto. Il siero separato è di un colorito leggermente giallo-
roseo, ed aggiungendovi le solite gocce di ammoniaca in primo
tempo la reazione non appare, ma dopo circa un’ ora si può ap-
prezzare la presenza dell’ acido pirogallico in modo sicuro, stante-
chè guardando la provetta contenente il siero a trasparenza, spe-
cialmente contro il muro bianco vicino, si vede superiormente lo
strato superficiale di circa 2 millimetri, perfettamente trasparente
ed incolore, fatto dall’ ammoniaca ; poi viene uno strato di 5 a 6
millimetri leggermente nerastro come di fumo, dato dalla reazione
pirogallica (allotropica) e poi nel resto vi è il siero leggermente
rossigno.
Nel giorno seguente il piccolo cane è un poco abbattuto, ma
ha mangiato piccola quantità di pane. Gli sì somministra colla son-
da gastrica la stessa dose venefica di acido pirogallico, e dopo po-
chi minuti vomita di nuovo, anche il poco pane mangiato. Dopo
3 ore si raccoglie un poco di urina, la quale è di un colorito
giallo-verdastro-bruno, ma senza traccia di sedimento: reazione neu-
tra: albumina zero, o quasi: acido pirogallico discreta quantità :
‘pigmenti biliari quantità notevole. Temperatura 38, 2.
Un’ ora dopo ripetiamo l’ estrazione della stessa quantità di
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 101
sangue di ieri anche dalla giugulare, e sì possono confermare i fatti
osservati nel giorno precedente : la reazione pirogallica del siero è
più forte.
Il N. 12 è notevolmente abbattuto, non mangia affatto, è sub-it-
terico. La poca urina raccolta è di color giallo-ambra leggermente
bruno, senza sedimento, perfettamente trasparente : reazione forte-
mente acida: albumina zero : acido pirogallico non apprezzabile,
compariscono invece coll’ ammoniaca i fosfati solubili in gran quan-
tità con Vl apparenza dell’ intorbidamento biancastro : pigmenti bi-
liari quantità discreta. Temperatura 36, 5.
Essendo inutile conservare ancora in vita questo cane, si am-
mazzerà domani: e per vedere qualche cosa dell’ azione del piro-
gallato di argento, gliene apprestiamo 3 centimetri cubici colla son-
da gastrica.
Al proposito di questo piccolo cane risalta una certa impor-
tanza dal fatto, che la sottrazione sanguigna, pare, di aver note-
volmente diminuito la intensità dell’ avvelenamento: il cane è mol-
to abbattuto non solo per l’ avvelenamento, ma anche per non aver
mangiato e perchè gli si è sottratto del sangue, mentre l emoglo-
binuria, ecc. è mancata con tutta la dose relativamente forte per
un cane così piccolo, e ripetuta per due giorni. Questo risultato,
ottenuto per essere stata una parte del veleno allontanata dallo
organismo con le sottrazioni sanguigne, potrebbe contribuire, dopo
il controllo di altri sperimenti, alla giustifica della pratica del salas-
so in casì speciali con condizioni generali favorevoli.
Il cane N. 12 è molto prostrato, cade su di sè obbligato ad
alzarsi: non mangia nulla. L’ urina raccolta è di colorito giallo-bru-
no, come marsala scuro, però non torbida e senza sedimento : rea-
zione fortemente acida: albumina zero : reazione pirogallica forte ,
anzi al cadere dell’ ammoniaca si vede subito un colorito giallo-nero
come si ha col pirogallato di argento: pigmenti biliari forte quantità.
Si uccide col cloroformio.
Prima di esporre il risultato dell’ autopsia, ricordiamo che a
questo cane 4 giorni prima si è data la dose venefica forte (60
102 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
centigrammi) di acido pirogallico per lo stomaco e dopo 4 ore si
estrassero circa 20 centimetri cubici di sangue : il giorno seguente
si è ripetuto lo stesso, anche con l’ estrazione di sangue: l’animale
è estremamente debole, ma non mostra i sintomi classici dello
avvelenamento : al 3° giorno gli si apprestano 3 centimetri cubici
di pirogallato di argento; ed al 4° giorno, quando è in condizioni
molto gravi, si uccide.
Autopsia—Profonda anemia di tutti gli organi, specialmente
del fegato, senza altre lesioni apprezzabili. Milza pallida, non nera.
Reni fortemente pallidi. La bile raccolta nella cistifellea è poca,
ma del colorito caratteristico giallo-bruno intenso : dopo averla al-
lungata al 20° con l acqua distillata, saggiandola con l’ammoniaca
dà la reazione pirogallica.
Il preparato a fresco del fegato conferma la mancanza di alte-
razioni evidenti nelle cellule epatiche.
Questo reperto pare confermi | importanza terapeutica delle
sottrazioni sanguigne, non essendosi trovata neanco la milza nera,
con tutto che IV avvelenamento dura soltanto da 3 giorni.
f) Durata dell'acido pirogallico nell’'urina, nella bile, nel fegato.
Mancanza di acido pirogallico e suoi prodotti nella milza nera.
Disponendo di tre piccoli cani, vogliamo fare degli sperimenti
per vedere: 1° sino a quando vi è acido pirogallico nell’ urina :
2° fino a quando se ne trova nel fegato (come pirogallina nello
estratto dell’ alcool), e nella bile: e siccome nel fegato abbiamo
finora potuto determinare, che di veleno resta per un tempo molto
maggiore che nell’ urina, sino all’ undicesimo giorno dall’avvelena-
mento, stabilire il fatto medico-legale importante : 3° se dopo un
mese si può ancora dimostrare la presenza dell’ acido pirogallico o
suoi derivati nel fegato degli animali avvelenati: 4° infine studiare,
se quando di acido pirogallico non si scorge più nell’urina, la so-
stanza che ancora si trova nel fegato è soltanto pirogallina, così
come abbiamo trovato nell’ estratto del fegato dei S. Andrea.
Avendo poi l’ opportunità di fare 1)’ estratto dell’ alcool in cui
Ricerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico 103
si conserveranno le milze nere , cercheremo se il colorito nero è
fatio in parte anche da prodotti pirogallici.
Ad un primo cane inglese bastardo del peso di kili 4, 920 e
che chiameremo N. 13 si appresta colla sonda gastrica un grammo
di acido pirogallico.
Ad un secondo mastino bastardo del peso di kili 3,940 si dà
la stessa dose anche per lo stomaco lo chiameremo N. 14. Ad un
terzo inglese bastardo, del peso di kili 4, 270, e che chiameremo
N. 15, si fa precisamente la stessa operazione.
Riveduti i canì la sera, dopo 5 ore nessuno ha vomitato: so-
no però un poco abbattuti.
I 3 cani operati ieri sono leggermente itterici ed abbattuti. Le
urine raccolte si somigliano molto, ed in grossa massa nei bicchie-
ri sono di color giallo-bruno-nerastro, un poco torbide: quando poi
l'urina si mette nelle provette, essendo in minore spessezza la mas-
sa che si osserva a trasparenza, ha un colorito giallo-rosso-bruno,
da somigliare molto alle soluzioni di pirogallina, degli estratti del-
I’ alcool, e del contenuto liquido della 2 boccetta S. Andrea.
Il N. 13 è stato il solo che ha mangiato un poco di pane, e
che sebbene si mostri debole non cade su di sè. Urina con rea-
zione leggermente acida: albumina tracce : forte quantità di acido
pirogallico, anche allungando 5 volte l’ urina con acqua distillata :
abbondanti fosfati solubili : pigmenti biliari notevole quantità, tin-
gendosi il cloroformio di un giallo-verde-chiaro. Temperatura 40, 1.
Il N. 14 non ha voluto mangiare : cade su di sè con gli arti
posteriori. Urina lievemente acida: albumina appena tracce : acido
pirogallico forte quantità, anche allungando 1’ urina: molti fosfati
solubili, ma in minore quantità del precedente : pigmenti biliari po-
ca quantità. Temperatura 38, 1.
Il N. 15 è il più abbattuto : non ha mangiato: cade su di sè.
Urina appena acida: albumina circa l uno e mezzo per mille : aci-
do pirogallico grande quantità, anche nell’ urina allungata : forte
l’ intorbidamento biancastro sotto 1’ azione dell’ ammoniaca : pigmen-
104 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
ti biliari enorme quantità, da tingere il cloroformio in verde-bruno.
Temperatura 38, 3.
Questi 3 cani, che non si opereranno più secondo il già det-
to, confermano il fatto da noi osservato, di quella paresi, che con
una certa rapidità interviene negli arti posteriori: forse il veleno
avrà un’ azione speciale su quei centri spinali.
L’ effetto del veleno è stato lo stesso nei 3 cani, ma ad in-
tensità diversa. A ciò ha dovuto contribuire un poco la differenza
di peso; ma probabilmente alla maggiore o minore velenosità ha
contribuito anche la diversità di razza, come in generale ci è sem-
brato in questa serie di sperimenti. ll cibo preso anche a diverse
ore, quindi più o meno vicino all’ apprestazione del veleno , oltre
che contribuisce poco sull’intensità dell’ avvelenamento, nel caso
preseute non può mettersi in discussione, perchè tutti e tre i ca-
ni hanno mangiato pane asciutto alla stessa ora, 5 ore prima del-
l’avvelenamento: quando i cani hanno mangiato da poco, per lo
più vomitano il cibo, ma l avvelenamento succede presso a poco con
la stessa intensità.
1 3 cani sono abbattuti, specialmente il N. 15.
Il N. 13 ha Vl urina molto scura, di color rosso-bruno inten-
so con sedimento nerastro : reazione appena acida: albumina più
del 4 per 1000 : acido pirogallico poca quantità: pigmenti biliari
abbondanti. Esame microscopico del sedimento, molti cilindri adi-
posi. Temperatura 39, 3.
Il N. 14 ha Vl urina meno bruna, ma più sanguinolenta : rea-
zione leggermente acida: albumina più del 2 per 1000: acido pi-
rogallico tracce : pigmenti biliari poca quantità: esame microscopi-
co del sedimento , i soliti cilindri ed oltre dell’ emoglobina libera,
anche corpuscoli rossi. Temperatura 33, 7.
Il N. 15 ha Vl urina di color giallo-arancio-bruno : reazione de-
bolmente acida : albumina il mezzo per mille : acido pirogallico trac-
cie: pigmenti biliari abbondanti. Temperatura 37, 8.
Riveduti la sera i cani sono ancora abbattuti, specialmente i
2 ultimi.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 105
Continua anche oggi l’ abbattimento dei cani; anzi il N. 15
alle 7 a. m. è moribondo, ed infatti muore dopo 2 ore.
Il N. 13 mangia appena un poco di pane. La sua urina è ros-
so-bruna nerastra ; reazione acida : albumina circa il 6 per 1000 :
acido pirogallico non apprezzabile: pigmenti biliari pochi. Tempe-
Faiura 39,02,
Il N. 14 è più abbattuto ; non mangia affatto. Non si è potuto
raccogliere urina, anche perchè il cane non può restare in piedi,
vacilla e cade : le macchie che l urina lascia sul pavimento sono di
aspetto sanguinolento. Temperatura 38, 2.
Il N. 15, che, ricordiamo, era stato avvelenato 3 giorni pri-
ma con un grammo di acido pirogallico per lo stomaco, e che è
morto per lo stesso veleno, fa rilevare all’ autopsia le note ordina-
rie dell’ avvelenamento pirogallico : la milza è nera, ed alla sezio-
ne sullo stesso fondo nerastro mostra un tumoretto quanto un’avel-
lana, di apparenza sarcomatosa. Il fegato è più voluminoso del nor-
male, di un colorito giallo-verdastro-bruno : la cistifellea contiene
molta bile giallo-bruno-nerastra, densa, la quale dà fortissima rea-
zione pirogallica, anche allungata 20 volte con acqua distillata. Re-
ni con sostanza corticale un poco rigonfia e torbida, di color giallo-
bruno verso la midollare, che è biancastra rosea. Vescica ripiena
di urina di color giallo-arancio bruno, con poco sedimento, di rea-
zione leggermente acida, con tracce di albumina, acido pirogallico
inapprezzabile : notevole quantità di pigmenti biliari. Cuore parali-
tico con rigonfiamento torbido e degenerazione grassa iniziale del
muscolo cardiaco. Nessuna lesione importante negli altri organi.
Nel giorno seguente il cane N. 13 è ancora abbattuto , ma
meno di ieri; mangia pochissimo. L’ urina raccolta è di color giallo-
bruno, meno nera dei giorni precedenti: reazione acida : albumina
circa il 2 per 1000 : acido pirogallico assente : pigmenti biliari an-
cora abbondanti. Temperatura 39, 1.
Invece il N. 14 nelle prime ore del mattino è moribondo €
muore verso le 8 a. m., dopo circa 4 giorni dall’ amministrazione
dell’ acido pirogallico, di cui ha sofferto tutte le conseguenze del-
AmtI Acc., Vor. VIII, SerIE 48 — Memoria IV. 14
106 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
l’ avvelenamento. All’ autopsia si notano i fatti seguenti “ Milza
nera. Fegato di volume normale o quasi, di colorito giallo-bruno :
cistifellea distesa da bile densa giallo-bruna nerastra, che allungata
20 volte con acqua distillata e saggiata con Vl ammoniaca dà rea-
zione pirogallica molto forte. I reni un poco rigonfii a spese della
sostanza corticale mostrano una colorazione bluastra nera all’esterno,
ed un colorito grigio-giallo-bruno della sostanza corticale alla super-
ficie del taglio. La vescica è distesa da urina giallo-bruna: albumina
circa il 3 per 1000 : acido pirogallico assente : pigmenti biliari quan-
tità notevole. Muscolo cardiaco con degenerazione albuminosa e
grassa: le cavità sono dilatate e contengono sangue bruno, nera-
stro solo in parte coagulato, così come si trova dopo i primi giorni
di forte avvelenamento. Negli altri organi nulla di importante. ,
L'esame microscopico a-fresco del fegato mostra la solita degene-
razione grassa ed i corpuscoli ameboidi giallo-bruni.
Il N. 13 è molto sollevato : ha mangiato benino il pane: sta
discretamente in piedi. L' abbondante urina raccolta è di color
giallo-pallido, leggermente bruno: reazione acida: albumina circa il
mezzo per 1000: acido pirogallico inapprezzabile : pigmenti biliari
in notevole quantità. Temperatura 39.
Questo cane, promettendo di guarire , l uccideremo dopo 15
giorni, avendo cogli altri 2 potuto stabilire che I’ acido pirogallico
sì trova nella bile sino al 4° giorno, mentre al 2° è scomparso o
quasi dall’ urina. Vedremo perciò dopo 15 giorni se vi è più acido
pirogallico nell’ urina, e se l estratto del fegato contiene derivati
del veleno.
Per stabilire poi quello che succede dopo un mese ed anche
più avveleniamo oggi 2 altri cani: che se non resisteranno al ve-
leno, morendo nei primi giorni quando la milza è nera, faremo
l estratto dell’ alcool di conservazione di quest’ organo.
Ad un inglese bastardo del peso di circa 5 kili e mezzo, e
che diremo N. 16 si appresta un grammo di acido pirogallico per
lo stomaco. Ad un cane maltese N. 17 del peso di kili 4, 200 si
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 107
fa la stessa operazione. Entrambi i cani hanno mangiato il pane
asciutto 4 ore prima.
Dopo circa mezz’ ora il N. 16 appare di star bene: il N. 17
è invece abbattuto, non può stare in piedi, cade sugli arti poste-
riori: misurata la temperatura quest’ ultimo cane ha 6 decimi me-
no che prima dell’ operazione : non è stato possibile raccogliere
urina nella prima ora. Si raccoglie invece 1 urina del N. 16 non
più di 25 minuti dopo l’ avvelenamento : è di color. giallo-pallido
un poco tendente al verdognolo , perfettamente limpida: reazione
acida debole: albumina zero : acido pirogallico reazione immediata,
notevole : pigmenti biliari ben apprezzabili.
Dopo un’ ora il N. 17 cammina a stento, anzi deve essere tra-
scinato, e vomita una massa biancastra poltacea, che consiste nel
pane mangiato già digerito.
Dopo 4 ore entrambi sono abbattuti, a preferenza il maltese:
non mangiano affatto. Nel N. 16 la temperatura è 38, 7, nel 17
è 38, 4.
Nel giorno seguente il N. 13 ha l'apparenza di star bene. Uri-
na color giallo-ambra pallido : reazione acida: albumina zero : aci-
do pirogallico zero : pigmenti biliari tracce. Temperatura 39, 2.
Sopprimeremo per brevità il diario di questo cane, a meno
che non presenti fenomeni nuovi, e dopo 15 giorni si ucciderà co-
me si è detto in sopra.
Il N. 16 è abbattuto: non ha mangiato. L° urina è di color
giallo-bruno molto intenso, tanto da sembrare nera a distanza nel-
la grande massa del bicchiere : reazione neutra: albumina tracce :
acido pirogallico grande quantità: pigmenti biliari quantità notevole.
Si nota che la reazione pirogallica si è mostrata spontaneamente
negli strati superficiali dell’ urina esposta all’aria. Temperatura 37,8.
Il N. 17 è molto abbattuto: ha urinato un poco sul pavimen-
to e l'urina vi ha lasciato una macchia nerastra: verso le 2 p. m.
ha vomitato una massa liquida notevolmente verde, biliosa. Tempe-
ratura alle 4 p. m. 37. 3. Soltanto alle 5 p. m. si è potuto, dopo
varii tentativi fatti nella giornata, raccogliere un poco di urina, la
108 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
quale somiglia a quella del cane precedente, ma il colorito tende
più all’ ematico, e vi si trova di albumina più del 2 per 100.
Nel giorno dopo il N. 13 continua a star bene.
I cani 16 e 17 sono molto prostrati, abbandopati sul suolo :
entrambi sub-itterici nelle congiuntive: hanno bevuto dell’ acqua,
ma non hanno voluto mangiare nemmeno la carne: deiezioni alvine
zero. Alzati a forza, camminano a stento, specialmente il N. 17.
Il N. 16 alle 3 p. m. ha la temperatura 36, 9. L’ urina è del
colore del marsala scuro, però limpida senza sedimento, nemmeno
dopo 8 ore: reazione acida: albumina tracce : acido pirogallico non
più apprezzabile nella prima ora: pigmenti biliari grande quantità
diventando il cloroformio di color giallo verdognolo: molti fosfati.
Il N. 17 ha la temperatura ancora più bassa segnando il ter-
mometro 35, 5. L’ urina è decisamente sanguinolenta : reazione
acida debole; albumina più del 5 per 1000 : acido pirogallico non
più apprezzabile: piginenti biliari poca quantità, invece molta emo-
globina.
Dopo 24 ore, continuando il N. 13 a star bene, gli altri 2
cani sono prostrati a terra, non è possibile farli restare in piedi,
hanno entrambi forte ipotermia, non rialzandosi la colonna di mer-
curio, che nel termometro resta fissa a 33, 4 prima e dopo l’ ap-
plicazione. Veramente per queste condizioni gravi, massime di
ipotermia, crediamo che all’ azione del veleno si sia aggiunta l’in-
fluenza della temperatura bassa della stanza ove stanno i cani, che
è 13° ec. nel massimo, cioè alle 2 p. m., e della notevole umidità.
Soltanto del N. 16 si è potuto raccogliere un poco di urina,
che ha un colore giallo-arancio molto forte, come giallo di cromo,
ed è un poco torbida: reazione leggermente acida: albumina circa
l’uno per mille: acido pirogallico assente : pigmenti biliari forte
quantità.
La mattina seguente il N. 16 si è trovato morto: il N. 17
è moribondo e realmente muore verso le 9.
In modo che questi 2 cani, avendo sofferto il forte avvele-
namento pirogallico e morti al principio del 4° giorno, non potran-
Iicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 109
no più servire allo scopo prefissoci, ciò che faremo a tempo. più
opportuno. Potremo però confermare i fatti già osservati, essendo
scomparso |’ acido pirogallico dall’ urina: e siccome si troverà la
milza nera, ne faremo l’ estratto.
Alla sezione tutti e due i cani mostrano la milza nera, non
ingrandita: il fegato di aspetto torbido giallastro, anemico, con di-
segno spiccato degli acini, specialmente alla superficie del taglio pel
colorito giallastro torbido dell’acino stesso e per la zona periacinosa
di aspetto grigio tendente al bruno: quest'apparenza è più spiccata
nel N. 16. Bile caratteristica in entrambi, molto abbondante, den-
sa, di color giallo-bruno quasi nero: anche allungata 20 volte con
acqua distillata conserva il colorito giallo-bruno : la reazione piro-
gallica è forte fin dal primo momento, ed in un quarto di ora
diventa, nella bile allungata, tanto intensa da prendere un colorito
giallo-rosso-bruno, quasi nero. Reni nel N. 16 con ingrossamento
lieve della sostanza corticale, che è torbida di color. giallo-bruno,
con i raggi midollari della corticale, massime nel limite , di color
giallastro-torbido: manca lapparenza di infarti verde-bruno-nerastri.
Reni nel N. 17 più ingranditi: sostanza corticale di color giallo-
bruno-nerastro e così anche la midollare, in modo da confondersi con
la prima: mancano le apparenze di infarti nerastri e gli infossamenti
puntiformi alla corteccia del rene. L' urina trovata nella vescica
del N. 16 è come quella che raccogliemmo ieri, un poco meno
carico il colorito giallo-arancio: quella della vescica del N. 17 è
sanguinolenta: all’ analisi mostrano gli stessi fatti osservati Y ultima
volta in vita. Degenerazione albuminosa e grassa del muscolo car-
diaco: cavità notevolmente dilatate col sangue in gran parte liquido,
nerastro. Glandule linfatiche con colorazione giallo-bruna della
sostanza midollare.
Dai preparati a fresco dei 2 fegati si conferma il rigonfiamento
torbido con prevalente degenerazione grassa molto fina, granulare:
nessuna apparenza di granuli neri nelle cellule epatiche : vi sono
cellule rotonde colorate in giallo-bruno.
Con ciò si è potuto confermare, che mentre nell’ urina dopo
110 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
il 2° giorno dall’ avvelenamento non si può apprezzare più acido
pirogallico, nella bile invece ve ne è ancora grande quantità: ed in
questa vi deve essere anche pirogallina, come si può desumere dal
colorito giallo-bruno intenso della bile.
Oltre all’ aver conservato in alcool assoluto i soliti pezzetti per
l'esame ulteriore, in un vaso separato sì sono conservate le 2 mil-
ze nere, tagliuzzate in alcool ordinario, per poterne fare | estratto
al 20° dopo alcuni giorni: ne riferiremo in seguito il risultato.
Il N. 153 ha continuato a star bene: anche la sua urina è di
aspetto normale e ciò comprovato con 1 analisi. Sono già trascor-
si 15 giorni dall’ avvelenamento forte cagionato da un grammo di
acido pirogallico: il cane si uccide col cloroformio.
Autopsia—* Meno i reni ed il fegato, gli altri organi sono di
aspetto normale : la milza ha il colorito rosso-violaceo normale, ed
anche la superficie del taglio è dell’aspetto ordinario. I reni mostra-
no all’ esterno infossamenti brunastri, miliari e più grossi sino ad
un acino di canape, e quì la capsula fibrosa è un poco aderente;
sezionando il rene, a quei punti di infossamento corrispondono strie
verdi, brunastre, le quali vanno per tutta la sostanza corticale sino
a gran parte della midollare nella disposizione radiale notata con
la base verso la periferia: la grandezza di questi raggi nerastri è
proporzionale all’ estensione dell’ infossamento atrofico che vi corri-
sponde alla periferia. Il fegato è di un colorito più rosso-bruno
dell’ ordinario, ma non mostra alterazioni apprezzabili ad occhio
nudo, nemmeno alla superficie del taglio : il preparato microscopico
fatto per raschiamento non mostra alcuna alterazione di rilievo,
meno qualche cellula rotonda, colorata in giallo-bruno. Importante
è la bile, la quale in quantità molto notevole riempie la cistifellea :
essa non ha il colorito verde normale; invece il colore è decisa-
mente giallo-bruno, sebbene molto tenue rimpetto a quello avuto
dagli animali nei primi 10 giorni dell’ avvelenamento, quando,
come abbiamo notato, la bile è sempre di un colorito nerastro con
orlo giallo-bruno : insomma la bile di questo cane somiglia perfet-
tamente a quella caratteristica dei cani nella prima settimana del-
Iicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico ul
l’avvelenamento, se quest’ ultima si allunga con 20 parti circa di
acqua distillata, come noi praticavamo per vedere spiccata la rea-
zione pirogallica dietro l'aggiunta dell’ ammoniaca. ,
Notiamo quindi prima, che mentre nell’ urina 1 acido pirogal-
lico è scomparso dal 2° giorno, e che dopo 15 giorni non si trova
più la milza nera, nella bile vi è qualche cosa, che molto probabil-
mente sta in rapporto con l acido pirogallico pel colorito speciale.
Allungata la bile di quest’ ultimo cane con 2 parti di acqua
distillata, e conservandone una parte senza allungarla, si saggia la
bile genuina e l’allungata : 1. con ammoniaca, e pare ci sia la rea-
zione dell’ acido pirogallico per un colorito più giallo-bruno : vera-
mente ciò pare dovuto al contrasto tra la limpidezza dell’ ammo-
niaca che sovrasta verso lo strato sottostante torbido. Riveduta
la provetta dopo 24 ore si può con sicurezza stabilire la presenza
dell'acido pirogallico per quella reazione di colorito brunastro, come
fumo, caratteristica: 2° col nitrato di argento non si ha la reazio-
ne caratteristica; e ciò vuol dire, che la reazione precedente indot-
ta dell’ammoniaca appartiene ai derivati dell’ acido pirogallico, non
allo stesso nello stato di purezza, il quale soltanto sarebbe meglio
scoverto dal nitrato di argento: 3° con / acido solforico, che dà
un notevole precipitato, in gran parte fatto dal muco, e la bile
prende il colorito un poco verdastro, non più di quel giallo-bruno
speciale : e se dopo ciò si aggiunge ammoniaca in eccesso , tanto
da saturare prima l'acido solforico, e poi averne una quantità li-
bera, si ha tra lo strato della stessa ed il sottostante un poco tor-
bido , quella striscia giallo-bruna , come fumo, dovuta certamente
alla nuova soluzione della pirogallina precipitata, o più probabil-
mente dell’ acido metagallico. Ciò sarà dilucidato più tardi dalle
stesse nostre ricerche , e possiamo fin d’ ora giustificare il fatto ,
che a prima giunta non sapevamo spiegarci, che 1’ acido solforico
non solo precipita il muco, ma anche quella sostanza che dà il
colorito speciale giallo-bruno: e perciò la bile giallo-bruna sotto
l’azione dell’ acido riprende il colore verdognolo che si avvicina al
normale.
112 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Tutto il fegato di questo animale si conserva tagliuzzato in
alcool ordinario. per fare l’ estratto dell’ alcool dopo una decina di
giorni.
E sebbene ne riparleremo nel capitolo speciale degli estratti,
notiamo fin d’ ora, che 1 estratto al 20° di questo alcool ha il co-
lorito giallo-rosso-bruno caratteristico, mentre quello dell’ alcool di
conservazione delle 2 milze nere, anche al 20°, è restato perfet-
tamente di un colore giallo-paglierino, come già si vedeva nello
stesso alcool prima di fare V estratto, e ciò nelle milze di animali
morti nei primi giorni dell’ avvelenamento : invece anche prima di
fare V estratto, l'alcool di conservazione del fegato dopo 15 giorni
dall’avvelenamento prende, sebbene debolmente il colorito caratte-
ristico, dovuto alla soluzione dei prodotti pirogallici.
9) Acido pirogallico per la via ipodermica.
Dopo aver studiato l’azione dell’ acido pirogallico amministra-
to per lo stomaco, vogliamo ora tentare anche l altra via di as-
sorbimento, cioè la ipodermica.
Ad un piccolo cane mastino del peso di kili 4 circa, e che
chiameremo N. 18 sì inietta ipodermicamente nella regione ante-
riore dell'addome una soluzione di 20 centigrammi di acido piro-
gallico sciolti in un grammo di acqua distillata con la siringa di
Pravaz.
Ad un altro cagnolino inglese di poco più di 4 kili, N. 19, si fa
lo stesso, però con la metà dose, cioè 10 centigrammi di acido
pirogallico in un grammo di acqua distillata: e ciò per vedere la
dose opportuna, l’ influenza della densità della soluzione sull’ assor-
bimento e sui fatti locali.
Dopo 5 ore i 2 cani stanno bene.
Anche nel giorno seguente questi cani stanno in condizioni
normali, mangiano con appetito. L° urina di entrambi è giallo-pa-
glierina, limpida : reazione leggermente acida: albumina zero : aci-
do pirogallico zero: pigmenti biliari assenti. Temperatura del N. 18
39, 4: del N. 19 39, 1. Manca ogni traccia di itterizia nelle con-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 113
giuntive. Nel sito delle iniezioni vi è un poco di gonfiore e dolore.
Si ripete ad ognuno la stessa operazione di ieri.
Nel 3° giorno i cani si trovano nelle stesse condizioni normali,
meno un poco di enfiato flogistico più appariscente nei siti della
iniezione: mangiano con appetito : deiezioni alvine regolari: nessuna
traccia di itterizia. Le urine di entrambi sono perfettamente normali
e ciò si conferma con tutte le reazioni: nessuna traccia di acido
pirogallico. Temperatura del N. 18 39, 8, del N. 19 39, 6. E stante
questo benessere si ripete per la 5* volta la stessa operazione ad
entrambi: dopo parecchie ore i cani mostrano di star bene.
Al 4° giorno i 2 canì continuano a star bene, quandanche
avessero cominciati punti di suppurazione intorno a piccoli focolai
necrotici nei siti delle prime iniezioni: mangiano entrambi con avi-
dità. Le urine di entrambi raccolte ed analizzate sono perfetta-
mente normali: acido pirogallico sempre assente. Temperatura quasi
la stessa di ieri.
Vista l’ inutilità dell’ apprestazione ipodermica tanto dei 20
centigrammi pel N. 18, che dei 10 centigrammi pel N. 19, al primo
si somministrano 60 centigrammi sciolti in 3 grammi di acqua,
anche ipodermicamente, ed al N. 19 un grammo in 50 di acqua
per la via dello stomaco, per vedere che cosa succede dopo le 3
iniezioni ipodermiche di 10 centigrammi ognuna. Sino alla sera
tardi questi 2 animali continuano a star bene.
Nel giorno seguente il N. 18 mostra di star bene, con tutte
le località necrotiche e suppuranti nei siti operati. L’ urina è nor-
male, anche dietro le minute analisi. Temperatura 39. 5. Il N. 19
pare anche di star bene: non ha vomitato, mangia con appetito:
non vi è traccia di itterizia. L’ urina è giallo-ambra carico, legger-
mente torbida : reazione appena acida: albumina zero : acido piro-
gallico poca quantità che appare chiaramente soltanto dopo mez-
z’ ora: pigmenti biliari tracce: abbondanza di cristalli di fosfato am-
monico-magnesiaco. Temperatura 38, 9. Si ripete ad entrambi la
stessa operazione di ieri cioè 60 centigrammi ipodermicamente al
N. 18, ed un grammo colla sonda gastrica al N. 19.
ArtI Acc., Vor. VIII, SerIE 48 — Memoria IV. 15
114 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Dopo le 24 ore il N. 18 mangia bene, è vispo con tutte le estese
ulcerazioni nei siti operati. L’ urina raccolta in quantità notevole
è di color giallo-paglia perfettamente trasparente: reazione legger-
mente acida: albumina zero: acido pirogallico tracce apprezzabili
dopo qualche ora: pigmenti biliari zero o quasi. Temperatura 40.
Invece il N. 19 è notevolmente abbattuto, cammina a stento quan-
do è trascinato e subito cade sugli arti posteriori: non mangia af-
fatto ed è leggermente itterico. La poca urina raccolta è di color
giallo-bruno, un po’ torbida : reazione neutra: albumina zero: aci-
do pirogallico tracce: pigmenti biliari discreta quantità. Esame mi-
croscopico, meno qualche cellula epiteliale e goccioline di grasso -
libere, oltre i soliti spermatozoi, niente altro. Temperatura 39, 3.
In tali condizioni quest’ ultimo cane non si opera oggi; invece al
N. 18 apprestiamo la 18 volta un grammo di acido pirogallico per
la via dello stomaco.
I
rogallico preso ieri per lo stomaco, si mostra come nello stato nor-
Pi
giorno seguente il N. 18, con tutto il grammo di acido pi-
male, è svelto, baia con forza, salta e mangia con avidità il pane
asciutto: deiezioni alvine normali, solo un poco più brune. L’ uri-
na, raccolta in grande quantità, pare normale principalmente pel
colorito giallo-paglia : reazione leggermente acida: albumina zero :
acido pirogallico e pigmenti biliari non apprezzabili : esame micro-
scopico negativo. Temperatura 38, 6. Notiamo però fin d’ ora, che
nel giorno seguente, mentre si confermano tutti gli altri risultati,
si può apprezzare un poco della reazione pirogallica nella provetta
ove si è aggiunta Vl’ ammoniaca.
Il N. 19 è ancora notevolmente abbattuto, non mangia nulla:
non può reggersi in piedi, è itterico. L’ urina raccolta in poca quan-
tità è sanguinolenta : reazione acida debole : albumina circa il 5 per
1000: acido pirogallico zero: pigmenti biliari notevole quantità. Esa-
me microscopico del sedimento, cilindri adiposi a preferenza, qual-
che globulo rosso, spermatozoi in grande quantità. Temperatura
39, 8. Neanco oggi si opera questo cane: invece al N. 18 si am-
ministra la 2* volta un grammo di veleno con la sonda gastrica ;
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 115
ma dopo una mezz’ ora il cane ha vomito bilioso e si mostra ab-
battuto.
All’ indomani il N. 18 si trova molto prostrato, sdraiato a ter-
ra: non mangia affatto : è sub-itterico. L’ urina raccolta è scarsa,
di colorito giallo-nero, ma perfettamente limpida e senza sedimento:
reazione neutra: albumina zero: acido pirogallico discreta quantità:
pigmenti biliari scarsi: molti fosfati. Temperatura 38, 7.
Invece il N. 19 è meno abbattuto di ieri: mangia un poco di
carne, pane e brodo: è sub-itterico. Si raccoglie abbondante urina
di color rosso-bruno, nerastra, torbida, con sedimento posa di caffè:
reazione acida: albumina più del 2 per 1000: acido pirogallico as-
sente: pigmenti biliari discreta quantità : cilindri adiposi all’ esame
microscopico. Temperatura 39, 2.
In queste condizioni i due cani non si operano.
Nel giorno seguente il cane N. 18 continua ad essere pro-
strato: non si alza, e sollevato a forza poco si regge: è itterico e
non mangia affatto. La poca urina raccolta è di color giallo-bruno
tendente al nero, però non torbida e senza sedimento : reazione
lievemente acida: albumina zero: acido pirogallico assente: pigmenti
biliari abbondanti. Temperatura 38, 5.
ll N. 19 è molto migliorato: sta discretamente in piedi; man-
gia anche un poco di pane asciutto: è ancora itterico: ha emesso
pochi materiali duri, bruni. Si è potuto raccogliere molta urina di
color giallo-bruno, appena torbida : reazione lievemente acida : al-
bumina tracce: acido pirogallico zero: pigmenti biliari forte quanti-
tà. Temperatura 39, 9.
Dopo un giorno entrambi i cani stanno meglio.
Il N. 18 mangia anche un poco di pane asciutto, mentre ieri
non volle mangiar nulla: è itterico: non ha defecato. La poca uri-
na raccolta anche in poca quantità è giallo-bruna, leggermente tor-
bida: reazione acida: albumina tracce: acido pirogallico zero : pig-
menti biliari quantità forte. L’ esame microscopico del sedimento
mostra qualche cilindro grassoso ed epitelii dei tuboli renali con
granuli nerastri. Temperatura 39, 4.
116 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Il N. 19 è tanto meglio da sembrare sano, se non risaltasse
il dimagramento che appare in tutti questi animali appena comin-
ciano a star meglio: mangia con avidità il pane asciutto: è ancora
itterico: materie fecali dure, brunastre. L’ urina è di color giallo-
bruno, ma meno di ieri; non è torbida, nè fa sedimento: reazione
acida: albumina zero: acido pirogallico assente: pigmenti biliari in
poca quantità. Temperatura 40.
Il miglioramento dei due cani continua anche il giorno se-
guente da farli sembrare ristabiliti. L’ urina del N. 18, è ancora di
un giallo-carico un poco bruno, ma meno intenso di ieri : nessun
sedimento : reazione leggermente acida: albumina ed acido pirogal-
lico assenti: pigmenti biliari tracce. Temperatura 39, 7.
Il N. 19 è perfettamente rimesso : | urina raccolta è di color
giallo-arancio un po’ bruno, come moscato: reazione acida debole:
niente di albumina e di acido pirogallico : pigmenti biliari ancora
in discreta quantità. Temperatura 39, 6.
Dopo 11 giorni dalla prima operazione fatta questi 2 cani, es-
sendo ristabiliti, si uccidono col cloroformio , essendo inutile con-
servarii ulteriormente.
Ricordiamo che il N. 18 nei primi 3. giorni ebbe l' iniezione
ipodermica di 20 centigrammi la volta di acido pirogallico in un
grammo di acqua, e che, a meno di necrosi e suppurazioni locali
non ebbe a soffrire altro: mancò l acido pirogallico nell’ urina :
nei 2 giorni consecutivi si ripetè l’ iniezione ipodermica, ma di 60
centigrammi la volta; e siccome il cane continuava a star bene
il giorno seguente si amministrò un grammo di acido pirogallico
per lo stomaco, ma in soluzione molto più diluita; e continuan-
do il benessere all’ indomani se ne dà un altro grammo per lo
stomaco. Il giorno appresso l’ animale mostra i sintomi del forte
avvelenamento, e nei 4 giorni consecutivi gradatamente migliora
e si ristabilisce. All autopsia mostra di speciale , oltre le località
necrotiche, suppuranti, in via di riparazione nel sito delle iniezioni,
il fegato con forte degenerazione grassa degli acini, la periferia
dei quali appare di un colorito grigio-scuro, in modo da esservi
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico LIZ
uno spiccato contrasto di colori tra il centro dell’acino e la sua
zona più esterna: bile giallo-bruno nerastra caratteristica : milza
nera: rene destro con infarto embolico suppurante, senza altri fatti
degni di attenzione. Dopo aver conservato un pezzettino dei sin-
goli organi in alcool assoluto , si fa il solito preparato a fresco
della raschiatura del fegato, e si conferma alto grado di degene-
razione grassa, dovuta principalmente alla pioemia, e nelle cellule
epatiche meno degenerate si possono indubbiamente apprezzare dei
granuli nerastri, sebbene in scarso numero.
Il cane N. 19 nei primi 3 giorni ebbe l'iniezione ipodermica
di 10 centigrammi la volta di acido pirogallico in un grammo di
acqua: stava bene e nel giorno seguente gli sì apprestò un grammo
per lo stomaco: continuando il benessere si appresta all’ indoma-
ni ancora un grammo, e d’ allora mostrò i gravi sintomi dell’ av-
velenamento, dal quale nei giorni successivi gradatamente si rieb-
be, sino alla guarigione. I fatti più notevoli del reperto necrosco-
pico sono : il fegato di un colorito più bruno dell’ ordinario , con
degenerazione grassa, ma meno pronunziata del caso precedente :
bile caratteristica dell’ avvelenamento, ma un poco attenuata: milza
nera: reni con coloramento un po’ giallo-bruno della sostanza re-
nale, senza altri fatti che fermano | attenzione. Nel preparato a
fresco del fegato si può anche in questo caso apprezzare qualche
granulo nerastro nelle cellule epatiche.
Da questi sperimenti, sebbene in scarso numero, si può in-
durre: 1° Che l’acido pirogallico al titolo di 1 a 5 ed anche 1 a 10 è
assorbito poco o nulla per la via ipodermica: 2° Cagiona necrosi
nel sito dell’inoculazione : 3° L’ animale acquista dopo ciò una re-
sistenza maggiore per le dosi venefiche ingerite, e poi sorpassa fa-
cilmente il forte avvelenamento.
Probabilmente ciò è dovuto a minime dosi assorbite, e quindi
a modificazioni intime nel ricambio materiale endocellulare, da cui
la maggiore resistenza.
Diciamo fin d’ ora, che con nuovi sperimenti, come dimostre-
remo più tardi, l’ acido pirogallico è perfettamente assorbito per la
118 Iicerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico
via ipodermica, quando si adoperano soluzioni più allungate ; ed
allora nella località manca la necrosi.
h) Acido pirogallico pel peritoneo.
Sperimenteremo ora come si comporta l avvelenamento da aci-
do pirogallico pel peritoneo, onde stabilire la rapidità dell’ assorbi-
mento ed a quale dose riesce letale.
Si opera un cane inglese bastardo, che chiameremo N. 20, del
peso di kili 5, 400, ed avente la temperatura 39, 2 presa nel ret-
to prima dell’ operazione. Con le dovute norme gli si immette nel
peritoneo per una piccola apertura fatta un grammo di acido pi-
rogallico sciolto in 50 grammi di acqua distillata e sterilizzata :
poi si chiude con 3 punti il taglio. L'animale si abbatte rapida-
mente e dopo 20 minuti non può più stare in piedi. Dopo 3 ore
è straordinariamente prostrato ed ha forte ipotermia 36, 4.
Il giorno seguente il cane si trova morto alle 7 a. m. e dalla
forte rigidità si deve presumere che era morto da varie ore. L’au-
topsia si fa alle 2 p. m., quindi circa 12 ore dopo la morte. Nel
sacco del peritoneo non ci sono lesioni apprezzabili. Il fegato è un
poco più grosso è più bruno : la cistifellea è ripiena di bile carat-
teristica dell’ avvelenamento, essendo di un colorito giallo-bruno-
nerastro, molto densa: la superficie del taglio del fegato, oltre il
colorito più scuro ed un certo intorbidamento, non mostra altri fat-
ti patologici. La milza è nerastra, anche alla superficie del taglio.
La vescica urinaria è fortemente contratta, vuota o quasi di uri-
na; le poche gocce trovate sono di color giallo-bruno lieve. I re-
ni non mostrano alterazioni di rilievo. Il cuore è fortemente dila-
tato, paralitico, essendo enormemente dilatato il ventricolo sinistro
a preferenza : le cavità sono ripiene di grossi grumi sanguigni ne-
rastri. Nessuna alterazione rilevante negli altri organi. Fatta la rea-
zione con l ammoniaca tanto nella bile, che nell’ urina, allungate
con acqua distillata, si ha forte reazione pirogallica nella prima, de-
bole nella seconda.
Ricerche sperimentali sull’avvelenamento da acido pirogallico LIS
L’ esame microscopico a fresco del fegato fa notare la presen-
za di alcuni granuli giallo-bruni nelle cellule epatiche.
Dopo aver sperimentato la grande e rapida velenosità dell’aci-
do pirogallico immesso nel peritoneo, ad un altro cane bastardo
inglese del peso di poco meno di kili 6, e che chiameremo N. 21,
‘ immettiamo anche nel peritoneo la miscela di mezzo grammo di
acido pirogallico con 10 centigrammi di nitrato di argento, allo sco-
po di vedere se riesce venefico, e principalmente se vi è assorbi-
mento di granuli nerastri e deposito nel fegato: si è ridotta la do-
se dell’ acido pirogallico a metà perchè un grammo riuscì letale
in meno di 12 ore nel N. 20: invece pel nostro sperimento sareb-
be utile che il N. 21 vivesse qualche giorno per avere tempo al
possibile deposito nel fegato.
Dopo un’ ora il cane è un poco abbattuto, cammina a stento
e tende a cadere: non ha vomitato. Temperatura 38, 3.
Il giorno seguente dopo 16 ore dall’ operazione il cane è sem-
pre prostrato : non ha voluto mangiare, non ha bevuto nemmeno
acqua: non ha vomitato : non ha urinato, nè si è potuto racco-
gliere urina, anche portandolo a passeggiare nel giardino: cammi-
na stentatamente tirato a forza, essendo molto debole, specialmen-
te con gli arti posteriori, come tutti gli altri cani avvelenati. È freddo
al tatto, anche toccando la regione inguinale. Temperatura 34, 7.
All’ indomani non mangia affatto, ma pare meno abbattuto di
ieri: la piccola ferita praticata sulla parete addominale è riunita
per primam. È sub-itterico. Deiezioni alvine zero. La poca urina rac-
colta è di color rosso-bruno con orlo giallastro; non è torbida, ma
ci sono tracce di sedimento rosso-bruno: reazione acida: albumina
circa il 2 per 1000: acido pirogallico non apprezzabile nella prima
ora, ma in seguito si vede che ve ne è una minima quantità: pig-
menti biliari forte quantità. Esame microscopico del sedimento, ci-
lindri adiposi, niente corpuscoli rossi con tutta la notevole quan-
tità di emoglobina. Temperatura 39.
Al 3° giorno il cane continua ad essere prostrato, ma mangia
appena un poco di pane : è lievemente itterico : non ha avuto de-
120 Iticerche sperimentali sull’ avrelenamento da acido pirogallico
lezioni alvine. La poca urina raccolta è ematica con poco sedimento:
reazione acida: albumina circa il 3 per 1000: acido pirogallico as-
sente: pigmenti biliari tracce. Esame microscopico del sedimento,
pochi cilindri adiposi, ed alcuni anche epiteliali. Temperatura 39, 2.
Nel 4° giorno ‘il N. 21 è ancora abbattuto, ma un pò meno
di ieri: non ha voluto mangiare: è sempre sub-itterico: deiezioni
alvine zero. L’ urina raccolta in poca quantità è di color rosso-bru-
no con orlo giallastro, con sedimento, ma senza spuma; reazione
acida: albumina circa 4 per 1000: acido pirogallico zero: pigmenti
biliari discreta quantità: il sedimento mostra i soliti cilindri. Tem-
peratura 37, 1.
Al 5° giorno il cane è gettato a terra, molto prostrato: è for-
temente dimagrato: non si può reggere affatto in piedi: non man-
cia affatto: V alvo tace: continua la sub-itterizia. L’ urina è di co-
lor giallo-arancio bruno, un poco torbida: reazione acida : albumina
meno dell'uno per 1000: acido pirogallico zero: pigmenti biliari
grande quantità. Forte ipotermia, segnando il termometro 34.
AI 6° giorno VY animale sta malissimo: non si è potuto rac-
cogliere urina: muore verso le 3 p. m., e si fa la sezione subito
dopo la morte. “ Nel sito della soluzione di continuo addomi-
nale, al di sotto della pelle riunita vi è un piccolo focolaio necro-
tico: lieve peritonite. Fegato di un colorito giallo-verdastro-bruno:
alla superfice del taglio gli acini sono di un colorito giallastro tor-
bido con la zona esterna e periacinosa di colore verdastro-bruno.
3ile caratteristica con forte reazione pirogallica. Il rene sinistro è
atrofico per quasi un terzo, granuloso, massime in alcuni punti ove
la capsula è un poco aderente; questi punti sono nerastri, infossati
e vi corrispondono i simili infarti nel parenchima: così anche il rene
destro, il quale è più grosso del normale, e mostra alla sezione
anche gli infarti lineari nerastri: nei calici del rene sinistro si tro-
vano piccoli calcoli. La, milza è nera. Il muscolo cardiaco è pallido,
torbido: cavità dilatate con poco contenuto in sangue tenue , per-
fettamente liquido. Polmoni e centri nervosi niente di notevole. ,
L'esame microscopico a fresco del fegato mostra forte degenera-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 121
zione grassa delle cellule epatiche, con qualche granulo nerastro :
cellule rotonde colorate in bruno. Anche nell’ interno di vasi san-
guigni si possono apprezzare pochi granuli nerastri.
Confermata la grande rapidità dell’ avvelenamento pirogallico
anche a metà dose nel peritoneo, in un cane mastino di kili 6, 400,
che chiameremo N. 22, sperimenteremo se il latte attenua la forza
e gravità dell’ avvelenamento. Per piccola incisione delle pareti ad-
dominali si perviene nel peritoneo e vi sì immette mezzo grammo
di acido pirogallico sciolto in 60 grammi di latte. Però nel tempo
dell’ operazione il cane si è tanto dimenato ed ha fatto sforzi così
violenti, che non solo ha fatto fuoriuscire quasi tutto il latte, che
già era pervenuto nella cavità sierosa, ma anche la maggior parte
del pacchetto intestinale da aversi una specie di sventramento , il
quale ci è stato difficile ridurre, continuando V animale nei suoi
sforzi. Ritenendo quindi il cane come perduto, specialmente per
lo scopo prefissoci dall’ operazione, si uccide con ferita al cuore,
calcolando di essere passati 15 a 20 minuti dal tempo dell’ immis-
sione nel peritoneo dell’ acido pirogallico col latte. Si fa subito
l'autopsia, allo scopo di vedere, se, in tanto breve tempo e con
la minima dose restata nel peritoneo, vi è stato assorbimento. “ Il
fegato, la milza, i reni non mostrano quelle alterazioni caratteri-
stiche, specialmente di colorito ; la milza soltanto pare un poco
più scura, anche alla superficie del taglio. La bile contenuta nella
cistifellea è di un colorito verde-bruno intenso, tendente al giallo-
bruno : l’ urina contenuta in vescica sembra normale, solamente il
colorito giallo-paglia assume una lievissima tinta verdognolo-bruna.,,
L'esame microscopico a fresco del fegato non mostra alterazioni
rilevanti. Il fegato si tagliuzza e si mette in alcool ordinario, co-
me facciamo sempre in questi casì per avere una vasta superficie
sotto l’ azione del solvente: se ne farà poi l’ estratto nel quale sarà
meno difficile confermare anche una piccola quantità di acido piro-
gallico e suoi derivati.
Praticate dopo la sezione le analisi opportune, si ha: 1° che
la bile dietro la prova con l ammoniaca dà forte reazione di aci-
AmTI Acc., Vor. VIII, SerIE 48 — Memoria IV. 16
122 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
do pirogallico: 2° l urina mostra anche la presenza del veleno e
tracce di pigmenti biliari: 3° infine, come ripeteremo a tempo op-
portuno, l’ estratto al 20° dell’ alcool ordinario in cui si è conser-
vato il fegato tagliuzzato, è di quel color giallo-rosso-bruno intenso,
caratteristico della pirogallina, e che si ha sempre ed esclusivamen-
te, come si dimostrerà in seguito, nell’ avvelenamento da acido
pirogallico e dal solo fegato, anche dopo varie settimane dall’ av-
velenamento.
Quindi si può conchiudere che il peritoneo è la via del più fa-
cile e pronto assorbimento, confermandosi ciò che succede per altre
sostanze, e che è giustificato dall’ estensione del sacco sieroso e
dalla sua struttura.
i) Acido pirogallico per la corrente venosa.
Vogliamo infine ricercare il modo come agisce 1’ acido pirogal-
lico introdotto direttamente nel sangue circolante; e disponendo di un i
cagnolino maltese di kili 3,300, che chiameremo N. 23, mettiamo
prima allo scoverto la giugulare esterna destra, isolandola per
un tratto di circa 2 centimetri : rialzato questo tratto nel mezzo
in modo da formare un angolo sporgente in fuori, facendo la guida
da ponte nell’ angolo rientrante, naturalmente 1 estremo inferiore ,
centrale, diventa esangue ; ed allora qui si entra con l’ ago della
siringa di Pravaz, e fermate le pareti della vena sull’ ago-cannula
sì è iniettato il contenuto della siringa di un grammo di acqua di-
stillata, in cui si erano sciolti 25 centigrammi di acido pirogallico :
tutta la soluzione è entrata perfettamente senza fuoriuscirne una
goccia: nell’ uscire lago abbiamo stretto con una pinzetta la parete
alla vena nel sito della puntura, e dopo la pressione di qualche
minuto non viene più sangue: dopo 3 punti di sutura intercisa sulla
ferita fatta. L’ animale anche dopo 3 ore sta bene.
Dopo 24 ore il N. 23 sta benino: mangia il pane asciutto,
con appetito : ha emesso 2 volte materie fecali di aspetto norma-
le. Non è stato possibile poter raccogliere urina: non si può ap-.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 125
prezzare alcuna traccia di coloramento itterico delle congiuntive
Temperatura 40, 3.
Gli si ripete la stessa operazione fatta ieri; si è dovuto però
fare l'iniezione nella giugulare esterna sinistra. Volevamo ripeterla
nella destra, ma qui tagliando i punti di sutura intercisa, si è
trovato iniziale suppurazione ed andando a scovrire e sollevare la
vena, questa, come avevamo preveduto si trova come un grosso
cordone bluastro duro, per trombosi la quale si estende dal sito
dell’ operazione sino all’apertura superiore del torace.
Vedremo domani nell’autopsia, perchè uccideremo il cane per
l'esame dell’urina e della bile, fin dove arriva la trombosi; e se si
ripeterà anche nella vena omonima sinistra sulla quale si è operato
oggi. È probabile che il fatto della trombosi confermi ciò che abbiamo
osservato nelle iniezioni ipodermiche, che con un titolo quasi eguale
di soluzione, cagionano necrosi locale e mancanza di assorbimento:
qui la necrosi nell’ interno dei vasi dà la trombosi. A tempo più
opportuno dovranno sperimentarsi le soluzioni molto più allungate
di acido pirogallico, per poter escludere l’ azione necrosante, dando
invece l’ assorbimento.
All’ indomani il cane è un poco abbattuto, non mangia affatto.
ma sta discretamente in piedi: è lievemente sub-itterico. Tempera-
tura 40.
Quando si è visitato la mattina per tempo aveva già urinato
e la sua urina sul pavimento di mattoni, già seccata, ha lasciato
una macchia scura nerastra, specialmente nel centro. Poi si è po-
tuto raccogliere un poco di urina nel bicchiere, ed è di un color
giallo-rossigno-bruno, notevolmente torbida: se non ci fosse l’intor-
bidamento rassomiglierebbe perfettamente all’ estratto al 20° del-
l’ alcool dei S. Andrea : la reazione è leggermente acida : albumina
più del 8 per 1000: acido pirogallico discreta quantità, ma evi-
dente subito dopo aver aggiunto I ammoniaca: pigmenti biliari
forte quantità. Esame microscopico molti cilindri adiposi.
Sebbene mi propongo di fare uno studio lungo e sistematico
del sangue degli animali avvelenati dall’ acido pirogallico, ho cer-
124 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
cato oggi di confermare alcune modificazioni già notate, cioè ; 1°
che il sangue diventa rapidamente di colore rosso-scuro nerastro :
2° che coagula più prontamente : 3° che la reazione si conserva
alcalina: 4° che si può in esso stabilire la presenza dell’ acido
pirogallico coll’ ammoniaca.
Si uccide questo cane col cloroformio per studiarne il reperto,
dopo che si è potuto fin dalla vita stabilire : 1° che piccole dosi,
25 centigrammi alla soluzione di 1 a 4, ripetute per 2 giorni per
iniezione endovenosa danno il fatto locale della trombosi : 2° una
parte del veleno entra nel circolo e dà il quadro caratteristico del-
lP avvelenamento.
“
Dell’ autopsia si ricavano i fatti seguenti. “ Il tubo gastro-in-
testinale notevolmente pallido non mostra alcuna lesione, nemme-
no di lieve catarro. La milza è caratteristicamente nera, senza essere
ingrandita. I reni invece sono ingranditi un poco a spese della so-
stanza corticale, la quale alla superficie del taglio è torbida, giallo-
bruna, e nel limite colla midollare vi risaltano i raggi midollari di
colorito giallo-sbiadito-torbido. Il fegato un poco ingrandito, si mo-
stra alla superficie del taglio torbido con tendenza al giallastro e
con lieve colorazione biliare: la bile è contenuta in quantità note-
vole nella cistifellea, è molto densa e di quel colore giallo-bruno
intenso quasi nero, sempre con l’ orlo giallastro-bruno, caratteristico
dell’ avvelenamento pirogallico ; allungata 20 volte con acqua di-
stillata, in pochissimo tempo dà con l’ ammoniaca la reazione piro-
gallica forte. I polmoni normali quasi, un poco anemici. Il muscolo
cardiaco con rigonfiamento torbido ed iniziale degenerazione adi-
posa. Preparate le 2 giugulari esterne in tutto il loro decorso , si
trova trombosi dal sito della puntura sino allo sbocco nelle rispet-
tive succlavie. L’ esame microscopico a fresco del fegato mette in
rilievo la degenerazione grassa a preferenza.
Hi
Tentativi di avvelenamento con la pirogallina.
Vogliamo ora preparare artificialmente dall’ acido pirogallico la
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 125
pirogallina, non solo per notare l identità di colorito con gli estratti
dell’ alcool, specialmente dei S. Andrea, ma anche per avere prin-
cipalmente a nostra disposizione questa sostanza allo stato puro, e
dopo tentare di possibilmente sdoppiarla, trasformarla, onde avere
di nuovo la reazione pirogallica, che, a quanto io mi sappia, non
è ancora un fatto conosciuto. Dall’ altra parte, potendo così disporre
di molta pirogallina, ne sperimenteremo l azione sui cani appre-
stando una quantità ricavata da una dose fortemente venefica di
acido pirogallico. Si può già prevedere, che una volta diventata
pirogallina, l' avvelenamento dovrebbe mancare non essendovi più
ragione di alterazione del sangue : ed al proposito ricordiamo, che
mancò l avvelenamento a quel coniglio, al quale si apprestò per
varii giorni la pirogallina, (almeno sinora la supponiamo tale), con-
tenuta nell’ estratto dell’ alcool dei S. Andrea. Dopo questo speri-
mento faremo altri due col residuo del contenuto delle boccette se-
questrate in casa S. Andrea; e così chiuderemo, per ciò che riguar-
da la perizia, i nostri sperimenti sugli animali. Dopo dovremo fare
gli estratti ed una serie di tentativi, principalmente chimici, per ri-
spondere possibilmente in modo positivo alla Giustizia in una qui-
stione certamente intricata, non trattandosi di un veleno comune,
essendo gli avvelenati morti dopo 8 giorni, ed avendosi dall’ acido
pirogallico la facile trasformazione in pirogallina, la quale non ri-
sponde in modo sicuro per ricostituire la materia prima, cioè il ve-
leno originale.
a) Preparazione della pirogallina.
