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ATTI
DELL'
ACCADEMIA PONTANIANA
VOLCIUE III.
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NAPOLI
STABIUnEN'TO TIPOGBAFICO DEt TBAMITEB
Strada S. Sebastiano N. io primo piano.
1850.
ALLA S. B. M.
DI
FERDINANDO II
RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
etc. eie. eie.
SIRE
F
u sempremai riputato un dovere delle
società scientifiche e letterarie dedicare i loro
lavori a' Principi protettori , da' quali esse rico-
noscono la loro esistenza ed il loro incremento.
L'Accademia Pontaniana , che sperimentò
in ogni tempo gli effetti dell'alta protezione
di V. M., non ha compiuto che un dovere di
riconoscenza coli' intitolare finora al Suo Real
Nome le proprie produzioni ; e ad un tal do-
vere adempie pure in questo momento dedi-
cando alla M. V. il terzo volume de' suoi atti,
come già fece de' precedenti.
Sire , la bontà con cui la M. V. si com-
piacque di accogliere in altre occasioni un si-
mile attestato di venerazione e di rispetto, ci
rende sicuri che ci darà altresì in questa cir-
costanza un altro prezioso pegno del Suo So-
vrano gradimento verso i nostri lavori acca-
demici.
Facendo a Dio Ottimo Massimo i più fer-
vidi voti per la costante prosperità del Regno
della M. V., e per la felicità Sua , e della Sua
Augusta Real Famiglia , ci segniamo col più
profondo rispetto
Di V. M.
Devotissimi e Fedelissimi sudditi
CU ACCADEMICI PONTANIANI.
NOTIZIA
DELL'ACCADEMIA PONTANIANA
PER GLI ANM t835 E SEGUENTI FINO A.L 1844
Letta all' accademia dal segretario perpetuo
CAV. fhaiNgesco m. Avellino.
Cominciando da' lavori dell'anno i835 i) e distin-
guendoli secondo le diverse classi della nostra Accademia,
non poclii a rammeular uè trovo concernenti alle scienze
naturali.
Tali sono le osservazioni del cav. Pasquale Panvini
sulla febbre costituzionale biliosa cambiata in tifoide
che dominò in Sicilia nel i833, e quelle del sig. Gio-
vanni Semmola sopra un creduto rimedio litontritico .
Il sig. Pietro de FilippÌ5, ora defunto, con una sua me-
moria cercò di provare che il colera non sia un male
contagioso , e con altra il sig. Ovidio Nazzari, anche di
poi defunto , dimostrava non esser contagiosa la tisi
pulmonare. Il cav. Michele Tenore lesse una notizia sul'
T albero di melangolo che vedesi in Fondi ^ e credesi
(1) Questa notizia trovasi già pubbli- interrompere il racconto de' lavori del-
cata nel dono deW Accademia Pontania- V Accademia. Sarà dala la continuazione
na agli tcienziati d Italia p. 7 e segg. ne' volumi seguenti ; no' quali si darà
&e a' è qui ripetuta la stampa, per non pure l' elenco de' socii.
IO
VI ^nno ]S3S.
■piantato da S. Tommaso d' Aquino. Né mancarono la-
vori ne' quali si videro le naturali scienze applicate alle
ricerche archeologiche. Di tal genere furouo le osserva-
zioni del sig. Ernesto Capocci sulle colonne del tem-
pio di S erapide in Pozzuoli forate dalle foladi , e
l'analisi chimica presentata dal cav. Francesco Lancel-
lolti, anche oggi defunto, di alcune sostanze rinvenute
negli scavi di Pompei.
Non poche dissertazioni ancora furono lette nello stes-
so anno attenenti alle scienze morali ed economiche. Il
cav. arcidiacono Luca de Samuele Cagnazzi intrattenne
I' accademia sul salario e nutrimento de' contadini di
Puglia. Il signor abate Vito Buonsanto lesse alcune os-
servazioni sugli effetti economici derivanti dal dazio
sulla introduzione de' libri esteri .^ ed altre il cav. Fi-
lippo Rizzi circa le leggi repressive del duello. Ram-
mentiamo ancora il cenno dato dal cav. Giacomo Filioli
sulla fondazione del real albergo de' poveri di Na-
poli-.^ la memoria del sig. Raimondo Grimaldi sulla mo-
netazione di rame del regno di Napoli ; e 1' altra fi-
nalmente del consiglier Niccola Marini , che pur di poi
mancò alla vita , relativa alle istituzioni del dritto pub'
hlico ed amministrativo del regno di Napoli.
Per ciò che spetta alla storia e letteratura antica, son
da ricordare le osservazioni del sig. abate Raimondo Gua-
rini su di alcune antiche iscrizioni , e precisamente
sulla lapida allora scoperta ed attinente alla reli-
gione del dio Silvano , quelle del cav. Agnello Carfora
sulla introduzione della cavalleria nelV antica mili-
zia; la descrizione presentata dal cav. Antonio Niccolini
/fnno i83S. vii
di un antichissimo arco esistente presso il lago p^e-
lino, con alcune osservazioni su gli arclii\ la memo-
ria del sig. Vincenzo de Ritis sidla musica greca, che
venne seguita da un' altra del cav. Cagnazzi sull' antica
e sulla moderna musica'^ in ultimo alcune osservazioni
del sig. principe di S. Giorgio Domenico Spinelli sopra
una moneta ciifica malamente attribuita al nostro re
Ruggiero.
Fecero poi sentire gli accenti delle Muse il sig. Giu-
lio Genoino con una poesia sulle varie emigrazioni del-
l' accademia, ed il sig. Giuseppe Campise con un capi-
tolo intitolato lo sguardo d' Eloi sitila terra.
In questo anno fino a tre memorie furono ricevute in
risposta al programma proposto dall'accademia nel i833;
ma , fattone l' esame , nessuna fu trovata meritevole del
premio. L'argomento ne era il seguente: istituire accurate
ricerche istoriche sulla condizione delle provincie che
compongono il regno di qua del Faro , nelV epoca
che decorse, dalla caduta dell'impero occidentale sino
alla fondazione della monarchia sotto Ruggiero , ed
esibirne i risultamenti. Né è a tacere che nell'anno stesso
l'accademia diresse una domanda a S. E. il Ministro de-
gli Affari Interni , concernente al dazio su' libri esteri, che
accrescea allora le difficoltà del commercio librario. Non
mollo dopo faceva simili generosi voti l'Eccellentissimo
nostro Presidente onorario perpetuo, sig. Marchese di Pie-
tracatella, con un libro appositamente impresso; e la mu-
nificenza del nostro Augusto Sovrano non ha guari esau-
diva queste voci col diminuire notabilmente quel dazio.
Nel mede&inìa anno veaae intrapresa la stampa delia
ivtii -Anno i836.
storia di Camillo Porzio colla biografia di questo forbito
scrittore distesa diligentemente dal sig. Agostino Gervasio.
La biblioteca dell'accademia nel i835 fu arricchita
di varii libri donati dagli autori , tra' quali ricordiamo il
cav. Lodovico Bianchini, Felice Bisazza, il cav. Cagnazzi,
Carlo Mele , il sig. Montagne , rnons. Carlo Enmianuele
Muzzarelli , Franco Savojardi e il cav. Tenore.
Nel corso dell'anno i836 due memorie furono lette
all' accademia relative alle scienze naturali j la prima del
sig. Semmola contenente alcune osservazioni sulla far-
macologia del prof. Giacomini , la seconda del cav.
Panvinl, il quale descrisse una novella sciringa di sua
invenzione.
I lavori spettanti alle scienze morali ed economiche
furon presentati dal cav. Cagnazzi, il quale lesse una me-
moria sulla mendicità j dal cav. Panvini che ragionò
sullo stesso argomento j dal sig. Pasquale Liberatore , or
già defunto , che imprese a dimostrare come le regole
della scienza economica sono il fondamento della puh-
hlica amministrazione ^ e dal sig. Vitaliano Sabatini il
quale favellò sul dissodamento de monti.
Per quel che concerne la storia e letteratura a noi
più vicina, ricordo la dissertazione del sig. Salvatore Fu-
sco sopra alcune monete della zecca di Clarenza ,
destinata dall' autore a formar parte degli atti dell' acca-
demia. Né tralascio di rammentare la notizia scritta dal
sig. Michele Tafuri , della vita e de' lavori editi o ine-
diti di JSiccola Aloisio letterato dello scorso secolo -^
e le osservazioni del cav. Filioli sopra alcune opere di
belle arti esposte nel redi museo nel i835, che furono
indi impresse negli annali civili delle due Sicilie,
^nno tSSj. IX
In questo anno furono più scarsi ili numero i lavori
jiresenlati all'accademia: né esser dee maraviglia quando
si consideri che cominciò allora questa nostra città ad
esser tormentata dallo spaventevole flagello del colera.
E pur grato mi riesce il notare che l' accademia ,
spettatrice e parte di cotanto lutto, non intermise le sue
ordinarie tornate , e lo stesso micidial malore scientifica-
mente la tenne occupata. lu fatti il cav. Giosuè Sangio-
vanni presentava una nota de' professori Ramaglia, Tibe-
rio , Chiaja , e Manfrè relativa alla osservazione da
essi fatta di diversi vermini del genere Trichoce-
phalus dispar di Eodolphi ne' cadaveri de'' morti
di colera.
Molti libri donati furono pure nello stesso anno da'
signori barone Francesco d' Epiro , Luigi Ferrarese , Ge-
noino , Luigi Granata , Montagne , ' cav. Bernardo Qua-
ranta , Vincenzo de Ritis , cav. Rizzi, Vincenzo Rossi.
Nell'anno 1837 benché continuassero in Napoli le
stragi del colera, non per tanto non poche memorie fu-
rou lette all'accademia^ e tra queste una dal sig. Fedele
Amante pertinente alle scienze fisico -matematiche , che
contiene alcune considerazioni sulle formole adoperate
comunemente da' geografi per calcolare le posizioni
geografiche de' vertici de triangoli geodetici.
In quanto alle scienze naturali , il cav, Gio: Batista
Quadri presentò una memoria su varie specie di rime-
dii segreti , e su V acqua adoperata dal cav. Bonazzi
per guarire dal colera.
Due memorie concernenti la letteratura antica furono
Ielle air accademia j l' una del segretario perpetuo cav.
b
X /4nno t838.
Francesco M. Avellino , nella quale si facevano alcune
osservazioni su Plauto 5 l' altra del sig. Lelio Carfora
sulla origine de linguaggi.
In quanto alla storia de' tempi a noi più vicini , il
cav. Giuseppe di Cesare die lettura dei I." libro della
sua storia di re Manfredi , la quale avendo nell' anno
seguente compiutamente presentata , fece poi di pubblica
ragione.
Vari! lavori poetici furono intesi a ristorare gli animi
dalle più severe occupazioni : tali furono un capitolo del
sig. barone d'Epiro intitolato l'amicizia', na altro ca/3J-
iolo del sig. Genoino sulla vigilia di Natale', ed il I.°
canto di un poema del cav. Vincenzo Caracciolo, imma-
turamente poi da morte rapito , intitolato il colera morbo
in Europa. Die inoltre il sig. Genoino lettura all' acca-
demia di un dramma istorico di sua composizione intito-
lalo gli Scudery in Provenza.
Fecero dono di opere loro alla nostra biblioteca i
signori Amante, Carlo d'Andrea, Matteo de Augustinis,
Michele Baldacchini , cav, Bianchini, cav. Luigi Blanch,
cav, Cagnazzi , Matteo Camera, cav. Andrea Campana,
Luigi Cardinali , cav. di Cesare , Stefano delle Chìaje ,
Oronzio Gabriele Costa , Gervasio , Giovanni Guarini ,
abate Guarini, Cecilia de Luna Folliero, Pasquale Libe-
ratore, Rosario Mangoni , Manfredonia, Montagne, Do-
menico Simeone Oliva, Fortunato Padula, S. E, il Mar-
chese di Pietracatella , Gennaro Ravizza , cav. Salvatore
de Renzi, Filippo Scolari, Stanhope, e Andrea Tripaldi.
Tra' lavori dell'anno l838 noverar dobbiamo, per
ciò che concerDe alle scienze matematiche', una memoria
yinno i83S. xi
del cav. Ferdinando de Luca sul principio unico e fon-
damentale delle scienze matematiche.
In quanto alle scienze naturali , il cav. de Renzi lesse
due dissertazioni , la prima siili' ohligo che corre al me-
dico di ben studiare le malattie popolari: la seconda
sulla necessità di studiare le epidemie con alcune
considerazioni sulla danzomania. Queste dissertazioni
furono poi entrambe pubblicale dall' autore. Lo stesso
cav. de Renzi cominciò la lettura della sua opera su i
progressi della medicina italiana dal risorgimento
delle lettere Jin oggi, che compì negli anni consecutivi,
e tutta poi pubblicò per le stampe nel i843. Il cav. Te-
nore lesse le sue note al viaggio fatto dal dottor Ber-
ioloni in queste nostre 7'egioni , con un' appendice
relativa alle colonne del tempio di Sérapide in Poz-
zuoli. Altre memorie furono ancora presentate : dal ba-
rone Giuseppe INiccola Burini V esame geologico sidV ab-
bassamento ed inalzamento del mare : dal sig. Granata
le osservazioni sul senienzajo recentemente stabilito
in JSapoli , e su di alcune esperienze ivi istituite :
dal cav. JNiccolini le osservazioni sulV elevazione ed
abbassamento del mare: dal sig. Gaetano Pesce la di-
scussione sulle generazioni spontanee. Vennero poi de-
stinate a far parte degli atti una memoria del sig. Leo-
poldo Pilla contenente alcuni cenni sulla struttura geo-
logica della Sicilia citeriore , ed un' altra del sig. Rossi
sopra una mediterranea navigazione tra Foggia e
Manfredonia , e sulla irrigazione di quella provincia ;
e questa ultima trovasi già inserita nel IV volume de' no-
stri atti.
SII ^nno i83g.
I lavori risguardanti le scienze morali ed economiche
furono una memoria del cav. Blanch sullo stoicismo \
nn' altra del barone Durini sulla ragione umana j quella
del sig. de Augustinis col titolo la ricchezza degli stati
sta meno ìlei produrre molto , che nel produrre con
antiveggenza e criterio :, l'altra del sig. Pesce, in cui si
dà una nuova spiegazione della scienza nuova del f^icoj
ed in fine lo scritto della signora Cecilia de Luna Folliero
amore è V egida della natura avverso il vizio ed il
dolore ., che venne poi impresso in Trieste nel iSSg.
La storia patria tenne esercitato il sig. Baldacchini
il quale lesse un discorso sulla storia generale del re-
gno di Napoli.
La nostra biblioteca si accrebbe nel i838 de' libri
offerti in dono da' signori Ermanno Abich , Giacinto Ar-
mellino, barone Cesidio Bonanno , Pasquale Borrelii, cav.
Cagnazzi, cav. di Cesare, colonnello Marcantonio Costa,
dottor Anastasio Cocco , Valentino Passetta , abate Fide-
cheli , canonico Alfonso Filipponi , Liberatore, cav. de
Luca , Montagne , Moreau de Jonnès , dottor Giacinto
Naraias , Padnla , Carlo Passerini , S. E. il Marchese di
Pietracatella , dottor Portai, abate Giuseppe del Re, ca-
nonico Carlo Rodriquez , Stanhope , giudice Gio: Batista
Tomniasi , cav. Lionardo Vigo , Marchese di Villarosa ,
e Ferdinando Visconti.
Nel corso dell'anno iSSg non pochi lavori sulle scien-
ze naturali furono presentati all'accademia. Il cav. de Renzi
lesse le osservazioni sulle infermità che distrussero
l'armata della lega presso Napoli nel i528: il sig.
Semraola la notizia di un caso singolare di catalessi
Anno tS3g. xni
con sognazione spontanea : il cav. Panviai ragionò di
una specie particolare di argilla smetlica che trovasi
presso S. Caterina in Sicilia : lo stesso cav. Panvini
esibì una pianta di Madras, narrando come l'avesse rice-
vuta, e la semina fattane sino allo sviluppo.
I lavori concernenti le scienze morali ed economiche
furono una memoria del sig. Giorgio Masdea sul sistema
deir istriizion pubblica considerata relativamente al
sapere civile-^ un'altra del sig. Liberatore sulle miniere
del regno di Napoli : due del cav. Blanch , la prima
sulla teorica considerata nella sua essenza^ e né" suoi
effetti , la seconda sul commercio ; le osservazioni del
sig. Sabatini sul sistema di pubblica istruzione -^ quelle
del sig. Borrelli sii! danni morali, che produce la guer-
ra ; e le altre del sig. de Augiistinis sul lento progresso
della popolazione e delV agricoltura presso di noi.
In quanto alla letteratura , due dissertazioni lesse il
sig. Giuseppe Campagna i" sulle attuali condizioni della
letteratura in Italia , 2° sullo scopo che aver, dovrebbe
la bella letteratura.
Avendone chiesto il permesso , il sig. Filippo Caso-
ria , benché non ascritto alla nostra accademia, le comu-
nicò pure le sue osservazioni sulla dottrina Ippocrats^
ea del sig. Sprengel.
Nella classe di storia e letteratura rammento le con^
siderazioni del sig. Giovanni Giuseppe Fusco intorno ad
alcune monete aragonesi , le quali saranno pubblicate
rrel V volume de' nostri atti r il saggio di un^ opera in-
titolata Jilosojia delle lingue , di cui fece lettura W
sig. Salvatore Cirillo : i cenni del sig. Liberatore sul
XIV Anno iS4-o.
progresso nelle scienze e nella industria : e le osser-
vazioni <3el cav. di Cesare sulV opera piibhlicata dal
sig. Amari in Palermo relativa alla storia Siciliana
nel secolo XII.
Si pubblicò nel iSSg la storia d' Italia di Camillo
Porzio la quale fu iutitolata a S. E. il sig. Marchese di
Pietracalella , come un alleslalo di rispellosa gratitudine
per la protezione di cui è stato sempre largo a favore
dell' accademia. Questo importante lavoro inedito di uno
de' più celebri nostri patrii scrittori del XVI secolo fu
accompagnato dalla vita di esso scritta dal nostro collega
sig. Gervasio della quale dicemmo già sopra.
JNello stesso anno si riceverono i libri de' signori
Pietro deAngelis, Amante, Campagna, consigliere Giu-
seppe Castaldi, cav. di Cesare, dottor Clot-Bey, Niccola
Coicia , Costa , dottor Passetta , Kiccola Pergola , abate
Guarini, cav. de Luca, cav. Pasquale Stanislao Mancini,
JMontagne , cav. KicColini , Giuseppe Nociti , Massimo
Kiignez, Raffaele Pepe, S. E. il Marchese di Pietraca-
lella, Bartolommeo Ravenna, Giovanni Reguleas, Eupiio
Reina, cav. de Renzi, Rossi, Semmola, dott. Agostino
de Stefano, cav. Pietro UUoa, Gregorio Barnaba La Va-
sta, duca di Ventignano, e Michelangelo Ziccardi.
Nel 1840 furono presentati i seguenti lavori concer-
nenti alle scienze naturali. Il sig. Guglielmo Gasparrini
lesse una memoria sulla pietra ftmgaja , che è stata
già inserita nel secondo volume de' nostri atti : altra ne
lesse il sig. Giuseppe Ignone sul gas illuminante con-
siderato come atto a supplire la forza del vapore.
Due memorie furono lette dal sig. Pilla , 1' una relativa
jdnno t84o. xv
alV applicazione della teoria de^ crateri di solleva-
mento al vulcano di Roccamonjina in Campania :
r altra che contiene alcune osservazioni sulle lave e
le rocce periodiche affini. Il sig. colonnello Costa ra-
gionò sull' elettro-magnetismo , e sulle speranze che
si hanno di vederlo somministrare una forza motrice
ptù utile di quella del vapore j ed in altro lavoro
parlò dell'aria compj'essa considerata come un mezzo
da supplire le macchine a vapore.
In quanto alle scienze morali ed economiche , son
da ricordare le osservazioni del sig. Sabatini sulle nor-
me della pubblica istruzione'^ le altre del sig. de Au-
gustinis sulla natura e gli uffizi delle leggi ; quella
del sig. Borrelli , colla quale si esaminano alcuni pro-
blemi storici relativi a' curiali di Napoli. Il sig. ca-
nonico Rodriquez benché non pontaniano , lesse tra noi
nna confutazione delle teorie del Condillac. Final-
mente il sig. Rossi lesse nn ragguaglio de lavori di
bonificazione eseguiti finora in Terra di Lavoro.
Per ciò che spelta alla letteratura ed alla storia pa-
tria, è da rammentare la memoria del sig. Salvatore Fu-
sco sul terzo dello scudo coniato da Carlo V nel re~
gno di Napoli , la quale verrà impressa in uno de' pros-
simi volumi de* nostri atti.
DI lavori poetici non abbiamo a parlare che di un
sonetto intitolato la storia , del sig. barone d' Epiro,
Si accrebbe nel i84o la biblioteca pe' doni de' si-
gnori Onofrio Abate , cav. Francesco Adilardi, Amante ,
d'Andrea, Mariano d'Ajala, Baldacchini, Francesco Bri-
ganti , Antonio Cali-Sardo , Matteo Carpino , Castaldi ,
XVI Jìino /S'4o.
Lorenzo Coco-Grasso, colonnello Costa, Corcia, Luciano
Fiorentino - Leto , Francesco Saverio Formoso, Gajani ,
Vincenzo de Grazia, giudice Domenico Ruggiero Greco,
Vincenzo Linares , Francesco Longo , Cecilia de Luna
Folliero, duca de Luynes , Cesare Marini, Moreau de
Jonnès , ^Nunzio Morello, P. Alessio Narbone, Nugnez ,
rav. Andrea Papadopulo Vrelò , Vincenzo Pergola , Sal-
vadore Portai, Rocco Pugliese, dottor Reguleas, giudice
Biagio Antonio Roberti, can. Rodriquez , Giovanni San-
nicola, Giuseppe Vercillo , e cav. Lionardo Vigo.
Nell'anno 184» una memoria matematica fu letta dai
sig. Rossi intitolata ricerche intorno ad una superficie^
secondo la quale potrebhonsi conformare le estremità
inferiori de"" moli sporgenti in mare.
I lavori, che alle scienze naturali si riferivano, fu-
rono ì seguenti : del cav. Panvini il saggio di concilia-
zione fra la geologia e la cosmologia Musaica j una
nota del sig. colonnello Costa sulla possibilità di' veri-
ficare il viaggio aerostatico , che dicesi intenda far^e
M. Green col pallon mostro da Londra a New-York j
alcune considerazioni del sig. Semmola sopra i più fre-
quenti e gravi errori seguitati nelle opere di filoso-
fia terapeutica 'j ed una memoria del cav. de Renzi sulle
riforme che converrebbe adottare nelV insegnamento e
nella professione medica. Il cav. arcidiacono Cagnazzi
espose il suo progetto di tonografia , mostrando il suo to-
rografo, e facendone veder l'applicazionej ed il cav. Qua-
dri dopo aver informata l'accademia delle due prime ope-
razioni di strabismo praticate dal sig. Furnari in Napoli,
comuaicoUe le modificazioni da lui medesimo apportate al
y4nno /S42. xvit
metodo di Dieffenbach. Quasi tulle le sopra cilale memo-
rie videro la luce , essendosi pubblicale o ne' nostri gior-
nali scientifici e letterarii, o separatamente dagli autori.
Per quel che si attiene alle scienze morali ed eco-
nomiche, rammento le considerazioni del sig. de Au"u-
slinis sulla natura e sugli effetti della moralità nelle
scienze lettere ed arti, e le altre sul paupe/'ismo in
Europa, e su' provvedimenti tendenti a sradicarlo.
De' lavori letterarii, che si presentarono nel 1841,
fecero parte la memoria del cav, Francesco Bozzelli sxdle
origini e le vicende della poesia ebraica j l' altra del
sig. Liberatore sul medio evo; quella del sig. de Ritis
sulla lingua napoletana j le osservazioni del sig. cav.
Papadopulo-Vretò sullo stato attuale delle lettere in
Grecia, ed il cenno biografico del conte di Guilford
scritto dallo stesso autore, la fine fo menzione della me-
moria del sig. Fusco intorno ad alcune monete di A-
malfi, la quale approvata per gli atti sarà inserita nel
quinto volume degli stessi.
Furono offerti in dono nel 1841 I libri de' signori
Gaetano Arcieri, barone Andrea Bivona , cav. Cagnazzl
Gabriele Cosentino, abate Guarini , Francesco Ilarii , Paolo
Anania de Luca, Filippo Parlatore, dottor Carlo Passerini,
Raffaele Pepe, Errico Piraino, Giorgio Rathgeber, Biagio
Antonio Roberti , Rossi , e Sabatini.
Nel corso del 1842 varii lavori di scienze naturali
tennero occupata l'accademia. Tra esse rammento in pri-
mo luogo la memoria del prof. Costa sul fonte di Man^
duria, la quale è stata già pubblicata nel IV volume de?
nostri alti j le osservazioni del sig. colonnello Costa
e
xvni ^nno fS42.
sopra un cannone a vapore , la cui invenzione da
Leonardo da Trìnci in alcuni manoscritii si attribui-
sce ad Archimede-^ quelle del sig. Semmola sidV origine
del calore de vìventi ; le altre del cav. Panvini sulla
cj'anioscopia di Gali ^ e dello stesso una memoria sulle
cause delle malattie scrofolose e rachitiche , che si
sono rendute così frequenti a' bambini.
I lavori concernenti le scienze morali ed economiche
furono la dissertazione del sig. Baldacchini suU' antica
filosofìa de' Greci ne suoi legami colla Jilosofìa del
Campanella , la quale fu poi dall' autore impressa nel
1843 ; le osservazioni del cav. Panvini sugli espositi j
e le altre dello slesso sulla ragione universale del sig.
Cousin.
Un sonetto del barone d' Epiro col titolo Miche-
langelo fu il solo lavoro poetico presentato nel 1842.
Riportiamo in ultimo luogo due memorie lette all'ac-
cademia , ma non appartenenti a socii della stessa : nella
prima del sig. Angelo Beatrice si cercò dimostrare che
si dovrebbe ne' seminarii insegnare un corso di agri-
coltura , e che lo studio di questa scienza è conve-
niente agli ecclesiastici'^ nella seconda del sig. Giocon-
dino del Zio, nominato in seguito nostro socio non resi-
dente , contenevasi la narrazione di un caso di san-
nambolismo guarito dall' autore con la sottrazione di
alcuni vermini sotto la cute del capo.
In questo ann^« fu pubblicato il II volume degli atti
della nostra accademia, di cui il nostro Augusto Monarca
si degnò di accettar la dedica.
Riuscendo talvolta malagevole il proccurarsi le noti-
Anno 184.I' XIX
zie biografiche de' nostri sodi residenti quando si ricer-
chino qualche tempo dopo la loro morte , 1' accademia
volle che s' introducesse il costume serbato anche in altre
accademie , cioè che il novello socio scelto in vece del
defunto ne facesse l'elogio storico: ed il primo a recare
in alto questa risoluzione dell'accademia fu il cav. Man-
cini, che lesse l'elogio di Pasquale Liberatore di cui prese
il luogo.
La biblioteca crebbe di non pochi volumi pe' doni
de' signori Felice Abate , Salvatore Alessi , Arcieri , cav.
Bianchini , dottor Bartolomeo Biasoletti , Bisazza , cav.
Bozzelli , Oreste Brlzi , Lorenzo Bruni , Luigi Catalani ,
Ippohto Combes , Corcia , Giuseppe Ferrario , canonico
Filipponi, commendator Pietro Florio, Giov. Vincenzo e
Giov. Giuseppe Fusco ed Angelo Giampietro, Gervasio,
Giuseppe Giulj , Mariano Grassi , abate Guarini , Luigi
Mariano Guarini , Francesco Longo , cav. Mancini , Raf-
faele Mastriani, Giulio Minervini , Fortunato Luigi Nac-
cari , Noèl-des Vergers , Vincenzo Ottaviani , cav. Rizzi,
prof. Giovanni Resini , cav. Francesco Ruffa, prof. San-
guinetti , Antonio Scialoja , dottor Guglielmo Schuiz ,
Francesco Scortegagna , Tommaso Semmola , Domenico
Testa, padre Tornabene, Marino Turchi, La Via, march,
di Villarosa , Andrea Zambelli, e Giuseppe Zigarelli.
Nello stesso anno 1842 l'accademia cosentina si mise
pure in corrispondenza colla nostra inviando in dono il
I volume de' suoi atti : e quella degli Aspiranti Natura-
listi offrì per mezzo del prof. Costa le sue periodiche
pubblicazioni, e l'accademia nostra volle farle a vicenda
dono de' suoi atti.
Nel corso dell'anno i843 varii lavori concernenti le
scienze matematiche furono presentati all' accademia. Ri-
cordo primieramente la nuova tavola genei^ale d'inter-
polazione, che deesi alle ricerche del sig. Amante, e la
nota dello stesso sul palmo siciliano , delle quali la pri-
ma è stata già pubblicata nel IV volume de' nostri atti,
e la seconda sarà impressa nel VI.
Per ciò che concerne le scienze naturali, il sig. ba-
rone Durini lesse alcune considerazioni sid calorico de
inventi , ed il sig. Capocci una nota sulla cometa ap-
parsa nel mese di aprile.
Le memorie allenenti alle scienze morali furono le
considerazioni del sig. de Augustinis sugli studii e sul
sapere della Sicilia citeriore dal i83i al 1842; ed il
discorso del sig. Sabatini sidla necessità di moralizzare
le azioni sociali per mezzo della educazione.
Fralle memorie concernenti la storia e letteratura ,
citerò le ricerche storico-critiche del colonnello Costa
sulla enorme nave che secondo gli storici fé fabbri-
care Archimede per lerone II., e la dissertazione fi-
lologica del sig. conte Trojano Marnili sul Filocopo del
Boccaccio.
Quantunque non appartenesse alla nostra accademia,
il sig. Cervelleri fu ammesso a leggere le sue osservazioni
sulla utilità di una carta geologica delV Italia.
Nel 1843 il sig. Luigi Palmieri comunicò all'acca-
demia di avere insieme col prof. Santi Linari ottenuto il
fenomeno della scintilla per induzione del magnetismo
tellurico. L' accademia nominò una commissione perchè
verificasse quella sperienza , e venne da essa sul propo*
silo informata della verità di quella scoperta.
'/inno /843. xxi
Fu proposto ancora in quell'anno il programma dalla
classe rnatemalica con premio straordinariamente stabilito
in ducati 200 da accordarsi alla memoria che desse una
dichiarazione soddisfacente di tutte le particolarità di un
fiume torrente del regno di Napoli, e delle opere idrau-
liche più conducenti a contenerlo nel suo alveo. L'acca-
demia presentò alcune dilucidazioni su questo programma.
Non senza tristezza richiamar deggio alla memoria
la morte di due socii residenti di chiarissima fama , il
marchese Tommaso Gargallo ed il sig. Raffaele Liberatore
alle cui fatiche dobbiamo un classico vocabolario della
lingua italiana : non che quella del chiariss. prof. Giuseppe
Frank nostro socio corrispondente. Le loro meritate lodi
furono celebrate da' nostri colleghi Domenico Anzelmi ,
Giusejìpe del Re, e cav. de Renzi.
La biblioteca nel i843 si aumentò pe' libri donati
da' signori Felice Abate, Onofrio Abate, Andrea de An-
gelis, Anzelmi, Baldacchini, P. Michele Bertini, cav. Bian-
chini, Giusejipe Maria Bozoli , Carpino, cav. di Cesare,
Corcia, Andrea Cozzi, Marco del Fabro, Carmelo Fac-
rioli, Lennardnntonio Forleo, Agostino Gallo, Vincenzo
Gallo, Genoino, Oreste Giammaria, Vincenzo de Grazia,
Angusto Guastalla, abate Guarini, Luigi Mariano Guarino,
dottor Hauser, barone d' Hombres-Firmas, cav. Mancini,
prof. Mjhl di Tubinga , Massimo Nugnez , Amalia Pala-
dini, Pepe, Pilla, Giuseppe del Re, cav. de Renzi,
Rossi, Angelo Santoro, Tommaso Semmola, barone Giu-
seppe de Spnches , Mariano Tancredi, cav. Tenore , sig.
Tonelli, cav. Ulloa, Gaetano Ursino, Giuseppe Vercillo,
dottor Wattniann , ed Andrea Zambelli,
xxn Anno ì844'
Finalmente nello scorso anno l844 j col quale si
chiude questa nostra notizia, varie memorie matematiche
furono presentate. Il sig. Francesco Pergola comunicò un
quadro delle operazioni geodetiche eseguite nel reale
officio topografico di Napoli dal i838 sino al 1844»
e di altri precedenti lavori non ancora descritti. Ri-
cordo pure il discorso intorno una geografia. , del sig.
barone d' Epiro , ed il ragionamento del sig. Rossi in-
torno ad alcuni luoghi della sua memoria idraidica
eia impressa sul difinitivo bonificamento della cam-
pugna vicana. Lo slesso sig. Rossi lesse alcune sue ri-
cerche intorno ad una specie di superficie anulare ,
le quali rese più ampie col titolo di generalità geome-
triche sulle superfìcie anulari furono dall' autore desti-
nate per gli atti dell' accademia , ove vedranno la luce.
Le naturali scienze diedero argomento al cav. Pan-
vini di scrivere sullo slato attuale delle mediche co-
noscenze^ ed al sig. conte MaruUi sulle piante ultima'
mente venute dal Brasile. Per quel che concerne alle
scienze morali ed economiche , non passeremo sotto si-
lenzio la memoria del sig. Sabatini suW arresto perso-
nale per cause civili ; l' altra del signor de Augustinis
sulle acque fluenti nella relazione coli' agricoltura ,
colle industrie, e colla sanità'.^ i cenni del cav. Man-
cini sopra una recente opera del principe ereditario
(oia Re) di Svezia intorno alle pene ed alle prigio-
ni; e finalmente la memoria del socio corrispondente sig.
Marchese de Ribas, con cui intese di provare, che la
rigenerazione del genere umano sta nella riforma,
dell' educazione femminile.
Anno i8Jl4-' sxin
In quanto alla storia e letteratura, ricordiamo le os-
servazioni del sig. Paolo Anania de Luca sopra un glo-
hetto (li vetro , che sì disse rinvenuto nelle campa-
gne di Nola ^ le altre del sig. abate Giacomo Riicca
sulla origine della popolazione delle terre di nuova
scoverta -j il discorso dianoetico dei sig. marchese de Ribas
sopra 60 classici latini j la hiograjìa del marchese
Palmieri dislesa dal cay. Blanch ; ed in fine una novella
del sig. Borrelli intitolata il sepolcreto magico.
Nel 1844 si accrebbe anche di non pochi volumi la
nostra biblioteca pe* doni de' signori Eugenio Alberi, Gio-
vanni Armentano, Giacinto Armellini, Giuseppe Capone,
Beniamino Caracciolo, abate Carpino, dott. Cascio-Cortese,
Francesco Saverio Casularo , Giuseppe Cecchini Pacchie-
rotti , Corcia , Achille Costa , sig. Foelix , barone Gio-
vanni Galbo-Paternò, Genoino , abate Guarini^ Guglielmo
Henzen, Giovanni Horkel, Nunziante Ippolito, Francesco
lannini, Bernardo Kohne, Leonardo Leonardi, cav. Man-
cini , conte Marnili , capitano Gennaro MaruUi , Niccola
Melcbiorri, Giovan Domenico Nardo , Vito d' Ondes Reg-
gio , cav. Papadopulo Vretò , Carlo Passerini , Errico
Pessina, conte Uarione Petitti, P. Marco Giovanni Ponta,
Francesco Saverio del Prete , Annibale Ranuzzi , cav. de
Renzi f Rossi , P. maestro Salzano , Savino Savini , Lo-
renzo Sonzogno, Vittore Trevisan, marchese di Villarosa,
e Giuseppe Zurria.
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ATTI
DELL' ACCADEMIA PONTAWIANA.
FASCICOLO I. DEL VOLUME III.
r/Accademia pontaniana pubblica i suoi alti in fascicnli, afnni-hc
possano sollecitamente conoscersi le ,raemorie a misura che sono
approvale
Ogni fascicolo si pubblica subilo che si ha «iifTìcientc materiale
e sen/.a astringersi ad alcun determinato periodo o numero di fogli.
Teriiilnali i fascicoli che debbono comporre un volume , si darà
Ustoria de'lavori, il catalogo degli accademici, e gl'indici necessarii.
Il primo volume composto di cinque fa-cicoli è già pubblicalo.
r- \- 'j, •;;<>>,
NAPOLI,
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I METRI ARABI.
LETTA. DALL' ACCADEMICO RESIDENTE
VINCENZIO DE RITIS
KfC enimveTO numero jiemUre metra sylìabarum.
Sua sed pedibus tempora aujjicit rejerre.
TzRENZiAso Mauro.
Oakò imputato di audacia soverchia se io mi faccia a
produrre una nuova teorica de' metri arabi? Ma questi
miei pensieri io sottopongo alla Aostra discussione, va-
lorosi colleghi : e il vostro senno mi farà accorto se
meritevoli pur sieno di andarvi su tuttavia meditando,
o condannar si deggiano a perpetua oblivione, e queste
carte distruggere sive fiamma
Siue mari libet addano^
In qualunque modo, l'argomento è degno dell' oc-
cupazion vostra. Voi già sapete che a sentenza di non
Tom. IIL i
2 DERITIS
pochi letterati di gran fama, e nostrali e stranieri, non
avrebber potuto i nostri arcavoli far passaggio dal latin
letterato al latin volgare senza un esterno impulso che
a ciò gli avesse determinati ; e che sorto non sarebbe
il nostro attuale
Idioma gentil sonante e puro,
se Arabi e Provenzali non ce ne fossero stati gì' inse-
gnatori. Ho voluto con pertinacia esaminar la quistio-
ne ; e, senza lasciarmi imporre da venerande autorità,
consultar da me stesso gli originali e risalire ai fonti.
Per ciò che riguarda arabismo, ecco quel che mi è
sembrato di scorgere.
Dissi già altra volta che anche prima che il nome
degli Arabi avesse potuto pur conoscersi, bei fonti a-
vevamo di modi orientali ne' libri ebrei , i quali , per
le traduzioni almeno , eransi già diffusi nell' Europa
tutta quanta col Cristianesimo. E di qual enfasi non
pompeggiano gli scritti degli antichi Padri e molti
cantici della Chiesa ? Romanzi di amore dettavansi
in Grecia senza che nozione alcuna vi si avesse delle
Mille ed una notte. E fin dal secolo IV dell' era cri-
stiana eransi già rivolti i begl' ingegni latini alle no-
velle , agli apologhi , agi' indovinelli , e a tutte quelle
altre eleganti frastaglie della letteratura delle quali
sotto le arabe capanne o su i tappeti di Persia additar
ci si vorrebbero i primi trovatori.
E per quel che si appartiene ad invenzioni fanta-
stiche ed alla macchina , come suol dirsi de' poemi :
senza ricorrere a lontane origini , ovunque son menti
METRIARABX. 3
fanciullesche , di qualunque sesso o età , non mauche-
ranno giammai teste d'immaginosa suppellettile lussureg-
gianti; e fin nel gelido settentrione trova sf-\nza il fan-
tastico Edda, di genii, di fate, e di stregherie d'ogni
genere inesauribil miniera (i).
Per quanto era vasto il romano imperio, allor che
gli Arabi apparvero , la mitologia omerica era di già
merce affatto discreditata. E conseguentemente, a quel
che ora con vocabolo moderno addimandasi romantica
letteratura concorsero senza fallo anch' essi gli Arabi
i quali col mezzogiorno di Europa furono per si lungo
tempo a contatto; ma la loro quota è scarsa d'assai.
Ammira il signor Sismondi, nel suo Saggio su la
letteratura del mezzogiorno di Europa, la rapidità con
la quale gli Arabi giunsero a un alto grado di coltura.
L'incendio della Biblioteca d'Alessandria, ei dice, av-
(i) Dico trova sUmza e hon origi- in inverno, la vicenda più penosa ad
ne , per non entrare in briga col si- un esule dai propri lari. Sia ne' paesi
gnor Geyer che la mitologia dell' Ed- caldi e meridionali non si conosce il
da vorrebbe tutta intera uatta dall' o- freddo sotto altre sensazioni chedipia-
riente. A noi basterebbe un sol fatto cevol frescura. GÌ' Indiani situano il
cardinale per non essere in perfetta loro paradiso ne' monti Himmalaya :
concordia con quel dottissimo e giù- l'Olimpo era coperto di neve.... e
diziosissimo scrittore. II freddo e il tutti gl'inferni che dobbiamo aU' O-
settentrione sono nell'Edda il soggior- riente eran pieni di fuoco. Non già
no de' malvagi spiriti. Ben potca l'Ali- in mezzo all' ammirabil clima dell' A-
ghieri , senza conoscer l' Edda , tras- sia media potè nascere l' idea del Ni-
portare nella gliiacciaia il più tormen- felhem ghiacciato Ma nou è dei-
toso stato infernale : 1' alternar delle I' attuai subbietto una tale discussione,
stagioni dà nel nostro clima, appunto
^' deritis
venuto nel dieclnnovesiino anno dell' egira (2) segna
r epoca della maggiore barbarie de' Saracini -, e quel-
r avvenimento , per quanto voglia dirsi dubbioso , la-
scia pure una trista memoria del sommo dispregio in
che essi avevano le lettere. Ma, scorso appena un se-
colo , i calili di Bagdad , protettori de' letterati , e let-
terati passionati essi stessi , portano al più luminoso
grado le arti , le scienze e la poesia. Eppure , appo i
Greci , il secolo di Pericle era stato preparato da ben
otto secoli di coltura progressiva, che tanti ne corsero
dalla guerra di Troia: presso i Latini, il secolo di Au-
gusto fu anche 1' ottavo dalla fondazione di Roma : e
presso i Francesi, il secolo di Luigi XIV è il dodice-
simo da Clodoveo , e 1' ottavo eziandio da' primi rudi-
menti della lingua romanza o francese. Cosi il Sismondi.
Ed io mi penso che un tal fenomeno non sia straor-
dinario in letteratura , e non debba sorprenderci. Quan-
do Munimio noleggiava co' traghettatori di carbone il
trasporto in Roma de' prodigi delle belle arti sottratti
all'incendio di Corinto, e ne pattuiva l'integrità a cou-
(2) Dovendo con frequenza nel cor- 1' era ad anni 34 4.8- , iS." , 24'. -
so di questa Memoria notar gli anni II che solo basterebbe a far conoscere
dell'Egira ; senza ripeterne volta per quella perizia sovrana in astronomia
volta la corrispondenza colla nostra che nella corte di Almansorre e di Ai-
era , basterà qui rammentare che quel- mamone ci van gli arabisti con tanta
la prende cominciamento dal nostro compiacenza magnificando.-Chi deside-
anno 622 e precisamente dal giorno rasse vera precisione nel confronto
16 luglio, feria sesta. Ma è da notarsi delle date nelle due ere , non manchi
che 1' anno maomettano si è rimasto di consultare i lavori del Navone.
lunare, e che perciò ogni periodo di g^uij&gmtol ÌX3 OriCHtS, loin. 1 e iV.
33 anni giuliani corrisponde in quel-
M E T R I A R A B T. 5
dizione di peso e di numero : questo avvenimento che
annunzia l'estremo grado di rusticità che inunaginar
mai si possa, non ricorreva egli nel secolo stesso degli
Scipioni ? non segnava uu secolo appena di anteriorità
al secolo dell' apogeo della romana floridezza ? V ha
ima coltura della tale o tale altra nazione : e v'ha una
coltura di tutto il genere umano. Quella può esser più
o meno inceppata, stazionaria, ed anche retrograda :
l'altra è sempre mai progressiva.
Le incm'sioni saraceniche van risguardate come
quelle di quanti furono e saranno popoli conquistatori.
Dopo le prime devastazioni , i vincitori men numerosi
de' vinti risentir ben deggiono quel trionfatore impulso
che sempre imprimono i popoli inciviliti su le nazioni
semibarbare ancora. E le rapide conquiste degli Arabi
avean riunito già sotto il vessillo dell' Islamismo una
gran parte dell' oriente ; e il paese di que' Magi e di
que' Caldei da' quali le prime scintille del sapere su la
terra si diffusero ; e il fertile Egitto , depositario per
tanta stagione delle scienze umane ; e la ridente Asia
minore nella quale la poesia , il buon gusto e le belle
arti a tanta perfezione si spinsero ; e quella Persia che
della esagerazione per dir così del civile raffinamento
fu culla, e fomite tuttavia non estinto ne' molli languori
di una vita voluttuosa; e quelle coste africane le quali
quasi originai jiatria vogliono risguardarsi della veemente
eloquenza e delle più sottili investigazioni.
Gli Arabi trovarono ne' vinti popoli tanti loro in-
stitutori: come i rozzi Romani nella nostra e nella Gre-
6 DEB.ITIS
eia trasmarina: come i Tatari nella Cina: come i feroci
Teutonici che le provincie invasero deli' imperio occi-
dentale. Se non che questi ultimi la religione, i costumi
e il linguaggio cherlcale adottarono de' popoli che già
nel linguaggio ne' costumi e nella religione prendevan
nuovo andamento, e che per conseguenza ricomincia-
vano con essi un nuovo corso di civiltà progressiva ;
mentre gli Arabi , introducendo con la conquista la loro
religione e i costumi loro ne' popoli soggiogati, ricever
ben potevano un balenar brillante di coltura e quasi il
lusso , direni così , del pensiere , ma non que' semi ac-
cogliere di civiltà solida i quali fruttar dovessero a tem-
po debito la pienezza delle umane cognizioni.
E perciò la coltura Araba altro non è nella storia
de' progressi dello spirito umano se non 1' apparire di
brillante meteora, la quale abbaglia per un momento,
e un momento dopo non è più.
La civiltà Araba si prolungò maggior tempo ne'pae-
si che fiiron più lungo tempo in relazione con gli Eu-
ropei : e malgrado la diversa indole del Cristianesimo e
dell' islamismo , e 1' antipatia di religione che divider
dovea i due popoli ad intervalli immensurabili , tale
avvicendamento di costumi e di maniere si stabilì tra
i popoli delle due credenze , che fa sorpresa in chi non
inflette quanto possa 1' emulazion tra i rivali. Il clero
cristiano cinse la spada e guerreggiò per la fede alla
mvisulmana: i saracini professarono moderazione e tol-
leranza religiosa alla cristiana : mentre i guerrieri del-
l' una e dell' altra parte gareggiavano in valore e in
3IETRIARABI. «
cortesia. Ed è questa la vera iufluenza degli Arabi nella
brillante epoca della cavalleria , nella età vale a dire
de' semidei del medio evo.
L'industria intanto altri legami fra i due populi
componeva e le relazioni ne avvicendava : e in grado
eminente la navigazione, regina delle industrie che ul-
tima sorge e da tutte prende alimento ; e che, quando
anche co' pensieri di guerra si accoppia, di tutte le
arti di pace è giuoco forza che pur conservi e fomenti
Ja sacra fiamma.
Ed ecco il bisogno negli Arabi di apprendere e
trasportare nel volgar loro tutto ciò che carpir pote-
vano e mettere in serie dell' antico sapere.
Si è detto, ma forse con soverchia leggerezza si
è detto , formar gli Arabi 1' anello di unione nella ca-
tena dello scibile tra il moderno e 1' antico. Uomini
dottissimi e laboriosi fan che oggidì quel preteso anello
sia ridotto alla sua giusta valutazione. Nulla gli Arabi
scoprirono e nulla inventarono : precisamente nulla. La
dottrina araba , in fatto di scienze arti e mestieri , al-
tro non ci offre che traduzioni e compilazioni. Gli ara-
bisti gridano come aquile quando un tal passo rinvenir
possono che manchi di tipo greco o latino su ciò che
ci rimane di greci e latini codici : come se di tutti i
codici latini e greci fossimo noi possessori : come se la
scienza tradizionale non fosse stata quasi fino alla no-
stra età una scienza anch' essa , comunque non ridotta
a scrittura. Gli Arabi tradussero , compilarono: ed ecco
tutto. Ed abbiam già cennato qual fosse il motivo dì
8 DERITIS
quel compilare , di quel tradurre. E tra noi, dove non
di tradurre ina sol di compilare sentivasi bisogno, dal-
l' ultima Brettagna sorgono fra le tenebre del medio evo
un Arduino , un Roggi-ero Bacone , e giganti ci sem-
brano perchè compilarono e scrissero in mezzo agi' in-
numerevoli operanti e tacenti.
Vero è che molte parole che i moderni ritennero
in astronomia e in chimica son d' araba derivazione.
Ma ci siam fatti mai a ricercare il perchè sol nell'astro-
nomia e nella chimica queste parole si conservarono? —
Io m' ingegnerò in altra occasione di sottoporre al vo-
stro esame qualc-he mio pensamento su questo proble-
ma che sembrami , non che dilucidato , nemmen pro-
posto sinora. Intanto atteniamoci entro i precisi confini
dell' argomento che or ci occupa.
E per condurci drittamente al nostro scopo e non
vagare in vane dispute senza determinar dapprima di
che si tratti e riconoscer quasi il nostro campo di bat-
taglia (3) , veggiam di mettere in chiaro ,
(3) È da far maraviglia come l' u- meccanismo dell' araba versificazione
uico de' nostri scrittori che mostri co- in un paese nel quale lo stesso Gua-
guizione de' metri arabi sia l'Arteaga, dagnoli che ne trattò di proposito non
dimenticato affatto ; mentre tutti ri- fu sempre molto felice, lo non dirò
petono le sentenze del Tiraboschi e col Clerico eh' ei non comprendesse
dell' Andres i quali, a giudicarne dal quel che diffusamente andava inse-
come ne scrissero , non ne seppero gnando ( Guadagnolus , praecepta de
iota. Ma r Artcaga suppone che i suoi iis quae ipse minime intellexìt pro-
leggiiori fossero istruiti come lui del ìixe tradetis ). Dirò soltanto che questi
M E T R I A R A B r. Q
1." Quale sia precisamente la strutlura , 1' indole
caratlerislica dell' Araba versificazione ;
2." Quali sieno i suoi punti di contatto o di di-
vergenza col sistema prosodiaco de' Latini e de' Greci ;
5.° Qual parte voglia attribuirsi alla presenza de-
gli Arabi nell' adottar che fecero le nazioni romane l'at-
tuai sistema de' loro versi , rinunziando all'atto e dis-
mettendo le leggi prosodiache degli antichi.
Ma nel procedere per questa triplice inchiesta ,
unico esser ne vuole 1' andamento , non già tripar-
tito. La seconda vien per sé stessa ad allogarsi a fian-
co della prima ; e circa la terza voi m' imponete,, Ac-
cademici , sobrietà di parole per ciò che a mere dedu-
zioni si riducono, nello quali voi medesimi dalla sem-
plice esposizione de' fatti di mano in mano mi andrete
prevenendo.
Che però a mera e nuda esposizione storica voi da
me esigete eh' io mi riconcentri. E storia mera io vi
espongo.
l'alli riuniti mi lian presentalo come versificazione araba , quahlubque o-
d' indispensabile necessità la compiuta pera piii meccanica che intellettuale,
esposizione del dottrinai sistema della
Tom. III. 2
IO DERITIS
SISTEMA DOTTRINALE DE' METRI ARABI.
)) Ecco una contraddizione assai grande tra gli
orientalisti ( dice lo storico francese della Letteratura
italiana', ed io trascrivo le parole di lui perchè nulla mi
s' imputi di calunnioso ). Gli uni vantano molta facilità
nelle composizioni poetiche , e ne citano esempi ; gli
altri spiegano le regole della poesia in modo da farvi
scorgere le maggiori difficoltà. Si possono però conci-
liare dicendo , che nella poesia grave e fatta con agio,
i poeti seguono tutte quelle regole ; ma che neW ini"
provvisare , ad eccezion della rima , se ne dispensano.
In fatti , il verso arabo è composto di piedi di una mi-
sura e di un numero determinato. Ha questa somiglian-
za coli' antica poesia de' Greci e de' Latini , e questa
superiorità sulla versificazione moderna cui somiglia
soltanto per la rima , la quale piuttosto dee dirsi tolta
da lei. Presso gli Arabi la rima ha particolari difficol-
tà ; perchè alla fine de' loro versi la consonanza esige
di più sillabe , e talvolta anche di cinque. Inoltre in
alcuni poemi composti di un gran numero di distici ,
la rima esser dee costantemente la stessa. Riguardo ai
piedi ed alle misure , ammettono gli Arabi venticinque
combinazioni diverse di piedi , tanto semplici che com-
posti , di cui formano sino a sedici digerenti specie di
versi. Questi non sono ostacoli da non fame caso nelle
poesie improvvisate. Ma se son esse difficili pel poeta ,
METKIAUABI. Il
bisogna convenire che per orccclii esercitati a sentirle
debban produrre molla armonia e varietà (4) ». Potean
riunirsi più fatti non veri in più poche parole , e spac-
ciarsi poi in tuono più decisivo ?
Il sistema dottrinale metrico , in qualsisia linguag-
gio e non escluso 1' italiano eminentemente semplice ,
sempremai di regole sopra regole uopo è che ridondi ;
mentre nella poetica della natura spontanei fluiscono
gli armonici concenti sulle labbra spessissimo anche de-
gl' idioti. Quando i maestri sorgono dell' arte poetica ,
la poesia già tutto lo stadio ha corso e ricorso de' suoi
tentativi ; già de' suoi ardimenti molte vittorie conta e
molte disfatte : e il freddo precettista , de' felici eventi
del pari che degl' infelici e de' più o meno variati in-
tervalli che quegli estremi disgiungono , va rintraccian-
do colla sesta e col compasso in mano le minute diffe-
renze , e nella eventualità de' possibili va notando poi
le non sempre determinabili vie di sicurezza. Per ciò
che riguarda il solo meccanismo , la mera fabbrica de'
versi nel sistema prosodiaco de' Greci e de' Latini , chi
(4) GiN-GuÉvÉ, Hist. lui. d: Italie . » Jcglii ^ e sopraltiilto de' celebri o-
p. I. eh. IV. P^esdbulum ante ipsum » rienlalisli che di quella facevan par-
ci avverte il eli. Autore » di aver fat- » te , e confessi con gratitudine aver
» lo lettura di questo squarcio della i. avuto la buona venlurn di ottenerli».
» sua opera alla classe d" istoria e Per questa sola circostanza la citazio-
^< letteratura antica dell' Istituto ( di ne che ne facciamo sembrar non do-
i> Francia ) per ritrarne il parere e vrebbe inopportuna.
» gl'insegnamenti de' suoi doni col-
12 D E K I T I S
avrà il coraggio di non isinarrirsi ai computi del gram-
matico Mario Vittorino ? Ecco inentcmeno che cjuat-
tromilanovanlasei differenze o varietà che dir si vo-
ghano della greco-latina versificazione (5). E che sono
a Fronte di esse non le venticinque , come diceva il Gin-
giiéné , ma le selianlasei formole tra priinitìve e di ri-
vale , e tutte semplici della poetica degli -Arabi , per
formar poi in composizione non sedici ma censessan-
tasette specie di Adersi , quanti appunto Samuel Clerico
con pazientissima diligenza ne andava denominando e
classificando (6) ? Intanto , pria che gli Arabi avessero
im alfabeto , nou che il dommatismo poetico in età as-
sai bassa artifiziato ; di tutto il meccanismo dell' araba
versificazione ne' campi di Ocatta (7) erano già fissate
(5) Mahii VicroRiNi , de orthogra- veano nel cantone della Mecca , tra
phia et ratìone cannimtm lib. II , Nagliala e Taief f|»XD7N1 hSdJ- V'
partic. De stimma ìiumeri qucie me- era riunione delle varie tribù in ogni
troruin mttlliplicaiione redigitur, pag. anno,dal principio della luna di dliul-
142 ed. 1684. kada , e durava venti giorni. L' ob-
('') '5N1D?Ì^ r^l^^ì^ ti^i' Scieiitia biette principale era il commercio; ma
metrica et rìiyllimica ex authoribus vi ci disputava altresì del premio del-
probatissimis , opera Samuelis Cle- la poesia. Dal nome di questo luogo
jiict , inclytae Academiae Oxonien- è derivato il verbo XSy^ ( okata ) in
sU architypographi : 1661. - Per la significalo di disputare , quislionare
sostituzione die facciamo de' caratteri insieme. In queste annue riunioni si
quadrati ebrei ai saraccnici, V. in fine vide dal Pocock ( Speciin. /list. Arab.,
la spiegazione delle tavole. p. i58 ) il germe fecondissimo e il fo-
(7) Ocatta , 0X3y ( àkath ) e il mite dell' a.aba coltura , da disgra-
nome di un mercato clie gli Arabi a- darne i giuoelii solenni della Grecia.
M E T R I A R A B I. l3
le leggi. 11 primo sistema dottrinale dell' araba poesia
non può protrarsi più su del secondo secolo dell' egi-
ra (8) : ina i poemi dorati che a quel dottrinai sistema
servir dovcano di modello , pria che sorgesse quell' era
pendevano già venerati alle porte della Caba (9) ; e di lai
caraneristica impronta l' araba versificazione sigillarono ,
Pei- liduiic a giusto valore una tanta
esagerazione clic la magna turba de'
nostri letterati va ripetendo senza esa-
me , vcggansi le assennate riflessioni
dell' accuratissimo Silvestre de Sacy
nel voi. L. degli ^Ui dell' accademia
delle Iscrizioni.
Queste adunanze vennero a dismet-
tersi col sorgere dell' Islamismo.
(8) V. la nota 9.
(9) Riguardo alle poesie vincitrici
in Ocatta , scritte in oro sopra ricca
stofTa e sospese alle porte della Caba
V. la Memoria soprallodata del cb. de
Sacy. Vero è che tale usanza, com' ei
limpidissimamente dimostra , non può
risalire ad una età che alquanto si
discosti da quella di Maometto; e che,
quando anche ad epoca più remota si
volesse protrarre , nessun argomento
somministrar potrebbe agli ar.ibisti per
1' antichissima coltura di quella na-
zione che ci si vorrebbe dare a mae-
stra : perciocché , come ragiona quel
dottissimo , non v' ha popolo il più
selvaggio , sia nell'America settentrio-
nale , sia nelle sabbie ardenti dell' Af-
frica , il qual non abbia i suoi canti
di guerra e di trionfo. Pure negar non
dobbiamo che in Ocatta appunto cer-
to special carattere all' araba versi-
ficazione^ venisse ad imprimersi dal
quale discostar non si seppero i se-
guenti poeti, nemmen dopo l'intro-
duzione dell'Islamismo, uemmen do-
po che nel loro venerato codice una
forma sempre ditirambica scorgessero
di verseggiare , tanto per la ragion
de' metri , quanto per la disposizione
e varietà delle rime. Ma forse gli ara-
bi non ardirono di riputar poetico il
Corano , e al ferreo inllessibil giogo
si piegarono di una monotona infil-
zata di versi uniformi ed invariabili
alla stessa ed identica rima perpetua-
mente cadenti , secondo il tipo de'
loro primi salvatici modelli.
l4 D E R I T I S
che inflcssibil tipo si rimase al quale tutti i seguenti
poemi con monotona uniformità si andarono poi ada-
giando. Non già alcuni ma tutti i poemi arabi ( ec-
cezion fatta de' soli alfabetici oltremodo rarissimi .) ,
tutti , dal primo all' ultimo verso , ad esempio delle
moallaqa (io), conservar deggiono una sola rima, un
(io) » Veggendo il modo con cui son
composte le Moallaqa e in generale
gli antichi poemi arabi , se ne scorge,
dice il eli. de Sacy , la recente ori-
gine. Son meno un sol poema che ac-
cozzamenti di vari pezzi descrittivi ,
di vari quadri legati spesso con poca
arte al soggetto principale : pittare di
tempeste , di deserti , di combattimen-
ti : descrizioni minute , e quasi ana-
tomiche, di un cammello, di un ca-
vallo , di un onagro , di una gazzel-
la : il ritratto di una bella giovane,
r elogio d' uua sciabla o d' una lan-
cia. . . .quasi in tutti i poemi. Lo sco-
po principale sembra esser quello di
provare la profonda cognizione che il
poeta avea della lingua , e la sua abi-
lità per abbracciare in una partii'olar
descrizione il maggior numero possi-
bile di sinonimi indicanti tutti il me-
desimo oggetto , ma per qualità di-
verse , e per tutti i punti di veduta
sotto i quali possa riguardarsi e che
sien propri a caratterizzarlo ".
E questa è la precisa idea clic dob-
biam formarci di que' tanto celebrati
poemi , e non giudicarne dalle uftì-
ciose versioni del celebre Roberto Jo-
nes , e da quelle nemmeno del Rei.-.ke
e dello stesso signor de Sacy : alle
quali tutte applicar potremo le piro-
le del nostro dotto e giudizioso Asse-
mani relative alle versioni dello Scluil-
teus : » Ma dalla scrupolosa trsdu-
)i zione del suddetto eruditissimo uo-
}> mo nessun europeo certamente po-
li tra giudicare della poesia degli an-
11 tichi arabi Un altro modo di
Il pensare , un altro gusto è negli ara-
li bi poeti ; sicché tradotti verbalmen-
11 te i loro versi , ridicoli sembrano
11 ad un europeo u. Saggio stili' origi-
ne , cullo , letteratura e costumi de-
gli Arabi avanti Maometto , pag. 47.'
Questo però non forma il nostro ob-
bietlo. Gli stessi propugnatori dell' a-
raba maestranza convengono che dal
luo dello stile e della tessitura de'
poemi non trovisi tra gli arabi e noi
SI K T Jl l A R A B I. l5
solo metrico andamento , e sempre quelli , monotona-
mente qnelli , e senza veruna varietu non solo di rima
e di metro , ma uemuien di periodo : essendo leege
dottrinale dell'araba poesia doversi ogiior conchiudere
un concetto entro i limiti di ciascun verso (ii).
Rettificati cosi i fatti riguardo alla struttura mec-
canica dell' araba versificazione , inconcepibil si l'cnde
come tra essa e quella del mezzogiorno di Europa abbia
potuto pur sorgere , non che idea di simiglianza , ma
pur qualche lato di paragone : quante volte a quello
stato di nascente società non si voglia rivolgere il pen-
siero nel quale i primi germi di qualunque umana in-
dustria ne' loro primi abozzi uniformemente si disvilup-
pano ; perciocché 1' araba poesia in quo' termini si è
mantenuta tra' quali si rimase appo gli antichi e i mo-
derni popoli nuovi , quando son soli storici i poeti ed
archivi le familiari memorie delle generazioni che si
succedono, E quaV è il j3opolo più selvaggio , dirò col
verun punto di paragone ( Andies , naturale e scevra ci' ogni artifizio,
t. II, p. 48, ed. di Parma, Tira- CAhhnri'i T/ie Dee', and. fall, ^c. c.5.
bosclii , pref. all' Orig. della poes. ap. Gingncné , l. e.
rii/i. di Giammaria Barbieri , p. l.j ). (u) L'arte di legare una frase in
Ma e bene per conoscere con ({uanta piìi versi e di spostar di questi le ce
cogniiione que' battaglieri caraticriz- sure e variarle con accorgimento gli
zassero il poetare aiabcsco di arililo e arabi non conoscono : che anzi ne for-
fervido ( 1' Andres ) , d' immaginoso mano un difetto clic chiamano Taz-
e sublime ( il Xirabuscbi ) : e per sor- mina , ViyiTh'H ( alt-^^niitio )■ ^a-
ridcrc con misericordia adii tiovar rebbe V enjambenicnt de' Francesi.
sc|ipc nelle Moall.iqà una eloquenza
iG DEKITIS
Nesloic degli orientalisti (12), sia ìielV America set-
lentrionale , sia nella sabbie ardenti dell' Africa , il
cjiial non abbia i suoi canti di guerra e di trion-
fo alle cadenze affazzonati de' musici intei'valli ? Il ri-
torno de' simili periodi è nella legge di pulsazione del-
le nostre arterie : V arsi e la tesi è nella legge d' ispi-
l'azione e di espirazione del nostro organo vocale ; e
1' uniformità delle cadenze è spontanea espression pri-
ma fanciullesca dell' individuo del pari che della spe-
cie. Per la qual cosa , non dell' uso della rima e dello
scompartimento del discorso in periodetti rotondamen-
te sonanti dovremmo andar rintracciando gì' invento-
ri : che tutto ciò è da natura , dalla quale, e sotto la
zona e ne' poli e per quanti notar sf vogliano meri-
diani sulla terra , tutte le razze umane sono state e
saranno senza concorso di strani ammaestrate ; ma
dell' ardimento piuttosto di que' trovatori dovrem fare
inchiesta , i quali o le rime dismettevano o varia-
mente le variavano e alternavano e in mille maniere
differenti ne simmctrizzavano il ritorno , mentre la gia-
citura delle parole a tal numeroso andamento ordinavano
che della pittura delle idee e del moto degli affetti es-
primer potessero in tutte le loro gradazioni le fasi e le
vicende : che queste son cose da magistero , e di esse
(12) V. la nota g.
METRIAKABI. I7
non è natura uè da per tutto nò a tutti facile insegna-
tricc (i3).
Ma facciamoci senza ulteriori preamboli a veder
quale per 1' una e 1' altra industria sia stato appo gli
arabi questo special magistero.
Della fabbrica de' versi arabi.
11 primo che si desse a compilar precetti prosodiaci
tra gli Arabi fu Al-Chalil-cbn-Ahmcd-al-Faraliidi (14),
il qual fiori sotto il califa Al-Rascido. Già per le tra-
duzioni siriache (i5) tutte le sottilissime distinzioni e
(i3) Queste riflessioni non son nuo- ridere , rjuod propriian hominis tan-
ve , e un amico gramalico ci prc- tiini est , rjiiis a!i/nonia7?i laclis rictu
venne. Nonnulli , ei dice , tanqucmi orìs appetere , quis sommi confusae
erudi li'onì et profundae scienliae ne- vocis in veiòa deducere ^ seu prò slalu
cessarium soUici/a sciscitatioiie per- erga se mentis atque animi , mine
contanles exìgunt , linde metronim at- ftutum ac moerore?n , nunc alacrila-
gue omnis musicete ele7nenta proces- teni laetitiamque concipere , auc/or
xerint , quo parente, qua origine, oste/iderit ? ctc. M. Viclorin. lib. VI,
tjuilnis exordiis initia earundem ar- sub fin. -- Eppure I' origine di qua-
tium caeperint. Neo hoc salis, iideni lunque sorla di versificazione ei fuor
ivgant quis arliculatam vocem a con- di Grecia non sa riconoscere , e finan-
zinone discreverit , quis prinius syl- che l' orrido numero saturnio vuol di
labas in enuntiando denso seu leni greca derivazione! Nella (jual crcden-
spi ramine extuleril , qui longum lem- za non fu solo. V. in appresso CiR-
pus aut breve in eloculione vocis no- colo cosvEKrENTE.
strac captaverit ? Quae qui anxie sci- (i4)n'nN'"lS':'XlJDnX pjiS'^^S'^N-
re desiderant, dicant velim , qìiis no- (i5) È assai problematico se siavi ■
bis in lucem edilis gustare , reptare , qualche traduzione araba immediala-
Tom. III. 3
l8 DERITIS
suddivisioni de' greci di Alessandria e di Costantinopoli
eran divenute di gran voga nelle scuole di Gufa e di
Bassara , le quali in gara di acutezze aveauo con grande
animo per le discussioni sulla loro graniatica prelu-
diato. Ed ecco sulle basi di quella gramatica , anche
con maggior minutezza andar uotomizzando a cincischi
tutte le variazioni possibili dell' araba versificazione , e
andarle coordinando poi ad un artificiato sistema il quale
ad onta che i seguenti maestri non mancassero di an-
darvi su variamente sofisticando e sottilizzando , tipo
tuttavia si rimane rispettato e seguito da tutti gli scrit-
tori dottrinali dell' araba versificazione. Veggiam di ri-
durre alla maggiore semplicità possibile questo compli-
cato sistema.
Gli Arabi trassero dalle condizioni delle loro tende
i nomi tecnici dell' arte poetica. La costruzione di un
poema assimilarono alla costruzion di una tenda : e sic-
come cjuesta denominavano ^J^tlnìi n'3 ( baito-ssciàri )
la casa de' peli; quello dissero '\i!tinii H'S ( baito-ssciri )
la casa de' versi. Formano gli amminicoli della tenda
jjali e corde : e pali nxniK ( avtàdon ) e corde 3K3DN*
( asbàbon ) gli Arabi denominarono ciò che noi direm-
mo i piedi di un verso nel sistema metrico de' Greci
e de' Latini. Or questi pali e queste corde fa d' uopo
dapprima definire per formarci della ragion de' metri
Arabi una chiara idea.
mente dal greco , ed oggimai par che sto , ec, nou passassero in arabo se non
più dubitar non si possa che l'Alma- con l' intermedio del siriaco. E siriaco
gesto , i libri d'Aristotele, di Teofra- è 1' arabo alfabeto. De Sacy, l. e.
M E T R I A R A B I. I9
Una sillaba araba , come appo noi , come appo
tutto il genere umano , può essere più o meno spiccante
per vibrazione , più o meno lunga per profferenza. La
prima qualità determina V accento tonico -, la seconda
se^n'a la misura prosodiaca. Quest' ultima è manifestis-
sima in tutte le lingue viventi ; ma nelle semitiche è
più agevolmente ravvisabile per le condizioni del loro
sistema alfabetico : nel quale tutte le lettere esprimono
consonanfi, mentre le vocali o non si segnano nella scrit-
tura o fuor di riga con più o meno artifiziate industrie
vengono ad indicarsi (16). Or secondo quel sistema una
(iG) U considerar le lettere in que- E perciò :
ito modo può risguardarsi del pari e S /UteravelP quasi ^llaòae videntur,
come il raffinamento dell' industria come anche nel sistema alfabetico
giamaticale , e come il primo ini- greco-latino avvertiva Terenziano.
zialc av^-iamento dell' umana industria 2." Che 1' inerenza dell' aspirazione
nella notazione fonica del linguaggio, alle lettere vocali, dismessa- in età
Pel primo riguardo , son note le ri- assai tarda appo i latini , rimane vi-
flessioni che nelle condizioni della sibilissima neUa greca ortografia la
lingua f;ancese ne faceva uno degli qual segna lo spiri/o in qualunque
ultimi suoi ideologi. Pel secondo si parola clic cominci da vocale.
,.jjlgj(3 . 3.° Che la fusione della pronunzia
»." Che gli alfabeti fonici non pos- di pili lettere in un sol tempo , i dit-
sono altrimenti sorgere che sillabici , tong/ii cioè sìa di vocali sia di cou-
colla notazione cioè tutta intera del- sonanti , gli antichissimi non conob-
V articolazione e della voce : k qual bcro ; e che le nuove lettere che di
voce può sibbene essere pili o meno mano in mano alle vecchie cherica/i
.onora , piìi o meno protratta e ridursi o cadmee si andavano aggiugnendo
anche alla brevità di uno sceva , ma erano appunto le più usuali di quelle
abolirsi affatto non mai. fusiom che gih non piii sonavano co-
His caeca soni vis penitus sudest me ditlongJii e in una sola vocale si
latetque; confondevano , comechè dai grama-
20 DERITIS
sillaba in arabo cominciar non può altrimenti che da
una lettera , cioè da una consonante. Su di essa si ap-
tici si riputassero cifre piuttosto che esprimere i nostri diUonghi articolari
semplici lettere. Cosi un solo elemento non si brigano. O li trovano appros-
alfabctico reclama la squisitezza ideo- simanti alla prolFereuza di alcuna
logica dell' autore teste citato per la delle lettere convenute ne' loro alfa-
notazione dell' EU francese, eviden- beti , e 1' csprimon con quella; o
tissimo storico dittongo ; mentre ad ne son troppo discosti i suoni , ed
una semplice E riducevano I' AE la- un' altra [lettera j un altro elemento
tino i nostri popolani dal IV secolo in alfabetico van creando. Cosi , men-
giù ; e mentre tutti i vecchi diUonghi tre quell' ideologo francese propone
son cessati col fatto piìi o meno com- nuovi caratteri per esprimere lo
piutamenle ad esser tali presso tutti i sci ( fr. eh ), lo gli ( tr.ilt ), ec. ,
popoli dell' universo. e il nostro Buommattei vorrebbe
4.° Finalmente , che pei ditloiighi che con lettere particolari si notasse-
delle consonanti, mentre è incomprcn- ro e il nostro chi schiacciato , come
sibile per noi come la gentilissima in chiesa , e lo ghi schiacciato , co-
Grecia pronunziar potesse d'un fiato me in ^/«'o<fó ec; gli orientali col fat-
ai cominciar d' una sillaba x(a , xt , (xv, to altre lettere introducono : come ,
rrr , tX , Tfi , 9v , ;^6(),ec. e saremmo a cagion d'esempio, il 7 francese, il
al par de' nostri avoli tentati a dar e italiano, e certo suono medio tra 1' u-
la berla a chi volesse introdurcene no e l'altro, proprio sol de' persiani,
la moda (*) ; forte ammiriamo che il con lettere diverse e nuovamente in-
nostro gentilissimo ce si riproduca ol- trodolte nell'arabo alfabeto si rinven-
tremonti nell'ispide forme di Ish, lek, gouo. E cosi la squisitezza del rafli-
Uch , slsh , stch , stsch. namento gramaticale e il semplicis-
lu couchiusione. I popoli orientali simo andamento instintivo in piena
di tutte queste nostre industrie per convergenza si ricongiungono.
(*) luxta autem { antiqui) non ponebant ciari ms«>. M. Vittoria. lib. I. de orthogr.-^
e. il. Deinde nec Alcraeuam dicebant , nec È da notarsi che .s-t-^u^'cu/u^ non è ancora re-
Tecmessanij 5f(/ Alcumcnani. . . . Dvnec lui. gistiato nei nostri lessici, e che vopiscus e
Cae^ar ^ qui vopiscus et strabo , qui et ses- ■■ìtrabo non vel sono pel significato che qu-i
quiculus dictus est, primus de Tecmesa seri- esprimono.
psit tragaediam suam et in scaena proniin-
METRIARABI. gì
poggia la voce, e la lettera allora dicosi /«oss«. Può
appoggiarsi a questa voce, ossia a questa mozione, un'al-
tra lettera: ed essa dicesi allora (/ui esce/ile; perciocché
se un' altra voce anche sulla seconda lettera si appog-
giasse, veri'cbbc del pari ad esser mossa e Formerebbe
una seconda sillaba. Or tutte le sillabe di una sola lettera
son sempre brevi ; le sillabe di pili lettere son sempre
lunghe (17). Ed è questa la semplicissima prosodia araba,
limpida ed inalterabile.
(17) Colla semplicità medesima de- non di rado anche manifeste appaiono
terminar potremmo la quauliià siila- ( Prov. xxiv , y : Nehem. xiii , 16:
bica di tutte le parole se i nostri al- Ps. xix , 14: ec. ). E di vantaggio,
fabeti si riducessero o alla rusticità chi non sa che Nevio e Livio , cum
primitiva nella qua! sorgono 0 a quei longa syllaba scribenda essel, duas
rallinamcnti a' quali i sottili analiz- vocales poiiehanl, praeterqiiam quae
zatori del linguaggio ampliar li vor- in I lilleram incideranl , Itane eniin
rebbero , come nella precedente nota per E et I scribeòant? (Mar. Vitto-
abbiam cennalo. Ciò per altro sol ci rin. itb. siipr. ).
condurrebbe ad una valutazione al- È da notarsi però che anche nel-
r ingrosso della quantità OTt;///c« non l'arabo, quantunque assai di rado j al-
della quantità nimica delle parole cune parole non mancano nelle quali
(V. le seguenti note 18 e 22 ). Intanto la lettera che fa lunga una sillaba
vestigi non mancano della prima ma- ortograficamente non è espressa e dee
nicra ne'suiierslili monumenti. Neil' e- siipporvisi: come ?f23*1 ( rahmano ) in-
breo le sillabe sono naturalmente lun- vece di JXMVil'^Sx (-dlao) in vece di
glie per clfetto di una lettera quie- HN'^VK) dalla radice nxSx ( il^on);
scente reale o supposta che vien dopo ec. Ed ecco anche da questo lato la
una mozione : le quali lettere suppo- ragion prosodiaca digli orientali e de-
ste non solo per le ragioni etimolo- gli occidentali non che prossima, ma
giche agevolmente si rinvengono , ma identica.
22 DERITIS
E semplicissima parimente è la ragion de' piedi.
Due lettere formano la corda ; tre lettere il palo.
Or le corde , essendo composte di due sole lettere,
aver non possono se son due soli accidenti, secondochè
o la sola prima o ambe le lettere sien mosse.
Dal che segue che le corde risultar deggiano o di
una sola sillaba , e sempre lunga ; o di due sillabe , e
sempre brevi. Quella gli Arabi dicono corda lieve 23D7N
f|'M*7K ( assababo-'lchafifon ) : la combinazione delle due
brevi, corda grave Vpn7N 2DD7N ( assababo - 'ttaqilon ).
La prima corrisponde alla cesura ( - ) : la seconda al
pirrichio ( - - ) della prosodia greco-latina.
Gli accidenti di tre lettere pei pali sarebbero tre :
ma quello di tre lettere mosse gli arabi non ammettono
per misura elementare (18). Perciò rimangono a due.
(18) Tre sillabe brevi hanno gli A.- giva a quell' acre intelletto quel che
rabi in tutti i radicali di tre lettere, come moderna osservazione si è ripro-
e perciò il tribraco è più che fre- dotto : Essere la quantità sillabica
quente nel loro idioma. Ma poteano non altro che un termine di rapporto
essi allogare il tribraco tra gli eie- del quale è arbitraria 1' unità ; e in
menti della lor prosodia ? Qui ricorre qualunque prelazione umana , anche
il paragone tra i rozzissimi e i sotti- .monosillabica , doversi distinguere due
lissimi analizzatori del linguaggio. È tempi, de' quali l'uno sempre primeg-
noto che il beato Agostino ne' suoi già , il che forma 1' accento tonico
dialoghi sulla musica compone versi della parola.
di sillabe tutte brevi e versi di sillabe L'accento prosodiaco avea Al-Ghalil
tutte lunghe , e nella prosodia della riposto né' pali , cui le corde posson
natura quella ragion metrica vi rin- sibbene legarsi , ma da se sole non
viene che uM.3. prosodia delle scuole mai sostenersi ; concorrer sibbene le cor-
sarebbe stata un assurdo. Non isfug- de alla costruzione della casa c/e' <'£/-
M E T R I A R A B r. ^3'
Se congiungi alla mozione necessaria della prima lettera
anche la mozione della seconda , rimanendo 1' ultima
quiescente , avrai il palo congiunto J^IOJd'^N* "tnì'^N ( al-
vatado - '1 mag' mùón ). Se farai quiescente la seconda,
avrai ii palo disgiunto pnìJO^N "tm'^K ( alvatado — 'Imaf-
rùqou ), quasiché la lettera quiescente disgiunga le due
mosse. Ed ecco nel primo un giambo ( - - ) j nel secondo
un trocheo ( -- ) della prosodia greco-latina.
Da questi semplicissimi elementi si compongono
tutte le misure ossieno metri della poesia araba , dette
parti NrjN^N ( alag'zào ) , formale D3N11: ( zavàbeto ) de'
versi (ig).
Le quali parti o formale veugon tutte desunte dal
tema 7J?£) ( fàhala ) , come gli antichi paradigmi delle
coniugazioni arabe ed ebree.
ù, formarne anch' esse i necessari am- » lima, son trihmcki il dallilo,I'a-
minicoli , ma subordinatamente ai ìi pesto, 1' arafimacro, e son molossi
pali : e questi ultimi non poter dare » il bacbio, l'antibachio e 1' amfibra-
allri clementi se non ciò cbe noi di- » ro ( Servio Onorato , de pedibus
cìsituo giamio 0 livc/teo. ^ perciò una versuum et accenlibus libellus); egli
parola di tre sillabe brevi sari certa- adagiava all' indole speciale della
mento un tribraco, ma un tribraco se- lingua latina quella prosodia delta
condo la prosodia della natura è ben natura cbe Al-Cbalil colle sue corde
diverso dal tribraco secondo la proso- e co' suoi pali render volca prosodia
dia delle scuole. di scuola per gli arabi suoi.
Quando un antico gramatico si (19) Per mettere le a^'sfite arabe in
esprimeva in questa sentenza : » iVe' perfetta corrispondenza colla prosodia
Il dissillabi , divengono trochei per greco-latina dobbiam considerarle pre-
11 posizione il giambo, il pirricbio e cisamente per ciò cbe gli adticbi dis-
)i lo spondeo: ne' trisillabi j secondo scro woSix a ci/iTTiifiaTa , come sarem per
» la lunghezza o brevità della penai- vedere.
24 DERITIS
Fin qui tutto è chiaro , tutto è netto nel sistema
dottrinale dell' araba poesia. E se certo che di tene-
broso d' ora in poi par che sorga , ogni buio dilegue-
rassi quando alla moltiplica nomenclatura do' vari ac-
cidenti della versificazione araba non prenderemo spa-
vento ; quando di alcuni dottrinali pregiudizi della pro-
sodia greco-latina ci sarem sceverati, e 1' uno e l' altro
sistema riguarderemo sol come due stadi della industria
vunana nel progressivo miglioramento dell'arte poetica.
La quale, dovendo raggirarsi riguardo alla fabbrica de'
versi su la musica del linguaggio secondo le varie na-
zionali profFerenze e secondo il più o meno innoltrato
ingentilimento de' popoli diversificabile e diversificata ;
è forza che diversissima appaia allorché dalle giova-
nili loquele alle adulte , dalle prime ingenue rusticità
ai compassati rafFuiamenti del civile ingentilimento si fa
passaggio.
Pregiudizi dottrinali io vi cennava della greco-latina
prosodia , e il più grave tra essi basti qui rammenta-
re , grave per 1' argomento che or ci occupa. Della ra-
gion metrica i nostri precettisti ragionando , se non fan-
no astrazion totale dalla ragion ritmica , 1' abbandonano
a mezza via e sol de' musici ne credon degna 1' ulte-
riore disamina (20). Riuniamo le arti sorelle , e non
(20) Latius tmclant niagislii rhylh- Trovo con molta sagacia avvertito
mici vel muùci : Nos viam melri sta- e ben definito questo difetto de' me-
denius parie ah aìiqua pandere. I\Iau- trici in un autore del XVI secolo ;
RO Teren'zi.ìxc , de tirsi et tliesi. Prcincisci Salinae Burgeiisis' , etc. de
M E T R I A n A B I. 25
la sola poclica degli arabi, ma la poetica di tutto l'uman
genere apparirà limpidissima.
E se non primogenita , universale almeno V arte
musica si riguardi. Perciocché non v' ha popolo che
nel musico andamento non convenga in un tipo comu-
ne , al quale i vari periodi melodici delle umane lo-
quele si van più o meno adagiando. Inchinerà , a ca-
gion d' esempio , all' andamento anapestico la lingua
francese, al dattilico l'italiana, al peonico la spagnuo-
la. Mentre però nella ragion metrica tre diverse spezie
sene van determinando , la ragion musica un solo ed
identico andamento vi scorge , e nella catalessi mùfor-
mità di sistema (21).
Per la qual cosa , se alle condizioni della battuta
musicale farem coincidere tanto ciò che gli arabi mae-
stri van dicendo su le varie distribuzioni delle loro
corde e de' loro pali per la costruzione della loro casa
de' versi , quanto ciò che da' metrici precettisti trovasi
scritto per determinare i siti dell' arsi e della tesi ne'
\ovo podici sistemi {22) ; forse quel filo d'Arianna avrem
Musica libri septem—Salamanticae (21) V. avanti Circolo divirso.
i5yy. Si vegga precisamente il cap. IV (22) Pei pochi fatti piìi cennati che
del libro V e l'intero libro VII. E indicati nelle note 16, 17, 18 e 20,
non so come d'allora in poi le due è agevole lo scorgere che V arte ?>ie-
dislinlissime funzioni dell' (/rsj e deUa frica degli antichi voglia non altri-
tesi armonica e dell' arst e della fesi menti considerarsi che come il primo
ritmica siensi tuttavia confuse appo i sbozzo di un' arte cui 1' arte' ritmica
seguenti scrittori che ragionarono del e musica dava poi compimento ; come
metro e dell'accento. l'infanzia dell'arte, o, se si vuole, come
Tom, III. 4
26 DERITIS
riuvenuto che ci trarrà illesi dall'uno e l'altro labirinto.
Dopo le quali riflessioni , il linguaggio degli arabi
maestri , spero , non ci farà più spavento : e sarà ba-
stata l'esposizione della cosi dotta Qazida Giazragia-
ca (23), testo venerato appo gli Arabi come la Lettera
l'arte sol risguardata /^arfe aJ nt/ZgiKa, Ma è legge del pari fisiologica ncl-
al dir di Terenziano. Il che ci gui- T uomo che , pel continuo ripetersi
da a comprendere che mai avesse vo- di sensazioni similari , dal piacere alla
luto intendersi un altro antico gra- noia , dalla vivacità alla indifferenza
matico quando disse : Cannen lyri- sì faccia passaggio , e tanto più rapi-
cum , quuni metro suòsislat , polest damente quanto piii prossimi que'sim-
tamen videri extra legeni metri esse , metrici periodi si succedano. Ed ecco
quia libero scrihentis arbitrio per la necessità di rendere di mano in
rhythmos exigitur. Vittorino , lib. I , mano piìi lontani que' ritorni , piìi
de metris. Giunse alla sua perfezio- variate quelle cadenze : ceco un Ana-
ne il pili gentile degli antichi idio- Creonte che la soavità de' suoi rosei
mi , quando del movimento iambico concenti in quella dilicata fluttuazion
scoprir seppe le condizioni tutte e d'intervalli ricerca la quale, da sola
trarne vantaggio : perciocché nella squisitezza di educato sentire deter-
ragion de' metri altresì perfezione vuol minata, una canzon ti compone di
dirsi un armonico consenso nelle va- finissima grazia, ma
rietà. Il periodico andamento delle non elaòoralum ad pedem. ;
sensazioni successive, come il sinime- ed ecco quel Pindaro immenso
trico nelle contemporanee , è legge Qui per audaces nova dithyrambos
fisiologica nell'uomo, è condizione Inerba devolviti numerisque fertur
indispiyisabile de'suoi vitali ed intcl- Lege solutis.
letluali procedimenti. Quindi , duran- Quando i Romani dicevano che
le l'infanzia degl'individui e de' pò- musas colebant seceriores , -perchè non
poli , nella ragion delle coboletle , dirle con piii nobile sincerità rusti-
nella simmetrica invariabilità de'mo- ciores?
vimenli periodici sta tutta l'arte del (23) Questo è il titolo col quale fu
canto, tutta la melodia della parola, il poema pubblicalo dal Guadagnoli,
M E T R r A R A B r. 27
ai Pisani tra noi (24), per vederci trasportati assai pros-
siinamcnto al nostro scopo.
ma trovasi anclie col solo titolo di spessissimo alla nuda enumerazione
CAazra^w ,")»jnf37J^ (alchazragiato), delle parole dell' arte. -Sa/Zs Lrevi-
eJ anclie di ,4rte metrica, di y4ite ar- ter et non minus ohscure Chazra-
caiM, iV Indicatrice (Casiri, Bi/jl. arai), giacus , esclamava di quando in quan-
/lisp. ad codd. ci.xxxvi ; cccxxx , do il Guadagnoli ; e gli Arabi stessi
ccccix ; ccccviii ; ci-xxxv. ). 11 no- nou mancavano di trovarlo astruoo.
me dell' autore si disse sconosciuto Ma per celebrità il poema ar:ib.> col
dal Guadagnoli ; il Clerico il dcno- latino perfettamente gareggia ■. del cbc
minò Alidaltaìii ; nei codici del- tante trascrizioni e tanti comenti fan
r Escuriale riceve questi nomi: testimonio. V. Castri, uh. siipr. et ad
Dbialdinus Alkhazragaeus Abulcassem codd. cccix , cccxviii , cccxxviii ,
Molianiad; cccxxxiri, ccccx , mclxxvh, mdl\ .
Dhiaeidinus Abi Mohamad Abdalla 11 poema è scritto nel metro che gli
bea Mohamad Alkhazragita; Arabi chiamano carme lungo qabzato,
Dhialdinus Abdalla ben Mohamad che noi trasponiamo in senari
Alkbazragiagi ; sane iiiodoruin quo sonora levitas
Uhialdinus Abi Mohamad Abdalla Addila , slyli sublevaret siccioris
Alkhazragi. laedium.
Il Casiri, coll'aulorità di Assiutbco e 11 lesto che seguiamo e quello che
de' codici dell' £scuriale il rcvindica ne dà il Guadagnoli , e non ne co-
alla Spagna , comunque di famiglia nosciamo altro, sia MS. sia a stampa,
originaria d'Egitto. Ma sul conto di Una edizione intendeva farne il Cle-
lui nou sa dirci altro. rico; ma se la mandasse ad effetto mi
(24) Non si creda però che oltre al è ignoto. Forse recentemente ve ne ha
titolo siavi paragone da ìiistiluiie tra una in Germania , come dal cenno
la Lettera ai Pisani e questa Qazi- di ([ualche giornale potrebbe arguirsi.
da , la quale ad altro non riducesi Ma che sia precisamente questo me-
chead una filza di regole per la me- desimo o altro ]iocma su lo stesso ar-
ra coslruziou materiale de' versi, e gomeiito uon è certo.
♦iD N*7 ì'j;n3 xn p tiSxv
N1D ino NT '^♦p jNn HN' |xa
nnìfs nSnt pò» ^na f^aS 4
XinaK nSd KS-id n'ir |k im Spi
miai hvù ;?iojDD ddì 5
S;raD
Verbvm rEBBO. ( Guadagnolo interprete. ) yf. i. Carmini est mensuru , quae rocatur
metricatio eius : per eam defectus et excessus agtioscet utrumque tyro. yf. 3. Et species
eius die quindecim universae. Componuntur ex duahus partibus , duobus ramis j non am-
pìius. y. 3. Itaque initium pTolationis hominis est littera mota : quod si adveniat altera ,
yf- 1. L'aruza {♦Ì'1V7X è precisa- e che ne determina conseguememen-
mente il palo di mezzo che sostiene te il carattere V. il y. io. E qui gio-
ia tenda , e al quale tutte le altre vi osservare che appunto nella ca-
parli di essa si vanno poi connetten- denza del verso quasi che tutte le
do. E agevole perciò lo scorgere il nazioni , antiche e nuove , trassero la
significato che qui riceve di fonda- denominazione di ciò che distingue
mento , norma direttrice della casa la poesia dalla prosa.
de' versi, come fisicamente è tale nella y. 2. Sono quindici le spezie de'ver-
tenda , /a casa de' peli. Per la stessa si secondo Al-Chalil e gli antichi ; ma
ragione indica la parola abuzi quella Zamaksciar co' moderni vi aggiungono
parte del primo emistichio che fa la la sedicesima. V. Cikcoi-o coxconDB-
proposizione , V esibizione del ritmo, Giaucliar però ed altri non vorrebbero
QAZIDA CHAZRAGIACA
DELL' ARTE METRICA E DELLE RIME.
,V':
ha legge ne' carmi, e aniza si nomina:
Se manchin, s' eccedano per quella si sa.
2 De' carmi son quindici le spezie ; ma ognuna
Per doppia procedere misura dovrà.
3 Allor che una leltera pronunzi, la muovi:
Se un' altra ne aggiiigni , la corda si fa ;
4 La qual, se la lettera che arroge è in quiete,
Fia lieve ; ma è grave, se mossa sarà.
5 Aggiugni altra lettera , e il palo n' emerge :
Congiunto , se posa : disgiunto , se va.
De' pali la formola, in arabi accenti ,
Per questo dà FaH-Lo ; per quello, Fa-HaL.
dicetuT hoc , chorda : eritque patenler. Jf. Levis quando quieverit , sin autem e cantra.
Et die , Faxillus , si addideris Utteram sirie suspicione. V." 5. Et vaca paxillum coniun-
ctum l^Q : et e cantra sit ut 1)^2.
riconoscerne più di undici. — Le due tes , qtiod verba modidadone comie-
misure per le quali proceder deggiono ctat. Viere enim conncctere est : unde
i versi arabi sono i pali e le corde , vimen dictum virgulti, species et viti
di che abbiam già detto abbastanza in ro/is. Viltorinoj Hi. I. de poetica.-
alle pagine 22 e 23. Qui osscrvciemo Anche vili desidera un luogo ne' les-
che consistendo in tal modo tutta sici. Neil' antico Glossario appena si
l'arte de' poeti nc\ ben legare ai pali ha vitus.
le corde, assai vicini ci troviamo al- y. 3. v. sopra la nota i6.
la etimologia che stabiliva per la pa- Non labiis hiscere, non sonare lingua,
rola vaJe un antico gramatico. Qui Ulliifiiq.meatitm qtieatexplicarenisus,
versus facit , ci diceva, vcifA to TtMiv T^^ocaUarictam nisi luncla disserarint.
dUctus est Toiitrris , latina li/igiiri va- T£iii:<ziANO.
OO D K R I T I S
ah an 'j^xddVni Sp rroNoB 6
, nn pN fiiDi NDonn -|nìQ'
<•' NS"! nVyxiD ìStn5d l'^iya 7
nn NO n^^c^Na ddSn* Vi^x \nìòy
Et ex genere duorum horum pars iam proi-'enii fersus. y. 6". Quinaria eìiis die et septe*
naria : deincepsque ne d^sit tii/t ulterius addere. Tondemque videbis y . 7. TblU3 » ^tc. Ra~
dice.'i sex aut decerti quotquot contirteat versus,
y. 7. Lr. lonMOLi; XUX/N (alag'^'*'')- giunlo fra due corde lievi , dà un palo
Le quattro forinole dalle quali le disgiunto seguito d« due corde lievi. E
diece provengono possou dividersi in una mtvyia araba , come del pari la
tre ordini ; seguente. Si ha dunque da
I." Th-W fi j cioè fa/iu'-/oii, un palo ìr\-ìÒ'VìiÙif"'^'''^'^'''^'"'> E'-it^itos /S'
congiunto e una corda lieve, un 6a- 'ì-)-^^p^-^'Q, mos,ùifhi-lon,'E,'7nTfnas'Y'
rhio. Si cangi la corda di posizione e pJ^'^-W^QQ, 7«q/i /j«',/«fó, Eirir/iiros V
si avrà un eretico "Hv-^j^Q ,fà-hilon.- È da notarsi che questi tre epiirili
E son queste le due forinole di ciu- che vcggiam sorgere dal palo disgiunto
que lettere. colle due corde lievi ben potrebbero
2.° 'f^-''V-aSO''"°f'^ > hi' ,lon , un designarsi co' secondi nomi che al 2.°
palo congiunto e due corde lievi : vale 3.° e 4." epiirito assegna Efestionc ,
a dire il primo epitrito della poetica Carico , Rodio e Monogene , Kapi/.o;_,
greco-latina. Or si cangino di posi- P0S105 , Movoyeni».
/.ione le corde, e ne avremo altri due: 3." La terza formola , quantunque
in'Ji^^V'NS'.^"'^"^'^' '""> E'TiTpiTo; /ì' anche di selle lettere, costituisce un
l7V'Sr\~DQ '""S) /"fi hilon, ìì/TTirpiT'ìs y genere a parte de' versi arabi , quel
Mancherebbe il quarto: ecco adun- genere che dir potremmo metrico nel
que la necessità della quarta forraola significalo di potersi sciogliere una sil-
?]-)f{(l-y{^£j.yaV«, fo', ton , la q\ialc laba lunga m due brevi ; se non che
i|\iaut;uiquc composta colle slesse lei- in arabo si iia l' inversa. Car.ittfrislica
tcre della penultima, riceve una divi- di un tal genere è la corda grave ,
siono diver-a , e invece di un palo con- la qua! sempre precede una lieve, e
METRI ARABI.
Ai pali le corde se accoppi, ceco il metro
6 r'ui sol cinque lettere o sette chi dà
3i
Le forinole prime degli arabi modi
111 serie brevissima disposte vedrà.
7FdHùV-LòN:I\IòFiA-HTl-LòN:MuFriA-HiLa-T5N:eFàA
Ht-LaA-TùN. L' epiploce sei altre ordirà.
forma cosi un anapesto che dagli Arabi È notabile del pari che gli epitriti
diccsi n^;n7';(N3 (ftiiélalon zogra ) , considerali in due classi a modo ara-
diriinente minore : e le due corde co- bo , secondo clic le corde entrino in
si combinate precedono o seguono il composizione coli' uno o 1' altro palo,
])alo congiunto. Se precedono, si ha : vengano da per sé a classilicarsi sotto
PV'Xi'nO » "20'" •• /"' ' hiloii : un il doppio riguardo di epitriti a base
anapesto e un giambo : iambica e di epilriti a base trocaica
se poi seguono , si ha : che gli antichi musici distinguevano.
fn"'7y"N3D ; rnofà , Itila, ton : un Tali industrie da' Greci s! dissero
giambo e un anapesto.
E son questi i dieci metri primitivi,
che diconsi radici 7li(J< ( azùlo ).
E notabile non solo che al Guada-
t'rio-Xoxa/ e dai Latini amplexiones (*).
Se ne contavano tre pei metri puri :
1.° Di tre tempi per due specie ili
versi , ÉTTi'rXojtn ^i/a^xij r(iiati\j.as : e
gnoli ed al Clerico sia sfuggita una comprendeva il giambico e il trocaico;
classificazione tanto semplice e insic- 2.° Di quattro tempi anche per due
meniente di tanta importanza , come specie di versi , syi-rXoxri Si/aS/xi| rj-
sarem per vedere ; ma che il Casiri rpa'jtiu.os ; e comprendeva il dattilico
(ub.supr. 'rom.I.p.84') riduca a cinque e 1' anapeslico ;
soltanto le formolo dell'araba prosodia, 3.° Di sei tempi per quattro specie
e in luogo de' sei epitriti, comprese di versi, £^iirXoxii TtTpaS/xj] eSaffriiiios;
le sizigic del 2.° e 3.°, la sola formola e comprendeva i due ionici , il co-
produca di mostaf/iilon. riambico e 1' antispastico.
(*) Hd auche questa parola manca uc' Ica- sicì. £ in Vittorino^ lib. I, de epiploce*
02 DERITIS
|SyND S'XfiD S^^iXaa inNS;^
NiD NDrrypiD nona 'jon *
Nann3:in Non'a 'nNTxt noa *
Impetierunl sagittù suis duabus amasiae nostrae , et assecutae sunt me cum dolore, >«-
cundum casum suum adacquate. - Et quod ad meas affectiones respectu eanim , fateor ,
gratas habui. Heque manus est tam longa , ut simile perficere possit.
L' esempio qui si propone di scan- alle forinole arabe i nostri segni pro-
q(Ìre i versi arabi , ed è notabile che sodiaci.
sia quello stessissimo che i nostri an- 11 distico dato ad esempio si scan-
iichi gramatici praticavano. Il che si disce cosi (*) :
rende manifesto col solo aggiugnere
fahiUlon. mofa'hi'lon mofa'hilaton efu'-hildton mofha'hilon mofa'hi'lo fdhilon
asa'bat bisahmajha' giavarihona' fada'-raku'ni' bihimmatia kavaqàjhima' sava'.
lama' za'hira'ti' fi'hima' hhaggiabathoma' vaia' jado tho'la'honna jàta'doha-'lvafa'.
(*) Sui modo da noi adottato per rendere belo, v. in fine la Spiegazione delle tavole.
il suono delle parole arabe col nostro alfa-
51 E T R I A R A B I. 53
Ad esse , in periodi seguenti o alternanti ,
Adagia i tuoi versi. La regola e qua :
Fa liiC lon , mo fahrion , mofdHii'' la IcClon , e /à'
)) Da lungi lor saette due ninfe scagliavano;
hi hi' io , mo JW lii'lon mofa' hi' lo Ja'hilon
» Ma qui dentro T anima nel cor si vibravano.
» Oh qual dviolo , qual pena!. . . Ma pur soavissimo,
» Ma caro è quel tumulto che al sen mi destavano
Ma pel solilo vezzo arabo di ag- Cosi quasi sempre gli arabi poeti
gruppare molti significati con una so- vanno più interpetrati che tradotti.
la espressione , 1' auror chazragiaco Lo scandire de' versi dagli arabi è
varie altre cose olire alla norma di detto V'tDpH ( laqibiòn ) iaglioì. pre-
scandire i versi ha voluto qui pre- cisamente la caesura de' latini , la
sentarci: rofiri de' greci nel significato esteso di
1.° Col primo emistichio , potersi distribuire i versi nelle varie sue parli
spezzare una parola ira un membro cum carmina per pedes rei per di-
e 1' altro del verso , purché la frase podia feriuntur , come con tutta pro-
entro il periodo del verso , intera si prietà diceva Mario Vittorino. Cosi
conchiuda ; nel verso ;
a." Col secondo emistichio , potersi liane tua Penelope lento liii miltil ,
variar le formole senza detrimento Ulisse ;
del metro; non la sola pe è cesura j ma sibbene
3.° Entrare al computo delle lette- l' intero piede pe len : il che i no-
re anche le nitnnazioni e i raddop- stri precettisti non avvertono. L' esem-
piamcnli in forza del /esc'>/((/ ec.ec.ec. pio è tratto da Diomede, lib. IH.
Tom. III. ' 5
u
DE R 1 T I S
pK'V fl5 TX"!"! frx'^N '^x 3mD 8
( Sunt formulae iam carminis ut supra dictum est ) Radìces sex aut decein qaotfiuot
contineat \trsus-y. 8. Et dispone iuxta mensuram circulos quinque , in quibus est a]>pa-
ratus : pars ad partem. : iungeque htrios.
y. 7 bis. Secondo la nostra inlei- versi appailenenli al i.° e 5.° circolo:
petrazionc nel secondo emistichio do- sou senari quelli degli altri tre ( Diasi
vreljbe leggersi : un'occhiaia alla lav. I. ). Ma si noti
♦in XJ3 ^D7ii^ fXDnSx SdX "^''^ comunque nel primo circolo la
e tradursi; radice oclava vel sjxta formola occupi la meti dell'arco , non
quisqtie concludilur versus, il che se cessa il metro di essere ottonario essen-
non si ammetta suppor qui si dee do doppia la formola; come non cessa
una lacuna. di essere scnario il metro del quarto
Certo è che il ritmo determinati circolo la cui formola occupa la metà
dalle formole viene anche appo gli del cerchio, perchè tripla,
aiabi a divenir metrico coli' arrestar- "J^. K I ci.'ìcìue circoli, come assai
si dopo una data replica delle sue bene il Guadagnoli interpetra , son
parti componenti: e che, nel periodo qui designati dalle cinque lettere J,
intero, queste parli sono oUo o sci. fi, 7j tJ' , p : comunque le parole
Cosi un verso arabo ò oUonario pj^Q p;^^ m { gal" lasciq ) , eh' ei crede
( mothàmmanon) nel primo caso,è se- non poiere altrimenti esprimere un
nario o esametro [3"1D»3 ( mosàdda- significato ragionevole , dir potrcbbc-
son ) nel secondo. Sono ottonari i ro molto a proposilo : faoibim recìde
M K T II I A U A B r. 35
7 Fa studio a lai forinole: la sosta, l'oliava.
De' carmi la serio iiormal chiuderà.
8 Che se per Ga, F, La, SCI, Q vievia cinque circoli
Componi, armonizzi: al lin si vedrà
Che in essi comprendere degli arabi modi
"Potrai la volubile moltiplicilà.
'.\\
separatioriem. Cosi l'ottavo verso pò- E quantunf(ui; i noslii giaiiiatici non
Irebbe tradursi yBDUUM fERiio: El ne lactiano espresso ri(Ordo; pure, che
dispone iiix:a mensuram circii/os : ne fosse usuale la pratica , dal se-
ficitem Tedile sepamlionem praed- guente squarcio di Vittorino si mani-
lain numero certo , piirtem parli , lesta. Hoc quoque digniini eruditis
hiuos òinos. A.1 che conforta il con- auribua non praelermiserim repertiini
testo (li ciò elle precelc , e la scgiieu- in exametro versu dactylico cui ta-
te immediata enumerazione di queste men duo cola e dunlius daclylis et
parli e di (juesle disposi zioni a due spondeo conslibunt , qualuor pedes
a due nel verso ottavo. dissyll(dios j id est Irocliaeum , iain-
L' enumerazione de' cinque circoli, Ijum , pyrrichium , spondeurn per or-
de' versi che a ciascun circolo si n- dine?n semper pusitos inveniri . . , . et
leiiscono , e delle Imuiole che a eia- appetlutur quadrupes ^iuo^Exacrriuos iri-
scun verso si assegnano è nella se- pioSo;, eo quod qualuor pedes tempo-
guente pagina. Si riscontri colla tu- rum duodecim quasi per r inca-
vola I. TIM QLES D.l \f HECVRRESTES Con-
Intanto si osservi che lai iistcìnat-ci tinent. Lib. I. de d ictylico metro.
periodi non sono ti' araba invenzione.
*
36
DE K I T I S
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U K T R r A R A B I.
3?
( ' 1 K C O L O. CARME.
DIVERSO
alnioilil;il<'fatu
CON VIZIENTE.
aliiiuUili iutn
(Il
.SlJllLE
:iliiiosc'Uil)rhato
(V.
MOLTIPLICE.
alinoK'ialiiUto
V. CONCOIDE..
ajiiio'.ali'ijaio
Lt>xc()
allii\ ilo
Disteso. . . .
almatlido
SriiO
albasido
EsLEr.Il.VS'TE.
alvuloro
Pcn TETTO. .
alkàinclo
Cantilena .
alàzagio
Satira
aiiiigiazo
BuEVE
anamalo
Veloce ....
assai'iò
]'^.M]:.s,so ....
aiinosarlieo
Lieve
alclialilo
Simile
aliiiozareo
Conciso. . . .
alrnnqra/cbo
Con VI- ESO. .
aliiinji^'l.ilo
CoNGIL'.NIO. .
alinolaqaiebi)
CciN.SEGDEN lE.
ilmoladàirko
FO RMOL A.
PERIODO.
/li/iii'hn r>io/(/'/u'/o/i.
/a'//i7a/on /ii'/tiion . .
mostafhilon fahClon .
quattro volle
ìnojli'ìiilalon.
Jiiotàfa'fiihn.
moj'a' /li' lori .
mosla/JtUon .
fa'hilaUon. . .
sei volte
nio\laflrdoii mosiaJ?ii/on mof/iu'lato.
intintafliilon rnofftu'la'to mosfnf/iilon. . [
f.i' hi/a' tuli mos tajlii lonfa' liUcC tori
nioja' hi' ìonfa'hi la' ton mofd hi' lonj
ììiofliu'ta'to mosUifhilon mostafhilon
mos tajhi ton fa' hi la' ton fa' hi la' ton 1
due volle
fahu'lo'i .
fa' hilon.
otto voile
38
DE R I T I S
ròDQ) fii;'Vx -iii''7N -)5n' Spi io
Njn;'NJ pnaSx dS;>k 3-iì'Sn* n^Ss* p
"y.ff- Et ex ìpsU compaginatur ostium , domusque ex ev : et poemata ex clomìbus car-
niiniiin , iuxta aequationem - \ . io. Et die dtctirinem ultimum primi versus Vlli^/X , ideit
obìationem rithmi : et similiter iiltimam posterions voca 3"ll.'75ì j'uhutìoneiu : agnoseitu
rìijjerentiam secundum formahtatem.
y. 9 e 10. La nouicnclalura qui si
espone delle varie parli di un verso
secondo i vari siti che occupano. Dia-
si tuilavia un' occhiata alla iav. I.
E dapprima : Le frecce maggiori
dividono i circoli per mela, o giusta
l'esprc-'Sione del if. 8 , siniuieirizza-
no le parti a due a due. Cosi quella
disposizione niclrica che cominciando
dulia puma di una Ireccia finisce alla
sua penna, è simmetrica, anzi iden-
tica , coir allra che dulia penna alla
punta ritorna. Queste due grandi mela
di un verso dicousi dagli arabi le
porte della casa HoSn U'Nli'.^
( uuzraài-'lhaili ). INui le diremo emi-
stichi.
Le frecce minori indicano le sud-
divisioni.
Ne' rersi ott.nari ogni emistichio
vien suddiviso in due, ed ognuna di
queste suddivisioni contiene due tur-
mole. Ecco perciò quattro parti in
ciascun verso , e quattro nomi. La
prima dcd i." emisi, dicesi accesso ,
principio "l'iy'^X ( azzddro ) che cliia-
mereiiio ztdra ; la seconda , propo-
sizione o esibizioìi. delta rima t'1~l^''7N
( alaiiizo), che diiemo ar«3J.Abhuim
già vtduio, y. 1 , che questa parola
significa precisaiuenie il ]ialo di mezzo
della tenda.
La prima del 2.° emisi, è del. a dal
iiosUu aulore semplicemente parte
M E T R I A R A B I. 3c)
9 Le misrae de' carmi va quiiuli a distinguere :
Sou esse de' versi le grandi metà.
La prima si è quella che il ritmo propone
Seconda si è V altra che il replicherà.
10 Dell' una sul line V aruza ti avrai ;
La zarbu hai ucll' altra che accordo le fa.
Ed ambo le misrae di poi suddividi :
La zatra , la àgiza ancor si otterrà
WJ^SN (alàg'zo): alln le dau nome Re' verii esametri però (circolo ii ,
di /j/Ync /«o -jj-|3X7kS* ( alabledào); in e iv ) ogni emistichio è diviso
l'ultima y«.s(5<o/2e della leuda, per- in tre: ed allora, rimaueudo le stesse
c«.sL«o^e della lima 3-)r»%«(azzarbo). denominazioni per le parti estreme,
Diremo 1' una a4/ef/«a, l'altra zcirba. la parte media tanto del i.° che del
Vedremo in appresso che gli araldi a." emi.t. prende nome di rientfjimen-
maestri grande importanza ripongono to «leTT^X ( alasc'vo ) , die diremo
nelle sarbe piuttosto che nelle aruze hasc'va.
per la di,tinzi.)ne de' vari metri , es- La nomeaclatura perciò delle varie
scudo appunto le zarbe de' versi ara- parti de' versi arabi , è come segue :
bi le sole obbligate ad uniformili ; Ae' versi ottonarii
ma non è qui da tacersi che col no- i." Emist. Zadua , Abuza.
me di zarba si distinguevano appo i a." Emi.t. Eutedaì , Zarba.
greci alcune celebri cantatrici fore- Ne' versi seuai i '■
stiere: Ai' Ss (iwcroy^o. , j3ap|3:<p'., „<r5„ ,." EmisL Zadra , Has'va , Abuza.
ri;v^.xw ovou» oirrois £^,;ta,p,ov Zap)3». 2." Emist. EurEOAV, H.vs'va , Z.u.ba.
Snida, V. fiouffoi/py 01 .
40 BERITIS
♦5ì nsNiD ìN on ni'^i p'^y
Txn yrco iKnmi xtsnnnn 12
h:ìii NDnra piiSxs NamoN
npìsi iDtj'i rrnn DNpDXì i5
KIDIN ^nj'^Ni rù^hìi an n^a in
J' ' il. Cam completae fuerìnt partes, àicitur domus , secundum arcum suum , ohlatio rilhmi
et pulsutio eius : completa vel diversa perficitur.-'yf . t3, Cam eleganti utriut^que concursu :
et adiunctum fuerint tectum suum promines : ultimum utrìusque : et discretio inttr utruni^
qite sit darà. - y. t3. Et occursus duarum partium eius et medietatis : et praecipua est
ipsa pars , tuni medielas. Excellentia autem t si nova prnftrantur in lacetn.
W- Il a i3. L'andamenlo »7e//-«co , della prosodia latina non diceano
0 a dir meglio /•Umico, che i circoli soltanto; questo è un verso iambico,
rappresentano nella massima eslensio- anapeslico, ec. ; ma aggiugnevano ,
ne, può corrersi interamente o in monoinelro , dimetro, ec. acalaletlo ,
parte ; e la cadenza de' versi può es- catalettico , ec.
sere secondo la formola , o variarsi. Riguardo alle variazioni dcjla ca-
1 notni arabi the i versi assumono se- denza de' versi , il nostro autore ac-
condo queste varie condizioni forma- cenna appena la facollà che n' è data
no l'argomento de' yy - Il,i2ei3; al poeta. Ala gli altri maestri arabi
a' quali nel lesto si appone speciale diffusamente ne ragionano, come sa-
rubrica nX'SN/N DXp7N ( alqàbo- rem per vedere.
'labiati ) denominazione de' carmi. Riguardo poi alle diminuzioni del-
Cheppeiò, non basta dire , come or- 1' intero periodo , trascura anche la
dinariamente or si costuma : j to/« -uersj circostanza di potersi ridune un ver-
appartengono al carme lungo , esteso, so ad una sola parte, ad esser cioè
ec; ma fa uopo aggiungervi altre spe- monoiiietro.
cificazioni. Cosi gli e.-atti conoscitori Tra il metodo arabo e il grero-la-
METRI ARABI.
41
1 1 O giusta le forinole 1' aruza , la zarba ,
O in altra seiubianza produr si potrà :
12
E far che dell'arco la meta raggiungano ,
O d' un , due , tre stadi si arrestiu di qua.
i5 £ il carme, secondo lo stadio che corre,
Giaziato , sciatrato , nahiicato sarà.
Ma restin spiccanti tuttor le cesure
Nel mutuo concorso di alterna amistà :
Variarle , sportarle dee 1' arte maestra :
L' ingegno sol cangia 1' ardire in beltà.
lino, riguardo alla maggiore o minore
lunghezza d' un dalo melro , altra
diflerenza non v'è che 1' inversa delle
progressioni: quelli per diminuzioni,
i noslri procedevano per aumenti.
Che però- i versi arabi , secondo
elle vengano più o meno diminuiti ,
assumono queste denominazioni :
Il verso oUonario diminuito di due
parti , rimane senario; ma per distin-
guerlo dai seuari interi , dicesi oia-
ZATO V30 ( mag'zuvon ). — Gli otto-
narii non ricevono altra diminuzione.
11 senario diminuito di due parti
prende il nome di QUArERN^aio gia-
ZATo ìfjl'j y3"lJ3 ( morabbaòn mag'-
zuvou ).
2bm. ///.
11 senario diminuito della metà ri-
ceve la denominazione di sciatrato
TDtJ'D ( masc'lhiiron ) e diviene TEa-
NABio n^nO motbàllalhon ).
Rimanendo una sola parte per ogni
emistichio , rimane binahio 'ÌHO ( ""*"
thdnna ) , e dicesi naukato "IHIO
( manhiikon ).
Può ridursi anche ad un sol piede;
ed allora ha nome di nahìato-scia-
TRATO -jinyjSx "nOwD ( masc'turo-
'1 manbiiki ).
V ha qualche esempio del periodo
quinario. V. Carme perfetto. Nessu-
no sen produce del settenario.
^2 DERITIS
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ilf. U- £f /JOM imbrem exigit mannae : et si libuerit , licentiam stime poeticam, pnfer
luì intelhclus acumen -yf. i5. Et sensus est , quod Carmini licei textura , privata seti
ilfficiens caparle quam regulariter exigit -y. 16. Sed quamdiu convemens Carmen , utique
Non ho saiiuto rinvenir notizie sul- zioni ritmiche e metriche nell' araba
r autore de' versi che seguono , iin- versificazione.
portaulissimo complemento della Qas- Le forinole ritmiche proposte da
ragia. Al-Clialil non sono inflessibili , quasi
Comunque il (juadagnoli , non corrispon ler dovessero, /etòra/jer /e/-
sempre altrove felice , infelicissimo si fera , i tali movimenti ai tali modelli,
mostri nella iulerpetrazione di essi , Molte di queste lettere snltrar ai pos-
dobbiamo ad ogni conto essergli grati sono 0 privar di mozione ; purché sic-
per averne fatta la pubblicazione, no nellci seconda delle corde. Ciò di-
Tutto quel buio che nel linguaggio cesi Zuiìf.i.. {1 molte anche soltiar.se
dei dottrinali 1' araba versillcazioiic ne possono ne' pali anch' essi e nella
inviluppa , vien qui mirabilmente a prima o in ambo le lettere cordali:
diradarsi. ed anclie aggiugnersene. Ciò addinian-
In questi primi cinque versi il si- dasi Ella. Delle prime si ragiona dal
sterna si va enunciando delle varia- y. 19 al 20; delle altre dal3i al ifi. -
W E T R I A R A B r. 46
Carme del Re de' Poeti
BADER AL ADI NO DAMAMI ANO.
14 Qiial pioggia alcun briciolo di manna dissolve;
Si trarne alla forniola il vate potrà :
i5 Ma trarne tal parie, ma trarla in tal modo,
Che in nulla lamentisi di sua venustà;
16 O d' indol cangiata, per tutto il poema
Proceda in sua svelta novella beltà.
17 Sua scialra non s' abbia la ncjiia , la settima :
Ma trarla a una ibrmola ti avrai facoltà.
18 E amplissimo arbitrio ti dan tai riguardi,
Da' quai , chi imprudente ritorce , trasvà.
illud erit in reliquo texiura congruum , sìne suspicione - y. 17. Et in septima et in nona,
pausalio medietatis optime cadtns : et permiserunt excellenìiam erroris , i. licentiam poeti-
cara, magistri poeais - y. i8. Quid autem ex his licentiis poetae conveniat , estoprudens,
et fuge viam transgiedientis.
Ma le élla uoii modificano i soli an- candosi per élla o per zi/iafa addi-
dainculi ritmici , mirando speciaJmen- mandasi derivata, o rutno W"1£) (faròn).
te alle clausole, alle catalessi de' x. 17. E tra le avvertenze genera-
ritrai, secondo il iisleuia melrico de' li ^ ciò ch'espose il Qazragiaco nel
Greci e de'Latini. E finalnienle le eV/e y. 12 qui dal nostro re de' poeti ii
e le zi/infe in alcuni andamenti me- dilucida. Quivi non si era fatto parola
trici e ritmici alteruano le loro fun- dei periodi monoraetro, trimetro, peu-
zioni e le une prendono il carattere taraelro che aver possono i versi arabi,
delle altre. Quindi per le zihtife gli e che notammo in pie di pagina, par-
avvcrtimcuti dal y. afi al 3o; per le landovisi soltanto de' numeri pari. In
èlle dal 46 al 5a. questo verso , con escludersi 1' etta-
Pcr tali trasl'ormazioni una formo- metro e 1' enneamctro , vengono tutti
la piiitìitiia, che abhiam veduto de- gli altri ad esservi inclusi , sien pari,
nominarsi radice , pag. Zo, medili- sien caffi.
*
44 D E R I T I S
Non'p fi'in'^Ni |X3Dx':'X3 iSni 20
N;^3nD inovnSx nSx 'jxnia i^n^ 21
y. 19. jB< alteratìonem secundae ex duabus Chordae litteris , nomina Ulani tOXni , i.
Vrols^psam: ac proinde ìli< , pars crit ^ vt?/ u/ ^DHH - Y- 20. Idque litteram privando vocali j
vel rendendo penitus , in utroque,s. Palo, et Chorda. Estque universale secundum regulam'
exequere igilur iuxta licentiam - y. 21. Et illa in secunda partis "IXDXS^X i- quies se-
X. 19 e 20. ZiHATA tlXnt^ sdnic- verso; delle altre ne' due seguenli.
ciolamento , serpeggiamento : consiste Oltre però ad un certo limite che
nella sola vnriozione nelle corde , nel aver deggiono le variazioni delle for-
ridurre cioè ad una lettera mossa la mole riguardate isolatamente > altri
corda lieve; e ad una sola sillaba , sia limiti ricevono nel venir tra loro in
lunga , sia breve , la corda grave. composizione , nell' incontrarsi cioè
Egli è chiaro, che rimanendo i pa- una corda finale di una forniola colla
li nella loro integrità, tali riduzioni corda iniziale di un'altra. I vari acci-
considorar non si diggiano di molta denti circa 1' uso delle zihafe in tai
importanza, anche a tutto rigore del casi vengono enunciati dal 26.° al So."
metìico andamento. E perciò risguar- verso.
dar si vogliono come licenze poeti- Y. 21. Izmaba "i}^J2\{j^'^j^ ( alizmà-
c/te , a pieno arbitrio del poeta. ro ). Consiste, dice 1' autore del Cha-
Le quali licenze affettar possono mus , nel togliere la mozione alla
o una sola o le due corde di una lettera T nella formala motafa'hilon
formola. Quindi le zihafe diconsi sem- del carme che dicesi perfetto. Non
plici 0 doppie: e queste ultime , ren- insisteremo nell'errore del Guadagnoli
dendo i versi alquanto languidetti , che crede applicabile V izmara a qua-
sono piii condonate che permesse. Del- lunque caso nel qual s'incontri una
le prime si fa parola dal 21.° al 23." seconda lettera mossa nelle formolc ,
METRIARABI. 46
Di Ulta mozione 0 letlera tolta.
19 Di tulle lo corde la lettera estrema
Privar del suo molo , soltrar si potrà.
20 Zihufa eiù è delU) : ma nome specifico ,
Dal sito in che trovasi la lettera , avrà.
21 D' izmara , di c/iabna, di vaqsa si ha il nome,
Se mai la seconda variar si vorrà.
cundae litterae dicctur : et si sequatur ttiam \22 i. reiectio ipsius secundae litterae. Et Vpl
i, utrumque simul, i. non solum quies , sed reiectio sccuadae litterae. Voca igitur smguta
prò ut dee return est.
non essendo possibile che altrove si pitri/o 4." ia antispaslo e i' epitrito 3 .'
rinvenga olire all' unica foimola che in ditrocheo.
nel Chanius si enuncia; noteremo sol- Vaqzi Vp^/X ( alvaqzo ) ditnimi-
tanto che l'cflello dell' /;/«ar« ad altro Sione. Riguarda anche lascia lormo-
iion riduccsi che a cangiare di a«a/7e- la del carme perfetto, alla quale to-
sto a spondeo i piedi caffi del dipodio gliendo affatto la seconda lettera mos-
giambico. V. Circolo conveniente. sa riduce l'anapesto a giambo, e i'in-
CnABV.^ p337}^ (alchabno) ,«'n«a- tera formola a diiamho puro. — La
liane. È rimuovere la seconda lette- sottigliezza araba non manca di con-
ra ([uicscenlc dalle forinole clic co- siderare la vaqza come una doppia
ininciano con una corda lieve. E per- zihafa: come se, renduta quiescente
ciò nel primo ordine delle formole la seconda lettera della formola per
(rahe { pag. 3o. ) cangia il eretico m izinara , venisse a togliersi poi per
iiiapesto ; e nel secondo, riguardo chabna: vale a dire, che per ridursi
agli epiirili di base iambica ( col palo l' anapesto a giambo faccia uopo che
congiunto ) cangia V epitrilo a." in prima si trasformi in uno spondeo. E
gionico ut' ik'xaaavai , e 1' epitrito 3." con queste meiaraorfosi è descritta la
in diiamho; riguardo poi a quelli di vaqza nel Chamus; il elle dal Cleri-
base trocaica ( col palo disgiunto ) l'è- co si ritiene.
46 D E n 1 T I s
NJj nps n'?xi pD» fx v'^-inSK 'n
d:)n5d Sp:; on ppi 3ìti 20
'yp3K PxdSn ynxoSf* Dipn ^idt
V- 22. Quarta autem non langitur , nisi eius implicatione ^ ideat rcieclione ^ si fuerit
privata vocali^ alioquin immunis trit - y* 23. Et privare vocali quintam , et negligere
illam : item reiicere septimam , si fuerit quiesccns : iam decretum est.
X. 22. TaIa 'J3'7X ( sl's'o ) impli- dicesi izmara , in quella del carme
cazione , V involvere. Può aver luogo, esuberante prende il nome di àzba.
come scoigesi, negli epilriti l.°e4.°; Qaeza l>3p7X ( alqalizo ) contra-
cangiandosi il primo in coriambo , zione. Togliere dalle formole la quin-
1' alno in ditroc/ieo. E potrebbe aver- la quiescente cordale importa; in quel-
si nella formola del canne perfetto le del i.° ordine , ridurre il hachio
nella quale la quarta lettera è quie- ad rw?^ir«co; e in quelle del secondo,
scente e seconda cordale. Ma 1' ana- V epitrito i.°a diiambo, e l' epitrito 2."
pesto allora cangerebbcsi in tribraco: di base trocaica, a coriambo.
e quattro sillabe brevi né gli Arabi Aqla 7pV7X ( alaqlo ) collegazio-
auinieltono ne i nostri metrici appro- ne. Colle stesse metamorfosi che ve-
vavano. La taia in questa formola si demmo nell' anapesto della fornmla
concede soltanto quando la corda del carme perfetto , si fa or l' anape-
grave supponesi già ridotta a lieve, sto del carme esuberante ridurre a
V. appresso Chazla. giambo dopo il passaggio a spondeo per
yf. 23. AzBA 3W7{< ( alàzbo ). La dzba : in modo che 1' àf/la sia una
riduzione dell' anapesto a spondeo , zihafa doppia collegandosi Ydzba colla
che uella formola del carme perfetto qazba.'Ldi formola riducesi a diiainbo.
JJ E T R I A R A B I. 47
22 La quarta nou toccasi s' è mossa : in quiete
Dirai clic por tuia V esilio si avrà.
25 Posar poi la quinta , morir ne' due niodi ,
Per àzba , per qahza , per àqla si fa.
E, al par della quarta, posando la settima;
Dirai che per iciffa sbandita sen va.
Kaffv flt^7Ì< (alqaflb ) cessazione, o-iTXoxri %vrji\i.ir.i\ T(3i*71[xos : media , in
terminazione. Per essa i' epilrito 1° ragione anche ritmica, Ira gli epi triti
ridiicesi ad antispasto , il secondo e i pconici,
di base giambica a ditrocheo , e il Unum ctim faciuiit duo pedes iiignti.
terzo di base trocaica a gionico uTa Or, clic nella prosodia della natura,
uéi^ovo;.- ^o^ La luogo nella formola una tal trasformazione sia di licvis-
del carme esuberante per le stesse sima importanza , la poetica di tulle
ragioni eh' escludono la tof'a in quella le lingue viventi depone: e la pro-
dei carme perfetto : e per le slesse sodia delle scuole il convalida quan-
consideiazioni sol vi si ammette in do i vari esempi classici v-a enunie-
uniono dcìVdzòa.V. appresso a^jza. rando ne' quali , ncmmen come li-
OssEnVAXiONE GENERALI! SU LE ZI- ccnze , ma come semplici variazioni
iiAFE SEMPLICI. Gli epitriti qui veg- nel metiico andamento , come per-
giani trasformarsi ad arbitrio del poc- mutazioni mere le considera.
la in quella prima serie de' tetra- E lo stesso è da dire del ritmo ni-
siUabi della prosodia greco-latina dal- sillabale. Pei pentasillabi , v. Circolo
la quale ritmicamente formavasi l' t- co.vvENiEsrE.
48
DE U I T I S
y. 24. £f impUcatio tua post reiectionem secundae litterae , àicitur truncatio manus : et
postquam praecesserit privatio vocali secundae Utterae , dicitur ambulatio cum claudicatio-
ne , seu curve t ò puer - )[, 25. Et reiectio septimae Utterae dum est quiescens , post re-
^. 24 e 25. Chazla ^f^^ti ( al-
chaziao) Frattura dal dorso. Kiunione
òf\V izmara e della tuia. Cangia nella
formola del carme perfetlo 1' anape-
sto in IrocQieo, e tutta la formola in
coriiambo. - Scrivesi anche 7fJl*7{< per
J { algiazlao ).
Chabla 735^{< (alchablo) Tronca-
mento della mano'. E la riunione dilla
chabna e della taia. Cosi V epilrito 2."
di base trocaica è ridotto al />eo/je /.°;
e Vepitilto 4.° al peone S.°
5ciAcLA 73tJ'7X ( assciaclo ) figu-
razione. E 1' accoppiamento della
chcibna e della caj/'a. Cosi l'epitri-
io S." di base trocaica riducasi a peo-
ne 2.°; e V epilrito a." di base giam-
bica a peone 3.°
N.VQZA l^pjVx ( annaqzo ) Difetto ^
meschinità. ^ìumsce V diba alla caff'a.
11 che non potendo avvenire se non
nella formola del carme esuberante,
trasforma anch' essa 1' anapesto in tro-
cheo , e tutta la formola in a/i/jV*'°-
M E T R [ A R A B I. 4f)
Z)i due mozioni o hllare talk',
24 Però tuia e izmara i versi dilombano ;
E monchi si rendono per leda e chabiià.
26 Unir chabnà e kciff'a e un farli fantasirae ;
Unir k([ffa ed àzba tapini li fa.
E i quattro difetti in arabi motti
Dirai chazla e chahla e sciacla e naqzà.
iectionem secundae etiam litlerae tììcilur figuratio , seu ad volantalem componete : et
postquam praemissa est quies quinlae litlerae, seu privare ipsam vocali j reiicere cum hoc
septimam : omnia haec , defectus fugiendt.
OssEavAirosE ceser.vle si; le zi- musico degli aniiclii gli epitrili eraa
ii.vFE ooFri£. Riguardo alla c/iaz/a e di selle lempi , i peoui di cinque ; e
la iiaqzu v. CincoLO conveniente, perciò lo scompartimento ne' primi
Per le altre due ilie riducono i riirai per 1' arsi e la tesi era di 4 e 3 , pe'
quadrisillabi alla loro (iiix rapida secondi di 3 e 2. Il che , nelle per-
e»pressione , è da notarsi quel che i inulaziuni , avrebbe lorniiito ciò ch'essi
nostri vecchi grauiatici non manta- dicevano delle u'rvv:tiXTr,Tx. La simi-
vano di avvenire. Spi triti , qui et glianza era dunque pe' soli intervalli
/lippii. . .velali genus paeonicorum : degli accenti prosodiaci.
pretexertiin cum siite spacio lemporitm E ciò va detto generalmente per
disparea fortna consimiles siint. Vii- tulio le zi/iafe.
torino lib. 1, rie pudiiiub. - Sei sistema
Tom. III. 7
5o DERITIS
rifljKDaSNi nnpNio^Ni napsra'^x
N'jj'?N NonS NyojnDN* IìS'33dSx ina 26
nditS^S _ik nuN'iS IN SinSS 27
k:i |N3-it:*7Ni Sap nyì nns ddx ♦
xmrji '3 pio nno Snn 28
nn jx rw npi ipùn 'no ns
DX IDB' N130 l'T^':''? t^JOÌ 29
xj;t rQpxiD b^ xnyaixn
xnx riiiNDo n 'o -iraxi 3o
xtrn xrrx xnn S;r5X3 xnxDD2
y . Cam duae chordae immediale concurrerint , erit utrique saìvatio , guod si esset uni-
ca, foret optimum: et hoc successio dicilur. yf. 16. Priori vel posteriori , vel utrique pa-
riter nomen est initii et finis antea. Et extremilales ambae , evenit y. 27. Vt liceant in
( ly T3 inSJ y\Xy , i- dirigit , se" ducit me sacerdos , seu procurator } : et pars eius.
ir. 26 a 28. Moàqabà n3pXJ7107X ^^''o2o« fj|^ in to riguardo a quella che
( almoiqàbato ) Successione. Può que- succede. Che se poi si abbia la succes-
sta essere di due corde o di tre. Se sione di tre forraole, come fa hilaton
di due, come a cagion d'esempio di ii hila lo fa' hila toìi ., xml fa e nel to
Ai\c fa' hiki' tori , potendosi tanto la della formola di mezzo dicesi «ffaT/à/Vié
prima che l'allrà corda privare della J*3")[3^X riguardo alla precedenle tvn
seconda quiescente; quando si hi /«'- della prima formola, ed alla seguente
hila'lon WliUatnn dicesi zàdron '^^^ fa' della terza.
nel /a' riguardo alla corda precedente; ^. 29. Mor.ìqaba' n3pK107N ( ^^-
se poi si hafa''hilalofa'/iila''to/i, dictsi moraqabato ) Mutuo rispetto. Si lia
M E T R I A n A B I. ;) I
Successione, rìguardo , siippUnienlo.
2G E ancor, se per lormole seguenti, due eorde
S'inconirin; i^ihafa per ambo non v' ha ,
27 Ma r una per 1' altra aver dee riguardo
Che in nome generico dirai ìuoàcjahà :
28 Poi àgiozo , o sadro , ovver attarjaini.
Se segue o precede o in mezzo si sia.
29 Talora hau due corde alterna vicenda ,
Cui nouje allor dassi di inoraqaba.
5o E in fine mokanafa dirai la zihafa
Che quel che qua toglie rida poi di là.
non incongrua apparebit quando exp njclur , et iam ticet ut videatar. '^. 28. Et prohi-
bttio tua cantra haec duo , initio medielatis vel in quarta, Respectus dicitur. ^. 5o. Et
Maria , seu Poemata impUcatae seu truncatae pariti , cum eius tamen supplemento , cum
complementi.'! eorum , fac in eù quidquid volueris.
quando la legge del metro è tale the do da non trovarsi giammai riunite
di due zìhafe non possano ne ambo insieme,
usarsi né ambo trascurarsi , ma the JT. 3o. Mokanafa HÌJJK^dSk ( ^^-
o r una o r altra di necessità si ade- inokandfato) Suppìimento, compensa-
peri , in modo però che uiata la pri- zione. - 1 poeti persiani non riguar-
ma non si possa far uso della secon- dano ciò come una licenza , ma co-
da , o viceversa. - La parola viene dal me un pregio della versificazione,
verbo 3pXT ( ràqaba ) , che tra gli un'eleganza. E perciò questo ^f/e'/joe/»
altri significali ha quello del vigilarsi ed Al-Akfasc' ripongono ìumoìcanafa
tra loro due persone e condursi in mo- uà le zihafe. V. però il Sf. 65.
52 D E R I T I S
SVpSn
nS^^n i^na 'vo noo p» aS noi 5i
j^. 5i. puorf autem non ust ex praemìssis, tu vacalo Defectum : Excessum et Jìefectum,
Hf. 3i. Élla rOVhìi ( alèlato ) di- dagnoli che tutti i versi arabi affetti
fitto, infermità. Si ha non quando da élla riputar si dovessero malfatti-
le sole seconde lettere de' pali yen- Ma dall' altro canto non pare che
gono a variarsi o sopprimersi da una ben si apponga il Clerico quando as-
lormola , ma quando ciò accada ne' pa- sume che non mai come veri difetti
li o in ambo le lettere delle corde, riputar si vogliano le e/A? , perchè le
E chiaro che , spostandosi cosi 1' ac- variazioni che cagionano, adottate una
cento prosodiaco , variandosi gl'inler- volta, correr deggiono costanti per
valli ritmici , un vero cangia?neiito tutto il poema. Vero è che quando
di metro venga ad emergerne. una tal costanza si osservi vi ha sera-
li quale però va sotto due riguar- plice cangiamento di metro , e non
di considerato. O tai cangiamenti va già difetto ; ma è vero altresì che non
un poeta facendo a bello studio , di rado al poeta stesso si lascia 1' ar-
Moviiate duclus , non inscius legis ; bitrio di usare al par delle -«//«/e le
ed allora r.'jir'xx.?'>\<yT''-'^s soltanto il elle , come sarem per vedere : e i
verso dirassi difittoso e infirmo , co- nomi avvilitivi che i vari casi del-
me i giambi d' Ipponatte e di Calli- 1' élla assumono , fan conoscere abba-
maco si diceano zoppicanti, Fuor di stanza che , se scevro di rimprovero
proposito adunque avanzavasi dal Glia- esser deggia chi sappia prevalerne a
M E T R I A R A fl I. 53
Farìazione de'' metri.
5i Son queste le leggi di aumenti e di scorci
Che variano i canni e diconsi Ellùh.
ut distingual qui prohìbeat Illa.
propositi) j tacciasi acquisii di licenzio- emistichio: e fa sorpresa che dal di-
sc clii disavvedutaiDcnte ne abusi. Al ligentissimo Clerico ciò non siasi
che ^i aggiunga la divergenza degli scorto.
arabi maestri nel determinare i vari Del resto : per ciò che risguarda la
luoghi ne' quali sieno da ammettersi corrispondenza colla prosodia greco-
le effe o da rigettarsi. latina, fatta astrazione da' casi ne' qua-
li nostro poeta dapprima la nomen- li van considerate come semplici zi-
clatura ci espone delle diverse effe , hafe , come mere licenze poetiche ,
y. 32 a 45 : poi , con molta sobrietà le èffe adempiono al doppio uffizio :
ed assai vagamente ^ fa ricordo che 1.° della catafessi , della clausola fi-
nou niancan talora le éUe di andar naie de' versi, di arrestare cioè l'an-
considerale come semplici zihafe W- damento ritmico dopo un dato perio-
46 a 5a. do; 2." a determinare alcune cadenze,
E di vantaggio : consistono le effe ed alcune varietà metriche in quelle
in addizioni e troncamenti , e ciò al combinazioni che da' nostri graraatici
principio o alla fine degli emistichi, diceansi avvenire zara ciuTaSEixv zai
Éfle invariaJdfi son quelle soltanto avriiraOsiav , e che ciò non ostante non
che avvengono alla fine del secondo mancavano di reputarsi regolarissiine.
r)4 D E R 1 T I S
HDOS p"! NO "lC3cSx IIV Dir JNI 54
y. 52. £/ aride Chordam Icvemin aniplijicalionemcvgnomento Ferfecti , m fine namque
etus j post partem j non dedecet illud. - y'. Ó5. Bt cui addita est pars HH idest, Chordu
levis , fimbriati da Hit cum quiete octaro loco. Et compie siniilt Chorda levi ^ trtbuendo
similern partem Carmini cognomento 7D1 ide^t , ExiU et breve , quod nudum est - y 54.
Et si addidcris initio prioris Carminis Distichi miniis quam quìnque Itttents ; illud ent OTO
transjixio , omnia superans dffurmitate.
Gl! aumenti per ella si fanno o tera quicscenle , sia alla foimcla del
alla fine o al principio degli emi- carme perfello , sia a (jueila del car-
stichi. me spaso j riducendosi cosi la prima
X- 32 e .ì3. Aumenti alla fine, di motafa hilon a motafa hila n , e
Prescindendo dalla paragoge che aver la seconda di mostafhi'on a mostxifhi-
pcissono le ravie , come si vedrà al ìan. - Rimane V eda'ila in queste tor-
}^. 56; tre casi qui se ne nutauo : mole anche quando sono affette , la
Taufilv '^♦^"in'^X ( anirfi'lo ) «""- prima dalle ziìiafe , nei tre casi sopra
pHficazIoiìe, quando alla formola del rammentati, e dirassi adailato-izma-
carme perfetto si aggiugue una corda rata ec. , e l'altra non solo per le
lieve, ili motafa' hllon A'weneaio mo- ^ihafK ad essa proprie ( y. 2 1, U2, 24 )
tafa'/iiìaton. Qufslo andamenio rima- prendendo allora la denominazione
ne anche quando la forinola venga (]\ edailato-c?iahnata , edailato-taiata,
affetta delle tre zihafe ad essa prò- o edaifato chaUala ; ma per inguaia
prie ( y. 21 e 24) : ne' quali casi altresì ( T. Sg ) : ed allora , tratlau-
la formola dicesi /arfilato-izmaraia , dosi di due èlle , la formola dirassi
tarfilato-vaqz'Ha , 0 tarfllalo-chazlala. qatato-edailala.
Eua'u-a nSsnNW ( aleda'elho ) Tlsbìh'a y^Dn^N C aKasbih'ò )
fiiìibiia , quando si ajgiugne una let- complemento , quando anche una
ai E T n I A R A B I. 55
32 Se al canne perfello tu lieve una corda
Accodi , al poema darai nobillà :
Ed anche una lettera ad esso e allo spaso ,
Qual fìmbria a una veste , darà maestà.
35 E se al carme breve , eh' è nudo , eh' è esile ,
Vorrai far lo stesso ; pur dai venustà.
Ma bada: gli aumenti qui sopra descritti
Stau bene se il verso giazato sarà.
E il triplice modo di tali incrementi.
Tarfila , e damila, tasbi/i'a si dirà
54 Finché sino a quattro le lettere sieno
Che poni al principio , gran mal non sarà :
Ma evita la quinta j tal cfiazma , ossia protesi ,
Se avrà 1' ebtedàa spiacevol si fa.
Huiescciilc si aggiugne alla forinola la balluta in aria; ed ecco uiijiicciso
del cariiiC hrG\c, fu hila'lun che di- aumento musicale. - Nella ragion nie-
yieoc fu' /ti/a' la' n. ìi l' aumento rima- irica ; ranimeutiaraoci gli esempi che
ne anche per la chaòna {s . m ) , ed produce Terenziano :
allora la l'ormula dicesi tasbih'ato-
cahnatu. Socrate s , healus iUn qui procul negotits.
Questi aumenti han luogo ne' carmi Diogenen , beatus illc qui procul negotim.
perfello, spaso e /lieve , ma ne' soli pe- Demophde , beatus ille <fui procul negoius.
riodi gìazati. Quod agis age ,bcutus ille quiproculnegotiiis.
y. 3<i. Aumenti al principio. Per
formarci una distinta idea di ([uesli Ed ecco precisamente l'araba
aumenti: nella ragion musicale j com- Ciiazsia Cf37X ( aldi^'-mo ) Irct-
ponete un ritmo qualunque su questi passameiito , V aggiugnere cioè al prin-
versi , a cagion d'esempio; Cada i/ cipio del primo emistichio una, due,
tiranno regno d'amore. Quando sa- ire, quattro lettere. Reputasi difetto
rete alla seconda strofe, £ un falso l' aggiugnerne cinque o piìj , o usare
nome che d'ozio nasce , voi non can- di tal licenza al piincipio del secondo
gerete il movimento, ma prenderete cmisticliio.
56 D E R I T I S
;;}'. 55. Et reiectio , et laceratio , et decurtatio , et concisio Fovea eius ■■ et mutilatio , et
firmatio , discoopertio ignominia , et ptaecisio primae : haec deturpant.
j[. 25. I TRONCAMENTI per élla si 11. Troncamento ne' pali :
fauno del pari alla fine o al principio
degli emistichi. i. Congiunto:
1 TRONCAMENTI ALLA FINE gli at)biam
serbati nella versione nel modo che a ) Dell' ultima quiescente colla
il testo li va enumerando: giovi qui mozione che la precede, qatd, y 09.
esporli con miglior metodo. l> ) di una delle lettere mosse , ta-
scita , y. 46.
1. Troncamento nelle corde: e) dell'intero palo, tóc/af/a, *. 40.
a ) Della lettera e della mozione , 2. Disgiunto :
qasba , y. 38 ;
i) dell'intera corda \iéve,hadfa , «) Dell'ultima mozicrae-uag/à, ^.41 .
tJt 3y 6) dell" ultimaletleramossa, ^nsc'/a,
e) della corda gtìye , gatfa, W.Sj. y. 41.
METRI ARABI.
57
55 Troncando: hai per araba apocope or V hadfa
Ed ora la gaffa , la cjazra o qatàh
E or 1' hàdada , o zelnia , o vacjfa , ovver Icasfa
E r araba aferesi la gamia ti dà.
56 E vedi che molte 1' aruza e la zarba
Si avrai! per 1' apocope le lor varietà.
y. 5G. tloTum. incursus est dtbilitatio parlium, si incidanl , sit'e in Rhythmi oblationSj
uve in Pulsatione , exceplo Charmo , quod tantum in'itio cadit.
e ) dell' intero palo , zaìnia, \, 40 .
IH. Troncamento ne' pali e nelle corde:
a ) Riunione della hadfa e della
cjathù> balra, x. 42.
b ) Riunione della cliabna e della
qallia j kabla , ibid. nota.
I TRONCASIENrl AI, PRINCIPIO SOn
disposti nel modo che abbiam veduto
ordinarsi le formole al Sf. 7. pag. 3o.
Per le formole del prim' ordine ,
lalma e tamia, V. 45;
Per quelle del secondo , charma ,
chaixtba e sciatra , V. 44 ;
Tom. IH.
E per la formola del carme esu-
berante dell' ordine terzo , qasma ,
giamama , azba ed aqza, ìf. 45.
I troncamenti al principio deter-
minano presso a poco la condizione
di quei versi che i nostri vecchi gra-
matici dicevano acefali, v son preci-
samente l'inversa delle cìiazme, y.34.
I troncamenti alla fine de' versi a-
rabi equivalgono alle catalalessi e
molto pili alle brachicalalessi della
prosodia greco-latina.
Per merissimo volgarizzamento ab-
biam detto nella versione aferesi i
primi ed apocope i secondi.
8
58 D E R I T I S
'5njx '7pnN':'Nì 12 pD inx nn
N'jDND i^-in ii'p':'N Nn'p inom 58
ìii:;hìi on nx nSnp finn loom
nj 3DD JD IKT pS ;?t:p'?}< NnD 59
♦in rh ìr\ì) ain nm 'fii
nono mra finno^pV "i:i;Dpi 42
y. 37. Italue in parte hac "jiaoNn esf rei eolio ^ sive casus Chordae le vis j item et
laceratioj est enim vestigiujn quiesceìitis j quae est pars Chordae; quare pondus optimum
evanescit. - Jl . 38. Et in I^Dn est decurtatio , reiectio nempe tua quiescentis. Et prillare
vocali ìitteram ante aliam quiescentem , quando est paxillus. - y. 59. Hoc est Truncatio ,
et quidem de Chorda iam dictum est: seu in Chorda non officit. At in Faxillo hoc acci-
dit j et !y tilJ continet istud. nain est Palus. - y. 40. Et reieclionem tuam ex Paxillo con-
Hf. 3/. Hadia f1"in7K (alhadfo) ri- che la quiescente venga ad appog-
getlxvieiUo. Consiste nel togliere la giarsi alla sillaba lunga che precede,
corda lieve alla fine di una formola Cosi di fahu'lon , fa' Idia ton, mnfa-
nella qual cada V ariiza o la zarhct. ìd'lon le formole riduconsi s, fahii'l ^
Qathfa tltOpSx (alqalhfo) Lacera- fa'/iila'n, mofahi'l. E le sillabe ìm'l,
zioiis. Si ha quando nelle stesse cir- la'n, hi'l divengono in tal modo più
costanze toglisi la corda grave. che lunghe.
1 versi in tal foggia diminuiti cor- y. 3(). Qytua' U^I^7{< ( alqathò )
rispondono a quelli che nella prosodia Troncameiilo. E togliere dal palo con-
greco-lalina si direbbero cataleltici. giunto finale la prima lettera mossa.
^. 38. Q\zR.v -)ì|»p'7J< ( alqazro ) Y. 40. IIadada I^CiSx ( ^'l'*'^^'^" )
Accorciameiilo. E togliere dalla cor- InfosscimeiUo. Si ha quando togliesi
Ili finale la lettera mussa, in modo l' inlcro palo congiunto; ed ò proprio
(Ili
M E T U I A n A B I. 5g
57 Se intera una corda , sia lieve, sia grave ,
Dal fin di una forniola togliendo si andrà;
Si ha r hadfa o la qatfa : ed vina o due sillabe
Rigetla , divelle chi usarle vorrà.
58 La corda chi accorcia di lettera e moto
• Il verso per cjasha ancor troncherà.
3g Ma in piano di sdrucciolo il verso trasforma
Chi al palo congiunto per quIiLli il farà.
40 E al carme perfetto , e al carme veloce
Un palo so r hadada , la zal/na torrà ;
Il primo dirai che allora s' infossa ,
Dii'ai che il secondo elilinea si fa.
41 Se arresti la settima , se intera la scopri ,
Un' Élla per vaqfa per kasc'fa si avrà.
43 E alfin se congiungi la hadfa , la qata ,
Nel carme disteso la batra si sta.
ìuncto vocaverunt Foveam Pcrfcctl : sin autem, erit Palus disìunctu.t in Jlne , et Velox cor-
rumpitur Uh. - y". 41. Et Firmatio , et Discoopertio accidit si septima moveatuT : et fac
(juiescere , et reiice per involutionem partis , et corrigelur, - y. 42. Et Truncatio tua in
reiecto f seu à quo reiectum est inly 3D3D 3in, ìdest terra mollis, Et dicitur quia Carmini
Extenso propria sunt duo praedicta in invocatione,
del carme perfctlo. Scrivesi anche "^^J anche più che lunga , come le formole
col J, come nel testo. accorciate per qazrci,
Z.vLMA f—inySy ( azzalmo ) Muti- Kasc'fa f]t;'37X ( alkas'fa Scopri-
ìazìone : quando si toglie l'intero pa- merito. Siha. col togliere dalla stessa
lo disgiunto dalla iatmoìnmof/iulato formola mofhii'lato V ultima lettera
alla fine degli emisticlii del carme mossa. — Scrivesi anclie klD37X ^^^
veloce. Q. E questa variazione non succede
\. 41. Vaqfa flpìSx ( -ilvaqfo ) soltanto alla fine , ma in qualunque
'arresto. È togliere la mozione al- parte dell' emistichio. V. appresso Cah-
r ultima lettera del palo disgiunto me LBOGiEno.
finale , cosi mof7in'la'lo si cangia in y. 42. B^tra ")j"\3*7{< ( albatro ).
mofJm'la'n. E quest' ultima sillaba è Riunione della hadfa e della qatd.
6o D E n I T I s
Nna nonn niobn |Su'3 ;?irii
mntJ'i DiSS |V';^X5D ;?vn 44
oojVnt Oip^Nì DVji^VS p'^yNsa 45
'Ìd npi ;*py n'3 'fpjì DiSi
V"' 45* -E/ 5( ponatur Sd e55e PaX'Uus j erti Charniatus propter necessiialem initìo eius
et positio Ì7U*3 c«m mi/za e/«5 , c?ara est. ~ y". 44. £/ oppositio |7'^'X3D cum Charmo
et Scìatro eius, et propter vastationem agnosce in dispositis , quod latet.- y. 45. Et men-
Così /a/li/a' tori liducesi z. fahlon , e ^. 43. Taima f*nS|nSjst ( atthalmo 1
faii'lon 3. fah : nel primo caso 1' e/)j- c/wocf n«je«to. E la soppressione della
frjto i." diviene uno spondeo, e nel prima lettera mossa nel palo con-
secondo il cnetóco una semplice ces«7-a. giunto della iormola fa/iu'/on , che
Evvi un altro accorciamento che perciò riducesi a fa'lon. Ciò succede
nel .lesto qui manca , e dicesi nel carme lungo e nel carme con-
K.1.BI.A 7337X ( alkahlo ), la riu- giunto,
nione cioè della chabna e della qalhà, Tabji.v □~)J^*7X (atiharmo ) Rovina.
che riduce inos'.afhilon afahu'loii , Sì ha quando tabnata la stessa for-
1' epitrito 3!' a bachio : ed è proprio mola vi si unisce la chahda , in mo-
del Carme spaso , come sarem per do che riducasi a falò.
vedere. Cosi il eretico nel primo caso di-
Troncarc dal piiucipio di un enii- viene uno spondeo, nel secondo un
slichio la prima mossa del palo con- trocheo.
giunto diccsi Ciiauma □"i57N ( al- ^- 44- Cuarma rimane nome ge-
eharmo ). Prendono però denomina- nerico per qualunque formola del
iionc diver.^a i seguenti casi. 2." ordine , quando si sopprime la
MKTRIARABI. 6l
43 Passando alle aferesi : per ialina per tarma
La forma trinarla charinata si fa.
