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Full text of "Atti della Accademia Pontaniana"

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ATTI 


DELL' 


ACCADEMIA  PONTANIANA 


VOLCIUE  III. 


- .  'JS^ù     ' 


NAPOLI 

STABIUnEN'TO  TIPOGBAFICO  DEt  TBAMITEB 

Strada  S.  Sebastiano  N.  io  primo  piano. 

1850. 


ALLA  S.  B.  M. 

DI 


FERDINANDO    II 

RE  DEL  REGNO  DELLE  DUE  SICILIE 
etc.  eie.  eie. 


SIRE 


F 


u  sempremai  riputato  un  dovere  delle 
società  scientifiche  e  letterarie  dedicare  i  loro 
lavori  a'  Principi  protettori ,  da'  quali  esse  rico- 
noscono la  loro  esistenza  ed  il  loro  incremento. 
L'Accademia  Pontaniana ,  che  sperimentò 
in  ogni  tempo  gli  effetti  dell'alta  protezione 
di  V.  M.,  non  ha  compiuto  che  un  dovere  di 
riconoscenza  coli' intitolare  finora  al  Suo  Real 
Nome  le  proprie  produzioni  ;  e  ad  un  tal  do- 


vere  adempie  pure  in  questo  momento  dedi- 
cando alla  M.  V.  il  terzo  volume  de'  suoi  atti, 
come  già  fece  de'  precedenti. 

Sire  ,  la  bontà  con  cui  la  M.  V.  si  com- 
piacque di  accogliere  in  altre  occasioni  un  si- 
mile attestato  di  venerazione  e  di  rispetto,  ci 
rende  sicuri  che  ci  darà  altresì  in  questa  cir- 
costanza un  altro  prezioso  pegno  del  Suo  So- 
vrano gradimento  verso  i  nostri  lavori  acca- 
demici. 

Facendo  a  Dio  Ottimo  Massimo  i  più  fer- 
vidi voti  per  la  costante  prosperità  del  Regno 
della  M.  V.,  e  per  la  felicità  Sua ,  e  della  Sua 
Augusta  Real  Famiglia ,  ci  segniamo  col  più 
profondo  rispetto 


Di  V.  M. 


Devotissimi  e  Fedelissimi  sudditi 
CU  ACCADEMICI  PONTANIANI. 


NOTIZIA 

DELL'ACCADEMIA     PONTANIANA 

PER  GLI  ANM  t835  E  SEGUENTI  FINO  A.L  1844 
Letta   all'  accademia    dal  segretario  perpetuo 

CAV.  fhaiNgesco  m.  Avellino. 


Cominciando  da' lavori  dell'anno  i835  i)  e  distin- 
guendoli secondo  le  diverse  classi  della  nostra  Accademia, 
non  poclii  a  rammeular  uè  trovo  concernenti  alle  scienze 
naturali. 

Tali  sono  le  osservazioni  del  cav.  Pasquale  Panvini 
sulla  febbre  costituzionale  biliosa  cambiata  in  tifoide 
che  dominò  in  Sicilia  nel  i833,  e  quelle  del  sig.  Gio- 
vanni Semmola  sopra  un  creduto  rimedio  litontritico . 
Il  sig.  Pietro  de  FilippÌ5,  ora  defunto,  con  una  sua  me- 
moria cercò  di  provare  che  il  colera  non  sia  un  male 
contagioso ,  e  con  altra  il  sig.  Ovidio  Nazzari,  anche  di 
poi  defunto  ,  dimostrava  non  esser  contagiosa  la  tisi 
pulmonare.  Il  cav.  Michele  Tenore  lesse  una  notizia  sul' 
T albero  di  melangolo  che  vedesi  in  Fondi ^   e  credesi 

(1)  Questa  notizia  trovasi  già  pubbli-  interrompere  il  racconto  de'  lavori  del- 

cata  nel  dono  deW Accademia  Pontania-  V  Accademia.  Sarà  dala  la  continuazione 

na  agli  tcienziati  d  Italia  p.  7  e  segg.  ne'  volumi    seguenti  ;    no'  quali   si  darà 

&e  a'  è  qui  ripetuta  la  stampa,  per  non  pure  l' elenco  de'  socii. 
IO 


VI  ^nno  ]S3S. 

■piantato  da  S.  Tommaso  d' Aquino.  Né  mancarono  la- 
vori ne'  quali  si  videro  le  naturali  scienze  applicate  alle 
ricerche  archeologiche.  Di  tal  genere  furouo  le  osserva- 
zioni del  sig.  Ernesto  Capocci  sulle  colonne  del  tem- 
pio di  S erapide  in  Pozzuoli  forate  dalle  foladi ,  e 
l'analisi  chimica  presentata  dal  cav.  Francesco  Lancel- 
lolti,  anche  oggi  defunto,  di  alcune  sostanze  rinvenute 
negli  scavi  di  Pompei. 

Non  poche  dissertazioni  ancora  furono  lette  nello  stes- 
so anno  attenenti  alle  scienze  morali  ed  economiche.  Il 
cav.  arcidiacono  Luca  de  Samuele  Cagnazzi  intrattenne 
I'  accademia  sul  salario  e  nutrimento  de'  contadini  di 
Puglia.  Il  signor  abate  Vito  Buonsanto  lesse  alcune  os- 
servazioni sugli  effetti  economici  derivanti  dal  dazio 
sulla  introduzione  de'  libri  esteri  .^  ed  altre  il  cav.  Fi- 
lippo Rizzi  circa  le  leggi  repressive  del  duello.  Ram- 
mentiamo ancora  il  cenno  dato  dal  cav.  Giacomo  Filioli 
sulla  fondazione  del  real  albergo  de'  poveri  di  Na- 
poli-.^  la  memoria  del  sig.  Raimondo  Grimaldi  sulla  mo- 
netazione di  rame  del  regno  di  Napoli  ;  e  1'  altra  fi- 
nalmente del  consiglier  Niccola  Marini ,  che  pur  di  poi 
mancò  alla  vita ,  relativa  alle  istituzioni  del  dritto  pub' 
hlico  ed  amministrativo  del  regno  di  Napoli. 

Per  ciò  che  spetta  alla  storia  e  letteratura  antica,  son 
da  ricordare  le  osservazioni  del  sig.  abate  Raimondo  Gua- 
rini  su  di  alcune  antiche  iscrizioni ,  e  precisamente 
sulla  lapida  allora  scoperta  ed  attinente  alla  reli- 
gione del  dio  Silvano  ,  quelle  del  cav.  Agnello  Carfora 
sulla  introduzione  della  cavalleria  nelV  antica  mili- 
zia; la  descrizione  presentata  dal  cav.  Antonio  Niccolini 


/fnno  i83S.  vii 

di  un  antichissimo  arco  esistente  presso  il  lago  p^e- 
lino,  con  alcune  osservazioni  su  gli  arclii\  la  memo- 
ria del  sig.  Vincenzo  de  Ritis  sidla  musica  greca,  che 
venne  seguita  da  un'  altra  del  cav.  Cagnazzi  sull'  antica 
e  sulla  moderna  musica'^  in  ultimo  alcune  osservazioni 
del  sig.  principe  di  S.  Giorgio  Domenico  Spinelli  sopra 
una  moneta  ciifica  malamente  attribuita  al  nostro  re 
Ruggiero. 

Fecero  poi  sentire  gli  accenti  delle  Muse  il  sig.  Giu- 
lio Genoino  con  una  poesia  sulle  varie  emigrazioni  del- 
l' accademia,  ed  il  sig.  Giuseppe  Campise  con  un  capi- 
tolo intitolato  lo  sguardo  d' Eloi  sitila  terra. 

In  questo  anno  fino  a  tre  memorie  furono  ricevute  in 
risposta  al  programma  proposto  dall'accademia  nel  i833; 
ma  ,   fattone  l' esame  ,    nessuna   fu  trovata  meritevole  del 
premio.  L'argomento  ne  era  il  seguente:  istituire  accurate 
ricerche  istoriche  sulla  condizione  delle  provincie  che 
compongono   il   regno   di  qua   del  Faro ,    nelV  epoca 
che  decorse,  dalla  caduta  dell'impero  occidentale  sino 
alla  fondazione  della  monarchia  sotto  Ruggiero ,  ed 
esibirne  i  risultamenti.  Né  è  a  tacere  che  nell'anno  stesso 
l'accademia  diresse  una  domanda  a  S.  E.  il  Ministro  de- 
gli Affari  Interni ,  concernente  al  dazio  su'  libri  esteri,  che 
accrescea  allora  le  difficoltà  del  commercio  librario.  Non 
mollo  dopo    faceva  simili  generosi  voti    l'Eccellentissimo 
nostro  Presidente  onorario  perpetuo,  sig.  Marchese  di  Pie- 
tracatella,  con  un  libro  appositamente  impresso;  e  la  mu- 
nificenza del  nostro  Augusto  Sovrano  non  ha  guari  esau- 
diva queste  voci  col  diminuire  notabilmente  quel  dazio. 
Nel  mede&inìa  anno  veaae  intrapresa  la  stampa  delia 


ivtii  -Anno  i836. 

storia  di  Camillo  Porzio  colla  biografia  di  questo  forbito 

scrittore  distesa  diligentemente  dal  sig.  Agostino  Gervasio. 

La  biblioteca  dell'accademia  nel  i835  fu  arricchita 
di  varii  libri  donati  dagli  autori  ,  tra'  quali  ricordiamo  il 
cav.  Lodovico  Bianchini,  Felice  Bisazza,  il  cav.  Cagnazzi, 
Carlo  Mele  ,  il  sig.  Montagne  ,  rnons.  Carlo  Enmianuele 
Muzzarelli  ,  Franco  Savojardi  e  il  cav.   Tenore. 

Nel  corso  dell'anno  i836  due  memorie  furono  lette 
all'  accademia  relative  alle  scienze  naturali  j  la  prima  del 
sig.  Semmola  contenente  alcune  osservazioni  sulla  far- 
macologia del  prof.  Giacomini  ,  la  seconda  del  cav. 
Panvinl,  il  quale  descrisse  una  novella  sciringa  di  sua 
invenzione. 

I  lavori  spettanti  alle  scienze  morali  ed  economiche 
furon  presentati  dal  cav.  Cagnazzi,  il  quale  lesse  una  me- 
moria sulla  mendicità  j  dal  cav.  Panvini  che  ragionò 
sullo  stesso  argomento  j  dal  sig.  Pasquale  Liberatore  ,  or 
già  defunto  ,  che  imprese  a  dimostrare  come  le  regole 
della  scienza  economica  sono  il  fondamento  della  puh- 
hlica  amministrazione  ^  e  dal  sig.  Vitaliano  Sabatini  il 
quale  favellò  sul  dissodamento  de  monti. 

Per  quel  che  concerne  la  storia  e  letteratura  a  noi 
più  vicina,  ricordo  la  dissertazione  del  sig.  Salvatore  Fu- 
sco sopra  alcune  monete  della  zecca  di  Clarenza  , 
destinata  dall'  autore  a  formar  parte  degli  atti  dell'  acca- 
demia. Né  tralascio  di  rammentare  la  notizia  scritta  dal 
sig.  Michele  Tafuri ,  della  vita  e  de'  lavori  editi  o  ine- 
diti di  JSiccola  Aloisio  letterato  dello  scorso  secolo -^ 
e  le  osservazioni  del  cav.  Filioli  sopra  alcune  opere  di 
belle  arti  esposte  nel  redi  museo  nel  i835,  che  furono 
indi  impresse  negli  annali  civili  delle  due  Sicilie, 


^nno  tSSj.  IX 

In  questo  anno  furono  più  scarsi  ili  numero  i  lavori 
jiresenlati  all'accademia:  né  esser  dee  maraviglia  quando 
si  consideri  che  cominciò  allora  questa  nostra  città  ad 
esser  tormentata  dallo  spaventevole  flagello  del  colera. 

E  pur  grato  mi  riesce  il  notare  che  l' accademia  , 
spettatrice  e  parte  di  cotanto  lutto,  non  intermise  le  sue 
ordinarie  tornate  ,  e  lo  stesso  micidial  malore  scientifica- 
mente la  tenne  occupata.  lu  fatti  il  cav.  Giosuè  Sangio- 
vanni  presentava  una  nota  de'  professori  Ramaglia,  Tibe- 
rio ,  Chiaja ,  e  Manfrè  relativa  alla  osservazione  da 
essi  fatta  di  diversi  vermini  del  genere  Trichoce- 
phalus  dispar  di  Eodolphi  ne'  cadaveri  de''  morti 
di  colera. 

Molti  libri  donati  furono  pure  nello  stesso  anno  da' 
signori  barone  Francesco  d' Epiro  ,  Luigi  Ferrarese ,  Ge- 
noino  ,  Luigi  Granata  ,  Montagne  ,  '  cav.  Bernardo  Qua- 
ranta ,  Vincenzo  de  Ritis  ,  cav.   Rizzi,  Vincenzo  Rossi. 

Nell'anno  1837  benché  continuassero  in  Napoli  le 
stragi  del  colera,  non  per  tanto  non  poche  memorie  fu- 
rou  lette  all'accademia^  e  tra  queste  una  dal  sig.  Fedele 
Amante  pertinente  alle  scienze  fisico -matematiche  ,  che 
contiene  alcune  considerazioni  sulle  formole  adoperate 
comunemente  da'  geografi  per  calcolare  le  posizioni 
geografiche  de'  vertici  de  triangoli  geodetici. 

In  quanto  alle  scienze  naturali  ,  il  cav,  Gio:  Batista 
Quadri  presentò  una  memoria  su  varie  specie  di  rime- 
dii  segreti ,  e  su  V  acqua  adoperata  dal  cav.  Bonazzi 
per  guarire  dal  colera. 

Due  memorie  concernenti  la  letteratura  antica  furono 
Ielle  air  accademia  j    l' una   del   segretario   perpetuo   cav. 

b 


X  /4nno  t838. 

Francesco  M.  Avellino ,  nella  quale  si  facevano  alcune 
osservazioni  su  Plauto  5  l' altra  del  sig.  Lelio  Carfora 
sulla  origine  de    linguaggi. 

In  quanto  alla  storia  de'  tempi  a  noi  più  vicini  ,  il 
cav.  Giuseppe  di  Cesare  die  lettura  dei  I."  libro  della 
sua  storia  di  re  Manfredi  ,  la  quale  avendo  nell'  anno 
seguente  compiutamente  presentata ,  fece  poi  di  pubblica 
ragione. 

Vari!  lavori  poetici  furono  intesi  a  ristorare  gli  animi 
dalle  più  severe  occupazioni  :  tali  furono  un  capitolo  del 
sig.  barone  d'Epiro  intitolato  l'amicizia',  na  altro  ca/3J- 
iolo  del  sig.  Genoino  sulla  vigilia  di  Natale',  ed  il  I.° 
canto  di  un  poema  del  cav.  Vincenzo  Caracciolo,  imma- 
turamente poi  da  morte  rapito ,  intitolato  il  colera  morbo 
in  Europa.  Die  inoltre  il  sig.  Genoino  lettura  all'  acca- 
demia di  un  dramma  istorico  di  sua  composizione  intito- 
lalo gli  Scudery  in  Provenza. 

Fecero  dono  di  opere  loro  alla  nostra  biblioteca  i 
signori  Amante,  Carlo  d'Andrea,  Matteo  de  Augustinis, 
Michele  Baldacchini  ,  cav,  Bianchini,  cav.  Luigi  Blanch, 
cav,  Cagnazzi ,  Matteo  Camera,  cav.  Andrea  Campana, 
Luigi  Cardinali  ,  cav.  di  Cesare  ,  Stefano  delle  Chìaje  , 
Oronzio  Gabriele  Costa  ,  Gervasio  ,  Giovanni  Guarini , 
abate  Guarini,  Cecilia  de  Luna  Folliero,  Pasquale  Libe- 
ratore, Rosario  Mangoni ,  Manfredonia,  Montagne,  Do- 
menico Simeone  Oliva,  Fortunato  Padula,  S.  E,  il  Mar- 
chese di  Pietracatella  ,  Gennaro  Ravizza  ,  cav.  Salvatore 
de  Renzi,  Filippo  Scolari,  Stanhope,  e  Andrea  Tripaldi. 

Tra'  lavori  dell'anno  l838  noverar  dobbiamo,  per 
ciò  che  concerDe  alle  scienze  matematiche',  una  memoria 


yinno  i83S.  xi 

del  cav.  Ferdinando  de  Luca  sul  principio  unico  e  fon- 
damentale  delle  scienze  matematiche. 

In  quanto  alle  scienze  naturali ,  il  cav.  de  Renzi  lesse 
due  dissertazioni ,  la  prima  siili' ohligo  che  corre  al  me- 
dico di  ben  studiare  le  malattie  popolari:   la  seconda 
sulla  necessità    di   studiare    le   epidemie    con   alcune 
considerazioni   sulla  danzomania.     Queste    dissertazioni 
furono    poi    entrambe    pubblicale    dall'  autore.     Lo    stesso 
cav.   de  Renzi    cominciò   la  lettura    della  sua  opera  su  i 
progressi    della    medicina   italiana    dal  risorgimento 
delle  lettere  Jin  oggi,  che  compì  negli  anni  consecutivi, 
e  tutta  poi  pubblicò  per  le  stampe  nel  i843.  Il  cav.  Te- 
nore lesse  le  sue  note  al  viaggio  fatto  dal  dottor  Ber- 
ioloni    in  queste    nostre    7'egioni  ,     con    un'  appendice 
relativa  alle  colonne  del  tempio  di  Sérapide  in  Poz- 
zuoli.  Altre  memorie  furono  ancora  presentate  :    dal  ba- 
rone Giuseppe  INiccola  Burini   V  esame  geologico  sidV  ab- 
bassamento ed  inalzamento  del  mare  :  dal  sig.  Granata 
le  osservazioni    sul    senienzajo    recentemente    stabilito 
in  JSapoli  ,     e    su    di  alcune  esperienze    ivi  istituite  : 
dal   cav.  JNiccolini    le    osservazioni    sulV  elevazione    ed 
abbassamento  del  mare:  dal  sig.  Gaetano  Pesce  la  di- 
scussione sulle  generazioni  spontanee.  Vennero  poi  de- 
stinate a  far  parte  degli  atti  una  memoria  del  sig.   Leo- 
poldo Pilla  contenente  alcuni  cenni  sulla  struttura  geo- 
logica della  Sicilia  citeriore  ,  ed  un'  altra  del  sig.  Rossi 
sopra    una    mediterranea   navigazione    tra   Foggia    e 
Manfredonia ,  e  sulla  irrigazione  di  quella  provincia  ; 
e  questa  ultima  trovasi  già  inserita  nel  IV  volume  de'  no- 
stri atti. 


SII  ^nno  i83g. 

I  lavori  risguardanti  le  scienze  morali  ed  economiche 
furono  una  memoria  del  cav.  Blanch  sullo  stoicismo  \ 
nn' altra  del  barone  Durini  sulla  ragione  umana  j  quella 
del  sig.  de  Augustinis  col  titolo  la  ricchezza  degli  stati 
sta  meno  ìlei  produrre  molto  ,  che  nel  produrre  con 
antiveggenza  e  criterio  :,  l'altra  del  sig.  Pesce,  in  cui  si 
dà  una  nuova  spiegazione  della  scienza  nuova  del  f^icoj 
ed  in  fine  lo  scritto  della  signora  Cecilia  de  Luna  Folliero 
amore  è  V  egida  della  natura  avverso  il  vizio  ed  il 
dolore  .,  che  venne  poi  impresso  in  Trieste  nel  iSSg. 

La  storia  patria  tenne  esercitato  il  sig.  Baldacchini 
il  quale  lesse  un  discorso  sulla  storia  generale  del  re- 
gno di  Napoli. 

La  nostra  biblioteca  si  accrebbe  nel  i838  de'  libri 
offerti  in  dono  da'  signori  Ermanno  Abich  ,  Giacinto  Ar- 
mellino,  barone  Cesidio  Bonanno ,  Pasquale  Borrelii,  cav. 
Cagnazzi,  cav.  di  Cesare,  colonnello  Marcantonio  Costa, 
dottor  Anastasio  Cocco ,  Valentino  Passetta ,  abate  Fide- 
cheli  ,  canonico  Alfonso  Filipponi ,  Liberatore,  cav.  de 
Luca  ,  Montagne  ,  Moreau  de  Jonnès  ,  dottor  Giacinto 
Naraias  ,  Padnla  ,  Carlo  Passerini ,  S.  E.  il  Marchese  di 
Pietracatella ,  dottor  Portai,  abate  Giuseppe  del  Re,  ca- 
nonico Carlo  Rodriquez ,  Stanhope  ,  giudice  Gio:  Batista 
Tomniasi ,  cav.  Lionardo  Vigo  ,  Marchese  di  Villarosa  , 
e  Ferdinando  Visconti. 

Nel  corso  dell'anno  iSSg  non  pochi  lavori  sulle  scien- 
ze naturali  furono  presentati  all'accademia.  Il  cav.  de  Renzi 
lesse  le  osservazioni  sulle  infermità  che  distrussero 
l'armata  della  lega  presso  Napoli  nel  i528:  il  sig. 
Semraola  la  notizia  di  un  caso  singolare   di  catalessi 


Anno  tS3g.  xni 

con  sognazione  spontanea  :  il  cav.  Panviai  ragionò  di 
una  specie  particolare  di  argilla  smetlica  che  trovasi 
presso  S.  Caterina  in  Sicilia  :  lo  stesso  cav.  Panvini 
esibì  una  pianta  di  Madras,  narrando  come  l'avesse  rice- 
vuta,  e  la  semina  fattane  sino  allo  sviluppo. 

I  lavori  concernenti  le  scienze  morali  ed  economiche 
furono  una  memoria  del  sig.  Giorgio  Masdea  sul  sistema 
deir  istriizion  pubblica  considerata  relativamente  al 
sapere  civile-^  un'altra  del  sig.  Liberatore  sulle  miniere 
del  regno  di  Napoli  :  due  del  cav.  Blanch  ,  la  prima 
sulla  teorica  considerata  nella  sua  essenza^  e  né"  suoi 
effetti ,  la  seconda  sul  commercio  ;  le  osservazioni  del 
sig.  Sabatini  sul  sistema  di  pubblica  istruzione -^  quelle 
del  sig.  Borrelli  sii!  danni  morali,  che  produce  la  guer- 
ra ;  e  le  altre  del  sig.  de  Augiistinis  sul  lento  progresso 
della  popolazione  e  delV  agricoltura  presso  di  noi. 

In  quanto  alla  letteratura  ,  due  dissertazioni  lesse  il 
sig.  Giuseppe  Campagna  i"  sulle  attuali  condizioni  della 
letteratura  in  Italia  ,  2°  sullo  scopo  che  aver,  dovrebbe 
la  bella  letteratura. 

Avendone  chiesto  il  permesso  ,  il  sig.  Filippo  Caso- 
ria  ,  benché  non  ascritto  alla  nostra  accademia,  le  comu- 
nicò pure  le  sue  osservazioni  sulla  dottrina  Ippocrats^ 
ea  del  sig.  Sprengel. 

Nella  classe  di  storia  e  letteratura  rammento  le  con^ 
siderazioni  del  sig.  Giovanni  Giuseppe  Fusco  intorno  ad 
alcune  monete  aragonesi ,  le  quali  saranno  pubblicate 
rrel  V  volume  de'  nostri  atti  r  il  saggio  di  un^  opera  in- 
titolata Jilosojia  delle  lingue ,  di  cui  fece  lettura  W 
sig.  Salvatore  Cirillo  :    i   cenni    del   sig.  Liberatore    sul 


XIV  Anno  iS4-o. 

progresso  nelle  scienze  e  nella  industria  :  e  le  osser- 
vazioni <3el  cav.  di  Cesare  sulV  opera  piibhlicata  dal 
sig.  Amari  in  Palermo  relativa  alla  storia  Siciliana 
nel  secolo  XII. 

Si  pubblicò  nel  iSSg  la  storia  d' Italia  di  Camillo 
Porzio  la  quale  fu  iutitolata  a  S.  E.  il  sig.  Marchese  di 
Pietracalella  ,  come  un  alleslalo  di  rispellosa  gratitudine 
per  la  protezione  di  cui  è  stato  sempre  largo  a  favore 
dell'  accademia.  Questo  importante  lavoro  inedito  di  uno 
de'  più  celebri  nostri  patrii  scrittori  del  XVI  secolo  fu 
accompagnato  dalla  vita  di  esso  scritta  dal  nostro  collega 
sig.   Gervasio  della  quale  dicemmo  già  sopra. 

JNello  stesso  anno  si  riceverono  i  libri  de'  signori 
Pietro  deAngelis,  Amante,  Campagna,  consigliere  Giu- 
seppe Castaldi,  cav.  di  Cesare,  dottor  Clot-Bey,  Niccola 
Coicia  ,  Costa  ,  dottor  Passetta  ,  Kiccola  Pergola  ,  abate 
Guarini,  cav.  de  Luca,  cav.  Pasquale  Stanislao  Mancini, 
JMontagne ,  cav.  KicColini  ,  Giuseppe  Nociti  ,  Massimo 
Kiignez,  Raffaele  Pepe,  S.  E.  il  Marchese  di  Pietraca- 
lella, Bartolommeo  Ravenna,  Giovanni  Reguleas,  Eupiio 
Reina,  cav.  de  Renzi,  Rossi,  Semmola,  dott.  Agostino 
de  Stefano,  cav.  Pietro  UUoa,  Gregorio  Barnaba  La  Va- 
sta, duca  di  Ventignano,  e  Michelangelo  Ziccardi. 

Nel  1840  furono  presentati  i  seguenti  lavori  concer- 
nenti alle  scienze  naturali.  Il  sig.  Guglielmo  Gasparrini 
lesse  una  memoria  sulla  pietra  ftmgaja ,  che  è  stata 
già  inserita  nel  secondo  volume  de'  nostri  atti  :  altra  ne 
lesse  il  sig.  Giuseppe  Ignone  sul  gas  illuminante  con- 
siderato come  atto  a  supplire  la  forza  del  vapore. 
Due  memorie  furono  lette   dal  sig.  Pilla  ,    1'  una  relativa 


jdnno  t84o.  xv 

alV  applicazione  della  teoria  de^  crateri  di  solleva- 
mento al  vulcano  di  Roccamonjina  in  Campania  : 
r  altra  che  contiene  alcune  osservazioni  sulle  lave  e 
le  rocce  periodiche  affini.  Il  sig.  colonnello  Costa  ra- 
gionò sull'  elettro-magnetismo ,  e  sulle  speranze  che 
si  hanno  di  vederlo  somministrare  una  forza  motrice 
ptù  utile  di  quella  del  vapore  j  ed  in  altro  lavoro 
parlò  dell'aria  compj'essa  considerata  come  un  mezzo 
da  supplire  le  macchine  a  vapore. 

In  quanto  alle  scienze  morali  ed  economiche ,  son 
da  ricordare  le  osservazioni  del  sig.  Sabatini  sulle  nor- 
me della  pubblica  istruzione'^  le  altre  del  sig.  de  Au- 
gustinis  sulla  natura  e  gli  uffizi  delle  leggi  ;  quella 
del  sig.  Borrelli  ,  colla  quale  si  esaminano  alcuni  pro- 
blemi storici  relativi  a'  curiali  di  Napoli.  Il  sig.  ca- 
nonico Rodriquez  benché  non  pontaniano ,  lesse  tra  noi 
nna  confutazione  delle  teorie  del  Condillac.  Final- 
mente il  sig.  Rossi  lesse  nn  ragguaglio  de  lavori  di 
bonificazione  eseguiti  finora  in  Terra  di  Lavoro. 

Per  ciò  che  spelta  alla  letteratura  ed  alla  storia  pa- 
tria, è  da  rammentare  la  memoria  del  sig.  Salvatore  Fu- 
sco sul  terzo  dello  scudo  coniato  da  Carlo  V  nel  re~ 
gno  di  Napoli ,  la  quale  verrà  impressa  in  uno  de'  pros- 
simi volumi  de*  nostri  atti. 

DI  lavori  poetici  non  abbiamo  a  parlare  che  di  un 
sonetto  intitolato  la  storia ,  del  sig.  barone  d'  Epiro, 

Si  accrebbe  nel  i84o  la  biblioteca  pe'  doni  de'  si- 
gnori Onofrio  Abate ,  cav.  Francesco  Adilardi,  Amante , 
d'Andrea,  Mariano  d'Ajala,  Baldacchini,  Francesco  Bri- 
ganti ,    Antonio  Cali-Sardo ,    Matteo  Carpino  ,    Castaldi  , 


XVI  Jìino  /S'4o. 

Lorenzo  Coco-Grasso,  colonnello  Costa,  Corcia,  Luciano 
Fiorentino  -  Leto  ,  Francesco  Saverio  Formoso,  Gajani  , 
Vincenzo  de  Grazia,  giudice  Domenico  Ruggiero  Greco, 
Vincenzo  Linares  ,  Francesco  Longo  ,  Cecilia  de  Luna 
Folliero,  duca  de  Luynes  ,  Cesare  Marini,  Moreau  de 
Jonnès  ,  ^Nunzio  Morello,  P.  Alessio  Narbone,  Nugnez  , 
rav.  Andrea  Papadopulo  Vrelò  ,  Vincenzo  Pergola  ,  Sal- 
vadore  Portai,  Rocco  Pugliese,  dottor  Reguleas,  giudice 
Biagio  Antonio  Roberti,  can.  Rodriquez ,  Giovanni  San- 
nicola, Giuseppe  Vercillo ,  e  cav.   Lionardo   Vigo. 

Nell'anno  184»  una  memoria  matematica  fu  letta  dai 
sig.  Rossi  intitolata  ricerche  intorno  ad  una  superficie^ 
secondo  la  quale  potrebhonsi  conformare  le  estremità 
inferiori  de""  moli  sporgenti  in  mare. 

I  lavori,  che  alle  scienze  naturali  si  riferivano,    fu- 
rono ì  seguenti  :  del  cav.  Panvini  il  saggio  di  concilia- 
zione fra  la  geologia   e  la  cosmologia  Musaica  j    una 
nota  del  sig.  colonnello  Costa  sulla  possibilità  di'  veri- 
ficare il  viaggio  aerostatico  ,   che  dicesi  intenda  far^e 
M.  Green  col  pallon  mostro  da  Londra  a  New-York  j 
alcune  considerazioni  del  sig.  Semmola  sopra  i  più  fre- 
quenti e  gravi  errori  seguitati  nelle  opere    di  filoso- 
fia terapeutica 'j  ed  una  memoria  del  cav.  de  Renzi  sulle 
riforme  che  converrebbe  adottare  nelV  insegnamento  e 
nella   professione   medica.  Il  cav.  arcidiacono  Cagnazzi 
espose  il  suo  progetto  di  tonografia  ,  mostrando  il  suo  to- 
rografo,  e  facendone  veder  l'applicazionej  ed  il  cav.  Qua- 
dri dopo  aver  informata  l'accademia  delle  due  prime  ope- 
razioni di  strabismo  praticate  dal  sig.  Furnari  in  Napoli, 
comuaicoUe  le  modificazioni  da  lui  medesimo  apportate  al 


y4nno  /S42.  xvit 

metodo  di  Dieffenbach.  Quasi  tulle  le  sopra  cilale  memo- 
rie videro  la  luce ,  essendosi  pubblicale  o  ne'  nostri  gior- 
nali scientifici  e  letterarii,   o  separatamente  dagli  autori. 

Per  quel  che  si  attiene  alle  scienze  morali  ed  eco- 
nomiche, rammento  le  considerazioni  del  sig.  de  Au"u- 
slinis  sulla  natura  e  sugli  effetti  della  moralità  nelle 
scienze  lettere  ed  arti,  e  le  altre  sul  paupe/'ismo  in 
Europa,  e  su'  provvedimenti  tendenti  a  sradicarlo. 

De'  lavori  letterarii,  che  si  presentarono  nel  1841, 
fecero  parte  la  memoria  del  cav,  Francesco  Bozzelli  sxdle 
origini  e  le  vicende  della  poesia  ebraica  j  l'  altra  del 
sig.  Liberatore  sul  medio  evo;  quella  del  sig.  de  Ritis 
sulla  lingua  napoletana  j  le  osservazioni  del  sig.  cav. 
Papadopulo-Vretò  sullo  stato  attuale  delle  lettere  in 
Grecia,  ed  il  cenno  biografico  del  conte  di  Guilford 
scritto  dallo  stesso  autore,  la  fine  fo  menzione  della  me- 
moria del  sig.  Fusco  intorno  ad  alcune  monete  di  A- 
malfi,  la  quale  approvata  per  gli  atti  sarà  inserita  nel 
quinto  volume  degli  stessi. 

Furono  offerti  in  dono  nel  1841  I  libri  de'  signori 
Gaetano  Arcieri,  barone  Andrea  Bivona ,  cav.  Cagnazzl 
Gabriele  Cosentino,  abate  Guarini ,  Francesco  Ilarii ,  Paolo 
Anania  de  Luca,  Filippo  Parlatore,  dottor  Carlo  Passerini, 
Raffaele  Pepe,  Errico  Piraino,  Giorgio  Rathgeber,  Biagio 
Antonio  Roberti ,  Rossi ,  e  Sabatini. 

Nel  corso  del  1842  varii  lavori  di  scienze  naturali 
tennero  occupata  l'accademia.  Tra  esse  rammento  in  pri- 
mo luogo  la  memoria  del  prof.  Costa  sul  fonte  di  Man^ 
duria,  la  quale  è  stata  già  pubblicata  nel  IV  volume  de? 
nostri   alti  j    le   osservazioni    del  sig.  colonnello   Costa 

e 


xvni  ^nno  fS42. 

sopra  un  cannone  a  vapore ,  la  cui  invenzione  da 
Leonardo  da  Trìnci  in  alcuni  manoscritii  si  attribui- 
sce ad  Archimede-^  quelle  del  sig.  Semmola  sidV origine 
del  calore  de  vìventi  ;  le  altre  del  cav.  Panvini  sulla 
cj'anioscopia  di  Gali ^  e  dello  stesso  una  memoria  sulle 
cause  delle  malattie  scrofolose  e  rachitiche ,  che  si 
sono  rendute  così  frequenti  a'  bambini. 

I  lavori  concernenti  le  scienze  morali  ed  economiche 
furono  la  dissertazione  del  sig.  Baldacchini  suU'  antica 
filosofìa  de'  Greci  ne  suoi  legami  colla  Jilosofìa  del 
Campanella ,  la  quale  fu  poi  dall'  autore  impressa  nel 
1843  ;  le  osservazioni  del  cav.  Panvini  sugli  espositi  j 
e  le  altre  dello  slesso  sulla  ragione  universale  del  sig. 
Cousin. 

Un  sonetto  del  barone  d' Epiro  col  titolo  Miche- 
langelo fu  il  solo  lavoro  poetico  presentato  nel  1842. 

Riportiamo  in  ultimo  luogo  due  memorie  lette  all'ac- 
cademia ,  ma  non  appartenenti  a  socii  della  stessa  :  nella 
prima  del  sig.  Angelo  Beatrice  si  cercò  dimostrare  che 
si  dovrebbe  ne'  seminarii  insegnare  un  corso  di  agri- 
coltura ,  e  che  lo  studio  di  questa  scienza  è  conve- 
niente agli  ecclesiastici'^  nella  seconda  del  sig.  Giocon- 
dino  del  Zio,  nominato  in  seguito  nostro  socio  non  resi- 
dente ,  contenevasi  la  narrazione  di  un  caso  di  san- 
nambolismo  guarito  dall' autore  con  la  sottrazione  di 
alcuni  vermini  sotto  la  cute  del  capo. 

In  questo  ann^«  fu  pubblicato  il  II  volume  degli  atti 
della  nostra  accademia,  di  cui  il  nostro  Augusto  Monarca 
si  degnò  di  accettar  la  dedica. 

Riuscendo  talvolta  malagevole  il  proccurarsi  le  noti- 


Anno  184.I'  XIX 

zie  biografiche  de'  nostri  sodi  residenti  quando  si  ricer- 
chino qualche  tempo  dopo  la  loro  morte ,  1'  accademia 
volle  che  s' introducesse  il  costume  serbato  anche  in  altre 
accademie ,  cioè  che  il  novello  socio  scelto  in  vece  del 
defunto  ne  facesse  l'elogio  storico:  ed  il  primo  a  recare 
in  alto  questa  risoluzione  dell'accademia  fu  il  cav.  Man- 
cini, che  lesse  l'elogio  di  Pasquale  Liberatore  di  cui  prese 
il  luogo. 

La  biblioteca  crebbe  di  non  pochi  volumi  pe'  doni 
de'  signori  Felice  Abate ,  Salvatore  Alessi  ,  Arcieri ,  cav. 
Bianchini  ,  dottor  Bartolomeo  Biasoletti  ,  Bisazza ,  cav. 
Bozzelli ,  Oreste  Brlzi ,  Lorenzo  Bruni  ,  Luigi  Catalani  , 
Ippohto  Combes  ,  Corcia  ,  Giuseppe  Ferrario ,  canonico 
Filipponi,  commendator  Pietro  Florio,  Giov.  Vincenzo  e 
Giov.  Giuseppe  Fusco  ed  Angelo  Giampietro,  Gervasio, 
Giuseppe  Giulj  ,  Mariano  Grassi ,  abate  Guarini  ,  Luigi 
Mariano  Guarini  ,  Francesco  Longo ,  cav.  Mancini ,  Raf- 
faele Mastriani,  Giulio  Minervini  ,  Fortunato  Luigi  Nac- 
cari  ,  Noèl-des  Vergers  ,  Vincenzo  Ottaviani ,  cav.  Rizzi, 
prof.  Giovanni  Resini  ,  cav.  Francesco  Ruffa,  prof.  San- 
guinetti  ,  Antonio  Scialoja ,  dottor  Guglielmo  Schuiz  , 
Francesco  Scortegagna ,  Tommaso  Semmola  ,  Domenico 
Testa,  padre  Tornabene,  Marino  Turchi,  La  Via,  march, 
di  Villarosa  ,  Andrea  Zambelli,  e  Giuseppe  Zigarelli. 

Nello  stesso  anno  1842  l'accademia  cosentina  si  mise 
pure  in  corrispondenza  colla  nostra  inviando  in  dono  il 
I  volume  de'  suoi  atti  :  e  quella  degli  Aspiranti  Natura- 
listi offrì  per  mezzo  del  prof.  Costa  le  sue  periodiche 
pubblicazioni,  e  l'accademia  nostra  volle  farle  a  vicenda 
dono  de'  suoi  atti. 


Nel  corso  dell'anno  i843  varii  lavori  concernenti  le 
scienze  matematiche  furono  presentati  all'  accademia.  Ri- 
cordo primieramente  la  nuova  tavola  genei^ale  d'inter- 
polazione,  che  deesi  alle  ricerche  del  sig.  Amante,  e  la 
nota  dello  stesso  sul  palmo  siciliano  ,  delle  quali  la  pri- 
ma è  stata  già  pubblicata  nel  IV  volume  de'  nostri  atti, 
e  la  seconda  sarà  impressa  nel  VI. 

Per  ciò  che  concerne  le  scienze  naturali,   il  sig.  ba- 
rone Durini  lesse  alcune  considerazioni  sid  calorico  de 
inventi  ,    ed  il  sig.   Capocci  una  nota    sulla  cometa  ap- 
parsa nel  mese  di  aprile. 

Le  memorie  allenenti  alle  scienze  morali  furono  le 
considerazioni  del  sig.  de  Augustinis  sugli  studii  e  sul 
sapere  della  Sicilia  citeriore  dal  i83i  al  1842;  ed  il 
discorso  del  sig.  Sabatini  sidla  necessità  di  moralizzare 
le  azioni  sociali  per  mezzo  della  educazione. 

Fralle  memorie  concernenti  la  storia  e  letteratura  , 
citerò  le  ricerche  storico-critiche  del  colonnello  Costa 
sulla  enorme  nave  che  secondo  gli  storici  fé  fabbri- 
care Archimede  per  lerone  II.,  e  la  dissertazione  fi- 
lologica del  sig.  conte  Trojano  Marnili  sul  Filocopo  del 
Boccaccio. 

Quantunque  non  appartenesse  alla  nostra  accademia, 
il  sig.  Cervelleri  fu  ammesso  a  leggere  le  sue  osservazioni 
sulla  utilità  di  una  carta  geologica  delV Italia. 

Nel  1843  il  sig.  Luigi  Palmieri  comunicò  all'acca- 
demia di  avere  insieme  col  prof.  Santi  Linari  ottenuto  il 
fenomeno  della  scintilla  per  induzione  del  magnetismo 
tellurico.  L'  accademia  nominò  una  commissione  perchè 
verificasse  quella  sperienza  ,  e  venne  da  essa  sul  propo* 
silo  informata  della  verità  di  quella  scoperta. 


'/inno  /843.  xxi 

Fu  proposto  ancora  in  quell'anno  il  programma  dalla 
classe  rnatemalica  con  premio  straordinariamente  stabilito 
in  ducati  200  da  accordarsi  alla  memoria  che  desse  una 
dichiarazione  soddisfacente  di  tutte  le  particolarità  di  un 
fiume  torrente  del  regno  di  Napoli,  e  delle  opere  idrau- 
liche più  conducenti  a  contenerlo  nel  suo  alveo.  L'acca- 
demia presentò  alcune  dilucidazioni  su  questo  programma. 
Non  senza  tristezza  richiamar  deggio  alla  memoria 
la  morte  di  due  socii  residenti  di  chiarissima  fama ,  il 
marchese  Tommaso  Gargallo  ed  il  sig.  Raffaele  Liberatore 
alle  cui  fatiche  dobbiamo  un  classico  vocabolario  della 
lingua  italiana  :  non  che  quella  del  chiariss.  prof.  Giuseppe 
Frank  nostro  socio  corrispondente.  Le  loro  meritate  lodi 
furono  celebrate  da'  nostri  colleghi  Domenico  Anzelmi  , 
Giusejìpe  del  Re,  e  cav.   de  Renzi. 

La  biblioteca  nel   i843    si  aumentò  pe'  libri  donati 
da' signori  Felice  Abate,  Onofrio  Abate,  Andrea  de  An- 
gelis,  Anzelmi,  Baldacchini,  P.  Michele  Bertini,  cav.  Bian- 
chini, Giusejipe  Maria  Bozoli  ,   Carpino,   cav.   di  Cesare, 
Corcia,   Andrea  Cozzi,   Marco  del  Fabro,   Carmelo  Fac- 
rioli,   Lennardnntonio  Forleo,   Agostino   Gallo,   Vincenzo 
Gallo,   Genoino,   Oreste  Giammaria,   Vincenzo  de  Grazia, 
Angusto  Guastalla,  abate  Guarini,  Luigi  Mariano  Guarino, 
dottor  Hauser,  barone  d' Hombres-Firmas,  cav.  Mancini, 
prof.   Mjhl  di   Tubinga  ,   Massimo  Nugnez ,  Amalia   Pala- 
dini,   Pepe,    Pilla,    Giuseppe  del  Re,  cav.   de  Renzi, 
Rossi,  Angelo  Santoro,  Tommaso  Semmola,  barone  Giu- 
seppe de  Spnches  ,  Mariano  Tancredi,  cav.   Tenore  ,   sig. 
Tonelli,  cav.  Ulloa,   Gaetano  Ursino,  Giuseppe  Vercillo, 
dottor  Wattniann  ,   ed   Andrea  Zambelli, 


xxn  Anno  ì844' 

Finalmente   nello   scorso  anno  l844  j    col  quale    si 
chiude  questa  nostra  notizia,  varie  memorie  matematiche 
furono  presentate.  Il  sig.  Francesco  Pergola  comunicò  un 
quadro  delle  operazioni  geodetiche  eseguite  nel  reale 
officio  topografico  di  Napoli  dal  i838  sino  al   1844» 
e  di  altri  precedenti  lavori  non  ancora  descritti.  Ri- 
cordo pure  il  discorso  intorno  una  geografia. ,    del  sig. 
barone  d'  Epiro  ,    ed    il  ragionamento   del  sig.   Rossi  in- 
torno ad  alcuni  luoghi   della  sua  memoria  idraidica 
eia  impressa  sul  difinitivo  bonificamento  della  cam- 
pugna  vicana.   Lo  slesso  sig.  Rossi  lesse  alcune  sue  ri- 
cerche  intorno   ad  una  specie   di  superficie  anulare , 
le  quali  rese  più  ampie  col  titolo  di  generalità  geome- 
triche   sulle  superfìcie  anulari  furono  dall'  autore  desti- 
nate per  gli  atti  dell'  accademia ,  ove  vedranno  la  luce. 
Le  naturali  scienze    diedero  argomento  al  cav.   Pan- 
vini  di  scrivere  sullo  slato  attuale   delle  mediche  co- 
noscenze^ ed  al  sig.  conte  MaruUi  sulle  piante  ultima' 
mente  venute  dal  Brasile.    Per  quel  che  concerne  alle 
scienze  morali  ed  economiche  ,    non   passeremo    sotto    si- 
lenzio la  memoria    del  sig.   Sabatini    suW  arresto  perso- 
nale per  cause  civili  ;   l' altra   del  signor  de  Augustinis 
sulle  acque  fluenti  nella  relazione    coli'  agricoltura  , 
colle  industrie,  e  colla  sanità'.^  i  cenni  del  cav.  Man- 
cini   sopra  una  recente  opera   del  principe  ereditario 
(oia  Re)  di  Svezia  intorno  alle  pene  ed    alle  prigio- 
ni; e  finalmente  la  memoria  del  socio  corrispondente  sig. 
Marchese  de  Ribas,  con  cui  intese  di  provare,  che  la 
rigenerazione    del   genere   umano    sta   nella  riforma, 
dell'  educazione  femminile. 


Anno  i8Jl4-'  sxin 

In  quanto  alla  storia  e  letteratura,  ricordiamo  le  os- 
servazioni del  sig.  Paolo  Anania  de  Luca  sopra  un  glo- 
hetto  (li  vetro  ,  che  sì  disse  rinvenuto  nelle  campa- 
gne di  Nola  ^  le  altre  del  sig.  abate  Giacomo  Riicca 
sulla  origine  della  popolazione  delle  terre  di  nuova 
scoverta -j  il  discorso  dianoetico  dei  sig.  marchese  de  Ribas 
sopra  60  classici  latini  j  la  hiograjìa  del  marchese 
Palmieri  dislesa  dal  cay.  Blanch  ;  ed  in  fine  una  novella 
del  sig.  Borrelli  intitolata  il  sepolcreto  magico. 

Nel  1844  si  accrebbe  anche  di  non  pochi  volumi  la 
nostra  biblioteca  pe*  doni  de'  signori  Eugenio  Alberi,  Gio- 
vanni Armentano,  Giacinto  Armellini,  Giuseppe  Capone, 
Beniamino  Caracciolo,  abate  Carpino,  dott.  Cascio-Cortese, 
Francesco  Saverio  Casularo ,  Giuseppe  Cecchini  Pacchie- 
rotti ,  Corcia  ,  Achille  Costa  ,  sig.  Foelix  ,  barone  Gio- 
vanni Galbo-Paternò,  Genoino  ,  abate  Guarini^  Guglielmo 
Henzen,  Giovanni  Horkel,  Nunziante  Ippolito,  Francesco 
lannini,  Bernardo  Kohne,  Leonardo  Leonardi,  cav.  Man- 
cini ,  conte  Marnili ,  capitano  Gennaro  MaruUi ,  Niccola 
Melcbiorri,  Giovan  Domenico  Nardo ,  Vito  d' Ondes  Reg- 
gio ,  cav.  Papadopulo  Vretò ,  Carlo  Passerini  ,  Errico 
Pessina,  conte  Uarione  Petitti,  P.  Marco  Giovanni  Ponta, 
Francesco  Saverio  del  Prete ,  Annibale  Ranuzzi ,  cav.  de 
Renzi  f  Rossi ,  P.  maestro  Salzano ,  Savino  Savini ,  Lo- 
renzo Sonzogno,  Vittore  Trevisan,  marchese  di  Villarosa, 
e  Giuseppe  Zurria. 


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/S.//SO.A 
ATTI 


DELL'  ACCADEMIA  PONTAWIANA. 


FASCICOLO  I.  DEL  VOLUME  III. 


r/Accademia  pontaniana  pubblica  i  suoi  alti  in  fascicnli,  afnni-hc 
possano  sollecitamente  conoscersi  le  ,raemorie  a  misura  che  sono 
approvale 

Ogni  fascicolo  si  pubblica  subilo  che  si  ha  «iifTìcientc  materiale 
e  sen/.a  astringersi  ad  alcun  determinato  periodo  o  numero  di  fogli. 

Teriiilnali  i  fascicoli  che  debbono  comporre  un  volume  ,  si  darà 
Ustoria  de'lavori,  il  catalogo  degli  accademici,  e  gl'indici  necessarii. 

Il  primo  volume  composto  di  cinque  fa-cicoli  è  già  pubblicalo. 


r- \-  'j,  •;;<>>, 


NAPOLI, 


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I  METRI  ARABI. 

LETTA.   DALL'  ACCADEMICO    RESIDENTE 

VINCENZIO  DE  RITIS 


KfC  enimveTO  numero  jiemUre  metra  sylìabarum. 
Sua  sed  pedibus  tempora  aujjicit  rejerre. 

TzRENZiAso  Mauro. 


Oakò  imputato  di  audacia  soverchia  se  io  mi  faccia  a 
produrre  una  nuova  teorica  de' metri  arabi?  Ma  questi 
miei  pensieri  io  sottopongo  alla  Aostra  discussione,  va- 
lorosi colleghi  :  e  il  vostro  senno  mi  farà  accorto  se 
meritevoli  pur  sieno  di  andarvi  su  tuttavia  meditando, 
o  condannar  si  deggiano  a  perpetua  oblivione,  e  queste 

carte  distruggere sive  fiamma 

Siue  mari  libet  addano^ 
In  qualunque  modo,  l'argomento  è  degno  dell' oc- 
cupazion  vostra.  Voi  già  sapete  che  a  sentenza  di  non 
Tom.  IIL  i 


2  DERITIS 

pochi  letterati  di  gran  fama,  e  nostrali  e  stranieri,  non 
avrebber  potuto  i  nostri  arcavoli  far  passaggio  dal  latin 
letterato  al  latin  volgare  senza  un  esterno  impulso  che 
a  ciò  gli  avesse  determinati  ;  e  che  sorto  non  sarebbe 
il  nostro  attuale 

Idioma  gentil  sonante  e  puro, 
se  Arabi  e  Provenzali  non  ce  ne  fossero  stati  gì'  inse- 
gnatori.  Ho  voluto  con  pertinacia  esaminar  la  quistio- 
ne  ;  e,  senza  lasciarmi  imporre  da  venerande  autorità, 
consultar  da  me  stesso  gli  originali  e  risalire  ai  fonti. 
Per  ciò  che  riguarda  arabismo,  ecco  quel  che  mi  è 
sembrato  di  scorgere. 

Dissi  già  altra  volta  che  anche  prima  che  il  nome 
degli  Arabi  avesse  potuto  pur  conoscersi,  bei  fonti  a- 
vevamo  di  modi  orientali  ne'  libri  ebrei ,  i  quali ,  per 
le  traduzioni  almeno  ,  eransi  già  diffusi  nell'  Europa 
tutta  quanta  col  Cristianesimo.  E  di  qual  enfasi  non 
pompeggiano  gli  scritti  degli  antichi  Padri  e  molti 
cantici  della  Chiesa  ?  Romanzi  di  amore  dettavansi 
in  Grecia  senza  che  nozione  alcuna  vi  si  avesse  delle 
Mille  ed  una  notte.  E  fin  dal  secolo  IV  dell'  era  cri- 
stiana eransi  già  rivolti  i  begl'  ingegni  latini  alle  no- 
velle ,  agli  apologhi ,  agi'  indovinelli ,  e  a  tutte  quelle 
altre  eleganti  frastaglie  della  letteratura  delle  quali 
sotto  le  arabe  capanne  o  su  i  tappeti  di  Persia  additar 
ci  si  vorrebbero  i  primi  trovatori. 

E  per  quel  che  si  appartiene  ad  invenzioni  fanta- 
stiche ed  alla  macchina  ,  come  suol  dirsi  de'  poemi  : 
senza  ricorrere  a  lontane  origini  ,  ovunque   son  menti 


METRIARABX.  3 

fanciullesche  ,  di  qualunque  sesso  o  età ,  non  mauche- 
ranno  giammai  teste  d'immaginosa  suppellettile  lussureg- 
gianti; e  fin  nel  gelido  settentrione  trova  sf-\nza  il  fan- 
tastico Edda,  di  genii,  di  fate,  e  di  stregherie  d'ogni 
genere  inesauribil  miniera  (i). 

Per  quanto  era  vasto  il  romano  imperio,  allor  che 
gli  Arabi  apparvero  ,  la  mitologia  omerica  era  di  già 
merce  affatto  discreditata.  E  conseguentemente,  a  quel 
che  ora  con  vocabolo  moderno  addimandasi  romantica 
letteratura  concorsero  senza  fallo  anch'  essi  gli  Arabi 
i  quali  col  mezzogiorno  di  Europa  furono  per  si  lungo 
tempo  a  contatto;  ma  la  loro  quota  è  scarsa  d'assai. 

Ammira  il  signor  Sismondi,  nel  suo  Saggio  su  la 
letteratura  del  mezzogiorno  di  Europa,  la  rapidità  con 
la  quale  gli  Arabi  giunsero  a  un  alto  grado  di  coltura. 
L'incendio  della  Biblioteca  d'Alessandria,  ei  dice,  av- 


(i)  Dico  trova  sUmza  e  hon  origi-  in  inverno,  la  vicenda  più  penosa  ad 
ne  ,  per  non  entrare  in  briga  col  si-  un  esule  dai  propri  lari.  Sia  ne'  paesi 
gnor  Geyer  che  la  mitologia  dell' Ed-  caldi  e  meridionali  non  si  conosce  il 
da  vorrebbe  tutta  intera  uatta  dall' o-  freddo  sotto  altre  sensazioni  chedipia- 
riente.  A  noi  basterebbe  un  sol  fatto  cevol  frescura.  GÌ'  Indiani  situano  il 
cardinale  per  non  essere  in  perfetta  loro  paradiso  ne'  monti  Himmalaya  : 
concordia  con  quel  dottissimo  e  giù-  l'Olimpo  era  coperto  di  neve....  e 
diziosissimo  scrittore.  II  freddo  e  il  tutti  gl'inferni  che  dobbiamo  aU' O- 
settentrione  sono  nell'Edda  il  soggior-  riente  eran  pieni  di  fuoco.  Non  già 
no  de' malvagi  spiriti. Ben  potca  l'Ali-  in  mezzo  all' ammirabil  clima  dell' A- 
ghieri  ,  senza  conoscer  l' Edda  ,  tras-  sia  media  potè  nascere  l' idea  del  Ni- 
portare  nella  gliiacciaia  il  più  tormen-  felhem  ghiacciato Ma  nou  è  dei- 
toso  stato  infernale  :  1'  alternar  delle  I'  attuai  subbietto  una  tale  discussione, 
stagioni  dà  nel  nostro  clima,  appunto 


^'  deritis 

venuto  nel  dieclnnovesiino  anno  dell'  egira  (2)  segna 
r  epoca  della  maggiore  barbarie  de'  Saracini  -,  e  quel- 
r  avvenimento ,  per  quanto  voglia  dirsi  dubbioso  ,  la- 
scia pure  una  trista  memoria  del  sommo  dispregio  in 
che  essi  avevano  le  lettere.  Ma,  scorso  appena  un  se- 
colo ,  i  calili  di  Bagdad  ,  protettori  de'  letterati ,  e  let- 
terati passionati  essi  stessi  ,  portano  al  più  luminoso 
grado  le  arti ,  le  scienze  e  la  poesia.  Eppure  ,  appo  i 
Greci ,  il  secolo  di  Pericle  era  stato  preparato  da  ben 
otto  secoli  di  coltura  progressiva,  che  tanti  ne  corsero 
dalla  guerra  di  Troia:  presso  i  Latini,  il  secolo  di  Au- 
gusto fu  anche  1'  ottavo  dalla  fondazione  di  Roma  :  e 
presso  i  Francesi,  il  secolo  di  Luigi  XIV  è  il  dodice- 
simo da  Clodoveo  ,  e  1'  ottavo  eziandio  da'  primi  rudi- 
menti della  lingua  romanza  o  francese.  Cosi  il  Sismondi. 
Ed  io  mi  penso  che  un  tal  fenomeno  non  sia  straor- 
dinario in  letteratura  ,  e  non  debba  sorprenderci.  Quan- 
do Munimio  noleggiava  co'  traghettatori  di  carbone  il 
trasporto  in  Roma  de'  prodigi  delle  belle  arti  sottratti 
all'incendio  di  Corinto,  e  ne  pattuiva  l'integrità  a  cou- 

(2)  Dovendo  con  frequenza  nel  cor-  1'  era  ad  anni  34  4.8-  ,  iS."  ,  24'.  - 
so  di  questa  Memoria  notar  gli  anni  II  che  solo  basterebbe  a  far  conoscere 
dell'Egira  ;  senza  ripeterne  volta  per  quella  perizia  sovrana  in  astronomia 
volta  la  corrispondenza  colla  nostra  che  nella  corte  di  Almansorre  e  di  Ai- 
era  ,  basterà  qui  rammentare  che  quel-  mamone  ci  van  gli  arabisti  con  tanta 
la  prende  cominciamento  dal  nostro  compiacenza  magnificando.-Chi  deside- 
anno  622  e  precisamente  dal  giorno  rasse  vera  precisione  nel  confronto 
16  luglio,  feria  sesta.  Ma  è  da  notarsi  delle  date  nelle  due  ere  ,  non  manchi 
che  1'  anno  maomettano  si  è  rimasto  di  consultare  i  lavori  del  Navone. 
lunare,  e  che  perciò  ogni  periodo  di  g^uij&gmtol  ÌX3  OriCHtS,  loin.  1  e  iV. 
33  anni  giuliani  corrisponde  in  quel- 


M    E   T   R    I      A    R    A    B    T.  5 

dizione  di  peso  e  di  numero  :  questo  avvenimento  che 
annunzia  l'estremo  grado  di  rusticità  che  inunaginar 
mai  si  possa,  non  ricorreva  egli  nel  secolo  stesso  degli 
Scipioni  ?  non  segnava  uu  secolo  appena  di  anteriorità 
al  secolo  dell'  apogeo  della  romana  floridezza  ?  V  ha 
ima  coltura  della  tale  o  tale  altra  nazione  :  e  v'ha  una 
coltura  di  tutto  il  genere  umano.  Quella  può  esser  più 
o  meno  inceppata,  stazionaria,  ed  anche  retrograda  : 
l'altra  è  sempre  mai  progressiva. 

Le  incm'sioni  saraceniche  van  risguardate  come 
quelle  di  quanti  furono  e  saranno  popoli  conquistatori. 
Dopo  le  prime  devastazioni ,  i  vincitori  men  numerosi 
de' vinti  risentir  ben  deggiono  quel  trionfatore  impulso 
che  sempre  imprimono  i  popoli  inciviliti  su  le  nazioni 
semibarbare  ancora.  E  le  rapide  conquiste  degli  Arabi 
avean  riunito  già  sotto  il  vessillo  dell'  Islamismo  una 
gran  parte  dell'  oriente  ;  e  il  paese  di  que'  Magi  e  di 
que'  Caldei  da'  quali  le  prime  scintille  del  sapere  su  la 
terra  si  diffusero  ;  e  il  fertile  Egitto ,  depositario  per 
tanta  stagione  delle  scienze  umane  ;  e  la  ridente  Asia 
minore  nella  quale  la  poesia ,  il  buon  gusto  e  le  belle 
arti  a  tanta  perfezione  si  spinsero  ;  e  quella  Persia  che 
della  esagerazione  per  dir  così  del  civile  raffinamento 
fu  culla,  e  fomite  tuttavia  non  estinto  ne' molli  languori 
di  una  vita  voluttuosa;  e  quelle  coste  africane  le  quali 
quasi  originai  jiatria  vogliono  risguardarsi  della  veemente 
eloquenza  e  delle  più  sottili  investigazioni. 

Gli  Arabi  trovarono  ne'  vinti  popoli  tanti  loro   in- 
stitutori:  come  i  rozzi  Romani  nella  nostra  e  nella  Gre- 


6  DEB.ITIS 

eia  trasmarina:  come  i  Tatari  nella  Cina:  come  i  feroci 
Teutonici  che  le  provincie  invasero  deli'  imperio  occi- 
dentale. Se  non  che  questi  ultimi  la  religione,  i  costumi 
e  il  linguaggio  cherlcale  adottarono  de'  popoli   che  già 
nel  linguaggio  ne'  costumi  e  nella  religione   prendevan 
nuovo  andamento,  e  che  per  conseguenza   ricomincia- 
vano con  essi  un  nuovo  corso    di   civiltà  progressiva  ; 
mentre  gli  Arabi ,  introducendo  con  la  conquista  la  loro 
religione  e  i  costumi  loro  ne' popoli  soggiogati,  ricever 
ben  potevano  un  balenar  brillante  di  coltura  e  quasi  il 
lusso ,  direni  così ,  del  pensiere  ,  ma  non  que'  semi  ac- 
cogliere di  civiltà  solida  i  quali  fruttar  dovessero  a  tem- 
po debito  la  pienezza  delle  umane  cognizioni. 

E  perciò  la  coltura  Araba  altro  non  è  nella  storia 
de'  progressi  dello  spirito  umano  se  non  1'  apparire  di 
brillante  meteora,  la  quale  abbaglia  per  un  momento, 
e  un  momento  dopo  non  è  più. 

La  civiltà  Araba  si  prolungò  maggior  tempo  ne'pae- 
si  che  fiiron  più  lungo  tempo  in  relazione  con  gli  Eu- 
ropei :  e  malgrado  la  diversa  indole  del  Cristianesimo  e 
dell'  islamismo  ,  e   1'  antipatia  di  religione  che    divider 
dovea  i  due  popoli   ad   intervalli  immensurabili  ,   tale 
avvicendamento  di  costumi  e  di  maniere  si  stabilì    tra 
i  popoli  delle  due  credenze ,  che  fa  sorpresa  in  chi  non 
inflette  quanto  possa  1'  emulazion  tra  i  rivali.  Il  clero 
cristiano  cinse  la  spada   e   guerreggiò  per  la  fede  alla 
mvisulmana:  i  saracini  professarono  moderazione  e  tol- 
leranza religiosa  alla  cristiana  :  mentre  i  guerrieri  del- 
l' una  e   dell'  altra   parte   gareggiavano   in  valore  e  in 


3IETRIARABI.  « 

cortesia.  Ed  è  questa  la  vera  iufluenza  degli  Arabi  nella 
brillante  epoca  della  cavalleria  ,  nella  età  vale  a  dire 
de'  semidei  del  medio  evo. 

L'industria  intanto  altri  legami  fra  i  due  populi 
componeva  e  le  relazioni  ne  avvicendava  :  e  in  grado 
eminente  la  navigazione,  regina  delle  industrie  che  ul- 
tima sorge  e  da  tutte  prende  alimento  ;  e  che,  quando 
anche  co' pensieri  di  guerra  si  accoppia,  di  tutte  le 
arti  di  pace  è  giuoco  forza  che  pur  conservi  e  fomenti 
Ja  sacra  fiamma. 

Ed  ecco  il  bisogno  negli  Arabi  di  apprendere  e 
trasportare  nel  volgar  loro  tutto  ciò  che  carpir  pote- 
vano e  mettere  in  serie  dell'  antico  sapere. 

Si  è  detto,  ma  forse  con  soverchia  leggerezza  si 
è  detto ,  formar  gli  Arabi  1'  anello  di  unione  nella  ca- 
tena dello  scibile  tra  il  moderno  e  1'  antico.  Uomini 
dottissimi  e  laboriosi  fan  che  oggidì  quel  preteso  anello 
sia  ridotto  alla  sua  giusta  valutazione.  Nulla  gli  Arabi 
scoprirono  e  nulla  inventarono  :  precisamente  nulla.  La 
dottrina  araba  ,  in  fatto  di  scienze  arti  e  mestieri ,  al- 
tro non  ci  offre  che  traduzioni  e  compilazioni.  Gli  ara- 
bisti gridano  come  aquile  quando  un  tal  passo  rinvenir 
possono  che  manchi  di  tipo  greco  o  latino  su  ciò  che 
ci  rimane  di  greci  e  latini  codici  :  come  se  di  tutti  i 
codici  latini  e  greci  fossimo  noi  possessori  :  come  se  la 
scienza  tradizionale  non  fosse  stata  quasi  fino  alla  no- 
stra età  una  scienza  anch'  essa  ,  comunque  non  ridotta 
a  scrittura.  Gli  Arabi  tradussero ,  compilarono:  ed  ecco 
tutto.  Ed  abbiam  già  cennato  qual  fosse  il  motivo  dì 


8  DERITIS 

quel  compilare  ,  di  quel  tradurre.  E  tra  noi,  dove  non 
di  tradurre  ina  sol  di  compilare  sentivasi  bisogno,  dal- 
l' ultima  Brettagna  sorgono  fra  le  tenebre  del  medio  evo 
un  Arduino  ,  un  Roggi-ero  Bacone  ,  e  giganti  ci  sem- 
brano perchè  compilarono  e  scrissero  in  mezzo  agi'  in- 
numerevoli operanti  e  tacenti. 

Vero  è  che  molte  parole  che  i  moderni  ritennero 
in  astronomia  e  in  chimica  son  d'  araba  derivazione. 
Ma  ci  siam  fatti  mai  a  ricercare  il  perchè  sol  nell'astro- 
nomia e  nella  chimica  queste  parole  si  conservarono?  — 
Io  m'  ingegnerò  in  altra  occasione  di  sottoporre  al  vo- 
stro esame  qualc-he  mio  pensamento  su  questo  proble- 
ma che  sembrami  ,  non  che  dilucidato  ,  nemmen  pro- 
posto sinora.  Intanto  atteniamoci  entro  i  precisi  confini 
dell'  argomento  che  or  ci  occupa. 

E  per  condurci  drittamente  al  nostro  scopo  e  non 
vagare  in  vane  dispute  senza  determinar  dapprima  di 
che  si  tratti  e  riconoscer  quasi  il  nostro  campo  di  bat- 
taglia (3)  ,  veggiam  di  mettere  in  chiaro  , 


(3)  È  da  far  maraviglia  come  l' u-  meccanismo   dell'  araba   versificazione 

uico  de'  nostri  scrittori  che  mostri  co-  in  un  paese  nel  quale  lo  stesso  Gua- 

guizione  de' metri  arabi  sia  l'Arteaga,  dagnoli  che  ne  trattò  di  proposito  non 

dimenticato  affatto  ;    mentre    tutti  ri-  fu   sempre   molto  felice,  lo   non   dirò 

petono    le   sentenze    del  Tiraboschi  e  col  Clerico    eh'  ei    non   comprendesse 

dell' Andres  i  quali,  a  giudicarne  dal  quel   che    diffusamente   andava   inse- 

come    ne   scrissero  ,    non    ne  seppero  gnando  (  Guadagnolus ,  praecepta  de 

iota.  Ma  r  Artcaga  suppone  che  i  suoi  iis  quae  ipse  minime  intellexìt  pro- 

leggiiori  fossero  istruiti  come   lui  del  ìixe  tradetis  ).  Dirò  soltanto  che  questi 


M    E    T    R    I       A    R    A    B    r.  Q 

1."  Quale  sia  precisamente  la  strutlura ,  1'  indole 
caratlerislica  dell'  Araba  versificazione  ; 

2."  Quali  sieno  i  suoi  punti  di  contatto  o  di  di- 
vergenza col  sistema  prosodiaco  de' Latini  e  de' Greci  ; 

5.°  Qual  parte  voglia  attribuirsi  alla  presenza  de- 
gli Arabi  nell'  adottar  che  fecero  le  nazioni  romane  l'at- 
tuai sistema  de'  loro  versi  ,  rinunziando  all'atto  e  dis- 
mettendo le  leggi  prosodiache  degli  antichi. 

Ma  nel  procedere  per  questa  triplice  inchiesta  , 
unico  esser  ne  vuole  1'  andamento  ,  non  già  tripar- 
tito. La  seconda  vien  per  sé  stessa  ad  allogarsi  a  fian- 
co della  prima  ;  e  circa  la  terza  voi  m'  imponete,,  Ac- 
cademici ,  sobrietà  di  parole  per  ciò  che  a  mere  dedu- 
zioni si  riducono,  nello  quali  voi  medesimi  dalla  sem- 
plice esposizione  de'  fatti  di  mano  in  mano  mi  andrete 
prevenendo. 

Che  però  a  mera  e  nuda  esposizione  storica  voi  da 
me  esigete  eh'  io  mi  riconcentri.  E  storia  mera  io  vi 
espongo. 


l'alli  riuniti  mi   lian  presentalo   come  versificazione   araba  ,  quahlubque  o- 

d'  indispensabile  necessità  la  compiuta  pera  piii  meccanica  che  intellettuale, 
esposizione  del  dottrinai  sistema  della 

Tom.  III.  2 


IO  DERITIS 

SISTEMA  DOTTRINALE  DE' METRI  ARABI. 


))   Ecco    una    contraddizione    assai    grande    tra    gli 
orientalisti    (  dice  lo  storico  francese   della  Letteratura 
italiana',  ed  io  trascrivo  le  parole  di  lui  perchè  nulla  mi 
s'  imputi  di  calunnioso  ).  Gli  uni  vantano  molta  facilità 
nelle  composizioni  poetiche  ,    e    ne  citano    esempi  ;    gli 
altri  spiegano  le  regole  della  poesia  in   modo   da    farvi 
scorgere  le  maggiori  difficoltà.    Si  possono  però  conci- 
liare dicendo  ,  che  nella  poesia  grave  e  fatta  con  agio, 
i  poeti  seguono  tutte  quelle  regole  ;    ma  che  neW  ini" 
provvisare ,  ad  eccezion  della  rima ,  se  ne  dispensano. 
In  fatti ,  il  verso  arabo  è  composto  di  piedi  di  una  mi- 
sura e  di  un  numero  determinato.  Ha  questa  somiglian- 
za coli'  antica  poesia  de'  Greci  e  de'  Latini  ,    e   questa 
superiorità    sulla    versificazione    moderna    cui    somiglia 
soltanto  per  la  rima  ,  la  quale  piuttosto  dee  dirsi  tolta 
da  lei.  Presso  gli  Arabi  la  rima  ha  particolari  difficol- 
tà ;  perchè  alla  fine  de'  loro  versi   la  consonanza    esige 
di  più  sillabe  ,   e  talvolta  anche    di   cinque.    Inoltre  in 
alcuni  poemi  composti  di  un  gran  numero    di  distici  , 
la  rima  esser  dee  costantemente  la  stessa.   Riguardo  ai 
piedi  ed  alle  misure  ,  ammettono  gli  Arabi  venticinque 
combinazioni  diverse  di  piedi  ,  tanto  semplici  che  com- 
posti ,  di  cui  formano  sino  a  sedici  digerenti  specie  di 
versi.  Questi  non  sono  ostacoli  da  non  fame  caso  nelle 
poesie  improvvisate.  Ma  se  son  esse  difficili  pel  poeta , 


METKIAUABI.  Il 

bisogna  convenire  che  per  orccclii  esercitati  a  sentirle 
debban  produrre  molla  armonia  e  varietà  (4)  ».  Potean 
riunirsi  più  fatti  non  veri  in  più  poche  parole  ,  e  spac- 
ciarsi poi  in  tuono  più  decisivo  ? 

Il  sistema  dottrinale  metrico  ,  in  qualsisia  linguag- 
gio e  non  escluso  1'  italiano  eminentemente  semplice  , 
sempremai  di  regole  sopra  regole  uopo  è  che  ridondi  ; 
mentre  nella  poetica  della  natura  spontanei  fluiscono 
gli  armonici  concenti  sulle  labbra  spessissimo  anche  de- 
gl'  idioti.  Quando  i  maestri  sorgono  dell'  arte  poetica  , 
la  poesia  già  tutto  lo  stadio  ha  corso  e  ricorso  de'  suoi 
tentativi  ;  già  de'  suoi  ardimenti  molte  vittorie  conta  e 
molte  disfatte  :  e  il  freddo  precettista  ,  de'  felici  eventi 
del  pari  che  degl'  infelici  e  de'  più  o  meno  variati  in- 
tervalli che  quegli  estremi  disgiungono ,  va  rintraccian- 
do colla  sesta  e  col  compasso  in  mano  le  minute  diffe- 
renze ,  e  nella  eventualità  de'  possibili  va  notando  poi 
le  non  sempre  determinabili  vie  di  sicurezza.  Per  ciò 
che  riguarda  il  solo  meccanismo ,  la  mera  fabbrica  de' 
versi  nel  sistema  prosodiaco  de'  Greci  e  de'  Latini ,  chi 


(4)  GiN-GuÉvÉ,  Hist.  lui.  d: Italie  .  »  Jcglii  ^  e  sopraltiilto   de' celebri   o- 

p.  I.  eh.  IV.  P^esdbulum  ante  ipsum  »  rienlalisli  che  di  quella  facevan  par- 

ci  avverte  il  eli.  Autore  »  di  aver  fat-  »   te  ,  e  confessi  con  gratitudine  aver 

»  lo  lettura  di  questo  squarcio  della  i.  avuto  la  buona  venlurn  di  ottenerli». 

»  sua    opera    alla   classe    d"  istoria   e  Per  questa  sola  circostanza  la  citazio- 

^<  letteratura  antica    dell'  Istituto  (  di  ne  che  ne  facciamo  sembrar  non  do- 

i>  Francia  )  per  ritrarne    il    parere  e  vrebbe  inopportuna. 
»  gl'insegnamenti   de' suoi   doni  col- 


12  D    E       K    I    T    I    S 

avrà  il  coraggio  di  non  isinarrirsi  ai  computi  del  gram- 
matico Mario  Vittorino  ?  Ecco  inentcmeno  che  cjuat- 
tromilanovanlasei  differenze  o  varietà  che  dir  si  vo- 
ghano  della  greco-latina  versificazione  (5).  E  che  sono 
a  Fronte  di  esse  non  le  venticinque ,  come  diceva  il  Gin- 
giiéné ,  ma  le  selianlasei  formole  tra  priinitìve  e  di  ri- 
vale ,  e  tutte  semplici  della  poetica  degli -Arabi  ,  per 
formar  poi  in  composizione  non  sedici  ma  censessan- 
tasette  specie  di  Adersi  ,  quanti  appunto  Samuel  Clerico 
con  pazientissima  diligenza  ne  andava  denominando  e 
classificando  (6)  ?  Intanto  ,  pria  che  gli  Arabi  avessero 
im  alfabeto  ,  nou  che  il  dommatismo  poetico  in  età  as- 
sai bassa  artifiziato  ;  di  tutto  il  meccanismo  dell'  araba 
versificazione  ne'  campi  di  Ocatta  (7)   erano   già  fissate 


(5)  Mahii  VicroRiNi ,  de  orthogra-  veano  nel  cantone   della   Mecca  ,    tra 

phia    et   ratìone   cannimtm    lib.    II  ,  Nagliala  e  Taief  f|»XD7N1  hSdJ-  V' 

partic.  De  stimma  ìiumeri  qucie  me-  era  riunione  delle  varie  tribù  in  ogni 

troruin  mttlliplicaiione  redigitur,  pag.  anno,dal  principio  della  luna  di  dliul- 

142     ed.  1684.  kada  ,  e  durava   venti  giorni.   L'  ob- 

('') '5N1D?Ì^  r^l^^ì^  ti^i'  Scieiitia  biette  principale  era  il  commercio;  ma 

metrica   et  rìiyllimica   ex    authoribus  vi  ci  disputava  altresì  del  premio  del- 

probatissimis ,  opera  Samuelis  Cle-  la  poesia.  Dal  nome   di  questo  luogo 

jiict  ,    inclytae  Academiae  Oxonien-  è  derivato  il  verbo   XSy^  (  okata  )  in 

sU  architypographi  :   1661.  -    Per  la  significalo    di    disputare  ,     quislionare 

sostituzione  die  facciamo  de'  caratteri  insieme.  In    queste   annue    riunioni  si 

quadrati  ebrei  ai  saraccnici,  V.  in  fine  vide  dal  Pocock  (  Speciin.  /list.  Arab., 

la  spiegazione  delle  tavole.  p.  i58  )  il  germe  fecondissimo  e  il  fo- 

(7)  Ocatta  ,    0X3y     (  àkath  )   e  il  mite  dell'  a.aba    coltura  ,    da    disgra- 

nome  di  un  mercato  clie  gli  Arabi  a-  darne  i  giuoelii  solenni    della  Grecia. 


M    E   T    R    I      A    R    A   B    I.  l3 

le  leggi.  11  primo  sistema  dottrinale  dell'  araba  poesia 
non  può  protrarsi  più  su  del  secondo  secolo  dell'  egi- 
ra (8)  :  ina  i  poemi  dorati  che  a  quel  dottrinai  sistema 
servir  dovcano  di  modello  ,  pria  che  sorgesse  quell'  era 
pendevano  già  venerati  alle  porte  della  Caba  (9)  ;  e  di  lai 
caraneristica  impronta  l' araba  versificazione  sigillarono  , 


Pei-  liduiic  a  giusto  valore  una  tanta 
esagerazione  clic  la  magna  turba  de' 
nostri  letterati  va  ripetendo  senza  esa- 
me ,  vcggansi  le  assennate  riflessioni 
dell'  accuratissimo  Silvestre  de  Sacy 
nel  voi.  L.  degli  ^Ui  dell'  accademia 
delle  Iscrizioni. 

Queste  adunanze  vennero  a  dismet- 
tersi col  sorgere  dell'  Islamismo. 

(8)  V.  la  nota  9. 

(9)  Riguardo  alle  poesie  vincitrici 
in  Ocatta  ,  scritte  in  oro  sopra  ricca 
stofTa  e  sospese  alle  porte  della  Caba 
V.  la  Memoria  soprallodata  del  cb.  de 
Sacy.  Vero  è  che  tale  usanza,  com' ei 
limpidissimamente  dimostra  ,  non  può 
risalire  ad  una  età  che  alquanto  si 
discosti  da  quella  di  Maometto;  e  che, 
quando  anche  ad  epoca  più  remota  si 
volesse  protrarre  ,  nessun  argomento 
somministrar  potrebbe  agli  ar.ibisti  per 
1'  antichissima  coltura  di  quella  na- 
zione che  ci  si  vorrebbe  dare  a  mae- 
stra :  perciocché  ,    come  ragiona   quel 


dottissimo  ,  non  v'  ha  popolo  il  più 
selvaggio  ,  sia  nell'America  settentrio- 
nale ,  sia  nelle  sabbie  ardenti  dell'  Af- 
frica ,  il  qual  non  abbia  i  suoi  canti 
di  guerra  e  di  trionfo.  Pure  negar  non 
dobbiamo  che  in  Ocatta  appunto  cer- 
to special  carattere  all'  araba  versi- 
ficazione^ venisse  ad  imprimersi  dal 
quale  discostar  non  si  seppero  i  se- 
guenti poeti,  nemmen  dopo  l'intro- 
duzione dell'Islamismo,  uemmen  do- 
po che  nel  loro  venerato  codice  una 
forma  sempre  ditirambica  scorgessero 
di  verseggiare  ,  tanto  per  la  ragion 
de'  metri  ,  quanto  per  la  disposizione 
e  varietà  delle  rime.  Ma  forse  gli  ara- 
bi non  ardirono  di  riputar  poetico  il 
Corano  ,  e  al  ferreo  inllessibil  giogo 
si  piegarono  di  una  monotona  infil- 
zata di  versi  uniformi  ed  invariabili 
alla  stessa  ed  identica  rima  perpetua- 
mente cadenti  ,  secondo  il  tipo  de' 
loro  primi  salvatici  modelli. 


l4  D    E      R    I    T    I    S 

che  inflcssibil  tipo  si  rimase  al  quale  tutti  i  seguenti 
poemi  con  monotona  uniformità  si  andarono  poi  ada- 
giando. Non  già  alcuni  ma  tutti  i  poemi  arabi  (  ec- 
cezion fatta  de'  soli  alfabetici  oltremodo  rarissimi  .)  , 
tutti  ,  dal  primo  all'  ultimo  verso  ,  ad  esempio  delle 
moallaqa  (io),  conservar  deggiono  una  sola  rima,  un 


(io)  »  Veggendo  il  modo  con  cui  son 
composte  le  Moallaqa    e    in    generale 
gli  antichi  poemi  arabi ,  se  ne  scorge, 
dice  il  eli.  de  Sacy  ,    la    recente  ori- 
gine. Son  meno  un  sol  poema  che  ac- 
cozzamenti di  vari   pezzi    descrittivi  , 
di  vari  quadri  legati  spesso  con  poca 
arte  al  soggetto  principale  :  pittare  di 
tempeste  ,  di  deserti  ,  di  combattimen- 
ti :  descrizioni  minute  ,  e  quasi  ana- 
tomiche,  di  un  cammello,  di  un  ca- 
vallo ,  di  un  onagro  ,  di  una  gazzel- 
la :  il  ritratto  di  una  bella  giovane, 
r  elogio  d'  uua  sciabla  o  d'  una  lan- 
cia. . .  .quasi  in  tutti  i  poemi.  Lo  sco- 
po principale  sembra   esser  quello  di 
provare  la  profonda  cognizione  che  il 
poeta  avea  della  lingua  ,  e  la  sua  abi- 
lità per  abbracciare  in  una  partii'olar 
descrizione  il  maggior   numero    possi- 
bile di  sinonimi  indicanti  tutti  il  me- 
desimo oggetto  ,    ma    per  qualità  di- 
verse ,   e  per  tutti  i  punti   di  veduta 
sotto  i  quali  possa  riguardarsi    e   che 
sien  propri   a   caratterizzarlo  ". 


E  questa  è  la  precisa  idea  clic  dob- 
biam  formarci  di  que'  tanto  celebrati 
poemi  ,  e  non  giudicarne  dalle  uftì- 
ciose  versioni  del  celebre  Roberto  Jo- 
nes ,  e  da  quelle  nemmeno  del  Rei.-.ke 
e  dello  stesso  signor  de  Sacy  :  alle 
quali  tutte  applicar  potremo  le  piro- 
le  del  nostro  dotto  e  giudizioso  Asse- 
mani  relative  alle  versioni  dello  Scluil- 
teus  :  »  Ma  dalla  scrupolosa  trsdu- 
)i  zione  del  suddetto  eruditissimo  uo- 
}>  mo  nessun  europeo  certamente  po- 
li tra  giudicare  della  poesia  degli  an- 

11  tichi  arabi Un    altro    modo  di 

Il  pensare  ,  un  altro  gusto  è  negli  ara- 
li bi  poeti  ;  sicché  tradotti  verbalmen- 
11  te  i  loro  versi  ,  ridicoli  sembrano 
11  ad  un  europeo  u.  Saggio  stili'  origi- 
ne ,  cullo  ,  letteratura  e  costumi  de- 
gli Arabi  avanti  Maometto  ,  pag.  47.' 
Questo  però  non  forma  il  nostro  ob- 
bietlo.  Gli  stessi  propugnatori  dell'  a- 
raba  maestranza  convengono  che  dal 
luo  dello  stile  e  della  tessitura  de' 
poemi  non  trovisi   tra  gli  arabi  e  noi 


SI    K    T    Jl    l       A    R    A    B    I.  l5 

solo  metrico  andamento  ,  e  sempre  quelli  ,  monotona- 
mente qnelli  ,  e  senza  veruna  varietu  non  solo  di  rima 
e  di  metro  ,  ma  uemuien  di  periodo  :  essendo  leege 
dottrinale  dell'araba  poesia  doversi  ogiior  conchiudere 
un  concetto  entro  i  limiti  di  ciascun  verso  (ii). 

Rettificati  cosi  i  fatti  riguardo  alla  struttura  mec- 
canica dell'  araba  versificazione  ,  inconcepibil  si  l'cnde 
come  tra  essa  e  quella  del  mezzogiorno  di  Europa  abbia 
potuto  pur  sorgere  ,  non  che  idea  di  simiglianza  ,  ma 
pur  qualche  lato  di  paragone  :  quante  volte  a  quello 
stato  di  nascente  società  non  si  voglia  rivolgere  il  pen- 
siero nel  quale  i  primi  germi  di  qualunque  umana  in- 
dustria ne' loro  primi  abozzi  uniformemente  si  disvilup- 
pano ;  perciocché  1'  araba  poesia  in  quo'  termini  si  è 
mantenuta  tra' quali  si  rimase  appo  gli  antichi  e  i  mo- 
derni popoli  nuovi  ,  quando  son  soli  storici  i  poeti  ed 
archivi  le  familiari  memorie  delle  generazioni  che  si 
succedono,   E  quaV  è  il  j3opolo  più  selvaggio ,  dirò  col 


verun  punto  di   paragone    (  Andies  ,  naturale    e    scevra    ci'  ogni    artifizio, 

t.  II,  p.  48,    ed.  di  Parma,  Tira-  CAhhnri'i  T/ie  Dee',  and.  fall,  ^c.  c.5. 

bosclii  ,    pref.   all'   Orig.    della   poes.  ap.  Gingncné  ,  l.  e. 
rii/i.  di  Giammaria  Barbieri  ,  p.  l.j  ).         (u)  L'arte  di  legare    una  frase  in 

Ma  e  bene  per  conoscere  con  ({uanta  piìi  versi  e  di  spostar  di  questi  le  ce 

cogniiione    que'  battaglieri   caraticriz-  sure  e  variarle   con    accorgimento  gli 

zassero  il  poetare  aiabcsco  di  arililo  e  arabi  non  conoscono  :  che  anzi  ne  for- 

fervido  (  1'  Andres  )  ,  d'  immaginoso  mano  un  difetto  clic   chiamano    Taz- 

e  sublime  (  il  Xirabuscbi  )  :  e  per  sor-  mina  ,    ViyiTh'H    (  alt-^^niitio   )■   ^a- 

ridcrc  con  misericordia    adii   tiovar  rebbe  V  enjambenicnt  de' Francesi. 
sc|ipc  nelle  Moall.iqà   una  eloquenza 


iG  DEKITIS 

Nesloic  degli  orientalisti  (12),  sia  ìielV  America  set- 
lentrionale  ,  sia  nella  sabbie  ardenti  dell'  Africa  ,  il 
cjiial  non  abbia  i  suoi  canti  di  guerra  e  di  trion- 
fo alle  cadenze  affazzonati  de'  musici  intei'valli  ?  Il  ri- 
torno de'  simili  periodi  è  nella  legge  di  pulsazione  del- 
le nostre  arterie  :  V  arsi  e  la  tesi  è  nella  legge  d' ispi- 
l'azione  e  di  espirazione  del  nostro  organo  vocale  ;  e 
1'  uniformità  delle  cadenze  è  spontanea  espression  pri- 
ma fanciullesca  dell'  individuo  del  pari  che  della  spe- 
cie. Per  la  qual  cosa  ,  non  dell'  uso  della  rima  e  dello 
scompartimento  del  discorso  in  periodetti  rotondamen- 
te sonanti  dovremmo  andar  rintracciando  gì'  invento- 
ri :  che  tutto  ciò  è  da  natura  ,  dalla  quale,  e  sotto  la 
zona  e  ne'  poli  e  per  quanti  notar  sf  vogliano  meri- 
diani sulla  terra  ,  tutte  le  razze  umane  sono  state  e 
saranno  senza  concorso  di  strani  ammaestrate  ;  ma 
dell'  ardimento  piuttosto  di  que'  trovatori  dovrem  fare 
inchiesta  ,  i  quali  o  le  rime  dismettevano  o  varia- 
mente le  variavano  e  alternavano  e  in  mille  maniere 
differenti  ne  simmctrizzavano  il  ritorno ,  mentre  la  gia- 
citura delle  parole  a  tal  numeroso  andamento  ordinavano 
che  della  pittura  delle  idee  e  del  moto  degli  affetti  es- 
primer potessero  in  tutte  le  loro  gradazioni  le  fasi  e  le 
vicende  :  che  queste  son  cose  da  magistero ,    e  di  esse 


(12)  V.  la  nota  g. 


METRIAKABI.  I7 

non  è  natura  uè  da  per  tutto  nò  a  tutti  facile  insegna- 
tricc  (i3). 

Ma  facciamoci  senza  ulteriori  preamboli  a  veder 
quale  per  1'  una  e  1'  altra  industria  sia  stato  appo  gli 
arabi  questo  special  magistero. 

Della  fabbrica  de'  versi  arabi. 

11  primo  che  si  desse  a  compilar  precetti  prosodiaci 
tra  gli  Arabi  fu  Al-Chalil-cbn-Ahmcd-al-Faraliidi  (14), 
il  qual  fiori  sotto  il  califa  Al-Rascido.  Già  per  le  tra- 
duzioni siriache   (i5)   tutte  le   sottilissime   distinzioni  e 


(i3)  Queste  riflessioni  non  son  nuo-     ridere  ,  rjuod  propriian  hominis  tan- 
ve  ,  e    un   amico    gramalico    ci    prc-  tiini  est ,  rjiiis  a!i/nonia7?i  laclis  rictu 
venne.  Nonnulli  ,    ei  dice  ,  tanqucmi  orìs  appetere  ,    quis  sommi    confusae 
erudi li'onì  et  profundae  scienliae  ne-  vocis  in  veiòa  deducere ^  seu  prò  slalu 
cessarium   soUici/a  sciscitatioiie   per-  erga  se   mentis    atque   animi ,    mine 
contanles  exìgunt ,  linde  metronim  at-  ftutum  ac  moerore?n  ,  nunc  alacrila- 
gue  omnis  musicete   ele7nenta  proces-  teni   laetitiamque    concipere  ,    auc/or 
xerint ,    quo  parente,    qua    origine,  oste/iderit  ?  ctc.  M.  Viclorin.  lib.  VI, 
tjuilnis  exordiis  initia    earundem  ar-  sub  fin.  --  Eppure   I'  origine    di  qua- 
tium  caeperint.  Neo  hoc  salis,  iideni  lunque  sorla  di  versificazione  ei  fuor 
ivgant  quis  arliculatam  vocem  a  con-  di  Grecia  non  sa  riconoscere ,  e  finan- 
zinone discreverit ,  quis  prinius  syl-  che  l' orrido  numero  saturnio  vuol  di 
labas  in    enuntiando    denso   seu    leni  greca  derivazione!  Nella  (jual  crcden- 
spi ramine  extuleril ,  qui  longum  lem-  za  non  fu  solo.    V.   in    appresso  CiR- 
pus  aut  breve  in  eloculione  vocis  no-  colo  cosvEKrENTE. 
strac  captaverit  ?  Quae  qui  anxie  sci-         (i4)n'nN'"lS':'XlJDnX  pjiS'^^S'^N- 
re  desiderant,  dicant  velim ,  qìiis  no-         (i5)  È  assai  problematico    se    siavi   ■ 
bis  in  lucem  edilis  gustare  ,  reptare  ,  qualche  traduzione  araba   immediala- 

Tom.  III.  3 


l8  DERITIS 

suddivisioni  de'  greci  di  Alessandria  e  di  Costantinopoli 
eran  divenute  di  gran  voga  nelle  scuole  di  Gufa  e  di 
Bassara ,  le  quali  in  gara  di  acutezze  aveauo  con  grande 
animo  per  le  discussioni  sulla  loro  graniatica  prelu- 
diato. Ed  ecco  sulle  basi  di  quella  gramatica  ,  anche 
con  maggior  minutezza  andar  uotomizzando  a  cincischi 
tutte  le  variazioni  possibili  dell'  araba  versificazione  ,  e 
andarle  coordinando  poi  ad  un  artificiato  sistema  il  quale 
ad  onta  che  i  seguenti  maestri  non  mancassero  di  an- 
darvi su  variamente  sofisticando  e  sottilizzando ,  tipo 
tuttavia  si  rimane  rispettato  e  seguito  da  tutti  gli  scrit- 
tori dottrinali  dell'  araba  versificazione.  Veggiam  di  ri- 
durre alla  maggiore  semplicità  possibile  questo  compli- 
cato sistema. 

Gli  Arabi  trassero  dalle  condizioni  delle  loro  tende 
i  nomi  tecnici  dell'  arte  poetica.  La  costruzione  di  un 
poema  assimilarono  alla  costruzion  di  una  tenda  :  e  sic- 
come cjuesta  denominavano  ^J^tlnìi  n'3  (  baito-ssciàri  ) 
la  casa  de' peli;  quello  dissero  '\i!tinii  H'S  ( baito-ssciri ) 
la  casa  de'  versi.  Formano  gli  amminicoli  della  tenda 
jjali  e  corde  :  e  pali  nxniK  (  avtàdon  )  e  corde  3K3DN* 
(  asbàbon  )  gli  Arabi  denominarono  ciò  che  noi  direm- 
mo i  piedi  di  un  verso  nel  sistema  metrico  de'  Greci 
e  de'  Latini.  Or  questi  pali  e  queste  corde  fa  d'  uopo 
dapprima  definire  per  formarci  della  ragion  de'  metri 
Arabi  una  chiara  idea. 


mente  dal  greco  ,  ed  oggimai  par  che  sto  ,  ec,  nou  passassero  in  arabo  se  non 
più  dubitar  non  si  possa  che  l'Alma-  con  l' intermedio  del  siriaco.  E  siriaco 
gesto  ,  i  libri  d'Aristotele,  di  Teofra-     è  1'  arabo  alfabeto.  De  Sacy,  l.  e. 


M    E    T    R    I       A    R    A    B    I.  I9 

Una  sillaba  araba  ,  come  appo  noi  ,  come  appo 
tutto  il  genere  umano ,  può  essere  più  o  meno  spiccante 
per  vibrazione  ,  più  o  meno  lunga  per  profferenza.  La 
prima  qualità  determina  V  accento  tonico  -,  la  seconda 
se^n'a  la  misura  prosodiaca.  Quest'  ultima  è  manifestis- 
sima in  tutte  le  lingue  viventi  ;  ma  nelle  semitiche  è 
più  agevolmente  ravvisabile  per  le  condizioni  del  loro 
sistema  alfabetico  :  nel  quale  tutte  le  lettere  esprimono 
consonanfi,  mentre  le  vocali  o  non  si  segnano  nella  scrit- 
tura o  fuor  di  riga  con  più  o  meno  artifiziate  industrie 
vengono  ad  indicarsi  (16).  Or  secondo  quel  sistema  una 


(iG)  U  considerar  le  lettere  in  que-  E  perciò  : 

ito  modo  può  risguardarsi   del  pari  e  S /UteravelP  quasi  ^llaòae  videntur, 

come    il    raffinamento    dell'  industria  come    anche     nel    sistema    alfabetico 

giamaticale  ,   e   come    il    primo    ini-  greco-latino  avvertiva  Terenziano. 

zialc  av^-iamento  dell'  umana  industria  2."  Che  1'  inerenza  dell'  aspirazione 

nella  notazione  fonica  del  linguaggio,  alle   lettere    vocali,    dismessa- in   età 

Pel  primo  riguardo  ,  son  note  le  ri-  assai  tarda  appo  i  latini  ,  rimane  vi- 

flessioni    che    nelle    condizioni    della  sibilissima    neUa    greca    ortografia    la 

lingua  f;ancese   ne   faceva  uno  degli  qual    segna   lo   spiri/o   in    qualunque 

ultimi   suoi  ideologi.   Pel  secondo   si  parola  clic  cominci  da  vocale. 

,.jjlgj(3  .  3.°  Che  la  fusione  della  pronunzia 

»."  Che  gli  alfabeti  fonici  non  pos-  di  pili  lettere  in  un  sol  tempo ,  i  dit- 

sono  altrimenti  sorgere  che  sillabici  ,  tong/ii  cioè  sìa  di  vocali  sia  di  cou- 

colla  notazione  cioè  tutta  intera   del-  sonanti  ,  gli  antichissimi    non  conob- 

V  articolazione  e  della  voce  :  k  qual  bcro  ;    e  che  le  nuove  lettere    che  di 

voce  può  sibbene  essere   pili   o  meno  mano  in  mano  alle  vecchie  cherica/i 

.onora  ,  piìi  o  meno  protratta  e  ridursi  o   cadmee    si    andavano    aggiugnendo 

anche  alla  brevità  di  uno  sceva  ,  ma  erano  appunto  le  più  usuali  di  quelle 

abolirsi  affatto  non  mai.  fusiom  che  gih  non  piii  sonavano  co- 

His  caeca  soni  vis  penitus  sudest  me  ditlongJii  e  in  una  sola  vocale  si 

latetque;  confondevano  ,  comechè    dai    grama- 


20  DERITIS 

sillaba  in  arabo  cominciar  non  può  altrimenti   che   da 
una  lettera ,  cioè  da  una  consonante.  Su  di  essa  si  ap- 


tici  si  riputassero  cifre  piuttosto  che  esprimere  i  nostri  diUonghi  articolari 
semplici  lettere.  Cosi  un  solo  elemento  non  si  brigano.  O  li  trovano  appros- 
alfabctico  reclama  la  squisitezza  ideo-  simanti  alla  prolFereuza  di  alcuna 
logica  dell'  autore  teste  citato  per  la  delle  lettere  convenute  ne'  loro  alfa- 
notazione  dell' EU  francese,  eviden-  beti  ,  e  1' csprimon  con  quella;  o 
tissimo  storico  dittongo  ;  mentre  ad  ne  son  troppo  discosti  i  suoni  ,  ed 
una  semplice  E  riducevano  I'  AE  la-  un'  altra  [lettera  j  un  altro  elemento 
tino  i  nostri  popolani  dal  IV  secolo  in  alfabetico  van  creando.  Cosi  ,  men- 
giù  ;  e  mentre  tutti  i  vecchi  diUonghi  tre  quell'  ideologo  francese  propone 
son  cessati  col  fatto  piìi  o  meno  com-  nuovi  caratteri  per  esprimere  lo 
piutamenle  ad  esser  tali  presso  tutti  i  sci  (  fr.  eh  ),  lo  gli  (  tr.ilt  ),  ec. , 
popoli  dell'  universo.  e     il     nostro    Buommattei     vorrebbe 

4.°  Finalmente ,  che  pei  ditloiighi  che  con  lettere  particolari  si  notasse- 
delle  consonanti,  mentre  è  incomprcn-  ro  e  il  nostro  chi  schiacciato  ,  come 
sibile  per  noi  come  la  gentilissima  in  chiesa ,  e  lo  ghi  schiacciato  ,  co- 
Grecia  pronunziar  potesse  d'un  fiato  me  in  ^/«'o<fó  ec;  gli  orientali  col  fat- 
ai cominciar  d'  una  sillaba  x(a  ,  xt  ,  (xv,  to  altre  lettere  introducono  :  come  , 
rrr  ,  tX  ,  Tfi  ,  9v  ,  ;^6(),ec.  e  saremmo  a  cagion  d'esempio,  il  7  francese,  il 
al  par  de' nostri  avoli  tentati  a  dar  e  italiano,  e  certo  suono  medio  tra  1' u- 
la  berla  a  chi  volesse  introdurcene  no  e  l'altro,  proprio  sol  de' persiani, 
la  moda  (*)  ;  forte  ammiriamo  che  il  con  lettere  diverse  e  nuovamente  in- 
nostro gentilissimo  ce  si  riproduca  ol-  trodolte  nell'arabo  alfabeto  si  rinven- 
tremonti  nell'ispide  forme  di  Ish,  lek,  gouo.  E  cosi  la  squisitezza  del  rafli- 
Uch ,  slsh ,  stch ,  stsch.  namento  gramaticale    e   il   semplicis- 

lu  couchiusione.  I  popoli   orientali  simo   andamento   instintivo    in    piena 

di  tutte   queste    nostre   industrie   per  convergenza  si  ricongiungono. 

(*)  luxta  autem  {  antiqui)  non  ponebant  ciari  ms«>.  M.  Vittoria.  lib.  I.  de  orthogr.-^ 

e.  il.  Deinde  nec   Alcraeuam    dicebant ,   nec  È  da  notarsi  che  .s-t-^u^'cu/u^  non  è  ancora  re- 

Tecmessanij  5f(/ Alcumcnani. . . .  Dvnec    lui.  gistiato  nei  nostri  lessici,  e   che    vopiscus   e 

Cae^ar  ^  qui  vopiscus  et  strabo  ,   qui  et  ses-  ■■ìtrabo  non  vel  sono  pel  significato    che   qu-i 

quiculus  dictus  est,  primus  de  Tecmesa  seri-  esprimono. 
psit  tragaediam  suam  et  in  scaena  proniin- 


METRIARABI.  gì 

poggia  la  voce,  e  la  lettera  allora  dicosi  /«oss«.  Può 
appoggiarsi  a  questa  voce,  ossia  a  questa  mozione,  un'al- 
tra lettera:  ed  essa  dicesi  allora  (/ui esce/ile;  perciocché 
se  un'  altra  voce  anche  sulla  seconda  lettera  si  appog- 
giasse, veri'cbbc  del  pari  ad  esser  mossa  e  Formerebbe 
una  seconda  sillaba.  Or  tutte  le  sillabe  di  una  sola  lettera 
son  sempre  brevi  ;  le  sillabe  di  pili  lettere  son  sempre 
lunghe  (17).  Ed  è  questa  la  semplicissima  prosodia  araba, 
limpida  ed  inalterabile. 


(17)  Colla  semplicità  medesima  de-  non  di  rado  anche  manifeste  appaiono 

terminar  potremmo  la  quauliià  siila-  (  Prov.  xxiv ,  y  :  Nehem.  xiii ,  16: 

bica  di  tutte  le  parole  se  i  nostri  al-  Ps.  xix ,  14:  ec.  ).  E  di  vantaggio, 

fabeti   si  riducessero   o    alla   rusticità  chi  non  sa  che  Nevio  e  Livio  ,    cum 

primitiva  nella  qua!  sorgono  0  a  quei  longa  syllaba   scribenda   essel,    duas 

rallinamcnti   a'  quali   i   sottili  analiz-  vocales  poiiehanl,  praeterqiiam  quae 

zatori  del  linguaggio  ampliar   li  vor-  in  I  lilleram  incideranl ,  Itane  eniin 

rebbero ,  come  nella  precedente  nota  per  E  et  I  scribeòant?  (Mar.  Vitto- 

abbiam  cennalo.  Ciò  per  altro   sol  ci  rin.  itb.  siipr.  ). 

condurrebbe  ad  una  valutazione  al-  È  da  notarsi  però  che  anche  nel- 
r  ingrosso  della  quantità  OTt;///c«  non  l'arabo, quantunque  assai  di  rado  j  al- 
della  quantità  nimica  delle  parole  cune  parole  non  mancano  nelle  quali 
(V.  le  seguenti  note  18  e  22  ).  Intanto  la  lettera  che  fa  lunga  una  sillaba 
vestigi  non  mancano  della  prima  ma-  ortograficamente  non  è  espressa  e  dee 
nicra  ne'suiierslili  monumenti.  Neil'  e-  siipporvisi:  come  ?f23*1  (  rahmano  )  in- 
breo  le  sillabe  sono  naturalmente  lun-  vece  di  JXMVil'^Sx  (-dlao)  in  vece  di 
glie  per  clfetto  di  una  lettera  quie-  HN'^VK)  dalla  radice  nxSx  (  il^on); 
scente  reale  o  supposta  che  vien  dopo  ec.  Ed  ecco  anche  da  questo  lato  la 
una  mozione  :  le  quali  lettere  suppo-  ragion  prosodiaca  digli  orientali  e  de- 
ste non  solo  per  le  ragioni  etimolo-  gli  occidentali  non  che  prossima,  ma 
giche  agevolmente  si  rinvengono  ,  ma  identica. 


22  DERITIS 

E  semplicissima  parimente  è  la  ragion  de'  piedi. 
Due  lettere  formano  la  corda  ;  tre  lettere  il  palo. 

Or  le  corde  ,  essendo  composte  di  due  sole  lettere, 
aver  non  possono  se  son  due  soli  accidenti,  secondochè 
o  la  sola  prima  o  ambe  le  lettere  sien  mosse. 

Dal  che  segue  che  le  corde  risultar  deggiano  o  di 
una  sola  sillaba  ,  e  sempre  lunga  ;  o  di  due  sillabe ,  e 
sempre  brevi.  Quella  gli  Arabi  dicono  corda  lieve  23D7N 
f|'M*7K  (  assababo-'lchafifon  )  :  la  combinazione  delle  due 
brevi,  corda  grave  Vpn7N  2DD7N  (  assababo  -  'ttaqilon  ). 
La  prima  corrisponde  alla  cesura  (  -  )  :  la  seconda  al 
pirrichio  (  -  -  )  della  prosodia  greco-latina. 

Gli  accidenti  di  tre  lettere  pei  pali  sarebbero  tre  : 
ma  quello  di  tre  lettere  mosse  gli  arabi  non  ammettono 
per   misura  elementare  (18).    Perciò  rimangono   a  due. 


(18)  Tre  sillabe  brevi  hanno  gli  A.-  giva  a  quell'  acre  intelletto  quel  che 

rabi  in  tutti  i  radicali  di  tre  lettere,  come  moderna  osservazione  si  è  ripro- 

e  perciò  il  tribraco   è   più    che   fre-  dotto  :    Essere    la    quantità    sillabica 

quente   nel  loro  idioma.  Ma  poteano  non  altro  che  un  termine  di  rapporto 

essi  allogare    il  tribraco   tra   gli    eie-  del  quale    è  arbitraria   1'  unità  ;    e  in 

menti  della  lor  prosodia  ?  Qui  ricorre  qualunque    prelazione  umana  ,  anche 

il  paragone  tra  i  rozzissimi  e   i  sotti-  .monosillabica ,  doversi  distinguere  due 

lissimi  analizzatori   del  linguaggio.  È  tempi,  de' quali  l'uno  sempre  primeg- 

noto   che   il    beato  Agostino  ne'  suoi  già ,   il    che    forma  1'  accento    tonico 

dialoghi  sulla  musica   compone   versi  della  parola. 

di  sillabe  tutte  brevi  e  versi  di  sillabe  L'accento  prosodiaco  avea  Al-Ghalil 

tutte  lunghe  ,  e   nella  prosodia  della  riposto  né'  pali  ,  cui    le  corde  posson 

natura  quella  ragion  metrica  vi  rin-  sibbene  legarsi  ,  ma    da   se    sole  non 

viene  che   uM.3.  prosodia  delle  scuole  mai  sostenersi  ;  concorrer  sibbene  le  cor- 

sarebbe  stata  un  assurdo.  Non    isfug-  de  alla  costruzione  della  casa  c/e' <'£/- 


M    E    T    R    I       A    R    A    B    r.  ^3' 

Se  congiungi  alla  mozione  necessaria  della  prima  lettera 
anche  la  mozione  della  seconda  ,  rimanendo  1'  ultima 
quiescente  ,  avrai  il  palo  congiunto  J^IOJd'^N*  "tnì'^N  (  al- 
vatado  -  '1  mag'  mùón  ).  Se  farai  quiescente  la  seconda, 
avrai  ii  palo  disgiunto  pnìJO^N  "tm'^K  (  alvatado  — 'Imaf- 
rùqou  ),  quasiché  la  lettera  quiescente  disgiunga  le  due 
mosse.  Ed  ecco  nel  primo  un  giambo  (  -  -  )  j  nel  secondo 
un  trocheo  (  --  )  della  prosodia  greco-latina. 

Da  questi  semplicissimi  elementi  si  compongono 
tutte  le  misure  ossieno  metri  della  poesia  araba  ,  dette 
parti  NrjN^N  (  alag'zào  ) ,  formale  D3N11:  (  zavàbeto  )  de' 
versi  (ig). 

Le  quali  parti  o  formale  veugon  tutte  desunte  dal 
tema   7J?£)  (  fàhala  )  ,   come    gli  antichi  paradigmi   delle 


coniugazioni  arabe  ed  ebree. 


ù,  formarne  anch' esse  i  necessari  am-  »  lima,  son  trihmcki  il  dallilo,I'a- 

minicoli  ,    ma    subordinatamente    ai  ìi  pesto,  1' arafimacro,  e  son  molossi 

pali  :  e  questi  ultimi  non   poter  dare  »  il  bacbio,  l'antibachio  e  1' amfibra- 
allri   clementi  se  non  ciò  cbe  noi  di-     »  ro  (  Servio   Onorato  ,    de    pedibus 

cìsituo  giamio  0  livc/teo.  ^  perciò  una  versuum  et  accenlibus  libellus);  egli 

parola  di  tre  sillabe  brevi  sari  certa-  adagiava    all'  indole     speciale    della 

mento  un  tribraco,  ma  un  tribraco  se-  lingua  latina    quella  prosodia    delta 

condo  la  prosodia  della  natura  è  ben  natura  cbe  Al-Cbalil  colle  sue  corde 

diverso  dal  tribraco  secondo  la  proso-  e  co'  suoi  pali  render  volca  prosodia 

dia  delle  scuole.  di  scuola  per  gli  arabi  suoi. 

Quando     un    antico   gramatico    si  (19)  Per  mettere  le  a^'sfite  arabe  in 

esprimeva  in  questa  sentenza  :   »  iVe'  perfetta  corrispondenza  colla  prosodia 

Il  dissillabi  ,    divengono   trochei  per  greco-latina  dobbiam  considerarle  pre- 

11  posizione  il  giambo,   il  pirricbio  e  cisamente  per  ciò  cbe  gli  adticbi  dis- 

)i  lo  spondeo:  ne' trisillabi  j  secondo  scro  woSix  a  ci/iTTiifiaTa  ,  come  sarem  per 

»   la  lunghezza  o  brevità  della  penai-  vedere. 


24  DERITIS 

Fin  qui  tutto  è  chiaro  ,  tutto  è  netto  nel   sistema 
dottrinale  dell'  araba  poesia.    E   se  certo   che   di  tene- 
broso   d'  ora  in  poi  par  che  sorga  ,  ogni  buio  dilegue- 
rassi  quando  alla  moltiplica  nomenclatura    do'  vari  ac- 
cidenti della  versificazione  araba  non  prenderemo  spa- 
vento ;  quando  di  alcuni  dottrinali  pregiudizi  della  pro- 
sodia greco-latina  ci  sarem  sceverati,  e  1' uno  e  l' altro 
sistema  riguarderemo  sol  come  due  stadi  della  industria 
vunana  nel  progressivo  miglioramento  dell'arte  poetica. 
La  quale,  dovendo  raggirarsi  riguardo  alla  fabbrica  de' 
versi  su  la  musica  del  linguaggio  secondo   le  varie  na- 
zionali profFerenze  e  secondo  il  più   o  meno   innoltrato 
ingentilimento  de'  popoli  diversificabile  e  diversificata  ; 
è  forza  che  diversissima  appaia    allorché    dalle    giova- 
nili loquele  alle  adulte  ,    dalle  prime   ingenue   rusticità 
ai  compassati  rafFuiamenti  del  civile  ingentilimento  si  fa 
passaggio. 

Pregiudizi  dottrinali  io  vi  cennava  della  greco-latina 
prosodia  ,  e  il  più  grave  tra  essi  basti  qui  rammenta- 
re ,  grave  per  1'  argomento  che  or  ci  occupa.  Della  ra- 
gion metrica  i  nostri  precettisti  ragionando ,  se  non  fan- 
no astrazion  totale  dalla  ragion  ritmica ,  1'  abbandonano 
a  mezza  via  e  sol  de'  musici  ne  credon  degna  1'  ulte- 
riore disamina  (20).  Riuniamo  le    arti    sorelle  ,    e   non 


(20)  Latius  tmclant  niagislii  rhylh-  Trovo  con    molta  sagacia  avvertito 

mici  vel  muùci :  Nos  viam  melri  sta-  e  ben  definito  questo   difetto   de' me- 

denius  parie  ah  aìiqua  pandere.  I\Iau-  trici   in    un   autore    del  XVI  secolo  ; 

RO  Teren'zi.ìxc  ,  de  tirsi  et  tliesi.  Prcincisci  Salinae  Burgeiisis' ,  etc.  de 


M    E   T   R    I       A    n    A    B    I.  25 

la  sola  poclica  degli  arabi,  ma  la  poetica  di  tutto  l'uman 
genere  apparirà  limpidissima. 

E  se  non  primogenita  ,  universale  almeno  V  arte 
musica  si  riguardi.  Perciocché  non  v'  ha  popolo  che 
nel  musico  andamento  non  convenga  in  un  tipo  comu- 
ne ,  al  quale  i  vari  periodi  melodici  delle  umane  lo- 
quele si  van  più  o  meno  adagiando.  Inchinerà  ,  a  ca- 
gion  d'  esempio  ,  all'  andamento  anapestico  la  lingua 
francese,  al  dattilico  l'italiana,  al  peonico  la  spagnuo- 
la.  Mentre  però  nella  ragion  metrica  tre  diverse  spezie 
sene  van  determinando ,  la  ragion  musica  un  solo  ed 
identico  andamento  vi  scorge ,  e  nella  catalessi  mùfor- 
mità  di  sistema  (21). 

Per  la  qual  cosa ,  se  alle  condizioni  della  battuta 
musicale  farem  coincidere  tanto  ciò  che  gli  arabi  mae- 
stri van  dicendo  su  le  varie  distribuzioni  delle  loro 
corde  e  de'  loro  pali  per  la  costruzione  della  loro  casa 
de'  versi ,  quanto  ciò  che  da'  metrici  precettisti  trovasi 
scritto  per  determinare  i  siti  dell'  arsi  e  della  tesi  ne' 
\ovo  podici  sistemi  {22)  ;  forse  quel  filo  d'Arianna  avrem 


Musica    libri    septem—Salamanticae  (21)  V.  avanti  Circolo  divirso. 

i5yy.  Si  vegga  precisamente  il  cap.  IV  (22)  Pei  pochi  fatti  piìi  cennati  che 

del   libro  V  e   l'intero   libro  VII.  E  indicati  nelle  note  16,   17,  18  e  20, 

non  so  come  d'allora  in  poi    le  due  è  agevole  lo  scorgere  che  V arte  ?>ie- 

dislinlissime  funzioni  dell' (/rsj  e  deUa  frica  degli  antichi  voglia    non   altri- 

tesi  armonica  e  dell' arst  e  della  fesi  menti  considerarsi  che  come  il  primo 

ritmica  siensi  tuttavia  confuse  appo  i  sbozzo  di  un'  arte  cui   1'  arte'  ritmica 

seguenti  scrittori  che  ragionarono  del  e  musica  dava  poi  compimento  ;  come 

metro  e  dell'accento.  l'infanzia  dell'arte,  o, se  si  vuole, come 

Tom,  III.  4 


26  DERITIS 

riuvenuto  che  ci  trarrà  illesi  dall'uno  e  l'altro  labirinto. 
Dopo  le  quali  riflessioni ,  il  linguaggio  degli  arabi 
maestri ,  spero  ,  non  ci  farà  più  spavento  :  e  sarà  ba- 
stata l'esposizione  della  cosi  dotta  Qazida  Giazragia- 
ca  (23),  testo  venerato  appo  gli  Arabi  come  la  Lettera 


l'arte  sol  risguardata /^arfe  aJ  nt/ZgiKa,  Ma  è  legge  del  pari  fisiologica  ncl- 
al  dir  di  Terenziano.  Il  che  ci  gui-  T  uomo  che ,  pel  continuo  ripetersi 
da  a  comprendere  che  mai  avesse  vo-  di  sensazioni  similari ,  dal  piacere  alla 
luto  intendersi  un  altro  antico  gra-  noia  ,  dalla  vivacità  alla  indifferenza 
matico  quando  disse  :  Cannen  lyri-  sì  faccia  passaggio  ,  e  tanto  più  rapi- 
cum  ,  quuni  metro  suòsislat  ,  polest  damente  quanto  piii  prossimi  que'sim- 
tamen  videri  extra  legeni  metri  esse ,  metrici  periodi  si  succedano.  Ed  ecco 
quia  libero  scrihentis  arbitrio  per  la  necessità  di  rendere  di  mano  in 
rhythmos  exigitur.  Vittorino  ,  lib.  I  ,  mano  piìi  lontani  que'  ritorni  ,  piìi 
de  metris.  Giunse  alla  sua  perfezio-  variate  quelle  cadenze  :  ceco  un  Ana- 
ne il  pili  gentile  degli  antichi  idio-  Creonte  che  la  soavità  de'  suoi  rosei 
mi  ,  quando  del  movimento  iambico  concenti  in  quella  dilicata  fluttuazion 
scoprir  seppe  le  condizioni  tutte  e  d'intervalli  ricerca  la  quale,  da  sola 
trarne  vantaggio  :  perciocché  nella  squisitezza  di  educato  sentire  deter- 
ragion  de' metri  altresì  perfezione  vuol  minata,    una   canzon   ti    compone  di 

dirsi  un  armonico  consenso  nelle  va-  finissima  grazia,  ma 

rietà.    Il    periodico    andamento    delle  non  elaòoralum  ad  pedem.  ; 

sensazioni  successive,  come  il  sinime-  ed  ecco  quel  Pindaro  immenso 

trico    nelle  contemporanee  ,    è    legge  Qui  per  audaces  nova  dithyrambos 

fisiologica    nell'uomo,    è    condizione  Inerba  devolviti  numerisque  fertur 

indispiyisabile  de'suoi  vitali  ed  intcl-  Lege  solutis. 

letluali  procedimenti.  Quindi ,  duran-         Quando    i    Romani    dicevano    che 

le  l'infanzia  degl'individui  e  de' pò-  musas  colebant  seceriores , -perchè  non 

poli  ,    nella    ragion   delle  coboletle  ,  dirle  con  piii  nobile    sincerità    rusti- 

nella  simmetrica  invariabilità  de'mo-  ciores? 

vimenli  periodici  sta  tutta  l'arte  del         (23)  Questo  è  il  titolo  col  quale  fu 

canto,  tutta  la  melodia  della  parola,  il  poema  pubblicalo  dal  Guadagnoli, 


M    E    T    R    r       A    R    A    B    r.  27 

ai  Pisani  tra  noi  (24),  per  vederci  trasportati  assai  pros- 
siinamcnto  al  nostro  scopo. 


ma  trovasi  anclie  col  solo  titolo  di  spessissimo  alla  nuda  enumerazione 
CAazra^w  ,")»jnf37J^  (alchazragiato),  delle  parole  dell' arte.  -Sa/Zs  Lrevi- 
eJ  anclie  di  ,4rte  metrica,  di  y4ite  ar-  ter  et  non  minus  ohscure  Chazra- 
caiM,  iV Indicatrice  (Casiri,  Bi/jl.  arai),  giacus ,  esclamava  di  quando  in  quan- 
/lisp.  ad  codd.  ci.xxxvi  ;  cccxxx  ,  do  il  Guadagnoli  ;  e  gli  Arabi  stessi 
ccccix  ;  ccccviii  ;  ci-xxxv.  ).  11  no-  nou  mancavano  di  trovarlo  astruoo. 
me  dell'  autore  si  disse  sconosciuto  Ma  per  celebrità  il  poema  ar:ib.>  col 
dal  Guadagnoli  ;  il  Clerico  il  dcno-  latino  perfettamente  gareggia  ■.  del  cbc 
minò  Alidaltaìii  ;  nei  codici  del-  tante  trascrizioni  e  tanti  comenti  fan 
r  Escuriale  riceve  questi  nomi:  testimonio.   V.  Castri,  uh.    siipr.  et  ad 

Dbialdinus  Alkhazragaeus  Abulcassem     codd.    cccix  ,    cccxviii   ,    cccxxviii  , 

Molianiad;  cccxxxiri,  ccccx  ,  mclxxvh,   mdl\  . 

Dhiaeidinus    Abi    Mohamad    Abdalla         11  poema  è  scritto  nel  metro  che  gli 
bea  Mohamad  Alkhazragita;  Arabi  chiamano  carme  lungo  qabzato, 

Dhialdinus    Abdalla    ben     Mohamad     che  noi  trasponiamo  in  senari 

Alkbazragiagi  ;  sane  iiiodoruin  quo  sonora  levitas 

Uhialdinus     Abi    Mohamad    Abdalla     Addila  ,  slyli  sublevaret  siccioris 

Alkhazragi.  laedium. 

Il  Casiri,   coll'aulorità  di  Assiutbco  e  11  lesto  che  seguiamo  e  quello    che 

de' codici  dell' £scuriale  il  rcvindica  ne  dà  il  Guadagnoli  ,  e  non  ne  co- 
alla  Spagna  ,  comunque  di  famiglia  nosciamo  altro,  sia  MS.  sia  a  stampa, 
originaria  d'Egitto.  Ma  sul  conto  di  Una  edizione  intendeva  farne  il  Cle- 
lui  nou  sa  dirci  altro.  rico;  ma  se  la  mandasse  ad  effetto  mi 

(24)  Non  si  creda  però  che  oltre  al  è  ignoto.  Forse  recentemente  ve  ne  ha 
titolo  siavi  paragone  da  ìiistiluiie  tra  una  in  Germania  ,  come  dal  cenno 
la  Lettera  ai  Pisani  e  questa  Qazi-  di  ([ualche  giornale  potrebbe  arguirsi. 
da  ,  la  quale  ad  altro  non  riducesi  Ma  che  sia  precisamente  questo  me- 
chead  una  filza  di  regole  per  la  me-  desimo  o  altro  ]iocma  su  lo  stesso  ar- 
ra  coslruziou    materiale    de' versi,    e     gomeiito  uon  è  certo. 


♦iD  N*7  ì'j;n3  xn  p  tiSxv 

N1D  ino  NT  '^♦p  jNn  HN'  |xa 

nnìfs  nSnt  pò»  ^na  f^aS    4 
XinaK  nSd  KS-id  n'ir  |k  im  Spi 

miai  hvù  ;?iojDD  ddì    5 
S;raD 

Verbvm  rEBBO.  (  Guadagnolo  interprete.  )  yf.  i.  Carmini  est  mensuru  ,  quae  rocatur 
metricatio  eius  :  per  eam  defectus  et  excessus  agtioscet  utrumque  tyro.  yf.  3.  Et  species 
eius  die  quindecim  universae.  Componuntur  ex  duahus  partibus  ,  duobus  ramis  j  non  am- 
pìius.  y.  3.  Itaque  initium  pTolationis  hominis  est  littera  mota  :  quod  si  adveniat  altera  , 

yf-  1.  L'aruza  {♦Ì'1V7X  è  precisa-  e  che  ne  determina  conseguememen- 
mente  il  palo  di  mezzo  che  sostiene  te  il  carattere  V.  il  y.  io.  E  qui  gio- 
ia tenda  ,  e  al  quale  tutte  le  altre  vi  osservare  che  appunto  nella  ca- 
parli di  essa  si  vanno  poi  connetten-  denza  del  verso  quasi  che  tutte  le 
do.  E  agevole  perciò  lo  scorgere  il  nazioni ,  antiche  e  nuove ,  trassero  la 
significato  che  qui  riceve  di  fonda-  denominazione  di  ciò  che  distingue 
mento  ,  norma  direttrice  della  casa  la  poesia  dalla  prosa. 
de'  versi,  come  fisicamente  è  tale  nella  y.  2.  Sono  quindici  le  spezie  de'ver- 
tenda ,  /a  casa  de' peli.  Per  la  stessa  si  secondo  Al-Chalil  e  gli  antichi  ;  ma 
ragione  indica  la  parola  abuzi  quella  Zamaksciar  co'  moderni  vi  aggiungono 
parte  del  primo  emistichio  che  fa  la  la  sedicesima.  V.  Cikcoi-o  coxconDB- 
proposizione  ,  V  esibizione  del  ritmo,  Giaucliar  però  ed  altri  non  vorrebbero 


QAZIDA  CHAZRAGIACA 

DELL'  ARTE  METRICA  E  DELLE  RIME. 


,V': 


ha  legge  ne' carmi,  e  aniza  si  nomina: 
Se  manchin,  s'  eccedano  per  quella  si  sa. 

2  De'  carmi  son  quindici  le  spezie  ;  ma  ognuna 

Per  doppia  procedere  misura  dovrà. 

3  Allor  che  una  leltera  pronunzi,  la  muovi: 

Se  un'  altra  ne  aggiiigni ,  la  corda  si  fa  ; 

4  La  qual,  se  la  lettera  che  arroge  è  in  quiete, 

Fia  lieve  ;  ma  è  grave,  se  mossa  sarà. 

5  Aggiugni  altra  lettera ,  e  il  palo  n'  emerge  : 

Congiunto ,  se  posa  :  disgiunto  ,  se  va. 
De' pali  la  formola,  in  arabi  accenti  , 

Per  questo  dà  FaH-Lo ;  per  quello,  Fa-HaL. 

dicetuT  hoc  ,  chorda  :  eritque  patenler.  Jf.  Levis  quando  quieverit ,  sin  autem  e  cantra. 
Et  die  ,  Faxillus  ,  si  addideris  Utteram  sirie  suspicione.  V."  5.  Et  vaca  paxillum  coniun- 
ctum  l^Q  :  et  e  cantra  sit  ut  1)^2. 

riconoscerne  più  di  undici.  —  Le  due  tes  ,    qtiod  verba  modidadone  comie- 

misure  per  le  quali  proceder  deggiono  ctat.  Viere  enim  conncctere  est  :  unde 

i  versi  arabi  sono  i  pali  e   le  corde  ,  vimen  dictum  virgulti,  species  et  viti 

di  che    abbiam   già    detto   abbastanza  in  ro/is.  Viltorinoj  Hi.  I.  de  poetica.- 

alle  pagine  22  e  23.  Qui  osscrvciemo  Anche  vili  desidera  un  luogo  ne' les- 

che    consistendo    in    tal    modo    tutta  sici.  Neil'  antico  Glossario    appena    si 

l'arte  de' poeti  nc\  ben  legare  ai  pali  ha  vitus. 

le  corde,  assai  vicini  ci  troviamo  al-  y.  3.  v.  sopra  la  nota  i6. 

la  etimologia  che  stabiliva  per  la  pa-  Non  labiis  hiscere,  non  sonare  lingua, 

rola    vaJe    un  antico   gramatico.    Qui  Ulliifiiq.meatitm  qtieatexplicarenisus, 

versus facit ,  ci  diceva,  vcifA  to  TtMiv  T^^ocaUarictam  nisi  luncla  disserarint. 

dUctus  est  Toiitrris ,   latina   li/igiiri  va-  T£iii:<ziANO. 


OO  D    K       R    I    T    I    S 

ah  an  'j^xddVni  Sp  rroNoB    6 
,    nn  pN  fiiDi  NDonn  -|nìQ' 

<•'  NS"!  nVyxiD  ìStn5d  l'^iya    7 

nn  NO  n^^c^Na  ddSn*  Vi^x  \nìòy 

Et  ex  genere  duorum  horum  pars  iam  proi-'enii  fersus.  y.  6".  Quinaria  eìiis  die  et  septe* 
naria  :  deincepsque  ne  d^sit  tii/t  ulterius  addere.  Tondemque  videbis  y .  7.  TblU3  »  ^tc.  Ra~ 
dice.'i  sex  aut  decerti  quotquot  contirteat  versus, 

y.  7.  Lr.  lonMOLi;  XUX/N  (alag'^'*'')-  giunlo  fra  due  corde  lievi ,  dà  un  palo 

Le  quattro  forinole  dalle   quali    le  disgiunto  seguito  d«  due  corde  lievi.  E 

diece  provengono  possou   dividersi  in  una  mtvyia  araba  ,  come  del  pari  la 

tre  ordini  ;  seguente.   Si  ha  dunque  da 

I."   Th-W fi j  cioè  fa/iu'-/oii,  un  palo  ìr\-ìÒ'VìiÙif"'^'''^'^'''^'"'>  E'-it^itos /S' 

congiunto  e  una  corda  lieve,  un  6a-  'ì-)-^^p^-^'Q,  mos,ùifhi-lon,'E,'7nTfnas'Y' 

rhio.  Si  cangi  la  corda  di  posizione  e  pJ^'^-W^QQ,  7«q/i /j«',/«fó,  Eirir/iiros  V 

si  avrà  un  eretico  "Hv-^j^Q  ,fà-hilon.-  È  da    notarsi    che    questi    tre    epiirili 

E  son  queste  le  due  forinole    di   ciu-  che  vcggiam  sorgere  dal  palo  disgiunto 

que  lettere.  colle  due  corde  lievi  ben    potrebbero 

2.°  'f^-''V-aSO''"°f'^  >  hi' ,lon  ,  un  designarsi  co' secondi  nomi  che  al  2.° 

palo  congiunto  e  due  corde  lievi  :  vale  3.°    e  4."   epiirito   assegna   Efestionc  , 

a  dire  il  primo  epitrito    della    poetica  Carico ,  Rodio  e  Monogene  ,  Kapi/.o;_, 

greco-latina.  Or   si   cangino    di    posi-  P0S105  ,  Movoyeni». 

/.ione  le  corde,  e  ne  avremo  altri  due:  3."  La   terza    formola  ,    quantunque 

in'Ji^^V'NS'.^"'^"^'^' '"">  E'TiTpiTo; /ì'  anche  di  selle  lettere,    costituisce  un 

l7V'Sr\~DQ  '""S)  /"fi  hilon,  ìì/TTirpiT'ìs  y  genere  a  parte   de'    versi  arabi  ,    quel 

Mancherebbe    il   quarto:    ecco   adun-  genere  che  dir  potremmo  metrico  nel 

que  la  necessità  della  quarta  forraola  significalo  di  potersi  sciogliere  una  sil- 

?]-)f{(l-y{^£j.yaV«,  fo',  ton  ,  la  q\ialc  laba  lunga  m  due  brevi  ;  se  non  che 

i|\iaut;uiquc  composta  colle  slesse  lei-  in  arabo  si  iia  l' inversa.  Car.ittfrislica 

tcre  della  penultima,  riceve  una  divi-  di  un  tal  genere    è  la   corda    grave  , 

siono  diver-a  ,  e  invece  di  un  palo  con-  la  qua!   sempre  precede   una   lieve,   e 


METRI       ARABI. 

Ai  pali  le  corde  se  accoppi,  ceco  il  metro 
6         r'ui  sol  cinque  lettere  o  sette  chi  dà 


3i 


Le  forinole  prime  degli  arabi  modi 
111  serie  brevissima  disposte  vedrà. 

7FdHùV-LòN:I\IòFiA-HTl-LòN:MuFriA-HiLa-T5N:eFàA 
Ht-LaA-TùN.  L'  epiploce  sei  altre  ordirà. 


forma  cosi  un  anapesto  che  dagli  Arabi         È  notabile  del  pari  che  gli  epitriti 

diccsi   n^;n7';(N3  (ftiiélalon  zogra  ) ,  considerali  in   due  classi  a  modo  ara- 

diriinente  minore  :  e  le  due  corde  co-  bo  ,  secondo   clic  le  corde  entrino  in 

si  combinate  precedono    o   seguono  il  composizione  coli'  uno  o  1'  altro  palo, 

])alo  congiunto.  Se    precedono,  si  ha  :  vengano  da  per  sé  a  classilicarsi  sotto 

PV'Xi'nO  »  "20'"  ••  /"'  '  hiloii  :  un  il  doppio  riguardo  di   epitriti  a  base 

anapesto  e  un  giambo  :  iambica  e  di  epilriti  a  base  trocaica 

se  poi  seguono ,  si  ha  :  che  gli  antichi  musici  distinguevano. 
fn"'7y"N3D  ;   rnofà  ,    Itila,  ton  :    un  Tali   industrie    da' Greci    s!   dissero 


giambo  e  un   anapesto. 
E  son  questi  i  dieci  metri  primitivi, 
che  diconsi  radici  7li(J<  (  azùlo  ). 
E   notabile   non  solo  che  al  Guada- 


t'rio-Xoxa/  e  dai  Latini  amplexiones  (*). 

Se  ne  contavano  tre   pei  metri  puri  : 

1.°  Di  tre  tempi   per   due  specie  ili 

versi  ,     ÉTTi'rXojtn    ^i/a^xij    r(iiati\j.as  :     e 


gnoli  ed  al  Clerico    sia   sfuggita    una  comprendeva  il  giambico  e  il  trocaico; 
classificazione  tanto  semplice   e  insic-         2.°  Di  quattro  tempi  anche  per  due 

meniente  di  tanta  importanza  ,    come  specie  di  versi  ,  syi-rXoxri   Si/aS/xi|   rj- 

sarem  per  vedere  ;    ma    che   il   Casiri  rpa'jtiu.os  ;  e  comprendeva    il  dattilico 

(ub.supr.  'rom.I.p.84')  riduca  a  cinque  e  1'  anapeslico  ; 

soltanto  le  formolo  dell'araba  prosodia,         3.°  Di  sei  tempi  per   quattro  specie 

e   in  luogo    de' sei   epitriti,    comprese  di  versi,  £^iirXoxii  TtTpaS/xj]  eSaffriiiios; 

le  sizigic  del  2.°  e  3.°,  la  sola  formola  e  comprendeva   i  due  ionici  ,    il   co- 

produca  di  mostaf/iilon.  riambico  e  1'  antispastico. 


(*)  Hd  auche  questa  parola  manca  uc' Ica-     sicì.  £  in  Vittorino^  lib.  I,  de  epiploce* 


02  DERITIS 


|SyND  S'XfiD  S^^iXaa  inNS;^ 
NiD  NDrrypiD  nona  'jon  * 

Nann3:in  Non'a  'nNTxt  noa  * 


Impetierunl  sagittù  suis  duabus  amasiae  nostrae ,  et  assecutae  sunt  me  cum  dolore,  >«- 
cundum  casum  suum  adacquate.  -  Et  quod  ad  meas  affectiones  respectu  eanim  ,  fateor  , 
gratas  habui.  Heque  manus  est  tam  longa ,  ut  simile  perficere  possit. 


L'  esempio  qui  si  propone  di  scan-  alle  forinole  arabe  i  nostri  segni  pro- 

q(Ìre  i  versi  arabi ,   ed  è  notabile  che  sodiaci. 

sia  quello  stessissimo  che  i  nostri  an-  11  distico  dato  ad  esempio  si  scan- 

iichi  gramatici  praticavano.  Il    che  si  disce  cosi  (*)  : 
rende   manifesto   col  solo   aggiugnere 


fahiUlon.  mofa'hi'lon  mofa'hilaton  efu'-hildton  mofha'hilon  mofa'hi'lo  fdhilon 
asa'bat  bisahmajha'  giavarihona'  fada'-raku'ni'  bihimmatia  kavaqàjhima'  sava'. 
lama'  za'hira'ti'  fi'hima'  hhaggiabathoma'  vaia'  jado tho'la'honna  jàta'doha-'lvafa'. 


(*)  Sui  modo  da  noi  adottato  per  rendere      belo,  v.  in  fine  la  Spiegazione  delle  tavole. 
il  suono  delle  parole  arabe  col  nostro  alfa- 


51    E    T    R    I       A    R    A    B    I.  53 

Ad  esse ,  in  periodi  seguenti  o  alternanti  , 
Adagia  i  tuoi  versi.  La  regola  e  qua  : 

Fa  liiC  lon ,  mo  fahrion ,  mofdHii''  la  IcClon  ,  e  /à' 
))  Da  lungi  lor  saette  due  ninfe  scagliavano; 

hi  hi'  io  ,  mo  JW  lii'lon  mofa' hi' lo  Ja'hilon 
»  Ma  qui  dentro  T  anima  nel  cor  si  vibravano. 

»  Oh  qual  dviolo  ,  qual  pena!.  .  .  Ma  pur  soavissimo, 
»  Ma  caro  è  quel  tumulto  che  al  sen  mi  destavano 


Ma  pel  solilo  vezzo  arabo  di  ag-  Cosi  quasi  sempre  gli  arabi  poeti 
gruppare  molti  significati  con  una  so-  vanno  più  interpetrati  che  tradotti. 
la  espressione  ,  1'  auror  chazragiaco  Lo  scandire  de'  versi  dagli  arabi  è 
varie  altre  cose  olire  alla  norma  di  detto  V'tDpH  (  laqibiòn  )  iaglioì.  pre- 
scandire i  versi  ha  voluto  qui  pre-  cisamente  la  caesura  de'  latini  ,  la 
sentarci:  rofiri  de' greci  nel  significato  esteso  di 

1.°  Col  primo  emistichio  ,  potersi  distribuire  i  versi  nelle  varie  sue  parli 
spezzare  una  parola  ira  un  membro  cum  carmina  per  pedes  rei  per  di- 
e  1'  altro  del  verso  ,  purché  la  frase  podia  feriuntur  ,  come  con  tutta  pro- 
entro il  periodo  del  verso  ,  intera  si  prietà  diceva  Mario  Vittorino.  Cosi 
conchiuda  ;  nel  verso  ; 

a."  Col  secondo  emistichio  ,  potersi  liane  tua  Penelope  lento  liii  miltil , 

variar    le    formole    senza    detrimento  Ulisse  ; 

del  metro;  non  la  sola  pe  è  cesura j  ma  sibbene 

3.°  Entrare  al  computo  delle  lette-  l' intero  piede   pe  len  :    il   che  i  no- 

re  anche  le  nitnnazioni  e  i    raddop-  stri  precettisti  non  avvertono.  L'  esem- 

piamcnli  in  forza  del /esc'>/((/ ec.ec.ec.  pio  è  tratto  da  Diomede,  lib.  IH. 

Tom.  III.  '                              5 


u 


DE      R    1    T    I    S 


pK'V  fl5  TX"!"!  frx'^N  '^x  3mD     8 


(  Sunt  formulae  iam  carminis  ut  supra  dictum  est  )  Radìces  sex  aut  decein  qaotfiuot 
contineat  \trsus-y.  8.  Et  dispone  iuxta  mensuram  circulos  quinque  ,  in  quibus  est  a]>pa- 
ratus  :  pars  ad  partem.  :  iungeque  htrios. 


y.  7  bis.  Secondo  la  nostra  inlei-  versi  appailenenli  al   i.°  e  5.°  circolo: 

petrazionc  nel  secondo  emistichio  do-  sou  senari  quelli  degli  altri  tre  (  Diasi 

vreljbe  leggersi  :  un'occhiaia  alla  lav.  I.  ).  Ma  si  noti 

♦in  XJ3  ^D7ii^  fXDnSx  SdX  "^''^  comunque   nel  primo    circolo    la 

e  tradursi;    radice   oclava    vel  sjxta  formola  occupi  la  meti  dell'arco  ,  non 

quisqtie  concludilur  versus,  il  che  se  cessa  il  metro  di  essere  ottonario  essen- 

non    si    ammetta    suppor    qui    si    dee  do  doppia  la  formola;   come  non  cessa 

una  lacuna.  di  essere  scnario  il  metro  del  quarto 

Certo   è    che   il   ritmo  determinati  circolo  la  cui  formola  occupa    la  metà 

dalle  formole   viene    anche    appo  gli  del   cerchio,   perchè  tripla, 

aiabi  a  divenir  metrico  coli' arrestar-  "J^.  K  I  ci.'ìcìue  circoli,  come  assai 

si  dopo    una    data    replica    delle    sue  bene  il  Guadagnoli    interpetra  ,    son 

parti  componenti:   e  che,  nel  periodo  qui   designati  dalle  cinque   lettere    J, 

intero,  queste  parli  sono    oUo    o  sci.  fi,  7j  tJ'  ,    p  :    comunque   le   parole 

Cosi  un  verso  arabo  ò  oUonario  pj^Q  p;^^  m    {  gal"  lasciq  )  ,  eh'  ei  crede 

(  mothàmmanon)  nel  primo  caso,è  se-  non  poiere    altrimenti    esprimere   un 

nario  o  esametro  [3"1D»3    (    mosàdda-  significato  ragionevole  ,   dir  potrcbbc- 

son    )   nel    secondo.   Sono    ottonari    i  ro  molto  a  proposilo  :  faoibim  recìde 


M    K   T   II    I      A    U    A    B    r.  35 

7  Fa  studio  a  lai  forinole:  la  sosta,  l'oliava. 

De'  carmi  la  serio  iiormal  chiuderà. 

8  Che  se  per  Ga,  F,  La,  SCI,  Q  vievia  cinque  circoli 

Componi,  armonizzi:  al  lin  si  vedrà 
Che  in  essi  comprendere  degli  arabi  modi 
"Potrai  la   volubile  moltiplicilà. 


'.\\ 


separatioriem.  Cosi  l'ottavo  verso  pò-  E  quantunf(ui;  i  noslii  giaiiiatici  non 
Irebbe  tradursi  yBDUUM  fERiio:  El  ne  lactiano  espresso  ri(Ordo;  pure,  che 
dispone  iiix:a  mensuram  circii/os  :  ne  fosse  usuale  la  pratica  ,  dal  se- 
ficitem  Tedile  sepamlionem  praed-  guente  squarcio  di  Vittorino  si  mani- 
lain  numero  certo  ,  piirtem  parli  ,  lesta.  Hoc  quoque  digniini  eruditis 
hiuos  òinos.  A.1  che  conforta  il  con-  auribua  non  praelermiserim  repertiini 
testo  (li  ciò  elle  precelc ,  e  la  scgiieu-  in  exametro  versu  dactylico  cui  ta- 
te immediata  enumerazione  di  queste  men  duo  cola  e  dunlius  daclylis  et 
parli  e  di  (juesle  disposi zioni  a  due  spondeo  conslibunt ,  qualuor  pedes 
a  due  nel  verso  ottavo.  dissyll(dios  j  id  est  Irocliaeum  ,  iain- 

L' enumerazione  de' cinque  circoli,  Ijum  ,  pyrrichium  ,  spondeurn  per  or- 
de' versi  che  a  ciascun  circolo  si  n-  dine?n  semper  pusitos  inveniri .  .  ,  .  et 
leiiscono  ,  e  delle  Imuiole  che  a  eia-  appetlutur  quadrupes  ^iuo^Exacrriuos  iri- 
scun  verso  si  assegnano  è  nella  se-  pioSo;,  eo  quod  qualuor  pedes  tempo- 
guente  pagina.  Si  riscontri  colla  tu-  rum  duodecim  quasi  per  r inca- 
vola   I.  TIM    QLES  D.l  \f   HECVRRESTES    Con- 

Intanto  si  osservi  che  lai  iistcìnat-ci     tinent.  Lib.   I.  de  d ictylico  metro. 
periodi  non  sono  ti'  araba  invenzione. 

* 


36 


DE       K    I    T    I    S 


nxiD 


TN'3"1 


nni^f 


'DNHD     < 


'Njn 


♦jxj:n 


.  .nN'7U*3S3  r'?i^5nD2  |byanDJ3 
.  .iV;^anD!D  nx'/'yDD  f^i^sriDo 

.  .jS;^5nD2  ]h}?ì:ir\D'2  nNSì;^i32 
l  p  x*?  rxa  in  xS  rx5  p  ron  d^ 

j •  •  ì'^ì^'S 

1 jSi'xa 


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.  .inxiVx 
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.  .;;nDSx 

.  mD3t3'?X 

.  .S'DsSx 
.  y-ixy::Sx 
.nvnpaSx 
. .nnjoSx 

aixpn^Sx  ì 
"lixinoSx  1 


hi'xnSx 

na^^nb^Sx 

na':'mD':'x 
nn3m'D'7X 


nn'^ruoSx 


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# 


U    K    T    R    r       A    R    A    B    I. 


3? 


(  '  1  K  C  O  L  O.      CARME. 


DIVERSO 

alnioilil;il<'fatu 


CON  VIZIENTE. 

aliiiuUili  iutn 


(Il 


.SlJllLE 

:iliiiosc'Uil)rhato 


(V. 


MOLTIPLICE. 

alinoK'ialiiUto 


V.    CONCOIDE.. 
ajiiio'.ali'ijaio 


Lt>xc() 

allii\  ilo 
Disteso.  .  .  . 

almatlido 
SriiO 

albasido 

EsLEr.Il.VS'TE. 

alvuloro 

Pcn TETTO.    . 

alkàinclo 

Cantilena  . 

alàzagio 
Satira 

aiiiigiazo 
BuEVE 

anamalo 

Veloce  .... 

assai'iò 
]'^.M]:.s,so  .... 

aiinosarlieo 
Lieve 

alclialilo 
Simile 

aliiiozareo 
Conciso.  .  .  . 
alrnnqra/cbo 
Con  VI- ESO.  . 

aliiinji^'l.ilo 

CoNGIL'.NIO. . 

alinolaqaiebi) 

CciN.SEGDEN  lE. 

ilmoladàirko 


FO  RMOL  A. 


PERIODO. 


/li/iii'hn  r>io/(/'/u'/o/i. 
/a'//i7a/on  /ii'/tiion .  . 
mostafhilon  fahClon . 


quattro  volle 


ìnojli'ìiilalon. 
Jiiotàfa'fiihn. 


moj'a' /li' lori . 
mosla/JtUon . 
fa'hilaUon. . . 


sei  volte 


nio\laflrdoii  mosiaJ?ii/on  mof/iu'lato. 
intintafliilon  rnofftu'la'to  mosfnf/iilon. .  [ 
f.i'  hi/a'  tuli  mos  tajlii  lonfa'  liUcC  tori 
nioja'  hi'  ìonfa'hi  la'  ton  mofd  hi'  lonj 
ììiofliu'ta'to  mosUifhilon  mostafhilon 
mos  tajhi  ton  fa' hi  la'  ton  fa' hi  la'  ton  1 


due  volle 


fahu'lo'i  . 
fa'  hilon. 


otto  voile 


38 


DE       R    I    T    I    S 


ròDQ)  fii;'Vx  -iii''7N  -)5n'  Spi  io 
Njn;'NJ  pnaSx  dS;>k  3-iì'Sn*  n^Ss*  p 


"y.ff-  Et  ex  ìpsU  compaginatur  ostium ,  domusque  ex  ev  :  et  poemata  ex  clomìbus  car- 
niiniiin  ,  iuxta  aequationem  -  \ .  io.  Et  die  dtctirinem  ultimum  primi  versus  Vlli^/X  ,  ideit 
obìationem  rithmi  :  et  similiter  iiltimam  posterions  voca  3"ll.'75ì  j'uhutìoneiu  :  agnoseitu 
rìijjerentiam  secundum  formahtatem. 


y.  9  e  10.  La  nouicnclalura  qui  si 
espone  delle  varie  parli  di  un  verso 
secondo  i  vari  siti  che  occupano.  Dia- 
si tuilavia  un'  occhiata  alla  iav.  I. 

E  dapprima  :  Le  frecce  maggiori 
dividono  i  circoli  per  mela,  o  giusta 
l'esprc-'Sione  del  if.  8  ,  siniuieirizza- 
no  le  parti  a  due  a  due.  Cosi  quella 
disposizione  niclrica  che  cominciando 
dulia  puma  di  una  Ireccia  finisce  alla 

sua  penna,  è  simmetrica,  anzi  iden- 
tica ,  coir  allra  che  dulia  penna  alla 
punta  ritorna.  Queste  due  grandi  mela 
di    un    verso    dicousi    dagli    arabi    le 

porte  della  casa  HoSn  U'Nli'.^ 
(  uuzraài-'lhaili  ).  INui  le  diremo  emi- 
stichi. 


Le  frecce  minori  indicano  le  sud- 
divisioni. 

Ne'  rersi  ott.nari  ogni  emistichio 
vien  suddiviso  in  due,  ed  ognuna  di 
queste  suddivisioni  contiene  due  tur- 
mole.  Ecco  perciò  quattro  parti  in 
ciascun  verso  ,  e  quattro  nomi.  La 
prima  dcd  i."  emisi,  dicesi  accesso  , 
principio  "l'iy'^X  (  azzddro  )  che  cliia- 
mereiiio  ztdra  ;  la  seconda  ,  propo- 
sizione o  esibizioìi.  delta  rima  t'1~l^''7N 
(  alaiiizo),  che  diiemo  ar«3J.Abhuim 
già  vtduio,  y.  1  ,  che  questa  parola 
significa  precisaiuenie  il  ]ialo  di  mezzo 

della  tenda. 

La  prima  del  2.°  emisi,  è  del. a  dal 
iiosUu      aulore     semplicemente    parte 


M    E    T    R    I       A    R    A    B    I.  3c) 

9  Le  misrae  de'  carmi  va  quiiuli  a  distinguere  : 

Sou  esse  de' versi  le  grandi  metà. 
La  prima  si  è  quella  che  il  ritmo  propone 
Seconda  si  è   V  altra  che  il  replicherà. 

10  Dell'  una  sul  line  V  aruza  ti  avrai  ; 

La  zarbu  hai  ucll'  altra  che  accordo  le  fa. 
Ed  ambo  le  misrae  di  poi  suddividi  : 
La  zatra  ,  la  àgiza  ancor  si  otterrà 


WJ^SN  (alàg'zo):  alln  le  dau  nome  Re' verii  esametri  però  (circolo  ii  , 

di  /j/Ync /«o  -jj-|3X7kS*  (  alabledào);  in    e    iv  )    ogni   emistichio    è    diviso 

l'ultima  y«.s(5<o/2e  della  leuda,  per-  in  tre:  ed  allora,  rimaueudo  le  stesse 

c«.sL«o^e  della  lima  3-)r»%«(azzarbo).  denominazioni  per    le  parti   estreme, 

Diremo  1' una  a4/ef/«a,  l'altra  zcirba.  la  parte  media  tanto  del  i.°  che  del 

Vedremo  in  appresso  che  gli  araldi  a."  emi.t.  prende  nome  di  rientfjimen- 

maestri  grande  importanza  ripongono  to  «leTT^X   (  alasc'vo  )  ,    die    diremo 

nelle  sarbe  piuttosto  che  nelle  aruze  hasc'va. 

per  la  di,tinzi.)ne  de' vari  metri  ,  es-  La  nomeaclatura  perciò  delle  varie 

scudo  appunto  le  zarbe  de' versi  ara-  parti  de' versi  arabi  ,   è  come  segue  : 

bi  le  sole    obbligate    ad    uniformili  ;  Ae'  versi  ottonarii 

ma  non  è  qui  da  tacersi  che  col  no-  i."  Emist.  Zadua  ,  Abuza. 

me   di  zarba  si  distinguevano  appo  i  a."  Emi.t.  Eutedaì  ,  Zarba. 

greci  alcune    celebri    cantatrici    fore-  Ne'  versi  seuai  i                                     '■ 

stiere:  Ai'  Ss  (iwcroy^o. ,  j3ap|3:<p'.,  „<r5„  ,."  EmisL  Zadra  ,  Has'va  ,  Abuza. 

ri;v^.xw  ovou»  oirrois   £^,;ta,p,ov   Zap)3».  2."  Emist.  EurEOAV,  H.vs'va  ,  Z.u.ba. 
Snida,   V.  fiouffoi/py 01 . 


40  BERITIS 

♦5ì  nsNiD  ìN  on  ni'^i  p'^y 

Txn  yrco  iKnmi  xtsnnnn  12 
h:ìii  NDnra  piiSxs  NamoN 

npìsi  iDtj'i  rrnn  DNpDXì  i5 
KIDIN  ^nj'^Ni  rù^hìi  an  n^a  in 


J'  '  il.  Cam  completae  fuerìnt  partes,  àicitur  domus  ,  secundum  arcum  suum  ,  ohlatio  rilhmi 
et  pulsutio  eius  :  completa  vel  diversa  perficitur.-'yf .  t3,  Cam  eleganti  utriut^que  concursu  : 
et  adiunctum  fuerint  tectum  suum  promines  :  ultimum  utrìusque  :  et  discretio  inttr  utruni^ 
qite  sit  darà.  -  y.  t3.  Et  occursus  duarum  partium  eius  et  medietatis  :  et  praecipua  est 
ipsa  pars  ,  tuni  medielas.  Excellentia  autem  t  si  nova  prnftrantur  in  lacetn. 

W-   Il   a  i3.  L'andamenlo  »7e//-«co  ,  della    prosodia    latina    non     diceano 

0  a  dir  meglio  /•Umico,  che  i  circoli  soltanto;  questo  è  un  verso  iambico, 
rappresentano  nella  massima  eslensio-  anapeslico,  ec.  ;  ma  aggiugnevano  , 
ne,  può  corrersi  interamente  o  in  monoinelro ,  dimetro,  ec.  acalaletlo  , 
parte  ;   e  la  cadenza  de'  versi  può  es-  catalettico ,  ec. 

sere  secondo  la  formola  ,    o  variarsi.  Riguardo  alle  variazioni    dcjla  ca- 

1  notni  arabi  the  i  versi  assumono  se-  denza  de'  versi  ,  il  nostro  autore  ac- 
condo  queste  varie  condizioni  forma-  cenna  appena  la  facollà  che  n' è  data 
no  l'argomento  de' yy  -  Il,i2ei3;  al  poeta.  Ala  gli  altri  maestri  arabi 
a'  quali  nel  lesto   si    appone   speciale  diffusamente  ne  ragionano,   come  sa- 

rubrica  nX'SN/N  DXp7N  (  alqàbo-  rem  per  vedere. 

'labiati  )    denominazione    de'  carmi.  Riguardo  poi  alle  diminuzioni  del- 

Cheppeiò,   non  basta  dire  ,   come  or-  1'  intero    periodo  ,    trascura  anche  la 

dinariamente  or  si  costuma  :  j  to/« -uersj  circostanza  di  potersi  ridune  un  ver- 

appartengono  al  carme  lungo ,  esteso,  so  ad  una  sola    parte,    ad    esser    cioè 

ec;  ma  fa  uopo  aggiungervi  altre  spe-  monoiiietro. 

cificazioni.  Cosi    gli    e.-atti  conoscitori  Tra  il  metodo  arabo  e  il  grero-la- 


METRI       ARABI. 


41 


1 1  O  giusta  le  forinole  1'  aruza  ,  la  zarba , 
O  in  altra  seiubianza  produr  si  potrà  : 


12 


E  far  che  dell'arco  la  meta  raggiungano  , 
O  d'  un  ,  due  ,  tre  stadi  si  arrestiu  di  qua. 


i5  £  il  carme,  secondo  lo  stadio  che  corre, 
Giaziato  ,  sciatrato  ,  nahiicato  sarà. 

Ma  restin  spiccanti  tuttor  le  cesure 
Nel  mutuo  concorso  di  alterna  amistà  : 

Variarle  ,  sportarle  dee  1'  arte  maestra  : 
L'  ingegno  sol  cangia  1'  ardire  in  beltà. 


lino,  riguardo  alla  maggiore  o  minore 
lunghezza  d'  un  dalo  melro  ,  altra 
diflerenza  non  v'è  che  1'  inversa  delle 

progressioni:  quelli  per  diminuzioni, 
i   noslri  procedevano  per  aumenti. 

Che  però-  i  versi  arabi  ,  secondo 
elle  vengano  più  o  meno  diminuiti  , 
assumono  queste  denominazioni  : 

Il  verso  oUonario  diminuito  di  due 
parti  ,  rimane  senario;  ma  per  distin- 
guerlo dai  seuari  interi  ,  dicesi  oia- 
ZATO  V30  (  mag'zuvon  ).  —  Gli  otto- 
narii  non  ricevono  altra  diminuzione. 

11  senario  diminuito  di  due  parti 
prende  il  nome  di  QUArERN^aio  gia- 
ZATo  ìfjl'j  y3"lJ3  (  morabbaòn  mag'- 
zuvou  ). 

2bm.  ///. 


11  senario  diminuito  della  metà  ri- 
ceve la  denominazione  di  sciatrato 
TDtJ'D  (  masc'lhiiron  )  e  diviene  TEa- 
NABio  n^nO  motbàllalhon  ). 

Rimanendo  una  sola  parte  per  ogni 
emistichio ,  rimane  binahio  'ÌHO  (  ""*" 
thdnna  )  ,  e  dicesi  naukato  "IHIO 
(  manhiikon  ). 

Può  ridursi  anche  ad  un  sol  piede; 
ed  allora  ha  nome  di  nahìato-scia- 
TRATO  -jinyjSx  "nOwD  (  masc'turo- 
'1  manbiiki  ). 

V  ha  qualche  esempio  del  periodo 
quinario.  V.  Carme  perfetto.  Nessu- 
no sen  produce  del  settenario. 


^2  DERITIS 

iin  |ND  p  '^si  N^nn  nV'^a  14 
ND1  '3x  "iD  iDin  inja  ^<rN^J 

n:2Ì2ì  p!3'  in'Vx  f}<  nxJi'Di  i5 
nj  ip  np  nSx  nSs*  |y  xn;? 
niN3  Xii'n  Sn  nd  nix  jdSt  16 
Nia  nSs  Nonn  odj'^x  'pxnn  p3' 

3JN1  'XiiySx  uy  XDrcD  N'aì  18 
«in;^N  p  ':''3D  "|inM  xroa  pp 

ilf.  U-  £f  /JOM  imbrem  exigit  mannae  :  et  si  libuerit ,  licentiam  stime  poeticam,  pnfer 
luì  intelhclus  acumen  -yf.  i5.  Et  sensus  est ,  quod  Carmini  licei  textura  ,  privata  seti 
ilfficiens  caparle  quam  regulariter  exigit  -y.  16.  Sed  quamdiu  convemens  Carmen  ,  utique 

Non  ho  saiiuto  rinvenir  notizie  sul-  zioni  ritmiche  e  metriche  nell'  araba 

r  autore  de'  versi    che  seguono  ,  iin-  versificazione. 

portaulissimo  complemento  della  Qas-  Le    forinole    ritmiche    proposte    da 
ragia.  Al-Clialil  non  sono  inflessibili  ,  quasi 
Comunque    il    (juadagnoli   ,     non  corrispon  ler  dovessero, /etòra/jer /e/- 
sempre  altrove  felice  ,  infelicissimo  si  fera ,  i  tali  movimenti  ai  tali  modelli, 
mostri   nella   iulerpetrazione    di  essi ,  Molte  di  queste  lettere  snltrar  ai  pos- 
dobbiamo  ad  ogni  conto  essergli  grati  sono  0  privar  di  mozione  ;  purché  sic- 
per    averne    fatta    la    pubblicazione,  no  nellci  seconda  delle  corde.  Ciò  di- 
Tutto   quel   buio   che    nel  linguaggio  cesi  Zuiìf.i..  {1  molte  anche  soltiar.se 
dei    dottrinali   1'  araba    versillcazioiic  ne  possono  ne'  pali  anch'  essi  e  nella 
inviluppa  ,   vien   qui   mirabilmente  a  prima    o   in  ambo   le  lettere  cordali: 
diradarsi.  ed  anclie  aggiugnersene.  Ciò  addinian- 
In  questi   primi  cinque   versi  il  si-  dasi  Ella.  Delle  prime  si  ragiona  dal 
sterna  si  va  enunciando    delle    varia-  y.  19  al  20;  delle  altre  dal3i  al  ifi.  - 


W    E    T    R    I       A    R    A    B    r.  46 

Carme  del  Re  de'  Poeti 

BADER    AL  ADI  NO    DAMAMI  ANO. 

14  Qiial  pioggia  alcun  briciolo  di  manna  dissolve; 
Si  trarne  alla  forniola  il  vate  potrà  : 

i5  Ma  trarne  tal  parie,  ma  trarla  in  tal  modo, 
Che  in  nulla  lamentisi  di  sua  venustà; 

16  O  d'  indol  cangiata,  per  tutto  il  poema 

Proceda  in  sua  svelta  novella  beltà. 

17  Sua   scialra  non   s'  abbia  la  ncjiia  ,  la  settima  : 

Ma  trarla  a  una  ibrmola  ti  avrai  facoltà. 

18  E  amplissimo  arbitrio  ti  dan  tai  riguardi, 

Da'  quai ,  chi  imprudente  ritorce ,  trasvà. 

illud  erit  in  reliquo  texiura  congruum ,  sìne  suspicione  -  y.  17.  Et  in  septima  et  in  nona, 
pausalio  medietatis  optime  cadtns  :  et  permiserunt  excellenìiam  erroris ,  i.  licentiam  poeti- 
cara,  magistri  poeais  -  y.  i8.  Quid  autem  ex  his  licentiis  poetae  conveniat ,  estoprudens, 
et  fuge  viam  transgiedientis. 

Ma  le  élla  uoii  modificano  i  soli  an-  candosi  per  élla  o   per    zi/iafa  addi- 

dainculi  ritmici  ,  mirando  speciaJmen-  mandasi  derivata,  o  rutno  W"1£)  (faròn). 
te    alle    clausole,    alle   catalessi   de'         x.  17.  E  tra  le  avvertenze  genera- 

ritrai,  secondo  il  iisleuia  melrico  de'  li  ^  ciò   ch'espose    il  Qazragiaco    nel 

Greci  e  de'Latini.  E  finalnienle  le  eV/e  y.   12  qui  dal  nostro   re    de' poeti  ii 

e  le  zi/infe  in  alcuni  andamenti  me-  dilucida.  Quivi  non  si  era  fatto  parola 

trici  e  ritmici  alteruano    le  loro  fun-  dei  periodi  monoraetro,  trimetro,  peu- 

zioni  e   le  une  prendono   il  carattere  taraelro  che  aver  possono  i  versi  arabi, 

delle  altre.  Quindi  per   le  zihtife  gli  e  che  notammo  in  pie  di  pagina,  par- 

avvcrtimcuti  dal  y.  afi  al  3o;  per  le  landovisi  soltanto  de' numeri  pari.  In 

èlle  dal  46  al  5a.  questo  verso  ,  con   escludersi  1'  etta- 

Pcr  tali  trasl'ormazioni  una  formo-  metro  e  1' enneamctro ,  vengono  tutti 

la  piiitìitiia,  che  abhiam  veduto  de-  gli  altri  ad  esservi  inclusi  ,  sien  pari, 

nominarsi    radice  ,    pag.  Zo,    medili-  sien  caffi. 

* 


44  D    E       R    I    T    I    S 

Non'p  fi'in'^Ni  |X3Dx':'X3  iSni  20 
N;^3nD  inovnSx  nSx  'jxnia  i^n^  21 

y.  19.  jB<  alteratìonem  secundae  ex  duabus  Chordae  litteris ,  nomina  Ulani  tOXni  ,  i. 
Vrols^psam:  ac proinde  ìli<  ,  pars  crit  ^  vt?/ u/ ^DHH  -  Y- 20.  Idque  litteram  privando  vocali  j 
vel  rendendo  penitus  ,  in  utroque,s.  Palo,  et  Chorda.  Estque  universale  secundum  regulam' 
exequere  igilur  iuxta  licentiam  -  y.  21.  Et  illa  in  secunda  partis  "IXDXS^X   i-  quies    se- 

X.   19  e  20.  ZiHATA  tlXnt^  sdnic-  verso;  delle  altre   ne'  due    seguenli. 

ciolamento ,  serpeggiamento  :  consiste  Oltre  però   ad  un  certo  limite  che 

nella  sola  vnriozione  nelle  corde ,  nel  aver  deggiono  le  variazioni  delle  for- 

ridurre  cioè   ad  una  lettera  mossa  la  mole    riguardate    isolatamente  >    altri 

corda  lieve;  e  ad  una  sola  sillaba ,   sia  limiti  ricevono  nel  venir  tra  loro   in 

lunga  ,  sia  breve  ,  la  corda  grave.  composizione  ,    nell'  incontrarsi     cioè 

Egli  è  chiaro,  che  rimanendo  i  pa-  una  corda  finale  di  una  forniola  colla 

li  nella  loro  integrità,  tali  riduzioni  corda  iniziale  di  un'altra.  I  vari  acci- 

considorar  non  si   diggiano    di   molta  denti  circa  1'  uso    delle  zihafe   in    tai 

importanza,  anche  a  tutto  rigore  del  casi  vengono  enunciati  dal  26.°  al  So." 

metìico  andamento.  E  perciò  risguar-  verso. 

dar  si  vogliono    come   licenze  poeti-  Y.  21.  Izmaba  "i}^J2\{j^'^j^  (  alizmà- 

c/te ,  a  pieno  arbitrio  del  poeta.  ro  ).    Consiste,  dice  1' autore  del  Cha- 

Le    quali    licenze    affettar    possono  mus  ,   nel    togliere    la    mozione    alla 

o  una   sola    o    le    due    corde   di  una  lettera   T  nella  formala    motafa'hilon 

formola.  Quindi  le  zihafe  diconsi  sem-  del    carme    che    dicesi   perfetto.  Non 

plici  0  doppie:  e  queste  ultime ,  ren-  insisteremo  nell'errore  del  Guadagnoli 

dendo  i  versi   alquanto   languidetti  ,  che  crede  applicabile  V  izmara  a  qua- 

sono  piii  condonate  che  permesse.  Del-  lunque  caso  nel  qual    s'incontri  una 

le  prime  si  fa  parola  dal  21.°  al  23."  seconda  lettera  mossa  nelle  formolc  , 


METRIARABI.  46 

Di  Ulta  mozione  0  letlera  tolta. 

19  Di  tulle  lo  corde  la  lettera  estrema 

Privar  del  suo  molo  ,  soltrar  si  potrà. 

20  Zihufa  eiù  è  delU)  :  ma  nome  specifico  , 

Dal  sito  in  che  trovasi  la  lettera  ,  avrà. 

21  D' izmara ,  di  c/iabna,  di  vaqsa  si  ha  il  nome, 

Se  mai  la  seconda  variar  si  vorrà. 

cundae  litterae  dicctur  :  et  si  sequatur  ttiam  \22  i.  reiectio  ipsius  secundae  litterae.  Et  Vpl 
i,  utrumque  simul,  i.  non  solum  quies  ,  sed  reiectio  sccuadae  litterae.  Voca igitur  smguta 
prò  ut  dee  return  est. 

non  essendo  possibile  che  altrove    si  pitri/o  4."  ia  antispaslo  e  i' epitrito  3 .' 

rinvenga  olire   all'  unica  foimola  che  in  ditrocheo. 

nel  Chanius  si  enuncia;  noteremo  sol-  Vaqzi  Vp^/X  (  alvaqzo  )  ditnimi- 
tanto  che  l'cflello  dell' /;/«ar«  ad  altro  Sione.  Riguarda  anche  lascia  lormo- 
iion  riduccsi  che  a  cangiare  di  a«a/7e-  la  del  carme  perfetto,  alla  quale  to- 
sto  a  spondeo  i  piedi  caffi  del  dipodio  gliendo  affatto  la  seconda  lettera  mos- 
giambico.  V.  Circolo  conveniente.  sa  riduce  l'anapesto  a  giambo,  e  i'in- 
CnABV.^  p337}^  (alchabno)  ,«'n«a-  tera  formola  a  diiamho  puro.  —  La 
liane.  È  rimuovere  la  seconda  lette-  sottigliezza  araba  non  manca  di  con- 
ra  ([uicscenlc  dalle  forinole  clic  co-  siderare  la  vaqza  come  una  doppia 
ininciano  con  una  corda  lieve.  E  per-  zihafa:  come  se,  renduta  quiescente 
ciò  nel  primo  ordine  delle  formole  la  seconda  lettera  della  formola  per 
(rahe  { pag.  3o.  )  cangia  il  eretico  m  izinara  ,  venisse  a  togliersi  poi  per 
iiiapesto  ;  e  nel  secondo,  riguardo  chabna:  vale  a  dire,  che  per  ridursi 
agli  epiirili  di  base  iambica  (  col  palo  l' anapesto  a  giambo  faccia  uopo  che 
congiunto  )  cangia  V  epitrilo  a."  in  prima  si  trasformi  in  uno  spondeo.  E 
gionico  ut'  ik'xaaavai ,  e  1'  epitrito  3."  con  queste  meiaraorfosi  è  descritta  la 
in  diiamho;  riguardo  poi  a  quelli  di  vaqza  nel  Chamus;  il  elle  dal  Cleri- 
base  trocaica  (  col  palo  disgiunto  )  l'è-  co  si  ritiene. 


46  D  E    n  1  T  I  s 

NJj  nps  n'?xi  pD»  fx  v'^-inSK  'n 

d:)n5d  Sp:;  on  ppi  3ìti  20 
'yp3K  PxdSn  ynxoSf*  Dipn  ^idt 


V-  22.  Quarta  autem  non  langitur ,  nisi  eius  implicatione  ^  ideat  rcieclione  ^  si  fuerit 
privata  vocali^  alioquin  immunis  trit  -  y*  23.  Et  privare  vocali  quintam  ,  et  negligere 
illam  :  item  reiicere  septimam  ,  si  fuerit  quiesccns  :  iam  decretum  est. 


X.  22.  TaIa  'J3'7X  (  sl's'o  )  impli-  dicesi  izmara ,  in  quella  del  carme 
cazione ,  V involvere.  Può  aver  luogo,  esuberante  prende  il  nome  di  àzba. 
come  scoigesi,  negli  epilriti  l.°e4.°;  Qaeza  l>3p7X  (  alqalizo  )  contra- 
cangiandosi  il  primo  in  coriambo  ,  zione.  Togliere  dalle  formole  la  quin- 
1'  alno  in  ditroc/ieo.  E  potrebbe  aver-  la  quiescente  cordale  importa;  in  quel- 
si  nella  formola  del  canne  perfetto  le  del  i.°  ordine  ,  ridurre  il  hachio 
nella  quale  la  quarta  lettera  è  quie-  ad  rw?^ir«co;  e  in  quelle  del  secondo, 
scente  e  seconda  cordale.  Ma  1' ana-  V epitrito  i.°a  diiambo,  e  l' epitrito  2." 
pesto  allora  cangerebbcsi  in  tribraco:  di  base  trocaica,  a  coriambo. 
e  quattro  sillabe  brevi  né  gli  Arabi  Aqla  7pV7X  (  alaqlo  )  collegazio- 
auinieltono  ne  i  nostri  metrici  appro-  ne.  Colle  stesse  metamorfosi  che  ve- 
vavano.  La  taia  in  questa  formola  si  demmo  nell'  anapesto  della  fornmla 
concede  soltanto  quando  la  corda  del  carme  perfetto ,  si  fa  or  l' anape- 
grave  supponesi  già  ridotta  a  lieve,  sto  del  carme  esuberante  ridurre  a 
V.  appresso   Chazla.  giambo  dopo  il  passaggio  a  spondeo  per 

yf.  23.  AzBA  3W7{<  (  alàzbo  ).  La  dzba  :   in    modo    che    1'  àf/la    sia   una 

riduzione   dell'  anapesto   a   spondeo  ,  zihafa  doppia  collegandosi  Ydzba  colla 

che  uella  formola  del  carme  perfetto  qazba.'Ldi  formola  riducesi  a  diiainbo. 


JJ   E   T    R    I      A    R   A    B    I.  47 

22  La  quarta  nou  toccasi  s'  è  mossa  :  in  quiete 
Dirai  clic  por  tuia  V  esilio  si  avrà. 

25  Posar  poi  la  quinta  ,  morir  ne'  due  niodi  , 
Per  àzba ,  per  qahza ,  per  àqla  si  fa. 
E,  al  par  della  quarta,  posando  la  settima; 
Dirai  che  per  iciffa  sbandita  sen  va. 


Kaffv  flt^7Ì<  (alqaflb  )  cessazione,  o-iTXoxri  %vrji\i.ir.i\  T(3i*71[xos  :  media  ,  in 

terminazione.   Per    essa    i' epilrito  1°  ragione  anche  ritmica,  Ira  gli  epi triti 

ridiicesi    ad     antispasto  ,    il   secondo  e  i  pconici, 

di  base  giambica  a  ditrocheo  ,  e  il  Unum  ctim  faciuiit  duo  pedes  iiignti. 
terzo  di  base  trocaica  a  gionico  uTa  Or,  clic  nella  prosodia  della  natura, 
uéi^ovo;.-  ^o^  La  luogo  nella  formola  una  tal  trasformazione  sia  di  licvis- 
del  carme  esuberante  per  le  stesse  sima  importanza ,  la  poetica  di  tulle 
ragioni  eh' escludono  la  tof'a  in  quella  le  lingue  viventi  depone:  e  la  pro- 
dei  carme  perfetto  :  e  per  le  slesse  sodia  delle  scuole  il  convalida  quan- 
consideiazioni  sol  vi  si  ammette  in  do  i  vari  esempi  classici  v-a  enunie- 
uniono  dcìVdzòa.V.  appresso  a^jza.  rando    ne' quali  ,  ncmmen    come    li- 

OssEnVAXiONE  GENERALI!   SU   LE  ZI-  ccnze  ,  ma  come   semplici    variazioni 

iiAFE  SEMPLICI.  Gli   epitriti   qui    veg-  nel  metiico    andamento ,    come    per- 

giani  trasformarsi  ad  arbitrio  del  poc-  mutazioni  mere  le  considera. 
la    in    quella    prima    serie    de'  tetra-         E  lo  stesso  è  da  dire  del  ritmo  ni- 

siUabi  della  prosodia  greco-latina  dal-  sillabale.  Pei  pentasillabi  ,  v.  Circolo 

la  quale  ritmicamente  formavasi  l' t-  co.vvENiEsrE. 


48 


DE       U    I    T   I    S 


y.  24.  £f  impUcatio  tua  post  reiectionem  secundae  litterae ,  àicitur  truncatio  manus  :  et 
postquam  praecesserit  privatio  vocali  secundae  Utterae  ,  dicitur  ambulatio  cum  claudicatio- 
ne ,  seu  curve  t  ò  puer  -    )[,  25.  Et  reiectio  septimae  Utterae  dum  est  quiescens ,  post  re- 


^.  24  e  25.  Chazla  ^f^^ti  (  al- 
chaziao)  Frattura  dal  dorso.  Kiunione 
òf\V  izmara  e  della  tuia.  Cangia  nella 
formola  del  carme  perfetlo  1'  anape- 
sto in  IrocQieo,  e  tutta  la  formola  in 
coriiambo.  -  Scrivesi  anche  7fJl*7{<  per 
J  {  algiazlao  ). 

Chabla  735^{<  (alchablo)  Tronca- 
mento della  mano'.  E  la  riunione  dilla 
chabna  e  della  taia.  Cosi  V epilrito  2." 
di  base  trocaica  è  ridotto  al />eo/je /.°; 
e  Vepitilto  4.°  al  peone  S.° 


5ciAcLA  73tJ'7X  (  assciaclo  )  figu- 
razione. E  1'  accoppiamento  della 
chcibna  e  della  caj/'a.  Cosi  l'epitri- 
io  S."  di  base  trocaica  riducasi  a  peo- 
ne 2.°;  e  V  epilrito  a."  di  base  giam- 
bica a  peone  3.° 

N.VQZA  l^pjVx  (  annaqzo  )  Difetto  ^ 
meschinità. ^ìumsce  V  diba  alla  caff'a. 
11  che  non  potendo  avvenire  se  non 
nella  formola  del  carme  esuberante, 
trasforma  anch'  essa  1'  anapesto  in  tro- 
cheo ,  e  tutta  la  formola  in  a/i/jV*'°- 


M    E    T    R    [       A    R    A    B    I.  4f) 

Z)i  due  mozioni  o  hllare  talk', 

24  Però  tuia  e  izmara  i  versi  dilombano  ; 

E  monchi  si  rendono  per  leda  e  chabiià. 

26  Unir  chabnà  e  kciff'a  e  un  farli  fantasirae  ; 
Unir  k([ffa  ed  àzba  tapini  li  fa. 
E  i  quattro  difetti  in  arabi  motti 

Dirai  chazla  e  chahla  e  sciacla  e  naqzà. 


iectionem  secundae  etiam  litlerae  tììcilur  figuratio  ,  seu  ad  volantalem  componete  :  et 
postquam  praemissa  est  quies  quinlae  litlerae,  seu  privare  ipsam  vocali j  reiicere  cum  hoc 
septimam  :  omnia  haec  ,  defectus  fugiendt. 


OssEavAirosE    ceser.vle   si;   le    zi-  musico  degli  aniiclii    gli  epitrili  eraa 

ii.vFE  ooFri£.  Riguardo  alla  c/iaz/a  e  di  selle  lempi ,  i  peoui  di  cinque  ;  e 

la    iiaqzu    v.    CincoLO    conveniente,  perciò    lo    scompartimento    ne'  primi 

Per  le  altre  due  ilie  riducono  i  riirai  per  1'  arsi  e  la  tesi  era  di  4  e  3 ,  pe' 

quadrisillabi    alla    loro    (iiix     rapida  secondi   di  3  e  2.  Il  che  ,  nelle  per- 

e»pressione  ,   è  da   notarsi    quel  che    i  inulaziuni ,  avrebbe  lorniiito  ciò  ch'essi 

nostri   vecchi    grauiatici     non    manta-  dicevano    delle    u'rvv:tiXTr,Tx.    La  simi- 

vano    di    avvenire.  Spi  triti  ,   qui  et  glianza  era  dunque  pe' soli  intervalli 

/lippii.  .  .velali   genus  paeonicorum  :  degli  accenti  prosodiaci. 

pretexertiin  cum  siite  spacio  lemporitm  E  ciò    va    detto    generalmente   per 

disparea  fortna   consimiles  siint.  Vii-  tulio  le  zi/iafe. 
torino  lib.  1,  rie  pudiiiub.  -  Sei  sistema 

Tom.  III.  7 


5o  DERITIS 

rifljKDaSNi  nnpNio^Ni  napsra'^x 
N'jj'?N  NonS  NyojnDN*  IìS'33dSx  ina  26 

nditS^S  _ik  nuN'iS  IN  SinSS  27 
k:i  |N3-it:*7Ni  Sap  nyì  nns  ddx  ♦ 

xmrji  '3  pio  nno  Snn  28 
nn  jx  rw  npi  ipùn  'no  ns 

DX  IDB'  N130   l'T^':''?  t^JOÌ   29 

xj;t  rQpxiD  b^  xnyaixn 

xnx  riiiNDo  n  'o  -iraxi  3o 
xtrn  xrrx  xnn  S;r5X3  xnxDD2 


y .  Cam  duae  chordae  immediale  concurrerint ,  erit  utrique  saìvatio  ,  guod  si  esset  uni- 
ca, foret  optimum:  et  hoc  successio  dicilur.  yf.  16.  Priori  vel  posteriori ,  vel  utrique  pa- 
riter  nomen  est  initii  et  finis  antea.  Et  extremilales  ambae  ,  evenit  y.  27.  Vt  liceant  in 
(  ly  T3    inSJ    y\Xy  ,  i-  dirigit ,   se"  ducit  me  sacerdos ,  seu  procurator  }  :    et  pars   eius. 

ir.  26  a  28.  Moàqabà  n3pXJ7107X  ^^''o2o«  fj|^  in  to  riguardo  a  quella  che 

(  almoiqàbato  )  Successione.  Può  que-  succede.  Che  se  poi  si  abbia  la  succes- 

sta  essere   di  due  corde   o   di   tre.  Se  sione  di  tre  forraole,  come  fa  hilaton 

di  due,  come  a  cagion    d'esempio  di  ii  hila  lo  fa' hila  toìi .,  xml  fa  e  nel  to 

Ai\c  fa'  hiki' tori  ,  potendosi   tanto  la  della  formola  di  mezzo  dicesi  «ffaT/à/Vié 

prima  che  l'allrà  corda  privare  della  J*3")[3^X  riguardo  alla  precedenle  tvn 

seconda  quiescente;  quando  si  hi /«'-  della  prima  formola,  ed  alla  seguente 

hila'lon  WliUatnn   dicesi  zàdron  '^^^  fa'  della  terza. 

nel /a'  riguardo  alla  corda  precedente;         ^.  29.  Mor.ìqaba'  n3pK107N  (  ^^- 

se  poi  si  hafa''hilalofa'/iila''to/i,  dictsi  moraqabato  )   Mutuo   rispetto.    Si    lia 


M    E    T    R    I       A    n    A    B    I.  ;)  I 

Successione,  rìguardo ,  siippUnienlo. 

2G  E  ancor,  se  per  lormole  seguenti,  due  eorde 
S'inconirin;  i^ihafa  per  ambo  non  v'  ha  , 

27  Ma  r  una  per  1'  altra  aver  dee  riguardo 

Che  in  nome  generico  dirai  ìuoàcjahà  : 

28  Poi  àgiozo  ,  o  sadro  ,  ovver  attarjaini. 

Se  segue  o  precede  o  in  mezzo  si  sia. 

29  Talora  hau  due  corde  alterna  vicenda  , 

Cui  nouje  allor  dassi  di  inoraqaba. 

5o  E  in  fine  mokanafa  dirai  la  zihafa 

Che  quel  che  qua  toglie  rida  poi   di  là. 

non  incongrua  apparebit  quando  exp  njclur ,  et  iam  ticet  ut  videatar.  '^.  28.  Et  prohi- 
bttio  tua  cantra  haec  duo  ,  initio  medielatis  vel  in  quarta,  Respectus  dicitur.  ^.  5o.  Et 
Maria ,  seu  Poemata  impUcatae  seu  truncatae  pariti ,  cum  eius  tamen  supplemento  ,  cum 
complementi.'!  eorum ,  fac  in  eù  quidquid  volueris. 

quando  la  legge  del  metro  è  tale  the  do    da    non   trovarsi  giammai    riunite 

di  due  zìhafe   non  possano   ne  ambo  insieme, 

usarsi  né  ambo  trascurarsi  ,  ma  the  JT.  3o.  Mokanafa  HÌJJK^dSk  (  ^^- 
o  r  una  o  r  altra  di  necessità  si  ade-  inokandfato)  Suppìimento,  compensa- 
peri ,  in  modo  però  che  uiata  la  pri-  zione.  -  1  poeti  persiani  non  riguar- 
ma  non  si  possa  far  uso  della  secon-  dano  ciò  come  una  licenza  ,  ma  co- 
da ,  o  viceversa.  -  La  parola  viene  dal  me  un  pregio  della  versificazione, 
verbo  3pXT  (  ràqaba  ) ,  che  tra  gli  un'eleganza.  E  perciò  questo  ^f/e'/joe/» 
altri  significali  ha  quello  del  vigilarsi  ed  Al-Akfasc' ripongono  ìumoìcanafa 
tra  loro  due  persone  e  condursi  in  mo-  uà  le  zihafe.  V.  però  il  Sf.  65. 


52  D    E      R    I    T    I    S 


SVpSn 


nS^^n  i^na  'vo  noo  p»  aS  noi  5i 


j^.  5i.  puorf  autem  non  ust  ex  praemìssis,  tu  vacalo  Defectum  :  Excessum  et  Jìefectum, 


Hf.  3i.  Élla  rOVhìi  (  alèlato  )  di-  dagnoli  che  tutti  i  versi  arabi  affetti 
fitto,  infermità.  Si  ha  non  quando  da  élla  riputar  si  dovessero  malfatti- 
le sole  seconde  lettere  de'  pali  yen-  Ma  dall'  altro  canto  non  pare  che 
gono  a  variarsi  o  sopprimersi  da  una  ben  si  apponga  il  Clerico  quando  as- 
lormola ,  ma  quando  ciò  accada  ne'  pa-  sume  che  non  mai  come  veri  difetti 
li  o  in  ambo  le  lettere  delle  corde,  riputar  si  vogliano  le  e/A? ,  perchè  le 
E  chiaro  che ,  spostandosi  cosi  1'  ac-  variazioni  che  cagionano,  adottate  una 
cento  prosodiaco  ,  variandosi  gl'inler-  volta,  correr  deggiono  costanti  per 
valli  ritmici  ,  un  vero  cangia?neiito  tutto  il  poema.  Vero  è  che  quando 
di  metro  venga  ad  emergerne.  una  tal  costanza  si  osservi  vi  ha  sera- 
li quale  però  va  sotto  due  riguar-  plice  cangiamento  di  metro  ,  e  non 
di  considerato.  O  tai  cangiamenti  va  già  difetto  ;  ma  è  vero  altresì  che  non 
un  poeta  facendo  a  bello  studio ,  di  rado  al  poeta  stesso  si  lascia  1'  ar- 
Moviiate  duclus ,  non  inscius  legis  ;  bitrio  di  usare  al  par  delle -«//«/e  le 
ed  allora  r.'jir'xx.?'>\<yT''-'^s  soltanto  il  elle  ,  come  sarem  per  vedere  :  e  i 
verso  dirassi  difittoso  e  infirmo  ,  co-  nomi  avvilitivi  che  i  vari  casi  del- 
me  i  giambi  d' Ipponatte  e  di  Calli-  1'  élla  assumono  ,  fan  conoscere  abba- 
maco  si  diceano  zoppicanti,  Fuor  di  stanza  che ,  se  scevro  di  rimprovero 
proposito  adunque  avanzavasi  dal  Glia-  esser  deggia  chi  sappia  prevalerne    a 


M    E   T   R    I      A    R    A    fl    I.  53 

Farìazione  de''  metri. 