Per ottenere la pirogallina dalla dose venefica di acido piro-
gallico per i cani di piccola statura, circa di 5 kili, sì è sciolto un
grammo dell’ acido in parola in 100 grammi di acqua distillata, e
poi abbiamo aggiunto 20 gocce di ammoniaca : il tutto messo in
una capsuia di cristallo cilindrica, e lasciata aperta sotto una grossa
campana di cristallo. Ed essendo probabile che tale dose non dasse
l’ avvelenamento, si prepara in una seconda capsula la pirogallina
126 Ricerche sperimentali sull’'avrelenamento da acido pirogallico
da una dose doppia, cioè da 2 grammi di acido pirogallico, sempre
con 100 grammi di acqua distillata e 20 gocce di ammoniaca : an-
che questa capsula si lascia aperta sotto la campana di cristallo
per far evaporare 1 eccesso di ammoniaca.
Appena capitata lammoniaca tutte e due le soluzioni si colo-
rano gradatamente in giallo-rosso-bruno sempre crescente. In primo
tempo entrambe le soluzioni danno lieve reazione alcalina, ritornan-
do un poco il colore alla carta reagente arrossata dall’ acido, an-
che quando sono immerse immediatamente nel liquido ; quindi non
si può dire che è P ammoniaca che si evapora che dà tutta la rea-
zione, ma anche quella che si è mescolata con la soluzione piro-
gallica. Già bisogna dire, secondo le nostre ripetute osservazioni ,
che l'acido pirogallico , anche a soluzione un po’ concentrata non
arrossa fortemente ed immediatamente la carta di tornasole, ma
soltanto leggermente; anzi non è un vero arrossimento, come si ha
cogli altri acidi, anche coll’ acetico ;} è invece un colore rosso-vio-
laceo, pavonazzo, tutto particolare : e se la carta di tornasole così
leggermente cambiata nel suo colore si tocca con un poco di acido
acetico, o altri acidi, subito si arrossa in quel punto di un rosso-
vivo, facendo così grande contrasto col cambiamento di colore in-
dotto dall’ acido pirogallico : ho provato anche con soluzione molto
concentrata e si ha lo stesso. Si rivedrà la reazione nella miscela,
quando l ammoniaca si sarà completamente evaporata.
tivedendo dopo 24 ore le 2 capsule, in cui abbiamo comin-
ciato la preparazione della pirogallina, l ammoniaca è evaporata
tutta, non avvertendosi più il suo odore caratteristico, non fumi-
cando più la bacchetta bagnata nell’ acido cloridrico, nè ripristinan-
dosi il colore bleu della carta di tornasole arrossata dall’ acido. Il
liquido in entrambe le capsule è diventato giallo-bruno nerastro
con l orlo giallo-bruno caratteristico, ed ha reazione leggermente
acida. Presa una piccola parte di ciascuno dei 2 liquidi e messa
in provette differenti, allungando poi con acqua distillata in modo
da avere un colorito giallo-rosso-bruno, tanto da permettere subito
l'apprezzamento delle reazioni, si è potuto stabilire che vi è ancora
ni
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico IST
acido pirogallico libero, non ancora trasformato in pirogallina. Ab-
biamo ciò dimostrato 1° con V ammoniaca : 2° con la potassa : 3°
col nitrato di argento : 4° coi sali di protossido di ferro e propria-
mente col solfato di ferro : 5° coi sali di perossido di ferro e pro-
priamente col percloruro di ferro : 6° col latte di calce.
E siccome ci siamo proposti di avere sola pirogallina senza
tracce di acido pirogallico, abbiamo aggiunto altre 20 gocce di am-
moniaca per capsula, chiudendo le capsule col loro coperchio per
non obbligare Vl ammoniaca ad evaporarsi e sperdersi, nella fidu-
cia che il contatto prolungato dell’ ammoniaca fino al giorno se-
guente potesse più presto operare la trasformazione completa in
pirogallina : le 2 capsule così chiuse si sono messe sotto la campa-
na di cristallo.
All’ indomani il colorito del contenuto delle 2 capsule è quasi
nero : solo si vede il color giallo-bruno caratteristico muovendo il
liquido, sia nell’ orlo, sia meglio quando si guarda quello che sì è
attaccato al cristallo pel movimento. Il liquido della 2* capsula è
evidentemente più bruno ed il giallo-bruno dell’ orlo è più denso.
Tutte le reazioni fatte ieri, caratteristiche dell’ acido pirogallico, ri-
petute oggi, svelano ancora la presenza dell’ acido in parola, seb-
bene in quantità minore. Non ho creduto aggiungere altra ammo-
niaca essendovi ancora notevole odore ammoniacale per essere
state le capsule chiuse : oggi invece si lasceranno aperte, sempre
però sotto la grossa campana di cristallo.
Dopo 3 giorni il colore della miscela è ancora più nero, da
sembrare ad una certa distanza come un inchiostro nero : sì vede
però il giallo-bruno, specialmente all’ orlo, massime se si smuove
il liquido : non si sente più odore di ammoniaca : la reazione è
pressochè neutra, soltanto appena acida. Ripetute tutte le reazioni
su di una goccia di ciascuno dei 2 liquidi, allungata in 3 centime-
tri cubici di acqua distillata, la quale è colorata in giallo-bruno, si
possono confermare tutte le reazioni caratteristiche, specialmente
quella degli alcali per l’ acido pirogallico. Aggiungiamo perciò 10
gocce di ammoniaca nella 1% capsula, di un grammo, e 20 gocce
128 Licerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
nella 2, di 2 grammi; e si lasciano le capsule aperte sotto la cam-
pana, dopo aver agitato ripetutamente il liquido con una bacchetta
di vetro.
AI 4° giorno le capsule con la pirogallina in preparazione dan-
no ancora un poco di odore ammoniacale : la reazione è neutra
anzi leggermente alcalina per I eccesso di ammoniaca. Ripetute le
reazioni fatte nei giorni precedenti, non si hanno più quelle del-
l'acido pirogallico, meno tracce con ammoniaca; anche col nitrato
di argento la reazione manca assolutamente non essendovi ombra
di precipitato e nessun cambiamento di colore: ed in quest’ ulti-
ma reazione per togliere ogni dubbio, che si fosse formata traccia
di pirogallato di argento (e ciò è possibile solo se vi è acido pi-
rogallico genuino, non trasformato) si è aggiunto Vl ammoniaca, ila
quale non dà quella reazione sensibilissima come di fumo nerastro,
che invece sì ha quando vi è traccia di pirogallato di argento. Vuol
dire quindi, che siamo alla trasformazione completa o quasi del-
l'acido pirogallico in pirogallina. Per far evaporare l eccesso di
ammoniaca si restano ancora allo scoverto ed alla luce le 2 cap-
sule, sempre sotto la campana di cristallo.
Al 5° giorno dalle 2 capsule tramanda ancora un poco di odo-
re ammoniacale : la reazione è neutra immergendo rapidamente le
carte reagenti del liquido, che oramai sembra un inchiostro nero,
sempre però coll’ orlo giallo-bruno caratteristico, molto più intenso
nella 2* capsula. Abbiamo ripetutamente agitato il liquido nelle 2
capsule con la bacchetta di vetro; e poi, per far evaporare il resi-
duo di ammoniaca, si è tenuta la 1 capsula per una mezz’ ora a
bagnomaria : dopo questo trattamento 1 odore ammoniacale non si
avverte più, neanco le carte reagenti mostrano il minimo cambia-
mento di colore; il liquido è perfettamente neutro.
b) Sperimenti nel cane.
Ad un cagnolino inglese di kili 3,450 e che chiameremo N. 24,
sì appresta con la sonda gastrica tutta la soluzione di pirogallina
pura, ricavata da un grammo di acido pirogallico, cioè il contenuto
DO
e)
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 1
della 12 capsula: il liquido è pervenuto nello stomaco sino all’ ul-
tima goccia. Riveduto il cane dopo un'ora e dopo 4 ore, sta
bene: non ha vomitato : è vispo quanto prima, salta ecc.
Il numero 24, operato ieri con la pirogallina, sta benissimo,
come se non gli fosse stato apprestato nulla: mangia il pane con
avidità : non ha avuto deiezioni alvine : ha la temperatura normale
39, 2. Le poche urine raccolte sono di aspetto normale, essendo
limpide e di colorito giallo-paglia : reazione acida: albumina zero :
acido pirogallico zero : niente di pigmenti biliari: manca anche quel
precipitato biancastro dopo 1’ aggiunta dell’’ammoniaca, sul con-
to dei fosfati solubili: non vi è ombra di coloramento itterico nel-
le congiuntive. Si opera di nuovo questo cane, apprestandogli con
la sonda gastrica il contenuto dell’ altra capsula, cioè i 2 grammi
di acido pirogallico, diventato pirogallina, in 100 grammi di acqua
distillata, dopo aver fatto stare la capsula per una ventina di mi-
nuti a bagnomaria, onde far evaporare le tracce residuali di am-
moniaca. Riveduto l’animale dopo 4 ore, non solo non ha vomi-
tato, ma sta benissimo.
All'indomani il cane è perfetto. Niente itterizia. Temperatura
39, 1. La poca urina raccolta è di aspetto normale, anche pel co-
lore : reazione leggermente acida : albumina, acido pirogallico e pig-
menti biliari assenti.
Avendo dopo ciò potuto confermare, che la pirogallina non dà
alcun segno di avvelenamento, e stimando inutile ripeterne una nuo-
va apprestazione, si uccide il cane col cloroformio. E riassumendo,
si può stabilire, che ad un piccolo cane, apprestando per lo stoma-
co il 1° giorno un grammo, e il secondo 2 di acido pirogallico tra-
sformato in pirogallina non solo non si è avvelenato, ma non ha
avuto malessere alcuno ; in modo che la pirogallina, ricavata an-
che da forti dosi di acido pirogallico non da itterizia, nè alterazio-
ni del sangue, dei reni, ecc. ; e poi non dà traccia di reazione pi-
rogallica, nè di coloramento speciale dell’ urina, la quale è stata
sempre normale col colorito giallo-paglierino. Vedremo all’ autopsia,
se vi è stato accumulo nel fegato, nella bile, e poi faremo anche
ATTI Acc., Vor. VIII, SerIE 4%? — Memoria IV. 17
130 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
l’ estratto dell’ alcool ordinario, in cui si conserverà tutto il fegato
tagliuzzato: insomma la sezione del cane dovrà chiarire l’ apparente
contradizione, che l’animale ha preso una sostanza solubile e quin-
di assorbibile, la quale non è comparsa nell’ urina : anche il reper-
to della milza deve molto importare, anche se negativo.
L’autopsia fatta dopo 5 ore mostra i fatti seguenti : © Il cane
è perfettamente conservato. Nell’ aprire l'addome sorprende il co-
lorito roseo tendente al violaceo dello stomaco e di tutto l in-
testino tenue, meno accentuato nel crasso ; e ciò, si vede chiara-
mente, che non è fatto da iniezione vasale, ma è una colorazione
diffusa della parete, un’ imbibizione di sostanza colorante che
traspare dal peritoneo viscerale. Lo stomaco è pieno di cibo in
gran parte digerito : mucosa dello stomaco e degli intestini appare
normale, soltanto un poco colorata in rosso-giallastro.
La milza è di aspetto normale, specialmente pel suo colori-
to violaceo : anche la superficie del taglio è normale. I reni sono
sani senza colorazione speciali. Il fegato è di un colore più scuro
del normale con tendenza al violaceo ; così anche la superficie del
taglio; è un poco ingrandito : nessuna apparenza di degenerazione
grassa, neanche al microscopio : non vi è colorazione biliare del
fegato, nè nel resto dell’ organismo : la discreta quantità di bile
contenuta nella cistifellea non è densa, conserva il suo colorito
verde normale : nessuna reazione pirogallica dall’ammoniaca. Urina
contenuta nella vescica, normale, anche dopo l analisi. Polmoni e
cuore sani. Massa encefalica normale.
Nel capitolo sugli estratti si dirà del risultato ottenuto anche
dal tegato di questo animale trattato con la pirogallina.
IA
Sperimenti col contenuto delle boccette sequestrate in casa S. Andrea.
Teniamo oggi a nostra disposizione 2 piccoli cani, il primo in-
glese bastardo del peso di kili 5, e che chiameremo N. 25 ; il se-
condo piccolo mastino, vecchio di età e caterattoso, del peso di
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 151
kili 4, 300, che chiameremo N. 26. Con questi 2 cani chiuderemo
gli sperimenti per ciò che riguarda 1’ attuale perizia, e sperimente-
remo in essi il poco contenuto delle prime 2 boccette sequestrate
dalla Giustizia nella casa dei S. Andrea, e di cui ci si affidò una
parte. Ricordiamo che nella 1° boccetta vi era circa un grammo
di quella sostanza solida nerastra, la quale con qualche goccia di
acqua residuale nella bottiglina prese l’ apparenza della mistura di
scarpe; e che nella 2% abbiamo avuto circa 20 grammi di un li-
quido giallo-rosso-bruno. Il contenuto della 1* boccetta, allungato
con circa 50 grammi di acqua distillata, dà una soluzione nerastra,
la quale risponde alla reazione di acido pirogallico con un poco
di nitrato di argento; e filtrata lascia un poco di polvere nerastra
sul filtro, mentre il liquido filtrato è giallo-rosso-bruno. Il contenuto
della 22 boccetta, perfettamente limpido e senza sedimento, rispon-
de alla reazione di pirogallato di argento con eccesso di acido pi-
rogallico.
Al cane N. 25 si appresta con la sonda gastrica il contenuto
allungato in acqua della 1* boccetta. AI N. 26, anche per la via
dello stomaco, tutto il contenuto della 2? boccetta.
In primo tempo, sino a 3 ore dopo gli animali non mostrano
sofferenze di rilievo.
Nel giorno seguente il N. 25 sta bene e mangia con appetito:
pare leggermente sub-itterico. Urine poche, di color giallo legger-
mente bruno : reazione acida: albumina zero : acido pirogallico non
apprezzabile : pigmenti biliari piccola quantità, ma evidente. Tem-
peratura quasi normale 39, 3.
Il cane N. 26 è un poco abbattuto: mangia poco: è sub-itterico
nelle congiuntive. L’ urina raccolta è di color giallo-bruno nerastro,
però senza sedimento, appena un poco torbida : reazione acida:
albumina zero: acido pirogallico in piccola quantità ma ben apprez-
zabile : pigmenti biliari notevole quantità, molto maggiore che nel
cane precedente. Temperatura febbrile 40.
All’ indomani si rivedono le provette con l analisi fatta ieri :
nell’ urina del N. 25 si conferma lo stesso, cioè nessuna apparenza
152 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
di reazione con l ammoniaca e la presenza dei pigmenti biliari: in
quella del N. 26 si conferma la mancanza di albumina, la presen-
za notevole di pigmenti biliari e specialmente la presenza dell’acido
pirogallico che ieri sì apprezzava poco; oggi invece è molto più
evidente, caratteristica non solo nell’ urina della provetta trattata
con l ammoniaca, ma anche in quella trattata col solo cloroformio
per la ricerca dei pigmenti biliari.
Il N. 25 sta bene, mangia, salta, baia. ec. L’ urina raccolta è
di color giallo-arancio un po’ carico : reazione acida ; albumina ze-
ro: acido pirogallico assente: pigmenti biliari discreta quantità.
Temperatura 39.
Il N. 26 è meno abbattuto di ieri: mangia poco: continua la
sub-itterizia. L’ urina raccolta è di color giallo-bruno intenso, tanto
da sembrare, nel bicchiere ad una certa distanza nerastra ; smuo-
vendola un poco si vede che l’orlo del liquido è giallo-bruno intenso :
nessun sedimento , sebbene l urina sia un poco torbida : reazione
acida : albumina più dell’ uno per mille: acido pirogallico ancora
apprezzabile, ma meno di ieri: pigmenti biliari notevole quantità,
maggiore di ieri. Temperatura 39, 6.
Nel giorno seguente il N. 25 è perfetto, mangia con appetito :
materie fecali dure, di colorito giallo-verde-bruno. L’ urina raccolta
è ancora di color giallo-arancio, un poco torbida : reazione acida:
albumina minime tracce : acido pirogallico assente con 1’ ammonia-
ca, la quale invece dà l abbondante precipitato biancastro alla su-
perficie: pigmenti biliari, tracce ancora bene apprezzabili. Tempe-
ratura 39.
Il N. 26 è ancora debole: si apprezza ancora la sub-itterizia :
mangia poco e svogliatamente. L’urina raccolta è ancora più bru-
na, nerastra, con poco sedimento come posa di caffè : reazione leg-
germente acida : albumina quantità maggiore di ieri, più del 3 per
1000 : acido pirogallico assente: pigmenti biliari forte quantità ed
anche notevole quantità di emoglobina. Temperatura 39, 5.
Al 4° giorno il N. 25 continua a star bene: tutte le funzioni
normali. L’ urina raccolta è di color giallo-arancio sbiadito, legger-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 133
mente torbida: reazione acida: albumina ed acido pirogallico zero:
pigmenti biliari tracce. Temperatura 39.
Il N. 26 sembra molto migliorato: ha mangiato il pane asciutto
con appetito : sta bene in piedi: ha evacuato pochi materiali duri
di color giallo-verde-bruno, tendente al nero: è ancora sub-itterico
nelle congiuntive. L’ urina raccolta è di color giallo-verdastro, for-
temente bruno, tanto da sembrare nero a distanza ; è un poco tor-
bida con poco sedimento nerastro : reazione acida : albumina no-
tevolmente diminuita, circa Vl uno per mille: emoglobina molto di-
minuita : acido pirogallico non apprezzabile : pigmenti biliari forte
quantità, da tingere il cloroformio in giallo-verde-bruno. Tempera-
tura 39, 3.
Dopo questi risultati evidenti di avvelenamento pirogallico, che
già dovevano aspettarsi dopo il risultato positivo dell’ analisi chi-
mica del contenuto nelle 2 boccette S. Andrea; ma che sempre ha
la sua importanza nel caso attuale, perchè si è avuto negli animali
la forma clinica dei fratelli S. Andrea propinando il poco contenuto
delle boccette sequestrate nella casa degli stessi, si uccideranno
questi 2 cani per poter confermare il reperto anatomico simile a
quello dei S. Andrea. Gli animali uccisi col cloroformio sì sezionano
il giorno seguente, dopo 15 ore. Tutti e due i cani sono perfetta-
mente conservati; ma non facciamo calcolo di questa nota, stante
la stagione invernale.
Autopsia del cane N. 25 — Ricordiamo che a questo cane 4
giorni prima si è amministrato per lo stomaco quel poco di sostanza
nerastra, come mistura per stivali, sciolta nell’ acqua. “ La milza è
quasi del colorito normale rosso-violaceo, solo un poco più bruna,
come si conferma anche alla superficie del taglio. Il fegato ha
l’ aspetto rosso-bruno normale : la bile contenuta nella cistifellea è
di color verde-chiaro-bottiglia, tende cioè un poco al giallo-bruno;
saggiata con l’ammoniaca dopo pochi minuti fa apparire evidente la
reazione pirogallica , sebbene di poca intensità. Reni di aspetto
normale: nessuna alterazione apprezzabile nel tubo digerente, nel
cuore, nei polmoni e cervello. Da un preparato a fresco del fegato
134 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
si possono escludere in esso alterazioni speciali. , Si conservano i
soliti pezzetti in alcool assoluto, e poi tutto il rimanente del fegato,
dopo averlo tagliuzzato, in alcool ordinario, per farne più tardi
Vl estratto.
Autopsia del cane N. 26—Anche questo cane è stato ucciso
dopo 4 giorni dall’ ingestione del contenuto della 2? boccetta se-
questrata nella casa dei S. Andrea, ed ha avuto tutti i sintomi
caratteristici dell’ avvelenamento pirogallico. “ La milza ha il volume
normale, ma è di colorito grigio-nero, come in tutti gli avvelena-
menti di acido pirogallico da noi procurati, e come riscontrammo
nei fratelli S. Andrea. Il fegato è un poco ingrandito, di color
giallo-verdognolo un poco tendente al grigio, specialmente alla su-
perficie del taglio, dopo aver allontanato il sangue: ed è così che
ordinariamente si trova il fegato nell’acuzie di questo avvelenamento.
I reni con sostanza corticale un poco rigonfia, torbida, di colore
giallo-marrone scuro, con strie giallastre chiare nel limite tra so-
stanza corticale e midollare, fatte dai raggi midollari: notiamo, che
ciò appare un poco anche nei reni sani, ma non in grado così spic-
cato: mancano le apparenze di infarti triangolari brunastri, gli in-
fossamenti alla superficie, essendo stato V avvelenamento poco in-
tenso, ma recente. Tutti gli altri organi sani, meno un lieve stato
catarrale acuto del tubo digerente, ed il muscolo cardiaco, che ap-
pare più pallido del normale. La bile è più caratteristica per l’ av-
velenamento : essa è raccolta in forte quantità nella cistifellea, è
molto densa e di un colorito giallo-bruno tendente al nero : l’orlo
è caratteristicamente giallo-bruno : forte reazione pirogallica coll’am-
moniaca. I preparati a fresco del fegato confermano la degenera-
zione albuminosa e grassa delle cellule epatiche , e varie cellule
rotonde colorate in giallo-bruno. ,
Anche di questo animale si conservano i soliti pezzetti per gli
studii ulteriori, e tutto il resto del fegato, dopo averlo tagliuzzato
si mette in alcool ordinario per farne poi l’ estratto.
Con questi ultimi sperimenti sui cani si è potuto confermare,
che anche il reperto anatomico cagionato col contenuto delle prime
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 135
2 boccette sequestrate nella casa dei S. Andrea, risponde perfet-
tamente a quello ordinario cagionato dall’ acido pirogallico, ed a
quello ricavato dalle autopsie dei fratelli S. Andrea.
K.
Sunto delle alterazioni microscopiche dei pezzi conservati.
Terminati gli sperimenti sui cani, di tutti i pezzi conservati
in alcool assoluto si praticano dei preparati per taglio specialmente
del fegato, reni, glandule linfatiche e milza. Questo lungo e minu-
zioso lavoro si è messo a preferenza in rapporto al trovato micro-
chimico ed istiopatologico degli organi dei fratelli S. Andrea: per-
ciò non solo abbiamo chiuso una serie di questi preparati senza
alcun trattamento in glicerina, ma un’ altra quantità si è assogget-
tata all’ imbibizione dei varii liquidi coloranti; e di un’altra infine
ci siamo serviti per definire la solubilità o insolubilità di quella so-
stanza colorata speciale, che costantemente abbiamo trovato spe-
cialmente nel fegato degli animali avvelenati, così come praticava-
mo colla sostanza simile, rinvenuta principalmente nel fegato e nei
reni dei S. Andrea.
Da tutte le ricerche fatte sui preparati, riserbandoci in un la-
voro speciale esporre gli studi sistematici fatti sul sangue e quin-
di non ripeteremo ora le alterazioni grossolane dello: stesso già espo-
ste, sì possono ricavare i fatti principali seguenti :
L’ organo, che dopo il sangue mostra più presto, più intensa-
mente e più lungamente alterazioni istologiche speciali è il fegato:
poi i reni, specialmente perchè mostrano i residui delle gravi al-
terazioni speciali pregresse molto a lungo: viene in seguito la mil-
za, e poi le glandule linfatiche, il cuore ed infine alterazioni lievi
nel pancreas e capsule perrenali. Gli organi, in cui mancano altera-
zioni importanti sono i centri nervosi, i polmoni, il tubo digerente.
Il fegato nell’ alto dell’ avvelenamento è sempre ingrandito ,
prevalendo nel 1° giorno forte iperemia del campo capillare del-
l’acino, e nei giorni seguenti degenerazione albuminosa e grassa
136 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
delle cellule epatiche: mancano, nel puro avvelenamento pirogallico
nei cani, quei granuli nerastri notati nei S. Andrea; invece se ne
trovano più o meno quando ai cani si è dato il pirogallato di ar-
gento: e siccome i S. Andrea si servivano di questo composto per
tingersi, così è lecito affermare che quell’ apparenza è dovuta al pi-
rogallato di argento. I fatti degenerativi dopo la 1° settimana dal-
l’avvelenamento cominciano a diminuire di intensità, sino allo scom-
parire completamente dopo 10-12 giorni. L’ altra lesione importan-
te è l’infiltramento dei leucociti nel tessuto interstiziale periacinoso
e nelle ultime ramificazioni della capsula di Glisson: quivi anche i
linfatici sono ripieni di cellule simili, ed il loro endotelio è ingros-
sato. Le cellule ameboidi sono per lo più colorate in giallo-bruno,
e rispondono a quelle libere nei preparati a fresco per raschiamen-
to: spesso vi sì può confermare il contenuto in corpuscoli rossi più
o meno alterati: è appunto questa alterazione che comparisce non
prima del 2° o 3° giorno, ma che poi-dura a lungo sino a 20 giorni,
ed anche dopo un tempo molto maggiore, come è risultato da ulte-
riori sperimenti. La stessa alterazione di colore dei microfagociti si
ha nei macrofagociti, cioè negli endotelii dei linfatici a preferenza.
L'acqua scioglie solo in parte questa sostanza colorante, mentre la
soluzione di potassa decolora rapidamente e completamente ; vuol
dire, che quel colore ha doppia origine , dai prodotti pirogallici e
dal pigmento ematico. Nei dutti biliari extraepatici non si riscon-
trano alterazioni di rilievo e sono perfettamente permeabili, e ciò
fa escludere il contributo della stasi biliare nel fegato per la sud-
detta colorazione. Nei capillari dell’ acino si trovano anche spes-
so dei microfagociti coi caratteri sunnotati. È occorso negli avve-
lenamenti molto forti e nello stadio di acuzie di trovare anche pic-
coli cristalli bacilliformi, giallo-rossigni, principalmente negli ele-
menti parenchimali ed anche nei leucociti migrati : questi cristalli
mostrano la stessa solubilità dei prodotti pirogallici. Il tempo mi-
gliore per trovare la colorazione speciale fatta dai prodotti piro-
gallici e da quelli regressivi del sangue è tra il 3° - 40 - 5° giorno
dell’ avvelenamento. In modo speciale dobbiamo far rilevare, che
- : DA . 5
Ricerche sperimentali sull’avvelenamento da acido pirogallico 1537
in quel grosso cane barbone, che sopportò impunemente dosi forti e
continuate di veleno, il reperto istologico dei leucociti migrati e co-
lorati in quel modo speciale è stato lo stesso, sebbene sieno man-
cate le note più importanti dell’ avvelenamento : mentre nel cane
trattato con la pirogallina, queste alterazioni di colorito mancava-
no; e diciamo fin d’ ora, che in quest ultimo cane | estratto al
20° dell’ alcool del fegato è il più ricco in pirogallina. Questi fatti
fini, esplicativi dell’immagazzinamento del veleno pirogallico nel
fegato illustrano e confermano una delle funzioni più importanti
di quest’organo, per la trasformazione, neutralizzazione ed elimina-
zione per la bile di alcuni veleni. (1)
I reni nell’ alto dell’ avvelenamento sono essi pure ingranditi
a spese della sostanza corticale, in cui trovasi lieve rigonfiamento
torbido e degenerazione grassa : si può anche apprezzare un leg-
giero infiltramento leucocitico. Dal 3° giorno in poi spesso si trovano
apparenze di infarti nerastri per una quantità di cilindri ialini, colo-
rati in giallo-bruno-nero che riempiono i tuboli dei raggi midollari.
Il colore dei cilindri si scioglie coll’ acqua, non col cloroformio,
dimostrando così la sua origine pirogallica: perciò si parla di infarti
pirogallici. Se î cani muoiono, o sì uccidono più tardi, quando già
comincia per lo più una miglioria, allora oltre gli infarti suddetti vi
corrisponde alla superficie un infossamento nerastro per atrofia
fibrosa.
La milza non mostra una vera emorragia, ma soltanto una
intensa colorazione ematica diffusa per la dissoluzione dell’emoglo-
bina avvenuta nel sangue. Nel periodo della guarigione questa dif-
fusione di emoglobina va a scomparire, ed i corpuscoli di Malpighi
sono leggermente iperplastici.
Il cuore mostra forte degenerazione albuminosa e grassa : le
(1) Era già letto e consegnato fin dal Maggio 1894 il presente lavoro all'Accademia Gioe-
nia, quando il mio vecchio amico Prof. Maftucci ha pubblicato il suo lavoro £ Ricerche speri-
mentali sul fegato nei morbi infettivi, Policlinico 15 Novembre 1894. ,, Sono lieto che i risultati
«delle sue ricerche in gran parte sono simili a quelle da me esposte: non riguardano però i veleni,
ma alcuni microrganismi patogeni.
Arti Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria IV. 18
158 Iicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
fibre non lasciano più vedere la striatura e sembrano asperse di
polvere.
Le glandule linfatiche mesenteriali fanno spiccare verso il 3°
e 4° giorno dell’ avvelenamento una colorazione giallastra più o
meno bruna delle cellule linfatiche negli spazii linfatici della so-
stanza midollare: queste cellule linfatiche appariscono fortemente
ingrandite e contengono una quantità diversa, secondo il loro vo-
lume, di corpuscoli rossi più o meno profondamente alterati: è
un’ invasione degli spazii linfatici di cellule globulifere.
Il pancreas è iperemico e con lieve rigonfiamento torbido delle
cellule parenchimali.
Le capsule surrenali mostrano esse pure rigonfiamento torbi-
do e degenerazione adiposa.
Negli altri organi non vi sono alterazioni apprezzabili, per
quanto si è potuto ricavare da un esame sommario.
L.
Sensibilità dell’ acido pirogallico per l’ammoniaca e pel nitrato di argento.
Confermate per l esame microscopico le alterazioni anche fi-
ne, simili a quelle degli organi S. Andrea; ma non avendo potuto
ottenere la reazione classica dell’ acido pirogallico coll’ ammoniaca
nell’ alcool in cui erano conservati i fegati dei S. Andrea, mentre
si è ottenuta dall’ alcool in cui si era conservato il fegato tanto
dei conigli che dei cani nell’ acme dell’avvelenamento; potendo ve-
nire il sospetto, che per I epoca del decesso dei S. Andrea, dopo
8 giorni, la maggior parte del veleno essendo stata eliminata, la
minima quantità rimasta non è più capace di dare la reazione
caratteristica, ho creduto conveniente studiare sino a qual dose
minima si può scovrire l’ acido pirogallico.
Per scovrire l’ acido pirogallico mi sono servito dei 2 miglio-
ri e più sensibili reagenti dello stesso, cioè, l ammoniaca liquida,
facendola sempre pervenire strisciando sul liquido da saggio, ed il ni-
vicerche sperimentali sull’'avvelenamento da ucido pirogallico 159
trato di argento, (soluzione di 1 a 100), facendo sempre strisciare
le 3 a 4 gocce lungo la parete della provetta. Con queste ricerche
non solo cercheremo risolvere il quesito propostoci, ma potre-
mo stabilire quale dei 2 reagenti è più sensibile per Vl acido in
parola.
Per fare le soluzioni titolate minime di acido pirogallico in
acqua distillata, dopo aver preparato una quantità di boccelte nuo-
ve a tappo smerigliato , perfettamente terse dopo il lavaggio ripe-
tuto con acqua distillata , facendole poscia asciuttare : in un tubo
graduato, anche precedentemente ben terso ed asciutto , abbiamo
messo dieci centimetri cubici di acqua distillata e poi un centi-
grammo di acido pirogallico : questa soluzione pirogallica quindi
del titolo oi: che conserviamo in una 1? boccetta, dopo averne
prelevato un c. c. che versiamo in una 2* boccetta: in questa ag-
giungiamo 9 c. e. di acqua sempre distillata ; e così in seguito
senza ripeterlo, ed abbiamo quindi un’ altra soluzione pirogallica
I 1 l
del titolo 0° Allo stesso modo, prelevando il c. c. dalla 2* boc-
1
1] q 4a ne
1000007 € Pol in una 4° dii {700000
Infine abbiamo versato la metà della soluzione ultima in una 58
cetta si ha in una 3* il titolo di
boccetta allungandola con altrettanto di acqua, cioè con 5 c. c.,
ottenendo così una soluzione di acido pirogallico al titolo goin :
Dopo averle messe in provette ben pulite si saggiano le 5
soluzioni di acido pirogallico con l ammoniaca e col nitrato di ar-
gento al titolo notato. Il risultato di queste ricerche è il seguente:
i .
10000 Ammoniaca. Reazione
immediata, forte, caratteristica di color giallo-rosso-bruno in solu-
zione perfetta, alla superficie. Nitrato di argento. Reazione imme-
diata, molto forte, che si estende subito in tutta la soluzione sino
1% Boccetta — Titolo della soluzione
al fondo, sotto Vl apparenza di un precipitato leggiero, come fumo
nerastro, che guardato a trasparenza dopo qualche minuto appari-
sce come un colore verde-sporco-opalino: a luce riflessa poi appa-
re di un verde-terreo-scuro, abbastanza torbido.
140 Ricerche sperimentali sull’ avrelenamento da acido pirogallico
2° Boccetta— Titolo della soluzione Ammoniaca. Reazione
ae
10000
immediata, forte, caratteristica, meno intensa della precedente. Ni-
trato di argento. Idem del precedente un poco meno forte, ma
quasi lo stesso verde-sporco-opalino a luce rifratta, e color verde
terreo più chiaro a luce riflessa.
| ; 1 ; ?
38 Boccetta--"Titolo della soluzione 3000007 Ammoniaca. Reazione
caratteristica, immediata, molto meno forte delle precedenti, non mo-
strandosi lo strato superficiale intensamente colorato, ma soltanto
di un giallo-arancio un poco bruno. Nitrato di argento. Reazione
immediata, meno forte delle precedenti, ma sempre caratteristica.
L'intorbidamento è minore, ed è di un colore che a luce rifratta ha
del violetto sporco, a luce riflessa invece ha del cinerognolo-bruno.
4% Boccetta— Titolo della soluzione Ammoniaca. Reazione
1
1000000 ©
immediata, caratteristica, ma, quand’ anche bene apprezzabile, molto
tenue: si apprezza anche meglio nelle ore successive, ma sempre
debole. Nitrato di argento. Reazione immediata, ma non forte in
primo tempo: dopo qualche minuto diviene di un color bruno con
marcata tendenza al violetto, restando il liquido quasi limpido; in
modo che il colorito si apprezza bene, specialmente a trasparenza.
l { . R .
2000000) £ mmoniaca. heazione
5® Boccetta--Titolo della soluzione
non apprezzabile immediatamente, ima che dopo qualche minuto di-
venta positiva, sebbene debolissima : ed allora si giudica subito
quando si è presa l abitudine in simili ricerche, specialmente se
si fa il confronto con un’altra provetta contenente acqua distillata
pura. Questa reazione resta debolissima anche nelle ore successive,
e si mostra come una tinta gialliccia molto sbiadita, ma un poco
tendente al bruno. Nitrato di argento. Reazione appariscente fin
dal primo momento, sebbene debole: dopo qualche minuto però
sì presenta il colorito violetto-sporco sbiadito, restando il liquido
trasparente : in modo che facendo il paragone col precedente, è più
chiaro e più limpido.
Perciò le reazioni delle due ultirne soluzioni, specialmente del-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 141
l’ultima sono molto caratteristiche col nitrato di argento , mentre
sono appena apprezzabili, a distanza quasi niente, con Vl ammo-
niaca.
Si conservano tutte queste provette sulla rastrelliera, ben tap-
pate da cotone idrofilo, alla luce per vedere dopo 24 ore i possi-
bili cambiamenti, che sono :
), La 1
N. 1.-- titolo 1000 *
scela di liquido di un giallo-rosso-bruno, perfettamente simile, ma
Ammoniaca.— Colore eguale in tutta la mi-
non così forte, come nell’ estratto dei S. Andrea: nessun sedimen-
to ed il liquido trasparente. Vuol dire, che con la soluzione piro-
gallica di uno a mille dopo l’aggiunta di 2 a 3 gocce di ammo-
niaca si ha dopo 24 ore una soluzione di pirogallina con colore
caratteristico notevole, ma non molto intenso. Nitrato di argento.
Vi è un poco di deposito nel fondo, polverulento di un verde-ter-
reo-sporco, e nel resto vi è un leggiero colore giallo-verdastro non
perfettamente trasparente, ma un poco opalino.
PIENBBETI 1 I ì 3
N. 2. titolo xiog)i Ammoniaca. Colore eguale in tutta la mas-
sa di un giallo-arancio leggermente rossigno : il liquido è perfetta-
mente limpido , senza alcun sedimento. Nitrato di argento. Quasi
lo stesso del precedente : identico precipitato : solo il colore ver-
dastro è leggermente opalino e tende al giallo.
Neo =ttolo 100000 *
na tinge il liquido, ma che sì apprezza bene : liquido limpido sen-
Ammoniaca. Colore giallastro, che appe-
za alcun sedimento. Nitrato di argento. Precipitato di poco sedi-
mento polveroso come i precedenti, ma in minore quantità: colo-
rito del liquido come i 2 precedenti, ma meno verdastro, invece
più tendente al bruno ed anche un poco al violetto.
N. 4.—-titolo Ammoniaca. La reazione che ieri si ap-
prezzava benino alla superficie, essendosi diffusa a tutto il liquido,
per apprezzare il lievissimo colorito giallo bisogna guardare il li-
quido a trasparenza verso un piano bianco, e così si apprezza si-
curamente : il liquido è perfettamente limpido e senza sedimento.
142 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Nitrato di argento. Nessun sedimento apprezzabile : marcato colore
violetto sbiadito, tendente al bruno, diffuso a tutto il liquido.
N. 5.— titolo 2000000
reazione, sembrando il liquido perfettamente incolore : soltanto fa-
Ammoniaca. Non si apprezza più alcuna
cendo il paragone con Vl acqua distillata pura contenuta in un’altra
provetta, e guardando a trasparenza verso un piano bianco si può
apprezzare appena un’ombra di colore giallastro. Nitrato di argento.
Nessun sedimento : reazione spiccata di colore violetto, come ama-
lista sbiadita, diffuso a tutto il liquido, guardato a trasparenza.
Xassumendo ora i risultati dell’ osservazione fatta nei giorni
successivi sul contenuto delle provette sunnotate dobbiamo dire nel
modo seguente. Dopo 48 ore nelle soluzioni N. 4 e 5 la reazione
all’ammoniaca è inapprezzabile o quasi, e così resta anche per
un mese. Nelle stesse 2 ultime soluzioni trattate col nitrato di ar-
gento il colorito violetto dopo 48 ore è divenuto un pò grigio-bru-
no, pur conservando ancora un poco del violetto, e vi è traccia
di precipitato in fondo, come un sottile strato di finissima polvere
violetto-nerastra: dopo un mese e più, s’ intende sempre le provette
esposte alla luce e ben tappate , il sedimento è più decisamente
nerastro, è un poco aumentato, intonaca le pareti del tubo ed il
liquido diventa incolore o quasi.
Da queste ricerche si può dedurre, che se l’ ammoniaca, come
gli altri alcali, è un reagente prezioso dell’ acido pirogallico ; il ni-
trato di argento è più prezioso ancora, perchè lo scovre in quelle
minime quantità in cui Y ammoniaca lascia il dubbio, o non lo sco-
vre affatto, ovvero scompare nei giorni successivi la reazione : ed
il nitrato di argento fa ciò con una reazione evidente caratteristica,
che si trasforma soltanto in modo particolare col tempo alla luce
ma sempre con quelle apparenze speciali, anche dopo un mese.
In modo che la reazione col nitrato di argento serve ancora per
gli studii, che si possono o si devono fare, per le piccole dosi,
anche dopo un mese dall’ analisi fatta. Ed io sono sicuro, ciò che
mi riservo a studiare più tardi, che Y acido pirogallico è scoverto
dal nitrato di argento anche a quantità molto minori, una volta
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 145
che la reazione è ancora imponente al titolo di un 2 milionesimo.
Oltre i sunnotati reagenti così sensibili per l' acido pirogallico,
ho creduto utile ripetere le altre reazioni meglio conosciute, per
essere più oculato ed ammaestrato nella ricerca della possibile pre-
senza di acido pirogallico nell’ estratto dei S. Andrea; ed in tan-
ta moltiplicità di sperimenti ho potuto notare varie reazioni spe-
ciali, non ancora conosciute in Chimica, come quella sensibilissi-
ma ed esclusiva dell’ ammoniaca sul pirogallato di argento, già espo-
sta precedentemente : delle altre in seguito.
Per ora diciamo, dopo la serie delle analisi fatte anche col
reagenti più sensibili, che nell’ estratto dei S. Andrea manca un
reagente capace di scovrire l acido pirogallico. E potendo questo
essere stato già eliminato in vita durante gli 8 giorni, ovvero es-
sere stato trasformato nello stesso organismo e quindi non più ri-
conoscibile coi reagenti, sorge il bisogno di fare una serie di estrat-
ti dall’ alcool ordinario in cui si è conservato il fegato di parecchi
animali e vedere: 1. se gli estratti degli animali avvelenati con
l'acido pirogallico sono simili a quello dei S. Andrea: 2. se questi
estratti danno le reazioni dell’ acido in parola: 3. se estratti del
fegato di animali sani, o trattati diversamente, possono avere quel
colore dei S. Andrea.
M.
Estratti al 20° dell'alcool di conservazione dei pezzi anatomici.
In questa serie di ricerche cominciammo col fare 1 estratto
al 20° dell’ alcool, in cui avevamo conservato piecoli pezzi (fegato,
reni, milza, muscolo cardiaco, cervello) di animali avvelenati col-
l’ acido pirogallico, di animali avvelenati con altri veleni e di ani-
mali sani: era soltanto il materiale che io già possedeva in primo
tempo. Così ho potuto iniziare il lavoro e cominciare 1 esame di
paragone tra i varii estratti. E siccome il lavoro riusciva un poco
malagevole per la poca quantità dell’ alcool e nello stesso tempo i
144 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
pezzettini cedevano poco materiale; mentre dalle stesse ricerche
io poteva dedurre che dal solo alcool di conservazione del fegato
aveva il prodotto pirogallico, specialmente dopo pochi giorni (5-6)
dall’avvenuto avvelenamento ; ho potuto in seguito, avendo molto
materiale, conservare in molto alcool ordinario una buona parte del
fegato degli animali avvelenati: così le ricerche sono riuscite non
solo molto numerose, ma più facili ed evidenti nei loro risultati.
Dopo ho fatto anche una serie di estratti dell’ alcool in cui era
conservato il fegato dell’ uomo, allo stato sano e malato , special-
mente con itterizia. E quando ho potuto dubitare della facile so-
luzione del pezzo grosso in alcool ho tagliuzzato il fegato, e mi
sono servito dell’ alcool di conservazione di 10 giorni; e dopo gli
stessi pezzettini ho fatto restare per 10 giorni in una soluzione di
potassa caustica 1°, per farne anche il relativo estratto.
Nelle prime ricerche, potendosi appena disporre di 20 c.c. di
alcool in cui erano i pezzettini, si è ridotto questo a bagnomaria
prima al 10° per non avere 1° inconveniente di filtrare un solo
centimetro cubico : e poi dopo aver filtrato in altra provetta, si è
messa questa anche a bagnomaria e ridotto al 20° il contenuto :
infine tutte le provette ben tappate da cotone idrofilo sì sono mes-
se in serie sulla rastrelliera per esaminarle e paragonarle tra loro.
In seguito avendo potuto disporre di una quantità molto mag-
giore di alcool, ne ho messo sempre a bagnomaria 100 c.c.; e do-
po la riduzione a 5 c.c. si è filtrato e conservato.
Esporrò per brevità lo specchio del risultato ottenuto nelle
differenti operazioni.
a) Da animali avvelenati coll’ acido pirogallico.
In 6 provette si mette in ciascuna | alcool in cui erano con-
servati varii pezzetti di conigli nelle 3 prime e di cani nelle 3 ul-
time, tutti avvelenati con l’ acido pirogallico, o con questo e nitra-
to di argento.
Fatti a bagnomaria gli estratti al 20°, mostrano tutti il colo-
rito caratteristico giallo-rosso-bruno della pirogallina e sono simili
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 145
a quello dei S. Andrea, alla pirogallina artificiale ; sebbene il co-
lore fosse un poco sbiadito, essendo piccolo il pezzo di fegato con-
servato, pure in ciascuno di essi con certezza si può apprezzare il
colorito del prodotto pirogallico.
b) Da animali avvelenati con altri veleni.
1. Da un coniglio avvelenato col solfato di rame
9. sa n n col solfato di zinco
D. E n ; col cloruro di oro
4, 5 È » col nitrato di argento
5. 5 n . coll’ acetato di piombo
In tutti questi animali Vl avvelenamento si è praticato per inie-
zione ipodermica per scopi speciali dall’ assistente del nostro Isti-
tuto, e gli animali morivano tra 2 e 6 giorni.
Tutti gli estratti mancano del colore caratteristico dei prece-
denti, anzi mai il colore arriva al giallo-arancio, ma solo al giallo-
sbiadito : solo nell’ avvelenato col solfato di rame il colore è un
poco più carico, tendente al giallo-arancio. L’ estratto più pallido,
quasi incolore, è quello dell’ animale avvelenato con ’ acetato di
piombo.
c) Da animali sani.
1. Da un coniglio trovato morto senza causa apprezzabile.
2. Da un coniglio morto per maltrattamento da altri conigli.
8. Da 4 cani, 2 uccisi senza alcuna operazione praticata, al-
tri 2 a cui si era praticata la laparatomia per ragioni speciali e
morti uno poche ore dopo, l’altro dopo un giorno.
Tutti questi estratti mancano del colore caratteristico degli
avvelenati per acido pirogallico: il colore è giallo-chiaro.
d) Dall’ uomo.
1. Dall’alcool di conservazione di varii fegati sani
2. 3 È di 2 fegati con stasi biliare
3. S 3 di 1 fegato con cirrosi ipertrofica
4. 7 h di 2 fegati con cirrosi volgare
D. 3 ; di 1 fegato con carcinoma
Arm Ace., Von. VIII, Serik 48 — Memoria TV. 19
146 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Si è avuto risultato negativo da tutti questi estratti per ciò che
riguarda colore caratteristico: il colore dell'estratto è stato giallastro
per lo più notevolmente pallido: solo nei fegati con stasi biliare il
colorito è più scuro, tende appena al rossigno, ma non è giallo-
rosso-bruno, ma tende al verdognolo. E tanto più quando si fa il
paragone con quello dei S. Andrea, o degli animali avvelenati con
acido pirogallico, risalta in modo evidente la differenza.
e) Dal fegato tagliuzzato.
Soluzione fatta dall’ alcool ordinario.
18 Serie—1. Un cane morto al 2° giorno dell’ avvelenamento piro-
gallico.
2. Uno morto al 4° giorno.
3. Uno morto al 7° giorno.
4. Uno ucciso al 12° giorno, quando erano scomparsi
tutti i segni del grave avvelenamento sofferto, meno
tracce di itterizia.
5. Uno ucciso al 20° giorno, che era completamente gua-
DI
rito dal grave avvelenamento.
Devesi prima notare, che l’ alcool a 90° in cui si mettevano
questi fegati tagliuzzati fin dal 1° giorno cominciava a colorarsi di
quel giallo-bruno caratteristico.
Questi 5 estratti al 20° sono tutti del colorito giallo-rosso-bru-
no, precisamente come la soluzione di pirogallina, e come l’estrat-
to dei S. Andrea. Il colore caratteristico in tutti è molto forte, di
intensità però sempre maggiore, quanto più l avvelenamento è re-
cente : facciamo del resto risaltare il fatto, che anche nel cane
ucciso al 20° giorno il colore dell’ estratto è forte e caratteristico.
Esaminati questi estratti coi reagenti pirogallici, principalmen-
te con l’ ammoniaca, si ha la reazione positiva soltanto nei cani
avvelenati di recente : dopo una settimana dall’ avvelenamento la
reazione non appare più in modo sicuro; e quindi negli estratti
Ricerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico 147
non vi è di caratteristico che il solo colore, precisamente come in
quello dei S. Andrea, con la differenza che nei cani pel valore di
quell’ estratto siamo in possesso di aver apprestato acido pirogal-
lico.
2 Serie 1. Fegato tagliuzzato del cane nel cui peritoneo si mise
latte ed acido pirogallico e che stante un forte sven-
tramento, ritenendo la poca utilità dello sperimento ,
si uccise Vl animale dopo 15 minuti.
2. Fegato tagliuzzato del cane al quale si iniettò acido
pirogallico nelle vene.
3. Fegato tagliuzzato del cane trattato con la pirogallina.
Questi 3 estratti sono caratteristici, molto densi anche pel co-
lore: mi ha fatto impressione a preferenza quello molto denso del
cane operato pel peritoneo, in cui il latte ed acido pirogallico fuo-
riuscì la maggior parte ed il cane fu ucciso subito: questo estrat-
to caratteristico e forte dinota la rapidità dell’assorbimento su quel-
la vasta superficie. Anche impressione fa l’ estratto caratteristico ,
molto denso, del cane trattato con la pirogallina, il quale ricordia-
mo, che non aveva avuto sintomi di avvelenamento, nè alcuna le-
sione caratteristica necroscopica. L’ estratto del cane trattato con
la pirogallina è il più denso finora da noi ottenuto in tutti gli spe-
rimenti : tinge fortemente in giallo-bruno la provetta se si smuove,
e quel colore resta attaccato per un tempo notevole : trattato con
l’ammoniaca, facendo attenzione a non smuovere la provetta in
modo che i 2 liquidi restano perfettamente separati, non vi ha
traccia di reazione pirogallica; vuol dire, si comporta come la pi-
rogallina pura, quella già apprestata al cane. Invece negli altri 2
estratti, oltre la pirogallina, vi è anche reazione dell’acido pirogal-
lico, essendo l’avvelenamento recente.
L’ estratto del cane trattato con la pirogallina mette in rilie-
vo, che questa è stata assorbita e che si è raccolta e fermata nel
solo fegato : esponemmo già, che non vi fu alterazione del sangue,
ella milza, delle urine, ecc.
148 vicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
32 Serie—1. Cane operato col residuo, come mistura nera, della 1
boccetta S. Andrea.
2. Cane operato col residuo liquido giallo-rosso-bruno
contenuto nella 2? boccetta S. Andrea.
w
. Milze nere di 2 cani avvelenati con l’acido pirogallico
e morti per l’ avvelenamento tra il 2° e 3° giorno.
4. Parte del fegato dei S. Andrea, già decolorato 2 volte
in alcool ordinario, e questa 3? volta tagliuzzato in nuovo alcool.
I 2 primi estratti hanno la stessa apparenza, specialmente
come colore, degli estratti dei S. Andrea e di quelli di tutti gli
animali avvelenati con acido pirogallico : il 2° è più carico di co-
lore del primo.
Il 3° estratto invece sorprende pel suo colorito quasi giallo-pa-
glia: e questo risultato non solo conferma il fatto medico-legale
caratteristico dell’ estratto, ma obbliga di ricercarlo nel solo fegato,
ove si immagazzina il veleno.
Il 4° estratto del 3° alcool dei S. Andrea è sempre caratteri-
stico, soltanto un poco meno carico dei 2 primi ottenuti.
Soluzione fatta dalla potassa.
Si è fatto l'estratto in una serie di fegati già tenuti in alcool
ordinario , induriti, e poi dopo averli tagliuzzati, messi nella so-
luzione di potassa 1 °o. Anche col fegato dei S. Andrea, smunto
3 volte dall’alcool di conservazione, per sottrarre le minime quan-
tità residuali di prodotti pirogallici, (se sono tali quelle sostanze
coloranti nel fegato dei S. Andrea) si è praticato lo stesso, essendo
gli alcali i migliori solventi dei prodotti pirogallici colorati, anche
dell’ acido metagallico.
Questi estratti hanno mostrato anche il colore caratteristico,
compreso quello del fegato S. Andrea: quello dei cani è più forte,
essendo nel fegato dei S. Andrea la quarta espressione.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 149
Da questi studii comparativi si possono trarre le conclusioni
seguenti :
1° il colorito caratteristico dell’ estratto dei S. Andrea si tro-
va identico nell’ estratto di animali avvelenati con V acido pirogal-
lico, o con la miscela di acido pirogallico e nitrato di argento.
9° Anche negli alcool degli animali, in cui non vi era più
reazione pirogallica, come mancava in quello dei S. Andrea, si è
ottenuto nell’ estratto il colore della pirogallina, precisamente come
nell’ estratto dei S. Andrea.
3° Tutti gli altri estratti sia di animali sani, sia avvelenati in
altro modo, non hanno quel colorito caratteristico della pirogallina,
non avendosi in nessun caso più del colore giallo-chiaro.
4° Anche l'estratto del fegato di uomo, sia fegato sano che
alterato, perfino con stasi biliare, non ha mai quel colore caratteri-
stico, anzi è più o meno giallo-chiaro, e soltanto si spinge al giallo
arancio-pallido nei casì di itterizia.
N.
Somiglianza e differenza degli estratti con altre sostanze
Con tutta la serie degli estratti caratteristici ottenuti soltanto
nei S. Andrea e negli animali avvelenati con acido pirogallico, mai
invece con estratti di altri fegati di uomo o di animali sani, o av-
velenati in modo diverso ;} non avendo ottenuto le reazioni carat-
teristiche in varii di questi estratti, tra cui quello dei S. Andrea,
vogliamo, prima di fare altri tentativi, istituire il confronto tra questi
estratti e 2 altre sostanze a cui gli estratti in parola somigliano ,
che sono la soluzione di vesuvina e la tintura di iodio.
La base principale degli estratti certamente è la pirogallina :
non possiamo pel momento dir lo stesso in modo sicuro per lo
estratto dei S. Andrea. Tenteremo perciò diverse reazioni per questi
estratti a base di pirogallina per vedere se quella sostanza simile
che si trova nell’ estratto dei S. Andrea abbia gli stessi caratteri :
150 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
che se risultano diversi, sì dovrà escludere la pirogallina e quindi
l’avvelenamento pirogallico nei S. Andrea.
Non sarà al proposito inutile, premettere i caratteri della. pi-
rogallina in parte conosciuti, in parte studiati dalle nostre presenti
ricerche.
La pirogallina è molto solubile nell’ acqua, anche dopo essere
essiccata, ed in ciò si distingue recisamente dall’ acido metagallica.
Quando si essicca, non cristallizza, a meno che non vi fossero re-
sidui di acido pirogallico, che è quello il quale allora cristallizza in
forma di aghi disposti in modo raggiato , echinato, con un colore
giallo-rosso-bruno quasi nero, che si deve alla pirogallina. Il colore
della soluzione della pirogallina è di un giallo - rosso - bruno con
diverse gradazioni di intensità, dal giallo-rosso un pò bruno sino
ad un bruno molto accentuato, che a distanza ed a luce riflessa
sembra nero: sempre però il carattere distintivo risalta nell’ orlo
della superficie che è giallo-bruno ; e così si tinge il cristallo se
si smuove e quella colorazione subito scompare dalle pareti della
provetta.
L'estratto dei S. Andrea ha tutti questi requisiti : vedremo in
seguito, se altri caratteri che metteremo in rilievo, anche per dif-
ferenziare la pirogallina da altre sostanze simili pel colore, sono
gli stessi anche nell’ estratto dei S. Andrea.
Comincieremo lo studio con la differenziazione dalle 2 soluzioni
sunnotate.
Dalla tintura di iodo , specialmente quella alcoolica concen-
trata, che a distanza somiglia molto alla soluzione concentrata di
pirogallina, questa si differenzia subito, oltre i caratteri speciali
della tintura di iodo, dal semplice fatto che questa ha l’ orlo rosso-
bruno, il quale così tinge le pareti della provetta se si agita, e
poi resta attaccata per un certo tempo alle pareti del cristallo, di-
ventando soltanto alla fine un poco giallastro. Invece la soluzione
di pirogallina, anche concentrata, ha il caratteristico orlo giallo-bru-
no, così tinge le pareti della provetta e la colorazione resta attac-
cata pochissimo tempo e spesso scompare quasi immediatamente.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 151
Dalla soluzione acquosa concentrata, anzi satura, di vesuvina
o bruno di Bismarch, quella di pirogallina si distingue anche pel
semplice colore, quando si guarda con una certa attenzione ed in
vicinanza; perchè questa soluzione ha colorito rosso-vivo ed il gial-
lo non vi entra affatto neanco all'orlo, agitando un poco il liquido;
dippiù la colorazione rossa della parete del tubo quando si smuove
il liquido, resta per un certo tempo attaccata al cristallo. La solu-
zione alcoolica satura di vesuvina vi somiglia un poco di più per-
chè, il colore rosso tende al bruno: ma se si osserva a trasparenza
sì vede subito la differenza con la pirogallina, perchè si tratta di un
colore rosso-bruno, intenso, ciò che in modo evidente si vede alla
superficie guardando l’ orlo, specialmente smuovendo il liquido ; e
tanto più risalta la differenza quando contemporaneamente si osser-
vano le 2 provette di vesuvina e di pirogallina. La soluzione alcoo-
lica poi un poco agitata lascia la tinta rossa alle pareti della pro-
vetta per un tempo relativamente lungo, da parecchi secondi, sino
a mezzo minuto.