44 Ma s' è settenaria , la charma si triplica,
Che v' ha pur la garaha , la scìatra pur v'ha.
45 E charme specifiche saran per mofàhilaton
La qazma, la giàmama , la ùz,ha e 1' aqsa
sura tnSj^XSD cum S^y^H et Oirp'jS //em. DD5'7N e/ ai5 e/ ]'pj in quo est ypi) et
iam praecessit.
prima lettera senza che nel resto ne mofliu'lon, ad un molosso. È la ria-
iia affetta. Chiamasi però nione dell' àzha e dell' asha.
Chakaiiv ai^'^X ( alcharabo ) de- Giamama QJ3J^j{(alglamamo) Con-
fasi? ijo«e , se tolta la prima tolgasi fusione. Quando anche la quinta si
anche per kaffa la mozione alla set- toglie affatto, riduccndosi la fortnola
'""''! "^ n fa'hilon , ad un eretico. L la riu-
SciATRA in^'7X ( assciatro ) , se nione dell' dzòa e dell' aqla.
tolta la prima tolgasi anche per qaò- A'zba •y^^'^H { alàzho ) Disgiun-
ga la quinta lettera quiescente in zione. Quando toglicsi la sola prima
modo che di mofa'hi'lon divenga/a- lettera mossa , rimanendo cosi la lor-
hi/on, di epitrìlo i." anapesto. mola ridotta ad un coriambo.
W. 45. Per la formola mofàhilaton Aqza t>p;;Sx ( •'''■"Fo ) Implica-
quatlro accidenti prendono nomi di- ziòne. Quando all' àzba si aggiunge
^'^'^*'' , anche la naqza , rimanendo la for-
Qazma Oyp'^X ( alqazmo ) Frat- mola di mofàhilaton a mofhu'l , o%-
tura. Quando anche la quinta si fa sii fahil ; cioè un giambo coli' ulli-
quicscentc , riduccndosi la formola ma sillaba piìi che lunga.
62 DERITIS
Kitsi'K n^'opa mm o-idn p n>B'ì 46
KnVvii nxan;;Ni xinns' b^pì: 48
nji_ND3 xnjD p-iSd'?x Nnn'Nj)
dSnd n)hn -nsio^Nù jjn jni 49
nnha ^Sj ;;inxS n>'a nin^
nSì'Sd nnBa n^'^k^hn* cn npi 5o
.131^3 fn;;SN3 ina ':'1nSxì3 5i
ND£) nSn Sisna pò Nrrn'i<5i
apbiip^ t]tinhìi rra x^ m^ naa 62
V. 46. El di.ìscli/e ly "[^ Charma Paxillum eiàs , franca inflexicne curti Chabno , seu
Sinuationc : et prmiani rhadafasti , idest , litteram mollem. quiescenttm ei suhiunxisti ; et
non aUter.-y, 47. Et tam initio quam in m'odio, die ohlatiouem TÌìythnii , citisque puUa-
twnem. , le] et ah initio sìt Siirmo vividus ; conceptibus plenus , seu argutus usque ad
rnjtnmum , et usqae ad consonantiam eius , et sic licebit variatio partium , et diversifi-
catio cognomenti earum.-Y. 4S. Et dictum ast initium , et innixia , et separatio earum ,
et tertuinus earum proprius , prout conycnit eis. - y. 49. Et si Carmen fuerit intfgrum ,
erit utiqite cxuberans , liberami sanum » nudavi: non deponas eiusmodi documentuìn. - y. 5o.
Et cum complctum fuerit omniòus absolutum mensuris , suine lUud per partes eius j et
y. 46. TAsclrA]-|»nj«»J-)'^»i^(attasc'ito) i maestri arabi, come saremo pervede-
Dissohizione. Consiste nel togliere dal re in appresso. Ci siamo ingegnali darne
palo congiunto una delle due lettere una quasi concord:inza nella versione,
mosse. ( V. la nota al f. 35 ). Redfa f. 48. Fazla Vì'sSn ( alfazl» )
è 1' addizione di una delle lettere distinzione. È il nome clic dassi alla
molli per rendere piii chiara una mo- formola delf aruza aflfetta esclusiva-
zione omogenea ( V. f. 5/ ). — Del mente dalle altre , quando venga af-
risguardarsi la fascila , la recìfa e lo fetta da élla.
altre licenze annoverale in questo ver- Ghajata ri'NJl7X (algliajalo) estre-
mo, ora come, ^&iA , ora come semplici mità. È il nome che riceve la zarba
zihnfe , ragionano in varia sentenza nelle stesse condizioni.
SI E T R I A R A B I. 63
Delle allah che si prendono per semplici zlhafe.
46 Se mai qualche sillaha si tronchi, si sciolga
Per cliarnia e per chahna , isniara , c/atà ;
E redfa e tascila ; l'hai quasi zihaj'e
Comunque per regola sarehbero aliali.
47 Se varia la sadra, 1' ani za , la zarha
Dal tipo di regola , ed anche 1' ascvah ;
Ti avresti un diietto : e pur se costante
Per tutto il poema si replicherà ;
Sol t' hai del primiero maestro 1' ingegno
Che accorda a ogni tipo le sue varietà.
Ma quelle soltanto , che i dotti precetti
Poncano in accordo , ti avrai facoltà.
48 Le fazle , le g/iàjate non oltre s' incontrino
De' siti prescritti : e sempre sol là
49 Lo zarhe e le aruze sieu sane od intere
O /Lude o abbondanti o in lor libertà.
50 Conserva al complesso di tutto il poema,
5i Conserva alle rime la lor venustà ,
62 E scegli a proposito V éllàh , le ziliafe :
Che quel eh' è difetto si cangia in beltà.
Cognomìniini ipsius ; et nutu , scu facile dirigetur. - y. 5l. Et praeciputim est mare , .seu
]}Ocrrta intfgrum , et rhjthmus , et co/icordantia eius ; et sì finis tìus fuerit littera D , sìcut
et litterani T sequelur littera C3 - V- 52. Et elige ex eo illud in quu est Prolapsus ; seu
licentia Poetica , et integruntj et illud ^ in quo est sermo vividus et argutus , serva illuda
non respuas ipsum.
y. 4g. Quando un verso non lia 4. Netto n^JtD7N ( almogiirado ),
quelle variazioni che ricever potieb- se immune dalla eli zoia;
be ( o dovrebbe ), dislinguesi colle 5. In'teko fìS.VnSv (aisdlcmo ) , se
denominazioni di non all'ctlo da zìi i afa ;
1. Sano n'na*75< ( azzabiho ) , se 6. Libero *137X ( albarijo ) , se
manca di élla diminuenle finale; non soygoUo a modqaba.
2. Nudo nVD^X ( al'noarrao ), se IVel lesto si annoverano i soli nomi
manca di éjta aumentarne finale; 1, 2, 3 e 5. Ma i maestri arabi con-
3. AnBoNCA.vTE. "n31,t3^X (aluiavfu- cordemente vi aggiungono il G, ed Al-
io), se immune dalla chaima; Meflabi il /j.
>'. 5i. Y. appresso il >[■ 55.
64
DE R I T I S
nS morijN xs-in x^n nnn 54
y. 55. Et consonantia Matri est ultima sjllaba : insuper ex iMera. Vocali mota, ante
duas quiiscentes , usque in finem. - Hf. 5.;. Complectitur consonantiam litterae , quae re-
ferlur ad eam , et motionem seu Vocalem. ei debitam.
y. 53. Posle le condizioni dell' a- III. Se le lettere mosse frapposte
raba gramalica , vide Al-Chalil che fra lo due quiescenti son due , la rima
una definizioue Laslantemente lucida si addimanda conseguejjte
si darebbe della rima col dire: con-
sister essa nelle due ullime lettere
( motadàrekon ) , sdruccioi-a.
IV. Se tre , addensata 35{<"inj3
quiescenti di un verso , più la mo- ( motaràkebon ) , BtsDRUccioi-A ;
ziONE alla quale la penultima di
quelle due lettere si appoggia: quan-
to in somma da quella mozione sino
ed compiersi del verso si rinviene.
Una lai definizione , che il nostro
poeta riproduco, abbraccia tutti i casi.
1. Se le due quiescenti ad una sola
mozione si appoggiano in modo che for-
mino di c^ueWe sillabe più che lung?ie
le quali abbiara vedute sorgere dalla
trasformazione delle formolo primitive
quando sono affette da qazra , da
vaqsa, da lashiga e da edhàla , al-
V. Se quattro , TunsiNATA DÌX^HD
( motakàveson ) , trisduucciola.
E da notarsi che gli arabi il loro
accento tonico oltre all' antipenulti-
ma sillaba , come i nostri antichi ,
non prolraggono : e che per ciò aver
non possono , come' noi , versi e ri-
me veramente bisdrucciole e trisdruc-
ciole. Ma questa classificazione non
trascurarono per formolo terminanti
in anapesto e nel quarto peone^ ch'es-
si chiamano dirimente minore e di-
ri merite maggiore j '")JQ ri7l^XD ( ^•*'
lora si Ila la rima detta costiNUA zclaton sogra ).
f|~f{^"lj~|^ (motaràdefon), cioèT.'ioscA; y. 5^. L'importanza della rima
II. Se due quiescenti a due mozio- araba è in ciò eh' essi denominano
ni si appoggino , ma in modo elle una ♦ìlS}^ fl")n ( barfa-'rràvi' ) lettera
sola lettera mossa tra loro si frappon- della rijna, e che noi diremo ravia;
ga, la rima dicesi alternata ")JlXinD ^^ ^ quella la quale , ricorrendo sem-
( motavaieron ) , cioè piana ; pre e necessariamente alla fine di
M 10 T R I ARABI. 65
L,e rime e le dissonanze'
55 È rima del verso la sillaba estrema
Dal jnolo spiccante clie innanzi lo va :
E mo'o spiccante la voce dirai
Clic d'una o più lettere l'appòggio si avrà.
5-4 E anch'' essa la lettera che il verso conchiudc ,
Che lega il poema , ravìa si dirà :
La qiial ( col suo moto , che magra si noma ;
La sua paragoge ; e quanto mai v' ha
Finché non raggiugni quel moto spiccante )
Fa rima perfetta se unisona andrà.
Ma pur dall' unisono trabalza all' analogo
La rima in sua docile flessibilità.
Perciò le sue fasi , le parti diverse
Distingui , ed impara le sue varietà.
ciascun verso del poema , ne forma di ciascun verso della canlilena che
quasi il legame e gli du il nome. De- il beato Agostino compose per la sua
riva la parola dalla radice 1^ ( ra- plebe d'Ippona. E S. Bonifacio vescovo
va ) strinse j legò; e J^ì"! ( rcvion ) di ÌNIagonza ne fa espressa menzione
dicesi la fune colla quale si stringono nella sua £p. 65. Tertium Carmen ,
ed afTardcllano i fasci. non pedum mensura elahoratum , sed
Si considera la ravìa come 1' ulti- octonis syllaùis in tino quolibel verste
ma lettera quicscenle di un verso, cotnpositis, l'n.i eademque literj,
ma sol nitricamente , perciocché può comparibus iinearutn tramitiljiis apta-
non solo avere \ì sua mozione; ma ta,cursu calamo perarante exaratum,
bcnaache venir seguila da altre Ict- tilii , sagacissime sator , trasmiltens
tere ; le quali però van risguardalc dicati. I versi son questi:
come paragogiche , e non entrano in Pro me qiiaero oramina ,
computo nella misura. Precum pandel praecipua , ec.
Lettera della rima , e precisamente Fioriva S. Bonifacio ne' primi anni
ultima è la R che ricorre alla fine del secolo VII.
Tom. III. Q
66 D E R I T I S
NOa W"ip JNS
marDi XpN'Vxi ìXSSnVx N*-ì5 tint 55
pno SdSxi tiN'ii'xSNi nrjijNVx
Quod si annectantur cum quo - yf. 55. Adiungitur ; hoc erti satielas , et roboratio : et
post ipsam , seu minus perfecta , ast Permissio , et aptatio similiter cadentis , et omnia
bene procedunt.
Secondo le varie lettere che pre- y. 55. Qui trattasi della discre-
cedono o seguono la ravia , la rima panza della mozione della ravia sciol-
araba acquista denominazioni diverse, ia, e della stessa ravia. Ma ciò che qui
che il nostro poeta va di mano in si va ragionando è applicabile a tutlu
mano specificando. le mozioni a tutte le lettere della
Secondo che la ravia è quiescente rima,
o mossa, dicesi legata rn*pD ( ™°" La quale dee riputarsi perfetta se
qajàdaton) o sciolt.^. HD/DD ( "lo^b- 1' identica lettera, l'identica mozione
Idqalon ). La mozione della ravia si riproduce; ma cangiandosi F una o
prende il nome speciale di nHJlO^N ^' ^^'^'''' ' '^ difetto è piii o meno bia-
( almag'ra )., che diremo mag'ra. simevole.
Le lettere the seguir possouo la Per ciò che riguarda le mozioni
ravia diconsi vazla , chorugia : e arabe _, la fata , ossia 1' a , non soffre
quelle che la precedono, rei^, tosjV(, per la chiarezza della sua prolazione
dachila. Anche le mozioni acquistano che venga da altra soitituila ; ma la
nomi speciali. E nomi speciali hanno zanima e la kesra, vale a dire la u
i vari difetti che dalla piìi o meno e la i , per la debolezza della lor
esatta loro riproduzione derivano. voce si scambian di leggieri tra loro.
La varia nomenclatura di tutti que- E lo stciso è da dirsi delle lettere loro
sti tasi forma l'ultimo stadio della omogenee }^, ") ed 1.
Beozia che andiam discorrendo. Or variandosi la nvig'ra , ovvero
METRI ARABI.
67
55 Variar può le mag're , variar le ravie
Senz' ombra di fallo 1' eqvàa , V ecjfà :
Ma il fallo già mostrasi , appar già il deforme
Se igiaza, se izrafa spostarle vorrà.
sia la mozione della ravia^ se il can-
giamento è nell' alternarsi or la zam-
ma or la kesra , ciò è tanto usuale che
quasi non si reputa difetto , e dicesi
eqva'a X1p5<7N ( alcqvào ). Ma se
coli' una delle due alternasse con la
fata , il difetto è notabilissimo e prende
il nome d' izeaia fIXTixSx ( alez-
ràfo).
Del pari. L'omiofonia di alcune let-
tere fa che gli arabi poco scrupolo
prendano a permutarle nelle loro rime.
Se l'omiofonia è vicinissima, tal li-
cenza dicesi EKrAA{i(33J^Sj^(alekfao):
se riraota , prende il nojuc d' igiaza
nfWX/K ( alcgiàzato ) : clic scrivevi
anche per ^ invece di f, n"lN*JlxS}<-
I maestri arabi reputano come aiH-
ni le lettere ScdQiyeJ: QeJ:
J e 7; reputanti poi discordanti ♦ e H:
Q e 7; ce. Queste omiofonic son dis-
poste il più che abbiam saputo me-
todicamente nella Spiegazione delle
tavole.
Qui giovi osservare che appo gli
Arabi, come appo tutti i popoli, es-
sendo le lettere destinate al doppio
uffizio di esser pronunziate spiccata-
mente al principio della sillaba o alla
fine di una parola , o piìi o meno
oscuramente quando alla mozione o
vocale precedente si appoggiano e
formano ciò che dir potremmo un
dittongo di consonanti colla lettera
che segue ; in questo secondo caso
anche le non affini non vengono a for-
mare notabile disaccordo. Cosi , come
sarera per vedere , indifferentemente
si pongono in rima le non affini quando
all' uffizio adempiono della redfa o
della tasisa. V. Caniii,bna.
68 ' DERITIS
iHùìha xm wS NrrD t6)iMì 56
y. 56. iV adiuncla j quae est littera ìenis , et 7\ personale j et finis , habens ìitteran
mottem post ìitteram lihjthmi , consonantiam facit.
y. 56. Pahagogiche della rima ara- quando adempiono alle funzioni della
ba van considerale le cinque lettere Icssigrafia , ma anche quando loiscro
a > 1 > 'j 1» 11- ^^ quali, legandosi radicali, purcLè quiescenti,
alla mozione della ravia, e rimanendo Eie slesse cousiderazioui quadra-
quiescenti, prendono il nome di v.vzla no per j-j come affisso o segno del ge-
7y^'^}{ ( alvazlo). nere l'cminino , e per la nunnazione
E da notarsi dapprima che 1' ulti- de' nomi o il naii paragogico lieve
ma sillaba di qualunque verso arabo ne' futuri.
vuol considerarsi come lunga. E per- Per le quali riflessioni egli è chiaro
ciò , nel caso della ravia mossa , le come le vazle semplici , a lutto ri-
tre lettere molli Xj 1j 'i riputar si gore, nemmeno considerar si dovrcb-
deggiono virtualmente esistenti anche bero come paragogiche , formando di-
quando per ragion gramalicàlc non versila più ortografiche che Ibniclre.
a]'parissero nella scrittura. Quindi è Ma la [7 può esser mossa , e la mo-
cliiaro che computar non si deggiono zione picndc allora il nome di NErA'uA
come parte integrale de' versi non solo nX3J?Ji ( atinafa'do ). In tal caso può
METRIARABI. 69
56 Se mai paragoge si avrà la ravia
Concorde uniforme discorrer dovrà.
Dirai paragogiche le lettere lievi :
Sòn cinque , cui nome di vazla si dà :
Stau ferme ; nafàda la He sol può muovere ;
V è allora la chorugia che in ultimo sta.
darsi luogo ad una seconda letLcra pa- vocabolo generale vazlat.i j~|'7V;{'12
ragogica alla ravia, e diccsi chorc'gia { mauzi'daton ) sia colla c/iortigia ,
J137X { n/c/iori'/^/n ). È chiaro che le sia senza.
sole lelterc della chorugia esser pos- È da notarsi in oltre che 1' aculis-
sono le tre molli ^, •) , ♦. simo Al-Akfaso due altre lettere para-
In <|uesto caso dir si potrebbe che gngiche alla ravia va notando pe'casi
v' abbia vera paragoge. Pure la sillaba della quafia legata. La prima, detta
che n'emerge è piìi che bicve,etale alg.v'li 'VnJI'?}* • ed e spesso la -j,
che slunia nella proflcrcnza; e non solo talvolta la ^ o », come in")i1TO7X
alla fine del verso e nelle cesure , ove i ( almohtaraqin ) per p"innO'?X ( ^'"
metrici più rigorosi non mirarono tati- mohtaraq ). L'altra, detta nrn**'Sx
lo fìnamcnic, ma nel corso stesso del almota'ddi , è la ^ o la » apposta
procedimculo ritmico non entra in alla vazla p^ ch'esser dovrebbe cpii-
niisura. Cosi la e muta ne' versi inglesi escente , e straordinariamente vieii
va riputata come inesi,tcnte. mossa : la mozione allora chiamasi
La rafia colla paragoge dicesi con attaa'pbi '>'^'^^^-
70
DE R I T I S
'ìDxS 'TiS» h^p ]hhii «rnrr nstii 67
y. 57. jE' adiecHo Utterae mollis ante Utteram Shythmi, non alia nisi litterae ^ cum
ambahus sciUcet t et "* ^ et motionem , sume eiistud.
Sf. 57. Redfa tfX^H ( arredfo ).
)> È la quarta leuc-ra spettante alla
cafìa , dice il Clerico , una riempe ex
literis quiescentihus vy^ ravviyam im-
mediate praecedens ». Non pare che
dar si deggia alla parola redfa un
significato cosi ristretto. Leggesi nel
Chamus : f|in '^)}th^ '3 f^TìSN*
Sap yfl' f'SSxi n!:Sx r)"nn fa p^D
'IJ» NOnj'3 D'S n'^N q-in-Valea dire:
y4rredfh , ile versi , è una quiescente
fra le lettere di allungamento e le
leggiere , la qual cada prima della
lettera del ritmo ( della ravia ) ; in
modo che nulla siavi tramezzo al-
l' una ed all' altra.
Or la ravia , come abbiara veduto
y. 54 e 55 j può esser quiescente o
fnossa , il che rende la qafia legata
o sciolta- Se è legata, allora, ed al-
lora soltanto', la redfa non potrà es-
sere se non una delle tre suddette let-
tere molli ♦IX' ^^^ quanto è sciolta ,
divien redfa qualunque lettera quie-
scente che immediatamente preceda la
ravia , e la ravia stessa caricata del
tesc'did.
K^el primo caso , la rima è sempre
tronca , continua; nel secondo è sem-
pre piana , alternata , non dovendosi
tener computo delle paragogiche le
quali vanno in arabo fuse in una sola
sillaba , come appo noi gloria , sto-
ria , ec. quando si considerano come
semplici bisillabi.
Secondochè siavi o non siavi in una
rima la redfa , di cesi nuda m"lJlO
{ mogiarràdaton ) o kedfaia nfl*1")0
( moraddàfaton ). 11 che dà luogo alla
seguente classificazione ;
METRI ARABI.
71
57 È ben se redfala farai la rcwia.
Ma assai più robusta la rima si avrà ,
Se redfa farai la lettera molle
Che al moto vocale più forza dar sa.
E allor di lavgìa non serba più il nome
La voce movente, e un' hadva sarà.
I. Qafia LCGATA.
1. Nuda, come '^fjjj (manzil), e
come tutte le rime di questa Qazida .
2. Recìfala, come ^■p, ^'p , Sxp
( qa'l, qi'l, qo'l).
y
^'
II. Qafia sciolta.
a ) colla sola vazla :
1. Nuda , come «StiD ; h^ '
'SU!3 ■ r>*7W!D ( manzila' , manzilo'
malizili' , manzilat )
■2. Redfala , come XnXOj;. nUOÌff
HNDy . mìiOì^ ( ;"na'dot, àraa-di",
àma'do' , àma'da' ) ; e come J{DS3'
apn • Xpir;; (chalqa, haqqa, àscqa )
nel modo che saremo per vedere ia
appresso j V. Cantilena.
ò ) Colla vazla e la chorugia ■
i. Nuda, come xnSnaonSti:,
*n7ÌM (manziliha', manziloho' , man-
ziiohi' ).
2.Redfata, come Xn-lX0;;.Nn"n!2y,
Nm*OV ( àmi'doha' , àmo'doha' ,
àma'dolia' ) , e cosi per gli altri a/fissi.
La moziouc die precede ia redfa
prende il nome di iiadVa '^^7^?
( alhadvo ).
Da'quali esempi appare che le mvìe
legate corrispondono alle nostre rime
tronche ; e che le ravie sciolte , se
son nude, dir si possono corrispondenti
alle rime tronche del pari che, alle
sdrucciole ; ma se rcdlale , son sempre
rime piane.
72
DE R I T I S
'rha fifhan^ mrhi^ xD'DNfiì 58
y". 58. £t ba^im quoque stime , nempe Itlterar, rit<V et iertia ab ipsis est liltera rhy thmi ,
y. 58. La T.vsisa D'DXnbX ( "'" indendiamo anche la bisdrucciola e
ta'si'so ). « E r «/{/'quicsccnie quan- la liisdiuccìola , vale a dire tanto la
Il do tra essa e la lettera del ritmo conseqiienie che l'addensata e la titr-
>i sì frappone una sola lettera ». Il binata.
Clerico nota che preceder dcggia In Vero è che 1' autore del Chamus
cadeni dictione : perchè , soggiugne , cosi si esprime riguardc alla Tasisa :
si in una dictione fueril , J{ in alia La tasisa neUa qafia è queW alif
vero ( qitae non fuerit praenomen fra la quale e la ravia s' interpone
affixum vel par pracnominis ) Rawi- una sola lettera ; come in questo verso
ya, ^illud Tasisa non est habendum, di A.nnabega Sìbario:
ìiec loti poemati necessarium , quod
in Tasisa requiritur. 2':fN'ÌD H'OK X» ÙilD TI^Sì
Ed anche qui osserveremo che la 33X1D7N 'D3 ÌTDXpN TXÌ
Tasisa vuol considerarsi come la Ict- che si legge :
tera quiescente la quale dà forza alla koljati hihammin
mozione o sia alla prima vocale di ja ommijalo hina'zibi
una rima sdrucciola nel modo stesso valajlon aqa' sijjahon
che il fa la Redfa alla rima piana. biiajji-'lkava'kiòi (*)
E sotto il nome di rima sdrucciola ,
(*) Questo verso appartiene al Carme lungo
f^adbato y e potrebbe tradursi verbum verbo.
Renes mei cum dolore , Ommia , lassati
sunt : et nox est dura cura obscuratione
sfellarum. E metricamente :
Stanchezza, Ommìa, m'assale:
le reni mi dolgono
Dura è la notte , e gli astri
nel buio s'avvolgono
METB.I ARABI.
73
58 È ben se iasìsa la sillaba aflfbrzi
Che della ravia compagna si fa.
E all' aiif ricorri se piena se splendida
Vorrai quella sillaba \ che mossa per a
69 Divicn della rima la base primiera ,
Cui nome a buon dritto di rassa si dà.
ex dicUone , vd ullima pronominalis , quae jìffixa sequatur - \. Sg. El Fathhum prae-
ceiìcns est Rosso.
II. Qafia sciolta.
Ma pare che ad esempio questo verso
si produca come uno de' vari casi
della Tasisa, non come caso esclusivo.
La ravia diccsi in tal modo tasi- a ) Colla soia vazìa, come fT^i^Xl^!
SATv rÌDDIO ( movassasaton ); ed in- »-JO|<j; ll^N;? , N"I0X)7 ( àmidoh ,
contra questi casi : à'midi' , a mido' , a'mida' ).]
I. Qafia legata.
Come TtSSSX' "IpnSX (aftaqar,
alchatar ), V. CAKMr. lunoo.
Fa sorpresa the il diligcnlissimo
Clerico produca per unico esempio di
questa rima "IQXV ( ■' '"id ) , p.Trola
che alla rima legala rcdl'ala piultoslo
che alla tasisata si appartiene.
Tom. III.
h ) Colla vazla e la chonigia ,
come Nrnox;romoNy. ♦mOkH^*;
( à'midohi' , à'midoho', à'midoha' ).
y. 59. Quando 1' ali/' fa le funzioni
di tasisa , la mozione che la precede
prende il nome di bassa D"ì*7}{ ( ar-
rasso ).
10
74
DE n I T I s
nn;>x "ijnd |ds Jn3dn'3 man
isnainì inm D'DNnm Nnn Go
SeQuetìs est Dachìlo , scu iiilrOTiiUsa : move funi eatn l'jcali producta : qui ergo diversi'
jìcat penultimam errai. - y. Go. In hvc et in basi , et ccrrespondentia , et penultima eorum :
et motionis eius diversità! , ut jnmx ( iliadi ] , et yi (dà), et J,'T ( dò ) vulgata est.
Daciiìla 7'3~17}{ ( adJacliilo ) i
il nome che dassi ad una IcUcia mossa
tra la r-avia e la tasisa; la sua vocale
o mozione dicesì isc'baa VX3JJ'X7N
( alesc'ba'ò ). Formando la dachila
colla sua mozione una sillaba breve,
è chiaro che una sola rinvenir se ne
dee nelle rime sdrucciole , due nelle
bisdrucciole, tre nelle trisdrucciole. -
Assai di rado le lettere corrono uni-
formi in questa sede. 11 che i nostri
anche talora si permisero , come il
Burchiello^ a cagion d'esempio, ne' suoi
sonetti. Ma la mozione vuol esser co-
stante.
y. 60. 1 cinque difetti che qui si
enunciano non hanno nome speci de,
e vcngon designali col nome geucrico
di sen.v'da 1J<307X ( assemido ) clic
poi distinguesi in seiiùda della redj'a ,
della tasisa, dell' esc bàa, della hadva,
della tavgia. Le quali così dal Clerico
si vanno enumerando :
j) Senada DELL.A nEDFA , ù niullerc
1) in consonanza la qafia redfata colla
I) non redlataj come 2'3n ('''''^'''^°")
» con 2DnO ( mohibbou ).
)i Senada uella tasisa, ò unire la
>i qafia tasisata colla non lasisata , co-
>i me 7fX30 ( mana'zilon ) con 771^
11 ( manzilon )•
n Se.nada dell' esc'eaa , è niellere
« in rima ^JJXD *= Sd^DH ('"''^'<="-
dosi cioè h J3 nella prima parola
METRIARABI. «5
E ben die uniforme pur sia la dachila
Scbben co' scambietti grande abbia amistà.
Pur quella ond' è mossa, e ch'e'sc'iaa dirai.
Nemica è a qualunque volubilità.
Go Uésc'baà, la tasisa , la hadva , la reclfa ,
La tavgia chi varia la rima disfa.
per kesra e nella seconda y«//i(7 ) E » Sevad.v della tavoia, cioè muo-
soggiugne : sive soluta fuerit Icafìa . vere diversamente la ^ in «in (lia-
sive libata. Ma se la qnfia è legata , ram , harim , harum ) , soggiugnendo:
la mozione delia Q non è una esc'iia, Hoc alii villo non vertunt , oh fre-
m\ una tavgia. Bimane perciò i[uesta quentem eius apud poetas unum ;
senmla applicabile al solo caso della alii tanquam ekwaam ducimi , qiiod
qajla sciolta , cioè di kàinilo con //- vocalis ante quiescenlem perinde sii
kamalo , giusta l'esempio prodotto, ac si super ea/n esset.
e ''i SnmO ( mòrlahilo ) ^^"ijH Dir bisogna. Considerar si vogliono
( iirragiolo ) , come sarem per vedere i diletti di tutte le lettere e di tutte
ragionando del Caume svaso. le mozioni che compongono la rima
" Sen'ada dell' iiADVA , conie far araba nelle condizioni di sopra espo-
n limare yi ( dain _) e ^»^ ( di'n ) , ste al if. 55: nel doppio riguardo cioè
" " 7^p ( quaol ) e ^'\p ( qo"l ) dopo dell'importanza del sito che occupano,
>• del fulha. - n Ed anche ([ui gli e della più o meno prossima omiofo-
cscinpi sembrano mal posti. Come an- nia con quelle con cui si mettono in
Cora nclr ultima. consonanza o assonanza.
176 D E R I T I S
mxjD dh^Sn iVnxVx S^^nooi 61
♦B'nS' pv avjSx ah Nn'?K ^n
Nnno arhìi) ì'SSnì Nnp^^oai 62
NonjDDK xon2-nkX NDmija 63
nnn'3 jìiSSn \s'v ip SixSni
Nn ì'm xin pj3dSj«i q-Tni 64
NnriDN NiSyìD n^in doB jn xo3
NDINOn f^JK DDNI -|1Nm inNis 65
Nni a-h 'U":> jniSx Nnr::yni
Nijn-n iXDi'? Nto'xSx xmnjm 66
m hn ^yiba ■>■: innrhn nSna Spi
y. 6it £i complamentuììi partium est si absit huiusmodi diversitas : et electio ipsarum ,
ium liberatio consonantiae a corruptela j audeatur et timeatuT' y. 62. Et Ubere procedant
cum levitate , seu mollibus litter'ts et 7\ , et sex sani ^ et perjingent novem-y si applicentur
consonantiae coUigatae - y . G3. Fac igitur clara sit utraque consonaìitia , praepone eis
immediate litteras molles quiescentes , appone eis bases , et primuni ex his tribus exigitur
necessario ad rhythmi exitum - yf, 64. Et quando ante liiteram rhythmi duae sunt im-
mediate quiescentes y et in his minus quam quinque moventur ^ etiam si sequentis adiun-
y. 61. Leggesi nel Cliamus : 3^fJ^J< versi s'inculca. Nella versione abbiam
n'SJ<p*75< D*7Dn ìa 'SX1P7N '3 creduto dovere esporre il precello in
"1ND3'?N IO -^'^ NAZB-v ( anuazbo ) modo generico. Ma nel tcslo si ram-
nelle rime si ha quando sieno affatto mentano i casi della raiia nuda ,
scevre di corruttela e di barbarie. Un redfala e tasisala , tanto nel caso della
tal pregio è quello che qui si racco- qafia legala , quanto in quelli della
manda. qafia sciolta colla sola vazla o della
Sf. 62 a 64. E 1' esaltezza di tulle qafia sciolta con vazla e chorugia :
le parti della rima araba tanlo nelle del che abbiam dello abbastanza nelle
raozioili che nelle lettere in questi noie precedenti.
M E T R I A n A B r. 77
61 È ben se de' limiti, che ancor tu potresti
Varcar senza biasimo , ti attieni al di qua :
1)2 E sempre in accordo di bella eleganza ,
E sempre in sua schietta legittimità ,
63 Non sol la rauia , ma tutto il corteggio
( Dall' umil goììiha che in ultimo sta
64 Al moto spiccante che altero precede )
Per tutto il poema serbar si vedrà.
65 E ben lìnalmente che tutta una frase
Conchiuda de' versi ciascuna metà.
66 La stessa parola che replichi è itàa.
Se il senso uè varii , uou falli : è beltà.
Ma s' è la medesima per senso e per suono ;
Comunque la scosti, bruttezza sarà.
67 E in nomi generici , r[ualunque difetto
D' eqhado o tarida il nome si avrà.
Eqliado , è 1' aruza che il ritmo mal pone :
Tarida è la zarha u' il fallo avverrà.
^as initium- y. 65. Et impUcatio signijlcatìonis sensus eius quod profcrtur in priori versu
cum altero versu - 'y. G6. J^t replicatio eius in prolatione tantum accommoda est , superexce-
tiens autem si replicatio sit in sifpiijlcatiune : et repulerunt defurmitalent eius quandocumquc
accurrerit ~ y. 67. Et defectus accidens circa perfectìonem oblationis rhythmi dicitur Clau~
dicatio j et similiter defectus accidens in pulsatione dicatur J)ìstortio. j
y. 65. V. appresso Carme lungo. ( filli ) del/a sua iacea o in esso, ec.
ir. 66. V It.v.v XD'nSx { ali'a'o ) f. 67. L'Eqada nXÌ'pN'?X ( '■'In-
forma un difeUo se la stessa parola qàdo ) , variare cioè l' aruza non è
si ripete nello stesso significato ; ma infrequente ne' versi arabi ; ma la
replicandosi in senso diverso è una TAnniD.*. ^♦"^^^7X ( ^l'<iri'do ) è un
squisitezza dell' arte : come , a cagion difetto assai notevole nella zarba :
d'esempio 7JI7X ( arragiolo ) in si- non tanto allorché le lettere o le mo-
gnificato di u/i tale uomo , o di per- zioni uou fossero identiche , ne' casi
sona d' animo virile; 2m (dahaba) di sopra ragionati ; ma molto più
fl/irfò, ovvero oro, nome nazbalo ; pi'3 quando il metro venisse a variarsi-
yS BERITIS
Qual costrutto trarremo da tutta questa Beozia ?
Se r esame che or ci occupa non mirasse ad altro
scopo che a crescere quell' italico torpore che sol di
avite rimembranze pavoneggiandosi vuol trarre misero
vanto da un tempo che fu; voi, Accademici, mi avre-
ste sin da principio soflfocata la parola su i labbri :
che delle avite glorie da voi si rammentano i fasti
ad esempio soltanto, ad emulazione, e soventemente a
rimprovero dei degeneri nepoti.
Ma col nobilissimo scopo questo esame si armo-
nizza di trovar nitido onde rintracciar nel passato re-
gole di prudenza per 1' avvenire , come nelle investi-
gazioni di tutte le lontane cose per estensione o durata :
e, limitatamente all' obbietto che or ci occupa, di coor-
dinare colle bisogne della cresciuta civiltà , co' legami
che vievia sempreppiù si stringono tra le varie umane
razze, riunite già presso che tutte in un sistema univer-
sale di commercio e di relozioni scambievoli, i vantaggi
iiatii della patria favella, portentosa lìn da'suoi primi va-
lgiti , ma di que' bambolini portenti forse di soverchio
invanita.
Le umane loquele nel doppio subii m issi mo scopo, e
di esterna comunicazione scambievole de' nostri pensieri
e de' nostri affetti, e come strumenti della vievia perfet-
tibile espansione dc'pensieri e degli affetti nostri quando
ragioniam con noi stessi, non fan 1' obbietto dell'attuale
argomento : della musica del linguaggio or si tratta sol-
MBTB.IARABI. 79
tanto. Ma forse non a torto la più gentile dello antiche
nazioni fece delle muse e delle sirene le iusegnatrici di
ogni umana civiltà. Alla legge delle gradevoli sensazioni
coordinò l'Eterno la legge dei doveri: e la bontà e la
bellezza , colle idee di virtù si confondono all' energia
di loro efficacia sublimate.
Se documenti storici sonnninistrar ci potessero la
probabilità de' fatti , grato spettacolo or ci offrireb-
bero le arabe dive dell' armonia che a ridestar ven-
gono a novello vigore le illanguidite suore dell' occi-
dente , che di nuovi modi lor si fanno iusegnatrici , e
di novella disciplina maestre nella nuisica del linguaggio.
Ma i fatti con invincibile prepotenza dileguano tutte
queste vagheggiale illusioni della fantasia.
Altro ma non diverso da quello che i nostri vec-
chi gramalici avean proposto è il sistema prosodiaco
degli Arabi nella sua csposizion dottrinale, ambo nella
condizione di regole sopra regole artilìziati. Tutti i di-
podii della poetica de' Greci nelle Corniole Arabe si
riproducono : e sembra che Al-Chalil altro scopo non
si fosse proposto oltre a quello di andare adagiando
all' indole speciale della sua favella natia quanto mai
dai nostri trovavasi posto in serie su la determinazione
de' primi elcmcnli metrici e delle combinazioni e so-
stituzioni di che poi son capaci. Quelle rustlchette dive
di Arabia vengon cosi alunne alle vecchie scuole , e
uon già aspiranti a maesti'aiiza.
Pure sarem con esse cortesi : e nella ragione de'
loro jiali e delle loro corde quel tipo metrico andreni
(•^O D E R I T I S
rintracciando che governò e governa l'andamento pro-
sodiaco di tutto il genere umano.
Date molo a un pendolo. Comunque isocrone ne
sieno le oscillazioni, dissimili vi appariranno se vi fa-
rete a numerarle. Non v' ha numerazione senza un pe-
riodo. Direte sempre i e 2; 1, 2, e 5; 1, 2, 5 e 4; ec. e
quell'e che mentalmente almeno apporrete compagno
all' ultimo termine vi conchiuderà le formole di quel
ritmico compartimento che con tutta proprietà in Italia
si disse numero (25).
Cosi la legge de' ritmi nel sistema musicale sorge
uniforme da per tutto. Ma qua e là , probabilissimamente
(25) Numeros memini si verba ^/oCPov z»i %(iì\i.ìuli. Arislide Quint. t£(;i
tenerem. Virgilio. I Gieci il dissero fi.oua. p. 3i, ed. Meibom. Non trattasi
pi,'9,u.o; , e in termine musico da noi adunque di sola numerazione delle
dicesi motivo. Ascoltiamo Quintiliano, sillabe e della quantità di esse nel
Inoralione, ei A\cq. , oìitnis stnictura dottrinale compartimento ài ìunghe l
ac dimensio et copula vocwn constat di brevi , ma della ragione degl' inter-
agi numeris ( numeros pi;3-fious- accipi valli tra le forti vibrazioni (4'otpoi') e le
volo ) aut metro, idest dimensione qmeic {ripiixictvy, e ab a battuta , nelle
quadam. Qiiod etiamsi constat utriim- passioni dell' arsi e della tesi. Quindi
que pedibus , habet tamen non sini- idenlicamenle al moderno sistema del-
plicem differentiam : nani rìiylhmi , la misura de' versi Blarciano Capella
id est numeri, spatio temporis Constant: definiva il ritmo: diversorum modo-
metra etiam ordine: ideoque alterum rum ordinata connexio, tempori prò
quantitatis esse videtur, allenim qua- ratione modulationis inserviens , per
litatis. Inst. l. IX i e. 4. Cosi un re- id quod aut eflerenda -vox fuerit aut
tore si esprimeva. Or ascoltiamo un preraenda , et qui nos a licenlia mo-
musico. 'Pr!>rio; tari gvtSTv.t-it " ;^ovwv dulationis ad artem disciplinamque
kjitu Tiva Tahy ffi^yxtijisvwv. xai ra constringat.
TouruJV Ta^ri '/.uKov^iv Uftfiv xctt S^EC/V
METRIAnABI. 8l
tlelcrminato dai climi, l'un ritmo piuttosto che l'altro
si adagia all'indole speciale delle varie loquele, secondo
che l'urto spiccante nella cmission delle voci, la vibra-
zione dell'accento, a cjuesta piuttosto che a quell'altra
sillaba si appoggi nella loro numerica progressione.
II che potrebbe elevarsi a storica verità col solo
riflettei'e che la nomenclatura a noi trasmessa de' vari
elementi prosodiaci, dalla tale o tale altra nazione deriva
appo la quale fu dapprima quasi esclusivamente in uso,
e massime nella solennità delle religiose cerimonie: che
in esse delle primitive umane associazioni si rimangono
più rispettate dall'età le originarie consuetudini, e sotto
tutti i climi la prima voce dell'uomo, la prima mani-
festazione de' suoi timori e delle sue speranze , della
sua gioia e della sua gratitudine , altro esser non dovea
che un inno, una litania all'Eterno.
Nella nostra disamina, la determinazione del ritmo
prediletto degli Ebrei esser dovrebbe il nostro scopo
primario; ma è forza prescinderne. La lingua santa ,
quale con caratteri fonetici fu ridotta a scrittura e mol-
toppiù quale co'iuiovi caratteri venne per divina inspi-
razione trascritta dopo la trasmigrazione di Babilonia ,
ei'a già una lingua ingentilita da tempi remotissimi : e
i libri della Legge e de' Profeti conservan sibbene nella
piena integrità il suono delle parole come strumento
della trasmlssion delle idee , ma non della musica del
linguaggio, malgrado la vecchia e nuova masora (ìG).
(a6) Vero è , e sembra ormai fallo storico , clie uella trasmigrazione di
Tom. III. 11
82 D E n I T I s
Dovendo perciò limitarci al solo moderno rabbinico ,
il cui metrico sistema da quello degli Arabi non si
diparte se non per le sole condizioni di dialetto e di
non pari innoltrato incivilimento ; esso venir dee sup-
plimentario alla nostra inchiesta , non delle archetipe
forme indicatore (27).
Tornando perciò alla juimerazione più semplice
delle oscillazioni del pendolo, torme archetipe, forme
vere elementari considerar si vogliono le binarie (28).
Babilonia gli Ebrei cambiassero il loro dati per instituire delle ricerche su
linguaggio col siriaco araraco , specie le condizioni prosodiache della lingua
di dialetto caldaico ; e che d' allora santa. Ma forse ne' limiti del mero
cessasse 1' ebreo di esser lingua voi- conghielturalc ci rimarremmo. Pure
gare ( Walton Proleg. Ili ; Rich. un lieve saggio ne prenderemo in ap-
Sinion , Ilist. crii, dii vieiix Tesf. 1. II , presso nella versione del breve salmo
e. 17 ; Fabre d' Olivet , La la?igue xcii , ebr. xcnr.
hébr. restii. , préf. ) ; ma è pili che (27) Alcuni moderni Ebrei si pen-
probabile che la scuola masoretica sano di aver tratta la loro poesia da-
di Tiberiade non inventasse il sisle- gli Arabi ( Salomonis Van Til , Can-
ma delle vocali, e che tulio il suo tus poeseos nec non soìvxndi facuUas
merito consista neli' averne sol con- tiim ■veterum tuni praesertim He-
servalo e trasmesso il costume. La braeorum ex tenebris antiquilatum
forma materiale di que' segni non è nocae /mcj /jro/josjte ). Eppure non ne
di antichissima data, ma l'uso n'era siam persuasi. Qualche parallelo che
conosciuto lin dai tempi di Esdra sarem tra poco per instituire ne fari
( Nehem. Vili. Mischna , Traile des manifesto il perchè.
Pères , e. III. %■ l3. ) , ed anche pri- (28) Vnalonganon valebit edere ex sepedem.
ma, perchè gli Ebrei della Cina, Ictibus quia fitduahus, non gemello tempore.
giunti in quelle lontane regioni due Brei-isutrinquesitlicebit,hisferlriconvenit:
secoli avanti , pronunziano le vocali Parte nam attollit sonorem , parie reliqua
presso a poco come gli altri Israeliti deprimtt.
sparsi su la superficie dei due cmis- ^e'" hancGraeci vocarunt , alteram cantra
feri (Bruttier , De ludaeis Sinensibus). ^""'•
Ouindi non affatto mancherebbero i Terenziano.
M K T R I A R A B r. 83
Ma tipi normali non saranno né il plrrlchio né lo spon-
deo. Le due condizioni pel sito dell' arsi e della tesi
nello spondeo, secondo che coli' anapesto e col dattilo
entrava in composizione (29) , ben fanno scorgere che
metri spondaizzanti esser vi possono , meri spondaici
non mai. E lo stesso é da dire del pirrichio. Nel ra-
pido precipitar d' un fiume del pari che nel suo lento
ma uniforme discorrere non v'ha numero, non v'ha
ritmo , non v' ha periodo da poter distinguere : condi-
zioni cui la sola ragione degl' intervalli dà vita (5o) ,
come la sola ragione degl' intervalli trasformò d' indeter-
minata in sillabica, articolata, distinguibile, e di pen-
(29) Ciò intender si vuole anche gion d' esempio in questo verso del
nel movimento iambico o trocaico in vecchio Ennio :
cui gli amichi ammettevano lo spon- Cìves romàni lune facli sunt Campani ;
dco colle sue soluzioni. Del resto ; Nel qual verso tutte le sillabe iono
considerando il ritmo musicalmente, eguali per tempo , ma disuguali per
cioè per quella parte che segna i vari vibrazione, massime in quelle per noi
tempi musicali in quel comparlinion- come sopra accentuate. Vi sarà sem-
to che noi diciamo liatliila , i fr;in- prc nella pronunzia un certo che di
ce>i misura e gli spagnunli compasso, posa dopo il ci di cives, ec. Posa da
rifiutar non si vogliono i ritmi spon- non confondersi colle pause ril/ni-
daici e pirri(hii , semplici , doppi , ec. c/ie , del che v. la nota 41.
Sarcbbcquasiuncscludei e dalla nostra (3o) Quemadmodum in cadentihns
musica moderna tutti i tempi binarli, ^^uUis quod intervallis distinguuntut
il clic varrebbe un assunlo.Inlendianio narnerum nolai-e possumus , in amni
del tfnipo WH7r/co nella distribuzione praecipilanle non possamus. CiCBRO
dalle sillabe di maggior vibrazione xe , de Orat. a8.
anche, in tempi uguali , come a ca-
* •
84 DERITIS
sieri e di afiFetti comunicatrice , la volubile moltiplicità
delle voci umane (3i).
E qualunque cmission di voce , dalla più semplice
alla più complicata , dalla monosillabica alla sesquipe-
dale, e nelle combinazioni di esse, in due tempi uopo
è che proceda , dell' arsi e della tesi alla condizione
aggiogata (02): vale a dire, sia che una sola parola, sia
che più parole , sia che più comme , sia che più versi
si pronunzino , in modo che tutto il complesso venga a
formare una sola frase, im sol periodo, nella espressione
più o men complicata di un pensiere; sempre vi saranno
due condizioni valutabili per durata e per vibrazione,
e sempre 1' una all' altra subordinata , 1' una dall' altra
diversa per energia di profferenza. Sia il beato Agostino
dilucidatore di questa verità , dalla qual forse tutto il
(3i) Otliraa ò la riflessione de' uo- sa voce^ e quasi a formar di due silla-
stri antichi gramalici che le sillabe Le una sola. — È notabile come i no-
brevi fossero le prime a pronunziarsi: . stri vecchi gramalici che del sistema
Ante enim breve est creatum , redditum sillabico degli alfabeti orientali pro-
longum dein. babilissimamente non aveano nozione
Ed eccoci precisamente nelle prime alcuna , tanto poi a quel sistema tro-
iiotazioui della voce umana diuu'ar- vinsi ravvicinati colle loro sottili spe-
ticolazione , ossia lettera , e di una culazioni.
mozione , ossia vocale. Ciò forma una (Sa) Etenirn in accerptu vocis dis-
uniià di tempo , un primo segno , pjR sonus non disciplina sed natura
quello in somma che intender si vuole editar , ita etiam, rhythmi et mele
per una sillaba brave : e in fatti , per vari /iN bis cantus modulativni-
auloiità di Vittorino , Triufiov veteres bus , prius suapte natura quani ar-
pQjovov non absurde dixerunt. In prò- tis structione gignuntur. Vittorino ,
gresso soltanto un' altra arti('olazione lib. IV. sub fin.
polca venire ad aggrupparsi ad una stes-
METRIARABI. 85
sistema delle varie prosodie dell' uman genere vedrem
chiarirsi. Un eruditissimo e perspicacissimo scrittore ili
tre specie le distribuiva (53): ma non varrebbe l'orse
meglio considerarle come uno ed identico sistema, sol
per tre aspetti diversi risguardato ?
Prendeva il beato Agostino in considerazione quel
famoso verso dell' Eneide ,
Comua velatarum obvertinius antennaruni ,
e domandava : perchè quell' oh dell' ohvertinius ? Non
si rimarrebbe in perfilta regola il verso quando si dicesse:
Cornila valaLariun verliinus antennaruin ?
No : ei risponde j non un sol verso avremmo allora ,
ma due (34).
Quando adunque i nostri vecchi gramatici dicevano
che ciascun verso andar deggia in due parti diviso (55),
non dicevan tutto , e dir conveniva doversi ogni verso
dividere in due parti disuguali.
Ma v' ha dippiù : se que' due emistichii cosi ri-
dotti uguali ritinicamenle vi farete a pronunziare ; l' ac-
cento armonico sarà diverso , e spontanea vieti 1' ine-
guaglianza a ristabilirsi (56).
(33) Il Pfciffcro distingue tre spe- (3.i) De musica, lib. II.
eie di poesia i.° l'araba, 2.° la greca (35) Omnis auiem versus, xararo
e latina, 3.° la germanica e italica. TXuarov j in duo cola dividitur.
Alla prima si accosta quella de'Per- (36) Quintiliano trova l'accento
siaui e de' Turchi ; alla terza quella circonflesso necessario ad ogni mono-
de' Caldei e de' Sirii. — Rispettando sillabo ne sit aliqita vox sine acuta.
le vaste cognizioni di questo autore, 7>2s/./. ^, e. i. Ed ogni acuta strascina
confessar dcggio che il suo sistema seco imperiosamente la grave. Cosi le
non mi persuade. nostre plebi non hanno tronchi , e
86 DEKITIS
Discendete cosi di suddivisione a suddivisione, sem-
pre due parli disuguali si avranno , sino all' isolato
monosillabo , il quale ordinariamente anch' esso in due
disuc^uali parti si divide : il che fu dai nostri avvertito
quando notavano coli' accento circonflesso tutte le lun-
ghe ed a tutte l'enclitiche prossimo traevano l'accento
acuto (57).
Cosi r accento armonico, colla ragion metrica delle
scuole combinandosi, veniva a stabilire' quel che mo-
dernamente intendiamo per movimento ritmico , per
procedimento a rigor di battuta , per 1' arsi e la tesi
ìli somma che con tanta minutezza ne' vari metrici si-
stemi i musici greci andavan determinando. E se 1' ac~
cento armonico degli antichi non è da confondersi col
nostro accento tonico in quella sillaba che nella tesi ,
nel battere della misura facciam sentire , e che ben può
essere iudiflferentemente in qualunque sito della gamma
allocato e con qualunque figura rappresentarsi (38); pure
dicono spiccatamente ^róe, diróe, ec; dis : in harmonica vero suLlalio et
ed anche noi facciam lo stesso , seb- positio vocis aut soni , quae non in
bene quell' e diventi sceva. temporis longitudine et brevitate , sed
(371 Quando cioè il monosillabo in vocis acumine et gravitate consi-
accostasi ad una parola che finisca in stimi , et potius ad accentuum con-
sillaba lunga. siderationem , quam ab syllabarum
(38) Diffenint autem arsis et the- peiiinent quantitatem. Unde sciepe
sis , quas rliylimica considerai, et contigil ^ ut cum manus ponilur , vox
Arìstides Rhylhmi passiones appel- alloUatur , et cantra : quas videntur
lat , ab his , quae in harmonica con- Terenlianus et eius sectalor Victori-
sideraiitur : quoniam in rhythinica nus confundere , cimi eas in pedibus
sunt levatio et positio manus , ve! pe- examinant. Salina , ub. supr., 1. V , e. 4 ;
SXKTniARABI. 87
nel couchiudcrsi di una frase musicale , nella cac/c^/z^rr,
quella sillaba non altrimculi esser può che lunga e
grave. Ed. ecco perchè nelle interrogazioni diam fine al
nostro dire coli' alzamento della voce : ecco perchè una
frase musicale che termini coli' acuto dicesi ed è una
frase sospesa, una preparazione alfa cac^e/zsa. Neil' uuo
e nell'altro caso attendiamo la risposta, attendiamola
conclusione.
Far non dee maraviglia se i nostri antichi l'accento
armonico coli' accento prosodiaco confondessero. Nell'in-
fanzia de' linguaggi sempre sono spiccantissime le can-
tilene, in modo che non si è dubitato da chi credeasi
molto innanzi nello studio della storia del linguaggio
avanzare che i fiio/il appunto fossero stati i primi ele-
menti della parola ridotti a scrittura : il che è notabi-
lissimo in un autore che le sue analisi instituiva sopra
una lingua appunto la qual meno di qualunque altra fa
sentirne le varietà (Sg). E cagionar non dee maravigha
se i nostri antichi tanto insistessero nel loro sistema
prosodiaco delle lunghe e delle brevi, sì perchè quando
le loquele non son molto rammorbidite più spiccanti
mostrar si deggiono, e si ancora perchè l'antica musica
nel vario ripetere della sillaba breve tutte stabiliva
le proporzioni del suo ritmico andamento (40). Ma né
versi di sillabe tutte brevi , né versi di sillabe tutte
lunghe, la ragion dell' am e della ted , la ragion del-
(39) ÉtémenU d'Idéologie , P. II , (40) V. appresso la noia .^6.
eh. à.
88 BERITlS
V accento ionico le ineguaglianze vilmichc ristabiliva: e
la. prosodia clc/Ia nafu/a, fin dalle prime mosse di quegli
artifizi di scuola, riconquistava trionfalrice i suoi diritti.
Non è inoltre da dimenticare che nella ragion dei
l'itmi , nella coordinazione degl' interv^alli onde nel bat-
tere della tesi costante si rimanesse l'isocronismo, non
mancavano gli antichi di quelle pause che formano
dell'attuai sistema musicale il necessario compimento,
e che nell'antico avrem potuto stabilire a priori, quan-
do anche quell' acutissimo scrutatore dell' arte musica
degli antichi che tanta luce or ci porge (41) non cene
fosse stato maestro.
(41) S. Agostino, mJ. ««/ir. j lib. III.- fesso ìiielius tractavit : cuius sex de
Io cito questo santo Padre nelle sole Musica libri ab eo iam matura aeta-
circostanze nelle quali un' autorità di te , mira et ingenii dexteritale et pie-
fatto mi sembra indispensabile ; ma na musicae facultalis scientia scripti
confessar deggio che se non tutta sunt ; sed propter disciplinae huius
quanta 1' idea che ho concepita del imperitiam et ipsius rei dijjìcultatem
passaggio dal sistema musicale e me- a paucis leguntur et a paucioribiis
trico degli antichi al nostro, nella intelliguntar. Lib. J^I , e. 3.
massima parte -almeno dalla lettura II santo Dottore veniva tra noi spet-
de' suoi Dialoghi mi fu suscitata. E tatore quasi di que' nostri antichi ar-
cou vera compiacenza ho letto poi in tifiziati sistemi , e col sistema della
Salina : Haec fere omnia qnae de natura volea metterli in accordo. Un
temporum silentio dieta sunt , ex ter- acre ingegno raflbrzato da vastissima
tio D. Aagustini de musica libro de- dottrina esser dovea consultato, almen
sumpsimus , et multa alia quaa ad come interpetre , come dragomanno,
lioc nostrum instituluin pertinere vi- da tutti quegli eruditissimi che delle
debuntur , desumere non verebiinur : condizioni dell' antica musica sono an-
quando nemo alias Graecorum et La- dati a frusto a frusto raccapezzando le
tinorum hanc musicae partem ex prò- memorie. Or percliè di qualche sba-
M E T B. I A R A B r. 89
Che riniaue adunque di diverso tra gli antichi me-
todi prosodiaci e i nostri? Non altro che le necessarie
conseguenze dell' ingentilirsi dell'organo vocale di ge-
nerazione a generazione , e di quel miglioramento pro-
gressivo che tutte le umane arti ricevono nelle loro
scambievoli convergenze, nel loro mutuo soccorso, nella
risultante di mille individuali industrie che in industria
universal si trasformano. Farà sorpresa se molte sillabe
che già furono lunghe or come brevi vengan da noi
pronunziate ? Farà sorpresa se due o più sillabe antiche
in una sola or da noi si raggruppino ? Se non più una
sillaba breve venga inflessibilmente come la metà di
una sillaba lunga a considerarsi ? Tutte queste condi-
zioni erano già in movimento fin da remotissimi seco-
li (42) ; e bastò il solo cangiarsi del sistema nella
data frase retorica di Plutarco , a ca- tegros ; illos à Residuis aut Adpo-
gion d'esempio, si fa gran caso, e si sitionibus. ybi et vacua tempora ad-
lia quasi ribrezzo di andare a scuola sumanl. Est aiilem Tempus vacuum ,
<]a un gran maestro clie ne trattò di quod absque sono exislil ad coìnphn-
proposito ? dum rhylhmum. Residuum vero in
Kon bisogna però tacere che Ari- Tliythnio , tempus vacuum minimum.
slide Quintiliano parli del conuputo da AdposUio , tempus vacuum longum ,
tenersi delle pause ; ma con indica- jtiinimi duplum. 11 che altra nozione
zione assai rapida ne parla. Eccone non ci offre se non quella del modo
il luogo giusta 1' interpetrazione del con cui gli antichi rellillcavano qual-
Meibomio. ytdhaec alias ex omnibus che sillaba mancante nelle sole con-
brevihus , alio ex iis longis ; alias dizioni del semplicissimo loro sistema
permiste conficiunt , abundantibus vel di ridurre tutta la durata sillabica
longis vel brei'ibiis ; aut per simitia unicamente ad uno o due tempi.
tempora , aut per dissimilia elationes (43) Inter metricos et musicos j
positionibus reddentes. Atque hos in- propler spada temporum tjuue sylia-
Tarn. III. lì
go DERITIS
notazione musicale per vedere tutte le moderne loquele
non più alle antiche profFerenze adagiabili. Cosi i nuovi
modi poetici, nell'accordo dell' accento tonico coli' ac-
cento prosodiaco coordinati , non più riconoscono per
accento e sillaba veramente lunga se non quell' accento
e quella sillaba che nel battere della tesi aver dee sem-
pre, virtualmente almeno, una più distinta vibrazione.
A rendere compiuto il nostro esame qui conver-
rebbe, dopo 1' esposizione del sistema prosodiaco degli
Arabi , tentar quello del sistema musico-prosodiaco
de' nostri antichi. Ma i monumenti dell' antica musica
sono assai scai'si. Ad ogni modo giovi darne qualche
saggio, onde l'uniformità di andamento tra 1' antico e
il nuovo in tutta la sua luce rifulga.
E sia primo un inno trimetro anapestico, corrispon-
dente pel metro al nostro ordinario decasillabo. Fu già
pubblicato da Vincenzio Galilei il i58i nel suo Dia-
logo della musica antica e della moderna, e tratto di
Roma da un ms. della biblioteca del Cardinal di S. Ange-
io: riprodotto poi, non senza qualche menda tipografica,
da Ercole Bottigaro nel 1601. Un'altra pubblicazione ne
fu fatta in Oxford nel 1672 da un ms. trovato in Irlanda
hìs comprehenduntur , non parva dis- scrupulositas musicìs et rhythmicis re-
sensio est. JVam musici non omnes linquatai: Nani quia ad nos allinei
intcr se longas aut hreves pari men- nolemus pkrasque syllabas radane
sura consistere , siquidem et brevi ( scil. metrica ? ) pares esse , spatio
breviorem et longa longiorem dicant autem sive sono impares. Vittorino ,
posse syllaòam fieri Sed haec lib. I. De mens. longar. et ùj-ev. s-yìl.
M E T n I A u A B r. qi
tra le carie del famoso Usher ( Usscrio ); e dal signor
Burette nel J720, collazionato e supplito iie' primi sette
versi con un ms. della rcal biblioteca di Parigi. Sarebbe
stato importante che di questi sette versi ancora si fosse
rinvenuta la notazione musica, per vederne forse, non
qualche ravvicinamento colla notazione dei nostri musici
madrigali , come sembrerebbe a prima vista , ma un
vero periodo musico, una vera introduzione al canto
nell'idea di quelle prime parti delle nostre canzoni che
si dissero siriine o fronti (45). In mancanza di ciò ,
qualche lume trar possiamo dal frammento di un altro
inno , rinvenuto negli stessi codici e eh' ebbe le stesse
pubblicazioni (44), e dal frammento della notazione nui-
sica alla prima strofe della prima à^o. pitiche tratto dal
Kirker dalla badia di S. Salvatore di Messina (46).
L'inno è come segue, del quale diamo a fonte una
metrica traduzione, col solo cangiare in acalulelii nelle
cadenze e conserv'ar poi sempre catalettici que' versi
che il poeta greco compose indifferentemente catalettici
o ipercatalettici.
(43) Dante , De viilg. eì. Tiissino , storici della musica nulla aggiungono
Poti. allo investigazioni del signor Burette.-
('!<*) V. Dissertation sur la mélopée Kc abbiamo due esemplari anchenc'mss.
de. l'ancienne musique, par M. Bon- della rcal bil.liolcca, de' quali seguia-
iiETTE Ad. de VAcad. de.% Inscript. , mo il lesto, fuorché nell'ultimo verso,
lem. V , 1C)1. - yt general hislory of V. in fine Spiegazione delle favole,
music , from tlie earliest ages to t/ie (45) Musiirgia, tom.II. Dell' aulen-
piTMiil pcriod; by Ciiaiìlis Buiìney- ticit.'i di questo frammento or non piii
ailaciUCillC (Kfff)iC^ec &cv uutfit , W>ll dubitano gli eruditi. V. gli autori c\-
3ohann Oìn-oUlia Morfei - Questi due iati nella iirccedenlc nota.
*
92 dehitis
TMNOi; Elt, HAION.
Tfi , xaci 'Tovro? , xai «voteci ,
H%o; , (P^oyyoi t' opv<S-wv.
MiXXu h 'Tpo? 'yìiMc? (ioLiystv
<I>Oi/3os , ax.ipcnx.OiJ.ag , a^iTas.
Xioyo[iXi(ì)oi.pov 'TTot.rip Aovg
'Po^oiTiTxv '05 ccmya. crwXwv
TLrayoi? 'f t' ix.vicri hKox.m ,
H-pucnociffiy aycck'kopi.iyQ? xoixcct?
Tlipi yajrov aors/parov ovpavov.
Axrtvoc ixoXvcrrpo(^ov cciiTXixojy ,
AiyXcc? ToXv^ipnsoc <xa.ya.v
llipi yaioLV à'jeacra.v ikicrcwv.
HoTa^ioi li crsS-sv Typos afi(ipoTov
Ttxrovcny sTripocrov 'af^spav
Xoi y-iv xopog tvliog acmpwv
Kar' OXofiTroy ccyocxrci x°P'^'^ 5
Av£TOf iMiXog any au^wv ,
(potfòn'ldi TipToiAivog Xvpgi,.
TXoLVxa. li 'Xoip^Qi.'Ti XiXaya.
Xpoyov \opiov 'a.yiiioyivii ,
KiVXMv 'v-ro crvpii.cx.cn iuocr^wy.
Tayvvrai h n '01 voog iufisvng ,
HoXustiMOvoc xoiT(ioy h^irrcrttjy.
Varianti» ty-voi iis AiroX^.wca Tutte l'edizioni. Nelle quali anche il y. 3. precede il y". 2.
jlf. 8. mt.m. Oxf. y. Il- airtipTiTOv, Par. y. i3. Cosi anche Oxf. Ma l'altre eà.rro\vxihQi,
ijjr. 16. cnrtfKnv Oxf. y. 18. xar' hvXujì-kqu Osf. Far. y. 20. ipofiiiSi rmii:m ^"pr, Par.
I
ilETRIARABI. - 03
INNOALSOLE.
Tutta r etra dia plauso ,
Monti e vallee. Già riccie . . .
E terra e mare ed aure
Ed echi e augei si tacciano. . .
Ver noi già fausto procede
Febo , r intonso , V armonico.
De 1' Aui'ora dalle luuide luci
Padre augusto , che , rapido auriga ,
Per le strade del cielo conduci
Maestoso la rosea quadriga ,
Di tua cliioma spiegando il fulgor :
Dalla piena de' raggi fecondi
Su la terra un immenso diffondi
Di splendori inesausto tcsor.
Un torrente di fiamme ognor vive
Da te sgorga , ed il di si ricrea :
Per te ogni astro di danze giolive
Ne r eterno caribo si bea ,
Ed al suon de la lira febea
Di sacr' inni fa Olimpo echeggiar.
Pallidelta se intanto è la Luna
Su la biga dei giovin' torelli ,
La stagiou de la notte è men bruna :
Ma se adorna è di raggi novelli ,
Più amorosa e benefica appar.
y. II. wafoi^i Fir. y. 22. x°l"" > "ot* °'5. il in c<"l. del Galilei y. 2i- yuvvTxi.
Tutte l'cdiiioni V. 25. iroXioc/xoix y.iTii.xi tKi7tnr Oxf. Flr. Nap.
94 DERITIS
E noto che 1' intavolatura dell' antica musica con-
sisteva nel notar soltanto progressivamente sulle sillabe
i vari tuoni con cjuelle cifre che dopo le diligenti cure
del JMcibomio or più non ammettono difficoltà. Ma per
quel che riguarda tempo solo indica vasi da principio
la qualità del ritmo da seguii'si. Or tale indicazione
in quest' inno è cosi espressa : v - rsvo? diTXa.criov , 6
pv^fjLog i(oì;iy.%rriir,ij.oi (46). Nel nostro attuai sistema musi-
cale si sarebbe detto : Tempo aualtro tre. Or come si
adagiano con questo tempo gli anapesti nella condizione
che le due brevi eguagliar deggiauo una hmga? Stando
a questa volgare opinione , il signor Burette assegna
ad ogni sillaba lunga una minima e ad ogni sillaba
breve una semiminima \ ma ecco tempi disuguali, ecco
battute ora di tre, ora di quattro semiminime , ecco un
ritmo che non è più ritmo , ed ecco un autore stima-
bilissimo inciampare in evidenti contrassensi per darne
spiegazione (47). Egli è chiaro che per ridurre un ana-
pesto al ritmo iambico , al genere duplo , cioè di un
tempo nell' arsi e di due nella tesi ( o viceversa pel
tempo duplo trocaico ) , le due brevi notar ci doveano
per due crome quando la lunga notar voleasi per una
minima. E non altrimenti notar possono i nostri maestri
di cappella gli odierni anapeaii quando scelgono il tem-
po ternario , quantunque ben possano notarli e comu-
nemente li notino come gli antichi nel tempo binario.
(46) V. in fine la Spiegazione delle cosi ragionando ; )> On apprend pav-
iavole. » là , i." Quc le ihytlime de celle
(47) Il signor Burelle ( loc. cit. ) va « pièce de poesie est dans le genre
M K T R I A R A B I. g5
Rafforzi qucstii osservazione un altro esempio :
EIS MOTXAN.
Ae/S.= , Moucrot , ijloi (^iky\
Eficig (Ppjva? SovaTii;.
KaXXtOTticc rTo(poc ,
y[ou7(iJV "Tpoxara-j/iTi TÉpTVwv ,
Aaroy? 9/0>'s , AriXie , 'xaiav !
Ey|it£vs(s crapsarj f^to/.
ALLA MUSA.
lamho Bachiaco.
Dell cauta , o Musa , e tenera
Melode al vate inspira :
M' inanimi quel zeffiro
Che a' mini tuoi si aggira.
Deh , saggia Calhope
Che tutto hai seguaci le suore ,
E tu , sapientissimo
De' miti divino instruttore , *
Per voi m' abbia e l'orza e ardir.
Variasti. XaXXuira roja;, Fir. Oif. l'ai. Nap. un Coi
Il 'Idublc ou l'iambique , ce qui re- » dans celle mesure le fei/é n'a qu'un
» vieni au mème ; c'est-òi-dire , quo « temps , ci le frappé enadeui, ou
K)6 UE il 1 T I S
La notazione ritmica di quest' inno è , come die-
tro si è trascritto , icunbico hacìiiaco. Osserva il si-
gnor Burette che il secondo predicato si applica assai
bene tanto a quest' inno alla Musa che all' altro ad
Apollo perchè scritti nello stile diiirainbico , come scor-
gesi e dalla scelta delle parole confacenti a un tal ge-
nere di poesia , e dalla irregolarità di versificazione
che vi regna (48). Ma i nove versi di quest' inno alla
Musa offrono una disposizione simmetrica, un periodo
i> rcciproiiucmcnl ; S.° Que ce rhylh- dotto autore qui confonde i." rilmo
)) me est compose de douzc temps syl- anapestico con veiso anapestico ; 2.°
Il labiques , cquivaleus à douze brc- versi catalettici ed ipercatakttici 3."
» ves ; ensorle qu' il y cn a quatre verso e ritmo ^ ec. ec.
i> pour le leve , et huit pour \efrap- (48) » S.' V égaid du second terme,
i> fé, cu au conlraire , et quo clia- » il peut fort bien s' appliquer aux
)) que vers ne fait qu un rliytbnie ou n trois petils poèmcs qui sont écrits
» une mcsure, qu'on peut cependant, » dans le style dilhyrarabique , coni-
li comme je 1' ai fait , parlager cn » me le font assez sentir et le choix
« deux mesures moins longues , en » des cxpression consacrées à ce gen-
1) gardant toujours Ics mèmes propor- n re de poesie , et V inégualité qui
» tions. Il n' y a pourtant , aucun de >i règìie dans la versificalion. n I^. e.
i> ces vers , qui ne renferme la va- pag. igo. 11 terzo poemetto di cui qui
>i leur de plus de 12 bréves , puisqu' si tratta è T inno a Nemesi, il quale
Il ils cn contiennet chacun jusqu' à è aneli' esso , come la parte inlonota
» quatorze et quinze. Mais comme ce con segni musici dell' inno al Sole ,
)i soni tous des vers anapestiques- tutto in versi trimetri-anapestici , ca-
1. hypercaUilectiques , c'est-à-dire , takttici o ipercatalettici ad arbitrio
,1 qui ont de trop , ou une syllabe del poeta. Ma siccome in un ms. della
» longue , ou une breve et une lon- real biblioteca corre quasi tutto colle
,. gue ; ces deux ou trois bréves sur- note musicali, il che manca negli altri
)) numéraires sont ccnsces ctre liors da codici ; ne facciam discorso nella Spie-
>, rliyllime ou de la cadence. » — Il gazione delle Tavole.
metriahabi. gy
musicale , una strofe , un sistema ; e nomnicno asserir
possiamo che non fossero in appresso gli altri versi al
modo medesimo coordinati. Polrem dire irregolari le ode
di Orazio, a cagion d'esempio, perchè in una stessa strofe
si riuniscono versi di vario metro? versi di varia strut-
tura ? E se rjuc' poemi oraziani aveano realmente ver-
ba socianda chordis ( e nessuno argomento abbiamo per
dedurne il contrario ) ; convenir bisogna che avessero
altresì un andamento ritmico uniforme , senza di che
non v' ha musica. Anche il canto fermo , sebbene con
amplissimi compartimenti , non manca di periodo rit-
mico , d' intervalli simmetrici nell' ordinamento de' ri-
torni dell' arsi e della tesi (49).
(•19) Intendo per andamento ril- e pure da versi metricissimi non son
mico unifovmc un qualunque periodo molto lo«tani. La varielà de' versi non
musicale che abbia una determinata produceva irregolarità nell' antico si-
leggc di movimenti e di cadenze la stema, quando un andamento ritmico
qual l'accia ripetere ad intervalli ta- si prendea secondo una data legge
li, se non (liicamcnte, sensibilmen- coordinato.
te almeno , un ritorno simmetrico Queste varietà gli antichi andavano
di quelle cadenze e di quel movimen- cosi metricamente classificando ;
to. Cosi dissero e dicono i maestri x' ) zara ari'xav , quae eodem metro
dell' arie retorica che in un bel discor- Constant , vcl ex trimetris ac tetra-
so v'ha ritmo. Chi dirà che non vi mctris eiusdom metri,
abbia andamento ritmico nelle canti- f>) auirnuarixa , quae pluribus me-
lene della nostra salmodia? Ma quei tris , ncque uno vcrsu aut eodem colo
the diciamo versetti , tanto nella vel commate continentur, ut sunl £»w-
chiesa greca che nella latina , non Soi et quae syzygiis gradiuntur.
lon versi al certo nel metrico rigore; y) niy.ra,
Tom. IIL i3
4.
g8 DERITIS
Riguardo poi a irregolarità di versificazione , fa
sorpresa che quell' illustre accademico abbia voluto se-
guire piuttosto che correggere le inconcepibili idee del
Salniasio , il qual taccia d' irregolari que' versi metrici
ne' quali qualche sillaba lunga in due brevi si sciol-
ga (5o) ; e fa sorpresa maggiore 1' udir da un tanto
erudito che i versi catalettici ed ipercatalettici lascino
un voto neir andamento ritmico , mentre gli acataletti
appunto son quelli che il lasciano ne' ritmi iambici, e i
E tulli tre
■ auira^oky. , quod sui E che nella combinazione ordinala
generis qualitalein men- di queste diverse industrie si raggirasse
suramque semper obli- tutta l'arte ritmica degli amichi lu opi-
neant. nione conservata sino ai tempi di Mar-
(terajJoXi/.a , quae ab ciano Capella; il quale si esprime cosi
[aliis melris ad alia gè- Rliyllnniis igitur , ei dice ^ est coni-
^uera transilura faciant. positio quaedam ex semìbiUbus callaia
Ual che appare che metro , e con- temporibus ad aliqueni Jiabilum or-
seguenlemcnte ritmo uniforme, si avea dlnemque connexa. Rurmin sic diffi-
zara (TT/^ov ne'lrimelri, tetramelri, ec, nitiir. Nutnerus est diversonun ìno-
come neir unir che facciamo ai nostri doruin ordinata connexio , tempori
endccasillalji i scllenari, i quinari, ed prò ratione modulationis inserviens ,
anche i trisillabi, purché si conservi per id quod aut efferenda vox fue-
V andamento iambico , nelle canzoni rit , aut premenda , et qui nos à li-
che diciam petrarchesche, ne' recitativi centia modulationis ad artetn disci-
dei drammi. iVoR si cangia melro , e plinamque constringat. Interest tamen
conseguentemente ritmo, o'i'ffTti.aaTixir) , inter rìiylhmum et rhythm,izomenon .
in quasi tulle le nostre gobolelle pò- Quippe rhythinizomenon materia est
polari, purché sinimetricamenle si ri- numerorum : Numerus autein velul
pelano, ec. ec. quidam aìt'fex aut species modula-
E tutti questi periodi j piìi o meno tionis apponitur. L. IX.
eslesi, son precisamenle ciò che vuole (5o) L'opinione del Salmasio verrà
iutendersi colla parola riimo. esposta più innanzi, al Carmseseye.
METniARABI. t)g
brachicatalettici ne' trocaici; e così per gli analoghi (5i).
Non senza qualche titubanza esponiamo questi no-
stri pensieri : che di certa perturbazione di animo non
dee poter sceverarsi chi a tal si oppone la cui fama
è divenuta europea , e
J^ivii' volitai per ora viràm ;
pure a me sembra evidente :
I." Che gli antichi , come noi , nell' andamento
ritmico non considerassero soltanto un numero deter-
minato di sillabe , ma una coordinazione d' intervalli
nell' accentuazione di esse (62) ; e che un tale anda-
mento conservassero smo alia melabole , sino al pas-
saggio ad un andamento diverso; il che da noi si ad-
dimanda cangiamento di tempo (53);
(5j) » Pour empècher que la mar- Cosi il eh. Burette nella sua Disa.
» che du rhythrae ne fùt runipue sui ritmi ; Ad. de l' acad. des Inscr.
» dans le cLant de ccs vcrs appellc's pag. 126. Intanto è da osservarsi che
» catalectiques , parcc qu' ils dcineu- ne' metri iambici ed anapestici , gli
» roient court, faute d' une syllabe, acatalctli appunto son quelli che la-
<t ou brève ou longue , on avoil soin sciano spazi da riempire , non gii i ca-
» d' y suppleer, par 1' addilioa d'un talctlici e mollomeno gl'ipercalalcttici.
» temps ihylhmique , c'quivalcnt à Ma le pause non sor) limitate alla sola
Il une brève ou à une longue, et qui fine de' versi. Ov' è una cesura, esser
» rcmplissoit 1' intervalle ; pendant dee necessaria pausa. Quindi la facolti
» lequel la voix du Musicicn ne se ne' poeti di riempirlo. E quindi 1' ori-
li faisoit point cntendre. Ccs temps gin vera dell' alterazione de' piedi in
» vuides rcpondoient cn quclque fa- qualunque cesura del verso.
» con i ce qu' on nomme paiises et (5:j) V. la nota 49.
u soupirs dans la niusique moderoe. ti (53) JViythmis , disse Quintiliano ,
*
lOO DERITIS
II." Che ad un ritmico andamento prescelto ada-
giar si potessero versi e strofe di varie dimensioni ,
purché in analogia col ritmo adottato ;
III." Che nel fissar le regole di tali analogie tutta
r industria de' metrici si raggirasse ;
IV.° Che nella semplicità dell' antichissima musica
e neir infanzia de' primitivi linguaggi la quantità delle
sillabe e de' tempi esser dovesse nella ragion semplicis-
sima di 1 e 2, di breve e lunga', ma che col progresso
dell' arte musica, coli' ingentilirsi delle loquele, di altre
suddivisioni si sentisse il bisogno : in modo che di mano
in mano ( e specialmente allorché la poesia si credè
potersi sostenere separatamente dal canto, e poeta e mu-
sico non rappresentò la stessa idea ) il sistema ritmico
nnisicale , se non fu afifatto in opposizione col sistema
ritmico de' metrici precettisti , in gran parte almeno
ne disconvenisse (54).
V.° Che intanto, continuando il ritmo musicale la
sua necessai'ia influenza sulle liriche poesie , e biso-
gnandole pei progressi dell' arte e per nuove melodie
libera spalla , metiis finita sunt ; et in contextu rjRijET.^TEM ; sed
his certae clausulae. Illi quo modo qua coeperunt subljtione et ro-
caeperunt currunt iisque ad |itTa/5o- sitione ad finem usque decur-
\t\t , id est Iransituin In aliad genus rvnt. Inst. l. IX. e. 4. Uniforme in
rhytlimi. Et quod metruni in verbis ciò a tutti gli alni sciiuori antichi ,
inodo , rhylhmus etiam in corporis greci e latini , musici e metrici.
tnotii est. . . .Jìhythìni ut dixi neque (54) V. sopra la nota 42.
finem habent certiim , nec uldah
W E T R I A n A E I. lOl
or sillabo più brevi ed or più lunghe delle cosi dette
h?'evi e lunghe de' tempi anlicbi ; un novello sistema
metrico dovesse emergerne musicalmente sillabico, e
non a legge della primitiva prosodia, clic mero sistema
da scuola si rimase.
E che un tal cangiamento non fosse, come creder
si potrebbe , opera di cjue' secoli i quali diconsi di cor-
ruzione , l'autorità de' classicissimi il dimostra (55), e
ne fan testimonio cjuest' inni e le antichissime popolari
canzoni dell' antichità più remola,
Abbiam da Aristofane che il seguente scotio dal
popolo di Atene tuttavia si can.asse.
Ey iJLVprou xka^i ro |((f)os (PopnTd) ,
'OOs Tip Api^o^io? xcci Apiroy-iTMY ,
'On Tov Tupocvvov urocvirnv
I(T0Y0(ji0V5 t' AÓTiVOig BTroiYKTccrviy.
Avrò ne' mirti ravvolto il mio brando
Al par di Armodio e di Aristogitone ,
Quando fean strage de' perfidi , quando
L' isouomia riacquistò sua ragione.
'55) Che le poesie cantate avessero i?el oralio. Quorum similia sunt etiam
certo ritmo simile alla prosa dicea Ci- apud nostros : vehit illa in T/iycste:
cerone : maximeque id in optimo Quemnara te esse dicam ? qui tarda
quoque eorum poetarum qui \vpix.oi in scacciale; et qunesequuntur: quae,
a Graecis nominanlur , quos cum nisi cum tibicen accessit ; orationi
cantu spoliaveris , nuda paene rema- suntsolutae siinilllma.De Orai. e. 55.
l'ia D E R I T I S
$/Xra9-' AqiÀQ^i ovrcu rióvvjxag-
'Nncrois 5' £v iixxocpfov ere (patr/v «ya/ ,
'Iva ipTip Todftjxrìs A.ynk\wg , Tf^u^t/f
Te <pa(r/ tov sailAcv A<0(U.rj5£a.
Ev (ivprou xXcch ro ^1(^09 (^oqrKTM ,
'ùJs T£g A^f-ohos xoci Kpi~oyiiru)r
Or' A^TjVairjff £V Gucridig
AvJpa ruqxvrov Icrcrap^ov £xa(V£r7)y.
A£( cCPfyy ;i:X£0? inerirai xar' a/av ,
<&;XTaó' Ag(Uo5i£ ;ca/ KpiToytircov , .
'Ots tov trygawov ;crav£r7!y
IcroYo^oug t' A^^Tjva? f^roiTifrarriy.
No, caro Armodio, tu morto non sei :
Che in le grand' isole splendido siedi
Ove i magnanimi Achilli e i Tidei
Ove han lor seggio gli strenui Diomedi.
Avrò ne' mirti ravvolto il mio brando
Al par di Armodio e di Aristogitone
Che le Tisìe della Dea celebrando
Fecer che Ipparco mordesse il sabbione.
Di vostre laudi eco è già 1' universo ,
Carissimo Armodio e Aristogitone !
Che su qucll' empio in suo sangue sommerso
L' isouomia radicò sua ragione.
METRI ARABI. lo3
Che v' ha di diverso tra questo e 1' andamento
ritmico delle ballate de^ noslrì duceniisli ? Eccone una
d('l pio frate Agnolo da Camerino (56).
TEMA
Per la memoria di nostro Signore
Che in seno è nato di Vergine Madre ,
Laudiam 1' Eterno Padre
Di tutta grazia e di tutto valore.
CORIFEO
Questo figliuolo prennio nostre forme
Sempre tegnendo natura divina j
Jlivolla.
Perciò sua vita tuttora conforme
La gente umana a la santa dottrina.
CAiave.
Deh quanta a noi maestate s' inchina
Air incarnarsi il Verbo benedetto ,
Il qual nel sacro petto
Del Padre luce , procedente Amore !
CORO.
Per l'allegrezza di nostro Signore, ec.
E qui ci piace ravvicinare esempio di antichità
ben assai più remota. Ecco come io ho creduto leggere
il salmo xcii, xcm del testo ebreo.
(56) Nella edizione del Valciiani smaoia di tuscaoizzarla.
Uovati alquanto guasta per la solila
lOt DE R I T I S
1^2"? nWJ I^D .Tin» 1 leóm màlahe: 'ggeut tahesc' :
nrm-T ri^nln» :^•5S /«óf^sc' leóua óz iteazàr:
: Oisn-'?? San pn-'>^ af-'ttikhon teheì hai HtinimoL
riXpp |1DJ 2 A'a/o7i 'kkisaka :
: nn N* gVi;; p wp //^eas meólam atta,
ni.T nlinj INÌ^'J 3 iVase^/ neàrot-. leòva.
c^Sip ni-im INb'3 Naseu nearot qolàm :
J^:3T nm iXb'r «eo /zm/-o/ \ldàheam ?
t'PT fc'p niSipp 4 Micjqolot maini rabbim
&-'73^'D annx Addirbìi misc'-herehm
; nlrr aiipa T^ addir hUmmàrom leóva.
nxp ÌDOX J. Tj'i-iij; 5 Edoteka neemeku meód
CI p'n^X J Tjri'37 Lehéteha nàara-qoresc'
\ ( ^|N' ) C'p; ^^ rv\r\\ leòva leòreke amim ( ieezàr ).
NOTE OIUSTIFICATIVB.
(■"l'i,")* è il nome ineffabile di Dio, misura delle sillabe brevissime eh' io
che gli Ebrei sol leggono e pronun- considero non come le vocali mule
ziano 'J^J^ adonai ( signore ). Per ciò degl' Inglesi delle quali non si tien
che riguarda metro , quantunque co- computo ne' versi in quell' idioma ,
munemenle tutti gli eruditi cbraiz- ma come la e muta de' Francesi die
zauli leggano lova bissillabo , ho nella sola prosa può dirsi , e noa
creduto tanto in questa quanto nelle sempre, evanescente. Ho creduto che
altre parole non doversi trascurare la confortar possano questa lezione e
METRI AHABI. lo5
L'INNO DELLA PRIMAVERA
Quando verdeggiano i campi.
T E il A
Regna e pompeggia , alto Ei pompeggia
E ia leggiadria possente armeggia :
Sta saldo il rampo in sua virtù.
Sta salda tua reggia :
Qual ora tal sempre Tu.
IL COKIFEO
Siro/e.
I turbini fremano : Egli li
I turbini inugghin : perchè
Teina di turbo distruggitor ?
Anlistrofe.
Più del tuou, del mar che gli argini
Franga indomito e dimargini ,
Potentissimo è il Signor.
Epodo.
Si : Tua legge in costanza grandeggia :
Tu SEI. Che di prosperi amplissimi veggia
Un campo a Te sacro Tua legge fu.
CORO.
Ei regna e pompeggia , ec.
l'autorità degli aiuìchi scrittori cri- e il costume stesso degli Ebrei nella
•tiani che sirissero leova trisillabo , sostituzione della parola adonai che
Tom. III. 14
loG D E Fx I T I S
Sarebbe agevole l'andare spigolando qua e là ne'
cantiei della Bibbia altri periodi ritmici i quali , come
non può al certo per veruna industria cagion per la quale sta bene di andar
centrarsi in due sillabe sole, special- rintracciando la ragione delle eliiuo-
inenle al principio del verso, com'è logie , /;e/- /eWere, piuttosto da' popoli
il caso attuale. La salmodia ebraica beduini che dagli stabiliti in città. Le
scrupolosamente conservala co' punti prime cardinali articolazioni , cfee
e cogli accenti molliplici dell' antica formano il fondo del linguaggio e ne
e della nuova masora, permetter non costituiscono il gramatical sistema ca-
potca che un trisillabo ad un bisilla- rattfristico , nella loro originaria grct-
bo Venisse sostituito. - Per ciò che ri- tczza , nel loro totale isolamento , o
guarda poi traduzione , avrei ben pò- almeno con prominenti e sfrangiaie
luto tradurre /' eter'wo seguendo lato- commessure^ appo quelli si rinvengo-
talità de'gramatici che traggono questa no ; mentre tra i popoli di lunga civil-
parola dalla radice ,-|ì|"j ( eifu ) , e tii fusi per dir così o con imbrunite ed
T T
della forma IT),"!» ( egU è ) ; ma ho invisibili saldature si riproducono. Ma
creduto che tutla la forza fosse pre- nella ragione delle etimologie , per
cisamente nell'articolo ^,"1 similissimo idee , ecco fin nel nostro vecchio La-
»11' articolo arabo 'pv< , che gli ebrei zio quel gran pensiero orientale :
contraggono in J^ mossa per patasc' AspiceTlOC, sublime candens,quein
e seguita dal daghesc indice eviden- vocant omnes lOVE' ;
tissimo della ^ sempre liquescente in ed ecco insiememente , o io m'ingan-
ebreo e sol nelle lettere solari appo no, il perchè tanta ripugnanza, tanto
gli arabi. Cosi il nome ineffabile fi"),"!» ribrezzo aver dovea il popolo eletto
degli ebrei sarebbe lo stesso che l'i-j'^^v^ nel profferire una parola dalla cecità
degli arabi , colla sola differenza nel delle genti contaminata. Invocate con
profferire una voce identica dalla bar- una espressione qualunque 1' Essere
bade alla civiltà. Gli arabi , popolo Supremo, dice Tertulliano , ma noi
rozzo e tuttavia tale, batte serapremai chiamate Giove : Giove è là con le
con asprezza il tasto articolare : gli sue libidini putrido cadavere in Creta,
ebrei, popolo civilissimo vari secoli La parola jTlj^» ricorre cinque volte
prima di Esdra , vi sdrucciola voca- in questo breve salmo: ma nel quarto
lizzando. Ed è questa , a quel che e quinto versetto include una frase
sembra, e sia detto di passaggio, la tutla intera.
M E T R I A R A B I. I07
questo, colle cantilene de' nostri popolani si affanno :
ina forse ne' linjili eli mere con"l)iclture lultavia ci ri-
o
y. 1. Ma quc' sapienlissimi non ignoravano
che nella lingua santa la parola terra
rtSjJ parola indicante supremazia indicante lullo l'arido (lei nostro globo
ia tutti i dialetti semitici; ma suprc- è V^H erels ; come ne' primi versi
mazia permanente e non contraddetta; dilla Genesi: e che qui trattasi di
e perciò 7-egiiò. \l che esclude in qiie- 73j~\ 'eie^, precisamente /erra co/tt-
sto salmo qii,iliin([ut; allusione che vabile , e perciò da noi traducesi
mai voglia idearsi delle feste di trionfo campo.
nella primavera di Oro sopra Tifone, 11 quale nel secondo versetto del
di Orrauzd sopra Ariiuaue , di Giove salmo è detto J<03 Icasa e nel quinto
sopra i Titani, ec. jT3 ^"^^ " bel: parole che nel senso
{•'2*^ pompeggia. [^'^^^ è precisa- primitivo significano, f[uella una co-
njcnle la veste esteriore, che noi di- verttira , un tappeto , questa U)i re-
rcmmo manto. cinto ; caia in somma J<03 uell' ori-
IfJ^nn armeggia. Questa idta fé- ginale signi-ficato di questa parola.
licemente espressa nella volgata col Z?ei-/eew, la casa del pane; -BeZ-iff/rfe,
praecinxit se , è più direttamente la casa della pesca ; Bet-fage , la casa
renduta nella versione dei lsx col de'fichi ; ec.
%%x mpiiZitiaaTo. In sostanza è la ma-
nifestazione di Dio nelle sue opere X. a.
esteriori di bellezza e di vigore col
ritorno della primavera, nella quale 11 trono di Dio è in tutto il crea-
alla gioventir e quasi ad una creazione to : ma più splendidamente nel cielo,
novella è ricondotto il mondo. E più beneficamente ne' doni dell' agri-
perciò con sano accorgimento alcuni coltura. - Ammirabile e questo versetto
intcrpetri fan tema di questo salmo per quell'^p}^ solennemente traspor-
il ricordo della creazione Slessa, quan- tato alla fine senza legame di verbo,
do lo spirito del Signore si traspor- e che include perciò eminentemente
lava sopra la faccia delle acque , e ed esclusivamente in Lui solo l'idea
la terra non fu più inerte e vacua, di esistenza.
]o8 D E R I T I S
niarremmo se additar non potessimo ancora qualche
rottame di antichi monumenti anche più decisivo , e
da risguardarsi quasi un di quegli anelli dell' infranta
catena la quale, per le cure di laboriosi ed eruditissimi
y. 5. eJ or minacciano distruzione ( tìOT
IXti?' ); ^ 1"^' mugito del y. 3 qui
J^'j"|i'-(J lu/bini. "^[-(J è la parola se- divien tuono. Si avverta il grande
mitica indicante fiume e xar' tl^Xl*" effetto di qucU' accumulazione delle
V Eufrate , che i gramatici traggono desinenze in ^« che non m'è riuscito
dalla rad. ce "d'IJ fli^i- Ma qui non poter trasportare nella traduzione,
trattasi del semplice fluire.
Riguardo alla forma gramaticale: i y. 5.
due ")\j^'J e r"l}<iy» par clic vadano
considerati come aoristi nel modo pò- I versi qui ritornano nello stesso
tcnziale. La forza del contesto il per- metro e nelle slesse lime del primo
«uade y. 1^37 labesc' , tJ'lp qoresc' : J^^Qf!
y. 4. timmot , 1X!D 'meod ( nulla di piii
ovvio che r identità di rima per le
Ecco que' /l'inni trasformati in lettere ajfini ^ e "^ , anche nella poe-
t3'3"ì £3'0' forma duale che ci guida sia rabbinica ). Perchè la terza rima
al ricorda delle acque superiori ed "JfXrin °°° avrebbe la sua corrispon-
inferiori della Genesi ,1,7. Ecco di dente ? Ma il verso ultimo del salmo,
nuovo strepiti e devastazioni , ma
con immagini gigantesche. Ed ecco tSID* T^N? ntiT
perchè, per avvicinarmi un poco al-
l' energia dell' originale , Hìini ^^' sarebbe monco quando anche non si
vengon turbini , i (quali or fremono volesse aver riguardo alla ragione
(ìNB'i)or mugghiano (CaSiD WJ ) «^«1'» "ma.
M E T R I A R A B r. IO9
uomini , sempreppiù le sparse memorie delle varie na-
zionali leggende alla storia patriarcale rannoda. Sia il
carme degli Arvali uno di questi anelli :
ENOS LASES IVVATB
HEre LI'A BEVE MARMAR smS INCVRRERE IN PLEORBS
SATVR FFRERE MARS LIMES SALI STA BERBER
SEMrSIS ALTERNEI ADVOCAPIT CONCTOS
ENOS MARMOR IWATO
TRiyMPE TRIVMPE TRIVMPE TRJJ MPE TRIVMPE
Della sola eufonia di queste parole or si tratta, e
interamente dalla loro interpetrazione prescindo (67). Che
anzi , ad evitare ogni briga , prendo in esempio il solo
efimnio che tutti leggeranno al certo e troveranno un
prettissimo pentameiro bacldaco acalalttto :
{iì-f^ .Viyx\a\ Degli atti e monumenti sii versi e negli altri di simil gene-
de' Fratelli arvali scolpiti già in ta- re. Certo è che per 1' autorità di
vo'e di marmo, ed ora raccolti , di- Varronc ( /. tx, pag. lo3,ed. Goth.,
ciferate e comendate ; ove delle in- che io altra occasione abbiamo avuto
inlerpetrazioni del Lanzi si segue il agio di esaminare a lungo ), dovendo
iistcma. - Se si ponga pensiere alia i nomi antichissimi terminare con una
rozzezza del monumento eretto in lem- vocale, e conseguentemente supplirsi
pi non al certo infelici; se alle va- ovunque si veggano finir con una con-
riaiili dello stesso verso nelle triple sonante ; un sistema d' inlerpetrazioni
ripetizioni ^ se finalmente alle ordi- emerger ne potrebbe affitto diverso ,
narie industrie di coatraffare parole profittando analogicamente di que'
di perduto o non piìi comune signi- principii che il sagacissimo Fourmont
ficaio per torcerle a parole di signi- fone de\là sai Oiss. sur Tari poétigue
ficaio correate ; non poco par che ri- et sur les vers des anciens Hébreux,
xiianga tuttavia da esaminarsi in que- -^ct. de l jic. des Jnscr. tom. If^.
110 D R R I T I S
Triiimpe triumpe ti lampe triumpe triumpe.
Or nella doppia considerazione in questo efunnio ,
e dell' andamento ritmico e della catalessi , assai me-
glio che nell' ir. 'Xmolv rinvenir potremo il vero tipo del
verso eroico de' nostri grandi arcavoli (58). Intanto ,
esso è come due gocce d' acqua similissimo al
vakoii 'kkisahà meaz moólani atta ,
sol che i versi di acatalelli divengano brachicataletlici.
Ma per quello che più importa al proposito no-
stro , (cc-o il tipo prettissimo di quei che gli spagnuoli
dissero los versos dt arte inaior , e che sembrar po-
trebbero di araba provvcnienza perchè col ritmo appunto
coincidono di che gli arabi vieppiù si compiacquero (Sg).
(58) V. appresso Ciucolo Divruso. rato doq tlubitavasi , vedi la nota iB);
(59) I nostri vecchi gramatici rife- gli esempii ne sono piii che frequenti :
rivano tai versi al genere peonico; e col moviménto dattilico j o a dir me-
sicconic il iachìo ne t'ormava il piede glio anapestico (*) si confondono ; e
di modello, non fu molto nelP anli- gl'inni, i canti popolari sopra rife-
ca poetica gradilo , come antimusicale, riti, e quasi che tutte le ode di Pin-
Ma ciò per altro nelle sole condizioni darò vi si mostrano iachinanti, come
dell' andamento ritmico, della 'fiO^ni/.r) sarem per vedere.
ayojyfi della vecchia musica greca. In- Il metro può questo considerarsi
tanto, sia che venisse ingentilita l'ul- di presso che tutti i popoli nella vi-
tima sillaba riducendosi di lunga in vacità di un fervido seniire; e perciò
breve, cangiandosi perciò il piede di nella penisola ibera trovar dovea fa-
hachio va. amfibraco , sia che all' anti- vorita sede. Don Emanuele da Faria
chissimo tipo de' molossi si adagiasse (e y Sousa , nella sua Europa Porlii-
che il molosso fosse il tipo de' m«7foi/ guesa , pubblicò alcuni frammenti
peoni ai tempi almeno di Servio Ono-
(*) Aristide Quintilrano chiama il pieile che V anapesto liuraurro! «ir' t\ccciTotos.
coi dìcìani dattilo A^wTraiffTos axo. jwu^cv&s j e
METRIARAnr. Ili
Inchlnanlissimi a un tal metro riputar si vogliono
nella massima parte le canzoni di Pindaro, dello quali
un breve fraaunento ci rimane sottoposto a noie mu-
sicali : ed è notabile che mentre tante conghietturc e
d' un poema eroico in versi dell' arie
maggiore , che dice essere siali rinve-
nuti sul priucijiio del secolo XII nel
castello di Lusam quando fu ricon-
quistato su i Mori : il manoscritto fin
d'allora, soggiunge, sembrava con-
sumalo dall'età: e consegueotemenle
il poema può riferirsi all'epoca della
conquista degli Arabi. T. IH, pari. 4,
e. 1 1 pag. 378. - L'ultima forse delle
composizioni spagnuole in questa sor-
ta di versi è quella clic qui ci piace
trascrivere , ignota nelle collezioni ,
e sol riferita , per quaolo io ne sap-
pia , dal nostro Suinmonte. Ha per
obbietta la celebre disfida degli ita-
liani e de' francesi ne' campi di Bar-
letta.
Oracion dd ip'on Cupil^n a los ScTiores Italianos.
Despues quel divisos los haya animado
Y a fuerza Ics fuerza sus liontras rayrar,
A lodos ya iuntos comienza narrar :
Mlrad Cavalleros que os sea acordado.
Como de los Muzios aveys cmanado j
De Dezios, Cornelios, Papirios, Zipioncs,
De Tazdos , de Fabios, de Emilios, Catonps,
Y d'otros que Galos han siempre domado.
I/OS vucstras toraaron qua! quìera grandeza
Y el gran Universo so sylo mctieron.
Franaescs son zifra a lo que hizicron
Y gente domcnos esté fortaleza.
Van impeluosos con su legcreza :
No guardan lo honesto, honor ,gravedad ;
Vos vlrtud y gloria, saber, magestad
Teocys mas che otros eu la redondeza.
Quen cste combate que haveis de hazer
Està la vitoria de Ytalia colcada ,
Y aves de aqui honora qual cumple secada
Sennal es en lodo despues los venser.
Tranzeses que uUragen ci vucatro valer
Y" todas razones, os dau la vitoria :
Alcad tas manos ardientes in gloria
Libremos a Ytalia de aquel supoder.
Y' quelles porficn en vos ultrazar;
My rad vuestras honras que es tengo por tales.
Que hauran oy sus penas por vos de sus males:
Y a si espero in Dios , cos lo hau de pagar.
Y Ellos comienzan a si replicar :
Esperamcs in Dios , y en la Virgen Maria,
Que nos cada uno el suyo traerya
Ay ha Baryleta por los presentar.
Noi abbiam riserbato questo ritmico eroico l' endecasillabe) italiano. Ver ciò
andamento per la sola lirica : e gli che riguardai metri pindarici, V. le
stessi spagnuoli il dismisero nel se- note 61 , 63 , 64.
coloXVI,quando adottarono per metro
112 D E R r T I S
tentativi si van prodiicendo dagli eruditi sul prosodiaco
andamento de' modi pindarici, ad un tal frammento non
siensi rivolti , e solo scn faccia ricordo dagli storici della
musica (60). Il frammento è questo ; ed è la prima delle
pitiche.
XpotTid (PopiJiiy'^
AcT'oXXwvof x.ai iO'x\ox.a.\uot
iJwSwov Mowav i<.rioL\Qt
Tas cLKOVii
Msv fiacrtq aykàias a.pyjx..
Xopoi US Kv^apav.
O'Torccv r((jv zrpooiiiutjv
AfifioXag rwxf:?
'EXsXt^ofjLiva.'
Ka/ Tov ai-)Qi.a.ray xsptxvvov
XjiiyYuiig * (Xivscov T'ypos.
* EwS'st S' ava. cxatìfru)
* Aio? atirog 0 (OKnav
* Tlnpu-y' «(^(poTspwS-EV ;^aXa|a;j,
Nella moltiplice fluttuazione delle opinioni diverse
su i metri pindarici , ho voluto tentare di sostituire
sillaba per sillaba alle parole greche le italiane sotto
(60) V. gli autori citati alla noia 44. Martini. Se del movimento di que-
È dispiacevole che dei quattro pezzi si' ode si fosse egli occupato , forse
di greche poesie che ci rimangono con 1' obbiello che or ci occupa non sa-
note musicali, il solo frammento del- rebbe piìi ormai problemaiico.
r in/iù alia Musa venga citato dai p.
METRIARABI. Il3
le musicali note ; e da per so stesse le parole si con-
formavano in altrettanti Adersi , a legge strettissima coor-
dinati della moderna italica prosodia. La qual sostitu-
zione, alquanto ibrida per avventura e disadorna, ben
dir potremo una
VERSIONE METRICA.
Cetera d' oro !
Tu d'Apollo, tu de le Aouidi
Fida compagna e giolito !
Tu nel coro
Sovrana de i ritmi sei donna.
Te duce i cantori seguono,
Se , tocca dal plettro ,
Ai tintinni di armonici numeri
Le concitanti
Note preludii.
Tu i flagranti, gl'immortali
Spegni guizzi del fulmine.
E allor su lo scettro
Sta di Giove 1' aquila , e 1' ali
D' ambo i lati protende ed assonna.
I versi notati con asterischi non hau segni musicali.
Ma io mi dovca , colleglli , presentarvi tutta quanta
una strofe , onde 1' intera economia vieppiù spiccasse di
questo ritmico andamento. Nel quale voi già raffiguraste
il tipo di quelle canzoni di che echeggiarono le augu-
Tom. III. i5
1 l4 D E R I T I S
rate sale del nostro Federigo-Ruggieri e del suo bena-
mato figliuolo Manfredi , quando i più ciliari ingegni
d' Italia anli accordi delle avite cadenze il materno idio-
ma addestravano, e le vergini nmse a quei boschetti fa-
cean ritorno e presso quelle limpide acque e sotto quella
serenità di cielo, che i gentili pensieri inspirati aveano
al cantor di Aretusa ne' più soavi de' numeri. Quel tri-
plo compartimento voi qui vedete nella stessa strofe
che appo noi di volta, rivolta e stanza ebbe nome, e
del quale né un solo esempio rinvieusi nella numerosa
raccolta del cantar provcnzalese (61); e que' legami
ancora da strofe a strofe i quali, quasi anello ad anello,
r un periodo musicale che si compie ad un altro che
ricomincia conuettono : nel tempo stesso che le varie
pennelleggiate immagini del primo quadro con quelle
del secondo, del terzo, e cosi vievia, distaccano insie-
memente e ricongiungono , onde tutte le potenze del-
(61) Per notare vieppiù le analo- senz'accordo e senz'arte; non sol si
gie della disposizione delle nostre can- fanno simmetriche nelle minime parti
zoni colle pindariche , ecco nella pri- del loro melodico compartimento , ma
ma olimpica dopo la volta e la 7-i- di vigorosa nilidità sfolgoranti nella
volta anche la chiave prima della esposizion de' pensieri. Non si pensi
«tewzo. V. Dante, Trissino , «i. ««jor. alla versione qual è , ma qual po-
Ed ecco come le canzoni di Pin- trebb' essere da felice ingegno clabo-
daro che arbitrarie affatto si son ri- rata. Nel dir poetico , tutta 1' efiica-
putate nella scelta de' versi , e mol- eia dell' arte sta spesso nella giacitura
toppiii nel disuguale compartimento di una voce , nel ravvicinamento di
delle immagini da strofe a strofe , da una immagine : spostate quelle voci,
sistema a sistema , senz'ordine , senza distaccate quelle immagini, e ogni
nesso , e , come taluno bestemmiò , accordo svanisce.
M E T R I A R A B r. 110
r anima nel suo complesso e in ciascuna delle suo parti
abbracciar possano e dislinguere un gran pensiere , un
S T P O * H.
óiOo^;^oc Vvpr
art hiXVpfXii vvKTi ,
fjLtyjivopos f|o;^Jt wXoitoi/.
£i o aiOXce yxùviv
t}.ota.i f iXci* r.TCù ,
/tJlKiS' ù.\izv CKo-ìfit ct\ko '■ia.y.Tfv'^.rt^ov
IV afi.ioot f^xitvov
«q-^oc tp7}fixi Si' ixt^jipos'
Mtjo' o\vfx-rta.s aymx
(pipTMùOv avo a ero jttff,
'OÙtv O Z90\v(pXTOS UflvQS
KsXxOiiv Kpovov
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A N T I S T r O * H.
&tfiti^stCv 05 Xfiipnrtt (TaXittOv
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Xa^itTii hi Ci xXtCS
zfxp' ivxvopi Xvdov
rTEXCTTOS a'TOIKJa ,
rov ^lyacGfifT]; tpao'uars
iirti nf xat^oEpov Xf^7)T0;
»^lX8 K^uDev, !\i^*rri
^xjoi^or vfiov Ktxxifmor. x. r, X.
TOLTA.
Ben ottima è l'acqua : e ben l'oro,
Qual fiamma flagrante
Che al buio vampeggia,
Del tasto e orgoglioso decoro.
Ma pur de* certami ,
Cuor mio, chi cantar brami,
Faccia il sol scopo ai carmi , altro non
Rutilo sfolgorante chieggia
Aatfo per 1' aer deserto:
Deli' olimpìnco agone
Nulla pareggia il merto.
Perciò splendid' inno compone
De' so fi l'ingegno fervente;
E un Giove vagheggia ,
Se Tolge in idea la splendente
Di lero beata magione.
RIVOLTA.
Il qual erge , sul suolo sicano
In greggi felice ,
Di Temi lo scettro sovrano
Ed ogni cima di virtù elice.
Là dove gioliva
Sta musica squisitezza
Quando noi mesce menca festiva
D' amistà nell' ebrezza.
Su TÌa dal chiodo la cetera dorica,
Omói si sgroppi ;
Che in brio già per Pisa ferve l'estro dirceo,
In brio per Ferenico che a doppi galoppi
Rende appo l'Alfeo
In sua sola baldezza , senza sferza o sprone,
Di vittoria al suo sir guiderdone.
STANZA.
Al sir di Siracusa, al cavalìer prode
Cui laudar gode
Tutto del Lidio Pelope
Il popol generoso:
Felope a Nettun caro
Che accerchia le sue prode :
Pelope, per empio caldaro
Onde Cloto il traea , per nobile
Sprilla eburnea, famoso, ec.
Il6 D E R I T I S
grande affetto che f alunno delle Figliuole della Memoria
nella maggior vigoria suscitando sigilla (62).
Uomini diligentissimi , eruditissimi ed acutissimi
han dato opera a renderci chiarito l'arcano meccanismo
della pindarica versificazione; non perù altrove che in
Italia par che si prendesse la huona strada quando le
ingegnose conghietture confortar si videro co' soccorsi
della filologia non solo ma dell' arte musica (65) : ed
una deviazione par clie deggia riputarsi 1' aver voluto
tuttavia le ragioni metriche dalle musicali disgiugnere,
e dei due procedimenti non tentare almeno di rintrac-
ciar la convergenza (64). Io non sarò al certo l'apolo-
Ed oltre a questa quadrupla sud- Cosi Pindaro nella prima stanza dei-
divisione , altre poteva averne la no- la pitica sopra trascritta, dopo averci
slra canzone , per le quali V. Dame, dipinto 1' aquila che dorme al suon
de F'ulg. £1. ; Trhsino , Pool. \l che della lira su lo scettro di Giove, co-
ramraentiamo suIP osservazione che la mincia la seconda colla stessa imma-
maggior parte delle cantilene amiche gine : Apx°5 oimvwv , x. t. X.
lungo tempo si rimasero nel nostro pò- Così Cerone , nella olimpica della
polo, come sul tipo saffico, pirrico ec, precedente nota, compie il quadro del-
c che veder si possono, nel Salinas. la prima strofe, ed è la prima imma-
(62) Così , a cagion d' esempio , la gine dell' antistrofe ; è V ultima imma-
prima strofe della prima canzone di gine di questa , ed è la prima dell'e-
Federigo finisce con questi versi : podo , ec.
Valimento mi date , donna fina , E così sempre.
Che lo mio core adesso a voi s'«/2c/i//«a. I provenzali legavano una strofe
E la seconda comincia ; coli' altra ripetendo identicamente al
S' eo 'nchino ragion aggio cominciar di ciascuna stanza la parola
Di si amoroso tene , ec. ultima della precedente.
Termina la seconda : (63) De Pindari odis coniecfurae
Aggia a piacere a voi che siete fiore D. Io. Aloysii AJinc.jreli.i , etc.
Su tutte r altre , e avete più valore. Dononiae lyys.
E comincia la terza : (64) L' eruditissimo Hermann , do-
ycdor su l'altre avete pò un ben applaudito lavoro 2?e »;e-
E tutta conoscenza , ec. tris Gaecorum ( che sol canosco va-
Af E T TI I A R A B I. II7
gista dei metrici d'Alessandria : ina riputarli alTatlo ignari
nella ragion ritmica di quello canzoni delle quali proba-
gamcnte per quel che ne han tlelto i sola seconda specie <le' ritmi diffusa-
gioriiali ) due dissertarioni elaborò mente ragionar doveano, appunto per
precisamente sopra le canzoni di Pin- adagiare specialtaente i carmi di vario
darò , le quali formano non ultime genere ( wjivxpTriTu ) alle condizioni
gemme nella preziosa edizione dell' de' ritmi della prima specie.
lleyne ( Pimiari carmina cum lectio' Non pare adunque necessario, come
nis varietale et adno'alionibus ; Li- il dottissimo Hermann si esprìme, die,
psicie,iSi8). Ma percliè mai queir acu- per l'ormarci una distinta idea di ciò
tissimo ingegno due ricerche allatto che gli antichi intendessero per ritmo,
isolate va producendo, 1' una su i altro modo non v'ahbia se non la sco-
ntetri pindarici, ì'aXlra. su i ritmi pin- perta degli elementi ritmici di Ari-
darici? E perchè mai in quest'ulti- stosseno j o l'intera introduzione al-
ma il ritmo musico col ritmo proso- meno di Pscllo all'arte ritmica, della
diaco confonde ? quale il Morelli pubblicò qualche
Per procedere da cose note , con- saggio.
sideriamo nella nostra battuta mu- Ci avvarremo intanto dell'autorità
sicale uu doppio ritmico audamen- di un tanto ingegno per rafforzare
to : 1.° ritmo regolatore di tutto un quel che di sopra abbiam detto su la
periodo , che noi diciamo tempo or- quantità delle sillabe greche e latine
dinario , a cappella , quattro~due , non sempre valutabili nella condizio-
quattro-tre , olio-sei , olio-dodici, ec. ne di una lunga eguale a due brevi.
2." ritmo distributore de' vari inter- Omnino autein , ei dice , ipsa rei
valli ucWe percussioni adagiabili al- natura postulai ut pturibusquamaim-
le varie parti di un tempo come sopra pìici et dupli mensuris usam esse mu-
delinito , e che ben può variare e va- sicani G raecorum credamus , quod ni-
ria da battuta a battuta. Quando adun- mis iners et rudis foret cantus qui
que la px7/j e la triijiiia diversamente noìi nisi diiplicis mensurae varieta-
venivano considerate da Aristosseno , lem admilleret. Ma non so come sia
da Psello , da Efestione e dagli sco- sfuggito a quell'eruditissimo il tcsti-
liasti di Aristofane , par che secondo monio diretto che producemmo alla
questo doppio riguardo le consideras- nota 42 ^ e come per sole ragioni di
sero: e i metrici delle condizioni della convenienza il vada argomentando.
Il8 D E R I T I S
bilissiinamente ascoltavano tuttavia su le bocche de' po-
polani l'abituai cantilena, sembrami, se non affatto as-
surdo , inconcepibil paradosso (65). Tenace è il popolo
nelle sue abitudini , dalle quali assai di rado o sol con
lentissimi procedimenti si dismette. Ed abbiamo di già
cenuato il progressivo andamento dalla coboletta e dalla
barcarola al largo andare de' simmetrici si ma non iden-
tici conipartimcntij nella ragion metrica del pari che mu-
sica dalla ragion ritmica riuniti (G6). Farne più paro-
la, sarebbe per voi, Accademici, superfluità mera ; per
altri occorrerebbe un trattato.
Piintessendo le sparse fila : per fisica condizione
(65) 11 primo , a quel che io mi infTiontare Tneiricmnente non dico le
sappia , il quale a menomare insor- comme e le tome di due stanze pe-
gesse r autorità degli scollasti di Pin- trarcliesche , ma le monocole ottave
darò , e specialmente del metricOj si del Tasso , e piìi dell' Ariosto , in
fu il signor Vauvilliers nelle sue dis- modo che la prima stanza o la prima
seriazioni sopra Pindaro : yict. de ottava corrisponda metricamente alla
l'Acctd. des Inscript. -voi. XLVl. Per seconda , 1' una e 1' altra alla terza,
Heynè la loro ignoranza è cosa fuori e così vievia: quante differenze e va-
di controversia: Alexandrini . . . .nec rietà non avrete? con quanti nomi non
STUDIUM rei metricae antiquae nec dovrete distingucrle?E rammentiamoci
I^OTITIAM habuere ( in praef. ad cheheTi cjiiatiroìiìilanovciiitasei di quc-
Pind. p. XII. ). Ma non perchè de- sle differenze o varietà ne andava Vit-
nominazioni usarono gli Alessandrini torino calcolando. V. la nota 5. — Be-
da Efcstione e da Terenziano non nedelto il primo che disse : la can-
rammentate riputar li dovremo di quc- zon petrarchesca altro non ha che
sii più recenti, come il Vauvilliers settenari ed endecasillabi, e tutta di
assumeva; e non perchè sillaba per sii- endecasillabi è 1' ottava. Benedetto
laba il tale col tale altro verso non chi disse : se hai bisogno di coniar
corrisponda aver non può la tale o le sillabe su le dita , non por pen-
tale altra denominazione , come as- siere a far versi,
sume l'Hermann. Fatevi di grazia a (66) V. la pag. i6.
M E T n. I A R A B r. lig
de' nostri organi della parola , qualunque emission di
voce far dubbiamo in due tempi , in due tuoni , e 1' un
dell' altro sempre più spiccante. Se maggiore è la vi-
brazione del primo tempo , del primo tuono , si ha
1' andamento trocaico ; se del secondo , 1' andamento
iambico. Nella semplicità della notazione musica degli
antichi , il tempo , il tuono più vibrato si disse lungo ,
il più debole si disse breve. E la più semplice propor-
zione lor si assegnò nel rapporto di uno e due , o vi-
ceversa di due ed uno. Ed ecco i due pali arabi, con-
giurilo e disgiunto.
L' andamento iambico è nella forma diro ( - - ).
Ma i nostri vecchi e i nostri popolani dissero e di-
cono tuttavia diroe ; ed anche noi a ben riflettere fac-
ciam lo stesso : se non che quella e finale che vi ap-
picchiam di coda, per la forte vibrazione dell' o, divien
meno della e muta de' Francesi , diviene 1' e muta
degl' Inglesi , diviene uno sceva masoretico , una fra-
zione assai minima di tempo , ma non perciò non va-
lutabile : massime al finir di una prolazione. Se 1' or-
gano vocale anche il taccia , 1' organo uditivo 1' ascolta
nelle oscillazioni degradanti dell'onda sonora che nel-
1' acre si vibi'a. Ed ecco la ragione tutta intera che de-
terminò e determinerà sempremai nel movimento iam-
bico una necessaria einimeri , una naturai catalessi.
Ed ecco perchè , natura duce , rebus ipsis dictanti-
bus , ogni arabo palo andar non potea discompagnato
• dalla sua corda : ecco perchè la prima forma ritmica
di un popolo tanto poco distante da quelle prime arti
120 DERITIS
che dir si potrebbero instiulive,ripor si dovea nelfahùlon
simnielricaiucntc ripetuto; e, nella ripetizione binaria,
in quel fallalo faldiloii che determinò la cadenza , la
catalessi del canto de' prinii rapsodi (67).
L' andamento corico al contrario è nella forma di-
co ( - - ) , la quale ha da per sé la sua catalessi , la
sua cadenza finale; e, comunque si repliclii, dall' iso-
lamento dell' origiuario suo ritmo non si diparte. Sua
caratteristica è perciò un andamento più saltellante che
progressivo : e quando si arresta , nella vigoria della
sua prima sillaba spiccante si arresta, e la seconda spa-
risce. Ed ecco perché tutti i metri trocaici , in tutte le
prosodie , non hanno emimeri nelle cesure , e per lo
più troncamenti nel couchiudere i loro periodi (68).
Il qual troncamento, nella forma binaria, nel di-
trocheo, a quella forma ritmico ci conduce che i nostri
antichi dissero crelica e seguentemente ingentilissi in
dattilica (6g) ; ed è notabile come le vecchie tradizioni
(67) V. tuUavia appresso il Circolo vano , riputar voleansi quei due ot-
uiVEBso. tonarli un verso solo. La cesura gli
(68) Per questa condizione dell'an- divideva col fatto in due parti simi-
damento trocaico, o, ammettendo al- lissime , e perciò non un sol verso
tri piedi , coli' andamenlo iambico si ma due doveano riputarsi. Kon v' ha
confonde, o in que' periodetli si ri- esempio, neanche nelle interminabili
mane che alla tenuità degli argomenti cbiliadi di Tzetze , che un sol verso si
si addice. Il Salmasio , nelle sue no- rinvenga il qual non sia diviso sime-
te a Vopisco si è dato ad asserire che tricamente in due per la cesura. Ma
il troncamento dei trocaici quadrati di un' altra inesattezza di quel dot-
(detti anche versi politici) in due ot- tissimo uomo sarem per fare or ora
tonarii sia opera de' bassi tempi. Ma ricordo. V. Cakme bueve.
non perche seguentemente si scrive- (6g) Memineris aiilem saepe Grae-
M E T R I A R A B I. 131
ci mostrino del pari gVIdei di Creta negVIdel di Frigia
iiigenlilili (70) , e le danze più comuni di tutti i popoli
alla sallazionc coribantica modellate (71). Ed ecco la
seconda forma ritmica degli Arabi , per le stesse con-
dizioni di civiltà meno innoltrata , nel eretico e non
già nel dattilo adagiarsi : fàhilon , un palo disgiunto
accompagnalo dalia sua corda.
Non oltre spinger dobbiamo le nostre inchieste per
la determinazione degli elementi primi del ritmico mo-
vimento. Tutte le altre forme che tliconsi semplici ,
non possono considerarsi realmente tali : e sempre sou
combinazioni, son sistemi e non altro, dei due moti, dei
due ritmi primitivi iambico e trocaico nel tempo ternario,
e delle trasformazioni loro nel tempo binario , sia che
cos huic metro UTolossiini et Paliin- rapida cadenza ; e mollo a proposito
bachium et Creticuvi loco Dacljli il Signor Burney ne ritrova conscr-
tub lege syllabamm communiuni ad- vaio il ritmo e la cantilena nella no-
miscere, disse Vittorino .- arbitrio per stra tarantella , H! story of the Music.
altro che i Latini alla Grecia invi- Ma è da notarsi clic le nostre popo-
diavano. lane battano sul cembalo precisamente
(70) Cretatn proavosqite pelcirtuis , <[uci trocaici dimctri bracbicatalettici
era il grido nautico de' prolugbi Tro- clie gli antichi dissero ilifalici, petulci
iaui , onfortali ai ricordi di Anchise e clic formavano la cadenza del nunic-
{^yieiitid. Ili, V. I2C), et ibi Serv.) : ro saturnio. Itliyphaìica porro dica-
UincmalrrcultrixCjbele.Corjbantiaqueaera, runt , Musici poèlac : Qui ludicra
llaeumque nemus,ìiincjìdasilentiasacris , carmina Baccho , Kersibus pelidcis,
Et iuncticurrum dominai; subUra leones, eie. Craio ctim corticc phallo , Tres da-
(71) Gli strambotti e tutti i rami bant troc/iaeos: Ut nomine sit so/iiis
ipercomatici che accompagnavano gli ipso , Bacche , Bacche , BaccIte.Yi dal
antichi trionfi son dettati in questo Bacche , Bacche , Bacche al nostro
preciso metro, dal quale il galliam- Isce^isce , Sole chi trovar può dillt-
brv non differiva se non per la j^iii renza ?
Tom. UT. i6
122 DE R 1 T I S
la sillaba breve si protragga in lunga , il che è costante
in tutte le catalessi (72), sia che cosi prolungata in
due sillabe poi si sciolga, secondo l'antico metrico siste-
ma : ed anche secondo il nostro , nel quale il metro è
identico e il ritmo musicale non ne soffre, vuoi che tron-
chi , vuoi che piani o sdruccioli si compongono i ver-
si (yó). Cosi, tutti gli altri piedi degli antichi son mere
riproduzioni delle stesse forme ritmiche con più o meno
accelerato andamento , e in più o meno estesi periodi.
Quindi il iambo hachiaco dell' inno alle Muse (74) :
quindi il ritmo dodecasemo , il tempo duplo nel me-
tro anapestico dell' inno al Sole (76) , ec. , e quindi
quelle denominazioni oscillanti tra i peani o peoni (76},
e '\ pirrichii e i hacliii e gVitif alici (77) nell'oscillazione
medesima che gli attributi di quegli Dei d' esti'o ecci-
tatori nelle perturbate menti de' vati e de' sicofanti si
permutavano. Plutarco ci fa conoscere non esservi stata
divinità la qual non avesse avuto il suo strumento di
(72) 11 Salinas va con molta acu- (yS) Cosi nella notazione musicale,
tezza determinando i casi ne' quali è tulio ciò che segue una sillaba la qual
in fallo quella regola metrica la qual concbiuda la cadenza dee conside-
considera sempre lunga la sillaba che rarsi non altrimenti che come una pa-
conchlude un verso o un comma. Ma ragoge.
la necessità della breve è in quelle (7^) Pag. ^5.
sole comme o verso che precedono un (75) Pag. gn.
altro comma e versi il qual deggia (76) Furono detti pcani da Aristo-
considerarsi come parte integrante di tele, Cicerone, Quintiliano, co. peo-
ciò che precede , onde formarsi un ni da Efestione , Terenziano , Diome-
sistema , una strofe, un periodo rit- de, ec. — Sembra mera diversità di
mico di que' versi che si dissero uavìi~ dialetto.
afTKiToi. (77) V. la nota 63.
M E T n. I A n A B I. 12J
musica favonio : e non fuvvi musico strumento il
qua! non avesse avuto non solo il suo proprio modo ma
il suo ritmo e la sua tat/e/isa speciale (78). Mancano però
i monumenti per i'ormaine intere e coordinate le serie.
Ma della perdita non dobbiamo dolerci. A che altro gio-
var ci potrebbero fuor che a farne raffronto con qualche
strana giga o sarabanda? La nostra musica italica, eh' è
divenuta oggimai musica di lutto il genere umano inci-
vilito , di due soli ritmi , di due soli tempi si conr-
piacc , il binario e il ternario : e tanto basta alle no-
stre bisogne. Lasciam che de' ritmi compositi e misti
si sap])ia ad erudizion mera quel poco che nei super-
stili scritti degli antichi musici ne rimane (79) e che
qualche viaggiatore corra sino al Capo-Nord per no-
tarcene tullavia intonata fra que'geli qualche salvatica
cantilena (80).
(78) Cosi non scmLrano improba- ni sopra trascritti, mentre colle sole
bili le congliicllurc «lei nostro Mattei pause e lo sole diminuzioni avrebbe
che molli titoli de' salmi sieno indi- potuto conservarne regolare 1' anda-
cazioni di alcuni modi musicali , o mento e la cantilena. - È notabile che
meglio ritmici, a' quali rifcrivansi il dividendo egli i ritmi , secondo gli an-
canto e il movimento. Cosi nel medio tichi, in eguale, doppio, scsquialtero ,
evo alcune cantilene aveano i loro cpitrito; dopo di avere con mollo accor-
uomi speciali; e in tutto il mezzo- gimento osservato che i duo ultimi eran
giorno di Europa dicesi ora una com- da considerarsi come formanti una sola
posizione fatta su la tale o tale altra classe da riferirsi al genere misto, gli
^"'^"■'' fosse sfuggita l'osservazione sempiicis-
(79) 11 signor Burette ci diede una sima che l'andamento scello conservar
Diss. sur ìe rhyUime de V ancienne si dovesse uniforme sino alla metabole.
musiqiie. È inconcepibile come dopo (80) Neil' sellante del viaggio del
quelle ricerche siasi determinalo a signor Acerbi al Capo-Nord è riferita
rompere 1' andamento ritmico negl'in- una canzone del tempo qualtrocinqite.
•
124 I D E R I T I S
Ricondotti cosi ai loro clementi le nioltiplici di-
versità de'nioti ritmici: vai'iabili per le due sole condi-
zioni deir andamento prosodiaco e della cadenza; possia-
mo inoltrarci alla rassegna de' rari periodi dell' araba
versificazione secondo i suoi cinque circoli distribuita.
Ma im cenno rimane a far tuttavia della runa : e
non altro che un cenno. Perciocché mera iattura sa-
rebbe di tempo e d' inchiostro ritornare in una qui-
slione che oggimai non è più tale. Quando Boileaux disse:
Durant les premìers ans du Parnasse frangais ,
La rime au hoiit des mots assemhlés sans niesure
Tenait lieu d' ornement , de nomhre e de cesure ;
la storia ei dipingeva dell' infanzia di tutte le poesie.
Ma non è da tacersi che fin la monosillabica lin-
gua cinese abbia le sue rime , e con cjuella disposizione
appunto che negli Arabi è passata per legge inalterabile.
Del sistema dottrinale delle rime cinesi discorre
assai nitidamente il eh. Abel-Rémusat, la cui recen-
te perdita or l'Europa deplora, ne' suoi preziosi Ele-
menti di gramatica cinese , donde i due esempi son
tratti che nella Tav> I abbiam fatto trascrivere. Ma
avendo noi un collegio cinese , sarebbe stato per me
gran fallo se non vi avessi ricercato il modo col quale
cjuegl' ideologici caratteri vengon secondo i costumi ita-
lici ridotti vocali. E sincera manifestazione di animo
grato io qui far deggio alla gentile cortesia di cpie' pa-
dri , e specialmente del valentissimo nostro D. Vincen-
zio Taglialatela , e di D. Agostino Tan cinese della pro-
vincia di Kamsiù, il quale con amabilità senza pari si è
WETRI ARABI. 125
compiaciuto farmene conoscere non solo il ritmico anda-
mento , ma la musica altresi.
E di un altra canzone moderna mi ha fatto dono,
che trascriviamo alla Tav. II.
Per queste a me gratissime conferenze la necessi-
tà conobbi di porre sotto i vostri occhi, o colleghi,
l'una e 1' aUra lezione delle due prime. Voi vedete diffe-
renze non lievi. E non derivanti già da più o meno minuta
industria nell' esprimere col nostro alfabeto le attenuatis-
sime articolazioni e i dilicati gradi della scala delle voci
in un idioma che al primo udire sembra più cantato che
pronunziato; ma differenze, a quel che pare, di dialetto
per ciò che riguarda la canzone moderna : e differenze
di vario sistema scolastico per ciò che riguarda 1' antica.
In quest' ultima , come legge il padre cinese , le rime
dispaiouo , e nella n)oderna la rima del quarto verso
par difettosa. Intcìe però ritornano le rime nella terza
canzone che m'ebbi in dono (81).
Di queste canzoni cinesi tentar non si poteva una
traduzion metrica. L' ho elaborata però quanto più ho
potuto letterale.
(81) Non altriiìienli, nella pronun- rime del TesoreUo^ a caglon d'eseni-
zia francese degl' idiomi latino e gre- pio , la regolarili si ristabilisce sol
co, molte rime appaiono die per noi che le parole non toscanamente ma
non son tali. E non altrimenti in molte alla siciliana vengano a pronunziarsi.
126 DEB.ITIS
CANZONE ANTICA.
Lesione di d. A. Tev. Del signor Remusat.
Pei fen zii liaò Pè foùng klii liang
Tui scivà zii fò. lù scoùci khi pnang
Kqoi eli xhaò goé Hoéi eù hào 'ò
Si sceù tuu siin. Hi clièon tboùng hang
Zii sci di zii sia Khi hiù khi siù
Zi zii cii zio Ki ki tchi xsiu
VERSIONE (*).
Già i «ostri lidi Borea ritocca
E a larghe falde la neve fiocca.
Oh se il mio bene la man mi porge
E seco insieme sempre mi scorge!
Com' è possibile tanta dimora ?
Coni' è possibile che tardi ancora ?
Il metro di questa canzone non ardisco determinare,
con certerza non avendo voluto il gentilissimo Cinese
cantarla : con dirmi ingenuamente ignorarne la cantile-
na. E in fatti, essa risale ai tempi di Confucio (82). Assai
(*) Versione del signor Eémusat, Pour que nous marchions ensemble.
Le vent àu nord vlen giacer nos climals, Comment peut-ìl étre si long~femps ?
La neige ìomhe à gros Jlocons J)éjà il eut du a^ empresset d'accounr !
Que tètre hienveillanì qui m' aime , mette
sa main dans la mienne ,
(8i) 11 codice uel quale è questa cesi riferiscono tutti gli argomenti ero-
con altre antiche canzoni cinesi ha liei alla politica, come i comentatori
nome di chi-ling. 1 comentatori ci- persiani all' amor divino.
METRIARABI. 127
mono iiuliscrcta della mia doniancla sarebbe quella di
chi chiedesse, a modo d'esempio, come mai caiitavasi
un' ode alcaica. Però sembra trocaico.
Ma il canto delle canzoni moderne mi rende per-
suaso che la loro notazione prosodiaca correr dovrebbe
nel pretto andamento iambico del nostro settenario pia-
no, conmnque i nostri linguaggi sien lungi assai dal
cinese. Quel che qui importa è la disposizione delle rime.
PRIMA CANZONE MODERNA.
Lezione di d. A. Ten, Del signor Resìvsjt
Lin zin iuan pen zec sgen sin Loii kìg youàn pen tsai jìn sin
Siómaazemenkhao siiscin-in Siaó MAkiài wÉNliaò sìtiisìn
Tien tii sii ciao quiiu no vii ThianTibiTcnANGkouaMouYÀi
Ku ziu zui sun ien sin scen HoÙKÌNtseoùsouNGyilasiùcHÌN
VERSIONE (*).
De' sei classici libri un precetto
Ha radice de 1' uomo nel cuor :
Pure a \m gaio , a un satirico detto
Poesia può dar pregio e valor.
L' universo è un teatro , e su d' esso
Una lunga commedia si fa :
Degli umani garbugli al complesso.
Sempre ameno un tal dramma sarà.
(*) Versione del signor Rcrausat. omcirum ( de la poesie) peuvent étre recher-
I*e contenu des six Uvre.'ì classiques a son chées.
foìidetnent et sa source dans le coeur de L'utiìuers est un fhéatrii ou se jouc une lou^uc
l'homme. comédie.
Les plttisanterics f les injures j\gracc aux C'est un spectacle curieax que les déòats det
hommes dans tous les temps.
laS DE R I T I S
SECONDA.
Sci nan sci pei sciaò iuin tien :
Man mii si lino sge sit nien.
Zia. sciaò ziin sciù nan zien lui
Zin quoé liù in van su zien.
VERSIONE (*)
Lo SpATKIi.TO.
Volge ad austro , a borea volge
Vago il guardo : e i patrii colli
Ogni nube che si svolge
Ridipinge al suo pensier.
Gli occhi allór di pianto ha molli :
E invan cerca al suo tormento
Tregua o in musico istrumento
O nei fonti del saper.
Ne 1' acerba lontananza
Tristo indura e giorni ed anni :
E un sorriso di speranza
Non conforta il mesto cor !
Le dolcezze a stille a stille
Sotto il salce degli affanni
Van grondando: e a mille a mille
Le amarezze del dolor.
Oh quai cari efiFetli non mette in fermento que-
st' amabile cosettina ! — Ma torniamo ai nostri Arabi.
(*) Verbum VERBO. Prospici t meri- Convertii se ad psalteria ,ad libros
diein , prospicit scptemtrionem : in debililer averriincant moerorem.
nube collem ( suum ■vìdtt\. In pertinacia salicis tristiliae a?e-
Oborlae oculis lacrimae , die pariter cem inillia : in hisce miUe.
et anno.
M E T R I A R A B r. ISC)
I." CIRCOLO IL DIVERSO.
Res gestae regumque duciimqiie et tristia bella
Quo scribi possent numero monstravit Homerus.
HoJiAT. de A- P. , 73.
E i rapsodi di Ocatta le forme metriche determina-
rono appo gli Arabi dell' epica poesia. Le quali Al-Chalil
ne' due primi circoli raccolse.
Ma prima de' rapsodi di Grecia e di Arabia , il
tipo dell' epico andamento troviamo nella maestà delle
pompe religiose e ne' canti di trionfo di presso che
tutte le nazioni. Se l'ingentilimento della lingua ebrea
non ci mostra spiccantissimo il metro eroico ne' can-
tici del primo condottiere e de' primi giudici del po-
polo eletto , fuor di dubitazione n' è la cadenza : parte
importantissima e la più spiccante del dir poetico , la
quale con tutta proprietà par che da Orazio con frase
tecnica s'intendesse col suo concludere versum; per-
ciocché la conclusione appunto , la catalessi , 1' ultima
frase del nostro dire è ciò che maggiormente ci colpi-
sce, come assai a proposito fu da Cicerone avvertito(85).
Ma m origine una tal conclusione altro esser non
dovca che il ripetersi di uno stesso periodctto musicale
(83) Ve Orai.
Tom. III. 17
l3o D E R I T I S
nel qual tutto costituivasi l'andamento prosodiaco; ed
è mirabile che siuiilissimo sen rinvenga il procedimento
ove meno si pensi. Quando poi , col progredire della
civiltà, il simmetrico non è più sinonimo dell'identi-
co; quando dalle gobolette ai versi di più largo andare
si fa passaggio ; dismesse anche le rime propriamente
dette, certa eufonia pur rimane che dir potremmo ì-inia
ingentilita. Cosi appo i latini e più appo i greci , con
gran libertà correvano i versi , e massimamente gì' iam-
bici : ma gii ultimi piedi erano inflessibili , e inalterati
riprodur si doveano per tutto il poema.
Le vecchie liturgie ci serbano il testimonio di un
tal procedere.
Nel metro dattilico :
Pythie Delie [j Te colo prospice [| votaque firma ;
nel qual verso non i soli dimetri formano altrettanti
distaccati versetti , ma i piedi anch' essi corrono isolati.
Nel metro coriambico :
lane pater [j 'lane tuens [J dive hicejDs [j hiformis ;
nel quale le coudizioni medesime si osservano (84).
E nella esposizione anch' essa della origine del verso
epico que' simmetrici periodetti ritornano che dapprima
furono identici :
(84) Questi versi non sono al cerio servatoci da Terenziano non corre colla
di aulica data : ma in versi di tal slessa spezzatura. Ma par the l'aulore
genere gli amichi modi si affettano, avesse voluto conservarne il carattere
E l'inno a Giano, indubitatamenic almeno nella intonazione.
del IV secolo , nel frammento con-
METRIAKABI. 101
Ivi '^a.iav, ifi <?i'ociot.v, ir, <rociciy ;
e moltop])iù ncU'efimnio sopra trascritto de' carmi arvali :
TRIUMPE, TRIUMPE, TRIUMPE , TRIUMPE, TRIUMPE.
A periodc'tti di tal foggia si modellano dapprima
tutti i versi nella gioventù de' popoli del pari che de-
gl' individui; e, secondo l'indole speciale de'vari idiomi,
r uno piuttosto che l' altro divien tipo di regola che
])assa di generazione a generazione, coli' ingentilirsi sem-
preppiù e migliorarsi vievia.
Chepperò nella rassegna che slam per imprendere
delle varie forme degli arabi versi, invertir converrebbe
r ordine da Al-Chalil stabilito e cominciar dall' ultimo
circolo, come quello che le forme semplici contiene , e
la fórma precisamente che dir potremmo araba per ec-
ce/lenza, la bachiaca o peonica.
Dall' ultimo circolo progredir dovremmo al terzo,
ove gli cpitriti rinvcngonsi nel loro isolamento. E co-
si di mano in mano innoltrarci al secondo ed al primo
ove lo sviluppameuto dell' arte si mostra : e finalmen-
te al quarto nel quale, quasi in modo supplimentario,
le varietà si raggruppano de' meti'i del primo e se-
condo circolo.
Ma sembra che Al-Chalil seguir volesse anche qui
l'industria de' greci precettisti i quali , dal verso epico
e iambico incominciando, tutti gli altri sol come frazioni
di quelli consideravano. E il sistema di lui seguir
dobbiamo per attenerci strettamente tra i limiti dei
nostri impegni, alla merissima cioè esposizione de' fatti.
102 DE R I T I S
Gli antichi gramaiici traevano 1' origine del verso
eroico dall' acclamazione delfica (85) : sembra però che
dall'efimnio degli arvali più direttamente fluir si veggano
i versi maggiori e de' nostri ijisiememente e degli arabi
rapsodi; e non già nel solo ritmico andamento e nella
cadenza , ma in ciò che precisamente formar dee la
caratteristica de' versi di tal fatta , la cesura cioè , la
distribuzion disuguale delle due parti di essi (86).
E per quel che riguarda legge ìnetrìca : se aggiu-
gnerete al principio dell' efimnio arvale una sillaba bre-
ve, avrete ciò che da' nostri gramatici davasi per tipo
de' versi anapestici :
Tuba terrihilem sonifum procul aere recurvo.
E come dall' anapestico al dattilico coli' addizione
al principio di una sillaba lunga si faccia passaggio ,
anche que' nostri vecchi e' insegnarono (87).
(85) Gli amichi davano la slessa da quelle esclamazioni , sien timoia-
origine al vei-so eroico e all' iambico. se , sien liete , nò il senario eroico
Quumpuer tnfestis premerei Pjìhonasagittis n'emerga nò il iambico ; essendo leg-
Spello, Delphiciferantur adcolae gè dall' uno e dall' altro verso la ce-
Jlortantes acuisse animum bellantis ; ut illos sura che (Jui manca. 11 che dallo Stes-
Metus habebat , aut prcrpinqua adorea , so gramalico , per tacere degli altri,
Tendebat gomiitas pavida exclamatio foces , si avvertiva:
lYì tìxtxv , ifì axtxu , »] acLtAv. Ilas auiem leges heroicus omnis hahebit .
Spondeìs illum primo natum cemis sex, Quorn post duos pedes relieta syllaba est.
Ex parte voces concitas laeti dabant , Si plenum ahsolvei verbi, velnominis instar.
Iti •axtxv f lyì Tjxioiv , trt txixv. Orationis ista vel guae pars erit ; etc.
Et hinc pedum tot crtus est iambicus. (86) V. la pag. 85.
Cosi Tcrenziano , ma è notabile che (8;) Terenziano , Vittorino.
M K T R I A n A B r. i3o
Discendiamo oi'a ai nostri popolani, per couclurci alla
nascita quasi spontanea delle permutazioni di tal sorta.
Nella Calubba dello Sgrultendio abbiamo 1' cfìmnio :
CoLogiii , cotogni , cotogna ,
aiiapcstico trimetro acataletto : il quale nella stròfe prece-
dente presentavasi come dattilico tetrametro catalettico ;
Stiennete , accostate , nzeccate cca ;
e nella seguente si trasforma in amfibraco dimetro
brachicataletlico :
Caco zza de vino cchiù bona me sa.
Pei quali ravvicinamenti scorger possiamo non solo
come l' immensa varietà de' versi metrici vada prodigio-
samente a diminuirsi quando dalla loro origine ne rin-
tracciam gli elementi, più nella nomenclatura che nella
sostanza diversificati ; ma come altresì lo stesso moto
ritmico sorga da per sé e si riproduca qualunque volta
non si declamin soltanto, non sol si cantino , mdi si tri-
pudino i carmi (88).
E la poetica araba , la qual d' ordinario nelle con-
dizioni del primitivissimo stadio della ragion prosodia-
ca si raggira , anche in queste spezie di carmi del pri-
mo e del secondo circolo che pur sembrano alla decla-
mazione soltanto destinati, assai lievemente sen disco-
sta , ed ogni verso in due parli presso che simili vuol
suddiviso (89). Una diversità tra esse introducon sol-
(88) Nella iscrizione del carme ar- dai-erunt in verba h.ìEc: Enos,
vale sopra trascritto si legge cosi: I/>i eie. V. sopra alla pag. log.
sacerdoles efusi, succincti , tabellis (89) Pag. 38. V. 9 e 10.
acceptis Carmen descìndentes trito-
l34 DE R I T I S
tanto le ragioni dell' aruza e della zarba (90) , delle
zihafe e delle èlle (gì).
La diversità che dà nome ai carmi di questo pri^-
mo circolo dee perciò tutta ricercarsi nella suddivisione
ineguale degli emisticliii (92), in quelle pause che non
dilegano ma troncano que' primi periodi simmetrici di
che un verso si compone (g3). Ed ecco precisamente
la cesura che il verso lirico dal verso epico distingue;
ecco quella condizione che fece del verso epico autori
i rapsodi di Grecia (94) , e che fa che de' versi del pri-
mo e secondo circolo io faccia autori i rapsodi di Ocat-
ta; e non dubito che nella iniziativa di un tal proce-
dimehto e Greci ed Arabi nel sistema medesimo, poco
più poco meno, s'avviassero, sebbene con pari felicità
verso 1' ardua meta del perfettibile non si fossero in-
uoltrati.
(qo) Pag. 64, '^. 53. . efficient: cum vero ea qua coniun*
(qil Pa". 63, if . 49. ctas erat parta absciditur, particida
(92) A.bu Isaac Azzaggiag- ne trae la quae divulsa ex eo est comma dice-
àcxìoaimìzìouc AMs, diveì-siià de' pie- tur: ut in illis versus solvatiir , ««
di, alternativamente di cinque o sette ftis caedatur. Vittorino. Una tal pre»
lettere ; e il Clerico adotta una tale cisione manca nei nostri precettisti,
etimologia. (94) È noto che 1' esametro epico
(93) Proprie autem Graeci cola ebbe dapprima il nome di pitia , e
dicunt quaecumque circa iuncturas che autori sen dicevano e Lino sa-
aut artus porrecta sunl in longitu- cerdote d' Apollo ed Orfeo. Ad Omero
dinein membra: unde Euripedes, /.u, però attribuir se ne doveva P invcn-
zwXa xwXois Tirpa-TTwv i>.i\j.r.nu.u zione, quando la Town , la re.wn-r, ven-
Partes ergo versus, cum ex ea qua ne riputata condizion cardinale del-
coniunctus erat parte dissùhitur, cola l'esametro. \. la .nota 85.
METRI ARABI. l35
La divisione ineguale nelle due parti di un ver-
so (96) è la condizione caratteristica de' carmi epici ,
quando dalla mera lirica si distaccano. E in questa sola
condizione Arabi e Greci convengono , e forse tutto
l'uman genere conviene (96). Per la qual condizione, che
già dimostra un perfezionamento nell'arte, i cantori di
Ocalta esser ben dcggiono agl'inventori dell'esametro
eroico ravvicinati.
I tre generi di versi che a questo piimo circolo
si appartengono sono il lungo , il disteso , lo sjxéso ,
de' quali , essendo il secondo sempre giazato, il primo
e l'ultimo soltanto venir possono pel loro meccanismo
co' versi eroici al paragone, sempre però nel modo che
un greco con un beduino è paragonabile.
(g5) Pag. 85; e nota 85. che a farli abborrire basterebbero le
(g6) Non conosco se non i soli versi interminabili come insipide chiliadi
della peoisola ibcra^ de' quali è un di Tzelzc , pur variavano col tronca-
saggio alla nota Sg , che vadan di- mento costante d' ogni secondo emisli-
visi in due parti precisamente uguali; chio. E nella moderna Grecia, il cui
ma quivi osservammo che que' modi volgare idioma indubitatamente sarà
soverchiamente lirici si dismisero quan- migliorato ma che fuor di dubbio è lungi
do i begl' ingegni spagnuoli comincia» ancora dall'apogeo della sua genlilez-
rono a conversare con noi. In Francia za, pure, nell' adottarsi l'aggiogamen-
dopo Rousard^ che va consideiato co- to di due settenari per verso eroico,
me 1' Omero francese nella fissazione vuoLi che il primo sia sdrucciolo :
di quel metro clic là dicesi eroico, Tfiisc rrovXsixix xx^ovrav 'a rrtv pajci'
gli alessandrini non sono piii due set- '(T to Xitts'pr
tenari isolati, ma 1' ultima sillaba del 'Eva rripaii rov A"pnipov, x' a'XXo r.ctrk
primo dee troncarsi o fondersi nella tov BìXtov , x. t. X.
prima sillaba del secondo. Que' ver- V. Fauriel , Cfiants populaìres de la
si trocaici che si dissero politici e Grece moderne.
i56
UE R I T I S
CARME LUNGO.
Parrebbe , dalla sua formola radicale di fahu'lon
mofcChi'lon quattro volte ripetuta, che derivar ne do-
vesse una soguenza di settenari; ma, nell'aruza, la ca-
denza è sempre sdrucciola , cioè ogni secondo mofcChilon
riducesi a moja'' liilon (97). E perciò la composizion me-
trica del carme lungo si è la combinazione di un sette-
nario e di un seuario, o viceversa, l'ultimo sdrucciolo.
Quindi versi di quattordici sillabe con accento alla 2.',
5.", 9.', e 12.' Dei quali accenti i due ultimi soltanto
son di stretta obbligazione.
Del carme lungo è cpesto lo schema :
FORMOLA.
INTERA.
QABZATA.
K. AFFATA.
fàhiijlon
mofa,hi',lon
fahu,lou
mofa,hì',lon
-
-
:
"
Sanno gli eruditi che nella prosodia greco-latina
si rinviene una specie di versi delti bassarici , quando
(97) L' ultima parie del verso di- necessaria e non già ad arbitrio del
cesi perciò qahzata : v. p. 46 , y. 23. poeta , perde la natura di zihafa e
Ed essendo in lai posizione la gabza diviene un' élla
METRI ARABI. iZf
1' ultimo bachio si scioglie in peone , come a cagion
d' esempio : "' j
^b euro sonorum quis Aatnae per maria (98).
Or allungate questo verso di una sillaba :
Ah euro sonorum quis quis Aelnae per maria ;
Ed avrete il verso lungo degli Arabi (99).
Nel qiial metro comunemente i poemi di qualche
estensione si compongono. Ed il suo andamento di so-
verchio lirico vien temperato dalla varietà delle ce-
sure , caratteristica di questo primo circolo : potendosi
quella sillaba che trasforma in lungo il verso bassarico,
allogare a senno del poeta o alla fine della prima sigi-
zia o al principio della seconda. Quindi 1' ineguaglianza
delle tome da emistichio ad emistichio , ossia quel
che noi diremmo diversità negli accenti di un verso,
come in tutti i nostri metri iambici.
Con questo andamento abbiam veduto correre la
qazida chazragiaca che ci è stata di scorta per la espo-
sizione delle regole dell'araba poesia. E in tal metro
sono le qazide dorate di Amrialqaiso e di Tarafa: dalle
quali trari-emo ad esempio qualche saggio (100).
(98) Intendiamo nel sistema proso- delle lettere. Ma quarantotto lettere
<fi«co, per la ragion dcgl'a-cfew/j non nella forma radicale avrebbe anche
già severamenle inelrico. 11 che valga il verso spaso.
per avvcrlimenlo anche in appresso. (loo) Sul merito poetico de' versi
(99) Scrive Samuel Clerico chia- dorati, qualunque siasi, v. le note 9
marsi lungo questo genere di versi per- e io. Nostro scopo esser dovea quello
che supera tutti gli altri pd numero di esaminarne soltanto il metrico an-
Tom. Ili i8
l38 DE R I T I S
Srjoi snn nD"T p '333 xsp i
Snoctt 3':n jo '^nnnoj aah
V E R B U M VERBO.
Sistite : plorenius ex metnoratione dilecii et mansionis
In coacervatione arenaram Inter Doc/iul et HaiuneL
Et Taudlieh et Mecjrat. Non obliterabitur signuni eius
Si coniuncto ìmpetu aggredientur eam auster et boreas.
Ex MS. R. BlEL. RoRDON.