5i  Son  queste  le  leggi  di  aumenti  e  di  scorci 
Che  variano  i  canni  e  diconsi  Ellùh. 


ut  distingual  qui  prohìbeat  Illa. 


propositi)  j  tacciasi  acquisii  di  licenzio-  emistichio:  e  fa  sorpresa  che  dal  di- 
sc clii  disavvedutaiDcnte  ne  abusi.  Al  ligentissimo  Clerico  ciò  non  siasi 
che  ^i  aggiunga   la  divergenza    degli  scorto. 

arabi  maestri  nel  determinare  i  vari  Del  resto  :  per  ciò  che  risguarda  la 
luoghi  ne'  quali  sieno  da  ammettersi  corrispondenza  colla  prosodia  greco- 
le  effe  o  da  rigettarsi.  latina,  fatta  astrazione  da' casi  ne' qua- 
li nostro  poeta  dapprima  la  nomen-  li  van  considerate  come  semplici  zi- 
clatura  ci  espone  delle  diverse  effe  ,  hafe  ,  come  mere  licenze  poetiche  , 
y.  32  a  45  :  poi ,  con  molta  sobrietà  le  èffe  adempiono  al  doppio  uffizio  : 
ed  assai  vagamente  ^  fa  ricordo  che  1.°  della  catafessi  ,  della  clausola  fi- 
nou  niancan  talora  le  éUe  di  andar  naie  de' versi,  di  arrestare  cioè  l'an- 
considerale  come  semplici  zihafe  W-  damento  ritmico  dopo  un  dato  perio- 
46  a  5a.  do;  2."  a  determinare  alcune  cadenze, 
E  di  vantaggio  :  consistono  le  effe  ed  alcune  varietà  metriche  in  quelle 
in  addizioni  e  troncamenti  ,  e  ciò  al  combinazioni  che  da'  nostri  graraatici 
principio  o  alla  fine  degli  emistichi,  diceansi  avvenire  zara  ciuTaSEixv  zai 
Éfle  invariaJdfi  son  quelle  soltanto  avriiraOsiav ,  e  che  ciò  non  ostante  non 
che  avvengono  alla  fine  del  secondo  mancavano  di  reputarsi  regolarissiine. 


r)4  D    E       R    1    T    I    S 

HDOS   p"!  NO   "lC3cSx  IIV  Dir  JNI   54 

y.  52.  £/  aride  Chordam  Icvemin  aniplijicalionemcvgnomento  Ferfecti ,  m  fine  namque 
etus  j  post  partem  j  non  dedecet  illud.  -  y'.  Ó5.  Bt  cui  addita  est  pars  HH  idest,  Chordu 
levis  ,  fimbriati  da  Hit  cum  quiete  octaro  loco.  Et  compie  siniilt  Chorda  levi  ^  trtbuendo 
similern  partem  Carmini  cognomento  7D1  ide^t ,  ExiU  et  breve  ,  quod  nudum  est  -  y  54. 
Et  si  addidcris  initio  prioris  Carminis  Distichi  miniis  quam  quìnque  Itttents  ;  illud  ent  OTO 
transjixio ,  omnia  superans  dffurmitate. 

Gl!  aumenti   per    ella    si    fanno   o  tera  quicscenle ,   sia   alla   foimcla   del 

alla    fine    o   al    principio    degli  emi-  carme  perfello ,  sia  a  (jueila  del  car- 

stichi.  me  spaso  j  riducendosi  cosi  la   prima 

X-  32  e    .ì3.    Aumenti    alla    fine,  di    motafa  hilon   a    motafa  hila  n  ,   e 

Prescindendo  dalla  paragoge  che  aver  la  seconda  di  mostafhi'on  a  mostxifhi- 

pcissono    le  ravie  ,  come  si  vedrà    al  ìan.  -  Rimane  V eda'ila  in  queste  tor- 

}^.  56;   tre  casi  qui  se  ne   nutauo  :  mole  anche  quando   sono  affette  ,    la 

Taufilv  '^♦^"in'^X  (  anirfi'lo  )  «""-  prima  dalle  ziìiafe  ,  nei  tre  casi  sopra 

pHficazIoiìe,  quando  alla  formola  del  rammentati,   e  dirassi  adailato-izma- 

carme   perfetto  si   aggiugue  una  corda  rata  ec. ,  e    l'altra    non    solo    per    le 

lieve,  ili  motafa' hllon  A'weneaio  mo-  ^ihafK  ad  essa  proprie  (  y.  2 1,  U2,  24  ) 

tafa'/iiìaton.  Qufslo  andamenio  rima-  prendendo    allora    la    denominazione 

ne   anche    quando    la  forinola    venga  (]\  edailato-c?iahnata ,  edailato-taiata, 

affetta   delle  tre  zihafe    ad    essa  prò-  o  edaifato  chaUala  ;  ma  per  inguaia 

prie  (    y.  21   e  24)  :    ne'   quali    casi  altresì   (  T.  Sg  )  :  ed  allora  ,   tratlau- 

la  formola  dicesi  /arfilato-izmaraia  ,  dosi    di    due  èlle  ,  la  formola  dirassi 

tarfilato-vaqz'Ha  ,  0  tarfllalo-chazlala.  qatato-edailala. 

Eua'u-a    nSsnNW  (  aleda'elho  )         Tlsbìh'a    y^Dn^N    C   aKasbih'ò    ) 

fiiìibiia  ,  quando  si  ajgiugne  una  let-  complemento  ,     quando    anche    una 


ai   E   T   n   I      A   R   A    B    I.  55 

32  Se  al  canne  perfello  tu  lieve  una  corda 
Accodi  ,  al  poema  darai  nobillà  : 
Ed  anche  una  lettera  ad  esso  e  allo  spaso  , 
Qual  fìmbria  a  una  veste ,  darà   maestà. 

35  E  se  al  carme  breve  ,  eh'  è  nudo  ,  eh'  è  esile  , 
Vorrai  far  lo  stesso  ;  pur  dai  venustà. 

Ma  bada:  gli  aumenti  qui  sopra  descritti 
Stau  bene  se  il  verso  giazato  sarà. 

E  il  triplice  modo  di  tali  incrementi. 
Tarfila  ,  e  damila,  tasbi/i'a  si   dirà 

54  Finché  sino  a  quattro  le  lettere  sieno 

Che  poni  al  principio ,  gran  mal  non  sarà  : 
Ma  evita  la  quinta  j  tal  cfiazma ,  ossia  protesi  , 
Se  avrà  1'  ebtedàa  spiacevol  si  fa. 

Huiescciilc    si    aggiugne    alla   forinola     la  balluta  in  aria;  ed  ecco  uiijiicciso 
del  cariiiC  hrG\c,  fu  hila'lun  che  di-     aumento  musicale.  -  Nella  ragion  nie- 
yieoc  fu' /ti/a' la' n.  ìi  l' aumento  rima-     irica  ;  ranimeutiaraoci  gli  esempi  che 
ne  anche  per  la  chaòna  {s .  m  ) ,  ed     produce  Terenziano  : 
allora    la    l'ormula    dicesi    tasbih'ato- 

cahnatu.  Socrate s ,  healus  iUn  qui  procul  negotits. 

Questi   aumenti  han  luogo  ne' carmi  Diogenen ,  beatus  illc  qui  procul  negotim. 

perfello,  spaso  e /lieve ,  ma  ne' soli    pe-  Demophde ,  beatus  ille  <fui procul  negoius. 

riodi  gìazati.  Quod  agis  age ,bcutus  ille  quiproculnegotiiis. 

y.  3<i.  Aumenti    al  principio.  Per 

formarci    una  distinta  idea    di  ([uesli  Ed  ecco  precisamente  l'araba 
aumenti:  nella  ragion  musicale  j  com-         Ciiazsia  Cf37X    (  aldi^'-mo  )  Irct- 

ponete  un  ritmo  qualunque  su  questi  passameiito ,  V  aggiugnere  cioè  al  prin- 

versi  ,   a  cagion   d'esempio;   Cada  i/  cipio  del  primo  emistichio  una,  due, 

tiranno  regno    d'amore.  Quando    sa-  ire,  quattro  lettere.  Reputasi    difetto 

rete  alla  seconda  strofe,  £   un  falso  l' aggiugnerne  cinque  o  piìj ,  o  usare 

nome  che  d'ozio  nasce ,  voi  non  can-  di  tal  licenza  al  piincipio  del  secondo 

gerete  il  movimento,    ma  prenderete  cmisticliio. 


56  D   E      R    I    T   I   S 


;;}'.  55.  Et  reiectio ,  et  laceratio  ,  et  decurtatio ,   et   concisio  Fovea  eius  ■■  et  mutilatio ,   et 
firmatio ,  discoopertio  ignominia ,  et  ptaecisio  primae  :  haec  deturpant. 


j[.  25.  I  TRONCAMENTI    per    élla    si  11.   Troncamento    ne'  pali  : 
fauno  del  pari  alla  fine  o  al  principio 

degli  emistichi.  i.   Congiunto: 

1    TRONCAMENTI  ALLA  FINE  gli  at)biam 

serbati  nella  versione    nel  modo  che  a  )    Dell'  ultima    quiescente     colla 

il  testo  li  va  enumerando:  giovi  qui  mozione  che  la  precede,  qatd,  y  09. 

esporli  con  miglior  metodo.  l>  )  di  una  delle  lettere  mosse ,  ta- 

scita ,  y.  46. 

1.   Troncamento  nelle  corde:  e)  dell'intero  palo,  tóc/af/a,  *.  40. 

a  )  Della  lettera  e  della  mozione ,  2.  Disgiunto  : 
qasba  ,   y.  38  ; 

i)  dell'intera  corda  \iéve,hadfa  ,  «)  Dell'ultima  mozicrae-uag/à,  ^.41 . 

tJt    3y  6)  dell" ultimaletleramossa,  ^nsc'/a, 

e)  della  corda  gtìye ,  gatfa,  W.Sj.  y.  41. 


METRI      ARABI. 


57 


55  Troncando:  hai  per  araba  apocope  or  V hadfa 

Ed  ora  la  gaffa  ,   la  cjazra  o   qatàh 
E  or  1'  hàdada ,  o  zelnia ,  o  vacjfa ,  ovver  Icasfa 
E  r  araba  aferesi  la  gamia  ti  dà. 

56  E  vedi  che  molte  1'  aruza  e  la  zarba 

Si  avrai!  per  1'  apocope  le  lor  varietà. 


y.  5G.  tloTum.  incursus  est  dtbilitatio  parlium,  si  incidanl ,  sit'e  in  Rhythmi  oblationSj 
uve  in  Pulsatione ,  exceplo  Charmo ,  quod  tantum  in'itio  cadit. 


e  )  dell'  intero  palo  ,  zaìnia,  \,  40 . 
IH.  Troncamento  ne' pali  e  nelle  corde: 

a  )  Riunione  della  hadfa  e  della 
cjathù>  balra,  x.  42. 

b  )  Riunione  della  cliabna  e  della 
qallia  j  kabla  ,  ibid.  nota. 

I     TRONCASIENrl      AI,      PRINCIPIO      SOn 

disposti  nel  modo  che  abbiam  veduto 
ordinarsi  le  formole  al  Sf.  7.  pag.  3o. 

Per  le  formole  del  prim'  ordine  , 
lalma  e  tamia,  V.  45; 

Per  quelle  del  secondo  ,  charma  , 
chaixtba  e  sciatra ,  V.  44  ; 

Tom.  IH. 


E  per  la  formola  del  carme  esu- 
berante dell'  ordine  terzo  ,  qasma  , 
giamama  ,  azba  ed  aqza,  ìf.  45. 

I  troncamenti  al  principio  deter- 
minano presso  a  poco  la  condizione 
di  quei  versi  che  i  nostri  vecchi  gra- 
matici  dicevano  acefali,  v  son  preci- 
samente l'inversa  delle  cìiazme,  y.34. 

I  troncamenti  alla  fine  de' versi  a- 
rabi  equivalgono  alle  catalalessi  e 
molto  pili  alle  brachicalalessi  della 
prosodia  greco-latina. 

Per  merissimo  volgarizzamento  ab- 
biam detto  nella  versione  aferesi  i 
primi  ed  apocope  i  secondi. 

8 


58  D   E      R   I   T   I    S 

'5njx  '7pnN':'Nì  12  pD  inx  nn 
N'jDND  i^-in  ii'p':'N  Nn'p  inom  58 
ìii:;hìi  on  nx  nSnp  finn  loom 
nj  3DD  JD  IKT  pS  ;?t:p'?}<  NnD  59 
♦in  rh  ìr\ì)  ain  nm  'fii 

nono  mra  finno^pV  "i:i;Dpi  42 

y.  37.  Italue  in  parte  hac  "jiaoNn  esf  rei  eolio  ^  sive  casus  Chordae  le  vis  j  item  et 
laceratioj  est  enim  vestigiujn  quiesceìitis  j  quae  est  pars  Chordae;  quare  pondus  optimum 
evanescit.  -  Jl .  38.  Et  in  I^Dn  est  decurtatio ,  reiectio  nempe  tua  quiescentis.  Et  prillare 

vocali  ìitteram  ante  aliam  quiescentem  ,  quando  est  paxillus.  -  y.  59.  Hoc  est  Truncatio  , 
et  quidem  de  Chorda  iam  dictum  est:  seu  in  Chorda  non  officit.  At  in  Faxillo  hoc  acci- 

dit  j  et  !y  tilJ  continet  istud.  nain  est  Palus.  -  y.  40.  Et  reieclionem  tuam  ex  Paxillo  con- 

Hf.  3/.  Hadia  f1"in7K  (alhadfo)  ri-  che  la  quiescente    venga    ad    appog- 

getlxvieiUo.    Consiste    nel  togliere    la  giarsi  alla  sillaba  lunga  che  precede, 

corda  lieve  alla  fine   di  una  formola  Cosi  di  fahu'lon  ,  fa' Idia  ton,  mnfa- 

nella  qual  cada  V  ariiza  o  la  zarhct.  ìd'lon  le  formole  riduconsi  s,  fahii'l  ^ 

Qathfa  tltOpSx  (alqalhfo)  Lacera-  fa'/iila'n,  mofahi'l.  E  le  sillabe  ìm'l, 

zioiis.   Si  ha  quando  nelle  stesse  cir-  la'n,  hi'l  divengono  in  tal  modo  più 

costanze  toglisi  la  corda  grave.  che  lunghe. 

1  versi  in  tal  foggia  diminuiti  cor-  y.  3().  Qytua'  U^I^7{<  (  alqathò  ) 

rispondono  a  quelli  che  nella  prosodia  Troncameiilo.  E  togliere  dal  palo  con- 

greco-lalina  si  direbbero  cataleltici.  giunto  finale  la  prima  lettera  mossa. 

^.  38.  Q\zR.v  -)ì|»p'7J<    (   alqazro  )  Y.  40.  IIadada  I^CiSx  (  ^'l'*'^^'^"  ) 

Accorciameiilo.  E  togliere  dalla  cor-  InfosscimeiUo.  Si  ha    quando    togliesi 


Ili  finale    la  lettera  mussa,  in  modo     l' inlcro  palo  congiunto;  ed  ò  proprio 


(Ili 


M   E  T  U   I      A   n   A   B   I.  5g 

57  Se  intera  una  corda  ,  sia  lieve,  sia  grave  , 

Dal  fin  di  una  forniola  togliendo  si  andrà; 
Si  ha  r  hadfa  o  la  qatfa  :  ed  vina  o  due  sillabe 
Rigetla ,  divelle  chi  usarle  vorrà. 

58  La  corda  chi  accorcia  di  lettera  e  moto 
•     Il  verso  per  cjasha  ancor  troncherà. 

3g  Ma  in  piano  di  sdrucciolo  il  verso  trasforma 
Chi  al  palo  congiunto  per  quIiLli  il  farà. 

40  E  al  carme  perfetto ,  e  al  carme  veloce 

Un  palo  so  r  hadada  ,  la  zal/na   torrà  ; 
Il  primo  dirai  che  allora  s'  infossa  , 
Dii'ai  che  il  secondo  elilinea  si  fa. 

41  Se  arresti  la  settima  ,  se  intera  la  scopri , 

Un'  Élla  per  vaqfa  per  kasc'fa  si  avrà. 
43  E  alfin  se  congiungi  la  hadfa  ,    la   qata  , 
Nel  carme  disteso  la  batra  si  sta. 

ìuncto  vocaverunt  Foveam  Pcrfcctl  :  sin  autem,  erit  Palus  disìunctu.t  in  Jlne  ,  et  Velox  cor- 
rumpitur  Uh.  -  y".  41.  Et  Firmatio  ,  et  Discoopertio  accidit  si  septima  moveatuT  :  et  fac 
(juiescere  ,  et  reiice  per  involutionem  partis  ,  et  corrigelur,  -  y.  42.  Et  Truncatio  tua  in 
reiecto  f  seu  à  quo  reiectum  est  inly  3D3D  3in,  ìdest  terra  mollis,  Et  dicitur  quia  Carmini 
Extenso  propria  sunt  duo  praedicta  in  invocatione, 

del  carme  perfctlo.  Scrivesi  anche  "^^J  anche  più  che  lunga  ,  come  le  formole 

col  J,  come  nel  testo.  accorciate  per  qazrci, 

Z.vLMA    f—inySy  (  azzalmo  )  Muti-         Kasc'fa  f]t;'37X  (  alkas'fa  Scopri- 

ìazìone  :  quando  si  toglie  l'intero  pa-  merito.  Siha.  col  togliere   dalla   stessa 

lo  disgiunto  dalla  iatmoìnmof/iulato  formola   mofhii'lato   V  ultima   lettera 

alla   fine    degli    emisticlii    del   carme  mossa.  —  Scrivesi  anclie  klD37X   ^^^ 

veloce.  Q.  E  questa    variazione    non  succede 

\.  41.  Vaqfa    flpìSx    (  -ilvaqfo  )  soltanto  alla  fine  ,  ma  in  qualunque 

'arresto.  È    togliere    la    mozione    al-  parte  dell' emistichio.  V.  appresso  Cah- 

r  ultima    lettera    del    palo    disgiunto  me  LBOGiEno. 

finale  ,  cosi  mof7in'la'lo   si  cangia  in         y.  42.    B^tra  ")j"\3*7{<  (  albatro   ). 

mofJm'la'n.  E  quest'  ultima  sillaba  è  Riunione    della    hadfa  e    della  qatd. 


6o  D  E      n  I  T  I  s 

Nna  nonn  niobn  |Su'3  ;?irii 
mntJ'i  DiSS  |V';^X5D  ;?vn  44 

oojVnt  Oip^Nì  DVji^VS  p'^yNsa  45 
'Ìd  npi  ;*py  n'3  'fpjì  DiSi 


V"'  45*  -E/  5(  ponatur  Sd  e55e  PaX'Uus  j  erti  Charniatus  propter  necessiialem  initìo  eius 
et  positio  Ì7U*3  c«m  mi/za  e/«5  ,  c?ara  est.  ~      y".  44.   £/  oppositio  |7'^'X3D  cum  Charmo 
et  Scìatro  eius,  et  propter  vastationem  agnosce  in  dispositis ,  quod  latet.-  y.  45.  Et  men- 


Così /a/li/a' tori  liducesi  z.  fahlon  ,  e  ^.  43.  Taima  f*nS|nSjst  (  atthalmo  1 
faii'lon  3.  fah  :  nel  primo  caso  1' e/)j-  c/wocf n«je«to.  E  la  soppressione  della 
frjto  i."  diviene  uno  spondeo,  e  nel  prima  lettera  mossa  nel  palo  con- 
secondo il  cnetóco  una  semplice  ces«7-a.  giunto  della  iormola  fa/iu'/on  ,  che 
Evvi  un  altro  accorciamento  che  perciò  riducesi  a  fa'lon.  Ciò  succede 
nel  .lesto  qui  manca  ,  e  dicesi  nel  carme  lungo    e    nel    carme  con- 

K.1.BI.A  7337X  (  alkahlo  ),  la  riu-  giunto, 
nione  cioè  della  chabna  e  della  qalhà,  Tabji.v  □~)J^*7X  (atiharmo  )  Rovina. 
che  riduce  inos'.afhilon  afahu'loii  ,  Sì  ha  quando  tabnata  la  stessa  for- 
1'  epitrito  3!'  a  bachio  :  ed  è  proprio  mola  vi  si  unisce  la  chahda ,  in  mo- 
del Carme  spaso  ,  come  sarem  per  do  che  riducasi  a  falò. 
vedere.  Cosi  il  eretico  nel  primo  caso  di- 
Troncarc  dal  piiucipio  di  un  enii-  viene  uno  spondeo,  nel  secondo  un 
slichio  la  prima  mossa  del  palo  con-  trocheo. 

giunto  diccsi  Ciiauma    □"i57N  (   al-  ^-  44-  Cuarma  rimane     nome    ge- 

eharmo  ).  Prendono  però  denomina-  nerico    per    qualunque    formola    del 

iionc  diver.^a  i  seguenti  casi.  2."  ordine  ,    quando    si    sopprime    la 


MKTRIARABI.  6l 

43  Passando  alle  aferesi  :  per  ialina  per  tarma 

La  forma  trinarla  charinata  si  fa. 

44  Ma  s'  è  settenaria  ,   la  charma  si  triplica, 

Che  v'  ha  pur  la  garaha ,  la  scìatra  pur  v'ha. 

45  E  charme  specifiche  saran  per  mofàhilaton 

La  qazma,  la  giàmama ,  la  ùz,ha  e  1'  aqsa 


sura  tnSj^XSD  cum  S^y^H  et  Oirp'jS  //em.  DD5'7N  e/  ai5  e/  ]'pj  in  quo  est  ypi)  et 
iam  praecessit. 


prima  lettera  senza  che  nel  resto  ne     mofliu'lon,  ad  un  molosso.  È  la  ria- 
iia  affetta.  Chiamasi  però  nione  dell'  àzha  e  dell'  asha. 

Chakaiiv  ai^'^X  (  alcharabo  )  de-  Giamama  QJ3J^j{(alglamamo)  Con- 
fasi? ijo«e ,  se  tolta  la  prima  tolgasi  fusione.  Quando  anche  la  quinta  si 
anche  per  kaffa  la  mozione  alla  set-  toglie  affatto,  riduccndosi  la  fortnola 
'""''!  "^  n  fa'hilon  ,  ad  un  eretico.  L   la  riu- 

SciATRA  in^'7X    (    assciatro  ) ,  se     nione  dell'  dzòa  e  dell'  aqla. 
tolta  la  prima  tolgasi  anche  per  qaò-         A'zba  •y^^'^H  {  alàzho  )  Disgiun- 
ga   la    quinta    lettera    quiescente    in  zione.  Quando  toglicsi  la  sola  prima 
modo  che  di  mofa'hi'lon  divenga/a-  lettera  mossa  ,  rimanendo  cosi  la  lor- 
hi/on,  di  epitrìlo  i."  anapesto.  mola  ridotta  ad  un  coriambo. 

W.  45.  Per  la  formola  mofàhilaton         Aqza  t>p;;Sx  (  •'''■"Fo  )  Implica- 

quatlro  accidenti  prendono  nomi  di-  ziòne.  Quando  all'  àzba    si  aggiunge 

^'^'^*''  ,  anche  la  naqza  ,  rimanendo    la  for- 

Qazma  Oyp'^X  (  alqazmo  )  Frat-  mola  di  mofàhilaton  a  mofhu'l ,  o%- 

tura.  Quando  anche  la  quinta    si    fa  sii  fahil  ;  cioè  un  giambo  coli' ulli- 

quicscentc  ,    riduccndosi    la    formola  ma  sillaba  piìi  che  lunga. 


62  DERITIS 

Kitsi'K  n^'opa  mm  o-idn  p  n>B'ì  46 

KnVvii  nxan;;Ni  xinns'  b^pì:  48 
nji_ND3  xnjD  p-iSd'?x  Nnn'Nj) 
dSnd  n)hn  -nsio^Nù  jjn  jni  49 

nnha  ^Sj  ;;inxS  n>'a  nin^ 
nSì'Sd  nnBa  n^'^k^hn*  cn  npi  5o 

.131^3  fn;;SN3  ina  ':'1nSxì3  5i 
ND£)  nSn  Sisna  pò  Nrrn'i<5i 
apbiip^  t]tinhìi  rra  x^  m^  naa  62 

V.  46.  El  di.ìscli/e  ly  "[^  Charma  Paxillum  eiàs  ,  franca  inflexicne  curti  Chabno  ,  seu 
Sinuationc  :  et  prmiani  rhadafasti  ,  idest  ,  litteram  mollem.  quiescenttm  ei  suhiunxisti  ;  et 
non  aUter.-y,  47.  Et  tam  initio  quam  in  m'odio,  die  ohlatiouem  TÌìythnii ,  citisque  puUa- 
twnem. ,  le]  et  ah  initio  sìt  Siirmo  vividus  ;  conceptibus  plenus  ,  seu  argutus  usque  ad 
rnjtnmum  ,  et  usqae  ad  consonantiam  eius  ,  et  sic  licebit  variatio  partium ,  et  diversifi- 
catio  cognomenti  earum.-Y.  4S.  Et  dictum  ast  initium ,  et  innixia ,  et  separatio  earum  , 
et  tertuinus  earum  proprius  ,  prout  conycnit  eis.  -  y.  49.  Et  si  Carmen  fuerit  intfgrum  , 
erit  utiqite  cxuberans  ,  liberami  sanum »  nudavi:  non  deponas  eiusmodi  documentuìn.  -  y.  5o. 
Et  cum  complctum  fuerit  omniòus  absolutum  mensuris  ,  suine    lUud  per  partes  eius  j  et 

y.  46.  TAsclrA]-|»nj«»J-)'^»i^(attasc'ito)  i  maestri  arabi,  come  saremo  pervede- 

Dissohizione.  Consiste  nel  togliere  dal  re  in  appresso.  Ci  siamo  ingegnali  darne 

palo  congiunto  una  delle  due  lettere  una  quasi  concord:inza  nella  versione, 
mosse.  (  V.  la  nota  al  f.  35  ).  Redfa         f.  48.    Fazla  Vì'sSn    (  alfazl»   ) 

è    1'  addizione    di    una    delle    lettere  distinzione.  È  il  nome  clic  dassi  alla 

molli  per  rendere  piii  chiara  una  mo-  formola  delf  aruza  aflfetta  esclusiva- 

zione  omogenea  (  V.  f.  5/  ).  —  Del  mente  dalle  altre  ,   quando   venga  af- 

risguardarsi  la   fascila  ,  la  recìfa  e  lo  fetta  da  élla. 

altre  licenze  annoverale  in  questo  ver-  Ghajata  ri'NJl7X  (algliajalo)  estre- 
mo, ora  come,  ^&iA ,  ora  come  semplici  mità.  È  il  nome  che  riceve  la  zarba 
zihnfe  ,  ragionano   in  varia   sentenza  nelle  stesse  condizioni. 


SI    E    T    R    I      A    R   A   B    I.  63 

Delle  allah  che  si  prendono  per  semplici  zlhafe. 

46  Se  mai  qualche  sillaha  si  tronchi,  si  sciolga 

Per  cliarnia  e  per  chahna ,  isniara  ,   c/atà  ; 
E  redfa  e  tascila  ;  l'hai  quasi  zihaj'e 
Comunque  per  regola  sarehbero  aliali. 

47  Se  varia  la  sadra,   1'  ani  za  ,   la  zarha 

Dal  tipo  di  regola ,  ed  anche  1'  ascvah  ; 
Ti  avresti  un  diietto  :  e  pur  se  costante 

Per  tutto  il  poema  si  replicherà  ; 
Sol  t'  hai  del  primiero  maestro  1'  ingegno 

Che  accorda  a  ogni  tipo  le  sue  varietà. 
Ma  quelle  soltanto ,  che  i  dotti  precetti 

Poncano  in  accordo ,  ti  avrai  facoltà. 

48  Le  fazle ,  le  g/iàjate  non  oltre  s' incontrino 

De'  siti  prescritti  :  e  sempre  sol  là 

49  Lo  zarhe  e  le  aruze  sieu  sane  od  intere 

O  /Lude  o  abbondanti  o  in  lor  libertà. 

50  Conserva  al  complesso  di  tutto  il  poema, 

5i       Conserva  alle  rime  la  lor  venustà  , 

62  E  scegli  a  proposito  V  éllàh ,  le  ziliafe  : 

Che  quel  eh'  è  difetto  si  cangia  in  beltà. 

Cognomìniini  ipsius  ;  et  nutu  ,  scu  facile  dirigetur.  -  y.  5l.  Et  praeciputim  est  mare ,  .seu 
]}Ocrrta  intfgrum ,  et  rhjthmus ,  et  co/icordantia  eius  ;  et  sì  finis  tìus  fuerit  littera  D  ,  sìcut 
et  litterani  T  sequelur  littera  C3  -  V-  52.  Et  elige  ex  eo  illud  in  quu  est  Prolapsus  ;  seu 
licentia  Poetica ,  et  integruntj  et  illud  ^  in  quo  est  sermo  vividus  et  argutus  ,  serva  illuda 
non  respuas  ipsum. 

y.  4g.   Quando    un    verso    non    lia  4.  Netto  n^JtD7N  (  almogiirado  ), 

quelle  variazioni  che  ricever  potieb-  se  immune  dalla  eli  zoia; 

be  (   o  dovrebbe   ),  dislinguesi  colle  5.  In'teko  fìS.VnSv  (aisdlcmo  ) ,  se 

denominazioni   di  non  all'ctlo  da  zìi i afa  ; 

1.  Sano  n'na*75<    (  azzabiho  ) ,  se  6.  Libero   *137X    (  albarijo  )  ,  se 
manca  di  élla  diminuenle  finale;  non  soygoUo  a  modqaba. 

2.  Nudo  nVD^X  (  al'noarrao  ),  se  IVel  lesto  si  annoverano  i  soli  nomi 
manca  di  éjta  aumentarne  finale;  1,  2,  3  e  5.  Ma  i  maestri  arabi  con- 

3.  AnBoNCA.vTE.  "n31,t3^X  (aluiavfu-     cordemente  vi  aggiungono  il  G,  ed  Al- 
io), se  immune  dalla  chaima;  Meflabi  il  /j. 

>'.  5i.  Y.  appresso  il  >[■  55. 


64 


DE      R   I   T   I   S 


nS  morijN  xs-in  x^n  nnn  54 

y.  55.  Et  consonantia  Matri  est  ultima  sjllaba  :  insuper  ex  iMera.  Vocali  mota,  ante 
duas  quiiscentes ,  usque  in  finem.  -  Hf.  5.;.  Complectitur  consonantiam  litterae  ,  quae  re- 
ferlur  ad  eam  ,  et  motionem  seu   Vocalem.  ei  debitam. 

y.  53.  Posle  le  condizioni  dell'  a-  III.  Se  le  lettere  mosse  frapposte 
raba  gramalica  ,  vide  Al-Chalil  che  fra  lo  due  quiescenti  son  due  ,  la  rima 
una  definizioue  Laslantemente  lucida  si  addimanda  conseguejjte 
si  darebbe  della  rima  col  dire:  con- 
sister   essa   nelle   due    ullime    lettere 


(  motadàrekon  ) ,  sdruccioi-a. 

IV.  Se   tre  ,    addensata   35{<"inj3 


quiescenti   di  un  verso ,  più   la  mo-     (  motaràkebon  )  ,  BtsDRUccioi-A  ; 


ziONE  alla  quale  la  penultima  di 
quelle  due  lettere  si  appoggia:  quan- 
to in  somma  da  quella  mozione  sino 
ed  compiersi  del  verso  si  rinviene. 

Una  lai  definizione  ,  che  il  nostro 
poeta  riproduco,  abbraccia  tutti  i  casi. 

1.  Se  le  due  quiescenti  ad  una  sola 
mozione  si  appoggiano  in  modo  che  for- 
mino di  c^ueWe  sillabe  più  che  lung?ie 
le  quali  abbiara  vedute  sorgere  dalla 
trasformazione  delle  formolo  primitive 
quando  sono  affette  da  qazra  ,  da 
vaqsa,  da  lashiga    e    da  edhàla  ,  al- 


V.  Se  quattro  ,  TunsiNATA  DÌX^HD 
(  motakàveson  ) ,  trisduucciola. 

E  da  notarsi  che  gli  arabi  il  loro 
accento  tonico  oltre  all'  antipenulti- 
ma sillaba  ,  come  i  nostri  antichi  , 
non  prolraggono  :  e  che  per  ciò  aver 
non  possono  ,  come'  noi  ,  versi  e  ri- 
me veramente  bisdrucciole  e  trisdruc- 
ciole. Ma  questa  classificazione  non 
trascurarono  per  formolo  terminanti 
in  anapesto  e  nel  quarto  peone^  ch'es- 
si chiamano  dirimente  minore  e  di- 
ri merite  maggiore  j  '")JQ  ri7l^XD  (  ^•*' 


lora     si    Ila  la  rima    detta    costiNUA  zclaton  sogra  ). 

f|~f{^"lj~|^  (motaràdefon),  cioèT.'ioscA;  y.   5^.    L'importanza    della    rima 

II.  Se  due  quiescenti  a  due  mozio-  araba    è   in  ciò    eh'  essi    denominano 

ni  si  appoggino  ,  ma  in  modo  elle  una  ♦ìlS}^    fl")n    (  barfa-'rràvi'  )    lettera 

sola  lettera  mossa  tra  loro  si  frappon-  della  rijna,  e  che  noi  diremo  ravia; 

ga,  la  rima  dicesi  alternata  ")JlXinD  ^^  ^  quella  la  quale  ,  ricorrendo  sem- 

(  motavaieron  )  ,  cioè  piana  ;  pre    e    necessariamente    alla   fine   di 


M    10   T    R    I       ARABI.  65 

L,e  rime  e  le  dissonanze' 

55  È  rima  del  verso  la  sillaba  estrema 

Dal   jnolo  spiccante  clie  innanzi   lo   va  : 
E  mo'o  spiccante  la   voce  dirai 

Clic   d'una   o  più  lettere  l'appòggio  si  avrà. 

5-4  E  anch''  essa   la  lettera  che   il  verso  conchiudc , 

Che   lega  il  poema ,    ravìa  si  dirà  : 
La   qiial  (  col  suo  moto  ,  che  magra  si  noma  ; 

La  sua  paragoge  ;  e  quanto  mai  v'  ha 
Finché   non   raggiugni  quel  moto  spiccante  ) 

Fa  rima  perfetta  se  unisona  andrà. 
Ma  pur  dall'  unisono  trabalza  all'  analogo 

La  rima  in   sua   docile  flessibilità. 
Perciò  le  sue  fasi  ,   le  parti   diverse 

Distingui  ,  ed  impara  le  sue  varietà. 

ciascun  verso    del    poema  ,    ne  forma  di  ciascun  verso    della  canlilena    che 

quasi  il  legame  e  gli  du  il  nome.  De-  il  beato  Agostino  compose  per   la  sua 

riva  la  parola  dalla  radice  1^    (  ra-  plebe  d'Ippona.  E  S.  Bonifacio  vescovo 

va  )  strinse  j  legò;  e  J^ì"!  (  rcvion   )  di  ÌNIagonza  ne    fa    espressa   menzione 

dicesi  la  fune  colla  quale  si  stringono  nella  sua  £p.  65.   Tertium  Carmen  , 

ed  afTardcllano  i  fasci.  non  pedum  mensura  elahoratum ,  sed 

Si   considera  la  ravìa  come  1'  ulti-  octonis  syllaùis  in  tino  quolibel  verste 

ma  lettera    quicscenle    di   un    verso,  cotnpositis,  l'n.i  eademque  literj, 

ma  sol  nitricamente  ,  perciocché  può  comparibus  iinearutn  tramitiljiis  apta- 

non  solo   avere   \ì   sua   mozione;  ma  ta,cursu  calamo  perarante  exaratum, 

bcnaache  venir  seguila  da  altre   Ict-  tilii ,  sagacissime    sator  ,  trasmiltens 

tere  ;   le  quali    però    van    risguardalc  dicati.  I  versi  son  questi: 
come   paragogiche  ,  e  non  entrano  in  Pro  me  qiiaero  oramina , 

computo  nella  misura.  Precum  pandel  praecipua ,  ec. 

Lettera  della  rima  ,  e  precisamente  Fioriva    S.  Bonifacio    ne'  primi    anni 

ultima  è    la  R    che  ricorre    alla    fine  del  secolo  VII. 

Tom.  III.  Q 


66  D    E      R   I   T   I   S 


NOa  W"ip  JNS 


marDi  XpN'Vxi  ìXSSnVx  N*-ì5  tint  55 


pno  SdSxi  tiN'ii'xSNi  nrjijNVx 


Quod  si  annectantur  cum  quo  -  yf.  55.  Adiungitur  ;  hoc  erti  satielas  ,  et  roboratio  :  et 
post  ipsam  ,  seu  minus  perfecta ,  ast  Permissio  ,  et  aptatio  similiter  cadentis  ,  et  omnia 
bene  procedunt. 


Secondo    le    varie   lettere  che  pre-  y.  55.    Qui    trattasi    della    discre- 

cedono  o  seguono  la  ravia  ,    la  rima  panza  della  mozione  della  ravia  sciol- 

araba  acquista  denominazioni  diverse,  ia,  e  della  stessa  ravia.  Ma  ciò  che  qui 

che   il  nostro    poeta   va    di   mano   in  si  va  ragionando  è  applicabile  a  tutlu 

mano  specificando.  le    mozioni    a  tutte    le    lettere    della 

Secondo  che  la  ravia  è  quiescente  rima, 

o  mossa,  dicesi  legata  rn*pD  (  ™°"  La  quale  dee  riputarsi  perfetta    se 

qajàdaton)  o  sciolt.^.  HD/DD  (  "lo^b-  1'  identica  lettera,  l'identica  mozione 

Idqalon  ).    La   mozione   della    ravia  si  riproduce;  ma  cangiandosi  F  una  o 

prende  il  nome  speciale  di  nHJlO^N  ^'  ^^'^''''  '  '^  difetto  è  piii  o  meno  bia- 

(  almag'ra  ).,  che  diremo  mag'ra.  simevole. 

Le   lettere   the    seguir    possouo    la  Per  ciò    che    riguarda    le    mozioni 

ravia    diconsi    vazla  ,    chorugia  :    e  arabe  _,  la  fata  ,  ossia  1'  a  ,  non  soffre 

quelle  che  la  precedono,  rei^,  tosjV(,  per  la  chiarezza  della    sua  prolazione 

dachila.  Anche  le  mozioni  acquistano  che    venga  da  altra  soitituila  ;  ma  la 

nomi  speciali.  E  nomi  speciali  hanno  zanima  e  la  kesra,  vale  a  dire  la  u 

i  vari  difetti   che    dalla  piìi    o  meno  e  la  i  ,    per    la    debolezza    della    lor 

esatta  loro  riproduzione  derivano.  voce  si  scambian  di  leggieri  tra  loro. 

La  varia  nomenclatura  di  tutti  que-  E  lo  stciso  è  da  dirsi  delle  lettere  loro 

sti  tasi    forma   l'ultimo  stadio    della  omogenee  }^,  ")  ed  1. 

Beozia  che  andiam  discorrendo.  Or  variandosi   la  nvig'ra  ,  ovvero 


METRI      ARABI. 


67 


55  Variar  può  le  mag're  ,  variar  le  ravie 
Senz'  ombra  di  fallo  1'  eqvàa  ,  V  ecjfà  : 
Ma  il  fallo  già  mostrasi ,  appar  già  il  deforme 
Se  igiaza,  se  izrafa  spostarle  vorrà. 


sia  la  mozione  della  ravia^  se  il  can- 
giamento è  nell'  alternarsi  or  la  zam- 
ma  or  la  kesra ,  ciò  è  tanto  usuale  che 
quasi  non  si  reputa  difetto  ,  e  dicesi 
eqva'a  X1p5<7N  (  alcqvào  ).  Ma  se 
coli' una  delle  due  alternasse  con  la 
fata  ,  il  difetto  è  notabilissimo  e  prende 
il  nome  d' izeaia  fIXTixSx  (  alez- 
ràfo). 

Del  pari.  L'omiofonia  di  alcune  let- 
tere fa  che  gli  arabi  poco  scrupolo 
prendano  a  permutarle  nelle  loro  rime. 
Se  l'omiofonia  è  vicinissima,  tal  li- 
cenza dicesi  EKrAA{i(33J^Sj^(alekfao): 
se  riraota  ,  prende  il  nojuc  d'  igiaza 
nfWX/K  (  alcgiàzato  )  :  clic  scrivevi 
anche  per  ^  invece  di  f,  n"lN*JlxS}<- 

I  maestri  arabi  reputano  come  aiH- 
ni  le  lettere  ScdQiyeJ:  QeJ: 
J  e  7;  reputanti  poi  discordanti  ♦  e  H: 
Q  e  7;  ce.  Queste  omiofonic  son  dis- 


poste il  più  che  abbiam  saputo  me- 
todicamente nella  Spiegazione  delle 
tavole. 

Qui  giovi  osservare  che  appo  gli 
Arabi,  come  appo  tutti  i  popoli,  es- 
sendo le  lettere  destinate  al  doppio 
uffizio  di  esser  pronunziate  spiccata- 
mente al  principio  della  sillaba  o  alla 
fine  di  una  parola  ,  o  piìi  o  meno 
oscuramente  quando  alla  mozione  o 
vocale  precedente  si  appoggiano  e 
formano  ciò  che  dir  potremmo  un 
dittongo  di  consonanti  colla  lettera 
che  segue  ;  in  questo  secondo  caso 
anche  le  non  affini  non  vengono  a  for- 
mare notabile  disaccordo.  Cosi ,  come 
sarera  per  vedere  ,  indifferentemente 
si  pongono  in  rima  le  non  affini  quando 
all'  uffizio  adempiono  della  redfa  o 
della  tasisa.  V.  Caniii,bna. 


68  '  DERITIS 

iHùìha  xm  wS  NrrD  t6)iMì  56 


y.  56.  iV  adiuncla  j  quae  est  littera  ìenis  ,  et  7\  personale  j  et  finis  ,  habens  ìitteran 
mottem  post  ìitteram  lihjthmi ,  consonantiam  facit. 


y.  56.  Pahagogiche  della  rima  ara-  quando  adempiono  alle  funzioni  della 
ba  van  considerale  le  cinque  lettere  Icssigrafia  ,  ma  anche  quando  loiscro 
a  >  1  >  'j  1»  11-  ^^  quali,  legandosi  radicali,  purcLè  quiescenti, 
alla  mozione  della  ravia,  e  rimanendo  Eie  slesse  cousiderazioui  quadra- 
quiescenti,  prendono  il  nome  di  v.vzla  no  per  j-j  come  affisso  o  segno  del  ge- 
7y^'^}{  (  alvazlo).  nere  l'cminino  ,  e  per    la  nunnazione 

E  da  notarsi  dapprima  che  1'  ulti-  de'  nomi    o    il    naii    paragogico    lieve 

ma  sillaba  di  qualunque  verso  arabo  ne' futuri. 

vuol  considerarsi  come  lunga.  E  per-  Per  le  quali  riflessioni  egli  è  chiaro 
ciò  ,  nel  caso  della  ravia  mossa  ,  le  come  le  vazle  semplici  ,  a  lutto  ri- 
tre  lettere  molli  Xj  1j  'i  riputar  si  gore,  nemmeno  considerar  si  dovrcb- 
deggiono  virtualmente  esistenti  anche  bero  come  paragogiche ,  formando  di- 
quando per  ragion  gramalicàlc  non  versila  più  ortografiche  che  Ibniclre. 
a]'parissero  nella  scrittura.  Quindi  è  Ma  la  [7  può  esser  mossa  ,  e  la  mo- 
cliiaro  che  computar  non  si  deggiono  zione  picndc  allora  il  nome  di  NErA'uA 
come  parte  integrale  de'  versi  non  solo  nX3J?Ji  (  atinafa'do  ).  In  tal  caso  può 


METRIARABI.  69 

56  Se  mai  paragoge  si  avrà   la   ravia 

Concorde  uniforme  discorrer  dovrà. 
Dirai  paragogiche  le  lettere  lievi  : 

Sòn  cinque ,   cui  nome  di  vazla  si   dà  : 
Stau  ferme  ;  nafàda  la  He  sol  può  muovere  ; 
V  è  allora  la  chorugia  che  in  ultimo  sta. 


darsi  luogo  ad  una  seconda  letLcra  pa-  vocabolo  generale    vazlat.i    j~|'7V;{'12 

ragogica  alla  ravia,  e  diccsi  chorc'gia  {  mauzi'daton  )   sia   colla    c/iortigia  , 

J137X  {  n/c/iori'/^/n  ).  È  chiaro  che  le  sia  senza. 

sole  lelterc  della  chorugia  esser  pos-  È  da  notarsi  in  oltre  che  1'  aculis- 
sono  le  tre  molli  ^,  •)  ,  ♦.  simo  Al-Akfaso  due  altre  lettere  para- 
In  <|uesto  caso  dir  si  potrebbe  che  gngiche  alla  ravia  va  notando  pe'casi 
v' abbia  vera  paragoge.  Pure  la  sillaba  della  quafia  legata.  La  prima,  detta 
che  n'emerge  è  piìi  che  bicve,etale  alg.v'li  'VnJI'?}*  •  ed  e  spesso  la  -j, 
che  slunia  nella  proflcrcnza;  e  non  solo  talvolta  la  ^  o  »,  come  in")i1TO7X 
alla  fine  del  verso  e  nelle  cesure  ,  ove  i  (  almohtaraqin  )  per  p"innO'?X  (  ^'" 
metrici  più  rigorosi  non  mirarono  tati-  mohtaraq  ).  L'altra,  detta  nrn**'Sx 
lo  fìnamcnic,  ma  nel  corso  stesso  del  almota'ddi  ,  è  la  ^  o  la  »  apposta 
procedimculo  ritmico  non  entra  in  alla  vazla  p^  ch'esser  dovrebbe  cpii- 
niisura.  Cosi  la  e  muta  ne' versi  inglesi  escente  ,  e  straordinariamente  vieii 
va  riputata  come  inesi,tcnte.  mossa  :  la  mozione  allora  chiamasi 
La  rafia  colla  paragoge  dicesi  con  attaa'pbi  '>'^'^^^- 


70 


DE      R   I   T   I   S 


'ìDxS  'TiS»  h^p  ]hhii  «rnrr  nstii  67 


y.  57.  jE'  adiecHo  Utterae  mollis  ante  Utteram  Shythmi,  non  alia  nisi  litterae   ^  cum 
ambahus  sciUcet  t  et  "*  ^  et  motionem ,  sume  eiistud. 


Sf.  57.  Redfa  tfX^H  (  arredfo  ). 
)>  È  la  quarta  leuc-ra  spettante  alla 
cafìa  ,  dice  il  Clerico  ,  una  riempe  ex 
literis  quiescentihus  vy^  ravviyam  im- 
mediate praecedens  ».  Non  pare  che 
dar  si  deggia  alla  parola  redfa  un 
significato  cosi  ristretto.  Leggesi  nel 
Chamus  :     f|in  '^)}th^   '3    f^TìSN* 

Sap  yfl'  f'SSxi  n!:Sx  r)"nn  fa  p^D 

'IJ»  NOnj'3  D'S  n'^N  q-in-Valea  dire: 
y4rredfh  ,  ile  versi  ,  è  una  quiescente 
fra  le  lettere  di  allungamento  e  le 
leggiere  ,  la  qual  cada  prima  della 
lettera  del  ritmo  (  della  ravia  )  ;  in 
modo  che  nulla  siavi  tramezzo  al- 
l' una  ed  all'  altra. 

Or  la  ravia ,  come  abbiara  veduto 
y.  54  e  55  j  può  esser  quiescente  o 
fnossa  ,  il  che  rende  la  qafia  legata 
o  sciolta-  Se  è  legata,  allora,  ed  al- 


lora soltanto',  la  redfa  non  potrà  es- 
sere se  non  una  delle  tre  suddette  let- 
tere molli  ♦IX'  ^^^  quanto  è  sciolta  , 
divien  redfa  qualunque  lettera  quie- 
scente che  immediatamente  preceda  la 
ravia  ,  e  la  ravia  stessa  caricata  del 
tesc'did. 

K^el  primo  caso ,  la  rima  è  sempre 
tronca  ,  continua;  nel  secondo  è  sem- 
pre piana  ,  alternata  ,  non  dovendosi 
tener  computo  delle  paragogiche  le 
quali  vanno  in  arabo  fuse  in  una  sola 
sillaba  ,  come  appo  noi  gloria  ,  sto- 
ria ,  ec.  quando  si  considerano  come 
semplici  bisillabi. 

Secondochè  siavi  o  non  siavi  in  una 
rima  la  redfa  ,  di  cesi  nuda  m"lJlO 
{  mogiarràdaton  )  o  kedfaia  nfl*1")0 
(  moraddàfaton  ).  11  che  dà  luogo  alla 
seguente  classificazione  ; 


METRI      ARABI. 


71 


57  È  ben  se  redfala  farai  la  rcwia. 

Ma  assai  più  robusta  la  rima  si  avrà  , 
Se  redfa  farai  la  lettera  molle 

Che  al  moto  vocale  più  forza  dar  sa. 
E  allor  di  lavgìa  non  serba  più  il  nome 
La  voce  movente,  e  un'  hadva  sarà. 


I.  Qafia  LCGATA. 

1.  Nuda,  come  '^fjjj  (manzil),  e 
come  tutte  le  rime  di  questa  Qazida . 

2.  Recìfala,  come  ^■p,  ^'p  ,  Sxp 
(  qa'l,   qi'l,  qo'l). 


y 


^' 


II.  Qafia  sciolta. 
a  )  colla  sola  vazla  : 

1.  Nuda  ,  come  «StiD  ;  h^  ' 
'SU!3  ■  r>*7W!D  (  manzila'  ,  manzilo' 
malizili'  ,  manzilat  ) 

■2.  Redfala  ,  come  XnXOj;.  nUOÌff 
HNDy  .  mìiOì^  (  ;"na'dot,  àraa-di", 
àma'do'  ,  àma'da'  )  ;  e  come  J{DS3' 
apn •  Xpir;;  (chalqa,  haqqa,  àscqa ) 
nel  modo  che  saremo  per  vedere  ia 
appresso j  V.  Cantilena. 


ò  )  Colla  vazla  e  la  chorugia  ■ 

i.  Nuda,  come  xnSnaonSti:, 

*n7ÌM  (manziliha',  manziloho' ,  man- 
ziiohi'  ). 

2.Redfata,  come  Xn-lX0;;.Nn"n!2y, 
Nm*OV  (  àmi'doha'  ,  àmo'doha'  , 
àma'dolia'  ) ,  e  cosi  per  gli  altri  a/fissi. 

La  moziouc  die  precede  ia  redfa 
prende  il  nome  di  iiadVa  '^^7^? 
(  alhadvo  ). 

Da'quali  esempi  appare  che  le  mvìe 
legate  corrispondono  alle  nostre  rime 
tronche  ;  e  che  le  ravie  sciolte  ,  se 
son  nude,  dir  si  possono  corrispondenti 
alle  rime  tronche  del  pari  che,  alle 
sdrucciole  ;  ma  se  rcdlale ,  son  sempre 
rime  piane. 


72 


DE      R   I   T   I   S 


'rha  fifhan^  mrhi^  xD'DNfiì  58 


y".  58.   £t  ba^im  quoque  stime  ,  nempe  Itlterar,  rit<V  et  iertia  ab  ipsis  est  liltera  rhy  thmi , 

y.  58.  La  T.vsisa  D'DXnbX    (   "'"  indendiamo    anche    la   bisdrucciola   e 

ta'si'so  ).  «   E  r  «/{/'quicsccnie  quan-  la  liisdiuccìola ,  vale  a  dire  tanto  la 

Il  do  tra  essa  e   la  lettera    del  ritmo  conseqiienie  che  l'addensata  e  la  titr- 

>i  sì  frappone    una    sola    lettera  ».  Il  binata. 

Clerico  nota  che   preceder    dcggia  In  Vero    è    che    1'  autore  del  Chamus 

cadeni  dictione  :  perchè  ,   soggiugne  ,  cosi  si  esprime  riguardc  alla  Tasisa  : 

si  in  una  dictione  fueril ,  J{  in  alia  La    tasisa    neUa    qafia    è    queW  alif 

vero    (    qitae   non  fuerit   praenomen  fra  la  quale  e    la  ravia    s'  interpone 

affixum  vel  par  pracnominis  )  Rawi-  una  sola  lettera  ;  come  in  questo  verso 

ya,  ^illud  Tasisa  non  est  habendum,  di  A.nnabega  Sìbario: 
ìiec  loti  poemati  necessarium  ,  quod 

in    Tasisa  requiritur.  2':fN'ÌD  H'OK  X»  ÙilD  TI^Sì 

Ed  anche    qui  osserveremo    che  la  33X1D7N  'D3  ÌTDXpN  TXÌ 

Tasisa  vuol  considerarsi  come  la  Ict-  che  si  legge  : 

tera  quiescente  la  quale  dà  forza  alla  koljati  hihammin 

mozione  o    sia  alla   prima  vocale    di  ja  ommijalo  hina'zibi 

una  rima  sdrucciola  nel  modo  stesso  valajlon  aqa' sijjahon 

che  il  fa   la  Redfa   alla    rima  piana.  biiajji-'lkava'kiòi  (*) 
E  sotto  il  nome    di  rima  sdrucciola  , 


(*)  Questo  verso  appartiene  al  Carme  lungo 
f^adbato  y  e  potrebbe  tradursi  verbum  verbo. 
Renes  mei  cum  dolore  ,  Ommia ,  lassati 
sunt  :  et  nox  est  dura  cura  obscuratione 
sfellarum.  E  metricamente  : 


Stanchezza,  Ommìa,    m'assale: 

le  reni  mi  dolgono 
Dura  è  la  notte  ,  e  gli  astri 

nel  buio  s'avvolgono 


METB.I      ARABI. 


73 


58  È  ben  se  iasìsa  la  sillaba  aflfbrzi 
Che  della  ravia  compagna  si  fa. 
E  all'  aiif  ricorri  se  piena  se  splendida 
Vorrai  quella  sillaba  \  che  mossa  per  a 

69  Divicn  della  rima  la  base  primiera  , 

Cui  nome  a  buon  dritto  di  rassa  si  dà. 

ex  dicUone ,  vd  ullima  pronominalis  ,  quae  jìffixa   sequatur  -  \.  Sg.  El  Fathhum  prae- 
ceiìcns  est  Rosso. 


II.  Qafia  sciolta. 


Ma  pare  che  ad  esempio  questo  verso 
si  produca  come  uno  de'  vari  casi 
della  Tasisa,  non  come  caso  esclusivo. 

La  ravia  diccsi  in  tal  modo  tasi-  a  )  Colla  soia  vazìa,  come  fT^i^Xl^! 
SATv  rÌDDIO  (  movassasaton  );  ed  in-  »-JO|<j;  ll^N;?  ,  N"I0X)7  (  àmidoh  , 
contra  questi  casi  :  à'midi'  ,  a  mido'  ,  a'mida'  ).] 


I.  Qafia  legata. 

Come  TtSSSX'  "IpnSX  (aftaqar, 
alchatar  ),  V.  CAKMr.  lunoo. 

Fa  sorpresa  the  il  diligcnlissimo 
Clerico  produca  per  unico  esempio  di 
questa  rima  "IQXV  (  ■'  '"id  )  ,  p.Trola 
che  alla  rima  legala  rcdl'ala  piultoslo 
che  alla  tasisata  si  appartiene. 

Tom.  III. 


h  )    Colla    vazla    e   la    chonigia  , 

come  Nrnox;romoNy.  ♦mOkH^*; 

(  à'midohi' ,  à'midoho',  à'midoha'  ). 

y.  59.  Quando  1'  ali/'  fa  le  funzioni 
di  tasisa  ,  la  mozione  che  la  precede 
prende  il  nome  di  bassa  D"ì*7}{  (  ar- 
rasso  ). 

10 


74 


DE      n    I   T   I   s 

nn;>x  "ijnd  |ds  Jn3dn'3  man 


isnainì  inm  D'DNnm  Nnn  Go 


SeQuetìs  est  Dachìlo  ,  scu  iiilrOTiiUsa  :  move  funi  eatn  l'jcali  producta  :  qui  ergo  diversi' 
jìcat  penultimam  errai.  -  y.  Go.  In  hvc  et  in  basi  ,  et  ccrrespondentia  ,  et  penultima  eorum  : 
et  motionis  eius  diversità!  ,  ut  jnmx  (  iliadi  ]  ,  et  yi  (dà),  et  J,'T  (  dò  )  vulgata  est. 


Daciiìla  7'3~17}{  (  adJacliilo  )  i 
il  nome  che  dassi  ad  una  IcUcia  mossa 
tra  la  r-avia  e  la  tasisa;  la  sua  vocale 
o  mozione  dicesì  isc'baa  VX3JJ'X7N 
(  alesc'ba'ò  ).  Formando  la  dachila 
colla  sua  mozione  una  sillaba  breve, 
è  chiaro  che  una  sola  rinvenir  se  ne 
dee  nelle  rime  sdrucciole  ,  due  nelle 
bisdrucciole,  tre  nelle  trisdrucciole. - 
Assai  di  rado  le  lettere  corrono  uni- 
formi in  questa  sede.  11  che  i  nostri 
anche  talora  si  permisero  ,  come  il 
Burchiello^  a  cagion  d'esempio,  ne' suoi 
sonetti.  Ma  la  mozione  vuol  esser  co- 
stante. 

y.  60.  1  cinque  difetti  che  qui  si 
enunciano  non  hanno  nome  speci  de, 


e  vcngon  designali  col  nome  geucrico 
di  sen.v'da  1J<307X  (  assemido  )  clic 
poi  distinguesi  in  seiiùda  della  redj'a  , 
della  tasisa,  dell' esc  bàa,  della  hadva, 
della  tavgia.  Le  quali  così  dal  Clerico 
si  vanno  enumerando  : 

j)  Senada  DELL.A  nEDFA  ,  ù  niullerc 
1)  in  consonanza  la  qafia  redfata  colla 
I)  non  redlataj  come  2'3n  ('''''^'''^°") 
»   con  2DnO  (  mohibbou  ). 

)i  Senada  uella  tasisa,  ò  unire  la 
>i  qafia  tasisata  colla  non  lasisata  ,  co- 
>i  me  7fX30  (  mana'zilon  )  con  771^ 
11  (  manzilon  )• 

n   Se.nada  dell'  esc'eaa  ,  è  niellere 

«  in  rima  ^JJXD  *=  Sd^DH  ('"''^'<="- 
dosi    cioè    h    J3   nella  prima   parola 


METRIARABI.  «5 

E  ben  die  uniforme  pur  sia  la  dachila 
Scbben  co'  scambietti  grande  abbia  amistà. 

Pur  quella  ond' è  mossa,  e   ch'e'sc'iaa  dirai. 
Nemica  è  a  qualunque  volubilità. 

Go  Uésc'baà,   la  tasisa ,  la  hadva  ,  la  reclfa , 
La  tavgia  chi  varia  la  rima  disfa. 


per  kesra   e  nella  seconda  y«//i(7  )  E  »  Sevad.v  della  tavoia,  cioè  muo- 

soggiugne  :  sive  soluta  fuerit    Icafìa .  vere  diversamente  la  ^  in  «in  (lia- 

sive  libata.  Ma  se  la  qnfia  è  legata  ,  ram ,  harim ,  harum  ) ,  soggiugnendo: 

la  mozione  delia  Q  non  è  una  esc'iia,  Hoc  alii  villo  non  vertunt ,   oh  fre- 

m\  una  tavgia.  Bimane  perciò  i[uesta  quentem    eius    apud  poetas    unum  ; 

senmla  applicabile  al  solo  caso  della  alii  tanquam  ekwaam  ducimi ,  qiiod 

qajla  sciolta  ,   cioè  di  kàinilo  con  //-  vocalis  ante  quiescenlem  perinde   sii 

kamalo  ,  giusta  l'esempio    prodotto,  ac  si  super  ea/n  esset. 

e    ''i  SnmO    (    mòrlahilo   )    ^^"ijH  Dir  bisogna.  Considerar  si  vogliono 

(  iirragiolo  )  ,  come  sarem  per  vedere  i  diletti  di  tutte  le  lettere  e  di  tutte 

ragionando  del  Caume  svaso.  le  mozioni    che  compongono    la  rima 

"  Sen'ada   dell'  iiADVA  ,  conie    far  araba  nelle  condizioni  di  sopra  espo- 

n   limare  yi  (  dain  _)  e  ^»^  (  di'n  )  ,  ste  al  if.  55:  nel  doppio  riguardo  cioè 

"  "  7^p  (  quaol  )  e  ^'\p  (  qo"l  )  dopo  dell'importanza  del  sito  che  occupano, 

>•  del   fulha.   -   n    Ed    anche    ([ui  gli  e  della  più  o  meno  prossima  omiofo- 

cscinpi  sembrano  mal  posti.  Come  an-  nia  con  quelle  con  cui  si  mettono  in 

Cora  nclr  ultima.  consonanza  o  assonanza. 


176  D    E       R    I    T    I    S 

mxjD  dh^Sn  iVnxVx  S^^nooi  61 
♦B'nS'  pv  avjSx  ah  Nn'?K  ^n 

Nnno  arhìi)  ì'SSnì  Nnp^^oai  62 

NonjDDK  xon2-nkX  NDmija  63 
nnn'3  jìiSSn  \s'v  ip  SixSni 

Nn  ì'm  xin  pj3dSj«i  q-Tni  64 
NnriDN  NiSyìD  n^in  doB  jn  xo3 

NDINOn  f^JK  DDNI  -|1Nm  inNis  65 

Nni  a-h  'U":>  jniSx  Nnr::yni 
Nijn-n  iXDi'?  Nto'xSx  xmnjm  66 

m  hn  ^yiba  ■>■:  innrhn  nSna  Spi 

y.  6it  £i  complamentuììi  partium  est  si  absit  huiusmodi  diversitas  :  et  electio  ipsarum  , 
ium  liberatio  consonantiae  a  corruptela  j  audeatur  et  timeatuT'  y.  62.  Et  Ubere  procedant 
cum  levitate  ,  seu  mollibus  litter'ts  et  7\ ,  et  sex  sani  ^  et  perjingent  novem-y  si  applicentur 
consonantiae  coUigatae  -  y .  G3.  Fac  igitur  clara  sit  utraque  consonaìitia ,  praepone  eis 
immediate  litteras  molles  quiescentes ,  appone  eis  bases  ,  et  primuni  ex  his  tribus  exigitur 
necessario  ad  rhythmi  exitum  -  yf,  64.  Et  quando  ante  liiteram  rhythmi  duae  sunt  im- 
mediate quiescentes  y  et  in  his  minus  quam  quinque  moventur  ^  etiam  si  sequentis  adiun- 

y.  61.  Leggesi  nel  Cliamus  :  3^fJ^J<  versi  s'inculca.  Nella  versione  abbiam 

n'SJ<p*75<    D*7Dn    ìa    'SX1P7N     '3  creduto  dovere  esporre  il  precello  in 

"1ND3'?N    IO    -^'^  NAZB-v  (  anuazbo  )  modo  generico.  Ma  nel  tcslo  si  ram- 

nelle  rime  si  ha  quando  sieno  affatto  mentano    i    casi    della    raiia    nuda  , 

scevre  di  corruttela  e  di  barbarie.  Un  redfala  e  tasisala ,  tanto  nel  caso  della 

tal  pregio  è  quello  che  qui  si  racco-  qafia  legala  ,  quanto  in    quelli  della 

manda.  qafia  sciolta  colla  sola  vazla   o  della 

Sf.  62  a  64.  E  1'  esaltezza   di  tulle  qafia  sciolta    con    vazla    e   chorugia  : 

le  parti  della  rima  araba  tanlo  nelle  del  che  abbiam  dello  abbastanza  nelle 

raozioili   che    nelle    lettere    in  questi  noie  precedenti. 


M  E  T  R  I     A  n   A   B  r.  77 

61  È  ben  se  de' limiti,   che  ancor  tu  potresti 

Varcar  senza  biasimo ,  ti  attieni  al  di  qua  : 

1)2  E  sempre   in  accordo   di  bella  eleganza  , 
E  sempre  in   sua  schietta  legittimità , 

63  Non  sol  la  rauia  ,  ma  tutto  il  corteggio 

(  Dall'  umil  goììiha   che   in   ultimo  sta 

64  Al  moto  spiccante  che  altero  precede  ) 

Per  tutto  il  poema    serbar    si  vedrà. 

65  E  ben  lìnalmente  che    tutta   una   frase 

Conchiuda  de'  versi   ciascuna   metà. 

66  La    stessa    parola    che   replichi    è   itàa. 

Se  il   senso  uè  varii ,  uou    falli  :  è    beltà. 
Ma  s'  è  la  medesima  per  senso  e  per  suono  ; 
Comunque  la  scosti,  bruttezza  sarà. 

67  E  in  nomi  generici  ,   r[ualunque    difetto 

D'  eqhado  o  tarida  il  nome  si  avrà. 
Eqliado  ,  è  1'  aruza  che  il  ritmo  mal  pone  : 
Tarida  è  la  zarha  u'  il  fallo  avverrà. 

^as  initium-  y.  65.  Et  impUcatio  signijlcatìonis  sensus  eius  quod profcrtur  in  priori  versu 
cum  altero  versu  -  'y.  G6.  J^t  replicatio  eius  in prolatione  tantum  accommoda  est ,  superexce- 
tiens  autem  si  replicatio  sit  in  sifpiijlcatiune  :  et  repulerunt  defurmitalent  eius  quandocumquc 
accurrerit  ~  y.  67.  Et  defectus  accidens  circa  perfectìonem  oblationis  rhythmi  dicitur  Clau~ 
dicatio  j  et  similiter  defectus  accidens  in  pulsatione  dicatur  J)ìstortio.  j 

y.  65.  V.  appresso  Carme  lungo.  (  filli  )  del/a  sua  iacea  o  in  esso,  ec. 

ir.  66.  V  It.v.v  XD'nSx  {  ali'a'o  )  f.  67.  L'Eqada  nXÌ'pN'?X  (  '■'In- 
forma un  difeUo  se  la  stessa  parola  qàdo  )  ,  variare  cioè  l' aruza  non  è 
si  ripete  nello  stesso  significato  ;  ma  infrequente  ne'  versi  arabi  ;  ma  la 
replicandosi  in  senso  diverso  è  una  TAnniD.*.  ^♦"^^^7X  (  ^l'<iri'do  )  è  un 
squisitezza  dell'  arte  :  come  ,  a  cagion  difetto  assai  notevole  nella  zarba  : 
d'esempio  7JI7X  (  arragiolo  )  in  si-  non  tanto  allorché  le  lettere  o  le  mo- 
gnificato  di  u/i  tale  uomo ,  o  di  per-  zioni  uou  fossero  identiche  ,  ne'  casi 
sona  d'  animo  virile;  2m  (dahaba)  di  sopra  ragionati  ;  ma  molto  più 
fl/irfò,  ovvero  oro,  nome  nazbalo  ;  pi'3  quando  il  metro  venisse  a  variarsi- 


yS  BERITIS 

Qual  costrutto  trarremo  da  tutta  questa  Beozia  ? 

Se  r  esame  che  or  ci  occupa  non  mirasse  ad  altro 
scopo  che  a  crescere  quell'  italico  torpore  che  sol  di 
avite  rimembranze  pavoneggiandosi  vuol  trarre  misero 
vanto  da  un  tempo  che  fu;  voi,  Accademici,  mi  avre- 
ste sin  da  principio  soflfocata  la  parola  su  i  labbri  : 
che  delle  avite  glorie  da  voi  si  rammentano  i  fasti 
ad  esempio  soltanto,  ad  emulazione,  e  soventemente  a 
rimprovero  dei  degeneri  nepoti. 

Ma  col  nobilissimo  scopo   questo    esame   si  armo- 
nizza di  trovar  nitido  onde  rintracciar  nel   passato  re- 
gole di  prudenza  per    1'  avvenire  ,  come  nelle  investi- 
gazioni di  tutte  le  lontane  cose  per  estensione  o  durata  : 
e,  limitatamente  all' obbietto  che  or  ci  occupa,  di  coor- 
dinare colle    bisogne  della  cresciuta  civiltà  ,  co'  legami 
che  vievia  sempreppiù  si  stringono  tra  le  varie  umane 
razze,  riunite  già  presso  che  tutte  in  un  sistema  univer- 
sale di  commercio  e  di  relozioni  scambievoli,  i  vantaggi 
iiatii  della  patria  favella,  portentosa  lìn  da'suoi  primi  va- 
lgiti ,  ma  di  que'  bambolini  portenti   forse  di  soverchio 
invanita. 

Le  umane  loquele  nel  doppio  subii m issi mo  scopo,  e 
di  esterna  comunicazione  scambievole  de'  nostri  pensieri 
e  de'  nostri  affetti,  e  come  strumenti  della  vievia  perfet- 
tibile espansione  dc'pensieri  e  degli  affetti  nostri  quando 
ragioniam  con  noi  stessi,  non  fan  1' obbietto  dell'attuale 
argomento  :  della  musica  del  linguaggio  or  si  tratta  sol- 


MBTB.IARABI.  79 

tanto.  Ma  forse  non  a  torto  la  più  gentile  dello  antiche 
nazioni  fece  delle  muse  e  delle  sirene  le  iusegnatrici  di 
ogni  umana  civiltà.  Alla  legge  delle  gradevoli  sensazioni 
coordinò  l'Eterno  la  legge  dei  doveri:  e  la  bontà  e  la 
bellezza  ,  colle  idee  di  virtù  si  confondono  all'  energia 
di  loro  efficacia  sublimate. 

Se  documenti  storici  sonnninistrar  ci  potessero  la 
probabilità  de'  fatti  ,  grato  spettacolo  or  ci  offrireb- 
bero le  arabe  dive  dell'  armonia  che  a  ridestar  ven- 
gono a  novello  vigore  le  illanguidite  suore  dell'  occi- 
dente ,  che  di  nuovi  modi  lor  si  fanno  iusegnatrici ,  e 
di  novella  disciplina  maestre  nella  nuisica  del  linguaggio. 
Ma  i  fatti  con  invincibile  prepotenza  dileguano  tutte 
queste  vagheggiale  illusioni  della  fantasia. 

Altro  ma  non  diverso  da  quello  che  i  nostri  vec- 
chi gramalici  avean  proposto  è  il  sistema  prosodiaco 
degli  Arabi  nella  sua  csposizion  dottrinale,  ambo  nella 
condizione  di  regole  sopra  regole  artilìziati.  Tutti  i  di- 
podii  della  poetica  de'  Greci  nelle  Corniole  Arabe  si 
riproducono  :  e  sembra  che  Al-Chalil  altro  scopo  non 
si  fosse  proposto  oltre  a  quello  di  andare  adagiando 
all'  indole  speciale  della  sua  favella  natia  quanto  mai 
dai  nostri  trovavasi  posto  in  serie  su  la  determinazione 
de'  primi  elcmcnli  metrici  e  delle  combinazioni  e  so- 
stituzioni di  che  poi  son  capaci.  Quelle  rustlchette  dive 
di  Arabia  vengon  cosi  alunne  alle  vecchie  scuole  ,  e 
uon  già  aspiranti  a  maesti'aiiza. 

Pure  sarem  con  esse  cortesi  :   e    nella  ragione  de' 
loro  jiali  e  delle  loro  corde  quel  tipo   metrico  andreni 


(•^O  D    E      R   I   T   I   S 

rintracciando  che  governò  e  governa  l'andamento  pro- 
sodiaco di  tutto  il  genere  umano. 

Date  molo  a  un  pendolo.  Comunque  isocrone  ne 
sieno  le  oscillazioni,  dissimili  vi  appariranno  se  vi  fa- 
rete a  numerarle.  Non  v'  ha  numerazione  senza  un  pe- 
riodo. Direte  sempre  i  e  2;  1,  2,  e  5;  1,  2,  5  e  4;  ec.  e 
quell'e  che  mentalmente  almeno  apporrete  compagno 
all'  ultimo  termine  vi  conchiuderà  le  formole  di  quel 
ritmico  compartimento  che  con  tutta  proprietà  in  Italia 
si  disse  numero  (25). 

Cosi  la  legge  de'  ritmi  nel  sistema  musicale  sorge 
uniforme  da  per  tutto.  Ma  qua  e  là ,  probabilissimamente 


(25)  Numeros  memini  si  verba  ^/oCPov  z»i  %(iì\i.ìuli.  Arislide  Quint.  t£(;i 
tenerem.  Virgilio.  I  Gieci  il  dissero  fi.oua.  p.  3i,  ed.  Meibom.  Non  trattasi 
pi,'9,u.o; ,  e  in  termine  musico  da  noi  adunque  di  sola  numerazione  delle 
dicesi  motivo.  Ascoltiamo  Quintiliano,  sillabe  e  della  quantità  di  esse  nel 
Inoralione,  ei  A\cq.  ,  oìitnis  stnictura  dottrinale  compartimento  ài  ìunghe  l 
ac  dimensio  et  copula  vocwn  constat  di  brevi ,  ma  della  ragione  degl' inter- 
agi numeris  (  numeros  pi;3-fious-  accipi  valli  tra  le  forti  vibrazioni  (4'otpoi')  e  le 
volo  )  aut  metro,  idest  dimensione  qmeic  {ripiixictvy,  e  ab  a  battuta ,  nelle 
quadam.  Qiiod  etiamsi  constat  utriim-  passioni  dell'  arsi  e  della  tesi.  Quindi 
que  pedibus  ,  habet  tamen  non  sini-  idenlicamenle  al  moderno  sistema  del- 
plicem  differentiam  :  nani  rìiylhmi ,  la  misura  de'  versi  Blarciano  Capella 
id  est  numeri,  spatio  temporis  Constant:  definiva  il  ritmo:  diversorum  modo- 
metra  etiam  ordine:  ideoque  alterum  rum  ordinata  connexio,  tempori  prò 
quantitatis  esse  videtur,  allenim  qua-  ratione  modulationis  inserviens  ,  per 
litatis.  Inst.  l.  IX i  e.  4.  Cosi  un  re-  id  quod  aut  eflerenda  -vox  fuerit  aut 
tore  si  esprimeva.  Or  ascoltiamo  un  preraenda ,  et  qui  nos  a  licenlia  mo- 
musico.  'Pr!>rio;  tari  gvtSTv.t-it  "  ;^ovwv  dulationis  ad  artem  disciplinamque 
kjitu  Tiva  Tahy  ffi^yxtijisvwv.  xai  ra  constringat. 
TouruJV  Ta^ri   '/.uKov^iv  Uftfiv    xctt  S^EC/V 


METRIAnABI.  8l 

tlelcrminato  dai  climi,  l'un  ritmo  piuttosto  che  l'altro 
si  adagia  all'indole  speciale  delle  varie  loquele,  secondo 
che  l'urto  spiccante  nella  cmission  delle  voci,  la  vibra- 
zione dell'accento,  a  cjuesta  piuttosto  che  a  quell'altra 
sillaba  si  appoggi  nella  loro  numerica  progressione. 

II  che  potrebbe  elevarsi  a  storica  verità  col  solo 
riflettei'e  che  la  nomenclatura  a  noi  trasmessa  de'  vari 
elementi  prosodiaci,  dalla  tale  o  tale  altra  nazione  deriva 
appo  la  quale  fu  dapprima  quasi  esclusivamente  in  uso, 
e  massime  nella  solennità  delle  religiose  cerimonie:  che 
in  esse  delle  primitive  umane  associazioni  si  rimangono 
più  rispettate  dall'età  le  originarie  consuetudini,  e  sotto 
tutti  i  climi  la  prima  voce  dell'uomo,  la  prima  mani- 
festazione de'  suoi  timori  e  delle  sue  speranze  ,  della 
sua  gioia  e  della  sua  gratitudine  ,  altro  esser  non  dovea 
che  un  inno,  una  litania  all'Eterno. 

Nella  nostra  disamina,  la  determinazione  del  ritmo 
prediletto  degli  Ebrei  esser  dovrebbe  il  nostro  scopo 
primario;  ma  è  forza  prescinderne.  La  lingua  santa  , 
quale  con  caratteri  fonetici  fu  ridotta  a  scrittura  e  mol- 
toppiù  quale  co'iuiovi  caratteri  venne  per  divina  inspi- 
razione trascritta  dopo  la  trasmigrazione  di  Babilonia , 
ei'a  già  una  lingua  ingentilita  da  tempi  remotissimi  :  e 
i  libri  della  Legge  e  de'  Profeti  conservan  sibbene  nella 
piena  integrità  il  suono  delle  parole  come  strumento 
della  trasmlssion  delle  idee  ,  ma  non  della  musica  del 
linguaggio,  malgrado  la  vecchia    e  nuova  masora  (ìG). 


(a6)  Vero  è  ,  e  sembra  ormai  fallo    storico  ,    clie  uella  trasmigrazione   di 

Tom.  III.  11 


82  D   E     n   I   T  I   s 

Dovendo  perciò  limitarci  al  solo  moderno  rabbinico  , 
il  cui  metrico  sistema  da  quello  degli  Arabi  non  si 
diparte  se  non  per  le  sole  condizioni  di  dialetto  e  di 
non  pari  innoltrato  incivilimento  ;  esso  venir  dee  sup- 
plimentario  alla  nostra  inchiesta  ,  non  delle  archetipe 
forme  indicatore  (27). 

Tornando  perciò  alla  juimerazione  più  semplice 
delle  oscillazioni  del  pendolo,  torme  archetipe,  forme 
vere  elementari  considerar  si   vogliono   le  binarie  (28). 


Babilonia  gli  Ebrei  cambiassero  il  loro  dati    per   instituire   delle    ricerche  su 

linguaggio  col  siriaco  araraco  ,  specie  le  condizioni  prosodiache  della  lingua 

di  dialetto  caldaico  ;    e   che  d'  allora  santa.    Ma  forse    ne'  limiti    del    mero 

cessasse  1'  ebreo  di  esser    lingua  voi-  conghielturalc    ci   rimarremmo.   Pure 

gare   (  Walton    Proleg.   Ili  ;    Rich.  un  lieve  saggio  ne  prenderemo  in  ap- 

Sinion ,  Ilist.  crii,  dii  vieiix  Tesf.  1.  II ,  presso  nella  versione  del  breve  salmo 

e.  17  ;  Fabre   d'  Olivet  ,   La    la?igue  xcii  ,  ebr.  xcnr. 

hébr.  restii. ,  préf.  )  ;    ma  è  pili  che         (27)  Alcuni  moderni  Ebrei  si  pen- 
probabile    che    la    scuola   masoretica  sano  di  aver  tratta  la  loro  poesia  da- 
di Tiberiade  non  inventasse  il  sisle-  gli  Arabi  (  Salomonis  Van  Til  ,  Can- 
ma  delle  vocali,  e   che   tulio  il  suo  tus  poeseos  nec  non  soìvxndi  facuUas 
merito  consista  neli'  averne  sol   con-  tiim    ■veterum     tuni  praesertim   He- 
servalo    e   trasmesso   il    costume.    La  braeorum    ex   tenebris    antiquilatum 
forma  materiale  di   que' segni   non  è  nocae /mcj /jro/josjte  ).  Eppure  non  ne 
di  antichissima  data,  ma  l'uso  n'era  siam  persuasi.  Qualche  parallelo  che 
conosciuto    lin    dai    tempi    di  Esdra  sarem  tra  poco  per  instituire  ne  fari 
(  Nehem.  Vili.  Mischna  ,    Traile  des  manifesto  il  perchè. 
Pères  ,  e.   III.  %■  l3.  ) ,   ed  anche  pri-  (28)  Vnalonganon  valebit  edere  ex  sepedem. 
ma,    perchè   gli   Ebrei    della    Cina,  Ictibus  quia  fitduahus, non  gemello  tempore. 
giunti  in  quelle   lontane   regioni   due  Brei-isutrinquesitlicebit,hisferlriconvenit: 
secoli  avanti  ,  pronunziano  le  vocali  Parte  nam  attollit  sonorem ,  parie  reliqua 
presso  a  poco  come  gli  altri  Israeliti  deprimtt. 
sparsi  su  la  superficie    dei  due  cmis-  ^e'"  hancGraeci  vocarunt ,  alteram  cantra 
feri  (Bruttier  ,  De  ludaeis  Sinensibus).  ^""'• 
Ouindi   non   affatto  mancherebbero  i                                                Terenziano. 


M    K   T   R    I      A    R    A    B    r.  83 

Ma  tipi  normali  non  saranno  né  il  plrrlchio  né  lo  spon- 
deo. Le  due  condizioni  pel  sito  dell'  arsi  e  della  tesi 
nello  spondeo,  secondo  che  coli'  anapesto  e  col  dattilo 
entrava  in  composizione  (29)  ,  ben  fanno  scorgere  che 
metri  spondaizzanti  esser  vi  possono  ,  meri  spondaici 
non  mai.  E  lo  stesso  é  da  dire  del  pirrichio.  Nel  ra- 
pido precipitar  d'  un  fiume  del  pari  che  nel  suo  lento 
ma  uniforme  discorrere  non  v'ha  numero,  non  v'ha 
ritmo  ,  non  v'  ha  periodo  da  poter  distinguere  :  condi- 
zioni cui  la  sola  ragione  degl'  intervalli  dà  vita  (5o)  , 
come  la  sola  ragione  degl'  intervalli  trasformò  d' indeter- 
minata in  sillabica,  articolata,  distinguibile,  e  di  pen- 


(29)  Ciò  intender    si   vuole   anche  gion  d'  esempio  in    questo    verso  del 

nel  movimento  iambico  o  trocaico  in  vecchio  Ennio  : 

cui  gli  amichi  ammettevano  lo  spon-  Cìves  romàni  lune  facli  sunt  Campani  ; 

dco  colle    sue   soluzioni.    Del    resto  ;  Nel  qual  verso  tutte   le   sillabe  iono 

considerando  il  ritmo  musicalmente,  eguali  per  tempo  ,    ma  disuguali  per 

cioè  per  quella  parte  che  segna  i  vari  vibrazione,  massime  in  quelle  per  noi 

tempi  musicali  in  quel  comparlinion-  come  sopra  accentuate.  Vi  sarà   sem- 

to  che  noi  diciamo  liatliila  ,    i    fr;in-  prc  nella  pronunzia  un  certo  che  di 

ce>i  misura  e  gli  spagnunli  compasso,  posa  dopo  il  ci  di  cives,  ec.  Posa  da 

rifiutar  non  si  vogliono  i  ritmi  spon-  non    confondersi    colle  pause   ril/ni- 

daici  e  pirri(hii  ,  semplici ,  doppi  ,  ec.  c/ie  ,  del  che  v.  la  nota  41. 

Sarcbbcquasiuncscludei  e  dalla  nostra  (3o)   Quemadmodum  in  cadentihns 

musica  moderna  tutti  i  tempi  binarli,  ^^uUis   quod  intervallis  distinguuntut 

il  clic  varrebbe  un  assunlo.Inlendianio  narnerum  nolai-e  possumus ,  in  amni 

del   tfnipo  WH7r/co  nella  distribuzione  praecipilanle  non possamus.  CiCBRO 

dalle  sillabe  di    maggior   vibrazione  xe  ,  de  Orat.  a8. 
anche,  in  tempi  uguali  ,   come  a  ca- 

*    • 


84  DERITIS 

sieri  e  di  afiFetti  comunicatrice ,  la  volubile  moltiplicità 
delle  voci  umane  (3i). 

E  qualunque  cmission  di  voce ,  dalla  più  semplice 
alla  più  complicata  ,  dalla  monosillabica  alla  sesquipe- 
dale, e  nelle  combinazioni  di  esse,  in  due  tempi  uopo 
è  che  proceda  ,  dell'  arsi  e  della  tesi  alla  condizione 
aggiogata  (02):  vale  a  dire,  sia  che  una  sola  parola,  sia 
che  più  parole ,  sia  che  più  comme ,  sia  che  più  versi 
si  pronunzino ,  in  modo  che  tutto  il  complesso  venga  a 
formare  una  sola  frase,  im  sol  periodo,  nella  espressione 
più  o  men  complicata  di  un  pensiere;  sempre  vi  saranno 
due  condizioni  valutabili  per  durata  e  per  vibrazione, 
e  sempre  1'  una  all'  altra  subordinata ,  1'  una  dall'  altra 
diversa  per  energia  di  profferenza.  Sia  il  beato  Agostino 
dilucidatore   di  questa   verità  ,  dalla  qual  forse  tutto  il 


(3i)  Otliraa  ò  la  riflessione  de'  uo-  sa  voce^  e  quasi  a  formar  di  due  silla- 

stri  antichi  gramalici   che   le    sillabe  Le  una  sola.  —  È  notabile  come  i  no- 
brevi  fossero  le  prime  a  pronunziarsi:  .  stri  vecchi  gramalici  che  del  sistema 

Ante  enim  breve  est  creatum ,  redditum  sillabico  degli  alfabeti    orientali  pro- 

longum  dein.  babilissimamente  non  aveano  nozione 

Ed  eccoci   precisamente    nelle   prime  alcuna  ,  tanto  poi  a  quel  sistema  tro- 

iiotazioui  della  voce  umana  diuu'ar-  vinsi  ravvicinati  colle  loro  sottili  spe- 

ticolazione  ,    ossia  lettera  ,    e   di  una  culazioni. 

mozione  ,  ossia  vocale.  Ciò  forma  una         (Sa)  Etenirn  in  accerptu  vocis  dis- 

uniià  di    tempo  ,    un   primo   segno  ,  pjR  sonus  non  disciplina  sed  natura 

quello  in  somma  che  intender  si  vuole  editar  ,    ita    etiam,   rhythmi  et   mele 

per  una  sillaba  brave  :  e  in  fatti ,  per  vari /iN bis  cantus  modulativni- 

auloiità  di  Vittorino  ,    Triufiov  veteres  bus  ,  prius  suapte  natura  quani  ar- 

pQjovov  non  absurde  dixerunt.  In  prò-  tis   structione  gignuntur.    Vittorino  , 

gresso  soltanto  un'  altra  arti('olazione  lib.  IV.  sub  fin. 
polca  venire  ad  aggrupparsi  ad  una  stes- 


METRIARABI.  85 

sistema  delle  varie  prosodie  dell'  uman  genere  vedrem 
chiarirsi.  Un  eruditissimo  e  perspicacissimo  scrittore  ili 
tre  specie  le  distribuiva  (53):  ma  non  varrebbe  l'orse 
meglio  considerarle  come  uno  ed  identico  sistema,  sol 
per  tre   aspetti  diversi  risguardato  ? 

Prendeva  il  beato  Agostino  in  considerazione  quel 
famoso  verso  dell'  Eneide  , 

Comua  velatarum  obvertinius  antennaruni , 
e  domandava  :  perchè  quell'  oh  dell'  ohvertinius  ?  Non 
si  rimarrebbe  in  perfilta  regola  il  verso  quando  si  dicesse: 

Cornila  valaLariun  verliinus  antennaruin  ? 
No  :  ei  risponde  j  non  un  sol  verso  avremmo    allora  , 
ma  due  (34). 

Quando  adunque  i  nostri  vecchi  gramatici  dicevano 
che  ciascun  verso  andar  deggia  in  due  parti  diviso  (55), 
non  dicevan  tutto ,  e  dir  conveniva  doversi  ogni  verso 
dividere  in  due  parti  disuguali. 

Ma  v'  ha  dippiù  :  se  que'  due  emistichii  cosi  ri- 
dotti uguali  ritinicamenle  vi  farete  a  pronunziare  ;  l' ac- 
cento armonico  sarà  diverso ,  e  spontanea  vieti  1'  ine- 
guaglianza a  ristabilirsi  (56). 


(33)  Il  Pfciffcro  distingue   tre  spe-  (3.i)  De  musica,  lib.  II. 

eie  di  poesia  i.°  l'araba,  2.°  la  greca  (35)   Omnis  auiem  versus,  xararo 

e  latina,    3.°  la  germanica    e  italica.  TXuarov  j  in  duo  cola  dividitur. 

Alla  prima  si  accosta  quella  de'Per-  (36)    Quintiliano    trova    l'accento 

siaui  e  de'  Turchi  ;    alla  terza  quella  circonflesso  necessario  ad  ogni  mono- 

de'  Caldei  e   de'  Sirii.  —  Rispettando  sillabo  ne  sit  aliqita  vox  sine  acuta. 

le  vaste  cognizioni  di  questo  autore,  7>2s/./.  ^, e.  i.  Ed  ogni  acuta  strascina 

confessar    dcggio  che   il    suo    sistema  seco  imperiosamente  la  grave.  Cosi  le 

non  mi  persuade.  nostre    plebi   non   hanno   tronchi  ,  e 


86  DEKITIS 

Discendete  cosi  di  suddivisione  a  suddivisione,  sem- 
pre due  parli  disuguali  si  avranno ,  sino  all'  isolato 
monosillabo  ,  il  quale  ordinariamente  anch'  esso  in  due 
disuc^uali  parti  si  divide  :  il  che  fu  dai  nostri  avvertito 
quando  notavano  coli' accento  circonflesso  tutte  le  lun- 
ghe ed  a  tutte  l'enclitiche  prossimo  traevano  l'accento 
acuto  (57). 

Cosi  r  accento  armonico,  colla  ragion  metrica  delle 
scuole  combinandosi,  veniva  a  stabilire' quel  che  mo- 
dernamente intendiamo  per  movimento  ritmico  ,  per 
procedimento  a  rigor  di  battuta  ,  per  1'  arsi  e  la  tesi 
ìli  somma  che  con  tanta  minutezza  ne'  vari  metrici  si- 
stemi i  musici  greci  andavan  determinando.  E  se  1'  ac~ 
cento  armonico  degli  antichi  non  è  da  confondersi  col 
nostro  accento  tonico  in  quella  sillaba  che  nella  tesi  , 
nel  battere  della  misura  facciam  sentire ,  e  che  ben  può 
essere  iudiflferentemente  in  qualunque  sito  della  gamma 
allocato  e  con  qualunque  figura  rappresentarsi  (38);  pure 


dicono  spiccatamente ^róe,  diróe,  ec;  dis  :   in   harmonica  vero   suLlalio  et 

ed  anche  noi  facciam  lo  stesso  ,  seb-  positio  vocis  aut  soni ,    quae  non  in 

bene  quell'  e  diventi  sceva.  temporis  longitudine  et  brevitate  ,  sed 

(371    Quando    cioè    il    monosillabo  in  vocis  acumine  et  gravitate  consi- 

accostasi  ad  una  parola  che  finisca  in  stimi ,  et  potius  ad  accentuum  con- 

sillaba  lunga.  siderationem  ,    quam   ab   syllabarum 

(38)  Diffenint  autem  arsis  et  the-  peiiinent    quantitatem.     Unde    sciepe 

sis  ,    quas   rliylimica    considerai,   et  contigil  ^  ut  cum  manus  ponilur ,  vox 

Arìstides  Rhylhmi  passiones   appel-  alloUatur ,  et  cantra  :   quas  videntur 

lat ,  ab  his  ,  quae  in  harmonica  con-  Terenlianus  et  eius  sectalor  Victori- 

sideraiitur  :    quoniam    in    rhythinica  nus  confundere  ,  cimi  eas  in  pedibus 

sunt  levatio  et  positio  manus ,  ve!  pe-  examinant.  Salina ,  ub.  supr.,  1.  V ,  e.  4 ; 


SXKTniARABI.  87 

nel  couchiudcrsi  di  una  frase  musicale ,  nella  cac/c^/z^rr, 
quella  sillaba  non  altrimculi  esser  può  che  lunga  e 
grave.  Ed.  ecco  perchè  nelle  interrogazioni  diam  fine  al 
nostro  dire  coli' alzamento  della  voce  :  ecco  perchè  una 
frase  musicale  che  termini  coli'  acuto  dicesi  ed  è  una 
frase  sospesa,  una  preparazione  alfa  cac^e/zsa.  Neil' uuo 
e  nell'altro  caso  attendiamo  la  risposta,  attendiamola 
conclusione. 

Far  non  dee  maraviglia  se  i  nostri  antichi  l'accento 
armonico  coli' accento  prosodiaco  confondessero.  Nell'in- 
fanzia de' linguaggi  sempre  sono  spiccantissime  le  can- 
tilene, in  modo  che  non  si  è  dubitato  da  chi  credeasi 
molto  innanzi    nello  studio    della  storia    del    linguaggio 
avanzare  che  i  fiio/il  appunto  fossero  stati  i  primi  ele- 
menti della  parola  ridotti  a  scrittura  :  il  che  è  notabi- 
lissimo in  un  autore  che  le  sue  analisi  instituiva  sopra 
una  lingua  appunto  la  qual  meno  di  qualunque  altra  fa 
sentirne  le  varietà  (Sg).  E  cagionar  non  dee  maravigha 
se  i  nostri  antichi  tanto    insistessero    nel   loro    sistema 
prosodiaco  delle  lunghe  e  delle  brevi,  sì  perchè  quando 
le  loquele  non    son  molto   rammorbidite    più    spiccanti 
mostrar  si  deggiono,  e  si  ancora  perchè  l'antica  musica 
nel   vario    ripetere    della    sillaba  breve  tutte    stabiliva 
le  proporzioni  del  suo  ritmico  andamento  (40).  Ma  né 
versi   di  sillabe    tutte  brevi ,  né  versi    di  sillabe    tutte 
lunghe,  la  ragion  dell' am  e  della  ted ,  la  ragion  del- 


(39)  ÉtémenU   d'Idéologie  ,  P.  II  ,         (40)  V.  appresso  la  noia  .^6. 
eh.  à. 


88  BERITlS 

V accento  ionico  le  ineguaglianze  vilmichc  ristabiliva:  e 
la.  prosodia  clc/Ia  nafu/a,  fin  dalle  prime  mosse  di  quegli 
artifizi  di  scuola,  riconquistava  trionfalrice  i  suoi  diritti. 
Non  è  inoltre  da  dimenticare  che  nella  ragion  dei 
l'itmi ,  nella  coordinazione  degl'  interv^alli  onde  nel  bat- 
tere della  tesi  costante  si  rimanesse  l'isocronismo,  non 
mancavano  gli  antichi  di  quelle  pause  che  formano 
dell'attuai  sistema  musicale  il  necessario  compimento, 
e  che  nell'antico  avrem  potuto  stabilire  a  priori,  quan- 
do anche  quell'  acutissimo  scrutatore  dell'  arte  musica 
degli  antichi  che  tanta  luce  or  ci  porge  (41)  non  cene 
fosse  stato  maestro. 


(41)  S.  Agostino,  mJ.  ««/ir.  j  lib.  III.-  fesso  ìiielius  tractavit  :    cuius  sex  de 
Io  cito  questo  santo  Padre  nelle  sole  Musica  libri  ab  eo  iam  matura  aeta- 
circostanze  nelle  quali  un'  autorità  di  te  ,  mira  et  ingenii  dexteritale  et  pie- 
fatto   mi    sembra   indispensabile  ;    ma  na  musicae  facultalis  scientia  scripti 
confessar    deggio    che    se    non    tutta  sunt  ;   sed  propter  disciplinae    huius 
quanta  1'  idea   che   ho   concepita   del  imperitiam  et  ipsius  rei  dijjìcultatem 
passaggio  dal  sistema  musicale  e  me-  a  paucis  leguntur  et  a  paucioribiis 
trico   degli   antichi    al   nostro,   nella  intelliguntar.  Lib.   J^I ,  e.  3. 
massima    parte  -almeno    dalla    lettura  II  santo  Dottore  veniva  tra  noi  spet- 
de'  suoi  Dialoghi    mi   fu    suscitata.   E  tatore  quasi  di  que'  nostri  antichi  ar- 
cou  vera  compiacenza  ho  letto  poi  in  tifiziati  sistemi  ,    e   col   sistema    della 
Salina  :    Haec  fere    omnia   qnae    de  natura  volea  metterli  in  accordo.  Un 
temporum  silentio  dieta  sunt ,  ex  ter-  acre  ingegno   raflbrzato  da  vastissima 
tio  D.  Aagustini  de  musica  libro  de-  dottrina  esser  dovea  consultato,  almen 
sumpsimus  ,  et  multa   alia   quaa   ad    come  interpetre  ,  come  dragomanno, 
lioc  nostrum  instituluin  pertinere  vi-  da  tutti  quegli  eruditissimi   che  delle 
debuntur  ,  desumere  non  verebiinur :  condizioni  dell'  antica  musica  sono  an- 
quando  nemo  alias  Graecorum  et  La-  dati  a  frusto  a  frusto  raccapezzando  le 
tinorum  hanc  musicae  partem  ex  prò-  memorie.  Or  percliè   di  qualche    sba- 


M    E    T    B.    I       A    R    A    B    r.  89 

Che  riniaue  adunque  di  diverso  tra  gli  antichi  me- 
todi prosodiaci  e  i  nostri?  Non  altro  che  le  necessarie 
conseguenze  dell' ingentilirsi  dell'organo  vocale  di  ge- 
nerazione a  generazione ,  e  di  quel  miglioramento  pro- 
gressivo che  tutte  le  umane  arti  ricevono  nelle  loro 
scambievoli  convergenze,  nel  loro  mutuo  soccorso,  nella 
risultante  di  mille  individuali  industrie  che  in  industria 
universal  si  trasformano.  Farà  sorpresa  se  molte  sillabe 
che  già  furono  lunghe  or  come  brevi  vengan  da  noi 
pronunziate  ?  Farà  sorpresa  se  due  o  più  sillabe  antiche 
in  una  sola  or  da  noi  si  raggruppino  ?  Se  non  più  una 
sillaba  breve  venga  inflessibilmente  come  la  metà  di 
una  sillaba  lunga  a  considerarsi  ?  Tutte  queste  condi- 
zioni erano  già  in  movimento  fin  da  remotissimi  seco- 
li   (42)  ;  e    bastò   il    solo     cangiarsi    del    sistema   nella 


data  frase  retorica  di  Plutarco ,  a  ca-  tegros  ;  illos  à  Residuis  aut  Adpo- 

gion  d'esempio,  si  fa  gran  caso,  e  si  sitionibus.  ybi  et  vacua  tempora  ad- 

lia  quasi  ribrezzo  di  andare  a  scuola  sumanl.  Est  aiilem  Tempus  vacuum , 

<]a  un  gran  maestro  clie  ne  trattò  di  quod  absque  sono  exislil  ad  coìnphn- 

proposito  ?  dum  rhylhmum.   Residuum   vero  in 

Kon  bisogna  però    tacere   che  Ari-  Tliythnio ,  tempus  vacuum  minimum. 

slide  Quintiliano  parli  del  conuputo  da  AdposUio  ,  tempus  vacuum  longum  , 

tenersi  delle  pause  ;    ma  con    indica-  jtiinimi  duplum.  11  che  altra  nozione 

zione  assai  rapida   ne    parla.    Eccone  non  ci  offre  se  non  quella  del  modo 

il  luogo  giusta   1'  interpetrazione    del  con  cui  gli  antichi  rellillcavano  qual- 

Meibomio.  ytdhaec  alias  ex  omnibus  che  sillaba  mancante  nelle  sole  con- 

brevihus  ,    alio   ex   iis  longis  ;    alias  dizioni  del  semplicissimo  loro  sistema 

permiste  conficiunt ,  abundantibus  vel  di  ridurre    tutta    la    durata    sillabica 

longis  vel  brei'ibiis  ;  aut  per  simitia  unicamente  ad  uno  o  due  tempi. 
tempora  ,  aut  per  dissimilia  elationes         (43)    Inter    metricos    et    musicos  j 

positionibus  reddentes.  Atque  hos  in-  propler  spada  temporum  tjuue  sylia- 

Tarn.  III.  lì 


go  DERITIS 

notazione  musicale  per  vedere  tutte  le  moderne  loquele 
non  più  alle  antiche  profFerenze  adagiabili.  Cosi  i  nuovi 
modi  poetici,  nell'accordo  dell'  accento  tonico  coli'  ac- 
cento prosodiaco  coordinati  ,  non  più  riconoscono  per 
accento  e  sillaba  veramente  lunga  se  non  quell'  accento 
e  quella  sillaba  che  nel  battere  della  tesi  aver  dee  sem- 
pre, virtualmente  almeno,  una  più  distinta  vibrazione. 

A  rendere  compiuto  il  nostro  esame  qui  conver- 
rebbe, dopo  1'  esposizione  del  sistema  prosodiaco  degli 
Arabi ,  tentar  quello  del  sistema  musico-prosodiaco 
de'  nostri  antichi.  Ma  i  monumenti  dell'  antica  musica 
sono  assai  scai'si.  Ad  ogni  modo  giovi  darne  qualche 
saggio,  onde  l'uniformità  di  andamento  tra  1'  antico  e 
il  nuovo  in  tutta  la  sua  luce  rifulga. 

E  sia  primo  un  inno  trimetro  anapestico,  corrispon- 
dente pel  metro  al  nostro  ordinario  decasillabo.  Fu  già 
pubblicato  da  Vincenzio  Galilei  il  i58i  nel  suo  Dia- 
logo della  musica  antica  e  della  moderna,  e  tratto  di 
Roma  da  un  ms.  della  biblioteca  del  Cardinal  di  S.  Ange- 
io:  riprodotto  poi,  non  senza  qualche  menda  tipografica, 
da  Ercole  Bottigaro  nel  1601.  Un'altra  pubblicazione  ne 
fu  fatta  in  Oxford  nel  1672  da  un  ms.  trovato  in  Irlanda 


hìs  comprehenduntur ,  non  parva  dis-  scrupulositas  musicìs  et  rhythmicis  re- 

sensio  est.   JVam  musici    non   omnes  linquatai:  Nani   quia  ad  nos  allinei 

intcr  se  longas  aut  hreves  pari  men-  nolemus    pkrasque    syllabas    radane 

sura   consistere  ,    siquidem    et  brevi  (  scil.  metrica  ?  )  pares  esse  ,  spatio 

breviorem  et  longa   longiorem  dicant  autem  sive  sono  impares.  Vittorino  , 

posse  syllaòam  fieri Sed  haec  lib.  I.  De  mens.  longar.  et  ùj-ev.  s-yìl. 


M  E  T  n  I     A  u  A  B  r.  qi 

tra  le  carie  del  famoso  Usher  (  Usscrio  );  e  dal  signor 
Burette  nel  J720,  collazionato  e  supplito  iie' primi  sette 
versi  con  un  ms.  della  rcal  biblioteca  di  Parigi.  Sarebbe 
stato  importante  che  di  questi  sette  versi  ancora  si  fosse 
rinvenuta  la  notazione  musica,  per  vederne  forse,  non 
qualche  ravvicinamento  colla  notazione  dei  nostri  musici 
madrigali ,  come  sembrerebbe  a  prima  vista  ,  ma  un 
vero  periodo  musico,  una  vera  introduzione  al  canto 
nell'idea  di  quelle  prime  parti  delle  nostre  canzoni  che 
si  dissero  siriine  o  fronti  (45).  In  mancanza  di  ciò  , 
qualche  lume  trar  possiamo  dal  frammento  di  un  altro 
inno ,  rinvenuto  negli  stessi  codici  e  eh'  ebbe  le  stesse 
pubblicazioni  (44),  e  dal  frammento  della  notazione  nui- 
sica  alla  prima  strofe  della  prima  à^o.  pitiche  tratto  dal 
Kirker  dalla  badia  di  S.  Salvatore  di  Messina  (46). 

L'inno  è  come  segue,  del  quale  diamo  a  fonte  una 
metrica  traduzione,  col  solo  cangiare  in  acalulelii  nelle 
cadenze  e  conserv'ar  poi  sempre  catalettici  que'  versi 
che  il  poeta  greco  compose  indifferentemente  catalettici 
o  ipercatalettici. 


(43)  Dante  ,  De  viilg.  eì.  Tiissino  ,  storici  della  musica  nulla  aggiungono 

Poti.  allo  investigazioni  del  signor  Burette.- 

('!<*)  V.  Dissertation  sur  la  mélopée  Kc  abbiamo  due  esemplari  anchenc'mss. 

de.  l'ancienne  musique,  par  M.  Bon-  della  rcal  bil.liolcca,  de' quali  seguia- 

iiETTE  Ad.  de  VAcad.  de.%  Inscript.  ,  mo  il  lesto,  fuorché  nell'ultimo  verso, 

lem.  V  ,  1C)1.  -  yt  general  hislory  of  V.  in  fine  Spiegazione  delle  favole, 
music  ,  from  tlie  earliest  ages  to  t/ie         (45)  Musiirgia,  tom.II.  Dell' aulen- 

piTMiil  pcriod;  by  Ciiaiìlis  Buiìney-  ticit.'i  di  questo  frammento  or  non  piii 

ailaciUCillC    (Kfff)iC^ec    &cv     uutfit  ,    W>ll  dubitano  gli  eruditi.  V.  gli  autori  c\- 

3ohann    Oìn-oUlia  Morfei   -  Questi  due  iati  nella  iirccedenlc  nota. 

* 


92  dehitis 

TMNOi;    Elt,    HAION. 

Tfi  ,  xaci  'Tovro?  ,  xai  «voteci  , 

H%o;  ,  (P^oyyoi  t'  opv<S-wv. 

MiXXu  h  'Tpo?  'yìiMc?  (ioLiystv 

<I>Oi/3os  ,  ax.ipcnx.OiJ.ag  ,  a^iTas. 
Xioyo[iXi(ì)oi.pov  'TTot.rip  Aovg 

'Po^oiTiTxv  '05  ccmya.  crwXwv 

TLrayoi?  'f  t'  ix.vicri  hKox.m  , 

H-pucnociffiy  aycck'kopi.iyQ?  xoixcct? 

Tlipi  yajrov  aors/parov  ovpavov. 
Axrtvoc  ixoXvcrrpo(^ov  cciiTXixojy  , 

AiyXcc?  ToXv^ipnsoc  <xa.ya.v 

llipi  yaioLV  à'jeacra.v  ikicrcwv. 
HoTa^ioi  li  crsS-sv  Typos  afi(ipoTov 

Ttxrovcny  sTripocrov  'af^spav 

Xoi  y-iv  xopog  tvliog  acmpwv 

Kar'  OXofiTroy  ccyocxrci  x°P'^'^  5 

Av£TOf  iMiXog  any  au^wv  , 

(potfòn'ldi  TipToiAivog  Xvpgi,. 
TXoLVxa.  li   'Xoip^Qi.'Ti  XiXaya. 

Xpoyov  \opiov  'a.yiiioyivii  , 

KiVXMv  'v-ro  crvpii.cx.cn  iuocr^wy. 
Tayvvrai  h   n  '01  voog  iufisvng  , 

HoXustiMOvoc  xoiT(ioy  h^irrcrttjy. 

Varianti»  ty-voi  iis  AiroX^.wca  Tutte  l'edizioni.  Nelle  quali  anche  il  y.  3.  precede  il  y".  2. 
jlf.  8.  mt.m.  Oxf.  y.  Il-  airtipTiTOv,  Par.  y.  i3.  Cosi  anche  Oxf.  Ma  l'altre  eà.rro\vxihQi, 
ijjr.  16.  cnrtfKnv  Oxf.      y.  18.  xar'  hvXujì-kqu  Osf.  Far.       y.  20.  ipofiiiSi  rmii:m  ^"pr,  Par. 


I 


ilETRIARABI.  -  03 

INNOALSOLE. 

Tutta  r  etra  dia  plauso  , 

Monti  e  vallee.  Già  riccie . . . 

E  terra  e  mare  ed  aure 

Ed  echi  e  augei  si  tacciano. .  . 

Ver  noi  già  fausto  procede 

Febo  ,  r  intonso  ,  V  armonico. 
De  1'  Aui'ora  dalle  luuide  luci 

Padre  augusto  ,  che ,  rapido  auriga  , 

Per  le  strade  del  cielo  conduci 

Maestoso  la  rosea  quadriga  , 

Di  tua  cliioma  spiegando  il  fulgor  : 
Dalla  piena  de'  raggi  fecondi 

Su  la  terra  un  immenso  diffondi 

Di  splendori  inesausto  tcsor. 
Un  torrente  di  fiamme  ognor  vive 

Da  te  sgorga  ,  ed  il  di  si  ricrea  : 

Per  te  ogni  astro  di  danze  giolive 

Ne  r  eterno  caribo  si  bea  , 

Ed  al  suon  de  la  lira  febea 

Di  sacr'  inni  fa  Olimpo  echeggiar. 
Pallidelta  se  intanto  è  la  Luna 

Su  la  biga  dei  giovin'  torelli  , 

La  stagiou  de  la  notte  è  men  bruna  : 
Ma  se  adorna  è  di  raggi  novelli  , 

Più  amorosa  e  benefica  appar. 

y.  II.  wafoi^i  Fir.  y.  22.  x°l""  >  "ot*  °'5.  il  in  c<"l.  del  Galilei  y.  2i-  yuvvTxi. 

Tutte  l'cdiiioni  V.  25.  iroXioc/xoix  y.iTii.xi  tKi7tnr  Oxf.  Flr.  Nap. 


94  DERITIS 

E  noto  che  1'  intavolatura  dell'  antica  musica  con- 
sisteva nel  notar  soltanto  progressivamente  sulle  sillabe 
i  vari  tuoni  con  cjuelle  cifre  che  dopo  le  diligenti  cure 
del  JMcibomio  or  più  non  ammettono  difficoltà.  Ma  per 
quel  che  riguarda  tempo  solo  indica  vasi  da  principio 
la  qualità  del  ritmo  da  seguii'si.  Or  tale  indicazione 
in  quest'  inno  è  cosi  espressa  :  v  -  rsvo?  diTXa.criov  ,  6 
pv^fjLog  i(oì;iy.%rriir,ij.oi  (46).  Nel  nostro  attuai  sistema  musi- 
cale si  sarebbe  detto  :  Tempo  aualtro  tre.  Or  come  si 
adagiano  con  questo  tempo  gli  anapesti  nella  condizione 
che  le  due  brevi  eguagliar  deggiauo  una  hmga?  Stando 
a  questa  volgare  opinione  ,  il  signor  Burette  assegna 
ad  ogni  sillaba  lunga  una  minima  e  ad  ogni  sillaba 
breve  una  semiminima  \  ma  ecco  tempi  disuguali,  ecco 
battute  ora  di  tre,  ora  di  quattro  semiminime ,  ecco  un 
ritmo  che  non  è  più  ritmo  ,  ed  ecco  un  autore  stima- 
bilissimo inciampare  in  evidenti  contrassensi  per  darne 
spiegazione  (47).  Egli  è  chiaro  che  per  ridurre  un  ana- 
pesto al  ritmo  iambico  ,  al  genere  duplo  ,  cioè  di  un 
tempo  nell'  arsi  e  di  due  nella  tesi  (  o  viceversa  pel 
tempo  duplo  trocaico  ) ,  le  due  brevi  notar  ci  doveano 
per  due  crome  quando  la  lunga  notar  voleasi  per  una 
minima.  E  non  altrimenti  notar  possono  i  nostri  maestri 
di  cappella  gli  odierni  anapeaii  quando  scelgono  il  tem- 
po ternario  ,  quantunque  ben  possano  notarli  e  comu- 
nemente li  notino  come  gli  antichi  nel  tempo  binario. 


(46)  V.  in  fine  la  Spiegazione  delle     cosi  ragionando  ;  )>  On  apprend  pav- 
iavole.  »  là  ,    i."  Quc  le    ihytlime    de    celle 

(47)  Il  signor  Burelle  (  loc.  cit.  )  va     «   pièce  de  poesie    est   dans    le  genre 


M    K   T   R    I      A    R    A    B    I.  g5 

Rafforzi  qucstii  osservazione  un  altro  esempio  : 
EIS     MOTXAN. 

Ae/S.= ,  Moucrot  ,  ijloi  (^iky\ 

Eficig  (Ppjva?  SovaTii;. 
KaXXtOTticc  rTo(poc  , 

y[ou7(iJV  "Tpoxara-j/iTi  TÉpTVwv  , 

Aaroy?  9/0>'s  ,  AriXie  ,  'xaiav  ! 
Ey|it£vs(s  crapsarj  f^to/. 

ALLA     MUSA. 

lamho  Bachiaco. 

Dell  cauta  ,  o  Musa  ,   e   tenera 

Melode   al  vate  inspira  : 

M'  inanimi  quel  zeffiro 

Che  a'  mini   tuoi   si  aggira. 
Deh  ,  saggia  Calhope 

Che  tutto  hai   seguaci  le  suore  , 

E  tu  ,    sapientissimo 

De'  miti  divino  instruttore  ,  * 

Per  voi  m'  abbia  e  l'orza  e  ardir. 

Variasti.  XaXXuira  roja;,  Fir.  Oif.  l'ai.  Nap.  un  Coi 


Il  'Idublc  ou  l'iambique  ,  ce  qui  re-     »  dans  celle  mesure  le  fei/é  n'a  qu'un 
»  vieni  au  mème  ;  c'est-òi-dire  ,    quo     «  temps ,  ci  le  frappé  enadeui,   ou 


K)6  UE       il    1    T    I    S 

La  notazione  ritmica  di  quest'  inno  è  ,  come  die- 
tro si  è  trascritto ,  icunbico  hacìiiaco.  Osserva  il  si- 
gnor Burette  che  il  secondo  predicato  si  applica  assai 
bene  tanto  a  quest'  inno  alla  Musa  che  all'  altro  ad 
Apollo  perchè  scritti  nello  stile  diiirainbico ,  come  scor- 
gesi  e  dalla  scelta  delle  parole  confacenti  a  un  tal  ge- 
nere di  poesia  ,  e  dalla  irregolarità  di  versificazione 
che  vi  regna  (48).  Ma  i  nove  versi  di  quest'  inno  alla 
Musa  offrono  una  disposizione  simmetrica,  un  periodo 


i>  rcciproiiucmcnl  ;  S.°  Que  ce  rhylh-  dotto  autore  qui  confonde  i."  rilmo 
))  me  est  compose  de  douzc  temps  syl-  anapestico  con  veiso  anapestico  ;  2.° 
Il  labiques  ,  cquivaleus  à  douze  brc-  versi  catalettici  ed  ipercatakttici  3." 
»  ves  ;  ensorle  qu' il  y  cn  a  quatre  verso  e  ritmo ^  ec.  ec. 
i>  pour  le  leve  ,  et  huit  pour  \efrap-  (48)  »  S.'  V  égaid  du  second  terme, 
i>  fé,  cu  au  conlraire  ,  et  quo  clia-  »  il  peut  fort  bien  s' appliquer  aux 
))  que  vers  ne  fait  qu  un  rliytbnie  ou  n  trois  petils  poèmcs  qui  sont  écrits 
»  une  mcsure,  qu'on  peut  cependant,  »  dans  le  style  dilhyrarabique  ,  coni- 
li comme  je  1'  ai  fait  ,  parlager  cn  »  me  le  font  assez  sentir  et  le  choix 
«  deux  mesures  moins  longues  ,  en  »  des  cxpression  consacrées  à  ce  gen- 
1)  gardant  toujours  Ics  mèmes  propor-  n  re  de  poesie  ,  et  V  inégualité  qui 
»  tions.  Il  n'  y  a  pourtant  ,  aucun  de  >i  règìie  dans  la  versificalion.  n  I^.  e. 
i>  ces  vers  ,  qui  ne  renferme  la  va-  pag.  igo.  11  terzo  poemetto  di  cui  qui 
>i  leur  de  plus  de  12  bréves  ,  puisqu'  si  tratta  è  T  inno  a  Nemesi,  il  quale 
Il  ils  cn  contiennet  chacun  jusqu'  à  è  aneli'  esso  ,  come  la  parte  inlonota 
»  quatorze  et  quinze.  Mais  comme  ce  con  segni  musici  dell'  inno  al  Sole  , 
)i  soni  tous  des  vers  anapestiques-  tutto  in  versi  trimetri-anapestici ,  ca- 
1.  hypercaUilectiques  ,  c'est-à-dire  ,  takttici  o  ipercatalettici  ad  arbitrio 
,1  qui  ont  de  trop  ,  ou  une  syllabe  del  poeta.  Ma  siccome  in  un  ms.  della 
»  longue  ,  ou  une  breve  et  une  lon-  real  biblioteca  corre  quasi  tutto  colle 
,.  gue  ;  ces  deux  ou  trois  bréves  sur-  note  musicali,  il  che  manca  negli  altri 
))  numéraires  sont  ccnsces  ctre  liors  da  codici  ;  ne  facciam  discorso  nella  Spie- 
>,  rliyllime  ou  de  la  cadence.  »  —  Il  gazione  delle  Tavole. 


metriahabi.  gy 

musicale  ,  una  strofe  ,  un  sistema  ;  e  nomnicno  asserir 
possiamo  che  non  fossero  in  appresso  gli  altri  versi  al 
modo  medesimo  coordinati.  Polrem  dire  irregolari  le  ode 
di  Orazio,  a  cagion  d'esempio,  perchè  in  una  stessa  strofe 
si  riuniscono  versi  di  vario  metro?  versi  di  varia  strut- 
tura ?  E  se  rjuc'  poemi  oraziani  aveano  realmente  ver- 
ba  socianda  chordis  (  e  nessuno  argomento  abbiamo  per 
dedurne  il  contrario  )  ;  convenir  bisogna  che  avessero 
altresì  un  andamento  ritmico  uniforme  ,  senza  di  che 
non  v'  ha  musica.  Anche  il  canto  fermo  ,  sebbene  con 
amplissimi  compartimenti  ,  non  manca  di  periodo  rit- 
mico ,  d' intervalli  simmetrici  nell'  ordinamento  de'  ri- 
torni dell'  arsi  e  della  tesi  (49). 


(•19)  Intendo   per    andamento    ril-  e  pure  da  versi  metricissimi   non   son 

mico  unifovmc  un  qualunque  periodo  molto  lo«tani.  La  varielà  de' versi  non 

musicale  che  abbia   una   determinata  produceva  irregolarità  nell'  antico  si- 

leggc  di  movimenti  e    di  cadenze    la  stema,  quando  un  andamento  ritmico 

qual  l'accia  ripetere  ad  intervalli   ta-  si    prendea    secondo    una   data   legge 

li,  se   non    (liicamcnte,  sensibilmen-  coordinato. 

te    almeno  ,    un    ritorno    simmetrico  Queste  varietà  gli  antichi  andavano 

di  quelle  cadenze  e  di  quel  movimen-  cosi  metricamente  classificando  ; 

to.  Cosi    dissero   e    dicono    i   maestri  x'  )  zara  ari'xav ,  quae  eodem  metro 

dell'  arie  retorica  che  in  un  bel  discor-  Constant  ,  vcl  ex  trimetris    ac    tetra- 

so  v'ha  ritmo.  Chi    dirà  che  non  vi  mctris  eiusdom  metri, 

abbia  andamento  ritmico  nelle  canti-  f>)  auirnuarixa ,  quae  pluribus  me- 

lene  della  nostra  salmodia?  Ma  quei  tris ,  ncque  uno  vcrsu  aut  eodem  colo 

the    diciamo    versetti  ,    tanto    nella  vel  commate  continentur,  ut  sunl  £»w- 

chiesa  greca    che    nella   latina  ,    non  Soi  et  quae  syzygiis  gradiuntur. 

lon  versi  al  certo  nel  metrico  rigore;  y)  niy.ra, 

Tom.  IIL  i3 


4. 


g8  DERITIS 

Riguardo  poi  a  irregolarità  di  versificazione  ,  fa 
sorpresa  che  quell'  illustre  accademico  abbia  voluto  se- 
guire piuttosto  che  correggere  le  inconcepibili  idee  del 
Salniasio ,  il  qual  taccia  d'  irregolari  que'  versi  metrici 
ne'  quali  qualche  sillaba  lunga  in  due  brevi  si  sciol- 
ga (5o)  ;  e  fa  sorpresa  maggiore  1'  udir  da  un  tanto 
erudito  che  i  versi  catalettici  ed  ipercatalettici  lascino 
un  voto  neir  andamento  ritmico ,  mentre  gli  acataletti 
appunto  son  quelli  che  il  lasciano  ne' ritmi  iambici,  e  i 


E  tulli  tre 


■  auira^oky.  ,    quod    sui  E  che  nella  combinazione  ordinala 

generis  qualitalein  men-  di  queste  diverse  industrie  si  raggirasse 

suramque   semper  obli-  tutta  l'arte  ritmica  degli  amichi  lu  opi- 

neant.  nione  conservata  sino  ai  tempi  di  Mar- 

(terajJoXi/.a  ,    quae    ab  ciano  Capella;  il  quale  si  esprime  cosi 

[aliis  melris   ad  alia  gè-  Rliyllnniis  igitur ,  ei   dice  ^  est  coni- 

^uera  transilura  faciant.  positio  quaedam  ex  semìbiUbus  callaia 

Ual  che  appare  che  metro ,  e  con-  temporibus  ad  aliqueni   Jiabilum  or- 

seguenlemcnte  ritmo  uniforme,  si  avea  dlnemque  connexa.  Rurmin  sic  diffi- 

zara  (TT/^ov  ne'lrimelri,  tetramelri,  ec,  nitiir.  Nutnerus  est  diversonun   ìno- 

come  neir  unir  che  facciamo  ai  nostri  doruin    ordinata    connexio  ,    tempori 

endccasillalji  i  scllenari,  i  quinari,  ed  prò  ratione  modulationis  inserviens  , 

anche  i  trisillabi,  purché  si  conservi  per  id  quod  aut   efferenda    vox  fue- 

V  andamento  iambico  ,  nelle    canzoni  rit ,  aut  premenda  ,  et  qui  nos  à  li- 

che  diciam  petrarchesche,  ne' recitativi  centia  modulationis   ad  artetn  disci- 

dei  drammi.  iVoR  si  cangia  melro  ,  e  plinamque  constringat.  Interest  tamen 

conseguentemente  ritmo,  o'i'ffTti.aaTixir) ,  inter  rìiylhmum  et  rhythm,izomenon . 

in  quasi  tulle  le  nostre  gobolelle  pò-  Quippe  rhythinizomenon  materia  est 

polari,  purché  sinimetricamenle  si  ri-  numerorum  :  Numerus    autein  velul 

pelano,  ec.  ec.  quidam  aìt'fex  aut   species   modula- 

E  tutti  questi   periodi  j  piìi  o  meno  tionis  apponitur.  L.  IX. 

eslesi,  son  precisamenle  ciò  che  vuole  (5o)  L'opinione  del  Salmasio  verrà 

iutendersi  colla  parola  riimo.  esposta  più  innanzi,  al  Carmseseye. 


METniARABI.  t)g 

brachicatalettici  ne'  trocaici;  e  così  per  gli  analoghi  (5i). 

Non  senza  qualche  titubanza  esponiamo  questi  no- 
stri pensieri  :  che  di  certa  perturbazione  di  animo  non 
dee  poter  sceverarsi  chi  a  tal  si  oppone  la  cui  fama 
è  divenuta  europea  ,  e 

J^ivii'  volitai  per  ora  viràm  ; 
pure  a  me  sembra  evidente  : 

I."  Che  gli  antichi  ,  come  noi  ,  nell'  andamento 
ritmico  non  considerassero  soltanto  un  numero  deter- 
minato di  sillabe  ,  ma  una  coordinazione  d'  intervalli 
nell'  accentuazione  di  esse  (62)  ;  e  che  un  tale  anda- 
mento conservassero  smo  alia  melabole  ,  sino  al  pas- 
saggio ad  un  andamento  diverso;  il  che  da  noi  si  ad- 
dimanda  cangiamento  di  tempo  (53); 


(5j)  »  Pour  empècher  que  la  mar-  Cosi  il  eh.  Burette  nella  sua  Disa. 
»  che  du  rhythrae  ne  fùt  runipue  sui  ritmi  ;  Ad.  de  l' acad.  des  Inscr. 
»  dans  le  cLant  de  ccs  vcrs  appellc's  pag.  126.  Intanto  è  da  osservarsi  che 
»  catalectiques ,  parcc  qu'  ils  dcineu-  ne'  metri  iambici  ed  anapestici  ,  gli 
»  roient  court,  faute  d'  une  syllabe,  acatalctli  appunto  son  quelli  che  la- 
<t  ou  brève  ou  longue  ,  on  avoil  soin  sciano  spazi  da  riempire  ,  non  gii  i  ca- 
»  d' y  suppleer,  par  1' addilioa  d'un  talctlici  e  mollomeno  gl'ipercalalcttici. 
»  temps  ihylhmique  ,  c'quivalcnt  à  Ma  le  pause  non  sor)  limitate  alla  sola 
Il  une  brève  ou  à  une  longue,  et  qui  fine  de'  versi.  Ov'  è  una  cesura,  esser 
»  rcmplissoit  1'  intervalle  ;  pendant  dee  necessaria  pausa.  Quindi  la  facolti 
»  lequel  la  voix  du  Musicicn  ne  se  ne' poeti  di  riempirlo.  E  quindi  1' ori- 
li faisoit  point  cntendre.  Ccs  temps  gin  vera  dell'  alterazione  de'  piedi  in 
»  vuides  rcpondoient  cn  quclque  fa-  qualunque  cesura  del  verso. 
»  con  i  ce  qu' on  nomme  paiises  et  (5:j)  V.  la  nota  49. 
u  soupirs  dans  la  niusique  moderoe.  ti         (53)  JViythmis  ,  disse  Quintiliano , 

* 


lOO  DERITIS 

II."  Che  ad  un  ritmico  andamento  prescelto  ada- 
giar si  potessero  versi  e  strofe  di  varie  dimensioni  , 
purché  in  analogia  col  ritmo  adottato  ; 

III."  Che  nel  fissar  le  regole  di  tali  analogie  tutta 
r  industria  de'  metrici  si  raggirasse  ; 

IV.°  Che  nella  semplicità  dell'  antichissima  musica 
e  neir  infanzia  de'  primitivi  linguaggi  la  quantità  delle 
sillabe  e  de'  tempi  esser  dovesse  nella  ragion  semplicis- 
sima di  1  e  2,  di  breve  e  lunga',  ma  che  col  progresso 
dell'  arte  musica,  coli'  ingentilirsi  delle  loquele,  di  altre 
suddivisioni  si  sentisse  il  bisogno  :  in  modo  che  di  mano 
in  mano  (  e  specialmente  allorché  la  poesia  si  credè 
potersi  sostenere  separatamente  dal  canto,  e  poeta  e  mu- 
sico non  rappresentò  la  stessa  idea  )  il  sistema  ritmico 
nnisicale ,  se  non  fu  afifatto  in  opposizione  col  sistema 
ritmico  de'  metrici  precettisti ,  in  gran  parte  almeno 
ne  disconvenisse  (54). 

V.°  Che  intanto,  continuando  il  ritmo  musicale  la 
sua  necessai'ia  influenza  sulle  liriche  poesie  ,  e  biso- 
gnandole pei  progressi  dell'  arte  e  per  nuove  melodie 


libera  spalla  ,  metiis  finita  sunt  ;  et  in  contextu   rjRijET.^TEM  ;   sed 

his  certae  clausulae.    Illi  quo  modo  qua  coeperunt  subljtione  et  ro- 

caeperunt  currunt  iisque  ad  |itTa/5o-  sitione  ad  finem  usque  decur- 

\t\t  ,  id  est  Iransituin  In  aliad  genus  rvnt.  Inst.  l.  IX.  e.  4.  Uniforme  in 

rhytlimi.  Et  quod  metruni  in  verbis  ciò  a  tutti  gli  alni  sciiuori  antichi  , 

inodo  ,    rhylhmus  etiam    in   corporis  greci  e  latini  ,  musici  e  metrici. 

tnotii  est. . .  .Jìhythìni  ut  dixi  neque  (54)  V.  sopra  la  nota  42. 
finem  habent  certiim  ,   nec  uldah 


W    E    T    R    I       A    n    A    E    I.  lOl 

or  sillabo  più  brevi  ed  or  più  lunghe  delle  cosi  dette 
h?'evi  e  lunghe  de'  tempi  anlicbi  ;  un  novello  sistema 
metrico  dovesse  emergerne  musicalmente  sillabico,  e 
non  a  legge  della  primitiva  prosodia,  clic  mero  sistema 
da  scuola  si  rimase. 

E  che  un  tal  cangiamento  non  fosse,  come  creder 
si  potrebbe ,  opera  di  cjue'  secoli  i  quali  diconsi  di  cor- 
ruzione ,  l'autorità  de' classicissimi  il  dimostra  (55),  e 
ne  fan  testimonio  cjuest'  inni  e  le  antichissime  popolari 
canzoni  dell'  antichità  più  remola, 

Abbiam  da  Aristofane  che  il    seguente   scotio   dal 
popolo  di  Atene  tuttavia  si  can.asse. 

Ey  iJLVprou  xka^i  ro  |((f)os  (PopnTd)  , 
'OOs  Tip  Api^o^io?  xcci  Apiroy-iTMY  , 
'On  Tov  Tupocvvov  urocvirnv 
I(T0Y0(ji0V5  t'  AÓTiVOig  BTroiYKTccrviy. 

Avrò  ne' mirti  ravvolto  il  mio  brando 
Al  par  di  Armodio  e  di  Aristogitone  , 
Quando  fean  strage  de'  perfidi ,  quando 
L'  isouomia  riacquistò  sua  ragione. 


'55)  Che  le  poesie  cantate  avessero  i?el  oralio.  Quorum  similia  sunt  etiam 

certo  ritmo  simile  alla  prosa  dicea  Ci-  apud  nostros  :  vehit  illa  in  T/iycste: 

cerone  :    maximeque    id   in    optimo  Quemnara  te  esse    dicam  ?   qui  tarda 

quoque  eorum   poetarum   qui  \vpix.oi  in  scacciale;  et  qunesequuntur:  quae, 

a    Graecis   nominanlur ,    quos   cum  nisi    cum   tibicen   accessit  ;    orationi 

cantu  spoliaveris ,  nuda  paene  rema-  suntsolutae  siinilllma.De  Orai.  e.  55. 


l'ia  D    E       R    I    T    I    S 

$/Xra9-'  AqiÀQ^i  ovrcu  rióvvjxag- 

'Nncrois  5'  £v  iixxocpfov  ere  (patr/v  «ya/  , 
'Iva  ipTip  Todftjxrìs  A.ynk\wg ,  Tf^u^t/f 
Te  <pa(r/  tov  sailAcv  A<0(U.rj5£a. 

Ev  (ivprou  xXcch  ro  ^1(^09  (^oqrKTM  , 
'ùJs  T£g  A^f-ohos  xoci  Kpi~oyiiru)r 
Or'  A^TjVairjff  £V  Gucridig 
AvJpa  ruqxvrov  Icrcrap^ov  £xa(V£r7)y. 

A£(  cCPfyy  ;i:X£0?  inerirai  xar'  a/av  , 
<&;XTaó'  Ag(Uo5i£  ;ca/  KpiToytircov  ,  . 
'Ots  tov  trygawov  ;crav£r7!y 
IcroYo^oug  t'  A^^Tjva?  f^roiTifrarriy. 

No,  caro  Armodio,  tu  morto  non  sei  : 
Che  in  le  grand'  isole  splendido  siedi 
Ove  i  magnanimi  Achilli  e  i  Tidei 
Ove  han  lor  seggio  gli  strenui  Diomedi. 

Avrò  ne' mirti  ravvolto  il  mio  brando 
Al  par  di  Armodio  e  di  Aristogitone 
Che  le  Tisìe  della  Dea  celebrando 
Fecer  che  Ipparco  mordesse  il  sabbione. 

Di  vostre  laudi  eco  è  già  1'  universo , 
Carissimo  Armodio  e  Aristogitone  ! 
Che  su  qucll'  empio  in  suo  sangue  sommerso 
L' isouomia  radicò  sua  ragione. 


METRI       ARABI.  lo3 

Che  v'  ha  di  diverso  tra  questo  e  1'  andamento 
ritmico  delle  ballate  de^  noslrì  duceniisli  ?  Eccone  una 
d('l  pio  frate  Agnolo  da  Camerino  (56). 

TEMA 

Per  la  memoria  di  nostro  Signore 

Che  in  seno  è  nato  di  Vergine  Madre  , 

Laudiam  1'  Eterno  Padre 

Di  tutta  grazia  e  di  tutto  valore. 

CORIFEO 

Questo  figliuolo  prennio  nostre  forme 
Sempre  tegnendo  natura  divina  j 

Jlivolla. 

Perciò  sua  vita  tuttora  conforme 
La  gente  umana  a  la  santa  dottrina. 

CAiave. 

Deh  quanta  a  noi  maestate  s'  inchina 
Air  incarnarsi  il  Verbo  benedetto , 
Il  qual  nel  sacro  petto 
Del  Padre  luce ,  procedente  Amore  ! 

CORO. 

Per  l'allegrezza  di  nostro  Signore,  ec. 

E  qui  ci  piace  ravvicinare  esempio  di  antichità 
ben  assai  più  remota.  Ecco  come  io  ho  creduto  leggere 
il  salmo  xcii,  xcm  del  testo  ebreo. 


(56)  Nella   edizione    del    Valciiani     smaoia  di  tuscaoizzarla. 
Uovati  alquanto  guasta  per   la  solila 


lOt  DE       R    I    T    I    S 

1^2"?  nWJ  I^D  .Tin»  1  leóm  màlahe:  'ggeut  tahesc' : 

nrm-T  ri^nln»  :^•5S  /«óf^sc'  leóua  óz  iteazàr: 

:  Oisn-'??  San  pn-'>^  af-'ttikhon  teheì  hai  HtinimoL 

riXpp  |1DJ  2  A'a/o7i  'kkisaka  : 

:  nn  N*  gVi;;  p  wp  //^eas  meólam  atta, 

ni.T  nlinj  INÌ^'J  3  iVase^/  neàrot-.  leòva. 
c^Sip  ni-im  INb'3     Naseu  nearot  qolàm  : 
J^:3T  nm  iXb'r    «eo  /zm/-o/  \ldàheam  ? 

t'PT  fc'p  niSipp  4  Micjqolot  maini  rabbim 
&-'73^'D  annx     Addirbìi  misc'-herehm 
;  nlrr  aiipa  T^     addir  hUmmàrom  leóva. 

nxp  ÌDOX  J.  Tj'i-iij;  5  Edoteka  neemeku  meód 
CI  p'n^X  J  Tjri'37     Lehéteha  nàara-qoresc' 
\  (  ^|N'  )  C'p;  ^^  rv\r\\     leòva  leòreke  amim  (  ieezàr  ). 

NOTE     OIUSTIFICATIVB. 


(■"l'i,")*  è  il  nome  ineffabile  di  Dio,  misura  delle  sillabe  brevissime  eh'  io 

che  gli  Ebrei  sol  leggono  e  pronun-  considero  non    come   le  vocali  mule 

ziano  'J^J^  adonai  (  signore  ).  Per  ciò  degl'  Inglesi  delle  quali  non    si  tien 

che  riguarda  metro ,  quantunque  co-  computo  ne'  versi   in    quell'  idioma  , 

munemenle    tutti    gli  eruditi    cbraiz-  ma  come  la  e  muta  de'  Francesi  die 

zauli    leggano    lova     bissillabo  ,    ho  nella    sola   prosa  può    dirsi  ,    e    noa 

creduto  tanto  in  questa  quanto  nelle  sempre,  evanescente.  Ho  creduto  che 

altre  parole  non  doversi  trascurare  la  confortar    possano    questa    lezione    e 


METRI      AHABI.  lo5 

L'INNO    DELLA    PRIMAVERA 

Quando  verdeggiano  i  campi. 

T  E  il  A 

Regna  e  pompeggia  ,  alto  Ei  pompeggia 
E  ia  leggiadria  possente  armeggia  : 
Sta  saldo  il  rampo  in  sua  virtù. 

Sta  salda  tua  reggia  : 

Qual  ora  tal  sempre  Tu. 

IL       COKIFEO 

Siro/e. 

I  turbini  fremano  :  Egli  li 
I  turbini  inugghin  :  perchè 
Teina  di  turbo  distruggitor  ? 

Anlistrofe. 

Più  del  tuou,  del  mar  che  gli  argini 
Franga  indomito  e  dimargini , 
Potentissimo  è  il  Signor. 

Epodo. 

Si  :  Tua  legge  in  costanza  grandeggia  : 
Tu  SEI.  Che  di  prosperi  amplissimi  veggia 
Un  campo  a  Te  sacro  Tua  legge  fu. 

CORO. 

Ei  regna  e  pompeggia ,  ec. 


l'autorità  degli  aiuìchi    scrittori    cri-     e  il  costume  stesso  degli  Ebrei  nella 
•tiani  che   sirissero  leova  trisillabo  ,     sostituzione  della  parola  adonai  che 

Tom.  III.  14 


loG  D    E       Fx    I    T    I    S 

Sarebbe  agevole  l'andare  spigolando  qua  e  là  ne' 
cantiei  della  Bibbia  altri  periodi  ritmici  i  quali ,  come 


non  può  al  certo  per  veruna  industria  cagion  per  la  quale  sta  bene  di  andar 

centrarsi  in  due  sillabe  sole,  special-  rintracciando  la  ragione  delle  eliiuo- 

inenle  al  principio  del  verso,  com'è  logie , /;e/- /eWere,  piuttosto  da' popoli 

il  caso  attuale.   La  salmodia    ebraica  beduini  che  dagli  stabiliti  in  città.  Le 

scrupolosamente    conservala   co'  punti  prime    cardinali     articolazioni  ,     cfee 

e  cogli  accenti  molliplici  dell'  antica  formano  il  fondo  del  linguaggio  e  ne 

e  della  nuova  masora,  permetter  non  costituiscono  il  gramatical  sistema  ca- 

potca  che  un  trisillabo  ad  un  bisilla-  rattfristico ,  nella  loro  originaria  grct- 

bo  Venisse  sostituito.  -  Per  ciò  che  ri-  tczza ,  nel  loro  totale    isolamento  ,   o 

guarda  poi  traduzione  ,  avrei  ben  pò-  almeno    con    prominenti   e    sfrangiaie 

luto  tradurre /' eter'wo  seguendo  lato-  commessure^  appo  quelli  si  rinvengo- 

talità  de'gramatici  che  traggono  questa  no  ;  mentre  tra  i  popoli  di  lunga  civil- 

parola  dalla  radice   ,-|ì|"j  (  eifu  )  ,  e  tii  fusi  per  dir  così  o  con  imbrunite  ed 

T  T 

della  forma  IT),"!»  (  egU  è  )  ;  ma  ho  invisibili  saldature  si  riproducono.  Ma 

creduto  che  tutla  la  forza  fosse  pre-  nella    ragione    delle  etimologie  ,  per 

cisamente  nell'articolo  ^,"1  similissimo  idee  ,  ecco  fin  nel  nostro  vecchio  La- 

»11'  articolo  arabo  'pv<  ,  che  gli  ebrei  zio  quel  gran  pensiero  orientale  : 

contraggono  in  J^  mossa    per  patasc'  AspiceTlOC,  sublime  candens,quein 

e  seguita  dal  daghesc  indice  eviden-  vocant  omnes  lOVE'  ; 

tissimo  della  ^  sempre  liquescente  in  ed  ecco  insiememente  ,  o  io  m'ingan- 

ebreo  e  sol  nelle  lettere  solari    appo  no,  il  perchè  tanta  ripugnanza,  tanto 

gli  arabi.  Cosi  il  nome  ineffabile  fi"),"!»  ribrezzo  aver  dovea   il  popolo  eletto 

degli  ebrei  sarebbe  lo  stesso  che  l'i-j'^^v^  nel  profferire  una  parola  dalla  cecità 

degli  arabi ,  colla  sola  differenza  nel  delle  genti  contaminata.  Invocate  con 

profferire  una  voce  identica  dalla  bar-  una   espressione    qualunque    1'  Essere 

bade  alla  civiltà.  Gli  arabi  ,  popolo  Supremo,  dice  Tertulliano  ,    ma  noi 

rozzo  e  tuttavia  tale,  batte  serapremai  chiamate   Giove  :    Giove  è  là  con  le 

con  asprezza   il  tasto    articolare  :    gli  sue  libidini  putrido  cadavere  in  Creta, 

ebrei,  popolo  civilissimo   vari    secoli  La  parola  jTlj^»  ricorre  cinque  volte 

prima  di  Esdra  ,  vi  sdrucciola  voca-  in  questo  breve  salmo:  ma  nel  quarto 

lizzando.  Ed    è    questa  ,    a   quel  che  e  quinto  versetto   include   una   frase 

sembra,  e  sia  detto    di  passaggio,  la  tutla  intera. 


M    E    T    R    I       A    R    A    B    I.  I07 

questo,    colle  cantilene  de' nostri  popolani    si  affanno  : 
ina  forse  ne'  linjili  eli  mere  con"l)iclture  lultavia  ci  ri- 


o 


y.  1.  Ma  quc'  sapienlissimi  non  ignoravano 

che  nella  lingua  santa  la  parola  terra 

rtSjJ    parola    indicante    supremazia     indicante  lullo  l'arido  (lei  nostro  globo 

ia  tutti  i  dialetti  semitici;  ma  suprc-     è  V^H   erels ;   come   ne' primi  versi 

mazia  permanente  e  non  contraddetta;     dilla    Genesi:  e  che    qui    trattasi  di 
e  perciò  7-egiiò.  \l  che  esclude  in  qiie-     73j~\  'eie^,  precisamente   /erra  co/tt- 

sto    salmo    qii,iliin([ut;    allusione    che  vabile  ,    e    perciò    da    noi    traducesi 

mai  voglia  idearsi  delle  feste  di  trionfo  campo. 

nella  primavera   di  Oro  sopra  Tifone,  11  quale  nel  secondo    versetto    del 

di  Orrauzd  sopra  Ariiuaue  ,   di  Giove  salmo  è  detto  J<03  Icasa  e  nel  quinto 

sopra  i  Titani,  ec.  jT3  ^"^^  "  bel:  parole  che  nel  senso 

{•'2*^  pompeggia.  [^'^^^  è  precisa-  primitivo  significano,   f[uella  una  co- 

njcnle  la  veste  esteriore,  che  noi  di-     verttira  ,  un  tappeto  ,  questa   U)i  re- 

rcmmo  manto.  cinto  ;  caia  in  somma  J<03  uell'  ori- 

IfJ^nn  armeggia.  Questa  idta  fé-     ginale   signi-ficato    di    questa   parola. 

licemente  espressa   nella   volgata  col  Z?ei-/eew,  la  casa  del  pane; -BeZ-iff/rfe, 

praecinxit    se  ,    è    più    direttamente  la  casa  della  pesca  ;  Bet-fage ,  la  casa 

renduta   nella   versione   dei  lsx  col  de'fichi  ;  ec. 
%%x  mpiiZitiaaTo.  In  sostanza  è  la  ma- 
nifestazione   di  Dio    nelle   sue   opere  X.  a. 
esteriori  di  bellezza  e    di  vigore    col 

ritorno  della  primavera,  nella  quale         11  trono  di  Dio  è  in  tutto  il  crea- 

alla  gioventir  e  quasi  ad  una  creazione  to  :   ma  più  splendidamente  nel  cielo, 

novella    è    ricondotto    il   mondo.    E  più  beneficamente  ne' doni  dell' agri- 

perciò  con  sano  accorgimento   alcuni  coltura.  -  Ammirabile  e  questo  versetto 

intcrpetri   fan  tema    di  questo   salmo  per  quell'^p}^  solennemente  traspor- 

il  ricordo  della  creazione  Slessa,  quan-  tato  alla  fine  senza  legame  di  verbo, 

do  lo  spirito  del  Signore   si  traspor-  e  che  include    perciò   eminentemente 

lava  sopra   la  faccia    delle  acque  ,  e  ed  esclusivamente  in  Lui  solo  l'idea 

la  terra  non  fu  più  inerte    e    vacua,  di  esistenza. 


]o8  D    E       R    I    T    I    S 

niarremmo  se  additar  non  potessimo  ancora  qualche 
rottame  di  antichi  monumenti  anche  più  decisivo  ,  e 
da  risguardarsi  quasi  un  di  quegli  anelli  dell'  infranta 
catena  la  quale,  per  le  cure  di  laboriosi  ed  eruditissimi 


y.  5.  eJ  or  minacciano  distruzione  (  tìOT 
IXti?'  );  ^  1"^'  mugito  del  y.  3  qui 

J^'j"|i'-(J  lu/bini.  "^[-(J  è  la  parola  se-  divien    tuono.  Si    avverta    il    grande 

mitica  indicante  fiume    e  xar'  tl^Xl*"  effetto    di  qucU' accumulazione    delle 

V  Eufrate  ,  che  i  gramatici    traggono  desinenze  in  ^«  che  non  m'è  riuscito 

dalla   rad. ce  "d'IJ  fli^i-   Ma    qui    non  poter  trasportare  nella  traduzione, 
trattasi  del  semplice  fluire. 

Riguardo  alla  forma  gramaticale:  i  y.  5. 
due  ")\j^'J  e  r"l}<iy»  par  clic  vadano 

considerati  come  aoristi  nel  modo  pò-  I  versi  qui   ritornano    nello    stesso 

tcnziale.  La  forza  del  contesto  il  per-  metro  e  nelle    slesse  lime   del  primo 

«uade  y.  1^37  labesc'  ,  tJ'lp  qoresc'  :  J^^Qf! 

y.  4.  timmot ,  1X!D  'meod    (  nulla    di  piii 

ovvio  che   r  identità    di  rima  per  le 

Ecco    que'  /l'inni    trasformati    in  lettere  ajfini  ^  e  "^  ,  anche  nella  poe- 

t3'3"ì  £3'0'  forma  duale  che  ci  guida  sia  rabbinica  ).  Perchè  la  terza  rima 

al  ricorda  delle    acque    superiori    ed  "JfXrin  °°°  avrebbe  la  sua  corrispon- 

inferiori  della  Genesi  ,1,7.  Ecco  di  dente  ?  Ma  il  verso  ultimo  del  salmo, 
nuovo   strepiti    e    devastazioni ,    ma 

con  immagini   gigantesche.    Ed   ecco  tSID*  T^N?  ntiT 
perchè,  per  avvicinarmi  un  poco  al- 
l' energia  dell'  originale  ,  Hìini  ^^'  sarebbe  monco  quando  anche  non  si 
vengon  turbini  ,  i  (quali   or   fremono  volesse    aver    riguardo    alla    ragione 
(ìNB'i)or  mugghiano  (CaSiD  WJ  )  «^«1'»  "ma. 


M    E   T    R    I       A    R    A    B    r.  IO9 

uomini ,  sempreppiù  le  sparse  memorie  delle  varie  na- 
zionali leggende  alla  storia  patriarcale  rannoda.  Sia  il 
carme  degli  Arvali  uno  di  questi  anelli  : 

ENOS  LASES  IVVATB 
HEre  LI'A  BEVE  MARMAR  smS  INCVRRERE  IN  PLEORBS 
SATVR  FFRERE  MARS  LIMES  SALI  STA  BERBER 
SEMrSIS  ALTERNEI  ADVOCAPIT  CONCTOS 

ENOS  MARMOR  IWATO 
TRiyMPE  TRIVMPE  TRIVMPE  TRJJ  MPE  TRIVMPE 

Della  sola  eufonia  di  queste  parole  or  si  tratta,  e 
interamente  dalla  loro  interpetrazione  prescindo  (67). Che 
anzi  ,  ad  evitare  ogni  briga ,  prendo  in  esempio  il  solo 
efimnio  che  tutti  leggeranno  al  certo  e  troveranno  un 
prettissimo  pentameiro  bacldaco  acalalttto  : 


{iì-f^ .Viyx\a\  Degli  atti  e  monumenti  sii  versi    e  negli  altri  di  simil  gene- 

de' Fratelli  arvali  scolpiti  già  in  ta-  re.    Certo    è    che  per     1'  autorità    di 

vo'e  di  marmo,  ed  ora  raccolti ,  di-  Varronc  ( /.  tx,  pag.  lo3,ed.  Goth., 

ciferate  e  comendate ;  ove    delle  in-  che  io  altra  occasione  abbiamo  avuto 

inlerpetrazioni    del   Lanzi  si    segue  il  agio  di  esaminare  a  lungo  ),  dovendo 

iistcma.  -  Se    si    ponga    pensiere   alia  i  nomi  antichissimi  terminare  con  una 

rozzezza  del  monumento  eretto  in  lem-  vocale,  e  conseguentemente  supplirsi 

pi  non    al  certo  infelici;  se  alle  va-  ovunque  si  veggano  finir  con  una  con- 

riaiili  dello  stesso  verso   nelle   triple  sonante  ;  un  sistema  d'  inlerpetrazioni 

ripetizioni  ^  se  finalmente   alle   ordi-  emerger  ne  potrebbe  affitto  diverso  , 

narie    industrie    di  coatraffare   parole  profittando     analogicamente     di   que' 

di  perduto  o  non  piìi  comune   signi-  principii  che  il  sagacissimo  Fourmont 

ficaio  per  torcerle  a  parole   di  signi-  fone  de\là  sai  Oiss.  sur  Tari poétigue 

ficaio  correate  ;  non  poco  par  che  ri-  et  sur  les  vers  des  anciens  Hébreux, 

xiianga  tuttavia  da  esaminarsi  in  que-  -^ct.  de  l jic.  des  Jnscr.  tom.  If^. 


110  D    R       R    I    T    I    S 

Triiimpe  triumpe  ti  lampe  triumpe  triumpe. 

Or  nella  doppia  considerazione  in  questo  efunnio , 
e  dell'  andamento  ritmico  e  della  catalessi  ,  assai  me- 
glio che  nell'  ir.  'Xmolv  rinvenir  potremo  il  vero  tipo  del 
verso  eroico  de'  nostri  grandi  arcavoli  (58).  Intanto  , 
esso  è  come  due  gocce  d'  acqua  similissimo  al 

vakoii  'kkisahà  meaz  moólani  atta , 
sol  che  i  versi  di  acatalelli  divengano  brachicataletlici. 

Ma  per  quello  che  più  importa  al  proposito  no- 
stro ,  (cc-o  il  tipo  prettissimo  di  quei  che  gli  spagnuoli 
dissero  los  versos  dt  arte  inaior ,  e  che  sembrar  po- 
trebbero di  araba  provvcnienza  perchè  col  ritmo  appunto 
coincidono  di  che  gli  arabi  vieppiù  si  compiacquero  (Sg). 


(58)  V.  appresso  Ciucolo  Divruso.  rato  doq  tlubitavasi ,  vedi  la  nota  iB); 

(59)  I  nostri  vecchi  gramatici  rife-  gli  esempii  ne  sono  piii  che  frequenti  : 
rivano  tai  versi  al  genere  peonico;  e  col  moviménto  dattilico  j  o  a  dir  me- 
sicconic  il  iachìo  ne  t'ormava  il  piede  glio  anapestico  (*)  si  confondono  ;  e 
di  modello,  non  fu  molto  nelP  anli-  gl'inni,  i  canti  popolari  sopra  rife- 
ca  poetica  gradilo ,  come  antimusicale,  riti,  e  quasi  che  tutte  le  ode  di  Pin- 
Ma  ciò  per  altro  nelle  sole  condizioni  darò  vi  si  mostrano  iachinanti,  come 
dell' andamento  ritmico,  della 'fiO^ni/.r)  sarem  per  vedere. 

ayojyfi  della  vecchia  musica  greca.  In-         Il   metro    può    questo    considerarsi 

tanto,  sia  che  venisse  ingentilita  l'ul-  di  presso  che  tutti  i  popoli  nella  vi- 

tima  sillaba   riducendosi    di  lunga  in  vacità  di  un  fervido  seniire;  e  perciò 

breve,  cangiandosi  perciò  il  piede  di  nella  penisola  ibera  trovar  dovea  fa- 

hachio  va.  amfibraco ,  sia  che  all' anti-  vorita  sede.  Don  Emanuele  da  Faria 

chissimo  tipo  de' molossi  si  adagiasse  (e  y  Sousa  ,    nella   sua   Europa  Porlii- 

che  il  molosso  fosse  il  tipo  de' m«7foi/  guesa  ,    pubblicò    alcuni    frammenti 
peoni  ai  tempi  almeno  di  Servio  Ono- 


(*)  Aristide  Quintilrano  chiama  il  pieile  che    V  anapesto  liuraurro!  «ir'  t\ccciTotos. 
coi  dìcìani  dattilo  A^wTraiffTos  axo.  jwu^cv&s  j  e 


METRIARAnr.  Ili 

Inchlnanlissimi  a  un  tal  metro  riputar  si  vogliono 
nella  massima  parte  le  canzoni  di  Pindaro,  dello  quali 
un  breve  fraaunento  ci  rimane  sottoposto  a  noie  mu- 
sicali :  ed  è  notabile  che    mentre  tante  conghietturc  e 


d'  un  poema  eroico  in  versi  dell'  arie 
maggiore  ,  che  dice  essere  siali  rinve- 
nuti sul  priucijiio  del  secolo  XII  nel 
castello  di  Lusam  quando  fu  ricon- 
quistato su  i  Mori  :  il  manoscritto  fin 
d'allora,  soggiunge,  sembrava  con- 
sumalo dall'età:  e  consegueotemenle 
il  poema  può  riferirsi  all'epoca  della 
conquista  degli  Arabi.  T.  IH,  pari.  4, 


e.  1 1  pag.  378.  -  L'ultima  forse  delle 
composizioni  spagnuole  in  questa  sor- 
ta di  versi  è  quella  clic  qui  ci  piace 
trascrivere  ,  ignota  nelle  collezioni  , 
e  sol  riferita  ,  per  quaolo  io  ne  sap- 
pia ,  dal  nostro  Suinmonte.  Ha  per 
obbietta  la  celebre  disfida  degli  ita- 
liani e  de' francesi  ne'  campi  di  Bar- 
letta. 


Oracion  dd  ip'on  Cupil^n  a  los  ScTiores  Italianos. 


Despues  quel  divisos  los  haya  animado 

Y  a  fuerza  Ics  fuerza  sus  liontras  rayrar, 
A  lodos  ya  iuntos  comienza  narrar  : 
Mlrad  Cavalleros  que  os  sea  acordado. 

Como  de  los  Muzios  aveys  cmanado  j 

De  Dezios,  Cornelios,  Papirios,  Zipioncs, 
De  Tazdos  ,  de  Fabios,  de  Emilios,  Catonps, 

Y  d'otros  que  Galos  han  siempre  domado. 
I/OS  vucstras  toraaron  qua!   quìera  grandeza 

Y  el  gran  Universo  so  sylo  mctieron. 
Franaescs  son  zifra  a  lo  que  hizicron 

Y  gente  domcnos  esté  fortaleza. 
Van  impeluosos  con  su  legcreza  : 

No  guardan  lo  honesto,  honor  ,gravedad  ; 
Vos  vlrtud  y  gloria,  saber,  magestad 
Teocys  mas  che  otros  eu  la  redondeza. 


Quen  cste  combate  que  haveis  de  hazer 
Està  la  vitoria  de  Ytalia  colcada  , 

Y  aves  de  aqui  honora  qual  cumple  secada 
Sennal  es  en  lodo  despues  los  venser. 

Tranzeses  que  uUragen  ci  vucatro  valer 
Y"  todas  razones,  os  dau  la  vitoria  : 
Alcad  tas  manos  ardientes  in  gloria 
Libremos  a  Ytalia  de  aquel  supoder. 

Y'  quelles  porficn  en  vos  ultrazar; 
My rad  vuestras  honras  que  es  tengo  por  tales. 
Que  hauran  oy  sus  penas  por  vos  de  sus  males: 

Y  a  si  espero  in  Dios ,  cos  lo  hau  de  pagar. 
Y  Ellos  comienzan  a  si  replicar  : 

Esperamcs  in  Dios  ,  y  en  la  Virgen  Maria, 
Que  nos  cada  uno  el  suyo  traerya 
Ay  ha  Baryleta  por  los  presentar. 


Noi  abbiam  riserbato  questo  ritmico  eroico  l' endecasillabe)  italiano.  Ver  ciò 

andamento  per   la  sola  lirica  :  e   gli  che  riguardai  metri  pindarici,  V.  le 

stessi  spagnuoli  il   dismisero   nel  se-  note  61 ,  63  ,  64. 
coloXVI,quando  adottarono  per  metro 


112  D   E      R    r   T   I   S 

tentativi  si  van  prodiicendo  dagli  eruditi  sul  prosodiaco 
andamento  de'  modi  pindarici,  ad  un  tal  frammento  non 
siensi  rivolti ,  e  solo  scn  faccia  ricordo  dagli  storici  della 
musica  (60).  Il  frammento  è  questo  ;  ed  è  la  prima  delle 
pitiche. 

XpotTid  (PopiJiiy'^ 

AcT'oXXwvof  x.ai  iO'x\ox.a.\uot 
iJwSwov  Mowav  i<.rioL\Qt 
Tas  cLKOVii 
Msv  fiacrtq  aykàias  a.pyjx.. 

Xopoi  US  Kv^apav. 

O'Torccv  r((jv  zrpooiiiutjv 
AfifioXag  rwxf:? 
'EXsXt^ofjLiva.' 
Ka/  Tov   ai-)Qi.a.ray  xsptxvvov 
XjiiyYuiig  *   (Xivscov  T'ypos. 

*  EwS'st  S'  ava.  cxatìfru) 

*  Aio?  atirog  0  (OKnav 

*  Tlnpu-y'  «(^(poTspwS-EV  ;^aXa|a;j, 

Nella  moltiplice  fluttuazione  delle  opinioni  diverse 
su  i  metri  pindarici  ,  ho  voluto  tentare  di  sostituire 
sillaba  per  sillaba    alle  parole  greche   le  italiane    sotto 


(60)  V.  gli  autori  citati  alla  noia  44.  Martini.   Se    del  movimento    di  que- 

È  dispiacevole  che   dei  quattro  pezzi  si'  ode    si    fosse    egli  occupato  ,  forse 

di  greche  poesie  che  ci  rimangono  con  1'  obbiello  che  or  ci  occupa   non  sa- 

note  musicali,  il  solo  frammento  del-  rebbe  piìi  ormai  problemaiico. 
r  in/iù  alia  Musa  venga  citato  dai  p. 


METRIARABI.  Il3 

le  musicali  note  ;  e  da  per  so  stesse  le  parole  si  con- 
formavano in  altrettanti  Adersi ,  a  legge  strettissima  coor- 
dinati della  moderna  italica  prosodia.  La  qual  sostitu- 
zione, alquanto  ibrida  per  avventura  e  disadorna,  ben 
dir  potremo  una 

VERSIONE     METRICA. 

Cetera  d'  oro  ! 

Tu  d'Apollo,  tu  de  le  Aouidi 

Fida  compagna  e  giolito  ! 

Tu  nel  coro 

Sovrana  de  i  ritmi  sei  donna. 
Te  duce  i  cantori  seguono, 

Se ,  tocca  dal  plettro  , 

Ai  tintinni  di  armonici  numeri 

Le  concitanti 

Note  preludii. 
Tu  i  flagranti,  gl'immortali 

Spegni  guizzi  del  fulmine. 

E  allor  su  lo  scettro 

Sta  di  Giove  1'  aquila  ,   e  1'  ali 

D'  ambo  i  lati  protende  ed  assonna. 

I  versi  notati  con  asterischi  non  hau  segni  musicali. 
Ma  io  mi  dovca  ,  colleglli  ,  presentarvi  tutta  quanta 
una  strofe  ,  onde  1'  intera  economia  vieppiù  spiccasse  di 
questo  ritmico  andamento.  Nel  quale  voi  già  raffiguraste 
il  tipo  di  quelle  canzoni  di  che  echeggiarono  le  augu- 
Tom.  III.  i5 


1  l4  D    E       R    I    T    I    S 

rate  sale  del  nostro  Federigo-Ruggieri  e  del  suo  bena- 
mato figliuolo  Manfredi  ,  quando  i  più  ciliari  ingegni 
d' Italia  anli  accordi  delle  avite  cadenze  il  materno  idio- 
ma  addestravano,  e  le  vergini  nmse  a  quei  boschetti  fa- 
cean  ritorno  e  presso  quelle  limpide  acque  e  sotto  quella 
serenità  di  cielo,  che  i  gentili  pensieri  inspirati  aveano 
al  cantor  di  Aretusa  ne'  più  soavi  de'  numeri.  Quel  tri- 
plo compartimento  voi  qui  vedete  nella  stessa  strofe 
che  appo  noi  di  volta,  rivolta  e  stanza  ebbe  nome,  e 
del  quale  né  un  solo  esempio  rinvieusi  nella  numerosa 
raccolta  del  cantar  provcnzalese  (61);  e  que' legami 
ancora  da  strofe  a  strofe  i  quali,  quasi  anello  ad  anello, 
r  un  periodo  musicale  che  si  compie  ad  un  altro  che 
ricomincia  conuettono  :  nel  tempo  stesso  che  le  varie 
pennelleggiate  immagini  del  primo  quadro  con  quelle 
del  secondo,  del  terzo,  e  cosi  vievia,  distaccano  insie- 
memente  e  ricongiungono  ,  onde  tutte  le  potenze   del- 


(61)  Per  notare  vieppiù   le   analo-  senz'accordo  e  senz'arte;  non  sol  si 

gie  della  disposizione  delle  nostre  can-  fanno  simmetriche  nelle  minime  parti 

zoni  colle  pindariche  ,  ecco  nella  pri-  del  loro  melodico  compartimento  ,  ma 

ma  olimpica  dopo  la   volta   e  la   7-i-  di  vigorosa  nilidità  sfolgoranti    nella 

volta    anche    la   chiave    prima    della  esposizion    de'  pensieri.   Non    si  pensi 

«tewzo.  V.  Dante,  Trissino ,  «i.  ««jor.  alla  versione  qual  è  ,    ma    qual   po- 

Ed  ecco  come  le   canzoni   di  Pin-  trebb'  essere  da  felice  ingegno  clabo- 

daro  che   arbitrarie  affatto   si  son  ri-  rata.  Nel  dir  poetico  ,  tutta  1'  efiica- 

putate  nella  scelta  de'  versi ,  e  mol-  eia  dell'  arte  sta  spesso  nella  giacitura 

toppiii  nel    disuguale    compartimento  di  una  voce  ,    nel  ravvicinamento  di 

delle  immagini  da  strofe  a  strofe ,  da  una  immagine  :  spostate  quelle  voci, 

sistema  a  sistema  ,  senz'ordine ,  senza  distaccate  quelle    immagini,    e    ogni 

nesso  ,  e  ,  come    taluno    bestemmiò  ,  accordo  svanisce. 


M     E    T    R     I       A    R    A    B    r.  110 

r anima  nel  suo  complesso  e  in  ciascuna  delle  suo  parti 
abbracciar  possano  e  dislinguere  un  gran  pensiere ,  un 


S   T  P  O  *  H. 

óiOo^;^oc  Vvpr 

art  hiXVpfXii  vvKTi  , 

fjLtyjivopos  f|o;^Jt  wXoitoi/. 
£i  o    aiOXce  yxùviv 

t}.ota.i  f  iXci*  r.TCù  , 

/tJlKiS'  ù.\izv  CKo-ìfit  ct\ko  '■ia.y.Tfv'^.rt^ov 

IV  afi.ioot  f^xitvov 

«q-^oc  tp7}fixi  Si'  ixt^jipos' 
Mtjo'  o\vfx-rta.s  aymx 

(pipTMùOv  avo  a  ero  jttff, 

'OÙtv    O  Z90\v(pXTOS  UflvQS 

KsXxOiiv  Kpovov 

zffxih'  a   atipvixv  iKCfiivot 

fjLXKXipxìi  'lipeoyos  l'^tav. 

A  N  T  I   S    T   r  O   *   H. 
&tfiti^stCv   05    Xfiipnrtt   (TaXittOv 
iV    ZffOXVfAXXciJ 

Si»iXia  ,  ODfxiuv  fd.T\v 
•    Kcpi'^as  xptrxv  airo  zfxvxv, 
Ay'Kai^srxi  de 

XXt   fl.0VI7lKXS    tv    CLbiTtu 

oidt  taxiT^Ofjit»  (^i\xy  xvopti 
afilli  Qxftct  r^x-ìct^xv* 
AXXx  òiuptxv  UTO  ipGDfitYyx 

ZfX(T7XXQV    \Xfji.^Xv'. 
El    ri    TCI    TlltTXi    Tt    XUI    9lp(VIK0V    )(^Xpti 

t'COf  VICO  ykvKvrxruts  s9>]xc  (fovrtirtv 
ere   zsxp'  AX^sw 
ffvTO  htfixi  uxtvrriTov  tv  Spù/xoKTi  TrapE^f^ 

XpXTU    Ot    ■ffpOfftfAt^B    OIIT'KOTXV 

E  n  n  A  o  s. 

XvpxKCfTicv  iTirox^ff  *»■  P*o'iX>ia 

Xa^itTii    hi    Ci    xXtCS 
zfxp'  ivxvopi  Xvdov 

rTEXCTTOS    a'TOIKJa   , 

rov  ^lyacGfifT];  tpao'uars 

iirti  nf  xat^oEpov  Xf^7)T0; 
»^lX8    K^uDev,    !\i^*rri 

^xjoi^or  vfiov  Ktxxifmor.  x.  r,  X. 


TOLTA. 

Ben  ottima  è  l'acqua  :  e  ben  l'oro, 

Qual  fiamma  flagrante 

Che  al  buio  vampeggia, 

Del  tasto  e  orgoglioso  decoro. 
Ma  pur  de*  certami  , 

Cuor  mio,  chi  cantar  brami, 

Faccia  il  sol    scopo    ai    carmi ,   altro  non 

Rutilo  sfolgorante  chieggia 

Aatfo  per  1' aer  deserto: 
Deli' olimpìnco  agone 

Nulla  pareggia  il  merto. 
Perciò  splendid'  inno  compone 

De' so  fi  l'ingegno  fervente; 

E  un  Giove  vagheggia  , 

Se  Tolge  in  idea  la  splendente 

Di  lero  beata  magione. 

RIVOLTA. 

Il  qual  erge  ,  sul  suolo  sicano 

In  greggi  felice  , 

Di  Temi  lo  scettro  sovrano 

Ed  ogni  cima  di  virtù  elice. 
Là  dove  gioliva 

Sta  musica  squisitezza 

Quando  noi  mesce  menca  festiva 

D'  amistà  nell'  ebrezza. 
Su  TÌa  dal  chiodo  la  cetera  dorica, 

Omói  si  sgroppi  ; 
Che  in  brio  già  per  Pisa  ferve  l'estro  dirceo, 

In  brio  per  Ferenico  che  a  doppi  galoppi 

Rende  appo  l'Alfeo 

In  sua  sola  baldezza  ,  senza  sferza  o  sprone, 

Di  vittoria  al  suo  sir  guiderdone. 

STANZA. 

Al  sir  di  Siracusa,  al  cavalìer  prode 
Cui  laudar  gode 
Tutto  del  Lidio  Pelope 
Il  popol  generoso: 
Felope  a  Nettun  caro 
Che  accerchia  le  sue  prode  : 
Pelope,  per  empio  caldaro 
Onde  Cloto  il  traea ,  per  nobile 
Sprilla  eburnea,  famoso,  ec. 


Il6  D    E       R    I    T    I    S 

grande  affetto  che  f  alunno  delle  Figliuole  della  Memoria 
nella  maggior  vigoria  suscitando  sigilla  (62). 

Uomini  diligentissimi ,  eruditissimi  ed  acutissimi 
han  dato  opera  a  renderci  chiarito  l'arcano  meccanismo 
della  pindarica  versificazione;  non  perù  altrove  che  in 
Italia  par  che  si  prendesse  la  huona  strada  quando  le 
ingegnose  conghietture  confortar  si  videro  co'  soccorsi 
della  filologia  non  solo  ma  dell'  arte  musica  (65)  :  ed 
una  deviazione  par  clie  deggia  riputarsi  1'  aver  voluto 
tuttavia  le  ragioni  metriche  dalle  musicali  disgiugnere, 
e  dei  due  procedimenti  non  tentare  almeno  di  rintrac- 
ciar   la  convergenza  (64).  Io  non  sarò  al  certo  l'apolo- 

Ed  oltre  a  questa  quadrupla  sud-  Cosi  Pindaro  nella  prima  stanza  dei- 
divisione  ,  altre  poteva  averne  la  no-  la  pitica  sopra  trascritta,  dopo  averci 
slra  canzone  ,  per  le  quali  V.  Dame,  dipinto  1'  aquila  che  dorme  al  suon 
de  F'ulg.  £1.  ;  Trhsino  ,  Pool.  \l  che  della  lira  su  lo  scettro  di  Giove,  co- 
ramraentiamo  suIP  osservazione  che  la  mincia  la  seconda  colla  stessa  imma- 
maggior  parte  delle  cantilene  amiche  gine  :  Apx°5  oimvwv  ,  x.  t.  X. 
lungo  tempo  si  rimasero  nel  nostro  pò-  Così  Cerone  ,  nella  olimpica  della 
polo,  come  sul  tipo  saffico,  pirrico  ec,  precedente  nota,  compie  il  quadro  del- 
c  che  veder  si  possono,  nel  Salinas.  la  prima  strofe,  ed  è  la  prima  imma- 

(62)  Così  ,  a  cagion  d'  esempio  ,  la  gine  dell'  antistrofe  ;  è  V  ultima  imma- 

prima  strofe  della  prima    canzone  di  gine  di  questa  ,  ed  è  la  prima  dell'e- 

Federigo  finisce  con  questi  versi  :  podo  ,  ec. 

Valimento  mi  date  ,  donna  fina  ,  E  così  sempre. 

Che  lo  mio  core  adesso  a  voi  s'«/2c/i//«a.  I    provenzali    legavano    una    strofe 

E  la  seconda  comincia  ;  coli'  altra  ripetendo  identicamente  al 

S'  eo  'nchino  ragion  aggio  cominciar  di  ciascuna  stanza  la  parola 

Di  si  amoroso  tene  ,  ec.  ultima  della  precedente. 

Termina  la  seconda  :  (63)  De  Pindari   odis  coniecfurae 

Aggia  a  piacere  a  voi  che  siete  fiore  D.  Io.  Aloysii  AJinc.jreli.i  ,  etc. 

Su  tutte  r  altre  ,  e  avete  più  valore.  Dononiae  lyys. 

E  comincia  la  terza  :  (64)  L'  eruditissimo  Hermann  ,  do- 

ycdor  su  l'altre  avete  pò  un  ben  applaudito  lavoro  2?e  »;e- 

E  tutta  conoscenza  ,  ec.  tris  Gaecorum  (  che  sol  canosco  va- 


Af    E    T    TI    I       A    R    A    B    I.  II7 

gista  dei  metrici  d'Alessandria  :  ina  riputarli  alTatlo  ignari 
nella  ragion  ritmica  di  quello  canzoni  delle  quali  proba- 


gamcnte  per  quel  che  ne  han  tlelto  i  sola  seconda  specie  <le'  ritmi  diffusa- 
gioriiali  )  due  dissertarioni  elaborò  mente  ragionar  doveano,  appunto  per 
precisamente  sopra  le  canzoni  di  Pin-  adagiare  specialtaente  i  carmi  di  vario 
darò  ,  le  quali  formano  non  ultime  genere  (  wjivxpTriTu  )  alle  condizioni 
gemme  nella  preziosa  edizione  dell'  de'  ritmi  della  prima  specie. 
lleyne  (  Pimiari  carmina  cum  lectio'  Non  pare  adunque  necessario,  come 
nis  varietale  et  adno'alionibus  ;  Li-  il  dottissimo  Hermann  si  esprìme,  die, 
psicie,iSi8).  Ma  percliè  mai  queir  acu-  per  l'ormarci  una  distinta  idea  di  ciò 
tissimo  ingegno  due  ricerche  allatto  che  gli  antichi  intendessero  per  ritmo, 
isolate  va  producendo,  1' una  su  i  altro  modo  non  v'ahbia  se  non  la  sco- 
ntetri  pindarici, ì'aXlra.  su  i  ritmi  pin-  perta  degli  elementi  ritmici  di  Ari- 
darici?  E  perchè  mai  in  quest'ulti-  stosseno  j  o  l'intera  introduzione  al- 
ma il  ritmo  musico  col  ritmo  proso-  meno  di  Pscllo  all'arte  ritmica,  della 
diaco  confonde  ?  quale    il    Morelli    pubblicò    qualche 

Per  procedere  da  cose   note  ,    con-  saggio. 

sideriamo   nella  nostra    battuta    mu-  Ci  avvarremo  intanto  dell'autorità 

sicale    uu    doppio   ritmico    audamen-  di    un    tanto    ingegno    per   rafforzare 

to  :   1.°  ritmo  regolatore    di  tutto    un  quel  che  di  sopra  abbiam  detto  su  la 

periodo  ,  che  noi  diciamo  tempo  or-  quantità  delle  sillabe  greche  e  latine 

dinario  ,    a    cappella  ,    quattro~due  ,  non  sempre  valutabili  nella  condizio- 

quattro-tre  ,  olio-sei ,  olio-dodici,  ec.  ne  di  una  lunga  eguale  a  due  brevi. 

2."  ritmo    distributore   de'  vari   inter-  Omnino   autein  ,    ei    dice  ,    ipsa    rei 

valli  ucWe  percussioni   adagiabili  al-  natura  postulai  ut  pturibusquamaim- 

le  varie  parti  di  un  tempo  come  sopra  pìici  et  dupli  mensuris  usam  esse  mu- 

delinito  ,  e  che  ben  può  variare  e  va-  sicani  G raecorum  credamus ,  quod  ni- 

ria  da  battuta  a  battuta.  Quando  adun-  mis  iners  et  rudis  foret   cantus  qui 

que  la  px7/j  e  la  triijiiia  diversamente  noìi  nisi  diiplicis  mensurae   varieta- 

venivano  considerate  da  Aristosseno  ,  lem  admilleret.    Ma  non  so  come  sia 

da  Psello  ,  da  Efestione  e  dagli  sco-  sfuggito  a  quell'eruditissimo  il  tcsti- 

liasti  di  Aristofane  ,  par  che  secondo  monio  diretto  che    producemmo    alla 

questo  doppio  riguardo  le  consideras-  nota  42  ^  e  come  per  sole  ragioni  di 

sero:  e  i  metrici  delle  condizioni  della  convenienza  il  vada  argomentando. 


Il8  D    E       R    I    T    I    S 

bilissiinamente  ascoltavano  tuttavia  su  le  bocche  de' po- 
polani l'abituai  cantilena,  sembrami,  se  non  affatto  as- 
surdo ,  inconcepibil  paradosso  (65).  Tenace  è  il  popolo 
nelle  sue  abitudini  ,  dalle  quali  assai  di  rado  o  sol  con 
lentissimi  procedimenti  si  dismette.  Ed  abbiamo  di  già 
cenuato  il  progressivo  andamento  dalla  coboletta  e  dalla 
barcarola  al  largo  andare  de'  simmetrici  si  ma  non  iden- 
tici conipartimcntij  nella  ragion  metrica  del  pari  che  mu- 
sica dalla  ragion  ritmica  riuniti  (G6).  Farne  più  paro- 
la, sarebbe  per  voi,  Accademici,  superfluità  mera  ;  per 
altri  occorrerebbe  un  trattato. 

Piintessendo  le    sparse    fila  :    per   fisica   condizione 


(65)  11  primo  ,    a  quel   che   io  mi  infTiontare  Tneiricmnente  non  dico  le 

sappia  ,    il   quale  a  menomare  insor-  comme  e  le  tome    di  due    stanze  pe- 

gesse  r  autorità  degli  scollasti  di  Pin-  trarcliesche  ,  ma  le   monocole   ottave 

darò  ,  e  specialmente  del  metricOj  si  del  Tasso  ,    e   piìi    dell'  Ariosto  ,    in 

fu  il  signor  Vauvilliers  nelle  sue  dis-  modo  che  la  prima  stanza  o  la  prima 

seriazioni    sopra    Pindaro  :    yict.    de  ottava  corrisponda  metricamente  alla 

l'Acctd.  des  Inscript.  -voi.  XLVl.  Per  seconda  ,  1'  una  e  1'  altra  alla  terza, 

Heynè  la  loro  ignoranza  è  cosa  fuori  e  così  vievia:  quante  differenze  e  va- 

di  controversia:  Alexandrini .  .  .  .nec  rietà  non  avrete?  con  quanti  nomi  non 

STUDIUM  rei  metricae    antiquae  nec  dovrete  distingucrle?E rammentiamoci 

I^OTITIAM    habuere    (   in   praef.    ad  cheheTi  cjiiatiroìiìilanovciiitasei  di  quc- 

Pind.  p.  XII.  ).  Ma  non  perchè  de-  sle  differenze  o  varietà  ne  andava  Vit- 

nominazioni  usarono  gli  Alessandrini  torino  calcolando.  V.  la  nota  5.  —  Be- 

da   Efcstione    e    da    Terenziano   non  nedelto  il  primo  che   disse  :    la  can- 

rammentate  riputar  li  dovremo  di  quc-  zon    petrarchesca    altro    non    ha    che 

sii  più  recenti,    come    il  Vauvilliers  settenari  ed  endecasillabi,  e  tutta  di 

assumeva;  e  non  perchè  sillaba  per  sii-  endecasillabi    è    1'  ottava.    Benedetto 

laba  il  tale  col  tale   altro   verso  non  chi  disse  :    se  hai   bisogno    di    coniar 

corrisponda   aver  non   può   la    tale  o  le  sillabe  su  le  dita  ,  non  por    pen- 

tale   altra    denominazione  ,    come   as-  siere  a  far  versi, 

sume  l'Hermann.  Fatevi    di  grazia  a  (66)  V.  la  pag.  i6. 


M    E   T   n.    I       A    R    A    B    r.  lig 

de'  nostri  organi  della  parola  ,  qualunque  emission  di 
voce  far  dubbiamo  in  due  tempi ,  in  due  tuoni ,  e  1'  un 
dell'  altro  sempre  più  spiccante.  Se  maggiore  è  la  vi- 
brazione del  primo  tempo  ,  del  primo  tuono  ,  si  ha 
1'  andamento  trocaico  ;  se  del  secondo  ,  1'  andamento 
iambico.  Nella  semplicità  della  notazione  musica  degli 
antichi  ,  il  tempo ,  il  tuono  più  vibrato  si  disse  lungo , 
il  più  debole  si  disse  breve.  E  la  più  semplice  propor- 
zione lor  si  assegnò  nel  rapporto  di  uno  e  due  ,  o  vi- 
ceversa di  due  ed  uno.  Ed  ecco  i  due  pali  arabi,  con- 
giurilo e  disgiunto. 

L'  andamento  iambico  è    nella    forma    diro    (  -  -  ). 
Ma  i  nostri    vecchi  e  i  nostri    popolani    dissero    e    di- 
cono tuttavia  diroe  ;  ed  anche  noi  a  ben  riflettere  fac- 
ciam  lo  stesso  :  se  non  che  quella  e  finale   che  vi  ap- 
picchiam  di  coda,  per  la  forte  vibrazione  dell' o,  divien 
meno    della    e   muta   de'  Francesi  ,    diviene  1'  e   muta 
degl'  Inglesi  ,  diviene  uno  sceva    masoretico  ,    una  fra- 
zione assai  minima  di  tempo  ,  ma  non  perciò  non  va- 
lutabile :  massime  al  finir  di  una   prolazione.    Se  1'  or- 
gano vocale  anche  il  taccia ,  1'  organo  uditivo  1'  ascolta 
nelle  oscillazioni  degradanti  dell'onda  sonora  che    nel- 
1'  acre  si  vibi'a.  Ed  ecco  la  ragione  tutta  intera  che  de- 
terminò e  determinerà  sempremai  nel  movimento  iam- 
bico una    necessaria    einimeri  ,   una  naturai  catalessi. 
Ed  ecco  perchè  ,    natura  duce  ,    rebus  ipsis  dictanti- 
bus  ,  ogni  arabo  palo  andar  non  potea   discompagnato 
•    dalla  sua  corda  :  ecco  perchè  la   prima   forma  ritmica 
di  un  popolo  tanto  poco  distante  da   quelle   prime  arti 


120  DERITIS 

che  dir  si  potrebbero  instiulive,ripor  si  dovea  nelfahùlon 
simnielricaiucntc  ripetuto;  e,  nella  ripetizione  binaria, 
in  quel  fallalo  faldiloii  che  determinò  la  cadenza ,  la 
catalessi  del  canto  de'  prinii  rapsodi  (67). 

L'  andamento  corico  al  contrario  è  nella  forma  di- 
co (  -  -  ) ,  la  quale  ha  da  per  sé  la  sua  catalessi ,  la 
sua  cadenza  finale;  e,  comunque  si  repliclii,  dall'  iso- 
lamento dell'  origiuario  suo  ritmo  non  si  diparte.  Sua 
caratteristica  è  perciò  un  andamento  più  saltellante  che 
progressivo  :  e  quando  si  arresta  ,  nella  vigoria  della 
sua  prima  sillaba  spiccante  si  arresta,  e  la  seconda  spa- 
risce. Ed  ecco  perché  tutti  i  metri  trocaici ,  in  tutte  le 
prosodie  ,  non  hanno  emimeri  nelle  cesure  ,  e  per  lo 
più  troncamenti  nel  couchiudere  i  loro  periodi  (68). 

Il  qual  troncamento,  nella  forma  binaria,  nel  di- 
trocheo, a  quella  forma  ritmico  ci  conduce  che  i  nostri 
antichi  dissero  crelica  e  seguentemente  ingentilissi  in 
dattilica  (6g)  ;  ed  è  notabile  come  le  vecchie  tradizioni 


(67)  V.  tuUavia  appresso  il  Circolo  vano  ,  riputar  voleansi  quei  due  ot- 
uiVEBso.  tonarli  un  verso  solo.   La   cesura    gli 

(68)  Per  questa  condizione  dell'an-  divideva  col  fatto  in  due  parti  simi- 
damento  trocaico,  o,  ammettendo  al-  lissime  ,  e  perciò  non  un  sol  verso 
tri  piedi  ,  coli'  andamenlo  iambico  si  ma  due  doveano  riputarsi.  Kon  v'  ha 
confonde,  o  in  que'  periodetli  si  ri-  esempio,  neanche  nelle  interminabili 
mane  che  alla  tenuità  degli  argomenti  cbiliadi  di  Tzetze  ,  che  un  sol  verso  si 
si  addice.  Il  Salmasio  ,  nelle  sue  no-  rinvenga  il  qual  non  sia  diviso  sime- 
te  a  Vopisco  si  è  dato  ad  asserire  che  tricamente  in  due  per  la  cesura.  Ma 
il  troncamento  dei  trocaici  quadrati  di  un'  altra  inesattezza  di  quel  dot- 
(detti  anche  versi  politici)  in  due  ot-  tissimo  uomo  sarem  per  fare  or  ora 
tonarii  sia  opera  de'  bassi  tempi.   Ma  ricordo.  V.  Cakme  bueve. 

non  perche  seguentemente    si    scrive-  (6g)  Memineris  aiilem  saepe  Grae- 


M    E   T    R    I       A    R    A    B    I.  131 

ci  mostrino  del  pari  gVIdei  di  Creta  negVIdel  di  Frigia 
iiigenlilili  (70) ,  e  le  danze  più  comuni  di  tutti  i  popoli 
alla  sallazionc  coribantica  modellate  (71).  Ed  ecco  la 
seconda  forma  ritmica  degli  Arabi  ,  per  le  stesse  con- 
dizioni di  civiltà  meno  innoltrata  ,  nel  eretico  e  non 
già  nel  dattilo  adagiarsi  :  fàhilon  ,  un  palo  disgiunto 
accompagnalo  dalia  sua  corda. 

Non  oltre  spinger  dobbiamo  le  nostre  inchieste  per 
la  determinazione  degli  elementi  primi  del  ritmico  mo- 
vimento. Tutte  le  altre  forme  che  tliconsi  semplici  , 
non  possono  considerarsi  realmente  tali  :  e  sempre  sou 
combinazioni,  son  sistemi  e  non  altro,  dei  due  moti,  dei 
due  ritmi  primitivi  iambico  e  trocaico  nel  tempo  ternario, 
e  delle  trasformazioni  loro  nel  tempo  binario ,  sia  che 


cos  huic  metro  UTolossiini  et  Paliin-  rapida  cadenza  ;  e  mollo  a  proposito 

bachium    et    Creticuvi   loco    Dacljli  il  Signor  Burney  ne    ritrova    conscr- 

tub  lege  syllabamm  communiuni  ad-  vaio  il  ritmo  e  la  cantilena  nella  no- 

miscere,  disse  Vittorino .-  arbitrio  per  stra  tarantella  ,  H! story  of  the  Music. 

altro  che    i  Latini  alla  Grecia    invi-  Ma  è   da  notarsi  clic  le  nostre  popo- 

diavano.  lane  battano  sul  cembalo  precisamente 

(70)  Cretatn  proavosqite  pelcirtuis  ,  <[uci  trocaici  dimctri  bracbicatalettici 
era  il  grido  nautico  de' prolugbi  Tro-  clie  gli  antichi  dissero  ilifalici,  petulci 
iaui ,  onfortali  ai  ricordi  di  Anchise  e  clic  formavano  la  cadenza  del  nunic- 
{^yieiitid.  Ili,  V.  I2C),  et  ibi  Serv.)  :  ro  saturnio.  Itliyphaìica  porro  dica- 
UincmalrrcultrixCjbele.Corjbantiaqueaera,  runt ,  Musici  poèlac  :  Qui  ludicra 
llaeumque  nemus,ìiincjìdasilentiasacris  ,  carmina  Baccho ,  Kersibus  pelidcis, 
Et  iuncticurrum  dominai;  subUra  leones,  eie.  Craio  ctim  corticc  phallo  ,    Tres  da- 

(71)  Gli  strambotti  e  tutti  i  rami  bant  troc/iaeos:  Ut  nomine  sit  so/iiis 
ipercomatici  che  accompagnavano  gli  ipso ,  Bacche , Bacche ,  BaccIte.Yi  dal 
antichi  trionfi  son  dettati  in  questo  Bacche ,  Bacche  ,  Bacche  al  nostro 
preciso  metro,  dal  quale  il  galliam-  Isce^isce ,  Sole  chi  trovar  può  dillt- 
brv  non  differiva    se   non    per    la  j^iii  renza  ? 