Si fa ora il saggio col cloroformio, edotti dal fatto da noi ot-
tenuto, che la pirogallina è insolubile nel cloroformio: e tratteremo
con questo reagente la pirogallina artificiale, l' estratto dei S. An-
drea e la vesuvina : per la tintura di iodo la distinzione si fa con
faciltà. Fatte le soluzioni di pirogallina e di vesuvina, sì mettono
in 3 provette l’ estratto S. Andrea, la pirogallina e la vesuvina. Il
cloroformio messo nella provetta della pirogallina non scioglie nulla
neanco coll’ agitare e capovolgere ripetutamente la miscela : il clo-
roformio che si deposita in fondo è perfettamente incolore, e non
bisogna ingannarsi dalla riflessione del colore della pirogallina so-
vrastante. Con l'estratto dei S. Andrea, facendo la stessa opera-
zione, il cloroformio va a fondo perfettamente limpido ed incolore,
come con la pirogallina da noi preparata. Con la soluzione acquo-
sa di vesuvina le goccie di cloroformio, soltanto col traversare il
liquido senza agitare affatto, si depositano al fondo con un colo-
rito giallo di oro caratteristico, il più bello che si possa vedere; ed
il colore così resta, crescendo appena coll’ agitare. Questi fatti si
152 vicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
rivedranno dopo 24 ore; fin d’ora però risalta la reazione differen-
ziale del cloroformio come mezzo solvente soltanto della vesuvina:
e dall’ altra parte, è una nuova reazione che avvicina sempre più
l'estratto dei S. Andrea alla pirogallina.
Dopo un giorno si conferma la insolubilità della pirogallina e
del colore identico dell’ estratto dei S. Andrea nel cloroformio, in-
vece la sua bella colorazione in giallo di oro della vesuvina. Pos-
siamo anche aggiungere, che questo risultato si serba costante an-
che al di là di un mese.
Ed ora sorge la domanda: può la mancanza di solubilità al
cloroformio di quel colore speciale dell’ estratto dei S. Andrea far
escludere che si tratta di pigmenti biliari? perchè ricordiamo, che
i S. Andrea erano fortemente itterici. In altre parole , se la piro-
gallina non si scioglie nel cloroformio, vi si sciolgono sempre i
pigmenti biliari? E quì, sappiamo, che dei pigmenti biliari sì sciol-
gono nel cloroformio i primarii, quelli, cioè che costituiscono la
bilirubina: quindi quel colore nell’ estratto dei S. Andrea certa-
mente non è dato dalla bilirubina e suoi equivalenti. Ed al pro-
posito abbiamo fatto una serie di altri estratti di alcool ordinario
in cui erano conservati pezzi di fegati di uomo, con stasi venosa
cronica (fegato noce-moscato), con infiltramento e degenerazione
grassa (fegato grasso nella tisi tubercolosa), con cirrosi ipertrofica,
con peritonite acuta; ed abbiamo ottenuto un colore diverso, gial-
lo-verde-bruno, giallo-arancio, ed in certi casi (peritoniti acute) degli
estratti che a distanza somigliano a quello sbiadito dei S. Andrea
e degli animali avvelenati per acido pirogallico: però vi è sempre
del verde in quel giallo-bruno. Ebbene questi estratti, in cui non
si può invocare la presenza della pirogallina, ma che potrebbero
ingenerare il dubbio pel colore, alcuni danno la colorazione del
cloroformio giallo di oro, talora anche rossigno, e quindi allora in-
dubitatamente trattasi di colorazione fatta dalla bilirubina : altri che
sono più carichi e scuri di colore e che più fanno venire il dub-
bio, non danno alcuna colorazione al cloroformio. Se però si trat-
tano con gli alcali, ammoniaca, potassa, s’inverdiscono e diventa-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 153
no trasparenti: trattati poi con l’ acido cloridrico danno un preci-
pitato verdastro più o meno bruno, e quindi corrispondono ai pig-
menti biliari ossidati, quelli che non si sciolgono più col clorofor-
mio, ma invece si sciolgono cogli alcali inverdendo, precipitano in
verde cogli acidi, ecc.; e trattasi perciò, come fondo di quel colore,
di biliverdina, biliprassina, o bilifuscina. Mai sì ha la reazione pi-
rogallica, o manca l’inverdimento cogli alcali: invece nell’ estratto
dei S. Andrea l ammoniaca non fa apparire nessun inverdimeuto,
e solo dopo un certo tempo sì colora in giallo-bruno, come con le
soluzioni di pura pirogallina. Escludendo quindi, che si tratti nel
colore dell’ estratto dei S. Andrea di qualsiasi specie di pigmenti
biliari, abbiamo un altro argomento per avvicinare quell’ estratto
sempre più ad una soluzione di pirogallina.
O.
Ricostituzione della reazione pirogallica dalla pirogallina.
Avendo per le ricerche precedenti potuto raccogliere un nu-
mero notevole di argomenti per ammettere, che il colorito speciale
dell’ estratto dei S. Andrea è fatto da pirogallina, pure mancando
una reazione evidente ne abbiamo tentato altre, facendo il paragone
tra la pirogallina, l estratto dei S. Andrea e la vesuvina : questa
ultima avremmo potuto mettere da parte, ma avendola pronta, non
si è voluto trascurarla per sempre più confermare la sua differenza
dalla pirogallina e dalla sostanza colorante dell’estratto dei S. Andrea.
Azione degli acidi prima e poi degli alcali.
Fatta quindi una serie di ricerche comparative delle 3 sostanze
suddette con gli acidi e con gli alcali, abbiamo ottenuto i risultati
seguenti:
1.° Vesuvina—Poche gocce di acido solforico, o di acido ace-
tico non alterano la soluzione concentrata di vesuvina, meno il
ATTI Acc., Vor. VIII, SerIE 4° — Memoria IV. 20
154 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
lievissimo, quasi inapprezzabile indebolimento del colore, fatto dal
volume di liquido incolore (l’acido ) aggiunto : la soluzione resta
trasparente anche dopo varie ore. L’acido nitrico invece decolora,
ma poco ed in primo tempo non si può apprezzare alcuno preci-
pitato. Dopo 24 ore rivedendo queste provette non si osserva alcun
cambiamento in quelle trattate cogli acidi solforico ed acetico; mentre
in quella trattata con l’ acido nitrico si trova un lieve, ma ben
apprezzabile deposito fioccoso, color rosso-bruno: ed allora aggiun-
gendo ammoniaca quel precipitato non sì scioglie, invece cresce, e
la soluzione di vesuvina si decolora fortemente, diventando di un
rosso-sbiadito, come giallo - arancio. Dopo il 3° e 4° giorno si può
esattamente confermare la mancanza di decolorazione e di precipi-
tato cogli acidi solforico ed acetico, e la lieve decolorazione col
precipitato nella soluzione trattata con l' acido nitrico.
Se poi la vesuvina si tratta con una soluzione concentrata di
potassa caustica 1:3, il suo colore non si altera, nè dà precipi-
tato in primo tempo: dopo 24 ore ed anche nei giorni seguenti il
colore della vesuvina non è alterato quasi, ma vi è un lieve de-
posito bruno, finamente granoso.
2°. Pirogallina artificiale ed estratti di animali avvelenati con
acido pirogallico Tanto nella soluzione di pirogallina artificiale, che
negli estratti degli animali da noi avvelenati, gli acidi solforico, ni-
trico e cloridrico danno un’ evidente decolorazione ma non forte,
fin dai primi minuti: l acido acetico decolora molto meno, l’acido
picrico meno ancora, da essere quasi inapprezzabile lo scoloramento:
in primo tempo non si apprezza alcun intorbidamento o precipitato.
Nel giorno seguente e successivi si conferma la decolorazione ca-
gionata dagli acidi minerali, la quale si mostra più accentuata spe-
cialmente nella soluzione trattata coll’ acido nitrico , tanto che il
colorito speciale di quelle soluzioni è diventato di un giallo rossigno
come oro impuro, e vi si trova un poco di precipitato a piccoli
fiocchi di color giallo-rosso-bruno, come il colore primitivo della
pirogallina. Si conferma anche la poca decolorazione operata dallo
acido acetico e la minima dall’ acido picrico, con tracce di preci-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 155
pitato soltanto nel primo. Aggiungendo a questi liquidi, così alte-
rati dagli acidi, ) ammoniaca ed agitando il precipitato si scioglie
completamente ed il liquido riacquista il colore primitivo giallo-ros-
so-bruno della pirogallina.
La soluzione di potassa caustica 1:3, non solo non altera il
colore della soluzione di pirogallina e degli estratti, ma non dà
ombra di precipitato, anche dopo parecchi giorni.
3. Estratto dei S. Andrea — Cimentato con tutte le precedenti
reazioni si comporta precisamente come la soluzione di pirogallina
artificiale e gli estratti degli animali avvelenati con acido pirogalli-
co : e notiamo di aver ripetutamente fatto queste prove per assi-
curarci sempre più di risultati così interessanti, specialmente per
l’obbietto della perizia.
Il risultato da noi ottenuto, della decolorazione fatta dagli aci-
di specialmente minerali, ed a preferenza dal nitrico, col precipi-
tato speciale che poi si ridiscioglie con gli alcali facendo ritornare
in gran parte il primitivo colore giallo-rosso-bruno (con quel di
meno che sta sul conto del volume aggiunto dei reagenti) della
pirogallina; mentre se vi sono coloriti simili di estratti, in cui però
manca la pirogallina, il colorito viene da pigmenti biliari, ed allora
l’ammoniaca scioglie, ma dà il colorito verde, ecc. questo fatto ci
sembra di molta importanza e bisogna perciò farne studii sistema-
tici, potendo ciò essere la chiave per definite anche con caratteri
diretti e sicuri, che la sostanza colorante dell’ estratto dei S. An-
drea è pirogallina. Quella decolorazione speciale col precipitato bru-
nastro dice certamente un’ alterazione profonda della pirogallina:
lo sciogliersi poi del precipitato ed il ritorno del colore cogli al-
cali, dicono che si ricostituisce la pirogallina: quindi faremo il ten-
tativo di avere chiara e netta, ripristinandola, la reazione pirogal-
lica ; e studieremo ciò prima nella pirogallina preparata artificial-
mente, poi negli estratti dei cani avvelenati con acido pirogallico ,
e finalmente cimenteremo l’ estratto dei S. Andrea per vedere se
si ottiene lo stesso risultato di ripristinamento della reazione ca-
ratteristica pirogallica. Insomma, mentre noi abbiamo ottenuto molto
156 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
col ripristinare il colore a tutta la massa del liquido, dovremmo
ottenere anche quello strato caratteristico giallo-bruno nella sola
ammoniaca, almeno nelle prime ore, così come in modo caratteri-
stico sì ha quando vi è acido pirogallico.
Nello studiare il modo come agiscono gli acidi, notiamo : 1°
Che bisogna adoperare gli acidi in sostanza: 2° che bisogna im-
piegarne una quantità notevole, e per avere un effetto pronto, tanto
quanta è la soluzione di pirogallina, o di estratti : 3° che il solo
acido il quale decolora in modo sicuro è il nitrico, ed il liquido
da giallo rosso-bruno diventa giallo-chiaro un poco rossigno; mentre
l'acido solforico anche aggiunto a parti eguali decolora poco: 4°
dopo 24 ore si ha un poco di decolorazione anche con gli altri
acidi, ma sempre è molto forte quella operata dal nitrico : 5° dopo
24 ore con tutti gli acidi vi è leggiero sedimento giallo-rosso-bruno,
che si apprezza a colpo d’ occhio nella soluzione trattata con acido
nitrico, perchè il precipitato è maggiore ed il liquido molto deco-
lorato : 6° nella decolorazione rapida operata dall’ acido nitrico nelle
prime ore non si apprezza sedimento, nè intorbidamento : invece ,
come si è detto, questo fatto è chiaro, soltanto nel giorno seguente.
Per quattro giorni successivi abbiamo trattato varie soluzioni
di pirogallina artificiale, e poi singolarmente tutti gli estratti dei
cani avvelenati, ed infine i varii estratti dei S. Andrea con l'acido
nitrico : abbiamo inoltre trattato varii altri estratti, sospetti pel
colore, ma in cui non entra l’ avvelenamento pirogallico. Le provette
sì sono immobilizzate nella rastrelliera, ed il giorno seguente in
tutte vi è la decolorazione in giallo-chiaro-rossigno col precipitato
suddescritto. Riserbando in ultimo l ulteriore studio sulle provette
col contenuto dell’ estratto dei S. Andrea, a tutte le altre fisse al
loro posto abbiamo aggiunto parecchie gocce di ammoniaca, facen-
dole cadere strisciando sulla parete, in modo che l’ammoniaca gal-
leggia, facendone uno strato di mezzo centimetro sino ad uno. Le
provette si possono prendere e smuoverne il liquido, quindi anche
il precipitato, prima di mettere l’ ammoniaca : anzi smuovendo il
precipitato la reazione caratteristica, che diremo, appare più intensa
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico Lol
e più rapidamente. Ma, sia mentre si fa cadere strisciando 1 am-
moniaca, sia dopo, il tubo da saggio bisogna che sia immobile ,
diversamente l ammoniaca si mescola col liquido ritornandogli un
poco il colore primitivo, o se non altro si colora subito diffusa-
mente in gialletto e non si ha quello strato caratteristico giallo-
rosso-bruno intenso, che comincia nello strato inferiore dell’ am-
moniaca galleggiante, e poi in poche ore invade circa la metà della
ammoniaca stessa con un colore bruno sempre più forte, tanto
caratteristico della reazione pirogallica.
Dopo questo trattamento, in tutte quelle provette con conte-
nuto senza avvelenamento pirogallico, ammoniaca poco per volta
sì tinge in verde più o meno chiaro sino al verde scuro, dimo-
strando con ciò trattarsi di pigmenti biliari, a preferenza di bili-
verdina. Tutte le altre invece, in cui vi è pirogallina, o estratti di
avvelenati con acido pirogallico mostrano immediatamente la rea-
zione pirogallica ricostituita, la quale comincia come uno stratarel-
lo finissimo nello strato inferiore dell’ ammoniaca limitante con la
soluzione da saggio, e poi poco per volta si rafforza e cresce in
sopra nell’ ammoniaca stessa, mentre la soluzione sottostante de-
colorata resta tale, se però la provetta rimane immobile.
Viene ora il momento solenne per lo scopo della nostra pe-
rizia, cioè di trattare con V ammoniaca gli estratti dei S. Andrea,
già decolorati dall’ acido nitrico e col caratteristico precipitato: che
se non si ricostituisce la reazione pirogallica, cade in gran parte
tutto il lavoro da noi fatto, o almeno sorgono dei gravi dubbii,
perchè il comportarsi con l acido nitrico è stato identico, e quin-
di se realmente si tratta di pirogallina, dobbiamo avere il ripristi-
namento della reazione caratteristica, come con le esperienze pre-
cedenti. Fortunatamente al primo arrivare dell’ ammoniaca sugli
estratti decolorati dei S. Andrea appare lo stratarello caratteristico,
precisamente come con le soluzioni precedenti, e quasi per com-
pensare la nostra aspettativa e sodisfare la Giustizia, il colore della
reazione è più intenso che in tutti gli altri tubi. Possiamo quindi
con sicurezza dire, che nell’ estratto dei S. Andrea il colore speciale
158 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
è fatto da pirogullina, e quindi il veleno che essi. hanno ingerito è
stato l’ acido pirogallico.
E con ciò sarebbe terminato il nostro compito rimpetto alla
Giustizia. Se non che, dopo tanto lavoro fatto, vogliamo comple-
tare queste nostre ricerche per illustrare meglio la quistione at-
tuale e casì simili, specialmente sotto il rapporto medico-legale.
Facciamo quindi prima rilevare, che dopo 24 ore dalla rea-
zione pirogallica ottenuta dall’ ammoniaca, il colorito caratteristico
resta ancora bellissimo, soltanto appena diminuito, essendosi anche
la parte superiore dell’ammoniaca colorata, ma meno intensamente
della sua metà inferiore : il liquido da saggio poi resta decolorato
come era, e nel fondo vi è sempre quel precipitato. Se allora si
agita la miscela tutto il liquido diventa eguale e resta quasi deco-
lorato come prima ; e ciò per 1 acido eccedente che venendo in
contatto con l’ammoniaca neutralizza l’azione di reintegramento della
reazione pirogallica. Se però queste provette si immobilizzano una
altra volta e si fa cadere nuova ammoniaca, immediatamente ri-
torna la reazione speciale pirogallica. Dopo 4 giorni abbiamo ri-
petuto lo stesso coll’ identico risultato. i
Abbiamo infine voluto vedere, se, decolorando rapidamente,
sia la pirogallina che gli estratti dei S. Andrea e dei cani avvele-
nati con parti eguali di acido nitrico, quando non si ha che la
sola decolorazione senza precipitato visibile, avviene la ricomparsa
della reazione pirogallica anche senza il precipitato. E si è voluto
fare questo tentativo, perchè nel caso di risultato positivo, non si
sarebbe più obbligati di aspettare 24 ore per venire alla conclu-
sione coll’ ammoniaca. Fatta quindi la decolorazione con 1’ acido
nitrico, abbiamo posato le provette nella loro casella e subito vi
abbiamo fatto arrivare 1’ ammoniaca : nei primi minuti la reazione
non sì può apprezzare con evidenza come negli sperimenti sud-
descritti: ma poi poco per volta la reintegrazione della reazione
pirogallica è perfetta e forte, in modo che dopo un quarto d’ ora
si può stabilire con certezza la presenza dell’ acido pirogallico, cioè
dei suoi derivati, nel liquido in esame.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 159
Dopo il risultato positivo ottenuto con l’ azione degli acidi ,
ed in particolar modo del nitrico, su quelle sostanze coloranti in
cui vi è pirogallina, sorge il quesito: che trasformazione hanno
operato gli acidi ? Non si può dire, che il precipitato da loro in-
dotto dopo la decolorazione sia pirogallina pura, perchè questa è
sempre solubile, anche sotto 1’ azione degli acidi in primo tempo :
quindi, o deve essere intervenuto uno sdoppiamento, una specie
di azione disossidante dell’ acido per cui la pirogallina da una par-
te ritorna ad essere acido pirogallico, da cui la reazione speciale
ricostituita dall’ ammoniaca, e dall’ altra fa precipitare una sostan-
za speciale giallo-bruna : ovvero è soltanto quel precipitato che si
produce senza ricostituzione dell’ acido pirogallico.
Per risolvere la quistiene non abbiamo potuto far calcolo del-
l’ acidità del liquido, già neutro come è la soluzione di pura piro-
gallina, perchè il liquido diventa acido per l’ aggiunta del reagente.
Allora abbiamo ricorso al nitrato di argento, che, come si è dimo-
strato, scovre l’ acido pirogallico anche nella quantità minore di
SRG Prima però abbiamo voluto confermare, che | acido piro-
gallico trasformato completamente in pirogallina non dà il precipi-
tato col nitrato di argento: dopo varie prove il risultato è stato
sempre negativo; e neanche l’ ammoniaca aggiunta dopo, nel so-
spetto che si fosse formato un poco di pirogallato di argento, ha
dato alcuna reazione : quindi si può essere sicuri, che quando di
acido pirogallico non vi è più, manca quella combinazione col ni-
trato di argento. Ma una volta sdoppiata o in qualsiasi altro mo-
do alterata la pirogallina dagli acidi; stante il fatto, che aggiungen-
do l’ammoniaca si ha costantemente la reazione caratteristica del-
l'acido pirogallico, abbiamo dovuto ricercare, se anche il nitrato
di argento che vi ha una reazione così squisita, la dà dopo l’azio-
ne dell’ acido, come lo fà l’ ammoniaca. Ripetuta diverse volte l’ o-
perazione il risultato è stato sempre negativo pel nitrato di argento,
il quale non vi ha più alcuna azione; ed anche aggiungendo dopo
l’ammoniaca non si ha quella reazione caratteristica come di fumo
nerastro, ma soltanto quella gialletta e poi giallo-bruna : quest’ ul-
160 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
tima reazione si avvera perciò anche dopo aver aggiunto nitrato
di argento, che non ha dato alcun cambiamento della soluzione. In
modo che possiamo conchiudere, che / azione degli acidi sulla pi-
rogallina non è di ricostituzione dell’ acido pirogallico.
Per sempre più mettere nei giusti termini la quistione, se l’ a-
zione degli acidi sulla pirogallina sia disossidante, in modo da far
riapparire 1 acido pirogallico, ciò che potrebbe ammettersi con
l’ammoniaca, ma che pare dimostrato falso dalla reazione negati-
va del nitrato di argento : ovvero sia di combinazione speciale con
la stessa pirogallina perchè la prima reazione avviene in sopra al
liquido decolorato ma limpido, anche quando il lieve deposito gial-
lo-rossastro non è smosso: infine, che si tratti di un’ alterazione
e trasformazione speciale della pirogallina con produzione di una
sostanza più bruna, che precipita: abbiamo voluto ripetere le pro-
ve con gli altri reagenti principali dell’acido pirogallico, cioè i sali
a base di protossido di ferro, servendoci del solfato di ferro all’una
per 100; quelli a base di perossido scegliendo il percloruro di
ferro, adoperandolo molto diluito perchè concetrata la reazione è
molto intensa e non più caratteristica ; ed infine il latte di calce.
Ricordiamo un’ altra volta, che i sali a base di protossido, danno
nella soluzione di acido pirogallico un colorito bleu, quelli a base
di perossido un colorito rosso carico intenso che tende al vio-
letto bruno, ed il latte di calce un colorito porpora, che poi
diventa bruno. Ed al proposito nel ripetere queste reazioni in una
soluzione all’ uno per mille di acido pirogallico, da una parte ab-
biamo confermato le reazioni sudette conosciute, dall’ altra messo
in rilievo altri fatti, che esporremo brevemente.
Mettendo poche gocce della soluzione di solfato 1 °/ nella
soluzione di acido pirogallico 1 °/oo si ha immediatamente un lieve
colorito bluastro, che in pochi minuti si accentua dippiù; ed è al-
lora di un bluastro non carico, decisamente tendente al violetto,
come si vede chiaramente a trasparenza. Dopo 24 ore alla luce il
colore diventa notevolmente bruno, in modo che a trasparenza si
ha un colore bleu-nerastro sbiadito molto evidente con un lieve
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 161
deposito bleu-nero nel fondo, ed appena tracce di quel precipitato
alla superficie del liquido ove galleggia.
Coi sali a base di perossido non vi è altro fatto, oltre la rea-
zione conosciuta.
Col latte di calce, se si fa cadere Vl acqua di calce limpida 0
quasi, vuol dire, se non si agita la calce depositata in fondo alla
boccia e qualche goccia si fa cadere strisciando, si ha subito la
reazione caratteristica giallo-rosso-bruna alla superficie, come con
l’ammoniaca, e come in un modo più intenso si ha con la solu-
zione di potassa caustica 1 :3; con la quale la reazione caratteristica
è più forte e più rapida dell’ ammoniaca, perchè aggiungendo una
o due gocce nella soluzione di 1/0 di acido pirogallico si ha in
pochi minuti la colorazione diffusa a tutto il liquido, e che poi in
meno di un’ ora diventa intensa, così come si ha soltanto dopo
varie ore con la ammoniaca : anzi si trova così forte solo nel gior-
no seguente. E ritornando alla calce, se invece si agita in modo
da avere il così detto latte di calce, una o due gocce che si fanno
cadere in quella soluzione pirogallica danno il bel colorito porpora,
ma vi è notevole intorbidamento, in modo che si tratta di un pre-
cipitato porpora caratteristico, che immediatamente si estende a tut-
ta la massa del liquido. Non passa però un minuto e quel preci-
pitato così bello cambia colore, diventando giallo-sporco slavato,
mentre alla superficie si raccoglie un precipitato giallo-bruno nera-
stro che tapezza il tubo, se si smuove il liquido, come di tanti pez-
zetti di pellicole giallo-brune nerastre : la parte sottostante del li-
quido, in basso resta di quel colore giallo-slavato con fino precipi-
tato nerastro in sospensione, mentre nella parte superiore il liqui-
do appare giallo-terreo bruno molto torbido per analogo precipita-
to, che qui, vuol dire, è in maggiore quantità che in basso. Poco
per volta si fa deposito nel fondo e nel giorno seguente, dopo 20
ore, si trova tutto il liquido di un colorito grigio-nero eguale, tut-
to torbido a luce riflessa dal muro bianco; e giallo-bruno nerastro
torbido a luce rifratta, e sempre con la superficie con molte di
quelle pagliette o pellicole giallo-brune nerastre.
ArtTI Acc., Vor. VIII, Serie 4° — Memoria IV. 21
162 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Con reazioni così squisite da noi ottenute abbiamo cimentato
la soluzione di pirogallina, già trattata e decolorata dagli acidi mi-
nerali : la reazione è stata completamente negativa sia col solfato
di ferro, sia col latte di calce ; in modo che pare fuori dubbio, che
lazione dell’ acido nitrico sulla pirogallina non disossida e fa ri-
comparire l’ acido pirogallico, e 1’ ammoniaca aggiunta soltanto ri-
discioglie, o meglio ricostituisce e libera la pirogallina.
Lo stesso risultato negativo con i suddetti reagenti si ha trat-
tando precedentemente la soluzione di acido pirogallico 1 %o0 con
qualche goccia di acido solforico. Però dopo | azione negativa die-
tro l’ aggiunta del solfato di ferro, se vi sì aggiunge ammoniaca sì ha
un colorito violetto-bruno molto forte alla superficie, che scompare
agitando il liquido, il quale diventa leggermente giallo : aggiunte
altre goccie di ammoniaca a strisciare ritorna la stessa reazione
che anche scompare agitando ; e sì deve aggiungere la 3* volta
l’ammoniaca in eccesso, un terzo circa della soluzione di acido pi-
rogallico, per avere un colore violetto-bruno molto forte, che si
diffonde a tutto il liquido e non scompare più, restando definitivo
anche dopo aver agitato. Questa reazione speciale, vuol dire, è fatta
quando l’ammoniaca satura l'acido solforico dello strato superficiale,
e scompare agitando pel risalire dell’acido dal resto del liquido: che
quando tutto l’ acido minerale è saturato dall’ ammoniaca, il cambia-
mento di colore con precipitato resta definitivo : è chiaro poi, che
questa reazione, dovuta all’acido pirogallico, era impedita dall’ acido
minerale libero, Però questa reazione invece di essere quella dei sali
di protossido è invece come quella dei sali di perossido di ferro ;
vuol dire quindi, che in questa miscela si trasforma il solfato di
ferro per l’ acido minerale in sale di perossido ; ed aggiungendo
Vl ammoniaca, questa satura 1’ acido aggiunto (perchè Vl acido piro-
gallico non si combina con gli alcali), e 1’ acido pirogallico dà al-
lora la reazione caratteristica violetto-bruna dei sali di perossido
di ferro.
Se dopo aver aggiunto l’ acido minerale, invece del solfato di
ferro si tratta col latte di calce si ha una lieve apparenza di co-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 163
lor porpora, ma aggiungendo ammoniaca si ha in alto il colore
speciale giallo-bruno quando si arriva a saturare Vl acido: e quella
reazione di precipitato porpora dice soltanto che vi è una parte di
acido pirogallico a cui non è stato impedito di reagire, come quan-
do è solo. E poi questa lieve reazione porpora non ha molta im-
portanza : 1° perchè non è netta, caratteristica : 2° si mescola col
giallo-bruno prevalente dell’ ammoniaca : 3° cambiando presto non
ha valore come una reazione spiccata, durevole.
Dopo ciò, anche per controllare il già detto, abbiamo aggiunto
alla soluzione di pirogallina già trattata con l’ acido solforico quelle
due sostanze, il solfato di ferro ed il latte di calce ; e, come ave-
vamo già ottenuto, la reazione manca. Ora, se vi è acido pirogal-
liceo dobbiamo avere, almeno dopo il trattamento col solfato di fer-
ro e poi con l ammoniaca, la reazione caratteristica di violetto in-
tenso, mentre ciò non si dovrebbe avere se trattasi di sola piro-
gallina senza acido pirogallico libero. Trattata la pirogallina ottenuta
artificialmente, di colore intenso giallo-rosso-bruno , perfettamente
neutra, con l’ acido nitrico fumante si decolora un poco: aggiun-
gendo dopo la soluzione di nitrato di argento non vi è alcun cam-
biamento, il liquido resta lo stesso; ed infine aggiungendo ammo-
niaca non cambia affatto; e quindi non solo manca quella reazione
come di fumo violetto-nerastro, come si ha coll’ acido pirogallico
trattato allo stesso modo, ma non si ha alcun cambiamento, e ciò
sì conferma anche dopo 24 ore alla luce. In altra provetta mettia-
mo un’ altra parte della stessa soluzione di pirogallina, decoloriamo
con acido nitrico e poi aggiungiamo solfato di ferro: non si ha
alcuna reazione : se dopo si aggiunge ammoniaca non si ha traccia
della reazione violetto-bruna, come invece si ha con l'acido piro-
gallico, ma prima un colorito verdastro-giallo-chiaro, che subito di-
venta torbido e dà abbondante precipitato bruno, di colore non ben
determinabile e che si raccoglie in fondo. Se al precedente proces-
so si sostituisce al nitrico l acido solforico, si ha lo stesso colore
verdastro ma più spiccato, ed il precipitato è molto minore. Il de-
posito di questi precipitati al fondo deila provetta dopo 24 ore si
164 Ricerche sperimentali sull’ avrvelenamento da acido pirogallico
differenzia in 2 strati, l' inferiore quasi nero, proprio nel fondo, che
è ossido nero di ferro; ed il superiore di circa un millimetro di
spessezza, demarcato perfettamente dal nero sottostante, è di un
color giallo-rosso, polveroso, da assomigliare molto al tabacco lec-
cese da naso, ed è ossido rosso di ferro : di questo si vede an-
che un poco alla superficie del liquido. Coi 2 acidi il precipitato
e deposito nel fondo della provetta è sempre lo stesso: ma con
l'acido nitrico è più abbondante che col solforico : si può dire 4
a 5 volte maggiore, adoperando press’ a poco la stessa quantità di
reagenti. Dopo uno o due giorni ed anche nei successivi il depo-
sito polveroso resta quasi tutto rosso, appena un poco nerastro nel
fondo, quando si è trattato con l acido solforico : vi è invece un
notevole deposito grigio-nero quando si è trattato col nitrico.
Vogliamo ora sperimentare come si comporta la soluzione con-
centrata, 1:3, di potassa caustica. La quale, come si sà agisce co-
me l'ammoniaca, anzi meglio, più presto, e con minore difficoltà
si potrà dosare per rendere neutra la miscela resa acida. Se si
tratta la pirogallina ottenuta con la potassa, con qualche goccia di
acido solforico, o nitrico, immediatamente si ha la decolorazione,
dappoichè il liquido giallo-bruno diventa giallo-chiaro di oro senza
alcun precipitato. Basta allora aggiungere qualche goccia della so-
luzione di potassa strisciando, per avere la reazione bella, caratte-
ristica alla superficie di giallo-rosso-bruno, meglio che con l’ammo-
niaca, con la sola differenza che nella provetta in cui si è messo
acido solforico succede effervescenza : sempre però la reazione in
tutte e due le provette è la stessa, sensibilissima. Che se invece
dell’alcali si aggiunge solfato di ferro non si ha alcuna reazione ;
ma dopo saggiando con l’ ammoniaca si ha un bel colorito giallo-
verde-bruno , torbido, che in poco tempo dà un lieve precipitato
fioccoso verde-bruno: questo precipitato si ridiscioglie con una goccia
di acido, ed allora il liquido riacquista il primitivo colorito giallo-
pallido ed è perfettamente trasparente.
Invece abbiamo potuto stabilire, o meglio confermare i risul-
tati da noi ottenuti, che praticando sempre allo stesso modo, ma
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 165
solo sostituendo l’ammoniaca alla potassa, anche la prima volta per
trasformare l'acido pirogallico in pirogallina, si ha poi con l’ ammo-
niaca aggiunta anche in ultimo il caratteristico colorito violetto mol-
to bruno: e bisogna aggiungere, che nelle soluzioni delle provette,
studiate il giorno precedente, il colore si mantiene, ma vi è pre-
cipitato evidente anche alla superficie in forma di pagliette, viola-
cee, brune. E per conferma, ripetendo la stessa operazione, ma in
modo da impiegare sì prima, che dopo la potassa, la reazione col
solfato di ferro si ha sempre col colorito giallo-verdastro un po’
bruno, già notato-«in sopra, e che poi apparisce un po rossastro,
massime a trasparenza, ed il liquido si decolora e in parte diventa
di un giallo-chiaro-sporco. Questa reazione sia con V ammoniaca,
sia con la potassa comincia quando tutto l’acido è saturato dall’al-
cali che si aggiunge : infatti fin tanto che la carta di tornasole si
arrossisce la reazione non avviene; quando la reazione comincia il
liquido è neutro, perchè non ritorna neanco il colore azzurro alla
carta arrossita dall’acido.
Se infine la soluzione di potassa, 1:3, si fa agire non sulla
pirogallina ma sulla soluzione di 1 °/oo di acido pirogallico, alcune
gocce in pochi minuti danno il colore intenso della pirogallina, co-
me avevamo già ottenuto. Se dopo vi si aggiunge una goccia di
acido nitrico si decolora immediatamente in giallo-chiaro senza al-
cun precipitato: se poi si fa strisciare qualche goccia di ammoniaca si
ha di nuovo la reazione di colorito della pirogallina alla superticie
in un modo molto più intenso, che se la pirogallina fosse stata ri-
cavata dalla soluzione pirogallica mediante l’ammoniaca. Se invece
dell'ultima addizione di ammoniaca si aggiunge soluzione di potas-
sa, non si ha la bella reazione, cioè, non si ha la ricostituzione
del colore giallo-rosso-bruno della pirogallina.
Dopo i risultati ottenuti, abbiamo creduto giusto di confermarli
anche sull’ estratto dei S. Andrea. Abbiamo perciò trattato questo
ancora una volta col nitrato di argento, dopo l’aggiunta in una pro-
vetta dell’acido solforico, in un’altra del nitrico: non si ha alcuna
reazione dal nitrato di argento, e niente ancora aggiungendo am-
166 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
moniaca. Invece di nitrato di argento, aggiungendo la soluzione di
solfato di ferro, dopo dei 2 acidi, nessuna reazione: ma se poi si
aggiunge l’ammoniaca si ha la precisa reazione, come con la piro-
gallina preparata artificialmente , cioè un inverdimento giallastro
torbido, molto marcato nell’estratto trattato coll’acido nitrico, tenue
con quello trattato con lacido solforico, precisamente come con la
piro gallina: il precipitato è brunastro, ed il giorno seguente si ha
identicamente un precipitato polveroso in fondo nerastro, ossido ne-
ro di ferro, con sopra quello giallo-rossastro, ossido rosso. In mo-
do che anche con questa reazioni si identifica la sostanza colorata
dell'estratto dei S. Andrea con quella della pirogallina e quindi
possiamo con maggiore ragione conchiudere, che anche / estratto
dei S. Andrea ha come sostanza essenziale la pirogallina.
Da queste ricerche si può conchiudere, che / azione degli aci-
di non ricostituisce dalla pirogallina V acido pirogallico. Dall’ altra
parte quella sostanza bruna precipitata non essendo più solubile
nell'acqua, come per contrario lo è la pirogallina; mentre è solu-
bile negli alcali facendo riapparire il colorito caratteristico della pi-
rogallina, siccome queste sono le qualità speciali e caratteristiche
dell'acido metagallico, vuol dire che gl acidi minerali, a preferen-
zo il nitrico, precipitano a freddo da una soluzione di pirogallina Va-
cido metagallico. Non solo quindi è il calore elevato, o prolungato che
trasforma Y acido pirogallico in metagallico, ma secondo queste
ricerche anche gli acidi danno l’ acido metagallico dalla pirogallina.
Questi risultati chimici oltre che darebbero un nuovo metodo di pre-
parazione dell’ acido metagallico da un’ altra sorgente, la pirogalli-
na, hanno reso possibile di riconoscere con una reazione positiva
la pirogallina, mediante la sua trasformazione in acido metagallico,
che poi ha qualità fisico-chimiche speciali, ben note: e pare evi-
dente l importanza medico-legale di tutto questo, non solo nel ca-
so presente dei S. Andrea, ma anche in casì simili.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 167
d0
Azione del calore
Dopo gli studii suesposti viene spontanea la domanda: se la pi-
rogallina dà 1 acido metagallico mediante l’ azione degli acidi forti,
può darla anche mediante il calore elevato, così come lo fa 1 aci-
do pirogallico ? Si comprende di leggieri, che nel risultato positivo
oltre l’ interesse scientifico, se ne avvantaggerebbe anche questa
nostra perizia per una nuova conferma positiva dell' avvelenamento
dei S. Andrea per acido pirogallico. Già noi avevamo potuto otte-
nere in un vetrino da orologio /’ estratto secco a freddo dell’ estrat-
to liquido dei S. Andrea, tenendo per circa 2 settimane quel ve-
trino con l’ estratto liquido sotto una campana di cristallo. Que-
sto estratto disseccato si mostra di un colorito giallo-terreo sporco,
di una consistenza cerea molle, con screpolature e superficie rag-
grinzata : sì scioglie perfettamente nell’ acqua, e trattata dopo que-
sta soluzione con gli acidi dà il lieve precipitato e si decolora no-
tevolmente : con l ammoniaca infine fa ricomparire la reazione ca-
ratteristica del colorito della pirogallina. In questo caso non si trat-
ta di altro, perciò che riguarda prodotti pirogallici, che di pirogal-
lina condensata, più o meno asciutta.
Vien ora l altro quesito, se anche un’ alta temperatura ha il
potere di trasformare la piroyallina in acido metagallico. Per risol
vere la questione abbiamo messo dell’ estratto liquido al 20° dei
S. Andrea in una capsula di porcellana nella stufa a secco, ed
elevando gradatamente la temperatura sino a 200° c. e mantenen-
dola così per circa 10 minuti, abbiamo ottenuto una sostanza sec-
ca, nera, lucida alla superficie, fortemente attaccata alla capsula : è
appunto l’ acido metagallico 0 galloulmico. Difatti raschiando e met-
tendo i pezzettini di raschiatura nell’ acqua distillata, questa so-
stanza è insolubile o quasi, restando la raschiatura pressochè im-
mutata e l’acqua incolore : solo dopo un certo tempo, facendo
attenzione s’ intravede nell’ acqua un’ ombra di tinta gialletta. Questa
sostanza resta poi perfettamente insolubile messa nella glicerina
168 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
pura : l’ identico risultato si ha col cloroformio. Quando invece fac -
ciamo la prova in una goccia di ammoniaca, come pure nella so-
luzione di potassa, quella sostanza si scioglie immediatamente, colo-
rando l alcali in giallo-bruno, tanto caratteristico della pirogallina :
nella goccia di potassa la soluzione è più rapida, ed il colore ap-
pare più presto.
Con questo novello risultato abbiamo potuto mettere un’ altra
conferma positiva per l avvelenamento da acido pirogallico dei fratelli
S. Andrea, e nel contempo fornire un mezzo prezioso di indagi-
ne in casì simili.
Ed abbiamo inoltre creduto utile confermare sempre più que-
sto risultato, trattando allo stesso modo in vetrini da orologio la
soluzione di pirogallina artificiale ed una serie di estratti ottenuti
dagli animali avvelenati con acido pirogallico: il risultato è stato
identico, cioè la trasformazione della pirogallina in acido metagal-
lico mediante l’ alta temperatura: tutto ciò comprovato coi caratteri
speciali dell’ acido metagallico.
Conservammo tutti questi preparati, gli estratti liquidi, ecc. a
disposizione della Giustizia; e sono tuttora in nostro possesso.
Come abbiamo già esposto nelle precedenti ricerche il fatto
che ci ha dato molto a lavorare e che nel principio attenuava un
poco il positivismo di questi studii e delle conclusioni, è stato l’aver
ottenuto alcuni estratti al 20° dell’ alcool in cui avevamo messo il
fegato tagliuzzato di un cane con peritonite acuta, e poi anche di
uomini, a preferenza quelli morti per peritonite rapida. Questi estrat-
ti, come dicemmo, senza avere il colorito caratteristico di quello
dei S. Andrea e degli animali avvelenati allo stesso modo, hanno
un colorito verde-giallastro più o meno bruno, in modo che se
non si è abituati ed attenti, specialmente a distanza fanno poco
distacco dal contenuto di provette simili con pirogallina. Ed anche
per togliere il dubbio abbiamo saggiato col cloroformio, e mentre
sì è potuto confermare, che quando vi è pirogallina il cloroformio
non scioglie affatto il colore, succede per lo più il contrario con
questi altri estratti, colorandosi ordinariamente il cloroformio nel
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 169
modo speciale dei pigmenti biliari originarii, bilirubina, cioè in gial-
lo o in giallo-rossigno. Ma siccome in alcuni casi, e sono quelli
degli estratti più coloriti in bruno e quindi più facili ad ingannare,
il cloroformio non scioglie nulla, allora resta il dubbio, il quale si
allontana con le reazioni già notate precedentemente , e con altre
che abbiamo tentato e che esporremo succintamente.
Ed abbiamo prima fatto il dissecamento con | alta temperatu-
ra nella stufa a secco con gli altri estratti simili, ma in cui non
vi è pirogallina. Esposti parecchi di questi estratti alla temperatura
di 200° c. in vetri da orologio si ha una materia secca, brunastra,
simile a quella che si ha con la pirogallina, però non si arriva mai
a quel colorito addirittura nero, ma solo ad un giallo molto bruno.
Allora abbiamo saggiato dei pezzettini di tutti questi estratti es-
siccati e col cloroformio non si sciolgono, con l ammoniaca invece
si sciolgono: in modo che con queste 2 reazioni di solubilità so-
migliano all’ acido metagallico. Allora abbiamo sperimentato con
l’acqua, e con ripetuti saggi sempre si è ottenuto con nostro vivo
compiacimento una soluzione rapida e completa di quella massa :
vuol dire che non si tratta di acido metagallico, e questo mezzo
di ricerca quindi è il migliore e più sicuro di tutti nel caso di dub-
bio. E se è vero, che parecchi estratti, in cui vi è pirogallina, tra-
sformati dall’alta temperatura danno una certa solubilità nell’ acqua
distillata, ci vuole un certo tempo e non è mai forte e completa:
e poi abbiamo potuto notare, che si avvera in quei casi di estratti
ricavati dal fegato di animali nell’ alto dell’ avvelenamento, quando
sono fortemente itterici e quindi vuol dire, che negli estratti, oltre
la pirogallina, vi è una quantità notevole di pigmenti biliari che
sono quelli, i quali anche seccati dal calore, si sciolgono nell’acqua.
A comprovare tutto questo è venuto un altro fatto, che ci ha
sorpresi : cioè, avendo preparato e poi conservato nelle identiche
condizioni varii vetrini con la sostanza essiccata a 200° degli
estratti con pirogallina e senza, quelli con pirogallina restano sec-
chi definitivamente ed in modo assoluto quando non vi sono mi-
schiati pigmenti biliari : invece costantemente gli altri in cui non vi
Arm Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria IV. 22
170 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
è pirogallina o meglio acido metagallico, ma soltanto pigmenti bi-
liari come sostanza colorante, dopo qualche giorno si trovano ram-
molliti, attaccaticci, tingono le dita se si toccano : sono quindi sol-
tanto questi, e non quelli in cui vi è acido metagallico, molto igro-
scopici, avidi di acqua; e ciò va perfettamente con la grande solubi-
lità nell’acqua da noi precedentemente dimostrata.
P.
Trattamento degli estratti col metodo di Gmelin.
Per completare le ricerche ho voluto cimentare tutti gli estrat-
ti simili a quelli con pirogallina, e poi anche quello dei S. Andrea
e qualcuno degli animali avvelenati con la classica reazione di
Gmelin, cioè con |’ acido nitrico-nitroso messo prima nella provetta
e poi facendo arrivare al di sopra dell’ acido con le norme conosciu-
te, principalmente con la provetta immobile e facendo strisciare la
soluzione da saggiarsi : è la reazione generalmente nota dell’ iride-
scenza, di cui si fa uso principalmente per confermare la presenza
dei pigmenti biliari nell’ urina.
In varii estratti e propriamente in quelli in cui il cloroformio
sì è tinto, la reazione dell’ iridescenza è evidente : negli altri in
cui il cloroformio non ha sciolto nulla vi è un accenno all’ iride-
scenza, ma questa non è chiara : |’ estratto però resta sempre a
galla, almeno nelle prime ore, sull’ acido nitrico sottostante con un
limite divisorio piano, abbastanza netto e che si colora un poco
in giallo-verdognolo. Sperimentando invece con gli estratti in cui
vi è pirogallina, tra cui quello dei S. Andrea, il risultato è perfet-
tamente diverso e tutto caratteristico, perchè quasi immediatamen-
te sull’ acido nitrico dal limite inferiore dell’estratto galleggiante si
dipartono una quantità di propaggini grosse, come i tentacoli di
varii molluschi, che gradatamente invadono la massa sottostante
dell’ acido nitrico in un modo specioso col colorito giallo-rosso-bru-
no caratteristico, un poco più sbiadito di quello dell’ estratto stes-
so: costantemente abbiamo ottenuto ciò in tutti gli sperimenti fatti
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 171
e soltanto cogli estratti che contengono pirogallina, ovvero con la
soluzione di pura pirogallina. Nemmeno 1’ acido pirogallico fa que-
sto: infatti ho potuto stabilire sia con urine cariche di acido piro-
gallico, sia con una soluzione preparata dello stesso acido, che il
fatto manca. Nel fare però queste sperienze si resta impressionati
da reazioni belle, speciali che fa Il acido pirogallico non solo con
l’acido nitrico, ma anche col solforico, col cloridrico, ecc. , spe-
rimentando sempre secondo il metodo di Gmelin. Giò ci menerebbe
a lunga esposizione di questi fatti, e riserbandoci a farlo in seguito,
ci contentiamo per ora di notare, che la soluzione di acido piro-
gallico messo sull’ acido nitrico non dà quelle propaggini, ma resta
col limite divisorio piano, e poi con un iridescenza nel limite delle
più belle, diversa da quella dei pigmenti biliari, con disposizione
contraria dei colori : ciò si ha quando la soluzione pirogallica è
molto attenuata 1: 20000; quando invece è concentrata si ha una
colorazione rosso-arancio forte sino al rosso-granato, e solo nel li-
mite inferiore di questo colore vi è accenno ad iridescenza. Nella
parte 2° riporteremo ciò più minutamente, e tutto quello che suc-
cede con gli altri acidi.
O.
Ricostituzione della sostanza solida della 1? boccetta S. Andrea.
Al termine di queste nostre ricerche, oramai in possesso dei
risultati positivi ottenuti, abbiamo voluto come complemento ten-
tare la ricostituzione della sostanza solida speciale, come mistura
di scarpe, trovata nella 1? boccetta sequestrata nella casa dei S.
Andrea. Ricordiamo che dopo 1’ analisi chimica potemmo stabilire
trattarsi di una miscela di acido pirogallico e nitrato d’ argento.
Prima però abbiamo voluto vedere che cosa succede mischian-
do acido pirogallico ed ammoniaca liquida a parti eguali: si fa
immediatamente una soluzione giallo-bruna molto densa, quasi ne-
ra, la quale nei giorni successivi si essicca e cristallizza con ap-
parenze aghiformi giallo-brune nerastre, disposte in modo raggiato
172 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
ed anche echinato per l eccesso di acido pirogallico non trasfor-
mato in pirogallina ; questo eccesso perchè 1’ ammoniaca viene sot-
tratta dall’ evaporazione : il colore dei cristalli è operato dalla pi-
rogallina, ma i cristalli stessi sono fatti da acido pirogallico e ciò
è confermato dalle reazioni chimiche speciali, oltre che, come ab-
biamo dimostrato, la pura pirogallina non cristallizza.
Abbiamo poi preso parti eguali di acido pirogallico e di ni-
trato di argento cristallizzato, e mischiati ben bene, polverizzando
così finamente anche il nitrato di argento, la massa resta asciutta,
polverulenta anche dopo mesi, ma gradatamente diventa grigio-bru-
na sino ad essere nerastra.
Abbiamo infine messo parti eguali di acido pirogallico, nitrato
di argento ed acqua distillata: tutta la miscela si scioglie perfet-
tamente o quasi, e la massa notevolmente densa diventa subito
nerastra con l’ orlo giallo-bruno, precisamente come quella sostan-
za dei S. Andrea, quando si allunga con una quantità notevole di
acqua. Restata la maggior parte di questa miscela a parti eguali
senza aggiungere altra acqua, nel giorno seguente ha preso una
consistenza pastosa e nei giorni successivi sempre più densa e so-
lida, conservando però una certa umidità, specialmente al contor-
no della base : e qui è di un colorito quasi nero, come la mistu-
ra di scarpe, mentre nella parte più alta è di un grigio-giallo-bru-
no, come asperso di pelurie di cotone, così come appariva la su-
perficie della sostanza contenuta nella 18 boccetta S. Andrea, pri-
ma che fosse stata toccata dalla minima quantità di acqua resi-
duale della boccetta, in cui conservammo una parte affidataci dalla
Giustizia. Quella specie di pelurie tanto caratteristica, che pel suo
colorito biancastro risalta sul fondo grigio-nero, è acido pirogallico
tanto per i caratteri fisici che chimici. Dopo mesi questa massa da
noi conservata all’ oscuro, conservando sempre un poco di quella
apparenza di lanugine, in tutto il resto è pastosa, nera ed in par-
te semiliquida, sì potrebbe dire di apparenza picea; e con ciò di-
mostra la sua solubilità ed avidità per |’ acqua.
In modo che anche con quest’ ultimo tentativo abbiamo potuto
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 173
confermare i risultati della ricerca del veleno nei S. Andrea, fabbri-
cando anche noi quella sostanza trovata in una delle bottigline se-
questrate in casa degli stessi dall’ esimio magistrato Signor Can-
tarella.
INA
Riassunto e Conclusione medico - legale.
I fatti studiati in tutto questo lavoro, ed esposti con. quella
minuziosa obbiettività, così come noi segnavamo ogni giorno come
Diario per quasi un anno, e che così abbiamo creduto di esporre,
specialmente perchè si tratta di perizia medico-legale, ci hanno per-
messo alla fine presentare alla Giustizia il riassunto e conclusione
seguenti :
“ Dopo lo speciale reperto anatomico identico nei 2 cadaveri
dei S. Andrea:
Fondandoci suli’ esclusione di processi infettivi speciali e di
qualsiasi natura per le ricerche batteriologiche fatte :
“ Obbligati di andare alla ricerca di un veleno, che dà itteri-
zia, che si trasforma presto in una sostanza colorante bruna, la
quale è eminentemente solubile nell’ acqua, primo e positivo indi-
rizzo alle nostre ricerche additatoci dal reperto istio-chimico del
fegato dei S. Andrea :
“ Trovando il solo acido pirogallico che risponde a tutti que-
sti quesiti :
“ Avvelenando così conigli e cani ed ottenendo | identico
quadro clinico e reperto anatomico dei S. Andrea :
“ Ottenendo estratti dell’ alcool ordinario in cui si è conser-
vato il fegato degli animali avvelenati perfettamente simile a quello
dell’ alcool dei S. Andrea di color giallo-rosso-bruno, mentre con
qualsiasi altra specie di alcool conservatore di fegati di altri ani-
mali e dello stesso uomo, con itterizia o no, anche con altri av-
velenamenti, se non è stato ingerito acido pirogallico, o pirogallina,
174 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
o pirogallato di argento, non si ha mai 1° estratto di quel colore
caratteristico :
“ Essendo arrivati a sdoppiare o meglio precipitare la pirogal-
lina con gli acidi forti e col forte calore in acido metagallico , e
quindi in possesso di una reazione positiva che scovre 1’ avvelena-
mento da acido pirogallico, quando diventato pirogallina non sa-
rebbe stato più possibile in modo sicuro, diretto :
“ Avendo potuto distinguere con certezza gli estratti con pi-
rogallina da quelli simili per pigmenti biliari trasformati :
“ Avendo confermato tutto nell’ estratto dei S. Andrea, anche
la reazione positiva, trasformando la sostanza colorante dello stesso
in acido metagallico :
Facendo infine calcolo, che nelle boccette sequestrate nella
casa S. Andrea, una conteneva nitrato di argento, e questo certa-
mente si può escludere nel caso presente; mentre in 2 altre boce-
cette vi era essenzialmente acido pirogallico con un poco di sale
di argento, ed apprestatone il poco contenuto ai cani sì è ottenuto
lo stesso quadro clinico ed anatomico dei S. Andrea :
CONCHIUDIAMO
(he i fratelli Speciale di S. Andrea sono morti in seguito ad av-
velenamento da acido pirogallico, molto probabilmente con miscela di
quest acido con nitrato di argento, come il contenuto delle bottiglie se-
questrate : resta però il veleno essenziale sempre l acido pirogallico.
Comunicammo in ultimo alla Giustizia , nell’ interesse di peri-
zie ulteriori, è corollarii principali medico-legali, che si potevano ri-
levare dagli studii suesposti :
1° La reazione pirogallica e dei pigmenti biliari nell’ urina de-
gli avvelenati si trova dopo 20 minuti dall’ ingestione del veleno.
2° Il sangue degli avvelenati, mentre dura l avvelenamento è
rosso-bruno nerastro, con orlo caratteristico giallo-bruno, visibile
principalmente nel siero separato dopo 24 ore. Questa apparenza
del sangue in parte è dovuta all’ emoglobinemia, ma principalmente
Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 175
alla presenza del veleno trasformato in sostanza colorante, la piro-
gallina.
3. L' avvelenamento per acido pirogallico ritarda la putrefa-
zione : e ciò può dipendere dalla potenza microbicida dello stesso
acido pirogallico (da studiarsi); ovvero dalla sottrazione di ossige-
no, trattandosi nella putrefazione a preferenza di microrganismi
aerobi.
4. La reazione pirogallica si conserva forte nella bile della ci-
stifellea, anche quando non vi è più reazione nell’ urina, sino a 2
settimane e più dopo l avvelenamento. Da ciò Vl obbligo di un esa-
me chimico speciale della bile raccolta nella cistifellea quando vi
è sospetto di questo avvelenamento, ed il sospetto è aggravato dalla
forte densità e dal colorito giallo-bruno intenso della bile stessa.
Se noi avessimo fatto questo esame nella bile dei S. Andrea, cer-
tamente avremmo, dopo 8 giorni dall’ avvelenamento , trovato la
reazione caratteristica dell’ acido pirogallico.
5. Si ha l'obbligo di fare Vl’ estratto al 20° dell’ aleool ordina-
rio in cui sì conserva il fegato nei casì di sospetto, per avere lo
estratto del colore caratteristico e capace di tutte le analisi da noi
stabilite, principalmente la ricostituzione della reazione pirogallica
mediante gli acidi ed il calore.
6. L'inutilità di avvelenare animali con Vl estratto che si cava
dal cadavere di uomo avvelenato con acido pirogallico, perchè dallo
stesso non si cava che pirogallina, la quale non avvelena più, anzi
è perfettamente innocua.
7. Il fatto, che la pirogallina sì estrae dal fegato degli avve-
lenati da acido pirogallico anche dopo un mese e più, quando gli
animali sono perfettamente guariti, mette l’ obbligo e l’ interesse di
sezionare gli individui con sospetto di avvelenamento pirogallico ,
anche quando sono guariti e muoiono per altre ragioni.
PARTE II
RICERCHE ULTERIORI
Una volta libero dalle esigenze della Giustizia, ho continuato
per parecchi mesi un’altra serie di ricerche per meglio chiarire
certe quistioni non ancora assodate e complete negli studii prece-
denti e per rispondere a nuovi quesiti che venivano imposti dai
risultati ottenuti.
Tutti questi altri studii ho fatto colla stessa minuziosità dei
giù esposti, segnando collo stesso scrupolo il diario, che se dovessi
esporre come ho fatto nella parte 1% si impiegherebbe un tempo
molto lungo, e che in parte sarebbe sciupato perchè si dovrebbe
per ogni animale in sperimento repetere il quadro sintomatico , la
temperatura, Vl analisi dell’ urina, il reperto necroscopico , 1° esame
istologico , la preparazione degli estratti, ecc : cose tutte che ho
fatto e segnato, ma che ometterò per brevità riportandomi al già
esposto, con cui queste altre osservazioni in massa si assomigliano.
Devo confessare che aveva già cominciato ad ordinare il diario del-
le presenti ricerche per la stampa, ma ho dovuto desistere, tanto
il lavoro veniva esteso.
Farò perciò rilevare soltanto i fatti nuovi non trattati nella
parte precedente, soltanto annunziandoli ed esponendoli poi in suc-
cinto nei corollarit che comprenderanno tutte le ricerche fatte, con
quell’ordine con cui ne esposi lo schema all’ XI Congresso Medico
Internazionale in Roma.
I risultati che mi sono apparsi di interesse maggiore ho po-
tuto dedurre da ricerche sperimentali sistematiche fatte sul sangue
degli animali avvelenati da acido pirogallico, dalle quali poi sono
stato guidato ad ampliare queste ricerche, che spero, illustreranno
il capitolo più importante della fisiopatologia del sangue, cioè la
coagulazione.