'Ih^ intTN* '0' iàSii -in'N vh^ 56
♦n'JD j;2T ;;'onDn vh djs jxi 67
n» nD':ia Non Nn-nNaN ':j;id
V E R B U M VERBO.
Heu tu cjiii me reprehendis , adsum ego praeliis :
Et deliciis num perpetuimi me reddes ?
Et si nequis repellere mortem meam ;
Sine me ea praeverlere , quantum posswu.
Id.
damenio. Ma confessar degglo con do- gue orientali D. Maurizio Lettieri ,
lore che , per quante ricerche io mi che in teitimonio di mia gratitudine
abbia l'alte, nell'unico codice mi sono qui nomino. - Le inoallaqa trascritte
imbattuto clie trovasi tra i mss. della in quel codice si succedono nel se-
Eeal Biblioteca Borbonica , codice non gucnlo ordine: i.° di Amrialqaiso ;
privo di mende, e la cui comunica- 2.° di Zohairo; 3." di Amri ben Kal-
lione deggio al valentissimo nelle Un- thura ; 4.° di Lebido ; 5." di Tarala ;
METRI ARABI. IÓ9
DI Amriai,qai>o.
1 Qi/à" nabki min zikra \\ habibin vajuànzaUn
bisiqli-lUva bajna [| ''ddochùli fahàvmatiu
2 falauzalia fa Uni'ujrati [j lam jah'Jò ràsmohcC
lìnicC nasagiùlha |J min gianiCbi vàscnicClin.
VERSIONE METRICA.
Soffermiamcì : e uà tributo di pianto ricevano
E l'aulica e le areno ove le tende ergevano
Tra Dochiilo, Hàumel, Ttiudolo e Megrate i nostr' avoli:
Male a trarle in oblio borea ed austro si levano.
ni Takata.
56 yilà' qjjoJiadà-ìlea || iamijjci'-sc-hado-lvaghà''
uain ahzarà- UadiV to |j /tal anta mòchladi' ?
òj Uain konta la'' tasta || ihihi dafha rnànjitV
fiadénV abadirha [| binia'' malahàt iadV.
VERSIONE METRICA.
Qual io siami a battaglia tei sai: come or credere
Ch' io stringami all' ozio compagno indivisibile ?
Ma se a morte sottrarci è follia ; dei concedere
Ch' io loutan la ripinga per quanto è possibile.
e (li Haiclh ; 7.° di Anlarah. Or , cheiebbe nelle moatlaqa un esempio
secondo il nostro manoscritto, quella per trovarsi a tutto rigore provato quel
di Uarclh appartiene al carme disteso: che sopra si è detto: Avere Al-Chalil
quella di Amri ben Kalthum all'e*M- riunito ne' due primi circoli que' versi
aerante; quelle di Labido e di An- de' maggiori poemi il cui ritmico aa-
tarah al perfetto ; e quelle di Amrial- damcnlo i rapsodi di Ocatta fissarono.
qai>o di Zohairo e di Tarala al carme Pure a Zohaìro attribuisce il Clerico
lungo. Cosi del solo carme s/juso man- questo verso che dà per esempio della
140 D E R I T I S
Da questi esempi spiccantissimo si scorge il movi-
mento del verso bassarico, qoW allungarsi precisamente
là dove, sia che si canti, sia che si declami, una ne-
cessaria pausa dee farsi. E , sia detto di passaggio ,
s' egli è vero che le originarie forme più tenacemente
si conservino fra cpie' popoli appunto che men si pie-
garono alle gentilezze dell' arte ; far non dee maravi-
glia se veggiam riprodursi in Arabia quel ritmico an-
damento che la eulta Grecia alla sua Beozia attribuiva
perchè quivi nella sua grettezza natia più a lungo con-
servossi : nel modo stesso che in Arabia la culla e
l'infanzia del nume iiiseo si trasportarono, quando di
una parte soltanto del sacro monte ei si restò posses-
sore , e con più splendida gentilezza occuparon l' altra
le dive dell' armonia , di menadi in muse trasformate.
Certo è che la cadenza bachiaca , quale nell' efimnio
arvale l' osservammo , forma la caratteristica del verso
pitio che i ziostri gramatici nel tipo originario stabilivan
dattilica, e poi per la sola catalessi neir epico variata.
Certo è che il peonico col bassarico si confonde. E certo
è che in tanta varietà di nomenclatura un insensibil pro-
cedere dall'uno all'altro metro osserviamo.
Come procede innanzi del calore
Per lo papiro suso un color bruno
Che non è nero ancora , e il bianco muore.
prima zarba del canne spaso ; moallaqa da taluui non annoverato.
n'nKT3 033D raix vh isn X' Ma esser non doveano que' sommi poe-
■j'?D xSl 'Sap nplD «npS' aS t' "è più nì- meno di sette , per avere
E al carme spaso appartiene la qazida le pleiadi arabe in perfetta corrispon-
di Ascia anche tra gli autori delle denza colle alessandrine.
JI E T R I A R A B I. l4l
Formano nel carme lungo variazione alla sadra la tal-
ma e la torma (loi); con che viene assai prossiniamento
a ravvicinarsi al verso bassarico , ed esempio cen porge
il primo verso della qassida qazraglaca (loa) ; e A^aria-
zioni alla zarha, il poter questa essere intera o hadfata.
Delle quali ultime rimane ad esporre gli esempi, dopo
un allro che ci piace aggiugnere della forma ordinaria
qabzata di epoca men remota (io5) , e nel quale la rego-
larità metrica sembra anche più conservata (104). E ciò
basti pel carme lungo (100).
(101) V. pag. Co, yf- 43. l'aspro consiglio del severo Asme ,
(102) Eccone altri. rammenta que' vecchi costumi che
f-'erso talmato qaffato. Orazio tratteggia ;
SpSi^a "a'^D JNTns* inpXty lussus ahìre domum,
imSx^ jSnun yzhh -[tayB Ferebar incerto pede
Verso tarmato. Ad non amicos (heu) mthì postes , et fheuj
'ibS^a DDlbN DIN! li'ai JXn Limino dura quibus
lOpSxi "MoSx n'K "iiy SODnS Zumbos et infregi lalus !
Son gli esempi che si producono dal (io4) Cenuammo alla nota 1 1 ri-
Clerico, putarsi difetto appo gli Arabi un verso
(io3) E pubblicato nelle addizioni che non conchiuda una frase ne' suoi
del signor Langlès alla Gramatica ^- metrici comparlimenti;ed alla pag. 76,
raba del Savary ; e dal signor Ilum- y. 65 ne vedemmo anche il formale
bcrt , u. XXVI. Seguiamo la lezione precetto Pure alla pag. 33 vedemmo
di quest' ultimo. Entrambi il trassero spezzarsi una parola tra un emistichio
dalla notte 808. Eccone la dilucida- e 1' altro. Or nella qazida di Anirial-
zionc. — Un giovine , preso da forte qaiso abbiam veduto sospeso il senli-
amore , scrìsse il primo verso alla mento nel primo verso e sol conchiu-
porla della sua donna. 11 poeta Asme dersi nel terzo emistichio. E nel quar-
pas^ando il lesse e vi scrisse sotto il to emistichio un altro difetto ancor si
secondo. L' amante vi soggiunse il mostra nella zarba che è intera men-
terzo ; e il poeta il quarto. La con- tre dovea essere qabzata.
chiusione dell'amante ne' due ultimi (>o5) Al carme lungo ap)iarlciigo-
versi è spiritosa per l'equivoco della no altresì i versi riferiti nelle pagi-
parola J<nì"lU^ ( prosteso ) , con ne 32 e 33 , e nella nota al V. 58 ,
che , nel dimostrare ubbidienza al- pag. 72.
142 13 E R I T I S
y:x' qo 'na^Na pc';r incx nix
* * * _
mo^« oro» nn n^in nx-r 2
moN ìNDnSiS* Nnaif ij» dS xni< 4
ì?p:ìi hìoSn no n'B' nS o'Sa
„ * * *
;;S"io ni-i'?^! ±>phii n'3 [no pS
^'oj' rioN'pVx Dv NJ3 hya
V E R B U M VERBO.
O aocietas amantiinn , per Deum ! renuiiciate mihi :
Quando vehemens invasit amo?' in iiivene , cjuidaget?
* ■" *
Dissiìnulet aniorem suiim ; postea ahscondat reni siuwi,
etpatiens sii in oni/tib. evenlibus, et humilem se praeheat.
.* * *
Sed quoniodo dissimiilabit ? et amor enecat iiivenetn
et {in) omìiibus diebus cor eius minutim conscinditur.
. . * * *
Si non invenerit patientiam adabscondendam rem suam,
tum non est sibi aliguid, praeier mortevi, utile.
* * * .
Audivimus et ohtemperamus , deinde morimur.
Ergo nunciate illiper quemjuerunt cor et anima injlam.
Ecce me iacentem iuxtajanuam ejus mortuum,
utfortasse nos dies resurrectionis coniungat.
METRI ARABI. 140
1 Eja' màsciara-làsscid! qi , billalii chàhhiriC :
ida-'sc tadda isccjubn bi-lfata' kajfa iàznaó.
* •*. *
2 Ioduri havào : tomma jàktomo ó'mrofio
uaiazbaro fi kalìa- loinìidi ucijàchzaó :
* * *
3 facjajjd iodari' va-lhavcC qcC talò- Ifata
vafi kalli juinin cjalboo iaiaqàlLaò.
* *. *.
4 idcC lani iagid aabarra llkitincCni anirii
falaisa Uhi sciahon siva'-lniuti ànqaó.
* * *
5 saviinci vatoàncC : lomnia zotna' , faciiàbbiroa
liman kà'na fi^lii-lqalho va-rruho iniCìaó.
6 fahd! anna' matru^ha ilà-bba'bi inàjjitcCn
la alla bina' jiCma-lqijcCinati ia'g-maò.
VERSIONE METRICA.
Oh fiui in amar maestri! oh chi per un giovane
Che batte d' amor le vie eonsigUo sa porgere ?
* * * .
Dissimuli: e badi, tuttora tacito ed umile,
Che nullo de' fatti suoi si vada ad accorgere.
* * *
Ma come, di grazia, ma come si dissimula
D' una fiamma estuante l' indomito insorgere ?
* * *
Ebbcn : chi di sé donno non sentcsi , all' unico
Per sé convenente morte sola il può scorgere.
Intesi: e dia morte ormai sua requie ad un unsero.
Ma dite a colei che ardor tanto in me fea sorgere:
Prosteso io mi giaccio alla sua soglia, onde all'ultimo
Resurresso , chi sa ? con lei giunto risorgere.
144 D E E. I T I S
ZARBA INTERA.
UT n::p xnv 'oac' hìòn 2
fon 'DJi? xpj 'Jifj xSs 'Snm
V E R B U M VERBO.
Cerno ( CMm ) oculo meo duos dormiente.s siipur terra...
Cuperem ambo potius dormirent super mea palpebra.
JJuosnn\.noviliiniacaeli,solesmatutini,lunaeobscuraenoctis,
Gazeìlae solitudini s, ramali naqa, simulacrapulcriiudinis.
Notte il 4- HuMB. XXI.
ZARBA H A D F A T A.
n^Na '^p w "ioSn dn"ì dnjì' ^nx 2
VERBUM VERBO.
Si interroges me de mulieribus , nani ego
pente in naevis mulierum intelligens ; respondebo :
Quando canescit caput viri aut minuitur opulentia eius,
tum non est amplius ei in illarum amore portio.
Notte 275. HUMBERT , XXV.
(106) In questa i'orma i secondi santo luogo sulla montagna di Araiat ,
emistichi si risolvono in due setlena- presso la Mecca. Quando non è nome
ri: se non che la cesura non sempre proprio significa cumulits arenarum ,
li divide in due etlasillabi isolati. arenae circumscriptae ( Golio ). Ma
C) {<p3 ( n.iqa' ) è il nome di un in un poema pubblicato nelle Miniere
METRI ARABI. 14^
Raajlo b'iàjnV ncCjlmaini àll-tlura (106)
nadadtolioma' lam in jana'ina'ni fì giofni.
hilcClaì: sciamasai zolia' : gamìuarai elogia':
gàzaHai falcC : góznai naqcC : zanamai hosni.
VERSIONE METRICA.
Non vegg' io due bambini che in terra là dormono?. .
Ah che s' abbian piuttosto su questi occhi lor nido.
Due albe, due sol', due lune, due Icggiadrissime
Gazzelle son là, due riaga' (*), due bimbi di Guido.
1 vain iasalu'ni àni-nniscCofainnai (107)
chabVron h'ianvcCi- nnisa i tabPbon :
2 ida' sciabi Fa' so-'' Ima ri av qalla mà'loho
Jalajsa lalio fi uaddiidnna nazCbon.
VERSIONE METRICA.
Da me delle donne, giacché il vuoi, metafisica,
Che assai ben coppellate le ho tutte, ti avrai ;
Cocuzzo se bianco si fa , borsel se intisica ,
In cor di fanciulla un cantoncel più non hai.
rf'Orte«fó , tom. Ili, pag. 207, par che che il fau'lon che precede la terza
indichi un nome specifico di qualche zarba del carme lungo , di rado si ha
piatila XpJ/N 3''^pN'' '^'^ '' sig"'"' sano. Nel secondo verso di questo e-
Graugct de la Grange traduce: età, sempio si osserva uno di quei casi in
ramo del deserto. Checché ne sia , ho contrario.
credulo dover lasciare la parola ori- Al Achfasc' assegna al carme lun-
ginalc intana. go anche 1' aruza qazrata. Ma nem-
(107) Osserva Abu Isaac Azzaggiag' meno il Clerico ne produce esempio.
Tom. 111.
19
146
DE K I T I S
CARME DISTESO
Nou v' ha esempio di questa spezie di versi nel
periodo ottonano , e costantemente si hanno giazali ,
dicono gli arabi maestri ; e perciò la loro formola ra-
dicale è di fa'hila'toii fcCldloii fa' liila' ton per ciascuno
emistichio. Le loro ziliafe sono la chahna , la kaffa ,
la sciacla. L' aruza può essere intera , ed anche azfata
o azfato-chabnata ; e la zarba, oltre a questi accidenti,
può essere anche qazrata o batrata (108). Dal che si ot-
tiene il seguente schema.
FORMOLA
INTERA.
CHABNATA.
KAFFATA.
SCIAKLATA.
QAZRATA.
AZFATA.
AZ. CHABNATA.
BATRATA.
Questo carme ha il nome di esteso , dice il Cle-
fa
hila
ton
*
fa
liilon
fa
hilfi'ton
-
"
tt
(108) La forma qazrata rende l'ultima tal sillaba, dopo il segno prosodiaco
sillaba pivi che lunga , come notammo apponemo un asterisco,
alla pag. 58 , f. 38. Per distinguere una
METRI ARABI. 147
rico , perchè le corde vi sono estese in modo che cia-
scun palo trovisi fra due di quelle (log). Bisognava dire
clic r cs/e/isione si abbia appunto là dove s' iiicuntrano
due corde , e precisamente in quella che abbiaiu di-
stinta con un asterisco : la qual corda se venga a sot-
trarsi, n'emerge un anapestico trimetro cataletto , che
riproducesi nel nostro decasillabo e nella forma giazata
dal Carme conseguente (iio). La chabna ristabilisce
nella loro purità gli anapesti.
Spandendosi adunque questo verso cou una sillaba
dopo il primo anapesto , dividendosi cioè il verso in
modo che dopo il primo piede si respiri [ il che pro-
duce una necessaria catalessi (in) ]', ecco un arabo en-
decasillabo il quale dal nostro decasillabo si diparte per
sola condizione di vario modo di profFerenza da linguag-
gio a linguaggio.
In questo metro corre la qazida dorata di Hareth,
dalla quale prendiamo ad esempio i due seguenti versi :
ed è notabile che nel secondo emistichio il decasillabo
si mostri netto e senza espansione , mentre poi nel
terzo emistichio quella stessissima espansion vi osser-
viamo che vedemmo nella catubba dello Scruttendio e
la quale trasforma il trimetro anapestico in dimetro
amlìbraco (112).
(^loq) Cui inde nomen qwid c/iordae (m) Pag. H2.
in eo ita extendantur , ut singuli (112) Pag. i33. Queste trasforma-
paxilli duubus cfiordis interpositi sint. zioni son frequentissime in tutti i
pag. 43. versi anapestici destinati al canto. Cosi
(ilo) È il metro dell' ìquo al Sole , per troncamenti: il primo anapesto,
pag. ga. lecoodo i metrici, si scambia in iaiubo
148 DE R I T I S
'{ Dn*?» naxjD n37s* pobs» 18
verbum verbo.
Utique fratres nostri f amili ae Arakem culpant nos :
In illorum dictis est occultatio :
Et miscent inuocentem e nobis cuni noxio,
Nec ÌLLvat innocentevi innocentia.
£x MSS. R. BlBL. BORBON.
Non produrremo altri esempi del carme disteso ;
notando solo clie la forma qazrata, e l'azfata, dan versi
dello stesso genere, ma tronchi (ii3): e che la forma
o spondeo j come ne' versi 9, 12, i5, tre i metrici si compiaceranno rinve-
16 , 27 , 20, 20 ; 21 , 23 dell' inno al nìrvi nella purità di loro applicazio-
Sole , pag. 92 , quando scioglier non ne le antiche regole , ed una serie
si vogliano i dittonghi, come io mi eh' ei diranno nobilissima di anapesti.
penso, al modo stesso che sovente ac- Percutitur enim versus anapaesticus
cade ne' versi italiani. E per aumenti ; praecipue per dipodian , interdum et
ci piace qui produjre un altro esem- per sini;ulo3 pedes: est aicterii percussio
pio dalle nostre canzoni popolari : cui uslibet metri in pedesdivisio.Exem-
, Lazzarone, biiccone, pezzente, pliiin erit tetrametri catalectici , quod
Straccione fetente vattenne da cca : est in anapaesticis , nobilis il/e versus :
11 che al certo i musici di tutte le yil'us cithara soniluque patena volucret
nazioni troveranno rrgoìari.'simo; men- pecudestjue motere. Vittorino.
MKTRI ARABI. 149
17 inna-chva'nania-l^ara'cjim iagliùna
àlajna'fi'' [j qVlihlmi-chfcCo
18 iacìditii' na-VaSiY\]\?i [] sannahidi-ddanhi
vaia' janfaqo-l [) c/uilijja-lchalà'o
VERSIONE METRICA.
Se e' incolpano d' Arakime i figli
Ne' lor detti v' ha mera eccedenza :
Tramestandosi a scipa nocenti e innocenti,
GÌ' incolpabili non salva innocenza.
azfato-chabnata e la Latrata , non al carme disteso
( nno^X ) ma al carme spaso ( D'D3':'X ) vengono da Al-
kesan attribuite (114).
(ii3) Su la lisoliuione de' versi (114) Gli esempi delle variazioni
sdruccioli, e uiolioppiii de' bisdruc- per élla ihe raccolse il Clerico son
cioli in triinclji , v. appresso Carme queste ;
BHEVE.
ZinilA IjAZRAT*. ZABEA A2FATO-CHABNATA.
r\v>y K-«3N pi' kS na ay Sp;' -naSS
carua azfata xarba bathata.
SsKn C33S -jK nidSj'k xnpoix na -'kj 3t
lao
DE R I T I S
CARME SPASO
Ha due periodi , l' ottonario e il senario. Neil' ot-
tonario 1' aruza è sempre chabnata ; e le sue zihafe ,
oltre alla cliabna , sono la taia e la chabla (ii5). Dal
che il seguente schema :
FORMOLA
raos
taf
hTlòii
fa'
hiloii
mos
tal
hTloii
fahìlòn
, INTERA.
-
-
^ -
-
. ^ _
CHABNAT.
-
-
T AI ATA.
-
-
-
"
CHABLAT.
"
-
"
-
-
E perciò versi di quattordici sillabe coli' accento
alla 4.^ 7.^ ed 11.^ i quali si risolvono in un quinario
e un settenario, o viceversa , l'ultimo sempre bisdruc-
ciolo. In sostanza il carme spaso è il nostro endecasil-
labo con due espansioni , alla cesura cioè ed alla cata-
lessi. Se non che, la tendenza araba al metro bachiaoo
fa che i due primi accenti talora si spostino , ed un
emistichio allor si componga di due seuarii , 1' ultimo
bisdrucciolo.
Nel periodo ottonario il carme spaso ha due zarbe,
la prima anche chabnata, la seconda qatata (116): e in
(ii5) V. le pag. 45, t. 21 ; e 47 , f.
22 e 49, f. 25.
(116) V. pag. 59, f. 39.
METRI ARABI. l5l
quest' ultimo caso 1' emistichio è di tredici sillabe , col
trasferirsi l'ultimo accento alla 12.^.
Nel periodo scuario, cioè uella forma giazata , ogni
emistichio dà la combinazione di due qniuarii , il se-
condo sdrucciolo o piano. Lo schema è questo :
FORMA INTERA
FORMA QATATA
Le zarbe della prima forma souo tre, 1.° adaila-
la(n7), 2!' nuda, 3.° qatata ; della seconda è unica,
anche qatata : nel qual caso , quando cioè 1' aruza e la
zarba sono egualmente qatate, il verso dicesi y7DD ( mo-
callahon ) , che noi col Clerico diremo tralato. Nella zar-
ba dailata T ultimo quinario si trasforma in settenario
tronco.
Dilucidiamo tutto ciò con esempi , cominciando
da' versi del periodo senario , nel cjuale già un saggio
esponemmo della qazida dorata di Zubairo (118).
mos
taf
hilòi)
fa'
htiòa
mos
tàfliTlon
-
-
„ _
-
_ ^ -
mos
taf
liìlòn
fu'
liTlùn
Miof
hù'lan
-
-
-
- -
-
-
(117) V. pjg. 55 , f. 32.
(118) In line della nota loo.
l52. D K n. I T I s
lìD Xll 1SV NT fNTOB' ti'';r':'i^i
Nns^fNìy mmx nn^a nnìtna 5
ijk'Sk 'Sn;; iòti f^vp' D'Sa
-iDn NHD p nSx DJI' D'NI
xnS TNiy xS mjj ndd'7X 'ai 5
nOpS^I DDtJ'Sx nSn tlD3' D''?"!
njDn nx qn'nSn3 yìD n^onN 6
Nn3 nn-inlNfi 'Sn'VVx inoSxDi 7
VERBUM VERBO.
Temptis dieaòus diebus constai; alter securitas est, alter vero peri e uìum .
Vitaque duas partes habet : unum in qua clarilas , alteram turbidam.
Die ei qui vicissitadines fortunae nostiae nobis exprobrant:
I) ^n adversatur falam nisi ei cui est existimatio ?
Nonne, vides ventum , quando excitantur eius procellae ?
Equidem non frangitur nisi alla arbor.
Ut quot super terra virides et siccae arbores !
Verum. non lapi dibus-petitur nisi ea super qua frugea.
Et in caelo stellae sunt , quibus non est numerus ; ■
Sed non defeclu-ajjiciunlur nisi sol et luna.
Tranquillas tu mentem tuam per dies prosperilatis tuae ;
Et non formidas exitum quem adducet fatum ;
Tmmo quietant te noctes ; sed tu decipieris ab illis :
Nam durante serenitate noctium supermnerit tempestas.
AtETRIARABI. l53
1 addcChro iavma'nl [] da' ainno <^ac/à'haclàro
va'làjscio sciatnCni |) dcC safvon i^adéi' kadaro
2 gol lllladr hìso f] riCJl- ddaliri àjjarana
had liaraha- ddahro [] illa man Ici/iò hataro
3 anima'' larai-rri'' /la \\ iiihahbat ava'' sigaha
falajsa jorjzafo 1| ///a' cVlijjò 'ssciagiìro
4 vakatn àlai-larzi || min gasra hi vaja'bisatin
valajsa jorg'iamo [| illa^ man hihó. thamaro
5 vafC-ssamah nagi || iCmon la! idcCda lahcC
valajsa joksajfb |] ìlhC-ssciamsu và'lqamaro
6 a/isanla tannaka [[ hi-alija^mi id liasonat
valam lacliaf giubba [| ma' j a'' li /;i7a-'lqadaro
7 vasa-lamalqa-lU ^jaTi' fcCglitararta biha'
vainda safvV-lli \]JalP Jaàdutàò-ìkiidiiTO.
VERSIONE METRICA.
Or placidi scorron gli eventi , or dimarginano :
E i di della vita son chiari o s'intorbidano.
Di a quei che alle nostre vicende mal mormorano :
« Che avverse ai sublimi le sorti ognor turbinano.
Non vedi , se a giostra A^an gli euri e tumultuano,
Che sol gli ardui faggi si schiantan si sbarbicano?
Quanti alberi e quanti più o meno rigerminano !
Ma quei si batacchian che in frutta si caricano.
Ve' i mille e i mille astri che all' etera sfolgorano !
Ma il sol, ma la luna, si ecclissan, si attenebrano.
Tu, questi godendo tuoi giorni che prosperano ,
Dispregi al dimane comunque si abbindolino :
Te a sonno le quete notturne ore inanimano. . . .
Ma in nolte serena pur fulmini scapolano.
Tom, IH. 3o
l54 JD E R I T I S
Ne' versi or trascritti (119) 1' andamento del me-
tro bassarico è manifesto , e gli accenti vi sono spostali
in modo che dir si potrebbero non appartenere al carme
spaso se la quantità metrica delle sillabe non vi fosse
conservata con rigorosa esattezza , e se tra le forme
de' versi arabi che ci schierano i dottrinali ven fosse
alcmia cui potessero riferirsi. Del resto quando si ri-
mangono gli accenti nelle loro sedi, non v'ha tra i versi
arabi altro che più prossimamente al nostro verso mag-
giore si accosti: e precisamente nel suo primo stato di
composizione , quando cioè le sue parti non erano ancor
fuse insieme, come frequentissimamente nei nostri tro-
vatori del ducento , e come nel tema della lauda di ser
Brunetto :
O fratel nostro che se' morto e sepolto ,
Nelle sue braccia Iddio t'abbia raccolto (120).
(iig) È riportato nel Comentaiio che lo stesso signor Langlet tiadii-
delìa poesia asiatica del Jones; e nel- ce : Les jardins renfermenl dea Jhiirs
V Antologia del signor Humbert, n. IX; de tonte espèce : on ne ciieiUe que la
la cui lezione abbiam seguita. Nel pri- rose et la fleur d' orari gè. Ma per un
mo trovasi anche il verso : fiore è pregio 1' esser coito ; e non
pare che il verso vada riposto dopo
il quinto , ma sibbene dopo il quar-
cioè : Nonne vides 'mare in cuius su- io. Prendendo flQp» nel senso intran-
perficie feruntar cadavera ? et reni- sitivo ( couie flQ^' del quinto verso)
dent in fundo margaritae. E la ver- in significalo tii prestamente sfrondar-
sione italiana potrebb' essere : si , il che benissimo accade appunto
Ve' quanti in quel mare cadaveri rotolano? di pielerenza alla rosa o al fior d'a-
Ma in fondo splendenti le perle prolificano. rancio, potrebbe dirsi in italiano:
A nostro parere questo verso dovreb- Le rose gli aranci su i fior' tutti dominano ;
b' essere il terzo piuttosto che il quarto. Ma pur de' lor petali son primi die scapitano.
Un altro verso sen rinviene nella {>2o) Ed anche piìi Irequenti ne
pubblicazione che n' è falla dal signor avremmo gli esempi senza il mal vez-
Langlet nelle sue addizioni alla G/«?M- zo di alcuni teneri che di menanti si
malica Araba del Savary , e il verso trasformano in correttori. Certo è che
è questo : senza troncamenti scriveansi dal Pe-
n;71jn TnstN VS'lSx '31 trarca quelle parole del suo canzo-
ini'7K1 TIiSk X*?» =)tsp'' ^D''«1 niere che or vanno tronche , come
M e; T a I ARABI.
i55
Cliopperò in meri endecasillabi tradurremo i primi ver-
si della qazida di Ascia , nella quale tutti gli emistichi
cominciano costantemente con un quinario , e 1' iper-
metrismo anche pel concorso delle lettere tenui non di
rado sparisce (121).
ne fa testimonio il codice vaticano
che il Minatori pubblicò, l'uro in versi
di dodici sillabe ci rimane un intero
sonetto di Etante da .Maiano. V. ap-
presso Carme lieve.
(121) Coire sino ai 64.° verso. Ab-
biani seguilo scrupulosaincnlc la legio-
ne del chiarissimo do Sacy ; ma ci è
spiacevole non averne potuto adottare
r interpetrazione. Ei prende sul serio
le lodi del poeta per ((iicsla palfiita
Oraira che nnn può sostenersi in piedi
per la pinguedine : noi vi abbiain rav-
visato non altro the una continuala
ironia^ e un burlesco assai mani-
festo. E dando questa tinta al poe-
ma , troviam convenienlissimo lutto
r episodio della seconda parte che sa-
rebbe un fiors-d' oeuvre nel!' eroico ,
mentre nell' eroi-comico è una sapo-
ritissima smargiassata. Le parole dello
stesso illustre inlcrpetre ci confortano
in questo pensiere , e le seguenti os-
servazioni.
X'".i.Qtie5ta Oraira era una canterina la qua-
le , (lo()o di essere pa.^sata di mano in mano,
era divenuta mamma in casa di un Kai.s , fi-
glio di Hiibcu , figlio c'i Tlioalela, fij;Iio di
Anno, fij^lio dì Mor'hed. E il poeta nel ver-
so iQ la rhìaina mamma di (jolid.
Non manca di ntitaie il ;ignor di Sacy che
questa grassa canterina venga denominata da
A.l)n Obaidc non ni'irt ma HIO. Dunque
il vezio di (ambiar nome a seconda delle cir-
cosfaiize non è cosa esclusiva delle noslre
riitiKne.
//'ù/. Pcrircttendolo il v?go dell'originale,
la rima mi ha detto che il poeta co'suoi com-
pagai poleano viaggiar per acqua. La rima
avea torto perchè qui trattasi delle solite ra-
roTane la cui lunga noia divagavano queste
frottole. Ma non v'è scampo contro un po-
tere iiresistibile , ed è bisognato ubbidire. La
rima, anche più del futo di Seucia,
, VoUntes ducit j nolentes Irahit,
V-^.La gentilezza francese , che norl t"j man-
car di ifaUiiteria nemmeno con le canterine
mamme , si è trovata in imbarazzo nel de-
scrivere l'ambio non di un' e<ina Irima ota-
ziana, ma di questa TPI'Ss 'JlSx {giumen-
ta balzana ) ovvero IflwX {fangosa ) come
legge il signor di Saiy. Ed ec^o che il signor
Rousseau parafrasizza anch' egli : a £ite a
» la deinarch-' d' itnd jeune cvnrale.'ìceme qui
» s' avance d' un pas timide et nutl a.ssuré ^
w dans des sentiers ghssans et dijjkiles. "
Ma anche nel io verso ritorna il poeta su
questo non tenersi all'* erta della nostra gras-
sona :
S-J:\ì-3 iitj'jto Nnxoix 1x3
che lo slesso signor di Sicy traduce: « et
ses pieds qui posent à peine sur le sol, cam-
me s' ìls ai'oient pour chassure , dfs épmes
doni ils rcdulassent les atlemtcs cruelles. y
Mi penso perciò di non mancare ncppur io
di galanteria quando ho detto con modi vez-
zeggiativi che zambetta sriancatella.
y. 4. L' t c-r.q , pn!?;'7S , è una pianta né
bella né buona... .dico male. Firuzabidi ci
assicura che in medicina era buona la sua se-
menza contro l'emorroidi, ler accrescere il
latte e per far neri i captili. E forse per
queste virtù tu scelta a preferenza delle al-
tre dal poeta più che pel cliijuet.s de' suoi
baccelli pensoloni come i gruzzi ciondolanti
della nostra mamma grassona.
jlf. 6. Dunque: se non fa è perchè non può.
E tanto basii per apologia della nostra in-
terpetrazione.
Autore di questi versi è Maima ben kais
detto .4 scia ; contcmporano di Maometto,
e morto il sesto o settimo anno dell' egira.
Il poema è da non pochi annoverato tra le
Miiallaqà sospese nella Caba. Un dotto arabo,
richiestoglisi qual fosse il miglior poeta della
sua nazione, rispose :
3J1 NIX ini'-'.s'i
È .\lqaiso quando è in collera
Nabéga quando è in palpili ,
Zuhiro in bramosia ,
Ed .\scia in allegria.
Il che ci conferma neir attribuire un senso
affatto gioviale a tutte le espressioni di que-
sto poema. V. fasd^rafa» 4»r ùrìimtt , tom. V ,
pag.' i , e segg.
i56
DE K I T I S
'7m'7N 'jiVx ♦:;•£:♦ nod Nrin^x 'con
NnmNu n'3 fD.NniT::'^ |xd 3
hi}? nSi nn nS npxnoSN io
nanifjx Nnx ndxìdi 'Vn'?^ yjDon 4
"^jr p-iL";? nn2 jNi>nDN ndd
VnnSn -ixj'?^ noh xnNin xSi
N'mnc-'n x'? ìx Knj;"ii'> nx3' 6
SddVn NnriN-ixji ha Dipn xnx
F^ersione del signor barone de Sacy.
Dis cidieii a Horaiiech , il en est temps , car déja la troupe des voya-
geitrs se met en marche.
Mais auras-tu la force , maUieureux amanti de dire adieu à celle
belle que parent et la blanckeur de son front , e sa longue cheveleure , et
l' éclatant poli des dents , et une demarche molle et nonchalanle , semblable
à celle d' un coursier qui ose à peine appuyer son angle malade sur un
terrein fangeux ?
Sort-eUe de la lente de sa voisine , on di/oit un nuage qui s'avance
d'un pas ?nesuré , sans lenteur comme sans vilesse.
j4 chaque mouvement quelle fait , le cliquetis des bijoux doni elle est
ornée , se fait entendre comme le son des grains clu briiyant ircliik , lorsque
le zéphir lui prète secours de son doux fréniissenient.
Horairech n'est pas du nombre des ces femmes qui font la terreur de leurs
l'oisins ; jamais ils ne la voient épier leur secret.
Elle à besoin de recuellir toutes ses forces pour ne point succomber à
son extreme delicatesse , lorsqu'elle se leve pour aller visiler ses voisines.XJne
heure de badinage avec l' une de ses semblaòles epuise ses forces ; le trem-
hlement s'empare de ses reins et de sa croupe ....
METRI ARABI. ìbj
1 T^addi homjrafo f] inna-rralha inàiiahilo ,
vallai loll\jo I) iddfiaii ajjolici -'' rragìolo.
2 gàrrcCo farcVo || jiiazcju'ton àva''rizoa'
taniscl- l/iiiuaj no' [| hamcC jamsci-lvagia-lvahilo
5 kaanna inosc'jataluC (| huìl najll guCrìtalia'
Viano- ssaluChall [| /a' rojla vaia' cìgilo
4 tasniaó lilìiali'' || va^ svcC scC n idh-nsarafat
kama-slaà'na [j biri'hin àsciarigòii zagilo
5 lajsat kainan |j talcrao-l gì raglio iàlàtahcC
naia'' tara'' ha'' |J isirri-lgia''ri tachatatilo
6 ialcado 'lazraóluC [] /ap /«' tasciaddadolid!
ida' taqiCmo |] ìtVj' già' ri'' taha- llcasalo
Koitra inlerpetrazione.
E addio a Oraira ! è pronta già la gondola :
Si parte. . .ahi lasso ! E perdo questa dondola!
Perdere Oraira e' non è mica gangola !
. . . Ahi dura terra ! e perchè non si sfondola !
Qual cria, quàl fronte, quai denti, qual fregola.
Quando zampetta sciancatella e dondola !
Vieu di comare? è nugola che sguindola ,
E lenta lenta sue falde girondola :
E de' suoi gruzzi la pendaglia scricchiola
Qual baccello d' Iscriq che all' aure ciondola.
E buona Oraira : e con tante ergi-pergola ,
Con tante cinguettine io non confondola.
Non \Si spiando attorno ogni baiucola :
Bonchi non pesca e a barlonchi poi sgoudola.
Se fa due passi o due parole spippola ,
Poverina ! già sviene e capitondola
l58 DERITIS
Si paragoni la nostra versione colla lezione araba
soprapposta , e si scorgerà similissinio il metrico anda-
mento , se prescindasi dalla sola catalessi che rielT ita-
liano è sdrucciola , ncll' arabo bisdrucciola.
E per gli stessi riguardi delle lettere tenui che non
altrimenti considerar si vogliono nelF arabo idioma se
non come que' lievi appoggi articolari che nella pronun-
zia divengono evanescenti a modo della m e della s
de' latini , e che da noij accostumati a battere spiccata-
mente le consonanti, con difficoltà si comprende come
mai si possano tutt' insieme pronunziare ed elidere; per
questi riguardi non sarebbe forse strano ritrarre ai nostri
endecasillabi per la più gran parte i versi lunghi e i
versi sjmsl che per le leggi dell' araba prosodia a questo
primo circolo si appartengono (122). Ma sen compia
l'esposizion dottrinale.
(122) È da notarsi che questo av- servatoci dal signor Humbert, il qua-
vicinamenlo ai nostri endecasillabi , il le assai bene osserva che correndo i
ridursi cioè 1' emistichio arabo ad un versi per la forinola del carme lungo,
settenario ed un quinario, o viceversa, il secondo emistichio sarebbe difetto-
sia fra i moderni frequentissima cosa. so. Noi il diremo ingentilito. 11 disti-
E valga d'esempio questo distico con- co è questo :
n;;pl ;r5lD ^toSx ni3' TIOI vatirf iafu'to-'ltarfa li mai-zia ^cqlhi
T\!i-\-\ pn3'7N1 n'l'7ì< nS5 IND XTN "''*' ^^^ chdto-'rri'ha \\ va-'lbarqa ridqaho.
xSnn^l n"lj NT XDmX ^^n tara' adhama'n \[ da' górratin vabihhahala' n
nan inisSa IIdSxi ma'?!* 'm roha-lbardì va-'^badra ubi-z.okro /iaffah>
rERBVM rElLBO. Ille - generosus 'equus Destrier i'ijmoso ! occhio lui segue Invano;
praeUril visum in loco ubi hic cadit :
Quando currit putares ventum et fulgur Che qual vento, qual fulgore si spicca !
pone sequi euin.
Vidcs hunc nigrum-equum , habenteni ma- Vedil moiello-ste'.lato-balzano !
e ulam-candidam-in~ fronte et pedes albos.
Est obscurìtas noctis hiemnlis et plenilu- Notte invernai che in luna ed astri è ricca.
nium cum stellis td circumdunttbus.
M E T R I A n A B I. iBq
La seconda aruza del carme spaso nel periodo ot-
tonario è la forma qatata, vale a dire che l'emistichio
divien piano di bisdrucciolo che era nella forma ordi-
naria chabnata (laS).
E nel periodo senario , ovvero sia nella forma gia-
zata, ecco un esempio analogamente ai due schemi pro-
posti (124) :
Furono questi versi estemporanea-
mcnte composti da Michele Sabbagh
durante una corsa di cavalli , a ri-
chiesta d' un principe di Siria. - E si
noti in questo ed in altri esempi che
quantoppiii ci accostiamo ai moderni
tempi , tanloppiìi i versi arabi si ac-
costano ai nostri metri italiani , e
quantoppiii sono di età remota , tan-
toppiù se ne allontanano. Una ecce-
zione potrebbe farsi nel divano di Ali
ben Abuì Taleb , genero e suocero a
■ vicenda di Maometto. Ma è noto quan-
ta dottrina non araba si accogliesse
dagli operatori di quell' assurdo si-
stema politico-leocratico che tutta adi-
va r eredità de' fanatici settatori di
Ario. V. appresso la forma giazata
del C.VKME SIMILE.
(125) 'jSann niì'B'Sk nixISxin'^yx np
Esempio dato dal Clerico.
(124) Ke' versi che seguono il pri-
mo emistichio è sempre sdrucciolo ,
il secondo sempre piano nel testo
arabo. V. appresso la forma giazata
del CARME rERFETTO.
l6o DERITIS
njs'iDK w^ |xor tnn i
chah DnV3 njKì5t< 2
jKTOìi |x3ndS onS
jNansD nnNV hi
j^nnai •iìr'?x3 1x01
nS^ Nnan i^or Knn 5
JNDDX2 Djxn nS S*im
V E R B U M VERBO.
In hoc tempore non est fraternitas ,
O vir , in fratrlhus.
Amici hiijus temporis omnes iniqui sunt ,
Ipsi sunt bilingues et bifontes.
Occurrit tihi laetus , et in corde
Multujn dolose celat ;
Ut cum receperit et retro Jìierit ,
Imponat tibi falsa paradoxica.
Hoc tempus omne tale.
Fideles nec duos invenies.
O vir, esto tu solitarius
Saeculujn hoc , humanum non est saeculum.
Di Ali ben Ab'i Taleb.
(i25) Seguiamo 1' edizione del Guadagaoli , non avendo avuto agio di
M E T n I A II A B I. 16 )
1 Hada' zaind'nin lajsa ichvcCnolio
jà' ojjoha''-lniar''o bfchva'riin
2 ichvci'no/io Lollohoni IcCliinon
kihoni lisa^nani vavag-hcCni
5 jaUja'ka hi- Ibasciarì vaji'' galbi/ii
dcCoii jovà^ri'lil bikatanuCidii
4 halkC idcC mcC ghabat un àjìùhl
ramcCka bi-zzu'ri vaboìitcCidii
5 liadci' zanuCnln liakadd^ kalloho
bi-lvaddi lei' jazdafoka -Ina ni
Q> ja' ajjoluù-lniar,Q J'akon nwj'ridà'n
daliroka la' taannasi bVnscCni
VERSIONE METRICA.
Sono assai tristi quegli annidomini
In cui fraterno amor non domini
Ognun bilingue , bifronte , perfido. . .
Quanti ne trovi tanti ne abomini.
Liete accoglienze : ma poi?... né un candido
Cuore in cui nero fiel non predomini ,
Che, se da loro ti scosti un attimo,
Calunnie a iosa e' non ti sgomini.
Tal corre il secolo. Amici? è favola :
E fa che un paio solo men nomini.
Va in erme chiostre tuoi giorni a traere.
No : questa elate non è per uomini.
faine raffionto col codice Borbonico.
Tom. JIL 21
iG'i D E n I T I s
II." CIRCOLO IL CONVENIENTE.
Due ragioni va iJ Clerico allegando per 1' etimolo-
gia di questo circolo; i." la nessuna diversità delle for-
niole ne' due generi di versi che gli si appartengono ,
essendo in entrambi la ripetizione eli una formula unica;
2." la netisuna diversità de' piedi che compongono cia-
scuna Ibrmola, perchè quella del carme esuberante con-
tiene un palo congiunto e un dirimente minore, e l'altra
del perfetto un dirimente minore ed un palo congiunto.
Ma queste ragioni non persuadono : perciocché, forma
unica hanno altresì i circoli terzo e quinto; e in que-
st' ultimo anche le formole non hanno diversità di parti
componenti, trovandosi non altro che un palo congiunto
e una corda lieve nel canne congiunto , ed una corda
lieve e im palo congiunto nel conseguente.
Al Guadagnoli è piaciuto dare a questo circolo il
nome di composito , ma non pare che ben si apponga.
Che che ne sia del nome, caratteristica vuol ri-
putarsi de' carmi di questo circolo l'ammettere la corda
grave, e conservarla in uno almeno de' versi della com-
posizione; e il procedere nel movimento iambico esat-
tissimamente ed a stretto rigore della poetica greco la-
tina : se non che nel carme esuberante gli anapesti e gli
spondei che passano ne' piedi pari , formano realmente
una esuberanza ; mentre rimanendo ne' piedi caffi nel
METRIARABl. l65
carme perfetto , perfettissimamente col modo iaiubico
convengoìio (126).
E caratteristica esclusiva di questo circolo si è
quella di dar versi variabili a piacer del poeta nel nu-
mero dalle sillabe , purché salvo però vi conservi il
metrico andamento. Tutti gli altri danno versi affatto
sillabici ; i quali crescer possono o accorciarsi pei soli
aumenti e le sole diminuzioni al principio degli emi-
stichi (127).
(126) V. sopra le pag. 55 e 67. diminuire il primo /«o/^/'/iZ/aton al car-
(i2j) E noto che i Greci e i Ro- me esuberarne. Ma una lai facoltà, sic-
mani scambiavano il giambo ne' piedi come è detto nel Chamus, par die debba
caffi, denominati irt|)i(Tir5!; X'*'P'»5, collo estendersi anche al secondo, les;gen-
spondeo , il dattilo e l'anapesto; e ne' dovisi: XO HJtD "131!3VX1 "115107X1
piedi pari, denominali apriws xj^pas, Q"13» S73 S-|5' (X'^J ^ di e est { il
col tribraco e l'anapesto. Ed ecco forse carme esuberante ) elmaufuro 0 el-
perchi, onde adagiare a questa legge i muaffaro /lercAè , troncandosi anche
versi arabi , credè \1-Chalil doversi la prima sillaba dt una parte , non
accordare ai poeti tanta latitudine nel rimane troncato. V. appresso SArtK.*..
*
iGi D K R I T T S
( A H :»! E E S U B E II A N T E.
"I Ì3 N 1 D S N
« Prende questo nome, dice il Clerico, dalla gran
quantità delle lettere mosse , essendovene , delle qua-
rantadue in ciascun periodo, dodici soltanto quiescen-
ti )). Ma colla stessa condizione corre anche il carme
perfelto. Che anzi è da avvertire che nel periodo se-
ttario V ani za del carme esuberante sempre e la zarba
per lo più sono chaifate : vale a dire che ogni terzo
mofa'lnlaton è privato della corda grave, e conseguen-
temente ridotto a fahuUon. E in ciò tutti gli arabi
maestri convengono (128).
Ha due periodi, il senario e il quadernario (129).
Nel periodo senario, unica è V aruza , cioè, chat-
fata; e due le zarbe , cioè sana o chalfata , come abbiam
detto. Nel periodo quaternario, V aruza è sempre sana;
le zarbe son due, sa?ia o asbala.
Son licenze permesse ras6a,ra5'/a, la naqza: (i5o)
quest' ultima però non sì ammette da Al-Chalil nell'a-
ruza del periodo quadernario.
La sadra può essere àtzbata , qasviala , giamama-
la , àc/sata: vale a dire che dal principio del verso,
(i28)Non avverll questa circostanza sarebbe bisdrucciolo : del che non
il Guadagnoli quando anche il carme v' ha esempio.
esuberante assimilava ai nostri cnde- (i2g) Ma pel periodo quadernario
casillabi sdruccioli. È sempre piano v. appresso Carme congiunto.
nel periodo senario, e non sempre (i3o) V. piig. 46, V. 23; e pag. 48 ,
cnditasilisbo puro \ e nella zarba sana if. 26.
METKI ARABI. ' l65
nella prima forniola del primo emistichio, può togliersi
la prima sillaba breve, rimanendo l'altra del palo es-
senzialmente lunga. E poi in arbitrio del poeta di con-
servar quelle delle corde come sono nella formola pri-
mitiva , o avvalersi altresì di una d<lle altre licenze
poetiche (i3i).
Un tal troncamento nella saclra che genericamente
dicesi charma , prende nel carme esuberante il nome
di Azba , se è semplice; e iW gazma , gianiama o àqza
se alla atzba si unisce V azha , o V acjiia , o la naqza.
Quindi la seguente formola :
FORMOLA.
mofà'
hila
ton
mòfa'
hila
ton
fahu'lon
INTERA.
AZB VT\.
AQLATA.
NAQZATA.
-
-
ATZBATA
GAZJIATA
GIAMAMAT.
AQZATA
A.
-
Non è da far maraviglia se per tante figure il
carme esuberante riducasi da per sé al nostro endeca-
sillabo. Eccone esempi :
(i3i) V. la pag. 6i , 3^. 45. E V. la precedente nota 127.
iGt) D E R I T I S
i'x-in nS "inn Sxd^nSn jd
CDv xpn rho ah ijxd a
rir ninj nx'nSkS* ainSNi 4
♦n "^D rrxJ n'iD'?x V'ìd 5
ann'i dSd' coDnr nS |oi 6
r^topix ha pJt:Sx iid'^d'i
nx'n JD -10 "laSS noi 7
;^NnDW Dpo |D ':';? nd n'"Ì}<
V E K B U M V E R B O.
Alloquor eam (scil. aniniam); et iani avolat perturbata
Propter lieroas : » P^ae tibi , ne timeas.
JVa/ji ulique tu , si rogares prorogationem diei-unius
Ultra metani quae tibi data est , non exaudieris.
Igitur patientiani in campo mortis , patientiam habeas :
]S'on enim donavi immortalitate possibile est.
Et non palUum vilae pallium lionorificum :
Certe complicabitur a socio ignaviae pusillanimo.
Via-niortis tenninus est cuiuslibet viventis :
Et acclamat familiis terrae acclamando.
Qui ergo non aliis-aemulatur, toedio ajjicitur et senescit
Ei in toedio tradit eum mors ad cessaiioneni.{ìn toedio
Non autem homini illi felicitas in vita :
Siquidem repuiatur pars-vilior suppelleclilis. ))
Di Abù NoHAii.v Qateri — HUMB. VII,
METRI ARABI. 167
1 yjcjó'lo lalicC II ( vaqad tcCrat sciahàhàii
tniiia-la'hta'/i) [| vajhakl la' tara' hi
'2 Fainnaki lani salti [| baga'a juiìiin
àla^ -lagiali- lladV [J laki lam tiiki'ì
5 Fazàbra^n fi |] magia' li- hnàvti zabrcCii
fama'' najlo-lcholiì' di [| bimoslaUCIii
4 T^aki favbo- lliaf ali [] bitavbi izzi
fajùtva'' chi [] acld-lchani-ìjara^i
5 Sabilo-lniavli [| gcì'jito kollì liajjin
vada'ìjatin || lio'hli-lharzi da'i
6 Faman la'jàhtabit )^jasham vajaliram
vajoslimho-l [| manu^no ild'-nqitaH
7 T''aiiuC Ulmàr,i [j chajron min haja'tin
ida^ ma' òdda || min saqati- linaio^ t
VERSIONE METRICA.
Con Lei ragiono , e già in balzi frequenti
Vola fra i prodi : » Or via , di che paventi ?
Che a' giorni tuoi prescritti arroge un solo ,
Col tuo codardo desiar mal tenti.
Indura pur di morte ai campi , indura :
Non vivono immortai vita i viventi.
Manto di scampo , d' onor non è manto :
Né dosso copre di fiacchi fuggenti.
Morte ?....£ meta al cammiu di nostra vita:
Corron là tutte calcate le genti.
Que' cui non arde nobil gara , in tedio
Fian sempre : e sempre in tedio , o vivi o spenti.
Lieta per essi non corre né un' ora :
Più vili assai de' vilissimi nienti. »
l68 D E R r T I S
NJ'S;; Sjyn a'^a ijn N3N 26
Nrn nx'Ni^K mu ndnd 27
xm np NiDn jrrnifji
V E H B LT M VERE O.
/VA Iliiuhie , ile cito iiedivf^s iìi iios ,
el respicead nos, narrabirnits tibi certi ssimain veritateni:
Quod nos ducirnus vexilla alba ( ad bellum )
Et rt'ducinius rubra postqiiain ( sanguine )pofauimus.
Ex Ms. R. Btbl. Borbox. (*)
VIND NinX N1JX1 -|JNÌ3 2
xnxiD nni'Ni dsìSS nds
nSx noxSx 3N'p-i n5*7J »sdi 4
NHN'jj Nrj nxin NnDiJxa
VERBUM VERBO.
Quantum ad tuam animam ejfuge cum ea , si laedaris
oppressione; Et sine domuin dejlere euin qui extraxiteam.
Eteniin tu invenies terrani prò terra; Sed quantum ad
animam tuam , non invenies animam praeter eam.
JVec mittas legatum tuuni in negotio-gravi: Nam non
homini estfìdeìis minister praeter se ipsum.
Et non pinguia sunt colla leonum , Nisi-quia prò se
ipsis ipsi administrarunt quod sua intererat.
Notte 2i3 HuMB. XVI.
(*) Di Amri ben Kalthvm.
METni ARABI. 169
DI ÀMRI B£N KALTHUM.
26 abà' hiiidin |]/à/a' tùgial àlajna'
vaantÌLorncC [] nocliahlrka' Ijaquaj ikC
27 biannà' jiiC rida- r 1| rcCjcCli hijzci'n
uanozdirahon |) ?ia honircCn cjad ravajncì'
VERSIONE METRICA.
Hai , figliuol d' Hinda , in giudicar gran IVelta !
Pure un sol motto, e cangerai pensicre.
Bianca è da noi , nel gir , 1' insegna eretta :
È rossa, riedendo , e il sai ! . . .pel troppo bere,
1 vcuiafsika far biluC in sibta zajnia'ìi
vac/ialli- dda' ra tani'a man bana'/ia'
2 fainnaka va'gida' arza'n biarzin
vanafsika lam tagid nafsa'n sivcHhcC
5 vaia" tabàt rasiì'laka fi mohìniniVn
Jàina'' lilnafsi nu'zihaton siva'/ia'
4 vama^ gàlilat riqa^bo-losdi iLkC
bia^nfosilicC tavalat mcC àncChd!
VERSIONE METRICA.
La tua vita è in periglio ? e con lei scappa :
E fa che te piangano assente i tui.
Perchè ben cangiar puoi terra per terra
Ma è di vita un lo stame e non son dui.
Ne' grandi affari opra tu slesso : invano
Lieti sperar li puoi commessi altrui.
Ve come a quel lion luce la giuba ?
Provvide ei da sé stesso a' fatti sui.
Tom. Ili 22
a 70 DKRITIS
A questi esempi (iSa) ben altri son potrebbero
aggingnere ne' quali gli endecasillabi si mostrassero spic-
cantissimi •, e non solo, come sopra vedemmo, nella
integrità delle sue parti componenti, di ettasillabo cioè e
di pentasillabo, o viceversa (i35) ; ma fusi ancora tra
loro alla nostra niapiera ; ed assai di frequente. E tai
{i32) Il primo è tratto dal comenia- 'VXtSri; 5°"° scritte cosi per fare che
rio del F ahrìzì sull'Hamasci , ma tro- tuue le rime finissero in e; ma ab-
vasì anche nel dizionario A'Ibit-Kla- biam già veduto che dovendo tutti i
lecJiàii alla lettera p ; e il nome del versi arabi terminare con una sillaba
poeta era di >")J3n n*J^{l'3 ÌD5< ^bii lunga , essa virtualmente ha la lettera
A^oà'ma Qaleri , come quello storico analoga della mozione nella qalia
attesta. Fuit ille , ci dice , giusta la sciolta. E perciò tutto T inconveniente
versione dello stesso signor llumbert, era soltanto per 1' ocihio. Ma si noli
vir bellicosus , dux-Axeniliuiin: mul- nel secondo emislicbio del quinlo ver-
ta bella et proeìia sustiniiil : sire- so quel troncamento al principi') della
/luns annua, non llmebat niorleìn , seconda forraola , come per l'autorità
et propler hoc dicil alloqucns ani- del Chamus avevam cennatOj nota ia6.
mam snam Segue il poema. 11 quale emistichio va cojì scandito :
Dopo del quale ; Et Jd versus me- ^_]^^.|_ l- -l 1-
momntur in libro Hamasa , in pri- vada ^ latin lah lilhaAzidd' i
ino capile , et hi strenuos-reddunl 11 secondo esempio , tratto dalla
creaturas Dei et non novi in /toc ca- qazida di Amri ben Kalthum , dà
pile his similes. Et non exiverunt qunttro endecasillabi nettissimi se l'ul-
nisi ex anima elatissima et ex ma- tima sillaba della prima parola del
inanimitale arabica. Ille autein {Abu quarto emistichio si faccia non elide-
Ncà'ma ) niuneralar inler facun- re , ma formar dittongo colla prima
dai viros Arabiac notos ob eloquen- della parola seguente.
tiam et facundiam. Riguardo al terzo esempio, la ver-
Nota il signor Humbert che le pa- sionc veramente metrica sarebbe siala:
iole y{<")riX'!' ''"-'^ secondo emistichio se la tua vita è in periglio; ec.
* VNDn del quarto che mancano del- ('33) Pag. 164.
la ♦ finale in vece di 'l?ì<^nt<7 *=
M E T R I A r. A B r. 17 1
ravviciuamcnli non tanto nella ragion metrica de' iam-
bi son (la cercarsi , ne' quali più lo spostamento degli
accenti che 1' addizione di una sillaba par che nuoc-
cia , quanto nella ragione di quelle contrazioni che gli
Arabi accordano a questa specie di versi.
Nella forma giazata del carme esuberante 1' aruza
è unica, cioè sana; e le zarbe son due, sana ed «z-
bata. E perciò i secondi emislicliii o sono anch'essi
ottonaril bisdruccioli , o nopenarii piani , che si ridu-
cono per le ziliafe a setleiiarii ed oUonarii colle stesse
condizioni desinenziali (i34). Caratteristica adunque del-
la forma giazata del carme esulieranle sarebbe la de-
sinenza bisdrucciola e 1' alternar degli ottonarii co' set-
tcnarii. Ma delle varie fasi di queste trasformazioni
terreni discorso or ora , dopo le molte altre che ve-
dremo emergerne dal cangiamento di sito della corda
grave nella sua combinazione col palo congiunto.
(i34) eli esempi che scn proUucooo son «{ueili:
A&VZA SAXA. ARVZA AZBATA.
lya DE R I T I s
CARME PERFETTO
S C N D 7 X
Ve n'ha di tre periodi: i." il senario; 2.° il qua-
dernario ; 3." il quinario. Del periodo sanarlo con tutti
gli accidenti delle zihafe è questo lo schema :
FORMOLA.
niofa
la'
hìlon
mota
fa'
htluu
mota fa'
hìlon
INTERA.
„ ^
-
„ _
„ ^
-
^ -
-
- -
IZMARATA.
-
-
-
VAQZATA.
-
-
GIAZLATA
-
-
-
-
-
-
Ecco adunque in tutta la sua perfezione il trimetro
iambico de' nostri maggiori : /;i^ro, per la vaqza;cor«-
ambìco , per la giazla *, spondaico , per l' izmara ; ed
anapestico , nella forma intera. E perciò far non dee
maraviglia se cosi agevolmente il carme perfetto arabo
nel nostro endecasillabo si risolva , sdrucciolo nella for-
ma intera, piano nella forma qatata, tronco nella forma
adadata: tanto maggiormente se pongasi pensiero alle let-
tere molli delle quali abbiam fatto cenno più sopra (i35).
Ma è da notarsi che quando di queste lettere molli non
s' incontrano , anche nel carme perfetto degli Arabi il
ritmo bassarico si riproduce. Il che dilucideremo con
esempi.
(i35) pag. i5a.
METRI AHABI. 173
Le forme diminuite Avi carme perfetto sono :
TORMA ADADATA.
ADADATO-TZMABATA.
- -
BM'LATA
DAILATA.
^ -*
1
GIAZATA. '
-
, QATATA.
....
Le prime quattro forme danno una serie di qiii-
narii ; le due ultime , di settenarii : se non che nella
forma adadato-izmarala vi è ipermetrismo , e invece
dell'ultimo cjuinario si ha un senario. Del resto nella
forma adadata semplice, ogni secondo quinario è bis-
drucciolo •, nella giazato-raflaia, è anche piano ; nella
dailata è tronco; e un settenario sdrucciolo si ha nella
gìazala nuda , e un settenario piano nella qatata. Nel
sistema dottrinale , appartengono le due prime forme
dimhiuite al periodo senario, le altre quattro al qua-
dernario.
Appare da tutto ciò che al carme perfetto gli ara-
bi maestri riferissero tutte le forme iambiche della pro-
sodia greco latina.
Nel periodo senario due sono le ariize , sana e
adadata ; e colla prima tre le zarbe , sana , (/afata
e adadata.
Ì74 i> ^ R I T r s
ARUZA E ZARBA SANE.
xnDNmfl NiiSu naND 'joì
VERBUM VERBO.
Obliterata est maiisio hrevis et memorahilis stallo eius
In Mona : desertae sunt Gaula eius et Rehama eius.
Et canaìium Reiani denudatwn est vesligium eorum,
PeJiitus ut quae scripta sunt in petris iìiscriptionum.
Ex Ms. R. BiBL. EoKiiaN,
fiinv
\y D^Ni pax JX3 n'Lra ■ip'71 77
xanantrx ah^ '"r\v 'anxtrSx 78
♦DI i<i2r}\> x'7x dSi p nxiSxi
xonxnx riD-in ipVa xSya» jx 79
VERBUM VERBO.
)^. 77. lam timeo ne nioriar , neve bello Sit reditus
in duos filios Zemzemi : y. 78. Qui me contumelia
affecerunt, et ego non eos contumelia affeci Quique vo-
verunt necem iiieam, et non percussit eos sanguis meus.
1(. 79. Sique fece rint hoc, iam relicjui patrem amborum
Praedam leonibus et omni vulturi rapaci.
14,
METRI AHABI. i»5
Di Amiualqaiso.
1 àfali-\ldiJa'ro ?nahal\\ loa\famaqcCinocC
himanaii, cjaaimoda gàv^^lolia' farlluCnwlicC :
2fa/nada'Jió-'rrajja\\ni órrl' rusliolia\
halaqa'n hama' zamino-H \\ vazijja silcCniohcC.
VERSIONE METRICA.
Più vestigio a breve stazion , ma pur memorabile,
Non è in Mana, e Gàulo e Rehu.no è inabitabile :
De^madafia' (*) a Raiano i segni clisparvero
Quasi cifre a vecchio pataffio ornai 'udicifrabile.
Di Antara.
77 valaqad cìmsciajto Man 0 amiCna vedimi jahan
lllharU daajarton ^ àUC-'bmC zanizamin
78 assai ali ma'' ir zi' || valam asc-tìnihoma'
uannddi rajna vaia \\ ma-la' qaìiomlC dam^
79 in jafàla' falaqad \\ tarakto ahcClioma*
gizra-'ssahaH vaiai \\ li nasri qhscùmin.
VERSIONE aiETRICA.
Morte ornai vietare mi può co' figli di Zamzamo
Che nuovo a battagliar pretesto non m'abbia.
Onde alle ingiurie sien sconto le ingiurie
E pronte, ogni trama lor , vendette riabbia.
Ma pur qual vanto? ai liou Zamzamo e ai rabidi
Avoltoi pasto, mordea per me la sabbia.
(') >'3>^nO ( madafiò ) è precisa- torno la tenda per impedire che l' ac-
uente quella terra che si ribatte iu- qua vi peucui.
176 B E K I T I S
"iin N*?"! •''?}; pan n**? nm X' i
ntoD^Ni nptj'.'o'?^ p 'njriD xn
'3 ':'i aip rn;? pomn nd -a
ipnas' Dip 'jjii nn'^N ;;-i:r
QD'S;; D'DjSn p -ikjn n» 5
Kij?'?^ nprha NIX 'dniSk n*?'!! no 4
"imSx ;^DpjiS*D dhdSn 'DT -in"in3
♦n £3*7n 'Sy rìoj':'^ mnxDn nini 5
V E R B U M VERBO.
Ofatum, ne superstitem-facias ?ne,nec intactum-me serves,
Ecce enim niens niea in medio perpessionis et periculi.
Nonne vos miserebit viri iiobilis quantum-ad-tribum ,
qui viluit in via ( vel lege ) amoris , et opulentis quan-
tum-ad-tribum qui pauper-evasit ?
Zelotypia-luborabam inzephyruin,super voscnxw spirarci;
J^eruni, ex quo ingruit fatujn , excaecatafuit perspi-
cacia mea.
Quaenam erit techna jaculatoris , si adversante hoste,
voluerit iinmitlere sagittam et runipatur chorda !
Et cum densantur catervae super virum ,
ubi erit loous^securus contrafatum! ubinam ei asylum!
(137) Si noti in questo emistichio poi a moflahilaton per 1' arbitrio che
il primo anapesto risoluto in dattilo, dà la chazma di aggiugnere al prin-
della qual risoluzione nop v' ha esem- cipio del primo emistichio sino a
pio in tutta l'araba prosodia. Vero quattro lettere , che qui sarebbero
è che per non infrangere le regole due ; ma questo moflahilaton non è
dottrinali potrebbe dirsi con doppia nelle regole dottrinali. ^ E vedremo,
trasfigurazione il inolafa hilon ridot- nel secondo emistichio de' versi pro^
to prima a fahUalon per la ^ata , e dotti alla pag. 180, la secou'Ja corda ,
JI E T n I ARABI.
177
i jcC cìahro IcC tobcji àlajja ualcC ladar
/to' mokgiatV bajna- lino sv.iacjcj citi iia-Ichalar
2 ma' tarhannCna àzi'za cjavmin dalla fV
sciari-l/iava^ ucigcinijja qavviin ciftaqar
3 konnato agcVro ndna-nnasi'nii àlajLom (lay)
laiin idcC nazala-lqazoC óinija-lbaznr
4 ma'' hi'' lato- ira mi idei - Itaqati- lidcC
foi^rcCda jarmV-ssahma va'' nqataà- Ivatar
5 vaida' tale cC tarati- l giomiC ó àlcC-lfatcC
ajna-lniaqarro inina-lqaziC ajna-lmnj'ar
VERSIONE METRICA.
Ahi sorte! e i favori tuoi m'alzano o balzano?
So ben che tema e ardir qua e là mi trabalzano.
Mercè, magnati. Amor nell'ossa mi brulica
Ma bezzi con Amor non ciondoli calzano.
Geloso er' io , vi so dir, geloso de l'aria...
Ma che far se i fati tuttor sinistri ti scalzano ?
D' arcicro 1' arte che vai se T arco in tendere
La corda spezzasi, e a brani i briccioli sbalzano ?
E un fantaccino che può se addosso gli piombano
Squadroni a cento a mille e accerchianlo e incalzano?
giusta la lezione dui dottissimo do dell' anapesto vedremo nt' seguenti
Sacy da noi seguila , cangiarsi di versi , che sono i primi del Divano
giambo in anapesto. Dal ilio segue di Ali, cne'quali non iiljbiam voluto
che all' ipermeliismo de' versi iambici alterare la lezione del Guadagnoli.
non sissi dai maestri arabi bastante- Nel ms. borbonico vi sono qua e là
mente provveduto ad onta delle lo- molti altri versi che in tutto sono liJ
ro rego'e con tanta profusione ac- e nou 7.
cumulate. Ma beo altre permutazioni
Tom. l£l.
23
lyS DE K I T I S
ARUZ.i SANA , ZARBA QATATA.
n';^ix dnjVn* riNnoK nojn'i 2
X3K ixdhnSxi nx;^mnDD
nd'7xi_pdSxi nn |m5x5»
3Dn m fo iSsn irriN |xi 4
x'':';?i nj N1-IDDJJK3
anìa ì=i7ì;hii ^mònihìi b^ùiò 5
x'?"ix nnnox fa'? nn'^N* 'S;;
njDn» jND na nd -laVx no'pi 6
N'Sin .13 usn ì6^ D'^p^ Dps 7
VERBUM VERBO.
Uoìuines tcnnqucun staluae computantur :
Pater eoruin Adam et niater Eva.
Et quìdem matres liominum sunt vasa
Deposita : at patres excellentia.
Qiiod si in radice eoriun sit nobilitas ,
Gloriantur : sed quid ? lutimi et aqua.
Quod si gloriani quaeris in progenie ,
Est prosapia nostra sublimis et grandis.
Non est nobilitas nisi eruditis : enimvero
Ipsi directi et dirigentes alias.
Et stabilitio viri est id quo bonus redditur.
Et stulli seniper hostes sunt sapientibus.
Persiste in sapientia : comniutationeni non appetas :
Mortai sunt homines , soli eradili viventes.
Si Ali ben Abmì Talee.
M K T n I A n A B r. i-g
1 AnncCso min gi/iali-llinila'll akfcCo
abu'honi adamo na-tommo heva\)
2 vannamcC ommalicC to- niicC si avijaton
mostavdacVton va- Uh su' no aba'o
5 fain iakon lahoni fiàsliliim sciàrafon
iqfachirulma hihi fatti'' no va-lmoì'o
4 vain atajta hifacharin min dovi' hàsabin
fain nosbatojia'' giu''don uaòlijci'o
5 lafazia illcCiulhli--lilini inna/iom
àia - IhudcC limani^'' stahda^ adilkCo
6 vaqij amato- Imari mcCcjad kcCna. iohàssinoho
vu-lgicC hiliùna UcC lili' Uhm àda''o
7 fagom biilmin vaia' tabi' bihi bàdalan
fa-nna'so movtcC vaahlo- Itimi aliju''o
VERSIONE METRICA.
Statue gli uomini son d' una stanipii^lia
E ognun conta Eva e Aclamo in sua famiglia.
Germi son de' materni alvi in deposito
Che a vita il vigor patrio urge e incaviglia.
Pur lauti, ecco, a le magne ombre degli atavi
Superbir ! ma di che ? D' acqua e mondiglia !
Pur , se t' arde desio d' alma progenie ,
T' hai la nostra : e di gloria ella è ben figlia.
Tu dal senno de' sofi un senno eredita
Che altrui che a sé leggiadre opre consiglia.
Spregia di vii gentame il gracchiar invido
E a vera e pura nobiltà ti appiglia.
Resta tra i soli : in essi è vita , e splendida :
Tult' altri neir oblio morte arronciglia.
l8o DERITIS
N"ÌNÌji njo iN^; ■>:ihp "ixim
hy pj:iS'3 nnui' naSo hdd 5
n-inSìn njinaa xna 'pan
Versiojie del signor de Sacy.
Pourquoi ne rn'est-il pus perinis de satisfai re sur tes lèvres
la soif qui me déi'ore, tandis què mori coeur est dechiré par ion
■ amour ?
Si s'est ton plaisir que je perisse victime de ines ardeurs,
puurpu que tes juurs chéris soient conservés, j'y trouverai moi-
Tnéme du plaisir.
Mon cocur eluit eritier, lorsque tu Fas ravi ; en ce moment
quUl ne me reste plus quun soufflé de vie , renda mai du inoin
ce coeur que tu as brisé et mis en pieces.
Chrest. Arab. XVI.
Apponiamo in nota gli esempi delle altre zaibe del
periodo scnario (i58) come anche quello del periodo
(i3n) ^ruzn sana, iaria adadato- aruza e zarha adadate.
dannata.
bpxi'S iT\t2Ni3 ■i«n':x \rh i-\r\ mK3i e^jn bon
aruza adadala , zarha adadato-
Altri vi aggiungono 1' adadala sem- damrata.
plice , non arumcssa né da Al-Clialil
né Al-Akfasc'. ^^ fiaKDN p ^IW^ n:»"?!
METRI ARABI. l8l
1 Zaddoji liaind' thama'i' [j lama'ka limcCda^ ,
uahavob' Ica qalbi' (j za'ra niin/io giodcCdct' ,
2 in kcCna fi taìafi [| riza'ka zabcCbatan
iialaka- IhaqcCo [j vagiaddato filli ladcCdcC
3 kahidC salabto || za/ii' fiatali fa-'' ninbu àia!
ramaqV bilia' || mamta^ nalan afl(Cda\
VERSIONE METRICA.
Se de' rifiuti tuoi 1' asprezza ed il fasto
Cogli assidui miei prieghi a rimuover non basto ;
Morrommi : e lieta è per me di morte l' immagine
Nell'idea che a quanto tu brami non fonimi contrasto.
Ma tu il cor mi rendi j e benché intero al rapirmelo
Te 1' avesti , il rendi ancor che in brani e guasto.
quinario che dà il Clerico, non essendonji imbattuto in
verun poema di tal fatta (iSg). E passiamo al periodo
quadernario.
(l39) NIHxSr 3JXJ3 'AjSk \rh e la terza formola si trasponi al se-
inn 'T l'J 'p7a condo emistichio , si ottiene appunto
1' espressione del ineiro de' seguenti
E n è la formola : versi appartenenti eziandio al divano
di Allj e de' quali manca l'esempio
molafa'/iilon,motafa'hilon,mosttifhihn ne' dottrinali :
mostaPiilon I fa/don.
mota/a^ /tilon j motaj'a ìtHoii
Ma se ì\ fahlon si riduca li fahal motafa hilon , moUifa' Inlon , fahal.
iSa
DE R I T I S
ARUZA GIAZIATA , ZARBA TARFILATA-VAZLATA.
N3JNJ yjDX ^3*7X1 2
ny^pii HDnSn nS 5
ìii^'pi'^N' in^Sn Dìiì'7ii 's
naa» D'n pS snSx ;x 6
n;;?'3EoVN 'Sx hv jn
VERBUM VERBO.
Perfectio est ex liberalitate naturae :
Defectus auteni ex arlis corniptela.
Et bonitas est securius effugium ,
Qiiaiii cacumina montiuin siiblimium.
JVLalitia auteni velocius deflciens ,
Qucim torrens aquae , quamuis rapidissimae.
Derelictio pacti et amicitiae
Est res ìion decens hoininì , sed bestiae.
Non deturpes maledicentiis
Inter homines , nanique deturpaberis
Nam consuetudo non moratur
TJt in naturavi convertatur.
Di Aù BEN Abnì Talee.
METRI A n A B I. 1 0 J
1 Alfazlo min karml-llahi'àU
va- Inianno niq/sadato- zzaiii' citi
2 va-lchajro a/nan , d già'niban
min qoUaii- Igiabali- IniaJiiWli
5 va-ssciarro asraó giarja/d'
min giarjati'^lniai va-ssari'àti
4 tarko- ttcuV /iodi- Ili zzadi''-
qi taku'no movgibalo-IcjatVàti
5 lei' taitalich bivacji''àiin
fi''-nnà'si ialtachoka Hvaqiàti
6 inna- ttachalloqa lajsa jam-
kolo an jaùlo hilcC-itabi^àti
VERSIONE METRICA,
Sol da Natura il ben si germina :
11 mal vieu d' arte che trista invermina.
Bontade in rocca sta immobile
Cui spalda balzo d' alpe e contermina ;
Ma il vizio è fiume che rapido
Giù rotolando trasva e si estermina.
E belva , non uora , chi a frangere
L' altrui giurata fé si determina.
Malevol non farti o maledico :
Che contro te quel mal si rigermina.
Mal consuetudine infrange ogni argini
Non si resta e in abito ella termina.
j84 de r I t I s
ARUZA E ZARBA RAFLATE.
nN;;3 'fl nxon xoS i
'alpi 'S;^ 'Dij nSon 3
■ixijSn* napT n3N23
* 'D^p nx: f;;3 p inda 4
'by pn ax^'^kV p-inNfl 5
VERBUM VERBO.
Ci//7i perseveraret in recedendo a me ,
Et accenderei ignem in corde meo ;
Et non reperirem ab amore ejfugium
Nec auxiliiun in insomn'iani incanì ;
Impuli-nie-ipsuni ut conwiorarem ego iuxtajanuani ejus,
^d-instar comniorationis equi,
Tum avolavit de portione ignis oordis mei
Mmus , in descriptione , quod de igniariis evola t :
Atque haec portiuqcula incendit januam me inscio.
Non fiat hoc ex; volunlate mea,
L' esempio qui scelto non corro per veruna formala
dottrinale. Non pare però che ben si apponga il «signor
Hnmbert né quando 1' altribnisce al carme spaso (140) ,
(140) ^nth. Ar. p. 4.
METRI ARABI, l85
1 La?nma':tamci:da' fi'-.hua'di
vaaza-.ramà-n-.nara fi-./ucCdi
2 valanv.agìd-.min hava:o buddan
vcda-.moP-.iicm àla-:suha''di
3 hamalto na-fasi'uìli': vocju^fi'
baba':bihi:vacjfata-l:giava'di
^falcC-.ri min-.bàzi na:ri qalbi
agùhlo Ji''l-:vazfi viin-.zinadi
h faalv.racja-hbcCba dir.na ili
valànv.jakon-.dcC k niin.-.niord' di '"''
VERSIONE METRICA.
Perchè da me lungi scn va
Ed un incendio al core mi fa ;
E perchè tregua iu amor non trovo
Che lunghe lunghe le notti mi dà ;
Rizzaimi a Acgiia e al liminare
Mi stea qual fido destriere sta là.
Quando , dal cor divampante , schizza
Poca scintilla e all' uscio si adda :
Me ignaro apprende , arde , consuma ;
No al certo per mia volontà.
nò quando protesta non esser facile riconoscerne il me-
tro (141). Noi abbiam seguito nella versione gli stessi ac-
{\k\)md.-^.\7,it.Lemél,a,c\.à\- nS*Ì*3 .'SH NDJl J'tS'?
ce, qitand il csf regitlier se figure ainsi Xl*ì3jTJ l*?i'0 wV SnDD
ì'71?X3 l'71/'3PDO repélé dciix /vis. Daiis Ces aulres vera , on a }7|VS <''«
Or vo/ci cor/ime. on scancle le premier lieti de jSwj : c'esl a dire clone que
hemislicìte de nolre poime : le dernier pied esC rMranilié , et que
Tom. III. 24
l86 - D E R I T I S
cidenti della variazione metrica dell'originale, col solo
cangiare in acataletti gli eniisticlii aiabi ove cadono le
rime , e che sono catalettici , onde vieppiù avvicinarli
allo stato attualo della nostra poetica italiana. Ma con
tutto ciò , chi della storia de' nostri metri non fece
studio, si persuaderà di leggieri che strani sieno tai
versi ed irregolari affatto. Ma voi già vedeste, Colleghi,
che questo metro ncU' antica poetica può riferirsi al
iainblco arc/iilochio dimetro ipercalaletto , vale a dire,
alla cnnemimeri iambica regolare giusta la forma
Ed è notabile che un tal vei'so, il quale uella strofe
alcaica oraziana è il terzo , si scomparta per lo più in
tre trinari
Nudità musarum sacerdos...
Et cuncta terranim subacta . . .
Metro di soverchio trinciato ed ambiguo ; e perciò raro
assai nella sua purità nel parnaso greco e latino.
le second p^3f\J3 , par deux licen- duo dallo stesso verso , al primo del
cs* devieiU ^•^^^Q. Z)aìis le pre- secondo, ed ai secondi del terzo e
mier vers , pour avoir la mesttre il quarto la permutazione dell' a«a/)esto
faul prononcer le » du mot nSoi"! ^ '" eretico ; ed in dattilo e tribraco nel
versi da noi si scandiscono secondo le primo del quinto e del quarto ; per-
divisiohi apposte nella lettura del te- mutazione non ignota ai metrici , ed
sto ; e non altro vi si scorge se non usuale ai tempi poco lontani dalla
r aumento comunissimo per la cìiaz- prima apparenza degli arabi. V.le no-
ma al principio del primo emistichio te 18 e 137.
del terzo verso ; ed al secondo emisii-
METRIAKABI. 187
Del resto , or clic per noi la fabbrica de' versi è
più rigorosa doli' antica, e non della sola quantità sil-
labica , ma della posizione altresi degli accenti dob-
biamo toner ragione ; due specie di metro ravvisar dob-
biamo nella formola sopra espressa, secondo che il terzo
piede sia o no un iambo , o, per meglio dire, secondo
che sulla quinta sillaba cada o no 1' accento. Ed in
fatti, leggendo noi questi versi (142):
Je teux vous conter la besogne
Des cordeliers de Catalogne, . .
non ci persuaderemo giammai che sieno della stessa
specie, quantunque entrambi di nove sillabe : percioc-
ché nel primo v' ha tre percussioni , e due o quattro
nel secondo. Al contrario ne' primi versi di questo
amcbeo (i45) :
Mess. Donna , di voi mi lamento ;
Bella, di voi mi richiamo
Mad. Meo sire, se tu li lamenti.
Tu non hai diritto e ragione
diremo che i versi sono gli slessi, quantunque i due
ultimi abbiano tina sillaba di soverchio.
Chcpperò gli oltonarii e i novenarii iambìci in
versi dello stesso metro si risolvono quando i primi si
risguardino diminuiti per quelle condizioni che facean
denominarli acefali dai Greci, 0 dagli Arabi azbati : il
che vale lo stesso.
Ma è da notarsi che non di rado i nostri primi tro-
vatori r uno con 1' altro metro confondevano anch' essi.
(142) Di LiroNTÀwe. (i43) Di Iacomino Pvglujs.
*
l88 DEKITIS
Trovaiisi iudifFerentemente avvicendati ne' seguenti versi
del sopraccennato amebco , nella canzone del nostro
iniperador Federigo
Di dolor mi conviene cantare
Come allr' uom per allejjnmza . . .
ed in altre moltissime del medesimo secolo.
Lo stesso è da dirsi per le vecchie canzoni delle
altre lingue romane (144).
Per lo che non dee far sorpresa se i versi arabi
or dati ad esempio mostrino , specialmente ne' due pri-
mi emistichi ambiguità di metro , potendosi assai bene
scandire e per tre e per quattro percussioni :
Lianima' tcr.madcì fi': bua'di , ec.
La quale ambiguità abbiam conservata nella ver-
sione. Il metro però rendesi manifesto negli altri ver-
si , in modo che 1' ennemimeri iambica mostrisi spic-
cantissima e non mai da confondersi col novenario ba-
chiaco , che in arabo corrisponde al carme conseguente
giazato.
(144) Ne' romanzi del Cid.
Banderas antiguas , tristes ,
Ve Victoria un tiempo amadas ,
Tremolando estan al viento j
Y lloran aunque no hablan . . .
Nel romanzo di Rollone :
Quanque a ven septentrion ,
Que nos citar en del apelon ^
Cest air j cast cielj ou terre , ou mer ,
Tuit seulent geni nort apeler, . .
Scrventese di Sordello :
j4ylas e que 'm fall miey huelh ?
Quar no vezon so qui eu auelh,..
Canzóne di Barbasiu ,
nelle Cieuto NorELLE antiche.
Altresì cojn lo Lifans
Ke quan chai no 't pot levar. . . .
ec. ec. ec.
AI E T 11 I A R A B I. 189
Quando la poesia fu dislaccata dal canto , lai versi
si trovarono troppo saltellanti , e sol riinasero per la
musica : come quesli che il Biagioli attribuisce al Me-
tastasio :
Tormento crudele tiranno
Wi strugge mi lacera il core :
D' Ah Ito geloso furore
M' accende la face nel sen.
Loreto Malici volle restituirli alla poesia declama-
ta (146) : ma non era egli fatto per mettere in voga i
suoi versi e produrre ammiratori e seguaci.
L'enueinimeri iambica è metro or dismesso in Ita-
lia , e risolvesi in una scgucnza di quinari. E ad essa
precisamente questo e gli altri due esempi che appor-
remo si appartengono. Ma perchè mai gli arabi maestri
serban silenzio su la forma giazalo raflala del carme
perfetto nell' aruza, ed una tal forma alla sola zarba
r accordano ? E pure la vedremo or ora evidente
nell' aruza del carme tremolo, ossia satira , che non
altrimenti vuol considerarsi se non come l' identico
carme perfetto ridotto sillabico (146).
(145) Di perle di tremulo gelo , ce, (i4fi) V. iiitanlo anche le due se-
guenti note.
190
DE R I T I S
ARUZA E ZARBA RAFLATE (U?)»
;;ìdiSnì n'^ Npi X5pi 3
VERBUM VERBO.
^c/ cmiantem amore-ajfectus-venit ad eum amans ;
Corda amhorum in amore cor-unum.
Suhsistunt juxta flumen anioris
Etprospiciunt-sihi- de-annona-vitae, et flumen amoenum est,
Suhsistunt et dicunt ( et lacrymae
Super geììis illorum fluunt ) ;
Culpa est temporis , non vero illius
Super quem transeunt tempora.
HUMBERT. XVIII.
(147)8! aggiunge un ^ al principio del due primi emistichi de' versi quarto
secondo emistichio del secondo verso; e quinto i frammenti V e D delle
e \' et della versione ci persuade che parole V")J2 e C{< i quali ncll' edi^
nell' originale non dovesse mancarvi zione del signor Humbert si veggono
e che si fosse tolto sol perchè il verso trasportati ai secondi emistichi , pro-
riusciva soverchio nella misura a babilmente per la stessa ragione. Fi-
computo di lettere. Sì restituiscono ai nalmente nella parola "y^n del terio
METRI ARABI.
191
j zabhon iafdnno : oWhi sàbba
qalba'homa : jV-lliobbi qalbo
2 uaqafcC ila^ : bahrl- Uiavai
uafatazàvvada' : va-lbaliro àdbo
3 uaqafa'' vaqcC: IcC va-ddoiniCò
ilcC chodòdiJiiimi' tasàbbo
4 addanbo llluCjjcCini làisa
lanilii iogzano : iljaJio danbo
VERSIONE METRICA.
Corre 1' amante al caro oggetto :
Batte un sol core ad ambo in petto^
Lor offre un rio seggio d' amore :
Oh quanto è gaio quel ruscelletto !
Ma dell' addio suonò già l' ora :
Ed ecco in lagrime volto il diletto.
Ahi tempo ! esclamano : Ahi truce ! Ahi come
Tutto è al tuo rapido turbin costretto !
verso la mozione della \{ di zamma alla scguenza quinaria, correndo per
si trasporta in fata per la rima. Per quelle regolari varietà che il quinario
tutto il dippiii la lezione del chia- comporta riguardo al primo de' suoi
rissimo editore si segue scrupolosa- accenti , e per le terminazioni di
Mente. tronco ne' versi i.° e 3.°, e di sdruc-
ii che posto , è chiaro che il me- ciolo nel 3.°.
tro di questi quattro versi riducesi
IQ^ e I^ R I T I S
ARUZA NUDA , ZARBA RAFLATA (l48).
ini' nSoSx y:in^h hp i
inj;; ina 'd"?!"^ '':':;
NiirN'r 'fi 'nn dj'^dn* 3
nSrr^r no3 tS;; njn3 4
"]-iny 'V;? m'pj fxi
y^rhìi ijn x» npinx 5
•)T)3 np-i Nob 'Ncn
V E R B U M V E R B O.
Z)ic meo ainico: » JVum prorogas absentiam tuam
Et intencUs, caedi vieae per te, conatiim tuiini?
Si cupis ut tiii obliviscar
Recide niihi cor nieum : illud enini est apud te,
FefelUsti , imo in visitalione nostri
umbram tuam , promissionem tuam (*),
^ttamen ego erga te suuj quemadmodum nosti ,
Quancjuam violaveris erga me jusjurandum.
accendi sii , o os amici , piscerà mea
Quando degustavi Jrigus tuam ;
(148) «Il metro di questo poema, dice di questi versi è quello del carme
ilsig.Humberl è il perfetto vale a dire perfetto giazato raflato ; ma nella sola
motafa' ìiiloii ripetuto tre volte. Ala qui zarba , e precisamente nelle regole di
il terzo 77zotoyàViì7o/! è affatto tolto ne- Al-Chalil. Non può dirsi altrettanto
gli emistichi dove una è la rima, e in dei due esempi precedenti , ne' quali
quelli che ban la rima , trovasi ri- non v' è diversità tra il primo e secondo
dotto a ]^Q (;«o/) : direbbcsi adunque rnii^licbio , correndo entrambi per la
in termini grammaticali un tal metro forniola moiafahilon molafahila tori ,
gtazato-ra/laeoìKCetlamQiUe il metro che si risolve senza l'ipermetrismo in
METRI ARABI. ig3
1 Qol Ulhahi' I) hi-'lmaha zaddak
vagiaalto qalbi |I //'/■« volclak
2 in scita han [] asili' f aridda
àlajja cjaìhi ^Jahva tiidak
5 achalaghla hajja Wfizij zaa'~
tunahitajfui [| jninka và'dak
4 fa'na'' ùlCka [| kamcC àlialta
vallili naqzalla [j alajja àhdak
5 aliraqta icC || sciaghra-lhabi'bi
hascia'i lamina' [) doqto nardak
VERSIONE METRICA,
Tu gli dirai: )> Se ancor da me
Lontan ti stai ; Jiiuoio per te.
Vuoi ch'io dimentichi cotanto amore?
Rendimi il core : che teco egli è.
Ah m* ingannasti ! Ne' sogni miei
Riudir credei la data fc.
Così costante nell' amor duro
Benché spergiuro tu sii con me !
Tutta in incendio quel disioso
Sguardo amoroso bruciar mi fé.
mofa'hilon niofiùMlaton : vale a Ji- in questo, tutte le ultime sillabe del
re ennsmìmeri iambica catalettica , primo emistichio vengano a troncarsi
metro , come abbiamo vctluto , co- per trasportarle al principio de' se-
munissimo a tutte le nazioni , fuor- condì.
che all'italiana, se facciasi eccezione (*) Potrebbe anche tradursi :
da' trovatori del ducento. Por rendere IViiUiim promissorum servavi sti ; imo
la regola dei dottrinali adagiabile agli promissum quo tua me umbra in
esempi precedenti, bisogna che, come somno visitatura erat.
Tom. III. 25
194 D E R I T I S
t:hm 'Vn mntì'ì 6
']inz' yhìi naSto né?
-|"ip nynì^ npì 'J^j^^n
N'nSx nN*finSN* i^tS' dn 8
Vn iin-u; dx rhS Qx g
Tiiì 1J0 'n» pic'jQ
♦inSx 7;;j nSiS") nS io
VERBUM VERBO.
Etnunc testarisme injustam esse(non debitaameposcere)
Quando effLagito a te mei iuinn .
Num pidas rainiiin myrohalani compiacere mihi
Clan iam viderhn slaù/ram tuani ?
Num seducet pomum oculos meos
Cum intuilus fuerim genas tuas ?
Num existlmas myvLum lanuginis tuae odore perfu&avi
arcere a te rosam tuam ?
Neguaquam.Ergo per ìllum iure quiposuitamorem in me.
domine mi , ita ut evaserini tui servusl. . .
O cor amici , cuius delicaluU sunt lumhi ,
Super me cjuam durum tu es )).
(*) Il nome botanico del Mirobalano è to. Nel medio evo si coutavano cin-
hyperanthero nioringa. Cresce prin- que specie di mirobalaui , giusta il
cipalmente ia Arabia : è raro ia Egit- distico :
M E T B. I A R A n r. igr
G Vascial adatta || annV taìlmon
Icnnma'' talabto |1 ili' kasciahdah
7 alalunno gaz [] na-lhcCnl (*) 6/^'-
òtó/2i' ìiaqad 11 ìCjanlo qaddah
8 a/?i jaclidaò-l [J ioffiClio-lhcC-
hatiji vaqad (] scià' hdatto chaddah
9 a/7i cìdlla às [] idarìkà -l
Ttianscìu'fa jachmi [J jiiinìca vardaTs
10 /a' va-iladcL [] giaùla-lhavcC
niavlcii JiatW \\ zirlo ùhdak
1 1 yrt' cjalba Jiiiii 1| /« zzo/ mocVti
folio cdaj/ia' [] //za' asciaddak
VERSIONE METRICA,
Ed or d' ingiusta tu mi accagioni
S' altri tuoi doni chieggo in mercè !
Lo svelto e snello mirobalano
Fia per me bello pensando a te ?
Alla tua guancia pi-egio sovrano
La melarancia ceder non de'?
A quella morbida guancia amorosa
Cui mezz' ascosa A'el crocco fc' ?
Ah no ! ... lo giuro a chi , mio bene ,
Care catene mi strinse al piò. , ,
La guancia è morbida del signor mio ,
Ma il core, oh Dio, duro è per me.
Mynbolanorumspt'ciessuntquinque honorum, V. Sprcngol. Jlistoria rei herharitie ,
Cilnn.it, chsbulus,bclUricu.',emblicas,iiidu3. toni. 1. rag. 2G1, et scg.
igS D E R I T I S
ARUZA E ZARBA NUDE (l4g).
mn >Vy hì^ nni
NmDj Spnx mjVx 2
Interpetraaione del Iones.
Non , non , ce n'esi pas une créature humaine , celle qui
est venu vers mai avec une circospection timide :
Le sommeil pesait sur ses paupiers , et V effroi s'était em-
paré de son coeur ; eie.
(149) Olire alla zarba nz;7ato e alla anche la zarba dailata e la qaiata ;
zarba nuda , i maestri aiabi danno delie quali (juesti esempi si produ-
alla forma giazata del carme perfetto cono :
CARBA DAJV^TA. EAUBA QAtATA.
noKpn py mj nKouSs «noi nn ntxì
UETKI ARABI.
197
1 ma ansa IcC ansà-llati' (i5o)
giaat ilajja àia' hadar
a annavmo alligala glàfnahci
va-lqalho ta'ra hiliì- ddaàr
VERSIONE BtETRICA»
Non una donna , un angelo
Pareanii in quella scorgere
Che aniorosetta e timida
Veniami aita a porgere. . . .
(i5o) I nostri ducentisti avrebber
detto , angelica figura morganata ; e
"Virgilio
. . . hauù Ubi vultus
morlalij' • . o dea certe.
Ho tratto questi versi dalla tradu-
zione ù-ancese delle Memorie della
Società (li Calcutta, ed appartengo-
no a Mir Mohamcd Iluiin clie li scrisse
prima del tuo viaggio ad Haìderabad
con Riccardo Johnson, scudiere. Cor-
rono esaltissimainenle per dimetri iam-
òici acatalélti ; 0 se non sempre con
queir incontro di lettere tenui che li
riducano a meri settenari sdruccioli
della nosira poesia sillabica ( V. la
pag. l58 e la nota 122. ) , sempre però
con tal giacitura di accenli che mostra-
no r itigcntilimcnlo dell'autore nelle
sue strette relazioni coi culli europei.
IgS DEKITIS
APPENDICE AI CIRCOLI PRIMO E SECONDO.
Corsi questi due primi circoli, possiam dire di aver
già chiari tulli gli elementi che compongono il mecca-
nismo dell'araba versificazione; e nei tre che succedono
altro non rimane che andarne notando lievissime mor
dificazioni ; le quali , yai'ielà piuttosto ne costituiscano
che differenze.
Dalle due forme più semplici di un ritmico movi-^
jnento abbiam veduto sorgere quasi da per sé le prime
norme dell'araba versillcazione (i5i); e per acquistar
nette le idee di ciò che produce V allungarsi, il distene
dersi , lo spandersi de' carmi del primo circolo , ne
abbiam dovuto riconoscere altre forme che dir potrem-
mo altresì elementari , di quei due ritmici movimenti
alla legge adagiate. La corda grave poi , caratteristica
del secondo circolo, un altro ipermetrismo ci ha of-
ferto, ma di genere ben differente. I carmi del primo
circolo han determinate , invariabili le loro eccedenze
da quei primitivi ritmici periodetti ; quelli del secon-
do appaiono a pieno arbitrio del poeta : ed arbitrio
non limitato alle sole regole dottrinali di contrarre
V anapesto nello spondeo, nel ianibo, ne] coreo ed an-
che nel pirric/do , giusta le regole dottrinali degli ara-
bi maestri (iBa); ma di cangiarlo altresi nel dattilo,
nel eretico nelF amfibraco (i55) , e di permutarne la
(i5i) V. le pag. 119 e 120. (i53) Pag. 180.
(iSa) V. la nota iSy.
METRIARABI. I99
sede (164), del che quelle dottrinali regole non fan pa-
rola (i55). E gli uni e gli altri versi abbiam veduto in
due porzioni disuguali costantemente ripartili.
Ora, il raffronto di queste diverse parli sommini-
strar ci dee le nozioni per le undici altre spezie di me-
tri che ci rimangono ad esame ; ma riguardo all' iper-
metrismo del secondo circolo non sarà inopportuno in-
stiluir dajiprima qualche confronto.
Avveri! assai bene 1' Alighieri che i linguaggi uma-
ni sono assai volubili e vaganti finché non sorga una
grama tica (i56). Il che moltoppiù vuol dirsi della fab-
(i54) Pag. 178. zer , Itcyne , ce. ec. Warburthon ,
(x55) Della permutazione di tal ec. ec. ec. L' Alighieri intendeva del
piedi parlano ad esuberanza tutti i parlare in diversi tempi e luoghi ; il
metrici. V. Vittorino , lib. H. de dact. che non imporla riprodurre gli stessi
metr. suoni , ma tali che a quel sistema
(i56) >i li sermone nella stessa gente convenuto di segni visivi sieno age-
)> successivamente col tempo si varia, volmente ril'ciibili. E il maraviglioso
n ne può per alcun modo fermarsi... dell' arte grainatica , della reciproca
)> Quindi si mossero gì' inventori del- comunicazione delle idee per segni
)> 1' arte graraatica , la quale grama- visivi , non è già che il cinese e il
» tica non è altro che una inallera- giapponese, a cagion d' esempio, s' in-
» bile conformità di parlare in diversi tendano scrivendo e non già parlando;
« tempi e luoghi ». De vtllg.- et. E ma che in ciò che dipende da foni-
riguardo al volubile fonismo de' lin- smo mero, giungano a darsi rauliic ri-
guaggi ridotto a gramatica ( a un si- pruove di perfezione nello scrivere
stema convenuto di segni alfabelici ), popoli che di quel scrissero discordan
io non so se v' abbia idea più preci- poi stranamente nella profl'crcnza. Aoi
sa nelle laboriose lucubrazioni di Con- italiani troviamo squisitissimi i versi
dillac , De Brosses , Court de Gebe- del Polìgnac , del Hapin : e i Fran-
lin, Ttacy , ce, WiuckelmuuD ; Sul- cesi fanno altrettanto per quelli del
JSOO DE R I T I S
brica de' versi , finché non sorga una poetica. Ed una
poetica non può dir che s' abbia un tal popolo clic nelle
condizioni tuttavia si rimanga , non di simmetriche ,
rna d' identiche combinazioni.
La storia prammatica di tutte le genti ci oflFre co^
stantemente questa progressione in fatto di poesia :
1° canti religiosi e popolari, con uniformità di canti-
lene : 2." poemi narrativi , con modolazioni di più lar-
go andamento: 3,° poemi rappresentativi, con tutta l'am-
piezza delle variazioni metriche (iBy). Di questi ultimi
non è da far parola ragionandosi di poetica araba. Limi-
tiamoci perciò alle variazioni dell' andamento ritmico
quando dalla lirica propriamente detta al poema narra^
tivo si fa passaggio (i58),
Sannazzaro , del Vida. Eppure se noi sulla musica degli Arabi. Le moalla-
declamiarao ai Francesi o essi a noi ya' non sarebbero state intonate se non
declamano qualche brano dell' Enei- con urli ; un principio di canto non
de , tipo del verseggiare di Polignac, si sarebbe introdotto se non alla corte
di Rapin , del Sannazzaro e del Vi- de' calili di Bagdad Sono esa-
da , o non e' intendiamo affatto , o gerazioni.
ci diam la berta a vicenda. Gli autori de' versi dorati erano gli
Tanto è lontano dal vero che la Orfei dell' Arabia , appunto perchè
gramatica ci conservi le voci , come agli urli avean saputo sostituire le
da Quintiliano in qua ci si va ripe- cantilene. Ma per altri riguardi , e che
tendo ! Hic enim usus est Utle.rariini son mai quegli urli ne' selvaggi ? - li
ut custodiant voces , et leliit clepo- grido di guerra che alza un indigeno
situm. reddant legentibus. Inst. orat. all' apparire di uno straniero , e grido
1, I , e. 4. tanto pili feroce per quanto piii dallo
(167) V. la nota 49. straniero soffri violenze -Ria fatevi alla
(i58) V'ha un articolo assai frivolo capanna di quel selvaggio, assistete
nel VI voi. delle Miniere d'Oriente alle sue feste di famiglia 0 religiose;
M E T R I A R A B r. 201
TI ritmo eroico clic dall' efiinnio arvale dedureinnio,
corre ne' poemi attribuiti ad Omero con tal varietà e
disinvoltura che iurcbbc sorpresa di essersi quasi in lui
esaurita negli ellenici l'arte del dir poetico, se oggimai
non fosse ridotto a storica evidenza comprendere que'
poemi 1' opera di molte età e di moltissimi riducimenti
sino all' ultima edizion celeberrima della cassetta. Pure
conservasi assai manifesto in que' canti l' impi'onta della
gramatica greca tuttavia fluttuante (lag) : e lo stesso
abbiam veduto nelle prime arabe rapsodie.
Possiam dire altrettanto degli antichi poemi del
Lazio. Quali esser doveano quelli anteriori al vecchio
ascolterete quegli urli attenuati , se
non a quel cantar die nell'animati
scende , a certo non so che , di biz-
larro forse e di strano , ma non mai
d' irregolare adatto e disarmonico.
Vero è che Ja musica dottrinale
araba è di persiana o greco-latina prov-
venienza ; e di falli , odi Persia o
da noi le parole dottrinali della mu-
sica appo gli Arabi veggonsi, senza i
coDSueii ctiiuologìci contorcimenli, de-
rivate. IMa supporre una nazione senza
musica non parmi minore assurdo che
il supporta senza la leggo metrica nel-
le pulsazioni delle arterie.
E le moallaqa' , intonale al certo
prima che gli Arabi si conoscessero in
persiane o siriache dottrine , dimo-
ilrjno un antico lipo di cantOj di gran
Tom. III.
lunga alle persiane , alle sire e alle
nostre melodiche leggi precedente.
Quando gli Ebrei traversavano il
deserto , dal quale oltre spingendosi
occupavano una terra di predilezio-
ne , al suono delle trombe e non con
gli urli diroccavano i nemici baluardi.
(iSg) Questi fatti or si veggono con
somma diligenza esaminati e condotti
all'ultima evidenza oltrcmonti ed ol-
tremare per opera dei Wolf , Ringhi,
MùUcr, Ileyne , B. Constant , ec. ec.
V. un articolo del primo di questi
autori , col titolo : p^ico ed Omero ,
nel Museo di ^archeologia di Berli-
no , 1807. - Vico precedeva di un se-
colo la sua età, e di questo soltanto
comincia ad esser contemporaneo.
26
202 D E R I T I S
Ennio, che rozzi ed inculti ei denomina (160), se i
frammenti che di lui ci rimangono tanto ibridi appaiono
e disadorni ?
Il fenomeno medesimo si riproduce nel mezzogiorno
di Europa all' apparire delle volgari loquele. Il tempo
copri di sue tenebre i trenta (161) o più che in Grecia
preludiavano per dir cosi in que' canti che poi si dis-
sero omerici, Facciam tesoro degli ardimenti di chi Ta-
cca studio di emular que' vecchi modi coli' accento
de' nostri popolari idiomi. Ecco i tentativi del verso
eroico nella penisola ibera :
De los siis ojos tan fuertemente llorando (*)
Tornaba la cabeza e estabalos calando :
Vio puertas abiertas , e uzos sin canados ,
Alcandaras vacias , sin pielles e sin mantos ,
Sin falcones e sin adtores mudatos.
Sospirò mio Cid ^ ca mucho avie grandes cuidados.
Fabio mio Cid , ben e tan mesurado :
Grado a ti , senor padre , que estas en alto :
Esto me han buelto mios enemigos malos . . .
A mio Cid don Rodrigo grani cocinal adobaban (**).
El conde don Remont non gelo presia nada.
Aduceanle los comeres , delante gelos paraban :
(160) Versiba' quos clim Fauni vatesque (l6l) V. Fabric. Bibt. Grate.
canebant (*^ Principio del poema.
Cum ntque musarum scopulos quisquam (**) Verso 1025.
superaTatf
Nec dicti studìoius erat.
METRI AIIABI. 200
Et non quicre corner , a todos los sozanabn.
Non coinhré un bocudo por quanto ha en teda Espana :
Antes perdere el cuerpo e dexaré el alma ,
Pues que tales malcalzados me venderò en batalla.
Mio Cid Ruy Dlas udrides lo que dixo.
Comed , conde , d' este pan, e bebed d' este vino:
Si lo que dico jicieredes , saldredes de cativo ;
Si non, en todos vuestros dias non veredes christianismo . . .
Giudicar non dobbiamo degli Spagnuoli , noi Na~
politani specialmente, dalla infelice vicenda che speri-
mentammo ridotti a provincia vettigale di una lontana
monarchia. Ma della energica vigoria di quella nazione
eminentemente eroica è stata tutta quanta l'Europa, e
ab antico e modernamente e sempre, ammiratrice. Non
farà dunque maraviglia se tanl' oltre si spingano nel gran-
dioso sino a trapassarne non di rado i confini. Ma per
quel che riguarda il nostro obbiitto, non si ravvisa in
questi versi la generosa emulazione di gareggiarne' modi
eroici co' grandi nostri esemplari? E se 1' antico esa-
metro riviver dovea in Europa , nella penisola ibera
dovea rivivere (162).
(1G2) 11 Poema del Cid non è , il crede composto verso la meti del
come dicesi dal Sismondi , la piii an- secolo VII , circa 5o anni dopo la
tica composizidiie poclica in liigiia nmrtc del Cid. 1 romanzi poi , de'
castigliana ( v. la nota 5() ). E però quali abbiara dato un saggio alla nota
di epoca ben rem .la , e nun v'ha 144, si reputano posteriori di un seco-
motivo d' invalidare 1' opinione di lo. - Non ci arrc:it(remo ad esaminar
don Tommaso jViilonio.Santhez il qua- l'opinione di chi avanzò che tanto il
le ne procurò l'edizione nel 1779 e poema che 1 romanzi del Cid proven-
204 D K n I T I s
Eccone altro tentativo dell' Italia transappennina :
In a quel tempo fu Abram , laron piacente a Dio (l65)
E generò un patriarca donde for li judio :
Nabla gente foro aquilli en la temore de Dio. . .
gano da una cronaca scritla da due Essendo volubilissima 1' ortografia
paggi di lui, tuttavia musulmani. Lo delle prime scritture ne' volgari idiomi,
stesso signor Sismondi videsi nel do- e dirigendoci noi drittamente agl'ila-
vere di far testimonio che /anlo il liani , nel pensiere di far loro cono-
poema che i romanzi per nulla odo- scere il vario ritmico andamento de'
rano di arabismo , se ne togli il no- nostri antichi e non il loro modo di
me dell'eroe. Litterat. du midi de esprimere coli' alfabeto \Mmo sillaba ■
/'.ffiir.lom.T.- INIaè da notarsi che oltre zìoni che i latini o non ebber giam-
al poema del Cid non par che v'abbia , mai o delle quali fu tale coli' andar
altro esempio di versi dettali nella del tempo 1' ingentilimento che colla
penisola ibera ad imitazione degli esa- pronunzia tradizionale scolastica si
"'«"tri. trovano affatto in disaccordo ; non
(i63) Principio di un poema l)ibli- vuol riputarsi strano se la vecchia
co scoperto ne' primi anni di questo nostra ortografia traduciamo nella rao-
secolo in Ginevra col titolo di Nabla dcrna. Disse giii Quintiliano , a pro-
//e/fo'j , il quale si fa risalire intorno posilo dell' antica scrittura delle pa-
al mille. Sarebbe il piìi antico monu- role latine , che forse in que' remoti
mento in lingua romana volgare. Ma tempi si scrivea come si parlava: Foi-
non è da attribuirsi, come tutti pen- tasse enim sicut scriòebant, etiam ila
sano e come dall'ortografia della sua loqitebantur. Inst. or. l. i , e. ^. Jì. i
trascrizione potrebbe dedursi, alla lin- moderni filologi han voluto ripetere
gua d' oc. Oltre che tutte le parole altrettanto a proposito della varia
sono italianissime piìi che la colonna ortografia de' nostri che il popolar lin-
di Duilio non è latina ; il dettatore di guaggio cominciarono a produrre in
questi versi tronca ogni dubbio quando iscritto: ma con piìi franchezza di
<iì si e non coli' oc fa sonare la par- Quintiliano esclusero anche il forse.
ticella afifcrmaliva: Del che non può darsi maggiore as-
Laleggevegliadifende gulunque pergiurare: surdo. Y. la seguente nota l66.
E yiù di SI o di no non sia in tuoparlaT.
METRI ARABI. 2o5
E ad emulazione degli aviti modi eroici anche que-
sti versi si conformavano. Se non clic 1' argomento era
più religioso che eroico; e perciò di maggior posatezza
fan mostra. Intanto, quantunque palesino questi versi
qiiell' andamento che poi ili due settenari risolvendosi
diede nascita agli alessandrini (164); pure un pendio nel
secondo emistichio alla cadenza degli esametri è ma-
nifesto.
Intanto nell' Italia centrale , nell' Itaha del mezzo-
giorno , di emulare il verso eroico nel volgare idioma
non si fece studio. Un fermento di antiche rinicnibran-
ze con pensieri assai ben diversi vigoriva. Non trattavasi
già che le giovani muse venissero a gara colle loro pri-
mogenite nel dir popolare; ma il gran pensiero italico
era quello di ricondurre a tutta quanta la sua maestà
primitiva quel latin chericale che lingua unica era già
divenuta negli atti di religione non solo e di governo,
(164) I dotti francesi con tutte le tcndisss sub Iiuiusmódi epigrdmniate ,
loro ricerche par che non abbiano rin- boiV«o! airo Ki^ixoi. , -xxrro! yp«;!« «ifta«5,
venuto ancora l'amico modello del toi' oxriirow (uprui^ tti^ov , «oi^;" ri9>i»i J^po.
loro verso alessandrino. Àbbiam ve- Ma seguenze di tal fatta sono nelle
Juto alla nota 85 che la moderna Gre- condizioni ^irirailive di tutte le popo-
cia compone ora il suo verso eroico lari cantilene. Anche Giulio d" Alca-
di due settenari. Ma abbiamo in Mau- mo intonava versi di tal fatta nel
ro Vittorino che a un tal Boisco Ci- celebre amcbco colla su^ donna:
ziccno scn di'ggia la prima invenzione. Fresca rosa aul,:niissiina ch'appari in tir
Admonemur , dice questo gramaliro, la stale, ec.
qiiod apuri Craecos cclebraliir , non Se non che, già ne variava 1' anda-
praetermitiere , Boiscuin C/ziceniim mento col triplicarli e conchiadcre
supergressum hexametri vcrium ex- poi le strofe con due endecasillabi.
2o6 DE R I T I S
ina di tutte le civili transazioni : lingua propagata col
cristianesimo anche al di là di que' limiti che arrestato
aveano il volo alle aquile romane. In questo e non già
nel volgar latino i nostri carmi eroici si dettavano (i65).
Pure di tentativi per innalzare il volgar nostro alla ma-
gniloquenza degli antichi esametri esempi non mancano
ben due secoli prima del Tolommei.
Abbiamo nella nostra città un monumento del quale
diamo il disegno alla Tav. III. , monumento bea pre-
zioso per la storia prammatica della nostra versifica-
zione , e per quella delle nostre industrie ortografiche
ond' esprimere coli' alfabeto latino quelle tali sillabe
appunto che delle varie lingue romane costituiscono le
più spiccanti differenze. Le iscrizioni si leggono come
segue , tradotte nella moderna ortografia onde renderne
men disagevole il fonismo , obbietto esclusivo delle no-
stre attuali ricerche (166).
(i65) É noto che il Petrarca spe-
rava di acquistar fama col poema del-
l'j4frìca, e che ascoltava con disdegno
le lodi che pe' suoi sospiri a Laura
gli si profondevano. V. le sue lettere ,
specialmente, senili, 1. xiii , ep. io;
famil. 1. vili , ep. 3. Ma è da notarsi
che lo stesso Alighieri il quale con tanto
vantaggio della poesia italiana rinun-
ziò di scrivere in esametri latini il suo
viaggio pei tre regni , si esprimesse
nella Vi'a nuova in questa sentenza :
•n E il primo che cominciò a dire co-
» me poeta volgare , si mosse per ciò
)) che volle fare intendere le sue pa-
)) relè a donna. E questo è contro a
» coloro che rimano sopra altra ma-
)) teria che amorosa : con ciò sia cosa
)> che cotal modo di parlare fosse da
)) principio trovato per amore. » E
perciò riputava il suo maggior poema
non altro che una commeuia.
(i66) Nel ridurre ad ortografia mo-
derna le parole di questa lapida, altro
scopo aver non dovevamo fuor che
quello di renderne piìi agevole la le-
METRI ARABI. 207
Neir ara della morte su cui versa il mercadante il
suo sacco di monete (*) :
Eo so la mòrte che cacciò sòpera vói jcnté mondana:
La malata la sàuà dT e nòtte là pércàcciò.
Nò fiigta néssiino fné tana pé scampare dà lo mio làccio :
Che tutto lo mondo abràcciò e tiitta la gente ùmànà.
Perchè nessuno se conforta, ma prènda spaventò.
Che ho per comandamento de préudèi'e a chi viene la sòrte.
Sta ve càstlgamentò questa fTgù,ra de mòrte,
E pcnsàvté dà fòrte in via de salvaménto.
Né' cartocci cK esprimono il dialogo tra il mercadante
e la morte :
Tutto ti voglio dare sé mi làsci scampare.
Sé tii me polisse darò quanto si puòte àdeinandàré ,
Non tr scamperà la mòrte se ti viene là sòrte.
zione, non già di travisarne gli ar- re , caccio , faccio , ec. : quantunque
raismi e le inflessioni di dialetto. E nel marmo leggasi tuta, tuctij scan-
perciò: pare, c/iacio , JacziOj ec.
1. Scriviamo tulio j tulli, scampa- Tulo e scaiipare provengono indu-
(*) La descrizione del monumento e in fine, nella Spiegazione delle tavole.
2o8 DE R I T I S
Questi versi sono anapestici e non dattilici, come
bitatamenle dal poco spazio de' canoe- E non dobbiamo dimenticarci del ca-
ci : e poi tucto, iucla , tucli , dall'a- psare. di Accio e di Plauto,
nalogia della riduzione del latino CT Un' altra oscillazione di scrittura
in TX; riduzione della quale appare abbiamo nella parola gente , intera
l'amico uso in aiit/iore fin da' tempi nell'ottavo emistichio, attenuata iny'e/z-
remotissimi. Pure nel quarto emisti- /e nel secondo. Ma 1' attenuazione de'
chio abbiamo >rote in vece di nocte. nomi ne' vocativi è costanlissima nel
E lo stesso è da dire di faczio , dialetto napoletano non solo, ma in
laczio, abraczio, che da noi si scrive tutti i linguaggi; quantunque T orlo-
faccio , laccio e abbraccio. IVIa è da grafia non sempre l'esprima,
notarsi che non sono infrequenti in Finalmente volio per -uo^/^'o, e lasi
Italia le profferenze di queste voci as- per lasci , van considerali come ri-
sai prossimamente ay?;z-o, /;;Z3o, «i- pieghi anch'essi per esprimere arli-
hrazzo , particolarmente ne' dialetti colazioni che i latini non ebbero. Ma
di maremna , come il veneziano, pi- è da notare che il lasci de' napoleta-
«ano , ec. E nel napoletano, oltre che ni ha qualche cosa di mezzano tra il
laccio co'suoi derivati non altrimenti lassi e il laxi. 11 che ci conduce al-
ai pronunzia che lazzo , è vezzo spe- 1' antica etimologia della parola,
cialmenle donnesco attenuare l' arti- Delle permutazioni delle I in E
colazione ce sino alla a lieve : vez- sarebbe inutil cosa l'intrattenersi;
zo che il Uoccaccio conservò nelle 2. Non v'ha del dialetto napoletano
ballate del suo decamerone, e che giù- altro che sia più prossimo all'idioma
stiiica il bisticcio di Ausonio : primitivo degl'italici. I nostri eruditi
liatasALo,producta soLo,j)atria edita cAELO; si sono affaccendati di andarne accat-
come avverti il nostro Vico. landò derivazioni dal greco. Ma di
E perciò le rime dilaccio e abbrac- antico greco non v'ha nella città no-
cio non sarebbero precisamente iden- stra se non qualche rotto marmo so-
tiche ma soltanto analoghe a quelle pravanzato alle devastazioni di Be-
di caccio e /^e/x-accjo , e quindi espres- lisario. Il nostro popolar linguaggio è
se con diversa ortografia. Oltre che campano , o se si vuole osco ; e se
nel nostro dialetto dicesi cacciare non v' ha qualche parola di greco , è di
cacciare. Percaccio è parola non an- greco bizantino , o di quel tale greco
Cora registrata, ed esprime qualche che si confonde col pclasgit;. E la
cosa pili di persequor 'rrapaxoXm^S'M . dimostrazione ne è lìmpidissima al
L'antico francese area il poiircha^ser. .sol riflettere che non solo nell'agro
METRI AKABI. 20f)
quelli (IcJ poema del Cid ; ma la catalessi , come ab-
nolano e cumano che cessarono di prescindendo da questa e questo che
buon ora a non più essere occupati pronunzia sempre per chcsta e c/iesto,
da' greci; ma dal cerchio degli appcn- analogamente forse alle antiche prof-
nini sino al mare tutta quella esten- ferenze quando i gramatici dispula-
sione di territorio, che! greci al certo vano sul valore della QV che avreb-
non conobbero, parla lo stesso dialetto, ber voluta espressa "per la semplice
Ed anche più in là: testimonio la vita K. Ma quel che ripugna affatto al-
di Cola di Jlienzo. l'indole del nostro dialetto è quell'eo
Quindi nella nostra lapida vene , in vece di io , per la qual voce i
foro , potè , polisse , fugia , aveno , nostri popolani non solo han ribrezzo ,
pensavie , in analogia più prossima ma orrore.V. Galiani^f/e/ c/i'a/e/Zo n«/?.
colle inQessioni verbali de'Iatini,Quin- Forlunatamentc però abbiam polla sor-
di scamparà senza l'attenuazione del- te d' incontrarti con mio, pronunzia
l' a in e. E (luindì miaidoj mundana, forse antichissima quanto la gente ita-
agusto. lica. E si rifletta , per conchiudere ,
3. Modi singolari abbiamo nelle quanta iattura di olio e di opera si
preposizioni sopera e ine. Il che vuol faccia da que' curiosi che sempre d' ol-
riferirsi all' indole speciale del dia- tremouti e d' oltremare trar ci vor-
Ictto nostro di non terminare , non rcbbero gì' insegnatori della favella;
solo veruna parola, ma nessuna sii- » La voce mio, dice il eh. Perticai! ^
laha per consonante. Quindi no le n anco le femminette sanno che scen-
scamparà , no fugia , invece di non » de dal latino 7?ieus. Ma il modo di
ti scamperà, «o« fugga. U che ci con- » questa permutazione né le femminette
duce alle ultime osservazioni su la » sanno, né i gramatici l'hanno detto,
parte fonica delle parole espresse in » Non di meno se si leggerà ne' versi
questo monumento e su la sua orto- » della conlessa di Dia - fo »2/e;<s ie/s
grafia. ' « cimics - il mio bello antico - a un
4. Se la dettatura del monumento » tratto conosceremo le venture di
è inchinantissima al dialetto; Tinlen- » questa voce: e diremo. I latini dis-
zione di adottare quel che si disse » sero meus. I romani volgari vi frap-
linguaggio «!<//co, co///.o',V/«o,è manifc- » posero un i al modo de' Ionici : e
slisiimo. 11 nostro popolo non à'wc due » dissero non più ?neus , ma mieus.
i<olle, ma dolevate ; non rnundo ,pren- Lo mieus bel amics.
dere ,cc.,mtimunno,prennere , ce; non » La s , secondo il vezzo comune di
mai /)e/-, ma /)e' e in composizione /ire.- « tutti i rustici, anzi di Ennio mede-
Tom. in. 27
210 DE R I T I S
biain veduto , confonde 1' uno coli' altro metro (167).
Ma quando anche riputar non si volessero elaborati ad
emulazione degli antichi esametri , ben meritavano
questi versi non andar dimenticali se pongasi pensie-
re che nell' età del monumento tulti i begl' ingegni
d'Italia erano già in piena persuasione che oltre all'en-
decasillabo ad altri versi ricorrer non si dovesse nel
trattar gravi argomenti (168). Che se mai dir si voglia
che r euritmica disposizion delle rime non solo divida
in due ciascun verso, ma dia loro un andamento liri-
co e li ripartisca in tante picciole strofe ; sarà sempre
osservabile che versi cosi distribuiti corrano dalle sei
alle nove sillabe , esempio unico forse ne' fasti della
» siino , da prima poco si pronunciò , //. /, e. a.)? e se il caso vero latino di
» poi si tacque : come nel cciite di quel mius e dius era mio e dio?V.
)) Poelìi : la noia 67.
yll mieu aìhir: Si dica piuUoslo che le voci^ come
cioè Plinio arbitrio. quelle clic hanno gradazioni infini-
» Indi si gittò il dittongo ie , e come tcsimc, mal potrebbero esprimersi con
» pone Folchetto di Marsiglia si cangiò la povertà dell'alfabeto latino: che
1) in miu: i Greci al maggior numero delle loro
Lo miu den veslr er: iJoca/t aggiunsero molti dittonghi: che
cioè Lo 17110 danno sarà vostro. gli orientali primi forse perciò l'esclu-
» Finalmente la u per naturale dol- sero da' loro alfabeti , mentre per le
» cezza romana si mutò in o ; e di consonanti molte re ne sono mere
» miu si disse mio : come da sepul- ortografiche: e che non dobbiamo sor-
» ero e da stultizia si disse stoltizia prenderci se prima della introduzione
» e sepolcro.» delle gramatiche tanta diversilk s' in-
Ma perchè tanti giri , se abbiam contri nelle vecchie scritture,
belli e fatti nuli' aulico latino mius (167) V. la png. 2o5.
e mH^D'ìotncAa ,1. I .^pag.3irj j Pnlsc/i) ('''^) ^'' D-mte , nul Convìvio , e
ilei pari che dius e dia ( Varrone de nella seconda parte della l'olg. eloq.
METRIARABI. 911
poesia , quando il verso corto non venga a considerarsi
qua] complemento di un ritmico sistema , disegnato a
larghe proporzioni, come le ode di Pindaro, a cagion
d' esempio : il che sempre importa un nobile , quando
anche non felice, ardimento di chi sdegna di andar ,
servo pecorume, ricalcando le altrui orme, e
Per correr miglior acqua alza le vele.
Dice il Sismondi: » Si riconosce l'influenza de'Mori
» su i Latini nello studio delle scienze, nella filosofia ,
« nelle arti, nel connnercio, nell'agricoltura, ed anche
« nella religione; ben sarebbe strano che non si fosse
» estesa eziandio alle canzoni che animavano tutte le
« feste nelle quali i due popoli s'incontravano, giacché
)) è noto che ambo i popoli erano egualmente apjoas-
■» sfonati per la Poesia. Gli stessi motivi impiegati a
» vicenda per le parole arabe e romane , determinar
» dovca la stessa conformazione di strofe e lo stesso
» incatcnamenlo delle rime (i6g))). Ma prescindendo che
quel che prima non si conosceva ma immaginava
d'influenza moresca, or finalmente si conosce e ricon-
duce a giusto valore; quando mai gli arabi ebbero strofe
e incatenaììiento di rime?
Per quel riguarda motivi ( o per meglio dir canti-
lene ) su cui parole arabe e latine avesser mai potuto
(169) Uh, supr. p. 103. Con eguale 11 versi centrici che tutta la loro gra-
pcrizia della versificazione araba di- » zia traevano dal terminare tutti iu
tea r Andres : » Molto meno posso far » una medesima lettera ». St. d'ogni
i> plauso a queVamiai, siniat, e altri lelt. t. 11 , pag. 40. ed. di Parma.
212 D E R I T I S
venire vicendevolmente ad adagiarsi, sarebbe stato bene
indicarne alcuna. Probabilissimo mi sembra che canti
ed istrumeuti musici alla moresca non sien mancati
d' introdursi tra noi ; ma que' canti e quegl' istrumenti
sempre sono stati dai nostri rammentati come strepito
piuttosto che musica :
Trombe , trombette , naccbere , bussonl ,
Cembali , staffe , cennamelle in tresca ,
Corni , tanibur , cornamuse , sveglioni ,
E molti altri strumenti alla moresca (170).
E s' ebbcr giammai imitazioni, nel più basso fondaccio
del popolo se 1' ebbero (171). Per lo contrario: della imi-
(170) Morganle j XVI, 26. hanno tulli i volghi di torcere le pa-
(jyi) La (jual condizione con mol- iole forcsliere ad un tema nolo ),
ta proprietà venne ospiessa dal Redi; quando , dico , confondeva co' frago-
Turha villana intanto rosi ,talabalacchi ( il nostro iricca-
Applauda al nostro cauto , vallacco ) ,
E dal poggio vicino accordi e suoni Lo calascione rre de li strumienfe ;
Talabalacchi , tamburacci e corni , quel suo Bacco non mostravasi molto
E cornamuse e pifferi e sveglioni ; esperto nella storia musicale. I Greci
E tra cento calascioni elegantemente ci descrissero 1' origine
Cento rozze foroselle egizia della pcsXu; ridotta da Mercu-
Strimpellando il dubbaddà rio a calascione , ed anche della tra-
Cantino e ballino il bombaliabà. sformazione della loro itra apol/i-
Se non che quando ei confondeva il nea , la quale ben potè divenir xi-
calascione { eh' ei chiama co'ffsc/o«(? , !>apa (chitarra) quando per dono di
avvertendo però che il popolo fioren- Mercurio venne manubriata ; ma fra
lino il dice ^««ascwne aspirando for- tulli greci monumenti perchè non
temente la prima lettera e scambian- v' ha esempio di un Apollo o di un
do la L in N per quel pendio che sonatore qualunque colla vera teitu-
METRIARABI. 210
tazione degli arabi per le arti civili che già fiorenti
rinvennero ne' luoghi di loro dominazione la sola pro-
3ine j colla vera cetera? La figura- havc posseJed for many agcs after
zione del calascione e della chitarra Uiis column (la guglia spezzata) was
è ne' monumenti egizi, ed evidente- erected. - Burney , uò.siipr., voi. I,
incute nella Guglia spezzala di Cam- p. ig6.
pò niarzio in Roma. Appena di un Ma la poca erudizione del Bacco
ìiiito con manico assai corto troviamo del Redi e un nulla a fronte della
1' ellìgie in un sarcofago romano ( V. inconcepibile nullità erudita di un en-
Boissard, tom. I, p. 145 ; ed. Grut. p. ciclopedista. L' autore dell' articolo
81C) \ Ed islrumenli di tal (atta sono ^raba musica wcW Enciclopedia me-
gentili non già strepitosi suumcnti. E /Of/rc«, nel passare a rassegna gì' istru-
riguardo ai vantaggi del calascione menti musicali arabi, e parlando del
su la lira apollinea, ascoltisi un dot- ft^^ {'^l"./r)> cioè del nostro cembalo
tissimo nell'arie musicale. » Tliis in- ovvero sia tamburello, ci dà la pe-
strument ( il calascione ) seems lo me- regrina notizia che » les Arabes , qui
rit a particular deseription bere not n en soni les inventeur , ont pu le
only fVoni its great antiquity, but from » communiquer aux Espagnols , et
its forni : for by Laving been lumi- » ceux-ci aux Basques. h Certo. E il
slied vvitli a neck , Irongli il had bui cembalo non solo , ma tutti gli stru-
two strings , it was capable of re- menti clamorosi delle pompe baccbi-
ducing from them a great number of clie sono d' araba invenzione , come
notes; for instance of illese tvvo strings il dimostra tutta l' anticbilà figurata,
vere luncd fourllis to cadi ollier , Come d' arabo trovato è il liuto , per-
tliey would furnisli tlial series of cbè dice qucll' enciclopedista » voici
founds ivliicli the aucient callcd a » sa. genealogie , selon Ics elymolo-
licplachord, consisling of two conjonct » gisles. Les arabes prononceut avcc
tetracbords , as B , e , d , e ; E , » leur aceent elaud. Les espagnols
f , g > a ; and if the strings of ibis u retrancbant la premiere lettre , ont
instrumcnt , like tliose on llie cala- n pronoocé laoud. Les ilaliens 1' ont
sciane, wcrc luncd filìhs, ih ey would ji adouci , sclon le genie de leur lan-
produce an octavc , or two disjunct a gue , et ils ont dit liout o\i Hutto,
tetracbords ; an advantage wich none » e nous ( francais ) 1' avons recu
of Uic Grecian iustruments scem to » d' cux cq pronoucant lut/i. » Ceno.
214 DE B. I T I S
babilità degli avvenimenti render ci potrebbe persuasi,
quando anche V araba biblioteca, or non più arcana,
Eiioncamenle i greci dissero oXiewtoj dagli Arabi si apprese l'arte della na-
quella barchetta the tuttavia in ila- vigazione , non comunicarono ad essi,
lia dicesi liu/o ma da essi riceveano il modo di pro-
E brlgautin , carovcUe e marrani , nunziare quel the i greci addimauda-
Liuti , saettie, gonde spalmate vano a\nvrov , uzzo. Ed in fatti il
( 31org. XIKyiJ ; Uulo è detto dagli Arabi T^. E gli
erroneamente si è dato il nome di arabi portarono in cielo il liuto che
questa barchetta all' istrumento mu- poi divenne lira (V. Scalig. «>z .3/a-
sicale per la sua forma; ed arabo e nilium , p. 424 j ed. 1600). E grati
non romano è il sarcofago sopraccen- a tanta erudizione aggiugneremo qui
uato. Che anzi i nostri e tutta la co- un grazioso distico in cui 1' "^y tro-
sliera d' AnialQ, ove indubitatatnenle vasi in "i»y ingentilito ;
NnSoJN T^i*Sx3 X\'y^X^ rilXJl ^'^ ^adatm mesakat bì-'lu'dì anmalnha'
oSnn^ DTI^È^ TJi? DfljSx mXJ3 faku'dati-lnafso anda-'Ihassi iochtalaso
Q^V n3 ^n iJO NHXJJ yODXs] njj gànnatfaasmaaghìna'ha^manhihizamamon
Q-)5 T\2 Tl^N ID nJDnX SnPI fafia'l ahsanti man azha' bìhi charaso
TtHierae-virginis prehendunt citharam digiti- Con tanta leggiadria di questa giovane
extremietpropeestanimacumpuhateam, Sul liuto le dita saltarellano,
ut ahripiaiur.
Cantai et auditu-donat cantas eius eum apud Che dan piacerea quei che non ascoltano
quem est surditas ; et exclamatj optime ! is
cpud quem est cc^Mvtu.. E fan dir bravo a quei che non FaTellano*
Notte 331. HuMB. XII.
Non abbandoniamo però il ditiram- Or questo bombababà è un prettissi-
bo del Redi senza qualche comento mo arabo V'J"in ( tergi ) di che fu
a vantaggio dell' arabismo. inventore Moìn-eddin Tantarani. E
Nella nota alla parola bo?nbaba- chi ne dubitasse ascolti questi versi
là è detto : 11 11 Bombababà è una che prendiamo dalla Chreatomathie
canzone solita in Firenze cantarsi dalla del Sacy XV ( p. 264 ) :
turba de'bevitori plebei , e comincia:
Con questo calicione <7S3 Ss^SsO nS^Sa Ip Sx^Sn 'S5 X'
Si carca la balestra , VnI SsiSiSk 'S Vp;»'?»! 'JnSINT 'IiSnO
Chi ha '1 bicchiere in mano
Al suo compagno il presta, la chalijja-'lba'li qad balbalta bi-'lbaUba'li
E mentre eh' ei berà bannava zalzaltani fa~'ldqloJi-'lzalza'ltza'U
Kui diremo bombababà. » V. Carme congiukto.
METRI ARABI. 2l5
non avesse ciò spinto a storica evidenza. Or si sorride
air esagerazioni di chi facea grazia ai Greci di acco-
starsi alcun poco alle arabe venusta (172) E, conoscen-
dosi e non più immaginandosi i fatti j dell'arte metrica
arabesca valutar si possono le condizioni , come della
imitazione della loro dalla nostra musica par che oggi-
mai promover non si possa più dubbio (lyo).
(172) Coìifitenduni est Graecos , scese, heft ; ma poi impiegano ie loro
eliiim in liac re , ad Arabum laiidem lettere nella progressione appunto e
PROXIME ACCEDERE. Joucs , Poes. Valore della nostra scala, J, do, iil ;
asial coni. p. 33, ed. Lipsiae. "| , re; |^ , mi ; '\ , fu ; ^ , so/;^, la;
(173) V. la nota 258. Qualche cenno 3, si ; e per gli accordi ^^ J3 5>{, -^ mi
alquanto esleso su la musica araba la; OSSi B fa si ; "Tj'J, C sol do ;
abitiamo in La Borde : e il testimonio ce, precisamente secondo le regole di
insiememcntc dello sforzo degli Arabi Guido. -Abbiamo tra i mss. della Rea!
di ridurre in un sol sistema la dot- Biblioteca Borbonica un codice nel
trina musica de' persiani e la nostra, quale il sommario si espone dell' u-
Pcr darne un saggio: essi conservano mano sapere.Riguardo alla musica l'au-
i nomi numerici persiani per indicare tore arabo cosi espone il suo schema:
i selle \.u.om, gei , da , si , dar , peng ,
SCIENZA MCSICA
pratica teoretica
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2l6 D K n I T I s
Termineremo con osservare che il dottissimo Jo-
nes, prescindendo^ affatto dalla ragion musicale nella
esposizione die fa della fabbrica de' versi arabi , e tra-
ducendo costantemente in eleganti versi latini e sol me-
tricamente le arabe forinole ; di questi due primi cir-
coli produr non potea nette idee, e l'innocente cagione
divenne dei tanti deliramenti di coloro che a ragionar
si fecero delle orientali poesie dalla sola lettura de'
suoi brillanti comcntari (174)- Tra i quali non intendia-
mo r Arteaga. Che anzi : se nelle felici versioni dei Jo-
nes avess' egli posto pensiere , non si sarebbe fatto ad
asserire (lyB) che qualunque imitazione di arabo metro
(174) Uà solo esempio giustifichi
questa osservazione. - 11 carme disleso
ei denomina » trochaeocreticum , con-
s/ans ex epitiiio et atnphimacro se-
qiiente epitrito . . . in terlia et sexta
sede prò epitrito amphimacrum ad-
mittit , et inìerdum in sexta spon-
daeum , et in tertia ac sexta anapae-
StUm. NONNUNQUAM PENITUS MU-
TATUR f^BRSUs , et in primo , tertio ,
quarto et sexto loco ionicum a ?ni-
nori recipit , in secundo et quinto
anapaestum. [u6. supr. p. 3i et 32 ).
Cosi l'inuocentissima chahna, che non
solo non altera ma rettifica, secondo
noi ; il metro , verrebbe a cangiarlo :
e V azfa , la Latra, ec. sarebbero in
arbitrio del poeta , come indifferen-
temente il dattilo 0 lo spondeo , a
cagion d' esempio , ne' primi quattro
piedi dell'esametro!
Ma quel che dee maggiormente sor-
prendere non è solo glie della distri-
buzione de' versi arabi per circoli non
facciasi in que' comentari verun cen-
no ; ma nemmeno dell' ipermetiismo
distintivo di questi due circoli: iper-
metrismo, come abbiam veduto , ne-
cessario nel primo, volontario o arbi-
trario che voglia dirsi nel secondo.
(lyS) Si è detto dall' Arteaga :
» Molti spagnuoli , italiani e tedeschi
» hanno riscosso degli applausi adat-
» tando alle lingue volgari la versi-
» cazione degli antichi , nella quale
» han composto non solo piccoli poe-
» mi , ma anche intere epopee , come
)i fra le altre è la Messiada di Rlop-
/
AI ETRI ARABI.
21'
sia per le lingue di Europa impossihii cosa. Ma pro-
seguiamo senza più delirare ancor noi la iioslra via.
11 stoc : (love clic sarebbe afialto im-
» possibile elle 1' orecchio de' mcnto-
« vati popoli soffrir potesse un com-
1) ponimenlo lavorato interamente nel
>i loro idioma secondo le leggi e V n-
» sunza dell' arabica poesia, d [JOel/a
influenza degli ^rahi , ec. p. 47. ) E
questa un'esagerazione manifestissima.
Ben polca Klopstock , in una nazio-
ne giovane tuttavia in bella lettera-
tura patria e nelle sue mille univer-
sità latinizzante e grecizzante , azzar-
dare una foggia di metro che non è
ne Ialino nò greco né tedesco, Qual
de' seguenti poeti , che aspirasse a fa-
ma popolare e non accademica , segui
l' esempio di Klopstock? Sydney volle
temare altrettanto in Inghilterra : ma
essendo quivi piii provetta nella sua
età la nazional versificazione , si disse
con molto spirito che il suo vcrseg-
Tom. IH.
giare zoppicava di mala grazia su i
piedi romani :
And Sydney's verse halts ili on Roman feet;
eco di ciò che fra noi erasi detto alle
insolenze del Tolommeì. So bene che
non manchino valorosi ingegni i quali,
con argomentazioni e con esempi ,
della possibilità di potersi imitare i
modi de' greci e de' romani fecer voti
e dimostrazione. Citerò fra questi ul-
timi il Solari, e fra i primi il eh. Jla-
renco ( Rijless. sopra la prosodia me-
trica italiana di Vincenzo Mabbxco ,
nelle Mem. de Vacadimie des Scien-
ces, Hit. ctBeaux-arts de Turili, 1811
e 1812, p. i55 ). Pure io son persuaso
che, se d' imitazioni straniere la poe-
tica italiana avesse bisogno , il che
non credo; dalle lingue viventi e non
già dalle morte dovrebbe andarle ac-
cattando
2l8 DKRITIS
III. CIRCOLO IL SIMILE
Comprende la cantilena, la satira, il canne bre-
ve ; e , come già cenuammo (176) , gli epitri nel loro
isolamento. Quindi sua caratteristica è la divisione di
ciascun verso in altrettanti pcriodetti simili, in altrettanti
versetti slegati, lutti della stessa forma. Ed io non dubito
che per tal condizione appunto il distintivo di simile a
questo circolo si attribuisse (177).
Nel quale i metri veramente musicali dell' araba
poesia rinvenir si dovrebbero , e insiememente i più
vicini alle nostre canzoni popolari. Corrono in fatti pel
(17G) pag. i3i. la sii7iigUanza de' piedi , tutu ài cìn-
(177) Rispettabili autori danno il que lettere anche nel circolo quinto,
nome di estratto a questo terzo circo- Simiglianza più caratteristica sarch-
io , e quello di simile al quarto. Ci be 1' unicità della formola similmente
è piaciuto seguire il Guadagnoli, e non ne' versi di questo circolo ripetuta:
ci è sembrata affatto cieca una tal ma ripetizione uguale abbiamo ancora
predilezione. Il Clerico, nel deno- ne' versi de' due altri testò citati, se-
minar s^V^z^7eil circolo quarto n*^*J^~)7{{ condo e quinto.
nn!3nji'0V^("'^^'^""^'"^''°'''"<'''^''^'^'^''^'" La simiglìanza che pare esclusiva-
to ), ne deduce il significato dalla mente appartenere ai versi di questo
simiglianza de' piedi, tutti di sette circolo par che deggia ricercarsi nelle
lettere. Ma piedi tulli di sette lettere parli componenti ciascun verso, come
ha benanche questo circolo terzo : or ora sarem per vedere,
abbiam veduto piedi tutti di sette let- Anche il Casiri atlribuisce il nome
tere anche nel secondo : e vedremo di simile a questo terzo circolo.
METRIARABI. 2ig
movimento iainbico la cantilena e la satira ; pel tro-
caico il carme breve. Ma la cantilena altro non è che
il canne esuberante , non altro la satira che il carme
perfetto, entrambi senza ipermetrismo ; e assai di rado ,
pel pendio della poesia araba al movimento bassarico ,
i versi si rimangono a stretta legge de' modi iambici da
capo a fondo del poema. Del resto è legge dottrinale
che un poema , qualunque ne sia 1' estensione , se una
sola volta mostri la presenza dell'anapesto; non già
alla cantilena o alla satira , ma al carme esuberante
o al perfetto sia da rifex'irsi (178).
(173) Vedremo questa regola appli- ordinamento alle sue regole? Tutto
carsi anche al carme veloce. Ma per- giustifica quel che fin dalle prime pa-
che non cslcndctla altresì a tutti gli gine enunciammo : Aversi nella poe-
altri generi di versi ne' quali riduzio- tica araba un sistema di puro artifi-
ri di simil natura si rinvengano? E zio, per trarre àMe mohallaqa' o^nì
perchè non già dalle forme piìr som- spezie di versi , come dal senario iam-
l'ilci alle pili complicate, ma da quc- bico o dattilico i nostri gramatici tutti
ite a quelle piacque ad Al-Chalil dare i versi minori facean discendere.
*
220
DE R I T I S
CANTILENA O CARME PIGOLANTE
Il nome di cantilena dato a questo genere di versi
deesi al Guadaguoli (179). Non pare clie v'abbia esem-
pio di essi nel periodo senario (180): nella forma gia-
zata o quaternaria l' aruza è sempre sana , e le zarbe
son due , sana e adfata. Lo schema n' è questo :
FORMOLA.
INTERA.
QABZATA.
KAFPATA.
ADFATA.
mola'
hi'lon
mufa' hi'Jon
_
^
„ _ _
Ma in versi isolati mi sono imbattuto, in un poema
non mai il quale corresse esattissimamente per questo
(179) L' adoltiamo perchè ritenuto
dal Clerico e dal Casiri , comunque
dal Jones gli si dia il nome di car-
ine lirico. » Carmen JJn'^X) dite' il
primo di questi autori , ob minuritio-
neni vel reciprocalionem vocis ita di-
ctum : latine c3Xiù\c\i3Ta, Lai-bare ma-
drigale indigitavit Guadagnoiiusv.
(180) Factor chazragiacus, dice il
Guadagnoli , prò priori specie (de'ver-
si del 3.° circolo) quae dicitnr j|tn'7X
cantilena, affert exemphoìi;
Nni ID» '0103 S'nXD ibi 1S13
ElperdeserlumDsim, seu montaoaum, tnstis
duxit eos ;
Ita et si mortui sunt , tamen Moyseì adsrui
heros.
Il verso leggesi cosi :
i-abistahti-'zzi'ma ba'sa'n iadu' dohom ria'
kdda'ka vaia v md' lava famu' sa' amron vado-
M E T R I A R A B r. 221
metro. E lo stesso diligeutissimo Clerico par che non
sia stato più felice (18]). Versi di tal fatta vogliono
andar considei'ati , del paii che il canne simile e il
carme evulso , come altrettanti settenax'i ipcrmctrici ,
i quali conscguentemente o crescono sino a divenir no-
venari , come abbiam già veduto (18-2) , o prendono
Meno irrcgolarmenle il Jones, par- Dei reslo lo stesso illustre serittore ,
landò alla sua maniera della forma nel ragionar poi di questa sesUi spt
azljata del carme esuberante » non- eie di versi arabi, quantunque il pe-
nuìujuam , dice, hoc camiinis gemis riodo senario par che non escluda
in singulis locis , excepto ter/io et iil- ( versus sunt plurimum quaterna -
timo , ubi saepius est baccldus ( do- rii ) , pure non ne dù veruna formola.
vea Ahc semper), primum epitritum (181) Ei propone per esempio della
admiltit, ut prima zarba il seguente verso:
Amatores \ puellarum | misellos "Vììhm n!<'7ÌDx'7X3
OceUoruTTi \ nitor muUos | fefdlit,
nisi hi versiculi potius ad sexlam ma soggìugne ; n Hic versus a plu-
speciem pertineant. Certo : la formola rimis qui de re metrica scripserunl
correrebbe pei periodo senario della hoc loco aff'eiiur , cum revera sii
cantilena had/ata. Ma oltre che nes- Exuberans asbatus ex poemate Tarfae
sua poema arabo si produce ad cscm- desumptus, in quo pes JìlSvjJJJJ a/i-
pio, il verso eh' ei dà del persiano quoties occurrit: hoc enim, indi ciò ,
Hafez al carme perfetto e non all' <?««- si vel semel tantum in tota poemate
berante , e molto meno alla cantilena accidat, lutee duo carminwn genera
si appartiene per la presenza dello a se invieem, discernuntur. Il che
spondeo fin dal primopiede e dell'ana- s'abbia per altro argomento a dimo-
pesto nel secondo: strazione che tutto il dottrinai sisle-
cSxBa "3 i'xii tsTty XWi5 *"" elevato da Al-Chalil sia non di
B'hs n is ixin3: HTJIXhS rado da attribuirsi a mera imitazione
Ah duiccm iirbem Sc/iirazum: et situiti eius Straniera.
exmiium (182) Alla p. 186 e segg. e nota 17S.
O Deus, hanc urlem a ruina defende l
2-22 DE R r T I S
1' andamento sillabico di settenario regolare. Quindi , a
sentenza dei dottrinali , non solo per la adfa ridu-
cesi il secondo emistichio a settenario puro , ma la sa-
dra altresì può in piena facoltà del poeta raccorciarsi
per la channa , la charaha e la sciatra (i85). Ed è
notabile che gli antichi gramatici non altrimenti sapes-
sero del nostro vecchio settenario, elemento del numero
saturnio , dare altra origine se non per l' industria di
tai troncamenti (184).
(i83) V. p. Go , y. 44- Nella can-
tilena e nel carme simile la clianna,
la cliaraha e la sciatra si considerano
come zihafe appunto perchè tai versi
vogliono andar considerati come al-
trettanti versi settenari. E lo stesso
par che deggia dirsi del carme evul-
so , quantunque i dottrinali non ne
faccian parola.
(184) At quum suprema claudicai . . .
Agnoscere haec potestìs
Cantare quae sclemus :
Memphitides puellae
Sacris deum parate... Terenziano.
Ed è questo quel settenario anacreon-
tico , non elahoratuni ad pedem ; del
quale diise lo stesso gramatico :
At choriambus iinus
Praeditus antihaccho
Claudicai ut priorcs :
iriderò sì novelli
Versus erit poetae :
LeX TJMEN l'2fA METRI EST.
Tinctus colore noctis.
Dabunt malum Metelli.
Tnacliìae puellae.
Seu bovjs ille custos . . .
Tu genus hoc memento
Reddere quom reposcam.
Ma affinchè versi di tal fatta non
vengano a fastidirsi, evitar conviene
quella ripetizione monotona che li ri-
produca aggiogati a due a due. Perciò
appo gli A.rahi e i Francesi o l'un seU
tenario nell'altro si fonde, o si esten-
dono in ottonari iamhici, o almeno ia
settenari sdruccioli , giusta gli esempì
allegati alle note 96 e 164. Ed è no-
tabile che di tutte le canzonette che
ci rimangono di Anacreonte , se mai
sen rinvenga alcuna di numero pari
di versi, v'ha sempre tal fluttuazione
di moto che i 'compartimenti appaia-
no simmetrici bensì , identici non mai.
Tanto è lontano che della squisitezza
anacreontica ci sia dato acquistare
METRI ARABI. 220
Ma come non mai della cantilena jnira , cosi nem-
meno del puro settenario piano seppi trovare appo gli
arabi alcun esempio. Una combinazione regolare di set-
tenari e di ottonari iambici abbiamo nel divano di Ali,
ma quel poema si appartiene al carme simile, ra-
gionando del quale ne trarremo un saggio. Versi di
settenari sdruccioli vedemmo nella forma giazata del
carme perfello : altri sarem per vederne nella forma
anche giazata de' carmi leggiero, simile, conciso, evul-
so , ed anclic congiunto ; ma per av^re una serie di
meri settenari piani nella loro purità , bisogna correre
sino al Corano (i85).
Intanto per non fare che la cantilena manchi affat-
to di un esempio anch' esso , que' versi giovi apporre
che nel vago del loro originario tipo , per tre percus-
sioni in ogni emistichio si veggoii procedere, e sillabi-
camente son settenari , ottonari e novenari ancora.
un'idea colle traduzioni a coboletle. lacuna di die né il Paw nò altro cri-
Valga d'esempio la scgucnle odicina tico ch'io mi sappia avea preso so-
contro la quale il Paw menò tanto spetto. Io non so se la teorica dell'aria
rumore :
IllVSt 0! OiV^fli ccvrTiV
Ilivst dì otvopx 0 avùx'
Iliru d-ttXàffffx S* avfxs ,
O 5' 'n\ioi 5u\xaffct9 j *
Toc O' 'uXiOC Ci\7]l^.
Ti ^01 ^ax«ffS' 'eraipoi ,
K* avTw OiKovri vivili' -^
La pingue terra bee ,
E beonsi lei le piante ;
Le piante bec 1' auictta ;
Le aurette il mar si bec j
Il sol bccsi il mare
E bec la luna il sol.
Perchè , se tutto bec ,
llere non deggio io sol?
migliorala pei vegetabili fosse nota
agli anlithi : so benissimo però che
la serie de' bevitori e de' bevuti tro-
vasi altrimenti interrotta , e lutto il
pregio di qucsl' amabile cosctlina è
perduto. -
(■85)
vaddarijati liari-an
fa-lha'mia*ti vigran
fii-'lQÌa' rialti Josrart
fa-^lmalqi'lati hamran
Per ventilatriccs ydiittlationes. Et pfr ge~
itanles onus' Et currenles faciliter. Et aS'
Vi abbiam supplito il terzo verso, sequtntes negolium. Sura de Tentilantibus.
224 ^ ^ n I T I s
-i'3nD::''N' nnnn * yhha i^^ni^^Ni \s* i
inn '3 n^3pN* np * NJona p'p::» foì 4
*T)D'3^t:'?N' jDijnSx * "l'i;; nrj 3'cd' 5
"inj 'nB nSj * iNn;? nnir dnSni 6
-lìi'i^Sx n:Dn * cu 'S SapN ■nì'^Nì 7
VERBUM VERBO (*).
Euge! per splendldum ver , etjlores eius nitidos,
Narcisswn et parthenturn similes ociilìs et dentibus,
Et iasminum tanquam colorem amatoris solitarii ,
Et anemonem slmilem formae puellae quae venit serico (vestita ) ,
Et odorem suavem unguenti, violam pluvia irrigatam ,
Mirlique florem , similein lanugini in gena hinnuli succo pieni ,
Et rosam cum exercitu venientem , cuius pulchritudo victrix est.
■ Di Abki Ahi Haoelab. - Jones, pag, iC3.
Il movimento metrico di questi versi non corre
sempre per la formola della cantilena , ma nemmeno
del carme simile e àoW evulso, che sono le tre specie
degli ottonari iambici dai dotti-iuali determinate : e
considerando isolatamente il tale o tal vci'so, ben può il
poema a qualunque delle tre formole riferirsi. Il che
deriva dalla libertà del movimento iambico, il quale.
(*) Riteniamo la versione del eh. cosa ci sembrasse doversi variare.
Jones, (juaatunijue qua e là qualche
U E T R I ARABI. 235
I ajjo va-rrahi'i-nnazi'rl || vazahrihi- Imostani' ri
a min nargisiii vaaga'hia \\ kaùjani vataghy'rin
3 V aj ci' Siili'' nin kalavni-l [j molajjinn-lniahgy' ri
4 va min sciagi'qin kahosna'i || qad aqhalat fi' harì'nn
5 va tVbinasciara àbi'ro-l [j banafragi-' l niamty ri
6 va-lasi sciabaha àdà'ra \\ bichialli ioba' gàririn
7 va-lvardi aqnalafi' giaj jj sci liasniki- Inianzy' ri
VERSIONE M ET II ICA.