Tom.  UT.  i6 


122  DE       R    1    T    I    S 

la  sillaba  breve  si  protragga  in  lunga ,  il  che  è  costante 
in  tutte  le  catalessi  (72),  sia  che  cosi  prolungata  in 
due  sillabe  poi  si  sciolga,  secondo  l'antico  metrico  siste- 
ma :  ed  anche  secondo  il  nostro ,  nel  quale  il  metro  è 
identico  e  il  ritmo  musicale  non  ne  soffre,  vuoi  che  tron- 
chi ,  vuoi  che  piani  o  sdruccioli  si  compongono  i  ver- 
si (yó).  Cosi,  tutti  gli  altri  piedi  degli  antichi  son  mere 
riproduzioni  delle  stesse  forme  ritmiche  con  più  o  meno 
accelerato  andamento ,  e  in  più  o  meno  estesi  periodi. 
Quindi  il  iambo  hachiaco  dell'  inno  alle  Muse  (74)  : 
quindi  il  ritmo  dodecasemo  ,  il  tempo  duplo  nel  me- 
tro anapestico  dell'  inno  al  Sole  (76) ,  ec.  ,  e  quindi 
quelle  denominazioni  oscillanti  tra  i  peani  o  peoni  (76}, 
e  '\ pirrichii  e  i  hacliii  e  gVitif alici  (77)  nell'oscillazione 
medesima  che  gli  attributi  di  quegli  Dei  d'  esti'o  ecci- 
tatori nelle  perturbate  menti  de'  vati  e  de'  sicofanti  si 
permutavano.  Plutarco  ci  fa  conoscere  non  esservi  stata 
divinità  la  qual  non  avesse  avuto  il  suo    strumento  di 


(72)  11  Salinas  va  con    molta  acu-  (yS)  Cosi  nella  notazione  musicale, 

tezza  determinando  i  casi   ne' quali  è  tulio  ciò  che  segue  una  sillaba  la  qual 

in  fallo  quella  regola  metrica  la  qual  concbiuda    la   cadenza   dee   conside- 

considera  sempre  lunga  la  sillaba  che  rarsi  non  altrimenti  che  come  una  pa- 

conchlude  un  verso  o  un  comma.  Ma  ragoge. 

la  necessità  della   breve   è    in   quelle  (7^)  Pag.  ^5. 

sole  comme  o  verso  che  precedono  un  (75)  Pag.  gn. 

altro  comma  e    versi  il   qual    deggia  (76)  Furono  detti  pcani  da  Aristo- 

considerarsi  come    parte  integrante  di  tele,  Cicerone,  Quintiliano,  co.  peo- 

ciò  che  precede  ,    onde   formarsi    un  ni  da  Efestione  ,  Terenziano ,  Diome- 

sistema ,  una  strofe,  un  periodo  rit-  de,  ec. —  Sembra  mera    diversità    di 

mico  di  que' versi  che  si  dissero  uavìi~  dialetto. 

afTKiToi.  (77)  V.  la  nota  63. 


M    E    T    n.    I       A    n    A    B    I.  12J 

musica  favonio  :  e  non  fuvvi  musico  strumento  il 
qua!  non  avesse  avuto  non  solo  il  suo  proprio  modo  ma 
il  suo  ritmo  e  la  sua  tat/e/isa  speciale  (78).  Mancano  però 
i  monumenti  per  i'ormaine  intere  e  coordinate  le  serie. 
Ma  della  perdita  non  dobbiamo  dolerci.  A  che  altro  gio- 
var ci  potrebbero  fuor  che  a  farne  raffronto  con  qualche 
strana  giga  o  sarabanda?  La  nostra  musica  italica,  eh' è 
divenuta  oggimai  musica  di  lutto  il  genere  umano  inci- 
vilito ,  di  due  soli  ritmi  ,  di  due  soli  tempi  si  conr- 
piacc  ,  il  binario  e  il  ternario  :  e  tanto  basta  alle  no- 
stre bisogne.  Lasciam  che  de'  ritmi  compositi  e  misti 
si  sap])ia  ad  erudizion  mera  quel  poco  che  nei  super- 
stili  scritti  degli  antichi  musici  ne  rimane  (79)  e  che 
qualche  viaggiatore  corra  sino  al  Capo-Nord  per  no- 
tarcene tullavia  intonata  fra  que'geli  qualche  salvatica 
cantilena  (80). 

(78)  Cosi  non  scmLrano  improba-  ni  sopra  trascritti,  mentre  colle  sole 
bili  le  congliicllurc  «lei  nostro  Mattei  pause  e  lo  sole  diminuzioni  avrebbe 
che  molli  titoli  de' salmi  sieno  indi-  potuto  conservarne  regolare  1'  anda- 
cazioni  di  alcuni  modi  musicali  ,  o  mento  e  la  cantilena.  -  È  notabile  che 
meglio  ritmici,  a' quali  rifcrivansi  il  dividendo  egli  i  ritmi ,  secondo  gli  an- 
canto  e  il  movimento.  Cosi  nel  medio  tichi,  in  eguale,  doppio,  scsquialtero , 
evo  alcune  cantilene  aveano  i  loro  cpitrito;  dopo  di  avere  con  mollo  accor- 
uomi  speciali;  e  in  tutto  il  mezzo-  gimento  osservato  che  i  duo  ultimi  eran 
giorno  di  Europa  dicesi  ora  una  com-  da  considerarsi  come  formanti  una  sola 
posizione  fatta  su  la  tale  o  tale  altra  classe  da  riferirsi  al  genere  misto,  gli 
^"'^"■''  fosse  sfuggita  l'osservazione  sempiicis- 

(79)  11  signor  Burette  ci  diede  una  sima  che  l'andamento  scello  conservar 
Diss.  sur  ìe  rhyUime  de  V  ancienne  si  dovesse  uniforme  sino  alla  metabole. 
musiqiie.  È  inconcepibile  come  dopo  (80)  Neil'  sellante  del  viaggio  del 
quelle  ricerche  siasi  determinalo  a  signor  Acerbi  al  Capo-Nord  è  riferita 
rompere  1'  andamento  ritmico  negl'in-     una  canzone  del  tempo  qualtrocinqite. 

• 


124  I  D    E       R    I    T    I    S 

Ricondotti  cosi  ai  loro  clementi  le  nioltiplici  di- 
versità de'nioti  ritmici:  vai'iabili  per  le  due  sole  condi- 
zioni deir andamento  prosodiaco  e  della  cadenza;  possia- 
mo inoltrarci  alla  rassegna  de'  rari  periodi  dell'  araba 
versificazione  secondo  i  suoi  cinque  circoli  distribuita. 

Ma  im  cenno  rimane  a  far  tuttavia  della  runa  :  e 
non  altro  che  un  cenno.  Perciocché  mera    iattura    sa- 
rebbe di  tempo  e  d'  inchiostro   ritornare    in    una    qui- 
slione  che  oggimai  non  è  più  tale.  Quando  Boileaux  disse: 
Durant  les  premìers  ans  du  Parnasse  frangais , 
La  rime  au  hoiit  des  mots  assemhlés  sans  niesure 
Tenait  lieu  d' ornement ,  de  nomhre  e  de  cesure  ; 
la  storia  ei  dipingeva  dell'  infanzia  di  tutte  le  poesie. 

Ma  non  è  da  tacersi  che  fin  la  monosillabica  lin- 
gua cinese  abbia  le  sue  rime ,  e  con  cjuella  disposizione 
appunto  che  negli  Arabi  è  passata  per  legge  inalterabile. 

Del  sistema  dottrinale  delle  rime  cinesi  discorre 
assai  nitidamente  il  eh.  Abel-Rémusat,  la  cui  recen- 
te perdita  or  l'Europa  deplora,  ne'  suoi  preziosi  Ele- 
menti di  gramatica  cinese  ,  donde  i  due  esempi  son 
tratti  che  nella  Tav>  I  abbiam  fatto  trascrivere.  Ma 
avendo  noi  un  collegio  cinese ,  sarebbe  stato  per  me 
gran  fallo  se  non  vi  avessi  ricercato  il  modo  col  quale 
cjuegl'  ideologici  caratteri  vengon  secondo  i  costumi  ita- 
lici ridotti  vocali.  E  sincera  manifestazione  di  animo 
grato  io  qui  far  deggio  alla  gentile  cortesia  di  cpie'  pa- 
dri ,  e  specialmente  del  valentissimo  nostro  D.  Vincen- 
zio Taglialatela ,  e  di  D.  Agostino  Tan  cinese  della  pro- 
vincia di  Kamsiù,  il  quale  con  amabilità  senza  pari  si  è 


WETRI       ARABI.  125 

compiaciuto  farmene  conoscere  non  solo  il  ritmico  anda- 
mento ,  ma  la  musica  altresi. 

E  di  un  altra  canzone  moderna  mi  ha  fatto  dono, 
che  trascriviamo  alla   Tav.  II. 

Per  queste  a  me  gratissime  conferenze  la  necessi- 
tà conobbi  di  porre  sotto  i  vostri  occhi,  o  colleghi, 
l'una  e  1' aUra  lezione  delle  due  prime.  Voi  vedete  diffe- 
renze non  lievi.  E  non  derivanti  già  da  più  o  meno  minuta 
industria  nell' esprimere  col  nostro  alfabeto  le  attenuatis- 
sime  articolazioni  e  i  dilicati  gradi  della  scala  delle  voci 
in  un  idioma  che  al  primo  udire  sembra  più  cantato  che 
pronunziato;  ma  differenze,  a  quel  che  pare,  di  dialetto 
per  ciò  che  riguarda  la  canzone  moderna  :  e  differenze 
di  vario  sistema  scolastico  per  ciò  che  riguarda  1'  antica. 
In  quest'  ultima ,  come  legge  il  padre  cinese  ,  le  rime 
dispaiouo  ,  e  nella  n)oderna  la  rima  del  quarto  verso 
par  difettosa.  Intcìe  però  ritornano  le  rime  nella  terza 
canzone  che  m'ebbi  in  dono  (81). 

Di  queste  canzoni  cinesi  tentar  non  si  poteva  una 
traduzion  metrica.  L'  ho  elaborata  però  quanto  più  ho 
potuto  letterale. 


(81)  Non  altriiìienli,  nella  pronun-  rime  del  TesoreUo^  a  caglon  d'eseni- 

zia  francese  degl'  idiomi  latino  e  gre-  pio  ,    la    regolarili    si   ristabilisce  sol 

co,  molte  rime  appaiono  die  per  noi  che   le   parole   non  toscanamente   ma 

non  son  tali. E  non  altrimenti  in  molte  alla  siciliana  vengano  a  pronunziarsi. 


126  DEB.ITIS 

CANZONE    ANTICA. 

Lesione  di  d.  A.  Tev.  Del  signor  Remusat. 

Pei  fen  zii  liaò  Pè  foùng  klii  liang 

Tui  scivà  zii  fò.  lù  scoùci  khi  pnang 

Kqoi  eli  xhaò  goé  Hoéi  eù  hào  'ò 

Si  sceù  tuu  siin.  Hi  clièon  tboùng  hang 

Zii  sci  di  zii  sia  Khi  hiù  khi  siù 

Zi  zii  cii  zio  Ki  ki  tchi  xsiu 

VERSIONE       (*). 

Già  i  «ostri  lidi  Borea  ritocca 

E  a  larghe  falde  la  neve  fiocca. 
Oh  se  il  mio  bene  la  man  mi  porge 
E  seco  insieme  sempre  mi  scorge! 
Com'  è  possibile  tanta  dimora  ? 
Coni'  è  possibile  che  tardi  ancora  ? 

Il  metro  di  questa  canzone  non  ardisco  determinare, 
con  certerza  non  avendo  voluto  il  gentilissimo  Cinese 
cantarla  :  con  dirmi  ingenuamente  ignorarne  la  cantile- 
na. E  in  fatti,  essa  risale  ai  tempi  di  Confucio  (82).  Assai 

(*)  Versione  del  signor  Eémusat,  Pour  que  nous  marchions  ensemble. 

Le  vent  àu  nord  vlen  giacer  nos  climals,         Comment  peut-ìl  étre  si  long~femps  ? 
La  neige  ìomhe  à  gros  Jlocons  J)éjà  il  eut  du  a^  empresset  d'accounr  ! 

Que  tètre  hienveillanì  qui   m' aime  ,   mette 

sa  main  dans  la  mienne , 


(8i)  11  codice  uel  quale  è  questa  cesi  riferiscono  tutti  gli  argomenti  ero- 
con  altre  antiche  canzoni  cinesi  ha  liei  alla  politica,  come  i  comentatori 
nome  di  chi-ling.   1    comentatori  ci-     persiani  all'  amor  divino. 


METRIARABI.  127 

mono  iiuliscrcta  della  mia  doniancla  sarebbe  quella  di 
chi  chiedesse,  a  modo  d'esempio,  come  mai  caiitavasi 
un'  ode  alcaica.  Però  sembra  trocaico. 

Ma  il  canto  delle  canzoni  moderne  mi  rende  per- 
suaso che  la  loro  notazione  prosodiaca  correr  dovrebbe 
nel  pretto  andamento  iambico  del  nostro  settenario  pia- 
no, conmnque  i  nostri  linguaggi  sien  lungi  assai  dal 
cinese.  Quel  che  qui  importa  è  la  disposizione  delle  rime. 

PRIMA  CANZONE  MODERNA. 

Lezione  di  d.  A.  Ten,  Del  signor  Resìvsjt 

Lin  zin  iuan  pen  zec  sgen  sin     Loii  kìg  youàn  pen  tsai  jìn  sin 
Siómaazemenkhao  siiscin-in  Siaó  MAkiài  wÉNliaò  sìtiisìn 
Tien  tii  sii  ciao  quiiu  no  vii     ThianTibiTcnANGkouaMouYÀi 
Ku  ziu  zui  sun  ien  sin  scen      HoÙKÌNtseoùsouNGyilasiùcHÌN 

VERSIONE       (*). 

De'  sei  classici  libri  un  precetto 

Ha  radice  de  1'  uomo  nel  cuor  : 
Pure  a  \m  gaio ,  a   un  satirico  detto 

Poesia  può  dar  pregio  e  valor. 
L'  universo  è  un  teatro ,  e  su  d'  esso 

Una  lunga  commedia  si  fa  : 
Degli  umani  garbugli  al  complesso. 

Sempre  ameno  un  tal  dramma  sarà. 

(*)  Versione  del  signor  Rcrausat.  omcirum  ( de  la  poesie)  peuvent  étre  recher- 

I*e  contenu  des  six  Uvre.'ì    classiques  a   son        chées. 

foìidetnent  et  sa  source  dans    le  coeur  de    L'utiìuers  est  un  fhéatrii  ou  se  jouc  une  lou^uc 

l'homme.  comédie. 

Les  plttisanterics  f    les   injures  j\gracc    aux     C'est  un  spectacle  curieax  que  les  déòats  det 

hommes  dans  tous  les  temps. 


laS  DE       R    I    T    I    S 

SECONDA. 

Sci  nan  sci  pei  sciaò  iuin  tien  : 

Man  mii  si  lino  sge  sit  nien. 
Zia.  sciaò  ziin  sciù  nan  zien  lui 

Zin  quoé  liù  in  van  su  zien. 

VERSIONE       (*) 

Lo      SpATKIi.TO. 

Volge  ad  austro ,  a  borea  volge 

Vago  il  guardo  :  e  i  patrii  colli 

Ogni  nube  che  si  svolge 

Ridipinge  al  suo  pensier. 
Gli  occhi  allór  di  pianto  ha  molli  : 

E  invan  cerca  al  suo  tormento 

Tregua  o  in  musico  istrumento 

O  nei  fonti  del  saper. 
Ne  1'  acerba  lontananza 

Tristo  indura  e  giorni  ed  anni  : 

E  un  sorriso  di  speranza 

Non  conforta  il  mesto  cor  ! 
Le  dolcezze  a  stille  a  stille 

Sotto  il  salce  degli  affanni 

Van  grondando:  e  a  mille  a  mille 

Le  amarezze  del  dolor. 

Oh  quai    cari  efiFetli  non  mette   in    fermento  que- 
st'  amabile  cosettina  !  —  Ma  torniamo  ai  nostri  Arabi. 

(*)  Verbum  VERBO.  Prospici t  meri-  Convertii  se  ad psalteria  ,ad  libros 

diein  ,    prospicit  scptemtrionem  :    in  debililer  averriincant  moerorem. 
nube collem  (  suum  ■vìdtt\.  In  pertinacia  salicis  tristiliae   a?e- 

Oborlae  oculis  lacrimae ,  die  pariter  cem  inillia  :  in  hisce  miUe. 
et  anno. 


M   E   T    R   I      A    R    A    B    r.  ISC) 

I."    CIRCOLO    IL    DIVERSO. 

Res  gestae    regumque  duciimqiie    et  tristia  bella 
Quo  scribi  possent  numero  monstravit  Homerus. 

HoJiAT.  de  A-  P. ,  73. 

E  i  rapsodi  di  Ocatta  le  forme  metriche  determina- 
rono appo  gli  Arabi  dell'  epica  poesia. Le  quali  Al-Chalil 
ne'  due  primi  circoli  raccolse. 

Ma  prima  de'  rapsodi  di  Grecia  e  di  Arabia  ,  il 
tipo  dell'  epico  andamento  troviamo  nella  maestà  delle 
pompe  religiose  e  ne'  canti  di  trionfo  di  presso  che 
tutte  le  nazioni.  Se  l'ingentilimento  della  lingua  ebrea 
non  ci  mostra  spiccantissimo  il  metro  eroico  ne'  can- 
tici del  primo  condottiere  e  de'  primi  giudici  del  po- 
polo eletto  ,  fuor  di  dubitazione  n'  è  la  cadenza  :  parte 
importantissima  e  la  più  spiccante  del  dir  poetico  ,  la 
quale  con  tutta  proprietà  par  che  da  Orazio  con  frase 
tecnica  s'intendesse  col  suo  concludere  versum;  per- 
ciocché la  conclusione  appunto  ,  la  catalessi ,  1'  ultima 
frase  del  nostro  dire  è  ciò  che  maggiormente  ci  colpi- 
sce, come  assai  a  proposito  fu  da  Cicerone  avvertito(85). 

Ma  m  origine  una  tal  conclusione  altro  esser   non 
dovca  che  il  ripetersi  di  uno  stesso  periodctto  musicale 


(83)  Ve  Orai. 


Tom.  III.  17 


l3o  D    E      R    I    T    I    S 

nel  qual  tutto  costituivasi  l'andamento  prosodiaco;  ed 
è  mirabile  che  siuiilissimo  sen  rinvenga  il  procedimento 
ove  meno  si  pensi.  Quando  poi  ,  col  progredire  della 
civiltà,  il  simmetrico  non  è  più  sinonimo  dell'identi- 
co; quando  dalle  gobolette  ai  versi  di  più  largo  andare 
si  fa  passaggio  ;  dismesse  anche  le  rime  propriamente 
dette,  certa  eufonia  pur  rimane  che  dir  potremmo  ì-inia 
ingentilita.  Cosi  appo  i  latini  e  più  appo  i  greci ,  con 
gran  libertà  correvano  i  versi ,  e  massimamente  gì'  iam- 
bici  :  ma  gii  ultimi  piedi  erano  inflessibili ,  e  inalterati 
riprodur  si  doveano  per  tutto  il  poema. 

Le  vecchie  liturgie  ci  serbano  il  testimonio  di  un 
tal  procedere. 

Nel  metro  dattilico  : 

Pythie  Delie  [j  Te  colo  prospice  [|  votaque  firma  ; 
nel  qual  verso  non   i  soli    dimetri    formano    altrettanti 
distaccati  versetti ,  ma  i  piedi  anch'  essi  corrono  isolati. 
Nel  metro  coriambico  : 

lane  pater  [j 'lane  tuens  [J  dive  hicejDs  [j  hiformis  ; 
nel  quale  le  coudizioni  medesime  si  osservano  (84). 

E  nella  esposizione  anch'  essa  della  origine  del  verso 
epico  que'  simmetrici  periodetti  ritornano  che  dapprima 
furono  identici  : 


(84)  Questi  versi  non  sono  al  cerio  servatoci  da  Terenziano  non  corre  colla 

di  aulica   data  :    ma   in    versi   di  tal  slessa  spezzatura.  Ma  par  the  l'aulore 

genere  gli  amichi  modi    si    affettano,  avesse  voluto  conservarne  il  carattere 

E  l'inno    a  Giano,    indubitatamenic  almeno  nella  intonazione. 
del  IV  secolo ,    nel   frammento    con- 


METRIAKABI.  101 

Ivi  '^a.iav,  ifi  <?i'ociot.v,  ir,  <rociciy  ; 
e  moltop])iù  ncU'efimnio  sopra  trascritto  de'  carmi  arvali  : 

TRIUMPE,  TRIUMPE,   TRIUMPE ,  TRIUMPE,  TRIUMPE. 

A  periodc'tti  di  tal  foggia  si  modellano  dapprima 
tutti  i  versi  nella  gioventù  de'  popoli  del  pari  che  de- 
gl' individui;  e,  secondo  l'indole  speciale  de'vari  idiomi, 
r  uno  piuttosto  che  l' altro  divien  tipo  di  regola  che 
])assa  di  generazione  a  generazione,  coli' ingentilirsi  sem- 
preppiù  e  migliorarsi  vievia. 

Chepperò  nella  rassegna  che  slam  per  imprendere 
delle  varie  forme  degli  arabi  versi,  invertir  converrebbe 
r  ordine  da  Al-Chalil  stabilito  e  cominciar  dall'  ultimo 
circolo,  come  quello  che  le  forme  semplici  contiene ,  e 
la  fórma  precisamente  che  dir  potremmo  araba  per  ec- 
ce/lenza, la  bachiaca  o  peonica. 

Dall'  ultimo  circolo  progredir  dovremmo  al  terzo, 
ove  gli  cpitriti  rinvcngonsi  nel  loro  isolamento.  E  co- 
si di  mano  in  mano  innoltrarci  al  secondo  ed  al  primo 
ove  lo  sviluppameuto  dell'  arte  si  mostra  :  e  finalmen- 
te al  quarto  nel  quale,  quasi  in  modo  supplimentario, 
le  varietà  si  raggruppano  de'  meti'i  del  primo  e  se- 
condo  circolo. 

Ma  sembra  che  Al-Chalil  seguir  volesse  anche  qui 
l'industria  de' greci  precettisti  i  quali ,  dal  verso  epico 
e  iambico  incominciando,  tutti  gli  altri  sol  come  frazioni 
di  quelli  consideravano.  E  il  sistema  di  lui  seguir 
dobbiamo  per  attenerci  strettamente  tra  i  limiti  dei 
nostri  impegni,  alla  merissima  cioè  esposizione  de' fatti. 


102  DE       R    I    T    I    S 

Gli  antichi  gramaiici  traevano  1'  origine  del  verso 
eroico  dall'  acclamazione  delfica  (85)  :  sembra  però  che 
dall'efimnio  degli  arvali  più  direttamente  fluir  si  veggano 
i  versi  maggiori  e  de'  nostri  ijisiememente  e  degli  arabi 
rapsodi;  e  non  già  nel  solo  ritmico  andamento  e  nella 
cadenza ,  ma  in  ciò  che  precisamente  formar  dee  la 
caratteristica  de'  versi  di  tal  fatta ,  la  cesura  cioè  ,  la 
distribuzion  disuguale  delle  due  parti  di  essi  (86). 

E  per  quel  che  riguarda  legge  ìnetrìca  :  se  aggiu- 
gnerete  al  principio  dell'  efimnio  arvale  una  sillaba  bre- 
ve, avrete  ciò  che  da'  nostri  gramatici  davasi  per  tipo 
de'  versi  anapestici  : 

Tuba  terrihilem  sonifum  procul  aere  recurvo. 

E  come  dall'  anapestico  al  dattilico  coli'  addizione 
al  principio  di  una  sillaba  lunga  si  faccia  passaggio  , 
anche  que'  nostri  vecchi  e'  insegnarono  (87). 


(85)  Gli   amichi    davano    la  slessa  da  quelle  esclamazioni  ,  sien  timoia- 

origine  al  vei-so  eroico  e  all' iambico.  se  ,  sien  liete  ,    nò   il    senario    eroico 

Quumpuer  tnfestis  premerei  Pjìhonasagittis  n'emerga  nò  il  iambico  ;   essendo  leg- 

Spello,  Delphiciferantur  adcolae  gè  dall'  uno  e  dall' altro  verso  la  ce- 

Jlortantes  acuisse  animum  bellantis  ;  ut  illos  sura  che  (Jui  manca.  11  che  dallo  Stes- 

Metus  habebat ,  aut prcrpinqua  adorea ,  so  gramalico  ,  per  tacere  degli  altri, 

Tendebat  gomiitas  pavida  exclamatio  foces  ,  si  avvertiva: 

lYì  tìxtxv ,  ifì  axtxu ,  »]  acLtAv.  Ilas  auiem  leges  heroicus  omnis  hahebit . 
Spondeìs  illum  primo  natum  cemis  sex,  Quorn  post  duos  pedes  relieta  syllaba  est. 

Ex  parte  voces  concitas  laeti  dabant ,  Si  plenum  ahsolvei  verbi,  velnominis  instar. 
Iti   •axtxv  f  lyì  Tjxioiv ,  trt  txixv.  Orationis  ista  vel  guae  pars  erit  ;  etc. 

Et  hinc  pedum  tot  crtus  est  iambicus.  (86)   V.  la  pag.   85. 

Cosi  Tcrenziano  ,   ma  è  notabile  che         (8;)  Terenziano  ,  Vittorino. 


M  K  T  R  I      A  n  A  B  r.  i3o 

Discendiamo  oi'a  ai  nostri  popolani,  per  couclurci  alla 
nascita  quasi  spontanea  delle  permutazioni  di  tal  sorta. 
Nella  Calubba  dello  Sgrultendio  abbiamo  1'  cfìmnio  : 

CoLogiii ,  cotogni  ,  cotogna  , 
aiiapcstico  trimetro  acataletto  :  il  quale  nella  stròfe  prece- 
dente presentavasi  come  dattilico  tetrametro  catalettico  ; 

Stiennete ,  accostate ,  nzeccate  cca  ; 
e    nella    seguente    si    trasforma    in    amfibraco    dimetro 
brachicataletlico  : 

Caco  zza  de  vino  cchiù  bona  me  sa. 

Pei  quali  ravvicinamenti  scorger  possiamo  non  solo 
come  l' immensa  varietà  de'  versi  metrici  vada  prodigio- 
samente a  diminuirsi  quando  dalla  loro  origine  ne  rin- 
tracciam  gli  elementi,  più  nella  nomenclatura  che  nella 
sostanza  diversificati  ;  ma  come  altresì  lo  stesso  moto 
ritmico  sorga  da  per  sé  e  si  riproduca  qualunque  volta 
non  si  declamin  soltanto,  non  sol  si  cantino ,  mdi  si  tri- 
pudino i  carmi  (88). 

E  la  poetica  araba ,  la  qual  d'  ordinario  nelle  con- 
dizioni del  primitivissimo  stadio  della  ragion  prosodia- 
ca si  raggira ,  anche  in  queste  spezie  di  carmi  del  pri- 
mo e  del  secondo  circolo  che  pur  sembrano  alla  decla- 
mazione soltanto  destinati,  assai  lievemente  sen  disco- 
sta ,  ed  ogni  verso  in  due  parli  presso  che  simili  vuol 
suddiviso   (89).  Una   diversità   tra    esse  introducon  sol- 


(88)  Nella  iscrizione  del  carme  ar-  dai-erunt  in  verba  h.ìEc:  Enos, 

vale  sopra  trascritto  si  legge  cosi:  I/>i  eie.  V.  sopra  alla  pag.  log. 
sacerdoles  efusi,  succincti ,  tabellis  (89)  Pag.  38.  V.  9  e  10. 
acceptis  Carmen  descìndentes  trito- 


l34  DE      R    I    T    I    S 

tanto   le   ragioni  dell'  aruza   e   della  zarba  (90) ,    delle 
zihafe  e  delle  èlle  (gì). 

La  diversità  che  dà  nome  ai  carmi  di  questo  pri^- 
mo  circolo  dee  perciò  tutta  ricercarsi  nella  suddivisione 
ineguale  degli  emisticliii  (92),  in  quelle  pause  che  non 
dilegano  ma  troncano  que' primi  periodi  simmetrici  di 
che  un  verso  si  compone  (g3).  Ed  ecco  precisamente 
la  cesura  che  il  verso  lirico  dal  verso  epico  distingue; 
ecco  quella  condizione  che  fece  del  verso  epico  autori 
i  rapsodi  di  Grecia  (94) ,  e  che  fa  che  de'  versi  del  pri- 
mo e  secondo  circolo  io  faccia  autori  i  rapsodi  di  Ocat- 
ta;  e  non  dubito  che  nella  iniziativa  di  un  tal  proce- 
dimehto  e  Greci  ed  Arabi  nel  sistema  medesimo,  poco 
più  poco  meno,  s'avviassero,  sebbene  con  pari  felicità 
verso  1'  ardua  meta  del  perfettibile  non  si  fossero  in- 
uoltrati. 


(qo)  Pag.  64,  '^.  53.              .  efficient:  cum   vero   ea   qua  coniun* 

(qil  Pa".  63,  if .  49.  ctas  erat  parta  absciditur,  particida 

(92)  A.bu  Isaac  Azzaggiag-  ne  trae  la  quae  divulsa  ex  eo  est  comma   dice- 
àcxìoaimìzìouc  AMs,  diveì-siià  de' pie-  tur:  ut  in    illis    versus   solvatiir  ,  «« 
di,  alternativamente  di  cinque  o  sette  ftis  caedatur.  Vittorino.  Una  tal  pre» 
lettere  ;  e  il  Clerico   adotta   una  tale  cisione  manca  nei  nostri  precettisti, 
etimologia.  (94)  È  noto  che  1'  esametro    epico 

(93)  Proprie  autem  Graeci  cola  ebbe  dapprima  il  nome  di  pitia  ,  e 
dicunt  quaecumque  circa  iuncturas  che  autori  sen  dicevano  e  Lino  sa- 
aut  artus  porrecta  sunl  in  longitu-  cerdote  d' Apollo  ed  Orfeo.  Ad  Omero 
dinein  membra:  unde  Euripedes,  /.u,  però  attribuir  se  ne  doveva  P  invcn- 

zwXa  xwXois  Tirpa-TTwv  i>.i\j.r.nu.u zione,  quando  la  Town  ,  la  re.wn-r,  ven- 

Partes  ergo  versus,  cum  ex   ea  qua  ne  riputata    condizion  cardinale    del- 

coniunctus  erat parte  dissùhitur,  cola  l'esametro.  \.  la  .nota  85. 


METRI       ARABI.  l35 

La  divisione  ineguale  nelle  due  parti  di  un  ver- 
so (96)  è  la  condizione  caratteristica  de'  carmi  epici  , 
quando  dalla  mera  lirica  si  distaccano.  E  in  questa  sola 
condizione  Arabi  e  Greci  convengono  ,  e  forse  tutto 
l'uman  genere  conviene  (96).  Per  la  qual  condizione,  che 
già  dimostra  un  perfezionamento  nell'arte,  i  cantori  di 
Ocalta  esser  ben  dcggiono  agl'inventori  dell'esametro 
eroico  ravvicinati. 

I  tre  generi  di  versi  che  a  questo  piimo  circolo 
si  appartengono  sono  il  lungo  ,  il  disteso  ,  lo  sjxéso  , 
de' quali ,  essendo  il  secondo  sempre  giazato,  il  primo 
e  l'ultimo  soltanto  venir  possono  pel  loro  meccanismo 
co'  versi  eroici  al  paragone,  sempre  però  nel  modo  che 
un  greco  con  un  beduino  è  paragonabile. 


(g5)  Pag.  85;  e  nota  85.  che  a  farli  abborrire    basterebbero  le 

(g6)  Non  conosco  se  non  i  soli  versi  interminabili    come    insipide    chiliadi 

della  peoisola  ibcra^    de' quali   è  un  di  Tzelzc ,  pur  variavano  col  tronca- 

saggio  alla  nota  Sg  ,  che   vadan    di-  mento  costante  d'  ogni  secondo  emisli- 

visi  in  due  parti  precisamente  uguali;  chio.  E  nella   moderna  Grecia,  il  cui 

ma  quivi  osservammo  che   que'  modi  volgare    idioma    indubitatamente  sarà 

soverchiamente  lirici  si  dismisero  quan-  migliorato  ma  che  fuor  di  dubbio  è  lungi 

do  i  begl' ingegni  spagnuoli  comincia»  ancora  dall'apogeo  della  sua  genlilez- 

rono  a  conversare  con  noi.  In  Francia  za,  pure,  nell' adottarsi  l'aggiogamen- 

dopo  Rousard^  che  va  consideiato  co-  to  di  due  settenari  per  verso   eroico, 

me  1'  Omero  francese  nella  fissazione  vuoLi  che  il  primo  sia  sdrucciolo  : 
di  quel  metro  clic    là    dicesi   eroico,         Tfiisc  rrovXsixix  xx^ovrav  'a  rrtv  pajci' 

gli  alessandrini  non  sono  piii  due  set-  '(T  to  Xitts'pr 

tenari  isolati,  ma  1'  ultima  sillaba  del         'Eva  rripaii  rov  A"pnipov,  x'  a'XXo  r.ctrk 

primo  dee  troncarsi   o  fondersi   nella  tov  BìXtov  ,  x.  t.  X. 

prima  sillaba  del  secondo.  Que' ver-  V.  Fauriel ,  Cfiants  populaìres  de  la 

si    trocaici   che   si   dissero   politici   e  Grece  moderne. 


i56 


UE       R    I    T    I    S 


CARME    LUNGO. 

Parrebbe ,  dalla  sua  formola  radicale  di  fahu'lon 
mofcChi'lon  quattro  volte  ripetuta,  che  derivar  ne  do- 
vesse una  soguenza  di  settenari;  ma,  nell'aruza,  la  ca- 
denza è  sempre  sdrucciola ,  cioè  ogni  secondo  mofcChilon 
riducesi  a  moja'' liilon  (97).  E  perciò  la  composizion  me- 
trica del  carme  lungo  si  è  la  combinazione  di  un  sette- 
nario e  di  un  seuario,  o  viceversa,  l'ultimo  sdrucciolo. 
Quindi  versi  di  quattordici  sillabe  con  accento  alla  2.', 
5.",  9.',  e  12.'  Dei  quali  accenti  i  due  ultimi  soltanto 
son   di  stretta  obbligazione. 

Del  carme  lungo  è  cpesto  lo  schema  : 


FORMOLA. 

INTERA. 
QABZATA. 
K.  AFFATA. 


fàhiijlon 

mofa,hi',lon 

fahu,lou 

mofa,hì',lon 

- 

- 

: 

" 

Sanno  gli  eruditi  che    nella   prosodia    greco-latina 
si  rinviene  una  specie  di  versi  delti  bassarici  ,  quando 


(97)  L'  ultima  parie  del  verso  di-  necessaria  e  non  già  ad  arbitrio  del 
cesi  perciò  qahzata  :  v.  p.  46 ,  y.  23.  poeta  ,  perde  la  natura  di  zihafa  e 
Ed  essendo  in  lai  posizione  la  gabza     diviene  un'  élla 


METRI      ARABI.  iZf 

1'  ultimo  bachio  si  scioglie  in  peone  ,    come    a    cagion 
d'  esempio  :  "'   j 

^b  euro  sonorum  quis  Aatnae  per  maria  (98). 

Or  allungate  questo  verso  di  una  sillaba  : 

Ah  euro  sonorum  quis  quis  Aelnae  per  maria  ; 

Ed  avrete  il  verso  lungo  degli  Arabi  (99). 

Nel  qiial  metro  comunemente  i  poemi  di  qualche 
estensione  si  compongono.  Ed  il  suo  andamento  di  so- 
verchio lirico  vien  temperato  dalla  varietà  delle  ce- 
sure ,  caratteristica  di  questo  primo  circolo  :  potendosi 
quella  sillaba  che  trasforma  in  lungo  il  verso  bassarico, 
allogare  a  senno  del  poeta  o  alla  fine  della  prima  sigi- 
zia  o  al  principio  della  seconda.  Quindi  1'  ineguaglianza 
delle  tome  da  emistichio  ad  emistichio  ,  ossia  quel 
che  noi  diremmo  diversità  negli  accenti  di  un  verso, 
come  in  tutti  i  nostri  metri  iambici. 

Con  questo  andamento  abbiam  veduto  correre  la 
qazida  chazragiaca  che  ci  è  stata  di  scorta  per  la  espo- 
sizione delle  regole  dell'araba  poesia.  E  in  tal  metro 
sono  le  qazide  dorate  di  Amrialqaiso  e  di  Tarafa:  dalle 
quali  trari-emo  ad  esempio  qualche  saggio  (100). 


(98)  Intendiamo  nel  sistema  proso-  delle  lettere.  Ma  quarantotto  lettere 
<fi«co,  per  la  ragion  dcgl'a-cfew/j  non  nella  forma  radicale  avrebbe  anche 
già  severamenle  inelrico.  11  che  valga  il  verso  spaso. 

per  avvcrlimenlo  anche  in  appresso.  (loo)    Sul  merito    poetico  de' versi 

(99)  Scrive  Samuel  Clerico  chia-  dorati,  qualunque  siasi,  v.  le  note  9 
marsi  lungo  questo  genere  di  versi  per-  e  io.  Nostro  scopo  esser  dovea  quello 
che  supera  tutti  gli  altri  pd   numero  di  esaminarne  soltanto  il  metrico  an- 

Tom.  Ili  i8 


l38  DE      R   I    T   I    S 

Srjoi  snn  nD"T  p  '333  xsp    i 
Snoctt  3':n  jo  '^nnnoj  aah 

V  E  R  B  U  M      VERBO. 

Sistite  :  plorenius  ex  metnoratione  dilecii  et  mansionis 
In  coacervatione  arenaram  Inter  Doc/iul  et  HaiuneL 
Et  Taudlieh  et  Mecjrat.  Non  obliterabitur  signuni  eius 
Si  coniuncto  ìmpetu  aggredientur  eam  auster  et  boreas. 

Ex   MS.   R.   BlEL.    RoRDON. 

'Ih^  intTN*  '0'  iàSii  -in'N  vh^    56 

♦n'JD  j;2T  ;;'onDn  vh  djs  jxi    67 
n»  nD':ia  Non  Nn-nNaN  ':j;id 

V  E  R  B  U  M       VERBO. 

Heu  tu  cjiii  me  reprehendis ,  adsum  ego  praeliis  : 
Et  deliciis  num  perpetuimi  me  reddes  ? 

Et  si  nequis  repellere  mortem  meam  ; 

Sine  me  ea  praeverlere ,  quantum  posswu. 

Id. 


damenio.  Ma  confessar  degglo  con  do-  gue  orientali  D.  Maurizio  Lettieri  , 

lore  che  ,  per  quante  ricerche   io  mi  che  in  teitimonio    di  mia   gratitudine 

abbia  l'alte,  nell'unico  codice  mi  sono  qui  nomino.  -  Le  inoallaqa    trascritte 

imbattuto  clie  trovasi  tra  i  mss.  della  in  quel  codice    si    succedono   nel  se- 

Eeal  Biblioteca  Borbonica  ,  codice  non  gucnlo    ordine:     i.°   di   Amrialqaiso  ; 

privo  di  mende,  e  la  cui  comunica-  2.°  di  Zohairo;  3."  di  Amri  ben  Kal- 

lione  deggio  al  valentissimo  nelle  Un-  thura  ;  4.°  di  Lebido  ;  5."  di  Tarala  ; 


METRI      ARABI.  IÓ9 

DI    Amriai,qai>o. 

1  Qi/à"  nabki  min  zikra  \\  habibin  vajuànzaUn 
bisiqli-lUva  bajna  [|  ''ddochùli  fahàvmatiu 

2  falauzalia  fa  Uni'ujrati  [j  lam  jah'Jò  ràsmohcC 
lìnicC  nasagiùlha  |J  min  gianiCbi  vàscnicClin. 

VERSIONE      METRICA. 

Soffermiamcì  :  e  uà  tributo  di  pianto  ricevano 
E  l'aulica  e  le  areno  ove  le  tende  ergevano 

Tra  Dochiilo,  Hàumel,  Ttiudolo  e  Megrate  i  nostr' avoli: 
Male  a  trarle  in  oblio  borea  ed  austro  si  levano. 

ni    Takata. 

56  yilà'  qjjoJiadà-ìlea  ||  iamijjci'-sc-hado-lvaghà'' 

uain  ahzarà- UadiV to  |j  /tal  anta  mòchladi'  ? 
òj    Uain  konta  la''  tasta  ||  ihihi  dafha  rnànjitV 
fiadénV  abadirha  [|  binia''  malahàt  iadV. 

VERSIONE      METRICA. 

Qual  io  siami  a  battaglia  tei  sai:  come  or  credere 
Ch'  io  stringami  all'  ozio  compagno  indivisibile  ? 

Ma  se  a  morte  sottrarci  è  follia  ;  dei  concedere 
Ch'  io  loutan  la  ripinga  per  quanto  è  possibile. 

e    (li  Haiclh  ;  7.°    di   Anlarah.    Or  ,  cheiebbe  nelle  moatlaqa    un  esempio 

secondo  il  nostro  manoscritto,  quella  per  trovarsi  a  tutto  rigore  provato  quel 

di  Uarclh  appartiene  al  carme  disteso:  che  sopra  si  è  detto:  Avere  Al-Chalil 

quella  di  Amri  ben  Kalthum  all'e*M-  riunito  ne' due  primi  circoli  que' versi 

aerante;  quelle   di  Labido  e    di  An-  de' maggiori  poemi  il  cui  ritmico  aa- 

tarah  al  perfetto  ;  e  quelle  di  Amrial-  damcnlo  i  rapsodi  di  Ocatta  fissarono. 

qai>o  di  Zohairo  e  di  Tarala  al  carme  Pure  a  Zohaìro  attribuisce   il  Clerico 

lungo.  Cosi  del  solo  carme  s/juso  man-  questo  verso  che  dà  per  esempio  della 


140  D    E       R    I    T   I    S 

Da  questi  esempi  spiccantissimo  si  scorge  il  movi- 
mento del  verso  bassarico,  qoW allungarsi  precisamente 
là  dove,  sia  che  si  canti,  sia  che  si  declami,  una  ne- 
cessaria pausa  dee  farsi.  E  ,  sia  detto  di  passaggio  , 
s'  egli  è  vero  che  le  originarie  forme  più  tenacemente 
si  conservino  fra  cpie'  popoli  appunto  che  men  si  pie- 
garono alle  gentilezze  dell'  arte  ;  far  non  dee  maravi- 
glia se  veggiam  riprodursi  in  Arabia  quel  ritmico  an- 
damento che  la  eulta  Grecia  alla  sua  Beozia  attribuiva 
perchè  quivi  nella  sua  grettezza  natia  più  a  lungo  con- 
servossi  :  nel  modo  stesso  che  in  Arabia  la  culla  e 
l'infanzia  del  nume  iiiseo  si  trasportarono,  quando  di 
una  parte  soltanto  del  sacro  monte  ei  si  restò  posses- 
sore ,  e  con  più  splendida  gentilezza  occuparon  l' altra 
le  dive  dell'  armonia ,  di  menadi  in  muse  trasformate. 
Certo  è  che  la  cadenza  bachiaca ,  quale  nell'  efimnio 
arvale  l' osservammo ,  forma  la  caratteristica  del  verso 
pitio  che  i  ziostri  gramatici  nel  tipo  originario  stabilivan 
dattilica,  e  poi  per  la  sola  catalessi  neir epico  variata. 
Certo  è  che  il  peonico  col  bassarico  si  confonde.  E  certo 
è  che  in  tanta  varietà  di  nomenclatura  un  insensibil  pro- 
cedere dall'uno  all'altro  metro  osserviamo. 

Come  procede  innanzi  del  calore 

Per  lo  papiro  suso  un  color  bruno 

Che  non  è  nero  ancora ,  e  il  bianco  muore. 


prima    zarba    del  canne  spaso  ;  moallaqa    da  taluui  non  annoverato. 
n'nKT3  033D  raix  vh  isn  X'  Ma  esser  non  doveano  que' sommi  poe- 
■j'?D  xSl  'Sap  nplD  «npS'  aS  t'  "è  più  nì-  meno  di  sette ,  per  avere 
E  al  carme  spaso  appartiene  la  qazida  le  pleiadi  arabe  in  perfetta  corrispon- 
di   Ascia  anche    tra    gli    autori    delle  denza  colle  alessandrine. 


JI    E    T    R    I       A    R    A    B    I.  l4l 

Formano  nel  carme  lungo  variazione  alla  sadra  la  tal- 
ma  e  la  torma  (loi);  con  che  viene  assai  prossiniamento 
a  ravvicinarsi  al  verso  bassarico  ,  ed  esempio  cen  porge 
il  primo  verso  della  qassida  qazraglaca  (loa)  ;  e  A^aria- 
zioni  alla  zarha,  il  poter  questa  essere  intera  o  hadfata. 
Delle  quali  ultime  rimane  ad  esporre  gli  esempi,  dopo 
un  allro  che  ci  piace  aggiugnere  della  forma  ordinaria 
qabzata  di  epoca  men  remota  (io5) ,  e  nel  quale  la  rego- 
larità metrica  sembra  anche  più  conservata  (104).  E  ciò 
basti  pel  carme  lungo  (100). 

(101)  V.  pag.  Co,  yf-  43.  l'aspro    consiglio    del    severo    Asme  , 

(102)  Eccone  altri.  rammenta    que'  vecchi    costumi     che 
f-'erso  talmato  qaffato.  Orazio  tratteggia  ; 

SpSi^a  "a'^D  JNTns*  inpXty  lussus  ahìre  domum, 

imSx^  jSnun  yzhh  -[tayB  Ferebar  incerto  pede 

Verso  tarmato.  Ad  non  amicos  (heu)  mthì  postes ,  et  fheuj 
'ibS^a  DDlbN  DIN!  li'ai  JXn  Limino  dura  quibus 
lOpSxi  "MoSx  n'K  "iiy  SODnS  Zumbos  et  infregi  lalus  ! 
Son  gli  esempi  che  si  producono  dal  (io4)  Cenuammo  alla  nota  1 1  ri- 
Clerico,  putarsi  difetto  appo  gli  Arabi  un  verso 
(io3)  E  pubblicato  nelle  addizioni  che  non  conchiuda  una  frase  ne'  suoi 
del  signor  Langlès  alla  Gramatica  ^-  metrici  comparlimenti;ed  alla  pag.  76, 
raba  del  Savary  ;  e  dal  signor  Ilum-  y.  65  ne  vedemmo  anche  il  formale 
bcrt  ,  u.  XXVI.  Seguiamo  la  lezione  precetto  Pure  alla  pag.  33  vedemmo 
di  quest'  ultimo.  Entrambi  il  trassero  spezzarsi  una  parola  tra  un  emistichio 
dalla  notte  808.  Eccone  la  dilucida-  e  1'  altro.  Or  nella  qazida  di  Anirial- 
zionc.  —  Un  giovine  ,  preso  da  forte  qaiso  abbiam  veduto  sospeso  il  senli- 
amore  ,  scrìsse  il  primo  verso  alla  mento  nel  primo  verso  e  sol  conchiu- 
porla  della  sua  donna.  11  poeta  Asme  dersi  nel  terzo  emistichio.  E  nel  quar- 
pas^ando  il  lesse  e  vi  scrisse  sotto  il  to  emistichio  un  altro  difetto  ancor  si 
secondo.  L'  amante  vi  soggiunse  il  mostra  nella  zarba  che  è  intera  men- 
terzo  ;  e  il  poeta  il  quarto.  La  con-  tre  dovea  essere  qabzata. 
chiusione  dell'amante  ne' due  ultimi  (>o5)  Al  carme  lungo  ap)iarlciigo- 
versi  è  spiritosa  per  l'equivoco  della  no  altresì  i  versi  riferiti  nelle  pagi- 
parola  J<nì"lU^  (  prosteso  )  ,  con  ne  32  e  33  ,  e  nella  nota  al  V.  58  , 
che  ,   nel  dimostrare   ubbidienza    al-  pag.  72. 


142  13    E       R    I    T    I    S 

y:x'  qo  'na^Na  pc';r  incx  nix 
*  *  *  _ 
mo^«  oro»  nn  n^in  nx-r    2 

moN  ìNDnSiS*  Nnaif  ij»  dS  xni<    4 

ì?p:ìi  hìoSn  no  n'B'  nS  o'Sa 

„  *  *  * 

;;S"io  ni-i'?^!  ±>phii  n'3  [no  pS 
^'oj'  rioN'pVx  Dv  NJ3  hya 

V   E   R  B   U  M       VERBO. 

O  aocietas  amantiinn  ,  per  Deum  !  renuiiciate  mihi  : 
Quando  vehemens  invasit  amo?'  in  iiivene ,  cjuidaget? 

*  ■"  * 

Dissiìnulet  aniorem  suiim ; postea  ahscondat  reni  siuwi, 

etpatiens  sii  in  oni/tib.  evenlibus,  et  humilem  se  praeheat. 

.*   *   * 
Sed  quoniodo  dissimiilabit  ?  et  amor  enecat  iiivenetn 

et  {in)  omìiibus  diebus  cor  eius  minutim  conscinditur. 

.       .    *  *   * 
Si  non  invenerit patientiam  adabscondendam  rem  suam, 

tum  non  est  sibi  aliguid, praeier  mortevi,  utile. 

*  *   *       . 
Audivimus  et  ohtemperamus  ,  deinde  morimur. 

Ergo  nunciate  illiper  quemjuerunt  cor  et  anima  injlam. 

Ecce  me  iacentem  iuxtajanuam  ejus  mortuum, 

utfortasse  nos  dies  resurrectionis  coniungat. 


METRI      ARABI.  140 

1  Eja'  màsciara-làsscid! qi  ,  billalii  chàhhiriC  : 

ida-'sc  tadda  isccjubn  bi-lfata'  kajfa  iàznaó. 

*  •*.   * 

2  Ioduri  havào  :  tomma  jàktomo  ó'mrofio 

uaiazbaro  fi  kalìa-  loinìidi  ucijàchzaó  : 

*  *   * 

3  facjajjd  iodari'  va-lhavcC  qcC talò- Ifata 

vafi  kalli  juinin  cjalboo  iaiaqàlLaò. 

*  *.  *. 

4  idcC  lani  iagid  aabarra  llkitincCni  anirii 

falaisa  Uhi  sciahon  siva'-lniuti  ànqaó. 

*  *  * 

5  saviinci    vatoàncC  :  lomnia  zotna' ,  faciiàbbiroa 

liman  kà'na  fi^lii-lqalho  va-rruho  iniCìaó. 

6  fahd!  anna'  matru^ha  ilà-bba'bi  inàjjitcCn 

la  alla  bina'  jiCma-lqijcCinati  ia'g-maò. 

VERSIONE      METRICA. 

Oh  fiui  in  amar  maestri!  oh  chi  per  un  giovane 
Che  batte  d'  amor  le  vie  eonsigUo  sa  porgere  ? 

*  *   *     . 
Dissimuli:  e  badi,  tuttora  tacito  ed  umile, 

Che  nullo  de' fatti  suoi  si  vada  ad  accorgere. 

*  *   * 

Ma  come,  di  grazia,  ma  come  si  dissimula 

D'  una  fiamma  estuante  l' indomito  insorgere  ? 

*  *   * 

Ebbcn  :  chi  di  sé  donno  non  sentcsi ,  all'  unico 

Per  sé  convenente  morte  sola  il  può  scorgere. 

Intesi:  e  dia  morte  ormai  sua  requie  ad  un  unsero. 

Ma  dite  a  colei  che  ardor  tanto  in  me  fea  sorgere: 
Prosteso  io  mi  giaccio  alla  sua  soglia,  onde  all'ultimo 

Resurresso ,  chi  sa  ?  con  lei  giunto  risorgere. 


144  D    E       E.    I    T    I    S 

ZARBA       INTERA. 

UT  n::p  xnv  'oac'  hìòn    2 
fon  'DJi?  xpj  'Jifj  xSs  'Snm 

V   E  R  B   U   M      VERBO. 

Cerno  (  CMm  )  oculo  meo  duos  dormiente.s  siipur  terra... 
Cuperem  ambo  potius  dormirent  super  mea  palpebra. 
JJuosnn\.noviliiniacaeli,solesmatutini,lunaeobscuraenoctis, 
Gazeìlae solitudini s,  ramali  naqa,  simulacrapulcriiudinis. 

Notte  il 4-  HuMB.  XXI. 
ZARBA       H    A    D    F    A    T    A. 

n^Na  '^p  w  "ioSn  dn"ì  dnjì'  ^nx    2 

VERBUM       VERBO. 

Si  interroges  me  de  mulieribus  ,  nani  ego 
pente  in  naevis  mulierum  intelligens  ;  respondebo  : 

Quando  canescit  caput  viri  aut  minuitur  opulentia  eius, 
tum  non  est  amplius  ei  in  illarum  amore  portio. 

Notte   275.  HUMBERT  ,  XXV. 


(106)  In   questa    i'orma    i    secondi  santo  luogo  sulla  montagna  di  Araiat , 

emistichi  si  risolvono  in  due  setlena-  presso  la  Mecca.  Quando  non  è  nome 

ri:  se  non  che  la  cesura  non  sempre  proprio  significa  cumulits  arenarum  , 

li  divide  in  due  etlasillabi  isolati.  arenae    circumscriptae   (  Golio  ).  Ma 

C)  {<p3  (  n.iqa'  )  è  il  nome  di  un  in  un  poema  pubblicato  nelle  Miniere 


METRI      ARABI.  14^ 

Raajlo  b'iàjnV  ncCjlmaini  àll-tlura  (106) 
nadadtolioma'  lam  in  jana'ina'ni  fì  giofni. 
hilcClaì:  sciamasai  zolia'  :  gamìuarai  elogia': 
gàzaHai  falcC  :  góznai  naqcC  :  zanamai  hosni. 

VERSIONE      METRICA. 

Non  vegg'  io  due  bambini  che  in  terra  là  dormono?. . 
Ah  che  s'  abbian  piuttosto  su  questi  occhi  lor  nido. 
Due  albe,  due  sol',  due  lune,  due  Icggiadrissime 
Gazzelle  son  là,  due  riaga'  (*),  due  bimbi  di  Guido. 

1  vain  iasalu'ni  àni-nniscCofainnai  (107) 
chabVron  h'ianvcCi- nnisa  i  tabPbon  : 

2  ida'  sciabi  Fa' so-'' Ima  ri  av  qalla  mà'loho 
Jalajsa  lalio  fi  uaddiidnna  nazCbon. 

VERSIONE      METRICA. 

Da  me  delle  donne,  giacché  il  vuoi,  metafisica, 
Che  assai  ben  coppellate  le  ho  tutte,  ti  avrai  ; 

Cocuzzo  se  bianco  si  fa  ,  borsel  se  intisica  , 
In  cor  di  fanciulla  un  cantoncel  più  non  hai. 


rf'Orte«fó  ,  tom.  Ili,  pag.  207,  par  che  che  il  fau'lon  che   precede   la   terza 

indichi  un  nome  specifico  di  qualche  zarba  del  carme  lungo  ,  di  rado  si  ha 

piatila  XpJ/N  3''^pN''  '^'^  ''  sig"'"'  sano.  Nel  secondo  verso  di  questo  e- 

Graugct  de  la  Grange  traduce:  età,  sempio  si  osserva  uno  di  quei  casi  in 

ramo  del  deserto.  Checché  ne  sia  ,  ho  contrario. 

credulo  dover  lasciare  la  parola  ori-  Al  Achfasc'  assegna  al  carme  lun- 

ginalc  intana.  go  anche  1'  aruza    qazrata.    Ma    nem- 

(107)  Osserva  Abu  Isaac  Azzaggiag'  meno  il  Clerico  ne  produce  esempio. 


Tom.  111. 


19 


146 


DE      K    I    T    I    S 


CARME    DISTESO 

Nou  v'  ha  esempio  di  questa  spezie  di  versi  nel 
periodo  ottonano  ,  e  costantemente  si  hanno  giazali , 
dicono  gli  arabi  maestri  ;  e  perciò  la  loro  formola  ra- 
dicale è  di  fa'hila'toii  fcCldloii  fa' liila' ton  per  ciascuno 
emistichio.  Le  loro  ziliafe  sono  la  chahna ,  la  kaffa  , 
la  sciacla.  L'  aruza  può  essere  intera  ,  ed  anche  azfata 
o  azfato-chabnata ;  e  la  zarba,  oltre  a  questi  accidenti, 
può  essere  anche  qazrata  o  batrata  (108).  Dal  che  si  ot- 
tiene il  seguente  schema. 

FORMOLA 

INTERA. 
CHABNATA. 
KAFFATA. 
SCIAKLATA. 

QAZRATA. 

AZFATA. 

AZ.  CHABNATA. 

BATRATA. 

Questo  carme  ha  il  nome  di  esteso  ,  dice  il   Cle- 


fa 

hila 

ton 

* 

fa 

liilon 

fa 

hilfi'ton 

- 

" 

tt 

(108)  La  forma  qazrata  rende  l'ultima     tal  sillaba,  dopo  il  segno  prosodiaco 
sillaba  pivi  che  lunga  ,  come  notammo     apponemo  un  asterisco, 
alla  pag.  58 ,  f.  38.  Per  distinguere  una 


METRI      ARABI.  147 

rico  ,  perchè  le  corde  vi  sono  estese  in  modo  che  cia- 
scun palo  trovisi  fra  due  di  quelle  (log).  Bisognava  dire 
clic  r  cs/e/isione  si  abbia  appunto  là  dove  s' iiicuntrano 
due  corde  ,  e  precisamente  in  quella  che  abbiaiu  di- 
stinta con  un  asterisco  :  la  qual  corda  se  venga  a  sot- 
trarsi, n'emerge  un  anapestico  trimetro  cataletto  ,  che 
riproducesi  nel  nostro  decasillabo  e  nella  forma  giazata 
dal  Carme  conseguente  (iio).  La  chabna  ristabilisce 
nella  loro  purità  gli  anapesti. 

Spandendosi  adunque  questo  verso  cou  una  sillaba 
dopo  il  primo  anapesto  ,  dividendosi  cioè  il  verso  in 
modo  che  dopo  il  primo  piede  si  respiri  [  il  che  pro- 
duce una  necessaria  catalessi  (in)  ]',  ecco  un  arabo  en- 
decasillabo il  quale  dal  nostro  decasillabo  si  diparte  per 
sola  condizione  di  vario  modo  di  profFerenza  da  linguag- 
gio a  linguaggio. 

In  questo  metro  corre  la  qazida  dorata  di  Hareth, 
dalla  quale  prendiamo  ad  esempio  i  due  seguenti  versi  : 
ed  è  notabile  che  nel  secondo  emistichio  il  decasillabo 
si  mostri  netto  e  senza  espansione ,  mentre  poi  nel 
terzo  emistichio  quella  stessissima  espansion  vi  osser- 
viamo che  vedemmo  nella  catubba  dello  Scruttendio  e 
la  quale  trasforma  il  trimetro  anapestico  in  dimetro 
amlìbraco  (112). 

(^loq)  Cui  inde  nomen  qwid  c/iordae  (m)  Pag.   H2. 

in   eo    ita    extendantur ,    ut    singuli  (112)   Pag.   i33.  Queste    trasforma- 

paxilli  duubus  cfiordis  interpositi sint.  zioni    son    frequentissime    in    tutti    i 

pag.  43.  versi  anapestici  destinati  al  canto.  Cosi 

(ilo)  È  il  metro  dell' ìquo  al  Sole  ,  per  troncamenti:  il  primo    anapesto, 

pag.  ga.  lecoodo  i  metrici,  si  scambia  in  iaiubo 


148  DE      R    I    T    I    S 

'{  Dn*?»  naxjD  n37s*  pobs»  18 

verbum     verbo. 

Utique fratres  nostri f amili ae  Arakem  culpant  nos  : 
In  illorum  dictis  est  occultatio  : 
Et  miscent  inuocentem  e  nobis  cuni  noxio, 
Nec  ÌLLvat  innocentevi  innocentia. 

£x    MSS.   R.    BlBL.   BORBON. 

Non  produrremo  altri  esempi  del  carme  disteso  ; 
notando  solo  clie  la  forma  qazrata,  e  l'azfata,  dan  versi 
dello  stesso  genere,  ma  tronchi  (ii3):  e  che  la  forma 


o  spondeo  j  come  ne' versi  9,  12,  i5,  tre  i  metrici  si  compiaceranno  rinve- 

16  ,  27  ,  20,  20  ;  21  ,  23  dell'  inno  al  nìrvi  nella  purità  di  loro  applicazio- 

Sole  ,  pag.  92  ,  quando  scioglier  non  ne    le   antiche    regole  ,    ed  una  serie 

si  vogliano  i    dittonghi,   come   io   mi  eh' ei  diranno  nobilissima  di  anapesti. 

penso,  al  modo  stesso  che  sovente  ac-  Percutitur  enim  versus  anapaesticus 

cade  ne'  versi  italiani.  E  per  aumenti  ;  praecipue  per  dipodian  ,  interdum  et 

ci  piace  qui  produjre  un  altro  esem-  per  sini;ulo3  pedes:  est  aicterii percussio 

pio  dalle  nostre  canzoni  popolari  :  cui uslibet  metri  in pedesdivisio.Exem- 

, Lazzarone,  biiccone,  pezzente,  pliiin  erit  tetrametri  catalectici ,  quod 

Straccione  fetente  vattenne  da  cca  :  est  in  anapaesticis  ,  nobilis  il/e  versus  : 

11   che   al    certo  i   musici    di  tutte  le         yil'us  cithara  soniluque  patena  volucret 

nazioni  troveranno  rrgoìari.'simo;  men-  pecudestjue  motere.  Vittorino. 


MKTRI       ARABI.  149 

17  inna-chva'nania-l^ara'cjim  iagliùna 
àlajna'fi''  [j  qVlihlmi-chfcCo 

18  iacìditii' na-VaSiY\]\?i  []  sannahidi-ddanhi 
vaia'  janfaqo-l  [)  c/uilijja-lchalà'o 

VERSIONE      METRICA. 

Se  e'  incolpano  d'  Arakime  i  figli 
Ne'  lor  detti  v'  ha  mera  eccedenza  : 
Tramestandosi  a  scipa  nocenti  e  innocenti, 
GÌ'  incolpabili  non  salva  innocenza. 

azfato-chabnata  e  la  Latrata  ,  non  al  carme  disteso 
(  nno^X  )  ma  al  carme  spaso  (  D'D3':'X  )  vengono  da  Al- 
kesan  attribuite  (114). 


(ii3)    Su    la    lisoliuione    de' versi         (114)  Gli    esempi    delle  variazioni 

sdruccioli,  e  uiolioppiii    de'  bisdruc-  per  élla    ihe    raccolse    il  Clerico  son 

cioli  in  triinclji  ,   v.  appresso   Carme  queste  ; 

BHEVE. 

ZinilA    IjAZRAT*.  ZABEA    A2FATO-CHABNATA. 

r\v>y  K-«3N  pi'  kS  na  ay  Sp;'  -naSS 

carua  azfata  xarba  bathata. 

SsKn  C33S  -jK  nidSj'k  xnpoix  na  -'kj  3t 


lao 


DE       R    I   T    I    S 
CARME    SPASO 


Ha  due  periodi ,  l' ottonario  e  il  senario.  Neil'  ot- 
tonario 1'  aruza  è  sempre  chabnata  ;  e  le  sue  zihafe  , 
oltre  alla  cliabna  ,  sono  la  taia  e  la  chabla  (ii5).  Dal 
che  il  seguente  schema  : 


FORMOLA 

raos 

taf 

hTlòii 

fa' 

hiloii 

mos 

tal 

hTloii 

fahìlòn 

,  INTERA. 

- 

- 

^  - 

- 

.  ^  _ 

CHABNAT. 

- 

- 

T  AI  ATA. 

- 

- 

- 

" 

CHABLAT. 

" 

- 

" 

- 

- 

E  perciò  versi  di  quattordici  sillabe  coli'  accento 
alla  4.^  7.^  ed  11.^  i  quali  si  risolvono  in  un  quinario 
e  un  settenario,  o  viceversa ,  l'ultimo  sempre  bisdruc- 
ciolo. In  sostanza  il  carme  spaso  è  il  nostro  endecasil- 
labo con  due  espansioni ,  alla  cesura  cioè  ed  alla  cata- 
lessi. Se  non  che,  la  tendenza  araba  al  metro  bachiaoo 
fa  che  i  due  primi  accenti  talora  si  spostino ,  ed  un 
emistichio  allor  si  componga  di  due  seuarii  ,  1'  ultimo 
bisdrucciolo. 

Nel  periodo  ottonario  il  carme  spaso  ha  due  zarbe, 
la  prima  anche  chabnata,  la  seconda  qatata  (116):  e  in 


(ii5)  V.  le  pag.  45,  t.  21  ;  e  47  ,  f. 
22  e  49,  f.  25. 


(116)   V.  pag.  59,  f.  39. 


METRI       ARABI.  l5l 

quest'  ultimo  caso  1'  emistichio  è  di  tredici  sillabe ,  col 
trasferirsi  l'ultimo  accento  alla   12.^. 

Nel  periodo  scuario,  cioè  uella  forma  giazata  ,  ogni 
emistichio  dà  la  combinazione  di  due  qniuarii  ,  il  se- 
condo sdrucciolo  o  piano.  Lo  schema  è  questo  : 


FORMA  INTERA 


FORMA  QATATA 


Le  zarbe  della  prima  forma  souo  tre,  1.°  adaila- 
la(n7),  2!'  nuda,  3.°  qatata  ;  della  seconda  è  unica, 
anche  qatata  :  nel  qual  caso ,  quando  cioè  1'  aruza  e  la 
zarba  sono  egualmente  qatate,  il  verso  dicesi  y7DD  (  mo- 
callahon  ) ,  che  noi  col  Clerico  diremo  tralato.  Nella  zar- 
ba dailata  T  ultimo  quinario  si  trasforma  in  settenario 
tronco. 

Dilucidiamo  tutto  ciò  con  esempi ,  cominciando 
da'  versi  del  periodo  senario ,  nel  cjuale  già  un  saggio 
esponemmo  della  qazida  dorata  di  Zubairo  (118). 


mos 

taf 

hilòi) 

fa' 

htiòa 

mos 

tàfliTlon 

- 

- 

„  _ 

- 

_   ^  - 

mos 

taf 

liìlòn 

fu' 

liTlùn 

Miof 

hù'lan 

- 

- 

- 

-  - 

- 

- 

(117)  V.  pjg.  55  ,  f.  32. 


(118)   In    line  della   nota   loo. 


l52.  D    K      n.    I    T   I    s 

lìD  Xll  1SV  NT  fNTOB'  ti'';r':'i^i 

Nns^fNìy  mmx  nn^a  nnìtna    5 
ijk'Sk  'Sn;;  iòti  f^vp'  D'Sa 

-iDn  NHD  p  nSx  DJI'   D'NI 

xnS  TNiy  xS  mjj  ndd'7X  'ai    5 

nOpS^I  DDtJ'Sx  nSn  tlD3'  D''?"! 

njDn  nx  qn'nSn3  yìD  n^onN    6 
Nn3  nn-inlNfi  'Sn'VVx  inoSxDi    7 

VERBUM      VERBO. 

Temptis  dieaòus  diebus  constai;  alter  securitas  est,  alter  vero  peri  e  uìum . 

Vitaque  duas  partes  habet  :   unum  in  qua  clarilas  ,  alteram  turbidam. 
Die  ei  qui  vicissitadines  fortunae  nostiae  nobis  exprobrant: 

I)   ^n  adversatur  falam  nisi  ei  cui  est  existimatio  ? 
Nonne,  vides  ventum  ,   quando  excitantur  eius  procellae  ? 

Equidem  non  frangitur  nisi  alla  arbor. 
Ut  quot  super  terra  virides  et  siccae  arbores  ! 

Verum.  non  lapi dibus-petitur  nisi  ea  super  qua  frugea. 
Et  in  caelo  stellae  sunt ,  quibus  non  est  numerus  ;    ■ 

Sed  non  defeclu-ajjiciunlur  nisi  sol  et  luna. 
Tranquillas  tu  mentem  tuam  per  dies  prosperilatis  tuae  ; 

Et  non  formidas  exitum  quem  adducet  fatum  ; 
Tmmo  quietant  te  noctes  ;  sed  tu  decipieris  ab  illis  : 

Nam  durante  serenitate  noctium  supermnerit  tempestas. 


AtETRIARABI.  l53 

1  addcChro  iavma'nl  []  da'  ainno  <^ac/à'haclàro 
va'làjscio  sciatnCni  |)  dcC  safvon  i^adéi'  kadaro 

2  gol  lllladr  hìso  f]  riCJl-  ddaliri  àjjarana 
had  liaraha-  ddahro  []  illa  man  Ici/iò  hataro 

3  anima'' larai-rri'' /la  \\  iiihahbat  ava'' sigaha 
falajsa  jorjzafo  1|  ///a'  cVlijjò  'ssciagiìro 

4  vakatn  àlai-larzi  ||  min  gasra  hi  vaja'bisatin 
valajsa  jorg'iamo  [|  illa^  man  hihó.  thamaro 

5  vafC-ssamah  nagi  ||  iCmon  la!  idcCda  lahcC 
valajsa  joksajfb  |]  ìlhC-ssciamsu  và'lqamaro 

6  a/isanla  tannaka  [[  hi-alija^mi  id  liasonat 
valam  lacliaf  giubba  [|  ma'  j a'' li  /;i7a-'lqadaro 

7  vasa-lamalqa-lU  ^jaTi'  fcCglitararta  biha' 
vainda  safvV-lli  \]JalP Jaàdutàò-ìkiidiiTO. 

VERSIONE      METRICA. 

Or  placidi  scorron  gli  eventi ,  or  dimarginano  : 

E  i  di  della  vita  son  chiari  o  s'intorbidano. 
Di  a  quei  che  alle  nostre  vicende  mal  mormorano  : 

«  Che  avverse  ai  sublimi  le  sorti  ognor  turbinano. 
Non  vedi ,  se  a  giostra  A^an  gli  euri  e  tumultuano, 

Che  sol  gli  ardui  faggi  si  schiantan  si  sbarbicano? 
Quanti  alberi  e  quanti  più  o  meno  rigerminano  ! 

Ma  quei  si  batacchian  che  in  frutta  si  caricano. 
Ve'  i  mille  e  i  mille  astri  che  all'  etera  sfolgorano  ! 

Ma  il  sol,  ma  la  luna,  si  ecclissan,  si  attenebrano. 
Tu,  questi  godendo  tuoi  giorni  che  prosperano  , 

Dispregi  al  dimane  comunque  si  abbindolino  : 
Te  a  sonno  le  quete  notturne  ore  inanimano. . . . 

Ma  in  nolte  serena  pur  fulmini  scapolano. 
Tom,  IH.  3o 


l54  JD    E       R    I    T    I    S 

Ne' versi  or  trascritti  (119)  1' andamento  del  me- 
tro bassarico  è  manifesto ,  e  gli  accenti  vi  sono  spostali 
in  modo  che  dir  si  potrebbero  non  appartenere  al  carme 
spaso  se  la  quantità  metrica  delle  sillabe  non  vi  fosse 
conservata  con  rigorosa  esattezza ,  e  se  tra  le  forme 
de'  versi  arabi  che  ci  schierano  i  dottrinali  ven  fosse 
alcmia  cui  potessero  riferirsi.  Del  resto  quando  si  ri- 
mangono gli  accenti  nelle  loro  sedi,  non  v'ha  tra  i  versi 
arabi  altro  che  più  prossimamente  al  nostro  verso  mag- 
giore si  accosti:  e  precisamente  nel  suo  primo  stato  di 
composizione ,  quando  cioè  le  sue  parti  non  erano  ancor 
fuse  insieme,  come  frequentissimamente  nei  nostri  tro- 
vatori del  ducento ,  e  come  nel  tema  della  lauda  di  ser 
Brunetto  : 

O  fratel  nostro  che  se'  morto  e  sepolto , 

Nelle  sue  braccia  Iddio  t'abbia  raccolto  (120). 

(iig)  È  riportato  nel  Comentaiio  che  lo  stesso  signor  Langlet  tiadii- 
delìa  poesia  asiatica  del  Jones;  e  nel-  ce  :  Les  jardins  renfermenl  dea  Jhiirs 
V Antologia  del  signor Humbert,  n.  IX;  de  tonte  espèce  :  on  ne  ciieiUe  que  la 
la  cui  lezione  abbiam  seguita.  Nel  pri-  rose  et  la  fleur  d' orari  gè.  Ma  per  un 
mo  trovasi  anche  il  verso  :  fiore  è  pregio    1'  esser   coito  ;    e    non 

pare  che  il   verso    vada    riposto  dopo 


il  quinto  ,   ma   sibbene  dopo  il  quar- 

cioè  :   Nonne  vides  'mare  in  cuius  su-  io.   Prendendo  flQp»  nel  senso  intran- 

perficie  feruntar  cadavera  ?  et  reni-  sitivo  (  couie  flQ^'  del   quinto  verso) 

dent  in  fundo  margaritae.  E  la  ver-  in    significalo  tii  prestamente  sfrondar- 

sione  italiana  potrebb'  essere  :  si  ,   il   che  benissimo  accade  appunto 

Ve' quanti  in  quel  mare  cadaveri  rotolano?  di   pielerenza   alla  rosa   o   al   fior  d'a- 

Ma  in  fondo  splendenti  le  perle  prolificano.  rancio,   potrebbe   dirsi   in   italiano: 

A   nostro  parere  questo  verso  dovreb-  Le  rose  gli  aranci  su  i  fior'  tutti  dominano  ; 

b' essere  il  terzo  piuttosto  che  il  quarto.  Ma  pur  de' lor  petali  son  primi  die  scapitano. 

Un  altro  verso  sen  rinviene    nella         {>2o)  Ed   anche    piìi    Irequenti    ne 

pubblicazione  che  n'  è  falla  dal  signor  avremmo  gli  esempi  senza  il  mal  vez- 

Langlet  nelle  sue  addizioni  alla  G/«?M-  zo  di  alcuni  teneri  che  di  menanti  si 

malica  Araba  del  Savary  ,  e  il  verso  trasformano  in  correttori.  Certo  è  che 

è  questo  :  senza  troncamenti  scriveansi   dal  Pe- 

n;71jn  TnstN  VS'lSx  '31  trarca   quelle  parole  del    suo    canzo- 

ini'7K1  TIiSk  X*?»  =)tsp''  ^D''«1  niere  che  or    vanno    tronche  ,    come 


M    e;    T    a    I       ARABI. 


i55 


Cliopperò  in  meri  endecasillabi  tradurremo  i  primi  ver- 
si della  qazida  di  Ascia ,  nella  quale  tutti  gli  emistichi 
cominciano  costantemente  con  un  quinario ,  e  1'  iper- 
metrismo  anche  pel  concorso  delle  lettere  tenui  non  di 
rado  sparisce  (121). 


ne  fa  testimonio  il  codice  vaticano 
che  il  Minatori  pubblicò,  l'uro  in  versi 
di  dodici  sillabe  ci  rimane  un  intero 
sonetto  di  Etante  da  .Maiano.  V.  ap- 
presso Carme  lieve. 

(121)  Coire  sino  ai  64.°  verso.  Ab- 
biani  seguilo  scrupulosaincnlc  la  legio- 
ne del  chiarissimo  do  Sacy  ;  ma  ci  è 
spiacevole  non  averne  potuto  adottare 
r  interpetrazione.  Ei  prende  sul  serio 
le  lodi  del  poeta  per  ((iicsla  palfiita 
Oraira  che  nnn  può  sostenersi  in  piedi 
per  la  pinguedine  :  noi  vi  abbiain  rav- 
visato non  altro  the  una  continuala 
ironia^  e  un  burlesco  assai  mani- 
festo. E  dando  questa  tinta  al  poe- 
ma ,  troviam  convenienlissimo  lutto 
r  episodio  della  seconda  parte  che  sa- 
rebbe un  fiors-d' oeuvre  nel!'  eroico  , 
mentre  nell'  eroi-comico  è  una  sapo- 
ritissima smargiassata.  Le  parole  dello 
stesso  illustre  inlcrpetre  ci  confortano 
in  questo  pensiere  ,  e  le  seguenti  os- 
servazioni. 

X'".i.Qtie5ta  Oraira  era  una  canterina  la  qua- 
le ,  (lo()o  di  essere  pa.^sata  di  mano  in  mano, 
era  divenuta  mamma  in  casa  di  un  Kai.s  ,  fi- 
glio di  Hiibcu  ,  figlio  c'i  Tlioalela,  fij;Iio  di 
Anno,  fij^lio  dì  Mor'hed.  E  il  poeta  nel  ver- 
so  iQ  la  rhìaina  mamma  di  (jolid. 

Non  manca  di  ntitaie  il  ;ignor  di  Sacy  che 
questa  grassa  canterina  venga  denominata  da 
A.l)n  Obaidc  non  ni'irt  ma  HIO.  Dunque 
il  vezio  di  (ambiar  nome  a  seconda  delle  cir- 
cosfaiize  non  è  cosa  esclusiva  delle  noslre 
riitiKne. 

//'ù/. Pcrircttendolo  il  v?go  dell'originale, 
la  rima  mi  ha  detto  che  il  poeta  co'suoi  com- 
pagai poleano  viaggiar  per  acqua.  La  rima 
avea  torto  perchè  qui  trattasi  delle  solite  ra- 
roTane  la  cui  lunga  noia  divagavano  queste 
frottole.  Ma  non  v'è  scampo  contro  un  po- 
tere iiresistibile  ,  ed  è  bisognato  ubbidire.  La 
rima,  anche  più  del  futo  di  Seucia, 
,  VoUntes  ducit j  nolentes  Irahit, 
V-^.La  gentilezza  francese ,  che  norl  t"j  man- 
car di  ifaUiiteria  nemmeno  con    le  canterine 


mamme  ,  si  è  trovata  in  imbarazzo  nel  de- 
scrivere l'ambio  non  di  un' e<ina  Irima  ota- 
ziana,  ma  di  questa  TPI'Ss  'JlSx  {giumen- 
ta balzana  )  ovvero  IflwX  {fangosa  )  come 
legge  il  signor  di  Saiy.  Ed  ec^o  che  il  signor 
Rousseau  parafrasizza  anch'  egli  :  a  £ite  a 
»  la  deinarch-'  d' itnd  jeune  cvnrale.'ìceme  qui 
»  s'  avance  d'  un  pas  timide  et  nutl  a.ssuré  ^ 
w  dans  des  sentiers  ghssans  et  dijjkiles.  " 
Ma  anche  nel  io  verso  ritorna  il  poeta  su 
questo  non  tenersi  all'*  erta  della  nostra  gras- 
sona : 

S-J:\ì-3  iitj'jto  Nnxoix  1x3 

che  lo  slesso  signor  di  Sicy  traduce:  « et 

ses  pieds  qui  posent  à  peine  sur  le  sol,  cam- 
me s' ìls  ai'oient  pour  chassure  ,  dfs  épmes 
doni  ils  rcdulassent  les  atlemtcs  cruelles.  y 
Mi  penso  perciò  di  non  mancare  ncppur  io 
di  galanteria  quando  ho  detto  con  modi  vez- 
zeggiativi che  zambetta  sriancatella. 

y.  4.  L' t  c-r.q  ,  pn!?;'7S  ,  è  una  pianta  né 
bella  né  buona...  .dico  male.  Firuzabidi  ci 
assicura  che  in  medicina  era  buona  la  sua  se- 
menza contro  l'emorroidi,  ler  accrescere  il 
latte  e  per  far  neri  i  captili.  E  forse  per 
queste  virtù  tu  scelta  a  preferenza  delle  al- 
tre dal  poeta  più  che  pel  cliijuet.s  de'  suoi 
baccelli  pensoloni  come  i  gruzzi  ciondolanti 
della  nostra  mamma  grassona. 

jlf.  6.  Dunque:  se  non  fa  è  perchè  non  può. 
E  tanto  basii  per  apologia  della  nostra  in- 
terpetrazione. 

Autore  di  questi  versi  è  Maima  ben  kais 
detto  .4  scia  ;  contcmporano  di  Maometto, 
e  morto  il  sesto  o  settimo  anno  dell'  egira. 
Il  poema  è  da  non  pochi  annoverato  tra  le 
Miiallaqà  sospese  nella  Caba.  Un  dotto  arabo, 
richiestoglisi  qual  fosse  il  miglior  poeta  della 
sua  nazione,  rispose  : 

3J1  NIX  ini'-'.s'i 

È  .\lqaiso  quando  è  in  collera 

Nabéga  quando  è  in  palpili  , 

Zuhiro  in  bramosia  , 

Ed  .\scia  in  allegria. 
Il  che  ci  conferma  neir  attribuire  un  senso 
affatto  gioviale  a  tutte  le  espressioni  di  que- 
sto   poema.    V.    fasd^rafa»  4»r  ùrìimtt  ,  tom.     V    , 

pag.'  i  ,  e  segg. 


i56 


DE      K    I    T    I    S 


'7m'7N  'jiVx  ♦:;•£:♦  nod  Nrin^x  'con 
NnmNu  n'3  fD.NniT::'^  |xd    3 
hi}?  nSi  nn  nS  npxnoSN  io 
nanifjx  Nnx  ndxìdi  'Vn'?^  yjDon    4 
"^jr  p-iL";?  nn2  jNi>nDN  ndd 

VnnSn  -ixj'?^  noh  xnNin  xSi 
N'mnc-'n  x'?  ìx  Knj;"ii'>  nx3'    6 
SddVn  NnriN-ixji  ha  Dipn  xnx 

F^ersione  del  signor  barone  de  Sacy. 

Dis  cidieii  a  Horaiiech  ,  il  en  est  temps  ,  car  déja  la  troupe  des  voya- 
geitrs  se  met  en  marche. 

Mais  auras-tu  la  force  ,  maUieureux  amanti  de  dire  adieu  à  celle 
belle  que  parent  et  la  blanckeur  de  son  front ,  e  sa  longue  cheveleure  ,  et 
l'  éclatant  poli  des  dents ,  et  une  demarche  molle  et  nonchalanle ,  semblable 
à  celle  d' un  coursier  qui  ose  à  peine  appuyer  son  angle  malade  sur  un 
terrein  fangeux  ? 

Sort-eUe  de  la  lente  de  sa  voisine  ,  on  di/oit  un  nuage  qui  s'avance 
d'un  pas  ?nesuré  ,  sans  lenteur  comme  sans  vilesse. 

j4  chaque  mouvement  quelle  fait ,  le  cliquetis  des  bijoux  doni  elle  est 
ornée  ,  se  fait  entendre  comme  le  son  des  grains  clu  briiyant  ircliik  ,  lorsque 
le  zéphir  lui  prète  secours  de  son  doux  fréniissenient. 

Horairech  n'est  pas  du  nombre  des  ces  femmes  qui  font  la  terreur  de  leurs 
l'oisins  ;  jamais  ils  ne  la  voient  épier  leur  secret. 

Elle  à  besoin  de  recuellir  toutes  ses  forces  pour  ne  point  succomber  à 
son  extreme  delicatesse  ,  lorsqu'elle  se  leve  pour  aller  visiler  ses  voisines.XJne 
heure  de  badinage  avec  l'  une  de  ses  semblaòles  epuise  ses  forces  ;  le  trem- 
hlement  s'empare  de  ses  reins  et  de  sa  croupe .... 


METRI      ARABI.  ìbj 

1  T^addi  homjrafo   f]   inna-rralha  inàiiahilo , 
vallai  loll\jo   I)    iddfiaii  ajjolici  -'' rragìolo. 

2  gàrrcCo  farcVo   ||   jiiazcju'ton  àva''rizoa' 
taniscl-  l/iiiuaj no'  [|  hamcC  jamsci-lvagia-lvahilo 

5  kaanna  inosc'jataluC    (|   huìl  najll  guCrìtalia' 
Viano- ssaluChall  [|   /a'  rojla  vaia'  cìgilo 

4  tasniaó  lilìiali''   ||    va^ svcC scC n  idh-nsarafat 
kama-slaà'na    [j   biri'hin  àsciarigòii  zagilo 

5  lajsat  kainan   |j    talcrao-l gì  raglio  iàlàtahcC 
naia''  tara'' ha''   |J   isirri-lgia''ri  tachatatilo 

6  ialcado  'lazraóluC   []    /ap  /«'  tasciaddadolid! 
ida'  taqiCmo   |]    ìtVj'  già' ri'' taha-  llcasalo 

Koitra  inlerpetrazione. 

E  addio  a  Oraira  !  è  pronta  già  la  gondola  : 

Si  parte. .  .ahi  lasso  !  E  perdo  questa  dondola! 
Perdere  Oraira  e'  non  è  mica  gangola  ! 

. .  .  Ahi  dura  terra  !  e  perchè  non  si  sfondola  ! 
Qual  cria,  quàl  fronte,  quai  denti,  qual  fregola. 

Quando  zampetta  sciancatella  e  dondola  ! 
Vieu  di  comare?  è  nugola  che  sguindola  , 

E  lenta  lenta  sue  falde  girondola  : 
E  de'  suoi  gruzzi  la  pendaglia  scricchiola 

Qual  baccello  d'  Iscriq  che  all'  aure  ciondola. 
E  buona  Oraira  :  e  con  tante  ergi-pergola  , 

Con  tante  cinguettine  io  non  confondola. 
Non  \Si  spiando  attorno  ogni  baiucola  : 

Bonchi  non  pesca  e  a  barlonchi  poi  sgoudola. 
Se  fa  due  passi  o  due  parole  spippola  , 

Poverina  !  già  sviene  e  capitondola 


l58  DERITIS 

Si  paragoni  la  nostra  versione  colla  lezione  araba 
soprapposta ,  e  si  scorgerà  similissinio  il  metrico  anda- 
mento ,  se  prescindasi  dalla  sola  catalessi  che  rielT  ita- 
liano è  sdrucciola  ,  ncll'  arabo  bisdrucciola. 

E  per  gli  stessi  riguardi  delle  lettere  tenui  che  non 
altrimenti  considerar  si  vogliono  nelF  arabo  idioma  se 
non  come  que'  lievi  appoggi  articolari  che  nella  pronun- 
zia divengono  evanescenti  a  modo  della  m  e  della  s 
de'  latini ,  e  che  da  noij  accostumati  a  battere  spiccata- 
mente le  consonanti,  con  difficoltà  si  comprende  come 
mai  si  possano  tutt' insieme  pronunziare  ed  elidere;  per 
questi  riguardi  non  sarebbe  forse  strano  ritrarre  ai  nostri 
endecasillabi  per  la  più  gran  parte  i  versi  lunghi  e  i 
versi  sjmsl  che  per  le  leggi  dell'  araba  prosodia  a  questo 
primo  circolo  si  appartengono  (122).  Ma  sen  compia 
l'esposizion  dottrinale. 


(122)  È  da  notarsi  che  questo  av-  servatoci  dal  signor  Humbert,  il  qua- 

vicinamenlo  ai  nostri  endecasillabi ,  il  le  assai  bene  osserva   che  correndo    i 

ridursi  cioè  1'  emistichio  arabo  ad  un  versi  per  la  forinola  del  carme  lungo, 

settenario  ed  un  quinario,  o  viceversa,  il  secondo  emistichio  sarebbe  difetto- 

sia  fra  i  moderni  frequentissima  cosa.  so.  Noi  il  diremo  ingentilito.  11  disti- 

E  valga  d'esempio  questo  distico  con-  co  è  questo  : 

n;;pl  ;r5lD  ^toSx  ni3'  TIOI  vatirf  iafu'to-'ltarfa  li  mai-zia  ^cqlhi 

T\!i-\-\  pn3'7N1  n'l'7ì<  nS5  IND  XTN  "''*'  ^^^  chdto-'rri'ha  \\  va-'lbarqa  ridqaho. 

xSnn^l  n"lj  NT  XDmX  ^^n  tara'  adhama'n  \[  da'  górratin  vabihhahala' n 

nan  inisSa  IIdSxi  ma'?!*  'm  roha-lbardì  va-'^badra  ubi-z.okro  /iaffah> 

rERBVM    rElLBO.    Ille  -  generosus 'equus  Destrier  i'ijmoso  !  occhio  lui  segue  Invano; 

praeUril  visum  in  loco  ubi  hic  cadit  : 

Quando    currit  putares   ventum    et  fulgur  Che  qual  vento,  qual  fulgore  si  spicca  ! 
pone  sequi  euin. 

Vidcs  hunc  nigrum-equum  ,  habenteni  ma-  Vedil  moiello-ste'.lato-balzano  ! 
e ulam-candidam-in~ fronte  et  pedes  albos. 

Est  obscurìtas  noctis  hiemnlis   et  plenilu-  Notte  invernai  che  in  luna  ed  astri  è  ricca. 
nium  cum  stellis  td  circumdunttbus. 


M    E   T   R    I      A    n    A   B   I.  iBq 

La  seconda  aruza  del  carme  spaso  nel  periodo  ot- 
tonario è  la  forma  qatata,  vale  a  dire  che  l'emistichio 
divien  piano  di  bisdrucciolo  che  era  nella  forma  ordi- 
naria chabnata  (laS). 

E  nel  periodo  senario ,  ovvero  sia  nella  forma  gia- 
zata,  ecco  un  esempio  analogamente  ai  due  schemi  pro- 
posti (124)  : 


Furono  questi  versi  estemporanea- 
mcnte  composti  da  Michele  Sabbagh 
durante  una  corsa  di  cavalli ,  a  ri- 
chiesta d'  un  principe  di  Siria.  -  E  si 
noti  in  questo  ed  in  altri  esempi  che 
quantoppiii  ci  accostiamo  ai  moderni 
tempi  ,  tanloppiìi  i  versi  arabi  si  ac- 
costano ai  nostri  metri  italiani  ,  e 
quantoppiii  sono  di  età  remota  ,  tan- 
toppiù  se  ne  allontanano.  Una  ecce- 
zione potrebbe  farsi  nel  divano  di  Ali 
ben  Abuì  Taleb  ,  genero  e  suocero  a 
■  vicenda  di  Maometto.  Ma  è  noto  quan- 
ta dottrina  non  araba  si  accogliesse 
dagli  operatori   di    quell'  assurdo    si- 


stema politico-leocratico  che  tutta  adi- 
va r  eredità  de'  fanatici  settatori  di 
Ario.   V.    appresso    la   forma   giazata 

del    C.VKME   SIMILE. 

(125)  'jSann  niì'B'Sk  nixISxin'^yx  np 

Esempio  dato  dal  Clerico. 

(124)  Ke'  versi  che  seguono  il  pri- 
mo emistichio  è  sempre  sdrucciolo  , 
il  secondo  sempre  piano  nel  testo 
arabo.  V.  appresso    la  forma    giazata 

del   CARME    rERFETTO. 


l6o  DERITIS 

njs'iDK  w^  |xor  tnn    i 

chah  DnV3  njKì5t<    2 
jKTOìi  |x3ndS  onS 

jNansD  nnNV  hi 

j^nnai  •iìr'?x3  1x01 
nS^  Nnan  i^or  Knn    5 

JNDDX2  Djxn  nS  S*im 

V  E  R  B  U  M     VERBO. 

In  hoc  tempore  non  est  fraternitas  , 

O  vir ,  in  fratrlhus. 
Amici  hiijus  temporis  omnes  iniqui  sunt , 

Ipsi  sunt  bilingues  et  bifontes. 
Occurrit  tihi  laetus  ,  et  in  corde 

Multujn  dolose  celat  ; 
Ut  cum  receperit  et  retro  Jìierit , 

Imponat  tibi  falsa  paradoxica. 
Hoc  tempus  omne  tale. 

Fideles  nec  duos  invenies. 
O  vir,  esto  tu  solitarius 

Saeculujn  hoc  ,  humanum  non  est  saeculum. 

Di  Ali  ben  Ab'i  Taleb. 


(i25)  Seguiamo    1'  edizione    del  Guadagaoli  ,    non   avendo   avuto  agio  di 


M    E    T    n    I       A    II    A    B    I.  16  ) 

1  Hada'  zaind'nin  lajsa  ichvcCnolio 
jà'  ojjoha''-lniar''o  bfchva'riin 

2  ichvci'no/io  Lollohoni  IcCliinon 
kihoni  lisa^nani  vavag-hcCni 

5  jaUja'ka  hi-  Ibasciarì  vaji''  galbi/ii 
dcCoii  jovà^ri'lil  bikatanuCidii 

4  halkC  idcC  mcC  ghabat  un  àjìùhl 
ramcCka  bi-zzu'ri  vaboìitcCidii 

5  liadci'  zanuCnln  liakadd^  kalloho 
bi-lvaddi  lei'  jazdafoka  -Ina  ni 

Q>  ja'  ajjoluù-lniar,Q  J'akon  nwj'ridà'n 
daliroka  la'  taannasi  bVnscCni 

VERSIONE      METRICA. 

Sono  assai  tristi  quegli  annidomini 

In  cui  fraterno  amor  non  domini 
Ognun  bilingue  ,  bifronte  ,  perfido.  .  . 

Quanti  ne  trovi  tanti  ne  abomini. 
Liete  accoglienze  :  ma  poi?... né  un  candido 

Cuore  in  cui  nero  fiel  non  predomini , 
Che,  se  da  loro  ti  scosti  un  attimo, 

Calunnie  a  iosa  e'  non  ti  sgomini. 
Tal  corre  il  secolo.  Amici?  è  favola  : 

E  fa  che  un  paio  solo  men   nomini. 
Va  in  erme  chiostre  tuoi  giorni  a  traere. 

No  :  questa  elate  non  è  per  uomini. 


faine   raffionto  col   codice   Borbonico. 

Tom.  JIL  21 


iG'i  D    E      n    I    T   I    s 

II."   CIRCOLO   IL   CONVENIENTE. 

Due  ragioni  va  iJ  Clerico  allegando  per  1'  etimolo- 
gia di  questo  circolo;  i."  la  nessuna  diversità  delle  for- 
niole  ne'  due  generi  di  versi  che  gli  si  appartengono  , 
essendo  in  entrambi  la  ripetizione  eli  una  formula  unica; 
2."  la  netisuna  diversità  de'  piedi  che  compongono  cia- 
scuna Ibrmola,  perchè  quella  del  carme  esuberante  con- 
tiene un  palo  congiunto  e  un  dirimente  minore,  e  l'altra 
del  perfetto  un  dirimente  minore  ed  un  palo  congiunto. 
Ma  queste  ragioni  non  persuadono  :  perciocché,  forma 
unica  hanno  altresì  i  circoli  terzo  e  quinto;  e  in  que- 
st'  ultimo  anche  le  formole  non  hanno  diversità  di  parti 
componenti,  trovandosi  non  altro  che  un  palo  congiunto 
e  una  corda  lieve  nel  canne  congiunto ,  ed  una  corda 
lieve  e  im  palo  congiunto  nel  conseguente. 

Al  Guadagnoli  è  piaciuto  dare  a  questo  circolo  il 
nome  di  composito ,  ma  non  pare  che  ben  si  apponga. 

Che  che  ne  sia  del  nome,  caratteristica  vuol  ri- 
putarsi de' carmi  di  questo  circolo  l'ammettere  la  corda 
grave,  e  conservarla  in  uno  almeno  de' versi  della  com- 
posizione; e  il  procedere  nel  movimento  iambico  esat- 
tissimamente ed  a  stretto  rigore  della  poetica  greco  la- 
tina :  se  non  che  nel  carme  esuberante  gli  anapesti  e  gli 
spondei  che  passano  ne'  piedi  pari ,  formano  realmente 
una  esuberanza  ;  mentre  rimanendo  ne'  piedi  caffi  nel 


METRIARABl.  l65 

carme  perfetto ,  perfettissimamente  col   modo    iaiubico 
convengoìio  (126). 

E  caratteristica  esclusiva  di  questo  circolo  si  è 
quella  di  dar  versi  variabili  a  piacer  del  poeta  nel  nu- 
mero dalle  sillabe  ,  purché  salvo  però  vi  conservi  il 
metrico  andamento.  Tutti  gli  altri  danno  versi  affatto 
sillabici  ;  i  quali  crescer  possono  o  accorciarsi  pei  soli 
aumenti  e  le  sole  diminuzioni  al  principio  degli  emi- 
stichi (127). 


(126)  V.  sopra  le  pag.  55  e  67.  diminuire  il  primo /«o/^/'/iZ/aton  al  car- 

(i2j)  E  noto  che    i  Greci   e  i  Ro-  me  esuberarne.  Ma  una  lai  facoltà,  sic- 

mani  scambiavano  il  giambo  ne' piedi  come  è  detto  nel  Chamus,  par  die  debba 

caffi,  denominati  irt|)i(Tir5!;  X'*'P'»5,  collo  estendersi   anche  al   secondo,   les;gen- 

spondeo  ,  il  dattilo  e  l'anapesto;  e  ne'  dovisi:  XO  HJtD  "131!3VX1  "115107X1 

piedi  pari,  denominali  apriws  xj^pas,  Q"13»  S73  S-|5'  (X'^J  ^  di  e  est  {  il 

col  tribraco  e  l'anapesto. Ed  ecco  forse  carme  esuberante   )  elmaufuro   0   el- 

perchi,  onde  adagiare  a  questa  legge  i  muaffaro  /lercAè  ,   troncandosi   anche 

versi  arabi  ,  credè  \1-Chalil    doversi  la  prima  sillaba   dt  una  parte  ,    non 

accordare  ai  poeti  tanta  latitudine  nel  rimane  troncato.  V.  appresso  SArtK.*.. 


* 


iGi  D    K       R    I    T    T    S 

(    A  H  :»!  E     E  S  U  B  E  II  A  N  T  E. 

"I  Ì3  N  1  D  S  N 

«  Prende  questo  nome,  dice  il  Clerico,  dalla  gran 
quantità  delle  lettere  mosse  ,  essendovene  ,  delle  qua- 
rantadue in  ciascun  periodo,  dodici  soltanto  quiescen- 
ti )).  Ma  colla  stessa  condizione  corre  anche  il  carme 
perfelto.  Che  anzi  è  da  avvertire  che  nel  periodo  se- 
ttario V  ani  za  del  carme  esuberante  sempre  e  la  zarba 
per  lo  più  sono  chaifate  :  vale  a  dire  che  ogni  terzo 
mofa'lnlaton  è  privato  della  corda  grave,  e  conseguen- 
temente ridotto  a  fahuUon.  E  in  ciò  tutti  gli  arabi 
maestri  convengono  (128). 

Ha  due  periodi,  il  senario  e  il  quadernario  (129). 

Nel  periodo  senario,  unica  è  V aruza  ,  cioè,  chat- 
fata;  e  due  le  zarbe ,  cioè  sana  o  chalfata ,  come  abbiam 
detto.  Nel  periodo  quaternario,  V aruza  è  sempre  sana; 
le  zarbe  son  due,  sa?ia  o  asbala. 

Son  licenze  permesse  ras6a,ra5'/a,  la  naqza:  (i5o) 
quest'  ultima  però  non  sì  ammette  da  Al-Chalil  nell'a- 
ruza  del  periodo  quadernario. 

La  sadra  può  essere  àtzbata  ,  qasviala  ,  giamama- 
la ,  àc/sata:  vale  a  dire  che   dal  principio   del  verso, 


(i28)Non  avverll  questa  circostanza  sarebbe    bisdrucciolo  :     del    che    non 

il  Guadagnoli  quando  anche  il  carme  v'  ha  esempio. 

esuberante  assimilava  ai  nostri   cnde-  (i2g)  Ma  pel   periodo   quadernario 

casillabi  sdruccioli.    È    sempre  piano  v.  appresso  Carme  congiunto. 

nel  periodo    senario,    e    non    sempre  (i3o)  V.  piig.  46,  V.  23;  e  pag.  48 , 

cnditasilisbo  puro  \  e  nella  zarba  sana  if.  26. 


METKI       ARABI.  '  l65 

nella  prima  forniola  del  primo  emistichio,  può  togliersi 
la  prima  sillaba  breve,  rimanendo  l'altra  del  palo  es- 
senzialmente lunga.  E  poi  in  arbitrio  del  poeta  di  con- 
servar quelle  delle  corde  come  sono  nella  formola  pri- 
mitiva ,  o  avvalersi  altresì  di  una  d<lle  altre  licenze 
poetiche  (i3i). 

Un  tal  troncamento  nella  saclra  che  genericamente 
dicesi  charma  ,  prende  nel  carme  esuberante  il  nome 
di  Azba ,  se  è  semplice;  e  iW  gazma ,  gianiama  o  àqza 
se  alla  atzba  si  unisce  V  azha ,  o  V  acjiia ,  o  la  naqza. 

Quindi  la  seguente  formola  : 


FORMOLA. 

mofà' 

hila 

ton 

mòfa' 

hila 

ton 

fahu'lon 

INTERA. 
AZB  VT\. 
AQLATA. 
NAQZATA. 

- 

- 

ATZBATA 
GAZJIATA 
GIAMAMAT. 
AQZATA 

A. 

- 

Non  è  da  far  maraviglia  se  per  tante  figure  il 
carme  esuberante  riducasi  da  per  sé  al  nostro  endeca- 
sillabo. Eccone  esempi  : 


(i3i)  V.  la  pag.  6i ,  3^.  45.  E  V.  la  precedente  nota   127. 


iGt)  D    E       R    I    T    I    S 

i'x-in  nS  "inn  Sxd^nSn  jd 
CDv  xpn  rho  ah  ijxd    a 

rir  ninj  nx'nSkS*  ainSNi    4 

♦n  "^D  rrxJ  n'iD'?x  V'ìd    5 

ann'i  dSd'  coDnr  nS  |oi    6 
r^topix  ha  pJt:Sx  iid'^d'i 
nx'n  JD  -10  "laSS  noi    7 
;^NnDW  Dpo  |D  ':';?  nd  n'"Ì}< 

V  E  K  B  U  M      V   E   R  B  O. 

Alloquor  eam  (scil.  aniniam);  et  iani  avolat  perturbata 

Propter  lieroas  :  »  P^ae  tibi  ,  ne  timeas. 
JVa/ji  ulique  tu ,  si  rogares  prorogationem  diei-unius 

Ultra  metani  quae  tibi  data  est ,  non  exaudieris. 
Igitur patientiani  in  campo  mortis ,  patientiam  habeas  : 

]S'on  enim  donavi  immortalitate  possibile  est. 
Et  non  palUum  vilae  pallium  lionorificum  : 

Certe  complicabitur  a  socio  ignaviae  pusillanimo. 
Via-niortis  tenninus  est  cuiuslibet  viventis  : 

Et  acclamat  familiis  terrae  acclamando. 
Qui  ergo  non  aliis-aemulatur,  toedio  ajjicitur  et  senescit 

Ei  in  toedio  tradit  eum  mors  ad  cessaiioneni.{ìn  toedio 
Non  autem  homini  illi  felicitas  in  vita  : 

Siquidem  repuiatur  pars-vilior  suppelleclilis.  )) 

Di  Abù  NoHAii.v  Qateri  —  HUMB.  VII, 


METRI      ARABI.  167 

1   yjcjó'lo  lalicC    II  (  vaqad  tcCrat  sciahàhàii 

tniiia-la'hta'/i)  [|  vajhakl  la'  tara' hi 
'2  Fainnaki  lani  salti   [|  baga'a  juiìiin 

àla^ -lagiali-  lladV  [J  laki  lam  tiiki'ì 
5  Fazàbra^n  fi  |]  magia' li-  hnàvti  zabrcCii 

fama''  najlo-lcholiì' di  [|  bimoslaUCIii 

4  T^aki  favbo-  lliaf  ali  []  bitavbi  izzi 

fajùtva''  chi  []  acld-lchani-ìjara^i 

5  Sabilo-lniavli  [|  gcì'jito  kollì  liajjin 

vada'ìjatin  ||  lio'hli-lharzi  da'i 

6  Faman  la'jàhtabit  )^jasham  vajaliram 

vajoslimho-l  [|  manu^no  ild'-nqitaH 

7  T''aiiuC  Ulmàr,i  [j  chajron  min  haja'tin 

ida^  ma'  òdda  ||  min  saqati- linaio^ t 

VERSIONE      METRICA. 

Con  Lei  ragiono  ,  e  già  in  balzi  frequenti 

Vola  fra  i  prodi  :  »  Or  via ,  di  che  paventi  ? 
Che  a'  giorni  tuoi  prescritti  arroge  un  solo , 

Col  tuo  codardo  desiar  mal  tenti. 
Indura  pur  di  morte  ai  campi  ,  indura  : 

Non  vivono  immortai  vita  i  viventi. 
Manto  di  scampo  ,  d'  onor  non  è  manto  : 

Né  dosso  copre  di  fiacchi  fuggenti. 
Morte  ?....£  meta  al  cammiu  di  nostra  vita: 

Corron  là  tutte  calcate  le  genti. 
Que'  cui  non  arde  nobil  gara ,  in  tedio 

Fian  sempre  :  e  sempre  in  tedio ,  o  vivi  o  spenti. 
Lieta  per  essi  non  corre  né  un'  ora  : 

Più  vili  assai  de'  vilissimi  nienti.  » 


l68  D    E      R    r   T    I    S 

NJ'S;;  Sjyn  a'^a  ijn  N3N    26 

Nrn  nx'Ni^K  mu  ndnd    27 
xm  np  NiDn  jrrnifji 

V    E   H  B    LT   M      VERE  O. 

/VA  Iliiuhie ,  ile  cito  iiedivf^s  iìi  iios  , 

el  respicead  nos,  narrabirnits  tibi  certi ssimain  veritateni: 
Quod  nos  ducirnus  vexilla  alba  (  ad  bellum  ) 

Et  rt'ducinius  rubra  postqiiain  (  sanguine  )pofauimus. 

Ex  Ms.  R.  Btbl.  Borbox.  (*) 

VIND  NinX  N1JX1  -|JNÌ3    2 

xnxiD  nni'Ni  dsìSS  nds 

nSx  noxSx  3N'p-i  n5*7J  »sdi  4 

NHN'jj  Nrj  nxin  NnDiJxa 

VERBUM      VERBO. 

Quantum  ad  tuam  animam  ejfuge  cum  ea ,  si  laedaris 

oppressione;  Et  sine  domuin  dejlere  euin  qui  extraxiteam. 

Eteniin  tu  invenies  terrani  prò  terra;  Sed  quantum  ad 

animam  tuam ,  non  invenies  animam  praeter  eam. 
JVec  mittas  legatum  tuuni  in  negotio-gravi:  Nam  non 

homini  estfìdeìis  minister  praeter  se  ipsum. 
Et  non  pinguia  sunt  colla  leonum  ,  Nisi-quia  prò  se 

ipsis  ipsi  administrarunt  quod  sua  intererat. 

Notte  2i3  HuMB.  XVI. 
(*)  Di  Amri  ben  Kalthvm. 


METni       ARABI.  169 

DI  ÀMRI    B£N   KALTHUM. 

26  abà'  hiiidin  |]/à/a'  tùgial  àlajna' 
vaantÌLorncC  []  nocliahlrka'  Ijaquaj ikC 

27  biannà'  jiiC rida- r  1|  rcCjcCli  hijzci'n 
uanozdirahon  |)  ?ia  honircCn  cjad  ravajncì' 

VERSIONE     METRICA. 

Hai ,  figliuol  d'  Hinda ,  in  giudicar  gran  IVelta  ! 

Pure  un  sol  motto,  e  cangerai  pensicre. 
Bianca  è  da  noi ,  nel  gir ,  1'  insegna  eretta  : 

È  rossa,  riedendo  ,  e  il  sai  ! . .  .pel  troppo  bere, 

1  vcuiafsika  far  biluC  in  sibta  zajnia'ìi 
vac/ialli-  dda' ra  tani'a  man  bana'/ia' 

2  fainnaka  va'gida'  arza'n  biarzin 

vanafsika  lam  tagid  nafsa'n  sivcHhcC 
5  vaia"  tabàt  rasiì'laka  fi    mohìniniVn 

Jàina''  lilnafsi  nu'zihaton  siva'/ia' 
4  vama^  gàlilat  riqa^bo-losdi  iLkC 

bia^nfosilicC  tavalat  mcC  àncChd! 

VERSIONE       METRICA. 

La  tua  vita  è  in  periglio  ?  e  con  lei  scappa  : 

E  fa  che  te  piangano  assente  i  tui. 
Perchè  ben  cangiar  puoi  terra  per  terra 

Ma  è  di  vita  un  lo  stame  e  non  son  dui. 
Ne'  grandi  affari  opra  tu  slesso  :  invano 

Lieti  sperar  li  puoi  commessi  altrui. 
Ve  come  a  quel  lion  luce  la  giuba  ? 

Provvide  ei  da  sé  stesso  a'  fatti  sui. 
Tom.  Ili  22 


a  70  DKRITIS 

A  questi  esempi  (iSa)  ben  altri  son  potrebbero 
aggingnere  ne' quali  gli  endecasillabi  si  mostrassero  spic- 
cantissimi •,  e  non  solo,  come  sopra  vedemmo,  nella 
integrità  delle  sue  parti  componenti,  di  ettasillabo  cioè  e 
di  pentasillabo,  o  viceversa  (i35)  ;  ma  fusi  ancora  tra 
loro  alla  nostra  niapiera  ;  ed  assai  di  frequente.    E  tai 


{i32)  Il  primo  è  tratto  dal  comenia-  'VXtSri;   5°"°  scritte  cosi  per  fare  che 

rio  del  F  ahrìzì  sull'Hamasci ,  ma  tro-  tuue  le  rime  finissero  in  e;    ma  ab- 

vasì  anche  nel  dizionario  A'Ibit-Kla-  biam  già  veduto  che  dovendo  tutti  i 

lecJiàii  alla  lettera  p  ;  e  il  nome  del  versi  arabi  terminare  con  una  sillaba 

poeta  era  di  >")J3n  n*J^{l'3  ÌD5<  ^bii  lunga  ,  essa  virtualmente  ha  la  lettera 

A^oà'ma    Qaleri ,  come  quello  storico  analoga    della    mozione     nella     qalia 

attesta.  Fuit  ille  ,   ci  dice  ,  giusta  la  sciolta.  E  perciò  tutto  T  inconveniente 

versione   dello  stesso  signor  llumbert,  era  soltanto  per  1'  ocihio.  Ma  si  noli 

vir  bellicosus  ,  dux-Axeniliuiin:  mul-  nel  secondo  emislicbio  del  quinlo  ver- 

ta    bella    et  proeìia    sustiniiil  :    sire-  so  quel  troncamento  al  principi')  della 

/luns  annua,   non  llmebat   niorleìn  ,  seconda  forraola  ,  come  per  l'autorità 

et  propler   hoc    dicil   alloqucns  ani-  del  Chamus  avevam  cennatOj  nota  ia6. 

mam  snam Segue  il  poema.  11  quale  emistichio  va  cojì  scandito  : 

Dopo  del  quale  ;   Et   Jd  versus    me-  ^_]^^.|_     l-    -l 1- 

momntur  in  libro   Hamasa  ,  in  pri-         vada  ^ latin  lah  lilhaAzidd'  i 
ino    capile  ,    et    hi    strenuos-reddunl         11  secondo    esempio  ,    tratto    dalla 

creaturas  Dei  et  non  novi  in /toc  ca-  qazida    di    Amri    ben   Kalthum  ,    dà 

pile    his    similes.    Et  non    exiverunt  qunttro  endecasillabi  nettissimi  se  l'ul- 

nisi  ex  anima  elatissima   et  ex  ma-  tima    sillaba    della  prima  parola  del 

inanimitale  arabica.  Ille  autein  {Abu  quarto  emistichio  si  faccia  non  elide- 

Ncà'ma    )    niuneralar    inler  facun-  re  ,  ma  formar    dittongo    colla  prima 

dai  viros  Arabiac  notos  ob  eloquen-  della  parola  seguente. 

tiam  et  facundiam.  Riguardo  al   terzo  esempio,  la  ver- 

Nota  il  signor  Humbert  che  le  pa-  sionc  veramente  metrica  sarebbe  siala: 

iole  y{<")riX'!'  ''"-'^  secondo   emistichio  se  la  tua  vita  è  in  periglio;  ec. 

*  VNDn  del  quarto  che  mancano  del-  ('33)   Pag.   164. 

la  ♦    finale    in    vece   di    'l?ì<^nt<7    *= 


M    E    T    R    I       A    r.    A    B    r.  17  1 

ravviciuamcnli  non  tanto  nella  ragion  metrica  de'  iam- 
bi  son  (la  cercarsi ,  ne'  quali  più  lo  spostamento  degli 
accenti  che  1'  addizione  di  una  sillaba  par  che  nuoc- 
cia ,  quanto  nella  ragione  di  quelle  contrazioni  che  gli 
Arabi  accordano  a  questa  specie  di  versi. 

Nella  forma  giazata  del  carme  esuberante  1'  aruza 
è  unica,  cioè  sana;  e  le  zarbe  son  due,  sana  ed  «z- 
bata.  E  perciò  i  secondi  emislicliii  o  sono  anch'essi 
ottonaril  bisdruccioli  ,  o  nopenarii  piani ,  che  si  ridu- 
cono per  le  ziliafe  a  setleiiarii  ed  oUonarii  colle  stesse 
condizioni  desinenziali  (i34).  Caratteristica  adunque  del- 
la forma  giazata  del  carme  esulieranle  sarebbe  la  de- 
sinenza bisdrucciola  e  1'  alternar  degli  ottonarii  co'  set- 
tcnarii.  Ma  delle  varie  fasi  di  queste  trasformazioni 
terreni  discorso  or  ora  ,  dopo  le  molte  altre  che  ve- 
dremo emergerne  dal  cangiamento  di  sito  della  corda 
grave  nella  sua  combinazione  col  palo  congiunto. 


(i34)  eli  esempi  che  scn   proUucooo  son  «{ueili: 

A&VZA    SAXA.  ARVZA    AZBATA. 


lya  DE     R  I  T  I  s 

CARME    PERFETTO 

S  C  N  D  7  X 

Ve  n'ha  di  tre  periodi:  i."  il  senario;  2.°  il  qua- 
dernario ;  3."  il  quinario.  Del  periodo  sanarlo  con  tutti 
gli  accidenti  delle  zihafe  è  questo  lo  schema  : 


FORMOLA. 

niofa 

la' 

hìlon 

mota 

fa' 

htluu 

mota  fa' 

hìlon 

INTERA. 

„    ^ 

- 

„  _ 

„    ^ 

- 

^    - 

- 

-    - 

IZMARATA. 

- 

- 

- 

VAQZATA. 

- 

- 

GIAZLATA 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

Ecco  adunque  in  tutta  la  sua  perfezione  il  trimetro 
iambico  de' nostri  maggiori  : /;i^ro,  per  la  vaqza;cor«- 
ambìco ,  per  la  giazla  *,  spondaico  ,    per    l' izmara  ;    ed 
anapestico  ,   nella  forma  intera.    E  perciò  far   non  dee 
maraviglia  se  cosi  agevolmente  il  carme  perfetto  arabo 
nel  nostro  endecasillabo  si  risolva ,  sdrucciolo  nella  for- 
ma intera,  piano  nella  forma  qatata,  tronco  nella  forma 
adadata:  tanto  maggiormente  se  pongasi  pensiero  alle  let- 
tere molli  delle  quali  abbiam  fatto  cenno  più  sopra  (i35). 
Ma  è  da  notarsi  che  quando  di  queste  lettere  molli  non 
s'  incontrano  ,  anche  nel  carme  perfetto  degli  Arabi  il 
ritmo  bassarico  si  riproduce.    Il   che   dilucideremo  con 
esempi. 

(i35)  pag.   i5a. 


METRI      AHABI.  173 

Le  forme  diminuite  Avi  carme  perfetto  sono  : 


TORMA    ADADATA. 
ADADATO-TZMABATA. 

-       - 

BM'LATA 
DAILATA. 

^  -* 

1 

GIAZATA.      ' 

- 

,    QATATA. 

.... 

Le  prime  quattro  forme  danno  una  serie  di  qiii- 
narii  ;  le  due  ultime ,  di  settenarii  :  se  non  che  nella 
forma  adadato-izmarala  vi  è  ipermetrismo ,  e  invece 
dell'ultimo  cjuinario  si  ha  un  senario.  Del  resto  nella 
forma  adadata  semplice,  ogni  secondo  quinario  è  bis- 
drucciolo •,  nella  giazato-raflaia,  è  anche  piano  ;  nella 
dailata  è  tronco;  e  un  settenario  sdrucciolo  si  ha  nella 
gìazala  nuda ,  e  un  settenario  piano  nella  qatata.  Nel 
sistema  dottrinale ,  appartengono  le  due  prime  forme 
dimhiuite  al  periodo  senario,  le  altre  quattro  al  qua- 
dernario. 

Appare  da  tutto  ciò  che  al  carme  perfetto  gli  ara- 
bi maestri  riferissero  tutte  le  forme  iambiche  della  pro- 
sodia greco  latina. 

Nel  periodo  senario  due  sono  le  ariize  ,  sana  e 
adadata  ;  e  colla  prima  tre  le  zarbe  ,  sana  ,  (/afata 
e  adadata. 


Ì74  i>  ^    R  I  T  r  s 

ARUZA    E    ZARBA    SANE. 

xnDNmfl  NiiSu  naND  'joì 

VERBUM     VERBO. 

Obliterata  est  maiisio  hrevis  et  memorahilis  stallo  eius 
In  Mona  :  desertae  sunt  Gaula  eius  et Rehama  eius. 
Et  canaìium  Reiani  denudatwn  est  vesligium  eorum, 
PeJiitus  ut  quae  scripta  sunt  in  petris  iìiscriptionum. 

Ex  Ms.  R.  BiBL.  EoKiiaN, 

fiinv 

\y  D^Ni  pax  JX3  n'Lra  ■ip'71    77 

xanantrx  ah^  '"r\v  'anxtrSx    78 
♦DI  i<i2r}\>  x'7x  dSi  p  nxiSxi 
xonxnx  riD-in  ipVa  xSya»  jx    79 

VERBUM      VERBO. 

)^.  77.  lam  timeo  ne  nioriar ,  neve  bello  Sit  reditus 
in  duos  filios  Zemzemi  :  y.  78.  Qui  me  contumelia 
affecerunt,  et  ego  non  eos  contumelia  affeci  Quique  vo- 
verunt  necem  iiieam,  et  non  percussit  eos  sanguis  meus. 
1(.  79.  Sique  fece rint hoc,  iam  relicjui  patrem  amborum 
Praedam  leonibus  et  omni  vulturi  rapaci. 

14, 


METRI      AHABI.  i»5 

Di  Amiualqaiso. 

1  àfali-\ldiJa'ro  ?nahal\\  loa\famaqcCinocC 
himanaii,  cjaaimoda  gàv^^lolia'  farlluCnwlicC  : 

2fa/nada'Jió-'rrajja\\ni  órrl'  rusliolia\ 
halaqa'n  hama'  zamino-H  \\  vazijja  silcCniohcC. 

VERSIONE      METRICA. 

Più  vestigio  a  breve  stazion ,  ma  pur  memorabile, 
Non  è  in  Mana,  e  Gàulo  e  Rehu.no  è  inabitabile  : 

De^madafia'  (*)  a  Raiano  i  segni  clisparvero 
Quasi  cifre  a  vecchio  pataffio  ornai  'udicifrabile. 

Di    Antara. 

77  valaqad  cìmsciajto   Man  0  amiCna  vedimi  jahan 
lllharU  daajarton  ^  àUC-'bmC  zanizamin 

78  assai  ali  ma''  ir  zi'  ||  valam  asc-tìnihoma' 
uannddi  rajna   vaia  \\  ma-la'  qaìiomlC  dam^ 

79  in  jafàla'  falaqad  \\  tarakto  ahcClioma* 
gizra-'ssahaH   vaiai  \\  li  nasri  qhscùmin. 

VERSIONE      aiETRICA. 

Morte  ornai  vietare  mi  può  co'  figli  di  Zamzamo 
Che  nuovo  a  battagliar  pretesto  non  m'abbia. 

Onde  alle  ingiurie  sien  sconto  le  ingiurie 
E  pronte,  ogni  trama  lor ,  vendette  riabbia. 

Ma  pur  qual  vanto?  ai  liou  Zamzamo  e  ai  rabidi 
Avoltoi  pasto,  mordea  per  me  la  sabbia. 

(')  >'3>^nO  (  madafiò  )  è  precisa-     torno  la  tenda  per  impedire  che  l' ac- 
uente quella  terra  che  si  ribatte  iu-     qua  vi  peucui. 


176  B    E      K    I    T    I    S 

"iin  N*?"!  •''?};  pan  n**?  nm  X'    i 
ntoD^Ni  nptj'.'o'?^  p  'njriD  xn 
'3  ':'i  aip  rn;?  pomn  nd    -a 
ipnas'  Dip  'jjii  nn'^N  ;;-i:r 
QD'S;;  D'DjSn  p  -ikjn  n»    5 

Kij?'?^  nprha  NIX  'dniSk  n*?'!!  no    4 
"imSx  ;^DpjiS*D  dhdSn  'DT  -in"in3 
♦n  £3*7n  'Sy  rìoj':'^  mnxDn  nini    5 

V  E  R  B  U  M      VERBO. 

Ofatum,  ne  superstitem-facias  ?ne,nec  intactum-me  serves, 
Ecce  enim  niens  niea  in  medio perpessionis  et  periculi. 

Nonne  vos  miserebit  viri  iiobilis  quantum-ad-tribum  , 
qui  viluit  in  via  (  vel  lege  )  amoris  ,  et  opulentis  quan- 
tum-ad-tribum qui  pauper-evasit  ? 

Zelotypia-luborabam  inzephyruin,super  voscnxw  spirarci; 
J^eruni,  ex  quo  ingruit  fatujn ,  excaecatafuit perspi- 
cacia mea. 

Quaenam  erit  techna  jaculatoris ,  si  adversante  hoste, 
voluerit  iinmitlere  sagittam  et  runipatur  chorda  ! 

Et  cum  densantur  catervae  super  virum , 

ubi  erit  loous^securus  contrafatum!  ubinam  ei  asylum! 

(137)  Si  noti  in  questo    emistichio  poi  a  moflahilaton  per  1'  arbitrio   che 

il  primo  anapesto  risoluto  in  dattilo,  dà  la  chazma  di  aggiugnere   al  prin- 

della  qual  risoluzione  nop  v' ha  esem-  cipio    del    primo     emistichio     sino    a 

pio  in  tutta   l'araba    prosodia.    Vero  quattro    lettere   ,    che    qui    sarebbero 

è  che  per    non   infrangere   le   regole  due  ;  ma  questo  moflahilaton    non    è 

dottrinali  potrebbe  dirsi    con   doppia  nelle  regole  dottrinali.  ^  E  vedremo, 

trasfigurazione  il  inolafa  hilon  ridot-  nel  secondo  emistichio    de'  versi  pro^ 

to  prima  a  fahUalon  per  la  ^ata ,  e  dotti  alla  pag.  180,  la  secou'Ja  corda  , 


JI    E   T    n    I       ARABI. 


177 


i  jcC  cìahro  IcC  tobcji  àlajja  ualcC  ladar 
/to'  mokgiatV  bajna- lino sv.iacjcj citi   iia-Ichalar 

2  ma'  tarhannCna  àzi'za  cjavmin  dalla  fV 
sciari-l/iava^  ucigcinijja  qavviin  ciftaqar 

3  konnato  agcVro  ndna-nnasi'nii  àlajLom  (lay) 
laiin  idcC  nazala-lqazoC  óinija-lbaznr 

4  ma''  hi'' lato- ira  mi  idei  -  Itaqati-  lidcC 
foi^rcCda  jarmV-ssahma  va'' nqataà-  Ivatar 

5  vaida'  tale  cC  tarati-  l giomiC  ó  àlcC-lfatcC 
ajna-lniaqarro  inina-lqaziC  ajna-lmnj'ar 

VERSIONE      METRICA. 

Ahi  sorte!  e  i  favori  tuoi  m'alzano  o  balzano? 

So  ben  che  tema  e  ardir  qua  e  là  mi  trabalzano. 
Mercè,  magnati.  Amor  nell'ossa  mi  brulica 

Ma  bezzi  con  Amor  non  ciondoli  calzano. 
Geloso  er' io ,  vi  so  dir,  geloso  de  l'aria... 

Ma  che  far  se  i  fati  tuttor  sinistri  ti  scalzano  ? 
D'  arcicro  1'  arte  che  vai  se  T  arco  in  tendere 

La  corda  spezzasi,  e  a  brani  i  briccioli  sbalzano  ? 
E  un  fantaccino  che  può  se  addosso  gli  piombano 

Squadroni  a  cento  a  mille  e  accerchianlo  e  incalzano? 


giusta  la    lezione    dui    dottissimo    do  dell'  anapesto     vedremo     nt'  seguenti 

Sacy    da    noi    seguila  ,    cangiarsi    di  versi  ,  che  sono   i  primi    del  Divano 

giambo    in    anapesto.    Dal  ilio    segue  di  Ali,  cne'quali  non  iiljbiam  voluto 

che  all' ipermeliismo  de' versi  iambici  alterare    la    lezione    del  Guadagnoli. 

non  sissi  dai  maestri  arabi    bastante-  Nel  ms.  borbonico    vi    sono  qua  e  là 

mente    provveduto  ad  onta  delle  lo-  molti  altri  versi  che  in   tutto  sono  liJ 

ro   rego'e    con    tanta    profusione    ac-  e  nou   7. 
cumulate.  Ma  beo  altre  permutazioni 


Tom.  l£l. 


23 


lyS  DE      K    I    T    I    S 

ARUZ.i    SANA  ,    ZARBA    QATATA. 

n';^ix  dnjVn*  riNnoK  nojn'i    2 
X3K  ixdhnSxi  nx;^mnDD 

nd'7xi_pdSxi  nn  |m5x5» 
3Dn  m  fo  iSsn  irriN  |xi    4 
x'':';?i  nj  N1-IDDJJK3 
anìa  ì=i7ì;hii  ^mònihìi  b^ùiò    5 
x'?"ix  nnnox  fa'?  nn'^N*  'S;; 
njDn»  jND  na  nd  -laVx  no'pi    6 

N'Sin  .13  usn  ì6^  D'^p^  Dps    7 

VERBUM       VERBO. 

Uoìuines  tcnnqucun  staluae  computantur  : 

Pater  eoruin  Adam  et  niater  Eva. 

Et  quìdem  matres  liominum  sunt  vasa 

Deposita  :  at  patres  excellentia. 

Qiiod  si  in  radice  eoriun  sit  nobilitas  , 

Gloriantur  :  sed  quid  ?  lutimi  et  aqua. 

Quod  si  gloriani  quaeris  in  progenie , 

Est  prosapia  nostra  sublimis  et  grandis. 

Non  est  nobilitas  nisi  eruditis  :  enimvero 

Ipsi  directi  et  dirigentes  alias. 

Et  stabilitio  viri  est  id  quo  bonus  redditur. 

Et  stulli  seniper  hostes  sunt  sapientibus. 

Persiste  in  sapientia  :  comniutationeni  non  appetas  : 

Mortai  sunt  homines  ,  soli  eradili  viventes. 

Si  Ali  ben  Abmì  Talee. 


M  K  T  n  I     A  n  A  B  r.  i-g 

1  AnncCso  min  gi/iali-llinila'll  akfcCo 
abu'honi  adamo  na-tommo  heva\) 

2  vannamcC  ommalicC to-  niicC si  avijaton 
mostavdacVton  va- Uh  su' no  aba'o 

5  fain  iakon  lahoni  fiàsliliim  sciàrafon 
iqfachirulma  hihi  fatti'' no  va-lmoì'o 

4  vain  atajta  hifacharin  min  dovi'  hàsabin 
fain  nosbatojia''  giu''don  uaòlijci'o 

5  lafazia  illcCiulhli--lilini  inna/iom 
àia  -  IhudcC  limani^'' stahda^  adilkCo 

6  vaqij amato-  Imari  mcCcjad  kcCna.  iohàssinoho 
vu-lgicC hiliùna  UcC lili' Uhm  àda''o 

7  fagom  biilmin  vaia'  tabi'  bihi  bàdalan 
fa-nna'so  movtcC  vaahlo-  Itimi  aliju''o 

VERSIONE      METRICA. 

Statue  gli  uomini  son  d'  una  stanipii^lia 

E  ognun  conta  Eva  e  Aclamo  in  sua  famiglia. 
Germi  son  de'  materni  alvi  in  deposito 

Che  a  vita  il  vigor  patrio  urge  e  incaviglia. 
Pur  lauti,  ecco,  a  le  magne  ombre  degli  atavi 

Superbir  !  ma  di  che  ?  D'  acqua  e  mondiglia  ! 
Pur  ,  se  t'  arde  desio  d'  alma  progenie , 

T'  hai  la  nostra  :  e  di  gloria  ella  è  ben  figlia. 
Tu  dal  senno  de'  sofi  un  senno  eredita 

Che  altrui  che  a  sé  leggiadre  opre  consiglia. 
Spregia  di  vii  gentame  il  gracchiar  invido 

E  a  vera  e  pura  nobiltà  ti  appiglia. 
Resta  tra  i  soli  :  in  essi  è  vita  ,  e  splendida  : 

Tult'  altri  neir  oblio  morte  arronciglia. 


l8o  DERITIS 

N"ÌNÌji  njo  iN^;  ■>:ihp  "ixim 

hy  pj:iS'3  nnui'  naSo  hdd    5 
n-inSìn  njinaa  xna  'pan 

Versiojie  del  signor  de  Sacy. 

Pourquoi  ne  rn'est-il  pus  perinis  de  satisfai  re  sur  tes  lèvres 
la  soif  qui  me  déi'ore,  tandis  què  mori  coeur  est  dechiré par  ion 
■  amour  ? 

Si  s'est  ton  plaisir  que  je  perisse  victime  de  ines  ardeurs, 
puurpu  que  tes  juurs  chéris  soient  conservés,  j'y  trouverai  moi- 
Tnéme  du  plaisir. 

Mon  cocur  eluit  eritier,  lorsque  tu  Fas  ravi  ;  en  ce  moment 
quUl  ne  me  reste  plus  quun  soufflé  de  vie ,  renda  mai  du  inoin 
ce  coeur  que  tu  as  brisé  et  mis  en  pieces. 

Chrest.  Arab.  XVI. 

Apponiamo  in  nota  gli  esempi  delle  altre  zaibe  del 
periodo    scnario  (i58)  come   anche    quello   del    periodo 


(i3n)  ^ruzn  sana,  iaria  adadato-  aruza  e  zarha  adadate. 
dannata. 

bpxi'S  iT\t2Ni3  ■i«n':x  \rh  i-\r\  mK3i  e^jn  bon 

aruza  adadala  ,   zarha  adadato- 

Altri  vi  aggiungono  1'  adadala  sem-  damrata. 
plice  ,   non  arumcssa  né  da  Al-Clialil 

né  Al-Akfasc'.  ^^  fiaKDN  p  ^IW^  n:»"?! 


METRI      ARABI.  l8l 

1  Zaddoji  liaind'  thama'i'  [j   lama'ka  limcCda^ , 
uahavob' Ica  qalbi'  (j   za'ra  niin/io  giodcCdct' , 

2  in  kcCna  fi  taìafi   [|   riza'ka  zabcCbatan 
iialaka-  IhaqcCo   [j    vagiaddato  filli  ladcCdcC 

3  kahidC  salabto   ||   za/ii' fiatali  fa-'' ninbu  àia! 
ramaqV  bilia'   ||   mamta^ nalan  afl(Cda\ 

VERSIONE      METRICA. 

Se  de'  rifiuti  tuoi  1'  asprezza  ed  il  fasto 

Cogli  assidui  miei  prieghi  a  rimuover  non  basto  ; 

Morrommi  :  e  lieta  è  per  me   di  morte  l' immagine 
Nell'idea  che  a  quanto  tu  brami  non  fonimi  contrasto. 

Ma  tu  il  cor  mi  rendi  j  e  benché  intero  al  rapirmelo 
Te  1'  avesti ,  il  rendi  ancor  che  in  brani  e  guasto. 

quinario  che  dà  il  Clerico,  non  essendonji  imbattuto  in 
verun  poema  di  tal  fatta  (iSg).  E  passiamo  al  periodo 
quadernario. 


(l39)    NIHxSr  3JXJ3  'AjSk  \rh  e  la  terza  formola  si  trasponi    al  se- 

inn  'T  l'J  'p7a  condo  emistichio  ,  si   ottiene    appunto 

1'  espressione    del    ineiro    de'  seguenti 

E  n  è  la  formola  :  versi  appartenenti  eziandio  al  divano 

di  Allj  e  de' quali  manca  l'esempio 
molafa'/iilon,motafa'hilon,mosttifhihn     ne'  dottrinali  : 
mostaPiilon  I  fa/don. 

mota/a^ /tilon  j  motaj'a  ìtHoii 
Ma  se   ì\  fahlon    si   riduca  li  fahal        motafa  hilon ,  moUifa' Inlon  ,  fahal. 


iSa 


DE      R    I   T   I    S 


ARUZA    GIAZIATA  ,    ZARBA    TARFILATA-VAZLATA. 
N3JNJ  yjDX  ^3*7X1      2 

ny^pii  HDnSn  nS    5 
ìii^'pi'^N'  in^Sn  Dìiì'7ii  's 
naa»  D'n  pS  snSx  ;x    6 
n;;?'3EoVN  'Sx  hv  jn 

VERBUM     VERBO. 

Perfectio  est  ex  liberalitate  naturae  : 

Defectus  auteni  ex  arlis  corniptela. 
Et  bonitas  est  securius  effugium  , 

Qiiaiii  cacumina  montiuin  siiblimium. 
JVLalitia  auteni  velocius  deflciens  , 

Qucim  torrens  aquae  ,  quamuis  rapidissimae. 
Derelictio  pacti  et  amicitiae 

Est  res  ìion  decens  hoininì ,  sed  bestiae. 
Non  deturpes  maledicentiis 

Inter  homines ,  nanique  deturpaberis 
Nam  consuetudo  non  moratur 

TJt  in  naturavi  convertatur. 

Di  Aù  BEN  Abnì  Talee. 


METRI       A    n    A    B    I.  1 0 J 

1  Alfazlo  min  karml-llahi'àU 
va-  Inianno  niq/sadato-  zzaiii' citi 

2  va-lchajro  a/nan  ,  d  già'niban 
min  qoUaii-  Igiabali-  IniaJiiWli 

5  va-ssciarro  asraó  giarja/d' 
min  giarjati'^lniai  va-ssari'àti 

4  tarko-  ttcuV /iodi- Ili zzadi''- 

qi  taku'no  movgibalo-IcjatVàti 

5  lei'  taitalich  bivacji''àiin 
fi''-nnà'si  ialtachoka  Hvaqiàti 

6  inna-  ttachalloqa  lajsa  jam- 
kolo  an  jaùlo  hilcC-itabi^àti 

VERSIONE     METRICA, 

Sol  da  Natura  il  ben  si  germina  : 

11  mal  vieu  d'  arte  che  trista  invermina. 
Bontade  in  rocca  sta  immobile 

Cui  spalda  balzo  d'  alpe  e  contermina  ; 
Ma  il  vizio  è  fiume  che  rapido 

Giù  rotolando  trasva  e  si  estermina. 
E  belva  ,  non  uora  ,  chi  a  frangere 

L'  altrui  giurata  fé  si  determina. 
Malevol  non  farti  o  maledico  : 

Che  contro  te  quel  mal  si  rigermina. 
Mal  consuetudine  infrange  ogni  argini 

Non  si  resta  e  in  abito  ella  termina. 


j84  de     r  I  t  I  s 

ARUZA      E      ZARBA      RAFLATE. 

nN;;3  'fl  nxon  xoS    i 

'alpi  'S;^  'Dij  nSon    3 
■ixijSn*  napT  n3N23 
*  'D^p  nx:  f;;3  p  inda    4 

'by  pn  ax^'^kV  p-inNfl    5 

VERBUM        VERBO. 

Ci//7i  perseveraret  in  recedendo  a  me  , 

Et  accenderei  ignem  in  corde  meo  ; 
Et  non  reperirem  ab  amore  ejfugium 

Nec  auxiliiun  in  insomn'iani  incanì  ; 
Impuli-nie-ipsuni  ut  conwiorarem  ego  iuxtajanuani  ejus, 

^d-instar  comniorationis  equi, 
Tum  avolavit  de  portione  ignis  oordis  mei 

Mmus  ,  in  descriptione  ,  quod  de  igniariis  evola t  : 
Atque  haec  portiuqcula  incendit  januam  me  inscio. 

Non  fiat  hoc  ex;  volunlate  mea, 

L' esempio  qui  scelto  non  corro  per  veruna  formala 
dottrinale.  Non  pare  però  che  ben  si  apponga  il  «signor 
Hnmbert  né  quando  1'  altribnisce  al  carme  spaso  (140)  , 


(140)  ^nth.  Ar.  p.  4. 


METRI       ARABI,  l85 

1  La?nma':tamci:da'  fi'-.hua'di 
vaaza-.ramà-n-.nara  fi-./ucCdi 

2  valanv.agìd-.min  hava:o  buddan 
vcda-.moP-.iicm  àla-:suha''di 

3  hamalto  na-fasi'uìli':  vocju^fi' 
baba':bihi:vacjfata-l:giava'di 

^falcC-.ri  min-.bàzi  na:ri  qalbi 

agùhlo  Ji''l-:vazfi  viin-.zinadi 
h  faalv.racja-hbcCba  dir.na  ili 

valànv.jakon-.dcC k  niin.-.niord' di  '"'' 

VERSIONE       METRICA. 

Perchè  da  me  lungi  scn  va 

Ed  un  incendio  al  core  mi  fa  ; 
E  perchè  tregua  iu  amor  non  trovo 

Che  lunghe  lunghe  le  notti  mi  dà  ; 
Rizzaimi  a  Acgiia  e  al  liminare 

Mi  stea  qual  fido  destriere  sta  là. 
Quando  ,  dal  cor  divampante  ,  schizza 

Poca  scintilla  e  all'  uscio  si  adda  : 
Me  ignaro  apprende ,  arde  ,  consuma  ; 

No  al  certo  per  mia  volontà. 

nò  quando  protesta  non  esser  facile  riconoscerne  il  me- 
tro (141).  Noi  abbiam  seguito  nella  versione  gli  stessi  ac- 


{\k\)md.-^.\7,it.Lemél,a,c\.à\-  nS*Ì*3      .'SH      NDJl  J'tS'? 

ce,  qitand  il  csf  regitlier  se  figure  ainsi  Xl*ì3jTJ     l*?i'0      wV  SnDD 

ì'71?X3   l'71/'3PDO   repélé   dciix  /vis.  Daiis  Ces  aulres  vera ,  on  a  }7|VS  <''« 

Or  vo/ci  cor/ime.  on  scancle  le  premier  lieti  de  jSwj  :  c'esl  a  dire  clone  que 

hemislicìte  de  nolre  poime  :  le  dernier  pied  esC  rMranilié  ,  et  que 

Tom.  III.  24 


l86  -  D    E      R    I   T    I    S 

cidenti  della  variazione  metrica  dell'originale,  col  solo 
cangiare  in  acataletti  gli  eniisticlii  aiabi  ove  cadono  le 
rime  ,  e  che  sono  catalettici ,  onde  vieppiù  avvicinarli 
allo  stato  attualo  della  nostra  poetica  italiana.  Ma  con 
tutto  ciò ,  chi  della  storia  de'  nostri  metri  non  fece 
studio,  si  persuaderà  di  leggieri  che  strani  sieno  tai 
versi  ed  irregolari  affatto.  Ma  voi  già  vedeste,  Colleghi, 
che  questo  metro  ncU'  antica  poetica  può  riferirsi  al 
iainblco  arc/iilochio  dimetro  ipercalaletto ,  vale  a  dire, 
alla  cnnemimeri  iambica  regolare  giusta  la  forma 


Ed  è  notabile  che  un  tal  vei'so,  il  quale  uella  strofe 
alcaica  oraziana  è  il  terzo ,  si  scomparta  per  lo  più  in 
tre  trinari 

Nudità  musarum  sacerdos... 

Et  cuncta  terranim  subacta . .  . 
Metro  di  soverchio  trinciato  ed  ambiguo  ;  e  perciò  raro 
assai  nella  sua  purità  nel  parnaso  greco  e  latino. 


le  second  p^3f\J3  ,  par  deux  licen-  duo  dallo  stesso  verso ,  al  primo  del 

cs* devieiU  ^•^^^Q.  Z)aìis  le  pre-  secondo,  ed   ai   secondi    del   terzo  e 

mier  vers  ,  pour  avoir  la  mesttre  il  quarto  la  permutazione  dell' a«a/)esto 
faul  prononcer  le  »  du  mot  nSoi"!  ^  '"  eretico  ;  ed  in  dattilo  e  tribraco  nel 
versi  da  noi  si  scandiscono  secondo  le  primo  del  quinto  e  del  quarto  ;  per- 
divisiohi  apposte  nella  lettura  del  te-  mutazione  non  ignota  ai  metrici  ,  ed 
sto  ;  e  non  altro  vi  si  scorge  se  non  usuale  ai  tempi  poco  lontani  dalla 
r  aumento  comunissimo  per  la  cìiaz-  prima  apparenza  degli  arabi.  V.le  no- 
ma al  principio  del  primo  emistichio  te  18  e  137. 
del  terzo  verso  ;  ed  al  secondo  emisii- 


METRIAKABI.  187 

Del  resto ,  or  clic  per  noi  la  fabbrica  de'  versi  è 
più  rigorosa  doli' antica,  e  non  della  sola  quantità  sil- 
labica ,  ma  della  posizione  altresi  degli  accenti  dob- 
biamo toner  ragione  ;  due  specie  di  metro  ravvisar  dob- 
biamo nella  formola  sopra  espressa,  secondo  che  il  terzo 
piede  sia  o  no  un  iambo  ,  o,  per  meglio  dire,  secondo 
che  sulla  quinta  sillaba  cada  o  no  1'  accento.  Ed  in 
fatti,  leggendo  noi  questi  versi  (142): 

Je  teux  vous  conter  la  besogne 
Des  cordeliers  de  Catalogne, . . 
non  ci  persuaderemo  giammai  che  sieno  della  stessa 
specie,  quantunque  entrambi  di  nove  sillabe  :  percioc- 
ché nel  primo  v'  ha  tre  percussioni  ,  e  due  o  quattro 
nel  secondo.  Al  contrario  ne'  primi  versi  di  questo 
amcbeo  (i45)  : 

Mess.    Donna  ,  di  voi  mi  lamento  ; 

Bella,  di  voi  mi  richiamo 

Mad.    Meo  sire,  se  tu  li  lamenti. 

Tu  non  hai  diritto  e  ragione 

diremo  che  i  versi  sono  gli  slessi,  quantunque    i    due 
ultimi  abbiano  tina  sillaba  di  soverchio. 

Chcpperò  gli  oltonarii  e  i  novenarii  iambìci  in 
versi  dello  stesso  metro  si  risolvono  quando  i  primi  si 
risguardino  diminuiti  per  quelle  condizioni  che  facean 
denominarli  acefali  dai  Greci,  0  dagli  Arabi  azbati  :  il 
che  vale  lo  stesso. 

Ma  è  da  notarsi  che  non  di  rado  i  nostri  primi  tro- 
vatori r  uno  con  1'  altro  metro  confondevano  anch'  essi. 


(142)  Di  LiroNTÀwe.  (i43)   Di  Iacomino    Pvglujs. 


* 


l88  DEKITIS 

Trovaiisi  iudifFerentemente  avvicendati  ne'  seguenti  versi 
del  sopraccennato  amebco ,  nella  canzone  del  nostro 
iniperador  Federigo 

Di  dolor  mi  conviene  cantare 
Come  allr'  uom  per  allejjnmza  .  .  . 
ed  in  altre  moltissime  del  medesimo  secolo. 

Lo  stesso  è  da  dirsi  per  le  vecchie  canzoni  delle 
altre  lingue  romane  (144). 

Per  lo  che  non  dee  far   sorpresa    se  i  versi    arabi 
or  dati  ad  esempio  mostrino ,  specialmente  ne' due  pri- 
mi emistichi  ambiguità  di  metro  ,  potendosi  assai  bene 
scandire  e  per  tre  e   per  quattro  percussioni  : 
Lianima'  tcr.madcì  fi':  bua'di  ,  ec. 

La  quale  ambiguità  abbiam  conservata  nella  ver- 
sione. Il  metro  però  rendesi  manifesto  negli  altri  ver- 
si ,  in  modo  che  1'  ennemimeri  iambica  mostrisi  spic- 
cantissima e  non  mai  da  confondersi  col  novenario  ba- 
chiaco ,  che  in  arabo  corrisponde  al  carme  conseguente 
giazato. 


(144)  Ne' romanzi  del  Cid. 

Banderas  antiguas  ,  tristes  , 
Ve  Victoria  un  tiempo  amadas  , 
Tremolando  estan  al  viento j 
Y  lloran  aunque  no  hablan . . . 

Nel  romanzo  di  Rollone  : 

Quanque  a  ven  septentrion , 

Que  nos  citar  en  del  apelon  ^ 

Cest  air  j  cast  cielj  ou  terre  ,  ou  mer , 

Tuit  seulent  geni  nort  apeler, . . 


Scrventese  di  Sordello  : 

j4ylas  e  que  'm  fall  miey  huelh  ? 
Quar  no  vezon  so  qui  eu  auelh,.. 

Canzóne  di  Barbasiu  , 

nelle  Cieuto  NorELLE  antiche. 

Altresì  cojn  lo  Lifans 

Ke  quan  chai  no  't  pot  levar. . . . 

ec.  ec.  ec. 


AI    E    T    11    I       A    R    A    B    I.  189 

Quando  la  poesia  fu  dislaccata  dal  canto ,  lai  versi 
si  trovarono  troppo  saltellanti  ,  e  sol  riinasero  per  la 
musica  :  come  quesli  che  il  Biagioli  attribuisce  al  Me- 

tastasio  : 

Tormento  crudele  tiranno 

Wi  strugge  mi  lacera  il  core  : 

D'  Ah  Ito  geloso  furore 

M'  accende  la  face  nel  sen. 
Loreto  Malici  volle  restituirli  alla  poesia  declama- 
ta (146)  :  ma  non  era  egli  fatto  per  mettere  in  voga  i 
suoi  versi  e  produrre  ammiratori  e  seguaci. 

L'enueinimeri  iambica  è  metro  or  dismesso  in  Ita- 
lia ,  e  risolvesi  in  una  scgucnza  di  quinari.  E  ad  essa 
precisamente  questo  e  gli  altri  due  esempi  che  appor- 
remo si  appartengono.  Ma  perchè  mai  gli  arabi  maestri 
serban  silenzio  su  la  forma  giazalo  raflala  del  carme 
perfetto  nell'  aruza,  ed  una  tal  forma  alla  sola  zarba 
r  accordano  ?  E  pure  la  vedremo  or  ora  evidente 
nell'  aruza  del  carme  tremolo,  ossia  satira  ,  che  non 
altrimenti  vuol  considerarsi  se  non  come  l' identico 
carme  perfetto  ridotto  sillabico  (146). 


(145)  Di  perle  di  tremulo  gelo ,  ce,         (i4fi)  V.  iiitanlo  anche   le   due   se- 
guenti note. 


190 


DE   R  I  T  I  S 


ARUZA  E  ZARBA  RAFLATE  (U?)» 

;;ìdiSnì  n'^  Npi  X5pi    3 

VERBUM       VERBO. 

^c/  cmiantem  amore-ajfectus-venit  ad  eum  amans  ; 

Corda  amhorum  in  amore  cor-unum. 
Suhsistunt  juxta  flumen  anioris 

Etprospiciunt-sihi-  de-annona-vitae, et  flumen  amoenum  est, 
Suhsistunt  et  dicunt  (  et  lacrymae 

Super  geììis  illorum  fluunt  )  ; 
Culpa  est  temporis  ,  non  vero  illius 

Super  quem  transeunt  tempora. 

HUMBERT.  XVIII. 


(147)8!  aggiunge  un  ^  al  principio  del  due  primi  emistichi  de' versi  quarto 
secondo  emistichio  del  secondo  verso;  e  quinto  i  frammenti  V  e  D  delle 
e  \'  et  della  versione  ci  persuade  che  parole  V")J2  e  C{<  i  quali  ncll'  edi^ 
nell'  originale  non  dovesse  mancarvi  zione  del  signor  Humbert  si  veggono 
e  che  si  fosse  tolto  sol  perchè  il  verso  trasportati  ai  secondi  emistichi ,  pro- 
riusciva  soverchio  nella  misura  a  babilmente  per  la  stessa  ragione.  Fi- 
computo  di  lettere.  Sì  restituiscono  ai  nalmente  nella  parola  "y^n  del  terio 


METRI      ARABI. 


191 


j  zabhon  iafdnno  :  oWhi  sàbba 
qalba'homa  :  jV-lliobbi  qalbo 

2  uaqafcC  ila^  :  bahrl- Uiavai 
uafatazàvvada' :  va-lbaliro  àdbo 

3  uaqafa''  vaqcC:  IcC  va-ddoiniCò 
ilcC  chodòdiJiiimi'  tasàbbo 

4  addanbo  llluCjjcCini  làisa 
lanilii  iogzano  :  iljaJio  danbo 

VERSIONE      METRICA. 

Corre  1'  amante  al  caro  oggetto  : 

Batte  un  sol  core  ad  ambo  in  petto^ 
Lor  offre  un  rio  seggio  d'  amore  : 

Oh  quanto  è  gaio  quel  ruscelletto  ! 
Ma  dell'  addio  suonò  già  l'  ora  : 

Ed  ecco  in  lagrime  volto  il  diletto. 
Ahi  tempo  !  esclamano  :  Ahi  truce  !  Ahi  come 

Tutto  è  al  tuo  rapido  turbin  costretto  ! 


verso  la  mozione  della  \{  di  zamma  alla  scguenza  quinaria,  correndo  per 
si  trasporta  in  fata  per  la  rima.  Per  quelle  regolari  varietà  che  il  quinario 
tutto  il  dippiii  la  lezione  del  chia-  comporta  riguardo  al  primo  de'  suoi 
rissimo  editore  si  segue  scrupolosa-  accenti ,  e  per  le  terminazioni  di 
Mente.  tronco  ne' versi  i.°  e  3.°,  e  di  sdruc- 
ii che  posto ,  è  chiaro  che  il  me-  ciolo  nel  3.°. 
tro    di  questi   quattro   versi    riducesi 


IQ^  e  I^   R  I  T  I  S 

ARUZA  NUDA  ,  ZARBA  RAFLATA  (l48). 

ini'  nSoSx  y:in^h  hp    i 

inj;;  ina  'd"?!"^  '':':; 
NiirN'r  'fi  'nn  dj'^dn*    3 

nSrr^r  no3  tS;;  njn3    4 

"]-iny  'V;?  m'pj  fxi 
y^rhìi  ijn  x»  npinx    5 
•)T)3  np-i  Nob  'Ncn 

V   E  R  B  U  M      V  E  R  B  O. 

Z)ic  meo  ainico:  »  JVum  prorogas  absentiam  tuam 

Et  intencUs,  caedi  vieae per  te,  conatiim  tuiini? 
Si  cupis  ut  tiii  obliviscar 

Recide  niihi  cor  nieum  :  illud  enini  est  apud  te, 
FefelUsti ,  imo  in  visitalione  nostri 

umbram  tuam  ,  promissionem  tuam  (*), 
^ttamen  ego  erga  te  suuj  quemadmodum  nosti  , 

Quancjuam  violaveris  erga  me  jusjurandum. 
accendi  sii ,  o  os  amici ,  piscerà  mea 

Quando  degustavi  Jrigus    tuam  ; 

(148)  «Il  metro  di  questo  poema,  dice  di   questi   versi  è    quello    del    carme 

ilsig.Humberl  è  il  perfetto  vale  a  dire  perfetto  giazato  raflato  ;  ma  nella  sola 

motafa' ìiiloii  ripetuto  tre  volte.  Ala  qui  zarba  ,  e  precisamente  nelle  regole  di 

il  terzo  77zotoyàViì7o/!  è  affatto  tolto  ne-  Al-Chalil.  Non  può    dirsi    altrettanto 

gli  emistichi  dove  una  è  la  rima,  e  in  dei  due  esempi  precedenti  ,  ne' quali 

quelli  che    ban    la  rima  ,  trovasi   ri-  non  v' è  diversità  tra  il  primo  e  secondo 

dotto  a  ]^Q  (;«o/)  :  direbbcsi  adunque  rnii^licbio  ,   correndo  entrambi   per  la 

in  termini  grammaticali  un  tal  metro  forniola  moiafahilon  molafahila  tori , 

gtazato-ra/laeoìKCetlamQiUe  il  metro  che  si  risolve  senza  l'ipermetrismo  in 


METRI      ARABI.  ig3 

1  Qol  Ulhahi'  I)  hi-'lmaha  zaddak 
vagiaalto  qalbi  |I //'/■«  volclak 

2  in  scita  han  []  asili'  f aridda 
àlajja  cjaìhi  ^Jahva  tiidak 

5  achalaghla  hajja  Wfizij  zaa'~ 
tunahitajfui  [|  jninka  và'dak 

4  fa'na''  ùlCka  [|  kamcC  àlialta 

vallili  naqzalla  [j  alajja  àhdak 

5  aliraqta  icC  ||  sciaghra-lhabi'bi 
hascia'i  lamina'  [)  doqto  nardak 

VERSIONE       METRICA, 

Tu  gli  dirai:  )>  Se  ancor  da  me 

Lontan  ti  stai  ;  Jiiuoio  per  te. 
Vuoi  ch'io  dimentichi  cotanto  amore? 

Rendimi  il  core  :  che  teco  egli  è. 
Ah  m*  ingannasti  !  Ne' sogni  miei 

Riudir  credei  la  data  fc. 
Così  costante  nell'  amor  duro 

Benché  spergiuro  tu  sii  con  me  ! 
Tutta  in  incendio  quel  disioso 

Sguardo  amoroso  bruciar  mi  fé. 


mofa'hilon  niofiùMlaton  :  vale  a  Ji-  in  questo,  tutte  le  ultime  sillabe  del 

re  ennsmìmeri  iambica   catalettica ,  primo  emistichio  vengano  a  troncarsi 

metro  ,  come  abbiamo   vctluto  ,    co-  per  trasportarle  al   principio    de'  se- 

munissimo  a  tutte  le  nazioni  ,    fuor-  condì. 

che  all'italiana,  se  facciasi  eccezione  (*)     Potrebbe    anche    tradursi    : 

da' trovatori  del  ducento.  Por  rendere  IViiUiim  promissorum  servavi sti  ;  imo 

la  regola  dei  dottrinali  adagiabile  agli  promissum   quo    tua    me    umbra    in 

esempi  precedenti,  bisogna  che,  come  somno  visitatura  erat. 

Tom.  III.  25 


194  D   E      R   I   T   I   S 

t:hm  'Vn  mntì'ì    6 
']inz'  yhìi  naSto  né? 

-|"ip  nynì^  npì  'J^j^^n 
N'nSx  nN*finSN*  i^tS'  dn    8 

Vn  iin-u;  dx  rhS  Qx    g 
Tiiì  1J0  'n»  pic'jQ 
♦inSx  7;;j  nSiS")  nS  io 

VERBUM      VERBO. 

Etnunc  testarisme  injustam  esse(non  debitaameposcere) 

Quando  effLagito  a  te  mei  iuinn . 
Num  pidas  rainiiin  myrohalani  compiacere  mihi 

Clan  iam  viderhn  slaù/ram  tuani  ? 
Num  seducet pomum  oculos  meos 

Cum  intuilus  fuerim  genas  tuas  ? 
Num  existlmas  myvLum  lanuginis  tuae  odore perfu&avi 

arcere  a  te  rosam  tuam  ? 
Neguaquam.Ergo per ìllum  iure  quiposuitamorem  in  me. 

domine  mi ,  ita  ut  evaserini  tui  servusl.  . . 
O  cor  amici ,  cuius  delicaluU  sunt  lumhi , 

Super  me  cjuam  durum  tu  es  )). 


(*)  Il  nome  botanico  del  Mirobalano  è  to.  Nel  medio  evo  si  coutavano  cin- 
hyperanthero  nioringa.  Cresce  prin-  que  specie  di  mirobalaui  ,  giusta  il 
cipalmente  ia  Arabia  :  è  raro  ia  Egit-     distico  : 


M  E  T  B.  I     A  R  A  n  r.  igr 

G  Vascial adatta  ||  annV  taìlmon 
Icnnma'' talabto  |1  ili' kasciahdah 

7  alalunno  gaz  []  na-lhcCnl  (*)  6/^'- 
òtó/2i'  ìiaqad  11  ìCjanlo  qaddah 

8  a/?i  jaclidaò-l  [J  ioffiClio-lhcC- 
hatiji  vaqad  (]  scià' hdatto  chaddah 

9  a/7i  cìdlla  às  []  idarìkà -l 
Ttianscìu'fa  jachmi  [J  jiiinìca  vardaTs 

10  /a'  va-iladcL   []  giaùla-lhavcC 
niavlcii  JiatW  \\  zirlo  ùhdak 

1 1  yrt'  cjalba  Jiiiii  1|  /«  zzo/  mocVti 
folio  cdaj/ia'  []  //za'  asciaddak 

VERSIONE      METRICA, 

Ed  or  d'  ingiusta  tu  mi  accagioni 

S'  altri  tuoi  doni  chieggo  in  mercè  ! 
Lo  svelto  e  snello  mirobalano 

Fia  per  me  bello  pensando  a  te  ? 
Alla  tua  guancia  pi-egio  sovrano 

La  melarancia  ceder  non  de'? 
A  quella  morbida  guancia  amorosa 

Cui  mezz'  ascosa  A'el  crocco  fc'  ? 
Ah  no  !   ...   lo  giuro  a  chi ,  mio  bene , 

Care  catene  mi  strinse  al  piò.  , , 
La  guancia  è  morbida  del  signor  mio  , 

Ma  il  core,  oh  Dio,  duro  è  per  me. 


Mynbolanorumspt'ciessuntquinque honorum,     V.  Sprcngol.   Jlistoria  rei  herharitie  , 
Cilnn.it,  chsbulus,bclUricu.',emblicas,iiidu3.     toni.  1.  rag.  2G1,  et  scg. 


igS  D  E      R  I  T  I  S 

ARUZA  E  ZARBA   NUDE   (l4g). 

mn  >Vy  hì^  nni 
NmDj  Spnx  mjVx    2 

Interpetraaione  del  Iones. 

Non ,  non  ,  ce  n'esi  pas  une  créature  humaine  ,  celle  qui 
est  venu  vers  mai  avec  une  circospection  timide  : 

Le  sommeil  pesait  sur  ses  paupiers ,  et  V  effroi  s'était  em- 
paré  de  son  coeur  ;  eie. 


(149)  Olire  alla  zarba  nz;7ato  e  alla  anche  la  zarba  dailata  e  la   qaiata  ; 

zarba  nuda  ,    i   maestri   aiabi    danno  delie    quali  (juesti  esempi    si   produ- 

alla  forma  giazata  del  carme  perfetto  cono  : 

CARBA    DAJV^TA.  EAUBA    QAtATA. 

noKpn  py  mj  nKouSs  «noi  nn  ntxì 


UETKI      ARABI. 


197 


1  ma  ansa  IcC  ansà-llati'  (i5o) 

giaat  ilajja  àia'  hadar 
a  annavmo  alligala  glàfnahci 

va-lqalho  ta'ra  hiliì-  ddaàr 

VERSIONE      BtETRICA» 

Non  una  donna ,  un  angelo 
Pareanii  in  quella  scorgere 

Che  aniorosetta  e  timida 
Veniami  aita  a  porgere. . . . 


(i5o)  I  nostri  ducentisti  avrebber 
detto  ,  angelica  figura  morganata  ;  e 
"Virgilio 

. . .  hauù  Ubi  vultus 
morlalij'  • .   o  dea  certe. 

Ho  tratto  questi  versi  dalla  tradu- 
zione ù-ancese  delle  Memorie  della 
Società  (li  Calcutta,  ed  appartengo- 
no a  Mir  Mohamcd  Iluiin  clie  li  scrisse 
prima   del  tuo  viaggio  ad  Haìderabad 


con  Riccardo  Johnson,  scudiere.  Cor- 
rono esaltissimainenle  per  dimetri  iam- 
òici  acatalélti  ;  0  se  non  sempre  con 
queir  incontro  di  lettere  tenui  che  li 
riducano  a  meri  settenari  sdruccioli 
della  nosira  poesia  sillabica  (  V.  la 
pag.  l58  e  la  nota  122.  )  ,  sempre  però 
con  tal  giacitura  di  accenli  che  mostra- 
no r  itigcntilimcnlo  dell'autore  nelle 
sue  strette  relazioni  coi  culli  europei. 


IgS  DEKITIS 

APPENDICE  AI  CIRCOLI  PRIMO  E  SECONDO. 

Corsi  questi  due  primi  circoli,  possiam  dire  di  aver 
già  chiari  tulli  gli  elementi  che  compongono  il  mecca- 
nismo dell'araba  versificazione;  e  nei  tre  che  succedono 
altro  non  rimane  che  andarne  notando  lievissime  mor 
dificazioni  ;  le  quali ,  yai'ielà  piuttosto  ne  costituiscano 
che  differenze. 

Dalle  due  forme  più  semplici  di  un  ritmico  movi-^ 
jnento  abbiam  veduto  sorgere  quasi  da  per  sé  le  prime 
norme  dell'araba  versillcazione  (i5i);  e  per  acquistar 
nette  le  idee  di  ciò  che  produce  V  allungarsi,  il  distene 
dersi ,  lo  spandersi  de'  carmi  del  primo  circolo  ,  ne 
abbiam  dovuto  riconoscere  altre  forme  che  dir  potrem- 
mo altresì  elementari  ,  di  quei  due  ritmici  movimenti 
alla  legge  adagiate.  La  corda  grave  poi ,  caratteristica 
del  secondo  circolo,  un  altro  ipermetrismo  ci  ha  of- 
ferto, ma  di  genere  ben  differente.  I  carmi  del  primo 
circolo  han  determinate  ,  invariabili  le  loro  eccedenze 
da  quei  primitivi  ritmici  periodetti  ;  quelli  del  secon- 
do appaiono  a  pieno  arbitrio  del  poeta  :  ed  arbitrio 
non  limitato  alle  sole  regole  dottrinali  di  contrarre 
V  anapesto  nello  spondeo,  nel  ianibo,  ne]  coreo  ed  an- 
che nel  pirric/do ,  giusta  le  regole  dottrinali  degli  ara- 
bi maestri  (iBa);  ma  di  cangiarlo  altresi  nel  dattilo, 
nel  eretico   nelF  amfibraco  (i55)  ,   e    di   permutarne  la 


(i5i)  V.  le  pag.  119  e  120.  (i53)  Pag.   180. 

(iSa)  V.  la  nota  iSy. 


METRIARABI.  I99 

sede  (164),  del  che  quelle  dottrinali  regole  non  fan  pa- 
rola (i55).  E  gli  uni  e  gli  altri  versi  abbiam  veduto  in 
due  porzioni  disuguali  costantemente  ripartili. 

Ora,  il  raffronto  di  queste  diverse  parli  sommini- 
strar ci  dee  le  nozioni  per  le  undici  altre  spezie  di  me- 
tri che  ci  rimangono  ad  esame  ;  ma  riguardo  all'  iper- 
metrismo  del  secondo  circolo  non  sarà  inopportuno  in- 
stiluir  dajiprima  qualche  confronto. 

Avveri!  assai  bene  1'  Alighieri  che  i  linguaggi  uma- 
ni sono  assai  volubili  e  vaganti  finché  non  sorga  una 
grama tica  (i56).  Il  che  moltoppiù  vuol  dirsi  della  fab- 


(i54)  Pag.   178.  zer  ,    Itcyne  ,    ce.  ec.   Warburthon  , 

(x55)    Della    permutazione     di    tal  ec.  ec.  ec.  L'  Alighieri  intendeva  del 

piedi  parlano    ad   esuberanza    tutti  i  parlare  in  diversi  tempi  e  luoghi  ;  il 

metrici.  V.  Vittorino ,  lib.  H.  de  dact.  che  non  imporla  riprodurre    gli  stessi 

metr.  suoni  ,    ma    tali    che  a  quel   sistema 

(i56)  >i  li  sermone  nella  stessa  gente  convenuto  di  segni  visivi  sieno  age- 

)>  successivamente  col  tempo  si  varia,  volmente  ril'ciibili.  E  il  maraviglioso 

n   ne  può  per  alcun  modo  fermarsi...  dell'  arte  grainatica  ,  della  reciproca 

)>  Quindi  si  mossero  gì'  inventori  del-  comunicazione    delle   idee   per    segni 

)>  1'  arte  graraatica  ,  la  quale  grama-  visivi  ,    non    è  già   che  il  cinese  e  il 

»  tica  non  è  altro  che   una   inallera-  giapponese,  a  cagion  d' esempio,  s' in- 

»  bile  conformità  di  parlare  in  diversi  tendano  scrivendo  e  non  già  parlando; 

«  tempi  e    luoghi  ».   De  vtllg.- et.  E  ma  che  in  ciò   che  dipende   da  foni- 

riguardo  al  volubile  fonismo  de'  lin-  smo  mero,  giungano  a  darsi  rauliic  ri- 

guaggi  ridotto  a  gramatica  (  a  un  si-  pruove    di    perfezione    nello    scrivere 

stema  convenuto  di  segni  alfabelici  ),  popoli  che  di  quel  scrissero  discordan 

io  non  so  se  v'  abbia  idea  più  preci-  poi  stranamente  nella  profl'crcnza.  Aoi 

sa  nelle  laboriose  lucubrazioni  di  Con-  italiani  troviamo   squisitissimi    i  versi 

dillac  ,  De  Brosses  ,   Court    de  Gebe-  del  Polìgnac  ,   del   Hapin  :   e  i  Fran- 

lin,  Ttacy ,  ce,  WiuckelmuuD  ;  Sul-  cesi  fanno  altrettanto  per  quelli  del 


JSOO  DE      R    I   T   I   S 

brica  de'  versi ,  finché  non  sorga  una  poetica.  Ed  una 
poetica  non  può  dir  che  s'  abbia  un  tal  popolo  clic  nelle 
condizioni  tuttavia  si  rimanga ,  non  di  simmetriche  , 
rna  d' identiche  combinazioni. 

La  storia  prammatica  di  tutte  le  genti  ci  oflFre  co^ 
stantemente  questa  progressione  in  fatto  di  poesia  : 
1°  canti  religiosi  e  popolari,  con  uniformità  di  canti- 
lene :  2."  poemi  narrativi  ,  con  modolazioni  di  più  lar- 
go andamento:  3,°  poemi  rappresentativi,  con  tutta  l'am- 
piezza delle  variazioni  metriche  (iBy).  Di  questi  ultimi 
non  è  da  far  parola  ragionandosi  di  poetica  araba.  Limi- 
tiamoci perciò  alle  variazioni  dell'  andamento  ritmico 
quando  dalla  lirica  propriamente  detta  al  poema  narra^ 
tivo  si  fa  passaggio  (i58), 


Sannazzaro  ,  del  Vida.  Eppure  se  noi  sulla  musica  degli  Arabi.  Le  moalla- 

declamiarao  ai  Francesi   o   essi  a  noi  ya' non  sarebbero  state  intonate  se  non 

declamano  qualche  brano  dell'  Enei-  con  urli  ;   un  principio  di  canto  non 

de  ,  tipo  del  verseggiare  di  Polignac,  si  sarebbe  introdotto  se  non  alla  corte 

di  Rapin  ,  del  Sannazzaro  e  del  Vi-     de'  calili    di  Bagdad Sono   esa- 

da  ,    o  non    e'  intendiamo    affatto  ,  o  gerazioni. 

ci  diam  la  berta  a  vicenda.  Gli  autori  de'  versi  dorati  erano  gli 

Tanto  è  lontano   dal    vero    che   la  Orfei    dell'  Arabia  ,    appunto    perchè 

gramatica  ci  conservi   le  voci ,    come  agli  urli    avean    saputo    sostituire    le 

da  Quintiliano  in  qua  ci   si  va   ripe-  cantilene.  Ma  per  altri  riguardi  ,  e  che 

tendo  !  Hic  enim  usus  est  Utle.rariini  son  mai  quegli  urli  ne' selvaggi  ?  -  li 

ut  custodiant  voces  ,    et  leliit   clepo-  grido  di  guerra  che  alza  un  indigeno 

situm.  reddant  legentibus.   Inst.    orat.  all' apparire  di  uno  straniero  ,  e  grido 

1,  I  ,  e.  4.  tanto  pili  feroce  per  quanto  piii  dallo 

(167)  V.  la  nota  49.  straniero  soffri  violenze -Ria  fatevi  alla 

(i58)  V'ha  un  articolo  assai  frivolo  capanna  di  quel   selvaggio,    assistete 

nel  VI  voi.  delle  Miniere  d'Oriente  alle  sue  feste  di  famiglia  0  religiose; 


M    E   T    R    I       A    R    A    B    r.  201 

TI  ritmo  eroico  clic  dall' efiinnio  arvale  dedureinnio, 
corre  ne' poemi  attribuiti  ad  Omero  con  tal  varietà  e 
disinvoltura  che  iurcbbc  sorpresa  di  essersi  quasi  in  lui 
esaurita  negli  ellenici  l'arte  del  dir  poetico,  se  oggimai 
non  fosse  ridotto  a  storica  evidenza  comprendere  que' 
poemi  1'  opera  di  molte  età  e  di  moltissimi  riducimenti 
sino  all'  ultima  edizion  celeberrima  della  cassetta.  Pure 
conservasi  assai  manifesto  in  que' canti  l' impi'onta  della 
gramatica  greca  tuttavia  fluttuante  (lag)  :  e  lo  stesso 
abbiam  veduto  nelle  prime  arabe  rapsodie. 

Possiam  dire  altrettanto  degli  antichi  poemi  del 
Lazio.  Quali  esser   doveano   quelli  anteriori  al  vecchio 


ascolterete  quegli  urli  attenuati ,  se 
non  a  quel  cantar  die  nell'animati 
scende  ,  a  certo  non  so  che ,  di  biz- 
larro  forse  e  di  strano  ,  ma  non  mai 
d'  irregolare    adatto    e    disarmonico. 

Vero  è  che  Ja  musica  dottrinale 
araba  è  di  persiana  o  greco-latina  prov- 
venienza  ;  e  di  falli  ,  odi  Persia  o 
da  noi  le  parole  dottrinali  della  mu- 
sica appo  gli  Arabi  veggonsi,  senza  i 
coDSueii  ctiiuologìci  contorcimenli,  de- 
rivate. IMa  supporre  una  nazione  senza 
musica  non  parmi  minore  assurdo  che 
il  supporta  senza  la  leggo  metrica  nel- 
le pulsazioni  delle  arterie. 

E  le  moallaqa'  ,  intonale  al  certo 
prima  che  gli  Arabi  si  conoscessero  in 
persiane  o  siriache  dottrine  ,  dimo- 
ilrjno  un  antico  lipo  di  cantOj  di  gran 

Tom.  III. 


lunga  alle  persiane  ,  alle  sire  e  alle 
nostre  melodiche  leggi  precedente. 

Quando  gli  Ebrei  traversavano  il 
deserto  ,  dal  quale  oltre  spingendosi 
occupavano  una  terra  di  predilezio- 
ne ,  al  suono  delle  trombe  e  non  con 
gli  urli  diroccavano  i  nemici  baluardi. 

(iSg)  Questi  fatti  or  si  veggono  con 
somma  diligenza  esaminati  e  condotti 
all'ultima  evidenza  oltrcmonti  ed  ol- 
tremare per  opera  dei  Wolf ,  Ringhi, 
MùUcr,  Ileyne ,  B.  Constant ,  ec.  ec. 
V.  un  articolo  del  primo  di  questi 
autori  ,  col  titolo  :  p^ico  ed  Omero , 
nel  Museo  di  ^archeologia  di  Berli- 
no ,  1807.  -  Vico  precedeva  di  un  se- 
colo la  sua  età,  e  di  questo  soltanto 
comincia  ad  esser  contemporaneo. 

26 


202  D    E       R    I   T   I    S 

Ennio,  che  rozzi  ed  inculti  ei  denomina  (160),  se  i 
frammenti  che  di  lui  ci  rimangono  tanto  ibridi  appaiono 
e  disadorni  ? 

Il  fenomeno  medesimo  si  riproduce  nel  mezzogiorno 
di  Europa  all'  apparire  delle  volgari  loquele.  Il  tempo 
copri  di  sue  tenebre  i  trenta  (161)  o  più  che  in  Grecia 
preludiavano  per  dir  cosi  in  que'  canti  che  poi  si  dis- 
sero omerici,  Facciam  tesoro  degli  ardimenti  di  chi  Ta- 
cca studio  di  emular  que'  vecchi  modi  coli'  accento 
de'  nostri  popolari  idiomi.  Ecco  i  tentativi  del  verso 
eroico  nella  penisola  ibera  : 

De  los  siis  ojos  tan  fuertemente  llorando  (*) 
Tornaba  la  cabeza  e  estabalos  calando  : 
Vio  puertas  abiertas  ,  e  uzos  sin  canados , 
Alcandaras  vacias  ,  sin  pielles  e  sin  mantos  , 
Sin  falcones  e  sin  adtores  mudatos. 
Sospirò  mio  Cid  ^  ca  mucho  avie  grandes  cuidados. 
Fabio  mio  Cid ,  ben  e  tan  mesurado  : 
Grado  a  ti ,  senor  padre  ,  que  estas  en  alto  : 
Esto  me  han  buelto  mios  enemigos  malos . . . 

A  mio  Cid  don  Rodrigo  grani  cocinal  adobaban  (**). 
El  conde  don  Remont  non  gelo  presia  nada. 
Aduceanle  los  comeres  ,  delante  gelos  paraban  : 


(160)   Versiba'  quos  clim  Fauni  vatesque  (l6l)  V.  Fabric.   Bibt.    Grate. 

canebant  (*^  Principio  del  poema. 

Cum  ntque  musarum  scopulos    quisquam  (**)  Verso   1025. 

superaTatf 
Nec  dicti  studìoius  erat. 


METRI       AIIABI.  200 

Et  non  quicre  corner  ,  a  todos  los  sozanabn. 

Non  coinhré  un  bocudo  por  quanto  ha  en  teda  Espana  : 

Antes  perdere  el  cuerpo  e  dexaré  el  alma  , 

Pues  que  tales  malcalzados  me  venderò  en  batalla. 

Mio  Cid  Ruy  Dlas  udrides  lo  que  dixo. 
Comed  ,  conde  ,  d' este  pan,  e  bebed  d' este  vino: 
Si  lo  que  dico  jicieredes  ,  saldredes  de  cativo  ; 
Si  non,  en  todos  vuestros  dias  non  veredes  christianismo . . . 

Giudicar  non  dobbiamo  degli  Spagnuoli ,  noi  Na~ 
politani  specialmente,  dalla  infelice  vicenda  che  speri- 
mentammo ridotti  a  provincia  vettigale  di  una  lontana 
monarchia.  Ma  della  energica  vigoria  di  quella  nazione 
eminentemente  eroica  è  stata  tutta  quanta  l'Europa,  e 
ab  antico  e  modernamente  e  sempre,  ammiratrice.  Non 
farà  dunque  maraviglia  se  tanl' oltre  si  spingano  nel  gran- 
dioso sino  a  trapassarne  non  di  rado  i  confini.  Ma  per 
quel  che  riguarda  il  nostro  obbiitto,  non  si  ravvisa  in 
questi  versi  la  generosa  emulazione  di  gareggiarne' modi 
eroici  co'  grandi  nostri  esemplari?  E  se  1'  antico  esa- 
metro riviver  dovea  in  Europa  ,  nella  penisola  ibera 
dovea  rivivere  (162). 


(1G2)  11   Poema   del  Cid  non    è  ,  il  crede  composto  verso  la  meti  del 

come  dicesi  dal  Sismondi ,  la  piii  an-  secolo  VII  ,    circa   5o  anni    dopo   la 

tica   composizidiie   poclica    in    liigiia  nmrtc  del  Cid.   1  romanzi   poi  ,    de' 

castigliana  (  v.  la  nota  5()  ).   E    però  quali  abbiara  dato  un  saggio  alla  nota 

di  epoca  ben    rem  .la  ,    e    nun    v'ha  144,  si  reputano  posteriori  di  un  seco- 

motivo    d'  invalidare    1'  opinione    di  lo.  -  Non  ci  arrc:it(remo  ad  esaminar 

don  Tommaso  jViilonio.Santhez  il  qua-  l'opinione  di   chi  avanzò  che  tanto  il 

le  ne  procurò  l'edizione    nel   1779  e  poema  che  1  romanzi  del  Cid  proven- 


204  D    K      n    I    T    I    s 

Eccone  altro  tentativo  dell'  Italia  transappennina  : 

In  a  quel  tempo  fu  Abram  ,  laron  piacente  a  Dio  (l65) 
E  generò  un  patriarca  donde  for  li  judio  : 
Nabla  gente  foro  aquilli  en  la  temore  de  Dio. . . 


gano  da  una  cronaca  scritla  da  due  Essendo  volubilissima  1'  ortografia 
paggi  di  lui,  tuttavia  musulmani.  Lo  delle  prime  scritture  ne' volgari  idiomi, 
stesso  signor  Sismondi  videsi  nel  do-  e  dirigendoci  noi  drittamente  agl'ila- 
vere  di  far  testimonio  che  /anlo  il  liani ,  nel  pensiere  di  far  loro  cono- 
poema  che  i  romanzi  per  nulla  odo-  scere  il  vario  ritmico  andamento  de' 
rano  di  arabismo  ,  se  ne  togli  il  no-  nostri  antichi  e  non  il  loro  modo  di 
me  dell'eroe.  Litterat.  du  midi  de  esprimere  coli' alfabeto  \Mmo  sillaba  ■ 
/'.ffiir.lom.T.- INIaè  da  notarsi  che  oltre  zìoni  che  i  latini  o  non  ebber  giam- 
al  poema  del  Cid  non  par  che  v'abbia  ,  mai  o  delle  quali  fu  tale  coli'  andar 
altro  esempio  di  versi  dettali  nella  del  tempo  1'  ingentilimento  che  colla 
penisola  ibera  ad  imitazione  degli  esa-  pronunzia  tradizionale  scolastica  si 
"'«"tri.  trovano  affatto  in  disaccordo  ;  non 
(i63)  Principio  di  un  poema  l)ibli-  vuol  riputarsi  strano  se  la  vecchia 
co  scoperto  ne' primi  anni  di  questo  nostra  ortografia  traduciamo  nella  rao- 
secolo  in  Ginevra  col  titolo  di  Nabla  dcrna.  Disse  giii  Quintiliano  ,  a  pro- 
//e/fo'j  ,  il  quale  si  fa  risalire  intorno  posilo  dell'  antica  scrittura  delle  pa- 
al  mille.  Sarebbe  il  piìi  antico  monu-  role  latine ,  che  forse  in  que' remoti 
mento  in  lingua  romana  volgare.  Ma  tempi  si  scrivea  come  si  parlava:  Foi- 
non  è  da  attribuirsi,  come  tutti  pen-  tasse  enim  sicut  scriòebant,  etiam  ila 
sano  e  come  dall'ortografia  della  sua  loqitebantur.  Inst.  or.  l.  i ,  e.  ^.  Jì.  i 
trascrizione  potrebbe  dedursi,  alla  lin-  moderni  filologi  han  voluto  ripetere 
gua  d'  oc.  Oltre  che  tutte  le  parole  altrettanto  a  proposito  della  varia 
sono  italianissime  piìi  che  la  colonna  ortografia  de' nostri  che  il  popolar  lin- 
di Duilio  non  è  latina  ;  il  dettatore  di  guaggio  cominciarono  a  produrre  in 
questi  versi  tronca  ogni  dubbio  quando  iscritto:  ma  con  piìi  franchezza  di 
<iì  si  e  non  coli'  oc  fa  sonare  la  par-  Quintiliano  esclusero  anche  il  forse. 
ticella  afifcrmaliva:  Del  che  non  può  darsi  maggiore  as- 
Laleggevegliadifende  gulunque pergiurare:  surdo.  Y.  la  seguente  nota  l66. 
E  yiù  di  SI  o  di  no  non  sia  in  tuoparlaT. 


METRI       ARABI.  2o5 

E  ad  emulazione  degli  aviti  modi  eroici  anche  que- 
sti versi  si  conformavano.  Se  non  clic  1'  argomento  era 
più  religioso  che  eroico;  e  perciò  di  maggior  posatezza 
fan  mostra.  Intanto,  quantunque  palesino  questi  versi 
qiiell'  andamento  che  poi  ili  due  settenari  risolvendosi 
diede  nascita  agli  alessandrini  (164);  pure  un  pendio  nel 
secondo  emistichio  alla  cadenza  degli  esametri  è  ma- 
nifesto. 

Intanto  nell'  Italia  centrale ,  nell'  Itaha  del  mezzo- 
giorno ,  di  emulare  il  verso  eroico  nel  volgare  idioma 
non  si  fece  studio.  Un  fermento  di  antiche  rinicnibran- 
ze  con  pensieri  assai  ben  diversi  vigoriva.  Non  trattavasi 
già  che  le  giovani  muse  venissero  a  gara  colle  loro  pri- 
mogenite nel  dir  popolare;  ma  il  gran  pensiero  italico 
era  quello  di  ricondurre  a  tutta  quanta  la  sua  maestà 
primitiva  quel  latin  chericale  che  lingua  unica  era  già 
divenuta  negli  atti  di  religione  non  solo  e  di  governo, 


(164)  I  dotti  francesi  con    tutte  le  tcndisss  sub  Iiuiusmódi  epigrdmniate , 
loro  ricerche  par  che  non  abbiano  rin-  boiV«o!  airo  Ki^ixoi. ,  -xxrro!  yp«;!«  «ifta«5, 
venuto  ancora   l'amico  modello  del  toi' oxriirow  (uprui^  tti^ov  ,  «oi^;"  ri9>i»i  J^po. 
loro  verso  alessandrino.  Àbbiam  ve-  Ma  seguenze  di   tal  fatta    sono    nelle 
Juto  alla  nota  85  che  la  moderna  Gre-  condizioni  ^irirailive  di  tutte  le  popo- 
cia  compone  ora  il  suo    verso  eroico  lari  cantilene.  Anche  Giulio  d"  Alca- 
di  due  settenari.  Ma  abbiamo  in  Mau-  mo    intonava    versi  di  tal    fatta   nel 
ro  Vittorino  che  a  un  tal  Boisco  Ci-  celebre  amcbco  colla  su^  donna: 
ziccno  scn  di'ggia  la  prima  invenzione.  Fresca  rosa  aul,:niissiina  ch'appari  in  tir 
Admonemur  ,  dice  questo  gramaliro,  la  stale,  ec. 
qiiod  apuri  Craecos  cclebraliir ,  non  Se  non  che,  già  ne  variava  1' anda- 
praetermitiere ,    Boiscuin  C/ziceniim  mento    col  triplicarli    e    conchiadcre 
supergressum  hexametri  vcrium  ex-  poi  le  strofe   con    due    endecasillabi. 


2o6  DE      R   I    T   I   S 

ina  di  tutte  le  civili  transazioni  :  lingua  propagata  col 
cristianesimo  anche  al  di  là  di  que'  limiti  che  arrestato 
aveano  il  volo  alle  aquile  romane.  In  questo  e  non  già 
nel  volgar  latino  i  nostri  carmi  eroici  si  dettavano  (i65). 
Pure  di  tentativi  per  innalzare  il  volgar  nostro  alla  ma- 
gniloquenza degli  antichi  esametri  esempi  non  mancano 
ben  due  secoli  prima  del  Tolommei. 

Abbiamo  nella  nostra  città  un  monumento  del  quale 
diamo  il  disegno  alla  Tav.  III. ,  monumento  bea  pre- 
zioso per  la  storia  prammatica  della  nostra  versifica- 
zione ,  e  per  quella  delle  nostre  industrie  ortografiche 
ond'  esprimere  coli'  alfabeto  latino  quelle  tali  sillabe 
appunto  che  delle  varie  lingue  romane  costituiscono  le 
più  spiccanti  differenze.  Le  iscrizioni  si  leggono  come 
segue ,  tradotte  nella  moderna  ortografia  onde  renderne 
men  disagevole  il  fonismo ,  obbietto  esclusivo  delle  no- 
stre attuali  ricerche  (166). 


(i65)  É  noto  che  il  Petrarca  spe- 
rava di  acquistar  fama  col  poema  del- 
l'j4frìca,  e  che  ascoltava  con  disdegno 
le  lodi  che  pe'  suoi  sospiri  a  Laura 
gli  si  profondevano.  V.  le  sue  lettere  , 
specialmente,  senili,  1.  xiii ,  ep.  io; 
famil.  1.  vili  ,  ep.  3.  Ma  è  da  notarsi 
che  lo  stesso  Alighieri  il  quale  con  tanto 
vantaggio  della  poesia  italiana  rinun- 
ziò di  scrivere  in  esametri  latini  il  suo 
viaggio  pei  tre  regni  ,  si  esprimesse 
nella  Vi'a  nuova  in  questa  sentenza  : 
•n  E  il  primo  che  cominciò  a  dire  co- 


»  me  poeta  volgare  ,  si  mosse  per  ciò 
))  che  volle  fare  intendere  le  sue  pa- 
))  relè  a  donna.  E  questo  è  contro  a 
»  coloro  che  rimano  sopra  altra  ma- 
))  teria  che  amorosa  :  con  ciò  sia  cosa 
)>  che  cotal  modo  di  parlare  fosse  da 
))  principio  trovato  per  amore.  »  E 
perciò  riputava  il  suo  maggior  poema 
non  altro  che  una  commeuia. 

(i66)  Nel  ridurre  ad  ortografia  mo- 
derna le  parole  di  questa  lapida,  altro 
scopo  aver  non  dovevamo  fuor  che 
quello  di  renderne  piìi  agevole  la  le- 


METRI      ARABI.  207 

Neir  ara  della  morte  su  cui   versa  il  mercadante  il 
suo  sacco  di  monete  (*)  : 

Eo  so  la  mòrte  che  cacciò  sòpera  vói  jcnté  mondana: 

La  malata  la  sàuà  dT  e  nòtte  là  pércàcciò. 

Nò  fiigta  néssiino  fné  tana  pé  scampare  dà  lo  mio  làccio  : 

Che  tutto  lo  mondo  abràcciò  e  tiitta  la  gente  ùmànà. 

Perchè  nessuno  se  conforta,  ma  prènda  spaventò. 

Che  ho  per  comandamento  de  préudèi'e  a  chi  viene  la  sòrte. 

Sta  ve  càstlgamentò  questa  fTgù,ra  de  mòrte, 

E  pcnsàvté  dà  fòrte  in  via  de  salvaménto. 