1
-1
Vicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 1
Anche di un notevole interesse, specialmente per la Fisica e
per la Chimica, mi sono sembrati gli studii che ho potuto fare sul
pirogallato di argento, principalmente per la speciale formazione di
cristalli e per una serie di reazioni chimiche speciose e caratteri -
stiche. E perciò la specialità e l’importanza di questi due argo-
menti mi obbliga di trattarli a parte in 2 lavori separati.
Per tutto questo lavoro ho dovuto sacrificare un numero no-
tevole di animali, e propriamente 12 conigli e circa 100 cani, di
cui circa la metà per queste ricerche, il resto per gli studii sul
sangue, come esporrò estesamente in quel lavoro.
I.
Fegato - Bile.
In primo luogo, oltre tutti i fatti sintomatici ed anatomici del-
l’avvelenamento pirogallico, ho potuto confermare che dopo 2 set-
timane non vi è più reazione evidente di acido pirogallico nella bile.
Invece vi è pirogallina, e questa si può estrarre dal fegato anche
dopo 30 giorni, dopo 40 ed anche dopo 2 mesi sino a 71 giorni
dopo l avvenuto avvelenamento : non ho sperimentato al di là. A
ciò corrispondono le alterazioni speciali istologiche nel fegato, cioè
la colorazione giallo-bruna dai micro e macrofagociti. Però quanto
più l’ avvelenamento è vecchio tanto meno il colore si scioglie con
l’acqua: la sostanza colorante appare più solidificata, granulare ,
più bruna, e sciogliendosi completamente con gli alcali, risponde ai
caratteri dell'acido metagallico, in cui lentamente si è trasformata
la pirogallina.
Quando per la solubilità della sostanza colorante negli estratti
sì ingenera il dubbio se si tratti di biliumina, ovvero di pirogalli-
na, essendo entrambe solubili nell’ acqua, oltre le reazioni differen-
ziali, ho potuto confermare, che il mezzo definitivo e più sicuro per
risolvere la quistione è il calore a 200°-250°, La biliumina così es-
siccata si scioglie nell’ acqua, mentre se si tratta di pirogallina non
vi è solubilità dell’ acqua, essendo avvenuta la trasformazione in
Arti Acc., Vor. VIII, SerIE 4° — Memoria IV. 23
178 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
I,
acido metagallico : è chiaro poi che la soluzione si fa immediata-
mente negli alcali.
Dagli studii comparativi fatti si può desumere che in generale
la colorazione pirogallinica dei microfagociti prevale nei primi giorni
dell’ avvelenamento : poi diminuisce e scompare ed allora si ha la
colorazione prevalente dei macrofagociti, dell’ endotelio dei linfatici
interlobulari : ciò corrisponde al fatto del riassorbimento e del fa-
gacitismo secondario.
Le alterazioni del parenchima epatico nell’ avvelenamento con
fortissime dosi ripetute per uccidere i cani resi refrattarii o quasi
alle dosi venefiche ordinarie, si spingono realmente sino alla necrosi
e disfacimento granulare di una quantità di cellule epatiche: allora
sì trovano grossi ammassi di leucina.
II.
Urina.
Negli studii precedenti io non sapeva rendermi un’ esatta ra-
gione del fatto contradittorio, che dopo 24 ore alcuni animali av-
velenati avevano le urine cariche di acido pirogallico , altri poco ,
ed in parecchi casì la reazione mancava quasi : e ciò, mettendo le
stesse condizioni di avvelenamento e con gli identici risultati.
Con le ricerche ulteriori ho potuto rendermi ragione della di-
versità, avendo potuto con un gran numero di osservazioni stabi-
lire, che l'acido pirogallico si elimina dai reni nelle prime 12 a 20
ore, e quindi allora quasi esclusivamente si riscontra nell’ urina :
se si raccoglie dopo la prima giornata se ne trova poco o nulla.
E quando se ne trova molto dopo le 20 ore dall’ avvelenamento ,
sì può essere sicuri che gli animali non avevano urinato preceden-
temente, o soltanto un poco nelle prime ore.
Importanti poi mi sono sembrati i risultati più minuti ottenuti
dall’ esame dell’ urina in rapporto all’ alterazione del ricambio ma-
teriale indotto nel sangue dall’ acido pirogallico. Oltre la presenza
costante dei pigmenti biliari nella 1? settimana e che durano ordi-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico LIO
nariamente sino a tutta la 2% gradatamente diminuendo, oltre la
presenza di molti fosfati nelle prime 2 ed anche 3 settimane co-
minciando la fosfaturia sempre dopo 1 acme dell’ avvelenamento,
quando è finita 1’ emoglobinuria, ho potuto anche trovare, quasi
pari passo colla fosfaturia questi altri 3 prodotti patologici, lo zuc-
caro diabetico, 1’ ossalato di calce, e la leucina e tirosina.
L’ossaluria si conferma dai cristalli caratteristici di ossalato di
calce insieme colla grande quantità di fosfati solubili precipitati dal-
l’ ammoniaca.
È in quella stessa massa torbida biancastra operata dall’ am-
moniaca, che si ha occasione di rinvenire anche gli aghi di tiro-
sine caratteristici, diversamente aggruppati, ed i globi di leucina
questi ultimi talora con apparenza di striature concentriche, talora
ammassate, tal’altra aggruppate a 4 come la sarcina, mettendosi al-
lora come centro intorno a cui si depongono i cristalli di tirosina
ed i fosfati. Vuol dire, che V ammoniaca scioglie la leucina e tiro-
sina separandole dagli altri componenti dell’ urina, e poi quei 2
prodotti si ammassano e cristallizzano.
La glucosuria si presenta costantemente dopo i primi giorni
dell’ avvelenamento, quando non vi è più emoglobina nell’ urina e
gli animali cominciano a star meglio e riprendono il cibo : cresce
per lo più verso la fine della 1* settimana, e nella 2* ordinaria-
mente raggiunge l acme da dare la colorazione nera non solo del
sottonitrato di bismuto, ma anche dell’ urina stessa: continua il
diabete, sempre però con oscillazioni nella 3% ed anche un poco
nella 4? settimana : anzi in qualche giorno anche dopo un mese si
trova molto zuccaro nell’ urina. Ad evitare la contribuzione dell’an-
nerimento che potrebbero dare i prodotti pirogallici, oltre il fatto
che nei primi giorni quando l’ acido pirogallico si elimina con l’ u-
rina non vi è colorazione che appena un po’ gialletta del bismuto,
mentre l urina diventa di un giallo-bruno quasi nero per l’ azione
della potassa, ho fatto filtrare V urina nei casi in cui il bismuto si
era annerito, e sul bismuto restato sul filtro ho messo la soluzione di
potassa 1 °o: il bismuto non si è decolorato affatto, come avreb-
180 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
be dovuto succedere se il colore fosse stato dato da prodotti piro-
gallici, anche dall’ acido metagallico, che è nero.
Ho esaminato anche | urina di varii cani sani: Vl urina è or-
dinariamente priva di zuccaro : raramente però se ne trova, e ta-
lora in discreta quantità nel tempo dell’ assorbimento intestinale ,
mai a digiuno : scompare però rapidamente, mentre negli animali av-
velenati il fatto è costante e soltanto con poche oscillazioni per 2
a 3 settimane ed arriva a gradi altissimi.
EI
Ricerche su altre vie di assorbimento
dell’ acido pirogallico.
Due altre vie ho voluto sperimentare per l’ assorbimento del-
l'acido pirogallico, la superficie cutanea a pelle intatta, e 1° intesti-
no retto : tentare la prima via significa mettersi nelle stesse con-
dizioni dei S. Andrea, che adoperarono questa sostanza sulla pelle
e sue appendici: così potrà vedersi se la pelle intatta assorbe , e
se si arriva col lento assorbimento ad avere quell’apparenza specia-
le di granuli neri nelle cellule epatiche : anzi ad un animale trattato
a questo modo, si potrà, avvelenandolo in ultimo per la via dello
stomaco, riprodurre le stesse condizioni che nei S. Andrea. Ten-
tare poi la via dell’ intestino retto, oltre allo studiare il fatto in sé
stesso, potrà diventare utile, non solo per la maggiore faciltà del-
l’ avvelenamento, ma principalmente per precisare la dose, in quan-
tochè nell’ intestino retto si evita la possibile alterazione dell’acido
pirogallico dal contenuto gastrico in generale, e poi si possono
evitare le perdite che sovente si hanno dallo stomaco per mezzo
del vomito : la via dell’ intestino retto infine potrà esserci utile ,
quando si dovrà sperimentare sull’ influenza di alcuni virus, spe-
cialmente del rabbico in animali abituati e resi refrattarii alle dosì
comuni di acido pirogallico : così pel virus rabbico si potrà conti-
nuare l’ avvelenamento pirogallico pel retto, dopo l inoculazione
del detto virus, ovvero adoperare l’ acido pirogallico quando il vi-
hicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 18]
rus è stato inoculato ed anche quando sono cominciati i sintomi
rabbici, perchè si è potuto mettere una museruola di ferro, come
sicurezza, ad animali con sospetto più o meno prossimo di idro-
fobia.
A.
Epidermide
Ho preparato una 1% mistura fatta da acido pirogallico, nitra-
to di argento ed acqua distillata ana un grammo e tenuta all’oscu-
ro per 24 ore : il giorno seguente si è trovata una massa semili-
quida nera, come mistura di scarpe. Una 2? preparata allo stesso
modo, nel giorno seguente si è allungata con 5 parti di acqua di-
stillata.
A due cani del peso tra i 5 e 6 kili, ad'uno si è fatta. la
frizione con una spazzola per unghie della 1% mistura, al 2° del-
l’altra, adoperando per 20 giorni, giornalmente la 20% parte : la
frizione si è fatta agli inguini ed alla metà inferiore dell’ addome,
dopo averne rasi i peli; ed infine si è fasciata la parte per impe-
dire agli animali di leccare e quindi ingerire parte della mistura
in parola. La frizione è stata dolce, ma prolungata per 3 a 4 mi-
nuti. La località è restata di un colorito nerastro per tutti i 20
giorni, ed anche per alcuni giorni consecutivi. La pelle al di là di
un leggiero stato eritematico nelle prime ore della frizione, non ha
mostrato mai fatti infiammatorii imponenti.
Questi 2 animali non hanno mai sofferto sintomi di avvelena-
mento, nè altre manifestazioni di malessere. Le urine quasi sem-
pre normali nel 1°, raramente tracce di acido pirogallico e di pig-
menti biliari. Nel 2°, quello cioè della mistura un poco allungata
in 5 parti di acqua, l’ urina meno raramente ha mostrato acido
pirogallico e pigmenti biliari, talora anche tracce di albumina: l'a-
nimale però stava bene : un giorno fu più accentuata la quantità
dell’ acido pirogallico nell’ urina, ma guardato | animale in bocca,
aveva la lingua nera, certamente per aver leccata la parte tinta.
In entrambi parecchie volte zuccaro nell’ urina, e talora in grande
182 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
par'og
quantità. Uccisi questi animali non si trova il reperto classico del-
avvelenamento; la sola bile mostra un poco del colorito giallo-bru-
no sbiadito e vi è anche reazione pirogallica nel cane assoggettato
alle frizioni della mistura allungata. Tutti e due i cani hanno le
glandole inguinali con coloramento ardesiaco della loro sostanza
midollare.
A 2 altri cani presso a poco dello stesso peso ho ripetuto la
stessa operazione. Al primo dopo 20 giorni di frizione ha dato un
grammo di acido pirogallico, ha avuto i sintomi del forte avvele-
namento, ma poi l ho dovuto uccidere al 7° giorno perchè il cane
andava bene: così si sono riprodotte le stesse condizioni dei S.
Andrea. Alla sezione il cane non ha mostrato altro che le note
anatomiche dell’ avvelenamento pirogallico, senza quelle granulazio-
ni speciali nere notate nel fegato dei S. Andrea, e che solo in
parte si trova negli animali trattati col pirogallato di argento : ta-
lora si possono apprezzarle queste granulazioni nelle cellule epa-
tiche, ma non è il fatto prevalente.
Ad un altro cane si è ripetuta la stessa operazione, ma la
frizione si è fatta alla nuca, dopo aver raso i peli, per impedire
all’ animale di leccarsi. Anche però con questo sperimento sì è po-
tuto con 1 esame dell’ urina, e poi dopo i 20 giorni uccidendo e
sezionando l'animale, stabilire che I’ assorbimento è minimo, lento
ma si avvera anche dalla pelle, specialmente quando la mistura è
un poco allungata. Certo però che a pelle intatta non si produce
un avvelenamento forte, ma soltanto insensibile, al quale 1’ animale
si abitua. Nè si può ammettere, almeno pel cane, che 1° assorbi-
mento lento, insensibile, prolungato dalla pelle favorisca il reperto
di granuli neri nelle cellule epatiche.
A proposito della pelle devo notare di avere sperimentato lo
assorbimento sottocutaneo in un cane però con la soluzione piro-
gallica debole, 1: 50, così come l ho adoperata per lo stomaco,
ricordando che nella soluzione 1: 4 il veleno non è assorbito e
cagiona soltanto necrosi locale. Iniettando ipodermicamente un
grammo di acqua distillata avente in soluzione 2 centigrammi di
vicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 185
acido pirogallico, dopo 20 minuti si trova il veleno nell’ urina con
la sua reazione caratteristica, la quale diventa forte dopo qualche
ora.
B.
Intestino retto.
Un grande numero di sperimenti ho fatto per questa via: an-
zi dopo aver sperimentato che è la migliore, mi sono servito esclu-
sivamente di essa. Ho messo in pratica il metodo a cani ed a co-
nigli, cercando a preferenza il tempo dopo che i cani avevano
avuto il benefizio ventrale, ciò che facilmente si otteneva portan-
doli prima a passeggiare in giardino. Mi sono servito di quello
stesso apparecchio di cui mi era avvalso come sonda gastrica. En-
trando il catetere nel retto per 5 a 6 centimetri e sollevando il
resto dell’apparecchio si versa nell’ imbuto, che è la parte più in
alto, la soluzione pirogallica, la quale più o meno rapidamente
scende ed entra nel retto: quando non scende, o sono materie
fecali che tappono il catetere, ovvero ciò è fatto dalla compres-
sione dello stesso intestino, specialmente degli sfinterî: basta allora
fare pochi movimenti di saliscendi colla parte del catetere entrato,
per vincere quelle resistenze, ed allora il liquido entra rapidamen-
te: vi si aggiunge dopo un poco di acqua messa nella stessa ca-
psula, anche per non perdere il residuo della soluzione impiegata.
Questa ho impiegato alla stessa dose venefica che per lo stomaco
nei cani, cioè 20 centigrammi per kilo di peso dell’ animale.
Il clistere venefico si fa tenendo |’ animale sollevato per gli
arti posteriori; e si continua a tenere immobile l animale in que-
sta posizione per altri 20 minuti dopo l' iniezione, tempo sufficien-
te all’ assorbimento: se l’animale sì lascia libero, facilmente eva-
cua, per lo più materiali giallo-bruni semiliquidi, e quindi una quan-
tità più o meno forte di veleno. Spesso evacuano anche dopo, ap-_
pena liberi, ma allora si può essere sicuri che il veleno è stato
quasi tutto assorbito, come si vede dai risultati.
184 Iicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Gli animali, e propriamente i cani, trattati a questo modo con
la dose venefica, si sono avvelenati in modo più sicuro che per la
via dello stomaco e la dose di 20 centigrammi per kilo di peso
dell’ animale è confermata con un’ operazione che si pratica con
faciltà molto maggiore. Ordinariamente i cani dopo mezz’ ora o po-
co più cominciano a mostrare i sintomi del forte avvelenamento ,
specialmente la taciturnità, V andatura disordinata, vacillante e spes-
so tendono a cadere sugli arti posteriori: non infrequentemente
vomitano un materiale ricco di bile e poi cadono come corpi mor-
ti: più tardi sì rialzano a stento e poi si adagiano o cadono di
nuovo profondamente abbattuti, cacciando molta bava.
Così continua V avvelenamento con tutte le sue manifestazio-
ni e spesso ne muoiono.
All’ autopsia si riscontrano le note caratteristiche dell’ avvele-
namento : nessun fatto infiammatorio nel retto.
IV.
Dose venefica per i conigli
Coi risultati ottenuti sui cani per la via dell’ intestino retto ,
avendo potuto stabilire che è una delle migliori vie di assorbimento,
la più facile a praticarsi e la più sicura per stabilire la dose, ho.
creduto, potendo disporre di 12 conigli, sperimentare su questi ani-
mali l’ avvelenamento per quella via, principalmente allo scopo di
determinare la dose venefica di acido pirogallico per questi animali.
Ho impiegato precisamente lo stesso metodo che per i cani.
3 Conigli si sono trattati con 10 centigrammi per kilo di pe-
so: 3 altri con 20 centigrammi, non avendo i 3 precedenti sof-
ferto nulla con l operazione ripetuta per 5 giorni: 3 altri con 40
centigrammi per kilo, avendo anche sperimentata infruttuosa la do-
se precedente : e finalmente ho dovuto dare 60 centigrammi per
kilo, e l animale così ha cominciato ad essere non più vispo, non
ha voluto mangiare, si è abbattuto, con movimenti difficili e dopo
meno di 24 ore è morto. Alla sezione si riscontrano tutte le note
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 185
caratteristiche dell’ avvelenamento pirogallico, a cominciare dalla
milza nera sino alla urina sanguinolenta ed alla bile di color giallo-
brunò : nel fegato le alterazioni degenerative del parenchima e la
colorazione pirogallinica dei microfagociti, ed anche dell’endotelio
dei linfatici perilobulari : mancanza di granuli nerastri nelle cellule
epatiche: cuore paralitico con degenerazione albuminosa e grassa:
sangue nerastro con orlo giallo-bruno, notevolmente coagulato. Nei
conigli anche col.forte avvelenamento, che come ho detto, si ottiene
col triplo della dose dei cani, non risalta mai una vera itterizia: la
macchia lasciata dalle loro urine diventa bruna: le materie fecali re-
stano inalterate.
Ad alcuni conigli, trattati per varii giorni infruttuosamente con
20 ed anche con 40 centigrammi, ho poi apprestato la dose ve-
nefica forte: una dose non dava più l avvelenamento, e si è do-
vuto ripeterla il 2° giorno, ed in un coniglio anche il 3° giorno
per avvelenarli fortemente ed avere la morte.
Questo risultato nei conigli, simile a quello ottenuto per i cani
conferma il principio dell’ abitudine e tolleranza della dose venefica
quando si sono somministrate preventivamente piccole dosi. Con-
ferma poi l’altro fatto, che la resistenza dura sino ad un certo
limite, e con tutta l’assuefazione si arriva finalmente all’avvelena-
mento letale.
E lecito quindi conchiudere, che i conigli resistono molto più
dei canì all’avvelenamento pirogallico : hanno bisogno del triplo di
veleno, e propriamente di 60 centigrammi per kilo di peso per a-
vere ì sintomi del grave avvelenamento, che per lo più termina
con la morte dell’ animale.
MV.
Altre ricerche sull’ influenza del salasso
nell’ avvelenamento.
Per questo scopo ho operato altri 10 cani, avvelenandoli tutti
colla dose necessaria per l’intestino retto, ed obbligandoli a rite-
Arti Acc., Vo. VIII, SerIE 4° — Memoria IV. 24
186 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
nerla per mezz’ ora. In tutti ho confermato prima il grave avvele-
namento fin dalla prima ora e poi controllato in seguito.
Il salasso ho praticato sempre dalla giugulare e nella quantità di
5 c.c. per kilo di peso dell’animale, corrispondente circa a 1° della
intera massa del sangue, trattandosi di cane.
A 2 cani avvelenati il giorno precedente e che dopo 18 ore
erano notevolmente abbattuti, che non avevano voluto alcun cibo,
senza però ancora urine sanguinolente, si è cavato a ciascuna la
suddetta quantità di sangue.
Noto che in tutti questi sperimenti ho potuto sempre confer-
mare il già esposto sulle alterazioni grossolane del sangue; e quindi
anche il cambiamento violaceo-bluastro della lingua, che comincia do-
po 20 minuti, e che costituisce un sintoma prezioso, come esporrò
per esteso in altro lavoro.
Questi 2 animali, i quali come tanti altri avrebbero potuto
sopravvivere, pel salasso praticato dopo 18 ore dell’ avvelenamento
si sono prostrati rapidamente, è cresciuta l ipotermia ed uno è
morto dopo quasi 2 ore, Vl’ altro dopo 15 ore. All’autopsia mostra-
no entrambi le note caratteristiche dell’ avvelenamento; solo si può
notare un certo grado di anemia degli organi: la milza però è
nera, la bile caratterisiica e con reazione pirogallica, e questa rea-
zione, sebbene debole, si trova anche nell’ urina raccolta in vesci-
ca, la quale non è sanguinolenta ma soltanto di un color giallo-
ambra scuro.
Certamente in questi 2 animali si è aggravato il decorso
e l’esito letale è venuto più sicuramente, almeno più precocemente,
per la sottrazione sanguigna praticata. E così doveva essere dopo
quasi un giorno, quando già le alterazioni profonde erano avvenute
ed il salasso mentre non ha fatto nessun bene, ha dovuto dimi-
nuire la quantità del sangue già alterato e diminuito dall’ azione
del veleno.
Dopo ciò si sono avvelenati pel retto altri 8, cani, dei quali
2 per controllo, quindi senza praticarvi alcuna sottrazione sanguigna..
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 187
Altri 2 si sono salassati 3 ore dopo l avvelenamento: 2 altri dopo
un’ ora: gli ultimi 2 appena mezz’ ora dopo.
Tutti questi cani hanno sofferto il forte avvelenamento, che
giù è cominciato nella prima ora dopo 20 a 30 minuti, special-
mente con la caratteristica lingua violacea, la taciturnità, l’indebo-
limento e disordine dei movimenti a preferenza degli arti posteriori,
incipiente salivazione ed ipotermia, vene sottocutanee bluastre.
I 2 cani di controllo sono morti, uno dopo 50 ore circa, lo
altro dopo 56 ore. Ad entrambi nel 2° giorno si è mostrata l'ini-
ziale emoglobinuria : sì è trovato anche glucosio nell’ urina e molti
fosfati. Il reperto anatomico è del forte avvelenamento.
Gli altri 2 cani salassati 3 ore dopo, uno muore 18 ore dopo
il salasso, l'altro quasi 26 ore dopo. Alla sezione si trovano le
note del forte avvelenamento e relativa anemia degli organi.
I 2 cani salassati un’ ora dopo l' avvelenamento nei primi 2
giorni sono soltanto poco abbattuti, stanno in piedi un po’ vacil-
lando, mangiano poco pane : al 2° giorno comincia l'urina a di-
ventar sanguinolenta , ricca di fosfato ammonico-magnesiaco , con
reazione alcalina, come ordinariamente succede al 2° giorno del-
l’avvelenamento per poi ridiventare gradatamente acida. Al terzo
giorno i cani sono più abbattuti, ’ emoglobinuria cresce, mangiano
poco o nulla: al 4° sono prostrati, gittati a terra; nel 5° giorno si
trovano entrambi morti. Si trovano le note necroscopiche dell’ av-
velenamento : pronunziata oligoemia.
I 2 cani salassati mezz’ ora dopo sono un poco abbattuti il
giorno seguente : all’ indomani sembrano migliorati: al 3° giorno
uno muore dopo 58 ore dall’ avvelenamento, l altro si trova morto
il giorno seguente : fin dal 2° giorno vi fu accenno di emoglobinu-
ria in uno, più pronunziata nell’ altro che morì più tardi. Lo stes-
so reperto anatomico.
In questi sperimenti : 1° si è potuto confermare che 20 centi-
grammi per kilo di peso, uccide ordinariamente il cane: 2° si è
visto che anche facendo il salasso i cani muoiono : e se ciò non
è successo nei nostri precedenti sperimenti, vuol dire che vi dove-
188 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
I!
vano essere ragioni di errore, molto probabilmente perchè gli ani-
mali non assorbivano tutta la dose del veleno : 3° Il salasso in quella
quantità si è visto soltanto posticipare l’ esito letale, quando si è
praticato nelle prime ore: dopo un giorno accelera la morte, per-
chè non solo si sottrae sangue guasto, ma anche quello residuale
inalterato e capace di sostenere i poteri di questo liquido vitale
sino a che si rifarebbe per rigenerazione : dopo 24 ore poi riesce
anche inutile, non essendovi più, o quasi, acido pirogallico nel san-
gue. E se in primo tempo si sottrae parte del veleno, si sottrae
anche parte del sangue e quindi togliendosi il materiale di azione
al veleno stesso, questo rovina di più il sangue residuale. Insom-
ma anche nella migliore ipotesi i vantaggi e svantaggi si pareggie-
rebbero : quindi non sì può fare affidamento sulla sottrazione san-
guigna nell’ avvelenamento pirogallico, meno quando si arriva in
primo tempo e con buone condizioni generali, ricordando però che
i fatti gravi compariranno certamente nei giorni seguenti.
VI
Tentativi ulteriori sull’ immunità.
È stata questa la serie più lunga ed estesa dei nuovi esperi-
menti : in compenso però ho potuto conchiudere confermando i 3
fatti: 1° che può venire l abitudine anche alla dose venefica :
2° che anche con questa specie di immunità | animale deperisce
a lungo andare, con la forma dell’ oligoemia: 3° che 1 immunità
dura sino ad un certo limite: ordinariamente con dosi maggiori
della venefica, ripetute per 2, 3, 4 giorni, e talora colla semplice
dose venefica ripetuta, la resistenza è oltrepassata e si avvera lo
avvelenamento in tutta la sua interezza.
Sempre sperimentando su 2, 3 ed anche 4 cani la volta dirò.
in succinto.
1° In alcuni cani si è cominciato con la 10? parte della dose
venefica, e propinando in seguito giornalmente l’ acido pirogallico
per l’ intestino retto, si è dato la 5? parte, poi la metà al terzo
Ricerche sperimentali sull’ avcelenamento da acido pirogallico 189
giorno e con la metà sì è continuato per una settimana. Sempre
l'acido pirogallico si scovre nell’ urina: ordinariamente pigmenti
biliari, zuccaro ed aumento di fosfati: mai emoglobinuria. L’ ani-
male mangia e sta benino, soltanto un poco dimagrato. Si appre-
sta poi la dose forte, che ordinariamente è tollerata per 2 giorni:
per lo più al 3° cominciano i sintomi del forte avvelenamento, emo-
globinuria, 1’ animale non mangia e talora soccombe : ma più spesso,
sospendendo la propinazione del veleno il cane supera il male e si
ristabilisce.
Si ottengono in generale gli stessi risultati con lievi variande:
2° Cominciando da dosi minime, un 20°, raddoppiando ogni
giorno sino alla dose venefica forte.
3° Crescendo dalla dose minima precedente, sempre un 20° al
giorno sino ai 20 centigrammi per kilo.
4° Apprestando la dose forte del veleno sciolto nel latte : si
può ripetere spesso sino a 3 volte, ma poi comincia il forte avve-
lenamento, il quale sicuramente viene se la dose forte si raddop-
pia. Però gli animali anche col forte avvelenamento con più faciltà
guariscono.
5° Dando per varii giorni piccole dosi e poi la forte col latte:
si ha una resistenza ordinariamente maggiore, ma insistendo colle
forti dosi Vl avvelenamento si mostra : si guarisce anche molto fre-
quentemente.
6° Cominciando dalla dose forte, la cui soluzione si mescola
col pane o con la pasta: gli animali mangiano con avidità la mi-
scela, specialmente se la mattina si restano a digiuno. Ordinaria-
mente la forte dose si può ripetere talora per una settimana , e
dopo sempre dando il cibo col veleno si può raddoppiare ed anche
triplicare la dose, e soltanto insistendo si ha l avvelenamento e la
morte. Al proposito noto soltanto, che ad un cane corso del peso
di circa kili 11, si è apprestato nei primi 10 giorni 20 centigram-
mi la volta colla sonda gastrica: negli 8 giorni successivi grammo
1, 20 col latte, che il cane ha bevuto avidamente: nei 9 giorni
seguenti grammo 1, 20 al giorno prima sciolto nell'acqua e poi
190 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
inzuppandovi il pane, che è sempre mangiato con avidità : al 28°
giorno 2 grammi col pane, il giorno seguente 3 grammi allo stesso
modo : al 30° grammi 5 col pane, ed il cane ha mangiato sempre
tutto, è stato benino, soltanto poco abbattuto, ma discretamente
in piedi: nell’ urina arrivata a diventare di un giallo-verde-bruno
quasi nero, soltanto dopo i 5 grammi vi è traccia di albumina :
enorme quantità di acido pirogallico : soltanto tracce di pigmenti
biliari al cloroformio : molti fosfati: forte quantità di zuccaro. Tem-
peratura 39,2: e l animale non ha ancora i sintomi del forte av-
velenamento avendo preso in un mese grammi 32, 40 di acido pi-
rogallico. Gli si danno ancora 5 grammi nel giorno seguente, ma
l’animale non mangiando il pane inzuppato che in poca quantità,
se ne fa una soluzione di 5 altri grammi e si appresta con la son-
da gastrica : il cane si abbatte non può restare bene in piedi, ha
ipotermia e dopo meno di un’ ora cade come morto ; poi si rialza
e vomita una sostanza liquida biliosa bruna : la notte vomita altre
volte e così il mattino seguente, quando si trova molto più abbat-
tuto : si può raccogliere un poco di urina che è sanguinolenta :
nella giornata muore. Il reperto anatomico dell’ avvelenamento è
caratteristico : si nota solo che il fegato è impicciolito, molto molle,
gli acini non si apprezzano più bene; ed al microscopio si vede il
processo regressivo nelle cellule epatiche spinto sino alla necrosi
con disfacimento granulare e vi sono abbondanti depositi di globi
di leucina.
7.° Nuovo avvelenamento dopo aver superato il forte sì tolle-
ra meglio : e ciò sperimentato dopo 10 giorni dal 1° avvelenamento
quando vi è ancora reazione pirogallica nella bile: dopo 20 e dopo
30 giorni quando non vi è più reazione nella bile: ed in un cane
ho potuto sperimentare anche dopo 71 giorni dal primo avvelena-
mento. Ciascuno di questi fatti avrebbe, isolato, poco valore ; ma
in massa impongono la convinzione, che dopo aver superato il
forte avvelenamento resta tale una modificazione nell’ organismo ,
da tollerare più facilmente la dose forte di veleno.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 191
VII.
TFentativî sugli animali avvelenati da
acido pirogallico di inoculazione di virus rabbico.
Se gli animali trattati in maniere speciali coll’ acido pirogalli-
co non arrivano ad avere l’ immunità, o meglio la refrattarietà as-
soluta, è un fatto però che arrivano a tollerare dosi venefiche forti
per varii giorni e le dosi minori, anche la metà della venefica, per
un tempo lungo, indeterminato. Vuol dire,-che una certa assuefa-
zione si ottiene, ed allora V animale deve aver subìto una modifi-
cazione speciale nel suo organismo, per cui resiste alla continua
presenza dell’ acido pirogallico, a dose anche notevole.
La modificazione intima, principale a me pare che debba av-
venire nel contenuto dei corpuscoli rossi, per cui questi dovrebbero
acquistare più resistenza nel farsi sottrarre l ossigeno dall’ acido
pirogallico assorbito. Ed allora questa modificazione del chimismo
intimo del corpuscolo rosso potrebbe mettersi a profitto, per vede-
re se gli elementi cellulari resi più resistenti contro il veleno pi-
rogallico, si fanno meno attentare dai diversi microrganismi pato-
geni, o dai prodotti tossici del loro ricambio.
Se più tardi io avrò tempo e lena intraprenderò dei tentativi
in proposito, come p. e. col bacillo della tubercolosi nelle cavie
( sperimentando prima l acido pirogallico in questi animali ), ecc.
Pel momento a cani relativamente refrattari, ed a cui continuava
le dosi di acido pirogallico ho fatto inoculazioni di virus rabbico,
a 2 nello spazio sub-durale, a molti altri nel sacco del peritoneo.
Tutti questi animali si è avuto cura di assicurarli ai posti rispet-
tivi nel recinto apposito del giardino, ed a quelli soltanto a cui
con tutta l inoculazione continuava le iniezioni rettali di acido pi-
rogallico ho messo la museruola di ferro per essere garentito nel
tempo dell'iniezione. Anche ad altri cani, senza trattamento pre-
ventivo pirogallico, dopo l’ inoculazione del virus rabbico ho dovuto
mettere la museruola, perchè la garenzia avrebbe dovuto essere
192 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
maggiore nel caso si manifestavano i sintomi della rabbia, quando
io mi proponeva di sperimentare l’ acido pirogallico, se avessi ot-
tenuto dei risultati positivi ed incoraggianti dal primo trattamento,
cioè, se non aveva sviluppo di rabbia negli animali modificati dal-
l'acido pirogallico. Ho trattato anche 2 cani col virus rabbico, quan-
do già erano guariti dal forte avvelenamento pirogallico , senza
dargli ulteriormente il veleno nè prima, nè dopo aver praticato
l’inoculazione del virus rabbico.
Oltre vari cani di controllo, ho sempre inoculato una serie di
conigli per lo stesso scopo.
In tutte queste inoculazioni di virus rabbico, oltre le norme
conosciute, noto a preferenza di avere nel tempo dell’ operazione
usato il metodo asettico, non |’ antisettico.
Per 3 volte durante un mese ho potuto disporre del virus
fisso, midollo di coniglio, avuto dal Signor D.r de Blasi Direttore
dell’Istituto antirabbico di Palermo, al quale rendo pubbliche gra-
zie : la prima volta il midollo era conservato in glicerina, le altre
2 volte in acqua distillata e sterilizzata : tutto sempre conservato
in tubi di vetro chiusi al fuoco. Anche col servizio postale fatto
bene non ho potuto avere mai questo materiale prima delle 24
ore della spedizione, e quindi si deve far calcolo dopo 30 ore or-
dinariamente della morte del coniglio rabbico. Bisogua aggiungere
che si era nei mesi di Luglio e di Agosto con una temperatura
media di 80° e. Il midollo conservato in glicerina veniva naturalmente
inalterato, mentre quello in acqua veniva totalmente emulsionato. In
generale l’ inoculazione si è praticata al più presto possibile 30 e
40 ore dopo la morte del coniglio. Nei conigli sì è inoculato ap-
prossimativamente 2 a 3 millimetri di midollo emulsionato, ai cani
mezzo sino ad un centimetro. Il risultato è stato costantemente
negativo, però di nessun valore per i cani avvelenati, essendo
sempre mancato il risultato anche coi cani e coi conigli di con-
trollo. Tutti gli animali sono guariti dell’ operazione fatta per pre-
mam, anche i 2 cani operati di trapanazione per l inoculazione
sub-durale, dopo aver rimesso il disco di osso asportato. Ho do-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 193
mandato allora chiarimenti al D.r de Blasi, il quale ha risposto
meravigliandosi dell’ esito negativo, e consigliandomi l uso del mi-
dollo rabbico da lui dato al Prof. di Mattei, conservato in gliceri-
na, quasi assicurandone il risultato positivo. Avuto una metà di
quel midollo dal di Mattei, ha avuto nelle mie mani un risultato nega-
tivo anche con gli animali di controllo: ma ho dovuto ricredermi
del risultato negativo, esclusivo per me, non essendo riuscito a
nulla anche il di Mattei con lo stesso midollo in sperimenti analoghi.
Dopo aver perduto tanto tempo con risultati nulli, ho voluto
anche, sperimentare il virus fisso avuto, grazie al Prof. Schròn, da
Napoli, in 2 tubi di cristallo chiusi alla lampada, uno in glicerina
ed uno in acqua distillata e sterilizzata, avendone così io fatto ri-
chiesta : il midollo in acqua è venuto completamente emulsionato
e si era alla fine di Agosto. Arrivati questi tubi a Catania dopo
circa 30 ore, tra Vl averli dall’ Ufficio postale e praticare’ inocula-
zione, si può dire, di aver operato dopo circa 40 ore dall’ estra-
zione del midollo dal coniglio. Gli animali inoculati, anche di con-
trollo, non hanno mostrato alcuna sofferenza, tenendo in osserva-
zione gli animali per 2 settimane ed anche più: e così non ho
potuto nemmeno dare del midollo rabbico all’amico di Mattei, che
me l'aveva richiesto, nel caso di esito positivo.
E siccome io mi trovava in corso con altre ricerche, princi-
palmente quelle sul pirogallato di argento, non sapendo con si-
curezza a che incolpare il risultato negativo, forse al tempo tra-
scorso e principalmente all’ elevata temperatura dell’ ambiente, ho
dovuto desistere temporaneamente da queste ricerche, rimettendole
a tempi migliori ed in condizioni più opportune.
VII,
Studii chimici ulteriori.
Prima ho fatto lo studio comparativo dell’ azione di varii acidi
sul pirogallico, adoprando il metodo di Gmelin, per completare
quello da me fatto precedentemente col solo acido nitrico. In se-
Arti Acc., Vor. VIII, Serie 4° — Memoria IV. 25
194 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
guito, nel confermare i caratteri differenziali degli estratti di ani-
mali avvelenati con acido pirogallico da altre soluzioni simili pel
colore, ho potuto notare anche una serie di reazioni chimiche ri-
guardanti il iodo, che mi sono sembrate di un certo interesse, e
che anche riferirò succintamente.
0
Acido pirogallico con altri acidi secondo il metodo Gmelin.
Ricordo, che per poter differenziare gli estratti in cui vi sono
pigmenti biliari da quelli in cui il colore è dato dalla pirogallina,
oltre del cloroformio e delle altre reazioni dei pigmenti biliari, feci
anche il tentativo col metodo di Gmelin, cioè mettendo | acido
nitrico fumante in una provetta, e poi aggiungendo gli estratti nella
provetta già ferma, strisciando sulla provetta del tubo per avere
l’ estratto a galla.
Esposi, che quando si tratta di pigmenti biliari si ha la rea-
zione caratteristica iridescente ed i 2 liquidi restano per molto tem-
po separati: l’iridescenza non è così caratteristica come si descrive,
ma è sempre evidente. Se invece trattasi di estratto a base di pi-
rogallina, la soluzione di questa non dà mai iridescenza, galleggia
sull’acido nitrico appena vi capita, ma dopo pochi secondi finisce
quel limite orizzontale e dalla parte inferiore della pirogallina si
dipartono come delle propaggini grosse, ecc. Solo bisogna aggiun-
gere, che se gli estratti sono ricavati con la soluzione potassica,
vi è sempre abbondante precipitato con l'acido nitrico, che è di al-
bumina, sciolta naturalmente dalla potassa.
Dopo questo risultato, avendo diversi cani refrattarii al vele-
no, ed in cuì l'urina sempre ricca di acido pirogallico mostra po-
chi pigmenti biliari al cloroformio, ho voluto sperimentare anche,
per queste urine il metodo di Gmelin. L’ iridescenza si è ottenuta;
ma quello che mi ha sorpreso è stato un colore speciale, di un.
rosso-arancio vivo molto forte, da sembrare come rosso-granato,
il quale immediatamente appare là ove l’urina tocca l’acido nitrico:
CO
(®ii
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 1
questo strato gradatamente si estende sino ad un centimetro. Ger-
to che non si tratta di reazione dei pigmenti biliari, non avendosi
mai in questo caso a quel modo, e poi manca quell’iridescenza
caratteristica. Neanco si può parlare di pirogallina messa in chiaro
dell’acido nitrico, perchè la pirogallina non ha quel colore , anzi
in contatto dell’ acido nitrico dovrebbe decolorarsi. Probabilmente
quindi è l’acido pirogallico che dà quella splendida reazione: ma
prima di verificare ciò colla soluzione pura di acido pirogallico, ho
voluto saggiare le suddette urine mediante lo stesso metodo di Gmelin,
sostituendo però all’acido nitrico il solforico, il cloridrico, l’acetico
glaciale ed il picrico a soluzione satura.
Con l’acido solforico, facendovi galleggiare 1’ urina con acido
pirogallico, si ha nel limite un colorito rosso-vinoso sbiadito, ten-
dente al violetto ; poi lieve precipitato violetto-bruno in sospen-
sione sotto questo strato, ed infine l’acido solforico nella sua me-
tà inferiore limpido ed incolore, essendo la metà superiore così
trasformata dal colore. In sopra vi è l urina immutata.
Con l’acido nitrico, ripetendo la reazione, si conferma nel li-
mite inferiore dell’urina lo strato rosso-arancio così forte da avvi-
cinarsi al rosso-granato; sotto questo strato vi è un poco di iri-
descenza, facendovi attenzione, ma è un fatto poco apprezzabile in
confronto dello strato rosso: forse quel poco di iridescenza è dovuta
al pigmenti biliari dell’ urina. Non vi è poi nessun precipitato e
l’acido è limpido ed incolore. In sopra Vl urina appare immutata.
Con l'acido idroclorico il limite inferiore dell’urina si colora di
un lieve rosso-carneo ; segue uno strato giallo-chiaro-canarino in
alto e poi uno grigio-plumbleo ed infine l urina immutata. Nessun
precipitato nell’acido sottostante, restato incolore.
Con l’acido acetico non si avvera nessun cambiamento : 1’ uri-
na, versata sull’acido con tutte le norme, vi si mischia, e diventa
più chiara, più allungata. Nessun precipitato, o colore.
Con l’acido picrico nessun fatto nuovo: l’urina anche vi si mi-
schia: nessun precipitato, o colore: soltanto vi è il colore aggiun-
to della soluzione picrica.
196 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Per stabilire ora, se realmente è 1 acido pirogallico che dà
reazioni con gli acidi sunnotati, ho fatto una soluzione di acido
pirogallico, 1 in 100 di acqua distillata, e messa in una boccetta
con contagocce : la soluzione è perfettamente limpida ed incolore.
Prese 5 provette terse, in ognuna ho messo 3 centimetri cubici di
ciascuno degli acidi, nitrico, solforico, cloridrico, acetico glaciale e
picrico a soluzione satura: e le provette si sono immobilizzate nel-
le caselle della rastrelliera, un poco inclinate per fare con più fa-
ciltà cadere strisciando la goccia di soluzione pirogallica. di cui si
mette un c. c. per provetta sugli acidi.
Versata la soluzione pirogallica strisciando sulla parete della
provetta contenente l'acido nitrico si ha immediatamente quell’iden-
tico colore rosso-arancio, come rosso-granato, che in poco tempo
invade tutta la soluzione pirogallica aggiunta: invece tutto 1’ acido
sottostante resta incolore, meno il suo strato superiore limitante,
che si colora in giallo-arancio. Sull’ acido solforico aggiungendo la
stessa soluzione vi è immediata reazione nel limite inferiore della
soluzione pirogallica di un colore rosso-vinoso-violetto, tendente al
nero di fumo; è un violetto sbiadito, sporco che ha del grigio-bru-
no: questa reazione non si diffonde subito come la precedente, in-
vece si arresta come uno strato sottile di non più di un millime-
tro: soltanto dopo 20 o 30 minuti lo strato inferiore, circa il 3°
della soluzione pirogallica è la sola parte colorata con 3 stratarel-
li marcatamente differenti; l’inferiore (limitante con l’acido solforico)
è di color rosso-mattone , poi vi è uno stratarello violetto-grigio
molto sbiadito, ed il superiore è violetto-grigio più carico tendente
al bruno. Sull’ acido cloridrico succede quasi lo stesso che col
solforico, ma la reazione è più debole, sbiadita ed il limite tra i 2
liquidi non è reciso, ma sfumato : dopo mezz’ ora si conserva la
reazione sbiadita, incerta sfumata, senza diversità di colore e quin-
di senza apparenza di strati distinti. Sulla soluzione satura di a-
cido pierico manca ogni reazione , ed anche con tutta 1° accu-
ratezza i 2 liquidi si mischiano immediatamente. Sull’ acido ace-
tico. essendo attenti, la soluzione pirogallica galleggia vedendosi
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico Io,
il limite tra le 2 sostanze; manca però ogni ombra di reazione.
Dopo 24 ore nella provetta con acido nitrico e miscela. colla
soluzione pirogallica non si nota altro che una lieve tinta gialletta
diffusa, più forte negli strati superiori, che nel fondo. In quella
con acido solforico vi è ancora circa la metà dell'acido solforico
nel fondo, incolore: tutto il resto è colorato in giallo-terreo bru-
no, con strati alternanti del terreo-giallo-bruno con nerastro. In
quella con acido celor:drzco tutta la massa è colorata egualmente
in giallo-bruno con fino precipitato nerastro in sospensione. In quel-
la dell’ acido pierzco nessun cambiamento. In quella dell’ acido ace-
tico, anche nessun cambiamento : solo non vi è più il limite tra i
due liquidi, ma tutta la massa è trasparente, incolore.
Agitando dopo il contenuto delle suddette provette, in quella
dell'acido witrico il colorito gialletto si fa più pallido: in quella
dell’ acido solforico il colorito diventa eguale di un lieve verde-bru-
no, come verde-bottiglia : in quella dell’ acido cloridrico il colorito
diventa anche eguale, gialletto-bruno, tendente un poco al violaceo.
Nelle altre 2 col picrico ed acetico nessun cambiamento.
Subito dopo aver agitato si fanno cadere, strisciando, 3 a 4
gocce di ammoniaca in ogni provetta. In quella dell’ acido. wnitrico
nessun cambiamento, nessuna colorazione dell’ ammoniaca, o della
miscela sottostante, anche dopo parecchi minuti. In quelle degli
acidi solforico e cloridrico nulla in primo tempo, ma dopo qualche
minuto sì presenta la reazione caratteristica giallo-bruna dell’ aci-
do pirogallico, come fumo nerastro nell’ammoniaca. In quelle de-
gli acidi picrico ed acetico si ha reazione immediata giallo-bruna.
Tutto ciò dice, che questi 2 ultimi acidi non inducono alcun cam-
biamento nella soluzione pirogallica : l'acido nitrico decolora la so-
stanza che esso stesso fa sviluppare, ma non ricostituisce la rea-
zione pirogallica sotto nessun aspetto; soltanto, passata mezz’ ora,
comincia a comparire il colore della pirogallina; finalmente gli aci-
di solforico e cloridrico devono indurre una modificazione profon-
da, (più il solforico) e probabilmente in acido metagallico, che poi
si scioglie con l’ ammoniaca, ricostituendo la reazione pirogallica.
198 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Dopo circa 20 minuti, la reazione più forte, come colorazione gial-
lo-rosso-bruna si ba nella provetta con acido picrico : nell’ acetico ,
poco : nel nitrico appena comincia a comparire una linea gialletta
nel limite inferiore dell’ ammoniaca: nel cloridrico vi è colorazione
diffusa giallo-bruna e Y ammoniaca non ha più limiti netti col li-
quido sottostante e tutta la massa è quasi dello stesso colore, sen-
za più distinguersi lo strato di ammoniaca: nel solforico il limite
è netto e vi sono varie linee di colori, che a cominciare nello
strato superiore dell’'ammoniaca è giallo-bruno, e poi successiva-
mente uno strato gialletto-chiaro, poi uno violetto-chiaro , poi uno
violetto più scuro, poi bluastro, ed infine grigio, il quale si conti-
nua col verdastro-bruno del liquido sottostante: il violetto segna
il limite tra Y ammoniaca ed il liquido in esame.
Per maggiore fermezza dei risultati suesposti devo dire, di
aver ripetuto lo stesso studio un altro giorno, avendone gli stessi
risultati.
Ripetendo gli sperimenti allo stesso modo, diminuendo solo
il titolo della soluzione pirogallica 1 a 4000, coll’ acido nitrico si
ha subito quella colorazione rossigna, ma sbiadita: dopo circa un'ora,
stando la provetta ferma , rivedendo si nota una iridescenza delle
più belle : la soluzione pirogallica nello strato più superficiale ha
un colore gialletto-grigio un po’ bruno ; segue uno straterello qua-
si incolore: poi in corrispondenza del limite (non più bene reciso
tra i 2 liquidi) lo straterello caratteristico rosso-arancio forte, che
passa in un altro giallo-canario, e questo in uno verdognolo , il
quale passa in un ultimo che ha del bluastro che finisce con tinta
violetta: nel resto vi è la maggior parte dell’ acido nitrico incolore.
Tutto ciò confermato con molte prove, guardando però sempre a
luce riflessa da un piano bianco. Diluendo ancora dippiù la solu-
zione pirogallica, impiegandola al titolo 1 a 20000 si ha subito la
reazione gialletta ma molto sbiadita; ma dopo circa 15 minuti si
mostra precisamente la iridescenza suddescritta, però anche sbia-
dita. Impiegando una quantità ancora minore di acido pirogalli-
co 1 a 40000 in primo tempo non si ha alcuna reazione; ma do-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 199
po qualche minuto comincia ad apparire una striscia. gialletta nel
limite coll’ acido, la quale poi sebbene in modo molto sbiadito, tanto
che bisogna guardare contro un piano bianco, dà un poco dell’ iri-
descenza.
E siccome io aveva impiegato Vl acido nitrico-nitroso , ho vo-
luto ripetere tutte le prove con l'acido nitrico puro: il risultato
è stato lo stesso: liridescenza si ha in un modo bellissimo.
Dal già esposto risulta che 1 iridescenza data dall’acido piro-
gallico galleggiante sul nitrico ha | inversione dei colori. di quella
prodotta dai pigmenti biliari, e ciò costituisce un prezioso distintivo.
Nei giorni successivi vi è decolorazione quasi completa nelle
provette trattate coll’ acido n:tr/co, meno un lievissimo giallo-paglia,
senza traccia di precipitato. In quelle coll’ acido solforico un colo-
rito verde-giallastro-bruno non carico a trasparenza, con tracce di
precipitato bruno. Coll’ acido cloridrico si ha lo stesso del solfori-
co, ma la colorazione è più chiara, un poco tendente al rossastro :
il precipitato però e più abbondante ed è nerastro. Coll’ acido ace-
tico non si avverte nulla, essendo tutto il liquido mescolato inco-
lore e trasparente.
Se alle provette così trasformate nei giorni successivi si ag-
giunge ammoniaca, facendola galleggiare : in quella coll’ acido xetr-
co si vedono traccie di reazione pirogallica, la quale successiva-
mente si rinforza sino a prendere il colore giallo-rosso-bruno ca-
ratteristico nel limite, mentre in tutto il resto l’ ammoniaca rimane
incolore, almeno nella 1? ora. In quelle con | acido solforico e
cloridrico tutta Vl ammoniaca si colora immediatamente in giallo-chia-
ro, e nel limite vi è lo strato giallo fortemente bruno, molto ac-
centuato nella provetta trattata con l’ acido cloridrico. In quella con
l’ acido acetico vi è appena traccia di colorito giallastro nel limite
inferiore dell’ ammoniaca, almeno fino alla prima ora. Dopo un
quarto di ora, più nella provetta con acido solforico, un po’ me-
no in quella col cloridrico, sotto Vl’ ammoniaca colorata in giallastro
un po’ bruno, vi è uno stratarello quasi decolorato, e poi segue
uno strato di un bruno che tende molto al violetto.
200 cicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Se dopo una settimana si rivedono una serie di provette in
cui la soluzione pirogallica, 1 a 100, si è aggiunta ai diversi aci-
di secondo il metodo Gmelin ; in quella coll’ acido nitrico la misce-
la è perfettamente eguale, quasi incolore, limpida e senza traccia
di precipitato. Aggiungendovi strisciando un eguale quantità di so-
luzione potassica, 1 a 8, si ha nel limite uno strato della reazione
pirogallica caratteristica ma lieve; e poi tutta la soluzione potassi-
ca sovrastante si tinge in lievissimo gialletto, leggermente rossigno ;
appena traccia di colorazione nella miscela primitiva sottostante.
In quella con acido acetico la miscela si trova anche immuta-
ta: nessuna colorazione, nessun precipitato : aggiunta la stessa do-
se di soluzione potassica, questa va a galla, ma non vi ha alcuna
reazione di colore.
In quella con acido solforico si ha un miscuglio di un colorito
verdastro tendente al violetto sbiadito ma opaco, terreo, con se-
dimento nero a piccoli fiocchi, i quali sono attaccati anche alla pa-
rete della provetta ; agitando, il precipitato si ridiscioglie. Se si ag-
giunge un eguale quantità della soluzione potassica, questa va a
galla e si colora in giallo-chiaro, come una soluzione allungata di
acido picrico, senza una reazione particolare nel limite sino a
mezz’ ora.
In quella con l'acido cloridrico, sempre dopo la settimana, la
miscela appare come un liquido di color giallo-rossigno sbiadito,
tendente al bruno, con lo stesso precipitato nero al fondo ed alle
pareti: si ridiscioglie anche con 1 agitare. Aggiungendovi la solu-
zione potassica, questa si colora in giallo-rossigno un po’ bruno,
simile al liquido sottostante, da cui poco si distingue, perchè an-
che con tutta la precauzione si mescola: non vi è alcuna reazio-
ne speciale e poi manca il limite tra le 2 sostanze.
Passate 2 ore rivedendo le provette dopo l’ aggiunta della so-
luzione potassica, meno nella provetta dell’ acido solforico, nelle
altre le cose sono allo stesso modo. Invece in quella con l’ acido
solforico vi è uno strato di circa un millimetro di un colorito gial-
lo-rosso-vinoso, lievemente torbido, un poco tendente al violetto, il
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 201
quale galleggia sullo strato della miscela limitante con la potassa.
Questo strato si apprezza ancora dippiù, anche a distanza, perchè
mostra un movimento oscillatorio continuo, danzante dal basso in
alto: guardando la provetta da vicino, si spiega il movimento
speciale, il quale è fatto da bolle di gas incolore, per lo più rag-
gruppate, che continuamente del fondo della soluzione potassica
(limite), ascendono rapidamente per circa un centimetro oltrepas-
sando per più di un millimetro lo strato colorato sovrastante; ma
dopo essere arrivati alla metà della soluzione potassica scendono
rapidamente al fondo (limite), da cui si rialzano per salire colla
stessa rapidità. Questa speciosa apparenza seguita per 20 a 30 mi-
nuti e poi cresce sempre più, in modo che quella danza acquista
di velocità, da arrivare quasi sino alla superficie libera della solu-
zione potassica per sempre però ritornare in fondo al limite tra i
2 liquidi. Con ciò lo strato violaceo-vinoso si fa più esteso ed ascen-
dente, perchè è progressivamente smosso, non perchè vi si aggiun-
ge nuova sostanza, ed infatti il colore più sbiadito conferma que-
sto modo di interpetrazione.
Quel movimento danzante di bollicine gassose, che ripetendo
lo sperimento si vede cominciare dopo pochi minuti dall’ aggiunta
della soluzione potassica, è dovuto alla combinazione dell’ acido
solforico con la potassa, non solo perchè si sviluppa nel limite,
ma perchè si sviluppa lo stesso ripetendo lo sperimento col solo
acido solforico e soluzione potassica, cioè senza soluzione piro-
gallica. Tolti i turaccioli di cotone idrofilo dalle provette, la danza
speciosa continua, ma con forza minore: ed allora dal fondo Zimi-
te sorgono nuove bolle isolate, le quali arrivano alla superficie e
si sperdono, senza ricadere. Vuol dire, che è un gas, il quale
sì sviluppa e che dopo aver saturato lo spazio superiore wvwoto
della provetta, acquista tale una tensione da impedire il novello
sviluppo nel limite, ove si forma il solfato di potassa col bello
aspetto cristallino setiforme, incolore, trasparente; mentre lo svi-
luppo fatto nel liquido tende a sprigionarsi, ma è ricacciato in
basso, quando la sua tensione arriva a trovarne una maggiore nel-
Armi Acc., Von. VIII, Serie 48 — Memoria IV. 26
202 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
lo strato superficiale libero della soluzione potassica. Probabilmen-
te quel gas è acido carbonico, sviluppatosi per tracce di carbonato
di potassa nella soluzione potassica : l’ acido carbonico è messo in
libertà dall’acido solforico. Certo, che quel gas raccolto nello spazio
vuoto della provetta non mantiene la combustione del cerino, quando
si toglie il tappo e si entra il cerino acceso dentro, appena all’im-
boccatura della provetta. Se si rifà l’ esperimento senza tappare la
provetta, in primo tempo si ha lo sviluppo di bollicine dal fondo
limite, Ie quali vanno alla superficie libera e scompariscono: manca
l’apparenza danzante, e dopo 10 a 15 minuti lo sviluppo di bolli-
cine diventa sempre minore e scompare poi completamente.
B.
Altre differenze del colore pirogallinico con altri simili
mediante il cloroformio. Iodio e cloroformio. Ioduro di potassio nell’urina.
A quello che ho esposto nella parte 12, che il cloroformio
scioglie una sostanza gialla dalla vesuvina, niente dalla pirogallina,
devo aggiungere, che la tintura di iodo trattata col cloroformio fa
sciogliere immediatamente il metalloide ed il cloroformio depositato
nel fondo si colora in rosso-chermisi, che diventa intenso rosso-
porpora, o rubino-scuro coll’ agitare la miscela: posato però ritor-
na un colore chermisi forte dei più belli. Allora ho saggiato il io-
do metallico col cloroformio, perchè nella tintura di iodo vi era
ioduro di potassio, ed immediatamente il iodo sciogliesi col più bel
colore chermisi: evaporato il cloroformio spontaneamente , il iodo
riprende il suo colorito ed aspetto primitivo metallico. Con ciò la
tintura di iodio si distingue immediatamente dalle soluzioni di pi-
rogallina e di vesuvina.