Rinfiora la nostra riviera la splendida primavera.
Degli occhi tuoi, de' tuoi denti, non vedi l' immagin vera,
Cloe, nel narcisso e '1 partenio ? Non vedi nella mia cera
Il gelsomiu? Nell'anemone il guernellin di Neera?
È l'alilo tuo soave nel fiorellin della sera:
E in quelle ciocche del mirto tua morbida capigliera ;
E tutta sei nella rosa colla pungente sua schiera.
anche rendalo sillabico , ha quella felice fluttuazione
di accenti che il rendè metro prediletto de'gentili inge-
gni nella squisitezza dell' antica e della nuova civiltà.
Chepperò in questo e in qualunque altro poemetto arabo
in ottonari iambici, assai di rado con versi c'incontrere-
mo i quali si riproducano inflessibilmente per una sol-
tanto delle tre formole. Eccone pertanto un altro esem-
pio (i86).
(i86) La ^ nell'ultima parola dei se- hersa: ma questo è un altro esempio che
tondo emistichio vuol esser mossa per conforta la nostra osservazione che le
Tom. ni. ag
226 DE R I T I S
'2")n ip ''^ Tpa
NnnSx '£3 nShnj od 4
'33no nnSx 'a ndSxj;i
V E R B U M V E R B O.
1 O ardor temporis , desine :
Si non desinis , salteni nieìior fias.
2 Exivi quaesitiirus victain meiim ;
Et dietimi est mi hi : laiii periit.
3 2Vec per sortem Jìieani bonis dojion,
Nec per operavi inaiius nieae.
4 Quot ignari in Pleiadibus !
Et docti in puluere absconduntur !
HUMBERT.
Gli esempi della seconda zarba e degli accorcia-
meuti della sadra per la charina , la charaba e la scia-
ioni aspirazioni arabe della y e del- beit , che le parole '")n7X 'Ì3 """
la J , comunque gramalicalmente o sicno stale aggiunte da un inetto co-
radicalmente deggian muoversi , ri- pista il quale , senza brigarsi della
Icngon sempre la loro originaria voce misura del verso ,■ avrà voluto ad
inclinantissima al fata e con questa , ogni costo fare un giuoco di parole :
sempre mai convertibile. io fatti , se si tolgano , si ristabilisce
Ed ecco versi che si risolvono in il metro esattamente ». Ma tolte le
emisticbii non solo di sette , otto e parole '"in'^X '3 ' ^' eniistichio ridu-
nove sillabe, ma amlie di dicci , co- cesi a sei sillabe. Noi crediamo averne
• me nel secoudo dell' ultimo verso, la ragione in ciò che si è cennalo alla
(c Non dubito, dice il signor lium- nota 178. Si osservi in fine clic antlie
M E T R I A n A B I. 227
1 ia harqala- ddaliari laffì''
in lam taqajffT faìJJV
2 chari'ig'lo òrUihi rizcjl
faqCda W gada tavaffi^
3 feda' hi I latti àta'
uakì' niscian àta haffi
4 kam gia'Iuan JV-lturajja
iiaà-lnuin JC-llarcC motachaJfC
VKRSIONE METRICA.
E dalle , fortuna , via dalle :
Prosegui che ho forti spalle.
Me n' esco a busca d' un tozzo ,
E dicoumi : È a Seravalle (*) .'
Nulla ho per parte : e per arte
D' averne in' è chiuso il calle.
Oh quanti ciuchi a le stelle!...
Ed oh quanti dottori a le stalle!
/ra quali son dati dai dottrinali trascriviamo in pie di
di pagina (187),
Id 3 dell' ultima parola ♦33j~)J3 do- (187) earba n\pfATA.
vrcbL' cssci- mossa per kesra , iiicnlic blSlS.x nuSsiJ • a-i-Sx -jSax "ino «t»
la rima esige fafa.
(*) Della grande rotta e piena di
sangue avvenuta in Seravalle , v. Ma-
cliiavelli , P'ita di Caslriiccio. Chi poi
non fosse contento di questo fatto mu-
nicipale, legga ; È a Roncisvalle ; 0,
secondo il dire de' nostri popolani; a
AJaravatle,
VERSO CHARJIATO,
D'is;» Vf^jSì^ i^iD* nnNi'PDx So «hk
VERSO CHARAB^TO-
•nx r XÌXD KTDK"D1D 13K JK31K
VERSO SCIATBATO.
m3>' «'DJ KD'SI '«iriND ip ['^Sl< "9
aaS DE R I T I s
SATIRA 0 CARME TREMOLO.
Il suo schema è questo :
rORMOLA
uios taf
hi lon
inos taf
hrlon
inostaf
hi lon
ì
•
INTERA.
-
-
V. _
-
-
w
-
-
„
CHABNAT.
-
-
"
TAIATA.
-
-
-
-
-
-
GHABLAT.
"
"
-
"
-
w
Dal che l'analogia vien chiarita e insiememente il
vicendevole scambiarsi di questa specie di versi col car-
me perfetto. La formola intera altro non è che il carme
perfetto izmarato ; e la chabnata e la taiata corrispon-
dono alla forma vaqzata e alla giazlata di quello. Ri-
marrebbe di esclusivo alla satira la sola forma chablata.
Mentre da un canto i nostri antichi gramatici dal-
l'epitrito terzo le variazioni tutte del iambo derivavano,
pessimo dissero quel iarabo nel quale terminassero le
parole co' dipodii , come :
P raesentiuni divinitas caelestium.
Non mancò Al-Chalil di adottare anch' egli questo dot-
trinale anatema , così leggendosi nel Qamus : TSi ìirhìi
ri*7pì rt^ma y^is^rh 'od nxia no jSj;s3nDD njn iv^^a p
naa hT-fpSxD nnnxSsì nxSnNì // carme tremo/o è una
specie di metro la cui misura é mostafhilon sei polle
MRTRI ARABI. 229
ripetuto. E vien così denominato a motivo delle brevi
sue parti e delle poche lettere. E stimò Al- Chalil non
essere una specie di versi , ma sibbene metà o por-
zione di versi , o piuttosto una terza parte. E perciò
dicesi estemporaneo ( alargiu'zato ) o eruttato ( alqa-
zi'dato ). Sembra che assai leggennonte quesL' autorità
del Qamus siasi voluto ribattere (188).
É celebre il baccano del nostro Marini nel suo
Adone :
Or d' ellera s'adornino e di pampini
Co' satiri le vergini più tenere , ce.
(i88) Non est audicndus , dice il Ma ciò che si rende inconcepibile in
CXtiìco, Kamusii aut/ior, qui Clelia- un autore di tanta eiudizione , è il
litum existimare alt fJI^N non esse confondere ch'ei fa la purità del iam-
speciem carminis : cuni inter quin- bo col dividere il verso in tanti di-
decim carminum genera ab ipso Al- podii isolati. Ragionando della forma
<:halilo ponalur , aòsque quo nume- aqlata. del carme esuberante , la qual
rus ille non constai. Par che non se corresse in tutti i piedi darebbe
trattisi di escludere affitlo il carme iarabici puri trimetri catalellici ( come
tremolo dal numero da Al-Chalil fis- dallo schema pag. i65. ), dopo aver
salo de' vari generi de' versi arabi , dato ad esempio quc' versi di Orazio;
ma di togliergli la qualità di verso Trahuntque skcas machinae cannas :
iatero , e considerarlo cOme una se- Nec piata canis albicant pruinis ;
guenza di trisillabi sdruccioli. soggiugne: sedaraòici j-c/Riojtsssunt,
£ per la stessa autorità del Qamus
par che sia in difetlo la consueta "iKSp «in^pS hlXlD
esattezza del dottissimo Jones quando la ^>03 NDniDi «ajXJ
riduzione del carme tremolo alla for-
ma nahialo-sciatrata dice di raoder- menazilon | Idartana \ kifa'ran
na invenzione. Praeterea ajiud rece.n- cainnama \ rosumoha \ sothu'ron,
tiores quosdam poetas versus est brc-
oissimus, qui ex uno epitrito constat. V. la seguente nota {'*)
200 DE R I T I S
Or io non "dubito che per la somiglianza dell' andamcn-.
to prosodiaco dell' arabo arràglazo con questo bacca*
no, siaglisi'dal Guadagnoli il nome di satira attribuito:,
nome adottato dal Clerico e dal Casiri (189).
Quel che notammo per la cantilena va qui ripe-
tuto per la satira. Poemi interi che serbino costante-
mente da capo a fondo il metro dottrinale non cono-
sco, sia nella tripla ripartizione secondo la mente di
Esempio del Guadagnoli [*)
♦nNnaNo NnanN» nì"ib'3o
V E E. 13 U M VERBO.
Nunquam venit nisi ajf'erat per scientiam sitani
bonus nuncius noster: o dilecte, vali quid attulit nohisì
JIsEMPio DEL Jones.
m£3D NnDIDI N0JX3
VERBUM VERBO (**).
Tentoria sedi nostrae desertum ( facta sunt )
Quasi vestigia ipsoruni lineae ( sint ).
E come se fosse destino di questo genere di versi
l' attribuirglisi modi non suoi, ecco altresì un distico
(189) Comunemente s' interpetra primo, e perciò il verso non può ap-
carme tremolo o perturbalo , traen- partencre altrimenti che al carme
dosene 1' etimologia dai cammelli che esuberante.
per dolore ne' piedi o nelle ginocchia (**) 11 Jones non ne dà versione.
con vacillante e stanco passo prece- Pare che NJIpN*? "°" possa leggersi
dono. se non leqarratiiia , un iambo ed un
(*) Il dice dato dell' autor chazr.igia- anapesto - - - ^ -, itiofahilaton; il che
co, p. 291. Ma J{J*^[J,'3J3 e un epillilo restituir dee anche questo verso al
METRI ARABI. 201
Al-Chalil, sia, come largamente s' interpelra , nel pro-
cediiuento ordinario degT iambi. Sempre in quest'ultimo
caso qualche verso non manca il quale l'ipcrinetrisnio
non offra del carme esuberante o ùv\ perfello. Ma v'ha
dippiù: gli stessi frammenti che si producono ad esem-
pio più ai versi del secondo circolo che alla satira sono
da attribuirsi.
ma' acjbalat : ma' atcù : biihniha' :
mobùsscirna' : ia^ /labbada' : via'bihiaUC.
VERSIONE METRICA.
E un angelo che i soliti prenunzia
Propositi di giubilo , e or gli annunzia.
mana'zilon ìaqairatinoi^ qaftCron
kaùinamà' j-asii'mo/ia' salu'ron
VERSIONE.
Qui sorgeano, in quest'eremo, le tende:
Come tenui ne appaiono i vestigi !
che non altrimenti che alla forma raflata del carme
perfetto giazato può appartenere (190).
carme esuberante. Vero è che parlan- n pelle fJl'^X Ij'^^J melrunt Ireinii-
do del carme csubcranle ci l'allega- » luìn. Oii le figure a[nì\mostnf/iiloii ,
va. Come però dicoa die cofresse per » mostafhi/on , mosìaf/iilon ; tram ici
iambi puri? E perchè lesse /eX-arfa/j«.' n le dernicr wni/a/A/Vo/Jeslretranché ,
E perchè, mentre di tutti i versi a- » e les deux qui reslcnl sont changcs
rabi che riporta dà una versione, di >< en mostaf/iila' tori moslaf/iilatoii. n
questo poi la trascurava? Cosi l'illustre editore. V. la nota 148.
(190) )> Est sur le mètrc qu'on ap-
93% » B K I T I S
VERBUMVERBO.
Equideni habitus cius muscus est , genaque rosa y
Et dentes margaritae , et saliva vinuni ,
Et statura ramulus , et naies arenaceus-collis ,
Comaque nox , et vultus plenilunium.
Notte 73, go, 277. Humb. XXX.
Quel che v'ha di notabile sulla forma del canne
tremolo si è che in questo ritmo appunto la musica or
si compone che serve di sostegno al canto de' nostri
attuali trovatoi'i ne' loro improvvisi in endecasillabi :
ritmo scolpitamente identico all' acclamazione delfica e
alla tripla ripetizione dell'arabo niostafhilon , ma che
intanto con gran disagio e non senza molta industria è
adagiabile all' andamento degli eroici poemi. 11 che ci
obbliga a far qualche cenno della vera indole de' nostri
versi maggiori e de' versi corti che ne derivano.
Che il Castelvetro nelle giunte alle prose del
Bembo , per ribattere le idee di quel porporato che
tutta quanta 1' italica poesia volea tratta di Provenza y
si fosse fatto a ricercare con minuta industria i
vari endecasillabi latini adattabili al nostro endecasil-
labo eroico , non è cosa da maravigliare ; ma dee sor-
prendere che i nostri scrittori di poetica, senza andare
più in là , ci vadan ripetendo la stessa nenia , nessuno
METRI ARABI. «33
1 va-nnascro mislon va-'lcliaddo vardon
va- Ltaghro darron va-rrVcjo chamro
2 va-lqaddo góznon va-rridfo dìzon
vassciàro Wlon va-luag-ho hadro.
VERSIONE METRICA.
L' alito è muschio , la guancia è rosa ,
Son perle i denti , vin la saliva ;
La vita snella , giovine oliva ;
Nolte il crin follo; luna il bel volto.
escluso. Se il nostro endecasillabo ha 1' accento sulla
sesta , essi dicono , ecco un faleucio (191) , o un co-
riambico asclcpiadeo (192): se l'ha sulla quarta, ecco
uu saffico (193) , ovvero un iambico ipponazio (194).
Ma 1' endecasillabo faleucio , il coriambico asclepiadeo ,
il saffico, r iambico ipponazio, e lutti gli altri ende-
casillabi che gli antichi gramatici van classificando (196),
son versi lirici, non permutabili ira loro. Sceltone uno,
dee rimanersi invariato per tutto il corso della compo-
sizione. La derivazione legittima del nostro verso mag-
(191) Cai dono lepidum novum libellum.
Che per cosa mirabile si addita.
(191) Madcenas atavìs edite regibus.
B sia il mondo de'buon sempre in memoria.
(193) lam satis tetris nivis atque dìrae.
Voi che ascoltate in rime sparse il suono.
(194) Xbis libumis inter alta navium.
Vinca il cor vostro in tanta sua ^iloria.
Tom. III.
(igS) Gli antichi gramatici stabili-
vano selle specie di endecasìllabi, i^waf
ex daclylici et iambici metri permi-
xtione composita et copulata nascun-
tur. Oltre all' ottava r/uae ex heroo
tantum versa informata dignosciiur.
Vittorino. Ma questi eran tutti meui
lirici. V. Fa nota seguente.
3o
a34 CE R I T I s
giore è in quel medio tra il senario iambico e 1' eroico
che dell' uno e doli' altro alterna le sembianze (196).
E la sua misura non è precisamente sitlahica , nel
volgare abituai significalo della parola sillaba : il che
(196) Abbiain veduto che il pas- cnmiinc si è la division disuguale delle
saggio dalla poesia lirica alla narra- parti , il non concludere le parole
tiva vieti caratterizzato non solo da co' piedi , la cesura in somma che am-
un piìx largo andamento ne' periodi , bo del pari distacca dal lirico anda-
ma dal disuguale compartimento al- mento.
tresi delle varie parti di un verso , Ma posta la cesura , le parli di un
passaggio preceduto e forse determi- verso, sia eroico , sia iambico , non
nato dal progressivo miglioramento solo in due parti disuguali si risol-
della lirica nel bisogno di variare gli vono , ma dissimili. Dopo la cesura,
accordi: per quella necessaria sazietà 1' andamento eroico di dattilico divie-
che in noi si desta dal lungo ripetersi ne anapestico, ed una serie di trochei
di una medesima per quanto si voglia abbiam dopo la cesura nell' iambico.
soave cantilena la qual sulle stesse Vedemmo però che per l' cpiploce e
cadenze si resti. Ridetur citharoedus la catalessi il movimento dattilico col-
chorda qui semper aberrai eadem. V anapestico si confonde. Potrem dire
Vedemmo dall' efimnio arvale piii che altrettanto dell' iambico e del trocaico?
dall'ili ifatav derivare il tipo dell' an- Non mai. Il moto de' trochei , avendo
lieo esametro eroico: ed ora da questo in ogni piede una necessaria posa, una
veder dobbiamo come discendano per naturai catalessi ( v. la pag. 120 e seg. ),
naturali procedimenti e l' iambo , e il forma un genere afiatlo diverso dal-
vecohio numero saturnio e il nostro 1' altro. Il movimento corico è distrul-
attuale endecasillabo. to appena che 1' un piede coli' altro
Ma dell'analogia del senario eroico si confonda, e isolati non rimangano
e del senario iambico dissero abba- almeno i dipodii. Quindi tutta 1' in-
stanza gli antichi gramatici. Aggiugnc- duslria raggirar doveasi a variarne
remo soltanto quel eh' ei noa dissero: l'andamento di soverchio scorrevole,
scorgersi cioè nel passaggio dall' eli- di soverchio ballabile. 11 che rinve-
mnio arvale al verso eroico piìi pen- nulo l'endecasillabo eroico n' emerse,
denza alla gravili» , e piii proclività e il numero saturnio si trasformò nel
alla scorrevolezza nel passaggio al nostro verso maggiore,
verso iambico. Quel che hanno di
METRI ARABI. 235
fu presentito da un nostro gramatico nelle notabili
parole che qui giova trascrivere (197). » Tanti dittongi,
» se r uso della lingua posti gli avesse in opera , nel
)) volgar nostro si posson pronunziare, quanti de' suoni
)) dello vocali fieno gli accoppiamenti , che a quaran-
» tanove aggiungono, s'io non sono ingannato. . .Ma che
)) vero sia ciò eh' io dico di tanto numero di ditton-
)) gi , può ciascuno accertarsene per sé medesimo ne'
» versi de' poeti per entro alla parola, dove vedrà, che
» ad ogni suono di vocale un altro suono di altra vo-
» cale si può aggiugnere , senzachè delle sillabe si venga
» a crescere il novero. E abbiam detto per entro alla
» parola : perciocché quelli che per dittongi tra voce
)) e voce dal Trissino son proposti , dittongi , per mio
)) avviso , non son da riputare , posciachè in una sil-
» laba non si pronunziano , come al dittongo è richie-
)) sto. Ma comporta la natura del nostro verso , quan-
)) tunquc d' undici sillabe, quanto alla regola, la sua
» misura sia, quasi per entro il suo corpo , il trascorso
« delle vocali , in guisa che dicendo :
« T^oi che ascollala in rime sparse il suono ,
» non solamente non si pronunzia
» T'o c/i' ascollale ''a rime sparse '/ suono;
)) ma non è vero che il voi in una sillaba si raccolga,
» come alcuni hanno detto : ed a cui caglia di chia-
» rirsene , pruovi a mandarlo fuori con ogni maggior
)) lentezza in due sillabe, e, mandatolo, fermisi ezian-
{\<ìn) SaVvvtKì, degli avvertimenti, ec. Voi. 1, lib. Ili, parlic. VII.
*
256 DE R 1 r i s
•» dio con la voce , e faccia una liniga posa , e altret-
)) tanto adoperi nelT ascoltate in , e nello sparse il ,
)) e vedrà che non pure il suon del verso danno non
)) patisce , ma ne divien migliore e più robusto e più
» bello. »
Al che se si aggiunga quel che di sopra notammo
su la necessaria catalessi di tutte le parole che abbiano
vibrata prelazione nell' ultima sillaba , massime se in
consonante si termini , od alle sceve da interporsi al-
tresì fra consonante e consonante in tutte le parole con'
tratte (198) seguir ne dee di necessità che nell' ende-
(198) V. la pag. 119- E si aggiun-
ga che questi per quanto voglian con-
siderarsi bievissiuii iu'ei'valli , nella
squisitCMa dell'eufonia de' versi van
sempre valutati. Olire a quel che ne
ragiona lo stesso Salviati là dove fa
diceria dello '^ntoppo delle consonanti,
*i ascolli un luoJerno ideologo :
)) Quando scrivo cruqtier , ci dice^ è
» cosa chiara che pronuncio le-ra-ler.
1) Per poco che l'organo sia appan-
)i nato, ciò rendesl manifesto; e scn-
:) tesi ancora quanto 1' organo sia a-
11 gilè 11. Idéologie ec. Gramin., cìi. P'.
V.à una diinostraj.ion manifesla ne
abbiamo nel nostro monumento, Tav.
Ili, quando vi Iroviam per intero,
come notammo, sopera e ine ^ nelle
quali parole le e potran sibbene ri-
putarsi evanescenti , ma non iitìailo
invalulabili. - Sì ascolli in line quan-
to quel medesimo nostro minuzioso
gramalico va specificando su 1' apo-
strofo: n Questo apostrofo nelle scrit-
1) ture del miglior secolo non si ri-
II trova nell'idioma nostro , ma altro
)i usarono in quella vece : cioè seri-»
» vevano la voce intera, e sotto alla
" vocale che di cacciar via intende-
n vano ( dovea dire attenuare e non
cacciar via per essere conseguente a
quel che avca dello su gli accoppia-
Hàenti delle vocali ) , segnavano un
.1 picciol punto, simile a quello che
Il per chiarezza si suol por sopra l' i ,
Il e titolo gli si suol dire. Cosi adun-
II que scritto avrebbon quel verso :
FLori,fronde,erbe,omhre ,nntri,onde,aure soavi.
Il Tuttavia , ne anche ciò si adope-
II rava da tutti gli scrittori , ma so-
METRI ARABI. sSy
casillabo eroico considerar si deggia una estensione più
ampia di quella che comunemente gli si assegna.
Oltre ad una necessaria sillaba o quasi sillaba di
aumento per la necessaria sua divisione in un quinario
e settenario o viceversa , divisione che manifestamente
riuviensi nell' antico esametro spondaico :
Ciues romani || tunc factl sunt Campani.
Olii respondit [1 rex Albai Longai.
Non focae iiirpes |] non Jìiarcenles balenae j
del pari che in queste sentenze della maestà tragica :
Qui nil palesi sperare [] desperet nihil.
Curaa leves loquuntur |] ingentes stupent.
Amor timerc |{ nemineni verus potest.
Pars sanitalis [J velie sanari Juil (199);
se mai queste parti , non più tome ma coinme o coli
dell'endecasillabo, ci faremo ad esaminare; vi scorge*
)) lamentc 11 facevano alcuni de' più prima e va ristretta assai prossima-
li discreti , e più nel verso che nel mente alla ì , in modo che anche
» parlare sciolto, ec. Vò. suor, par- /"/-oz/r// scriviamo, ed è voce affatto di-
» lìcclla XXXV. versa dall' e aperta che segue : ed oltre
Ma il Salviati non conosceTa che a ciò , che il Petrarca scrisse herha
in tal modo appunto dal Petrarca e non e/^rr, e clie non è provato se nel
scriveasi quel verso , come appare dal buon secolo la h in quella parola fosse
codice valicano : e che scritto in tal mero segno ortografico,
modo cessa di essere un verso piii che ('99) ^on sembri strano se gli ul-
tedosco : timi iambi qui consideriamo come Iro-
Fivr' ,fron(r , eri' ,ombr' ^nntr ,ond' , aure scavi, thci o spondei. Oltre alle giudiz.iosissi-
come pel sopruso del piggior secolo me riflessioni del Mingarelli che qui
or si scrive e si stampa. E si noti clic adoltiam per intero { hì. ««/)r., nola63,
»e ad alcuni faccia pessimo udire cap. de mctroruni pronunciatione ),
l'incontro delle due e, nelle parole rammentiamoci della pronunzia per
fronde erbe; e da riflettersi che la posizione di che è parola nella nota j8.
238 DE R I T I S
renio, nella perfezione dell'arte, quasi indispensabili due
altre suddivisioni (200) , le quali in origine davano altri
aumenti di sillabe intere (201), ed ora un tale aumen-
to che, se non vuol dirsi sillabico , è al certo notabi-
(200) Cosi nel mellifluo Metaslasio; cordo, e come queste canzoni cantate
Leon piagato | a morte tuttavia a' tempi del Boccaccio (').
Sente mancar | la vita ^ -w_«- w- ^
Guada la sua | ferita » ^"^'« ^^°J'^ '° "='' Cristiano
Kè si avvilisce I ancor. ^ ^^ Che mi fuTò U iralca ?
L' ennemimeri conserva 1' integrità „^-wv^._
della pentemimeri e della triemimeii " '"°„°"''_^"™^' '.'"'^' '! l"*^"
ìanibica Che buone novelle vi reco.
Se un core | annodi ^ ^ ^-^ ^ «w - ■^ -^
Se un' alma | accendi ' Alzatevi i panni , monna Lapa.
Che non 1 pretendi ^ l^^^^ l'oUve"lla"è'r"erba.
Tiranno | Amori ^„ „_v^,^__ .„
Ed ecco la pentemimeri in due 5 L' onda del mare mi fa gran male.
tnemitneri risoluta. g Escici" fuóri"che sii trgli'ato
La squisitezza dell' arte vuol che - -- - ^ ^ - ^
, . , . t 'Il , Come un mio sulla campagna,
anche i trochei perdano il loro moto _ ^ ^ _ _ _ ^ „
uniformemente sonante, e negli otto- 7 Monna Simona
narii ceni secondo quadrisillabo in ^ " " 7 , ~ " j,"^ .7 T
° ^ E non e del mese d ottobre.
pentasillabo trasforma. -v^ ^ - ^ - ^ _«
8
Or che niega | i doni suoi _ ^_ w-v>--^
La stagion ] de' fiori amica 9
Cinto il crin | di bionda spica "^ -^- ^^-v^ - ^^ - ^ - ^
Volge a noi | la state il pie. ">'° ">' cumperai uno gallo dalle lire cento.
1 soli numeri 409 corrono per
Colla quale industria il rapido mo- iainbi e trochei puri,
vimento degl'iambi e de'trochei puri K si noti nel numero io spiccantissi-
viene mirabilmente a rallentarsi. nio 1' andamento del numero saturnio
(201) Come in quegli ottonari iara- quale dai vecchi graniatiti veniva de^
bici de' quali abbiarn testé fatto ri- scritto. V la nota 71.
('') La prima è nella Glorn. 4, nov. rt \ neo quando a lui toccò la volta di trìpudare
tutte le altre furono intonate dal fesùro Dio- la sua canzone.
jrt E'T n I A K A 15 r. 209
lissimo. E in fatti ^ se da questo verso, a cagion d'c-
sempio,
Italia , Italia , 0 tu cui feo la sorte
venga a togliersi \\ feo , sostituendovi /e'; di pieno e
sonoro diverrà un verso monco ed esangue. Che però ,
se ci faremo anche noi a determinare la misura del no-
stro verso maggiore non già per sillabe ma per tempi
come nell'apogeo del greco ingentilimento si costumò;
ben vedremo che corrono aneli' essi per quelle venti-
quattro emimeri e per quelle trentadue specie che i nostri
gramatici nell' antico esametro e nell'antico iambo distin-
guevano.
Ma se non dall'antico esametro e dall'antico iara-
ho ma da' nostri vecchissimi modi popolari trar vor-
remo il tipo del nostro verso maggiore , ecco i nostri
versi /ciHsci suU' andamento di modi anche più antichi,
e che delle divinità mere italiche conservarono il nome.
Assai lieve nozione ci danno i vecchi gramatici del
numero saturnio, ojaunio, e tutta la loro cura par che
si raggiri a farci dimostrazione che anche quel ritmico
andamento provenisse di Grecia (202). Vana e teme-
raria impresa sarebbe quella di volere oggi andar de-
terminando quel che nell' età più prossima all' uso di
que' versi formava obbietto di controversie non defini-
te (2o5) j ma ne conosciam quanto basta formarcene una
(202) Tebe>jztano , ViTTORmo , ec. mes/tis , et nasci a trimetro scazonle:
(203) Quidam volani hunc feriri alii vero omnes duodecim pedcs ad-
sexies, et recipere pedes septem: hoc jnittcrcj ncque semper eum , ut ilii
est spondeum , e quibus, est Thaco- asseruiU , nasci e trimetro scazonte.
J!40 DE R l T I S
tal quale idea. Erano orridi per avventura que' versi :
ma per la storia delle arti non le sole cose gentili si
raccolgono.
Il verso saturnio adunque ci fan conoscere i gra-
niatici in due parti distribuito : la prima di tre piedi
e mezzo, la seconda di tre, e quest'ultima parte com-
posta di tre trochei, cioè del senario itìfallico ofalecio.
Ma il senario itìfallico non correva costantemente per tre
trochei (204) , e sembra perciò un idtimo ingentilimento
del verso saturnio (206).
Or, non abbiamo in versi di tal fatta una canzone da
ballo, assai simile a quella che or col cembalo cantano
le nostre popolane (206) , e il passaggio iusiememente
del metro Urico al scitirico, deìjcileucio aWiambico, e
l/nde apud omnes grammalicos super
hoc adhuc non parva Us est.V iiTOS-iìfo.
Se questi dodici piedi , come pare ,
vogliono andar considerati come due
emistichii aggiogati , un ravvicina-
mento vi scorgeremo non solo co' mo-
derni versi maggiori di Francia e di
Grecia ( nota 96 ) , ma anche nostri,
prima dell'invenzione della terzina;
e precisamente nel concetto degli ara-
bi dottrinali quando ogni loro verso
costanteraeute nell' aggiogamenlo di
due emistichi van considerando. £ si
noti che in tutti i vecchi codici sem-
pre troviamo scritti i vfrsi a due a due,
ed anche quacdo per distici non pro-
oeilauo.
(204) lihyphalUcum metrum e tri-
bus trochaeis connexum saepe iribra-
chuni sibi inserii ... Quod necessario^
insinuandum lectori censuiy ne ithy-
pkallicum metrum e tribus semper
trochaeis subsistere audacter ac temere
pronunliaret, ViiToaiNo.
(ao5) Nostrique mqx poetae
Rudem sonum secuti ,
Ut quaeque res ferehat
Sic disparis figurai
J^ersus vagos hcahant :
Pqsc rectias probatum est
Ut tal^ colon esset
lunctum tribus trochaeis. TEHKtaiANO.
(206) V. la DOU 71.
METRI ARABI, 241
l'embrione tutt' insieme del verso eroico, del trimetro
iambico e dell'endecasillabo nostro (207)?
(207) I nostri trovatori del ducento 2.
lian licqucnlissimi i versi composti Hunc unum plurimi consensiunt R. (omani)
di un quinario e di un senario iti- Duonorum oplumum fuisse virum
fallico. In versi di tal foggia corre Lucium Scipioìiem , Jilium Barbati :
quasi lutto il libro del rvgi^iinenlo e Consul,Censor,Aedilis,hicJ'aitapudvos.
del costume delle donne di Francesco H'o cepit Corsicam, AUeriamque urbem.
da Barberino , pubblicato ultimanien ■ Dedit tempestatibus aedem merito.
le co' tipi del de Roraanis (Roma 181 5); 3-
e non dubito clic quelli che scn disco- Qui apicem insigne diaUs Jìuminis gessisli
stano non sieno consuete ofllciosili MorsperJ\cit tua ut essent omnia brevia,
Aa menanti , comeacagion d'esempio; Honos,fama,virtusq., gloria atque ingenium,
Giovane donna^gen/ff creatura(la stampag'tjn- Quibus si in longa licuisset libi utier vita
Da Dio plasmata di sì nuova altezza til) Vacde factis superasses gloriam maiorum.
Cile ognun ne prende maraviglia grande j Quarelubcns te in gremium Scipio recìpit terra
Onde ti vennon gli occhi belli tuoi ? ec. l^ubli ,prognatuin Publio Cornelia
Quesl' andamento di sovcrcliio lirico La distribuzione de' versi ó luti' altra
andar si dovea di mano in mano nel numero terzo di quella che dà il
dismettendo, ma la cadenza del mo- Niebur. Queste iscrizioni veder si pos-
vimenlo itifallico è 1' originario ne- sono nella loro forma incise ed illu-
gl' iambi. E lasciando le ovvie pruove strale da Ennio Quirino Visconti ,
che ne'versi s'incontrano ucUa prima Opiisc. toni. I. Per quel che riguarda il
età delle Ungile sorelle del mezzogiorno nostro proposito, quell'oscillazione è
di Europa, prenderemo ad es'jTipio qui da notarsi tra il carme saturnio,
quelle nenie che dal perspicacissimo l'esametro eroico e il trimetro iambico
Kiebur si propongono ( flix/oire Ro- che vedemmo denominarsi da Tercn-
maine d. M. B. G. Niebur Iraduil de ziano verseggiar vago ( nota 192). Ma
l'allemand pnr m. P. \ DEr.ALBEEY- noteremo di passaggio che la parola
tom. I , pag. 328-Rrusrllcs i83o ) , se- gn;iicu del secondo verso del primo
gucndo r orlografìa di che egli fa uso. esempio non è una parola intrusa,
1. come suppose il Nicbur, né da interpe-
Comeliu' Luciu' Scipio Bariatus trarsi guato , come altri suppose; ma
Gnaivo prognata , fortis vir sapienfque bensì guaio, colla sola interposizione
Quoiu' forma virtuii parissuma fiiit. della V secondo 1' antica orlografìa.
Consul Censor Aedilis qui fuit apad vis.
Taurasia , Cesannia Samnio cepit,
Subtcit omncm Lucanaarn cbsideique alducit.
Tom. III. 3i
24a
D K R 1 T I S
CARME BREVE.
•? 0 n S N
Ottimamente dal Guadagnoli questo genere di versi
s' interpetra esile, breve , presane la metafora dall'are-
na che in arabo addimandasi Vd"1^X ( arramlo ) , pel suo
procedere a minuzzi e slegatamente come 1' arena (208).
l^a sua formola è in una seguenza di epitriti secondi,
che si risolvono ne' ditrochei per la qaffa ; ne' ionici dal
minore per la chabna j e ne' peoni terzi, per la sciacla.
FORMOLA.
fa Ili la tun
fa hr la tun
fa hi la ton
INtERA.
CHABNATA.
QAFFATA.
SCIACLATA.
-
-
-
-
fc: ( QUAZR i.
*
^! 1
K J HABFV. 1
1
!
Nel periodo senario , V aruza è sempre hadfata j
con tre zarbe, o sana, o qazrata , o hadfata.
(208) Malteni celere, dice il Cle- calu , quem praelerea oòlinet , nomeii
rico , ah ea huius theinalis nntione line deduceiidiim staluunt , cjiiod pu-
ijica properanter incedere significai ; xilli cJiordis in hoc canninis genere
aia lamcn a lexcndi^ poliits si^ni/i- quufii inteilcxli sint.
METRI ARABI. 243
Sembrerebl)C dalla forinola che nel periodo sena-
rio si avesse quella combinazione di quaternarii ed ot-
tonari i di che tanto i nostri arcadi pastorelli si com-
piacquero, e della quale abbiamo esempi fin dal ducen-
to (209) e fin da' tempi remotissimi (210) ; ma il metro
arabo è di due senari itifallici, come da tutti gli esempi
che i dottrinali ci producono (211). Non mancano
però casi ne' quali , essendo sdrucciolo il primo sena-
rio , il resto dell' emistichio altro non ne offra che il
complemeuto ; come da questo distico :
(sor)) Un sonetto voglio fare
Per cantare
Questa duniia mia vezzosa
CliL- amorosa
Bella gio' mi la provare -
(Galeotto da I'isa.
(aio) Miserariiin c-^t
Jieque amori dare luffuin,
^tt]ue iluUi
Ma'a V no lavere aut ex-
Aitttnarì metuentes
l'atr^tae rerbi-ra lin^iiae.
Ttbi quttluiii
Ci tlienae puer ates , etc. Or.AZio.
VA aiiclif [liii in la :
Dea fccit
Dea belli dom'nalr.x
fhrygas omnes
Ut in i.rmtì òuier.r^t, t/t.
{211) Son questi gli esempi dati (LI
Ciclico :
r.AIUiA INTERA.
Ssatf-JN ;-us,ii nxj:"3 -lopSiS
ZAHIIA QA2RÀTA.
TAHliA JTAUFATA.
inru'N' xin :nt 'V- ::8<ì7
J44 DE R I t I s
ARL'ZA E ZAUBA HADFATB.
"IVO ':;•!:» nSx SBSk '^riD
V E R B U M VERBO.
Slniìlis est opitlentia quam tu quaeris
Unibrae qiicie gradiliir tecum.
Tu non ecini assequeris persequcndo :
Sed si ohverterls iergiim illi , le seqiietiir.
Hl'MEERT. XlV.
Della disposizione metrica de' trochei tre per tre
formanti (juc' versi che gli antichi dissero itifalici (211),
mirahile è l'eft'etto in composizione. La hrica de' greci
e de' romani compiacevasi oltremodo di siffatti versi. Noi
sii abbiam dismessi nel loro isolamento (212) e ne fac-
(aii) Note 6S e 71. Questi appunto soli que' tali versi
(212) E |iciciò più biziani clic ar- da' quali, dicea Cicerone, se togli la
iQonici sembrano ad uieccliio italiano modulazione delle tibie, togli l'unica
questi versi : qualità die li distingua dalla prosa.
Dulci miei sospiri , Eppure su questo movimento battono
Dolci miei luurtiri , ec. Cuiabrjìha. il cembalo le nostre popolane nelle
E ragion die lagnisi , loro fropx'^>yxra. , come abbiam piìi
Ch'ogni cuor languica volte osservato. Ma l'indole music.ile
Se virLù n-jn ha. Lorepo Mattei. del nostro clima tra-f'orma, immedia-
E inoltoppiii questi altri tamcnte ed appena accennalo il ritmo,
Scelti sejgi delle ninfe ascree 1' andamento trocaico in iambico :
Care tanto di Quirino ai colli. ChiabReii.^.
31 E T K I A R A B r. 2Ab
1
2
matalo'rrìzqi-Uladi'' \\ tatlohohò
zatalo- itili- lladi' ^jamscP jìioàì:
ùnta la' todrikoho || motlabici'n
và'ida' vallajlo fj ànlio iabaàh
VERSIONE METRICA.
Quella por cui spasimi con tanto arder
A quell' ombra è simile che tcco va.
Quanto più la seguiti, più lungi è ognor
Dalle il tergo: e appresso appresso li verrà.
ciaino sol uso nell'endecasillabo saffico, canto tuttavia
popolare nella nostra e nella penisola ibcra (2i3). Ed
anche non di rado appo gli Arabi rinvengonsi de' me-
tri ne' quali entrino per combinazione i senari itifallici ,
sieno piani , sieno sdruccioli, costantemente riprodotti j
come spiccanti appaiono ne' seguenti esempi (214).
Iste , iice , sole , Solvìtur acrU hjems
Scanìiiello mperatore j ec. Grata vice
Mannancenne priesto , Veris et Favoni ^
Ca voglio ire a Siesta , ec. Trahuntque siccas
{2l3) Il Salinas ne pubblicò le mu- Slachinae carinas.
siche eanlilene. E reggasi su la cadenza (214) Nel sistema dottrinale il pri-
itifallica quel clie ne dicono gli antichi mo appartiene al carme esuberante ,
glossatori di Orazio e gli antichi gra- il secondo a\. carme l't/oce. Ed ordi-
malici in occasione dell'ode IV del nariamenle la seconda tome degli emi-
lib. I , nella quale la strofe corre in- sticbii dell'uno e dell'altro tai-me in
variabilmente per questi coli ; tanti senari itifallici si risolve.
2^G DE R I T I S
Versione del signor de Sacy,
Ce n'esl pus quand tu veilles à la sùreté du troupeau que
les loups peuvent ravir ìes brebis : Tu n'es pas une épée doni
les coupa de Vennemi puissent ebrecher le tranc/iant (2i5).
Chrest. Arab, XIV-
iii'Ti ''^^ T\Ki N' oSn 1
rhn '5 in;^» nhd'dì 2
VERBUM VERBO.
//!o , o Qinice , Gc/ hortum :
Expolit {enim) a moesto aeruginem animae eius.
Zepìiyrus iilius se impUcat in lacinia sua :
Et flos iilius ridet in calice suo.
Hdmbeut. ilviii.
Ma r andamento ordinario del carme breve è nella
forma giazata , e corrisponde precisamente al nostro ot-
(215) Tutto questo poema corre e- Colla quale aruza si uniscono anclie
satlissimameiJle nello slesso ritmo, quoste zarbe :
che si risolve per ciascun emisticliio earba sAbgàta.
in due senari: il primo bacbiaco sdruc- n;'3ìX aVSS fC
ciclo , il secondo itifallieo piano. È tì«3Di'3 NODT NISOnDSI
del poeta Montenabbi, morto circa la zarba iiadfata.
metà del ([uartu secolo dell' egira , in -'l'Sx n3 nip NoS NO
onore dell' emiro Seif-eddaula. .^^ ^^.^ .-, .j^j
(216) Nella forma giazata del carme L'aruza badlata ba sempre la zarba
breve, due sono le aruze , sana e simile, cioè:
hadfata. Gli esempi per noi ^dlcgati 'rhvi ^in'jS :i3
sono coir aruza sana e la zarba nuda. .•,-, •^,-, rinxJ
AI E T R I A R A B I. 2^7
BagliVrika raHjcC [| àbiscia-ddaju''bo
aaghVrika zcCramcC [| thaUma-zzircìbo
VERSIONE METRICA.
Gli ovili , te vigile , lupo non attacca :
Né brando sei fievole che al giostrar s' intacca.
1 halomma io' \\ zcThi ilcù ravzatin
tag-l'C aina-i j| cCni zada' immilli
2 nasb'mohcC (| iàtoro fi dClilii
vazùhrohcC || iazhaka JV kimmihi.
VERSIONE METRICA.
Scogli qual vuoi (| Portici o Posilipo :
Do la città II fuggasi dai demoni.
Oh come là || ZcfFuo girandola
E a' spiri suoi || sbuccian rose e anemoni.
tonano trocaico, sia piano, sia tronco (21G). Eccone
due esempi (217).
p gravala del tesc-dido p , o
per p semplice preceduta da 3, jy,
(217) Nel primo i versi , di assai nica
scarso pregio in quanto ad invenzione,
son notabili per l' esattezza nel metri- ^ ,' Q ^ /!• Ecco adunque scoperte
co andamento; e nel ti-ocaico regolale molte affinila che dai dottrinali non
non conosco il secondo. Sono osser- si registravano. E quel che abbiam detto
vabili del pari per la ragion della ri-
ma, la quale è in acca che abbiam
conservata , ma non cosi secca come
di sopra riguardo alle condizioni della
Redi;!, pag. 67, trova qui limpidissima
dimostrazione. E si afrciunea a tutto ciò
nell'italiano, nò tanto pingue che la mozione della rima negli ultimi
giunga M! acqua : perciò espressa per quattro versi: ne'due penultimi àilolqa
aqqa. I nostri abbruzzesi del Vasto
han perfettamente questo idiotismo di
e tosqa ; ne'due ultimi (scqa e ilqa.
L' eufonia tra la A e 1' O aperta i
pronunzia. - Intanto, il suono alquan- chiara : ma per le due ullime parole
to pingue dell'articolazione fa che bisogna cercarla nella forte aspirazione
la prima e o ^ si esprima o con l' u- della V da pronunziarsi quasi come ài.
34H
DE n I T I s
♦p-lJ j^a-ì':'^*3 '?pa i mogolón bi-'dclàm,i gàrqa
NpìDD -INW nxiSì vafovcCdon ia'ra chàfcjcC
jnm pni 2 vàtagiannin nàtatànnin
\ Npw' nsySk^ ì'jl "]£:' sciàqqa giàiba- zzàbri sciàqqcC
♦jnaS TlNpriN» 3 icCtiqcitr chàhhirùhii''
^'^^ DV?N nnn jj? «« had'Cti-lavrì hàqqcC
2ntD 73 NnDN 4 àkadcC hallo mohibbi
♦ptr» nxnniS'SN pixa fcCraqà-nahbà'ba iàsc-qcC
^"ìT^T^ "ip C'^InS 5 ìcCvaùjscin qad taqàzzcC
'pDn "ip DX1J1 vagàn'Cmin qad tahàqqcC
D:3N'"iÌ 'ÌD 0'i>J1 6 vànai'mi fi'' darci' kam
N'pll Xim Npjf ^p ^'rtc? sa^a' dahrc'iii varàqqcC
CD^NV^n i?2 D'DJI 7 vanasVinin min hivuCkain
N'pli) IJiSn' Son hamalà-hagda faràqqcC
riNSNijf nN':'XD"l3 8 UriscCla'ti zaba'ba'-
'pSn pN'nC'DSx 'S;^ ^/« Uà- linose- tei' qi tcdqcC .
n^^'2>^S*J jW! 9 vagvziCnin noi'ùncirin
'pDH pVì< nN'£D3 bimjjcihi-ddanni tasqa^
NJDH yp rrun 10 vavagnì'liin qozza hósmin
NpC7 5"1xS^< JnSoS famaliCna-lcirza éxscqa''
N"T3y 'J Qn'5"i lS 11 ìau razVtam nV óbàida
Npn;; "irn^N n'^ixa ma^rasi'to-ddcihra kìtqa^
VERBUM VERBO.
1 Oculi in Jlsttbus immersi et cor avolat meta.
2 Inìjuus-conlemplus-i'ester et corpuris-ehgans-injlexiofindit sacculum patientiae mìn'ilim.
5 O-cari-amici-mei f edocete-me de factQ-h.odit^Tno vero:
4 An-hoc-modo omnis amuns gui Teìiquit amicas infelix-est ?
5 Vequaquam. Fer iilam quae iam abtit , et per amofem qui remansit j
6 Et per volaptatent in decessa vcslro quae pura-fuit dia et molilo- fuil ;
METRI ARABI. 249
VERSIONE METRICA.
Gli occhi ho in pianto , e tal mi fiacca
Duol che r alma si clilacca :
Pur tal grazia è in tua burbanza ,
Che (la teina il cor si stacca.
Dite , amici , o voi che avete
Sapienza e senno a macca :
Chi è Ionia n da un caro oggetto
In tai pene aggronda e sniacca ?
No. Pel viver mio eh' è ito ,
Per 1' amor eh' è avvinto a stacca ;
Per que' puri e dolci istanti
Che ra' ofiFria la tua trabacca ;
Per quel zeffiro soave
Che aleggiava in quella lacca
E i tuoi cari a me recava
Vigliettini in minio e lacca ;
Per quei spruzzi e mazzettini
Ver me spinti a tacca a tacca ;
Per que' labbri ove nel riso
Trionfante Amor zambracca ;
Deh se aggradi il mio servaggio ,
Libertà mi aggrada un' acca.
7 Bt per zephyrum ( qui ) d-r amoena-sedc-vestra afferehat melancholiam ;
8 Et codicillum cum epìstolìs amoris quae super desideruniem iaciebaniur ;
9 Et per ramidos delicatos { qui ) cum aguis doUi a vohis aspergebantur ;
10 Et per vultus (qui) tese expìicuerunl belle et rephiit terram amore flagmn fi:
li Si gratum habueris me prò senulo j non gratum-habcbohberlatemunquam.
HuMBEHT. XXXni.
Tom. III. 33
20U D i; H I T I S
'J-INn QIJO N'7J'7N1
Nia;? riinpSx N*i2"in 2
N'nnj") NiSN' N")")*! np
Nl'^Np yj'?^ n'^XD jx 3
iv;^3"ì3-)tj'x hiìhìi »SìN x» 4
»s*nn3 Vxp ND NìDinNi
xn'S '7N*"ì;;':'N' x^-n 5
f^erslonè del signor de Sacy.
Quelques gens se sont portés à de vìolences , et ils ont élé la
cause de bien de maux.
Ils ont prohibé le cafè (218) avec opinidtretè, et ont allégué ,
pour soutenir leur opinlnon , le mensunge et la calomnie.
Si vous leur demandez da citer le texte sur le quel ils se
fondent , ils vous disent qu' Ebn-Abd-alhal'k Va aitisi decide.
O gens de bon sens, boiivez-en sans scrupule ; ne vous mettez
pas en peine des mensongps qu! ils dehìtent.
Lessez ceux qui en censurent l'usage , boire de l' eau tout à
leur aise.
Ciirest. arab. p. 2o3.
(218) Sa le vicende appo gli oiien- che Fausto Nairo allribuisce 1' in-
lali lelativamenle alla bevauda del tioduziore dell' uso del caffè a due
caffè annoverala da non pochi fra le monaci cristiani. Primos ii^iUir Jiuiim
inebbrianli, e perciò proibita dal Co- potionis i mentore s. .. fei uni exlilkse
rano j veggansi le memorie raccolte monachos C/irislianos , ut ipsiinet
dal DE S\cY , l. e. Qui giovi notare Turcae faleri ut plurimum assolent.
METRI ARABI. 25l
1 inna ayvà'ma'n taciddiC
va-lhalao mmhoni iaattcC.
2 haramiC-lqahvalo ùmadcin
qad ravii' cifkd! vahalitan
3 in saalla-ìinuzza qcChC
ibno àbdi-'Jaqqi afuC
4 jet) avla'-lfazU-sc-buu'na'
va'lroku' ma cicalo bahta''
5 vadiìi - l.ida'la JP/ia
jasc robii' na- Ima' i liaita'
VERSIONE metrica!
Quanti spargono clamori
Del caffè i persecutori !
Son calunnie , son perfidie
Di ribaldi mentitori.,.
Che? Poteanc far divieto
Ibno Abda-lhaqq? - GÌ' impostori !
Voi cioncatene a gran tazze ,
E a la barba dei censori.
Gracchin pure : e a lor beli' agio
Sien dell' acqua ci bevitori.
in quorum gratiam animicpie ohse- Aidrus ( "ìTn haVdai ) quia /laec .iu-
quium prò illis fundunt preces , ac pradicloruin monachnruìn fuisse no-
pixiesertini Turcae illi qui suul huius mina asseriint. De s(ihi'>r. potione
potionis ministralores e l distri bulors'): ca/ive seu caje nuncttpata discnnus,
proprias enim Iti ac quotidinnus ha- lìumae i66i , p. 8.
Lent preces prò Sciadli ( ♦'^IJ^iJ' ) et
*
^^-^
2DB DE K I T 1 S
In questo secoiulo esempio degli ottonari trocaici
arabi V ultima parola del primo emistichio del secondo
verso di àmadà'ii dovrebb' essere contratta in àmda'n
per ottenersi il metro secondo le formolo che i dottri-
nali ci danno del carme breve, ovvero considerare l' lU-
tima sillaba di qahvato come evanescente. Ma in quest'ul-
timo caso r aruza non sarebbe più nuda come in tutti
gli altri eniistichii , ma hadfata , cioè tronca (219).
Il metro trocaico è metro da ballo per tutto il ge-
nere umano. Le fanciulle ebree plaudivano con esso al
trioufo di David , e con esso esprimevano i Romani le
loro acclamazioni e i loro motteggi ai loro imperadori.
Le nozioni ne son trite e non dobbiamo occuparcene (2ao).
(iig) La catalessi del mciro tiocai- diremo del Salinas che sotto le stesse
co per lo più è tronca ne'versi de'Gie- noie pone questi versi bergamaschi:
ci e de'Romani. E scolpilamente que-
sto metro appunto dimostra che nel- Beriolina BertUina
1 idioma latino spccialniculc il quale 'tu m infraschi trop el vis, ec.
non avea che ne" soli monosillabi 1' ac-
cento alla fine delle parole , molli e questi amichi tribrachi
sdruccioli non possono altrimenti con-
éiderarsi se non come tronchi : Firit alni avip'.dis animula Upons ?
Cai sar ecce nunc triumpìiat (jao) Molte cose al proposito rac-
Qui subegit GaWàs: , colse il Salmasio ( l'n p'opiscum ,
Nicomede.i non tnur phal .Script. Hist. -,4ug. toni. II. pcig. 42S).
Qui .mbei^it Caesarém p^re però inconcepibile come qucU" e-
ruditissimo si esprimesse poi in questa
La nostra tarantella ne dà la di- sentenza : Hhylhmus solu/n tempus
mostra^ione. Y. la nota 71. Ma die metilur , alqiie alluni prò alio pedem
M H T H I ARABI. 200
IV.^ CIRCOLO IL MOLTI PLICE
Questo quarto circolo, che abbiam detto dovere
andar considerato come supplimentario de' precedenti ,
contiene varietà piuttosto che differenze de' versi esa-
minati sinora.
Delle sei specie di carmi che gli arabi maestri gli
attribuiscono, i tre primi soltanto si hanno nell' intero
periodo senario, gli altri tre son sempre giazati.
E dei tre primi, il veloce può dirsi complemento
de' metri iauibici del secondo circolo ; l' emesso e il
lieve , complemento de' metri peonici del primo, se non
<:he 1' e/nesso corre col movimento dattilico , il lieve
coU'anapestico.
I tre ultimi portano con se e nella denominazione
loro la propria caratteristica: i.° simile alla cantilena;
2." conciso dall' emesso ; 3.° evulso dal lieve.
facile aJmitlit , ^lodo eiusdeni sii Ei vorrebbe che pronunziar si dovesse:
lemporis : quod metmìuni ratio non
recipit, (]uae nec spondaeani quidem Md' Sarmtitas, mille Francos, etc.
atit daclylum prò altero usurpai , li-
cei temporum spalio aequales sint.'E Ma il rilmo none cangialo se i tetra -
lanlo maggiormente perchè trova poi sillabi trocaici di piani divengono
non regolari, ritmicamente, questi sdruccioli, rome in tutte le catalessi:
versi : e i tetrasillabi trocaici son sempre
coli, precisamente come l'arena slc-
Mille Sarmatas , mille Francai, 6*ti> secondo il conceUo arabo... e
Uìllc Persas quatrwm<. il concello di lutto il mondo musicale.
304
DE E. I T I S
CARME VELOCE
Gli si dà questo nome pel suo rapido andamen-
to (221); che in falli è iambico (222), e sarebbe im pret-
to iambo scazonle se corresse nella sua formola intera
di mostafhìlon inostafliUon mofhiClcC to. Ma perchè non
v'ha verso arabo che terminar possa con una sillaba
lireve , non v' ha mai verso veloce intero.
Quindi lo schema :
rORWOLA.
mos
taf
hilòn
raos
taf
hilòn
fa'hìflon
TAIATO-KASFATA.
INTERA.
-
w _
-
-
„ _ •
- ^ -
CHABNATA.
-
-
TAIATA.
■-/
CHABLATA.
-
"
-
^
T. VAQPATA.
*
CH.KASFAT4.
- -
T.Z OLMATA.
Ha due periodi, il senario e il ternario: nel qua-
dernario e binario si confonderebbe colla salirà.
Nel periodo senario due sono le aruze , la taiato-
(221) Carminis genus \^^'^'[^'^\e- bocrelico al carme veloce. Cosi viene
lox, quod super linguani celeritate a considerarlo nella sola sua forma
quadain flait sic dictum. Clerico. taiato-kasfala .
(222) 11 Jones dà il nome di iam-
>1 E T n I ARABI. i55
kasfatii 0 la chablato-kaslata (223); colla prima le zarbe
sono tre: i.* simile all'aruza: 2.° taiato-vaqfata j 3.* ta-
iato-zalmata. Zihafc ne sono la cliabua, la taia, la cha-
bla. Queste due ullimc si uniscono colla seconda aruza.
Nel periodo ternario gli emistichi divengono versi
interi , e le èlle sono le stesse.
Nei carme celere le aruze diconsi "^ìilS {fozu'lon )
dlsUnzionl : le zarbe PK'XJ {gàjaion ) estremità.
(aaS) Questi versi si risolvono in
una scgucnza di quinari, ed in ogni
cmisticliio il primo piano o tronco, il
secondo sdrucciolo o bisdrucciolo. Ne'
versi clic diamo ad esempio nella
seguente pagina trovasi nel testo ara-
bo quest'alternativa, la cui versione
metrica esattissima sarebbe stata : Pian-
te età liete aurette careggiano . . . ytl-
ire dei turbi ira i /ìschi sorgono ; ce.
Ma se il primo quinario ò costan-
temente tronco, que' versi n'emergono
de' quali abbiam dato un esempio alla
pag. 191.
Gli esempi delle altre forme son
queste :
PERIODO SENARIO.
PkiMA ARVZA, ZASBA TAtA.TO-V.\QFATA.
«nSno 'T vh 'So i«ot«
pK^y •svhy C3s;y '3 pixi'?»
Zabba TAIATO-SAIMATA.
Njo'7s '7'pb ixpn 13^1 nSstp
•i'.xoD» nJSax nps «Sno
Seconda ariza, z.ir£a ciiablaio aspata.
Zarba simile.
oSl'n «0 Tlrca n'^p np
PERIODO TERNARIO.
ARUZA VAQf ATA.
S.xi3k'73 nnsaxn '3 pi:-
JLKUZA KASFATA.
-'rny K"7p« 'Sm on«v k<
256 D E n I T I s
ZARBA CHABNATO-KASFATA.
nolano nm-\ -ìSnì 2
niDNa nnSN xnyjn'
NoriTiSD fisn ip iSkì 3
m5x nVì N'n nS oh
onnr'O dxj'^j* 's nyniK 4
ninxB nùìtTDO onS^inK
nviJpo nN'jT inN'ia 5
nnDXS max nyan»
mìDno HN'n jo inNìi 6
j;'i« Nonj'3 |o nnNìi 7
n-i3K nSì Njn nS d'*?
VERBUM VERBO.
Aliquis 2^uer vita huius mundi ei abundans :
Non est ei post liane vita futura.
Et altei- , vita mundi ei est misera ,
Quam consequitur altera sat prospera.
Et alter ita perdidit utramque ,
Ut non sii ei haec vita neque altera,
Quatuor ergo distinxi in honiinihus
Conditiones apertas evidentes.
Unus , cuiuc vita hic est misera ,
Quem altera consequitur cuni gloria.
Et alter ei mundus est laudabilis ,
Dehinc non est ei alter conunendahilis.
Et alias est qui perdidit utramque :
Non habet neque terram neque caelum.
Di Ai.i BEN Aenì Xaxsb.
METRI ARABI.
1 RohhafatcCn donjàho màoqiì' raion
lajsa la/io min bàdiha'-c/nraton
a uaacharo donja'ho lìiadmii^ rnahon
jaibaóìid'-lchiraton fti'cliiratoìi
3 uaacharo qad ka'na kilatajhiina'
ajsa laho donja" vabd'-chiraton
4 arbaàton JV-nua'si majjaziohoin
achvd'lahom makscid' f aliai l id'hiratoii
b /avd'chidon donjalio maqbiCzaton
ianbaòho ùcldraion fa'chiraton
6 uavd'chido?i man donja'ho malu'daton
lajso laho min nàdihd' àchiraton
7 uavakidon man bajnahoma' za''ión
laiso laho dajnd' iialcC a'chiraton
VERSIONE METRICA.
Piante cui l' aure gaie letificano
Fiori han talor che non prolificano.
Altre al fischiar dei turbi abbarbicano ,
Germinan su balde e fruttificano.
Ed altre inerti in lor s' intorpidano
Melma natia vieppiù e vilificano.
Quindi ben quattro i saggi annoverano ,
Quattro nell' uoin sorti classificano.
Altri che in lai quaggiù si abbindolano;
Ampie poi là gioie magnificano.
Altri cui qua lict' ore prosperano ;
Poi 1' ime bolge angou , mortificano.
Ed altri alfin che s' identificano :
Di qua di là non diversificano.
Thni. ///. 33
207
258
D K R 1 T 1 S
CARME EMESSO
n "1 D 3 a *? X-
Del carme emesso è questo lo schema ;
rORMOLA.
iiios taf hilòii
mof hii' la'tò
mos tafliTlun
INTERA.
CHABNAT.
TAIATA.
CHABLAT.
-
-
^
-
7 TAIATA.
_ -
7. Ci \TAT a.
'■•■y-
1
« Questo carme emesso, diceva il Giiadagnoli, al-
cuni non attribuiscono a veruno de' cinque circoli, come
quello che appartener possa a tutti; e perciò nel Qa-
mus non gli si assegna particolar misura, sol dicendo-
visi , /' emesso è una specie di verso JO DJ.!1 niDiO*?}*
piyVx. E la stessa denominazione di emesso , mDJO^N ,
dinota potersi emettere come si voglia, quantunque
possa prendersi in altro significato , quasi equivoco di
denominazione, essendo un carme che costa di generi
diversi, come gl'Italiani ammettono ne' loro madrigali
versi di sette , di undici , e di dodici siilaLe w. E in
jr E T R I \ n A E r. 209
appoggio tli questa sua opinione trascrive alcuni versi
del Corano (224).
Il Clerico deriva la parola mD3D7X dal verbo fTìDJX
( ensaralia ) dinotante uscire spcciahneute dalla veste,
svestirsi, perchè avendo la zarba taiala o almeno ca-
tcita, esca sempre dalla misura del suo cerchio e quasi
se ne spogli. Crede per altro potersi dire anche facile,
per la faclllà e leggerezza del suo andamento. 11 Jones
iinalmenle il denomina /nobile.
Ed olire alle cpiislioni del nome , due diverse for-
inole assegnano alcuni al carme emesso : la prima è
mòstrd'htlòu mofhù'lù'to mòstrifhtlòn ;
la seconda
faliTlà'l^n mustrifhTlòn fa'hilà'tò.
Dalla prima formola si avrebbero versi di questa foggia :
Al risonar foUeggiante de' crotali,
Ve carolar baldanzose le menadi ;
E dalla seconda :
Vedi come i lor crotali percotendo
Dauzan là quelle menadi baldanzose.
Ma questa seconda formola è, come sarem per ve-
dere , quella del carme lieve.
(2J4) 'in «TX a:j'j«1 va-nnag-mi ida' hava'
"lì «DI Q33nSX S5 «0 ""*' -"^'^ za'hibakam vama' gàia'
,^— l^^ .« noy «01 vama' ianliqo àni-'lhava'
,,p, ,p, jjijj^ ^pi .j{ in hova illa' vahion iahva'
,._Lj. TTW noSy àllamaho •■iciadi'dO''ìqova'
•ir\D«i3 mn n du'mùratm fa-stava-
Verbum verbo. Perslellam quando ceciderit. Et quidem non est nisi inspimtio.
lion errai doctor vester neque dectptt. Docuit eum fortis robore.
r.l non loquitur ad loluntalem. Sapiens et didici!. - Sura de stella.
aGo DE R I T I S
Ha due periodi , dicono i dottrinali : nel senario
Taruza è sempre sana, la zarba taiata e alle volle qa-
tata. E uel periodo binario , nel quale l' aruza colla zar-
ba si confonde, il verso è vaqfato o kasfato. Sono zi-
hafe per le due prime formole la cliabna , la taia , la
cliabla : pel secondo vioslafhiìon le due prime soltanto.
E il Jones, definito al suo modo questo genere di
versi per trocheo-iambico , il riferisce poi a quello che
i greci dissero asìiiarteto perchè composto di cpi triti
quarti fra due cpitriti terzi, che poi va trasformando
in coriambi, diiambi , ditrochei, antispasti peonici e
molossi (2 25). Tantae molis erat il definire a legge di
prosodia araba o greca un endecasillabo , sia sdruc-
ciolo , sia piano ( forma qatata ) che abbia 1' accento
alla quarta e alla scttiina : un endecasillabo cioè di
jiosizione dattilica, preudendo nella ragione dei piedi
\wi- posizione quell'ampio significato che gli antichi
gramatici loro attribuivano (226).
Il carme emesso degli arabi corrisponde come due
gocce d' acqua a quelle canzoni da ballo delle quali
trascrivemmo già remotissimi esempi :
Ev ^.vgrov y.y.cùìi <ro '£,i^og (popr,cr(ci, x.. t. X. (227)',
e le quali son comunissime nelle ballate ( ez^opx,"'''!^'^'^^ )
de' no. tri popolani (228).
(225) Decima species est ea qaum nostra osservazione generale su le zi-
Craeci agiMxprrirav a/jpel/ant ; com- hafe pag. 49.
pìectitttr enirn epìtritos quarlos inter (226) V. la nota 18.
teitios , qui pedes natura sunt disse- (227) Pag. 101 e scgg.
ciabiles, eie. eie. pag. 5o a 52. V. la (228) Prenderemo ad esempio il
M E T R I A R A B I. iìfi l
Pure un tal metro è di tanta rarità appo gli arabi,
che un diligentissinio arabista denomina ^///js/o quello
de' versi che qui diam per esempio (229).
XLT sonetto dcUa prima curda della
Tiorba a taccone.
lette co Muchio a cantare na sera
Duvl' de casa Ceccuzza mia sta:
Quauno arrivate pò subbeto Uà
ricemo pricsto na ntantarantera.
Cecca s* aflàccia a bedè de corsera :
Comm'a li grille ce vedde sauté.
£:ssa na bella resala se fa
Tutta contenta e preìata de cera.
Canta, io dìcìette, ca Cecca mia bella
Stace allacciata me , vldela tì ,
Cana j cornuta ^ canazza, canella.
Muchio aprie canna , e dicette accessi :
Tubba catubba la tubba tubbella,
Tubbu tubbelia e Io ckicbirìcbì.
(229) » Ces vers, dice il dotto edi-
>* tore , soDt, je crois , sur un mètre
)) flctif } qu*on pourrait ijgurer ainsi
)> possiblc aiissi que le texte soìt un
» peu altere, u
A giustificazione di quanto qui si
ilice avvertiremo che i dottrioali non
assegnano al carme emesso l' aniza
taiata , la qual corre in questi versi
meno che nel primo emistichio dove,
proponendosi la rima , il verso esser
dee bifore; e che anche la zaròa qa-
tala i dottrinali dicono rara , aliquoties.
Si noti nell' ultimo cnnislithio della
composizione Fuso profano che fa il
poeta della solenne profession di fede
musulmana: hVVnnSxnSiS irWH
(25o) PERIODO SENAHIO
ZARBA TAIATA.
n3ii''7K mxo '3 't?r -rSS"?
ZARBA QATATA.
PERIODO BINARIO ( nahkato )
EARBA TAQPATA
ZARBA KASFATA
Quest'ultimo esempio è quello stesso
che vedesi già dato per la satira ,
pag. a33.
g6'3 D E E. I T I S
ARUZA TAIATA , ZARBA QATATA.
rhha iis'nn KiSj^ps xni i
HN'iDi njx^ nSx nj
n3DS^<p hn'VdSn* i'^o Nirr 2
nx'N^T x'n^jfx nn'^ii
nnnD rnrtti» np'i 'a 5
nnjji pia pn^N* ana np 5
VERBUM VERBO.
yipparuit et dixerunt : Z<audetur Deus !
Alagnificetur qui elaboravit eurn et apprìme-finxit euinl
Hic est rex formosonim , nullo excepto ,
Et universi facti sunt subditi ei.
In saliva eius mei liquidum
Et soliduerunt margaritae in dentihus eius.
Perfectus est , per pulcliritudinem suam unicus ;
Totus orbis (in) pulcritudine eius obstupescit.
Dudwn scripsit forma super gena eius :
Testar non est /brmosus praeter illuni.
Notte 74 e 275. HuMB. XXXV.
I vari esempi che danno del carme emesso i dot-
trinali tanto nel periodo senario che nel binario sono
nella precedente pagina (aSo): e di quest'ultimo altro dir
METRI ARABI. 263
1 BadcC faqcCliC taba'rah'' allcCo
giadcla cCddi'' zcCgàliò vasavvcCo
2 liadxC mali'ho- ImilcC Ili qcCtihaton
va kollo/iam azba/iu' rm'CjcCo
3 JV riqìhi scìahdalòti modavvàhaion
vcC iiàqada- ddorro fi' thancUja'o
4 mokammaVon ho-glamcCli moufhridon
kollo- Ivarai fi giatncCto icChcCo
5 qad kataha-lliosan fiCqo va^nàtilii
cmd'hado in IcC mairiia ila' hao
VERSIONE METRICA.
Si mostra e sclamano tutti al vederla :
Dio sia laudato che si ben modella !
Lei qual regina le belle salutano
E la più altera a lei rendesi ancella.
Del labbro i doni son favi dolcissimi ,
E in ogni dente addensossi una perla
E in leggiadria perfettissima ed unica ;
Stupisce ognuno e uou ha più favella.
La beltà stessa le ha scritto a la guancia :
)) Io son la bella e sol' io mi son bella.
non dobbiamo se non che versi di tal fatta si risolvono
o in ottonarli iambici ( forma vaqfala ) o in seltenarii
( forma kasfata ).
264
DB R I T I S
carhie lieve
Il movimento di questi versi è l'anapestico; donde
il nome di leggiero (25 1). Procede per trimetri e dime-
tri , o secondo il dire degli Arabi , pel periodo sena-
rio e quadernario. Nel primo , due sono le aruze in-
tera o hadfata: né altri accidenti hcjnno le zarbe , se
non che la zarba hadfata si unisce talora coU'aruza in-
tera. Son zihafe la chabua, la kaffa , la sciakla. Quindi
lo schema :
POR MOLA.
fa' liTlà ton
mos taf ht lon
fa' hr la' ton
INTERA.
^ -
-
-
_ ^
-
-
- _ -
CHABNATA.
-
-
-
KAFPATA.
-
-
SCIACLATA.
"
-
-
-
HADFATA.
- „ -
lI'VDF. CHAB.
Abbiam veduto 1' anapestico trimetro catalettico
crescere di una sillaba dopo il primo piede nel Carme
(a3j) La ragione che ne assegna il Non v' ha formola di stile lettere la
Clerico è assai lepida; In quoìibet qual non abbia due corde e un sol pa-
pede paxiilus inter duas c/iordas clou- lo. - Il Jones poi denomina questo ine-
tfilur, chorda atttem paxillo ierior. - irò iamòo trocaico.
IM K T R I A R A n r. ' gG^
DISTKSO: qui l'aumento si ha dopo il secondo. La sciakla
ristal)ilisce gli anapesti nella loro purità.
Nella forma intera , ogni emisticliio del carme
lieve degli arabi si risolve in un settenario anapestico
tronco e in un scnario bacchiaco. Non ne mancano
esempi spiccantissimi nelle lingue romane (-232) ; e l' Ita-
lia probabilissimamente gli avrebbe ancora se la per-
l'czionc data ai metri iambici non ne avesse dapprima
dismesso l' uso, e poi fatto credei-e ai trascrittori che
tutti i versi col movimento anapeslico fossero irrego-
lari. Dal che il loro afl'acendarsi a cancellarne quasi
le tracce (-253).
Nella forma hadfata abbiamo il nostro decasillabo
sdrucciolo (234) : e nell' hadfato cliabnata , novenari
bisdruccioli (255).
(232) Sirventet vuelfi far | en est «rt que piler! ) ai codici vaticani ! !.. - Ve-
m agensa , sligi dell' anapeslico trimclio calaKl-
ìlo'l vuelli plus forzar \ ni far long tico abbiamo uellc canzoni de' noslri
alendensa duccnlisti ;
E sai f ses duptar, \ qii*en auraì mal- De la mia disianza
volensa f Ciie ho pena ad avire. L'iaip. rEDr.Rico
Car fauc sirventes \ dehfals d'enjan Lo fin pregio avanzato
pìes , PC. Ch'il mio cor sarrea. GtriDO GviNicEt.:i
G KRXosDE , DAWE DE MoNTPELLiEit. Ma comc sono ulie stampe ?
(:!.33) il doloroso il dovere annovc- {'2,) O cjual fiera con IVcmitl orribili
rar tra questi, anche il reverendo Sai- Scatenossì tempesta fierissiuia. Kedi.
villi e il reverendo Biscioni. Per ri- Sono i mctii dcgl' inni al Sole ed a
stabilire nella loro purità gli an^ipesli Nemesi.
della canzone di Onesto Bolognese , (235) Vedine gli esempi alla nota
dovè ricorrere il buon Perticali ( Iiip- aS?.
Tom. III. 34
266 DE R 1 T I S
ARUZA E ZARBA INTERE.
ìiiyD'D ND'a IN31 1-10;^ t)'D 2
PSjSn n'V;? moÌN no io
ma nnn p pV'?x ivSn* 5
juaSx ira D'Dn j}<n jo
N1NJ p:i?Ni\:'7K npì3 rnpiJ* 4
DotrSx ina nn'?SD no Nixa 5
panon pn D*7a n'V
3-i^S nxi'nJN p »VNn\xo 6
pò» DN nn riDD Snoìtn
Sjra'O'^N D3pVND IX^'DnSn TOnO» 7
P';^Sn n'3 ipnon xa
VERBUJM VERBO.
Possidet Sar/isama/n Zobeidae , solus ex omnibus ho-
ininihus , Musa viinister Dei.
JEnsis Amri utique fuit , prout audivimus , optimus
eonwi siqjer qiios, immissae sunt vaginae.
Piridis est colore : inter anihas acies eius strìae ex
caligine : jactante se injìectit super iis jnors.
Accendennit super hoc fulmina igiiem: posfea miscue-
runt in ilio praestantissimum venenum fabri-f errarli.
Igitur quando evaginas illuni , tum is sol ( est ) per
splendorem , nec potes iniueri.
Non curai , qui stringit euni ad feriendum utrum
laeva-manus irruat cum eo, an dextera.
Ad-volatuìn-commovet oculos sicut torris ardens, su-
per quo non possunt-cnjnm orari lumina.
METRI ARABI. 267
1 liaza zcmizà' ìuata-lzobdklP min
bajna giorni- lena' mi miC scù-lemino
2 saifo cunrCn uahcCna fìmcC samincC
chaìro mcC ógmidat àlajlia- Igioùy no
5 achzaro-lìavni baìna liaddajld bordon
min dalcCgiii tami'so Ji''hi-lmany''no
4 avqadat fav^qaho-zzavcCìqo ncCrcCn
lemma scialbai bild- zzoufa-ìqoiy' no
5 faida' nuC salaltaho fahova- ssciam-
so zija'infalam tahun tastabVno
6 maioba'W mani-nlaza'ho lizarbin
ascimaUon salat bihi ani J ami'' no
7 iastali'' ro-labascC ra k a- Iq abasi- Imo sc-
ali ma' tasLaqirro Ji'ld-lóiy'no
VERSIONE METRICA.
Di Zobai la samsaua ov' è ? - Della Fede
Il campione se 1' ha : n' è Musa 1' erede.
Fu già d'Amro quel brando , e in fama su quanti
Mai si traggan dal fodero ei precede.
Verde splende : nereggiano fra i due tagli
Le sue strie: baldanzosa morte là siede.
Foal rovente del fulinin la fiamma , e tempra
Di veleno in un lago il fabbro gli diede.
Quindi al sol pari sfolgora sguainalo,
Cui Usando uman guardo infermo recedo.
Sempre, impugnilo pur la destra o la manca.
Nel vigor suo terribile impiaga e fiede.
E ruotando, occhi:) rapido scorridore
Nel raggiugne : è uu ruotar di vivide tede.
^68 DE R I T I S
nNj'rx -imj'?Ni ijidSn jkdi 8 "
{£Jsl) utique acies et nilor Jlueas in uinhohus laterihus,
sicut aqua limpida.
l^uge , est instru/iientum-formidatuni possessori irae:
III pugna egregie-sese-a/fert ciim eo : eiige , est coin-
Tuiiito.
Hdhbert. XXVII {10&).
ARUZA E ZARBA HADFATE.
nwoN' Vrj p' 0*7 "id'^n nSn 1
n"iNn3Nì3 2J;?SNn 2J;'N"i 2
nT3-in ND np5 nj;iì3 3
nJD 'iin'i NQV in-^'D
V E R B U M VERBO.
0///J t^/'/' non est contentus eo qiiod potest ,
Et 71011 operatur quod est optimum,
Et delectatur sequi extravaganlia ,
Et ohstinatus maluni censet honum ,
Recede ab eo : malum iam carpii iter.
Ipse dieni ridebit-, tiini lacrimahitur aevum.
Di Abì ben Abi Talee.
I
(236) Non so perchè il eh. editore La parola tN'a'Dif ° nONi'Olf *'*
rigetta il primo verso perchè mera- gnifica una spada affilata e che non
mente istorico. Pare pertanto che quei si piega. )) Era il nome particolare
ricordi storici appunto dien moviraen- )i della spada di Amro ben Màad ,
to ed anima all' intera composizione. )i che giunse per successione tra le
M E T 11 I A U A B I. SsGg
8 ua kaanna- l/lranda iia- lgiavhara-''lgià'-
rija JC zafhatajhi mcCon mai' no
9 ni-Tìia ììiichraqo di' - lìiafi tati- Ihaj-
gia'i jogzV bi/ii uaniina-lqarVno
E sol vide rilucer di liinpid' onda
Chi alternar di sua lama il balen vede
Su via: franco l'impugna : un prò battagliero
Ne' tuoi giorni dell' ira compagno accede
1 ada-lmarìio lam jarza mcC hainlanao
vaiavi jiCli min aniri/ii liazjanao
2 vaùgiaba hi-làgiahifa'ajja'dao
vaia /ut hihi- Iti' ha fa^ sialisanao
3 f adulto faqad scCa tadòV roo
sajazhoho iavman vajahkV sinaton
VERSIONE METRICA (*).
Tu da quei che al dovere non si arginano,
Che del giusto alla legge ricalcitrano.
Che in follie vaneggianti dimargiuano,
E ostinati nel pessimo incalcitrano,
Ti allontana: in vie tristi essi scalpitano.
Un di han riso , e per secoli palpitano.
>i mani del califa Harm Al-Rascid , sto poemetto che la Samsama era gii
" e torse quella stessa che fu com- celebre per Zobaido , probabilmente
» prata a sì caro prezzo dal calila uno degli antenati di Amro.
)i Motavakkel ». Cosi Herbelot alla Tace Herbelot sul possesso eh' eb-
parola Samaam. Or vcggiamo in que- be di questa spada Musa ben Giafar
(•) Questi versi non corrono precisamente n' è altra che più da ricino Ti si accosti.
per la forinola del carme lieve: ma non ve
270 DE n I T I s
Nel periodo quadernario , il carme leggiero si ri-
solve in due settenari sdruccioli, ma coli' accento alla
terza , cioè in settenari anapestici : e se la zarba è
qazrata , il secondo settenario è piano. Gli esempi del
periodo quadernario , e delle zarbe hadfata e hadfata
chabnata coli' aruza intera nel periodo senario sono in
pie di pagina (aSy).
Sadik j dal quale, e non già per sue- XI^ISH P^"" forgiare i due emiitichi.
cessione , passò ad Al-Rascid , dopo E per viemaggiormcnte conoscere co-
aver fallo avvelenar quell'emiro. me lutlo il sistema dottrinale dell*
Musa è il VII de' dodici Imani ve- araba prosodia sia di mero artifizio ,
iierali dagli Sciiti , e mori d' anni 55, si ascoltino le gare che in occasione
il i83 dell' Egira. - 11 poenaa è di di questa seconda forma del carme
Abn AsD-ELnAiiMAN Elattum Elkuffi. leggiero giazato insorsero. Adotteremo
le parole del Clerico. De hac Darba
(237) PERIODO SENARIO. jt^^^jfj non coiivenil Prosodiae Magi-
stris ; aliis , iiiter quos Zamuchsha-
rius , ex integro p ^3n DD P^''
chabnam et harsam ; aliis , iisque
recentioribus , ex pUflnDQ P^^ ^'^~
t'ham et chabnam deduce ntihus, iitrìs-
qiie Alchalilum in partes siias ira-
hentibus : alii interim , hosce ulros-
que hallucinari rati , per chabnam
et rasfam ex J*^ ViH D53 are-essere
malunl , reiecta se. lilesa V ex pa-
xillo disiuncto U^H 7-'^'" casfam , et
secuiida quiescente Q per chabnam
elisa : hoc pacto restabil J*75]1ID {"lo-
«nox '3 no;> ax nriKlRO '"\PB n^'? ti^on ) , ve/ , quodidem valet plj^fl-
Settenari anapestici sono assai radi
Zarba qazrata. ira noi, ma frequentissimi in Francia;
Qui regna sur la France
In quest' ultimo verso la paiola Et par droit de conquéle
NlilSn ^^ divisa -, com' è chiaro , in Et par droit di natssance.
PERIODO SENARIO.
Zarba hadfata.
^arba hadfato-chabnata.
PERIODO QUADERNARIO.
Zarba intera.
METRI ARABI.
271
CARME SIMILE
Ha questo nome, dicono alcuni, perchè simile alla
cantilena, nella sua forma quadernaria, nell' aver pali
che precedono le corde, e nella facoltà di ammettere
la charma , la charaba, la sciatra ; altri perchè simile
alla saura nelle sue zihafe ; altri perchè simile all' e-
niesso ed al lie(,'e nell' avere nel secondo piede il palo
disgiunto (258). Ma diilerisce essenzialmente dalla can-
tilena e dal carme emesso, perchè in quella 1' accento è
alla sesta , uell' altro alla quarta , e in questo sempre
alla quinta; e diflFerisce dalla satira e dal carme emesso
anche per la condizione notabilissima della catalessi , in
quelli sempre sdrucciola , in questo sempre piana. Sue
zihafe e sono la qabda e la qaffa; e il primo palo può
esser modificato per la charaba e per la sciatra. Eccone
lo schema
FORMOLA.
SANA.
Q AB DATA.
QAFFATA.
CHARABATA
SCIATRATA.
mòfà
hi'lon
ffi hi la' lon
-
-
- " - -
Pui' ve n'ha esempi nel duccnto, come (^38) Cosi il Clerico. Al Jones è
iiellacanzoncdiRi.sicciODA.FiORE>ZA. piaciuto definire questo metro per an-
Ciascun eh' ama s' allegri tispastico , scambiando la formola pri-
E si fermi in softrire , miliva colla qaffata.
Che secondo il languire
Amor dosa allegrezza.
272 D E R I T I S
Le nioclificazioui di questo canne per la eharaba
come anche per la sciatra prendon ragione da quelle va-
riazioni che s* incontrano in tulli i metri iambici. Ne
H'S njNi ]ha6ii 'JdSd'N' i
nh njxi -^anhii 'jSa xm
^ 1ND Ss -jNan p n-)'i 2
V E R B U M V E R B O.
N'unì opprimet me tempjis , et tu in eo !
JSum devorabunt me lupi , et tu leo !
Xrrigalur de valle tua (*) oinnis sitiens :
J^go vero siti-premor in vaWe ina., et tu pluvia copiosa,
Notìe 211. IIdmu. xxin.
Ed ecco come la prima tome del terzo emistichio
che in tutti gli altri corre per c|uadernari C[ui sf scorge
settenaria. E quel che qui avviene nel carme esube-
rante, rincontrasi anche di frcc[uente nel carme perfet-
to. E dall'uno e dall'altro, per la grande libertà che ai
carmi del secondo circolo si accorda, può dirsi adun-
que il nome di questo genere di versi derivante. E que-
sta, sola , a quel che pare , è quella siìiiigliauza di che
andavamo in traccia.
C) " ÌXtjri "^^ 'J3h 1"^l'iB1"'^ 1"°S0 " ^' Htiriri , tori!. I,pag.U'y, posson
)i chiuso , risbalo dal proprielario per » vedersi altre particolarità su questa
)> sé ; il che si è espresso nella vcrsio- » voce ». Nota del signor Huniberl.
» ne Ialina colla parola valla. ISel-
METRI A R A B T. Z'j5
abbiam tenuto già non breve discorso (209) : oltro qui
non rimane che farne veder quasi dall' origine la pro-
venienza. Leggansi questi versi.
1 ajaUinioni''-zzinià'no |] uaanta filli
najcC Loloni'-ddija' no j| aaanta ajlo
2 najorvà' min himcCka || kallo UCvìri
iiaàlascio fihiinà'la \\ uaanto gàjlo.
VERSIONE -METRICA.
Me opprimeranno rei tempi, e tu ci sci ?
Me sbraneranno que' lupi , e Icon ruggi?
Nella tua corte ognun ristori e bei :
Sei Sole : e accanto ad un Sol vuoi eh' io mi adiiggi?
L' alternarsi a volontà del poeta il settenario col-
r ottonario iambico è usitatissimo nei nostri trovatori
del ducento (240). Ma qui produrremo un esempio nel
quale quesl' alternazione è simmetrica : ed è V unico
esempio antico eh' io mi conosca nel quale la compo-
sizione trovisi quasi in tante strofe ripartito (341)'
{23g) Pag. 232 e seg. sione alfabetica.- Leggeranno questa li-
f J4o) In amoroso pensare tanìa gli amatori del pari della scienza
Ed in pran disianza dc'costumi dc'popoli e i litologi: i jui-
Per voi , bella, son miso , mi per legare T origine dell' islamismo
Si eh' eo non posso posare , ec. colle varie sette eresiarclie clie Incc-
KixiLDO d'Aquino rarono la Chiesa dopo il simbolo della
(241) Nella versione metrica si è seguilo lede proclamata cattolica in Nicea ,
il solo andamento sillabale e la dispo- e per vedere con ijuanto senno fu
sizionc delle rime ncU' ordine delle dall' Alighieri cacciato Maometto fra i
loro variazioni non gii nella progres- dismembrali e promotori di scandalo e
Tom. in. 55
'■^' l D E R I T I S
Xl^nSx i'O^tD N" ju scCmià-hldoà'i
NOdSn ;?DN-i N'1 naia ra'JacVssama'i
Np3':'« QN*n Nn ucda da'jima-Ubaqa'i
n:3>'^« ;rDNl N»1 uaia va' sia-' lata' i
D'II^Sk npxC^K »nS lidi-Hfa'qati-HàdVmi
"JVJ'^N CdW K» ya cClima-'lgòjim
nm^N ISNJ K'1 7/a/a gcejira-'ddhonu'bi
"IItSx nnXD NM «aia sa'lira-'lòìiCbi
_ yà-Ai 'rp)^'2 N»l naia ka'scifa-lkoru'bi
D'5dS>' pn-lD'^N i;^ àni-'hìiàrhagui-UkathVmi
DN'avSx p'_K3 N' jafa'jicjua-zzifaHi
nK3.''7K JTDO N'1 wa/a mòchrigia-nnaba^ti
T^;M^zh'S. i'r^iX'J K'I ;/a/« già' mi a- sscita' ti
rt^'OO^N' n>'ÌN*3 K'I z/a/a ba''ìla-lmaiiuiti
O'^lSs' aiD>\S*SiS' ì;? àni-ìòitaìui-rrami'mi
Ex Mss. R. Bibbi.. Bore.
V E R B U M VERBO.
O exawììior deprecai ionis O scrutator occuUorum O excellens glonaruin
Et 0 exaltator caelorum Et o dimissor peccatorum Et o productor plaiitarum
Et o pirennis existcntia Et o opertcr macularum Et o aggregator disiunc torum
Et 0 largus munificentia Et o levator moestitiarum Et v resuscitans fflorfuos
Honiini praedito indlg-;ntia. Ah ilio qucni perseqituniur. A maximoputrefactionts statu.
di scisma (*) : i secondi per veder cor- dell'alfabeto e nei maggior numero de'
rerc la rima araba per tutte le lettere suoi accidenti. Per qucst' ultimo ob-
(*) Se qui rammento queste parole dell'A- dalla sola parte della espression poetica vuol
li^hleri , non è già ch'io produr voglia una essere riguardata, ma come monumento pre-
opinion singolare, ma sibbenc quella del suo zìoso per la storia de' progressi dello spirit >
secolo del quale abbiamo in lui la rappresen- umano nella civile economia,
tanza. E il suo viaggio pei tre regni , non
METRI ARABI.
275
VERSIONE METRICA.
O esauditor de' lai ,
Che i cieli sublimi fai ,
Che in vita perenne stai ,
Che sopra d' un mcschin sai
Di grazie profonder fiumi.
Tu in ogni occulto mcrgi :
Tu le peccata dispergi :
Qualunque macchia detergi :
E balsamo a un cuore aspergi
Cui lungo dolor consumi.
Son glorie e onori in te giunti.
Tu fai che ogni pianta spunti.
Tu ricongiungi i disgiunti.
Risusciti tu i defunti
Dal putrc de' lor marciumi, ec.
biotto tu pubblicato dal Guadngnoli
iu line della sua gramatica , ma va-
riandone qualche strofe , come egli
stesso avverte, e sopprimcndoue tinti
i quinti versi, del che non fa cenno
alcuno. Il divano di Ali non fu pub-
blicato, dall'autor suo e delle sue poesie
si fece raccolta alcuni secoli dopo , e
perciò le copie non ne sono uniformi.
I quinti versi che ha il codice bor-
bonico forse mancavano nell' esempla-
re della Propnganda. - Ed anche altre
varietà vi s'incontrano. Il (piarlo ver-
so della strofe in jy, a eagion d'esem-
pio, dal Guadagnoli è cosi espresso:
uaia m(>n'ic:rì-'rnijijja'li
Et o disiunclor coniunctonim
276
DE R I T I S
CARME CONCISO
3 X n p 0 S X-
Il nostro Cortese ci dà versi della Rioncla , ossia
della Pvuota (242), di questa foggia:
Le flegliole che n' hann' ainmore
Songo nave senza la vela ,
So Uanterne senza cannela ,
Songo cuorpo senza lo core
Le fFegliole che n' hann' ammore.
Or fate tronchi questi versi , ed avrete il carme
conciso degli Arabi. Del quale è questo lo schema :
FORMOLA.
fa'
hi'
lato
nioftahrlon
INTERA.
QABNA.
TAIA.
Se ne dà doppia etimologia, 1. dal non avere l'in-
tera forma senaria , 2. dall'essere quasi una parte tron-
ca del carme emesso (245). Se non vogliamo riputar
questi versi come tronchi di quelli sopra trascritti j con-
siderar li dobbiamo come anapestici trimetri acataletti,
tronchi al secondo piede.
Gli esempi che sen producono sono in pie di pa-
gina (244).
(242) V. Li travagliuse amniure de
Ciullo e Perna , Lib. II.
(243) Clerico , pag. i3i. II Jones
dà a questo carme la denominazione
di coriamliico.
(244) Forma taiata in totti i jiedi.
Forma qabjiatA e taiata.
METRI ARABI. 277
CARME EVULSO
n n :i 0 *7 N
Come il carme conciso dicesi tronco dall' emesso,
cosi questo evulso dicesi svelto dal lieve. E il suo sche-
ma è questo :
FORMOLA.
mos
taf 111
lon
fa'
hrla' tùn
INTERA.
-
_ .,
-
-
^ _
CHABNATA.
"
Q AFFATA.
"
SCIAKLATA.
-
In questo metro sono le cantiche di S. France-
sco (245) e molte canzoni de'nostri e de' trovatori pro-
venzali (246).
Le aruze e le zarbc son sempre sane , come da'
seguenti esempi.
(245) In loco 1' amor m' lia mi- do denomina io/iico il carme evulso,
so , ec. Nel movimento ionico ben può risol-
(246) V. le pag. 187 e 224. Non versi il carme breve , ma 1' evulso
pare che bea s' apponga il Jones quan- non mai.
2-8 DE R I T I S
jiox nw Nnm * jìid dk-i'^n topoo i
ji'naSx Nn ;rxiDi * i^nan nnsi Nwn 5
jiiD noiSn njj * 'DIO hnp HH y^-i p 7
Natale solum est Seruge , in quo kuc et illuc erravi.
Regio in qua omnia reperiuntur et redundant.
Vada eius foiiles coelesles sunt, et campi iucunda prata ,
Aedificia et mansiones eius sunt stellae et zodiaci signa.
Amamus odoris eius auram et conspectum splendidum
Et flore s collium eiuf>, cum abierint nives.
Quicunq.hanc regionem pidet,ait:SQTuge paradisi terresfris locus est.
Di Hariri. — JoKEs , pag. 54i.
TJO n'pV NOO * h hp DNi'^N -IK'I^D K» i
Tip 'Oli -iDyi * S'il: '^h -loyi 3
V E R B U M VERBO.
O amicorum coetus, ecquid niihi est ab aegritudine refugium':
Splendor hinnuli illius lacte pieni cor mcum vulnerat:
Et nocUs spalium lungum reddit , somni vero breve.
Di Ebn Feras. - JoNis , pag. 2gg.
•)
METRI ARABI. 279
1 masqalo- rìxC si sanigion [| vahllicC konlo amiCgio
2 batadaton lu'giadofi' ha [| kallo sciajin vcdaru'gio
3 varadlia' salsabi'lon [[ vazaha' raj luC monCgin
4 vabanvoha' vainogànildm || iiogiu'mon vaborii'gw
5 habbonci' iiaflialo raj'ci' ha' j| vamara'ó ha'-baìiy''gio
6 vaaza'' hi' ro rlbcd [[ ha'hi'na tangicCbo-''ttolu''gio
7 ///a/z rrtV/ kcCcjdUo lìiansci' [| giimad-ddonja^ sani'gio
VERSIONE METRICA.
E patria mia la feconda [| Senige: da sponda a sponda
Le regioni ne ho corse: [| v' è tutto, e tutto vi abbonda.
V'ha prati e campi ubertosi, |] purissima e limpid' onda:
E ogni magione è im astro [| che nel zodiaco s' imbionda.
Godiaiiine 1' aura soave, |i la prospettiva gioconda ,
E i fior' cui lieti su i colli (| d' Aprile il raggio feconda.
Chi vide Seruge al certo || con Eden fia che il confonda,
1 jd màsciara'nnd'si lialli' H mimmo' laqajto magVroìi
2 azd'ba gòrrata cjalbi |] da' ka- làzcClo-ìgàzV ro
5 va cwiro lajli' tavVlon |j vaàinro navnii^ qazVron
VERSIONE METRICA.
Deh , amici , e cjual mi darete rimedio a fiero tormento ?
11 cor per quella leggiadra gazella squarciar mi sento,
Che fammi eterne le notti, del sonno l'ore un momento.
DE R I T I S
CIRCOLO V." IL CONVENIENTE.
npsnoVK m'NnSx
Contiene , come accennammo , le forme prime
elementari dell' araba poesia , il carme congiunto cioè
e il carme conseguente : quello in ima seguenza di ba-
chii, l'altro di eretici. Al-Chalil gli assegnava il solo
carme congiunto : Zamaksciar e gli altri maestri poste-
riori vi aggiunsero il conseguente.
Per la congruenza de' piedi tutti di cinque lette-
re , dice il Clerico , venne questo circolo cosi deno-
minato. Ma simile congruenza di piedi tutti di sette
lettere hanno anche i circoli secondo , terzo e quar-
to. - Par che la congrueuza bisogni ricercarla nella
eguaglianza delle corde co' pali , mentre in tutti gli
altri quattro circoli le corde soprabbondano.
M E T R. I A n A B r.
agi
CARME CONGIUNTO
a 1 K p n Q S X
La sua formola è falaClon otto volte ripetuta :
quindi una seguenza di bachii che la qadba risolve in
amfihraclii.
La zadra può esser contralta per la ialnia e la
tarma (247): 1' aruza per ìàhad/a: e la zarba per la
gazra, la liadfa e la batra. Ha tre periodi , 1' ottona-
rio , il senarlo e il quadernario. Quindi lo schema ,
»
FORilOLA.
fahu' lon
fuhiì' lon
fallii' lon
fahii' lon
IN'TERA.
QABDATA.
^ _
-
w _
-
-. -
-
^ _
-
QAZRATA.
*
R ATR ATA.
Ma pare che il periodo quadernario considerar si
deggia di non remota introduzione nell' araba prosodia :
certo e che di esso non fanno verun motto i dottrinali.
Il che vuol dirsi anche per 1' aruza hadfata.
(247) Abbiara veduto, /)a§-.6b,V.^J, L'na tal diminuzione nella zadia for-
che queste due èlle riducono i bacliii ma un periodo concitato con questo
a spondeo o coreo. E perciò un di- nel Redi :
podio bachiaco , ovvero sia il nostro Di gelsomini non faccio bevande ,
comune seoàrio , riducesi a quinario. Ma tesso ghirlande su questi miei crini.
Tom. Ili 56
282 i) E n I T I s
)) Congiunto , dice 1' autore del Qamus , è quel ge-
nere di carme la cui misura è fahu'lon otto volte re-
plicala ; e l'altra benanche Ai fahu'lon fahu'lon fahul
replicata due volte : e chiamasi congiunto perchè i pali
vi son frequenti più delle corde (248) ». Ma ciò vuole
intendersi in paragone degli altri piedi di sette lettere
i quali han sempre due corde per ogni palo , mentre
ne' piedi di cinque lettere i pali non sono j3ÌLt fre-
quenti, ma eguagliano le corde. Intanto ecco due sole
forinole qui proposte , e indubitatamente , a quel che
pare , quali vennero date da Al-Chalil. Or ascoltiamo
i dottrinali.
Nel periodo ottonario, essi dicono, il carme con-
giunto ha 1' aruza sempre intera , e le sue zarbe sou
quattro , 1.^ intera , 2.^ qazrata , 3.^ hadfata , 4.^ ba-
Irata (249).
Non seguiremo il Guadagnoli che trae dal Qamus ,
un verso da lui riferito al carme congiunto e che dir
si potrebbe coli' aruza talmata (25o). Sopra versi di tal
(248) ♦JXDJi jSu^a 3"IJ<pni2Sx '■''' *'^*'' '"'"' "afu'hi-'lascmab
i'ip^ pma '!'i^3 lSu'3 ì'^U'SI HNID l-<^annama' domi uaalajlu-' izamab
(249) Cannini Detonano amda u- tersione.
nica est , inlegia , cui darbac qua-
tuor. Clerico. Ah si, ti ravy'so , tu sei, genitor:
(250) 3JB'x'7S "jlSt njX '3S<a NI Quel criae, quel viso ti scopre al mio cor.
3J1l'7« n'S«;'1 "IT K0JN3
V E R E u 31 VERBO. Clii desìtlerasàe maggiore arabismo,
Vahf pater jneus es iUjt't OS tuumalbìsrespct- legga;
sum pu^tuUs Pennde ai, margahlae asper-
sac cdoratis unguentis. Quegli cnfiatuzzini son perle al mio cor.
METRI A n A c r. 283
falla molte dispute potrebbero suscitarsi (af)!); e nulla
v' ha di più agevole negli arabi poemi che piegarli
quasi sempre alla forma bachiaca : come, a cagion d' e-
scmpio (pulii che abbiara veduto appartenere al cak-
WE PERFETTO (262); ed evideulcmente poi le forme gia-
zate del carme esuberante, le quali altro non danno nella
forma sana se non una soguenza di seuari tronchi , e
nella forma azbata se non tre senari piani (253). Ma
come suscitar dubbio che coU'aruza hadfata non corra-
no questi che diamo ad esempio?
(25 1) Questi versi si risolverebbero (253) Ci avvarremo degli cscniyù
in un seUCDario e un quinario. dati dal Clerico.
(262) Proteggimi 0 sorte proleggimi
o lasciami star : carme esuberaste giazato.
Mi stuzzichi e in perno mi lasci fra anaa e zarha sana.
tema ed osar. j>, ^^.^^ ^,1,^ ^pi,
Oh titolali ! deh compatite chi baz- pi,5 .;.,j^, -i'-,^^
^'*^'* aruza sor.a , zarba azbata.
D' amore le vie , ricco in titoli , m->m\ «nnn m'ìt
scarso in danar. ,j,,^.p, .jaxj'na
Dell' aria finanche geloso mi fui ,
fin dell'aria,... È da notarsi che nello scandire
Ma il fato , ma il fato mi è avver- il primo verso 1' ultima sillaba del
so ! . . . . Ma come far?. . . primo emistichio dee trasportarsi :il
Che colpa un arciero , se, quando principio del secondo; cosi:
un esercito incalz^ilo , laqad alimat\xrabralo an-
Incocca lo slral , ma Li corda si „a halluka va' \\!unon chalaql,.
vede spezzar ? Questa è poi la lettura del secondo
Esc precipitano squadroni addosso verso:
ad un ercole , aitibra taa-moma'
Come sottrarsi a quell' impeto? co- faloirgzibnm' valàzCni.
me scampar ?
284 DE R 1 T I S
ARUZA HADFATA, ZARBA INTERA.
♦naSx on amn mnp n' 1
Versione del signor de Sacy-
O café! tu dissipes touts les soucis: tu es V oh jet des voeux de
Vhomme livré à Véiude.
Cesi là le breuvage des amis de Dieu; il donne la sante a
ceux de ses serviteurs qui travaillent à acquérir la sagesse.
Cbrest. Ar.
ARUZA E ZARBA HADFATE.
P3ndSk -np^N n&3 }'n 1
p'^N'sVx Dan NOD ♦n\so3
01N* NnSxT DN» "ipa 2
pnNsSx nono hnoì
p£3NJ Dn;?oj jo p3» dVì
oSrtD iD 'n'?'? ':'p3 4
VERBUM VERBO.
Quod praefinitum nieae niorlis decretum
iam pervenit ut Deus voluit.
Ecguid ? Mortuus est Adam noster parens ;
mortuus etiani Maliometus ingenuus.
Mortul sunt reges eorumgue asseclae ,
nec eorum guisgue perniansit.
Dìo UH qui meo interitu laetatus est:
Està paratus , sensim ipse me segueris-
CA6IR1.
l
AI E T U I A li A B r. 2CJ
1 ja qahvala tadliabo liommo-'' IfatcC
anta lihaW-lilmi naliamo- linara^ di
2 saixCbo aldi- Halli viinlia - ssciafcC
lita ''libi- Lhokmati bajna-liba'di
»
«
VERSIONE METRICA.
0 dissipator d' atre cure , o caffè !
De r uom studioso gradito pensiero.
Tu sei don di Dio che al suo popol ti die
Per farlo a virtude più scorto leggiero.
1 lajin nafada- Iqadaro- ssa' biqb
bi/uwti kama' hakama-lcha' liqb
2 j'aqad mcCta vd'Udonà' adamò
va ma'ta niohammadon azzcCdlqb
3 vamcCta- Imoluo vaasc-ja'òhoinl
valam iabqa min giom.ihini ncCliqon
/^ faqol lilladi' sarra niohlaki'
icChib fainnaqa bi kCIdqon
VERSIONE METRICA.
Mio stame di vita, qual n'era lassù
Prefisso il decreto, consunto già fu.
Ma che ? Mori Adamo , comuu geuitor :
Mori Macometto , quel fior di virtù.
E tanti preclari per regno e valor.
Per senno, per oro, disceser qua giù.
Mia morte ti è gioia? Ma tu ad or ad or
Mi segui, e ov'io sommi t'accosti vieppiù.
1
2
3
286 DE R I T I S
Oltre al periodo ottonario i dottrinali assegnano al
carme congiunto il solo periodo senario , coli' aruza
sempre hadfata , e due zarbe , hadfata e Latrata (254).
Ma esempi non mancano anche del periodo quadernario,
NHi m 1:2 fin np iphh ns
xntoDS '3 njj'^x '3n \m
NnjKinN") v':;hìt np'-\'\ 4
fersione del signor de S.-icy.
Vien jouìr (le la compagnie du Cnfé dans le lieu où il fuit
■sa residence: car la bonté divine enveloppe ceux qui prennerit
part à san festin.
JJélégance des tapis , les douceurs de la vie , la sociélé des
convives, tout forme l'immage du sejour des bienheureu^.
E qui dobbiamo far plauso al buon senso se non
alla dottrina metrica del Guadagnoli quando presso che
la totalità de' versi arabi al carme congiunto riferisce ;
(264) Senario pariter ariida est
una hadhfata. Clerico. Gli esempi del-
le due zarbe nel periodo senario son
questi :
»
{«vJb» nxi3 'p'ip'j
ZARBA BATRATA.
E nel periodo ottonario coll'aruza in-»
tera ;
ZABBA DiTERA.
no 13 D'Dn o'Dn kdns
K9K'3 '3n CDipbN C3nx2':«g
ZAKSA QAZRAtA.
':wd'7n hr\rì jj-sxid rii?t?i
ZASBA HADTAXA.
{«in np 'n'?N nxnbx -03'
ZAKEA BATRATA.
iftT C3PT 'Sj; N:i;r '^73
METRI A n A B I. 287
quando , per non offoudere le regole (255) , considerar
non si volessero le rime conserviate in tutto le aruze.
Un esempio n' è questo :
1 arrig' àla'-Iqahvati fp haniha'
3 fa-llaljò qad haffa binaci ma' bi/ià'
5 licCiui liaki'-lgiaiinali JV hosiihd!
4 varaqqati'Hajsci vacC hvcC niìuC
VERSIONE METRICA.
CaH'è vuoi squisito? T'innoltra: non v'ha,
Non dienne più buono di Dio la bontà.
Qui ogni agio , eleganza , gentil società ,
De' seggi celesti l' imniagin qui sta.
e non solo versi regolari che appartengono all' esube-
rante (206) , ma tulli i versi di undici sìllabe che ab"
bian lunga la penultima , ed anche di dieci , di sette
(255) V. alla pag. 40, W. 11 a i3. altri versi ad esempio del carme eoa'
(a56) Olue a quello irascritlo nella giunto ;
nota 25o , il Guadagnoli dà questi
2^33 nOK '3 ri"1>'3 13X3 laanuaka baratoti J? asti kabscin.
ìl>^' &2jhH) riniOnO molai ivrìliaton va'lkabscio ianscl
'ETI ^^X ^3 nSp3 *TJX3 haannal'a bàqlaton Ji' arzm hasscin
«yp Kn3ir\3 SjXI xnsja fagìaului' va'bUon Jatarakaha' qassein,
VERDUMVERBO. VERSIONE.
Perinck ac tu fimus ad claaes anetis , Sei fimo che al tergo d'un capro si sta,
fendaliis dum aries inctdìt. E penzolo e dondola a un muto che fa.
Quali tu portulaca in lena molli ; Sei vii portulaca che a un t"o»so si adda.
Et supcrifenit tfioUntas imber et reliqnit edn E in putrc ogni scroscio di pioggia disfà.
tnanem. Nel liljrctty de cento reagenti.
288 DE R I T I S
e di nove, traendone esempi dal polimclro Corano (267).
Se avesse detto che al metro del carme congiunto tutta
(267) Prendiamo questa occasione,
non già per insistere vieppiù su la non
regolare produzione di questi versi ,
ma per aggiungere ai già dati, nota i85
e 2l3^ questi altri saggi di un libro
rispettalo dagli Arabi come primario
esemplare di eleganza e di poesia. Sarà
per essi un buon testo di lingua; ma
perfettissimamente, a quel che pare,
simile ai nostri ne' quali vai ricercan-
do con lena affannata poesie ed ele-
ganze e t' imbatti per lo piii in ba-
loccheric scipidissime.
Gli esempi prodotti dal Guadagnoli
son questi
K3'"ìp »^VnS 03NJT1JN «:«
daliqa~'lJafmo-lhaqgo f amati sciaa
ettachada ila' rabhihi maaba'n.
enna' andarhakom àda'ha^n qari'han
Uh dies est verus ■ et qui volueritj
Assumet sibi ad domìnum suum confugìum ■
Enimvero nos comminati sumus vobis tormen-
tum vicinumx
NDN3 «n^S ppDM
NS'3Dbo ^DDn KH^a «rjr
vajasqauna fi'ha* ka'sa'n
ìca'na maza'gioa' zangiabi'hx'n
àjna'n Ji'ha' tosamma' salsaòi'la'n
Et bibent in ea poculum
Cuius mixtio est zinziber :
Fons est tn ea, vocatur SahahìL
pnS^^D kS3 ori
àrnma iassaalw'na
ani-nn&baa-^lati'mi
allodi' hom. fi'hi mochtalifu.' m
kalla' sajalamu'na
tomma kalla' sajàlamu'jia
Pro quo tnte'7ogahunt
De fama , seu nuncio grandi ,
De quo ìpsi inter se dissident :
Neguuquam ipsi noscent ,
Iterum dico , nequaquam rpsi nosctnt.
nono au3*?« K'Txa
nana khidVx xnxi
r3D3 ^w:Sk 5<nNi
faida'- nnogiu'mo tomimat
vàida'-ssama'o forigiat
faida'' Igiba' li noéifat
vàida'-'rrcsolo aqqitat
l'iajja javmin agilat
Quando stellae delabuntur-
Et quando caelam -scmdetur.
Ei quando montes funditus evertuntur.
Et quando nuncus constituetur tempus.
Quo die praefinitum fuerit.
METRI ARABI. 289
la poesia araba è inchinante , nulla vi sarebbe di più
vero. E la pruova n' è limpidissima dai vari esempi pro-
dotli , non solo ne' Ircquenti casi ne' quali le seguenze
bacchiache scolpitamente si mostrano colle sole varietà
nella catalessi , ma quasi sempre in composizione. Ab-
biani veduto i versi arabi correre tutti in periodi
di quattro o sei compartimenti (268), in modo che in
altrettante cobolette si risolvano: e assai di rado avvie-
ne che in una di queste parti non presentino di questi
senari bacchiaci , sien piani , sien tronchi , sien pure
sdruccioli o bisdruccioli, o per la lalma e la tarma in
quinario diminuiti (269).
Ma quel che dee recar maraviglia si è , che negli
antichi poemi un tal metro non mai rinvengasi nella sua
purità , e si presentino sempre di quegl' ipermetrismi
de' cfuali abbiam fatto , e forse con soverchia dififusio-
ne , ragionamento. Ma tali e non altri son gli arabi
poemi , ed i più recenti anche , nella maggior parte ,
più si torcono che adagino alle forinole dotti'inali.
(a58) V. alla pag. 38 , nota ai ^^. (269) V. la Jiotó 247.
9 e IO, in fine.
To??i. III. 37
290
DE R I T I S
CARME CONSEGUENTE
La sua forinola è fahi'lon otto volte ripetuta : e
perciò una seguenza di crelici che la chahna riduce ad
anapesti. Ma può la forinola essere affetta altresì dalla
qata ; ed allora si ha una seguenza di spondei. Corre
ordinariamente nel periodo senario; ina non manca esem-
pio del periodo ottonario , almeno nella forma qatata.
Nel primo , la zarba può essere nuda , dahlata e ra-
flato-habnala. Quindi lo schema:
FORMOLA.
GIAZATA.
INTERA.
CHABNATA.
DAHLATA.
RAFLATO-
HABNATA.
QATATA.
fa' hìlou
fa' hilou
fa' htlon
-
—
-
^ _
_ ^ _ *
-
Abbiam veduto che Al-Chalil non faceva di questi
versi un genere particolare. Quelli che 1' ammettono ,
sopra ragioni si fondano più speciose che vere (260). Ma
(260) 11 Casiri non fa parola di bi e non àce recar maraviglia perchè
questo sedicesimo genere de' versi ara- neanche il Guadagnoli da lui segui-
METKIARABI. 29 1
è agevole lo scorgere come , risolvendosi in una se-
guenza di settenari anapcstici tronchi , ovvero piani
per la liabna, non altro riproducano nel periodo otto-
no se non la fonnola del caiuie lieve , sol che se ne
modifichi la catalessi (2G1) ; e nel periodo senario , i
nostri ordinari decasillabi , sien tronchi , sien pia-
ni (262).
to ne fa molto, e il quale, se due quodammodo exigente.Cum enlm cir-
spccic di versi al circ olo convcnien- culi in hac arte piaecipuus ( ne Di-
ve attribuisce , è sol perchè pren- Cam solvs ) usus sit diversa carmi-
de per verso di specie differente la num genera inter se conferre, et quo-
l'oriiia giazata del carme congiunto, modo se mutuo resolvantur estendere;
Pi-osequilur aiiclor Chairagiacus et si unum tantum genus ponatur , tol-
pro quinta littera p intendit quintum lilur piane hic usus , ac proinde ctr-
circulum qui dicitur p3nO*7N '^°"" culus ipse supervacaneus et imUilis
veniens , qui cnntinet duas species reddilur. - E ciò serva per ultima di-
carminum quae unico nomine cen- mostrazione che tutto il sistema pro-
sentur, nenipe ilXpnoSf^ coniun- sodiaco degli Arabi , d'infinite regole
cium. sopra regole artifiziato, per lo più in
Ascoltiamo però il Clerico : Secun- inerissimo affastellamento di nomi si
dum fiuius circuii genus est Carmen risolva.
"lIN'TnD/N ^^" eonsequens , quod (261) Sarebbero precisamente gli
Al-Chalil et eius sequaces , "IHD •"^" alessandrini francesi. Eccone 1' esem-
gcnus peculiare non fecerunt ; idqiie pio che ne dà il Clerico i
quod poeniata nulla lioc carniinis ge-
nere conscripta cis vidisse contigerat, «nSxX NOIXD "lONy SJXJ
rei quod soN satis QUADnAnsT he- ^'''*^' P i**^ «° 1**^ «° ^^'^
GVLis AB EO postTis. Cantra Al- (262) Gli esempi ne son questi:
Acfash , Al-Chalili contemporaneus il-
lique familiarU, et cum eo alii , se- *'''''* "^"^'^"•
cundum hoc genus huic circulo altri- msp« □HINT mxn
Luerunt , naturae illius ralione hoc lim'?»* nnno 1131 D8<
292 DE R I T I S
Si attribuiscono altresì al carme conseguente i se-
guenti versi che diconsi composti da Ali per imitare
il suono delle campane , e ne' quali tutti i piedi sono
qatati :
Npn Kprt apn aph » aqqan aqqa'n aqqa'n ciqqa'n
XpTi Npn^ Npllf Np11{ zidqa'n zidqa'n zidqa'n zidqa'n
NJmjl Ip X'J"17N |t< 2 iima-ddonja' qad gàrratna'
NinnSriDXI KJninriDXI vastalwataa' vastaUiatnc^
NJJSlp NJ3 '*nnj XJD? 3 /izsraa' /zac/n' md'qaddamna'
XjmD "tp KJX X7X illa'anna' qad faj-ratna'
xSnO X7na X'n'^X pN* X» 4 jd-hna-ddonja' mahla'n mahla'n
XJtl Wfì TIN' XO Jt ^'" '««' /«''«" fa^Aia' -vazna'.
VERBVM VERBO.
CeWe ^ certe , certe , certe * caule , caute , caute , caute.
Ulique mandus iam decepit nos * et seduxit nos et seduxit nos.
Non fuìmus, nescimus quid brevierimus * nisi quod nos jani processimus
Oh fili mundi! sensim sensini * pondera quod venit ponderando ponderando.
Coi quali versi (263) la rassegna di tutti i Metri
Arabi che i dottrinali mettono in serie è compiuta.
ARUEA KAfi-ATo-cHABNATA. (263) Sono analoghi ai dimelri iam-
tXD;» "intS'3 ■'S''? nST 1'''^' acalaletti , e precisamente simili
]K1':d'?n -hilti. NnNDD np a quelli dell' anlichissima canzone :
ARUZA NUDA.
rsasi n:mxi 'V np Soldals franpois , chantons Roland.
METRI ARABI. SgS
CONCLUSIONE.
Non io, valorosi Colleghi, vorrò discendere a quel-
le conseguenze che da questa prolissa esposizione potran
dedursi. Il mio obbietto è conseguilo so d' ora innanzi
della influenza che agli Arabi è da attribuirsi sulla ra-
gion poetica delle lingue sorelle del mezzogiorno di Eu-
ropa si comincerà a ragionare da fatti e non da con-
ghietture, da posizioni storiche e non da creazioni d'in-
temperanti fantasie.
Ma non resterò dall' esporvi qualunque ci siasi il
mio concetto su le origini di queste lingue sorelle alla
cui formazione molta e importantissima parte uomini
dottissimi dalla presenza degli Arabi derivarono (264).
E dapprima si evitino le esagerazioni , e non si
dica, come da taluno si assume, andar la nazione ara-
ba risguardata sempre sotto que' neri colori co' quali i
nostri cronisti la descrissero , gente rapace e perfida ,
sol di bottino avida e di sangue. Prescindendo dalla do-
(264) "Una delle differenze essen- scorrono. Gli Arabi ebbero lunga do-
ziali Ira le odierne lingue romane e minazione nella Spagna, e in Sicilia.
la latina è nell'arlicolo che quella Or di Spagna suisc la lingua che poi
non ebbe. Ed ceco il Muratori far si disse provenzale^ e di Sicilia si le-
censura di chi 1' articolo Iraea da il- cero udire i primi versi italiani. Dun-
/Cj /<7a , ce. ; e sostenere che gli Arabi, (juC agli Arabi si dee 1' orij^iue delie
se non i germani , ci facesser dono lingue romane. -E la lingua d oj'?- t.
del loro '^JJ. Ani. It. diss. xxxii. V. la una imitazione della lingua d'oc. V. la
noia a/o. - 1 ragionatori poi cpsi la di- noia 281.
2g4 -UE E. I T I S
niinazionc non analto barbara che molti secoli tennero
nella nostra Sicilia e nella penisola ibera; nel parteggiar
perpetuo de' Longobardi meridionali e de' Greci che
sino ai tempi normanni divideva l'Italia cistiberina, spes-
so i Saracini tra noi come ausiliari scendevano ed alle-
gati , e stabil dimora ottenevano nelle Calabrie , nelle
Puglie e nella Campania (265). Della reciproca influenza
su i costumi dei due popoli, vi esposi già, o Colleglli,
fin da principio le mie idee (266). La Grecia comincia-
va a dirozzarsi e a formare un sol popolo sotto le mura
di Troia : e le nazioni em'opce del lezzo si tergevano
delle salvatiche instituzioni e le basi giltavano dell' o-
dierna civiltà colle guerre di Soria, preludiate dal di^
(265) Nell'anno 827 Andrea Duca dal nostro popolo /^er/asc« , li Borla-
di Napoli chiamò i saracini contra Si- sci tJ^J^U^X T3; ovvero t»{<y7{< l'J
cardo Principe di Benevento ( Gio. secondo 1' Assemani. — Riguardo però
Diac. CroM.i^.iVea/).); i quali in tanta allo parole di commercio, pesi ^ mi-,
amicizia si strinsero poi co'Napoleta- sui'e, monete, promiscue fra gli Ara-
ni che l'Imperadore Lodovico II gran- hi e noi, non sono dell'avviso di un
di querele ne faceva coll'lmperadore dotto accademico della Crusca che le
di Costantinopoli ( Anon. Salem, e. /a), crede da quelli a noi comunicate. Noi
e il duca Sergio ne fu gravemente avevamo marina e mercatuia prima
ammonito dal Papa ( Decretale di dell'apparizione degli Arabi; e se non
Gio. Vili ). Poi co'Salernitani , Gae- vogliamo considerar gli Amalfitani ,
tani, Amalfitani e Beneventani si col- del che io non dubito , come gli ere-
legarono ad onta degli anatemi della di della scienza nautica de' Fenicii ;
Chiesa ( Anon. Salem, e. {23 ) ; ed At- dimenticar non dobbiamo che gli ebrei
tanagio II, duca e vescovo di Napoli , furono e sono tuttavia i nostri abi-
guerreggiò con essi contra Guaimaro tuali prosseneti,
principe di Salerno ( Id. e. i33). ec. ec. (266) Pag. 6 , e segg.
L'anfiteatro capuano nominasi tuttavia
METRI ARABI. i^Ò
ritto araldico che dopo le prime irruzioni determinava
la ragion delle paci e delle tregue ed un fomite di ge-
nerosa emulazione alimentò tra i popoli delle due creden-
ze. Questi due grandi avvenimenti dell' antica e della
nuova rigenerazione dall'umana razza formeranno sem-
pre due epoche memorabili da esercitare le meditazioni
del filosofo , accendere vivamente l' immaginazione del
poeta, e ogni anima scuotere per alte e care rimem-
branze.
Delle lingue volgari , appaiono allor numerosi i
monumenti : ma non perchè alla scrittura del dir c/ie-
ricale videsi allora quasi da por tutto la scrittura delle
popolari loquele sostituita , i nuovi idiomi ebbero al-
lora cominciamento (267). Le origini dell' idioma italico
da ben più remota sorgente si voglion ripetere , nella
(267) Tra le molle parole colle qua- e nel parlare. S'incammina per la
li cercò il Tiraboschi ravvolgere le buona via quando ne' Romani consi-
sue non determinate opinioni su 1' o- dera la lingua scritta non affatto si-
rigiue del nostro attuai linguaggio , mile alla lingua parlata; ma smarri-
questo abbiam di positivo, n A qual sce di nuovo il buon scntiere quando
» tempo, ei dice, la lingua latina è quella diversità ripone tutta nello sti-
1) divenuta lingua italiana? Se uè suo- le , nell' alterazioni di pronuncia e
)i le fissar 1' epoca comunemente nel in sillabe o particelle or tolte or ag-
ii duodecimo secolo; e noi ancora a giunte. 11 sistema gramalicale , la sin-
11 suo luogo ci atterremo a questo pa- tassi , la costruzione forman le vere
rere. » Star, della leti. it. toni. Ili , differenze tra linguaggio e linguaggio:
pref. ]1 Tiraboschi partiva dal falso le varietà di pronunzia, l'uso più o
principio che la lingua italiana sor- men frequente di alcuni modi, di nl-
gesse dal corrompimento della lingua cune voci , ne seguano appena i dia-
laiina e A-AW diversa maniera con cui letti.
elUt si venne alterando nello scrivere
2g6 DE R I T I S
quale per avventura ben prossimamente alla lingua de '
gli Arabi ci troveremo ravvicinati.
Dopo le dotte cure di tanti laboriosi scrittori che
le tracce seguiremo dell'eruditissimo Bochart, agevole
ormai sarebbe il raggruppare ad un tronco unico i vari
sistemi di loquela delle umane generazioni. Il primo ger-
me e 1' embrion quasi di tutte le gramatiche è nella legge
del pensiero e del primitivo modo di comunicarlo, unica
nella sua iniziativa per tutti i figli di Adamo. Senza la
quale uniformità di principii non solo da un popolo al-
l' altro sarebbero interdette le comunicazioni, ma nessu-
na traduzione potrebbe imprendersi da linguaggio a lin-
guaggio. E che , progredendo la civiltà , le differenze dal
linguaggio primitivo vadan vievia moltiplicandosi e
dalla sua originaria semplicità di mano in mano ad al-
lontanarsi , la storia di tutti gì' idiomi depone : ed emi-
nentemente quella del latino linguaggio delle cui vicis-
situdini più che di qualunque altro abbondano le autenti-
che testimonianze. La lingua ellenica non veggiam sor-
gere ma sorta, appena i più remoti monumenti appa-
iono di greca impronta : e se diflFerenze vi si scorgono,
son mere differenze di dialetto , merissime varietà or-
tografiche. Ma nell' Ausonia non dai un passo senza
imbatterti in differenze cardinali; e del latino idioma
assisti quasi alla culla, il primo balbettar ne ascolti, e
poi r infantil cinguettio , le giovanili arditezze , la mae-
stosa virilità.
Ma il linguaggio del Campidoglio era forse il lin-
guaggio dell'Aventino? Era il linguaggio delle concioni
METRI AKABI. 297
(li Lanrpntn e poi di Monte Albano, ove le tribù italiche
convenivano, ove il diritto pubblico sorgeva, e della cui
autorità s'impossessavano i Romani quando delle Ferie
L^atine a sé addissero le instaurazioni?
La lingua vera de' Latini non fu al certo quella
che poi di latina portò il nome: e la lingua delF Aven-
tino e del Monte Sacro assai poco avea di comune colla
dcccmvirale (2G8), e vernacola si rimase (269).
Vero è che dopo le pubblicazioni di Gneo Flavio e
di Sesto Elio Cato la lingua delle convenute leggi non fu
più pel popolo un mistero , e alle disputazioni del Foro,
come di mano in mano a tutte le civiche magistratu-
re , la plebe romana ebbe parte. Ma linguaggio dot-
trinale era quello, non la lingua del comun conversare.
(aCS) Inlendo delle leggi decemvi- que fieis fere societas ctim graecet
ioli nel sistema dell' autore della lingua , ncque vernacitlci ea QroRrAf
Scienza nuova , del (jual sistema ap- repertvm memoria jorvERiT
pena qualche brino trovasi piii car- nostra. De L,. I. /'', 5. La quale
pito che indovinato dal Niebur. E lingua lerwflco/a, ossia popolare , o non
auesta dichiarazione valga per le al- va confusa colla latina ; o di quella
tre citazioni storiche che qui si alle- lingua latina si dee intendere alla
gano. quale egli attribuiva pei nomi la sola
(269) Tre linguaggi riconoscea ne' inflessione del sesto caso , proprio e
suoi tempi Varrone , il greco , il la- ■veramenle Ialino. Le sue parole son
lino, il vernacolo. Ciò appare da quale: Si quis pri/tcipium analogiae
tutto il complesso de' frammenti che potius posuerit in naturalibus casi-
di quel gramalico ci rimangono: ma bus.... id illuni facere oportehit ab
scolpitamente ove dice: Verbonnn , sexto casu ,qri est pROPRirs: LA-
quae tempora adsignificant , ideo lo- TINEIS liJVJM !<OJV EST CA-
cus diffìcilliinus est tutivxj quod ne- Sf'S ALIFS. Ibid. ix , 3.
Tom. III. 58
298 DE R I T I S
Cosi col linguaggio della legislazione (270) la lingua
italica primitiva fu ingentilita ad emulazion della greca.
I nomi ebbero inflessioni per casi ; ma oltre ai cinque
casi greci ritennesi il sesto, vero nazionale e solo lati-
no (271); ma le inflessioni desinenziali in m ed in s,
sfumavano nella pronunzia , disparivano ne' versi. E
che tutto ciò fosse di straniera o alnien recente prov-
venienza , 1' autorità venerabile di Cicerone cen per-
suade (272).
I verbi ebbero anch'essi maggior numero d'infles-
sioni; ma non quante ne ammettevano i Greci (273); ma
(270) Lucidamente nelle sue Le- more maiobvm.
-ioni di retorica dimostra il Blair Pure, nel domestico conversare , cogli
quanta nitidità non solo ma energia gli adiettivi dimostrativi gli articoli risor-
articoli accrescano al discorso. Ma gevano. V. Scaligero , De caus. ling.
come i Romani li dismisero? - Il bi- lat. e. i3i.
sogno degli adiettivi dimostrativi fa (271) V. la nota 268.
sentirsi tanto maggiormente quanto (272) Quiii eticuyi , qroD iam svb-
meno i vocaboli son determinati. Ma RrsTicyjii videtvr , olim auteìn
le parole legittime delle leggi appun- politius eoruin verborum quorum
to nel determinalo e rigido senso della eaedeni eranl postremae litlerae , quae
loro significanza si constituivano. E siint in o^^mmus , postremam lilteram
nolo che coli' ergersi arbitri nelle detrahebant , nisi vocalis insequeba-
conlese tra popolo a popolo e som- tur. Ila non erat offendo in versibus
pre sotto la maschera di sostenitori quam mine fiigiunt poetae novi. Ci-
del diritto feciale estendevano i Ro- cero, de Orai. 161.
mani il loro imperio e le loro dcpre- (273) Disse Varrone ; Quod a'tunl
dazioni. 11 loro linguaggio fu quello analogia^ non servari in temporibus ,
del comando; la loro virtii, inflessi- cum dicunt lego, legi , Icgaru , et
bile costanza. Quindi : le parole esser sic mille alia ( nam quae siint ut
altro non poteano che 1" enunciato legi PERFECTrM significare , duo
di rigidi pensieri ì-eliqua legam et lego iNciiOjTyM )
METRI ARABI. 299
non eliminando affatto gli ausiliari (274). Cosi un linguag-
gio illustro sorgeva ad emulazione della più bella lingua
iniiirici reprehendunt.Hnm , ex eodem formazione o alla comunicazione del
GEMERE ET DlvisiosE idem verbum segno indicatore di quella tale idea ,
quod sumplum, est , per tempora tra- di quella tale sensazione. Ed ceco per-
dtici potesf : Iti disccbam , disco , cliè tulli i temi gli orientali trassero
discam ; et eadem perfecti sic di- òaX passato, PEEFECTVM,\fxJ3- Or
diceram , didici, didicero ; ex quo le applicazioni di quel segno al pre~
licet scire rsRBORUM ratiosem Si'/ite , ai futuro , altrimenti concepir
constare. Sed eos qui trikw TE.tr- nou si possono se non come un trasfe-
ponyìt verbapronuntinre velini, scien- rimento del primo concetto, un mo-
teridfacerescirelicet.DeL.l,. vin,5/i. vimento all'attività, liSCHOATVM ,
ìSon solo da nessuno de' nostri gra- U^N^O
malici questo passo venne illustrato, Pel glossario tecnico gramalicale :
ma ne' lessici altresì le parole grama- a quel verso di Virgilio , ^en. J^I ,
ticali che qui si producono non an- -v. 262,
Cora ebber sede nel loro tecnico si- Tumstygioreginociumasinchoat aras:
gnificalo, nota Servio die 1' inciioabe fosse an-
lutanto ecco la teorica de'veibila- tica parola de' rituali. La qual pare
tini presentata da Varrone nel modo che ne' secoli seguenti si traducesse
identico che la presentano gli orien- colla parola movere. Come a cagiou
tali. TEUFKCTVM et INCHOATVM, d' esempio :
i'"INa01 i'XQ ("la'ziu va moza'riòa );
e mozcirei il futuro e il presente. Del CraOBOUVM ET AEMOBOLIVM MOVIT
the agevole è l'iulclligenza. DE SVO PErRONIVS MARCELLVS SA-
Pcr considerazioni ideologiche : la CERDOS VI KAL DEC UIIVIR PRIMO
dcsign.izione di uu' azione , di uno ET IVSTO (♦).
stalo , di ciò in somma che può ve- (274) Per 1' ausiliare avere , pre-
nirci indicato da un segno verbale , scindendo dai comici , ecco nel solo
potrà sibbenc riferirsi al presente e Cicerone : De Caesare satis dictum
al futuro; ma il suo concetto raggirar habeo ( Phil. V , e. penult. ) Habeo
non si può se non sopra un'idea, domitas Ubiditi es (DcOrat. c.43; Ad
una sensazione se cosi vuoisi , già Brut. ep. I et IV ) Leìlum habere in-
difl'inila , e perciò preesistente alla c/jc/ww Z)"s ( Verr. VÌI, sub fin. ) eie.
(") Lapida tuttaTÌa esistente in Chicli.
3oO DE R I T I S
del mondo: ma su le basi della nazionale. E come d'ordi-
nario addiviene che nelle gare al di là de' giusti limiti
si trascorra ; i Latini non 1' uso soltanto degli articoli
dismettevano , ma i più eleganti delle stesse preposi-
zioni e delle particelle di legame abborrivauo la fre-
quenza (275). In tal maniera col divenir più gentile ,
men popolare quel linguaggio illustre si rendeva : e la
bella letteratura de'Latini fu veduta acquistar sembianza
di straniera ne' più bei tempi della sua floridezze!.
L'epica poesia venne coltivata con fortuna: che
la tenuità rifuggono di volgar loquela quegli animosi
Ma quel eh' e più mirabile si è la
foi'maiione del futuro , la quale in
tutte le lingue romane si ha coli' u-
nire all'infinito 1' ausiliario acere se-
condo le sue diverse modificazioni
amar-ò , amar-ag^^io, aiaar-aòòo. Or
contraete quest' ultima maniera ed
avrete il latino am-abo.
Per 1' ausiliare essere : oltre alla
doppia maniera nel dir letterato per
esprimere la stessa idea amor , ama-
tus sum } amabar, amatus erani ; a-
ìnabor , amatus ero; tulli i perfetti
non aveano infiessione e col solo soc-
corso dell' ausiliare si componeano.-E
qui ancora si noti che la RE carat-
teristica dell' infinito , se vedesi tron-
ca nel latino, conservasi intera nelle
lingue popolari.
(275) 11 eh. Ciampi , De iisu h'n-^
gnae ilalicae salUm a saeculo quinto
li. S. acroasis , Pisa 1817, va molto
sagacemente investigando la cagione
che indur poteva i Romani a fare a
meno degli articoli , e crede averla
rinvenuta quia latina lingua erudì'
loìiiììt coiisensu non vulgi usu insti-
tuta sii. - Convenendo con quel dot-
tissimo che la lingua letterata de'la-
tiui non fosse quella del volgo , par
che il problema rimanga insoluto se
r ipotesi non si ammetta della nota
atìg , 0 non voglia risguardarsi , come
qui suppongo, una esagerazione. 11 che
si lega coli' infrequenza delle parti-
celle di legame di che è parola alla
nota 278.
METRI ARABI. OOl
ingegni i quali a descrivere imprendono le allo gesta
dei generosi e l'arcano collegamento delle vicende di
quaggiù col consiglio de' Celesti. Pure nazional poema
non fu r Eneide : ne la plebe di Roma ricantava le
furie di Turno e l'abbandono di Elisa, come i rapsodi
di Grecia ridicevan di città in città 1' ira di Achille ;
come ripete nel suo burchio il gondolier di Venezia,
vuoi lo sdegno della ragion feroce di Rinaldo , vuoi la
dolente istoria e il pietoso lacrimare d^ Erminia.
La lirica ebbe il suo Fiacco : ma oltre le soglie de'
grandi quelle sue canzoni forse non furono ascoltate :
ed unico stett' egli co' Greci al paragone : e dopo la
sua età ai modi più romani i begl' ingegni si rivolge-
vano dietro le tracce di Catullo (276).
• Che diremo della drammatica , poesia veramente
da popolo ? Oltre ai primi tentativi nella età degli Sci-
pioni , i Romani nell'aringo teatrale si tacquero, e sol
di qualche debole e svisata imitazione dal greco , ad
ora ad ora dàvan rado e malgradito spettacolo (277).
Cheppcrò la lingua illustre de'Romani alle giornalie-
re consuetudini del volgo non provvedeva: ne' canti po-
(27G) Ciò ò comune anche co'Greci, Anacrconte e della tenera Saflb, quasi
i quali abbandonarono, almeno per esclusivo alla lirica si rimanesse il
quel eh' è pervenuto sino a noi, non metro elegiaco, il quale in cobolelte si
solo il molliforme ondeggiamento del- risolve di quattro assai simmetrici cora-
ta canzone pindarica^ ma le studiate partimcnti.
Varietà eziandio delle strofe di Alceo (277) Intanto delle commedie atel-
i' di Stesicoro. Ed è notabile che ol- lane non mai si dismise la voga,
tre alle popolari cantilene del mellifluo
3o2 UE K I T I S
polareschi forse nemmen si ascoltava : forse al solo lin-
guaggio di corte venne nei più begli anni del princi-
pato a limitarsi. Di solecismi ridondano le vecchie iscri-
zioni fin ne' columbari della casa augusta : e in sole-
cismi non è possibile che incoi'ra un popolo il qual parli
il materno linguaggio (278).
Diversa dal famigliar conversare fu adunque la lin-
gua degli eleganti dicitori , e conseguentemente la scrit-
tura : ma non diversa tanto che il linguaggio del latino
illustre non fosse inteso da' volgari , quando spezial-
mente a quella industria gli scrittori si piegavano della
quale non mancano autentiche pruove (279).
(278) Ed è notabile che non solo
ne' secoli che diconsi di decadenza ,
ma nella età della maggior floridezza
dell' idioma latino , e piii scolpita-
mente in quella de* primi scrittori, di
questi tali solecismi s' incontrino. E
basti il solo Nonio Marcello a darne
fede pei quattro quinti della sua com-
pilazione. E quel eh' è piii notabile
si è non esser altro que' solecismi , e
sempre, se non ciò che dir potremmo
idiotismi italiani.
(a/g) Giovi qui produrne un so-
lo. i> Pronta e fluente , quale a prin-
" cipe si conveniva , era di Augusto
» 1' eloquenza , dice uno de' suoi sto-
» rici ; elegante fu il suo scrivere ;
» ma non di quella eleganza rime-
» scolata e smaniosa the il dir sem-
)i plice malmena ed abbrunisce : fa-
11 cile , temperata era 1' eloquenza
)) alla quale aspirava , le inettezze
I) evitando del discorrere per scnten-
>i ze , e il puzzo , coni' ei diceva ,
» di rugginosi e reconditi vocaboli.
)) Apertissimamente espressi ei voleva
11 i pensieri suoi ; e a questo scopo
» le precipue sue cure rivolse : e a
» più agevolmente conseguirlo , e ac-
» ciocche il lettore o 1' ascoltatore
>' non incontrasse inciampo o ritar-
)i do , non dubitò di aggiugnere le
» prepofiizinni alle parole e le con-
)i giunzioni /reqiieiilemenle ripetere:
11 le quali tolte , uri non so che di
11 oscuro apportano al discorso , seù-
11 òen grazia vi accrescano ». Svb-
METni ARABI. 3o3
Ma non valse 1' esempio di Augusto a frenar l' in-
temperanza degli scrittori ; non valse la sua disappro-
vazione alla troppo studiata dicitura di Tiberio Cesare :
già sotto Caligola vaglieggiavasi il pensiero di abbando-
nare alle fiamme i poemi di Marone e le deche di Tito
Livio ; e indarno sudavano gramatici e retori per ri-
condurre i Romani alla semplicità del dire e alla piana
eloquenza dell' orator d' Arpino. La mania di distaccarsi
da' modi volgari fu sempre, pur troppo, la mala febbre
de' letterati d' ogni età !
Con questo distaccarsi soverchio dal dir popolare,
il dir per gramatica sempreppiù disagevole si reudea nel
tempo stesso che sempreppiù viziato diveniva e disador-
no. E quando Tiberio ebbe trasferito dal Foro alla Curia
le pubbliche concioni, tutta la vita del dir latino fu spen-
ta, ed imitatori più o men felici de' morti i seguenti
scrittori divennero: ma sempre colla legge che l'Eter-
no impose alle imitazioni d' ogni sorta , di rimanersi
tuttavia e molto all' ingiù dei modelli (*).
Costantino trasportava la sede dell' imperio in una
città della Tracia : e le due lingue letterate dell' orbe
romano si rimescolarono allora un' altra volta e vicen-
devolmente si alterarono (280) : mentre le volgari, donde
(*) Qui tutte si adagiano le belle ce derivar si possono del greco mo-
osservaiioni del conte Napione da derno , comechè il maggior numero
Cocconalo negli aurei suoi libri del- degli scroni stranieri inlrodolli in quel
V uso e chi pregi dell i lingua italiana, linguaggio si voglian ripetere dall'età
(280) Da quell'epoca le prime trac- delle crociale. Non è cambiato un
5o4 DE n I T I s
tfuclle craii sorte, nel primitivo sistema di graninticale
andamento si consolidavano , il quale , più da natura
elle da arte derivando, alle vecchie consuetudini e al-
la natia indole viemaggiormente si vedcano cosi ravvi-
cinate (281),
linguaggio quando molte parole di-
vengano antiquate e molte altre se
ne adottino o sorgano dal fondo stesso
degli antichi radicali ed anche affatto
nuove; ma quando il graraalical si-
stema venga a variarsi. - Per ciò che
riguarda la lingua italica in confronto
colla Ialina, la massima delle diffe-
renze è nell' abolizione de' casi nei
nomi: giacché ne' verbi , aslrazion fatta
dalle due forme del futuro e dalle in-
flessioni passive , dir si ppssono ingen-
tilimenti di pronunzia piuttosto che
varieti. Ma nel greco moderno la teo-
rica de' verbi quasi affatto dall'antico
si distacca: e, quel eh' è mirabile, con
quella delle lingue romane si ricon-
giunge. I filologi accordan troppo alla
presenza de' Veneziani. Ma la forma
graraaticale del greco moderno è la
slessa anche là do\c Veneziani non
penetrarono: e in sole gradazioni mere
di profferenza t'imbatti. Il y, a cagion
d' esempio, spiccantissimo negli Sc'ioti,
eppena distiaguc.rai aSniiruf, e spa-
risce affatto in Costantinopoli. Queste
ed aliieltali attenuazioni nel sillabare
riuve.ngonsi assai di frequente; ma la
gt-amatica è una.
(281) Intendo per quest' /«t/o/e na-
tia quel primitivo tipo di gramatica
e di glossario di che troviamo evi-
dentissima l'analogia quando da quel-
le industrie facciamo astrazione che
nel vario andamento della civiltà qua
e là s' introdussero
In una parte più e meno altrove.
Molto buio e già tolto per opera di
que' pazientissimi che delle etimolo-
giche derivazioni si fecero a prodarre
^a tale o tale ajtra ipotesi : ma per
quel che riguarda piii prossimamente
il nostro obbietto , piti che barlume
di prossima aurora ei mostra nella
dotta dissertaziojie di F, Paolino da
S. Bartolommeo De latini sermonis
origine et cum orientalibus Ungiiis
connexione , Romae 1812, Avrem
forse piena luce di meriggio quando
alle sole etimologie delle parole iso-
late non si vedrà circoscritta 1' opera
degli eruditi , ed una gramatica ve-
ramente universale e non fantastica
vedreni sorgere alle cui regole, non
immaginate ma rinvenute, tutti i par -
ziali sistemi gramaticali della razza
umana venir possano senza stento ad
adagiarsi.
l\r E T U I ARABI. 3oO
Questo linguaggio da popolo con le legioni romane
sino al muro di Agrippa nella Britaunia, e dalle fron-
tiere del Reno e del Danubio giù sino al mare , col
romano governo , coi cangiati costumi , e con la reli-
gione del Lazio erasi già radicato (282). Ma vieppiù
alla semplicità di que' modi il confortavano i vange-
lizzatori di quelle auguste dottrine che distrugger do-
veano le ingiuste disuguaglianze di fortuna , affratellar
tutti i celi , e formar di tutti i popoli dell' universo
una famiglia soJa (283).
I fasti della religion cristiana rammentano qua e
là illustri personaggi di alto grado che ne' primi tempi
la professarono : ma la massa de' credenti nella più
umile condizione della società vuol ripetersi. Que' po-
veri di spirito o non valevano o non ambivano soste-
nere splendidi onori sociali , anche dopo che Costan-
tino ebbe inalberato la croce in Campidoglio. I per-
sonaggi d' importanza , come mai sempi-e nella età
delle corruzioni sociali addiviene , per vezzo adulatorio
(aSa) Non par necessario, come al- legioni, la cui gramatica uniforme-
tra volta io già mi pensai , stabilire mente tulle le provincie romane adot-
un linguaggio intermedio tra il latin tarono. V. la nota ajg.
letterato e il volgare. Quello io sup- (283) Qualche eccezione per l' im-
poneva il c(J6//ie';se , del quale fan ri- perio orientale non è del nostro su-
cordo Plinio in praef. ad- IL N. , A. bietlo. Del resto : mentre il (ìoverno
Gcllio /. Xyil, e. a ed altri. Ma uu adottava il linguaggio di Roma , la
pili maturo esame mi ha fatto accorto religione divenne il popolare ; e il
che la lingua volgare tutta intera es- linguaggio della Religione prevalse,
ser dovesse il linguaggio comune delle
Tom. III. 09 •
3o6 DE R I T I S
alla famiglia regnante , e i più. con ippocrito rispetto ,
alle assemblee si univano do' credenli : mentre gli am-
biziosi e svelti ingegni che vi s' intrudevano traeaii
cagione dalla semplicità de' loro confratelli per disunirli
e dominare ; e i begli spiriti dall' altro canto forma-
vano (li quelle dissensioni materia di riso e di dilcgio :
e i più zelatori della vigna del Signore trovano occa-
sione di scandalo ne' dettati di qua' padri die troppo
di ciceroniano sentivano (284).
(284) Ne aLbiamo una conliniuizio- Fourmont ( Ad. de V acad. des en-
ne (li tesliraoiuatize da S. Girolamo a script, toni. IV , pag. 4G7 ). Le rime ,
S. Gregorio Magno. TuUo Io sUidio ci ben riflette , fan teniinoiiio che
de' padri era quello di piegarsi il piii molte lettere , comumjue scritte , va-
clie fosse possibile alla intelligenza dano o affatto taciute o in modo pro-
de' volgari : pel quale oggetto parca nunciate che dagli ordinari suoni ai-
pur bello al Magno Gregorio il con- fabetici si distacchino. Or leggendo
fcssare eh' ei non fuggiva la collisione questi versi :
del metacismo , non la confusione Halite domnae , noUte sanctae ,
del barbarismo ; nò ad osservar s' in- Nolte credere fabulas tantas , etc.
clinava il suono e il caso voluti dalle come presso il Baluzio; non v' ha ra-
preposizioni : stimando iniquo che le gion da credere che fabulas tantas
parole de' celesti si dirigessero colle vadan pronunziate per favole tante
regole di Donato, ( Gio. Diacono , in nella corrispondenza di .sa«/(j che per
T'aita S. Greg. M. l. 4. ) Ed ecco quel mera ortografia scriveasi sanctae?
tale latino che dir potremmo vera- Così appo lo stesso :
mente volgare , e che in pretto ita- Ttmpus primus iam transactus ,
liano si trasforma sol che di alcune Ei Iwc feci quod vobis est aptum , etc.
lettere si taccia la proffcrenza le quali Ed ecco transatto ed atto parole ila-
come mere ortografiche van conside- liane perfettamente rimanti,
rate. E per darne piena dimostrazio- Ma chi crederebbe rinvenire in
ne , ci avvarremo d' un pensiere del bocca germanica la pronunzia di core
AI E T n I ARABI. 5oj
Sopraggiunsero nell' occidente le incursioni barba-
riche , e tutta quella zizania grandeggiantc fu svelta
dalla chiesa di Dio , e le umili piante soltanto inos-
servate si rimasero o neglette dal mielitor superbo che
passava.
Se non tornarou negli antri , nella solitudine de'
boschi si raccolsero allora i più pii. Ma dal fondo di
que' boschi di mano in mano la fierezza mansueface-
vano de' guerrieri indomabili : dalla scuola di que' so-
litari! sorgevano i fondatori di tutte le moderne mo-
narchie : e que' solitarii poi , alla corte dei re trabal-
zati , divenivano i consiglieri più rispettati ne' dubbi
eventi, e i promulgatori delle tregue di Dio nelle civili
contese. Così al vo/gar Ialino tutte le nuove genti si pie-
gavano, e le varie lingue de' vincitori di mano in mano
vennero affatto dimenticate da quei pochi che delle pro-
vincie romane occupavano a cincischi la signoria.
In quella stagione 1' araba scimitarra cominciò a
balenare in Oriente. Ma non per la sola forza del bran-
do affbltavasi la calca sotto il vessillo dell' islamismo.
Tutti i dissidenti dalla Fede di Nicea ne invocavano
o provocavano protezione o vendetta : e la prepotenza
dell" audace impostore fu al suo colmo allor che tutta
quanta ebbe adita 1' eredità degli ardimenti ariani.
in carde? Ma non altiimenti trovar si ferba lactis , fraus infaclis ,
può la rima in questi versi ; Corda anguina , verha butyrina.
Omnibus rebus iam peraclis ^ j4p. Theod. Eberti , poetic. hehr.
ìiulla fides est in pactis : harm. rhilm. mttr. etc.
MA in ore , fel in corde ,
3o8 DE R I T I S
La qual peste , se in occidente non mancò di an-
dar qua e là serpeggiando tra quei guerrieri che di
stipendiati del signor di Bizanzio in dominatori si tras-
Ibrmarono (2 85) , dalla chiesa latina fu sempre avuta
in orrore. E quell' orrore nella classe de' volgari tena-
cemente abbarbicato , sol tardi videsi alquanto infievo-
lire, svelto affatto non mai.
E acerbissima fu poi cuori italiani la temerità di
que' semisettatori dell' islamismo i quali delle sacre im-
magini spogliar voleano le nostre chiese : onde le ul-
time ancUa s' infransero che ai bizantini ci legavano ,
e di un imperio latino sorger fece il pensiere di rista-
bilire la dignità.
A quest' epoca, del volgare idioma frequentissimi
appaiono i vestigi e non rari i documenti. Solenne te-
stimonio ne fa il giuramento de' figli di Carlo nella
pace fermata a Strasburgo (286) : 1' elogio di un Papa
per la perizia nei tre linguaggi allor vigenti, la volga-
re , la tedesca, la latina (287): e le più antiche scrit-
ture delle lingue romane ad un comune sistema, gra-
(285) Non altrimenli anche i Tur- bisogna pcv molli testi di /ingi/a , s\)ic-
chi chiamati dai califi di Bagdad pev cantissima la lingua italiana vi si
loro guardia occuparono quel trono mostra.
che dovean difendere. (287) È celebre l'epitaffio di Gre-
(286) Questo giuramento sollenniz- gorio V per le calde gare che suscitò
zato nel IX secolo nella Gallia Csar- tra il Fontanini e il I\Iu:atori :
bonese , mai^is ad Jtalos vergi l, di-
eta Leibuil/.. E in fatti se 1' < rlogra- Vsus. Francisca Vulgari. Et. Kcce. Latma.
fia rettifichi , mcn furjc di cjucd che Instituii. Populos. Eloquio. Triplici.
METRI ARABI. ÓO9
iiiaticalc non solo ma ortografico, niotlcllatc in guisa,
che assai di sovenlc nel dubbio ti rimani se pronun-
ziar si deggiano coli' acconto del romano vallone o
ib<To o occitanico , ovvero nella compressa o spianata
profferenza del bel paese che Apeiuiln parte il mar
circonda e l'Alpe (288): perciocché due realmente sono
per ditlerenze spiccanti le italiche proff'erenze , dalla
flassion degli Jlpennini determinate (aSg).
(288) Una lai verità fu più preseli- storici della patria letteratura , nci-
tita die prol'essata dal Reynuard e dal suno escluso, al vedere che molli ita-
nostro Pcrticari. » La lingua romana, liani alìliandonastero il patrio Un-
dice il primo, fu la lingua volgare guaggio , com' essi dicono , e s' indù-
Ai lutti i popoli che uljbidirono a cessero a poetare in lingua straniera?