Né'  cartocci  cK  esprimono  il  dialogo  tra  il  mercadante 

e  la  morte  : 

Tutto  ti  voglio  dare  sé  mi  làsci  scampare. 

Sé  tii  me  polisse  darò  quanto  si  puòte  àdeinandàré , 

Non  tr  scamperà  la  mòrte  se  ti  viene  là  sòrte. 


zione,  non  già  di  travisarne    gli  ar-  re  ,  caccio ,  faccio ,  ec.  :  quantunque 

raismi  e  le  inflessioni  di  dialetto.   E  nel  marmo  leggasi  tuta,  tuctij  scan- 

perciò:  pare,  c/iacio  ,  JacziOj  ec. 

1.  Scriviamo  tulio j  tulli,  scampa-         Tulo  e  scaiipare  provengono  indu- 


(*)  La  descrizione   del  monumento  e   in   fine,  nella  Spiegazione  delle  tavole. 


2o8  DE       R    I    T    I    S 

Questi  versi  sono  anapestici  e  non  dattilici,  come 


bitatamenle  dal  poco  spazio  de'  canoe-  E  non  dobbiamo  dimenticarci  del  ca- 
ci :  e  poi  tucto,  iucla ,  tucli ,  dall'a-  psare.  di  Accio  e  di  Plauto, 
nalogia  della  riduzione  del  latino  CT  Un'  altra  oscillazione  di  scrittura 
in  TX;  riduzione  della  quale  appare  abbiamo  nella  parola  gente  ,  intera 
l'amico  uso  in  aiit/iore  fin  da' tempi  nell'ottavo  emistichio,  attenuata  iny'e/z- 
remotissimi.  Pure  nel  quarto  emisti-  /e  nel  secondo.  Ma  1' attenuazione  de' 
chio  abbiamo  >rote  in  vece  di  nocte.  nomi    ne' vocativi  è  costanlissima  nel 

E  lo  stesso  è  da  dire  di  faczio ,  dialetto  napoletano  non  solo,  ma  in 
laczio,  abraczio,  che  da  noi  si  scrive  tutti  i  linguaggi;  quantunque  T  orlo- 
faccio  ,  laccio  e  abbraccio.  IVIa  è  da  grafia  non  sempre  l'esprima, 
notarsi  che  non  sono  infrequenti  in  Finalmente  volio  per -uo^/^'o,  e  lasi 
Italia  le  profferenze  di  queste  voci  as-  per  lasci  ,  van  considerali  come  ri- 
sai prossimamente  ay?;z-o, /;;Z3o,  «i-  pieghi  anch'essi  per  esprimere  arli- 
hrazzo  ,  particolarmente  ne'  dialetti  colazioni  che  i  latini  non  ebbero.  Ma 
di  maremna  ,  come  il  veneziano,  pi-  è  da  notare  che  il  lasci  de' napoleta- 
«ano ,  ec.  E  nel  napoletano,  oltre  che  ni  ha  qualche  cosa  di  mezzano  tra  il 
laccio  co'suoi  derivati  non  altrimenti  lassi  e  il  laxi.  11  che  ci  conduce  al- 
ai pronunzia  che  lazzo  ,  è  vezzo  spe-  1'  antica  etimologia  della  parola, 
cialmenle  donnesco  attenuare  l' arti-  Delle  permutazioni  delle  I  in  E 
colazione  ce  sino  alla  a  lieve  :  vez-  sarebbe  inutil  cosa  l'intrattenersi; 
zo  che  il  Uoccaccio  conservò  nelle  2.  Non  v'ha  del  dialetto  napoletano 
ballate  del  suo  decamerone,  e  che  giù-  altro  che  sia  più  prossimo  all'idioma 
stiiica  il  bisticcio  di  Ausonio  :  primitivo  degl'italici.  I  nostri  eruditi 
liatasALo,producta soLo,j)atria edita cAELO;  si  sono  affaccendati  di  andarne  accat- 
come  avverti  il  nostro  Vico.  landò    derivazioni    dal    greco.  Ma   di 

E  perciò  le  rime  dilaccio  e  abbrac-  antico  greco  non  v'ha  nella  città  no- 

cio  non  sarebbero  precisamente  iden-  stra  se  non  qualche  rotto  marmo  so- 

tiche  ma  soltanto  analoghe    a  quelle  pravanzato    alle    devastazioni   di    Be- 

di  caccio  e /^e/x-accjo ,  e  quindi  espres-  lisario.  Il  nostro  popolar  linguaggio  è 

se  con   diversa    ortografia.  Oltre   che  campano  ,    o    se    si  vuole   osco  ;  e  se 

nel  nostro  dialetto  dicesi  cacciare  non  v'  ha  qualche  parola    di  greco  ,  è    di 

cacciare.  Percaccio  è  parola  non  an-  greco  bizantino ,  o  di  quel  tale  greco 

Cora  registrata,   ed  esprime    qualche  che   si   confonde    col  pclasgit;.  E   la 

cosa  pili   di  persequor  'rrapaxoXm^S'M .  dimostrazione    ne   è    lìmpidissima    al 

L'antico  francese  area  il poiircha^ser.  .sol  riflettere    che    non  solo  nell'agro 


METRI      AKABI.  20f) 

quelli  (IcJ  poema  del  Cid  ;  ma  la  catalessi  ,   come  ab- 


nolano  e  cumano  che  cessarono  di  prescindendo  da  questa  e  questo  che 
buon  ora  a  non  più  essere  occupati  pronunzia  sempre  per  chcsta  e  c/iesto, 
da' greci;  ma  dal  cerchio  degli  appcn-  analogamente  forse  alle  antiche  prof- 
nini  sino  al  mare  tutta  quella  esten-  ferenze  quando  i  gramatici  dispula- 
sione  di  territorio,  che!  greci  al  certo  vano  sul  valore  della  QV  che  avreb- 
non  conobbero, parla  lo  stesso  dialetto,  ber  voluta  espressa  "per  la  semplice 
Ed  anche  più  in  là:  testimonio  la  vita  K.  Ma  quel  che  ripugna  affatto  al- 
di Cola  di  Jlienzo.  l'indole  del  nostro  dialetto  è  quell'eo 
Quindi  nella  nostra  lapida  vene  ,  in  vece  di  io ,  per  la  qual  voce  i 
foro  ,  potè  ,  polisse  ,  fugia  ,  aveno  ,  nostri  popolani  non  solo  han  ribrezzo  , 
pensavie  ,  in  analogia  più  prossima  ma  orrore.V.  Galiani^f/e/ c/i'a/e/Zo  n«/?. 
colle  inQessioni  verbali  de'Iatini,Quin-  Forlunatamentc  però  abbiam  polla  sor- 
di scamparà  senza  l'attenuazione  del-  te  d'  incontrarti  con  mio,  pronunzia 
l' a  in  e.  E  (luindì  miaidoj  mundana,  forse  antichissima  quanto  la  gente  ita- 
agusto.  lica.  E  si  rifletta  ,    per   conchiudere  , 

3.  Modi  singolari  abbiamo  nelle  quanta  iattura  di  olio  e  di  opera  si 
preposizioni  sopera  e  ine.  Il  che  vuol  faccia  da  que'  curiosi  che  sempre  d' ol- 
riferirsi  all'  indole  speciale  del  dia-  tremouti  e  d'  oltremare  trar  ci  vor- 
Ictto  nostro  di  non  terminare  ,  non  rcbbero  gì'  insegnatori  della  favella; 
solo  veruna  parola,  ma  nessuna  sii-  »  La  voce  mio,  dice  il  eh.  Perticai!  ^ 
laha  per  consonante.  Quindi  no  le  n  anco  le  femminette  sanno  che  scen- 
scamparà  ,  no  fugia  ,  invece  di  non  »  de  dal  latino  7?ieus.  Ma  il  modo  di 
ti  scamperà,  «o«  fugga.  U  che  ci  con-  »  questa  permutazione  né  le  femminette 
duce  alle  ultime  osservazioni  su  la  »  sanno,  né  i  gramatici  l'hanno  detto, 
parte  fonica  delle  parole  espresse  in  »  Non  di  meno  se  si  leggerà  ne'  versi 
questo  monumento  e  su  la  sua  orto-  »  della  conlessa  di  Dia  -  fo  »2/e;<s  ie/s 
grafia.                                 '  «  cimics  -  il  mio  bello  antico  -  a  un 

4.  Se  la  dettatura  del  monumento  »  tratto  conosceremo  le  venture  di 
è  inchinantissima  al  dialetto;  Tinlen-  »  questa  voce:  e  diremo.  I  latini  dis- 
zione  di  adottare  quel  che  si  disse  »  sero  meus.  I  romani  volgari  vi  frap- 
linguaggio  «!<//co,  co///.o',V/«o,è  manifc-  »  posero  un  i  al  modo  de' Ionici  :  e 
slisiimo.  11  nostro  popolo  non  à'wc  due  »  dissero  non  più  ?neus  ,  ma  mieus. 
i<olle, ma  dolevate  ;  non  rnundo  ,pren-  Lo  mieus  bel  amics. 

dere ,cc.,mtimunno,prennere ,  ce;  non  »  La  s  ,  secondo   il  vezzo  comune  di 

mai /)e/-,  ma /)e' e  in  composizione /ire.-  «  tutti  i  rustici,  anzi  di  Ennio  mede- 

Tom.  in.  27 


210  DE      R    I   T    I    S 

biain  veduto ,  confonde   1'  uno    coli'  altro  metro  (167). 
Ma  quando  anche  riputar  non  si  volessero  elaborati  ad 
emulazione     degli    antichi    esametri  ,    ben    meritavano 
questi  versi  non  andar  dimenticali   se  pongasi  pensie- 
re   che    nell'  età    del  monumento   tulti    i    begl'  ingegni 
d'Italia  erano  già  in  piena  persuasione  che  oltre  all'en- 
decasillabo   ad   altri    versi  ricorrer    non  si  dovesse  nel 
trattar  gravi  argomenti  (168).  Che  se  mai  dir  si  voglia 
che  r  euritmica  disposizion  delle  rime  non  solo  divida 
in  due  ciascun  verso,  ma  dia  loro  un  andamento  liri- 
co e  li  ripartisca  in  tante  picciole  strofe  ;  sarà  sempre 
osservabile  che  versi   cosi  distribuiti  corrano    dalle  sei 
alle    nove  sillabe  ,    esempio    unico   forse  ne'  fasti  della 


»  siino  ,  da  prima  poco  si  pronunciò  ,  //.  /,  e.  a.)?  e  se  il  caso  vero  latino  di 

»  poi  si  tacque  :  come  nel    cciite    di  quel  mius  e  dius  era  mio  e  dio?V. 

))  Poelìi  :  la  noia  67. 

yll  mieu  aìhir:  Si  dica  piuUoslo  che  le  voci^  come 

cioè  Plinio  arbitrio.  quelle    clic  hanno   gradazioni  infini- 

»  Indi  si  gittò  il  dittongo  ie ,  e  come  tcsimc,  mal  potrebbero  esprimersi  con 

»  pone  Folchetto  di  Marsiglia  si  cangiò  la  povertà    dell'alfabeto  latino:  che 

1)  in  miu:  i  Greci  al  maggior  numero  delle  loro 

Lo  miu  den  veslr  er:  iJoca/t  aggiunsero  molti  dittonghi:  che 

cioè         Lo  17110  danno  sarà  vostro.  gli  orientali  primi  forse  perciò   l'esclu- 

»  Finalmente  la  u  per  naturale  dol-  sero  da'  loro  alfabeti  ,  mentre    per  le 

»  cezza  romana    si  mutò    in   o  ;  e  di  consonanti    molte    re    ne    sono    mere 

»  miu  si  disse  mio  :  come  da  sepul-  ortografiche:  e  che  non  dobbiamo  sor- 

»  ero  e   da  stultizia  si  disse  stoltizia  prenderci  se  prima  della  introduzione 

»  e  sepolcro.»  delle  gramatiche  tanta  diversilk  s'  in- 

Ma    perchè    tanti    giri  ,    se    abbiam  contri  nelle  vecchie  scritture, 
belli  e   fatti    nuli'  aulico  latino    mius         (167)   V.  la  png.  2o5. 
e  mH^D'ìotncAa ,1.  I .^pag.3irj  j  Pnlsc/i)  ('''^)   ^''  D-mte  ,    nul    Convìvio  ,   e 

ilei  pari  che  dius  e  dia  (  Varrone  de  nella  seconda  parte  della  l'olg.  eloq. 


METRIARABI.  911 

poesia ,  quando  il  verso  corto  non  venga  a  considerarsi 
qua]  complemento  di  un  ritmico  sistema  ,  disegnato  a 
larghe  proporzioni,  come  le  ode  di  Pindaro,  a  cagion 
d' esempio  :  il  che  sempre  importa  un  nobile  ,  quando 
anche  non  felice,  ardimento  di  chi  sdegna  di  andar  , 
servo  pecorume,  ricalcando  le  altrui  orme,  e 
Per  correr  miglior  acqua  alza  le  vele. 

Dice  il  Sismondi:  »  Si  riconosce  l'influenza  de'Mori 
»  su  i  Latini  nello  studio  delle  scienze,  nella  filosofia , 
«  nelle  arti,  nel  connnercio,  nell'agricoltura,  ed  anche 
«  nella  religione;  ben  sarebbe  strano  che  non  si  fosse 
»  estesa  eziandio  alle  canzoni  che  animavano  tutte  le 
«  feste  nelle  quali  i  due  popoli  s'incontravano,  giacché 
))  è  noto  che  ambo  i  popoli  erano  egualmente  apjoas- 
■»  sfonati  per  la  Poesia.  Gli  stessi  motivi  impiegati  a 
»  vicenda  per  le  parole  arabe  e  romane  ,  determinar 
»  dovca  la  stessa  conformazione  di  strofe  e  lo  stesso 
»  incatcnamenlo  delle  rime  (i6g))).  Ma  prescindendo  che 
quel  che  prima  non  si  conosceva  ma  immaginava 
d'influenza  moresca,  or  finalmente  si  conosce  e  ricon- 
duce a  giusto  valore;  quando  mai  gli  arabi  ebbero  strofe 
e  incatenaììiento  di  rime? 

Per  quel  riguarda  motivi  (  o  per  meglio  dir  canti- 
lene )  su  cui  parole  arabe  e  latine  avesser  mai  potuto 


(169)   Uh,  supr.  p.  103.  Con  eguale  11  versi  centrici  che  tutta  la  loro  gra- 

pcrizia  della  versificazione   araba  di-  »  zia  traevano  dal  terminare  tutti  iu 

tea  r  Andres  :  »  Molto  meno  posso  far  »  una  medesima  lettera  ».  St.  d'ogni 

i>  plauso  a  queVamiai,  siniat,  e  altri  lelt.  t.  11 ,  pag.  40.  ed.  di  Parma. 


212  D    E       R    I    T   I    S 

venire  vicendevolmente  ad  adagiarsi,  sarebbe  stato  bene 
indicarne  alcuna.  Probabilissimo  mi  sembra  che  canti 
ed  istrumeuti  musici  alla  moresca  non  sien  mancati 
d' introdursi  tra  noi  ;  ma  que'  canti  e  quegl'  istrumenti 
sempre  sono  stati  dai  nostri  rammentati  come  strepito 
piuttosto  che  musica  : 

Trombe ,  trombette ,  naccbere  ,  bussonl , 
Cembali ,  staffe ,  cennamelle  in  tresca  , 
Corni  ,  tanibur  ,  cornamuse  ,  sveglioni  , 
E  molti  altri  strumenti  alla  moresca  (170). 

E  s' ebbcr  giammai  imitazioni,  nel  più  basso  fondaccio 
del  popolo  se  1'  ebbero  (171).  Per  lo  contrario:  della  imi- 


(170)  Morganle  j  XVI,  26.  hanno  tulli  i  volghi  di  torcere  le  pa- 

(jyi)  La  (jual  condizione  con  mol-  iole   forcsliere    ad    un    tema    nolo  ), 

ta  proprietà  venne  ospiessa  dal  Redi;  quando  ,  dico  ,  confondeva  co'  frago- 

Turha  villana  intanto  rosi  ,talabalacchi    (   il    nostro    iricca- 

Applauda  al  nostro  cauto  ,  vallacco  )  , 

E  dal  poggio  vicino  accordi  e  suoni  Lo  calascione  rre  de  li  strumienfe  ; 

Talabalacchi ,  tamburacci  e  corni ,  quel  suo  Bacco  non  mostravasi  molto 

E  cornamuse  e  pifferi  e  sveglioni  ;  esperto  nella  storia  musicale.  I  Greci 

E  tra  cento  calascioni  elegantemente   ci  descrissero  1'  origine 

Cento  rozze  foroselle  egizia  della  pcsXu;   ridotta   da  Mercu- 

Strimpellando  il  dubbaddà  rio  a  calascione ,  ed  anche  della  tra- 

Cantino  e  ballino  il  bombaliabà.  sformazione     della    loro    itra    apol/i- 

Se  non  che  quando  ei  confondeva  il  nea  ,    la    quale  ben  potè  divenir    xi- 

calascione  {  eh' ei  chiama  co'ffsc/o«(? ,  !>apa  (chitarra)  quando  per  dono  di 

avvertendo  però  che  il  popolo  fioren-  Mercurio   venne   manubriata  ;    ma  fra 

lino  il  dice  ^««ascwne  aspirando  for-  tulli    greci     monumenti     perchè    non 

temente  la  prima  lettera  e  scambian-  v'  ha  esempio    di   un  Apollo  o  di  un 

do  la  L  in  N  per    quel    pendio    che  sonatore  qualunque  colla   vera  teitu- 


METRIARABI.  210 

tazione  degli  arabi  per  le    arti    civili    che    già  fiorenti 
rinvennero  ne'  luoghi  di  loro  dominazione  la  sola  pro- 


3ine  j  colla   vera  cetera?  La  figura-  havc   posseJed    for  many   agcs   after 

zione  del  calascione  e  della  chitarra  Uiis  column  (la  guglia  spezzata)  was 

è  ne' monumenti  egizi,   ed  evidente-  erected.  -  Burney ,  uò.siipr.,  voi.  I, 

incute  nella  Guglia  spezzala  di  Cam-  p.  ig6. 

pò  niarzio    in  Roma.    Appena    di  un         Ma  la   poca    erudizione    del   Bacco 

ìiiito  con  manico  assai  corto  troviamo  del  Redi   e  un    nulla   a   fronte   della 

1'  ellìgie  in  un  sarcofago  romano  (  V.  inconcepibile  nullità  erudita  di  un  en- 

Boissard,  tom.  I,  p.  145  ;  ed.  Grut.  p.  ciclopedista.    L'  autore    dell'  articolo 

81C)  \  Ed  islrumenli  di  tal  (atta  sono  ^raba  musica  wcW Enciclopedia  me- 

gentili  non  già  strepitosi  suumcnti.  E  /Of/rc«,  nel  passare  a  rassegna  gì' istru- 

riguardo    ai    vantaggi    del   calascione  menti  musicali  arabi,  e  parlando  del 

su  la  lira  apollinea,  ascoltisi  un  dot-  ft^^  {'^l"./r)>  cioè  del  nostro  cembalo 

tissimo  nell'arie  musicale.  »  Tliis  in-  ovvero  sia  tamburello,    ci  dà  la  pe- 

strument  (  il  calascione  )  seems  lo  me-  regrina  notizia  che  »  les  Arabes ,  qui 

rit  a   particular   deseription  bere  not  n  en  soni  les   inventeur ,    ont  pu    le 

only  fVoni  its  great  antiquity,  but  from  »  communiquer    aux    Espagnols  ,    et 

its  forni  :    for  by  Laving  been  lumi-  »   ceux-ci  aux  Basques.  h  Certo.  E  il 

slied  vvitli  a  neck ,  Irongli  il  had  bui  cembalo  non  solo  ,  ma  tutti  gli  stru- 

two    strings  ,   it  was   capable   of  re-  menti  clamorosi  delle  pompe  baccbi- 

ducing  from  them  a  great  number  of  clie  sono  d'  araba  invenzione  ,    come 

notes;  for  instance  of  illese  tvvo  strings  il  dimostra  tutta  l' anticbilà  figurata, 

vere    luncd    fourllis    to   cadi   ollier  ,  Come  d'  arabo  trovato  è  il  liuto ,  per- 

tliey    would    furnisli    tlial    series    of  cbè  dice  qucll'  enciclopedista  »  voici 

founds   ivliicli  the    aucient    callcd    a  »  sa.  genealogie  ,    selon  Ics  elymolo- 

licplachord,  consisling  of  two  conjonct  »  gisles.  Les  arabes  prononceut  avcc 

tetracbords  ,    as    B ,  e  ,    d ,  e  ;  E ,  »  leur    aceent    elaud.    Les    espagnols 

f ,  g  >  a  ;  and   if  the  strings   of   ibis  u  retrancbant  la  premiere  lettre  ,  ont 

instrumcnt  ,    like  tliose  on  llie  cala-  n  pronoocé  laoud.  Les  ilaliens  1'  ont 

sciane,  wcrc  luncd  filìhs,  ih ey  would  ji  adouci ,  sclon  le  genie  de  leur  lan- 

produce  an  octavc  ,    or  two  disjunct  a  gue  ,  et  ils  ont  dit  liout  o\i  Hutto, 

tetracbords  ;  an  advantage  wich  none  »  e  nous    (   francais  )    1'  avons  recu 

of  Uic  Grecian    iustruments   scem    to  »  d' cux  cq  pronoucant  lut/i.  »  Ceno. 


214  DE      B.    I    T    I    S 

babilità  degli  avvenimenti  render  ci  potrebbe  persuasi, 
quando  anche  V  araba  biblioteca,  or  non  più  arcana, 

Eiioncamenle  i  greci  dissero  oXiewtoj  dagli  Arabi  si  apprese  l'arte  della  na- 

quella  barchetta   the  tuttavia  in  ila-  vigazione  ,  non  comunicarono  ad  essi, 

lia  dicesi  liu/o  ma  da  essi  riceveano  il  modo  di  pro- 

E  brlgautin  ,  carovcUe  e  marrani ,  nunziare  quel   the  i  greci  addimauda- 

Liuti ,  saettie,  gonde  spalmate  vano  a\nvrov  ,    uzzo.    Ed   in   fatti  il 

(  31org.  XIKyiJ  ;  Uulo  è  detto  dagli  Arabi    T^.    E  gli 

erroneamente    si  è   dato  il   nome    di  arabi  portarono  in  cielo   il  liuto  che 

questa  barchetta   all' istrumento  mu-  poi  divenne  lira  (V.  Scalig.  «>z  .3/a- 

sicale  per  la  sua  forma;   ed  arabo  e  nilium ,  p.  424  j  ed.  1600).    E  grati 

non  romano  è  il  sarcofago  sopraccen-  a  tanta  erudizione   aggiugneremo  qui 

uato.  Che  anzi  i  nostri  e  tutta  la  co-  un  grazioso  distico  in  cui  1'  "^y  tro- 

sliera  d'  AnialQ,  ove  indubitatatnenle  vasi  in  "i»y  ingentilito  ; 

NnSoJN  T^i*Sx3  X\'y^X^  rilXJl  ^'^  ^adatm  mesakat  bì-'lu'dì  anmalnha' 

oSnn^  DTI^È^  TJi?  DfljSx  mXJ3  faku'dati-lnafso  anda-'Ihassi  iochtalaso 

Q^V  n3  ^n  iJO  NHXJJ  yODXs]  njj  gànnatfaasmaaghìna'ha^manhihizamamon 

Q-)5  T\2  Tl^N  ID  nJDnX  SnPI  fafia'l  ahsanti  man  azha'  bìhi  charaso 

TtHierae-virginis  prehendunt  citharam  digiti-  Con  tanta  leggiadria  di  questa  giovane 

extremietpropeestanimacumpuhateam,  Sul  liuto  le  dita  saltarellano, 
ut  ahripiaiur. 

Cantai  et auditu-donat cantas  eius  eum  apud  Che  dan  piacerea  quei  che  non  ascoltano 
quem  est  surditas  ;  et  exclamatj  optime  !  is 

cpud  quem  est  cc^Mvtu..  E  fan  dir  bravo  a  quei  che  non  FaTellano* 
Notte  331.  HuMB.  XII. 

Non  abbandoniamo  però  il  ditiram-  Or  questo  bombababà  è  un  prettissi- 

bo  del  Redi  senza   qualche    comento  mo  arabo  V'J"in  (  tergi  )   di    che  fu 

a  vantaggio  dell'  arabismo.  inventore    Moìn-eddin   Tantarani.    E 

Nella    nota   alla    parola   bo?nbaba-  chi  ne  dubitasse  ascolti    questi    versi 

là   è  detto  :   11   11  Bombababà  è   una  che  prendiamo    dalla    Chreatomathie 

canzone  solita  in  Firenze  cantarsi  dalla  del  Sacy  XV  (  p.  264  )  : 
turba  de'bevitori  plebei ,  e  comincia: 

Con  questo  calicione  <7S3  Ss^SsO  nS^Sa  Ip  Sx^Sn  'S5  X' 

Si  carca  la  balestra  ,  VnI  SsiSiSk  'S  Vp;»'?»!  'JnSINT  'IiSnO 
Chi  ha  '1  bicchiere  in  mano 

Al  suo  compagno  il  presta,  la  chalijja-'lba'li  qad  balbalta  bi-'lbaUba'li 

E  mentre  eh' ei  berà  bannava  zalzaltani  fa~'ldqloJi-'lzalza'ltza'U 

Kui  diremo  bombababà.  »  V.  Carme  congiukto. 


METRI      ARABI.  2l5 

non  avesse  ciò  spinto  a  storica  evidenza.  Or  si  sorride 
air  esagerazioni  di  chi  facea  grazia  ai  Greci  di  acco- 
starsi alcun  poco  alle  arabe  venusta  (172)  E,  conoscen- 
dosi e  non  più  immaginandosi  i  fatti j  dell'arte  metrica 
arabesca  valutar  si  possono  le  condizioni  ,  come  della 
imitazione  della  loro  dalla  nostra  musica  par  che  oggi- 
mai  promover  non  si  possa  più  dubbio  (lyo). 

(172)  Coìifitenduni  est  Graecos  ,  scese,  heft ;  ma  poi  impiegano  ie  loro 
eliiim  in  liac  re ,  ad  Arabum  laiidem  lettere  nella  progressione  appunto  e 
PROXIME  ACCEDERE.  Joucs  ,  Poes.  Valore  della  nostra  scala,  J,  do,  iil ; 
asial  coni.  p.  33,  ed.  Lipsiae.  "| ,  re;  |^  ,  mi  ; '\  ,  fu  ;  ^ ,  so/;^,  la; 

(173)  V.  la  nota  258. Qualche  cenno  3,  si  ;  e  per  gli  accordi  ^^  J3  5>{,  -^  mi 
alquanto  esleso  su  la  musica  araba  la;  OSSi  B  fa  si  ;  "Tj'J,  C  sol  do  ; 
abitiamo  in  La  Borde  :  e  il  testimonio  ce,  precisamente  secondo  le  regole  di 
insiememcntc  dello  sforzo  degli  Arabi  Guido.  -Abbiamo  tra  i  mss.  della  Rea! 
di  ridurre  in  un  sol  sistema  la  dot-  Biblioteca  Borbonica  un  codice  nel 
trina  musica  de'  persiani  e  la  nostra,  quale  il  sommario  si  espone  dell'  u- 
Pcr  darne  un  saggio:  essi  conservano  mano  sapere.Riguardo  alla  musica l'au- 
i  nomi  numerici  persiani  per  indicare  tore  arabo  cosi  espone  il  suo  schema: 

i  selle  \.u.om, gei ,  da ,  si ,  dar ,  peng , 

SCIENZA    MCSICA 

pratica  teoretica 

5     =      E- 


p'SioSx  ^hv 

hQV^ 

35 

X. 

nuj 

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y^   e:  X. 

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3 

a. 


3' 


2l6  D  K     n  I   T  I  s 

Termineremo  con  osservare  che  il  dottissimo  Jo- 
nes, prescindendo^  affatto  dalla  ragion  musicale  nella 
esposizione  die  fa  della  fabbrica  de'  versi  arabi ,  e  tra- 
ducendo costantemente  in  eleganti  versi  latini  e  sol  me- 
tricamente le  arabe  forinole  ;  di  questi  due  primi  cir- 
coli produr  non  potea  nette  idee,  e  l'innocente  cagione 
divenne  dei  tanti  deliramenti  di  coloro  che  a  ragionar 
si  fecero  delle  orientali  poesie  dalla  sola  lettura  de' 
suoi  brillanti  comcntari  (174)-  Tra  i  quali  non  intendia- 
mo r  Arteaga.  Che  anzi  :  se  nelle  felici  versioni  dei  Jo- 
nes avess'  egli  posto  pensiere ,  non  si  sarebbe  fatto  ad 
asserire  (lyB)  che  qualunque  imitazione  di  arabo  metro 


(174)  Uà  solo  esempio  giustifichi 
questa  osservazione.  -  11  carme  disleso 
ei  denomina  »  trochaeocreticum ,  con- 
s/ans  ex  epitiiio  et  atnphimacro  se- 
qiiente  epitrito .  . .  in  terlia  et  sexta 
sede  prò  epitrito  amphimacrum  ad- 
mittit ,  et  inìerdum  in  sexta  spon- 
daeum  ,  et  in  tertia  ac  sexta  anapae- 

StUm.    NONNUNQUAM   PENITUS   MU- 

TATUR  f^BRSUs  ,  et  in  primo  ,  tertio  , 
quarto  et  sexto  loco  ionicum  a  ?ni- 
nori  recipit ,  in  secundo  et  quinto 
anapaestum.  [u6.  supr.  p.  3i  et  32  ). 
Cosi  l'inuocentissima  chahna,  che  non 
solo  non  altera  ma  rettifica,  secondo 
noi  ;  il  metro  ,  verrebbe  a  cangiarlo  : 
e  V azfa ,  la  Latra,  ec.  sarebbero  in 
arbitrio  del  poeta  ,  come  indifferen- 
temente  il  dattilo    0    lo   spondeo  ,  a 


cagion  d'  esempio  ,  ne'  primi  quattro 
piedi  dell'esametro! 

Ma  quel  che  dee  maggiormente  sor- 
prendere non  è  solo  glie  della  distri- 
buzione de'  versi  arabi  per  circoli  non 
facciasi  in  que'  comentari  verun  cen- 
no ;  ma  nemmeno  dell'  ipermetiismo 
distintivo  di  questi  due  circoli:  iper- 
metrismo,  come  abbiam  veduto  ,  ne- 
cessario nel  primo,  volontario  o  arbi- 
trario che  voglia  dirsi  nel  secondo. 

(lyS)  Si  è  detto  dall'  Arteaga  : 
»  Molti  spagnuoli  ,  italiani  e  tedeschi 
»  hanno  riscosso  degli  applausi  adat- 
»  tando  alle  lingue  volgari  la  versi- 
»  cazione  degli  antichi  ,  nella  quale 
»  han  composto  non  solo  piccoli  poe- 
»  mi  ,  ma  anche  intere  epopee  ,  come 
)i  fra  le  altre  è  la  Messiada  di  Rlop- 


/ 


AI    ETRI       ARABI. 


21' 


sia   per  le   lingue  di  Europa  impossihii  cosa.  Ma    pro- 
seguiamo senza   più   delirare    ancor  noi  la  iioslra  via. 


11  stoc  :  (love  clic  sarebbe  afialto  im- 
»  possibile  elle  1'  orecchio  de'  mcnto- 
«  vati  popoli  soffrir  potesse  un  com- 
1)  ponimenlo  lavorato  interamente  nel 
>i  loro  idioma  secondo  le  leggi  e  V  n- 
»  sunza  dell'  arabica  poesia,  d  [JOel/a 
influenza  degli  ^rahi  ,  ec.  p.  47.  )  E 
questa  un'esagerazione  manifestissima. 
Ben  polca  Klopstock  ,  in  una  nazio- 
ne giovane  tuttavia  in   bella  lettera- 
tura patria  e  nelle  sue  mille   univer- 
sità latinizzante  e  grecizzante  ,  azzar- 
dare una  foggia  di  metro    che  non  è 
ne  Ialino  nò  greco   né  tedesco,    Qual 
de'  seguenti  poeti  ,  che  aspirasse  a  fa- 
ma popolare  e  non  accademica  ,  segui 
l' esempio  di  Klopstock?  Sydney  volle 
temare  altrettanto  in  Inghilterra  :  ma 
essendo  quivi  piii  provetta   nella  sua 
età  la  nazional  versificazione  ,  si  disse 
con  molto  spirito  che  il  suo   vcrseg- 

Tom.  IH. 


giare  zoppicava  di  mala  grazia  su  i 

piedi  romani  : 

And  Sydney's  verse  halts  ili  on  Roman  feet; 

eco  di  ciò  che  fra  noi  erasi  detto  alle 
insolenze  del  Tolommeì.  So  bene  che 
non  manchino  valorosi  ingegni  i  quali, 
con  argomentazioni  e  con  esempi  , 
della  possibilità  di  potersi  imitare  i 
modi  de' greci  e  de' romani  fecer  voti 
e  dimostrazione.  Citerò  fra  questi  ul- 
timi il  Solari,  e  fra  i  primi  il  eh.  Jla- 
renco  (  Rijless.  sopra  la  prosodia  me- 
trica italiana  di  Vincenzo  Mabbxco  , 
nelle  Mem.  de  Vacadimie  des  Scien- 
ces, Hit.  ctBeaux-arts  de  Turili,  1811 
e  1812,  p.  i55  ).  Pure  io  son  persuaso 
che,  se  d'  imitazioni  straniere  la  poe- 
tica italiana  avesse  bisogno  ,  il  che 
non  credo;  dalle  lingue  viventi  e  non 
già  dalle  morte  dovrebbe  andarle  ac- 
cattando 


2l8  DKRITIS 

III.    CIRCOLO    IL    SIMILE 

Comprende  la  cantilena,  la  satira,  il  canne  bre- 
ve ;  e  ,  come  già  cenuammo  (176)  ,  gli  epitri  nel  loro 
isolamento.  Quindi  sua  caratteristica  è  la  divisione  di 
ciascun  verso  in  altrettanti  pcriodetti  simili,  in  altrettanti 
versetti  slegati,  lutti  della  stessa  forma.  Ed  io  non  dubito 
che  per  tal  condizione  appunto  il  distintivo  di  simile  a 
questo  circolo  si  attribuisse  (177). 

Nel  quale  i  metri  veramente  musicali  dell'  araba 
poesia  rinvenir  si  dovrebbero ,  e  insiememente  i  più 
vicini  alle  nostre  canzoni  popolari.  Corrono  in  fatti  pel 


(17G)  pag.  i3i.  la  sii7iigUanza  de' piedi ,  tutu  ài  cìn- 
(177)  Rispettabili  autori  danno  il  que  lettere  anche  nel  circolo  quinto, 
nome  di  estratto  a  questo  terzo  circo-  Simiglianza  più  caratteristica  sarch- 
io ,  e  quello  di  simile  al  quarto.  Ci  be  1'  unicità  della  formola  similmente 
è  piaciuto  seguire  il  Guadagnoli,  e  non  ne' versi  di  questo  circolo  ripetuta: 
ci  è  sembrata  affatto  cieca  una  tal  ma  ripetizione  uguale  abbiamo  ancora 
predilezione.  Il  Clerico,  nel  deno-  ne' versi  de' due  altri  testò  citati,  se- 
minar s^V^z^7eil  circolo  quarto  n*^*J^~)7{{  condo  e  quinto. 

nn!3nji'0V^("'^^'^""^'"^''°'''"<'''^''^'^'^''^'"  La  simiglìanza  che   pare  esclusiva- 

to  ),  ne    deduce    il    significato    dalla  mente  appartenere  ai  versi  di  questo 

simiglianza  de'  piedi,   tutti  di  sette  circolo  par  che  deggia  ricercarsi  nelle 

lettere.  Ma  piedi  tulli  di  sette  lettere  parli  componenti  ciascun  verso,  come 

ha    benanche    questo    circolo  terzo  :  or  ora  sarem  per  vedere, 

abbiam  veduto  piedi  tutti  di  sette  let-  Anche  il  Casiri  atlribuisce  il  nome 

tere  anche    nel  secondo  :    e   vedremo  di  simile  a  questo  terzo  circolo. 


METRIARABI.  2ig 

movimento  iainbico  la  cantilena  e  la  satira  ;  pel  tro- 
caico il  carme  breve.  Ma  la  cantilena  altro  non  è  che 
il  canne  esuberante  ,  non  altro  la  satira  che  il  carme 
perfetto,  entrambi  senza  ipermetrismo  ;  e  assai  di  rado , 
pel  pendio  della  poesia  araba  al  movimento  bassarico , 
i  versi  si  rimangono  a  stretta  legge  de' modi  iambici  da 
capo  a  fondo  del  poema.  Del  resto  è  legge  dottrinale 
che  un  poema ,  qualunque  ne  sia  1'  estensione ,  se  una 
sola  volta  mostri  la  presenza  dell'anapesto;  non  già 
alla  cantilena  o  alla  satira  ,  ma  al  carme  esuberante 
o  al  perfetto  sia  da  rifex'irsi  (178). 


(173)  Vedremo  questa  regola  appli-  ordinamento  alle  sue  regole?  Tutto 
carsi  anche  al  carme  veloce.  Ma  per-  giustifica  quel  che  fin  dalle  prime  pa- 
che non  cslcndctla  altresì  a  tutti  gli  gine  enunciammo  :  Aversi  nella  poe- 
altri  generi  di  versi  ne' quali  riduzio-  tica  araba  un  sistema  di  puro  artifi- 
ri  di  simil  natura  si  rinvengano?  E  zio,  per  trarre  àMe  mohallaqa' o^nì 
perchè  non  già  dalle  forme  piìr  som-  spezie  di  versi  ,  come  dal  senario  iam- 
l'ilci  alle  pili  complicate,  ma  da  quc-  bico  o  dattilico  i  nostri  gramatici  tutti 
ite  a  quelle  piacque  ad  Al-Chalil  dare  i  versi  minori  facean  discendere. 

* 


220 


DE       R    I    T    I    S 


CANTILENA    O    CARME    PIGOLANTE 

Il  nome  di  cantilena  dato  a  questo  genere  di  versi 
deesi  al  Guadaguoli  (179).  Non  pare  clie  v'abbia  esem- 
pio di  essi  nel  periodo  senario  (180):  nella  forma  gia- 
zata  o  quaternaria  l' aruza  è  sempre  sana ,  e  le  zarbe 
son  due ,  sana  e  adfata.  Lo  schema  n'  è  questo  : 


FORMOLA. 

INTERA. 

QABZATA. 

KAFPATA. 

ADFATA. 


mola' 

hi'lon 

mufa'   hi'Jon 

_ 

^ 

„    _    _ 

Ma  in  versi  isolati  mi  sono  imbattuto,  in  un  poema 
non  mai  il  quale  corresse    esattissimamente  per  questo 


(179)  L' adoltiamo  perchè  ritenuto 
dal  Clerico  e  dal  Casiri ,  comunque 
dal  Jones  gli  si  dia  il  nome  di  car- 
ine lirico.  »  Carmen  JJn'^X)  dite' il 
primo  di  questi  autori ,  ob  minuritio- 
neni  vel  reciprocalionem  vocis  ita  di- 
ctum  :  latine  c3Xiù\c\i3Ta,  Lai-bare  ma- 
drigale indigitavit  Guadagnoiiusv. 

(180)  Factor  chazragiacus,  dice  il 
Guadagnoli ,  prò  priori  specie  (de'ver- 
si  del  3.°  circolo)  quae  dicitnr  j|tn'7X 
cantilena,  affert  exemphoìi; 


Nni  ID»  '0103  S'nXD  ibi  1S13 

ElperdeserlumDsim,  seu  montaoaum,  tnstis 

duxit  eos  ; 
Ita  et  si  mortui  sunt ,  tamen  Moyseì  adsrui 

heros. 

Il  verso  leggesi  cosi  : 

i-abistahti-'zzi'ma  ba'sa'n  iadu' dohom       ria' 
kdda'ka  vaia  v  md' lava  famu' sa' amron  vado- 


M   E   T   R    I      A    R    A   B    r.  221 

metro.  E  lo  stesso  diligeutissimo  Clerico  par  che  non 
sia  stato  più  felice  (18]).  Versi  di  tal  fatta  vogliono 
andar  considei'ati  ,  del  paii  che  il  canne  simile  e  il 
carme  evulso  ,  come  altrettanti  settenax'i  ipcrmctrici  , 
i  quali  conscguentemente  o  crescono  sino  a  divenir  no- 
venari ,  come  abbiam    già  veduto    (18-2)  ,    o    prendono 


Meno  irrcgolarmenle  il  Jones,  par-  Dei  reslo  lo  stesso  illustre  serittore  , 

landò   alla  sua   maniera    della  forma  nel  ragionar  poi  di  questa  sesUi  spt 

azljata  del  carme    esuberante  »  non-  eie  di  versi  arabi,  quantunque  il  pe- 

nuìujuam ,  dice,  hoc  camiinis  gemis  riodo  senario   par    che    non    escluda 

in  singulis  locis ,  excepto  ter/io  et  iil-  (  versus  sunt  plurimum  quaterna - 

timo  ,  ubi  saepius  est  baccldus  (  do-  rii  )  ,  pure  non  ne  dù  veruna  formola. 
vea  Ahc  semper),  primum  epitritum        (181)  Ei  propone  per  esempio  della 

admiltit,  ut  prima  zarba  il  seguente  verso: 


Amatores  \  puellarum  |  misellos  "Vììhm  n!<'7ÌDx'7X3 
OceUoruTTi  \  nitor  muUos  |  fefdlit, 
nisi  hi  versiculi  potius  ad  sexlam  ma  soggìugne  ;  n  Hic  versus  a  plu- 
speciem  pertineant.  Certo  :  la  formola  rimis  qui  de  re  metrica  scripserunl 
correrebbe  pei  periodo  senario  della  hoc  loco  aff'eiiur ,  cum  revera  sii 
cantilena  had/ata.  Ma  oltre  che  nes-  Exuberans  asbatus  ex poemate  Tarfae 
sua  poema  arabo  si  produce  ad  cscm-  desumptus,  in  quo  pes  JìlSvjJJJJ  a/i- 
pio,  il  verso  eh' ei  dà  del  persiano  quoties  occurrit:  hoc  enim,  indi  ciò  , 
Hafez  al  carme  perfetto  e  non  all' <?««-  si  vel  semel  tantum  in  tota  poemate 
berante  ,  e  molto  meno  alla  cantilena  accidat,  lutee  duo  carminwn  genera 
si  appartiene  per  la  presenza  dello  a  se  invieem,  discernuntur.  Il  che 
spondeo  fin  dal  primopiede  e  dell'ana-  s'abbia  per  altro  argomento  a  dimo- 
pesto  nel  secondo:  strazione  che  tutto  il  dottrinai  sisle- 
cSxBa  "3  i'xii  tsTty  XWi5  *""  elevato  da  Al-Chalil  sia  non  di 
B'hs  n  is  ixin3:  HTJIXhS  rado  da  attribuirsi  a  mera  imitazione 
Ah  duiccm  iirbem  Sc/iirazum:  et  situiti  eius  Straniera. 

exmiium  (182)  Alla  p.  186  e  segg.  e  nota  17S. 

O  Deus,  hanc  urlem  a  ruina  defende l 


2-22  DE      R    r   T    I    S 

1'  andamento  sillabico  di  settenario  regolare.  Quindi  ,  a 
sentenza  dei  dottrinali  ,  non  solo  per  la  adfa  ridu- 
cesi  il  secondo  emistichio  a  settenario  puro  ,  ma  la  sa- 
dra  altresì  può  in  piena  facoltà  del  poeta  raccorciarsi 
per  la  channa  ,  la  charaha  e  la  sciatra  (i85).  Ed  è 
notabile  che  gli  antichi  gramatici  non  altrimenti  sapes- 
sero del  nostro  vecchio  settenario,  elemento  del  numero 
saturnio  ,  dare  altra  origine  se  non  per  l' industria  di 
tai  troncamenti  (184). 


(i83)  V.  p.  Go  ,  y.  44-  Nella  can- 
tilena e  nel  carme  simile  la  clianna, 
la  cliaraha  e  la  sciatra  si  considerano 
come  zihafe  appunto  perchè  tai  versi 
vogliono  andar  considerati  come  al- 
trettanti versi  settenari.  E  lo  stesso 
par  che  deggia  dirsi  del  carme  evul- 
so ,  quantunque  i  dottrinali  non  ne 
faccian  parola. 

(184)  At  quum  suprema  claudicai  . . . 

Agnoscere  haec  potestìs 

Cantare  quae  sclemus  : 

Memphitides  puellae 

Sacris  deum  parate...  Terenziano. 
Ed  è  questo  quel  settenario  anacreon- 
tico ,  non  elahoratuni  ad  pedem  ;  del 
quale  diise  lo  stesso  gramatico  : 

At  choriambus  iinus 

Praeditus  antihaccho 

Claudicai  ut  priorcs  : 

iriderò  sì  novelli 
Versus  erit  poetae  : 

LeX   TJMEN    l'2fA    METRI    EST. 


Tinctus  colore  noctis. 

Dabunt  malum  Metelli. 

Tnacliìae  puellae. 

Seu  bovjs  ille  custos . . . 

Tu  genus  hoc  memento 

Reddere  quom  reposcam. 
Ma  affinchè  versi  di  tal  fatta  non 
vengano  a  fastidirsi,  evitar  conviene 
quella  ripetizione  monotona  che  li  ri- 
produca aggiogati  a  due  a  due.  Perciò 
appo  gli  A.rahi  e  i  Francesi  o  l'un  seU 
tenario  nell'altro  si  fonde,  o  si  esten- 
dono in  ottonari  iamhici,  o  almeno  ia 
settenari  sdruccioli ,  giusta  gli  esempì 
allegati  alle  note  96  e  164.  Ed  è  no- 
tabile che  di  tutte  le  canzonette  che 
ci  rimangono  di  Anacreonte  ,  se  mai 
sen  rinvenga  alcuna  di  numero  pari 
di  versi,  v'ha  sempre  tal  fluttuazione 
di  moto  che  i  'compartimenti  appaia- 
no simmetrici  bensì ,  identici  non  mai. 
Tanto  è  lontano  che  della  squisitezza 
anacreontica    ci    sia    dato    acquistare 


METRI      ARABI.  220 

Ma  come  non  mai  della  cantilena  jnira ,  cosi  nem- 
meno del  puro  settenario  piano  seppi  trovare  appo  gli 
arabi  alcun  esempio.  Una  combinazione  regolare  di  set- 
tenari e  di  ottonari  iambici  abbiamo  nel  divano  di  Ali, 
ma  quel  poema  si  appartiene  al  carme  simile,  ra- 
gionando del  quale  ne  trarremo  un  saggio.  Versi  di 
settenari  sdruccioli  vedemmo  nella  forma  giazata  del 
carme  perfello  :  altri  sarem  per  vederne  nella  forma 
anche  giazata  de' carmi  leggiero,  simile,  conciso,  evul- 
so ,  ed  anclic  congiunto  ;  ma  per  av^re  una  serie  di 
meri  settenari  piani  nella  loro  purità ,  bisogna  correre 
sino  al  Corano  (i85). 

Intanto  per  non  fare  che  la  cantilena  manchi  affat- 
to di  un  esempio  anch'  esso  ,  que'  versi  giovi  apporre 
che  nel  vago  del  loro  originario  tipo ,  per  tre  percus- 
sioni in  ogni  emistichio  si  veggoii  procedere,  e  sillabi- 
camente son  settenari  ,  ottonari  e  novenari  ancora. 


un'idea  colle  traduzioni  a  coboletle.  lacuna  di  die  né  il  Paw  nò  altro  cri- 
Valga  d'esempio  la  scgucnle  odicina  tico  ch'io  mi  sappia  avea  preso  so- 
contro    la  quale    il  Paw  menò    tanto     spetto.  Io  non  so  se  la  teorica  dell'aria 


rumore  : 

IllVSt   0!    OiV^fli  ccvrTiV 
Ilivst  dì  otvopx  0   avùx' 
Iliru  d-ttXàffffx  S*  avfxs  , 
O  5'  'n\ioi  5u\xaffct9  j   * 

Toc   O'  'uXiOC   Ci\7]l^. 

Ti  ^01  ^ax«ffS'  'eraipoi  , 
K*  avTw  OiKovri  vivili' -^ 

La  pingue  terra  bee  , 
E  beonsi  lei  le  piante  ; 
Le  piante  bec  1'  auictta  ; 
Le  aurette  il  mar  si  bec  j 
Il  sol  bccsi  il  mare 
E  bec  la  luna  il  sol. 

Perchè  ,  se  tutto  bec , 
llere  non  deggio  io  sol? 


migliorala  pei  vegetabili  fosse  nota 
agli  anlithi  :  so  benissimo  però  che 
la  serie  de'  bevitori  e  de'  bevuti  tro- 
vasi altrimenti  interrotta  ,  e  lutto  il 
pregio  di  qucsl'  amabile  cosctlina  è 
perduto.     - 


(■85) 


vaddarijati  liari-an 
fa-lha'mia*ti  vigran 
fii-'lQÌa' rialti  Josrart 
fa-^lmalqi'lati  hamran 
Per  ventilatriccs  ydiittlationes.  Et  pfr  ge~ 
itanles  onus'  Et  currenles  faciliter.  Et  aS' 


Vi   abbiam  supplito    il  terzo  verso,     sequtntes   negolium.  Sura  de  Tentilantibus. 


224  ^  ^      n   I   T  I   s 

-i'3nD::''N'  nnnn  *  yhha  i^^ni^^Ni  \s*    i 

inn  '3  n^3pN*  np  *  NJona  p'p::»  foì  4 

*T)D'3^t:'?N'  jDijnSx  *  "l'i;;  nrj  3'cd'  5 

"inj  'nB  nSj  *  iNn;?  nnir  dnSni  6 

-lìi'i^Sx  n:Dn  *  cu  'S  SapN  ■nì'^Nì  7 

VERBUM     VERBO   (*). 

Euge!  per  splendldum  ver ,  etjlores  eius  nitidos, 

Narcisswn  et  parthenturn  similes  ociilìs  et  dentibus, 

Et  iasminum  tanquam  colorem  amatoris  solitarii  , 

Et  anemonem  slmilem  formae puellae  quae  venit  serico  (vestita ) , 

Et  odorem  suavem  unguenti,  violam  pluvia  irrigatam , 

Mirlique  florem ,  similein  lanugini  in  gena  hinnuli  succo  pieni , 

Et  rosam  cum  exercitu  venientem ,  cuius  pulchritudo  victrix  est. 

■    Di  Abki  Ahi  Haoelab.  -  Jones,  pag,  iC3. 

Il  movimento  metrico  di  questi  versi  non  corre 
sempre  per  la  formola  della  cantilena  ,  ma  nemmeno 
del  carme  simile  e  àoW  evulso,  che  sono  le  tre  specie 
degli  ottonari  iambici  dai  dotti-iuali  determinate  :  e 
considerando  isolatamente  il  tale  o  tal  vci'so,  ben  può  il 
poema  a  qualunque  delle  tre  formole  riferirsi.  Il  che 
deriva  dalla  libertà  del  movimento  iambico,  il  quale. 


(*)  Riteniamo  la  versione   del  eh.    cosa  ci  sembrasse  doversi  variare. 
Jones,  (juaatunijue  qua  e  là  qualche 


U    E   T    R    I       ARABI.  235 

I   ajjo  va-rrahi'i-nnazi'rl  ||  vazahrihi- Imostani' ri 
a  min  nargisiii  vaaga'hia  \\  kaùjani  vataghy'rin 

3  V aj ci' Siili'' nin  kalavni-l  [j  molajjinn-lniahgy' ri 

4  va  min  sciagi'qin  kahosna'i  ||  qad  aqhalat  fi'  harì'nn 

5  va  tVbinasciara  àbi'ro-l  [j  banafragi-' l niamty ri 

6  va-lasi  sciabaha  àdà'ra  \\  bichialli  ioba'  gàririn 

7  va-lvardi  aqnalafi'  giaj  jj  sci  liasniki-  Inianzy' ri 

VERSIONE      M  ET  II  ICA. 

Rinfiora  la  nostra  riviera  la  splendida  primavera. 

Degli  occhi  tuoi,  de' tuoi  denti,  non  vedi  l' immagin  vera, 

Cloe,  nel  narcisso  e '1  partenio  ?  Non  vedi  nella  mia  cera 

Il  gelsomiu?  Nell'anemone  il  guernellin  di  Neera? 

È  l'alilo  tuo  soave  nel  fiorellin  della  sera: 

E  in  quelle  ciocche  del  mirto  tua  morbida  capigliera  ; 

E  tutta  sei  nella  rosa  colla  pungente  sua  schiera. 

anche  rendalo  sillabico  ,  ha  quella  felice  fluttuazione 
di  accenti  che  il  rendè  metro  prediletto  de'gentili  inge- 
gni nella  squisitezza  dell'  antica  e  della  nuova  civiltà. 
Chepperò  in  questo  e  in  qualunque  altro  poemetto  arabo 
in  ottonari  iambici,  assai  di  rado  con  versi  c'incontrere- 
mo i  quali  si  riproducano  inflessibilmente  per  una  sol- 
tanto delle  tre  formole.  Eccone  pertanto  un  altro  esem- 
pio (i86). 


(i86)  La  ^  nell'ultima  parola  dei  se-     hersa:  ma  questo  è  un  altro  esempio  che 
tondo  emistichio  vuol  esser  mossa  per     conforta  la  nostra  osservazione  che  le 

Tom.  ni.  ag 


226  DE      R    I   T   I    S 

'2")n  ip  ''^  Tpa 

NnnSx  '£3  nShnj  od    4 
'33no  nnSx  'a  ndSxj;i 

V   E  R   B  U  M      V   E  R  B  O. 

1  O  ardor  temporis ,  desine  : 

Si  non  desinis  ,  salteni  nieìior  fias. 

2  Exivi  quaesitiirus  victain  meiim  ; 
Et  dietimi  est  mi  hi  :  laiii  periit. 

3  2Vec  per  sortem  Jìieani  bonis  dojion, 
Nec  per  operavi  inaiius  nieae. 

4  Quot  ignari  in  Pleiadibus  ! 

Et  docti  in  puluere  absconduntur  ! 

HUMBERT. 

Gli  esempi    della  seconda  zarba  e  degli  accorcia- 
meuti  della  sadra  per  la  charina ,  la  charaba  e  la  scia- 


ioni  aspirazioni  arabe  della  y  e  del-  beit  ,    che  le    parole  '")n7X   'Ì3    """ 

la  J  ,  comunque    gramalicalmente     o  sicno  stale  aggiunte  da  un   inetto  co- 

radicalmente   deggian    muoversi  ,    ri-  pista  il    quale  ,    senza   brigarsi    della 

Icngon  sempre  la  loro  originaria  voce  misura    del    verso  ,■    avrà    voluto    ad 

inclinantissima  al  fata  e  con  questa ,  ogni  costo  fare  un  giuoco  di  parole  : 

sempre  mai  convertibile.  io  fatti  ,  se  si  tolgano  ,  si  ristabilisce 

Ed  ecco  versi  che    si    risolvono  in  il  metro   esattamente  ».    Ma   tolte    le 

emisticbii  non   solo    di    sette  ,    otto  e  parole  '"in'^X  '3  '  ^'  eniistichio  ridu- 

nove  sillabe,  ma  amlie  di  dicci  ,  co-  cesi  a  sei  sillabe.  Noi  crediamo  averne 

•  me    nel    secoudo    dell'  ultimo    verso,  la  ragione  in  ciò  che  si  è  cennalo  alla 

(c  Non   dubito,   dice   il  signor  lium-  nota  178.  Si  osservi  in  fine  clic  antlie 


M    E    T    R    I       A    n    A    B    I.  227 

1  ia  harqala-  ddaliari  laffì'' 
in  lam  taqajffT  faìJJV 

2  chari'ig'lo  òrUihi  rizcjl 
faqCda  W  gada  tavaffi^ 

3  feda'  hi I latti  àta' 
uakì'  niscian  àta  haffi 

4  kam  gia'Iuan  JV-lturajja 
iiaà-lnuin  JC-llarcC  motachaJfC 

VKRSIONE      METRICA. 

E  dalle  ,  fortuna  ,  via  dalle  : 

Prosegui  che  ho  forti  spalle. 
Me  n'  esco  a  busca  d'  un  tozzo , 

E  dicoumi  :  È  a  Seravalle  (*)  .' 
Nulla  ho  per  parte  :  e  per  arte 

D'  averne  in'  è  chiuso  il  calle. 
Oh  quanti  ciuchi  a  le  stelle!... 

Ed  oh  quanti  dottori  a  le  stalle! 

/ra  quali  son  dati  dai  dottrinali  trascriviamo  in  pie  di 
di  pagina  (187), 


Id  3  dell'  ultima  parola    ♦33j~)J3    do-         (187)  earba  n\pfATA. 

vrcbL'  cssci-  mossa  per  kesra  ,  iiicnlic       blSlS.x  nuSsiJ  •  a-i-Sx  -jSax  "ino  «t» 

la  rima  esige  fafa. 

(*)  Della  grande  rotta  e  piena  di 
sangue  avvenuta  in  Seravalle ,  v.  Ma- 
cliiavelli  ,  P'ita  di  Caslriiccio.  Chi  poi 
non  fosse  contento  di  questo  fatto  mu- 
nicipale,  legga  ;  È  a  Roncisvalle  ;  0, 
secondo  il  dire  de' nostri  popolani;  a 
AJaravatle, 


VERSO   CHARJIATO, 

D'is;»  Vf^jSì^  i^iD*  nnNi'PDx  So  «hk 

VERSO    CHARAB^TO- 

•nx  r  XÌXD  KTDK"D1D  13K  JK31K 

VERSO    SCIATBATO. 

m3>'  «'DJ  KD'SI  '«iriND  ip  ['^Sl<  "9 


aaS  DE    R  I  T  I  s 

SATIRA    0    CARME    TREMOLO. 

Il  suo  schema  è  questo  : 


rORMOLA 

uios  taf 

hi  lon 

inos  taf 

hrlon 

inostaf 

hi  lon 

ì 

• 

INTERA. 

- 

- 

V.                   _ 

- 

- 

w 

- 

- 

„ 

CHABNAT. 

- 

- 

" 

TAIATA. 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

GHABLAT. 

" 

" 

- 

" 

- 

w 

Dal  che  l'analogia  vien  chiarita  e  insiememente  il 
vicendevole  scambiarsi  di  questa  specie  di  versi  col  car- 
me perfetto.  La  formola  intera  altro  non  è  che  il  carme 
perfetto  izmarato  ;  e  la  chabnata  e  la  taiata  corrispon- 
dono alla  forma  vaqzata  e  alla  giazlata  di  quello.  Ri- 
marrebbe di  esclusivo  alla  satira  la  sola  forma  chablata. 

Mentre  da  un  canto  i  nostri  antichi  gramatici  dal- 
l'epitrito  terzo  le  variazioni  tutte  del  iambo  derivavano, 
pessimo  dissero  quel  iarabo  nel  quale  terminassero  le 
parole  co'  dipodii ,  come  : 

P raesentiuni  divinitas  caelestium. 
Non  mancò  Al-Chalil  di  adottare  anch'  egli  questo  dot- 
trinale anatema ,  così  leggendosi  nel  Qamus  :  TSi  ìirhìi 

ri*7pì  rt^ma  y^is^rh  'od  nxia  no  jSj;s3nDD  njn  iv^^a  p 

naa  hT-fpSxD  nnnxSsì  nxSnNì   //  carme    tremo/o    è    una 
specie  di  metro  la  cui  misura  é  mostafhilon  sei  polle 


MRTRI      ARABI.  229 

ripetuto.  E  vien  così  denominato  a  motivo  delle  brevi 
sue  parti  e  delle  poche  lettere.  E  stimò  Al-  Chalil  non 
essere  una  specie  di  versi ,  ma  sibbene  metà  o  por- 
zione di  versi ,  o  piuttosto  una  terza  parte.  E  perciò 
dicesi  estemporaneo  (  alargiu'zato  )  o  eruttato  (  alqa- 
zi'dato  ).  Sembra  che  assai  leggennonte  quesL'  autorità 
del  Qamus  siasi  voluto  ribattere  (188). 

É  celebre  il  baccano  del  nostro  Marini  nel  suo 
Adone  : 

Or  d' ellera  s'adornino  e  di  pampini 

Co'  satiri  le  vergini  più  tenere  ,  ce. 


(i88)  Non  est  audicndus  ,    dice  il  Ma  ciò  che  si  rende  inconcepibile  in 

CXtiìco,  Kamusii  aut/ior,  qui  Clelia-  un  autore    di  tanta   eiudizione ,   è   il 

litum  existimare  alt  fJI^N  non   esse  confondere  ch'ei  fa  la  purità  del  iam- 

speciem  carminis  :   cuni  inter  quin-  bo  col  dividere  il  verso  in  tanti  di- 

decim  carminum  genera  ab  ipso  Al-  podii  isolati.  Ragionando  della  forma 

<:halilo  ponalur  ,    aòsque  quo  nume-  aqlata.  del  carme  esuberante ,  la  qual 

rus   ille    non   constai.    Par    che    non  se  corresse    in    tutti   i    piedi   darebbe 

trattisi    di  escludere    affitlo   il  carme  iarabici  puri  trimetri  catalellici  (  come 

tremolo  dal  numero  da  Al-Chalil  fis-  dallo  schema  pag.  i65.  ),    dopo   aver 

salo   de'  vari   generi   de'  versi    arabi  ,  dato  ad  esempio  quc'  versi  di  Orazio; 

ma    di  togliergli    la  qualità    di  verso  Trahuntque  skcas  machinae  cannas : 

iatero  ,  e  considerarlo  cOme    una  se-  Nec  piata  canis  albicant  pruinis ; 

guenza  di   trisillabi  sdruccioli.  soggiugne:  sedaraòici  j-c/Riojtsssunt, 

£  per  la  stessa  autorità  del  Qamus 
par    che    sia    in    difetlo    la   consueta  "iKSp       «in^pS       hlXlD 
esattezza  del  dottissimo  Jones  quando  la  ^>03       NDniDi       «ajXJ 
riduzione  del  carme  tremolo  alla  for- 
ma nahialo-sciatrata  dice  di  raoder-  menazilon  |  Idartana  \  kifa'ran 
na  invenzione.  Praeterea  ajiud  rece.n-  cainnama  \  rosumoha  \  sothu'ron, 
tiores  quosdam  poetas  versus  est  brc- 
oissimus,  qui  ex  uno  epitrito  constat.  V.  la  seguente  nota  {'*) 


200  DE       R    I    T    I    S 

Or  io  non  "dubito  che  per  la  somiglianza  dell'  andamcn-. 
to  prosodiaco  dell'  arabo  arràglazo  con  questo  bacca* 
no,  siaglisi'dal  Guadagnoli  il  nome  di  satira  attribuito:, 
nome  adottato  dal  Clerico  e  dal  Casiri  (189). 

Quel  che  notammo  per  la  cantilena  va  qui  ripe- 
tuto per  la  satira.  Poemi  interi  che  serbino  costante- 
mente da  capo  a  fondo  il  metro  dottrinale  non  cono- 
sco, sia    nella  tripla  ripartizione  secondo    la  mente    di 

Esempio  del   Guadagnoli  [*) 

♦nNnaNo    NnanN»    nì"ib'3o 

V  E  E.  13  U  M       VERBO. 

Nunquam  venit  nisi  ajf'erat  per  scientiam  sitani 
bonus  nuncius  noster:  o  dilecte,  vali  quid  attulit  nohisì 

JIsEMPio   DEL  Jones. 

m£3D     NnDIDI      N0JX3 
VERBUM      VERBO    (**). 

Tentoria  sedi  nostrae  desertum  (  facta  sunt  ) 
Quasi  vestigia  ipsoruni  lineae  (  sint  ). 

E  come  se  fosse  destino  di  questo  genere  di  versi 
l' attribuirglisi  modi  non  suoi,  ecco  altresì   un    distico 


(189)    Comunemente    s'  interpetra  primo,  e  perciò  il  verso  non  può  ap- 

carme  tremolo   o  perturbalo  ,    traen-  partencre    altrimenti     che    al    carme 

dosene  1'  etimologia  dai  cammelli  che  esuberante. 

per  dolore  ne'  piedi  o  nelle  ginocchia  (**)  11  Jones   non   ne   dà   versione. 

con  vacillante  e  stanco  passo   prece-  Pare  che  NJIpN*?  "°"  possa  leggersi 

dono.  se  non  leqarratiiia  ,  un  iambo  ed  un 

(*)  Il  dice  dato  dell'  autor  chazr.igia-  anapesto  -  -  -  ^  -,  itiofahilaton;  il  che 

co,  p.  291.  Ma  J{J*^[J,'3J3  e  un  epillilo  restituir    dee    anche    questo   verso  al 


METRI      ARABI.  201 

Al-Chalil,  sia,  come  largamente  s' interpelra ,  nel  pro- 
cediiuento  ordinario  degT  iambi.  Sempre  in  quest'ultimo 
caso  qualche  verso  non  manca  il  quale  l'ipcrinetrisnio 
non  offra  del  carme  esuberante  o  ùv\  perfello.  Ma  v'ha 
dippiù:  gli  stessi  frammenti  che  si  producono  ad  esem- 
pio più  ai  versi  del  secondo  circolo  che  alla  satira  sono 
da  attribuirsi. 

ma'  acjbalat  :  ma'  atcù  :  biihniha'  : 
mobùsscirna'  :  ia^  /labbada'  :  via'bihiaUC. 

VERSIONE      METRICA. 

E  un  angelo  che  i  soliti  prenunzia 
Propositi  di  giubilo  ,  e  or  gli  annunzia. 

mana'zilon  ìaqairatinoi^  qaftCron 
kaùinamà'    j-asii'mo/ia'    salu'ron 

VERSIONE. 

Qui  sorgeano,  in  quest'eremo,  le  tende: 
Come  tenui  ne  appaiono  i  vestigi  ! 

che  non  altrimenti  che  alla  forma  raflata  del  carme 
perfetto  giazato  può  appartenere  (190). 


carme  esuberante.  Vero  è  che  parlan-  n  pelle  fJl'^X  Ij'^^J  melrunt  Ireinii- 

do  del  carme  csubcranle  ci  l'allega-  »  luìn.  Oii  le  figure  a[nì\mostnf/iiloii , 

va.  Come  però  dicoa  die  cofresse  per  »  mostafhi/on  ,  mosìaf/iilon  ;  tram  ici 

iambi  puri?  E  perchè  lesse /eX-arfa/j«.'  n  le  dernicr  wni/a/A/Vo/Jeslretranché  , 

E  perchè,  mentre  di  tutti  i  versi  a-  »  e  les  deux  qui  reslcnl  sont  changcs 

rabi  che  riporta  dà  una  versione,  di  ><  en  mostaf/iila' tori    moslaf/iilatoii.  n 

questo  poi  la  trascurava?  Cosi  l'illustre  editore.  V.  la  nota  148. 
(190)  )>  Est  sur  le  mètrc  qu'on  ap- 


93%  »  B      K   I  T  I   S 

VERBUMVERBO. 

Equideni  habitus  cius  muscus  est ,  genaque  rosa  y 
Et  dentes  margaritae ,  et  saliva  vinuni , 

Et  statura  ramulus ,  et  naies  arenaceus-collis , 
Comaque  nox ,  et  vultus  plenilunium. 

Notte  73,  go,  277.  Humb.  XXX. 

Quel  che  v'ha  di  notabile  sulla  forma  del  canne 
tremolo  si  è  che  in  questo  ritmo  appunto  la  musica  or 
si  compone  che  serve  di  sostegno  al  canto  de'  nostri 
attuali  trovatoi'i  ne'  loro  improvvisi  in  endecasillabi  : 
ritmo  scolpitamente  identico  all'  acclamazione  delfica  e 
alla  tripla  ripetizione  dell'arabo  niostafhilon ,  ma  che 
intanto  con  gran  disagio  e  non  senza  molta  industria  è 
adagiabile  all'  andamento  degli  eroici  poemi.  11  che  ci 
obbliga  a  far  qualche  cenno  della  vera  indole  de' nostri 
versi  maggiori  e  de'  versi  corti  che  ne  derivano. 

Che  il  Castelvetro  nelle  giunte  alle  prose  del 
Bembo  ,  per  ribattere  le  idee  di  quel  porporato  che 
tutta  quanta  1'  italica  poesia  volea  tratta  di  Provenza  y 
si  fosse  fatto  a  ricercare  con  minuta  industria  i 
vari  endecasillabi  latini  adattabili  al  nostro  endecasil- 
labo eroico ,  non  è  cosa  da  maravigliare  ;  ma  dee  sor- 
prendere che  i  nostri  scrittori  di  poetica,  senza  andare 
più  in  là  ,  ci  vadan  ripetendo  la  stessa  nenia ,  nessuno 


METRI      ARABI.  «33 

1  va-nnascro  mislon  va-'lcliaddo  vardon 
va-  Ltaghro  darron  va-rrVcjo  chamro 

2  va-lqaddo  góznon  va-rridfo  dìzon 
vassciàro  Wlon  va-luag-ho  hadro. 

VERSIONE      METRICA. 

L'  alito  è  muschio  ,  la  guancia  è  rosa , 
Son  perle  i  denti  ,  vin  la  saliva  ; 
La  vita  snella  ,  giovine  oliva  ; 
Nolte  il  crin  follo;  luna  il  bel  volto. 

escluso.  Se  il  nostro  endecasillabo  ha  1'  accento  sulla 
sesta  ,  essi  dicono  ,  ecco  un  faleucio  (191)  ,  o  un  co- 
riambico asclcpiadeo  (192):  se  l'ha  sulla  quarta,  ecco 
uu  saffico  (193)  ,  ovvero  un  iambico  ipponazio  (194). 
Ma  1'  endecasillabo  faleucio ,  il  coriambico  asclepiadeo , 
il  saffico,  r  iambico  ipponazio,  e  lutti  gli  altri  ende- 
casillabi che  gli  antichi  gramatici  van  classificando  (196), 
son  versi  lirici,  non  permutabili  ira  loro.  Sceltone  uno, 
dee  rimanersi  invariato  per  tutto  il  corso  della  compo- 
sizione. La  derivazione  legittima  del  nostro  verso  mag- 


(191)  Cai  dono  lepidum  novum  libellum. 
Che  per  cosa  mirabile  si  addita. 
(191)  Madcenas  atavìs  edite  regibus. 
B  sia  il  mondo  de'buon  sempre  in  memoria. 

(193)  lam  satis  tetris  nivis  atque  dìrae. 
Voi  che  ascoltate  in  rime  sparse  il  suono. 

(194)  Xbis  libumis  inter  alta  navium. 
Vinca  il  cor  vostro  in  tanta  sua  ^iloria. 

Tom.  III. 


(igS)  Gli  antichi  gramatici  stabili- 
vano selle  specie  di  endecasìllabi,  i^waf 
ex  daclylici  et  iambici  metri  permi- 
xtione  composita  et  copulata  nascun- 
tur.  Oltre  all'  ottava  r/uae  ex  heroo 
tantum  versa  informata  dignosciiur. 
Vittorino.  Ma  questi  eran  tutti  meui 
lirici.  V.  Fa  nota  seguente. 

3o 


a34  CE    R  I  T  I  s 

giore  è  in  quel  medio  tra  il  senario  iambico  e  1'  eroico 

che  dell'  uno    e   doli'  altro   alterna   le    sembianze  (196). 

E  la  sua  misura  non  è  precisamente  sitlahica ,  nel 

volgare   abituai    significalo   della  parola  sillaba  :  il  che 


(196)  Abbiain    veduto  che    il    pas-  cnmiinc  si  è  la  division  disuguale  delle 

saggio  dalla  poesia  lirica  alla  narra-  parti  ,  il    non   concludere    le   parole 

tiva   vieti  caratterizzato    non    solo  da  co'  piedi ,  la  cesura  in  somma  che  am- 

un  piìx  largo  andamento  ne' periodi  ,  bo  del  pari  distacca  dal  lirico  anda- 

ma  dal  disuguale    compartimento  al-  mento. 

tresi  delle  varie  parti  di  un  verso  ,  Ma  posta  la  cesura ,  le  parli  di  un 
passaggio  preceduto  e  forse  determi-  verso,  sia  eroico  ,  sia  iambico ,  non 
nato  dal  progressivo  miglioramento  solo  in  due  parti  disuguali  si  risol- 
della  lirica  nel  bisogno  di  variare  gli  vono ,  ma  dissimili.  Dopo  la  cesura, 
accordi:  per  quella  necessaria  sazietà  1' andamento  eroico  di  dattilico  divie- 
che  in  noi  si  desta  dal  lungo  ripetersi  ne  anapestico,  ed  una  serie  di  trochei 
di  una  medesima  per  quanto  si  voglia  abbiam  dopo  la  cesura  nell'  iambico. 
soave  cantilena  la  qual  sulle  stesse  Vedemmo  però  che  per  l' cpiploce  e 
cadenze  si  resti.  Ridetur  citharoedus  la  catalessi  il  movimento  dattilico  col- 
chorda  qui  semper  aberrai  eadem.  V  anapestico  si  confonde.  Potrem  dire 
Vedemmo  dall' efimnio  arvale  piii  che  altrettanto  dell' iambico  e  del  trocaico? 
dall'ili  ifatav  derivare  il  tipo  dell' an-  Non  mai.  Il  moto  de' trochei ,  avendo 
lieo  esametro  eroico:  ed  ora  da  questo  in  ogni  piede  una  necessaria  posa,  una 
veder  dobbiamo  come  discendano  per  naturai  catalessi  (  v.  la  pag.  120  e  seg.  ), 
naturali  procedimenti  e  l' iambo ,  e  il  forma  un  genere  afiatlo  diverso  dal- 
vecohio  numero  saturnio  e  il  nostro  1'  altro.  Il  movimento  corico  è  distrul- 
attuale  endecasillabo.  to  appena  che  1'  un  piede  coli'  altro 
Ma  dell'analogia  del  senario  eroico  si  confonda,  e  isolati  non  rimangano 
e  del  senario  iambico  dissero  abba-  almeno  i  dipodii.  Quindi  tutta  1'  in- 
stanza gli  antichi  gramatici.  Aggiugnc-  duslria  raggirar  doveasi  a  variarne 
remo  soltanto  quel  eh' ei  noa  dissero:  l'andamento  di  soverchio  scorrevole, 
scorgersi  cioè  nel  passaggio  dall'  eli-  di  soverchio  ballabile.  11  che  rinve- 
mnio  arvale  al  verso  eroico  piìi  pen-  nulo  l'endecasillabo  eroico  n' emerse, 
denza  alla  gravili»  ,  e  piii  proclività  e  il  numero  saturnio  si  trasformò  nel 
alla  scorrevolezza  nel  passaggio  al  nostro  verso  maggiore, 
verso    iambico.   Quel   che   hanno    di 


METRI      ARABI.  235 

fu  presentito  da  un  nostro  gramatico  nelle  notabili 
parole  che  qui  giova  trascrivere  (197).  »  Tanti  dittongi, 
»  se  r  uso  della  lingua  posti  gli  avesse  in  opera  ,  nel 
))  volgar  nostro  si  posson  pronunziare,  quanti  de' suoni 
))  dello  vocali  fieno  gli  accoppiamenti ,  che  a  quaran- 
»  tanove  aggiungono,  s'io  non  sono  ingannato. .  .Ma  che 
))  vero  sia  ciò  eh'  io  dico  di  tanto  numero  di  ditton- 
))  gi  ,  può  ciascuno  accertarsene  per  sé  medesimo  ne' 
»  versi  de' poeti  per  entro  alla  parola,  dove  vedrà,  che 
»  ad  ogni  suono  di  vocale  un  altro  suono  di  altra  vo- 
»  cale  si  può  aggiugnere ,  senzachè  delle  sillabe  si  venga 
»  a  crescere  il  novero.  E  abbiam  detto  per  entro  alla 
»  parola  :  perciocché  quelli  che  per  dittongi  tra  voce 
))  e  voce  dal  Trissino  son  proposti  ,  dittongi ,  per  mio 
))  avviso  ,  non  son  da  riputare  ,  posciachè  in  una  sil- 
»  laba  non  si  pronunziano  ,  come  al  dittongo  è  richie- 
))  sto.  Ma  comporta  la  natura  del  nostro  verso  ,  quan- 
))  tunquc  d'  undici  sillabe,  quanto  alla  regola,  la  sua 
»  misura  sia,  quasi  per  entro  il  suo  corpo ,  il  trascorso 
«  delle  vocali  ,  in  guisa  che  dicendo  : 

«  T^oi  che  ascollala  in  rime  sparse  il  suono  , 
»  non  solamente  non  si  pronunzia 

»   T'o  c/i'  ascollale  ''a  rime  sparse  '/  suono; 
))  ma  non  è  vero  che  il  voi  in  una  sillaba  si  raccolga, 
»  come  alcuni  hanno  detto  :    ed  a  cui  caglia    di   chia- 
»  rirsene  ,   pruovi  a  mandarlo  fuori  con   ogni   maggior 
))  lentezza  in  due  sillabe,  e,  mandatolo,  fermisi  ezian- 


{\<ìn)  SaVvvtKì,  degli  avvertimenti,  ec.  Voi.  1,  lib.  Ili,  parlic.  VII. 

* 


256  DE    R  1  r  i  s 

•»  dio  con  la  voce  ,  e  faccia  una  liniga  posa  ,  e  altret- 
))  tanto  adoperi  nelT  ascoltate  in  ,  e  nello  sparse  il , 
))  e  vedrà  che  non  pure  il  suon  del  verso  danno  non 
))  patisce  ,  ma  ne  divien  migliore  e  più  robusto  e  più 
»  bello.  » 

Al  che  se  si  aggiunga  quel  che  di  sopra  notammo 
su  la  necessaria  catalessi  di  tutte  le  parole  che  abbiano 
vibrata  prelazione  nell'  ultima  sillaba ,  massime  se  in 
consonante  si  termini  ,  od  alle  sceve  da  interporsi  al- 
tresì fra  consonante  e  consonante  in  tutte  le  parole  con' 
tratte  (198)  seguir  ne  dee  di  necessità   che    nell'  ende- 


(198)  V.  la  pag.  119- E  si  aggiun- 
ga che  questi  per  quanto  voglian  con- 
siderarsi bievissiuii  iu'ei'valli  ,  nella 
squisitCMa  dell'eufonia  de' versi  van 
sempre  valutati.  Olire  a  quel  che  ne 
ragiona  lo  stesso  Salviati  là  dove  fa 
diceria  dello '^ntoppo  delle  consonanti, 
*i  ascolli  un  luoJerno  ideologo  : 
))  Quando  scrivo  cruqtier ,  ci  dice^  è 
»  cosa  chiara  che  pronuncio  le-ra-ler. 
1)  Per  poco  che  l'organo  sia  appan- 
)i  nato,  ciò  rendesl  manifesto;  e  scn- 
:)  tesi  ancora  quanto  1'  organo  sia  a- 
11  gilè  11.  Idéologie  ec.  Gramin.,  cìi.  P'. 
V.à  una  diinostraj.ion  manifesla  ne 
abbiamo  nel  nostro  monumento,  Tav. 
Ili,  quando  vi  Iroviam  per  intero, 
come  notammo,  sopera  e  ine  ^  nelle 
quali  parole  le  e  potran  sibbene  ri- 
putarsi evanescenti  ,    ma    non    iitìailo 


invalulabili.  -  Sì  ascolli  in  line  quan- 
to quel  medesimo  nostro  minuzioso 
gramalico  va  specificando  su  1'  apo- 
strofo: n  Questo  apostrofo  nelle  scrit- 
1)  ture  del  miglior  secolo  non  si  ri- 
II  trova  nell'idioma  nostro  ,  ma  altro 
)i  usarono  in  quella  vece  :  cioè  seri-» 
»  vevano  la  voce  intera,  e  sotto  alla 
"  vocale  che  di  cacciar  via  intende- 
n  vano  (  dovea  dire  attenuare  e  non 
cacciar  via  per  essere  conseguente  a 
quel  che  avca  dello  su  gli  accoppia- 
Hàenti  delle  vocali  ) ,  segnavano  un 
.1  picciol  punto,  simile  a  quello  che 
Il  per  chiarezza  si  suol  por  sopra  l' i  , 
Il  e  titolo  gli  si  suol  dire.  Cosi  adun- 
II  que  scritto  avrebbon  quel  verso  : 
FLori,fronde,erbe,omhre ,nntri,onde,aure  soavi. 
Il  Tuttavia  ,  ne  anche  ciò  si  adope- 
II  rava  da  tutti  gli  scrittori  ,  ma    so- 


METRI      ARABI.  sSy 

casillabo  eroico  considerar  si  deggia  una  estensione  più 
ampia  di  quella  che  comunemente  gli  si  assegna. 

Oltre  ad  una  necessaria  sillaba  o  quasi  sillaba  di 
aumento  per  la  necessaria  sua  divisione  in  un  quinario 
e  settenario  o  viceversa ,  divisione  che  manifestamente 
riuviensi  nell'  antico  esametro  spondaico  : 

Ciues  romani  ||  tunc  factl  sunt  Campani. 

Olii  respondit  [1  rex  Albai  Longai. 

Non  focae  iiirpes  |]  non  Jìiarcenles  balenae  j 
del  pari  che  in  queste  sentenze  della  maestà  tragica  : 

Qui  nil  palesi  sperare  []  desperet  nihil. 

Curaa  leves  loquuntur  |]  ingentes  stupent. 

Amor  timerc  |{  nemineni  verus  potest. 

Pars  sanitalis  [J  velie  sanari  Juil  (199); 
se  mai  queste  parti ,  non   più  tome  ma  coinme  o   coli 
dell'endecasillabo,  ci  faremo  ad  esaminare;  vi  scorge* 


))  lamentc  11  facevano  alcuni  de' più  prima  e  va  ristretta  assai  prossima- 
li discreti  ,  e  più  nel  verso  che  nel  mente  alla  ì ,  in  modo  che  anche 
»  parlare  sciolto,  ec.  Vò.  suor,  par-  /"/-oz/r// scriviamo,  ed  è  voce  affatto  di- 
»  lìcclla  XXXV.  versa  dall' e  aperta  che  segue  :  ed  oltre 
Ma  il  Salviati  non  conosceTa  che  a  ciò  ,  che  il  Petrarca  scrisse  herha 
in  tal  modo  appunto  dal  Petrarca  e  non  e/^rr,  e  clie  non  è  provato  se  nel 
scriveasi  quel  verso  ,  come  appare  dal  buon  secolo  la  h  in  quella  parola  fosse 
codice  valicano  :  e  che  scritto  in  tal  mero  segno  ortografico, 
modo  cessa  di  essere  un  verso  piii  che  ('99)  ^on  sembri  strano  se  gli  ul- 
tedosco  :  timi  iambi  qui  consideriamo  come  Iro- 
Fivr' ,fron(r , eri' ,ombr' ^nntr  ,ond' , aure  scavi,  thci  o  spondei.  Oltre  alle  giudiz.iosissi- 
come  pel  sopruso  del  piggior  secolo  me  riflessioni  del  Mingarelli  che  qui 
or  si  scrive  e  si  stampa.  E  si  noti  clic  adoltiam  per  intero  {  hì.  ««/)r.,  nola63, 
»e  ad  alcuni  faccia  pessimo  udire  cap.  de  mctroruni  pronunciatione  ), 
l'incontro  delle  due  e,  nelle  parole  rammentiamoci  della  pronunzia  per 
fronde   erbe;    e    da    riflettersi   che  la  posizione  di  che  è  parola  nella  nota  j8. 


238  DE       R    I    T    I    S 

renio,  nella  perfezione  dell'arte,  quasi  indispensabili  due 
altre  suddivisioni  (200) ,  le  quali  in  origine  davano  altri 
aumenti  di  sillabe  intere  (201),  ed  ora  un  tale  aumen- 
to che,  se  non  vuol  dirsi  sillabico  ,  è  al  certo  notabi- 


(200)  Cosi  nel  mellifluo  Metaslasio;  cordo,  e  come  queste  canzoni  cantate 
Leon  piagato  |  a  morte  tuttavia  a' tempi  del  Boccaccio  ('). 
Sente  mancar  |  la  vita  ^     -w_«-     w-      ^ 

Guada  la  sua  |  ferita  »  ^"^'«  ^^°J'^  '°  "=''  Cristiano 

Kè  si  avvilisce  I  ancor.               ^            ^^  Che  mi  fuTò  U  iralca  ? 

L'  ennemimeri  conserva  1'  integrità „^-wv^._ 

della  pentemimeri  e  della  triemimeii  "  '"°„°"''_^"™^' '.'"'^'  '!  l"*^" 

ìanibica  Che  buone  novelle  vi  reco. 

Se  un  core  |  annodi  ^  ^  ^-^  ^      «w       -    ■^     -^ 

Se  un'  alma  |  accendi  '  Alzatevi  i  panni ,  monna  Lapa. 

Che  non  1  pretendi  ^  l^^^^  l'oUve"lla"è'r"erba. 

Tiranno  |  Amori  ^„        „_v^,^__      .„ 

Ed    ecco    la   pentemimeri    in    due  5  L' onda  del  mare  mi  fa  gran  male. 

tnemitneri  risoluta.  g  Escici" fuóri"che  sii  trgli'ato 

La    squisitezza   dell'  arte    vuol  che  -      --     -  ^    ^     -  ^ 

,       .           ,     .           t           'Il                ,  Come  un  mio  sulla  campagna, 

anche  i   trochei  perdano  il  loro  moto  _  ^     ^  _       _    _  ^    „ 

uniformemente  sonante,   e  negli  otto-  7  Monna  Simona 

narii    ceni    secondo   quadrisillabo   in  ^  "    "    7 ,  ~  "    j,"^  .7  T 

°                            ^  E  non  e  del  mese  d  ottobre. 

pentasillabo  trasforma.  -v^      ^     -     ^     -       ^      _« 

8  

Or  che  niega  |  i  doni  suoi  _      ^_         w-v>--^ 

La  stagion  ]  de'  fiori  amica  9 

Cinto  il  crin  |  di  bionda  spica  "^      -^-    ^^-v^    -  ^^  -  ^    -  ^ 

Volge  a  noi  |  la  state  il  pie.  ">'°  ">'  cumperai  uno  gallo  dalle  lire  cento. 

1  soli    numeri    409    corrono  per 

Colla  quale  industria  il  rapido  mo-  iainbi  e  trochei  puri, 

vimento  degl'iambi  e  de'trochei  puri  K  si  noti  nel  numero  io  spiccantissi- 

viene  mirabilmente  a  rallentarsi.  nio  1'  andamento  del  numero  saturnio 

(201)  Come  in  quegli  ottonari  iara-  quale  dai  vecchi  graniatiti  veniva  de^ 
bici  de'  quali   abbiarn    testé    fatto    ri-  scritto.  V    la  nota  71. 


('')  La  prima  è    nella   Glorn.  4,    nov.    rt  \     neo  quando  a  lui  toccò  la  volta  di  trìpudare 
tutte  le  altre  furono  intonate  dal  fesùro  Dio-     la  sua  canzone. 


jrt  E'T  n  I     A  K  A  15  r.  209 

lissimo.  E    in  fatti  ^  se   da  questo  verso,  a  cagion  d'c- 
sempio, 

Italia  ,  Italia  ,  0  tu  cui  feo  la  sorte 
venga  a  togliersi  \\  feo ,  sostituendovi /e';  di  pieno  e 
sonoro  diverrà  un  verso  monco  ed  esangue.  Che  però , 
se  ci  faremo  anche  noi  a  determinare  la  misura  del  no- 
stro verso  maggiore  non  già  per  sillabe  ma  per  tempi 
come  nell'apogeo  del  greco  ingentilimento  si  costumò; 
ben  vedremo  che  corrono  aneli'  essi  per  quelle  venti- 
quattro emimeri  e  per  quelle  trentadue  specie  che  i  nostri 
gramatici  nell' antico  esametro  e  nell'antico  iambo  distin- 
guevano. 

Ma  se  non  dall'antico  esametro  e  dall'antico  iara- 
ho  ma  da'  nostri  vecchissimi  modi  popolari  trar  vor- 
remo il  tipo  del  nostro  verso  maggiore  ,  ecco  i  nostri 
versi  /ciHsci  suU'  andamento  di  modi  anche  più  antichi, 
e  che  delle  divinità  mere  italiche  conservarono  il  nome. 

Assai  lieve  nozione  ci  danno  i  vecchi  gramatici  del 
numero  saturnio,  ojaunio,  e  tutta  la  loro  cura  par  che 
si  raggiri  a  farci  dimostrazione  che  anche  quel  ritmico 
andamento  provenisse  di  Grecia  (202).  Vana  e  teme- 
raria impresa  sarebbe  quella  di  volere  oggi  andar  de- 
terminando quel  che  nell'  età  più  prossima  all'  uso  di 
que'  versi  formava  obbietto  di  controversie  non  defini- 
te (2o5)  j  ma  ne  conosciam  quanto  basta  formarcene  una 


(202)  Tebe>jztano  ,  ViTTORmo ,  ec.  mes/tis ,  et  nasci  a  trimetro  scazonle: 

(203)  Quidam  volani  hunc  feriri  alii  vero  omnes  duodecim  pedcs  ad- 
sexies,  et  recipere  pedes  septem:  hoc  jnittcrcj  ncque  semper  eum ,  ut  ilii 
est  spondeum  ,  e  quibus,  est  Thaco-  asseruiU  ,  nasci   e  trimetro  scazonte. 


J!40  DE       R    l    T    I    S 

tal  quale  idea.  Erano  orridi  per  avventura  que'  versi  : 
ma  per  la  storia  delle  arti  non  le  sole  cose  gentili  si 
raccolgono. 

Il  verso  saturnio  adunque  ci  fan  conoscere  i  gra- 
niatici  in  due  parti  distribuito  :  la  prima  di  tre  piedi 
e  mezzo,  la  seconda  di  tre,  e  quest'ultima  parte  com- 
posta di  tre  trochei,  cioè  del  senario  itìfallico  ofalecio. 
Ma  il  senario  itìfallico  non  correva  costantemente  per  tre 
trochei  (204) ,  e  sembra  perciò  un  idtimo  ingentilimento 
del  verso  saturnio  (206). 

Or,  non  abbiamo  in  versi  di  tal  fatta  una  canzone  da 
ballo,  assai  simile  a  quella  che  or  col  cembalo  cantano 
le  nostre  popolane  (206)  ,  e  il  passaggio  iusiememente 
del  metro  Urico  al  scitirico,  deìjcileucio  aWiambico,  e 


l/nde  apud  omnes  grammalicos  super 
hoc  adhuc  non  parva  Us  est.V  iiTOS-iìfo. 
Se  questi  dodici  piedi  ,  come  pare  , 
vogliono  andar  considerati  come  due 
emistichii  aggiogati  ,  un  ravvicina- 
mento vi  scorgeremo  non  solo  co'  mo- 
derni versi  maggiori  di  Francia  e  di 
Grecia  (  nota  96  ) ,  ma  anche  nostri, 
prima  dell'invenzione  della  terzina; 
e  precisamente  nel  concetto  degli  ara- 
bi dottrinali  quando  ogni  loro  verso 
costanteraeute  nell'  aggiogamenlo  di 
due  emistichi  van  considerando.  £  si 
noti  che  in  tutti  i  vecchi  codici  sem- 
pre troviamo  scritti  i  vfrsi  a  due  a  due, 
ed  anche  quacdo  per  distici  non  pro- 
oeilauo. 


(204)  lihyphalUcum  metrum  e  tri- 
bus  trochaeis  connexum  saepe  iribra- 
chuni  sibi  inserii ...  Quod  necessario^ 
insinuandum  lectori  censuiy  ne  ithy- 
pkallicum  metrum  e  tribus  semper 
trochaeis  subsistere  audacter  ac  temere 
pronunliaret,  ViiToaiNo. 

(ao5)  Nostrique  mqx  poetae 
Rudem  sonum  secuti , 
Ut  quaeque  res  ferehat 
Sic  disparis  figurai 
J^ersus  vagos  hcahant  : 
Pqsc  rectias  probatum  est 
Ut  tal^  colon  esset 

lunctum  tribus  trochaeis.  TEHKtaiANO. 
(206)   V.   la    DOU   71. 


METRI  ARABI,                               241 

l'embrione  tutt' insieme  del  verso  eroico,  del  trimetro 
iambico  e  dell'endecasillabo  nostro  (207)? 

(207)  I  nostri  trovatori  del  ducento  2. 

lian    licqucnlissimi    i    versi    composti  Hunc  unum  plurimi  consensiunt  R.  (omani) 

di  un    quinario   e   di  un  senario    iti-  Duonorum  oplumum  fuisse  virum 

fallico.  In    versi    di  tal   foggia    corre  Lucium  Scipioìiem ,  Jilium  Barbati  : 

quasi  lutto  il  libro  del  rvgi^iinenlo  e  Consul,Censor,Aedilis,hicJ'aitapudvos. 

del  costume  delle  donne  di  Francesco  H'o  cepit  Corsicam,  AUeriamque  urbem. 

da  Barberino  ,  pubblicato  ultimanien  ■  Dedit  tempestatibus  aedem  merito. 

le  co'  tipi  del  de  Roraanis  (Roma  181 5);  3- 

e  non  dubito  clic  quelli  che  scn  disco-  Qui  apicem  insigne  diaUs  Jìuminis  gessisli 

stano    non    sieno    consuete    ofllciosili  MorsperJ\cit  tua  ut  essent  omnia  brevia, 

Aa  menanti ,  comeacagion  d'esempio;  Honos,fama,virtusq., gloria atque ingenium, 

Giovane  donna^gen/ff  creatura(la  stampag'tjn-  Quibus  si  in  longa  licuisset  libi  utier  vita 

Da  Dio  plasmata  di  sì  nuova  altezza            til)  Vacde  factis  superasses  gloriam  maiorum. 

Cile  ognun  ne  prende  maraviglia  grande  j  Quarelubcns  te  in  gremium  Scipio  recìpit  terra 

Onde  ti  vennon  gli  occhi  belli  tuoi  ?  ec.  l^ubli  ,prognatuin  Publio  Cornelia 

Quesl'  andamento    di   sovcrcliio  lirico  La  distribuzione  de'  versi  ó  luti'  altra 

andar    si    dovea    di  mano    in    mano  nel  numero  terzo  di  quella  che  dà  il 

dismettendo,  ma  la  cadenza  del  mo-  Niebur.  Queste  iscrizioni  veder  si  pos- 

vimenlo   itifallico  è   1'  originario    ne-  sono  nella  loro  forma  incise  ed  illu- 

gl' iambi.  E  lasciando  le  ovvie  pruove  strale   da    Ennio    Quirino    Visconti   , 

che  ne'versi  s'incontrano  ucUa  prima  Opiisc.  toni.  I.  Per  quel  che  riguarda  il 

età  delle  Ungile  sorelle  del  mezzogiorno  nostro  proposito,  quell'oscillazione  è 

di  Europa,   prenderemo   ad   es'jTipio  qui  da  notarsi  tra  il  carme  saturnio, 

quelle  nenie  che   dal   perspicacissimo  l'esametro  eroico  e  il  trimetro  iambico 

Kiebur  si  propongono  (  flix/oire  Ro-  che  vedemmo  denominarsi  da  Tercn- 

maine  d.  M.  B.  G.  Niebur  Iraduil  de  ziano  verseggiar  vago  (  nota  192).  Ma 

l'allemand  pnr  m.  P.  \   DEr.ALBEEY-  noteremo    di  passaggio  che   la  parola 

tom.  I ,  pag.  328-Rrusrllcs  i83o  )  ,  se-  gn;iicu    del  secondo  verso    del  primo 

gucndo  r  orlografìa  di  che  egli  fa  uso.  esempio  non    è    una    parola  intrusa, 

1.  come  suppose  il  Nicbur,  né  da  interpe- 

Comeliu'  Luciu'  Scipio  Bariatus  trarsi  guato  ,   come  altri  suppose;  ma 

Gnaivo  prognata  ,  fortis  vir  sapienfque  bensì  guaio,   colla  sola  interposizione 

Quoiu' forma  virtuii  parissuma  fiiit.  della  V  secondo  1' antica  orlografìa. 

Consul  Censor  Aedilis  qui  fuit  apad  vis. 

Taurasia  ,   Cesannia  Samnio  cepit, 

Subtcit  omncm  Lucanaarn  cbsideique  alducit. 

Tom.  III.  3i 


24a 


D    K       R    1    T    I    S 


CARME    BREVE. 

•?  0  n  S  N 

Ottimamente  dal  Guadagnoli  questo  genere  di  versi 
s' interpetra  esile,  breve ,  presane  la  metafora  dall'are- 
na che  in  arabo  addimandasi  Vd"1^X  (  arramlo  ) ,  pel  suo 
procedere  a  minuzzi  e  slegatamente  come  1'  arena  (208). 
l^a  sua  formola  è  in  una  seguenza  di  epitriti  secondi, 
che  si  risolvono  ne' ditrochei  per  la  qaffa  ;  ne' ionici  dal 
minore  per  la  chabna  j  e  ne'  peoni  terzi,  per  la  sciacla. 


FORMOLA. 

fa  Ili  la  tun 

fa  hr  la  tun 

fa  hi  la  ton 

INtERA. 

CHABNATA. 

QAFFATA. 

SCIACLATA. 

- 

- 

- 

- 

fc:  (  QUAZR  i. 

* 

^!        1 

K  J  HABFV.    1 

1 

! 

Nel  periodo  senario  ,    V  aruza    è  sempre  hadfata  j 
con  tre  zarbe,  o  sana,  o  qazrata ,  o  hadfata. 


(208)  Malteni  celere,  dice   il  Cle-  calu  ,  quem  praelerea  oòlinet ,  nomeii 

rico  ,  ah    ea    huius    theinalis   nntione  line  deduceiidiim  staluunt ,  cjiiod  pu- 

ijica  properanter   incedere   significai  ;  xilli  cJiordis  in  hoc  canninis  genere 

aia  lamcn  a  lexcndi^  poliits   si^ni/i-  quufii  inteilcxli  sint. 


METRI       ARABI.  243 

Sembrerebl)C  dalla  forinola  che  nel  periodo  sena- 
rio  si  avesse  quella  combinazione  di  quaternarii  ed  ot- 
tonari i  di  che  tanto  i  nostri  arcadi  pastorelli  si  com- 
piacquero, e  della  quale  abbiamo  esempi  fin  dal  ducen- 
to  (209)  e  fin  da' tempi  remotissimi  (210)  ;  ma  il  metro 
arabo  è  di  due  senari  itifallici,  come  da  tutti  gli  esempi 
che  i  dottrinali  ci  producono  (211).  Non  mancano 
però  casi  ne'  quali  ,  essendo  sdrucciolo  il  primo  sena- 
rio  ,  il  resto  dell'  emistichio  altro  non  ne  offra  che  il 
complemeuto  ;  come  da  questo  distico  : 


(sor))  Un  sonetto  voglio  fare 
Per  cantare 

Questa  duniia  mia  vezzosa 
CliL-  amorosa 
Bella  gio'  mi  la  provare  - 

(Galeotto  da  I'isa. 
(aio)  Miserariiin  c-^t 

Jieque  amori  dare  luffuin, 
^tt]ue  iluUi 

Ma'a  V  no  lavere  aut  ex- 
Aitttnarì  metuentes 
l'atr^tae  rerbi-ra  lin^iiae. 
Ttbi  quttluiii 

Ci  tlienae  puer  ates  ,  etc.  Or.AZio. 
VA  aiiclif  [liii   in  la  : 
Dea  fccit 

Dea  belli  dom'nalr.x 
fhrygas  omnes 
Ut  in  i.rmtì  òuier.r^t,   t/t. 


{211)  Son  questi  gli  esempi  dati  (LI 
Ciclico  : 


r.AIUiA    INTERA. 

Ssatf-JN  ;-us,ii  nxj:"3  -lopSiS 

ZAHIIA    QA2RÀTA. 
TAHliA    JTAUFATA. 

inru'N'  xin  :nt  'V-  ::8<ì7 


J44  DE    R  I  t  I  s 

ARL'ZA      E      ZAUBA      HADFATB. 

"IVO  ':;•!:»  nSx  SBSk  '^riD 

V  E  R  B  U  M      VERBO. 

Slniìlis  est  opitlentia  quam  tu  quaeris 

Unibrae  qiicie  gradiliir  tecum. 
Tu  non  ecini  assequeris  persequcndo  : 
Sed  si  ohverterls  iergiim  illi ,  le  seqiietiir. 

Hl'MEERT.    XlV. 

Della  disposizione  metrica  de'  trochei  tre  per  tre 
formanti  (juc' versi  che  gli  antichi  dissero  itifalici  (211), 
mirahile  è  l'eft'etto  in  composizione.  La  hrica  de' greci 
e  de' romani  compiacevasi  oltremodo  di  siffatti  versi.  Noi 
sii  abbiam  dismessi  nel  loro  isolamento  (212)  e  ne  fac- 


(aii)  Note  6S  e   71.  Questi  appunto  soli    que' tali  versi 

(212)  E  |iciciò  più  biziani  clic  ar-  da' quali,   dicea  Cicerone,  se  togli  la 

iQonici  sembrano  ad  uieccliio  italiano  modulazione  delle  tibie,  togli  l'unica 

questi  versi  :  qualità  die    li  distingua  dalla   prosa. 

Dulci  miei  sospiri ,  Eppure  su  questo  movimento  battono 

Dolci  miei  luurtiri ,  ec.  Cuiabrjìha.  il   cembalo    le  nostre  popolane    nelle 

E  ragion  die  lagnisi ,  loro   fropx'^>yxra.  ,   come    abbiam    piìi 

Ch'ogni  cuor  languica  volte   osservato.  Ma  l'indole  music.ile 

Se  virLù  n-jn  ha.  Lorepo  Mattei.  del   nostro  clima  tra-f'orma,  immedia- 

E  inoltoppiii  questi  altri  tamcnte  ed  appena  accennalo  il  ritmo, 

Scelti  sejgi  delle  ninfe  ascree  1' andamento  trocaico  in   iambico  : 

Care  tanto  di  Quirino  ai  colli.  ChiabReii.^. 


31   E   T    K   I      A   R    A    B    r.  2Ab 


1 


2 


matalo'rrìzqi-Uladi''  \\  tatlohohò 
zatalo- itili- lladi'  ^jamscP  jìioàì: 
ùnta  la'  todrikoho  ||  motlabici'n 
và'ida'  vallajlo  fj  ànlio  iabaàh 

VERSIONE      METRICA. 

Quella  por  cui  spasimi  con  tanto  arder 
A  quell'  ombra  è  simile  che  tcco  va. 

Quanto  più  la  seguiti,  più  lungi  è  ognor 
Dalle  il  tergo:  e  appresso  appresso  li  verrà. 


ciaino  sol  uso  nell'endecasillabo  saffico,  canto  tuttavia 
popolare  nella  nostra  e  nella  penisola  ibcra  (2i3).  Ed 
anche  non  di  rado  appo  gli  Arabi  rinvengonsi  de'  me- 
tri ne' quali  entrino  per  combinazione  i  senari  itifallici , 
sieno  piani ,  sieno  sdruccioli,  costantemente  riprodotti  j 
come  spiccanti  appaiono  ne' seguenti  esempi  (214). 


Iste  ,  iice ,  sole  ,  Solvìtur  acrU  hjems 

Scanìiiello  mperatore  j  ec.  Grata  vice 

Mannancenne  priesto  ,  Veris  et  Favoni  ^ 

Ca  voglio  ire  a  Siesta ,  ec.  Trahuntque  siccas 

{2l3)  Il  Salinas  ne  pubblicò  le  mu-  Slachinae  carinas. 

siche  eanlilene.  E  reggasi  su  la  cadenza  (214)  Nel  sistema  dottrinale  il  pri- 

itifallica  quel  clie  ne  dicono  gli  antichi  mo   appartiene  al  carme  esuberante  , 

glossatori  di  Orazio  e  gli  antichi  gra-  il  secondo  a\.  carme  l't/oce.  Ed  ordi- 

malici   in   occasione  dell'ode  IV  del  nariamenle  la  seconda  tome  degli  emi- 

lib.  I ,  nella  quale  la  strofe  corre  in-  sticbii  dell'uno  e  dell'altro  tai-me  in 

variabilmente  per  questi  coli  ;  tanti  senari  itifallici  si  risolve. 


2^G  DE       R    I    T    I    S 

Versione  del  signor  de  Sacy, 
Ce  n'esl  pus  quand  tu  veilles  à  la  sùreté  du  troupeau  que 
les  loups  peuvent  ravir  ìes  brebis  :   Tu  n'es  pas  une  épée  doni 
les  coupa  de  Vennemi  puissent  ebrecher  le  tranc/iant  (2i5). 

Chrest.  Arab,  XIV- 

iii'Ti  ''^^  T\Ki  N'  oSn    1 
rhn  '5  in;^»  nhd'dì    2 

VERBUM      VERBO. 

//!o ,  o  Qinice ,  Gc/  hortum  : 

Expolit  {enim)  a  moesto  aeruginem  animae  eius. 
Zepìiyrus  iilius  se  impUcat  in  lacinia  sua  : 
Et  flos  iilius  ridet  in  calice  suo. 

Hdmbeut.  ilviii. 

Ma  r  andamento  ordinario  del  carme  breve  è  nella 
forma  giazata ,  e  corrisponde  precisamente  al  nostro  ot- 


(215)  Tutto  questo  poema  corre  e-  Colla  quale  aruza  si    uniscono  anclie 

satlissimameiJle    nello     slesso    ritmo,  quoste  zarbe  : 

che    si    risolve  per  ciascun   emisticliio  earba  sAbgàta. 

in  due  senari:  il  primo  bacbiaco  sdruc-  n;'3ìX  aVSS  fC 

ciclo  ,    il  secondo    itifallieo  piano.   È  tì«3Di'3  NODT  NISOnDSI 

del  poeta  Montenabbi,  morto  circa  la  zarba  iiadfata. 

metà   del  ([uartu  secolo  dell'  egira  ,  in  -'l'Sx  n3  nip  NoS  NO 

onore   dell'  emiro  Seif-eddaula.  .^^  ^^.^  .-,  .j^j 

(216)  Nella  forma  giazata  del  carme  L'aruza  badlata  ba  sempre  la  zarba 

breve,    due    sono    le  aruze  ,    sana    e  simile,  cioè: 

hadfata.  Gli    esempi    per  noi  ^dlcgati  'rhvi  ^in'jS  :i3 

sono  coir  aruza  sana  e  la  zarba  nuda.  .•,-,  •^,-,  rinxJ 


AI   E   T    R   I      A   R   A    B    I.  2^7 

BagliVrika  raHjcC  [|  àbiscia-ddaju''bo 
aaghVrika  zcCramcC  [|  thaUma-zzircìbo 

VERSIONE     METRICA. 

Gli  ovili ,  te  vigile ,  lupo  non  attacca  : 

Né  brando  sei  fievole  che  al  giostrar  s' intacca. 

1  halomma  io'  \\  zcThi  ilcù  ravzatin 
tag-l'C  aina-i  j|  cCni  zada'  immilli 

2  nasb'mohcC  (|  iàtoro  fi    dClilii 
vazùhrohcC  ||  iazhaka  JV  kimmihi. 

VERSIONE      METRICA. 

Scogli  qual  vuoi  (|  Portici  o  Posilipo  : 

Do  la  città  II  fuggasi  dai  demoni. 

Oh  come  là  ||  ZcfFuo  girandola 

E  a'  spiri  suoi  ||  sbuccian  rose  e  anemoni. 

tonano    trocaico,    sia  piano,   sia  tronco  (21G).  Eccone 
due  esempi  (217). 


p  gravala    del    tesc-dido   p ,  o 
per  p   semplice  preceduta  da  3,  jy, 


(217)  Nel  primo  i  versi  ,  di   assai  nica 
scarso  pregio  in  quanto  ad  invenzione, 

son  notabili  per  l' esattezza  nel  metri-  ^  ,'  Q  ^  /!•  Ecco   adunque    scoperte 

co  andamento;  e  nel  ti-ocaico  regolale  molte  affinila  che  dai  dottrinali    non 

non  conosco   il  secondo.  Sono   osser-  si  registravano.  E  quel  che  abbiam  detto 


vabili  del  pari  per  la  ragion  della  ri- 
ma, la  quale  è  in  acca  che  abbiam 
conservata  ,  ma  non  cosi  secca  come 


di  sopra  riguardo  alle  condizioni  della 
Redi;!,  pag.  67,  trova  qui  limpidissima 
dimostrazione. E  si  afrciunea  a  tutto  ciò 


nell'italiano,   nò   tanto    pingue    che    la    mozione    della  rima    negli  ultimi 
giunga  M! acqua  :  perciò  espressa  per     quattro  versi:  ne'due  penultimi  àilolqa 


aqqa.    I   nostri   abbruzzesi   del  Vasto 
han  perfettamente  questo  idiotismo  di 


e  tosqa ;  ne'due  ultimi  (scqa  e  ilqa. 
L'  eufonia    tra    la   A  e  1'  O  aperta  i 


pronunzia.  -  Intanto,  il  suono  alquan-  chiara  :  ma  per  le  due  ullime  parole 
to  pingue  dell'articolazione  fa  che  bisogna  cercarla  nella  forte  aspirazione 
la  prima  e  o  ^  si  esprima  o  con  l' u-     della  V  da  pronunziarsi  quasi  come  ài. 


34H 


DE      n   I    T   I   s 


♦p-lJ  j^a-ì':'^*3  '?pa  i  mogolón  bi-'dclàm,i  gàrqa 

NpìDD  -INW  nxiSì  vafovcCdon  ia'ra  chàfcjcC 

jnm  pni  2  vàtagiannin  nàtatànnin 

\        Npw'  nsySk^  ì'jl  "]£:'  sciàqqa  giàiba-  zzàbri  sciàqqcC 

♦jnaS  TlNpriN»  3  icCtiqcitr  chàhhirùhii'' 

^'^^  DV?N  nnn  jj?  ««  had'Cti-lavrì  hàqqcC 

2ntD  73  NnDN  4  àkadcC  hallo  mohibbi 

♦ptr»  nxnniS'SN  pixa  fcCraqà-nahbà'ba  iàsc-qcC 

^"ìT^T^  "ip  C'^InS  5  ìcCvaùjscin  qad  taqàzzcC 

'pDn  "ip  DX1J1  vagàn'Cmin  qad  tahàqqcC 

D:3N'"iÌ  'ÌD  0'i>J1  6  vànai'mi  fi''  darci' kam 

N'pll  Xim  Npjf  ^p  ^'rtc?  sa^a'  dahrc'iii  varàqqcC 

CD^NV^n  i?2  D'DJI  7  vanasVinin  min  hivuCkain 

N'pli)  IJiSn'  Son  hamalà-hagda  faràqqcC 

riNSNijf  nN':'XD"l3  8  UriscCla'ti  zaba'ba'- 

'pSn  pN'nC'DSx  'S;^  ^/«  Uà- linose- tei' qi  tcdqcC    . 

n^^'2>^S*J  jW!  9  vagvziCnin  noi'ùncirin 

'pDH  pVì<  nN'£D3  bimjjcihi-ddanni  tasqa^ 

NJDH  yp  rrun  10  vavagnì'liin  qozza  hósmin 

NpC7  5"1xS^<  JnSoS  famaliCna-lcirza  éxscqa'' 

N"T3y  'J  Qn'5"i  lS  11  ìau  razVtam  nV  óbàida 

Npn;;  "irn^N  n'^ixa  ma^rasi'to-ddcihra  kìtqa^ 

VERBUM      VERBO. 


1  Oculi  in  Jlsttbus  immersi  et  cor  avolat  meta. 

2  Inìjuus-conlemplus-i'ester  et  corpuris-ehgans-injlexiofindit sacculum  patientiae  mìn'ilim. 
5   O-cari-amici-mei f  edocete-me  de  factQ-h.odit^Tno  vero: 

4  An-hoc-modo  omnis  amuns  gui  Teìiquit  amicas  infelix-est ? 

5  Vequaquam.  Fer  iilam  quae  iam  abtit ,  et  per  amofem  qui  remansit  j 

6  Et  per  volaptatent  in  decessa  vcslro  quae  pura-fuit  dia  et  molilo-  fuil  ; 


METRI       ARABI.  249 

VERSIONE       METRICA. 

Gli  occhi  ho  in  pianto  ,  e  tal  mi  fiacca 

Duol  che  r  alma  si   clilacca  : 
Pur  tal  grazia  è  in  tua  burbanza  , 

Che  (la  teina  il  cor  si   stacca. 
Dite  ,  amici  ,   o  voi  che  avete 

Sapienza  e  senno  a  macca  : 
Chi   è  Ionia n  da  un  caro  oggetto 

In   tai  pene  aggronda  e  sniacca  ? 
No.  Pel  viver  mio  eh'  è    ito  , 

Per  1'  amor  eh'  è  avvinto  a  stacca  ; 
Per   que'  puri  e  dolci  istanti 

Che  ra'  ofiFria  la  tua  trabacca  ; 
Per  quel  zeffiro  soave 

Che  aleggiava  in    quella  lacca 
E  i  tuoi  cari  a  me  recava 

Vigliettini   in    minio  e  lacca  ; 
Per  quei  spruzzi  e  mazzettini 

Ver  me  spinti  a  tacca  a   tacca  ; 
Per  que'  labbri  ove  nel  riso 

Trionfante  Amor  zambracca  ; 
Deh  se  aggradi  il  mio  servaggio  , 

Libertà  mi  aggrada  un'  acca. 

7  Bt  per  zephyrum  (  qui  )  d-r  amoena-sedc-vestra  afferehat  melancholiam  ; 

8  Et  codicillum  cum  epìstolìs  amoris  quae  super  desideruniem  iaciebaniur  ; 

9  Et  per  ramidos  delicatos  {  qui  )  cum  aguis  doUi  a  vohis  aspergebantur  ; 

10  Et  per  vultus  (qui)  tese  expìicuerunl  belle  et  rephiit  terram  amore  flagmn  fi: 
li   Si  gratum  habueris  me  prò  senulo  j  non  gratum-habcbohberlatemunquam. 

HuMBEHT.  XXXni. 

Tom.  III.  33 


20U  D    i;       H    I    T    I    S 

'J-INn  QIJO  N'7J'7N1 

Nia;?  riinpSx  N*i2"in    2 
N'nnj")  NiSN'  N")")*!  np 
Nl'^Np  yj'?^  n'^XD  jx    3 

iv;^3"ì3-)tj'x  hiìhìi  »SìN  x»    4 
»s*nn3  Vxp  ND  NìDinNi 
xn'S  '7N*"ì;;':'N'  x^-n    5 

f^erslonè  del  signor  de  Sacy. 

Quelques  gens  se  sont  portés  à  de  vìolences  ,  et  ils  ont  élé  la 

cause  de  bien  de  maux. 
Ils  ont  prohibé  le  cafè  (218)  avec  opinidtretè,  et  ont  allégué , 

pour  soutenir  leur  opinlnon  ,  le  mensunge  et  la  calomnie. 
Si  vous  leur  demandez    da  citer   le  texte    sur    le  quel    ils    se 

fondent ,  ils  vous  disent  qu' Ebn-Abd-alhal'k  Va  aitisi  decide. 
O  gens  de  bon  sens,  boiivez-en  sans  scrupule  ;  ne  vous  mettez 

pas  en  peine  des  mensongps  qu! ils  dehìtent. 
Lessez  ceux  qui  en  censurent  l'usage ,  boire  de  l' eau  tout  à 

leur  aise. 

Ciirest.  arab.  p.  2o3. 


(218)  Sa  le  vicende  appo  gli  oiien-  che  Fausto    Nairo    allribuisce  1'  in- 

lali    lelativamenle    alla  bevauda    del  tioduziore  dell'  uso    del  caffè    a   due 

caffè  annoverala  da  non  pochi  fra  le  monaci  cristiani.  Primos  ii^iUir  Jiuiim 

inebbrianli,  e  perciò  proibita  dal  Co-  potionis  i mentore s.  ..  fei uni  exlilkse 

rano  j   veggansi    le   memorie   raccolte  monachos    C/irislianos  ,    ut     ipsiinet 

dal  DE  S\cY  ,  l.  e.  Qui   giovi    notare  Turcae  faleri  ut  plurimum  assolent. 


METRI      ARABI.  25l 

1  inna  ayvà'ma'n  taciddiC 
va-lhalao  mmhoni  iaattcC. 

2  haramiC-lqahvalo  ùmadcin 
qad  ravii'  cifkd!  vahalitan 

3  in  saalla-ìinuzza  qcChC 
ibno  àbdi-'Jaqqi  afuC 

4  jet)  avla'-lfazU-sc-buu'na' 
va'lroku'  ma  cicalo  bahta'' 

5  vadiìi  -  l.ida'la  JP/ia 
jasc robii' na-  Ima' i  liaita' 

VERSIONE      metrica! 

Quanti  spargono  clamori 

Del  caffè  i  persecutori  ! 
Son  calunnie ,  son  perfidie 

Di  ribaldi  mentitori.,. 
Che?  Poteanc  far  divieto 

Ibno  Abda-lhaqq?  -  GÌ'  impostori  ! 
Voi  cioncatene  a  gran  tazze  , 

E  a  la  barba  dei  censori. 
Gracchin  pure  :  e  a  lor  beli'  agio 

Sien  dell'  acqua  ci  bevitori. 


in  quorum   gratiam   animicpie  ohse-  Aidrus  (  "ìTn  haVdai  )  quia  /laec  .iu- 

quium  prò   illis  fundunt  preces  ,  ac  pradicloruin  monachnruìn  fuisse   no- 

pixiesertini   Turcae  illi  qui  suul  huius  mina    asseriint.    De    s(ihi'>r.   potione 

potionis  ministralores  e l distri bulors'):  ca/ive  seu  caje  nuncttpata  discnnus, 

proprias  enim  Iti  ac  quotidinnus  ha-  lìumae  i66i ,  p.  8. 
Lent  preces  prò  Sciadli   (  ♦'^IJ^iJ'  )  et 

* 


^^-^ 


2DB  DE       K    I    T    1    S 

In  questo  secoiulo  esempio  degli  ottonari  trocaici 
arabi  V  ultima  parola  del  primo  emistichio  del  secondo 
verso  di  àmadà'ii  dovrebb'  essere  contratta  in  àmda'n 
per  ottenersi  il  metro  secondo  le  formolo  che  i  dottri- 
nali ci  danno  del  carme  breve,  ovvero  considerare  l' lU- 
tima  sillaba  di  qahvato  come  evanescente.  Ma  in  quest'ul- 
timo caso  r  aruza  non  sarebbe  più  nuda  come  in  tutti 
gli  altri  eniistichii ,  ma  hadfata ,  cioè  tronca  (219). 

Il  metro  trocaico  è  metro  da  ballo  per  tutto  il  ge- 
nere umano.  Le  fanciulle  ebree  plaudivano  con  esso  al 
trioufo  di  David ,  e  con  esso  esprimevano  i  Romani  le 
loro  acclamazioni  e  i  loro  motteggi  ai  loro  imperadori. 
Le  nozioni  ne  son  trite  e  non  dobbiamo  occuparcene  (2ao). 


(iig)  La  catalessi  del  mciro  tiocai-  diremo  del  Salinas  che  sotto  le  stesse 
co  per  lo  più  è  tronca  ne'versi  de'Gie-  noie  pone  questi  versi  bergamaschi: 
ci  e  de'Romani.  E  scolpilamente  que- 
sto metro  appunto  dimostra  che  nel-  Beriolina  BertUina 
1  idioma  latino  spccialniculc   il  quale  'tu  m  infraschi  trop  el  vis,  ec. 
non  avea  che  ne"  soli  monosillabi  1'  ac- 
cento   alla    fine    delle  parole  ,    molli  e  questi   amichi   tribrachi 
sdruccioli  non  possono  altrimenti  con- 
éiderarsi  se   non   come   tronchi  :                           Firit  alni  avip'.dis  animula  Upons  ? 

Cai sar  ecce  nunc  triumpìiat  (jao)   Molte   cose    al  proposito  rac- 

Qui  subegit  GaWàs:  ,  colse     il  Salmasio     (    l'n    p'opiscum   , 

Nicomede.i  non  tnur  phal  .Script.  Hist.  -,4ug.  toni.  II.  pcig.  42S). 

Qui  .mbei^it  Caesarém  p^re  però  inconcepibile  come  qucU"  e- 

ruditissimo  si  esprimesse  poi   in  questa 

La  nostra   tarantella    ne  dà    la  di-  sentenza  :    Hhylhmus    solu/n    tempus 

mostra^ione.  Y.   la    nota   71.  Ma    die  metilur ,  alqiie  alluni  prò  alio  pedem 


M    H    T    H    I       ARABI.  200 

IV.^  CIRCOLO  IL   MOLTI  PLICE 

Questo  quarto  circolo,  che  abbiam  detto  dovere 
andar  considerato  come  supplimentario  de' precedenti , 
contiene  varietà  piuttosto  che  differenze  de' versi  esa- 
minati sinora. 

Delle  sei  specie  di  carmi  che  gli  arabi  maestri  gli 
attribuiscono,  i  tre  primi  soltanto  si  hanno  nell' intero 
periodo  senario,  gli  altri  tre  son  sempre  giazati. 

E  dei  tre  primi,  il  veloce  può  dirsi  complemento 
de'  metri  iauibici  del  secondo  circolo  ;  l' emesso  e  il 
lieve  ,  complemento  de' metri  peonici  del  primo,  se  non 
<:he  1'  e/nesso  corre  col  movimento  dattilico  ,  il  lieve 
coU'anapestico. 

I  tre  ultimi  portano  con  se  e  nella  denominazione 
loro  la  propria  caratteristica:  i.°  simile  alla  cantilena; 
2."  conciso  dall'  emesso  ;  3.°  evulso  dal  lieve. 


facile    aJmitlit ,  ^lodo    eiusdeni    sii  Ei  vorrebbe  che  pronunziar  si  dovesse: 
lemporis  :  quod  metmìuni  ratio  non 

recipit,  (]uae  nec  spondaeani  quidem  Md'  Sarmtitas,  mille  Francos,  etc. 
atit  daclylum  prò  altero  usurpai ,  li- 
cei temporum  spalio  aequales  sint.'E  Ma  il   rilmo  none  cangialo  se  i  tetra - 
lanlo  maggiormente  perchè  trova  poi  sillabi     trocaici    di    piani     divengono 
non   regolari,   ritmicamente,   questi  sdruccioli,  rome  in  tutte  le  catalessi: 
versi  :  e    i    tetrasillabi    trocaici    son    sempre 

coli,  precisamente  come  l'arena  slc- 

Mille  Sarmatas ,  mille  Francai,  6*ti>  secondo    il  conceUo  arabo...    e 

Uìllc  Persas  quatrwm<.  il  concello  di  lutto  il  mondo  musicale. 


304 


DE      E.    I    T    I    S 


CARME    VELOCE 

Gli  si  dà  questo  nome  pel  suo  rapido  andamen- 
to (221);  che  in  falli  è  iambico  (222),  e  sarebbe  im  pret- 
to iambo  scazonle  se  corresse  nella  sua  formola  intera 
di  mostafhìlon  inostafliUon  mofhiClcC to.  Ma  perchè  non 
v'ha  verso  arabo  che  terminar  possa  con  una  sillaba 
lireve ,  non  v'  ha  mai  verso  veloce  intero. 

Quindi  lo  schema  : 


rORWOLA. 

mos 

taf 

hilòn 

raos 

taf 

hilòn 

fa'hìflon 

TAIATO-KASFATA. 

INTERA. 

- 

w  _ 

- 

- 

„  _  • 

-  ^  - 

CHABNATA. 

- 

- 

TAIATA. 

■-/ 

CHABLATA. 

- 

" 

- 

^ 

T.  VAQPATA. 

* 

CH.KASFAT4. 

-    - 

T.Z  OLMATA. 

Ha  due  periodi,  il  senario  e  il  ternario:  nel  qua- 
dernario e  binario  si  confonderebbe  colla  salirà. 

Nel  periodo  senario  due  sono  le  aruze  ,    la  taiato- 


(221)  Carminis  genus  \^^'^'[^'^\e-  bocrelico  al  carme  veloce.  Cosi  viene 
lox,  quod  super  linguani  celeritate  a  considerarlo  nella  sola  sua  forma 
quadain  flait  sic  dictum.  Clerico.  taiato-kasfala . 

(222)  11  Jones  dà  il  nome    di  iam- 


>1    E    T    n    I      ARABI.  i55 

kasfatii  0  la  chablato-kaslata  (223);  colla  prima  le  zarbe 
sono  tre:  i.*  simile  all'aruza:  2.°  taiato-vaqfata  j  3.*  ta- 
iato-zalmata.  Zihafc  ne  sono  la  cliabua,  la  taia,  la  cha- 
bla.  Queste  due  ullimc  si  uniscono  colla  seconda  aruza. 

Nel  periodo  ternario  gli  emistichi  divengono  versi 
interi ,  e  le  èlle  sono  le  stesse. 

Nei  carme  celere  le  aruze  diconsi  "^ìilS  {fozu'lon  ) 
dlsUnzionl  :  le  zarbe  PK'XJ  {gàjaion  )  estremità. 


(aaS)  Questi  versi  si  risolvono  in 
una  scgucnza  di  quinari,  ed  in  ogni 
cmisticliio  il  primo  piano  o  tronco,  il 
secondo  sdrucciolo  o  bisdrucciolo.  Ne' 
versi  clic  diamo  ad  esempio  nella 
seguente  pagina  trovasi  nel  testo  ara- 
bo quest'alternativa,  la  cui  versione 
metrica  esattissima  sarebbe  stata  :  Pian- 
te età  liete  aurette  careggiano . . .  ytl- 
ire  dei  turbi  ira  i  /ìschi  sorgono  ;  ce. 

Ma  se  il  primo  quinario  ò  costan- 
temente tronco,  que' versi  n'emergono 
de'  quali  abbiam  dato  un  esempio  alla 
pag.  191. 

Gli  esempi  delle  altre  forme  son 
queste  : 

PERIODO  SENARIO. 

PkiMA    ARVZA,  ZASBA   TAtA.TO-V.\QFATA. 

«nSno  'T  vh  'So  i«ot« 
pK^y  •svhy  C3s;y  '3  pixi'?» 


Zabba   TAIATO-SAIMATA. 

Njo'7s  '7'pb  ixpn  13^1  nSstp 
•i'.xoD»  nJSax  nps  «Sno 

Seconda  ariza,  z.ir£a  ciiablaio  aspata. 
Zarba  simile. 

oSl'n  «0  Tlrca  n'^p  np 

PERIODO  TERNARIO. 

ARUZA    VAQf  ATA. 

S.xi3k'73  nnsaxn  '3  pi:- 

JLKUZA    KASFATA. 

-'rny  K"7p«  'Sm  on«v  k< 


256  D  E     n  I  T  I  s 

ZARBA    CHABNATO-KASFATA. 

nolano  nm-\  -ìSnì    2 
niDNa  nnSN  xnyjn' 
NoriTiSD  fisn  ip  iSkì    3 
m5x  nVì  N'n  nS  oh 
onnr'O  dxj'^j*  's  nyniK    4 
ninxB  nùìtTDO  onS^inK 
nviJpo  nN'jT  inN'ia    5 
nnDXS  max  nyan» 
mìDno  HN'n  jo  inNìi    6 

j;'i«  Nonj'3  |o  nnNìi    7 
n-i3K  nSì  Njn  nS  d'*? 

VERBUM     VERBO. 

Aliquis  2^uer  vita  huius  mundi  ei  abundans  : 

Non  est  ei  post  liane  vita  futura. 
Et  altei- ,  vita  mundi  ei  est  misera  , 

Quam  consequitur  altera  sat  prospera. 
Et  alter  ita  perdidit  utramque  , 

Ut  non  sii  ei  haec  vita  neque  altera, 
Quatuor  ergo  distinxi  in  honiinihus 

Conditiones  apertas  evidentes. 
Unus  ,  cuiuc  vita  hic  est  misera , 

Quem  altera  consequitur  cuni  gloria. 
Et  alter  ei  mundus  est  laudabilis  , 

Dehinc  non  est  ei  alter  conunendahilis. 
Et  alias  est  qui  perdidit  utramque  : 

Non  habet  neque  terram  neque  caelum. 

Di  Ai.i  BEN  Aenì  Xaxsb. 


METRI       ARABI. 

1  RohhafatcCn  donjàho  màoqiì' raion 

lajsa  la/io  min  bàdiha'-c/nraton 
a  uaacharo  donja'ho  lìiadmii^ rnahon 

jaibaóìid'-lchiraton  fti'cliiratoìi 
3  uaacharo  qad  ka'na  kilatajhiina' 

ajsa  laho  donja"  vabd'-chiraton 
4  arbaàton  JV-nua'si  majjaziohoin 

achvd'lahom  makscid' f aliai l  id'hiratoii 
b  /avd'chidon  donjalio  maqbiCzaton 

ianbaòho  ùcldraion  fa'chiraton 

6  uavd'chido?i  man  donja'ho  malu'daton 
lajso  laho  min  nàdihd'  àchiraton 

7  uavakidon  man  bajnahoma'  za''ión 
laiso  laho  dajnd'  iialcC  a'chiraton 

VERSIONE       METRICA. 

Piante  cui  l' aure  gaie  letificano 

Fiori  han  talor  che  non  prolificano. 
Altre  al  fischiar  dei  turbi  abbarbicano , 

Germinan  su  balde  e  fruttificano. 
Ed  altre  inerti  in  lor  s'  intorpidano 

Melma  natia  vieppiù  e  vilificano. 
Quindi  ben  quattro  i  saggi  annoverano  , 

Quattro  nell'  uoin  sorti  classificano. 
Altri  che  in  lai  quaggiù  si  abbindolano; 

Ampie  poi  là  gioie  magnificano. 
Altri  cui  qua  lict'  ore  prosperano  ; 

Poi  1'  ime  bolge  angou  ,  mortificano. 
Ed  altri  alfin  che  s'  identificano  : 

Di  qua  di  là  non  diversificano. 
Thni.  ///.  33 


207 


258 


D    K      R    1    T    1    S 


CARME    EMESSO 

n  "1  D  3  a  *?  X- 

Del  carme  emesso  è  questo  lo  schema  ; 


rORMOLA. 

iiios  taf   hilòii 

mof  hii'  la'tò 

mos  tafliTlun 

INTERA. 
CHABNAT. 
TAIATA. 
CHABLAT. 

- 

- 

^ 

- 

7  TAIATA. 

_     - 

7.  Ci  \TAT  a. 

'■•■y- 

1 

«  Questo  carme  emesso,  diceva  il  Giiadagnoli,  al- 
cuni non  attribuiscono  a  veruno  de' cinque  circoli,  come 
quello  che  appartener  possa  a  tutti;  e  perciò  nel  Qa- 
mus  non  gli  si  assegna  particolar  misura,  sol  dicendo- 
visi  ,  /'  emesso  è  una  specie  di  verso  JO  DJ.!1  niDiO*?}* 
piyVx.  E  la  stessa  denominazione  di  emesso ,  mDJO^N , 
dinota  potersi  emettere  come  si  voglia,  quantunque 
possa  prendersi  in  altro  significato  ,  quasi  equivoco  di 
denominazione,  essendo  un  carme  che  costa  di  generi 
diversi,  come  gl'Italiani  ammettono  ne' loro  madrigali 
versi   di  sette  ,  di  undici  ,  e    di  dodici   siilaLe  w.  E   in 


jr  E  T  R  I     \  n  A  E  r.  209 

appoggio  tli  questa  sua  opinione  trascrive  alcuni   versi 
del  Corano  (224). 

Il  Clerico  deriva  la  parola  mD3D7X  dal  verbo  fTìDJX 
(  ensaralia  )  dinotante  uscire  spcciahneute  dalla  veste, 
svestirsi,  perchè  avendo  la  zarba  taiala  o  almeno  ca- 
tcita,  esca  sempre  dalla  misura  del  suo  cerchio  e  quasi 
se  ne  spogli.  Crede  per  altro  potersi  dire  anche  facile, 
per  la  faclllà  e  leggerezza  del  suo  andamento.  11  Jones 
iinalmenle  il  denomina  /nobile. 

Ed  olire  alle  cpiislioni  del  nome ,  due  diverse  for- 
inole assegnano  alcuni  al  carme  emesso  :  la  prima  è 

mòstrd'htlòu  mofhù'lù'to  mòstrifhtlòn  ; 
la  seconda 

faliTlà'l^n  mustrifhTlòn  fa'hilà'tò. 
Dalla  prima  formola  si  avrebbero  versi  di  questa  foggia  : 
Al   risonar  foUeggiante  de' crotali, 
Ve  carolar  baldanzose  le  menadi  ; 
E   dalla  seconda  : 

Vedi  come  i  lor  crotali  percotendo 
Dauzan  là  quelle  menadi  baldanzose. 
Ma  questa  seconda  formola  è,  come  sarem  per  ve- 
dere ,  quella  del  carme  lieve. 

(2J4)  'in  «TX  a:j'j«1  va-nnag-mi  ida'  hava' 

"lì  «DI  Q33nSX  S5  «0  ""*'  -"^'^  za'hibakam   vama' gàia' 

,^— l^^  .«  noy  «01  vama'  ianliqo  àni-'lhava' 

,,p,  ,p,  jjijj^  ^pi  .j{  in  hova  illa'  vahion  iahva' 

,._Lj.  TTW  noSy  àllamaho  •■iciadi'dO''ìqova' 

•ir\D«i3  mn  n  du'mùratm  fa-stava- 

Verbum  verbo.  Perslellam  quando  ceciderit.     Et  quidem  non  est  nisi  inspimtio. 

lion  errai  doctor  vester  neque  dectptt.  Docuit  eum  fortis  robore. 

r.l  non  loquitur  ad  loluntalem.  Sapiens  et  didici!.  -  Sura  de  stella. 


aGo  DE       R    I    T    I    S 

Ha  due  periodi  ,  dicono  i  dottrinali  :    nel   senario 
Taruza  è  sempre  sana,  la  zarba  taiata  e  alle  volle  qa- 
tata.  E  uel  periodo  binario ,  nel  quale  l' aruza  colla  zar- 
ba si  confonde,  il  verso  è  vaqfato  o  kasfato.  Sono  zi- 
hafe  per  le  due  prime  formole  la  cliabna  ,  la  taia  ,  la 
cliabla  :  pel  secondo  vioslafhiìon  le  due  prime  soltanto. 
E  il  Jones,  definito  al  suo  modo  questo  genere  di 
versi  per  trocheo-iambico ,  il  riferisce  poi  a  quello  che 
i  greci   dissero   asìiiarteto  perchè   composto    di  cpi  triti 
quarti  fra  due  cpitriti   terzi,  che  poi  va    trasformando 
in  coriambi,  diiambi  ,  ditrochei,    antispasti    peonici    e 
molossi  (2  25).    Tantae  molis  erat  il  definire  a  legge  di 
prosodia  araba  o  greca    un  endecasillabo  ,    sia    sdruc- 
ciolo ,    sia  piano  (  forma  qatata  )  che    abbia    1'  accento 
alla    quarta  e    alla  scttiina  :    un    endecasillabo    cioè    di 
jiosizione  dattilica,  preudendo  nella  ragione  dei  piedi 
\wi-  posizione    quell'ampio    significato    che    gli   antichi 
gramatici  loro  attribuivano  (226). 

Il  carme  emesso  degli  arabi  corrisponde  come  due 
gocce  d'  acqua  a  quelle  canzoni  da  ballo  delle  quali 
trascrivemmo  già  remotissimi  esempi  : 

Ev  ^.vgrov  y.y.cùìi  <ro  '£,i^og  (popr,cr(ci,   x..  t.   X.  (227)', 
e  le  quali  son  comunissime  nelle  ballate  (  ez^opx,"'''!^'^'^^  ) 
de' no.  tri  popolani  (228). 


(225)  Decima  species  est  ea  qaum     nostra  osservazione  generale  su  le  zi- 
Craeci    agiMxprrirav   a/jpel/ant  ;  com-     hafe  pag.  49. 
pìectitttr  enirn  epìtritos  quarlos  inter        (226)  V.  la  nota  18. 
teitios  ,  qui  pedes  natura  sunt  disse-         (227)  Pag.   101  e  scgg. 
ciabiles,  eie.  eie.  pag.  5o  a  52.  V.  la         (228)  Prenderemo    ad    esempio    il 


M    E    T    R    I       A    R    A    B    I.  iìfi  l 

Pure  un  tal  metro  è  di  tanta  rarità  appo  gli  arabi, 
che  un  diligentissinio  arabista  denomina  ^///js/o  quello 
de' versi  che  qui  diam  per  esempio  (229). 


XLT  sonetto  dcUa  prima  curda  della 
Tiorba  a  taccone. 

lette  co  Muchio  a  cantare  na  sera 
Duvl'  de  casa  Ceccuzza  mia  sta: 
Quauno  arrivate  pò  subbeto  Uà 
ricemo  pricsto  na  ntantarantera. 

Cecca  s*  aflàccia  a  bedè  de  corsera  : 
Comm'a  li  grille  ce  vedde  sauté. 
£:ssa  na  bella  resala  se  fa 
Tutta  contenta  e  preìata  de  cera. 

Canta,  io  dìcìette,  ca  Cecca  mia  bella 
Stace  allacciata  me  ,  vldela  tì  , 
Cana  j  cornuta  ^  canazza,  canella. 

Muchio  aprie  canna ,  e  dicette  accessi  : 
Tubba  catubba  la  tubba  tubbella, 
Tubbu  tubbelia  e  Io  ckicbirìcbì. 

(229)  »  Ces  vers,  dice  il  dotto  edi- 
>*  tore ,  soDt,  je  crois ,  sur  un  mètre 
))  flctif }  qu*on  pourrait  ijgurer    ainsi 

)>  possiblc  aiissi  que  le  texte  soìt  un 
»  peu  altere,  u 

A  giustificazione  di  quanto  qui  si 
ilice  avvertiremo  che  i  dottrioali  non 
assegnano  al  carme  emesso  l' aniza 
taiata  ,  la  qual  corre  in  questi  versi 
meno  che  nel  primo  emistichio  dove, 
proponendosi  la  rima ,  il  verso  esser 
dee  bifore;  e  che  anche  la  zaròa  qa- 
tala  i  dottrinali  dicono  rara ,  aliquoties. 


Si  noti  nell'  ultimo  cnnislithio  della 
composizione  Fuso  profano  che  fa  il 
poeta  della  solenne  profession  di  fede 
musulmana:  hVVnnSxnSiS  irWH 

(25o)  PERIODO  SENAHIO 

ZARBA   TAIATA. 

n3ii''7K  mxo  '3  't?r  -rSS"? 

ZARBA  QATATA. 

PERIODO  BINARIO  (  nahkato  ) 

EARBA  TAQPATA 
ZARBA    KASFATA 

Quest'ultimo  esempio  è  quello  stesso 
che  vedesi  già  dato  per  la  satira  , 
pag.  a33. 


g6'3  D    E      E.    I    T    I    S 

ARUZA   TAIATA  ,    ZARBA    QATATA. 

rhha  iis'nn  KiSj^ps  xni    i 

HN'iDi  njx^  nSx  nj 
n3DS^<p  hn'VdSn*  i'^o  Nirr    2 
nx'N^T  x'n^jfx  nn'^ii 
nnnD  rnrtti»  np'i  'a    5 

nnjji  pia  pn^N*  ana  np    5 

VERBUM       VERBO. 

yipparuit  et  dixerunt  :  Z<audetur  Deus  ! 

Alagnificetur  qui  elaboravit  eurn  et  apprìme-finxit  euinl 
Hic  est  rex  formosonim  ,  nullo  excepto  , 

Et  universi  facti  sunt  subditi  ei. 
In  saliva  eius  mei  liquidum 

Et  soliduerunt  margaritae  in  dentihus  eius. 
Perfectus  est ,  per  pulcliritudinem  suam  unicus  ; 

Totus  orbis  (in)  pulcritudine  eius  obstupescit. 
Dudwn  scripsit  forma  super  gena  eius  : 

Testar  non  est /brmosus  praeter  illuni. 

Notte  74  e  275.  HuMB.  XXXV. 

I  vari  esempi  che  danno  del  carme  emesso  i  dot- 
trinali tanto  nel  periodo  senario  che  nel  binario  sono 
nella  precedente  pagina  (aSo):  e  di  quest'ultimo  altro  dir 


METRI      ARABI.  263 


1  BadcC  faqcCliC  taba'rah''  allcCo 
giadcla  cCddi''  zcCgàliò  vasavvcCo 

2  liadxC  mali'ho-  ImilcC Ili  qcCtihaton 
va  kollo/iam  azba/iu'  rm'CjcCo 

3  JV  riqìhi  scìahdalòti  modavvàhaion 
vcC iiàqada-  ddorro  fi'  thancUja'o 

4  mokammaVon  ho-glamcCli  moufhridon 
kollo-  Ivarai  fi  giatncCto  icChcCo 

5  qad  kataha-lliosan  fiCqo  va^nàtilii 
cmd'hado  in  IcC  mairiia  ila'  hao 


VERSIONE      METRICA. 

Si  mostra  e  sclamano  tutti  al  vederla  : 

Dio  sia  laudato  che  si  ben  modella  ! 
Lei  qual  regina  le  belle  salutano 

E  la  più  altera  a  lei  rendesi  ancella. 
Del  labbro  i  doni  son  favi  dolcissimi  , 

E  in  ogni  dente  addensossi  una  perla 
E  in  leggiadria  perfettissima  ed  unica  ; 

Stupisce  ognuno  e  uou  ha  più  favella. 
La  beltà  stessa  le  ha  scritto  a  la  guancia  : 
))  Io  son  la  bella  e  sol'  io  mi  son  bella. 

non  dobbiamo  se  non  che  versi  di  tal  fatta  si  risolvono 
o  in  ottonarli  iambici  (  forma  vaqfala  )  o  in  seltenarii 
(  forma  kasfata  ). 


264 


DB       R    I    T    I    S 

carhie  lieve 


Il  movimento  di  questi  versi  è  l'anapestico;  donde 
il  nome  di  leggiero  (25 1).  Procede  per  trimetri  e  dime- 
tri ,  o  secondo  il  dire  degli  Arabi ,  pel  periodo  sena- 
rio  e  quadernario.  Nel  primo ,  due  sono  le  aruze  in- 
tera o  hadfata:  né  altri  accidenti  hcjnno  le  zarbe  ,  se 
non  che  la  zarba  hadfata  si  unisce  talora  coU'aruza  in- 
tera. Son  zihafe  la  chabua,  la  kaffa ,  la  sciakla.  Quindi 
lo  schema  : 


POR  MOLA. 

fa'  liTlà  ton 

mos  taf  ht  lon 

fa'  hr  la'  ton 

INTERA. 

^   - 

- 

- 

_    ^ 

- 

- 

-     _     - 

CHABNATA. 

- 

- 

- 

KAFPATA. 

- 

- 

SCIACLATA. 

" 

- 

- 

- 

HADFATA. 

-  „  - 

lI'VDF.  CHAB. 

Abbiam   veduto    1'  anapestico   trimetro   catalettico 
crescere  di  una  sillaba  dopo  il  primo  piede  nel  Carme 


(a3j)  La  ragione  che  ne  assegna  il  Non  v'  ha  formola  di  stile  lettere  la 

Clerico   è    assai    lepida;    In    quoìibet  qual  non  abbia  due  corde  e  un  sol  pa- 

pede  paxiilus  inter  duas  c/iordas  clou-  lo.  -  Il  Jones  poi  denomina  questo  ine- 

tfilur,  chorda  atttem  paxillo  ierior.  -  irò  iamòo  trocaico. 


IM    K    T    R    I        A    R    A    n    r.  '  gG^ 

DISTKSO:  qui  l'aumento  si  ha  dopo  il  secondo.  La  sciakla 
ristal)ilisce  gli  anapesti  nella  loro  purità. 

Nella  forma  intera  ,  ogni  emisticliio  del  carme 
lieve  degli  arabi  si  risolve  in  un  settenario  anapestico 
tronco  e  in  un  scnario  bacchiaco.  Non  ne  mancano 
esempi  spiccantissimi  nelle  lingue  romane  (-232)  ;  e  l' Ita- 
lia probabilissimamente  gli  avrebbe  ancora  se  la  per- 
l'czionc  data  ai  metri  iambici  non  ne  avesse  dapprima 
dismesso  l'  uso,  e  poi  fatto  credei-e  ai  trascrittori  che 
tutti  i  versi  col  movimento  anapeslico  fossero  irrego- 
lari. Dal  che  il  loro  afl'acendarsi  a  cancellarne  quasi 
le  tracce  (-253). 

Nella  forma  hadfata  abbiamo  il  nostro  decasillabo 
sdrucciolo  (234)  :  e  nell'  hadfato  cliabnata  ,  novenari 
bisdruccioli  (255). 


(232)  Sirventet  vuelfi  far  |  en  est  «rt  que  piler!  )   ai  codici  vaticani  !  !..  -  Ve- 

m  agensa ,  sligi   dell' anapeslico   trimclio   calaKl- 

ìlo'l  vuelli  plus  forzar  \  ni  far  long  tico  abbiamo   uellc   canzoni  de' noslri 

alendensa  duccnlisti  ; 

E  sai  f  ses  duptar,  \  qii*en  auraì  mal-  De  la  mia  disianza 

volensa  f  Ciie  ho  pena  ad  avire.  L'iaip.  rEDr.Rico 

Car  fauc  sirventes  \  dehfals  d'enjan  Lo  fin  pregio  avanzato 

pìes ,  PC.  Ch'il  mio  cor  sarrea.  GtriDO  GviNicEt.:i 

G KRXosDE ,  DAWE  DE  MoNTPELLiEit.  Ma  comc  sono  ulie  stampe  ? 

(:!.33)  il  doloroso  il  dovere  annovc-  {'2,)  O  cjual  fiera  con  IVcmitl  orribili 

rar  tra  questi,  anche  il  reverendo  Sai-  Scatenossì  tempesta  fierissiuia.  Kedi. 

villi  e  il  reverendo  Biscioni.    Per  ri-  Sono  i    mctii  dcgl'  inni  al  Sole  ed  a 

stabilire  nella  loro  purità  gli  an^ipesli  Nemesi. 

della  canzone   di   Onesto  Bolognese  ,  (235)  Vedine  gli  esempi   alla  nota 

dovè  ricorrere  il  buon  Perticali  (  Iiip-  aS?. 

Tom.  III.  34 


266  DE       R    1    T    I    S 

ARUZA   E    ZARBA   INTERE. 

ìiiyD'D  ND'a  IN31  1-10;^  t)'D      2 

PSjSn  n'V;?  moÌN  no  io 
ma  nnn  p  pV'?x  ivSn*    5 
juaSx  ira  D'Dn  j}<n  jo 

N1NJ  p:i?Ni\:'7K  npì3  rnpiJ*    4 

DotrSx  ina  nn'?SD  no  Nixa    5 
panon  pn  D*7a  n'V 
3-i^S  nxi'nJN  p  »VNn\xo    6 
pò»  DN  nn  riDD  Snoìtn 

Sjra'O'^N  D3pVND  IX^'DnSn  TOnO»     7 

P';^Sn  n'3  ipnon  xa 

VERBUJM       VERBO. 

Possidet  Sar/isama/n  Zobeidae ,  solus  ex  omnibus  ho- 

ininihus ,  Musa  viinister  Dei. 
JEnsis  Amri  utique  fuit ,  prout   audivimus  ,  optimus 

eonwi  siqjer  qiios,  immissae  sunt  vaginae. 
Piridis  est  colore  :  inter  anihas  acies   eius  strìae  ex 

caligine  :  jactante  se  injìectit  super  iis  jnors. 
Accendennit  super  hoc  fulmina  igiiem:  posfea  miscue- 

runt  in  ilio  praestantissimum  venenum  fabri-f errarli. 
Igitur  quando  evaginas  illuni  ,  tum  is  sol  (  est  )   per 

splendorem  ,  nec  potes  iniueri. 
Non   curai ,    qui  stringit   euni   ad  feriendum   utrum 

laeva-manus  irruat  cum  eo,  an  dextera. 
Ad-volatuìn-commovet  oculos  sicut  torris  ardens,  su- 
per quo  non  possunt-cnjnm orari  lumina. 


METRI       ARABI.  267 

1  liaza  zcmizà' ìuata-lzobdklP  min 
bajna  giorni- lena' mi  miC scù-lemino 

2  saifo  cunrCn  uahcCna  fìmcC  samincC 
chaìro  mcC  ógmidat  àlajlia-  Igioùy  no 

5  achzaro-lìavni  baìna  liaddajld  bordon 
min  dalcCgiii  tami'so  Ji''hi-lmany''no 

4  avqadat  fav^qaho-zzavcCìqo  ncCrcCn 
lemma  scialbai  bild-  zzoufa-ìqoiy' no 

5  faida'  nuC  salaltaho  fahova-  ssciam- 

so  zija'infalam  tahun  tastabVno 

6  maioba'W  mani-nlaza'ho  lizarbin 
ascimaUon  salat  bihi  ani  J ami'' no 

7  iastali''  ro-labascC  ra  k  a- Iq  abasi- Imo  sc- 
ali ma'  tasLaqirro  Ji'ld-lóiy'no 

VERSIONE      METRICA. 

Di  Zobai  la  samsaua  ov'  è  ?  -  Della  Fede 

Il  campione  se  1'  ha  :  n'  è  Musa  1'  erede. 
Fu  già  d'Amro  quel  brando ,  e  in  fama  su  quanti 

Mai  si  traggan  dal  fodero  ei  precede. 
Verde  splende  :  nereggiano  fra  i  due  tagli 

Le  sue  strie:  baldanzosa  morte  là  siede. 
Foal  rovente  del  fulinin  la  fiamma ,  e  tempra 

Di  veleno  in  un  lago  il  fabbro  gli  diede. 
Quindi  al  sol  pari  sfolgora  sguainalo, 

Cui  Usando  uman  guardo  infermo  recedo. 
Sempre,  impugnilo  pur  la  destra  o  la  manca. 

Nel  vigor  suo  terribile  impiaga  e  fiede. 
E  ruotando,  occhi:)  rapido  scorridore 

Nel  raggiugne  :  è  uu  ruotar  di  vivide  tede. 


^68  DE       R    I    T    I    S 

nNj'rx  -imj'?Ni  ijidSn  jkdi    8  " 

{£Jsl)  utique  acies  et  nilor  Jlueas  in  uinhohus  laterihus, 

sicut  aqua  limpida. 
l^uge ,  est  instru/iientum-formidatuni  possessori  irae: 

III  pugna  egregie-sese-a/fert  ciim  eo  :  eiige ,  est  coin- 

Tuiiito. 

Hdhbert.  XXVII  {10&). 
ARUZA    E   ZARBA    HADFATE. 

nwoN'  Vrj  p'  0*7  "id'^n  nSn    1 

n"iNn3Nì3  2J;?SNn  2J;'N"i    2 

nT3-in  ND  np5  nj;iì3    3 
nJD  'iin'i  NQV  in-^'D 

V   E   R   B   U  M        VERBO. 

0///J  t^/'/'  non  est  contentus  eo  qiiod  potest , 

Et  71011  operatur  quod  est  optimum, 
Et  delectatur  sequi  extravaganlia , 

Et  ohstinatus  maluni  censet  honum  , 
Recede  ab  eo  :  malum  iam  carpii  iter. 

Ipse  dieni  ridebit-,  tiini  lacrimahitur  aevum. 

Di  Abì  ben  Abi  Talee. 


I 


(236)  Non  so  perchè  il  eh.  editore  La  parola  tN'a'Dif  °  nONi'Olf  *'* 

rigetta  il  primo    verso    perchè   mera-  gnifica  una  spada  affilata    e  che  non 

mente  istorico.  Pare  pertanto  che  quei  si   piega.   ))    Era    il    nome    particolare 

ricordi  storici  appunto  dien  moviraen-  )i  della  spada  di    Amro    ben    Màad  , 

to  ed  anima  all'  intera  composizione.  )i   che   giunse  per    successione   tra    le 


M    E    T    11    I       A    U    A    B    I.  SsGg 

8  ua  kaanna- l/lranda  iia-  lgiavhara-''lgià'- 
rija  JC  zafhatajhi  mcCon  mai' no 

9  ni-Tìia  ììiichraqo  di' -  lìiafi  tati- Ihaj- 
gia'i  jogzV  bi/ii  uaniina-lqarVno 

E  sol  vide  rilucer  di  liinpid'  onda 

Chi  alternar  di  sua  lama  il  balen  vede 

Su  via:  franco  l'impugna  :  un  prò  battagliero 
Ne'  tuoi  giorni  dell'  ira  compagno  accede 

1  ada-lmarìio  lam  jarza  mcC  hainlanao 
vaiavi  jiCli  min  aniri/ii  liazjanao 

2  vaùgiaba  hi-làgiahifa'ajja'dao 
vaia /ut  hihi-  Iti' ha  fa^ sialisanao 

3  f adulto  faqad  scCa  tadòV roo 

sajazhoho  iavman  vajahkV  sinaton 

VERSIONE      METRICA    (*). 

Tu  da  quei  che  al  dovere  non  si  arginano, 
Che  del  giusto  alla  legge  ricalcitrano. 

Che  in  follie  vaneggianti  dimargiuano, 
E  ostinati  nel  pessimo  incalcitrano, 

Ti  allontana:  in  vie  tristi  essi  scalpitano. 
Un  di  han  riso ,  e  per  secoli  palpitano. 


>i  mani  del  califa  Harm   Al-Rascid  ,  sto  poemetto  che  la  Samsama  era  gii 

"  e  torse  quella  stessa    che   fu   com-  celebre  per  Zobaido  ,    probabilmente 

»  prata  a  sì    caro    prezzo    dal    calila  uno  degli  antenati  di  Amro. 

)i  Motavakkel  ».    Cosi   Herbelot    alla  Tace  Herbelot  sul  possesso  eh'  eb- 

parola  Samaam.  Or  vcggiamo  in  que-  be  di  questa  spada  Musa  ben  Giafar 

(•)  Questi  versi  non  corrono  precisamente  n'  è  altra  che  più  da  ricino  Ti  si  accosti. 
per  la  forinola  del  carme  lieve:  ma   non  ve 


270  DE      n    I    T    I    s 

Nel  periodo  quadernario  ,  il  carme  leggiero  si  ri- 
solve in  due  settenari  sdruccioli,  ma  coli'  accento  alla 
terza  ,  cioè  in  settenari  anapestici  :  e  se  la  zarba  è 
qazrata  ,  il  secondo  settenario  è  piano.  Gli  esempi  del 
periodo  quadernario  ,  e  delle  zarbe  hadfata  e  hadfata 
chabnata  coli'  aruza  intera  nel  periodo  senario  sono  in 
pie  di  pagina  (aSy). 

Sadik  j  dal  quale,  e  non  già  per  sue-  XI^ISH  P^""  forgiare  i  due  emiitichi. 
cessione  ,  passò  ad  Al-Rascid  ,  dopo  E  per  viemaggiormcnte  conoscere  co- 
aver fallo  avvelenar  quell'emiro.  me  lutlo  il  sistema  dottrinale  dell* 
Musa  è  il  VII  de'  dodici  Imani  ve-  araba  prosodia  sia  di  mero  artifizio  , 
iierali  dagli  Sciiti  ,  e  mori  d'  anni  55,  si  ascoltino  le  gare  che  in  occasione 
il  i83  dell'  Egira.  -  11  poenaa  è  di  di  questa  seconda  forma  del  carme 
Abn  AsD-ELnAiiMAN  Elattum  Elkuffi.     leggiero  giazato  insorsero.  Adotteremo 

le  parole  del  Clerico.  De  hac  Darba 
(237)       PERIODO  SENARIO.  jt^^^jfj  non  coiivenil  Prosodiae  Magi- 

stris  ;  aliis  ,  iiiter  quos  Zamuchsha- 
rius  ,  ex  integro  p  ^3n  DD  P^'' 
chabnam  et  harsam  ;  aliis  ,  iisque 
recentioribus ,  ex  pUflnDQ  P^^  ^'^~ 
t'ham  et  chabnam  deduce ntihus,  iitrìs- 
qiie  Alchalilum  in  partes  siias  ira- 
hentibus  :  alii  interim  ,  hosce  ulros- 
que  hallucinari  rati  ,  per  chabnam 
et  rasfam  ex  J*^  ViH  D53  are-essere 
malunl ,  reiecta  se.  lilesa  V  ex  pa- 
xillo  disiuncto  U^H  7-'^'"  casfam  ,  et 
secuiida  quiescente  Q  per  chabnam 
elisa  :  hoc  pacto  restabil  J*75]1ID  {"lo- 
«nox  '3  no;>  ax  nriKlRO  '"\PB  n^'?       ti^on  )  ,  ve/ ,  quodidem  valet  plj^fl- 

Settenari  anapestici  sono  assai  radi 
Zarba  qazrata.  ira  noi,  ma  frequentissimi  in  Francia; 

Qui  regna  sur  la  France 
In    quest'  ultimo    verso    la    paiola  Et  par  droit  de  conquéle 

NlilSn  ^^   divisa  -,   com'  è  chiaro  ,   in  Et  par  droit  di  natssance. 


PERIODO  SENARIO. 
Zarba  hadfata. 


^arba  hadfato-chabnata. 

PERIODO  QUADERNARIO. 

Zarba  intera. 


METRI      ARABI. 


271 


CARME    SIMILE 

Ha  questo  nome,  dicono  alcuni,  perchè  simile  alla 
cantilena,  nella  sua  forma  quadernaria,  nell' aver  pali 
che  precedono  le  corde,  e  nella  facoltà  di  ammettere 
la  charma ,  la  charaba,  la  sciatra  ;  altri  perchè  simile 
alla  saura  nelle  sue  zihafe  ;  altri  perchè  simile  all'  e- 
niesso  ed  al  lie(,'e  nell'  avere  nel  secondo  piede  il  palo 
disgiunto  (258).  Ma  diilerisce  essenzialmente  dalla  can- 
tilena e  dal  carme  emesso,  perchè  in  quella  1'  accento  è 
alla  sesta ,  uell'  altro  alla  quarta  ,  e  in  questo  sempre 
alla  quinta;  e  diflFerisce  dalla  satira  e  dal  carme  emesso 
anche  per  la  condizione  notabilissima  della  catalessi ,  in 
quelli  sempre  sdrucciola ,  in  questo  sempre  piana.  Sue 
zihafe  e  sono  la  qabda  e  la  qaffa;  e  il  primo  palo  può 
esser  modificato  per  la  charaba  e  per  la  sciatra.  Eccone 
lo  schema 

FORMOLA. 

SANA. 

Q AB DATA. 

QAFFATA. 

CHARABATA 
SCIATRATA. 


mòfà 

hi'lon 

ffi  hi  la'  lon 

- 

- 

-    "   -    - 

Pui' ve  n'ha  esempi  nel  duccnto,  come  (^38)  Cosi  il   Clerico.    Al    Jones   è 

iiellacanzoncdiRi.sicciODA.FiORE>ZA.  piaciuto  definire  questo  metro  per  an- 

Ciascun  eh'  ama  s'  allegri  tispastico  ,  scambiando  la  formola  pri- 

E  si  fermi  in  softrire  ,  miliva  colla  qaffata. 

Che  secondo  il  languire 

Amor  dosa  allegrezza. 


272  D    E       R    I    T    I    S 

Le  nioclificazioui  di  questo  canne  per  la  eharaba 
come  anche  per  la  sciatra  prendon  ragione  da  quelle  va- 
riazioni che  s*  incontrano  in  tulli  i  metri  iambici.  Ne 

H'S  njNi  ]ha6ii  'JdSd'N'    i 
nh  njxi  -^anhii  'jSa  xm 
^  1ND  Ss  -jNan  p  n-)'i    2 

V  E  R  B  U  M      V  E  R  B  O. 

N'unì  opprimet  me  tempjis  ,  et  tu  in  eo  ! 

JSum  devorabunt  me  lupi  ,  et  tu  leo  ! 

Xrrigalur  de  valle  tua  (*)  oinnis  sitiens  : 

J^go  vero  siti-premor  in  vaWe  ina.,  et  tu  pluvia  copiosa, 

Notìe  211.  IIdmu.  xxin. 

Ed  ecco  come  la  prima  tome  del  terzo  emistichio 
che  in  tutti  gli  altri  corre  per  c|uadernari  C[ui  sf  scorge 
settenaria.  E  quel  che  qui  avviene  nel  carme  esube- 
rante, rincontrasi  anche  di  frcc[uente  nel  carme  perfet- 
to. E  dall'uno  e  dall'altro,  per  la  grande  libertà  che  ai 
carmi  del  secondo  circolo  si  accorda,  può  dirsi  adun- 
que il  nome  di  questo  genere  di  versi  derivante.  E  que- 
sta, sola ,  a  quel  che  pare ,  è  quella  siìiiigliauza  di  che 
andavamo  in  traccia. 


C)  "  ÌXtjri  "^^ 'J3h  1"^l'iB1"'^  1"°S0  "   ^' Htiriri ,  tori!.  I,pag.U'y,  posson 

)i   chiuso  ,  risbalo  dal  proprielario  per  »  vedersi  altre  particolarità  su  questa 

)>  sé  ;  il  che  si  è  espresso  nella  vcrsio-  »  voce  ».  Nota   del  signor  Huniberl. 
»  ne   Ialina   colla  parola    valla.  ISel- 


METRI       A    R    A    B    T.  Z'j5 

abbiam  tenuto  già  non  breve  discorso  (209)  :  oltro  qui 
non  rimane  che  farne  veder  quasi  dall'  origine  la  pro- 
venienza. Leggansi  questi  versi. 

1  ajaUinioni''-zzinià'no  |]  uaanta  filli 
najcC  Loloni'-ddija' no  j|  aaanta  ajlo 

2  najorvà'  min  himcCka  ||  kallo  UCvìri 
iiaàlascio  fihiinà'la  \\  uaanto  gàjlo. 

VERSIONE      -METRICA. 

Me  opprimeranno  rei  tempi,  e  tu  ci  sci  ? 

Me  sbraneranno  que'  lupi  ,  e  Icon  ruggi? 
Nella  tua  corte  ognun  ristori  e  bei  : 

Sei  Sole  :  e  accanto  ad  un  Sol  vuoi  eh'  io  mi  adiiggi? 

L'  alternarsi  a  volontà  del  poeta  il  settenario  col- 
r  ottonario  iambico  è  usitatissimo  nei  nostri  trovatori 
del  ducento  (240).  Ma  qui  produrremo  un  esempio  nel 
quale  quesl'  alternazione  è  simmetrica  :  ed  è  V  unico 
esempio  antico  eh'  io  mi  conosca  nel  quale  la  compo- 
sizione trovisi  quasi  in  tante  strofe  ripartito  (341)' 


{23g)  Pag.  232  e  seg.  sione  alfabetica.- Leggeranno  questa  li- 

f  J4o)  In  amoroso  pensare  tanìa  gli  amatori  del  pari  della  scienza 

Ed  in  pran  disianza  dc'costumi    dc'popoli  e  i  litologi:  i  jui- 

Per  voi ,  bella,  son  miso  ,  mi  per  legare  T  origine  dell'  islamismo 

Si  eh' eo  non  posso  posare ,  ec.  colle  varie    sette  eresiarclie  clie  Incc- 

KixiLDO  d'Aquino  rarono  la  Chiesa  dopo  il  simbolo  della 

(241)  Nella  versione  metrica  si  è  seguilo  lede    proclamata   cattolica    in  Nicea  , 

il  solo  andamento  sillabale  e  la  dispo-  e  per    vedere    con    ijuanto   senno    fu 

sizionc    delle  rime   ncU'  ordine    delle  dall'  Alighieri  cacciato  Maometto  fra  i 

loro  variazioni  non  gii  nella  progres-  dismembrali  e  promotori  di  scandalo  e 

Tom.  in.  55 


'■^' l  D    E       R    I    T    I    S 

Xl^nSx  i'O^tD  N"  ju  scCmià-hldoà'i 

NOdSn  ;?DN-i  N'1  naia  ra'JacVssama'i 

Np3':'«  QN*n  Nn  ucda  da'jima-Ubaqa'i 

n:3>'^«  ;rDNl  N»1  uaia  va' sia-' lata' i 
D'II^Sk  npxC^K  »nS  lidi-Hfa'qati-HàdVmi 

"JVJ'^N  CdW  K»  ya  cClima-'lgòjim 

nm^N  ISNJ  K'1  7/a/a  gcejira-'ddhonu'bi 

"IItSx  nnXD  NM  «aia  sa'lira-'lòìiCbi 

_  yà-Ai  'rp)^'2  N»l  naia  ka'scifa-lkoru'bi 
D'5dS>'  pn-lD'^N  i;^  àni-'hìiàrhagui-UkathVmi 

DN'avSx  p'_K3  N'  jafa'jicjua-zzifaHi 

nK3.''7K  JTDO  N'1  wa/a  mòchrigia-nnaba^ti 

T^;M^zh'S.  i'r^iX'J  K'I  ;/a/«  già' mi  a- sscita' ti 

rt^'OO^N'  n>'ÌN*3  K'I  z/a/a  ba''ìla-lmaiiuiti 
O'^lSs'  aiD>\S*SiS'  ì;?  àni-ìòitaìui-rrami'mi 

Ex  Mss.  R.  Bibbi..  Bore. 

V  E  R   B  U   M       VERBO. 

O  exawììior  deprecai ionis       O  scrutator  occuUorum  O  excellens  glonaruin 

Et  0  exaltator  caelorum         Et  o  dimissor  peccatorum      Et  o  productor  plaiitarum 
Et  o  pirennis  existcntia  Et  o  opertcr  macularum  Et  o  aggregator  disiunc torum 

Et  0  largus  munificentia        Et  o  levator  moestitiarum      Et  v  resuscitans  fflorfuos 
Honiini  praedito  indlg-;ntia.  Ah  ilio  qucni  perseqituniur.  A  maximoputrefactionts  statu. 


di  scisma  (*)  :  i  secondi  per  veder  cor-  dell'alfabeto  e  nei  maggior  numero  de' 

rerc  la  rima  araba  per  tutte  le  lettere  suoi  accidenti.  Per  qucst'  ultimo    ob- 

(*)  Se  qui  rammento  queste  parole  dell'A-  dalla  sola  parte  della  espression  poetica  vuol 
li^hleri ,  non  è  già  ch'io  produr    voglia  una  essere  riguardata,  ma  come  monumento  pre- 
opinion singolare,  ma  sibbenc  quella  del  suo  zìoso  per  la  storia  de' progressi  dello  spirit  > 
secolo  del  quale  abbiamo  in  lui  la  rappresen-  umano  nella  civile  economia, 
tanza.  E  il  suo  viaggio    pei    tre  regni  ,  non 


METRI       ARABI. 


275 


VERSIONE      METRICA. 

O  esauditor  de'  lai  , 
Che  i  cieli  sublimi  fai , 
Che  in  vita  perenne  stai , 
Che  sopra  d'  un  mcschin  sai 
Di  grazie  profonder  fiumi. 

Tu  in  ogni  occulto  mcrgi  : 
Tu  le  peccata  dispergi  : 
Qualunque  macchia  detergi  : 
E  balsamo  a  un  cuore  aspergi 
Cui  lungo  dolor  consumi. 

Son  glorie  e  onori  in  te  giunti. 
Tu  fai  che  ogni  pianta  spunti. 
Tu  ricongiungi  i  disgiunti. 
Risusciti  tu  i  defunti 

Dal  putrc  de'  lor  marciumi,  ec. 


biotto  tu  pubblicato  dal  Guadngnoli 
iu  line  della  sua  gramatica  ,  ma  va- 
riandone qualche  strofe  ,  come  egli 
stesso  avverte,  e  sopprimcndoue  tinti 
i  quinti  versi,  del  che  non  fa  cenno 
alcuno.  Il  divano  di  Ali  non  fu  pub- 
blicato, dall'autor  suo  e  delle  sue  poesie 
si  fece  raccolta  alcuni  secoli  dopo ,  e 
perciò  le  copie  non  ne  sono  uniformi. 


I  quinti  versi  che  ha  il  codice  bor- 
bonico forse  mancavano  nell' esempla- 
re della  Propnganda.  -  Ed  anche  altre 
varietà  vi  s'incontrano.  Il  (piarlo  ver- 
so della  strofe  in  jy,  a  eagion  d'esem- 
pio, dal  Guadagnoli  è  cosi  espresso: 

uaia  m(>n'ic:rì-'rnijijja'li 

Et  o  disiunclor  coniunctonim 


276 


DE       R    I    T    I    S 
CARME    CONCISO 

3  X  n  p  0  S  X- 


Il  nostro  Cortese  ci  dà  versi  della  Rioncla ,  ossia 
della  Pvuota  (242),  di  questa  foggia: 

Le  flegliole  che  n'  hann'  ainmore 
Songo  nave  senza  la  vela  , 
So  Uanterne  senza  cannela  , 
Songo  cuorpo  senza  lo  core 
Le  fFegliole  che  n'  hann'  ammore. 
Or  fate  tronchi    questi  versi ,  ed  avrete    il  carme 
conciso  degli  Arabi.  Del  quale  è  questo  lo  schema  : 


FORMOLA. 

fa' 

hi' 

lato 

nioftahrlon 

INTERA. 

QABNA. 

TAIA. 

Se  ne  dà  doppia  etimologia,  1.  dal  non  avere  l'in- 
tera forma  senaria ,  2.  dall'essere  quasi  una  parte  tron- 
ca del  carme  emesso  (245).  Se  non  vogliamo  riputar 
questi  versi  come  tronchi  di  quelli  sopra  trascritti  j  con- 
siderar li  dobbiamo  come  anapestici  trimetri  acataletti, 
tronchi  al  secondo  piede. 

Gli  esempi  che  sen  producono  sono  in  pie  di  pa- 
gina (244). 


(242)  V.  Li  travagliuse  amniure  de 
Ciullo  e  Perna ,  Lib.  II. 

(243)  Clerico  ,  pag.  i3i.  II  Jones 
dà  a  questo  carme  la  denominazione 
di  coriamliico. 


(244)  Forma  taiata  in  totti  i  jiedi. 
Forma  qabjiatA  e  taiata. 


METRI       ARABI.  277 

CARME    EVULSO 

n  n  :i  0  *7  N 

Come  il  carme  conciso  dicesi  tronco  dall'  emesso, 
cosi  questo  evulso  dicesi  svelto  dal  lieve.  E  il  suo  sche- 
ma è  questo  : 


FORMOLA. 

mos 

taf  111 

lon 

fa' 

hrla'  tùn 

INTERA. 

- 

_   ., 

- 

- 

^  _ 

CHABNATA. 

" 

Q AFFATA. 

" 

SCIAKLATA. 

- 

In  questo  metro  sono  le  cantiche  di  S.  France- 
sco (245)  e  molte  canzoni  de'nostri  e  de'  trovatori  pro- 
venzali (246). 

Le  aruze  e  le  zarbc  son  sempre  sane  ,  come  da' 
seguenti  esempi. 


(245)  In    loco   1'  amor    m'  lia    mi-  do  denomina  io/iico  il  carme  evulso, 
so  ,  ec.  Nel  movimento  ionico  ben  può  risol- 

(246)  V.    le    pag.  187  e  224.   Non  versi  il   carme  breve  ,    ma   1'  evulso 
pare  che  bea  s' apponga  il  Jones  quan-  non  mai. 


2-8  DE       R    I    T    I    S 

jiox  nw  Nnm  *  jìid  dk-i'^n  topoo    i 

ji'naSx  Nn  ;rxiDi  *  i^nan  nnsi  Nwn    5 
jiiD  noiSn  njj  *  'DIO  hnp  HH  y^-i  p    7 

Natale  solum  est  Seruge ,  in  quo  kuc  et  illuc  erravi. 

Regio  in  qua  omnia  reperiuntur  et  redundant. 

Vada  eius  foiiles  coelesles  sunt,  et  campi  iucunda  prata  , 

Aedificia  et  mansiones  eius  sunt  stellae  et  zodiaci  signa. 

Amamus  odoris  eius  auram  et  conspectum  splendidum 

Et  flore s  collium  eiuf>,  cum  abierint  nives. 

Quicunq.hanc  regionem  pidet,ait:SQTuge  paradisi  terresfris  locus  est. 

Di  Hariri.  —  JoKEs ,  pag.  54i. 

TJO   n'pV   NOO  *  h  hp   DNi'^N  -IK'I^D   K»      i 

Tip  'Oli  -iDyi  *  S'il:  '^h  -loyi    3 

V   E   R  B   U  M       VERBO. 


O  amicorum  coetus,  ecquid  niihi  est  ab  aegritudine  refugium': 
Splendor  hinnuli  illius  lacte pieni  cor  mcum  vulnerat: 
Et  nocUs  spalium  lungum  reddit ,  somni  vero  breve. 

Di  Ebn  Feras.  -  JoNis  ,  pag.  2gg. 


•) 


METRI      ARABI.  279 

1  masqalo-  rìxC si  sanigion  [|  vahllicC  konlo  amiCgio 

2  batadaton  lu'giadofi' ha  [|  kallo  sciajin  vcdaru'gio 

3  varadlia'  salsabi'lon  [[  vazaha' raj luC  monCgin 

4  vabanvoha'  vainogànildm  ||  iiogiu'mon  vaborii'gw 

5  habbonci'  iiaflialo  raj'ci'  ha'  j|  vamara'ó  ha'-baìiy''gio 

6  vaaza'' hi' ro  rlbcd  [[  ha'hi'na  tangicCbo-''ttolu''gio 

7  ///a/z  rrtV/  kcCcjdUo  lìiansci'  [|  giimad-ddonja^  sani'gio 

VERSIONE      METRICA. 

E  patria  mia  la  feconda  [|  Senige:  da  sponda  a  sponda 
Le  regioni  ne  ho  corse:  [|  v' è  tutto,  e  tutto  vi  abbonda. 
V'ha  prati  e  campi  ubertosi,  |]  purissima  e  limpid' onda: 
E  ogni  magione  è  im  astro  [|  che  nel  zodiaco  s' imbionda. 
Godiaiiine  1'  aura  soave,  |i  la  prospettiva  gioconda  , 
E  i  fior'  cui  lieti  su  i  colli  (|  d' Aprile  il  raggio  feconda. 
Chi  vide  Seruge  al  certo  ||  con  Eden  fia  che  il  confonda, 

1  jd  màsciara'nnd'si  lialli'  H  mimmo'  laqajto  magVroìi 

2  azd'ba  gòrrata  cjalbi  |]  da' ka-  làzcClo-ìgàzV ro 

5  va  cwiro  lajli'  tavVlon  |j  vaàinro  navnii^  qazVron 

VERSIONE      METRICA. 

Deh ,  amici ,  e  cjual  mi  darete  rimedio  a  fiero  tormento  ? 
11  cor  per  quella  leggiadra  gazella  squarciar  mi  sento, 
Che  fammi  eterne  le  notti,  del  sonno  l'ore  un  momento. 


DE       R    I    T    I    S 


CIRCOLO  V."  IL  CONVENIENTE. 

npsnoVK  m'NnSx 

Contiene  ,  come  accennammo  ,  le  forme  prime 
elementari  dell'  araba  poesia ,  il  carme  congiunto  cioè 
e  il  carme  conseguente  :  quello  in  ima  seguenza  di  ba- 
chii,  l'altro  di  eretici.  Al-Chalil  gli  assegnava  il  solo 
carme  congiunto  :  Zamaksciar  e  gli  altri  maestri  poste- 
riori vi  aggiunsero    il  conseguente. 

Per  la  congruenza  de' piedi  tutti  di  cinque  lette- 
re ,  dice  il  Clerico  ,  venne  questo  circolo  cosi  deno- 
minato. Ma  simile  congruenza  di  piedi  tutti  di  sette 
lettere  hanno  anche  i  circoli  secondo  ,  terzo  e  quar- 
to. -  Par  che  la  congrueuza  bisogni  ricercarla  nella 
eguaglianza  delle  corde  co'  pali  ,  mentre  in  tutti  gli 
altri  quattro  circoli  le  corde  soprabbondano. 


M   E  T   R.   I      A   n   A    B   r. 


agi 


CARME    CONGIUNTO 

a  1 K  p  n  Q  S  X 

La  sua  formola  è  falaClon  otto  volte  ripetuta  : 
quindi  una  seguenza  di  bachii  che  la  qadba  risolve  in 
amfihraclii. 

La  zadra  può  esser  contralta  per  la  ialnia  e  la 
tarma  (247):  1'  aruza  per  ìàhad/a:  e  la  zarba  per  la 
gazra,  la  liadfa  e  la  batra.  Ha  tre  periodi  ,  1'  ottona- 
rio ,  il  senarlo  e  il  quadernario.  Quindi  lo  schema  , 


» 


FORilOLA. 

fahu'  lon 

fuhiì'  lon 

fallii'  lon 

fahii'  lon 

IN'TERA. 
QABDATA. 

^    _ 

- 

w    _ 

- 

-.    - 

- 

^   _ 

- 

QAZRATA. 

* 

R  ATR  ATA. 

Ma  pare  che  il  periodo  quadernario  considerar  si 
deggia  di  non  remota  introduzione  nell'  araba  prosodia  : 
certo  e  che  di  esso  non  fanno  verun  motto  i  dottrinali. 
Il  che  vuol  dirsi  anche  per  1'  aruza  hadfata. 


(247)  Abbiara  veduto, /)a§-.6b,V.^J,  L'na  tal  diminuzione  nella  zadia  for- 
che queste  due  èlle  riducono  i  bacliii  ma  un  periodo  concitato  con  questo 
a  spondeo    o  coreo.  E   perciò   un    di-  nel  Redi  : 

podio  bachiaco  ,  ovvero  sia    il   nostro  Di  gelsomini  non  faccio  bevande , 

comune  seoàrio  ,    riducesi  a  quinario.  Ma  tesso  ghirlande  su  questi  miei  crini. 

Tom.  Ili  56 


282  i)  E     n  I  T  I  s 

))  Congiunto ,  dice  1'  autore  del  Qamus ,  è  quel  ge- 
nere di  carme  la  cui  misura  è  fahu'lon  otto  volte  re- 
plicala ;  e  l'altra  benanche  Ai  fahu'lon  fahu'lon  fahul 
replicata  due  volte  :  e  chiamasi  congiunto  perchè  i  pali 
vi  son  frequenti  più  delle  corde  (248)  ».  Ma  ciò  vuole 
intendersi  in  paragone  degli  altri  piedi  di  sette  lettere 
i  quali  han  sempre  due  corde  per  ogni  palo  ,  mentre 
ne'  piedi  di  cinque  lettere  i  pali  non  sono  j3ÌLt  fre- 
quenti,  ma  eguagliano  le  corde.  Intanto  ecco  due  sole 
forinole  qui  proposte  ,  e  indubitatamente  ,  a  quel  che 
pare ,  quali  vennero  date  da  Al-Chalil.  Or  ascoltiamo 
i  dottrinali. 

Nel  periodo  ottonario,  essi  dicono,  il  carme  con- 
giunto ha  1'  aruza  sempre  intera  ,  e  le  sue  zarbe  sou 
quattro  ,  1.^  intera  ,  2.^  qazrata  ,  3.^  hadfata  ,  4.^  ba- 
Irata  (249). 

Non  seguiremo  il  Guadagnoli  che  trae  dal  Qamus  , 
un  verso  da  lui  riferito  al  carme  congiunto  e  che  dir 
si  potrebbe  coli'  aruza  talmata  (25o).  Sopra  versi  di  tal 


(248)  ♦JXDJi     jSu^a    3"IJ<pni2Sx      '■'''  *'^*''  '"'"'  "afu'hi-'lascmab 
i'ip^  pma  '!'i^3  lSu'3  ì'^U'SI  HNID     l-<^annama'  domi  uaalajlu-' izamab 

(249)  Cannini  Detonano  amda  u-  tersione. 
nica  est ,  inlegia  ,    cui  darbac   qua- 

tuor.  Clerico.  Ah  si,  ti  ravy'so ,  tu  sei,  genitor: 

(250)  3JB'x'7S  "jlSt  njX  '3S<a  NI  Quel  criae,  quel  viso  ti  scopre  al  mio  cor. 
3J1l'7«  n'S«;'1   "IT   K0JN3 

V  E  R  E  u  31    VERBO.  Clii    desìtlerasàe    maggiore   arabismo, 

Vahf  pater  jneus  es  iUjt't  OS  tuumalbìsrespct-  legga; 
sum  pu^tuUs  Pennde  ai,  margahlae  asper- 

sac  cdoratis  unguentis.  Quegli  cnfiatuzzini  son  perle  al  mio  cor. 


METRI      A    n    A    c    r.  283 

falla  molte  dispute  potrebbero  suscitarsi  (af)!);  e  nulla 
v'  ha  di  più  agevole  negli  arabi  poemi  che  piegarli 
quasi  sempre  alla  forma  bachiaca  :  come,  a  cagion  d'  e- 
scmpio  (pulii  che  abbiara  veduto  appartenere  al  cak- 
WE  PERFETTO  (262);  ed  evideulcmente  poi  le  forme  gia- 
zate  del  carme  esuberante,  le  quali  altro  non  danno  nella 
forma  sana  se  non  una  soguenza  di  seuari  tronchi ,  e 
nella  forma  azbata  se  non  tre  senari  piani  (253).  Ma 
come  suscitar  dubbio  che  coU'aruza  hadfata  non  corra- 
no questi  che  diamo  ad  esempio? 


(25 1)  Questi  versi  si  risolverebbero  (253)  Ci  avvarremo    degli    cscniyù 

in  un  seUCDario  e  un  quinario.  dati  dal  Clerico. 
(262)  Proteggimi  0  sorte  proleggimi 

o  lasciami  star  :  carme  esuberaste  giazato. 

Mi  stuzzichi  e  in  perno  mi  lasci  fra  anaa  e  zarha  sana. 

tema  ed  osar.  j>,  ^^.^^  ^,1,^  ^pi, 

Oh  titolali  !  deh  compatite  chi  baz-  pi,5  .;.,j^,  -i'-,^^ 

^'*^'*  aruza  sor.a ,  zarba  azbata. 

D'  amore    le    vie  ,  ricco  in  titoli  ,  m->m\  «nnn  m'ìt 

scarso  in  danar.  ,j,,^.p,  .jaxj'na 
Dell'  aria  finanche  geloso  mi    fui  , 

fin  dell'aria,...  È    da   notarsi    che    nello   scandire 

Ma  il  fato  ,  ma  il  fato  mi  è  avver-  il  primo  verso   1'  ultima    sillaba    del 

so  ! .  . . .  Ma  come  far?. . .  primo  emistichio    dee    trasportarsi    :il 

Che  colpa  un  arciero ,  se,  quando  principio  del  secondo;  cosi: 

un  esercito  incalz^ilo  ,  laqad  alimat\xrabralo  an- 

Incocca    lo  slral  ,    ma  Li    corda  si  „a  halluka  va' \\!unon  chalaql,. 

vede  spezzar  ?  Questa  è  poi    la  lettura   del   secondo 

Esc  precipitano  squadroni  addosso  verso: 

ad   un  ercole  ,  aitibra    taa-moma' 

Come  sottrarsi  a  quell' impeto?  co-  faloirgzibnm'  valàzCni. 

me  scampar  ? 


284  DE      R    1   T   I   S 

ARUZA    HADFATA,   ZARBA    INTERA. 

♦naSx  on  amn  mnp  n'    1 

Versione  del  signor  de  Sacy- 

O  café!  tu  dissipes  touts  les  soucis:  tu  es  V  oh  jet  des  voeux  de 

Vhomme  livré  à  Véiude. 
Cesi  là  le  breuvage  des  amis  de  Dieu;   il  donne  la  sante  a 
ceux  de  ses  serviteurs  qui  travaillent  à  acquérir  la  sagesse. 

Cbrest.  Ar. 
ARUZA   E   ZARBA   HADFATE. 

P3ndSk  -np^N  n&3  }'n    1 
p'^N'sVx  Dan  NOD  ♦n\so3 
01N*  NnSxT  DN»  "ipa    2 
pnNsSx  nono  hnoì 

p£3NJ  Dn;?oj  jo  p3»  dVì 
oSrtD  iD  'n'?'?  ':'p3    4 

VERBUM     VERBO. 

Quod  praefinitum  nieae  niorlis  decretum 

iam  pervenit  ut  Deus  voluit. 
Ecguid  ?  Mortuus  est  Adam  noster  parens  ; 

mortuus  etiani  Maliometus  ingenuus. 
Mortul  sunt  reges  eorumgue  asseclae , 

nec  eorum  guisgue  perniansit. 
Dìo  UH  qui  meo  interitu  laetatus  est: 

Està  paratus ,  sensim  ipse  me  segueris- 

CA6IR1. 


l 


AI    E    T    U    I       A    li     A    B    r.  2CJ 

1  ja  qahvala  tadliabo  liommo-'' IfatcC 
anta  lihaW-lilmi  naliamo-  linara^ di 

2  saixCbo  aldi- Halli  viinlia  -  ssciafcC 
lita  ''libi-  Lhokmati  bajna-liba'di 

» 

« 

VERSIONE      METRICA. 

0  dissipator  d'  atre  cure ,  o  caffè  ! 
De  r  uom  studioso  gradito  pensiero. 

Tu  sei  don  di  Dio  che  al  suo  popol  ti  die 
Per  farlo  a  virtude  più  scorto  leggiero. 

1  lajin  nafada- Iqadaro- ssa' biqb 
bi/uwti  kama'  hakama-lcha' liqb 

2  j'aqad  mcCta  vd'Udonà'  adamò 
va  ma'ta  niohammadon  azzcCdlqb 

3  vamcCta- Imoluo  vaasc-ja'òhoinl 
valam  iabqa  min  giom.ihini  ncCliqon 

/^  faqol  lilladi'  sarra  niohlaki' 
icChib  fainnaqa  bi  kCIdqon 

VERSIONE      METRICA. 