Allora ho voluto vedere la sensibilità del cloroformio pel iodo,
e dopo una serie di tentativi ho potuto concludere, che il iodo ,
quando tinge appena in gialletto il liquido, dà sempre il bellissimo
colorito chermisi del cloroformio; ma quando non colora più il
liquido, anche in tracce infinitesimali, che più tardi si potranno
Ricerche sperimentali sull’'avvelenamento da acido pirogallico 2055
facilmente stabilire e che passano certamente il milionesimo, è sco-
verto dal cloroformio , il quale specialmente dopo aver agitato si
colora in rosa-pallido bellissimo, simile all’ amatista: questa reazio-
ne si ha anche quando il iodo per la minima quantità non dà più
la sua reazione caratteristica con Vl amido , il quale resta incolore
anche dopo 2 a 3 ore; mentre con altri titoli meno deboli della
stessa soluzione da il colorito bleu-violetto caratteristico.
Dopo ciò ho fatto altre ricerche per vedere, se anche pel io-
duro di potassio il cloroformio è reagente prezioso. Già, come era
a prevedersi, nessun cambiamento di colore induce il cloroformio
nella soluzione di ioduro di potassio, ma se vi si aggiunge una
goccia di acido forte, come il solforico e meglio il cloridrico e
meglio ancora il nitrico, comparisce, come si sà, il iodo libero
che colora in gialletto il liquido, e perciò immediatamente allora
il cloroformio si colora in chermisi, anche con tracce infinitesimali:
ed ho potuto anche qui stabilire la presenza del iodo, anche
quando la reazione sensibilissima dell’’amido non è più apprezza-
bile. Al contrario l' acido acetico non decompone il ioduro di po-
tassio : infatti la soluzione resta incolore, e quindi sperimentando,
la reazione al cloroformio non si avvera. L'acido picrico nem-
meno decompone, e perciò il cloroformio resta soltanto appena
colorato in giallo per l’acido picrico stesso, come si comprova con
la sola soluzione picrica. L'acido pirogallico anche fa restare in-
colore la soluzione di ioduro: esso aggiunto anche in notevole
quantità si scioglie perfettamente nella soluzione di ioduro, ma ,
come si è detto , il liquido resta incolore : ciò è comprovato dal
cloroformio, che resta scolorato anche agitando molto ; e questo
fatto comprova anche, che l’ acido pirogallico è un acido debole.
Lasciate le provette per 24 ore, tutto resta allo stesso modo: sol-
tanto quella con l acido pirogallico ha cominciato la sua trasfor-
mazione giallo-bruna in pirogallina.
Devo confessare , che io ignorava questa solubilità e colorito
speciale del iodo nel cloroformio: ho perciò riscontrato |’ opera
citata di Chimica, MaLagGutI, da cui ho rilevato queste parole testua-
204 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
li. “ L'acqua scioglie pochissimo il iodo nella proporzione di zoo
l'alcool e l etere lo sciolgono in una proporzione maggiore : è
egualmente solubile nel solfuro di carbonio e nella benzina e co-
munica loro quando è in poca quantità un bel colore amatista. ,
Del cloroformio non si fa affatto menzione: quindi si può aggiun-
gere, se non è ancora ben conosciuto, quest’ altro solvente del io-
do e segnalare la colorazione violetta intensa, o meglio di un cher-
misi forte, quando vi è sufficiente iodo.
Più importante ancora è la squisitezza della reazione di un
colore rosa-pallido, come 1° amatista, quando già la soluzione è co-
sì tenue, che non vi è più la reazione coll’ amido, e si sà che an-
che un milionesimo di iodo è scoverto dall’ amido (MaLacuti). Per
questa sua sensibilità estrema, superiore anche all’ amido, il cloro-
formio è un mezzo prezioso per scovrire tracce di iodo ovunque,
come nelle acque, e per la Clinica anche il ioduro di potassio nel-
l'urina, ecc. previa l aggiunta di qualche goccia di acido minerale.
Dopo ho voluto ripetere per conto mio il saggio con la ben-
zina, e sì ha un bel colore amatista, che in questo caso galleggia,
non va a fondo come invece succede col cloroformio. Anche gal-
leggiano l’ olio essenziale di trementina che si colora in giallo di
oro, l’ etere solforico in giallo-arancio-bruno bellissimo, lo xilolo in
rosso-porpora o rosso di sangue dei più belli; noto, che lo xilolo
scioglie più iodo degli altri solventi non solo perchè il colore spe-
ciale è molto forte, ma anche perchè la tintura iodica si decolora
più fortemente. Queste reazioni credo di un certo interesse per
l'esame dell’ urina alla ricerca di minime quantità di ioduro di po-
tassio : io l’ ho fatto sulla mia urina 2 ore dopo aver preso 5 cen-
tigrammi di ioduro di potassio; saggiando prima col bicloruro di
mercurio che dà il colorito rosso (ioduro di mercurio) col ioduro
di potassio, ed in altre provette saggiando con l’ amido ed acido
nitrico, non si ha alcuna reazione che sveli il iodo: invece, previa
l’aggiunta di un acido, il cloroformio dà la reazione amatista, de-
bole ma evidente: anche con lo xilolo e con la benzina la reazio-
ne è positiva: con l’ etere nulla. Io credo che a tutti i solventi
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 205
debba preferirsi il cloroformio, non solo per la sua squisitezza, ma
anche perchè il cloroformio si raccoglie in fondo, e quindi la co-
lorazione caratteristica si conserva meglio.
DE
Letteratura,
Prima di riordinare in sunto i corollarii degli studii esposti
riferirò per sommi capi le ricerche già fatte sull’ avvelenamento da
acido pirogallico. Confesso, che ho dovuto riscontrare alla fine del-
le mie ricerche la letteratura in proposito, perchè in primo tempo
ilo non era sicuro di che cosa si trattava nei S. Andrea e poi an-
che per non aver potuto disporre di libri in proposito. Dall’ altra
parte le ricerche che io aveva intrapreso sulle alterazioni del san-
gue occupavano tutto il mio tempo e poi si aggiunsero quelle sul
pirogallato di argento, per cui mi riserbai alla fine studiare tutto
quello che si era detto in proposito dell’avvelenamento pirogallico.
E sino ad un certo punto questa mancante opportunità mi ha gio-
vato nel senso di farmi ricercare con maggiore stento, ma con me-
no prevenzioni.
Quello che io già conosceva, come cosa comunemente nota ,
e che si accenna in generale nei trattati di Tossicologia, era, che
l'acido pirogallico è un veleno del sangue, un veleno riducente ,
un veleno che perciò dà V apparenza dell’ itterizia, e che era stato
sperimentato principalmente sui cani.
Ora ho potuto leggere il sunto della monografia del Dr. R.
KoBerT pubblicato nel Lehrbuch der Mmtoxikationem-Stuttgart-1893,
e quindi quando io già aveva cominciato le mie ricerche. Questa
monografia comprende anche tutta la letteratura; ho avuto poi
notizia di un recente lavoro sull’ avvelenamento in parola, compar-
so nel Bollettino Chimico-Farmaceutico di Vitali nell’ Agosto 1893,
ma che finora non mi è stato possibile avere con varie richieste
fatte.
206 vicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
Dalla monografia di Kobert si ricavano i fatti seguenti :
L'acido pirogallico, che è un triidrossilbenzolo, è il rappresen-
tante dei veleni riducenti. Adoperato già estesamente in fotografia,
non aveva dato occasione di avvelenamento , ciò che invece si è
avverato dal 1870, epoca in cui fu cominciato ad essere adopera-
ta in clinica principalmente come antiparassitario nelle dermatosi
sostenute da funghi: perciò si è avuta perfino la morte sia per la
grande estensione delle frizioni, sia per le parti private da epider-
mide.
L'azione dell’ acido pirogallico in soluzione acquosa concen-
trata sul sangue estratto, trasforma questo dando origine ad una
sostanza insolubile nell'acqua, nell’ alcool, di color rosso-bruno ,
che Kobert chiama emogallolo e che ha raccomandato in medicina
come farmaco. Invece questa trasformazione non si avvera nel san-
gue circolante e neanche in punti sanguinanti della pelle. Se poi
si fa agire sul sangue estratto una soluzione diluita, avvengono
alcune alterazioni di forma ed una parziale dissoluzione dei corpu-
scoli rossì e consecutiva formazione di metemoglobina sino a che
il sangue contiene ossigeno: senza questo, secondo Dittrich, non
sì ha formazione di metemoglobina, perchè oltre la sua azione ri-
ducente l acido pirogallico avrebbe secondariamente la proprietà
di attivare | ossigeno indifferente, come avviene in molte riduzio-
ni, quando in 2° tempo, o meglio terziariamente si forma metemo-
globina ossidata. Kobert non crede ciò dimostrato e ritiene , prin-
cipalmente dopo il lavoro di un suo scolare Vornkampff-Laue, che
la formazione di metemoglobina sia soltanto primaria, cioè mete-
moglobina ridotta.
Anche usato esternamente 1’ acido pirogallico dà nel sangue
la trasformazione in metemoglobina , ed induce quella serie di di-
sturbi proprii del clorato di potassa. Sottrae 1’ ossigeno anche ai
tessuti e quindi gli organi parenchimali si impoveriscono del gas
vivificante, in modo che se anche non interviene |’ asfissia e la
morte si hanno processi regressivi degenerativi, come è risultato
dagli sperimenti di Fraenkel e Geppert. L’acido pirogallico combi-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 207
nandosi con l ossigeno assorbito forma composti di colore oscuro
quasi nero, che rapidamente si decompongono e che agiscono per
loro conto sull’ emoglobina e sulla metemoglobina decomponendo-
le. Non è poi noto il modo come l'acido pirogallico si combina
con l’ ossigeno. Tra i prodotti di decomposizione dei composti ri-
sultanti dalla combinazione dell’ acido pirogallico coll’ ossigeno po-
trebbe esserci 1’ ossido di carbonio; ma ciò non si è potuto dimo-
strare nè sul corpo, nè <x vtro.
I fenomeni osservati in uomini assoggettati alle frizioni di un-
guento all’ acido pirogallico, 5 a 10 %o, per grande estensione
della pelle sono cefalea, brividi, vomito, diarrea, cianosi, sonnolen-
za. L’' urina è bruno-oscura, viene emessa con difficoltà e contiene
metemoglobina ed ossiemoglobina. La regione renale è dolente alla
pressione.
Lavori sperimentali sull’ azione dell’ acido pirogallico negli ani-
mali esistono già fin dal tempo di Bernard e Personne: lavori spe-
rimentali più recenti sono quelli di Nidell, Baumann, Herter, Anrep,
Neisser, Wedl, Natanson e B. Danilewsky.
IipeLL somministrando l acido pirogallico per la bocca a cani,
conigli e rane, meno qualche eccezione notò, che dopo | avvele-
namento il sangue era diventato color posa di caffè. Dal suo la-
voro però non è chiaro, se egli abbia ottenuto con | esame spet-
troscopico lo spettro della metemoglobina ; anzi in un caso, egli
dice, che malgrado l' alterata colorazione del sangue, ottenne uno
spettro normale di ossiemoglobina.
WepL ha fatto una descrizione minuta delle alterazioni miero-
scopiche del sangue, indotte dall’ acido pirogallico.
Egli descrive, che i corpuscoli del sangue sotto l’azione di una
soluzione concentrata di acido pirogallico sul sangue umano fre-
sco (quindi estratto), perdono il loro colore, sì rigonfiano e mostra-
no uno strato corticale a doppio contorno : nell’ interno di questi
corpuscoli si vede una massa granulosa colorata debolmente in
giallo-bruno ed una massa omogenea a grossi frammenti, che ri-
frangono fortemente la luce: quest’ultima massa si colora inten-
208 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
samente in bleu o violetto con una soluzione alcoolica di bleu o
di violetto di metilene. IMoltre una o tutte e due queste sostanze
fuorescono attraverso la membrana del corpuscolo rosso. I corpu-
scoli del sangue dei mammiferi si comportano analogamente a quelli
dell’uomo: anche quelli degli anfibii sì intorbidano subito e si ri-
gonfiano.
NATANSON non potè osservare queste alterazioni fine in tutta
la loro estensione, solo potè confermarne alcune: dalle sue espe-
rienze fatte sulle rane i corpuscoli del sangue in parte restano in-
tatti nella loro forma, in parte si rigonfiano : i nuclei fortemente
granulosi fuorescono dai corpi cellulari e si fondono in ammassi
irriconoscibili, da cui si originano coaguli omogenei, che chiudono
i vasi. Simili erano anche i fenomeni da parte del sangue negli
animali a sangue caldo : alla fine di ogni esperienza il sangue era
alterato nel suo colore, i corpuscoli erano intatti, ovvero appari-
vano raggrinzati, angolosi, o fusi in masse più o meno omogenee:
per lo più la sostanza colorante era passata nel plasma.
We ed Anrep trovarono che per azione diretta di una solu-
zione pirogallica sulla ossiemoglobina ed anche sulla carbo-ossiemo-
globina, che queste passano in metemoglobina.
DaxiLewsky potè stabilire, che i gas del sangue di cani avve-
lenati con l acido pirogallico presentano diminuzione di ossigeno.
Kobert dice al proposito di aver visto in questi animali per la
mancanza di ossigeno succedere estesa cangrena.
SILBERMANN dice di aver trovato in questo avvelenamento trom-
bosì capillari multiple.
Vorkamprr-Lave ha dimostrato, che nel passaggio della os-
siemoglobina in metemoglobina per pirogallato di soda avviene un
inacidimento del sangue.
Baumann ed HerteR, che furono i primi a studiare gli effetti
della introduzione di acido pirogallico nell’ organismo, e che dimo-
strarono che esso in parte compare nell’ urina come acido solfo-
rico appaiato, eseguirono una volta la sezione di un cane avvele-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 209
nato e trovarono nella vescica dell’ urina bruno-rossiccia, che mo-
strava la stria di assorbimento della metemoglobina.
NeIsser, che descrive un caso di avvelenamento nell’ uomo ,
osservò che l’ urina era bruno-oscura, con le spiccate qualità della
urina emoglobinurica e metemoglobinurica. Fece esperienze sui co-
nigli e stabilì 4 gradi di avvelenamento : il 1° avviene quando si
inietta meno di 1 grammo per kilo ; nell’ animale ammazzato si
trova alterazione nel colore del sangue, senza alterazioni spettro-
scopiche , l urina è normale: nel 2°, 1 grammo per kilo, l urina
mostrava le note dell’emoglobinuria, e nei reni infarti emoglobinici
dei canaliculi renali; il sangue conteneva emoglobina libera, mete-
moglobina ed ematina: nel 3°, più di 1 grammo per kilo, si ave-
vano alterazioni simili al 2°; mancava solo l’ emoglobinuria per im-
pedita funzione renale: nel 4°, 2 grammi per kilo, la morte avveniva
in 10 2 ore; il sangue era nerastro come cioccolatte.
Nell’ uomo si ha l’ittero, e la pelle nei punti fregati è bru-
no-oscura. Nel morto di Neisser nelle cavità cardiache e nelle gran-
di vene furono trovati dei grossi coaguli rosso-oscuri : i reni di
color nero uniforme in tutti gli strati, ed al taglio strie rosso-nere
a raggi che risaltano poco dal resto: calici e pelvi renale, ureteri
e vescica contenenti sangue con fiocchi giallo-bruni : al microsco-
pio i canali contorti e retti sono quasi pieni di masse di pigmenti
rosso-bruni o neri, che ad ingrandimento più forte appariscono
come piccole sfere più o meno grandi, simili a gocce di gomma.
Nel sangue numerosi frammenti di corpuscoli sanguigni di tutte le
forme e grandezze: trombosi multiple capillari di Silbermann nei
varii organi. Quest’ ultimo reperto si sarebbe avuto soltanto negli
animali.
Bibliografia — Claude Bernard-Lecon, sur les prop. phys, ete.
vol. 2 (Paris 1859), pag. 144 —- Personne. Compt. rend. T. 69,
pag. 14: vergl. Schm. Ib. Bd. 185, pag. 238 —G. Hidell. med. chem.
Unters. von Hoppe-Seyler-Heft. 3, 1868, pag. 422— Derselbe-Ueber
das Verhalten der Gallussiure und des Pir. im thier. Org. Inaug.
Diss. Gottingen 1869 — Wedl-Wiener ad. Sitz. Ber. Bd. 64-1871,
ATTI Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria IV. DN
210 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
pag. 405 — E. Baumann , E. Herter-Ztschr. f. physiol. Chem.
Bd. 1-1877, pag. 249— Alb. Neisser-Ztschr. f. Klin. Med. Bd. 1-1879
pag. 88—Th. Weyl J. u. Anrep. Du Bois Arch. 1880, pag. 24 —
Besnier-Annales de dermat. et de syph. (2? ser.) vol. 3, 1882
pag. 694 (Casuistik) — B. Danilewsky-Russkaia Medicina. 1885 ,
pag. 127, u. 251 (russisch)—O. Silbermann-Virchow Arch. Bd. 117
pag. 228— Falkenberg-Ztschr. f. Klin. Med. 1888. Nr. 25 (Kvritik der
versuche von Silbermann).
Come si vede le mie ricerche hanno in gran parte conferma-
to l acquisto già fatto, hanno aggiunto una serie di altri fatti, ed
in varii punti sono in disaccordo coi risultati ottenuti dagli altri :
queste variande si possono riassumere nel modo seguente :
Dose — La discrepanza di opinioni sulla dose venefica dell’aci-
do pirogallico ha dovuto dipendere da neutralizzazione più o meno
parziale (stomaco), o da mescolanza e trasporto all’ esterno con
altre sostanze (stomaco, cibo) (intestino retto, feci), e principalmen-
te da perdita di una parte del veleno per reiezione all’ esterno (vo-
mito, defecazione), la quale non sempre succede immediatamente,
ma per lo più dopo un certo tempo, quando forse l operatore non
sempre sorveglia l animale. Quindi bisogna far calcolo del tempo
della vittitazione per evitare al veleno di coinvolgersi in parte, ol-
tre alla possibilità di essere un poco attenuato dal succo gastrico.
Se poi si inietta sotto la pelle bisogna evitare le soluzioni forti,
perchè allora 1’ assorbimento è minimo o nullo. La via più sicura,
con cui io ho potuto stabilire la dose venefica pei cani e pei co-
nigli, l’ offre 1’ intestino retto, quando si obbliga | animale a rite-
nere il veleno almeno per 20 minuti : allora si può essere sicuri
‘che tutto il veleno, o quasi, è stato assorbito : 20 centigrammi per
kilo di peso del cane, il triplo pel coniglio. certamente dà l’avvele-
namento con tutte le manifestazioni caratteristiche; non sempre
avviene la morte.
Metemoglobina — Si ha questa trasformazione quando |’ acido
pirogallico agisce sul sangue estratto : ma entro l’ organismo viven-
te costantemente si ha lo spettro dell’ emoglobina , non della me-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 211
temoglobina, come è risultato dalle mie osservazioni spettrosco-
piche.
Azione della pirogallina — L’ acido pirogallico quando assorbe
ossigeno dà origine a quel composto di color giallo-bruno nero,
che è la pirogallina: ora risulta dalle mie esperienze che non de-
vono avvenire dopo questa trasformazione le decomposizioni am-
messe dell’ emoglobina e della metemoglobina, non avendo la piro-
gallina, assorbita anche in grande quantità, nessuna azione vene-
fica non solo, ma non alterando affatto i componenti del sangue ,
restando la milza del suo colorito, l urina normale, ecc. Ritengo
invece che quelle alterazioni succedono in primo tempo sotto 1 a-
zione diretta dell’ acido pirogallico : in seguito vi è soltanto la con-
tinuazione dei guasti prodotti.
Urina -- Le alterazioni varie dell’ urina, che si hanno costan-
temente nell’avvelenamento, quando si è sicuri della dose sufficien-
te di veleno assorbito , si possono confermare soltanto nei giorni
successivi dell’ avvelenamento: così l emoglobinuria non comincia
quasi mai prima del 2° giorno, quando si ha ordinariamente se il
veleno è stato tutto assorbito.
E poi nei giorni successivi si presentano la fosfaturia, 1’ ossa-
luria, la glucosuria.
Sangue—Le alterazioni microscopiche del sangue degli animali
avvelenati sono più numerose, delle già osservate, nelle mie ricer-
che; ed insieme colle modificazioni grossolane, specialmente relati-
ve alla coagulazione, mi han permesso di trarre delle conclusioni,
che ho creduto non prive di interesse per la Fisiopatologia del san-
gue, come sarà esposto nel lavoro speciale.
Sintomi —Oltre le manifestazioni già conosciute, ho potuto no-
tare quasi costantemente tra i primi sintomi, anche dopo mezz’ ora,
debolezza ed incoordinazione dei movimenti volontarî, specialmente
degli arti: e poi salivazione, apatia, ipotermia, lingua violacea ,
bluastra , color bleu delle vene sottocutanee : urine leggermente it-
teriche : modificazione caratteristica del sangue, specialmente pel
colore rosso-bruno di ciliegia, nerastro, e la coagulabilità fortemen-
212 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
te aumentata : forte prostrazione, vomito, abborrimento da ogni
cibo.
Modificazione allotropica— Oltre la serie delle reazioni chimiche
e tanti altri fatti speciali che risultano dalle mie presenti ricerche,
devo dire due parole sulla modificazione, che io ho creduto allo-
tropica, dell’ acido pirogallico nell’ organismo vivente ; perchè da
quello che sin’ ora si conosce, si potrebbe considerare la suddetta
modificazione come acido solforico appaiato 0 accoppiato coll’acido pi-
rogallico, che fosse cioè, una specie dell'acido etilsolforico (Baumann).
A me ciò non pare: 1°, perchè nell’ urina si ha la reazione imme-
diata con l ammoniaca, e questa reazione dopo un certo tempo di-
venta quella caratteristica dell’ acido pirogallico: anche quella spon-
tanea dopo qualche ora si fa solo nello strato superficiale dell’uri-
na pel contatto dell’’ammoniaca dell’ aria, e si badi che in questo
caso l'urina, se era acida, resta tale; ed il colorito bruno se fosse
dato dall’ :drochkinone, V urina dovrebbe essere alcalina naturalmen-
te o artificialmente. 2°. Perchè quella reazione finisce ordinariamen-
te dopo 24 ore dall’ avvelenamento, quando nell’ urina non vi è
più acido pirogallico ; ed invece dovrebbe continuare, aumentando
principalmente dopo il 1° gioruo la decomposizione albuminosa de-
gli organi, che è una delle fonti di aumento patologico dei fenoli :
3°. perchè neanco la decomposizione intestinale sì può invocare,
mancando questa nel fatto : 4°. perchè, oltre che nell’ urina, quel-
la modificazione si ha fin dalla 1 ora dell’ avvelenamento nel san-
gue estratto.
Certamente qui bisognano tante altre ricerche per ben defini-
re la quistione ; e quindi sino ad una spiega più positiva e dimo-
strativa, considererò quella reazione speciale dell’ acido pirogallico
come allotropica. Anche a voler ritenere, che quella reazione pri-
mitiva di nerastro sia dovuta a pirocatechina o ad idrochinone , in
modo da velare, covrire quella dell’ acido pirogallico, il quale poi
in secondo tempa si mostrerebbe con la sua reazione forte, preva-
lente trasformandosi in pirogallina e nascondendo l altra; pure, se
ciò fosse vero, non è l’ acido pirogallico che si elimina come acido
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 213
solforico appaiato, ma questo invece si ha pel guasto cagionato dal-
l’ acido pirogallico , il quale poi si elimina come tale per le urine
nelle prime 24 ore.
Il fatto, che l apparenza nerastra di fumo con I ammoniaca
si ha solo quando vi è reazione pirogallica che si trova dopo pochi
minuti dall’ avvelenamento dell’ urina, non ancora alterata nel suo
colorito normale, esclude, che si tratti di idrochinone , ed invece
conferma la mia opinione di acido pirogallico allotropico.
Questo apprezzamento pare confermato dal nostro diarzo, pel
fatto, che di fenolo realmente si produce spesso ed in grande quan-
tità nei cani avvelenati coll’ acido pirogallico, per cui se una parte
forma l’ acido solforico accoppiato e sì elimina come acido fenilsol-
forico, V altra parte abbandona l' organismo come idrochinone, per
cui l’ urina tanto frequentemente è nerastra, da sembrare a distan-
za inchiostro. Ma in questi casi io ho trovato costantemente quel-
la reazione, che ritengo al/otropica, dell’ acido pirogallico nell’ am-
moniaca che si aggiunge; e questa reazione come cosa indipenden-
te dal colorito oscuro dell’ urina. E poi Vl urina nerastra o bruna
sovente continua nei giorni successivi per la presenza dell’ idrochi-
none, quando già non vi è più traccia di quella speciale reazione
pirogallica coll’ ammoniaca, essendo terminata l’ eliminazione del ve-
leno per la via dei reni; mentre indubitatamente continua il gua-
sto e la decomposizione degli albuminoidi e quindi la produzione
dell’ idrochinone.
Infine la presenza della reazione allotropica anche nella bile,
fino a 2 settimane quando non ve ne è più nell’ urina, Ja quale al-
lora si mostra invece coi caratteri normali, principalmente col co-
lore giallo-paglia, conferma vieppiù il mio apprezzamento.
X.
Riassunto e Conclusioni.
Per maggiore chiarezza disporrò tutto questo in 3 paragrafi
distinti, cominciando dai
214 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
AL
Corollarii chimici.
1° Per scovrire l’ acido pirogallico vi sono altre reazioni chi-
miche,
a) Il nitrato di argento lo scovre al di là di quan-
stai
2000000
do l ammoniaca non dà più reazione, o anche dandone l’ ombra,
scompare presto: il nitrato di argento dà una reazione immediata
di imbrunimento, debole in principio, ma che in pochi minuti di-
venta forte, caratteristica di un colore violetto sporco sbiadito, re-
stando però il liquido perfettamente trasparente: questa reazione
cresce ancora, dopo un'ora è spiccatissima e dura non solo nel
giorno successivo, ma anche al di là di un mese con lieve modi-
ficazione di annerimento ed un poco di precipitato polverulento
nerastro.
b) Gli acidi, specialmente il nitrico, il quale, usato secondo
il metodo di Gmelin per i pigmenti biliari, ne scovre piccole trac-
ce arrossendo con tinta di rosso-granato il limite del liquido di
saggio; e poi dà in pochi minuti un’iridescenza speciale, contraria
a quella data dai pigmenti biliari primarii, cioè la bilirubina e suoi
equivalenti, nei quali, come è noto, il colore superiore è il verde
e poi si scende agli altri: invece con l’acido pirogallico il primo
colore è il rosso-intenso e poi si va al giallo-arancio, poi giallo-ca-
narino, poi verde ed infine traccia di bleu e violetto, in modo che
questa iridescenza somiglia molto allo spettro della luce solare. E
ciò non solo si è confermato con l urina di cani avvelenati, ma
per evitare Ja possibile contribuzione di pigmenti biliari nell’ urina,
controllato anche con la soluzione di acido pirogallico in acqua
distillata.
Le reazioni con altri acidi solforico, cloridrico, acetico e pi-
crico sono anche speciali, come si è esposto nel corpo del lavoro.
2° L'acido pirogallico ha una speciale reazione con la carta
di tornasole, dandole soltanto un colorito violaceo, non rosso-vivo
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 215
di fuoco, come tutti gli altri acidi: danno un colore più rosso della
carta di tornasole i vapori di acido acetico per un minuto, che l'a-
cido pirogallico; e ciò non dipende dal titolo debole della soluzio-
ne pirogallica, succedendo precisamente lo stesso con soluzioni
concentratissime e perfino mettendo dell’ acido pirogallico in sostan-
za, cristallizzato sulla carta di tornasole bagnata in acqua distil-
lata; l’ acido si scioglie subito sulla carta bagnata, ma la reazione
è sempre la stessa. Dippiù il limite di bagnatura nella soluzione
pirogallica della carta di tornasole è bluastro-violaceo, non rosso
vivo e simile al resto del saggio fatto, come succede con gli altri
acidi.
Della cristallizzazione particolare dell’ acido pirogallico si dirà
nel lavoro speciale del pirogallato di argento.
3° L’acido pirogallico eliminato per la via dei reni ha dovuto
subire una modificazione intima, probabilmente a/lotropica come si
dice in Chimica, perchè la sua reazione con l ammoniaca non è
più fin dal primo momento giallo-arancio-bruna, come quella di una
soluzione di acido pirogallico in acqua distillata ; è invece di un
grigio-nerastro come fumo; gradatamente però, dopo circa un'ora,
comincia a comparire il colore giallo-rosso-bruno caratteristico in
cui il primitivo si trasforma : vuol dire che il contatto prolungato
con l ammoniaca ritorna all’ acido pirogallico modificato nell’orga-
nismo le sue qualità primitive. Questo fatto si è potuto verificare
costantemente moltissime volte con l'urina dei cani avvelenati nel
1° giorno dell’ avvelenamento. E per eliminare il dubbio se quella
modificazione fosse dipendente soltanto per trovarsi l'acido pirogal-
lico nell’ urina, quindi per la presenza di altre sostanze e non già
avvenuta nell’ organismo stesso, si è messa una soluzione di acido
pirogallico nell’ urina di un cane sano, appena emessa: saggiata
la miscela coll’ ammoniaca, la reazione è caratteristica per 1 acido
pirogallico ordinario, si ha, cioè, immediatamente nel limite il co-
lore giallo-arancio forte, che poi cresce, ecc. Ma poi, riflettendo che
la reazione dell’ acido pirogallico è della modificazione allotropica
fin nello stesso sangue degli avvelenati, si può anche perciò essere
216 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
invogliati a ritenere che la modificazione allotropica succeda nel
passaggio per Vl organismo.
La reazione speciale notata non pare, che debba mettersi sul
conto della formazione di acido solforico appaiato coll’ acido piro-
gallico, e quindi alla messa in libertà di sdrochinone ecc. , non es-
sendo identica, e comparendo solo quando vi è acido pirogallico
nell’ urina; mentre l’ idrochinone appare meglio dopo il primo gior-
no nelle urine, colorandole uniformemente in nerastro, quando non
vi è più acido pirogallico, nè quella speciale reazione allotropica,
costante nelle prime 24 ore. L’urina nella prima giornata ha cam-
biato poco il suo colorito normale, non è mai scura nerastra e si
conserva costantemente acida ed è appunto allora che si trova
molto acido pirogallico con quella reazione allotropica : è soltanto
nel 2° giorno che l urina diventa ematica o più spesso nerastra
per poi diventare ematica il dì seguente, ed è nel 2° giorno che
l’urina quasi costantemente diventa alcalina o neutra: non vi è
più o quasi quella speciale reazione pirogallica, ma il nerastro dif-
fuso dell’ urina dice la presenza dell’ idrochinone, naturalmente mi-
sto ad altre sostanze coloranti, come i pigmenti biliari e la piro-
gallina.
4°. Avendo tenuto l'acido pirogallico per circa 8 mesi, duran-
te queste ricerche, esposto alla luce diretta solare in una boccetta
a cristallo incolore, si è potuto stabilire e dar ragione all’opinione,
che questa sostanza non si altera nel suo colore per 1’ azione della
luce, se la boccia si tiene ben chiusa, quindi se si impedisce lo
accesso all'aria, vuol dire all’ammoniaca della stessa. Solo alla
parete della boccetta sono attaccati pochi cristalli che diventano
giallo-bruni, quasi neri; ma dopo questo che avviene nei primi
giorni non vi è trasformazione ulteriore: ciò deve dipendere da
tracce di alcali attaccate al cristallo, come succede frequentemente
nelle lastrine per preparati microscopici, alle quali noi togliamo ,
come è noto, quelle macchie con soluzioni acide. Non sì può però
negare anche la contribuzione di un poco di ammoniaca entrata
nelle molte volte che si è dovuto aprire la boccetta.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 217
5. Per preparare la pirogallina in soluzione, mediante 1° am-
moniaca, bisogna ripetere l’ operazione per varii giorni onde avere
tutto l’ acido pirogallico trasformato in pirogallina : cioè, un liquido
definitivamente neutro e colorato in quel modo speciale giallo-bruno
quasi nero, con orlo giallo-bruno caratteristico. Allora soltanto non
vi sono più reazioni positive dell’ acido pirogallico e suoi derivati,
meno quelle da me ottenute. Questa sostanza anche a dose fortis-
sima è innocua per i conigli e per i cani, e dovrebbe del pari es-
sere innocua per l’uomo. Lasciata seccare non cristallizza mai, re-
sta attaccata alla porcellana come una vernice, rafforzando il suo
colorito caratteristico giallo-bruno. Anche essiccata è eminentemente
solubile nell’ acqua e nelle soluzioni alcaline : è per contrario inso-
lubile nella glicerina, nel cloroformio, nell’ etere, ecc. È decolorata
notevolmente dagli acidi in sostanza, principalmente dal nitrico con
lieve precipitato brunastro. Se la pirogallina seccata cristallizza, vuol
dire che vi è ancora acido pirogallico; ed allora è questo che cri-
stallizza in modo raggiato, echinato, e la pirogallina col suo colore
giallo-bruno non fa che colorare a quel modo i cristalli : ciò si con-
ferma facendo seccare spontaneamente una soluzione satura di aci-
do pirogallico nell’ ammoniaca (5 centigrammi, facendovi cadere so-
pra uno o due goccie di ammoniaca in una capsula di porcellana).
6. Un liquido ricco in pirogallina somiglia alla tintura concen-
trata di iodio, ovvero ad una soluzione satura di vesuvina. Si di-
stingue però da entrambe per caratteri fisici e chimici e special-
mente per mezzo del cloroformio, che perciò diventa il reagente
più prezioso e spiceiativo. Dei caratteri fisici si cenna solo, che la
tintura di iodo, specialmente 1’ alcoolica concentrata, ha V orlo della
superficie rosso-bruno, che così tinge e resta attaccato alle pareti
della provetta per un certo tempo dopo essere stata smossa : la
vesuvina ha invece l’ orlo rosso-vivo chiaro e resta attaccata anche
per un certo tempo alle pareti della provetta, se si smuove : men-
tre la pirogallina ha sempre il suo orlo caratteristico giallo-bruno,
anche quando la soluzione è così concentrata da sembrare nera ,
Arti Acc., Von. VIII, Serie 48 — Memoria IV. 28
218 Iicerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
e questa colorazione giallo-bruna resta attaccata poco tempo, solo
qualche secondo, al cristallo.
Il cloroformio : 1° con la soluzione di pirogallina non ne scio-
glie traccia; anche agitando la miscela, quando il cloroformio se-
dimenta in fondo è perfettamente incolore : 2° nella soluzione di
vesuvina le gocce di cloroformio, soltanto col traversare il liquido
senza agitare affatto, sì depositano nel fondo con un colorito giallo
di oro molto bello ed il colore così resta, crescendo appena col-
l’ agitare, anche per mesi: 8° nella tintura di iodio col cloroformio
il metalloide si scioglie immediatamente ed il cloroformio che si
deposita nel fondo sì colora in rosso-chermisi, che diventa intenso
rosso-porpora, rubino scuro coll’ agitare, ma che dopo un certo
tempo ritorna chermisi forte dei più belli. Questa reazione al clo-
roformio è pel iodo la più sensibile e vi si avvicina solo quella
colio xilolo : sorpassa anche quella dell’ amido e permette di rin-
tracciare dosì minime del metalloide ovunque, anche come ioduro
di potassio nell’ urina.
7. La pirogallina è notevolmente decolorata nelle sue soluzio-
ni dagli acidi minerali, specialmente dal nitrico : bisogna aggiunge-
re una quantità eguale di acido ed allora assume un colore giallo-
chiaro: dopo un certo tempo vi si nota un lieve precipitato bru-
nastro. Questo sdoppiamento, o meglio questa trasformazione della
pirogallina in acido metagallico mette la base ad una novella rea-
zione con l’ ammoniaca, ricostituendo la reazione caratteristica pi-
rogallica giallo-arancio-rossigna. Che la pirogallina per azione degli
acidi non ricostituisce 1’ acido pirogallico si deduce anche dal fatto,
che essa riuscirebbe venefica, quando è apprestata per lo stomaco
per l’ acido cloridrico del succo gastrico: ciò che è contro il fatto,
essendo la pirogallina innocua anche a forti dosi.
Da ciò si può ricavare un fatto di interesse pratico economi-
co, cioè per le macchie di pirogallina: un mio assistente si è mac-
chiato un polsino di quelli impermeabili con la soluzione di acido
pirogallico, ma se ne è accorto soltanto nel giorno seguente, quan-
do la macchia era diventata giallo-bruna nerastra : non si è potuta.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 219
togliere con V ammoniaca, invece si è decolorata completamente
con l’ acido acetico glaciale in modo da non più apparire, ed il co-
lore è stato trasportato dal panno con cui si è strofinato sulla mac-
chia: pare insomma, che VP acido ha decolorato e precipitato la pi-
rogallina in acido metagallico, il quale realmente è stato trasportato
dal panno che sì è macchiato in bruno.
8. Non solo l’ acido pirogallico, come già è conosciuto, sì tra-
sforma in acido metagallico mediante il calore a 250°, o mantenu-
to per un certo tempo ad una temperatura prossima al suo punto
di fusione, (115°), ma anche la pirogallina portata a 250° si tra-
sforma in acido metagallico, come varie volte si è confermato con
la pirogallina preparata artificialmente, con l'estratto del fegato di
animali avvelenati e con quello dei S. Andrea. E siccome I’ acido
metagallico per essere una sostanza nerastra, amorfa, inodora, qua-
si insolubile nell’ acqua, invece solubilissima negli alcali, ricostituen-
do così la caratteristica reazione pirogallica, dimostra sicuramente
la presenza dell’ acido pirogallico e suoi derivati, così mediante Ja
trasformazione ottenuta della pirogallina in acido metagallico col
calore abbiamo potuto con un nuovo mezzo dimostrare il giudizio
finale medico-legale, illuminando la quistione là ove la chimica re-
stava muta, come nel caso dei S. Andrea, nel cui estratto vi era
soltanto il colore della pirogallina, ma nessuna reazione positiva ;
nè si era in possesso di acido pirogallico apprestato, come invece
si è sicuri nell’ esperimento sugli animali.
9. La soluzione di pirogallina, come anche gli estratti di fega-
to che la contengono, saggiati col metodo di Gmelin si comporta-
no diversamente se si adopera 1’ acido nitrico, o invece altri acidi
solforico, cloridrico. Con questi ultimi, oltre colorazioni speciali la
pirogallina resta a galla anche per molte ore, restando netto il
limite coll’ acido: invece col nitrico non avvengono colorazioni
speciali, ma semplice decolorazione : e quel che più importa, come
per dire una specie di affinità, la soluzione di pirogallina fatta ca-
pitare con tutte le norme, immediatamente comincia a far scom-
parire il limite addentrandosi nell’ acido sottostante in forma di
220 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
grosse digitazioni, che successivamente l invadono. Il giorno se-
guente si trova tutta la massa del liquido decolorata, mentre con
gli altri acidi ciò non si avvera, notandosi ancora nel fondo l’aci-
do separato dalla soluzione di pirogallina, e questa poco decolorata.
10. La soluzione di acido pirogallico colla soluzione di nitra-
to di argento dà un precipitato nerastro abbondante : filtrata la mi-
scela si ha un liquido limpido giallo-rossigno, e quando si hanno
parti eguali delle 2 sostanze di un giallo-rosso-bruno molto simile
alla soluzione di pirogallina. Questo liquido limpido dopo 24 ore
esposto alla luce precipita argento metallico sulle pareti della pro-
vetta. Se quel liquido si filtra di nuovo, se ne ha un altro limpido
e dello stesso colore precedente, solo un poco diminuito, simile a
quello delle miscele ove prevale l' acido pirogallico pel nitrato di
argento (50: 10, 50: 20) le quali quasi non danno precipitato di
argento alla luce. Dopo 24 ore da tutti i saggi fatti si ricava una
sostanza liquida giallo-rossigna un po’ bruna, la quale restando per
settimane ed anche per mesi esposta alla luce non si altera più ,
specialmente se poi si filtra una 3® volta: e quello che più impor-
ta, saggiata col cloruro di sodio o coll’ acido cloridrico resta per-
fettamente immutata, limpida, dello stesso colore. Se invece si ag-
giunge una goccia di ammoniaca si ha una colorazione nerastra
come di fumo nel limite e che subito si estende a tutta la soluzio-
ne: e ciò non facendo il solo acido pirogallico ed esclusa la pre-
senza del nitrato di argento, fa ritenere trattarsi di un nuovo com-
posto, che probabilmente sarà un pirogallato di argento.
Il quale si può preparare ogni volta che vi è acido pirogalli-
co libero, aggiungendo nitrato di argento : ed è perciò, grazie alla
sua reazione sensibilissima, uno dei mezzi più sicuri per stabilire,
se in un liquido vi è ancora acido pirogallico, come quando si pre-
para la pirogallina: se tutto l’ acido impiegato si è trasformato in
essa, aggiungendo nitrato di argento e dopo ammoniaca, manca
assolutamente quell’ annerimento speciale.
11. Lo sviluppo di ifomiceti, blastomiceti ed anche di schizo-
miceti non alterano il colore della soluzione di pirogallina mista a
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 221
sostanze organiche, che è il caso degli estratti, anche dopo mesi,
come sì conferma con la filtrazione degli estratti in cui vi è piro-
gallina ed ove qualche volta si sono sviluppati quei microrganismi.
B.
Corollarii fisio-patologici.
1. L'acido pirogallico avvelena allo stesso modo il coniglio ,
il cane e luomo, perchè data la quantità sufficiente per ciascun
animale sì ha sempre la stessa sintomatologia e l' identico reperto
anatomico. Il coniglio tollera dosì molto maggiori del cane e per
essere avvelenato ne abbisogna del triplo. Pel cane si può stabili-
re, che l'acido pirogallico , quando si mettono i mezzi del totale
assorbimento, riesce venefico e spesso mortale alla dose di 20 cen-
tigrammi per kilo di peso dell'animale. Il veleno è subito assorbi-
to ed anche dopo mezz’ ora sovente cominciano i sintomi dell’ av-
velenamento, ma le manifestazioni più gravi bisogna aspettarle do-
po 24 e spesso dopo 36 ore, come principalmente l’emoglobinuria.
Si noteranno in seguito le influenze che minorano la velenosità ,
come principalmente il latte, lo stomaco pieno di ‘cibo, il prendere
il veleno coll’ alimento, forse anche il salasso, la razza dell’ ani-
male, e poi principalmente le piccole dosi preventive, o infine l'aver
superato l’avvelenamento: pel momento si fa risaltare | influenza
benefica di una giusta temperatura da 15° a 18° c.; infatti si è
potuto notare, che 1’ avvelenamento ed una delle sue manifestazio-
ni principali, l ipotermia, a parità di condizioni sono molto più
accentuati e gravi se | ambiente della stanza è freddo, come è
successo cogli animali avvelenati nel Dicembre e Gennaio, e che
sono restati in una stanza, ove alle 2 p. m., essendo il tempo se-
reno e non ventoso , la temperatura massima ha segnato 9° c. e
poi molto più bassa nel resto della giornata; oltre 1’ umidità di
questa stanza esposta a settentrione ove vi è giardino. Per questa
ragione sì è dovuto in seguito trasportare i cani avvelenati in una
DI
DI
be
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
stanza a mezzogiorno, ove la media era 15° c. ed il risultato com-
parativo fu più sodisfacente.
Per l’uomo non si può partire da dati sicuri di fatto; ma non
è improbabile che esso sia più suscettivo e sensibile all’ avvelena-
mento pirogallico del cane, come questo lo è più del coniglio.
2. Si conferma che I acido pirogallico è ad azione riducente
e che è un veleno del sangue, ove per l alcalinità dello stesso
trova la condizione chimica favorevole per trasformarsi in pirogal-
lina, sottraendo ossigeno ai corpuscoli rossi, da cui la dissoluzione
dell’ ossiemoglobina. Vuol dire, che questo veleno come azione
propria immediata non disfà il corpuscolo rosso, come si vede nel
fatto, ma il suo contenuto, sottraendo l’ ossigeno e liberando 1° e-
moglobina: insomma la polpa del corpuscolo rosso è attaccata, ma
lo scheletro è rispettato. Con ciò si comprendono le alterazioni sì
grossolane che fine del sangue stesso e tutta la serie di conseguen-
ze lontane e generali.
Grossolanamente nel forte avvelenamento il sangue estratto
dall’animale : 1° ha reazione costantemente alcalina, sebbene note-
volmente diminuita dalla normale, e ciò è confermato in tutti gli
stadi: 2° è di colorito rosso-ciliegia-bruno nerastro con orlo carat-
teristico giallo-bruno ; e ciò è dovuto da una parte all’emoglobine-
mia, dall’ altra al colore della pirogallina : 3° coagula nei primi
giorni con più rapidità e per ciò si dovrebbe trovare un deterio-
ramento e guasto delle piastrine, secondo l’opinione del Bizzozero:
4° il siero separato ha un colore rossigno-bruno , con orlo giallo-
bruno caratteristico della pirogallina specialmente dopo 24 ore , e
saggiato con l ammoniaca dà la reazione pirogallica, tra Vl am-
moniaca che galleggia ed il siero sottostante, con uno strato gri-
gio-brunastro che poi diventa un po’ giallo-bruno.
Questa dissoluzione intima del sangue deve alterare profonda-
mente il ricambio materiale e quindi la comparsa nell’ urina di
abbondanti fosfati, dell’ ossalato di calce, dello zuccaro diabetico ,
della leucina e tirosina.
3. L'acido pirogallico nella soluzione di 1 a 100 non cagiona
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 223
fatti irritativi locali evidenti ed è assorbito con straordinaria rapi-
dità, quasi immediatamente dal peritoneo, molto rapidamente dallo
stomaco e dall’ intestino retto, confermando la sua presenza do-
po 20 ed anche 15 minuti nell’ urina, ove si apprezza dopo sì bre-
ve tempo anche la presenza dei pigmenti biliari col cloroformio.
La quasi istantaneità dell’ assorbimento, come forse non lo fa nes-
sun altro veleno deve dipendere da 2 fatti, cioè dall’ estrema so-
lubilità del veleno e dal non cagionare a quel titolo di soluzione
fatti infiammatorii, che renderebbero |’ assorbimento più difficile.
La metà della dose pel peritoneo vale quasi quanto l'intera per
lo stomaco in rapporto alla gravezza dell’ avvelenamento : se si uc-
cide l’animale anche 15 minuti dall’ iniezione nel peritoneo, facen-
do l’ estratto dal fegato, si ottiene molto ricco in acido pirogallico
e pirogallina.
Oltre il peritoneo, il retto e lo stomaco, introdotto il veleno
direttamente nelle vene, o nel tessuto sottocutaneo, nel 1° caso si
ha sempre avvelenamento più o meno forte, secondo la dose iniet-
tata, qualunque sia il titolo della soluzione impiegata; nè avrebbe
potuto essere diversamente, stante che una porzione di veleno de-
ve essere trasportata nel circolo dal sangue : oltre di ciò nei 2
casi di sperimento con 25 centigrammi in un grammo di acqua
vi è stata trombosi perfetta della vena (giugulare esterna ) per la
estensione di parecchi centimetri, e ciò confermato dopo 24 ore.
La trombosi ha dipeso , oltre che dall’ azione diretta sul sangue
del primo tratto, anche dall’ azione necrotizzante del veleno così
concentrato sull’ endotelio dell’ intima. Questa azione necrotizzante
è simile a quella che si ha sperimentando ’ altra via di assorbi-
mento, la sottocutanea, ove iniettando anche per varii giorni suc-
cessivi un grammo di acqua con 20 centigrammi di veleno ad un
cane, ed un grammo a 0, 10 ad un altro, si è avuto il risultato
della formazione di escare nel sito della puntura e dopo alcuni gior-
ni suppurazione eliminatrice, ulcerazione consecutiva, ecc. Qui pe-
rò non vi è stato assorbimento, come 1 hanno dimostrato le ana-
lisi delle urine, nè alcun altro sintomo di avvelenamento: solo do-
224 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
po qualche giorno nell’urina vi sono tracce del veleno; mentre poi
sperimentando con soluzione attenuata, allo stesso titolo di quella
apprestata con la sonda gastrica per lo stomaco o pel retto (1 : 100,
o 1: 50), l'assorbimento per la via ipodermica è positivo ed è
rapido.
Se ai cani, operati ripetutamente con le iniezioni ipodermiche,
e che stanno benino con tutte le iniezioni ripetute, dopo sì ap-
presta il veleno per lo stomaco a dose venefica , tollerano la 1
volta abbastanza bene, ma con la 22 dose comincia l’ avvelenamento:
però da questo gli animali così precedentemente trattati guariscono
più facilmente degli altri a cui non si è fatto quel trattamento pre-
ventivo. In questi animali risalta il fatto, che quando con le dosi mag-
giori per lo stomaco sì ha Il avvelenamento, di veleno passa poco
nell’ urina e qualche volta nulla. Questi fatti potrebbero contribuire
ad illuminare in parte il capitolo ancora non chiaro dell’ assuefa-
zione e dell’immunità, e di ciò in seguito. Intanto per ora si fa
rilevare, che probabilmente sarà assorbita una sostanza speciale, sia
una combinazione del veleno cogli albuminoidi, sia gli stessi albu-
minoidi in modo speciale modificati, che mentre da una parte cre-
scono la resistenza dell’ organismo non fanno passare il veleno per
l'urina: potrebbe anche essere, che la minima quantità assorbita
e che appena si rivela nelle urine fa crescere la resistenza, che
poi è vinta da dosi forti, ripetute: ma sempre, anche allora passa
poco acido pirogallico nell’ urina, quindi vuol dire che il veleno in
gran parte resta all’ organismo formando un composto speciale me-
no venefico: come anche potrebbe ammettersi che col trattamento
preventivo il fegato aumenti la sua attività antivenefica, che imma-
gazzini, trasformi ed elimini il veleno in quantità molto maggiore
che nel comune avvelenamento.
A pelle intatta l’ acido pirogallico si assorbe poco ed il suo
titolo di soluzione non deve essere concentrato : ovviando al lec-
carsi degli animali, si può con la soluzione allungata confermare
la presenza del veleno nell’ urina.
4. Per qualsiasi via assorbito, l acido pirogallico dopo 15 mi-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 220
nuti a mezz’ ora compare nell’ urina, nella quale dopo 24 ore, al
massimo dopo 2 giorni, non si può più apprezzare. Il veleno vi
passa modificato sotto forma allotropica, e poi sotto I azione del-
l’ammoniaca, dopo qualche ora, riprende le sue proprietà primiti-
ve. L’ urina è ordinariamente itterica fin dal principio, anche dopo
mezz’ ora : l’ apparenza itterica è sostenuta dall’ urobilina, e tutto
ciò vuol dire, che l' alterazione nel sangue sui globuli rossi è già
cominciata, e forse anche vi è lo stato irritativo iniziale del fegato.
5. La maggior parte del veleno s'immagazzina nel fegato, ove
sì può trovare sino a 2 settimane ed anche più nella bile della ci-
stifellea con la sua reazione caratteristica, nell’ estratto del fegato
anche dopo 2 mesi come pirogallina, e dopo un tempo molto mag-
giore con l esame micro-chimico dei corpuscoli bianchi emigrati nel
fegato, che sono colorati in giallo-bruno più o meno intenso, e que-
sto colore risponde ai caratteri dei prodotti pirogallici, sciogliendosi
in parte coll’ acqua (non completamente, perchè oltre a residui ema-
tici pare che vi sia anche trasformazione metagallica), e rapida-
mente in modo completo con gli alcali ; mentre è insolubile col clo-
roformio, alcool assoluto, glicerina, ecc.
E questa sede elettiva del fegato non è data dal fatto, che
tale glandola è il primo organo ove arriva il materiale di assorbi-
mento dal tubo gastro-intestinale, ma perchè vi è una elezione spe-
ciale per tale veleno, trovandosi questo ìn maggior quantità e dal
2° giorno in poi soltanto nel fegato, anche quando |’ assorbimento
si è fatto da altri punti che sono fuori il dominio della vena porta,
come l’ iniezione nelle vene e sotto la pelle: in questi casi dopo
varii giorni il veleno si trova soltanto nella bile, e la pirogallina si
ricava solo dall’ estratto del fegato.
In conclusione il fegato ha la proprietà di fissare l acido pi-
rogallico e perciò è il deposito principale dal veleno, il quale dopo
2 giorni dall’avvelenamento si trova esclusivamente nell’ organo in
parola. Esso lo trasforma e se ne libera lentamente per mezzo della
bile e quindi per la via dell’ intestino, non più per quella dei reni,
o forse soltanto traccie. Però anche dopo varii mesi ve ne sono re-
Arti Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria IV. 29
226 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
sidui nelle cellule rotonde emigrate ed infiltrate nei tessuto, o ingò-
iate dagli endotelii.
6. Se invece dell’ acido pirogallico si sperimenta con la piro-
gallina, questa non ha ragione di avvelenare, perchè cessata la pro-
prietà di sottrarre ossigeno, e difatti non avvelena più come si di-
mostra sperimentalmente con forti dosì : sempre però è presa dal fe-
gato, ottenendosi abbondante nell’ estratto, il quale ha un forte colore
giallo-bruno-nero, come tutti gli altri ottenuti coll’ avvelenamento
pirogallico e con le reazioni caratteristiche. La reazione con 1 am-
moniaca probabilmente si deve alla presenza dell’ acido metagallico,
che come in tutti gli estratti in maggiore o minore quantità si tro-
va per trasformazione fagocitaria nel fegato stesso, e forse in parte
anche pel calore prolungato a bagnomaria : certo la pirogallina pro-
pinata all'animale, preparata con tutto lo scrupolo, non dava più
reazione con V ammoniaca e quindi non ci sarebbe ragione di suc-
cedere la reazione nella pirogallina dell’ estratto. E che in parte sia
acido metagallico pare dimostrato anche dal fatto, che l estratto
allungato è un poco torbido, e lo strato superiore in contatto con
l ammoniaca non solo dà la reazione caratteristica, ma diventa per-
fettamente trasparente. Probabilmente la trasformazione succede in
parte anche nello stomaco sotto 1 azione dell’ acido cloridrico, che,
come sì è dimostrato, precipita in parte la pirogallina in acido me-
tagallico : e questo sperimento dell’ innocuità della pirogallina per
lo stomaco conferma anche l’ opinione esposta sull’ azione dagli
acidi, che se fosse disossidante e quindi ricostituente l’ acido piro-
gallico, l’ animale sarebbe avvelenato quando la pirogallina si pro-
pina per lo stomaco.
7. Non è la pirogallina, ma soltanto I acido pirogallico , non
trasformato in questa, il quale si elimina dai reni: diversamente
l'urina sarebbe colorata in quel modo speciale: invece resta del
colorito normale, se non vi è colorazione ematica, o biliare, o quella
nerastra fatta da eliminazione di fenolo sotto le apparenze dell’idro-
chinone. E difatti si ha il tipo dell’ urina normale apprestando al-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 22%
l’animale la sola pirogallina. Questa sostanza è rattenuta nel solo
fegato, il quale poi la elimina lentamente.
8. A comprovare la sede di elezione del veleno nel fegato,
anche nel 3° giorno del forte avvelenamendo in 2 cani morti per
questo, l’ estratto ottenuto dal fegato contiene una grande quantità
di veleno e suoi derivati, mentre nell’ urina non ve ne è più trac-
cia. Quello però che più importa è, che facendo | estratto delle
milze nere, questo non contiene traccia di veleno e suoi derivati,
essendo di un colore giallo-paglia, che fa grande contrasto col giallo-
bruno quasi nero di quello del fegato ; e poi saggiato con | am-
moniaca non vi è ombra di reazione pirogallica. In modo che la
milza, che col suo colorito nerastro avrebbe fatto sospettare la pre-
senza del veleno, non ne ha affatto e quel colorito è dovuto sol-
tanto alla dissoluzione del sangue.
9. A comprovare la lenta eliminazione del veleno dal fegato
mediante la bile, dopo 5, 6, 7, 8 e più giorni, quando già da va-
ri giorni non vi era più reazione pirogallica nell’ urina, stemperan-
do le materie fecali, ancora giallo-brune, nell’ acqua per 10 minuti
e poi filtrando si ha V acqua di un giallo-arancio e vi si confer-
mano tracce di pirogallina; mentre il colorito principale si dimostra
esser fatto da abbondante stercobilina (idrobilirubina, emafeina) con
le reazioni caratteristiche di colorare il cloroformio che diventa
giallo, coll’ acido nitrico rossigno e coll’ acido solforico di un colo-
rito violaceo. i
Con ciò non si è voluto dire, che 1 eliminazione del veleno e
suoi prodotti immagazzinati nel fegato si faccia soltanto per ’ in-
testino : probabilmente dietro trasformazioni lente speciali, che poi
sì fanno in tutto l’ organismo, quando le condizioni generali e dei
reni migliorano, l’ eliminazione si fà anche per gli altri emuntoi
naturali in modo pressochè insensibile.