Carlo Magno iicU' Europa meridie- Ma Sordollo da Mantova , Folthetto
naie: essendo noto che la domina- e Bonifazio Calvo da Genova, Barto-
zione di lui eslendcvasi su tulio il lommeo Giorgi da Venezia e lutti gli
mezzodì della Francia , sopra gran altri italiani che si pongono in serie
parte della Spagna, e quasi intera l'I- tra i poeti provenzali, scrissero preci-
talia. » liec/ierc/ies sur la langue Ro- samenle come or tuttavia si parla al
mane,f. 16. E il secondo, dopo aver di là degli Apcnnini.
rammentato il fatto di quel pellegri- (289) Dante pone i termini della
no che nel raonistero di Fulda entrò lingua d' oc dai confini de' Genovesi
in ragionamento con un prete, e pie- alla flessione deil'Apennino. Z)e vh/^.
namcnlc s'intesero perchè l'uno era e/., 1. i, e. 7. La qual flessione vuol
spagnuolo e l'altro italiano ( Mabil- riporsi li dove, dopo aver corso quasi
lon, Act. S. Bern. sec. Ili , P. II , da ponente a levante, ripiega quasi da
f. ^58), ed altri falli simili , con- settentrione a mezzodì; e donde quel
chiude non essere la lingua proven- picciol fiumicello deriva che fu già
zale se non il buon Romano jyronun- confine dell'Italia romana.
ziato alla Lombarda, tipologia di Pion so donde il Giambullari alti-
Danle, p. l'M. Ma perchè poi 1' uno gnesse questi fatti, n Terminavano ,
e 1' altro maravigliano con ' tutti gli die' egli , i nostri antichi la maggior
5lO DE R I T I S
La ffual condizione non è della sola Italia , ma
delle Gallie benanche e della Spagna : ed è notabile
pane delle parole in consonanti. Ed i l'ilaliano, riputato lingua maledeltu
Siciliani per l'opposito finivano colle e ghibellina. Pel quale odio si giun-
vocali.... Considerando adunque la se finanche a falsare i testi. Arri-
uostra pronuncia e la siciliana, e veg- chetto da Settimello , a cagion d' e-
gendo che la durezza delle consonanti sempio , avea detto , parlando della
oflendeva tanto 1' orecchio , quanto si Filosofia :
conosce nelle rime provenzali, si co- Et mihi sicAyos , ubi nostra palatia ,muros
minciò coli' addolcire e mitigare quel- ( Sic stai propositum mentis ) adire luhet.
r asprezza non a pigliare le voci dei Ma il suo volgarizzatore , il qual vis-
forestieri, ma ad aggiugnere le vocali se ne' tempi angioini j si credè inco-
ia fine di tulle le nostre » ( Gianih. scienza dire invece : » alle mura del
p. i36 , i3y ). Cerio è che anche la mio Parigi, dove sono i nostri pala-
Toscana ebbe poeti che imitarono il gi, egli mi piace andare: così sta il
cantar provenzalese, come Paolo Lan- proponimento della mia mente".
franchi, incerto se Pisano o Pisloie- Si è assunto da qualche nostro let-
se , Rugelto da Lucca, e quel Mi- terato ( Bettinelli ^ Andres , ec. ) che
gliore degli Abati da Fiorenza di cui la corte di Carlo d' Angiò avesse po-
nella LXXIX delle cento novelle au- luto mettere in voga la lingua pro-
tiche si conta che seppe cantare e venzale Ira noi. IVIa oltre che non
seppe il provenzale oltre misura prof- v'ha esempio di provenzalismo in I-
ferire : cerio è che 1' attuai popolo fio- talia al di qua della flessione de 1-
renlino ha una pronunzia ollremodo l'Apennino , eccezion fatta dai sopra
smozzicata (V. ^\{ Scherzi comici del notati nel bacino dell'Arno; Carlo ,
eh. ab. Zannoni ); e che non solo ser che non mancava d'essere anch' egli
Brunello dettò il suo Tesoro in fran- poeta, trovava nella lingua d' oj non
cese parceque lengue franceise cori in quella d'oc. Come dalla seguente
parmi le monde et est, com' ei di- strofe che si cita di lui :
ceva , la plus delitahle a lire et a oir Un seul confort me tieni en bon espoir
que nulle ctutre; ma che tulli i guelfi i"; c'est de ce qu' oncques ne la guerpi (♦)
fiorentini , ed eminentemente i Vii- Sert-ie l'ai touj.jurs à mon pootr :
lani , fecer di tutto per infranciosare N'onques yen aulr'aipensé Jors qu'à li, eie.
(*) Che giammai non J' ho abbanilonata.
,*!!"
JX E T K I A R A B I. Oli
come queste suddiv^isioni geogi'afichc non sol de' faui
dell'antica, della media e della moderna storia rendan
ragione, ma di quelle varietà di dialetto altresì che
con prodigiosa costanza vcggiam quasi da naturali li-
miti circoscritte (2f)o) , e quasi dalla conformazione
del suolo e dai diversi gradi delle longitudini determi-
nate (291).
L'Italia risguardava un antico quale eletta da Dio
per raunare gì' imperii sparsi , addolcire i costumi , e
le discordi ed efferate lingue di tanti popoli ridur-
(290) La slessa antica circosciizione
geografica che Cesare descrive nelle
Gallio , Jclerminò poi nel medio evo
lo stabilimento del reame di Arlcs. Dai
Pirenei , quasi per tre zone i Tre gran-
di dialetti della Spagna si partono ,
il gallego, o portoghese, dalla Gali-
zia alle Algarve; il castigliano , dalle
Asturie a Granata; il catalano, dalla
Catalogna a Murcia.
(291) Giovi qui recarne un solo
esempio. 11 dialetto portoghese è allo
spaglinolo precisamente come il napo-
letano al comune italico. Ecco la pri-
ma delle canzonette di D. Claudio
Manuele De Costa , il Metastasio lu-
>(tano , alla Lira :
Amei-tc, cu o confesso :
E fosse noite o dia ,
Jamai tua armonia
Me TÌste abanOonar.
QBalquer penoso excesso
Che atormnntasse osta alma ,
A teu obsequio eia calma
Em pude serenar.
Ali (Juantas vezes , quantaSj
Do somno despertando ,
Dece inslnimento brando.
Te pude temperar !
So tu , disse , me encantcs ,
Tu so, bello histrumento,
Tu cs o meu alento,
Ta o meu bem seras.
Ve', de meu fogo ardente
Qual è o actiTO imperio :
Che em todo esto emisf«rio
Se attende respirar.
O cora^ào ilie sente
Aquelle incendio antjgo ,
No raesmo mal que sigo
Todo o favor me dà.
No so se v'abbia dialetto in Italia che
pili di questo al comune idioma s'av-
vicini, j
012 Dl^RITIS
re col commercio del parlare a un solo idioma (ag'i).
Ma questo idioma unico non altrimenti che per la
gramatica vuol riguardarsi tale, e per la comunità delle
parole del civil consorzio : non sempre pel domestico
glossario , e non mai per uniformità identica di prof-
ferenza. L' Italia stessa tante offre varietà quanti sono
i suoi grandi bacini , e forse tanti accenti (juauti sono
i volghi che un muro ed una fossa serra. Pei quali ri-
guardi tutta quella moltiplicità di scrittura osserviamo
nelle vecchie carte e negli antichi monumenti dell' età
remotissima e del medio evo , per tutta quella stagio-
ne nella quale tipi di modelli non erano ancor sorti , e
nella quale, se mai dell'arte etimologica vera ti è in
difetto il soccorso , le varietà mere di dialetto colle
diiferenzc scambierai da idioma ad idioma (agS).
{292) Numine deuni ekcta quae volea promuovere. Con tutto ciò quel-
sparsa congregare^ imperia ritusque la ridicola impertinenza si ristampa
molliret, et tot populonini discordes tuttavia nel secolo XIX !
ferasque linguas sermonis commercio Su la costanza delle permutazioni
conlrafieret. Plinio, H. ISf. UT, 5. di alcune sillabe , riguardo special-
(293) Delle cosi dette scale m.ena- mente alle lingue romane , alcuni
giane si è fatto argomento di scherzo saggi riunì, il Reynuard ( J^. Joiirn,
da coloro che, pizzicando letteratura, des Savana , giugno 1820 ) , ed è
aspirano piuttosto a brillare con un bello, ei dice, rinvenire in tai risulta-
epigramma nelle società galanti che menti dell' analisi de' linguaggi la stes-
ad impegnarsi in ricerche alquanto sa costanza che si ammira nell' ordi-
per essi astrusette. I generosi \leman- ne fisico.
ni han vendicato nobilmente 1' eru- Ma queste ricerche estender si vo-
dito Francese col ritorcere sull' autore gliono anche ai dialetti. PL , a ca-
del viaggio dell' yilfana c[\.\e\. tUo cV e'i gion d'esempio, ritenuto al modo
M E T R I A n A B r. 3l3
Rinvcimlo il caso Ialino , qualunque ullcrinrc in-
chicsla su 1' atiloriorità del provenzale o italico dia-
lello , e su lo origini delle lingue sorelle del mezzo-
giorno di Europa , senza vanissimo scapito di tempo
non è più oggiiuai da insLituirsi : che dalle sole ragioni
di più o meno vibrata prolTcrenza , tutte scorger le
possiamo dall' antico tipo naturalmente fluenti.
Ed ecco col loro accento rotondamente sonante
ed aspirato gi' Iberi , primi che al di là delle Alpi
fosser socii de' Ptomani , preferir tra le affini le più
sonore consonanti , aspirar le più tenui , rinvigorir le
vocali , e certa imperiosa maestà conservar nelle pa-
role col ratteucre del latin letterato le s desinenziali
per caratteristica del numero del più. Del resto : tutti
i loro nomi nel singolare a legge del caso latino in-
flettere : seguir sintassi italiana : all' italiana coniugare
ialino al di là dell' Appennino si tras-
forma nella lingua comune d' Italia
in PL , nel napoletano in CHI , di
là da Pirenei LL : ce. Le Origini
Italiane quali furono meditate dal
Mcnagio esigono sibbenc un finimen-
to , ma r abozzo è ben fatto.
» £d assai ragionato è il suo dire
» quando assume essere italiane e ve-
1) nule dal Ialino molte voci che si
)" estimano provenzali , le quali pure
i> e il Bembo nelle sue prose , e il
» Varchi nel suo Ercolano , e i De-
Tom. IH.
» pillati sul Decamerone , e il Tas-
)> soni nelle sue. note vogliono che
» sieno provenzali. Né vale il dire ,
» come fanno il Bembo e il Varchi,
» clic i rimatori provenzali fossero
11 prima de' Toscani. Perciocché ia-
>i cominciò a formarsi la favella ita-
li liana dalla latina , gran tempo a-
11 vanti a que' rimatori provenzali ,
11 cioè circa il tempo di Giustiniano^
11 come 1' osservò bene Claudio Sal-
ii masio , ec. ec. ( L. e. pag. y3 ).
40
3l4 D K R I T I S
i loro verbi : e dei troncamenti delle parole quelli
soltanto ammettere che ad italiano orecchio non dan
noia (294).
Ed ecco i Galli , più restii nel deporre le loi'o
celtiche squame (^gS) , piegarsi a disagio alla romana
favella , ma pur piegarvicisi : 1' integrità abbracciare
dell' italico linguaggio , ma con deprimere la forza
delle consonanti (296) ; tacerle in gran parte : render
volubili e oscure le vocali ; e tulta languidetta render
della loro favella 1' attillatura (297). Che ultimi que'
Galli cingevan brando romano , e quando ne' tappeti
dell' Asia eran già per poltrire i vincitori di Cartagine.
Pure altra ma non diversa veggiam la sembianza della
{294) Pochi principii generali su le
trasformazioni che ricevono diverse
lettere daranno un' idea del come le
parole italiche nello spagnuolo ven-
gano a modificarsi.
La F^ la quale in fatti può risguar-
darsi come un' aspirazione , sì cangia
in H nello spagnuolo. Quindi fabula-
ri W\..-, favellare ilal. ; //aia/- spagn.
Il LI latino , si atlenna in GLI nel-
1' italiano , nella semplice I nello spa-
gnuolo. Quindi Fitio lat. ; figlio it. ;
Hijo spagn. ec. ec. V. le noie 278 ,
281.
(agS) Sidonio Apollinare accenna
che i suoi concittadini conservavano
tuttavia nella sua età sermonis celtici
s^uamaìn. Ep. Lib. III.
(296) La P , a cagion d' esempio ,
rinvigorito in B nello spagnuolo , si
attenua in V nel francese. Aprire ,
ubrir , ouvrir ; ciipra , cabra , che-
vre ; ripa , riha , rive ; e e.
(297) » Quali vedete i Galli a' tem-
)i pi di Cesare , tali trovate i Fran-
» cesi ne' secoli delle crociate e sotto
» il regno di Carlo Vili , di Fran-
» Cesco I , di Luigi XIV. Socievoli
« ed ameni , pieni di brio e di con-
» fidenza , amanti de' bei motti , per
lì modo che bastò una facezia inge-
» gnosa a far prorompere nelle risa
» un' assemblea di capi principali de-
)) gli antichi Galli raccoltasi per con-
)ì sultare cose di stalo, ec. ce. Napio-
» ne , ub. supr. L. II ^ e. 4 , J. 6.
METRI A n A n I. 3l5
fniiicese e della italiana favella, come a sorelle conve-
niva , e 1' una dell' altra spesso alternar le maniere (298).
Ma tra i Galli ecco gli Aquilani , e de' Romani e
degF Iberi seguir più franchi le consuetudini : e i più
veterani 1' aspetto quasi affatto deporre di straniera
origine , di linguaggio alle italiane razze promiscui co-
me di stanza (299). Se non che , quel tacere delle vo-
cali alla fin delle parole , e certo incontro d' aspre
lettere duramente accoppiate (3oo) , lo stento trasparir
lasciano della imitazione , e dell' indole natia dalla
qual divergono ti fanno accorti.
Ma dopo questa rapida occhiata , nobile e cu-
riosa inchiesta sarebbe quella di andar determinando
e classilìcando su le condizioni dell' attuai pronunzia
de' popoli italici quegli antichi idiomi i cui monumenti
tanta diversità di scrittura ci presentano. E forse un
tipo unico gramaticale vi scorgeremmo , e quella uni-
tà d'idioma insiemcmente il quale, come per l'attuai
lìngua nobile d' Italia disse 1' Alighieri , da per tutto
appare e in nessuna città si rinviene. E non affatto de-
vicremmo dall' attuale argomento se a ciò ancora , Ac-
cademici, richiamar volessi la vostra attenzione... Ma
di troppo io già veggionii innoltrato , e convien restar-
si, » Entrai nel fiume, e l'acqua, diceami il conduttore
(2C)8) Specialmente prima dell' Am- (299) Brevi li r , Italia veiius quam
minislrazione <li Richelieu e l' inslitu- j>rovincia. Plin. H. N. Ili , 4-
zlonc dell' Accademia. V. Algarolti , (3oo) V. la nota 3oo.
Op. lo. II. Sa!(gio sopra la lìngua
francese.
3l6 DE R I T I S
che ne scandagliava la profondità , lainbiralti appena
i talloni : ni' iunollrai , e 1' acqua mi oltrepassò le gi-
nocchia : m' innoltrai tuttavia , e 1' acqua già mi batte
ai lombi : più là non v' è guado e bisognerebbe git-
tarsi a nuoto (3oi) ». Desistiamo.
SPIEGAZIOT^K DELLE TATOLE
TAVOLA I.
tuffale lo t^wa^o (pvreo.
Ju\ corrispondenza dei due alfabeti l'oriente, come, or che la Germania
è secondo il costume dogli stessi orien- stampa finalmente le sue opere con
tali. Con un semplice tratto clic si caratlcii latini , 1' occidente ottenne
aggiugnc ad alcune lettere dell'alfa- già un tal vantaggio,
bcto ebreo si ha l'indicazione di quel- Abbiam fatto a meno dei segni
le che vi mancano e che a buon nelle due lettere 3 e {»?. Quest' ulli-
conto son quasi sempre aache nel- ma non ha in arabo il doppio valore
1' alfabeto arabo le lettere medesime che il punto a destra o a sinistra
pei' vibrazione piii forte e per sola distingue nell'ebreo, e suona sempre
addizione di punti differenziate. sci. L'altra lettera, se in ebreo cor-
L' adoperar caratteri ebrei invece risponde sempre alla/)e in arabo vai
degli arabici rcndevasi inoltre quasi sempre ef. Ma i due punti su la he
di necessità pel nostro lavoro nel- j^ si rendevano indispensabili ad in-
r obbielto di renderlo per quanto piìi dicazionc del suono divciso che la ^
si potesse popolare. Del resto una tal acquista quando ambe nell' arabo ne
sostituzione in opere di piim' ordine vien caricata, e in ciò fare abbiam
trovavasi anche adottata ; e sarebbe seguito l'esempio di rispettabili autori.
desiderabile che tutti gli orientalisti Tutti gli altri segni diacritici an-
l'adottassero nelle stampe , per dirai- davano trascurati ; perciocché , al-
uuire le diflicoltà d' iuipaiare tanti logandosi da noi quasi sempre la lel-
caratlcri diversi. Chi non fa plauso tura accanto al testo , sarebbe stato
alle intenzioni di que' valentuomini un sopraccaricar la stampa di diffi-
cile tentarono di ridurre a caralteii colla senza oggetto.
Ialini le lettere orientali? Ma se non Ma del modo per noi seguilo in tal
•i vuol giugnero sin là, si stampino lettura fa uopo render conto,
con carutluri uuilormi le lingue del- » Due modi vi sono, diceva U Ju-
3l(S DERITIS
nes [a), per produrre le parole asia- con regole invariabili, sembra meri-
ticlie con caratteri europei. Consiste il tar preferenza )i.
primo nelV esprimere la pronunaia - E conseguenlemente a queste idee
Utilissima cosa, al certo; ma sempre i primi tentativi di lui e poi quelli
insufficientemente comunicar si pò- del Sacy e del Langlès trovansi ora
Iranno nuovi suoni ad un organo non perfezionati dal Volney : il quale per
assuefatto a riceverlo. Oltre a che, si altro, ritenendo dell'alfabeto latino
distrugge tutta T analogia gramatica- le otto sole lettere che sono in piena
le ; si rappresentano suoni semplici corrispondenza colle orientali , per le
con caratteri doppi , e viceversa ; si altre diecinnove or con punti , vir-
scauibiano le vocali; e forse si finisce gole e segni prosodiaci, or con ca-
soltanto col perpetuare una pronun- ratteri greci o maiuscoli, ed or colla
zia provinciale e priva d' eleganza, diversità della lettera tra il tondo e
Con tal metodo questi versi, a cagion corsivo e degli attuali cogli antichi
d'esempio, di Malherbe : caratteri di stampa ne va notandole
iu mort a des rigueurs à nulla aulre differenze.
pareiUes. Adottar non potevamo una tale in-
On a beaula prier ; dustria, né tentarne miglioramenti.
Lacruelleqa'elleest seboucheles oreillis, Nostro scopo era quello di far con 0-
Et nous laisse crier ; jcerc l'eufonia delle parole arabe , e
tai versi sì rendono in inglese con spesso a persone che altro non po-
quel metodo; tean trovarvi se non merissime tan-
Laa more aia day reegyewrs aw nool taferale : ed obbligo ci correa di ri-
olreh pareìlyuh muoverne per quanto fosse stato pos-
Onne aw ho law preeay sibile , non di moltiplicarne il disagio.
Law crooellyu/i kellaj su/i booshuh lajs Due sono le principali difficoltà
orelljuh pei- esprimere la pronunzia araba colla
yly noo laysiih creeay . povertà dil nostro alfabeto : I.° pei
11 secondo sistema d' ortografia asia- suoni e le articolazioni che noi non
lica consiste nel sostituire scrupolosa- abbiamo ; 2.° pei suoni e le articola-
inente lettera per lettera, senza nulla zioni che in piii modi da noi si pro-
brigarsi di conservarne la pronunzia : nunziano quantunque espressi collo
e quantevolte ciò venga a coordinarsi stesso carattere.
(a) Recherches asiatiques , cu mémoires des mais onenlaux icrits en lettres romat-
de la sodété etablie à Bengala ec. - Paris nes -par le Président.
i8o5 ~ tom.J. Vissertation sur V orthc^raphe
JI E T n I A R A B I. 019
A rimuovere questi due ostacoli dersi colle mozioni loro analoghe, pcr-
mirano lo seguenti osservazioni : le che la N specialmente quando è mossa
quali come supplimcntaric producia- per ies/a e per -(//n/?2a nulla fa senliro
Dio a quanto trovasi già connato nella dell' A, ma suona perfettamente Eo
pag. 19, cnellenote 16, 17, 18. I^OoUjliandue uffizi ; 1." quello
Le lettere nella tavola si succedo- di lettera consonante , tcnuissima sì
no neir ordine per gli Arabi adottato ma sempre consonante , al principio
secondo la somiglianza de' caratteri, di una sillaba ; 2.' quello di non scr-
A ravvicinarne però il valore il più viro ad altro che a far più chiaro il
che si possa colle lettere latine giusta suono della mozione cui si appoggia,
la pronunzia italiana , or vogliono se analoga , o a formar con essa una
disporsi in ordine metodico. specie di dittongo. Per distinguere
queste diverse funzioni ed avvicinarci
(1 M alif k V^' quanto polovasi al modo italiano,
27 1 uau V ogni volta che queste lettere altro non
" fanno che rendere più chiara una mo-
zione o crescerne la quantità proio-
Corrispondono precisamente alle tre diaca, vengon segnate con un sempli-
vocali siciliane a, u, i. Nel princi- ce apostrofo (i^).
pio delle sillabe prendono evidente- Dell' accento , sia grave, sia acuto ,
mente la forza di consonante le due abbiam fallo uso allora soltanto che
ultime presso tutte le nazioni , ma il bisogno facea sentirsi di rendere
oscuramente la prima fa sentire il spiccante un ritmico andamento.
tasto vocale. I Greci però par che il Ma siccome nelle rime arabe fre-
6entissero eminentemente quando qua- quentissima è la permutazione della I
lunque parola che cominciasse da \o- per l' U , o viceversa; ad esprimere
cale caricavano collo spirilo tenue. questa prossimità dei due suoni, ci
Queste tre lettere, da. non confon- siamo avvalliti della Y (e).
(a) Il tescidiJo per la V e la I , e il mail- Ma le gradazioni procedono per infinitesimi.
do per VA sono espressi nella sola lettura: Dieci suoni deJl'A riconoscea Prisciano nella
e lo stesso è dell' hamzat. Prego perciò gli pronunzia latina ; 1' ti e 1' w de' greci co' loro
orientalisti a supplirli nel testo con quell'in- numerosi ditton^!;! sono appena l'abbozzo del-
dusuia che crederanno più a projjosilo. le i'Oca//iza:io«/ umane, e trale lingue uotis-
(6) Le tre mozioni arabe si considerano sime basta rivolgerci all' inglese per averr.e un
assai bene dai più accurati come tre classi saggio.-Crede l'autore testé citato che sntica-
alle quali gli undici punti vocali delia nuo- mente in ebreo tre sole fossero i segni delle
Ta masora vanno .id 'ordinarsi. V. la Gram. vocali, come presentemente nell'arabo Io ciedo
hcbr. par J. E. Cellsiiibr , Genere 1820. al contrario che amicamente lo prcOirenze
oso D K R f T I S
^ 26 n Ae II '1 suono nasale è così spiccante ne due
y 6 n hha HH ultimi elenienli che quasi soffoca la
Zeftere gutturali. ^ 20 p af Q qualità gutturale: la j; specialmente
f ^^ ™-' che talora vuol essere espressa come
{ 7 3 cìia CH . . , T^ r
una lieve aspirazione nasale. E, fatta
^ astrazione dell' uffizio delle peltoiaìi
Aella impossibilità di far corrispon- nel rendere piìi chiare le mozioni a-
dere un sol carattere italiano ad ognu- naloghe , non si risolvono come lette-
na di queste cinque lettere, le quali re consonanti in lievi aspirazioni an-
altro in sostanza non esprimono che un ch'esse la » e li ì? Gli autori inglesi
sol tasto vocale piii o men profonda- esprimono }a *| araba col w , ed è
mente vibrato , con molta appressi- nolo quanto il sillabare inglese coti
inazione venir possono rappresentate questa lettera sia analoga al nostro
da h, hh , q, h , eh. Ma delle due ^«nr, ^«e, ec. evidentemente gutturali.
HH ci siam serviti assai di rado [d). Sorge qui spontanea una riflessio-
Questa serie di suoni gutturali pren- ne. I nostri Vastesi chiamano la loro
der dovrebbe il primo termine dal- patria (l'antico Histonitini') Guasto
la }< radicale , e compirsi colle due e non Inasto. Sopprimete dall' antica
gutturali-nasali U e J , e si avrebbe parola la terminazione oniuin che jel
questa progressione dalla più tenue medio evo si disse aiiioiie ed aimone.-
alla pii; forte J^jn.nO'D'p'i^'J • ™'^ ^^ avrete nell' antica ortografia il
vocali fossero numerosissime , come in tutti sostituirono poi per maggior cliiarezza le trs
i dialetti non riilotti a scrittura ; e fhe si lettere S , 1 , ' , in compendio ; ma i nomi di
audassei poi di mano in mano a restringere fatha , iesra e zamma rimasero, nel signifi-
coll' introduzione de' vari segni co' quali si cato appunto di aprire , stringere e infran-
Tullero andar determinando. Curiosa è la sto- gere !e labbra.
ria che gli Arabi ci conservarono su l'intro- [d) Ci è stato a ciò di conforto l' autorità
duzione de' loro segni vocali nella scrittura, del Mingarelli , il quale nel dare la versione
J» Prendi questo Corano, disse Abcilasvad al de' primi versi d'un salmo credL- conveniente
» suo scrlbente , e una tinta di color diverso tralasciar molte aspirazioni ; Primam psalnii
y dall' iucliiostro : e quando mi vedi aprir ogdoadem hic appailo , latinis elementi^ ìi^~
» la bocca, metti un punto al di sopra della braica excribens vocabala... multas tamen
» lettera: quando stringerò le labbra tra lo- omittens aspirationes ut omnis vitetur , quan-
a» ro , metti un punto a lato della lettera : tum fieri poteste confusip. De Pirid. od. con-
» ma quando le infrangerò , metti un punto lect. p. 22. Il che par d'indole propria de-
» al basso della lettera: e se dopo alcuno di gl'Italiani i quali han modernamente sce-
» tai moti senti un appoggio nasale , metti verata la scrittura di tutte le lettere di mera
li due punti in vece di uno. » Sacy , Act. de etimologia , ed ab antiquo compendia meliorti
V Ac. des Inscr, io. 4-,p. 33g. Ai punti si credtderunt.Tz^^ìiZiki^o.
M E T K 1
modcrho va o gua ridotto a sempli-
ce aspirazione.
Un ragionato lavoro etimologico
sulle nostre vecchie parole ( insti tuito
non sopra analogia di let(ere. n^a di
articolazioni identiche , comunque per
le varie industrie alfabetiche appaiano
a primo aspetto dilTercntissime) manca
tuttavia alla scienza arcbeologica: seb-
bene molte e preziose sieno le ri-
cerche de' moderni filulogi su 1' ana-
lisi di ciò che dir potremmo musica
del linguaggio umano.
Che clic ne ne sia, la V, espressa non
di rado col digamma eolico e colla F
in molle lingue permutabile, e quindi
ridotta ad esprimere una semplice aspi-
razione labiale , reclama l' iniziativa
d' un' altra serie. Come del pari la I , la
quale al dir d' un antico gramalico ,
semicluso ore , impressisqite sensim
lingua dentibits vocem dahit, per la
triplice serie si dirama delle licguali-
battute j delle linguali-sibilanti, dcl-
)e linguali-nasali.
ARABI.
32 J
stesso segno alfabetico espressi; quello
cioè quando si adagiano più o meno
strettamente le labbra mentre la voce
quasi strisciando vi scorre , e 1' altro
quando si battono spiccatamente le lab-
bra tra loro o il labbro inferiore a
denti. Nel secondo di questi modi con-
servano in tutta 1' estensione del si-
gnificato il carattere di mute; ma nel
primo esser ben possono annoverate
anch' esse tra le liqucscenti.
Lettere nasali.
{25 ì
19 J
25 ì nun N
^ ain A
gain G
Lettere lab.
■ali. l 2 3
l 24 D
/8 F
be B
mim M
Queste lettere vengono espresse per
f, b , m. È da notarsi che in que-
sta serie di articolazioni che comin-
ciando dalla 1 termina colla Jj la
quale
clauso quasi mugit inlus ore ,
due modi son da distinguersi dallo
Tom. II f.
Della N disse Mauro Terenziano
sonitus figitur usque sub palato ^
Quo spiritus anceps coeat naris et oris.
Quest' aspirazione nasale da noi scol-
pitamente non si avverte quando la
pronunziamo battuta , ma è notabilis-
siina in combinazione , spezialmente
nella profferenza de' nostri calabresi.
La seconda lettera V , che sembra
esclusiva degli orientali , non trova
adunque uiia facile rapprossimazione
colla N nasale nel solo bacino dell'Ar-
no ove riconoscer si vollero i di-
scendenti degli Ajamei , ma dovun-
que la vibrata articolazione degli an-
tichi non soffrì molto detrimento col-
r ingentilirsi e farsi vicvia piii svelto
l'organo della parola.
Le tre lettere adunque 3 , V > }
formano anch' esse una scric di suoni
analoghi dalla piii tenue alla piìi ener-
41
522 DE R I T I S
gica espressione; e la forte vibrazione / io ^ re k
della J ben si mostra nell' alfabeto , | ^ J ?"« G'
arabo , come di popolo cbe alle pri- I '^ n *"" fP'
. .... Ilio sm S
ine linee di civiltà si è rimasto. 1 " ' ^'"" ^
Tacendo rimanere la J in corri- Lettere Ingualt. < ,5 n ,i^^j y-c.
spondeiiza della n : difficile era poter ^ 3 'i°J D
' .... - 9 T '^'"'^ I"
rendere con segni italiani la j^ e la J. 16 0 Ida TS
E.. . . , . 17 5 t/ii!a TS'
perciò trovasi espressa la prima per 3 n (e T
un semplice accento circonflesso, quan- v 4 n '''« T'
do ad una mozione si appoggia: e la- Per la numerosa scbiera delle Ictte-
lora per H , quando al principio di re linguali avremmo dovuto adottare
una sillaba notar uc dovca la proso- tutte le ortografiche industrie sopra
dia. E non ci siamo spaventati della notate end' esprimere di ognuna un
confusione che poti-ebbe emergerne suono italiano approssimante : ma cen-
coUa n o colla f^ , perchè le lettere nammo (e) che da gran tempo in Italia
orientali son sempre a riscontro della si mira a restringere piuttosto che ad
nostra lettura. E diligentissimi scrittori ampliare gli clementi alfabetici; e non
reputano di tanta poca importanza la è da stupire se al Trissino fallisse un'im-
tenuità di questo appoggio nasale che presa alla quale non riusci 1' antica
nella scrittura nemmen 1' esprimono, autorità imperiale nell' apogeo della
11 Clerico , a cagion d' esempio leg- sua potenza. E perciò ritenute le let-
ge elmo'larùdi e arùdiyon ciò eh' è lere semplici E.,L,S,Z,D,T,
scritto t'I^lv'^X tD*7y 6 '2f")"iy j "^ '1 sorgere in noi non poteva il pensie-
Langles mette in corrispondenza della re di andar notando le gradazioni
« un semplice apostrofo; il Volney una di quelle picciole differenze di pro-
a col segno prosodiaco di breve, a ; il nunzia che noi esprimiamo collo stesso
de Sacy gli stessi due asterismi co' qua- elemento alfabetico, e le quali abbiam
li vorrebbe che si caratterizzasse la già veduto che gli Arabi stessi non
o; ec. rispettano nella ragion delle rime.
La forte aspirazione della J è da Quattro sono le zete che il Salviati
noi espressa per GH: e innanzi all' e o riconosceva nel nostro italiano; sarà
i, e per la semplice G innanzi alle un gran male se, trattandosi di mera
altre vocali, caricandole sempre con eufonia, gli arabi elementi f , Jf , ^,
l'accento circonflesso. vengano espresse coli' unica Z?
(e) V. la nota i.
f^ ^T
M E T K I A R A D I. 023
Quel che qui importa osservare si confondono se la pronunzia sia al-
c che in lutti questi elementi il tasto quanto strisciante. E se alle differenze
articolare scorre dall' uno all' altro delle due t degli orientali porremo
con tenuissime gradazioni, in modo mente, la prima , j^, da pronunziarsi
che soventemente l'uno coli' altro si colla punta della lingua , l'altra, {3,
scambia; nel tempo stesso che detcrmi- colla base della lingua elevala al pa-
nano alcuni tal dilicata proffercnza lato ; le ragioni avrem chiare delle
che con difficoltà passa da pòpolo a permutazioni che si ascollano nel ba-
popolo. Oltre alla celebre e impro- cino dell'Arno dello «c/jì schiacciato
nunziabile dai francesi, alla r ignota collo sii pingue, covat fistio , stiavo
ai cinesi e agli antichi romani ; come per fischio e schiavo , ec. ec.
far conoscere la proffcrenza della d Nella progressione numerica degli
siciliana ad orecchio che non 1' ascoi- alfabeti del bacino del mediterraneo
tò mai da bocca siciliana profferire?- alla G latina corrispondono lo zayn
E queste che dir potremmo ambigue ebreo , la zeta de' greci e la ze de-
profferenze , di molte analogie ci dan gli Arabi ; come alla latina C il gi-
ragione là dove di strane anomalie mei ebreo , il gamma greco e 1' ara-
preudon sembianza. In Sicilia , a ca- bo gim. Per lo che non so compren-
gion d' esempio, àìcai chiddo e chid- dere come siensi ostinati alcuni gra-
ffa in vece di quello e quella. Ma malici ad avanzar che gli antichi non
quelle dj non sono precisamente tali : altro che un suono gutturale espri-
ma un certo medio tra la d e la. l messero con quegli clementi, come i
esprimono che ci rende ragione del popoli g(-rmanici (g). Ma adottando
permutar che facevano i nostri ami- anche quella sentenza , che altro ab-
clii , e i Ialini e i greci 1' una con biamo se non il tasto articolare pala-
V altra lettera (/ ). Cosi le sei lettere tino or battuto colla punta ed or col-
battute •], "7, {3, y, f\ , r\ , dell' la base della lingua, e quella serie
Arabo alfabeto hanno differenze te- di aspirazioni rotonde o schiacciate
nuijìiiue tra loro, e colle sibilanti si delle quali per nessuna alfabetica in-
{f) Xovenstìe.^ si l'è per L si t^e per D seri' [g] Suot-o metodo per apprendere agevol'
b:ndum : cum unionem enìm hahiterunt Ut- mente la lingua latina, tom. IT. p. 672. Vuol
terae hae apud ani.quos , ut dinguam et trarsene argomento (l:iU'.is5Ìmìlaziooe che fa
linguan , et dacrimis et lacrimls , et Capi- Suiila del C latino col K greco. Bisognerebbe
dolium et Capitclium , et sella a sede , olire dimostrar prima che nell'antica Grecia non
ai odore. Est et comunio cum Craecis : nos si pronunz.ksse U K come nella Grecia mo-
lacrimae , tilt hatfiafvx : olere vi^v^nan : medi- derna vicn pronunzi.-^ta.
tari tit\truv, Vittorino.
*
324 D E R
dusuia notar si potrebbero le miuule
differenze ?
Uno de' bisogni umani di molla im-
portanza sarebbe quello di un alfa-
belo comune a tulle le razze umane:
ma un tale alfabeio è tuttavia Ira le
desiderata.
I caratteri de' nostri alfabeti , da
un lato son troppo scarsi , dall' altro
troppo numerosi.
Son troppo numerosi se le articola-
zioni all' ingrosso notar sì vogliono :
son troppo scarsi quando a tutte le
X T I S
dilicale variazioni di pronunzia si vo-
lesse portar riguardo. I nostri antichi
provvedevano alle loro bisogne colie
sedici lettere cadmee. L' alfabeto ta-
mul o malabarico mostra che quel
numero ben potrebbe tuttavia esser piìi
basso (//). Intanto rimane nella sua
integrità la riflessione dell' abate Oli-
vet che non v' ha mezzo di far cono-
scere con lettere da Parigi a Mompel-
lieri una frase francese nel preciso
modo che si pronunzia alla Corte.
^y Wtrcoit.
Le dilucidazioni necessarie su l'uso
di questi circoli trovansi nelle note
dalla pag. 34 alla 41. Altro qui non
rimane che aggiugnere :
1. Esprimere gli Arabi la quantità
prosodiaca non mai per sillabe ma
per lettere, ed essere i segni proso-
diaci arabi precisamente quelli che
trovansi incisi nel!' estremo lembo
de' circoli: in modo che i due segni
0 ovvero i corrispondano alle lette-
re mosse o quiescenti ;
2. Notarsi ne' circoli le sole for-
mole magistrali , le quali ricevon poi
tutte quelle modificazioni che carme
per carme si sono andate specificando.
Ed altro non rimane che trascri-
vere la sinopsi che il diligenlissimo
Clerico formò di tali modificazioni.
1.
2.
3.
4-
5.
6.
\h'\'}}tifahuJon
''Wfl fahu'lo per Qabda
''U'iJ faJiii'l
tiV^ fa/tlon
Va fahlo
Va fahal
Ss fai
Qazra
Talma
Tarma
Adfa
Bair»
[h) 11 carattere inciso alla tai>. II esprimo atiticlii facessero altrettanto. V. la not» /.
del pari SCIA , LA e RA. E pai che i nostri
METRI
II.
1. 1^3 fa/iilon per Cliabna
a. iVa fuMoii Qala
III.
jSj^anDD moslafhilon
1. |V^30 mofaWùlon per Chabna
2. [Sirnao moftahihn Taia
3. in'7;ri3 fahilalon ChaLla
4. [bu'Sn mojhu'lon Qala
5. IxSu'iìO nwfhulaii jV.cdEdala
6. [Si^JD fahu'hn Rabla
y.lxSi'Snoo mostafhilà' n Edala
8. t«'';'N3a mofa'hila'n iV.eChabna
9, [«Sirnaa moftahila'n W. e Taia
10. INn'7;f3 fahilata'n rrf.eChabla
IV.
iS'I^xaa mofaliinon
\. pi'saa mafa'hilon per Qabda
a. S';?X3a mafahi'lo Kaffa
r S'i(K30 majahi'l j
3.< ovvero ! Qazra
^ IsSii'O A"''" '« « J
4. |''U'3 fa/iu'lon Adfa
5. }bi;?9a mapiulon Charma
6. pi'xa fa'/iilon Sciatra
7. 'JU'iJD mo/7tul Charaba
V.
inxVj^Na fcC lilla' tori
*• inxSi'ì) fahilaUon pcrChabna
2- nsbi'xa fa'hila'lo Kaffa
■^- n«Si'a fallila to Sciacla
4. [«''^'Sfl fahilan Qasra
ARABI. 025
^- ìxV;fa fafii'la'n /f/.cChabna
''• lS;^Sa fahilon Hadla
7- t^i'3 fahilon j'c/.eChabua
^' 1V3 f"^'^°"' Batra
9- iSu'3:3 mof/iu'lon Tascita
10- |X''7;?!<a faHiilijjan Tasbiga
!'• [«'bi^S f aitili jj a' n z'rf. cChabna
VI.
jnS^^xao mofa' hilatoìi
1. l'7';rxan mafa la lon perAsba
2. t'7;rNDr3 mafa' Mon Aqla
3. S'i'xao mafahi'lo Naqsa
4- [""i'S fahu'lon Qalfa
5. tS;?na:3 moflahilon Adba
6. lSi;r3D mojhu'lon Qasma
7. p;!Xa fa'liiton Giamama
8. 'JU'Sn mofliulo Aqsa
VH.
I':'y^
/Nfino motafcC hìlon
1. YiV'^t\'y:^ mosUifhiloii per Ezmara
2. \^'J^2n 7nofa' liilon Vaqsa
3. \^l'tì3l3 moffa/iilon Chazla
4. \r\ìàì!SfaMla'lon Qata
5. ]'Ty3-3mfì/7iu'lo>i ùl.cdEi.
6. ]^i'2/hl//lon Hadada
7. t''i'3/«/;/o« jV/. ed Ez.
8. ]^^l'i<2na motafa'Ma'n Edala
9. |x'7;'3nDn,„05to//«7a'« jV/.edEz.
10. \^'i'^2n mofa'/tila'n iV/.eVaqsa
11. \'^^']!T\2Tì mofla/iilu'n jV/.eCLaz.
i2.inx''i'Xano molafa'hila'ton Tarlila
i3.inx'71'3nDO rnostaf Itila' ton id. ed Er.
14. tnxVNa"3 7«o/a7«7aVo/j iV.c Vaqsa
i5.I1KV;>Knao moftahila'ton iV/.eChaa.
326
DE R I T I S
Vili.
nN'7"i;^aa mafhu'la'to
ns'jWQ fafiu'la'/o ì
1,1 ovvero > per Chabna
1 b'i'XSn niafa hi' lo >
2. riK^xa fa'hilàto Taia
3. nsSi'j} fahilato Chabla
4. [«'jvan moPiula'n Vaqfa
5. I«bi;»3 fahulan id. e Chabna
g, inSjt.xS fa'hiki'n id. e Taia
7. i'7V3a mofhulon Kasfa
8. l'jV^ faJiu'lon id. e Chabna
I^i^xa fa'hihn id. e Taia
i'jj'3 fahilon id. e Chabla
lSj>3 /aA/o« Zalma
9-
10.
11.
IX.
1. iS i'S3 n ma fa' hi lon per Chabna
2. ': ;'N3 DD mos to//ij fo Kaffa
3. b ;JX3 D mafa'Jd lo Sciakla
4. l'^ii'S fahu'lon QasraeChab.
|n nS ^^tì fa'hi la' ion
1. tu'? I^NS fahi lato per Kaffa
TAVOLA I. z U.
^
anzonc
■)tnedt.
Le due prime sono alle pag. 126 e orizzontalmente ; ma è nolo che le
127; la terza alla pag. 228. Quivi la chiavi cinesi leggonsi per linee ver-
corrispondenza della lezione è scritta ticali dall'alto al basso.
TAVOLA II.
y.
nno a
m.
emedt.
De' quattro frammenti che ci riman- de' vanagloriosi ; e il povero Narcisso
gono di poesie greche colle note mu- fu vittima dello sdegno di lei (Ovid.
sicali , quest'inno a Nemesi è il più Metam. Ili , v. 406). Quindi que'
imporlanle. Vi si scorge quell' iinpe- gai versi di Catullo :
guo con che i gentili ne' primi secoli Nane auiax cave sis , precesque nostras ,
del cristianesimo gareggiavano per ri- Oranus , care dcspuas , ocelle ,
muovere dalla vecchia mitologia quan- Ne poenas Nemesis nposcat a te.
tJ v' era d' assurdo. Nemesi , secondo Est vehemens dea : laejere hanc cavelo.
l'antica leggenda, era la punitrice Ma eccola poi confusa con Adrastia ,
I
i
AI R T R I A R A B r. Sgy
figliuola di Giove e della Necessilà ms. d' Oxford ha il titolo: Ajoh/iJiod, 'iia'
(Apuleio, de mu/!cIo)j eccola con- MoviTuv ; crede l'editore inglese che
fusa colla Fortuna ( ueae nemesi si- non sol quello ma gli altri due an-
VE ronTVNAE Grut. p. r.A-A'.v , n. /. ); cora lessero d' un poeta chiamato Dio-
cd eccola , secondo quesl' inno , fi- nisio — Gli eruditi conoscono 12 poeti
gliuola , ministra e compagna della di questo nome.
Giustizia Eterna, e moderatrice su- Ma quest'inno a Nemesi è attribuito
prema e rettificatrice del mondo mo- a un poeta per nome Mesodmes da
ralc. E non è da tacersi che nella dot- Giovanni di Filadelfia , scrittore greco
trina degli Eliolatri , già non era che vivea imperante Flavio Giusti-
piìi considerata se non come un di- niauo. Il signor Burette trascrive uno
vino attributo. A^emesis , quae con- squarcio di questo autore , dal ms. del-
ira superòiam colitur , quid est quarti la real Biblioteca di Parigi cosi conce-
Tiolis poleslas ? cuiiis l'sla natura est pito; <ì>xiri yap tyjv Nì.uej'iv ra yhatfi'pa
ut fuìgentia ohscuret et conspectui rtAiv 'ìrpaynaruiv iis in'TaXw rpiTT'uv , tuis
nuferat , quaeque sunt ol/scuro illu- LTipfìoXncis r»is To;^r)j, tij (fucri NoyfiEnos,
minct , qfferatqiie conspectui ? Ma- tw luvrxs nrpay^w rriv ma'^fura iTaywguv ,
crob. Sat. 1 , 22. Per lo che recar non V^tv i Mi<ioÌij.ris oìituttov 'jrpos ui/rr,v, TVo
dee maraviglia .se quest'inno, co- uov rpo;(;ov atfrarov , aiTT/jSri , ;)^5(poa'a ,u<-
munque evidentemente gentile , non pa-ruiv tsrpi<J/irixi riX'-'- Decesi ette Ne-
isdcgnassero cantare anche i cristiani, mesi rovescia i più floridi stali , e
AiTr) (iiv Toi T«(fc</; igri mpi %s HPOS che col moto della sua ruota , come
sATPAN AiAOMEN • XuSwau Ss vapu. esprimesi iVumenio , sa ridurre le
irooa fiatviis • yavpav[i.ivt>v awp^Eva xXivsis • più eccessive fortune a livello della
vTo 'rnx''y «£' (iiorov xpxTiii- (*) dice- mediocrità. Quindi Jlfesodmo, in cer-
va. Sinesio al fratello nella xcv di to luogo, fa quesl' apostrofe alla Dea:
quelle epistole delle quali Suida ma- Di tua ruota ne' rapidi spiri , ec.
gnifica la celebrità : xai ras ^av\t.a.'Cfi- L' esemplare della Biblioteca Bor-
fitvas ivarakas ( tlvvirct^i ). boniea (**) è preziosissimo per le va-
Tanto questo , quanto 1' inno alla rianti e per le note musicali che man-
musa ( pag. g5 ) e V inno al sole cane dal sesto verso in poi negli altri
{pog. S^ ) irovansi uniti in tutti i co- codici ; ed è come segue :
dici. E siccome l' inno alla musa nel
(•) Ciò accade spiccatamente siccome noi (") In Catalogo ti. CmiLti , cjJ. cctii ;
cantiamo su la lira : Tu fra lor non veduta 111 , e. 4.
t' aggiri j ec.
."jaS D E R I T I S
'T M N 0 s; E I ^ N E M E S I N,
I M M M M I M Me P M
Nsf/tscrt 'Tnposa-croc , (2iou pocra ,
«MZZ ZZ EZ* ZM
MUU VU EZ EZp
A' x.ov'^oL i^pvocyiJiarex, S-varwv
jjjjM Ijjz I IMM
E?r£%;£;s a5c«,t6avT« ^ockmo
M M M M M M M e M 6
ExS-oyfxo. S'VjSpiv oXoav j3po<rwy
P e * PP
MsXara (pS-ovov exrog iXavyiig
n« e *...» M e* pM»
'Tcro (Tov Tpoxov , acrrarov , a.(rrt(iy}
ZEj; ZI.... IIM Z M,
XccpoTTcc y-ipo^eiuv^ cTTpi^ira.i TV^^.
M M M M M M M e M *
R «PP MIP MZM
Taupovjxsìoy auliva. }ikiv%iz.
• e Pc*P PcP Mt
"T^T'o crr^w ali (hiorov (nrpii? ,
U M I Z E I MM M * M
9st MM FcM l E l
TiVyov yara %£/pa ;cparot;(ra .,
EEE E ZZIM IP
IXaS-; , (laxaipa. ^iKo.ff'^foki ,
EEE ZZIM ti ZU
ìHsfisci <i'<Tipoicr€ra. , (iiov po'Xa.
IMM MMIMME e PM
N£/^£(r(v ihov av^oiJLiv a(p^irccv ,
ZM IZE II aiZM
N;;c7]v 5 travycricrrEpov , ofi(ìptiJ(,acy ,
M M uo a tj Z E u M
N£jOi£pr£5t , x.c(.i ofc/.pi^pov ^ixav ,
V M M M M M Me P M
'A rav ìJ.iyockuYopio(.v (òportoy
z
ì^iliiorifog (x.(pa.tpeis koci 'ra.pra.pov.
Varianti, y. 5. ExBovffx y v^piv. OxF. cx°^'^'^' ^' ^P'p"- Par. y, 6. tìtroi iXauv*** mancano
queste parole nel ms. di Par, y. 9. Questo e i due versi scoienti son citati da Sincsio, ub. supr.
colla varia lezione di Bioroc v.pa.Tiii in vece di ^iotop //.sTftif. V» *^' Kt^uto-i^ 0fov ajdo^n'a
^9-ir«f. Par. Ni/Aaaif Otof a§o/A£;' a^ì^frat- correzione del sig. Boivin. )/, 17. e jf. Il£ìgn0r
jM e T II I A II A B X. 029
V E K S I O N ]■; METRICA.
Diva alala, di vile niolricc,
Dea severa , ili Temide figlia
Per le prona ogni halda cervice
Al Ilio freno iiifrangibil .s' iniLrii,'lia :
Per te il fasto a 1' orgoglio è divulso :
Ed espulso d'invidia il livor.
Di tua ruota ne' rapidi spiri
Tu ai mortali le sorti governi :
Tu fra lor non veduta li aggiri ,
E lor vane alterigie proserni.
Le bilance tu libri , e le ardile
Tracotanze guatando s'nislra,
Di tue leggi , 0 di Temi ministra ,
Diva alata, motrice di vite,
Di tue leggi le aggioghi al rigor.
Salve, o Nemesi, integra, inflessibile,
D' ali ratta , vittrice infallibile!
Per te il giusto, o compagna di Temi
Fia clic a Tire d'Avcrno non tremi
E del fuliiiin sorrida al fragor.
Buielte ha: Nr,«!|^rja, y.xi vxpi^fov Aixccp , Aixaf , rx^vrirrtpcv ^ s^^pi/rai* soggiugnendo che
Aijtzr del secondo verso sia anchi' una correzione del sig, Boivin , in vece di N'zrf che leg-
gpsi nel nis. di Par. , il che forma, com' ei dice, un senso più ragionato e più gegnìtu.
y, 10. ec^jttpii, correzione del s'g. Boivin.
Tom. IH. 42
ò5o UE K I T I S
La posposizione che trovasi nel no- dovcano i tuoni notati nelP inno al
Siro codice del verso N£fi£(OT£x , x. r. X. Sole ( e conscguentemente in questo
U quale in tutti gli altri precede il di Nemesi eh' è dello stesso metro ) ,
verso fiixriv ,.x. T. X., ronde nitidis- secondo il ms. di Parigi. Nel ras. di
Sima r ultima strofe. Cosi lutti gli at- Napoli è come 1' ahbiam fallo inci-
U'ibuti di Nemesi vengono a ricpilo- dere nella tavola al n.° 2 del saggio
garsi , e specialmente quello di vitto- de' caratteri ; cioè.- ffi^vyicts xara av-
riosa , anzi di vittoria essa stessa. Ab- riàttfiv uT'ip - " xai ^ - ytvos JifirXaffiov
jiamo in Grutero , l. e. «. 5. viaoiNt ó pi':J,oio» ìiiA>%iKa!lri\\>.a; . 11 che viene
viCTBict SANCTA.E DEAE NEMESI : il chc maggiornienle in appoggio delle no-
se avesse avuto in pensiero il dottissimo stre riflessioni quivi disviluppale.
Burette non avrebbe proposto di cam- E perchè in fallo di musica i ra-
biare Nixriy in Aixotv , ed avrebbe rav- gionamenti a nulla valgono se 1' ese-
visato nel codice parigino anche in dizione fallisce ; esponiamo sotto l' oc-
questi versi quella perturbazione che chio dogi' intendenti , con quel wo-
negli altri avverti e seppe cosi ben vimento che abbiara creduto convc-
correggere. E non pare che produr nevole , la traduzione per noi falla
possa ostacolo il qui trovarsi Nixriv in- de' tuoni musicali dulia notazione gre-
vece di vix-r,r(>t'xv. Oltre all'esser quo- ra alla nostra , nella qual traduzione
sta una delle permutazioni usitatissi- uno o due tuoni soltanto ci è occorso
me ili poesia , nel caso attuale par rcllificare dal come trovasi nel ms. ,
che siavi a bella posta onde rammcn- forse fallo del copista ; supplendo le
lare l'origine della bella statua di lacune ne' luoghi indicati con punti.-
Nemesi che Marco Varrone a tutte le ....E dcggio all'amicizia del cava-
altre preferiva. Tuli' altrimenti dal- liere D. Domenico BIakulli e del va-
r aneddoto riferito da Plinio , //. lentissimo maestro D. Placido Man-
jV. XXXf^I , 5 , abbiain da Pausa- eanici assistenza ma' solo e consigli ,
nia , tv Attik. , che Sersc traspor- ma il vedervi correre sottoposto quel
tasse in Grecia del marmo por farne òasso che il eh. Burette riputava im-
formare un trofeo della vittoria che possibile.
già leneasi in pugno; ma che, avve- A.nche l'autore del Sictionaire de
nutogli il contrario , Fidia , o come Masiqae ha pubblicato i primi sei
altri vogliono Agoraorilo , formasse di versi di quest'inno; ed all' ari. Mu-
quel niaimo la statua di Nemesi^ mo- sique così si esprime : On a beaucoup
numento della vittoria de' Greci. souhailé de voir queìques fragmens
Abbiam riferito alla pag. <)i l'in- de Musique «/zc<en/)e. Le P. Kircher
dicazione del ritmo sul quale correr et M. JJiirel/e ont travaillé là dessus
I
METRI ARABI. 33l
à coiitenler la curiositi- du Pithlic. pili gran parte dell' effetto , special-
Potir le melile plus àporlée de profUer mealc allor che trattasi, come suol
de letirs soi/is , J'ai Iraiiscrit daiis la dirsi , di note e parole ; ma, o io
Pianelle C deux niorceaux da Musi- m'inganno , o la mancanza di effetto
que GrecqiiCj tradiiits en Mote mo- ne' due Iramnicnti de' quali or è qui-
denie par ccs Aateiirs (*). Mais qui stione dee riporsi tutta nella mancan-
oserajugerde l'ancienne ^lasìqìic sur za del ritmo, nel movimento vago
de tels icìtanlilloìn ? Je veux méine de' periodi , anzi nel nessun periodo
que ceux qui voudroient en juger che risulta dall' aversi voluto determi-
connoissent suffisaminenl le genie et nare il valor delle note nella ragion
l'accenl da la laii^ae Grecque : quii metrica e non musicale , mentre ab-
ré/léc/dssent qu un llalien est juge biam veduto che se i Metrici co' Mu-
incompétentd'un ^ir frangQÌs,quun sici in molte parti convenivano, non
fianQois n'cntend rien du tonta la Me- convenivano in tutto ( v. la nota 42).
ìodie italienne ; piiis qu' il compare Ma quel che sorprende si è che in
les tcnis et les lieux , et quii prò- que' frammenti , come si danno in
narice s'il V ose. quel dizionario, manchino fin le ca-
Vero è che nella musica vocale al- denze , e si prendan per tali , frasi
V accento e all' espressione dcesi la sospese ed incompiute.
T A V O L jl ni.
,/monumento alia triazzelki at J. t/ tetto K/féar^ttre,
Non solo per la storia prammatica Nell'orlo.
della poesia italiana e dell'ortografìa
della nostra lingua nel trecento; ma •}• mille, laude, factio. adio. pìtre.
come monumento di arte meritava eal.v. santa, thinitate. cue. dve. vol-
questo marmo che fosse latto pub- te. me. aveno. .scampato, etvcti. li-
blico. ALTRI. FORO. A.V-VEGATE. FRANCISCIIINO.
Pel nostro obbietto le iscrizioni fvi. de. uiiig.ȓale (a), eeci. fare.
poetiche dovcano andar ridotte alla qvesta. memoria, ale. m.ccc.lxi. de.
moderna ortografia. Ma quella della lomese de. agvsto. xiiii. indiccionis.
scoltura è come sceue.
(•) Oltre a' sci Tersi di quest'inno, l'altra (a) È notabile che tutti i nastri abbian Itt-
pubblicazione è del fr,immento della prima to costantemente prioxale.
pitica da noi dato alla pag. 112.
332
DE R I T I S
^e' cartocci eh' esprimono il dialogo zione della parte metrica , altro non
tra il mercadanle e la morte. saprei che aggiugncre al gii detto dalla
pag. 2oG a 210. E poco rimane a dire
TVTO.TEVOLio.DAHE.SEMEL.vsi.scANp\nE. SU la Scrittura dell' orlo. Non ci arre-
SETVMEPOTISSE. D.\HE. QUANTO. SErOTE. Stercmo nò su 1' AVENO né su 1' \NNE-
ADEMANDABE. NOTE. scAN'PARA. LAMOit- GATE, che a primo aspetto scmbran
falli di sintassi, ma che cessano di es-
ser tali se si rifletta al J^-^^ jTJ'nSx
del primo x. della Genesi , ed alla E
stretta quasi sempre dai nostri sosti-
tuita alla I. E dopo di aver detto che
r ultima parola tn'dicciosis è nella
pronunzia dei nostri maggiori che an-
che dissero /ccc/owes (i), avrcm detto
lutto.
Le iscrizioni in volgare par che
non dovessero essere infrequenti nella
città nostra (e); m:i presentemente par
che delle antiche questa soltanto siasi
conservata.
Abhiam fatto incidere come or si
osserva il monumento colle due iscri-
zioni soprapposte , quantunque non
v'abbiano relazione alcuna^ e servan
soltanto di testimonio che fosse là si-
tuato anche quando il tempio di S.
Pietro Martire era nella primitiva sua
Per quel che riguarda intcrpctra- forma. L'iscrizione del i3.j7 era liit-
[h) Sed primìccrii sex graecarum ecclesia- constatino ab ani cccx\xxiìi pcy la k.*~
nim constitutantin in ipsa civitate . . . tenen- Tiri vi de xpo et la co-sacbai. s. sil-
tur venire ad diclani neapoUtanam ecclesiam r estuo et ave home. s. ioa^ne ad FOjf--
tit cantare seu legere sex lecciones gruecas, te et ave ijtdulgetiae iriifiTAB. Jfea~
Chron. S. M- de Prin. poli ergo non nisi ista neapo'itana diaUcto
(e) Ecco quel olle abbiamo dal Mazzocchi, scriptores saeculo XIV et XV ittebantur j
Sed et marmora plura sunt passim eadein sed multo tamen puriore quam qua intlgus
dialecio perscripta : cuiusmodi illud est quod neapolìtanum colloqnebatur - Mazzocchi , de
in Oratorio S. Ioannis ad Fonles prope cathedraìis ecihs. neap. s-.mp. un, j etc.
S. Restitutam legitur in hunc modum: qve- p. S.Sj n. 70.
STA CAPTELLA LA EDIFICAI LO IMPF.r.ATORE
TE. SETEVENE. LASOKTE.
Neil' ara.
roso. LAMOUTE. CHICHACrO
SOPERA. VOI. lENTE. MVNDANA
LAMALATA. EL ASANA
DIE. NOTE. LATEnCHACCIO
NOFVOrA. NESVNO. INETANA
P. SCAMPARE. DALOMIO. LACTTO
CHE. TVCTO. LO5IUND0. ABRACTIO
ETVCTA. LAGENTE. VMANA
PER. CHE. NESSVNO. SE. CONFORTA
MA. PRENDA. SPAVENTO
CHEO. PER. COMANDAMENTO
DE. PRENDERE. ACIIIVEN. LASORTE
SIAVE. CASTIGAMENTO
QVESTA. FEGVRA. DE. MORTE
E PENSAVIE. DE. FARE. FORTE
IN VIA. DE. SALVAMENTO
51 E T K I ARABI.
533
tavia su la porla maggiore a' tempi
dell' Engenio, e inlanlo il monuraenlo
(li Fiancischino ci ci dcsciive avaiila
che s' entri per la porla ìnaggiore nel
mtero a sinistra [d).
Secondo il Summonte, questo Fran-
ceschino par che l'osse stato un fore-
stiere accidentalmente balzato in Na-
poli dopo una fortuna di mare (e).
Ma clic <jui avesse domicilio e discen-
denti fa testimonio il Celano (/).
Come oggetto d'aite questo marmo
non iiianjca di pregio : e non va ri-
posto tra gli ultimi di quella dà, sia
the si consideri l' invenzione , sia
che pongasi pensiero alla disposizione
dello figure (^).- Ma sopra tutto meri-
ta riguardo come storico monumento.
La forma del cappuccio del frate ,
il velo della monaca , la fuggia de'
capelli del re e di quel gentiluomo
che gli è a fianco (A) , la mitra bassa
del vescovo (/) e la tiara del papa {i)
saranno studiati dagli artisti che vo-
(<i) Napoli Sacra, pag. 45 i.
(e) 1) Fra tante guerre , uccisioni e cose
fuuesic , conviene ormai i'are alquanto di di-
gressione , e trattar d' un caso alquanto ridi-
coloso f di qualche considerazione , successo
nel tempo della regina delU quale scriviamo
[Giovanna I]: del che ; sebbene insino a' no-
stri tempi ne appare memoria scolpita in
marmo , pure si ha per tradizione passata
alla memoria degli uomini , che un mercante
per nome chiamato Franclschino di Frignale,
essendo rotto in mare , fé voto di fare una
memoria ad onore della SS. Trinità nella
chiesa che prima troverebbe nel giuguere al
lido j e giunto nella marina di Napoli , entrò
nella chiesa di S. Pietro Martire, ec. Tom. II,
pag.4,43.-Wa perchè il Summonte considera-
va tutto questo come un cas» ridìccloso?
(/) » Ed un tal veccliio del quartiere di-
ceva d'aver saputo dai discendenti di que-
sto Franceschino , che quell' uomo che sca-
rica il sacco delle monete sopra d'un tavo-
lìuo a\anti la morte era il ritratto di esso
f rancischino. » Ciorn. IV.
{g) Dobbiamo bdarcl della diligenza del
nostro disegnatore per non essersi permesso
di rettificare le forme dell'originale e con-
servarci tutto nella sua autentica grettezza.
Ciò che più d' ogni altro avrebbe avuto bi-
sogno di correzione era il becco del falcone
che spicca il volo dal pugno della morte, e
che dà all' uccello la figura piuttosto di una
colomba. Il logoro però è beuissinio espres-
so , e pare inconcepibile che il Sigiamondi
avesse potuto prenderlo per un arco. Descr,
della città di Nap. , tom. II, p. 197. — Si
noti che il logoro dlcesi da' nostri scrittori
costantemente loiro,
[h) Quella foggia di raggruppare la chio-
ma in un solo anello , e che si è conservato
sino alla nostra età nella prelatura ed an-
che ne' cherici minori, osservasi in tutti i
gentiluomini che sono alla sinistra di Carlo
l'illustre nel suo sepolcro a S. Cliiara
(i) tonasi tutti i pittori e scultori moderni
sono in difetto nel rappresentare le mitre de*
primi tempi. Può consultarsi a tal riguardo
con molto profitto l'erudita opera del p. Fi-
lippo B.onanni ; La gerarchia ecclesiastica
considerata nelle veili sagre e civili , Roma
1720. £ chi volesse opporre il minore cBetto
delle mitre basse in confronto delle alle mo-
dernamente adottate , vegga nella collezione
del Monttaucon l' antica statua della Dea Si-
ra , e da sé stesso decida.
W Veggasi l'opera citata del p. Bonanni ,
33j
DE R I T I S
gliono conservare il coslurae dei tem-
pi nelle loro composizioni : e molto
più la zimarra e i sandali del merea-
daiitc (/). E le due corone delle quali
è ornata la morte rammenteranno agli
eruditi il costume che appunto nella
età del monumento invalse di aggiu-
gnere un secondo cerchio alli tiara
pontificia, che allor si disse òi regno,
e non tardò guari a divenir trire-
gno {m).
Ed anche i due scudi incappati
che sono agli angoli superiori elei mo-
numento meritano considerazione, di-
mostrando che nell' anno i3Gi non
avesse ancora 1' ordine de' predicatori
caricalo il suo stemma della stella e
del cane colla fiaccola in bocca, e gia-
cente o andante su d' un libro. Coni.e
i due scudi della famiglia de' Capa-
ni j posti lassù rovesci e per semplice
ornato , dimostrano che nel i555 non
mollo que' padri si brigassero di bla,-
soneria,
eap. LXVI , p. 268. La forma che qui veggia-
mo della tiara pontificia è quella stessa che
appariva nel mosaico di cui papa Attanasio IV
fece ornare la cappella di S. Nicola in Boma ,
e che fu poi inciso dai Bollandisti — jict.
mai j p. 308. Alquanto più alte son le tiare
di che sono ornati tutti gli Apostoli in S. Gio-
Tanni in Tonte di Kavenna. V. Ciarapini ,
fef. moji. P. Jj opera musiva ^ cap. XX Vt
tab. LXX.
{ / ) Sia che 1' uso del biregno vada rife-
rirsi a Benedetto XII, sia a Bonifacio VII,
certo è che il triregno non cominciò ad usarsi
prima di Urbano V. Bonanni , ub. supr.
(m) Il costume di questa figura par che si
conservasse tra noi sino al secolo XVI, L' Eu-
genio cosi si esprime nel fare la descrizione
di questo monumento : Ei incontro dì lei ( la
morte ) un huom vestito da mercante il (jual
butta un sacco di denari sopra un tavoh'
no j ec.
Pag,
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26 Mal consuetuiline in-
E mal consuetudine in argini '
frange ogni argini.
24 Non si resta e in abito
Non mai si resta
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INDICE
PEL P R E S E Tv T E F A S C 1 <; O L O.
/ metri arahi: memoria di FijfCENzo de Ri-
Tis |>ag. 1
Coi presente fascicolo panno unite ire tavoln in
rame.
Prezzo degli atti accademici.
VOL. I. Fascicolo primo., g. 28 Voi. I[. Fascicolo primo., g. 60
Fascicolo secondo, g. 70 Fascicolo secondo, g. 20
Fascicolo terzo. . . g. 70 Fascicolo terzo, . . g. 40
Fascicolo quarto., g. 28
Fascicolo quinto . g. 28
L'intero volume, d. 2. a4 Voi. III. Fascicolo primo... d. 2.40
I fascicoli suddetti sono vendibili nel locale
deW Accademia ; f^ico porta piccola della
Pietra Santa n." aa.
ATTI
DELL'
ACCADEMIA PONTANIANA
VOLLME IV.
NAPOLI
■TABILIMEVrO TIPOGBIFICO DEL TB.lMftTBB
Strada S. Sebastiana N.° 30 primo piaoo.
1851.
ALLA HAESTA
DI
FERDINANDO II.
RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
eie. etc. etc. *^
Sacra Real Maestà
L
Accademia Pontaniana , che fu sem-
pre dalla M. V. onorata della Sua reale pro-
tezione , osa offrirle rispettosamente il quarto
volume de' suoi atti.
Noi intendiamo con questa umile offerta
di manifestar la nostra gratitudine e la nostra
devozione verso la Vostra Augusta Real Persona;
ed abbiamo fiducia che la M. V. si degnerà di
accoglierla benignamente, mostrando così ver-
so i nostri lavori Accademici il Suo Sovrano
gradimento.
Pregando Iddio di conservar lungamente
all'amore ed alla felicità de' Suoi popoli la
M. V. e la Sua Augusta Real Famiglia , ci
segniamo col più profondo rispetto
Di V. M.
. , ^ ^evotis»mi e Fedelissimi mdditi
ì '\}V<.\t' gjj ACCADEMICI POnTAWAW.
NOTIZIA
DELL* ACCADEMIA PONTANIANA
PER GLI ANNI 1845, 184G, e 1847
Letta ali* accademia dal segretario perpetua
GIULIO MINERVINI.
Signori Colleghi
(jià r uomo illustre , cbe mi ha preceduto nella
carica di Segretario Perpetuo , tenue ragionamento de' la-
vori dell' Accademia sino a tutto l'anno 1844 • ^ l'ultimo
ragguaglio relativo ad un intera decennio trovasi ormai
pu])blicato.
Ora a me piace continuar quel ragguaglio pe' tre anni
seguenti , ne' quali la operosità della nostra Accademia si
mostra degna di onorevole ricordanza.
E cominciando da' lavori dell'anno i845 , clie alle
scienze matematiche si riferiscono, rammento la memoria
del sig. Vincenzo Antonio Rossi sulle supeificie anu-
lari y e l'altra del sig. Fortunato Padula su le equa-
zioni relative al moto de liquidi. Né debbo tacere la
importante comunicazione del sig. Ernesto Capocci j il
qaale Ce preventivamente conoscere i dati del passaggio'
VI Jnno 184.S.
di Mercurio sul disco solare , che fu poi la Napoli os-
servato nel giorno 8 Maggio.
PIÙ grande fu il numero delle memorie nella classe
delle scienze naturali.
Il sig. cav. de Luca espose cosa esser dovesse un
almanacco geografico italiano , parlò de' vóti in geografia,
e del modo per riempirli. Il sig. Rossi tenne proposito di
ima efficacissima pratica per istabilire la sussistenza dello
sbocco de' fiumi in mare.
Debbonsi al sig. Oronzio Gabriele Costa alcune illu-
strazioni al genere Cypridina , e la descrizione di una
novella specie distinta dalla Cypridina Reynaudii , e
che l' autore appella Mediterranea.
Il cav. Michele Tenore Presidente dell'Accademia die
conoscenza di un nuovo genere nella famiglia delle Iridee,
che chiamò Polla Bonariensls , traendone il nome dalla
memoria del nostro illustre concittadino commendator Polì,
e dalla provenienza della pianta.
;':fn Finalmente l'importantissimo ramo della chimica or-
ganica non fu punto trascurato dall' Accademia : ad essa
appartengono le osservazioni sulla Clanorina fatte dal sig.
Giovanni Semmola , tendenti a formarsi una più chiara
idea di quella morbosa organica produzione.
Alle scienze morali ed economiche furono in quel-
l'anno destinati non pochi lavori. Il sig. cav. Pasquale
Stanislao Mancini presentò un esame ragionato delle opere
sulla polizia preventrice del cav. Roberto Mohl di Tubin-
ga. Il sig. Michele Baldacchini lesse brevi osservazioni
sopra una teorica della certezza. Il socio corrispon-
dente sig. Marchese de Ribas imprese a dare, con appo-
Jnno t84^. TH
sita memoria, una più esatta analisi della sensazione. Due
lavori furono presentati dal sig. Vitaliano Sabatini j il pri-
mo sulla utilità e sugli espedienti principali per ren-
dere la scienza popolare j il secondo sulla importan-
za dell' attività e della sveltezza sotto il rapporto
deir educazione Jisica. Il sig. cav. Luigi Blanch presentò
un suo breve discorso che ha per titolo = Su qualche
disposizione di parte della società attuale =» Bisogno
di emozioni. Ed il cav. Panvini lesse un suo ragiona-
mento intitolato Liete speranze per lo progresso della
nuova civiltà. Da ultimo il sig. Matteo de Augustinis ia
un suo lavoro statistico trattò della valle del Liri, e
delle sue industrie.
Alla classe di antichità appartengono una memoria
del sig. de Ritis sopra alcuni siti dell' antica Napoli ,
e la dichiarazione di un antico vaso di Ruvo con sint'
holiche figure , fatta dal sig. Giulio Minervini.
Due lavori relativi all' estetica intrattennero l' Acca-
demia , r uno del sig. cav. Francesco Paolo Bozzelli sullo
origini e le doti del teatro indiano '^ l'altro del sig. ab.
Gaetano Pesce contenente i prolegomeni intorno agli
studii della parola.
Nò scarso fu il numero in questo anno delle poeti-
che produzioni. Oltre alcuni sonetti del sig. ab. Rucca ,
«Icune poesie del sig. ab. Carpino , ed un' ode del sig.
Barone d' Epiro , ricorderò le stanze della signora Maria
Giuseppa Guacci-Nobile, quelle del sig. Giulio Genoino,
e le altre del sig. Giuseppe Campagna , le quali han per
titoli rispettivi Giambatista della Porta \ Un voto\ La
scienza e V arte.
vm Jnno t84-o.
In questa medesima classe de' lavori di gusto va no-
verata una prosa del nostro socio non residente sig. Fi-
lippo de Jorio , che porta l' epigrafe vìsita a Castellam-
mare £ Italia.
La biografia degli uomini dotti , specialmente allor-
ché sono fondatori di qualche sistema , interessa grande-
mente a' cultori delle scienze*, ed è perciò che riuscì gra-
dito r elogio storico di Samuele Anemanno , dettato
dal prof. Romano.
Fra' lavori presentati nell'anno i845 non debbo omet-
tere un discorso sullo stato di Platone , che fu ammesso
a leggere il sig. Errico Pessina , quantunque non appar-
tenesse alla nostra Accademia , e che trovasi già dall'au-
tore pubblicato per le stampe.
Avendo il sig. Fedele Amante lette alcune sue con-
siderazioni sul modo di raccogliere gli elementi per la
formazione di un vocabolario italiano delle scienze e delle
arti , fu nominata un' apposita Commissione per colorire
un s'i importante disegno 5 il quale , come sarà detto tra
poco , meritò ulteriore attenzione nell' anno seguente da
parte dell'Accademia.
Varli peculiari incarichi tennero particolarmente occu-
pate diverse classi. Così quelle di scienze naturali , e di
letteratura italiana furono invitate a dare un parere sul
progetto del sig. prof. Costa, di un dizionario de' nomi
volgari degli animali del regno. E mi giova qui ricordare
che il sig. Costa, nel dare alla luce un saggio di tal dizio-
nario, non omise di riferire il parere di quelle due classi.
Una più seria occupazione intrattenne la classe delle
scienze matematiche.
Jnno iS4^. IX
Richiamo alla vostra memoria , onorevoli Colleghi ,
che la classe raalematica propose nel i843 il suo program-
ma, con premio straordinariamente stabilito dall'Accade-
mia in ducati 200 da accordarsi alla memoria che desse
una dichiarazione 'soddisfacente di tut^Oìlc particola-
rità di un fiume torrente del regno di 'Napoli ^ e
delle opere idrauliche più conducenti a contenerlo
nel suo alveo.
Essendosi in risposta ricevuti due lavori uno sul fiu-
me Calore, l'allro sul fiume Sele , la classe si occupò
diligentemente ad esaminarli. 11 suo giudizio fu che non
si dovesse tener conto della prima memoria , che la se-
conda meritasse un accessit, come quella che mentre non
soddisfaceva pienamente al proposto quesito , conteneva
non pertanto non pochi pregi, i quali meritavano ancora
un incoraggiamento pecuniario.
L' Accademia aderì al volo della classe , e decise
darsi all' a. sig. Emilio de Augustinis il premio di duc.So.
Fra' corpi scientifici e letlerarii, che si posero in rela-
zione con noi, ricorderò l'Accademia scientifico-letteraria
de' Concordi in Bovolenta , che c'inviò il suo statuto 5
non che l'Ateneo di Brescia, che ci fé parte de' suol com-
mentarli per gli anni 1840 e 1S41. L'Istituto Lombardo
di scienze lettere ed arti e' inviò il primo volume della
nuova serie de' suoi atti 5 e ricevemmo ancora gli atti
del VI congresso degli scienziati italiani, che ebbe luogo
in Milano.
Ma fu per noi memorando quest' anno , o Signori ,
perchè ci fu dato di accogliere in questa medesima sala
in una straordinaria tornata i più eletti ingegni d' Italia
6
X Anno i84S.
convenuti in Napoli al VII congresso scientifico italiano ,
molti de' quali eran pure nostri colleghi.
Il desiderio di onorare i nostri Ospiti illustri ci fece
in queir anno interronopere la serie de' nostri atti.
Fu invece per noi pubblicato un volume contenente
la notizia de' lavori dell' Accademia per gli anni i835 e
seguenti fino a tutto il i844 dettata dal segretario perpe-
tuo, ed alcune delle memorie o poesie presentate nel corso
dell'anno, e delle quali dicemmo di sopra. Il titolo di que-
sto volume , impresso con quella maggiore possibile ele-
ganza, che dalla brevità del tempo ci fu conceduta, e fre-
giato di alcune tavole incise, fu agli scienziati d'Italia
del VII congresso dono delV Accademia Pontaniana.
Numerosi esemplari ne furono tirati, e distribuiti a
tutti i membri del congresso , a' quali era particolarmente
destinata quella pubblicazione.
Nell'anno i845 avemmo a deplorare la perdita di molti
sodi residenti rapiti da morte.
Il cav. Francesco Lancellotti, il commendatore Teo-
doro Monticelli, il Barone Giuseppe Niccola Durini, Mat-
teo de Augustinis , Francesco Fergola pagarono il tributo
alla natura. Ma tra essi i due ultimi furono da troppo
immatura morte colpiti j e segnatamente il Fergola , il
quale mentre era inteso a' suoi grandi lavori di triango-
lazione , sulle cime delle montagne affrontando disagi e
pericoli , che il solo amor della scienza persuade ad af-
frontare, come un generale in campo di battaglia, cadde
spento da una folgore.
Io non mi dilungherò a parlarvi della vita e delle
opere di questi nostri colleghi 5 già molti tra voi compi-
Jniio iS4^. XI
10110 verso di loro questo dovere : e debbo citare uua
scrittura del sig. Amante, nella quale lodando il Pergola
fé conoscere tutti i grandi lavori geodetici da lui eseguiti.
Questa notizia formerà parte de' nostri atti.
Il numero de' nostri soci; onorarii, corrispondenti, o
non-residenti si arricchì non poco in questo anno ; ma
mi permellerele, o Signori, che io faccia particolare men-
zione di S. M. il Re di Svezia e Norvegia Oscar I, il
quale degnossi di accogliere 1' omaggio dell' Accademia \
che Ira' socii onorarii lo annoverava come un illustre per-
sonaggio , che accoppia alla gloria dello scettro anche
quella non meno grande della scienza.
La biblioteca nostra si accrebbe nel i845 pe' doni
de' signori Matteo de Augustiuis , conte Adriano Balbi ,
dottor Barsotti , cav. Ludovico Bianchini , Stefano Bona-
cossa , Giuseppe Bresciani di Borsa, Oreste Brizi , Fede-
rico Bursotti, cav. arcidiacono Luca de Samuele Cagoaz-
zi, Pietro Camardella, Giuseppe Campagna, conte Gino
Capponi , Giovanni Casarelto , Vincenzo de Castro , cav.
Francesco Ceva-Grimaldi, canonico Taddeo de Consoni,
Niccola Corcia, Achille Costa, Oronzio Gabriele Costa,
Andrea Cozzi , Carlo Crolli , Giovanni Galbo-Palernò ,
Giulio Genoino, Francesco Ghibellini, conte Graberg de
Hemso , marchese Angelo Granito, abate Raimondo Gua-
rini , p. Alberto Guglielmotti , csv. Giovanni Gussone ,
bar, d'Hombres Firmas, Giuseppe Ignone, cav. Bernar-
do KÒhne , Pasquale Laureana , Vincenzo Loraonaco ,
ab. Giacinto Longoni , Giovanni de Luca , cav. Fran-
cesco Lusi , Gustavo Mancini , cav. Pasquale Stanislao
Mancini , Cesare Marini , conte Gennaro MaruUi , conte
xn Anno ^84-0.
Trojano Mnrulli , Antonio de' baroni Mazzlotti , Gabriele
Minervini , Giulio Minervini, Giuseppe Moretti, monsig.
Navazio , Carlo Kovellis , Gaetano Osculatis , Giacomo
Paci, Domenico Pagliara, Pier Alessandro Paravia, Tom^
maso Perifano , Gaetano Picardi , Gabrio Piola , Dome-
nico Ragona-Scinà , conte Annibale Ranuzzi , Francesco
Regli , cav. Salvatore de Renzi , Timoteo Riboli , cav.
Angelo M. Ricci, Biagianlonio Roberti, raarcliese Carlan-
Ionio de Rosa, dott. Rosnali , Vincenzo Antonio Rossi,
Giuseppe Saleri, conte Faustino Sanseverino , Savino Sa-
vini, Teodoro Serrao, cav. Michele Tenore , sig. Toelken,
Andrea Tipaldi , cav. Benedetto Trompeo , Giovenale
Vegezzi-Ruscalla, Giuseppe de Vincenzi, Rernardino Zam-
bra, ed Achille de Zigno.
Noterò particolarmente il dono di varii opuscoli te^
deschi fallo alla nostra Accademia dall'illustre nostro so-
cio sig. consigliere Mittermayer, Queste produzioni relar
live a varii rami di scienza , e venuti fuori in varii siti
della Germania, appartengono a' Signori Bischoff, Haenel,
Rùchenmeister, Legler, Mòbius, Philippi, e Schwarlze;
Passando all'anno 1846, rammento tra' lavori della
classe matematica la memoria del sig. Fedele Amante ,
nella quale si propone una nuova maniera di calcolare
gli archi di meridiano fra Montjouis e Formentera.
Ben quattro suoi lavori comunicò all'Accademia il nostro
socio sig. Vincenzo Antonio Rossi. Il primo è una me-
moria analitica sulle superficie anulari di terza classe
in generale. Il secondo è una nota sulle inviluppate
rigate delle anulari di prima e seconda classe. Il
tei-23 è una memoria analitica stilla superficie , se-
rondo la quale potrehbonsi conformare le parli infe-
riori de" moli sporgenti in mare. Col quarto lavoro fi-
nalmente il sig. Rossi comunica all' Accademia i princi-
pali risultamenti da lui ottenuti in una nota sulle
variazioni di accrescimento di altezza delle acque di
un lago diviso in due , e delle rispettive variazioni
di capacità. Ricordo pure una nota del sig. Fortunato
Padula contenente alcune ricerche idrauliche.
Nella classe delle scienze naturali varie memorie fu-
rono fornite dal sig. Oronzio Gabriele Costa Presidente
dell'Accademia in quell' anno. Tali sono quella relativa ad
un nuovo pesce della famiglia de' Gadini y al quale il
sig. Costa dà il nome di Merlucius TJraleptus : la nota
intorno a due particolarità da lui per la prima volta os-
servate circa la conformazione degli occhi dell' Urano-
scopo , volgarmente detto pesce lucerna : la terza me-
moria concerne ad un novello genere di entomostraci del-
l' ordine degli Ostracodi o Ciproidi , a cui si dà la de-
nominazione di Nauplius hirsutus,
Il cav. Pasquale Panvini riferì all'Accademia intorno
ad un caso di malattia periodica, che un individuo por-
tava dalla nascita (una specie d' ittiosi") , con disquama-
zione della pelle nell'Autunno, e riproduzione della cu-
ticola verso la Primavera. Lo stesso cav. Panvini lesse
un breve cenno sul metodo di litotripsia coli' apparato
elettro -chimico , praticato dal sig. Cervelleri : il qual
cenno fu causa di un rapporto dell'Accademia al Ministro
degli affari interni, perchè si facesse lo sperimento di quel
metodo ne' pubblici ospedali.
Alla classe delle scienze naturali appartiene un lavoro
XIV ydiino iS46.
entomologico del sig. Achille Costa, contenente la rivista
delle specie napolitane del genere Merocoris. Mi piace
anche iu questo luogo di ricordare una memoria relativa
alla storia della scienza medica , colla quale il cav. Sal-
vatore de Renzi cercò di provare, che il libro de vetere
Medicina , il quale va tra le opere d' Ippocrale , sia da
attribuirsi ad Alcmeone di Crotone.
L'antichità e la Storia furono l'argomento di due
memorie del sig. Marchese di Villarosa ; una sulle coorti
equitate de' Romani, l'altra intorno a'U morte di Fede-
rico Secondo lo Svevo.
Per ciò che spetta alle belle lettere, il nostro socio
non residente sig. Tonamaso Perifano lesse un suo discor-
so , nel quale dassi una nuova spiegazione del veltro e
della lupa , di cui si ragiona nella Divina Commedia del-
l'Alighieri. Questa spiegazione .provocò da parte del sig.
cav. Giuseppe di Cesare alcune novelle osservazioni sullo
stesso soggetto.
Non tacquero né pure in quest' anno i sacri cultori
delle Muse. Il sig. Giuseppe Campagna proimuziò nel seno
dell'Accademia tre sue canzoni: la prima intitolata alVe-
sule j la seconda la forza del pensiero j la terza la
guerra £ Africa. Il sig. Domenico Anzelmi lesse un suo
poemetto , che porta per epigrafe V antropofago de Pi-
renei. Il sig. Quintino Guanciali dettò un carme latino
nella circostanza della sua ammissione tra' socii residenti,
facendo nel tempo stesso le lodi del defunto ab. Ferrara,
di cui aveà preso il posto.
Lo stesso officio resero con particolari elogi a Matteo
de Augustinis , ed al barone Durini , i socii Vincenzio
Anno t846. xv
Moreno, e Vito Mastrangelo, che loro successero nell'Ac-
cademia.
Alcuni altri lavori ci furono comunicati in quest'aa-
no , che non appartengono a nostri socii. Il sig. baroncino
Alessandro Petti lesse un discorso sul progetto di un' o-
pera intitolata dizionario di morale e politica : ed i
sigg. Genoino e Guanciali presentarono un lavoro ma-
noscritto del sig. conte di Tanejef sullo stato presente
della legislazione e degli studii di giurisprudenza
in Bussia.
Fu nel 1846 pubblicato il 1 fase, del voi. V de' no-
stri atti contenente la memoria del sig. Salvatore Fusco
intorno ad alcune monete di Amalfi, e l'altra del sig.
Giuseppe Fusco intorno ad alcune monete aragonesi ^
ed a varie città che tennero zecca in quella stagione.
Come di sopra annunziammo, si rivolse di nuovo
l'attenzione dell'Accademia sulla proposizione del sig. A-
mante di un dizionario tecnologico italiano. Altri membri
si aggiunsero alla commissione nominata nell'anno prece-
dente , che si compose perciò de' signori cav. Cagnazzi ,
cav. de Lu^ca , Amante, Padula , cav. Tenore, cav. de
Renzi, Semmola, cav. Gussone, Borrelli , cav» Mancini,
Palmieri , Bursolti , cav. de Cesare , Gervasio , Corcia j
Fusco Giuseppe, Genoino, d' Elena, Campagna, e Guan-
ciali. La commissione, riunita per la compilazione di un
programma di quel vocabolario , fu di parere che se ne
presentasse un progetta all' Vili congresso in Genova, la
seguito del rapporto della commissione, l'Accademia nel-
r approvare quanto si era da essa stabilito, commise al
socio Pasquale Borrelli di scrivere quel programma ; e
XVI j4nno i846.
questo chiarissimo nostro collega accellando l' onorevole
iocarico lesse prima in Accademia il suo lavoro , e po-
scia lo consegnò al Segretario della commissione sig. cav.
Mancini.
Avendo poi l'Accademia scelto a rappresentarla come
deputali presso 1' ottavo coog-resso i sig. cav. de Renzi ,
cav. Mancini, ed Achille Costa, afEdò loro la cnra della
stampa di quel lavoro, che venne eseguita in Genova,
essendosi ivi distribuita in un grandissimo numero di e-
semplari. E mi è grato, o Signori, di ricordare, che fu
quel progetto dell'Accademia accolto con grandi applausi
dalla sezione di agronomia e tecnologia del congresso ,
la quale diede al cav. Mancini l' incarico di parteciparlo
a tutte le phV riputate Accademie d' Italia.
La classe delle scienze naturali propose nell'anno
1846 il programma per lo concorso al premio di duc.So
da accordarsi a chi presentasse la più soddisfacente rispo-
sta al seguente quesito = Descrivere la topografia me-
dica , la meteorologia , le m,alatlie predom^inanti , i
rimedii naturali , la statistica e la storia delle epi-
demie di una delle Provincie del regno delle due
Sicilie.
Di due comunicazioni fatte all' Accademia mi con-
viene tener discorso , perchè dirette a garentire la prece-
denza ia alcune ricerche. Il cav. de Cesare presentò un
suo manoscritto , che porta il titolo Glorie italiane del
XII secolo , ossia la Lega Lombarda. L' opera è divisa
in 7 libri, che si contengono in 17 quaderni con note.
Porta in fronte la seguente epigrafe : Neque enim post
Italiam diris exterorum oppressionibxis affiictatam
j4nno tS4'>- x\ii
tempus ullam exsl'dit , quo Itaìi veterem romanac
virtutìs et constantiae indolem haud prorsus in ani-
mis exolevisse suis apertius declararint. Sigon. Jiist.
de regno Italiae lib. XIV pag. 33o. Si è potuto rilevar
dall' esame maleriale ed esterno di quello scritto , che il
cav. de Cesare avea quasi condotta al suo termine l'opera
di sopra annunziata j quantunque non possa l'Accademia
gareulire tutte le particolarità in esso contenute , giacché
r a. lo ritenne in suo potere , né lo depositò nel nostro
archivio.
L' altra comunicazione ebbe luogo nella tornala de'
26 Luglio. Il cav. Pasquale Panvini depositò un plico
suggellato , sul quale si legge « Descrizione e disegno
di una macchina idraulica ideata da Francesco An-
tonio Giacomarra, per fare agire mulini, gualchiere,
cartiere, e far muovere legni in mare con movimento
da sé f depositata nelV Accademia Pontaniana dal
cav. Pasquale Panvini a' a6 Luglio 1846 ».
Per quel che concerne la relazione con altre società
scientifiche , ricorderò che furono a noi partecipali i pro-
grammi di concorso dalla società medico -chirurgica di
Torino, e dall'Ateneo di Brescia. Né ometterò di ram-
mentare che l'Accademia fisico-medica-statistica di Milano
e' inviò alcuni fogli del suo diario ed atti j l' istituto lom-
bardo il secondo volume delle memorie^ ed il quinto del
giornale j e che alcune pubblicazioni ci pervennero dal-
l'Istituto Storico di Francia. La società agraria di Bolo-
gna inviò alcuni volumi delle sue memorie, e fu deciso
mettersi con essa in corrispondenza, mandando uo esem-
plare de' nostri atti.
e
xviii Anno 184.G-
Gravi perdite d' illustri socir sofferse pur l'Accademia
nel 1846. L'abate Giuseppe Ferrara, il cav. Antonio Na-
nola , Stefano Cusani , ed il barone Pasquale Galluppì
altro non sono per noi che una onorata memoria. Ma la
la fama del Galluppi, e le sue opere saranno eterno mo-
Buraenlo di gloria per la filosofia italiana.
I libri della nostra Accademia (oltre alcuni novelli
acquisti) furono aumentati per le opere de' signori Carlo
d'Andrea, Adriano Balbi, p. Pietro Bandini , Pietro Bia-
giiii , cav. Niccolantouio Bianco , G, Luciano Bonaparte
principe di Canino, Toramasa Bonparola , prof. Botto,
Oreste Brizì, Federico Bursotti , cav. Prospero Cabasse ,
Giusep]»e Cadolini, Giuseppe Campagna , cav. Vito Ca-
pialbi, Rosario Caruso, Federico Cassitto, Giuseppe Cat-
taneo , cav. Giuseppe di Cesare , Michele Cito principe
della Rocca, Niccola Corcia, Achille Costa, Oronzio Ga-
briele Costa, Achille Desiderio, A. Fabbroni, dott. Freire
Allemào, Giovan Vincenzo Fusco, Giuseppe M. Fusco,
Ambrogio Fusinieri , Giov. Galbo-Paternò , arciprete Mi-
chele Carrubba , Giulio Genoino , Agostino Gervasio ,
Giuseppe Germier de Veze , Silvestro Gherardi , Luigi
Grimaldi , Quintino Guanciali , ab. Raimondo Guarini ,
sig. Guilloiy Ainé, barone d'Hombres Firmas , France-
sco Lattari , cav. Ferdinando de Luca , Giov. Alessandro
Majocchi , cav. P. S» Mancini , conte Gennaro Marnili ,
Tommaso Mazza , Giulio Minervini , Giuseppe Minzi ,
Vincenzio Moreno, Ferdinando de Nanzio, Tito Omboni,
ab. Pasca , Giuliano Passalacqua, Errico Pessina, Alessan-
dro Petti, Domenico Ragona-Scinà , cav. Salvatore de
Rena j marchese de Ribas, Michele. Ridolfi , Vincenzo
de Rilis, Emraanuele Rocco, Baldassarre Romano, Car-
laatonio <le Rosa marchese di Villarosa , Vitaliano Saba-
tini , Terenzio Sacchi , Giovanni Sannicola , Savino Sa-
vini , prof. Selmi , Onofrio Simonelti , Brunone Sofrè ,
cav. Antonio Spinelli, march. Cesare Trevisani, Andrea
Tipaldi , Giuseppe de Vincenzi , Federico Wieseler ,
Giuseppe Zigarelli , e Giuseppe Zurria.
Nell'anno 1847 ^^ ^°'° lavoro fu presentalo nella
classe delle scienze matematiche dal sig. Vincenzo Rossi.
Lesse egli una nota sulla insiiffìcienza delle sole equazioni
algebriche ordinarie per la rappresentazione delle superfi-
cie, tali ijuali sono geometricamente generate, e sulla ne-
cessità di tenere in simultanea considerazione le funzioni
generatrici di esse equazioni.
In quanto alle scienze naturali , il sig. Oronzio Ga-
briele Costa diede in una sua memoria la descrizione di
due novelle specie di Balanidi, spettanti a' generi Aca-
sta e Balanino , cui fé seguire alcune considerazioni ana-
liliche sopra le medesime, e sulla natura vegetale delle
GoT'gonìe , alle quali esse son parassite.
Il cav. Pasquale Panvini lesse un cenno intorno al
metodo di litotripsia coli' apparecchio del Cervelleri.
E qui mi piace ricordare che lo slesso professor Cer-
velleri presentò all'Accademia alcuni sperimenti elettro-
chimici, con la pila voltaica di special costruzione, diretti
alla soluzione di pietre estratte dalla vescica.
Rammenterò pure la comunicazione venutaci dal Mi-
nistero degli aflfari Interni, colla quab ci si fé conoscere
essersi disposto che si sperimentasse l' applicazione di quel
metodo negli ospedali dipendenti dal real albergo de
Poveri.
XX Jnno tS4j-
L' Accademia non rimase però conlenta , e deside-
rando che aver potesse novello appoggio di fatti una sco-
perta, la quale sarebbe di tanto vantaggio per la languente
umanità) fece di nuovo istanze al Ministro degli affari In-
terni, perchè l'apparecchio del Cervelleri venisse benanche
applicato nel maggiore ospedale degli Incurabili.
Tornando a' lavori dell'Accadenala, rammento la me-
moria del nostro socio onorario tenente colonnello cav.
d'Agostino, contenente la illustrazione di alcune opi-
nioni in /alio di geologia^ e nella quale particolarmente
si ragiona della esistenza de' terreni carboniferi antichi, e
del vero carbone in Italia.
Per quel che concerne le scienze moraU ed economi-
che, il sig. cav. Luigi Blanch lesse un suo filosofico ra-
gionamento- intorno all'ambizione. Il sig. Giuseppe Fer-
rigni presentò un suo discorso intorno agli scrittori ita-
liani di politica t in questo discorso , che forma parte
di un più esteso lavoro , favellò unicamente di quegli
scrittori, che trattarono la politica sotto forma di coment!
agli antichi storici greci e romani. Al socio corrispondente
sig. Barone d'Ondes Reggio è dovuta una memoria sulle
leggi da' cereali nel regno unito della Gran Bretta-
gna^ e sulla loro abolizione.
Il sig. Giovanni Bursotti pronunziò un discorso con-
cernente a' trattati di commercio , ed a' mutamenti nelle
tariffe doganali seguiti ultimamente nel regno delle due
Sicilie.
Due lavori di storico argomento furono comunicali
all'Accademia, l'uno dal sig. Michele Baldacchini conle-
uente una storica narrazione relativa a Lotrecco , ed al-
^nno 184-7' itf
r assetilo (li Napoli nell'anno iSaSj l'altro del socio non
residente sig. Luigi Maria Greco Segretario perpetuo del-
Taccademia Cosentina , intorno a' privilegi di Cosenza e
Casali , di cui egli annunziò la prossima pubblicazione.
Se furono alquanto scarsi gli scientifici lavori dell'Ac-
cademia in quest'anno, lutt' altro dee dirsi delle poetiche
composizioni , le quali vennero frequentemente ad inter-
rompere ed addolcire le più gravi occupazioni. Né è da
farne le maraviglie, o Signori j perciocché avemmo a Pre-
sidente uno de' più chiari e valorosi poeti napoletani Giu-
seppe Campagna. Egli colla sua presenza risvegliava l'estro
de' suoi canori colleghi, e coli' esempio gì' invitava a toccar
le corde dell'Apollinea cetra.
Molti lavori in fatti si debbono al sig. Campagna.
Tali sono un poetico componimento che ha per oggetto
dimostrare essere V Evangelio uno de* più grandi fonti ,
da cui debba ispirarsi la moderna poesia j una canzone
al sommo Pontefice Pio IX j una canzonetta intitolata la
carità j ed una canzone al cuore di O' Connel traspor-
tato a Roma. Il sig. Giulio Genoino pronunziò due So-
netti sul gruppo in marmo della Pietà , opera del cav.
Gennaro Cali. Tre sonetti furono presentati dal cav. Fran-
cesco Ruffa., de' quali il primo ebbe per argomento la
Duchessa di Praslin , il secondo le conquiste degli
antichi Romani , e 1' ultimo la Grazia Divina. Il sig.
Lorenzo Morgigni lesse pure un Sonetto sul quadro del-
l' artista sig. de Napoli , rappresentante S. Francesco di
Paola : ed il sig. Quintino Guanciali un carme latino in-
dirizzato a' membri della società Anemanniana.
Né tacque il bardo di Novara sig. Giuseppe Regaldi^
il quale lesse un capitolo sulla città di Amalfi»
xxii Jnno t847'
•'• La morie dell' illiislre Galluppi fu lirapianla da molti
<le' nostri colieghi, i quali trassero dalla lira funebri suoni.
Due sonetti del cav. Francesco Ruffa, un capitolo del sig.
Giuseppe Campese , un' ode alcaica latina del sig. Quin-
tino Guanciali, di cui il Regaldi presentò una libera ver-
sione poetica , furono la espressione del dolore per la
perdita dell' illustre defunto , e dell' ammirazione per le
sue opere.
Altri socii residenti mancati a' vivi nell'anno 1847
riscossero poetici onori. Ottavio Colecchi dotto filosofo e
ir.atematico fu encomiato con un Sonetto dal sig. Giu-
seppe Campagna. Ma era poi conveniente che dagli anti-
chi colleghi ed amici si avesse lodi ed elogii il Marchese
di Villarosa Carlanlonio de Rosa , uomo che occupò la
sua vita a far le lodi degli altri. Le sue opere letterarie,
e le sue eminenti virtù furono celebrate con particolare
elogio dai cav. Avellino Segretario Perpetuo ^ con un la-
tino epigramma e con una latina iscrizione dal sig. ab.
Guarini j con alcune sestine dal sig. Genoino 5 dal cav.
Carfora con una latina elegia j con altrettanti Sonetti dal
sig. Giuseppe d' Elena, dal sig. Conte Marnili, e dal
sig. Giuseppe Campagna j finalmente dal sig. Barone d' E-
|)iro con un'ode italiana. Fu anche permesso al sig. ab.
Milone , quantunque non fosse nostro socio , di leggere
una sua poesia per la morte del Marchese di Villarosa ,
della quale per tal motivo io parlo in questo luogo.
Un altro elogio fu pur letto in Accademia dal sig.
Michele Baldacchini j vo dire quello del nostro socio ono-
rario marchese Basilio Puoti , il quale alla fama di colto
e forbito scrittore , accoppiava la gloria di avere grande-
Anno t847' xxm
niente propagalo nel nostro paese lo studio della lìngua
italiana. ■-
Due lavori non appartenenti a socii di alcuna classe
furono presentati all'Accademia. Il sig. Amante comunicò
una memoria del sig. Filippo Schiavone, relativa al modo
di determinare la definizione del filo a piombo in
una data stazione. Fu richiesto e si ottenne su di essa
un rapporto de' Signori cav. Ferdinando de Luca, e Vin-
cenzo Antonio Rossi. h,^ \''
Il sig. Francesco del Giudice lesse un suo ragion
nato discorso sulla statistica medica , e suo ordina-
mento nel regno di JSapoli. .y.s,
Non deggio poi tralasciare di rammentare che il sig.
Riccardo Cobden, uomo di conoscinta rinomanza, quando
fu di passaggio in Napoli volle intervenire in una delle
nostre ordinarie tornate ; e con un discorso in idioma
fraacese sviluppò brevemente le ragioni , per le quali si
sostiene la teoria del libero commercio. Questo discorso
pronunzialo in quel medesimo giorno, in cui il sig. Bur-
solti ragionò degli ultimi trattati di commercio , e della
variazione nelle tariffe doganali, fu particolarmente messo
a stampa insieme col lavoro del Bursotti , e ne. furono
distribuiti gli esemplari fra' socii.
Le stampe dell' Accademia progredirono ancora in
quesi' anno essendosi pubblicato il 11.° fascicolo del vo-
lume V degli atti, che contiene la memoria del sig. Vin-
cenzo Antonio Rossi intorno ad una superficie anulare,
secondo la quale potrebbonsi conformare le estremità de'
moli sporgenti in mare 5 con nove tavole incise in rame.
Un'altra pubblicazione ebbe luogo .nell'anno ,184.7.
È a sapere che l'antica socielà Pontaniana avea messo
a stampa quattro volumi di alti. Di questi soltanto tre
erano stali pubblicati 5 il quarto , di cui conoscevasi la
esistenza, benché impresso sin dal 1838, credevasi smar-.
rito nelle varie vicende subite dalla nostra Accademia.
Il sig. Giulio Minervini allora segretario aggiunto rivol-
gendo la sua attenzione a tutte le carte e le stampe serbate
nell'archivio dell'Accademia, si avvide che quel volume
quarto di cui andavasi in traccia era in separati fogli stam-
pato , per modo che potea senza indugio darsi alla luce.
Mancavano alcuni fogli, mancava l' indice, e la tavola che
andar dovea annessa al volume. Il Segretario Aggiunto
fu sollecito ad avvertir l'Accademia della felice scoverlaj
ed afifrettossi la stampa delle parti mancanti, che fu pre-
stamente eseguita.
Piacque al nostro Augusto Sovrano accettar la dedica
di questo volume quarto degli atti della società Ponta-
niana, che contiene le seguenti memorie :
1 . Notizia de' lavori della società Pontaniana per gli
anni i8i8, 1819 e 1820; del Segretario Perpetuo cav.
Francesco M. Avellino.
2. Ricerche sul sistema melodrammatico j di Pietro
Napoli Signorelli.
3. Illustrazione dell' antica campagna Taurasina , e
di alcune nozioni agrarie j dell' ab. Raimondo Guarini.
4> Continuazione delle osservazioni sulle cose ecla-
resi j dello stesso.
5. Sulla normale comune a due curve coniche esi-
stenti iu UQ medesimo piano \ memoria analitica di Fran-
cesco Paolo TuQci.
Jnno t84j' XXV
Il nostro invilo alle società scieolifiche e letterarie
d' Italia , per la compilazione di un vocabolario tecnico
comune a tutta la penisola, cominciò in questo anno a
fruttificare. In fatti ci fu comunicato da parte dell' Acca-
demia Fisio- medico -statistica di Milano, essersi accolto
con piacere V invilo di contribuire a quel lavoro, ed es-
sersi nominata una commissione per dare opera alla parte
che concerne il setificio , siccome la nostra Accademia
avea ritenuta la parie dell'Architettura, e della Musica.
In quanto alle altre relazioni con corpi scientifichl ,
ricordo che l'Accademia reale delle scienze, e l'Accade-
mia medico -chirurgica di Torino ci parteciparono i pro-
grammi di concorso da esse proposti : furono ricevuti vani
volumi degli atti dell'Accademia Cosentina, alla quale
furono inviati i nostri : ricevemmo altresì alcuni novelli
fascicoli delle memorie della società agraria di Bologna ,
e dell' investigateur dell' Istituto Storico di Francia. Fi-
ualmenle fu da noi accettato il cambio degli atti coll'Ac-
cademia Reale delle scienze di Stockholm, e colla Società
Reale delle scienze di Upsal.
Furono offerti in dono le loro pubblicazi(jni da* si-
gnori canonico Francesco Sav. Abbrescia, cav. Francesco
d'Agostino, Fedele Amante, bar. Stefano Attolini, Adria-
no ed Eugenio Balbi , Michele Baldacchini , Giuseppe
Bandiera , Girolamo Bianconi , Bartolommeo Biasoletto ,
Agostino Casazza, Filippo Cassola, can. Giuseppe di Ce-
sare , Vincenzio Colosimo , Niccola Corcia , Eduardo
Eichwald , Giuseppe d' Errico , Carmelo Faccioli , sig.
Fenicia, Luigi Frali, Giulio Genoino, sig. Bar. Gràberg
de Hemsb, Luigi M.* Greco, Maria Giuseppa Guacci-
d
XXVI Anno i847-
Nobile , Raimondo Guarini , cav. Ferdinando de Luca ,
cav. Pasquale Stanislao Mancini, conte Gennaro Marnili,
Tommaso Mazza , Gabriele Minervinì , Giulio Miaervini ,
Santi Neri, Giuseppe Novi, Luigi Palmieri, Andrea Pa-
padopulo Vretò, Errico Pessina, Bonaventura Portoghese,
Flaviano Poulet , Salvatore Proja , Biagiantonio Roberti ,
Ignazio Rozzi , Giovanni Sannicola , Giovanni Schirò ,
F. Selmi , Giacinto de Sivo , Giambattista de Tornasi ,
sig. Vallez, conte Francesco Viti, sig. Wolowski.
INDICE
ni
Dedica a Sua Maestà. pag.
Notizia de lavori per gli anni i845, 1846, e 1847,
letta dal Segretario perpetuo Giulio Minervini. » v
Intorno alla vita ed agli scritti di Camillo Por-
zio napolitano, ragionamento di Agostino Ger-
vasìo . . . . » ■» i
DelV istoria d^ Italia di Camillo Porzio. . . « 4?
Di una navigazione mediterranea in Capitanata
tra Foggia e Manfredonia , e della irrigazione
di quelli terreni, di Vincenzo Antonio Rossi, m 1^7
Tavole di monete del reame di Napoli e Sicilia,
presentate da Salvatore Fusco >j aii
Tavola generale <£' interpolazione , presentata da
Fedele Amante » aSi
Illustrazione del fonte di Manduria nel Salentino
di Oronzio Gabriele Costa » "ì^i
INTORNO
ALLA VITA ED AGLI SCRITTI
DI
RAGIONAMENTO
SI AGOSTINO GERVASIO
ietto ucWe toniate Ì5eafi n e »ó wiatto /S3«
Ata molli anni avca promesso all'antica società pontaniana rac-
coglier le notizie intorno alla vita ed agli scritti di Camillo Porzio
napoletano , storico che tra gì' italiani del secolo XVI ancor oggi
ha fama di non essere ad alcun altro secondo. Non mi fu permesso
coir alacrità medesima , con la quale allora la feci , adempir la
promessa, sì per le difficoltà di comporre opera che fosse degna di
un illustre consesso accademico , essendo tropiK) scarse e fuggevoli
le notizie che sparse qua e là si leggono in varii scrittori di quel
letterato nostro , sì jierchè dedito a studj più severi poco o uiun
pensicre poteva io prendere di far ricerca di documenti e memorie
l)er r oggetto indicato. Ma pur olTertamisi 1' opportunità di leggere
alcuni documenti parte inediti e parte poco noti , la cui mercè non
poco lume poteva ricevere la narrazione della vita e degli scritti
del PorLio , mi tornò ia memoria 1' antica promessa e mi accinsi al
I
a GERVASIO
lavoio. 11 quale aveiwJo portato al compimenlo migliore che per me
si è potuto , mi fo animo (li presentarlo ora a voi , accademici pre-
stantissimi, nella fiducia che sarete per gradirlo con quella umanità
che vi è propria, se non come cosa da soddisforc il purgato giudi-
zio vostro , almen come una testimonianza del buon volere in con-
tribuir la picciola parte mia per la gloria della patria letteratura.
Dividerò dunque il mio ragionamento in due parti, delle quali
la prima conterrà ciò che mi è liescito raccogliere intorno alla vita
del Porzio ; nella seconda poi darò ragguaglio distinto delle opere
di lui si edite che inedite.
Giovanni Porzio nobile Cretese cacciato in bando dalla patria
};er omicidio conmiessovi si rifuggi in Napoli , ove trapiantò la sua
famiglia (i). Da lui verso il fine del secolo XV nacque Simon Por-
zio medico di professione , che gran fama acquistò nel seguente
secolo XVI pel suo insigne valore nella peripatetica filosofia. Do-
po di aver egli appreso le amene lettere in Napoli, e divenuto pe-
(( i-itissimo nel greco e nel latino linguaggio , come lo mostrano le
molte opere da lui pubblicate , passò in Padova ove fu discepolo
ui filosofia del celebre Pietro Pomponaccio. Ancor giovane si di-
stinse tanto Simone in questo studio che nel i520 fu chiamato in
Pisa a legger la logica in quella rinomata università col soldo di
fiorini 25 annui, Illa conosciutosi da' reggitori di essa il sommo
valore del giovane Simone , venne fermato , scorsi appena pochi
giorni di quella lettura, a professor di fisica per due anni , accre-
sccndoglisi lonorarlo annuo a fiorini ^5. Ciò non ostante, termmato
il tempo della lettura alla quale si era obbligato, conlento della glo-
ria e della rinomanza acquistata , Simone abbandonò Pisa e si re-
stituì in Napoli sua patria nel i525 (2) per godervi delle sue ric-
chezze (3), e contraendovi matrimonio perpetuar la sua discendenza.
In fatti dopo poco tempo prese moglie dalla quale ebbe sette figli,
tre maschi e quattro femine , come si rileva dal seguente epigram-
ma che a- Simone indirizzò il poeta Giano Anisio (4):
VIT.V DI PORZIO S-
Ad Sinionem Porlium.
Quod maJHs preliiim tua liabebat Porlia solvit
Emiitens , Porci , pignora pidchra libi.
Mas TERNVM absoh'it nuinerum, focmella quaternvm.
Perfuìicta officio laeta res'isit nvos.
Tu , quia tttntopere gaudebas coelibe vita ,
Perjiuere incumbens mentis ad excubias.
Parthenope mairi et famae fac omnibus aris
Quae laetas obeant cum Pìutèthonie yias.
Non si ha notizia sicura de' nomi e delle particolarilìi di que-
sti suoi figli; ù celio però che uno di questi e forse il maggiore fiv
Camillo , del quale sto scrivendo le memorie (5).
È qui pria d' ogni altro necessario che io avverta di non con-
fondersi il nostro Camillo Porzio di Napoli con altro cognominato'
Porcio o Porcaro Romano, come han fatto il Mandosio (6), il Chioc-
carello (7) , e non ha guari il sig. Luigi Bossi (8). Imi'crciocchè
il Romano fu poeta , e morì nel i52i (9) , e '1 nostro per istudii
diversi rinomato non era ancor nato quando l'altro mancò di vita.
Nacque dunque in Napoli Camillo da Simone Porzio (io), ne del-
l'anno in cui nacque alcuno ha fatto parola come di cosa oscurissi-
raa. Sembra però che possa fissarsi non prima del iSaS , uè dopo
del 1537 ,■ poiché essendo stato mandato dal padre a studiar leggi
in Bologna nel i545 , come tra poco mostrerò , non dee credersi
cìic contasse in quest'epoca meno de' 18 , o più de' 20 anni.
Qual fosse stata poi nella prima età sua 1' educazione , qual
profitto avesse egli fatto ne' primi studj , e quali fossero stati i suoi
maestri, debbo confessare di ignorarlo, non essendomi riuscito tro-
varne ragguaglio alcuno. Non temo però di andar erralo aflbrmando,
clic ottima educazione abbia egli avuto , che molto profitto abbia
egli fcitto negli sludii , e che in questi da valenti professori sia
stato istruito , considerando non solamente la somma virtù e dot-
trina del padre , ma ancora 1' essei'e stato il nostro Camillo inteii-
deutissimo delle greche e delle latine lettere , e che iu quel!' età
4 " G E R V A S I 0
fiorivano in Napoli uomini valorosissimi in ogni ramo di sapere ,
da' quali e direzione ed esempio poteva ricevere.
Terminati in patria i primi studii , e ijuei di filosofia , pensò
il di lui genitore di fargli apprendere la scienza delle leggi , che
in ogni tempo è stata presso di noi creduta la più conveniente per
Salire ad onori e ricchezze , ed affinchè maggior profitto avesse egli
fatto, si avvisò Simon Porzio di inviarlo ad apprenderla nella uni-
versità di Bologna la quale ab antico molta rinomanza aveva per
siflatta scienza. Quivi dunque lo inviò nell' anno i545 , nel qual
anno incominciò Camillo lo studio delle divine ed «mane cose (i i).
La dimora però del Porzio in Bologna fu di breve durata. Imper-
ciocché il gran duca di Firenze Cosimo I avendo fatto disegno di
restaurar lo studio di Pisa , risolvè per dargli maggior lustro di
chiamarvi a leggere i piìi celebri e distinti professori che allora per
le diverse scienze avean fama in tutta Italia.
Simon Porzio come dissi , fin dalla prima gioventù sua aveva
avuta rinomanza in quella università, ixV era perciò noto il suo va-
lore. Oltre a ciò ritornato in patria era stato trasoclto a lettore
di filosofia nel nostro pubblico studio (12) , ed aveva dato in luce
varie opere che erano state apjilaudite , e che gli avevan proccu-
rato rinomanza tra' più insigni filosofi delf età sua (io). Pose l'oc-
chio quindi il Gran Duca su Simon Porzio , e lo fece invitare
per professore di filosofia , offerendogli lo specioso stipendio di du-
cati 85o e più all' anno , oltra 1' onorevole titolo di straordinario
professore (i4)- Accettò Simone l'invito non tanto per le vantag-
giose condizioni a lui offerte , quanto perchè il suo dimorar in Pisa
gli dava 1' opportunità di attendere più da vicino agli studj del suo
figliuolo Camillo. Si recò egli in Pisa verso il fine del i546 , e
nel novembre di quest' anno medesimo , secondo che prescrivcvan
gli statuti dell' università , incominciò le sue lezioni , le quali fu-
rono applaudi tissime e desideratissime da numerosa scolaresca (i5).
Stando in Pisa Simon Porzio stimò miglior consiglio chiamar vi-
cino a sé Camillo per compiere in questa università il corso delle
leggi già incominciato in Bologna. Di che fa fede il Fabbrucci (16),
la cui parole non sarà fuor di proposilo trascrivere : F'ixit ( ciioè
VITA DI PORZIO 5
Simone ) ciutem apud nos , et quousque ejus Jìllus Cumillas no-
ìììirie , fjid sliulin juiisprudeiiliae Bononiae inchonveral , per sta-
tutarinm tc/iipiis lite ( in Pisa ) explerct : quo cursu peracto et
anno i552 promotore Jo. Francisco fregio Pnpiensi juris lau-
rearli adeptiis , Clini potrò de discessa in patriam cogitavit.
lì P'abbrucci trasse lutto questo dalle cfenieridi scolastiche di
Pisa che cita , ne v' lia quindi a muover dubbio alcuno della sua
veracità. Importa però farne breve cemento per fermare con mag-
gior accertamento le diverse epoche dell' andata di Camillo Porzio
tanto in Bologna , quanto in Pisa.
Negli statuti di questa ultima università era prescritto che il
corso degli studii di giurisprudenza non dovesse durai' meno di anni
cinque (17), e '1 Fabbrucci dice che appena ebbelo terminato Ca-
millo , ne conseguì la laurea dottorale nel iSaa. Chiaro quindi
risulta the l'ultimo anno degli studii suoi fu compreso tra '1 novem-
bre i55i a tutto il giugno iSSa , e contando per ordine retro-
grado i cinque anni del corso scolastico di giurisprudenza , appa-
rirà che Camillo Porzio venne in Pisa nel i548. A maggior con-
ferma di ciò gioverà riflettere che nella seconda sua gita in Pisa
Simon Porzio non condusse seco lui il figlio Camillo , ma bensì
dopo di essersi ivi fermato, ed aver conosciuto il merito de' profes-
sori , quivi lo richiamò da Bologna , ove avevalo già mandato a
studiar leggi. Dunque dopo del t5^6 quando Simone per la secon-
da volta andò a leggere in Pisa , Camillo venne in questa univer»
sita , mentre nel i545 era stato egli spedito in Bologna , giacche
altrimenti sarebbe un assurdo il supporre che Simone stando in Pisa
avesse di là mandato il figlio a studiar leggi iu Bologna per richia-
mamelo poi dopo brevissimo tempo.
Ripigliando dunque il filo della narrazione interrotta dirò , che
Camillo Porzio andò in Bologna nel i545 , e di là si trasferì poi
in Pisa nel 1547. ^'■^ costume in questa università che dalla fine
di giugno quando terminava l'anno scolastico (18) fino alla ristau-
razione degli studj , fosse lecito ai professori , ed agli scolari ancora
specialmente ne' calori estivi , andare altrove a goder più benigno
e salubre cielo (it^). Simon Porzio non mai Jrascurò di profittar
6 GERVASro
di (jitesto coiTgcclo , nel quale abbaudoiianclo Pisa se ne giva a di-
porto per le città vicine , e massime nell' alma Fiorenza , ove egli
aveva amici tra' maggiori letterati di quel tempo (ao). Era cosa
naturale che in queste gite Simone conducesse seca il figliuolo Ca-
millo. Quindi possiamo intendere eh' egli avesse peregrinato , come
scrive di sé nella dedicatoria della cougim-a de' baroni. E veramente
una peregrinazione può dirsi quell' andar di luogo in luogO' in cerca-
di un aere migliore. Circa il i55i, ed il iSSa , dovette Camillo ,
trovandosi in Firenze, conversar col celebre Paole Giovi» allora ap-
punto colà ricoveralo nelLi corte di Cosimo I (31) , e tener seco
lui quei parlari che poi furon causa che egli il Porssio scrivesse 1' 0-
pera isterica di sopra mentovata , della quale parlerò distintamente
a suo luogo..
Finito il lungo corso dello studio legale volle Camillo Porzio ri-
ceverne la laurea dottorale. Era nella università di Pisa tra i pri-
marii professori di diritto Gio: Francesco Vegio pavese, ed a costui
SI affidò il Porzio perchè in quell'atto soUenne fosse stato il suo pro-
motore. Soleva quello tra i professori cui il laureando si affidava ,
stargli a fianco mentr' era esaminato , e qual suo protettore dargli
coraggio nel rispondere alle quistioni ; dopo di che giudicato degno
della laurea dottorale il candidato , il promotore era colui cui spet-
tava il conferirgliela con solennità (22). Il Porzio assistito dal Vegio
compì quest' atto, e ricevuta per man del Vegio la laurea dottorale
nel iSSa , abbandonò in quest'anno medesimo insieme col padre
l'università di Pisa , ed entrambi in Napoli si restituirono (23).
Tornato in patria Camillo si dedicò all'avvocheria, nella quale
si fece distinguere non tanto per la somma perizia nelle leggi ,
quanto per la sua naturai facondia e dignitoso portamento. Questa
testimonianza rende di lui in taluni versi indirizzatigli Giano Pelu^
sio di Colrone (24) -
Jn te profiinda est juris sdentia ,
Jìi ore magna digìiitas ,
Haec forma iui videtur esse amplisslmis
Monoribus dignissima,
VIT.V DI PORZIO *f
Ed egli slcsfo ili una delle sue lettere scritta al Seripando, che
da ]io(« lijìoiterò, non tacque questa sua decorosa applicazione di-
ceiidosi professore del giusto e dell' onesto.
]NlI i554 morì il di lui genitore Simon Porzio (25) lasciando
sette ligliuoli , ed una eredità molto doviziosa (26) , di modo che
pel nostro Camillo alle cure forensi si cumularono quelle della fami-
glia, e dell' amministrazione del paterno retaggio. Già notai poco
fa che scrivendo al Seripando nel iSSg, egli si disse professor del
giusto e dell'onesto ; in un ojìera istorica inedita , della quale darò
contezza , scrisse lo stesso Camillo esser egli carico di familiari et
assidue cure. Finalmente iu una lettera del cardinal Sttrijwndo, au-
lico e leale amico della famiglia Porzio, scritta a Caiuillo a' 6 gen-
najo i558 , nel raccomandare a lui di perdonar ogni ofiesa che un
certo Tommaso Anello avesse tentato di fargli , soggiunge il Seri-
pando : Ed acciò die la grazia sia piena , bisogna ancora die
la si adoperi a farle perdonare dai signori suoi fratelli (27).
Dalle quali parole si fa chiaro che Camillo viveva in unione de'
fratelli , de' quali disponeva a suo piacimento , uè altrimenti il Se-
ripando che conosceva particolarmente ognuno della famiglia, avrebbe
scritto in tal modo a favore del suo raccomandato.
Ancor senza la confessione del Porzio medesimo di esser egli
pieno di assidue cure , potete voi , o accademici, imaginare quanto
la sua vita dovesse essere angustiata, e colma di amarezze che dalle
Lriglie foi'cnsi e fìmiUiari non van giammai scompagnate. Aggiun-
gasi che desiderando il Porzio per la dovizia di sua casa di dare
ad essa maggior lustro, dovea cercar non solo di ben amministrare
il retaggio paterno , ma di accrescerlo ancora per vivere con splea-
didczza tale da poter introdurre in sua casa nobili parentadi (28).
Avvenne intanto che nel i55g jwsto all'incanto il feudo di Centola
nel principato citeriore j>er vendersi in danno del possessore Rai-
naldo Alagno parente del Seripando e di altri nobili napolitani, Ca-
millo Porzio sia ad insinuazione di quei parenti dell' Alagno , sia
per desiderio di acquistar nobile 2J0S*cs'''ooe , comprò quel feudo.
Pietescro allora e 1" Alagiio, ed i suoi più stretti congiunti o clie il
Porzio avesse ietix»ceduto il feudo a lui , o pur che 1' avesse rito-
9 GERVASrO
nulo sotto varie condizioui. Per riuscire nell'intento non vi fu mez-
zo che non posero in opera , e tra l'altro non trascurarono di trar
partito dall' amicizia che passava tra '1 Porzio e'I Seripando. A que-
st' oggetto il Seripando allora arcivescovo di Salerno scrisse al Por-
zio che gli rispose colla seguente lettera, che or per me si pubblica
j)er la prima volta (29) , come sta nell' originale : « Non è alcun
■>i dubbio che questi signori di Morra han fatto come certi litiganti ,
i3 o vero infermi , i quali avendo la lite e la vita per persa , ri-
« corrono per aita agli advocati o medici supremi ; perchè haven-
y> do con diverse persone tentato, alla fine sono ricorsi da V.S. Re-
» verendissima la quale può in me non solo nella roba , ma nella
" vita ancora , più di tutti gli altri luiomini che vivono : et emmi
w stato doppiamente charo, prima, che han portato questa differen-
w za nel cospetto del più giusto e confidente superiore , ch'io hab-
« bi : poi perchè mi avveggo , che 1' autorità e prudenza di V. S.
5:) R. sarà tale che imporrà loro sopra di ciò con la mia viva ra-
« gione perpetuo silenzio. Se io volessi andar raccontando l'origine
» del comprar Centola , farla torto alla memoria sua, la quale non
» solo m'essortò a pigliarla, dovendo uscire dalla casa de questi suoi
» parenti, ma quasi mei comandò: pure non mancarò de ricordar-
» li , eh' el sig. Antonio da Feltro (3o) avvocato dei detti signori
w di Morra vedendo di non potere più difendere dalle mani di M/
w Sebastiano di Sarno , il quale per i suoi crediti 1' haveva con-
w dotta all' incauto , mi persuase ad incantarla , acciocché non fosse
w rimasta per un vilissimo prezzo al detto M.' Sebastiano , con
« grandissimo danno del sig. Ranaldo d' Alagna suo clientolo, e zio
« carnale del figliuolo di Giovann Antonio da Morra : con intentione
» ancora , che se mi fosse rimasto , non perciò dovesse fare mala
» compera , per il che io cominciai ad informarme del luogho , e
M ritrovatolo qual lo desiderava , deliberai d' averlo in ogni modo,
» e volendo esser sicuro , se qualcuno dei padroni vecchi lo vole-
» va , per non despiacerli , lo sig. Antonio me fé conoscere , chVl
M sig. Girolamo di Morra haveva tentato di pigliarla col signor
« Ranaldo ; ma per non esserne stati d' accordo , che io poteva li-
» beramenle e senzói rispetto comprarla. Che ciò fusse vero, lo di-
f
VITA DI PORZIO 9
>j mostra ancora , che essendo per tutta Napoli sparsa la voce, co-
» m' io intendeva di voler Ccnlola , non vi fu mai persona che
« m' avertisse , non eh' altro , che ne facevo dcspiacere ad alcuno,
» ma da ogni lato ciascuno me inanimava a pigliarla , e non la-
« sciarla andare in potere di mess. Sebastiano. Aggiuiigcsi a que-
« sto che '1 dì medesimo che s' incantò , non vi conijwrse un mi-
« nimo di loro, ma solo hebbi a combattere col Sarno , il ijuale
» benché rimase vinto , nondimeno me la fé costare carissima ,
» eli' io giuro a V. S. R. che in quel principio m' harrci il più
w vile homo del mondo, ma essendomi remasta, et havcndo per pa-
" gar il prezzo di quella messo sottosopra tutto 1' haver mio, e quie-
» tatomi , non mi parria giusto , se ben questo putto che vi pre-
» tende havesse il modo di ricomprarla, repigllarmi indietro i miei
M danari , e tornare da capo a lambiccarmi il cervello dove io li
» dovessi impiegare , ma quii che fa la lor domanda più ingiusta,
M ed insoffribile, e che il putto non solo non ha il modo di sbor-
» sare il denaro che vi ho speso , ma ancora li sopraavanza pa-
» rccchie migliaja di scudi da pagare per i debiti paterni , i quali
a» per non v' esser roba i creditori li tengono persi. E se pure di-
M cessero che la vorrebbouo in mano di un altro più loro confi-
» dente , e the non disegnasse agli altri casali della medesima Ba-
" ronia , come a questi mesi passati mi ferno dire dal signor Pla-
* cito di Sangro , con pioni ettermi ancora di non mi molestare so-
M pra di Ccntola , rispondo che nel primo raso mi fanno ingiuria ,
>» dovendo credere tlie da me harranno tutti quelli piaceri e cortesie
» che da un amicissimo si può sperare ; e nell' altro ancora se in»
» gannano , perche non desidero di far stati , ma si bene Uà ailar-
» garmi tanto che non babbi dalla giurisdizione d' altri baroni vi-
» cini a stare assediato , come sono bora. A quello che dicono che
» la giustizia lor chiara me la farà lor rilornaie , caso che non glie
» ne vogli compiacere , non rispondo , essendo professor del giusto
» e dell' honeslo. Ma che gli Ccntolesi siano parliali di quegli mi
» sprona ancor più a non lasciarla, giudicando ciie cos'i debbono fare
» a' miei posteri , s' altrettanto di tempo , quanto i loro aulenati ,
" la possederanno. V. S. R. dal soprascritto potrà comprendere s'io
IO CERVASIO
» hebbi ragione a comprarla , et liora a ritenerla , e si persuada
jj che 'I signor Antonio et io liavremo non meno piacere per goder la
>5 presenza di V. S. T\. che gli altri harranno mestitia in sentirlo
» ragionar nell'esequie dell'imp. Carlo, e senza più humilmcnte li
» bascio le sacre mani. Da Nap. a dì 27 de Jen. t55g.
Di V. S. R.""
Servitore deditissimo
Camillo Portjo.
Così il Porzio. Intanto ntl così detto cedolario, che è il pubblico
registro de' feudi conservato nel nostro grande archivio, si vede essere
stata la terra di Centola aggiudicata dopo l' incanto a Marhio Rus-
so , sotto il cui nome fu notato il feudo nel i56o ; che restò nella
di lui famiglia fino a Mario Russo , il quale lo vendè nel i6o3 a
Camillo Porzio ; ma non essendo stata la vendita munita di regio as-
senso , continuò il feudo ad esser notato nel cedolario medesimo
sotto il nome dello stesso Mario Russo sino a che Fulvia Scondito
erede del Poriio lo vendè nel 162 3 a Federico Pappacoda, sotto al
cui nome fu poi riportato (3i).
Questo estratto del cedolario par che sia in opposizione colla
lettera del Porzio che ho di sopra trascritta, il perchè sarà bene esa-
minarlo brevemente per metterlo con essa in armonia , e chiarire i
fatti che si son voluti occultare in ambedue le carte. Dalla lettera
apparisce che il Porzio si ricusò alle premure dei parenti dell'Ala-
gno, cui era stato tolto per debiti il feudo, non escluso il Seripando,
perchè avesse comprata la terra di Centola , e che avendo mostrata
la renitenza medesima con l'Afeltro avvocato del debitore , pure ani-
mato da questo che non sarebbe stata maUi compra la sua, il Por-
zio presa contezza del luogo , e trovatolo qual lo desiderava , fece
proponimento di averlo ad ogni modo. Or tutto ciò chiaramente fa
comprendere , che le premure dell' Alagno e de' suoi parenti perchè
il Porzio comprasse il feudo di Centola, miravano a far che venuto ia
mano sua, fosse poi ceduto al debitore quando a costui fosse tornato piiì
comodo il ricomprarlo restituendo il prezzo sborsato. Le premure
poi dell' A feltro avvocato dell' Alagno, dovettero sul principio esser
tlTA DI PORZIO 1 I
le Stesse , ma veduta 1' ostinazione del Porzio di volerlo comprare
per se , si limitò ad invogliarlo perchè lo comprasse , e quando noa
gli fosse piaciuto di retrocederlo , avesse lasciata la terra di Centola
in mano di un altro più loro confidente. Inoltre dalla lettera me-
desima è chiaro che il Porzio si sforzi di mostrare che il debitore
Alagno non sarebbe stalo giammai nel grado di ricomprar Centola,
e che il passarla in mano ad altri avrebbe fatto ingiuria alla sua a-
micizia. Le quali ragioni non valsero a rimuovere il debitore ed i
suoi parenti dalle premure fatte che il Porzio tenesse come in de-
posito il feudo. Sia però che il Porzio avesse temuto che la sua con-
dotta cagionasse sospetti circa la sua vera intenzione di ritener per
se il feudo compralo ; o pur che si fosse accorto noa esser condu-
cente a lui che professava 1' avvocheria , il nimicarsi un parentado
nobile ed esteso ; o ancora che le tristi conseguenze del trovarsi as-
sediato , come ei dice nella sua lettera , da Baroni orgogliosi e
prepotenti, lo avessero posto in timore; condiscese alla fine al sug-
gerimento di Placido di Sangro , di permettere cioè che 'l feudo
di Centola fosse intestato a persona confidente dell' Alagno e de' di
Ini parenti , il che in fatti avvenne nel i5Go , cioè dopo un anno
di trattative, in persona di Marino Russo. E sebbene dal cedolario
apparisca clic il feudo fosse stato venduto al nostro Porzio da Ma-
rio Russo , pure continuò a rimanere a costui intitolato fino a che
Fulvia Scondito lo alienò al Pappacoda. Tutte queste trattative sa-
rebbero state certamente chiarite ad evidenza se mi fosse riuscito di
ritrovare l' istruniciilo solenne che dovette stipularsi a tal uopo trai
Porzio 1' Alagno e '1 Russo. Non ostante però la mancanza di questo
ilocumento, altri argomenti vi sono e tali che valgono a sgomberare
ogni dubbio.
Era usanza tra noi che il vero proprietario di un feudo lo
avesse annotato ne' pubblici registri sotto il nome di un altro, come
se questi ne fosse il vero possessore. Della qual costumanza senza
accumularne le molle pruove che dal cedolario medesimo potreb-
bero rilevarsi , se ne ha una certissima nel nostro caso. Il Russo
vendè nel i6o3 a Camillo Porzio il feudo di Centola, il quale jjassò
p€r successione a Fulvia Scondito , pure restò sotto il nome del
12 GERVASIO
Russo , giacdiè non polrcbbe altrimenti spiegarsi ciò che dal cedo-
lario si rileva che Maria Russo (Sa) succeduta nell' anno i6o3
al feudo , lo cedesse al di lei zio Mario , il quale poi lo vendè
a Camillo Porzio , facendolo rimanere sotto il suo nome. Doveva
egli quindi sapere che fin dal principio il feudo era di proprietà
del Porzio, non giù della sua famiglia , la quale insiem con quella
degli Sconditi era in parentela con i d' Alagno e Morra (33j ; la
qual circostanza è degna di esser notata perchè giustifica sempre piìi
quanto di sopra ho detto del desiderio che avevano costoro che il
feudo di Centola fosse notato sotto il nome di persona di loro fiducia.
Era un notorio infine nel i56o quando il feudo di Centola vcdesi
nel Cedolario notato sotto il nome di Marino Russo , che'l Porzio
fosse possessore di feudi , né rilevandosi che altri ne avesse posse-
duto , certo a quello di Centola si alludeva.
Francesco Sansovino avendo pubblicato in Vinegia sua patria
le Satire di diversi illustri poeti insiem raccolte, indirizzò al nostro
Porzio il volume con sua lettera dedicatoria (34), della quale non
incresccrìi che ne trascriva uu brano , leggendosi questa in un li-
bretto raro, etl altre particolarità facendoci conoscere della vita privata
del Porzio.
M Or havendo io fatta (dice il Sansovino al Porzio che chiama
magncinimo e eccellente Signore e gentil huomo illustre) «una scelta
» come amator de Poeti , et come desideroso di giovar in quanto
» io posso a ciascuno , di molte Satire , mi son rivolto , sì come
» colui che mi son dilettato degli huomini illustri , alla fama del
» vostro houorato nome , perciò che intendendo non solamente dalla
» bocca del gentiliss. mess. Marc' Antonio Passero , vero conoscitore
» degli ingegni elevati , ma da molti altri qual sia la bellezza del-
» r intelletto di V. S. ho voluto scoprirle colla penna il desiderio
» intenso eh' io ho di servirla. Et anchora eh' essendo V. S. nata
« dal grandiss. sig. Simon Portio (lume de' filosofi de' nostri tem-
» pi , la fama del quale sarà sempre viva nella mente degli huo-
» mini per i suoi maravigliosi scritti ) si habbia incontanente da
» presupporre che V. S. sia notabile per ogni nobil grandezza ,
» nondimeno a me giova grandemente , quando io odo da lodati e*
w celebrati huomini dire , che V. S. habbia non solamente nel
VITA DI PORZIO l3
» cuore un ampio mare di nobilissimi et alti dcslclcrii, ma un pro-
» fondissimo abisso di cortesia nell'animo, et che realmente et vir-
» filosamente vivendo con maniera illustre faccia animo ai grandi ,
« non voglio dir solamente d'amarla ma di imitarla ancliora, per-
» ciò eh' i nobili cavalieri , gli lionorati signori suoi amici , e i
« suoi vassalli con tutti gli altri di più bassa fortuna sapendo qual
» sia r eccellenza del suo vivace ingegno , et quanto la dolcissima
w forza della sua molta eloquenza son costretti a confessarla et a
M predicarla per così raro e amorevole Signore , come habbia co-
5j testo Regno : della qual cosa essendo io più che certo, per segno
» di quella reverenza eh' io le porto , ho voluto honorar il presente
« volume col suo nome illustre che oltre eh' egli seguirà il costume
" antico degli scrittori , i quali si appoggiano a veri amatori delle
« virtù , si mi sarà egli di grandissimo Hivore in questo , che ac-
5> cettando V. S. con animo largo questo mio piccolo presente , a
» me parrà d' essere approvalo dal suo prudente giudicio per suo
M sincero e vero servidore. Laonde ancor che ella habbia appresso
« il sig. Giovan Pietro CiccarcUo dottissimo giovane per ammiratoi
» del suo molto valore , io non resterò jjer questo d' esser tuttavia
» testimonio ardentissimo della sua singoiar humanilà : et voce vi-
» venie delle sue lodi in queste parti m.
Dalle quali parole del Sansovino vien confermato non sow
quanto si è detto della fortuna doviziosa del Porzio , che feudo e
vassalli possedeva , e molta comunanza aveva con cavalieri e signori
napolitani , ma ancora veniamo a sapere che fosse in riputazione
qual uomo di lettere e di gentili maniere adorno, avendolo per tale
predicato al Sansovino il Passero che fu Lombardo di patria seb-
bene in Napoli dimorasse, e che fosse ammiralo dal CiccarcUo gio-
vane Napolt'lnno dollissimo nelle filosofiche discipline , ed altresì
nella poesia rinomato (35).
"Traile lettere del Porzio che sono nel codice Seripandiano più
volte citalo , un altra ve u ha , dalla quale ci si fa palese altra sin-
golare particolarità, e finora ignota della sua vita. Essa è che (non
sappiam se per vizio morboso od altra causa naturale) egli ebbe il
naso mancante , e che portossi a bella posta in Tropea città della
»4 GERVASIO
nostra ulteriOTe Calabria per farselo rimettere , sottoponendosi ad
una operazione ccrijsica allora molto in voga. Sarà pregio dell' o-
pera il riportar qui intera la lettera stessa , il che oltre alla testi-
monianza della particolarità di sopra riferita , servirà a rinnovar la
memoria di un illustre professor calabrese che conobbe l' arte di
reintegrare il naso , la quale se non m' inganno ora per la prima
volta si viene a sapere per la descrizione del Porzio , di essere stata
con felice successo praticata. La lettera è diretta al Seripando già
cardinale , e che si trovava in Trento tra i padri di qucU' ecume-
nico concilio.
w IH.""' e Rev.""» sig. mio e Padrone Oss.™»
M Questi dì adietro ricevei una di V. S. IH."" e Rev."" alla
M quale se di subito non risposi ne fu cagione che mi ritrovò in
w lecto e certo che ne presi tanta consolacione che non solo mi diede
M ajuto a guarire , ma anche mi portò seco 1' ultimo compimento
» del mio naso , il quale la iddio mercè ho quasi che ricuperato ,
» e tanto simile al primo che da coloro che noi sapranno , difficil-
» mente potrà essere conosciuto: è ben vero che ci ho patito gran-
» dissimi travagli , essendo stato di bisogno che mi si tagliasse nel
sj braccio sinistro dnpplicata carne della persa , dove si è curata
M ancora per più d' un mese , e poi me 1' han cucita al naso , col
» quale mi è convenuto tener attaccato quindici dì il predecto brac-
» ciò : sig. mio quest' è un opra incognita agli antichi ma di tanta
M eccellenza e tanto meravigliosa eh' è gran vitupero del presente
» secolo che per beneficio universale non si pubblichi e non s'im-
» pari da tutti i cirugici, essendo che oggi sia ristrecta in un uomo
x> solo, il quale non è quel medico uh altro suo creato che come la
» dice le puose i denti in Portogallo, percliè colui per quant'ho ve-
» duto fuit imitator naturae^ ma costui fa quel medesimo che l'istes-
M sa natura. Io molte volte per il ben pubblico ho desiderato di
» veder V. S. 111.""' e Re.""' prencipe , ma ora per questo parti-
» colare via più lo desidero , massime che quest' huomo da bene
M per picciol pregio rispecto alla grande utilità del rimedio il dar-
VITA DI Ponzio i5
» jia alle stampe ; ma chi sa : per un altra mia 1' ho dato aviso
« del motivo de' Luterani di qua, non li scrissi poi il successo per
« la sopraveguiciite iiileimitù , basta che pel mancamento del viver
» si disfecero , essendo assediati da molti di questi popoli, son ve-
» nuti ( da ducento in fuori ) tutti in poter della giusticia , si son
» facti morire certi principali ostinatissimi, e l'altri mediante l'au-
>> torità dell' Arcivescovo di Reggio mandatovi da S. B. con larga
» potestà si spera che si ridurranno : il dì di S, Giovanni molto
» favorevole a' Turchi si persero qui rincontro sette galee di Sicilia
>j dove era il Vescovo di Catania , e forno combattute da nove va-
» scelli di corsali , ciascun dice che in Lipari si havrebbono potute
» ricovrarc se '1 soverchio ardire del lor Generale Comendator Spa-
M gniuolo non l'havesse precipitate : altro per adesso non è occorso:
M per tanto humilmente alla buona grazia di V. S. HI.""" e R."'
» di cuore mi raccomando con pregarli lunga e felice vita. « Da
» Tropea il dì q di luglio i56i.
Di V. S. III."" e R."-"
Deditissimo servitore
Camillo Portjo.
Sarebbe al certo vana ostentazione il voler qui per illustrar la
lettera che vi ho recitata, tessere a lungo la storia del ritrovato ce-
rusico di ristabilire il naso , le labbra , ed altre membra perdute
per qualsivoglia causa mercè l'innesto della carne viva. Mi conviene
pelò ( e la cortesia vostra sarà per concedermelo ) che io ne dica
tanto per sommi capi , quanto mi sarà d' uopo per far conoscere
quel valoroso e modesto professor calabrese , del quale il Porzio ci
tacque il nome , e jìcr opera di cui egli ebbe il naso interamente
ristabilito.
Le testimonianze degli scrittori contemporanei riferite dal Por-
tal (3G), dal Tiraboschi (Sy), e da altri, tra i quali non deve esser
trascurato il chiarissimo collega nostro cav. Alberto di Sclioenberg
ora archiatro di S. M. il Re di Danimarca (38) , si accordano
tutte a stabilire che nel secolo XV ebbero fama quali inventori
della restituzione del naso , due Siciliani di cognome Branca padre
l6 GERVASIO
e figlio. Il dolio Gabriele Barri però , della cui testimonianza ten-
nero conto e '1 Tiraboschi ed altri , lasciò scritto che l'arte medesi-
ma fu conosciuta ed esercitata da un' intera famiglia di cbirurgi ca-
labresi, non saprei se per proprio ritrovato, o per averla appresa da'
siciliani' Branca. Egli il Barri nella stimata sua opera sulla Calabria
descrivendo la terra di Maida (3g) dice che in essa aveva vissuto
Vincenzo Vianeo (oppur Vojano come piace all'Aceti) chirurgo esi-
mio clie '1 primo escogitò P arie dì restaurar le labbra ed il naso
mancanti , e Bernardino altresì nipote di Vincenzo , che fu erede
dell'arte medesima. Aggiunge poi il Barri: Viget modo hujus filius
et iiidem artis heres. Di costui non ne disse il nome , ma nel de-
scrivere la città di Tropea così si esjiresse (4o) : /^"wV et Petrus
Fianeus , c/ui praeter cetera labia et nasos mutilos integritati re-
stituii. Or combinando insieme questi due luoghi del Bari'i, sembra
potersi cou fondamento sospettare che quantunque uiuna attinenza di
parentela avesse egli accennalo tra i Vianei di Maida e quelli di Tro-
pea , il figlio di Bernardino fosse stato il Pietro di Tropea , nella
qual città come di Maida piìi popolosa e splendente , fosse passato a
stabilirsi per esercitarvi la chirurgia e l'arte dal padre suo ereditata,
cioè fpiella di ristabilir alla primiera integrità le labbra e'I naso. Or
la lettera del Porzio essendo stata scritta come udiste da Tropea ,
ove al dir del Barri vivca Pietro Vianeo, sarà permesso l'inferire cht;
questi fosse stato quel professore, cui dovette il Porzio T aver il suo
naso come pria ristabilito. Ed a questo proposito farò osservare che
r operazione eseguita dal Vianeo in persona del nostro Porzio uom
distinto per dottrina e per ricchezza , e che 1' amicizia godeva del
cardinal Seripando , fu renduta pubblica per tutta Italia, di modo
che se prima era tenuta come un secreto , si fece ad ognun palese
per la distinta descrizione datane dal Porzio medesimo al Seripando
in Trento , e probabilmente ad altri suoi amici in Napoli ed altro-
ve. Sembra quindi essere stata una temerità somma quella di Gi-
rolamo Tagliacozzo chirurgo bolognese , che menò vanto di questo
ritrovato nell' opera che di ciò scrisse e pubblicò per le stamjje nel
i597 (40- ■^' ^^ ^^' giustamente redarguito dui suo concittadino
Gìqv. Battista Cortese, il quale nel raro suo libro intitolato iSlis-ceL-
VITA DI Ponzio 17
hinen iiic(llcmaUn[\o) impresso in Messina nel 1G2S, oltre che vi -
.j)orta diverse reslaurazioiii ili naso da lui operate prima che il Ta-
gliacozzo di ciò sciivesse, fa aiìcita fede essere stati quei di Tropea,
alludendo certamente a Pietro Vianeo, i rinnovatori di quell'arte (4^).
Dopo la ristaurazione del suo naso , è cosa j'robabilc die il no-
stro Porzio si restituì in Napoli , ove ripigliò le primiere sue occu-
pazioni , e le cure domestiche , 1' avvocheria e '1 comporre opere che
potessero render chiaro il suo nome. Sembra che siesi applicato pria
di ogni altro a dar 1' ultiina mano alla storiif' della congiura da
baroni ; per cnmpoire la quale fin dalla sua prima gioventù era
andato raunando materiali, e che pubblicò per le stampe nel i5d5
in Roma. ISciranno i.'Ji'jS compose ancora un somma'in delle coisti
del regno, che presenti) al viceré di quel tempo, esprimendo nell'in-
dirizzo che nv fece la sua jjuona volontà di voler consagrarsi al mag-
gior bene e j)rosperilà della sua patria , con queste parole che cono-
scendo io di esserla graia questa fatica , ini darò animo di farne
delle altre maggiori. Imprese in fine la storia de' più memorabili
avvenimenti r.ccorsi in Italia nel i547 , la quale ugualmente che il
sommario di sopra mentovato è rimasa inedita.
Dal ccdolario si rileva che '1 Porzio viveva ancora nel i6o3 ,
nuando poteva egli contare 1' anno 76 della sua età , ni: da quel re-
gistro ho potuto altro lume ritrarre intorno all' epoca della sua morte
che non pare dovette tardar mollo a succedere. Se moglie poi il
Porzio avesse avuto o no, mancanmi ugualmente riscontri , per af-
fermarlo o negarlo. Nel cedolarlo notasi qual sua erede Fulvia Scon-
dito , d' onde potrebbe alcun sospettare che fosse slata costei sua mo-
glie. Ma della tcstimoniauza del cedolario non è a farsi conto , do-
vendosi come osservai di so])ra , riferire le notizie in esso contenute
a quel garbuglio insnilo per la falsa intestazion del feudo di Ccnlola
comprato dal Porzio ; e quindi non merita che vi si presti fede. Lf>
Scondilo poi era una signora napolitana , e se il nostio Porzio l'a-
vesse sposala , avrebbe egli introdotto parentado nobile nella sua fa-
miglia , il che si oppone alla gravissima testimonianza del Capaccio,
il quale lasciò scritto (44) essere stato Fi-ancesco Porzio nipote eli
Camillo colui che condusse in casa sua nobile donna.
3
l8 GERVASro
Queste son le notizie che ho potuto raccogliere intorno alla vita
di Camillo Poizio uomo ben degno di avere un luogo distinto tra i
letterati nostri del secolo XVI" per le sue opere , delle quali ecco-
mi a darvi , come ho promesso , minuto ragguaglio.
JI.
I. Delle opere di Camillo Porzio la sola die abbiamo a stura»
pa , e per la quale ha egli gran fama tra gli scrittori italiani , ù
la storia che scrisse della Congiura d&' Baroni sotto il Re Ferdi-
nando il primo dell'aragonese dinastia. Il quale avvenimento e per
la singolarità delle circostanze onde nacque e progredì , ,e per le
tristi conseguenze che seco portò alle cose del regno nostro anzi al^
1 Italia tutta , fu al certo uno de' più grandi che occorsero nel
secolo XV. ° Il celebre Paolo Giovio già vecchio e ritirato in Firen-
ze nella corte del gran duca Cosimo I.° , per testimonianza del
Porzio medesimo che 1' udì , rammaricavasi fòrte di non aver po-
tuto per mancanza di notizie opportune comprendere nelle sue sto-
rie in quel tempo stimatissime un si rimarchevole avvenimento che
compiuto avrebbe il filo della sua narrazione , e che fu uno de
primi fondamenti delle guerre che seguirono nel g4 (4^)* I" ^ ^^^
vero non so trovar giuste queste doglianze del Giovio, giacche oravi
già a quel tempo in istampa il processo di quella congiura ; molte
cronache esistevano che di tale avvenimento davan contezza, e v'era
finalmente l'istoria di Giovanni Albino intolata De bello intestino,
scritta con giudizio, gravità, ed eleganza; le quali sebben non fos-
sero state ancor colle stampe pubblicate, pure se il Giovio ne avesse
fatto inchiesta le avrebbe senza fallo avute. Checché sia di ciò le
doglianze del Giovio colpirono allora grandemente 1' animo del Gio-
stro Camillo (46) ; ma colui che lo determinò di poi a tal lavoro
fu il celebre monsignor Seripando arcivescovo di Salerno , ed indi
cardinale di santa chiesa , il quale mostrò desiderio che avesse com-
posta la sua storia non solo, ma che l'avesse scritta in italiano (47).
Alle premure e desiderii d' un tanto personaggio non seppe resistere
il Porzio , onde con ogni cura si diede a raccogliere quante memo-
VITA DI Ponzio 19
)ie j)olc riuvcuirc iutorno al memorabile avvenimento. E pervenu-
togli linalmeute in mano il processo originale formato contro il Conte
di Samo ed Antonello Petrucci (48) cominciò a distenderne in latino
l'istoria. Dato ap])ena cominciamento al lavoro ne avvisò il Scripan-
do il quale mentre se gli dichiarò obbligato per avere intrapreso a
conaporre la storia della congiura de' baroni a persuasion sua , non
mancò di fargli amichevole querela per non averlo potuto persuadere
a scriverla in italiana favella. Gli diceva il Seripando eh' ei riputa-
va il suo stile latino elegante e grave , ma gli soggiungeva deside-
rare , che /' opera fosse d' onibil documento a tutti quelli huomi-
ni del regno che saranno poco obsequenti alla volontà dei loro re,
e che quindi assai meglio 1' apprenderebbero in volgare (49). Sia che
da questa e dalle altre ragioni addotte dal Seripando nella sua risposta
fosse stato mosso il Poizio , sia per rendersi pienamente grato al
suo amico , abbandonato il pensiero di scrivere la sua storia in la-
tino, dicssi a comporla in italiano. Egli non dissimulò la difficoltà
dell' impresa , e quindi compiutala , e messala anche a stampa, eb-
be con rara modestia a confessare nella dedicatoria al duca di Se-
minara Carlo Spinello , che considerava il suo lavoro una bozza ed
un modello , afilnchè altro buon maestro potesse fabbricarne un bel
eoi j:o, e dandogli vita consegnarlo alla posterità. Intanto questa è fu-
nicu istoria che abbiamo della congiura de' baroni nel 1480; e fu
grave fillo di Apostolo Zeno quando scrisse , che la suddetta con-
i^iuru fu descritta prima che dal Porzio in volgare^ da Gioviano
Fontano in latino in \1 libri (5o). Imperciocché il Fontano non
descrisse questa congiura nella sua istoria, ma bensì la invasione del
regno fatta da Giovanni di Angiò ne' primi anni dell' avvenimento al
Irono del re Ferdinando I." di Aragona : epoche e fatti molto diversi
e ben distinti tra loro.