Mio  stame  di  vita,  qual  n'era  lassù 

Prefisso  il  decreto,  consunto  già  fu. 
Ma  che  ?  Mori  Adamo ,  comuu  geuitor  : 

Mori  Macometto ,  quel  fior  di  virtù. 
E  tanti  preclari  per  regno  e  valor. 

Per  senno,  per  oro,  disceser  qua  giù. 
Mia  morte  ti  è  gioia?  Ma  tu  ad  or  ad  or 

Mi  segui,  e  ov'io  sommi  t'accosti  vieppiù. 


1 

2 

3 


286  DE       R    I    T    I   S 

Oltre  al  periodo  ottonario  i  dottrinali  assegnano  al 
carme  congiunto  il  solo  periodo  senario  ,  coli'  aruza 
sempre  hadfata  ,  e  due  zarbe  ,  hadfata  e  Latrata  (254). 
Ma  esempi  non  mancano  anche  del  periodo  quadernario, 

NHi  m  1:2  fin  np  iphh  ns 
xntoDS  '3  njj'^x  '3n  \m 
NnjKinN")  v':;hìt  np'-\'\    4 

fersione  del  signor  de  S.-icy. 

Vien  jouìr  (le  la  compagnie  du  Cnfé  dans  le  lieu  où  il  fuit 
■sa  residence:  car  la  bonté  divine  enveloppe  ceux  qui  prennerit 
part  à  san  festin. 

JJélégance  des  tapis ,  les  douceurs  de  la  vie ,  la  sociélé  des 
convives,  tout  forme  l'immage  du  sejour  des  bienheureu^. 

E  qui  dobbiamo  far  plauso  al  buon  senso  se  non 
alla  dottrina  metrica  del  Guadagnoli  quando  presso  che 
la  totalità  de'  versi  arabi  al  carme  congiunto  riferisce  ; 


(264)  Senario  pariter  ariida  est 
una  hadhfata.  Clerico.  Gli  esempi  del- 
le due  zarbe  nel  periodo  senario  son 

questi  : 

» 

{«vJb»  nxi3  'p'ip'j 

ZARBA  BATRATA. 

E  nel  periodo  ottonario  coll'aruza  in-» 
tera  ; 


ZABBA   DiTERA. 

no  13  D'Dn  o'Dn  kdns 
K9K'3  '3n  CDipbN  C3nx2':«g 

ZAKSA   QAZRAtA. 

':wd'7n  hr\rì  jj-sxid  rii?t?i 

ZASBA   HADTAXA. 

{«in  np  'n'?N  nxnbx  -03' 

ZAKEA  BATRATA. 

iftT  C3PT  'Sj;  N:i;r  '^73 


METRI      A    n    A    B    I.  287 

quando  ,  per  non  offoudere  le  regole  (255) ,  considerar 
non  si  volessero  le  rime  conserviate  in  tutto  le  aruze. 
Un  esempio  n'  è  questo  : 

1  arrig'  àla'-Iqahvati  fp  haniha' 

3  fa-llaljò  qad  haffa  binaci  ma'  bi/ià' 
5  licCiui  liaki'-lgiaiinali  JV  hosiihd! 

4  varaqqati'Hajsci  vacC hvcC niìuC 

VERSIONE      METRICA. 

CaH'è  vuoi  squisito?  T'innoltra:  non  v'ha, 
Non  dienne  più  buono  di  Dio  la  bontà. 

Qui  ogni  agio ,  eleganza ,  gentil  società  , 
De'  seggi  celesti  l' imniagin  qui  sta. 

e  non  solo  versi  regolari  che  appartengono  all'  esube- 
rante (206) ,  ma  tulli  i  versi  di  undici  sìllabe  che  ab" 
bian  lunga  la  penultima ,  ed  anche  di  dieci  ,  di  sette 


(255)  V.  alla  pag.  40,  W.  11  a  i3.  altri  versi  ad  esempio  del  carme  eoa' 

(a56)  Olue  a  quello  irascritlo  nella  giunto  ; 
nota   25o  ,    il  Guadagnoli    dà    questi 

2^33  nOK  '3  ri"1>'3  13X3  laanuaka  baratoti  J?  asti  kabscin. 

ìl>^'  &2jhH)  riniOnO  molai  ivrìliaton  va'lkabscio  ianscl 

'ETI  ^^X  ^3  nSp3  *TJX3  haannal'a  bàqlaton  Ji'  arzm  hasscin 

«yp  Kn3ir\3  SjXI  xnsja  fagìaului'  va'bUon  Jatarakaha'  qassein, 

VERDUMVERBO.  VERSIONE. 

Perinck  ac  tu  fimus  ad  claaes  anetis  ,  Sei  fimo  che  al  tergo  d'un  capro  si  sta, 

fendaliis  dum  aries  inctdìt.  E  penzolo  e  dondola  a  un  muto  che  fa. 

Quali  tu  portulaca  in  lena  molli  ;  Sei  vii  portulaca  che  a  un  t"o»so  si  adda. 

Et  supcrifenit  tfioUntas  imber  et  reliqnit  edn  E  in  putrc  ogni  scroscio  di  pioggia  disfà. 
tnanem.          Nel  liljrctty  de  cento  reagenti. 


288  DE       R    I    T    I    S 

e  di  nove,  traendone  esempi  dal  polimclro  Corano  (267). 
Se  avesse  detto  che  al  metro  del  carme  congiunto  tutta 


(267)  Prendiamo  questa  occasione, 
non  già  per  insistere  vieppiù  su  la  non 
regolare  produzione  di  questi  versi  , 
ma  per  aggiungere  ai  già  dati,  nota  i85 
e  2l3^  questi  altri  saggi  di  un  libro 
rispettalo  dagli  Arabi  come  primario 
esemplare  di  eleganza  e  di  poesia.  Sarà 
per  essi  un  buon  testo  di  lingua;  ma 
perfettissimamente,  a  quel  che  pare, 
simile  ai  nostri  ne' quali  vai  ricercan- 
do con  lena  affannata  poesie  ed  ele- 
ganze e  t'  imbatti  per  lo  piii  in  ba- 
loccheric  scipidissime. 

Gli  esempi  prodotti  dal  Guadagnoli 
son  questi 

K3'"ìp  »^VnS  03NJT1JN  «:« 

daliqa~'lJafmo-lhaqgo  f amati  sciaa 
ettachada  ila'  rabhihi  maaba'n. 
enna'  andarhakom  àda'ha^n  qari'han 

Uh  dies  est  verus  ■  et  qui  volueritj 

Assumet  sibi  ad  domìnum  suum  confugìum  ■ 
Enimvero  nos  comminati  sumus  vobis  tormen- 
tum  vicinumx 
NDN3  «n^S  ppDM 

NS'3Dbo  ^DDn  KH^a  «rjr 

vajasqauna  fi'ha*  ka'sa'n 

ìca'na  maza'gioa'  zangiabi'hx'n 
àjna'n  Ji'ha'  tosamma'  salsaòi'la'n 
Et  bibent  in  ea  poculum 
Cuius  mixtio  est  zinziber  : 
Fons  est  tn  ea,  vocatur  SahahìL 


pnS^^D  kS3  ori 

àrnma  iassaalw'na 

ani-nn&baa-^lati'mi 

allodi'  hom.  fi'hi  mochtalifu.' m 

kalla'  sajalamu'na 

tomma  kalla'  sajàlamu'jia 

Pro  quo  tnte'7ogahunt 

De  fama  ,  seu  nuncio  grandi  , 

De  quo  ìpsi  inter  se  dissident  : 

Neguuquam  ipsi  noscent  , 

Iterum  dico ,  nequaquam  rpsi  nosctnt. 

nono  au3*?«  K'Txa 

nana  khidVx  xnxi 

r3D3  ^w:Sk  5<nNi 

faida'- nnogiu'mo  tomimat 
vàida'-ssama'o  forigiat 
faida'' Igiba' li  noéifat 
vàida'-'rrcsolo  aqqitat 
l'iajja  javmin  agilat 

Quando  stellae  delabuntur- 

Et  quando  caelam  -scmdetur. 

Ei  quando  montes  funditus  evertuntur. 

Et  quando  nuncus  constituetur  tempus. 

Quo  die  praefinitum  fuerit. 


METRI      ARABI.  289 

la  poesia  araba  è  inchinante  ,  nulla  vi  sarebbe  di  più 
vero.  E  la  pruova  n'  è  limpidissima  dai  vari  esempi  pro- 
dotli  ,  non  solo  ne'  Ircquenti  casi  ne'  quali  le  seguenze 
bacchiache  scolpitamente  si  mostrano  colle  sole  varietà 
nella  catalessi  ,  ma  quasi  sempre  in  composizione.  Ab- 
biani  veduto  i  versi  arabi  correre  tutti  in  periodi 
di  quattro  o  sei  compartimenti  (268),  in  modo  che  in 
altrettante  cobolette  si  risolvano:  e  assai  di  rado  avvie- 
ne che  in  una  di  queste  parti  non  presentino  di  questi 
senari  bacchiaci  ,  sien  piani  ,  sien  tronchi  ,  sien  pure 
sdruccioli  o  bisdruccioli,  o  per  la  lalma  e  la  tarma  in 
quinario  diminuiti  (269). 

Ma  quel  che  dee  recar  maraviglia  si  è ,  che  negli 
antichi  poemi  un  tal  metro  non  mai  rinvengasi  nella  sua 
purità  ,  e  si  presentino  sempre  di  quegl'  ipermetrismi 
de'  cfuali  abbiam  fatto ,  e  forse  con  soverchia  dififusio- 
ne  ,  ragionamento.  Ma  tali  e  non  altri  son  gli  arabi 
poemi ,  ed  i  più  recenti  anche ,  nella  maggior  parte  , 
più  si  torcono  che  adagino  alle  forinole  dotti'inali. 


(a58)  V.  alla  pag.  38 ,  nota  ai  ^^.        (269)  V.  la  Jiotó  247. 
9  e  IO,  in  fine. 

To??i.  III.  37 


290 


DE      R    I    T    I    S 


CARME    CONSEGUENTE 

La  sua  forinola  è  fahi'lon  otto  volte  ripetuta  :  e 
perciò  una  seguenza  di  crelici  che  la  chahna  riduce  ad 
anapesti.  Ma  può  la  forinola  essere  affetta  altresì  dalla 
qata  ;  ed  allora  si  ha  una  seguenza  di  spondei.  Corre 
ordinariamente  nel  periodo  senario;  ina  non  manca  esem- 
pio del  periodo  ottonario  ,  almeno  nella  forma  qatata. 
Nel  primo  ,  la  zarba  può  essere  nuda ,  dahlata  e  ra- 
flato-habnala.  Quindi  lo  schema: 


FORMOLA. 
GIAZATA. 

INTERA. 

CHABNATA. 

DAHLATA. 

RAFLATO- 
HABNATA. 

QATATA. 


fa'   hìlou 

fa'  hilou 

fa'  htlon 

- 

— 

- 

^  _ 

_    ^  _  * 

- 

Abbiam  veduto  che  Al-Chalil  non  faceva  di  questi 
versi  un  genere  particolare.  Quelli  che  1'  ammettono , 
sopra  ragioni  si  fondano  più  speciose  che  vere  (260).  Ma 


(260)   11   Casiri    non    fa   parola    di     bi   e  non  àce  recar  maraviglia  perchè 
questo  sedicesimo  genere  de' versi  ara-     neanche  il  Guadagnoli  da   lui  segui- 


METKIARABI.  29 1 

è  agevole  lo  scorgere  come  ,  risolvendosi  in  una  se- 
guenza  di  settenari  anapcstici  tronchi  ,  ovvero  piani 
per  la  liabna,  non  altro  riproducano  nel  periodo  otto- 
no se  non  la  fonnola  del  caiuie  lieve  ,  sol  che  se  ne 
modifichi  la  catalessi  (2G1)  ;  e  nel  periodo  senario  ,  i 
nostri  ordinari  decasillabi  ,  sien  tronchi ,  sien  pia- 
ni (262). 


to  ne  fa  molto,  e  il  quale,  se  due  quodammodo  exigente.Cum  enlm  cir- 
spccic  di  versi  al  circ  olo  convcnien-  culi  in  hac  arte  piaecipuus  (  ne  Di- 
ve attribuisce  ,  è  sol  perchè  pren-  Cam  solvs  )  usus  sit  diversa  carmi- 
de  per  verso  di  specie  differente  la  num  genera  inter  se  conferre,  et  quo- 
l'oriiia  giazata  del  carme  congiunto,  modo  se  mutuo  resolvantur  estendere; 
Pi-osequilur  aiiclor  Chairagiacus  et  si  unum  tantum  genus  ponatur ,  tol- 
pro  quinta  littera  p  intendit  quintum  lilur  piane  hic  usus ,  ac  proinde  ctr- 
circulum  qui  dicitur  p3nO*7N  '^°""  culus  ipse  supervacaneus  et  imUilis 
veniens ,  qui  cnntinet  duas  species  reddilur.  -  E  ciò  serva  per  ultima  di- 
carminum  quae  unico  nomine  cen-  mostrazione  che  tutto  il  sistema  pro- 
sentur,  nenipe  ilXpnoSf^  coniun-  sodiaco  degli  Arabi ,  d'infinite  regole 
cium.  sopra  regole  artifiziato,  per  lo  più  in 
Ascoltiamo  però  il  Clerico  :  Secun-  inerissimo  affastellamento  di  nomi  si 
dum  fiuius  circuii  genus  est  Carmen  risolva. 

"lIN'TnD/N    ^^"   eonsequens  ,    quod  (261)    Sarebbero    precisamente    gli 
Al-Chalil  et  eius  sequaces ,  "IHD  •"^"  alessandrini  francesi.   Eccone  1' esem- 
gcnus  peculiare  non  fecerunt  ;  idqiie  pio  che  ne  dà  il  Clerico  i 
quod  poeniata  nulla  lioc  carniinis  ge- 
nere conscripta  cis  vidisse  contigerat,  «nSxX  NOIXD  "lONy  SJXJ 
rei  quod  soN  satis  QUADnAnsT  he-  ^'''*^'  P  i**^  «°  1**^  «°  ^^'^ 
GVLis    AB    EO  postTis.    Cantra   Al-  (262)  Gli  esempi  ne  son  questi: 
Acfash ,  Al-Chalili  contemporaneus  il- 

lique  familiarU,  et  cum  eo  alii ,  se-  *'''''*  "^"^'^"• 

cundum  hoc  genus  huic  circulo  altri-  msp«  □HINT  mxn 

Luerunt ,  naturae   illius    ralione    hoc  lim'?»*  nnno  1131  D8< 


292  DE      R   I    T   I   S 

Si  attribuiscono  altresì  al  carme  conseguente  i  se- 
guenti versi  che  diconsi  composti  da  Ali  per  imitare 
il  suono  delle  campane  ,  e  ne'  quali  tutti  i  piedi  sono 
qatati  : 

Npn  Kprt  apn  aph  »     aqqan  aqqa'n  aqqa'n  ciqqa'n 
XpTi  Npn^  Npllf  Np11{  zidqa'n  zidqa'n  zidqa'n  zidqa'n 

NJmjl  Ip  X'J"17N  |t<  2     iima-ddonja'  qad  gàrratna' 
NinnSriDXI  KJninriDXI  vastalwataa'  vastaUiatnc^ 

NJJSlp  NJ3  '*nnj  XJD?  3     /izsraa'  /zac/n'  md'qaddamna' 
XjmD  "tp   KJX  X7X  illa'anna'  qad  faj-ratna' 

xSnO  X7na  X'n'^X  pN*  X»  4    jd-hna-ddonja'  mahla'n  mahla'n 
XJtl  Wfì  TIN'  XO  Jt  ^'"  '««'  /«''«"  fa^Aia'  -vazna'. 


VERBVM      VERBO. 


CeWe  ^  certe  ,  certe  ,  certe  *  caule  ,  caute  ,  caute  ,  caute. 

Ulique  mandus  iam  decepit  nos  *  et  seduxit  nos  et  seduxit  nos. 

Non  fuìmus,  nescimus  quid  brevierimus  *  nisi  quod  nos  jani  processimus 

Oh  fili  mundi!  sensim  sensini  *  pondera  quod  venit  ponderando  ponderando. 

Coi  quali  versi  (263)    la  rassegna    di  tutti  i  Metri 
Arabi  che  i  dottrinali  mettono  in  serie  è  compiuta. 


ARUEA  KAfi-ATo-cHABNATA.  (263)  Sono  analoghi  ai  dimelri  iam- 

tXD;»  "intS'3  ■'S''?  nST  1'''^'  acalaletti ,  e  precisamente    simili 

]K1':d'?n  -hilti.  NnNDD  np  a  quelli  dell'  anlichissima  canzone  : 


ARUZA   NUDA. 


rsasi  n:mxi  'V  np  Soldals  franpois ,  chantons  Roland. 


METRI      ARABI.  SgS 

CONCLUSIONE. 

Non  io,  valorosi  Colleghi,  vorrò  discendere  a  quel- 
le conseguenze  che  da  questa  prolissa  esposizione  potran 
dedursi.  Il  mio  obbietto  è  conseguilo  so  d'  ora  innanzi 
della  influenza  che  agli  Arabi  è  da  attribuirsi  sulla  ra- 
gion poetica  delle  lingue  sorelle  del  mezzogiorno  di  Eu- 
ropa si  comincerà  a  ragionare  da  fatti  e  non  da  con- 
ghietture,  da  posizioni  storiche  e  non  da  creazioni  d'in- 
temperanti fantasie. 

Ma  non  resterò  dall'  esporvi  qualunque  ci  siasi  il 
mio  concetto  su  le  origini  di  queste  lingue  sorelle  alla 
cui  formazione  molta  e  importantissima  parte  uomini 
dottissimi  dalla  presenza  degli  Arabi  derivarono  (264). 

E  dapprima  si  evitino  le  esagerazioni ,  e  non  si 
dica,  come  da  taluno  si  assume,  andar  la  nazione  ara- 
ba risguardata  sempre  sotto  que'  neri  colori  co'  quali  i 
nostri  cronisti  la  descrissero ,  gente  rapace  e  perfida  , 
sol  di  bottino  avida  e  di  sangue.  Prescindendo  dalla  do- 


(264)  "Una   delle  differenze    essen-  scorrono.  Gli  Arabi  ebbero  lunga  do- 

ziali  Ira   le  odierne  lingue  romane  e  minazione  nella  Spagna,  e  in  Sicilia. 

la  latina   è   nell'arlicolo    che    quella  Or  di  Spagna  suisc  la  lingua  che  poi 

non   ebbe.    Ed    ceco    il  Muratori   far  si  disse  provenzale^  e  di  Sicilia  si  le- 

censura  di  chi  1'  articolo  Iraea  da  il-  cero  udire  i  primi  versi  italiani.  Dun- 

/Cj /<7a  ,  ce. ;  e  sostenere  che  gli  Arabi,  (juC  agli  Arabi  si  dee   1' orij^iue  delie 

se  non  i  germani  ,    ci   facesser   dono  lingue  romane. -E  la  lingua  d  oj'?- t. 

del  loro  '^JJ.  Ani.  It.  diss.  xxxii.  V.  la  una  imitazione  della  lingua  d'oc.  V.  la 

noia  a/o.  -  1  ragionatori  poi  cpsi  la  di-  noia  281. 


2g4  -UE      E.    I    T    I    S 

niinazionc  non  analto  barbara  che  molti  secoli  tennero 
nella  nostra  Sicilia  e  nella  penisola  ibera;  nel  parteggiar 
perpetuo  de'  Longobardi  meridionali  e  de'  Greci  che 
sino  ai  tempi  normanni  divideva  l'Italia  cistiberina,  spes- 
so i  Saracini  tra  noi  come  ausiliari  scendevano  ed  alle- 
gati ,  e  stabil  dimora  ottenevano  nelle  Calabrie  ,  nelle 
Puglie  e  nella  Campania  (265).  Della  reciproca  influenza 
su  i  costumi  dei  due  popoli,  vi  esposi  già,  o  Colleglli, 
fin  da  principio  le  mie  idee  (266).  La  Grecia  comincia- 
va a  dirozzarsi  e  a  formare  un  sol  popolo  sotto  le  mura 
di  Troia  :  e  le  nazioni  em'opce  del  lezzo  si  tergevano 
delle  salvatiche  instituzioni  e  le  basi  giltavano  dell'  o- 
dierna    civiltà    colle  guerre  di  Soria,  preludiate  dal  di^ 


(265)  Nell'anno  827  Andrea  Duca  dal  nostro  popolo /^er/asc« ,  li  Borla- 
di  Napoli  chiamò  i  saracini  contra  Si-  sci  tJ^J^U^X  T3;  ovvero  t»{<y7{<  l'J 
cardo  Principe  di  Benevento  (  Gio.  secondo  1'  Assemani.  —  Riguardo  però 
Diac.  CroM.i^.iVea/).);  i  quali  in  tanta  allo  parole  di  commercio,  pesi  ^  mi-, 
amicizia  si  strinsero  poi  co'Napoleta-  sui'e,  monete,  promiscue  fra  gli  Ara- 
ni  che  l'Imperadore  Lodovico  II  gran-  hi  e  noi,  non  sono  dell'avviso  di  un 
di  querele  ne  faceva  coll'lmperadore  dotto  accademico  della  Crusca  che  le 
di  Costantinopoli  (  Anon. Salem,  e. /a),  crede  da  quelli  a  noi  comunicate.  Noi 
e  il  duca  Sergio  ne  fu  gravemente  avevamo  marina  e  mercatuia  prima 
ammonito  dal  Papa  (  Decretale  di  dell'apparizione  degli  Arabi;  e  se  non 
Gio.  Vili  ).  Poi  co'Salernitani ,  Gae-  vogliamo  considerar  gli  Amalfitani  , 
tani,  Amalfitani  e  Beneventani  si  col-  del  che  io  non  dubito  ,  come  gli  ere- 
legarono ad  onta  degli  anatemi  della  di  della  scienza  nautica  de'  Fenicii  ; 
Chiesa  (  Anon.  Salem,  e.  {23  )  ;  ed  At-  dimenticar  non  dobbiamo  che  gli  ebrei 
tanagio  II,  duca  e  vescovo  di  Napoli ,  furono  e  sono  tuttavia  i  nostri  abi- 
guerreggiò  con  essi  contra  Guaimaro  tuali  prosseneti, 
principe  di  Salerno  (  Id.  e.  i33).  ec.  ec.  (266)  Pag.  6 ,  e  segg. 
L'anfiteatro  capuano  nominasi  tuttavia 


METRI      ARABI.  i^Ò 

ritto  araldico  che  dopo  le  prime  irruzioni  determinava 
la  ragion  delle  paci  e  delle  tregue  ed  un  fomite  di  ge- 
nerosa emulazione  alimentò  tra  i  popoli  delle  due  creden- 
ze. Questi  due  grandi  avvenimenti  dell'  antica  e  della 
nuova  rigenerazione  dall'umana  razza  formeranno  sem- 
pre due  epoche  memorabili  da  esercitare  le  meditazioni 
del  filosofo  ,  accendere  vivamente  l' immaginazione  del 
poeta,  e  ogni  anima  scuotere  per  alte  e  care  rimem- 
branze. 

Delle  lingue  volgari  ,  appaiono  allor  numerosi  i 
monumenti  :  ma  non  perchè  alla  scrittura  del  dir  c/ie- 
ricale  videsi  allora  quasi  da  por  tutto  la  scrittura  delle 
popolari  loquele  sostituita ,  i  nuovi  idiomi  ebbero  al- 
lora cominciamento  (267).  Le  origini  dell'  idioma  italico 
da  ben  più  remota  sorgente  si  voglion  ripetere  ,   nella 


(267)  Tra  le  molle  parole  colle  qua-  e  nel  parlare.  S'incammina  per  la 
li  cercò  il  Tiraboschi  ravvolgere  le  buona  via  quando  ne'  Romani  consi- 
sue  non  determinate  opinioni  su  1'  o-  dera  la  lingua  scritta  non  affatto  si- 
rigiue  del  nostro  attuai  linguaggio  ,  mile  alla  lingua  parlata;  ma  smarri- 
questo  abbiam  di  positivo,  n  A  qual  sce  di  nuovo  il  buon  scntiere  quando 
»  tempo,  ei  dice,  la  lingua  latina  è  quella  diversità  ripone  tutta  nello  sti- 
1)  divenuta  lingua  italiana?  Se  uè  suo-  le  ,  nell'  alterazioni  di  pronuncia  e 
)i  le  fissar  1'  epoca  comunemente  nel  in  sillabe  o  particelle  or  tolte  or  ag- 
ii duodecimo  secolo;  e  noi  ancora  a  giunte.  11  sistema  gramalicale  ,  la  sin- 
11  suo  luogo  ci  atterremo  a  questo  pa-  tassi  ,  la  costruzione  forman  le  vere 
rere.  »  Star,  della  leti.  it.  toni.  Ili  ,  differenze  tra  linguaggio  e  linguaggio: 
pref.  ]1  Tiraboschi  partiva  dal  falso  le  varietà  di  pronunzia,  l'uso  più  o 
principio  che  la  lingua  italiana  sor-  men  frequente  di  alcuni  modi,  di  nl- 
gesse  dal  corrompimento  della  lingua  cune  voci ,  ne  seguano  appena  i  dia- 
laiina  e  A-AW  diversa  maniera  con  cui  letti. 
elUt  si  venne   alterando  nello  scrivere 


2g6  DE      R   I    T    I    S 

quale  per  avventura  ben  prossimamente  alla  lingua  de  ' 
gli  Arabi  ci  troveremo  ravvicinati. 

Dopo  le  dotte  cure  di  tanti  laboriosi  scrittori  che 
le  tracce  seguiremo  dell'eruditissimo  Bochart,  agevole 
ormai  sarebbe  il  raggruppare  ad  un  tronco  unico  i  vari 
sistemi  di  loquela  delle  umane  generazioni.  Il  primo  ger- 
me e  1'  embrion  quasi  di  tutte  le  gramatiche  è  nella  legge 
del  pensiero  e  del  primitivo  modo  di  comunicarlo,  unica 
nella  sua  iniziativa  per  tutti  i  figli  di  Adamo.  Senza  la 
quale  uniformità  di  principii  non  solo  da  un  popolo  al- 
l' altro  sarebbero  interdette  le  comunicazioni,  ma  nessu- 
na traduzione  potrebbe  imprendersi  da  linguaggio  a  lin- 
guaggio. E  che ,  progredendo  la  civiltà ,  le  differenze  dal 
linguaggio   primitivo    vadan    vievia    moltiplicandosi    e 
dalla  sua  originaria  semplicità  di  mano  in  mano  ad  al- 
lontanarsi ,  la  storia  di  tutti  gì'  idiomi  depone  :  ed  emi- 
nentemente quella  del  latino  linguaggio  delle  cui  vicis- 
situdini più  che  di  qualunque  altro  abbondano  le  autenti- 
che testimonianze.  La  lingua  ellenica  non  veggiam  sor- 
gere ma  sorta,  appena  i  più  remoti  monumenti  appa- 
iono di  greca  impronta  :  e  se  diflFerenze  vi  si  scorgono, 
son  mere  differenze  di  dialetto  ,  merissime  varietà  or- 
tografiche. Ma    nell'  Ausonia  non    dai    un    passo    senza 
imbatterti    in  differenze  cardinali;  e  del  latino  idioma 
assisti  quasi  alla  culla,  il  primo  balbettar  ne  ascolti,  e 
poi  r  infantil  cinguettio  ,  le  giovanili  arditezze ,  la  mae- 
stosa virilità. 

Ma  il  linguaggio  del  Campidoglio  era  forse  il  lin- 
guaggio dell'Aventino?  Era  il  linguaggio  delle  concioni 


METRI      AKABI.  297 

(li  Lanrpntn  e  poi  di  Monte  Albano,  ove  le  tribù  italiche 
convenivano,  ove  il  diritto  pubblico  sorgeva,  e  della  cui 
autorità  s'impossessavano  i  Romani  quando  delle  Ferie 
L^atine  a  sé  addissero  le  instaurazioni? 

La  lingua  vera  de'  Latini  non  fu  al  certo  quella 
che  poi  di  latina  portò  il  nome:  e  la  lingua  delF Aven- 
tino e  del  Monte  Sacro  assai  poco  avea  di  comune  colla 
dcccmvirale  (2G8),  e  vernacola  si  rimase  (269). 

Vero  è  che  dopo  le  pubblicazioni  di  Gneo  Flavio  e 
di  Sesto  Elio  Cato  la  lingua  delle  convenute  leggi  non  fu 
più  pel  popolo  un  mistero  ,  e  alle  disputazioni  del  Foro, 
come  di  mano  in  mano  a  tutte  le  civiche  magistratu- 
re ,  la  plebe  romana  ebbe  parte.  Ma  linguaggio  dot- 
trinale era  quello,  non  la  lingua  del  comun  conversare. 


(aCS)  Inlendo  delle  leggi  decemvi-  que  fieis  fere  societas    ctim    graecet 

ioli    nel    sistema    dell'  autore    della  lingua  ,  ncque  vernacitlci  ea  QroRrAf 

Scienza  nuova ,    del  (jual  sistema  ap-  repertvm     memoria      jorvERiT 

pena  qualche  brino  trovasi  piii  car-  nostra.   De  L,.  I.  /'',  5.    La   quale 

pito    che    indovinato    dal  Niebur.   E  lingua  lerwflco/a, ossia  popolare  ,  o  non 

auesta  dichiarazione  valga  per  le  al-  va  confusa  colla  latina  ;  o  di   quella 

tre  citazioni  storiche  che  qui  si  alle-  lingua    latina  si    dee    intendere   alla 

gano.  quale  egli  attribuiva  pei  nomi  la  sola 

(269)  Tre  linguaggi  riconoscea  ne'  inflessione  del  sesto  caso  ,  proprio  e 
suoi  tempi  Varrone ,  il  greco ,  il  la-  ■veramenle  Ialino.  Le  sue  parole  son 
lino,  il  vernacolo.  Ciò  appare  da  quale:  Si  quis  pri/tcipium  analogiae 
tutto  il  complesso  de'  frammenti  che  potius  posuerit  in  naturalibus  casi- 
di  quel  gramalico  ci  rimangono:  ma  bus....  id  illuni  facere  oportehit  ab 
scolpitamente  ove  dice:  Verbonnn  ,  sexto  casu  ,qri  est  pROPRirs:  LA- 
quae  tempora  adsignificant ,  ideo  lo-  TINEIS  liJVJM  !<OJV  EST  CA- 
cus  diffìcilliinus  est  tutivxj  quod  ne-  Sf'S  ALIFS.  Ibid.  ix  ,  3. 

Tom.  III.  58 


298  DE      R    I    T    I    S 

Cosi  col  linguaggio  della  legislazione  (270)  la  lingua 
italica  primitiva  fu  ingentilita  ad  emulazion  della  greca. 
I  nomi  ebbero  inflessioni  per  casi  ;  ma  oltre  ai  cinque 
casi  greci  ritennesi  il  sesto,  vero  nazionale  e  solo  lati- 
no (271);  ma  le  inflessioni  desinenziali  in  m  ed  in  s, 
sfumavano  nella  pronunzia ,  disparivano  ne'  versi.  E 
che  tutto  ciò  fosse  di  straniera  o  alnien  recente  prov- 
venienza  ,  1'  autorità  venerabile  di  Cicerone  cen  per- 
suade (272). 

I  verbi  ebbero  anch'essi  maggior  numero  d'infles- 
sioni; ma  non  quante  ne  ammettevano  i  Greci  (273);  ma 


(270)   Lucidamente    nelle   sue  Le-  more  maiobvm. 

-ioni   di   retorica    dimostra    il    Blair  Pure,  nel  domestico  conversare ,  cogli 

quanta  nitidità  non  solo  ma  energia  gli  adiettivi  dimostrativi  gli  articoli  risor- 

articoli   accrescano     al    discorso.    Ma  gevano.  V.  Scaligero ,  De  caus.  ling. 

come  i  Romani  li  dismisero?  -  Il  bi-  lat.  e.  i3i. 

sogno    degli  adiettivi  dimostrativi   fa  (271)  V.  la  nota  268. 

sentirsi     tanto   maggiormente    quanto  (272)  Quiii  eticuyi  ,  qroD  iam  svb- 

meno  i  vocaboli  son  determinati.  Ma  RrsTicyjii     videtvr  ,    olim    auteìn 

le  parole  legittime  delle  leggi  appun-  politius     eoruin     verborum      quorum 

to  nel  determinalo  e  rigido  senso  della  eaedeni  eranl postremae  litlerae ,  quae 

loro    significanza   si  constituivano.    E  siint  in  o^^mmus ,  postremam  lilteram 

nolo    che    coli'  ergersi    arbitri    nelle  detrahebant ,  nisi  vocalis  insequeba- 

conlese    tra  popolo  a  popolo   e    som-  tur.  Ila  non  erat  offendo  in  versibus 

pre    sotto    la  maschera    di    sostenitori  quam  mine  fiigiunt  poetae  novi.  Ci- 

del  diritto  feciale  estendevano    i  Ro-  cero,  de  Orai.  161. 

mani  il  loro  imperio  e  le  loro  dcpre-  (273)  Disse  Varrone  ;   Quod  a'tunl 

dazioni.  11  loro  linguaggio  fu    quello  analogia^  non  servari  in  temporibus , 

del  comando;  la  loro  virtii,  inflessi-  cum    dicunt   lego,  legi  ,   Icgaru  ,    et 

bile  costanza.  Quindi  :  le  parole  esser  sic  mille  alia    (    nam    quae    siint  ut 

altro    non    poteano    che    1"  enunciato  legi    PERFECTrM    significare   ,    duo 

di   rigidi  pensieri  ì-eliqua  legam  et  lego    iNciiOjTyM  ) 


METRI      ARABI.  299 

non  eliminando  affatto  gli  ausiliari  (274).  Cosi  un  linguag- 
gio illustro  sorgeva  ad  emulazione  della  più  bella  lingua 


iniiirici  reprehendunt.Hnm ,  ex  eodem  formazione  o  alla  comunicazione    del 

GEMERE  ET  DlvisiosE  idem  verbum  segno  indicatore  di  quella  tale  idea  , 

quod  sumplum,  est ,  per  tempora  tra-  di  quella  tale  sensazione.  Ed  ceco  per- 

dtici  potesf  :   Iti    disccbam  ,   disco  ,  cliè  tulli  i  temi  gli    orientali  trassero 

discam  ;  et  eadem  perfecti  sic  di-  òaX passato,  PEEFECTVM,\fxJ3-  Or 

diceram  ,   didici,    didicero  ;  ex  quo  le  applicazioni  di  quel  segno  al  pre~ 

licet    scire    rsRBORUM    ratiosem  Si'/ite ,   ai  futuro ,  altrimenti    concepir 

constare.  Sed  eos  qui    trikw  TE.tr-  nou  si  possono  se  non  come  un  trasfe- 

ponyìt verbapronuntinre velini, scien-  rimento  del  primo  concetto,  un   mo- 

teridfacerescirelicet.DeL.l,.  vin,5/i.  vimento  all'attività,  liSCHOATVM  , 

ìSon  solo  da  nessuno  de' nostri  gra-  U^N^O 

malici  questo  passo  venne  illustrato,  Pel  glossario  tecnico   gramalicale  : 

ma  ne'  lessici  altresì  le  parole  grama-  a  quel  verso  di  Virgilio  ,  ^en.  J^I , 

ticali  che  qui  si  producono   non  an-  -v.  262, 

Cora  ebber  sede   nel  loro    tecnico  si-  Tumstygioreginociumasinchoat  aras: 

gnificalo,  nota  Servio  die  1'  inciioabe   fosse  an- 

lutanto  ecco  la  teorica  de'veibila-  tica  parola  de' rituali.    La   qual   pare 

tini  presentata  da  Varrone  nel  modo  che   ne'  secoli   seguenti   si    traducesse 

identico  che   la  presentano  gli  orien-  colla  parola  movere.    Come  a  cagiou 

tali.  TEUFKCTVM  et  INCHOATVM,  d'  esempio  : 
i'"INa01  i'XQ  ("la'ziu  va  moza'riòa  ); 

e  mozcirei  il  futuro  e  il  presente.  Del  CraOBOUVM  ET  AEMOBOLIVM  MOVIT 

the  agevole  è  l'iulclligenza.  DE  SVO  PErRONIVS  MARCELLVS  SA- 

Pcr  considerazioni   ideologiche  :  la  CERDOS  VI  KAL  DEC  UIIVIR  PRIMO 

dcsign.izione    di  uu'  azione  ,    di    uno  ET  IVSTO  (♦). 

stalo  ,  di  ciò  in  somma  che  può  ve-  (274)    Per   1'  ausiliare   avere  ,   pre- 

nirci  indicato  da  un  segno  verbale  ,  scindendo    dai  comici  ,  ecco  nel  solo 

potrà  sibbenc    riferirsi    al    presente  e  Cicerone  :    De  Caesare   satis   dictum 

al  futuro;  ma  il  suo  concetto  raggirar  habeo  (  Phil.  V  ,   e.  penult.  )  Habeo 

non  si  può  se   non   sopra    un'idea,  domitas  Ubiditi  es  (DcOrat.  c.43;  Ad 

una   sensazione    se    cosi    vuoisi  ,    già  Brut.  ep.  I  et  IV  )  Leìlum  habere  in- 

difl'inila  ,    e    perciò   preesistente    alla  c/jc/ww  Z)"s  (  Verr.  VÌI,  sub  fin.  )    eie. 

(")  Lapida  tuttaTÌa  esistente  in  Chicli. 


3oO  DE      R    I    T    I    S 

del  mondo:  ma  su  le  basi  della  nazionale.  E  come  d'ordi- 
nario addiviene  che  nelle  gare  al  di  là  de'  giusti  limiti 
si  trascorra  ;  i  Latini  non  1'  uso  soltanto  degli  articoli 
dismettevano ,  ma  i  più  eleganti  delle  stesse  preposi- 
zioni e  delle  particelle  di  legame  abborrivauo  la  fre- 
quenza (275).  In  tal  maniera  col  divenir  più  gentile  , 
men  popolare  quel  linguaggio  illustre  si  rendeva  :  e  la 
bella  letteratura  de'Latini  fu  veduta  acquistar  sembianza 
di  straniera  ne'  più  bei  tempi  della  sua  floridezze!. 

L'epica    poesia  venne  coltivata  con   fortuna:    che 
la  tenuità  rifuggono  di    volgar  loquela   quegli    animosi 


Ma  quel  eh'  e  più  mirabile  si  è  la 
foi'maiione  del  futuro  ,  la  quale  in 
tutte  le  lingue  romane  si  ha  coli'  u- 
nire  all'infinito  1' ausiliario  acere  se- 
condo le  sue  diverse  modificazioni 
amar-ò  ,  amar-ag^^io,  aiaar-aòòo.  Or 
contraete  quest'  ultima  maniera  ed 
avrete  il  latino  am-abo. 

Per  1'  ausiliare  essere  :  oltre  alla 
doppia  maniera  nel  dir  letterato  per 
esprimere  la  stessa  idea  amor ,  ama- 
tus  sum  }  amabar,  amatus  erani  ;  a- 
ìnabor ,  amatus  ero;  tulli  i  perfetti 
non  aveano  infiessione  e  col  solo  soc- 
corso dell'  ausiliare  si  componeano.-E 
qui  ancora  si  noti  che  la  RE  carat- 
teristica dell'  infinito  ,  se  vedesi  tron- 
ca nel  latino,  conservasi  intera  nelle 
lingue  popolari. 


(275)  11  eh.  Ciampi  ,  De  iisu  h'n-^ 
gnae  ilalicae  salUm  a  saeculo  quinto 
li.  S.  acroasis ,  Pisa  1817,  va  molto 
sagacemente  investigando  la  cagione 
che  indur  poteva  i  Romani  a  fare  a 
meno  degli  articoli  ,  e  crede  averla 
rinvenuta  quia  latina  lingua  erudì' 
loìiiììt  coiisensu  non  vulgi  usu  insti- 
tuta  sii.  -  Convenendo  con  quel  dot- 
tissimo che  la  lingua  letterata  de'la- 
tiui  non  fosse  quella  del  volgo  ,  par 
che  il  problema  rimanga  insoluto  se 
r  ipotesi  non  si  ammetta  della  nota 
atìg  ,  0  non  voglia  risguardarsi ,  come 
qui  suppongo,  una  esagerazione.  11  che 
si  lega  coli'  infrequenza  delle  parti- 
celle di  legame  di  che  è  parola  alla 
nota  278. 


METRI      ARABI.  OOl 

ingegni  i  quali  a  descrivere  imprendono  le  allo  gesta 
dei  generosi  e  l'arcano  collegamento  delle  vicende  di 
quaggiù  col  consiglio  de'  Celesti.  Pure  nazional  poema 
non  fu  r  Eneide  :  ne  la  plebe  di  Roma  ricantava  le 
furie  di  Turno  e  l'abbandono  di  Elisa,  come  i  rapsodi 
di  Grecia  ridicevan  di  città  in  città  1'  ira  di  Achille  ; 
come  ripete  nel  suo  burchio  il  gondolier  di  Venezia, 
vuoi  lo  sdegno  della  ragion  feroce  di  Rinaldo ,  vuoi  la 
dolente  istoria  e  il  pietoso  lacrimare  d^  Erminia. 

La  lirica  ebbe  il  suo  Fiacco  :  ma  oltre  le  soglie  de' 
grandi  quelle  sue  canzoni  forse  non  furono  ascoltate  : 
ed  unico  stett'  egli  co'  Greci  al  paragone  :  e  dopo  la 
sua  età  ai  modi  più  romani  i  begl'  ingegni  si  rivolge- 
vano dietro  le  tracce  di  Catullo  (276). 

•  Che  diremo  della  drammatica  ,  poesia  veramente 
da  popolo  ?  Oltre  ai  primi  tentativi  nella  età  degli  Sci- 
pioni ,  i  Romani  nell'aringo  teatrale  si  tacquero,  e  sol 
di  qualche  debole  e  svisata  imitazione  dal  greco  ,  ad 
ora  ad  ora  dàvan  rado  e  malgradito  spettacolo  (277). 

Cheppcrò  la  lingua  illustre  de'Romani  alle  giornalie- 
re consuetudini  del  volgo  non  provvedeva:  ne' canti  po- 


(27G)  Ciò  ò  comune  anche  co'Greci,  Anacrconte  e  della  tenera Saflb,  quasi 
i  quali  abbandonarono,  almeno  per  esclusivo  alla  lirica  si  rimanesse  il 
quel  eh' è  pervenuto  sino  a  noi,  non  metro  elegiaco,  il  quale  in  cobolelte  si 
solo  il  molliforme  ondeggiamento  del-  risolve  di  quattro  assai  simmetrici  cora- 
ta canzone  pindarica^  ma  le  studiate  partimcnti. 

Varietà  eziandio  delle  strofe  di  Alceo  (277)  Intanto  delle  commedie  atel- 

i'  di  Stesicoro.  Ed  è  notabile  che  ol-  lane  non  mai  si  dismise  la  voga, 
tre  alle  popolari  cantilene  del  mellifluo 


3o2  UE      K    I    T    I    S 

polareschi  forse  nemmen  si  ascoltava  :  forse  al  solo  lin- 
guaggio di  corte  venne  nei  più  begli  anni  del  princi- 
pato a  limitarsi.  Di  solecismi  ridondano  le  vecchie  iscri- 
zioni fin  ne'  columbari  della  casa  augusta  :  e  in  sole- 
cismi non  è  possibile  che  incoi'ra  un  popolo  il  qual  parli 
il  materno  linguaggio  (278). 

Diversa  dal  famigliar  conversare  fu  adunque  la  lin- 
gua degli  eleganti  dicitori ,  e  conseguentemente  la  scrit- 
tura :  ma  non  diversa  tanto  che  il  linguaggio  del  latino 
illustre  non  fosse  inteso  da'  volgari ,  quando  spezial- 
mente a  quella  industria  gli  scrittori  si  piegavano  della 
quale  non  mancano  autentiche  pruove  (279). 


(278)  Ed  è  notabile  che  non  solo 
ne'  secoli  che  diconsi  di  decadenza  , 
ma  nella  età  della  maggior  floridezza 
dell'  idioma  latino  ,  e  piii  scolpita- 
mente in  quella  de* primi  scrittori,  di 
questi  tali  solecismi  s'  incontrino.  E 
basti  il  solo  Nonio  Marcello  a  darne 
fede  pei  quattro  quinti  della  sua  com- 
pilazione. E  quel  eh'  è  piii  notabile 
si  è  non  esser  altro  que' solecismi ,  e 
sempre,  se  non  ciò  che  dir  potremmo 
idiotismi  italiani. 

(a/g)  Giovi  qui  produrne  un  so- 
lo. i>  Pronta  e  fluente  ,  quale  a  prin- 
"  cipe  si  conveniva  ,  era  di  Augusto 
»  1'  eloquenza  ,  dice  uno  de'  suoi  sto- 
»  rici  ;  elegante  fu  il  suo  scrivere  ; 
»  ma  non  di  quella  eleganza  rime- 
»  scolata  e  smaniosa  the  il  dir  sem- 


)i  plice  malmena  ed  abbrunisce  :   fa- 

11  cile  ,    temperata    era    1'  eloquenza 

))  alla  quale  aspirava  ,    le    inettezze 

I)  evitando  del  discorrere  per  scnten- 

>i  ze  ,    e  il    puzzo  ,    coni'  ei   diceva  , 

»  di  rugginosi    e   reconditi   vocaboli. 

))  Apertissimamente  espressi  ei  voleva 

11  i  pensieri  suoi  ;    e   a   questo   scopo 

»  le  precipue  sue   cure   rivolse  :   e  a 

»  più  agevolmente  conseguirlo  ,  e  ac- 

»  ciocche    il    lettore    o    1'  ascoltatore 

>'  non  incontrasse   inciampo    o   ritar- 

)i  do  ,    non  dubitò    di  aggiugnere  le 

»  prepofiizinni  alle   parole  e  le  con- 

)i  giunzioni  /reqiieiilemenle  ripetere: 

11  le  quali  tolte  ,    uri  non    so  che    di 

11  oscuro  apportano  al  discorso ,  seù- 

11  òen  grazia    vi  accrescano   ».  Svb- 


METni      ARABI.  3o3 

Ma  non  valse  1'  esempio  di  Augusto  a  frenar  l' in- 
temperanza degli  scrittori  ;  non  valse  la  sua  disappro- 
vazione alla  troppo  studiata  dicitura  di  Tiberio  Cesare  : 
già  sotto  Caligola  vaglieggiavasi  il  pensiero  di  abbando- 
nare alle  fiamme  i  poemi  di  Marone  e  le  deche  di  Tito 
Livio  ;  e  indarno  sudavano  gramatici  e  retori  per  ri- 
condurre i  Romani  alla  semplicità  del  dire  e  alla  piana 
eloquenza  dell' orator  d' Arpino.  La  mania  di  distaccarsi 
da' modi  volgari  fu  sempre,  pur  troppo,  la  mala  febbre 
de'  letterati  d'  ogni  età  ! 

Con  questo  distaccarsi  soverchio  dal  dir  popolare, 
il  dir  per  gramatica  sempreppiù  disagevole  si  reudea  nel 
tempo  stesso  che  sempreppiù  viziato  diveniva  e  disador- 
no. E  quando  Tiberio  ebbe  trasferito  dal  Foro  alla  Curia 
le  pubbliche  concioni,  tutta  la  vita  del  dir  latino  fu  spen- 
ta, ed  imitatori  più  o  men  felici  de' morti  i  seguenti 
scrittori  divennero:  ma  sempre  colla  legge  che  l'Eter- 
no impose  alle  imitazioni  d'  ogni  sorta  ,  di  rimanersi 
tuttavia  e  molto  all'  ingiù  dei  modelli  (*). 

Costantino  trasportava  la  sede  dell'  imperio  in  una 
città  della  Tracia  :  e  le  due  lingue  letterate  dell'  orbe 
romano  si  rimescolarono  allora  un'  altra  volta  e  vicen- 
devolmente si  alterarono  (280)  :  mentre  le  volgari,  donde 


(*)  Qui  tutte   si   adagiano    le  belle  ce  derivar  si  possono    del  greco  mo- 

osservaiioni    del    conte    Napione    da  derno  ,  comechè    il  maggior   numero 

Cocconalo  negli  aurei  suoi  libri    del-  degli  scroni  stranieri  inlrodolli  in  quel 

V  uso  e  chi  pregi  dell  i  lingua  italiana,  linguaggio  si  voglian  ripetere  dall'età 

(280)  Da  quell'epoca  le  prime  trac-  delle    crociale.   Non   è   cambiato    un 


5o4  DE    n  I  T  I  s 

tfuclle  craii  sorte,  nel  primitivo  sistema  di  graninticale 
andamento  si  consolidavano  ,  il  quale  ,  più  da  natura 
elle  da  arte  derivando,  alle  vecchie  consuetudini  e  al- 
la natia  indole  viemaggiormente  si  vedcano  cosi  ravvi- 
cinate (281), 


linguaggio  quando  molte  parole  di- 
vengano antiquate  e  molte  altre  se 
ne  adottino  o  sorgano  dal  fondo  stesso 
degli  antichi  radicali  ed  anche  affatto 
nuove;  ma  quando  il  graraalical  si- 
stema venga  a  variarsi.  -  Per  ciò  che 
riguarda  la  lingua  italica  in  confronto 
colla  Ialina,  la  massima  delle  diffe- 
renze è  nell'  abolizione  de'  casi  nei 
nomi:  giacché  ne' verbi ,  aslrazion  fatta 
dalle  due  forme  del  futuro  e  dalle  in- 
flessioni passive  ,  dir  si  ppssono  ingen- 
tilimenti di  pronunzia  piuttosto  che 
varieti.  Ma  nel  greco  moderno  la  teo- 
rica de' verbi  quasi  affatto  dall'antico 
si  distacca:  e,  quel  eh' è  mirabile,  con 
quella  delle  lingue  romane  si  ricon- 
giunge. I  filologi  accordan  troppo  alla 
presenza  de'  Veneziani.  Ma  la  forma 
graraaticale  del  greco  moderno  è  la 
slessa  anche  là  do\c  Veneziani  non 
penetrarono:  e  in  sole  gradazioni  mere 
di  profferenza  t'imbatti.  Il  y,  a  cagion 
d' esempio,  spiccantissimo  negli  Sc'ioti, 
eppena  distiaguc.rai  aSniiruf,  e  spa- 
risce affatto  in  Costantinopoli.  Queste 
ed  aliieltali  attenuazioni  nel  sillabare 
riuve.ngonsi  assai  di  frequente;  ma  la 
gt-amatica  è  una. 


(281)  Intendo  per  quest' /«t/o/e  na- 
tia  quel  primitivo  tipo  di  gramatica 
e  di  glossario  di  che  troviamo  evi- 
dentissima l'analogia  quando  da  quel- 
le industrie  facciamo  astrazione  che 
nel  vario  andamento  della  civiltà  qua 
e  là  s'  introdussero 

In  una  parte  più  e  meno  altrove. 
Molto  buio  e  già  tolto  per  opera  di 
que'  pazientissimi  che  delle  etimolo- 
giche derivazioni  si  fecero  a  prodarre 
^a  tale  o  tale  ajtra  ipotesi  :  ma  per 
quel  che  riguarda  piii  prossimamente 
il  nostro  obbietto  ,  piti  che  barlume 
di  prossima  aurora  ei  mostra  nella 
dotta  dissertaziojie  di  F,  Paolino  da 
S.  Bartolommeo  De  latini  sermonis 
origine  et  cum  orientalibus  Ungiiis 
connexione  ,  Romae  1812,  Avrem 
forse  piena  luce  di  meriggio  quando 
alle  sole  etimologie  delle  parole  iso- 
late non  si  vedrà  circoscritta  1'  opera 
degli  eruditi  ,  ed  una  gramatica  ve- 
ramente universale  e  non  fantastica 
vedreni  sorgere  alle  cui  regole,  non 
immaginate  ma  rinvenute,  tutti  i  par  - 
ziali  sistemi  gramaticali  della  razza 
umana  venir  possano  senza  stento  ad 
adagiarsi. 


l\r    E    T    U    I       ARABI.  3oO 

Questo  linguaggio  da  popolo  con  le  legioni  romane 
sino  al  muro  di  Agrippa  nella  Britaunia,  e  dalle  fron- 
tiere del  Reno  e  del  Danubio  giù  sino  al  mare  ,  col 
romano  governo  ,  coi  cangiati  costumi  ,  e  con  la  reli- 
gione del  Lazio  erasi  già  radicato  (282).  Ma  vieppiù 
alla  semplicità  di  que'  modi  il  confortavano  i  vange- 
lizzatori  di  quelle  auguste  dottrine  che  distrugger  do- 
veano  le  ingiuste  disuguaglianze  di  fortuna  ,  affratellar 
tutti  i  celi ,  e  formar  di  tutti  i  popoli  dell'  universo 
una  famiglia  soJa  (283). 

I  fasti  della  religion  cristiana  rammentano  qua  e 
là  illustri  personaggi  di  alto  grado  che  ne'  primi  tempi 
la  professarono  :  ma  la  massa  de'  credenti  nella  più 
umile  condizione  della  società  vuol  ripetersi.  Que'  po- 
veri di  spirito  o  non  valevano  o  non  ambivano  soste- 
nere splendidi  onori  sociali  ,  anche  dopo  che  Costan- 
tino ebbe  inalberato  la  croce  in  Campidoglio.  I  per- 
sonaggi d'  importanza  ,  come  mai  sempi-e  nella  età 
delle  corruzioni  sociali  addiviene ,  per  vezzo  adulatorio 


(aSa)  Non  par  necessario,  come  al-  legioni,  la  cui  gramatica  uniforme- 
tra  volta  io  già  mi  pensai ,  stabilire  mente  tulle  le  provincie  romane  adot- 
un  linguaggio  intermedio  tra  il  latin  tarono.  V.  la  nota  ajg. 
letterato  e  il  volgare.  Quello  io  sup-  (283)  Qualche  eccezione  per  l' im- 
poneva il  c(J6//ie';se ,  del  quale  fan  ri-  perio  orientale  non  è  del  nostro  su- 
cordo  Plinio  in  praef.  ad-  IL  N. ,  A.  bietlo.  Del  resto  :  mentre  il  (ìoverno 
Gcllio  /.  Xyil,  e.  a  ed  altri.  Ma  uu  adottava  il  linguaggio  di  Roma  ,  la 
pili  maturo  esame  mi  ha  fatto  accorto  religione  divenne  il  popolare  ;  e  il 
che  la  lingua  volgare  tutta  intera  es-  linguaggio  della  Religione  prevalse, 
ser  dovesse  il  linguaggio  comune  delle 

Tom.  III.  09  • 


3o6  DE       R    I    T    I    S 

alla  famiglia  regnante  ,  e  i  più.  con  ippocrito  rispetto  , 
alle  assemblee  si  univano  do' credenli  :  mentre  gli  am- 
biziosi e  svelti  ingegni  che  vi  s'  intrudevano  traeaii 
cagione  dalla  semplicità  de'  loro  confratelli  per  disunirli 
e  dominare  ;  e  i  begli  spiriti  dall'  altro  canto  forma- 
vano (li  quelle  dissensioni  materia  di  riso  e  di  dilcgio  : 
e  i  più  zelatori  della  vigna  del  Signore  trovano  occa- 
sione di  scandalo  ne'  dettati  di  qua'  padri  die  troppo 
di  ciceroniano  sentivano  (284). 


(284)  Ne  aLbiamo  una  conliniuizio-  Fourmont  (  Ad.  de  V  acad.   des  en- 
ne (li  tesliraoiuatize  da  S.  Girolamo  a  script,  toni.  IV  ,  pag.  4G7  ).  Le  rime  , 
S.  Gregorio   Magno.    TuUo  Io    sUidio  ci  ben     riflette  ,    fan    teniinoiiio    che 
de'  padri  era  quello  di  piegarsi  il  piii  molte  lettere  ,  comumjue  scritte  ,  va- 
clie    fosse    possibile   alla    intelligenza  dano  o  affatto  taciute  o  in  modo  pro- 
de' volgari  :  pel  quale   oggetto  parca  nunciate  che  dagli  ordinari  suoni  ai- 
pur  bello  al  Magno  Gregorio  il  con-  fabetici  si    distacchino.    Or   leggendo 
fcssare  eh'  ei  non  fuggiva  la  collisione  questi  versi  : 
del   metacismo  ,     non    la    confusione  Halite  domnae ,  noUte  sanctae  , 
del  barbarismo  ;  nò  ad  osservar  s' in-  Nolte  credere  fabulas  tantas  ,  etc. 
clinava  il  suono  e  il  caso  voluti  dalle  come  presso  il  Baluzio;  non  v'  ha  ra- 
preposizioni  :  stimando  iniquo  che  le  gion  da   credere    che  fabulas    tantas 
parole   de'  celesti   si  dirigessero  colle  vadan   pronunziate    per  favole    tante 
regole  di  Donato,  (  Gio.  Diacono  ,  in  nella  corrispondenza  di  .sa«/(j  che  per 
T'aita  S.  Greg.  M.  l.  4.  )  Ed  ecco  quel  mera  ortografia  scriveasi  sanctae? 
tale  latino  che    dir    potremmo    vera-  Così  appo  lo  stesso  : 
mente  volgare  ,  e  che   in   pretto    ita-  Ttmpus  primus  iam  transactus  , 
liano  si  trasforma  sol   che  di    alcune  Ei  Iwc  feci  quod  vobis  est  aptum  ,  etc. 
lettere  si  taccia  la  proffcrenza  le  quali  Ed  ecco  transatto  ed  atto  parole  ila- 
come  mere  ortografiche  van  conside-  liane  perfettamente  rimanti, 
rate.  E  per  darne  piena  dimostrazio-  Ma    chi    crederebbe    rinvenire    in 
ne  ,  ci  avvarremo  d'  un  pensiere  del  bocca  germanica  la  pronunzia  di  core 


AI    E   T   n    I      ARABI.  5oj 

Sopraggiunsero  nell'  occidente  le  incursioni  barba- 
riche ,  e  tutta  quella  zizania  grandeggiantc  fu  svelta 
dalla  chiesa  di  Dio  ,  e  le  umili  piante  soltanto  inos- 
servate si  rimasero  o  neglette  dal  mielitor  superbo  che 
passava. 

Se  non  tornarou  negli  antri  ,  nella  solitudine  de' 
boschi  si  raccolsero  allora  i  più  pii.  Ma  dal  fondo  di 
que'  boschi  di  mano  in  mano  la  fierezza  mansueface- 
vano de'  guerrieri  indomabili  :  dalla  scuola  di  que'  so- 
litari! sorgevano  i  fondatori  di  tutte  le  moderne  mo- 
narchie :  e  que'  solitarii  poi  ,  alla  corte  dei  re  trabal- 
zati ,  divenivano  i  consiglieri  più  rispettati  ne'  dubbi 
eventi,  e  i  promulgatori  delle  tregue  di  Dio  nelle  civili 
contese.  Così  al  vo/gar  Ialino  tutte  le  nuove  genti  si  pie- 
gavano, e  le  varie  lingue  de' vincitori  di  mano  in  mano 
vennero  affatto  dimenticate  da  quei  pochi  che  delle  pro- 
vincie  romane  occupavano  a  cincischi  la  signoria. 

In  quella  stagione  1'  araba  scimitarra  cominciò  a 
balenare  in  Oriente.  Ma  non  per  la  sola  forza  del  bran- 
do affbltavasi  la  calca  sotto  il  vessillo  dell'  islamismo. 
Tutti  i  dissidenti  dalla  Fede  di  Nicea  ne  invocavano 
o  provocavano  protezione  o  vendetta  :  e  la  prepotenza 
dell"  audace  impostore  fu  al  suo  colmo  allor  che  tutta 
quanta  ebbe  adita  1'  eredità  degli  ardimenti  ariani. 


in  carde?  Ma  non  altiimenti  trovar  si  ferba  lactis  ,  fraus  infaclis  , 

può  la  rima  in   questi    versi  ;  Corda  anguina  ,  verha  butyrina. 

Omnibus  rebus  iam  peraclis  ^  j4p.  Theod.  Eberti  ,  poetic.    hehr. 

ìiulla  fides  est  in  pactis  :  harm.  rhilm.  mttr.  etc. 

MA  in  ore  ,  fel  in  corde  , 


3o8  DE      R    I    T    I    S 

La  qual  peste  ,  se  in  occidente  non  mancò  di  an- 
dar qua  e  là  serpeggiando  tra  quei  guerrieri  che  di 
stipendiati  del  signor  di  Bizanzio  in  dominatori  si  tras- 
Ibrmarono  (2  85)  ,  dalla  chiesa  latina  fu  sempre  avuta 
in  orrore.  E  quell'  orrore  nella  classe  de'  volgari  tena- 
cemente abbarbicato ,  sol  tardi  videsi  alquanto  infievo- 
lire, svelto  affatto  non  mai. 

E  acerbissima  fu  poi  cuori  italiani  la  temerità  di 
que'  semisettatori  dell'  islamismo  i  quali  delle  sacre  im- 
magini spogliar  voleano  le  nostre  chiese  :  onde  le  ul- 
time ancUa  s'  infransero  che  ai  bizantini  ci  legavano  , 
e  di  un  imperio  latino  sorger  fece  il  pensiere  di  rista- 
bilire la  dignità. 

A  quest'  epoca,  del  volgare  idioma  frequentissimi 
appaiono  i  vestigi  e  non  rari  i  documenti.  Solenne  te- 
stimonio ne  fa  il  giuramento  de'  figli  di  Carlo  nella 
pace  fermata  a  Strasburgo  (286)  :  1'  elogio  di  un  Papa 
per  la  perizia  nei  tre  linguaggi  allor  vigenti,  la  volga- 
re ,  la  tedesca,  la  latina  (287):  e  le  più  antiche  scrit- 
ture delle  lingue  romane  ad  un  comune  sistema,  gra- 


(285)  Non  altrimenli  anche  i  Tur-  bisogna  pcv  molli  testi  di /ingi/a ,  s\)ic- 
chi  chiamati  dai  califi  di  Bagdad  pev  cantissima  la  lingua  italiana  vi  si 
loro  guardia    occuparono    quel   trono  mostra. 

che  dovean  difendere.  (287)  È  celebre  l'epitaffio  di  Gre- 

(286)  Questo  giuramento  sollenniz-  gorio  V  per  le  calde  gare  che  suscitò 
zato  nel  IX  secolo  nella  Gallia  Csar-  tra  il  Fontanini  e  il  I\Iu:atori  : 
bonese  ,  mai^is  ad  Jtalos  vergi l,  di- 
eta Leibuil/..  E  in  fatti  se  1'  <  rlogra-  Vsus.  Francisca  Vulgari.  Et.  Kcce.  Latma. 
fia  rettifichi  ,   mcn   furjc   di  cjucd   che  Instituii.  Populos.  Eloquio.  Triplici. 


METRI       ARABI.  ÓO9 

iiiaticalc  non  solo  ma  ortografico,  niotlcllatc  in  guisa, 
che  assai  di  sovenlc  nel  dubbio  ti  rimani  se  pronun- 
ziar si  deggiano  coli'  acconto  del  romano  vallone  o 
ib<To  o  occitanico ,  ovvero  nella  compressa  o  spianata 
profferenza  del  bel  paese  che  Apeiuiln  parte  il  mar 
circonda  e  l'Alpe  (288):  perciocché  due  realmente  sono 
per  ditlerenze  spiccanti  le  italiche  proff'erenze  ,  dalla 
flassion  degli  Jlpennini  determinate  (aSg). 


(288)  Una  lai  verità  fu  più  preseli-  storici  della  patria  letteratura  ,  nci- 
tita  die  prol'essata  dal  Reynuard  e  dal  suno  escluso,  al  vedere  che  molli  ita- 
nostro  Pcrticari.  »  La  lingua  romana,  liani  alìliandonastero  il  patrio  Un- 
dice  il  primo,  fu  la  lingua  volgare  guaggio ,  com' essi  dicono ,  e  s' indù- 
Ai  lutti  i  popoli  che  uljbidirono  a  cessero  a  poetare  in  lingua  straniera? 
Carlo  Magno  iicU'  Europa  meridie-  Ma  Sordollo  da  Mantova  ,  Folthetto 
naie:  essendo  noto  che  la  domina-  e  Bonifazio  Calvo  da  Genova,  Barto- 
zione  di  lui  eslendcvasi  su  tulio  il  lommeo  Giorgi  da  Venezia  e  lutti  gli 
mezzodì  della  Francia  ,  sopra  gran  altri  italiani  che  si  pongono  in  serie 
parte  della  Spagna,  e  quasi  intera  l'I-  tra  i  poeti  provenzali,  scrissero  preci- 
talia.  »  liec/ierc/ies  sur  la  langue  Ro-  samenle  come  or  tuttavia  si  parla  al 
mane,f.  16.  E  il  secondo,  dopo  aver  di  là  degli  Apcnnini. 
rammentato  il  fatto  di  quel  pellegri-  (289)  Dante  pone  i  termini  della 
no  che  nel  raonistero  di  Fulda  entrò  lingua  d'  oc  dai  confini  de'  Genovesi 
in  ragionamento  con  un  prete,  e  pie-  alla  flessione  deil'Apennino.  Z)e  vh/^. 
namcnlc  s'intesero  perchè  l'uno  era  e/.,  1.  i,  e.  7.  La  qual  flessione  vuol 
spagnuolo  e  l'altro  italiano  (  Mabil-  riporsi  li  dove,  dopo  aver  corso  quasi 
lon,  Act.  S.  Bern.  sec.  Ili ,  P.  II ,  da  ponente  a  levante,  ripiega  quasi  da 
f.  ^58),  ed  altri  falli  simili  ,  con-  settentrione  a  mezzodì;  e  donde  quel 
chiude  non  essere  la  lingua  proven-  picciol  fiumicello  deriva  che  fu  già 
zale  se  non  il  buon  Romano  jyronun-  confine  dell'Italia  romana. 
ziato  alla  Lombarda,  tipologia  di  Pion  so  donde  il  Giambullari  alti- 
Danle,  p.  l'M.  Ma  perchè  poi  1'  uno  gnesse  questi  fatti,  n  Terminavano  , 
e  1'  altro  maravigliano    con  '  tutti  gli  die'  egli ,  i  nostri  antichi  la  maggior 


5lO  DE       R    I    T    I    S 

La   ffual    condizione    non  è    della  sola  Italia ,   ma 
delle  Gallie  benanche  e   della  Spagna  :    ed    è    notabile 


pane  delle  parole  in  consonanti.  Ed  i  l'ilaliano,  riputato  lingua  maledeltu 
Siciliani  per  l'opposito  finivano  colle  e  ghibellina.  Pel  quale  odio  si  giun- 
vocali....  Considerando  adunque  la  se  finanche  a  falsare  i  testi.  Arri- 
uostra  pronuncia  e  la  siciliana,  e  veg-  chetto  da  Settimello  ,  a  cagion  d'  e- 
gendo  che  la  durezza  delle  consonanti  sempio  ,  avea  detto  ,  parlando  della 
oflendeva  tanto  1'  orecchio ,  quanto  si     Filosofia  : 

conosce  nelle  rime  provenzali,   si  co-     Et  mihi  sicAyos ,  ubi  nostra palatia  ,muros 
minciò  coli' addolcire  e  mitigare  quel-         (  Sic  stai propositum  mentis )  adire  luhet. 
r  asprezza  non  a  pigliare    le  voci  dei     Ma  il  suo  volgarizzatore ,  il  qual  vis- 
forestieri,  ma  ad  aggiugnere  le  vocali     se  ne' tempi  angioini  j  si  credè  inco- 
ia fine  di  tulle  le  nostre  »  (    Gianih.     scienza  dire  invece  :   »  alle  mura  del 
p.  i36 ,  i3y  ).  Cerio  è    che  anche   la     mio  Parigi,  dove  sono  i  nostri  pala- 
Toscana   ebbe  poeti    che  imitarono    il    gi,  egli  mi  piace  andare:  così  sta  il 
cantar  provenzalese,  come  Paolo  Lan-    proponimento  della  mia  mente". 
franchi,  incerto    se  Pisano   o  Pisloie-         Si  è  assunto  da  qualche  nostro  let- 
se  ,  Rugelto    da  Lucca,  e    quel  Mi-     terato  (  Bettinelli  ^  Andres ,  ec.  )  che 
gliore  degli  Abati  da  Fiorenza  di  cui     la  corte  di  Carlo  d'  Angiò  avesse  po- 
nella  LXXIX  delle  cento  novelle  au-     luto  mettere  in  voga    la  lingua   pro- 
tiche    si   conta    che   seppe   cantare    e     venzale   Ira    noi.  IVIa    oltre    che    non 
seppe  il  provenzale  oltre  misura  prof-     v'ha  esempio  di  provenzalismo  in  I- 
ferire  :  cerio  è  che  1'  attuai  popolo  fio-     talia    al  di   qua   della  flessione    de  1- 
renlino  ha  una  pronunzia    ollremodo     l'Apennino  ,  eccezion  fatta  dai  sopra 
smozzicata  (V.  ^\{  Scherzi  comici  del     notati  nel  bacino  dell'Arno;  Carlo  , 
eh.  ab.  Zannoni  );  e  che  non  solo  ser     che  non  mancava  d'essere  anch' egli 
Brunello  dettò  il  suo  Tesoro  in  fran-     poeta,  trovava  nella  lingua  d'  oj  non 
cese  parceque   lengue  franceise    cori    in  quella  d'oc.  Come  dalla   seguente 
parmi   le  monde   et  est,   com' ei  di-     strofe  che  si  cita  di  lui  : 
ceva ,   la  plus  delitahle  a  lire  et  a  oir     Un  seul  confort  me  tieni  en  bon  espoir 
que  nulle  ctutre;  ma  che  tulli  i  guelfi     i";  c'est  de  ce  qu'  oncques  ne  la  guerpi  (♦) 
fiorentini  ,   ed  eminentemente    i  Vii-     Sert-ie  l'ai  touj.jurs  à  mon  pootr  : 
lani ,  fecer  di  tutto  per  infranciosare     N'onques  yen  aulr'aipensé Jors  qu'à  li, eie. 


(*)  Che  giammai  non  J'  ho  abbanilonata. 


,*!!" 


JX    E   T    K    I      A    R    A   B    I.  Oli 

come  queste  suddiv^isioni  geogi'afichc  non  sol  de'  faui 
dell'antica,  della  media  e  della  moderna  storia  rendan 
ragione,  ma  di  quelle  varietà  di  dialetto  altresì  che 
con  prodigiosa  costanza  vcggiam  quasi  da  naturali  li- 
miti circoscritte  (2f)o)  ,  e  quasi  dalla  conformazione 
del  suolo  e  dai  diversi  gradi  delle  longitudini  determi- 
nate (291). 

L'Italia  risguardava  un  antico  quale  eletta  da  Dio 
per  raunare  gì'  imperii  sparsi ,  addolcire  i  costumi ,  e 
le  discordi    ed   efferate  lingue    di    tanti    popoli    ridur- 


(290)  La  slessa  antica  circosciizione 
geografica  che  Cesare  descrive  nelle 
Gallio  ,  Jclerminò  poi  nel  medio  evo 
lo  stabilimento  del  reame  di  Arlcs.  Dai 
Pirenei ,  quasi  per  tre  zone  i  Tre  gran- 
di dialetti  della  Spagna  si  partono  , 
il  gallego,  o  portoghese,  dalla  Gali- 
zia alle  Algarve;  il  castigliano ,  dalle 
Asturie  a  Granata;  il  catalano,  dalla 
Catalogna  a  Murcia. 

(291)  Giovi  qui  recarne  un  solo 
esempio.  11  dialetto  portoghese  è  allo 
spaglinolo  precisamente  come  il  napo- 
letano al  comune  italico.  Ecco  la  pri- 
ma delle  canzonette  di  D.  Claudio 
Manuele  De  Costa  ,  il  Metastasio  lu- 
>(tano  ,  alla  Lira  : 

Amei-tc,  cu  o  confesso  : 
E  fosse  noite  o  dia  , 
Jamai  tua  armonia 
Me  TÌste  abanOonar. 


QBalquer  penoso  excesso 
Che  atormnntasse  osta  alma , 
A  teu  obsequio  eia  calma 
Em  pude  serenar. 
Ali  (Juantas  vezes  ,  quantaSj 
Do  somno  despertando , 
Dece  inslnimento  brando. 
Te  pude  temperar  ! 
So  tu ,  disse ,  me  encantcs , 
Tu  so,  bello  histrumento, 
Tu  cs  o  meu  alento, 
Ta  o  meu  bem  seras. 
Ve',  de  meu  fogo  ardente 
Qual  è  o  actiTO  imperio  : 
Che  em  todo  esto  emisf«rio 
Se  attende  respirar. 
O  cora^ào  ilie  sente 
Aquelle  incendio  antjgo  , 
No  raesmo  mal  que  sigo 
Todo  o  favor  me  dà. 
No  so  se  v'abbia  dialetto  in  Italia  che 
pili  di  questo  al  comune  idioma  s'av- 
vicini, j 


012  Dl^RITIS 

re  col  commercio  del  parlare  a  un  solo  idioma  (ag'i). 
Ma  questo  idioma  unico  non  altrimenti  che  per  la 
gramatica  vuol  riguardarsi  tale,  e  per  la  comunità  delle 
parole  del  civil  consorzio  :  non  sempre  pel  domestico 
glossario  ,  e  non  mai  per  uniformità  identica  di  prof- 
ferenza.  L'  Italia  stessa  tante  offre  varietà  quanti  sono 
i  suoi  grandi  bacini  ,  e  forse  tanti  accenti  (juauti  sono 
i  volghi  che  un  muro  ed  una  fossa  serra.  Pei  quali  ri- 
guardi tutta  quella  moltiplicità  di  scrittura  osserviamo 
nelle  vecchie  carte  e  negli  antichi  monumenti  dell'  età 
remotissima  e  del  medio  evo  ,  per  tutta  quella  stagio- 
ne nella  quale  tipi  di  modelli  non  erano  ancor  sorti ,  e 
nella  quale,  se  mai  dell'arte  etimologica  vera  ti  è  in 
difetto  il  soccorso  ,  le  varietà  mere  di  dialetto  colle 
diiferenzc  scambierai  da  idioma  ad  idioma  (agS). 


{292)   Numine   deuni    ekcta   quae  volea  promuovere.  Con  tutto  ciò  quel- 

sparsa  congregare^  imperia   ritusque  la  ridicola    impertinenza   si    ristampa 

molliret,  et  tot  populonini   discordes  tuttavia  nel  secolo  XIX  ! 

ferasque  linguas  sermonis  commercio  Su  la  costanza    delle    permutazioni 

conlrafieret.  Plinio,   H.  ISf.  UT,  5.  di  alcune  sillabe  ,    riguardo    special- 

(293)  Delle  cosi  dette  scale  m.ena-  mente  alle  lingue  romane  ,  alcuni 
giane  si  è  fatto  argomento  di  scherzo  saggi  riunì,  il  Reynuard  (  J^.  Joiirn, 
da  coloro  che,  pizzicando  letteratura,  des  Savana  ,  giugno  1820  )  ,  ed  è 
aspirano  piuttosto  a  brillare  con  un  bello,  ei  dice,  rinvenire  in  tai  risulta- 
epigramma  nelle  società  galanti  che  menti  dell' analisi  de' linguaggi  la  stes- 
ad  impegnarsi  in  ricerche  alquanto  sa  costanza  che  si  ammira  nell'  ordi- 
per  essi  astrusette.  I  generosi  \leman-  ne  fisico. 

ni  han  vendicato    nobilmente   1'  eru-  Ma  queste  ricerche  estender  si  vo- 

dito  Francese  col  ritorcere  sull' autore  gliono  anche  ai   dialetti.   PL  ,    a    ca- 

del  viaggio  dell' yilfana  c[\.\e\.  tUo  cV  e'i  gion    d'esempio,     ritenuto    al    modo 


M   E  T  R   I      A    n    A   B   r.  3l3 

Rinvcimlo  il  caso  Ialino  ,  qualunque  ullcrinrc  in- 
chicsla  su  1'  atiloriorità  del  provenzale  o  italico  dia- 
lello  ,  e  su  lo  origini  delle  lingue  sorelle  del  mezzo- 
giorno di  Europa  ,  senza  vanissimo  scapito  di  tempo 
non  è  più  oggiiuai  da  insLituirsi  :  che  dalle  sole  ragioni 
di  più  o  meno  vibrata  prolTcrenza  ,  tutte  scorger  le 
possiamo  dall'  antico  tipo  naturalmente  fluenti. 

Ed  ecco  col  loro  accento  rotondamente  sonante 
ed  aspirato  gi'  Iberi  ,  primi  che  al  di  là  delle  Alpi 
fosser  socii  de'  Ptomani  ,  preferir  tra  le  affini  le  più 
sonore  consonanti  ,  aspirar  le  più  tenui ,  rinvigorir  le 
vocali  ,  e  certa  imperiosa  maestà  conservar  nelle  pa- 
role col  ratteucre  del  latin  letterato  le  s  desinenziali 
per  caratteristica  del  numero  del  più.  Del  resto  :  tutti 
i  loro  nomi  nel  singolare  a  legge  del  caso  latino  in- 
flettere :  seguir  sintassi  italiana  :  all'  italiana  coniugare 


ialino  al  di  là  dell'  Appennino  si  tras- 
forma nella  lingua  comune  d'  Italia 
in  PL  ,  nel  napoletano  in  CHI  ,  di 
là  da  Pirenei  LL  :  ce.  Le  Origini 
Italiane  quali  furono  meditate  dal 
Mcnagio  esigono  sibbenc  un  finimen- 
to ,  ma  r  abozzo  è  ben  fatto. 

»  £d  assai  ragionato  è  il  suo  dire 
»  quando  assume  essere  italiane  e  ve- 
1)  nule  dal  Ialino  molte  voci  che  si 
)"  estimano  provenzali ,  le  quali  pure 
i>  e  il  Bembo  nelle  sue  prose  ,  e  il 
»  Varchi  nel  suo  Ercolano  ,  e  i  De- 

Tom.  IH. 


»  pillati  sul  Decamerone  ,  e  il  Tas- 
)>  soni  nelle  sue.  note  vogliono  che 
»  sieno  provenzali.  Né  vale  il  dire  , 
»  come  fanno  il  Bembo  e  il  Varchi, 
»  clic  i  rimatori  provenzali  fossero 
11  prima  de'  Toscani.  Perciocché  ia- 
>i  cominciò  a  formarsi  la  favella  ita- 
li liana  dalla  latina  ,  gran  tempo  a- 
11  vanti  a  que'  rimatori  provenzali  , 
11  cioè  circa  il  tempo  di  Giustiniano^ 
11  come  1'  osservò  bene  Claudio  Sal- 
ii masio  ,  ec.  ec.  (  L.  e.  pag.  y3  ). 

40 


3l4  D   K      R    I   T   I   S 

i  loro  verbi  :  e  dei  troncamenti  delle  parole  quelli 
soltanto  ammettere  che  ad  italiano  orecchio  non  dan 
noia  (294). 

Ed  ecco  i  Galli  ,  più  restii  nel  deporre  le  loi'o 
celtiche  squame  (^gS)  ,  piegarsi  a  disagio  alla  romana 
favella  ,  ma  pur  piegarvicisi  :  1'  integrità  abbracciare 
dell'  italico  linguaggio  ,  ma  con  deprimere  la  forza 
delle  consonanti  (296)  ;  tacerle  in  gran  parte  :  render 
volubili  e  oscure  le  vocali  ;  e  tulta  languidetta  render 
della  loro  favella  1'  attillatura  (297).  Che  ultimi  que' 
Galli  cingevan  brando  romano  ,  e  quando  ne'  tappeti 
dell'  Asia  eran  già  per  poltrire  i  vincitori  di  Cartagine. 
Pure  altra  ma  non  diversa  veggiam  la  sembianza  della 


{294)  Pochi  principii  generali  su  le 
trasformazioni  che  ricevono  diverse 
lettere  daranno  un'  idea  del  come  le 
parole  italiche  nello  spagnuolo  ven- 
gano a  modificarsi. 

La  F^  la  quale  in  fatti  può  risguar- 
darsi  come  un'  aspirazione  ,  sì  cangia 
in  H  nello  spagnuolo.  Quindi  fabula- 
ri  W\..-,  favellare  ilal.  ;  //aia/- spagn. 

Il  LI  latino  ,  si  atlenna  in  GLI  nel- 
1'  italiano  ,  nella  semplice  I  nello  spa- 
gnuolo. Quindi  Fitio  lat.  ;  figlio  it.  ; 
Hijo  spagn.  ec.  ec.  V.  le  noie  278  , 
281. 

(agS)  Sidonio  Apollinare  accenna 
che  i  suoi  concittadini  conservavano 
tuttavia  nella  sua  età  sermonis  celtici 
s^uamaìn.  Ep.  Lib.  III. 


(296)  La  P  ,  a  cagion  d'  esempio  , 
rinvigorito  in  B  nello  spagnuolo  ,  si 
attenua  in  V  nel  francese.  Aprire  , 
ubrir  ,  ouvrir  ;  ciipra  ,  cabra  ,  che- 
vre  ;  ripa  ,   riha  ,  rive  ;  e  e. 

(297)  »  Quali  vedete  i  Galli  a'  tem- 
)i  pi  di  Cesare  ,  tali  trovate  i  Fran- 
»  cesi  ne'  secoli  delle  crociate  e  sotto 
»  il  regno  di  Carlo  Vili  ,  di  Fran- 
»  Cesco  I ,  di  Luigi  XIV.  Socievoli 
«  ed  ameni  ,  pieni  di  brio  e  di  con- 
»  fidenza  ,  amanti  de'  bei  motti  ,  per 
lì  modo  che  bastò  una  facezia  inge- 
»  gnosa  a  far  prorompere  nelle  risa 
»  un'  assemblea  di  capi  principali  de- 
))  gli  antichi  Galli  raccoltasi  per  con- 
)ì  sultare  cose  di  stalo,  ec.  ce.  Napio- 
»  ne  ,  ub.  supr.  L.  II  ^  e.  4  ,  J.  6. 


METRI      A   n    A   n   I.  3l5 

fniiicese  e  della  italiana  favella,  come  a  sorelle  conve- 
niva ,  e  1'  una  dell'  altra  spesso  alternar  le  maniere  (298). 

Ma  tra  i  Galli  ecco  gli  Aquilani ,  e  de'  Romani  e 
degF  Iberi  seguir  più  franchi  le  consuetudini  :  e  i  più 
veterani  1'  aspetto  quasi  affatto  deporre  di  straniera 
origine  ,  di  linguaggio  alle  italiane  razze  promiscui  co- 
me di  stanza  (299).  Se  non  che  ,  quel  tacere  delle  vo- 
cali alla  fin  delle  parole  ,  e  certo  incontro  d'  aspre 
lettere  duramente  accoppiate  (3oo) ,  lo  stento  trasparir 
lasciano  della  imitazione  ,  e  dell'  indole  natia  dalla 
qual  divergono  ti  fanno   accorti. 

Ma  dopo  questa  rapida  occhiata ,  nobile  e  cu- 
riosa inchiesta  sarebbe  quella  di  andar  determinando 
e  classilìcando  su  le  condizioni  dell'  attuai  pronunzia 
de' popoli  italici  quegli  antichi  idiomi  i  cui  monumenti 
tanta  diversità  di  scrittura  ci  presentano.  E  forse  un 
tipo  unico  gramaticale  vi  scorgeremmo  ,  e  quella  uni- 
tà d'idioma  insiemcmente  il  quale,  come  per  l'attuai 
lìngua  nobile  d'  Italia  disse  1'  Alighieri  ,  da  per  tutto 
appare  e  in  nessuna  città  si  rinviene.  E  non  affatto  de- 
vicremmo  dall'  attuale  argomento  se  a  ciò  ancora ,  Ac- 
cademici, richiamar  volessi  la  vostra  attenzione...  Ma 
di  troppo  io  già  veggionii  innoltrato  ,  e  convien  restar- 
si, »  Entrai  nel  fiume,  e  l'acqua,  diceami  il  conduttore 


(2C)8)  Specialmente  prima  dell' Am-         (299)  Brevi  li  r ,  Italia  veiius  quam 
minislrazione  <li  Richelieu  e  l' inslitu-     j>rovincia.  Plin.  H.  N.  Ili ,  4- 
zlonc  dell'  Accademia.    V.  Algarolti  ,         (3oo)  V.  la  nota  3oo. 
Op.  lo.  II.  Sa!(gio    sopra    la   lìngua 
francese. 


3l6  DE       R    I    T    I    S 

che  ne  scandagliava  la  profondità  ,  lainbiralti  appena 
i  talloni  :  ni'  iunollrai  ,  e  1'  acqua  mi  oltrepassò  le  gi- 
nocchia :  m'  innoltrai  tuttavia ,  e  1'  acqua  già  mi  batte 
ai  lombi  :  più  là  non  v'  è  guado  e  bisognerebbe  git- 
tarsi  a  nuoto  (3oi)  ».  Desistiamo. 


SPIEGAZIOT^K  DELLE  TATOLE 


TAVOLA    I. 


tuffale  lo    t^wa^o    (pvreo. 


Ju\  corrispondenza  dei  due  alfabeti  l'oriente,  come,  or  che  la  Germania 

è  secondo  il  costume  dogli  stessi  orien-  stampa   finalmente   le    sue   opere  con 

tali.  Con    un    semplice  tratto   clic  si  caratlcii   latini  ,  1'  occidente    ottenne 

aggiugnc  ad  alcune  lettere  dell'alfa-  già  un  tal  vantaggio, 

bcto  ebreo  si  ha  l'indicazione  di  quel-  Abbiam    fatto    a    meno    dei    segni 

le    che    vi    mancano    e    che    a  buon  nelle  due  lettere  3  e  {»?.  Quest'  ulli- 

conto   son   quasi  sempre    aache  nel-  ma  non  ha  in  arabo  il  doppio  valore 

1'  alfabeto  arabo  le  lettere  medesime  che    il    punto   a   destra   o   a    sinistra 

pei'  vibrazione    piii  forte    e    per   sola  distingue  nell'ebreo,  e  suona  sempre 

addizione  di  punti  differenziate.  sci.  L'altra  lettera,  se  in  ebreo  cor- 

L' adoperar  caratteri  ebrei  invece  risponde  sempre  alla/)e  in  arabo  vai 
degli  arabici  rcndevasi  inoltre  quasi  sempre  ef.  Ma  i  due  punti  su  la  he 
di  necessità  pel  nostro  lavoro  nel-  j^  si  rendevano  indispensabili  ad  in- 
r  obbielto  di  renderlo  per  quanto  piìi  dicazionc  del  suono  divciso  che  la  ^ 
si  potesse  popolare.  Del  resto  una  tal  acquista  quando  ambe  nell'  arabo  ne 
sostituzione  in  opere  di  piim' ordine  vien  caricata,  e  in  ciò  fare  abbiam 
trovavasi  anche  adottata  ;  e  sarebbe  seguito  l'esempio  di  rispettabili  autori. 
desiderabile  che  tutti  gli  orientalisti  Tutti  gli  altri  segni  diacritici  an- 
l'adottassero  nelle  stampe  ,  per  dirai-  davano  trascurati  ;  perciocché  ,  al- 
uuire  le  diflicoltà  d'  iuipaiare  tanti  logandosi  da  noi  quasi  sempre  la  lel- 
caratlcri  diversi.  Chi  non  fa  plauso  tura  accanto  al  testo  ,  sarebbe  stato 
alle  intenzioni  di  que'  valentuomini  un  sopraccaricar  la  stampa  di  diffi- 
cile tentarono  di  ridurre  a  caralteii  colla  senza  oggetto. 
Ialini  le  lettere  orientali?  Ma  se  non  Ma  del  modo  per  noi  seguilo  in  tal 
•i  vuol  giugnero  sin  là,  si  stampino  lettura  fa  uopo  render  conto, 
con  carutluri   uuilormi  le  lingue  del-  »  Due  modi  vi  sono,  diceva  U  Ju- 


3l(S  DERITIS 

nes  [a),  per  produrre  le  parole  asia-  con  regole  invariabili,  sembra  meri- 

ticlie  con  caratteri  europei.  Consiste  il  tar  preferenza  )i. 

primo  nelV  esprimere  la  pronunaia  -  E  conseguenlemente  a  queste    idee 

Utilissima  cosa,  al  certo;  ma  sempre  i  primi  tentativi    di  lui  e  poi    quelli 

insufficientemente    comunicar   si    pò-  del  Sacy  e   del  Langlès  trovansi  ora 

Iranno  nuovi  suoni  ad  un  organo  non  perfezionati  dal  Volney  :  il  quale  per 

assuefatto  a  riceverlo.  Oltre  a  che,  si  altro,  ritenendo  dell'alfabeto  latino 

distrugge  tutta  T  analogia  gramatica-  le  otto  sole  lettere  che  sono  in  piena 

le  ;    si    rappresentano   suoni   semplici  corrispondenza  colle  orientali ,  per  le 

con  caratteri  doppi ,    e  viceversa  ;   si  altre  diecinnove  or  con  punti  ,    vir- 

scauibiano  le  vocali;  e  forse  si  finisce  gole  e  segni    prosodiaci,  or    con  ca- 

soltanto  col  perpetuare   una  pronun-  ratteri  greci  o  maiuscoli,  ed  or  colla 

zia   provinciale   e    priva   d'  eleganza,  diversità  della  lettera  tra   il  tondo  e 

Con  tal  metodo  questi  versi,  a  cagion  corsivo   e   degli  attuali    cogli  antichi 

d'esempio,  di  Malherbe  :  caratteri  di  stampa  ne  va  notandole 

iu  mort  a  des   rigueurs  à  nulla  aulre  differenze. 

pareiUes.  Adottar  non  potevamo  una  tale  in- 
On  a  beaula prier ;  dustria,    né    tentarne    miglioramenti. 
Lacruelleqa'elleest seboucheles  oreillis,  Nostro  scopo  era  quello  di  far  con 0- 
Et  nous  laisse  crier  ;  jcerc  l'eufonia  delle  parole  arabe  ,  e 
tai  versi  sì    rendono   in   inglese   con  spesso  a  persone  che    altro    non    po- 
quel  metodo;  tean  trovarvi  se  non    merissime   tan- 
Laa  more  aia  day   reegyewrs   aw  nool  taferale  :   ed  obbligo  ci    correa    di  ri- 
olreh  pareìlyuh  muoverne  per  quanto  fosse  stato  pos- 
Onne  aw  ho  law  preeay  sibile  ,  non  di  moltiplicarne  il  disagio. 
Law  crooellyu/i  kellaj  su/i  booshuh  lajs  Due    sono    le    principali    difficoltà 
orelljuh  pei-  esprimere  la  pronunzia  araba  colla 
yly  noo  laysiih  creeay .  povertà   dil  nostro    alfabeto  :    I.°   pei 
11  secondo  sistema  d' ortografia  asia-  suoni  e  le  articolazioni   che  noi    non 
lica  consiste   nel  sostituire  scrupolosa-  abbiamo  ;  2.°  pei  suoni  e  le  articola- 
inente  lettera  per  lettera,  senza  nulla  zioni  che  in  piii  modi  da  noi  si  pro- 
brigarsi di  conservarne  la  pronunzia  :  nunziano    quantunque   espressi    collo 
e  quantevolte  ciò  venga  a  coordinarsi  stesso  carattere. 


(a)    Recherches  asiatiques ,   cu  mémoires     des  mais  onenlaux   icrits   en  lettres  romat- 
de  la  sodété  etablie  à  Bengala  ec.  -    Paris     nes  -par  le  Président. 
i8o5  ~  tom.J.  Vissertation  sur  V  orthc^raphe 


JI   E   T    n    I  A    R    A    B    I.                                  019 

A    rimuovere    questi    due    ostacoli  dersi  colle  mozioni  loro  analoghe,  pcr- 

mirano  lo   seguenti    osservazioni  :    le  che  la  N  specialmente  quando  è  mossa 

quali  come  supplimcntaric  producia-  per  ies/a  e  per -(//n/?2a  nulla  fa  senliro 

Dio  a  quanto  trovasi  già  connato  nella  dell' A,  ma  suona  perfettamente  Eo 

pag.  19,  cnellenote  16,   17,   18.  I^OoUjliandue  uffizi  ;   1."  quello 

Le  lettere  nella  tavola  si  succedo-  di   lettera  consonante  ,    tcnuissima  sì 

no  neir  ordine  per  gli  Arabi  adottato  ma  sempre  consonante  ,    al  principio 

secondo    la  somiglianza   de'  caratteri,  di  una  sillaba  ;  2.'  quello  di  non  scr- 

A  ravvicinarne  però  il  valore   il  più  viro  ad  altro  che  a  far   più  chiaro  il 

che  si  possa  colle  lettere  latine  giusta  suono  della  mozione  cui  si  appoggia, 

la   pronunzia    italiana  ,  or    vogliono  se  analoga  ,  o  a  formar  con  essa  una 

disporsi  in  ordine  metodico.  specie    di    dittongo.    Per    distinguere 

queste  diverse  funzioni  ed  avvicinarci 

(1  M  alif  k  V^'  quanto  polovasi  al  modo  italiano, 

27  1  uau  V  ogni  volta  che  queste  lettere  altro  non 

"  fanno  che  rendere  più  chiara  una  mo- 
zione   o    crescerne  la  quantità  proio- 

Corrispondono  precisamente    alle    tre  diaca,  vengon  segnate  con  un  sempli- 

vocali  siciliane  a,  u,  i.  Nel  princi-  ce  apostrofo  (i^). 

pio  delle  sillabe   prendono   evidente-  Dell' accento  ,  sia  grave,  sia  acuto  , 

mente  la  forza  di   consonante   le  due  abbiam  fallo  uso  allora    soltanto  che 

ultime  presso    tutte   le   nazioni  ,    ma  il  bisogno    facea  sentirsi    di    rendere 

oscuramente    la    prima   fa    sentire    il  spiccante  un  ritmico  andamento. 

tasto  vocale.  I  Greci  però  par  che  il  Ma  siccome  nelle  rime    arabe    fre- 

6entissero  eminentemente  quando  qua-  quentissima  è  la  permutazione  della  I 

lunque  parola  che  cominciasse  da  \o-  per  l' U  ,  o  viceversa;  ad   esprimere 

cale  caricavano  collo  spirilo  tenue.  questa    prossimità  dei    due   suoni,  ci 

Queste  tre  lettere,  da.  non  confon-  siamo  avvalliti  della  Y  (e). 


(a)  Il  tescidiJo  per  la  V  e  la  I ,  e  il  mail-  Ma  le  gradazioni  procedono  per  infinitesimi. 

do  per  VA  sono  espressi  nella  sola  lettura:  Dieci  suoni  deJl'A  riconoscea  Prisciano  nella 

e  lo  stesso  è  dell'  hamzat.  Prego    perciò    gli  pronunzia  latina  ;  1'  ti  e  1' w  de' greci  co' loro 

orientalisti  a  supplirli  nel  testo  con  quell'in-  numerosi  ditton^!;!  sono  appena  l'abbozzo del- 

dusuia  che  crederanno  più  a  projjosilo.  le  i'Oca//iza:io«/ umane,  e  trale lingue  uotis- 

(6)  Le  tre    mozioni    arabe   si   considerano  sime  basta  rivolgerci  all' inglese  per  averr.e  un 

assai  bene  dai  più  accurati    come    tre  classi  saggio.-Crede  l'autore  testé  citato  che  sntica- 

alle  quali  gli  undici  punti  vocali  delia  nuo-  mente  in  ebreo  tre  sole  fossero  i  segni  delle 

Ta  masora  vanno  .id 'ordinarsi.  V.  la   Gram.  vocali,  come  presentemente  nell'arabo  Io  ciedo 

hcbr.    par   J.  E.   Cellsiiibr  ,    Genere  1820.  al  contrario  che  amicamente    lo    prcOirenze 


oso                                          D    K       R  f    T    I    S 

^  26  n  Ae    II  '1  suono  nasale  è  così  spiccante  ne  due 

y    6  n  hha  HH  ultimi  elenienli    che    quasi  soffoca    la 

Zeftere  gutturali.  ^  20  p  af    Q  qualità  gutturale:    la  j;  specialmente 

f  ^^      ™-'  che  talora  vuol  essere  espressa    come 

{     7  3  cìia  CH  .       .                  ,       T^     r 

una  lieve  aspirazione  nasale.  E,  fatta 

^  astrazione  dell'  uffizio    delle   peltoiaìi 

Aella  impossibilità  di    far   corrispon-  nel  rendere  piìi  chiare  le  mozioni  a- 

dere  un  sol  carattere  italiano  ad  ognu-  naloghe  ,  non  si  risolvono  come  lette- 

na  di  queste  cinque  lettere,  le  quali  re  consonanti  in   lievi  aspirazioni  an- 

altro  in  sostanza  non  esprimono  che  un  ch'esse  la  »  e  li  ì?  Gli  autori  inglesi 

sol  tasto  vocale  piii  o  men  profonda-  esprimono    }a  *|   araba   col    w  ,    ed    è 

mente  vibrato ,    con   molta    appressi-  nolo   quanto   il    sillabare   inglese  coti 

inazione  venir    possono    rappresentate  questa  lettera    sia    analoga    al    nostro 

da  h,  hh  ,  q,  h  ,  eh.  Ma  delle  due  ^«nr,  ^«e,  ec.  evidentemente  gutturali. 

HH  ci  siam  serviti  assai  di  rado  [d).  Sorge  qui  spontanea   una    riflessio- 

Questa  serie  di  suoni  gutturali  pren-  ne.  I  nostri  Vastesi    chiamano  la  loro 

der  dovrebbe    il  primo    termine   dal-  patria  (l'antico  Histonitini')   Guasto 

la  }<  radicale  ,    e  compirsi  colle  due  e  non   Inasto.  Sopprimete  dall'  antica 

gutturali-nasali  U  e  J  ,   e   si   avrebbe  parola  la  terminazione  oniuin  che  jel 

questa   progressione    dalla    più    tenue  medio  evo  si  disse  aiiioiie  ed  aimone.- 

alla  pii;  forte  J^jn.nO'D'p'i^'J  •  ™'^  ^^    avrete    nell'   antica    ortografia    il 


vocali  fossero  numerosissime  ,   come  in  tutti  sostituirono  poi  per  maggior  cliiarezza  le  trs 

i  dialetti  non  riilotti  a   scrittura  ;    e   fhe   si  lettere  S  ,  1 ,  ' ,  in  compendio  ;  ma  i  nomi  di 

audassei  poi  di  mano  in  mano  a  restringere  fatha  ,  iesra  e  zamma  rimasero,  nel  signifi- 

coll'  introduzione   de'  vari   segni  co'  quali  si  cato  appunto  di  aprire ,   stringere   e  infran- 

Tullero  andar  determinando.  Curiosa  è  la  sto-  gere  !e  labbra. 

ria  che  gli  Arabi  ci  conservarono  su  l'intro-  [d)  Ci  è  stato  a  ciò  di  conforto  l' autorità 

duzione  de' loro  segni  vocali    nella  scrittura,  del  Mingarelli  ,  il  quale  nel  dare  la  versione 

J»  Prendi  questo  Corano,  disse  Abcilasvad  al  de' primi  versi  d'un  salmo  credL- conveniente 

»  suo  scrlbente  ,  e  una  tinta  di  color  diverso  tralasciar  molte  aspirazioni  ;  Primam  psalnii 

y  dall'  iucliiostro  :    e  quando    mi  vedi    aprir  ogdoadem  hic  appailo ,  latinis  elementi^  ìi^~ 

»  la  bocca,  metti  un  punto  al  di  sopra  della  braica   excribens  vocabala...  multas   tamen 

»  lettera:  quando  stringerò  le  labbra  tra  lo-  omittens  aspirationes  ut omnis  vitetur ,  quan- 

a»  ro  ,   metti  un  punto  a  lato   della    lettera  :  tum  fieri  poteste  confusip.  De  Pirid.  od.  con- 

»  ma  quando  le  infrangerò ,  metti  un  punto  lect.  p.  22.  Il  che  par  d'indole  propria  de- 

»  al  basso  della  lettera:   e  se  dopo  alcuno  di  gl'Italiani  i  quali  han  modernamente    sce- 

»  tai  moti  senti  un   appoggio    nasale  ,    metti  verata  la  scrittura  di  tutte  le  lettere   di  mera 

li  due  punti  in  vece  di  uno.  »  Sacy  ,  Act.  de  etimologia ,  ed  ab  antiquo  compendia  meliorti 

V Ac.  des  Inscr,  io.  4-,p.  33g.  Ai  punti  si  credtderunt.Tz^^ìiZiki^o. 


M  E  T  K   1 

modcrho  va  o  gua  ridotto  a  sempli- 
ce aspirazione. 

Un  ragionato  lavoro  etimologico 
sulle  nostre  vecchie  parole  (  insti tuito 
non  sopra  analogia  di  let(ere.  n^a  di 
articolazioni  identiche ,  comunque  per 
le  varie  industrie  alfabetiche  appaiano 
a  primo  aspetto  dilTercntissime)  manca 
tuttavia  alla  scienza  arcbeologica:  seb- 
bene molte  e  preziose  sieno  le  ri- 
cerche de' moderni  filulogi  su  1' ana- 
lisi di  ciò  che  dir  potremmo  musica 
del  linguaggio  umano. 

Che  clic  ne  ne  sia,  la  V,  espressa  non 
di  rado  col  digamma  eolico  e  colla  F 
in  molle  lingue  permutabile,  e  quindi 
ridotta  ad  esprimere  una  semplice  aspi- 
razione labiale  ,  reclama  l' iniziativa 
d' un'  altra  serie.  Come  del  pari  la  I ,  la 
quale  al  dir  d'  un  antico  gramalico  , 
semicluso  ore  ,  impressisqite  sensim 
lingua  dentibits  vocem  dahit,  per  la 
triplice  serie  si  dirama  delle  licguali- 
battute  j  delle  linguali-sibilanti,  dcl- 
)e  linguali-nasali. 


ARABI. 


32  J 


stesso  segno  alfabetico  espressi;  quello 
cioè  quando  si  adagiano  più  o  meno 
strettamente  le  labbra  mentre  la  voce 
quasi  strisciando  vi  scorre  ,  e  1'  altro 
quando  si  battono  spiccatamente  le  lab- 
bra tra  loro  o  il  labbro  inferiore  a 
denti.  Nel  secondo  di  questi  modi  con- 
servano in  tutta  1'  estensione  del  si- 
gnificato il  carattere  di  mute;  ma  nel 
primo  esser  ben  possono  annoverate 
anch'  esse  tra  le  liqucscenti. 


Lettere  nasali. 


{25  ì 
19  J 


25  ì  nun    N 

^  ain    A 

gain  G 


Lettere  lab. 


■ali.    l     2  3 
l  24  D 


/8         F 

be      B 
mim  M 


Queste  lettere  vengono  espresse  per 
f,  b  ,  m.    È  da  notarsi  che  in   que- 
sta serie  di  articolazioni    che    comin- 
ciando  dalla    1   termina    colla   Jj   la 
quale 

clauso  quasi  mugit  inlus  ore  , 
due  modi   son    da    distinguersi    dallo 

Tom.  II f. 


Della  N  disse  Mauro  Terenziano 
sonitus  figitur  usque  sub  palato  ^ 

Quo  spiritus  anceps  coeat  naris  et  oris. 
Quest'  aspirazione  nasale  da  noi  scol- 
pitamente non  si  avverte  quando  la 
pronunziamo  battuta  ,  ma  è  notabilis- 
siina  in  combinazione  ,  spezialmente 
nella  profferenza  de'  nostri  calabresi. 
La  seconda  lettera  V  ,  che  sembra 
esclusiva  degli  orientali  ,  non  trova 
adunque  uiia  facile  rapprossimazione 
colla  N  nasale  nel  solo  bacino  dell'Ar- 
no ove  riconoscer  si  vollero  i  di- 
scendenti degli  Ajamei  ,  ma  dovun- 
que la  vibrata  articolazione  degli  an- 
tichi non  soffrì  molto  detrimento  col- 
r  ingentilirsi  e  farsi  vicvia  piii  svelto 
l'organo  della  parola. 

Le  tre  lettere  adunque  3  ,  V  >  } 
formano  anch'  esse  una  scric  di  suoni 
analoghi  dalla  piii  tenue  alla  piìi  ener- 

41 


522                                          DE      R  I    T    I    S 

gica  espressione;  e  la  forte  vibrazione  /  io  ^  re       k 

della    J   ben    si    mostra  nell'  alfabeto  ,                        |     ^  J  ?"«     G' 

arabo  ,  come  di  popolo  cbe  alle  pri-  I  '^  n  *""   fP' 

.                  ....  Ilio  sm      S 

ine  linee  di  civiltà  si  è  rimasto.  1  "  '  ^'""   ^ 

Tacendo    rimanere    la   J    in    corri-  Lettere  Ingualt.  <    ,5  n  ,i^^j  y-c. 

spondeiiza  della  n  :  difficile  era  poter  ^  3  'i°J     D 

'                              ....                    -  9  T  '^'"'^   I" 

rendere  con  segni  italiani  la  j^  e  la  J.  16  0  Ida     TS 

E..    .            .                     ,          .  17  5  t/ii!a    TS' 

perciò  trovasi  espressa  la  prima  per  3  n  (e       T 

un  semplice  accento  circonflesso,  quan-  v    4  n  '''«     T' 

do  ad  una  mozione  si  appoggia:  e  la-  Per  la  numerosa  scbiera   delle    Ictte- 

lora   per  H  ,  quando   al  principio   di  re  linguali  avremmo  dovuto  adottare 

una  sillaba  notar  uc  dovca  la  proso-  tutte  le    ortografiche    industrie    sopra 

dia.  E  non   ci  siamo  spaventati  della  notate   end'  esprimere  di    ognuna    un 

confusione    che    poti-ebbe    emergerne  suono  italiano  approssimante  :  ma  cen- 

coUa  n  o  colla  f^  ,  perchè  le  lettere  nammo  (e)  che  da  gran  tempo  in  Italia 

orientali  son  sempre  a  riscontro  della  si  mira  a  restringere  piuttosto  che  ad 

nostra  lettura.  E  diligentissimi  scrittori  ampliare  gli  clementi  alfabetici;  e  non 

reputano  di  tanta  poca  importanza  la  è  da  stupire  se  al  Trissino  fallisse  un'im- 

tenuità  di  questo  appoggio  nasale  che  presa  alla  quale   non   riusci   1'  antica 

nella  scrittura  nemmen  1'  esprimono,  autorità   imperiale   nell'  apogeo   della 

11  Clerico  ,  a  cagion   d'  esempio   leg-  sua  potenza.  E  perciò  ritenute  le  let- 

ge  elmo'larùdi  e  arùdiyon  ciò    eh'  è  lere  semplici  E.,L,S,Z,D,T, 

scritto  t'I^lv'^X  tD*7y  6  '2f")"iy  j  "^  '1  sorgere  in  noi  non  poteva   il   pensie- 

Langles  mette  in  corrispondenza  della  re   di    andar    notando    le    gradazioni 

«  un  semplice  apostrofo;  il  Volney  una  di    quelle  picciole   differenze  di  pro- 

a  col  segno  prosodiaco  di  breve,  a  ;  il  nunzia  che  noi  esprimiamo  collo  stesso 

de  Sacy  gli  stessi  due  asterismi  co'  qua-  elemento  alfabetico,  e  le  quali  abbiam 

li  vorrebbe    che    si   caratterizzasse    la  già  veduto    che    gli  Arabi   stessi    non 

o;  ec.  rispettano    nella   ragion    delle    rime. 

La    forte  aspirazione    della  J  è   da  Quattro  sono  le  zete  che    il    Salviati 

noi  espressa  per  GH:  e  innanzi  all' e  o  riconosceva  nel  nostro  italiano;   sarà 

i,  e  per    la  semplice  G  innanzi  alle  un  gran  male  se,  trattandosi  di  mera 

altre  vocali,  caricandole  sempre  con  eufonia,  gli  arabi  elementi  f ,  Jf  ,  ^, 

l'accento  circonflesso.  vengano  espresse  coli'  unica  Z? 


(e)  V.  la  nota  i. 


f^  ^T 


M    E    T    K    I  A    R    A    D    I.  023 

Quel  che  qui  importa  osservare  si  confondono  se  la  pronunzia  sia  al- 
c  che  in  lutti  questi  elementi  il  tasto  quanto  strisciante.  E  se  alle  differenze 
articolare  scorre  dall'  uno  all'  altro  delle  due  t  degli  orientali  porremo 
con  tenuissime  gradazioni,  in  modo  mente,  la  prima  ,  j^,  da  pronunziarsi 
che  soventemente  l'uno  coli' altro  si  colla  punta  della  lingua  ,  l'altra,  {3, 
scambia;  nel  tempo  stesso  che  detcrmi-  colla  base  della  lingua  elevala  al  pa- 
nano alcuni  tal  dilicata  proffercnza  lato  ;  le  ragioni  avrem  chiare  delle 
che  con  difficoltà  passa  da  pòpolo  a  permutazioni  che  si  ascollano  nel  ba- 
popolo.  Oltre  alla  celebre  e  impro-  cino  dell'Arno  dello  «c/jì  schiacciato 
nunziabile  dai  francesi,  alla  r  ignota  collo  sii  pingue,  covat  fistio ,  stiavo 
ai  cinesi  e  agli  antichi  romani  ;  come  per  fischio  e  schiavo  ,  ec.  ec. 
far  conoscere  la  proffcrenza  della  d  Nella  progressione  numerica  degli 
siciliana  ad  orecchio  che  non  1'  ascoi-  alfabeti  del  bacino  del  mediterraneo 
tò  mai  da  bocca  siciliana  profferire?-  alla  G  latina  corrispondono  lo  zayn 
E  queste  che  dir  potremmo  ambigue  ebreo  ,  la  zeta  de'  greci  e  la  ze  de- 
profferenze  ,  di  molte  analogie  ci  dan  gli  Arabi  ;  come  alla  latina  C  il  gi- 
ragione  là  dove  di  strane  anomalie  mei  ebreo  ,  il  gamma  greco  e  1'  ara- 
preudon  sembianza.  In  Sicilia  ,  a  ca-  bo  gim.  Per  lo  che  non  so  compren- 
gion  d' esempio,  àìcai  chiddo  e  chid-  dere  come  siensi  ostinati  alcuni  gra- 
ffa in  vece  di  quello  e  quella.  Ma  malici  ad  avanzar  che  gli  antichi  non 
quelle  dj  non  sono  precisamente  tali  :  altro  che  un  suono  gutturale  espri- 
ma un  certo  medio  tra  la  d  e  la.  l  messero  con  quegli  clementi,  come  i 
esprimono  che  ci  rende  ragione  del  popoli  g(-rmanici  (g).  Ma  adottando 
permutar  che  facevano  i  nostri  ami-  anche  quella  sentenza  ,  che  altro  ab- 
clii  ,  e  i  Ialini  e  i  greci  1'  una  con  biamo  se  non  il  tasto  articolare  pala- 
V  altra  lettera  (/  ).  Cosi  le  sei  lettere  tino  or  battuto  colla  punta  ed  or  col- 
battute  •],  "7,  {3,  y,  f\  ,  r\  ,  dell'  la  base  della  lingua,  e  quella  serie 
Arabo  alfabeto  hanno  differenze  te-  di  aspirazioni  rotonde  o  schiacciate 
nuijìiiue  tra  loro,  e  colle  sibilanti  si  delle  quali  per  nessuna  alfabetica  in- 


{f)  Xovenstìe.^  si  l'è  per  L  si  t^e  per  D  seri'  [g]  Suot-o  metodo  per  apprendere  agevol' 

b:ndum  :  cum  unionem  enìm  hahiterunt  Ut-  mente  la  lingua  latina,  tom.  IT.  p.  672.  Vuol 

terae  hae  apud  ani.quos  ,   ut   dinguam   et  trarsene  argomento  (l:iU'.is5Ìmìlaziooe  che  fa 

linguan  ,  et  dacrimis  et  lacrimls  ,  et  Capi-  Suiila  del  C  latino  col  K  greco.  Bisognerebbe 

dolium  et  Capitclium  ,  et  sella  a  sede ,  olire  dimostrar  prima  che  nell'antica  Grecia  non 

ai  odore.  Est  et  comunio  cum  Craecis  :  nos  si  pronunz.ksse  U  K  come  nella  Grecia  mo- 

lacrimae ,  tilt  hatfiafvx  :  olere  vi^v^nan :  medi-  derna  vicn  pronunzi.-^ta. 
tari  tit\truv,  Vittorino. 

* 


324  D    E      R 

dusuia  notar  si  potrebbero  le  miuule 
differenze  ? 

Uno  de'  bisogni  umani  di  molla  im- 
portanza sarebbe  quello  di  un  alfa- 
belo  comune  a  tulle  le  razze  umane: 
ma  un  tale  alfabeio  è  tuttavia  Ira  le 
desiderata. 

I  caratteri  de'  nostri  alfabeti  ,  da 
un  lato  son  troppo  scarsi  ,  dall'  altro 
troppo  numerosi. 

Son  troppo  numerosi  se  le  articola- 
zioni all'  ingrosso  notar  sì  vogliono  : 
son  troppo  scarsi   quando  a   tutte  le 


X   T   I   S 

dilicale  variazioni  di  pronunzia  si  vo- 
lesse portar  riguardo.  I  nostri  antichi 
provvedevano  alle  loro  bisogne  colie 
sedici  lettere  cadmee.  L'  alfabeto  ta- 
mul  o  malabarico  mostra  che  quel 
numero  ben  potrebbe  tuttavia  esser  piìi 
basso  (//).  Intanto  rimane  nella  sua 
integrità  la  riflessione  dell'  abate  Oli- 
vet  che  non  v'  ha  mezzo  di  far  cono- 
scere con  lettere  da  Parigi  a  Mompel- 
lieri  una  frase  francese  nel  preciso 
modo  che  si  pronunzia  alla  Corte. 


^y    Wtrcoit. 


Le  dilucidazioni  necessarie  su  l'uso 
di  questi  circoli  trovansi  nelle  note 
dalla  pag.  34  alla  41.  Altro  qui  non 
rimane  che  aggiugnere  : 

1.  Esprimere  gli  Arabi  la  quantità 
prosodiaca  non  mai  per  sillabe  ma 
per  lettere,  ed  essere  i  segni  proso- 
diaci arabi   precisamente    quelli    che 

trovansi  incisi  nel!'  estremo  lembo 
de' circoli:  in  modo  che  i  due  segni 
0  ovvero  i  corrispondano  alle  lette- 
re mosse  o  quiescenti  ; 

2.  Notarsi  ne'  circoli  le  sole  for- 
mole  magistrali ,  le  quali  ricevon  poi 


tutte  quelle  modificazioni  che  carme 
per  carme  si  sono  andate  specificando. 
Ed  altro  non  rimane  che  trascri- 
vere la  sinopsi  che  il  diligenlissimo 
Clerico    formò    di    tali    modificazioni. 


1. 
2. 

3. 

4- 
5. 
6. 


\h'\'}}tifahuJon 

''Wfl    fahu'lo         per  Qabda 


''U'iJ  faJiii'l 

tiV^  fa/tlon 

Va  fahlo 

Va  fahal 

Ss  fai 


Qazra 

Talma 

Tarma 

Adfa 

Bair» 


[h)  11  carattere  inciso  alla  tai>.  II  esprimo    atiticlii  facessero  altrettanto.  V.  la  not»  /. 
del  pari  SCIA  ,  LA  e  RA.  E  pai  che  i  nostri 


METRI 


II. 


1.        1^3    fa/iilon         per  Cliabna 
a.        iVa    fuMoii  Qala 

III. 

jSj^anDD  moslafhilon 

1.  |V^30  mofaWùlon     per  Chabna 

2.  [Sirnao  moftahihn  Taia 

3.  in'7;ri3  fahilalon  ChaLla 

4.  [bu'Sn  mojhu'lon  Qala 

5.  IxSu'iìO  nwfhulaii    jV.cdEdala 

6.  [Si^JD  fahu'hn  Rabla 
y.lxSi'Snoo  mostafhilà' n        Edala 

8.  t«'';'N3a  mofa'hila'n    iV.eChabna 

9,  [«Sirnaa  moftahila'n   W.  e  Taia 
10.      INn'7;f3  fahilata'n       rrf.eChabla 

IV. 

iS'I^xaa  mofaliinon 

\.   pi'saa  mafa'hilon  per  Qabda 

a.    S';?X3a  mafahi'lo        Kaffa 

r  S'i(K30  majahi'l     j 
3.<  ovvero  !   Qazra 

^  IsSii'O  A"''"  '«  «     J 

4.  |''U'3  fa/iu'lon  Adfa 

5.  }bi;?9a     mapiulon       Charma 

6.  pi'xa    fa'/iilon  Sciatra 

7.  'JU'iJD     mo/7tul  Charaba 

V. 

inxVj^Na  fcC lilla' tori 

*•   inxSi'ì)  fahilaUon  pcrChabna 

2-  nsbi'xa  fa'hila'lo  Kaffa 

■^-    n«Si'a  fallila  to  Sciacla 

4.    [«''^'Sfl  fahilan  Qasra 


ARABI.  025 

^-    ìxV;fa    fafii'la'n        /f/.cChabna 

''•      lS;^Sa    fahilon  Hadla 

7-        t^i'3    fahilon  j'c/.eChabua 

^'        1V3    f"^'^°"'  Batra 

9-    iSu'3:3     mof/iu'lon  Tascita 

10-  |X''7;?!<a    faHiilijjan  Tasbiga 

!'•    [«'bi^S    f aitili jj a' n  z'rf. cChabna 
VI. 

jnS^^xao    mofa' hilatoìi 

1.  l'7';rxan     mafa  la  lon  perAsba 

2.  t'7;rNDr3     mafa' Mon  Aqla 

3.  S'i'xao     mafahi'lo  Naqsa 
4-       [""i'S    fahu'lon  Qalfa 

5.  tS;?na:3     moflahilon  Adba 

6.  lSi;r3D     mojhu'lon  Qasma 

7.  p;!Xa    fa'liiton  Giamama 

8.  'JU'Sn     mofliulo  Aqsa 


VH. 


I':'y^ 


/Nfino    motafcC hìlon 

1.  YiV'^t\'y:^  mosUifhiloii  per  Ezmara 

2.  \^'J^2n  7nofa' liilon  Vaqsa 

3.  \^l'tì3l3  moffa/iilon  Chazla 

4.  \r\ìàì!SfaMla'lon  Qata 

5.  ]'Ty3-3mfì/7iu'lo>i  ùl.cdEi. 

6.  ]^i'2/hl//lon  Hadada 

7.  t''i'3/«/;/o«  jV/.  ed  Ez. 

8.  ]^^l'i<2na  motafa'Ma'n  Edala 

9.  |x'7;'3nDn,„05to//«7a'«     jV/.edEz. 

10.  \^'i'^2n  mofa'/tila'n        iV/.eVaqsa 

11.  \'^^']!T\2Tì  mofla/iilu'n       jV/.eCLaz. 
i2.inx''i'Xano  molafa'hila'ton  Tarlila 
i3.inx'71'3nDO  rnostaf Itila' ton  id.  ed  Er. 
14.  tnxVNa"3  7«o/a7«7aVo/j    iV.c Vaqsa 
i5.I1KV;>Knao  moftahila'ton  iV/.eChaa. 


326 


DE      R    I    T   I   S 


Vili. 

nN'7"i;^aa  mafhu'la'to 

ns'jWQ  fafiu'la'/o  ì 

1,1  ovvero  >  per  Chabna 

1  b'i'XSn  niafa  hi' lo  > 

2.  riK^xa  fa'hilàto         Taia 

3.  nsSi'j}  fahilato  Chabla 

4.  [«'jvan  moPiula'n     Vaqfa 

5.  I«bi;»3  fahulan         id.  e  Chabna 
g,   inSjt.xS  fa'hiki'n  id.  e  Taia 

7.  i'7V3a  mofhulon       Kasfa 

8.  l'jV^  faJiu'lon  id.  e  Chabna 
I^i^xa  fa'hihn  id.  e  Taia 

i'jj'3  fahilon  id.  e  Chabla 

lSj>3  /aA/o«  Zalma 


9- 
10. 
11. 


IX. 


1.  iS  i'S3  n  ma  fa' hi  lon  per  Chabna 

2.  ':  ;'N3  DD  mos  to//ij  fo  Kaffa 

3.  b  ;JX3  D  mafa'Jd  lo     Sciakla 

4.  l'^ii'S  fahu'lon         QasraeChab. 


|n  nS  ^^tì  fa'hi  la'  ion 

1.  tu'?  I^NS    fahi  lato        per   Kaffa 


TAVOLA    I.    z    U. 


^ 


anzonc 


■)tnedt. 


Le  due  prime  sono  alle  pag.  126  e  orizzontalmente  ;  ma  è  nolo  che  le 
127;  la  terza  alla  pag.  228.  Quivi  la  chiavi  cinesi  leggonsi  per  linee  ver- 
corrispondenza  della  lezione  è  scritta     ticali  dall'alto   al  basso. 


TAVOLA    II. 


y. 


nno    a 


m. 


emedt. 


De' quattro  frammenti  che  ci  riman-  de'  vanagloriosi  ;  e  il  povero  Narcisso 

gono  di  poesie  greche  colle  note  mu-  fu  vittima  dello  sdegno  di  lei  (Ovid. 

sicali  ,  quest'inno   a  Nemesi  è  il  più  Metam.  Ili ,   v.  406).   Quindi   que' 

imporlanle.  Vi  si  scorge  quell'  iinpe-  gai  versi  di  Catullo  : 

guo   con   che  i  gentili   ne' primi  secoli  Nane  auiax  cave  sis  ,  precesque  nostras , 

del  cristianesimo  gareggiavano  per  ri-  Oranus  ,  care  dcspuas  ,  ocelle  , 

muovere  dalla  vecchia  mitologia  quan-  Ne  poenas  Nemesis  nposcat  a  te. 

tJ  v'  era   d' assurdo.  Nemesi  ,   secondo  Est  vehemens  dea  :  laejere  hanc  cavelo. 

l'antica  leggenda,    era    la    punitrice  Ma  eccola  poi  confusa  con  Adrastia , 


I 
i 


AI    R   T   R    I  A    R    A    B    r.                                  Sgy 

figliuola  di  Giove  e  della  Necessilà  ms.  d' Oxford  ha  il  titolo:  Ajoh/iJiod, 'iia' 
(Apuleio,  de  mu/!cIo)j  eccola  con-  MoviTuv  ;  crede  l'editore  inglese  che 
fusa  colla  Fortuna  (  ueae  nemesi  si-  non  sol  quello  ma  gli  altri  due  an- 
VE  ronTVNAE  Grut.  p.  r.A-A'.v  ,  n.  /.  );  cora  lessero  d'  un  poeta  chiamato  Dio- 
cd  eccola  ,  secondo  quesl'  inno  ,  fi-  nisio  —  Gli  eruditi  conoscono  12  poeti 
gliuola  ,  ministra  e  compagna  della  di  questo  nome. 
Giustizia  Eterna,  e  moderatrice  su-  Ma  quest'inno  a  Nemesi  è  attribuito 
prema  e  rettificatrice  del  mondo  mo-  a  un  poeta  per  nome  Mesodmes  da 
ralc.  E  non  è  da  tacersi  che  nella  dot-  Giovanni  di  Filadelfia  ,  scrittore  greco 
trina  degli  Eliolatri  ,  già  non  era  che  vivea  imperante  Flavio  Giusti- 
piìi  considerata  se  non  come  un  di-  niauo.  Il  signor  Burette  trascrive  uno 
vino  attributo.  A^emesis  ,  quae  con-  squarcio  di  questo  autore  ,  dal  ms.  del- 
ira superòiam  colitur ,  quid  est  quarti  la  real  Biblioteca  di  Parigi  cosi  conce- 
Tiolis  poleslas  ?  cuiiis  l'sla  natura  est  pito;  <ì>xiri  yap  tyjv  Nì.uej'iv  ra  yhatfi'pa 
ut  fuìgentia  ohscuret  et  conspectui  rtAiv 'ìrpaynaruiv  iis  in'TaXw  rpiTT'uv ,  tuis 
nuferat ,  quaeque  sunt  ol/scuro  illu-  LTipfìoXncis  r»is  To;^r)j,  tij  (fucri  NoyfiEnos, 
minct  ,  qfferatqiie  conspectui  ?  Ma-  tw  luvrxs  nrpay^w  rriv  ma'^fura  iTaywguv , 
crob.  Sat.  1 ,  22.  Per  lo  che  recar  non  V^tv  i  Mi<ioÌij.ris  oìituttov  'jrpos  ui/rr,v,  TVo 
dee  maraviglia  .se  quest'inno,  co-  uov  rpo;(;ov  atfrarov ,  aiTT/jSri ,  ;)^5(poa'a  ,u<- 
munque  evidentemente  gentile  ,  non  pa-ruiv  tsrpi<J/irixi  riX'-'-  Decesi  ette  Ne- 
isdcgnassero  cantare  anche  i  cristiani,  mesi  rovescia  i  più  floridi  stali  ,  e 
AiTr)  (iiv  Toi  T«(fc</;  igri  mpi  %s  HPOS  che  col  moto  della  sua  ruota  ,  come 
sATPAN  AiAOMEN  •  XuSwau  Ss  vapu.  esprimesi  iVumenio  ,  sa  ridurre  le 
irooa  fiatviis  •  yavpav[i.ivt>v  awp^Eva  xXivsis  •  più  eccessive  fortune  a  livello  della 
vTo  'rnx''y  «£'  (iiorov  xpxTiii-  (*)  dice-  mediocrità.  Quindi  Jlfesodmo,  in  cer- 
va. Sinesio  al  fratello  nella  xcv  di  to  luogo,  fa  quesl' apostrofe  alla  Dea: 
quelle  epistole  delle  quali  Suida  ma-  Di  tua  ruota  ne'  rapidi  spiri ,  ec. 
gnifica  la  celebrità  :  xai  ras  ^av\t.a.'Cfi-  L'  esemplare  della  Biblioteca  Bor- 
fitvas  ivarakas  (  tlvvirct^i  ).  boniea  (**)  è  preziosissimo  per  le  va- 
Tanto  questo  ,  quanto  1'  inno  alla  rianti  e  per  le  note  musicali  che  man- 
musa  (  pag.  g5  )  e  V  inno  al  sole  cane  dal  sesto  verso  in  poi  negli  altri 
{pog.  S^  )  irovansi  uniti  in  tutti  i  co-  codici  ;  ed  è  come  segue  : 
dici.  E  siccome  l' inno  alla  musa  nel 


(•)  Ciò  accade  spiccatamente   siccome  noi        (")  In  Catalogo  ti.  CmiLti ,    cjJ.  cctii  ; 
cantiamo  su  la  lira  :   Tu  fra  lor  non  veduta     111 ,  e.  4. 
t' aggiri  j  ec. 


."jaS  D    E      R    I   T   I   S 

'T  M  N  0  s;    E  I  ^    N  E  M  E  S  I  N, 

I    M  M  M  M   I  M  Me  P  M 

Nsf/tscrt  'Tnposa-croc  ,   (2iou  pocra , 

«MZZ  ZZ  EZ*  ZM 

MUU  VU         EZ  EZp 

A'  x.ov'^oL  i^pvocyiJiarex,  S-varwv 

jjjjM       Ijjz       I  IMM 

E?r£%;£;s  a5c«,t6avT«  ^ockmo 

M         M       M         M         M      M    M  e  M       6 

ExS-oyfxo.  S'VjSpiv  oXoav  j3po<rwy 

P      e      *  PP       

MsXara  (pS-ovov  exrog  iXavyiig 

n«        e  *...»        M        e*  pM» 

'Tcro  (Tov  Tpoxov  ,  acrrarov  ,  a.(rrt(iy} 

ZEj;  ZI....  IIM  Z     M, 

XccpoTTcc  y-ipo^eiuv^  cTTpi^ira.i  TV^^. 

M      M      M      M  M  M  M  e  M  * 

R  «PP  MIP        MZM 

Taupovjxsìoy  auliva.  }ikiv%iz. 

•     e  Pc*P        PcP  Mt 

"T^T'o  crr^w  ali  (hiorov  (nrpii? , 

U     M  I  Z  E      I  MM        M  *      M 

9st  MM  FcM  l  E  l 

TiVyov  yara  %£/pa  ;cparot;(ra ., 

EEE  E  ZZIM  IP 

IXaS-;  ,  (laxaipa.  ^iKo.ff'^foki , 

EEE  ZZIM  ti  ZU 

ìHsfisci  <i'<Tipoicr€ra.  ,  (iiov  po'Xa. 

IMM       MMIMME         e         PM 

N£/^£(r(v  ihov  av^oiJLiv  a(p^irccv  , 

ZM  IZE         II  aiZM 

N;;c7]v  5  travycricrrEpov  ,  ofi(ìptiJ(,acy  , 

M  M      uo  a  tj    Z    E  u    M 

N£jOi£pr£5t  ,  x.c(.i  ofc/.pi^pov  ^ixav  , 

V  M       M       M  M  M     Me  P     M 

'A  rav  ìJ.iyockuYopio(.v  (òportoy 

z 

ì^iliiorifog  (x.(pa.tpeis  koci  'ra.pra.pov. 

Varianti,  y.  5.  ExBovffx  y  v^piv.  OxF.  cx°^'^'^'  ^'  ^P'p"-  Par.  y,  6.  tìtroi  iXauv***  mancano 
queste  parole  nel  ms.  di  Par,  y.  9.  Questo  e  i  due  versi  scoienti  son  citati  da  Sincsio,  ub.  supr. 
colla  varia  lezione  di  Bioroc  v.pa.Tiii  in  vece  di  ^iotop  //.sTftif.  V»  *^'  Kt^uto-i^  0fov  ajdo^n'a 
^9-ir«f.  Par.  Ni/Aaaif  Otof  a§o/A£;'  a^ì^frat-  correzione  del  sig.  Boivin.  )/,  17.  e  jf.  Il£ìgn0r 


jM    e   T    II    I       A    II    A    B    X.  029 

V  E  K  S  I  O  N  ]■;      METRICA. 
Diva  alala,  di  vile  niolricc, 


Dea  severa  ,  ili  Temide  figlia 


Per  le  prona  ogni  halda  cervice 

Al  Ilio  freno  iiifrangibil  .s'  iniLrii,'lia  : 

Per  te  il  fasto  a  1'  orgoglio  è  divulso  : 

Ed  espulso  d'invidia  il  livor. 
Di  tua  ruota  ne'  rapidi  spiri 

Tu  ai  mortali  le  sorti  governi  : 

Tu  fra  lor  non  veduta  li  aggiri  , 

E  lor  vane  alterigie  proserni. 
Le  bilance  tu  libri ,  e  le  ardile 

Tracotanze  guatando  s'nislra, 

Di  tue  leggi ,  0  di  Temi  ministra  , 

Diva  alata,  motrice  di  vite, 

Di  tue  leggi  le  aggioghi  al  rigor. 
Salve,  o  Nemesi,  integra,  inflessibile, 

D'  ali  ratta  ,  vittrice  infallibile! 
Per  te  il  giusto,  o  compagna  di  Temi 

Fia  clic  a  Tire  d'Avcrno  non  tremi 

E  del  fuliiiin  sorrida  al  fragor. 

Buielte  ha:  Nr,«!|^rja,  y.xi  vxpi^fov  Aixccp ,  Aixaf ,  rx^vrirrtpcv  ^  s^^pi/rai*  soggiugnendo  che 
Aijtzr  del  secondo  verso  sia  anchi'  una  correzione  del  sig,  Boivin  ,  in  vece  di  N'zrf  che  leg- 
gpsi  nel  nis.  di  Par.  ,  il  che  forma,  com' ei  dice,  un  senso  più  ragionato  e  più  gegnìtu. 
y,  10.  ec^jttpii,  correzione  del  s'g.  Boivin. 

Tom.  IH.  42 


ò5o  UE      K  I    T   I    S 

La  posposizione  che  trovasi  nel  no-  dovcano  i   tuoni   notati    nelP  inno  al 
Siro  codice  del  verso  N£fi£(OT£x ,  x.  r.  X.  Sole   (  e  conscguentemente  in  questo 
U  quale  in  tutti   gli    altri    precede  il  di  Nemesi  eh'  è  dello  stesso  metro  ) , 
verso  fiixriv  ,.x.  T.  X.,  ronde  nitidis-  secondo  il  ms.   di  Parigi.  Nel  ras.  di 
Sima  r  ultima  strofe.  Cosi  lutti  gli  at-  Napoli  è  come   1'  ahbiam    fallo    inci- 
U'ibuti  di  Nemesi  vengono    a  ricpilo-  dere  nella  tavola  al  n.°  2  del  saggio 
garsi ,  e  specialmente  quello  di  vitto-  de'  caratteri  ;  cioè.-  ffi^vyicts  xara  av- 
riosa  ,  anzi  di  vittoria  essa  stessa.  Ab-  riàttfiv  uT'ip  -  "  xai  ^  -  ytvos  JifirXaffiov 
jiamo  in  Grutero  ,  l.  e.  «.  5.  viaoiNt  ó   pi':J,oio»    ìiiA>%iKa!lri\\>.a; .    11    che    viene 
viCTBict  SANCTA.E  DEAE  NEMESI  :   il  chc  maggiornienle  in  appoggio    delle  no- 
se  avesse  avuto  in  pensiero  il  dottissimo  stre  riflessioni  quivi  disviluppale. 
Burette  non  avrebbe  proposto  di  cam-         E  perchè  in  fallo    di  musica   i  ra- 
biare  Nixriy  in  Aixotv  ,  ed  avrebbe  rav-  gionamenti  a  nulla  valgono  se  1'  ese- 
visato  nel    codice   parigino    anche  in  dizione  fallisce  ;  esponiamo  sotto  l' oc- 
questi  versi  quella  perturbazione  che  chio  dogi'  intendenti ,    con  quel  wo- 
negli  altri    avverti    e  seppe    cosi  ben  vimento  che  abbiara    creduto    convc- 
correggere.    E  non   pare    che    produr  nevole  ,  la  traduzione    per    noi   falla 
possa  ostacolo  il  qui  trovarsi  Nixriv  in-  de'  tuoni  musicali  dulia  notazione  gre- 
vece  di  vix-r,r(>t'xv.  Oltre  all'esser  quo-  ra  alla  nostra  ,  nella  qual  traduzione 
sta  una  delle  permutazioni   usitatissi-  uno  o  due  tuoni  soltanto  ci  è  occorso 
me  ili  poesia  ,    nel    caso    attuale    par  rcllificare  dal  come  trovasi  nel  ms.  , 
che  siavi  a  bella  posta  onde  rammcn-  forse  fallo  del  copista  ;  supplendo  le 
lare  l'origine    della    bella    statua    di  lacune  ne' luoghi  indicati  con  punti.- 
Nemesi  che  Marco  Varrone  a  tutte  le  ....E  dcggio  all'amicizia    del  cava- 
altre  preferiva.   Tuli'  altrimenti    dal-  liere  D.  Domenico  BIakulli  e  del  va- 
r  aneddoto    riferito    da   Plinio  ,    //.  lentissimo   maestro  D.  Placido   Man- 
jV.  XXXf^I ,  5  ,  abbiain  da  Pausa-  eanici  assistenza  ma'  solo   e  consigli  , 
nia  ,    tv    Attik.  ,    che    Sersc  traspor-  ma  il  vedervi    correre  sottoposto  quel 
tasse  in  Grecia  del  marmo   por  farne  òasso  che  il  eh.  Burette  riputava  im- 
formare  un  trofeo  della  vittoria    che  possibile. 

già  leneasi  in  pugno;  ma  che,  avve-         A.nche  l'autore  del  Sictionaire  de 

nutogli  il  contrario  ,   Fidia  ,    o   come  Masiqae    ha    pubblicato    i    primi    sei 

altri  vogliono  Agoraorilo  ,  formasse  di  versi  di  quest'inno;  ed  all'  ari.  Mu- 

quel  niaimo  la  statua  di  Nemesi^  mo-  sique  così  si  esprime  :  On  a  beaucoup 

numento  della  vittoria  de'  Greci.  souhailé   de    voir  queìques  fragmens 

Abbiam  riferito  alla  pag.  <)i  l'in-  de  Musique  «/zc<en/)e.  Le  P.  Kircher 
dicazione   del  ritmo    sul   quale    correr     et  M.  JJiirel/e  ont  travaillé  là  dessus 


I 


METRI       ARABI.  33l 

à  coiitenler   la    curiositi-  du   Pithlic.  pili  gran  parte  dell'  effetto  ,    special- 

Potir  le  melile  plus  àporlée  de  profUer  mealc  allor  che  trattasi,    come   suol 

de  letirs  soi/is  ,  J'ai  Iraiiscrit  daiis  la  dirsi  ,    di  note  e  parole  ;    ma,    o    io 

Pianelle   C  deux  niorceaux  da  Musi-  m'inganno  ,   o  la  mancanza  di  effetto 

que  GrecqiiCj  tradiiits   en  Mote  mo-  ne' due  Iramnicnti  de' quali  or  è  qui- 

denie  par  ccs  Aateiirs  (*).  Mais  qui  stione  dee  riporsi  tutta  nella  mancan- 

oserajugerde  l'ancienne  ^lasìqìic  sur  za  del  ritmo,    nel   movimento    vago 

de  tels  icìtanlilloìn  ?  Je  veux  méine  de'  periodi  ,   anzi  nel  nessun  periodo 

que   ceux    qui   voudroient    en  juger  che  risulta  dall'  aversi  voluto  determi- 

connoissent  suffisaminenl  le  genie  et  nare  il  valor  delle  note  nella  ragion 

l'accenl  da  la  laii^ae  Grecque  :  quii  metrica  e  non  musicale  ,  mentre  ab- 

ré/léc/dssent   qu  un  llalien   est  juge  biam  veduto  che  se  i  Metrici  co'  Mu- 

incompétentd'un  ^ir  frangQÌs,quun  sici  in  molte  parti  convenivano,   non 

fianQois  n'cntend  rien  du  tonta  la  Me-  convenivano  in  tutto  (  v.  la  nota  42). 

ìodie  italienne  ;  piiis  qu'  il  compare  Ma  quel  che   sorprende   si   è    che   in 

les  tcnis    et  les  lieux ,    et   quii  prò-  que' frammenti  ,    come    si    danno   in 

narice  s'il  V ose.  quel  dizionario,  manchino  fin  le  ca- 

Vero  è  che  nella  musica  vocale  al-  denze  ,    e  si   prendan  per  tali ,    frasi 

V  accento   e    all'  espressione    dcesi  la  sospese  ed  incompiute. 

T  A  V  O  L  jl    ni. 

,/monumento    alia    triazzelki    at    J.    t/  tetto    K/féar^ttre, 

Non  solo  per  la  storia  prammatica  Nell'orlo. 
della  poesia  italiana  e  dell'ortografìa 

della  nostra  lingua  nel  trecento;  ma  •}•  mille,  laude,  factio.  adio.  pìtre. 

come    monumento    di   arte    meritava  eal.v.  santa,  thinitate.  cue.  dve.  vol- 

questo    marmo    che    fosse    latto  pub-  te.   me.  aveno.  .scampato,  etvcti.  li- 

blico.  ALTRI.    FORO.  A.V-VEGATE.    FRANCISCIIINO. 

Pel    nostro    obbietto    le    iscrizioni  fvi.    de.    uiiig.ȓale    (a),     eeci.    fare. 

poetiche  dovcano    andar  ridotte    alla  qvesta.   memoria,   ale.  m.ccc.lxi.  de. 

moderna  ortografia.   Ma  quella  della  lomese    de.  agvsto.  xiiii.  indiccionis. 
scoltura  è  come  sceue. 


(•)  Oltre  a' sci  Tersi  di  quest'inno,  l'altra         (a)  È  notabile  che  tutti  i  nastri  abbian  Itt- 
pubblicazione   è   del  fr,immento   della  prima      to  costantemente  prioxale. 
pitica  da  noi  dato  alla  pag.  112. 


332 


DE       R    I    T    I    S 


^e'  cartocci  eh'  esprimono  il  dialogo     zione  della  parte  metrica  ,  altro  non 
tra  il  mercadanle  e  la  morte.  saprei  che  aggiugncre  al  gii  detto  dalla 

pag.  2oG  a  210.  E  poco  rimane  a  dire 
TVTO.TEVOLio.DAHE.SEMEL.vsi.scANp\nE.     SU  la  Scrittura  dell' orlo.  Non  ci  arre- 

SETVMEPOTISSE.  D.\HE.  QUANTO.    SErOTE.      Stercmo  nò  su   1'  AVENO    né    su   1'  \NNE- 

ADEMANDABE.  NOTE.  scAN'PARA.  LAMOit-     GATE,    che    a  primo    aspetto  scmbran 

falli  di  sintassi,  ma  che  cessano  di  es- 
ser tali  se  si  rifletta  al  J^-^^  jTJ'nSx 
del  primo  x.  della  Genesi ,  ed  alla  E 
stretta  quasi  sempre  dai  nostri  sosti- 
tuita alla  I.  E  dopo  di  aver  detto  che 
r  ultima  parola  tn'dicciosis  è  nella 
pronunzia  dei  nostri  maggiori  che  an- 
che dissero /ccc/owes  (i),  avrcm  detto 
lutto. 

Le  iscrizioni  in  volgare  par  che 
non  dovessero  essere  infrequenti  nella 
città  nostra  (e);  m:i  presentemente  par 
che  delle  antiche  questa  soltanto  siasi 
conservata. 

Abhiam  fatto  incidere  come  or  si 
osserva  il  monumento  colle  due  iscri- 
zioni soprapposte  ,  quantunque  non 
v'abbiano  relazione  alcuna^  e  servan 
soltanto  di  testimonio  che  fosse  là  si- 
tuato anche  quando  il  tempio  di  S. 
Pietro  Martire  era  nella  primitiva  sua 
Per  quel   che   riguarda  intcrpctra-     forma.  L'iscrizione  del  i3.j7  era  liit- 

[h)  Sed  primìccrii  sex  graecarum  ecclesia-  constatino  ab  ani    cccx\xxiìi   pcy  la  k.*~ 

nim  constitutantin  in  ipsa  civitate . . .  tenen-  Tiri  vi  de  xpo  et  la  co-sacbai.  s.  sil- 

tur  venire  ad  diclani  neapoUtanam  ecclesiam  r estuo  et  ave  home.  s.  ioa^ne  ad  FOjf-- 

tit  cantare  seu  legere  sex  lecciones  gruecas,  te  et  ave  ijtdulgetiae  iriifiTAB.  Jfea~ 

Chron.  S.  M-  de  Prin.  poli  ergo  non  nisi  ista  neapo'itana  diaUcto 

(e)  Ecco  quel  olle  abbiamo  dal  Mazzocchi,  scriptores  saeculo   XIV  et  XV  ittebantur  j 

Sed  et  marmora  plura  sunt  passim   eadein  sed  multo  tamen  puriore   quam  qua  intlgus 

dialecio  perscripta  :  cuiusmodi  illud  est  quod  neapolìtanum  colloqnebatur  -  Mazzocchi  ,  de 

in    Oratorio    S.    Ioannis    ad  Fonles   prope  cathedraìis    ecihs.    neap.    s-.mp.    un,  j    etc. 

S.  Restitutam  legitur  in  hunc  modum:  qve-  p.  S.Sj  n.  70. 

STA     CAPTELLA     LA     EDIFICAI     LO     IMPF.r.ATORE 


TE.    SETEVENE.    LASOKTE. 

Neil'  ara. 

roso.    LAMOUTE.    CHICHACrO 

SOPERA.    VOI.    lENTE.    MVNDANA 

LAMALATA.    EL  ASANA 

DIE.   NOTE.    LATEnCHACCIO 

NOFVOrA.   NESVNO.  INETANA 

P.    SCAMPARE.    DALOMIO.    LACTTO 

CHE.    TVCTO.    LO5IUND0.    ABRACTIO 

ETVCTA.    LAGENTE.    VMANA 

PER.    CHE.    NESSVNO.    SE.    CONFORTA 

MA.    PRENDA.    SPAVENTO 

CHEO.    PER.    COMANDAMENTO 

DE.    PRENDERE.   ACIIIVEN.    LASORTE 

SIAVE.    CASTIGAMENTO 

QVESTA.   FEGVRA.    DE.    MORTE 

E   PENSAVIE.   DE.    FARE.    FORTE 

IN   VIA.    DE.   SALVAMENTO 


51    E    T   K    I      ARABI. 


533 


tavia  su  la  porla  maggiore  a'  tempi 
dell'  Engenio,  e  inlanlo  il  monuraenlo 
(li  Fiancischino  ci  ci  dcsciive  avaiila 
che  s' entri  per  la  porla  ìnaggiore  nel 
mtero  a  sinistra  [d). 

Secondo  il  Summonte,  questo  Fran- 
ceschino  par  che  l'osse  stato  un  fore- 
stiere accidentalmente  balzato  in  Na- 
poli dopo  una  fortuna  di  mare  (e). 
Ma  clic  <jui  avesse  domicilio  e  discen- 
denti fa  testimonio  il  Celano  (/). 

Come  oggetto  d'aite  questo  marmo 


non  iiianjca  di  pregio  :  e  non  va  ri- 
posto tra  gli  ultimi  di  quella  dà,  sia 
the  si  consideri  l' invenzione  ,  sia 
che  pongasi  pensiero  alla  disposizione 
dello  figure  (^).-  Ma  sopra  tutto  meri- 
ta riguardo  come  storico  monumento. 
La  forma  del  cappuccio  del  frate  , 
il  velo  della  monaca  ,  la  fuggia  de' 
capelli  del  re  e  di  quel  gentiluomo 
che  gli  è  a  fianco  (A)  ,  la  mitra  bassa 
del  vescovo  (/)  e  la  tiara  del  papa  {i) 
saranno  studiati  dagli  artisti  che  vo- 


(<i)  Napoli  Sacra,  pag.  45 i. 

(e)  1)  Fra  tante  guerre  ,  uccisioni  e  cose 
fuuesic ,  conviene  ormai  i'are  alquanto  di  di- 
gressione ,  e  trattar  d' un  caso  alquanto  ridi- 
coloso  f  di  qualche  considerazione  ,  successo 
nel  tempo  della  regina  delU  quale  scriviamo 
[Giovanna  I]:  del  che  ;  sebbene  insino  a' no- 
stri tempi  ne  appare  memoria  scolpita  in 
marmo  ,  pure  si  ha  per  tradizione  passata 
alla  memoria  degli  uomini ,  che  un  mercante 
per  nome  chiamato  Franclschino  di  Frignale, 
essendo  rotto  in  mare ,  fé  voto  di  fare  una 
memoria  ad  onore  della  SS.  Trinità  nella 
chiesa  che  prima  troverebbe  nel  giuguere  al 
lido  j  e  giunto  nella  marina  di  Napoli ,  entrò 
nella  chiesa  di  S.  Pietro  Martire,  ec.  Tom.  II, 
pag.4,43.-Wa  perchè  il  Summonte  considera- 
va tutto  questo  come  un  cas»  ridìccloso? 

(/)  »  Ed  un  tal  veccliio  del  quartiere  di- 
ceva d'aver  saputo  dai  discendenti  di  que- 
sto Franceschino  ,  che  quell'  uomo  che  sca- 
rica il  sacco  delle  monete  sopra  d'un  tavo- 
lìuo  a\anti  la  morte  era  il  ritratto  di  esso 
f  rancischino.  »  Ciorn.  IV. 

{g)  Dobbiamo  bdarcl  della  diligenza  del 
nostro  disegnatore  per  non  essersi  permesso 
di  rettificare  le  forme  dell'originale  e  con- 
servarci tutto  nella  sua  autentica   grettezza. 


Ciò  che  più  d'  ogni  altro  avrebbe  avuto  bi- 
sogno di  correzione  era  il  becco  del  falcone 
che  spicca  il  volo  dal  pugno  della  morte,  e 
che  dà  all'  uccello  la  figura  piuttosto  di  una 
colomba.  Il  logoro  però  è  beuissinio  espres- 
so ,  e  pare  inconcepibile  che  il  Sigiamondi 
avesse  potuto  prenderlo  per  un  arco.  Descr, 
della  città  di  Nap.  ,  tom.  II,  p.  197.  — Si 
noti  che  il  logoro  dlcesi  da'  nostri  scrittori 
costantemente  loiro, 

[h)  Quella  foggia  di  raggruppare  la  chio- 
ma in  un  solo  anello  ,  e  che  si  è  conservato 
sino  alla  nostra  età  nella  prelatura  ed  an- 
che ne' cherici  minori,  osservasi  in  tutti  i 
gentiluomini  che  sono  alla  sinistra  di  Carlo 
l'illustre  nel  suo  sepolcro  a  S.  Cliiara 

(i)  tonasi  tutti  i  pittori  e  scultori  moderni 
sono  in  difetto  nel  rappresentare  le  mitre  de* 
primi  tempi.  Può  consultarsi  a  tal  riguardo 
con  molto  profitto  l'erudita  opera  del  p.  Fi- 
lippo B.onanni  ;  La  gerarchia  ecclesiastica 
considerata  nelle  veili  sagre  e  civili  ,  Roma 
1720.  £  chi  volesse  opporre  il  minore  cBetto 
delle  mitre  basse  in  confronto  delle  alle  mo- 
dernamente adottate  ,  vegga  nella  collezione 
del  Monttaucon  l'  antica  statua  della  Dea  Si- 
ra  ,  e  da  sé  stesso  decida. 

W  Veggasi  l'opera  citata  del  p.  Bonanni , 


33j 


DE       R    I    T    I    S 


gliono  conservare  il  coslurae  dei  tem- 
pi nelle  loro  composizioni  :  e  molto 
più  la  zimarra  e  i  sandali  del  merea- 
daiitc  (/).  E  le  due  corone  delle  quali 
è  ornata  la  morte  rammenteranno  agli 
eruditi  il  costume  che  appunto  nella 
età  del  monumento  invalse  di  aggiu- 
gnere  un  secondo  cerchio  alli  tiara 
pontificia,  che  allor  si  disse  òi regno, 
e  non  tardò  guari  a  divenir  trire- 
gno {m). 

Ed    anche   i   due    scudi  incappati 


che  sono  agli  angoli  superiori  elei  mo- 
numento meritano  considerazione,  di- 
mostrando che  nell'  anno  i3Gi  non 
avesse  ancora  1'  ordine  de'  predicatori 
caricalo  il  suo  stemma  della  stella  e 
del  cane  colla  fiaccola  in  bocca,  e  gia- 
cente o  andante  su  d'  un  libro.  Coni.e 
i  due  scudi  della  famiglia  de'  Capa- 
ni  j  posti  lassù  rovesci  e  per  semplice 
ornato  ,  dimostrano  che  nel  i555  non 
mollo  que'  padri  si  brigassero  di  bla,- 
soneria, 


eap.  LXVI ,  p.  268.  La  forma  che  qui  veggia- 
mo  della  tiara  pontificia  è  quella  stessa  che 
appariva  nel  mosaico  di  cui  papa  Attanasio  IV 
fece  ornare  la  cappella  di  S.  Nicola  in  Boma  , 
e  che  fu  poi  inciso  dai  Bollandisti  —  jict. 

mai  j  p.  308.  Alquanto  più  alte  son  le  tiare 
di  che  sono  ornati  tutti  gli  Apostoli  in  S.  Gio- 
Tanni  in  Tonte  di  Kavenna.    V.  Ciarapini  , 
fef.  moji.  P.  Jj  opera  musiva  ^  cap.  XX Vt 

tab.  LXX. 

{  /  )  Sia  che  1'  uso  del  biregno  vada  rife- 


rirsi a  Benedetto  XII,  sia  a  Bonifacio  VII, 
certo  è  che  il  triregno  non  cominciò  ad  usarsi 
prima  di  Urbano  V.  Bonanni ,  ub.  supr. 

(m)  Il  costume  di  questa  figura  par  che  si 
conservasse  tra  noi  sino  al  secolo  XVI,  L'  Eu- 
genio cosi  si  esprime  nel  fare  la  descrizione 
di  questo  monumento  :  Ei  incontro  dì  lei  (  la 
morte  )  un  huom  vestito  da  mercante  il  (jual 
butta  un  sacco  di  denari  sopra  un  tavoh' 
no  j  ec. 


Pag, 


ERRORI. 

• 

CORRE 

Z  I  0  N  I. 

>4, 

V.  i5  Sculteus 

Scultens 

i5 

20  and. 

and 

28 

17 

vn;>SN 

i-ni'Sì* 

33 

3  mofa'hi'lalaton 

mnfa'hilaton 

37 

7  albasido 
28  Convulso 

al  basito 
Evulso 

49 

17  a.7vvxUTriTX 

a7vvx^rviTX 

Co 

21  eretico 

bachiaco 

68 

3  qalà  ; 

qatà , 

67 

10  con  la 

la 

C9 

6  allora 

aUor 

82 

2g  his 

bis 

87 

24  IIÙ 

25  né 

ne' 

ne' 

io3 

27  trovaa 

trovasi 

108 

18  comendate 

comsntate 

122 

2Ò  Terso 
versi 

versi 
verso 

J2G 

27  certerza 

certezza    - 

128 

16  libros 

libros  : 

i35 

24  Rousard 

Ronsard 

146 

20  ^  - 

— 

i5o 

2 

ó'oabN 

D'cnbK 

iGo 

17  bifontes 

bifrontes 

174 

4 

«nSu 

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26  Mal    consuetuiline    in- 

E mal  consuetudine  in  argini   ' 

frange  ogni  argini. 

24  Non  si  resta  e  in  abito 

Non  mai  si  resta 

9  in  abito  termini 

ella  termina. 

311 

5  di  chi 

in  chi 

23  quel  riguarda 

quel  che  riguarda 

218 

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epiiriti 

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banaj'sagì 

239 

25  basta 

basta  per 

241 

28  nota  192 

noia  203 

2G6 

23  Cli'  il 

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228 

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INDICE 


PEL     P  R  E  S  E  Tv  T  E     F  A  S  C  1  <;  O  L  O. 


/  metri  arahi:  memoria  di  FijfCENzo  de  Ri- 
Tis |>ag.  1 

Coi  presente  fascicolo  panno  unite  ire  tavoln  in 
rame. 


Prezzo  degli  atti  accademici. 


VOL.  I.    Fascicolo  primo.,  g.      28  Voi.  I[.     Fascicolo  primo.,   g.      60 

Fascicolo  secondo,  g.       70  Fascicolo  secondo,  g.       20 

Fascicolo  terzo. . .  g.      70  Fascicolo  terzo, . .  g.      40 
Fascicolo  quarto.,  g.       28 
Fascicolo  quinto  .  g.       28 

L'intero  volume,  d.  2.  a4  Voi.  III.  Fascicolo  primo...  d.  2.40 


I  fascicoli  suddetti  sono  vendibili  nel  locale 
deW  Accademia  ;  f^ico  porta  piccola  della 
Pietra  Santa  n."  aa. 


ATTI 


DELL' 


ACCADEMIA  PONTANIANA 


VOLLME  IV. 


NAPOLI 

■TABILIMEVrO  TIPOGBIFICO  DEL  TB.lMftTBB 

Strada  S.  Sebastiana  N.°  30  primo  piaoo. 

1851. 


ALLA  HAESTA 

DI 


FERDINANDO    II. 

RE  DEL  REGNO  DELLE  DUE  SICILIE 

eie.  etc.  etc.  *^ 


Sacra  Real  Maestà 


L 


Accademia  Pontaniana  ,  che  fu  sem- 
pre dalla  M.  V.  onorata  della  Sua  reale  pro- 
tezione ,  osa  offrirle  rispettosamente  il  quarto 
volume  de'  suoi  atti. 

Noi  intendiamo  con  questa  umile  offerta 
di  manifestar  la  nostra  gratitudine  e  la  nostra 
devozione  verso  la  Vostra  Augusta  Real  Persona; 


ed  abbiamo  fiducia  che  la  M.  V.  si  degnerà  di 
accoglierla  benignamente,  mostrando  così  ver- 
so i  nostri  lavori  Accademici  il  Suo  Sovrano 
gradimento. 

Pregando  Iddio  di  conservar  lungamente 
all'amore  ed  alla  felicità  de'  Suoi  popoli  la 
M.  V.  e  la  Sua  Augusta  Real  Famiglia  ,  ci 
segniamo  col  più  profondo  rispetto 


Di  V.  M. 


.    ,  ^       ^evotis»mi  e  Fedelissimi  mdditi 

ì  '\}V<.\t'  gjj  ACCADEMICI  POnTAWAW. 


NOTIZIA 

DELL*  ACCADEMIA  PONTANIANA 

PER  GLI  ANNI  1845,  184G,  e  1847 

Letta  ali*  accademia   dal  segretario  perpetua 

GIULIO  MINERVINI. 


Signori  Colleghi 


(jià  r  uomo  illustre ,  cbe  mi  ha  preceduto  nella 
carica  di  Segretario  Perpetuo ,  tenue  ragionamento  de'  la- 
vori dell' Accademia  sino  a  tutto  l'anno  1844  •  ^  l'ultimo 
ragguaglio  relativo  ad  un  intera  decennio  trovasi  ormai 
pu])blicato. 

Ora  a  me  piace  continuar  quel  ragguaglio  pe'  tre  anni 
seguenti ,  ne'  quali  la  operosità  della  nostra  Accademia  si 
mostra  degna  di  onorevole  ricordanza. 

E  cominciando  da' lavori  dell'anno  i845  ,  clie  alle 
scienze  matematiche  si  riferiscono,  rammento  la  memoria 
del  sig.  Vincenzo  Antonio  Rossi  sulle  supeificie  anu- 
lari y  e  l'altra  del  sig.  Fortunato  Padula  su  le  equa- 
zioni relative  al  moto  de  liquidi.  Né  debbo  tacere  la 
importante  comunicazione  del  sig.  Ernesto  Capocci  j  il 
qaale   Ce  preventivamente  conoscere  i  dati  del  passaggio' 


VI  Jnno  184.S. 

di  Mercurio  sul  disco  solare  ,   che  fu  poi  la  Napoli  os- 
servato nel  giorno  8  Maggio. 

PIÙ  grande  fu  il  numero  delle  memorie  nella  classe 
delle  scienze  naturali. 

Il  sig.  cav.  de  Luca  espose  cosa  esser  dovesse  un 
almanacco  geografico  italiano ,  parlò  de'  vóti  in  geografia, 
e  del  modo  per  riempirli.  Il  sig.  Rossi  tenne  proposito  di 
ima  efficacissima  pratica  per  istabilire  la  sussistenza  dello 
sbocco  de'  fiumi  in  mare. 

Debbonsi  al  sig.  Oronzio  Gabriele  Costa  alcune  illu- 
strazioni al  genere  Cypridina  ,  e  la  descrizione  di  una 
novella  specie  distinta  dalla  Cypridina  Reynaudii ,  e 
che  l' autore  appella  Mediterranea. 

Il  cav.  Michele  Tenore  Presidente  dell'Accademia  die 
conoscenza  di  un  nuovo  genere  nella  famiglia  delle  Iridee, 
che  chiamò  Polla  Bonariensls ,  traendone  il  nome  dalla 
memoria  del  nostro  illustre  concittadino  commendator  Polì, 
e  dalla  provenienza  della  pianta. 

;':fn  Finalmente  l'importantissimo  ramo  della  chimica  or- 
ganica non  fu  punto  trascurato  dall'  Accademia  :  ad  essa 
appartengono  le  osservazioni  sulla  Clanorina  fatte  dal  sig. 
Giovanni  Semmola ,  tendenti  a  formarsi  una  più  chiara 
idea  di  quella  morbosa  organica  produzione. 

Alle  scienze  morali  ed  economiche  furono  in  quel- 
l'anno destinati  non  pochi  lavori.  Il  sig.  cav.  Pasquale 
Stanislao  Mancini  presentò  un  esame  ragionato  delle  opere 
sulla  polizia  preventrice  del  cav.  Roberto  Mohl  di  Tubin- 
ga.  Il  sig.  Michele  Baldacchini  lesse  brevi  osservazioni 
sopra  una  teorica  della  certezza.  Il  socio  corrispon- 
dente sig.  Marchese  de  Ribas  imprese  a  dare,  con  appo- 


Jnno  t84^.  TH 

sita  memoria,  una  più  esatta  analisi  della  sensazione.  Due 
lavori  furono  presentati  dal  sig.  Vitaliano  Sabatini  j  il  pri- 
mo sulla  utilità  e  sugli  espedienti  principali  per  ren- 
dere la  scienza  popolare  j  il  secondo  sulla  importan- 
za dell'  attività  e  della  sveltezza  sotto  il  rapporto 
deir  educazione  Jisica.  Il  sig.  cav.  Luigi  Blanch  presentò 
un  suo  breve  discorso  che  ha  per  titolo  =  Su  qualche 
disposizione  di  parte  della  società  attuale  =»  Bisogno 
di  emozioni.  Ed  il  cav.  Panvini  lesse  un  suo  ragiona- 
mento intitolato  Liete  speranze  per  lo  progresso  della 
nuova  civiltà.  Da  ultimo  il  sig.  Matteo  de  Augustinis  ia 
un  suo  lavoro  statistico  trattò  della  valle  del  Liri,  e 
delle  sue  industrie. 

Alla  classe  di  antichità  appartengono  una  memoria 
del  sig.  de  Ritis  sopra  alcuni  siti  dell'  antica  Napoli , 
e  la  dichiarazione  di  un  antico  vaso  di  Ruvo  con  sint' 
holiche figure ,  fatta  dal  sig.  Giulio  Minervini. 

Due  lavori  relativi  all'  estetica  intrattennero  l' Acca- 
demia ,  r  uno  del  sig.  cav.  Francesco  Paolo  Bozzelli  sullo 
origini  e  le  doti  del  teatro  indiano '^  l'altro  del  sig.  ab. 
Gaetano  Pesce  contenente  i  prolegomeni  intorno  agli 
studii  della  parola. 

Nò  scarso  fu  il  numero  in  questo  anno  delle  poeti- 
che produzioni.  Oltre  alcuni  sonetti  del  sig.  ab.  Rucca , 
«Icune  poesie  del  sig.  ab.  Carpino  ,  ed  un'  ode  del  sig. 
Barone  d'  Epiro  ,  ricorderò  le  stanze  della  signora  Maria 
Giuseppa  Guacci-Nobile,  quelle  del  sig.  Giulio  Genoino, 
e  le  altre  del  sig.  Giuseppe  Campagna ,  le  quali  han  per 
titoli  rispettivi  Giambatista  della  Porta \  Un  voto\  La 
scienza  e  V  arte. 


vm  Jnno  t84-o. 

In  questa  medesima  classe  de'  lavori  di  gusto  va  no- 
verata una  prosa  del  nostro  socio  non  residente  sig.  Fi- 
lippo de  Jorio ,  che  porta  l' epigrafe  vìsita  a  Castellam- 
mare £  Italia. 

La  biografia  degli  uomini  dotti ,  specialmente  allor- 
ché sono  fondatori  di  qualche  sistema  ,  interessa  grande- 
mente a' cultori  delle  scienze*,  ed  è  perciò  che  riuscì  gra- 
dito r  elogio  storico  di  Samuele  Anemanno  ,  dettato 
dal  prof.  Romano. 

Fra' lavori  presentati  nell'anno  i845  non  debbo  omet- 
tere un  discorso  sullo  stato  di  Platone ,  che  fu  ammesso 
a  leggere  il  sig.  Errico  Pessina  ,  quantunque  non  appar- 
tenesse alla  nostra  Accademia  ,  e  che  trovasi  già  dall'au- 
tore pubblicato  per  le  stampe. 

Avendo  il  sig.  Fedele  Amante  lette  alcune  sue  con- 
siderazioni sul  modo  di  raccogliere  gli  elementi  per  la 
formazione  di  un  vocabolario  italiano  delle  scienze  e  delle 
arti ,  fu  nominata  un'  apposita  Commissione  per  colorire 
un  s'i  importante  disegno  5  il  quale  ,  come  sarà  detto  tra 
poco  ,  meritò  ulteriore  attenzione  nell'  anno  seguente  da 
parte  dell'Accademia. 

Varli  peculiari  incarichi  tennero  particolarmente  occu- 
pate diverse  classi.  Così  quelle  di  scienze  naturali  ,  e  di 
letteratura  italiana  furono  invitate  a  dare  un  parere  sul 
progetto  del  sig.  prof.  Costa,  di  un  dizionario  de'  nomi 
volgari  degli  animali  del  regno.  E  mi  giova  qui  ricordare 
che  il  sig.  Costa,  nel  dare  alla  luce  un  saggio  di  tal  dizio- 
nario, non  omise  di  riferire  il  parere  di  quelle  due  classi. 

Una  più  seria  occupazione  intrattenne  la  classe  delle 
scienze  matematiche. 


Jnno  iS4^.  IX 

Richiamo  alla  vostra  memoria  ,  onorevoli  Colleghi  , 
che  la  classe  raalematica  propose  nel  i843  il  suo  program- 
ma,  con  premio  straordinariamente  stabilito  dall'Accade- 
mia in  ducati  200  da  accordarsi  alla  memoria  che  desse 
una  dichiarazione  'soddisfacente  di  tut^Oìlc  particola- 
rità di  un  fiume  torrente  del  regno  di 'Napoli  ^  e 
delle  opere  idrauliche  più  conducenti  a  contenerlo 
nel  suo  alveo. 

Essendosi  in  risposta  ricevuti  due  lavori  uno  sul  fiu- 
me Calore,  l'allro  sul  fiume  Sele  ,  la  classe  si  occupò 
diligentemente  ad  esaminarli.  11  suo  giudizio  fu  che  non 
si  dovesse  tener  conto  della  prima  memoria  ,  che  la  se- 
conda meritasse  un  accessit,  come  quella  che  mentre  non 
soddisfaceva  pienamente  al  proposto  quesito  ,  conteneva 
non  pertanto  non  pochi  pregi,  i  quali  meritavano  ancora 
un  incoraggiamento  pecuniario. 

L' Accademia  aderì  al  volo  della  classe  ,  e  decise 
darsi  all' a.  sig.  Emilio  de  Augustinis  il  premio  di  duc.So. 

Fra'  corpi  scientifici  e  letlerarii,  che  si  posero  in  rela- 
zione con  noi,  ricorderò  l'Accademia  scientifico-letteraria 
de' Concordi  in  Bovolenta  ,  che  c'inviò  il  suo  statuto  5 
non  che  l'Ateneo  di  Brescia,  che  ci  fé  parte  de'  suol  com- 
mentarli per  gli  anni  1840  e  1S41.  L'Istituto  Lombardo 
di  scienze  lettere  ed  arti  e'  inviò  il  primo  volume  della 
nuova  serie  de'  suoi  atti  5  e  ricevemmo  ancora  gli  atti 
del  VI  congresso  degli  scienziati  italiani,  che  ebbe  luogo 
in  Milano. 

Ma  fu  per  noi  memorando  quest'  anno ,  o  Signori  , 
perchè  ci  fu  dato  di  accogliere  in  questa  medesima  sala 
in  una  straordinaria  tornata   i  più  eletti  ingegni    d'  Italia 

6 


X  Anno  i84S. 

convenuti  in  Napoli  al  VII  congresso  scientifico  italiano , 
molti  de'  quali  eran  pure  nostri  colleghi. 

Il  desiderio  di  onorare  i  nostri  Ospiti  illustri  ci  fece 
in  queir  anno  interronopere  la  serie  de'  nostri  atti. 

Fu  invece  per  noi  pubblicato  un  volume  contenente 
la  notizia  de'  lavori  dell'  Accademia  per  gli  anni  i835  e 
seguenti  fino  a  tutto  il  i844  dettata  dal  segretario  perpe- 
tuo, ed  alcune  delle  memorie  o  poesie  presentate  nel  corso 
dell'anno,  e  delle  quali  dicemmo  di  sopra.  Il  titolo  di  que- 
sto volume  ,  impresso  con  quella  maggiore  possibile  ele- 
ganza, che  dalla  brevità  del  tempo  ci  fu  conceduta,  e  fre- 
giato di  alcune  tavole  incise,  fu  agli  scienziati  d'Italia 
del  VII  congresso  dono  delV Accademia  Pontaniana. 

Numerosi  esemplari  ne  furono  tirati,  e  distribuiti  a 
tutti  i  membri  del  congresso ,  a'  quali  era  particolarmente 
destinata  quella  pubblicazione. 

Nell'anno  i845  avemmo  a  deplorare  la  perdita  di  molti 
sodi  residenti  rapiti  da  morte. 

Il  cav.  Francesco  Lancellotti,  il  commendatore  Teo- 
doro Monticelli,  il  Barone  Giuseppe  Niccola  Durini,  Mat- 
teo de  Augustinis ,  Francesco  Fergola  pagarono  il  tributo 
alla  natura.  Ma  tra  essi  i  due  ultimi  furono  da  troppo 
immatura  morte  colpiti  j  e  segnatamente  il  Fergola  ,  il 
quale  mentre  era  inteso  a'  suoi  grandi  lavori  di  triango- 
lazione ,  sulle  cime  delle  montagne  affrontando  disagi  e 
pericoli  ,  che  il  solo  amor  della  scienza  persuade  ad  af- 
frontare, come  un  generale  in  campo  di  battaglia,  cadde 
spento  da  una  folgore. 

Io  non  mi  dilungherò  a  parlarvi  della  vita  e  delle 
opere  di  questi  nostri  colleghi  5  già  molti  tra  voi  compi- 


Jniio  iS4^.  XI 

10110  verso  di  loro  questo  dovere  :  e  debbo  citare  uua 
scrittura  del  sig.  Amante,  nella  quale  lodando  il  Pergola 
fé  conoscere  tutti  i  grandi  lavori  geodetici  da  lui  eseguiti. 
Questa  notizia  formerà  parte  de'  nostri  atti. 

Il  numero  de'  nostri  soci;  onorarii,  corrispondenti,  o 
non-residenti  si  arricchì  non  poco  in  questo  anno  ;  ma 
mi  permellerele,  o  Signori,  che  io  faccia  particolare  men- 
zione di  S.  M.  il  Re  di  Svezia  e  Norvegia  Oscar  I,  il 
quale  degnossi  di  accogliere  1'  omaggio  dell'  Accademia  \ 
che  Ira'  socii  onorarii  lo  annoverava  come  un  illustre  per- 
sonaggio ,  che  accoppia  alla  gloria  dello  scettro  anche 
quella  non  meno  grande   della  scienza. 

La  biblioteca  nostra  si  accrebbe  nel  i845  pe'  doni 
de'  signori  Matteo  de  Augustiuis  ,  conte  Adriano  Balbi  , 
dottor  Barsotti ,  cav.  Ludovico  Bianchini  ,  Stefano  Bona- 
cossa  ,  Giuseppe  Bresciani  di  Borsa,  Oreste  Brizi ,  Fede- 
rico Bursotti,  cav.  arcidiacono  Luca  de  Samuele  Cagoaz- 
zi,  Pietro  Camardella,  Giuseppe  Campagna,  conte  Gino 
Capponi  ,  Giovanni  Casarelto ,  Vincenzo  de  Castro ,  cav. 
Francesco  Ceva-Grimaldi,  canonico  Taddeo  de  Consoni, 
Niccola  Corcia,  Achille  Costa,  Oronzio  Gabriele  Costa, 
Andrea  Cozzi ,  Carlo  Crolli ,  Giovanni  Galbo-Palernò  , 
Giulio  Genoino,  Francesco  Ghibellini,  conte  Graberg  de 
Hemso ,  marchese  Angelo  Granito,  abate  Raimondo  Gua- 
rini  ,  p.  Alberto  Guglielmotti  ,  csv.  Giovanni  Gussone  , 
bar,  d'Hombres  Firmas,  Giuseppe  Ignone,  cav.  Bernar- 
do KÒhne  ,  Pasquale  Laureana  ,  Vincenzo  Loraonaco  , 
ab.  Giacinto  Longoni  ,  Giovanni  de  Luca  ,  cav.  Fran- 
cesco Lusi  ,  Gustavo  Mancini  ,  cav.  Pasquale  Stanislao 
Mancini ,  Cesare  Marini  ,    conte  Gennaro  MaruUi  ,  conte 


xn  Anno  ^84-0. 

Trojano  Mnrulli  ,  Antonio  de' baroni  Mazzlotti  ,  Gabriele 
Minervini  ,  Giulio  Minervini,  Giuseppe  Moretti,  monsig. 
Navazio  ,  Carlo  Kovellis  ,  Gaetano  Osculatis  ,  Giacomo 
Paci,  Domenico  Pagliara,  Pier  Alessandro  Paravia,  Tom^ 
maso  Perifano ,  Gaetano  Picardi  ,  Gabrio  Piola  ,  Dome- 
nico Ragona-Scinà  ,  conte  Annibale  Ranuzzi  ,  Francesco 
Regli ,  cav.  Salvatore  de  Renzi  ,  Timoteo  Riboli  ,  cav. 
Angelo  M.  Ricci,  Biagianlonio  Roberti,  raarcliese  Carlan- 
Ionio  de  Rosa,  dott.  Rosnali ,  Vincenzo  Antonio  Rossi, 
Giuseppe  Saleri,  conte  Faustino  Sanseverino ,  Savino  Sa- 
vini,  Teodoro  Serrao,  cav.  Michele  Tenore ,  sig.  Toelken, 
Andrea  Tipaldi  ,  cav.  Benedetto  Trompeo  ,  Giovenale 
Vegezzi-Ruscalla,  Giuseppe  de  Vincenzi,  Rernardino  Zam- 
bra,   ed  Achille  de  Zigno. 

Noterò  particolarmente  il  dono  di  varii  opuscoli  te^ 
deschi  fallo  alla  nostra  Accademia  dall'illustre  nostro  so- 
cio sig.  consigliere  Mittermayer,  Queste  produzioni  relar 
live  a  varii  rami  di  scienza  ,  e  venuti  fuori  in  varii  siti 
della  Germania,  appartengono  a'  Signori  Bischoff,  Haenel, 
Rùchenmeister,  Legler,  Mòbius,  Philippi,  e  Schwarlze; 

Passando  all'anno  1846,  rammento  tra'  lavori  della 
classe  matematica  la  memoria  del  sig.  Fedele  Amante , 
nella  quale  si  propone  una  nuova  maniera  di  calcolare 
gli  archi  di  meridiano  fra  Montjouis  e  Formentera. 
Ben  quattro  suoi  lavori  comunicò  all'Accademia  il  nostro 
socio  sig.  Vincenzo  Antonio  Rossi.  Il  primo  è  una  me- 
moria analitica  sulle  superficie  anulari  di  terza  classe 
in  generale.  Il  secondo  è  una  nota  sulle  inviluppate 
rigate  delle  anulari  di  prima  e  seconda  classe.  Il 
tei-23    è  una  memoria  analitica  stilla  superficie  ,    se- 


rondo  la  quale  potrehbonsi  conformare  le  parli  infe- 
riori de"  moli  sporgenti  in  mare.  Col  quarto  lavoro  fi- 
nalmente il  sig.  Rossi  comunica  all'  Accademia  i  princi- 
pali risultamenti  da  lui  ottenuti  in  una  nota  sulle 
variazioni  di  accrescimento  di  altezza  delle  acque  di 
un  lago  diviso  in  due  ,  e  delle  rispettive  variazioni 
di  capacità.  Ricordo  pure  una  nota  del  sig.  Fortunato 
Padula  contenente  alcune  ricerche  idrauliche. 

Nella  classe  delle  scienze  naturali  varie  memorie  fu- 
rono fornite  dal  sig.  Oronzio  Gabriele  Costa  Presidente 
dell'Accademia  in  quell'  anno.  Tali  sono  quella  relativa  ad 
un  nuovo  pesce  della  famiglia  de'  Gadini  y  al  quale  il 
sig.  Costa  dà  il  nome  di  Merlucius  TJraleptus  :  la  nota 
intorno  a  due  particolarità  da  lui  per  la  prima  volta  os- 
servate circa  la  conformazione  degli  occhi  dell'  Urano- 
scopo ,  volgarmente  detto  pesce  lucerna  :  la  terza  me- 
moria concerne  ad  un  novello  genere  di  entomostraci  del- 
l' ordine  degli  Ostracodi  o  Ciproidi ,  a  cui  si  dà  la  de- 
nominazione di  Nauplius  hirsutus, 

Il  cav.  Pasquale  Panvini  riferì  all'Accademia  intorno 
ad  un  caso  di  malattia  periodica,  che  un  individuo  por- 
tava dalla  nascita  (una  specie  d'  ittiosi") ,  con  disquama- 
zione  della  pelle  nell'Autunno,  e  riproduzione  della  cu- 
ticola verso  la  Primavera.  Lo  stesso  cav.  Panvini  lesse 
un  breve  cenno  sul  metodo  di  litotripsia  coli'  apparato 
elettro -chimico  ,  praticato  dal  sig.  Cervelleri  :  il  qual 
cenno  fu  causa  di  un  rapporto  dell'Accademia  al  Ministro 
degli  affari  interni,  perchè  si  facesse  lo  sperimento  di  quel 
metodo  ne'  pubblici  ospedali. 

Alla  classe  delle  scienze  naturali  appartiene  un  lavoro 


XIV  ydiino  iS46. 

entomologico  del  sig.  Achille  Costa,  contenente  la  rivista 
delle  specie  napolitane  del  genere  Merocoris.  Mi  piace 
anche  iu  questo  luogo  di  ricordare  una  memoria  relativa 
alla  storia  della  scienza  medica  ,  colla  quale  il  cav.  Sal- 
vatore de  Renzi  cercò  di  provare,  che  il  libro  de  vetere 
Medicina ,  il  quale  va  tra  le  opere  d' Ippocrale ,  sia  da 
attribuirsi  ad  Alcmeone  di  Crotone. 

L'antichità  e  la  Storia  furono  l'argomento  di  due 
memorie  del  sig.  Marchese  di  Villarosa  ;  una  sulle  coorti 
equitate  de'  Romani,  l'altra  intorno  a'U  morte  di  Fede- 
rico Secondo  lo  Svevo. 

Per  ciò  che  spetta  alle  belle  lettere,  il  nostro  socio 
non  residente  sig.  Tonamaso  Perifano  lesse  un  suo  discor- 
so ,  nel  quale  dassi  una  nuova  spiegazione  del  veltro  e 
della  lupa ,  di  cui  si  ragiona  nella  Divina  Commedia  del- 
l'Alighieri. Questa  spiegazione  .provocò  da  parte  del  sig. 
cav.  Giuseppe  di  Cesare  alcune  novelle  osservazioni  sullo 
stesso  soggetto. 

Non  tacquero  né  pure  in  quest'  anno  i  sacri  cultori 
delle  Muse.  Il  sig.  Giuseppe  Campagna  proimuziò  nel  seno 
dell'Accademia  tre  sue  canzoni:  la  prima  intitolata  alVe- 
sule  j  la  seconda  la  forza  del  pensiero  j  la  terza  la 
guerra  £  Africa.  Il  sig.  Domenico  Anzelmi  lesse  un  suo 
poemetto ,  che  porta  per  epigrafe  V  antropofago  de  Pi- 
renei. Il  sig.  Quintino  Guanciali  dettò  un  carme  latino 
nella  circostanza  della  sua  ammissione  tra'  socii  residenti, 
facendo  nel  tempo  stesso  le  lodi  del  defunto  ab.  Ferrara, 
di  cui  aveà  preso  il  posto. 

Lo  stesso  officio  resero  con  particolari  elogi  a  Matteo 
de  Augustinis ,    ed   al  barone  Durini  ,    i  socii  Vincenzio 


Anno  t846.  xv 

Moreno,  e  Vito  Mastrangelo,  che  loro  successero  nell'Ac- 
cademia. 

Alcuni  altri  lavori  ci  furono  comunicati  in  quest'aa- 
no ,  che  non  appartengono  a  nostri  socii.  Il  sig.  baroncino 
Alessandro  Petti  lesse  un  discorso  sul  progetto  di  un'  o- 
pera  intitolata  dizionario  di  morale  e  politica  :  ed  i 
sigg.  Genoino  e  Guanciali  presentarono  un  lavoro  ma- 
noscritto del  sig.  conte  di  Tanejef  sullo  stato  presente 
della  legislazione  e  degli  studii  di  giurisprudenza 
in  Bussia. 

Fu  nel  1846  pubblicato  il  1  fase,  del  voi.  V  de' no- 
stri atti  contenente  la  memoria  del  sig.  Salvatore  Fusco 
intorno  ad  alcune  monete  di  Amalfi,  e  l'altra  del  sig. 
Giuseppe  Fusco  intorno  ad  alcune  monete  aragonesi ^ 
ed  a  varie  città  che  tennero  zecca  in  quella  stagione. 

Come  di  sopra  annunziammo,  si  rivolse  di  nuovo 
l'attenzione  dell'Accademia  sulla  proposizione  del  sig.  A- 
mante  di  un  dizionario  tecnologico  italiano.  Altri  membri 
si  aggiunsero  alla  commissione  nominata  nell'anno  prece- 
dente ,  che  si  compose  perciò  de'  signori  cav.  Cagnazzi , 
cav.  de  Lu^ca  ,  Amante,  Padula  ,  cav.  Tenore,  cav.  de 
Renzi,  Semmola,  cav.  Gussone,  Borrelli  ,  cav»  Mancini, 
Palmieri ,  Bursolti  ,  cav.  de  Cesare  ,  Gervasio  ,  Corcia  j 
Fusco  Giuseppe,  Genoino,  d' Elena,  Campagna,  e  Guan- 
ciali. La  commissione,  riunita  per  la  compilazione  di  un 
programma  di  quel  vocabolario  ,  fu  di  parere  che  se  ne 
presentasse  un  progetta  all' Vili  congresso  in  Genova,  la 
seguito  del  rapporto  della  commissione,  l'Accademia  nel- 
r  approvare  quanto  si  era  da  essa  stabilito,  commise  al 
socio  Pasquale  Borrelli   di    scrivere   quel   programma  ;    e 


XVI  j4nno  i846. 

questo  chiarissimo  nostro  collega  accellando  l' onorevole 
iocarico  lesse  prima  in  Accademia  il  suo  lavoro  ,  e  po- 
scia lo  consegnò  al  Segretario  della  commissione  sig.  cav. 
Mancini. 

Avendo  poi  l'Accademia  scelto  a  rappresentarla  come 
deputali  presso  1'  ottavo  coog-resso  i  sig.  cav.  de  Renzi  , 
cav.  Mancini,  ed  Achille  Costa,  afEdò  loro  la  cnra  della 
stampa  di  quel  lavoro,  che  venne  eseguita  in  Genova, 
essendosi  ivi  distribuita  in  un  grandissimo  numero  di  e- 
semplari.  E  mi  è  grato,  o  Signori,  di  ricordare,  che  fu 
quel  progetto  dell'Accademia  accolto  con  grandi  applausi 
dalla  sezione  di  agronomia  e  tecnologia  del  congresso , 
la  quale  diede  al  cav.  Mancini  l' incarico  di  parteciparlo 
a  tutte  le  phV  riputate  Accademie  d' Italia. 

La  classe  delle  scienze  naturali  propose  nell'anno 
1846  il  programma  per  lo  concorso  al  premio  di  duc.So 
da  accordarsi  a  chi  presentasse  la  più  soddisfacente  rispo- 
sta al  seguente  quesito  =  Descrivere  la  topografia  me- 
dica ,  la  meteorologia  ,  le  m,alatlie  predom^inanti  ,  i 
rimedii  naturali ,  la  statistica  e  la  storia  delle  epi- 
demie di  una  delle  Provincie  del  regno  delle  due 
Sicilie. 

Di  due  comunicazioni  fatte  all'  Accademia  mi  con- 
viene tener  discorso  ,  perchè  dirette  a  garentire  la  prece- 
denza ia  alcune  ricerche.  Il  cav.  de  Cesare  presentò  un 
suo  manoscritto ,  che  porta  il  titolo  Glorie  italiane  del 
XII  secolo  ,  ossia  la  Lega  Lombarda.  L'  opera  è  divisa 
in  7  libri,  che  si  contengono  in  17  quaderni  con  note. 
Porta  in  fronte  la  seguente  epigrafe  :  Neque  enim  post 
Italiam    diris    exterorum    oppressionibxis    affiictatam 


j4nno  tS4'>-  x\ii 

tempus  ullam  exsl'dit  ,  quo  Itaìi  veterem  romanac 
virtutìs  et  constantiae  indolem  haud  prorsus  in  ani- 
mis  exolevisse  suis  apertius  declararint.  Sigon.  Jiist. 
de  regno  Italiae  lib.  XIV  pag.  33o.  Si  è  potuto  rilevar 
dall'  esame  maleriale  ed  esterno  di  quello  scritto  ,  che  il 
cav.  de  Cesare  avea  quasi  condotta  al  suo  termine  l'opera 
di  sopra  annunziata  j  quantunque  non  possa  l'Accademia 
gareulire  tutte  le  particolarità  in  esso  contenute ,  giacché 
r  a.  lo  ritenne  in  suo  potere  ,  né  lo  depositò  nel  nostro 
archivio. 

L' altra  comunicazione  ebbe  luogo  nella  tornala  de' 
26  Luglio.  Il  cav.  Pasquale  Panvini  depositò  un  plico 
suggellato ,  sul  quale  si  legge  «  Descrizione  e  disegno 
di  una  macchina  idraulica  ideata  da  Francesco  An- 
tonio Giacomarra,  per  fare  agire  mulini,  gualchiere, 
cartiere,  e  far  muovere  legni  in  mare  con  movimento 
da  sé  f  depositata  nelV  Accademia  Pontaniana  dal 
cav.  Pasquale  Panvini  a'  a6  Luglio  1846  ». 