10. Il quadro clinico dell’ avvelenamento pirogallico mostra va-
rii sintomi speciali, dei quali soltanto una parte era conosciuta. 01-
tre del vomito che spesso si mostra anche nei cani resi refrattarii
al veleno, le apparenze sintomatiche sono : 1’ itterizia, Y emoglobi-
228 Ricerche sperimentali sull’ arvelenamento da acido pirogallico
nuria e quindi | albuminuria che talora appare sola, la fosfaturia,
l ossaluria, il diabete mellito, grave indebolimento muscolare , ab-
battimento fino alla prostrazione completa, ipotrofia generale. La
termogenesi si abbassa per l'alterazione del sangue e la sottrazio-
ne di ossigeno : quindi |’ indicazione curativa più razionale in que-
sti casi dovrebbero essere le inalazioni di ossigeno frequentemente
ripetute; ciò che è stato già sperimentato con risultato favorevole
in un uomo avvelenato (P. Forest. L’ acide pyrogallique. Thése de
Paris. 1883). L’ ipotermia è quindi uno dei sintomi essenziali del-
l avvelenamento e non manca mai nelle prime ore, sebbene fosse
sovente fugace : quando è molto accentuata è il sintoma più in-
fausto per la vitu dell’'avvelenato, come si è confermato com-
parativamente cogli sperimenti. Spesso la termogenesi aumenta e
quindi appare la febbre, mai però nel 1° giorno dell’ avvelenamento,
quando in generale vi è ipotermia : ordinariamente la febbre si mo-
stra nei giorni successivi, specialmente quando si accentuano le
localizzazioni infiammatorie nel fegato e nel rene, ed anche quando
comincia il miglioramento : la febbre quindi segna spesso un pro-
nostico più benigno, specialmente se non sopraggiunge di nuovo
forte ipotermia, la quale è foriera per lo più della prossima fine.
I cani, come si sà, normalmente hanno in media 39° c.; lipoter-
mia fa scendere fino al di sotto di 33°, mentre la febbre anche la
più alta non oltrepassa quasi mai 40, 8°.
L'ultimo sintoma a scomparire, pur facendo notevoli oscilla-
zioni è il diabete, che spesso è anche il piu tardivo a comparire
e propriamente quando comincia il miglioramento , anzi talora si
accentua molto, quando l avvelenato pare di star bene e l’ urina è
perfino di un giallo-pallido : dura più di un mese. L'itterizia com-
pare la prima tra tutte le manifestazioni, almeno nell’ urina, ed è
la penultima a scomparire durando circa 2 settimane.
Il sangue dopo pochi minuti, 10 o 15, diventa di colore ros-
so-ciliegia-bruno nerastro, e da ciò il caratteristico colorito viola-
ceo, pavonazzo della lingua, delle gengive e l'aspetto bluastro-nero
delle vene sottocutanee (faccia interna del padiglione dell’ orecchio).
Iticerche sperimentali sull’avvelenamento da acido pirogallico 24)
Nel primo giorno dell’ avvelenamento il sangue coagula rapidamen-
te: esso conserva sempre, sebbene diminuita, la reazione alcalina,
con tutta la reazione pirogallica che si ha evidente nel siero sepa-
rato dopo l aggiunta dell’ ammoniaca: la reazione pirogallica si ot-
tiene soltanto nel sangue del 1° giorno dell’ avvelenamento.
L’ urina mostra una serie di cambiamenti di un interesse no-
tevole. Essa in primo tempo, fin dalla 18 ora, è itterica; al 2° gior-
no per lo più sanguinolenta, spumosa con sedimento , e ciò dura
2 0 3 giorni diminuendo l'apparenza ematica: in seguito, mostran-
dosi sempre un po’ torbida, diventa giallo-verde-bruna e poi gial-
lo-arancio verdognolo, più tardi come marsala, e così gradatamen-
te perde i pigmenti biliari e torna al colorito normale giallo-paglia:
anche allora vi può essere molto zuccaro. La reazione alle carte
reagenti è alcalina per lo più nel 2° e 3° giorno dell’ avvelenamen-
to quando vi è emoglobinuria, ed anche se questa manca : è de-
bolmente acida nei giorni consecutivi ed in seguito è costantemen-
te acida. L’albuminuria nel forte avvelenamento è costante al 2°
giorno e può toccare cifre alte, anche più del 10 per 1000, quando
però vi è emoglobinuria, ed allora il pronostico è più sfavorevole:
sì mantiene alta per 2 giorni e poi gradatamente si abbassa sino
allo scomparire completamente dopo 4 o 5 giorni, quindi verso il
7° dell’ avvelenamento. L’ acido pirogallico si scorge nell’ urina fin
dalla prima mezz’ ora con l ammoniaca e la reazione è più carat-
teristica quando la provetta coll’ urina è immobile e si fa cadere
l’ammoniaca strisciando per farla restare a galla : allora immedia-
tamente nel limite inferiore dell’ammoniaca comparisce un’ appa-
renza colorata come di fumo grigio-nerastro, che gradatamente cre-
sce diventando dopo qualche ora giallo-bruno e poi giallo-rosso-bru-
no intenso. Questa reazione diminuisce nell’ urina che si raccoglie
dopo il 1° giorno e quindi nel 2° ve ne è poco o nulla, e scom-
pare poi nei successivi. Dopo scomparsa Vl emoglobinuria o l albu-
minuria sì apprezzano molti fosfati, principalmente 1 ammonico-
magnesiaco e ciò dura per alcuni giorni per lo più sino all’ 8° ed
al 9°. Con questa fosfaturia concide l’aumento dello zuccaro, il qua-
230 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
le però, sebbene in piccola quantità, era apprezzabile anche nei
primi giorni dell’ avvelenamento ; e ciò confermato col lavare il bi-
smuto annerito con la potassa, per togliere il dubbio che quel co-
lore scuro fosse dato dalla pirogallina, o dall’ acido metagallico ; il
magistero di bismuto resta sul filtro nerastro o grigio-scuro, anche
dopo avervi fatto passare un’ abbondante soluzione di potassa. I
pigmenti biliari che compariscono così presto, diminuiscono quando
vi è emoglobinuria e poi ricompariscono in notevole quantità come
va cessando l’ apparenza sanguigna dell’ urina: allora comparisce
anche l idrochinone. I pigmenti biliari colorano il cloroformio in
giallo più o meno verdognolo e talvolta in. giallo-verde-bruno ; e
perciò non sono biliverdina, o biliprassina, o bilifuscina, che sono
insolubili nel cloroformio ; nè si tratta di bilirubina e suoi equiva-
lenti, perchè manca la reazione di Gmelin dell’ iridescenza con l’a-
cido nitrico-nitroso : danno invece la colorazione rossastra coll’ aci-
do nitrico, e violacea con l acido solforico o col cloridrico, per cui
si tratta di urobilina, di quel tale pigmento che ha genesi dal ra-
pido disfacimento dell’ossiemoglobina : e ciò conferma, che l' itteri-
zia in questo avvelenamento è essenzialmente e quasi esclusiva-
mente di genesi ematica: non sì può però negare anche la genesi
epatica, essendo il fegato l’ organo prediletto del veleno e quindi
vi dev’ essere uno stimolo che in primo tempo aumenta la secre-
zione biliare; ciò che probabilmente succede anche quando comin-
cia il miglioramento : certo che nella cistifellea vi è sempre molta
bile, mentre i condotti di deflusso non sono ostruiti, anzi non mo-
strano neanco fatti catarrali spiccati, come si è confermato anche
con l esame microscopico : quindi ipersecrezione di bile vi è , si
versa abbondantemente nell’ intestino, come è anche dimostrato dal
colorito giallo-verdastro-bruno delle materie fecali, e talora anche
dal materiale del vomito, ma una parte può ristagnare nel fegato
e poi versarsi nel sangue, contribuendo così ad aumentare l’ itte-
rizia ematogena che è l essenziale e prevalente.
Relativamente alla quantità l urina non diminuisce, anzi pare
che aumenti anche nel tempo dell’emoglobinuria, specialmente quan-
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 231
do gli animali bevono il latte : ciò dimostra che i reni non softro-
no in modo essenziale e quindi restano sufficienti per la loro fun-
zione.
L'esame microscopico del sedimento nell’ acme dell’ avvelena-
mento mostra cilindri adiposi, cellule epiteliali del rene e cellule
bianche del sangue colorate in bruno : ordinariamente non si tro-
vano corpuscoli rossi anche nella forte apparenza di ematuria ; in
alcuni casì però se ne rinvengono molto e quindi vi è stata. dia-
pedesi, o vera emorragia. Impone la grande quantità di grasso li-
bero anche quando non è venuta, ovvero quando è cessata l emo-
globinuria ; ed è questa forte quantità di goccioline adipose che so-
stiene principalmente il torbido dell’ urina: certe urine erano così
ricche in goccioline di grasso, che a primo aspetto pareva di aver
sotto gli occhi un preparato microscopico di latte tenue: questo
trovato nell’ urina ha il grande valore della forte decomposizione
degli albuminoidi operata dall’ acido pirogallico in tutti gli organi.
Vi è inoltre una grande quantità di spermatozoi, che come è noto,
nelle condizioni fisiologiche sì trovano nell’ urina del cane maschio,
sebbene in poca quantità. Più tardi nel miglioramento vi sono po-
chi cilindri, ma se ne riscontrano degli epiteliali : prevalgono invece
i prodotti della decomposizione organica avvenuta, quindi leucina,
tirosina, ossalato di calce, aumento di fosfati e via dicendo.
11. Il reperto anatomico degli avvelenati da acido pirogallico
è caratteristico. Nel forte dell’ avvelenamento il sangue mostra i
cambiamenti notati: esso si libera in pochi giorni del veleno, pur
restando profondamente alterato in meno. Il veleno in buona parte
è eliminato, massime dai reni; ma una quantità notevole si ferma
nel fegato, quindi quest’ organo soffre a preferenza e più lunga-
mente. La sua apparenza grossolana importa principalmente pel vo-
lume aumentato, pel colorito giallo-verdastro bruno, che alla super-
ficie del taglio fa anche risaltare un po’ di grigio, aspetto torbido,
poca distinzione degli acini. La cistifellea è sempre ripiena di bile
molto densa, di color giallo-bruno molto intenso, quasi nera : al-
lungata questa bile con 40 a 50 parti di acqua distillata, il colore
232 Iticerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
si sbiadisce, ma resta sempre giallo-bruno : saggiata così diluita ,
con l ammoniaca da forte reazione pirogallica, anche quando questa
era scomparsa dall’ urina. Tenuta questa bile esposta all’ aria diventa
sempre più bruna ed il giorno seguente è addirittura nera. e ciò
per trasformazione dell’ acido pirogallico per l ammoniaca dell’aria.
Invece la bile del cane normalmente non è così densa, ha un co-
lorito giallo-verde-bruno, ed anche nei casi in cui è più giallo-bruna
dell’ ordinario, come in quelli di peritonite acuta, quando non sì
tratta di avvelenamento pirogallico non solo manca la reazione ca-
ratteristica dell'’ammoniaca, la quale invece inverdisce in modo bel-
lissimo, come il verde-smeraldo, per ossidazione dei pigmenti biliari
primitivi e formazione di biliverdina; ma anche lasciata a sè all’ a-
ria poco per volta inverdisce ed il giorno seguente si trova di un
verde-bruno molto forte per l' ossidazione avvenuta.
All esame microscopico le alterazioni più imponenti del fegato
sono : iperemia e dilatazione del campo capillare, accumolo di leu-
cociti, emigrazione : colorazione pirogallinica di queste cellule , ed
anche degli endotelii dei linfatici interlobulari: degenerazione albu-
minosa e grassa delle cellule epatiche sino alla necrosi con pre-
senza allora di leucina. Raramente nelle cellule epatiche dei cani
vi sono i granuli giallo-bruni coi caratteri dei prodotti pirogallici ;
più facilmente ciò si trova nel coniglio ed era caratteristico nelle
cellule epatiche dei S. Andrea. Il colore giallo- bruno sia dei micro
che dei macrofagociti, come i granuli nerastri nelle cellule epatiche
rispondono ai caratteri dei prodotti pirogallici, specialmente pel fatto
della solubilità.
I reni nel forte dell’ avvelenamento sono un poco ingranditi, di
colore bluastro, nerastro ed alla superficie del taglio mostrano che
l'ingrandimento è fatto principalmente a spese della sostanza cor-
ticale, la quale è torbida e di un giallo-bruno-nerastro , e spesso
del colore della posa di caffè, massime quando vi è emoglobinuria.
Al microscopio vi si trova leggiero ingonfiamento torbido e dege-
nerazione grassa dell’ epitelio dei tuboli contorti, ed una grande
quantità di cilindri colorati in giallo-verde-bruno nei tubi ansiformi
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 235
ed anche nei retti: al dintorno dai vasi interlobulari si può notare
lieve infiltramento leucocitico e vi è anche colorazione pirogallinica
in queste cellule come in modo forte si ha nei cilindri, che ad oc-
chio nudo mettono il fondo di quell’ apparenza detta di infarti pi-
rogallici.
La milza non ha più il colorito rosso-violaceo normale, ma di-
venta nera anche alla superficie del taglio : i corpuscoli di Malpi-
ghi si apprezzano poco: l organo però non è ingrandito. Al micro-
scopio non vi è alcuna lesione di rilievo, meno la colorazione dif-
fusa per l’ emoglobinemia.
Le glandule linfatiche mesenteriali sono un po’ rigonfie e co-
lorate in giallo-bruno nella porzione midollare, perchè quì gli spa-
zii linfatici sono ripieni di cellule linfatiche globulifere.
Il pancreas e capsule surrenali non mostrano che lievi fatti
regressivi, degenerativi.
La vescica urinaria è per lo più paralitica, ripiena di urina ,
sempre però quando l’animale muore nell’ alto dell’ avvelenamento.
Il tubo gastro-intestinale non mostra fatti di rilievo, neanco
2
uno stato catarrale evidente : vi è molta bile giallo-nerastra nello
intestino e così sono colorate le materie fecali, che per lo più si
trovano conformate, meno nel forte dell’avvelenamento quando so-
no bovine.
I polmoni appariscono normali, meno un certo grado di ane-
mia, per cui ordinariamente non vi è un’ ipostasi pronunziata: quan-
do si è propinato molto veleno, i polmoni acquistano un colorito
gialletto tendente al bruno.
Il cuore è paralitico e mostra forte rigonfiamento torbido del
muscolo , che appare come cotto : talora è somigliante alla carne
di pesce, quasi come nella così detta degenerazione cerea : al mi-
croscopio si conferma la forte degenerazione albuminosa e grassa.
Le pareti dei vasi sanguigni sono inalterate.
I centri nervosi non mostrano alterazioni evidenti: si può ap-
prezzare un poco di colorito più scuro della sostanza grigia, come
in animali con forte e prolungato avvelenamento, e come si rilevò
Atm Acc., Vor. VIII, Seri 42 — Memoria IV. 30
254 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
nel cervello dei S. Andrea: allora è principalmente nelle cellule
nervose che vi sono quei granuli giallo-bruni, nerastri che rispon-
dono ai caratteri dei prodotti pirogallici.
Quando gli animali vanno al meglio e guariscono , gli organi
che mostrano alterazioni residuali sono il fegato, i reni ed anche
le glandule linfatiche e loro equivalenti, come i corpuscoli di Mal-
pighi della milza ed i follicoli solitarii dell’ intestino. Il fegato an-
che dopo 2 mesi sovente è più piccolo ; il contorno degli acini
più evidente per un colorito grigio-brunastro , ed al microscopio
mentre si rileva ancora un poco di atrofia delle cellule epatiche ,
nel connettino periacinoso un poco ispessito si notano cellule ro-
tonde più o meno trasformate, ma sempre colorate in giallo-bruno,
e ciò si trova anche negli endotelii dei linfatici: il colore conserva
solo in parte i caratteri pirogallinici : esso non va più tutto col-
l’acqua, mentre poi si scioglie completamente con la soluzione po-
tassica; quindi probabilmente la trasformazione metagallica operata
lentamente entro gli elementi cellulari. La bile si attenua, dà rea-
zione pirogallica per circa 2 settimane e conserva per un tempo
maggiore la colorazione giallo-bruna caratteristica.
I reni riacquistano il volume normale, ma ordinariamente mo-
strano infossamenti multipli alla corteccia e là la capsula è un
poco aderente, ed alla superficie del taglio vi corrispondono infar-
ti nerastri sottili, che in modo raggiato confluiscono alle papille
renali: sono ancora gli infarti pirogallici notati.
Le glandule linfatiche sono un poco ingrandite , specialmente
quelle verso l’ ilo del fegato, con aspetto un po’ midollare della
superficie del taglio, ove la sostanza midollare conserva ancora in
parte il colorito giallo-bruno : confermano al microscopio una lieve
iperplasia dei follicoli e cordoni linfatici, oltre la colorazione gial-
lo-bruna residuale nelle cellule linfatiche degli spazii linfatici della
sostanza midollare.
Anche la milza mostra ingrandimento iperplastico dei corpu-
scoli di Malpighi, che perciò appariscono meglio; mentre nel resto
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 235
ha perfettamente riacquistato il suo colore rosso-violaceo normale
fin della 2? settimana.
Perfino i follicoli solitarii del crasso sono iperplastici, come
si è potuto stabilire in parecchi animali, specialmente in 2 cani
uccisi dopo uno e 2 mesi: questi follicoli, diventati della grandez-
za perfino di un piccolo pisello, si apprezzano anche dall’ esterno
dell’ intestino e mostrano come una piccola ulcerazione di aspetto
crateriforme nel centro: aperto l’ intestino si vedono i follicoli pro-
minenti, è più chiara | apparenza crateriforme nel centro, senza
però fatti infiammatorii neanco catarrali nella mucosa vicina. Ciò
fa contrasto coi cani sani, nei quali appena si apprezzano i fol-
licoli solitarii del crasso. Questa iperplasia deve perciò mettersi
sullo stesso conto della riparazione del sangue da parte degli or-
gani linfatici, come quella notata nelle glandute linfatiche e nei
corpuscoli di Malpighi della milza.
Che se appare quella piccola ulcerazione, se ne deve incolpa-
re il sito; nè si può trattare di forme dissenteriche follicolari ,
mancando tutti i caratteri flogistici, anzi nella maggior parte Vl ul-
cerazione è soltanto apparente, non reale ; e dinota lo slargamento
dell’ apertura del follicolo solitario, il quale al microscopio mostra
semplicemente le note dell’ iperplasia.
A questo proposito potrà essere utile lo studio, che io non
ho potuto fare, del midollo delle ossa.
Per ciò che riguarda note anatomiche si apprezza in ultimo il
fatto della putrefazione ritardata nei casi di avvelenamento pirogalli-
co, come non solo si vide nei cadaveri dei S. Andrea, sezionati più
di 2 giorni dopo il decesso col caldo di Agosto a Catania, ma anche
cogli animali avvelenati. Questo fatto può dipendere anche dalla na-
tura e potenza microbicida dell’ acido pirogallico (studii da farsi);
ma dovrebbe essere anche una conseguenza della sottrazione di os-
sigeno, trattandosi nella putrefazione a preferenza di microrganismi
aerobil.
12. Con modi varii si può arrivare ad una certa assuefazione
pel veleno : sempre però insistendo, o raddoppiando le dosi si ar-
236 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
riva a vincere la resistenza dell’ animale e si ha finalmente l av-
velenamento e la morte.
Questa abitudine, o meglio refrattarietà procurata, sovente si
può far arrivare a gradi elevati, e può essere quasi definitiva con
le dosi alla metà. Tale immunità potrebbe non essere priva di in-
teresse, perchè si ha da fare : 1° con sostanze chimiche : 2° si può
essere sicuri dell’ assorbimento. Una volta che non vi sono più ef-
fetti venefici, anzi nessun effetto nocivo mentre il veleno si appre-
sta e passa nel circolo, vuol dire che bisogna trovare le ragioni
nello stesso organismo. Anzi con questo veleno, che altera principal-
mente i corpuscoli rossi del sangue sottraendone l’ ossigeno e quin-
di dissolvendo |’ ossiemoglobina , è veramente meraviglioso come
possa non avvenire più questa alterazione nell’ abitudine ; perchè le
leggi chimiche sono immutabili, quindi data la presenza dell’ acido
pirogallico nel sangue, dovrebbe sottrarre l’ ossigeno per trasfor-
marsi in pirogallina. Se in quelle condizioni ciò non succede più,
dev’ essere avvenuto un cambiamento intimo nel chimismo dei cor-
puscoli rossi, per cui essi resistono all’ azione disossidante e di-
sorganizzante dell’ acido pirogallico. Nè si può dire, che coll’ avve-
lenamento lento, o con quello forte precedente, si sia consumata
tutta la sostanza capace di risentire l’effetto venefico, perchè tutto si
riforma nell’organismo vivente, specialmente una sostanza così vitale
come l’ ossiemoglobina. Probabilmente è avvenuto un cambiamento
intimo, forse anche una combinazione speciale del contenuto cellu-
lare col veleno per cui le cellule diventano resistenti e refrattarie
contro il veleno stesso, ovvero acquistano nuovi poteri capaci di
trasformare il veleno in altri prodotti innocui. Tutto ciò potrà con-
tribuire ad illuminare più o meno la quistione dell’ immunità in gene-
rale, la quale probabilmente si fonda su cambiamenti chimici inti-
mi, intracellulari, anche nelle stesse infezioni, in cui con più ra-
gione si potrà sostenere che sono principalmente i prodotti del ri-
cambio dei batterii ed anche i prodotti delle alterazioni stesse ca-
gionate nei tessuti, che operando un cambiamento chimico speciale
entro gli elementi cellulari li rendono immuni. Certo, che nel caso
-
Ficerche sperimentali sull’ avvelenamento da ucido pirogallico 231
nostro dobbiamo andare sino entro i corpuscoli rossi, che sono
quelli che resistono all’ ulteriore azione dell’ acido pirogallico : essi
han dovuto subìre tale un cambiamento da resistere ad un’ azione
disossidante, riducente così forte.
Questa modificata energia nell attività e resistenza degli ele-
menti cellulari potrebbe mettersi a profitto contro i microrganismi
patogeni : e ciò a ricerche ulteriori.
13. I cani avvelenati ordinariamente non si avvantaggiano colle
sottrazioni sanguigne, a meno che queste siano praticate nelle pri-
me ore ed in buone condizioni generali. Come controindicazione del
salasso bisogna far calcolo che l’ avvelenamento non si modifica es-
senzialmente nel suo decorso, e che, anche con condizioni generali
lusinghiere, seguiranno i giorni peggiori.
C.
Corollarii medico-legali.
Si cennano solo, essendo stati esposti precedentemente.
1. Nell’avvelenamento pirogallico la reazione caratteristica e la
presenza dei pigmenti biliari sì possono riscontrare nell’ urina an-
che dopo 20 minuti : la reazione pirogallica diventa minima dopo 24
ore ed al 2° giorno non è più apprezzabile, mentre si può nei giorni
successivi sino alla 2* settimana dimostrare col cloroformio l’ uro-
bilina. Nella prima settimana, dopo l emoglobinuria (se vi è stata),
o anche senza, l’ urina diventa scura per la presenza di idrochinone.
2. Il sangue al principio dell’ avvelenamento è rosso-ciliegia-
bruno nerastro con orlo giallo-bruno, e ciò è dovuto principalmente
alla presenza del veleno trasformato in sostanza colorante, la piro-
gallina. Da ciò la caratteristica lingua violacea anche dopo mezz'ora,
ed il colorito bluastro-nero delle vene sottocutanee. Questi caratteri
si hanno anche nel siero separato, nel quale si ha pure la reazione
di acido pirogallico con l ammoniaca. Il sangue coagula rapida
mente : la sua reazione si conserva sempre alcalina.
3. L’ avvelenamento pirogallico ritarda la putrefazione.
258 Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico
4. Il reperto anatomico degli avvelenati è speciale, ed in com-
plesso non si trova in nessun altro avvelenamento, nè in qualsiasi
infezione: il fegato giallo-verdastro-bruno, la bile raccolta nella ci-
stifellea molto densa e di colorito giallo-bruno-nero ; i reni con que-
gli infarti multipli, radiali, nerastri nei raggi midollari a cominciare
dalla sostanza corticale, la milza nera senza essere ingrandita sono
tali fatti, che anche prima dell’ analisi chimica fanno giudicare 1’ av-
velenamento in parola.
5. Nella bile della cistifellea vi è reazione pirogallica forte an-
che quando non si può più apprezzare nell’ urina: anzi si può
dimostrare anche 2 settimane dopo l’avvelenamento. Da ciò 1 ob-
bligo di un esame chimico speciale della bile quando vi sono so-
spetti o probabilità dell’ avvelenamento, anche nelle esumazioni.
6. L' estratto al 20° dell’ alcool ordinario in cui si conserva
il fegato degli avvelenati con acido pirogallico è caratteristico pel
suo colorito giallo-rosso-bruno con orlo giallo-bruno. Nessun altro
organo degli avvelenati, dopo i primi giorni, dà quel colore spe-
ciale, il quale può essere simulato solo nell’ estratto di fegato quan-
do vi è peritonite acuta, ma la differenza si fa presto. Soltanto se
si fa l estratto al 20° dell’ urina degli avvelenati da acido pirogal-
lico, si può avere quel colore speciale, ma soltanto nei primi 2
ciorni dell’ avvelenamento.
7. Risalta l'interesse medico-legale per la trasformazione della
pirogallina, che forma la base principale di questi estratti, median-
te gli acidi ed anche per mezzo del calore, in acido metagallico ;
essendovi così la possibilità di ricostituire la reazione pirogallica
quando non sarebbe stato più possibile in modo positivo , diretto.
S. La pirogallina sì estrae dal fegato degli avvelenati anche
dopo 2 mesi dall’ avvelenamento e probabilmente dopo un tempo
maggiore: essa è ancora rattenuta dalle cellule emigrate e dagli
endotelii, come è dimostrato dall’ esame micro-chimico: quindi l’ob-
bligo e l'utilità di sezionare gli individui morti con sospetto di
avvelenamento pirogallico anche quando sono guariti e muoiono per
altre ragioni.
Ricerche sperimentali sull’ avvelenamento da acido pirogallico 239
9. L’ inutilità di tentare l' avvelenamento degli animali con
l’ estratto che si cava dal cadavere di uomo avvelenato con aci-
do pirogallico, anche che l’ estratto si ricava dal fegato, perchè
nello estratto non si ottiene che pirogallina la quale è perfettamen-
te innocua. Ciò si è comprovato sperimentalmente non solo coll’e-
stratto del fegato degli avvelenati, ma anche con la pirogallina
preparata artificialmente: in questi casi la pirogallina si limita sol-
tanto a tingere ed imbevere le pareti del tubo digerente ed accumu-
larsi nel fegato senza alcun danno per l’ organismo.
ei sia
: , LA8
:
| = È 5
pr
A
e
9
_ Ì |
i
:
a
KNQDEECE
PARTE I.
Perizia medico -legale.
I. — Storia — Ordine delle ricerche . ; i X x . pae.
II. — Ricerche per definire la natura del divano nei Ss. IN i A
III. — Ricerche chimiche e sperimentali per definire la natura del veleno nei S Andre: 3
A. Estratto del fegato . i, , A x - A , È : A n
B. Avvelenamenti . . - ; ; - . , ; P : 5 SI
1. Esclusione dei veleni più comuni 7 A ; ; . ;
2. Psclusione dei veleni più comuni che danno itterizia . " 8
C. Esame fisico del contenuto delle boccette sequestrate in casa dei S. Andrea
D. Qualità fisiche dell’ alcool di conservazione del fegato e del fegato stesso dei
S. Andrea dopo 40 giorni . . 5 ; 7 + i 5 . >
E. Esame chimico del contenuto delle boccette dei S. Andrea : ; a E
1. Acido pirogallico. | ; : ° ; È 5 3 $ x
2. Pirogallato di argento ?
3. Ricerca del pirogall ato di argento nelle hoccette S. Andrea 7
: »
F. Esame chimico dell’ estratto dei S. Andrea. 5 h ; A , . >
G. Esperimenti. , 7 ; - 3 3 ; : :
1. Esperimenti comparativi di avvelenamento — Nitrato di argento — Solfato
di rame— Acido pirogallico .
”
2. Avvelenamento da acido pirogallie o nei conigli 5 . : , . iS
3. Avvelenamento da acido pirogallico nei cani. - E 5
a) Dosi minori diverse, crescenti di acido pirogallico—Miscela di acido
pirogallico e nitrato di argento . x
b) Pirogallato di argento con prevalenza di acido pirogallico — E ftetto”
sui cani. . : - ; : . o 2
c) Dose venefica approssimativa dell’ acido pirogallico per icani .
d Velenosità dell'acido pirogallico sciolto nel latte :
) Modificazioni grossolane nel sangue degli avvelenati— Probabile influe sm”
za salutare del salasso nell’ avvelenamento :
f) Durata dell'acido pirogallico nell’urina, nella bile, nel fegato— Man-”
canza dell’ acido pirogallico e suoi prodotti nella milza nera
»
»
9) Acido pirogallico per la via ipodermica . : - 3 ; n
h) Acido pirogallico pel peritoneo . , ; . È 2
î) Acido pirogallico per la corrente venosa. . o : ? È
H. Tentativi di avvelenamento con la pirogallina ; : . 7 5
a) Preparazione della pirogallina . ; 7 ° . c Di
b) Sperimenti nel cane
I. Sperimenti col contenuto delle hoccette sequestrate in casa S. Andrea
242 INDICE
K. Sunto delle alterazioni microscopiche dei pezzi conservati .
L. Sensibilità dell’ acido pirogallico per l’ammoniaca e pel nitrato di argento.
M. Estratti al 20° dell’ alcool di conservazione dei pezzi anatomici
a) Da animali avvelenati coll’acido pirogallico o È
b) Da animali avvelenati con altri veleni
c) Da animali sani . 7 . n 7 S "
d) Dall uomo . : 7 - 3 "
e) Dal fegato tagliuzzato.
1. Soluzione fatta dall'alcool ordinario
2. Soluzione fatta dalla potassa
N. Somiglianza e differenza degli estratti con altre sostanze .
n . DI . . S . . .
O. Ricostituzione della reazione pirogallica dalla pirogallina .
1. Azione degli acidi prima e poi degli alcali - ; o
2. Azione del calore 5 - : 5
P. Trattamento degli estratti col metodo di Gmelin 7 , >
Q. Ricostituzione della sostanza solida della 12 boccetta S. Andrea
IV. — Riassunto e Conclusione medico-legale . 7 x :
Parte Il.
Ricerche ulteriori.
TI, — Fegato—Bile . 5 : : 5 È ; . . 2 A
II. Urina . "
III. — Ricerche su altre vie di ‘assorbimento dell’ ac ido pirogallico i
A. Epidermide . ; : 7 : ° - ò : È .
B. Intestino retto . - A - 5 7 z : 6
IV. — Dose venefica per i conigli
V. — Altre ricerche sull’ influenza del saiasso nell’ avvelenamento
VI. — Tentativi ulteriori sull’immunità -
VII. — Tentativi sugli animali avvelenati da ac do pirogallico di inoculazione di
rabbico
VIII.-- Studii chimici ulteriori
A. Acido pirogallico con altri acidi secondo il metodo Gmelin È
B. Altre differenze del colore pirogallinico con altri simili mediante
formio—Iodio e cloroformio--Toduro di potassio nell’ urina
IX. — Letteratura
X.—- Riassunto e conclusioni . A ; . è , S 3 h
A. Corollarii chimici. . 3 7 È . 5 . 5
B. Corollarii fisio-patologici . 3 ; . > ; 7 .
C. Corollarii medico-legali 5 5 ; , 7 7 3 P
. pag.
DI
»
Li ti)
Ò ”
»
”
”»
. ”»
n »
È »
DI
si L)
* D)
Ù ”
: »
»
n
. ”
La ”
a; ”
»
Si ”
. ”
x »”
"virus
»
® ”
”
cloro-
È »”
ho ”
”
ki »”
L ”
135
138
143
144
145
ivi
ivi
146
ivi
148
149
153
ivi
167
170
171
173
177
178
180
181
183
184
185
188
191
19
194
202
205
213
214
221
237
Memoria VW.
Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili
e inestendibili.
Nota di G. PENNACCHIETTI.
I. Le equazioni indefinite dell’ equilibrio delle superficie fles-
sibili e inestendibili (*) sono :
ON de dx d da dx
ax= |a + =) +5 | du S|,
3 e) d; OY d (| dy dy
sei À == ——_ —— SI RA /
ui > | Liu t]+ (et), si,
d dz dz d dz dz \
4 2 | ca dv Fal S|
e le equazioni ai limiti :
da dre \ dv da da \ du \
GR | i cha e ad |
Xs | du dv ds Gi (i du dv ds’ Î
A. . dy dy \ dv dYy dy | du 3
T=-(17 S|P+ (e S|, \ Di
i. dz dz dv dz dz \ du
ug — TT i a TT
Ls du n del ds n (1 Sio, ds
Quest’ equazioni suppongono che «, v siano un sistema di
coordinate curvilinee sopra le superficie, per le quali il quadrato
dell’ elemento lineare della superficie stessa assuma la forma :
ds? = Edu? + 2Fdudv + Gde.
In esse sì è posto :
H= VEG—-F® .
(*) Cfr. BeLTRAMI, Sull’equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili, R. Accademia delle
Scienze di Bologna. Serie IV, t. III, anno 1881, pag. 217-265.
ATTI Acc., Vos. VIII, Serie 48 — Memoria V. 1
2 Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili
Le X, Y, Z, sono le componenti, secondo gli assi ortogonali
dati, della forza che agisce sull’ elemento de di superficie, mentre
Xyds, Y,ds, Zyds sono le componenti della forza che agisce sopra
un elemento ds del contorno.
Se U, V, W sono le componenti della forza X, Y, Z secon-
do le linee coordinate v, v e secondo la normale alla superficie,
le equazioni indefinite prendono anche la forma :
2
Hu VE (T+ A+ 216+ o),
ù
Bag +++ 25p+ 6), (8)
HW = 4x1 + 2Bu + ©,
dove si ha:
__ Pa 0° Y oz
— du? du? du?”
da Ru, a
esi (04 —— N
dudv dudv dudv ” ?
c= 7A Sd
— 3a de da° ?
essendo a, £, z i coseni degli angoli che la normale alla superficie
forma cogli assi.
Inoltre è :
= la comi
&= lf:
ci= | o|3E-120) 1708,
E=miovrattlacralì
Elie oAi
2.He
a ca di dGI
H" dv 2 du dn dui
Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili 3
Le equazioni ai limiti diventano invece :
—_ (23) du
U; E | ds di gl (
r= dv du (4)
ei V T = FS 4 [) see
Vi Ù ds | © ds ) |
VUE=Z0R
II. Supponiamo che sia data la figura d’ equilibrio, che siano
date inoltre le forze che agiscono sopra un elemento qualunque
de della superficie e che si vogliano integrare le equazioni indefi-
nite dell’ equilibrio.
Supponendo dapprima che € non sia identicamente nullo , si
avrà dalla terza delle (I, 3):
n "a (ITA FARO. EI E (1)
mentre le prime due delle stesse assumono la forma:
A
ii (2)
du
9). —
gm, (2°)
dove :
1
TENe=9Ù) HA»
A CE, Cd A
Dai A TT,
___ GB ’
D- 24 A Do P)u+K,
C du 25 du 20 BG, dè B
kh, — —_ PERIZIA 9
“a; rando ti GRA, clr+%,
1 UH W.HG,
K=-——--.;-,
VE C
K Si VA . WHG VEL des
SORA VG TO, dv C
4 Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili
Derivando la prima delle (I, 3) rispetto a v, la seconda ri-
spetto ad «, confrontando i risultati ed eliminando dall’ equazione
i ; sii A dd x
che così sì ottiene, le quantità 3’ 3 Per Mezzo delle prime due
delle (I, 3) stesse, si trae :
CIZA OP, OR. OR,
(3 30 )= pk n ao
Ciò posto, distingueremo due casi, supponendo dapprima:
dP, OP,
du dv
0, (3)
PERS RA
du dv
= 0. 4)
La (3) non implica alcuna limitazione rispetto alle forze ed è
indipendente da #. La (4) è un’ equazione a derivate parziali del
2° ordine rispetto alla funzione incognita # con coefficienti noti e
serve, essa sola, a determinare #. Poi le (2), (2') determineranno
z e in ultimo la (1) ci fornirà Vl incognita ». Le espressioni gene-
rali di 2, #, > contengono complessivamente due funzioni arbitrarie
delle due variabili indipendenti «, v. L’ equazione (4) è lineare ri-
spetto alle derivate prime e seconde di # e solamente il termine
indipendente da queste quantità contiene le forze U, V, W.
Se un dato sistema di forze U, V, W applicate agli elementi
di una data superficie e soddisfacenti alle condizioni :
Ki" fu K.= fl) (5)
dove f,, f, sono funzioni date di «, v, w, è in equilibrio, sopra la
superficie data, insieme con opportune forze (I, 4) applicate agli
elementi del contorno, vi sarà equilibrio anche quando, conservan-
do le stesse forze al contorno, sì facciano variare le forze U, V,
W in modo però che continuino ad essere identicamente soddisfat-
te le condizioni (5). Quest’ osservazione vale anche se si suppone
che la (3) non sia identicamente soddisfatta.
Noi sappiamo che esiste sempre un sistema di coordinate cur-
Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili D
vilinee ortogonali sopra una superficie flessibile, inestendibile ed
equilibrata, tale che si abbia in ogni punto della stessa p = 0 (È).
È quindi utile porre in evidenza il caso di # = 0, a cui si può
ridurre ogn’ altro.
Dato un sistema di coordinate curvilinee ortogonali qualunque,
supposta la condizione (3) soddisfatta, dove è ora / = 0, e assumen-
do # = 0, si concluderà che se le forze soddisfano alla condizione :
dk _dK _0)
du dv
PES PKa
le equazioni :
) 7.
SS + PA = K, , Kage
dv
+PArl= K
du
ammetteranno una soluzione comune e determineranno ?, mentre
2 sarà dato dalla (1). Determinate così %, #, 2, le equazioni (I, 4)
forniranno U,, Vs, W;. Si ha così un caso di equilibrio.
III. Se non si ha identicamente la (III, 3), dovrà essere :
Olès olè
P,R = JEGIEN ola
. du dv
A = ù 3 (1 )
DIA OP,
du dv
ma, sostituendo nelle (II, 2) quest’ espressione di %, si otterrebbe-
ro due equazioni a derivate parziali lineari del 3° ordine in w. Per
evitare ciò sì può tentare di ridurre questo caso al primo median-
te una trasformazione di coordinate curvilinee. Si osservi dappri-
ma che una delle due quantità P,, P,, p. es. P,, si può supporre
differente da zero, perchè se fossero ambedue identicamente nulle,
sarebbe soddisfatta la condizione (Il, 3), sicchè saremmo nel pri-
mo caso (II). Ciò premesso, alle linee coordinate « si sostituiscano
altre linee coordinate v, da determinarsi e legate alle «, v dalla
relazione :
u, = (u, v.
(*) Cfr. Beltrami, Memoria citata.
6 Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili
Se si pone:
PEPE ZEEE
: du, dv dvi (G
ou C du, du 2B ,
kh; == —
i dui A du dv, A nno
le (II, 2, 2") divengono :
di. du,
se = i
du, du i 0
dÀ du, dI? 3°
ETA È \ = Ry
poni i
we: 0). : sode
Eliminando > dal sistema di queste due equazioni e ponendo :
1
1 1 | du, du,
UL, ora IA reso
7 ra du, si du ni dv?
du du
1 1 . du du, |
ie I = === ere LT
41 du, 2 , 2 du, | 2 du 4 dv ,
du du
sì può al sistema stesso sostituire 1’ altro :
dì x dÀ
ra +1) = k' , Dai + IA = ky.
QUI 1
Per scegliere le nuove coordinate wu, in modo che si abbia :
dh dh _g
du dv’
bisognerà dell’ equazione ;
du, Cu, OP, du, OP, du, dP, du, 0°, Du,
| 1 dude du dv du du sE dv si | 0 (1)
du dv dui = dudv!
trovare una soluzione non compresa nella formula «, = % (v), dove
% (0) denota una funzione arbitraria di v. Cercando p. es. in qual
Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili ti
caso la (1) ammetta soluzioni particolari che sieno funzioni della
sola «, si trova la condizione :
=" an (2)
dove 4 (u) è una funzione qualunque di «. Se questa condizione è
soddisfatta, basterà porre :
Ùun = ESC) du .
Senza eseguire alcun cambiamento di coordinate curvilinee ,
ma, supponendo, come si è fatto in fine del paragrafo precedente
&=0, le (II, 1), (1) daranno senz’ altro » e x e le (II, 2, 2) di-
vengono due condizioni a cui devono soddisfare le forze. Si ha così
un secondo caso di equilibrio corrispondente a #=0.
IV. Supponiamo A =" 0 ovvero C==0. I due casi differiscono
per lo scambio delle linee , v fra loro e perciò basta considerare
un solo di essi, p. ess A=="0. In luogo della (II, 2°) si avrà:
l BG è B
) Re “
u C dv palo lu C na dv C }e IL
Ki W.HGy SE VH d WH )|
C Va do C
(1)
La (II, 2) diviene perciò un’ equazione a derivate parziali del
2° ordine e ci darà il valore di #. Se poi fosse E,=0, si avreb-
be # integrando 1 equazione.
DG, 2.5), (WR JH_è WE
cao! Cva do c)
Trovato #, si ha % integrando |’ equazione a derivate parziali
) 0% __M0N ;
del 1° ordine (II, 2) che, mancando del termine in do? s’ integra
come un’ equazione differenziale ordinaria del 1° ordine. La (II, 1)
poi serve a determinare 2.
—0. 2)
8 Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili
Se le forze (U, V, W); (U,, V,, Wi) si fanno equilibrio so-
pra un pezzo dato qualunque di superficie flessibile e inestendibile
e se si pone: .
WHG, VH è WH
- +
C VG ala de C =- F (u, (0) ’
UH — WHG, _
VE COSE
n, («, v) ’
l'equilibrio sussisterà ancora se, conservando la stessa configura-
zione della superficie e le stesse forze al -contorno, si facciano va-
riare le forze U, V, W, in modo da soddisfare a queste due con-
dizioni.
Supponendo w=0, 2 determinato dalla (1) e » dalla (II, 1),
la (IE, 2) diviene la condizione a cui devono soddisfare le forze.
Se si ha E,=0 e sì suppone g=0, X determinato dalla equa-
zione :
CIN n -
PNG
du
> dalla (II, 1) e se sì suppongono le forze soddisfacenti alla con-
dizione :
MR LCA LA
C Va dv €
si ha pure un caso di equilibrio.
V.— Supponiamo in ultimo che sia A==:0, C=0, ma che B
non sia identicamente nullo. Le (I, 3) forniranno :
__ HW
n° 2B
dì ,
su E = Ga (P', (1)
CA 7 2)
A + Ed + Gay —_ Va; ’
dv
Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili 9
dove :
pia HU nel e) HW _ F,HW
_ VE 2% B pae)
pi HV 10 AA F.HW
° Va 2 du B Ri
Dalle (1), (2), per mezzo della derivazione e della eliminazio-
ne, si ottiene :
9, 9; Si
LR 3)
dudv du dv
3 i Do ” du
RE E, da stai (33 == on , (4)
dove :
105,
G —_ E, ima — fs ’
E, du
fe dee N ei
K — 19/E E,P io (P du sù 2 du
Le condizioni d’ integrabilità per la (3) fornite dal metodo di
Laplace sono indipendenti da KX' e perciò anche dalla espressione
analitica di U, V, W.
Nel caso di questo paragrafo i valori generali di 2, pw,» di-
pendono da tutte e tre le componenti U, V, W, della forza.
Nell’ ipotesi che, essendo A="0, C=0, le forze soddisfac-
ciano alla condizione W=0, si avrà necessariamente w=0, ri-
manendo », 2 determinate dalle (3), (4).
VI. Aggiungiamo la seguente osservazione sulle equazioni della
forma :
Rr + Ss + Tt+Pp+Qa+Z +N=0, (1)
che si sono incontrate nei paragrafi precedenti, essendo 2 una
ArtI Acc., Vo. VIII, SerIE 48 — Memoria V. 2
10 Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili
delle tre quantità ?, x, 2 ed essendo inoltre :
de Bo ao è:
BT gg dg dii ego — de"
Di quest’ equazione, alla quale si possono estendere alcuni ri-
sultati che si conoscono per l’equazione di Laplace, sieno 2,, 2, due
integrali continui in tutta un’area data A ed in ogni punto del con-
torno sia 2, = 2. Sia U= 2, — 2,. Formiamo l’integrale doppio :
so gal 0U PU dp Ure] DI OU
cia JJ o eg + St . dv? ia sprw go lo dv Lì ZU |aude
esteso a tutta Vl area A. Si avrà identicamente :
UN==0%
Integrando per parti ed osservando che al contorno è U=0,
si ha:
di sE g8U dU n GA 100° OR , 1 9U ds PRO
du 5 dv dv 2 du du 2 do du 2 dv dv
dA
+3 | _ sa -- 27) |audv I)
Applicando l’ integrazione per parti al quarto, quinto e sesto
termine dell’ espressione differenziale contenuta nel primo membro
di quest’ equazione, si deduce :
dipl Bac 2e a, na si Ses. 22) | dudo=0.
Supponiamo che in tutta l' area data A sia:
SRP,
sicchè R e T avranno uno stesso segno, che sarà in nostro arbi-
Sulle equazioni di equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili. 11
trio e che potremo perciò supporre, p. es., positivo. Si avrà :
ou: g@U2U
ni 73 find >
du du dv i
rl As
+ 17
in tutta Vl area A. Se si suppone inoltre che in tutta l area data
sla :
@R__9S ,®T_9P_90
du? dudv dv° du dv
OZ
potremo concludere evidentemente che in ogni punto dell’ area
stessa, come per ipotesi sul contorno, si avrà U=0 cioè 2,="z,.
Dunque, se si fanno le accennate limitazioni, esiste in tutta l’area
A un solo integrale continuo.
Catania, Dicembre 1894.
Memoria VI.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
MEMORIA
di GIOVAN PIETRO GRIMALDI e GIOVANNI PLATANIA
PARTE I.
Ricerche sulla variazione di resistenza del rame nel petrolio
Nel settembre 1892 il prof. Fernando Sanford pubblicò una
memoria intitolata “ Alcune osservazioni sulla conducibilità di un
flo di rame nei varî dielettrici , (1) molto interessante per i ri-
sultati ai quali egli giungeva.
In questo lavoro, dopo avere sommariamente accennato alle
vedute del Faraday e del Maxwell sulla natura dei fenomeni elet-
trici, egli fa rilevare che fino al presente si è ritenuto che la con-
ducibilità elettrica di un filo e di un conduttore metallico non è
influenzata dalla natura del dielettrico nel suo campo di forza, e
dipende soltanto dalla natura e dalla temperatura del conduttore.
Però la stretta relazione che passa tra la corrente in un condut-
tore e il fenomeno della induzione in un dielettrico, e il fatto che
lo spostamento dell’ etere in un conduttore attraversato da una
corrente è causato da una tensione laterale comunicata all’ etere
dal dielettrico che circonda il conduttore, gli fece ritenere probabi-
le che la quantità di spostamento per una data forza potesse es-
sere modificata dalla natura dell’ ambiente dielettrico , o, in altri
termini, che la conducibilità di un dato filo potesse variare nei dif-
ferenti dielettrici.
Per effettuare delle esperienze in conformità di queste sue
(1) FernanDo SanFcorD, Some observations upon the conductivity of a copper wire in va-
rious dielectrics.— Leland Stanford Junior University publications. Studies in electricity. N. 1
Palo Alto, 1892.
ATI Acc., Vor. VIII, SERIE 48 — Memoria VI. 1
2 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
vedute, l’ autore costruì un apparecchio consistente in un tubo di
rame cilindrico di 120°" di lunghezza e 2°", 5 di diametro in-
terno. Le estremità del tubo erano chiuse ermeticamente da lastre
di rame munite di ghiere con tappi, per potere riempire e vuotare
il tubo. Nell’interno di una di queste lastre terminali era saldato
un filo di rame il quale, passando per l asse del tubo, usciva dal-
l’altra lastra dalla quale era isolato.
La corrente che serviva alla misura delle resistenze elettriche
percorreva il filo e poi ritornava dal tubo : in questo modo ’ in-
tiero campo di forza elettrica era racchiuso entro il tubo.
La resistenza complessiva del filo e del tubo veniva misurata
col metodo del ponte di Wheatstone e con un ponte a cassetta di
Hartmann e Brown, i lati del quale stavano nel rapporto di 1 a
1000; fu adoperato un galvanometro di Dubois-Reymond e 1 ap-
parecchio permetteva di misurare fino a 1/100000 di ohm ; ossia,
poichè la resistenza del filo e del tubo era di 0°, 0335 circa, con
l’ approssimazione relativa di 5/10000o. La corrente adoperata era
di 32 pile a cloruro d’ argento. Un termometro diviso in decimi di
grado collocato trasversalmente a metà del tubo dava la tempera-
tura del filo e del dielettrico.
Con questo apparecchio il Sanford fece una prima serie di
esperimenti con aria e alcool metilico come dielettrici, opinando
che per la sua grande costante dielettrica questo liquido fosse in
grado di dare risultati diversi da quelli ottenuti nell’ aria. L’ espe-
rienza però non confermò le previsioni, non essendosi trovata al-
cuna variazione sensibile di resistenza.
Poscia l autore vuotò il tubo senza asciugarlo e lo riempì di
petrolio. Osservò allora, facendo misure alternate con e senza. li-
quido, un aumento di resistenza del filo di ?7/10000 ; il liquido com-
posto di petrolio e di un poco di alcool metilico rimasto nel tubo
era torbido e differiva all'apparenza dal petrolio puro.
In seguito l’autore estrasse completamente il liquido, asciugò
il tubo, e fece una nuova misura con petrolio puro. In una serie
di misure a temperature comprese fra 13°, 6 e 26° osservò, inve-
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 3
ce di un aumento , una diminuzione di 18/10000 della resistenza.
La divergenza tra il primo e il secondo risultato è attribuita
dall’ autore alla presenza dell’ alcool metilico rimasto nel tubo,
nelle prime ricerche. Un risultato simile egli ottenne con l alcool
metilico e la benzina.
Gli altri liquidi cimentati furono V alcool assoluto , 1 alcool
a 9/00 , il bisolfuro di carbonio, l acqua distillata e un miscuglio
di bisolfuro di carbonio ed essenza di terebentina.
L’ alcool assoluto diede nn aumento di resistenza di 1%/10000 .
L’ alcool a 9°/100 diede pure un piccolo aumento di resistenza ; ma
i risultati furono assai irregolari, tali da fare attribuire poco valore
a questa serie di misure. La resistenza nel solfuro di carbonio ri-
sultò pochissimo differente da quella nell’ aria. Il miscuglio di sol-
furo di carbonio ed essenza di terebentina diede una diminuzione
di resistenza nel filo di circa °/10000 .
Con l’acqua distillata si ebbero del pari risultati irregolari.
Quando si versava l acqua si aveva un aumento di resistenza nel
filo, aumento che spariva quando l’acqua restava per qualche tem-
po nel tubo, ciò che è attribuito dall’ autore alla dissoluzione di
sali prodotti dall'azione dell’acqua sul filo e sul tubo.
Un fatto degno di nota esposto dall’ autore è questo, che im-
mediatamente dopo tolto il dielettrico liquido, mentre il filo rima-
neva ancora bagnato , la resistenza non assumeva il valore che
aveva prima nell'aria, ma quella nel dielettrico liquido. Tale ri-
sultato condusse l’ autore a credere che il sottile strato di liquido
aderente al filo avesse una parte importante nel fenomeno.
Prendendo per unità la conducibilità del filo nell’ aria, la con-
ducibilità nei liquidi esaminati, nelle ricerche del Sanford, è :
Petrolio > , 1.0018
Bisolfuro di carbonio ed essenza di ter ebentina 4 1.0009
Bisolfuro di carbonio, incerta, PSICO ; 1. +
Alcool metilico . A 7 3 - : 0.9998
Benzina . 5 ; : : ° 0.9994
Alcool metilico e benzina : - ; ; 5 0.9985
Alcool assoluto . A i , , : 0.9981
Alcool metilico e petrolio a 4 : 0.9973
Acqua distillata, incerta, apparentemente , ; l. —
4 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
Il Sanford sperimentò pure con alcuni dielettrici gassosi, tro-
vando che la conducibilità del rame nel vapore d’ alcool, nella ga-
zolina e nell’ etere solforico era più piccola che nell’ aria. Le cifre
qui riportate dimostrano l'entità del fenomeno trovato dall’ autore.
L'importanza del fatto enunciato è tale che ci parve interes-
sante fare uno studio particolareggiato dei fenomeno.
Quando le nostre esperienze erano quasi terminate, comparve
una memoria del sig. H. S. Carhart (1), il quale giunge a risul-
tati opposti a quelli del Sanford.
Allo scopo di affermare o confutare i risultati di questi, il Ca-
rhart fece eseguire delle ricerche da due studenti del suo labora-
torio, i sigg. Rodman e Keeler.
L'apparecchio adoperato era sostanzialmente lo stesso di quello
del Sanford, e la resistenza di esso era 0° 0468, cioè il 40 °/o più
alta di quella adoperata dal Sanford; però il metodo di misura era
circa 2 '/, volte più sensibile, poichè permetteva di apprezzare una
variazione di 0°" 000008.
Il tubo aveva la lunghezza di 86°%,3 e il diametro di 2°",5
il filo la lunghezza di 90°" e il diametro di 0", 7. Le resistenze,
nelle esperienze del Carhart, erano anche misurate col metodo del
ponte di Wheatstone , adoperando la disposizione differenziale di
Carey-Foster. La temperatura del tubo si faceva variare per mezzo
di un bagno ad acqua calda (che però non veniva a contatto del
tubo) e si misurava con un termometro diviso in mezzi gradi.
Furono eseguite diverse serie di misure adoperando come di-
elettrico l aria, l'alcool, il cherosene (2), misurando Je resistenze del
sistema contenente i detti corpi a temperature comprese fra 20° e
30°. Si ottennero sempre risultati praticamente coincidenti ; nessu-
na differenza fu avvertita che non potesse essere ascritta a er-
rorì di osservazione ; e, avendo gli autori adoperato un apparec-
(1) Henry S. CARHART, The electrical conductivity of copper as affected by the surrounding
medium. — The physical Review, vol. I, n. 5, pp. 321-337. New-York, 1894.
(2) Petrolio da ardere.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 5
chio più sensibile di quello del precedente sperimentatore, ne con-
clusero che le ricerche del Sanford dovessero essere affette da qual-
che errore sistematico.
Riserbandoci di discutere le esperienze del Carhart dopo ave-
re esposto i risultati delle nostre ricerche, faremo fin da ora osser-
vare che tanto quelle del Sanford come quelle del Carhart furono
eseguite a temperature variabili; come se invece di constatare il fe-
nomeno in discussione si trattasse di misurarlo a diverse tempe-
rature.
Questa circostanza, se da un lato permetteva di fare uno stu-
dio più completo del fenomeno, dall’ altro lo faceva derivare come
differenza di un altro più considerevole : la variazione di resistenza
con la temperatura ; e metteva gli sperimentatori in condizioni sfa-
vorevoli.
Nelle nostre ricerche abbiamo anzitutto eliminato, per quanto è
stato possibile, l'influenza della temperatura; dove non è stato possi-
bile poi ne abbiamo tenuto conto, misurandola con la massima
cura. Operando in tal modo ed eliminate tutte le cause di errore,
le nostre misure, ripetute un gran numero di volte, hanno presen-
tato una concordanza veramente notevole ed hanno raggiunto un
limite di esattezza superiore alla nostra aspettativa e sufficiente per
tale delicatissimo studio.
L'apparecchio del quale si misurava la resistenza elettrica nei
diversi dielettrici era composto di un filo di rame circondato da
un tubo dello stesso metallo , col quale era in comunicazione a
un estremo mentre era isolato all’ altro. Tale apparecchio era si-
mile a quello adoperato dal Sanford e dal Carhart; le dimensioni
però ne erano differenti, poichè il tubo aveva la lunghezza di 40°"
e il diametro di 5°” ; il filo la lunghezza di 304""" e il diametro
di 0” 22, e la resistenza del sistema 0°,14 circa. Tali dimen-
sioni erano, a nostro credere, necessarie per studiare il fenomeno
in quistione in buone condizioni : in un tubo più lungo sarebbe
stato difficile determinare la temperatura e mantenerla costante;
con un filo meno sottile le variazioni di resistenza non si sareb-
6 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
bero potute bene apprezzare, almeno con gli apparecchi a nostra
disposizione.
Il tubo suddetto è rappresentato nella figura 12: f è il filo me-
tallico il quale è saldato, nell’ estremità inferiore, a un cilindretto
a, saldato a sua volta alla piastrina che forma il fondo del tubo.
Questo nella parte superiore è chiuso da un tappo di ebanite e,
nel quale scorre l asta 7 saldata all’ estremità superiore del filo.
Tutte le parti metalliche sono di rame e nelle giunture saldate a
stagno si è presa cura di adoperare la minor quantità possibile di
saldatura.
Mentre il Sanford e il GCarhart adoperavano un solo di tali ap-
parecchi, per le nostre ricerche ne furono costruiti due, il più pos-
sibile identici fra loro , e pei quali i due fili furono presi da due
porzioni contigue della medesima matassa.
Questi due apparecchi formavano due lati vicini di un ponte
di Wheatstone: gli altri due lati erano formati da altri due fili m di
rame della medesima matassa lunghi circa 3 metri ciascuno e av-
volti su due tubi di vetro ,; le congiunzioni erano fatte di grosse
spranghe di rame saldate ai fili, e, nelle prime serie di esperienze,
unite fra loro in parte con saldature e in parte con contatti a mer-
curio.
La fig. 2 rappresenta schematicamente l’ apparecchio così co-
me venne in principio ideato.