Se volessi far qui lunga diceria intorno al merito di questa 0-
pera , io non potrei liiggire al ceilo la taccia d importuno al co-
spetto vostro o dotti accademici. Ognun di voi sa che ne' tempi in
cui viviamo ne'qmli tanto è in pregio il bel dire il.iliano, la sto-
ria del Porzio si mantiene ancora in alti.ssima riputazione. Ed in
vero se si riguardi la grave eleganza dello stile, la maestà e la ve-
30 C E R V A S I 0
lilà del sentenziare , 1' espressione \iva de' costumi dì quelli uomi-
ni clie han parte negli avvenimenti da lui narr.ili, e l'aggiustatezzi
delle concioni, sommo è il merito del Poiz:o per quellu storia , on-
de ben giudicò il Gaddi (oi) clic così di lui scrisse in tempo iioa
molto dal suo lonl;iiio :
f ideiur Portias scriptor maxime i^rcivis, lacertosiis , clcgans,
ììiodemtus ; oplinuis vero polUicits in biwissimis disserlationibus ,
nobilibus et curiosìs elogiis , et aptissimis oratioiiibus tum obii-
quis , tum rcctis , quas licei frcquentiores , excelleiUes adhibet ,
ut quaedam epipìionemata egic't;:u , ut illud quo clausit narniiiu-
nem gendnati facinorìs pvaestanti'ìsimi etc. eie.
Ma nuaut' altro potesse dirsi de' pregi di questa istoria debbe
riputarsi sovirchio dopo il giudizio datone da uno de' più valorosi
nostri j)rosalori, da Pietro Giordani io dico, il (£ual giudizio io multo
più volentieri qui rijwrto , [oicliè jirovviene da uom così dotto e di
animo scevro da ogni patria prevenzione. Parlando egli in un famo-
so giornale italiano (Sa) della istoria di Gian-Jacopo Trivulzio det-
to il magno , scritta dall' elegante penna del cav. Carlo de' Ros-
iiiini, ebbe a maravigliarsi come costui non avesse nOininata la bel-
lissima storia del nostro Porzio nel narrar la guerra de' baroni con-
tra r Aragonese Ferdinando , e soggiunse ;
Però siami perdonalo di non voler perdere questa occasione
di pre°are la gioventù italiana, per quanto ama i migliori studj,
a leggere quella preziosa operetta; della quale io tengo fermamen-
te che mai in tutto il regno di Napoli , e rare volte in Italia
siasi fatta opera di storia die avesse tanta bellezza e perfezione.
Troveranno uno stile puro , dolce , leggiadro che innamora , la-
crimeranno di pietà ; coglieranno ammaestramenti utilissimi a molle
parti della vita civile ; vedranno gli sventurati successi dell' ambi-
zione , e come per poca pa'zienza e poca saviezza ed incostanza
de grandi , si aggravino e si moltiplichino e a grandi ed al po-
polo i mali ordinar] e sopportabili della tranquilla dominazione ec.
Quando il Porzio si risolvè di dare alle stampe 1' opera sua era
già trapassalo il di lui amico e fautore il cardinal Seripando (53),
col quale forse aveva preso accordo di farla imprimere fuori di ]\a-
VITA DI ronzio 21
jìoli {it 1- le liigioui clic Ira poco sarò per dire. A me non è riuscito
di aver contezza con clii si fosse egli concertalo dopo la morte dd
Se)i])ai.do per la stampa dell'opera medesima. Il certo si è che la
edizione ne la liilla iu Roma senz' alcun nome di stampatore col ti-
tolo seguente:
Lu couj^iuia da' baioni del regno di Napoli coiiira il Re
Ferdinando Primo , raccolta dal S. Camillo Porzio. In Roma ,
MDLXr , in 4."
Il titolo , la lettera del Seripando che non ha data , la dedi-
catoria al duca di Scminara Carlo Spinello, e la indicazione de' luo-
ghi onde r autore trasse la sua istoria , si contengono nelle j)rime
quattro carte non numerate. La storia della congiura clic viene ap-
presso , ha la numerazione nelle 84 carte soltanto che la compren-
dono. Jn fine ve ne sono altre quattro non numera ie , ma coUa snjà
indicazione del registro segnato colla lettera Y : di queste le prime
tre hanno il Sunimario dell' //istoria e la coircltione di alcuni
errori della stampa , e 1' ultima è tutta bianca. In mezzo al titolo
vi è l' impresa dell' ancoi'a cui è avvolto un delfino , il che an-
nunzia ben chiaro essere stato il libro impresso co' tipi di Paolo
Manuzio , il quale dimorava in quelli anni in Roma (54) , ov' era
stato invitato a trasferirsi per istabilirvi una stamperia apostolica e
pubblicare le opere de' saati padri e specialmente gli alti del con-
cilio tridentino.
Sono andato spesso ricercando la cagione per la quale il Por-
zio uon abbia pubblicata 1' opera sua in Naj)oli die a suoi dì ab-
bondava di tante buone tipografie, ma invano mi sono alTalicato per
averne quiilche barlume. Vado sospettando soltanto che siccome
nella congiura dal Porzio narrata le più illustri famiglie napolitane
fiirouo implicate , e queste ancorché di grave macchia notate ave-
vano nondimeno ancor dopo il corso di molti anni tanto potere da
im])edire the si rinnovasse con un elegante scritto alla memoria de'
presenti il nero delitto di fellonia di alcun loro antenato; il Porzio
forse per maneggi di coteste famiglie non potè ottener licenza di
pubblicare la sua storia in Napoli. Esempio sarebbe questo non nuo-
ìo e che per simili circostanze è avvenuto ancora in tempi da noi
23 GERVASIO
non molto lonlani. Aggiunge peso a questo mio sospetto che'l Porzio
e pel dovere di storico , e pel suo privato sentimento si espresse
troppo liberamente in quella storia intorno a taluni punti delicati di
nostra ragion pubblica , de' quali non era lecito sotto il governo
viceregnale nel quale ei viveva , scrivere con imparzialità e eoa
franchezza. Quindi sia per prudenza , sia per necessità si risolvè
pubblicarla in Roma pe' tipi del Manuzio. Questa considerazione po-
trebbe per avventura aver maggior fondamento a motivo che per quasi
due secoli non ne fu ripetuta la stampa nò in Na^wU , ne altrove
in Italia , tranne la tradu7Ìon francese la quale siccome scrive il
Zeno (55) ne stampò in Parigi nel 1627 un tal Giovanni de Cor-
do6 ( Cordusio ) di Limoges , e che a me giammai è stato possi-
bile vedere.
Dopo essere stata dimenticata questa preziosa storia, come dissi,
per lo spazio di circa 160 anni , nel 1724 ne fu rinnovata la me-
moria qui in Napoli da un certo Giuseppe Maria di Lecce che ne
fece la ristampa con questo titolo:
2. La Congiura del Baroni del Regno di Napoli cantra il
Pie Ferdinando J." Raccolta dal Signor Camillo Portio. Dedicata
all' Illustrissimo Signore il Signor D. Matteo de Ferrante Regio
Consigliere nel Supremo Consiglio di S. Chiara di Napoli. In
Roma ed in Napoli , mdccxxjv. Presso Gio. Andrea Benvenuto
in 8."
Le prime cinque carte non numerate contengono il titolo , la
dedica del di Lecce al consiglier Ferrante , il sommario dell' isto-
ria , la nota de' luoghi d' onde il Porzio la trasse. Segue la istoria,
contenuta in 5208 carte numerate. La edizione è buona , ma il di
Lecce non riprodusse ne la lettera del cardinal Seripando , ne la
dedica del Porzio al duca di Semiuara , e mancò di supplire al
proprio luogo le parole omesse nella prima edizione che come av-
vertii , sono in questa aggiunte nelle correzioni.
Bella ricerca sarejjbe , perchè mai il di Lecce nel ristampar
quesl' oj)era abbia omesso e la lettera del Seripando , e la dedica-
toria n! duca di Se minara. Li cosa tanto antica e nella mancanza
totale di monumento onde attingerne traccia mi sarà permesso o dot-
VITA DI PORZIO 23
ti colleglli , che io non vi tenga celato un mio pensainenlo. È
nolo, che nel i^oi avvenne in Naiwli la congiura conosciuta tra
noi col nome Jcl Principe di Macchia. Una storia ne fu scritta da
Gio: Battista ^^ico , ed un'altra da Giusepjie Macrino, ma n è del-
l' uuu , uè dell' altra storia ne fu permessa la stampa , giacche il
duca di Popoli o'I principe di Gellamare destinati a rivederle, opi-
narono che entrambe offendessero la maestà del sovrano allora le-
gnante , e l'onore di alcune famiglie nobili. Essi però non conlenti
del lor giudizio chiamarono a consiglio il dotto D. Carlo Majello
allora canonico della chiesa napoletana , il quale essendosi unifor-
mato al loro sentimento fu incaricato di scrivere egli stesso un allra
storia di quella congiura secondo le idee tra loro convellute (56).
Allora tu che '1 Majello compose quella storicità della congiura del
1701 che pubblicò per le stampe (07). Da questo breve cenno di
fatti voi potete ben comprendere , o accademici , in qual conto deb-
ba tenersi questo lavoro del Majello, che quantunque scritto in ele-
gante latino, è da riputarsi, quale istoria, leggiero e sospetto per una
eccessiva e mal intesa prudenza. Scorsi pochi anni, cioè nel 1707, i
Tedeschi s' impossessarono del regno, e per comando dell' imperatore
Carlo VI, il viceré conte di Daun fece fare onorevoli esequie e son-
tuosi funerali a pubbliche spese a Carlo di Sangro ed a Giuseppe
Capece due de' congiurati che dagli Spagnuoli erano stati puniti di
morte, e che '1 Majello aveva mal dijiinti nella sua istoria, non o-
stantc che amendue fossero tenuti nella città nostra in somma riputa-
zione per molti pregi e virtù ond' erano adorni , essendo il Sangro
uà antico militare che si era distinto in molte gloriose azioni , e'I
Capece un eultissimo e studioso giovane il quale oltre della lingua la-
tina ed italiana conosceva benissimo la spagnuola , la francese e la
tedesca. L'orazione nella pompa funerale per loro fatta, fu recitata
dal p. IJenedetto Laudato benedettino cassinese abate del monistero de'
SS. Severino e Sossio, e le iscrizioni, gli emblemi e motti senten-
ziosi furon composti da Gio: Battista Vico che parimenti a pubbUche
spese mise a stampa nel 1708 tutto l'operato in tal circostanza (58).
Or questo cangiamento di dominazione , 1' approvazione data alla
congiura mercè i sontuosi funerali celebrati al Sangro ed al Ca-
24 GEIVVASIO
pece , r essersi adoperato il Vico , del quale non si volle far pub-
Llicare la storia della congiura medesima , e le ricompense accor-
date agli altri congiurati furono tante cause che di questo attentato
del 1701 si tenesse nel tempo della dominazione austriaca un lin-
guaggio bea diverso, giaccliè erau saliti in onore coloro clie vi eb-
bero parte , ed in dispregio avevasi cUi con i fatti o con gli scritti
vi si era opposto. Quindi il Majello non potè evitare allora la cen-
sura di ognuno non tanto per la storia della congiura cli'ei scrisse
secondo le vedute della corte di Spagna , quanto [>er essere egli
stalo tra coloro che iiou vollero far pubblicare quelle scritte dal
^ ico e dal Macriuo , nelle qu.ili gli avvenimenti e le persone era-
no , coni è fama , con imparzialità dipinte. Or per fare al Majello
la più vivace critica bastava mettere a fronte della sua storia quella
che aveva scritta il Porzio della congiura de' baroni del secolo XV,
e questo appunto sembrami di avere avuto in mira il di Lecce nel
n.-itumparla , e non giìi perchè se ne fosse perduta la memoria ,
siccome ei disse nella dedicatoria al cousiglier Ferrante. Per questo
ragioni medesime non potè egli pubblicare ne la lettera del Seri-
pando al Porzio , nella quale si mostrava un giusto orrore alle con-
giure sempre perturbatrici dell'ordine pubblico , ne la dedicatoria
al duca di Seminara nella quale il Porzio additava la cagione onde
quella istoria compose , cagione che era hen diversa da quella che
consigliato aveva il di Lecce a riprodurla per le stampe.
3.° Nello slesso secolo xvin il tijwgrafo Giovanni Gravier in-
seri nel 5.° volume della sua raccolta de più rinomati scrittori
lidia storia generale del regno iiostro quella del Porzio , cui die-
de il seguente titolo:
La congiura de Baroni del Regno di Napoli contro al Re
Ferdinando 1." raccolta dal Signor Camillo Porzio. Napoli neUa
Stamperia di Giovanni Gnwier MDCCLXIX in 4-° Furono ri-
stampate in questa edizione la lettera del Seripaudo al Porzio , e
la dedica di lui al duca di Seminara.
Due cose meritano esser notate nella presente ristampa: la prima
the sono state mutate alcune parole, altre tolte via, ed altre scritte
diversamente da ciò che avea fatto l'autore (jg) ; la seconda poi ciie
\
VIT\ DI PORZIO a5
come nella prima edizione il testo della stori.i non è altiimento dlstiuto
the iu libri, in questa e stata per maggior coinmndo dei leggitori
divisa iu capitoli , ina senza uuiuerazione e soiiiinarii. Delle i[uali
due cose (juanto è da lodarsi la seconda , altrettanto debbe ripro-
varsi la prima , giaccbc la malizia soki o la ignoranza può consigliar
di attentare scuz' alcuna necessità alle pnrole ed alle frasi adoperate
tlall" autor suo in un opera nella quale la coUocazioue e 1' uso di c^ue-
ste ne costituisce la bellezza.
Ma nel corrente secolo XIX la storia del Porzio è tenuta nel-
la più alta stima, e l'edizioni dal 1 8 16 sino ad ora si sono T una al-
l' altra succedute dopo breve intervallo , noverandosi siccome dice
(|ualcuno de' suoi editori (60) tra i piìi bei giojelli dell' italiana ta-
vella ; onde il chiarissimo Bartolomeo Gamba la ripose £;iustamcnte
nella serie de testi di lingua itulidiia , e di idlrì eseiiìj)ltiri del
ben scrivere (61).
L' edizioni delle quali ho parlato sono queste :
4. Congiura de Baroni ecc : Lucca itìi6 per Francesco Ber-
lini in 8 di pag. 174-
IMi duole non aver potuto esaminare questa edizione che vien
celebrata per corretta, avendo 1' editore presa la cura di confrontarla
colla prima del i5(35 , e colla seconda del 1734- Ne ho trascritto
il titolo dal libro del Gamba di sopra lodato, e dalla biblioteca ila-
liana di ISlilano , ove nel tomo 1 1 pag. 53Cì se ne dà 1' annunzio.
5. Pisa presso Niccolò Caparro co' caratteri di Didot in 8 grande.
Forma il quarto volume della collezione di ouinii scrittori ita-
liani in supplimento a classici milanesi.
Avendo curata questa edizione 1' egregio professor Giovanni Re-
sini , è riuscita nitida e corretta. Vi precedono alcune notizie poco
tsattc sulla vita del Porzio.
G. La congiura dei Baroni del Regno di Napoli di Camillo
Porzio , insiem colla vita di Nicolò Caponi del Segni e la vita di
Antonio Giacomini del Nardi. Milano per Giovanni Silvestri mdccc xxi,
in 8. L il volume i()G della Biblioteca sediti di opere itiiliano
antiche e moderne , che tuttavia sta pubblicando il benemerito li-
brajo Silvestri. Bella ancora e corretta è questa edizione ; l" editore
4
26 G E R V A S I O
lia adottata la stessa distinzione di capitoli di quella del Gravier ,
uè vi mancano al pari che in questa la lettera del Sciupando , e la
dedicatoria del Porzio , le quali non sono secondo la lezione vera
impresse. Nella prefazione si dà un breve cenno del merito dell' o-
pera e della vita del Porzio , delle quali cose quanto è giudiziosa
la prima , altrettanto n' è magra ed inesatta la seconda.
7. Milano per Antonio Fontana i83o in 8 grande.
Forma parte di imo de' volumi della Biblioteca storica di
tutte le nazioni. Si è tralasciata in questa edizione la lettera del
Seripando e la dedica dell' autore , e finanche il sommario dell' i-
storia ( cosa utilissima in opere di tal fatta ) che non manca in al-
cuna delle precpd<-'nti. Può dh-si esser questa la più cattiva di tutte
le altre edizioni siiiora rammentate. Mi si permetta qui un osserva-
zione : non so intendere perchè mai in una raccolta di storie ge-
nerali delle nazioni com' è questa milanese , sia stata compresa la
storia del Porzio, -la quale sebben meritevole per ogni verso d' esser
sempremai riprodotta , riguardando im particolare avvenimento del
regno di Napoli , non avrebbe dovuto comparire in quella raccolta.
8. Della Congiura dei Baroni del Regno di Napoli contra
il Re Ferdinando '/. libri tre di Camillo Porzio. Voi. unico, Na-
poli R. Marotta e Vanspandoch , i83i in 18.
Dispiacevol cosa è il confessare che nella stessa patria del Por-
zio sia stata pubblicata questa edizione della sua storia. E copiata
dalla stampa fattane nella biblioteca storica milanese, della quale ab-
biam di sopra parlato, e come quella non deve aversi in alcun conto.
9. Camillo Porzio. La Congiura dei Baroni contro etc. Mi-
lano. Per Nicolò Bettoni e comp. MDCCC.XXXI in 8 grande.
È nel volume IV della Biblioteca Enciclopedica Italiana , unita
alle opere storielle del Machiavelli , di Jacopo Nardi , del Davan-
zati , del Mascardi, del Capecelatro ,e del Sarpi. Gli editori nella
prefazione così scrivono dell' opera e del suo autore. // merito di
questa operetta è attestato dalle molte recenti edizioni die ne ven-
nero fatte dopo die fu tornata alla memoria degli Italiani , e
redenta da queir ingiusto ohblio , in cui da lungo tempo era ca-
duta. Nessun epoca forse piìi memorabile di quella , cfie è ar-
1
1
VITA DI PORZIO . 3>J
gomcnto alla narrazione del Porzio , presentano gli annali del
regno di Napoli , e forse nessuno scritture storico più accurato,
franco e vigoroso di questo Cannilo , produsse nel Secolo XV.l
(juella nobile terra, madre fortunata di tanti ingegni acuti e robusti.
IO. Finalmenle il tipografo toriuese Giuseppe Pomba in uà
prospetto di recente pubblicato di una Libreria Universale d'opere
di provata generale istruzione , che va unito al volume di aprile
i83i del giornale fiorentino intitolato l'antologia, ha promesso
tra l'altro di riprodurre in uno de' primi 25 volumi di questa rac-
colta la storia del Porzio unita a quella della congiura de' Fieschi
scritta dal Mascardi.
Io non so se questa edizione sia stata pubblicata. Io desidero
the per riuscir corretta sia confrontata accuratamente con la pri-
ma del i565, la quale benché spesso rammentata con lode dagli e-
ditori precedenti non è stata con attenzione riscontrata nella lezione,
ne si è ancor posta mente alle correzioni di alcuni errori di stam-
pa che leggonsi in fine di quella edizione.
Oltre della storia della quale ho fin ad ora ragionato, non si ri-
stette il Porzio di volger l'animo suo a scriverne altra, che la nar-
razione comprendesse di avvenimenti egualmente grandi , e che de-
gni fossero di tramandarsene a' posteri la memoria. Se in quella si
prefisse di soddisfare al vivo desiderio dal Giovio manifestato di ri-
fovar la cagione primiera per la quale da tanti mali fu oppressa
l'Italia tutta nel secolo XV, in questa prese l' imjiegno il Porzio
di narrar cose pur alte e strepitose a tempi suoi succedute in Na-
poli di lui patria, e in altre parti d'Italia.
Niente saprebbcsi di quest' altia storia del Porzio , ed essa ,
come è avvenuto a tante altre opere di autori sommi sì antichi che*
moderni , sarebbe tuttora oscura ed ignorata , se non ne avesse dato
per la prima volta un cenno Lionardo Nicodemi (C>3). Così egli scris-
se ragionando del Porzio ; scrisse ancora l' Istoria d' Italia , ed
alcuni ne han veduto il secondo libro manoscrillo, dì è dimoiti
fogli , e principia : Si partoriscono le congiure dalla disparità delle
w forze degli uomini , conciosiacosnchè dove le son pari , di rado-
» o non mai si sentono. Pier Luigi Farnese a voler torre ec. fi-
'.6 G E R V A S I O
i> w'sce : Il che se tlal Gonzaga fosse stato ben temilo a mente ,
w non avrebbe giammai sjjogbato di difensori il suo , per ire a
» conquistare 1' altrui ». Fin qui il Nicodemi, né altro aggiunse per
fyr chiaro da chi si conservasse un tal nianuscritto , nel quale una
jinrtc si conteneva della inedita storia del Porzio. Apparisce però
dalle sue parole che non ne abbia ne pur egli veduto il codice dal
quale i due brani ne tolse , ,c che altri glieli avesse commuuicati.
Dopo del Nicodemi non altro io trovo che di questa storia avesse
fatta menzione se non Gio: Berardino Tafiiri scrittore de' più be-
nemeriti della nostra storia letteraria nella prima metà del seco-
lo XVIII. Scrivendo egli del Porzio (63) rammentò tra le di lui
fipere ancor questa come inedita , aggiungendo conservarsene appo
lui un codice mir.oscritto col titolo:: Istoria dei successi nelP an-
no i55y in .Ge?io^ia^ in Napoli, ed in Piacenza^ e sospettò che
forse r autore da morte sojiraggiunto non potè darla alla luce. Non
avendo il Tafuri indicata alcuna particolarità del manoscritto da lui
jiossedtito , ne chiesi contezza all' ottimo mio amico e collega no-
stro D. Michele Tafuri nipote ed erede del genio di Gio: Berar-
dino cui avanza di gran lunga nella erudizione e ncU' acut<3zza del
giudizio specialmente negli studii di storia letteraria. Ei con quella
cortesia propria di lui nell' informarmi delle diverse vicende sofferte
dalla sua famiglia e per le quali i manoscritti de'quali i suoi antenati
Bartolomeo e Gio: Berardino Tafuri avevan fatto ampia raccolta eransi
parte smarriti e parte perduti affatto , specialmente nelle rovine della
casa paterna pel tremuoto del 1742 , mi promise di voler fai'ne ri-
cerca tra le carte di sua casa restanti in Nardo sua patria. Fedele
:illa sua jiromessa mi mostrò un grosso volume in foglio che conte-
neva i frammenti di diverse opere manuscritte , salvate dalla ca-
tastrofe del tremuoto , e tra queste con piacevole sorpresa mista di
rammarico io scoprii non già l' intera storia del Porzio , ma bensì
un solo frammento di essa scritto in otto carte a due colonne in ogni
pagina di minuto carattere che paragonato con quello degli altri
opuscoli di quel volume può dirsi scritto nel i586. La prima pa-
gina comincia dalle parole « In quel mezzo tempo ec. e continua
ordinatamente sino alla fine dell'opera. Prezioso è questo frammento
VITA DI PORZIO 29
per la sua correzione e fucile lettura. In un foglio sciolto li'ggesi il
titolo tleir oliera clic è come siegue :
HISTORIA D'
ITALIA
DI
CAMILLO PORTIO
contenente
Li successi dell' anno DXLVII
IN GENOVA IN NAPOLI ET
PIACENZA.
Basti fin qui eli questo codice del quale tornerà 1' opportunità
di jwrlar quindi a poco.
Il Sona nelle citate sue memorie degli storici napoletani (64)
ripetè intorno alla storia del Porzio , di cui parliamo , quanto ne
avevan detto prima di lui il Nicodemi e '1 Tafnri.
Il consigliere iMicliele Vecchioni , amantissimo come egli fu
delle cose patrie , conservava manoscritta una parte soltanto di que-
sta storia del Porzio , e propriamente quella del tumulto di Napoli
.1" tempi del viceré D. Pietro di Toledo.
Aveva disegnato stamparla col titolo storia de tumulti qui
presso di noi rircadiiti sotto Carlo f^ per conto della inquisi-
zione scritta d(dlii felicissima penna di Camillo Porzio, come una
appendice a' Giornali di Giuliano Passaro che si pubblicavano a
spese del librajo najwlctano Vincenzo Altobelli; ma egli stesso nella
prefazione a questi giornali (65) ci fa sapere che l'Altobelli vi si ri-
cusò per la premura che aveva di dare in luce al più presto il ci-
tato libro. Morto il Vecchioni nel i8oo ne fii distratta la preziosa
libreria ricca di molti codici , tra i quali vi era il frammento della
storia del Pcirzio , ed ignorasi in potere di chi sia giunto.
Di questa istessa storia del tumulto di Napoli die notizia il
Giustiniani (66) facendone autore il Porzio , tracndolo senza dubbio
dalla dissertazione del Vcccliioui teste citata , e quindi niente disse,
3o GERVASIO
come ha per costume , ne aggiunse particolarità alcuna intorno al co-
dice che la conteneva , ed in qual biblioteca si conservasse.
Nella scelta biblioteca del signor duca Vargas Macciucca cor-
reva fama esistere un codice intero della storia inedita di Camillo
Porzio , ed io fin dalla prima gioventù quando caldo in me ferve-
va r amore per gli studj della storia letteraria specialmente patria,
non tralasciai farne sedula ricerca. Rivolto però come diceva sul bel
principio ad altri studj più severi , venne a raffreddarsi iu me l' ar-
der primiero di consultare il riferito codice. Venuto ad esser nostro
collega nel 1818 il lodato Signor Duca , si ridestò in me l'antica
premura , e fui sollecito di richiederlo di quel codice che la sto-
ria inedita del Porzio dicevasi di contenere. Egli il profferse non
solo , ma volle dippiù farne generoso dono all' accademia nostra che
or lo possiede , ed è qual voi lutti , o illustri colleghi , qui vedete.
Io l'ho diligentemente letto ed esaminato, e non v' increscerà udirne
la descrizione che ne andcrò facendo.
Il codice in foglio piccolo nella prima pagina ha il titolo a
grandi lettere scritto , che niuna dubbiezza ne lascia dell' autor suo:
DELLA
H ISTORIA D' ITALIA
DI
CAMILLO PORTIO.
Non ha numerazione di pagine , ma soltanto i richiami delle
parole iu pie di ciascuna di esse. Il carattere è minuto ed intral-
ciato , e sembra sincrono dell' autore. Dell' ignoranza somma del
copista ho acquistata certezza nell' attenta lettura da me fatta del
manoscritto , imperciocché manca qualche volta nella dicitura , e
vi sono travisate le parole , il che ho più chiaramente ravvisato dal
confronto fatto del manoscritto nostro con quel frammento del Ta-
furi di cui sopra ho dato ragguaglio , e la cui mercè ho ristabi-
lite alcune delle mancanze , ed importanti correzioni ho fatte alle
parole in quella parte soltanto della storia contenuta nel codice del
Tafuri. L' ortografia poi del codice nostro è oltremodo capricciosa ;
VITA DI PORZIO 3l
spesso mancano i punti finali , v' lia per lo contrario un' imperita
soprabbondanza di virgole ed altre simili cose , vizii per altro clie
sono comuni alla mnggior parte delle scritture del secolo XVI. Os-
servansi inoltre alcune correzioni fatte da mano diversa da quella
la quale copiò il codice, e verso il fine veggonsi a modo di som-
tnarìi cacciati in margine dello scritto alcuni nomi propri! che sono
mentovati nella storia , d'onde si può argomentare che forse il co-
dice sia stato da altra mano riveduto e corretto. la questo mano-
scritto , come altresì nel frammento del Tafuri , invano ho cercati
quei due passi che il Nicodemi riportò quai principio e fine di un
secondo libro dell'inedita storia del Porzio, nella quale par che si
contenesse 1' istoria della congiura fatta ordire dal Gonzaga gene-
rale di Carlo V in Italia centra Pier Luigi Farnese Duca di Par-
ma e Piacenza. E questa istoria appunto tanto nel codice nostro,
quanto in quello del Tafuri , è scritta in discorso continuato senza
ombra di divisione sia in libri , sia in paragrafi. E gli avveni-
menti sono narrati , come or ora più a minuto diremo , con esatto
cronologico procedimento. Che penseremo dunque di questa diver-
sità ne' codici ? Non perchè voglia farla da indovino, ma perchè in
cosa oscura è permesso il conghietlurare, oserei iu tal modo spiegar-
la. Questa istoria del Porzio contiene tre distinti fatti , i quali di-
scendono si dalle cause medesime , ma differiscono tra loro per
le circostanze ; sono però con tal arte descritti che dall'uno all'al-
tro si passa come se un sol corj[X) formassero. Potea avvenire che
non andando a tutti a verso per cagioni a noi ignote il trarre co-
pia intera della istoria , ciascuno secondo il proprio genio ne avesse
trascritta la narrazione soltanto chi di uno, chi dell' altro de' tre fatti
da essa contenuti. Par quindi probabile che colui il quale un solo
di quei fatti avesse avuto vaghezza di trascrivere, da sé stesso o pur
coir opera altrui vi avesse adattato un principio ed una conchiusione
corrispondente al fatto medesimo staccato già dalla storia intera. Né
altrimenti può spiegarsi quella diversità di titoli ne' codici posseduti
dal Tafuri , dal Vecchioni , ed in quello dal Nicodemi rammentato.
Né altrimenti potrà darsi ragione della differenza pocanzi accen-
nata fra '1 principio e 1 fine di tutta la storia , tra '1 codice nostro
32 GERVASIO
col fjuale conviene il prezioso frammento del Tafuri , e quei del se-
condo libio di essa nel manoscritto del Nicodemi. Dopo il racconto
del tragico fine di Pier Luigi Farnese, il nostro codice finisce : Ma
per awentuia il mler divino colla percossa di lui volle rammen-
tare al pontefice Paolo che chiunque y' inviluppa né lacci del
mondo , diventa preda della fortuna. Questa sentenza grave e pro-
fonda chiude la narrazione delle cause dal Porzio esposte di tutti e
tre gli avvenimenti. Nel codice poi del Nicodemi termina il racconto
dell unico fatto della morte del Farnese questa volgare riflessione :
// die se dal Gonzaga fosse stato tenuto a mente non avrebbe
giammai spoglialo di difensori il suo per gire a conquistare l'altrui.
Le quali parole sembra se pur non fallo che abbiano relazio-
ne soltanto al fatto del Farnese , ne già all' intera istoria, la quale
è scritta in istile continuato , e jier quanto apparisce alla lettura di
essa nel sentenziare e nel riflettere sulle cause generali di ciascuno
avvenimento, è uniforme, e le conchiusioni necessariamente da quelle
cause discendono. Dalle quali cose è forza necessariamente concbiu-
dere che al Porzio non già, il quale volle certamente scrivere una
storia compiuta de' fatti d'Italia nel i5/\'], ma ad altra mano deb-
ba attribuirsi la diversità di sopra osservata nel codice citato dal
Nicodemi. Ne poi sembra degno della penna del Porzio la delinea-
zione del carattere imprevidente del Gonzaga, eh' egli aveva già fatto
conoscere nella istoria sua per uomo quanto perfido altrettanto infin-
gardo , e superfluità sarebbe stata sommamente riprovevole in uno
scrittore qual fu il Porzio quel trito sentenziare che '1 Gonzaga mal
fece di sguarnire il suo per ire a conquistare 1' altrui. Checche sia
di tutto ciò , io lascio che ognun ne pensi a suo modo ; resta sol-
tanto che vi assicuri, o illustri colleglli , essere il codice nostro qual
lo possediamo oltremodo prezioso, essendo desso il solo fino al pre-
set.te conosciuto , nel quale intera si comprende la istoria scritta dui
Porzio delie cose d' Italia de' suoi tempi. 1 fatti che in essa narra
circoscrivonsi siccome di sopra accennai, nel giro dell'anno i547 »
e furono invero grandi e sanguinosi. Comincia la istoria con una
giudiziosa esposizione dello stato di Europa dal i544 al detto an-
no i547 , e da questo come una necessaria conseguenza fu discen-
l
VIT.V DI rORlIO 33
tltr r aiilorc gli avvcnimculi che viene in prosieguo con beli' ordine
<lescrivenilo. ÌSiirra in primo luogo la congiura dui conte del Fie-
sco in Genova contra Andrea e Gianneltino Doria : espone dipoi ini-
nutamenle ciò che occorse in Napoli nel tumulto suscitatosi pel tri-
bunale della inijuisizione che aveva fatto proponimento d' introdurvi
il viceré D. Pietro di Toledo. E conchiude la storia col racconto
del tragico fine del Farnese ucciso a tradimento da taluni baroni
piacentini a hiì line tra loro congiurati, il ciie avvenne nel dicembre.
Questa istoria non ismentisce il merito dell' illustre autor suo. No-
biltà ed eleganza di stile , grave ed acuto sentenziare , e del pari
che in quella già impressa vivi e veri dipingonsi i personaggi che vi
hanno palle , siccome evidente ne è altresì la pittura de' costumi
de' tempi. Per gli quali pregi io non dubito di affermare che la let-
tura di questa istoria sarà per riuscire non che a voi , o dotti col-
leghi , ma ad ogni amator delle buone lettere grata sommamente e
desidcratissima (67).
Ma di un altm operetta del nostro Porzio finora ignota debbo
ragguagliarvi 0 accademici , ed ha il titolo seguente : Sommario
delle più notabili cose che si contengono nel Regno di Nnpoli per
uso del i'icerè D. Innico Lopez de Mendoza marcìiese di Moii-
desciiir , scritto nel i5y5 dti Ccuiullo Porzio. Essa contiene una
succinta contezza <lel regno di Niijwli , descrivendosene partitamcnto
le di\crse proviucie , delie quali è indicato il numero degli abitiiiiti
e '1 carattere; le città vescovili td arcivescovili; si dice quanti ba-
roni e nobili , quante truppe , cjnante fortezze e castella vi siano per
la difesa del regno. Vi si espongono inoltre quali fossero le princi-
pali industrie, e quali le imposte che si pigi vano ni fisco. Vi è un
breve capitolo contenente la successione cronologica de' re di Napo'i
che termina così :
Filippo sono anni xx che regna e regnerà per la Dio grazia
molti anni.
Chiudeva l'operetta un altro breve ca[ìhoìo intorno alla disj>0'
sizione degli animi dei regincoli.
Mi occorse di veder, son già molti anni, questa operetta di sole
dieci carte in lol. presso il nia'chese D. Francisco Orlando uomo
5
34 GERVASIO
commendevole non tanto per la copiosa raccolta che aveva falla eli
libri imprèssi e manuscrilti risguardanti la patria istoria , quanto
per la rara cortesia con la quale ne faceva copia agli studiosi. Da
quei fogli io non trascrissi allora , se non la dedicatoria e 1' ul-
timo capitolo , sicuro che per la gentilezza del possessore avrei po-
tuto in appresso , quando mi fosse venuto a grado , trarre copia
dèlf intera operetta. Ma passato a miglior vita quel signore , andò
perduta del pari la sua libreria , e tra i manuscritti ancora quello
del sommario di cui ragiono. Per buona fortuna il collega nostro
D. Giuseppe Ferrigni possedendo di quest' operetta del Porzio un
altro esemplare, ha avuta la cortesia di farne trarre una copia. Il
Jnanuicritto dui Ferrigni è un piccolo codice in 12 che ha per ti-
tolo : Relazione del regno di Napoli al marchese di Mondesciar
viceré di Napoli. Di Camillo Porzio tra il 1577 e 1579. Le stesse
cose vi si contengono che in quello dell' Orlando oltra talune parti-
colarità do]X) la successione cronologica de' nostri Re , che io non
rammento aver lette in quello. In sommo pregio io stimo doversi
tener 1' operetta , la quale oltra il merito di essere il più antico
j)rospetlo statistico del Regno nostro , fa conoscere nella sua brevità
quali fossero in allora le vedute di pubblica economia , e quanto
.'ijipo noi ancor sotto il governo Viccregnale fossero siffatti sludi col-
tivati da un uomo quaV era il Porzio , giudizioso e saggio osserva-
tore dell' indole e delle circostanze della sua patria.
ANNOTAZIONI
ALLA PRIMA PARTE.
r
(i) Papadopoli IJistor. Gymri. Pa-
lav. lom. 2 p. 2o3.
(2) Fabbroni Hislor. 'Acad. Pisanae
Pisis 1792 in 4 Ioni. 2 p. 333. Par-
lano di Simone molti scrittori e gene-
rali e particolari di storia letteraria ,
cioè il Tuano, il Teissier, il Gaddi,
il Tiraboschi ctc. e tutti hanno igno-
rate le piii illustri ed importanti no-
tizie della sua vita. Kc scrisse anclic
le memorie il nostro Lorenzo Giusti-
niani che leggonsi nel libro da lui
pubblicato : / tre rarissimi opuscoli
di Simone Porzio, di Girolamo Bor-
gia , e di Marcantonio de Falconi ,
icritti in occasione della celebre eru-
zione avvenuta in Pozzuoli nelV an-
no i538 etc. Napoli 1817 in 8. Egli
non ostante il vanto die si dà di cor-
reggere e supplire le altrui mancanze,
ignorò allatto le partlcolariiù di sopra
narrate intorno a Simon Porzio, e le
altre tlie anderò di poi notando.
(3) Raccogliesi questa particolarità
dal seguente epigramma di Giano A-
nisio a carte Jo8 , a tergo, de' suoi
Poemata et Salynie, Neapoti per Jo.
SultzliUchium ij3i in 4.°
Ad Simonem Poitium.
Quid majus Porti a Diis immortali-
lius unquain
Optandum volis perpetuaque pruce ?
JEs tu Part/icnopes civis , quant di-
cere ocellum
Ausim orhis, cljuivs, divitiisqve potens.
Pmeterea ingenio, succisque Machao-
nis , atro
F''ectigal Diti fortior extenuas.
Nec satis est visum , res infra nascere
lunam ,
Scire etiam tentas quidfaclant superi.
(4) Leggesi a carte 8 dell'opera /cr-
ni Anysii Epistolae De Religione et
Epigrammatum ctc. In fine Describe-
bat plumheis sigillis Neap. Jo. Solci-
bac/tiui , cum solito privilegio i53S in
8." In questo epigramma sembra a dir
vero mollo impropria , per non dire
impertinente, l'arguzia dell' Anisio che
dice al Porzio dover godere della mor-
te della moglie sol perche un tempo
desiderava di vìver celibe.
(5) Ho detto di non sapersi i nomi
e le particolarità de' rimanenti (ìgli
di Simon Porzio, pur nondimeno spe-
ro non iien per riuscire discare le no-
tizie che ho proccuralo di raccogliere
almen per congliiettura intorno ad es-
si. Oltre di Camillo altro figlio di Si-
mone credo essere stalo quel,!' Antonio
Porzio Abate cui sono indirizzati al-
cuni versi di Giano Pclusio da Co-
irono {f.usuum etc. pag. Sa) nei quali
è lodalo qual pa/er elega/itiiirum , et
iiuciu FATUE DOcriOR. E questi par si-
curo che sia quello stesso Antonio Por-
zio, il quale fatto vescovo di Mono-
poli nel 1J77 secondo che sciivcl'U-
36 G E R V
glieli! (/to/.5c?cr.lorB. i''pag.974) mori
nel lógS, e vien rammentalo da Gio:
Ball. Crispo di Gallipoli tra gli uo-
mini dotti eh' ei slaudo in Roma fre-
quentava. Vedi pag. 96 del libro pub-
blicato con erudite illustrazioni dal
mio dotto amico e nostro collega D.
Michele Tatari Jo. Saptistae Polti-
tìori Frentani , et Stephani Catalani
Cnllipolitani opuscuki nonnulla nane
primum in lucem edita. Neapolì '792
in 4. Nel Cod. 448 sc.VIF. 17 del-
la real biblioteca borbonica , di cui
avrò occasione di far spesso menzio-
ne, sono due lettere lali.ne autografe di
questo Antonio che sono scritte al car-
dinal Seripando. In una di queste da-
ta da Padova P'J Id. lun. i55g lo-
da 1' orazione recitata dal Seripando
ne' iunerali celebrali in Napoli per la
mone dell' imperator Carlo V; e nel-
1' altra data da Napoli P'I Kal. la-
miarii senz' anno, di notizia al Seri-
pando medesimo di avere scoverto pas-
M'^^iariJo vicino le mura della città
presso la chiesa di S. Agnello una iscri-
zione greca , che è quella stessa tra-
scritta dal Capaccio Histor.Neap.toiu.
i-p.23i,c della quale di una singo-
lare interpretazione. Queste lettere , e
specialmente quella intorno alla iscri-
zion gneca , indicano la somma fami-
liarità che passava ira la famiglia di
Simon Porzio e'I Seripando, il quale
aveva per ciascuno di essa particolare
ahezione , leggendosi inoltre nel co-
dice medesimo diverse lettere del Se-
ripando a C:miiMo Porzio. Un terzo
figlio di Simone pare potersi con cer-
tezza asserire che fosse sialo chiamato
Scipione , del quale fa parola il Ca-
A S IO
paccio nella sua opera intitolata il
Forestiero ce. giorn. IV pag. 249. Qui-
vi il Capaccio interrogalo se Camillo
Porzio era della discendenza di Simo-
ne , dopo aver risposto affermativa-
mente scrive : famiglia { cioè quella
di Simone) molto honorata , e vive og-
gi ( nel i63o) Francesco Porzio fi-
glio di quel Scipione che fu gloria de'
cittadini A^apoletani, e che con le ma-
niere nobili con che visse introdusse
parentato nobile nella casa , avendo
data per moglie al figlio una Signora
della famiglia Capece. Se dunque Sci-
pione era della stessa famiglia di Si-
mone Porzio siccome fu Camillo, non
poteva egli essere che un figlio di Si-
mon e.
Nelle lettere latine di Bartolomeu
Ricci Ferrarese ve ne sono due , di-
retta 1' una ad un Bartolomeo, e l'al-
tra ad un Francesco Porzio. Quel Bar-
tolomeo- fu con manifesto erroie scam-
bi.ito col nostro Camillo dal Tirabo-
schi ( Stor. delùt letter. Ital. Venez.
1796 in 8° tom. 7 p. 877). Il che ap-
parirà vie piti chiaramente dalla let-
tera stessa del Ricci diretta ad Ago-
stino Abioso, che è come segue [/ìic-
cii oper. Patai'ii iy4j in 8 torti. 2
p. 241 ):
Sartholomaeo P.ortio cjui tibi has
litleras reddcdit , qiiatuor annis Fer-
rciriae t:unfamiliaritersuni lAus, quara
is meo praenomine utitur. Huic enim
ita dornus fnea patuit , ui tibi atrjun
Fkctori nostro- fecisset , atque etiam
/■^enetiis cum luia prope habitare.muSj
ficere solebat qui Carnillnm fdiuni in
literis Graecis , atque in Dialectica
erudiebat. Hic nunc non dectiorem.
VITA DI
philosopltiim. Madia nostro quaerens,
seri meliorem condilioiìcm seijuens,sc
Prilavium rontulit. Hiinc ut in ami-
citiam laam recipias volo, atque quid-
quid fi opus erit , id omne meo no-
mine libendssime commodes. Poìliceor
Ubi ( elsi ?ioc tacere poterani ) le in
hujus adolescentis amicilia plurimum
nuctum esse , meumque hoc offìcium
in iis quae a Riccio tuo proficisci so-
ìent , esse repcsi/urum. ]Vam praeter
honas lileras , qaas optime callet , et
,^raecjs et iatinas , eri natura est a-
dulesvens , atque in amando integri-
late , qua nos siimus , quamque in
aliis maxime cupimus. f^ale.
(()) liibìiotli. lìoman. p. 14.
(7) De IlUistr. Script, y.'eap.^.x'ìi-
(y) Tom. 7 p. 249 della sua tra-
duzione Italiana dell' erudita opera
scritta in lingua Inglese dal sig. Ro-
scoe f'ila e Poniefìcato di Leone X.
Milano 1816 in 8.
(9) Pag. 27 della Lettera de'l' ^ba-
te Gaetano Marini , nella quale s'il-
lustra il ruolo de' Professori deli' .Ir-
riti ginnasio /iomano per l' anno i5i4.
Roma 1797 in 4.0
(10) iSon nega esservi stati alcuni
scrittori , come il Cliioccarello ( De
Il'uslr. Scrijìt. Neajiolit. pag. 127 )
e '1 GaJdi ( De scrìjjt. non Ecclesiast.
Tom. a p. 207) molto posteriore di eli,
i quali lian fatto dubitare d'essere sta-
lo Camillo figlio di Simon Porzio: ma
t conteuiporaiici adermaiio con certezza
il contrario. Il Sinsovino scrittoio sin-
«rono , nella dedicatoria diretta a
Camillo della raccolta delle satire di
diversi poeti , della quale un fram-
mento rectictò per esteso poco apprcs-
PORZIO 37
so , scrisse francamente clic fosse il no-
stro Porzio nato da Simone , e non
r avrebbe certauicnlc dello in una let-
tera dedicatoria, se non gli fosse slato
riferito da persone conoscenti e lumi-
miliari del suo Mecenate.
Il Capaccio che fu ìntendentissimo
delle cose nostre , e che sicuramente
aveva conosciuto nella sua prima gio-
ventìi il Porzio , all'ermo (1. e. ) che
questi fosse della famiglia di Simone,
finalmente nel codice di sopra citalo
della nostra real biblioteca , ho letto
una bozza di lettera scritta dal Seri-
pando a Simon Porzio da Bruselles ia
data de' 27 gennajo i554 , cioè poco
prima che costui morisse, la quale fi-
nisce : £d io me li raccomando con
lutto V animo et cosi al Sig. Camillo
et a talli , non lasciando la paci/èra
Oliva : le quali parole indicano chia-
ramente lutti della famiglia , cioè i
ligliuoli di Simon Porzio , nominan-
dosi particolarmeule Camillo tra i i^'ia-
silii come il maggiore e piii distinto
per la sua dotlriii.t , ed Oliva tra le
f-iiimiue come quella che forse era la
più rimarchevole pel suo carattere pa-
cifico e mansueto.
(11) Di tal particolarità la ricordan-
za il Fabbrucci nell'opuscolo de pi-
sano gyninasin inserito nel tomo VI
p. 83 della nuova raccolta di 0|'U5coli
del Calogeri.
(12) Origlia storia dello studio di
.Wipo/i toni. 2 p. 3.J.
(L'i) Nell'anno i538 avvenne qiiel-
r orribile tremuolo in Pozzuoli che ili-
strullo compiutamente il villaggio di
Tripcrgola fece sorgere il cosi detto
monte niioro. Del quale fenomeno ,
38 G E R V A S I 0
Simon Porzio diede una spiegazione se- autumno fere in honarum artiunipro-
condo i dellami aristotelici che con fessores saevienlis inctementiam fuge-
Icttera diretta al viceré D. Pietro di
Toledo pubblicò in Napoli nell' anno
medesimo. Questo rarissimo opuscolo
insieni con due altri sullo stesso ar-
gomento fu riprodotto per le stampe
da Lorenzo Giustiniaui (veJinot. 2).
Il Fabbrucci attribuisce alla pubbli-
cazione dui notato opuscolo 1' essere
stato Simon Porzio conosciuto ed ap-
rire j tum ut honestissimo olio , quod
singularis tua erga me benevolentia ,
incrediòilisque humanilas concedebat ,
fruerer eie.
(20) Tra questi vi era il Giovio del
quale una lettera diretta a Simone è
slata pubblicata dal Pino lib. IV p.
3 16 della sua nuova scelta di lette-
re ecc. Venezia i582 in 8. V era ai-
prezzato dal Gran Duca Cosimo I.° gè- tresi il famoso Gio: Ball. Gelli, il qua-
nero del Toledo , perlochè lo invitò
alla lettura nello studio di Pisa. Ma
per la testimonianza di monsignor Fab-
broiii addotta nella stessa nota 2 il
Porzio era già ben conto al gran du-
ca per aver insegnata filosofìa in Pisa
fin dalla prima sua gioventù. Potò for-
se avvenire che la lettura dell' opu-
scolo di sopra delio avesse contribuito
a far si che il Porzio fosse ricbiamalo
alla memoria di quel signore, ([uan-
do per restaurare lo studio di Pisa vi
cliiamò a leggere i piii valorosi pro-
fessori d' Italia.
(14) Fabbroni Hist. Acade in. Pi!>a-
nae lom. 2 p. 333.
(16) Fabbroui 1. e.
(16) Fabbrucci I. e.
(17) Fabbroni I. e. pag. 484.
(18) Fabbroni 1. e. nelle ordinazio-
ni circa il modo di dottorare .irt.° q.
(ir)) Lo dice Simone mede imo nel-
la dedicatoria al gran duca dell'opera
de coloribus, che comincia cosi : Cam
nuper Floreiitia recersus priiiceps ma-
gnanime in Filestulanorum agrum me
rerepiiseni ( est enim , ut inquit Me-
nander aparos «perr,? xai' jSi'o-j òrSaa/*),©?
le tradusse in favella fiorentina al-
cune opere filosofiche del Porzio, tra-
duzioni rammentate dall' Ilaym i/W/oA
Hai. tom.III p. 96 n. 5 6 7 ediz. di Mi-
lano i8o3 in 8.
(21) Tiraboschi I. e. tom. Vili p. 3
p. 877.
(22) Fabbroni I. e. nelle ordinazio-
ni ecc. n. 6.
(23) Fabbrucci 1. e. Il Fabbroni fii-
■b/'ir. acad. pisan. pag. 334 scrive che
Simon Porzio dimorò in Pisa , ci-
tando in appoggio il Tiraboschi , il
quale con I' autorità del Tuano mo-
stra esser partito il Porzio da Pisa nel
\bói. E da sospettarsi quindi o che il
Fabbroni abbia traveduto , ovrer che
nella citazion sua sia incorso un er-
rore di stampa. Né può essere altri-
menti, giacché la notizia del Fabbruc-
ci , tratta da' registri dello studio di
Pisa , non e stata né con ragioni , né
con documento alcuno contradetta dal
Fabbroni , il quale se Io avesse po-
tuto , non avrebbe certamente trascu-
rato di farlo. Tra le opere poi del Por-
zio ve n'è una intitolata de rerum na-
taralium principiis, impressa in Napoli
'i\i<iS>ifo-i aypoc) (um ut aéris pisani per Mattia Caiicer nel »553 in 4. Nella
VITA DI
iledicaloria a Maico Aulonio Colonna
ilice il Porzio the essendosi costui re-
talo a bella posta in Pisa , per udir
da lui , già vecchio e podagroso, dc-
ciferati i più riposti sensi del filosofo
slagirita , gli manda il suo libro co-
inè quello che trattava di cosa al Co-
lonna gradita. Non ha data questa de-
dicatoria ma dicesi scritta ex pisana
academia. Non può credersi che il
Colonna mandasse da Pisa in Napoli
a stampar l'opera del suo maestro sen-
za consultarlo pria, e se anche ne a-
vesse ottenuto da costui il permesso ,
ne avrebbe falla l'edizione a sue spe-
•••e , e non già a quelle di un librajo
qual fu flla/vnri/oriio Fefia>iO,t\ccome
Icggesi infine del libro. Lchiaro quindi
che nel i553 11 Porzio era in Napoli,
e che il librajo trailo direllamenlecon
lui per la stampa della sua opera già
composta in Pisa, per farvi quelle cor-
rezioni e miglioramenti che gli sareb-
bero piaciuti.
Stimo superfluo dir altro su di ciò,
e fo avvertire soltanto essere stata l'o-
pera medesima ristampala pochi anni
dopo anche in Napoli col seguente ti-
tolo lì £)e Jieiuìn Naturaliuin priri-
cifiiia Libri duo quibus pluriinae et
liaud conteinnenJae qiiaestìones naiu-
raìes explicantur. Aeapoii apitd Jo:
Mariani Scotum RIDLXI //; 4. Que-
sta edizione sconosciuta a' nostri bi-
bliografi si possiede dal lodato SIg. Ta-
l'uri , cui tanto di ([uesta , quanto di
altre preziose notizie, mi confesso de-
bitore.
(24) Pclusii Lusiium eie. p. 52. I
vMsi sono intitolali n</C(/W(7/(^w /*or-
tiuììi Juris Co/ìsiiìtiini.
PORZIO .3i)
(25) Tliuani Hìslor. lib. i3. N. 9. Pa-
padopoli 1. e.
(26) Olirà le ricchezze da lui accu-
mulale Simon Porzio ottenne ancora
dal Viceré D. Pietro di Toledo nel i534
l'officio dei Guardianato di TorrcOt-
tava (Toppi, Biùliol. Napolel. p. 2S5),
dal quale molli proventi ritraeva.
(27) Dal citato Codice 448 della Rcal
Biblioteca Borbonica , Se. VI F. 17.
(28) Queste parlicolarilà si ritrag-
gono dalla dedicatoria del Sansovino
al nostro Porzio che trascriverò qrindi
a poco, e dal Capaccio 1. e.
(29) Citalo cod. della Real Bibliot.
Borbonica.
{3o) Quesl' Antonio Afellro fu un fa-
moso avvocalo del secolo XVI. Di lui
si conserva nella Real Biblioteca un
grosso volume autografo che contiene
notizie e monumenti storici riguardanti
iu gran parte famiglie nobili Napoletane.
(3i) Cedolario di Principato Citeriore
dal 1696 al 1731 fol.94 al io4.NclG.
Archivio.
(32) Cedolario citato.
(33) Vedi i discorsi delle /'uritii/lie
imparentate colla casa della Marra di
Ferrante della iMarra. Nap. 1664 'n fol.
(34) Ho trascritto questo brano della
dedicatoria del Sansovino dall' edizione
delle Salire fatta in Venezia i5G3 in 8
appresso Nicola Bevilacqua , possedu-
ta gii dal defunto cav. Carelli. Il Zeno
però nelle note alla Bibliot, delC Eloqu.
italiana del Fontanini lom. 2 p. 5^ e-
liiz. di Parma iSo3, lamraenta la pri-
ma edizione di queste salire impressa
pure in Venezia nel i56o che non mi
è riuscito di vedere. Ve n' ha una ter-
za pariaienti di Venezia appresso Fa-
4" G E R
bio ed Agostino Zoppinl i5S3. in 8.
(35) liceo alcune notizie clie ho rac-
colto intorno a Marcantonio Passaro ,
e Gio:Pietro Ciccarello lodati dal San-
sovino. Del primo scrive cosi Gio:
Giacomo de Rossi nella Tavola degli
Scrittori, de' quali v' hanno componi-
menti nel raro libro Rime et versi in
lode di £). Giovanna Castriota Dii-
c/iessa di Nbcera ecc. f^ico Equense,
appresso Giuseppe Cacchi i58<) in-4.''
Marco Antonio Passaro Lombardo
Ijuono Filosofo , e poeta non malo. Di
lui leggonsi due sonetti a carte 78 e
79 del Tempio della Divina Signora
£). Giovanna d' Aragona in Venezia
per Plinio Pielrasanla mdlv in 8. Al-
cune sue lettere sono inserite nella rac-
colta del Pino , ove nel tote, iv p.
181 Icggesene una di Gio. Paolo Fla-
vio scritta a Paolo Manuzio , dalla
quale appare essere stato il Passaro in
amichevole corrispondenza con i\y.^-
m' ultimo. Sebbene Lombardo di patria
era il Passaro stabilito in Napoli, in
cui par che facesse il niestier di li-
brajo. Fornito coni' egli era di buone
lettele aveva per ciò diiiicstii-hezza co.i
I nostri dotti di i[iiclla elù , promo-
vendo la stampa delle loro opere , e
la diffusione di esse ira i letterati del-
l' Italia superiore , conciliando altresì
con questo mezzo la corrispondenza tra
questi e quelli. ISelle rime di Jjaura
Terracina Poetessa Napoletana , im-
presse in Venezia pel Giolito nel 1648
leggonsi alcune composizioni dirette al
Passero, ed a carte 53 v'è una let-
tera scritta alla Terracina da un tal
che segnasi il Gaudio in cui si dice :
CI JEt quanto ho visto a caso nella Li-
V A s I 0
oraria del Passaro , il quale trasfor-
mato in pili candido augello cantava
non so che stanze composte da ta Di-
vinità del vostro ingegno». E data ia
lettera Dalla Libreria del Passaìxi il
di XXIII di Dicembre MDXLVI. Fi-
nalmente in fondo dell' opuscolo di
Jlarcanlonio de' Falconi suU' eruzione
avvenuta in Pozzuoli nel i538 e stam-
palo in Napoli nell' anno medesimo si
legge : Si vende per Marco Antonio
Passaro alli Ferri vecchi.
Il Ciccarello fu come diceva valo-
roso non solo nelle belle lettere , ma
ancor nelle filosolìche discipline , e
ne rende buona testimonianza Scipio-
ne Ammirato, il quale lo nomina più
volle nel suo Dialogo delle imprese
stampato per la prima volta in Napoli
presso Gio; deBoy 1662 in 8. In un luo-
go lo dice /iuo>no,di molta eritditiotie
et adorno di ogni ottima disciplitui j
ed in un altro parlando dei rari pregi
della Signora Geronima Colonna d'.\-
ragona nipote della celebre Vittoria Co-
lonna Marchesana del Vasto , scrive
l'Ammiralo che poteva ben gloriarsi il
Ciccarello lasciando così grande e chia-
ra discepola nei secoli avvenire per ?iu-
tabik esempio della sua molta dottrina.
Il Toppi {Bibliot. Napolet. p.338) la
menzione d'un Gio; Niccolò Ciccarel-
lo, che sospetto forse per iscambio di
nome esser lo slesso Gio; Pietro di cui
ragiono. Le lodi che riporta il Toppi
dui merito di Gio; Nicolò possono an-
cor convenire a Gio: Pietro, il cui mol-
to sapere vieu commendato dall'Am-
miralo nel Dialogo sopradello.
(36) Histoire de V Anatomie tom. 2
p. 169.
(37) L. e. tom. 6 pag. 458 , tom. 7
p. C5o.
(38) Sulla ì-eslilnzinne del naso Tlap-
porlo a S. E. il Sii;. Capitali Gene-
rale Conte Lavai de Nugent ec. Na-
poli, dalla Reale Tipografia della Guer-
ra jSig in /j.
(39) De anliqiiitate et sita Calahriae
p. J28 ediz. Romana 1732 in fol. colle
note di Monsignor Aceli.
(40) L. e. p. 144.
(41) Queslo è il titolo dell'opera del
Tagliacoizo ncll' esemplare eh' esiste
nella Rcal Biblioteca : Gaaparis Ta-
liacotii Sononiensis De Curtorum chi-
nirgia per insilioneni Libri duo ec.
u4piid Gasparem Bindonum Venetiis
1597 in fol.
(42) Ne cita r intero titolo il Vogt
Catalog. Librar. Rarior. p. 653. Il pas*
so del Corte,si intorno al metodo di ri-
stabilire il naso vien trascritto dal Por-
la! 1. e. p, 447, e dal Fantuzzi Scrit-
tori Bolognesi tom. 7 p. G3 e seg.
(43) Due particolarità storielle sono
ricordate dal Porzio nella lettera che
ho trascritta a pag. 14. La prima ri-
guarda il tentativo de' Luterani del re-
gno per sostenersi a mano armala nella
falìa lor credenza. Essa è siala già ri-
ferita dagli storici nostri specialmente
dal Summonte ( toni. 4 p. 140 prima
ediz.); ma '1 Porzio vi aggiugne talune
circosianzc intralasciate da queslo sto-
rico, che non sarà discaro di conosce-
re; e queste sono la morte data ad alcu-
ni più ostinali tra gli eretici, e la fa-
coltà concessa dal Sommo Pontefice al-
l' Arcivescovo di Reggio per convertire
i traviati ecc. L'altra pariicolarilà poi
della perdita di selle galee spagnuole
VITA DI ronzio /\i
piese da' barbareschi , è del pari ri-
cunJata dal Summoule (I. e. p. iSy),
il quale aggiugne che olirà il vescovo
di Catania , Nicolò Maria Caracciolo
Napoletano reduce dal Concilio Tri-
dentino, fu preso dal corsaro vincitore
del conlliuo navale nelle galee predale
anche il Vescovo di Cefalii Francesco
di Aragona. Costui per lo spavento ,
essendo ancora di grave età , mori in
man di quei barbari, e quegli, cioè il
Caracciolo, si riscattò con grossa som-
ma di danaro. Il Summonte però segna
la dala di queslo inlaiislo avvenimento
a' 3 Luglio i56i, e '1 Porzio ohe scri-
veva da Tropea non mollo disiarne dal
silo del combattimento che avvenne
a vista di Messina , dice con m.iggior
verità esser seguilo il di di S. Giovan-
ni cioè a' 24 Gingno. Dovrà in ogni
modo correggersi il Pirri , il quale
nella Sicilia Sacra parlando del Ca-
racciolo tra i Vescovi di Catania, con
errore manifesto segna la data dell' av-
venimenlo ai 24 Luglio i554.
Olirà quelle già trascritte nel Co-
dice Seripandiano vi è la bozza di una
lettera del Seripando de' 22 Decera-
brei55g, nella quale impegna il Por-
zio ad inlerporsi con un certo dottor
Quadra per fare scarcerare un prvle j'e-
rito ad Acquarola il quale vo-
leva ritornare a servire in della chiesa.
A questa raccomandazione leggesi nel
codice la risposta autografa del Por-
zio data da Napoli a' 6 ottobre i55g,
nella quale olirà il dar parte al Se-
ripando del buon risullamento degli
uffizii fatti a prò del prete suo racco-
mandalo, gli parla di certa gara tra '1
Mitici e '1 Vopisco per 1' esazione di
6
-I-T GÈ n VASTO
una peiiiione accordata al primo su doU'andata dell' ai mala del Turco vci-
di un benefizio posseduto dal secondo, so Tripoli.
e delle forti disposizioni date dal Vi- (44) Foiastiere giornata 4. pag. 249.
cere di quel tempo contro i ribaldi e
ANNOTAZIONI
ALLA PARTE SECONDA.
(45) Queste sono le parole del Porzio
delle quali il senso è chiarissimo , cioè
che la congiura dei Baroni avvenuta
nel 1485 fu la causa delle guerre che
seguirono uel 1494. Intanto il Giusti-
niani nella vita di Simon Porzio pre-
messa all' opuscolo di costui de con-
flagi-atione agri Puteolanì scrisse pag.
5, che di Camillo Porzio yjoco o nulla
ne han detto gli scrittori di storia let-
teraria , e per questa ragione ei si li-
mita a parlar soltanto della sua storia
della congiura dei baroni , ed a cor-
reggere alcune sviste dei suddivisati
scrittori. Dopo di aver riportato il ti-
tolo della istoria soggiunge : mentre
il padre { cioè Simone Porzio ) tro-
vavasi in Pisa , secondo che avvisa
nella dedica che fecene a Carlo Spinel-
lo Duca di Seminara eie. Nulla disse
Camillo di questa dimora del padre
in Pisa nella citala dedica. Afl'erma in-
dire lo stesso Giustiniani che Camillo
Porzio conversando con Paolo Giovio
lo aveva inteso più volte lamentare _,
che per mancanza e tiascuraggine de-
gli storici non aveva potuto scrivere le
guerre che seguirono nel 1494 , cioè
la congiura dei Baroni cantra Fer-
dinando 1." E pur di questa rara no-
tizia nulla sognarono né il Giovio, né
il Porzio. Non contento in fine il Giu-
stiniani di voler correggere gli errori
degli scrittori di storia letteraria la av-
vertire 1' errore anche del Porzio il
cj^uale scrisse, com' ei dice, che la con-
giura dei Baroni avvenne nel J494 >
eh' è una falsità sollenne , e concbiu-
de cosi : Il Re Ferdinando j.° mori
neW anno 1494 ; onde non saprei come
mai flesse incorso simile errore neW o-
pera suddivisala , ed altri scrittori po-
steriori non se ne fossero avveduti e co-
piatolo ciecamente. Gli scrittori che
prima e dopo del Giustiniani scrissero
del Porzio avevano migliori occhi ed
anche senno migliore del suo per non
incorrere in siflatlo vaniloquio.
(46) Nella dedica al Duca di Semi-
nara scrive il Porzio : Questo deside-
rio (del Giovio cioè di scrivere la con-
giura dei baroni) io lo giudicai tanto
giusto e s) fattamente necessario che
in me si apprese cane fu in lui di
VITA DI
qualità che pochi anni sono ahbatlu-
toiìii nel piveesso originale ecc. Il Giu-
sliniani J. e. narra che il Porzio per
soddisfar la voglia di quel dotto scrit-
tore ( cioè del Giovio ) si accinse a for-
mare delta istoria coli' idea
però di stenderla sotto la direzione di
esso Ciovio. E questo è ancor tulio
l'alio e manca ancora d' ogni ragione-
volezza. Imperciocché le doglianze del
Giovio si riferiscono a lui slesso non
gii al Porzio il quale nel tempo che
(ratto col Giovio era un giovine stu-
dente in dritto , e fini il corso dei suoi
ttudii nell'anno raede>inao In cui cessò
ili vivere il Giovio. Dall' addotto luo-
go del Porzio si rileva che 1' idea dì
fcrivc'o la storia della congiura si ris-
vegliò in lui dopo di aver rinvenuto
il processo originale della congiura me-
desima , il che avvenne pochi anni
prima di comporla.
('i7) Vedi la dedica citala e la let-
tera del Seripando premessa alla prima
edizione della storia del Porzio.
(4**) Vedi la dedica citala al Duca di
Semìnara.
(49)Vegga5Ì la lettera del Seripando
premessa, come si è dello, all'istoria del
Porzio. Ma ascolliamo ancor qui il
Giustiniani che si millanta di correg-
gerò le sviste di tutti gli scrilturi di sto-
ria letteraria. Scrive egli nel luogo ci-
tato che dappoicckè ( il Porzio ) ebbe
fatta buona raccolta di notìzie mancò
di vivere quell' uomo insigne , cioè il
Giovio. Ma se questi morì nello slesso
»nno in cui il Porzio fini glisludj suoi
io Pisa, come mai ora il Giustiniani il
fa risorgere dopo che il Porzio aveva
riuniio i materiali tulli per comporre
PORZIO \i
la storia della congiura dei Baroni V
Siegue a dire il Giustiniani : quindi
se la pose a lavorar da se solo in la-
tino , e fone ne prevenne purancke
V idea al Seripando. dome forse se in
realtà gli scrisse ? se il Seripando era
colui che stimolava il Porzio a scri-
vere la storia, come poteva costui pre-
venir 1' altro di tale idèa?' Al quale-
avendo poi mandato i primi squarci
in tempo che ritrovavasi Legato nei
Concilio di Trento quel Ch: uomo et-
vendogli approvato il piano e lo stiJe
lo persuase con sua lettera di meglio
scriverla in Italiana. Molle falsila vi
sono in questo racconto che superfluo
sarebbe il rilevar minutamente ; no-
teremo soltanto che '1 Seripando lodò
lo stile latino del Porzio non già la
sua opera che non aveva veduta. Que-
sti falli furon prima di lui commessi
dal Soria memor. degli Storici Na-
polot. tom. a. p. 5oi, ma il Giustinia-
ni senza citarlo volle appropriarseli e
spacciarli come notizie rare da lui con
fatica e diligenza raccolte.
(5o) liibliot dell' Elaqu. Italiana di
Monsignor Giusto Fontanini colle an-
notaz.di Apostolo Zeno Tom.2.pag.254
not. (a) Edizione di Parma i8o3 in 4.°
(5i) De Scriptor. non Ecclesiastic.
Tom. 2 p. 20;.
(Sa) Biùlioteca Italiana Milano j8t6
Tom. t. pag. 27.
(53) Il Seripando mori in Trento nel
i5u3 di anni 70 quando slavasi cele-
brando il concilio.
(04) Il Jlanuzio si porlo in Romii
nella state del i56i come rilevasi da
una sua lettera al Morelo , Misceli.
Collega Romani Tom. 2 p. SgS. La
4'i G E Tv
Iratlalisa per trasportarvi la sua stam-
peria fu concliiusa dal Cardinal Seri-
pando. Vedi il Lagomarsini JSpisiol.
Iidii Foggiani Tom. 4 p. Sag noi: (a).
(55) Bibliot. dell' Eloqu. Italiana del
Fontanini Tom. 2 p. 255 edizione
citala.
(56) Vedi il Soria nelle Memorie
degli Storici Napoletani'X.oxao 2 P.3S.7.
ligli dice elle queste e le altre parti-
colarità da lui narrale inlurno alia
vita del Majello gli eraao state riferi-
te dal Canonico Niccola Ignarra cui
]e aveva dette il Mazzocchi amìcissÌDio
del Majello.
(57) Ha il seguente litolo : Conju-
ralio inita et extincta Neapoli anno
1701, ^ntuerpiae Typis Ioannis Frik
1704 in 4.° pie. di pagiEe 64. la fine
vi sono Ire pagine numerate che con-
tengono un lungo errata. Altra isto-
ria scritta in Italiano era stata prima
stampata da anonimo autore col titolo
La congiura succeduta in Napoli nel
Settembre del 1701. In Venezia 1704
in 8. B per mostrare che veramente
fosse stata impressa in Venezia vedesi
nel frontespizio 1' ancora col delfino
antico slemma delle slampe degli Al-
di. Va premesso un avviso al letto-
re in cui dice 1' autore che gli avve-
nimenti da lui narrati parte ho ve-
duto da per me stesso _, son sue paro-
le, e parte ho raccolte dalla pubblica
voce degli uor)iini , né mi sono man-
eate notizie dai processi della Giunta,
ne' dai Consigli tenuti ira Ministri e
tra militali : e conchiude che '1 suo
nome poco rilevava a sapersi , ma che
in un trattato che stava scrivendo del
Paragone tra la lingua Toscana colla
V A S IO
Greca e con la Latiiux ciascuno ve
l' avrebbe veduto impresso, quando io
sappia, aggiunge, che questa mia fa-
tica non sia altrui dispiaciuta. Questo
trattato non è piii comparso , ed igno-
rasi tuttavia lo scrittore di questa sto-
ria. Sembra però potersi affermare qua-
si CDu certezza che tanto questa, quan-
to la storia del Majello scritta nel
senso medesimo , siano stale impresse
con falsa data in questa capitale.
(58) Eccone il titolo: Publicum, Ca-
loU Sangrii , et losephi Capycii rior
bilium Neapolitanorum funus a Caror
Io .ausilio III Hispan. Indiar. etNeap.
Jiege indictum , et ab Illustrissima ,
Excellentissimoque viro TVirlco Com.
Se Daun loseph. Caes. militum Tri-
buno, ejusque Copiis in Regno Neap.
Clini summo imperio Praefecto , et
Regni moderatore Pro Rege curatum.
Typis Felicis Mosca Anno clobccviii
in foj. L'Armellino nella Biblioth. Se-
nedectino-Casinensis nell'Articolo B.
Laudato segna 1' anno di questa edi-
zione 1704 eh' è un manifesto errore
di stampa. E da osservarsi che'l Vico
pella vita che scrisse di sé stesso ri-
prodotta nel Tom. 1. degli Opuscoli
di lui impressi in Napoli nel 1818 ,
alla pag. 120 parla di questa sua rac-
colta , ma tace della storia che com-
pose della congiura del 1701, la qua-
le va manuseritta per le mani degli
eruditi. In fine della raccolta sopradetta
leggesi un beli' epigramma latino di
Federico Pappacoda, del quale scrive
il Vico pag. 42 della sua vita essere
slato un Cavaliere Napoletano dibuon
gusto di lettere , e grande estimatore
dei letterati.
VITA DI
(59) Ne daremo alcun esempio: nella
lettera del Scripando sta scritto mi
duole , ed in questa edizione si è can-
giato in duolmi. Nella lettera mede-
sima la parola manca che si riferisce
al Porzio , è stata scritta mancano ri-
portandola con manifesto errore a ciò
che siegne. Ivi ancora 1' aggiunto ob-
seguenti si è cangiato in osservanti.
Nella dedicatoria poi dei Porzio al
JDuca di Seniiuara la frase di qualità
che si è trasmutata in talmente che ,
e nel corpo dell' istoria p. 5 si è scrit-
to in maniera etc.
(60) 11 Professor Giovanni Rosini
Della prelazione all' edizione di Pisa
Ponzio ^5
nel 1818 che sari quindi a poco ram-
mentata.
(61) Pag. 325 art." i353 dell' edi-
zione di Venezia nella Tipografia Al-
visopoli 1828 in 4."
(62) Addizioni Copiose alla Bibliol.
Kapolet. del Toppi pag. 162.
(63) Storia degli Scritt. nati nel Be-
gno di Napoli Tom. Ili parte 2 p. 226.
(64) Memor. Storico critiche degli
storici Napoletani pag. 5oi.
(65) Pag. 33, e 35 della Prefazione
dei Giornali del Passato Napoli 1785
presso Vincenzo Orsino in 4."
(66) Bibliot Star. Topograf. del H»- .
gno di Napoli p. 162.
DELL'ISTORIA
» 1 1 11 ^ I
DI CAMILLO PORZIO a).
P R O E INI I O
I. V ENGONO al mondo 1 secoli e l' eladi, non altrimenle
accompagnale dalle ree e dalle buone fortune , che si
facciano gli uomini ancora : conciosiacosachè per 1' in-
strumento delle lettere noi reggiamo un tempo abbonde-
vole e sano fiorire di altissimi ingegni , di valorosi cuo-
ri , d' arti e d' invenzioni maravigliose j ne vediamo poi
un altro infermo e bisognoso, di menti grosse, di petti
vili, e d' ogni umana miseria colmo e ripieno. Ma vera-
mente il presente nostro secolo non è stato in fin ad
ora degl' infortunati ^) , che le memorie ricordano , per
aver egli avuto potenti e valorosi re , la militare disci-
plina e le scienze liberali nel loro supremo grado, i po-
poli numerosi , conoscimento di non mai più vedute re-
gioni, orribili macchine da guerra, e nuovi instrumenli a
perpetua difesa delle scritture j le quali cose quantunque
a) Nel manuscritto del sig. Tafuri in Napoli, ed in Piacenza.
il titolo è il seguente: IJisloria d'Ita- h) Nel manuscritto è in fortunato _.
Ha di CamiUo Porzio , contenente i per errore del copisi?,
iitcccssi dell' anno i5^y in Genoi^a ,
48 PORZIO
il più dell' universo 1' abbia esagerate , nondimeno la
provincia dell' Italia più di tutto il rimanente l' ha ella
gustate , abbracciate , e ritenute, come veramente madre
delle nobili scienze 5 ha loro anche conceduto il guardarsi
dal mare dell' oblivione , producendo in essa scrittori il-
lustri, ed immortali, i quali benché rapiti dall' Ingordigia
del temjjo , hanno pure lasciato nell' animo degli studiosi
Italiani un pungente sprone di seguirli, e di pareggiarli j
imperocché il superarli (conform' io mi persuado) è fuori
della speranza di ciascheduno. Laonde non doverà a' let-
tori apportare maraviglia veruna s' io carico di famiglia-
ri ed assidue cure imprendo a coltivare il duro campo
dell' istoria : massime che a gli animi umani sono poten-
tissimi stimoli la forza della virtù, ed il premio dell' 0-
nore, ed ogni gravissimo peso fanno loro lieve nel portarlo,
e nel diporto dilettevole e giojoso.
Stato delV Italia dopo il i544'
II. Adunque seguita nel i344 la pace tra l'imperatore
Carlo di quel nome quinto , ed il re di Francia France-
sco primo, r Italia per mare e per terra tanti anni dell'ar-
mi di que«ti principi trafitta ed impiagala pareva dovere
avere tempo di curare non di guarire le sue profonde
piaghe. Conciosiachè quantunque si fosse opinione uni-
versale r imperatore compiuto 1' anno, nel quale egli pro-
messo avea adempire le condizioni della pace, non essere
per investire della Fiandra , né del ducato di Milano il
duca d'Orliens figliuolo del re di Francia, essendo") prin-
a) U manuseritto:^ essendono.
ISTORIA d' 1T.\LI\ 49
cipali membri alla couservazior.e del suo imperio-, spora-
vasi nondimeno la stanchezza dpll' imperatole e del re,
liitlavia illirismo nulla guerra inglese, dover intrapoiicr molto
tempo per insiiio a tinto che da capo si riprendessero l'ar-
mi j aggiungendosi massimamente al lor debol potere il ma-
nifesto naulragio del cristianesimo fieramente combattuto
dalle procelle dell' eresia , alle quali non facendosi per
essi riparo, minacciavano d'avere a sommergere in bre-
ve tutti i loro reami, Imperochè oltre alla Germania ed
all' Inghilterra , già d' ogni parte inondate ") ed affogate ,
r Italia , la Francia , e la Spagna pullulavano quel pesti-
lenzioso umore. E fu questa speranza degli uomini del-
l'Italia raffermata ed accresciuta dalla potenza e diligen-
za del pontefice romano Paolo III che incontinente se-
guita la pace prese a convocare nella città di Trento tutti
i prelati d' Europa a concilio, ed a ravvivare i pastori ed
il gregge cristiano trascorsi in assai mali abusi. Nondi-
meno la fortuna fatta implacabile nemica a' riposi degf I-
taliani , ed a cui non pareva nel mestiere dell' armi a-
vev sollevato a quel seggio di gloria l'imperator Carlo ove
ella indirizzava, per condurlovi, e porlo in guerra, il volle'^)
sciorre dal legame della sopraddetta pace ed onorevol-
mente. Imperciocché pochi mesi dopo 1' esser conclusa pri-
vò di vita il Duca d' Orliens , giovane lieto e di fre-
schissima età , ed in cui ogni qualunque cosa temevasi
più che la morte ^ sì che non acconsentendo il cielo che
r imperatore scemasse di niente lo stato suo , egli alzò
r animo ad accrescerlo grandemente, facendo acquisto del
a) 11 manuscriUo: inondante. b) Il manuscrllto: voUe.
7
30 PORZIO
pieno flominio imperiale nella Germania e nell'Italia, e
della citlà di Siena P ri; Piacenza, per la quale nel 1 547
fu gittata nel cuore dell'Italia una lavilla d; fuoco ardente
sicché benché paresse alcuna volta poco nociva, ed altra
spenta, pure nel i55i prese tanto di vigore e d'ampio
spazio , che non dell' Italia sola, ma delle più conspicue
regioni dell' Europa il mare e la terra per otto anni arse
e consumò, con estremo danno del cristianesimo e su-
premo accrescimento delle sette infedeli ed eretiche, e gli
fu somministrata materia a questo orribile incendio dal-
l' ambizione del figliuolo del Papa ^) , e fu rinvigorito e
disteso dalla sospezione e poco riposo di Francesi,
Paolo investe Pierluigi Farnese Duca di Parma
e Piacenza.
III. Per la cui origine ordinatamente dimostrare
fa di mestiere il dire che il Pontefice Paolo certamen-
te di tanto grado non indegno possessore , bramoso di
collocare sì altamente la sua famiglia che ella non fos-
se inferiore né a quella de' Medici né a quella della Ro-
vere, da' suoi predecessori dianzi ingrandite, aveva inve-
stito del ducato di Camerino, iscadutoli per la morte de'si-
gnori Varrani, Ottavio Farnese nato di Pierluigi suo figliuolo.
Nondimeno pochi anni appresso avvisando il figliuolo ed
il nipote , che la lunghezza del pontificalo di lui e la
condizione de' tempi e dell' Italia gli aprisse la strada a
dover appoggiare il fondamento della lor casa a principa-
a) E nolo che Paolo III ebbe mo- siaslico e quindi papa. |Da quel ma-
glie e limuso vedovo divenne ectle- irimonio nacque Piciluigi Farnese.
ISTOnTA d' ITALIA 5t
to più libero e maggiore , dopo avere indarno irai tato il
Papa con l'Imperatore di quel di Milano, combattuto dal
paterno affetto e vinto dalle molestie dategli da Pierluigi,
fcrmossi a crearlo Duca di Parma e di Piacenza, città pos-
sedute allora dalla Chiesa, come state prima della signo-
ria del Duca di Milano , e nel Pontificato di Giulio II
per pegno alla Chiesa pervenute. E sperò vanamente il
Pontefice che l'Imperatore per essere futuro successore a
quello stato Ottavio suo genero, per quanto se gli appar-
tenesse, come Cesare e come Duca di Milano, leggiermente
avesse a condiscendervi. Si che egli l'anno del i545 senza
dare orecchio al consiglio di molti suoi Cardinali , che
gliene dissuadevano, investì Duca di Parma e di Piacenza
Pierluigi, facendolo tributario di Santa Chiesa di settemila
scudi per ciascun anno, e compensandola anche della pic-
ciola terra di Camerino, a cui da Ottavio fu ella resa.
Carlo V non riconosce Tina tale ìiwestitura.
IV. Questa alienazione di inestimabile danno al do-
minio ecclesiastico, quantunque da Paolo fosse voluta ri-
cojirire col poco utile che da quelle città si ritraeva , e
col gran pericolo d' averle a perdere qualora Milano ob-
bedisse il Francese, o di sotto a Cesare si perseverasse,
niente di manco da tutti i Cristiani ad una voce fu dan-
nata, e dall' Imperator Carlo biasimevole in tanto stimata
che non fu possibile indurlo mai a nominare non che al-
tro Pierluigi Duca di quella Città , rifiutate anche pa-
recchie migliaja di scudi , che per ottener di ciò confer-
mazione il Cardinal Farnese fratello di Ottavio si disse a-
'2 Ponzio
vergli profifeito insino allora che andò a ritrovarlo ìa
Fiandra. Era apparito nelL' Imperatore al tempo che egli
ne venne ad incoronarsi alcun desiderio di quelle città : pur
la riverenza che doveva alla Chiesa -'>) e gli altri suoi gravi
affari parevano a questi tempi averlo da cotal pensiero
distratto, e'^) stimavasi che per l'odio conceputo contra Pier-
luigi lui ricusasse d'investirlo, e di mantenerlo a quello
slato j conciosiachè egli di non buon animo il riputava
in verso di sé e di parte Francese, e l'anno innanzi
gliene aveva dato un saggio : perochè avendo egli guer-
ra con Francia , Pierluigi posto dal Padre a guardia
di Piacenza, consentì d'ivi il passare e delle vittovaglie
all' esercito che menava Pietro Strozzi Capitano del Re 5
il che fu opinione esserli stato di grande ajuto , e che al-
tramente lo Strozza si rimaneva allora rotto dalle genti
imperiali, che gli erano alle spalle, e seguivanlo. Il quale
nemichevole fatto di Pierluigi affermasi essere stato pro-
fondamente riposto nel petto dell'Imperatore. Nieatedi-
manco i Farnesi vedutolo pacificato col Pie di Francia
s'affaticavano di guadagnarlo, e in ogni qualunque modo
proccuravano indurlo al lor volere. E veggendolo inclinato
a muover le sue armi nella Magna incontro il Lantgravio
e il Duca della Sassonia, che empiamente rotto il freno del-
l'imperio divino non avevano in prezzo più. né anco l'uma-
no, subitamente che al Papa ciò venne a notizia, con larghe
promesse ve lo raffermò^ giudicando aver ciò a seguire con
molta dignità del suo pontificato, e con non minor profitto
de'suoi|| a' quali appreseutaudosi tempo opportuno di ado-
a) 11 manuscrilio: fer ìa riverenza b) 11 mauuscritlo: e stimavasi per
doveva alla chiesa^ l'odio.
ISTORIA d' ITALIA j3
prarsl a prò di Cesare , ])otevano alla fine sperare di irar-
}^Li dalle mani la bramala investitura di Parma e di Pia-
cenza , specialmente alcuna somma d'oro aggiungendosi,
])er congeliurarsi la guerra dover esser lunga e dispen-
diosa. Sì die Paolo e di non piccola quantità di dana-
ri e di dodicimila fanti e di seicento cavalli a quella
impresa l'Imperatore prontamente sovvenne , e il Cardi-
nal Farnese ed il Duca Ottavio con molta pompa giro-
no a servirlo j)ersonahiiente^ l'uno per Legato Apostolico
e r altro per Capitan generale della Chiesa: ove Ottavio
e sue genti in varii avvenimenti si diportarono cosi viril-
mente e da uomini valorosi , sendo il fiore dell' Ita-
lia , che giudicavasi l' Imperatore avere al padre ed al
figlio non pure a confermar quello che per dono del Pon-
tefice si jìossedevano , ma dover anco con essi loro eser-
citare liberalità maggiore.
D'iscoj'die trai Papa e V Imperatore >
V. Ma o che l'Imperatore fosse intimamente dispo-
sto di reintegrare lo stato di Milano, quando che fosse,
di quelle nobili città, o per diffidarsi de' Farnesi ^), non
meno appetenti l' amicizia ed il parentado di Francia della
sua, o^) per tenere assiduamente col freno di questo de-
siderio sottoposto il Pontefice alle necessità sue, o per es-
sersi seco sdegnato che avendo esso conceduto a' nepoti di
lui la figliuola e altri assai beneficii, il Pontefice egli non
solo come amico, né come parente nelle guerre a dietro l'a-
a) Nel nanuscriito : Francesi, k) Kel maausuiilo manca o.
54 PORZIO
vesse ajulalo, ma eziandio avesse offeso tutti 1 suoi parti-
giani d'Italia, Colonnesi, Medici, Dorii, e Gonzaghi, o per
tutti questi riguardi insieme, 1' Imperatore non fu rispon-
dente all' opinione conimune , anzi da questa lega parve
che tra lui ed il Papa sorgessero'*) nuove cagioni di do-
glienze e di discordie. Conciosiacliè il Pontefice Paolo ,
e per picciolo potere e per astuzia non prima dilegua-
tosi r esercito tedesco ed i capi ritirati alla difesa di lo-
to stati, accommiatò le sue genti ed incontanente chiamò
a Roma il Legato ed il Duca Ottavio, ed affatto da quel-
la lega si disciolse con grande rimproveramento degl' Im-
periali, che contendevano gli ajuti del Papa, dati però sin-
ceramente e non per porre 1' Imperatore in pericolo ed
in briga, non dover venir meno in fin a tanto che gl'iu'-
nncì fossero vinti e sottoposti 3 essendo egli slato indotto
dal Pontefice alla guerra contra i ribelli della Chiesa. Ma
evidentemente avrebbe ogni uno conosciuto quell' impresa
poter accrescere l'autorità dell'Imperio nella Magna, non
già la Pontificia. Per la quale conlesa trovò il Papa sorde
l'orecchie dell'Imperatore, non solo nei bisogni del figliuolo
e dei nipoti, ma nei proprii. Conciosiachè al principio del-
l'anno 46 datosi cominciamento al Concilio tridenlino, quan-
tunque senza trovarvisi i Luterani, pure con frequenza gran-
de di padri ed ambasciatori di tutto il Cristianesimo, e con
tre Cardinali legali della Sede Apostolica, eranvisi fatte alcu-
ne sessioni d'intorno ai dogmi della fede cattohcaj, evenu-
tosi a quello della giustificazione, che pareva annullasse in
gran maniera la dottrina di Lutero incontro la Chiesa Ro-
mana, Cesare non lasciava se ne pubblicasse il decreto j
a) 11 tramisciilto : parvero Ira lui ed il Papa sorgessero.
ISTORIA d' ITAriA 55
sperando che egli rimasto nella guerra di Germania supe-
riore trarrebbe all' udienza del Concilio l)uona parte di
quella Provincia, e voleva fosse presente, ed udita in cosi
grave dispulazione "). Della qual cosa avvedutosi il Papa, e
sentendosi agramente offendere da prelati che ivi da Cesare
pendevano, riguardando ancora approssimarsi il tempo di
riformare i cattivi usi del Clericato, mediante la quale ri-
forma grandemente restringevasi la potestà e la licenza della
Corte di Roma, cominciò il Pontefice a temere quel pericola
veggendolo in viso che di lontano aveva sprezzato , ed a
fare instanza ardentemente a Cesare, mentre era anche nella
Magna il Legato Farnese, che ei rimanesse contento, o che
il Concilio si trasportasse in luogo posto nella dizione ec-
clesiastica , o si sospendesse insino a tanto die egli del
tutto avesse la Magna in sua balia," affermando il Legato
a questo moversi il Papa non solamente per risparmiar
grandissimo dispendio alla Sede Apostolica, ma anche per
guardar di grandissimo pericolo il Cristianesimo , stiman-
dosi il Concilio ragunato d'aver esso la potestà del creare
il Pontefice Romano , ed i Cardinali affermando loro ap-
partenersi. Di maniera che trovandosi 1' uno e gli altri, e
succedendo morte a Paolo la quale , passando egli fan-
no oltanlesimo, ciascuna ora potea e dovea avvenire in-
fallibilmente, si partorirebbe con la creazione di due Papi
uno scisma, contenzione che sarebbe di struggimento ^) alla
Sode Apostolica , e d' ultimo abbassamento alla Religion
cristiana. Promise Carlo al Legato di non opporsi più
si pronunciasse il decreto della giustificazione, ma del ri-
a) "Sei manuscrilto manca 1' in. h) Nel manuscrillo ckslruggimento.
55 PORZIO
movere o del sospendere il concilio non volle udir ra-
gione alcuna, come se 1" autorità sua fosse bastevole a dar
riparo ad ogni incommodo , che per la morte del Pon-
tefice si potea cagionare , e sospettando eziandio che
per ovviare al restringimento de' mali usi della corte Ro-
mana, e non al dispendio della Chiesa, Paolo volesse dis-
porre a suo piacimento del luogo del Concilio.
Pierluigi si stringe di parentado col re di Francia.
VI. Questi andamenti del Papa e dell' Imperatore
pieni di mala sodisfazione di ambedue, e quando si spe-
rava di dover essere maggiormente concordi, uditi e ve-
duti da Pierluigi Farnese, siccome disperato della grazia
imperiale, il fecero fermare l'animo a dover dipendete to-
talmente dal Re di Francia, al che non poco lo confor-
tava il vedere quel Re pacificato già con l' Inghilterra, e
mesto delle prosperità di Carlo nella Magna. Sì che volle
Pierluigi ajutato e guidato dal Papa primieramente ri-
stringersi di parentado col Re : usitato pegno delle con-
giunzioni de' Principi ma fallace: il quale assai per l' in-
nanzi trattato a questo tempo ebbe compimento , con-
tentandosi il Re che il DucaOrazio, un altro figliuolo di
Pierluigi e che al Ducato di Castro posto presso la To-
scana succedeva , menasse per donna la sua nipote figlia
naturale del Delfino j stupendo gli uomini poco ricorde-
voli dell' instabilità mondana , alla gran felicità del Pon-
tefice Paolo. Il quale non solamente con vita lunga e
prospera signoreggiava il tempo, ma eziandio esaltava nel
temporale e nello spirituale altissimamente i suoi discesi,
ISTORIA n ITALIA 5^
congJungendoli di stretta affinità co' primi Re del mondo
senza strepito d' arme , e senza sj)argimento di sangue ^ il
che a nessuno de' suoi predecessori ricordavasi essere av-
venuto.
Cause e Cominciamento delV inimicizia del conte
del Fiesco cantra i Doni.
VII. Onde affermavasì per molti secoli non essersi
Veduto Un Papa cotanto amico della fortuna siccome egli
era, né che con I' arti della pace più d' esso fosse avan-
zatosi. Ma le disavventure che poco lungi dalla sua fe-
licità l'assaltarono, dissingannarono molte genti dell'im-
prudente lor giudizio : conciò sia cosa che Pierluigi, paren-
doli già d' aver fermissimo appoggio nel Re di Francia
per metterlo alle mani con Cesare, e irarselo in grembo
non che vicino , è di generale consentimento , fabbricato
però d' incerti indixii, che sollecitasse il Conte Gio: Luigi
del Fiesco all' occupare per lo detto Re la città di Genova
con dar morte a' Dorii , e acquistando le lor galere. I
quali Dorii hanno opinione essersi ciò maneggiato da Pier-
luigi in Roma dal mese di maggio di quest'anno, e pec
avventura senza saputa del padre e de' figliuoli di lui.
Vivevasi nella città di Genova Andrea Boria detto il Prin-
cipe Doria , che per aver generosamente liberata la pa-
tria dalla servitù Francese e per essere nel mare valoroso
ammiraglio dell' Imperatore , e per la signoria di molte
galere proprie, appo tutte le genti era in somma venera-
EÌone e gloria. Costui pervenuto all' estrema sua vecchiez-
za, e staaco dal navigare, cou coasentimento di Cesare
58 PORZIO
deputò in suo luogo nel mare Giannettlno Dona figliuolo
di un suo cugino , e giovane posto in grande opinione
d' ingegno , di cuore , e di fortuna , ed il quale fuori e
dentro la Città porgeva segni di non aver a restar con-
tento del grado ove vedeva salito il Principe suo zio. Per-
ciocché il Princi]ie non sazio di aver resa la libertà alla
patria, ne' vestimenti, nelle parole e nelle private azioni
non volle in essa eccedere il semplice grado di gentiluo-
mo. Diverso era il procedere di Giannettino, le cui ope-
razioni in apparenza ed in sostanza rendevano un certo
odore di signorile e di grande ^ sì che la maggior parte
della cittadinanza Genovese disposta più ad aver riguar-
do ai pericoli futuri, che a porger rimedio ai presenti,
o il temeva , o suspettava che succedendo egli all' auto-
rità e potenza del Principe Doria non eredasse di quello
uè i! temperamento dell' animo ne la carità verso la pa-
tria. Eravi tra gli altri il Conte Gio : Luigi del Fiesco di
nobilissima stinge, di gran seguilo popolesco, di convene-
vole stato , di qualità d' animo e di corpo dalla natura
grandemente dotalo, la cui famiglia nelle dissensioni della
Città seguì la fazione Guelfa, siccome la Doria la Ghibel-
lina. Al quale Conte parendo esser nato di più signoril
grado di Giannettino e d'avversa parte, con immenso
dispiacere ed invidia tollerava a vederlo sedere nel primo
luogo della città , e temersi ne divenisse padrone : ed
imaginando ciò avvenirli per lo favore d' essere al soldo
dell' Imperatore più che per alcuna sua singulare virtù ,
maneggiò alquanti anni prima di questo tempo , essen-
done mezzano Cesare Frcgoso fuoruscito di Genova e Ca-
pitano del Re di Francia , di porsi a servigi di quel Re,
I
ISTORIA u' 1TALI;V J<)
dandogli speranza di far novità a Genova ad ogni ri-
cliiesla de' Francesi. Il quale maneggianiento alla jiresa
e morte di Cesare Fregoso venuto a notizia degl' Im[)e-
riali, fu fatta instanza grande al Principe Doria dal Mar-
chese del Vasto, allora per Cesare governatore di Milano,
che fatto prigione il Conte gliel mandasse , intendendo
di quel trattamento darli gastigo. Ma il Principe che ama-
va il giovane singularraente , ed avevalo in tutela , ri-
putando quel maneggio essere stato finto dagl' inimici di
lui, per sì fatta maniera s'interpose col Marchese e eoa
r Imperatore, che in luogo della pena il Conte ottenne da
loro annua provvisione, e nell'ultima guerra di Lombar-
dia militò non senza lode sotto l'insegne del Vasto.
Dlscoj'die tra ì Dorii ed i Farnesi.
Vili. Ma non in ogni uomo il beneficio genera gra-
titudine, Questo rimedio fu bastevole a fare esteriormente
il Conte Imperiale, ma non fu potente a purificare il cattivo
umore che egli aveva concetlo contra Gianneltino. Per lo
che venuto Pierluigi al dominio di Piacenza e di Parma,
e con poca soddisfazione di Cesare, vide il Conte avere
assai presso •'') un gran compagno e ministro dei pensieri
suoi , massimamente che Pierluigi ed il Papa erano iu grave
sdegno contra il Principe Doria e Giannettino , sì per
esser fama che il Principe avesse dissuaso l' Imperatore a
conceder loro lo Stato di Milano, sì per cagione delle spoglie
d' Imperiale Doria vescovo di Sagoue, il quale ^) mandalo
o) Il inanuscfUto : preso. M) Il maBusciiuo : comandalo.
6o Ponzio
ilal Piincipe suo zio nella Puglia al governo del suo Priucit
palo di Melfi, crasi con la parsimonia clericale, e con l' in^
dustrie mercantili avanzato di molti scudi , che morendo
lasciò ") all' istesso Principe, oltre al parentado, dell' oppor-»
tunilà del governo e delle rendite del Principato tacita-
mente confessando esserli pervenuti. Ma il nunzio del Papa
nel regno di Napoli avendo solamente l' occhio all' utilità
del Padrone ed all' esser stato Imperiale Poria Vescovo ,
come s' eglino fossero spoglie, vi mise su le mani; e per
molto che il Principe ne facesse querela appresso al Pon-
tefice, dimostrando il vescovo si per le sue poche entrate
ecclesiastiche malagevolmente aver potuto vivere , uon
che avanzare, nondimeno la ragion sua era poco stimata,
e presso che disperata la restituzione della pecunia. Ap-
portò questo fatto gran noja all' auirno del buon Princi-
pe , ma quello di Giannetlino più caldo per gioventù e
per natura più altiero afflisse sopra modo, parendoli trop-
po disonorevole per li meriti del Principe e suoi con la
Repubblica Cristiana il sofTerire ingiustizia , o il non ri-
portar grazia dal vicario di Cristo , e deliberò in qua-
lunque modo egli potesse difendersene. Manteneva il Pon-
tefice al soldo della Chiesa Apostolica quattro galere , il
cui dominio dicevano essere del figliuolo Pierluigi. Que-
ste venute al porto di Napoli per loro bisogni, capitovvi
anche Giannetlino con le sue , o a studio, o a ventura,
e atteso il tempo che quelle fossero alla vela, poche mi-
glia indi discosto , le prese , e trattine i ministri Papali
le condusse a Genova, affermando che egli allora le restituì'!
n) Il maausciiuo: gli fascici.
I
ISTOnU B* ITALIA 6l
rebbe, quando a lui aoche fosse reso il lascialo dal ve-
scovo di Sagone. Dolse a meraviglia questo allo al Papa, e a
tulli Farnesi avvezzi insìuo a quel di di essere adorali, e vio-
lentali nun mai, e riscaldatisi fortemente con l'Ambasciator
Cesareo, e con il Viceré di Napoli, che ne'lor liti da un
Capitano Imperiale fosse fatta forza a legni del Pontefice,
passarono dalle parole a' fatti, e immantinente imprigiona-
rono a Roma tutti i mercanti e una parte di Prelati Ge-
novesi j per la qual cosa la Signoria di Genova, e i Mi-
nistri dell' Imperatore messisi di mezzo assettarono la con-
troversia dopo non molto tempo, e partito lo spoglio del
Vescovo fra il Papa e il Principe Doria renderono le galere.
Jl Conte del Fìesco compra quattro galere dal Papa.
IX. Rimasero nondimeno gli animi de' Farnesi, e de*
Dorii pregni di amaritudine per questo litigio terminato
non con modi legittimi , ma all' usanza bellica e da ne-
mici j la qual partorì orribile effetto , e memorabile con-
giura , determinato che ebbe Pierluigi Farnese, come s' è
dello , confederarsi col Re di Francia. Fu il Farnese di
sagace ingegno, e d'animo grande, cupido di signoria. Non
prima ebbe alle mani il Conte del Fiesco , che gli andò a
far riverenza come feudatario per le Castella possedeva in
su il Piacentino, che egli ottimamente comprese poter per
mano di lui non solo donare furtivamente la città di Ge-
Dova al Re di Francia , e con si ricco presente inescarlo
al guerreggiare con l' Imperatore , ma poter anco spogliare
Giannellino ed il Principe Doria della vita e delle loro
galere^ né se ne ingannò punto. Perocché col Conte rislret-
tpsi , ed entrati in ragiouanienii dei pericoli che loro so-
Ga ' PORZIO
prastavano , soggiacendo l'uno di essi al rischio del perdere
la libertà alla morte del Principe, e l'altro lo stato a quella
del Padre, come dicemmo ''), è commune opinione che in
(piesta guisa divisassero il trattato, e 1' eseguissero , quan-
tunque per ambedue con uguale e doloroso avvenimento^
il Conte del Fiesco facesse vista di comprare le quattro ga-
lere del Papaj con le tre di esse rimanesse al soldo della
Chiesa j la quarta conducesse a Genova , e dando voce
di armarla per mandarla in corso , mettesse dentro la
Città alcun numero di soldati , con il cui ajuto , e de'
cittadini suoi amici, e del volgo naturalmente seguace della
novità s'insignorisse delie galere del Principe e di Giaù-
neltino, il quale potendo uccidesse j anche il governo di
Genova ordinasse a suo piacimento j e se il prendere la
città non li venisse fatto con le galere di Doria, egli pas-
sasse in Francia, promettendoli Pierluigi tosto che 1' opera
avesse felice riuscita rinforzarlo di fanti, suoi sudditi , e
della protezione del Padre. Ferma questa deliberazione
Pierluigi non indugiò a fare la vendita delle quattro galere
per trentaseimila scudi, facendo al Conte lungo termine a
pagarle, ed il Papa eziandio fu contento di prendere ^) le
tre di quelle a' suoi soldi, dicendo il Conte palesamento
a ciascuno la quarta galera non stipendiatagli dal Ponte-
fice pensare di mandarla in corso j e per avere onesta
ragione di gire a Roma deputò in suo luogo nelle tre
stipendiale il Conte Girolamo suo fratello , il quale nel
mese di Maggio condusse al Papa , da cui fu egli gran-
demente carezzato , e dal Duca Pierluigi , e per avven-
a) H mauuscr, e come dicemmo, h) Nel manuscr. manca di prmdei-e.
ISTOntA d' ITALIA G3
tura raffermato nella sua pericolosa deliberazione e d' as-
sai speranze pasciuto e gonfio. In tanto che Giovanni Vo-
ga Ambasciatore al Pontefice per l'Imperatore sus{)icò sot-
to velo di questa compra potersi nascondere alcuna frode
perniciosa al Padrone , il quale e gli altri ministri suol
dell' Italia rendè di ciò accorti, ma senza frutto ;, percioc-
ché disposto al guerreggiare nella Magna e in parte con
le forze del Papa, non gli parve tempo d' avere ad inve-
stigare e sinistramente interpetrare le azioni di lui, oltre
allo stimare , che i Farnesi favorissero il Conte per fare
un potente emolo in Genova a Giannettino lor poco ami-
co, e non per torre dalla di lui") obbedienza quella Città.
Finte dÌTnostrazioni di amicizia del Conte del Fiesco
verso i Dormii.
X. Fu il Conte a Roma richiesto dal Cardinal Trivulzio
partigiano, e Protettore del Re di Francia a voler essere
soldato di quel Re , e ricordato che provvedesse con le
forze di lui a non rimaner suddito di Giannettino alia
morte del Principe Boria. Ardeva il Conte annodarsi col
Jle di Francia per essere il più saldo sostegno della sua
futura impresa , ma temendo per la soverchia speranza
e poco silenzio de' Francesi potere ciò pervenire all'orec-
chie del Principe e di Giannettino , ricusò di accordarsi
in fino a tanto che egli facesse ritorno a Genova , dove
divisava con ogni sorte di simulazione e con somma
umiltà sì fattamente addormentare i Borii , che del suo
;i) Il iiiuiiuitr. dulld loro.
64 Ponzio
procedere avanti niente ne sentissero. Adunque ritornato
a Genova tutto di usava le lor case, ed ogni sua faccenda
comniunicava con esso loro , ricoprendo la compra delle
galere per Io gran mercato fattogliene, e purgandosi dell'a-
micizia del Farnese per l'utilità che") ne trarrebbe, e per
essere suo feudatario. Festeggiava parimente i figli di Gian-
nettino qualora gli aveva davanti , e come se fossero
suoi propriij e per dare a credere esso avere desiderio di
congiungersi seco in parentado, siccome egli era in amistà,
non isturbò il Marchese Giulio Cibò, fratello della mo-
glie e Marchese di Massa , a congiungersi in matrimonio
con la Peretta sorella di Giannettino. Mediante le quali di-
mostrazioni parendogli già d* avere tratto fuori de' petti di
coloro ogni qualunque suspezione di sé, mandò a Roma
Antonio Foderato a conchiudere l'accordo col Re di Francia.
Consiglio dato da Gio. Battista J^errina al Conte
del Fiesco ^ e da costui approvato.
XI. Era in Genova fra gli amici fidati del Conte fi-
datlssimo Gio : Balista Verrina uomo audace ed avve-
duto molto. Pensò il Conte aprire interamente il suo pro-
ponimento a costui, per giudicarlo atto instrumento a re-
carlo a fine. II quale uditolo ''), non 1' approvò in ogni
parte , rijjutandolo partito pericoloso , e senza fine ma-
gnanimo j per lo che li disse , a lui parere il primo e
r ultimo suo oggetto in questa operazione avere ad esse-
re il farsi esso Conte Principe di Genova, per riguardo
a} Nel manus. manca r/^e b) Il manuscr. vedutolo
ISTOniA d' ITALIA 65
•della quale i Francesi ed il Duca di Piacenza averlo in
concetto ed islima : ma dar morte a Gianueltiuo , ed
occupar le galere del Doria per fuggirsi di Genova, o per
quella poi sottoporre ad alcun Re, essere appunto un di-
struggersi per giovar altri j e tutto che l' impresa propo-
stagli da lui in vista paresse difficile, nel maneggiarla non
avrebbe durezza ninna , volendosi egli bene bruttare le
mani nel sangue del Princij>e Doria, di Gianneltino, e di
tutti loro congiunti e seguaci^ le ricchezze de' quali met-
tendo in preda degli altri che lo seguirebbono , verrebbe
ad un tratto a fortificarsi della benevolenza de' cittadini
e formare un stato a suo modo, del quale non penereb-
be troppo a farsi ^) Principe e Duca. Non dispiacque al
Conte il consiglio del Verrina, e subitamente un suo fa-
miliare ne mandò dietro al Foderato , acciò egli insino
ad altro suo avviso non conchiudesse la condotta col Re
di Francia 5 persuadendosi egli che conseguendo l' occupar
Genova, con l'obligo o senza, il Re non l'abbandone-
rebbe , maggiormente che quegli ^) per altre cagioni era
quasi '^) forzato a sfoderar la spada contra all'Imperatore
Carlo , da cui solo il Conte si poteva temere. Riavevasi
quel Re dopo l'avere riposte l'arme da' danni della pas-
sata guerra, ma con goca commendazione degli uomini
considerati ^) , che egli e con l'Inglese e con Cesare aves-
se con gran dispendio e pericolo guerreggiato, e poi con
ambedue loro né con onore uè con utilità rappacifica-
tosi j anzi per ispendere oziosamente il tempo aver spia-
nata la strada all' imperator Carlo di rimaner vincitore da
a) Il manuscri Ito alarsene. .e) Il manuscritto qua.
h) 11 mauuscritio quello. d) Forse consideranti.
9
66 Ponzio
invincibile impresa, siccome era stata la Germania : dalla
quale infamia credevasi che ultimamente desiosi il Re di
Francia non permetterebbe che l'Imperatore di quella vit-
toria pienamente si godesse, e che alla primavera porge-
rebbe grandi ajuti al Lantgravio , ed al Sassonia , e lor
seguaci, per rinnovar la guerra: il che giudicavasi dovesse
fare il Re, e per iscemare all'Imperatore riputazione e
potenza, e per non usare ingratitudine a quei signori Te-
deschi, che nelle sue guerre di fanteria l'avevano sovve-
nuto sempre, per lo che da Cesare non meno che per al-
tro venivano ^) infestati. E quando pure nel Re Fran-
cesco potesse più il riposo del corpo che la generosità
dell' animo, ed ischifasse l'urtarsi con l'Imperator Carlo, im-
maginava il Conte del Fiesco che Solimano Gran turco
ve lo sospingerebbe egli 5 il quale aveva di già bandito
guerra sopra l'Austria al primo buon tempo , e in tanto
tenevasi per fermo vi venisse, che il Papa per non man-
care all' oiGcio paterno, e per mostrare a Cesare tenere a
cuore i suoi pericoli, comincia%'a per Burrone Bertano man-
datogli in posta a trattare di fermar stabil concordia fra il
Re di Francia e lui, avendo l' importuna morte del Duca
d'Orliens, come narrammo, rotta la conchiusa fra di loro nel
i544' Sì che il Conte del Fiesco lasciato il confederarsi col
Re Francesco, restrinsesi da capo col Verrina, e con Raf-
faello Sacco suo auditore, e con ^) Vincenzo Calcagno , e
bilanciate le cose, che V impresa proposta dal Verrina po-
tevano nuocere e agevolare •=) , deliberarono di far venire la
galera da Civita vecchia , dove ella era , e poi le genti
3) U man u scritto venivano loro in- h) Nel manuscritto manca con.
/estati. e) Così nel manuscriuo.
ISTOniA. d' 1TA.IIA 67
da armarla , e per cagione ci' onorare il sopratkletto pa-
rentado del Marchese di Massa suo cognato fare solenne
convito a casa il Conte , invitandovi il Principe e Gian-
nellino Dorii, D. Giovanni Figneroa ambasciator Cesareo
appo quella Rejìubhlica, ed altri assai de' fautori de' Dorii ,
ed in sul buono del banchettare assaltarli, ed ucciderli tut-
ti. Pur si rimossero da questo pensiero , perchè non sa-
pendo il Conte che alle tirannidi fosse padre il disordi-
nato appetito del dominare , e madre la sanguinosa cru-
deltà, abominava lo sparger cotanto sangue in casa sua;
e parlironsene ancora per la gran difficoltà che giudicarono
dovere avere a condurvi il Principe Doria, non uso giam-
mai andare per le case altrui mangiando , sì che ultima-
mente appuntarono la notte del quarto di Gennaro ave-
re a mandare a fine la loro crudel congiura , nel qual
giorno la Signoria di Genova e il Consiglio creano il
nuovo Duce.
Il Conte affretta V adempimento della cojigiura,
XII. Sono il vero veleno delle congiure le mutazioni
de' proponimenti de' congiurali. Pure a questa non solamen-
te non nocquero mai , ma giovarono : e molto oppor-
tunamente la vigilia del Natale giunse da Civita vec-
chia la galera a Genova j e sotto la ricoperta d' armar-
la per le feste che in quei dì da' cristiani in luogo de*
Saturnali de' gentili lietamente si celebrano , il Conte in-
trodusse nella città quattrocento uomini fra soldati fo-
restieri e de' suoi sudditi. Ma il primo giorno dell' an-
no dfil 1547 ^^^^^ cagionevole il Principe Doria , e il
68 PORZIO
2 del male aggravalo, dubbioso il Conte, se prima ilei'
dì ordinato egli si morisse , poter essere da Giannettina
prevenuto, impaziente dell'indugio, e acciochè il trat-
tato non si palesasse, seco propose mandarlo ad effetto la
notte dello stesso ^) secondo di Gennajo , etl ordinò al
Verrina che menasse a cena seco quella sera tutti quei
giovani cittadini che esso credeva gli fossero^ amici fe-
deli , e pronti a seguirlo a quello assalto 5 ed al- Cal-
cagno comandò che provvedesse la genie che aveva in
casa e fosse armata , ed egli se ne- andò alla maniera
usata a visitare il Principe Doria, ove con Giannettino
ragionò per lungo spazào con viso fermo e voce salda ,
ed animo- sopra ogni credenza pacifico e riposato, d'in-
torno all'armare della galera, e come quella notte si pen-
sava fornirla'^) di gente di seguito, avendo la signoria di
Genova per male che pubblicamente s' armasse, però che
andando tutto dì In Levante nella forza de' Turchi i le-
gni Genovesi , parevale pericoloso il far armare in palese
a Genova navilll da gire in corso. E soggiunse il Conte
che glielo manifestava a fine che udendo ') esso Giannet-
tino la prossima notte alcun strepito di gente , e d' arti-
glieria ,. come è in costume delle galere che partono '') ,
sapesse quel che si fosse. Le quali parole finite con-
Giannettino. , fatti vezzi a figliuoH di lui , e salutato il
Principe, ritornarono a casa , ove il Verrina ad ora di/
cena ebbe condotto da ventiolto. cittadini : I quali il
Conte rinchiudendo a chiave in una stanza ove due lu-
mi soli ardevano , per la novità della cosa essi rimasero
a) Il manuscriltOfM' istesso. t) Il manuscritlo vedendo.
b) , Il manuscritlo /(/ii'rffl. dj 11 manuscj-iilo /scF/aie .
ISTORIA d' ITALIA 69
stlipefàltl y ma vohosi loro il Conte » Fralclli , disse ,
■o la vivanda che io stasera vi ho apparecchiata è di mia
M mano , e la più delicata e la più nobile che uomo
» mortale possa gustare, essendo composta di pura li'
M berta e condita Oc onore e di gloria. Siccome voi
3) molto meglio di me sapete , la città nostra ha 1' ap-
M parenza di libera e l' effetto di serva , al>itando la
» vera libertà ove le leggi comandano , e non dove gli
» uomini comandano. Ma rpial cosa vuole in Genova
» il Principe Doria , che non l'ottenga? qua! cosa or-
» dina che non si eseguisca ? I soldati , i capitani , e i
3* magistrati non l' olibediscono tutti ? e fosse il piacer
3> di Dio eh' egli duiasse sempre t che la servitù antica
ij noja assai meno della nuova. Ma egli non compiute
>j due ore si muore sicuramente , lasciando la tirannide
w a Giannettino per eredità , uomo sopra ogni altro su-
» perbissimo o crudelissimo , il quale per eseguirla senza
3i ostacolo e senza competizione *) , a questi dì che fu dal-
■o V linperatorc, n'ebbe T investitura, ed '^) ha ordiua-to al
3> Capitan Lercaro, che chiusi gli occhi il Principe scen-
di da ad uccider me, che sa alla sua scelleratezza m'op-
« porrei. Ma perchè l'audacia viene Anorita dalla for-
» luna , ia delibero prevenirlo, ed a cosi fare noi confor-
jj la il Duca di Piacenza , che m' ha rivelato il maneg-
M gio. Eccovi sue lettere, lo ha qui quattrocento uomi-
lì ni armati che mi seguono a j)render le porte della
•u città, e le sue galere, delle quali per aver la mìa
1». alla bocca della Darsena non iscamperà jxir mia: e so
a). Cosi il manuscritlo : forse l'aii- coh e eompetema.
'oie scrisse perassegvirìa sema osta- b) Kel moDusccklo maoca ed.
^0 Ponzio
9> egli per terra o per mare verrà a soccorrerle , ho po-
» sto uomini per tutto che il cacceranno dal mondo.
ìì Benché le imprese magnanime siano perigliose, pure le
« giuste sono avventurate, siccome spero sia questa, se
« voi , fratelli miei , vi disporrete ajutarla , e vorrete
w conservar la hbertà alla Patria , e la vita ad un leale
» amico }j.
// Conte del Fiesco movendo contra Glannettino
Doria rimane sommerso nel m^are.
XIII. Il ragionar del Conte a quei giovani fu poco a
grado per la novità e per lo periglio della richiesta, e non
gli risposero con quella prontezza d' animo ch'egli desi de-
va e la grave dubbiosa impresa richiedeva : di maniera che
il Conte con pietosa astuzia volle incitarli, e trattosi fuo-
ra il pugnale, che portava a lato, il porse loro, pregan-
doli che non volendo essi francamente seguirlo, li dessero
morte, che ella sarebbe meno infame dalle mani degU a-
mici, che dagl'inimici. A queste parole da circostanti es-
sendo lietamente risposto sé essere apparecchiati, fé il Con-
te recar da cena sobriamente 5 ma prima che si uscisse
di casa , ne andò in camera a Leonora sua moglie, a cui
presago del suo male disse, che avendo Giannettino Doria
jiosto insidie alla vita di lui e col veleno più fiate tenta-
to di toglierla , esso voleva di ciò un tratto assicurarsi, e
che ella s' appagasse di quanto di sé avvenisse. La quale
di ciò oltra modo fatta dolente , e postasi a piangere, e-
gli ritornò a consolarla ed a pregarla, che cou le lagrime
uon gli fosse di cattivo augurio cagione. Trovossi ivi pre-
ISToniA b' ITALIA 7I
sente Paolo Pansa nomo di buon senno , clic da fanciul-
lezza aveva il Conte allevato, il quale preso cuore dal
dolor della Contessa porse prieghi al Conte che volesse
più maturamente imprendere a fare quel che diceva, ave-
re riguardo a non porre sé ia misera ruina , e la sua pa-
nia insieme con l' Italia in grandissimi affanni, e che gli
era stato dipinto da uomini di spirito inquieto , e mali-
gno Giannetlino Doria avere animo inquieto verso lui, e che
avvertisse bene che egli andava in luogo ") e a far opera, ove
eosl offendere, come ricevere offesa potea. A cui rispondendo
il Conte la cosa esser tanto avanti che il distornarla non era
ìh suo potere, crollando il capo s'uscì di camera pallido,
ed afflitto moltoj e vestitosi d'armi, vecossi nella destra una
spada ignuda , e nella sinistra una rotella , e calò giuso
uella piazza avanti al suo palagio. Erano già quivi tutti
uomini armali, che ascendevano al numero di quattrocento,
messi air ordinanza, a' quali fu dal Conte comandato che
gli andassero dietro, e senza uscir d' ordine, se non essere
tagliati a pezzi avevano caro. E caminali alquanto, ne die-
de parte a Cornelio suo fratello naturale, ed inviollo ad
occupar la porta della Città delta dell'Arco, che, fatto
jier esso sprovveduto impeto nelle guardie di lei, incontinen-
te con morte di due o tre fu presa ^ì. Mandò poi Oltobo-
no suo fratello col Calcagno all' acquisto della jwrta di-
S. Tomaso prossima al Palagio del principe Doria che è
fuori della città , della quale come di quella dell' Arco
gli avvenne; e il Capitan Lercaro che vi era a guardia
non avendo ninno timore d' assalto di dentro le mura del-
la Città , fu fatto prigioniere e il fratello morto. Il Conte
a) Nel manuscriUo in lata. b} Nel maoiucritlo lafiiprtsa^
72 PORZIO
xiol resto della gente alle ore diece della notte andò ") nella
Darsena , ove giunta la sua galera, e alla Locca di lei mon-
data una torma d'archibugieri, ed altri armati che sfor-
marono le guardie, vi entrò dentro per la porta di Terra
apertagli da' suoij da' quali secondo l'ordine lor d*ato gri-
dandosi popolo e libertà , le ciurme di venti galere del
Principe Doria, che vi stavano disarmate, e sotto coverta,
mosse dal grido, si levarono al rumore, e volendo il Conte
raffrenarle, nel salire «on rattezza sopra la prima galera,
sospinto dalla buona fortuna dell' Imperatore, e a morte per
sua ingratitudine condannato dalla giustizia divina, cadde
in mare , ove per la gravezza delle armi miserabilmente
si rimase sommerso, e affogato , non potendo per lo bujo
della notte essere da suoi veduto, nou che ajutato.
Morte di Giamietiino Doria. Fuga del Principe Doria.
XIV. Intanto Giannettino Doria desto dal gran ru-
more, 0 dal suo ardire consigliato si levò su, ed avvoltosi
in roba corse frettolosamente accompagnato da un solo
paggio alla porta della Città , imaginando valersi di quel-
le genti , che la guardavano, nelle quali da sé dipenden-
ti ^) non poco fidava j ma giunto sul ponte, e gridan-
do gli fosse aperto , da una archibugìata , e da altre
ferite crudelmente fu '^) morto. Capitano quantunque
giovane , sopra tutti gli altri , che solcavano il mare ,
d' alto valore , e di rara speranza , il cui nome uscito
da' termini dell' Europa alle riviere dell' Africa , e del-
a) Nel manuscriuo manca andò. «) Nel mailUSCriltO manca fu\
b) Nel manuscrilto dijiendendono.
ISTORIA d' ITALIA 78
1' Asia cominciava a distendersi , ed essere in onore •') .
1! rejienlino ^) assalto e morie di Giannettino , e turba-
mento della città fatti noti al Principe Doria , comechè
si vedesse antico d' anni ed a morte infermo , spogliato
delle galere , scacciato da Genova , e privo del bastone
di sua vecchiezza, nientedimanco l' infortunio della patria
e non il danno suo egli pianse e lamentò, e fattosi spac-
ciatamente porre a cavallo, tenendogli compagnia il Conte
Filippino ed Agostino Dorii, prese il camino della rivie-
ra di Ponente. E veramente fu singolare esempio agli
uomini vaghi del viver lungo il vedere quel capitano
canuto e venerando, ed insin a quell'ora fortunato, con
le membra tremanti e fuggendo volger le sj)alle a quella
città che in sul vigore degli anni con eterna gloria ave-
va di servitù riscossa. Ma arrivato egli a Sestri, montò
sopra una fregata, ed al castello Musora da Genova quin-
dici miglia di lungi fermossi.
Girolamo del Fiesco vanamente cerca eccitare il popolo
■air armi , e sì riti'oe in Montorio.
XV. Aveva il Conte del Fiesco nel distribuire i ca-
lichi dell' impresa ordinato a Girolamo suo fratello che
mentre esso intorno all' occupar delle galere fatigava, e-
gli andasse per la città discorrendo e chiamasse il po-
polo all' armi ed alla libertà. La qual cosa da Girolamo
iu eseguita, ma non sortì l' effetto imaginato^ ])erchè come-
chè egli con una squadra di soldati e bandiera e tamburo
■a) 11 rnanuscritlo in /lorrore. L) 11 manuscrillo 11 cui rcpìntino elo.
IO
7^ PORZIO
chiamasse il popolo, fa se non da pochi seguilo; i quali mor-
moreggiandosi la jnorte del Conte, e veggendo la signoria
nel Palagio adunata, ed i suoi soldati, traile fuori le arti-
glierie, apparecchiarsi a difenderla , ogni ora diminuivano.
Onde Girolamo e per questo e per essere dall' infortu-
nio del fratello stordito, per lo meno partito-'') patteggiò-
con la città d' uscirsene , condonatagli la pena ^) di
quel gravissimo fallo. Il quale ed il fratello Oltobono al Ca-
stello <=) di Monlorio di loro giurisdizione con tutti gli al-
tri condussesi , fuorché il Verrina , che veduta la non
pensata ruina della congiura , e l'infelice fine del Conte,
raccolte quelle poche genti che potè , e montato sopra
la galera di lui la guidò a Marsiglia.
Ritorno del Principe Dorìa in Genova.
XVI. Fu tale II paventoso suono di questo civil ru-
more all' orecchie de' Genovesi che può più tosto ima-
ginarsi , che con penna dipingersi. Egli fu notturno, im-
premeditato , vario , terrestre e maritimo. Erausi Fa se-
ra tutti a casa ridotti concordi , e senza un sospetto di
nemici di fuori , o dentro di sediziosi , ed in sul buo-
no che riposavano udirono strepito d' armi, discorrimen-
to di persone , gridi che chiamavano il nome della li-
herlà e del popolo, e del Gatto antica insegna de' Fie-
schi 5 e per loro maggior meraviglia le onde del mare
rimbombavano le voci che i soldati delle galere, ed i <3)
forzati , per questo inopinato assalto prendendo non vana
a) Cosi nel raanuscr. e) Il manuscrillo et al Castello.
b) Il manuserilto per la pena, d) Nel raanuscr. e degli forati
I
ISTOniA. d' ITALIA. 'j5
speranza di libertà, o si sferravano, o sferrali che essi erano
saltavano in mare per gire in terra, o per allontanarsi dalla
servitù lietamente vagavano ^ dalla quale novità resa atto-
nita il più della Città di Genova prese partito, come s'è
detto, starsene rinchiusa nelle case per insino all'apparire
del giorno. Il quale venuto , e fatto lor palese il trattato
e la fuga del Principe, e l'acerba morte di due lor capi,
furono in un medesimo punto di sommo sdegno , e non
minor malinconia assaliti. I parenti, gli amici, ed i parti-
giani de'Dorii d'ingratitudine e di tradimento accusavano
il Conte , e quelli de' Fieschi d' ambizione e di superbia
Giaunetliuo laceravano , e che per assicurarsi di lui avesse
sforzato il Conte ad operare cosi gravissimo fatto. Pian-
geva nondimeno ciascuno la morte del suo , e 1' eccidio
della loro casa , antivedendosi in quella del Conte la per-
dita dello stato, e la persecuzion de' fratelli, ed in quella
de' Dorii temendosi che pervenuto il Principe al numero
degli ottanta anni, egli non aveva più tempo a perpetuar
de' figliuoli di Giannettino di tenerissime età né il domi-
nio delle galere , né la virtù della disciplina navale. Pure
un tanto movimento nella città di Genova alla sua libertà
fu di lunga salute ragione , perciocché a guisa d' un sa-
lubre medicamento , mondò il corpo di quella repubblica
da maligni umori , che senza fallo in breve tempo l'avreb-
bono morta. Con tutto ciò ella rendè al Principe Doria, che
sapula la partita de' nemici l' altro giorno dal perturba-
mento rivenne in città , tutti gli usati onori j e da capo
padre della patria nominoUo. Col quale manifesta cosa
è Giannettino vegliando gli andamenti del Conte più di
una volta aver ragio tifilo del pericolo , che potrebbe loro
']0 PORZIO'
sopravvenire, ma a ciò dal Principe centra il costume
Jella sospettosa vecchiezza non essersi mai voluto jjurgere
nrectliio non che |)reslar lede j o dandosi a credei'e che
Giannettino per non aver compagnia Genova cercasse con
(pielia scusa torsi da dosso il Conte, o come uomo ge-
neroso volendo più tosto ricever danno che farne altrui
per sospetto. Ria quello che somma ammirazione riceve
è clie il giorno precedente all'assalto gitolo a visitare il
Figueroa Ambasoiator Cesareo, ed accostatosi alla spon-
da del letto ove il Principe giacca, teneramente gli dis-
se, D. Ferrante Gonzaga allora Capitan generale dell'Im-
peratore nella Lombardia scrivergli che egli veniva trava-
gliato j)er una spia dalla Corte di Francia; cohà esser in
Locca di molti dover presto a Genova seguire turbamenta
grande cagionato da un del Fiesco : perchè confortavalo
a farne cercare per rimediarvi. Acuì dìcesi il {MÙncipe Do-
na nella sua fatai credenza radicalo sorridendo aver rispo-
sto, quello essere un trovato d'uomini inimici del Conte
del Fiesco, ih quale allora per caso in qnelfa camera es-
sendo, soggiunse egli pianamente w Sig. Ambasciatore, vol-
3J getevi, e guardate fiso in quel volto IFeto del Conte e
3.> giudicate poi se nel suo animo può capir tradimento».
Per la qual cosa comechè il principe fosse interiormente
afflitto per la morte di Giannettino, e per l'inestimabil
perdita fatta nelle ciurme delle galere, oltre ad una fug-
gitasi in Barbarla con trecento schiavi, vie più lo cruc-
ciava Tesser da tutto il mondo deriso e morso, che si
fosse fatto da un fanciullo grossamente schernire. Ma ogni
ora che io venga riguardando quanto sia agevol cosa Io
ingannare gli uomini savii, quando altri voglia operare fuor
lìì inj^iono , io il Boria scuso più che incolpo ; polcliò iiii-
suiaiulo i savii le umane operiizioni, non come si fannoj
ma come si debbono fare, vengono ad esporsi a guisa eli
bersaglio a lutti i colpi degl'insensati, e di coloro parimente
che non hanno il potere da resistere agi' impeli degli affelti.
IVon è da credere che il Principe Andrea Boria perito delle
cose del mondo-^"), avvertito da tanti lati del macchi namento,
che incontra lui s' ordiva, non prestasse piena fede a quei
rapporti per imprudente fidanza, e per rimbambita trascu-
laggine , come affermavano alcuni. Anzi è da persuadersi,
che per voler egli fra so con troppo giusto jieso bilan-
ciare quest'operazione, fosse colto nella rete, che contro
alla ragione ed al tempo ed all'ordine ed al fato ed alla fortuna
a tradimento gli fu tesa. Il Conte del Fiesco aveva obbligo
paterno col Principe, ma non già forze da offenderlo ^ es-
sendo quello dentro del porto di Genova cinto da gran mol-
titudine di galere, armato della benevolenza della città,
soccorso dall' armi vicine dello stato di Milano e della
Toscana, favorito dalla vittoria Germanica dell' Imperatore,
raffermato dalla pace e quiete del reame di Francia, e
sopra ogni altra cosa assicurato che la rovina sua né ca-
gionava grandezza al Conte né migliori condizioni alla
patria. Perciochè il Conte volendo dominar Genova, sotto
la sua signoria avrebbe avuto per emuli , e per invidiosi
il più de' gentiluomini vecchi , del cui numero egli era,
per aperti nemici tutti i nuovi , e la plebe poco ferma
e vacillante: ed intendendo esso sottoporla alla nazion Fran-
cese , senza alcun fallo gli ordini della città tutti, e le
a) Nel manuscritio manca perito.
•J'8 PORZIO
donne ed i fanciulli avrebbono fatto contra. Né a strin-
gerli o forzarli erano bastevoli due o tremila fanti tu-
uuiltuarii , che egli da' soggetti suoi , e di Pierluigi
rattamente avesse condotto nella città , né altresì quelli
forano stati potenti a difenderlo dall'armi del Duca di
Firenze e di D. Ferrante Gonzaga, che non più che nello
spazio di quattro giorni avrebbono con gran forza potuto
oppugnarlo. E donde il conte con sì poca gente dentro
a Genova racchiuso avrebbe potuto sperare alcun soccorso,
essendo i Francesi sprovveduti, lenti e lontani, e dall'a-
sprezza del verno o per mare o per terra soprattenuti? e
con che sicurtà avrebbe egli guerreggiato in una città man-
cante di vittovaglia, travaghata da' soldati , intenerita per
la rovina del principe Doria, per la morte di Giannettino
di ogni qualunque timone spogliata? Queste ed altre ragioni
veraci parlando nel generoso petto del prudente Principe, il
rendevano sicuro che in quel tempo né il Conte né altri
dovessero o il potessero offendere giammai : ma il succes-
so palesò quel che di sopra io ho raccordato j che é di
mestieri non essere sempre savio, ma talvolta trasformarsi
in uomo stolto, e 1' altrui stoltizie speculando armarsi di
qualità che se per avventura elle sieno operate non ti
nuocano.
Punizione de' partigiani del Conte del Fiesco.
XVII. Ma il poco vedere del Principe Doria in non
saper guardarsi dall' inganno del Conte Gio : Luigi del
Fiesco, rivolse =") in estrema sollecitudine in vendicarsi con-
tra i fratelli di lui e gli altri congiurati , ed operò col-
a) Forse deve leggersi si volse.
I
ISTORIA d' ITALIA "yg
l'Imperatore, di questo fatto anch' egli altamente ofTeso ,
che confiscasse lo stalo del Conte come di lui ribelle ,
e che la Signoria di Genova, gittalo a terra il palagio
superbo del Fiesco, perseguitasse con armi il Conte Giro-
lamo , che col Verrina già di Francia tornato, e col Cal-
cagno e parecchi soldati crasi fatto forte al Castello di
Montorio. Assentì la Repubblica come se da quel nido po-
tessero volar fuori molte insidie alla sua libertà^ ma prima
del venir all' armi , ella tentò coli' accordo aver il ca-
stello per ismautellarlo , e mandò Paolo Pausa a proffe-
rire a Girolamo onorevole accordo e tale che in quella
sua turbolenza ogni saggio nocchiero avrebbe accettato.
Ma o la poca prudenza di Girolamo o 1' assai speranza
che ebbe a chi promise sovvenirlo , o il fato di quell' an-
tica casa per molte centinaja d' anni riccamente e no-
bilmente decorata , non permise che 11 Pansa potesse più
in Montorio con Girolamo , che non si avesse potuto a
Genova con Gio ; Luigi. Per la qual cosa armatasi la
Signoria raandovvi soldati ed artiglierie condotte da Ago-
stino Spinola , che benché più di tre mesi vi fosse al-
l' intorno , pur alla fine fattavi grossa batteria , Girola-
mo contra la sua opinione vedutosi senza aita , e per-
duto di forze, si perde anche d'animo e alla discrezione
della Repubblica rendessi ; del quale e di tutti gli altri
congiurati trovatisi fu fatta rigorosa giustizia ed a capital
pena dannali , ed il castello diroccato. Ed il Duca Pier-
luigi in vece di soccorrerli e di trarli dal profondo fosso
ove ") generalmente stimavasi di averli precipitati, mandò
a) Nel (uaQuseriuo maaca ove.
.So PORZIO
al Principe Dovia ed a quella Repubblica tre Ambascia-
tori, e fra essi il Conte Agostino Landi, a dolersi dell' in-
sulto fatto loro dal Conte del Fiesco , ed a discaricarsi
che avendo quegli voluto del nome suo valersi , era sta-
to senza partecipazione o consiglio , e che egli voleva
esser loro leale amico come fu sempre. La quale scusa
quantunque i Genovesi facessero vista di ricever volontieri,
è fama , che per darla egli più efficacemente loro a cre-
dere ponesse nel suo fisco delle Castella del Conte il bor-
go di Valditano e Castellano appartenenti alla giurisdi-
zione del suo ducato.
Premure di Papa Paolo -per trasferirle U concilio
in Bologna.
XVIII. Pure il Pontefice padre sapendo certo la
prudenza dell' Imperator Carlo non potere da apparen-
ze abbagliarsi , temè forte che egli nel Concilio Tri-
dentino contra sé non facesse di quel trattato aspra
vendetta. Per lo che rivolse più ferventemente il pen-
siero al rimoverlo di Trento : al qual desiderio gran
forze aggiunse l' udire che alla riforma de' cattivi usi ec-
clesiastici verrebbero assai de' Tedeschi Luterani inani-
mativi dall' istesso Cesare. Fu nel Tesoro ^) del Pocti-
ficato di Paolo risplendente costume il vestir ogni sua
opera di onesto ed onorevol manto , sì che per turar Ja
bocca a' Cattolici , ed agli eretici, che egli per tema della
riforma , la sedia del Concilio cangiasse, cominciò da sé
a) Cosi è chiaramente nel mauuscriUo,
-^^
ISTORIA n' ITALI.V 8l
a riformar gli usi cattivi, e tolsene via uno assai gravante
e di scandolo : ciò fu che ordinò sotto pene severe die
niun prelato possedesse più d' un vescovado : conciossia-
chè parecchi Cardinali e Vescovi non contenti di una
sposa per menar vita lussuriosa ne fruivano a quel tempo
due e tre. Ma certamente non manco la fortuna che
!' avvedimento porse favori a Paolo in quella difficile impre-
sa : conciossiachè come suole accadere '0 in su la primavera
per gli movimenti degli umori ne' corpi umani, incomincia-
rono in Trento ad infermarsi alquanti ed a morirsi, ma non
già tanti che per rispetto della moltitudine delle genti do-
vesse essere di molto riguardo, rsientedimanco i Legati
e gli altri del desiderio del Pontefice partecipi senza per-
der tempo abbracciarono 1' occasione , e presero a mor-
moreggiare e ad accrescergh paura d' alcun morbo pesti-
fero , e finalmente a dire che i Padri lasciato Trento si
trasportassero altrove. La qual cosa trovò oltra i mini-
stri Imperiali di grandi contraddittori , non solamente pre-
lati ma ambasciatori de' Principi ^ né sarebbe stato a suf-
ficienza che r opinione degli autori del partirsi fosse so-
stentata dall' autorità del Fracastoro medico , e più poeta
eccellente , se il Pontefice Paolo non avesse colà inviato
il Saracino Arcivescovo di Matera , che a bocca aperta
notificò a ciascuno la mente del Papa esser ferma che di
quindi partisseroj che eglino non istessero più nelle forze
dell'Imperatore, i cui*") consigli cominciarono non sola-
mente ad esser sospetti alla Sedia Apostohca, ma palese-
mente nocivi ; perchè avendo egli con tanto dispendio di
a) Nel maouscriuo cadene. b) Nel maouscriito « i cui.
II
83 PORZIO
lei vinto la Germania, i fruui della vittoria volea ^) rico-
gliersi solamente per 1' utile suo particolare, non costringen-
do le città, ed i Principi Luterani a render obbedienza alla
Chiesa , ma solamente a somministrargli pecunie , e far-
segli tributarii: ed ora per niun beneticio cristiano esso
appetere quivi la stanza del Concilio , ma per tener ri-
stretto il presente Pontefice, e poter far l'avvenire a sua
voglia, ^) o il volere del Papa ottenere caldi favori dal Re
di Francia a cui era assai nojoso che di quel ragunamen-
to di Vescovi Cesare in niun tempo si profittasse in co-
sa veruna. Vinsesi adunque nel Concilio che nella città
di Bologna egli si trasferisse, ove i Legati e la più parte
de' prelati specialmente condussesl con tanto intenso dis-
piac^e dell' Imperalor Carlo , che comandò a' suoi mini-
stri, e a molli prelati de' suoi Regni che di là non uscis-
sero in alcun modo : i quali vi restarono allora , e assai
appresso che il Concilio si dileguò di Bologna , la quali
cosa non penò troppo a seguire.
D. Pietro di Toledo si pone in onore di introdur^re
V inquisizione in Napoli.
XIX. Ma mentre con tanta rovina i fratelli del Fiesco
dalla fortuna e dagli uomini vengono perseguitati, il som-
mo pontefice va scuotendo i piedi dal tenace ceppo del.
Concilio, ove spontaneamente gli aveva rinchiusi, sorse nella i
Città di Napoli maggior guerra civile, che non la città sola
a) Nel maJiuscrluo manca volea. baon senso , e pare che deggiano ve-
b) Le parole seguenti nel teslo o il vo- mi emendale,
fere etc, — in cosa veruna noa faoDO
ISTORIA b'iTALI.V 83
fu per disertare, ma il reame lutto disposto a seguitare Tau-
torità di lei. Reggevasi quel Regno per lo Viceré D. Pie-
tro dell' illustre famiglia di Toledo , nel cui governo cou
molta soddisfazione del Padrone molti anni s'era dimora-
to^ e tutto che al suo tempo si fosse aperta la porta ad
intolerabili gri^vezze , nondimeno a' popoli non era stato
odioso , per aver loro portato giustizia severa , e purgato
le provincia da' malfattori , e fortificato di moke città ,
e Napoli d' assai nobili edifizii arricchita. E volendo te-
stificare il vero, dalla ») passata de' Francesi in Italia in fino
al suo reggimento era il Regno per le assidue guerre mol-
to licenzioso divenuto. Egli fu che primieramente ridusse
al segno d' ogni qualità gì' insolenti , e di sé e di suo a-
vere rendè ciascuno sicuro possessore. Accompagnò la for-
tuna la sua dritta amministrazione , perciocché il Reame
di pace , di sanità'^), e abondanza fu poco meno che sem-
pre ripieno. La nobiltà solamente ed i Baroni udivansi
di lui alquanto dolere per parer loro d' essere scemati
d'autorità, e col timore più che coli' amore governali, ed
eransi perciò colf Imperatore dal principio del giungere
del Viceré studiati che egli fosse loro scambialo. La qual
cosa né allora seguì , né per tanti anni appresso , parte
per lo naturai costume dell' Imperatore che aveva dis-
caro il mutar gli ufficiali , parte per gli potenti favori <^)
che col tempo appo lui s' aveva guadagnalo il Viceré.
Imperocché ridotto il Regno per opera sua in somma
«bedienza , e tranquillità , le regie nuove e le vecchie
rendite erano in immenso cresciute , e compartile a
a) Nel maiiuscriiio della. e) W ma.n\iicx\\\X> per gli polenti e favori,
y) Nel manusciitto santità.
-'•{' PORZIO
tempo in tutti i bisogni Cesarei. Era di poi il Duca di
Fiorenza divenuto suo genero , il nipote Duca d' Alva sti-
jnavasi il primo della Corte, e gli altri del Consiglio Im-
periale sovente da esso presentati riccamente erano fatti
suoi prolettori. Stando adunque il Viceré e in somma
grazia col Padrone, e in non riputazione fra gli altri mal-
vaggi del Reame, gli capitarono nelle mani alquanti della
setta Luterana , sotto la cui ricoperta egli si pose in cuore
d' introdurre l' Inquisizione all' usanza Spagnola : stimando
per sì fatto mezzo , oltre al benefizio della fede Catto-
lica , avere a proccurare grande utilità al Padrone, e a sé
grandissimo onore, per conseguire da' regnicoli quello che
guarani' anni prima essi avevano al Re cattolico feroce-
mente negato 5 e pensasi che egli comunicato il pensiero
coli Imperatore di pari sentimento si. eseguisse.
Sdegno de' Napolitani per lo timore delV inquisizione.
XX. E l'Inquisizione un procedere rigoroso centra gli
eretici instituito da' Canoni Ecclesiastici, ed a' Vescovi sola-
mente conceduto, il quale la Reina Isabella della Spagna
indusse nelle sue Provincie, vinto lo Reame di Granata ,
ma più stretto, e rigido del costumato^ preposevi -'') suoi
ufficiali, ed oltre al peccato della fede per lo quale solo in-
nanzi confiscavansi i beni, vi rinchiuse anche la bestemmia
ed usura ed altri errori enormi, e fu cpesta rigorosa giustizia
da' popoli della Spagna senza ripugnanza ricevutajper rilro-
varsi quelle regioni in quel tempo da Mairani uomini no-
a) Nel manuscrjllo proposevii
ISTOniA d' ITALIA. 8*J
"Cellamente venuti alla noslra fede, e da molti iufcdeli abi-
tale, coDciossiachè ogni loto contrada di Mori, e di Giu-
dei abbondava : il più di costoro veggendo avere ad es-
sere del terreno natio scacciati o spogliati delle sustan-
ze o ingiuriosamente trattati , per ripararsi da tanta mi-
seria più che mossi da volontà, o da spirito buono chia-
mati, ricevevano l'acqua del Battesimo, ma non già la
grazia : onde tosto alla lor prima vita riducevausi : sì che
conveniva d'esser nella Spagna un magistrato particolare
che ricercando con diligenza sì fatti nemici di Dio a gui-
sa d'eretici agramente li punisse, il quale era ^) ragionevol
velo agli occhi di quella gente alla gravezza dell'inquisi-
zione, oltre al confidarsi nella lor buona natura e de' loro
Re. Imperciocché per l' una non temevano di essere da
odio o da invidie accusati, e per l'altra erano securi, che
da necessità, né da avarizia verrebbono puniti. Le quali
]-agioni cessavano tutte nel Reame di Napoli, allora che al
Viceré cadde nell' animo di inserirvi la prefata maniera
d' inquisizione. Conciossiaché 1' infernal nube del Lu-
tero quantunque avesse accecato molto paese , non di-
meno in quel di JN'apoli n' aveva ofluscato sì pochi , che
con le dita si sarebbono potuti annoverare. Sono poi assai
de' regnicoli fra loro medesimi odiosi, e per picciolo prez-
zo'^) apparecchiati a testificare il falso j avevano il lor pa-
drone discosto, e da bisogni non mai iiiterlasciato , ed i
suoi ministri riputati generalmente dal volgo sinceri poco^
e corruttibili: sì che al bel primo suono dell'inquisizione
giudicarono i Napolitani che un così fatto Tribunale si-
a) Nai. manusciitio manca eia, h) Nel- manuscriuo /i7«^/o<-
86 p 0 K z I 0
proccurasse di porsi in piedi per Io Viceré, non per zelo
di scacciare l' eretica pravità, ma per tender un forte lac-
cio ad incappare tutte le loro robe ^ ed all' imaginazione
soltentrò uno sdegno, stimando di essere ingratamente gui-
derdonati della continua loro liberalità verso Cesare a cui
in fin a quel tempo ritrovavansi aver donato in varie sue
occorrenze intorno a venti milioni d' oro.
Breve Apostolico per inquirire gli eretici.
XXI. Tuttavia la loro doglienza non disanimò punto
la proposta impresa del Viceré, congetturando egli dover
essere delle usitate delle Città ^) quando vengono sottoposte
a nuove leggi, presupposto'^) maggiormente il potere con leg-
gier fatiga aver dalla sua il popolo, dal quale vedevasi per
aver battuto la nobiltà amato e celebrato molto. Di cui per
agevolmente impadronirsi a studio aveva sollevato a' più
eminenti officii, che vagliono all'utilità della Comunanza
popolare. Cittadini beneficati da esso, ed usi a volere e
disvolere, né più né meno di quel che piacesse o dispia-
cesse a lui 5 non diffidando eziandio d' alcuni uomini nobili
di non picciola autorità , che per propria inclinazione si
rendeva sicuro che avrebbono seguito in questo affare il suo
volere ed il sodisfacimento dell'Imperatore. Pure giudicando
la prima mossa di ciò essere più dicevole e men sospetta
facendola il principe ecclesiastico, s'adoperò che dal Pon-
tefice Paolo, e da' Cardinali soprapposti al Tribunale del-
l' Inquisizione Romana ( de' quali era il fratello d' esso Vi-
o) U manuscriUo della città. b) Il manuscrilto presupposti.
l
ISTOHrA d' ITALIA 87"
ceiè il Cardinal diBurgo) fosse comandato per Breve Apo-
stolico a due Frati di S. Domenico nella Città di Napoli
commoranti, che eglino come delegati del Pontefice quivi
gli eretici inquiressero. E per avventura il Viceré venne ia
isperanza che intromessi quelli ad inquirere, a lungo an-
dare darebbe loro per compagni Ministri del Re, e così
passo passo non che senza strepito, ma senza altri accor-
gersene , introdurrebbe nella Città il Tribunale designato
sopra gli eretici-
Gli eletti di Napoli pregano il Viceré che non
si lasci indurre a Jare eseguirle il breve.
Sua risposta.
XXII. Ma non prima capitò in mano de' Frati il
Breve , che n' ebbe copia T Officio Supremo che ha cura
del reggimento della Città , il quale è di sei uomini , es-
sendo la Città in sei sestieri divisa, cinque de* nobili, ed
uno del popolo , e chiamansi Eletti. Il lenor del qual
Breve da essi, e da molti giurisperiti a minuto riguardato,
giudicarono V esecuzione di quello dover essere al Reame
perniciosissimo, e non indugiarono punto ad essere col Vi-
ceré, il cui animo comechè in questo maneggio avessero
a suspetto, volevano =») nuUadiraeno sperimentarlo;, e prega-
ronlo strettamente che per ninna condizione propostagli si
lasciasse indurre a fare che quel Breve si eseguissej allegan-
do traile altre assai ragioni, per disposizione di legge Pon-
tificia niuno fuori del foro Arcivescovale, e del suo Vicario
a) Nel mannscrilto volessero.
'88 p 0 r. z I 0
doversi della cognizione e pena di quel peccato iinpaecia-
re, e così ab antiquo essersi nel Regno costumato , e di
così farsi avere loro i Re Aragonesi per privilegio conce-
duto ...... a) . Ja fine il Viceré non avere del Breve
uotizia veruna, e che presenlandosegliene molto considera-
tamente avrebbe permesso , che egli fosse messo adopera;
ma che tuttavia lui pareva dovere ohe scoverlisi nel Regno
iion^ini della dottrina del Lutero , s' avesse a procedere
d'alcun certo rimedio che non ammorbassero gli altri.
Dibattimenti trai Viceré ed il Vicario di Napoli.
XXIII. Il rispondere del Viceré accrebbe sospetto a'
Napolitani non che li liberasse dal timore che avevano con-
ceputo che di suo consentimento fosse mosso il ragionamento
^ell' Inquisizione, ma per meglio chiarirsene favellarono di
quel sospetto con esso seco più fiate. Ne' quali ragiona-
menti si sforzò sempre il Viceré per utile loro proprio per-
suadergli ad armarsi di più salde armi contra le insidie degli
eretici, che avevano distese le loro velenose radici per tanto
paese, «d occupavano dell' altro. Ma le sue parole erano
gittate al vento, che già i Napolitani avevano fermo nel-
l'animo tollerar prima ogni sterminio e la morte istessa,
che quella maniera d'inquisizione. Anzi con esso rammari-
caronsi gravemente , che per cercarsi di punir gli eretici
diversamente dal costumato venivano la lor fama ed il loro
onore ad esser contaminato j come se nel presente fos-
sero neir eresie più del passato immersi^ il che tenevano
a) t evidente che qui manca nel te- il cominciametUo della riiposla del vi'
slo il fice del discorso degli slellj , ed cere.
«I I
ISTOKIA d' ITALIA 89
a grandissima vergogna, né per gli mollissimi lor servigli
falli al Padrone averlo a merilare. Utlila il Viceré l'unita
ed inespugnabile deliberazione di cosloro, come uomo che
voleva vincere, fu suo avviso guidalo da un'altra vela per
poter giungere nel medesimo porto. E fatto a sé chiama-
re il vicario di Napoli , essendo l' Arcivescovo assente ,
narrogli il desiderio grande del Pontefice e de' Cardinali
preposti all'Inquisizione di Roma, che quei Frati inqui-
ressero nel Regno : ma trovandovi grandissima contradi-
zione de' Napolitani egli richiedeva lui a fare cjnesla santa
opera e necessaria, e che la persona sua sarebbe a grado
di tutti j ed acciocché") le cose passassero maturamente, gli
darebbe per ajutatore un giurisperito del Consiglio Reale.
Il Vicario appieno^) sapendo la mente del Papa e de' Car-
dinali , e come si era più conforme alla dimanda della
Città, che all'appetito del Viceré , rispose che esso man-
derebbe a fare l'inquisizione che le leggi spirituali in-
segnano j ma togliere il Ministro Regio per compagno ,
né poterlo né doverlo fare per non derogare alla giurisdi-
zione del Padrone. E quantunque il Viceré in replicando
lo stringesse a fare il suo desiderio , egli dalla sua opi-
nione non volle dipartire.
Il Viceré a domanda de Napolitani li libera
dal timor delV inquisizione.
XXIV. Questo dibattimento tra il Viceré ed il Vi-
cario alla notizia di quella Città pervenuto l'attristò non
a) Nel manuscritto manca ed. h) Nel manutcritto appena.
12
9»> PORZIO
poco- ma di gran lunga più T aggiunse cordoglio un co-
mandamento uscito dal Reggente della Vicaria, che^) è in
Napoli a guisa del Governatore , fatto a' Capitani della
strade popolari , che gli notificassero i nomi di tutti gli
abitatori delle loro strade , e la maniera del cristiano
vivere loro. Al quale orribil tuono parve a' Napolitani
non dover aspettare altro segnale della tempestosa piog-
gia che veniva loro addosso , e conchiusero che diffe-
rendo il difendersene , e collo schermo della benignità
dell' Imperatore, il male divenisse incurabile , e che con
ferro e fuoco a fatica il guarirebbero , massimamente che
molta cittadinanza temendo della forza provvedevnsi all'ar-
mi. Per tanto ridottisi insieme mandarono chi per loro no-
me dicesse al Viceré, che eglino non vogliono a niun pat-
to inquisizione nel Regno, fuorché la Canonica: né esso
assicurandogli che altra non ve ne porrebbe, deliberavano
di ottenere questa sicurezza dall' Imperatore lor Padre e
Padrone , e pregavanlo che egli almeno appo questo alla
lor giusta dimanda volesse esser favorevole. Turbò que-
sta viril risposta l' orecchie del Viceré, non uso per l'ad-
dietro ad udire delle somiglianti per la riverenza straordi-
naria da ciascuno portatagli^ oltre che Annibale Bozzuto
che fu poi Cardinale, gentil uomo di natura libero ed al-
tiero, gliela propose prontamente. E più dell' ardimento
delle parole de' Napoletani, e del fornirsi d'armi, ebbe
gravemente per male V intendere il volere essi gire a do-
lersi all'Imperatore, a cui egli per qualunque modo im-
pediva non venisse nota la presente sua vita, divenuta al-
a) Il maauscrlllo c/ie egli è.