Per  quel  che  concerne  la  relazione  con  altre  società 
scientifiche  ,  ricorderò  che  furono  a  noi  partecipali  i  pro- 
grammi di  concorso  dalla  società  medico -chirurgica  di 
Torino,  e  dall'Ateneo  di  Brescia.  Né  ometterò  di  ram- 
mentare che  l'Accademia  fisico-medica-statistica  di  Milano 
e'  inviò  alcuni  fogli  del  suo  diario  ed  atti  j  l' istituto  lom- 
bardo il  secondo  volume  delle  memorie^  ed  il  quinto  del 
giornale  j  e  che  alcune  pubblicazioni  ci  pervennero  dal- 
l'Istituto  Storico  di  Francia.  La  società  agraria  di  Bolo- 
gna inviò  alcuni  volumi  delle  sue  memorie,  e  fu  deciso 
mettersi  con  essa  in  corrispondenza,  mandando  uo  esem- 
plare de'  nostri  atti. 

e 


xviii  Anno  184.G- 

Gravi  perdite  d' illustri  socir  sofferse  pur  l'Accademia 
nel  1846.  L'abate  Giuseppe  Ferrara,  il  cav.  Antonio  Na- 
nola  ,  Stefano  Cusani  ,  ed  il  barone  Pasquale  Galluppì 
altro  non  sono  per  noi  che  una  onorata  memoria.  Ma  la 
la  fama  del  Galluppi,  e  le  sue  opere  saranno  eterno  mo- 
Buraenlo  di  gloria  per  la  filosofia  italiana. 

I  libri  della  nostra  Accademia  (oltre  alcuni  novelli 
acquisti)  furono  aumentati  per  le  opere  de'  signori  Carlo 
d'Andrea,  Adriano  Balbi,  p.  Pietro  Bandini ,  Pietro  Bia- 
giiii ,  cav.  Niccolantouio  Bianco  ,  G,  Luciano  Bonaparte 
principe  di  Canino,  Toramasa  Bonparola  ,  prof.  Botto, 
Oreste  Brizì,  Federico  Bursotti ,  cav.  Prospero  Cabasse  , 
Giusep]»e  Cadolini,  Giuseppe  Campagna  ,  cav.  Vito  Ca- 
pialbi,  Rosario  Caruso,  Federico  Cassitto,  Giuseppe  Cat- 
taneo ,  cav.  Giuseppe  di  Cesare  ,  Michele  Cito  principe 
della  Rocca,  Niccola  Corcia,  Achille  Costa,  Oronzio  Ga- 
briele Costa,  Achille  Desiderio,  A.  Fabbroni,  dott.  Freire 
Allemào,  Giovan  Vincenzo  Fusco,  Giuseppe  M.  Fusco, 
Ambrogio  Fusinieri ,  Giov.  Galbo-Paternò ,  arciprete  Mi- 
chele Carrubba  ,  Giulio  Genoino ,  Agostino  Gervasio  , 
Giuseppe  Germier  de  Veze  ,  Silvestro  Gherardi  ,  Luigi 
Grimaldi  ,  Quintino  Guanciali ,  ab.  Raimondo  Guarini  , 
sig.  Guilloiy  Ainé,  barone  d'Hombres  Firmas ,  France- 
sco Lattari ,  cav.  Ferdinando  de  Luca ,  Giov.  Alessandro 
Majocchi ,  cav.  P.  S»  Mancini  ,  conte  Gennaro  Marnili  , 
Tommaso  Mazza  ,  Giulio  Minervini  ,  Giuseppe  Minzi , 
Vincenzio  Moreno,  Ferdinando  de  Nanzio,  Tito  Omboni, 
ab.  Pasca ,  Giuliano  Passalacqua,  Errico  Pessina,  Alessan- 
dro Petti,  Domenico  Ragona-Scinà  ,  cav.  Salvatore  de 
Rena  j  marchese  de  Ribas,    Michele.  Ridolfi  ,    Vincenzo 


de  Rilis,  Emraanuele  Rocco,  Baldassarre  Romano,  Car- 
laatonio  <le  Rosa  marchese  di  Villarosa ,  Vitaliano  Saba- 
tini ,  Terenzio  Sacchi ,  Giovanni  Sannicola  ,  Savino  Sa- 
vini ,  prof.  Selmi ,  Onofrio  Simonelti ,  Brunone  Sofrè  , 
cav.  Antonio  Spinelli,  march.  Cesare  Trevisani,  Andrea 
Tipaldi  ,  Giuseppe  de  Vincenzi  ,  Federico  Wieseler  , 
Giuseppe  Zigarelli ,  e  Giuseppe  Zurria. 

Nell'anno  1847  ^^  ^°'°  lavoro  fu  presentalo  nella 
classe  delle  scienze  matematiche  dal  sig.  Vincenzo  Rossi. 
Lesse  egli  una  nota  sulla  insiiffìcienza  delle  sole  equazioni 
algebriche  ordinarie  per  la  rappresentazione  delle  superfi- 
cie, tali  ijuali  sono  geometricamente  generate,  e  sulla  ne- 
cessità di  tenere  in  simultanea  considerazione  le  funzioni 
generatrici  di  esse  equazioni. 

In  quanto  alle  scienze  naturali ,  il  sig.  Oronzio  Ga- 
briele Costa  diede  in  una  sua  memoria  la  descrizione  di 
due  novelle  specie  di  Balanidi,  spettanti  a'  generi  Aca- 
sta e  Balanino ,  cui  fé  seguire  alcune  considerazioni  ana- 
liliche  sopra  le  medesime,  e  sulla  natura  vegetale  delle 
GoT'gonìe  ,  alle  quali  esse  son  parassite. 

Il  cav.  Pasquale  Panvini  lesse  un  cenno  intorno  al 
metodo  di  litotripsia  coli' apparecchio  del  Cervelleri. 

E  qui  mi  piace  ricordare  che  lo  slesso  professor  Cer- 
velleri presentò  all'Accademia  alcuni  sperimenti  elettro- 
chimici, con  la  pila  voltaica  di  special  costruzione,  diretti 
alla  soluzione  di  pietre  estratte  dalla  vescica. 

Rammenterò  pure  la  comunicazione  venutaci  dal  Mi- 
nistero degli  aflfari  Interni,  colla  quab  ci  si  fé  conoscere 
essersi  disposto  che  si  sperimentasse  l' applicazione  di  quel 
metodo  negli  ospedali  dipendenti  dal  real  albergo  de 
Poveri. 


XX  Jnno  tS4j- 

L' Accademia  non  rimase  però  conlenta  ,  e  deside- 
rando che  aver  potesse  novello  appoggio  di  fatti  una  sco- 
perta, la  quale  sarebbe  di  tanto  vantaggio  per  la  languente 
umanità)  fece  di  nuovo  istanze  al  Ministro  degli  affari  In- 
terni, perchè  l'apparecchio  del  Cervelleri  venisse  benanche 
applicato  nel  maggiore  ospedale  degli  Incurabili. 

Tornando  a'  lavori  dell'Accadenala,  rammento  la  me- 
moria del  nostro  socio  onorario  tenente  colonnello  cav. 
d'Agostino,  contenente  la  illustrazione  di  alcune  opi- 
nioni in /alio  di  geologia^  e  nella  quale  particolarmente 
si  ragiona  della  esistenza  de'  terreni  carboniferi  antichi,  e 
del  vero  carbone  in  Italia. 

Per  quel  che  concerne  le  scienze  moraU  ed  economi- 
che, il  sig.  cav.  Luigi  Blanch  lesse  un  suo  filosofico  ra- 
gionamento- intorno  all'ambizione.  Il  sig.  Giuseppe  Fer- 
rigni presentò  un  suo  discorso  intorno  agli  scrittori  ita- 
liani di  politica  t  in  questo  discorso  ,  che  forma  parte 
di  un  più  esteso  lavoro ,  favellò  unicamente  di  quegli 
scrittori,  che  trattarono  la  politica  sotto  forma  di  coment! 
agli  antichi  storici  greci  e  romani.  Al  socio  corrispondente 
sig.  Barone  d'Ondes  Reggio  è  dovuta  una  memoria  sulle 
leggi  da'  cereali  nel  regno  unito  della  Gran  Bretta- 
gna^ e  sulla  loro  abolizione. 

Il  sig.  Giovanni  Bursotti  pronunziò  un  discorso  con- 
cernente a'  trattati  di  commercio  ,  ed  a'  mutamenti  nelle 
tariffe  doganali  seguiti  ultimamente  nel  regno  delle  due 
Sicilie. 

Due  lavori  di  storico  argomento  furono  comunicali 
all'Accademia,  l'uno  dal  sig.  Michele  Baldacchini  conle- 
uente  una  storica  narrazione  relativa  a  Lotrecco ,    ed  al- 


^nno  184-7'  itf 

r assetilo  (li  Napoli  nell'anno  iSaSj  l'altro  del  socio  non 
residente  sig.  Luigi  Maria  Greco  Segretario  perpetuo  del- 
Taccademia  Cosentina  ,  intorno  a'  privilegi  di  Cosenza  e 
Casali ,  di  cui  egli  annunziò  la  prossima  pubblicazione. 

Se  furono  alquanto  scarsi  gli  scientifici  lavori  dell'Ac- 
cademia  in  quest'anno,  lutt' altro  dee  dirsi  delle  poetiche 
composizioni ,  le  quali  vennero  frequentemente  ad  inter- 
rompere ed  addolcire  le  più  gravi  occupazioni.  Né  è  da 
farne  le  maraviglie,  o  Signori  j  perciocché  avemmo  a  Pre- 
sidente uno  de'  più  chiari  e  valorosi  poeti  napoletani  Giu- 
seppe Campagna.  Egli  colla  sua  presenza  risvegliava  l'estro 
de'  suoi  canori  colleghi,  e  coli' esempio  gì' invitava  a  toccar 
le  corde  dell'Apollinea  cetra. 

Molti  lavori  in  fatti  si  debbono  al  sig.  Campagna. 
Tali  sono  un  poetico  componimento  che  ha  per  oggetto 
dimostrare  essere  V  Evangelio  uno  de*  più  grandi  fonti  , 
da  cui  debba  ispirarsi  la  moderna  poesia  j  una  canzone 
al  sommo  Pontefice  Pio  IX  j  una  canzonetta  intitolata  la 
carità  j  ed  una  canzone  al  cuore  di  O'  Connel  traspor- 
tato a  Roma.  Il  sig.  Giulio  Genoino  pronunziò  due  So- 
netti sul  gruppo  in  marmo  della  Pietà ,  opera  del  cav. 
Gennaro  Cali.  Tre  sonetti  furono  presentati  dal  cav.  Fran- 
cesco Ruffa.,  de'  quali  il  primo  ebbe  per  argomento  la 
Duchessa  di  Praslin ,  il  secondo  le  conquiste  degli 
antichi  Romani ,  e  1'  ultimo  la  Grazia  Divina.  Il  sig. 
Lorenzo  Morgigni  lesse  pure  un  Sonetto  sul  quadro  del- 
l' artista  sig.  de  Napoli  ,  rappresentante  S.  Francesco  di 
Paola  :  ed  il  sig.  Quintino  Guanciali  un  carme  latino  in- 
dirizzato a'  membri  della  società  Anemanniana. 

Né  tacque  il  bardo  di  Novara  sig.  Giuseppe  Regaldi^ 
il  quale  lesse  un  capitolo  sulla  città  di  Amalfi» 


xxii  Jnno  t847' 

•'•  La  morie  dell' illiislre  Galluppi  fu  lirapianla  da  molti 
<le'  nostri  colieghi,  i  quali  trassero  dalla  lira  funebri  suoni. 
Due  sonetti  del  cav.  Francesco  Ruffa,  un  capitolo  del  sig. 
Giuseppe  Campese ,  un'  ode  alcaica  latina  del  sig.  Quin- 
tino Guanciali,  di  cui  il  Regaldi  presentò  una  libera  ver- 
sione poetica  ,  furono  la  espressione  del  dolore  per  la 
perdita  dell'  illustre  defunto  ,  e  dell'  ammirazione  per  le 
sue  opere. 

Altri  socii  residenti  mancati  a'  vivi  nell'anno  1847 
riscossero  poetici  onori.  Ottavio  Colecchi  dotto  filosofo  e 
ir.atematico  fu  encomiato  con  un  Sonetto  dal  sig.  Giu- 
seppe Campagna.  Ma  era  poi  conveniente  che  dagli  anti- 
chi colleghi  ed  amici  si  avesse  lodi  ed  elogii  il  Marchese 
di  Villarosa  Carlanlonio  de  Rosa  ,  uomo  che  occupò  la 
sua  vita  a  far  le  lodi  degli  altri.  Le  sue  opere  letterarie, 
e  le  sue  eminenti  virtù  furono  celebrate  con  particolare 
elogio  dai  cav.  Avellino  Segretario  Perpetuo  ^  con  un  la- 
tino epigramma  e  con  una  latina  iscrizione  dal  sig.  ab. 
Guarini  j  con  alcune  sestine  dal  sig.  Genoino  5  dal  cav. 
Carfora  con  una  latina  elegia  j  con  altrettanti  Sonetti  dal 
sig.  Giuseppe  d' Elena,  dal  sig.  Conte  Marnili,  e  dal 
sig.  Giuseppe  Campagna  j  finalmente  dal  sig.  Barone  d' E- 
|)iro  con  un'ode  italiana.  Fu  anche  permesso  al  sig.  ab. 
Milone  ,  quantunque  non  fosse  nostro  socio  ,  di  leggere 
una  sua  poesia  per  la  morte  del  Marchese  di  Villarosa  , 
della  quale  per  tal  motivo  io  parlo  in  questo  luogo. 

Un  altro  elogio  fu  pur  letto  in  Accademia  dal  sig. 
Michele  Baldacchini  j  vo  dire  quello  del  nostro  socio  ono- 
rario marchese  Basilio  Puoti ,  il  quale  alla  fama  di  colto 
e  forbito  scrittore  ,  accoppiava  la  gloria  di  avere  grande- 


Anno  t847'  xxm 

niente  propagalo  nel  nostro  paese  lo  studio  della  lìngua 
italiana.  ■- 

Due  lavori  non  appartenenti  a  socii  di  alcuna  classe 
furono  presentati  all'Accademia.  Il  sig.  Amante  comunicò 
una  memoria  del  sig.  Filippo  Schiavone,  relativa  al  modo 
di  determinare  la  definizione  del  filo  a  piombo  in 
una  data  stazione.  Fu  richiesto  e  si  ottenne  su  di  essa 
un  rapporto  de'  Signori  cav.  Ferdinando  de  Luca,  e  Vin- 
cenzo Antonio  Rossi.  h,^  \'' 

Il  sig.  Francesco  del  Giudice  lesse  un  suo  ragion 
nato  discorso  sulla  statistica  medica ,  e  suo  ordina- 
mento nel  regno  di  JSapoli.  .y.s, 

Non  deggio  poi  tralasciare  di  rammentare  che  il  sig. 
Riccardo  Cobden,  uomo  di  conoscinta  rinomanza,  quando 
fu  di  passaggio  in  Napoli  volle  intervenire  in  una  delle 
nostre  ordinarie  tornate  ;  e  con  un  discorso  in  idioma 
fraacese  sviluppò  brevemente  le  ragioni ,  per  le  quali  si 
sostiene  la  teoria  del  libero  commercio.  Questo  discorso 
pronunzialo  in  quel  medesimo  giorno,  in  cui  il  sig.  Bur- 
solti  ragionò  degli  ultimi  trattati  di  commercio  ,  e  della 
variazione  nelle  tariffe  doganali,  fu  particolarmente  messo 
a  stampa  insieme  col  lavoro  del  Bursotti ,  e  ne.  furono 
distribuiti  gli  esemplari  fra'  socii. 

Le  stampe  dell'  Accademia  progredirono  ancora  in 
quesi'  anno  essendosi  pubblicato  il  11.°  fascicolo  del  vo- 
lume V  degli  atti,  che  contiene  la  memoria  del  sig.  Vin- 
cenzo Antonio  Rossi  intorno  ad  una  superficie  anulare, 
secondo  la  quale  potrebbonsi  conformare  le  estremità  de' 
moli  sporgenti  in  mare  5  con  nove  tavole  incise  in  rame. 

Un'altra  pubblicazione  ebbe  luogo  .nell'anno ,184.7. 


È  a  sapere  che  l'antica  socielà  Pontaniana  avea  messo 
a  stampa    quattro  volumi   di  alti.    Di  questi   soltanto  tre 
erano  stali  pubblicati  5    il  quarto  ,    di  cui   conoscevasi  la 
esistenza,  benché  impresso  sin  dal  1838,  credevasi  smar-. 
rito  nelle  varie  vicende  subite  dalla  nostra  Accademia. 

Il  sig.  Giulio  Minervini  allora  segretario  aggiunto  rivol- 
gendo la  sua  attenzione  a  tutte  le  carte  e  le  stampe  serbate 
nell'archivio  dell'Accademia,  si  avvide  che  quel  volume 
quarto  di  cui  andavasi  in  traccia  era  in  separati  fogli  stam- 
pato ,  per  modo  che  potea  senza  indugio  darsi  alla  luce. 
Mancavano  alcuni  fogli,  mancava  l' indice,  e  la  tavola  che 
andar  dovea  annessa  al  volume.  Il  Segretario  Aggiunto 
fu  sollecito  ad  avvertir  l'Accademia  della  felice  scoverlaj 
ed  afifrettossi  la  stampa  delle  parti  mancanti,  che  fu  pre- 
stamente eseguita. 

Piacque  al  nostro  Augusto  Sovrano  accettar  la  dedica 
di  questo  volume  quarto  degli  atti  della  società  Ponta- 
niana, che  contiene  le  seguenti  memorie  : 

1 .  Notizia  de'  lavori  della  società  Pontaniana  per  gli 
anni  i8i8,  1819  e  1820;  del  Segretario  Perpetuo  cav. 
Francesco  M.  Avellino. 

2.  Ricerche  sul  sistema  melodrammatico  j  di  Pietro 
Napoli  Signorelli. 

3.  Illustrazione  dell'  antica  campagna  Taurasina  ,  e 
di  alcune  nozioni  agrarie  j  dell' ab.  Raimondo  Guarini. 

4>  Continuazione  delle  osservazioni  sulle  cose  ecla- 
resi  j  dello  stesso. 

5.  Sulla  normale  comune  a  due  curve  coniche  esi- 
stenti iu  UQ  medesimo  piano  \  memoria  analitica  di  Fran- 
cesco Paolo  TuQci. 


Jnno  t84j'  XXV 

Il  nostro  invilo  alle  società  scieolifiche  e  letterarie 
d'  Italia  ,  per  la  compilazione  di  un  vocabolario  tecnico 
comune  a  tutta  la  penisola,  cominciò  in  questo  anno  a 
fruttificare.  In  fatti  ci  fu  comunicato  da  parte  dell'  Acca- 
demia Fisio- medico -statistica  di  Milano,  essersi  accolto 
con  piacere  V  invilo  di  contribuire  a  quel  lavoro,  ed  es- 
sersi nominata  una  commissione  per  dare  opera  alla  parte 
che  concerne  il  setificio ,  siccome  la  nostra  Accademia 
avea  ritenuta  la  parie  dell'Architettura,  e  della  Musica. 

In  quanto  alle  altre  relazioni  con  corpi  scientifichl , 
ricordo  che  l'Accademia  reale  delle  scienze,  e  l'Accade- 
mia medico -chirurgica  di  Torino  ci  parteciparono  i  pro- 
grammi di  concorso  da  esse  proposti  :  furono  ricevuti  vani 
volumi  degli  atti  dell'Accademia  Cosentina,  alla  quale 
furono  inviati  i  nostri  :  ricevemmo  altresì  alcuni  novelli 
fascicoli  delle  memorie  della  società  agraria  di  Bologna  , 
e  dell'  investigateur  dell'  Istituto  Storico  di  Francia.  Fi- 
ualmenle  fu  da  noi  accettato  il  cambio  degli  atti  coll'Ac- 
cademia  Reale  delle  scienze  di  Stockholm,  e  colla  Società 
Reale  delle  scienze  di  Upsal. 

Furono  offerti  in  dono  le  loro  pubblicazi(jni  da*  si- 
gnori canonico  Francesco  Sav.  Abbrescia,  cav.  Francesco 
d'Agostino,  Fedele  Amante,  bar.  Stefano  Attolini,  Adria- 
no ed  Eugenio  Balbi  ,  Michele  Baldacchini  ,  Giuseppe 
Bandiera  ,  Girolamo  Bianconi  ,  Bartolommeo  Biasoletto , 
Agostino  Casazza,  Filippo  Cassola,  can.  Giuseppe  di  Ce- 
sare ,  Vincenzio  Colosimo  ,  Niccola  Corcia  ,  Eduardo 
Eichwald  ,  Giuseppe  d'  Errico  ,  Carmelo  Faccioli  ,  sig. 
Fenicia,  Luigi  Frali,  Giulio  Genoino,  sig.  Bar.  Gràberg 
de  Hemsb,   Luigi  M.*  Greco,    Maria  Giuseppa  Guacci- 

d 


XXVI  Anno  i847- 

Nobile ,  Raimondo  Guarini ,  cav.  Ferdinando  de  Luca  , 
cav.  Pasquale  Stanislao  Mancini,  conte  Gennaro  Marnili, 
Tommaso  Mazza  ,  Gabriele  Minervinì ,  Giulio  Miaervini , 
Santi  Neri,  Giuseppe  Novi,  Luigi  Palmieri,  Andrea  Pa- 
padopulo  Vretò,  Errico  Pessina,  Bonaventura  Portoghese, 
Flaviano  Poulet ,  Salvatore  Proja  ,  Biagiantonio  Roberti , 
Ignazio  Rozzi  ,  Giovanni  Sannicola  ,  Giovanni  Schirò  , 
F.  Selmi ,  Giacinto  de  Sivo  ,  Giambattista  de  Tornasi , 
sig.  Vallez,  conte  Francesco  Viti,  sig.  Wolowski. 


INDICE 


ni 


Dedica  a  Sua  Maestà. pag. 

Notizia  de  lavori  per  gli  anni  i845,  1846,  e  1847, 
letta  dal  Segretario  perpetuo  Giulio  Minervini.  »       v 

Intorno  alla  vita  ed  agli  scritti  di  Camillo  Por- 
zio napolitano,  ragionamento  di  Agostino  Ger- 
vasìo  .     .     .     .     » ■»       i 

DelV istoria  d^ Italia  di  Camillo  Porzio.      .     .     «     4? 

Di  una  navigazione  mediterranea  in  Capitanata 
tra  Foggia  e  Manfredonia ,  e  della  irrigazione 
di  quelli  terreni,  di  Vincenzo  Antonio  Rossi,  m   1^7 

Tavole  di  monete  del  reame  di  Napoli  e  Sicilia, 
presentate  da  Salvatore  Fusco >j  aii 

Tavola  generale  <£'  interpolazione ,  presentata  da 
Fedele  Amante »  aSi 

Illustrazione  del  fonte  di  Manduria  nel  Salentino 
di  Oronzio  Gabriele  Costa »  "ì^i 


INTORNO 
ALLA  VITA  ED  AGLI  SCRITTI 


DI 


RAGIONAMENTO 
SI    AGOSTINO    GERVASIO 

ietto    ucWe    toniate   Ì5eafi    n    e    »ó    wiatto    /S3« 


Ata  molli  anni  avca  promesso  all'antica  società  pontaniana  rac- 
coglier le  notizie  intorno  alla  vita  ed  agli  scritti  di  Camillo  Porzio 
napoletano  ,  storico  che  tra  gì'  italiani  del  secolo  XVI  ancor  oggi 
ha  fama  di  non  essere  ad  alcun  altro  secondo.  Non  mi  fu  permesso 
coir  alacrità  medesima  ,  con  la  quale  allora  la  feci  ,  adempir  la 
promessa,  sì  per  le  difficoltà  di  comporre  opera  che  fosse  degna  di 
un  illustre  consesso  accademico  ,  essendo  tropiK)  scarse  e  fuggevoli 
le  notizie  che  sparse  qua  e  là  si  leggono  in  varii  scrittori  di  quel 
letterato  nostro  ,  sì  jierchè  dedito  a  studj  più  severi  poco  o  uiun 
pensicre  poteva  io  prendere  di  far  ricerca  di  documenti  e  memorie 
l)er  r  oggetto  indicato.  Ma  pur  olTertamisi  1'  opportunità  di  leggere 
alcuni  documenti  parte  inediti  e  parte  poco  noti  ,  la  cui  mercè  non 
poco  lume  poteva  ricevere  la  narrazione  della  vita  e  degli  scritti 
del  PorLio  ,  mi  tornò  ia  memoria  1'  antica  promessa  e  mi  accinsi  al 

I 


a  GERVASIO 

lavoio.  11  quale  aveiwJo  portato  al  compimenlo  migliore  che  per  me 
si  è  potuto  ,  mi  fo  animo  (li  presentarlo  ora  a  voi ,  accademici  pre- 
stantissimi, nella  fiducia  che  sarete  per  gradirlo  con  quella  umanità 
che  vi  è  propria,  se  non  come  cosa  da  soddisforc  il  purgato  giudi- 
zio vostro  ,  almen  come  una  testimonianza  del  buon  volere  in  con- 
tribuir la  picciola  parte  mia  per  la  gloria  della  patria  letteratura. 

Dividerò  dunque  il  mio  ragionamento  in  due  parti,  delle  quali 
la  prima  conterrà  ciò  che  mi  è  liescito  raccogliere  intorno  alla  vita 
del  Porzio  ;  nella  seconda  poi  darò  ragguaglio  distinto  delle  opere 
di  lui  si  edite  che  inedite. 


Giovanni  Porzio  nobile  Cretese  cacciato  in  bando  dalla  patria 
};er  omicidio  conmiessovi  si  rifuggi  in  Napoli  ,  ove  trapiantò  la  sua 
famiglia  (i).  Da  lui  verso  il  fine  del  secolo  XV  nacque  Simon  Por- 
zio medico  di  professione  ,  che  gran  fama  acquistò  nel  seguente 
secolo  XVI  pel  suo  insigne  valore  nella  peripatetica  filosofia.  Do- 
po di  aver  egli  appreso  le  amene  lettere  in  Napoli,  e  divenuto  pe- 
((  i-itissimo  nel  greco    e  nel  latino  linguaggio  ,    come    lo    mostrano    le 

molte  opere  da  lui  pubblicate  ,  passò  in  Padova  ove  fu  discepolo 
ui  filosofia  del  celebre  Pietro  Pomponaccio.  Ancor  giovane  si  di- 
stinse tanto  Simone  in  questo  studio  che  nel  i520  fu  chiamato  in 
Pisa  a  legger  la  logica  in  quella  rinomata  università  col  soldo  di 
fiorini  25  annui,  Illa  conosciutosi  da'  reggitori  di  essa  il  sommo 
valore  del  giovane  Simone  ,  venne  fermato  ,  scorsi  appena  pochi 
giorni  di  quella  lettura,  a  professor  di  fisica  per  due  anni ,  accre- 
sccndoglisi  lonorarlo  annuo  a  fiorini  ^5.  Ciò  non  ostante,  termmato 
il  tempo  della  lettura  alla  quale  si  era  obbligato,  conlento  della  glo- 
ria e  della  rinomanza  acquistata  ,  Simone  abbandonò  Pisa  e  si  re- 
stituì in  Napoli  sua  patria  nel  i525  (2)  per  godervi  delle  sue  ric- 
chezze (3),  e  contraendovi  matrimonio  perpetuar  la  sua  discendenza. 
In  fatti  dopo  poco  tempo  prese  moglie  dalla  quale  ebbe  sette  figli, 
tre  maschi  e  quattro  femine ,  come  si  rileva  dal  seguente  epigram- 
ma che  a- Simone  indirizzò  il  poeta  Giano  Anisio  (4): 


VIT.V    DI    PORZIO  S- 

Ad  Sinionem  Porlium. 

Quod  maJHs  preliiim  tua  liabebat  Porlia  solvit 

Emiitens ,  Porci ,  pignora  pidchra  libi. 
Mas  TERNVM  absoh'it  nuinerum,  focmella  quaternvm. 

Perfuìicta  officio  laeta  res'isit  nvos. 
Tu ,  quia  tttntopere  gaudebas  coelibe  vita  , 

Perjiuere  incumbens  mentis  ad  excubias. 
Parthenope  mairi  et  famae  fac  omnibus  aris 

Quae  laetas  obeant  cum  Pìutèthonie  yias. 

Non  si  ha  notizia  sicura  de'  nomi  e  delle  particolarilìi  di  que- 
sti suoi  figli;  ù  celio  però  che  uno  di  questi  e  forse  il  maggiore  fiv 
Camillo  ,   del  quale  sto  scrivendo  le  memorie  (5). 

È  qui  pria  d'  ogni  altro  necessario  che  io  avverta  di  non  con- 
fondersi il  nostro  Camillo  Porzio  di  Napoli  con  altro  cognominato' 
Porcio  o  Porcaro  Romano,  come  han  fatto  il  Mandosio  (6),  il  Chioc- 
carello  (7)  ,  e  non  ha  guari  il  sig.  Luigi  Bossi  (8).  Imi'crciocchè 
il  Romano  fu  poeta  ,  e  morì  nel  i52i  (9)  ,  e  '1  nostro  per  istudii 
diversi  rinomato  non  era  ancor  nato  quando  l'altro  mancò  di  vita. 
Nacque  dunque  in  Napoli  Camillo  da  Simone  Porzio  (io),  ne  del- 
l'anno  in  cui  nacque  alcuno  ha  fatto  parola  come  di  cosa  oscurissi- 
raa.  Sembra  però  che  possa  fissarsi  non  prima  del  iSaS  ,  uè  dopo 
del  1537  ,■  poiché  essendo  stato  mandato  dal  padre  a  studiar  leggi 
in  Bologna  nel  i545  ,  come  tra  poco  mostrerò  ,  non  dee  credersi 
cìic  contasse  in  quest'epoca  meno  de'   18  ,  o  più  de'  20  anni. 

Qual  fosse  stata  poi  nella  prima  età  sua  1'  educazione  ,  qual 
profitto  avesse  egli  fatto  ne'  primi  studj  ,  e  quali  fossero  stati  i  suoi 
maestri,  debbo  confessare  di  ignorarlo,  non  essendomi  riuscito  tro- 
varne ragguaglio  alcuno.  Non  temo  però  di  andar  erralo  aflbrmando, 
clic  ottima  educazione  abbia  egli  avuto  ,  che  molto  profitto  abbia 
egli  fcitto  negli  sludii ,  e  che  in  questi  da  valenti  professori  sia 
stato  istruito  ,  considerando  non  solamente  la  somma  virtù  e  dot- 
trina del  padre  ,  ma  ancora  1'  essei'e  stato  il  nostro  Camillo  inteii- 
deutissimo    delle  greche  e  delle  latine  lettere  ,   e   che   iu  quel!'  età 


4  "  G  E  R  V  A  S  I  0 

fiorivano  in  Napoli  uomini  valorosissimi  in  ogni  ramo  di  sapere  , 
da'  quali  e  direzione  ed  esempio  poteva   ricevere. 

Terminati  in  patria  i  primi  studii  ,  e  ijuei  di  filosofia  ,  pensò 
il  di  lui  genitore  di  fargli  apprendere  la  scienza  delle  leggi  ,  che 
in  ogni  tempo  è  stata  presso  di  noi  creduta  la  più  conveniente  per 
Salire  ad  onori  e  ricchezze  ,  ed  affinchè  maggior  profitto  avesse  egli 
fatto,  si  avvisò  Simon  Porzio  di  inviarlo  ad  apprenderla  nella  uni- 
versità di  Bologna  la  quale  ab  antico  molta  rinomanza  aveva  per 
siflatta  scienza.  Quivi  dunque  lo  inviò  nell'  anno  i545  ,  nel  qual 
anno  incominciò  Camillo  lo  studio  delle  divine  ed  «mane  cose  (i  i). 
La  dimora  però  del  Porzio  in  Bologna  fu  di  breve  durata.  Imper- 
ciocché il  gran  duca  di  Firenze  Cosimo  I  avendo  fatto  disegno  di 
restaurar  lo  studio  di  Pisa  ,  risolvè  per  dargli  maggior  lustro  di 
chiamarvi  a  leggere  i  piìi  celebri  e  distinti  professori  che  allora  per 
le  diverse  scienze  avean  fama  in  tutta  Italia. 

Simon  Porzio  come  dissi  ,  fin  dalla  prima  gioventù  sua  aveva 
avuta  rinomanza  in  quella  università,  ixV  era  perciò  noto  il  suo  va- 
lore. Oltre  a  ciò  ritornato  in  patria  era  stato  trasoclto  a  lettore 
di  filosofia  nel  nostro  pubblico  studio  (12)  ,  ed  aveva  dato  in  luce 
varie  opere  che  erano  state  apjilaudite  ,  e  che  gli  avevan  proccu- 
rato  rinomanza  tra' più  insigni  filosofi  delf  età  sua  (io).  Pose  l'oc- 
chio quindi  il  Gran  Duca  su  Simon  Porzio  ,  e  lo  fece  invitare 
per  professore  di  filosofia  ,  offerendogli  lo  specioso  stipendio  di  du- 
cati 85o  e  più  all'  anno  ,  oltra  1'  onorevole  titolo  di  straordinario 
professore  (i4)-  Accettò  Simone  l'invito  non  tanto  per  le  vantag- 
giose condizioni  a  lui  offerte  ,  quanto  perchè  il  suo  dimorar  in  Pisa 
gli  dava  1'  opportunità  di  attendere  più  da  vicino  agli  studj  del  suo 
figliuolo  Camillo.  Si  recò  egli  in  Pisa  verso  il  fine  del  i546  ,  e 
nel  novembre  di  quest'  anno  medesimo  ,  secondo  che  prescrivcvan 
gli  statuti  dell'  università  ,  incominciò  le  sue  lezioni  ,  le  quali  fu- 
rono applaudi tissime  e  desideratissime  da  numerosa  scolaresca  (i5). 
Stando  in  Pisa  Simon  Porzio  stimò  miglior  consiglio  chiamar  vi- 
cino a  sé  Camillo  per  compiere  in  questa  università  il  corso  delle 
leggi  già  incominciato  in  Bologna.  Di  che  fa  fede  il  Fabbrucci  (16), 
la  cui  parole  non  sarà    fuor   di  proposilo  trascrivere  :    F'ixit    (  ciioè 


VITA    DI    PORZIO  5 

Simone  )  ciutem  apud  nos  ,  et  quousque  ejus  Jìllus  Cumillas  no- 
ìììirie  ,  fjid  sliulin  juiisprudeiiliae  Bononiae  inchonveral  ,  per  sta- 
tutarinm  tc/iipiis  lite  (  in  Pisa  )  explerct  :  quo  cursu  peracto  et 
anno  i552  promotore  Jo.  Francisco  fregio  Pnpiensi  juris  lau- 
rearli adeptiis  ,  Clini  potrò  de  discessa  in  patriam  cogitavit. 

lì  P'abbrucci  trasse  lutto  questo  dalle  cfenieridi  scolastiche  di 
Pisa  che  cita  ,  ne  v'  lia  quindi  a  muover  dubbio  alcuno  della  sua 
veracità.  Importa  però  farne  breve  cemento  per  fermare  con  mag- 
gior accertamento  le  diverse  epoche  dell'  andata  di  Camillo  Porzio 
tanto  in  Bologna  ,  quanto  in  Pisa. 

Negli  statuti  di  questa  ultima  università  era  prescritto  che  il 
corso  degli  studii  di  giurisprudenza  non  dovesse  durai'  meno  di  anni 
cinque  (17),  e '1  Fabbrucci  dice  che  appena  ebbelo  terminato  Ca- 
millo ,  ne  conseguì  la  laurea  dottorale  nel  iSaa.  Chiaro  quindi 
risulta  the  l'ultimo  anno  degli  studii  suoi  fu  compreso  tra '1  novem- 
bre i55i  a  tutto  il  giugno  iSSa  ,  e  contando  per  ordine  retro- 
grado i  cinque  anni  del  corso  scolastico  di  giurisprudenza  ,  appa- 
rirà che  Camillo  Porzio  venne  in  Pisa  nel  i548.  A  maggior  con- 
ferma di  ciò  gioverà  riflettere  che  nella  seconda  sua  gita  in  Pisa 
Simon  Porzio  non  condusse  seco  lui  il  figlio  Camillo  ,  ma  bensì 
dopo  di  essersi  ivi  fermato,  ed  aver  conosciuto  il  merito  de'  profes- 
sori ,  quivi  lo  richiamò  da  Bologna  ,  ove  avevalo  già  mandato  a 
studiar  leggi.  Dunque  dopo  del  t5^6  quando  Simone  per  la  secon- 
da volta  andò  a  leggere  in  Pisa  ,  Camillo  venne  in  questa  univer» 
sita  ,  mentre  nel  i545  era  stato  egli  spedito  in  Bologna  ,  giacche 
altrimenti  sarebbe  un  assurdo  il  supporre  che  Simone  stando  in  Pisa 
avesse  di  là  mandato  il  figlio  a  studiar  leggi  iu  Bologna  per  richia- 
mamelo poi  dopo  brevissimo  tempo. 

Ripigliando  dunque  il  filo  della  narrazione  interrotta  dirò  ,  che 
Camillo  Porzio  andò  in  Bologna  nel  i545  ,  e  di  là  si  trasferì  poi 
in  Pisa  nel  1547.  ^'■^  costume  in  questa  università  che  dalla  fine 
di  giugno  quando  terminava  l'anno  scolastico  (18)  fino  alla  ristau- 
razione  degli  studj ,  fosse  lecito  ai  professori  ,  ed  agli  scolari  ancora 
specialmente  ne'  calori  estivi  ,  andare  altrove  a  goder  più  benigno 
e  salubre  cielo  (it^).    Simon  Porzio  non  mai    Jrascurò    di  profittar 


6  GERVASro 

di  (jitesto  coiTgcclo  ,  nel  quale  abbaudoiianclo  Pisa  se  ne  giva  a  di- 
porto per  le  città  vicine  ,  e  massime  nell'  alma  Fiorenza  ,  ove  egli 
aveva  amici  tra'  maggiori  letterati  di  quel  tempo  (ao).  Era  cosa 
naturale  che  in  queste  gite  Simone  conducesse  seca  il  figliuolo  Ca- 
millo. Quindi  possiamo  intendere  eh'  egli  avesse  peregrinato ,  come 
scrive  di  sé  nella  dedicatoria  della  cougim-a  de' baroni.  E  veramente 
una  peregrinazione  può  dirsi  quell' andar  di  luogo  in  luogO'  in  cerca- 
di  un  aere  migliore.  Circa  il  i55i,  ed  il  iSSa  ,  dovette  Camillo  , 
trovandosi  in  Firenze,  conversar  col  celebre  Paole  Giovi»  allora  ap- 
punto colà  ricoveralo  nelLi  corte  di  Cosimo  I  (31)  ,  e  tener  seco 
lui  quei  parlari  che  poi  furon  causa  che  egli  il  Porssio  scrivesse  1'  0- 
pera  isterica  di  sopra  mentovata  ,  della  quale  parlerò  distintamente 
a  suo  luogo.. 

Finito  il  lungo  corso  dello  studio  legale  volle  Camillo  Porzio  ri- 
ceverne la  laurea  dottorale.  Era  nella  università  di  Pisa  tra  i  pri- 
marii  professori  di  diritto  Gio:  Francesco  Vegio  pavese,  ed  a  costui 
SI  affidò  il  Porzio  perchè  in  quell'atto  soUenne  fosse  stato  il  suo  pro- 
motore. Soleva  quello  tra  i  professori  cui  il  laureando  si  affidava  , 
stargli  a  fianco  mentr'  era  esaminato  ,  e  qual  suo  protettore  dargli 
coraggio  nel  rispondere  alle  quistioni  ;  dopo  di  che  giudicato  degno 
della  laurea  dottorale  il  candidato  ,  il  promotore  era  colui  cui  spet- 
tava il  conferirgliela  con  solennità  (22).  Il  Porzio  assistito  dal  Vegio 
compì  quest'  atto,  e  ricevuta  per  man  del  Vegio  la  laurea  dottorale 
nel  iSSa  ,  abbandonò  in  quest'anno  medesimo  insieme  col  padre 
l'università  di  Pisa  ,  ed  entrambi  in  Napoli  si  restituirono  (23). 

Tornato  in  patria  Camillo  si  dedicò  all'avvocheria,  nella  quale 
si  fece  distinguere  non  tanto  per  la  somma  perizia  nelle  leggi  , 
quanto  per  la  sua  naturai  facondia  e  dignitoso  portamento.  Questa 
testimonianza  rende  di  lui  in  taluni  versi  indirizzatigli  Giano  Pelu^ 
sio  di  Colrone  (24)  - 

Jn  te  profiinda  est  juris  sdentia , 

Jìi  ore  magna  digìiitas , 
Haec  forma  iui  videtur  esse  amplisslmis 

Monoribus  dignissima, 


VIT.V    DI    PORZIO  *f 

Ed  egli  slcsfo  ili  una  delle  sue  lettere  scritta  al  Seripando,  che 
da  ]io(«  lijìoiterò,  non  tacque  questa  sua  decorosa  applicazione  di- 
ceiidosi  professore  del  giusto  e  dell'  onesto. 

]NlI  i554  morì  il  di  lui  genitore  Simon  Porzio  (25)  lasciando 
sette  ligliuoli  ,  ed  una  eredità  molto  doviziosa  (26)  ,  di  modo  che 
pel  nostro  Camillo  alle  cure  forensi  si  cumularono  quelle  della  fami- 
glia, e  dell' amministrazione  del  paterno  retaggio.  Già  notai  poco 
fa  che  scrivendo  al  Seripando  nel  iSSg,  egli  si  disse  professor  del 
giusto  e  dell'onesto  ;  in  un  ojìera  istorica  inedita  ,  della  quale  darò 
contezza  ,  scrisse  lo  stesso  Camillo  esser  egli  carico  di  familiari  et 
assidue  cure.  Finalmente  iu  una  lettera  del  cardinal  Sttrijwndo,  au- 
lico e  leale  amico  della  famiglia  Porzio,  scritta  a  Caiuillo  a'  6  gen- 
najo  i558  ,  nel  raccomandare  a  lui  di  perdonar  ogni  ofiesa  che  un 
certo  Tommaso  Anello  avesse  tentato  di  fargli  ,  soggiunge  il  Seri- 
pando :  Ed  acciò  die  la  grazia  sia  piena  ,  bisogna  ancora  die 
la  si  adoperi  a  farle  perdonare  dai  signori  suoi  fratelli  (27). 
Dalle  quali  parole  si  fa  chiaro  che  Camillo  viveva  in  unione  de' 
fratelli  ,  de'  quali  disponeva  a  suo  piacimento  ,  uè  altrimenti  il  Se- 
ripando che  conosceva  particolarmente  ognuno  della  famiglia,  avrebbe 
scritto  in  tal  modo  a  favore  del  suo  raccomandato. 

Ancor  senza  la  confessione  del  Porzio  medesimo  di  esser  egli 
pieno  di  assidue  cure  ,  potete  voi ,  o  accademici,  imaginare  quanto 
la  sua  vita  dovesse  essere  angustiata,  e  colma  di  amarezze  che  dalle 
Lriglie  foi'cnsi  e  fìmiUiari  non  van  giammai  scompagnate.  Aggiun- 
gasi che  desiderando  il  Porzio  per  la  dovizia  di  sua  casa  di  dare 
ad  essa  maggior  lustro,  dovea  cercar  non  solo  di  ben  amministrare 
il  retaggio  paterno  ,  ma  di  accrescerlo  ancora  per  vivere  con  splea- 
didczza  tale  da  poter  introdurre  in  sua  casa  nobili  parentadi  (28). 
Avvenne  intanto  che  nel   i55g  jwsto  all'incanto  il  feudo  di  Centola 

nel  principato  citeriore  j>er  vendersi  in  danno  del  possessore  Rai- 
naldo  Alagno  parente  del  Seripando  e  di  altri  nobili  napolitani,  Ca- 
millo Porzio  sia  ad  insinuazione  di  quei    parenti    dell'  Alagno  ,    sia 

per  desiderio  di  acquistar   nobile    2J0S*cs'''ooe  ,    comprò    quel  feudo. 

Pietescro  allora  e  1"  Alagiio,  ed  i  suoi  più  stretti  congiunti  o  clie  il 

Porzio  avesse  ietix»ceduto  il  feudo  a  lui  ,  o  pur  che    1'  avesse  rito- 


9  GERVASrO 

nulo  sotto  varie  condizioui.  Per  riuscire  nell'intento  non  vi  fu  mez- 
zo che  non  posero  in  opera  ,  e  tra  l'altro  non  trascurarono  di  trar 
partito  dall'  amicizia  che  passava  tra  '1  Porzio  e'I  Seripando.  A  que- 
st' oggetto  il  Seripando  allora  arcivescovo  di  Salerno  scrisse  al  Por- 
zio che  gli  rispose  colla  seguente  lettera,  che  or  per  me  si  pubblica 
j)er  la  prima  volta  (29)  ,  come  sta  nell'  originale  :  «  Non  è  alcun 
■>i  dubbio  che  questi  signori  di  Morra  han  fatto  come  certi  litiganti , 
i3  o  vero  infermi  ,  i  quali  avendo  la  lite  e  la  vita  per  persa  ,  ri- 
«  corrono  per  aita  agli  advocati  o  medici  supremi  ;  perchè  haven- 
y>  do  con  diverse  persone  tentato,  alla  fine  sono  ricorsi  da  V.S.  Re- 
»  verendissima  la  quale  può  in  me  non  solo  nella  roba  ,  ma  nella 
"  vita  ancora  ,  più  di  tutti  gli  altri  luiomini  che  vivono  :  et  emmi 
w  stato  doppiamente  charo,  prima,  che  han  portato  questa  differen- 
w  za  nel  cospetto  del  più  giusto  e  confidente  superiore  ,  ch'io  hab- 
«  bi  :  poi  perchè  mi  avveggo  ,  che  1'  autorità  e  prudenza  di  V.  S. 
5:)  R.  sarà  tale  che  imporrà  loro  sopra  di  ciò  con  la  mia  viva  ra- 
«  gione  perpetuo  silenzio.  Se  io  volessi  andar  raccontando  l'origine 
»  del  comprar  Centola  ,  farla  torto  alla  memoria  sua,  la  quale  non 
»  solo  m'essortò  a  pigliarla,  dovendo  uscire  dalla  casa  de  questi  suoi 
»  parenti,  ma  quasi  mei  comandò:  pure  non  mancarò  de  ricordar- 
»  li  ,  eh'  el  sig.  Antonio  da  Feltro  (3o)  avvocato  dei  detti  signori 
w  di  Morra  vedendo  di  non  potere  più  difendere  dalle  mani  di  M/ 
w  Sebastiano  di  Sarno  ,  il  quale  per  i  suoi  crediti  1'  haveva  con- 
w  dotta  all'  incauto  ,  mi  persuase  ad  incantarla  ,  acciocché  non  fosse 
w  rimasta  per  un  vilissimo  prezzo  al  detto  M.'  Sebastiano  ,  con 
«  grandissimo  danno  del  sig.  Ranaldo  d'  Alagna  suo  clientolo,  e  zio 
«  carnale  del  figliuolo  di  Giovann  Antonio  da  Morra  :  con  intentione 
»  ancora  ,  che  se  mi  fosse  rimasto  ,  non  perciò  dovesse  fare  mala 
»  compera  ,  per  il  che  io  cominciai  ad  informarme  del  luogho  ,  e 
M  ritrovatolo  qual  lo  desiderava  ,  deliberai  d'  averlo  in  ogni  modo, 
»  e  volendo  esser  sicuro  ,  se  qualcuno  dei  padroni  vecchi  lo  vole- 
»  va  ,  per  non  despiacerli  ,  lo  sig.  Antonio  me  fé  conoscere  ,  chVl 
M  sig.  Girolamo  di  Morra  haveva  tentato  di  pigliarla  col  signor 
«  Ranaldo  ;  ma  per  non  esserne  stati  d' accordo  ,  che  io  poteva  li- 
»  beramenle  e  senzói  rispetto  comprarla.  Che  ciò  fusse  vero,  lo  di- 


f 


VITA    DI    PORZIO  9 

>j  mostra  ancora  ,  che  essendo  per  tutta  Napoli  sparsa  la  voce,  co- 
»  m'  io  intendeva  di  voler  Ccnlola  ,    non  vi    fu  mai    persona    che 
«  m'  avertisse  ,  non  eh'  altro  ,  che  ne  facevo  dcspiacere  ad  alcuno, 
»  ma  da  ogni  lato  ciascuno  me  inanimava  a  pigliarla  ,  e    non    la- 
«  sciarla    andare    in  potere    di  mess.  Sebastiano.  Aggiuiigcsi  a  que- 
«  sto  che  '1  dì  medesimo  che   s'  incantò  ,    non  vi  conijwrse  un  mi- 
«  nimo  di  loro,    ma  solo  hebbi  a  combattere  col   Sarno  ,    il  ijuale 
»  benché    rimase  vinto  ,    nondimeno   me    la    fé   costare   carissima  , 
»  eli'  io  giuro  a  V.   S.   R.   che  in  quel    principio   m'  harrci  il    più 
w  vile  homo  del  mondo,  ma  essendomi  remasta,  et  havcndo  per  pa- 
"  gar  il  prezzo  di  quella  messo  sottosopra  tutto  1'  haver  mio,  e  quie- 
»  tatomi  ,  non  mi  parria  giusto  ,    se  ben  questo  putto   che  vi  pre- 
»  tende  havesse  il  modo  di  ricomprarla,  repigllarmi  indietro  i  miei 
M  danari  ,    e  tornare  da  capo  a  lambiccarmi  il  cervello    dove  io  li 
»  dovessi  impiegare  ,  ma  quii  che  fa  la  lor  domanda  più  ingiusta, 
M  ed  insoffribile,  e  che  il  putto  non  solo  non  ha  il  modo  di  sbor- 
»  sare  il  denaro  che  vi  ho  speso  ,    ma  ancora    li  sopraavanza    pa- 
»  rccchie  migliaja   di  scudi  da  pagare  per  i  debiti  paterni  ,  i  quali 
a»  per  non  v'  esser  roba  i  creditori  li  tengono  persi.  E  se  pure  di- 
M  cessero   che   la  vorrebbouo   in  mano    di  un  altro   più  loro    confi- 
»   dente  ,  e  the  non  disegnasse  agli  altri  casali  della  medesima  Ba- 
"  ronia  ,   come  a  questi  mesi  passati  mi  ferno  dire  dal  signor  Pla- 
*  cito  di  Sangro  ,  con  pioni ettermi  ancora  di  non  mi  molestare  so- 
M  pra  di  Ccntola  ,  rispondo    che  nel  primo  raso  mi  fanno  ingiuria  , 
>»  dovendo  credere  tlie  da   me  harranno  tutti  quelli  piaceri  e  cortesie 
»  che  da   un  amicissimo  si  può  sperare  ;  e  nell'  altro  ancora  se  in» 
»  gannano  ,  perche  non  desidero  di  far  stati ,  ma  si  bene  Uà  ailar- 
»  garmi  tanto  che  non  babbi  dalla  giurisdizione  d'  altri    baroni  vi- 
»  cini  a  stare  assediato  ,   come  sono  bora.   A  quello  che  dicono  che 
»  la  giustizia   lor  chiara  me  la   farà    lor  rilornaie  ,  caso  che  non  glie 
»  ne  vogli  compiacere  ,  non  rispondo  ,   essendo  professor   del  giusto 
»   e  dell' honeslo.    Ma   che    gli  Ccntolesi   siano  parliali  di  quegli    mi 
»  sprona  ancor  più  a  non  lasciarla,  giudicando  ciie  cos'i  debbono  fare 
»  a'  miei  posteri  ,    s'  altrettanto  di  tempo  ,    quanto  i  loro  aulenati  , 
"  la  possederanno.  V.  S.  R.  dal   soprascritto  potrà  comprendere  s'io 


IO  CERVASIO 

»  hebbi  ragione  a  comprarla  ,  et  liora  a  ritenerla  ,  e  si  persuada 
jj  che  'I  signor  Antonio  et  io  liavremo  non  meno  piacere  per  goder  la 
>5  presenza  di  V.  S.  T\.  che  gli  altri  harranno  mestitia  in  sentirlo 
»  ragionar  nell'esequie  dell'imp.  Carlo,  e  senza  più  humilmcnte  li 
»  bascio  le  sacre  mani.  Da  Nap.  a  dì  27  de  Jen.  t55g. 
Di  V.  S.  R."" 

Servitore  deditissimo 
Camillo  Portjo. 

Così  il  Porzio.  Intanto  ntl  così  detto  cedolario,  che  è  il  pubblico 
registro  de'  feudi  conservato  nel  nostro  grande  archivio,  si  vede  essere 
stata  la  terra  di  Centola  aggiudicata  dopo  l' incanto  a  Marhio  Rus- 
so ,  sotto  il  cui  nome  fu  notato  il  feudo  nel  i56o  ;  che  restò  nella 
di  lui  famiglia  fino  a  Mario  Russo  ,  il  quale  lo  vendè  nel  i6o3  a 
Camillo  Porzio  ;  ma  non  essendo  stata  la  vendita  munita  di  regio  as- 
senso ,  continuò  il  feudo  ad  esser  notato  nel  cedolario  medesimo 
sotto  il  nome  dello  stesso  Mario  Russo  sino  a  che  Fulvia  Scondito 
erede  del  Poriio  lo  vendè  nel  162  3  a  Federico  Pappacoda,  sotto  al 
cui  nome  fu  poi  riportato  (3i). 

Questo  estratto  del  cedolario  par  che  sia  in  opposizione  colla 
lettera  del  Porzio  che  ho  di  sopra  trascritta,  il  perchè  sarà  bene  esa- 
minarlo brevemente  per  metterlo  con  essa  in  armonia ,  e  chiarire  i 
fatti  che  si  son  voluti  occultare  in  ambedue  le  carte.  Dalla  lettera 
apparisce  che  il  Porzio  si  ricusò  alle  premure  dei  parenti  dell'Ala- 
gno,  cui  era  stato  tolto  per  debiti  il  feudo,  non  escluso  il  Seripando, 
perchè  avesse  comprata  la  terra  di  Centola  ,  e  che  avendo  mostrata 
la  renitenza  medesima  con  l'Afeltro  avvocato  del  debitore  ,  pure  ani- 
mato da  questo  che  non  sarebbe  stata  maUi  compra  la  sua,  il  Por- 
zio presa  contezza  del  luogo  ,  e  trovatolo  qual  lo  desiderava  ,  fece 
proponimento  di  averlo  ad  ogni  modo.  Or  tutto  ciò  chiaramente  fa 
comprendere  ,  che  le  premure  dell'  Alagno  e  de'  suoi  parenti  perchè 
il  Porzio  comprasse  il  feudo  di  Centola,  miravano  a  far  che  venuto  ia 
mano  sua,  fosse  poi  ceduto  al  debitore  quando  a  costui  fosse  tornato  piiì 
comodo  il  ricomprarlo  restituendo  il  prezzo  sborsato.  Le  premure 
poi  dell' A  feltro  avvocato  dell' Alagno,  dovettero  sul  principio  esser 


tlTA    DI    PORZIO  1  I 

le  Stesse  ,  ma  veduta  1'  ostinazione  del  Porzio  di  volerlo  comprare 
per  se  ,  si  limitò  ad  invogliarlo  perchè  lo  comprasse  ,  e  quando  noa 
gli  fosse  piaciuto  di  retrocederlo ,  avesse  lasciata  la  terra  di  Centola 
in  mano  di  un  altro  più  loro  confidente.  Inoltre  dalla  lettera  me- 
desima è  chiaro  che  il  Porzio  si  sforzi  di  mostrare  che  il  debitore 
Alagno  non  sarebbe  stalo  giammai  nel  grado  di  ricomprar  Centola, 
e  che  il  passarla  in  mano  ad  altri  avrebbe  fatto  ingiuria  alla  sua  a- 
micizia.  Le  quali  ragioni  non  valsero  a  rimuovere  il  debitore  ed  i 
suoi  parenti  dalle  premure  fatte  che  il  Porzio  tenesse  come  in  de- 
posito il  feudo.  Sia  però  che  il  Porzio  avesse  temuto  che  la  sua  con- 
dotta cagionasse  sospetti  circa  la  sua  vera  intenzione  di  ritener  per 
se  il  feudo  compralo  ;  o  pur  che  si  fosse  accorto  noa  esser  condu- 
cente a  lui  che  professava  1'  avvocheria  ,  il  nimicarsi  un  parentado 
nobile  ed  esteso  ;  o  ancora  che  le  tristi  conseguenze  del  trovarsi  as- 
sediato ,  come  ei  dice  nella  sua  lettera  ,  da  Baroni  orgogliosi  e 
prepotenti,  lo  avessero  posto  in  timore;  condiscese  alla  fine  al  sug- 
gerimento di  Placido  di  Sangro  ,  di  permettere  cioè  che  'l  feudo 
di  Centola  fosse  intestato  a  persona  confidente  dell'  Alagno  e  de'  di 
Ini  parenti  ,  il  che  in  fatti  avvenne  nel  i5Go  ,  cioè  dopo  un  anno 
di  trattative,  in  persona  di  Marino  Russo.  E  sebbene  dal  cedolario 
apparisca  clic  il  feudo  fosse  stato  venduto  al  nostro  Porzio  da  Ma- 
rio Russo  ,  pure  continuò  a  rimanere  a  costui  intitolato  fino  a  che 
Fulvia  Scondito  lo  alienò  al  Pappacoda.  Tutte  queste  trattative  sa- 
rebbero state  certamente  chiarite  ad  evidenza  se  mi  fosse  riuscito  di 
ritrovare  l' istruniciilo  solenne  che  dovette  stipularsi  a  tal  uopo  trai 
Porzio  1'  Alagno  e  '1  Russo.  Non  ostante  però  la  mancanza  di  questo 
ilocumento,  altri  argomenti  vi  sono  e  tali  che  valgono  a  sgomberare 
ogni  dubbio. 

Era  usanza  tra  noi  che  il  vero  proprietario  di  un  feudo  lo 
avesse  annotato  ne'  pubblici  registri  sotto  il  nome  di  un  altro,  come 
se  questi  ne  fosse  il  vero  possessore.  Della  qual  costumanza  senza 
accumularne  le  molle  pruove  che  dal  cedolario  medesimo  potreb- 
bero rilevarsi  ,  se  ne  ha  una  certissima  nel  nostro  caso.  Il  Russo 
vendè  nel  i6o3  a  Camillo  Porzio  il  feudo  di  Centola,  il  quale  jjassò 
p€r  successione  a  Fulvia   Scondito ,    pure    restò  sotto    il  nome   del 


12  GERVASIO 

Russo  ,  giacdiè  non  polrcbbe  altrimenti  spiegarsi  ciò  che  dal  cedo- 
lario  si  rileva  che  Maria  Russo  (Sa)  succeduta  nell'  anno  i6o3 
al  feudo  ,  lo  cedesse  al  di  lei  zio  Mario  ,  il  quale  poi  lo  vendè 
a  Camillo  Porzio ,  facendolo  rimanere  sotto  il  suo  nome.  Doveva 
egli  quindi  sapere  che  fin  dal  principio  il  feudo  era  di  proprietà 
del  Porzio,  non  giù  della  sua  famiglia  ,  la  quale  insiem  con  quella 
degli  Sconditi  era  in  parentela  con  i  d' Alagno  e  Morra  (33j  ;  la 
qual  circostanza  è  degna  di  esser  notata  perchè  giustifica  sempre  piìi 
quanto  di  sopra  ho  detto  del  desiderio  che  avevano  costoro  che  il 
feudo  di  Centola  fosse  notato  sotto  il  nome  di  persona  di  loro  fiducia. 
Era  un  notorio  infine  nel  i56o  quando  il  feudo  di  Centola  vcdesi 
nel  Cedolario  notato  sotto  il  nome  di  Marino  Russo  ,  che'l  Porzio 
fosse  possessore  di  feudi  ,  né  rilevandosi  che  altri  ne  avesse  posse- 
duto ,  certo  a  quello  di  Centola  si  alludeva. 

Francesco  Sansovino  avendo  pubblicato  in  Vinegia  sua  patria 
le  Satire  di  diversi  illustri  poeti  insiem  raccolte,  indirizzò  al  nostro 
Porzio  il  volume  con  sua  lettera  dedicatoria  (34),  della  quale  non 
incresccrìi  che  ne  trascriva  uu  brano  ,  leggendosi  questa  in  un  li- 
bretto raro,  etl  altre  particolarità  facendoci  conoscere  della  vita  privata 
del  Porzio. 

M  Or  havendo  io  fatta  (dice  il  Sansovino  al  Porzio  che  chiama 
magncinimo  e  eccellente  Signore  e  gentil huomo  illustre)  «una  scelta 
»  come  amator  de  Poeti  ,  et  come  desideroso  di  giovar  in  quanto 
»  io  posso  a  ciascuno  ,  di  molte  Satire  ,  mi  son  rivolto  ,  sì  come 
»  colui  che  mi  son  dilettato  degli  huomini  illustri  ,  alla  fama  del 
»  vostro  houorato  nome  ,  perciò  che  intendendo  non  solamente  dalla 
»  bocca  del  gentiliss.  mess.  Marc' Antonio  Passero ,  vero  conoscitore 
»  degli  ingegni  elevati  ,  ma  da  molti  altri  qual  sia  la  bellezza  del- 
»  r  intelletto  di  V.  S.  ho  voluto  scoprirle  colla  penna  il  desiderio 
»  intenso  eh'  io  ho  di  servirla.  Et  anchora  eh'  essendo  V.  S.  nata 
«  dal  grandiss.  sig.  Simon  Portio  (lume  de' filosofi  de' nostri  tem- 
»  pi  ,  la  fama  del  quale  sarà  sempre  viva  nella  mente  degli  huo- 
»  mini  per  i  suoi  maravigliosi  scritti  )  si  habbia  incontanente  da 
»  presupporre  che  V.  S.  sia  notabile  per  ogni  nobil  grandezza  , 
»  nondimeno  a  me  giova  grandemente  ,  quando  io  odo  da  lodati  e* 
w  celebrati    huomini    dire  ,    che  V.   S.  habbia    non    solamente    nel 


VITA    DI    PORZIO  l3 

»  cuore  un  ampio  mare  di  nobilissimi  et  alti  dcslclcrii,  ma  un  pro- 
»  fondissimo  abisso  di  cortesia  nell'animo,  et  che  realmente  et  vir- 
»  filosamente  vivendo  con  maniera  illustre  faccia  animo  ai  grandi  , 
«  non  voglio  dir  solamente  d'amarla  ma  di  imitarla  ancliora,  per- 
»  ciò  eh'  i  nobili  cavalieri  ,  gli  lionorati  signori  suoi  amici  ,  e  i 
«  suoi  vassalli  con  tutti  gli  altri  di  più  bassa  fortuna  sapendo  qual 
»  sia  r  eccellenza  del  suo  vivace  ingegno  ,  et  quanto  la  dolcissima 
w  forza  della  sua  molta  eloquenza  son  costretti  a  confessarla  et  a 
M  predicarla  per  così  raro  e  amorevole  Signore  ,  come  habbia  co- 
5j  testo  Regno  :  della  qual  cosa  essendo  io  più  che  certo,  per  segno 
»  di  quella  reverenza  eh'  io  le  porto  ,  ho  voluto  honorar  il  presente 
«  volume  col  suo  nome  illustre  che  oltre  eh'  egli  seguirà  il  costume 
"  antico  degli  scrittori  ,  i  quali  si  appoggiano  a  veri  amatori  delle 
«  virtù  ,  si  mi  sarà  egli  di  grandissimo  Hivore  in  questo  ,  che  ac- 
5>  cettando  V.  S.  con  animo  largo  questo  mio  piccolo  presente  ,  a 
»  me  parrà  d'  essere  approvalo  dal  suo  prudente  giudicio  per  suo 
M  sincero  e  vero  servidore.  Laonde  ancor  che  ella  habbia  appresso 
«  il  sig.  Giovan  Pietro  CiccarcUo  dottissimo  giovane  per  ammiratoi 
»  del  suo  molto  valore  ,  io  non  resterò  jjer  questo  d'  esser  tuttavia 
»  testimonio  ardentissimo  della  sua  singoiar  humanilà  :  et  voce  vi- 
»  venie  delle  sue  lodi  in  queste  parti  m. 

Dalle  quali  parole  del  Sansovino  vien  confermato  non  sow 
quanto  si  è  detto  della  fortuna  doviziosa  del  Porzio ,  che  feudo  e 
vassalli  possedeva  ,  e  molta  comunanza  aveva  con  cavalieri  e  signori 
napolitani  ,  ma  ancora  veniamo  a  sapere  che  fosse  in  riputazione 
qual  uomo  di  lettere  e  di  gentili  maniere  adorno,  avendolo  per  tale 
predicato  al  Sansovino  il  Passero  che  fu  Lombardo  di  patria  seb- 
bene in  Napoli  dimorasse,  e  che  fosse  ammiralo  dal  CiccarcUo  gio- 
vane Napolt'lnno  dollissimo  nelle  filosofiche  discipline ,  ed  altresì 
nella  poesia  rinomato  (35). 

"Traile  lettere  del  Porzio  che  sono  nel  codice  Seripandiano  più 
volte  citalo  ,  un  altra  ve  u  ha  ,  dalla  quale  ci  si  fa  palese  altra  sin- 
golare particolarità,  e  finora  ignota  della  sua  vita.  Essa  è  che  (non 
sappiam  se  per  vizio  morboso  od  altra  causa  naturale)  egli  ebbe  il 
naso  mancante  ,    e  che  portossi  a  bella  posta  in  Tropea  città  della 


»4  GERVASIO 

nostra  ulteriOTe  Calabria  per  farselo  rimettere  ,  sottoponendosi  ad 
una  operazione  ccrijsica  allora  molto  in  voga.  Sarà  pregio  dell'  o- 
pera  il  riportar  qui  intera  la  lettera  stessa  ,  il  che  oltre  alla  testi- 
monianza della  particolarità  di  sopra  riferita  ,  servirà  a  rinnovar  la 
memoria  di  un  illustre  professor  calabrese  che  conobbe  l' arte  di 
reintegrare  il  naso  ,  la  quale  se  non  m' inganno  ora  per  la  prima 
volta  si  viene  a  sapere  per  la  descrizione  del  Porzio ,  di  essere  stata 
con  felice  successo  praticata.  La  lettera  è  diretta  al  Seripando  già 
cardinale ,  e  che  si  trovava  in  Trento  tra  i  padri  di  qucU'  ecume- 
nico concilio. 

w  IH.""'  e  Rev.""»  sig.  mio  e  Padrone  Oss.™» 

M  Questi  dì  adietro  ricevei  una  di  V.  S.  IH.""  e  Rev.""  alla 
M  quale  se  di  subito  non  risposi  ne  fu  cagione  che  mi  ritrovò  in 
w  lecto  e  certo  che  ne  presi  tanta  consolacione  che  non  solo  mi  diede 
M  ajuto  a  guarire  ,  ma  anche  mi  portò  seco  1'  ultimo  compimento 
»  del  mio  naso  ,  il  quale  la  iddio  mercè  ho  quasi  che  ricuperato , 
»  e  tanto  simile  al  primo  che  da  coloro  che  noi  sapranno  ,  difficil- 
»  mente  potrà  essere  conosciuto:  è  ben  vero  che  ci  ho  patito  gran- 
»  dissimi  travagli  ,  essendo  stato  di  bisogno  che  mi  si  tagliasse  nel 
sj  braccio  sinistro  dnpplicata  carne  della  persa  ,  dove  si  è  curata 
M  ancora  per  più  d'  un  mese  ,  e  poi  me  1'  han  cucita  al  naso  ,  col 
»  quale  mi  è  convenuto  tener  attaccato  quindici  dì  il  predecto  brac- 
»  ciò  :  sig.  mio  quest'  è  un  opra  incognita  agli  antichi  ma  di  tanta 
M  eccellenza  e  tanto  meravigliosa  eh'  è  gran  vitupero  del  presente 
»  secolo  che  per  beneficio  universale  non  si  pubblichi  e  non  s'im- 
»  pari  da  tutti  i  cirugici,  essendo  che  oggi  sia  ristrecta  in  un  uomo 
x>  solo,  il  quale  non  è  quel  medico  uh  altro  suo  creato  che  come  la 
»  dice  le  puose  i  denti  in  Portogallo,  percliè  colui  per  quant'ho  ve- 
»  duto  fuit  imitator  naturae^  ma  costui  fa  quel  medesimo  che  l'istes- 
M  sa  natura.  Io  molte  volte  per  il  ben  pubblico  ho  desiderato  di 
»  veder  V.  S.  111.""'  e  Re.""'  prencipe  ,  ma  ora  per  questo  parti- 
»  colare  via  più  lo  desidero  ,  massime  che  quest'  huomo  da  bene 
M  per  picciol  pregio  rispecto  alla  grande  utilità  del  rimedio  il  dar- 


VITA  DI  Ponzio  i5 

»  jia  alle  stampe  ;  ma  chi  sa  :  per  un  altra  mia  1'  ho  dato  aviso 
«  del  motivo  de'  Luterani  di  qua,  non  li  scrissi  poi  il  successo  per 
«  la  sopraveguiciite  iiileimitù  ,  basta  che  pel  mancamento  del  viver 
»  si  disfecero  ,  essendo  assediati  da  molti  di  questi  popoli,  son  ve- 
»  nuti  (  da  ducento  in  fuori  )  tutti  in  poter  della  giusticia  ,  si  son 
»  facti  morire  certi  principali  ostinatissimi,  e  l'altri  mediante  l'au- 
>>  torità  dell'  Arcivescovo  di  Reggio  mandatovi  da  S.  B.  con  larga 
»  potestà  si  spera  che  si  ridurranno  :  il  dì  di  S,  Giovanni  molto 
»  favorevole  a'  Turchi  si  persero  qui  rincontro  sette  galee  di  Sicilia 
>j  dove  era  il  Vescovo  di  Catania  ,  e  forno  combattute  da  nove  va- 
»  scelli  di  corsali  ,  ciascun  dice  che  in  Lipari  si  havrebbono  potute 
»  ricovrarc  se  '1  soverchio  ardire  del  lor  Generale  Comendator  Spa- 
M  gniuolo  non  l'havesse  precipitate  :  altro  per  adesso  non  è  occorso: 
M  per  tanto  humilmente  alla  buona  grazia  di  V.  S.  HI."""  e  R."' 
»  di  cuore  mi  raccomando  con  pregarli  lunga  e  felice  vita.  «  Da 
»  Tropea  il  dì  q  di  luglio  i56i. 
Di  V.  S.  III.""  e  R."-" 

Deditissimo  servitore 
Camillo  Portjo. 

Sarebbe  al  certo  vana  ostentazione  il  voler  qui  per  illustrar  la 
lettera  che  vi  ho  recitata,  tessere  a  lungo  la  storia  del  ritrovato  ce- 
rusico di  ristabilire  il  naso  ,  le  labbra  ,  ed  altre  membra  perdute 
per  qualsivoglia  causa  mercè  l'innesto  della  carne  viva.  Mi  conviene 
pelò  (  e  la  cortesia  vostra  sarà  per  concedermelo  )  che  io  ne  dica 
tanto  per  sommi  capi  ,  quanto  mi  sarà  d'  uopo  per  far  conoscere 
quel  valoroso  e  modesto  professor  calabrese  ,  del  quale  il  Porzio  ci 
tacque  il  nome  ,  e  jìcr  opera  di  cui  egli  ebbe  il  naso  interamente 
ristabilito. 

Le  testimonianze  degli  scrittori  contemporanei  riferite  dal  Por- 
tal  (3G),  dal  Tiraboschi  (Sy),  e  da  altri,  tra  i  quali  non  deve  esser 
trascurato  il  chiarissimo  collega  nostro  cav.  Alberto  di  Sclioenberg 
ora  archiatro  di  S.  M.  il  Re  di  Danimarca  (38)  ,  si  accordano 
tutte  a  stabilire  che  nel  secolo  XV  ebbero  fama  quali  inventori 
della  restituzione  del  naso  ,  due  Siciliani  di  cognome  Branca  padre 


l6  GERVASIO 


e  figlio.  Il  dolio  Gabriele  Barri  però  ,  della  cui  testimonianza  ten- 
nero conto  e  '1  Tiraboschi  ed  altri ,  lasciò  scritto  che  l'arte  medesi- 
ma fu  conosciuta  ed  esercitata  da  un'  intera  famiglia  di  cbirurgi  ca- 
labresi, non  saprei  se  per  proprio  ritrovato,  o  per  averla  appresa  da' 
siciliani'  Branca.  Egli  il  Barri  nella  stimata  sua  opera  sulla  Calabria 
descrivendo  la  terra  di  Maida  (3g)  dice  che  in  essa  aveva  vissuto 
Vincenzo  Vianeo  (oppur  Vojano  come  piace  all'Aceti)  chirurgo  esi- 
mio clie  '1  primo  escogitò  P  arie  dì  restaurar  le  labbra  ed  il  naso 
mancanti  ,  e  Bernardino  altresì  nipote  di  Vincenzo  ,  che  fu  erede 
dell'arte  medesima.  Aggiunge  poi  il  Barri:  Viget  modo  hujus  filius 
et  iiidem  artis  heres.  Di  costui  non  ne  disse  il  nome  ,  ma  nel  de- 
scrivere la  città  di  Tropea  così  si  esjiresse  (4o)  :  /^"wV  et  Petrus 
Fianeus  ,  c/ui  praeter  cetera  labia  et  nasos  mutilos  integritati  re- 
stituii. Or  combinando  insieme  questi  due  luoghi  del  Bari'i,  sembra 
potersi  cou  fondamento  sospettare  che  quantunque  uiuna  attinenza  di 
parentela  avesse  egli  accennalo  tra  i  Vianei  di  Maida  e  quelli  di  Tro- 
pea ,  il  figlio  di  Bernardino  fosse  stato  il  Pietro  di  Tropea  ,  nella 
qual  città  come  di  Maida  piìi  popolosa  e  splendente  ,  fosse  passato  a 
stabilirsi  per  esercitarvi  la  chirurgia  e  l'arte  dal  padre  suo  ereditata, 
cioè  fpiella  di  ristabilir  alla  primiera  integrità  le  labbra  e'I  naso.  Or 
la  lettera  del  Porzio  essendo  stata  scritta  come  udiste  da  Tropea  , 
ove  al  dir  del  Barri  vivca  Pietro  Vianeo,  sarà  permesso  l'inferire  cht; 
questi  fosse  stato  quel  professore,  cui  dovette  il  Porzio  T  aver  il  suo 
naso  come  pria  ristabilito.  Ed  a  questo  proposito  farò  osservare  che 
r  operazione  eseguita  dal  Vianeo  in  persona  del  nostro  Porzio  uom 
distinto  per  dottrina  e  per  ricchezza  ,  e  che  1'  amicizia  godeva  del 
cardinal  Seripando  ,  fu  renduta  pubblica  per  tutta  Italia,  di  modo 
che  se  prima  era  tenuta  come  un  secreto  ,  si  fece  ad  ognun  palese 
per  la  distinta  descrizione  datane  dal  Porzio  medesimo  al  Seripando 
in  Trento ,  e  probabilmente  ad  altri  suoi  amici  in  Napoli  ed  altro- 
ve. Sembra  quindi  essere  stata  una  temerità  somma  quella  di  Gi- 
rolamo Tagliacozzo  chirurgo  bolognese  ,  che  menò  vanto  di  questo 
ritrovato  nell'  opera  che  di  ciò  scrisse  e  pubblicò  per  le  stamjje  nel 
i597  (40-  ■^'  ^^  ^^'  giustamente  redarguito  dui  suo  concittadino 
Gìqv.  Battista  Cortese,  il  quale  nel  raro  suo  libro  intitolato  iSlis-ceL- 


VITA  DI   Ponzio  17 

hinen  iiic(llcmaUn[\o)  impresso  in  Messina  nel  1G2S,  oltre  che  vi - 
.j)orta  diverse  reslaurazioiii  ili  naso  da  lui  operate  prima  che  il  Ta- 
gliacozzo  di  ciò  sciivesse,  fa  aiìcita  fede  essere  stati  quei  di  Tropea, 
alludendo  certamente  a  Pietro  Vianeo,  i  rinnovatori  di  quell'arte  (4^). 

Dopo  la  ristaurazione  del  suo  naso  ,  è  cosa  j'robabilc  die  il  no- 
stro Porzio  si  restituì  in  Napoli  ,  ove  ripigliò  le  primiere  sue  occu- 
pazioni ,  e  le  cure  domestiche ,  1'  avvocheria  e  '1  comporre  opere  che 
potessero  render  chiaro  il  suo  nome.  Sembra  che  siesi  applicato  pria 
di  ogni  altro  a  dar  1'  ultiina  mano  alla  storiif'  della  congiura  da 
baroni  ;  per  cnmpoire  la  quale  fin  dalla  sua  prima  gioventù  era 
andato  raunando  materiali,  e  che  pubblicò  per  le  stampe  nel  i5d5 
in  Roma.  ISciranno  i.'Ji'jS  compose  ancora  un  somma'in  delle  coisti 
del  regno,  che  presenti)  al  viceré  di  quel  tempo,  esprimendo  nell'in- 
dirizzo che  nv  fece  la  sua  jjuona  volontà  di  voler  consagrarsi  al  mag- 
gior bene  e  j)rosperilà  della  sua  patria ,  con  queste  parole  che  cono- 
scendo io  di  esserla  graia  questa  fatica  ,  ini  darò  animo  di  farne 
delle  altre  maggiori.  Imprese  in  fine  la  storia  de'  più  memorabili 
avvenimenti  r.ccorsi  in  Italia  nel  i547  ,  la  quale  ugualmente  che  il 
sommario  di  sopra  mentovato  è  rimasa  inedita. 

Dal  ccdolario  si  rileva  che  '1  Porzio  viveva  ancora  nel  i6o3  , 
nuando  poteva  egli  contare  1'  anno  76  della  sua  età  ,  ni:  da  quel  re- 
gistro ho  potuto  altro  lume  ritrarre  intorno  all'  epoca  della  sua  morte 
che  non  pare  dovette  tardar  mollo  a  succedere.  Se  moglie  poi  il 
Porzio  avesse  avuto  o  no,  mancanmi  ugualmente  riscontri  ,  per  af- 
fermarlo o  negarlo.  Nel  cedolarlo  notasi  qual  sua  erede  Fulvia  Scon- 
dito ,  d'  onde  potrebbe  alcun  sospettare  che  fosse  slata  costei  sua  mo- 
glie. Ma  della  tcstimoniauza  del  cedolario  non  è  a  farsi  conto  ,  do- 
vendosi come  osservai  di  so])ra  ,  riferire  le  notizie  in  esso  contenute 
a  quel  garbuglio  insnilo  per  la  falsa  intestazion  del  feudo  di  Ccnlola 
comprato  dal  Porzio  ;  e  quindi  non  merita  che  vi  si  presti  fede.  Lf> 
Scondilo  poi  era  una  signora  napolitana  ,  e  se  il  nostio  Porzio  l'a- 
vesse sposala  ,  avrebbe  egli  introdotto  parentado  nobile  nella  sua  fa- 
miglia ,  il  che  si  oppone  alla  gravissima  testimonianza  del  Capaccio, 
il  quale  lasciò  scritto  (44)  essere  stato  Fi-ancesco  Porzio  nipote  eli 
Camillo  colui  che  condusse  in  casa  sua  nobile  donna. 

3 


l8  GERVASro 

Queste  son  le  notizie  che  ho  potuto  raccogliere  intorno  alla  vita 
di  Camillo  Poizio  uomo  ben  degno  di  avere  un  luogo  distinto  tra  i 
letterati  nostri  del  secolo  XVI"  per  le  sue  opere  ,  delle  quali  ecco- 
mi a  darvi  ,  come  ho  promesso  ,  minuto  ragguaglio. 

JI. 


I.  Delle  opere  di  Camillo  Porzio  la  sola  die  abbiamo  a  stura» 
pa  ,  e  per  la  quale  ha  egli  gran  fama  tra  gli  scrittori  italiani  ,  ù 
la  storia  che  scrisse  della  Congiura  d&'  Baroni  sotto  il  Re  Ferdi- 
nando il  primo  dell'aragonese  dinastia.  Il  quale  avvenimento  e  per 
la  singolarità  delle  circostanze  onde  nacque  e  progredì  ,  ,e  per  le 
tristi  conseguenze  che  seco  portò  alle  cose  del  regno  nostro  anzi  al^ 
1  Italia  tutta  ,  fu  al  certo  uno  de'  più  grandi  che  occorsero  nel 
secolo  XV. °  Il  celebre  Paolo  Giovio  già  vecchio  e  ritirato  in  Firen- 
ze nella  corte  del  gran  duca  Cosimo  I.°  ,  per  testimonianza  del 
Porzio  medesimo  che  1'  udì  ,  rammaricavasi  fòrte  di  non  aver  po- 
tuto per  mancanza  di  notizie  opportune  comprendere  nelle  sue  sto- 
rie in  quel  tempo  stimatissime  un  si  rimarchevole  avvenimento  che 
compiuto  avrebbe  il  filo  della  sua  narrazione  ,  e  che  fu  uno  de 
primi  fondamenti  delle  guerre  che  seguirono  nel  g4  (4^)*  I"  ^  ^^^ 
vero  non  so  trovar  giuste  queste  doglianze  del  Giovio,  giacche  oravi 
già  a  quel  tempo  in  istampa  il  processo  di  quella  congiura  ;  molte 
cronache  esistevano  che  di  tale  avvenimento  davan  contezza,  e  v'era 
finalmente  l'istoria  di  Giovanni  Albino  intolata  De  bello  intestino, 
scritta  con  giudizio,  gravità,  ed  eleganza;  le  quali  sebben  non  fos- 
sero state  ancor  colle  stampe  pubblicate,  pure  se  il  Giovio  ne  avesse 
fatto  inchiesta  le  avrebbe  senza  fallo  avute.  Checché  sia  di  ciò  le 
doglianze  del  Giovio  colpirono  allora  grandemente  1'  animo  del  Gio- 
stro Camillo  (46)  ;  ma  colui  che  lo  determinò  di  poi  a  tal  lavoro 
fu  il  celebre  monsignor  Seripando  arcivescovo  di  Salerno  ,  ed  indi 
cardinale  di  santa  chiesa ,  il  quale  mostrò  desiderio  che  avesse  com- 
posta la  sua  storia  non  solo,  ma  che  l'avesse  scritta  in  italiano  (47). 
Alle  premure  e  desiderii  d'  un  tanto  personaggio  non  seppe  resistere 
il  Porzio  ,  onde  con  ogni  cura  si  diede  a  raccogliere  quante  memo- 


VITA  DI  Ponzio  19 

)ie  j)olc  riuvcuirc  iutorno  al  memorabile  avvenimento.  E  pervenu- 
togli linalmeute  in  mano  il  processo  originale  formato  contro  il  Conte 
di  Samo  ed  Antonello  Petrucci  (48)  cominciò  a  distenderne  in  latino 
l'istoria.  Dato  ap])ena  cominciamento  al  lavoro  ne  avvisò  il  Scripan- 
do  il  quale  mentre  se  gli  dichiarò  obbligato  per  avere  intrapreso  a 
conaporre  la  storia  della  congiura  de'  baroni  a  persuasion  sua  ,  non 
mancò  di  fargli  amichevole  querela  per  non  averlo  potuto  persuadere 
a  scriverla  in  italiana  favella.  Gli  diceva  il  Seripando  eh' ei  riputa- 
va il  suo  stile  latino  elegante  e  grave  ,  ma  gli  soggiungeva  deside- 
rare ,  che  /'  opera  fosse  d'  onibil  documento  a  tutti  quelli  huomi- 
ni  del  regno  che  saranno  poco  obsequenti  alla  volontà  dei  loro  re, 
e  che  quindi  assai  meglio  1' apprenderebbero  in  volgare  (49).  Sia  che 
da  questa  e  dalle  altre  ragioni  addotte  dal  Seripando  nella  sua  risposta 
fosse  stato  mosso  il  Poizio  ,  sia  per  rendersi  pienamente  grato  al 
suo  amico  ,  abbandonato  il  pensiero  di  scrivere  la  sua  storia  in  la- 
tino, dicssi  a  comporla  in  italiano.  Egli  non  dissimulò  la  difficoltà 
dell'  impresa  ,  e  quindi  compiutala  ,  e  messala  anche  a  stampa,  eb- 
be con  rara  modestia  a  confessare  nella  dedicatoria  al  duca  di  Se- 
minara  Carlo  Spinello  ,  che  considerava  il  suo  lavoro  una  bozza  ed 
un  modello  ,  afilnchè  altro  buon  maestro  potesse  fabbricarne  un  bel 
eoi  j:o,  e  dandogli  vita  consegnarlo  alla  posterità.  Intanto  questa  è  fu- 
nicu  istoria  che  abbiamo  della  congiura  de' baroni  nel  1480;  e  fu 
grave  fillo  di  Apostolo  Zeno  quando  scrisse  ,  che  la  suddetta  con- 
i^iuru  fu  descritta  prima  che  dal  Porzio  in  volgare^  da  Gioviano 
Fontano  in  latino  in  \1  libri  (5o).  Imperciocché  il  Fontano  non 
descrisse  questa  congiura  nella  sua  istoria,  ma  bensì  la  invasione  del 
regno  fatta  da  Giovanni  di  Angiò  ne' primi  anni  dell' avvenimento  al 
Irono  del  re  Ferdinando  I."  di  Aragona  :  epoche  e  fatti  molto  diversi 
e  ben  distinti  tra  loro. 

Se  volessi  far  qui  lunga  diceria  intorno  al  merito  di  questa  0- 
pera  ,  io  non  potrei  liiggire  al  ceilo  la  taccia  d  importuno  al  co- 
spetto vostro  o  dotti  accademici.  Ognun  di  voi  sa  che  ne'  tempi  in 
cui  viviamo  ne'qmli  tanto  è  in  pregio  il  bel  dire  il.iliano,  la  sto- 
ria del  Porzio  si  mantiene  ancora  in  alti.ssima  riputazione.  Ed  in 
vero  se  si  riguardi  la  grave  eleganza  dello  stile,  la  maestà  e  la  ve- 


30  C  E  R  V  A  S  I  0 

lilà  del  sentenziare  ,  1'  espressione  \iva  de'  costumi  dì  quelli  uomi- 
ni clie  han  parte  negli  avvenimenti  da  lui  narr.ili,  e  l'aggiustatezzi 
delle  concioni,  sommo  è  il  merito  del  Poiz:o  per  quellu  storia  ,  on- 
de ben  giudicò  il  Gaddi  (oi)  clic  così  di  lui  scrisse  in  tempo  iioa 
molto  dal  suo  lonl;iiio  : 

f  ideiur  Portias  scriptor  maxime  i^rcivis,  lacertosiis ,  clcgans, 
ììiodemtus  ;  oplinuis  vero  polUicits  in  biwissimis  disserlationibus  , 
nobilibus  et  curiosìs  elogiis  ,  et  aptissimis  oratioiiibus  tum  obii- 
quis  ,  tum  rcctis  ,  quas  licei  frcquentiores  ,  excelleiUes  adhibet  , 
ut  quaedam  epipìionemata  egic't;:u  ,  ut  illud  quo  clausit  narniiiu- 
nem  gendnati  facinorìs  pvaestanti'ìsimi  etc.  eie. 

Ma  nuaut' altro  potesse  dirsi  de' pregi  di  questa  istoria  debbe 
riputarsi  sovirchio  dopo  il  giudizio  datone  da  uno  de' più  valorosi 
nostri  j)rosalori,  da  Pietro  Giordani  io  dico,  il  (£ual  giudizio  io  multo 
più  volentieri  qui  rijwrto  ,  [oicliè  jirovviene  da  uom  così  dotto  e  di 
animo  scevro  da  ogni  patria  prevenzione.  Parlando  egli  in  un  famo- 
so giornale  italiano  (Sa)  della  istoria  di  Gian-Jacopo  Trivulzio  det- 
to il  magno  ,  scritta  dall'  elegante  penna  del  cav.  Carlo  de'  Ros- 
iiiini,  ebbe  a  maravigliarsi  come  costui  non  avesse  nOininata  la  bel- 
lissima storia  del  nostro  Porzio  nel  narrar  la  guerra  de' baroni  con- 
tra  r  Aragonese  Ferdinando  ,  e  soggiunse  ; 

Però  siami  perdonalo  di  non  voler  perdere  questa  occasione 
di  pre°are  la  gioventù  italiana,  per  quanto  ama  i  migliori  studj, 
a  leggere  quella  preziosa  operetta;  della  quale  io  tengo  fermamen- 
te che  mai  in  tutto  il  regno  di  Napoli  ,  e  rare  volte  in  Italia 
siasi  fatta  opera  di  storia  die  avesse  tanta  bellezza  e  perfezione. 
Troveranno  uno  stile  puro  ,  dolce  ,  leggiadro  che  innamora  ,  la- 
crimeranno di  pietà  ;  coglieranno  ammaestramenti  utilissimi  a  molle 
parti  della  vita  civile  ;  vedranno  gli  sventurati  successi  dell'  ambi- 
zione ,  e  come  per  poca  pa'zienza  e  poca  saviezza  ed  incostanza 
de  grandi ,  si  aggravino  e  si  moltiplichino  e  a  grandi  ed  al  po- 
polo i  mali  ordinar]  e  sopportabili  della  tranquilla  dominazione  ec. 

Quando  il  Porzio  si  risolvè  di  dare  alle  stampe  1'  opera  sua  era 
già  trapassalo  il  di  lui  amico  e  fautore  il  cardinal  Seripando  (53), 
col  quale  forse  aveva  preso  accordo  di  farla  imprimere  fuori  di  ]\a- 


VITA  DI  ronzio  21 

jìoli  {it  1-  le  liigioui  clic  Ira  poco  sarò  per  dire.  A  me  non  è  riuscito 
di  aver  contezza  con  clii  si  fosse  egli  concertalo  dopo  la  morte  dd 
Se)i])ai.do  per  la  stampa  dell'opera  medesima.  Il  certo  si  è  che  la 
edizione  ne  la  liilla  iu  Roma  senz'  alcun  nome  di  stampatore  col  ti- 
tolo seguente: 

Lu  couj^iuia  da'  baioni  del  regno  di  Napoli  coiiira  il  Re 
Ferdinando  Primo  ,  raccolta  dal  S.  Camillo  Porzio.  In  Roma  , 
MDLXr ,  in  4." 

Il  titolo  ,  la  lettera  del  Seripando  che  non  ha  data  ,    la    dedi- 
catoria al  duca  di  Scminara  Carlo  Spinello,  e  la  indicazione  de'  luo- 
ghi onde  r  autore  trasse  la  sua  istoria  ,    si  contengono    nelle    j)rime 
quattro  carte  non  numerate.  La  storia  della   congiura  clic  viene  ap- 
presso ,   ha  la  numerazione  nelle  84  carte  soltanto  che  la    compren- 
dono.  Jn  fine  ve  ne  sono  altre  quattro  non  numera  ie  ,  ma  coUa  snjà 
indicazione  del  registro  segnato  colla  lettera  Y  :  di  queste  le  prime 
tre  hanno  il  Sunimario  dell'  //istoria    e  la    coircltione    di    alcuni 
errori  della  stampa  ,  e  1'  ultima  è  tutta  bianca.   In  mezzo  al  titolo 
vi  è  l' impresa  dell'  ancoi'a    cui  è  avvolto    un  delfino  ,    il    che    an- 
nunzia ben  chiaro  essere  stato  il    libro    impresso   co'  tipi    di     Paolo 
Manuzio  ,  il  quale  dimorava  in  quelli  anni  in  Roma  (54)  ,    ov'  era 
stato  invitato  a  trasferirsi  per  istabilirvi  una  stamperia  apostolica    e 
pubblicare  le  opere  de'  saati  padri  e  specialmente  gli  alti  del   con- 
cilio tridentino. 

Sono  andato  spesso  ricercando  la  cagione  per  la  quale  il  Por- 
zio uon  abbia  pubblicata  1'  opera  sua  in  Naj)oli  die  a  suoi  dì  ab- 
bondava di  tante  buone  tipografie,  ma  invano  mi  sono  alTalicato  per 
averne  quiilche  barlume.  Vado  sospettando  soltanto  che  siccome 
nella  congiura  dal  Porzio  narrata  le  più  illustri  famiglie  napolitane 
fiirouo  implicate  ,  e  queste  ancorché  di  grave  macchia  notate  ave- 
vano nondimeno  ancor  dopo  il  corso  di  molti  anni  tanto  potere  da 
im])edire  the  si  rinnovasse  con  un  elegante  scritto  alla  memoria  de' 
presenti  il  nero  delitto  di  fellonia  di  alcun  loro  antenato;  il  Porzio 
forse  per  maneggi  di  coteste  famiglie  non  potè  ottener  licenza  di 
pubblicare  la  sua  storia  in  Napoli.  Esempio  sarebbe  questo  non  nuo- 
ìo  e  che  per  simili  circostanze  è  avvenuto  ancora  in  tempi   da  noi 


23  GERVASIO 

non  molto  lonlani.   Aggiunge  peso  a  questo  mio  sospetto  che'l  Porzio 
e  pel  dovere  di  storico  ,    e  pel  suo    privato   sentimento    si    espresse 
troppo  liberamente  in  quella  storia  intorno  a  taluni  punti  delicati  di 
nostra    ragion    pubblica  ,    de'  quali    non  era    lecito    sotto  il  governo 
viceregnale  nel  quale    ei  viveva  ,    scrivere    con   imparzialità    e    eoa 
franchezza.     Quindi  sia  per  prudenza  ,    sia    per  necessità  si  risolvè 
pubblicarla  in  Roma  pe'  tipi  del  Manuzio.  Questa  considerazione  po- 
trebbe per  avventura  aver  maggior  fondamento  a  motivo  che  per  quasi 
due  secoli  non  ne  fu  ripetuta  la  stampa  nò    in  Na^wU  ,    ne  altrove 
in  Italia  ,  tranne  la  tradu7Ìon    francese    la  quale    siccome   scrive    il 
Zeno  (55)  ne  stampò  in  Parigi  nel   1627  un   tal  Giovanni  de  Cor- 
do6  (   Cordusio  )  di  Limoges ,  e  che  a  me  giammai  è  stato  possi- 
bile vedere. 

Dopo  essere  stata  dimenticata  questa  preziosa  storia,  come  dissi, 
per  lo  spazio  di  circa  160  anni  ,  nel  1724  ne  fu  rinnovata  la  me- 
moria qui  in  Napoli  da  un  certo  Giuseppe  Maria  di  Lecce  che  ne 
fece  la  ristampa  con  questo  titolo: 

2.  La  Congiura  del  Baroni  del  Regno  di  Napoli  cantra  il 
Pie  Ferdinando  J."  Raccolta  dal  Signor  Camillo  Portio.  Dedicata 
all'  Illustrissimo  Signore  il  Signor  D.  Matteo  de  Ferrante  Regio 
Consigliere  nel  Supremo  Consiglio  di  S.  Chiara  di  Napoli.  In 
Roma  ed  in  Napoli ,  mdccxxjv.  Presso  Gio.  Andrea  Benvenuto 
in  8." 

Le  prime  cinque  carte  non  numerate  contengono  il  titolo  ,  la 
dedica  del  di  Lecce  al  consiglier  Ferrante  ,  il  sommario  dell'  isto- 
ria ,  la  nota  de'  luoghi  d'  onde  il  Porzio  la  trasse.  Segue  la  istoria, 
contenuta  in  5208  carte  numerate.  La  edizione  è  buona  ,  ma  il  di 
Lecce  non  riprodusse  ne  la  lettera  del  cardinal  Seripando  ,  ne  la 
dedica  del  Porzio  al  duca  di  Semiuara  ,  e  mancò  di  supplire  al 
proprio  luogo  le  parole  omesse  nella  prima  edizione  che  come  av- 
vertii ,  sono  in   questa  aggiunte  nelle  correzioni. 

Bella  ricerca  sarejjbe  ,  perchè  mai  il  di  Lecce  nel  ristampar 
quesl'  oj)era  abbia  omesso  e  la  lettera  del  Seripando  ,  e  la  dedica- 
toria n!  duca  di  Se  minara.  Li  cosa  tanto  antica  e  nella  mancanza 
totale  di    monumento  onde  attingerne  traccia  mi  sarà  permesso  o  dot- 


VITA    DI    PORZIO  23 

ti  colleglli  ,  che  io  non  vi  tenga  celato  un  mio  pensainenlo.  È 
nolo,  che  nel  i^oi  avvenne  in  Naiwli  la  congiura  conosciuta  tra 
noi  col  nome  Jcl  Principe  di  Macchia.  Una  storia  ne  fu  scritta  da 
Gio:  Battista  ^^ico  ,  ed  un'altra  da  Giusepjie  Macrino,  ma  n  è  del- 
l' uuu  ,  uè  dell'  altra  storia  ne  fu  permessa  la  stampa  ,  giacche  il 
duca  di  Popoli  o'I  principe  di  Gellamare  destinati  a  rivederle,  opi- 
narono che  entrambe  offendessero  la  maestà  del  sovrano  allora  le- 
gnante ,  e  l'onore  di  alcune  famiglie  nobili.  Essi  però  non  conlenti 
del  lor  giudizio  chiamarono  a  consiglio  il  dotto  D.  Carlo  Majello 
allora  canonico  della  chiesa  napoletana  ,  il  quale  essendosi  unifor- 
mato al  loro  sentimento  fu  incaricato  di  scrivere  egli  stesso  un  allra 
storia  di  quella  congiura  secondo  le  idee  tra  loro  convellute  (56). 
Allora  tu  che  '1  Majello  compose  quella  storicità  della  congiura  del 
1701  che  pubblicò  per  le  stampe  (07).  Da  questo  breve  cenno  di 
fatti  voi  potete  ben  comprendere ,  o  accademici ,  in  qual  conto  deb- 
ba tenersi  questo  lavoro  del  Majello,  che  quantunque  scritto  in  ele- 
gante latino,  è  da  riputarsi,  quale  istoria,  leggiero  e  sospetto  per  una 
eccessiva  e  mal  intesa  prudenza.  Scorsi  pochi  anni,  cioè  nel  1707,  i 
Tedeschi  s' impossessarono  del  regno,  e  per  comando  dell' imperatore 
Carlo  VI,  il  viceré  conte  di  Daun  fece  fare  onorevoli  esequie  e  son- 
tuosi funerali  a  pubbliche  spese  a  Carlo  di  Sangro  ed  a  Giuseppe 
Capece  due  de'  congiurati  che  dagli  Spagnuoli  erano  stati  puniti  di 
morte,  e  che '1  Majello  aveva  mal  dijiinti  nella  sua  istoria,  non  o- 
stantc  che  amendue  fossero  tenuti  nella  città  nostra  in  somma  riputa- 
zione per  molti  pregi  e  virtù  ond'  erano  adorni  ,  essendo  il  Sangro 
uà  antico  militare  che  si  era  distinto  in  molte  gloriose  azioni  ,  e'I 
Capece  un  eultissimo  e  studioso  giovane  il  quale  oltre  della  lingua  la- 
tina ed  italiana  conosceva  benissimo  la  spagnuola  ,  la  francese  e  la 
tedesca.  L'orazione  nella  pompa  funerale  per  loro  fatta,  fu  recitata 
dal  p.  IJenedetto  Laudato  benedettino  cassinese  abate  del  monistero  de' 
SS.  Severino  e  Sossio,  e  le  iscrizioni,  gli  emblemi  e  motti  senten- 
ziosi furon  composti  da  Gio:  Battista  Vico  che  parimenti  a  pubbUche 
spese  mise  a  stampa  nel  1708  tutto  l'operato  in  tal  circostanza  (58). 
Or  questo  cangiamento  di  dominazione  ,  1'  approvazione  data  alla 
congiura  mercè  i  sontuosi  funerali    celebrati    al  Sangro   ed   al    Ca- 


24  GEIVVASIO 

pece  ,  r  essersi  adoperato  il  Vico  ,  del  quale  non  si  volle  far  pub- 
Llicare  la  storia  della  congiura  medesima  ,  e  le  ricompense  accor- 
date agli  altri  congiurati  furono  tante  cause  che  di  questo  attentato 
del  1701  si  tenesse  nel  tempo  della  dominazione  austriaca  un  lin- 
guaggio bea  diverso,  giaccliè  erau  saliti  in  onore  coloro  clie  vi  eb- 
bero parte  ,  ed  in  dispregio  avevasi  cUi  con  i  fatti  o  con  gli  scritti 
vi  si  era  opposto.  Quindi  il  Majello  non  potè  evitare  allora  la  cen- 
sura di  ognuno  non  tanto  per  la  storia  della  congiura  cli'ei  scrisse 
secondo  le  vedute  della  corte  di  Spagna  ,  quanto  [>er  essere  egli 
stalo  tra  coloro  che  iiou  vollero  far  pubblicare  quelle  scritte  dal 
^  ico  e  dal  Macriuo  ,  nelle  qu.ili  gli  avvenimenti  e  le  persone  era- 
no ,  coni  è  fama  ,  con  imparzialità  dipinte.  Or  per  fare  al  Majello 
la  più  vivace  critica  bastava  mettere  a  fronte  della  sua  storia  quella 
che  aveva  scritta  il  Porzio  della  congiura  de'  baroni  del  secolo  XV, 
e  questo  appunto  sembrami  di  avere  avuto  in  mira  il  di  Lecce  nel 
n.-itumparla  ,  e  non  giìi  perchè  se  ne  fosse  perduta  la  memoria  , 
siccome  ei  disse  nella  dedicatoria  al  cousiglier  Ferrante.  Per  questo 
ragioni  medesime  non  potè  egli  pubblicare  ne  la  lettera  del  Seri- 
pando  al  Porzio  ,  nella  quale  si  mostrava  un  giusto  orrore  alle  con- 
giure sempre  perturbatrici  dell'ordine  pubblico  ,  ne  la  dedicatoria 
al  duca  di  Seminara  nella  quale  il  Porzio  additava  la  cagione  onde 
quella  istoria  compose  ,  cagione  che  era  hen  diversa  da  quella  che 
consigliato  aveva  il  di  Lecce  a  riprodurla  per  le  stampe. 

3.°  Nello  slesso  secolo  xvin  il  tijwgrafo  Giovanni  Gravier  in- 
seri nel  5.°  volume  della  sua  raccolta  de  più  rinomati  scrittori 
lidia  storia  generale  del  regno  iiostro  quella  del  Porzio ,  cui  die- 
de il  seguente  titolo: 

La  congiura  de  Baroni  del  Regno  di  Napoli  contro  al  Re 
Ferdinando  1."  raccolta  dal  Signor  Camillo  Porzio.  Napoli  neUa 
Stamperia  di  Giovanni  Gnwier  MDCCLXIX  in  4-°  Furono  ri- 
stampate in  questa  edizione  la  lettera  del  Seripaudo  al  Porzio  ,  e 
la  dedica  di  lui  al  duca  di  Seminara. 

Due  cose  meritano  esser  notate  nella  presente  ristampa:  la  prima 
the  sono  state  mutate  alcune  parole,  altre  tolte  via,  ed  altre  scritte 
diversamente  da  ciò  che  avea  fatto  l'autore  (jg)  ;  la  seconda   poi  ciie 


\ 


VIT\    DI    PORZIO  a5 

come  nella  prima  edizione  il  testo  della  stori.i  non  è  altiimento  dlstiuto 
the  iu  libri,  in  questa  e  stata  per  maggior  coinmndo  dei  leggitori 
divisa  iu  capitoli  ,  ina  senza  uuiuerazione  e  soiiiinarii.  Delle  i[uali 
due  cose  (juanto  è  da  lodarsi  la  seconda  ,  altrettanto  debbe  ripro- 
varsi la  prima  ,  giaccbc  la  malizia  soki  o  la  ignoranza  può  consigliar 
di  attentare  scuz'  alcuna  necessità  alle  pnrole  ed  alle  frasi  adoperate 
tlall"  autor  suo  in  un  opera  nella  quale  la  coUocazioue  e  1'  uso  di  c^ue- 
ste  ne  costituisce  la  bellezza. 

Ma  nel  corrente  secolo  XIX  la  storia  del  Porzio  è  tenuta  nel- 
la più  alta  stima,  e  l'edizioni  dal  1 8 16  sino  ad  ora  si  sono  T  una  al- 
l' altra  succedute  dopo  breve  intervallo  ,  noverandosi  siccome  dice 
(|ualcuno  de'  suoi  editori  (60)  tra  i  piìi  bei  giojelli  dell'  italiana  ta- 
vella ;  onde  il  chiarissimo  Bartolomeo  Gamba  la  ripose  £;iustamcnte 
nella  serie  de  testi  di  lingua  itulidiia  ,  e  di  idlrì  eseiiìj)ltiri  del 
ben  scrivere  (61). 

L'  edizioni  delle  quali  ho  parlato  sono  queste  : 

4.  Congiura  de  Baroni  ecc  :  Lucca  itìi6  per  Francesco  Ber- 
lini in  8  di  pag.    174- 

IMi  duole  non  aver  potuto  esaminare  questa  edizione  che  vien 
celebrata  per  corretta,  avendo  1'  editore  presa  la  cura  di  confrontarla 
colla  prima  del  i5(35  ,  e  colla  seconda  del  1734-  Ne  ho  trascritto 
il  titolo  dal  libro  del  Gamba  di  sopra  lodato,  e  dalla  biblioteca  ila- 
liana  di  ISlilano  ,  ove  nel  tomo   1 1   pag.   53Cì  se  ne  dà    1'  annunzio. 

5.  Pisa  presso  Niccolò  Caparro  co'  caratteri  di  Didot  in  8  grande. 
Forma  il  quarto  volume  della  collezione  di  ouinii  scrittori  ita- 

liani  in  supplimento  a  classici  milanesi. 

Avendo  curata  questa  edizione  1' egregio  professor  Giovanni  Re- 
sini ,  è  riuscita  nitida  e  corretta.  Vi  precedono  alcune  notizie  poco 
tsattc  sulla  vita  del  Porzio. 

G.  La  congiura  dei  Baroni  del  Regno  di  Napoli  di  Camillo 
Porzio  ,  insiem  colla  vita  di  Nicolò  Caponi  del  Segni  e  la  vita  di 
Antonio  Giacomini  del  Nardi.  Milano  per  Giovanni  Silvestri  mdccc  xxi, 
in  8.  L  il  volume  i()G  della  Biblioteca  sediti  di  opere  itiiliano 
antiche  e  moderne  ,  che  tuttavia  sta  pubblicando  il  benemerito  li- 
brajo  Silvestri.  Bella  ancora  e  corretta  è  questa  edizione  ;  l"  editore 

4 


26  G  E  R  V  A  S  I  O 

lia  adottata  la  stessa  distinzione  di  capitoli  di  quella  del  Gravier  , 
uè  vi  mancano  al  pari  che  in  questa  la  lettera  del  Sciupando  ,  e  la 
dedicatoria  del  Porzio  ,  le  quali  non  sono  secondo  la  lezione  vera 
impresse.  Nella  prefazione  si  dà  un  breve  cenno  del  merito  dell'  o- 
pera  e  della  vita  del  Porzio  ,  delle  quali  cose  quanto  è  giudiziosa 
la  prima  ,  altrettanto  n'  è  magra  ed  inesatta  la  seconda. 

7.  Milano  per  Antonio  Fontana  i83o  in  8  grande. 

Forma  parte  di  imo  de'  volumi  della  Biblioteca  storica  di 
tutte  le  nazioni.  Si  è  tralasciata  in  questa  edizione  la  lettera  del 
Seripando  e  la  dedica  dell'  autore  ,  e  finanche  il  sommario  dell'  i- 
storia  (  cosa  utilissima  in  opere  di  tal  fatta  )  che  non  manca  in  al- 
cuna delle  precpd<-'nti.  Può  dh-si  esser  questa  la  più  cattiva  di  tutte 
le  altre  edizioni  siiiora  rammentate.  Mi  si  permetta  qui  un  osserva- 
zione :  non  so  intendere  perchè  mai  in  una  raccolta  di  storie  ge- 
nerali delle  nazioni  com'  è  questa  milanese  ,  sia  stata  compresa  la 
storia  del  Porzio,  -la  quale  sebben  meritevole  per  ogni  verso  d'  esser 
sempremai  riprodotta  ,  riguardando  im  particolare  avvenimento  del 
regno  di  Napoli  ,  non  avrebbe  dovuto  comparire  in  quella  raccolta. 

8.  Della  Congiura  dei  Baroni  del  Regno  di  Napoli  contra 
il  Re  Ferdinando  '/.  libri  tre  di  Camillo  Porzio.  Voi.  unico,  Na- 
poli R.  Marotta  e  Vanspandoch  ,   i83i  in  18. 

Dispiacevol  cosa  è  il  confessare  che  nella  stessa  patria  del  Por- 
zio sia  stata  pubblicata  questa  edizione  della  sua  storia.  E  copiata 
dalla  stampa  fattane  nella  biblioteca  storica  milanese,  della  quale  ab- 
biam  di  sopra  parlato,  e  come  quella  non  deve  aversi  in  alcun  conto. 

9.  Camillo  Porzio.  La  Congiura  dei  Baroni  contro  etc.  Mi- 
lano. Per  Nicolò  Bettoni  e  comp.  MDCCC.XXXI  in  8  grande. 
È  nel  volume  IV  della  Biblioteca  Enciclopedica  Italiana  ,  unita 
alle  opere  storielle  del  Machiavelli  ,  di  Jacopo  Nardi  ,  del  Davan- 
zati  ,  del  Mascardi,  del  Capecelatro  ,e  del  Sarpi.  Gli  editori  nella 
prefazione  così  scrivono  dell'  opera  e  del  suo  autore.  //  merito  di 
questa  operetta  è  attestato  dalle  molte  recenti  edizioni  die  ne  ven- 
nero fatte  dopo  die  fu  tornata  alla  memoria  degli  Italiani  ,  e 
redenta  da  queir  ingiusto  ohblio  ,  in  cui  da  lungo  tempo  era  ca- 
duta.  Nessun  epoca  forse  piìi  memorabile  di  quella  ,    cfie  è  ar- 


1 


1 


VITA    DI    PORZIO  .  3>J 

gomcnto  alla  narrazione  del  Porzio  ,  presentano  gli  annali  del 
regno  di  Napoli  ,  e  forse  nessuno  scritture  storico  più  accurato, 
franco  e  vigoroso  di  questo  Cannilo  ,  produsse  nel  Secolo  XV.l 
(juella  nobile  terra,  madre  fortunata  di  tanti  ingegni  acuti  e  robusti. 
IO.  Finalmenle  il  tipografo  toriuese  Giuseppe  Pomba  in  uà 
prospetto  di  recente  pubblicato  di  una  Libreria  Universale  d'opere 
di  provata  generale  istruzione  ,  che  va  unito  al  volume  di  aprile 
i83i  del  giornale  fiorentino  intitolato  l'antologia,  ha  promesso 
tra  l'altro  di  riprodurre  in  uno  de' primi  25  volumi  di  questa  rac- 
colta la  storia  del  Porzio  unita  a  quella  della  congiura  de'  Fieschi 
scritta  dal  Mascardi. 

Io  non  so  se  questa  edizione  sia  stata  pubblicata.  Io  desidero 
the  per  riuscir  corretta  sia  confrontata  accuratamente  con  la  pri- 
ma del  i565,  la  quale  benché  spesso  rammentata  con  lode  dagli  e- 
ditori  precedenti  non  è  stata  con  attenzione  riscontrata  nella  lezione, 
ne  si  è  ancor  posta  mente  alle  correzioni  di  alcuni  errori  di  stam- 
pa che  leggonsi  in  fine  di  quella  edizione. 

Oltre  della  storia  della  quale  ho  fin  ad  ora  ragionato,  non  si  ri- 
stette il  Porzio  di  volger  l'animo  suo  a  scriverne  altra,  che  la  nar- 
razione comprendesse  di  avvenimenti  egualmente  grandi  ,  e  che  de- 
gni fossero  di  tramandarsene  a'  posteri  la  memoria.  Se  in  quella  si 
prefisse  di  soddisfare  al  vivo  desiderio  dal  Giovio  manifestato  di  ri- 
fovar  la  cagione  primiera  per  la  quale  da  tanti  mali  fu  oppressa 
l'Italia  tutta  nel  secolo  XV,  in  questa  prese  l' imjiegno  il  Porzio 
di  narrar  cose  pur  alte  e  strepitose  a  tempi  suoi  succedute  in  Na- 
poli di  lui  patria,  e  in  altre  parti  d'Italia. 

Niente  saprebbcsi  di  quest'  altia  storia  del  Porzio  ,  ed  essa , 
come  è  avvenuto  a  tante  altre  opere  di  autori  sommi  sì  antichi  che* 
moderni  ,  sarebbe  tuttora  oscura  ed  ignorata  ,  se  non  ne  avesse  dato 
per  la  prima  volta  un  cenno  Lionardo  Nicodemi  (C>3).  Così  egli  scris- 
se ragionando  del  Porzio  ;  scrisse  ancora  l' Istoria  d' Italia  ,  ed 
alcuni  ne  han  veduto  il  secondo  libro  manoscrillo,  dì  è  dimoiti 
fogli ,  e  principia  :  Si  partoriscono  le  congiure  dalla  disparità  delle 
w  forze  degli  uomini ,  conciosiacosnchè  dove  le  son  pari ,  di  rado- 
»  o  non  mai  si  sentono.  Pier  Luigi  Farnese   a  voler    torre   ec.  fi- 


'.6  G  E  R  V  A  S  I  O 

i>  w'sce  :  Il  che  se  tlal  Gonzaga  fosse  stato  ben  temilo  a  mente  , 
w  non  avrebbe  giammai  sjjogbato  di  difensori  il  suo  ,  per  ire  a 
»  conquistare  1'  altrui  ».  Fin  qui  il  Nicodemi,  né  altro  aggiunse  per 
fyr  chiaro  da  chi  si  conservasse  un  tal  nianuscritto  ,  nel  quale  una 
jinrtc  si  conteneva  della  inedita  storia  del  Porzio.  Apparisce  però 
dalle  sue  parole  che  non  ne  abbia  ne  pur  egli  veduto  il  codice  dal 
quale  i  due  brani  ne  tolse  ,  ,c  che  altri  glieli  avesse  commuuicati. 
Dopo  del  Nicodemi  non  altro  io  trovo  che  di  questa  storia  avesse 
fatta  menzione  se  non  Gio:  Berardino  Tafiiri  scrittore  de'  più  be- 
nemeriti della  nostra  storia  letteraria  nella  prima  metà  del  seco- 
lo XVIII.  Scrivendo  egli  del  Porzio  (63)  rammentò  tra  le  di  lui 
fipere  ancor  questa  come  inedita  ,  aggiungendo  conservarsene  appo 
lui  un  codice  mir.oscritto  col  titolo::  Istoria  dei  successi  nelP an- 
no i55y  in  .Ge?io^ia^  in  Napoli,  ed  in  Piacenza^  e  sospettò  che 
forse  r  autore  da  morte  sojiraggiunto  non  potè  darla  alla  luce.  Non 
avendo  il  Tafuri  indicata  alcuna  particolarità  del  manoscritto  da  lui 
jiossedtito  ,  ne  chiesi  contezza  all'  ottimo  mio  amico  e  collega  no- 
stro D.  Michele  Tafuri  nipote  ed  erede  del  genio  di  Gio:  Berar- 
dino cui  avanza  di  gran  lunga  nella  erudizione  e  ncU'  acut<3zza  del 
giudizio  specialmente  negli  studii  di  storia  letteraria.  Ei  con  quella 
cortesia  propria  di  lui  nell'  informarmi  delle  diverse  vicende  sofferte 
dalla  sua  famiglia  e  per  le  quali  i  manoscritti  de'quali  i  suoi  antenati 
Bartolomeo  e  Gio:  Berardino  Tafuri  avevan  fatto  ampia  raccolta  eransi 
parte  smarriti  e  parte  perduti  affatto  ,  specialmente  nelle  rovine  della 
casa  paterna  pel  tremuoto  del  1742  ,  mi  promise  di  voler  fai'ne  ri- 
cerca tra  le  carte  di  sua  casa  restanti  in  Nardo  sua  patria.  Fedele 
:illa  sua  jiromessa  mi  mostrò  un  grosso  volume  in  foglio  che  conte- 
neva i  frammenti  di  diverse  opere  manuscritte  ,  salvate  dalla  ca- 
tastrofe del  tremuoto  ,  e  tra  queste  con  piacevole  sorpresa  mista  di 
rammarico  io  scoprii  non  già  l' intera  storia  del  Porzio  ,  ma  bensì 
un  solo  frammento  di  essa  scritto  in  otto  carte  a  due  colonne  in  ogni 
pagina  di  minuto  carattere  che  paragonato  con  quello  degli  altri 
opuscoli  di  quel  volume  può  dirsi  scritto  nel  i586.  La  prima  pa- 
gina comincia  dalle  parole  «  In  quel  mezzo  tempo  ec.  e  continua 
ordinatamente  sino  alla  fine  dell'opera.   Prezioso  è  questo  frammento 


VITA    DI    PORZIO  29 

per  la  sua  correzione  e  fucile  lettura.   In  un  foglio  sciolto  li'ggesi  il 
titolo  tleir  oliera  clic  è  come  siegue  : 

HISTORIA  D' 

ITALIA 

DI 

CAMILLO  PORTIO 

contenente 

Li  successi  dell'  anno  DXLVII 

IN  GENOVA  IN  NAPOLI  ET 

PIACENZA. 

Basti  fin  qui  eli  questo  codice  del  quale  tornerà  1'  opportunità 
di  jwrlar  quindi  a  poco. 

Il  Sona  nelle  citate  sue  memorie  degli  storici  napoletani  (64) 
ripetè  intorno  alla  storia  del  Porzio  ,  di  cui  parliamo  ,  quanto  ne 
avevan  detto  prima  di  lui  il  Nicodemi  e  '1  Tafnri. 

Il  consigliere  iMicliele  Vecchioni  ,  amantissimo  come  egli  fu 
delle  cose  patrie  ,  conservava  manoscritta  una  parte  soltanto  di  que- 
sta storia  del  Porzio  ,  e  propriamente  quella  del  tumulto  di  Napoli 
.1"  tempi  del  viceré   D.   Pietro  di  Toledo. 

Aveva  disegnato  stamparla  col  titolo  storia  de  tumulti  qui 
presso  di  noi  rircadiiti  sotto  Carlo  f^  per  conto  della  inquisi- 
zione scritta  d(dlii  felicissima  penna  di  Camillo  Porzio,  come  una 
appendice  a'  Giornali  di  Giuliano  Passaro  che  si  pubblicavano  a 
spese  del  librajo  najwlctano  Vincenzo  Altobelli;  ma  egli  stesso  nella 
prefazione  a  questi  giornali  (65)  ci  fa  sapere  che  l'Altobelli  vi  si  ri- 
cusò per  la  premura  che  aveva  di  dare  in  luce  al  più  presto  il  ci- 
tato libro.  Morto  il  Vecchioni  nel  i8oo  ne  fii  distratta  la  preziosa 
libreria  ricca  di  molti  codici  ,  tra  i  quali  vi  era  il  frammento  della 
storia  del  Pcirzio  ,  ed  ignorasi  in  potere  di  chi  sia  giunto. 

Di  questa  istessa  storia  del  tumulto  di  Napoli  die  notizia  il 
Giustiniani  (66)  facendone  autore  il  Porzio  ,  tracndolo  senza  dubbio 
dalla  dissertazione  del  Vcccliioui  teste  citata  ,  e  quindi  niente  disse, 


3o  GERVASIO 

come  ha  per  costume  ,  ne  aggiunse  particolarità  alcuna  intorno  al  co- 
dice che  la  conteneva  ,  ed  in  qual  biblioteca  si  conservasse. 

Nella  scelta  biblioteca  del  signor  duca  Vargas  Macciucca  cor- 
reva fama  esistere  un  codice  intero  della  storia  inedita  di  Camillo 
Porzio  ,  ed  io  fin  dalla  prima  gioventù  quando  caldo  in  me  ferve- 
va r  amore  per  gli  studj  della  storia  letteraria  specialmente  patria, 
non  tralasciai  farne  sedula  ricerca.  Rivolto  però  come  diceva  sul  bel 
principio  ad  altri  studj  più  severi  ,  venne  a  raffreddarsi  iu  me  l' ar- 
der primiero  di  consultare  il  riferito  codice.  Venuto  ad  esser  nostro 
collega  nel  1818  il  lodato  Signor  Duca  ,  si  ridestò  in  me  l'antica 
premura  ,  e  fui  sollecito  di  richiederlo  di  quel  codice  che  la  sto- 
ria inedita  del  Porzio  dicevasi  di  contenere.  Egli  il  profferse  non 
solo  ,  ma  volle  dippiù  farne  generoso  dono  all'  accademia  nostra  che 
or  lo  possiede  ,  ed  è  qual  voi  lutti ,  o  illustri  colleghi  ,  qui  vedete. 
Io  l'ho  diligentemente  letto  ed  esaminato,  e  non  v' increscerà  udirne 
la  descrizione  che  ne  andcrò  facendo. 

Il  codice  in  foglio  piccolo  nella  prima  pagina  ha  il  titolo  a 
grandi  lettere  scritto  ,  che  niuna  dubbiezza  ne  lascia  dell'  autor  suo: 

DELLA 

H  ISTORIA  D' ITALIA 

DI 

CAMILLO  PORTIO. 

Non  ha  numerazione  di  pagine  ,  ma  soltanto  i  richiami  delle 
parole  iu  pie  di  ciascuna  di  esse.  Il  carattere  è  minuto  ed  intral- 
ciato ,  e  sembra  sincrono  dell'  autore.  Dell'  ignoranza  somma  del 
copista  ho  acquistata  certezza  nell'  attenta  lettura  da  me  fatta  del 
manoscritto  ,  imperciocché  manca  qualche  volta  nella  dicitura  ,  e 
vi  sono  travisate  le  parole  ,  il  che  ho  più  chiaramente  ravvisato  dal 
confronto  fatto  del  manoscritto  nostro  con  quel  frammento  del  Ta- 
furi  di  cui  sopra  ho  dato  ragguaglio  ,  e  la  cui  mercè  ho  ristabi- 
lite alcune  delle  mancanze  ,  ed  importanti  correzioni  ho  fatte  alle 
parole  in  quella  parte  soltanto  della  storia  contenuta  nel  codice  del 
Tafuri.  L' ortografia  poi  del  codice  nostro  è  oltremodo  capricciosa  ; 


VITA    DI    PORZIO  3l 

spesso  mancano  i  punti  finali  ,  v'  lia  per  lo  contrario  un'  imperita 
soprabbondanza  di  virgole  ed  altre  simili  cose  ,  vizii  per  altro  clie 
sono  comuni  alla  mnggior  parte  delle  scritture  del  secolo  XVI.  Os- 
servansi  inoltre  alcune  correzioni  fatte  da  mano  diversa  da  quella 
la  quale  copiò  il  codice,  e  verso  il  fine  veggonsi  a  modo  di  som- 
tnarìi  cacciati  in  margine  dello  scritto  alcuni  nomi  propri!  che  sono 
mentovati  nella  storia  ,  d'onde  si  può  argomentare  che  forse  il  co- 
dice sia  stato  da  altra  mano  riveduto  e  corretto.  la  questo  mano- 
scritto ,  come  altresì  nel  frammento  del  Tafuri ,  invano  ho  cercati 
quei  due  passi  che  il  Nicodemi  riportò  quai  principio  e  fine  di  un 
secondo  libro  dell'inedita  storia  del  Porzio,  nella  quale  par  che  si 
contenesse  1'  istoria  della  congiura  fatta  ordire  dal  Gonzaga  gene- 
rale di  Carlo  V  in  Italia  centra  Pier  Luigi  Farnese  Duca  di  Par- 
ma e  Piacenza.  E  questa  istoria  appunto  tanto  nel  codice  nostro, 
quanto  in  quello  del  Tafuri ,  è  scritta  in  discorso  continuato  senza 
ombra  di  divisione  sia  in  libri  ,  sia  in  paragrafi.  E  gli  avveni- 
menti sono  narrati  ,  come  or  ora  più  a  minuto  diremo ,  con  esatto 
cronologico  procedimento.  Che  penseremo  dunque  di  questa  diver- 
sità ne'  codici  ?  Non  perchè  voglia  farla  da  indovino,  ma  perchè  in 
cosa  oscura  è  permesso  il  conghietlurare,  oserei  iu  tal  modo  spiegar- 
la. Questa  istoria  del  Porzio  contiene  tre  distinti  fatti  ,  i  quali  di- 
scendono si  dalle  cause  medesime  ,  ma  differiscono  tra  loro  per 
le  circostanze  ;  sono  però  con  tal  arte  descritti  che  dall'uno  all'al- 
tro si  passa  come  se  un  sol  corj[X)  formassero.  Potea  avvenire  che 
non  andando  a  tutti  a  verso  per  cagioni  a  noi  ignote  il  trarre  co- 
pia intera  della  istoria  ,  ciascuno  secondo  il  proprio  genio  ne  avesse 
trascritta  la  narrazione  soltanto  chi  di  uno,  chi  dell'  altro  de'  tre  fatti 
da  essa  contenuti.  Par  quindi  probabile  che  colui  il  quale  un  solo 
di  quei  fatti  avesse  avuto  vaghezza  di  trascrivere,  da  sé  stesso  o  pur 
coir  opera  altrui  vi  avesse  adattato  un  principio  ed  una  conchiusione 
corrispondente  al  fatto  medesimo  staccato  già  dalla  storia  intera.  Né 
altrimenti  può  spiegarsi  quella  diversità  di  titoli  ne'  codici  posseduti 
dal  Tafuri ,  dal  Vecchioni ,  ed  in  quello  dal  Nicodemi  rammentato. 
Né  altrimenti  potrà  darsi  ragione  della  differenza  pocanzi  accen- 
nata fra  '1  principio  e  1  fine  di  tutta  la  storia  ,    tra  '1  codice  nostro 


32  GERVASIO 

col  fjuale  conviene  il  prezioso  frammento  del  Tafuri ,  e  quei  del  se- 
condo libio  di  essa  nel  manoscritto  del  Nicodemi.  Dopo  il  racconto 
del  tragico  fine  di  Pier  Luigi  Farnese,  il  nostro  codice  finisce  :  Ma 
per  awentuia  il  mler  divino  colla  percossa  di  lui  volle  rammen- 
tare al  pontefice  Paolo  che  chiunque  y'  inviluppa  né  lacci  del 
mondo  ,  diventa  preda  della  fortuna.  Questa  sentenza  grave  e  pro- 
fonda chiude  la  narrazione  delle  cause  dal  Porzio  esposte  di  tutti  e 
tre  gli  avvenimenti.  Nel  codice  poi  del  Nicodemi  termina  il  racconto 
dell  unico  fatto  della  morte  del  Farnese  questa  volgare  riflessione  : 
//  die  se  dal  Gonzaga  fosse  stato  tenuto  a  mente  non  avrebbe 
giammai  spoglialo  di  difensori  il  suo  per  gire  a  conquistare  l'altrui. 
Le  quali  parole  sembra  se  pur  non  fallo  che  abbiano  relazio- 
ne soltanto  al  fatto  del  Farnese  ,  ne  già  all'  intera  istoria,  la  quale 
è  scritta  in  istile  continuato  ,  e  jier  quanto  apparisce  alla  lettura  di 
essa  nel  sentenziare  e  nel  riflettere  sulle  cause  generali  di  ciascuno 
avvenimento,  è  uniforme,  e  le  conchiusioni  necessariamente  da  quelle 
cause  discendono.  Dalle  quali  cose  è  forza  necessariamente  concbiu- 
dere  che  al  Porzio  non  già,  il  quale  volle  certamente  scrivere  una 
storia  compiuta  de' fatti  d'Italia  nel  i5/\'],  ma  ad  altra  mano  deb- 
ba attribuirsi  la  diversità  di  sopra  osservata  nel  codice  citato  dal 
Nicodemi.  Ne  poi  sembra  degno  della  penna  del  Porzio  la  delinea- 
zione del  carattere  imprevidente  del  Gonzaga,  eh'  egli  aveva  già  fatto 
conoscere  nella  istoria  sua  per  uomo  quanto  perfido  altrettanto  infin- 
gardo ,  e  superfluità  sarebbe  stata  sommamente  riprovevole  in  uno 
scrittore  qual  fu  il  Porzio  quel  trito  sentenziare  che  '1  Gonzaga  mal 
fece  di  sguarnire  il  suo  per  ire  a  conquistare  1'  altrui.  Checche  sia 
di  tutto  ciò  ,  io  lascio  che  ognun  ne  pensi  a  suo  modo  ;  resta  sol- 
tanto che  vi  assicuri,  o  illustri  colleglli  ,  essere  il  codice  nostro  qual 
lo  possediamo  oltremodo  prezioso,  essendo  desso  il  solo  fino  al  pre- 
set.te  conosciuto  ,  nel  quale  intera  si  comprende  la  istoria  scritta  dui 
Porzio  delie  cose  d' Italia  de'  suoi  tempi.  1  fatti  che  in  essa  narra 
circoscrivonsi  siccome  di  sopra  accennai,  nel  giro  dell'anno  i547  » 
e  furono  invero  grandi  e  sanguinosi.  Comincia  la  istoria  con  una 
giudiziosa  esposizione  dello  stato  di  Europa  dal  i544  al  detto  an- 
no i547  ,  e  da  questo  come  una  necessaria    conseguenza  fu  discen- 


l 


VIT.V    DI    rORlIO  33 

tltr  r  aiilorc  gli  avvcnimculi  che  viene  in  prosieguo  con  beli' ordine 
<lescrivenilo.  ÌSiirra  in  primo  luogo  la  congiura  dui  conte  del  Fie- 
sco  in  Genova  contra  Andrea  e  Gianneltino  Doria  :  espone  dipoi  ini- 
nutamenle  ciò  che  occorse  in  Napoli  nel  tumulto  suscitatosi  pel  tri- 
bunale della  inijuisizione  che  aveva  fatto  proponimento  d' introdurvi 
il  viceré  D.  Pietro  di  Toledo.  E  conchiude  la  storia  col  racconto 
del  tragico  fine  del  Farnese  ucciso  a  tradimento  da  taluni  baroni 
piacentini  a  hiì  line  tra  loro  congiurati,  il  ciie  avvenne  nel  dicembre. 

Questa  istoria  non  ismentisce  il  merito  dell'  illustre  autor  suo.  No- 
biltà ed  eleganza  di  stile  ,  grave  ed  acuto  sentenziare  ,  e  del  pari 
che  in  quella  già  impressa  vivi  e  veri  dipingonsi  i  personaggi  che  vi 
hanno  palle  ,  siccome  evidente  ne  è  altresì  la  pittura  de'  costumi 
de'  tempi.  Per  gli  quali  pregi  io  non  dubito  di  affermare  che  la  let- 
tura di  questa  istoria  sarà  per  riuscire  non  che  a  voi  ,  o  dotti  col- 
leghi ,  ma  ad  ogni  amator  delle  buone  lettere  grata  sommamente  e 
desidcratissima  (67). 

Ma  di  un  altm  operetta  del  nostro  Porzio  finora  ignota  debbo 
ragguagliarvi  0  accademici ,  ed  ha  il  titolo  seguente  :  Sommario 
delle  più  notabili  cose  che  si  contengono  nel  Regno  di  Nnpoli per 
uso  del  i'icerè  D.  Innico  Lopez  de  Mendoza  marcìiese  di  Moii- 
desciiir ,  scritto  nel  i5y5  dti  Ccuiullo  Porzio.  Essa  contiene  una 
succinta  contezza  <lel  regno  di  Niijwli  ,  descrivendosene  partitamcnto 
le  di\crse  proviucie  ,  delie  quali  è  indicato  il  numero  degli  abitiiiiti 
e  '1  carattere;  le  città  vescovili  td  arcivescovili;  si  dice  quanti  ba- 
roni e  nobili  ,  quante  truppe  ,  cjnante  fortezze  e  castella  vi  siano  per 
la  difesa  del  regno.  Vi  si  espongono  inoltre  quali  fossero  le  princi- 
pali industrie,  e  quali  le  imposte  che  si  pigi  vano  ni  fisco.  Vi  è  un 
breve  capitolo  contenente  la  successione  cronologica  de'  re  di  Napo'i 
che  termina   così  : 

Filippo  sono  anni  xx  che  regna  e  regnerà  per  la  Dio  grazia 
molti  anni. 

Chiudeva  l'operetta  un  altro  breve  ca[ìhoìo  intorno  alla  disj>0' 
sizione  degli  animi  dei  regincoli. 

Mi  occorse  di  veder,  son  già  molti  anni,  questa  operetta  di  sole 
dieci  carte  in  lol.    presso  il  nia'chese   D.   Francisco  Orlando   uomo 

5 


34  GERVASIO 

commendevole  non  tanto  per  la  copiosa  raccolta  che  aveva  falla  eli 
libri  imprèssi  e  manuscrilti  risguardanti  la  patria  istoria  ,  quanto 
per  la  rara  cortesia  con  la  quale  ne  faceva  copia  agli  studiosi.  Da 
quei  fogli  io  non  trascrissi  allora  ,  se  non  la  dedicatoria  e  1'  ul- 
timo capitolo  ,  sicuro  che  per  la  gentilezza  del  possessore  avrei  po- 
tuto in  appresso  ,  quando  mi  fosse  venuto  a  grado  ,  trarre  copia 
dèlf  intera  operetta.  Ma  passato  a  miglior  vita  quel  signore  ,  andò 
perduta  del  pari  la  sua  libreria  ,  e  tra  i  manuscritti  ancora  quello 
del  sommario  di  cui  ragiono.  Per  buona  fortuna  il  collega  nostro 
D.  Giuseppe  Ferrigni  possedendo  di  quest'  operetta  del  Porzio  un 
altro  esemplare,  ha  avuta  la  cortesia  di  farne  trarre  una  copia.  Il 
Jnanuicritto  dui  Ferrigni  è  un  piccolo  codice  in  12  che  ha  per  ti- 
tolo :  Relazione  del  regno  di  Napoli  al  marchese  di  Mondesciar 
viceré  di  Napoli.  Di  Camillo  Porzio  tra  il  1577  e  1579.  Le  stesse 
cose  vi  si  contengono  che  in  quello  dell'  Orlando  oltra  talune  parti- 
colarità do]X)  la  successione  cronologica  de'  nostri  Re  ,  che  io  non 
rammento  aver  lette  in  quello.  In  sommo  pregio  io  stimo  doversi 
tener  1'  operetta  ,  la  quale  oltra  il  merito  di  essere  il  più  antico 
j)rospetlo  statistico  del  Regno  nostro  ,  fa  conoscere  nella  sua  brevità 
quali  fossero  in  allora  le  vedute  di  pubblica  economia  ,  e  quanto 
.'ijipo  noi  ancor  sotto  il  governo  Viccregnale  fossero  siffatti  sludi  col- 
tivati da  un  uomo  quaV  era  il  Porzio  ,  giudizioso  e  saggio  osserva- 
tore dell'  indole  e  delle  circostanze  della  sua  patria. 


ANNOTAZIONI 

ALLA  PRIMA  PARTE. 


r 


(i)  Papadopoli  IJistor.  Gymri.  Pa- 
lav.  lom.  2  p.  2o3. 

(2)  Fabbroni  Hislor.  'Acad.  Pisanae 
Pisis  1792  in  4  Ioni.  2  p.  333.  Par- 
lano di  Simone  molti  scrittori  e  gene- 
rali e  particolari  di  storia  letteraria  , 
cioè  il  Tuano,  il  Teissier,  il  Gaddi, 
il  Tiraboschi  ctc.  e  tutti  hanno  igno- 
rate le  piii  illustri  ed  importanti  no- 
tizie della  sua  vita.  Kc  scrisse  anclic 
le  memorie  il  nostro  Lorenzo  Giusti- 
niani che  leggonsi  nel  libro  da  lui 
pubblicato  :  /  tre  rarissimi  opuscoli 
di  Simone  Porzio, di  Girolamo  Bor- 
gia ,  e  di  Marcantonio  de  Falconi  , 
icritti  in  occasione  della  celebre  eru- 
zione avvenuta  in  Pozzuoli  nelV  an- 
no i538  etc.  Napoli  1817  in  8.  Egli 
non  ostante  il  vanto  die  si  dà  di  cor- 
reggere e  supplire  le  altrui  mancanze, 
ignorò  allatto  le  partlcolariiù  di  sopra 
narrate  intorno  a  Simon  Porzio,  e  le 
altre  tlie  anderò  di  poi  notando. 

(3)  Raccogliesi  questa  particolarità 
dal  seguente  epigramma  di  Giano  A- 
nisio  a  carte  Jo8  ,  a  tergo,  de'  suoi 
Poemata  et  Salynie,  Neapoti  per  Jo. 
SultzliUchium   ij3i   in  4.° 

Ad  Simonem  Poitium. 

Quid  majus  Porti  a  Diis  immortali- 
lius  unquain 

Optandum  volis  perpetuaque  pruce  ? 

JEs  tu  Part/icnopes  civis  ,  quant  di- 
cere ocellum 


Ausim  orhis,  cljuivs,  divitiisqve  potens. 
Pmeterea  ingenio,  succisque  Machao- 

nis ,  atro 
F''ectigal  Diti  fortior  extenuas. 
Nec  satis  est  visum ,  res  infra  nascere 

lunam , 
Scire  etiam  tentas  quidfaclant  superi. 

(4)  Leggesi  a  carte  8  dell'opera /cr- 
ni  Anysii  Epistolae  De  Religione  et 
Epigrammatum  ctc.  In  fine  Describe- 
bat  plumheis  sigillis  Neap.  Jo.  Solci- 
bac/tiui ,  cum  solito  privilegio  i53S  in 
8."  In  questo  epigramma  sembra  a  dir 
vero  mollo  impropria  ,  per  non  dire 
impertinente,  l'arguzia  dell' Anisio  che 
dice  al  Porzio  dover  godere  della  mor- 
te della  moglie  sol  perche  un  tempo 
desiderava  di  vìver  celibe. 

(5)  Ho  detto  di  non  sapersi  i  nomi 
e  le  particolarità  de'  rimanenti  (ìgli 
di  Simon  Porzio,  pur  nondimeno  spe- 
ro non  iien  per  riuscire  discare  le  no- 
tizie che  ho  proccuralo  di  raccogliere 
almen  per  congliiettura  intorno  ad  es- 
si. Oltre  di  Camillo  altro  figlio  di  Si- 
mone credo  essere  stalo  quel,!' Antonio 
Porzio  Abate  cui  sono  indirizzati  al- 
cuni versi  di  Giano  Pclusio  da  Co- 
irono {f.usuum  etc.  pag.  Sa)  nei  quali 
è  lodalo  qual  pa/er  elega/itiiirum ,  et 
iiuciu  FATUE  DOcriOR.  E  questi  par  si- 
curo che  sia  quello  stesso  Antonio  Por- 
zio, il  quale  fatto  vescovo  di  Mono- 
poli nel   1J77  secondo  che  sciivcl'U- 


36  G  E  R  V 

glieli!  (/to/.5c?cr.lorB.  i''pag.974)  mori 
nel  lógS,  e  vien  rammentalo  da  Gio: 
Ball.  Crispo  di  Gallipoli  tra  gli  uo- 
mini dotti  eh'  ei  slaudo  in  Roma  fre- 
quentava. Vedi  pag.  96  del  libro  pub- 
blicato con  erudite  illustrazioni  dal 
mio  dotto  amico  e  nostro  collega  D. 
Michele  Tatari  Jo.  Saptistae  Polti- 
tìori  Frentani  ,  et  Stephani  Catalani 
Cnllipolitani  opuscuki  nonnulla  nane 
primum  in  lucem  edita.  Neapolì  '792 
in  4.  Nel  Cod.  448  sc.VIF.  17  del- 
la real  biblioteca  borbonica  ,  di  cui 
avrò  occasione  di  far  spesso  menzio- 
ne, sono  due  lettere  lali.ne  autografe  di 
questo  Antonio  che  sono  scritte  al  car- 
dinal Seripando.  In  una  di  queste  da- 
ta da  Padova  P'J  Id.  lun.  i55g  lo- 
da 1'  orazione  recitata  dal  Seripando 
ne'  iunerali  celebrali  in  Napoli  per  la 
mone  dell' imperator  Carlo  V;  e  nel- 
1'  altra  data  da  Napoli  P'I  Kal.  la- 
miarii  senz'  anno,  di  notizia  al  Seri- 
pando medesimo  di  avere  scoverto  pas- 
M'^^iariJo  vicino  le  mura  della  città 
presso  la  chiesa  di  S.  Agnello  una  iscri- 
zione greca  ,  che  è  quella  stessa  tra- 
scritta dal  Capaccio  Histor.Neap.toiu. 
i-p.23i,c  della  quale  di  una  singo- 
lare interpretazione.  Queste  lettere  ,  e 
specialmente  quella  intorno  alla  iscri- 
zion  gneca  ,  indicano  la  somma  fami- 
liarità che  passava  ira  la  famiglia  di 
Simon  Porzio  e'I  Seripando,  il  quale 
aveva  per  ciascuno  di  essa  particolare 
ahezione  ,  leggendosi  inoltre  nel  co- 
dice medesimo  diverse  lettere  del  Se- 
ripando a  C:miiMo  Porzio.  Un  terzo 
figlio  di  Simone  pare  potersi  con  cer- 
tezza asserire  che  fosse  sialo  chiamato 
Scipione  ,  del   quale  fa  parola    il  Ca- 


A  S  IO 

paccio  nella  sua  opera  intitolata  il 
Forestiero  ce.  giorn.  IV  pag.  249.  Qui- 
vi il  Capaccio  interrogalo  se  Camillo 
Porzio  era  della  discendenza  di  Simo- 
ne ,  dopo  aver  risposto  affermativa- 
mente scrive  :  famiglia  {  cioè  quella 
di  Simone)  molto  honorata ,  e  vive  og- 
gi (  nel  i63o)  Francesco  Porzio  fi- 
glio di  quel  Scipione  che  fu  gloria  de' 
cittadini  A^apoletani,  e  che  con  le  ma- 
niere nobili  con  che  visse  introdusse 
parentato  nobile  nella  casa  ,  avendo 
data  per  moglie  al  figlio  una  Signora 
della  famiglia  Capece.  Se  dunque  Sci- 
pione era  della  stessa  famiglia  di  Si- 
mone Porzio  siccome  fu  Camillo,  non 
poteva  egli  essere  che  un  figlio  di  Si- 
mon e. 

Nelle  lettere  latine  di  Bartolomeu 
Ricci  Ferrarese  ve  ne  sono  due  ,  di- 
retta 1'  una  ad  un  Bartolomeo,  e  l'al- 
tra ad  un  Francesco  Porzio.  Quel  Bar- 
tolomeo- fu  con  manifesto  erroie  scam- 
bi.ito  col  nostro  Camillo  dal  Tirabo- 
schi  (  Stor.  delùt  letter.  Ital.  Venez. 
1796  in  8°  tom.  7  p.  877).  Il  che  ap- 
parirà vie  piti  chiaramente  dalla  let- 
tera stessa  del  Ricci  diretta  ad  Ago- 
stino Abioso,  che  è  come  segue  [/ìic- 
cii  oper.  Patai'ii  iy4j  in  8  torti.  2 
p.  241  ): 

Sartholomaeo  P.ortio  cjui  tibi  has 
litleras  reddcdit  ,  qiiatuor  annis  Fer- 
rciriae  t:unfamiliaritersuni  lAus,  quara 
is  meo  praenomine  utitur.  Huic  enim 
ita  dornus  fnea  patuit  ,  ui  tibi  atrjun 
Fkctori  nostro-  fecisset  ,  atque  etiam 
/■^enetiis  cum  luia  prope  habitare.muSj 
ficere  solebat  qui  Carnillnm  fdiuni  in 
literis  Graecis  ,  atque  in  Dialectica 
erudiebat.    Hic   nunc    non   dectiorem. 


VITA  DI 
philosopltiim.  Madia  nostro  quaerens, 
seri  meliorem  condilioiìcm  seijuens,sc 
Prilavium  rontulit.  Hiinc  ut  in  ami- 
citiam  laam  recipias  volo,  atque  quid- 
quid  fi  opus  erit ,  id  omne  meo  no- 
mine libendssime  commodes.  Poìliceor 
Ubi  (  elsi  ?ioc  tacere  poterani  )  le  in 
hujus  adolescentis  amicilia  plurimum 
nuctum  esse  ,  meumque  hoc  offìcium 
in  iis  quae  a  Riccio  tuo  proficisci  so- 
ìent  ,  esse  repcsi/urum.  ]Vam  praeter 
honas  lileras ,  qaas  optime  callet ,  et 
,^raecjs  et  iatinas ,  eri  natura  est  a- 
dulesvens  ,  atque  in  amando  integri- 
late  ,  qua  nos  siimus ,  quamque  in 
aliis  maxime  cupimus.  f^ale. 
(())  liibìiotli.  lìoman.  p.  14. 
(7)  De  IlUistr.  Script,  y.'eap.^.x'ìi- 
(y)  Tom.  7  p.  249  della  sua  tra- 
duzione Italiana  dell'  erudita  opera 
scritta  in  lingua  Inglese  dal  sig.  Ro- 
scoe  f'ila  e  Poniefìcato  di  Leone  X. 
Milano  1816  in  8. 

(9)  Pag.  27  della  Lettera  de'l' ^ba- 
te  Gaetano  Marini ,  nella  quale  s'il- 
lustra il  ruolo  de'  Professori  deli' .Ir- 
riti ginnasio  /iomano  per  l' anno  i5i4. 
Roma   1797  in  4.0 

(10)  iSon  nega  esservi  stati  alcuni 
scrittori  ,  come  il  Cliioccarello  (  De 
Il'uslr.  Scrijìt.  Neajiolit.  pag.  127  ) 
e '1  GaJdi  (  De  scrìjjt.  non  Ecclesiast. 
Tom.  a  p.  207)  molto  posteriore  di  eli, 
i  quali  lian  fatto  dubitare  d'essere  sta- 
lo Camillo  figlio  di  Simon  Porzio:  ma 
t  conteuiporaiici  adermaiio  con  certezza 
il  contrario.  Il  Sinsovino  scrittoio  sin- 
«rono  ,  nella  dedicatoria  diretta  a 
Camillo  della  raccolta  delle  satire  di 
diversi  poeti  ,  della  quale  un  fram- 
mento rectictò  per  esteso  poco  apprcs- 


PORZIO  37 

so  ,  scrisse  francamente  clic  fosse  il  no- 
stro Porzio  nato  da  Simone  ,  e  non 
r  avrebbe  certauicnlc  dello  in  una  let- 
tera dedicatoria,  se  non  gli  fosse  slato 
riferito  da  persone  conoscenti  e  lumi- 
miliari  del  suo  Mecenate. 

Il  Capaccio  che  fu  ìntendentissimo 
delle  cose  nostre  ,  e  che  sicuramente 
aveva  conosciuto  nella  sua  prima  gio- 
ventìi  il  Porzio  ,  all'ermo  (1.  e.  )  che 
questi  fosse  della  famiglia  di  Simone, 
finalmente  nel  codice  di  sopra  citalo 
della  nostra  real  biblioteca  ,  ho  letto 
una  bozza  di  lettera  scritta  dal  Seri- 
pando  a  Simon  Porzio  da  Bruselles  ia 
data  de'  27  gennajo  i554  ,  cioè  poco 
prima  che  costui  morisse,  la  quale  fi- 
nisce :  £d  io  me  li  raccomando  con 
lutto  V  animo  et  cosi  al  Sig.  Camillo 
et  a  talli  ,  non  lasciando  la  paci/èra 
Oliva  :  le  quali  parole  indicano  chia- 
ramente lutti  della  famiglia  ,  cioè  i 
ligliuoli  di  Simon  Porzio  ,  nominan- 
dosi particolarmeule  Camillo  tra  i  i^'ia- 
silii  come  il  maggiore  e  piii  distinto 
per  la  sua  dotlriii.t  ,  ed  Oliva  tra  le 
f-iiimiue  come  quella  che  forse  era  la 
più  rimarchevole  pel  suo  carattere  pa- 
cifico e  mansueto. 

(11)  Di  tal  particolarità  la  ricordan- 
za il  Fabbrucci  nell'opuscolo  de  pi- 
sano gyninasin  inserito  nel  tomo  VI 
p.  83  della  nuova  raccolta  di  0|'U5coli 
del  Calogeri. 

(12)  Origlia  storia  dello  studio  di 
.Wipo/i  toni.  2  p.  3.J. 

(L'i)  Nell'anno  i538  avvenne  qiiel- 
r  orribile  tremuolo  in  Pozzuoli  che  ili- 
strullo  compiutamente  il  villaggio  di 
Tripcrgola  fece  sorgere  il  cosi  detto 
monte  niioro.    Del    quale    fenomeno  , 


38  G  E  R  V  A  S  I  0 

Simon  Porzio  diede  una  spiegazione  se-  autumno  fere  in  honarum  artiunipro- 
condo  i  dellami  aristotelici  che  con  fessores  saevienlis  inctementiam  fuge- 
Icttera  diretta  al  viceré  D.  Pietro  di 
Toledo  pubblicò  in  Napoli  nell'  anno 
medesimo.  Questo  rarissimo  opuscolo 
insieni  con  due  altri  sullo  stesso  ar- 
gomento fu  riprodotto  per  le  stampe 
da  Lorenzo  Giustiniaui  (veJinot.  2). 
Il  Fabbrucci  attribuisce  alla  pubbli- 
cazione dui  notato  opuscolo  1'  essere 
stato  Simon  Porzio  conosciuto  ed  ap- 


rire j  tum  ut  honestissimo  olio ,  quod 
singularis  tua  erga  me  benevolentia  , 
incrediòilisque  humanilas  concedebat , 
fruerer  eie. 

(20)  Tra  questi  vi  era  il  Giovio  del 
quale  una  lettera  diretta  a  Simone  è 
slata  pubblicata  dal  Pino  lib.  IV  p. 
3 16  della  sua  nuova  scelta  di  lette- 
re ecc.  Venezia  i582  in  8.  V  era  ai- 
prezzato  dal  Gran  Duca  Cosimo  I.°  gè-      tresi  il  famoso  Gio:  Ball.  Gelli,  il  qua- 


nero  del  Toledo  ,  perlochè  lo  invitò 
alla  lettura  nello  studio  di  Pisa.  Ma 
per  la  testimonianza  di  monsignor  Fab- 
broiii  addotta  nella  stessa  nota  2  il 
Porzio  era  già  ben  conto  al  gran  du- 
ca per  aver  insegnata  filosofìa  in  Pisa 
fin  dalla  prima  sua  gioventù.  Potò  for- 
se avvenire  che  la  lettura  dell'  opu- 
scolo di  sopra  delio  avesse  contribuito 
a  far  si  che  il  Porzio  fosse  ricbiamalo 
alla  memoria  di  quel  signore,  ([uan- 
do  per  restaurare  lo  studio  di  Pisa  vi 
cliiamò  a  leggere  i  piii  valorosi  pro- 
fessori  d'  Italia. 

(14)  Fabbroni  Hist.  Acade  in.  Pi!>a- 
nae  lom.  2  p.  333. 

(16)  Fabbroui  1.  e. 

(16)  Fabbrucci  I.   e. 

(17)  Fabbroni   I.  e.   pag.  484. 

(18)  Fabbroni  1.  e.  nelle  ordinazio- 
ni circa  il  modo  di  dottorare  .irt.°   q. 

(ir))  Lo  dice  Simone  mede  imo  nel- 
la dedicatoria  al  gran  duca  dell'opera 
de  coloribus,  che  comincia  cosi  :  Cam 
nuper  Floreiitia  recersus  priiiceps  ma- 
gnanime in  Filestulanorum  agrum  me 
rerepiiseni  (  est  enim  ,  ut  inquit  Me- 
nander  aparos  «perr,?  xai'  jSi'o-j  òrSaa/*),©? 


le  tradusse  in  favella  fiorentina  al- 
cune opere  filosofiche  del  Porzio,  tra- 
duzioni rammentate  dall' Ilaym  i/W/oA 
Hai.  tom.III  p.  96  n.  5  6  7  ediz.  di  Mi- 
lano i8o3  in  8. 

(21)  Tiraboschi  I.  e.  tom.  Vili  p.  3 
p.  877. 

(22)  Fabbroni  I.  e.  nelle  ordinazio- 
ni ecc.  n.  6. 

(23)  Fabbrucci  1.  e.  Il  Fabbroni  fii- 
■b/'ir.  acad.  pisan.  pag.  334  scrive  che 
Simon  Porzio  dimorò  in  Pisa  ,  ci- 
tando in  appoggio  il  Tiraboschi  ,  il 
quale  con  I'  autorità  del  Tuano  mo- 
stra esser  partito  il  Porzio  da  Pisa  nel 
\bói.  E  da  sospettarsi  quindi  o  che  il 
Fabbroni  abbia  traveduto  ,  ovrer  che 
nella  citazion  sua  sia  incorso  un  er- 
rore di  stampa.  Né  può  essere  altri- 
menti, giacché  la  notizia  del  Fabbruc- 
ci ,  tratta  da'  registri  dello  studio  di 
Pisa  ,  non  e  stata  né  con  ragioni ,  né 
con  documento  alcuno  contradetta  dal 
Fabbroni  ,  il  quale  se  Io  avesse  po- 
tuto ,  non  avrebbe  certamente  trascu- 
rato di  farlo.  Tra  le  opere  poi  del  Por- 
zio ve  n'è  una  intitolata  de  rerum  na- 
taralium  principiis,  impressa  in  Napoli 


'i\i<iS>ifo-i  aypoc)   (um  ut  aéris  pisani     per  Mattia  Caiicer  nel  »553  in  4.  Nella 


VITA    DI 

iledicaloria  a  Maico  Aulonio  Colonna 
ilice  il  Porzio  the  essendosi  costui  re- 
talo a  bella  posta  in  Pisa  ,  per  udir 
da  lui ,  già  vecchio  e  podagroso,  dc- 
ciferati  i  più  riposti  sensi  del  filosofo 
slagirita  ,  gli  manda  il  suo  libro  co- 
inè quello  che  trattava  di  cosa  al  Co- 
lonna gradita.  Non  ha  data  questa  de- 
dicatoria ma  dicesi  scritta  ex  pisana 
academia.  Non  può  credersi  che  il 
Colonna  mandasse  da  Pisa  in  Napoli 
a  stampar  l'opera  del  suo  maestro  sen- 
za consultarlo  pria,  e  se  anche  ne  a- 
vesse  ottenuto  da  costui  il  permesso  , 
ne  avrebbe  falla  l'edizione  a  sue  spe- 
•••e  ,  e  non  già  a  quelle  di  un  librajo 
qual  fu  flla/vnri/oriio  Fefia>iO,t\ccome 
Icggesi  infine  del  libro.  Lchiaro quindi 
che  nel  i553  11  Porzio  era  in  Napoli, 
e  che  il  librajo  trailo  direllamenlecon 
lui  per  la  stampa  della  sua  opera  già 
composta  in  Pisa, per  farvi  quelle  cor- 
rezioni e  miglioramenti  che  gli  sareb- 
bero piaciuti. 

Stimo  superfluo  dir  altro  su  di  ciò, 
e  fo  avvertire  soltanto  essere  stata  l'o- 
pera medesima  ristampala  pochi  anni 
dopo  anche  in  Napoli  col  seguente  ti- 
tolo lì  £)e  Jieiuìn  Naturaliuin  priri- 
cifiiia  Libri  duo  quibus  pluriinae  et 
liaud  conteinnenJae  qiiaestìones  naiu- 
raìes  explicantur.  Aeapoii  apitd  Jo: 
Mariani  Scotum  RIDLXI  //;  4.  Que- 
sta edizione  sconosciuta  a'  nostri  bi- 
bliografi si  possiede  dal  lodato  SIg.  Ta- 
l'uri  ,  cui  tanto  di  ([uesta  ,  quanto  di 
altre  preziose  notizie,  mi  confesso  de- 
bitore. 

(24)  Pclusii  Lusiium  eie.  p.  52.  I 
vMsi  sono  intitolali  n</C(/W(7/(^w /*or- 
tiuììi  Juris   Co/ìsiiìtiini. 


PORZIO  .3i) 

(25)  Tliuani  Hìslor.  lib.  i3.  N.  9.  Pa- 
padopoli  1.  e. 

(26)  Olirà  le  ricchezze  da  lui  accu- 
mulale Simon  Porzio  ottenne  ancora 
dal  Viceré  D. Pietro  di  Toledo  nel  i534 
l'officio  dei  Guardianato  di  TorrcOt- 
tava  (Toppi,  Biùliol.  Napolel.  p.  2S5), 
dal  quale  molli  proventi  ritraeva. 

(27)  Dal  citato  Codice  448  della  Rcal 
Biblioteca  Borbonica  ,  Se.  VI  F.  17. 

(28)  Queste  parlicolarilà  si  ritrag- 
gono dalla  dedicatoria  del  Sansovino 
al  nostro  Porzio  che  trascriverò  qrindi 
a  poco,  e  dal  Capaccio  1.  e. 

(29)  Citalo  cod.  della  Real  Bibliot. 
Borbonica. 

{3o)  Quesl'  Antonio  Afellro  fu  un  fa- 
moso avvocalo  del  secolo  XVI.  Di  lui 
si  conserva  nella  Real  Biblioteca  un 
grosso  volume  autografo  che  contiene 
notizie  e  monumenti  storici  riguardanti 
iu  gran  parte  famiglie  nobili  Napoletane. 

(3i)  Cedolario  di  Principato  Citeriore 
dal  1696  al  1731  fol.94  al  io4.NclG. 
Archivio. 

(32)  Cedolario  citato. 

(33)  Vedi  i  discorsi  delle  /'uritii/lie 
imparentate  colla  casa  della  Marra  di 
Ferrante  della  iMarra.  Nap.  1664  'n  fol. 

(34)  Ho  trascritto  questo  brano  della 
dedicatoria  del  Sansovino  dall'  edizione 
delle  Salire  fatta  in  Venezia  i5G3  in  8 
appresso  Nicola  Bevilacqua  ,  possedu- 
ta gii  dal  defunto  cav.  Carelli.  Il  Zeno 
però  nelle  note  alla  Bibliot,  delC Eloqu. 
italiana  del  Fontanini  lom.  2  p.  5^  e- 
liiz.  di  Parma  iSo3,  lamraenta  la  pri- 
ma edizione  di  queste  salire  impressa 
pure  in  Venezia  nel  i56o  che  non  mi 
è  riuscito  di  vedere.  Ve  n'  ha  una  ter- 
za pariaienti  di  Venezia   appresso  Fa- 


4"  G  E  R 

bio  ed  Agostino  Zoppinl  i5S3.  in  8. 

(35)  liceo  alcune  notizie  clie  ho  rac- 
colto intorno  a  Marcantonio  Passaro  , 
e  Gio:Pietro  Ciccarello  lodati  dal  San- 
sovino.    Del   primo    scrive    cosi    Gio: 
Giacomo  de  Rossi  nella  Tavola  degli 
Scrittori,  de' quali  v' hanno  componi- 
menti nel  raro  libro  Rime  et  versi  in 
lode  di  £).   Giovanna    Castriota    Dii- 
c/iessa  di  Nbcera  ecc.  f^ico  Equense, 
appresso  Giuseppe  Cacchi  i58<)  in-4.'' 
Marco    Antonio    Passaro    Lombardo 
Ijuono  Filosofo ,  e  poeta  non  malo.  Di 
lui  leggonsi    due    sonetti  a  carte  78  e 
79  del   Tempio  della  Divina   Signora 
£).   Giovanna  d'  Aragona  in  Venezia 
per  Plinio  Pielrasanla  mdlv  in  8.  Al- 
cune sue  lettere  sono  inserite  nella  rac- 
colta del    Pino  ,    ove   nel  tote,  iv    p. 
181    Icggesene  una  di  Gio.  Paolo  Fla- 
vio scritta    a    Paolo    Manuzio  ,     dalla 
quale  appare  essere  stato  il  Passaro  in 
amichevole    corrispondenza    con    i\y.^- 
m' ultimo.  Sebbene  Lombardo  di   patria 
era  il   Passaro  stabilito  in   Napoli,  in 
cui  par  che   facesse    il    niestier  di    li- 
brajo.  Fornito  coni'  egli  era  di  buone 
lettele  aveva  per  ciò  diiiicstii-hezza  co.i 
I   nostri   dotti   di     i[iiclla    elù  ,   promo- 
vendo la  stampa   delle  loro  opere  ,  e 
la  diffusione  di  esse  ira  i  letterati  del- 
l' Italia   superiore  ,  conciliando    altresì 
con  questo  mezzo  la  corrispondenza  tra 
questi  e  quelli.  ISelle  rime  di  Jjaura 
Terracina  Poetessa  Napoletana  ,  im- 
presse in  Venezia  pel  Giolito  nel   1648 
leggonsi  alcune  composizioni  dirette  al 
Passero,  ed  a  carte  53    v'è  una    let- 
tera   scritta  alla    Terracina  da  un  tal 
che  segnasi   il  Gaudio  in  cui  si  dice  : 
CI  JEt  quanto  ho  visto  a  caso  nella  Li- 


V  A  s  I  0 

oraria  del  Passaro  ,  il  quale  trasfor- 
mato in  pili  candido  augello  cantava 
non  so  che  stanze  composte  da  ta  Di- 
vinità del  vostro  ingegno».  E  data  ia 
lettera  Dalla  Libreria  del  Passaìxi  il 
di  XXIII di  Dicembre  MDXLVI.  Fi- 
nalmente in  fondo  dell'  opuscolo  di 
Jlarcanlonio  de'  Falconi  suU'  eruzione 
avvenuta  in  Pozzuoli  nel  i538  e  stam- 
palo in  Napoli  nell'  anno  medesimo  si 
legge  :  Si  vende  per  Marco  Antonio 
Passaro  alli  Ferri  vecchi. 

Il  Ciccarello  fu   come  diceva  valo- 
roso non  solo  nelle  belle  lettere  ,  ma 
ancor    nelle    filosolìche    discipline  ,    e 
ne  rende  buona  testimonianza  Scipio- 
ne Ammirato,  il  quale  lo  nomina  più 
volle  nel    suo   Dialogo    delle  imprese 
stampato  per  la  prima  volta  in  Napoli 
presso  Gio;  deBoy  1662  in  8.  In  un  luo- 
go lo  dice  /iuo>no,di  molta  eritditiotie 
et  adorno   di  ogni  ottima  disciplitui  j 
ed  in   un  altro  parlando  dei  rari  pregi 
della  Signora  Geronima  Colonna  d'.\- 
ragona  nipote  della  celebre  Vittoria  Co- 
lonna   Marchesana    del   Vasto  ,  scrive 
l'Ammiralo  che  poteva  ben  gloriarsi  il 
Ciccarello  lasciando  così  grande  e  chia- 
ra discepola  nei  secoli  avvenire  per  ?iu- 
tabik  esempio  della  sua  molta  dottrina. 
Il   Toppi  {Bibliot.  Napolet.  p.338)  la 
menzione  d'un  Gio;  Niccolò  Ciccarel- 
lo, che  sospetto  forse   per   iscambio  di 
nome  esser  lo  slesso  Gio;  Pietro  di  cui 
ragiono.  Le   lodi  che  riporta  il  Toppi 
dui  merito  di  Gio;  Nicolò   possono  an- 
cor convenire  a  Gio:  Pietro,  il  cui  mol- 
to sapere  vieu  commendato   dall'Am- 
miralo  nel  Dialogo  sopradello. 

(36)  Histoire  de  V  Anatomie  tom.  2 
p.  169. 


(37)  L.  e.  tom.  6  pag.  458  ,  tom.  7 
p.  C5o. 

(38)  Sulla  ì-eslilnzinne  del  naso  Tlap- 
porlo  a  S.  E.  il  Sii;.  Capitali  Gene- 
rale Conte  Lavai  de  Nugent  ec.  Na- 
poli, dalla  Reale  Tipografia  della  Guer- 
ra jSig   in  /j. 

(39)  De  anliqiiitate  et  sita  Calahriae 
p.  J28  ediz.  Romana  1732  in  fol.  colle 
note  di  Monsignor  Aceli. 

(40)  L.  e.  p.  144. 

(41)  Queslo  è  il  titolo  dell'opera  del 
Tagliacoizo  ncll'  esemplare  eh'  esiste 
nella  Rcal  Biblioteca  :  Gaaparis  Ta- 
liacotii  Sononiensis  De  Curtorum  chi- 
nirgia per  insilioneni  Libri  duo  ec. 
u4piid  Gasparem  Bindonum  Venetiis 
1597  in  fol. 

(42)  Ne  cita  r  intero  titolo  il  Vogt 
Catalog.  Librar.  Rarior.  p.  653.  Il  pas* 
so  del  Corte,si  intorno  al  metodo  di  ri- 
stabilire il  naso  vien  trascritto  dal  Por- 
la! 1.  e.  p,  447,  e  dal  Fantuzzi  Scrit- 
tori Bolognesi  tom.  7  p.  G3  e  seg. 

(43)  Due  particolarità  storielle  sono 
ricordate  dal  Porzio  nella  lettera  che 
ho  trascritta  a  pag.  14.  La  prima  ri- 
guarda il  tentativo  de'  Luterani  del  re- 
gno per  sostenersi  a  mano  armala  nella 
falìa  lor  credenza.  Essa  è  siala  già  ri- 
ferita dagli  storici  nostri  specialmente 
dal  Summonte  (  toni.  4  p.  140  prima 
ediz.);  ma  '1  Porzio  vi  aggiugne  talune 
circosianzc  intralasciate  da  queslo  sto- 
rico, che  non  sarà  discaro  di  conosce- 
re; e  queste  sono  la  morte  data  ad  alcu- 
ni più  ostinali  tra  gli  eretici,  e  la  fa- 
coltà concessa  dal  Sommo  Pontefice  al- 
l' Arcivescovo  di  Reggio  per  convertire 
i  traviati  ecc.  L'altra  pariicolarilà  poi 
della  perdita  di  selle  galee  spagnuole 


VITA  DI  ronzio  /\i 

piese  da'  barbareschi  ,  è  del  pari  ri- 
cunJata  dal  Summoule  (I.  e.  p.  iSy), 
il  quale  aggiugne  che  olirà  il  vescovo 
di  Catania  ,  Nicolò  Maria  Caracciolo 
Napoletano  reduce  dal  Concilio  Tri- 
dentino, fu  preso  dal  corsaro  vincitore 
del  conlliuo  navale  nelle  galee  predale 
anche  il  Vescovo  di  Cefalii  Francesco 
di  Aragona.  Costui  per  lo  spavento  , 
essendo  ancora  di  grave  età  ,  mori  in 
man  di  quei  barbari,  e  quegli,  cioè  il 
Caracciolo,  si  riscattò  con  grossa  som- 
ma di  danaro.  Il  Summonte  però  segna 
la  dala  di  queslo  inlaiislo  avvenimento 
a'  3  Luglio  i56i,  e '1  Porzio  ohe  scri- 
veva da  Tropea  non  mollo  disiarne  dal 
silo  del  combattimento  che  avvenne 
a  vista  di  Messina  ,  dice  con  m.iggior 
verità  esser  seguilo  il  di  di  S.  Giovan- 
ni cioè  a' 24  Gingno.  Dovrà  in  ogni 
modo  correggersi  il  Pirri  ,  il  quale 
nella  Sicilia  Sacra  parlando  del  Ca- 
racciolo tra  i  Vescovi  di  Catania,  con 
errore  manifesto  segna  la  data  dell' av- 
venimenlo  ai  24  Luglio  i554. 

Olirà  quelle  già  trascritte  nel  Co- 
dice Seripandiano  vi  è  la  bozza  di  una 
lettera  del  Seripando  de'  22  Decera- 
brei55g,  nella  quale  impegna  il  Por- 
zio ad  inlerporsi  con  un  certo  dottor 
Quadra  per  fare  scarcerare  un  prvle  j'e- 
rito  ad Acquarola il  quale  vo- 
leva ritornare  a  servire  in  della  chiesa. 

A  questa  raccomandazione  leggesi  nel 
codice  la  risposta  autografa  del  Por- 
zio data  da  Napoli  a'  6  ottobre  i55g, 
nella  quale  olirà  il  dar  parte  al  Se- 
ripando  del  buon  risullamento  degli 
uffizii  fatti  a  prò  del  prete  suo  racco- 
mandalo, gli  parla  di  certa  gara  tra '1 
Mitici  e  '1  Vopisco  per  1'  esazione  di 
6 


-I-T  GÈ  n  VASTO 

una  peiiiione    accordata  al    primo   su  doU'andata  dell' ai  mala  del  Turco  vci- 

di  un  benefizio  posseduto  dal  secondo,  so  Tripoli. 

e  delle  forti  disposizioni  date  dal  Vi-  (44)  Foiastiere  giornata  4.  pag.  249. 

cere  di  quel  tempo  contro  i  ribaldi  e 


ANNOTAZIONI 

ALLA  PARTE  SECONDA. 


(45)  Queste  sono  le  parole  del  Porzio 
delle  quali  il  senso  è  chiarissimo  ,  cioè 
che  la  congiura  dei  Baroni  avvenuta 
nel  1485  fu  la  causa  delle  guerre  che 
seguirono  uel  1494.  Intanto  il  Giusti- 
niani nella  vita  di  Simon  Porzio  pre- 
messa all'  opuscolo  di  costui  de  con- 
flagi-atione  agri  Puteolanì  scrisse  pag. 
5,  che  di  Camillo  Porzio  yjoco  o  nulla 
ne  han  detto  gli  scrittori  di  storia  let- 
teraria ,  e  per  questa  ragione  ei  si  li- 
mita a  parlar  soltanto  della  sua  storia 
della  congiura  dei  baroni  ,  ed  a  cor- 
reggere alcune  sviste  dei  suddivisati 
scrittori.  Dopo  di  aver  riportato  il  ti- 
tolo della  istoria  soggiunge  :  mentre 
il  padre  {  cioè  Simone  Porzio  )  tro- 
vavasi  in  Pisa  ,  secondo  che  avvisa 
nella  dedica  che  fecene  a  Carlo  Spinel- 
lo Duca  di  Seminara  eie.  Nulla  disse 
Camillo  di  questa  dimora  del  padre 
in  Pisa  nella  citala  dedica.  Afl'erma  in- 
dire lo  stesso  Giustiniani  che  Camillo 
Porzio  conversando  con  Paolo  Giovio 
lo  aveva  inteso  più  volte  lamentare  _, 
che  per  mancanza  e  tiascuraggine  de- 
gli storici  non  aveva  potuto  scrivere  le 


guerre  che  seguirono  nel  1494  ,  cioè 
la  congiura  dei  Baroni  cantra  Fer- 
dinando 1."  E  pur  di  questa  rara  no- 
tizia nulla  sognarono  né  il  Giovio,  né 
il  Porzio.  Non  contento  in  fine  il  Giu- 
stiniani di  voler  correggere  gli  errori 
degli  scrittori  di  storia  letteraria  la  av- 
vertire 1'  errore  anche  del  Porzio  il 
cj^uale  scrisse,  com'  ei  dice,  che  la  con- 
giura dei  Baroni  avvenne  nel  J494  > 
eh'  è  una  falsità  sollenne  ,  e  concbiu- 
de  cosi  :  Il  Re  Ferdinando  j.°  mori 
neW  anno  1494  ;  onde  non  saprei  come 
mai  flesse  incorso  simile  errore  neW  o- 
pera  suddivisala  ,  ed  altri  scrittori  po- 
steriori non  se  ne  fossero  avveduti  e  co- 
piatolo ciecamente.  Gli  scrittori  che 
prima  e  dopo  del  Giustiniani  scrissero 
del  Porzio  avevano  migliori  occhi  ed 
anche  senno  migliore  del  suo  per  non 
incorrere  in  siflatlo  vaniloquio. 

(46)  Nella  dedica  al  Duca  di  Semi- 
nara scrive  il  Porzio  :  Questo  deside- 
rio (del  Giovio  cioè  di  scrivere  la  con- 
giura dei  baroni)  io  lo  giudicai  tanto 
giusto  e  s)  fattamente  necessario  che 
in  me   si  apprese  cane  fu  in  lui  di 


VITA    DI 

qualità  che  pochi  anni  sono  ahbatlu- 
toiìii  nel piveesso  originale  ecc.  Il  Giu- 
sliniani  J.  e.  narra  che  il  Porzio  per 
soddisfar  la  voglia  di  quel  dotto  scrit- 
tore (  cioè  del  Giovio  )  si  accinse  a  for- 
mare   delta    istoria coli'  idea 

però  di  stenderla  sotto  la  direzione  di 
esso  Ciovio.  E  questo  è  ancor  tulio 
l'alio  e  manca  ancora  d'  ogni  ragione- 
volezza. Imperciocché  le  doglianze  del 
Giovio  si  riferiscono  a  lui  slesso  non 
gii  al  Porzio  il  quale  nel  tempo  che 
(ratto  col  Giovio  era  un  giovine  stu- 
dente in  dritto  ,  e  fini  il  corso  dei  suoi 
ttudii  nell'anno  raede>inao  In  cui  cessò 
ili  vivere  il  Giovio.  Dall' addotto  luo- 
go del  Porzio  si  rileva  che  1'  idea  dì 
fcrivc'o  la  storia  della  congiura  si  ris- 
vegliò in  lui  dopo  di  aver  rinvenuto 
il  processo  originale  della  congiura  me- 
desima ,  il  che  avvenne  pochi  anni 
prima  di  comporla. 

('i7)  Vedi  la  dedica  citala  e  la  let- 
tera del  Seripando  premessa  alla  prima 
edizione  della  storia  del  Porzio. 

(4**)  Vedi  la  dedica  citala  al  Duca  di 
Semìnara. 

(49)Vegga5Ì  la  lettera  del  Seripando 
premessa,  come  si  è  dello,  all'istoria  del 
Porzio.  Ma  ascolliamo  ancor  qui  il 
Giustiniani  che  si  millanta  di  correg- 
gerò le  sviste  di  tutti  gli  scrilturi  di  sto- 
ria letteraria.  Scrive  egli  nel  luogo  ci- 
tato che  dappoicckè  (  il  Porzio  )  ebbe 
fatta  buona  raccolta  di  notìzie  mancò 
di  vivere  quell'  uomo  insigne ,  cioè  il 
Giovio.  Ma  se  questi  morì  nello  slesso 
»nno  in  cui  il  Porzio  fini  glisludj  suoi 
io  Pisa,  come  mai  ora  il  Giustiniani  il 
fa  risorgere  dopo  che  il  Porzio  aveva 
riuniio  i  materiali  tulli   per  comporre 


PORZIO  \i 

la  storia  della  congiura  dei  Baroni  V 
Siegue  a  dire  il  Giustiniani  :  quindi 
se  la  pose  a  lavorar  da  se  solo  in  la- 
tino ,  e  fone  ne  prevenne  purancke 
V  idea  al  Seripando.  dome  forse  se  in 
realtà  gli  scrisse  ?  se  il  Seripando  era 
colui  che  stimolava  il  Porzio  a  scri- 
vere la  storia,  come  poteva  costui  pre- 
venir 1'  altro  di  tale  idèa?'  Al  quale- 
avendo  poi  mandato  i  primi  squarci 
in  tempo  che  ritrovavasi  Legato  nei 
Concilio  di  Trento  quel  Ch:  uomo  et- 
vendogli  approvato  il  piano  e  lo  stiJe 
lo  persuase  con  sua  lettera  di  meglio 
scriverla  in  Italiana.  Molle  falsila  vi 
sono  in  questo  racconto  che  superfluo 
sarebbe  il  rilevar  minutamente  ;  no- 
teremo soltanto  che '1  Seripando  lodò 
lo  stile  latino  del  Porzio  non  già  la 
sua  opera  che  non  aveva  veduta.  Que- 
sti falli  furon  prima  di  lui  commessi 
dal  Soria  memor.  degli  Storici  Na- 
polot.  tom.  a.  p.  5oi,  ma  il  Giustinia- 
ni senza  citarlo  volle  appropriarseli  e 
spacciarli  come  notizie  rare  da  lui  con 
fatica  e  diligenza  raccolte. 

(5o)  liibliot  dell' Elaqu.  Italiana  di 
Monsignor  Giusto  Fontanini  colle  an- 
notaz.di  Apostolo  Zeno  Tom.2.pag.254 
not.  (a)  Edizione  di  Parma  i8o3  in  4.° 
(5i)  De  Scriptor.  non  Ecclesiastic. 
Tom.  2  p.  20;. 

(Sa)  Biùlioteca  Italiana  Milano  j8t6 
Tom.   t.  pag.  27. 

(53)  Il  Seripando  mori  in  Trento  nel 
i5u3  di  anni  70  quando  slavasi  cele- 
brando il  concilio. 

(04)  Il  Jlanuzio  si  porlo  in  Romii 
nella  state  del  i56i  come  rilevasi  da 
una  sua  lettera  al  Morelo ,  Misceli. 
Collega  Romani  Tom.  2  p.  SgS.    La 


4'i  G  E  Tv 

Iratlalisa  per  trasportarvi  la  sua  stam- 
peria fu  concliiusa  dal  Cardinal  Seri- 
pando.  Vedi  il  Lagomarsini  JSpisiol. 
Iidii  Foggiani  Tom.  4  p.  Sag  noi:  (a). 

(55)  Bibliot.  dell' Eloqu.  Italiana  del 
Fontanini  Tom.  2  p.  255  edizione 
citala. 

(56)  Vedi  il  Soria  nelle  Memorie 
degli  Storici  Napoletani'X.oxao  2  P.3S.7. 
ligli  dice  elle  queste  e  le  altre  parti- 
colarità da  lui  narrale  inlurno  alia 
vita  del  Majello  gli  eraao  state  riferi- 
te dal  Canonico  Niccola  Ignarra  cui 
]e  aveva  dette  il  Mazzocchi  amìcissÌDio 
del  Majello. 

(57)  Ha  il  seguente  litolo  :  Conju- 
ralio  inita  et  extincta  Neapoli  anno 
1701,  ^ntuerpiae  Typis  Ioannis  Frik 
1704  in  4.°  pie.  di  pagiEe  64.  la  fine 
vi  sono  Ire  pagine  numerate  che  con- 
tengono un  lungo  errata.  Altra  isto- 
ria scritta  in  Italiano  era  stata  prima 
stampata  da  anonimo  autore  col  titolo 
La  congiura  succeduta  in  Napoli  nel 
Settembre  del  1701.  In  Venezia  1704 
in  8.  B  per  mostrare  che  veramente 
fosse  stata  impressa  in  Venezia  vedesi 
nel  frontespizio  1'  ancora  col  delfino 
antico  slemma  delle  slampe  degli  Al- 
di. Va  premesso  un  avviso  al  letto- 
re in  cui  dice  1'  autore  che  gli  avve- 
nimenti da  lui  narrati  parte  ho  ve- 
duto da  per  me  stesso  _,  son  sue  paro- 
le, e  parte  ho  raccolte  dalla  pubblica 
voce  degli  uor)iini  ,  né  mi  sono  man- 
eate  notizie  dai  processi  della  Giunta, 
ne'  dai  Consigli  tenuti  ira  Ministri  e 
tra  militali  :  e  conchiude  che  '1  suo 
nome  poco  rilevava  a  sapersi ,  ma  che 
in  un  trattato  che  stava  scrivendo  del 
Paragone  tra  la  lingua  Toscana  colla 


V  A  S  IO 

Greca  e  con  la  Latiiux  ciascuno  ve 
l'  avrebbe  veduto  impresso,  quando  io 
sappia,  aggiunge,  che  questa  mia  fa- 
tica  non  sia  altrui  dispiaciuta.  Questo 
trattato  non  è  piii  comparso  ,  ed  igno- 
rasi tuttavia  lo  scrittore  di  questa  sto- 
ria. Sembra  però  potersi  affermare  qua- 
si CDu  certezza  che  tanto  questa,  quan- 
to la  storia  del  Majello  scritta  nel 
senso  medesimo  ,  siano  stale  impresse 
con  falsa  data  in  questa  capitale. 

(58)  Eccone  il  titolo:  Publicum,  Ca- 
loU  Sangrii  ,  et  losephi  Capycii  rior 
bilium  Neapolitanorum  funus  a  Caror 
Io  .ausilio  III  Hispan.  Indiar.  etNeap. 
Jiege  indictum ,  et  ab  Illustrissima  , 
Excellentissimoque  viro  TVirlco  Com. 
Se  Daun  loseph.  Caes.  militum  Tri- 
buno, ejusque  Copiis  in  Regno  Neap. 
Clini  summo  imperio  Praefecto  ,  et 
Regni  moderatore  Pro  Rege  curatum. 
Typis  Felicis  Mosca  Anno  clobccviii 
in  foj.  L'Armellino  nella  Biblioth.  Se- 
nedectino-Casinensis  nell'Articolo  B. 
Laudato  segna  1'  anno  di  questa  edi- 
zione 1704  eh'  è  un  manifesto  errore 
di  stampa.  E  da  osservarsi  che'l  Vico 
pella  vita  che  scrisse  di  sé  stesso  ri- 
prodotta nel  Tom.  1.  degli  Opuscoli 
di  lui  impressi  in  Napoli  nel  1818  , 
alla  pag.  120  parla  di  questa  sua  rac- 
colta ,  ma  tace  della  storia  che  com- 
pose della  congiura  del  1701,  la  qua- 
le va  manuseritta  per  le  mani  degli 
eruditi. In  fine  della  raccolta  sopradetta 
leggesi  un  beli'  epigramma  latino  di 
Federico  Pappacoda,  del  quale  scrive 
il  Vico  pag.  42  della  sua  vita  essere 
slato  un  Cavaliere  Napoletano  dibuon 
gusto  di  lettere  ,  e  grande  estimatore 
dei  letterati. 


VITA    DI 

(59)  Ne  daremo  alcun  esempio:  nella 
lettera  del  Scripando  sta  scritto  mi 
duole  ,  ed  in  questa  edizione  si  è  can- 
giato in  duolmi.  Nella  lettera  mede- 
sima la  parola  manca  che  si  riferisce 
al  Porzio  ,  è  stata  scritta  mancano  ri- 
portandola con  manifesto  errore  a  ciò 
che  siegne.  Ivi  ancora  1'  aggiunto  ob- 
seguenti  si  è  cangiato  in  osservanti. 
Nella  dedicatoria  poi  dei  Porzio  al 
JDuca  di  Seniiuara  la  frase  di  qualità 
che  si  è  trasmutata  in  talmente  che , 
e  nel  corpo  dell'  istoria  p.  5  si  è  scrit- 
to in  maniera  etc. 

(60)  11  Professor  Giovanni  Rosini 
Della  prelazione  all'  edizione  di   Pisa 


Ponzio  ^5 

nel  1818  che  sari  quindi  a  poco  ram- 
mentata. 

(61)  Pag.  325  art."  i353  dell'  edi- 
zione di  Venezia  nella  Tipografia  Al- 
visopoli  1828  in  4." 

(62)  Addizioni  Copiose  alla  Bibliol. 
Kapolet.  del  Toppi  pag.  162. 

(63)  Storia  degli  Scritt.  nati  nel  Be- 
gno  di  Napoli  Tom.  Ili  parte  2  p.  226. 

(64)  Memor.  Storico  critiche  degli 
storici  Napoletani  pag.  5oi. 

(65)  Pag.  33,  e  35  della  Prefazione 
dei  Giornali  del  Passato  Napoli  1785 
presso  Vincenzo  Orsino  in  4." 

(66)  Bibliot  Star.  Topograf.  del  H»-  . 
gno  di  Napoli  p.  162. 


DELL'ISTORIA 

»     1   1   11   ^   I 
DI  CAMILLO  PORZIO  a). 


P  R  O  E  INI  I  O 


I.  V  ENGONO  al  mondo  1  secoli  e  l' eladi,  non  altrimenle 
accompagnale  dalle  ree  e  dalle  buone  fortune ,  che  si 
facciano  gli  uomini  ancora  :  conciosiacosachè  per  1'  in- 
strumento delle  lettere  noi  reggiamo  un  tempo  abbonde- 
vole e  sano  fiorire  di  altissimi  ingegni ,  di  valorosi  cuo- 
ri ,  d'  arti  e  d'  invenzioni  maravigliose  j  ne  vediamo  poi 
un  altro  infermo  e  bisognoso,  di  menti  grosse,  di  petti 
vili,  e  d'  ogni  umana  miseria  colmo  e  ripieno.  Ma  vera- 
mente il  presente  nostro  secolo  non  è  stato  in  fin  ad 
ora  degl'  infortunati  ^)  ,  che  le  memorie  ricordano  ,  per 
aver  egli  avuto  potenti  e  valorosi  re ,  la  militare  disci- 
plina e  le  scienze  liberali  nel  loro  supremo  grado,  i  po- 
poli numerosi  ,  conoscimento  di  non  mai  più  vedute  re- 
gioni, orribili  macchine  da  guerra,  e  nuovi  instrumenli  a 
perpetua  difesa  delle  scritture  j  le  quali  cose  quantunque 


a)  Nel  manuscritto   del  sig.  Tafuri  in  Napoli,  ed  in  Piacenza. 
il  titolo  è  il  seguente:  IJisloria  d'Ita-  h)  Nel  manuscritto  è  in  fortunato _. 