C e C' sono i due tubi di rame; m ed m'le due spirali; s, «
ed s' sono le spranghe di rame che stabiliscono i contatti rispetti-
vamente fra C ed $&, fra S ed S' e fra S' e C per mezzo di sal-
dature a stagno; » ed ,»' due aste saldate esternamente ai due tu-
bi C, C'e che pescano dentro le due vaschette 1 e 4 di vetro,
isolate dentro un blocco di paraffina e piene di mercurio. Due al-
tre vaschette simili, 2 e 3, sono situate vicine ad esse, e fra 1-2,
2-5, 3-4 si possono collocare delle aste di rame che stabiliscono i
contatti.
Nel centro di s ed s' sono saldati due fili che conducono al
galvanometro, mentre altri due fili che conducono alla pila sono
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 7
saldati rispettivamente nel centro della spranghetta v e nel centro
dell’ asta « che riunisce le vaschette 2 e 3. La diagonale del pon-
te che contiene la pila era quella che dava nel nostro caso, la
maggiore sensibilità (1).
Venne adoperato un eccellente galvanometro aperiodico di Sie-
mens e Halske con magnete a campana della resistenza di 6 U. S.
circa e quasi completamente astatizzato. Le letture si facevano col
metodo dello specchio e della scala, e il cannocchiale era collocato
a circa 1", 50 di distanza dallo specchio. Due interruttori / e J,
uno nel circuito della pila, l’altro nel circuito del galvanometro, erano
a portata di mano quando si guardava nel cannocchiale. Un com-
mutatore M nel circuito della pila permetteva d’ invertire la corrente.
La pila P era una normale di Raoult, e nel circuito di essa
era intercalato un reostata ER di Hipp, che permetteva d’ indebo-
lire la corrente.
Le aste di rame che stabilivano i contatti tra le vaschette 1-2
e 3-4 erano munite di lunghi manichi di vetro che permettevano
di maneggiarle senza farne variare la temperatura.
(1) Infatti, com'è noto, ammesso che l’ equilibrio del ponte non sia stabilito , l intensità £
della corrente, che percorre il filo del galvanometro, è data, nella nostra disposizione, da :
E (C'S--S'°C) A
if= 7 / y / / IZ 7 7 È
g [(S+0) (C'4+S7)4(C'4-S4S+-0) ]+r(8'4-8) (C'+C0)4+C"S" (S+C0)4-SC (S'+C") B
dove g indica la resistenza del galvanometro, r quella della pila e C C° S S° rispettivamente le
(1
resistenze dei due fili nei tubi e delle due spirali.
Nel caso in cui si fosse scambiato, nella nostra disposizione la pila col galvanometro, è no-
to pure che l’ intensità Z° della corrente che passa per il galvanometro è data da
r EcS—- SC) A
—gT(C4+0) (8+5)+r(04+9+S+0)]+r(0+8) (C+8)+88 (C+0)+C0(8+5) B @
Con A, Be B' si indicano in modo sintetico rispettivamente il numeratore e ‘i due deno-
minatori delle due equazioni (1 e (2.
Il segno di I e di /' dipende da quello di A, essendo Be B' essenzialmente positivi. Sup-
poniamo che A, e perciò I ed I’ siano positivi. Si ha:
I-T= 7 (g—r) (C'—S) (S—0).
E siccome nel nostro caso
n I O
così la differenza è positiva, il che significa che la nostra disposizione è più vantaggiosa.
Un ragionamento analogo conduce allo stesso risultato nel caso di A negativo.
L'equazione (1 ci dice pure che nel nostro caso bisognava adoperare un galvanometro di
piccola resistenza e molto sensibile.
ld
8 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
.
Costruito così il ponte e reso astatico il galvanometro, si co-
minciò dall’ equilibrarlo, ciò che si ottenne facendo variare la re-
sistenza .M finchè la chiusura del circuito non avesse prodotto nel
galvanometro che una piccola variazione. Questa operazione è un
po’ lunga, perchè richiede una serie di tentativi per ognuno dei
quali bisogna disfare la saldatura di m con s e con , rifarla, e
attendere che le temperature si siano equilibrate. Però dopo un
certo tempo si riesce abbastanza bene, e una volta che l’ equilibrio
approssimativo è ottenuto e la deviazione del galvanometro non
supera i 2"", | apparecchio è pronto per gli esperimenti.
Con l’ apparecchio così costruito, per studiare le variazioni di
resistenza di uno dei tubi relativamente all’ altro, prodotta dal die-
lettrico, non occorreva far variare la resistenza di alcuno dei lati
del ponte ; bastava leggere le deviazioni del galvanometro quando
uno dei tubi era pieno di petrolio e quando tutti e due erano pie-
ni di aria, per avere la misura del fenomeno in unità arbitrarie.
Per ottenere però il valore assoluto di tali misure occorreva
tarare l'apparecchio.
Ciò si faceva per mezzo di due resistenze ausiliarie, formate
con due pezzi del solito filo di rame, lunghi rispettivamente 10""
e 6"". e saldati a due grosse aste di rame. Si intercalavano que-
ste resistenze, che chiameremo resistenza I e resistenza II , alter-
nativamente fra le vaschette 1-2 e 3-4 e si misurava la deviazio-
ne del galvanometro corrispondente alla variazione che esse pro-
ducevano nel rappor tra i due lati del ponte. Per eseguire le ri-
duzioni era necessario conoscere il valore assoluto delle resistenze
I e II e dei due tubi di rame.
Tali resistenze furono misurate mediante un eccellente ponte
decadico di Carpentier che si è potuto acquistare in questi ultimi
tempi. (1)
(1) L'acquisto di un tale apparecchio si è potuto fare mediante un sussidio straordinario
accordato dal R. Ministero della P. I. a questo Gabinetto di Fisica. Di ciò rendo vivissime
grazie.
G. P. G.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 9
La sensibilità del nostro apparecchio era tale che la deviazio-
ne di 2"" (1 divisione) della scala corrispondeva, nella maggior
parte delle misure, a una variazione di resistenza di 0°,00010
circa; un quinto di millimetro a 0°,00001. Col moltiplicare le
misure, quando si eliminarono tutte le cause di errore, si poteva
raggiungere, come sì vedrà in seguito, un’ esattezza ancora maggiore.
Costruito l'apparecchio sopra descritto, occorreva anzitutto sot-
toporlo a un rigoroso controllo , per vedere se esso dava risulta-
ti attendibili.
Si cominciò dall’ equilibrare, nel modo anzi detto, esattamen-
te il ponte, in guisa che il galvanometro , chiudendo il circuito ,
non desse che la deviazione di 1"",8, e si fecero delle misure
di tempo in tempo alla temperatura ambiente che veniva misurata
da un termometro collocato fra le quattro resistenze.
Per ottenere sbalzi più notevoli di temperatura, che dessero
un’ idea delle variazioni nello stato di equilibrio del ponte, si la-
sciava aperta, durante la notte, la finestra della stanza nella quale
sì eseguivano gli esperimenti.
Volendo fare un gruppo di misure si cominciava dal chiudere
il circuito del galvanometro, ciò che permetteva di constatare se vi
fossero delle forze elettromotrici estranee. Si chiudeva poi il cir-
cuito della pila e si facevano una o più letture; si lasciava ritor-
nare il galvanometro allo zero, interrompendo la corrente , e si
eseguivano altre letture. In seguito si invertiva la corrente, fa-
cendo nuove letture, e infine altre con la corrente nella direzione
primitiva.
Le diverse misure, dopo presa pratica nel maneggio dell’ ap-
parecchio, non differivano ordinariamente che di !/j0 di divisione e,
nella maggior parte dei casi, coincidevano : se si avevano per caso
differenze un pochino più grandi si moltiplicavano le misure per
avere una media più esatta.
Nella prima serie di esperimenti, che durò cinque giorni, il mas-
simo valore della deviazione del galvanometro fu di 2°,0 , il mini-
ATTI Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria VI. 2
10 Sulla resistenza elettrica deì metalli nei diversi dielettrici
mo di 1°,0, quantunque la temperatura variasse, in quell’intervallo
di tempo, da 18° a 20° circa.
Come si vede, la variazione dello stato di equilibrio del ponte
era abbastanza piccola, e sembrerebbe a prima vista che avremmo
potuto contentarci dell’ apparecchio così costruito. Ma poichè si trat-
tava di un fenomeno estremamente delicato e di piccola entità, lo
apparecchio fu perfezionato in modo da avere risultati molto più
esatti.
Prima però di perfezionare 1’ apparecchio , modificandolo nel
modo che andremo successivamente descrivendo, si fece una serie
di ricerche misurando la resistenza del tubo alternativamente nel-
l’aria e nel petrolio.
In questa serie e nelle successive venne introdotto in ognuno
dei tubi un eccellente termometro Baudin in vetro duro ricotto, di-
viso in ventesimi di grado.
Il petrolio adoperato in queste misure era stato da uno di noi
altra volta disseccato per altre ricerche e conservato per parecchi
anni in contatto con sodio tagliato a pezzetti. Prima di cimentarlo
venne ripulito per filtrazione. Lo chiameremo petrolio S. Nel seguito
delle ricerche, oltre il petrolio S, abbiamo adoperato altri due cam-
pioni di petrolio che chiameremo petrolio A e petrolio B. (1) Il
petrolio B fu disseccato sul cloruro di calcio. Il petrolio A, dopo
essere stato anch’esso disseccato sul cloruro di calcio, fu distillato.
I risultati sono consegnati nella seguente tabella:
(1) Questi campioni sono stati preparati dal prof. A. Peratoner, al quale esterniamo qui i
nostri ringraziamenti.
Sulla resistenza elettrica deiî metalli nei diversi dielettrici 11
TABELLA I. (1)
Petrolio S. — Durata dell’esperimento : 6 giorni.
Il
Numero TEMPERATURA Differenza DEVIAZIONE
—- ————— rocco E TTT tw _—_
i TUBO DESTRO | ruso sivismro|li temperatura LETTA CORRETTA
ARIA
24 A 1iSPR98 180090 + 0, 03 DAO 24, 15
25 19, 06 19, 00 0, 06 Teo 2,20
26 19, 70 19, 65 0, 05 1,9 2,15
27 19, 58 19, 55 0, 03 1,9 2705
28 18, 98 18, 95 0, 03 2,0 2,15
44 C 17, 60 Igo) 0, 00 TFR9 1,90
45 17, 84 Ia 0, 07 Leo 2,20
48 17 093 17, 85 0, 08 VERTE, DAN9O
Media 1 se 2,14
PETROLIO
31 B 18, 55 IISD5 0, 00 IO) SMENOO)
32 19, 13 LORO — 0, 02 mA) 2, 90
33 19, 43 19, 40 + 0, 03 DRG 2,75
34 17, 58 IGO — 0, 07 DA? 2,00
35 16, 60 16, 62 — 0, 02 2,4 2,50
36 16, 95 16, 95 0, 00 DINI 2,60
37 17, 68 17, 65 + 0, 03 DAS: 2, 30
38 17, 43 17, 42 + 0, 01 2009 205
39 17, 58 17, 53 0, 00 DIO ZA 90
40 18. 03 18, 03 0, 00. 2009 D190
41 18, 56 18, 50 + 0, 06 Dr 2,40
42 18, 53 18, 45 + 0, 08 ZI: 2, 50
43 17, 46 17,45 + 0, 01 DID Di 00
Media 2, 57 2, 64
La seconda colonna dà la temperatura del tubo di destra; la
terza quella del tubo di sinistra; la quarta la differenza tra Je due
temperature; la quinta la deviazione letta al galvanometro, espressa
in divisioni della scala del cannocchiale--in generale media di sei
letture per ogni misura—; la sesta dà la deviazione corretta per le
differenze di temperature, correzione però che non è se non ap-
(1) I gruppi di misure da 1 a 23, come quelli successivi che non vengono riportati nelle
tabelle sono stati fatti con unico dielettrico allo scopo di studiare le cause di errore.
12 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
prossimativa e che riportiamo soltanto per confrontare le cifre cor-
rette con quelle non corrette. Nel praticarla si ammette, fondandosi
sopra esperienze fatte in seguito e che descriveremo più avanti ,
che una differenza di 0°,1 fra le temperature dei due tubì produ-
ca una deviazione di 0,5.
I gruppi di misure che seguono in questa e nelle successive
tabelle alla parola ARIA sono stati eseguiti coi due tubi pieni di
aria— quelli preceduti dalla parola PeTROLIO sono stati fatti quando
uno dei tubi era pieno di petrolio.
I gruppi contraddistinti con la lettera A dopo il numero d’or-
dine furono fatti prima di riempire di petrolio il tubo di destra ;
quelli contraddistinti con 5 dopo averlo riempito, e infine i gruppi C
dopo averlo vuotato.
Le deviazioni del galvanometro dimostrarono una diminuzione
di resistenza del tubo riempito di petrolio e tale diminuzione si
osservò sempre in tutte le misure. (1)
Il valore della detta variazione si deduce dalla seguente ta-
bella :
TABELLA I,bis.
Resistenza tubo destra, £, = 0°, 141
» > (Sinistra, day ==:005, 144
Resistenza d'=0°"4007 Resistenza II = 0°, 004
Deviazione
letta corretta
PETROLIO 2, DI 2,64
ARIA 1002 2, 14
Differenza 0, 65 0, 50
(1) In alcune delle tabelle seguenti le deviazioni del galvanometro nell’ aria risultano più
grandi di quelle nel petrolio : ciò dipende sia dall’ aver riempito di petrolio il tubo di sinistra,
anzichè quello di destra; sia dall'avere equilibrato la deviazione iniziale in senso diverso. Quando
queste due circostanze si verificavano simultaneamente, le deviazioni nell'aria tornavano più pic-
cole di quelle nel petrolio.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 13
Deviazione ottenuta intercalando la
Resist. I. Resist. II.
a destra 60°, 7 do
a sinistra (0t9 OT 40, D
Media == 02,2 Jin = 09
Variazione di resistenza producente la deviazione di 1°
A=008 000112 dir== 0000108
Media a = 0, 000108
Differrenza tra la resistenza del tubo nell’ aria e nel petrolio
letta corretta
N°092 T000070 0°, 000054
Diminuzione relativa della resistenza nell’ aria e nel petrolio
letta corretta
À 0, 00049 0, 00038
R
Il primo perfezionamento che si arrecò all’ apparecchio dopo
questa serie di esperimenti fu quello di immergere le quattro resi-
stenze in un bagno di acqua. Si costruì una vasca di zinco a ba-
se quadrata della capacità di circa 40 litri. Le resistenze vennero
racchiuse in tubi di vetro e tutto il sistema fu immerso nell’acqua
in modo che il livello del liquido oltrepassasse 1 altezza dell’estre-
mità superiore del filo. Ognuno dei due tubi di vetro che contene-
vano i tubi di rame era chiuso con un tappo di sughero y (fig. 1%)
attraversato da un tubetto di vetro g un’ estremità del quale s’ in-
nestava in una piccola ghiera £ saldata nel fondo del tubo di ra-
me. L’ altra estremità era unita, per mezzo di un tubo di gomma,
a un tubo di vetro orizzontale che attraversava la parete anterio-
re della vasca in una ghiera chiusa da un altro tappo di sughero.
Questa disposizione permetteva di riempire e vuotare i due tu-
bi di rame e disseccarli senza togliere l’ apparecchio della ‘vasca,
e assicurava inoltre un isolamento perfetto, poichè l’acqua veniva
14 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
in contatto soltanto col tubo di vetro e col tappo di sughero, il
quale era ricoperto da uno strato di chatterton.
I risultati di una serie eseguita in queste condizioni sono ri-
portati nella seguente tabella:
TABELLA Il
Petrolio S. — Durata dell’ esperimento : 5 giorni
| Numero TEMPERATURA Differenza DEVIAZIONE vi
| S È —_ i 3 E
| d' ordine TUBO DESTRO TUBO SINISTRO di temperatura LETTA CORRETTA |
ARIA
66 A 19,96 19, 93 + 0,03 0,79 0,94
| 67 20, 04 20, 00 0,04 0,74 0, 94
| 68 20, 11 20, 08 0,03 0, 80 0,95
| 69 20, 00 19, 95 0,05 0,70 0,95
| 806 20, 43 20, 40 + 0,08 1,00 1,15
81 20, 43 20, 40 0, 03 0, 93 1,08
82 20, 25 20, 22 0, 03 0, 80 0, 95
83 20, 40 20, 37 0,03 0,85 1,00
84 20, 55 20, 52 0, 03 0,90 1,05
85 20, 65 20, 60 0, 05 0, 85 1,05
86 20, 71 20, 65 0, 06 0, 86 1, 16
87 20,50 20, 45 0,05 0,88 1,13
Media 0, 84 | 1,03
PETROLIO
12 B 20, 28 20, 28 0,00 1,30 1,30
73 20, 43 20, 40 + 0,03 1,40 1,55
74 20, 13 20, 12 0,01 1,08 1063
75 19, 93 19, 90 0, 03 1, 18 1,33
76 20, 28 20, 25 0,03 1,56 di
tari 20, 28 20, 25 0, 03 1,55 Jo70
77bis 20, 33 20, 30 0,03 1, 50 1,665
Media NAT 1,48
Le serie furono fatte nell’ ordine A, B, C; dopo il gruppo 80
si disseccò il tubo, già riempito di petrolio, mediante una pompa
Gay Lussac, facendo uscire i vapori del detto liquido , e tale dis-
seccamento si continuava fra un gruppo e l altro dei successivi.
Naturalmente, dopo aver disseccato il tubo, si lasciava in riposo
finchè la temperatura si equilibrasse.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
15
TABELLA II bis
Deviazione
letta corretta
PETROLIO IST 1, 48
ARIA 0, 84 1,05
Differenza 0, 53 0, 45
Ki == 719 Ku _ 439
a, = 0°, 000098 «ui = 0, 000094
a = 0, 000095
letta corretta
A 0°, 000051 0°, 000043
> 0, 00036 0, 00030
I valori di R,, R,,1,l erano identici a quelli della tabella Ibi,
Eseguite queste misure, se ne fecero altre per constatare se
il riscaldamento determinato dalla corrente producesse influenza nelle
misure.
A questo scopo si fecero diverse misure tenendo chiusa la
corrente della pila per un tempo lungo e osservando, di tanto in
tanto, le deviazioni del galvanometro.
Riportiamo qui una serie di misure fatte in tali condizioni :
ORA DEVIAZIONE ORA DEVIAZIONE ORA DEVIAZIONE
115, 41m 24, 0 11h, 48M 24, 1 11h, 52M 24,0
42 2,0 49 2,0 D3 19
44 DI00I | 50 2,0 55 DIO
46 ! ol BI | 2,0 56 ! TO
Il circuito della pila rimase chiuso
misure.
durante tutto il tempo delle
Diverse altre serie fatte per un tempo maggiore diedero risul-
tati consimili.
16 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
Esporremo ora altre due serie di misure fatte alternativamente
con aria e petrolio col medesimo apparecchio e nelle medesime
condizioni :
TABELLA II.
Petrolio S. — Durata dell’ esperimento : 20 ore.
Numero TEMPERATURA Differenza DEVIAZIONE
’ . E I . ul for
d'ordine TUBO DESTRO | TUBO SINISTRO di temperatura LETTA | CORRETTA
ARIA
114 € 21, 66 21,70 200 | 24, 58 | 2,38
115 91, 33 21,34 40:01 2,99 3,04
116 21,39 2130 + 0,03 2,88 3, 03
Media 2,82 2,82
PETROLIO
109 B 21, 38 21,35 + 0,038 2,12 2,27
110 21,38 21, 35 0,08 2,12 2,27
Media 2,12 DAI
TABELLA III bis
Deviazione
letta corretta
PETROLIO 23,12 2, 27
ARIA 2, 82 2, 82
Differenza — 0, 70 — 0,55 (1)
hi =‘094,16 Ma A429505
al= 0, 000106 Air = 0, 000094
a= 0, 0001
letta corretta
A 0°, 000070 0°, 000055
A
E 0, 00048 0, 00038
(1) Vedi la nota a pag. 12.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici Br
TABELLA IV.
Petrolio S. — Durata dell’ esperimento: 9 giorni
Numero TEMPERATURA Differenza DEVIAZIONE
O e TY n _ È ———__T_
LECLUNTIC ruso DESTRO | ruso sivistro [li temperatura LETTA CORRETTA
ARIA
136 A 219, 98 219, 97 + 00,01 924,16 94.21
137 23, 09 23, 09 0, 00 2, 35 2, 35
138 23, 60 23, 60 0, 00 2, 10 2, 10
139 22, 48 22, 47 2001 2, 14 2, 19
140 23, 33 23, 32 Si ORIOI 2, 16 2, 21
141 25, 53 23, 52 e OMO 2, 15 2, 20
164 C 24, 25 24, 23 + 0, 02 2, 67 2,77
165 24, 28 24, 23 + 0, 05 2, 73 2, 98
166 24, 31 24, 27 + 0, 04 2, 56 2, 76
167 23, 31 23, 30 ar (0 01 2, 58 2, 61
168 ! 23. 65 23, 63 + 0° 02 2. 64 9 74
169 24, 28 24, 25 + 0, 03 2, 82 2, 97
170 23, 387 23, 35 ut, 508 2, 83 9, 98
Media 2, 45 2, 54
PETROLI10
142 B 250, 55 230, 65 #00 SO 2, 62
143 23, 57 23, 64 AI 2, 90 2, 55
144 23, 55 23, 57 0; 03 2, 90 2, 80
115 22, 50 22, 42 + 0, 08 TRES 2, 17
146 23, 00 22, 90 +0, 10 1, 63 2, 10
147 23, 33 23, 27 20-06 1, 84 2, 14
148 23, 38 23, 30 + 0, 08 1, 82 92, 12
149 23, 85 23, 80 + 0, 05 1, 96 2, 21
150 23, 95 23, 95 0, 00 2, 42 2, 42
151 23, 95 23, 95 0, 00 2, 37 2, 37
152 23, 93 23, 94 = 0 i 2, 47 2, 42
153 23, 93 25, 94 — 0, 01 2, 40 2, 535
155 | 23,93 23, 94 #0A01 2, 56 2, 50
156 23, 11 23, 00 0 1, 88 2, 43
157 23, 23 23, 10 ar Vi 18) 1, 75 2, 40
158 23, 26 23, 20 + 0, 06 1, 90 2, 20
159 23, 40 23, 25 +0, 15 1, 80 2, 55
160 23, 61 23, 52 + 0, 09 2, 01 2, 46
161 23, 86 23,78 | +0, 08 2, 00 2, 40
Media 2, 19 2, 38
ArtTI Acc., Vor. VIII, SERIE 4° — Memoria VI. 3
18
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
TABELLA IV.bis
Deviazione
letta corretta
PETROLIO 23.19 Pa die)
ARIA 2, 45 2, D4
Differenza — 0, 26 — 0, 16 (1)
Rir= 69470 Kii= 44,10
ar = 0023000101 ai = 0, 000091
a = 0, 000096
letta corretta
A 0°, 000025 0°, 000015
Ò 0, 00017 0, 00010
Nella seguente tabella sono riassunti i risultati ottenuti
serie precedenti :
TABELLA AA.
A >
TABELLE
letta corretta letta corretta
IDIS .... | 0,99 000070 | 0,90 000054 0, 00049 0, 00033
| IIDIS.... 5I 43 36 30
IMSA 70 DI 48 38
IRVAds Le 29 15 17 10
nelle
Osservando la superiore tabella si vede che come i valori sono
abbastanza concordanti nelle prime tre tabelle, discordanti con la
quarta, la quale, come si è visto, contiene un grandissimo numero
di gruppi.
La ragione della discordanza non deve ricercarsi nelle diffe-
renze di temperatura, poichè i valori corretti per queste differenze
risultano ugualmente, se non più, discordanti di quelli non corretti.
La si deve ìnvece, come abbiamo potuto assicurarci con espe-
rienze dirette, alle forze elettromotrici introdotte nei circuiti dai
contatti a mercurio.
(1) Vedi la nota a pag. 12.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 19
Le vaschette 1-2 e 3-4 (fig. 2), come si è detto, erano riu-
nite da aste di rame in forma di U rovesciato, che permettevano
di introdurre nel circuito le resistenze ausiliarie per tarare il gal-
vanometro. Questi ponti, nelle prime misure, venivano scambiati qual-
che volta l’ uno coll’ altro, e venivano ruotati di 180 gradi in mo-
do da invertire la posizione delle loro estremità nelle vaschette: di
guisa che i ponti nelle vaschette potevano assumere otto posizioni
diverse che si possono indicare schematicamente così :
Posizione Posizione
M N N M
a Paes 1) Fa Ud 1 prio pre
M N N M
b a b, = i
M N N MI
M N N M
d aa d
Ora l’ esperienza dimostrò che passando da una posizione dei
ponti a un’ altra si osservava una differenza nella deviazione del
galvanometro.
Tale variazione, permanente e non transitoria, si osservava
benchè si avesse cura di maneggiare i ponti per mezzo dei manichi
di vetro.
Le seguenti tabelle mostrano questo risultato :
TABELLA B
Numero TEMPERATURA Posizione
d’ ordine SII Deviazione
della serie tubo destro | tubo sinistro dei ponti
118 210, 45 21°, 45 ar 3,42
119 21, 45 21, 45 a 2995
” ” » a, 3, 2
5 È di 3, 2
” ” » di 3, 2
” & ” CL 3, 2
A ” " d DON
” È ni b 3, 1
z E e Sail
121 21, 58 21, 38 ai 3, 27
“” n a 3, 0
Pi 5 È ai OLI
10)
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
TABELLA €
d' ordine
a
Numero TEMPERATURA Posizione
d’ ordine : SIRIA 3 Deviazione
della serie tubo destro |tuhbo sinistro dei ponti
128 20, 77 20, 75 a, 3,9
n di $ a 3, 33
” » » (171 3, 9
129 21, 41 21,40 ay 4,0
” ” ” a 3, ti
130 S È a, 4,0
131 21, 68 21, 67 a, 4,0
” » ” a 3, 7
» ” ” (71 4, 0
132 21878 21, 78 a; 4,0
> 3 > a 3,83
»” ” » a, 4, 0
133 20, 65 20, 65 a, 4,07
» 3 » a 3, 57
| » ” DI A, 4,0
134 21,23 21,23 ay 4,0
È È % a 3,82
5 > 5 ai 4,05
TABELLA D
Numero TEMPERATURA Posizione
Deviazione
della serie tubo destro | tubo sinistro dei ponti
137 23, 09 23, 09 ay 205
S n 3 a DL
” » ” A, di) 43
138 23, 60 23, 60 a, 2, 32
» » “ a DI 0
» 5 P a, DAD
139 23, 48 23, 47 a, 2, 23
E A 5 a 2, 05
3 ” » a 2, 18
Queste tabelle, e le altre che per brevità omettiamo, dimo-
strano che, cambiando le posizioni dei ponti e specialmente passan-
do dalle posizioni senza indice a quelle con indice, si osserva una
differenza notevole, quasi dello stesso ordine di grandezza del fe-
nomeno da misurare. Esso quindi, per tale causa di errore, poteva
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici DI
risultare o aumentato o diminuito di quantità considerevoli, a se-
conda delle posizioni occupate dai ponti nelle diverse misure. (1)
Il fatto riesce ancora più evidente se si pone attenzione alla
discordanza fra i valori dei diversi gruppi della tabella IV, dove, a
ragion veduta, vennero moltissime volte scambiate le posizioni dei
ponti.
Questo, a nostro credere, è il motivo per cui il risultato ot-
tenuto dai valori di detta tabella discorda notevolmente da quello
delle altre, nelle quali lo scambio delle posizioni dei ponti era ac-
cidentale e probabilmente avveniva quando, passando da un di-
elettrico all’ altro, si tarava il galvanometro.
Checchè ne sia, è certo che conveniva eliminare completamen-
te tale causa di errore , che ci avrebbe condotto a risultati poco
esatti, ove ci fossimo contentati degli esperimenti delle sole tre pri-
me tabelle, che del resto sono abbastanza concordanti e rappresen-
tano un numero ragguardevole di misure (circa 350), e non aves-
simo, per eccesso di scrupolo, ripetute le misure.
A tal uopo si modificò la disposizione sperimentale.
Le fig. 38 e 4 rappresentano | apparecchio modificato ; in
esse le lettere che indicano i diversi pezzi hanno lo stesso signi-
cato di quelli della fig. 28. Come si vede, sono soppresse le quattro
vaschette a mercurio e i relativi ponti, e il circuito Cw C', è tut-
to di pezzi di rame uniti con piccoli strati di saldatura a stagno.
Per tarare l’ apparecchio, essendo impossibile in questo caso
introdurre qualsiasi resistenza ausiliaria nei bracci del ponte, si ri-
corse a una disposizione speciale : in due punti delle spranghe r e
s vicini al tubo © si saldarono due fili di rame x ed x, , che spor-
gevano in fuori e pescavano rispettivamente in due vaschette »v e
v, piene di mercurio. Lo stesso si praticò per le spranghe 7° ed s'.
Nelle misure di resistenza del tubo nell'aria e nel petrolio le va-
schette venivano tolte e perciò non potevano influire menomamen-
(1) L'esistenza delle forze elettromotrici sopraccennate ci vennero anche dimostrate da una
piccolissima deviazione che si osservava qualche volta chiudendo il circuito del galvanometro e
lasciando aperto quello della pila, quando nel ponte esistevano i contatti a mercurio sopra descritti.
22 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
te sui risultati. Quando si trattava di tarare il galvanometro , si
collocava alternativamente fra x ed », o fra »#' ed x, una resisten-
za nota £, che agiva come resistenza in derivazione riguardo al tubo
Co Cl. La diminuzione di resistenza che ognuno dei tubi subiva -
per effetto della derivazione P era calcolata per mezzo della nota
formola , e la corrispondente deviazione del galvanometro serviva
a determinare il solito coefficiente «.
Tale disposizione, oltre quello accennato, presentava anche il
vantaggio che P, essendo circa 100 volte più grande della resisten-
za I, e quasi 200 volte più grande della II, poteva, col ponte del
Carpentier, esser misurata con un’approssimazione molto maggiore.
Essa era costruita con filo della stessa matassa del filo f ed
f dei tubi.
In questo nuovo apparecchio i tubi C e C° erano più ravvici-
nati e perciò soggetti a minori variazioni di temperatura, a misu-
rare la quale si pose la massima attenzione.
Come si è detto prima, le temperature venivano misurate me-
diante due Baudin, in ventesimi di grado , di vetro duro ricotto ,
sospesi verticalmente e collocati in modo che i bulbi arrivassero
a un dipresso a metà dei tubi e fossero entrambi allo stesso livello.
Le letture si facevano con il cannocchiale di un catetometro
e si poteva raggiungere l approssimazione di 0°, 005, che era quel-
la, a nostro credere, necessaria in queste misure.
Per avere il valore delle temperature con tutta precisione sa-
rebbe stato necessario calibrare i termometri e determinarne i coef-
ficienti di pressione interna ed esterna, o confrontarli con altri ter-
mometri già studiati.
Se si considera però che i termometri furono costruiti contem-
poraneamente e con lo stesso vetro, si comprenderà come tali coef-
ficienti debbano differire poco fra loro. (1)
Del coefficiente di pressione interna non era necessario tener
(1) Il coefficiente di pressione esterna, espresso in gradi per mm. di mercurio, varia per i
termometri Tonnelot, secondo il Guillaume, fra 0°, 00010 e 0°, 000613.
(0
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 2:
conto nel nostro caso, perche si trattava di misure relative , e
tutte furon fatte in posizione verticale. Il coefficiente di pressione
esterna, poichè la pressione era identica per i due strumenti, e a
noi non interessava il valore assoluto delle temperature ma il va-
lore esatto delle loro differenze, avrebbe potuto influire, nel nostro
caso , soltanto se avesse presentato fra un termometro e 1 altro
una differenza 200 volte più grande di quella che presentano i ter-
mometri Tonnelot tra loro, ciò che è assolutamente inammissibile.
Vero è bensì che, quando uno dei tubi era riempito di petrolio, la
pressione esterna cresceva per il termometro immerso nel liquido;
ma tale aumento, pure attribuendo al termometro un coefficiente di
pressione esterna relativamente grande, era trascurabile nel nostro
caso.
Riguardo a gli errori di calibrazione osserviamo che i due
termometri erano stati calibrati dal Baudin e che le nostre misure
non compresero che un intervallo di poco più di due gradi, nel
quale intervallo soltanto occorreva, per le esposte ragioni, che i
termometri fossero calibrati. (1) Lo zero a # venne determinato
molte volte dopo le misure. Le variazioni, in un anno circa, furono di
1 centesimo di grado per un termometro e nulle per un altro. Lo
zero a zero determinato dal Baudin coincideva sensibilmente nel
nostro caso, con lo zero a t.
Crediamo per queste ragioni di aver raggiunto nella misura
relativa delle temperature l’approssimazione di 09,005; abbiamo per-
ciò ritenuto come eguali le temperature dei tubi quando la differen-
za delle indicazioni dei termometri (corrette) era uguale o inferiore a
0°,005 ; quando la differenza superava questo valore ed era infe-
riore a 09,03 o 09,04, abbiamo ritenuto che le misure delle resi-
stenze elettriche richiedessero perciò una correzione per la tempe-
ratura.'(2)
(1) Su questi termometri, che servono per le mie ricerche calorimetriche, ho intrapreso uno
studio completo. G. P. G.
(2) Pei pochissimi gruppi di misure pei quali le differenze superarono tale valore si credette
preferibile rigettarli, come si vedrà in seguito.
24, Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
Per eseguire tale correzione, quando Il’ apparecchio era ben re-
golato , in uno dei tubi si introduceva del petrolio a temperatura
alquanto diversa da quella del bagno e si osserva la deviazione
corrispondente nel galvanometro ; queste osservazioni si facevano
di cinque in cinque minuti, fino a che la temperatura diventasse
uguale nei due tubi, e sì mantenesse tale per parecchie ore.
M alcuni gruppi di misure questa eguaglianza di temperatura
non si raggiunse mai; ma in altri Ja si ebbe in modo preciso e si
potè così determinare la deviazione prodotta nel galvanometro da
una data differenza di temperatura.
Riportiamo qui sotto due delle diverse tabelle che racchiudono
tali misure :
TABELLA E.
i Numero TEMPERATURA | Differenza | DEVIAZIONE | Difterenza deo
|
I —_—r— — — TZ uv
il d'ordine DA 100
i di odio tubo destro | tubo sinistro d d di d di
|| |
|
| 258 270,955 260,850 |+ 00, 405 | 04,0 14,9 | — 15,90 | — 0, 47
2 O ERO 125 26, 850 0.275 | 0,4 È 1, 50 0, 55
260 27,045 26. 850 0,195 | 0,9 i 1, 00 0, 51
261 26, 995 26, 850 00145 ME n 0, 80 0, 55
262 26, 965 26, 850 0,115 | 1,4 x 0, 50 0, 43
263 26, 935 26, 860 0,075 | 1, 55 » 0, 45 0, 60
264 26,925 26, 870 0,055 | 1,7 n 0. 20 0, 36
265 26, 895 26, 870 0025. do A 0, 15 0, 60
266 | 26,885 26, 870 0,015 | 1, 8 > 0, 10 0, 67
Media — 0, 53
TABELLA F.
î ]
Numero TEMPERATURA Differenza | DEVIAZIONE | Differenza | 4 — di
Ì — nn Dr ——|
RIA È na 109
d'ordine | tubo destro | tubo sinistro 7 d di d di
287 270,375 270, 050 + 00,325 | 09, 0 19,93 | — 19,93 | — 0, 59
288 27,295 27, 050 0,245 | 0, 6 % 1, 38 0, 54
289 27,225 27,050 0, 175 | 0,9 n 1,03 0, 59
290 27,195 26, 970 092542 hi 0, 73 0, 32
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 25
-
Nelle prime cinque colonne di queste due tabelle sono ripor-
tate le stesse quantità delle precedenti I a IV. Nella sesta è indi-
cata la deviazione d, a temperatura uguale nei due tubi. Questo va-
lore si ricavò per la tabella E dai gruppi 267 a 277 fatti imme-
diatamente dopo quelli di detta tabella e nei quali, come si po-
trà vedere nella tabella VI riportata appresso, la differenza di tem-
peratura non superò i 0°,005 e perciò, come si è detto, essa può
ritenersi nulla (1). Per la tabella £ il valore di d, venne ricavato
dai gruppi 291, 292, 293, 295, 296, che anch’ essi si trovano nel-
le identiche condizioni (vedasi tabella VII.
Nella settima colonna delle tabelle £ ed / sono riportate le
differenze d, — d, delle deviazioni, e finalmente nella colonna ottava
a;
100
temperatura nei tubi di un decimo di grado. Il valore medio di que-
sta quantità, dedotto da queste due tabelle, risulta 0°, 5, e tale va-
lore fu adottato per tutte le serie di misure che riporteremo in se-
guito, e in via approssimativa anche per le precedenti, nelle quali
l'apparecchio era disposto in modo poco differente.
In questo ragionamento si è ammesso che le due resistenze m ed m'
la deviazione prodotta nel galvanometro da una differenza di
fossero rigorosamente alla stessa temperatura.
Abbiamo ritenuto ciò esatto, perchè i tubì di vetro che con-
tenevano le dette resistenze, di piccolo diametro, erano molto vi-
cini tra loro e perchè essi non ricevevano calore dall’ esterno, lad-
dove la temperatura dei tubi e dei fili di rame doveva necessaria-
mente variare per l’ introduzione del petrolio. Avremmo potuto mo-
dificare l’ apparecchio avvolgendo le due spirali sopra unico tubo ;
ma la concordanza dei risultati ottenuti, applicando la correzione
fatta nel modo anzidetto , ci dispensò dall’ eseguire tale modifica-
zione.
Giova qui notare che, calcolando la variazione di resistenza
corrispondente a una deviazione del galvanometro di 5° (equiva-
(1) Se fosse stato necessario di tener conto di questa piccola differenza, avremmo proceduto
col metodo delle approssimazioni successive.
ArTI Acc., Vor. VIII, Serie 4° — Memoria VI. 4
26 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
lente ad un grado) nel caso delle misure delle tabelle £ ed / e di-
videndola per la resistenza del tubo, si ottiene il coefficiente di
temperatura del filo di rame. Tale coefficiente risulta 0,0036, va-
lore che concorda bene con quello a 20° del Benoit 0, 00364 (1).
Siffatta coincidenza ci sembra una prova abbastanza convincente
dell’esattezza delle misure in discorso.
Oltre a queste modificazioni, V apparecchio ne subì delle altre,
che permettevano di fare delle lunghe serie di misure senza spo-
starlo menomamente. A ognuno dei tubetti di rame # (fig. 1) fu sal-
dato un sottile tubo di ottone, il quale attraversava il tappo di su-
ghero y e ripiegandosi arrivava fino al livello del tappo di ebanite
e. Questo tubo di ottone era ricoperto con uno strato di chatterton,
e inoltre, all’ uscita del tappo di sughero , era isolato per mezzo
di un tubo di caucciù, che lo rivestiva e che era legato e masti-
ciato col tubetto di vetro g che attraversava il detto tappo.
In questo modo l’ isolamento era anch’ esso perfetto e si evi-
tava il contatto del petrolio col caucciù, il quale, nei precedenti
esperimenti, veniva alterato in modo da dovere più volte smonta-
re l apparecchio per cambiarlo.
Dalle estremità superiori dei tubicini di ottone, con disposi-
zioni che è facile immaginare, si potevano vuotare ripetutamente i
tubi C e C' e, quando occorreva, aspirare i vapori di petrolio.
In questo modo si poterono fare delle serie di esperienze in
condizioni molto favorevoli.
Qui appresso sono riportati i risultati ottenuti :
(1) G. WiIepEMANN, Elektricitiit. 2 Auflage. 1 Band, S. 471.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
TABELLA V.
Petrolio A. — :Durata dell’ esperimento: 4 giorni
Numero TEMPERATURA Differenza DEVIAZIONE
d' ordine TUBO DESTRO | ruso sivistro [di temperatura LETTA CORRETTA
ARIA
171 A 259,61 250,60 + 00,01 14, 78 19, 83
172 24,15 24, 15 0, 00 1, 80 1, 80
173 24, 66 24, 65 0, 01 1, 85 1, 90
174 25, 00 24, 98 0, 02 1, 86 1, 96
175 925,11 25, 10 0, 01 1, 85 1, 90
176 25, 16 25,15 0) 01 1, 90 1, 95
198 C 27,93 27,292 + 0, 01 2, 04 2,09
199 27,29 27,28 “0, 01 1, 93 1, 98
200 26, 94 26, 90 0, 04 2, 00 2020
Media 1, 96
PETROLIO
177 B 25, 39 25, 40 — 0,01 2, 27 D22
178 25, 42 25,45 =M0:03 2,10 1, 95
179 25,30 25,25 + 0,05 JNE53 1, 78
180 25, 28 DONI + 0,05 1, 63 1, 88
181 24, 70 24, 73 — 0,03 2, 42 PIRATI
182 24, 48 24 50 — 0,02 2 37 9, 27
1583 25, 40 25, 47 — 0,07 2, 88 POS
184 25,81 25,30 0; 01 2, 06 2, 11
185 25, 90 25,90 0,00 2, 07 2, 07
186 | 25, 90 25, 89 + 0,01 2, 00 2, 05
187 25, 97 25,97 0,00 2, 10 9, 10
188 26, 05 26, 05 0,00 2, 00 2, 00
189 25, 15 25,15 0, 00 2, 40 2, 40
190 25, 33 ZON — 0,04 2, 78 2, 58
191 25,45 25, 50 =i0:105 2 77 2, 55
192 25, 51 25,59 220.108 2, 85 2, 45
193 26, 70 26, 82 PIO 3, 00 2, 40
195 26, 85 26, 90 =-0;/05 2, 80 2, 55
196 26,90 26, 90 0, 00 2, 80 2, 80
197 26, 92 27,00 — 0,08 2, 98 DIDO,
Media DICOM
TABELLA V.bis
dei =2005 139 iO
pres ASdio
Deviaz. corretta
PETROLIO BRIT
ARIA 1, 96
Differenza 0.50
28
Sulla resistenza elettrica deì metalli nei diversi dielettrici
Deviazione ottenuta collocando p in derivazione :
a destra
a sinistra
734, 3
70, 9
Media X = 72, |
a = 0%, 000075
Variazione di resistenza producente la deviazione di 1°
A=0, 000023
= 0, 00017.
A
È
TABELLA VI
Petrolio B. — Durata dell’ esperimento : 2 giorni
Numero TEMPERATURA Differenza DEVIAZIONE
3? Ri ——TT.._——_r—___— — _— R È, nn
PRG ruso DESTRO | ruso sisistro |di temperatura LETTA | CORRETTA
ARIA
253 A 270,145 200, 150 — 00,005 19,58 14,56
204 27, 195 27, 200 — 0, 005 1, 56 1, DI
255 26, 815 26, 810 + 0, 005 1, 68 1, 70
2900 26, 895 26, 870 + 0, 025 1, 63 1, 75
280 26, 855 26, 880 — 0, 025 i, GR) 1, 8l
281 26, 885 26, 900 — 0, 015 1, 80 1, 73
282 26, 905 26, 910 — 0, 005 1, 72 1, 70
283 26, 925 26, 920 + 0, 005 TRO 1, 72
284 26, 925 26, 930 — 0, 005 1, 70 1, 68
285 26, 975 26, 970 + 0, 005 1, 65 1, 67
286 26, 995 27, 000 — 0, 005 1, 63 1, 61
Media 1, 68
PETROLIO
267 B 260,875 260,870 + 00,005 1, 80 1, 82
268 26, 885 26, 880 + 0, 005 1, 90 1, 92
269 26, 885 26, 890 — 0, 005 1, 90 1, 88
270 26, 895 26, 900 — 0, 005 1, 95 1. 93
271 26, 925 26, 920 + 0, 005 1, 92 1, 94
272 27, 005 27, 000 + 0, 005 1, 90 1, 92
273 27, 075 27, 070 + 0, 005 1, 90 1, 90
274 26, 675 26, 670 + 0, 005 1, 89 1,91
275 26, 695 26, 700 — 0, 005 1, 90 1, 88
276 26, 775 26, 770 + 0, 005 1, 90 1092
277 26, 855 26, 860 — 0, 005 1, 90 1, 88
Media 1, 90
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
TABELLA VI, bis
fe =00059 de 2000 TA
Aes 3005 5I
Deviaz. corretta
PETROLIO 15,90
ARIA 1, 68
Differenza 0, 22
Collocando p in derivazione:
a destra 58,7
a sinistra DT, 4
Media X= 58,0
a = 0°", 000093
A = 0%, 000020
A 2
ui = 0, 00015
TABELLA VII.
Petrolio B. — Durata dell’ esperimento : 30 ore.
14
Numero TEMPERATURA Differenza DEVIAZIONE
E 7; TT _—_ _ 3 —P__
d' ordine TUBO DESTRO | TUBO SINISTRO di temperatura LETTA CORRETTA
I
ARIA
279 A 260, 595 260, 870 + 00,025 14, 63 19,75
280 26, 855 26, 850 0095 1, 93 1, SI
281 26, 885 26, 900 — 0, 015 1, SO 1, 73
282 26, 905 26, 910 — 0, 005 1, 72 1, 70
283 26, 925 26, 920 + 0, 005 1, 70 Je?
284 26, 925 26, 930 — 0, 005 1, 70 1. 68
285 26, 975 | 26, 970 + 0, 005 I (85) 1, 67
286 26, 995 27, 000 — 0, 005 1, 63 Tia
299 C 26, 995 26, 880 + 0, 015 1, 75 1, 82
300 26, 975 26, 950 + 0, 025 1, 80 TRRI9D
301 26, 985 26, 970 + 0, 015 1, 80 1, 87
302 26, 855 26. 850 + 0, 005 1, 87 1, 89
303 26, 825 26, 850 — 0, 025 DEELO, 1, 98
304 26, 825 26, 850 — 0, 025 1, 90 1, 78
305 26, 825 26, 840 | — 0,015 1, 86 1, 79
Media 1, 78
PETROLIO
29108 27, 075 27, 070 + 0, 005 1, 83 1, 85
292 27, 095 27, 090 + 0, 005 1, 86 1, 88
293 27, 085 27, 090 — 0, 005 1, 90 1, 88
294 26, 745 26, 730 + 0, 015 1, 93 2, 00
295 26, 755 26, 750 + 0, 005 1, 94 1, 96
296 26, 775 26, 770 + 0, 005 2, 00 2, 02
Media 1,93
30 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
TABELLA VII. bis
00159 2100 44
PISA
Deviaz. corretta
PETROLIO 19495
ARIA lg Tito)
Differenza 0,15
Collocando p in derivazione:
a destra DBLH
a sinistra 57,4
Media X = 58, 0
— 0°î,000093
a
Ac=0%, 000014
AA
— = 10.
PR 0, 00010
TABELLA VII.
Petrolio S. — Durata dell’ esperimento : 8 ore.
Numero TEMPERATURA Differenza DEVIAZIONE
| d’ ordine cern ne De di temperatura] — e , va
| TUBO DESTRO | TUBO SINISTRO LETTA CORRETTA
| _
ARIA
306 A 260,275 260,270 + 00,005 19,83 14,85
307 26, 305 26, 300 0, 005 1, 83 1, 85
308 26, 325 26, 320 0, 005 1, 84 1, 86
309 26, 335 26, 320 0, 015 1, 83 1, 90
321 C 26, 795 26, 770 + 0,025 1, 90 2, 02 (1)
322 26, 845 26, 850 — 0,005 1, 87 1, 85
928 26, 845 26, 850 — 0,005 1, 87 1, 85
324 26, 845 26, 50 — 0,005 1, 84 1, 82
Media 1, 88
PETROLIO
S1LT0B: 26, 445 26, 420 + 0,025 2, 04 2, 16
318 26, 565 26, 580 — 0,015 9, DU 2, 10
319 26, 765 26, 750 + 0,015 2, 07 2, 14
320 26, 765 26, 750 +- 0,015 2, 15 2,22
Media 2, 15
(1) Appena tolto il petrolio dal tubo.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 3
Ri= 09%, 139
TABELLA VIII bis
R,=0%, 144
Numero
d’ ordine
325 A
326
327
345 C
346
347
348
351
3270is B
328
329
330
331
332
333
338
339
340
pe=3000 DI
Deviaz. corretta
PETROLIO 25,15
ARIA 1, 88
Differenza 0, 27
Collocando p in derivazione:
a destra 581,7
a sinistra 57, 4
Media X = 58,0
A 041000095
Ali: (0°22000025
TAN _
TABELLA IX.
Petrolio B. — Durata dell’esperimento : 4 giorni.
TEMPERATURA Differenza | DEVIAZIONE
= —_ , — n
TUBO DESTRO |‘ruso SINISTRO di temperatura LETTA | CORRETTA
ARIA
26°, 575 26, 550 + 00, 025 14,98 24,10
26, 605 26, 590 UMOL5 015) 2112
26, 605 26, 590 0, 015 2, 12 9, 17
26, 125 26, 100 + 0, 025 2, 25 2, 87
26, 145 26, 130 0, 015 230 DES
25, 855 25, 820 0, 035 2, 30 2, 47
25, 885 25, 850 0, 035 2 27 2, 44
25, 935 25, 900 0, 035 2, 44 2, 41
Media INS
PETROLIO
26, 675 26, 650 + 0, 015 2, 33 2,43
26, 290 26, 250 0, 040 2, 21 2,40
26, 175 265135 0, 040 2 2) 2,43
26, 137 26, 100 0, 037 2, 24 2,45
26, 275 26, 250 0, 025 2, 35 2,47
25, 995 25, 950 0, 045 2, 32 2,54
26, 085 26, 050 0, 035 2, 38 2,55
25, 925 25, 900 0, 025 2, 50 2, 62
25, 975 25, 950 0, 025 2, 53 2,65
26, 055 26, 030 0, 025 DI TI 2, 69
32 Sulla resistenza elettrica dei metalli neì diversi dielettrici
TABELLA [X,bis
Ray = 0%, 139 R, = 0%, 144
pa= DOD, 5I
Deviaz. corretta
PETROLIO 2, 12
ARIA 2, 31
Differenza OZ
Collocando p in derivazione :
a destra 6535, 3
a sinistra 60,9
Media = 62, 1
a = 0, 000087
= 02000018
= 0, 00013 .
Sip p
TABELLA X.
Petrolio S. — Durata dell’esperimento : 3 giorni.
| Numero TEMPERATURA Differenza DEVIAZIONE
| 1 ordi e 7 sa er
| d' ordine Tae ana di temperatura tenti CORRETTA
ARIA
ta] 250,97 250 94 + 09,03 24 34 2,49
3553 25,93 25, 90 0, 03 2,37 2,92
904 56 Porno 0,03 2,47 2, 62
357 5, 525 20450 0, 025 2,47 2,59
358 5, DI 25, 48 0,03 2, 48 2, 63
359 25, 62 25, 61 0,01 2,50 PI0O
Biala | DONI | Dv 319 I + 0,02 2,52 2, 62
Media 2,57
PETROLIO
91285 DOO 25, 70 + 0,02 2, 68 2,78
373 20,12 25, 70 0, 02 2, 68 2,78
374 202 25,70 0,02 2, 68 2,78
940 DONO, COMO 0, 02 2, 68 2,73
376 Dori 245) 119) 0, 02 2, 70 2,80
377 25, 82 25,80 0, 02 2,72 2,82
378 205301 25, 34 0, 03 2, 60 2,75
Media 2, 78
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
TABELLA X.bis
PR, = 0%, 139 = 00, 144
pD= DO 5A
Deviaz. corretta
PETROLIO DIS
ARIA 2031
Differenza 0,21
Collocando p in derivazione:
a destra 639, 3
a sinistra 60,9
Media A = 62,1
a = 0, 000087
Adi= 10027000018
= =/0, 00013,
E da osservare che nella tabella V vi furono dei
gruppi
di esperienze nelle quali le differenze di temperatura superarono
09,03 — 0,04. Ora con tale differenza la correzione poreva non
essere più molto esatta ed è preferibile addirittura rigettare questi
gruppi. Eliminandoli col tener conto solo di quelli che presentano
differenze più piccole, si ottengono i valori dati dalla
TABELLA V.8
Deviaz. corretta
PETROLIO 29, 22
ARIA 1, 96
Differenza 0, 26
A==7092+ 000020
A
— =0 14.
E , 000
Per le altre serie non è stato necessario di eliminare alcun
gruppo di misure, perchè, ove se ne eccettui qualcuno della tabel-
la IX, le differenze tutte non hanno superato 0°, 03. Per la tabel-
ATI Acc., Vor. VIII, Serie 48 — Memoria VI.
S4 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
la IX si ebbero soltanto in quattro gruppi differenze comprese fra
0°, 03 e 0°, 04. Se si volessero anche eliminare questi, il risultato
finale rimarrebbe inalterato.
Nella seguente tabella (1) sono riassunti i risultati precedenti:
TABRLG.CA
Serie A Sì
V 02%, 000023 0, 00017
Va 20 14
VI 20 15
VII 14 10
VII 25 18
IX 18 13
X 18 13
Media 0°, 000020 0, 00014
differenza + 0°, 000005 + 0, 00004
Come si vede da essa, le differenze di A della media dal più
grande e più piccolo valore sono talmente piccole, che sembra si
possano ritenere come abbastanza soddisfacenti i risultati ottenuti.
Discussione dei risultati
Gli esperimenti ci dimostrano in modo netto che, sostituendo
in uno dei tubi C al dielettrico aria il dielettrico petrolio , 1’ equi-
librio del ponte è rotto e il galvanometro manifesta una corrente.
Esaminiamo ora se tale corrente sia un fenomeno secondario , 0
un fenomeno primario dovuto all’ influenza del dielettrico.
Se la deviazione fosse prodotta da un’ azione secondaria, po-
trebbe provenire sia da una forza elettromotrice intercalata in uno
dei bracci del ponte, sia da variazione di resistenza di uno dei det-
ti bracci.
Delle forze elettromotrici esistenti nel circuito a causa dei con-
tatti a mercurio e del modo come furono completamente elimina -
(1) Nella pubblicazione di questa tabella, fatta nel riassunto del Bullettino delle sedute del-
l'Accademia Gioenia, s' incorse in qualche piccolo errore.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 35
te abbiamo già parlato. Si può qui soltanto obbiettare che poteva-
no esistere correnti termoelettriche o che queste potevano essere
modificate o create dalla sostituzione del petrolio all’ aria nei tubi.
È da osservare però che | esistenza di correnti termoelettriche vie-
ne eliminata dal fatto che, quando non si cambiava il dielettrico,
il ponte rimaneva per dei giorni e delle settimane in perfetto equi-
librio, e se variazioni qualche volta vi furono, dopo molti giorni,
furono così lente e regolari, da non potersi affatto attribuire a cor-
renti termoelettriche. Il fatto poi che la chiusura della corrente, an-
che per un tempo lungo, non produceva che piccolissime deviazioni
nel galvanometro, dimostra la completa omogeneità e simmetria del
circuito. Infatti se il circuito fosse stato eterogeneo e dissimmetrico,
il fenomeno Peltier avrebbe creato delle forze elettromotrici, che
si sarebbero osservate all’ interruzione della corrente.
D'altra parte se forze elettromotrici fossero esistite nel circui-
to, esse non avrebbero potuto produrre, se provenienti da varia-
zioni esterne di temperatura, una corrente costantemente in un
senso e che variava di direzione quando invece di riempire di pe-
trolio uno dei tubi si riempiva l’ altro. In un solo caso ciò sareb-
be potuto accadere, quando il riscaldamento producente la corren-
te fosse dovuto al liquido introdotto nel tubo a temperatura diver-
sa da quella del bagno.
Si potrebbe infatti sospettare che il liquido introdotto in uno
dei tubi, riscaldando il flo—ove questo fosse stato eterogeneo —
avesse potuto produrre una corrente termoelettrica, causa della de-
viazione nel galvanometro. Per quanto sia estremamente inverosi-
mile ritenere che una tale corrente potesse persistere e conservar-
si costante per sì lungo tempo, il seguente esperimento basta a di-
mostrare che tale ipotesi è inammissibile: la corrente osservata
aveva sempre la medesima direzione, sia che il petrolio possedesse
una temperatura iniziale superiore a quella del bagno, sia che aves-
se una temperatura inferiore ; laddove, ammettendo 1’ origine ter-
moelettrica della detta corrente, questa avrebbe dovuto cambiare di
segno, quando il petrolio, anzichè riscaldare il filo, lo raffreddava.
36 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
Queste considerazioni sembra escludano dunque che si trattas-
se di fenomeno dovuto a forze elettromotrici parassite.
Rimane ora a esaminare se esso potesse attribuirsi a cause
secondarie producenti variazioni di resistenza in uno dei bracci del
ponte.
Per quel che riguarda le variazioni di resistenza nei fili pro-
dotte da variazioni di temperatura, abbiamo già visto come sono
state accuratamente studiate e corrette.
Una sola cosa faremo qui osservare, che la deviazione del gal-
vanometro, la quale misurava il fenomeno , era tale che potrebbe
soltanto essere stata prodotta da una differenza di temperatura di
circa un ventesimo di grado. Ora noi abbiamo visto che le misure
delle temperature e le relative correzioni si facevano fino ai due-
centesimi di grado.
Non puossi perciò attribuire il fenomeno a differenze di tem-
peratura o ad errori nelle loro misure : questi del resto avrebbero
potuto produrre non una deviazione sempre in un senso, ma delle
discordanze nei risultati; mentre noi abbiamo visto che i risultati
furono molto concordanti.