ISTORIA d' ITALIA. g»
quanto lasciva. Impeiocchè D. Pietro di Toledo Viceré, o
stanco dagli anni, o dal peso de' negozii, o invitalo dal-
la pace dell' Italia, o pure per la lunghezza del goverao
dimenticatosi di esser ministro, dava allora poco men che
bando a' pubblici bisogni , e le sue udienze erano dif-
ficili, lunghissime r espedizioni, il giocare, ed il pasteggiare
assiduo^ e stimando col virtuosamente operare essersi ap-
pressalo alle fatighe ed al merito de' ])iù generosi Ro-
mani , non volendo lor cedere nel veleggiare , aveasi per
suo diporto edificato un sontuoso e dileltevol palagio a
canto a Pozzuolo , città più salubre ed antica che ricca
e grande , ed ivi il più del tempo con gran rammarico
degl'infaccendali seco soggiornava. Sicché non è alcun dub-
bio che da questo deliberato consiglio de' Napolitani egli si
disponesse al dismettere del lutto l'impresa dell'Inquisizio-
ne, e al volere da cjuel timore quella Città liberare. Alla
qual cosa maggiormente affrettoUo un gagliardo ed a lui
]iemicù fatto del popolo, in cui come si disse gran fidan-
za teneva , non sovvenendogli quanto si sia mobile e
smemorato : il qual popolo sospettando che cinque o sei
de' suoi ufficiali avessero intendimento con esso il Viceré,
e dal suo volere jiendessero, in una mattina gli scambiò
tulli, empiendo i loro luoghi d'altri del solo bene popo-
lare giudicali amatori. Ria nel volere il Viceré tralasciare
la sua impresa veniva combattuto dall' alterigia della na-
tura sua, e dui decoro del Magistrato, ])areudogli ver-
gognoso , e jnedesimameute pericoloso , per 1' arroganza
n'averebbouo jìiesa i Napolitani, il ceder loro per le mi-
nacce fattegli e per lo timore dell'armi. Sopra il quale
passo malagevole e sdruccioloso consultatosi cou seco
92 PORZIO
Stesso , e co' suoi Consiglieri forse di più corta veduta
della sua , determinò per non cedere caminare per la
\ia di mezzo comunalmente più piana dell' estrema ,
ma ne' governi degli stati più pericolosa, E ciò fu il
l'ender certa quella Città a non dovere avere I' Inquisi-
zione , e dare alcuna sorte di timore e di castigo a co-
loro che avevano pensato al contradirgli coli' armi. On-
de ordinò al Marchese di Vico ed a Scipione di Somma
ambedue del Consiglio dello stato, si conferissero al Tem-
pio di S.Lorenzo ove si ragunavano gli ufficiali di quella
Città , e come uomini amanti la patria lor ricordassero
a fare ogni opera che nella Città non seguisse turbamen-
to, che essi più degli altri ne pagherebbono le pene, e
che non restassero a supplicare il Viceré a non far parola
più d'Inquisizione, che non sarebbe gran fatto l'impe-
trassero. I Magistrati dopo l'aver purgato il loro reggimento
con quei Consiglieri non tardarono a procvidere con più
caldi prieghi col Viceré, il quale finalmente si lasciò in-
durre a manifestar loro ed alla Città tutta a voce e in
iscritto , che la mente sua e dell' Imperatore non era né
fu mai di voler nel Regno altra Inquisizione che ordina-
vano le leggi, ed i PSapolitani medesimi desiavano j tutto
che avessero caro per 1' amor grande che portavano alla
fede Cattolica, e per la quiete loro , che gli eretici fos-
sero diligentemente cerchi , ed acremente puniti. Per la
qual cosa ^) somme grazie gli furono rendute, e gli ani-
mi de' Napolitani stati per essa dì e mesi sospesi e dub-
biosi , di sì grande allegrezza si riempirono , che parevi^
a) N^el manusctitto manca cose.
ISTORIA d' ITALIA qS
quel giorno esser rinati e con la vita aver la roba e
r onore riavuto.
Movimento della plehe sedato dei nobili.
XXV. Ma non si persuada ninno con un colpo solo
poter troncare dagli aniun de' popoli alcun sospetto, che
v' abbia preso radice. Senza fallo avrebbono i Napoli-
tani per lo palesar del Viceré posto giù ogni memoria
dell' Incjuisizione, non che scacciato ogni cruccio per essa
preso con lui, s'egli si fosse astenuto procedere centra co-
loro che per oppugnarlo si erano d' anni provvedati. Mail
fervente desiderio del Viceré di non iscemare di niente la
sua autorità in quella città totalmente glie ne fé perdere,
e con vantaggio de' Napolitani , i quali con più giustizia
si partirono perciò dall' ubidienza sua , che non avrebbon
fatto per la sospizion primiera. Però che il danno che re-
cava r Inquisizione aflligeva solamente i cattivi Cristiani ,
ma la pena di averla contraddetta era comune a buoni, ed
a cattivi , avendola amendue oppugnata. Venuto adunque
a notizia de' Nobili , e de' popolari il Reggente inquirere
i contraddittori, e avere agli armajuoli ordinalo gli dessero
il nome di chi a quel tempo avesse preso armi, e per lui
sopra ciò formarsi processi, si venne di nuovo in essi ad.
impiagare la ferita che di fresco era saldala. Pur giudi-
carono i nobili ottimo rimedio dover essere a quel male,
ed agli altri da seguire, il deputare alquanti di loro ad
aver cura s'osservassono alla Città i suoi privilegii chiama-
li in lor linguaggio Capitoli , concedutile da' Re pre-
teriti, e coafermati ed accresciuti dall' Imperatore^ il qual
p4 PORZIO
ufficio quantunque usitato per ciascun anno a crearsi, non-
dimeno i DepiUati a ciò per addietro non vi stavano vi-
gilanti gran fatto. Aggradis'a la deliberazione parimente al
jìopolo , il quale dalla nobiltà sollecitalo instava al suo
eletto, che ha cura di convocarlo, che egli li ragunasse
per creare quelli ufficiali. Ma l'eletto Domenico Terracina,
che tale fu il suo nome , prolungava il congregarlo, però
che essendo parlegiano del Viceré sospicava ciò farsi a fine
che le operazioni di lui e degli altri ufficiali Regii fossero
del continuo vegliate e limitate. Non per molte richieste
fattegli fu possibile condur quello aragunarlo: per la qual
cosa il popolo ripieno di gelosia e d'inganno e sosiiello,
confortò molti capi ad adunarsi al tempio Agostiniano ,
ove egli ha in costume di convenire insieme, e quivi ben-
ché assente il suo Eletto essi creassero il sopraddetto Ma-
gistrato ^). Coudussesi la maggior parte di quelli Cittadini
al luogo ordinato, e ristrettisi insieme determinarono di
fare gli ufficiali in San Lorenzo ove allora trovavasi il loro
Eletto , e gli altri Eletti
^). In quel mezzo tempo che coloro ciò delibe-
ravano, era in quella Chiesa di S. Agostino e per le vie
d'intorno concorso*^) numero innumerabile di plebei, i quali
olirà le narrate cose erausi alterali fuor di modo per essere
a) ì<ie\ rnsLuasct. il sopra ?naffistraio. dUpiaciuto furono sempre incerti , e
h) In questo luogo il nanusciillo è /e r.2««a/i2e. Dalle parole che seguono:
guasto contenendo queste parole, che in quel mezzo tempo e\c. comìac\a il
riempiono lo spazio die abbiamo sogna- secondo manusciilto da noi consultalo.
lo con punii j e clie non fanno alcun U primo legge ^/à deliberavano invics
ieniOj et i suoi compagni nobili , sensi di ciò.
liir) delti icandali della moltitudine e) Nel primo manus. manca co'iCO«o,.
I
TSTOniA d' ITALIA 9«;
stato affisso il giorno slesso dal Vicario cluH'aicivescovo in
vari! lati della loro Città un editto, che esso intendeva far
visita e inquisizione sopra la vita degli ecclesiastici e chie-
rici secolari^ il quale scritto^) in Latino e letto e dichia-
rato al volgo da uomini ignoranti s' interpetrava eh' egli
volesse lare inquisizione eziandio sopra laici: si che'') stan-
do quella moltitudine unita e maldisposta , all' uscire de'
Cittadini senza il Magistrato desiderato , non altrimente
ch'ella fosse tradita, o volesse*^) alcun sopravvegnente pe-
ricolo cacciar via, gridò ad alta voce Serra Serra, che
tra loro importa, che i bottegai abbiano a serrar le bot-
teghe e correr fuora coli' armi , siccome in parte seguì.
La qnale turbazione a' cittadini ed a' nobili apportò in-
tollerabile dolore, ma non perciò si smarrirono^ anzi cac-
ciati fra la plebe, quella con molte ragioni dal suo errore
ritrassero , e poste gi'i l' armi ricondussero alia pristina
quiete , mandando incontanente a Pozzuolo al Viceré
chi gli desse del movimento contezza , e come aveva
avuto il })rincipio da' plebei , ed essersi subito fermo. Il
cui avviso era di già a lui corso e in assai peggior modo
di ciò eh' era stato. Ond' egli rattamente postosi in via
veniva verso Napoli , cinto oltra la ordinaria guardia da
grande schiera di archibugieri Spagnoli. E fattosegli in-
contro il messo l'udi, e gli rispose con molta ira, uè si
ritenne dal corso, ma pieno di mal talento dentro il ca-
stello nuovo in sul fare della sera si ridusse. Dove il giorno
appresso di buon'ora furono seco gli Eletti della Città, da
capo confìrmandogli quello appunto che avevano mandato
a) Nel primo raaniiscr. scrino era. e) Nel primo manuscr. ■vedesse,
b) Nel primo manuscr, lo c/ie.
C)6 PORZIO
a significargli, e pregaronlo sommamenle , die per aver
avuto il rumore 1' origine dalla feccia del volgo , e per
ignoranza più che per malizia , e per esser cessalo quasi
prima che incominciato , e senza commettersi male ve-
runo, egli rimanesse contento di tal atto non fare conto,
né fulminare processo centra gli autori jiiù in numero che
in qualità , conchiudendo quelli essere privi di tutti i
Leni del mondo , ed aver caro che col proceder contro
di essi si porga loro l'occasione del tumultuare.
Tommaso Amelio messo in prigione è poi liberato,
XXVI. Non ebber forza le parole d' illuminare la cieca
severità del Viceré, slimando, come si é detto, che per
ritenere la maestà del grado gli fosse richiesto dar puni-
zione a qualunque la si meritasse. Ma pur in fatti però
egli conobbe la fallacia del suo pensiero j perchè datosi dal
Reggente principio al formare il processo di quel rumore,
e facendo venire parecchie persone per esaminarle del
fatto, licenziatene molte, alla fine sostenne Tomaso Aniello ^)
uomo popolesco^ ma caro a molti, e congiunto : a' quali
venne tantosto in considerazione che esso dal Viceré sa-
rebbe giustiziato immantinente, acciocché quella subitana
giustizia fosse di spaventameuto al popolo. Il perchè i
fratelli, ed i suoi parenti corsi dagli Eletti con gran mol-
titudine e maggior ansietà gli strinsero ad esser contenti
intercedere per essi appresso al Viceré , che il lor fra-
tello fosse tratto di prigione j che darebbero sicurtà
a) Il secondo manuser. Audio.
UT' riA n' ITALIA <)-^
flje egli starebbe a ragioue. Gli Eleni veggendo la città
esacerbala , costoro disperati , e di seguilo si grande ,
che era in lor forza rompere le carceri'') e togliersi il
prigione ^), falla lor compagnia di alcuni Baroni , gentil-
uomini e cittadini, furono al Viceré, e rappresentandogli
il male stato in cui quella città era caduta per lo so-
spetto dell'inquisizione ed il peggiore in che ella precipi-
terebbe , non soddisfacendosi il popolo colla libertà di
colui che chiedeva, ardentemente il supplicarono che egli
obbedendo al tempo volesse lasciarlo ed ispegnere ogni
facella di fuoco che fosse per dar principio a grande in-
cendio. Ricusò il Viceré da principio con animo fermo
il volerlo liberare 0, ma affermando i pregatori non volere
uscire dal castello senza recar fuori la grazia , per non
essere la loro uscita d'alcuno gran male cagione, e per-
ciò ragunatosi il suo consiglio , dopo lunga disputazioue
egli si lasciò svolgere , e fu il prigione rimesso in li-
bertà con tanta letizia delle genti plebee, che come cosa
Joro incredibile, correvano per le strade a schiere a gua-
tarlo*^), e per lo troppo desiderio del vederlo^), essendo
egli a pie, cagionavano che a pena fosse veduto. Onde
Ferrante Carafa ornato degli sludii della poesia, sperando
dalla radice di quella grazia poter nascere fìullo di quiete
negli animi plebei , fattolosi 0 in su la groppa del suo
cavallo montare per gli più frequenti luoghi della città
lor ne fé lieto spettacolo. Ed oltre a (juesto dimostra-
merito al popolo caro , il Viceré per affatto quetarlo , e
a) Nel secondo manuscr. fa carcere. d) Nel primo mìauìct. ffuardario.
b) Nel secondo manuscr. e fatta lor e) Nel secondo manuscr. di vederle,
compagnia da alcuni baroni etc. f) Nel primo maauscritto faUo^
e) Nel primo maauscr. di non volerlo. telo,
t3
gS PORZIO
dar manifesto segno d' aver l' animo pacifico ed a tran-
quillità rivolto, tornoàsene'') a Pozzuoloj e venuta novella
della vittoria dell' Imperatore conlra il Duca della Sasso-
nia , fé fare allegre^e grandi ^).
Il Viceré indarno fa opera perchè i Napolitani
non mandino ambasciatori a Cesare.
XXVII. Tuttavìa questi sembianti da coloro <=) che il
ben commune riguardavano, conoscevansi per intinti '^), e
da quelli massimamente che la rigidezza delle sue preterite
azioni ritenevano nella memoria , e giudicavano che nel
fondo del suo cuore egli riserbasse ira ino placabile con-
giunta con immenso desiderio di vendetta 0, e che di quel
successo di cose donasse all' Imperatore ragguaglio 0 all' u-
ni versale perniziosissimo ed a molti particolari. Laonde
togliendo i Napolitani l'opportunità del tempo della detta
vittoria, conchiusero mandare ambasciatore s) a Carlo per
rallegrarsi con esso, e per informarlo della verità del suc-
ceduto nella loro città. Gravò internamente per le cagioni
di sopra mostrate 1' animo del Viceré questa ambasceria,
e l'indusse fuor di tempo ad umiliarsi con parole e con
fatti a quel popolo, che pochissimi giorni avanti non volle
della libertà d' un prigione far contento. Con ciò sia che
avendo il popolo a congregarsi per deliberare T amba-
sciatore , egli chiamò a sé prima tutti i capi di lui , i
quaH gitolo a trovare in Pozzuolo , con assai grave ser-
a) Nel primo munuscr. tornò già. d) Ne' due raanusciitti infiniti-
b) Nel primo manuacr. allegrezza e) Nel primo raanusc. manca e.
grande. f) Nel secondo inanusc. ragguagli.
e) Nel primo manoscr. di coloro. g) Nel primo m3.t\aict.anil>asciutori.
iSTnniA D iTALt\ qq
mone e dififiiso licorc'ò loro il \iceiè il pessimo stato
in cui viveva il pojiolo prima del venir suo'') in regno;
(li quante dignità e di quante ricchezze esso gli era stato
cag.ione , die non solo l'aveva uguagliato alla nobiltà ,
che per ciò gli era acerba nemica, ma pareggiatolo a' si-
gnori del regno. Ed a parole '') e per scrittura gli assi-
curò, che in nessun tempo il sottoporrebbe'^) ad inquisi-
zione, e purché al mandare l'ambasciatore co' nobili non
convenisse , gli farebbe generale perdono delle disubbi-
dienze a quei giorni da lui in dispregio della giustizia
commesse. I cittadini dopo avergli rese quelle grazie po-
terono maggiori de' beneficii ch'esso diceva aver loro
fatto, risposero non potergli dirC^) cosa alcuna ferma infìno
a tanto non udissero il voler degli altri, il quale essi spe-
ravano sarebbe conforme al suo. Ma loro falli il disegno;
perciocché pervenuta alla plebe la gita de' suoi capi a
Pozzuolo, per intendere la cagione fattasi in gran nume-
ro loro incontro sin fuori le porte della città, ed uditala*^),
conobbe ') subitamente il fine a cui intendeva s) il perdono
fattole di presente dal Viceré, e la commemorazione de'
passati beneficii : sì che per dargli ad intendere quel lusin-
gamento •') non essere bastevole a disgiugnerla dalla nobiltà,
né rimuoverla d' avere ricorso al suo Re , immantinente
costrinse quei cittadini ed il suo Eletto a diputare l'am-
basciatore. I quali insiememente con gentiluomini crea-
rono il Principe di Salerno , e Placido di Sangro , che
a] Nel fumo manasw. del venirsene à) Nel secondo manuscr. daiv.
in regno. e) Nel primo manuscr. e/ uU/e.
b) Nel primo manascr. a paro/a. i) Nel secondo maouscr. conobbero^
e) Nel primo manuscr. il sopporta^ g) Nel secondo manuscr. tendeva.
rMe. h). Nel primo tasLnuicr. sasseto mento,'
100 PORZIO
avesse a fermarsi di contiauo appresso l'Imperatore per
nome della Città.
Supplizio di tre Napolitani ordinato dal Viceré.
Sua cavalcata per la Città,
XXVIII. Se dolse al Viceré il pensiero dell'ambasce-
ria, l'elezione degli ambasciatori in molti doppii più gli
rincrebbe"), per essere nel parlare pronti e distesi, &a«t^
poco amici, e della patria stimati grandi amatori. Sì che
veggendosi egli da cui meno si conveniva così apertamente
e scortesemente dispiacere, e trafiggere da ignominiose voci,
che per la città in suo biasimo s' udivano , montato ia
furore, pensò avere'') già perduto interamente la regia mag-
gioranza , in cui egli tanti anni era stato riverito , né con
mansuetudine o clemenza poterla riavere , ma esserli
forza racquistarla col terrore o ^) col sangue : i quali o
sarebboao cagione di raffrenamento a' Napolitani , o li
stimolerebbono a commetter fallo, che togliesse ogni fe-
de air accuse , che di lui farebbono a Cesare. Di qualità
che essendo nelle prigioni guardati tre gentiluomini Fa-
brizio d'Alessandro , Antonio Villamarina, e Gio: Luigi ^)
Capuano per aver tolto dalle mani della famiglia della
Corte un che menava prigione , innanzi che dall' impu-
tazion loro apposta ^) fosser potuti difendersi , tornato il
Vicer* da Pozzuolo se gli fé tutti tre di notte tempo con-
a) Nel primo manuscr. Dolse al vi- à) Nel secondo manuscr. Gianluigi,
eerè il pensiero dell' ambasceria e mol- e) Nel primo manuscr. impugnation.
to più gli rincrebbe etc. loro appesta. Nel secondo oianujeritto
b) Nel primo manuscr. per havere. anche piii «correjlamentó Imperadore
e) Nel primo maouscr. e col sangue. loro appostalo.
ISTORIA d' ITALIA 101
durre j e guarnito il Castello di molta fanteria spagnuo-
la, e messe ad ordine tutte 1' artiglierie, eziandio contra-
dicendoli parte del suo Consiglio , comandò ad uno schia-
vo moro » che in sul fare del giorno segata ior la gola ,
li gettasse nel piano fra la città , ed il Castello. II quale
fatto sanguinoso e che assomigliava vendetta più che giu-
stizia, commosse alquanto quella città , ma non trascorse
in altro che nella morte d' un alabardiero della guardia
di lui dilungatosi dal Castello. Per la qual cosa cresciuto
r ardimento al Viceré , mandò per suoi amici nobili e
signori , ed accompagnato da essi e da gran numero di
Spagnuoli a pie ed a cavallo volle cavalcare la città, contra
il parere di molli che sentivano fosse da procedere più
temperatamente. Per la quale egli discorse col volto fie-
ramente turbato , e con occhi che scintillavano fuoco.
•E avvengachè gli andassero avanti alcuni uomini d' alto
affare , ammonendo e pregando il popolo a non far mo-
vimento contra lui , e che lo salutasse e riverisse per non
incorrere nel peccato di ribellarsi al suo Principe, niente-
dimeno ") non fu possibile che persona gli facesse segno di
riverenza , anzi con pari collera e sdegno al di lui lo ri-
guardarono. Ma con tutto ciò la gran modestia de' Napo-
litani quel giorno , da' volgari appellata viltà , per tutti
i secoli meritevolmente è da ricordarsi e da celebrarsi.
Conciosiachè essendo essi per natura altieri e coraggiosi ,
ed allora armati e sollevali ed offesi e senza alcun freno di
temenza del Viceré''), avendolo nella strettezza delle loro
vie, e per rispetto alla Ior infinita moltitudine solo e dis-
a) Nel secondo manuscr. iiienledi- b) Nel secoudo maouìcriUo dal vi-
manoo. cere.
loa PORZIO
arnuilo , non d' ullio l' offtsero che eli non rìveriilo. E4
infallibihnenle se i fratelli o i congiunti o gli amici de
UiOiti in quella medesima mattina avessero sfoderata più*
una spada, o dato fuoco ad un archibugio, né il Viceré,
né i suoi compagni dal furor degli altri giammai sareb-
bono campali. Fu tanta dunque la sofferenza ed il tempe-
ramento d' un popolo intero e numerosissimo, quanta ne'
tempi anlichi o ne' moderni in uu solo uomo -^ì è saputa
desiderarsi. Pur fatto il Viceré al Castello ritorno, fu da'
suoi lusinghieri di fortezza e di franchezza d' animo lo-
dato, ma dagli uomini saggi del temerario ardire ed allora,
ed oggidì,'') fortemente biasimato..
Tumulti nella città..
XXIX. D seguente di di vulgossi voce costante ed uni-
versale, il Viceré fatta esperienza della timidità popolare
mandare 0 dugento Spagnuoli a far prigione Cesare Mor-
mile e Francesco Caracciolo Prior di Bari , gentiluomini
più seguiti degli altri dal popolo j di maniera che quello
armossi, ed apparecchiossi a difenderli"^), e dubitando della
iede de' gentiluomini e baroni che il precedente giorno
avevano tenuto compagnia al Viceré, concorse anco impe-
tuosamente alle case di tutti, e fattili uscir fuori, e con-
gregare in Santo Lorenzo, sopra l'imagine di Cristo Croci-
fìsso li fé ^) solennemente giurare, e per istrumento pubblico
obbligare a dover essere con esso lui uniti al far servigio^
a) Nel primo nianuscr. con un sol e) Nel prim* manuscr. mandasse,
hucmo. d) Nel primo manuscr. difenderle.
b) Ne) primo manuscr. hoggi,. e) Nel secondo manuscr. manca li.
ISTORIA, d' ITALIA I o3
alia Maestà di Dio, dell' Imperatore^), ed alla lor patria.
Per conto della quale unione fu tocca dalla plebe la
campana maggiore di quel tempio a martello con gran
repngnanza degli Eletti timorosi che ciò fosse a quella
Città potuto imputarsi a ribellione. Ma lo strepito dell'ar-
mi avendo turale 1' orecchie della moltitudine concitala
alle sottigliezze legali , ella fu per gittare dalla sommità del
campanile uno di essi Eletti nobili Marino Rosso. Sopra
il quale campanile, e per gli sestieri^) di Napoli, che han
nome Seggi, furono ritte <=) le bandiere con l' Arme Impe-
riali'^), e fattasi solenne*^) e pubblica processione, la cui
Croce avanti portò in mano il Marchese di Pescara fanciul-
lo ancora, ma che per l'atto virile diede infallibil segno di
quel chiaro capitano, che oggi il mondo vede ed onora j
seguivanlo') appresso i signori, ed i nobili ed ignobili indif-
ferentemente, ogni lor disuguaglianza uguagliando la carità
della patria. Allaccossi alla ))iazza dell'Olmo l'altro giorno
grave contesa fra gli Spagnuoli, ed i cittadini, di cui non è
dubbio che gli autori fossero Spagnuoli : la quale accrebbesi
in tanto, che di militar combattimento ebbe la somi-
glianza ^ perciocché il Castello Nuovo , e le rocche di
San Martino, e dell'Uovo, e le galee del Molo con or-
ribil suono, benché con picciol danno, per tutto il gior-
no la citlà batterono : e la fanteria Spagnuola a colpo a
colpo fu alle mani co' Napolitani. 1 quali poco prez-
zando le percosse dell' artiglierie dinanzi alle lor bocche
a) Nel primo manuscr. all' Impera- imperiale,
tare. e) J>t:l secondo aanuscv. pul'^l'ca e
h) Nel primo manuscr. ^imr/t'm. solenne
e) Nel primo maniisci. e/Zf. f) Nel pilnin inanusciitlo «e^^MJ-
d) Mei seiwudo maouscr. con Zanna tondo.
1('4 PORZIO
aniracsaraeiite adopravansi. E non molte eenlinaja di ve-
terani Spagnuoli ancor essi con molto valore sostennero
V empito di un popolo senza numero. Onde amendtie le
parti per le ferite datesi, assai terreno^) insanguinarono^
alle quali il vegnente giorno pose^) fine per una triegua.
Gli amhasciatori del Viceré e della Città
a Cesare..
XXX. Imperocché il Viceré dolente a morte che tutto
r ottimo suo governo per quel solo sollevamento venisse
bruttato e guasto , promise per isritto di sua mano , e
la Città medesimamente, non innovare cosa alcuna per in-
sino al ritorno dell'Ambasciatore dall'Imperatore, appo
il quale per avere il Viceré anche egli difensore d' auto-
rità e testimone '^ì di veduta, roandovvi il Marchese della
Valle Spagnuolo e del Castello Nuovo Castellano ^ che
infermato il Principe di Salerno per camino"^), fu il primo
a giugnere in corta Imperiale, e fuvvi benignamente rac-
colto , e udito. Non così avvenne agli Ambasciatori di
quella Città pervenutivi, anzi fu loro imposto arditamente
che alla presenza Imperiale non comparissero, ma che
con Arasse, e Figueroa uomini del Consiglio Cesareo trat-
tassero la bisogna^). A' quali fattisi essi davanti inconta-
nente apersero la cagione della loro venuta, e attendendo
risposta a nome dell'Imperatore, fu letto loro dal Segre-
tario Vargas ^ ) comandamento acerbissimo , che il Prin-
a) Nel primo roanuscr. il terreno in- d) Nel secondo manascr. in camino .
vece di assai terreno. e) Nel primo manuscr. lor bisogno.
b) Nel primo manuscr. si pose. f) Nel primo manuscr. ^e»"^a , nel
e) Nel primo manuifr. testimonii. secondo Varga-
ISTORIA d' ITALIA lo"
c'pe di Saìoiuo alla pena della testa di là non partisse ^
Placido di Sangro rivolgesse a dietro di presente , com-
pagno del Marchese della Valle ^ significasse alla Città che
ia forza del Viceré consegnasse l'anni, prestassegU la do-
vuta obbedienza e ad esercitar le sue arti chetameute si
riducesse. Accettò il Principe obbedite al comandamento,
ricusò Placido , dicendo non convenirsi nò alla fedeltà
della sua Città né alla persona propria 1' essere riputato
indegno di giugnere nella presenza del suo Re : e repli-
cando coloro che gli ordini del padrone ») avevano ad e-
seguirsi, soggiunse, che i giusti ed i ragionevoli riveri-
rebbe ^) tuttij ma ritornare alla patria senza essere udito,
di suo volere noi farebbe giammai. Superò la saldezza di
Placido la durezza del decreto , e fu introdotto ove se-
deva 1' Imperatore , che centra la Città di Napoli trovò
turbato forte e pieno di lamenti : pur egli con franco
cuore in cotal guisa gli ragionò :
Orazione di Placido di Sangro a Carlo V.
XXXI. « Invitto Cesare, la Nobiltà e ipopolo Napoli-
» tano divotissimi del vostro glorioso nome, e forse bene-
>•> meriti, condotti a miserabile calamità e ad estrema di-
» sperazione, sarebbon venuti popolarmente al cospetto di
5j Vostra Maestà, e scoverte le loro piaghe mortali, colmi
« di pianto e di strida l' averebbon ricerca d'alcun rimedio
X) pronto e salutifero : e certamente sarebbe venuto lor fatto :
w che i giusti prleghi de' suggelli non furono porti mai in-
a) N«l primo maauscr. del Principe. b) Nel primo manuscr. ricevenóùe.
i4
I06 PORZIO
j> damo a' Re buoni e clemenli. Ma volendo gli uomini
j> abituati nel male per non ammendarsi tener celati i lo-
M ro errori*), a tutte quelle genti pare di somma grazia,
jj se il Viceré colla potenza'^) del suo favore non impe-
s> disca che la sola voce mia quantunque debole e rozza
3> possa penetrare nelle benigne orecchie di Vostra Maestà.
>j Ma veramente e' si *=) sono ingannati ^ che il parlare di
M essi tutti a fatica potrebbe far conte l' ingiurie ricevute
j> da un solo, non che le mie parole sole potranno espri-
ij mere le miserie di tutti loro. Se pure non avessero avuto
j) riguardo che la gran prudenza dell' ascoltatore '') può
33 supplire del favellatore^) ogni mancamento. E perchè le
>j nostre gravi querele non sono da udire , non che da
jj credere , non purgandosi prima la colpa dell' avere noi
}> prese le armi , piaccia a Vostra Maestà ( poiché 0 il
■» silenzio è nimico del dolore ) che io largamente possa
3* dirle la cagione e la necessità e la forza del pren-
33 derle e dopo prese s) del ritenerle ancora. Il vostro ^)
33 Viceré per si lungo tempo avvezzo") nella dolcezza del
33 regnare , sommerso nelle delizie del nostro paese, tutto
33 il suo studio pone in pensando e speculando in qual
33 maniera può'') egli perpetuarsi in quel Governo, accre-
33 scersi nella grazia di Vostra Maestà , perseverarsi nel-
>3 l' opulenza del vitto e nell' assiduità del giuoco. E dopo
3) Nel secondo manuscr. de' loro /o/irp , v nel secondo del fauellamentp.
errori. I ) Nel primo manuscr. che.
b) 'Nel primo manuscr. pofes/à. g) Nel primo manuscr. m.inca e dopo
e) Nel primo manuscr. essi. piese.
d) Nel secondo manuscr. f/etf««?o/- h) Nel primo manuscr. «o^/to.
ture. i) Nel primo manuscr. /MPff/jc/o.
e) Nel primo manuscritto più sup- \) Nel primo manuscr. ^jm.
I:.TOniA B IT.'.LI.V 107
■)} ii:oIlo aggirarsi si è ulliniainenle avveduto the la base
3) e '1 sosiegno de' piaceri uinani ■') sono T argento e T oro,
w ed ha speralo per la nostra singolar fede inverso di
a V. Maestà poter formare sopra le spalle nostre ogni
M aspra miniera e profonda da cavar danari. E senza
w fallo al pensiero seguiva V effetto , se il nuovo modo
» del trar moneta , che egli ha divisato , togliesse altrui
w solamente 1' avere : ma esso lo spoglia al fermo della
w roba e dell' onore , e della vita ignuda noi fa sicuro.
>j Non è però questo altro che il tremendo Tribunale
■>} dell' Inquisizione ritto ^) già nella Spagna , per punire
w i falsi Cristiani , ma come fuor dell' ordine Canonico
a nell' Italia non ricevuto giammai, ed il cui nome, non
jj che altro , è si orribile e sì odioso a' nostri popoli
w che anzi sosterrebbono qualunque cruciato che al
w suo giogo sottoporsi. Laonde per rimuovere il V^icerè
w dal suo scandaloso proponimento 1' abbiamo più fiate
>j in pubblico ed in privato supplicementeO pregato a dis-
w torsi da impresa , che né al profitto di Vostra Maestà
" né all'osservanza della legge divina giovava j)unto.
■>i Con ciò sia che noi eravamo a])parecchiali senza carico
" suo ed ignominia nostra presentarvi lietamente tutte le
» facoltà , e tutte le sostanze nostre , e n' era a grado
5J ancora che deviando alcuno dal dritto sentiero Catto-
« lieo egli fosse rigorosamente di pena di fuoco castigato,
w ISon Jia potuto l'onestà delle preghiere nostre superare
w la disonestà delle cupidità suej anzi veggendo che de-
a) Nel primo manusc. manca àìper- b) Nel primo manuscr. reWo.
stverarsi fino ad umani. e) Nel primo manasc.supplicamente .
108 PORZIO
3j liberavamo venire ad impetrare dalla benignità di Vo-
jj stra Maestà quello che dalla durezza sua non si potea,
3j per ispaventarci tostamente si è volto al coltello ed al
M terrore 5 ed il sangue di molti innocenti ingiustamente
>j versato , armato e furibondo ha scorso la Città no-
3> stra. JNè restando dal minacciarne e dal perseguirne ="),
» alla fine per fuggire la morte , ne ha costretti e so-
jj spinti a dar di mano all'armi. La qual cosa togliendo
5> poi esso ad opportuna occasione ne ha apertamente as-
i> saliti , saccheggiati e morti -, e lo stendardo di Vostra
3> Maestà cotanto tempo da noi venerato, ed i soldati per
3« difesa nostra mantenuti, e le fortezze per nostro refu-
» gio edificate ha egli rivolte a' danni ed alla ruina no-
» stra''). Clemenlissimo Imperatore, le operazioni umane
5j dall'altrui intenzione vengono ree e buone giudicate. Se
jj per noi si fossero prese l'armi con animo perverso, ed
jj in dispregio della Maestà Vostra, siccome il Viceré ini-
jj quamente s'ingegna di persuadere , non nel prenderle
» vi avremmo offeso, ma nello esercitarle avremmo vio-
» lati i vostri Ministri , conculcata la giustizia, spezzate
» le prigionie de' malfattori, abbruciate le scritture reali,
» e le insegne Imperiali gittate a terra. Ma la Dio mer-
>j ce , e la buona mente nostra , pur una delle narrate
» sceleraggini non è pensato farsi , non che sia seguita j
»> anzi tutte queste cose assai più dell'usato abbiamo ora
» custodite e riverite"^). O eccelso, e sempiterno ccstu-
jj me della Città nostra che a' suoi signori manifesti più
a) Nel primo roaniiscritto perse- e rovina nostra,
guire. e) Nel primo raanuscr. riverite et
h) Nel primo manuser. a i danni custodite.
ISTORIA d' ITALIA If g
»> felle nell« turbolenze che nelle tranquillità, come l'au-
w lieo popol Romano afflitto dall' armi Cartaginesi nel-
» r eterne sue memorie rende ^) gloriosa testimonianza !
ì> Ma quale specchio più lucido e più veritiero può egli
w rappresentare alla Maestà Vostra la candidezza e la
« purità dell'animo nostro, che l'aver avuto noi armati
w ed offesi dentro alle case nostre racchiuso il Viceré, e
3i per riverenza di Voi , non di parole , non di fatti '*)
« offesolo? aver avuto artiglierie, e non adopratele? es-
« sendo giorno e notte rabbiosamente da tante castella
" battuti 3 essere io venuto cotanto spazio di terra a volo,
j) non che correndo, a' pie della Maestà Vostra '^) per quella
3j a man giunte , ginocchione , e lagrimando pregare e
w supplicare , siccome io ora la prego e la supplico ,
>3 che distendendo la mano della sua misericordia si de-
» gni sottrarre al ferro ed al fuoco ed al furor crudele'')
5> d' un uomo la tribolata patria nostra, che non ha gran
» tempo che per sostenere lo scettro di Vostra Maestà ella
>j tollerò da potentissimi nemici gravissimo assedio^ con-
ìì sumò grandissimo tesoro, e sparse sangue infinito. »
Bisposta di Cesare , e partenza di Placido.
XXXII, Al parlar di Placido , Carlo rasserenò la
fronte, e rispnsegli : « di necessità convenire Ini gire a INa-
M poli senza dimora per acchetarla , ed ove la intenzion
>j sua non fu mai di porre inquisizione j e ch'ella aveva
a) Nel primo manuscr. rendè. e) Nel pr. inanus. f/j ^os/ra jl/aMtó.
b) Il priiDO manuscr. non di parole d) Nel primo manuscr. cfe//è;ro,<Ì7/
ma di fatti. fuoco e dai fufvr crudele.
1 in PORZIO
« iatlo gt'aiidissluio disoidine a lor jiinia l'anni, e poi a
>j fainegli intendere la cagione j die nondimeno riducea-
M dosi essa subitamente all'obbedienza del Viceré con cle-
M menza sua avanzerebbe il peccato di lei ^). » Sì che
Placido prese da lui lettere per la Città e commiato a
parte dal ^) Marchese della Valle , indirizzossi verso iSa-
poll per istaffetla. La quale con non meno desiderio
aspettava 11 ritorno dell'Ambasciatore che con animo am-
biguo , non solamente per lo timore dello sdegno Cesa-
reo , ma per la speranza ancora , che per la venuta sua
potesse in parte ripararsi dall' ira del Viceré , il quale
avendo per lo spazio di due mesi continui in gran copia
jnovvedute le Castella , 1' aveva poscia per mare e per
terra furiosamente assalita , e per molti giorni con armi
e con fuoco combattuta.
// Viceré si provvede di armi e di soldati,
XXXIII. Iniperclocchè fiuto l'accordo che di sopra
dicemmo, ed avviati gli Ambasciatori, diedesi il Viceré a
correggere un grave suo mancamento, cioè a provvedersi
di tutte le cose necessarie all'offesa ed alla difesa, e sjìe-
cialmente di vettovaglie, delle quali le castella erano so-
lamente per la pace fornite. Aggiugnevasi che il provve-
dimento fatto a '^) sustentamenlo dell' avvezza Guardia
del Castello non poteva né una mezza Città né uno eser-
cito intero nutrire. Con ciò sia che il Viceré volendo
guerreggiare colla Città , era forza a' suoi soldati , che di
a) Nel secondo manuscr. la clemen- b) Nel primo manuscr. del.
za sua accatisirMe il peccato di lei. e) Nel pr. manusc. o sustenlamento.
ISTORIA D ITALIA I I i
dì in dì accrescevano , torre i lor viveri dalle caslella.
L' istesso avveniva ad infinite persone Spagnuole che ave-
van menato moglie a Napoli, ridotte o dentro o alle spalle
delle fortezze"), dove anche molti de' Napolitani medesmi'')
eransi ricoverati, non tanto per mostrare amore al Viceré
e fede all' Imperatore , quanto per tema del popolo, che
come di rnbelli della patria aveva le lor case predate *=).
Ma in questo mentre che il Viceré provvedesi nelle for-
tezze con ogni diligenza e rinforzasi '') , non intramise
il pensiero di sfornire ed indebolire la città , la quale
avvegnaché non isturbasse^) gli apparecchiamenti di lui,
pur con armata mano guardavasi. Ma per essersi seminato
studiosamente da' partegiani del Viceré , che ella era in-
corsa nella ribellione, e che rovina grande le verrebbe,
molta gente spaventata per essere lontana dalla fine di
fjnella dissensione si conferì alle terre convicine a Napoli;
ed i Baroni, cosi lor comandando il Viceré, 0 passarono ad
abitare la parte della Città sottoposta al Castello. I quali
detrimenti furono da' Napolitani coli' assoldare cinque mila
fanti risarciti j e stavansi così concordi s) , cheti, ed ab-
bandonnti , che non pareva avessero Ìl nemico dentro le
mura né sopra il collo verun giogo di Castello. Pur gli
occhi e le menti de' più savi di loro dubitando per la
tardanza d' irreparabile rovina erano volte^O nella Migna,
e la poca diligenza del loro Ambasciatore in ritornando
a) Nel primo maniisci. r/pf/oz/oif r/e/j- e) Nel primo manuscr. inturfiidasse .
tro et alle spalle rielle fortezze. f) Nel secondo manuscr. rt a ibarn-
b) Nel primo manuscr.manca medes- ni , così lor comandò il viceré , passa-
mi, e dice eran ricoverati. rotto e/c.
e) Nel primo roanuscr. depredate. g) Nel ^ecnndo mnnuscr. accorti.
ti) Nel primo manuicc. rirt/órzatosi. h) Nel pi in. i manuscr /«o/tó.
I 12 PORZIO
accusavano, e come di cosa interveiiiiLi ne furono indo-
vini. Perciocché il Viceré tra tanto ebbe agio a raccorre
cinquemila fanti Spagnuoli spai-si per lo Regno , e per
r altre parti dell' Italia , e molta gente ^) d' armi e ca-
valleria leggiera, i quali co' soldati della Città, come dis-
sesi , scambievolmente ed a guisa d'amici praticavano.
Combattimenti tra gli Spaglinoli e Napolitani^
XXXIV. Ma o che ingrossata T una e l'altra parte
fosse per impossibile 11 ritenerle dal contendere'^), o per la
concorrenza del valor dell' armi che regna fra queste na-
zioni Spagnuola e Italiana , o fosse 1' ardente sdegno del
Viceré, o un fortunoso caso che così portasse, il dì 22 di
Luglio con I' insegne spiegate ed ischierate a due , or-
ribilmente s' assalirono. E parve sul primo incontro che
la città fosse sopraffatta , essendo i nemici più presso e
più uniti al luogo dove si combatteva, favoriti dall'arti-
glierie delle Rocche , e dalla presenza del Viceré ina*
nimiti'^). Il quale acceso d'ira calato già alla porta del
Castello coperto d' armi e con la spada ignuda , infiam-
mava i soldati c&n alle grida a vendicare la ribellione
de' Napolitani col saccO' col ferro e col fuoco. Ma lo stre-
pito dell' artiglierie e degli archibugi risonando per tutta
la Città subitamente destò il popolo ed i suoi capi al-
l'armi, i quali volati '^) là dove il bisogno appariva mag-
giore di qualità rinfrancarono gli animi de' lor soldati che
a) Nel primo manuscr. molle genti. e) Nel primo manuscr. e dalla spe-
b) Nel primo manuscr. manca dal ranza del Viceré inanimati.
contendere. A) Nel primo manuscr. abiati.
ISTOniA d' ITALIA I ì'ò
11)91110 al piano del caslello rincalzarono-') gli Spagntiuli, e
con tanto lor disortline che per {)Oco mancò non perdes-
sero le bandiere^) ed alcuni pezzi piccoli d'artiglieria, tratti
Inori dal castello per battere le vie per entro la Città.
Kon si disciolse la battaglia prima della notte nella quale
i Napolitani vegliando in tutti i luoghi opportuni dirim-
petto al Castello nuovo interposero trincee. IVè gli Spa-
gnuoli dormirono, perciocché oltra le trincee 0, che anco
essi dal canto loro drizzarono, incrudeliti negli ediflcii''),
tornarono ad abbruciare parte delle case da loro nel prin-
cipio dell' assalto sforzate e rubate con molta crudel-
tà ed avarizia, mettendo eziandio le donne trovatevi iu
servitù e disonesto «so. Combattessi insino al terzodeci-
mo dì della rottura della triegua nelle vie e fralle case e)
con vani eventi e con gran ferocia 0 e durezza d'animi.
Era il perìcolo de' Cittadini maggiore in su la notte che
dalle fortezze continuamente venivano vessali , e da gli
assalti nemici non mai sicuri. Per la qual cosa buona
jiarie delle lor donne si rinchiusero ne' monasteri , e
molti uomini dalla città cogli arnesi sgombrarono. D'as-
sai 8) più sarebbe stata vota per la strada del mare , se
una fusta del Duca di Firenze*') predando non l'avesse Im-
chiusa. Né la via per terra ne' campi aperti') era bea
sicura , imperocché i cavalli leggieri per mancamento di
a) Nel primo manuscr. incalsarono. e) Nel primo manuscr. nelle case,
L) Nel primo mauuscr. non perdès- f ) Nel primo manuscr.yèroc»/a.
sera ùanefierr. g) Nel primo manuscr. e< nwaj.
e) Nel secondo manuscr. mancano le li) Nel primo manuscr. Fiorenza, a
parole; A'è gli Spagnuoli dormirono, così dopo.
perciocché oltra le trincee. i) Nel primo manuscr. noit havtss-y
d) Nel primo manuscr. agli edifici. lor chiusa la via , ne i c^pi aperti.
« l4 PORZIO
vivere^) , e per rubare in molti lati diecorrevano. Ag-
giugnevasi a questi lor mali 1' aver per cosa certissima il
venir loro addosso grossa e scelta fanteria Italiana mandata
in soccorso del Viceré dal Duca di Firenze , e da Don
Ferrante di Gonzaga'') sulle galee del Boria e dell'istes-
so Regno. Non potevano uè mandar di nuovo a Cesare
uè ritrarre cosa niuna de' mandati per lettere o per mes^
saggi , tenendo il Viceré a questo fine chiusi e guardati
liuti i passi del Reame.
Venuta di Placido in ISapoli. I Napolitani
depongono le armi,
XXXV. Niente di manco circuiti da tante angustia
non si abbandonavano i Napolitani alla Città rimasi, ma
fidatisi nel loro valore e nella giustizia della causa , né
si spaventavano del Viceré né del padrone diflidavansi-
Ma nel fervore di queste tante procelle apparì loro Pla-
cido j il quale condottosi dove erano gli officiali della
Città ragunati , con chiara e lieta faccia palesò loro la
volontà dell' Imperatore in non volere nel Regno inqui-
sizione, e la grande inclinazione del suo animo a far loro '^)
genefal perdono di quel tumulto , purché il suo coman-
damento immantinente fosse obbedito^ e così fare esso gli
esortava e pregava, acciocché il pronto obbedire cancel-
lasse ogni mancamento dal Viceré loro potuto imputar-
si •*). Era quella Città di grande confusione ingombrata ,
avendo a disarmarsi, e nelle braccia*) del nemico armato
^) Nel primo nianuscr. del vivere. d) Nel primo raanuscr. del vic&rè lo-
b) Nel secondo raanus. c/a G'o/zpao'ir. ro potuto impugnarsi.
e) Nel primo maouscr. a//'ij/' fo/o. e) iVel primo mauuscr. /;e/i;v7rc/o.
ISTORIA d' ITALIA ll3
jiineltersi, senza sapere che l'Imperatore imponesse^) al
Viceré 3 oltrachè egli per l' addietro e prima dell' essere
offeso costumava eseguire gli ordini dell' Imperatore cbe
fosse ^) a lui paruto. Tuttavia mossi i Napolitani dalla
loro naturale divozione al Padrone , confortati dalle pro-
messe di Placido, e sospinti dal non parer '^) loro di aver
errato , determinarono far puntualmente quanto nel co-
mandamento veniva contenutole dato ordine aH) far pai-
tire i soldati dalla Città, notificarono al Viceré, che co-
mandando loro l' Imperatore che posate le armi gli ren-
dessero l'obbedienza , sé esser presti a ciò fare, e come
prima l' obbedirebbono. Per la qual cosa il Viceré oltra-
niodo vago della pace, e certificalo della volontà dell'lm-
jìcratore per lo Marchese della Valle, e che se egli dan-
nava la presa dell'armi de' Napolitani, non commendava '')
in parte alcuna l' averne lor data colorata se non giusta
cagione, levò T offese, e fatti uscir fuori di Napoli gli
Spagnuoli , ordinò a' Napolitani che gli recassero nel
Castello tutte le loro armi. Ed avutane gran parte al na-
sconder del rimanente con savio partito 0 chiuse gli occhi,
e solamente comandò che gli fossero consegnati quaran*
taire pezzi d'artiglierie della Città, che quantunque con-
tri lui non fossero adoperali , pur tratti dalle braccia de'
cittadini e de' gentiluomini gli furono prestaraenie con-
dotti. V^eduta il Viceré si pronta ed umile obbedienza de'
Napolitani per non uscire dal canto suo dagli ordini ini'
a) Nel primo manaser. s' imponesse. H) Nel primo manoscr. da/,
h) In ambedue i maumCT. /ossero. e) Nel secondo manusc. co/;ia'!.7at'
e) Nel secondo maDuscriUo dal non f) Nel primo manuscr. maaca colf
potere. savio parlilo.
Il6 PORZIO
penali , non differì al chiamare gli ofHciall della Città, e
palesar loro che Cesare riguardando più alla sua Cesa-
rea ed Imperiai clemenza che a' demeriti loro, faceva uà
general perdono delle cose passate fuorché ad alcuni po"
chi stati in quel movimento =") capi.
Novella ambasceria de" Napolitani a Cesare.
XXXVI. Ma avvegnaché per questa loro grande umiltà
credessero i Napolitani aver pagato il debito che erano
tenuti air Imperatore, e lo sdegno del Viceré ammollito,
uientedimanco dell' animo d' amendue temevano forte.
Imperocché il Viceré faceva alcuna operazione in ven-
detta dell' offesa ricevuta , e dal Principe di Salerno ve-
niva scritto l'Imperatore perseverare*^) a credere (così dal
Viceré e da' suol fautori persuaso) di quella controversia
esser stata 1' origine la nobiltà, ed ingannevolmente avervi
sospinto il popolo, e non cessava di risguardare con oc-
chio irato esso Principe. Il cui non buon animo com-
prendevasi ancora dall'avere in segno di pena e di ver-
gogna tolto alalie lettere , che a quella Città indrizzava ,
il titolo di Fedelissima^ uso per l'addietro ad onoramela.
Delle quali cose i Napolitani timidi divenuti, che contri
essi a peggio operare 1' uno e T altro non procedesse , e
mesti per la disgrazia del Salerno per salvamento di loro
avvenutagli, deliberarono mandar nuova ambasceria all'Im-
peratore , e comunemente uomini nobili ed ignobili.
Furono gli ambasciaJori Giulio Cesare Caracciolo e Gio:
a.) Nel primo raanuscr. iti rjiiei nio- ìA Nel primo inanujciiilo /lerseve-
".'ime/iti. rava.
J
ISTORIA. D ITAtU IfJ
Balista Pino. Per la costoro opera ottenne quella Città
ciò che allora dall' Iraperator desiderava^ perocché il Ca-
racciolo destro e delle Muse amico , non accusando
ajiertamente il Viceré , né affatto l'errore della città scol-
pando , addolcì in gran maniera V animo inacerbito di
Carlo , e persuadello che la nobiltà Napolitana non pure
tollererebbe D. Pietro di Toledo per Viceré, s'egli sue
usanze e suoi privilegi non guastasse , ma quandunque
così fosse a grado a Sua Maestà gli jxìrrebbe nel capo una
corona reale. Fu eziandio a quel tempo celebre un atto del
Pino, il quale mentre si affaticava di rappresentare all' Impe-
ratore il grado della superbia ove era il Viceré salito per
la smisurata autorità concessagli, trassesi di seno una me-
daglia fatta scolpire dall' istesso Viceré =*) con sua effigie, e
con parole e riverso di sentimento Reale. Affermano'') tre
fiate Carlo averla nelle mani ripresa , ed attentamente ri-
guardata j e senza alcun dubbio cosa ninna commove *^),
e pugne più gli animi de' Re che l' aver compagni nel
regnare-
Informazione presa del succeduto in Napoli
e risultamento di essa.
XXXVII. Ottennesi parimenti per questi Ambasciatori
che r Imperatore inviasse a Napoli un personaggio il quale
presa vera informazione del succeduto, facesse apparire il
poco o il mollo che perciò quella città fosse colpevole ;
e così fu fatto. Imperciochè egli mandovvi il Vescovo Mui-
a) ÌScl primo maniiscr. con istesso b) Nel primo mannscr. afferma,
viceré. e) iNel secondo manuscr. communi.
Jl8 PORZIO
dana Spagnuolo , die prima di avev formato il proceàso
»i mori. Kientedimanco il Consiglio Imperiale mosso, co-
me si disse , dalle scrinare di lui , readendo l' artiglierie
e gli cuori alla Città, e la maggior parte degli sbanditi,
per questa sedizione la condaDnò in centomila scudi ,
picciola somma per rispetto alle grandissime che da lei e
dal Regno in nome di dono ciascun anno 1' Imperatore
. traeva , ma grave a petto al fallo. Conciosiacosachè fu
d' inaudita riverenza e di fede esemplare, che nel corso
di più mesi che durò questa contenzione , e specialmen-
te negli ultimi giorni che con rabbia ferma ed irrimedia-
bili ^) rovine si combattè da' Napolitani cogli Spagnuoli,
non si udisse mai gridare altro nome che della Spagna e
dell' Imperio , tutto che quella Città fosse ripiena d' uo-
mini di perduta speranza e di banditi che, assetto il tu-
multo , o di necessità conveniva loro rapinare fra genti
strane, vagabondi e mendichi'^), o ne' boschi e nelle
selve del Regno farsi preda a barigelli ed a' capestri. Te-
messi bene dagli uomini giudiziosi che alcun Barone ri-
bello, che non venti anni prima seguendo l' insegne Fran-
cesi viveva della patria e dello stato in bando , avesse
macchinato in pregiudizio dell'Imperatore, per lo cui fallo
tutti gli altri fossero pericolati : ma molti Santi in molta
riverenza da' Napolitani avuti, e stimati della^^) loro Città
particolari difensori , renderono anche vano quel ragio-
nevole timore. Imperocché quantunque dal Viceré si fos-
se usata ogni diligenza , ricercando le loro scritture ed
a) Nel primo manuscr. irremedia- mendiche.
hile rovina. e) Nel secoado manusci'. dalla loiny
b) Nel primo manusci. i'<7.?a6o/)f/e e città.
ISTORIA d' ITALIA. Iig
azioni pubbliche e private per ritrovare trattati o inteD>
<limenti *) avuti da essi con Principi , eh' egli a quel
tempo giudicava poco amici dell' Imperatore , non potè
trovare alcun' ombra né segno d' instabilità. Per la qual
Cosa io ho slimato degno della memoria delle lettere il
narrato movimento della Città di Napoli più che per es-
servi morte d'intorno a due mila persone, e cento cin-
quanta case abbruciate , e fattasi per gli Cittadini inesti-
mabil perdita di robe. E deve eziandio memorabile es-
sere riputato per la non bisognevole pertinacia di Cesare
in volere perpetuare quel governo nella persona del Vi-
ceré dopo l'essere seguite tra lui e quella Città mortali^)
offese. E tuttavia avvenne a punto come egli desiderava^.
Con ciò sia che il Viceré da ciascuno in particolare ^) e
da tutti insieme trovò maggiore obbedienza dell'avuta da pri-
ma, né cadde in pensiero di persona di offenderlo giam-
mai. Onde si vide che con fortunato più che prudente
consiglio l'Imperatore rendè vana quella trita sentenza che
negli oda universali altri non ha sicurezza veruna.
La qual cosa io non credo si sia da imitare , avendo Carlo
o la mina di quella nobile Città o la perdita della di-
gnità Reale posta nelle mani di qualunque scellerato avesse
voluto far offesa al Viceré; che fra tanta moltitudine au-
dace e danneggiata *) fu veramente un miracolo il non ri-
trovarsene le centinaja.
a) Nel primo mìuusc. ùìtenJimenii sidernva.
'1 tr.ìtiati. d) Jiel primo manuser. maoci in
b) Nel piirno aianuscr. notabili. particolare.
e) Nel secondo maouscr. OTae^yA' afe. e) Nel primo maausc. danneggiava.
l20 PORZIO
Il Pontefice colV animo ognora più dilungasi
da Cesa/'e.
XXXVni. Ma né per lutto ciò fu possibile a dar-e
a<l intendere agli Spagnuoli che il Papa ed il Re di Fran-
cia in quella turbazione non tenessero le mani , e non
solamente lo crederono , naa inconsideratamente 1' hanno
Jielle loro scritture testato ; la quale opinione del Papa
accrebbesl molto per le cose poco dopo seguite. E di
vero il Pontefice Paolo coli' animo dall'Imperatore ogno-
ra più dilungavasl ^). Imperciocché benché egli avesse
mandato nella Magna il Cardinal Sfrondalo Legato a
rallegrarsi della vittoria conseguita contra'') il Duca della
Sassonia , ed ornatolo ne' brevi di gloriosi titoli , mas-
simo e forlissimo nominandolo, nientedimanco veggen-
dolo pertinacemente rifiutare ogni profferta fattagli dal
Legato per indurlo che il Concilio si celebrasse fuor di
Trento , ed in oltre perseverare in non volere investire
Pier Luigi, e prendere la sua difesa , come al lor parentado
ed a' memorabili ajuti frescamente portigli ed a' meriti
de' nipoti pareva richiesto, con molli dimostramenti dava
il Pontefice certo segno di volere procacciare la stabilità
del figliuolo dal Re di Francia, ed era in pensamento di
molti che egli non trasportato da volontà , ma da ne-
cessità astretto il dovesse fare ^ perchè essendo col pie
sulla fossa , e non fermando il figliuolo colle forze di
Francia, non era altro che darlo in preda a Cesare to-
sto ch'egli partisse dal mondo.
a^ Nel primo manuscr. si diiungava. h) Nel primo mauuscr. tra:
ISTORIA D ITALIA I2t
Pier Litigi Farnese favoreggia i Fr'ancesi.
XXXIX. Nella quale opinione assai più del patire
slrabocclievolmente procedeva il Duca Pier Luigi, ed era
a tal venule che nelle sue terre favoreggiava apertamente
qualunf[ue partigiano de' Francesi , e gl'^) Imperiali
perseguiva ed oltraggiava j al che'') le qualità del nuovo
Re di Francia lo sospingevano grandemente. Perocché
il marzo di queir anno medesimo i547 » raancando il
magnanimo Re Francesco , era a lui nel Regno succe-
duto il figliuolo Enrico , Principe che nelle guerre ad-
dietro aveva dimostro prontezza nel maneggiar l' armi
e valore e prudenza"^). E già tenevasi per certo che
fermo bene il piede nel Reame dovesse far pruova delle
forze e della fortuna sua coli' Imperatore Carlo , il
quale giudicava Enrico non per altro avvenimento aver
battuta e superata la nazion Francese, che per la impru-
denza e per la negligenza del padre. Con ciò sia che il Re
Francesco di lieta natura ed aperta, ed avvegnaché '^) com-
piuto delle virtù che in altissimo Re si sieno richieste ^),
ricevè la maggior parte delle sue percosse o per lo t!oppo
fidarsi o per lo soverchio avvilupparsi ne' piaceri umani ^
le quali due cose ne' gravissimi e grandissimi affari
disavveduto il renderono e trascurato. Per l'opposito En-
rico taciturno e simulato 0, avido di gloria e d' impero, co-
a) Nel sccontio manuscr. degli. che.
L) Nel secondo manuscr. al quale. e) Nel primo manuscr. si possono
e) Nel primo manusc. manca nelnia- richiedere,
ne^giar l' armi e valore e prudenza. f) Nel primo manuscr, manca e «-
<3) Nel primo manuscr. et avvenga mulato.
16
122 PORZIO
me prima eljbe In mano lo scettro del Regno , fugò da
fiè e dalla Corte Reale tutto quello che al padre era di
carnale diletto e di non giovevole spesa cagione. Ri-
chiamò a sè^*) Anna Memoranzi gran Contestabile del Re-
gno e savissimo Barone che per cause leggieri fu dal re
Francesco ^) scacciato e confinato in una villa di lui. At-
tendeva anche Enrico con ispesse mostre e rivediraenti <=),
a ripulire ed accrescere l' armi Francesi, a munir fortezze,
accozzar danari '^) oltre al buon numero di essi dal Pa-
dre lasciatogli. Non meno del prudente procedere del Reag-
glagneva animo a Pier Luigi la ben regolata e vigorosa vita
di Paolo, che porgeva ferma speranza di dover trapassare
tutte le altre de' Pontefici preteriti avventurosamente j ed
avendo per compimento della sua felicità pur allora
collocata in matrimonio la figliuola di esso Pier Luigi al
Duca di Urbino, al quale a quei giorni s' era morta non
pensatamente ^) la moglie Varrana senza lasciargli erede ma-
schio, per liberare 0 Paolo di quella sola cura , che d' al'
tamente porre tutti i suoi discesi gli era rimasa.
Cause del disgusto contra Pier Luigi.
XL. Vivevano i Fenda tarii ed uomini nobili soggetti
al Duca Pier Luigi sotto il suo dominio per molte cagioni
malcontenti assai. Con ciò-sia che tanti anni stati sottoposti
alla sedia Apostolica avevansi s) una libera ed opulenta ser-
a) Nel primo raanuscr. richiamossi. olire eie. lasciatili dinari.
b) Nel pr.manusc./M da Francesco. e) Nel primo manuscr. manca non
e) Nel primo manuscr. con le spes- pensatamente.
se mostre. f) Nel primo manus. e per liberare.
d) Nel primo manuscr. et ac'collar g) Nel primo manuscr. havevano.
ISTORIA d' ITALIA 123
villi goduta, ma ora ridotti sotto la signoria del Princi-
pe dì picciolo stato e d' incerta fortuna , e costretti ad
obbedirlo =>) per lo timore delle fortezze che frettolosamente
vi si finivano e de' soldati ^) die vi si avevano a mante-
nere , cominciavano a sentire del vero giogo servile la
gravezza. Oltrachè Pier Luigi estimando gli animi no-
hili avere a sdegno i nuovi signori , era volto a solle-
vare il popolo ed alla nobiltà eguagliarlo, massimamente il
Piacentino, per essere i gentiluomini di parte Imperiale : i
quali anche aveva costretti per riempire quella Città di
abitatori a tralasciar la stanza delle castella di loro giu-
risdizione ed in città dimorarsi. Ed ultimamente •^) gli aveva
privi d' una parte de' vassalli che eglino dominavano.
Imperocché per tutto il suo stato era fatta una perpetua
ordinanza di soldati a pie, e non voleva che i suoi '^) feu-?
datarli lor Signori li comandassero , ovvero de' loro de-
litti li punissero, dicendo ciò appartenersi a' capi soprap-
posti da lui a quella milizia. E con tutti questi tratta-
menti nuovi ed aspri si sarebbono i Piacentini indu-
giati a comraoversi conlra lui, vivente il Padre decrepito
già tanto , che a niuno pareva lungi il suo fine.
Con^ura de nohili Piacentini cantra Pier Luigi.
XLI. Ma la grande offesa fatta dal Duca Pier Luigi al-
rimperatore per la morte di Giannettino Doria e per l'aver
proccurato di dar Genova e le galere del Doria al Re di l'ran-
a) Nel primo manuscr. obbedire. e) Nel primo manuscr. mania ed.
h) Nel primo luauuscr. da i soldati. d) Nel primo manuicr. uiauca«(W«.
124 PORZIO
eia, griiidussero al troncar ogni proliingamenlo del terselo di
sopra le spalle. Nella quale cosa sperarono avere per com-
pagno il Principe Doria e per fautore D. Ferrante da
Gonz;iga =>), che anche egli del Papa e de' Francesi trova-
vasi mal soddisfatto : i quali avevano ad odio ^) per la stessa
cagione che portavano <=) malavoglienza al Principe Doria^
cioè •*) per essere slato ^) egli uno de' persuasori all' Im-
peratore di non dare loro lo stato di Milano. Sì che per
vendicarsene e per la cupidigia di avere rendite eccle^
siastiche posero in litigio al fratello di D. Ferrante Car-!
dinal di Mantova un benefìcio de Jure Patronato ricchi»^
simo conferitogli dalla Marchesa di Monferrato sua cogua-?
ta , e somigliantemente il Priorato di Barletta , conce-
duto dal Gran Maestro della Religione gerosolimitana al
suo figliuolo. Oltre a ciò al Vescovo di Pavia de' Rossi
di Parma parenti de' Gonzaghi avevano usato rigida giu-
stizia a Roma infino al privarlo del Vescovato , il cui
possesso denegava D. Ferrante al Cardinal del Mon-
te che fu poi Papa, a chi il Pontefice I' aveva concedu-
to. Con queste speranze adunque i nobili di Piacenza
cominciarono a disporsi di macchinare conlra il lor Duca
Pier Luigi 5 e credesi Oche il Conte Agostino Laudi e) per
le cagioni sopraddette , e per l'essersi divulgato che il
Duca volesse torgli Bardi e Compiano Castella, desse al
trattato cominciamento col Principe Doria infin d' al-r
lora che egli fu mandato Ambasciatore a Genova. Altri
a) Nel primo manuscr. manca eh. d) Nel primq raanuscr. cioè che
L) Nel primo xa^nm^^x . li quali Ita- e) Nel secondo raanuscr. manca i/ato.
vevano in odio. f) Nel primo manuscr. vedeai.
'. p) Nel primo manuscr. /ior^/>o, g) Nel secondo manuscr. tra per.
.1
fi
{
ISTORIA d' itali. V I aS
vogliono che il Conle Giovanni Anguisclola, conosciuta la
mala contenlczza de' gentiluomini , fosse il primo a ra-
gionarne. Ma qualunque di loro due si fosse il motore ,
quelli che insieme congiurarono furono i due delti, Gio:
Luigi Confaloniero, e tre Fratelli Pallavicini, Scipione,
Girolamo, Camillo, ed Alessandro, ") i quali iu questo pen-
siero giorni e mesi consumarono , non jier rinvenire la
miglior via che dovessero tenere ad eseguirlo ( che agli
animi deliberati ogni calle strettissimo ^)ed aspro si fa <^) age-
vole e spazioso ) ma per la dubitanza dell'avere a pericolare
dopo averlo conseguito , considerando i congiurati , che
a uiun profitto della patria , a niun giovamento di sé ^)
uccidevano il tiranno ( siccome essi il chiamavano), aven-
do non a guadagnare la libertà per la morte sua , ma
a scambiare la servitù , se non più dura , almeno più fa-
ticosa , per comprendersi che per ricoverare quella città ,
e far vendetta della morte di Pier Luigi , il padre ed i
figliuoli '') volgerebbono sottosopra Oil mondo, e gli uccidi-
tori con tutta la lor possa perseguirebbono. Oltrachè I
congiurati non avrebbono giammai sicurtà a bastanza che
1' Imperatore per volontà , se non per forza , gastigato
Pier Luigi delle oDfese fattegli, non rendesse Piacenza al fi-
gliuolo di lui Ottavio, che gli era genero e figliuolo, ed ave-
vagli generali nepoti, ed in tutto il corso di sua vita s) leal-
mente servitolo. La quale cosa se ella avvenisse, vedevano
a) Nel secondo manuscr. vi è una niun profiUo della patria a niun gra-
lagiina dopo la parola Pallavicini. In vamenlo era , e fu poi correUo niun
ambedue poi i manuscnlti leggesi e p. d. p. niun g. e.
tre fratelli Pallavicini. e) Nel primo manuscr. figli.
b) Nel primo manuscr. stretto. f) Nel primo manuscr. sotto sopra.
e) Nel secondo manuscr. sie agevole. g) Nel primo maQuscrilto della vita
à) Nel primo manuscr. leggevasj » sua.
a6 PORZIO
i congiurati che avverrebbe anche ignomluioso fine alle
lor vite, ed ultima distruzione alle lor case j né sarebbe
ninno che del loro matto ardimento non dicesse dritta-
mente =") essi portar la pena. Nientedimanco questi dubbii
potenti alla per fine furono deboli a raffrenarli. Perocché,
come sempre accade, V insofferenza del male presente vin-
se e superò il timore del futuro. E di vero l'amore della
patria e lo sdegno dell' avere a cedere agli inferiori ogni
animo nobile turba ed accieca forte. Aveva la nobiltà Pia-
centina tollerando la signoria di Pier Luigi di Ghibellina a
divenir Guelfa, di superiore al popolo farsegli eguale o
inferiore, oltre alla perdita della maggioranza de'loro sud-
diti , ed all'avere a divorarsi molte indegnità fatte loro
da' ministri ducali 5 alle quali cose non furono di picciola
giunta ^) le calde promesse del Gonzaga a nome dell'Im-
peratore , non ^) averli a separar mai dalla sua corona, e
con tutte le sue forze da qualunque nemico tenerli guar-
dati ed altamente premiali.
I congiurali danno la morte a Pier Luigi.
XLII. Sì che veggendo essi che il Duca sollecitava
il compimento della fortezza, la quale posta in punto avreb-
be lor dato troppo più briga all'eseguir l'impresa, e forse
anche spronati dal Gonzaga per lo timore che ^) Pier Lui-
gi fortificatosi non si fosse posto nelle mani de' Francesi,
da' quali era già per la città bisbigfio aver lui gran nu-
mero di danari ricevuto , a di 10 del mese «^ di Decembre,
a) Nel secondo manuscr. c/(/e/to«ie/i- e) Nel secondo msinasc. il non,
te essi portar le pene. A) Nel primo manuscr. di.
b) Nel secondo manuscr. aggiunta. e) Nel primo man. manca del meig.
ISTORIA d' ITALIA I 27
acciò che il fine di quest' anno i 547 ^' tratllmenlo e di
sangue dal cominciamenlo nondifTerisse, separalamento l'uno
dall'altro congiurato sull'ora ") del desinare nella" fortezza
condussersi, da'loro servienti e familiari accompagnati in nu-
mero non più die ^) trentasette. I signori de' nostri tempi
che non hanno apparato *=) dalla vigilanza e dal dispendio
poter derivare la loro sicurezza, per minor briga e per mag-
gior risparmio hanno per costume non dar mangiare nelle lor
case alla lor corte, ma per giornata pagarla, che da sé si
procacci il vivere. E perciò desinato che essi hanno, le lor
case rimangono presso che vote, andando ciascuno a desina-
re altrove. Quest'ora pensatamente fu appostata da'conglurati
a mandare il loro proponimento ad ^) esecuzione, non cu-
rando della nsitata guardia Tedesca della fortezza. Perciocché
Pier Luigi fidatosi nella potenza ed autorità del Padre per
avanzai" danari con poca gente guardavala. Entrò prima
degli altri nella fortezza e dentro le camere '") ducali l' An-
guisciola, e facendo vista per sue faccende desiare dal pa-
drone essere udito, appoggiossi ad una finestra per istare
alla vedetta 0 quando i compagni giugnessero : i quali
r un dietro l'altro e) secondo l'ordine posto ^) comparvero
tutti. Ma air arrivar dell' ultimo sul ponte che fu il Conte
Agostino Laudi destinato ad ammazzar ') la guardia della
I prima porta (che l'uccisione d'un' altra poca ch'era in
sala fu commessa a'fratelli Pallavicini ed al Gonfalonlero),
r Anguisciola prima che di giuso potesse il rumore a Pier
a) Nel secondo manuscr. all' fiora. f ) Ne' due manuscr. vendetta.
' b) Nel primo manuscr. f//. g^ Nel secondo mAn. dietro aH\altrO'
e) Nel primo manuscr. approvato. h) Nel primo manuscr. lesto.
d) Nel primo manuscr. (■«. i) Nel secondo manuscr. all' am-
e) Nel primo manuscr. nelle camere. mussare.
ia8 PORZIO
Luigi salire, si sospinse dentro alla camera di lui, accom-
pagnato da due soli. E trovatolo a sedere ed in ragio-
namento con Camillo di Fojano e Giulio Cappellaro ,
avvicinatoglisi quasi parlar gli volesse, e ad un tempo me-
desimo tratta fuori la spada, lo ferì sopra la testa e nel
petto, e cavogli l'anima. In tanto il Landi , il Gonfalo-
niero , ed i Pallavicini messa mano all' alabarde de' Te-
desclii colle loro proprie armi li ferirono e fugarono , e
levato il ponte, senz'altro contrasto della fortezza s' in-
signorirono.
D. Ferrante Gonzaga per V Imperatore
s impadronisce di Piacenza.
XLIII, Corse la fama velocissima riportatrice del male
per la Città, la fortezza essere stala occupata e preso il Duca.
La qual voce giunta all'orecchio d'Alessandro da Terni,
accompagnato da' Capitani Ducali e dalla milizia della
Città ann.Tta , in un momento di tempo appresentossi
davanti alla fortezza '') per riaverla e renderla libera al Pa-
drone. Trovavansi pertanto ^) i congiurati a malvagio par-
tito per esser pochi e dover resistere a molli , né su-
bilano ajulo da niuno attendendo fuorché dalla città che
vedevano nemica. Pure scarsi di miglior consiglio 0 occorse
loro , quelle genti farsi animose per adempire il dovere
con esso il Duca lor Signore , e che mostrandoglielo '')
morto verrebbe ^) in parte a diminuire il loro ardimento.
a) iVel secondo manuscr. la fortezza. di) Nel secondo manuscr. mostrando-
b) Nel primo manuscr. tiatanlo. gliene.
e) ?fcl pr. mauu8. dipartilo migliore, e) Nel secondo jnauuscr, verrebbono^
ISTORIA d' ITALIA 1 29
Preso perciò il morto e sanguinoso Pier Luigi, ed attacca-
tolo per un piede ad una delle finestre che più si veg-
gono d' insù alla ^) piazza, il ferono pendere miserabilmenlo
agli occhi di tutta la città. Spaventò quest'orribile spet-
tacolo i Piacentini , e troppo più i capitani del Duca
contristò e smarrì, come se fosse opera perduta 1' esporsi
a periglio senza speranza di riaver il padrone ^ maggior-
luente che i congiurati nel rappresentar loro il morto Du-
ca mandarono fuori voci di molto riguardamento, a più lor
j)otere gridando Libei^à ed Imperio j dalle quali compren-
devasi la fortezza esser nelle mani dell' Imperatore vici-
nissimo e potentissimo Principe, e per esso promettersi a
Cittadini viver libero. Questo abbassamento di animo de'
popolari e de' soldati e ministri ducali fu conosciuto dagli
altri nobili Piacentini parenti de'congiurati, e forse del fatto
partecipi; e senza perder tempo e con lieve faliga persua-
derono il popolo a dissarmarsi , ed a' Capitani del Duca
a dipartirsi. I quali la notte vegnente colmi di mesti-
zia e di vergogna se ne uscirono , prendendo cammino
verso Parma ^), ed avendo prima in sul far della sera ve-
duto che i congiurati, tagliata la fune, alla quale era il
lor Principe appiccato, opprobriosamente 1' avevan lasciato
nel fosso della fortezza cadere. Era il Gonzaga da Milano
venuto a Cremona per approssimarsi all'acquisto se gii
succedeva ; di cui avuta lieta novella , accompagnalo da
parecchie schiere di soldati , subitamente da' congiurati
si trasferì, ed alla Signoria dell'Imperatore sottomise la
a) Nel primo manuscrìuo la piaz- b) Nel secondo manuscr. inverso a
*»■ Parma.
n
J 3o PORZIO
fortezza e la ciltà insieme. Fattogli dappoi la pietà della
fragil condizione umana dimenticare ogni oflesa , rivolse
l'occhio air infranto e compassionevol corpo del Duca
Pier Luigi : e parendogli quel fosso indegna sepoltura del
figliuolo del più reverendo Principe de' Cristiani , padre
di tanti Signori, e suocero di due figliuole de' primi Re
del mondo, nel fé trar fuori, e riporre in chiesa in uà
sepolcro di legname , e di drappo di seta coverto.
Il Gonzaga proccura insignorirsi di Parma.
XLIV. Ottenutosi =■) da D. Ferrante il pieno dominio
di Piacenza, secondando il corso di tanta prosperità, egli
rnandò a chieder anco il possesso di Parma a' cittadini
ed al Conte di Santa Fiore , che dimorando nel terri-
torio di lei , udita la morte del Duca suo zio , era vi
corso dentro : da' quali ebbe egli in risposta essi non
volere per niun partito partirsi dal mansueto imperio
della Chiesa. Dicesi con tutto ciò aver lui avuto in pen-
siero insignorirsi di Parma forzevolmente, ma non averlo
impreso per esser ^) la Città Guelfa, e confermata dalla
presenza del Medichino che fu appresso il Onarto Pio j
il quale al governo di Bologna trovandosi, udita la per-
dita di Piacenza , adunò con grande celerità non poche
centinaja di fanti e posevele dentro. Sicché il Gonzaga
non pensando ad altro che a questo <=), con gran soUeci^
a) Nel primo manager, questo (rat- sino alle parole pnsevele dentro.
lo da ottenutosi sino alle parole ini- b) Nel primo manuscr. manca esser.
perio della chiesa è posposto all'ai- e) Nel secondo maauscr. ad altro
irò tratto seguente: Dicesi con tutto ciò acquisto.
ISTORIA d' IT.VLI.V i3i
indino e iirovvcdiinenti , diedcsl a slabilire l'acquistato^),
dando fine alle fabbriche incominciate per render forte Pia-
cenza, e dell'altre'^) principiandone che per maggior sicu-
rezza gli parvero necessarie. E convenendogli rivolgere a
Blilano, lasciò quella città con grosso presidio Spagnuolo
alla fede e custodia di D. Garzia Manriquez '=). Non si
creda'') niuno essermi*^) nascosto quello, di che fanno al
cuni memoria , Pier Luigi aver sentito non so che odore
di questa congiura, e per assicurarsene nelle montagne di
Parma aver mandato il suo viceduca Barloloraraeo Villa-
chiara ad allogare') fanti ^ per lo cui indugio e negligenza
lui essere perito. Perchè oltre a ciò io ho autori di non
picciola fede che scrivono, il padre molto dedito all'astro-
logia averlo reso accorto che dal dì decimo di dicembre
in là egli alla sua salute avesse cura. Le quali cose se così
furono , troppo disavvedutamente il Duca Pier Luigi s)
rovinò sé e defraudò il giudicio degli uomini che iulìno
a quel punto lo stimarono d' ingegno. La qual trascurag-
gine fu cotanto più biasimevole a lui che al principe Dò-
ria, quanto che il fresco inganno fatto al Principe dove-
va'') essere perpetuo suo documento. Ma per avventura il
voler divino colla percossa di lui volle rammentare al Pon-
tefice Paolo che chiunque si avviluppa ne' lacci del mon-
do diventa preda della fortuna.
a) Nel primo Tn&naicr. l' actjfuisto. f) Nel secondo manuscr.arZ nMoWar.
b) Nel secondo niamiscr. e J' altre. g) Nel secondo manuscr. P/er I,tii'
e) Nel secondo maiiuscr. Manriclte. gì Farnese.
d) Nel secondo manuscr. credea. li) Nel primo manuscr. mancano le
e) Nel primo manuscr. esseni. parole quaiUo che sino a doveva.
i
RELAZIONE
DEL
IKDl® ©1 ìfAIPOlLII
AL MARCHESE DI MONDESCIAR
VICERÉ DI NAPOLI
DI CAMILLO PORZIO
Tra il 1577 e 1579.
ALL' ILLUSTlUSSIiMO ED ECCELLENTISSIMO SIC.
D. INNICO LOPEZ DE MENDOZA
MARCHESE DI MO.NDESCIAR
i. VICERÉ E CAPITAN GENERALE NEL REGNO DI NAPOLI.
lu opinione^ che vive fra" Principi odierni , che
essi non debbano affaticarsi molto nello studio delle
lettere per non fraudare i lor negozii del tempo
che si spende nel leggere, sa V.E. assai meglio di
me quanto si sia discosta dal vero : ed appare mani-
festamente di esser falsa '^ perocché le lettere con pili
hrei>ità e con più contezza insegnano il governo po-
litico ed il maneggio degli stati , che non fa V uso
o la sperienza di quelli', e colui, che legge, si risolve
meglio e più presto nelle azioni del mondo, che non
fa il Principe idiota , il quale per assai consigli e
dispute è costretto di venirle alfine delle sue deli-
berazioni. U istessa utilità portano le lettere in tutte
le altre scienze , e particolar'mente nella cognizione
de* mari, de' paesi, della natura degli uomini e de'bru-
ti. Il che essendo vero , come è , io ho preso ardire
di pT'esentare a V. E. il sommario delle più notabili
cose che si contengono nel Regno di Napoli , poco
fa meritamente stato sottoposto da Sua Maestà al
7'eggimento di Lei. Il quale sommario degnandosi
V. E. di leggere , spero che le darà in poche ore
quella vera notizia delle parti e di tutto il Regno^
che non farebbe in molti mesi il governo di esso : e
conoscendo io di esserle grata questa fatica^ mi darà
animo di farne delle altre maggiori. Intanto prego
il Signor Dio , che conservi lunghissimamente Sua
Illustrissima Persona.
DEL REGNO DI NAPOLI
I
1 Regno di Napoli è quasi il terzo dell' Italia 5 ha for-
ma di penisola j non confina con altro stato che col-
r Ecclesiastico, ed il resto vien circondato dal Mar Tir-
reno , Siciliano , Jonio , ed Adriatico.
Confina coli' Ecclesiastico per lo spazio di cento cin-
quanta miglia , cioè dal fiume Ufento che sbocca nel
Mar Tirreno infino al Fiume Tronto che entra nel iMare
Adriatico.
Il circuito del detto Regno è da mille e cinquecen-
to miglia.
È di lunghezza cinquecento miglia incominciando
dalla terra della Leonessa di Abruzzo infino al Capo di
Sparlivento posto in Calabria , benché si camini per li-
nea curva.
La sua maggior larghezza è da cento trenta miglia,
cioè dal Capo della Campanella posto nel Golfo di Na-
poli infino al Monte Sant' Angelo di Puglia.
La maggior strettezza è dal Golfo di Santa Eufemia
infino alla terra di Catanzaro in Calabria , e serra ^^
spazio di venti miglia.
Il mezzo 01 esso sarà lu duglia presso la terra di Troja.
18
i38 PORZIO
Ha il Regno vicino lo stato de' Veneziani a cento mi-
glia di mare, del Turco a cinquanta, l'Africa a meno di
dugento, la Sicilia ad un miglio e mezzo! Lo stato del
Duca di Firenze gli è presso a cinquanta miglia di terra.
È Regno, paragonato a' Regni di Francia e di Spa-
gna, di piccolo paese, ma per altra qualità non inferiore
ad alcuno di essi : anzi s' egli è lecito di far paragone
delle cose minori alle maggiori è più abbondante e più
armato e più ricco di loro. E della sua ricchezza ne fa
certissimo giudizio il gran danaro che ne cava il Re , e
quello che vi portano ogni anno i forestieri per comprar
diverse robe. Del quale danaro che vi entra , non esce
la decima parte : imperocché da' panni fini e ferri fini
iu fuori i Regnicoli non sentono d' altro se non poco
mancamento : e quelle due cose ancora in maggior parte
le cavaaio da provincia assai vicina come è Toscana.
È numerato dalla Regia Corte in fuochi 481 Sai, non
numerandoci la Città di Napoli e suo distretto , né la
Città di Benevento che è della Sede Apostolica. Ma per-
chè i popoli per la gravezza de' pagamenti occultano il
vero numero de' fuor.hi, si può credere che il Regno
ascenda al numero di fuochi seicentomila.
E diviso il Regno nelle infrascritte nove Provincie :
Terra di Lavoro Terra di Bari
Principato Ciira ed Ultra Capitanata
Calabria Citra ed Ultra Contado di Molise
Basilicata Abruzzo Ciira ed Ultra.
Terra di Otvdnto
BELAZIONE DEL REGNO Dt NAPOLI iSg
Di Terra di Lavoro.
La Provincia di Terra di Lavoro dall' Oriente ha il
fiume Sarno, dall'occidente il fiume Ufenlo, da mezzodì
il Mar Tirreno , e dal Selleutrione il Monte Appennino ^
ed i Latini parte ne chiamarono il Lazio e parte Cam-
pagnaj e concordemente da tutti gli scrittori è stimata la
più bella regione del Mondo per la temperie dell' aria ,
per la grassezza del terreno e per gli luoghi piacevoli e
pescosi posti sopra la riva del mare. Onde i Romani in
quella più che in altra parte presero i lor diletti; di che
rendono fede le rovine de' lor superbi edificii, che si veg-
gono in questa provincia e massimamente nel Golfo di
Pozzuoli. La maggior parte d'essa è piana , ed abbonda
di nobilissimi vini , principalmente del vin Greco 5 di
assaissimi frutti j vi si fa il solfo , 1' alume di rocca ,
ed il sale^ vi nasce il lino sottilissimo, e del canape as-
sai , che serve per le funi e per le vele delle galee j si
tessono nella città di Napoli ogni sorte di drappi di seta
con gran maestria j e si condiscono i frutti ed i fiori col
zuccaro soavissimamente j e vi suuo legnajuoli, che di ta-
vole., massimamente di quelle di noce, fanno artificiosi
lavori; e finalmente il paese è pieno di tutto quello che
fa bisogno al vitto ed al piacere umano : anzi in alcuna
parte di esso sorgono molte acque giovevoli all'infermità^
La gente di Terra di Lavoro è per lo più altiera ,
vantatrice, pronta all'armi ed alle brighe, oziosa, e mal
volentieri esce fuori di casa; veste pomposamente » *^0D"
versa eoa molta creanza di parole <> 'li gesti.
l4o PORZIO
È questa provincia molestata grandemente da' terre-
moti , e dagli incendii della natura , dalla quale è anco
grandemente contra gì' ioimici difesa j perchè d' ogni in-
torno viene serrata dal mare e dal Monte Appennino, e
due o tre bocche di quello , per le quali dall' Ecclesia-
stico si scende , possono esser chiuse dalle terre di Gae-
ta e di San Germano. JE anche fortificata questa regione
dall' acque di grossi fiumi , che corrono per lo mezzo di
essa , e sono tre , GarigUano detto Liri da' Latini , Vol-
torno , e Sarno.
Ha quattro laghi , di Fondi , di Patria , di A verno ,
e di Agnano.
Ha tre porti , Gaeta, Baja , e Napoli.
Ha tre isole , Ischia , Procida, abitate, e Nisita iso-
letta piacevole che ha grossa e forte torre.
È numerata questa provincia dalla Regia Corte in
fuochi 18237.
Vi possiede il Re terre di demanio , Gaeta , Capua,
Nola , A versa , Pozzuoli , Ischia , e Napoli.
Vi tiene queste fortezze, Gaeta, Ischia, Baja, Ca-
pua, Napoli, dove ne sono Ire, oltra la torre di S. Vin-
cenzo , ed in Gaeta olirà la fortezza tiene anco un pre-
sidio alla terra.
Vi sono soldati del Battaglione fatti e da farsi, se-
condo ordina la Pragmatica Regia, 2911.
Ha questa provincia due Arcivescovati , Napoli e
Capua.
Ha venti Vescovati, Fondi, Gaeta, Sora , Aquino,
Mont^casino , Sessa , Carinola , Venafri , Tiano , Calvi ,
Cajazzo , Cascitu , Aversa , Pozzuoli , Acerra , Nola ,
RELAZIONE DEL IIEGNO HI NAPOLI l4l
Sani' Agaia , Alife , Telese , Ischia , de' quali a nomi-
nazione del Re ve ne sono Gaeta , Pozzuoli , Acerra.
Vi ha anco il Re beneflcii de jure patronato Begio
a Napoli due solto il nome di Santo Luise, e S. Agnello
e Santa Catarina , a Pozzuoli Santa Maria , ad Aquino
S. Pietro, a Caserta S. Giovanni e Santo Andrea, a Ca-
pua Santa Maria di Mater Domini , S. Lorenzo, S. Ma-
ria Maggiore , ad A versa la Maddalena.
Sono in Terra di Lavoro Baroni titolali, il Principe
di Conca , il Duca di Sessa , il Duca della Rocca di
Mondragone , il Duca di Soia, il Duca di Traetlo, il Du-
ca di Maddaloni , il Duca di Somma , il Marchese della
Torre di Francolise , il Marchese di Lauro , il Conte di
Cajazzo, il Conte di
Si fa in questa provincia due volte 1' anno nella Città
di A versa una grossa fiera.
Il Governatore di Terra di Lavoro è il Viceré di
Napoli , che risiede nella detta città , ed è superiore a
tutti gli altri Governatori delle provincie del Regno.
Tiene per guardia quaranta Alabardieri Spagnuoli , cento
gentiluomini a cavallo , cinquanta regnicoli , e cinquanta
Spagnuoli , che si chiamano continovi, e per guardia del
suo palazzo vi stanno soldati Spagnuoli al numero di
cinquanta.
La Città di Napoli pienissima di popolo e di no-
biltà, ornata di edificii, di forti, e di giardini piacevo-
lissimi, non è solamente il capo di Terra di Lavoro, ma
di tutto il Regno , in modo che ciò eh' ella fa in ser-
vizio o di servizio del Re è seguito da tutto il reato. Vi
è la zecca dove si batte il danaro di mito il Regno, vi
t^2 PORZIO
è lo studio generale, ed assai uomini doti! nelle leggi. Ha
molti privilegii che non hanno le altre Città del Regno,
ed il maggiore, che ogni cittadino suo possa chiamare alla
Corte di Napoli qualunque regnicolo per qualsivoglia cosa,
che pretende da lui, ed esso non possa esser chiamato in
altra Corte che nella propria.
Sono iu detta Città più Tribunali che servono a lei
ed al Regno. Il Tribunale della Zecca ha cara de' pesi
e misure. Il Tribunale della Gran Corte della Vicaria agita
cause di non molta importanza, e le criminali. Il Consi-
glio di Capuana tratta le più gravi liti del Regno, e ri-
ceve r appellazioni civili e criminali. Il Tribunale della
Camera ha cura delle entrate e patrimonio del Re. II
Consiglio Collaterale spedisce le suppliche che si danno
al Viceré per diversi negozii. Il Consiglio dello stato in-
tende le cose i^ertinenti alla guerra ed alla difensione del
Regno, Vi tiene anco il Re tre Avvocati , 1' uno contra
i delinquenti, l'altro a difesa del suo patrimonio, il terzo
a difesa de' poveri.
Questa Città è privilegiata ancora di corpi di San-
tissimi Martiri e principalmente del Vescovo Gennaro ,
il capo del quale incoalrandosi col sangue di Ini che
pienamente si conserva , di durissimo , che egli è , si li-
quefa in modo che par che bolla.
È ancora in Terra di Lavoro il ricco Monastero di
Monte Casino, dove si riverisce il venerabile corpo di San
Benedetto.
nELAZIOKE DEL REGNO DI KAPOU l^'i
Di Principato Citra , ed Ultra.
Appresso Terra di Lavoro seguita la provincia di
Principato, lo quale dall'Oriente ha il fiume di Casiro-
cucco, chiamato da' Latini Laus, ed al presente da molli
si dice Laino, e dall'occidente ha il fiume Sarno. Gli an-
tichi abitatori di lei furono Picentini e Lucani. È regione
montuosa e selvosa ed in alcun luogo asprissima^ produ-
ce legni da far vascelli ; abbonda di ghiande e di porci
per la moltitudine di boschi , che sono ancor causa che
molti de' paesani diventino ladri j vi si nutrisce assai be-
stiame minuto j vi si fa della carne salata e del formag-
gio j vi si conciano delle pelli j e vi si raccoglie delle
nocelle e del lino grosso. Le marine di essa sono così
copiose di pesce che in alcun luogo si sala, e le costiere
di quella sono pienissime di cetrangolo , di cedri , e di
limoncelli , che si sogliono condurre per mare alla Città
di Roma , siccome anche si conducono di Terra di Lavoro
e di Calabria , nelle quali tre sole provincie sono quasi
tutti i vascelli del Regno , e sono di forma piccola, e si
chiamano barche, falluche , fregate, e navilii , e vi sa-
ranno anco da . . . navi.
La gente di questa provincia è fatigata, jiovera, in-
dustriosa; e tra gli altri vi sono gli Amalfitani già eccel-
lenti marinari e che ritrovarono il navigare colla calamita
dagli antichi non conosciuto. Abitano e vestono rozzamen-
te, siccome anche si fa per la Calabria, e per la mag8'°f
parte del Regno ; ed il loro maggior traffii"'» ■*' presente e
con muli di sujud, il uuuiero de' quali si crede che pas-
l44 PORZIO
sino i settemila, ma sono muli piccoli e non simili a' Fio-
rentini. Tengono anche lo studio generale nella città di
Salerno che non può crear dottori se non nelle medicine.
Per esser il Principato un paese così dentro di terra
come sopra il mare , e per non aver porti capaci di ar-
mate , non teme molto de' nemici , e perciò anche il Re
non vi tiene fortezza alcuna.
Corrono per esso assai fiumi, ed il maggiore è il Sele
detto dai latini Silaris, che trasforma in sasso le frondì
ed i legni che vi cascano dentro. Vi è il fiume Vicen-
tino , quello della Molpa e di Policastro.
Ha un lago chiamato del Vallo di Diano.
Ha due isole , Capri grande ed abitata , la Licosa
piccola e deserta.
E numerata dalia Regia Corte questa provincia in
fuochi 78097.
Vi possiede il Re terre di demanio, Sorrento, Massa,
Capri , la Cava , Marsico nuovo , e Maratea.
Vi sono soldati del Battaglione 3094.
Ha questa provincia quattro Arcivescovati , Amalfi ,
Sorrento , Salerno , e Consa.
I vescovati sono ventisei , Castellammare , Vico ,
Massa , Lettere , Scala , Capri , Minori , Nocera , Sarno,
Ravello , Cava , Marsico , Acerno , JN'usco , Policastro ,
Campagna , Monteverde , Caggiano , Cedogna , Capaccio,
Montemarano , Sant' Angelo , Avellino , Ariano , Vultu-
rara , Vico della Baronia. De' quali a nominazione del
R« sono Salerno, Castellammare, Ariano. I beneficii de
jur'e Patiunafo Regio sono nella Diocesi di Capaccio ,
S. Egidio di Altavilla, e S. Miite;-, tlel Barello.
RELAZIONE DEt REGNO Dt NAPOtt ì ^5
I Baroni titolali di Principato sono il Principe di
Salerno, il Duca di Amalfi, il Duca di Nocera, il Duca
della Tripalda , il Marchese di Campagna , il Marchese
di Casalalbero , il Marchese di Padulo , il Marchese di
Brienza , il Conte di Altavilla , il Conte di Montecalvi ,
il Conte di Policastro, il Conte di Montemiletto, il Conte
della Rocca dell'Aspro, il Conte di Sarno, il Conte della
Torcila , il Conte di Serino.
Si fa in questa provincia due volte l'anno una gran
fiera nella Città di Salerno.
Essendo il Principato paese grande è diviso in Citra
ed Ultra^ ed ha due governatori. L'uno di essi cioè quello
di Principato Citra risiede nella Città di Salerno ed ha
seco due giudici , che si chiamano Auditori.
II Governatore di Principato Ultra risiede nella Terra
di Avellino ed ha due Auditori. L'uno e l' altro di essi
( siccome fanno ancora lutti gli altri governatori del Re-
gno ) hanno dal Re un Avvocato Fiscale, un Avvocato
per gli poveri , un Segretario , e per la guardia alquanti
Alabardieri Italiani e molte famiglie di corte col bargello
che vanno perseguitando e prendendo i malfattori ed i
banditi della provincia.
In questi paesi nella Città di Amalfi è veneralo il
corpo del gloriosissimo Apostolo Santo Andrea, che butta
fuori un liquore giovevole all' infermità , che chiamano
Manna , e nella Città di Salerno il Santissimo corpo del-
l'Apostolo jd Evangelista Matteo.
E nel Monte delfe Vergine è un tempio di tanta
religione , che non vi si mangia mai »^ ^a^te -> né carne,
e poetativi subiiaraeote marciscono j e la religione ds'
^9
l46 !> 0 R f I 0
frali di quel tempio non si trova in altro luogo fuorché
in Terra di Lavoro,
Di Calabria Cltra ed Ultra.
La provincia di Calabria Citra ed Ultra ha dall' O-
viente il Golfo di Taranto , dall' Occidente il detto fiume
di Castrocucco y dove termina il Principato. Nella quale
abitarono già Bruzii e Greci , onde acquistò il nome di
Magna Grecia, ed è la maggior provincia di tutte le altre
del Regno , posta sopra il mare per più di trecento mi-
glia. E benché sìa montuosa è nondimeno abbondante di
grano , di olio , di perfetti vini , che in gran quantità
si conducono per mare alla Città di Roma. Produce
legni da far vascelli , e grandissimi ed altissimi alberi ,
le carni da mangiare ottime, e vigorosi cavalli. Ma sopra
ogni altra cosa abbonda in tanto di seta che ne dà a
tutta r Italia ed a molti luoghi di fuori, Sonovi anco
presso la terra di Stilo le miniere del ferro, e vi sareb-
bero di azzurro simile all' oltramarino e di argento e di
oro, se fosse più il guadoguo che il dispendio a cavarle.
Vi casca dal cielo la Manna utilissimo medicamento ;
vi si fa gran copia di zuccaro , di mele , di cera , di
pece , di trementina , di bambagia , di tela , di formag-
gi. Vi sono gran cacce di animali selvaggi, ed in alcuna
parte in luogo di candele abbruciasi del legno di teda.
Pigliasi nelle marine di lei e si sala gran quantità di
pesco , e tra gli altri pigliasi il pesce spada di smisurata
grandezza e Ji eccellente carne. Fa grandissima copia
di sale ^ non tanto di acqua cU uiatc , ^uaato di pietre
RELAIIONE DEL AEGWO DI NAPOLI l47
che si cavano da' monti , ed è più perfetto del marino:
vi si pesca anche del corallo.
Usano i Calabresi più di tulli i regnicoli il mare
e vi riescono buoni marinari : sono acuti d' ingegno e
pieni di astuzia , forti e nervosi , atti a patir sete e fa-
me , coraggiosi e destri nel maneggiar le armi, e sareb-
bero senza dubbio i migliori soldati d' Italia , se non
fossero instabili e sediziosi. Da qui nasce che la pro-
vincia sia sempre piena di fuorusciti e di ladrij la quale
quantunque sia circondata dal mare , nondimeno per es-
sere le riviere di quella piene di scogli e sassose , e
sottoposte al vento di Maestrale e di Libeccio , e per
non avere dalla fossa di S. Giovanni in fuori porto ve-
runo, non può ricevere molto danno dall'armate nimi-
che j e perciò il Re vi tiene poche fortezze e quelle
mal fornite.
I prindpali fiumi di questa regione sono quello di
Terranova detto da' Latini Metauro ....
Ha sette Isole già chiamate Eolie , delle quali al
presente non è abitata fuorché 1' isola di Lipari.
La Calabria Citra ed Ultra è numerata dalla Regi*
Corte in fuochi 106129.
Vi possiede il Re terre di Demanio Catanzaro, Man-
tea , Tropea , Scigliano , Rossano , Longobuco , Belmon-
te, Motta Siderone, Stilo, Cosenza, Taverna, Reggio,
Cotrone , Santa Agata , Policastrello , Lipari.
Vi tiene queste fortezze Mantea, Cosenza, Cotrone,
Tropea , ed in tempo di sospizioue di armata Turchesca
il presidio a Cotrone.
Vi snno fanti Hi tattaglioac 5iiO>
14" PORZIO
Ha la Calabria quattro Arcivescovati Cosenza, Reg-
gio , Rossano , Sautaseverina.
I vescovati sono ventiline , Cassano , Nicastro , Ca-
tanzaro , Tropea , Oppido , Cotrone , Girace , Squillace,
Nicotera , Bove, Marlorano , Bisignano , Briatico , San
Marco , Belcastro , Isola , Sitomense , Fiorentino , Stron-
goli , Mileto , Cariati , Lipari j de' quali a nominazione
del Re sono Reggio , Cassano, Tropea, Cotrone, Lipari.
I benefìcj de jure patronato Regio sono a Reggio S. Ma-
ria della Cattolica , a Cotrone Santa Maria de Protospa-
tariis, a Catanzaro S. Gio. Batista, Santa Maria, S. Gior-
gio , S. Vitigliano.
Ha la Calabria Baroni titolati il Principe di Bisi-
gnano , il Principe di Mileto , il Principe della Scalea ,
il Principe di Squillace , il Duca di Castrovillari, il Duca
di Seminara , il Duca di Monteleone , il Duca di Moa-
talto , il Duca di Terranova , il Marchese d' Atena , il
Marchese di Castelvetere , il Marchese di Laina, il Mar-
chese di Santo Lucido, il Marchese della Valle, il Conte
di Briatico, il Conte di Condejanue, il Conte di Marto-
rano , il Conte di Nicastro , il Conte di Sinopoli , il
Conte di Santa Severiua , il Conte di Siiubari.
Tiene il Re in questa provincia la razza de' cavalli.
Vi si fanno a Monteleone due gran fiere per la Mad-
dalena e per San Luca.
II Governatore di Calabria sta nella Città di Cosen-
za con tre Auditori.
In Calabria è San Stefano ricco Monastero di Cer~
tosini , « vi riposano l' ossa del Beato Bruno.
RELAZIONE DEL REGNO DI «APOLI 1 49
Di Basilicata.
La provincia di Basilicata è quasi tutta dentro di
terra , fralla Calabria , Terra di Otranto , e di Bari , ed
ha solamente verso I' oriente nel Golfo di Taranto , dove
finisce la Calabria, un piccolo spazio di mare. Abitarono
già in essa Greci e Lucani. Abbonda di grano , di be-
stiame grosso , e di formaggi.
I paesani vivono e vestono grossamente j sono più
inclinati all' agricoltura e ad altri servigi personali , che
al maneggiar 1' armi ; e non potendo per mare cavar fuori
della provincia tutto il loro frumento , insieme cogli uo-
mini di Principato lo portano a schiena di mulo a' popoli
vicini che ne hanno bisogno , e conducono anco in Terra
di Bari di molte some di galle che di là si navigano a
Venezia per tingere i panni.
Questa provincia per esser dentro di terra è senza
gran città e senza uomini guerrieri. I Re di Napoli
non pensarono mai di farci delle fortezze ^ sì che sareb-
be preda di qualunque esercito che fosse padrone della
Campagna.
Corrono per essa il fiume Vasento sino
È numerata dalla Regia Corte in fuochi 38743«
Il Re vi possiede due piccole terre di Demanio, La-
gonegro e Tramutole.
Vi ha fanti del Battaglione i537.
I Vescovati sono Potenza, Venosa, Anglona, Trira-
rico, Montepeloso, Muro, Melfi, Marsicq. A «ouiinazione
del Ro è Potenza.
i5o Ponzio
I Baroni titolati di questa provincia sono il Prin-
dpe di Melfi , il Principe di Stigliano , il Principe di
Venosa , il Marchese di Lavello , il Marchese di Riolo ,
il Marchese di Turso , il Conte di Potenza , il Conte di
Saponara.
II Governatore di Basilicata è i' istesso di Principa-
to Citra.
Di Terra di Otranto,
La provincia di Terra di Otranto dalla parte del
Mare incomincia al territorio di Taranto , che T è dal
mezzodì , e finisce a quello di Brindisi postole a tra-
montana. I Latini la chiamarono Salentini , e non sola-
mente è la estrema provincia del Regno , ma di tutta
r Italia. Non perciò è 1' ultima di qualità, essendole con-
cesse dall' arte e dalla natura molte doli. Imperciocché
vi è una saluberrima aria , gli animali che si mangiano
d' ottime carni , abbonda di eccellenti cavalli , di muli ,
e di somari alti e grossi al pari de' muli. Il mare, mas-
simamente quello di Taranto, è si copioso di pesce , che
diede maraviglia a' Romani dominatori del mondo. Il
terreno quantunque sia pieno di sassi , produce olio ,
zafferano , bambagia, e vino in gran copia , e , quel che
è più di considerazione , per la gran quantità dell' olio
mancando a' paesani i vasi da serbarlo ne empiono i poz-
zi , il sasso de' quali è di tal natura che non lo suga.
Vi si fa anche il sale , e la regione è tutta abitata , ed
^a grosse città dove concorrono molti mercatanti fore-
stieri e aa Rpgno a far diversi traffichi , ma più per
condurre dell' olio nella ]juuitr«rd:« « nella Città di Ve-
«
BELAIIONE DEL REGNO DI NAPOII l5l
nezia , dove da qui e da Terra di Bari è un frequeiitis-
sinio commercio , e vi sì portano non che altro i ce-
trangoli ed i limoncelli. Viene alle volte infestata questa
provincia da' bruchi animaletti che distruggono i semi-
nati , siccome anche accade alla Puglia : ma qui sono
in parte divorali dagli uccelli Gavii. Gii uomini del paese
sono armigeri e coraggiosi tanto che fuggono il naviga-
re, siccome avviene al resto de' Regnicoli che abitano le
riviere del Mare Adriatico j il che nasce dalla grassezza
del paese. E perciò i marinari , pescatori , e legni che
usano in questo mare , escono quasi tutti dal dominio
Veneziano. Lavorano nella Città di Lecce a meraviglia il
cerarne formandone diverse cose. Gli uomini Otrantini han
preso molti costumi da' Greci non solamente per la vi-
cinità delle regioni , ma perchè fra di loro vi sono assai
torrette di abitatori Greci passativi ad abitare per la co-
modila , e per le persecuzioni che sostennero gli anni
passati dalla nazione Turchesca.
Non può esser questo paese facilmente dall' armate
nimiche assaltato sì perchè come si è detto abbonda di
fanti, di cavalli, e di terre grosse ed alquanto fortifica-
te , si perchè i lidi del mare sono pieni di scogli e pri-
vi di ridotti , e grandemente infestati dal vento Levante
e Greco. E ben vero che per esser Terra di Otranto pros-
sima allo stalo del Turco cinquanta miglia , sta in mag-
gior pericolo di ricever danno da lui che tutto il restante
del Regno.
Questa provinda e le altre due , che seguono , per
la soverchia caldezza dell' aere non salano le «»'0i j Jl
che anche si attribuisce all' ;«»i.cri«lone del lor sale, ben-
l52 P 0 R Z IO
che nella Città di Taranto si sali il pesce ottimamente.
È ancora regione molto secca , e non vi è altro maggior
fiume che quello chiamato Galise,
Ha due porti nobilissimi per quanto siano per tutta
l'Europa, Taranto e Brindisi. Egli è vero che la bocca
di quello di Taranto è stata da sassi e dal terreno ripie-
na , in modo che non vi possono entrare legni grossi. Il
che mi persuado che fosse fatto da' paesani al tempo de'
Saracini per privarH della commodità di quel porto. Quello
di Brindisi è stato medesimamente dal terreno in alcuna
parte diminuito. Vi è anco una piaggetta che serve per
porto alla Città di Lecce , nominata S. Cataldo.
Ha un lago piccolo, ma pescoso, chiamato. ...
Terra di Otranto è numerata dalla Regia Corte in
fuochi 50874-
Vi possiede il Re terre di Demanio Otranto, Ostuni,
Lecce , Sguinzano , Gallipoli , Taranto , Brindisi.
Vi tiene queste fortezze Otranto , Gallipoli , Taran-
to , Lecce , Brindisi , dove ae sono due , ed un fort e j
e tiene anche munita la Torre della piaggia di S. Catal-
do , ed in tempo di sospezione di armata Turchesca da
Lecce in fuori pone anco il presidio nelle sopraddette terre.
Vi sono soldati di Battaglione 2543.
Ha questa provincia tre Arcivescovati Taranto , O-
trantp , Brindisi.
I Vescovati sono Mottola , Castellaneta , Ostuni ,
Castro, Gallipoli, Lecce , Ugento , Leucadense, Nardo.
A nominazione del Re sono Taranto , Gallipoli , Ugento,
Otranto, Brindisi, Mottola. I beneficj de jure jtalronaio
Regio sono a Lecce i„ Trinila , S.Tommaso» Santa Ma-»
I
RELAZIONE DEL REGNO DI NAPOLI l53
ria del Paradiso , S. Martino , S. Niccola , S. Leonardo,
a Brindisi San Dionigi.
Baioni titolati sono il Duca di Martina , il Duca di
Nardo, il Marchese di Corigliano, il Marchese d' Oria, il
Marchese di Convertine , il Marchese della Terza, il Mar-
chese di Specchia , il Conte di Misciagna , il Conte di
Ugento , il Conte di Castro.
Si fa nella città di Lecce una grossa fiera per la fe-
sta dell' Annunciata.
Risiede il Governatore di questa provincia nella città
di Lecce con tre Auditori.
Si conservano in questa Regione nella città di Otran-
to r ossa degl' infiniti cittadini , che morirono martiri
per la nostra fede nella presa di questa città fatta da' Tur-
chi r anno i43i.
Di Terra di Bari-
Terra di Bari ha nell'oriente il territorio di Brindisi,
dall' occidente il fiume Ofauto , e fu chiamata da' Latini
Apulia Peucezia. E benché sia piccola provincia , per
bontà del terreno e per moltitudine di terre non è in-
feriore! a nessun' altra del Regno, e forse d'Italia. Abbon-
da di grano, d' olio , di zafferano , di bambagia, di vino,
di salnitro , di sale , e di mandorle in tanta copia che
vi si veggono boschi di quegli alberi. Per le quali cose
vi concorrono assai mercanti. Vi si confettano i passi, il. . . .
e le mandorle eccellentemente. Il paese è tutto piano, e
produce uomini poco atti alla fatica della gufi^-^ '•> e per-
ciò potrebbe esser offe&n àsìU pane del mare e dalla
l54 PORZIO
terra , ancorché il Re l' abbia fatto in alcuna delle sue
città alquanto forte. E ben vero che dalla parte del mare
è più sicuro che di terra , non essendovi porto alcuno.
È la piaggia molto pericolosa, stando sottoposta alle tra-
versie di Tramontana e di Greco , ed il lido del mare
ha si poco fondo che è necessario alle navi che van-
no in quelli luoghi di stare discoste da terra un lungo
spazio. E siccome il mare non è copioso di pesce , così
la terra ha tanta carestia di acque che sarebbe di gran-
de impedimento alle armate ed agli eserciti che la vo-
lessero assaltare. Dalle quali cose chiaramente appare le
tenute fortezze dal Re con tanto dispendio sopra questa
marina di Terra di Bari esser quasi inutili.
E numerata dalla Regia Corte in fuochi 3886i.
Vi possiede il Re terre di Demanio Trani , Barlet-
ta, Bari, Monopoli, Bitonto , Bisceglia.
Le fortezze sono a Barletta , Trani, Bari, Monopoh,
nelle quali terre in tempo di sospezione di armate nimi-
che vi pone anche il Re il presidio : lo stesso fa nella
terra di Bisceglia.
Ha fanti di battaglione 1942.
Ha tre Arcivescovati Bari, Tram, Matera.
I Vescovati sono quindici Gravina , Bitonto , Mol-
letta , Giovenazzo , Ruvo , Polignano , Minervino , Con-
versano , Bitetto, Andria, Bisceglia, Monopoli, Rapolla,
Alessano , Canne. A nominazione del Re sono Trani
Matera, Giovenazzo. I beneficii de jure patronato Regio
sono a Bari il Priorato, Tesorerato, Cantorato , Sottocan-
torato, e lo. metà de' Canonicali di S. Niccola, e la Cap-
pella di S. Ludovico, a Barletta S. Silvestro, a MoDO-
»
HELAZIONE CEL HEGNO DI NAPOLI l5S
poli S. Lucia, S. Kiccola, a Molfella la Cappella tlell' al-
tare maggiore del vescovato , a Traili la cappella Reale
dentro l'arcivescovato, ad Altarnura l'arcipretato.
I Baroni litolati di terra di Bari sono il Principe «li
Molletta , il Duca di Andria , il Duca di Gravina , il
Marchese di Quarata , il Marchese di Polignano, il Mar-
chese di Capurso , il Conte di Canosa.
Si la in questa provincia nella Città di Bari una gran
fiera per la festa di S, Niccola, e nella terra di Barletta
un' altra per la festa di S. Martino.
II Governatore di questa provincia è il medesimo di
Terra di Otranto.
Nella città di Bari in un ricco tempio si conserva-
no r ossa del beatissimo S. Niccola, dalle quali esce un
liquore giovevole all' infermila , che i paesani manna lo
dicono.
Di Capitanata , owero Puglia Piana.
Distendesi la provincia di Capitanata, della da' La-
tini Apulia Daunia , dal fiume Ofanto al fiume Trigno ^
tiene il primo dall' oriente, ed il secondo dall' occidente.
È provincia assai giovevole alle altre del Regno , ma in
quanto a sé è la più inutile che vi sia^ perchè è malis-
simo abitata, di non buona aria , priva di alberi e di le-
gna , poverissima di acque. La state viene infettata da
grandissimi caldi ed innumerabili mosche e gran copia
di serpi. Gli uomini sono inetti all'arme ed alle ìdiì'*ohey
i cavalli deboli di forze. Dall' altro cant- |.ioduce questa
provincia giauo , ui^.o ed altre biade in tanta quantità
1 56 PORZIO
che veramente sì può chiamare il granajo non solo di
]VapoH e del Regno, ma di molte città d'Italia. Vi si fa
il sale ed il salnitro 5 vi si .... nel verno, e nutrisce la
maggior parte del bestiame del Regno che da' luoghi mon-
tuosi e freddi discende al piano ed all' aria temperata
di lei , ed in tanto numero che alle volte passa i mi-
lioni. Discendono anco la state in essa infinito numero di
persone a mietere il grano j e la natura contra il male
delle serpi 1' ha anche dotata del rimedio, producendo in
quelle parti assai cicogne chele divorano, le quali fanno
il medesimo servigio in Terra di Bari. Nascono ancora nel
Monte di S. Angelo erbe salutifere , che con gran dili-
genza si cercano da' regnicoli e da' forestieri per com-
porre le medicine. È di poi questa provincia principal
membro delle entrate regie, rispetto della Dogana del be-
stiame e delle tratte del grano che in essa si esigono ,
per causa della quale abbondanza ed entrata può essere
desiderata da tutti i Principi vicini e lontani. Dalla
parte di terra ha poche difese, e dal mare potrebbe essere
grandemente offesa , se le fosse occupato il Monte S. An-
gelo che le sta di sopra , siccome 1' occuparono i Sarace-
ni, quando dominavano la Sicilia, e tennerlo molti anni,
Kè bastavano i regnicoli a cavameli, se non fossero stati
ajutati per mare dagli Schiavoni, che allora, ed anche di
presente, frequentano molto questa regione e fannovi abi-
tazione. Imperocché il Monte gira più di cento cinquanta
miglia , ed ha aspre salite j e sopra di esso vi sono ac-
qwp , piani, e boschi ed assai terre e castella. Ed ha il
Lago diVaxo.no di un cupo fondo, e di circuito di trenta
miglia, posto a lato al niuic, «Ito con poca fatica potrebbe
RELAZIONE DEI REGNO DI NAPOII l Sy
servire per un grande e sicuro porto. Per Io quale so-
spetto e per avere Principi potenti iotorno, come sono
il Turco ed i Veneziani, il Re in tempi sospetti custo-
disce due terre del detto Monte, Sant'Angelo, e Yiesti.
Corrono per la provincia , oltra il fiume Ofanto e Tri-
gno , Fortore e Candelaro.
Vi è il detto lago di Varano, e quello di Lesina,
che producono grossissime anguille chiamati Capitoni j vi
è il lago di e di Salpe con altri laghetti.
Ha di rincontro 1' Isola di Santa Maria di Tremiti
già detta Diomedea , ed è posseduta da' Canonici Regola-
ri , che vi hanno un monastero in fortezza.
È numerata questa provincia dalla Regia Corte fuo-
chi 19649.
Vi possiede il Re terre di demanio Manfredonia ,
Sansevero , Lucerà , Foggia , Viesti.
Vi tiene due fortezze Manfredonia e Viesti , e po-
nevi anche il presidio in tempo di sospezione di armate
niraiche.
Vi sono soldati del battaglione 982.
Ha un Arcivescovato Siponto.
I Vescovati sono Viesti , Larino , Lucerà , Ascoli ,
Bovino , Lesina, Troja, Volturara, Termoli, Salpe. I be-
nefici! de jjire patronato Regio sono a Lucerà il Diacona-
to , r Arcidiaconato, Tesorerato , Cantorato , e l' alterna-
liva de' Canonicati.
I Baroni titolati di della provincia sono il Principe
di Ascoli , il Principe della Cirignola , il Duca di Ter^
moli, il Duca di Torre Maggiore, il Marchesf <*» Vico,
il Conte di Marchia , il Marctcas di UelicetO.
i58 p 0 K z I 0
Fannovi'si due fiere V anno nella città di Luceva, ed
un' altra nella Terra di Foggia.
Vi tiene anche il Re la razza de' cavalli.
II Governatore di questa provincia risiede nella terra
di Sansevero , ed ha due Auditori.
Vi è anco il Doganiere di Puglia che esige nella
Terra di Foggia la dogana del bestiame, e tiene uno Au-
ditore che fa ragione a' pastori.
Nel soprascritto Monte di Sant'Angelo è una divo-
tissima spelonca , dove apparve l' Arcangelo Michele , e
piamente si frequenta da' popoli vicini.
E anco in questa provincia un Tempio celebre per
tutto il Eegno dedicato a S. Leonardo liberatore de' pri-
gioni e degli uomini posti in servitù.
Del Contado di Molise.
Se il mio giudizio non erra, i Re di Napoli nel di-
videre le Provincie del Regno , non ebbero altra mira
che alla grandezza del nome Regio ed alla facilità delle
esazioni de' pagamenti fiscali ^ delle quali due cose 1' una
ricercava molte provincie, e l'altra piccole. E perciò die-
dero nome di provincia a questo Contado di Molise, la
quale paragonandola alle altre provincie del Regno , non
the dell' Italia, è piccolissima : anzi pare , che nella ste-
rilità e fertilità del terreno, e nella qualità degli uomi-
ni, e quantità degli animali, sia composta di pezzi di cia-
scuna delle provincie fralle quali sta situata, cioè il Prin-
cipato dilli' oriente , Abruzzo dall' occidente , Terra di
Lavoro dal mezzodì , Caj^Uanftta ria traninntana. Fu già
RELAZIONE DKL REGNO DI NAPOLI i5q
abitata da' Sannitij è tutta sopra i monti, priva del marej
noQ ha terre grosse , non fortezze , non fiere , una sola
terra di Demanio del Re. £d ancorché alcun fiume pren-
da il suo principio in essa, non di meno nelle altre pro-
vincie piglia forza e nome : e per la picciolezza su a o
per la poca ricchezza gli animali di lei, che vanno a pa-
scolare nella Puglia, pagano di Dogana al Re la metà me-
no di quelli di Abruzzo.
La Terra di Demanio del Re è Isernia.
E numerata' dalla Regia Corte in fuochi i55o6.
Vi sono soldati di battaglione 7 Sa.
Ha quattro Vescovati Isernia, Bojano, Trivento, Guar-
dia alfiero, de' quali Trivento è a nominazione del Re.
Baroni titolati sono il Duca di Bojano , il Marchese
di Montenero , il Conte di Trivento.
Il Governatore di questa provincia è il medesimo di
Capitanata.
Di Abruzzo Cifra , ed Ultra.
Resta solamente di tutte le provincie del Regno a
ragionare della provincia di Abruzzo , la quale dall' O-
riente ha il fiume Trigno, e dall' Occidente il fiume Tron-
to. Abitarono già in essa Frentani, Peligni , Vestini , e
Sanniti. È molto grande e molto popolata , abbondevole
di frumento , di pecore , di lane, di formaggi , di pelli ,
olio , seta , zafferani , e vini ; la buona carta da scrive-
re j fa panni, principdmenle la terra di Tarantola e del-
l'Aquila, e sono i pyiiiii Aquilani i miglioi' i^el regno.
Imperciocché <juoUa «ittrè -stantio a'coufiui dell'Ecclesia-
l6o PORZIO
stico può raescolare la lana regnicela , che generalmente
è grossa, con altre lane forestiere più gentili. Ed ancor-
ché questa provincia sia montuosa e nevosa e nel verno
freddissima, nondimeno l'aria vi è salubre e generativa,
e vi nascono buoni cavalli, e le carni vi vengono ottima-
mente salate. Gli uomini del paese anticamente erano sti-
mati i più valorosi d' Italia , ma al presente sono i più
mansueti del regno , dediti al mangiare ed al bere , e
quasi tutti attendono al bestiame. E ben vero che la
provincia facilmente si può da' nemici difendere , perchè
dalla parte che confina coli' Ecclesiastico viene guardata
dal fiume Tronto, da altissimi monti, e dalle fortezze del-
l' Aquila e Civitella j dalla parte del mare non teme per
non esservi porti, e la foce del fiume Pescara dove si so-
gliono raccogliere vascelli sta ben guardata, e le piagge sono
a' vascelli pericolose non altrimenti che quelle di Puglia.
Oltre di ciò la provincia di passo in passo è da grossi
fiumi traversata , che sarebbero di grande impedimento
agli eserciti che volessero farsi innanzi , e sono i fiumi
principali il Tronto, la Pescara, il Sanguine, l'Umano.
Ha il Lago di Celano grande e pescoso, l'acqua del
quale i Romani condussero a Roma , e la nominavano
Acqua Marcia.
E numerata dalla Regia Corte in fuochi 96155.
Vi sono terre di demanio del Re Civita Reale, Guar-
dia greca, Lanciano , Civita di Cbieti , Teramo, Aquila,
Civitella , Alanno , Accumoli.
Vi tiene il Re le sopraddette fortezze Pescara , Ci-
vitella , V Aquila , ed in tempo di sospezione d' armata
nemica ingrossa il presidio Jolla T^rra di Pescara.
RELAZIONE DEL REGNO DI NAPOLI IDI
I soldati del battaglione sono SoqG.
Vi sono due Arcivescovati Civita di Chieti e Lanciano,
I vescovati sono l' Aquila , Civita di Penna , Sul-
mona , Teramo , Ortona iu Mare. A nominazione del Re
sono l'Aquila, Lanciano. Ed i heneùcn de jure patronato
Regio sono all' Aquila S. Martino , Santa Lucia , a Ci-
vita di Chieti S. Pancrazio.
Ha questa provincia Baroni titolati il Principe di Sul-
mona, il Duca di Tagliacozzo, il Duca di Atri, il Duca;
di Popoli , il Marchese di Pescara, il Marchese di Bellante,
il Marchese di Bucchianico, il Conte di Anversa, il Conte
di Palena , il Conte di S. Valentino.
Le fiere si fauno due volte l' anno a Lanciano , ed
una volta a Castello di Sanguine.
II Governatore di Abruzzo risiede in Civita di Chieti
con tre Auditori,
Neil' Aquila prima Città di questa regione con gran
divozione si conserva il Corpo di S. Berardino , che ha
fatto di molti miracoli.
DE' SUPREMI OFFICII DEL REGNO.
Sodo anche nel Regno, oltra i Governatori sopradetfi
delle Provincie , sette officii, che sono le prime dignità
di quello , ed il primo è
Il Gran Contestabile, che soleva avere il carico del'
r Esercito e del Campo del Re.
Il Gran Giustiziere, che aveva il carico di ammi-
nistrare la giustizia.
11 Grand' Ammiraglio , che avea carico' dell' armata-
e faceva ragione a' niariuari.
jCy PORZIO
Il Gran Camerario , che aveva il carico della Ca-
mera del Re, della guardaroba , e dell' entrale.
Il Gran Protonotario , che aveva il carico di ricevere
le suppliche che si davano al Re e di far loro le rispo-
ble , e creava I noiari e giudici a contratto.
Il Gran Siniscalco , che aveva il carico di provve-
dere al vitto ed allo alloggiare del Re e de' Cortegiani.
Il Gran Cancelliere , che aveva il carico di sigillare
le lettere e privilegii regii , e di creare i dottori.
In luogo de' sopraddetti sette officii amministrano al
presente i luogotenenti di cinque di loro de' quali il Re
ne crea tre.
Il Viceprotonotario , che suole essere il Presidente
del Consiglio di Capuana.
il Reggente della Vicaria in luogo del Gran Giustiziere.
U Luogotenente della Camera in luogo del Gran Ga-
jnerario.
Il Vice Ammiraglio è creato dal Grande Ammiraglio
in suo luogo.
Il Vice Cancelliere è creato dal Gran Cancelliere in
suo luogo.
Appresso a' sette officii sono nel Regno sei altri di
molta autorità , e sono
Il Tesoriere generale, che ha il carico di ricevere, con-
servare e pagare i danari che pervengono dall'entrate regie.
Il Segretario , che ha carico di far scrivere tutte le
scritture spettanti al governo e conservazione del Regno.
Lo Scrivano di razione, che ha il carico di tener li-
bro e couio di tutti i soldati del regno e far loro le li-
beranze delle paghe.
RELAZIONE DEL REGNO DI NAPOLI l63
Il Montiere Maggiore ha pensiero della caccia del
Re, e particolarmeole degli Struni luogo vicino a Napoli
e serrato da' monti , dove si conservano molti animali
per la caccia reale.
Il Cappellano Maggiore ha pensiero della cappella
del Re , e vede le scritture che vengono dalla Corte Ro-
mana , e suole essere un Vescovo.
Il Protomedico ha giurisdizione sopra tutti gli speziali
del Regno e le cose che vendono per medicine , ed è
sopra tulli i medici non dottori.
Vi sono ancora in ciascuna provincia del Regno due
officiali creati dal Re.
Il Maestro Portolano , che ha cura di tener conto
di quanto si cava dal Regno per mare e di far stare
conce le strade.
Il Percettore , che ip alcuna Provincia si chiama
anco il Tesoriero , ed ha cura di esigere i pagamenti fi-
scali da' popoli e da' Baroni , i quali sono tenuti di
mandarglieli di quattro in quattro mesi, e quelle provincie,
che sono Citra ed Ultra , lianno due percettori.
Vi sono due Capitani della grassa che han pensiero
che per terra non si cavi dal Regno oro , argento, ca-
valli ed altri animali e robe.
GUARDIE DEL REGNO.
Oltra le fortezze , ed i soldati del battaglione , de'
quali in ciascuna provincia si è fatta menzione, si pagano
dal Regno per sua guardia le infrascritte forze.
Sedici compagnie di uomini d' arme ia «uinero di
yoo , e solevano i essere miei'"" <i' 'talia, sì per la boutà
l6Z PORZIO
degli uomini , come del cavallo : imperocché gli uomini
erano tutti nobili, ed i cavalli lutti corsieri che avanzano
di forze lutti gli altri cavalli Italiani.
Sei compagnie di Cavalli leggieri in numero di 5oo.
Un terzo di fanteria Spagnola che dovrebbero essere al
numero di quattromila, ma rare volte giungono a quattromila.
Pezzi di Artiglieria in numero . . .
Torri poste sulle Marine per difendere il Regno da^
Corsari 3oo,
Quaranta Galee sforzate ed 11 loro Arsenale sta nella
Città di Napoli.
Per guardia del Regno si mantengono anche in To-
scana quattro fortezze Porto Ercole, Orbetello, Telamone,
e Piombino , e si mantengono per tenere in freno ed ob-
bedienza il Duca di Firenze.
DE' FANTI NECESSARII ALLE TERRE DI PRESIDIO DEL REGNO.
In tempo di sospezione di armate nemiche si sogliono
porre in ciascheduna delle sopraddette terre di presidio i
fanti necessarii per guardarle , i quali ascendono al nu-
mero di diecimila , cioè :
Pescara 200 Monopoli 5oo
Viesti 200 Brindisi 2000
S. Angelo 600 Otranto 600
Barletta 1200 Gallipoli. 200
Trani 1000 Taranto 600
Bisceglia 4oo Cotrone 600
Bari 5oo Lipari 200 w
(a) Dal mannscriUo <.\.k;,nTO trascritto esattamente le somme che non asscndono però a
10000 , per cui è probabile che Ti sia corsu t..„„.
RELAZIONE DEL EEGNO DI NAPOLI l65
Le terre di Giovenazzo e di Molfetia poste in Terra
di Bari sarebbero ancora luoghi di presidio, ma per esser
terre di Barone la Corte Pa'gia non vuole custodirle a
,s»e spese. Si suole in certe altre terre di marina, sicco-
me a Reggio e Tropea in Calabria , creare nel tempo di
sospezione un Capitano a guerra , che ha cura di tenere
n ordine ed armare le Città e le sue ville e di porvi le
guardie.
ENTRATE DEL RE NELLA CITTA' DI NAPOLI.
La Dogana 79000
La gabella del vino . 37890
Il Percettore della
Vicaria ..... 3oooo
I Censali 21000
La Gabella chiamata
Piazza Maggiore . 5553
L' officio del giusti-
ziere 2000
La gabella de' capret-
ti ed uccelli. . . i854
La taverna della Vi-
caria ii5o
La carcere della Vi-
caria 800
La gabella de' Ca-
Le sopradelte Gabelle
poli , dove non è numero,
da' Re di Napoli.
valli 324
Il buon denaro . .
I quattro danari a soma.
La gabella del peso.
Lo scannaggio.
II Reale sopra il pe.<;ce.
La Banca delle spase del
pesce.
Il falangaggio.
La lanterna.
La gabella de' melloni.
La gabella del Greco.
La gabella delle puttane.
La casa della farina.
La Bagliva , Portolania , e
Zecca.
ed entrate della Città di Na-
sono state totalmente alienate
1 66 PORZIO
ENTRATE DEL RE PER LO REGNO.
L'ordinario de' fuochi 787100
Il donativo de' Baroni e de' popoli ...... 600000
Le grana quattro a fuoco il mese per la fante-
ria Spagnola 23ii3o
La dogana di Puglia delle pecore 200000
Gli alloggiamenti degli uomini d'arme 146137
La gabella della seta intra ed extra 99^00
Le dogane di Terra d'Otranto, Bari, Basilica-
ta , e Capitanala 78000
li nuovo imposto dell'olio 68046
Le terre salde di Puglia 56ooo
Le strade 434^7
L' arrendamento del Ferro 3955o
Le guardie delle Torri della marina 36 114
Le Mastrodatlie ed altre entrate 3ooo
I Bargelli di Campagna 12000
Le tratte de' vini, grani, erbe ed altre vettovaglie.
Le signiflcatorie de' rilievi
I feudi dove succede la Corte
Le terre di Demanio del Re
Gli offici! che si vendono
Le audienze
GÌ* intercetti
I Passi e le Scafe
La gabella ordinaria della Seta di Calabria . .
2375oi4(<')
(«) Quello totJlc u„ i corriffondenU; ptr cui deYc anctt qui esser corso qualclie errore.
nEr.ATIO.VE DEL nEGNO DI NAPOLI 167
L'entrate del Regno dove non è numero, si ignor'a
quando rendano per ciascun' anno, o sono del tutto alienate.
Sono nel Regno alcune terre , che son franche di
certe delle dette imposizioni , ed importa questa lor fran-
cliezza da cinquantamila scudi l' anno, e debbono levarsi
dall'entrate. Si debbono anche levare mille scudi altri per
r anno per le terre e Castella riservate per Camere de'
Baroni , che perciò non pagano gli alloggiamenti alla
Cavalleria.
Oltre di quello, che il Regno paga in danari, e che
entra nella borsa del Re, è anco gravato di altri pesi , sic-
jCome sono il portare i legni per far le galee , il dare i
remieri , l' alloggiare la cavalleria , la fanteria , i famigli
di Corte, i Commissari! ed officiali che vanno per lo Re-
gno , far guardie, perseguitare banditi, accompagnar Car-
ruggi , e prigioni.
Le quali spese de' popoli aggiunte alle soprascritte
imposizioni, importerranuo tutte l'entrate e pagamenti del
regno da tre milioni d' oro l' anno , gravezza da per sé
grande rispetto alla picciolezza del paese, ma la fa molto
maggiore il mal modo , col quale si esige , sicché per
pagarla tutte le università del Regno hanno fallo eccessivi
debiti , e vengono in un tempo slesso dalle imposizioni
e dall' usure divorate.
La spesa del Regno non si pone per non potersi
avere l'intero notamento di quella, ma per quanto s'in-
tende avanza 1' entrale.
i6S PORZIO
LA GENEALOGIA DE' RE DEL REGNO.
Le Provincie del Regno di Napoli furono ridotte in
Regno da' Principi Guiscardi 1' anno della nostra saliue
MCXXX, ed il primo Re fu
Ruggiero Guiscardo , il quale ottenne il titolo Regio
dal Pontefice Innocenzio Secondo , morì nella Città di Pa-
lermo avendo regnati anni XXIII.
Guglielmo detto per soprannome il Malo morì a Pa-
lermo e regnò anni XV.
Guglielmo Secondo chiamato il Buono mori a Pa-
lermo , e regnò anni XXV.
Tancredi regnò anni V e fu bastardo della casa Gui-
scarda.
Ruggiero Secondo regnò pochissimo tempo, ed in essc^
si estinse il sangue de' Guiscardi , ch'era durato nel do-
minio del Regno circa cento cinquanta anni.
Errico della casa di Svevia , figliuolo dell'Impera-
tore Federico Barbarossa e marito di Costanza Guiscarda,
morì a Messina , e regnò da circa anni VII,
Federico Secondo Imperatore morì in Puglia avendo
regnato anni XXVIIII. Da questo Federico incominciarono
i Re di Napoli a chiamarsi Re di Gerusalemme, il che ac-
cadde perchè Federico ebbe per moglie lolanta figlia ed
erede del Re di Geiusalemme.
Corrado morì in Italia , e regnò anni IH.
Manfredi fu ammazzato da Carlo d' Acgiò in bat-
taglia presso alla Città di Benevento e regnò anni X , e
lu bastardo , e 1' ultimo della casa di Svevia , eh' era
durata nel dominio del rogoo anni XXXXIX,
I i
RELA210SE BEL REGKO DI NAPOLI 169
Carlo d'Angiò fratello del Re di Francia mori in Pu-
glia , e regnò anni XIX. Sotto di questo re la Sicilia fu
smembrata dal Regno di Napoli , e fu presa dal Re Pie-
tro d'Aragona, che aveva-per moglie Costanza di Sve-
via figlia del Re Manfredi.
Carlo Secondo mori a Napoli e regnò anni XXIV".
Roberto mori a Napoli senza eredi maschi , avendo
regnato anni XXXIII.
Giovanna nipote di Roberto fu fatta morire affogata
in Aversa da Carlo di Durazzo : regnò anni XXVIllI.
Carlo Terzo detto di Durazzo fu ammazzato in Un-
gheria dove era slato chiamato per Re e regnò anni V.
Ladislao mori a Napoli senza figli j regnò anni XXVII.
Giovanna Seconda sorella di Ladislao mori a Napoli
e regnò anni XXI ed in essa fini il sangue di Angio ,
eh' era durato nel dominio del Regno anni CLX.
Alfonso Re di Aragona essendo stato adottato per figlio
dalla Regina Giovanna mori a Napoli, e regnò anni XVL
Ferdinando mori a Napoli, e regnò anni XXXVIIII,
e fu bastardo della casa di Aragona.
Alfonso Secondo mori in Sicilia , e regnò un anno.
Ferdinando Secondo mori a Napoli, e regno anni IL
Federico mori in Francia, e regnò anni IV.
Ferdinando di Aragona Re di Spagna chiamato il
Cattolico mori in Ispagna, e regnò anni XIV, ed in esso
si estinse il sangue di Aragona ch'era durato nel domi-
nio del Regno anni LXXVI.
Carlo V Imperatore della casa d' Austria nato di
Giovanna di Aragona figliuola del Re Cattolico mori in
Ispagna ; regnò anni XXXV'III.
170 PORZIO
P'ilippo sono anni XX che regna, e regnerà per la
Dio grazia molti altri.
E da avvertire che i Re di questo Regno , che
non possederono la Sicilia, si chiamarono medesimamente
Eex Siciliae, di maniera che i Re che dopo loro han-
no avuto 1' uno e 1' altro regno , alcuni si sono chiamati
Rex Sicìliae cifra et ultra Pharum , altri han detto
Rex ntrìusque Siciliae come si chiama il Re presente.
Dee anche sapersi che il Regno è feudo della sede
Apostolica e le è tributario in una sola chinea per
concessione fatta da Alessandro VI al Re Cattolico j ed
i settemila scudi , che di più paga il presente Re, sono
per la dispensa ottenuta dal Pontefice Giulio Terzo di
poter tenere lo stato di Milano insieme col Regno, il che
non si può per proibizione fatta da' Pontefici a' Re di
Napoli .
DELLA DISPOSIZIONE DEGLI ANIMI DE' REGNICOLI
VERSO IL PRESENTE DOMINIO.
Convenevol cosa è che avendo io rappresentato a V.
ih. sotto brevità tutto il paese del Regno di Pfapoli e
sue qualità, le dimostri ancora in pochissime parole la dis-
posizione degli animi de* regnicoli , cognizione molto
più necessaria al governo di V. E. della prima ; e glie
la rappresenterò istorialmente, sapendo quanto sieno biso-
gnosi i Principi di persone che lor dicano il vero. Saprà
dunque V. E. che gli uomini di questo Reguo, ancorché
sieno di tre sorti Plebei , Nobili e Baroni , nondimeno
hanno tra loro lo qualità comuni, come sono l'esser de-
RELAZIONE DEL REGNO DI NAPOLI J7I
siderosi di cose nuove, poco timorosi della giustizia, far
molta stima dell' onore , amar più l' apparenza della so-
stanza , coraggiosi , micidiali , e quel che è del tutto il
peggiore, sono concordemente del presente dominio poco
contenti. Nasce in lor tutti questa poca contentezza non
da odio che portino al lor Re , che lo amano e lo tt-
lebrano j ma per vedersi i plebei dalle soverchie gravezze
e dagli alloggiamenti impoveriti e distrutti , in continua
carestia , il che quantunque sia peccato della natura , essi
l'attribuiscono a' Governatori. Veggonsi in continua guer-
ra , perchè se manca V esterna , non manca l' interna di
fuorusciti , di ladri e di corsari. I nobili vivono in dis-
piacere per non avere alcun trattenimento dal pubblico ,
e per vedersi quasi chiusa la strada alle dignità dell' ai-
mi e delle lettere. Gli officii e beneficii , che al tempo
de' Re Aragonesi erano tutti loro, in maggior parte li veg-
gono in mano de' forestieri. I Baroni ancor essi sobo
mal soddisfatti , perciocché vengono sopra le lor forze
gravati di donativi , e perchè si è dato da' magistrati regii
tanto ardire a' loro sudditi che appena gli possono do-
minare. Oltre di ciò essendo i Baroni di animi superbi,
non possono tolerare che per ogni minimo peccato sieno
chiamati alla Corte , e non sia fatta né nel procedere ,
né nel punire, se non pochissima differenza fra essi e gli
altri sudditi. È ben vero che dopo la venuta di V. E.
in questo Regno i Plebei , i Nobili , ed i Baroni pajono
addolcili , e generalmente da tutti e da ciascuno in par-
ticolare si spera che colla destrezza dell' ingegno , colla
prudenza del reggere, e colla bontà dell' aniu)o di V. E.
si darà tal rimedio a' lor mali che essi non avranno pili
da dolersi , ma viveranno lieti e coutenti.
.,3
INDICE
INTORNO ALLA VITA ED AGLI SCRITTI DI CAMILLO PORZIO
NAPOLETANO , MEMORIA DI AGOSTINO GERVASIO.
Parte I pag. 2
Parte II » 18
Annotazioni alla prima parte « 35
Annotazioni alla seconda parte >j 4^
DELL' ISTORIA D' ITALIA DI CAMILLO PORZIO.
I. Proemio »» 4?
II. Stato dell' Italia dopo il 1 544 '' 48
III. Paolo investe Pierluigi Farnese Duca di
Parma e Piacenza >' 5o
IV. Carlo V non riconosce una tale investitura. ■» 5\
V. Discordie trai Papa e V Imperatore ..." 53
VI. Pierluigi si stringe di parentado col Re di
Francia '» 56
VII. Cause e cominciamento delV inimicizia del
conte di Fiesco cantra i Dorii ....>» •>"]
Ylll. Discordie tra i Dorii ed i Farnesi . . . >j Sq
IX. Il Conte del Fiesco compra quattro galere
dal Papa » 61
X. Finte dimostrazioni di amicizia del Conte
del Fiesco vei'so i Dorii »> 63
';4
XI. Consiglto dato da Gìo. Battista Verrina al
Conte del Fiesco^ e da costui approvato.» 64
XII. // Conte ajf retta V adempimento deila con-
giura M 67
XIII. Il Conte del Fiesco movendo contra Gian-
nettino Doria rimane sommerso nel
mare w to
XIV. Morte di Giannettino Doria. Fuga del
Principe Doria » 72
XV. Girolamo del Fi&sco vanamente cerca ec.-
citate il popolo all' armi e si ritj'ae in
■ Morttario V\^ J » 73
XVI. Ritorno del Principe Doria in Genova. » 74
XVII. Punizione de' partigiani del Conte del
Fiesco M 78
XVIII. Premure di Papa Paolo per trasferire il
concilio in Bologna » 80
XIX. D. Pietro di Toledo si pone in cuore
d'introdurre l'inquisizione in Napoli » 82
XX. Sdegno de' Napolitani per lo timore del-
l' inquisizione » 84
XXI. Breve Apostolico per inquirere gli eretici » 86
XXII. Gli eletti di Napoli pregano il Viceré
che non si lasci indurre a fare esegui-
re il breve. Sua risposta » 8y
XXIII. Dibattimenti trai Viceré ed il Vicario di
Napoli " 88
XXIV. Il Viceré a domanda de' Napolitani li
lìbera dal timor dell' inquisizione . . m 89
XXV. Movimento della plebe sedato da' nobili » 93
.75
9G
9»
XXVI. Tommaso Aniello messo in prigione è
poi liberato w
XXVII. Il riceve indarno fa opera perchè i
Napolitani non m,andino amhasciatori
a Cesare »
XXVIII. Supplizio di tre Napolitani ordinato dal
Viceré. Sua cavalcata per la Città.» loo
XXIX. Tumulti nella città »> loa
XXX. Gli amhasciatori del Viceré e della
Città a Cesaree » io4
XXXI. Orazione di Placido di Sangro a Carlo V. » i o5
XXXII. Risposta di Cesare , e partenza di
Placido • **
XXXIII. Il Viceré si provvede di armi e di
Soldati "
XXXIV. Combattimenti ira gli Spagnnoli e Na-
politani «
XXXV. Venuta di Placido in Napoli. 1 Na-
politani depongono le armi . . . . ì>
XXXVI. Novella ambasceria de" Napolitani a
Cesare >»
XXXVII. Informazione presa del succeduto in
Napoli e risultato di essa . . . . w
XXXVIII./Z Pontefice colVanimo ognora più di-
lungasi da Cesare » 120
XXXIX. Pier Luigi Farnese favoreggia i Fran-
cesi }j 1 2 1
XL. Cause del disgusto cantra Pier Luigi. ì> 122
XLI. Congiura de' nobili Piacentini contra
Pier Luigi w J23
109
110
1 12
i«4.
ii6
117
t
196
XLII. 1 congiurati danno la morte a Pier Luigi.» 1 26
XLIII. D. Ferrante Gonzaga per V Imperatore
s'impadronisce di Piacenza » 128
XLIV. Il Gonzaga proccura insignorirsi di Parma. ìj 1 3o
RELAZIONE DEL REGNO DI NAPOLI AL MARCHESE DI
aiONDESCIAR VICERÉ DI NAPOLI DI CAMILLO PORZIO
TRA IL 1577 E 1579.
Dedicatoria'^ « i35
Del regno di ISapoli >j iSy
Di Terra di Lavoro » 189
Di Principato Citra ed Ultra w i43
Di Terra di Bari » i53
Di Capitanata , ovvero Puglia Piana . . . . jj 1 55
Del Contado di Molise « i58
Di Abruzzo Citra ed Ultra 33 1 Sg
de' SUPREMI OFFICII DEL REGNO » l6l
GUARDIE DEL REGNO w l63
de' fanti NECESSARIl ALLE TERRE DI PRESIDIO DEL
REGNO " 164
ENTRATE DEL RE NELLA CITTa' DI NAPOLI . . . 5J l65
ENTRATE DEL RE PER LO REGNO « 1 66
LA GENEALOGIA DE* RE DEL REGNO ........ l68
DELLA DISPOSIZIONE DEGLI ANIMI DE' REGNICOLI
VERSO IL PRESENTE DOMINIO ,«170
AVVERTENZE.
Pag. 5i lini 22 qualora Milano obbedisse il Francese, o di sotto a Cesare si
perseverasse. Cosi leggonsi qucsle parole nel maouscritto: sembra per al-
tro che abbiano uopo di qualche emendazione.
Pag. 52 lin. 12 consente d'ivi il passare e delle vettovaglie. Cosi il maott-
scritto : ma anche qui sembra doversi emendare.
Pag. 82 lin. 22 il sommo pontefice, leggasi ed il sommo pontefice.
Pag. 167 lio. i5 carruggi: cosi Yolgarmenle dicCTasJ iovecc di carrucci.
I
s,4, A Sg!«*'*'>'''*"*'"*i6»'ti*c«ioacx;£
atti
ii3
IIDELL'ACCADEMIA PONTANIANA
>»«»«(€(©
FASCICOLOglI DEL VOLUME IV
nccaileinia
pouta.iuiii.1 publìlica i suoi alti in fascicol
ascicoli afliiiclic
misura che sono ap-
_ li • * l'ui^iiiita I SUOI a
possano sollcc.lameiilc conoscersi ie memorie a
provate.
SLUza aslnnge s. ad alcun detenn.nafo periodo o numero di fodi
iVonJnZ"t ' 'r''°''/'^^ ^"^^'^""^ '^°™P°- "" volume! s dà il
ionlesp>..o, \a dcd.ca , Ja sloria de" lavori , «1 il catalo-o dMi ncca
demic. da ,,rcn,clters, al volume medesimo.
Jl pnmo volume composlo di ciuque fascicoli è già pubblicato.
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3-
«A TORCHI DEL TR.UIATER
; sisei?)xsf3ì?»eeiesì<
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1
DI FNA KiVICAZIOKE lIEDITERRiNEA IN CiPITlWTA
TRA FOGGIA E MANFREDONIA
E DELLA IRRIGAZIONE DI QUELLI TERRENI
ùi{a ati accaaemìa /uin(aniana, aaC tfccto redCaenlù
VBKCEKSO AWTOKaO ROSSI
cella lomaJa de' i8 Agosto i83S.
G
lonosciuta tra noi , più che non era , I' utilità delle
facili comunicazioni e la loro grande influenza sulla pro-
duzione, fu immaginato di stabilire una navigazione me-
diterranea in Capitanata , ed in ispezialtà tra Foggia e
Manfredonia : e di far valere le acque che servir dove-
vano per la navigazione alla irrigazione ancora. Ma non
abbastanza nota l' indole de' fiumi di quella provincia ,
da una parte chi immaginò la cosa troppo riproraette-
vasi , dair altra vi era chi di troppa bizarria l' accusava.
Fu perciò che il Governo risolvette di spedire colà un
ingegnere all'oggetto : ed un tale onorevole incarico fu
a me affidato (*).
(•) La mia gita in Capitanata pel zie statistiche e commerciali comprese
detto oggetto ebbe luogo nei primi mesi in questa memoria a quell' epoca si
dell' anno i833; laonde tutte le noti- riferiscono.
Tom. IV' 23
I7B ROSSI
Per la qual cosa ho avuto bella opportunità di or-
dinare queste Memorie, che ora ho l'onore di sottomet-
tervi, dottissimi Colleghi. Dalle quali tre cose principal-
mente risultano : cioè
1." l'impossibilità di navigare le acque della Capita-
nata nello stato naturale in cui ne sono i corsi e gli sta-
gni , e la inconvenienza di renderli navigabili :
2.° r impossibilità della proposta navigazione :
3.° la possibilità di stabilire da Foggia a Manfredonia
un canale artefatto per la navigazione j e le opere di che
abbisogna.
Ho diviso il mio lavoro in due capi : nel primo par-
lerò de' fiumi della Capitanata e della loro natura , e
della proposta navigazione , ed irrigazione. Nel secondo
delle opere da farsi per un canale artefatto da Foggia a
Manfredonia. E poiché l'acqua che ne' canali impiegasi
come principal mezzo di trasporto n'è l'anima e la vita,
e debbe variare in quantità al variare delle cose da tras-
portarsi , dirò del commercio tra Foggia e Manfredonia ,
dell' acqua che vi abbisogna per sostenerlo ed anche au-
mentarlo , di quella che immediatamente si ha e come
raccoglierla j dalle quali cose, e dal cammino da percor-
rersi principalmente dipendono le opere da farsi.
DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 1 79
CAPO PRIMO
DEI FIUMI DELLA CAPITANATA , DELLA LORO NATURA , E
DELLA PROPOSTA NAVIGAZIONE ED IRRIGAZIONE.
I.
I nrinclpali fiumi della Capitanata sono (si guardi la dcì Gmii aiu
rt, , ^ . !• T-> • -1 Vi 1 -i ^ Capilanaln e del-
Tavola) a sirocco di Foggia il Carapella ed u Cervaro -, la loio natura.
a maestro il Gelone, il Volgano, il Salsola, ed il Trio-
Io j a greco il Candelaio. L' Ofanto ed il Fortore se-
parano la Capitanata dalla Terra di Bari e dalla Basili-
cata il primo, da Molise il secondo.
Tutti cpesti fiumi sono ad un tempo torrenti : ripi-
da n' è la pendenza , variabile per alcuni tratti il corso,
differentìssime nelle diverse stagioni le portale : raccol-
gono tutte le piovane della provincia , che vi scendono
torbidissime, e trascinano giù pei tronchi superiori grossi
macigni , che poi vanno man mano deponendo ; e nelle
grandi piene trasportano quelli di minore grandezza sino
ne' tronchi poco sopra corrente a Foggia. Colle portale
ne variano notevolmente le profondità e le larghezze :
gli straripamenti vi sono frequenti. È tale 1' indole loro
che le velocità sono così grandi , le filtrazioni cosi ab-
bondanti, e tali le evaporazioni , che comunque raccol-
gano tutte le acque che piovono sulla provincia e non
tutti abbiano scarse sorgive j pure il Celone soltanto non
mai nella state si asciuga per tutto il suo corso. 11 Cer-
varo nei tempi assai secchi in alcuni tronchi quasi non
1 So n o s s I
ha più acque : e le ha sempre soltanto dal Ponte Vergi-
nola in giù, ove sono abbondanti sorgive. II Volgano
anivato al piano , ed alla sua confluenza colla Salsola
perde nella stessa stagione in gran parte le abbondanti e
limpide acque che gli tributano i molti suoi fonti che
sorgono alle vicinanze di Biccari. La Salsola allora ha
acque soltanto ne' tronchi prossimi alla sua influenza nel
Candelaro , dopo aver ricevute quelle del Volgano. Ed
il Candelaro disperde quelle medesime acque che la Sai-
sola ed il Gelone gli danno j talché in quello stesso sito
ove nelle piene invernali corre in amplissimo letto e si
allarga per le laterali campagne , nella state vi si passa
quasi a piede asciutto. 11 Triolo ed il Carapella nella
state scarseggiano d' acqua.
II.
,ii MvSVnd Questi pochi fatti bastano per mostrare Pimpossibi-
'i"ie rVnconlc'- ''^^ ^^ navigare i detti fiumi nel loro stato naturale. Pei
dcX navigabili! '^ barche a chiglia vi manca sempre (meno che per qual-
che brevissimo tratto) la profondità , per le barche piatte
vi si oppone potentemente la variabilità delle sponde o
del letto , e le istantanee piene : per entrambe la sover-
chia pendenza.