Ha  di  CamiUo  Porzio  ,    contenente  i  per   errore  del  copisi?, 
iitcccssi  dell'  anno  i5^y  in  Genoi^a  , 


48  PORZIO 

il  più  dell'  universo  1'  abbia  esagerate  ,  nondimeno  la 
provincia  dell'  Italia  più  di  tutto  il  rimanente  l'  ha  ella 
gustate  ,  abbracciate  ,  e  ritenute,  come  veramente  madre 
delle  nobili  scienze  5  ha  loro  anche  conceduto  il  guardarsi 
dal  mare  dell'  oblivione ,  producendo  in  essa  scrittori  il- 
lustri, ed  immortali,  i  quali  benché  rapiti  dall'  Ingordigia 
del  temjjo  ,  hanno  pure  lasciato  nell'  animo  degli  studiosi 
Italiani  un  pungente  sprone  di  seguirli,  e  di  pareggiarli  j 
imperocché  il  superarli  (conform'  io  mi  persuado)  è  fuori 
della  speranza  di  ciascheduno.  Laonde  non  doverà  a'  let- 
tori apportare  maraviglia  veruna  s' io  carico  di  famiglia- 
ri ed  assidue  cure  imprendo  a  coltivare  il  duro  campo 
dell'  istoria  :  massime  che  a  gli  animi  umani  sono  poten- 
tissimi stimoli  la  forza  della  virtù,  ed  il  premio  dell'  0- 
nore,  ed  ogni  gravissimo  peso  fanno  loro  lieve  nel  portarlo, 
e  nel  diporto  dilettevole  e  giojoso. 

Stato  delV  Italia  dopo  il  i544' 

II.  Adunque  seguita  nel  i344  la  pace  tra  l'imperatore 
Carlo  di  quel  nome  quinto  ,  ed  il  re  di  Francia  France- 
sco primo,  r  Italia  per  mare  e  per  terra  tanti  anni  dell'ar- 
mi di  que«ti  principi  trafitta  ed  impiagala  pareva  dovere 
avere  tempo  di  curare  non  di  guarire  le  sue  profonde 
piaghe.  Conciosiachè  quantunque  si  fosse  opinione  uni- 
versale r  imperatore  compiuto  1'  anno,  nel  quale  egli  pro- 
messo avea  adempire  le  condizioni  della  pace,  non  essere 
per  investire  della  Fiandra  ,  né  del  ducato  di  Milano  il 
duca  d'Orliens  figliuolo  del  re  di  Francia,  essendo")  prin- 

a)  U  manuseritto:^  essendono. 


ISTORIA    d'  1T.\LI\  49 

cipali  membri  alla  couservazior.e  del  suo  imperio-,   spora- 
vasi  nondimeno   la   stanchezza    dpll'  imperatole   e  del  re, 
liitlavia  illirismo  nulla  guerra  inglese,  dover  intrapoiicr  molto 
tempo  per  insiiio   a   tinto   che  da  capo  si  riprendessero  l'ar- 
mi j  aggiungendosi  massimamente  al  lor  debol  potere  il  ma- 
nifesto naulragio  del  cristianesimo  fieramente   combattuto 
dalle  procelle  dell'  eresia  ,    alle   quali    non    facendosi  per 
essi   riparo,  minacciavano  d'avere  a   sommergere  in  bre- 
ve tutti  i  loro  reami,  Imperochè  oltre    alla  Germania  ed 
all'  Inghilterra  ,  già  d'  ogni  parte  inondate  ")  ed  affogate  , 
r  Italia  ,  la  Francia  ,   e  la  Spagna  pullulavano  quel  pesti- 
lenzioso  umore.   E  fu  questa  speranza  degli    uomini   del- 
l'Italia raffermata  ed  accresciuta   dalla  potenza  e   diligen- 
za del  pontefice    romano  Paolo  III  che    incontinente    se- 
guita la  pace  prese  a  convocare  nella  città  di  Trento  tutti 
i  prelati  d'  Europa  a  concilio,  ed  a  ravvivare  i  pastori  ed 
il  gregge  cristiano  trascorsi    in  assai    mali    abusi.   Nondi- 
meno la  fortuna  fatta  implacabile  nemica  a'  riposi  degf  I- 
taliani  ,  ed  a  cui  non  pareva  nel  mestiere    dell'  armi  a- 
vev  sollevato  a  quel  seggio  di  gloria  l'imperator  Carlo  ove 
ella  indirizzava,  per  condurlovi,  e  porlo  in  guerra,  il  volle'^) 
sciorre    dal  legame    della  sopraddetta    pace    ed  onorevol- 
mente. Imperciocché  pochi   mesi  dopo  1'  esser  conclusa  pri- 
vò di  vita  il  Duca  d'  Orliens  ,     giovane    lieto    e    di  fre- 
schissima età  ,  ed  in  cui  ogni   qualunque    cosa    temevasi 
più  che  la  morte  ^   sì  che  non  acconsentendo  il  cielo  che 
r  imperatore  scemasse  di  niente  lo    stato    suo  ,  egli  alzò 
r  animo  ad  accrescerlo  grandemente,  facendo  acquisto  del 

a)  11  manuscriUo:  inondante.  b)  Il  manuscrllto:  voUe. 

7 


30  PORZIO 

pieno  flominio  imperiale  nella  Germania  e  nell'Italia,  e 
della  citlà  di  Siena  P  ri;  Piacenza,  per  la  quale  nel  1 547 
fu  gittata  nel  cuore  dell'Italia  una  lavilla  d;  fuoco  ardente 
sicché  benché  paresse  alcuna  volta  poco  nociva,  ed  altra 
spenta,  pure  nel  i55i  prese  tanto  di  vigore  e  d'ampio 
spazio ,  che  non  dell'  Italia  sola,  ma  delle  più  conspicue 
regioni  dell'  Europa  il  mare  e  la  terra  per  otto  anni  arse 
e  consumò,  con  estremo  danno  del  cristianesimo  e  su- 
premo accrescimento  delle  sette  infedeli  ed  eretiche,  e  gli 
fu  somministrata  materia  a  questo  orribile  incendio  dal- 
l' ambizione  del  figliuolo  del  Papa  ^)  ,  e  fu  rinvigorito  e 
disteso  dalla  sospezione  e  poco  riposo  di  Francesi, 

Paolo  investe  Pierluigi  Farnese  Duca  di  Parma 
e  Piacenza. 

III.  Per  la  cui  origine  ordinatamente  dimostrare 
fa  di  mestiere  il  dire  che  il  Pontefice  Paolo  certamen- 
te di  tanto  grado  non  indegno  possessore ,  bramoso  di 
collocare  sì  altamente  la  sua  famiglia  che  ella  non  fos- 
se inferiore  né  a  quella  de'  Medici  né  a  quella  della  Ro- 
vere, da' suoi  predecessori  dianzi  ingrandite,  aveva  inve- 
stito del  ducato  di  Camerino,  iscadutoli  per  la  morte  de'si- 
gnori  Varrani,  Ottavio  Farnese  nato  di  Pierluigi  suo  figliuolo. 
Nondimeno  pochi  anni  appresso  avvisando  il  figliuolo  ed 
il  nipote ,  che  la  lunghezza  del  pontificalo  di  lui  e  la 
condizione  de'  tempi  e  dell'  Italia  gli  aprisse  la  strada  a 
dover  appoggiare  il  fondamento  della  lor  casa  a  principa- 

a)  E  nolo  che  Paolo   III  ebbe  mo-       siaslico  e  quindi  papa.  |Da  quel  ma- 
glie e  limuso  vedovo     divenne  ectle-      irimonio  nacque  Piciluigi  Farnese. 


ISTOnTA    d'  ITALIA  5t 

to  più  libero  e  maggiore  ,  dopo  avere  indarno    irai  tato  il 
Papa  con  l'Imperatore  di  quel  di  Milano,  combattuto  dal 
paterno  affetto  e  vinto  dalle  molestie  dategli  da  Pierluigi, 
fcrmossi  a  crearlo  Duca  di  Parma  e  di  Piacenza,  città  pos- 
sedute allora  dalla  Chiesa,   come  state  prima  della  signo- 
ria del  Duca    di  Milano  ,    e  nel  Pontificato    di  Giulio  II 
per  pegno  alla  Chiesa  pervenute.    E   sperò    vanamente  il 
Pontefice  che  l'Imperatore  per  essere  futuro  successore  a 
quello  stato  Ottavio  suo  genero,  per  quanto  se  gli  appar- 
tenesse, come  Cesare  e  come  Duca  di  Milano,  leggiermente 
avesse  a  condiscendervi.  Si  che  egli  l'anno  del  i545  senza 
dare   orecchio    al  consiglio    di  molti    suoi  Cardinali ,    che 
gliene  dissuadevano,  investì  Duca  di  Parma  e  di  Piacenza 
Pierluigi,  facendolo  tributario  di  Santa  Chiesa  di  settemila 
scudi  per  ciascun  anno,  e  compensandola  anche  della  pic- 
ciola  terra  di  Camerino,  a  cui  da  Ottavio  fu  ella    resa. 

Carlo  V  non  riconosce  Tina  tale  ìiwestitura. 

IV.  Questa  alienazione  di  inestimabile  danno  al  do- 
minio ecclesiastico,  quantunque  da  Paolo  fosse  voluta  ri- 
cojirire  col  poco  utile  che  da  quelle  città  si  ritraeva ,  e 
col  gran  pericolo  d' averle  a  perdere  qualora  Milano  ob- 
bedisse il  Francese,  o  di  sotto  a  Cesare  si  perseverasse, 
niente  di  manco  da  tutti  i  Cristiani  ad  una  voce  fu  dan- 
nata, e  dall'  Imperator  Carlo  biasimevole  in  tanto  stimata 
che  non  fu  possibile  indurlo  mai  a  nominare  non  che  al- 
tro Pierluigi  Duca  di  quella  Città  ,  rifiutate  anche  pa- 
recchie migliaja  di  scudi ,  che  per  ottener  di  ciò  confer- 
mazione il  Cardinal  Farnese  fratello  di  Ottavio  si  disse  a- 


'2  Ponzio 

vergli    profifeito    insino    allora    che    andò    a    ritrovarlo    ìa 
Fiandra.  Era  apparito  nelL'  Imperatore  al   tempo  che  egli 
ne  venne  ad  incoronarsi  alcun  desiderio  di  quelle  città  :  pur 
la  riverenza  che  doveva  alla  Chiesa  -'>)  e  gli  altri  suoi  gravi 
affari  parevano  a  questi  tempi    averlo    da    cotal  pensiero 
distratto,  e'^)  stimavasi  che  per  l'odio  conceputo  contra  Pier- 
luigi lui  ricusasse  d'investirlo,  e  di  mantenerlo  a   quello 
slato  j  conciosiachè  egli  di  non  buon    animo    il  riputava 
in  verso  di  sé  e  di    parte    Francese,    e    l'anno    innanzi 
gliene  aveva  dato  un  saggio  :  perochè    avendo    egli  guer- 
ra   con    Francia  ,    Pierluigi    posto    dal    Padre    a    guardia 
di  Piacenza,  consentì  d'ivi  il  passare  e  delle   vittovaglie 
all'  esercito  che  menava  Pietro  Strozzi  Capitano  del  Re  5 
il  che  fu  opinione  esserli  stato  di  grande  ajuto  ,  e  che  al- 
tramente lo  Strozza  si   rimaneva   allora    rotto    dalle    genti 
imperiali,   che  gli  erano  alle  spalle,   e  seguivanlo.   Il  quale 
nemichevole    fatto  di  Pierluigi  affermasi   essere    stato    pro- 
fondamente riposto   nel   petto    dell'Imperatore.    Nieatedi- 
manco  i  Farnesi  vedutolo    pacificato    col    Pie    di    Francia 
s'affaticavano  di  guadagnarlo,   e  in  ogni  qualunque  modo 
proccuravano  indurlo  al  lor  volere.  E  veggendolo  inclinato 
a  muover  le  sue  armi  nella  Magna  incontro  il  Lantgravio 
e  il  Duca  della  Sassonia,  che  empiamente  rotto  il  freno  del- 
l'imperio  divino  non  avevano  in  prezzo  più.  né  anco  l'uma- 
no,  subitamente  che  al  Papa  ciò  venne  a  notizia,  con  larghe 
promesse  ve  lo  raffermò^   giudicando  aver  ciò  a  seguire  con 
molta  dignità  del  suo  pontificato,  e  con  non  minor  profitto 
de'suoi||   a' quali  appreseutaudosi  tempo  opportuno  di  ado- 

a)  11  manuscrilio:  fer  ìa  riverenza  b)  11  mauuscritlo:  e  stimavasi  per 

doveva  alla  chiesa^  l'odio. 


ISTORIA    d'  ITALIA  j3 

prarsl  a  prò  di  Cesare  ,  ])otevano  alla  fine  sperare  di  irar- 
}^Li  dalle  mani  la  bramala  investitura  di  Parma  e  di  Pia- 
cenza ,  specialmente  alcuna  somma  d'oro  aggiungendosi, 
])er  congeliurarsi  la  guerra  dover  esser  lunga  e  dispen- 
diosa. Sì  die  Paolo  e  di  non  piccola  quantità  di  dana- 
ri e  di  dodicimila  fanti  e  di  seicento  cavalli  a  quella 
impresa  l'Imperatore  prontamente  sovvenne  ,  e  il  Cardi- 
nal Farnese  ed  il  Duca  Ottavio  con  molta  pompa  giro- 
no a  servirlo  j)ersonahiiente^  l'uno  per  Legato  Apostolico 
e  r  altro  per  Capitan  generale  della  Chiesa:  ove  Ottavio 
e  sue  genti  in  varii  avvenimenti  si  diportarono  cosi  viril- 
mente e  da  uomini  valorosi  ,  sendo  il  fiore  dell'  Ita- 
lia ,  che  giudicavasi  l'  Imperatore  avere  al  padre  ed  al 
figlio  non  pure  a  confermar  quello  che  per  dono  del  Pon- 
tefice si  jìossedevano ,  ma  dover  anco  con  essi  loro  eser- 
citare liberalità  maggiore. 

D'iscoj'die  trai  Papa  e  V Imperatore > 

V.  Ma  o  che  l'Imperatore  fosse  intimamente  dispo- 
sto di  reintegrare  lo  stato  di  Milano,  quando  che  fosse, 
di  quelle  nobili  città,  o  per  diffidarsi  de' Farnesi  ^),  non 
meno  appetenti  l'  amicizia  ed  il  parentado  di  Francia  della 
sua,  o^)  per  tenere  assiduamente  col  freno  di  questo  de- 
siderio sottoposto  il  Pontefice  alle  necessità  sue,  o  per  es- 
sersi seco  sdegnato  che  avendo  esso  conceduto  a'  nepoti  di 
lui  la  figliuola  e  altri  assai  beneficii,  il  Pontefice  egli  non 
solo  come  amico,  né  come  parente  nelle  guerre  a  dietro  l'a- 

a)  Nel  nanuscriito  :  Francesi,  k)  Kel  maausuiilo  manca  o. 


54  PORZIO 

vesse  ajulalo,  ma  eziandio  avesse  offeso  tutti  1  suoi  parti- 
giani d'Italia,  Colonnesi,  Medici,  Dorii,  e  Gonzaghi,  o  per 
tutti  questi  riguardi  insieme,  1'  Imperatore  non  fu  rispon- 
dente all'  opinione  conimune  ,  anzi  da  questa  lega  parve 
che  tra  lui  ed  il  Papa  sorgessero'*)  nuove  cagioni  di  do- 
glienze  e  di  discordie.  Conciosiacliè  il  Pontefice  Paolo  , 
e  per  picciolo  potere  e  per  astuzia  non  prima  dilegua- 
tosi r  esercito  tedesco  ed  i  capi  ritirati  alla  difesa  di  lo- 
to stati,  accommiatò  le  sue  genti  ed  incontanente  chiamò 
a  Roma  il  Legato  ed  il  Duca  Ottavio,  ed  affatto  da  quel- 
la lega  si  disciolse  con  grande  rimproveramento  degl'  Im- 
periali, che  contendevano  gli  ajuti  del  Papa,  dati  però  sin- 
ceramente e  non  per  porre  1'  Imperatore  in  pericolo  ed 
in  briga,  non  dover  venir  meno  in  fin  a  tanto  che  gl'iu'- 
nncì  fossero  vinti  e  sottoposti  3  essendo  egli  slato  indotto 
dal  Pontefice  alla  guerra  contra  i  ribelli  della  Chiesa.  Ma 
evidentemente  avrebbe  ogni  uno  conosciuto  quell'  impresa 
poter  accrescere  l'autorità  dell'Imperio  nella  Magna,  non 
già  la  Pontificia.  Per  la  quale  conlesa  trovò  il  Papa  sorde 
l'orecchie  dell'Imperatore,  non  solo  nei  bisogni  del  figliuolo 
e  dei  nipoti,  ma  nei  proprii.  Conciosiachè  al  principio  del- 
l'anno 46  datosi  cominciamento  al  Concilio  tridenlino,  quan- 
tunque senza  trovarvisi  i  Luterani,  pure  con  frequenza  gran- 
de di  padri  ed  ambasciatori  di  tutto  il  Cristianesimo,  e  con 
tre  Cardinali  legali  della  Sede  Apostolica,  eranvisi  fatte  alcu- 
ne sessioni  d'intorno  ai  dogmi  della  fede  cattohcaj,  evenu- 
tosi a  quello  della  giustificazione,  che  pareva  annullasse  in 
gran  maniera  la  dottrina  di  Lutero  incontro  la  Chiesa  Ro- 
mana,  Cesare  non  lasciava  se  ne  pubblicasse  il  decreto  j 

a)  11  tramisciilto  :  parvero  Ira  lui  ed  il  Papa  sorgessero. 


ISTORIA    d'  ITAriA  55 

sperando  che  egli  rimasto  nella  guerra  di  Germania  supe- 
riore trarrebbe  all'  udienza    del  Concilio    l)uona    parte  di 
quella  Provincia,  e  voleva  fosse  presente,  ed  udita  in  cosi 
grave  dispulazione  ").   Della  qual  cosa  avvedutosi  il  Papa,  e 
sentendosi  agramente  offendere  da  prelati  che  ivi  da  Cesare 
pendevano,  riguardando    ancora  approssimarsi  il  tempo  di 
riformare    i  cattivi  usi  del  Clericato,  mediante  la  quale  ri- 
forma grandemente  restringevasi  la  potestà  e  la  licenza  della 
Corte  di  Roma,  cominciò  il  Pontefice  a  temere  quel  pericola 
veggendolo  in  viso  che  di  lontano  aveva  sprezzato  ,  ed  a 
fare  instanza  ardentemente  a  Cesare,  mentre  era  anche  nella 
Magna  il  Legato  Farnese,  che  ei  rimanesse  contento,  o  che 
il  Concilio  si  trasportasse  in  luogo  posto  nella  dizione  ec- 
clesiastica ,  o  si  sospendesse  insino    a  tanto  die    egli  del 
tutto  avesse  la  Magna  in  sua  balia,"  affermando  il  Legato 
a  questo  moversi  il  Papa  non    solamente    per    risparmiar 
grandissimo  dispendio  alla  Sede  Apostolica,  ma  anche  per 
guardar  di  grandissimo  pericolo  il  Cristianesimo  ,  stiman- 
dosi il  Concilio  ragunato  d'aver  esso  la  potestà  del  creare 
il  Pontefice  Romano ,  ed  i  Cardinali  affermando  loro  ap- 
partenersi. Di  maniera  che  trovandosi  1'  uno  e  gli  altri,  e 
succedendo  morte  a  Paolo  la  quale  ,  passando  egli  fan- 
no oltanlesimo,  ciascuna  ora  potea  e  dovea  avvenire    in- 
fallibilmente, si  partorirebbe  con  la  creazione  di  due  Papi 
uno  scisma,  contenzione  che  sarebbe  di  struggimento  ^)  alla 
Sode  Apostolica  ,  e  d'  ultimo  abbassamento  alla  Religion 
cristiana.     Promise  Carlo  al  Legato    di  non  opporsi     più 
si  pronunciasse  il  decreto  della  giustificazione,  ma  del  ri- 

a)  "Sei  manuscrilto  manca  1'  in.  h)  Nel  manuscrillo  ckslruggimento. 


55  PORZIO 

movere  o  del  sospendere  il  concilio  non  volle  udir  ra- 
gione alcuna,  come  se  1"  autorità  sua  fosse  bastevole  a  dar 
riparo  ad  ogni  incommodo  ,  che  per  la  morte  del  Pon- 
tefice si  potea  cagionare  ,  e  sospettando  eziandio  che 
per  ovviare  al  restringimento  de'  mali  usi  della  corte  Ro- 
mana, e  non  al  dispendio  della  Chiesa,  Paolo  volesse  dis- 
porre a  suo  piacimento  del  luogo  del  Concilio. 

Pierluigi  si  stringe  di  parentado  col  re  di  Francia. 

VI.  Questi  andamenti  del  Papa  e  dell'  Imperatore 
pieni  di  mala  sodisfazione  di  ambedue,  e  quando  si  spe- 
rava di  dover  essere  maggiormente  concordi,  uditi  e  ve- 
duti da  Pierluigi  Farnese,  siccome  disperato  della  grazia 
imperiale,  il  fecero  fermare  l'animo  a  dover  dipendete  to- 
talmente dal  Re  di  Francia,  al  che  non  poco  lo  confor- 
tava il  vedere  quel  Re  pacificato  già  con  l' Inghilterra,  e 
mesto  delle  prosperità  di  Carlo  nella  Magna.  Sì  che  volle 
Pierluigi  ajutato  e  guidato  dal  Papa  primieramente  ri- 
stringersi di  parentado  col  Re  :  usitato  pegno  delle  con- 
giunzioni de' Principi  ma  fallace:  il  quale  assai  per  l' in- 
nanzi trattato  a  questo  tempo  ebbe  compimento  ,  con- 
tentandosi il  Re  che  il  DucaOrazio,  un  altro  figliuolo  di 
Pierluigi  e  che  al  Ducato  di  Castro  posto  presso  la  To- 
scana succedeva  ,  menasse  per  donna  la  sua  nipote  figlia 
naturale  del  Delfino  j  stupendo  gli  uomini  poco  ricorde- 
voli dell'  instabilità  mondana  ,  alla  gran  felicità  del  Pon- 
tefice Paolo.  Il  quale  non  solamente  con  vita  lunga  e 
prospera  signoreggiava  il  tempo,  ma  eziandio  esaltava  nel 
temporale  e  nello  spirituale  altissimamente  i  suoi  discesi, 


ISTORIA    n    ITALIA  5^ 

congJungendoli  di  stretta  affinità  co'  primi  Re  del  mondo 
senza  strepito  d'  arme ,  e  senza  sj)argimento  di  sangue  ^  il 
che  a  nessuno  de'  suoi  predecessori  ricordavasi  essere  av- 
venuto. 

Cause  e  Cominciamento  delV  inimicizia  del  conte 
del  Fiesco  cantra  i  Doni. 

VII.  Onde  affermavasì  per  molti  secoli  non  essersi 
Veduto  Un  Papa  cotanto  amico  della  fortuna  siccome  egli 
era,  né  che  con  I'  arti  della  pace  più  d'  esso  fosse  avan- 
zatosi. Ma  le  disavventure  che  poco  lungi  dalla  sua  fe- 
licità l'assaltarono,  dissingannarono  molte  genti  dell'im- 
prudente lor  giudizio  :  conciò  sia  cosa  che  Pierluigi,  paren- 
doli già  d' aver  fermissimo  appoggio  nel  Re  di  Francia 
per  metterlo  alle  mani  con  Cesare,  e  irarselo  in  grembo 
non  che  vicino ,  è  di  generale  consentimento  ,  fabbricato 
però  d' incerti  indixii,  che  sollecitasse  il  Conte  Gio:  Luigi 
del  Fiesco  all'  occupare  per  lo  detto  Re  la  città  di  Genova 
con  dar  morte  a'  Dorii ,  e  acquistando  le  lor  galere.  I 
quali  Dorii  hanno  opinione  essersi  ciò  maneggiato  da  Pier- 
luigi in  Roma  dal  mese  di  maggio  di  quest'anno,  e  pec 
avventura  senza  saputa  del  padre  e  de'  figliuoli  di  lui. 
Vivevasi  nella  città  di  Genova  Andrea  Boria  detto  il  Prin- 
cipe Doria ,  che  per  aver  generosamente  liberata  la  pa- 
tria dalla  servitù  Francese  e  per  essere  nel  mare  valoroso 
ammiraglio  dell'  Imperatore ,  e  per  la  signoria  di  molte 
galere  proprie,  appo  tutte  le  genti  era  in  somma  venera- 
EÌone  e  gloria.  Costui  pervenuto  all' estrema  sua  vecchiez- 
za,  e  staaco  dal  navigare,  cou  coasentimento   di  Cesare 


58  PORZIO 

deputò  in   suo  luogo  nel  mare  Giannettlno  Dona  figliuolo 
di  un   suo  cugino  ,    e  giovane  posto  in    grande    opinione 
d'  ingegno  ,   di  cuore  ,  e  di  fortuna  ,  ed  il  quale  fuori  e 
dentro  la  Città  porgeva  segni  di  non  aver    a  restar  con- 
tento del  grado  ove  vedeva  salito  il  Principe  suo  zio.  Per- 
ciocché il  Princi]ie  non  sazio  di  aver  resa  la  libertà  alla 
patria,   ne' vestimenti,  nelle  parole    e  nelle  private  azioni 
non  volle  in  essa  eccedere  il  semplice  grado  di  gentiluo- 
mo.  Diverso  era  il  procedere  di  Giannettino,  le  cui  ope- 
razioni in  apparenza   ed  in  sostanza   rendevano    un    certo 
odore  di  signorile  e  di  grande  ^  sì  che  la  maggior    parte 
della  cittadinanza  Genovese  disposta  più  ad  aver   riguar- 
do ai   pericoli   futuri,    che  a  porger  rimedio    ai  presenti, 
o  il  temeva  ,  o  suspettava  che  succedendo  egli  all'  auto- 
rità e  potenza  del  Principe  Doria  non  eredasse  di  quello 
uè  i!   temperamento  dell'  animo  ne  la  carità  verso  la  pa- 
tria.  Eravi  tra  gli  altri  il  Conte  Gio  :  Luigi  del  Fiesco  di 
nobilissima  stinge,   di  gran  seguilo  popolesco,  di  convene- 
vole stato  ,     di  qualità  d'  animo    e  di  corpo  dalla  natura 
grandemente  dotalo,  la  cui  famiglia  nelle  dissensioni  della 
Città  seguì  la  fazione  Guelfa,  siccome  la  Doria  la   Ghibel- 
lina.   Al  quale  Conte  parendo  esser  nato    di  più  signoril 
grado  di  Giannettino    e  d'avversa  parte,    con    immenso 
dispiacere  ed  invidia  tollerava  a  vederlo  sedere  nel  primo 
luogo    della  città  ,    e    temersi    ne    divenisse    padrone  :  ed 
imaginando  ciò  avvenirli  per  lo  favore    d' essere  al  soldo 
dell'  Imperatore  più  che  per  alcuna    sua  singulare    virtù  , 
maneggiò   alquanti  anni  prima  di    questo    tempo  ,  essen- 
done mezzano  Cesare  Frcgoso  fuoruscito  di  Genova  e  Ca- 
pitano del  Re  di  Francia ,  di  porsi  a  servigi  di  quel  Re, 


I 


ISTORIA    u'  1TALI;V  J<) 

dandogli  speranza  di  far  novità  a  Genova  ad  ogni  ri- 
cliiesla  de'  Francesi.  Il  quale  maneggianiento  alla  jiresa 
e  morte  di  Cesare  Fregoso  venuto  a  notizia  degl'  Im[)e- 
riali,  fu  fatta  instanza  grande  al  Principe  Doria  dal  Mar- 
chese del  Vasto,  allora  per  Cesare  governatore  di  Milano, 
che  fatto  prigione  il  Conte  gliel  mandasse  ,  intendendo 
di  quel  trattamento  darli  gastigo.  Ma  il  Principe  che  ama- 
va il  giovane  singularraente ,  ed  avevalo  in  tutela ,  ri- 
putando quel  maneggio  essere  stato  finto  dagl'  inimici  di 
lui,  per  sì  fatta  maniera  s'interpose  col  Marchese  e  eoa 
r  Imperatore,  che  in  luogo  della  pena  il  Conte  ottenne  da 
loro  annua  provvisione,  e  nell'ultima  guerra  di  Lombar- 
dia militò  non  senza  lode  sotto  l'insegne  del  Vasto. 

Dlscoj'die  tra  ì  Dorii  ed  i  Farnesi. 

Vili.  Ma  non  in  ogni  uomo  il  beneficio  genera  gra- 
titudine, Questo  rimedio  fu  bastevole  a  fare  esteriormente 
il  Conte  Imperiale,  ma  non  fu  potente  a  purificare  il  cattivo 
umore  che  egli  aveva  concetlo  contra  Gianneltino.  Per  lo 
che  venuto  Pierluigi  al  dominio  di  Piacenza  e  di  Parma, 
e  con  poca  soddisfazione  di  Cesare,  vide  il  Conte  avere 
assai  presso  •'')  un  gran  compagno  e  ministro  dei  pensieri 
suoi ,  massimamente  che  Pierluigi  ed  il  Papa  erano  iu  grave 
sdegno  contra  il  Principe  Doria  e  Giannettino ,  sì  per 
esser  fama  che  il  Principe  avesse  dissuaso  l' Imperatore  a 
conceder  loro  lo  Stato  di  Milano,  sì  per  cagione  delle  spoglie 
d' Imperiale  Doria  vescovo  di  Sagoue,  il  quale  ^)  mandalo 

o)  Il  inanuscfUto  :  preso.  M)  Il  maBusciiuo  :  comandalo. 


6o  Ponzio 

ilal  Piincipe  suo  zio  nella  Puglia  al  governo  del  suo  Priucit 
palo  di  Melfi,  crasi  con  la  parsimonia  clericale,  e  con  l' in^ 
dustrie  mercantili  avanzato   di  molti  scudi ,  che  morendo 
lasciò  ")  all'  istesso  Principe,  oltre  al  parentado,  dell' oppor-» 
tunilà  del  governo    e    delle  rendite  del  Principato  tacita- 
mente confessando  esserli  pervenuti.  Ma  il  nunzio  del  Papa 
nel  regno  di  Napoli  avendo  solamente  l'  occhio  all'  utilità 
del  Padrone  ed  all'  esser  stato  Imperiale  Poria  Vescovo , 
come  s' eglino  fossero  spoglie,  vi  mise  su  le  mani;    e  per 
molto  che  il  Principe  ne  facesse  querela  appresso  al  Pon- 
tefice, dimostrando  il  vescovo  si  per  le  sue  poche  entrate 
ecclesiastiche    malagevolmente    aver    potuto     vivere  ,   uon 
che  avanzare,  nondimeno  la  ragion  sua  era  poco  stimata, 
e  presso  che  disperata  la  restituzione  della  pecunia.  Ap- 
portò questo  fatto  gran  noja  all'  auirno  del  buon  Princi- 
pe ,  ma  quello  di  Giannetlino  più  caldo  per  gioventù  e 
per  natura  più  altiero  afflisse  sopra  modo,  parendoli  trop- 
po disonorevole  per  li  meriti  del  Principe  e  suoi    con  la 
Repubblica  Cristiana    il  sofTerire  ingiustizia  ,    o  il  non  ri- 
portar grazia    dal  vicario  di    Cristo  ,     e    deliberò  in  qua- 
lunque modo  egli  potesse  difendersene.  Manteneva  il  Pon- 
tefice al  soldo  della  Chiesa  Apostolica  quattro    galere  ,   il 
cui  dominio  dicevano  essere  del  figliuolo  Pierluigi.   Que- 
ste venute  al  porto  di  Napoli  per  loro  bisogni,  capitovvi 
anche   Giannetlino  con  le  sue ,  o  a  studio,  o  a  ventura, 
e  atteso  il  tempo  che  quelle  fossero  alla  vela,  poche  mi- 
glia indi  discosto  ,  le  prese  ,    e  trattine  i  ministri  Papali 
le  condusse  a  Genova,  affermando  che  egli  allora  le  restituì'! 

n)  Il  maausciiuo:  gli  fascici. 


I 


ISTOnU    B*  ITALIA  6l 

rebbe,  quando  a  lui  aoche  fosse  reso  il  lascialo  dal  ve- 
scovo di  Sagone.  Dolse  a  meraviglia  questo  allo  al  Papa,  e  a 
tulli  Farnesi  avvezzi  insìuo  a  quel  di  di  essere  adorali,  e  vio- 
lentali nun  mai,  e  riscaldatisi  fortemente  con  l'Ambasciator 
Cesareo,  e  con  il  Viceré  di  Napoli,  che  ne'lor  liti  da  un 
Capitano  Imperiale  fosse  fatta  forza  a  legni  del  Pontefice, 
passarono  dalle  parole  a' fatti,  e  immantinente  imprigiona- 
rono a  Roma  tutti  i  mercanti  e  una  parte  di  Prelati  Ge- 
novesi j  per  la  qual  cosa  la  Signoria  di  Genova,  e  i  Mi- 
nistri dell'  Imperatore  messisi  di  mezzo  assettarono  la  con- 
troversia dopo  non  molto  tempo,  e  partito  lo  spoglio  del 
Vescovo  fra  il  Papa  e  il  Principe  Doria  renderono  le  galere. 

Jl  Conte  del  Fìesco  compra  quattro  galere  dal  Papa. 

IX.  Rimasero  nondimeno  gli  animi  de' Farnesi,  e  de* 
Dorii  pregni  di  amaritudine  per  questo  litigio  terminato 
non  con  modi  legittimi ,  ma  all'  usanza  bellica  e  da  ne- 
mici j  la  qual  partorì  orribile  effetto ,  e  memorabile  con- 
giura ,  determinato  che  ebbe  Pierluigi  Farnese,  come  s'  è 
dello ,  confederarsi  col  Re  di  Francia.  Fu  il  Farnese  di 
sagace  ingegno,  e  d'animo  grande,  cupido  di  signoria.  Non 
prima  ebbe  alle  mani  il  Conte  del  Fiesco  ,  che  gli  andò  a 
far  riverenza  come  feudatario  per  le  Castella  possedeva  in 
su  il  Piacentino,  che  egli  ottimamente  comprese  poter  per 
mano  di  lui  non  solo  donare  furtivamente  la  città  di  Ge- 
Dova  al  Re  di  Francia ,  e  con  si  ricco  presente  inescarlo 
al  guerreggiare  con  l' Imperatore ,  ma  poter  anco  spogliare 
Giannellino  ed  il  Principe  Doria  della  vita  e  delle  loro 
galere^  né  se  ne  ingannò  punto.  Perocché  col  Conte  rislret- 
tpsi  ,  ed  entrati  in  ragiouanienii  dei  pericoli  che  loro  so- 


Ga        '  PORZIO 

prastavano  ,  soggiacendo  l'uno  di  essi  al  rischio  del  perdere 
la  libertà  alla  morte  del  Principe,  e  l'altro  lo  stato  a  quella 
del  Padre,  come  dicemmo  ''),  è  commune  opinione  che  in 
(piesta  guisa  divisassero  il  trattato,  e  1'  eseguissero  ,  quan- 
tunque per  ambedue  con  uguale  e  doloroso  avvenimento^ 
il  Conte  del  Fiesco  facesse  vista  di  comprare  le  quattro  ga- 
lere del  Papaj  con  le  tre  di  esse  rimanesse  al  soldo  della 
Chiesa  j  la  quarta  conducesse  a  Genova  ,  e  dando  voce 
di  armarla  per  mandarla  in  corso  ,  mettesse  dentro  la 
Città  alcun  numero  di  soldati  ,  con  il  cui  ajuto  ,  e  de' 
cittadini  suoi  amici,  e  del  volgo  naturalmente  seguace  della 
novità  s'insignorisse  delie  galere  del  Principe  e  di  Giaù- 
neltino,  il  quale  potendo  uccidesse  j  anche  il  governo  di 
Genova  ordinasse  a  suo  piacimento  j  e  se  il  prendere  la 
città  non  li  venisse  fatto  con  le  galere  di  Doria,  egli  pas- 
sasse in  Francia,  promettendoli  Pierluigi  tosto  che  1'  opera 
avesse  felice  riuscita  rinforzarlo  di  fanti,  suoi  sudditi  ,  e 
della  protezione  del  Padre.  Ferma  questa  deliberazione 
Pierluigi  non  indugiò  a  fare  la  vendita  delle  quattro  galere 
per  trentaseimila  scudi,  facendo  al  Conte  lungo  termine  a 
pagarle,  ed  il  Papa  eziandio  fu  contento  di  prendere  ^)  le 
tre  di  quelle  a' suoi  soldi,  dicendo  il  Conte  palesamento 
a  ciascuno  la  quarta  galera  non  stipendiatagli  dal  Ponte- 
fice pensare  di  mandarla  in  corso  j  e  per  avere  onesta 
ragione  di  gire  a  Roma  deputò  in  suo  luogo  nelle  tre 
stipendiale  il  Conte  Girolamo  suo  fratello  ,  il  quale  nel 
mese  di  Maggio  condusse  al  Papa  ,  da  cui  fu  egli  gran- 
demente carezzato  ,  e  dal  Duca  Pierluigi  ,   e  per  avven- 

a)  H  mauuscr,  e  come  dicemmo,         h)  Nel  manuscr.  manca  di  prmdei-e. 


ISTOntA    d'  ITALIA  G3 

tura  raffermato  nella  sua  pericolosa  deliberazione  e  d'  as- 
sai speranze  pasciuto  e  gonfio.  In  tanto  che  Giovanni  Vo- 
ga Ambasciatore  al  Pontefice  per  l'Imperatore  sus{)icò  sot- 
to velo  di  questa  compra  potersi  nascondere  alcuna  frode 
perniciosa  al  Padrone  ,  il  quale  e  gli  altri  ministri  suol 
dell'  Italia  rendè  di  ciò  accorti,  ma  senza  frutto  ;,  percioc- 
ché disposto  al  guerreggiare  nella  Magna  e  in  parte  con 
le  forze  del  Papa,  non  gli  parve  tempo  d'  avere  ad  inve- 
stigare e  sinistramente  interpetrare  le  azioni  di  lui,  oltre 
allo  stimare ,  che  i  Farnesi  favorissero  il  Conte  per  fare 
un  potente  emolo  in  Genova  a  Giannettino  lor  poco  ami- 
co, e  non  per  torre  dalla   di  lui")  obbedienza  quella  Città. 

Finte  dÌTnostrazioni  di  amicizia  del  Conte  del  Fiesco 

verso  i  Dormii. 

X.  Fu  il  Conte  a  Roma  richiesto  dal  Cardinal  Trivulzio 
partigiano,  e  Protettore  del  Re  di  Francia  a  voler  essere 
soldato  di  quel  Re  ,  e  ricordato  che  provvedesse  con  le 
forze  di  lui  a  non  rimaner  suddito  di  Giannettino  alia 
morte  del  Principe  Boria.  Ardeva  il  Conte  annodarsi  col 
Jle  di  Francia  per  essere  il  più  saldo  sostegno  della  sua 
futura  impresa  ,  ma  temendo  per  la  soverchia  speranza 
e  poco  silenzio  de'  Francesi  potere  ciò  pervenire  all'orec- 
chie del  Principe  e  di  Giannettino  ,  ricusò  di  accordarsi 
in  fino  a  tanto  che  egli  facesse  ritorno  a  Genova ,  dove 
divisava  con  ogni  sorte  di  simulazione  e  con  somma 
umiltà  sì  fattamente  addormentare  i  Borii ,  che    del  suo 

;i)  Il  iiiuiiuitr.  dulld  loro. 


64  Ponzio 

procedere  avanti  niente  ne  sentissero.  Adunque  ritornato 
a  Genova  tutto  di  usava  le  lor  case,  ed  ogni  sua  faccenda 
comniunicava  con  esso  loro  ,  ricoprendo  la  compra  delle 
galere  per  Io  gran  mercato  fattogliene,  e  purgandosi  dell'a- 
micizia del  Farnese  per  l'utilità  che")  ne  trarrebbe,  e  per 
essere  suo  feudatario.  Festeggiava  parimente  i  figli  di  Gian- 
nettino  qualora  gli  aveva  davanti  ,  e  come  se  fossero 
suoi  propriij  e  per  dare  a  credere  esso  avere  desiderio  di 
congiungersi  seco  in  parentado,  siccome  egli  era  in  amistà, 
non  isturbò  il  Marchese  Giulio  Cibò,  fratello  della  mo- 
glie e  Marchese  di  Massa  ,  a  congiungersi  in  matrimonio 
con  la  Peretta  sorella  di  Giannettino.  Mediante  le  quali  di- 
mostrazioni parendogli  già  d*  avere  tratto  fuori  de'  petti  di 
coloro  ogni  qualunque  suspezione  di  sé,  mandò  a  Roma 
Antonio  Foderato  a  conchiudere  l'accordo  col  Re  di  Francia. 

Consiglio  dato  da  Gio.  Battista  J^errina  al  Conte 
del  Fiesco  ^  e  da  costui  approvato. 

XI.  Era  in  Genova  fra  gli  amici  fidati  del  Conte  fi- 
datlssimo  Gio  :  Balista  Verrina  uomo  audace  ed  avve- 
duto molto.  Pensò  il  Conte  aprire  interamente  il  suo  pro- 
ponimento a  costui,  per  giudicarlo  atto  instrumento  a  re- 
carlo a  fine.  II  quale  uditolo  ''),  non  1'  approvò  in  ogni 
parte  ,  rijjutandolo  partito  pericoloso  ,  e  senza  fine  ma- 
gnanimo j  per  lo  che  li  disse ,  a  lui  parere  il  primo  e 
r  ultimo  suo  oggetto  in  questa  operazione  avere  ad  esse- 
re il  farsi  esso  Conte   Principe  di  Genova,  per  riguardo 

a}  Nel  manus.  manca  r/^e  b)  Il  manuscr.  vedutolo 


ISTOniA    d'  ITALIA  65 

•della  quale  i  Francesi  ed  il  Duca  di  Piacenza   averlo   in 
concetto  ed  islima  :   ma    dar    morte    a  Gianueltiuo  ,    ed 
occupar  le  galere  del  Doria  per  fuggirsi  di  Genova,  o  per 
quella  poi  sottoporre  ad  alcun  Re,  essere  appunto  un  di- 
struggersi per  giovar  altri  j  e  tutto  che  l' impresa  propo- 
stagli da  lui  in  vista  paresse  difficile,  nel  maneggiarla  non 
avrebbe  durezza  ninna ,  volendosi    egli    bene    bruttare  le 
mani  nel  sangue  del  Princij>e  Doria,   di  Gianneltino,  e  di 
tutti  loro  congiunti  e  seguaci^  le  ricchezze  de'  quali  met- 
tendo in  preda  degli  altri  che  lo  seguirebbono ,  verrebbe 
ad  un  tratto  a  fortificarsi  della  benevolenza  de'  cittadini 
e  formare  un  stato  a  suo  modo,  del  quale  non  penereb- 
be troppo  a  farsi  ^)    Principe  e  Duca.  Non  dispiacque  al 
Conte  il  consiglio  del  Verrina,  e  subitamente  un  suo  fa- 
miliare ne  mandò  dietro  al   Foderato  ,   acciò    egli  insino 
ad  altro  suo  avviso  non  conchiudesse  la  condotta  col  Re 
di  Francia  5  persuadendosi  egli  che  conseguendo  l' occupar 
Genova,  con  l'obligo  o  senza,  il  Re  non    l'abbandone- 
rebbe ,  maggiormente    che  quegli  ^)  per  altre  cagioni  era 
quasi  '^)  forzato  a  sfoderar  la  spada  contra  all'Imperatore 
Carlo  ,   da  cui  solo  il  Conte  si  poteva  temere.  Riavevasi 
quel  Re  dopo  l'avere  riposte  l'arme  da'  danni    della    pas- 
sata guerra,  ma  con  goca    commendazione    degli    uomini 
considerati  ^) ,  che  egli  e  con  l'Inglese  e  con  Cesare  aves- 
se con  gran  dispendio  e  pericolo  guerreggiato,  e  poi  con 
ambedue  loro    né  con  onore    uè    con    utilità  rappacifica- 
tosi j  anzi  per  ispendere  oziosamente  il  tempo  aver  spia- 
nata la  strada  all'  imperator  Carlo  di  rimaner  vincitore  da 

a)  Il  manuscri Ito  alarsene.  .e)  Il  manuscritto  qua. 

h)  11  mauuscritio  quello.  d)  Forse  consideranti. 

9 


66  Ponzio 

invincibile  impresa,  siccome  era  stata  la  Germania  :  dalla 
quale  infamia  credevasi  che  ultimamente  desiosi  il  Re  di 
Francia  non  permetterebbe  che  l'Imperatore  di  quella  vit- 
toria pienamente  si  godesse,  e  che  alla  primavera  porge- 
rebbe grandi  ajuti    al  Lantgravio  ,  ed  al  Sassonia  ,  e  lor 
seguaci,  per  rinnovar  la  guerra:  il  che  giudicavasi  dovesse 
fare  il  Re,  e  per  iscemare  all'Imperatore    riputazione    e 
potenza,  e  per  non  usare  ingratitudine  a  quei  signori  Te- 
deschi, che  nelle  sue  guerre  di  fanteria  l'avevano  sovve- 
nuto sempre,  per  lo  che  da  Cesare  non  meno  che  per  al- 
tro venivano  ^)  infestati.  E  quando    pure    nel    Re    Fran- 
cesco potesse  più  il  riposo  del   corpo    che    la    generosità 
dell'  animo,  ed  ischifasse  l'urtarsi  con  l'Imperator  Carlo,  im- 
maginava il  Conte  del  Fiesco  che  Solimano    Gran  turco 
ve  lo  sospingerebbe    egli  5    il    quale  aveva  di    già  bandito 
guerra  sopra  l'Austria  al  primo  buon  tempo ,  e  in    tanto 
tenevasi   per   fermo  vi   venisse,   che  il   Papa  per  non  man- 
care  all'  oiGcio  paterno,  e  per  mostrare  a   Cesare   tenere  a 
cuore  i  suoi  pericoli,  comincia%'a  per  Burrone  Bertano  man- 
datogli in  posta  a  trattare  di  fermar  stabil  concordia  fra  il 
Re  di  Francia  e  lui,  avendo  l' importuna  morte  del  Duca 
d'Orliens,   come  narrammo,  rotta  la  conchiusa  fra  di  loro  nel 
i544'  Sì  che  il  Conte  del  Fiesco  lasciato  il  confederarsi  col 
Re  Francesco,  restrinsesi  da  capo  col  Verrina,  e  con  Raf- 
faello Sacco  suo  auditore,  e  con  ^)  Vincenzo  Calcagno  ,  e 
bilanciate  le  cose,  che  V  impresa  proposta  dal  Verrina  po- 
tevano nuocere  e  agevolare  •=) ,  deliberarono  di  far  venire  la 
galera  da  Civita  vecchia  ,  dove  ella  era  ,    e  poi  le  genti 

3)  U  man u scritto  venivano  loro  in-        h)  Nel  manuscritto  manca  con. 
/estati.  e)  Così  nel  manuscriuo. 


ISTOniA.    d'  1TA.IIA  67 

da  armarla  ,  e  per  cagione  ci'  onorare  il  sopratkletto  pa- 
rentado del  Marchese  di  Massa  suo  cognato  fare  solenne 
convito  a  casa  il  Conte  ,  invitandovi  il  Principe  e  Gian- 
nellino  Dorii,  D.  Giovanni  Figneroa  ambasciator  Cesareo 
appo  quella  Rejìubhlica,  ed  altri  assai  de'  fautori  de'  Dorii , 
ed  in  sul  buono  del  banchettare  assaltarli,  ed  ucciderli  tut- 
ti. Pur  si  rimossero  da  questo  pensiero  ,  perchè  non  sa- 
pendo il  Conte  che  alle  tirannidi  fosse  padre  il  disordi- 
nato appetito  del  dominare  ,  e  madre  la  sanguinosa  cru- 
deltà, abominava  lo  sparger  cotanto  sangue  in  casa  sua; 
e  parlironsene  ancora  per  la  gran  difficoltà  che  giudicarono 
dovere  avere  a  condurvi  il  Principe  Doria,  non  uso  giam- 
mai andare  per  le  case  altrui  mangiando  ,  sì  che  ultima- 
mente appuntarono  la  notte  del  quarto  di  Gennaro  ave- 
re a  mandare  a  fine  la  loro  crudel  congiura  ,  nel  qual 
giorno  la  Signoria  di  Genova  e  il  Consiglio  creano  il 
nuovo  Duce. 

Il  Conte  affretta  V  adempimento  della  cojigiura, 

XII.  Sono  il  vero  veleno  delle  congiure  le  mutazioni 
de'  proponimenti  de'  congiurali.  Pure  a  questa  non  solamen- 
te non  nocquero  mai  ,  ma  giovarono  :  e  molto  oppor- 
tunamente la  vigilia  del  Natale  giunse  da  Civita  vec- 
chia la  galera  a  Genova  j  e  sotto  la  ricoperta  d'  armar- 
la per  le  feste  che  in  quei  dì  da'  cristiani  in  luogo  de* 
Saturnali  de'  gentili  lietamente  si  celebrano  ,  il  Conte  in- 
trodusse nella  città  quattrocento  uomini  fra  soldati  fo- 
restieri e  de'  suoi  sudditi.  Ma  il  primo  giorno  dell'  an- 
no dfil  1547  ^^^^^    cagionevole    il  Principe    Doria ,    e    il 


68  PORZIO 

2  del  male  aggravalo,  dubbioso  il  Conte,  se   prima   ilei' 
dì  ordinato  egli  si  morisse  ,  poter    essere    da  Giannettina 
prevenuto,  impaziente  dell'indugio,    e  acciochè  il    trat- 
tato non  si  palesasse,  seco  propose  mandarlo  ad  effetto  la 
notte  dello  stesso  ^)  secondo    di    Gennajo  ,    etl   ordinò  al 
Verrina    che   menasse   a  cena    seco  quella  sera    tutti  quei 
giovani    cittadini    che  esso    credeva  gli  fossero^    amici   fe- 
deli ,    e   pronti  a    seguirlo  a    quello  assalto  5    ed    al-  Cal- 
cagno comandò  che  provvedesse   la  genie    che    aveva    in 
casa  e  fosse    armata  ,    ed  egli    se   ne-  andò    alla    maniera 
usata  a  visitare  il  Principe   Doria,  ove   con    Giannettino 
ragionò  per  lungo  spazào   con  viso  fermo  e  voce    salda  , 
ed  animo-  sopra  ogni  credenza  pacifico  e  riposato,  d'in- 
torno all'armare  della  galera,  e  come  quella  notte  si  pen- 
sava fornirla'^)  di  gente  di  seguito,  avendo   la  signoria  di 
Genova  per  male  che  pubblicamente  s'  armasse,  però  che 
andando  tutto   dì  In  Levante    nella  forza   de'  Turchi  i  le- 
gni Genovesi ,  parevale  pericoloso  il  far  armare  in  palese 
a  Genova  navilll  da  gire  in  corso.  E  soggiunse  il  Conte 
che  glielo  manifestava  a  fine  che  udendo  ')  esso  Giannet- 
tino la  prossima  notte  alcun  strepito  di  gente  ,  e  d'  arti- 
glieria ,.  come   è  in  costume  delle  galere  che  partono  '') , 
sapesse  quel    che    si    fosse.    Le    quali    parole    finite    con- 
Giannettino. ,   fatti   vezzi  a  figliuoH  di  lui  ,    e    salutato  il 
Principe,    ritornarono  a  casa  ,  ove  il   Verrina    ad   ora  di/ 
cena    ebbe  condotto   da    ventiolto.  cittadini  :  I    quali    il 
Conte  rinchiudendo  a  chiave  in  una  stanza    ove  due  lu- 
mi soli  ardevano ,  per  la  novità  della  cosa   essi  rimasero 

a)  Il  manuscriltOfM'  istesso.  t)  Il  manuscritlo  vedendo. 

b) ,  Il  manuscritlo /(/ii'rffl.  dj  11  manuscj-iilo /scF/aie . 


ISTORIA    d'  ITALIA  69 

stlipefàltl  y  ma  vohosi  loro  il  Conte  »  Fralclli  ,  disse  , 
■o  la  vivanda  che  io  stasera  vi  ho  apparecchiata  è  di  mia 
M  mano  ,  e  la  più  delicata  e  la  più  nobile  che  uomo 
»  mortale  possa  gustare,  essendo  composta  di  pura  li' 
M  berta  e  condita  Oc  onore  e  di  gloria.  Siccome  voi 
3)  molto  meglio  di  me  sapete  ,  la  città  nostra  ha  1'  ap- 
M  parenza  di  libera  e  l' effetto  di  serva  ,  al>itando  la 
»  vera  libertà  ove  le  leggi  comandano  ,  e  non  dove  gli 
»  uomini  comandano.  Ma  rpial  cosa  vuole  in  Genova 
»  il  Principe  Doria  ,  che  non  l'ottenga?  qua!  cosa  or- 
»  dina  che  non  si  eseguisca  ?  I  soldati  ,  i  capitani  ,  e  i 
3*  magistrati  non  l' olibediscono  tutti  ?  e  fosse  il  piacer 
3>  di  Dio  eh'  egli  duiasse  sempre  t  che  la  servitù  antica 
ij  noja  assai  meno  della  nuova.  Ma  egli  non  compiute 
>j  due  ore  si  muore  sicuramente ,  lasciando  la  tirannide 
w  a  Giannettino  per  eredità ,  uomo  sopra  ogni  altro  su- 
»  perbissimo  o  crudelissimo  ,  il  quale  per  eseguirla  senza 
3i  ostacolo  e  senza  competizione  *) ,  a  questi  dì  che  fu  dal- 
■o  V  linperatorc,  n'ebbe  T  investitura,  ed '^)  ha  ordiua-to  al 
3>  Capitan  Lercaro,  che  chiusi  gli  occhi  il  Principe  scen- 
di da  ad  uccider  me,  che  sa  alla  sua  scelleratezza  m'op- 
«  porrei.  Ma  perchè  l'audacia  viene  Anorita  dalla  for- 
»  luna ,  ia  delibero  prevenirlo,  ed  a  cosi  fare  noi  confor- 
jj  la  il  Duca  di  Piacenza ,  che  m'  ha  rivelato  il  maneg- 
M  gio.  Eccovi  sue  lettere,  lo  ha  qui  quattrocento  uomi- 
lì  ni  armati  che  mi  seguono  a  j)render  le  porte  della 
•u  città,  e  le  sue  galere,  delle  quali  per  aver  la  mìa 
1».  alla  bocca  della  Darsena  non  iscamperà  jxir  mia:   e  so 

a). Cosi  il  manuscritlo  :    forse  l'aii-     coh  e  eompetema. 
'oie  scrisse  perassegvirìa  sema  osta-        b)  Kel  moDusccklo  maoca  ed. 


^0  Ponzio 

9>  egli  per  terra  o  per  mare  verrà  a  soccorrerle ,  ho  po- 

»  sto  uomini  per  tutto  che    il    cacceranno    dal    mondo. 

ìì  Benché  le  imprese  magnanime  siano  perigliose,  pure  le 

«  giuste  sono  avventurate,  siccome  spero  sia  questa,  se 

«  voi  ,    fratelli  miei  ,   vi    disporrete    ajutarla ,    e    vorrete 

w  conservar  la  hbertà  alla  Patria ,  e  la  vita  ad  un    leale 

»  amico  }j. 

//  Conte  del  Fiesco  movendo  contra  Glannettino 
Doria  rimane  sommerso  nel  m^are. 

XIII.  Il  ragionar  del  Conte  a  quei  giovani  fu  poco  a 
grado  per  la  novità  e  per  lo  periglio  della  richiesta,  e  non 
gli  risposero  con  quella  prontezza  d'  animo  ch'egli  desi  de- 
va e  la  grave  dubbiosa  impresa  richiedeva  :  di  maniera  che 
il  Conte  con  pietosa  astuzia  volle  incitarli,  e  trattosi  fuo- 
ra  il  pugnale,  che  portava  a  lato,  il  porse  loro,  pregan- 
doli che  non  volendo  essi  francamente  seguirlo,  li  dessero 
morte,  che  ella  sarebbe  meno  infame  dalle  mani  degU  a- 
mici,  che  dagl'inimici.  A  queste  parole  da  circostanti  es- 
sendo lietamente  risposto  sé  essere  apparecchiati,  fé  il  Con- 
te recar  da  cena  sobriamente  5  ma  prima  che  si  uscisse 
di  casa  ,  ne  andò  in  camera  a  Leonora  sua  moglie,  a  cui 
presago  del  suo  male  disse,  che  avendo  Giannettino  Doria 
jiosto  insidie  alla  vita  di  lui  e  col  veleno  più  fiate  tenta- 
to di  toglierla ,  esso  voleva  di  ciò  un  tratto  assicurarsi,  e 
che  ella  s' appagasse  di  quanto  di  sé  avvenisse.  La  quale 
di  ciò  oltra  modo  fatta  dolente ,  e  postasi  a  piangere,  e- 
gli  ritornò  a  consolarla  ed  a  pregarla,  che  cou  le  lagrime 
uon  gli  fosse  di  cattivo  augurio  cagione.   Trovossi  ivi  pre- 


ISToniA    b'  ITALIA  7I 

sente  Paolo  Pansa  nomo  di  buon  senno  ,  clic  da  fanciul- 
lezza aveva  il  Conte    allevato,  il    quale    preso    cuore  dal 
dolor  della  Contessa  porse    prieghi  al  Conte    che  volesse 
più  maturamente  imprendere  a  fare  quel  che  diceva,  ave- 
re riguardo  a  non  porre  sé  ia  misera  ruina  ,  e  la  sua  pa- 
nia insieme  con  l' Italia  in  grandissimi  affanni,  e  che    gli 
era  stato  dipinto  da  uomini  di  spirito    inquieto  ,  e  mali- 
gno Giannetlino  Doria  avere  animo  inquieto  verso  lui,  e  che 
avvertisse  bene  che  egli  andava  in  luogo  ")  e  a  far  opera,  ove 
eosl  offendere,  come  ricevere  offesa  potea.  A  cui  rispondendo 
il  Conte  la  cosa  esser  tanto  avanti  che  il  distornarla  non  era 
ìh  suo  potere,  crollando  il  capo  s'uscì  di  camera  pallido, 
ed  afflitto  moltoj  e  vestitosi  d'armi,  vecossi  nella  destra  una 
spada  ignuda  ,  e   nella    sinistra  una  rotella ,  e  calò  giuso 
uella  piazza  avanti  al  suo  palagio.    Erano  già    quivi  tutti 
uomini  armali,  che  ascendevano  al  numero  di  quattrocento, 
messi  air  ordinanza,  a'  quali  fu  dal  Conte  comandato  che 
gli  andassero  dietro,  e  senza  uscir  d'  ordine,  se  non  essere 
tagliati  a  pezzi  avevano  caro.  E  caminali  alquanto,  ne  die- 
de parte  a  Cornelio  suo  fratello  naturale,    ed  inviollo  ad 
occupar  la  porta  della  Città  delta  dell'Arco,  che,  fatto 
jier  esso  sprovveduto  impeto  nelle  guardie  di  lei,  incontinen- 
te con  morte  di  due  o  tre  fu  presa  ^ì.  Mandò  poi  Oltobo- 
no  suo  fratello  col    Calcagno    all'  acquisto    della  jwrta  di- 
S.   Tomaso  prossima  al  Palagio  del  principe  Doria  che  è 
fuori  della  città  ,    della  quale   come  di    quella    dell'  Arco 
gli  avvenne;   e  il  Capitan    Lercaro  che    vi  era  a  guardia 
non  avendo  ninno  timore  d'  assalto  di  dentro  le  mura  del- 
la Città  ,  fu  fatto  prigioniere  e  il  fratello  morto.   Il  Conte 

a)  Nel  manuscriUo  in  lata.  b}  Nel  maoiucritlo  lafiiprtsa^ 


72  PORZIO 

xiol  resto    della  gente  alle  ore  diece  della  notte  andò  ")  nella 
Darsena  ,  ove  giunta  la  sua  galera,  e  alla  Locca  di  lei  mon- 
data una  torma  d'archibugieri,  ed    altri    armati    che  sfor- 
marono le  guardie,  vi  entrò  dentro  per  la  porta  di  Terra 
apertagli  da'  suoij   da'  quali  secondo  l'ordine  lor  d*ato  gri- 
dandosi popolo  e  libertà  ,  le  ciurme  di  venti  galere  del 
Principe  Doria,  che  vi  stavano  disarmate,  e  sotto  coverta, 
mosse  dal  grido,  si  levarono  al  rumore,  e  volendo  il  Conte 
raffrenarle,  nel  salire  «on  rattezza  sopra  la  prima  galera, 
sospinto  dalla  buona  fortuna  dell'  Imperatore,  e  a  morte  per 
sua  ingratitudine  condannato  dalla  giustizia  divina,  cadde 
in  mare  ,   ove  per  la  gravezza  delle   armi    miserabilmente 
si  rimase  sommerso,  e  affogato ,  non  potendo  per  lo  bujo 
della  notte  essere  da  suoi  veduto,  nou  che  ajutato. 

Morte  di  Giamietiino  Doria.  Fuga  del  Principe  Doria. 

XIV.  Intanto  Giannettino  Doria  desto  dal  gran  ru- 
more, 0  dal  suo  ardire  consigliato  si  levò  su,  ed  avvoltosi 
in  roba  corse  frettolosamente  accompagnato  da  un  solo 
paggio  alla  porta  della  Città  ,  imaginando  valersi  di  quel- 
le genti  ,  che  la  guardavano,  nelle  quali  da  sé  dipenden- 
ti ^)  non  poco  fidava  j  ma  giunto  sul  ponte,  e  gridan- 
do gli  fosse  aperto  ,  da  una  archibugìata  ,  e  da  altre 
ferite  crudelmente  fu  '^)  morto.  Capitano  quantunque 
giovane  ,  sopra  tutti  gli  altri  ,  che  solcavano  il  mare  , 
d' alto  valore ,  e  di  rara  speranza  ,  il  cui  nome  uscito 
da'  termini    dell'  Europa  alle  riviere    dell'  Africa ,    e    del- 

a)  Nel  manuscriuo  manca  andò.  «)  Nel  mailUSCriltO  manca  fu\ 

b)  Nel  manuscrilto  dijiendendono. 


ISTORIA    d'  ITALIA  78 

1'  Asia  cominciava  a  distendersi  ,    ed  essere  in    onore  •') . 
1!  rejienlino  ^)  assalto   e  morie  di  Giannettino ,    e  turba- 
mento   della  città  fatti  noti  al  Principe  Doria  ,    comechè 
si  vedesse  antico  d'  anni  ed  a  morte    infermo  ,     spogliato 
delle  galere  ,  scacciato  da  Genova ,  e  privo    del    bastone 
di  sua  vecchiezza,   nientedimanco  l' infortunio  della  patria 
e  non  il  danno  suo  egli  pianse  e  lamentò,  e  fattosi  spac- 
ciatamente  porre  a  cavallo,   tenendogli  compagnia  il  Conte 
Filippino  ed  Agostino  Dorii,  prese  il  camino  della  rivie- 
ra di    Ponente.  E  veramente    fu    singolare    esempio    agli 
uomini  vaghi  del    viver    lungo    il    vedere    quel    capitano 
canuto  e  venerando,  ed  insin  a  quell'ora  fortunato,  con 
le  membra  tremanti  e   fuggendo  volger  le  sj)alle  a  quella 
città    che  in  sul  vigore  degli  anni  con    eterna  gloria  ave- 
va di  servitù  riscossa.  Ma    arrivato  egli  a    Sestri,  montò 
sopra  una  fregata,  ed  al  castello  Musora  da  Genova  quin- 
dici miglia  di  lungi  fermossi. 

Girolamo  del  Fiesco  vanamente  cerca  eccitare  il  popolo 
■air  armi ,  e  sì  riti'oe  in  Montorio. 

XV.  Aveva  il  Conte  del  Fiesco  nel  distribuire  i  ca- 
lichi  dell'  impresa  ordinato  a  Girolamo  suo  fratello  che 
mentre  esso  intorno  all'  occupar  delle  galere  fatigava,  e- 
gli  andasse  per  la  città  discorrendo  e  chiamasse  il  po- 
polo all'  armi  ed  alla  libertà.  La  qual  cosa  da  Girolamo 
iu  eseguita,  ma  non  sortì  l' effetto  imaginato^  ])erchè  come- 
chè egli  con  una  squadra  di  soldati   e  bandiera  e  tamburo 

■a)  11  rnanuscritlo  in  /lorrore.  L)  11  manuscrillo  11  cui  rcpìntino  elo. 

IO 


7^  PORZIO 

chiamasse  il  popolo,  fa  se  non  da  pochi  seguilo;  i  quali  mor- 
moreggiandosi la  jnorte  del  Conte,  e  veggendo  la  signoria 
nel  Palagio  adunata,  ed  i  suoi  soldati,  traile  fuori  le  arti- 
glierie, apparecchiarsi  a  difenderla ,  ogni  ora  diminuivano. 
Onde  Girolamo  e  per  questo  e  per  essere  dall'  infortu- 
nio del  fratello  stordito,  per  lo  meno  partito-'')  patteggiò- 
con  la  città  d'  uscirsene  ,  condonatagli  la  pena  ^)  di 
quel  gravissimo  fallo.  Il  quale  ed  il  fratello  Oltobono  al  Ca- 
stello <=)  di  Monlorio  di  loro  giurisdizione  con  tutti  gli  al- 
tri condussesi  ,  fuorché  il  Verrina  ,  che  veduta  la  non 
pensata  ruina  della  congiura  ,  e  l'infelice  fine  del  Conte, 
raccolte  quelle  poche  genti  che  potè  ,  e  montato  sopra 
la  galera  di  lui  la  guidò  a    Marsiglia. 

Ritorno  del  Principe  Dorìa  in  Genova. 

XVI.  Fu  tale  II  paventoso  suono  di  questo  civil  ru- 
more all'  orecchie  de'  Genovesi  che  può  più  tosto  ima- 
ginarsi ,  che  con  penna  dipingersi.  Egli  fu  notturno,  im- 
premeditato ,  vario  ,  terrestre  e  maritimo.  Erausi  Fa  se- 
ra tutti  a  casa  ridotti  concordi  ,  e  senza  un  sospetto  di 
nemici  di  fuori ,  o  dentro  di  sediziosi  ,  ed  in  sul  buo- 
no che  riposavano  udirono  strepito  d'  armi,  discorrimen- 
to di  persone ,  gridi  che  chiamavano  il  nome  della  li- 
herlà  e  del  popolo,  e  del  Gatto  antica  insegna  de' Fie- 
schi  5  e  per  loro  maggior  meraviglia  le  onde  del  mare 
rimbombavano  le  voci  che  i  soldati  delle  galere,  ed  i  <3) 
forzati ,  per  questo  inopinato  assalto  prendendo  non  vana 

a)  Cosi  nel  raanuscr.  e)  Il  manuscrillo  et  al  Castello. 

b)  Il  manuserilto  per  la  pena,  d)  Nel  raanuscr.  e  degli  forati 


I 


ISTOniA.    d'  ITALIA.  'j5 

speranza  di  libertà,  o  si  sferravano,  o sferrali  che  essi  erano 
saltavano  in  mare  per  gire  in  terra,  o  per  allontanarsi  dalla 
servitù  lietamente  vagavano  ^  dalla  quale  novità  resa  atto- 
nita il  più  della  Città  di  Genova  prese  partito,  come  s'è 
detto,  starsene  rinchiusa  nelle  case  per  insino  all'apparire 
del  giorno.  Il  quale  venuto ,  e  fatto  lor  palese  il  trattato 
e  la  fuga  del  Principe,  e  l'acerba  morte  di  due  lor  capi, 
furono  in  un  medesimo  punto  di  sommo  sdegno  ,  e  non 
minor  malinconia  assaliti.  I  parenti,  gli  amici,  ed  i  parti- 
giani de'Dorii  d'ingratitudine  e  di  tradimento  accusavano 
il  Conte ,  e  quelli  de'  Fieschi  d'  ambizione  e  di  superbia 
Giaunetliuo  laceravano ,  e  che  per  assicurarsi  di  lui  avesse 
sforzato  il  Conte  ad  operare  cosi    gravissimo    fatto.  Pian- 
geva nondimeno  ciascuno  la  morte  del  suo  ,    e    1'  eccidio 
della  loro  casa ,  antivedendosi  in  quella  del  Conte  la  per- 
dita dello  stato,  e  la  persecuzion  de'  fratelli,  ed  in  quella 
de'  Dorii  temendosi  che  pervenuto  il  Principe  al  numero 
degli  ottanta  anni,  egli  non  aveva  più  tempo  a  perpetuar 
de'  figliuoli  di  Giannettino  di  tenerissime  età  né    il  domi- 
nio delle  galere  ,  né  la  virtù  della  disciplina  navale.  Pure 
un  tanto  movimento  nella  città  di  Genova  alla  sua  libertà 
fu  di  lunga  salute  ragione  ,    perciocché    a  guisa  d'  un   sa- 
lubre medicamento  ,  mondò  il  corpo  di  quella  repubblica 
da  maligni  umori ,  che  senza  fallo  in  breve  tempo  l'avreb- 
bono  morta.  Con  tutto  ciò  ella  rendè  al  Principe  Doria,  che 
sapula  la  partita  de'  nemici  l'  altro    giorno    dal  perturba- 
mento rivenne  in  città  ,  tutti  gli  usati  onori  j    e  da  capo 
padre    della    patria    nominoUo.    Col  quale  manifesta    cosa 
è  Giannettino  vegliando  gli  andamenti  del    Conte    più  di 
una  volta  aver  ragio tifilo  del  pericolo  ,  che  potrebbe  loro 


']0  PORZIO' 

sopravvenire,  ma  a  ciò  dal   Principe    centra    il    costume 
Jella  sospettosa  vecchiezza  non  essersi  mai  voluto  jjurgere 
nrectliio   non   che   |)reslar  lede  j    o  dandosi  a  credei'e  che 
Giannettino  per  non  aver  compagnia   Genova  cercasse  con 
(pielia  scusa  torsi  da  dosso  il  Conte,  o  come    uomo  ge- 
neroso volendo   più  tosto  ricever  danno    che    farne    altrui 
per  sospetto.    Ria  quello  che  somma    ammirazione    riceve 
è  clie  il  giorno  precedente  all'assalto  gitolo    a    visitare  il 
Figueroa  Ambasoiator  Cesareo,  ed  accostatosi    alla  spon- 
da del  letto  ove  il  Principe  giacca,    teneramente  gli  dis- 
se,  D.   Ferrante  Gonzaga  allora  Capitan  generale  dell'Im- 
peratore nella  Lombardia  scrivergli  che  egli  veniva  trava- 
gliato j)er  una  spia  dalla  Corte  di  Francia;  cohà  esser  in 
Locca  di  molti  dover  presto  a  Genova  seguire  turbamenta 
grande  cagionato  da  un  del  Fiesco  :  perchè    confortavalo 
a  farne  cercare  per  rimediarvi.  Acuì  dìcesi  il  {MÙncipe  Do- 
na nella  sua  fatai   credenza  radicalo  sorridendo  aver  rispo- 
sto, quello  essere   un  trovato  d'uomini  inimici  del  Conte 
del  Fiesco,  ih  quale  allora  per  caso  in  qnelfa  camera  es- 
sendo, soggiunse  egli  pianamente  w  Sig.  Ambasciatore,  vol- 
3J  getevi,  e  guardate  fiso  in  quel  volto  IFeto  del  Conte  e 
3.>  giudicate  poi  se  nel  suo  animo  può  capir  tradimento». 
Per  la  qual  cosa  comechè  il    principe   fosse  interiormente 
afflitto  per  la  morte  di  Giannettino,    e    per   l'inestimabil 
perdita  fatta  nelle  ciurme  delle  galere,  oltre  ad  una  fug- 
gitasi in  Barbarla  con    trecento  schiavi,  vie  più  lo  cruc- 
ciava Tesser  da  tutto  il  mondo  deriso    e  morso,     che  si 
fosse  fatto  da  un  fanciullo  grossamente  schernire.  Ma  ogni 
ora  che  io  venga   riguardando  quanto    sia  agevol  cosa  Io 
ingannare  gli  uomini  savii,  quando  altri  voglia  operare  fuor 


lìì  inj^iono  ,  io  il  Boria  scuso  più  che  incolpo  ;  polcliò  iiii- 
suiaiulo  i  savii  le  umane  operiizioni,  non  come  si  fannoj 
ma  come  si  debbono  fare,  vengono  ad  esporsi  a  guisa  eli 
bersaglio  a  lutti  i  colpi  degl'insensati,  e  di  coloro  parimente 
che  non  hanno  il  potere  da  resistere  agi'  impeli  degli  affelti. 
IVon  è  da  credere  che  il  Principe  Andrea  Boria  perito  delle 
cose  del  mondo-^"), avvertito  da  tanti  lati  del  macchi namento, 
che  incontra  lui  s'  ordiva,  non  prestasse  piena  fede  a  quei 
rapporti  per  imprudente  fidanza,  e  per  rimbambita  trascu- 
laggine  ,  come  affermavano  alcuni.  Anzi  è  da  persuadersi, 
che  per  voler  egli  fra  so  con  troppo  giusto  jieso  bilan- 
ciare quest'operazione,  fosse  colto  nella  rete,  che  contro 
alla  ragione  ed  al  tempo  ed  all'ordine  ed  al  fato  ed  alla  fortuna 
a  tradimento  gli  fu  tesa.  Il  Conte  del  Fiesco  aveva  obbligo 
paterno  col  Principe,  ma  non  già  forze  da  offenderlo  ^  es- 
sendo quello  dentro  del  porto  di  Genova  cinto  da  gran  mol- 
titudine di  galere,  armato  della  benevolenza  della  città, 
soccorso  dall'  armi  vicine  dello  stato  di  Milano  e  della 
Toscana,  favorito  dalla  vittoria  Germanica  dell' Imperatore, 
raffermato  dalla  pace  e  quiete  del  reame  di  Francia,  e 
sopra  ogni  altra  cosa  assicurato  che  la  rovina  sua  né  ca- 
gionava grandezza  al  Conte  né  migliori  condizioni  alla 
patria.  Perciochè  il  Conte  volendo  dominar  Genova,  sotto 
la  sua  signoria  avrebbe  avuto  per  emuli ,  e  per  invidiosi 
il  più  de'  gentiluomini  vecchi ,  del  cui  numero  egli  era, 
per  aperti  nemici  tutti  i  nuovi  ,  e  la  plebe  poco  ferma 
e  vacillante:  ed  intendendo  esso  sottoporla  alla  nazion  Fran- 
cese ,  senza  alcun  fallo  gli  ordini  della  città  tutti,    e  le 

a)  Nel  manuscritio  manca  perito. 


•J'8  PORZIO 

donne  ed  i  fanciulli  avrebbono  fatto  contra.  Né  a  strin- 
gerli o  forzarli  erano  bastevoli  due  o  tremila  fanti  tu- 
uuiltuarii  ,  che  egli  da'  soggetti  suoi  ,  e  di  Pierluigi 
rattamente  avesse  condotto  nella  città ,  né  altresì  quelli 
forano  stati  potenti  a  difenderlo  dall'armi  del  Duca  di 
Firenze  e  di  D.  Ferrante  Gonzaga,  che  non  più  che  nello 
spazio  di  quattro  giorni  avrebbono  con  gran  forza  potuto 
oppugnarlo.  E  donde  il  conte  con  sì  poca  gente  dentro 
a  Genova  racchiuso  avrebbe  potuto  sperare  alcun  soccorso, 
essendo  i  Francesi  sprovveduti,  lenti  e  lontani,  e  dall'a- 
sprezza del  verno  o  per  mare  o  per  terra  soprattenuti?  e 
con  che  sicurtà  avrebbe  egli  guerreggiato  in  una  città  man- 
cante di  vittovaglia,  travaghata  da'  soldati ,  intenerita  per 
la  rovina  del  principe  Doria,  per  la  morte  di  Giannettino 
di  ogni  qualunque  timone  spogliata?  Queste  ed  altre  ragioni 
veraci  parlando  nel  generoso  petto  del  prudente  Principe,  il 
rendevano  sicuro  che  in  quel  tempo  né  il  Conte  né  altri 
dovessero  o  il  potessero  offendere  giammai  :  ma  il  succes- 
so palesò  quel  che  di  sopra  io  ho  raccordato  j  che  é  di 
mestieri  non  essere  sempre  savio,  ma  talvolta  trasformarsi 
in  uomo  stolto,  e  1' altrui  stoltizie  speculando  armarsi  di 
qualità  che  se  per  avventura  elle  sieno  operate  non  ti 
nuocano. 

Punizione  de'  partigiani  del  Conte  del  Fiesco. 

XVII.  Ma  il  poco  vedere  del  Principe  Doria  in  non 
saper  guardarsi  dall'  inganno  del  Conte  Gio  :  Luigi  del 
Fiesco,  rivolse  =")  in  estrema  sollecitudine  in  vendicarsi  con- 
tra i  fratelli  di  lui  e  gli  altri  congiurati  ,    ed  operò  col- 

a)  Forse  deve  leggersi  si  volse. 


I 


ISTORIA    d'  ITALIA  "yg 

l'Imperatore,  di  questo  fatto  anch' egli  altamente  ofTeso , 
che  confiscasse  lo  stalo  del  Conte  come  di  lui  ribelle  , 
e  che  la  Signoria  di  Genova,  gittalo  a  terra  il  palagio 
superbo  del  Fiesco,  perseguitasse  con  armi  il  Conte  Giro- 
lamo ,  che  col  Verrina  già  di  Francia  tornato,  e  col  Cal- 
cagno e  parecchi  soldati  crasi  fatto  forte  al  Castello  di 
Montorio.  Assentì  la  Repubblica  come  se  da  quel  nido  po- 
tessero volar  fuori  molte  insidie  alla  sua  libertà^  ma  prima 
del  venir  all'  armi  ,  ella  tentò  coli'  accordo  aver  il  ca- 
stello per  ismautellarlo  ,  e  mandò  Paolo  Pausa  a  proffe- 
rire a  Girolamo  onorevole  accordo  e  tale  che  in  quella 
sua  turbolenza  ogni  saggio  nocchiero  avrebbe  accettato. 
Ma  o  la  poca  prudenza  di  Girolamo  o  1'  assai  speranza 
che  ebbe  a  chi  promise  sovvenirlo  ,  o  il  fato  di  quell'  an- 
tica casa  per  molte  centinaja  d' anni  riccamente  e  no- 
bilmente decorata ,  non  permise  che  11  Pansa  potesse  più 
in  Montorio  con  Girolamo  ,  che  non  si  avesse  potuto  a 
Genova  con  Gio  ;  Luigi.  Per  la  qual  cosa  armatasi  la 
Signoria  raandovvi  soldati  ed  artiglierie  condotte  da  Ago- 
stino Spinola ,  che  benché  più  di  tre  mesi  vi  fosse  al- 
l' intorno  ,  pur  alla  fine  fattavi  grossa  batteria  ,  Girola- 
mo contra  la  sua  opinione  vedutosi  senza  aita  ,  e  per- 
duto di  forze,  si  perde  anche  d'animo  e  alla  discrezione 
della  Repubblica  rendessi  ;  del  quale  e  di  tutti  gli  altri 
congiurati  trovatisi  fu  fatta  rigorosa  giustizia  ed  a  capital 
pena  dannali ,  ed  il  castello  diroccato.  Ed  il  Duca  Pier- 
luigi in  vece  di  soccorrerli  e  di  trarli  dal  profondo  fosso 
ove  ")  generalmente  stimavasi  di  averli  precipitati,  mandò 

a)  Nel  (uaQuseriuo  maaca  ove. 


.So  PORZIO 

al  Principe  Dovia  ed  a  quella  Repubblica  tre  Ambascia- 
tori, e  fra  essi  il  Conte  Agostino  Landi,  a  dolersi  dell'  in- 
sulto fatto  loro  dal  Conte  del  Fiesco  ,  ed  a  discaricarsi 
che  avendo  quegli  voluto  del  nome  suo  valersi ,  era  sta- 
to senza  partecipazione  o  consiglio  ,  e  che  egli  voleva 
esser  loro  leale  amico  come  fu  sempre.  La  quale  scusa 
quantunque  i  Genovesi  facessero  vista  di  ricever  volontieri, 
è  fama  ,  che  per  darla  egli  più  efficacemente  loro  a  cre- 
dere ponesse  nel  suo  fisco  delle  Castella  del  Conte  il  bor- 
go di  Valditano  e  Castellano  appartenenti  alla  giurisdi- 
zione del  suo  ducato. 

Premure  di  Papa  Paolo  -per  trasferirle  U  concilio 
in  Bologna. 

XVIII.  Pure  il  Pontefice  padre  sapendo  certo  la 
prudenza  dell'  Imperator  Carlo  non  potere  da  apparen- 
ze abbagliarsi  ,  temè  forte  che  egli  nel  Concilio  Tri- 
dentino contra  sé  non  facesse  di  quel  trattato  aspra 
vendetta.  Per  lo  che  rivolse  più  ferventemente  il  pen- 
siero al  rimoverlo  di  Trento  :  al  qual  desiderio  gran 
forze  aggiunse  l'  udire  che  alla  riforma  de'  cattivi  usi  ec- 
clesiastici verrebbero  assai  de'  Tedeschi  Luterani  inani- 
mativi dall'  istesso  Cesare.  Fu  nel  Tesoro  ^)  del  Pocti- 
ficato  di  Paolo  risplendente  costume  il  vestir  ogni  sua 
opera  di  onesto  ed  onorevol  manto  ,  sì  che  per  turar  Ja 
bocca  a'  Cattolici ,  ed  agli  eretici,  che  egli  per  tema  della 
riforma  ,  la  sedia  del  Concilio  cangiasse,  cominciò  da  sé 

a)  Cosi  è  chiaramente  nel  mauuscriUo, 


-^^ 


ISTORIA    n'  ITALI.V  8l 

a  riformar  gli  usi  cattivi,  e  tolsene  via  uno  assai  gravante 
e  di  scandolo  :   ciò  fu  che  ordinò    sotto  pene  severe  die 
niun  prelato  possedesse  più  d'  un  vescovado  :  conciossia- 
chè  parecchi  Cardinali    e    Vescovi    non    contenti    di    una 
sposa  per  menar  vita  lussuriosa  ne  fruivano  a  quel  tempo 
due    e  tre.     Ma   certamente    non    manco    la    fortuna    che 
!'  avvedimento  porse  favori  a  Paolo  in  quella  difficile  impre- 
sa :  conciossiachè  come  suole  accadere '0  in  su  la  primavera 
per  gli  movimenti  degli  umori  ne'  corpi  umani,  incomincia- 
rono in  Trento  ad  infermarsi  alquanti  ed  a  morirsi,  ma  non 
già  tanti  che  per  rispetto  della  moltitudine  delle  genti  do- 
vesse essere    di  molto  riguardo,    rsientedimanco    i  Legati 
e  gli  altri  del  desiderio  del  Pontefice  partecipi  senza  per- 
der tempo  abbracciarono  1'  occasione  ,    e  presero  a  mor- 
moreggiare e  ad  accrescergh  paura   d'  alcun  morbo  pesti- 
fero ,  e  finalmente  a  dire  che  i  Padri  lasciato  Trento  si 
trasportassero  altrove.    La  qual  cosa    trovò  oltra  i    mini- 
stri Imperiali  di  grandi  contraddittori  ,  non  solamente  pre- 
lati ma  ambasciatori  de'  Principi  ^  né  sarebbe  stato  a  suf- 
ficienza che   r  opinione  degli  autori  del  partirsi  fosse    so- 
stentata dall'  autorità   del  Fracastoro  medico  ,  e  più  poeta 
eccellente  ,    se  il  Pontefice  Paolo  non  avesse  colà  inviato 
il  Saracino    Arcivescovo    di  Matera ,    che    a  bocca  aperta 
notificò  a  ciascuno  la  mente  del  Papa  esser  ferma  che  di 
quindi  partisseroj  che  eglino  non  istessero  più  nelle  forze 
dell'Imperatore,  i  cui*")  consigli  cominciarono   non  sola- 
mente ad  esser  sospetti  alla  Sedia  Apostohca,  ma  palese- 
mente nocivi  ;  perchè  avendo  egli  con  tanto  dispendio  di 

a)  Nel  maouscriuo  cadene.  b)  Nel  maouscriito  «  i  cui. 

II 


83  PORZIO 

lei  vinto  la  Germania,  i  fruui  della  vittoria  volea  ^)  rico- 
gliersi solamente  per  1'  utile  suo  particolare,  non  costringen- 
do le  città,  ed  i  Principi  Luterani  a  render  obbedienza  alla 
Chiesa  ,  ma  solamente  a  somministrargli  pecunie ,  e  far- 
segli  tributarii:  ed  ora  per  niun  beneticio  cristiano  esso 
appetere  quivi  la  stanza  del  Concilio  ,  ma  per  tener  ri- 
stretto il  presente  Pontefice,  e  poter  far  l'avvenire  a  sua 
voglia,  ^)  o  il  volere  del  Papa  ottenere  caldi  favori  dal  Re 
di  Francia  a  cui  era  assai  nojoso  che  di  quel  ragunamen- 
to  di  Vescovi  Cesare  in  niun  tempo  si  profittasse  in  co- 
sa veruna.  Vinsesi  adunque  nel  Concilio  che  nella  città 
di  Bologna  egli  si  trasferisse,  ove  i  Legati  e  la  più  parte 
de'  prelati  specialmente  condussesl  con  tanto  intenso  dis- 
piac^e  dell'  Imperalor  Carlo  ,  che  comandò  a'  suoi  mini- 
stri,  e  a  molli  prelati  de' suoi  Regni  che  di  là  non  uscis- 
sero in  alcun  modo  :  i  quali  vi  restarono  allora  ,  e  assai 
appresso  che  il  Concilio  si  dileguò  di  Bologna  ,  la  quali 
cosa  non  penò  troppo  a  seguire. 

D.  Pietro  di  Toledo  si  pone  in  onore  di  introdur^re 
V  inquisizione  in  Napoli. 

XIX.  Ma  mentre  con  tanta  rovina  i  fratelli  del  Fiesco 
dalla  fortuna  e  dagli  uomini  vengono  perseguitati,  il  som- 
mo pontefice  va  scuotendo  i  piedi    dal  tenace  ceppo   del. 
Concilio,  ove  spontaneamente  gli  aveva  rinchiusi,  sorse  nella  i 
Città  di  Napoli  maggior  guerra  civile,  che  non  la  città  sola 

a)  Nel  maJiuscrluo  manca  volea.  baon  senso  ,  e  pare  che  deggiano  ve- 

b)  Le  parole  seguenti  nel  teslo  o  il  vo-      mi  emendale, 
fere  etc,  —  in  cosa  veruna  noa  faoDO 


ISTORIA    b'iTALI.V  83 

fu  per  disertare,  ma  il  reame  lutto  disposto  a  seguitare  Tau- 
torità  di  lei.  Reggevasi  quel  Regno  per  lo  Viceré  D.  Pie- 
tro dell'  illustre  famiglia  di  Toledo ,  nel  cui  governo  cou 
molta  soddisfazione  del  Padrone  molti  anni  s'era  dimora- 
to^ e  tutto  che  al  suo  tempo  si  fosse  aperta  la  porta   ad 
intolerabili  gri^vezze  ,  nondimeno  a'  popoli  non  era  stato 
odioso  ,  per  aver  loro  portato  giustizia  severa  ,  e  purgato 
le  provincia  da'  malfattori  ,    e  fortificato  di  moke  città  , 
e  Napoli  d'  assai  nobili  edifizii  arricchita.   E  volendo  te- 
stificare il  vero,  dalla  »)  passata  de'  Francesi  in  Italia  in  fino 
al  suo  reggimento  era  il  Regno  per  le  assidue  guerre  mol- 
to licenzioso  divenuto.  Egli  fu  che  primieramente  ridusse 
al  segno  d'  ogni  qualità  gì'  insolenti ,  e  di  sé  e  di  suo  a- 
vere  rendè  ciascuno  sicuro  possessore.  Accompagnò  la  for- 
tuna la  sua  dritta  amministrazione  ,    perciocché  il  Reame 
di  pace  ,   di  sanità'^),  e  abondanza  fu  poco  meno  che  sem- 
pre ripieno.  La  nobiltà  solamente    ed    i    Baroni    udivansi 
di  lui    alquanto    dolere    per    parer  loro   d'  essere    scemati 
d'autorità,  e  col  timore  più  che  coli'  amore  governali,  ed 
eransi  perciò    colf  Imperatore    dal  principio    del  giungere 
del  Viceré  studiati  che  egli  fosse  loro  scambialo.  La  qual 
cosa  né  allora  seguì ,  né  per  tanti  anni   appresso  ,    parte 
per  lo    naturai  costume  dell'  Imperatore    che    aveva    dis- 
caro il  mutar  gli  ufficiali  ,    parte  per  gli  potenti  favori  <^) 
che    col  tempo    appo    lui    s' aveva  guadagnalo    il  Viceré. 
Imperocché    ridotto   il  Regno  per   opera   sua    in   somma 
«bedienza ,    e    tranquillità  ,    le  regie  nuove    e  le    vecchie 
rendite    erano    in    immenso    cresciute  ,    e    compartile    a 

a)  Nel  maiiuscriiio  della.  e)  W  ma.n\iicx\\\X>  per  gli  polenti  e  favori, 

y)  Nel  manusciitto  santità. 


-'•{'  PORZIO 


tempo  in  tutti  i  bisogni  Cesarei.    Era  di  poi  il  Duca  di 
Fiorenza  divenuto  suo  genero ,  il  nipote  Duca  d'  Alva  sti- 
jnavasi  il  primo  della  Corte,  e  gli  altri  del  Consiglio  Im- 
periale sovente  da  esso  presentati    riccamente    erano  fatti 
suoi  prolettori.    Stando    adunque  il  Viceré    e    in  somma 
grazia  col  Padrone,  e  in  non  riputazione  fra  gli  altri  mal- 
vaggi  del  Reame,  gli  capitarono  nelle  mani  alquanti  della 
setta  Luterana  ,  sotto  la  cui  ricoperta  egli  si  pose  in  cuore 
d'  introdurre  l' Inquisizione  all'  usanza  Spagnola  :  stimando 
per  sì  fatto  mezzo  ,  oltre  al    benefizio  della  fede  Catto- 
lica ,  avere  a  proccurare  grande  utilità  al  Padrone,  e  a  sé 
grandissimo  onore,  per  conseguire  da'  regnicoli  quello  che 
guarani'  anni  prima    essi  avevano    al  Re  cattolico  feroce- 
mente negato  5    e  pensasi  che  egli  comunicato  il  pensiero 
coli  Imperatore  di  pari  sentimento  si.  eseguisse. 

Sdegno  de'  Napolitani  per  lo  timore  delV  inquisizione. 

XX.  E  l'Inquisizione  un  procedere  rigoroso  centra  gli 
eretici  instituito  da' Canoni  Ecclesiastici,  ed  a' Vescovi  sola- 
mente conceduto,  il  quale  la  Reina  Isabella  della  Spagna 
indusse  nelle  sue  Provincie,  vinto  lo  Reame  di  Granata  , 
ma  più  stretto,  e  rigido  del  costumato^  preposevi -'')  suoi 
ufficiali,  ed  oltre  al  peccato  della  fede  per  lo  quale  solo  in- 
nanzi confiscavansi  i  beni,  vi  rinchiuse  anche  la  bestemmia 
ed  usura  ed  altri  errori  enormi,  e  fu  cpesta  rigorosa  giustizia 
da' popoli  della  Spagna  senza  ripugnanza  ricevutajper  rilro- 
varsi  quelle  regioni  in  quel  tempo  da  Mairani   uomini  no- 

a)  Nel  manuscrjllo  proposevii 


ISTOniA    d'  ITALIA.  8*J 

"Cellamente  venuti  alla  noslra  fede,  e  da  molti  iufcdeli  abi- 
tale, coDciossiachè  ogni  loto  contrada  di  Mori,  e  di  Giu- 
dei abbondava  :  il  più  di  costoro  veggendo  avere  ad  es- 
sere del  terreno  natio  scacciati  o  spogliati  delle  sustan- 
ze  o  ingiuriosamente  trattati ,  per  ripararsi  da  tanta  mi- 
seria più  che  mossi  da  volontà,  o  da  spirito  buono  chia- 
mati,  ricevevano  l'acqua  del  Battesimo,  ma  non  già  la 
grazia  :  onde  tosto  alla  lor  prima  vita  riducevausi  :  sì  che 
conveniva  d'esser  nella  Spagna  un  magistrato  particolare 
che  ricercando  con  diligenza  sì  fatti  nemici  di  Dio  a  gui- 
sa d'eretici  agramente  li  punisse,  il  quale  era  ^)  ragionevol 
velo  agli  occhi  di  quella  gente  alla  gravezza  dell'inquisi- 
zione, oltre  al  confidarsi  nella  lor  buona  natura  e  de'  loro 
Re.  Imperciocché  per  l' una  non  temevano  di  essere  da 
odio  o  da  invidie  accusati,  e  per  l'altra  erano  securi,  che 
da  necessità,  né  da  avarizia  verrebbono  puniti.  Le  quali 
]-agioni  cessavano  tutte  nel  Reame  di  Napoli,  allora  che  al 
Viceré  cadde  nell'  animo  di  inserirvi  la  prefata  maniera 
d'  inquisizione.  Conciossiaché  1'  infernal  nube  del  Lu- 
tero quantunque  avesse  accecato  molto  paese  ,  non  di- 
meno in  quel  di  JN'apoli  n'  aveva  ofluscato  sì  pochi  ,  che 
con  le  dita  si  sarebbono  potuti  annoverare.  Sono  poi  assai 
de'  regnicoli  fra  loro  medesimi  odiosi,  e  per  picciolo  prez- 
zo'^) apparecchiati  a  testificare  il  falso  j  avevano  il  lor  pa- 
drone discosto,  e  da  bisogni  non  mai  iiiterlasciato  ,  ed  i 
suoi  ministri  riputati  generalmente  dal  volgo  sinceri  poco^ 
e  corruttibili:  sì  che  al  bel  primo  suono  dell'inquisizione 
giudicarono  i  Napolitani    che  un    così    fatto    Tribunale  si- 

a)  Nai.  manusciitio  manca  eia,  h)  Nel- manuscriuo /i7«^/o<- 


86  p  0  K  z  I  0 

proccurasse  di  porsi  in  piedi  per  Io  Viceré,  non  per  zelo 
di  scacciare  l' eretica  pravità,  ma  per  tender  un  forte  lac- 
cio ad  incappare  tutte  le  loro  robe  ^  ed  all'  imaginazione 
soltentrò  uno  sdegno,  stimando  di  essere  ingratamente  gui- 
derdonati della  continua  loro  liberalità  verso  Cesare  a  cui 
in  fin  a  quel  tempo  ritrovavansi  aver  donato  in  varie  sue 
occorrenze  intorno  a  venti  milioni  d' oro. 

Breve  Apostolico  per  inquirire  gli  eretici. 

XXI.  Tuttavia  la  loro  doglienza  non  disanimò  punto 
la  proposta  impresa  del  Viceré,  congetturando  egli  dover 
essere  delle  usitate  delle  Città  ^)  quando  vengono  sottoposte 
a  nuove  leggi,  presupposto'^)  maggiormente  il  potere  con  leg- 
gier  fatiga  aver  dalla  sua  il  popolo,  dal  quale  vedevasi  per 
aver  battuto  la  nobiltà  amato  e  celebrato  molto.  Di  cui  per 
agevolmente  impadronirsi  a  studio  aveva  sollevato  a'  più 
eminenti  officii,  che  vagliono  all'utilità  della  Comunanza 
popolare.  Cittadini  beneficati  da  esso,  ed  usi  a  volere  e 
disvolere,  né  più  né  meno  di  quel  che  piacesse  o  dispia- 
cesse a  lui  5  non  diffidando  eziandio  d'  alcuni  uomini  nobili 
di  non  picciola  autorità  ,  che  per  propria  inclinazione  si 
rendeva  sicuro  che  avrebbono  seguito  in  questo  affare  il  suo 
volere  ed  il  sodisfacimento  dell'Imperatore.  Pure  giudicando 
la  prima  mossa  di  ciò  essere  più  dicevole  e  men  sospetta 
facendola  il  principe  ecclesiastico,  s'adoperò  che  dal  Pon- 
tefice Paolo,  e  da'  Cardinali  soprapposti  al  Tribunale  del- 
l' Inquisizione  Romana  (  de'  quali  era  il  fratello  d'  esso  Vi- 

o)  U  manuscriUo  della  città.  b)  Il  manuscrilto  presupposti. 


l 


ISTOHrA    d' ITALIA  87" 

ceiè  il  Cardinal  diBurgo)  fosse  comandato  per  Breve  Apo- 
stolico a  due  Frati  di  S.  Domenico  nella  Città  di  Napoli 
commoranti,  che  eglino  come  delegati  del  Pontefice  quivi 
gli  eretici  inquiressero.  E  per  avventura  il  Viceré  venne  ia 
isperanza  che  intromessi  quelli  ad  inquirere,  a  lungo  an- 
dare darebbe  loro  per  compagni  Ministri  del  Re,  e  così 
passo  passo  non  che  senza  strepito,  ma  senza  altri  accor- 
gersene ,  introdurrebbe  nella  Città  il  Tribunale  designato 
sopra  gli  eretici- 

Gli  eletti  di  Napoli  pregano  il  Viceré  che  non 

si  lasci  indurre  a  Jare  eseguirle  il  breve. 

Sua  risposta. 

XXII.  Ma  non  prima  capitò  in  mano  de'  Frati  il 
Breve ,  che  n'  ebbe  copia  T  Officio  Supremo  che  ha  cura 
del  reggimento  della  Città  ,  il  quale  è  di  sei  uomini ,  es- 
sendo la  Città  in  sei  sestieri  divisa,  cinque  de*  nobili,  ed 
uno  del  popolo ,  e  chiamansi  Eletti.  Il  lenor  del  qual 
Breve  da  essi,  e  da  molti  giurisperiti  a  minuto  riguardato, 
giudicarono  V  esecuzione  di  quello  dover  essere  al  Reame 
perniciosissimo,  e  non  indugiarono  punto  ad  essere  col  Vi- 
ceré, il  cui  animo  comechè  in  questo  maneggio  avessero 
a  suspetto,  volevano  =»)  nuUadiraeno  sperimentarlo;,  e  prega- 
ronlo  strettamente  che  per  ninna  condizione  propostagli  si 
lasciasse  indurre  a  fare  che  quel  Breve  si  eseguissej  allegan- 
do traile  altre  assai  ragioni,  per  disposizione  di  legge  Pon- 
tificia niuno  fuori  del  foro  Arcivescovale,  e  del  suo  Vicario 

a)  Nel  mannscrilto  volessero. 


'88  p  0  r.  z  I  0 

doversi  della  cognizione  e  pena  di  quel  peccato  iinpaecia- 
re,  e  così  ab  antiquo  essersi  nel  Regno  costumato  ,  e  di 
così  farsi  avere  loro  i  Re  Aragonesi  per  privilegio  conce- 
duto ......  a) .    Ja  fine  il  Viceré  non  avere  del  Breve 

uotizia  veruna,  e  che  presenlandosegliene  molto  considera- 
tamente avrebbe  permesso ,  che  egli  fosse  messo  adopera; 
ma  che  tuttavia  lui  pareva  dovere  ohe  scoverlisi  nel  Regno 
iion^ini  della  dottrina  del  Lutero  ,  s' avesse  a  procedere 
d'alcun  certo  rimedio  che  non  ammorbassero  gli  altri. 

Dibattimenti  trai  Viceré  ed  il  Vicario  di  Napoli. 

XXIII.  Il  rispondere  del  Viceré  accrebbe  sospetto  a' 
Napolitani  non  che  li  liberasse  dal  timore  che  avevano  con- 
ceputo  che  di  suo  consentimento  fosse  mosso  il  ragionamento 
^ell'  Inquisizione,  ma  per  meglio  chiarirsene  favellarono  di 
quel  sospetto  con  esso  seco  più  fiate.  Ne'  quali  ragiona- 
menti si  sforzò  sempre  il  Viceré  per  utile  loro  proprio  per- 
suadergli ad  armarsi  di  più  salde  armi  contra  le  insidie  degli 
eretici,  che  avevano  distese  le  loro  velenose  radici  per  tanto 
paese,  «d  occupavano  dell'  altro.  Ma  le  sue  parole  erano 
gittate  al  vento,  che  già  i  Napolitani  avevano  fermo  nel- 
l'animo tollerar  prima  ogni  sterminio  e  la  morte  istessa, 
che  quella  maniera  d'inquisizione.  Anzi  con  esso  rammari- 
caronsi  gravemente  ,  che  per  cercarsi  di  punir  gli  eretici 
diversamente  dal  costumato  venivano  la  lor  fama  ed  il  loro 
onore  ad  esser  contaminato  j  come  se  nel  presente  fos- 
sero neir  eresie  più  del  passato  immersi^   il  che  tenevano 

a)  t  evidente  che  qui  manca  nel  te-      il  cominciametUo  della  riiposla  del  vi' 
slo  il  fice  del  discorso  degli  slellj ,  ed     cere. 


«I  I 


ISTOKIA    d'  ITALIA  89 

a  grandissima  vergogna,  né  per  gli  mollissimi  lor  servigli 
falli   al  Padrone  averlo  a   merilare.  Utlila  il  Viceré  l'unita 
ed  inespugnabile  deliberazione  di  cosloro,  come  uomo  che 
voleva  vincere,  fu  suo  avviso  guidalo  da  un'altra  vela  per 
poter  giungere  nel  medesimo  porto.  E  fatto  a  sé  chiama- 
re il  vicario    di  Napoli  ,  essendo    l'  Arcivescovo    assente  , 
narrogli    il  desiderio  grande    del  Pontefice    e  de'  Cardinali 
preposti  all'Inquisizione  di  Roma,  che  quei  Frati  inqui- 
ressero  nel  Regno  :    ma  trovandovi  grandissima    contradi- 
zione de'  Napolitani  egli  richiedeva  lui  a  fare  cjnesla  santa 
opera  e  necessaria,  e  che  la  persona  sua  sarebbe  a  grado 
di  tutti  j  ed  acciocché")  le  cose  passassero  maturamente,  gli 
darebbe   per  ajutatore  un  giurisperito  del  Consiglio  Reale. 
Il  Vicario  appieno^)  sapendo  la  mente  del  Papa  e  de'  Car- 
dinali ,  e    come    si  era  più    conforme    alla  dimanda   della 
Città,   che  all'appetito  del  Viceré  ,  rispose  che  esso  man- 
derebbe   a    fare    l'inquisizione    che    le  leggi   spirituali  in- 
segnano j  ma  togliere    il  Ministro    Regio    per  compagno  , 
né   poterlo  né  doverlo  fare  per  non  derogare  alla  giurisdi- 
zione del  Padrone.   E  quantunque  il  Viceré  in  replicando 
lo  stringesse    a  fare  il  suo  desiderio  ,    egli  dalla  sua  opi- 
nione non   volle  dipartire. 

Il  Viceré  a  domanda  de  Napolitani  li  libera 
dal  timor  delV  inquisizione. 

XXIV.   Questo  dibattimento  tra  il  Viceré  ed  il  Vi- 
cario alla  notizia  di  quella  Città  pervenuto  l'attristò  non 

a)  Nel  manuscritto  manca  ed.  h)  Nel  manutcritto  appena. 

12 


9»>  PORZIO 

poco-    ma  di  gran  lunga  più  T aggiunse  cordoglio  un  co- 
mandamento uscito  dal  Reggente  della  Vicaria,  che^)  è  in 
Napoli  a   guisa  del  Governatore ,    fatto  a'  Capitani    della 
strade  popolari ,    che  gli  notificassero  i  nomi  di  tutti  gli 
abitatori    delle    loro  strade  ,    e    la  maniera    del    cristiano 
vivere  loro.    Al  quale    orribil    tuono  parve  a'  Napolitani 
non    dover  aspettare    altro  segnale    della  tempestosa  piog- 
gia   che    veniva    loro    addosso  ,    e  conchiusero  che   diffe- 
rendo  il  difendersene  ,    e    collo  schermo    della  benignità 
dell'  Imperatore,  il  male  divenisse  incurabile  ,  e  che  con 
ferro  e  fuoco  a  fatica  il  guarirebbero  ,   massimamente  che 
molta  cittadinanza  temendo  della  forza  provvedevnsi  all'ar- 
mi. Per  tanto  ridottisi  insieme  mandarono  chi  per  loro  no- 
me dicesse  al  Viceré,  che  eglino  non  vogliono  a  niun  pat- 
to inquisizione  nel  Regno,  fuorché  la  Canonica:  né   esso 
assicurandogli  che  altra  non  ve  ne  porrebbe,  deliberavano 
di  ottenere    questa  sicurezza    dall'  Imperatore    lor  Padre  e 
Padrone  ,  e  pregavanlo  che  egli  almeno   appo  questo  alla 
lor  giusta  dimanda    volesse    esser  favorevole.   Turbò  que- 
sta viril  risposta  l'  orecchie  del  Viceré,  non   uso  per  l'ad- 
dietro  ad  udire  delle  somiglianti  per  la  riverenza  straordi- 
naria da  ciascuno  portatagli^   oltre  che  Annibale  Bozzuto 
che  fu  poi  Cardinale,  gentil  uomo  di  natura   libero   ed   al- 
tiero, gliela  propose  prontamente.    E    più  dell'  ardimento 
delle  parole  de'  Napoletani,  e  del  fornirsi  d'armi,  ebbe 
gravemente  per  male  V  intendere  il  volere  essi  gire  a  do- 
lersi all'Imperatore,  a  cui  egli  per  qualunque  modo   im- 
pediva non  venisse  nota  la  presente  sua  vita,  divenuta  al- 

a)  Il  maauscrlllo  c/ie  egli  è. 


ISTORIA    d'  ITALIA.  g» 

quanto  lasciva.  Impeiocchè  D.  Pietro  di  Toledo  Viceré,  o 
stanco  dagli  anni,  o  dal  peso  de'  negozii,  o  invitalo  dal- 
la pace  dell'  Italia,  o  pure  per  la  lunghezza  del  goverao 
dimenticatosi  di  esser  ministro,  dava  allora  poco  men  che 
bando  a'  pubblici  bisogni  ,  e  le  sue  udienze  erano  dif- 
ficili, lunghissime  r  espedizioni,  il  giocare,  ed  il  pasteggiare 
assiduo^  e  stimando  col  virtuosamente  operare  essersi  ap- 
pressalo alle  fatighe  ed  al  merito  de'  ])iù  generosi  Ro- 
mani ,  non  volendo  lor  cedere  nel  veleggiare  ,  aveasi  per 
suo  diporto  edificato  un  sontuoso  e  dileltevol  palagio  a 
canto  a  Pozzuolo  ,  città  più  salubre  ed  antica  che  ricca 
e  grande  ,  ed  ivi  il  più  del  tempo  con  gran  rammarico 
degl'infaccendali  seco  soggiornava.  Sicché  non  è  alcun  dub- 
bio che  da  questo  deliberato  consiglio  de'  Napolitani  egli  si 
disponesse  al  dismettere  del  lutto  l'impresa  dell'Inquisizio- 
ne, e  al  volere  da  cjuel  timore  quella  Città  liberare.  Alla 
qual  cosa  maggiormente  affrettoUo  un  gagliardo  ed  a  lui 
]iemicù  fatto  del  popolo,  in  cui  come  si  disse  gran  fidan- 
za teneva  ,  non  sovvenendogli  quanto  si  sia  mobile  e 
smemorato  :  il  qual  popolo  sospettando  che  cinque  o  sei 
de'  suoi  ufficiali  avessero  intendimento  con  esso  il  Viceré, 
e  dal  suo  volere  jiendessero,  in  una  mattina  gli  scambiò 
tulli,  empiendo  i  loro  luoghi  d'altri  del  solo  bene  popo- 
lare giudicali  amatori.  Ria  nel  volere  il  Viceré  tralasciare 
la  sua  impresa  veniva  combattuto  dall' alterigia  della  na- 
tura sua,  e  dui  decoro  del  Magistrato,  ])areudogli  ver- 
gognoso ,  e  jnedesimameute  pericoloso  ,  per  1'  arroganza 
n'averebbouo  jìiesa  i  Napolitani,  il  ceder  loro  per  le  mi- 
nacce fattegli  e  per  lo  timore  dell'armi.  Sopra  il  quale 
passo    malagevole    e    sdruccioloso    consultatosi    cou    seco 


92  PORZIO 

Stesso  ,     e    co'  suoi  Consiglieri  forse  di  più  corta  veduta 
della    sua  ,    determinò    per    non    cedere    caminare    per    la 
\ia    di    mezzo    comunalmente    più    piana    dell'  estrema  , 
ma  ne'  governi    degli    stati    più    pericolosa,    E  ciò   fu  il 
l'ender  certa  quella  Città  a  non  dovere    avere    I'  Inquisi- 
zione ,  e  dare  alcuna  sorte  di  timore   e  di  castigo  a  co- 
loro che  avevano  pensato    al  contradirgli  coli' armi.    On- 
de ordinò  al  Marchese  di  Vico  ed  a  Scipione  di    Somma 
ambedue  del  Consiglio  dello  stato,  si  conferissero  al  Tem- 
pio di  S.Lorenzo  ove  si  ragunavano  gli  ufficiali  di  quella 
Città  ,    e    come  uomini   amanti  la   patria  lor  ricordassero 
a  fare  ogni  opera  che  nella  Città  non  seguisse  turbamen- 
to, che  essi  più  degli  altri  ne  pagherebbono  le  pene,   e 
che  non  restassero  a  supplicare  il  Viceré  a  non  far  parola 
più  d'Inquisizione,    che  non    sarebbe  gran  fatto    l'impe- 
trassero. I  Magistrati  dopo  l'aver  purgato  il  loro   reggimento 
con  quei  Consiglieri  non  tardarono    a  procvidere   con    più 
caldi  prieghi  col  Viceré,   il  quale  finalmente  si  lasciò  in- 
durre   a  manifestar  loro    ed  alla  Città  tutta    a  voce  e  in 
iscritto  ,    che  la  mente  sua  e  dell'  Imperatore  non  era  né 
fu  mai    di  voler  nel  Regno  altra  Inquisizione  che  ordina- 
vano  le  leggi,  ed  i  PSapolitani   medesimi   desiavano  j   tutto 
che  avessero  caro  per  1'  amor  grande  che   portavano    alla 
fede  Cattolica,  e  per  la  quiete  loro ,  che  gli  eretici  fos- 
sero diligentemente  cerchi  ,  ed  acremente  puniti.    Per  la 
qual  cosa  ^)  somme  grazie  gli  furono  rendute,  e  gli  ani- 
mi de'  Napolitani  stati  per  essa  dì  e  mesi  sospesi  e  dub- 
biosi ,    di  sì  grande  allegrezza   si  riempirono ,  che  parevi^ 

a)  N^el  manusctitto  manca  cose. 


ISTORIA    d'  ITALIA  qS 

quel  giorno    esser    rinati    e    con    la  vita    aver    la  roba    e 
r  onore  riavuto. 

Movimento  della  plehe  sedato  dei  nobili. 

XXV.  Ma  non  si  persuada  ninno  con  un  colpo  solo 
poter  troncare  dagli  aniun  de' popoli  alcun  sospetto,  che 
v'  abbia  preso  radice.  Senza  fallo  avrebbono  i  Napoli- 
tani per  lo  palesar  del  Viceré  posto  giù  ogni  memoria 
dell'  Incjuisizione,  non  che  scacciato  ogni  cruccio  per  essa 
preso  con  lui,  s'egli  si  fosse  astenuto  procedere  centra  co- 
loro che  per  oppugnarlo  si  erano  d'  anni  provvedati.  Mail 
fervente  desiderio  del  Viceré  di  non  iscemare  di  niente  la 
sua  autorità  in  quella  città  totalmente  glie  ne  fé  perdere, 
e  con  vantaggio  de'  Napolitani  ,  i  quali  con  più  giustizia 
si  partirono  perciò  dall'  ubidienza  sua  ,  che  non  avrebbon 
fatto  per  la  sospizion  primiera.  Però  che  il  danno  che  re- 
cava r  Inquisizione  aflligeva  solamente  i  cattivi  Cristiani  , 
ma  la  pena  di  averla  contraddetta  era  comune  a  buoni,  ed 
a  cattivi ,  avendola  amendue  oppugnata.  Venuto  adunque 
a  notizia  de'  Nobili ,  e  de'  popolari  il  Reggente  inquirere 
i  contraddittori,  e  avere  agli  armajuoli  ordinalo  gli  dessero 
il  nome  di  chi  a  quel  tempo  avesse  preso  armi,  e  per  lui 
sopra  ciò  formarsi  processi,  si  venne  di  nuovo  in  essi  ad. 
impiagare  la  ferita  che  di  fresco  era  saldala.  Pur  giudi- 
carono i  nobili  ottimo  rimedio  dover  essere  a  quel  male, 
ed  agli  altri  da  seguire,  il  deputare  alquanti  di  loro  ad 
aver  cura  s'osservassono  alla  Città  i  suoi  privilegii  chiama- 
li in  lor  linguaggio  Capitoli  ,  concedutile  da'  Re  pre- 
teriti, e  coafermati  ed  accresciuti  dall' Imperatore^  il  qual 


p4  PORZIO 

ufficio  quantunque  usitato  per  ciascun  anno  a  crearsi,  non- 
dimeno i  DepiUati  a  ciò  per  addietro  non  vi  stavano  vi- 
gilanti gran  fatto.  Aggradis'a  la  deliberazione  parimente  al 
jìopolo  ,  il  quale  dalla  nobiltà  sollecitalo  instava  al  suo 
eletto,  che  ha  cura  di  convocarlo,  che  egli  li  ragunasse 
per  creare  quelli  ufficiali.  Ma  l'eletto  Domenico  Terracina, 
che  tale  fu  il  suo  nome ,  prolungava  il  congregarlo,  però 
che  essendo  parlegiano  del  Viceré  sospicava  ciò  farsi  a  fine 
che  le  operazioni  di  lui  e  degli  altri  ufficiali  Regii  fossero 
del  continuo  vegliate  e  limitate.  Non  per  molte  richieste 
fattegli  fu  possibile  condur  quello  aragunarlo:  per  la  qual 
cosa  il  popolo  ripieno  di  gelosia  e  d'inganno  e  sosiiello, 
confortò  molti  capi  ad  adunarsi  al  tempio  Agostiniano  , 
ove  egli  ha  in  costume  di  convenire  insieme,  e  quivi  ben- 
ché assente  il  suo  Eletto  essi  creassero  il  sopraddetto  Ma- 
gistrato ^).  Coudussesi  la  maggior  parte  di  quelli  Cittadini 
al  luogo  ordinato,  e  ristrettisi  insieme  determinarono  di 
fare  gli  ufficiali  in  San  Lorenzo  ove  allora  trovavasi  il  loro 
Eletto ,  e  gli  altri  Eletti 


^).  In  quel  mezzo  tempo  che  coloro  ciò  delibe- 
ravano, era  in  quella  Chiesa  di  S.  Agostino  e  per  le  vie 
d'intorno  concorso*^)  numero  innumerabile  di  plebei,  i  quali 
olirà  le  narrate  cose  erausi  alterali  fuor  di  modo  per  essere 

a)  ì<ie\  rnsLuasct.  il  sopra  ?naffistraio.  dUpiaciuto  furono  sempre  incerti ,    e 

h)  In  questo  luogo  il  nanusciillo  è  /e  r.2««a/i2e.  Dalle  parole  che  seguono: 

guasto  contenendo  queste  parole,  che  in  quel  mezzo  tempo  e\c.  comìac\a  il 

riempiono  lo  spazio  die  abbiamo  sogna-  secondo  manusciilto  da  noi  consultalo. 

lo  con  punii  j  e    clie   non   fanno  alcun  U  primo  legge  ^/à  deliberavano  invics 

ieniOj  et  i  suoi  compagni  nobili ,  sensi  di  ciò. 

liir)  delti  icandali  della  moltitudine  e)  Nel  primo  manus. manca  co'iCO«o,. 


I 


TSTOniA    d'  ITALIA  9«; 

stato  affisso  il  giorno  slesso  dal  Vicario  cluH'aicivescovo  in 
vari!  lati  della  loro  Città  un  editto,  che  esso  intendeva  far 
visita  e  inquisizione  sopra  la  vita  degli  ecclesiastici  e  chie- 
rici secolari^  il  quale  scritto^)  in  Latino  e  letto  e  dichia- 
rato al  volgo  da  uomini  ignoranti  s' interpetrava  eh'  egli 
volesse  lare  inquisizione  eziandio  sopra  laici:  si  che'')  stan- 
do quella  moltitudine  unita  e  maldisposta  ,  all'  uscire  de' 
Cittadini  senza  il  Magistrato  desiderato ,  non  altrimente 
ch'ella  fosse  tradita,  o  volesse*^)  alcun  sopravvegnente  pe- 
ricolo cacciar  via,  gridò  ad  alta  voce  Serra  Serra,  che 
tra  loro  importa,  che  i  bottegai  abbiano  a  serrar  le  bot- 
teghe e  correr  fuora  coli'  armi  ,  siccome  in  parte  seguì. 
La  qnale  turbazione  a'  cittadini  ed  a'  nobili  apportò  in- 
tollerabile dolore,  ma  non  perciò  si  smarrirono^  anzi  cac- 
ciati fra  la  plebe,  quella  con  molte  ragioni  dal  suo  errore 
ritrassero  ,  e  poste  gi'i  l'  armi  ricondussero  alia  pristina 
quiete  ,  mandando  incontanente  a  Pozzuolo  al  Viceré 
chi  gli  desse  del  movimento  contezza  ,  e  come  aveva 
avuto  il  })rincipio  da'  plebei ,  ed  essersi  subito  fermo.  Il 
cui  avviso  era  di  già  a  lui  corso  e  in  assai  peggior  modo 
di  ciò  eh'  era  stato.  Ond'  egli  rattamente  postosi  in  via 
veniva  verso  Napoli  ,  cinto  oltra  la  ordinaria  guardia  da 
grande  schiera  di  archibugieri  Spagnoli.  E  fattosegli  in- 
contro il  messo  l'udi,  e  gli  rispose  con  molta  ira,  uè  si 
ritenne  dal  corso,  ma  pieno  di  mal  talento  dentro  il  ca- 
stello nuovo  in  sul  fare  della  sera  si  ridusse.  Dove  il  giorno 
appresso  di  buon'ora  furono  seco  gli  Eletti  della  Città,  da 
capo  confìrmandogli  quello  appunto  che  avevano  mandato 

a)  Nel  primo  raaniiscr.   scrino  era.  e)  Nel  primo  manuscr.  ■vedesse, 

b)  Nel  primo  manuscr,  lo  c/ie. 


C)6  PORZIO 

a  significargli,  e  pregaronlo  sommamenle  ,  die  per  aver 
avuto  il  rumore  1'  origine  dalla  feccia  del  volgo  ,  e  per 
ignoranza  più  che  per  malizia  ,  e  per  esser  cessalo  quasi 
prima  che  incominciato  ,  e  senza  commettersi  male  ve- 
runo,  egli  rimanesse  contento  di  tal  atto  non  fare  conto, 
né  fulminare  processo  centra  gli  autori  jiiù  in  numero  che 
in  qualità  ,  conchiudendo  quelli  essere  privi  di  tutti  i 
Leni  del  mondo  ,  ed  aver  caro  che  col  proceder  contro 
di  essi  si  porga  loro  l'occasione  del  tumultuare. 

Tommaso  Amelio  messo  in  prigione  è  poi  liberato, 

XXVI.  Non  ebber  forza  le  parole  d' illuminare  la  cieca 
severità  del  Viceré,  slimando,  come  si  é  detto,  che  per 
ritenere  la  maestà  del  grado  gli  fosse  richiesto  dar  puni- 
zione a  qualunque  la  si  meritasse.  Ma  pur  in  fatti  però 
egli  conobbe  la  fallacia  del  suo  pensiero  j  perchè  datosi  dal 
Reggente  principio  al  formare  il  processo  di  quel  rumore, 
e  facendo  venire  parecchie  persone  per  esaminarle  del 
fatto,  licenziatene  molte,  alla  fine  sostenne  Tomaso  Aniello  ^) 
uomo  popolesco^  ma  caro  a  molti,  e  congiunto  :  a'  quali 
venne  tantosto  in  considerazione  che  esso  dal  Viceré  sa- 
rebbe giustiziato  immantinente,  acciocché  quella  subitana 
giustizia  fosse  di  spaventameuto  al  popolo.  Il  perchè  i 
fratelli,  ed  i  suoi  parenti  corsi  dagli  Eletti  con  gran  mol- 
titudine e  maggior  ansietà  gli  strinsero  ad  esser  contenti 
intercedere  per  essi  appresso  al  Viceré  ,  che  il  lor  fra- 
tello   fosse    tratto    di    prigione  j    che     darebbero    sicurtà 

a)  Il  secondo  manuser.  Audio. 


UT'  riA    n'  ITALIA  <)-^ 

flje  egli  starebbe  a  ragioue.  Gli  Eleni  veggendo  la  città 
esacerbala ,  costoro  disperati  ,  e  di  seguilo  si  grande  , 
che  era  in  lor  forza  rompere  le  carceri'')  e  togliersi  il 
prigione  ^),  falla  lor  compagnia  di  alcuni  Baroni  ,  gentil- 
uomini e  cittadini,  furono  al  Viceré,  e  rappresentandogli 
il  male  stato  in  cui  quella  città  era  caduta  per  lo  so- 
spetto dell'inquisizione  ed  il  peggiore  in  che  ella  precipi- 
terebbe ,  non  soddisfacendosi  il  popolo  colla  libertà  di 
colui  che  chiedeva,  ardentemente  il  supplicarono  che  egli 
obbedendo  al  tempo  volesse  lasciarlo  ed  ispegnere  ogni 
facella  di  fuoco  che  fosse  per  dar  principio  a  grande  in- 
cendio. Ricusò  il  Viceré  da  principio  con  animo  fermo 
il  volerlo  liberare  0,  ma  affermando  i  pregatori  non  volere 
uscire  dal  castello  senza  recar  fuori  la  grazia  ,  per  non 
essere  la  loro  uscita  d'alcuno  gran  male  cagione,  e  per- 
ciò ragunatosi  il  suo  consiglio  ,  dopo  lunga  disputazioue 
egli  si  lasciò  svolgere  ,  e  fu  il  prigione  rimesso  in  li- 
bertà con  tanta  letizia  delle  genti  plebee,  che  come  cosa 
Joro  incredibile,  correvano  per  le  strade  a  schiere  a  gua- 
tarlo*^), e  per  lo  troppo  desiderio  del  vederlo^),  essendo 
egli  a  pie,  cagionavano  che  a  pena  fosse  veduto.  Onde 
Ferrante  Carafa  ornato  degli  sludii  della  poesia,  sperando 
dalla  radice  di  quella  grazia  poter  nascere  fìullo  di  quiete 
negli  animi  plebei  ,  fattolosi  0  in  su  la  groppa  del  suo 
cavallo  montare  per  gli  più  frequenti  luoghi  della  città 
lor  ne  fé  lieto  spettacolo.  Ed  oltre  a  (juesto  dimostra- 
merito  al  popolo  caro  ,  il  Viceré  per  affatto  quetarlo  ,    e 

a)  Nel  secondo  manuscr.  fa  carcere.  d)  Nel  primo  mìauìct.  ffuardario. 

b)  Nel  secondo  manuscr.  e  fatta  lor  e)  Nel  secondo  manuscr.  di  vederle, 
compagnia  da  alcuni  baroni  etc.  f)  Nel    primo     maauscritto   faUo^ 

e)  Nel  primo  maauscr.  di  non  volerlo.      telo, 

t3 


gS  PORZIO 

dar  manifesto  segno  d'  aver  l'  animo  pacifico  ed  a  tran- 
quillità rivolto,  tornoàsene'')  a  Pozzuoloj  e  venuta  novella 
della  vittoria  dell'  Imperatore  conlra  il  Duca  della  Sasso- 
nia ,  fé  fare  allegre^e  grandi  ^). 

Il  Viceré  indarno  fa  opera  perchè  i  Napolitani 
non  mandino  ambasciatori  a  Cesare. 

XXVII.  Tuttavìa  questi  sembianti  da  coloro  <=)  che  il 
ben  commune  riguardavano,  conoscevansi  per  intinti  '^),  e 
da  quelli  massimamente  che  la  rigidezza  delle  sue  preterite 
azioni  ritenevano  nella  memoria  ,  e  giudicavano  che  nel 
fondo  del  suo  cuore  egli  riserbasse  ira  ino  placabile  con- 
giunta con  immenso  desiderio  di  vendetta  0,  e  che  di  quel 
successo  di  cose  donasse  all' Imperatore  ragguaglio  0  all' u- 
ni versale  perniziosissimo  ed  a  molti  particolari.  Laonde 
togliendo  i  Napolitani  l'opportunità  del  tempo  della  detta 
vittoria,  conchiusero  mandare  ambasciatore  s)  a  Carlo  per 
rallegrarsi  con  esso,  e  per  informarlo  della  verità  del  suc- 
ceduto nella  loro  città.  Gravò  internamente  per  le  cagioni 
di  sopra  mostrate  1'  animo  del  Viceré  questa  ambasceria, 
e  l'indusse  fuor  di  tempo  ad  umiliarsi  con  parole  e  con 
fatti  a  quel  popolo,  che  pochissimi  giorni  avanti  non  volle 
della  libertà  d' un  prigione  far  contento.  Con  ciò  sia  che 
avendo  il  popolo  a  congregarsi  per  deliberare  T  amba- 
sciatore ,  egli  chiamò  a  sé  prima  tutti  i  capi  di  lui  ,  i 
quaH  gitolo  a  trovare  in  Pozzuolo ,    con  assai  grave  ser- 

a)  Nel  primo  munuscr.  tornò  già.  d)  Ne' due  raanusciitti  infiniti- 

b)  Nel   primo   manuacr.  allegrezza  e)  Nel  primo  raanusc.  manca  e. 
grande.                                                                     f)  Nel   secondo  inanusc.  ragguagli. 

e)  Nel  primo  manoscr.  di  coloro.  g)  Nel  primo  m3.t\aict.anil>asciutori. 


iSTnniA   D  iTALt\  qq 

mone  e  dififiiso  licorc'ò  loro  il  \iceiè  il  pessimo  stato 
in  cui  viveva  il  pojiolo  prima  del  venir  suo'')  in  regno; 
(li  quante  dignità  e  di  quante  ricchezze  esso  gli  era  stato 
cag.ione  ,  die  non  solo  l'aveva  uguagliato  alla  nobiltà  , 
che  per  ciò  gli  era  acerba  nemica,  ma  pareggiatolo  a'  si- 
gnori del  regno.  Ed  a  parole  '')  e  per  scrittura  gli  assi- 
curò, che  in  nessun  tempo  il  sottoporrebbe'^)  ad  inquisi- 
zione, e  purché  al  mandare  l'ambasciatore  co'  nobili  non 
convenisse  ,  gli  farebbe  generale  perdono  delle  disubbi- 
dienze a  quei  giorni  da  lui  in  dispregio  della  giustizia 
commesse.  I  cittadini  dopo  avergli  rese  quelle  grazie  po- 
terono maggiori  de'  beneficii  ch'esso  diceva  aver  loro 
fatto,  risposero  non  potergli  dirC^)  cosa  alcuna  ferma  infìno 
a  tanto  non  udissero  il  voler  degli  altri,  il  quale  essi  spe- 
ravano sarebbe  conforme  al  suo.  Ma  loro  falli  il  disegno; 
perciocché  pervenuta  alla  plebe  la  gita  de'  suoi  capi  a 
Pozzuolo,  per  intendere  la  cagione  fattasi  in  gran  nume- 
ro loro  incontro  sin  fuori  le  porte  della  città,  ed  uditala*^), 
conobbe  ')  subitamente  il  fine  a  cui  intendeva  s)  il  perdono 
fattole  di  presente  dal  Viceré,  e  la  commemorazione  de' 
passati  beneficii  :  sì  che  per  dargli  ad  intendere  quel  lusin- 
gamento •')  non  essere  bastevole  a  disgiugnerla  dalla  nobiltà, 
né  rimuoverla  d' avere  ricorso  al  suo  Re  ,  immantinente 
costrinse  quei  cittadini  ed  il  suo  Eletto  a  diputare  l'am- 
basciatore. I  quali  insiememente  con  gentiluomini  crea- 
rono il  Principe    di  Salerno  ,    e  Placido    di  Sangro ,  che 

a]  Nel  fumo  manasw.  del  venirsene  à)  Nel  secondo  manuscr.  daiv. 
in  regno.  e)  Nel  primo  manuscr.  e/  uU/e. 

b)  Nel  primo  manascr.  a  paro/a.  i)  Nel  secondo  maouscr.  conobbero^ 
e)  Nel  primo  manuscr.  il  sopporta^          g)  Nel  secondo  manuscr.  tendeva. 

rMe.  h).  Nel  primo  tasLnuicr. sasseto  mento,' 


100  PORZIO 

avesse  a  fermarsi   di  contiauo   appresso  l'Imperatore   per 
nome  della  Città. 

Supplizio  di  tre  Napolitani  ordinato  dal  Viceré. 
Sua  cavalcata  per  la  Città, 

XXVIII.  Se  dolse  al  Viceré  il  pensiero  dell'ambasce- 
ria, l'elezione  degli  ambasciatori  in  molti  doppii  più  gli 
rincrebbe"),  per  essere  nel  parlare  pronti  e  distesi,  &a«t^ 
poco  amici,  e  della  patria  stimati  grandi  amatori.  Sì  che 
veggendosi  egli  da  cui  meno  si  conveniva  così  apertamente 
e  scortesemente  dispiacere,  e  trafiggere  da  ignominiose  voci, 
che  per  la  città  in  suo  biasimo  s'  udivano  ,  montato  ia 
furore,  pensò  avere'')  già  perduto  interamente  la  regia  mag- 
gioranza ,  in  cui  egli  tanti  anni  era  stato  riverito ,  né  con 
mansuetudine  o  clemenza  poterla  riavere  ,  ma  esserli 
forza  racquistarla  col  terrore  o  ^)  col  sangue  :  i  quali  o 
sarebboao  cagione  di  raffrenamento  a'  Napolitani ,  o  li 
stimolerebbono  a  commetter  fallo,  che  togliesse  ogni  fe- 
de air  accuse ,  che  di  lui  farebbono  a  Cesare.  Di  qualità 
che  essendo  nelle  prigioni  guardati  tre  gentiluomini  Fa- 
brizio d'Alessandro ,  Antonio  Villamarina,  e  Gio:  Luigi  ^) 
Capuano  per  aver  tolto  dalle  mani  della  famiglia  della 
Corte  un  che  menava  prigione  ,  innanzi  che  dall'  impu- 
tazion  loro  apposta  ^)  fosser  potuti  difendersi  ,  tornato  il 
Vicer*  da  Pozzuolo  se  gli  fé  tutti  tre  di  notte  tempo  con- 

a)  Nel  primo  manuscr.  Dolse  al  vi-  à)  Nel  secondo  manuscr.  Gianluigi, 
eerè  il  pensiero  dell'  ambasceria  e  mol-  e)  Nel  primo  manuscr.  impugnation. 
to  più  gli  rincrebbe  etc.                                  loro  appesta.  Nel  secondo  oianujeritto 

b)  Nel  primo  manuscr.  per  havere.         anche  piii  «correjlamentó  Imperadore 
e)  Nel  primo  maouscr.  e  col  sangue.      loro  appostalo. 


ISTORIA    d' ITALIA  101 

durre  j  e  guarnito  il  Castello  di  molta  fanteria  spagnuo- 
la,  e  messe  ad  ordine  tutte  1'  artiglierie,  eziandio  contra- 
dicendoli parte  del  suo  Consiglio  ,  comandò  ad  uno  schia- 
vo moro  »  che  in  sul  fare  del  giorno  segata  ior  la  gola  , 
li  gettasse  nel  piano  fra  la  città  ,  ed  il  Castello.  II  quale 
fatto  sanguinoso  e  che  assomigliava  vendetta  più  che  giu- 
stizia, commosse  alquanto  quella  città ,  ma  non  trascorse 
in  altro  che  nella  morte  d'  un  alabardiero  della  guardia 
di  lui  dilungatosi  dal  Castello.  Per  la  qual  cosa  cresciuto 
r  ardimento  al  Viceré ,  mandò  per  suoi  amici  nobili  e 
signori ,  ed  accompagnato  da  essi  e  da  gran  numero  di 
Spagnuoli  a  pie  ed  a  cavallo  volle  cavalcare  la  città,  contra 
il  parere  di  molli  che  sentivano  fosse  da  procedere  più 
temperatamente.  Per  la  quale  egli  discorse  col  volto  fie- 
ramente turbato  ,  e  con  occhi  che  scintillavano  fuoco. 
•E  avvengachè  gli  andassero  avanti  alcuni  uomini  d'  alto 
affare ,  ammonendo  e  pregando  il  popolo  a  non  far  mo- 
vimento contra  lui ,  e  che  lo  salutasse  e  riverisse  per  non 
incorrere  nel  peccato  di  ribellarsi  al  suo  Principe,  niente- 
dimeno ")  non  fu  possibile  che  persona  gli  facesse  segno  di 
riverenza ,  anzi  con  pari  collera  e  sdegno  al  di  lui  lo  ri- 
guardarono. Ma  con  tutto  ciò  la  gran  modestia  de'  Napo- 
litani quel  giorno ,  da'  volgari  appellata  viltà ,  per  tutti 
i  secoli  meritevolmente  è  da  ricordarsi  e  da  celebrarsi. 
Conciosiachè  essendo  essi  per  natura  altieri  e  coraggiosi  , 
ed  allora  armati  e  sollevali  ed  offesi  e  senza  alcun  freno  di 
temenza  del  Viceré''),  avendolo  nella  strettezza  delle  loro 
vie,  e  per  rispetto  alla  Ior  infinita  moltitudine  solo  e  dis- 

a)  Nel  secondo  manuscr.  iiienledi-  b)  Nel  secoudo  maouìcriUo  dal  vi- 

manoo.  cere. 


loa  PORZIO 

arnuilo  ,    non  d' ullio  l' offtsero  che  eli  non  rìveriilo.   E4 
infallibihnenle    se   i  fratelli  o  i  congiunti    o  gli   amici  de 
UiOiti  in  quella   medesima  mattina  avessero  sfoderata  più* 
una  spada,  o  dato  fuoco  ad  un  archibugio,  né   il  Viceré, 
né  i  suoi  compagni    dal  furor  degli  altri  giammai   sareb- 
bono  campali.  Fu  tanta  dunque  la  sofferenza  ed  il  tempe- 
ramento d'  un  popolo  intero  e  numerosissimo,  quanta  ne' 
tempi  anlichi  o  ne' moderni  in  uu  solo  uomo -^ì  è  saputa 
desiderarsi.   Pur  fatto  il  Viceré  al  Castello  ritorno,   fu  da' 
suoi   lusinghieri    di  fortezza    e  di    franchezza  d' animo   lo- 
dato, ma  dagli  uomini  saggi  del  temerario  ardire  ed  allora, 
ed  oggidì,'')  fortemente  biasimato.. 

Tumulti  nella  città.. 

XXIX.  D  seguente  di  di vulgossi  voce  costante  ed  uni- 
versale, il  Viceré  fatta  esperienza  della  timidità  popolare 
mandare 0  dugento  Spagnuoli  a  far  prigione  Cesare  Mor- 
mile  e  Francesco  Caracciolo  Prior  di  Bari  ,  gentiluomini 
più  seguiti  degli  altri  dal  popolo  j  di  maniera  che  quello 
armossi,  ed  apparecchiossi  a  difenderli"^),  e  dubitando  della 
iede  de'  gentiluomini  e  baroni  che  il  precedente  giorno 
avevano  tenuto  compagnia  al  Viceré,  concorse  anco  impe- 
tuosamente alle  case  di  tutti,  e  fattili  uscir  fuori,  e  con- 
gregare in  Santo  Lorenzo,  sopra  l'imagine  di  Cristo  Croci- 
fìsso li  fé  ^)  solennemente  giurare,  e  per  istrumento  pubblico 
obbligare  a  dover  essere  con  esso  lui  uniti  al  far  servigio^ 

a)  Nel  primo  nianuscr.  con  un  sol  e)  Nel  prim*  manuscr.  mandasse, 
hucmo.  d)  Nel  primo  manuscr.  difenderle. 

b)  Ne)  primo  manuscr.  hoggi,.  e)  Nel  secondo  manuscr.  manca  li. 


ISTORIA,    d'  ITALIA  I  o3 

alia  Maestà  di  Dio,  dell' Imperatore^),  ed  alla  lor  patria. 
Per  conto  della  quale  unione  fu  tocca  dalla  plebe  la 
campana  maggiore  di  quel  tempio  a  martello  con  gran 
repngnanza  degli  Eletti  timorosi  che  ciò  fosse  a  quella 
Città  potuto  imputarsi  a  ribellione.  Ma  lo  strepito  dell'ar- 
mi avendo  turale  1'  orecchie  della  moltitudine  concitala 
alle  sottigliezze  legali ,  ella  fu  per  gittare  dalla  sommità  del 
campanile  uno  di  essi  Eletti  nobili  Marino  Rosso.  Sopra 
il  quale  campanile,  e  per  gli  sestieri^)  di  Napoli,  che  han 
nome  Seggi,  furono  ritte  <=)  le  bandiere  con  l' Arme  Impe- 
riali'^),  e  fattasi  solenne*^)  e  pubblica  processione,  la  cui 
Croce  avanti  portò  in  mano  il  Marchese  di  Pescara  fanciul- 
lo ancora,  ma  che  per  l'atto  virile  diede  infallibil  segno  di 
quel  chiaro  capitano,  che  oggi  il  mondo  vede  ed  onora  j 
seguivanlo')  appresso  i  signori,  ed  i  nobili  ed  ignobili  indif- 
ferentemente, ogni  lor  disuguaglianza  uguagliando  la  carità 
della  patria.  Allaccossi  alla  ))iazza  dell'Olmo  l'altro  giorno 
grave  contesa  fra  gli  Spagnuoli,  ed  i  cittadini,  di  cui  non  è 
dubbio  che  gli  autori  fossero  Spagnuoli  :  la  quale  accrebbesi 
in  tanto,  che  di  militar  combattimento  ebbe  la  somi- 
glianza ^  perciocché  il  Castello  Nuovo  ,  e  le  rocche  di 
San  Martino,  e  dell'Uovo,  e  le  galee  del  Molo  con  or- 
ribil  suono,  benché  con  picciol  danno,  per  tutto  il  gior- 
no la  citlà  batterono  :  e  la  fanteria  Spagnuola  a  colpo  a 
colpo  fu  alle  mani  co'  Napolitani.  1  quali  poco  prez- 
zando le  percosse  dell'  artiglierie  dinanzi  alle  lor    bocche 

a)  Nel  primo  manuscr.  all'  Impera-  imperiale, 

tare.  e)  J>t:l  secondo  aanuscv.  pul'^l'ca  e 

h)  Nel  primo  manuscr.  ^imr/t'm.  solenne 

e)  Nel  primo  maniisci.  e/Zf.  f)  Nel     pilnin    inanusciitlo    «e^^MJ- 

d)  Mei  seiwudo  maouscr.  con  Zanna  tondo. 


1('4  PORZIO 

aniracsaraeiite  adopravansi.  E  non  molte  eenlinaja  di  ve- 
terani Spagnuoli  ancor  essi  con  molto  valore  sostennero 
V  empito  di  un  popolo  senza  numero.  Onde  amendtie  le 
parti  per  le  ferite  datesi,  assai  terreno^)  insanguinarono^ 
alle  quali  il  vegnente  giorno  pose^)  fine  per  una  triegua. 

Gli  amhasciatori  del  Viceré  e  della  Città 
a  Cesare.. 

XXX.  Imperocché  il  Viceré  dolente  a  morte  che  tutto 
r  ottimo  suo  governo  per  quel  solo  sollevamento  venisse 
bruttato  e  guasto  ,  promise  per  isritto  di  sua  mano  ,  e 
la  Città  medesimamente,  non  innovare  cosa  alcuna  per  in- 
sino  al  ritorno  dell'Ambasciatore  dall'Imperatore,  appo 
il  quale  per  avere  il  Viceré  anche  egli  difensore  d'  auto- 
rità e  testimone '^ì  di  veduta,  roandovvi  il  Marchese  della 
Valle  Spagnuolo  e  del  Castello  Nuovo  Castellano  ^  che 
infermato  il  Principe  di  Salerno  per  camino"^),  fu  il  primo 
a  giugnere  in  corta  Imperiale,  e  fuvvi  benignamente  rac- 
colto ,  e  udito.  Non  così  avvenne  agli  Ambasciatori  di 
quella  Città  pervenutivi,  anzi  fu  loro  imposto  arditamente 
che  alla  presenza  Imperiale  non  comparissero,  ma  che 
con  Arasse,  e  Figueroa  uomini  del  Consiglio  Cesareo  trat- 
tassero la  bisogna^).  A' quali  fattisi  essi  davanti  inconta- 
nente apersero  la  cagione  della  loro  venuta,  e  attendendo 
risposta  a  nome  dell'Imperatore,  fu  letto  loro  dal  Segre- 
tario Vargas  ^ )  comandamento  acerbissimo ,    che  il  Prin- 

a)  Nel  primo  roanuscr.  il  terreno  in-  d)  Nel  secondo  manascr.  in  camino . 
vece  di  assai  terreno.  e)  Nel  primo  manuscr.  lor  bisogno. 

b)  Nel  primo  manuscr.  si  pose.  f)  Nel  primo  manuscr.  ^e»"^a ,  nel 
e)  Nel  primo  manuifr.  testimonii.        secondo  Varga- 


ISTORIA    d'  ITALIA  lo" 

c'pe  di  Saìoiuo  alla  pena  della  testa  di  là  non  partisse  ^ 
Placido  di  Sangro  rivolgesse  a  dietro  di  presente ,  com- 
pagno del  Marchese  della  Valle  ^  significasse  alla  Città  che 
ia  forza  del  Viceré  consegnasse  l'anni,  prestassegU  la  do- 
vuta obbedienza  e  ad  esercitar  le  sue  arti  chetameute  si 
riducesse.  Accettò  il  Principe  obbedite  al  comandamento, 
ricusò  Placido  ,  dicendo  non  convenirsi  nò  alla  fedeltà 
della  sua  Città  né  alla  persona  propria  1'  essere  riputato 
indegno  di  giugnere  nella  presenza  del  suo  Re  :  e  repli- 
cando coloro  che  gli  ordini  del  padrone  »)  avevano  ad  e- 
seguirsi,  soggiunse,  che  i  giusti  ed  i  ragionevoli  riveri- 
rebbe ^)  tuttij  ma  ritornare  alla  patria  senza  essere  udito, 
di  suo  volere  noi  farebbe  giammai.  Superò  la  saldezza  di 
Placido  la  durezza  del  decreto  ,  e  fu  introdotto  ove  se- 
deva 1'  Imperatore  ,  che  centra  la  Città  di  Napoli  trovò 
turbato  forte  e  pieno  di  lamenti  :  pur  egli  con  franco 
cuore  in  cotal  guisa  gli  ragionò  : 

Orazione  di  Placido  di  Sangro  a  Carlo  V. 

XXXI.  «  Invitto  Cesare,  la  Nobiltà  e  ipopolo  Napoli- 
»  tano  divotissimi  del  vostro  glorioso  nome,  e  forse  bene- 
>•>  meriti,  condotti  a  miserabile  calamità  e  ad  estrema  di- 
»  sperazione,  sarebbon  venuti  popolarmente  al  cospetto  di 
5j  Vostra  Maestà,  e  scoverte  le  loro  piaghe  mortali,  colmi 
«  di  pianto  e  di  strida  l' averebbon  ricerca  d'alcun  rimedio 
X)  pronto  e  salutifero  :  e  certamente  sarebbe  venuto  lor  fatto  : 
w  che  i  giusti  prleghi  de'  suggelli  non  furono  porti  mai  in- 

a)  N«l  primo  maauscr.  del  Principe.  b)  Nel  primo  manuscr.  ricevenóùe. 

i4 


I06  PORZIO 

j>  damo  a'  Re  buoni  e  clemenli.  Ma  volendo  gli  uomini 
j>  abituati  nel  male  per  non  ammendarsi  tener  celati  i  lo- 
M  ro  errori*),  a  tutte  quelle  genti  pare  di  somma  grazia, 
jj  se  il  Viceré  colla  potenza'^)  del  suo  favore  non  impe- 
s>  disca  che  la  sola  voce  mia  quantunque  debole  e  rozza 
3>  possa  penetrare  nelle  benigne  orecchie  di  Vostra  Maestà. 
>j  Ma  veramente  e'  si  *=)  sono  ingannati  ^  che  il  parlare  di 
M  essi  tutti  a  fatica  potrebbe  far  conte  l' ingiurie  ricevute 
j>  da  un  solo,  non  che  le  mie  parole  sole  potranno  espri- 
ij  mere  le  miserie  di  tutti  loro.  Se  pure  non  avessero  avuto 
j)  riguardo  che  la  gran  prudenza  dell'  ascoltatore  '')  può 
33  supplire  del  favellatore^)  ogni  mancamento.  E  perchè  le 
>j  nostre  gravi  querele  non  sono  da  udire  ,  non  che  da 
jj  credere  ,  non  purgandosi  prima  la  colpa  dell'  avere  noi 
}>  prese  le  armi  ,  piaccia  a  Vostra  Maestà  (  poiché  0  il 
■»  silenzio  è  nimico  del  dolore  )  che  io  largamente  possa 
3*  dirle  la  cagione  e  la  necessità  e  la  forza  del  pren- 
33  derle  e  dopo  prese  s)  del  ritenerle  ancora.  Il  vostro  ^) 
33  Viceré  per  si  lungo  tempo  avvezzo")  nella  dolcezza  del 
33  regnare  ,  sommerso  nelle  delizie  del  nostro  paese,  tutto 
33  il  suo  studio  pone  in  pensando  e  speculando  in  qual 
33  maniera  può'')  egli  perpetuarsi  in  quel  Governo,  accre- 
33  scersi  nella  grazia  di  Vostra  Maestà  ,  perseverarsi  nel- 
>3  l'  opulenza  del  vitto  e  nell'  assiduità  del  giuoco.  E  dopo 

3)  Nel   secondo    manuscr.    de'  loro  /o/irp ,  v  nel  secondo  del  fauellamentp. 

errori.  I  )   Nel  primo  manuscr.  che. 

b)  'Nel  primo  manuscr.  pofes/à.  g)  Nel  primo  manuscr.  m.inca  e  dopo 

e)  Nel  primo  manuscr.  essi.  piese. 

d)  Nel  secondo  manuscr.  f/etf««?o/-  h)  Nel  primo  manuscr.  «o^/to. 
ture.  i)  Nel  primo  manuscr. /MPff/jc/o. 

e)  Nel  primo  manuscritto  più  sup-  \)  Nel  primo  manuscr.  ^jm. 


I:.TOniA    B    IT.'.LI.V  107 

■)}  ii:oIlo  aggirarsi  si  è  ulliniainenle  avveduto  the  la  base 
3)  e '1  sosiegno  de' piaceri  uinani  ■')  sono  T  argento  e  T  oro, 
w  ed  ha  speralo  per  la  nostra  singolar  fede  inverso  di 
a  V.  Maestà  poter  formare  sopra  le  spalle  nostre  ogni 
M  aspra  miniera  e  profonda  da  cavar  danari.  E  senza 
w  fallo  al  pensiero  seguiva  V  effetto  ,  se  il  nuovo  modo 
»  del  trar  moneta  ,  che  egli  ha  divisato ,  togliesse  altrui 
w  solamente  1'  avere  :  ma  esso  lo  spoglia  al  fermo  della 
w  roba  e  dell'  onore  ,  e  della  vita  ignuda  noi  fa  sicuro. 
>j  Non  è  però  questo  altro  che  il  tremendo  Tribunale 
■>}  dell'  Inquisizione  ritto  ^)  già  nella  Spagna ,  per  punire 
w  i  falsi  Cristiani ,  ma  come  fuor  dell'  ordine  Canonico 
a  nell'  Italia  non  ricevuto  giammai,  ed  il  cui  nome,  non 
jj  che  altro ,  è  si  orribile  e  sì  odioso  a'  nostri  popoli 
w  che  anzi  sosterrebbono  qualunque  cruciato  che  al 
w  suo  giogo  sottoporsi.  Laonde  per  rimuovere  il  V^icerè 
w  dal  suo  scandaloso  proponimento  1'  abbiamo  più  fiate 
>j  in  pubblico  ed  in  privato  supplicementeO  pregato  a  dis- 
w  torsi  da  impresa  ,  che  né  al  profitto  di  Vostra  Maestà 
"  né  all'osservanza  della  legge  divina  giovava  j)unto. 
■>i  Con  ciò  sia  che  noi  eravamo  a])parecchiali  senza  carico 
"  suo  ed  ignominia  nostra  presentarvi  lietamente  tutte  le 
»  facoltà  ,  e  tutte  le  sostanze  nostre  ,  e  n'  era  a  grado 
5J  ancora  che  deviando  alcuno  dal  dritto  sentiero  Catto- 
«  lieo  egli  fosse  rigorosamente  di  pena  di  fuoco  castigato, 
w  ISon  Jia  potuto  l'onestà  delle  preghiere  nostre  superare 
w  la  disonestà  delle  cupidità  suej  anzi  veggendo  che  de- 


a)  Nel  primo  manusc.  manca  àìper-  b)  Nel  primo  manuscr.  reWo. 

stverarsi  fino  ad  umani.  e)  Nel  primo  manasc.supplicamente . 


108  PORZIO 

3j  liberavamo  venire  ad  impetrare  dalla  benignità  di  Vo- 
jj  stra  Maestà  quello  che  dalla  durezza  sua  non  si  potea, 
3j  per  ispaventarci  tostamente  si  è  volto  al  coltello  ed  al 
M  terrore  5  ed  il  sangue  di  molti  innocenti  ingiustamente 
>j  versato  ,  armato  e  furibondo  ha  scorso  la  Città  no- 
3>  stra.  JNè  restando  dal  minacciarne  e  dal  perseguirne  ="), 
»  alla  fine  per  fuggire  la  morte  ,  ne  ha  costretti  e  so- 
jj  spinti  a  dar  di  mano  all'armi.  La  qual  cosa  togliendo 
5>  poi  esso  ad  opportuna  occasione  ne  ha  apertamente  as- 
i>  saliti ,  saccheggiati  e  morti  -,  e  lo  stendardo  di  Vostra 
3>  Maestà  cotanto  tempo  da  noi  venerato,  ed  i  soldati  per 
3«  difesa  nostra  mantenuti,  e  le  fortezze  per  nostro  refu- 
»  gio  edificate  ha  egli  rivolte  a'  danni  ed  alla  ruina  no- 
»  stra'').  Clemenlissimo  Imperatore,  le  operazioni  umane 
5j  dall'altrui  intenzione  vengono  ree  e  buone  giudicate.  Se 
jj  per  noi  si  fossero  prese  l'armi  con  animo  perverso,  ed 
jj  in  dispregio  della  Maestà  Vostra,  siccome  il  Viceré  ini- 
jj  quamente  s'ingegna  di  persuadere  ,  non  nel  prenderle 
»  vi  avremmo  offeso,  ma  nello  esercitarle  avremmo  vio- 
»  lati  i  vostri  Ministri  ,  conculcata  la  giustizia,  spezzate 
»  le  prigionie  de'  malfattori,  abbruciate  le  scritture  reali, 
»  e  le  insegne  Imperiali  gittate  a  terra.  Ma  la  Dio  mer- 
>j  ce  ,  e  la  buona  mente  nostra  ,  pur  una  delle  narrate 
»  sceleraggini  non  è  pensato  farsi ,  non  che  sia  seguita  j 
»>  anzi  tutte  queste  cose  assai  più  dell'usato  abbiamo  ora 
»  custodite  e  riverite"^).  O  eccelso,  e  sempiterno  ccstu- 
jj  me  della  Città  nostra  che  a'  suoi  signori  manifesti  più 

a)  Nel    primo    roaniiscritto    perse-       e  rovina  nostra, 
guire.  e)  Nel  primo  raanuscr.    riverite   et 

h)  Nel  primo  manuser.    a  i  danni       custodite. 


ISTORIA    d'  ITALIA  If  g 

»>  felle  nell«  turbolenze  che  nelle  tranquillità,  come  l'au- 
w  lieo  popol  Romano  afflitto  dall'  armi  Cartaginesi  nel- 
»  r  eterne  sue  memorie  rende  ^)  gloriosa  testimonianza  ! 
ì>  Ma  quale  specchio  più  lucido  e  più  veritiero  può  egli 
w  rappresentare  alla  Maestà  Vostra  la  candidezza  e  la 
«  purità  dell'animo  nostro,  che  l'aver  avuto  noi  armati 
w  ed  offesi  dentro  alle  case  nostre  racchiuso  il  Viceré,  e 
3i  per  riverenza  di  Voi  ,  non  di  parole  ,  non  di  fatti  '*) 
«  offesolo?  aver  avuto  artiglierie,  e  non  adopratele?  es- 
«  sendo  giorno  e  notte  rabbiosamente  da  tante  castella 
"  battuti  3  essere  io  venuto  cotanto  spazio  di  terra  a  volo, 
j)  non  che  correndo,  a'  pie  della  Maestà  Vostra '^)  per  quella 
3j  a  man  giunte  ,  ginocchione ,  e  lagrimando  pregare  e 
w  supplicare ,  siccome  io  ora  la  prego  e  la  supplico  , 
>3  che  distendendo  la  mano  della  sua  misericordia  si  de- 
»  gni  sottrarre  al  ferro  ed  al  fuoco  ed  al  furor  crudele'') 
5>  d'  un  uomo  la  tribolata  patria  nostra,  che  non  ha  gran 
»  tempo  che  per  sostenere  lo  scettro  di  Vostra  Maestà  ella 
>j  tollerò  da  potentissimi  nemici  gravissimo  assedio^  con- 
ìì  sumò  grandissimo  tesoro,  e  sparse  sangue  infinito.  » 

Bisposta  di  Cesare ,  e  partenza  di  Placido. 

XXXII,  Al  parlar  di  Placido  ,  Carlo  rasserenò  la 
fronte,  e  rispnsegli  :  «  di  necessità  convenire  Ini  gire  a  INa- 
M  poli  senza  dimora  per  acchetarla  ,  ed  ove  la  intenzion 
>j  sua  non   fu  mai  di  porre  inquisizione j   e  ch'ella  aveva 

a)  Nel  primo  manuscr.  rendè.  e)  Nel  pr.  inanus.  f/j  ^os/ra  jl/aMtó. 

b)  Il  priiDO  manuscr.  non  di  parole  d)  Nel  primo  manuscr.  cfe//è;ro,<Ì7/ 
ma  di  fatti.                                                   fuoco  e  dai  fufvr  crudele. 


1  in  PORZIO 

«  iatlo  gt'aiidissluio  disoidine  a  lor  jiinia  l'anni,  e  poi  a 
>j  fainegli  intendere  la  cagione j  die  nondimeno  riducea- 
M  dosi  essa  subitamente  all'obbedienza  del  Viceré  con  cle- 
M  menza  sua  avanzerebbe  il  peccato  di  lei  ^).  »  Sì  che 
Placido  prese  da  lui  lettere  per  la  Città  e  commiato  a 
parte  dal  ^)  Marchese  della  Valle ,  indirizzossi  verso  iSa- 
poll  per  istaffetla.  La  quale  con  non  meno  desiderio 
aspettava  11  ritorno  dell'Ambasciatore  che  con  animo  am- 
biguo ,  non  solamente  per  lo  timore  dello  sdegno  Cesa- 
reo ,  ma  per  la  speranza  ancora  ,  che  per  la  venuta  sua 
potesse  in  parte  ripararsi  dall'  ira  del  Viceré  ,  il  quale 
avendo  per  lo  spazio  di  due  mesi  continui  in  gran  copia 
jnovvedute  le  Castella  ,  1'  aveva  poscia  per  mare  e  per 
terra  furiosamente  assalita  ,  e  per  molti  giorni  con  armi 
e  con   fuoco  combattuta. 

//  Viceré  si  provvede  di  armi  e  di  soldati, 

XXXIII.  Iniperclocchè  fiuto  l'accordo  che  di  sopra 
dicemmo,  ed  avviati  gli  Ambasciatori,  diedesi  il  Viceré  a 
correggere  un  grave  suo  mancamento,  cioè  a  provvedersi 
di  tutte  le  cose  necessarie  all'offesa  ed  alla  difesa,  e  sjìe- 
cialmente  di  vettovaglie,  delle  quali  le  castella  erano  so- 
lamente per  la  pace  fornite.  Aggiugnevasi  che  il  provve- 
dimento fatto  a  '^)  sustentamenlo  dell'  avvezza  Guardia 
del  Castello  non  poteva  né  una  mezza  Città  né  uno  eser- 
cito intero  nutrire.  Con  ciò  sia  che  il  Viceré  volendo 
guerreggiare  colla  Città ,  era  forza  a'  suoi  soldati ,  che  di 

a)  Nel  secondo  manuscr.  la  clemen-  b)  Nel  primo  manuscr.  del. 

za  sua  accatisirMe  il  peccato  di  lei.  e)  Nel  pr.  manusc.  o  sustenlamento. 


ISTORIA    D    ITALIA  I  I  i 

dì  in  dì  accrescevano  ,  torre  i  lor  viveri  dalle  caslella. 
L' istesso  avveniva  ad  infinite  persone  Spagnuole  che  ave- 
van  menato  moglie  a  Napoli,  ridotte  o  dentro  o  alle  spalle 
delle  fortezze"),  dove  anche  molti  de' Napolitani  medesmi'') 
eransi  ricoverati,  non  tanto  per  mostrare  amore  al  Viceré 
e  fede  all'  Imperatore  ,  quanto  per  tema  del  popolo,  che 
come  di  rnbelli  della  patria  aveva  le  lor  case  predate  *=). 
Ma  in  questo  mentre  che  il  Viceré  provvedesi  nelle  for- 
tezze con  ogni  diligenza  e  rinforzasi  '')  ,  non  intramise 
il  pensiero  di  sfornire  ed  indebolire  la  città  ,  la  quale 
avvegnaché  non  isturbasse^)  gli  apparecchiamenti  di  lui, 
pur  con  armata  mano  guardavasi.  Ma  per  essersi  seminato 
studiosamente  da'  partegiani  del  Viceré  ,  che  ella  era  in- 
corsa nella  ribellione,  e  che  rovina  grande  le  verrebbe, 
molta  gente  spaventata  per  essere  lontana  dalla  fine  di 
fjnella  dissensione  si  conferì  alle  terre  convicine  a  Napoli; 
ed  i  Baroni,  cosi  lor  comandando  il  Viceré,  0  passarono  ad 
abitare  la  parte  della  Città  sottoposta  al  Castello.  I  quali 
detrimenti  furono  da' Napolitani  coli' assoldare  cinque  mila 
fanti  risarciti  j  e  stavansi  così  concordi  s) ,  cheti,  ed  ab- 
bandonnti  ,  che  non  pareva  avessero  Ìl  nemico  dentro  le 
mura  né  sopra  il  collo  verun  giogo  di  Castello.  Pur  gli 
occhi  e  le  menti  de'  più  savi  di  loro  dubitando  per  la 
tardanza  d'  irreparabile  rovina  erano  volte^O  nella  Migna, 
e    la  poca   diligenza    del   loro   Ambasciatore    in  ritornando 

a)  Nel  primo  maniisci.  r/pf/oz/oif  r/e/j-  e)  Nel  primo  manuscr.  inturfiidasse . 
tro  et  alle  spalle  rielle  fortezze.  f)  Nel  secondo  manuscr.  rt  a  ibarn- 

b)  Nel  primo  manuscr.manca  medes-  ni  ,  così  lor  comandò  il  viceré ,  passa- 
mi, e  dice  eran  ricoverati.  rotto  e/c. 

e)  Nel  primo  roanuscr.  depredate.  g)  Nel  ^ecnndo  mnnuscr.  accorti. 

ti)  Nel  primo  manuicc.  rirt/órzatosi.  h)  Nel  pi  in.  i  manuscr  /«o/tó. 


I  12  PORZIO 

accusavano,  e  come  di  cosa  interveiiiiLi  ne  furono  indo- 
vini. Perciocché  il  Viceré  tra  tanto  ebbe  agio  a  raccorre 
cinquemila  fanti  Spagnuoli  spai-si  per  lo  Regno ,  e  per 
r  altre  parti  dell'  Italia  ,  e  molta  gente  ^)  d'  armi  e  ca- 
valleria leggiera,  i  quali  co'  soldati  della  Città,  come  dis- 
sesi ,    scambievolmente  ed  a  guisa  d'amici  praticavano. 

Combattimenti  tra  gli  Spaglinoli  e  Napolitani^ 

XXXIV.  Ma  o  che  ingrossata  T  una  e  l'altra  parte 
fosse  per  impossibile  11  ritenerle  dal  contendere'^),  o  per  la 
concorrenza  del  valor  dell'  armi  che  regna  fra  queste  na- 
zioni Spagnuola  e  Italiana  ,  o  fosse  1'  ardente  sdegno  del 
Viceré,  o  un  fortunoso  caso  che  così  portasse,  il  dì  22  di 
Luglio  con  I'  insegne  spiegate  ed  ischierate  a  due ,  or- 
ribilmente s'  assalirono.  E  parve  sul  primo  incontro  che 
la  città  fosse  sopraffatta  ,  essendo  i  nemici  più  presso  e 
più  uniti  al  luogo  dove  si  combatteva,  favoriti  dall'arti- 
glierie delle  Rocche ,  e  dalla  presenza  del  Viceré  ina* 
nimiti'^).  Il  quale  acceso  d'ira  calato  già  alla  porta  del 
Castello  coperto  d'  armi  e  con  la  spada  ignuda  ,  infiam- 
mava i  soldati  c&n  alle  grida  a  vendicare  la  ribellione 
de'  Napolitani  col  saccO'  col  ferro  e  col  fuoco.  Ma  lo  stre- 
pito dell'  artiglierie  e  degli  archibugi  risonando  per  tutta 
la  Città  subitamente  destò  il  popolo  ed  i  suoi  capi  al- 
l'armi, i  quali  volati '^)  là  dove  il  bisogno  appariva  mag- 
giore di  qualità  rinfrancarono  gli  animi  de'  lor  soldati  che 

a)  Nel  primo  manuscr.  molle  genti.  e)  Nel  primo  manuscr.  e  dalla  spe- 

b)  Nel  primo  manuscr.  manca  dal      ranza  del  Viceré  inanimati. 
contendere.  A)  Nel  primo  manuscr.  abiati. 


ISTOniA    d'  ITALIA  I  ì'ò 

11)91110  al  piano  del  caslello  rincalzarono-')  gli  Spagntiuli,  e 
con  tanto  lor  disortline  che  per  {)Oco  mancò  non  perdes- 
sero le  bandiere^)  ed  alcuni  pezzi  piccoli  d'artiglieria,  tratti 
Inori  dal  castello  per  battere  le  vie  per  entro  la  Città. 
Kon  si  disciolse  la  battaglia  prima  della  notte  nella  quale 
i  Napolitani  vegliando  in  tutti  i  luoghi  opportuni  dirim- 
petto al  Castello  nuovo  interposero  trincee.  IVè  gli  Spa- 
gnuoli  dormirono,  perciocché  oltra  le  trincee  0,  che  anco 
essi  dal  canto  loro  drizzarono,  incrudeliti  negli  ediflcii''), 
tornarono  ad  abbruciare  parte  delle  case  da  loro  nel  prin- 
cipio dell'  assalto  sforzate  e  rubate  con  molta  crudel- 
tà ed  avarizia,  mettendo  eziandio  le  donne  trovatevi  iu 
servitù  e  disonesto  «so.  Combattessi  insino  al  terzodeci- 
mo dì  della  rottura  della  triegua  nelle  vie  e  fralle  case  e) 
con  vani  eventi  e  con  gran  ferocia 0  e  durezza  d'animi. 
Era  il  perìcolo  de'  Cittadini  maggiore  in  su  la  notte  che 
dalle  fortezze  continuamente  venivano  vessali  ,  e  da  gli 
assalti  nemici  non  mai  sicuri.  Per  la  qual  cosa  buona 
jiarie  delle  lor  donne  si  rinchiusero  ne'  monasteri  ,  e 
molti  uomini  dalla  città  cogli  arnesi  sgombrarono.  D'as- 
sai 8)  più  sarebbe  stata  vota  per  la  strada  del  mare  ,  se 
una  fusta  del  Duca  di  Firenze*')  predando  non  l'avesse  Im- 
chiusa.  Né  la  via  per  terra  ne'  campi  aperti')  era  bea 
sicura ,    imperocché  i  cavalli  leggieri  per  mancamento    di 

a)  Nel  primo  manuscr.  incalsarono.  e)  Nel  primo  manuscr.  nelle  case, 

L)  Nel  primo  mauuscr.  non  perdès-  f  )  Nel  primo  manuscr.yèroc»/a. 

sera  ùanefierr.  g)  Nel  primo  manuscr.  e<  nwaj. 

e)  Nel  secondo  manuscr. mancano  le  li)  Nel  primo  manuscr.  Fiorenza,  a 

parole;  A'è  gli  Spagnuoli  dormirono,  così  dopo. 

perciocché  oltra  le  trincee.  i)  Nel  primo  manuscr.  noit  havtss-y 

d)  Nel  primo  manuscr.  agli  edifici.  lor  chiusa  la  via ,  ne  i  c^pi  aperti. 


«  l4  PORZIO 

vivere^)  ,  e  per  rubare  in  molti  lati  diecorrevano.  Ag- 
giugnevasi  a  questi  lor  mali  1'  aver  per  cosa  certissima  il 
venir  loro  addosso  grossa  e  scelta  fanteria  Italiana  mandata 
in  soccorso  del  Viceré  dal  Duca  di  Firenze  ,  e  da  Don 
Ferrante  di  Gonzaga'')  sulle  galee  del  Boria  e  dell'istes- 
so  Regno.  Non  potevano  uè  mandar  di  nuovo  a  Cesare 
uè  ritrarre  cosa  niuna  de'  mandati  per  lettere  o  per  mes^ 
saggi ,  tenendo  il  Viceré  a  questo  fine  chiusi  e  guardati 
liuti   i  passi  del  Reame. 

Venuta  di  Placido  in  ISapoli.  I  Napolitani 
depongono  le  armi, 

XXXV.  Niente  di  manco  circuiti  da  tante  angustia 
non  si  abbandonavano  i  Napolitani  alla  Città  rimasi,  ma 
fidatisi  nel  loro  valore  e  nella  giustizia  della  causa  ,  né 
si  spaventavano  del  Viceré  né  del  padrone  diflidavansi- 
Ma  nel  fervore  di  queste  tante  procelle  apparì  loro  Pla- 
cido j  il  quale  condottosi  dove  erano  gli  officiali  della 
Città  ragunati ,  con  chiara  e  lieta  faccia  palesò  loro  la 
volontà  dell'  Imperatore  in  non  volere  nel  Regno  inqui- 
sizione, e  la  grande  inclinazione  del  suo  animo  a  far  loro  '^) 
genefal  perdono  di  quel  tumulto  ,  purché  il  suo  coman- 
damento immantinente  fosse  obbedito^  e  così  fare  esso  gli 
esortava  e  pregava,  acciocché  il  pronto  obbedire  cancel- 
lasse ogni  mancamento  dal  Viceré  loro  potuto  imputar- 
si •*).  Era  quella  Città  di  grande  confusione  ingombrata  , 
avendo  a  disarmarsi,  e  nelle  braccia*)  del  nemico  armato 

^)  Nel  primo  nianuscr.  del  vivere.  d)  Nel  primo  raanuscr.  del  vic&rè  lo- 

b)   Nel  secondo  raanus.  c/a  G'o/zpao'ir.       ro potuto  impugnarsi. 

e)  Nel  primo  maouscr.  a//'ij/' fo/o.  e)  iVel  primo  mauuscr. /;e/i;v7rc/o. 


ISTORIA    d'  ITALIA  ll3 

jiineltersi,  senza  sapere  che  l'Imperatore  imponesse^)  al 
Viceré  3  oltrachè  egli  per  l' addietro  e  prima  dell'  essere 
offeso  costumava  eseguire  gli  ordini  dell'  Imperatore  cbe 
fosse  ^)  a  lui  paruto.  Tuttavia  mossi  i  Napolitani  dalla 
loro  naturale  divozione  al  Padrone  ,  confortati  dalle  pro- 
messe di  Placido,  e  sospinti  dal  non  parer '^)  loro  di  aver 
errato  ,  determinarono  far  puntualmente  quanto  nel  co- 
mandamento veniva  contenutole  dato  ordine  aH)  far  pai- 
tire  i  soldati  dalla  Città,  notificarono  al  Viceré,  che  co- 
mandando loro  l'  Imperatore  che  posate  le  armi  gli  ren- 
dessero l'obbedienza  ,  sé  esser  presti  a  ciò  fare,  e  come 
prima  l' obbedirebbono.  Per  la  qual  cosa  il  Viceré  oltra- 
niodo  vago  della  pace,  e  certificalo  della  volontà  dell'lm- 
jìcratore  per  lo  Marchese  della  Valle,  e  che  se  egli  dan- 
nava la  presa  dell'armi  de' Napolitani,  non  commendava '') 
in  parte  alcuna  l'  averne  lor  data  colorata  se  non  giusta 
cagione,  levò  T  offese,  e  fatti  uscir  fuori  di  Napoli  gli 
Spagnuoli  ,  ordinò  a'  Napolitani  che  gli  recassero  nel 
Castello  tutte  le  loro  armi.  Ed  avutane  gran  parte  al  na- 
sconder del  rimanente  con  savio  partito  0  chiuse  gli  occhi, 
e  solamente  comandò  che  gli  fossero  consegnati  quaran* 
taire  pezzi  d'artiglierie  della  Città,  che  quantunque  con- 
tri lui  non  fossero  adoperali ,  pur  tratti  dalle  braccia  de' 
cittadini  e  de'  gentiluomini  gli  furono  prestaraenie  con- 
dotti. V^eduta  il  Viceré  si  pronta  ed  umile  obbedienza  de' 
Napolitani  per  non  uscire  dal  canto  suo  dagli  ordini  ini' 

a)  Nel  primo  manaser.  s' imponesse.  H)  Nel  primo  manoscr.  da/, 

h)  In  ambedue  i  maumCT.  /ossero.  e)  Nel  secondo  manusc.  co/;ia'!.7at' 

e)  Nel  secondo  maDuscriUo  dal  non  f)  Nel  primo  manuscr.  maaca   colf 

potere.  savio  parlilo. 


Il6  PORZIO 

penali ,  non  differì  al  chiamare  gli  ofHciall  della  Città,  e 
palesar  loro  che  Cesare  riguardando  più  alla  sua  Cesa- 
rea ed  Imperiai  clemenza  che  a'  demeriti  loro,  faceva  uà 
general  perdono  delle  cose  passate  fuorché  ad  alcuni  po" 
chi  stati  in  quel  movimento  =")  capi. 

Novella  ambasceria  de"  Napolitani  a  Cesare. 

XXXVI.  Ma  avvegnaché  per  questa  loro  grande  umiltà 
credessero  i  Napolitani  aver  pagato  il  debito  che  erano 
tenuti  air  Imperatore,  e  lo  sdegno  del  Viceré  ammollito, 
uientedimanco  dell'  animo  d' amendue  temevano  forte. 
Imperocché  il  Viceré  faceva  alcuna  operazione  in  ven- 
detta dell'  offesa  ricevuta  ,  e  dal  Principe  di  Salerno  ve- 
niva scritto  l'Imperatore  perseverare*^)  a  credere  (così  dal 
Viceré  e  da' suol  fautori  persuaso)  di  quella  controversia 
esser  stata  1'  origine  la  nobiltà,  ed  ingannevolmente  avervi 
sospinto  il  popolo,  e  non  cessava  di  risguardare  con  oc- 
chio irato  esso  Principe.  Il  cui  non  buon  animo  com- 
prendevasi  ancora  dall'avere  in  segno  di  pena  e  di  ver- 
gogna tolto  alalie  lettere  ,  che  a  quella  Città  indrizzava  , 
il  titolo  di  Fedelissima^  uso  per  l'addietro  ad  onoramela. 
Delle  quali  cose  i  Napolitani  timidi  divenuti,  che  contri 
essi  a  peggio  operare  1'  uno  e  T  altro  non  procedesse  ,  e 
mesti  per  la  disgrazia  del  Salerno  per  salvamento  di  loro 
avvenutagli,  deliberarono  mandar  nuova  ambasceria  all'Im- 
peratore ,  e  comunemente  uomini  nobili  ed  ignobili. 
Furono  gli  ambasciaJori  Giulio  Cesare  Caracciolo  e  Gio: 

a.)  Nel  primo  raanuscr.  iti  rjiiei  nio-         ìA  Nel  primo    inanujciiilo  /lerseve- 
".'ime/iti.  rava. 


J 


ISTORIA.   D  ITAtU  IfJ 

Balista  Pino.    Per  la  costoro  opera    ottenne  quella   Città 
ciò  che  allora  dall'  Iraperator  desiderava^  perocché  il  Ca- 
racciolo   destro    e    delle    Muse    amico  ,    non    accusando 
ajiertamente  il  Viceré ,  né  affatto  l'errore  della  città  scol- 
pando ,    addolcì   in  gran  maniera    V  animo  inacerbito    di 
Carlo ,  e  persuadello  che  la  nobiltà  Napolitana  non  pure 
tollererebbe  D.  Pietro  di  Toledo  per  Viceré,  s'egli    sue 
usanze   e    suoi  privilegi    non  guastasse  ,    ma  quandunque 
così  fosse  a  grado  a  Sua  Maestà  gli  jxìrrebbe  nel  capo  una 
corona  reale.  Fu  eziandio  a  quel  tempo  celebre  un  atto  del 
Pino,  il  quale  mentre  si  affaticava  di  rappresentare  all'  Impe- 
ratore il  grado  della  superbia  ove  era  il  Viceré  salito  per 
la  smisurata  autorità  concessagli,  trassesi  di  seno  una  me- 
daglia fatta  scolpire  dall' istesso  Viceré  =*)  con  sua  effigie,  e 
con  parole  e  riverso  di  sentimento  Reale.  Affermano'')  tre 
fiate  Carlo  averla  nelle  mani  ripresa ,  ed  attentamente  ri- 
guardata j    e  senza  alcun  dubbio  cosa  ninna  commove  *^), 
e  pugne  più  gli  animi  de'  Re    che    l'  aver  compagni    nel 
regnare- 

Informazione  presa  del  succeduto  in  Napoli 
e  risultamento  di  essa. 

XXXVII.  Ottennesi  parimenti  per  questi  Ambasciatori 
che  r  Imperatore  inviasse  a  Napoli  un  personaggio  il  quale 
presa  vera  informazione  del  succeduto,  facesse  apparire  il 
poco  o  il  mollo  che  perciò  quella  città  fosse  colpevole  ; 
e  così  fu  fatto.  Imperciochè  egli  mandovvi  il  Vescovo  Mui- 

a)  ÌScl  primo  maniiscr.  con    istesso  b)   Nel  primo  mannscr.  afferma, 

viceré.  e)  iNel  secondo  manuscr.  communi. 


Jl8  PORZIO 

dana  Spagnuolo  ,    die  prima  di  avev    formato  il  proceàso 
»i  mori.  Kientedimanco  il  Consiglio  Imperiale  mosso,  co- 
me si  disse  ,  dalle  scrinare  di  lui ,  readendo  l' artiglierie 
e  gli  cuori  alla  Città,  e  la  maggior  parte  degli  sbanditi, 
per    questa   sedizione    la  condaDnò    in  centomila  scudi  , 
picciola  somma  per  rispetto  alle  grandissime  che  da  lei  e 
dal  Regno  in  nome  di   dono    ciascun   anno    1'  Imperatore 
.   traeva  ,  ma  grave  a  petto   al    fallo.    Conciosiacosachè   fu 
d' inaudita  riverenza    e  di  fede  esemplare,  che  nel    corso 
di  più  mesi  che  durò  questa  contenzione  ,  e  specialmen- 
te negli  ultimi  giorni  che  con  rabbia  ferma  ed  irrimedia- 
bili ^)  rovine    si  combattè  da' Napolitani   cogli  Spagnuoli, 
non  si  udisse  mai  gridare  altro  nome  che  della  Spagna  e 
dell'  Imperio  ,    tutto  che  quella  Città  fosse   ripiena  d'  uo- 
mini di  perduta  speranza  e  di  banditi  che,  assetto  il  tu- 
multo ,    o    di  necessità  conveniva  loro  rapinare    fra  genti 
strane,    vagabondi    e  mendichi'^),    o    ne'  boschi    e  nelle 
selve  del  Regno  farsi  preda  a  barigelli  ed  a' capestri.   Te- 
messi bene    dagli  uomini  giudiziosi    che  alcun  Barone  ri- 
bello, che  non  venti  anni  prima  seguendo  l' insegne  Fran- 
cesi viveva    della  patria  e  dello    stato  in    bando ,    avesse 
macchinato  in  pregiudizio  dell'Imperatore,  per  lo  cui  fallo 
tutti  gli  altri  fossero  pericolati  :  ma  molti  Santi  in  molta 
riverenza  da'  Napolitani  avuti,  e  stimati  della^^)  loro  Città 
particolari    difensori  ,    renderono    anche  vano    quel  ragio- 
nevole timore.  Imperocché  quantunque  dal  Viceré  si  fos- 
se usata    ogni  diligenza  ,    ricercando    le  loro  scritture    ed 

a)  Nel    primo  manuscr.  irremedia-       mendiche. 

hile  rovina.  e)   Nel  secoado  manusci'.  dalla   loiny 

b)  Nel  primo  manusci.  i'<7.?a6o/)f/e  e       città. 


ISTORIA   d' ITALIA.  Iig 

azioni   pubbliche  e  private   per  ritrovare  trattati  o  inteD> 
<limenti  *)    avuti    da    essi    con    Principi  ,    eh'  egli  a  quel 
tempo    giudicava  poco  amici    dell'  Imperatore  ,  non  potè 
trovare  alcun'  ombra  né  segno  d' instabilità.    Per  la   qual 
Cosa  io  ho  slimato  degno  della    memoria    delle   lettere  il 
narrato  movimento  della  Città  di  Napoli  più  che  per  es- 
servi morte  d'intorno  a  due  mila  persone,  e  cento  cin- 
quanta case  abbruciate  ,  e  fattasi  per  gli  Cittadini  inesti- 
mabil  perdita    di  robe.    E  deve  eziandio  memorabile  es- 
sere riputato  per  la  non  bisognevole  pertinacia  di    Cesare 
in  volere  perpetuare  quel  governo  nella  persona    del   Vi- 
ceré dopo  l'essere  seguite  tra  lui  e  quella  Città  mortali^) 
offese.  E  tuttavia  avvenne  a  punto  come  egli  desiderava^. 
Con  ciò  sia  che  il  Viceré  da  ciascuno  in  particolare  ^)    e 
da  tutti  insieme  trovò  maggiore  obbedienza  dell'avuta  da  pri- 
ma, né  cadde  in  pensiero  di  persona  di  offenderlo  giam- 
mai. Onde  si  vide    che  con  fortunato  più    che    prudente 
consiglio  l'Imperatore  rendè  vana  quella  trita  sentenza  che 
negli  oda  universali   altri   non   ha   sicurezza  veruna. 
La  qual  cosa  io  non  credo  si  sia  da  imitare ,  avendo  Carlo 
o  la  mina  di  quella    nobile  Città    o  la  perdita    della  di- 
gnità Reale  posta  nelle  mani  di  qualunque  scellerato  avesse 
voluto  far  offesa  al  Viceré;  che  fra  tanta  moltitudine  au- 
dace e  danneggiata  *)  fu  veramente  un  miracolo  il  non  ri- 
trovarsene le  centinaja. 


a)  Nel  primo  mìuusc.  ùìtenJimenii  sidernva. 

'1  tr.ìtiati.  d)  Jiel   primo  manuser.    maoci    in 

b)  Nel  piirno  aianuscr.  notabili.  particolare. 

e)  Nel  secondo  maouscr.  OTae^yA' afe.  e)  Nel  primo  maausc.  danneggiava. 


l20  PORZIO 

Il  Pontefice  colV  animo  ognora  più  dilungasi 
da  Cesa/'e. 

XXXVni.   Ma  né  per  lutto  ciò   fu  possibile  a  dar-e 
a<l  intendere  agli  Spagnuoli  che  il  Papa  ed  il  Re  di  Fran- 
cia in  quella  turbazione    non  tenessero   le  mani  ,    e    non 
solamente  lo  crederono  ,    naa  inconsideratamente    1'  hanno 
Jielle    loro    scritture  testato  ;    la  quale  opinione    del  Papa 
accrebbesl  molto    per  le  cose    poco  dopo  seguite.     E  di 
vero  il  Pontefice  Paolo  coli' animo  dall'Imperatore  ogno- 
ra   più    dilungavasl  ^).     Imperciocché    benché    egli    avesse 
mandato    nella    Magna    il    Cardinal    Sfrondalo    Legato    a 
rallegrarsi  della  vittoria  conseguita  contra'')    il  Duca  della 
Sassonia ,    ed  ornatolo    ne'  brevi  di  gloriosi  titoli  ,    mas- 
simo    e  forlissimo    nominandolo,    nientedimanco  veggen- 
dolo  pertinacemente    rifiutare   ogni    profferta    fattagli    dal 
Legato  per  indurlo  che  il  Concilio  si    celebrasse  fuor  di 
Trento  ,    ed  in    oltre  perseverare  in    non  volere  investire 
Pier  Luigi,  e  prendere  la  sua  difesa  ,  come  al  lor  parentado 
ed  a'  memorabili  ajuti    frescamente    portigli    ed  a'  meriti 
de'  nipoti  pareva  richiesto,  con  molli  dimostramenti  dava 
il  Pontefice  certo  segno  di  volere  procacciare    la  stabilità 
del  figliuolo  dal  Re  di  Francia,  ed  era  in  pensamento  di 
molti    che   egli    non  trasportato  da  volontà  ,    ma  da  ne- 
cessità   astretto    il  dovesse  fare  ^   perchè  essendo    col   pie 
sulla  fossa  ,    e    non    fermando    il  figliuolo    colle  forze  di 
Francia,  non  era  altro  che  darlo  in  preda  a  Cesare    to- 
sto ch'egli    partisse  dal  mondo. 

a^  Nel  primo  manuscr.  si  diiungava.         h)  Nel  primo  mauuscr.  tra: 


ISTORIA    D  ITALIA  I2t 

Pier  Litigi  Farnese  favoreggia  i  Fr'ancesi. 

XXXIX.  Nella  quale  opinione  assai  più  del  patire 
slrabocclievolmente  procedeva  il  Duca  Pier  Luigi,  ed  era 
a  tal  venule  che  nelle  sue  terre  favoreggiava  apertamente 
qualunf[ue  partigiano  de'  Francesi  ,  e  gl'^)  Imperiali 
perseguiva  ed  oltraggiava  j  al  che'')  le  qualità  del  nuovo 
Re  di  Francia  lo  sospingevano  grandemente.  Perocché 
il  marzo  di  queir  anno  medesimo  i547  »  raancando  il 
magnanimo  Re  Francesco  ,  era  a  lui  nel  Regno  succe- 
duto il  figliuolo  Enrico  ,  Principe  che  nelle  guerre  ad- 
dietro aveva  dimostro  prontezza  nel  maneggiar  l' armi 
e  valore  e  prudenza"^).  E  già  tenevasi  per  certo  che 
fermo  bene  il  piede  nel  Reame  dovesse  far  pruova  delle 
forze  e  della  fortuna  sua  coli'  Imperatore  Carlo ,  il 
quale  giudicava  Enrico  non  per  altro  avvenimento  aver 
battuta  e  superata  la  nazion  Francese,  che  per  la  impru- 
denza e  per  la  negligenza  del  padre.  Con  ciò  sia  che  il  Re 
Francesco  di  lieta  natura  ed  aperta,  ed  avvegnaché  '^)  com- 
piuto delle  virtù  che  in  altissimo  Re  si  sieno  richieste  ^), 
ricevè  la  maggior  parte  delle  sue  percosse  o  per  lo  t!oppo 
fidarsi  o  per  lo  soverchio  avvilupparsi  ne'  piaceri  umani  ^ 
le  quali  due  cose  ne'  gravissimi  e  grandissimi  affari 
disavveduto  il  renderono  e  trascurato.  Per  l'opposito  En- 
rico taciturno  e  simulato  0,  avido  di  gloria  e  d' impero,  co- 

a)  Nel  sccontio  manuscr.  degli.  che. 

L)  Nel  secondo  manuscr.  al  quale.  e)  Nel   primo   manuscr.  si  possono 

e)  Nel  primo  manusc.  manca  nelnia-       richiedere, 
ne^giar  l' armi  e  valore  e  prudenza.  f)  Nel  primo  manuscr,  manca  e  «- 

<3)  Nel  primo  manuscr.  et  avvenga      mulato. 