Rimane dunque soltanto a discutere se la variazione di resi-
stenza sia stata prodotta dalla conducibilità del petrolio o delle im-
purità che esso avrebbe potuto contenere. Infatti, se il petrolio non
avesse perfettamente isolato, si sarebbe stabilito tra il filo e il tubo
una specie di circuito derivato liquido che avrebbe avuto per ef-
fetto di diminuire apparentemente la resistenza del sistema.
Su questo punto tanto importante abbiamo creduto di dovere
intraprendere degli esperimenti diretti.
All’ uopo in un tubo d’ assaggio ben disseccato 7° sì colloca-
rono due lamine di rame di 12 "" di larghezza, distanti tra loro
3" 5. Il tubo fu riempito col petrolio già cimentato , nel quale
pescavano le lamine per la profondità di 10°". Si fecero attraver-
sare direttamente dalla corrente della pila normale, e, includendo
nel circuito il galvanometro Siemens, non si ebbe alcuna deviazio-
ne. Si adoperò poscia, invece del galvanometro Siemens, che, co-
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
DI
I
me si è detto, era a piccola resistenza, un galvanometro a gran-
dissima resistenza ed estremamente sensibile, sistema Magnus, ad
aghi astatici, che veniva astatizzato quasi completamente con un
magnete collocato al disotto. Invece di una sola coppia s’ impiegò
una pila composta di 30 elementi Cu, Zn, SO'Zn.
Con tale notevole f. e. m., chiudendo il circuito si osservava
una piccolissima deviazione, che era però dovuta alla conducibilità
del petrolio, poichè scompariva quando , lasciando | apparecchio
invariato, si toglieva il petrolio dal tubo 7. Tale deviazione espres-
sa in divisioni della scala era 0°,5 (impulsiva) e 0°‘, 2 (definitiva)
per il petrolio B e 0°, 1 (impulsiva) per il petrolio S. Tutto l ap-
parecchio era stato molto accuratamente isolato.
Quantunque da questi esperimenti si sarebbe già potuto de-
durre che la conducibilità del petrolio era talmente piccola da non
poter influire menomamente sul fenomeno in questione, pure si
volle determinare, almeno approssimativamente, il valore della me-
desima. Per ciò si sostituì al provino 7 un lungo tubo. capillare
pieno di una soluzione di solfato di rame, bene isolato, della resi-
stenza di 260000 ohm. In questo caso si ebbe una deviazione gran-
dissima e, per far rientrare l’ ago del galvanometro nei limiti della
scala, fu necessario ridurre a una o due il numero delle coppie.
Con una coppia si ebbe una deviazione impulsiva di 154°, 6 e con
due coppie una deviazione di 307°, 7, quantità all’ incirca doppia,
il che dimostra che la resistenza interna delle coppie non aveva,
com’ è facile comprendere , influenza sensibile sulle misure, e che
era applicabile, nei limiti di approssimazione richieste da tali espe-
rimenti, il principio delle tangenti.
Da questi dati si deduce facilmente che la resistenza del pe-
trolio nel provino 7° era a un dipresso di 2400 megaohm.
Dal confronto poi delle dimensioni degli elettrodi di questo
provino con quelle dei tubi C e C' si può dedurre che la resisten-
za del petrolio che li riempiva deve essere compresa tra 700 e 3800
megaohm, e quindi circa cinque miliardi di volte più grande di
quella del rame.
38 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
Una tale resistenza aggiunta in derivazione non avrebbe potuto
produrre che una variazione circa un milione di volte più piccola
di quella che effettivamente si osservava.
Questi risultati ci dispensarono dal fare studî ulteriori su tale
causa di errore e dal rompere i fili dei tubi per misurare diretta-
mente la resistenza di questi quando erano pieni di petrolio. Se
questa resistenza fosse stata anche cinquantamila volte più piccola
del valore che abbiamo quì trovato, essa non avrebbe potuto in-
fluire su i nostri risultati.
Eliminate in tal modo le cause di errore che possono produr-
re la deviazione osservata, sembra si debba ammettere che un filo
di rame, il quale attraversa un tubo, abbia nel petrolio una resi-
stenza più piccola che nell’ aria.
Qualitativamente dunque le nostre ricerche confermano i risul-
tati del Sanford; quantitativamente però ne differiscono molto. In-
fatti se chiamiamo 1 la conducibilità del filo nell’ aria, quella nel
petrolio sarebbe, secondo il Sanford, 1,0018, secondo i risultati
delle nostre esperienze sarebbe invece 1,00015 in cifra tonda.
La variazione di resistenza da noi trovata è dunque 12 volte
più piccola di quella del Sanford, e le nostre conclusioni discor-
dano per un verso da quelle del Sanford e per un altro verso da
quelle del Carhart e del Sala (1).
Fsamineremo brevemente da che cosa possano dipendere ta-
li divergenze.
Come accennammo in principio, il tubo adoperato dal Sanford
aveva 120 di lunghezza ed era lasciato alla temperatura ambien-
te di una stanza, la quale subiva perfino delle variazioni di tempera-
tura di 10° in un giorno. La temperatura del tubo era misurata
da un solo termometro orizzontale, collocato a metà del medesimo e
diviso in decimi di grado; nei valori riportati non si arriva al di là
di un decimo.
Questo modo di mantenere costante e di valutare la temperatu-
(1) Nuovo Cimento, serie III, t. 35; giugno 1894.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 39
ra sembra non sarebbe stato sufficiente a fargli osservare un fe-
nomeno dell’ ordine di grandezza da noi osservato, che era. com-
pletamente mascherato da una differenza di temperatura di un ven-
tesimo di grado, non constatabile nelle esperienze del Sanford.
Riguardo alla variazione trovata dal Sanford, dodici volte più
grande della nostra, il Garhart ritiene che le misure del Sanford
siano affette da qualche errore sistematico : in due note successi-
ve (1) questi respinge tale interpretazione e dice di aver accumu-
lato sopra questo argomento un maggior numero di osservazioni
che pubblicherà in seguito.
I nostri esperimenti sembra confermino, in parte, le conclu-
sioni del Carhart rispetto al lavoro del Sanford. Faremo osservare
sul proposito che se ci fossimo fermati alle misure riportate nelle
prime tre tabelle, avremmo trovata una variazione di resistenza
quattro volte circa più grande di quella che misure più estese e
e più precise ci diedero in seguito.
Eppure i risultati delle tre tabelle rappresentano un numero di
gruppi di misure a un dipresso uguale a quelle fatte dal Sanford,
non sono meno concordanti dei suoi e sì limitano a temperature
comprese fra limiti molto più ristretti.
Soltanto col moltiplicare le misure e col modificare le diverse
parti dell’ apparecchio sì poterono osservare e correggere le cause
di errore e ridurre il fenomeno a quello che noi crediamo sia il
suo vero valore, nelle nostre condizioni. (2)
Riguardo alla divergenza tra i risultati del Carhart e i nostri,
le stesse osservazioni che abbiamo fatto agli esperimenti del San-
ford sono applicabili, con più forte ragione, a quelli del suo avver-
(1) FernAaNDo SanForD and Henry S. CARHART, The electrical conductivity of copper as
affected by the sorrounding medium (a discussion). — The physical Review, vol. II. N. 1
july-august 1894, pag. 61-67.
(2) È per altro anche possibile che il Sanford operando con un tubo più lungo e più stretto
del nostro, abbia osservato delle diminuzioni più grandi di resistenza. Però, ammettendo ciò, sa-
rebbe difficile spiegare i risultati negativi del Carhart, il quale sperimentò con un tubo dello stes-
so diametro di quello del Sanford e solamente un quarto circa più corto.
40 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
sario. È vero di fatti che il tubo del Carhart aveva soltanto la lun-
ghezza di 86°" , ciò che ne rendeva più uniforme la temperatura,
ma è da osservare d’ altra parte che, invece di essere esposto alle
lente variazioni di temperatura dell’ ambiente, veniva riscaldato ar-
tificialmente in un bagno, e che le misure erano fatte con un ter-
mometro diviso soltanto in mezzi gradi.
Queste osservazioni sono state fatte dal Sanford al Carhart, ed
egli ha risposto (1) che la concordanza dei risultati da lui ottenuti
dimostra che gli errori nella misura della temperatura dovevano
essere piccoli e non tali da mascherare il fenomeno del Sanford.
Ma se ciò può valere per una variazione dell’ ordine di grandez-
za di quella osservata dal Sanford, non può ammettersi per la va-
riazione dodici volte più piccola, da noi osservata. Infatti tale va-
riazione di 0,00015 corrisponderebbe nell’ apparecchio del Carhart
a 0," 000007. Per quanto riguarda la sensibilità dell’ apparec-
chio elettrico, il Carhart dice che una variazione di resistenza di
0," 000008 produceva nel suo galvanometro una deviazione molto
visibile. Però è facile dimostrare come gli errori provenienti dalla
inesatta determinazione della temperatura dovevano mascherarla
completamente. Per dimostrarlo abbiamo costruito graficamente in
grande scala i valori delle tabelle Ve VI della memoria del Carhart,
li abbiamo riunito nel miglior modo possibile con una linea retta
e abbiamo confrontato i valori dedotti dalla linea con quelli dati
direttamente dall’ esperimento.
I risultati sono riportati nella seguente tabella:
(1) FERNANDO Sanrorp and Henry S. CARHART, loc. cit.
Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici 4l
TABELLA G.
Dielettrico Kerosene
(TABELLA V.) (TABELLA VI.)
ti R R' R_R' t R Tad: R-R'
300,0 | 00N,04820 | 00004823 |— 0,00003 290,8 | 00h 04821 |00N, 04820. | 0,00001 |
29,35 14 13 + Il 15 12 10 + 2
3 08 12 |- 4 28, 6 0, 04800 01 | 1
28,3 0, 04796 0, 04796 0 9 0, 04794 0, 04794 0
27,8 89 88 |+ 1 LIRA 83 865|—- 35
0 76 TD |+ 1! 26,9 12 135 — 15
26, 45 66 66 0 ) 64 59 |+ 5
(0) )T 59 |— 2 25, 7 DD 54 |+ 1
25, 5 L' 5L [+ 3 2 48 46 |+ 2
2, 46 46 0 0 41 43 |— D
24,7 40 38 |+ 2 24,5 35 30 0
3 30 315|— 15 0 24 27 |— 19)
23,2 14 14 0 23, 0 08 105|— 20
22,7 06 06 0 2, 0, 04700 OL | 1
2 0, 04698 0, 04698 (0) 2250) 0, 04695 | 0,046945 | + 05
ZIO 82 82 0 21,2 82 815|/+ 05
Nella prima colonna sono indicate le temperature, nella secon-
da le resistenze R osservate, nella terza le resistenze f' dedotte dal
diagramma e nella quarta le differenze R— R'.
Ora se si fa la media delle differenze f#— R', prescindendo
dal segno, si ottiene il valore 0," 000014, doppio cioè della va-
riazione di resistenza da noi osservata.
È chiaro quindi che questa variazione doveva sfuggire alle
misure del Carhart.
Per quanto riguarda le misure del Sala, le quali lo condus-
sero alle stesse conclusioni del Carhart, faremo osservare che egli
42 Sulla resistenza elettrica dei metalli nei diversi dielettrici
sperimentava in condizioni affatto diverse da quelle del Sanford
e dalle nostre. Infatti egli sperimentò non sul rame, ma sull’ ar-
gentana. Inoltre non adoperò un tubo metallico nel cui asse era
collocato il filo, in comunicazione elettrica col medesimo. Adoperò
invece una spirale rinchiusa dentro un recipiente metallico isolata
elettricamente da esso, ed è bene osservare sul proposito che il
Sanford dice che con spirali congegnate in diverso modo non potè
mai constatare il fenomeno in parola, quando la corrente non attra-
versava il tubo e il filo nel modo sopra descritto. I risultati speri-
mentali del Sala non sembrano dunque contrari a quelli del Sanford,
comunque diverse siano le conclusioni.
Non avendo il Sala pubblicato i risultati numerici dei suoi
esperimenti, non possiamo constatare se il limite di precisione delle
sue ricerche sia stato sufficiente per osservare un fenomeno dello
ordine di grandezza da noì osservato, e non possiamo decidere se
i suoi risultati siano oppur no in contraddizione coi nostri, nell’i-
potesi che, contrariamente a quanto ha trovato il Sanford, i risultati
dedotti dalle misure del Sala siano applicabili al nostro caso.
riassumeremo ora in breve i risultati del nostro lavoro :
Se si forma un circuito con un filo di rame e un tubo dello stes-
so metallo che lo circonda, con un estremo in comunicazione con
esso, la resistenza elettrica del sistema subisce una diminuzione quando
il tubo è riempito di petrolio. Tale diminuzione è estremamente piccola
(0, 00015), però è stata nettamente apprezzata nelle nostre misure.
Benchè tali ricerche siano state lunghe e penose, è nostra inten-
zione di continuarle con altri metalli e con altri dielettrici, pub-
blicandone i risultati nella seconda parte di questo lavoro; allora sa-
rà forse possibile di esaminare il problema dal lato teorico, mentre
per ora i dati sperimentali posseduti non sembrano sufficienti a tale
esame.
Catania, dicembre 1594.
Laboratorio di Fisica della R. Università
Resistenza dei melalli nei dieleltrici
Grimaldi e Platania
URRA = CATANIA
LIT.Z:
P_VF
se ne a Dc RIO
Memoria VII.
Nuovo segno dello pneumotorace nel cadavere
e conseguente modifica della Tecnica
pel Dottor ANGELO PETRONE
Professore ordinario di Anatomia patologica a Catania.
La tecnica per ricercare lo pneumotorace sul cadavere è ben
nota e generalmente accettata.
Quando si sa, che l individuo in vita ne aveva mostrato i
segni clinici e si conosce perciò il lato affetto, risaltano all’ispezio-
ne : 1° la distensione della metà del torace: 2° la sporgenza degli
spazii intercostali : 3° la colorazione verdastra precoce locale, che
ordinariamente non manca per l’alterazione interna, e che precede
perfino quella delle pareti addominali : 4° il tono metallico , spe-
cialmente battendo sulle costole col bisturi.
Che se non sì è prevenuti dalla notizia clinica, varranno gli
stessi caratteri desunti dall’ ispezione esterna per mettersi nel fon-
dato sospetto della lesione e quindi sulla via della ricerca.
Che se infine la mancanza della storia clinica e la poca at-
tenzione nell’ ispezione generale avranno fatto aprire, come all’ or-
dinario, il torace; allora soltanto dal trovare il polmone fortemente
collabito con un grande vuoto nel sacco pleurico, senza essudati,
trasudati, sangue, tumori ecc.; ci metterà in grado di ritenere lo
pneumotorace con molta probabilità a cavità toracica già aperta, e
quindi senza i segni precedenti. Ed allora, come si sà, sì va alla ricer-
ca della causa, e quindi alla insufflazione dei polmoni attraverso la
trachea, per vedere la soluzione di continuo del polmone stesso
dalla faccia pleurica, essendo questa la causa anatomica più frequen-
te dello pneumotorace : la perforazione dagli organi vicini, esofago,
ATTI Acc., Vor. VIII, SERIE 4% — Memoria VII. 1
DO
Nuovo segno dello pneumotorace nel cadavere
stomaco e duodeno, è più rara, e si apprezza con grande facilità :
come facilmente si giudica la produzione locale di gas nella stessa
pleura nell’ empiema settico , ed infine lo pneumotorace per ferite
penetranti nel torace. È anche risaputo, che nel fare 1’ insufflazione
bisogna covrire il polmone con acqua : solo così si conferma facil-
mente la perforazione ed il sito della stessa pel gorgoglio : non
aggiungendo acqua, siccome ordinariamente vi è poco liquido più
o meno sanioso nella parte più declive, e le perforazioni sono or-
dinariamente laterali, o anteriori, s’ insufflerebbe inutilmente perchè
l’aria uscirebbe dalla soluzione di continuo dopo la traversata di
tanti canali ed in modo estremamente diviso, e quindi la fuoriu-
scita non sarebbe apprezzata perchè non avvertita.
Ora è a me occorso negli ultimi tempi poter far calcolo di
un altro segno, quando già si è in sospetto per lo pneumotorace :
e questo segno di facilissimo apprezzamento non deve essere tra-
scurato, anche perchè rende più evidenti i segni soprannominati.
Per scovrire questo segno, dopo la ispezione fatta del torace,
prima di far quindi la puntura esploratrice, bisogna immediamente
aprir l'addome; mentre sinora nei casi di pneumotorace l’addome
sì è aperto dopo la cavità toracica. Rimuovendo allora i visceri
addominali dalla concavità del diaframma, si vede subito che la
metà del diaframma corrispondente al lato in cui vi è lo pneumo-
torace è abbassato di parecchi centimetri, secondo il grado della
lesione, è tesa notevolmente e vi sporge con curva convessa. Se
sì percuote leggermente, non solo non si avverte liquido, potendo
così escludere un versamento essudativo ecc., ma si ha la sensa-
zione di elasticità ed una risonanza timpanica.
Se dopo ciò si pratica la paracentesi toracica, i segni risaputi
spiccano molto di più, perchè la pressione atmosferica immediata
sul diaframma, per aver aperto l’addome, fa fuoriuscire il gas dal-
l'apertura praticata sul torace con maggior violenza, e quindi cre-
sce il sibilo, o il gorgoglio se la puntura si fa sott’ acqua; si sente
più presto il puzzo, la fiamma si spegne più sicuramente e con
e conseguente modifica della Tecnica 3
maggiore rapidità, e finalmente appare più presto Vl abbassamento
di quel lato rigonfio del torace.
Mentre l’aria sfugge per la piccola apertura praticata al to-
race, stante la cavità addominale aperta, si ha anche l’opportunità
di vedere come rapidamente si rialza la metà abbassata rigonfia
del diaframma.
CEI
Memoria VIII.
Sulla Temperatura
dell’acqua di un Pozzo perforato in terreno sedimentario
e di altri pozzi in terreno vulcanico,
Nota di CARMELO SCIUTO PATTI.
Contributo alla Topografia Fisica di Catania.
Nell’ anno 1878, mentre occupavami della determinazione della
temperatura della Lava vulcanica, accudeva altresì alla continuazio-
ne dei miei studii, da più anni innanzi intrapresi, sulla temperatu-
ra delle acque che disperse circolano nel sottosuolo di questa
Città.
Nel mio lavoro—Carta Idrografica della Città di Catania e dei
dintorni immediati di essa comunicato a questa rispettabile Accade-
mia nel 1877, comunicava altresì, in fine del lavoro, i resultati ot-
tenuti nel 1872, relativi alla temperatura dell’ acqua esistenti in due
pozzi perforati in terreno vulcanico; uno quello esistente nel no-
stro Gabinetto, alimentato dalle acque dell’ Amenano, profondo
met. 8, 20 dal pavimento, e 1’ altro, che è quello di casa mia,
perforato in terreno vulcanico , profondo dalla superficie stradale
met. 9. 10 alimentato dalle acque così dette di livello.
A questi miei precedenti studii, aggiungo ora, dopo molti anni
di ritardo, le osservazioni praticate per tutto il corso dell’anno 1878
in altro pozzo profondo met. 19, 00 esistente nella Casa Maglia,
nelle vicinanze del Fortino, perforato in terreno sedimentario; le
quali osservazioni devo alla cortesia del Sig. Ing. Domenico Nico-
tra Dovilla, allora mio assistente nella pratica architettonica. Di
talchè con questo altro studio di unita a quello fornito nella se-
ArtI Acc., Vor. VIII, SerIE 48 — Memoria VILI. 1
2 Sulla Temperatura dell’acqua di un Pozzo perforato
duta di gennajo dell’anno scorso dal nostro distintissimo ed infa-
ticabile Socio Prof. A. Riccò, riguardante le acque fluenti in un poz-
zo molto profondo, met. 32, 50, esistente nel sotterraneo dell’Os-
servatorio Astronomico ai Benedettini, può dirsi completa la parte
idrotermica sulla Topografia di Catania.
In vero da per se sole, le osservazioni che sommetto a que-
sta rispettabile adunanza, sarebbero state cosa di nessun rilievo ,
tutto al più valevoli ad appagare una semplice curiosità, ma unite
e messe a raffronto con altre di simile genere, di sopra cennate,
vengono a ricolmare un’ interessante laguna, e quasi a completare
gli studii intrapresi relativi alla idrotermica della Topografia Fisica
di Catania; intorno alla quale da me e da altri Socii si è da lungo
tempo studiato.
In vero, gli studi idrotermici relativi a questo punto impercet-
tibile della Terra, Catania, allo stato presente, offrono tutte le cono-
scenze relative alla temperatura delle diverse acque, che circolano
nel sottosuolo di questa città, ed esplorate secondo la varietà loro
ed a profondità diverse; come non è stato nè anche omesso lo stu-
dio deila temperatura delle acque del mare che la bagna.
Nella esposizione della cennata mia Carta Idrografica, le acque
che circolano disperse sotterra furono anzi tutto da me classificate in
fluenti e stagnanti ; oltre poi alle salmastre, torbide, fangose e mi-
nerali. Fra le fluenti abbiamo per prime quelle dell’Amenano. Nel
mio cennato lavoro ho parlato a lungo di questo rivo , accennando
al corso di esso che ho tracciato, come mi è stato dato di esplorarlo,
nella cennata mia Carta ed esposto quanto allo stesso si riferisce, e
che è inutile ripetere. Or le acque che fluiscono nel pozzo del nos-
tro Gabinetto, sono quelle dell’Amenano; dell’Amenano altresì sembra
a me non dubbio di essere quelle fluenti nel pozzo esistente nel sot-
terraneo dell’ Osservatorio ai Benedettini. Ponendo ad esame il ri-
lievo del terreno primitivo sedimentario, coperto nel corso dei se-
coli, da differenti correnti vulcaniche, principalmente quella detta
dei Fratelli Pii e l’ultima quella del 1669, per la profondità che il
pozzo presenta, sembrami non dubbio che queste acque, abbenchè del-
I
in terreno sedimentario e di altri pozzi in terreno vulcanico
l'Amenano, fluiscono sul terreno sedimentario ricoperto dalle lave;
laddove quelle del pozzo Gioenzo fluiscono fra i detriti della Lava der
Pii esclusivamente , che , in tale sito, costituiscono la natura del
‘terreno, il quale estendesi ancora molto a monte, sin oltre la con-
trada dei Benedettini.
Che che ne sia, abbiamo sempre gli esperimenti riguardanti le
medesime acque, ma esplorate a differenti profondità.
Il pozzo esistente in casa mia in contrada Nuovaluce è perfo-
rato egualmente in una antichissima lava, e le acque che lo ali-
mentano appartengono a quelle, che, su larga zona, si riscontrano
nel sottosuolo ad uguale e costante livello, volgarmente dette aeque
di centro e da me denominate aeque di livello, perchè al livello del
mare.
Queste acque riscontransi su vasta estensione, comprendente
tutta quanta la parte meridionale ed orientale della città e dei din-
torni di essa sino al sobborgo Ognina. (1)
Ovunque si perforino pozzi in sì vasta estensione si osserva,
com’ ho detto, la singolarità dell’ uguale livello, cui attinge la fal-
da fluida, e quel che monta più, questa segna il marino livello, e
ne siegue ancora tutte le fasi e variazioni; per lo che riusciva in-
teressante lo studio della temperatura anche di queste acque.
Il quarto pozzo finalmente è stato perforato, come ho detto ,
in terreno esclusivamente sedimentario: costituito da marne argillose
del periodo terziario. (2)
Di conseguenza questi svariati esperimenti eseguiti in pozzi ,
(1) Dallo studio geologico della località, come altrove ho scritto, ov' esse si riscontrano, ap-
prendiamo come il terreno in cui le acque circolano, non sia altrimenti costituito che da cor-
renti vulcaniche, in varie epoche corse ed estese per centinaia di metri in mare ; e però queste
acque, qualunque sia la loro provenienza, circolano fra ammassi di lava unicamente, apprestandone
la facile circolazione le innumerevoli rotture che la lava col suo raffreddamento. presenta.
(2) Nel bel mezzo della nostra città mostrasi ancora allo scoverto la formazione sedimenta-
ria. Per una lunga e non ristretta zona s' estende dal largo del Castello al quartiere della De-
cima, nelle cui vicinanze esiste il pozzo di Casa Maglia. Le acque che vi si riscontrano, scarse
per altro in volume, non sono affatto potabili. Le marne argillose in mezzo a cui fluiscono, le
rendono di un cattivo sapore, ed appena adatti agli usi domestici.
4 Sulla Temperatura dell’ acqua di un Pozzo perforato
posti in differenti località, alimentati da acque diverse, fluenti e
stagnanti, ci porgono l'opportunità di valutare le differenti tempe-
rature delle acque sotterranee non solo, ma del terreno stesso in
cui sono perforati e le acque circolano.
Ecco portanto, raccolti in uno specchietto i resultati ottenuti,
ai quali, a maggiore intelligenza, ho voluto aggiungere, ponendoli
anche in raffronto, quelli relativi alla temperatura del mare da me
determinata, dietro lunga serie di esperimenti quotidiani fatti dal-
l’ ottobre 1868 a tutto settembre 1869; riportati negli atti di que-
sta nostra Accademia. (1)
SPECCHIETTO DELLE TEMPERATURE
delle Acque di differenti Pozzi, cavati a varie profondità, ed in terreni di varia natura, messe
a raffronto con la temperatura atmosferica sincrona, e con quella del mare.
POZZO CASA POZZO CASA _ POZZO POZZO
profondo m. 19,00) profondo m. 9,00 | profondo m. 8,20 | profondo m. 32,50
peu'anso | 4 | &2/ 4 E» || 4 |82| 0, | 88
< |ks| d MS di RS
|
Gennaio... . | 16,24| 9,40| 13,10] 10,60| 15,47| 10,60 n » | 13,92) 10,50
Febbraio . .. | 15,60| 1040] 14,25] 12,40| 15,83| 12,40 ” sp | 14,94| 12,20
MM Arzo Re 16,12 | 12,20) 14,50) 13,80 | 15,95 | 13,80 n s | 14,50 | 11,43
Aprile. . . .. 16,24 | 16,20) 15,50 | 16,50 | 16,38 | 16,50 si » i 16,70| 15,69
Maggio. ... | 16,67| 20,00] 16,30 | 19,30 | 17,3 19,50 S » | 20,42 | 21,80
Giugno . . ..*| 17,00| 24,00 | 17,50 | 23,00| 17,80 | 23,00 Do sn | 22,05 | 25,31
Luglio . ... | 17,12) 26,90| 18,50| 27,00| 18,44] 27.00 gi » | 25,68| 27,14
Agosto... . | 17,00) 27,00| 17,5L| 27,70) 18,32 | 27,70 E n | 26,30] 27,07
Settembre. . . | 17,50 | 23,70| 17,850] 24,80| 18,45 | 24.80 fo » | 24,82 | 24,35
Ottobre... . | 17,20] 21,20| 17,75 | 21,80| 18,33| 21.80 » » | 21,20| 18,76
Novembre. . . | 17,18 15,90 | 16,50 | 16,30) 17,04 | 16,30 a, » | 17,62| 13,94
Dicembre... | 17,25% 12,70 | 14,60! 10,80 | 15,30! 10,80 = » | 15,90! 13,18|
Media Annua. | 16,80 | 18,50 | 16,15 | 18,66 | 17,30 | 18,66 16,50 | 18,50 | 19,50 | 18,45
(1) Serie III. vol. V. 1870.
in terreno sedimentario e di altri pozzi in terreno vulcanico 5)
Ponendo a raffronto i resultamenti ottenuti, indicati nel su-
periore quadro, s’ osserva:
1. La media temperatura fra le medie ottenute nei singoli poz-
zi risulta 16°, 56 : essendo la minima fra le quattro medie indica-
te quella del pozzo esistente nei sotterranei dell’ Osservatorio Astro-
nomico—16°,50—e la massima quella del pozzo esistente nel Ga-
binetto Gioenio-—17°, 30.
92. Che il valore di queste quattro medie risulta inferiore alla
media atmosferica di due gradi circa, lo chè conferma quanto ac-
cennavasi dal Prof. Riccò: come in tutti e quattro i pozzi, sì è ve-
rificato quel fatto, noto in meteorologia , dietro gli studii di Hum-
bolt e di Hollmann, cioè che la media annua è inferiore a quella
della temperatura dell’ aria.
3. Che la differenza tra il massimo ed il minimo della tem-
peratura delle acque nei singoli pozzi, pei tre forati in terreno vul-
canico, è maggiore di gradi 5, 40 in quello di casa Sciuto Patti
che attinge alle acque di livello, e negli altrì due, quelli cioè esi-
stenti nel Gabinetto Gioenio, e nei sotterranei dell’ Osservatorio nel
primo segna 3°, 14 nel secondo un grado circa ; ed in quello di
casa Maglia, perforato in terreno sedimentario, segna 1°, 38.
4. Che la temperatura media delle acque dei cennati pozzi ri-
ferita a quella atmosferica sincrona, la massima differenza si ri-
scontra nel pozzo di casa Sciuto Patti di 2°, 51. In quello dell’Os-
servatorio di 2°, 00. In quello del Gabinetto Gioenio di 1°, 36; in
fine in quello di casa Maglia 1°, 50.
Solo la temperatura media del mare si mostra alquanto supe-
riore, appena d’ un grado, di quella atmosferica sincrona.
5. È nel mese di Aprile che le medie mensuali delle differenti
acque si uguagliano, e sono parimente uguali alle medie mensuali
atmosferiche ; solo il pozzo esistente in casa Sciuto Patti segna la
differenza di un grado in meno. |
Oltre le superiori osservazioni fatte negli indicati pozzi, altre
osservazioni sincrone vennero da me praticate in altri pozzi perfo-
6 Sulla Temperatura dell’ acqua di un Pozzo perforato
rati tutti nella lava, ed attingenti all'acqua di livello, segnanti varie
profondità.
Queste osservazioni termometriche farono da me praticate il
medesimo giorno, il 15 gennajo 1872, intorno alle ore due pome-
ridiane; cioè l anno medesimo che praticava le osservazioni nel
pozzo di casa mia sita in piazza Nuovaluce e col termometro me-
desimo del quale servivami. Ed eccomi quanto vi ho raccolto in-
torno alla temperatura di queste acque.
1. Pozzo S. Francesco di Paola, vicino al mare, profondo me-
tri 6, 20, temperatura osservata : 3 * È . 15° 30
Pozzo Marano in contrada Armisi, profondo me-
tri 7, 20, temperatura . 3 ; 3 s . 14° 70
. Pozzo Cantarella in contrada RO della Buona
Morte, ee met. 20, 00. 3 3 A ROLCOZO)
4. Pozzo di casa mia profondo met. 9, LIA 3 - 140700
Dal raffronto di queste osservazioni sincrone risulta :
1. Che la temperatura la più elevata riscontrasi nel pozzo il
più profondo — Cantarella—-15°, 75, e la minima nel pozzo di casa
mia profondo m. 9, 10149, 00. (1).
9. Che nei pozzi di minore profondità, met. 6, 20 uno, e me-
tri 7, 20 Valtro, segnano : il primo 15°, 30, il secondo 14°, 70, tem-
perature molto prossime fra di loro; si noti impertanto che questi
due pozzi, principalmente quello di S. Francesco di Paola, sono
prossimi al mare, e la temperatura media marina segnò in quel
mese quattordici gradi circa, 13,° 92, e l’ atmosferica 10°, 50. Ciò
dimostra la quasi influenza che si ha Vl acqua del mare su queste
acque di livello; com’ io ho esposto nella mia Carta Idrografica :
tenendosi prossimamente uguali le rispettive temperature nel perio-
do invernale che segna la minima ; laddove nel periodo estivo la
(1) La quasi anomalia che presenta la temperatura dell’acqua nel pozzo di casa mia, più
che ad altro, sembrami di doversi attribuire all’ azione delle correnti che circolano nel sottosuolo
vulcanico, agevolate dalle fenditure e rotture varie che le correnti di lava presentano. Queste
correnti d’aria sotterranee non sono state ancora per nulla studiate; ed è necessità che lo siano.
în terreno sedimentario e di altri pozzi in terreno vulcanico fi
temperatura del mare, è maggiore, essendo le sue acque più di-
rettamente esposte ai raggi solari, che non sono quelle dei pozzi ;
ne estranea pure si mostra la temperatura delle lave fra le quali
circolano, la cui temperatura sincrona, in gennaio, segna al So-
le 20°,00 ed all'ombra 13° circa--129,90 : essendo la media men-
suale 13°,52; valore prossimamente uguale a quello riscontrato
negli indicati pozzi.
Memoria IX.
Sulla Temperatura della Lava
Nota di CARMELO SCIUTO PATTI
In continuazione de’ miei precedenti studii sulla Topografia di
Catania, incominciati sin dall’ anno 1865, nell’anno 1873 intrapren-
deva una serie di osservazioni sulla temperatura della Lava vul-
canica, che continuai per tutto il corso dell’anno.
La pietra da me sperimentata fu quella dell'eruzione del 1669,
la quale investì per occidente la vecchia Catania, e sulla quale cor-
rente di lava trovasi oggi innalzata tutta quanta la parte meridio-
nale ed occidentale della moderna città.
A ben riuscire allo assunto , credei allora opportuno di pre-
parare un blocco di detta pietra vulcanica, di forma quasi cubica,
di venticinque centimetri di lato, e praticai in esso un foro di pic-
colo diametro, profondo otto centimetri circa, e v’introdussi il bul-
bo di un termometro, lasciando solo allo scoperto la graduazione
di esso. Affinchè poi il bulbo del termometro riuscisse completa-
mente avviluppato curai di riempire il vuoto rimasto con fina polvere
della medesima pietra, ottenuta con la perforazione di essa; e curai
altresì di chiuderlo al di sopra con un mastice, onde impedire la
infiltrazione delle piovane, ed ottenerne quasi un’ermetica chiusura.
Il pezzo di lava così apparecchiato, venne da me esposto di-
rettamente al sole su di un terrazzo a cielo di casa mia, in un
sito discosto alquanto dal fabbricato, onde riuscire perennemente
e direttamente esposto ai raggi dal Sole.
Al fine anche di isolare il pezzo in esperimento fu questo da me
posto su di un alto tripode di ferro, onde riuscire in istato di assorbire
tutto il grado di caloria possibile : restando ad un tempo esposto a
tutte le influenze atmosferiche, principalmente ai venti e dalla piog-
gia; onde così, nel complesso di tali condizioni, ottenere il vero
grado di temperatura della Lava, quale nel fatto sarebbe stato.
ATI Acc., Vor. VIII, Seri: 48 — Memoria IX. 1
2 Sulla Temperatura della Lava
Altro pezzo d’ uguali forma e dimensioni, apparecchiato nel-
l’ ugual modo, venne da me esposto, con le medesime condizioni,
al nord in un sito all’ ombra.
Oltre a ciò, al fine d’ ottenere più ampii resultati dalle mie
osservazioni, ed ottenerne differenti rapporti, esposi altri due ter-
mometri liberi, in vicinanza de’ pezzi in esperimento, uno al sole
e d'altro all'ombra. (0
Le osservazioni da me eseguite, furono continuate quotidia-
namente per tutto il corso dell’ indicato anno 1878 per il pezzo
esposto al Sole; per quello all’ ombra, stante la casuale rottura del
termometro attaccato alla pietra, sul finire di Giugno, dovetti per
questo sospenderle; non volendo sostituire altro termometro, che
avrebbe potuto essere causa d’ errore; e quindi, per questo pezzo,
le osservazioni limitansi a soli mesi sei. Quelle però del termome-
tro libero furono sempre continuate per tutto l’anno, come le altre.
I succennati quattro termometri, oltre all’ essere della medesi-
ma fabbrica, furono da me precedentemente confrontati fra di loro
e con un termometro campione, ed erano riusciti quali potevansi
desiderare.
Quantunque il termometro esposto al Sole, destinato alla de-
terminazione della temperatura atmosferica dei luoghi, vale poco o
nulla: essendo molto influenzato dagli agenti esterni atmosferici ,
principalmente dai venti, più o meno variabili nella loro velocità e
direzione, e dalle influenze meteoriche, pure trovandosi la pietra
esposta nelle medesime condizioni, vale, se non per altro, a dimo-
strare il grado d’ influenza, che l azione succennata degli agenti
esterni produce sulla pietra in esperimento, come di fatto è resultato.
Inoltre la pietra vulcanica, specialmente quella di struttura
compatta, quali si erano i due pezzi in esperimento, non essendo
affatto bibula, la pioggia non spiega su di essa alcuna azione po-
sitiva. È però ho creduto di regisirare eziandio, le temperature e-
(1) Riferendosi questi studii ad epoca alquanto lontana, si comprende com'io non ho po-
tuto servirmi degli Atmometri moderni.
Sulla Temperatura della Lava
sterne segnate dai due termometri liberi, i quali anch’ essi offrono,
nel presente esperimento, resultati non privi d’ interesse.
queste
Che che ne sia poi, scopo principale
di
mie
osserl'-
vazioni termometriche è stato quello di ottenere una conoscenza ,
la più approssimativa che fosse possibile, della temperatura della
Lava, costituente in gran parte la natura del suolo sul quale è fab-
bricata Catania ed il materiale di costruzione il più usitato negli
edificii, e per la pavimentazione delle vie di questa città.
Le osservazioni da me praticate furono cinque al giorno (4): al-
uscita del Sole, alle ore nove antemeridiane, alle ore dodici, alle
ore tre pomeridiane ed al tramonto del Sole; e ciò al fine di otte-
nere una media diurna della maggiore approssimazione possibile.
Specchietto delle Temperature della Pietra Vulcanica.
MESI
DELL'ANNO
Gennaio . . .
Febbraio. . .
Marzo. ...
Aprile... .
Maggio . . .
Giugno . ..
Media semestrale
Luglio. . .
Agosto. . . .
Settembre . .
Ottobre .
Novembre . .
Dicembre . .
Media 2 semestre
Media annua. .
PIETRA ESPOSTA AL SOLE PIETRA POSTA ALL'OMBRA "È
—_ ————————__ È rn 58
si Di le ® ® ® hi E E |e È 2 ZE
ss |°5|Ss5|eé|ss|gs|fîg | °5|75|?3|58/s5/58
2_ | RE|eE|9#8]l8s GA lea:
5 2 MST Fairy pri IE 2 Giri St
DE Si SE IE 53 GE PS DE Di: E SR 25
Au x = i;
5,59| 9, 75/19, 17/20, 00/21, 71|13, 52| 6, 25| 7,31|11,62|12, 90/11, 00| 9, 71| 9,40
6, 77|17,61|20, 18/20, 60|14, 40|15, 78| 9, 90[10, 66,15, 00/14, 30|12, 50/12, 47/10, 40
9, 10/16, 30|23, 75/24. 35|17, 50/18, 20/10, 00/12, 75/16, 50/17, 22:15, 41/13, 37/12, 20
19, 19/22, 50|23, 75 » |21,81|15,31|19, 22/20, 50|20, 00|19, 00/18, 50|16, 20
19, 70|29, 52|34, 50|33,12] » |29,21|21,00|27, 50/24, 37/24, 00] » |24,22|20, 00
21, 50132, 0038, 50|36, 50|25, 60|30, 82/20, 50|31, 65|27, 50] » |24, 62/26, 14/24, 10
13, 71/21, 28/26, 64|26, 7917, 55/21, 57/13, 82/18, 16/19, 29/17, 58/16, 50|17, 40|15, 38
23, 05/37, 00|43, 75/40, 25) » |36,0L » » » » |26,90
23, 25/34, 25|41, 40139, 50 34,60| » » ’ » » |27,00
21, 85|33, 12/37, 90|38, 00/28, 10/31, 79] » » » » » » |28, 70
16, 87/26, 00/36, 25/35, 60/26, 70/28, 24] » » » » » |21,20
13, 00/17, 7525, 00/24, 00/21, 40/20, 23| » » » » » |15,90
9, 90/13, 00/20, 37|23, 60/17, 00|16, 75)» » » » » 112,70
17, 94/26, 85|34, 11/33, 49/23, 30|/27, 93] » » » » » » [21,33
16, 51/24, 07/30, 38/30, 44/20, 37/24, 91| » » » » » » |18,30
(1) Per non registrare tutta la serie delle osservazioni quotidiane, nelle quali fui assistito
da persona intelligente, nelle mie assenze, ho raccolti in due specchietti, i valori delle medie men-
suali; come ancora, a causa della rottura del termometro di sopra cennata vi ho indicate pure le
medie semestrali, e quelle annue per ogni serie di osservazioni ; alle quali ho aggiunto quelle
registrate, nel medesimo anno, all'Osservatorio meteorologico di questa Università.
4 Sulla Temperatura della Lava
Posti a raffronto i valori ottenuti, indicati nel superiore spec-
chietto, relativi alla temperatura della Lava esposta al Sole, come
mostra poi più chiaramente l'annesso Diagramma, riferiti alla tem-
peratura atmosferica sincrona, registrata all’ Osservatorio meteoro-
logico, anzi tutto s’ osserva :
1° La temperatura media annua della Lava è di gradi 25° cir-
ca— 24°, 91— mentre che la media atmosferica segna gradi 18°, 30;
e di conseguenza la prima più elevata della seconda di gradi sei e
mezzo circa — 6°, 61--: mostrandosi però più discosta in luglio di
gradi nove, e meno discosta, di gradi quattro, in decembre 4°, 05 —
ed in gennajo di 4,° 12. (1)
2. La curva segnante la temperatura della Lava al Sole, si
mostra più oscillante che quella atmosferica principalmente nel 1°
semestre, ove segna una depressione in giugno, ed altra lieve de-
pressione in novembre, laddove quella atmosferica si mostra di un
andamento più regolare e quasi uniforme, sia nella ascensione, da
gennajo a luglio, che nella discesa da agosto a dicembre.
Raffrontando poi i valori della temperatura della Lava posta
al Sole, e di quella all'ombra, è resultato per il solo primo seme-
stre d’ osservazioni sinerone :
1. Che la media semestrale della prima è di gradi 21°, 57, e
della seconda di 17,° 40, e quindi una differenza di 4°, 17.
2. Che la temperatura della Lava all’ ombra, si mostra alquanto
più oscillante, di quella al Sole, mostrando le due curve un mag-
giore distacco nel mese di marzo, di gradi 6°, 20. (2)
3. La minima temperatura della Lava posta all'ombra segnata
in gennajo è maggiore della temperatura atmosferica di 0°, 30, ed
il maggiore distacco in giugno è di gradi 2°, 04.
4. Il minimo assoluto della temperatura della Lava al Sole si
riscontra il 16 gennajo di 3°, 75, e di quella all’ ombra il 10 gen-
najo di 2° 50; il massimo assoluto della prima , il 24 di luglio ,
(1) Il massimo assoluto della temperatura della Lava al Sole si riscontrò il 24 luglio , ore
12, di gradi 48,9 25; il minimo assoluto il 16 gennaio, all’ uscita del Sole, di 3°, 75.
(2) La sensibile depressione che si nota in marzo sembra essere dovuta alla quantità di
pioggia caduta in tale mese, mm. 26. 00.
Trana,
46° 32, alle ore 3° pomeridiane, e della seconda, il
Sulla Temperatura della Lava
928° 60 alla medesima ora.
5. La massima temperatura fra le medie
Ted t
i
29 giugno, di
della linee orarie ,
er le due pietre, com’ era da prevedersi, cade fra la linea delle do-
p l ’ ’
dici e quella delle 3 pomeridiane.
Specchietto delle Temperature registrate dai due termometri liberi.
MESI
DELL’ ANNO
Gennaio . .
Febbraio. Nr
Marzo . ...
Aprile...
Maggio . ..
Giugno . .
Media Semestrale
Luglio...
Agosto. . .
Settembre . .
Ottobre . . .
Novembre . .
Dicembre .
Media 2 semestre
Media annua
TERMOMETRO AL SOLE
TERMOMETRO ALL'OMBRA
se
E
n =—,o a ——— 5 = 2 S
s3|of/3f/05|$8/23|s2|0É|25|05|58/83/28
‘ED © i 4-8 = == ez PS S|enlss|sg
2_|Ra|leE|e8|54/88]|3_|£85|eg5|285|5-|32|5°
rs) "E Ln) ia dle gsio"e ra ua IS ù% 25 |
De SE (eg : È È 22 PS Se o OE È$ di se
6, 67/10, 14/20, 00|20, 95|11, 90|13, 93| 6,40| 8,70|12, 00[11, 72] 9,56| 9,69] 9,40
11, 65/12, 10|20, 97/22, 35|13, 65/16, 14| 7, 65/12, 31/13, 20/13, 00/11, 58/11, 15/10, 40
10, 76/15, 48/21, 50|24, 22'15, 30|17, 45|10, 35114, 00/16, 15/15, 40/13, 90/14, 06|12, 20
16, 25/20, 00|21,37| » » |19,20/18, 65|19, 22/20, 26|20, 70/17, 40/19, 25|16, 20
20, 12/30, 67/31, 75/30, 50] » |28, 26/24, 35/33, 43/23, 50|23, 30] » |26,14|20, 00
22, 68/25, 52/28, 70/27, 50|23, 75/25, 63/24, 00|25, 40/28, 00/30, 50/21, 90|26, 92/24, 10
14, 69|18, 98/24, 05|25, 10|16, 15|20, 10|15, 31|18, 84|18, 85|16, 82/14, 87/17, 58/15, 38
23, 75(30, 06|32, 00|31, 87] » |29, 42/28, 40/29, 40|29, 80|31, 00|22, 50|27, 50|26, 90
25, 25/29, 16/37, 25/34, 06] » 131,41|30, 12/28, 90/28, 90/31, 00/23, 10|28, 40|27, 00
24, 16/27, 50/39, 62|38, 53/26, 87/31, 25/23, 00|26, 00|27, 50|28, 15|22, 50|25, 03|23, 70
19, 12/23, 42/35, 00|33, 81/23, 75|27, 02|18, 00|22, 20/24, 30|21, 80/21, 50/22, 36/21, 20
14, 40/17, 07|26, 37|22, 70|1-, 56|17, 82|13, 75|17, 10|18, 75|19, 00/18, 00|17, 32|L5,90
11, 06/13, 79|13, 57/25, 80/14, 72|14, 18/11, 15|12, 00|15, 25|20, 00|13, 12|14, 30/12, 70
19, 62/23, 50/30, 13/31, 13/20, 98/25, 15/20, 73|22, 60|24, 08|25, 16/20, 12/22, 46/21, 33
16, 65|21, 24/27, 25|28, 38/18, 56/22, 41|18, 03/20, 72|21, 47/21, 37/17, 73/20, 00|18, 30
Raffrontando poi i valori registrati nel superiore Specchietto
relativi alle due temperature, segnate dai termometri liberi, quello
cioè al Sole e l’altro all’ ombra, e quelli registrati all’ Osservatorio,
rilevasi anzi tutto una positiva discordanza fra di loro; e nel men-
tre che la linea atmosferica registrata all’ Osservatorio segna un
andamento regolare ascendente e discendente, quella segnata dal
6 Sulla 'l'emperatura della Lava
termometro al Sole, mostra positive oscillazioni, che non segna il
termometro libero all’ ombra (1).
La media annua della temperatura segnata dal termometro e-
sposto al Sole è resultata 21° 41, e quella del termometro all’ om-
bra di 20° 00, e però maggiori di quella registrata all’ Osservato-
To, 19° 30,
Queste linee malgrado di essere fra di loro molto discordanti,
risultano però comprese fra le linee indicanti le due temperature
della Lava; solo il termometro al Sole segna una temperatura più
elevata in gennaio di 0° 40 ed in febbraio di 0°, 36, di quella della
lava al Sole. In dicembre le due temperature, segnate dai termetri
liberi, si uguagliono. In giugno la temperatura al Sole segna 1° 29
di meno di quella all’ ombra.
Le più alte temperature segnate dal termometro libero al Sole
si sono riscontrate in maggio—28° 26, in agosto di 31° 41, e pre-
cisamente nella linea oraria delle ore tre pomeridiane : mostrandosi
fra questi due valori una positiva depressione in giugno —26° 63.
La massima segnata dal termometro libero all’ ombra si ri-
scontra in agosto 21° 47, sulla linea oraria delle ore dodici meri-
diane ; questa linea si mostra solo inferiore, a quella della pietra
all’ ombra, in febbraio di 1° 32.
Le positive oscillazioni di queste due linee, rispetto a quella
atmosferica segnata all’ Osservatorio, si comprende benissimo di es-
sere dovute allo stato libero dei due termometri, su i quali l’ a-
zione degli agenti esterni, principalmente dei venti e delle pioggie.
riusciva più immediata , la quale poco o nulla influiva sulle lave
in esperimento.
L’ unito diagramma mostra le varie temperature poste a raffron-
to fra di loro.
(1) Le positive oscillazioni che segna la curva data dal termometro libero al Sole più che
quello all'ombra sembra non dubbio di essere dovute al predominio del vento E. S. E. che do-
minò in Aprile forte per 12 giorni, come parimente in Giugno, assai fresco, nelle ore pomeri-
diane. Tali oscillazioni poi, nei due termometri , debbonsi attribuire alla posizione loro , allo a-
perto, esposti a tutte le influenze atmosferiche.
SCIUTO PATTI Sulla Temperatura della lava
Ì
|
i N Temp Gra ol Sole
Pa e ne dr I I Ra Pai a A I AI IAA
ù ISorm libero al Sole | ei SAIL BR GA |A e E DO DAI ION ai CNS 1 ÙÌ Dia Ala : SSA
Lava al Iole 1 i le I Î Leti 3
A ole ae pre: e I = È -_L_t_l - è È ina =” «lee |aal la re # cal aio Imp alnosferica
Lava all'onbira’
, Gorun.lib. allornbia”
Temp. atmosferica
5 i i
De e
L n È -
Memoria X.
Sulla integrazione dell'equazioni di equilibrio
delle superficie flessibili e inestendibili
Nota di G. PENNACCHIETTI.
L’equazioni indefinite dell'equilibrio delle superficie flessibili e
inestendibili sono, nella forma data dal Beltrami (1) :
o da dx 3 dx
= la ve È + = HX,
9 | %Y dy\ 9 ( dy er. |
du | du si dr, (e pa 50) = HY, o (1)
° dz dz d dz dz
E HS) 3P 2 { SU Ft >£|= nz,
dove «, v sono le coordinate curvilinee di un punto qualunque della
superficie e X, Y, Z sono le componenti della forza che agisce sul-
l'elemento superficiale che passa per lo stesso punto, riferita all’u-
nità di area. oltre è:
H=VEG-F?,
Ò duy di d2 Î
p= 2 d dy SURE dz | 0)
du dv du dv du dv \
dx \? dy |? du \2
=} (ef +e)
sa. 3) dv!
dove £, F, G sono funzioni date di «, v. Finalmente %, p, », sono
(1) Beltrami. Sull' equilibrio delle superficie flessibili e inestendibili. R. Accad. delle Scienze
di Bologna. Serie IV. t. III. anno 1881.
Atti Acc., Vor. VIII, SerIE 48 — Memoria X. 1
tre variabili, dalle quali dipendono le tensioni nei vari punti della
superficie, mediante le formole :
G Ni E
ee , pKa Liga >= To G’
essendo in generale 77, la componente della tensione dell’elemento
dr secondo la direzione ds.
Le (1), (2) costituiscono un sistema di sei equazioni a deriva-
te parziali, tre del second’ordine e tre del primo, per la determi-
nazione delle sei incognite x, y, 2, 2, p, ». Alla integrazione di que-
sto sistema si riduce il problema dell’ equilibrio, quando per la de-
terminazione delle funzioni arbitrarie si faccia uso inoltre dell’equa-
zioni ai limiti :
siae du lol ds I° 9% de! ds’
x . dy dy | dv dy dy\du x
} sesta | re s, | e o) ; 3
i i du più 5) ds ana du s Si) ds \ i
n . de dz \ dv dz . de) du
z=-|; du ala 33 * (#3 sh 5) ds ’
dove X,, Y,, Z, sono le componenti della forza che agisce sul con-
torno, riferita all’ unità di lunghezza.
Supponiamo che N, Y, Z sieno date funzioni di «, v, la qua-
le ipotesi comprende come caso particolarissimo quello importante
della gravità. Mostriamo quale semplificazione comporti in quest’ipo-
tesì il problema dell’ integrazione. Potremo porre :
ATO d
Tyre 0 n
du du du
e potremo considerare P, 0, & come tre funzioni conosciute di «, v.
Le tre equazioni indefinite dell’equilibrio sono sodisfatte, ponendo :
) dA da p da Ca ;
du dv sa I° 9a dv di Î
x Y Y _ n dY dy |
pesca IZ (= : : = ) 4
RZ ET <a Sono? do (0)
ISLA cono 7 AE 1
“du ag Sira 5 l3u dv cai;
dove p, 4, , Pi) ©» 7, sono funzioni incognite di «, v soddisfacenti
alle condizioni:
Opi _ dp dq __ dq dr, dr (5)
dv du” dv du” do = du È
Risolvendo il sistema (4) rispetto alle derivate parziali di %,
e ponendo per brevità:
per R==pi, qt+tQ=%, ipa #0; (6)
si ha:
0a __ Ph+ po de pdh+ pe \
du da do pop?
ÙY bt qo dY __ + que | A
du = dn ua ; de dn pt ! / (()
Oz __ Pmt ro de _ ra + oh \
du dopu do do — pe
Se nelle (2) si sostituiscono, invece delle derivate parziali di
%) y; e, le (espressioni (7), sl ottiene:
Ev — pu? == (pih + pe? + (Qu + qoÈ + (mp + rod),
Fou} = — (pi+po)(P+ Pot) — (+90) (dA qop) — (riptr0) (+ rp), |
Gv — pr = (più. + por) + (q. + Q)? + (PI + ph.
Da queste tre equazioni, mediante la divisione, si traggono due
equazioni omogenee di secondo grado rispetto alle incognite 4, p, >,
dalle quali perciò si sanno dedurre i rapporti di due di esse inco-
gnite alla terza. Supponiamo p. es. che si abbia così:
OSSIA DEN, (9)
dove /, n sono determinate funzioni algebriche di £, Y, G, py Yo Vo Pi:
Qu; la prima delle equazioni (8) ci offrirà immediatamente :
_ pu+tpù+(gntaottintr
Cn - VE
(10)
(8)
Le condizioni d’ integrabilità dell’ equazioni (7) sono:
d più + per
d piHt+ po _ \
du dn —
d qu + got
dv An — pè?
dò qu qo
du do pè do ln — =0, (11)
Ù ri. + O rip + ro |
- - — RU
du do pt dv dv — pP
nelle quali equazioni si devono intendere sostituite, invece di X, p, 2,
le espressioni (9), (10).
Le equazioni (11) insieme alle (5) costituiscono un sistema di
sei equazioni a derivate parziali di prim’ ordine e, integrate e te-
nendo presenti le (6), ci determinano le sei funzioni incognite p, 9,
", Pi, Gy 7. Siccome /, » sono state espresse per mezzo di queste
le (9), (10), le quantità,
2, a, > € però le tensioni nei vari punti della superficie. In ultimo
sei quantità, sì conosceranno, mediante
le (7) per mezzo di quadrature cì forniranno le espressioni di x, y, 2
in funzioni di x, v, con che, quando si tenga conto anche delle
equazioni ai limiti, risulta determinata altresì la configurazione di
equilbrio.
Catania, Luglio 1595.
G. PENNACCHIETTI
INDICK DEL VOL. VII, SERIE IV.
MEMORIA
E. De Mattei — Contributo allo studio dell'infezione malarica spe-
rimentale nell'uomo e negli animali — (con una tavola)
Bartoli, Stracciati e Raffo — Misure pireliometriche eseguite duran-
te V eclisse solare del 16 Aprile 1893... .. .
G. Zurria — Pisoluzione delle equazioni di terzo grado dedotta dal-
l'integrale di una equazione a differenze di terzo ordine
Petrone — ricerche sperimentali sull’avvelenamento da acido piro-
MO AS ESCE SS
Pennacchietti — Sulle Equazioni di equilibrio delle superficie flessi-
bili e inestendibili . . . . .
Grimaldi e Platania — Sulla resistenza elettrica dei metalli nei di-
versi dielettrici (con una tavola) i 6/2 6/44e
Petrone — Nuovo segno dello pneumotorace nel cadavere e conseguente
modifica della tecnica.
Sciuto Patti — Sulla temperatura dell’ acqua di un Pozzo perforato
in terreno sedimentario e di altri pozzi in terreno vulcanico
Detto — Sulla temperatura della lava (con tavola diagramma).
Pennacchietti — Sulla integrazione delle equazioni d’ equilibrio delle
superficie flessibili e inestendibili. 0.0...
Pi
II
III
IV
V
VI
i I MESTTI PIOLICRNATI
MIRI e i MERA o
TR ee: Un i METTI ARI dl
i i) : Ì ATTI im : Ù SIAT I
VIVA RI Py on i) CA az i
TALI I Ù vo n È
UE ne Di
al D - di ai ui xi Ò Ù
Rio, Ù \ Do
LORA I: î x : I ui
ù TROP n: ‘
gi Mo i
e th Ù id ‘
mena 4 È î
5 Ù
\
Ù
7 . x
: : î -
'
; Li i . ù n
x bi Ò
Fi
= i h :
'
. 5
-
3 4
-
“© ni î
Ì
Ù
'
I
stalli 1 a
=
"i
a :
.
Ù .
+ i . -
Di ’
, - 1
.
Ù
ee __,
il ATTI |
DELLA
| ACCADRMIA GIOENIA
IN CATANIA
ANNO TLXXTI
1895
SERIE QUARTA
VOLUME. VIII.
CATANIA
COI TIPI DI C. GALÀTOLA
1895.
i
o
LI
hi
ps
E
;
anticionnii