Isè opere d' arti anche le più difficili , potrebbero
valere a renderli navigabili con profitto in ogni stagione^
non potendo esse stabilirsi senza un' arginatura quasi ge-
nerale, che sarebbe necessaria particolarmente per preve-
nire 1 tristi effetti che ne verrebbero nelle massime piene,
dalle molle pescaie che farebbe mestieri stabilirvi onde
DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 1 8 1
tliminiilrne la pendenza , e la quale arginatura varrebbe ad
un lempo per resttiugerne il letto, accrescerne la profon-
dità , e diminuirne le evaporazioni.
III.
De' sopradetli fiumi il Gelone, la Salsola, ed il Trlolo odiapropotu
• n«iiy-iii «l'i^^ • navigazione ar-
sono influenti del Candelaro: e cruesti ed il Cervaro si sca- tiSaaie, e de-
•' -'• grinconvenicnli
ricano ciascuno con un ramo nel lago Verzentino, e con ^"^^ pres.au.
un altro nel Pantano Salso, che con quel lago comunica.
E il Pantano Salso uno stagno in riva al mare, posto
a poche miglia da Manfredonia alle falde meridionali del
colle detto Monto Aquilone , poco discosto dal sito ove
sorgeva l'antica Siponto. Quantunque di notevole estensio-
ne in superficie, ne sono basse le acque ; nei tempi raedii
di circa palmi 2,5o, ed ov' è massima di palmi 5,ooj
ha comunicazione col mare per due canali che si cougiun-
gono in uno, ov' è un ponte sulla marina nel luogo detto
hxL Sciale. Nei tempi poco piovosi e nella state ne dimi-
nuisce 1' altezza, e notevolmente si ristringe, nei tempi pio-
vosi s' innalzano le sue acque e straripano, e talora inondano
le vigne che si coltivano tra esso ed il mare, e comunica
con questo per altre parti ancora : soffre in somma tutte
le variazioni dei fiumi che vi si scaricano, ed in oltre si
va irregolarmente colmando colle torbide abbondantissime
che essi due fiumi vi portano, le quali disordinatamente
vi si depongono, ed ora in un sito , ora in un altro ,
secondo che variano le velocità e le direzioni delle acque
di essi fiumi : che anzi talvolta le già deposte in alcuni
luoghi ne sono rimosse.
iSa ROSSI
Non dissìmile di natura e di regime è il Lago Ver-
zentino messo sopraccorrente al Pantano : solo è di più
angusta larghezza, e di bislunga figura. In esso si scarica
pure la Marana.
E la Marana un rivolo che sorge a circa miglia tre
ed un quinto da Foggia a destra della Consolare di Man-
fredonia. Ivi è l'origine di una valletta , ove alle vici-
nanze di un casolare detto il Demanio sono alcune sor-
genti che danno a minuto palmi cubici 36 di acqua. Que-
ste scendono limpidissime j ed allargandosi man mano tra
due bassissimi poggi, si scaricano nell' estremità superiore
del Verzentino. Basso ne è il fondo, perenne il corso, e
ne' tempi di jiioggia si allarga per modo che più tosto
di laguna ha sembianza che di rivolo.
Fu immaginato ( oltre alla navigazione naturale pei
delti fiumi , della quale ho già detto 1' impossibilità od
al certo l' inconvenienza), di far navigare dal mare presso
Manfredonia a Foggia : pei canali che lo mettono in co-
municazione col Pantano Salso, per questo, pel lago Ver-
zentino , per la Marana del Demanio , e per un canale
artificiale , che deriverebbe le acque, dal Gelone all' origine
di essa Marana, passando per Faraniello ; e ciò con sem-
plici cavamenti.
L'impossibilità della quale navigazione è chiara dopo
ciò che si è detto.
Da Foggia a Verzentino vi si oppone principalmente
la grande pendenza , da ivi al mare 1' ordinaria pochissi-
ma profondità delle acque, i naturali, irregolari, e talora
mobili colmamenti, le instantanee varietà di livello.
DI UNA NAYIGAZIO:<E MEDITERRANEA l83
IV.
Se è impossibile navigare i corsi e gli stagni della Ca- . ndu rrigi-
pitanata nello slato in cui naturalmente sono , e per nulla
coiivenienle il renderli navigabili j non è lo stesso della ir-
rigazione. Imperocché se per la navigazione sarebbe uopo
che per lo meno da Foggia sino in mare tutto stesse fjuasi
nel medesimo stato, per irrigazione, al contrario, non lo sa-
rebbe, potendosi indipendentemente dalle rimanenti campa-
gne irrigare soltanto quelle messe a lato di certi determinati
tronchi di fiumi ^ cioè quelle ove le acque sono perenni e vi
si mostrano sempre a sufficienza j ed ove per l'attuale re-
gime è più facile e meno dispendioso, o non abbisogna di
lunghe arginature lo stabilimento di parate, o di pescaie.
E sarebbe forse più conveniente ridurre irrigabili
que' terreni fiancheggianti i tronchi dei fiumi che hanno
i detti requisiti , che non quelli soltanto messi a lato di
un canale artefatto da aprirsi per la navigazione e la ir-
rigazione da Foggia a Manfredonia.
Si comincerebbero a stabilire pescaie o parate nei tron-
chi de' fiumi, ove ciò sarebbe più facile e di minore spe-
sa , ed in sulle prime in un solo di essi 5 sarebbe facile
ottenere la nuova coltivazione sur una breve estensione
di terreno j i coltivatori non vi mancherebbero , e per
dirigorvela sarebbe possibile chiamarne i necessarii già
esperti in tal genere di coltura da altre contrade j e la
spesa sarebbe proporzionata all' utile che immediatamente
se ne trarrebbe. Questo primo saggio sarebbe come am-
maestramento pegli altri , ed i naturali del paese si
l84 ROSSI
troverebbero già istrutll da' forestieri , quando un altro
tronco di fiume si riducesse alto ad irrigare.
Così, facendo poi man mano le opportune opere ne'
diversi tronchi de' diversi fiumi che avessero i detti re-
quisiti , a cominciare da quelli che li possedono in più
alto grado , si condurrebbe quasi per mano al cambia-
mento di sistema , il capitale impiegato sarebbe sempre
ju'oporzionato all'utile maggiore j i varii tronchi di fiumi
ridotti per irrigare , essendo su varii punti della provincia,
inviterebbero al nuovo sistema di coltura le popolazioni
delle diverse comuni messe sul piano , senza obbligarle
a fare lunghi tragitti j ed in fine i prati artificiali che po-
trebbero irrigarsi, con molto successo per la pastorizia, sa-
rebbero sparsi per tutto il piano, e non riuniti tra Fog-
gia e Manfredonia soltanto^ la qual cosa di utilità somma
pei pastori al certo sarebbe. Ed è da osservare inoltre
che pel canale da Foggia a Manfredonia non possono farsi
servire che le acque del Gelone soltanto , od al più le
sue e quelle del Gervaro , a meno che non si volesse
incorrere in immense spese , quando le acque degli altri
fiumi sino $ì canale volessero derivarsi.
consc enzc ^ '^^^ Opinione dunque non potersi navigare i corsi
d' acqua naturale , né doversi rendere navigabili ^ poter-
sene rendere man mano atti al servizio della irrigazione
quei tronchi ov' è più facile e meno dispendioso lo sta-
bilimento di parate o pescaie e la loro conservazione ,
cominciando da quelli pei quali tali requisiti hauuo luogo
in jiiù eminente grado.
7 DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA l85
CAPO SECONDO
DI UN CANALE ARTEFATTO DA FOGGIA A MANFREDONIA DA
SERVIRE PER LA KAVIGAZIOME ED IRRIGAZIONE, E DELLE
OPERE PER ESSO NErF.SSARTE.
I.
Un canale di navigazione e le barche che debbono intorno aiicdi-
, . 1 . . . . mcnsioni da da-
percorrerlo possono riguardarsi insieme come una sola e re ai canali di
. . 1. . . • • navigazione, ed
medesima macchina , di cui è uffizio il trasportar pesi : a- tatteiii che
ed è chiaro che variando la natura di questi , variando '^«»'''
cioè le forme le dimensioni e la gravità specifica delle
cose da trasportarsi, variar debbono le parti che compon-
gono la macchina : così altro dovrà essere il mezzo da
trasportare eleganti generi di moda, che di necessità deb-
bono avere determinate forme , e che non possono per
nulla ridursi in più angusto volume , come a cagion di
esempio cappelli , cuffie e simili oggetti j che quello da
trasportare minerali grezzi di ferro , che hanno notevole
pravità specifica, e che possono comunque ammucchiarsi^
od il trasportare il medesimo ferro ridotto in verghe, ia
utensili, od in suppellettili che vanno- soggette ad imbal-
laggio o che vanno ordinatamente disposte.
Di qui la necessità di dare ai canali dimensioni adat-
tate al trasporto degli oggetti che costituiscono il com-
mercio dei paesi ove vogliansi stabilire. Che un canale
di navigazione servir debbe al cammino dei battelli , e
questi a'gli oggetti di che debbonsi caricare.
Tom. ir. 24 '
1 85 R 0 s's I
Lasciando stare de' canali dell' antichità , non molto
si badò in Italia alle dette condizioni j parecchi de' suoi
canali navigabili essendo in sulle prime destinati alla ir-
rigazione'soltanto. Quando in Francia si stabilirono, sem-
bra che si avesse avuto in mira più tosto la gloria della
nazione e la celebrità nella grandezza dell' opera , che la
utilità e la convenienza. Non così in Inghilterra ed in Ame-
rica, ove si adottarono di varie dimensioni, non solo per
la diversa natura de' terreni su cui si tracciarono , ma
ancora pegli oggetti che su ciascuno di essi era mestieri
trasportare, appunto perchè si ebbe riguardo alle cose pel
di cui trasporto più specialmente ciascuno di essi abbiso-
gnava. Venne di poi l'americano Fulton, ed indi il fran-
cese Bettancourt , che avrebbero voluto solo per econo-
mizzare acqua adottare sempre dimensioni così auguste da
farli servire a battelli di portata non maggiore di quattro
tonnellate j ma la loro opinione fu generalmente combat-
tuta ed in ispezieltà con molta energia dall'inglese Chap-
mann ; ed anche in Francia ( ove in sulle prime fu al-
quanto favolata , perchè credettero che di tal sorta fosse
la piccola navigazione in Inghilterra ) non fu adottata ,
come non lo fu in niun sito di Europa che io sappia.
Tanta importanza va collegata colla giusta proporzionata
grandezza dei battelli agli oggetti che debbonvisi caricare.
Le troppo grandi dimensioni conducono a grandi
spese, consumano molt' acqua , richiedono troppo tempo
pel passaggio pei sostegni , e rendono raen facile la ma-
novra delle porte ; non sono veramente utili che quando
si debba in una sol volta assai trasportare.
Se le minime richiedono minore spesa, d'altra parte
1.
à
Di UNA NAVIGAZIONE MEDITETlRA^EA 187
vi è perdila di tempo dovendosi per non perdere forza
attaccare ad un sol cavallo un convoglio di più battelli ,
né ogni sorta di genere vi si può trasportare senza avaria.
II.
Tutte le carapacne della Capitanata sono generalmente Dei commcr-
^ . . . , <:'0 tra Foggia e
o date al pascolo spontaneo o coltivate a cereali : i pochi Maifiedonja.Di-
* -1 ^ mcnsioDi da da-
Comuni situati sui monti, e quelli di Casal Trinità e"^'^'""'''-
Cerignola coltivano vigne , oli veti e poche frutta.
I comuni montuosi vicini al Vallo di Bovino com-
merciano più coi paesi dell' interno e Napoli , che con
Foggia 5 quelli del Gargano mandano in Foggia, Lucerà,
Sausevero , Ascoli , Troja i loro frutti^ tutte le altre terre
della provincia rimettono generalmente i loro prodotti ia
Barletta e Manfredonia ove s' imbarcano j esclusi i mi-
gliori grani destinati alle manifatture delle paste, li quali
si rimettono direttamente da Foggia a Napoli , Gragna-
no , Torre, ed altii paesi della provincia di Napoli. Io
generale tutte le terre messe a destra del Carapella fanno
ordinariamente le loro spedizioni per Barletta, tutte quelle
messe alla sinistra per Manfredonia : ed il sistema finora
tenuto , che provviene dall' essere quelli che si danno al
Nolo ordinariamente Foggiani , e dall' essere in Foggia i
depositi de' cereali, si è che le derrate che si spediscono
in Manfredonia sempre passano prima tutte per Foggia :
sono da escludersi solo quelle di Sausevero, che nei mesi
estivi sogliono talvolta andarvi direttamente.
Ne segue che da Foggia in Manfredonia vi si manda
grano, avena, orzo, fave, granone, ed altri legumi j e che
t88 ROSSI
quando il nolo diminuisse di prezzo, come certo dovrebbe
avvenire dopo lo stabilimento di un canale, vi anderebbero
pure formaggi , ed olii , e forse anche vini ; e che vice-
versa di Manfredonia in Foggia vi vanno frutta , carboni
e pesci y e poiché non mollo prima di arrivare in Man-
fredonia , andandovi di Foggia si cavano alcuni tufi, de'
quali si fa uso in quest' ultima città per la costruttura
degli edifizj pubblici e privati, di questi pure si traspor-
tano : e talora anche legaami che da Trieste sogliono im-
mettersi in Manfredonia.
Per r attuale stato del commercio dunque tra Fog-
gia e Manfredonia , e per quello che potrebbe divenire ,
è uopo dare tali dimensioni alle parti integranti del ca-
nale, da renderlo atto al servizio di barche capaci di ri-
cevere commodamente tutt' i detti generi, tenendosi lon-
tano dai detti due estremi, o di troppo grandi o di trop-
po anguste dimensioni j e senza che per tutto questo si
avesse bisogno di molta acqua o di grandi forze.
III.
Bimentionidei Pel trasporto de' quali generi in Inghilterra , ove i
*"' '■ canali hanno più svariate dimensioni , ed ove da gran
tempo sono utihnente impiegati, si usano barche di lar-
ghezza pai. 8,32 , di lunghezza pai. 86,56, e di altezza
pai. 4)^45 aventi la portata di 22 tonnellate. Ed è ma-
nifesta la convenienza di essi pel trasporlo dei ripetuti
generi , quando anche niun conto volesse tenersi del fallo.
DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 189
IV.
Io dunque a fondamento de' calcoli da instltuire per targhem e
■^ _ * _ lunghezza della
determinare la quantità di acqua bisognevole al servizio «o"5» J«' «>»'«-
del canale, assumo che debbano percorrerlo battelli delle
dette dimensioni. Epperò la conca di ciascun sostegno
sarà lunga pai. 90,72 e larga pai. 8,69.
V.
Determinati questi primi elementi, è uopo fissare la Cadutaci ci».
T •■ ' * icun soitegno.
caduta di ciascun sostegno.
Quanto più piccola è la caduta di un sostegno tanto
è minore il consumo dell' acqua 5 ma è provato che se si
guadagna in acqua si perde in tempo , e che dopo certi "\
limiti cresce pure la spesa, dovendo essere tanti i soste-
gni da eguagliare la somma delle loro cadute la discesa
totale ^ onde è opinione de' più abili costruttori doversi
attenere ad una caduta media. Però nella più gran parte
dei canali vedonsi impiegate ne* loro sostegni cadute di
circa metri 2,60 ossia palmi 9,83 : ed è opinione del
Gaulhey essere questa la più vantaggiosa.
Quindi opino che potrebbesi in un canale da Fog-
gia a Manfredonia adottare per ciascun sostegno una ca-
duta da' nove ai dieci palmi , come tornerebbe meglio:
e tra questi due limiti avvicinarsi per quanto più si può
al primo ; perciocché essendo scarsezza d' acqua In Capi-
tanata è da preferirsi , tra certi limiti , la economia di
essa a quella della spesa e del tempo.
IQO ROSSI
Giusta una accuralissiiwa livellazione da rae fatta ap-
positamente , r altezza del Piano della Croce a Foggia
sul livello del mare è di palmi 263,555^ il qual numero
diviso per ag, dà palmi g,o88. Per la qual cosa saranno
ventinove sostegni, e la caduta di ciascuno di pai. 9,09.
VI.
Consumo ciac- Quindi è che ceni concata che pel passaggio di una
■jja per una con- ^_ ^ 1 1 DO
■^^"a- barca si consumerebbe , costituirebbe un parallelepipedo
di acqua di base di palmi 90,72 per 8,69 e di altezza
palmi 9,09, pari a palmi cubici 7166,16.
VII.
NurjLroJibai- Potrebbe nascer dubbio se dando ad ogni sostegno
sjiirc coDSfcuii- la caduta di palmi q,oq risultasse tale la lunghezza di
TamenU dopo u- _ ' e ^ ^ o
ne di discesa. cJascun tiouco tra due sostegni consecutivi da poter for-
nire nella salita de' battelli la necessaria acqua al soste-
gno iuleriore senza prenderne dal superiore , e senza che
la navigazione per esso tronco ne soffrisse.
P" Se i sostegni potessero tutti stabilirsi ad uguale di-
stanza tra loro, dovendo essere ventinove, e la distanza
da Foggia a ^Manfredonia , percorrendo 1' attuale strada ,
essendo di palmi 140000, ciascun tronco tra due soste-
gni consecutivi risulterebbe di palmi 4827,58.
INIa poiché la campagna , per quanto sembra a colpo
d' occhio , pare aver tali movimenti da dovere in alcuni
sili i sostegni essere più vicini che in altri, e, per la na-
tura del commercio, sarebbe forse necessario stabilire uu
DI CNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA IQl
tronco maiiltiino alle vicinanze di Manfredonia, può rite-
nersi che il più breve tronco risulti di palmi 4^00 j nella
quale ipotesi resterebbero loSoo palmi, ossia un miglio e
mezzo di lunghezza da distribuirsi per li più lunghi tron-
chi , e pel canale marittimo.
Dando alle ripe del canale tali scarpe da avere tre
di base sopra due di altezza, la massima altezza di acqua
in esso di palmi 5, 20 , e la minore ampiezza possibile
perchè due de' detti battelli potessero comrnodamente na-
vigare incontrandovisi , un tronco della detta lunghezza
di palmi 4^00 , può senza prenderne dal sostegno supe-
riore, fornire all' inferiore 1' acqua necessaria pel passaggio
di numero 9 battelli consecutivi che salissero, senza che
in queir infrattempo nessuno ne scendesse : la qual cosa
parmi dijHlcile a poter avvenire.
Riterrò dunque che per ogni concata vi abbisognino
palmi cubici 7166,16 di acqua.
Vili.
Da notizie statistiche ricevute dal benemerito Cava- P'^.e"""",-.
focro di balUlli
liere Lotti Intendente della Capitanata risulta che in un •^'"^ '" •"" '"""
i potrebbero icai-
sessennio dal iSSa al 1837 inclusivi, nell'anno di m^Z' vuJrcI^u^ '
giore traffico, che è stato ili 835, sono discesi in Man-
Iredonia da' diversi Comuni della Provincia tomola 685 i!\i
di cereali e legumi, costituenti un peso di cantaja 3298-4.
Quantunque non tutti abbiano battuto la strada da Fog-
gia a Manfredonia, perciocché, come ho detto, ne' mesi
caldi le derrate da Sansevero non passano per Foggia j
pure nel caso di un canale debbe aversi che tutti siano
192 ROSSI
richiamati su quella via j che anzi facilitatasi la comuni-
cazione vi è fondamento da credere che alcuni di que' co-
muni che ora fanno le loro spedizioni per Barletta le fa-
rebbero per Manfredonia, e che oltre ai cereali e legumi,
come ho già detto , pure altri generi prenderebbero una
tal via. Però stimo che a calcolare 1' acqua bisognevole
pel servizio del canale debba aversi di l^oo 000 cantaja na-
poletani il peso totale da trasportarsi da Foggia a Man-
fredonia , ossia poco meno di 35 242 tonnellate inglesi.
Ond' è che potrebbero scendere pel canale sino a 1998
battelli in un anno j calcolando che ciascuno sì caricasse
di 19 tonnellate, non potendosi supporre che si caricassero
sempre della loro portata massima, cioè di 22 tonnellate.
IX.
q«i1°rehraffiil!f' •^' attuale commercio tra Foggia e Manfredonia è quasi
tutto in discesa, non trasportandosi da Manfredonia , o da'
punti sul cammino a Foggia che frutta , pesci , carboni,
e talora pietre e legnami da costruzione. Però parecchi bat-
teUi dopo il loro arrivo a Manfredonia dovendo tornar
voti, potrebbe regolarsene in modo il servizio che dopo
V arrivo di un battello in discesa ne partisse uno per la
salita j onde aversi il minor consumo di acqua. Ma a ren-
dere più libero il traffico , e poiché appunto per salirne
alcuni o voti o meno carichi , potrebbe un solo cavallo
alla salita portare più battelli, supporrò che de' 1998 bat-
telli che debbono risalire a Foggia una metà soltanto ,
cioè 999 salisse alternativamente con quei che scendono,
e r altra metà , cioè gli altri 999 risalissero 9 per volta
t)I INA NAYlCA7.I0Nr, "MEDITKnnANEA ic)3
coiisecullvamento, dopo esserne sccso uno. Di r|iio»ti, 1 1 1
non consumerebbero acqua, ed i rimanenti 88B ciascuno
una concata.
Si avrebbe dunque di consumo in un anno j)el traf-
fico dei battelli :
per ggg in discesa e 999 in salita alternati ....concate 999
per altri 999 in discesa » 999
per 999 in s;ili(a 3939 consecutivi, dopo
uno di discesa » 883
in uno , concate 2 886
Epperò pel solo servizio de' battelli, secondo la fatta
ipotesi, palmi cubici di acqua ao G81 537,76.
X.
A questo consumo dì acqua due altri ne vanno ag- consumo av.
gmnti : quello cagionato dalle evaporazioni , e l altro ca- porazionì.
gionato dalle filtrazioni.
Quanto alle evaporazioni due sono i risultati delle
migliori osservazioni che io sappia per determinarle.
L' uno dipende dalle osservazioni fatte sul canale di
Linguadoca in Francia j \ altro da quelle fatte dall' in-
glese Halley. Col primo si ha 1' altezza d' acqua che si
evaporizza in un anno, co4 secondo il rapporto tra l'al-
tezza dell' acqua di j)ioggia che cade in un anno a quella
della quantità d' acqua che in un anno si evaporizza. Tutte
le quali osservazioni sono fatte in paesi di clima assai di-
verso dal nostro , e spezialmente della Capitanata. Ma
poiché tra noi ne manchiamo , a dover scegliere , sceglierò
Tom. IV. a5
194 ROSSI
quelle di Halley ; perciocché dando esse il rapporto tra
le evaporazioni e la pioggia , variando questa col clima,
ed essendo maggiore , ov' è maggiore la evaporazione , e
viceversa j v'è fondamento di credere, che in tanta man-
canza di esperimenti o di osservazioni , assai meno lon-
tani dalla verità staremo valendoci delle osservazioni di
Halley che di quelle fatte sul canale di Linguadoca. Da
esse risulta che il rapporto della quantità d'acqua che si
evaporizza in una contrada , all' acqua di pioggia che vi
cade è come 5 a 3.
Secondo alcune osservazioni fatte, la quantità media
dell' acqua di pioggia che cade annualmente sul Regno
può stimarsi (come dice il chiariss. nostro Presidente Prof,
de Luca in un suo articolo sulla forza motrice delle ac-
que piovane che cadono sul suolo del Regno di Napoli)
di palmi 3, 024 in altezza.
Epperò secondo la norma data da Halley risulta la
evaporizzazlone di palmi 5, o4 in altezza. E qui vedesi
la giustezza della scelta tra li due detti risultamenti delle
diverse osservazioni j imperciocché essendo la Francia più
settentrionale che il Regno di Napoli, la evaporizzazione tra
noi deve essere maggiore di quella sul canale di Lingua-
doca 5 e di fatto ho trovato per essa un' altezza di palmi
5,04, laddove sul canale di Linguadoca si trovò di pal-
mi 3,00.
XI.
Ciascun battello essendosi assunto di larghezza pal-
mi 8,32 , perché la navigazione pel canale sia spedita
nella salita e nella discesa, dovrà esserne il fondo largo
DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA IQS
palmi 16,64. ^° oltre dandosi all'acqua di ciascun tronco
del canale iin' altezza massima di palmi 5, 20, e le scar-
pe laterali avendo 1' altezza alla base come a a 3, avrà
il canale alla superficie dell' acqua una larghezza totale di
palmi 33, a4- opperò la perdila d' acqua per la eva^xw'a-
zione in un anno sarà di palmi cubici 22 748 544* ** '^
XII.
Le filtrazioni sono variabilissime, e vanno facilmente consumo <tac.
scemando col tempo ; e credo che nel canale di che si tieni.
tratta renderebbonsi tosto assai tenui, col farsi, in sulle pri-
me , ed innanzi 'che le opere avessero ricevuto 1' ultima
mano, correre per esso ed a porte aperte le acque j es-
sendo assai torbide, e portando in sospensione molto li-
mo quelle delle quali dovrebbesi far uso. Purtuttavolta
volendo sempre soprabbpndare in cautele assumerò che la
quantità di acqua che si perde per le filtrazioni stia ( per
1' osservato nel canale di Linguadoca ) a quella che si
perde per le evaporazioni come 5 a 3. Onde per le fil-
trazioni si consumerà di acqua palmi cubici 37 914 ^^o*
XIII.
Anche per altra via può esservi perdila di acqua 5 co„5umod;ic.
ed è quella che scappa a traverso le porte di chiusa. In Je^^traw'ó ìè
generale si riduce a quella che si jierde in un solo so- ^"'
stegno , e potrebbe anche aversi come nulla quando le
porte fossero convenientemente ben costrutte. Pure io terrò
una tal perdita di palmi cubici 42000 di acqua.
196 ' ROSSI
XIV.
Quanwid'ac- Bisognerà duncrue , perchè sia possibile fare un ca-
qua DisogacTole. ° ^ . .
naie navigabile da Foggia a Manfredonia poter disporre
di acqua
pel servizio de' sostegni 20681 538
per le evaporazioni 22 ■748 544
per le filtrazioni 87914240
per le perdite a traverso le porte. 4^ 000
In uno pai. cubici 81 386 822
XV.
„. , Delle acque di due fiumi converrebbe far uso pel
Di quali acque , T- *
«nyerrebbe va- g^jij^lg di che si tratta: del Gelone, e del Cervaro^ que-
sti essendo i fiumi che passano più prossimo a Foggia ,
ed il portarvene degli altri importando struttura di ponti,
e canali sur essi. Il Gelone, come ho già detto, non mai
si asciuga in nessuno de' suoi tronchi ^ però è mestieri
vedere in prima se le sue acque bastano pel servizio del
canale , in mancanza di che si avrà poi ricorso a quelle
del Gervaro , che dovrebbonsi mettere in serbo nell' in-
verno per poi valersene nella state , quando sono scarsis-
.sirue e quasi nulle nei tronchi sopracorrente a Foggia.
'I ~o>, ( Potrebbonsi pure con appositi aquedotti riunire le
acque delle diverse sorgive j ma sono tutte assai lontane
da Foggia , e tanto disseminate , come ho io stesso os-
servato , che sarebbe di gravissima spesa il farlo j che
dac-
fornisce
DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 197
quantunque avrebbonsi allora acque limpidissiiile e non
torbide, pure è da preferirsi preuderle direttamente da'
fiumi, e specialmente dal Gelone, e quando non bastas-
sero dal Cervaro ancora.
^ XVI. :<ìi l i
Il Gelone non sempre ha uguale portata. Va sogget- 0|;amitàr^_^^
to a grandissime piene; talora nella state più abbondanti ''''"""= C''°°*
che neir inverno : ma quelle vengono subitanee e passano
assai presto, queste hanno più lunga durata. Oltre questi
stali di piene de' quali non va tenuto conto . per doversi
avere come accidentali , ne ha altri tre. Sono quello del
suo pelo ordinario che ha luogo per lo più dal principio
di Novembre alla fine di Aprile, quello del pelo magro
ordinario, e quello del pelo magro straordinario che nelle
annate di straordinaria siccità dura da Giugno ad Ago-
sto, e che quantunque non sempre avvenga, pure io sup-
pongo , per soprabbondare in cautela , che in tutti gli
anni avesse luogo.
Il punto di derivazione delle acque del Gelone , da
valere pel servizio del canale debb' essere in un silo di
livello superiore a Foggia. Perciò quivi fu da me misu-
rata la portata del fiume quando tròvavasi in istato di
pelo ordinario. Scelsi due suoi tronchi V uno sopraccor-
renle e l' altro sottocorrente alla strada che conduce a
Lucerà, ne' quali il moto dell'acqua poteva aversi come
ridotto alla uniformila : e di ciascuno ne misurai la se-
zione, e la pendenza della cZ/re^irice del corso dell'acqua.
Applicala la formola di Ileitelweyn ho trovalo due
igS ROSSI
portate diverse j e quantunque potessi valermi della me-
dia delle due, pure sempre per abbondare in cautela ,
riterrò la minore, la quale è di palmi cubici 33i, 43 a se-
condo. Portata che in un giorno dà palmi cubici 28 72 i gSa
di acqua j e dal principio di novembre a tutto aprile pal-
mi cubici 5 169951360.
La portata del Gelone, quando ha luogo il pelo ma-
gro, non ho potuto misurare non prestandovisi la stagione
quando mi fu commesso di andare sul luogo 5 ma ho
potuto bene dedurla da notizie raccolte , e da osserva-
zioni e misure prese sulle vasche e canali di derivazioni
de* molini esistenti sul suo corso. Risulta che la portata
ordinaria del Gelone quando ha luogo, il pelo magro or-
dinario è in un giorno di palmi cubici 6i35 175 di ac-
qua j e che quando ha luogo il pelo magro straordinario
che avviene , nelle annate di massima siccità , ne' mesi
di giugno, luglio ed agosto è in un giorno di palmi cu-
bici 802 734. .p..©d3
Onde riterrò
da novembre a tutto aprile palmi cubici.. 5 169951 36o
da giugno a tutto agosto 2408202
nei rimanenti mesi.. i8 4o5 525
Epperò il solo fiume Gelone fornisce in
ì)Tì anno una massa d'acqua di pai. cubici.. 5 190 765 087
XVII.
PcrJita per la
s"p''er"d'°acq.il Queste acque non tutte possono impiegarsi al servizio
^mT.'*"'"^ '^'' del canale, a due perdite andando soggette durante il loro
DI UNA NAVIGAZIONE MEDITF.IIRANEA I99
cammino dalla presa d'acqua al carraie per lo aquedoito
di derivazione: e sono le evaporazioni e le filtrazioni.
Può valutarsi il canale di derivazione della lun-
ghezza di paln\i 21 000^ onde, per le cose già dette,
(supponendolo alla superficie dell' acqua di larghezza pal-
mi 20 ) ne sarà la perdila per la evaporizzazione palmi
cubici a 1 16 800
e quella per le filtrazioni 3175200
che formano insieme palmi cubici 5 292 000
Epperò potrebbero in un anno giungere in effet-
tivo dal fiume al canale di navigazione palmi cubici di
acqua 5 r 85 473 087
Numero di gran lunga maggiore di
quello che richiedesi pel servizio del cana-
le , e che debbe essere come si è veduto
di palmi cubici 81 386322
Dunque il canale è possibile. Ed il
solo fiume Gelone offre un supero di ac-
qua , che potrebbe addirsi alla irrigazione,
di palmi cubici 5104086765
XVIII.
Se in tutti i mesi fosse eguale il consumo ; e la cZ"lm^è*Mu
jiortata del fiume fosse pure (meno le massime momen- E^I'^'^ver'è bi-
lance piene) costante, niun dubbio rimarrebbe intorno alla ^"" '''
possibilità del canale ; né sarebbe uopo di vasche a conser-
va. Ma poiché il consumo varia ne' diversi mesi, e varia
200 Ti OS SI
la portala del fiume 5 comunque siavi tanta esuberanza
d' acqua io un anno, potrebbe ben darsi che non in tutti
i mesi avvenisse lo stesso , e che in vece in alcuni ve
ne fosse scarsezza ,• alla qual cosa sarebbe allora mestieri
rimediare per lo appunto costruendo le dette vasche a
conserva , le quali l' acqua maggiore tenessero in serbo
per quei mesi ne' quali ve ne fosse ijiancanza.
Però è necessario seguitare alquanto d' appresso tali
variazioni di consumo e di portata per quanto si può con
approssimazione, mancando le necessarie notizie per pro-
cedere con esattezza.
XIX.
Della "lieta Quauto al cousumo è necessario esaminare le varia-
dei consumo, ^loni de' suoi elementi , che sono il traffico , le evapo-
razioni, le filtrazioni ed i Irapelainenti a traverso le porte
di chiusa. /[^r^ io,;
Il traffico da Foggia a Manfredonia è qua^i nullo
dalla metà di giugno a tutto luglio, in agosto cresce, in
settembre è il più forte tra lutti i mesi dell' anno , da
ottobre in dicembre va diminuendo, quindi è quasi sta-
zionario fino a tutto marzo, dopo di che va in generale
diminuendo , finché non si. cominci da capo. Non mi è
riuscito avere notizie statistiche che diano con esattezza
la quantità del traffico in ciascuno di tali mesi. Ma dal
qui detto risulta che il trasporto è minimo da aprile a
luglio , medio da dicembre a marzo, massimo da agosto
a novembre. Or dunque dividendo in sei parti tutto il
consumo dell' acqua pel passaggio dei battelli, e dandone
!
DI DNA NAVIGAZIONE MEDITEnr.ANEA '20 1
una al traffica minimo, due al medio, e ire al massimo,
avremo che pel jiassagglo dvi l)atlelli vi vuole di acqua j
da agosto a novembre pajini cubici . . io 34o jGg
da dicembre a mar-io 6 8g3 S^G
da aprile a luglio 3 44^ 9^3
Sono come sopra (IX) 20681 538
Le più grandi evaporazioni hanno luogo nella state,
sono esse minori in primavera, anche minori in autunno,
e come nulle si possono avere in inverno. Però assumerò
che le evaporazioni abbiano tutte luogo da aprile a no-
vembre, e che negli ultimi quattro mesi degli otto, siano
i due terzi de' quattro primi. Avremo allora le evapora-
zioni così distribuite :
da agosto a novembre palmi cubici . . 909941756
da dicembre a marzo 0,0
da aprile a luglio 13649126,4
Che come sopra (XI) sono 22 748 544?
Le filtrazioni quantunque nei tempi piovosi sieno
alcun poco minori , pure possono aversi come eguali in
ogni mese dell'anno^ onde sarà:
da agosto a novembre palmi cubici . . 12 638 080
da dicembre a marzo 12 638 080
da aprile a luglio 12 638 080
Che come sopra (XII) sono 37914240
La perdita cagionata dall' acqua che scappa a tra-
verso le porle di chiusa può pure aversi come costante,
onde sarà
Jom. IF. txQ
'303 ROSSI
da agosto a novembre palmi cubici 14000
da dicembre a marzo 14000
da aprile a luglio. 14 000
Sono come sopra (XIII). 4 2 000
Talché il consumo totale sarà :
da agosto a novembre palmi cubici . . Sa 092 266,6
da dicembre a marzo 19545926,0
da aprile a luglio 29748 129,4
Che formano come sopra (XIV). 81 386 322
XX.
Varietà della Da ciò chc ho dstto innanzi (XVI), nel primo de' tre
precedenti quadrimestri, nel mese di agosto si ha il pelo
magro straordinario , cioè palmi cubici 802 ^34 in un
giorno 5 nei due mesi di settembre ed ottobre la portata
corrispondente al pelo magro ordinano eh' è di palmi
cubici 6135175 al giorno j in novembre quella del
pelo ordinario che è in un giorno di palmi cubici
28 721 gSa.
Pel secondo quadrimestre , cioè da dicembre a mar-
zo per ciascun mese la portata del pelo ordinario , e
perciò in ciascun giorno palmi cubici 28 721 952.
Pel terzo in aprile e maggio la portata del pelo ma-
gro ordinario, cioè in ogni giorno palmi & i35 175 j
ed in giugno e luglio la minima portata cioè in ciascun
giorno palmi cubici 802 734.
DI VKA. NAVIGAZIONE MEDITEERANEA
jo3
XXI.
Sicché, per semplificare alquanto la cosa, supponen- Paragone tra
' * * ^ _ . . '' consumo dtll'
do che ìq ciascuno dei precedenti quadrimestri il consa- acquee laaisno.
mo dell' acqua fosse uguale in ogni mese , si avrà il se- '" '•'' "™'*-
guente stato di paragone , ove dalle portate in ogni mese
6Ì è sempre tolta , seguitando le precedenti norme , la
parte che se ne perde per le fdtrazioni e per le evapora-
zioni durante il tragitto dell'acqua dalla presa nel fiume al
canale.
MESI
COIXSUMO
DI ACQUA
ACQUA
DISPONIBILE
Agosto
8o23o66,615
23 604490
Settembre
8o23o66,65
183578720
Ottobre
8 023 066,63
183578720
Novembre
8 02 3 o66;65
861 182 o3o
Dicembre
4886 48i;5o
S61 393960
Gennaio
/^8S6 4.8I,5o
861393960
Febbraio
4.S86 48i,5o
861393960
Marzo
488648i;jo
861393960
Aprile
7437032,35
183472880
alaggio
7/,37o32,35
183472880
Giugno
7437032,35
23 498 600
1 Luglio
7437032,35
23 498 65o
204 ROSSI
Donde appare che anche ne' mesi di più gran consumo
e di più grande siccità l'accpa disponibile supera di molto
il consumo. Epperò niun dubbio sulla possibilità di un ca-
nale di navigazione.
XXII.
Dell» Tasche Se le acque del fiume Gelone fossero chiare, baste-
ptrche le toibi- ^ '
de 61 depoDcsse- febbe fare un acquidotto di derivazione soltanto per con-
durle nel Canale, ma poiché portano torbide con loro, è
utile fare delle vasche ove si deponessero 5 onde poi cor-
rendo chiare pel Canale, non obbligassero ad espurgarlo e
così ne interrompessero la navigazione.
Porto opinione adunque doversi costruire due grandi
vasche contigue pel lato più lungo tra loro ^ ciascuna di
lunghezza palmi 2000, di larghezza palmi 110, e pro-
fondità palmi 17. Triplo ne sarebbe lo scopo :
1 .° Servirebbero a far deporre le torbide j
2." Servirebbero come bacino pel carico e scarico dei
battelli j
3.° Nel caso di qualche straordinaria siccità , che
potesse aver luogo, per cui le acque mancassero, varreb-
bero come conserve.
Essendo due , mentre 1' una si espurgherebbe ( il
che potrebbe essere nell'autunno, onde poi nell'inverno
si riempisse di nuovo ) T altra farebbe il servizio.
Essendo ciascuna larga 110 palmi e lunga 2000 po-
trebbero starvi sino a dugento battelli colle poppe alla
sponda più lunga , lasciando a prora uno spazio libero
pel quale potrebbero commodamente partirne : ed anche
quando altri ne arrivassero.
DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 2o5
Essendone la profondila di jialmi 17 , palmi 2,5o
sarebbero al disotto della soglia del portone e varrebbero
a contenere le torbide depositate, palmi 5, 20 varrebbero
ad equiparare l' altezza dell'acqua nel tronco di canale im-
mediatamente prossimo^ ed i rimanenti palmi 9,3o fareb-
bero caduta col medesimo tronco quando la vasca fosse
tutta piena. Per tal modo resterebbero sempre in serbo
in ciascuna vasca palmi cubici 2 046 eoo di acqua, ed in
entrambe 4 ^9"^ 000 , che varrebbero pel caso di scon-
certi che potessero avvenire alla presa d' acqua , o negli
aquidotti di derivazione, od in caso di straordinarie sic-
cità. La qual acqua non starebbe mai stagnante , come
forse taluno potrebbe credere, a causa della manovra dei
suoi portoni di chiusa , dell' acqua che sempre vi afflui-
rebbe dallo aquidotto di^ derivazione , e dell' acqua che
ne scapperebbe per gli sfioratori.
XXIII.
Dopo lutto ciò si coinprende quali sono in generale rar^^'pdTanàl*
le opere da fare. di n„ig,ziou..
(A). Per la presa d' acqua
i.° Una o più pescaie nel fiume Gelone in un sito di
livello superiore a Foggia j secondo che per la natura del
fiume nelle varie stagioni sarebbe meglio prendere P ac-
qua tutta in una volta , od a più riprese.
2.° Un' arginazione per un certo tratto sopracorrente
alla pescaia per prevenire gli straripamenti che nelle mas-
aoS - ROSSI
sime piene potrebbero avvenire per effetto del rigurgito.
3.° Un canale di derivazione , o più di uno , che si
andassero a riunire in un solo ( secondo che si stabilis-
se una solao più pescaie ) dalla presa dell' acqua a Foggia.
4.° Due grandi vasche in prossimità di Foggia pel
carico e scarico de' battelli , e per far depositare le tor-
bide ,• cogli analoghi portoni all' uscita , pozzi all' incile
e sfioratori ai lati.
(B). Pel Canale.
1.° L'apertura del Canale.
2." Numero 29. Sostegni coi portoni e portine corris-
pondenti 5 e le necessarie opere accessorie.
3.° Un Ponte Canale sul fiume Candelaro, che per an-
dare da Foggia a Manfredonia è uopo traversare.
4." Un canale a gran sezione in prossimità di Manfre-
donia per lo scarico e carico dei battelli.
5,° Una Chiusa di Cacciata per mantenere sgombra la
foce del Canale in mare.
6.° Il Camino di Alaggio.
XXIV.
Ddu irriga- Ho cià dctto comc Sarebbe utile rendere atti ad ir-
br.e.
rigare quei tronchi dei diversi fiumi della Capitanata, o-
ve le acque sono perenni e vi si mostrano a sufficienza,
ed ove per X attuale regime è più facile e meno dispen-
dioso , o non abbisogni di lunghe arginature lo stabili-
mento di parate o pescaie. Che se lo stesso Canale di
DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 207
navigazione si volesse far servire ancora alla irrigazione ,
in un tal caso , come appare dal detto innanzi , si a-
vrebbe una massa d' acqua di palmi cubici 5 104 086 ^65
che potrebbe addirsi a quest' uso. Ma per ciò fare sa-
rebbe mestieri cavare gran vasche a conserve onde te-
nere in serbo quell' acqua che non abbisognando ne' tem-
pi umidi e piovosi necessiterebbe poi nei tempi secchi ,
quando ve n' è penuria.
XXV.
Per rendere meno dispendiosa la cosa, potrebbesi ranJe^aUa'n^Ji-
destinare alla irrigazione la massa d' acqua soltanto che su- ^^^^^"^lut^tì^',
pera dalla navigazione ne' tre mesi di giugno, luglio, ed """*■
agosto j che anzi sarebbe meglio non addirvene che la
metà soltanto, serbando l'altra pure per la navigazione,
onde non ne soffrisse nel caso che crescessero oltre il
supposto le cose da trasportarsi.
Giusta una tale ipotesi dovrebbero addirsi alla irri-
gazione palmi cubici 23 85^ 334, ^ per la navigazio-
ne resterebbero altrettanti nei mesi di giugno, luglio, ed
agosto.
XVI.
È opinione che ad irrigare qualsiasi terreno per eia- po^^Mm'a?*
senno de' mesi più caldi di giugno , luglio , ed agosto deiu!'"''" **^'
basta tant' acqua da comporre un parallelepipedo di ba-
se quanto il terreno da irrigare è di altezza palmo 0,60.
Ond' è che cplla metà dell' acqua che supera dalla navi-
ze.
208 ROSSI
" gazione In tali mesi , potrebbero irrigarsi moggia napo-
letane 278 di campagna, e con tutta essa moggia 546.
XXVII.
urigaz^nc." E* Sarebbe da vedere quale estensione di terreno sia me-
eampagnedapo- glio rendere irrigabile per esso Canale, ed allora soltanto
fcrs. Irrigare per , . , i r • i i. i
iiKizn del cana- potrauno determinarsene le opere da larsi : le ciuau do-
le — Cuusegueo* , .
vranno consistere : 1 .° in conserve di tale capacità da con-
tenere tant' acqua per quanto ne abbisogna alla irrigazione :
2.° in acquidotti di derivazione sino al Canale: 3.° in ca-
nali secondarli colle rispettive bocche d' introito.
Dirò soltanto che quando tutta 1' acqua che supere-
rebbe dalla navigazione si addicesse alla irrigazione , po-
trebbero col solo fiume Celone irrigarsi niente meno che
1^5 760 moggia Napoletane di terreno j e che quando vi
si aggiungesse quella del Cervaro potrebbe portarsi sino
ad oltre le moggia 3oo 000, ^
Ma che convenga valersi di tutta questa massa d' ac-
qua non parmi j imjjerciocchè , per quanto può di leg-
gieri giudicarsi , sarebbe di gran lunga la spesa maggio-
re dell' utile che potrebbe trarsenej essendo troppo grande
e dispendiosa opera ( a non parlare delle altre ) il ca-
vare conserve da contenere tanta copia d'acqua, le qua-
li inoltre dovrebbero costruirsi per modo da impedire per
quanto si può le filtrazioni , ed anderebbero di anno in
anno espurgate.
Epperò ritorno a conchiudere che sarebbe meglio
destinare per la irrigazione alcuni determinati tronchi de'
diversi fiumi , come ho già detto , e non, far servire il
DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 209
Canaio che alla navigazione soltanto^ od al più farlo ser-
vire ad irrigare le dette 2'j3 moggia.
CONCHIUSIONE.
Ecco, Signor Presidente e dottissimi colleghi, tutto ciò
che io doveva dirvi intorno alla natura de' fiumi della Ca-
pitanata , alla pretesa navigazione ed irrigazione , ed alle
opere necessarie per aprire un Canale di navigazione da
Foggia a Manfredonia. E parmi che queste mie memorie
così ordinate, offrano bastevoli elementi onde possa con-
cbiudersi della convenienza dell' opera j che sapete ottima-
mente come male si avviserebbe chi credesse doversi man-
dare ad effetto l' impresa solo perchè possibile , o non
doversi solo perchè di grave spesa ? dovendosi sempre in-
stituir paragone tra i capitali da impiegarsi e la utilità che
da essi trarrebbesi per una data opera ; onde poi poter
conchiudere di impiegarli a preferenza per essa, od esser
meglio volgerli a più necessario o più utile impresa.
Quanto a me stimo utile la cosa , ma non conve-
niente , almeno per ora , mancando ancora quella pro-
vincia di buone e regolari strade rotabih j le quali sorte
di comunicazioni debbono sempre , com' è generale opi-
nione , compirsi prima che intraprenderne di altre.
Tom. ir. W , 01 J 27
vw^^T/u
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4 SI ;mic)i'u. -
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DEL PRESENTE FASCICOLO
Di ima navigazione mediterranea in Capi-
tanata ira Foggia e Manfredonia , e
del/a irrigazione di quelli terreni , di
Vincenzo Antonio Kos.<ìi
Con una tavola in 7'ame.
3.12.
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Prezzo del presente fascicolo gr. 4^
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•»»»n)3)3'Jé KiCicretMot
*s^
FASCICOLO 11 DEL VOLUME J[V
L' nccadoniia poulauiana pubblica i suoi alti in fascicoli, iiUìiicliù
pussatiu ijollecitamcutu cuuoscetsi le memorie a misura che sono ap-
provate.
Ogni fascicolo si pubblica subito che si ha sufficiente materiale e
senza astringersi ad alcun determinalo periodo o numero di fogli.
Terminati i fascicoli ihe debbono comporre un volume, si dà il
frontespizio, la dedica , la storia de' lavori , ed il catalogo digli acca
demici da premettersi al volume medesimo.
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TAVOLE DI MONETE
DEL
PRESENTATE NEL 1839 ALL' ACCADEMIA PONTANIANA
B^t SOCIO mtSIDSNTK
SALTATORE FCSCO
k3ono trascorsi molli anni , che ho rivolta la men-
te a trattar delle monete del nostro Reame , e frugando
Degli Archivj ho durato gravi fatiche in raccogliere no-
tizie per illustrarle.
Fin dal 1812 scrivendo sul Ducato di Re Ruggieri,
promisi dare per le stampe un'opera che riguardalo avesse
le zecche del nostro Reame: pel <piale disegno nel i8i5
diedi principio alla incisione de' rami , e cominciai da
quelle monete che si appartengono alle Ducee ed alla
dinastia Normanna , le quali sono le più inleressanti per
essere la maggior parte non conosciute.
Questo mio proiionimeuto ha incontrato sempre de-
gli ostacoli , per cui ho dovuto io certo modo abbaodo»
oarne il pensiero.
Tom. IV. 27*
ai2 FUSCO
Ora le premure fallerai dagli amatori delle cose patrie
di voler io almeno ordinare e descrivere le monete che
in queste tavole son riportate , mi hanno determinato a
soddisfare le loro brame, sicuro che la pubblicazione di
esse possa riuscire di gradimento a' cultori di questo ramo
di numismatica.
MONETE DE' DUCHI DI NAPOLI
I, Rame ( Tav. I. N. 3. )
Dr, Busto del Santo Protettore col libro degli Evan-
geli : ai lati S I
C A
N
O
yi Nel campo -{- NGAnOAIC.
II. Rame {Tav. I. N. i.)
DI STEFANO f
Dr. Croce, sotto della stessa due gradini, ed ai la-
ti S X' Stephanus
^ Busto del Santo Protettore eoa una specie di pic-
cola mitra: ai lati I S
A 3
N S
MONETE DI NÀPOLI E SICILIA Sl3
III. Rame (^Taif. I. N. 2.)
DEL MEDESIMO
jJr. Croce come nella precedeate: ai Iati S T.
^ Lo stesso busto del Santo colla testa Duda : ai
lati S I
C A
S N
V
£ IV. Rame (Tav. 1. iV. 4.)
DI SERGIO
Dr. Effigie del Duca cogli abiti gemmati e beretto
ducale : asta nella diritta , e nella sinistra il
globo colla croce sopra : sotto una stella : ai
lati S D
E V
R X
G
I
V
1^ 11 Santo cogli abiti episcopali, pallio , e zucchet-
to: porge l'indice della diritta sul libro degli
evangeli poggiato sulla parte sinistra del petto :
ai lati S I
C A
S N
V
dl4 FUSCO
V. Rame {Tav. I. N. 5.)
DEL MEDESIMO
Siinlle alla precedente , ma di godìo diverso.
VI. Rame ( Tav. I. N. 6. )
DI ATTANASIO
Dr. Busto di Attanasio cogli abiti vescovili, pallio,
zucchetto e libro degli evangeli nella sinistra :
ai Iati della testa A E
H P
A S Athanasius Episcopus.
9* Busto del Santo parimente con zucchetto, pallio e
libro : a' lati S I
C A
S N
V
VII. Rame {Tav. 1. N. 7.)
DEL MEDESIMO
La slessa di diverso conio.
MONETE DI NAPOLI E SICILIA afS
MONETE DE' DUCHI DI GAETA
Vili. {Tav. 111. iV, 7.)
DI MARINO I
Dr. Nel centro M : intorno -|- CON T DVX.
Marinus Consul et Dux.
1j[ Una testa a semplice contorno , rozzamente de-
lineala.
IX. Bame ( Tav. III. iV. 8. )
DEL MEDESIMO
Dr. M: in giro -{- CON ET DVX.
1^ Alquanto dissimile dal piecedeute.
X. Rame ( Ta^>. HI. JV. 9. )
DEL MEDEilMO
Dr. Nel mezzo M, come nelle altre, e nell* epigrafe
-{- A CON ET DVX.
9f Testa come quella descrilla nel n.' vili.
2 1.6 FUSCO
XI. Rame {Tav. IL N. ii.)
DI MARINO II
Dr. INel mezzo M con un punto sopra ed un altro
al di sotto : intorno "i" CONSVL ET DUX.
Marinus Consul et Dux.
^ Croce greca che interseca I' intero campo, e ne-
gli angoli veggonsi le lettere S . E . A fi. Saw
ctiis Erasmus , nome del Santo Protettore di
Gaeta, Alfa ed Omega.
XII. Rame ( Tav. II. N. 3. )
DI RICCARDO I.
Dr, Croce greca in mezzo ad un cerchio : intorno
Rie. CON e T DVX. Riccardus Consul et
Dux : Veggonsi ripercosse con un punsone le
lettere DV con linea sopra e stella sotto,
^ Simile croce nel centro colla epigrafe GAETa.
XIII. Rame ( Tav. IL N. i.)
or RICCARDO II.
Dr. Lo stesso tipo colla leggenda RIC CON et duK..
^ La croce medesima nel mezzo coli' epigrafe -|-
GAETA lì.
MONETE Di NAPOLI E SICILIA 217
XIV. Rame ( Tav. II. N. ì.)
DEL MEDESIMO
La Stessa colla sola varietà di leggersi nel rovescio ,
■\- GAIETA II.
XV. Rame {Tav. IL N. 4.)
DEL MEDESIMO
Dr. La solita Croce nel mezzo coli' epigrafe RIC
con et duX. II. Riccardus Consul et Dux Se'
cundus.
^ La stessa Croce: intorno -|- AGETA colla mede-
sima ripercussione delle lettere DV.
XVI. Rame ( Tav. IL N. 5. )
DI GUGLIELMO re
Dr. Croce greca : Intorno P epigrafe -|- W DEI Gra
. rEX.
9f Castello : intorno -J- ciVITAS GAIETa.
XVII. Rame ( Tav. IL N. 6. )
del medesimo
La stessa di tipo diverso , che nel diritto ha la cro-
ce ornata di piccoli cunei.
ii8 rusco
XVni. (^Tav. n. N. 7.)
DI TANCREDI RE
Dr. Croce ornata nel mezzo coli' epigrafe -^ TAN
(fEI GRA REX. Tancridus Dei Gratta Rex.
Vedesi la ripercussione di uua stelletta a cinque
raggi in un cerchietto.
5f Castello colla leggenda -|- CIVITAS GAIETA.
XIX. XX. XXI. Rame (Taf. //. N. 8. 10. 12.)
MONETE AUTONOME
Dr. Nel mezzo un castello : intorno [-|- CIVITA S
CAieTA.
1^ Croce greca in un cerchio ornata nelle punte e
globetti negli angoli : in giro , SCS ERASMVS.
Si credono battute dopo la morte di Federigo.
MONETE DE' DUCHI DI AMALFI.
XXII. Rame ( Tav. XI. N. 10. )
DI MANSONE
Dr. MANS
... CE
. . X Manso Vice dux.
ÌS[ Castello. .../:. 1
MONETE DI NAPOLI E SICILIA a 19
XXIII. Rame (^Tav, XI. N. ii.)
DEL MEDESIMO
Dr. . . NS.
. . CED
VX Manso Vice dux.
Vf Busto del Duca con due croci ai lali : Ripercossa.
MONETE DE DUCHI DI SORRENTO
XXIV. Rame ( Tav. I. N. 8. )
DI SERGIO
Dr. Nel campo SEr CSI et DVX et PRINCe
SIR. Sergius Consul et Dux et Princeps
Sirrenti.
^ Busto di un Santo Vescovo col bacalo pastorale
e diadema.
XXV. Rame ( Tav. I. N. 9. )
DEL MEDESIMO
La ttessa di conio diverso.
Tom. IV. a8
aao FUSCO
MONETE DE' PRINCIPI DI SALERNO
XXVI. Argento (^Tav. III. N. i.)
DI GUAIFERIO
Dr.Nel campo VVAIFERIVS ^.TVaiferiusPrìnceps.
^. Croce latina coli' epigrafe ARHANGELVS M.
Archangelus Michael.
XXVII. ARGENTO {Tav. ir. N. 7.)
DEL MEDESIMO
Dr. Un cardo colla leggenda -^ VVAIFERIVS PRN.
Waiferius Princeps.
9f Croce con due gradini in mezzo a due globetti,
coir epigrafe + ARHANGELVS MIA. Arcìian-
gelus Michael.
XXVIII. Argento ( Tav. IV. N. 6. )
DEL MEDESIMO
Dr. Nel mezzo una piccola croce, intorno alla quale
sono disposte le ultime quattro lettere della leg-
genda VVAIFERIVS PRINCEPS.
Yj. Nel centro veggonsi in due linee le lettere ini-
ziali della uUinia parola dell'epigrafe SANTVS
MIHAEL ARHN. Sanctus Michael Archan-
gelus.
MONETE DI NÀPOLI E SICILIA 311
XXIX. Rame {Tav. HI. ^. 2.)
DI GISULFO I.
Dr. Busto del Principe con spada , o asta a diritta,
e stella a sinistra , colla leggenda GISVLFVS
PRINCEPS.
^ La città lambita dal mare , in giro della quale
OPVLENTA SAhErno.
XXX. Oro ( Tav. III. N. 5.)
DI GISULFO li.
Dr. Nel circolo interiore leggenda cufica : nell' este-
riore 4- GISVLFV PRIN.
^f Nel circolo interno altra leggenda cufica: nell'ester-
no GISVLFV . . R.
XXXL Oro ( Top. ///. N. 6. )
DEL MEDESIMO
Dr. Simile alla precedente coli' epigrafe -|" GISVL-
FVS RPINC . . .
^ Leggenda cufica in ambo i circoli.
Ji--.
a4»' Al j;T.3 FUSCO ■'»
XXXII. ( Tav. IH. N. 3. ) :
DEL MEDESIMO
Dr. Il Principe in piedi tenendo il labaro colla di-
ritta , e il globo colla croce sopra nella sini-
stra : in giro GISVLFVS PRICE,
9* Nel campo -^ OPVLENTA, SALERNO. '
XXXIII. Rame ( Tav. IIL iV. 4. )
DEL MEDESIMO
Simile alla precedente , minore per modulo e senza
leggenda intorno all' immagine del Principe.
MONETE DE' PRINCIPI DI CAPUA
XXXIV. Rame ( Tav. IF. N. 1 .)
DI RICCARDO
Dr. Nel campo -f- RICHaRD. PRIN CA. . . Rìchar-
dus P/inceps Capuae.
9" Castello coli' epigrafe -|- CIVITAS N4 . Civi-
tas Capuana,
-J7cJ ^ -]XXXV. Rame ( Tav. IF.N.'Ò.)
DI ANFUSO
Dr. Testa del Re coronala : ai Iati R . . Rogerlus Rex.
ipf li Principe in piedi con cimiero , ed ai lati le
lettere A P. Jnfusus Princeps.
MONETE DI NAPOLI E SiaUA aa3
XXXVI. Rame (,Tav. IV. N. i.)
DEL MEDESIMO
Dr. Il principe a cavallo armato con un' asta avente uà
elmo con piume.
^ Una croce che taglia l' intero campo, negli angoli
delia quale vi sono le lettere AN. PRI, Anfusus
Princeps.
MONETE DE' CONTI DI TEANO
XXXVII. Rame ( Tav. IV. N. 8. )
Dr. Testa del Conte di profilo colla leggenda
... AI . VI . lOAKN.
5r civ.
TA.
TEANI. Ciifitas Team.
MONETE DE' PRINCIPI NORMANNI
XXX vili. Rame ( Tau. F.N.i.)
Questa moneta, la quale porla il nome di Roberto, non
appartiene ad alcuno dei prìncipi Normanni^
aa4 FUSCO
XXXIX. Rame ( Tav. XL N. \y,)
DI RUGGIERI Doga
Dr. , n . .
PIO .
AOTS. Pa)Y«pioff Aou|
5^ Effigie del Salvatore colle lettere i . XC,
cioè IniTous XptiJTos .
XL. Rame (Jav. XI. N. i3.)
DEL MEDESIMO
Dr. nr
. PIOC
, OY . Vasyeptos Aou^
5f Lo stesso della precedente
XLI. Rame ( Tai>. F. N. 3.)
DEL HEDESraO
Dr. Stella : ROGE
. . V .
DUX . Rogerius Dune.
9" Busto del Santo col nimbo colle lettere S . M .
Sanctus Matheus protettore della Città di Sa^
leroo.
UONETB DI NAPOLI E SICILIA taS
XLII. Rame ( Tav. K N. 4- )
DEL MEDESIMO
Dr. Simile stella : OG .
. IV .
DVX
pf Come nella precedente : queste monete sono riper-
cosse sopra altre Costantinopolitane.
1 ■ »
XLIII. Rame (Tai>. V. N. 5.)
DEL MEDESIMO
Dr. ROGE
RIVS
DVX
ipf EiUgie del Santo colle lettere S. M.
XLIV. Rame (Tav. V. N. 6.)
DEL MEDESIMO
Dr. Una stella ROGE
RIVS
DVX
ipf Un putto colla croce nella sinistra poggiata sol-
la spalla y e colla destra avente unu specie di
flagello.
}36 FUSCO
XLV. Kame ( Tav. Vili. N. 6. )
DEL MEDESIMO
Dr. Testa del Duca: intorno \ ROGERIVS DVX.
5^ Croce alla cui estremità s'innalzano due rami &
chiudere la parte di sotto della stessa : nella
parte di sopra IC XG ^i
XLVI. Rame ( Tav. T. iV. 7. )
DI GUGLIELMO Doca
Dr. Il Duca a cavallo con spada e scudo avendo in
testa il berelto ducale , colla iscrizione attorno
-f W. DVX APVLIE
9* L' Apostolo S, Pietro colle mani giunte : nella de-
stra una croce : in testa la tiara e nimbo : colla
leggenda BEATVS PETRVS
XLVII. Rame ( Tav. V. N. 8. )
DEL MEDESIMO
Dr. In mezzo ad un giro di globetti GV.
DVX
9* La testa di un Santo in mezzo a due stelle.
MONETE DI NArOLI E SICILIA 227
XLVIII. Rame {Tai>. V. N. 9. )
DEL MEDESIMO
Dr. Una Croce agli angoli della quale vi sono le let«
tere VV DVX.
^ Il busto di S. Matteo che tiene la destra sul libro
degli evangeli : nel campo S. 51.
XLIX. Rame ( Tai>. F. N. 10.)
DEL MEDESIMO
Simile alla precedente , ma di modulo più piccolo.
L. Rame ( Tai>. FI. JS. i.)
DI RUGGIERI CONTE
Dr. Il Conte a cavallo collo scudo, beretto ducale e
vessillo di S. Chiesa pendente sulla spalla diritta:
attorno le lettere ROGERIVS COME -^ S.
5f La vergine assisa in una sedia col bambino in brac-
cia : in giro -[- MARIA MATER DNI.
LI. Lll. LUI. Rame (Tai^. FI. N. 2. 3. e 4.)
DEL MEDESIMO
Simili alla precedente , ma di diversi moduli.
Tom. JF. 29
aaS FUSCO
LIV. LV. Rame (^Tav. VI. N. 5. e 6.)
DEL MEDESIMO
Dr. Croce ornata di globetti , avente negli angoli
ROGE COM., cioè Eogerius Comes.
9f Nel centro un T: attorno •{• CALABRIE SICILIE
LVI. Rame ( Ta(^. FI. N. 7. )
DEL MEDESIMO
Dr. Croce corae nella precedente colle lettere ROGE
COME.
^ Cerchio col j^ : croce e nastro sopra.
LVII. Rame ( Tav. VI. N. 8. )
Dr. Principe stante colla corona, tenente colla de-
stra r asta e il mondo : a dritta R. II.
y. H Salvatore seduto.
LVIII. Rame ( Tav. VI. N. 9. )
Dr. Simile al precedente.
9" Croce greca con ìc XG NIRA in giro.
1^
MONETE DI NAPOLI E SICILIA 329
LIX. Rame {Tw. FI N. io.)
Dr. Principe seduto avente nella destra l' asta, e nel
Iato sinistro il mondo: a sinistra le lettere R. II.
9f Busto del Salvatore : ai lati lESVS.
Le precedenti tre monete debbono addirsi più tosto
ai principi di Costantinopoli, anzi che a Ruggieri secon-
do, come da taluno si è tenuto.
LX. Rame ( Ta^. FIL N. i.)
Dr. Nel campo
+
KEBOH
©EITojS
«AOTAco
PoiVrE
PI*.
Kupie j8oT)3£c rof <5o^ 5ouX<^ Poreptc^.
Signore soccorri al tuo servo Ruggieri,
5f La vergine in piedi su di un globo colle mani
alzate: a' lati MP ©y, cioè Mrirjip 0;ov, madre di
Dio.
Tal moneta va nella classe di quelle dei principi di
Aniiochia.
a3o rusco
LXL LXII. LXIII. LXIV. LXV. Oro
(IW. VII. N. 2. 3. 4. 5. e 6.)
DEL MEDESIMO
Queste cinque monete conispondono dalla 64.' alla
68." di Adler (1), e 279 di quelle rapportate dal eh.
Conte Castiglione (2) , in cui si ha in caratteri cufici:
Ruggieri Emiro.
LXVI. Oro {Tav. VII. N. 8.)
Così nel dritto come nel rovescio ha in giro carat-
teri cufici : è la 69.' di Adler.
LXVII. Oro ( Tav. VII. iV. 7. )
Corrisponde alla 70." di Adler : Il eh. Principe di
S, Giorgio la esclude dalla serie delle monete Sicule.
LXVllI. Oro (^Tav. VII N. 10.)
Dr. Leggenda cufica.
5f Croce col ìc XC NIKA : Nel giro leggenda cufica.
(1) Museum cuficum Rorgianum Veliiris.
(a) Monete cuficlie dell'I. R. museo dì Milano,
MONETE DI NAPOLI E SICILIA 23l
LXIX. LXX ( Tav. VII. N. n. e 12.)
DI RUGGIERI KE
Corrispondono alla 71' e 72° di Adler, ed alla 280
del Conte Castiglione che così la descrive :
Dr. Croce Greca : nel campo ic XC Gesù Cristo
MKA Vince.
In giro : battuta nella capitale della Sicilia ....
^f II He Bi/ggieri Augusto, forte coWajuto di Dio.
In giro :' nel nome di Dio battuta . . .
LXXI. Oro {Tav. Vii. N. i3,)
DEL MEDESIMO
Dr. Croce ornala di quattro punii con leggenda cu-
fica in giro.
I)f Croce latina, negli angoli della quale le ^^ NIKA
LXXII. LXXIII. Argento {Tav. VII. N. 14. i5. )
DEL MEDESIMO
Dr. Il Re Ruggieri e suo figlio Duca Ruggieri soste-
nenti una croce , colle lettere R R SIC. = R .
DX AP = AN R X, cioè Eogerius Rex Si-
ciliae = liogerius Dux Jpuliae = Anno Re-
gni X.
aSa FUSCO
^i!" Il Salvatore col nimbo in lesta e il libro degli
evangeli nella sinistra : In giro -{" IG . XG . RE
IN iETRN., cioè Jesus Christus regnai in ae^
termim.
LXXIV. Rame (^Tai>. VIIL N. i.)
DEL MEDESIMO
Corrisponde alla 7 5" di Adler, e 281 di Castiglio-
ne che legge
Dr. Negli spazj fra due linee che s' intersecano : Per
ordine del Be Bnggieri augusto.
1^ Sopra tre linee intersecate: Fu battuta in Mes-
sina l'anno quinto quarantesimo: Negli spa-
zj fra le linee e cinquecentesimo.
LXXV. Rame (Tat;. FUI. N. 4.)
DEL MEDESIMO
Dr. Il Re Ruggieri impiedi : POrEP PH| . Roge-
rius Rex.
J^H" Croce di Malta : intorno ic XC NIKA.
LXXVI. Rame ( Tav. Vili. N. 5. )
DEL MEDESIMO
Dr. Ruggieri sedente : POPE ANa| . Rogerìus Rex.
5f Croce greca : ic XC NIKA.
MOMETB DI NÀPOLI E SICILIA 233
LXXVII. Rame ( Tav. Vili. iV. 7. )
DEL MEDESIMO
, Dr. Testa circondata da due giri di punti
9" Nel campo r rex. Rogerius Rex.
LXXVIII. Rame ( Tav. VIIL N. 8. )
DEL MEDESIMO
Dr. Iq un cerchio RO. Rogerius.
1^ Iq un' altro cerchio ^f. Rex.
LXXIX. Rame (Tai>. FUI. N. 9.)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo una croce all' intorno RO RX.
Rogerius Rex.
9f Busto di un Santo colle lettere s S a' Iati , che
possono dinotare S. Stephanus.
LXXX. Rame ( Tav. FUI. N. 10, )
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo R Rogerius.
5f RX. Rex.
234 FUSCO
LXXXI. Rame {^Tav. VIIL N. ii. )
DEL MEDESIMO
Dr. R EX. Rogerìus Rex.
5f Croce di Malta con quattro punti.
LXXXII. Rame {Tav. V. N. 2.)
DEL MEDESIMO
Dr. Rò ^. Mogerius Rex.
9" Croce greca con punii.
LXXXIIL Rame {Tav. FUI. N. 12. )
DEL MEDESIMO
Dr. Croce greca colle lettere a' lati RO. Bogerius.
5f Croce latina colle lettere RX, Eex.
LXXXIV. Rame ( Tav. VIIL iV.i3. )
DEL MEDESIMO
Dr. Nell'area una stella: in giro ROGERI . . . . X.
Rogerius Rex.
5( Una testa dì Leone.
MONETE DI NAPOLI E SICILIA 235
LXXXV. Rame (^Tav. Vili. iV. 14.)
DEL MEDESIMO
Dr. Pari stella : ia giro ROGERIVS.
ipf.Un pesce.
LXXXVI. Rame ( Tav. Vili. N. i5.)
DSL MEDESIMO
Dr. ."s -f^X, Rogerius Rex.
V/i Pesce ia mezzo a due croci j è lo stesso che
1X0 YS iniziali del nome di Ges,ù.
LXXXVII. Rame (^Tav. VUL N. 16. )
DEL MEDESIMO
Dr. Croce nel campo : in giro IVS REX.
Rogerius Rex.
1^ Una mezza luna tra due stelle.
LXXXVIII. Rame (Tau. FUI. ^'. 17.)
DEL MEDESIMO
Dr. Due cerchi , intorno ROGERIVS REX.
R' Una croce con due rose sopra, e due stelle sotto.
Tom. ly. 3o
i36 FUSCO
l^XXXIX. Rame {Tav. Vili. N. 18.)
DEL MEDESIMO
Dr. Croce greca : RO . . REX. Rogerius Rex.
Kf Un agnello movente a dritta colla croce sul dorso.
LXXXX. Rame (,Tav. Vili. N. ig. )
DEL MEDESIMO
Dr. Testa di Ruggieri con una stella nel campo :
a' lati le lettere R R. Rogerius Rex.
^ Un castello.
LXXXXI. Rame (Tai^. Vili. N. 20. )
DEL MEDESIMO
Dr. Testa di Ruggieri coronata.
^f Albero di dattilo con due stelle sopra, e sotto R R.
Rogerius ReX.
LXXXXn. Rame ( Tav. Vili N.2\.)
DEL MEDESIMO
Dr. Testa di Ruggieri.
Bf Croce.
MONETE Di NAPOLI E SICILIA ^^J
LXXXXIII. LXXXXIV. Argento (^Tav. VII. iV. 16. 17.)
DI GUGLIELMO L
Dr. II Re Guglielmo che con una mano tiene la
croce, coir altra il mondo. A sinistra il figlio
Ruggieri tenente con una mano la stessa croce,
e coir altra la spada: in giro W REX. Nell'area
^ DVX FILIVS ElVS.
5f Effigie del Salvatore col libro degli evangeli a
dritta , ed a' fianchi le lettere le XC .
LXXXXV. Argento {Tav. X. N. 5.)
DEL medesimo
Dr. Croce nel campo : in giro -|- TERCIA DVCALIS.
Vf. Leggenda cufica.
LXXXXVI. Argento {Tav.X. N.\i.)
DEL medesimo
Dr. Nel campo W . ^f : intorno caratteri cufici.
9f MED TERC : cioè media tercia.
LXXXXVII. LXXXXVIII. Rame (Tav. IX. N. 3. 4.)
DEL MEDESIMO
Corrispondono alla ■j^,' e 78.* di Adler.
Dr. Rex PVilclnius Au"xistus.
5( Croce nel mezzo ; in giro caratteri cufici.
238 FUSCO
LXXXXIX. Rame ( Tav. IX. N. 5. )
DEL MEDESIMO
Dr. Croce negli angoli della quale W REX DVX
PNG . Wilelmus Rex , Dux , Princeps.
9f L'Agnus.
C. CI. Rame {Tav.IX. N. 6. e 7.)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo REX W con leggenda cufica Intorno.
j^ La Vergine col bambino: a' lati le lettere MP ©Y.
MriTnp 0£où.
È riportata dall'Adler al n." 79.
CU. Rame ( Tav. IX. iV". 8. )
DEL MEDESIMO
Dr. Croce che taglia l' intero campo. Ne' lati W
REX DVX APV. Wilelmus Rex Dux Apuliae.
5^ Un gatto.
Cin. Rame ( Tav. IX. N.g.)
DEL MEDESIMO
Slmile alla precedente pubblicata sopra una moneta
consumata da Gennaro Chiarito nella su£i opera iatitola- ^^
ta : Esame di ire perdamene. ^|
MONETE DI NAPOLI E SICILIA.
a39
CIV. Rame ( Tav. IX. N. io. )
DEL MEDESIMO
Dr. Ili un cerchio croce ad otto raggi : Intorno W
Di GRA . . . ^. FFilelmus Dei Gratia Rex.
V/i Leone movente a sinistra.
CV. Rame (Tav. IX. N. 1 1 .)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo W ed ^^ rovescio. TVilelmus Rex.
^ Un albero di dattilo con frutta.
evi. Rame (Taf. IX. N. /a.)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo \^ W. Rex FFilelmus.
^ Calice di un fiore.
CVII. Rame {Tav. IX. N. i3.)
DEL MEDESIMO
Dr. Si vede il W solamente.
J/ Sembra rap^iresentare qualche animale.
24o FUSCO
CVIII. Rame (TVip. IX. N. \k.)
DEL MEDESIMO
Dr. In giro : '-{^ GVLjeZffjVS : nel centro ^.
5( Una croce.
CIX. Rame {Tav. X. N. x5.)
BEL MEDESIMO
. Dr. Nel carapo W.
5^ REX in mezzo a due punti.
ex. Rame (^Tav. IX. JS. i6.)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo w.
5( Effigie di un santo.
CXI. Rame (^Tav. IX. N. 17.)
DEL MEDESIMO
Dr. W R con quattro punti sopra e sotto.
5( Non si distingue bene cosa siavi impresso.
MONETE DI NAPOLI E SICILIA air
CXII. Oro {Tav. X. N. i.)
DI GUGLIELMO IL
Corrisponde all' 80." di Adler, ed alla 286 del Ca-
stiglione che la dà al primo , o al secondo Guglielmo.
CXIIL Oro (^Tav. X. N. 2.)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo W con due giri di caratteri cufici.
9^ REX con due altri giri dell' istesso carattere.
CXIV. Oro {Tav. VII. JS. 9.)
DEL MEDESIMO
Corrisponde alla fg." di Adler.
Dr. Wilelmus secundiis.
5f Protector christianorum.
CXV. Argento {Tav. IX. N. \.)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo W. 9^ con due stelle : intorno -]-
SICIL DVCAT APVL PRINC GAP: cioè
IVilelmus Rex Siciliae , Ducatus Apuliae^
Principatus Capuae.
^f Un albero di dauilo colle frutta e due stelle :
in giro -]- APVLIENSIS.
2^2 FUSCO
CXVI. Argento ( Tav. IX. N. 2.)
Simile alla precedente.
CXVir. Argento (Tav. X. N. 3.)
. DEL MEDESIMO
Dr. Albero di dattilo eoa frutta pendenti : con sopra
le lettere W. ^.
9* Nel centro leggenda cufica, intorno TERGI APV-
LIENSIS.
. CXVIII. Argento ( Tat^. X. N. 40
DEL MEDESIMO
Simile alla precedente , ma nel rovescio leggesi
TERGI APVLTENSIS : I. Corrisponde al n.° 78 e 74
di Adler.
CXTX. Argento (Tav. X. N. 6.)
DEL MEDESIMO
r>r. Nel campo QVARTA TERCENARIf.
ìjL Croce , intorno caratteri cufici. Corrisponde alla
loi, di Adler.
MONETE Di NAPOLI E SICILIA 2 43
CXX. CXXI. Rame (^Tav. W. N. 4. 5.)
DEL MEDESIMO
Dr. II busto di S. Nicola colla leggenda AriOC
NIKOAAoj. Sanctus Nicolaus.
9f EFINETO £lC THN nOAIN MECCHNHC cioè : Ope-
rata in urbe Messanae.
CXXII. Rame (^Tav. IL N. ^.)
DEL MEDESIMO
Dr. Come nel precedente,
5^. Leggenda cufica.
CXXIII. Rame (,Tav. X. N. 7.)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo bEX W SCVS. I^ex Wilelmus se-
cunchts. Intorno 4- OPERATA IN VRBE MESSANE.
ff Caratteri cufici. Corrisponde al n.° 83 di Adler.
CXXIV. Rame ( Tav. X. N. 8. )
DEL MEDESIMO
È r84.' di Adler, e 289 del Conte Castiglione.
Dr. In caratteri cufici : Guglielmo secondo,
9' Testa di Leone.
Tom. ir. 3i
a44 FUSCO
CXXV. Rame ( Tav. X. N. 9. )
DEL MEDESIMO
Dr. Testa di Leone.
^ Albero di dattilo con frutta.
CXXVI. Rame {Tav. X. N. 12.)
DEL MEDESIMO
Dr. G in mezzo a due stelle , sotto '^ II : cioè
Guilelmus Rex II.
5f Albero di dattilo eoa due stelle a' lati del tronco,
e due punti sopra.
CXXVII. Rame ( Tav. XI. N. 9.)
DEL MEDESIMO
La stessa.
CXXVIII. Rame {Tav. X. iV. i3.)
DEL MEDESIMO
Dr. W in mezzo a quattro punti surnoontati da un»
mezza luna posta in mezzo a tre stelle.
5( 5( ^^ co^ quattro puQti.
MOJSETE DI NAPOLI E SICILIA i^S
CXXIX. Rame (Tau. XT. N. 8.)
DEL MEDESIMO
Dr. In un riquadro G. Gnilelmus , sopra II.
9f Croce avente agli angoli superiori le lettere RE.
Rex j e sotto due punti.
CXXX. Rame {Tav. X. iV. io.)
DEL MEDESIMO _a
Dr. W
REX
II.
5^ Castello colle lettere S. A.
CXXXI. Argento ( Tav. XI. N. i.)
DI TANCREDI
Dr. Nel campo "ACD REX SICIL'E : In giro -f-
DEXTERA DNI EXALTAVIT ME. Tancri-
dus Bex S'iciUae:Dcxtera Domini exaltavit m*.
Rf Leggenda cufica.
CXXXII. Argento ( Tav. XI. N. 7.)
DLL MEDESIMO
Dr. Nel campo ACD REX SICILIE.
9' Leggenda cufica.
a46 FUSCO
CXXXIII. Rame {Tav. XL N. 2.)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo REX SICILIE.
5/" Leggenda cufica.
CXXXIV. Rame (Tav. XL N. 3.)
DEL MEDESIMO
Dr. Croce che occupa l' intero campo colle lettere
in giro TANCRE.
5f Un T surmoutato da corona : in giro REX SI-
CILIE.
CXXXV. Rame (Taf. XI. N. 4.)
DEL MEDESIMO
Dr. Nel campo TA. ^ frammezzate da una linea.
Tancridus Rex,
5f Un Castello.
CXXXVI. Rame ( Tav. XI. N. 5.)
DEL MEDESIMO
Dr. AC. Tancridus.
^ ^. Rex.
U
MONETE DI NAPOLI E SICILIA a47
CXXXVII. Rame (Tav. XL N. 6.)
DEL MEDESIMO
Dr. Un vase con una palma, e la lettera T nel campo.
Tancridus.
9f Caslello colla lettera ^. Rex.
CXXXVIII. CXXXIX. Rame {Tw. Vili. N. 2. 3.)
DEL MEDESIMO
Simili a quelle riportate da Adler nei n." 73. 74» •
dal Conte Castiglione nel n." 290.
Dr. Leggenda cufica che dice : il Re Tancredi.
9f la mezzo REX. la giro ROGERIVS.
(.>•!<
I]\DICE
DELLE TAVOLE
249
TAVOLA I.
TAVOLA IV.
N.»
I.
ir.
N.°
I.
XXXIV,
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2.
III.
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2.
XXXVI.
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3.
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3.
XXXV.
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4.
IV.
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4.
CXX.
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5.
V.
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5.
CXXI.
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6.
VI.
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6.
XXVIII.
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j.
VII.
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7-
XXVII.
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8.
XXIV.
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8.
XXXVII.
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9-
XXV.
TAF OLA IL
TAVOLA V.
N."
I.
XIII.
N.°
I.
XXXVIII.
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2.
XIV.
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LXXXU.
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3.
xir.
»
3.
XXXXI.
»
4.
XV.
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4.
XXXXII.
»
5.
XVI.
))
5.
XXXXIII.
»
6.
xvir.
»
6.
XXXXIV.
»
7-
xviii.
»
7-
XXXXVI.
»
8,
XIX.
»
8.
XXXXVII.
»
9.
CXXII.
»
9-
XXXXVIII
»
IO.
XX.
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IO.
XXXXIX.
M
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XI.
»
12.
XXI.
TAVOLA VI.
TAVOLA in.
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I.
L.
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1.
XXVI.
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2.
LI.
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3.
XXIX.
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3.
Lir.
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3.
XXXII.
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4.
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XXXIII.
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5.
LIV.
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LV.
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TÀFOLA VII.
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XCVIII.
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LXVII.
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LXVI.
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CXIV.
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LXXII.
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TAVOLA X.
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CXII.
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CXIII.
TÀVOLA vili.
3.
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CXVII,
CXVIII.
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LXXXIII.
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DEL PRESENTE FASCICOLO
Tavole di monete del reame di Napoli e Si-
cilia, presentate da Saldatore Fusco, pag. ai i
Coli undici tavole in rame.
Prezzo del presente Jascicólo t. 35
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DELL'ACCADEMIA PONT ANI AN A
II— )i>WOt»{C<Ctwwfii» —
FASCICOLOJV DEL VOLUME IV
L' acca(]emia pontanì.nia pubblica i !>uoi atti in f.iscicoli , afljaclic
{)05sano sollecil^mciite conoscersi le memorie a misura che sono ap-
provate.
Ogni fascicolo si jiubblica subito che si Ita sufficiente materiale e
scQza astringersi ad ale-.. J^lcrminato periodo o numero di fogli.
Terminali i fascicoli < lie debbono comporre un volujiic, si dà il
frontespizio, la dedica , la storia de" lavori , ed il catalogo degli acca
demici da premettersi al volume medesimo.
SIÙ2PDIL3
DA- TORCHI DEL TRAU.\T£lf
D*» INTERPOLAZIONE
PRESENTATA ALL' ACCADEMIA PONTANIANA
DAL SOCIO BISIDENTZ
DISCUSSIONE
INTORNO ALLA SCELTA DELLA FORMOLA ADOPERATA
NELLA COSTRrzIONE DELLA TAVOLA.
§. I. Neil' appendice alle Effemeridi di Milano
del i83o, l' illusive astronomo Oriani , ragionando di
un' antica formola d' interpolazione inserita negli atti di
Berlino , e riprodotta dal chiaris. prof. Bessel nel gior-
nale di Schumacher , la ricava da altra formola ripor-
tata già nelle stesse Effemeridi , ed accenna il modo di
farne uso tenuto dal lodato Bessel , il quale prepara a
quest* oggetto una tavola de' logariluii di alcuni valori
X, X\ X" etc. funzioni del tempo. L' astronomo di Mi-
lano osserva che la formola preferita dal sig. Bessel
Tom.IF. 3a
20 2 AMANTE
esige un calcolo più lungo che non richiegga la formola
delle Effemeridi , cui dà T aspetto seguente j
+ r(^"-f.^-'+ )0
.+r^.(^- )q
Intanto per calcolare anche questa formola più sem-
plice si debbono formare con le differenze J', 5",5"' j
coefficienti delle potenze del tempo — , aggiungere i lo-
garitmi di quelli coefficienti ai logaritmi delle potenze ,
trovare i numeri corrispondenti , e farne la riduzione.
A noi sembra che , volendo usare i logaritmi , sa-
rebbe più utile r immediata applicazione delle serie d'in-
terpolazione sotto la loro forma ordinaria , siccome
2 2.3
la quale offre il vantaggio che il coefficiente del termine
seguente ha sempre per fattore il coefficiente del termine
precedente. Ma è chiaro poi che 1' interpolazione riusci-
rebbe assai più facile se i termini dipendenti dalle diffe-
renze seconda , terza etc. potessero ottenersi da altret-
tante tavole.
Nella Conoscenza de' tempi si trova calcolata da
TAVOLA GENERALE d' UNTERPOlaZIO-NE 2^3
M. Mathieu una tavola d' interpolazione , la quale tlà
il valore del termine dipendente dalla differenza seconda,
con r argomento dell' ora data , e per la semisomma
delle due differenze seconde che risultano da quattro va-
lori presi nelle tavole astronomiche. Pare dunque che non
rimarrebbe se non ad aggiungere a questa tavola un' ap-
pendice che desse i termini dipendenti dalle differenze
degli ordini superiori. Ma la cosa non è tanto semplice
quanto si mostra a primo aspetto , poiché la tavola di
M. Mathieu suppone che si adotti per differenza seconda
la media di due come abbiamo accennalo , circostanza
che non si verifica nella formola usata comunemente ^ e
di più la tavola medesima è calcolata da io in io mi-
nuli , il che sarebbe sufficiente per 1' esattezza de' risul-
tamenti , ma essendo per brevità disposta come quelle a
doppia entrata, 1' uso n' è incomodo se non vi si aggiun-
gono le differenze, e dovrebbe poi contenere i centesimi
per dare con esattezza i decimi. Per questa ragione , e
per la mancanza de' termini dipendenti ^ dalle differenze
degli ordini superiori, pare che la tavola in discorso sia
adoperata dagli astronomi soltanto nel calcolo approssi-
mato de' luoghi della Luna. Per ottenere dunque una ta-
vola generale d'interpolazione mediante la quale gli ele-
menti lunari fossero calcolati con esattezza e facilità ,
conveniva scegliere una formola che fosse più d' ogni
altra accomodata all'oggetto per la sua maggiore conver-
genza , ed estendere il calcolo della tavola sino ai ter-
mini che potessero nelle applicazioni acquistare un valore
apprezzabile. Ecco quanto ci siamo proposti di fare in
questo lavoro.
254 AMANTE
§. II. Rappresentino J, A,, A,^ J^^ ^i-, A, \ di-
versi valori di un elemento lunare corrispondenti a tempi
equidifferenti. Se l'intervallo costante di tempo viene in-
dicato con r unità , e si chiami h il tempo dato di un
termine da interpolarsi fra A, , ed A^, , contato dall' i-
stante corrispondente al primo termine A^ il termine
richiesto si potrà calcolare con la formola a tutti nota;
2 2.3 '
2.3-4. 2.3.4..J
dove le differenze f/', f/-, Zi-, 5", 5» sono quelle notate nel
seguente quadro ;
^: ^- f ^■■■
^^ 3. '" .... '" i^
Chiamiamo t il tempo che ha per origine 1' istante
corrispondente ad A,^ e cerchiamo una serie in cui en-
trino il tempo t in vece di h , onde preparare la formola
al calcolo di una tavola, e le differenze 5>, 5-, 5'", d" , 5'
in vece delle d',d'\^"\... Sarà h=t-\-i ed inoltre, ri-
cordandosi che ogni differenza si ottiene sottraendo sem-
pre il termine precedente dal seguente in ciascuna serie
verticale, si avrà facilmente.
TAVOLA GENERALE d' INTERPOLAZlOiNE
25!
Sostituendo ad A^ A, d\ d", A'" i loro valori si ot-
terrà
J2 -2 )S'
+3 \S" - — r 12"'
-2(/+2) I H-(/+2)
(^+2X/+l) ( _ (/+2)f/+l)1
2 ' 2
(/+2)(<+l)/l
+
2.3
+
+
-(/+2)
(<+2)f/+l)
2
f/-f2)(<+l)<
~ 2.3
(l+2)(l+l)(t-l)
2.34
j.. ■ (<+2)(H-0<(<-i)(<-2) ,,
2.3.4-S
e riducendo i coefficienti di S', S" , S'-, e S'" con l'avver-
tenza che tutti debbono avere per fattore comune t, e
gli ultimi due hanno anche per fattore ^+1, si avrà in
fine la serie che si cercava ,
+
2.3.4.5
§. 111. Si cerchi inoltre una serie che contenga le
aSS AMANTE
differenze 5', A", 5'", A", 5', e sarà facile ricavarla dalla
precedente riflettendo che 3"=A"— J-», e J-^sA-^— J» . si avrà
(3)...^=^,+/5;+ 'itili A" + £f=2)J=i) 5.-,+ ^f^-i)r/-^)f/+i) ^„
• 2 2. a 2.0.4
+ iX4:3 ^ • • • •
Finalmente, prendendo la semisomma delle serie (2), (3),
se ne dedurrà subito la seguente ,
"*" SXI i — "*■ IJ4^ ^ ^'*=-
L* antica formola inserita negli atti di Berlino , di
cui si è parlato nel §. I. si desume pure prendendo la se-
misomma delle serie (2), (3), ma trasportando I' origine
del tempo nella metà dell' intervallo compreso fra il tem-
po dì A^f e quello di ./^j.
5. IV. Il terzo termine della formola (4) dipendente
dalle differenze 2.° , è quello che si ottiene dalla tavola
di 31. Mathieu , per cui la serie (4) potrebbe servire a
ricalcolare questa tavola con le modificazioni accennate
nel §. I. ed a eostruire una seconda tavola per le diffe-
renze degli ordini superiori. Ma prima di adottare la
serie (4) per la costruzione della nuova tavola generale ,
è necessario esaminare se debba preferirsi alle preceden-
ti (2) e (3) , e discutere sino a quale ordine di differenze
i suoi termini possono acquistare un valore apprezzabile.
5. V. Da un esame degli elementi lunari registrali
nelle effemeridi astronomiche di 12 in 12 ore , sembra
TAVOLA GEiNERALE d' INTERPOLAZIONE 257
potersi stabilire che le differenze terze non arrivano mai
a 4', le quarte a 60", e le quinte a 20". Partendo da
questo dato , calcoliamo il massimo valore che possono
acquistare i termini dipendenti dalle differenze suddette
nelle serie (2), (3) e (4)-
Nella serie (3) il coefficiente di S" è ^^^"'j.g"''^ t e
ponendo t{t—ì) (i— 2)=F, si avrà , F=V—3t'+2t ,
e — =3t' — 6t+2 j il quale coefficiente differenziale di
1.° ordine fatto eguale a zero darà, <:=i± Vf=|ó|/^227 "
Di questi due valori di t il primo non può ammettersi,
perchè è maggiore dell' unità indicante 1' intervallo fra
cui si vuole interpolare , ed il secondo , sostituito nel
coefficiente differenziale di 2.° ordine 6é — 6 lo rende ne-
gativo , onde per esso la funzione diviene massima. Il
valore di ~l -j — ^, quando ^=0,4227 è o,o64i} e mol-
tiplicato per °"', che si suppone eguale a 4S ovvero 240",
dà o,oG4iX24o"=i5",38, che sarà il massimo valore di
questo termine nella serie (3). Il termine corrispondente
nella serie (2) è ^ ! a ^"'» "^I quale operando come
qui sopra, si farà F=l (J. — 1 ) (^-f- 1 ) =: <' — <, *^ ~/7 ^^
=3i'— 1=0, e quindi <=± Vt=±o,:'>773. Il valore po-
sitivo di t, che è il solo die possa ammettersi , rende
positivo il coefficiente differenziale di 2.° ordine G/, per
cui corrisponde ad un minimo ; ma rilletiendo che per
essere <<i, la funzione t(t — i)(i+i) è sempre negativa,
è chiaro che quel valore , il quale è minimo assoluta-
258 AMANTE
mente considerato, corrisponde ad una massima determina-
zione numerica col segno negativo. Il termine '^^~^>(''^^) s"\
facendo in esso t'=o,5']'^3, e 5"'=4', diviene — 15", 38.
Passando alle differenze quarte, il coefficiente del ter-
mine ad esse relativo è Io stesso nelle tre serie (2), (3), (4).
Si faccia F=i(t^i)(^t—2)(t+i)=t'^'—2t'—f+2t, e si
avrà ,
dF d'F
dt ' (//^
Ora, l'equazione 4^'— 6^-^2^+25=0 , ovvero f'—H'-—
— 5Ì4-s=o, è evidentamente soddisfatta dal valore ^=t,
per cui, diviso il primo membro per t—l, si avrà l'e-
quazione di 2.° grado t' — i — 1=0, che ha per radici
t= -=— — . Questi due valori di t debbono rifiutarsi per-
chè uno è negativo e 1' altro maggiore della unità; e però
il valore che rende la funzione massima sarà t=h come
apparisce dal coefficiente differenziale di 2.° ordine. Il
termine ^(fz:iKfz±X±i2 3". fatto t=l , e 5"=6o", risulta
2.0.4
di i",4o, che è il massimo valore cui può giungere.
Rispetto alle differenze quinte , nella serie (3) , si
faccia ,
F=t(^t—i^{t—z){e—3){t+i)=i^-5l'i+^t^+^r—Gt ■ sarà ,
f/F
— =5/'5-— 20/34, i5i'+ IO/— 6=0, ovvero t'i-^4.l^-\-3l'^+2l—f=o.
Per risolvere questa equazione osserviamo che, sostituendo
successivamente a t i valori o, i, 2, il primo membro
cambia sempre di segno , e quindi si può conchiudere
TAVOlA GENERALE d' L^TEa^OLAZIO^■E 2j(j
che vi sono radici fia o ed i, e fra i o 2. Supponia-
mo <=i, e i=l, ed approssimando queste radici col
metodo di Newton , troveremo due valori di t, di cui
la somma si avvicina molto a 2. Per assicurarci se cfiet-
tivamente 1' equazione proposta ha due radici la cui som-
ma eguaglia il 2 esattamente , bisognerà esaminare se ,
supponendola soddisditta da un valore i' dato all' inco-
gnita, lo sia pure da 2 — i'. Sostituiamo nel primo mem-
bro dell' equazione medesima 2 — l' in luogo di t , ed
avremo l'espressione
(2_/'ji_4(2— 03+3(2-/7 + 2(2-0-f >
che sviluppata e ridotta diviene
ciò che mostra chiaramente che se t' è radice , 2 — i' lo
è pure. Dunque 1' equazione proposta lia due radici la
cui somma è 2 , e poiché la somma di tutte le radici
è 4j come apparisce dal coefficiente del secondo termi-
ne, anche le rimaneuli due radici avranno per somma 2,
Dopo di ciò sarà facile di sciudere il polinomio i* — 4^'+
+3i'+2t — 1 in fattori di 2.° grado, che dovranno avere
la forma t' — 2t+m, V — 2^+72, e si potrà a tal fine sta-
bilire r equazione identica ,
-f-i J — 2m)
che darà le relazioni, 3 = n + ^+m, 2=— 2 w — 272,
Tom.iy. 33
s6o AMANTE
— jsssTnwj ovvero n + m=: — i, nm=s— 5:5 e perciò
±Vf+l= — |±1Vt- I^e equazioni di 2.° grado in cui
si scompone la proposta saranno dunque, t' — 2^=ì+ìVt?
* i' — 2^=5 — sVt? 6<1 i quattro valori dell' incognita ri-
sulteranno come segue,
Ì 2,6444
1,5439
-0,6444
o,456i.
Il solo valore o,456i che possa ammettersi, sostituito
nel coefficiente differenziale di 2.° ordine 20;^' — 6oi' +
+3o^+jio lo rende positivo, e però la funzione sarebbe mi-
xiima j ma qui pure, riflettendo che F è sempre negativa ,
si può conchiudere che il minimo corrisponde ad una mas-
sima determinazione numerica negativa. Si ponga t=Oj^56ì.
e ó' =20" nel termme completo -^ — '\ „ " ^ ' S* ^e
si avrà — o",24 per massimo valore negativo di questo
termine.
Nella serie (3) l'equazione da risolversi per trovare il va-
lore di t che rende massimo a termine — '\ — 0' ,
è i* — 3^'+ f =0, derivativa dal 2 .° grado j la quale ri-
soluta, dà t=ì\/6— 2 \/ ti =0,5 f^Sg, onde il massimo va-
lore di quel termine è -|-o",24.
§. VI. Applichiamo la stessa analisi alla serie (4).
Ed esaminando in primo luogo il termine dipendente dalle
differenze terze, facciamo /'=<(< — \)(t — I)=i{'— -ir + 1/ j
TAVOLA GENERALE d' INTERPOLAZIONE a6^
sarà, ~B»3«'— 3< + iwo, ovvero «•— < + J=oi da cui
si avrà ,
' ' (0,2114.!
Del quali valori di < il secondo 0,2114 rende la fun-
zione massima j e però il massimo valore del termi-
nQ^t:})^tll} s"<, supponendo 5'"= 4', sarà 0,008x240"*.
=i",92. Il valore ^=0,7886 dà un minimo , ma essen-
do F negativa quando <> J , il minimo si cambia in
massimo negativo j ed in fatti, supposto 1^=0,7886,
e 3"'=4'> nel termine in discorso, esso diviene — l'SQa.
Il termine dipendente dalle differenze quarte non
differisce nella serie (4) da quello già esaminato per le
altre due serie , e solo può modificarne il valore , ne'
casi particolari, la semisomma — — — delle differenze u-
sata come fattore, in vece delle differenze A™, o S".
Rispetto alle differenze quinte, si faccia i^=i(<^—i)
(t — 2)(t+i){t — I), e si prenda il differenziale di questa
funzione senza svilupparla j sarà
.W 1
Sotto una tal forma sarà più' facile riconoscere se questa
equazione, che corrisponde a t^ — iV + t — ' =0 , ha due
radici la cui somma eguaglia un numero razionale , sic-
come si è osservato per le equazioni esamiuate più sopra.
262 AMANTE
Imperocché la funzione -7- dovrà rimanere la stessa se o.t
si sostituisca 1—^, ovvero 2 — t, e simili j e fatto il sag-
gio con 1 — t si ottiene
dF
■^ =/(i + l)(/_2)(^J)4.(<-l)(<+0(^_2)(;-|) + (/-l) /(/-2)(/-i)
clie non differisce dalla funzione precedente se non nel-
l'ordine de' termini che la compongono. Questo risulta-
mento dimostra che effettivamente t ha due valori la (ni
somma eguaglia 1' unità j e poiché la somma di tutte le
radici dell'equazione, i^ — ^.^-{-t — '=0 è 2, le rimanenti
due radici avranno anche per somma 1' unità. Si potrà
dunque scomporre il primo memhro dell' equazione in
fattori di 2.° grado della forma V — t-\-m^ V — i+«, come
si è praticato di sopra , e si avranno le due equazioni
di 2.° grado, f — <=i + iVfj che risolute daranno i se-
guenti quattro valori dell' incognita ,
L 0,7814.
'-ih±V3±6vTH ^'T^^
' j 1,6920
'—0,6920
Rigettando gli ultimi due , il primo valore o^')^\!\ so-
stituito nel coefficiente differenziale di 2.° ordine lo rende
negativo, ed il secondo 0,2186 positivo 5 ma perchè la
funzione t[t — \){i — 2)(i5+i)(^ — ì) è negativa quando
Jf<|, ambedue questi valori corrisponderanno ad una
massima determinazione numerica. E se nel termine com-
pleto, -^^ — ~T-\^ 2", si facciano successivamente
* ' 2.d.4-5
TAVOLA CtNERALE d' INTDRPOLAZIOAE 263
/=o,78i47 ^'' = 20", e ^^=0,2286, S' = 20", si avianDo
i massimi valori positivo e negativo di quel termine , i
quali saranno +o",oi7, — o",oi7.
§. VII. L' esame in confronto delle serie (2), (3), (4)
mostra che i termini relativi alle difterenze d' indice di-
spari sono nella (4) assai più piccoli che nelle (2) e (3).
Per la qual cosa, il termine dipendente dalle differenze
terze , essendo molto piccolo nella serie (4) , si potrà
ottenere con gran facilità da una tavola calcolata a que-
6t' oggetto , e in molti casi sarà trascurabile j ed il ter-
mine relativo alle differenze quinte sarà assolutamente
nullo nella serie (4) , laddove nelle (2) , (3) potrebbe
giungere ad t di secondo.
In conseguenza di questa disamina la Tavola gene-
rale d'interpolazione esposta qui appresso, è stala cal-
colata sulla formola (4-) limitata alle differenze quarte.
Essa è accompagnata dalle avvertenze necessarie , e dagli
esempi opportuni a facilitarne I' uso j i quali , se non
e' inganniamo , mostrano ancora che la nostra tavola ,
specialmente costrutta per calcolare i luoghi della Luna ,
potrebbe servire per qualunque altra specie d'inter])olazione.
TAVOLA GE]\ERALE
XBR interpolare fra numeri calcolati da 12 in 12 ore prendetene lei in modo
che il termine da interpolarsi cada , secondo V ora data , tra mezzo ai due nu-
tneri centrali fra i sei adottati. Fate le differenze 1.» , 2."= , 3.» e 4.» sottraendo
sempre il termine precedente dal seguente nella stessa colonna verticale , e date
alle diflierenze t segni che risultano da questa convenzione.
Il termine cercalo si otterrà facendo la somma algebrica del terso fra i sei
numeri scelti , della parie proporzionale calcolata con l' ora data e con la diffe-
renza l.> centrale , e delle tre correzioni della tavola.
La prima correzione della tavola è relativa alle differenze 2.« ; essa si cal-
cola con l argomento dell' ora data , e per i minuti ed i secondi contenuti nella
semisomma delle due differenze 2.' centrali. Siccome i numeri della tawla sono
calcolali da 10 in 10 minuti deli argomento , così per ottenere facilmente la cor-
rezione per i tninufi intermedi , si sono notale in carattere corsivo le differenze
fra i nnmeri di ogni colonna. Il segno di questa prima correzione sarà tempre
contrario a quello della semisomma delle differenze 2.' indicate.
in seconda correzione della tavola dipende dalle differenze 3." ; essa si cal-
cola con l' argomento dell' ora data , e per i minuti ed i «econdi contenuti nella
differenza 3.» centrale. Il segno della correzione è simile a quello della differenza
terza , se l' ora data è minore di &• , ed è contrario , se l' ora data è maggiore
di tf* .
La terza rorreiione dipende dalle differenze 4.' ; es.<a si calcola con l'ar-
gomento dell'ora data e per i secondi contenuti nella temifomma delle due diffe-
renze k.' , Il suo segno è lo stesso di quello della semisomma indicata.
Quando le differenze terze sono costanti, in cece di premiere iti termini per
t interpolazione , battila pi-rnderiu quattro.
I." CORREZIONE differenze seconde (minuti.)
Il Hgno (Idia correxione è sempre contrario a quello della semisomma dell*
due dìjfcrcnze seconde cenlrali.
SEMISOMMA DELLE DUE DIFFERENZE 2.e CENTRALI. |
ARGOMENTO
ORA DATA
1
1'
2'
3'
4'
5'
G'
7'..
8'
9'
10'
0'' 00'
m 00'
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1-644
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1,233
1,614
2,o54
2,465
2,876
3,287
3,698
4, '09
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2-396
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3,093
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1,620
2,4'3l
3,241
4,o5.
4,S6i
5,671
6,481
7,292
8,102
■3SS
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i-i63
«•55/
l-r)3g
2-327
2-114
3- '02
3-4Sg
3-*77
30
30
1,198
2,396
3,59Ì
4,792
5,990
7,188
8.385
9,583
10,781
■',979
•376
•752
1-1 2S
l'5o4
l-h'v
2-23(;
2-633
3-0)0
3-3^6
3-762
-IO
20
I,5'^
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I .' CORREZIONE differenze seconde (secondi.)
Jl segno della correzione è sempre contrario a quella della semisomma
delle due differenze seconde centrali.
SE511S0MMA DELLE
DUE DIFFERENZE 2.o clmuau.
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i." GQRREZIONE differenze seconde (minuti.)
H segno della correzione è sempre contrario a quello della semisomma delle
due differenze seconde centrali.
SEMISOMMA DELLE DUE DIFFERENZE 2.« CENTRALI.
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I .' CORREZIONE differenze seconde (secondi.)
n tegìio della correzione è sempre contrario a quello della lemiiomma
delle due differenze seconde centra^'.
SEMISOMMA
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_^
2,' CORREZIONE differenze terze.
// segno della cornsìone è simile a quello Mia differenza terza centrale
se V ora è minore di 6 , e contrario se l' ora è maggiore.
ARGOMENTO
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3.' CORREZIONE differenze quarte.
H segno della correzione è sempre lo itesso di quello della
lemisomma delle due differenze quarte.
SEMISOMMA UELLE DCE DII'TEUEKZL 4."
/VRGOMEMO
OBA DATA
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C .00
6 . 00
o,23|0,47 0,70:0,94 1,17
273
N.B. — La (avola precedente è slata dopo la stampa confrontala con l' origi-
nale , e si è trovata esente da errori tipografici.
!!««Er^^
APPLICAZIONI
Esempio I. Si cerca la declinazione della Luna il
24 gennajo i834 alle ore 8''.i3'.i7", 7 tempo vero di
Napoli. La longitudine di Napoli da Parigi , secondo i
dati del Real OfEcio Topografico è 47''4'0"5 4 j P^^ cui
l'ora corrispondente di Parigi sarà 7''. 25'. 87", 3 , e la
Conoscenza de' tempi di quell' anno darà ,
Deci. J) il 24 Gcn.
najo a o''
Differenze i .'
Diff. 2."
Dif. 3.°
Diff.f
Diff.:..'
Ora data
23<'7'52"4
+ 3 7,0' '8
-■9.34,5
-43.11,3
-1°. G.35,3
— 1 .28.30, 1
-23'i5"3
-23.36,8
— 23.i4,o
-22. 4,8
— 2I"5
+ 22,8
+ ''• 9>a
+4V'3
+46,4
+ »"'
=7.25,62
Si avrà dunque, ArgOTnento=']^ .iS' fi2., 0'=— 43'.i i",3,
^-^ =-23'.25",4, 3"'=+22",8 i:i±^ =45",35 j e però
la parte proporzionale dipendente dalla differenza prima,
e le correzioni della tavola si calcoleranno come segue j
574 AMANTE
ptr 11'' — (i3'll"3 Differenze %.' Differenze l.° Differenze 4. e
per e*" —21 .35,65 Arg." j^'.So'.. per 2o'..,+i4o"62 j.,,per 20"..— o"io...pcr 4o"..+o"88
1 3.35,94 p.p. per— 4,38 rf« ars ." 86
30' I.iii98 Arg." iiem... fet 3' 2I1OS
5 17,99 p.p.... idem i3
3o" 1,80 Wrj.o idem... per ao" 2,35
—0,11
5
0,35..
01
+ 1)00
6 0,36
^fl 0|07
0,1 0,01
p.p —26.43, 80
Correzioni .+ 2.46,59
Vecl.'i a o*" ^3°. 7.52,40
Decl.)i all' ora dala.. 22. 43. 55, 19
idem.,
idem.,
5
0,4....
59
o5
+165,70
— O, l£
-4-1, 00
-i-i66, 59
Troviamo lo stesso elemento lunare per mezzo della
formola (M) (J. !•) commendata da Orfani , ed avremo,
1.° temine 2° 3° h° 5."
S'=— 43'ii"3
5'=— 2591,30
S"=-23'36"S
S"'=:+22"8 S'>'=-t-44"3
. 5"
'^gTs -f5-=-^.,.5|L'= ,,85,jll=+o.o2
— ij"=+ 708,40 -^S"=— 3,69 — iS»=— o,5a
-|5"'=-
+^5'=+
3,80
3,69
0,07
— 1420,49
i=— 710,24
+ o,i3
c-=+ 0 ,02
a= — 1882,94
N
%^=9,79.G339...;.(^)' =9,58326,8.....
Ì0j5<i=;3,27482;3 fog i=2,85i4ii2
^2 "4346^
—3,0664704
— ii65,4o
■ —273,07
+0.37
jToude— 1437,20
=— 23'55"2o
23. 7.5a ,40
Deci, J ^32.43.55 ,20 come sopra
l. J- 5'v=o,267i7
9,433;i
IV=7''25'37"3
= 445.37 ,3
= 26737 ,3
JV_ 26737 ,3
'*" 43200
?05ÌV=4 ,427 1)27
49
c.i.l2''=5,3645i63
'•— =9.79'6339
9,7916339
?© =9.58326,8
9,7916339
:.^j^y=9.3749<"7
9,7916339
//£y=9,,665356
•^•1i
2^5
TAVOLA ge:(erale d' interpolazione
Esempio II. Si cerca la declinazione del Sole il dì
11 Agosto 1842 a i4\i3'.i7",4 leinpo'niedio di Napoli.
L'ora corrispondente di Parigi sarà 1 3\25', 87", e la Co-
noscenza de tempi darà ,
Dcd. Sole il di 1 1 Agosto a o''
D,ff: i.'
D.ff. Q.'
i5<'jo'49"4
-'7'38"D
-17.53 ,G
—8. 7,9
_1 j(/n
-'i,3
Il luogo del termine da interpolarsi è indicato da
iS*". 25'.37" nell'intervallo di a^.*", e siccome la tavola
d'interpolazione suppone l' intervallo di la*", così per
avere l' argomento della tavola , bisognerà prendere la
metà dell'ora data , che sarà 6''.42'. 4^'S ^' Con questo
argomento e con la semisomma delle differenze seconde
•'—il\"^S si troverà subito nella tavola la correzione
-j-i", 78 da applicarsi alla parte proporzionale ottenuta
con la differenza prima j la quale èssendo, — io'.o",63,
la, cercata declinazione risulterà i5''kio'.5o",5.5.
e! Esempio III. Si cerca la distanza della Luna da
Aldcbaraa il giorno 21 Febbrajo iS/ja a G*" . 39'. 17",4
tempo medio di Napoli — L'ora di Parigisarà 4''-5jV37"
ed il luogo del termine da interpolarsi , nell' intervallo
di 3'' consideralo nelle effemeridi, sarà i"". 5i'.3j"j il
quale dovrà moltiplicarsi per 4 per ottenere V argomento
della tavola, che suppone l' intervallo di la"". Si prendano
dalla Conoscenza de' tempi i seguenti dati ,
Tom.iy. 35
ajS
AMANTE
Distanza della Luna da Aldebaran il 21
Febbrajo a 3l> di Parigi
Diff. i.«
Diff. ».=
35°53'io"
+r44'ib"
+1.44.58
+..45.37
+42"
+39"
esarà,^r^.°=7'.26',5,5'=+i.''44'.58",^^?=+4o",5
e quindi
per
31-..
41 ■
per l*" + 34'5g"33
3o' . 729 ,67
20 11.39 ,78
1 34,99
3o" 17 ,49
6 3 ,5o
1 o,58
Differenzi 3.'
Arg." 7h.3o'... per 40"— 4"69
p.p. per— 3,5 di arg." 2
uÌTg." idem...! per o"5.. 6
-4~
+1° 5. 5 ,34
—4.77
35.53.10
Dia, Luna cercata=36.58.io ,67
iti ÒU tl^ ,».l-f
Esempìo IV. Si potrebbe proporre il problema in-
verso cioè , trovare 1' ora di Parigi del giorno 2 1 Feb-
brajo 1842 corrispondente alla distanza della Luna da
Aldebaran 36''.58'.io",57. In tal caso, ricordandosi che
la tavola è calcolata sulla serie
y
si avrà ,
J ^,V^ 'f'-') ^^^±^' 4- ^^^-^^^^--^ 5
etc.
/— r 3"+A"
TAVOLA GENERALE d' INTERPOLAZIONE 277
ed indicando con 2 la somma delle correzioni date dalla
tavola , sarà
y — ^a=M2'-J 1, onde
# y — -^a
'^—x W
0 + 7
Questa formola servirà a calcolare il luogo t del
dato termine mediante le approssimazioni successive. Nell'e-
sempio proposto sarà, y=36°.58'.io",57, ^,=35\53'.io",
5'=+ 1°. 44'. 58", e si avrà y— /^,= i°.5'.o",57=39oo",57,
l' = 6298" ■, e però il primo valore approssimato di t
sarà) g^ '„ = 0,61933. Riducendo questa frazione iu
tempo con supporre l'unità eguale a la*", secondo la ta-
vola, si avrà V argomento n^.^G' per calcolare la somma
2 delle correzioni. Questa somma divisa per <=:o,Gi933
s' introdurrà nella formola (^) per avere un secondo va-
lore di t più approssimato j che potrà servire a trovarne
un terzo , e così di seguito. Il calcolo per la data di-
stanza lunare è come segue ,
27° AMANTE
Los.{y~-A, )=hs 3900,57=3,591120» Mrg.' ^Kioi... per 4o"...-4"65 ^
78 p.p.,. — ^ j]
per 0,5 6
c,/,S'^c./. 6298. ...=6,2007973
'".?' =9.7919254
^—-i ,77
*=a),6t933=7b.a6'pcr la tavoli /05 2=0,6785 184
c./.(:=o, 5080745
12
133866
2
6.933 %— =0,8865930
7| 43196 — = — 7,7oa
6 J'=6i98
i'-\ =0290,3
los(,r—At )= 3,5911281
c.l.f 5'+ — l 6,2oi3a87
io? i'=9.79»4i68
J'=o,6ao09=i''5i'37"
3 3
j| 86027 4-51.37 Ora di Parigi «ertala
6 '^"'~"'
t
36|97a
Riducendo il primo valore di f=s=o,6i933 ia parti
dell' iutervallo S"" delle effemeridi , si sarebbe ottenuto
i''.5i'.28",8, e quindi un errore di 8", a di tempo, non
comportabile nella determinazione di una longitudine ^
laonde 1' uso delle differenze seconde pare indispensabile.
Esempio V. La nostra tavola può servire anche ad
altre interpolazioni. Si voglia trovare il seno naturale
dell'arco decimale 2°,ii3 con dieci cifre, facendo uso
delle tavole di Callet calcolate da decimo in decimo di
grado. Queste tavole , tenendo conto anche dell' unde-
cima cifra , daranno ,
TAVOLA GENERALE D INTERPOLAZIONE
279
SCll -j", I
Z>#. i.'
DiJT- 2.«
Dif. ì.'
0,0329807409.1
+15699818.4
+ .5099004.8
+15698152.1
-81 3.8
—852 5
-38.7
n luogo del termine da interpolarsi è 0,1 3, che si
moltiplicherà per la*" per avere V argomento della tavo-
la , il quale risulterà i''.33',6. Si avrà inoltre
i'=.+ i56990o4..6 , Ì-t^' =-833. i , ^'"=-38.7 ;
e per trovare le correzioni della tavola , si supporrà che
queste due ultime differenze esprimano secondi , per cui
tara — i — = — i3'.53",i , ed il calcolo procederà come
segue ,
i5«99o o4,6
o,i3
470970 i3«
1569900 46
«040870.598
+ 47.08
—0.37
9,0329807409.1
o,o33l8^»3^6.5l=«n3",
Il3
Dif. s.«
Jrg.' i''3o'... per io»...+3i"8i
p. p.,.+ 3,6 I ,10
idtm 3' 9 ,84
P-P 33
idem 5o" a ,73
PP 9
idem 3 i'
idem c,i .. ■
Dijf. 3<
47 .08
Questo risullamento combina sino alla decima cifra
con quello che vien riportato nella introduzione alle ta-
vole di Callet pag. 116, ottenuto per altra via.
Esempio VI. Si cerca il log. seno di 3o'.i2",35
aSo AMANTE
cou dieci cifre decimali , servendosi delle grandi tavole
di IJlacq. Da queste tavole si hanno i seguenti dati j
log. sen. So'.io"
;,9l3247863o
Diff-. I.'
+24i9')i3o
+24060084
+23927513
+23796397
+23666707
Dif. a.»
Diff. 3.'
Diffi."
Dff.5.'
— 13404.6
— 13257.1
— i3iii.6
—12969.0
+.47.5
+145.5
+.42.6
— a.o
—a 9
—0.9
Il luogo del termine da interpolarsi è o,235 , da
cui si ricava per argomento della tavola 2^.^g',2. E se
i numeri indicanti le differenze 2.°, 3.% 4-% e 5.° si sup-
pongono esprimer-e decimi di secondo , sarà
-2",5i
per la qual cosa il calcolo del logaritmo cercato proce-
derà come qui appresso.
23927 5i3
0,235
119637 565
71782539
47855026
5622965.555
11S61.3
7,9l3a47868o
Diff-. a.« Dif. S.» Dif. 4.'
Arg." i^.^a' per loo' .M...+ 5i8,52) .. per a'... 0,95...— o,o3
p.p. per 9,a 30,76j ao'/...o,i6 i
'per 100' 539,28 5,5 4 J^
*°' ^^'9^ +.,.5
9 48.54
40" 3,60
4 36
0,35.... 3
7.9}38 11 3506.9 = /og. sen. 3o'.i2'',35
+ ii85,oa
+ I,M
Troviamo lo stesso log. seno per mezzo della serie (2),
che non è se non la (il/) sotto la forma ordinaria. Tra-
TAVOLA GENERALE d' INTEUPOLAZIOKE a8l
scriviamola per norma del calcolo , al quale potrà darsi
r andamento che segue , già da noi accennato nel §. I j
"' ' ' 'a ' a.3 ' 2.3 4 ' 2.3.4 ^
i'=239J7 5i5 J"=-i3i57i «'"=+1455 i"=— 20 J'=-<,
1= 0,235 0 235X— Oi^GS 1,235 , , — 1,76:'; 2,23i
=a,a.-j-=h, b.~ =c, c.-^
-1782539 '•<>.' ■75=9,0700379 +0,41167 —0,441 +Oi447
4^85502 6 '-0,765 =a^8_36G^
5622965.555 -89536993 8.95370
11862.24 '•5"— 5,1224453 +961455
■rf'=7,9Ì324;8G3o 3^ _8,50325 -8,56825
y=7,9438ii35o7 8 +4.o:6i479 +3,i6i86 -9.64Ì44
+11916,48 _, _3,,, , +8,2.269... +8,21269
_2fÌ:2^_ —53,84 — i,3oio3 +9,65r'3i
+11862,24 33 _^3~ ~l^ì±
L -0.33 -8,8. 72Ì
—54,24 —0,07
Questo risultamento differisce soltanto di un' unità
nella decima cifra da quello ottenuto per mezzo della ta-
vola. Il quale piccolo errore dipende da che nel calcolo
della 1 .' correzione le differenze della tavola non sono
costanti , e quando la correzione medesima è molto gran-
de, la parte proporzionale, corrispondente alla frazione
del dato argomento , non risulta esaltissima. Nel calcolo
degli elementi astronomici in cui la semisomraa delle dif-
Jerenze seconde, anche per la Luna,, non giunge mai
a 3o', l'errore in discorso riesce insignificante j ma esso
potrebbe pure eliminarsi da qualunque altra interpolazio-
ne , applicando alle differenze della tavola 1' Aumento
indicalo in piedi di essa. Cosi nell'esempio precedente la
correzione per io', con 1' argomento 2'',4o' è 5i,85a ,
282 AMANTE
e la parte proporzionale deve calcolarsi moltiplicando il
decimo della differenza della tavola per i miauti dispari
q'jS. Prima di eseguire quella moltiplicazione si accre-
scerà la differenza 2,257 ^°^ prodotto o,oo58 xo',8=o,oo5,
che è quello dell' Aumento o,oo58 , registrato in piedi
della colonna, pel complemento o',8 del numero de' mi-
nuti 9', 2 cJie seive a calcolaT'e la parte proporziona-
le. La differenza aumentata risulterà 2,262 , e la parte
proporzionale sarà 0,2262^9,2=2,081. Laonde la cor-
rezione della tavola per 100' con 1' argomento 2''. 49', 2
sarà 539,33, e la correzione totale riguardante le diffe-
renze 2.' ascenderà aji85,i2 j dove si vede corretto
r errore annunziato qui sopra di uq' unità nella decima
cifra decimale.
Se r argomento in vece di essere 2''. 49', 2 fosse stato
9\io',8, si sarebbe proceduto nel modo seguente per
giungere allo- stesso risultamenlo. ; Affinchè la parte pro-
porzionale riesca sempre additiva, si dovrà prendere nella
tavola Idi icorrezìojie 5i,852 corrispondente all'argomento
prossimamente maggiore 9''.2o! j la quale dovrà essere ac-
cresciafia del decimo della differenza della tavola molti-
plicato per 9', 2. Questo: numero di minuti, che serve
a calcolare la parie propoi'zionale , ha per comple-
mento, o', 8, per cui V aumento della differenza della
tavola, secondo l'indicazione posta in piedi di essa, sarà,
o,8xo,oo58=o,oo5 , e la parte proporzionale risulterà dal
prodotto di ±1-IÌ2£±1 XQ,2, e, sarà 2,081 come so-
pra — Ripeliamo , che nel calcolo d^li elementi astro-
nomici le difi'evenze della tavola potranno sempre adope-
TAVOLA GENERALE d' INTERPOLAZIONE a83
rars'i quali soiioj eri osserviamo anche che, se non aves-
simo avuto Io scopo ili far servire la nostra tavola a
qualunque specie d'interpolazione, sarebbe bastato ripor-
tare con tre cifre declinali i soli numeri contenuti nelle
prime due colonne della i .' correzione^ onde aver ri-
guardo al massimo valore che possono acquistare le (ìif-
ferenze 2.' per la Luna. E però chi volesse limitare Tuso
della tavola al solo calcolo degli elementi astronomici ,
potrà rendere più semplici i due quadri riguardanti i
minuti delle differenze seconde.
Esempio VII. Sia al contrario proposto di trovarsi
r arco corrispondente al log. seno trovato qui sopra con
dieci cifre, 7,94381 i35o8. Dalle tavole di Ulacq si ha
che il seno prossimamente minore è 7,918247^^^^ ■> ^^
quale corrisponde all'arco 3o'. 10". Per trovare i secondi
dispari , e le frazioni di secondo , bisognerà applicare .1
formula (jfiT) menzionata nell' Esempio IV \ al quale
oggetto , fatto il quadro delle differenze , si avrà ,
y-^a=5634S28, a'=239275i3 , ^-t^ =«_2i9'.M".35 ,
d"'=+2'.25",5 . """*" ^" =— z".'^ i
e però il calcolo di t sarà come segue ,
Tom.lV. 36
284 AMANTE
Oiff- »•• Diff. S." Diff. 4.»
'«IffCr— ^')=6.j5o88o7 Ars? ^.!\°' ••■ per ioo'+5iS,5i, ^ —o^l\
C./.{/=2,6jiio24 p.p 21,67^ 16
/05. 1=9,371^ looi.... 540,19 4
«=»,»355 2h.49',6 '° ^4.02
„ 9'-- 48,Gj
40".. 3,60
4... 36
0,35 3
i.iS
4710
a355
3J8260 +1187,01
6 +1,11
49156
S=ii8S,i2
'"^rCr— ^.^=6,7508807 /oirSz=3,o748Ga3
S'+y)=^ì<'20i876 C.f./=o,6a8oi69
■ V
fo^ ('=9,3710683 105-^=3,702877»
«'=o,a35oo 4
i'=2",35 come ,opra — =5o45.3
'^^'^""^ J':z:a39i75i.3
S'+ — =23977965
Esempio Vili. Per ultima applicazione, cerchiamo
ii logaritmo di un numero dato con dieci cifre decimali,
ed il numero di un dato logaritmo , servendoci defla ta-
vola di Callet iù cui sono registrati i logaritmi de' nu-
meri da 1 sino a 1 200 con 20 decimali. Si voglia il
logaritmo del rapporto del diametro alla circonferenza
3,1415926536 con dieci cifre decimali. Moltiplichiamo
o dividiamo questo numero per un numero di una sola
cifra , ad oggetto di poterci servire de' logaritmi dei nu-
meri il più che si può vicini al massimo laoo della ta-
vola , pei quali le differenze seconde non sono molto
grandi. Eseguendo la moltiplicazione per 3 , avremo
9,4247779608 , e ricaveremo dalla tavola i seguenti dati
TAVOLA GENERALE D' INTERPOLAZIOKB
28S
lon 9,4a
X>#. i."
D/r. 2.'
D,J. ì.'
0,9740509017.9
+4612793,6
+4G07899.5
+46o3oi5.6
-48911
-4883.9
+ 10.1
Il luogo del termine da interpolarsi essendo 0,4778,
r argomento corrispondente della tavola si troverà di
5\44',o2. Si avrà inoltre ^^^±^ =—4889"=— 81 '.29",
3"'=-f.io",2 ; ed il calcolo del logaritmo cerca o sarà come
segue
Dif- <•• Dif. i.« Diff: 3.«
46078995 per 80' 598"i5J o.oiJ
80697774 p.p 0,56)
184315980 ' '>'i8
31255296 »" ">'Ì9
3i»553o 9....^.^^2;^
3i255i ■ +609.80
4 '470 0.01
1764 1201636. 3a
37 0,9740509027.9
3ioi636.3a 0,9742711274.0
log 3=0,4771212547.2
'05 »=o,497 1498726.8
Sia dato ora il logaritmo 0,497149^726-8 e si cer-
chi il numero corrispondente. Si tolga dal log. proposto
il logaritmo di 3 , e si avrà il resto 0,0200286179.6,
di cui il prossimamente minore della tavola di Callet
corrisponde ad 1,047 j ^ P^*"^ si avrà il seguente quadro ,
»S6
AMANTE
Ing 'Mi j ^ff- '■"
0#. 5 -^
o-/r 3'|
o,oi9y466Si6 8
+4iil<)97'-5
+4i!(6)oi0 7
-(-4pÌ2o55.j
-3;)!ìi.6
-3y-.l ■>
+70 1
^ =—3958
=— e-HJS/'
J
ed applicando la forniola (/i) sarà ,
y=o
,0500286 r79 6
A,=o
o.99lG6^!i6 8
4ilG|.-x).7^J'
Jrg'-
Dijr. -,.«
.t^.ial per &>(... •s8l 9'|l
j ,9 3 4^5
o.^f: J."
819362.8
0,06
40476
3i6ii
mGooS
ii3jo
o,i9;ò3...-2''.g^.',29
1-2
395 a5
197«3
a] 37156
5.... a3 4<)
5.".. 3.y2(
8".. 63
6
al) 3916
3i3,8o
r 06
•s
t
81936381
4''>4^'^3 f»2o
> 1 3 1 9 2 1 S j
»38S o33'
=41460097
= 15S8.1
S=3i3,86
1 16 1^0
i7 4i5o
1 6o:153
33i5o
37971
o,i97r.3=:f
i688.i->= —
r-^'=.
(41475978
1 _
' 0,197551 17
0
I
ai-a j345oo
A 854
Sioo
707
)I230
393a534>o
«=1,0471975511 7
«t:3, 1415936535.1
JLlXSTRAZfONE
NEL SALENTINO
Del Pk. 0-G. COSTA
LETTA NELLA TORNATA DE' 18 DICEMBRE 18i2.
1. Jr linio , in quel suo copioso inventario di opere
prodigiose della natura, registrava il Fonte diManduria,
cui dava il nome di lago (i). In Salentlno iuxta op-
pidum Mandiirìam laciis ad margines plenus, ncque
exhaustis aquis miimitur, neque inj'usis augetuv (2),
Sono (piesle 1' espressioni dello storico , le quali non po-
tevano eh' eccitar meraviglia appo l'universale, non cono-
scendosi in natura alcun fonte, lago, o ristagno, che sog-
getto non sia a mutar di livello ^ or crescendo per le ac-
que che vi accorrono , ora abbassandosi per i tanti modi
che la natura e 1' arte adoprano per consumarle. Laonde
il fonte di cui palliamo fu sempre tenuto come porten-
toso , e visitato religiosamente da ogni dotto straniero.
(1) Se Plinio vcdulo avesse quel cipieDle di acqua evidentemente arte-
foDle , certo non lo avrebbe con tal fatto , e d' una iì picciola capacità ,
nome indicalo. Impcrciocchò sarebbe con uo Iago , per picciolo che qucst»
un privarlo aflatlo di buon senso ere- suppor si volesse,
dcndolo capace di confondere ud re- (1) Plia. libr. II. cap. CVI.
288 COSTA
a. D* altra banda, la tendenza comune degli uomini
di elevare e magnificare tutte quelle cose , che loro ap-
partengono in modo più o meno esclusivo, ha fatto sì che
la celebrità accordata da Plinio a quel fonte venisse fer-
mata ed accresciuta da' suoi commentatori. Tra' quali pre-
cipuamente con ardenza si accinse a ciò fare un dotto
cittadino della stessa Manduria , quasiché delle cittadine
dovizie fosse quella la migliore, e forse la sola in tal ge-
nere. Al d.' Gregorio Schiavone appartiene la dotta ed
eruditissima scrittura sul Fonte di Manduria, inserita nel
Giornale Enciclopedico di Napoli (3). In essa trovasi
raccolto quanto è stato pensato e scritto intorno al feno-
meno di quelle acque j cercando poi l'autore nell'analisi
etimologica del nome, nella mitologia, e nelle tradizioni
di meglio addentrarsi nel mistero , e svelarlo.
3. Non è mio proponimento tener dietro alle orme
da quel dotto battute, per dir se bene o male siasi avvi-
sato, nello spiegare il fenomeno dello stabile livello delle
acque di quel fonte. Di lunga e nojosa diceria usar do-
vrei per dimostrare ex indircelo V inganno : la qual cosa
io penso conseguire per via diretta , esibendo la descri-
zione di quel fonte, quale spontaneamente si mostra a chi
straniero nou giungesse nelle fisiche discipline, e nell' ar-
chitettura idraulica. Mi permetterò solamente notar poche
cose intorno alla condizione geologica del luogo , onde
chiarire la idea del sig. Schiavone , il quale vedeva ia
tutta quella provincia un suolo vulcanico.
4. È veramente un fatto costante , che la celebrità
(3) Vedi «questo periodico lavoro , Ann. 2. n. n , pag. a86.
ILLUSTRAZIONE DEL FONTE DI MANDURU 289
degli uomini si liga con quella delle cose. Così , i vul-
cani che han somministrato argomento da far che molti uo-
mini si distinguessero , si sono visti fin là, dove regnava
r opposto elemento ; ed è bastata una briciola di zolfo ,
una scaglia di scoria , o pochi frammenti di pomice, per
vedervi le lave incandescenti , i crateii avvampanti , i
sollevamenti de' monti, la scomparsa delle acf[ue,e tutto
il formidabile treno degl'ignivomi focolari. Laonde pen-
sava il sig. Schiavone , che le voragini frequenti ad in-
contrarsi sulla intera estensione della provincia di Terra
d' Otranto , non fossero che focolari di vulcani estinti ,
da' quali sia da ripetersi il sollevamento intero della pe-
nisola. E poiché la frequenza degli avanzi organici di
animali marini ben l' avvertiva esser quel suolo positiva-
mente letto abbandonato dal mare ; suppose , e qui noa
senza fondata ragione , che per opera de' sottoposti vul-
cani fosse slato allontanato il mare , e rimasta a secco
la terra , con tutti que' marini corpi , quali al presente
racchiusi si trovano nelle viscere sue. Gli davano ancora
maggior forza, per sostener la sua ipotesi, le scorie di ferro,
che ivi presso quel fonte abbondevolmente si osservano.
Ma queste appartengono evidentemente a ferro fuso, tro-
vandosi sovente con la impronta de' crogiuoli in fondo de'
quali rimasero, o spumacciose come cavar si sogliono dalla
superficie del metallo già liquido. Stanno tali scorie cosi
sparpagliate ed erranti sul suolo ed alla superficie di es-
so, oppure involte nella terra vegetale. Certo esse addi-
mostrano essersi stata colà una fucina j ma quando e
perchè fosse stata stabilita lasciar conviene cercarlo agli
Storici ed agli Archeologi.
290 COSTA
5. Il suolo è tutto tufaceo e concbiglifeio ; e cosi
corre per tutta quella estesa pianura. E sovente inter-
secato da banchi di marna e di creta , o da burroni
di materie d' alluvione ^ o da monticoli di calcare ap-
pennino , costituenti le così dette Murge. Con ispecia-
lità poi il piano su cui siede Manduria è sì ricco di
avanzi di testacei marini , che tutto quel tufo sembra
coslituIt(j da tritumi di questi. Le bivalvi de' generi Pe-
cten e Caràium sopra ogni altro predominano -, né man-
cano denti di Squalus charcarias ed altri ictioliti.
6. Non è difficil cosa spiegare la provenienza delle
pomici e di quei ciottoli dilava, de' quali parla il conte
Milano nel III Capitolo de' suoi Cenni geologici sulla pro-
vincia di Teiera dj Otranto. Le prime son dal mare riget-
tate, essendo cosa ovvia il vederne tutte le spiagge occi-
dentali della provincia ripiene, dopo gli sconvolgimenti del
mare accompagnati da venti occidentali (4). I secondi ,
che jiiù facilmente si trovano presso Ginosa , sono stati
trasportati dal Bradano , quando il suo letto era grande-
mente più elevalo e più esteso, come sta da noi dimostrato
in altro luogo (5) ; ed i quali ciottoli io penso provenire
dal Vulture. Or, sebbene è vero che tutta la penisola Ita-
liana sia dominata da vulcani già estinti , oltre i semi-
spenti, ed il Vesuvio che arde tuttofa \ pure, nello spazio
compreso nella provincia Otrantina , non vi ha vestigio
veruno di focolajo vulcanico. Ma quando pur ve ne
(4) Di queste pomici si fa commer- specialmente dopo le tempeste.
ciò nella rroviucia. Vi sono delle (5) Vedi — Prime linee di Geologia
persone clie scorrono quolidianamentc del regno di Napoli — BIS.
le ipiagge erenoie per raccorle ; e ciò
ILLCSTRAZIO.NE DF.L FONTE DI MANDUP.U 29 1
fossero molti , si vedrà non aver essi alcuna relazione col
fenomeno che presenta il fonte di Manduria , né aversi
bisogno del loro intervento per ispicgarlo.
7. Premesse queste brevissime osservazioni , passo a
descrivere 1' antro , il fonte, e quanto a questi si attiene.
Uscendo dal recinto attuale di Manduria, a pochi
passi verso il N-E, e fra l'attuale e 1' antica sua circo-
scrizione , si trova un antro sotterraneo , nel quale si
scende per una scala tagliata nella stessa roccia tufacea,
di n. 36 gradini, della larghezza di 7 palmi, e divisa
in due tese ^ come rappresentata si vede nella pianta da
GGG. Il taglio verticale delia roccia addimostra esser
prodotta da depositi marini di epoche diverse ^ la qual
cosa apertamente palesano i generi e le specie diverse
di testacei che in ciascuno degli strati si trovano. Gli
strati tufacei altronde si lasciano distinguere dalla inter-
posizione di strati più sottili di creta e di marna ,• essen-
dovene uno fra gli altri , dell' altezza di un palmo , di
marna polverosa bianca j ed è quello precisamente per lo
quale 1' acqua del fuimicello sotterraneo scorre. I diversi
strali tufacei si lasciano inoltre distinguere per la diver-
sità de' grani e de' tritumi , e pel grado di compattezza
del loro cemento calcare.
9. Il piano dell' antro AAA ha figura irregolare, ma
che però si accosta al cerchio. Nel bel mezzo di esso vi
sta una vasca V di figura circolare, la quale si eleva dal
piano dell' antro per quattro palmi e mezzo : e per più di
j)almi dieci è profonda allo interno (6). Il suo diametro
(6) La vera profondili non può de- brato da macerie, sassi ec, che la o-
K-rminiirsì , essendo il fondo itijjora- struiscono sovente del lutto.
Tom.iy. 3;
2g2 COSTA
è di palmi 7 j e la doppiezza del muro e che ne costi-
tuisce la cinta è di palmi 2 %.
10. In un lato della grande vasca ve ne sta un' al-
tra picciola , il cui orlo si eleva appena dal ])ian terreno
dell' antro : è anch' essa circolare, intersecando col suo j)eri-
metro un poco quello della vasca maggiore j nel cui centro
però ve n' è scavata una seconda v di figura rettangolare.
Il fondo di questa ultima comunica con la gran vasca per lo
mezzo di un tubo, che si termina in grondaja, sboccando
nel cavo della prima e maggiore.
11. La volta dell'antro rappresenta quasi un emi-
sfero concavo , un poco ineguale ed irregolare. Nel suo
centro superiore vi è un' apertura quadrata , larga palmi
4 , la quale corrisponde a perpendicolo alla gran vasca ,
e per essa 1' antro tutto viene illuminato a meraviglia, ed
il fenomeno di cui or ora dirassi rendesi ad ognuno patente.
12. A chi dunque in questo antro discende, senza
altro cercare che lo apparente livello delle acque, che nella
vasca centrale e maggiore pervengono, vedrà di fatto ch'es-
se staranno sempre al medesimo sito, malgrado il perenne
loro sgorgare dalla grondaja della piccola vasca. Ma per-
lustrando queir antro si troverà sul lato N - E. un muro
MMM (3, 3 dello spaccato) fabbricato di tufo , con uno
sportello F, costantemente chiuso j aperto il quale si scuo-
pre il rigagnolo n n di acque perenni, causa primitiva del
fenomeno di cui si ragiona. Risulta questo da più venuzze
di acqua sorgiva ggg ^ che stilla e trasuda dall' intervallo o
straticello marnoso che lascia l'ultimo letto di tufo sopra-
stante al penultimo. L'acqua che da quelle venuzze proviene
si raccoglie in un acquidoccio comune , per lo quale va
ILLt'STRAZIO.NE DEL FOiNTE DI MANnUntA 393
a deporsi nella vaschetta W, che corrisponde precisamente
dietro lo sportello F , superiormente menzionato. Dalla
vaschetta lo acque discendono per un condotto masche-
rato o nascosto dalla fabbrica stessa j e per un altro e e
sepolto nel piano, passano alla vasca V; d'onde sgorgano,
come si è detto, nella maggiore e Centrale,
i3. Fin qui la sorgente ed il cammino delle acque
è chiarissimo : siccome è facil cosa comprendere, eh' es-
sendo perenne lo sgorgo, mancar quelle non deggiono ne'
recipienti descritti. Ma come mai col continuo versarsi in
quel fonte il livello dell' acqua non cresce giammai •, né
sminuisce per quanta se ne voglia sottrarre? Ecco il
problema che si chiede risolvere.
i4- A ben intendere il meccanismo di quel fonte è
a sapersi, che la gran vasca centrale è costruita di pezzi
rettangolari di tufo ben cementati e solidamente con-
nessi. La gran parte ed inferiore di essa sta nel suolo
medesimo incastrata. La sua interna superficie è smaltata
fino a certa altezza, oltre la quale, nella parte superiore,
restano i pezzi di tufo nudi e scoperti. Quindi è ciiiaro ,
cha r acqua fino a quella linea cui giunge lo smalto non è
per alcun modo assorbita; ma dopo, incontrando le com-
messure della fabbrica, alcune delle quali a bell'arte sono
lasciate senza cemento , per esse si fa strada a traverso,
e riprende il naturale cammino del • ruscelletto. Né
r occhio imperito si accorge di tal fatto •, perciocché 1' arte-
fice ebbe la destrezza di lasciare libertà al passaggio delle
acque nel punto opposto a ([nello , da cui la gronda ja
precipita le sue acque. Per la qual cosa le onde ingenerate
dal cadere dell' ac<[ua sgorgante si confondono con la cor-
294 COSTA
rente dell' acqua che afìluisce ver le rime aperte che le
stan di rincontro, e non lasciano perciò vedere la dire-
zione della corrente all' occhio non prevenuto. Ma fatta
attenzione a lutto , e sceverando le onde circolari che si
espandono, da quelle della corrente che si vanno restrin-
gendo , è facile avvedersi del punto in cui esse affluisco-
no. Allora r illusione svanisce , e più non si vede che
1' arte ingegnosa la quale lutto seppe sì bene mascherare
e disporre. E per ben osservare un tal fatto conviene che
Io spettatore si ponga più eh' è possibile dappresso alio
sgorgo , e non mai a quello di fronte.
i5. Con ciò per tanto s' intende solamente il per-
chè le acque non si elevano al di là della linea dallo
smalto od intonaco segnata , ma non spiegasi ugualmente
il non vedersi giammai al di sotto di quella. Imperoc-
ché , s' è facile calcolare la quantità dell' acqua che in
tempo dato sgorga dalla gronda per far sì che pari (juan-
lilà escir ne possa per uno spazio dato : lo stesso far
non si può pel suo mancare. In elFetti , non la sola di-
spersione e la evaporazione calcolar si doveva, come cause
ordinarle che sminuiscono 1' acqua de' fonti 3 ma era d' uopo
determinare quella oh' estrar se ne poteva in un tempo
dato , con lutti i mezzi dell' arte. La quale valutazione
è di sua natura impossibile , variando questi elementi a
seconda de' bisogni , e de' mezzi adoperati più o meno
efficaci e solleciti. Ad ischi varne quindi 1' errore ecco in
qual modo 1' Architetto vi rimediava.
16 Si è dal bel principio avvertito, che l'apertura A
superiore e centrale dell' antro è minore del diametro
interno della sottoposta vasca. Quindi una secchia o due
ILLUSTRAZIONE DEL FO>TE ni MANDORIA agS
lutto al più scender possono dall' apertura sudetta in un
medesimo tempo. Egli è chiaro dunque, che per questa
via non può l'acqua del fonte sminuire più di quinto la
gronda ne versa , calcolando il tempo necessario per ab-
b.'issare e tirar su la secchia , durante il quale rifluisce
nel fonte assai piìi di acqua di quella che se n' estrae. Schi-
vava altronde il costruttore che attigner sene potesse dallo
interno dell'antro, col rendere l'orlo oo del (onte doppio
oltremodo, e tagliato a piano inclinato. Per lo che, uè so-
pra dell' orlo medesimo star potrebbe poggiato co' piedi
chi estrar volesse dell'acqua^ né le braccia stender j)uò
tanto da superare la spessezza del muro, restandogli forza
da tirar sopra la secchia o qualunque altro vaso a iiìwe
pendente. Laonde non rimane altra via da usare di quel-
l' acqua, che immergendo qualche vase nella vasca mino-
re 7", o ponendolo sotto la gronda che a quella la ver-
sa, ed attendendo che si riempisse. Dopo ciò egli è chiaro,
che dallo interno del fonte non potendosi estrarre un
sol ghiozzo di acqua , il suo livello menomar non si può
né punto uè poco.
17. E però, il portentoso fenomeno svanito, ne ri-
mane il pregio dell' architettura idraulica , che certo dal
fui qui detto è facile ad ognuno apprezzare. Nò solo il
calcolo , la previdenza , ed il genio dell' architetto si am-
mirano in questa opera j ma il magistero ancora col quale è
stata compiuta. Ed in vero, qualunque stato fosse 1' oggetto
per lo quale quel fonte fu costrutto , l' epoca certo non
ne viene fissata , e si perde nella oscurità de' temjìi. Non
pertanto lo smallo od intonaco della gran vasca è tanto fer-
mo, che nò per vicissitudini de' tempi , né per successioni
296 COSTA
violente della terra, né per lo continuo gittar de' macigni
allo interno di quella si è menomamente rotto o crcpacciato.
Ben di sovente si trova quella vasca colma di macigni
per modo, che a farne osservare il fenomeno si è costretto
sgombrarla j senza che per questo alcuna lesione si fosse
occasionata. Pregio egli è questo comune degli antichi
serbatoi di acqua , che lasciansi tutl' ora ammirare (7) ^
ma che ugualmente desiderare si fa nelle opere de' mo-
derni.
18. Dalle cose discorse chiaro n'emerge, essere il
fonte di Manduria un' opera idraulica molto ingegnosa j
e che perciò ben le conviene il nome di Ingegno o Sce-
gno , come quegli abitanti lo appellano: nome (jigiegno)
col quale indicato viene dal popolo nostro ogni macchina-
mento destinato a sollevare acque, od -a mettere in moto
checchessia (8).
ig. Rimarrebbe ora a statuire quale stato fosse V og-
(7) Olire le famose piscine, che ia (8) Il sig. Schiavoiie impiega tuUo
diversi luoghi del regno s' incontrano, il suo filologico sapere per far deri-
«ul littorale di S. Calaldo in Terra vare la voce Scegno dall' ebraiche
d'Otranto, sito detto Roca Vecchio, voci Scheket, Sceketh, o Sceka, di-
vi stanno alcune piscine ora scisse notanti acqua slagnante, vasi da ac-
largamente per la roccia stessa tufacea, qua o canali. Non tace però che tra
tella quale sono scavale , che per i- gli slessi abitanti, e dotti ed idioti,
gnote ragioni si è divisa. Ma in lutto vi sian di quelli che pensano esser
il resto lo smallo è intierissimo, nò la voce Scegno un volgarizzamento
si riesce a distaccarne un sol pezzo, o d' ingeniam. Ma , parendogli ignobile
fenderlo menomamenle , adoprando l'origine di questo nome , e volendo
r acciajo durissimo. più sempre far rilucere la sua dotlri-
Similmente saldi si osservano anco- na in fallo di lingua , vorrebbe che
ra gli acquedotti di Saturo nelle vici- in tal caso provenga dallo ebraica
nanze di Taranto; e laute altre opere Scebel derivante da iScwfin/ eh' eqiii-
dl simil natura. vale ad ingenium de' Ialini.
JLLLdTRAZlONE DEL TONTE UI MANDCRIA 297
^elto di queir arcliiiellura. Ma è questa 1' oj)era Ja com-
piersi dagli storici e dagli archeologi, di cui la Dio mercè
v' à dovizia tra noi, e tengono a giusto dritto il primato
Ira quanti altrove grandeggiano in questo sapere (9). Dal
canto mio ho cercato come intendere cjuel neque cxhau-
sfis aquis minuituT\ neque injìish augetur^ senza ricor-
rere a strane conghietture, ed ipotesi \ senza 1' intervento
de' vulcani j e senza il bisogno di quel lago circostante
le acque, dal quale rifluendo esse nel fonte gli restituis-
sero quelle perdute j ma solo rintracciandolo nella natura
insieme e nell'arie (io).
(9) lo inchino a credere, che sialo
sia coslrnito per 1' uso ordinario e co-
luiiuc di provvedere di acqua la cillà :
e che tulla quella ìndustriusa arclii-
iellura sia siala suggerita dal hisuguo.
Imperciocché quei luoghi in alcune
stagioni cotaulo di acqua scarseggiano
da riseutirue sensibili danni. Laonde
se ne volle limitar 1' uso prr assicu-
sarlo a' soli bisogni della vita. Non è
strano quindi il supporre , che slato
)ìa consagralo a qualche diviiiiih , per
lulelarne 1' opra con la riverenza a
quella dovuta. È risaputo che i fou-
lì furono appo gli amichi liguardali
come cosa sacra « Kultus eniin fons
non sacer, scriveva Serv o sul vcrs.
73 , del lih. 7 dell'Eneide. » Fontiuin
memoria ec. Per questa parie piova
coDsuUare il dolio lavoro del sulloda-
lo sig. Schiavoue, il quale non ha
tralasciata alcuna cosa valevole ad il-
Iiistr.ire la nobiltà di quel foiitr. E
dopo aver tulio raccolto, la menzio-
ne d' un altro fonte sjcro dilla stt-ssa
provincia spettante al Tempio di Mi-
n.rva , ricoQosciut) dal cav. Monti-
celli nella cos'i delta Grotta della
Zinzanusa j come dalla memoria in-
serita nello slesso Giornale Enciclo-
l'edico, Anno 2.°, n. 3.° p 34' •
Noi discorreremo ancor di questa.
Grotta in altra tornata.
(10) Che questo fonte sia un oalu-
rale cammino di acque sotterranee fu.
per molti ben inteso. Lo stesso loda^
tissiino sig. Schìavoiie non lascia di.
rammentare come , in una opera dai:
titolo Brcvis et enucleata descripIXo
historico-phviica Fonlis Manduria-
ni ex pluribus aucloribus excerpta^
cui occf $.<!/ Thomae Dierham disser-
lalio de fonlibus , uno degli autori
dicesse « esser la vasca grande situata
in mizzo ad un gran letto di acque
perenni , comunicanti, e livellate con
quelle della vasca medesima : quindi
per molte che in questa ne corressero.
298 COSTA , ILLUSTRAZIONE DEL FONTE DI MANDIÌRIA
non mai sormonteranno il solilo letto,
buliaiidosl cioè per inosscrvale fendi-
ture su le acque nascoste che corrono
intorno alla vasca » £ continua a
dirci pure di quel che ne pensasse
un dolio accademico Leccese, il quale
spiegava il fenomeno, dimostiando dap-
prima la esistenza d' una circolazione
di acque perenni -, e conchiudendo che
la vasca investita da queste ripara
alle sue perdile , ricevendole per a-
perture poste a livello delle sue ac-
que, e per le medesime scaricando-
sene , allorché in essa piìi del biso-
gno ne corrono : quivi citandosi pure
r oppinione dell' inglese Swin-Burn ,
il quale ammetteva per quel fonte il
passagio d' un ruscello. Dalle quali cose
si raccoglie, che le oppinioni conven-
gono col fallo ; ma il fenomeno non
fu mai spiegato completamente. Per-
ciocché è facile intendere come non
mai le acque elevar si potessero al
di sopra del naturale loro livello, sia
che avveduti si fossero del modo co-
me assorbite esse vengano, sia che lo
divinassero ; ma come poi non israi-
nuisscro giammai, per quanta estrar se
ne volesse , non fu loro ugualmente
facile intenderlo. Laonde ricorsero a
riflusso o rilornc delle acque , a rias-
sorbi.nenlo delle slesse; il che vera-
mente è un paradosso. E da ciò n'emer-
sero tante strane ipotesi, e tanto eni-
gmatico è rimaslo il fenomeno, che ha
dalo luogo alla conghiettura del Sig.
Scliiavone, esser quello una voragine
vulcanica abbellita dall' arte ; esser
r antro un tempio, e la vasca un /onte
sacro-Come sostiene questo suo assunto
il prelodalo autore, può vedersi nel luo-
gocitatodel Giornale Enciclopedico di
Napoli, ammirandosi in tale scrittura
la vasta sua erudizione ; ma 1' igno-
ranza in fatto di geologia, e lo inac-
corgimento neir opera dell' arte ; tutto
essendo preoccupalo dal pensiere di
sublimare per altre vie quel feno-
meoo.
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DEL PRESENTE FASCICOLO
Tavola generale ft interpolazione presentata
da Fedele Amatìte pag. a5i
Illustrazione del Fonte di Munduria nel Sa-
lentino di O-G. Costa » 387
Con due tavole in rame.
Prezzo del presente fascicolo.
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