16 


122  PORZIO 

me  prima  eljbe  In  mano  lo  scettro  del  Regno  ,  fugò  da 
fiè  e  dalla  Corte  Reale  tutto  quello  che  al  padre  era  di 
carnale  diletto  e  di  non  giovevole  spesa  cagione.  Ri- 
chiamò a  sè^*)  Anna  Memoranzi  gran  Contestabile  del  Re- 
gno e  savissimo  Barone  che  per  cause  leggieri  fu  dal  re 
Francesco  ^)  scacciato  e  confinato  in  una  villa  di  lui.  At- 
tendeva anche  Enrico  con  ispesse  mostre  e  rivediraenti  <=), 
a  ripulire  ed  accrescere  l'  armi  Francesi,  a  munir  fortezze, 
accozzar  danari  '^)  oltre  al  buon  numero  di  essi  dal  Pa- 
dre lasciatogli.  Non  meno  del  prudente  procedere  del  Reag- 
glagneva  animo  a  Pier  Luigi  la  ben  regolata  e  vigorosa  vita 
di  Paolo,  che  porgeva  ferma  speranza  di  dover  trapassare 
tutte  le  altre  de'  Pontefici  preteriti  avventurosamente  j  ed 
avendo  per  compimento  della  sua  felicità  pur  allora 
collocata  in  matrimonio  la  figliuola  di  esso  Pier  Luigi  al 
Duca  di  Urbino,  al  quale  a  quei  giorni  s' era  morta  non 
pensatamente  ^)  la  moglie  Varrana  senza  lasciargli  erede  ma- 
schio, per  liberare  0  Paolo  di  quella  sola  cura  ,  che  d' al' 
tamente  porre  tutti  i  suoi  discesi  gli  era  rimasa. 

Cause  del  disgusto  contra  Pier  Luigi. 

XL.  Vivevano  i  Fenda tarii  ed  uomini  nobili  soggetti 
al  Duca  Pier  Luigi  sotto  il  suo  dominio  per  molte  cagioni 
malcontenti  assai.  Con  ciò-sia  che  tanti  anni  stati  sottoposti 
alla  sedia  Apostolica  avevansi  s)  una  libera  ed  opulenta  ser- 

a)  Nel  primo  raanuscr.  richiamossi.       olire  eie.  lasciatili  dinari. 

b)  Nel  pr.manusc./M  da  Francesco.  e)  Nel  primo  manuscr.  manca  non 
e)  Nel  primo  manuscr.  con  le  spes-      pensatamente. 

se  mostre.  f)  Nel  primo  manus.  e  per  liberare. 

d)  Nel  primo  manuscr.    et  ac'collar  g)  Nel  primo  manuscr.  havevano. 


ISTORIA    d' ITALIA  123 

villi  goduta,  ma  ora  ridotti  sotto  la  signoria  del  Princi- 
pe dì  picciolo  stato  e  d'  incerta  fortuna  ,  e  costretti  ad 
obbedirlo  =>)  per  lo  timore  delle  fortezze  che  frettolosamente 
vi  si  finivano  e  de'  soldati  ^)  die  vi  si  avevano  a  mante- 
nere ,  cominciavano  a  sentire  del  vero  giogo  servile  la 
gravezza.  Oltrachè  Pier  Luigi  estimando  gli  animi  no- 
hili  avere  a  sdegno  i  nuovi  signori  ,  era  volto  a  solle- 
vare il  popolo  ed  alla  nobiltà  eguagliarlo,  massimamente  il 
Piacentino,  per  essere  i  gentiluomini  di  parte  Imperiale  :  i 
quali  anche  aveva  costretti  per  riempire  quella  Città  di 
abitatori  a  tralasciar  la  stanza  delle  castella  di  loro  giu- 
risdizione ed  in  città  dimorarsi.  Ed  ultimamente  •^)  gli  aveva 
privi  d'  una  parte  de'  vassalli  che  eglino  dominavano. 
Imperocché  per  tutto  il  suo  stato  era  fatta  una  perpetua 
ordinanza  di  soldati  a  pie,  e  non  voleva  che  i  suoi  '^)  feu-? 
datarli  lor  Signori  li  comandassero  ,  ovvero  de'  loro  de- 
litti li  punissero,  dicendo  ciò  appartenersi  a'  capi  soprap- 
posti da  lui  a  quella  milizia.  E  con  tutti  questi  tratta- 
menti nuovi  ed  aspri  si  sarebbono  i  Piacentini  indu- 
giati a  comraoversi  conlra  lui,  vivente  il  Padre  decrepito 
già  tanto  ,  che  a  niuno  pareva  lungi  il  suo  fine. 

Con^ura  de  nohili  Piacentini  cantra  Pier  Luigi. 

XLI.  Ma  la  grande  offesa  fatta  dal  Duca  Pier  Luigi  al- 
rimperatore  per  la  morte  di  Giannettino  Doria  e  per  l'aver 
proccurato  di  dar  Genova  e  le  galere  del  Doria  al  Re  di  l'ran- 

a)  Nel  primo  manuscr.  obbedire.  e)  Nel  primo  manuscr.  mania  ed. 

h)  Nel  primo  luauuscr.  da  i  soldati.  d)  Nel  primo  manuicr.  uiauca«(W«. 


124  PORZIO 

eia,  griiidussero  al  troncar  ogni  proliingamenlo  del  terselo  di 
sopra  le  spalle.  Nella  quale  cosa  sperarono  avere  per  com- 
pagno il  Principe  Doria  e  per    fautore    D.    Ferrante    da 
Gonz;iga  =>),  che  anche  egli  del  Papa  e  de'  Francesi  trova- 
vasi  mal  soddisfatto  :  i  quali  avevano  ad  odio  ^)  per  la  stessa 
cagione  che  portavano  <=)  malavoglienza  al  Principe  Doria^ 
cioè  •*)  per  essere    slato  ^)  egli    uno  de'  persuasori  all'  Im- 
peratore di  non  dare  loro  lo  stato  di  Milano.   Sì  che  per 
vendicarsene    e    per    la  cupidigia  di  avere  rendite  eccle^ 
siastiche  posero  in  litigio  al  fratello  di  D.   Ferrante  Car-! 
dinal  di  Mantova  un  benefìcio  de  Jure  Patronato  ricchi»^ 
simo  conferitogli  dalla  Marchesa  di  Monferrato  sua  cogua-? 
ta  ,  e  somigliantemente    il  Priorato  di  Barletta  ,     conce- 
duto dal  Gran  Maestro  della  Religione    gerosolimitana  al 
suo  figliuolo.  Oltre  a    ciò  al  Vescovo  di  Pavia  de'  Rossi 
di  Parma  parenti  de'  Gonzaghi  avevano  usato  rigida  giu- 
stizia a  Roma  infino  al  privarlo  del    Vescovato  ,    il    cui 
possesso    denegava    D.    Ferrante     al  Cardinal    del    Mon- 
te che  fu  poi  Papa,  a  chi  il  Pontefice  I'  aveva  concedu- 
to.  Con  queste    speranze    adunque  i  nobili    di    Piacenza 
cominciarono  a  disporsi  di  macchinare  conlra  il  lor  Duca 
Pier  Luigi  5  e  credesi  Oche  il  Conte  Agostino  Laudi  e)  per 
le  cagioni    sopraddette  ,    e  per   l'essersi  divulgato  che  il 
Duca  volesse  torgli  Bardi  e  Compiano  Castella,  desse  al 
trattato    cominciamento    col    Principe  Doria    infin    d'  al-r 
lora  che  egli  fu  mandato  Ambasciatore  a  Genova.  Altri 

a)  Nel  primo  manuscr.  manca  eh.  d)  Nel  primq  raanuscr.  cioè  che 

L)  Nel  primo  xa^nm^^x .  li  quali  Ita-  e)  Nel  secondo  raanuscr.  manca  i/ato. 

vevano  in  odio.  f)  Nel  primo  manuscr.  vedeai. 

'.  p)  Nel  primo  manuscr. /ior^/>o,  g)  Nel  secondo  manuscr.  tra  per. 


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ISTORIA  d'  itali. V  I  aS 

vogliono  che  il  Conle  Giovanni  Anguisclola,  conosciuta  la 
mala  contenlczza  de'  gentiluomini  ,  fosse  il  primo  a  ra- 
gionarne. Ma  qualunque  di  loro  due  si  fosse  il  motore  , 
quelli  che  insieme  congiurarono  furono  i  due  delti,  Gio: 
Luigi  Confaloniero,  e  tre  Fratelli  Pallavicini,  Scipione, 
Girolamo,  Camillo,  ed  Alessandro,  ")  i  quali  iu  questo  pen- 
siero giorni  e  mesi  consumarono  ,  non  jier  rinvenire  la 
miglior  via  che  dovessero  tenere  ad  eseguirlo  (  che  agli 
animi  deliberati  ogni  calle  strettissimo  ^)ed  aspro  si  fa  <^)  age- 
vole e  spazioso  )  ma  per  la  dubitanza  dell'avere  a  pericolare 
dopo  averlo  conseguito  ,  considerando  i  congiurati  ,  che 
a  uiun  profitto  della  patria  ,  a  niun  giovamento  di  sé  ^) 
uccidevano  il  tiranno  (  siccome  essi  il  chiamavano),  aven- 
do non  a  guadagnare  la  libertà  per  la  morte  sua  ,  ma 
a  scambiare  la  servitù  ,  se  non  più  dura  ,  almeno  più  fa- 
ticosa ,  per  comprendersi  che  per  ricoverare  quella  città  , 
e  far  vendetta  della  morte  di  Pier  Luigi  ,  il  padre  ed  i 
figliuoli  '')  volgerebbono  sottosopra  Oil  mondo,  e  gli  uccidi- 
tori con  tutta  la  lor  possa  perseguirebbono.  Oltrachè  I 
congiurati  non  avrebbono  giammai  sicurtà  a  bastanza  che 
1'  Imperatore  per  volontà  ,  se  non  per  forza  ,  gastigato 
Pier  Luigi  delle  oDfese  fattegli,  non  rendesse  Piacenza  al  fi- 
gliuolo di  lui  Ottavio,  che  gli  era  genero  e  figliuolo,  ed  ave- 
vagli  generali  nepoti,  ed  in  tutto  il  corso  di  sua  vita s)  leal- 
mente servitolo.  La  quale  cosa  se  ella  avvenisse,  vedevano 

a)  Nel  secondo  manuscr.  vi  è  una  niun  profiUo  della  patria  a  niun  gra- 
lagiina  dopo  la  parola  Pallavicini.  In  vamenlo  era  ,  e  fu  poi  correUo  niun 
ambedue  poi    i    manuscnlti  leggesi  e      p.  d.  p.   niun  g.  e. 

tre  fratelli  Pallavicini.  e)  Nel  primo  manuscr.  figli. 

b)  Nel  primo  manuscr.  stretto.  f)  Nel  primo  manuscr.  sotto  sopra. 
e)  Nel  secondo  manuscr.  sie  agevole.  g)  Nel  primo  maQuscrilto  della  vita 
à)  Nel  primo  manuscr.  leggevasj  »  sua. 


a6  PORZIO 


i  congiurati  che  avverrebbe  anche  ignomluioso  fine  alle 
lor  vite,  ed  ultima  distruzione  alle  lor  case  j  né  sarebbe 
ninno  che  del  loro  matto  ardimento  non  dicesse  dritta- 
mente =")  essi  portar  la  pena.  Nientedimanco  questi  dubbii 
potenti  alla  per  fine  furono  deboli  a  raffrenarli.  Perocché, 
come  sempre  accade,  V  insofferenza  del  male  presente  vin- 
se e  superò  il  timore  del  futuro.  E  di  vero  l'amore  della 
patria  e  lo  sdegno  dell'  avere  a  cedere  agli  inferiori  ogni 
animo  nobile  turba  ed  accieca  forte.  Aveva  la  nobiltà  Pia- 
centina tollerando  la  signoria  di  Pier  Luigi  di  Ghibellina  a 
divenir  Guelfa,  di  superiore  al  popolo  farsegli  eguale  o 
inferiore,  oltre  alla  perdita  della  maggioranza  de'loro  sud- 
diti ,  ed  all'avere  a  divorarsi  molte  indegnità  fatte  loro 
da'  ministri  ducali  5  alle  quali  cose  non  furono  di  picciola 
giunta  ^)  le  calde  promesse  del  Gonzaga  a  nome  dell'Im- 
peratore ,  non  ^)  averli  a  separar  mai  dalla  sua  corona,  e 
con  tutte  le  sue  forze  da  qualunque  nemico  tenerli  guar- 
dati ed  altamente  premiali. 

I  congiurali  danno  la  morte  a  Pier  Luigi. 

XLII.  Sì  che  veggendo  essi  che  il  Duca  sollecitava 
il  compimento  della  fortezza,  la  quale  posta  in  punto  avreb- 
be lor  dato  troppo  più  briga  all'eseguir  l'impresa,  e  forse 
anche  spronati  dal  Gonzaga  per  lo  timore  che  ^)  Pier  Lui- 
gi fortificatosi  non  si  fosse  posto  nelle  mani  de'  Francesi, 
da'  quali  era  già  per  la  città  bisbigfio  aver  lui  gran  nu- 
mero di  danari  ricevuto  ,  a  di  10  del  mese  «^  di  Decembre, 

a)  Nel  secondo  manuscr.  c/(/e/to«ie/i-  e)  Nel  secondo  msinasc.  il  non, 
te  essi  portar  le  pene.  A)  Nel  primo  manuscr.  di. 

b)  Nel  secondo  manuscr.  aggiunta.  e)  Nel  primo  man.  manca  del  meig. 


ISTORIA    d'  ITALIA  I  27 

acciò  che  il  fine  di  quest' anno  i  547  ^'  tratllmenlo  e  di 
sangue  dal  cominciamenlo  nondifTerisse,  separalamento  l'uno 
dall'altro  congiurato  sull'ora  ")  del  desinare  nella"  fortezza 
condussersi,  da'loro  servienti  e  familiari  accompagnati  in  nu- 
mero non  più  die  ^)  trentasette.  I  signori  de' nostri  tempi 
che  non  hanno  apparato  *=)  dalla  vigilanza  e  dal  dispendio 
poter  derivare  la  loro  sicurezza,  per  minor  briga  e  per  mag- 
gior risparmio  hanno  per  costume  non  dar  mangiare  nelle  lor 
case  alla  lor  corte,  ma  per  giornata  pagarla,  che  da  sé  si 
procacci  il  vivere.  E  perciò  desinato  che  essi  hanno,  le  lor 
case  rimangono  presso  che  vote,  andando  ciascuno  a  desina- 
re altrove.  Quest'ora  pensatamente  fu  appostata  da'conglurati 
a  mandare  il  loro  proponimento  ad  ^)  esecuzione,  non  cu- 
rando della  nsitata  guardia  Tedesca  della  fortezza.  Perciocché 
Pier  Luigi  fidatosi  nella  potenza  ed  autorità  del  Padre  per 
avanzai"  danari  con  poca  gente  guardavala.  Entrò  prima 
degli  altri  nella  fortezza  e  dentro  le  camere  '")  ducali  l' An- 
guisciola,  e  facendo  vista  per  sue  faccende  desiare  dal  pa- 
drone essere  udito,  appoggiossi  ad  una  finestra  per  istare 
alla  vedetta  0  quando  i  compagni  giugnessero  :  i  quali 
r  un  dietro  l'altro  e)  secondo  l'ordine  posto  ^)  comparvero 
tutti.  Ma  air  arrivar  dell'  ultimo  sul  ponte  che  fu  il  Conte 
Agostino  Laudi  destinato  ad  ammazzar  ')  la  guardia  della 
I  prima  porta  (che  l'uccisione  d'un' altra  poca  ch'era  in 
sala  fu  commessa  a'fratelli  Pallavicini  ed  al  Gonfalonlero), 
r  Anguisciola  prima  che  di  giuso  potesse  il  rumore  a  Pier 

a)  Nel  secondo  manuscr.  all' fiora.  f  )  Ne'  due  manuscr.  vendetta. 

'             b)  Nel  primo  manuscr.  f//.  g^  Nel  secondo  mAn.  dietro  aH\altrO' 

e)  Nel  primo  manuscr.  approvato.  h)  Nel  primo  manuscr.  lesto. 

d)  Nel  primo  manuscr.  (■«.  i)  Nel   secondo   manuscr.    all' am- 

e)  Nel  primo  manuscr.  nelle  camere.  mussare. 


ia8  PORZIO 

Luigi  salire,  si  sospinse  dentro  alla  camera  di  lui,  accom- 
pagnato da  due  soli.  E  trovatolo  a  sedere  ed  in  ragio- 
namento con  Camillo  di  Fojano  e  Giulio  Cappellaro  , 
avvicinatoglisi  quasi  parlar  gli  volesse,  e  ad  un  tempo  me- 
desimo tratta  fuori  la  spada,  lo  ferì  sopra  la  testa  e  nel 
petto,  e  cavogli  l'anima.  In  tanto  il  Landi  ,  il  Gonfalo- 
niero  ,  ed  i  Pallavicini  messa  mano  all'  alabarde  de'  Te- 
desclii  colle  loro  proprie  armi  li  ferirono  e  fugarono  ,  e 
levato  il  ponte,  senz'altro  contrasto  della  fortezza  s' in- 
signorirono. 

D.  Ferrante  Gonzaga  per  V  Imperatore 
s  impadronisce  di  Piacenza. 

XLIII,  Corse  la  fama  velocissima  riportatrice  del  male 
per  la  Città,  la  fortezza  essere  stala  occupata  e  preso  il  Duca. 
La  qual  voce  giunta  all'orecchio  d'Alessandro  da  Terni, 
accompagnato  da'  Capitani  Ducali  e  dalla  milizia  della 
Città  ann.Tta  ,  in  un  momento  di  tempo  appresentossi 
davanti  alla  fortezza  '')  per  riaverla  e  renderla  libera  al  Pa- 
drone. Trovavansi  pertanto  ^)  i  congiurati  a  malvagio  par- 
tito per  esser  pochi  e  dover  resistere  a  molli  ,  né  su- 
bilano  ajulo  da  niuno  attendendo  fuorché  dalla  città  che 
vedevano  nemica.  Pure  scarsi  di  miglior  consiglio  0  occorse 
loro  ,  quelle  genti  farsi  animose  per  adempire  il  dovere 
con  esso  il  Duca  lor  Signore  ,  e  che  mostrandoglielo  '') 
morto   verrebbe  ^)  in  parte   a   diminuire  il  loro  ardimento. 

a)  iVel  secondo  manuscr.  la  fortezza.  di)  Nel  secondo  manuscr.  mostrando- 

b)  Nel  primo  manuscr.  tiatanlo.  gliene. 

e)  ?fcl  pr.  mauu8.  dipartilo  migliore,         e)  Nel  secondo  jnauuscr,  verrebbono^ 


ISTORIA    d'  ITALIA  1 29 

Preso  perciò  il  morto  e  sanguinoso  Pier  Luigi,  ed  attacca- 
tolo per  un  piede  ad  una  delle  finestre  che  più  si  veg- 
gono d' insù  alla  ^)  piazza,  il  ferono  pendere  miserabilmenlo 
agli  occhi  di  tutta  la  città.  Spaventò  quest'orribile  spet- 
tacolo i  Piacentini  ,  e  troppo  più  i  capitani  del  Duca 
contristò  e  smarrì,  come  se  fosse  opera  perduta  1'  esporsi 
a  periglio  senza  speranza  di  riaver  il  padrone  ^  maggior- 
luente  che  i  congiurati  nel  rappresentar  loro  il  morto  Du- 
ca mandarono  fuori  voci  di  molto  riguardamento,  a  più  lor 
j)otere  gridando  Libei^à  ed  Imperio  j  dalle  quali  compren- 
devasi  la  fortezza  esser  nelle  mani  dell'  Imperatore  vici- 
nissimo e  potentissimo  Principe,  e  per  esso  promettersi  a 
Cittadini  viver  libero.  Questo  abbassamento  di  animo  de' 
popolari  e  de'  soldati  e  ministri  ducali  fu  conosciuto  dagli 
altri  nobili  Piacentini  parenti  de'congiurati,  e  forse  del  fatto 
partecipi;  e  senza  perder  tempo  e  con  lieve  faliga  persua- 
derono  il  popolo  a  dissarmarsi ,  ed  a'  Capitani  del  Duca 
a  dipartirsi.  I  quali  la  notte  vegnente  colmi  di  mesti- 
zia e  di  vergogna  se  ne  uscirono  ,  prendendo  cammino 
verso  Parma  ^),  ed  avendo  prima  in  sul  far  della  sera  ve- 
duto che  i  congiurati,  tagliata  la  fune,  alla  quale  era  il 
lor  Principe  appiccato,  opprobriosamente  1'  avevan  lasciato 
nel  fosso  della  fortezza  cadere.  Era  il  Gonzaga  da  Milano 
venuto  a  Cremona  per  approssimarsi  all'acquisto  se  gii 
succedeva  ;  di  cui  avuta  lieta  novella  ,  accompagnalo  da 
parecchie  schiere  di  soldati ,  subitamente  da'  congiurati 
si  trasferì,    ed    alla  Signoria  dell'Imperatore  sottomise  la 


a)  Nel   primo  manuscrìuo  la  piaz-  b)  Nel  secondo  manuscr.   inverso  a 

*»■  Parma. 


n 


J  3o  PORZIO 

fortezza  e  la  ciltà  insieme.  Fattogli  dappoi  la  pietà  della 
fragil  condizione  umana  dimenticare  ogni  oflesa  ,  rivolse 
l'occhio  air  infranto  e  compassionevol  corpo  del  Duca 
Pier  Luigi  :  e  parendogli  quel  fosso  indegna  sepoltura  del 
figliuolo  del  più  reverendo  Principe  de'  Cristiani ,  padre 
di  tanti  Signori,  e  suocero  di  due  figliuole  de'  primi  Re 
del  mondo,  nel  fé  trar  fuori,  e  riporre  in  chiesa  in  uà 
sepolcro  di  legname  ,  e  di  drappo  di  seta  coverto. 

Il  Gonzaga  proccura  insignorirsi  di  Parma. 

XLIV.  Ottenutosi  =■)  da  D.  Ferrante  il  pieno  dominio 
di  Piacenza,  secondando  il  corso  di  tanta  prosperità,  egli 
rnandò  a  chieder  anco  il  possesso  di  Parma  a'  cittadini 
ed  al  Conte  di  Santa  Fiore  ,  che  dimorando  nel  terri- 
torio di  lei ,  udita  la  morte  del  Duca  suo  zio  ,  era  vi 
corso  dentro  :  da'  quali  ebbe  egli  in  risposta  essi  non 
volere  per  niun  partito  partirsi  dal  mansueto  imperio 
della  Chiesa.  Dicesi  con  tutto  ciò  aver  lui  avuto  in  pen- 
siero insignorirsi  di  Parma  forzevolmente,  ma  non  averlo 
impreso  per  esser  ^)  la  Città  Guelfa,  e  confermata  dalla 
presenza  del  Medichino  che  fu  appresso  il  Onarto  Pio  j 
il  quale  al  governo  di  Bologna  trovandosi,  udita  la  per- 
dita di  Piacenza ,  adunò  con  grande  celerità  non  poche 
centinaja  di  fanti  e  posevele  dentro.  Sicché  il  Gonzaga 
non  pensando  ad  altro  che  a  questo  <=),  con  gran  soUeci^ 

a)  Nel  primo  manager,  questo  (rat-  sino  alle  parole  pnsevele  dentro. 

lo  da  ottenutosi  sino  alle  parole  ini-  b)  Nel  primo  manuscr.  manca  esser. 

perio  della  chiesa  è  posposto  all'ai-  e)  Nel  secondo    maauscr.   ad  altro 

irò  tratto  seguente:  Dicesi  con  tutto  ciò  acquisto. 


ISTORIA    d'  IT.VLI.V  i3i 

indino  e  iirovvcdiinenti  ,  diedcsl  a  slabilire  l'acquistato^), 
dando  fine  alle  fabbriche  incominciate  per  render  forte  Pia- 
cenza, e  dell'altre'^)  principiandone  che  per  maggior  sicu- 
rezza gli  parvero  necessarie.  E  convenendogli  rivolgere  a 
Blilano,  lasciò  quella  città  con  grosso  presidio  Spagnuolo 
alla  fede  e  custodia  di  D.  Garzia  Manriquez  '=).  Non  si 
creda'')  niuno  essermi*^)  nascosto  quello,  di  che  fanno  al 
cuni  memoria ,  Pier  Luigi  aver  sentito  non  so  che  odore 
di  questa  congiura,  e  per  assicurarsene  nelle  montagne  di 
Parma  aver  mandato  il  suo  viceduca  Barloloraraeo  Villa- 
chiara  ad  allogare')  fanti  ^  per  lo  cui  indugio  e  negligenza 
lui  essere  perito.  Perchè  oltre  a  ciò  io  ho  autori  di  non 
picciola  fede  che  scrivono,  il  padre  molto  dedito  all'astro- 
logia averlo  reso  accorto  che  dal  dì  decimo  di  dicembre 
in  là  egli  alla  sua  salute  avesse  cura.  Le  quali  cose  se  così 
furono  ,  troppo  disavvedutamente  il  Duca  Pier  Luigi  s) 
rovinò  sé  e  defraudò  il  giudicio  degli  uomini  che  iulìno 
a  quel  punto  lo  stimarono  d' ingegno.  La  qual  trascurag- 
gine  fu  cotanto  più  biasimevole  a  lui  che  al  principe  Dò- 
ria,  quanto  che  il  fresco  inganno  fatto  al  Principe  dove- 
va'') essere  perpetuo  suo  documento.  Ma  per  avventura  il 
voler  divino  colla  percossa  di  lui  volle  rammentare  al  Pon- 
tefice Paolo  che  chiunque  si  avviluppa  ne'  lacci  del  mon- 
do diventa  preda  della  fortuna. 


a)  Nel  primo  Tn&naicr.  l' actjfuisto.  f)  Nel  secondo  manuscr.arZ nMoWar. 

b)  Nel  secondo  niamiscr.  e  J' altre.  g)  Nel  secondo  manuscr.  P/er  I,tii' 
e)  Nel  secondo  maiiuscr.  Manriclte.  gì  Farnese. 

d)  Nel  secondo  manuscr.  credea.  li)  Nel  primo  manuscr.  mancano  le 

e)  Nel  primo  manuscr.  esseni.  parole  quaiUo  che  sino  a  doveva. 


i 


RELAZIONE 

DEL 

IKDl®   ©1   ìfAIPOlLII 

AL  MARCHESE  DI  MONDESCIAR 

VICERÉ  DI  NAPOLI 

DI    CAMILLO    PORZIO 
Tra  il  1577  e  1579. 


ALL'  ILLUSTlUSSIiMO  ED  ECCELLENTISSIMO  SIC. 

D.    INNICO     LOPEZ     DE    MENDOZA 

MARCHESE  DI  MO.NDESCIAR 
i.        VICERÉ  E  CAPITAN  GENERALE  NEL  REGNO  DI  NAPOLI. 


lu  opinione^  che  vive  fra"  Principi  odierni  ,  che 
essi  non  debbano  affaticarsi  molto  nello  studio  delle 
lettere  per  non  fraudare  i  lor  negozii  del  tempo 
che  si  spende  nel  leggere,  sa  V.E.  assai  meglio  di 
me  quanto  si  sia  discosta  dal  vero  :  ed  appare  mani- 
festamente di  esser  falsa '^  perocché  le  lettere  con  pili 
hrei>ità  e  con  più  contezza  insegnano  il  governo  po- 
litico ed  il  maneggio  degli  stati ,  che  non  fa  V  uso 
o  la  sperienza  di  quelli',  e  colui,  che  legge,  si  risolve 
meglio  e  più  presto  nelle  azioni  del  mondo,  che  non 
fa  il  Principe  idiota  ,  il  quale  per  assai  consigli  e 
dispute  è  costretto  di  venirle  alfine  delle  sue  deli- 
berazioni. U  istessa  utilità  portano  le  lettere  in  tutte 
le  altre  scienze  ,  e  particolar'mente  nella  cognizione 
de*  mari,  de' paesi,  della  natura  degli  uomini  e  de'bru- 
ti.  Il  che  essendo  vero  ,  come  è ,  io  ho  preso  ardire 
di  pT'esentare  a  V.  E.  il  sommario  delle  più  notabili 
cose  che  si  contengono  nel  Regno  di  Napoli  ,  poco 
fa  meritamente  stato  sottoposto  da  Sua  Maestà  al 
7'eggimento    di  Lei.  Il    quale   sommario    degnandosi 


V.  E.  di  leggere ,  spero  che  le  darà  in  poche  ore 
quella  vera  notizia  delle  parti  e  di  tutto  il  Regno^ 
che  non  farebbe  in  molti  mesi  il  governo  di  esso  :  e 
conoscendo  io  di  esserle  grata  questa  fatica^  mi  darà 
animo  di  farne  delle  altre  maggiori.  Intanto  prego 
il  Signor  Dio ,  che  conservi  lunghissimamente  Sua 
Illustrissima  Persona. 


DEL  REGNO  DI   NAPOLI 


I 


1  Regno  di  Napoli  è  quasi  il  terzo  dell' Italia  5  ha  for- 
ma di  penisola  j  non  confina  con  altro  stato  che  col- 
r Ecclesiastico,  ed  il  resto  vien  circondato  dal  Mar  Tir- 
reno ,  Siciliano  ,  Jonio  ,  ed  Adriatico. 

Confina  coli' Ecclesiastico  per  lo  spazio  di  cento  cin- 
quanta miglia ,  cioè  dal  fiume  Ufento  che  sbocca  nel 
Mar  Tirreno  infino  al  Fiume  Tronto  che  entra  nel  iMare 
Adriatico. 

Il  circuito  del  detto  Regno  è  da  mille  e  cinquecen- 
to miglia. 

È  di  lunghezza  cinquecento  miglia  incominciando 
dalla  terra  della  Leonessa  di  Abruzzo  infino  al  Capo  di 
Sparlivento  posto  in  Calabria ,  benché  si  camini  per  li- 
nea curva. 

La  sua  maggior  larghezza  è  da  cento  trenta  miglia, 
cioè  dal  Capo  della  Campanella  posto  nel  Golfo  di  Na- 
poli infino  al  Monte  Sant'  Angelo  di  Puglia. 

La  maggior  strettezza  è  dal  Golfo  di  Santa  Eufemia 
infino  alla  terra  di  Catanzaro  in  Calabria ,  e  serra  ^^ 
spazio  di  venti  miglia. 

Il  mezzo  01  esso  sarà  lu  duglia  presso  la  terra  di  Troja. 

18 


i38  PORZIO 

Ha  il  Regno  vicino  lo  stato  de'  Veneziani  a  cento  mi- 
glia di  mare,  del  Turco  a  cinquanta,  l'Africa  a  meno  di 
dugento,  la  Sicilia  ad  un  miglio    e  mezzo!  Lo  stato  del 
Duca  di  Firenze  gli  è  presso  a  cinquanta  miglia  di  terra. 
È  Regno,  paragonato  a'  Regni  di  Francia  e  di  Spa- 
gna, di  piccolo  paese,  ma  per  altra  qualità  non  inferiore 
ad  alcuno  di  essi  :    anzi    s'  egli  è  lecito    di  far  paragone 
delle  cose  minori  alle  maggiori    è  più  abbondante   e  più 
armato  e  più  ricco  di  loro.  E  della  sua    ricchezza  ne  fa 
certissimo  giudizio  il  gran  danaro    che  ne  cava  il  Re ,  e 
quello  che  vi  portano  ogni  anno  i  forestieri  per  comprar 
diverse  robe.  Del  quale  danaro    che  vi  entra  ,    non  esce 
la  decima  parte  :    imperocché    da'   panni    fini   e  ferri  fini 
iu    fuori    i  Regnicoli   non    sentono    d' altro    se   non  poco 
mancamento  :  e  quelle  due  cose  ancora  in  maggior  parte 
le  cavaaio  da  provincia  assai  vicina  come  è  Toscana. 

È  numerato  dalla  Regia  Corte  in  fuochi  481  Sai,  non 
numerandoci  la  Città  di  Napoli  e  suo  distretto ,  né  la 
Città  di  Benevento  che  è  della  Sede  Apostolica.  Ma  per- 
chè i  popoli  per  la  gravezza  de'  pagamenti  occultano  il 
vero  numero  de'  fuor.hi,  si  può  credere  che  il  Regno 
ascenda  al  numero  di  fuochi  seicentomila. 

E  diviso  il  Regno  nelle  infrascritte  nove  Provincie  : 

Terra  di  Lavoro  Terra  di  Bari 

Principato  Ciira  ed  Ultra  Capitanata 

Calabria  Citra  ed  Ultra  Contado  di  Molise 

Basilicata  Abruzzo  Ciira  ed  Ultra. 
Terra  di  Otvdnto 


BELAZIONE  DEL  REGNO  Dt  NAPOLI  iSg 

Di  Terra  di  Lavoro. 

La  Provincia  di  Terra  di  Lavoro  dall'  Oriente  ha  il 
fiume  Sarno,  dall'occidente  il  fiume  Ufenlo,  da  mezzodì 
il  Mar  Tirreno  ,  e  dal  Selleutrione  il  Monte  Appennino  ^ 
ed  i  Latini  parte  ne  chiamarono  il  Lazio  e  parte  Cam- 
pagnaj  e  concordemente  da  tutti  gli  scrittori  è  stimata  la 
più  bella  regione  del  Mondo  per  la  temperie  dell'  aria  , 
per  la  grassezza  del  terreno  e  per  gli  luoghi  piacevoli  e 
pescosi  posti  sopra  la  riva  del  mare.  Onde  i  Romani  in 
quella  più  che  in  altra  parte  presero  i  lor  diletti;  di  che 
rendono  fede  le  rovine  de'  lor  superbi  edificii,  che  si  veg- 
gono in  questa  provincia  e  massimamente  nel  Golfo  di 
Pozzuoli.  La  maggior  parte  d'essa  è  piana  ,  ed  abbonda 
di  nobilissimi  vini ,  principalmente  del  vin  Greco  5  di 
assaissimi  frutti  j  vi  si  fa  il  solfo  ,  1'  alume  di  rocca , 
ed  il  sale^  vi  nasce  il  lino  sottilissimo,  e  del  canape  as- 
sai ,  che  serve  per  le  funi  e  per  le  vele  delle  galee  j  si 
tessono  nella  città  di  Napoli  ogni  sorte  di  drappi  di  seta 
con  gran  maestria  j  e  si  condiscono  i  frutti  ed  i  fiori  col 
zuccaro  soavissimamente  j  e  vi  suuo  legnajuoli,  che  di  ta- 
vole., massimamente  di  quelle  di  noce,  fanno  artificiosi 
lavori;  e  finalmente  il  paese  è  pieno  di  tutto  quello  che 
fa  bisogno  al  vitto  ed  al  piacere  umano  :  anzi  in  alcuna 
parte  di  esso  sorgono  molte  acque  giovevoli  all'infermità^ 

La  gente  di  Terra  di  Lavoro  è  per  lo  più  altiera  , 
vantatrice,  pronta  all'armi  ed  alle  brighe,  oziosa,  e  mal 
volentieri  esce  fuori  di  casa;  veste  pomposamente  »  *^0D" 
versa  eoa  molta  creanza  di  parole   <>  'li  gesti. 


l4o  PORZIO 

È  questa  provincia  molestata  grandemente  da'  terre- 
moti ,  e  dagli  incendii  della  natura  ,  dalla  quale  è  anco 
grandemente  contra  gì'  ioimici  difesa  j  perchè  d'  ogni  in- 
torno viene  serrata  dal  mare  e  dal  Monte  Appennino,  e 
due  o  tre  bocche  di  quello ,  per  le  quali  dall'  Ecclesia- 
stico si  scende ,  possono  esser  chiuse  dalle  terre  di  Gae- 
ta e  di  San  Germano.  JE  anche  fortificata  questa  regione 
dall'  acque  di  grossi  fiumi  ,  che  corrono  per  lo  mezzo  di 
essa  ,  e  sono  tre  ,  GarigUano  detto  Liri  da'  Latini ,  Vol- 
torno  ,  e  Sarno. 

Ha  quattro  laghi ,  di  Fondi ,  di  Patria ,  di  A  verno , 
e  di  Agnano. 

Ha  tre  porti  ,  Gaeta,  Baja  ,  e  Napoli. 
Ha  tre  isole  ,  Ischia  ,  Procida,  abitate,  e  Nisita  iso- 
letta piacevole  che  ha  grossa  e  forte  torre. 

È  numerata  questa  provincia  dalla  Regia  Corte  in 
fuochi  18237. 

Vi  possiede  il  Re  terre  di  demanio ,  Gaeta ,  Capua, 
Nola  ,  A  versa  ,  Pozzuoli  ,  Ischia  ,  e  Napoli. 

Vi  tiene  queste  fortezze,  Gaeta,  Ischia,  Baja,  Ca- 
pua, Napoli,  dove  ne  sono  Ire,  oltra  la  torre  di  S.  Vin- 
cenzo ,  ed  in  Gaeta  olirà  la  fortezza  tiene  anco  un  pre- 
sidio alla  terra. 

Vi  sono  soldati  del  Battaglione  fatti  e  da  farsi,  se- 
condo ordina  la  Pragmatica  Regia,    2911. 

Ha  questa  provincia  due  Arcivescovati  ,  Napoli  e 
Capua. 

Ha  venti  Vescovati,  Fondi,  Gaeta,  Sora ,  Aquino, 
Mont^casino  ,  Sessa  ,  Carinola  ,  Venafri  ,  Tiano ,  Calvi , 
Cajazzo  ,  Cascitu  ,    Aversa  ,    Pozzuoli ,    Acerra  ,    Nola  , 


RELAZIONE    DEL    IIEGNO    HI    NAPOLI  l4l 

Sani'  Agaia  ,  Alife  ,  Telese  ,  Ischia  ,  de'  quali  a  nomi- 
nazione del  Re  ve  ne  sono  Gaeta  ,  Pozzuoli  ,  Acerra. 
Vi  ha  anco  il  Re  beneflcii  de  jure  patronato  Begio 
a  Napoli  due  solto  il  nome  di  Santo  Luise,  e  S.  Agnello 
e  Santa  Catarina  ,  a  Pozzuoli  Santa  Maria  ,  ad  Aquino 
S.  Pietro,  a  Caserta  S.  Giovanni  e  Santo  Andrea,  a  Ca- 
pua  Santa  Maria  di  Mater  Domini ,  S.  Lorenzo,  S.  Ma- 
ria Maggiore  ,  ad  A  versa  la  Maddalena. 

Sono  in  Terra  di  Lavoro  Baroni  titolali,  il  Principe 
di  Conca  ,  il  Duca  di  Sessa  ,  il  Duca  della  Rocca  di 
Mondragone  ,  il  Duca  di  Soia,  il  Duca  di  Traetlo,  il  Du- 
ca di  Maddaloni  ,  il  Duca  di  Somma  ,  il  Marchese  della 
Torre  di  Francolise  ,  il  Marchese  di  Lauro  ,  il  Conte  di 

Cajazzo,  il  Conte  di 

Si  fa  in  questa  provincia  due  volte  1'  anno  nella  Città 
di  A  versa  una  grossa  fiera. 

Il  Governatore  di  Terra  di  Lavoro  è  il  Viceré  di 
Napoli  ,  che  risiede  nella  detta  città  ,  ed  è  superiore  a 
tutti  gli  altri  Governatori  delle  provincie  del  Regno. 
Tiene  per  guardia  quaranta  Alabardieri  Spagnuoli  ,  cento 
gentiluomini  a  cavallo  ,  cinquanta  regnicoli ,  e  cinquanta 
Spagnuoli  ,  che  si  chiamano  continovi,  e  per  guardia  del 
suo  palazzo  vi  stanno  soldati  Spagnuoli  al  numero  di 
cinquanta. 

La  Città  di  Napoli  pienissima  di  popolo  e  di  no- 
biltà, ornata  di  edificii,  di  forti,  e  di  giardini  piacevo- 
lissimi, non  è  solamente  il  capo  di  Terra  di  Lavoro,  ma 
di  tutto  il  Regno  ,  in  modo  che  ciò  eh'  ella  fa  in  ser- 
vizio o  di  servizio  del  Re  è  seguito  da  tutto  il  reato.  Vi 
è  la  zecca  dove  si  batte  il  danaro  di  mito  il  Regno,  vi 


t^2  PORZIO 

è  lo  studio  generale,  ed  assai  uomini  doti!  nelle  leggi.  Ha 
molti  privilegii  che  non  hanno  le  altre  Città  del  Regno, 
ed  il  maggiore,  che  ogni  cittadino  suo  possa  chiamare  alla 
Corte  di  Napoli  qualunque  regnicolo  per  qualsivoglia  cosa, 
che  pretende  da  lui,  ed  esso  non  possa  esser  chiamato  in 
altra  Corte  che  nella  propria. 

Sono  iu  detta  Città  più  Tribunali  che  servono  a  lei 
ed  al  Regno.  Il  Tribunale  della  Zecca  ha  cara  de'  pesi 
e  misure.  Il  Tribunale  della  Gran  Corte  della  Vicaria  agita 
cause  di  non  molta  importanza,  e  le  criminali.  Il  Consi- 
glio di  Capuana  tratta  le  più  gravi  liti  del  Regno,  e  ri- 
ceve r  appellazioni  civili  e  criminali.  Il  Tribunale  della 
Camera  ha  cura  delle  entrate  e  patrimonio  del  Re.  II 
Consiglio  Collaterale  spedisce  le  suppliche  che  si  danno 
al  Viceré  per  diversi  negozii.  Il  Consiglio  dello  stato  in- 
tende le  cose  i^ertinenti  alla  guerra  ed  alla  difensione  del 
Regno,  Vi  tiene  anco  il  Re  tre  Avvocati  ,  1'  uno  contra 
i  delinquenti,  l'altro  a  difesa  del  suo  patrimonio,  il  terzo 
a  difesa  de'  poveri. 

Questa  Città  è  privilegiata  ancora  di  corpi  di  San- 
tissimi Martiri  e  principalmente  del  Vescovo  Gennaro  , 
il  capo  del  quale  incoalrandosi  col  sangue  di  Ini  che 
pienamente  si  conserva  ,  di  durissimo  ,  che  egli  è ,  si  li- 
quefa in   modo  che  par  che  bolla. 

È  ancora  in  Terra  di  Lavoro  il  ricco  Monastero  di 
Monte  Casino,  dove  si  riverisce  il  venerabile  corpo  di  San 
Benedetto. 


nELAZIOKE    DEL    REGNO   DI    KAPOU  l^'i 

Di  Principato  Citra  ,  ed  Ultra. 

Appresso  Terra  di  Lavoro    seguita    la    provincia    di 
Principato,  lo  quale  dall'Oriente  ha  il  fiume  di  Casiro- 
cucco,  chiamato  da'  Latini  Laus,  ed  al  presente  da  molli 
si  dice  Laino,  e  dall'occidente  ha  il  fiume  Sarno.  Gli  an- 
tichi abitatori  di  lei  furono  Picentini  e  Lucani.  È  regione 
montuosa  e  selvosa  ed  in  alcun  luogo  asprissima^  produ- 
ce legni  da  far  vascelli  ;  abbonda  di  ghiande    e  di  porci 
per  la  moltitudine  di  boschi  ,    che  sono  ancor  causa  che 
molti  de' paesani  diventino  ladri  j  vi  si  nutrisce  assai  be- 
stiame minuto  j  vi  si  fa  della  carne  salata  e  del  formag- 
gio j    vi  si  conciano  delle  pelli  j    e  vi    si  raccoglie   delle 
nocelle   e  del  lino  grosso.    Le  marine  di   essa    sono  così 
copiose  di  pesce  che  in  alcun  luogo  si  sala,  e  le  costiere 
di  quella  sono  pienissime  di  cetrangolo  ,  di  cedri  ,    e  di 
limoncelli ,   che   si  sogliono   condurre   per  mare  alla  Città 
di  Roma ,  siccome  anche  si  conducono  di  Terra  di  Lavoro 
e  di  Calabria ,    nelle  quali    tre  sole  provincie    sono  quasi 
tutti  i  vascelli  del  Regno  ,  e  sono  di  forma  piccola,  e  si 
chiamano  barche,   falluche  ,  fregate,  e  navilii  ,    e  vi  sa- 
ranno anco  da  .   .   .  navi. 

La  gente  di  questa  provincia  è  fatigata,  jiovera,  in- 
dustriosa; e  tra  gli  altri  vi  sono  gli  Amalfitani  già  eccel- 
lenti marinari  e  che  ritrovarono  il  navigare  colla  calamita 
dagli  antichi  non  conosciuto.  Abitano  e  vestono  rozzamen- 
te, siccome  anche  si  fa  per  la  Calabria,  e  per  la  mag8'°f 
parte  del  Regno  ;  ed  il  loro  maggior  traffii"'»  ■*'  presente  e 
con  muli  di  sujud,  il  uuuiero  de'  quali  si  crede  che  pas- 


l44  PORZIO 

sino  i  settemila,  ma  sono  muli  piccoli  e  non  simili  a'  Fio- 
rentini. Tengono  anche  lo  studio  generale  nella  città  di 
Salerno  che  non  può  crear  dottori  se  non  nelle  medicine. 
Per  esser  il  Principato  un  paese  così  dentro  di  terra 
come  sopra  il  mare ,  e  per  non  aver  porti  capaci  di  ar- 
mate ,  non  teme  molto  de'  nemici  ,  e  perciò  anche  il  Re 
non  vi  tiene  fortezza  alcuna. 

Corrono  per  esso  assai  fiumi,  ed  il  maggiore  è  il  Sele 
detto  dai  latini  Silaris,  che  trasforma  in  sasso  le  frondì 
ed  i  legni  che  vi  cascano  dentro.  Vi  è  il  fiume  Vicen- 
tino ,  quello  della  Molpa  e  di  Policastro. 

Ha  un  lago  chiamato  del  Vallo  di  Diano. 
Ha  due  isole  ,  Capri  grande  ed  abitata  ,    la  Licosa 
piccola  e  deserta. 

E  numerata  dalia  Regia  Corte    questa   provincia    in 
fuochi  78097. 

Vi  possiede  il  Re  terre  di  demanio,  Sorrento,  Massa, 
Capri  ,  la  Cava  ,  Marsico  nuovo  ,  e  Maratea. 
Vi  sono  soldati  del  Battaglione  3094. 
Ha  questa  provincia  quattro  Arcivescovati ,  Amalfi  , 
Sorrento  ,    Salerno  ,  e  Consa. 

I  vescovati  sono  ventisei  ,  Castellammare  ,  Vico  , 
Massa  ,  Lettere  ,  Scala  ,  Capri  ,  Minori ,  Nocera  ,  Sarno, 
Ravello  ,  Cava  ,  Marsico  ,  Acerno  ,  JN'usco  ,  Policastro  , 
Campagna  ,  Monteverde  ,  Caggiano  ,  Cedogna ,  Capaccio, 
Montemarano  ,  Sant'  Angelo  ,  Avellino  ,  Ariano  ,  Vultu- 
rara  ,  Vico  della  Baronia.  De'  quali  a  nominazione  del 
R«  sono  Salerno,  Castellammare,  Ariano.  I  beneficii  de 
jur'e  Patiunafo  Regio  sono  nella  Diocesi  di  Capaccio  , 
S.  Egidio  di  Altavilla,   e  S.  Miite;-,   tlel  Barello. 


RELAZIONE    DEt    REGNO    Dt    NAPOtt  ì ^5 

I  Baroni  titolali  di  Principato  sono  il  Principe  di 
Salerno,  il  Duca  di  Amalfi,  il  Duca  di  Nocera,  il  Duca 
della  Tripalda  ,  il  Marchese  di  Campagna  ,  il  Marchese 
di  Casalalbero  ,  il  Marchese  di  Padulo  ,  il  Marchese  di 
Brienza  ,  il  Conte  di  Altavilla  ,  il  Conte  di  Montecalvi , 
il  Conte  di  Policastro,  il  Conte  di  Montemiletto,  il  Conte 
della  Rocca  dell'Aspro,  il  Conte  di  Sarno,  il  Conte  della 
Torcila  ,  il  Conte  di  Serino. 

Si  fa  in  questa  provincia  due  volte  l'anno  una  gran 
fiera  nella  Città  di  Salerno. 

Essendo  il  Principato  paese  grande  è  diviso  in  Citra 
ed  Ultra^  ed  ha  due  governatori.  L'uno  di  essi  cioè  quello 
di  Principato  Citra  risiede  nella  Città  di  Salerno  ed  ha 
seco  due  giudici ,  che  si  chiamano  Auditori. 

II  Governatore  di  Principato  Ultra  risiede  nella  Terra 
di  Avellino  ed  ha  due  Auditori.  L'uno  e  l'  altro  di  essi 
(  siccome  fanno  ancora  lutti  gli  altri  governatori  del  Re- 
gno )  hanno  dal  Re  un  Avvocato  Fiscale,  un  Avvocato 
per  gli  poveri ,  un  Segretario  ,  e  per  la  guardia  alquanti 
Alabardieri  Italiani  e  molte  famiglie  di  corte  col  bargello 
che  vanno  perseguitando  e  prendendo  i  malfattori  ed  i 
banditi  della  provincia. 

In  questi  paesi  nella  Città  di  Amalfi  è  veneralo  il 
corpo  del  gloriosissimo  Apostolo  Santo  Andrea,  che  butta 
fuori  un  liquore  giovevole  all'  infermità  ,  che  chiamano 
Manna  ,  e  nella  Città  di  Salerno  il  Santissimo  corpo  del- 
l'Apostolo  jd  Evangelista  Matteo. 

E  nel  Monte  delfe  Vergine  è  un  tempio  di  tanta 
religione ,  che  non  vi  si  mangia  mai  »^  ^a^te  ->  né  carne, 
e  poetativi  subiiaraeote   marciscono  j     e   la    religione    ds' 

^9 


l46  !>  0  R  f  I  0 

frali  di  quel  tempio  non  si   trova  in  altro   luogo  fuorché 
in  Terra  di  Lavoro, 

Di  Calabria  Cltra  ed  Ultra. 

La  provincia  di  Calabria  Citra  ed  Ultra  ha  dall' O- 
viente  il  Golfo  di  Taranto  ,  dall'  Occidente  il  detto  fiume 
di  Castrocucco  y  dove  termina  il  Principato.  Nella  quale 
abitarono  già  Bruzii  e  Greci ,  onde  acquistò  il  nome  di 
Magna  Grecia,  ed  è  la  maggior  provincia  di  tutte  le  altre 
del  Regno ,  posta  sopra  il  mare  per  più  di  trecento  mi- 
glia. E  benché  sìa  montuosa  è  nondimeno  abbondante  di 
grano ,  di  olio  ,  di  perfetti  vini ,  che  in  gran  quantità 
si  conducono  per  mare  alla  Città  di  Roma.  Produce 
legni  da  far  vascelli  ,  e  grandissimi  ed  altissimi  alberi , 
le  carni  da  mangiare  ottime,  e  vigorosi  cavalli.  Ma  sopra 
ogni  altra  cosa  abbonda  in  tanto  di  seta  che  ne  dà  a 
tutta  r  Italia  ed  a  molti  luoghi  di  fuori,  Sonovi  anco 
presso  la  terra  di  Stilo  le  miniere  del  ferro,  e  vi  sareb- 
bero di  azzurro  simile  all'  oltramarino  e  di  argento  e  di 
oro,  se  fosse  più  il  guadoguo  che  il  dispendio  a  cavarle. 
Vi  casca  dal  cielo  la  Manna  utilissimo  medicamento  ; 
vi  si  fa  gran  copia  di  zuccaro  ,  di  mele ,  di  cera  ,  di 
pece  ,  di  trementina  ,  di  bambagia ,  di  tela  ,  di  formag- 
gi. Vi  sono  gran  cacce  di  animali  selvaggi,  ed  in  alcuna 
parte  in  luogo  di  candele  abbruciasi  del  legno  di  teda. 
Pigliasi  nelle  marine  di  lei  e  si  sala  gran  quantità  di 
pesco ,  e  tra  gli  altri  pigliasi  il  pesce  spada  di  smisurata 
grandezza  e  Ji  eccellente  carne.  Fa  grandissima  copia 
di  sale  ^    non  tanto  di  acqua  cU  uiatc ,  ^uaato  di  pietre 


RELAIIONE   DEL    AEGWO    DI    NAPOLI  l47 

che  si  cavano  da'  monti ,  ed  è  più  perfetto  del  marino: 
vi  si  pesca  anche  del  corallo. 

Usano  i  Calabresi  più  di  tulli  i  regnicoli  il  mare 
e  vi  riescono  buoni  marinari  :  sono  acuti  d'  ingegno  e 
pieni  di  astuzia  ,  forti  e  nervosi  ,  atti  a  patir  sete  e  fa- 
me ,  coraggiosi  e  destri  nel  maneggiar  le  armi,  e  sareb- 
bero senza  dubbio  i  migliori  soldati  d' Italia  ,  se  non 
fossero  instabili  e  sediziosi.  Da  qui  nasce  che  la  pro- 
vincia sia  sempre  piena  di  fuorusciti  e  di  ladrij  la  quale 
quantunque  sia  circondata  dal  mare  ,  nondimeno  per  es- 
sere le  riviere  di  quella  piene  di  scogli  e  sassose ,  e 
sottoposte  al  vento  di  Maestrale  e  di  Libeccio  ,  e  per 
non  avere  dalla  fossa  di  S.  Giovanni  in  fuori  porto  ve- 
runo, non  può  ricevere  molto  danno  dall'armate  nimi- 
che  j  e  perciò  il  Re  vi  tiene  poche  fortezze  e  quelle 
mal  fornite. 

I  prindpali  fiumi  di  questa  regione  sono  quello  di 
Terranova  detto  da'  Latini  Metauro  .... 

Ha  sette  Isole  già  chiamate  Eolie  ,  delle  quali  al 
presente  non  è  abitata  fuorché  1'  isola  di  Lipari. 

La  Calabria  Citra  ed  Ultra  è  numerata  dalla  Regi* 
Corte  in  fuochi   106129. 

Vi  possiede  il  Re  terre  di  Demanio  Catanzaro,  Man- 
tea  ,  Tropea  ,  Scigliano  ,  Rossano  ,  Longobuco  ,  Belmon- 
te,  Motta  Siderone,  Stilo,  Cosenza,  Taverna,  Reggio, 
Cotrone ,  Santa  Agata  ,  Policastrello  ,  Lipari. 

Vi  tiene  queste  fortezze  Mantea,  Cosenza,  Cotrone, 
Tropea  ,  ed  in  tempo  di  sospizioue  di  armata  Turchesca 
il  presidio  a  Cotrone. 

Vi  snno  fanti  Hi  tattaglioac   5iiO> 


14"  PORZIO 

Ha  la  Calabria  quattro  Arcivescovati  Cosenza,  Reg- 
gio ,   Rossano  ,  Sautaseverina. 

I  vescovati  sono  ventiline  ,  Cassano  ,  Nicastro  ,  Ca- 
tanzaro ,  Tropea  ,  Oppido  ,  Cotrone ,  Girace ,  Squillace, 
Nicotera  ,  Bove,  Marlorano  ,  Bisignano  ,  Briatico  ,  San 
Marco  ,  Belcastro  ,  Isola  ,  Sitomense  ,  Fiorentino  ,  Stron- 
goli ,  Mileto  ,  Cariati  ,  Lipari  j  de'  quali  a  nominazione 
del  Re  sono  Reggio ,  Cassano,  Tropea,  Cotrone,  Lipari. 
I  benefìcj  de  jure  patronato  Regio  sono  a  Reggio  S.  Ma- 
ria della  Cattolica  ,  a  Cotrone  Santa  Maria  de  Protospa- 
tariis,  a  Catanzaro  S.  Gio.  Batista,  Santa  Maria,  S.  Gior- 
gio ,  S.  Vitigliano. 

Ha  la  Calabria  Baroni  titolati  il  Principe  di  Bisi- 
gnano ,  il  Principe  di  Mileto  ,  il  Principe  della  Scalea  , 
il  Principe  di  Squillace  ,  il  Duca  di  Castrovillari,  il  Duca 
di  Seminara  ,  il  Duca  di  Monteleone  ,  il  Duca  di  Moa- 
talto  ,  il  Duca  di  Terranova  ,  il  Marchese  d'  Atena  ,  il 
Marchese  di  Castelvetere  ,  il  Marchese  di  Laina,  il  Mar- 
chese di  Santo  Lucido,  il  Marchese  della  Valle,  il  Conte 
di  Briatico,  il  Conte  di  Condejanue,  il  Conte  di  Marto- 
rano ,  il  Conte  di  Nicastro  ,  il  Conte  di  Sinopoli  ,  il 
Conte  di  Santa  Severiua  ,  il  Conte  di  Siiubari. 

Tiene  il  Re  in  questa  provincia  la  razza  de'  cavalli. 

Vi  si  fanno  a  Monteleone  due  gran  fiere  per  la  Mad- 
dalena e  per  San  Luca. 

II  Governatore  di  Calabria  sta  nella  Città  di  Cosen- 
za con  tre  Auditori. 

In  Calabria  è  San  Stefano  ricco  Monastero  di  Cer~ 
tosini ,  «  vi  riposano  l' ossa  del  Beato  Bruno. 


RELAZIONE  DEL  REGNO  DI  «APOLI  1 49 

Di  Basilicata. 

La  provincia  di  Basilicata  è  quasi  tutta  dentro  di 
terra ,  fralla  Calabria  ,  Terra  di  Otranto  ,  e  di  Bari ,  ed 
ha  solamente  verso  I'  oriente  nel  Golfo  di  Taranto ,  dove 
finisce  la  Calabria,  un  piccolo  spazio  di  mare.  Abitarono 
già  in  essa  Greci  e  Lucani.  Abbonda  di  grano  ,  di  be- 
stiame grosso ,   e  di  formaggi. 

I  paesani  vivono  e  vestono  grossamente  j  sono  più 
inclinati  all'  agricoltura  e  ad  altri  servigi  personali  ,  che 
al  maneggiar  1'  armi  ;  e  non  potendo  per  mare  cavar  fuori 
della  provincia  tutto  il  loro  frumento ,  insieme  cogli  uo- 
mini di  Principato  lo  portano  a  schiena  di  mulo  a'  popoli 
vicini  che  ne  hanno  bisogno ,  e  conducono  anco  in  Terra 
di  Bari  di  molte  some  di  galle  che  di  là  si  navigano  a 
Venezia  per  tingere  i  panni. 

Questa  provincia  per  esser  dentro  di  terra  è  senza 
gran  città  e  senza  uomini  guerrieri.  I  Re  di  Napoli 
non  pensarono  mai  di  farci  delle  fortezze  ^  sì  che  sareb- 
be preda  di  qualunque  esercito  che  fosse  padrone  della 
Campagna. 

Corrono  per  essa  il  fiume  Vasento  sino 

È  numerata  dalla  Regia  Corte  in  fuochi  38743« 

Il  Re  vi  possiede  due  piccole  terre  di  Demanio,  La- 
gonegro  e  Tramutole. 

Vi  ha  fanti  del  Battaglione   i537. 

I  Vescovati  sono  Potenza,  Venosa,  Anglona,  Trira- 
rico,  Montepeloso,  Muro,  Melfi,  Marsicq.  A  «ouiinazione 

del   Ro    è    Potenza. 


i5o  Ponzio 

I  Baroni  titolati  di  questa  provincia  sono  il  Prin- 
dpe  di  Melfi  ,  il  Principe  di  Stigliano  ,  il  Principe  di 
Venosa ,  il  Marchese  di  Lavello  ,  il  Marchese  di  Riolo , 
il  Marchese  di  Turso ,  il  Conte  di  Potenza ,  il  Conte  di 
Saponara. 

II  Governatore  di  Basilicata  è  i'  istesso  di  Principa- 
to Citra. 

Di  Terra  di  Otranto, 

La  provincia  di  Terra    di   Otranto    dalla   parte    del 
Mare  incomincia  al  territorio    di    Taranto ,    che    T  è    dal 
mezzodì  ,    e    finisce   a    quello   di  Brindisi   postole  a  tra- 
montana.   I  Latini  la  chiamarono  Salentini  ,  e  non  sola- 
mente è  la  estrema  provincia    del    Regno  ,   ma    di    tutta 
r  Italia.  Non  perciò  è  1'  ultima  di  qualità,  essendole  con- 
cesse dall'  arte   e  dalla  natura   molte    doli.    Imperciocché 
vi  è  una  saluberrima  aria  ,    gli  animali    che  si  mangiano 
d'  ottime  carni ,  abbonda  di  eccellenti  cavalli ,    di  muli , 
e  di  somari  alti  e  grossi  al  pari  de'  muli.  Il  mare,  mas- 
simamente quello  di  Taranto,  è  si  copioso  di  pesce ,  che 
diede  maraviglia    a'  Romani  dominatori    del    mondo.    Il 
terreno   quantunque   sia   pieno    di  sassi  ,    produce    olio  , 
zafferano  ,  bambagia,  e  vino  in  gran  copia  ,  e  ,  quel  che 
è  più    di  considerazione  ,    per  la   gran  quantità    dell'  olio 
mancando  a'  paesani  i  vasi  da  serbarlo  ne  empiono  i  poz- 
zi ,    il  sasso  de'  quali   è  di  tal  natura  che  non   lo    suga. 
Vi  si  fa  anche  il  sale  ,  e  la  regione  è  tutta  abitata ,    ed 
^a  grosse  città  dove  concorrono    molti    mercatanti    fore- 
stieri   e  aa  Rpgno    a  far  diversi   traffichi  ,    ma  più    per 
condurre  dell'  olio  nella  ]juuitr«rd:«  «  nella  Città  di  Ve- 


« 


BELAIIONE    DEL   REGNO    DI    NAPOII  l5l 

nezia  ,  dove  da  qui  e  da  Terra  di  Bari  è  un  frequeiitis- 
sinio  commercio  ,  e  vi  sì  portano  non  che  altro  i  ce- 
trangoli ed  i  limoncelli.  Viene  alle  volte  infestata  questa 
provincia  da'  bruchi  animaletti  che  distruggono  i  semi- 
nati ,  siccome  anche  accade  alla  Puglia  :  ma  qui  sono 
in  parte  divorali  dagli  uccelli  Gavii.  Gii  uomini  del  paese 
sono  armigeri  e  coraggiosi  tanto  che  fuggono  il  naviga- 
re, siccome  avviene  al  resto  de'  Regnicoli  che  abitano  le 
riviere  del  Mare  Adriatico  j  il  che  nasce  dalla  grassezza 
del  paese.  E  perciò  i  marinari  ,  pescatori ,  e  legni  che 
usano  in  questo  mare  ,  escono  quasi  tutti  dal  dominio 
Veneziano.  Lavorano  nella  Città  di  Lecce  a  meraviglia  il 
cerarne  formandone  diverse  cose.  Gli  uomini  Otrantini  han 
preso  molti  costumi  da'  Greci  non  solamente  per  la  vi- 
cinità delle  regioni  ,  ma  perchè  fra  di  loro  vi  sono  assai 
torrette  di  abitatori  Greci  passativi  ad  abitare  per  la  co- 
modila ,  e  per  le  persecuzioni  che  sostennero  gli  anni 
passati  dalla  nazione  Turchesca. 

Non  può  esser  questo  paese  facilmente  dall'  armate 
nimiche  assaltato  sì  perchè  come  si  è  detto  abbonda  di 
fanti,  di  cavalli,  e  di  terre  grosse  ed  alquanto  fortifica- 
te ,  si  perchè  i  lidi  del  mare  sono  pieni  di  scogli  e  pri- 
vi di  ridotti ,  e  grandemente  infestati  dal  vento  Levante 
e  Greco.  E  ben  vero  che  per  esser  Terra  di  Otranto  pros- 
sima allo  stalo  del  Turco  cinquanta  miglia ,  sta  in  mag- 
gior pericolo  di  ricever  danno  da  lui  che  tutto  il  restante 
del  Regno. 

Questa  provinda  e  le  altre  due ,  che  seguono  ,  per 
la  soverchia  caldezza  dell'  aere  non  salano  le  «»'0i  j  Jl 
che  anche  si  attribuisce  all'  ;«»i.cri«lone  del  lor  sale,  ben- 


l52  P  0  R  Z    IO 

che  nella  Città  di  Taranto  si  sali  il  pesce  ottimamente. 
È  ancora  regione  molto  secca  ,  e  non  vi  è  altro  maggior 
fiume  che  quello  chiamato  Galise, 

Ha  due  porti  nobilissimi  per  quanto  siano  per  tutta 
l'Europa,  Taranto  e  Brindisi.  Egli  è  vero  che  la  bocca 
di  quello  di  Taranto  è  stata  da  sassi  e  dal  terreno  ripie- 
na ,  in  modo  che  non  vi  possono  entrare  legni  grossi.  Il 
che  mi  persuado  che  fosse  fatto  da'  paesani  al  tempo  de' 
Saracini  per  privarH  della  commodità  di  quel  porto.  Quello 
di  Brindisi  è  stato  medesimamente  dal  terreno  in  alcuna 
parte  diminuito.  Vi  è  anco  una  piaggetta  che  serve  per 
porto  alla  Città  di  Lecce ,  nominata  S.   Cataldo. 

Ha  un  lago  piccolo,  ma  pescoso,  chiamato.   ... 

Terra  di  Otranto  è  numerata  dalla  Regia  Corte  in 
fuochi  50874- 

Vi  possiede  il  Re  terre  di  Demanio  Otranto,  Ostuni, 
Lecce  ,  Sguinzano  ,  Gallipoli  ,  Taranto  ,  Brindisi. 

Vi  tiene  queste  fortezze  Otranto  ,  Gallipoli ,  Taran- 
to ,  Lecce  ,  Brindisi  ,  dove  ae  sono  due  ,  ed  un  fort  e  j 
e  tiene  anche  munita  la  Torre  della  piaggia  di  S.  Catal- 
do ,  ed  in  tempo  di  sospezione  di  armata  Turchesca  da 
Lecce  in  fuori  pone  anco  il  presidio  nelle  sopraddette  terre. 

Vi  sono  soldati  di   Battaglione  2543. 

Ha  questa  provincia  tre  Arcivescovati  Taranto  ,  O- 
trantp  ,  Brindisi. 

I  Vescovati  sono  Mottola  ,  Castellaneta  ,  Ostuni , 
Castro,  Gallipoli,  Lecce  ,  Ugento  ,  Leucadense,  Nardo. 
A  nominazione  del  Re  sono  Taranto  ,  Gallipoli  ,  Ugento, 
Otranto,  Brindisi,  Mottola.  I  beneficj  de  jure  jtalronaio 
Regio  sono  a  Lecce  i„  Trinila  ,  S.Tommaso»  Santa  Ma-» 


I 


RELAZIONE  DEL  REGNO  DI  NAPOLI  l53 

ria  del  Paradiso ,  S.  Martino ,  S.  Niccola  ,  S.  Leonardo, 
a  Brindisi  San  Dionigi. 

Baioni  titolati  sono  il  Duca  di  Martina ,  il  Duca  di 
Nardo,  il  Marchese  di  Corigliano,  il  Marchese  d'  Oria,  il 
Marchese  di  Convertine ,  il  Marchese  della  Terza,  il  Mar- 
chese di  Specchia ,  il  Conte  di  Misciagna ,  il  Conte  di 
Ugento  ,  il  Conte  di  Castro. 

Si  fa  nella  città  di  Lecce  una  grossa  fiera  per  la  fe- 
sta dell'  Annunciata. 

Risiede  il  Governatore  di  questa  provincia  nella  città 
di  Lecce  con  tre  Auditori. 

Si  conservano  in  questa  Regione  nella  città  di  Otran- 
to r  ossa  degl'  infiniti  cittadini  ,  che  morirono  martiri 
per  la  nostra  fede  nella  presa  di  questa  città  fatta  da'  Tur- 
chi r  anno  i43i. 

Di  Terra  di  Bari- 

Terra  di  Bari  ha  nell'oriente  il  territorio  di  Brindisi, 
dall'  occidente  il  fiume  Ofauto  ,  e  fu  chiamata  da'  Latini 
Apulia  Peucezia.  E  benché  sia  piccola  provincia  ,  per 
bontà  del  terreno  e  per  moltitudine  di  terre  non  è  in- 
feriore! a  nessun' altra  del  Regno,  e  forse  d'Italia.  Abbon- 
da di  grano,  d'  olio ,  di  zafferano  ,  di  bambagia,  di  vino, 
di  salnitro  ,  di  sale  ,  e  di  mandorle  in  tanta  copia  che 
vi  si  veggono  boschi  di  quegli  alberi.  Per  le  quali  cose 
vi  concorrono  assai  mercanti.  Vi  si  confettano  i  passi,  il. .  .  . 
e  le  mandorle  eccellentemente.  Il  paese  è  tutto  piano,  e 
produce  uomini  poco  atti  alla  fatica  della  gufi^-^  '•>  e  per- 
ciò potrebbe  esser  offe&n    àsìU  pane    del    mare    e    dalla 


l54  PORZIO 

terra  ,  ancorché  il  Re  l' abbia  fatto  in  alcuna  delle  sue 
città  alquanto  forte.  E  ben  vero  che  dalla  parte  del  mare 
è  più  sicuro  che  di  terra  ,  non  essendovi  porto  alcuno. 
È  la  piaggia  molto  pericolosa,  stando  sottoposta  alle  tra- 
versie di  Tramontana  e  di  Greco  ,  ed  il  lido  del  mare 
ha  si  poco  fondo  che  è  necessario  alle  navi  che  van- 
no in  quelli  luoghi  di  stare  discoste  da  terra  un  lungo 
spazio.  E  siccome  il  mare  non  è  copioso  di  pesce ,  così 
la  terra  ha  tanta  carestia  di  acque  che  sarebbe  di  gran- 
de impedimento  alle  armate  ed  agli  eserciti  che  la  vo- 
lessero assaltare.  Dalle  quali  cose  chiaramente  appare  le 
tenute  fortezze  dal  Re  con  tanto  dispendio  sopra  questa 
marina  di  Terra  di  Bari  esser  quasi  inutili. 

E  numerata  dalla  Regia  Corte  in  fuochi  3886i. 

Vi  possiede  il  Re  terre  di  Demanio  Trani ,  Barlet- 
ta,  Bari,  Monopoli,  Bitonto ,  Bisceglia. 

Le  fortezze  sono  a  Barletta  ,  Trani,  Bari,  Monopoh, 
nelle  quali  terre  in  tempo  di  sospezione  di  armate  nimi- 
che  vi  pone  anche  il  Re  il  presidio  :  lo  stesso  fa  nella 
terra  di  Bisceglia. 

Ha  fanti  di  battaglione   1942. 

Ha  tre  Arcivescovati  Bari,  Tram,  Matera. 

I  Vescovati  sono  quindici  Gravina ,  Bitonto ,  Mol- 
letta ,  Giovenazzo  ,  Ruvo  ,  Polignano  ,  Minervino  ,  Con- 
versano ,  Bitetto,  Andria,  Bisceglia,  Monopoli,  Rapolla, 
Alessano  ,  Canne.  A  nominazione  del  Re  sono  Trani 
Matera,  Giovenazzo.  I  beneficii  de  jure  patronato  Regio 
sono  a  Bari  il  Priorato,  Tesorerato,  Cantorato ,  Sottocan- 
torato, e  lo.  metà  de'  Canonicali  di  S.  Niccola,  e  la  Cap- 
pella   di   S.    Ludovico,    a   Barletta   S.    Silvestro,    a   MoDO- 


» 


HELAZIONE    CEL    HEGNO    DI    NAPOLI  l5S 

poli  S.  Lucia,  S.  Kiccola,  a  Molfella  la  Cappella  tlell' al- 
tare maggiore  del  vescovato  ,  a  Traili  la  cappella  Reale 
dentro  l'arcivescovato,  ad  Altarnura  l'arcipretato. 

I  Baroni  litolati  di  terra  di  Bari  sono  il  Principe  «li 
Molletta  ,  il  Duca  di  Andria  ,  il  Duca  di  Gravina  ,  il 
Marchese  di  Quarata  ,  il  Marchese  di  Polignano,  il  Mar- 
chese di  Capurso  ,  il  Conte  di  Canosa. 

Si  la  in  questa  provincia  nella  Città  di  Bari  una  gran 
fiera  per  la  festa  di  S,  Niccola,  e  nella  terra  di  Barletta 
un'  altra  per  la  festa  di  S.  Martino. 

II  Governatore  di  questa  provincia  è  il  medesimo  di 
Terra  di  Otranto. 

Nella  città  di  Bari  in  un  ricco  tempio  si  conserva- 
no r  ossa  del  beatissimo  S.  Niccola,  dalle  quali  esce  un 
liquore  giovevole  all'  infermila  ,  che  i  paesani  manna  lo 
dicono. 

Di  Capitanata ,  owero  Puglia  Piana. 

Distendesi  la  provincia  di  Capitanata,  della  da'  La- 
tini Apulia  Daunia  ,  dal  fiume  Ofanto  al  fiume  Trigno  ^ 
tiene  il  primo  dall'  oriente,  ed  il  secondo  dall'  occidente. 
È  provincia  assai  giovevole  alle  altre  del  Regno  ,  ma  in 
quanto  a  sé  è  la  più  inutile  che  vi  sia^  perchè  è  malis- 
simo abitata,  di  non  buona  aria ,  priva  di  alberi  e  di  le- 
gna ,  poverissima  di  acque.  La  state  viene  infettata  da 
grandissimi  caldi  ed  innumerabili  mosche  e  gran  copia 
di  serpi.  Gli  uomini  sono  inetti  all'arme  ed  alle  ìdiì'*ohey 
i  cavalli  deboli  di  forze.  Dall'  altro  cant-  |.ioduce  questa 
provincia  giauo  ,    ui^.o    ed  altre  biade   in   tanta  quantità 


1 56  PORZIO 

che  veramente  sì  può  chiamare  il  granajo  non  solo  di 
]VapoH  e  del  Regno,  ma  di  molte  città  d'Italia.  Vi  si  fa 
il  sale  ed  il  salnitro  5  vi  si  ....  nel  verno,  e  nutrisce  la 
maggior  parte  del  bestiame  del  Regno  che  da'  luoghi  mon- 
tuosi e  freddi  discende  al  piano  ed  all'  aria  temperata 
di  lei  ,  ed  in  tanto  numero  che  alle  volte  passa  i  mi- 
lioni. Discendono  anco  la  state  in  essa  infinito  numero  di 
persone  a  mietere  il  grano  j  e  la  natura  contra  il  male 
delle  serpi  1'  ha  anche  dotata  del  rimedio,  producendo  in 
quelle  parti  assai  cicogne  chele  divorano,  le  quali  fanno 
il  medesimo  servigio  in  Terra  di  Bari.  Nascono  ancora  nel 
Monte  di  S.  Angelo  erbe  salutifere  ,  che  con  gran  dili- 
genza si  cercano  da'  regnicoli  e  da'  forestieri  per  com- 
porre le  medicine.  È  di  poi  questa  provincia  principal 
membro  delle  entrate  regie,  rispetto  della  Dogana  del  be- 
stiame e  delle  tratte  del  grano  che  in  essa  si  esigono  , 
per  causa  della  quale  abbondanza  ed  entrata  può  essere 
desiderata  da  tutti  i  Principi  vicini  e  lontani.  Dalla 
parte  di  terra  ha  poche  difese,  e  dal  mare  potrebbe  essere 
grandemente  offesa  ,  se  le  fosse  occupato  il  Monte  S.  An- 
gelo che  le  sta  di  sopra ,  siccome  1'  occuparono  i  Sarace- 
ni, quando  dominavano  la  Sicilia,  e  tennerlo  molti  anni, 
Kè  bastavano  i  regnicoli  a  cavameli,  se  non  fossero  stati 
ajutati  per  mare  dagli  Schiavoni,  che  allora,  ed  anche  di 
presente,  frequentano  molto  questa  regione  e  fannovi  abi- 
tazione. Imperocché  il  Monte  gira  più  di  cento  cinquanta 
miglia ,  ed  ha  aspre  salite  j  e  sopra  di  esso  vi  sono  ac- 
qwp ,  piani,  e  boschi  ed  assai  terre  e  castella.  Ed  ha  il 
Lago  diVaxo.no  di  un  cupo  fondo,  e  di  circuito  di  trenta 
miglia,  posto  a  lato  al  niuic,  «Ito  con  poca  fatica  potrebbe 


RELAZIONE   DEI   REGNO   DI   NAPOII  l  Sy 

servire  per  un  grande  e  sicuro  porto.  Per  Io  quale  so- 
spetto e  per  avere  Principi  potenti  iotorno,  come  sono 
il  Turco  ed  i  Veneziani,  il  Re  in  tempi  sospetti  custo- 
disce due  terre  del  detto  Monte,  Sant'Angelo,  e  Yiesti. 
Corrono  per  la  provincia  ,  oltra  il  fiume  Ofanto  e  Tri- 
gno ,  Fortore  e  Candelaro. 

Vi  è  il  detto  lago  di  Varano,  e  quello  di  Lesina, 
che  producono  grossissime  anguille  chiamati  Capitoni  j  vi 
è  il  lago  di  e  di  Salpe  con  altri  laghetti. 

Ha  di  rincontro  1'  Isola  di  Santa  Maria  di  Tremiti 
già  detta  Diomedea  ,  ed  è  posseduta  da' Canonici  Regola- 
ri ,  che  vi  hanno  un  monastero  in  fortezza. 

È  numerata  questa  provincia  dalla  Regia  Corte  fuo- 
chi 19649. 

Vi  possiede  il  Re  terre  di  demanio  Manfredonia  , 
Sansevero  ,  Lucerà  ,  Foggia  ,  Viesti. 

Vi  tiene  due  fortezze  Manfredonia  e  Viesti  ,  e  po- 
nevi anche  il  presidio  in  tempo  di  sospezione  di  armate 
niraiche. 

Vi  sono  soldati  del  battaglione  982. 

Ha  un   Arcivescovato  Siponto. 

I  Vescovati  sono  Viesti  ,  Larino  ,  Lucerà ,  Ascoli , 
Bovino ,  Lesina,  Troja,  Volturara,  Termoli,  Salpe.  I  be- 
nefici! de  jjire  patronato  Regio  sono  a  Lucerà  il  Diacona- 
to ,  r  Arcidiaconato,  Tesorerato  ,  Cantorato ,  e  l'  alterna- 
liva  de'  Canonicati. 

I  Baroni  titolati  di  della  provincia  sono  il  Principe 
di  Ascoli  ,  il  Principe  della  Cirignola  ,  il  Duca  di  Ter^ 
moli,  il  Duca  di  Torre  Maggiore,  il  Marchesf  <*»  Vico, 
il  Conte   di  Marchia  ,   il  Marctcas   di  UelicetO. 


i58  p  0  K  z  I  0 

Fannovi'si  due  fiere  V  anno  nella  città  di  Luceva,  ed 
un'  altra  nella  Terra  di  Foggia. 

Vi  tiene  anche  il  Re  la  razza  de'  cavalli. 

II  Governatore  di  questa  provincia  risiede  nella  terra 
di  Sansevero ,  ed  ha  due  Auditori. 

Vi  è  anco  il  Doganiere  di  Puglia  che  esige  nella 
Terra  di  Foggia  la  dogana  del  bestiame,  e  tiene  uno  Au- 
ditore che  fa  ragione  a' pastori. 

Nel  soprascritto  Monte  di  Sant'Angelo  è  una  divo- 
tissima  spelonca  ,  dove  apparve  l'  Arcangelo  Michele  ,  e 
piamente  si  frequenta  da'  popoli  vicini. 

E  anco  in  questa  provincia  un  Tempio  celebre  per 
tutto  il  Eegno  dedicato  a  S.  Leonardo  liberatore  de'  pri- 
gioni e  degli  uomini  posti  in  servitù. 

Del  Contado  di  Molise. 

Se  il  mio  giudizio  non  erra,  i  Re  di  Napoli  nel  di- 
videre le  Provincie  del  Regno  ,  non  ebbero  altra  mira 
che  alla  grandezza  del  nome  Regio  ed  alla  facilità  delle 
esazioni  de'  pagamenti  fiscali  ^  delle  quali  due  cose  1'  una 
ricercava  molte  provincie,  e  l'altra  piccole.  E  perciò  die- 
dero nome  di  provincia  a  questo  Contado  di  Molise,  la 
quale  paragonandola  alle  altre  provincie  del  Regno  ,  non 
the  dell'  Italia,  è  piccolissima  :  anzi  pare  ,  che  nella  ste- 
rilità e  fertilità  del  terreno,  e  nella  qualità  degli  uomi- 
ni, e  quantità  degli  animali,  sia  composta  di  pezzi  di  cia- 
scuna delle  provincie  fralle  quali  sta  situata,  cioè  il  Prin- 
cipato dilli'  oriente  ,  Abruzzo  dall'  occidente  ,  Terra  di 
Lavoro   dal   mezzodì  ,    Caj^Uanftta   ria    traninntana.    Fu   già 


RELAZIONE  DKL  REGNO  DI  NAPOLI  i5q 

abitata  da'  Sannitij  è  tutta  sopra  i  monti,  priva  del  marej 
noQ  ha  terre  grosse  ,  non  fortezze  ,  non  fiere ,  una  sola 
terra  di  Demanio  del  Re.  £d  ancorché  alcun  fiume  pren- 
da il  suo  principio  in  essa,  non  di  meno  nelle  altre  pro- 
vincie  piglia  forza  e  nome  :  e  per  la  picciolezza  su  a  o 
per  la  poca  ricchezza  gli  animali  di  lei,  che  vanno  a  pa- 
scolare nella  Puglia,  pagano  di  Dogana  al  Re  la  metà  me- 
no di  quelli  di  Abruzzo. 

La  Terra  di  Demanio  del  Re  è  Isernia. 

E  numerata'  dalla  Regia  Corte  in  fuochi   i55o6. 

Vi  sono  soldati  di  battaglione  7 Sa. 

Ha  quattro  Vescovati  Isernia,  Bojano,  Trivento,  Guar- 
dia alfiero,  de'  quali  Trivento  è  a  nominazione  del  Re. 

Baroni  titolati  sono  il  Duca  di  Bojano ,  il  Marchese 
di  Montenero  ,  il  Conte  di  Trivento. 

Il  Governatore  di  questa  provincia  è  il  medesimo  di 
Capitanata. 

Di  Abruzzo  Cifra  ,  ed  Ultra. 

Resta  solamente  di  tutte  le  provincie  del  Regno  a 
ragionare  della  provincia  di  Abruzzo ,  la  quale  dall'  O- 
riente  ha  il  fiume  Trigno,  e  dall'  Occidente  il  fiume  Tron- 
to. Abitarono  già  in  essa  Frentani,  Peligni ,  Vestini  ,  e 
Sanniti.  È  molto  grande  e  molto  popolata  ,  abbondevole 
di  frumento ,  di  pecore ,  di  lane,  di  formaggi ,  di  pelli  , 
olio  ,  seta  ,  zafferani ,  e  vini  ;  la  buona  carta  da  scrive- 
re j  fa  panni,  principdmenle  la  terra  di  Tarantola  e  del- 
l'Aquila,  e  sono  i  pyiiiii  Aquilani  i  miglioi'  i^el  regno. 
Imperciocché  <juoUa  «ittrè  -stantio  a'coufiui    dell'Ecclesia- 


l6o  PORZIO 

stico  può  raescolare  la  lana  regnicela  ,  che  generalmente 
è  grossa,  con  altre  lane  forestiere  più  gentili.  Ed  ancor- 
ché questa  provincia  sia  montuosa  e  nevosa  e  nel  verno 
freddissima,  nondimeno  l'aria  vi  è  salubre  e  generativa, 
e  vi  nascono  buoni  cavalli,  e  le  carni  vi  vengono  ottima- 
mente salate.  Gli  uomini  del  paese  anticamente  erano  sti- 
mati i  più  valorosi  d' Italia  ,  ma  al  presente  sono  i  più 
mansueti  del  regno  ,  dediti  al  mangiare  ed  al  bere  ,  e 
quasi  tutti  attendono  al  bestiame.  E  ben  vero  che  la 
provincia  facilmente  si  può  da'  nemici  difendere  ,  perchè 
dalla  parte  che  confina  coli'  Ecclesiastico  viene  guardata 
dal  fiume  Tronto,  da  altissimi  monti,  e  dalle  fortezze  del- 
l' Aquila  e  Civitella  j  dalla  parte  del  mare  non  teme  per 
non  esservi  porti,  e  la  foce  del  fiume  Pescara  dove  si  so- 
gliono raccogliere  vascelli  sta  ben  guardata,  e  le  piagge  sono 
a'  vascelli  pericolose  non  altrimenti  che  quelle  di  Puglia. 
Oltre  di  ciò  la  provincia  di  passo  in  passo  è  da  grossi 
fiumi  traversata  ,  che  sarebbero  di  grande  impedimento 
agli  eserciti  che  volessero  farsi  innanzi ,  e  sono  i  fiumi 
principali  il  Tronto,  la  Pescara,  il  Sanguine,  l'Umano. 

Ha  il  Lago  di  Celano  grande  e  pescoso,  l'acqua  del 
quale  i  Romani  condussero  a  Roma  ,  e  la  nominavano 
Acqua  Marcia. 

E  numerata  dalla  Regia  Corte  in  fuochi  96155. 

Vi  sono  terre  di  demanio  del  Re  Civita  Reale,  Guar- 
dia greca,  Lanciano  ,  Civita  di  Cbieti ,  Teramo,  Aquila, 
Civitella  ,  Alanno  ,  Accumoli. 

Vi  tiene  il  Re  le  sopraddette  fortezze  Pescara  ,  Ci- 
vitella ,  V  Aquila  ,  ed  in  tempo  di  sospezione  d'  armata 
nemica  ingrossa  il  presidio  Jolla  T^rra  di  Pescara. 


RELAZIONE    DEL    REGNO   DI    NAPOLI  IDI 

I  soldati  del  battaglione  sono  SoqG. 

Vi  sono  due  Arcivescovati  Civita  di  Chieti  e  Lanciano, 

I  vescovati  sono  l'  Aquila  ,  Civita  di  Penna  ,  Sul- 
mona ,  Teramo  ,  Ortona  iu  Mare.  A  nominazione  del  Re 
sono  l'Aquila,  Lanciano.  Ed  i  heneùcn  de jure patronato 
Regio  sono  all'  Aquila  S.  Martino  ,  Santa  Lucia  ,  a  Ci- 
vita di  Chieti  S.   Pancrazio. 

Ha  questa  provincia  Baroni  titolati  il  Principe  di  Sul- 
mona, il  Duca  di  Tagliacozzo,  il  Duca  di  Atri,  il  Duca; 
di  Popoli ,  il  Marchese  di  Pescara,  il  Marchese  di  Bellante, 
il  Marchese  di  Bucchianico,  il  Conte  di  Anversa,  il  Conte 
di  Palena  ,  il  Conte  di  S.   Valentino. 

Le  fiere  si  fauno  due  volte  l'  anno  a  Lanciano  ,  ed 
una  volta  a  Castello  di  Sanguine. 

II  Governatore  di  Abruzzo  risiede  in  Civita  di  Chieti 
con  tre  Auditori, 

Neil'  Aquila  prima  Città  di  questa  regione  con  gran 
divozione  si  conserva  il  Corpo  di  S.  Berardino ,  che  ha 
fatto  di  molti  miracoli. 

DE' SUPREMI  OFFICII  DEL  REGNO. 

Sodo  anche  nel  Regno,  oltra  i  Governatori  sopradetfi 
delle  Provincie  ,  sette  officii,  che  sono  le  prime  dignità 
di  quello  ,   ed  il  primo  è 

Il  Gran  Contestabile,  che  soleva  avere  il  carico  del' 
r  Esercito  e  del  Campo   del   Re. 

Il  Gran  Giustiziere,  che  aveva  il  carico  di  ammi- 
nistrare la  giustizia. 

11  Grand' Ammiraglio  ,  che  avea  carico'  dell' armata- 
e  faceva   ragione  a'  niariuari. 


jCy  PORZIO 

Il  Gran  Camerario  ,  che  aveva  il  carico  della  Ca- 
mera del  Re,  della  guardaroba  ,  e  dell'  entrale. 

Il  Gran  Protonotario  ,  che  aveva  il  carico  di  ricevere 
le  suppliche  che  si  davano  al  Re  e  di  far  loro  le  rispo- 
ble ,  e  creava  I  noiari  e  giudici  a  contratto. 

Il  Gran  Siniscalco  ,  che  aveva  il  carico  di  provve- 
dere al  vitto  ed  allo  alloggiare  del  Re  e    de'  Cortegiani. 

Il  Gran  Cancelliere  ,  che  aveva  il  carico  di  sigillare 
le  lettere  e  privilegii  regii ,  e  di  creare  i  dottori. 

In  luogo  de' sopraddetti  sette  officii  amministrano  al 
presente  i  luogotenenti  di  cinque  di  loro  de'  quali  il  Re 
ne  crea  tre. 

Il  Viceprotonotario ,  che  suole  essere  il  Presidente 
del  Consiglio  di  Capuana. 

il  Reggente  della  Vicaria  in  luogo  del  Gran  Giustiziere. 

U  Luogotenente  della  Camera  in  luogo  del  Gran  Ga- 
jnerario. 

Il  Vice  Ammiraglio  è  creato  dal  Grande  Ammiraglio 
in  suo  luogo. 

Il  Vice  Cancelliere  è  creato  dal  Gran  Cancelliere  in 
suo  luogo. 

Appresso  a'  sette  officii  sono  nel  Regno  sei  altri  di 
molta  autorità ,  e  sono 

Il  Tesoriere  generale,  che  ha  il  carico  di  ricevere,  con- 
servare e  pagare  i  danari  che  pervengono  dall'entrate  regie. 

Il  Segretario ,  che  ha  carico  di  far  scrivere  tutte  le 
scritture  spettanti   al   governo  e  conservazione  del  Regno. 

Lo  Scrivano  di  razione,  che  ha  il  carico  di  tener  li- 
bro e  couio  di  tutti  i  soldati  del  regno  e  far  loro  le  li- 
beranze  delle  paghe. 


RELAZIONE    DEL    REGNO    DI    NAPOLI  l63 

Il  Montiere  Maggiore  ha  pensiero  della  caccia  del 
Re,  e  particolarmeole  degli  Struni  luogo  vicino  a  Napoli 
e  serrato  da'  monti  ,  dove  si  conservano  molti  animali 
per  la  caccia  reale. 

Il  Cappellano  Maggiore  ha  pensiero  della  cappella 
del  Re  ,  e  vede  le  scritture  che  vengono  dalla  Corte  Ro- 
mana ,  e  suole  essere  un  Vescovo. 

Il  Protomedico  ha  giurisdizione  sopra  tutti  gli  speziali 
del  Regno  e  le  cose  che  vendono  per  medicine  ,  ed  è 
sopra   tulli  i  medici  non  dottori. 

Vi  sono  ancora  in  ciascuna  provincia  del  Regno  due 
officiali  creati  dal  Re. 

Il  Maestro  Portolano  ,  che  ha  cura  di  tener  conto 
di  quanto  si  cava  dal  Regno  per  mare  e  di  far  stare 
conce  le  strade. 

Il  Percettore ,  che  ip  alcuna  Provincia  si  chiama 
anco  il  Tesoriero ,  ed  ha  cura  di  esigere  i  pagamenti  fi- 
scali da'  popoli  e  da'  Baroni  ,  i  quali  sono  tenuti  di 
mandarglieli  di  quattro  in  quattro  mesi,  e  quelle  provincie, 
che  sono  Citra  ed  Ultra  ,  lianno  due  percettori. 

Vi  sono  due  Capitani  della  grassa  che  han  pensiero 
che  per  terra  non  si  cavi  dal  Regno  oro  ,  argento,  ca- 
valli ed  altri  animali  e  robe. 

GUARDIE  DEL  REGNO. 

Oltra  le  fortezze  ,  ed  i  soldati  del  battaglione  ,  de' 
quali  in  ciascuna  provincia  si  è  fatta  menzione,  si  pagano 
dal   Regno  per  sua  guardia  le  infrascritte  forze. 

Sedici  compagnie  di  uomini  d'  arme  ia  «uinero  di 
yoo  ,  e  solevano  i  essere  miei'""  <i'  'talia,  sì  per  la  boutà 


l6Z  PORZIO 

degli  uomini ,  come  del  cavallo  :  imperocché  gli  uomini 
erano  tutti  nobili,  ed  i  cavalli  lutti  corsieri  che  avanzano 
di  forze  lutti  gli  altri  cavalli  Italiani. 

Sei  compagnie  di  Cavalli  leggieri  in  numero  di  5oo. 

Un  terzo  di  fanteria  Spagnola  che  dovrebbero  essere  al 
numero  di  quattromila,  ma  rare  volte  giungono  a  quattromila. 

Pezzi  di  Artiglieria  in  numero   .    .    . 

Torri  poste  sulle  Marine  per  difendere  il  Regno  da^ 
Corsari  3oo, 

Quaranta  Galee  sforzate  ed  11  loro  Arsenale  sta  nella 
Città  di  Napoli. 

Per  guardia  del  Regno  si  mantengono  anche  in  To- 
scana quattro  fortezze  Porto  Ercole,  Orbetello,  Telamone, 
e  Piombino ,  e  si  mantengono  per  tenere  in  freno  ed  ob- 
bedienza il  Duca  di  Firenze. 

DE' FANTI  NECESSARII  ALLE  TERRE   DI  PRESIDIO  DEL  REGNO. 

In  tempo  di  sospezione  di  armate  nemiche  si  sogliono 
porre  in  ciascheduna  delle  sopraddette  terre  di  presidio  i 
fanti  necessarii  per  guardarle  ,  i  quali  ascendono  al  nu- 
mero di  diecimila  ,  cioè  : 

Pescara 200     Monopoli 5oo 

Viesti 200     Brindisi 2000 

S.   Angelo 600     Otranto 600 

Barletta 1200     Gallipoli. 200 

Trani 1000     Taranto 600 

Bisceglia 4oo     Cotrone 600 

Bari 5oo     Lipari 200  w 

(a)  Dal  mannscriUo  <.\.k;,nTO  trascritto  esattamente   le  somme   che  non  asscndono  però  a 
10000 ,  per  cui  è  probabile  che  Ti  sia  corsu  t..„„. 


RELAZIONE    DEL    EEGNO    DI    NAPOLI  l65 

Le  terre  di  Giovenazzo  e  di  Molfetia  poste  in  Terra 
di  Bari  sarebbero  ancora  luoghi  di  presidio,  ma  per  esser 
terre  di  Barone  la  Corte  Pa'gia  non  vuole  custodirle  a 
,s»e  spese.  Si  suole  in  certe  altre  terre  di  marina,  sicco- 
me a  Reggio  e  Tropea  in  Calabria ,  creare  nel  tempo  di 
sospezione  un  Capitano  a  guerra ,  che  ha  cura  di  tenere 
n  ordine  ed  armare  le  Città  e  le  sue  ville  e  di  porvi  le 
guardie. 

ENTRATE  DEL  RE  NELLA  CITTA'  DI  NAPOLI. 


La  Dogana 79000 

La  gabella  del  vino  .   37890 

Il  Percettore    della 

Vicaria    .....   3oooo 

I  Censali 21000 

La  Gabella  chiamata 

Piazza  Maggiore  .     5553 

L'  officio   del  giusti- 
ziere      2000 

La  gabella  de' capret- 
ti ed  uccelli.  .  .     i854 

La  taverna  della  Vi- 
caria      ii5o 

La  carcere  della  Vi- 
caria           800 

La   gabella  de'  Ca- 

Le  sopradelte  Gabelle 

poli ,  dove  non  è  numero, 

da'  Re  di  Napoli. 


valli 324 

Il  buon  denaro  .  . 

I  quattro  danari  a  soma. 
La  gabella  del  peso. 

Lo  scannaggio. 

II  Reale  sopra  il  pe.<;ce. 

La   Banca    delle    spase    del 
pesce. 

Il  falangaggio. 

La  lanterna. 

La  gabella  de'  melloni. 

La  gabella  del  Greco. 

La  gabella  delle  puttane. 

La  casa  della  farina. 

La  Bagliva  ,  Portolania  ,    e 
Zecca. 
ed  entrate  della  Città  di  Na- 
sono  state  totalmente  alienate 


1 66  PORZIO 

ENTRATE  DEL  RE  PER  LO  REGNO. 

L'ordinario  de'  fuochi 787100 

Il  donativo  de'  Baroni  e  de'  popoli  ......  600000 

Le  grana  quattro  a  fuoco  il  mese  per  la  fante- 
ria Spagnola 23ii3o 

La  dogana  di  Puglia  delle  pecore 200000 

Gli  alloggiamenti  degli  uomini  d'arme 146137 

La  gabella  della  seta  intra  ed  extra 99^00 

Le  dogane  di  Terra  d'Otranto,  Bari,  Basilica- 
ta ,  e  Capitanala 78000 

li  nuovo  imposto  dell'olio 68046 

Le  terre  salde  di  Puglia 56ooo 

Le  strade 434^7 

L' arrendamento  del  Ferro 3955o 

Le  guardie  delle  Torri  della  marina 36 114 

Le  Mastrodatlie  ed  altre  entrate 3ooo 

I  Bargelli  di  Campagna 12000 

Le  tratte  de'  vini,  grani,  erbe  ed  altre  vettovaglie. 

Le  signiflcatorie  de'  rilievi 

I  feudi  dove  succede  la  Corte 

Le  terre  di  Demanio  del  Re 

Gli  offici!    che  si  vendono 

Le  audienze 

GÌ*  intercetti 

I  Passi  e  le  Scafe 

La  gabella  ordinaria  della  Seta  di  Calabria  .   . 

2375oi4(<') 

(«)  Quello  totJlc  u„  i  corriffondenU;  ptr  cui  deYc  anctt  qui  esser  corso  qualclie  errore. 


nEr.ATIO.VE    DEL    nEGNO    DI    NAPOLI  167 

L'entrate  del  Regno  dove  non  è  numero,  si  ignor'a 
quando  rendano  per  ciascun'  anno,  o  sono  del  tutto  alienate. 

Sono  nel  Regno  alcune  terre  ,  che  son  franche  di 
certe  delle  dette  imposizioni ,  ed  importa  questa  lor  fran- 
cliezza  da  cinquantamila  scudi  l' anno,  e  debbono  levarsi 
dall'entrate.  Si  debbono  anche  levare  mille  scudi  altri  per 
r  anno  per  le  terre  e  Castella  riservate  per  Camere  de' 
Baroni  ,  che  perciò  non  pagano  gli  alloggiamenti  alla 
Cavalleria. 

Oltre  di  quello,  che  il  Regno  paga  in  danari,  e  che 
entra  nella  borsa  del  Re,  è  anco  gravato  di  altri  pesi ,  sic- 
jCome  sono  il  portare  i  legni  per  far  le  galee  ,  il  dare  i 
remieri  ,  l'  alloggiare  la  cavalleria  ,  la  fanteria  ,  i  famigli 
di  Corte,  i  Commissari!  ed  officiali  che  vanno  per  lo  Re- 
gno ,  far  guardie,  perseguitare  banditi,  accompagnar  Car- 
ruggi ,  e  prigioni. 

Le  quali  spese  de'  popoli  aggiunte  alle  soprascritte 
imposizioni,  importerranuo  tutte  l'entrate  e  pagamenti  del 
regno  da  tre  milioni  d' oro  l' anno ,  gravezza  da  per  sé 
grande  rispetto  alla  picciolezza  del  paese,  ma  la  fa  molto 
maggiore  il  mal  modo  ,  col  quale  si  esige  ,  sicché  per 
pagarla  tutte  le  università  del  Regno  hanno  fallo  eccessivi 
debiti  ,  e  vengono  in  un  tempo  slesso  dalle  imposizioni 
e    dall'  usure  divorate. 

La  spesa  del  Regno  non  si  pone  per  non  potersi 
avere  l'intero  notamento  di  quella,  ma  per  quanto  s'in- 
tende avanza  1'  entrale. 


i6S  PORZIO 

LA  GENEALOGIA  DE'  RE  DEL  REGNO. 

Le  Provincie  del  Regno  di  Napoli  furono  ridotte  in 
Regno  da'  Principi  Guiscardi  1'  anno  della  nostra  saliue 
MCXXX,  ed  il  primo  Re  fu 

Ruggiero  Guiscardo ,  il  quale  ottenne  il  titolo  Regio 
dal  Pontefice  Innocenzio  Secondo  ,  morì  nella  Città  di  Pa- 
lermo   avendo  regnati  anni  XXIII. 

Guglielmo  detto  per  soprannome  il  Malo  morì  a  Pa- 
lermo e  regnò   anni  XV. 

Guglielmo  Secondo  chiamato  il  Buono  mori  a  Pa- 
lermo ,  e  regnò  anni  XXV. 

Tancredi  regnò  anni  V  e  fu  bastardo  della  casa  Gui- 
scarda. 

Ruggiero  Secondo  regnò  pochissimo  tempo,  ed  in  essc^ 
si  estinse  il  sangue  de' Guiscardi ,  ch'era  durato  nel  do- 
minio del  Regno  circa  cento  cinquanta  anni. 

Errico  della  casa  di  Svevia ,  figliuolo  dell'Impera- 
tore Federico  Barbarossa  e  marito  di  Costanza  Guiscarda, 
morì  a  Messina ,  e  regnò  da  circa  anni  VII, 

Federico  Secondo  Imperatore  morì  in  Puglia  avendo 
regnato  anni  XXVIIII.  Da  questo  Federico  incominciarono 
i  Re  di  Napoli  a  chiamarsi  Re  di  Gerusalemme,  il  che  ac- 
cadde perchè  Federico  ebbe  per  moglie  lolanta  figlia  ed 
erede  del  Re  di  Geiusalemme. 

Corrado  morì  in  Italia  ,  e  regnò  anni  IH. 

Manfredi  fu  ammazzato  da  Carlo  d'  Acgiò  in  bat- 
taglia presso  alla  Città  di  Benevento  e  regnò  anni  X  ,  e 
lu  bastardo  ,  e  1'  ultimo  della  casa  di  Svevia  ,  eh'  era 
durata  nel  dominio  del  rogoo  anni  XXXXIX, 


I  i 


RELA210SE    BEL   REGKO    DI    NAPOLI  169 

Carlo  d'Angiò  fratello  del  Re  di  Francia  mori  in  Pu- 
glia ,  e  regnò  anni  XIX.  Sotto  di  questo  re  la  Sicilia  fu 
smembrata  dal  Regno  di  Napoli ,  e  fu  presa  dal  Re  Pie- 
tro d'Aragona,  che  aveva-per  moglie  Costanza  di  Sve- 
via  figlia  del  Re  Manfredi. 

Carlo  Secondo  mori  a  Napoli  e  regnò  anni  XXIV". 

Roberto  mori  a  Napoli  senza  eredi  maschi ,  avendo 
regnato  anni  XXXIII. 

Giovanna  nipote  di  Roberto  fu  fatta  morire  affogata 
in   Aversa  da  Carlo   di  Durazzo  :   regnò  anni  XXVIllI. 

Carlo  Terzo  detto  di  Durazzo  fu  ammazzato  in  Un- 
gheria dove  era  slato  chiamato  per  Re  e  regnò  anni  V. 

Ladislao  mori  a  Napoli  senza  figli  j  regnò  anni  XXVII. 

Giovanna  Seconda  sorella  di  Ladislao  mori  a  Napoli 
e  regnò  anni  XXI  ed  in  essa  fini  il  sangue  di  Angio , 
eh'  era  durato  nel  dominio  del  Regno  anni  CLX. 

Alfonso  Re  di  Aragona  essendo  stato  adottato  per  figlio 
dalla  Regina  Giovanna  mori  a  Napoli,  e  regnò  anni  XVL 

Ferdinando  mori  a  Napoli,  e  regnò  anni  XXXVIIII, 
e  fu  bastardo  della  casa  di  Aragona. 

Alfonso  Secondo  mori  in  Sicilia  ,  e  regnò  un  anno. 

Ferdinando  Secondo  mori  a  Napoli,  e  regno  anni  IL 

Federico  mori  in  Francia,  e  regnò  anni  IV. 

Ferdinando  di  Aragona  Re  di  Spagna  chiamato  il 
Cattolico  mori  in  Ispagna,  e  regnò  anni  XIV,  ed  in  esso 
si  estinse  il  sangue  di  Aragona  ch'era  durato  nel  domi- 
nio del  Regno  anni  LXXVI. 

Carlo  V  Imperatore  della  casa  d'  Austria  nato  di 
Giovanna  di  Aragona  figliuola  del  Re  Cattolico  mori  in 
Ispagna  ;  regnò  anni  XXXV'III. 


170  PORZIO 

P'ilippo  sono  anni  XX  che  regna,  e  regnerà  per  la 
Dio  grazia  molti  altri. 

E  da  avvertire  che  i  Re  di  questo  Regno  ,  che 
non  possederono  la  Sicilia,  si  chiamarono  medesimamente 
Eex  Siciliae,  di  maniera  che  i  Re  che  dopo  loro  han- 
no avuto  1'  uno  e  1'  altro  regno ,  alcuni  si  sono  chiamati 
Rex  Sicìliae  cifra  et  ultra  Pharum  ,  altri  han  detto 
Rex  ntrìusque  Siciliae  come  si  chiama  il  Re  presente. 

Dee  anche  sapersi  che  il  Regno  è  feudo  della  sede 
Apostolica  e  le  è  tributario  in  una  sola  chinea  per 
concessione  fatta  da  Alessandro  VI  al  Re  Cattolico  j  ed 
i  settemila  scudi ,  che  di  più  paga  il  presente  Re,  sono 
per  la  dispensa  ottenuta  dal  Pontefice  Giulio  Terzo  di 
poter  tenere  lo  stato  di  Milano  insieme  col  Regno,  il  che 
non  si  può  per  proibizione  fatta  da'  Pontefici  a'  Re  di 
Napoli . 

DELLA   DISPOSIZIONE  DEGLI   ANIMI  DE' REGNICOLI 
VERSO  IL  PRESENTE  DOMINIO. 

Convenevol  cosa  è  che  avendo  io  rappresentato  a  V. 
ih.  sotto  brevità  tutto  il  paese  del  Regno  di  Pfapoli  e 
sue  qualità,  le  dimostri  ancora  in  pochissime  parole  la  dis- 
posizione degli  animi  de*  regnicoli  ,  cognizione  molto 
più  necessaria  al  governo  di  V.  E.  della  prima  ;  e  glie 
la  rappresenterò  istorialmente,  sapendo  quanto  sieno  biso- 
gnosi i  Principi  di  persone  che  lor  dicano  il  vero.  Saprà 
dunque  V.  E.  che  gli  uomini  di  questo  Reguo,  ancorché 
sieno  di  tre  sorti  Plebei  ,  Nobili  e  Baroni ,  nondimeno 
hanno  tra  loro  lo  qualità  comuni,  come  sono  l'esser  de- 


RELAZIONE    DEL    REGNO    DI    NAPOLI  J7I 

siderosi  di  cose  nuove,  poco  timorosi  della  giustizia,  far 
molta  stima  dell'  onore ,  amar  più  l'  apparenza  della  so- 
stanza ,  coraggiosi  ,  micidiali ,  e  quel  che  è  del  tutto  il 
peggiore,  sono  concordemente  del  presente  dominio  poco 
contenti.  Nasce  in  lor  tutti  questa  poca  contentezza  non 
da  odio  che  portino  al  lor  Re  ,  che  lo  amano  e  lo  tt- 
lebrano  j  ma  per  vedersi  i  plebei  dalle  soverchie  gravezze 
e  dagli  alloggiamenti  impoveriti  e  distrutti ,  in  continua 
carestia  ,  il  che  quantunque  sia  peccato  della  natura  ,  essi 
l'attribuiscono  a'  Governatori.  Veggonsi  in  continua  guer- 
ra ,  perchè  se  manca  V  esterna  ,  non  manca  l' interna  di 
fuorusciti ,  di  ladri  e  di  corsari.  I  nobili  vivono  in  dis- 
piacere per  non  avere  alcun  trattenimento  dal  pubblico  , 
e  per  vedersi  quasi  chiusa  la  strada  alle  dignità  dell'  ai- 
mi  e  delle  lettere.  Gli  officii  e  beneficii  ,  che  al  tempo 
de'  Re  Aragonesi  erano  tutti  loro,  in  maggior  parte  li  veg- 
gono in  mano  de'  forestieri.  I  Baroni  ancor  essi  sobo 
mal  soddisfatti  ,  perciocché  vengono  sopra  le  lor  forze 
gravati  di  donativi ,  e  perchè  si  è  dato  da'  magistrati  regii 
tanto  ardire  a'  loro  sudditi  che  appena  gli  possono  do- 
minare. Oltre  di  ciò  essendo  i  Baroni  di  animi  superbi, 
non  possono  tolerare  che  per  ogni  minimo  peccato  sieno 
chiamati  alla  Corte  ,  e  non  sia  fatta  né  nel  procedere  , 
né  nel  punire,  se  non  pochissima  differenza  fra  essi  e  gli 
altri  sudditi.  È  ben  vero  che  dopo  la  venuta  di  V.  E. 
in  questo  Regno  i  Plebei  ,  i  Nobili ,  ed  i  Baroni  pajono 
addolcili ,  e  generalmente  da  tutti  e  da  ciascuno  in  par- 
ticolare si  spera  che  colla  destrezza  dell'  ingegno  ,  colla 
prudenza  del  reggere,  e  colla  bontà  dell' aniu)o  di  V.  E. 
si  darà  tal  rimedio  a'  lor  mali  che  essi  non  avranno  pili 
da  dolersi  ,  ma  viveranno  lieti  e  coutenti. 


.,3 

INDICE 


INTORNO  ALLA  VITA  ED  AGLI  SCRITTI  DI  CAMILLO  PORZIO 
NAPOLETANO  ,  MEMORIA  DI  AGOSTINO  GERVASIO. 

Parte  I pag.  2 

Parte  II »  18 

Annotazioni  alla  prima  parte «  35 

Annotazioni  alla  seconda  parte >j  4^ 

DELL'  ISTORIA  D' ITALIA  DI  CAMILLO  PORZIO. 

I.  Proemio »»  4? 

II.  Stato  dell'  Italia  dopo  il  1 544 ''  48 

III.  Paolo   investe  Pierluigi  Farnese   Duca   di 

Parma  e  Piacenza >'  5o 

IV.  Carlo  V  non  riconosce  una  tale  investitura.  ■»  5\ 

V.  Discordie  trai  Papa  e  V  Imperatore  ..."  53 

VI.  Pierluigi  si  stringe  di  parentado  col  Re  di 

Francia '»  56 

VII.  Cause  e  cominciamento  delV  inimicizia  del 

conte  di  Fiesco  cantra  i  Dorii    ....>»  •>"] 

Ylll. Discordie  tra  i  Dorii  ed  i  Farnesi  .  .   .  >j  Sq 

IX.  Il  Conte  del  Fiesco  compra  quattro  galere 

dal  Papa »  61 

X.  Finte    dimostrazioni  di   amicizia    del  Conte 

del  Fiesco  vei'so  i  Dorii »>  63 


';4 

XI.  Consiglto  dato  da  Gìo.  Battista  Verrina  al 

Conte  del  Fiesco^  e  da  costui  approvato.»     64 

XII.  //  Conte  ajf retta  V adempimento  deila  con- 

giura   M     67 

XIII.  Il  Conte  del  Fiesco  movendo  contra  Gian- 

nettino    Doria    rimane    sommerso    nel 
mare w     to 

XIV.  Morte    di  Giannettino  Doria.    Fuga  del 

Principe  Doria »     72 

XV.  Girolamo  del  Fi&sco  vanamente  cerca  ec.- 

citate  il  popolo  all'  armi  e  si  ritj'ae  in 
■  Morttario V\^  J »     73 

XVI.  Ritorno  del  Principe  Doria  in  Genova.  »     74 

XVII.  Punizione    de'  partigiani    del  Conte    del 

Fiesco M      78 

XVIII.  Premure  di  Papa  Paolo  per  trasferire  il 

concilio  in  Bologna »     80 

XIX.  D.   Pietro   di    Toledo   si    pone    in   cuore 

d'introdurre  l'inquisizione   in  Napoli  »     82 

XX.  Sdegno  de'  Napolitani  per  lo  timore  del- 

l' inquisizione »     84 

XXI.  Breve  Apostolico  per  inquirere  gli  eretici  »     86 

XXII.  Gli    eletti    di  Napoli  pregano   il   Viceré 

che  non  si  lasci  indurre  a  fare  esegui- 
re il  breve.  Sua  risposta »     8y 

XXIII.  Dibattimenti  trai  Viceré  ed  il  Vicario  di 

Napoli "     88 

XXIV.  Il  Viceré    a   domanda    de'  Napolitani   li 

lìbera  dal  timor  dell'  inquisizione .   .  m     89 

XXV.  Movimento  della  plebe  sedato  da' nobili  »     93 


.75 
9G 


9» 


XXVI.  Tommaso  Aniello  messo   in  prigione    è 

poi  liberato w 

XXVII.  Il  riceve  indarno  fa    opera    perchè    i 

Napolitani  non  m,andino  amhasciatori 
a  Cesare » 

XXVIII.  Supplizio  di  tre  Napolitani  ordinato  dal 

Viceré.  Sua  cavalcata  per  la  Città.»   loo 

XXIX.  Tumulti  nella  città »>  loa 

XXX.  Gli    amhasciatori    del    Viceré    e    della 

Città  a  Cesaree »   io4 

XXXI.  Orazione  di  Placido  di  Sangro  a  Carlo  V. »   i  o5 

XXXII.  Risposta    di   Cesare  ,     e    partenza    di 

Placido • ** 

XXXIII.  Il  Viceré    si   provvede    di    armi    e    di 

Soldati " 

XXXIV.  Combattimenti  ira  gli  Spagnnoli  e  Na- 

politani     « 

XXXV.  Venuta   di  Placido    in  Napoli.  1  Na- 

politani depongono  le  armi  .  .   .  .  ì> 

XXXVI.  Novella   ambasceria    de"  Napolitani    a 

Cesare >» 

XXXVII.  Informazione    presa   del    succeduto    in 

Napoli  e  risultato  di  essa   .   .   .   .  w 
XXXVIII./Z  Pontefice  colVanimo  ognora  più  di- 
lungasi da   Cesare »   120 

XXXIX.  Pier  Luigi  Farnese  favoreggia  i  Fran- 

cesi }j    1 2 1 

XL.  Cause  del  disgusto  cantra  Pier  Luigi. ì>   122 

XLI.  Congiura  de' nobili    Piacentini    contra 

Pier  Luigi     w   J23 


109 

110 
1  12 

i«4. 
ii6 

117 


t 


196 

XLII.    1  congiurati  danno  la  morte  a  Pier  Luigi.»  1 26 

XLIII.  D.  Ferrante   Gonzaga    per    V  Imperatore 

s'impadronisce  di  Piacenza »    128 

XLIV.  Il  Gonzaga  proccura  insignorirsi  di  Parma. ìj   1 3o 

RELAZIONE  DEL  REGNO  DI  NAPOLI  AL  MARCHESE  DI 
aiONDESCIAR  VICERÉ  DI  NAPOLI  DI  CAMILLO  PORZIO 
TRA  IL  1577  E   1579. 


Dedicatoria'^ «   i35 

Del  regno  di  ISapoli >j   iSy 

Di  Terra  di  Lavoro     »  189 

Di  Principato  Citra  ed  Ultra w  i43 

Di  Terra  di  Bari     »  i53 

Di  Capitanata  ,  ovvero  Puglia  Piana    .   .   .   .  jj   1 55 

Del  Contado  di  Molise      «   i58 

Di  Abruzzo   Citra  ed  Ultra 33    1  Sg 

de'  SUPREMI    OFFICII    DEL    REGNO »    l6l 

GUARDIE    DEL    REGNO w    l63 

de'  fanti    NECESSARIl   ALLE   TERRE    DI  PRESIDIO  DEL 

REGNO "    164 

ENTRATE    DEL   RE    NELLA    CITTa'    DI    NAPOLI      .    .    .    5J    l65 

ENTRATE    DEL    RE    PER    LO    REGNO «     1 66 

LA    GENEALOGIA   DE*  RE    DEL    REGNO    ........    l68 

DELLA      DISPOSIZIONE     DEGLI     ANIMI    DE'  REGNICOLI 

VERSO    IL   PRESENTE   DOMINIO ,«170 


AVVERTENZE. 


Pag.  5i  lini  22  qualora  Milano  obbedisse  il  Francese,  o  di  sotto  a  Cesare  si 
perseverasse.  Cosi  leggonsi  qucsle  parole  nel  maouscritto:  sembra  per  al- 
tro che  abbiano  uopo  di  qualche  emendazione. 

Pag.  52  lin.  12  consente  d'ivi  il  passare  e  delle  vettovaglie.  Cosi  il  maott- 
scritto  :  ma  anche  qui  sembra  doversi  emendare. 

Pag.  82  lin.  22  il  sommo  pontefice,  leggasi  ed  il  sommo  pontefice. 

Pag.  167  lio.  i5  carruggi:  cosi  Yolgarmenle  dicCTasJ  iovecc  di  carrucci. 


I 


s,4,  A  Sg!«*'*'>'''*"*'"*i6»'ti*c«ioacx;£ 


atti 


ii3 


IIDELL'ACCADEMIA  PONTANIANA 


>»«»«(€(© 


FASCICOLOglI  DEL  VOLUME  IV 


nccaileinia 


pouta.iuiii.1  publìlica  i  suoi  alti  in  fascicol 


ascicoli    afliiiclic 


misura  che  sono  ap- 


_  li     •         *         l'ui^iiiita  I  SUOI  a 

possano  sollcc.lameiilc  conoscersi  ie  memorie  a 
provate. 

SLUza  aslnnge  s.  ad  alcun  detenn.nafo  periodo  o  numero  di  fodi 

iVonJnZ"t   '  'r''°''/'^^  ^"^^'^""^ '^°™P°-  ""  volume!  s    dà  il 
ionlesp>..o,  \a  dcd.ca  ,  Ja  sloria  de"  lavori ,  «1  il  catalo-o  dMi  ncca 
demic.  da  ,,rcn,clters,  al   volume  medesimo. 

Jl  pnmo  volume  composlo  di  ciuque  fascicoli  è  già  pubblicato. 


K? 


SI  y; 


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3- 


«A    TORCHI    DEL    TR.UIATER 


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1 


DI  FNA  KiVICAZIOKE  lIEDITERRiNEA  IN  CiPITlWTA 

TRA    FOGGIA   E    MANFREDONIA 

E   DELLA    IRRIGAZIONE    DI    QUELLI    TERRENI 

ùi{a  ati  accaaemìa  /uin(aniana,  aaC  tfccto  redCaenlù 

VBKCEKSO  AWTOKaO  ROSSI 
cella  lomaJa  de'  i8  Agosto  i83S. 


G 


lonosciuta  tra  noi  ,  più  che  non  era  ,  I'  utilità  delle 
facili  comunicazioni  e  la  loro  grande  influenza  sulla  pro- 
duzione, fu  immaginato  di  stabilire  una  navigazione  me- 
diterranea in  Capitanata  ,  ed  in  ispezialtà  tra  Foggia  e 
Manfredonia  :  e  di  far  valere  le  acque  che  servir  dove- 
vano per  la  navigazione  alla  irrigazione  ancora.  Ma  non 
abbastanza  nota  l' indole  de'  fiumi  di  quella  provincia  , 
da  una  parte  chi  immaginò  la  cosa  troppo  riproraette- 
vasi  ,  dair  altra  vi  era  chi  di  troppa  bizarria  l' accusava. 
Fu  perciò  che  il  Governo  risolvette  di  spedire  colà  un 
ingegnere  all'oggetto  :  ed  un  tale  onorevole  incarico  fu 
a  me  affidato  (*). 

(•)  La  mia  gita  in  Capitanata  pel  zie  statistiche  e  commerciali  comprese 
detto  oggetto  ebbe  luogo  nei  primi  mesi  in  questa  memoria  a  quell'  epoca  si 
dell' anno  i833;  laonde  tutte  le  noti-       riferiscono. 

Tom. IV'  23 


I7B  ROSSI 

Per  la  qual  cosa  ho  avuto  bella  opportunità  di  or- 
dinare queste  Memorie,  che  ora  ho  l'onore  di  sottomet- 
tervi, dottissimi  Colleghi.  Dalle  quali  tre  cose  principal- 
mente risultano  :  cioè 

1."  l'impossibilità  di  navigare  le  acque  della  Capita- 
nata nello  stato  naturale  in  cui  ne  sono  i  corsi  e  gli  sta- 
gni ,  e  la  inconvenienza  di  renderli  navigabili  : 
2.°  r  impossibilità  della  proposta  navigazione  : 
3.°  la  possibilità  di  stabilire  da  Foggia  a  Manfredonia 
un  canale  artefatto  per  la  navigazione  j  e  le  opere  di  che 
abbisogna. 

Ho  diviso  il  mio  lavoro  in  due  capi  :  nel  primo  par- 
lerò de'  fiumi  della  Capitanata  e  della  loro  natura  ,  e 
della  proposta  navigazione  ,  ed  irrigazione.  Nel  secondo 
delle  opere  da  farsi  per  un  canale  artefatto  da  Foggia  a 
Manfredonia.  E  poiché  l'acqua  che  ne'  canali  impiegasi 
come  principal  mezzo  di  trasporto  n'è  l'anima  e  la  vita, 
e  debbe  variare  in  quantità  al  variare  delle  cose  da  tras- 
portarsi ,  dirò  del  commercio  tra  Foggia  e  Manfredonia  , 
dell'  acqua  che  vi  abbisogna  per  sostenerlo  ed  anche  au- 
mentarlo ,  di  quella  che  immediatamente  si  ha  e  come 
raccoglierla j  dalle  quali  cose,  e  dal  cammino  da  percor- 
rersi principalmente  dipendono  le  opere  da  farsi. 


DI   UNA    NAVIGAZIONE   MEDITERRANEA  1 79 

CAPO  PRIMO 

DEI    FIUMI   DELLA    CAPITANATA  ,    DELLA    LORO    NATURA  ,    E 
DELLA   PROPOSTA    NAVIGAZIONE   ED   IRRIGAZIONE. 

I. 

I   nrinclpali  fiumi  della  Capitanata  sono  (si  guardi  la   dcì  Gmii  aiu 

rt,  ,      ^  .  !•     T->  •       -1  Vi  1     -i     ^  Capilanaln  e  del- 

Tavola)  a  sirocco  di  Foggia  il  Carapella  ed  u  Cervaro -,  la loio natura. 
a  maestro  il  Gelone,  il  Volgano,  il  Salsola,  ed  il  Trio- 
Io  j   a    greco  il  Candelaio.    L'  Ofanto  ed  il   Fortore    se- 
parano la  Capitanata    dalla  Terra  di  Bari    e  dalla  Basili- 
cata il  primo,  da  Molise  il  secondo. 

Tutti  cpesti  fiumi  sono  ad  un  tempo  torrenti  :  ripi- 
da n'  è  la  pendenza  ,  variabile  per  alcuni  tratti  il  corso, 
differentìssime  nelle  diverse  stagioni  le  portale  :  raccol- 
gono tutte  le  piovane  della  provincia  ,  che  vi  scendono 
torbidissime,  e  trascinano  giù  pei  tronchi  superiori  grossi 
macigni  ,  che  poi  vanno  man  mano  deponendo  ;  e  nelle 
grandi  piene  trasportano  quelli  di  minore  grandezza  sino 
ne'  tronchi  poco  sopra  corrente  a  Foggia.  Colle  portale 
ne  variano  notevolmente  le  profondità  e  le  larghezze  : 
gli  straripamenti  vi  sono  frequenti.  È  tale  1'  indole  loro 
che  le  velocità  sono  così  grandi  ,  le  filtrazioni  cosi  ab- 
bondanti, e  tali  le  evaporazioni  ,  che  comunque  raccol- 
gano tutte  le  acque  che  piovono  sulla  provincia  e  non 
tutti  abbiano  scarse  sorgive  j  pure  il  Celone  soltanto  non 
mai  nella  state  si  asciuga  per  tutto  il  suo  corso.  11  Cer- 
varo  nei  tempi    assai  secchi   in  alcuni   tronchi    quasi  non 


1  So  n  o  s  s  I 

ha  più  acque  :  e  le  ha  sempre  soltanto  dal  Ponte  Vergi- 
nola  in  giù,  ove  sono  abbondanti  sorgive.  II  Volgano 
anivato  al  piano  ,  ed  alla  sua  confluenza  colla  Salsola 
perde  nella  stessa  stagione  in  gran  parte  le  abbondanti  e 
limpide  acque  che  gli  tributano  i  molti  suoi  fonti  che 
sorgono  alle  vicinanze  di  Biccari.  La  Salsola  allora  ha 
acque  soltanto  ne'  tronchi  prossimi  alla  sua  influenza  nel 
Candelaro  ,  dopo  aver  ricevute  quelle  del  Volgano.  Ed 
il  Candelaro  disperde  quelle  medesime  acque  che  la  Sai- 
sola  ed  il  Gelone  gli  danno  j  talché  in  quello  stesso  sito 
ove  nelle  piene  invernali  corre  in  amplissimo  letto  e  si 
allarga  per  le  laterali  campagne  ,  nella  state  vi  si  passa 
quasi  a  piede  asciutto.  11  Triolo  ed  il  Carapella  nella 
state  scarseggiano  d'  acqua. 

II. 

,ii  MvSVnd  Questi  pochi  fatti  bastano  per  mostrare  Pimpossibi- 

'i"ie  rVnconlc'-  ''^^  ^^  navigare  i  detti  fiumi  nel  loro  stato  naturale.  Pei 
dcX navigabili!  '^  barche  a  chiglia  vi  manca  sempre  (meno  che  per  qual- 
che brevissimo  tratto)  la  profondità  ,  per  le  barche  piatte 
vi  si  oppone  potentemente  la  variabilità  delle  sponde  o 
del  letto  ,  e  le  istantanee  piene  :  per  entrambe  la  sover- 
chia pendenza. 

Isè  opere  d' arti  anche  le  più  difficili  ,  potrebbero 
valere  a  renderli  navigabili  con  profitto  in  ogni  stagione^ 
non  potendo  esse  stabilirsi  senza  un'  arginatura  quasi  ge- 
nerale, che  sarebbe  necessaria  particolarmente  per  preve- 
nire 1  tristi  effetti  che  ne  verrebbero  nelle  massime  piene, 
dalle  molle  pescaie    che    farebbe  mestieri  stabilirvi   onde 


DI  UNA  NAVIGAZIONE  MEDITERRANEA  1  8  1 

tliminiilrne  la  pendenza  ,  e  la  quale  arginatura  varrebbe  ad 
un  lempo  per  resttiugerne  il  letto,  accrescerne  la  profon- 
dità ,  e  diminuirne  le  evaporazioni. 

III. 

De'  sopradetli  fiumi  il  Gelone,  la  Salsola,  ed  il  Trlolo    odiapropotu 

•     n«iiy-iii  «l'i^^  •  navigazione    ar- 

sono  influenti  del  Candelaro:  e  cruesti  ed  il  Cervaro  si  sca-  tiSaaie,  e  de- 

•'  -'•  grinconvenicnli 

ricano  ciascuno  con  un  ramo  nel  lago  Verzentino,  e  con  ^"^^  pres.au. 
un  altro  nel  Pantano  Salso,  che  con  quel  lago  comunica. 
E  il  Pantano  Salso  uno  stagno  in  riva  al  mare,  posto 
a  poche  miglia  da  Manfredonia  alle  falde  meridionali  del 
colle  detto  Monto  Aquilone  ,  poco  discosto  dal  sito  ove 
sorgeva  l'antica  Siponto.  Quantunque  di  notevole  estensio- 
ne in  superficie,  ne  sono  basse  le  acque  ;  nei  tempi  raedii 
di  circa  palmi  2,5o,  ed  ov' è  massima  di  palmi  5,ooj 
ha  comunicazione  col  mare  per  due  canali  che  si  cougiun- 
gono  in  uno,  ov'  è  un  ponte  sulla  marina  nel  luogo  detto 
hxL  Sciale.  Nei  tempi  poco  piovosi  e  nella  state  ne  dimi- 
nuisce 1'  altezza,  e  notevolmente  si  ristringe,  nei  tempi  pio- 
vosi s' innalzano  le  sue  acque  e  straripano,  e  talora  inondano 
le  vigne  che  si  coltivano  tra  esso  ed  il  mare,  e  comunica 
con  questo  per  altre  parti  ancora  :  soffre  in  somma  tutte 
le  variazioni  dei  fiumi  che  vi  si  scaricano,  ed  in  oltre  si 
va  irregolarmente  colmando  colle  torbide  abbondantissime 
che  essi  due  fiumi  vi  portano,  le  quali  disordinatamente 
vi  si  depongono,  ed  ora  in  un  sito  ,  ora  in  un  altro  , 
secondo  che  variano  le  velocità  e  le  direzioni  delle  acque 
di  essi  fiumi  :  che  anzi  talvolta  le  già  deposte  in  alcuni 
luoghi  ne  sono  rimosse. 


iSa  ROSSI 

Non  dissìmile  di  natura  e  di  regime  è  il  Lago  Ver- 
zentino  messo  sopraccorrente  al  Pantano  :  solo  è  di  più 
angusta  larghezza,  e  di  bislunga  figura.  In  esso  si  scarica 
pure  la  Marana. 

E  la  Marana  un  rivolo  che  sorge  a  circa  miglia  tre 
ed  un  quinto  da  Foggia  a  destra  della  Consolare  di  Man- 
fredonia. Ivi  è  l'origine  di  una  valletta  ,  ove  alle  vici- 
nanze di  un  casolare  detto  il  Demanio  sono  alcune  sor- 
genti che  danno  a  minuto  palmi  cubici  36  di  acqua.  Que- 
ste scendono  limpidissime  j  ed  allargandosi  man  mano  tra 
due  bassissimi  poggi,  si  scaricano  nell'  estremità  superiore 
del  Verzentino.  Basso  ne  è  il  fondo,  perenne  il  corso,  e 
ne'  tempi  di  jiioggia  si  allarga  per  modo  che  più  tosto 
di  laguna  ha  sembianza  che  di   rivolo. 

Fu  immaginato  (  oltre  alla  navigazione  naturale  pei 
delti  fiumi  ,  della  quale  ho  già  detto  1'  impossibilità  od 
al  certo  l' inconvenienza),  di  far  navigare  dal  mare  presso 
Manfredonia  a  Foggia  :  pei  canali  che  lo  mettono  in  co- 
municazione col  Pantano  Salso,  per  questo,  pel  lago  Ver- 
zentino ,  per  la  Marana  del  Demanio  ,  e  per  un  canale 
artificiale  ,  che  deriverebbe  le  acque,  dal  Gelone  all'  origine 
di  essa  Marana,  passando  per  Faraniello  ;  e  ciò  con  sem- 
plici cavamenti. 

L'impossibilità  della  quale  navigazione  è  chiara  dopo 
ciò  che  si  è  detto. 

Da  Foggia  a  Verzentino  vi  si  oppone  principalmente 
la  grande  pendenza ,  da  ivi  al  mare  1'  ordinaria  pochissi- 
ma profondità  delle  acque,  i  naturali,  irregolari,  e  talora 
mobili  colmamenti,  le  instantanee  varietà  di  livello. 


DI  UNA  NAYIGAZIO:<E  MEDITERRANEA  l83 

IV. 

Se  è  impossibile  navigare  i  corsi  e  gli  stagni  della  Ca-  .  ndu  rrigi- 
pitanata  nello  slato  in  cui  naturalmente  sono ,  e  per  nulla 
coiivenienle  il  renderli  navigabili  j  non  è  lo  stesso  della  ir- 
rigazione. Imperocché  se  per  la  navigazione  sarebbe  uopo 
che  per  lo  meno  da  Foggia  sino  in  mare  tutto  stesse  fjuasi 
nel  medesimo  stato,  per  irrigazione,  al  contrario,  non  lo  sa- 
rebbe, potendosi  indipendentemente  dalle  rimanenti  campa- 
gne irrigare  soltanto  quelle  messe  a  lato  di  certi  determinati 
tronchi  di  fiumi  ^  cioè  quelle  ove  le  acque  sono  perenni  e  vi 
si  mostrano  sempre  a  sufficienza  j  ed  ove  per  l'attuale  re- 
gime è  più  facile  e  meno  dispendioso,  o  non  abbisogna  di 
lunghe  arginature  lo  stabilimento  di  parate,  o  di  pescaie. 

E  sarebbe  forse  più  conveniente  ridurre  irrigabili 
que'  terreni  fiancheggianti  i  tronchi  dei  fiumi  che  hanno 
i  detti  requisiti ,  che  non  quelli  soltanto  messi  a  lato  di 
un  canale  artefatto  da  aprirsi  per  la  navigazione  e  la  ir- 
rigazione da  Foggia  a  Manfredonia. 

Si  comincerebbero  a  stabilire  pescaie  o  parate  nei  tron- 
chi de'  fiumi,  ove  ciò  sarebbe  più  facile  e  di  minore  spe- 
sa ,  ed  in  sulle  prime  in  un  solo  di  essi  5  sarebbe  facile 
ottenere  la  nuova  coltivazione  sur  una  breve  estensione 
di  terreno  j  i  coltivatori  non  vi  mancherebbero  ,  e  per 
dirigorvela  sarebbe  possibile  chiamarne  i  necessarii  già 
esperti  in  tal  genere  di  coltura  da  altre  contrade  j  e  la 
spesa  sarebbe  proporzionata  all'  utile  che  immediatamente 
se  ne  trarrebbe.  Questo  primo  saggio  sarebbe  come  am- 
maestramento   pegli    altri  ,    ed    i    naturali    del  paese    si 


l84  ROSSI 

troverebbero  già  istrutll  da'  forestieri  ,    quando    un  altro 
tronco  di  fiume  si  riducesse  alto  ad  irrigare. 

Così,  facendo  poi  man  mano  le  opportune  opere  ne' 
diversi  tronchi  de'  diversi  fiumi  che  avessero  i  detti  re- 
quisiti ,  a  cominciare  da  quelli  che  li  possedono  in  più 
alto  grado  ,  si  condurrebbe  quasi  per  mano  al  cambia- 
mento di  sistema  ,  il  capitale  impiegato  sarebbe  sempre 
ju'oporzionato  all'utile  maggiore  j  i  varii  tronchi  di  fiumi 
ridotti  per  irrigare ,  essendo  su  varii  punti  della  provincia, 
inviterebbero  al  nuovo  sistema  di  coltura  le  popolazioni 
delle  diverse  comuni  messe  sul  piano  ,  senza  obbligarle 
a  fare  lunghi  tragitti  j  ed  in  fine  i  prati  artificiali  che  po- 
trebbero irrigarsi,  con  molto  successo  per  la  pastorizia,  sa- 
rebbero sparsi  per  tutto  il  piano,  e  non  riuniti  tra  Fog- 
gia e  Manfredonia  soltanto^  la  qual  cosa  di  utilità  somma 
pei  pastori  al  certo  sarebbe.  Ed  è  da  osservare  inoltre 
che  pel  canale  da  Foggia  a  Manfredonia  non  possono  farsi 
servire  che  le  acque  del  Gelone  soltanto  ,  od  al  più  le 
sue  e  quelle  del  Gervaro ,  a  meno  che  non  si  volesse 
incorrere  in  immense  spese ,  quando  le  acque  degli  altri 
fiumi  sino  $ì  canale  volessero  derivarsi. 


consc  enzc  ^  '^^^  Opinione  dunque  non  potersi  navigare  i  corsi 

d'  acqua  naturale  ,  né  doversi  rendere  navigabili  ^  poter- 
sene rendere  man  mano  atti  al  servizio  della  irrigazione 
quei  tronchi  ov'  è  più  facile  e  meno  dispendioso  lo  sta- 
bilimento di  parate  o  pescaie  e  la  loro  conservazione  , 
cominciando  da  quelli  pei  quali  tali  requisiti  hauuo  luogo 
in  jiiù   eminente  grado. 


7  DI  UNA  NAVIGAZIONE  MEDITERRANEA  l85 

CAPO  SECONDO 

DI  UN  CANALE  ARTEFATTO  DA  FOGGIA  A  MANFREDONIA  DA 
SERVIRE  PER  LA  KAVIGAZIOME  ED  IRRIGAZIONE,  E  DELLE 
OPERE   PER   ESSO    NErF.SSARTE. 

I. 

Un  canale  di  navigazione  e  le  barche  che  debbono  intorno aiicdi- 

,  .  1         .    .      .  .  mcnsioni  da  da- 

percorrerlo  possono  riguardarsi  insieme    come  una  sola  e  re  ai  canali  di 

.  .  1.  .  .  •  •       navigazione,  ed 

medesima  macchina  ,  di  cui  è  uffizio  il  trasportar  pesi  :  a-  tatteiii  che 
ed  è  chiaro  che  variando  la  natura  di  questi  ,  variando  '^«»''' 
cioè  le  forme  le  dimensioni  e  la  gravità  specifica  delle 
cose  da  trasportarsi,  variar  debbono  le  parti  che  compon- 
gono la  macchina  :  così  altro  dovrà  essere  il  mezzo  da 
trasportare  eleganti  generi  di  moda,  che  di  necessità  deb- 
bono avere  determinate  forme  ,  e  che  non  possono  per 
nulla  ridursi  in  più  angusto  volume ,  come  a  cagion  di 
esempio  cappelli  ,  cuffie  e  simili  oggetti  j  che  quello  da 
trasportare  minerali  grezzi  di  ferro  ,  che  hanno  notevole 
pravità  specifica,  e  che  possono  comunque  ammucchiarsi^ 
od  il  trasportare  il  medesimo  ferro  ridotto  in  verghe,  ia 
utensili,  od  in  suppellettili  che  vanno-  soggette  ad  imbal- 
laggio o  che  vanno  ordinatamente  disposte. 

Di  qui  la  necessità  di  dare  ai  canali  dimensioni  adat- 
tate al  trasporto  degli  oggetti  che  costituiscono  il  com- 
mercio dei  paesi  ove  vogliansi  stabilire.  Che  un  canale 
di  navigazione  servir  debbe  al  cammino  dei  battelli  ,  e 
questi  a'gli  oggetti  di  che  debbonsi  caricare. 

Tom.  ir.  24     ' 


1 85  R  0  s's  I 

Lasciando  stare  de'  canali  dell'  antichità ,  non  molto 
si  badò  in  Italia  alle  dette  condizioni  j  parecchi  de'  suoi 
canali  navigabili  essendo  in  sulle  prime  destinati  alla  ir- 
rigazione'soltanto.  Quando  in  Francia  si  stabilirono,  sem- 
bra che  si  avesse  avuto  in  mira  più  tosto  la  gloria  della 
nazione  e  la  celebrità  nella  grandezza  dell'  opera  ,  che  la 
utilità  e  la  convenienza.  Non  così  in  Inghilterra  ed  in  Ame- 
rica, ove  si  adottarono  di  varie  dimensioni,  non  solo  per 
la  diversa  natura  de'  terreni  su  cui  si  tracciarono  ,  ma 
ancora  pegli  oggetti  che  su  ciascuno  di  essi  era  mestieri 
trasportare,  appunto  perchè  si  ebbe  riguardo  alle  cose  pel 
di  cui  trasporto  più  specialmente  ciascuno  di  essi  abbiso- 
gnava. Venne  di  poi  l'americano  Fulton,  ed  indi  il  fran- 
cese Bettancourt ,  che  avrebbero  voluto  solo  per  econo- 
mizzare acqua  adottare  sempre  dimensioni  così  auguste  da 
farli  servire  a  battelli  di  portata  non  maggiore  di  quattro 
tonnellate  j  ma  la  loro  opinione  fu  generalmente  combat- 
tuta ed  in  ispezieltà  con  molta  energia  dall'inglese  Chap- 
mann  ;  ed  anche  in  Francia  (  ove  in  sulle  prime  fu  al- 
quanto favolata  ,  perchè  credettero  che  di  tal  sorta  fosse 
la  piccola  navigazione  in  Inghilterra  )  non  fu  adottata  , 
come  non  lo  fu  in  niun  sito  di  Europa  che  io  sappia. 
Tanta  importanza  va  collegata  colla  giusta  proporzionata 
grandezza  dei  battelli  agli  oggetti  che  debbonvisi  caricare. 

Le  troppo  grandi  dimensioni  conducono  a  grandi 
spese,  consumano  molt'  acqua  ,  richiedono  troppo  tempo 
pel  passaggio  pei  sostegni ,  e  rendono  raen  facile  la  ma- 
novra delle  porte  ;  non  sono  veramente  utili  che  quando 
si  debba  in  una  sol  volta  assai  trasportare. 

Se  le   minime  richiedono  minore  spesa,  d'altra  parte 


1. 

à 


Di  UNA  NAVIGAZIONE  MEDITETlRA^EA  187 

vi  è  perdila  di  tempo  dovendosi  per  non  perdere  forza 
attaccare  ad  un  sol  cavallo  un  convoglio  di  più  battelli , 
né  ogni  sorta  di  genere  vi  si  può  trasportare  senza  avaria. 

II. 

Tutte  le  carapacne  della  Capitanata  sono  generalmente    Dei  commcr- 

^  .  .        .  ,  <:'0  tra  Foggia  e 

o  date  al  pascolo  spontaneo  o  coltivate  a  cereali  :  i  pochi  Maifiedonja.Di- 

*  -1  ^  mcnsioDi  da  da- 

Comuni    situati  sui  monti,    e  quelli    di  Casal  Trinità  e"^'^'""'''- 
Cerignola  coltivano  vigne ,  oli  veti  e  poche  frutta. 

I  comuni  montuosi  vicini  al  Vallo  di  Bovino  com- 
merciano più  coi  paesi  dell'  interno  e  Napoli  ,  che  con 
Foggia  5  quelli  del  Gargano  mandano  in  Foggia,  Lucerà, 
Sausevero ,  Ascoli ,  Troja  i  loro  frutti^  tutte  le  altre  terre 
della  provincia  rimettono  generalmente  i  loro  prodotti  ia 
Barletta  e  Manfredonia  ove  s' imbarcano  j  esclusi  i  mi- 
gliori grani  destinati  alle  manifatture  delle  paste,  li  quali 
si  rimettono  direttamente  da  Foggia  a  Napoli  ,  Gragna- 
no ,  Torre,  ed  altii  paesi  della  provincia  di  Napoli.  Io 
generale  tutte  le  terre  messe  a  destra  del  Carapella  fanno 
ordinariamente  le  loro  spedizioni  per  Barletta,  tutte  quelle 
messe  alla  sinistra  per  Manfredonia  :  ed  il  sistema  finora 
tenuto ,  che  provviene  dall'  essere  quelli  che  si  danno  al 
Nolo  ordinariamente  Foggiani  ,  e  dall'  essere  in  Foggia  i 
depositi  de'  cereali,  si  è  che  le  derrate  che  si  spediscono 
in  Manfredonia  sempre  passano  prima  tutte  per  Foggia  : 
sono  da  escludersi  solo  quelle  di  Sausevero,  che  nei  mesi 
estivi  sogliono  talvolta  andarvi  direttamente. 

Ne  segue  che  da  Foggia  in  Manfredonia  vi  si  manda 
grano,  avena,  orzo,   fave,  granone,  ed  altri  legumi  j  e  che 


t88  ROSSI 

quando  il  nolo  diminuisse  di  prezzo,  come  certo  dovrebbe 
avvenire  dopo  lo  stabilimento  di  un  canale,  vi  anderebbero 
pure  formaggi ,  ed  olii ,  e  forse  anche  vini  ;  e  che  vice- 
versa di  Manfredonia  in  Foggia  vi  vanno  frutta  ,  carboni 
e  pesci  y  e  poiché  non  mollo  prima  di  arrivare  in  Man- 
fredonia ,  andandovi  di  Foggia  si  cavano  alcuni  tufi,  de' 
quali  si  fa  uso  in  quest'  ultima  città  per  la  costruttura 
degli  edifizj  pubblici  e  privati,  di  questi  pure  si  traspor- 
tano :  e  talora  anche  legaami  che  da  Trieste  sogliono  im- 
mettersi in  Manfredonia. 

Per  r  attuale  stato  del  commercio  dunque  tra  Fog- 
gia e  Manfredonia  ,  e  per  quello  che  potrebbe  divenire  , 
è  uopo  dare  tali  dimensioni  alle  parti  integranti  del  ca- 
nale, da  renderlo  atto  al  servizio  di  barche  capaci  di  ri- 
cevere commodamente  tutt'  i  detti  generi,  tenendosi  lon- 
tano dai  detti  due  estremi,  o  di  troppo  grandi  o  di  trop- 
po anguste  dimensioni  j  e  senza  che  per  tutto  questo  si 
avesse  bisogno  di  molta  acqua  o  di  grandi  forze. 

III. 

Bimentionidei  Pel  trasporto  de'  quali  generi  in  Inghilterra  ,    ove   i 

*"'  '■  canali  hanno    più  svariate  dimensioni  ,    ed    ove   da  gran 

tempo  sono  utihnente  impiegati,  si  usano  barche  di  lar- 
ghezza pai.  8,32  ,  di  lunghezza  pai.  86,56,  e  di  altezza 
pai.  4)^45  aventi  la  portata  di  22  tonnellate.  Ed  è  ma- 
nifesta la  convenienza  di  essi  pel  trasporlo  dei  ripetuti 
generi ,  quando  anche  niun  conto  volesse  tenersi  del  fallo. 


DI  UNA  NAVIGAZIONE  MEDITERRANEA  189 

IV. 


Io  dunque  a  fondamento  de'  calcoli  da  instltuire  per     targhem  e 

■^  _  *  _       lunghezza  della 

determinare  la  quantità  di  acqua  bisognevole    al  servizio  «o"5»  J«'  «>»'«- 
del  canale,  assumo  che  debbano  percorrerlo  battelli  delle 
dette  dimensioni.    Epperò   la  conca    di  ciascun   sostegno 
sarà  lunga  pai.  90,72  e  larga  pai.  8,69. 

V. 

Determinati  questi  primi  elementi,  è  uopo  fissare  la    Cadutaci  ci». 

T  •■  '  *  icun  soitegno. 

caduta  di  ciascun  sostegno. 

Quanto  più  piccola  è  la  caduta  di  un  sostegno  tanto 
è  minore  il  consumo  dell' acqua  5  ma  è  provato  che  se  si 
guadagna  in  acqua  si  perde  in  tempo ,  e  che  dopo  certi  "\ 

limiti  cresce  pure  la  spesa,  dovendo  essere  tanti  i  soste- 
gni da  eguagliare  la  somma  delle  loro  cadute  la  discesa 
totale  ^  onde  è  opinione  de'  più  abili  costruttori  doversi 
attenere  ad  una  caduta  media.  Però  nella  più  gran  parte 
dei  canali  vedonsi  impiegate  ne*  loro  sostegni  cadute  di 
circa  metri  2,60  ossia  palmi  9,83  :  ed  è  opinione  del 
Gaulhey  essere  questa  la  più  vantaggiosa. 

Quindi  opino  che  potrebbesi  in  un  canale  da  Fog- 
gia a  Manfredonia  adottare  per  ciascun  sostegno  una  ca- 
duta da'  nove  ai  dieci  palmi  ,  come  tornerebbe  meglio: 
e  tra  questi  due  limiti  avvicinarsi  per  quanto  più  si  può 
al  primo  ;  perciocché  essendo  scarsezza  d' acqua  In  Capi- 
tanata è  da  preferirsi  ,  tra  certi  limiti ,  la  economia  di 
essa  a  quella  della  spesa  e  del  tempo. 


IQO  ROSSI 

Giusta  una  accuralissiiwa  livellazione  da  rae  fatta  ap- 
positamente ,  r  altezza  del  Piano  della  Croce  a  Foggia 
sul  livello  del  mare  è  di  palmi  263,555^  il  qual  numero 
diviso  per  ag,  dà  palmi  g,o88.  Per  la  qual  cosa  saranno 
ventinove  sostegni,  e  la  caduta  di  ciascuno  di  pai.  9,09. 

VI. 

Consumo  ciac-  Quindi  è  che  ceni  concata  che  pel  passaggio  di  una 

■jja  per  una  con-  ^_  ^  1  1  DO 

■^^"a-  barca  si  consumerebbe  ,   costituirebbe    un  parallelepipedo 

di  acqua  di  base  di  palmi  90,72  per  8,69  e  di  altezza 
palmi  9,09,  pari  a  palmi  cubici  7166,16. 

VII. 

NurjLroJibai-  Potrebbe   nascer  dubbio   se  dando    ad  ogni  sostegno 

sjiirc  coDSfcuii-  la  caduta  di  palmi  q,oq    risultasse  tale    la  lunghezza    di 

TamenU  dopo  u-      _  '  e       ^  ^  o 

ne  di  discesa.     cJascun  tiouco  tra  due  sostegni  consecutivi  da  poter  for- 
nire nella  salita  de'  battelli  la  necessaria  acqua    al  soste- 
gno iuleriore  senza  prenderne  dal  superiore  ,  e  senza  che 
la  navigazione  per  esso  tronco  ne  soffrisse. 
P"  Se  i  sostegni  potessero  tutti  stabilirsi  ad  uguale  di- 

stanza tra  loro,  dovendo  essere  ventinove,  e  la  distanza 
da  Foggia  a  ^Manfredonia ,  percorrendo  1'  attuale  strada  , 
essendo  di  palmi  140000,  ciascun  tronco  tra  due  soste- 
gni consecutivi  risulterebbe  di  palmi  4827,58. 

INIa  poiché  la  campagna ,  per  quanto  sembra  a  colpo 
d' occhio  ,  pare  aver  tali  movimenti  da  dovere  in  alcuni 
sili  i  sostegni  essere  più  vicini  che  in  altri,  e,  per  la  na- 
tura del  commercio,  sarebbe  forse  necessario  stabilire  uu 


DI  CNA  NAVIGAZIONE  MEDITERRANEA  IQl 

tronco  maiiltiino  alle  vicinanze  di  Manfredonia,  può  rite- 
nersi che  il  più  breve  tronco  risulti  di  palmi  4^00  j  nella 
quale  ipotesi  resterebbero  loSoo  palmi,  ossia  un  miglio  e 
mezzo  di  lunghezza  da  distribuirsi  per  li  più  lunghi  tron- 
chi ,  e  pel  canale  marittimo. 

Dando  alle  ripe  del  canale  tali  scarpe  da  avere  tre 
di  base  sopra  due  di  altezza,  la  massima  altezza  di  acqua 
in  esso  di  palmi  5, 20  ,  e  la  minore  ampiezza  possibile 
perchè  due  de' detti  battelli  potessero  comrnodamente  na- 
vigare incontrandovisi  ,  un  tronco  della  detta  lunghezza 
di  palmi  4^00  ,  può  senza  prenderne  dal  sostegno  supe- 
riore, fornire  all'  inferiore  1'  acqua  necessaria  pel  passaggio 
di  numero  9  battelli  consecutivi  che  salissero,  senza  che 
in  queir  infrattempo  nessuno  ne  scendesse  :  la  qual  cosa 
parmi  dijHlcile  a  poter  avvenire. 

Riterrò  dunque  che  per  ogni  concata  vi  abbisognino 
palmi  cubici  7166,16  di  acqua. 

Vili. 

Da  notizie  statistiche  ricevute  dal  benemerito  Cava-    P'^.e"""",-. 

focro  di  balUlli 

liere  Lotti  Intendente  della  Capitanata  risulta    che  in   un  •^'"^  '"  •""  '""" 

i  potrebbero  icai- 

sessennio  dal  iSSa  al  1837  inclusivi,  nell'anno  di  m^Z' vuJrcI^u^ ' 
giore  traffico,  che  è  stato  ili 835,  sono  discesi  in  Man- 
Iredonia  da'  diversi  Comuni  della  Provincia  tomola  685  i!\i 
di  cereali  e  legumi,  costituenti  un  peso  di  cantaja  3298-4. 
Quantunque  non  tutti  abbiano  battuto  la  strada  da  Fog- 
gia a  Manfredonia,  perciocché,  come  ho  detto,  ne' mesi 
caldi  le  derrate  da  Sansevero  non  passano  per  Foggia  j 
pure  nel  caso  di  un  canale  debbe  aversi    che  tutti  siano 


192  ROSSI 

richiamati  su  quella  via  j  che  anzi  facilitatasi  la  comuni- 
cazione vi  è  fondamento  da  credere  che  alcuni  di  que'  co- 
muni che  ora  fanno  le  loro  spedizioni  per  Barletta  le  fa- 
rebbero per  Manfredonia,  e  che  oltre  ai  cereali  e  legumi, 
come  ho  già  detto  ,  pure  altri  generi  prenderebbero  una 
tal  via.  Però  stimo  che  a  calcolare  1'  acqua  bisognevole 
pel  servizio  del  canale  debba  aversi  di  l^oo  000  cantaja  na- 
poletani il  peso  totale  da  trasportarsi  da  Foggia  a  Man- 
fredonia ,  ossia  poco  meno  di  35  242  tonnellate  inglesi. 
Ond'  è  che  potrebbero  scendere  pel  canale  sino  a  1998 
battelli  in  un  anno  j  calcolando  che  ciascuno  sì  caricasse 
di  19  tonnellate,  non  potendosi  supporre  che  si  caricassero 
sempre  della  loro  portata  massima,  cioè  di  22  tonnellate. 

IX. 

q«i1°rehraffiil!f'  •^'  attuale  commercio  tra  Foggia  e  Manfredonia  è  quasi 

tutto  in  discesa,  non  trasportandosi  da  Manfredonia ,  o  da' 
punti  sul  cammino  a  Foggia  che  frutta  ,  pesci ,  carboni, 
e  talora  pietre  e  legnami  da  costruzione.  Però  parecchi  bat- 
teUi  dopo  il  loro  arrivo  a  Manfredonia  dovendo  tornar 
voti,  potrebbe  regolarsene  in  modo  il  servizio  che  dopo 
V  arrivo  di  un  battello  in  discesa  ne  partisse  uno  per  la 
salita  j  onde  aversi  il  minor  consumo  di  acqua.  Ma  a  ren- 
dere più  libero  il  traffico  ,  e  poiché  appunto  per  salirne 
alcuni  o  voti  o  meno  carichi ,  potrebbe  un  solo  cavallo 
alla  salita  portare  più  battelli,  supporrò  che  de'  1998  bat- 
telli che  debbono  risalire  a  Foggia  una  metà  soltanto  , 
cioè  999  salisse  alternativamente  con  quei  che  scendono, 
e  r  altra  metà  ,  cioè  gli  altri  999  risalissero  9  per  volta 


t)I  INA  NAYlCA7.I0Nr,  "MEDITKnnANEA  ic)3 

coiisecullvamento,  dopo  esserne  sccso  uno.  Di  r|iio»ti,  1 1 1 
non  consumerebbero  acqua,  ed  i  rimanenti  88B  ciascuno 
una  concata. 

Si  avrebbe  dunque  di  consumo  in  un  anno  j)el  traf- 
fico dei  battelli  : 
per  ggg  in  discesa  e  999  in  salita  alternati  ....concate     999 

per  altri  999  in  discesa »      999 

per  999  in  s;ili(a  3939  consecutivi,  dopo 

uno  di  discesa »     883 

in  uno ,  concate  2  886 

Epperò  pel  solo  servizio  de'  battelli,  secondo  la  fatta 
ipotesi,  palmi  cubici  di  acqua  ao  G81  537,76. 

X. 

A  questo  consumo  dì  acqua  due  altri  ne  vanno  ag-    consumo av. 
gmnti  :   quello  cagionato  dalle  evaporazioni ,  e  l  altro  ca-  porazionì. 
gionato  dalle  filtrazioni. 

Quanto  alle  evaporazioni  due  sono  i  risultati  delle 
migliori  osservazioni  che  io  sappia  per  determinarle. 

L'  uno  dipende  dalle  osservazioni  fatte  sul  canale  di 
Linguadoca  in  Francia  j  \  altro  da  quelle  fatte  dall'  in- 
glese Halley.  Col  primo  si  ha  1'  altezza  d'  acqua  che  si 
evaporizza  in  un  anno,  co4  secondo  il  rapporto  tra  l'al- 
tezza dell'  acqua  di  j)ioggia  che  cade  in  un  anno  a  quella 
della  quantità  d'  acqua  che  in  un  anno  si  evaporizza.  Tutte 
le  quali  osservazioni  sono  fatte  in  paesi  di  clima  assai  di- 
verso dal  nostro  ,  e  spezialmente  della  Capitanata.  Ma 
poiché  tra  noi  ne  manchiamo ,  a  dover  scegliere ,  sceglierò 

Tom.  IV.  a5 


194  ROSSI 

quelle  di  Halley  ;  perciocché  dando  esse  il  rapporto  tra 
le  evaporazioni  e  la  pioggia  ,  variando  questa  col  clima, 
ed  essendo  maggiore ,  ov'  è  maggiore  la  evaporazione ,  e 
viceversa  j  v'è  fondamento  di  credere,  che  in  tanta  man- 
canza di  esperimenti  o  di  osservazioni  ,  assai  meno  lon- 
tani dalla  verità  staremo  valendoci  delle  osservazioni  di 
Halley  che  di  quelle  fatte  sul  canale  di  Linguadoca.  Da 
esse  risulta  che  il  rapporto  della  quantità  d'acqua  che  si 
evaporizza  in  una  contrada  ,  all'  acqua  di  pioggia  che  vi 
cade  è  come  5  a  3. 

Secondo  alcune  osservazioni  fatte,  la  quantità  media 
dell'  acqua  di  pioggia  che  cade  annualmente  sul  Regno 
può  stimarsi  (come  dice  il  chiariss.  nostro  Presidente  Prof, 
de  Luca  in  un  suo  articolo  sulla  forza  motrice  delle  ac- 
que piovane  che  cadono  sul  suolo  del  Regno  di  Napoli) 
di  palmi  3,  024  in  altezza. 

Epperò  secondo  la  norma  data  da  Halley  risulta  la 
evaporizzazlone  di  palmi  5,  o4  in  altezza.  E  qui  vedesi 
la  giustezza  della  scelta  tra  li  due  detti  risultamenti  delle 
diverse  osservazioni  j  imperciocché  essendo  la  Francia  più 
settentrionale  che  il  Regno  di  Napoli,  la  evaporizzazione  tra 
noi  deve  essere  maggiore  di  quella  sul  canale  di  Lingua- 
doca 5  e  di  fatto  ho  trovato  per  essa  un'  altezza  di  palmi 
5,04,  laddove  sul  canale  di  Linguadoca  si  trovò  di  pal- 
mi 3,00. 

XI. 

Ciascun  battello  essendosi  assunto  di  larghezza  pal- 
mi 8,32  ,  perché  la  navigazione  pel  canale  sia  spedita 
nella  salita  e  nella  discesa,    dovrà  esserne  il  fondo  largo 


DI  UNA  NAVIGAZIONE  MEDITERRANEA       IQS 

palmi  16,64.  ^°  oltre  dandosi  all'acqua  di  ciascun  tronco 
del  canale  iin'  altezza  massima  di  palmi  5, 20,  e  le  scar- 
pe laterali  avendo  1'  altezza  alla  base  come  a  a  3,  avrà 
il  canale  alla  superficie  dell'  acqua  una  larghezza  totale  di 
palmi  33, a4-  opperò  la  perdila  d'  acqua  per  la  eva^xw'a- 
zione  in  un  anno  sarà  di  palmi  cubici  22  748  544*  **  '^ 

XII. 

Le  filtrazioni  sono  variabilissime,  e  vanno  facilmente  consumo <tac. 
scemando  col  tempo  ;  e  credo  che  nel  canale  di  che  si  tieni. 
tratta  renderebbonsi  tosto  assai  tenui,  col  farsi,  in  sulle  pri- 
me ,  ed  innanzi  'che  le  opere  avessero  ricevuto  1'  ultima 
mano,  correre  per  esso  ed  a  porte  aperte  le  acque j  es- 
sendo assai  torbide,  e  portando  in  sospensione  molto  li- 
mo quelle  delle  quali  dovrebbesi  far  uso.  Purtuttavolta 
volendo  sempre  soprabbpndare  in  cautele  assumerò  che  la 
quantità  di  acqua  che  si  perde  per  le  filtrazioni  stia  (  per 
1'  osservato  nel  canale  di  Linguadoca  )  a  quella  che  si 
perde  per  le  evaporazioni  come  5  a  3.  Onde  per  le  fil- 
trazioni si  consumerà  di  acqua  palmi  cubici  37  914  ^^o* 

XIII. 

Anche  per  altra  via    può  esservi  perdila    di  acqua  5    co„5umod;ic. 
ed  è  quella  che  scappa  a  traverso  le  porte  di  chiusa.  In  Je^^traw'ó  ìè 
generale  si  riduce  a  quella    che  si  jierde   in  un  solo  so- ^"' 
stegno  ,    e  potrebbe    anche  aversi  come  nulla  quando  le 
porte  fossero  convenientemente  ben  costrutte.  Pure  io  terrò 
una  tal  perdita  di  palmi  cubici  42000  di  acqua. 


196  '  ROSSI 

XIV. 

Quanwid'ac-  Bisognerà  duncrue  ,  perchè  sia  possibile    fare  un  ca- 

qua  DisogacTole.  °       ^  .  . 

naie  navigabile    da  Foggia   a  Manfredonia   poter  disporre 

di  acqua 

pel  servizio  de'  sostegni 20681  538 

per  le  evaporazioni 22  ■748  544 

per  le  filtrazioni 87914240 

per  le  perdite  a  traverso  le  porte.  4^  000 

In  uno  pai.  cubici 81  386  822 

XV. 

„.     ,  Delle  acque    di  due  fiumi    converrebbe    far  uso  pel 

Di  quali  acque  ,  T-  * 

«nyerrebbe  va- g^jij^lg  di  che  si  tratta:  del  Gelone,  e  del  Cervaro^  que- 
sti essendo  i  fiumi   che  passano    più  prossimo    a  Foggia , 
ed  il  portarvene  degli  altri  importando  struttura  di  ponti, 
e  canali  sur  essi.  Il  Gelone,  come  ho  già  detto,  non  mai 
si  asciuga  in  nessuno  de'  suoi  tronchi  ^    però    è  mestieri 
vedere  in  prima  se  le  sue  acque  bastano  pel  servizio  del 
canale  ,   in  mancanza  di  che    si  avrà  poi  ricorso  a  quelle 
del  Gervaro  ,    che  dovrebbonsi  mettere    in  serbo  nell'  in- 
verno per  poi  valersene  nella  state ,  quando  sono  scarsis- 
.sirue  e  quasi  nulle  nei  tronchi  sopracorrente  a  Foggia. 
'I  ~o>,  (  Potrebbonsi  pure    con    appositi    aquedotti    riunire  le 
acque  delle  diverse  sorgive  j   ma  sono  tutte  assai  lontane 
da  Foggia ,    e  tanto  disseminate  ,    come  ho  io  stesso  os- 
servato ,    che  sarebbe    di  gravissima  spesa    il  farlo  j    che 


dac- 
fornisce 


DI  UNA  NAVIGAZIONE  MEDITERRANEA  197 

quantunque  avrebbonsi  allora  acque  limpidissiiile  e  non 
torbide,  pure  è  da  preferirsi  preuderle  direttamente  da' 
fiumi,  e  specialmente  dal  Gelone,  e  quando  non  bastas- 
sero dal  Cervaro  ancora. 

^  XVI.  :<ìi  l  i 

Il  Gelone  non  sempre  ha  uguale  portata.  Va  sogget-  0|;amitàr^_^^ 
to  a  grandissime  piene;  talora  nella  state  più  abbondanti ''''"""=  C''°°* 
che  neir  inverno  :  ma  quelle  vengono  subitanee  e  passano 
assai  presto,  queste  hanno  più  lunga  durata.  Oltre  questi 
stali  di  piene  de'  quali  non  va  tenuto  conto .  per  doversi 
avere  come  accidentali ,  ne  ha  altri  tre.  Sono  quello  del 
suo  pelo  ordinario  che  ha  luogo  per  lo  più  dal  principio 
di  Novembre  alla  fine  di  Aprile,  quello  del  pelo  magro 
ordinario,  e  quello  del  pelo  magro  straordinario  che  nelle 
annate  di  straordinaria  siccità  dura  da  Giugno  ad  Ago- 
sto, e  che  quantunque  non  sempre  avvenga,  pure  io  sup- 
pongo ,  per  soprabbondare  in  cautela ,  che  in  tutti  gli 
anni  avesse  luogo. 

Il  punto  di  derivazione  delle  acque  del  Gelone  ,  da 
valere  pel  servizio  del  canale  debb' essere  in  un  silo  di 
livello  superiore  a  Foggia.  Perciò  quivi  fu  da  me  misu- 
rata la  portata  del  fiume  quando  tròvavasi  in  istato  di 
pelo  ordinario.  Scelsi  due  suoi  tronchi  V  uno  sopraccor- 
renle  e  l' altro  sottocorrente  alla  strada  che  conduce  a 
Lucerà,  ne'  quali  il  moto  dell'acqua  poteva  aversi  come 
ridotto  alla  uniformila  :  e  di  ciascuno  ne  misurai  la  se- 
zione, e  la  pendenza  della  cZ/re^irice  del  corso  dell'acqua. 

Applicala  la  formola    di  Ileitelweyn  ho  trovalo   due 


igS  ROSSI 

portate  diverse j  e  quantunque  potessi  valermi  della  me- 
dia delle  due,  pure  sempre  per  abbondare  in  cautela  , 
riterrò  la  minore,  la  quale  è  di  palmi  cubici  33i, 43  a  se- 
condo. Portata  che  in  un  giorno  dà  palmi  cubici  28  72  i  gSa 
di  acqua  j  e  dal  principio  di  novembre  a  tutto  aprile  pal- 
mi cubici  5  169951360. 

La  portata  del  Gelone,  quando  ha  luogo  il  pelo  ma- 
gro, non  ho  potuto  misurare  non  prestandovisi  la  stagione 
quando  mi  fu  commesso  di  andare  sul  luogo  5  ma  ho 
potuto  bene  dedurla  da  notizie  raccolte ,  e  da  osserva- 
zioni e  misure  prese  sulle  vasche  e  canali  di  derivazioni 
de*  molini  esistenti  sul  suo  corso.  Risulta  che  la  portata 
ordinaria  del  Gelone  quando  ha  luogo,  il  pelo  magro  or- 
dinario è  in  un  giorno  di  palmi  cubici  6i35  175  di  ac- 
qua j  e  che  quando  ha  luogo  il  pelo  magro  straordinario 
che  avviene ,  nelle  annate  di  massima  siccità  ,  ne'  mesi 
di  giugno,  luglio  ed  agosto  è  in  un  giorno  di  palmi  cu- 
bici 802  734.  .p..©d3 

Onde  riterrò 
da  novembre  a  tutto  aprile  palmi  cubici..   5  169951  36o 

da  giugno  a  tutto  agosto 2408202 

nei  rimanenti  mesi.. i8  4o5  525 


Epperò  il  solo  fiume  Gelone  fornisce  in 
ì)Tì  anno  una  massa  d'acqua  di  pai.  cubici..   5  190  765  087 

XVII. 

PcrJita  per  la 

s"p''er"d'°acq.il  Queste  acque  non  tutte  possono  impiegarsi  al  servizio 

^mT.'*"'"^ '^'' del  canale,  a  due  perdite  andando  soggette  durante  il  loro 


DI  UNA  NAVIGAZIONE  MEDITF.IIRANEA  I99 

cammino  dalla  presa  d'acqua  al  carraie  per  lo  aquedoito 
di  derivazione:  e  sono  le  evaporazioni  e  le  filtrazioni. 

Può  valutarsi  il  canale  di  derivazione  della  lun- 
ghezza di  paln\i  21  000^  onde,  per  le  cose  già  dette, 
(supponendolo  alla  superficie  dell'  acqua  di  larghezza  pal- 
mi 20  )    ne  sarà  la  perdila   per  la  evaporizzazione  palmi 

cubici a  1 16  800 

e  quella  per  le  filtrazioni 3175200 

che  formano  insieme  palmi  cubici 5  292  000 

Epperò  potrebbero  in  un  anno  giungere  in  effet- 
tivo dal  fiume  al  canale  di  navigazione  palmi  cubici  di 
acqua 5  r 85  473  087 

Numero  di  gran  lunga  maggiore  di 
quello  che  richiedesi  pel  servizio  del  cana- 
le ,  e  che  debbe  essere  come  si  è  veduto 
di  palmi  cubici 81  386322 

Dunque  il  canale  è  possibile.  Ed  il 
solo  fiume  Gelone  offre  un  supero  di  ac- 
qua ,  che  potrebbe  addirsi  alla  irrigazione, 
di  palmi  cubici 5104086765 

XVIII. 

Se  in  tutti  i  mesi    fosse    eguale    il  consumo  ;     e    la  cZ"lm^è*Mu 
jiortata  del  fiume  fosse  pure  (meno  le  massime  momen- E^I'^'^ver'è  bi- 
lance piene)  costante,  niun  dubbio  rimarrebbe  intorno  alla  ^""  ''' 
possibilità  del  canale  ;  né  sarebbe  uopo  di  vasche  a  conser- 
va. Ma  poiché  il  consumo  varia  ne'  diversi  mesi,  e  varia 


200  Ti  OS  SI 

la  portala  del  fiume  5  comunque  siavi  tanta  esuberanza 
d'  acqua  io  un  anno,  potrebbe  ben  darsi  che  non  in  tutti 
i  mesi  avvenisse  lo  stesso ,  e  che  in  vece  in  alcuni  ve 
ne  fosse  scarsezza  ,•  alla  qual  cosa  sarebbe  allora  mestieri 
rimediare  per  lo  appunto  costruendo  le  dette  vasche  a 
conserva  ,  le  quali  l' acqua  maggiore  tenessero  in  serbo 
per  quei  mesi  ne'  quali  ve  ne  fosse  ijiancanza. 

Però  è  necessario  seguitare  alquanto  d'  appresso  tali 
variazioni  di  consumo  e  di  portata  per  quanto  si  può  con 
approssimazione,  mancando  le  necessarie  notizie  per  pro- 
cedere con  esattezza. 

XIX. 

Della  "lieta  Quauto  al  cousumo  è  necessario  esaminare  le  varia- 

dei  consumo,     ^loni  de'  suoi  elementi ,    che  sono  il  traffico  ,    le  evapo- 
razioni, le  filtrazioni  ed  i  Irapelainenti  a  traverso  le  porte 

di  chiusa.  /[^r^  io,; 

Il  traffico  da  Foggia  a  Manfredonia  è  qua^i  nullo 
dalla  metà  di  giugno  a  tutto  luglio,  in  agosto  cresce,  in 
settembre  è  il  più  forte  tra  lutti  i  mesi  dell'  anno  ,  da 
ottobre  in  dicembre  va  diminuendo,  quindi  è  quasi  sta- 
zionario fino  a  tutto  marzo,  dopo  di  che  va  in  generale 
diminuendo  ,  finché  non  si.  cominci  da  capo.  Non  mi  è 
riuscito  avere  notizie  statistiche  che  diano  con  esattezza 
la  quantità  del  traffico  in  ciascuno  di  tali  mesi.  Ma  dal 
qui  detto  risulta  che  il  trasporto  è  minimo  da  aprile  a 
luglio ,  medio  da  dicembre  a  marzo,  massimo  da  agosto 
a  novembre.  Or  dunque  dividendo  in  sei  parti  tutto  il 
consumo  dell'  acqua  pel  passaggio  dei  battelli,  e  dandone 


! 


DI  DNA  NAVIGAZIONE  MEDITEnr.ANEA  '20  1 

una  al  traffica  minimo,  due  al  medio,  e  ire  al  massimo, 

avremo  che  pel  jiassagglo  dvi  l)atlelli  vi  vuole  di  acqua  j 

da  agosto  a  novembre  pajini  cubici  .   .   io  34o  jGg 

da  dicembre  a  mar-io 6  8g3  S^G 

da  aprile  a  luglio 3  44^  9^3 


Sono  come  sopra  (IX)  20681  538 
Le  più  grandi  evaporazioni  hanno  luogo  nella  state, 
sono  esse  minori  in  primavera,  anche  minori  in  autunno, 
e  come  nulle  si  possono  avere  in  inverno.  Però  assumerò 
che  le  evaporazioni  abbiano  tutte  luogo  da  aprile  a  no- 
vembre, e  che  negli  ultimi  quattro  mesi  degli  otto,  siano 
i  due  terzi  de'  quattro  primi.  Avremo  allora  le  evapora- 
zioni così  distribuite  : 

da  agosto  a  novembre  palmi  cubici  .   .     909941756 

da  dicembre  a  marzo 0,0 

da  aprile  a  luglio 13649126,4 


Che  come  sopra  (XI)  sono    22  748  544? 
Le  filtrazioni   quantunque    nei  tempi    piovosi    sieno 
alcun  poco  minori  ,  pure  possono  aversi  come    eguali  in 
ogni  mese  dell'anno^  onde  sarà: 

da  agosto  a  novembre  palmi  cubici   .   .   12  638  080 

da  dicembre  a  marzo 12  638  080 

da  aprile  a  luglio 12  638  080 


Che  come  sopra  (XII)  sono     37914240 
La  perdita  cagionata    dall'  acqua    che  scappa    a    tra- 
verso le  porle  di  chiusa  può  pure  aversi  come  costante, 
onde  sarà 

Jom.  IF.  txQ 


'303  ROSSI 

da  agosto  a  novembre  palmi  cubici 14000 

da  dicembre  a  marzo 14000 

da  aprile  a  luglio. 14  000 

Sono  come  sopra  (XIII).    4  2  000 

Talché  il  consumo  totale  sarà  : 
da  agosto  a  novembre  palmi  cubici .  .  Sa  092  266,6 

da  dicembre  a  marzo 19545926,0 

da  aprile  a  luglio 29748  129,4 

Che  formano  come  sopra  (XIV).  81  386  322 

XX. 

Varietà  della  Da  ciò  chc  ho  dstto  innanzi  (XVI),  nel  primo  de'  tre 

precedenti  quadrimestri,  nel  mese  di  agosto  si  ha  il  pelo 
magro  straordinario  ,  cioè  palmi  cubici  802  ^34  in  un 
giorno  5  nei  due  mesi  di  settembre  ed  ottobre  la  portata 
corrispondente  al  pelo  magro  ordinano  eh'  è  di  palmi 
cubici  6135175  al  giorno  j  in  novembre  quella  del 
pelo  ordinario  che  è  in  un  giorno  di  palmi  cubici 
28  721  gSa. 

Pel  secondo  quadrimestre ,  cioè  da  dicembre  a  mar- 
zo per  ciascun  mese  la  portata  del  pelo  ordinario  ,  e 
perciò  in  ciascun  giorno  palmi  cubici  28  721   952. 

Pel  terzo  in  aprile  e  maggio  la  portata  del  pelo  ma- 
gro ordinario,  cioè  in  ogni  giorno  palmi  &  i35  175  j 
ed  in  giugno  e  luglio  la  minima  portata  cioè  in  ciascun 
giorno  palmi  cubici  802  734. 


DI  VKA.  NAVIGAZIONE  MEDITEERANEA 


jo3 


XXI. 


Sicché,  per  semplificare  alquanto  la  cosa,  supponen-    Paragone  tra 

'    *  *  ^    _  .     .  ''  consumo  dtll' 

do  che  ìq  ciascuno  dei  precedenti  quadrimestri  il  consa- acquee laaisno. 
mo  dell'  acqua  fosse  uguale  in  ogni  mese  ,  si  avrà  il  se-  '"  '•''  "™'*- 
guente  stato  di  paragone  ,  ove  dalle  portate  in  ogni  mese 
6Ì  è  sempre  tolta  ,  seguitando  le  precedenti  norme  ,  la 
parte  che  se  ne  perde  per  le  fdtrazioni  e  per  le  evapora- 
zioni durante  il  tragitto  dell'acqua  dalla  presa  nel  fiume  al 
canale. 


MESI 

COIXSUMO 
DI    ACQUA 

ACQUA 
DISPONIBILE 

Agosto 

8o23o66,615 

23  604490 

Settembre 

8o23o66,65 

183578720 

Ottobre 

8  023  066,63 

183578720 

Novembre 

8  02  3  o66;65 

861  182  o3o 

Dicembre 

4886  48i;5o 

S61  393960 

Gennaio 

/^8S6  4.8I,5o 

861393960 

Febbraio 

4.S86  48i,5o 

861393960 

Marzo 

488648i;jo 

861393960 

Aprile 

7437032,35 

183472880 

alaggio 

7/,37o32,35 

183472880 

Giugno 

7437032,35 

23  498  600 

1  Luglio 

7437032,35 

23  498  65o 

204  ROSSI 

Donde  appare  che  anche  ne'  mesi  di  più  gran  consumo 
e  di  più  grande  siccità  l'accpa  disponibile  supera  di  molto 
il  consumo.  Epperò  niun  dubbio  sulla  possibilità  di  un  ca- 
nale di  navigazione. 

XXII. 


Dell»  Tasche  Se  le  acque  del  fiume  Gelone  fossero  chiare,  baste- 

ptrche  le  toibi-  ^  ' 

de  61  depoDcsse-  febbe  fare  un  acquidotto  di  derivazione  soltanto  per  con- 
durle nel  Canale,  ma  poiché  portano  torbide  con  loro,  è 
utile  fare  delle  vasche  ove  si  deponessero  5  onde  poi  cor- 
rendo chiare  pel  Canale,  non  obbligassero  ad  espurgarlo  e 
così  ne  interrompessero  la  navigazione. 

Porto  opinione  adunque  doversi  costruire  due  grandi 
vasche  contigue  pel  lato  più  lungo  tra  loro  ^  ciascuna  di 
lunghezza  palmi  2000,  di  larghezza  palmi  110,  e  pro- 
fondità palmi  17.  Triplo  ne  sarebbe  lo  scopo  : 
1 .°  Servirebbero  a  far  deporre  le  torbide  j 
2."  Servirebbero  come  bacino  pel  carico  e  scarico  dei 
battelli  j 

3.°  Nel  caso  di  qualche  straordinaria  siccità  ,  che 
potesse  aver  luogo,  per  cui  le  acque  mancassero,  varreb- 
bero come  conserve. 

Essendo  due  ,  mentre  1'  una  si  espurgherebbe  (  il 
che  potrebbe  essere  nell'autunno,  onde  poi  nell'inverno 
si  riempisse  di  nuovo  )  T  altra  farebbe  il  servizio. 

Essendo  ciascuna  larga  110  palmi  e  lunga  2000  po- 
trebbero starvi  sino  a  dugento  battelli  colle  poppe  alla 
sponda  più  lunga  ,  lasciando  a  prora  uno  spazio  libero 
pel  quale  potrebbero  commodamente  partirne  :  ed  anche 
quando  altri  ne  arrivassero. 


DI  UNA  NAVIGAZIONE  MEDITERRANEA  2o5 

Essendone  la  profondila  di  jialmi  17  ,  palmi  2,5o 
sarebbero  al  disotto  della  soglia  del  portone  e  varrebbero 
a  contenere  le  torbide  depositate,  palmi  5, 20  varrebbero 
ad  equiparare  l' altezza  dell'acqua  nel  tronco  di  canale  im- 
mediatamente prossimo^  ed  i  rimanenti  palmi  9,3o  fareb- 
bero caduta  col  medesimo  tronco  quando  la  vasca  fosse 
tutta  piena.  Per  tal  modo  resterebbero  sempre  in  serbo 
in  ciascuna  vasca  palmi  cubici  2  046  eoo  di  acqua,  ed  in 
entrambe  4  ^9"^  000  ,  che  varrebbero  pel  caso  di  scon- 
certi che  potessero  avvenire  alla  presa  d'  acqua  ,  o  negli 
aquidotti  di  derivazione,  od  in  caso  di  straordinarie  sic- 
cità. La  qual  acqua  non  starebbe  mai  stagnante  ,  come 
forse  taluno  potrebbe  credere,  a  causa  della  manovra  dei 
suoi  portoni  di  chiusa  ,  dell'  acqua  che  sempre  vi  afflui- 
rebbe dallo  aquidotto  di^  derivazione  ,  e  dell'  acqua  che 
ne  scapperebbe  per  gli  sfioratori. 

XXIII. 

Dopo  lutto  ciò  si  coinprende  quali  sono  in  generale  rar^^'pdTanàl* 
le  opere  da  fare.  di  n„ig,ziou.. 

(A).  Per  la  presa  d'  acqua 

i.°  Una  o  più  pescaie  nel  fiume  Gelone  in  un  sito  di 
livello  superiore  a  Foggia  j  secondo  che  per  la  natura  del 
fiume  nelle  varie  stagioni  sarebbe  meglio  prendere  P  ac- 
qua tutta  in  una  volta ,  od  a  più  riprese. 

2.°  Un' arginazione  per  un  certo  tratto  sopracorrente 
alla  pescaia  per  prevenire  gli  straripamenti  che  nelle  mas- 


aoS    -  ROSSI 

sime  piene  potrebbero  avvenire  per  effetto  del  rigurgito. 

3.°  Un  canale  di  derivazione  ,  o  più  di  uno  ,  che  si 
andassero  a  riunire  in  un  solo  (  secondo  che  si  stabilis- 
se una  solao  più  pescaie  )  dalla  presa  dell'  acqua  a  Foggia. 

4.°  Due  grandi  vasche  in  prossimità  di  Foggia  pel 
carico  e  scarico  de'  battelli ,  e  per  far  depositare  le  tor- 
bide ,•  cogli  analoghi  portoni  all'  uscita ,  pozzi  all'  incile 
e  sfioratori  ai  lati. 

(B).  Pel  Canale. 

1.°  L'apertura  del  Canale. 

2."  Numero  29.  Sostegni  coi  portoni  e  portine  corris- 
pondenti 5  e  le  necessarie  opere  accessorie. 

3.°  Un  Ponte  Canale  sul  fiume  Candelaro,  che  per  an- 
dare da  Foggia  a  Manfredonia  è  uopo  traversare. 

4."  Un  canale  a  gran  sezione  in  prossimità  di  Manfre- 
donia per  lo  scarico  e  carico  dei  battelli. 

5,°  Una  Chiusa  di  Cacciata  per  mantenere  sgombra  la 
foce  del  Canale  in  mare. 

6.°  Il  Camino  di  Alaggio. 

XXIV. 


Ddu  irriga-  Ho  cià  dctto  comc  Sarebbe  utile  rendere  atti  ad  ir- 

br.e. 

rigare  quei  tronchi  dei  diversi  fiumi  della  Capitanata,  o- 
ve  le  acque  sono  perenni  e  vi  si  mostrano  a  sufficienza, 
ed  ove  per  X  attuale  regime  è  più  facile  e  meno  dispen- 
dioso ,  o  non  abbisogni  di  lunghe  arginature  lo  stabili- 
mento  di  parate  o  pescaie.    Che  se   lo  stesso  Canale   di 


DI   UNA   NAVIGAZIONE   MEDITERRANEA  207 

navigazione  si  volesse  far  servire  ancora  alla  irrigazione  , 
in  un  tal  caso  ,  come  appare  dal  detto  innanzi  ,  si  a- 
vrebbe  una  massa  d'  acqua  di  palmi  cubici  5  104  086  ^65 
che  potrebbe  addirsi  a  quest'  uso.  Ma  per  ciò  fare  sa- 
rebbe mestieri  cavare  gran  vasche  a  conserve  onde  te- 
nere in  serbo  quell'  acqua  che  non  abbisognando  ne'  tem- 
pi umidi  e  piovosi  necessiterebbe  poi  nei  tempi  secchi  , 
quando  ve  n'  è  penuria. 

XXV. 

Per  rendere  meno   dispendiosa   la    cosa,    potrebbesi  ranJe^aUa'n^Ji- 
destinare  alla  irrigazione  la  massa  d'  acqua  soltanto  che  su-  ^^^^^"^lut^tì^', 
pera  dalla  navigazione  ne'  tre  mesi  di  giugno,  luglio,  ed  """*■ 
agosto  j    che    anzi  sarebbe   meglio  non  addirvene  che  la 
metà  soltanto,  serbando  l'altra  pure  per  la  navigazione, 
onde  non  ne  soffrisse   nel   caso    che   crescessero   oltre   il 
supposto  le  cose  da  trasportarsi. 

Giusta  una  tale  ipotesi  dovrebbero  addirsi  alla  irri- 
gazione palmi  cubici  23  85^  334,  ^  per  la  navigazio- 
ne resterebbero  altrettanti  nei  mesi  di  giugno,  luglio,  ed 
agosto. 

XVI. 

È  opinione  che  ad  irrigare  qualsiasi  terreno  per  eia-  po^^Mm'a?* 
senno  de'  mesi  più   caldi  di    giugno  ,    luglio ,    ed  agosto  deiu!'"''"  **^' 
basta  tant'  acqua  da  comporre  un  parallelepipedo   di  ba- 
se quanto  il  terreno  da  irrigare  è  di  altezza  palmo  0,60. 
Ond'  è  che  cplla  metà  dell'  acqua  che  supera  dalla  navi- 


ze. 


208  ROSSI 

"     gazione  In  tali  mesi  ,    potrebbero  irrigarsi  moggia    napo- 
letane 278  di  campagna,  e  con  tutta  essa  moggia  546. 

XXVII. 

urigaz^nc."  E*  Sarebbe  da  vedere  quale  estensione  di  terreno  sia  me- 

eampagnedapo- glio  rendere  irrigabile  per  esso  Canale,  ed  allora  soltanto 

fcrs.  Irrigare  per  ,  .  ,  i       r       •         i  i.      i 

iiKizn  del  cana-  potrauno  determinarsene  le  opere  da  larsi  :    le    ciuau  do- 

le — Cuusegueo*  ,  . 

vranno  consistere  :  1 .°  in  conserve  di  tale  capacità  da  con- 
tenere tant' acqua  per  quanto  ne  abbisogna  alla  irrigazione  : 
2.°  in  acquidotti  di  derivazione  sino  al  Canale:  3.°  in  ca- 
nali secondarli  colle  rispettive  bocche  d'  introito. 

Dirò  soltanto  che  quando  tutta  1'  acqua  che  supere- 
rebbe dalla  navigazione  si  addicesse  alla  irrigazione ,  po- 
trebbero col  solo  fiume  Celone  irrigarsi  niente  meno  che 
1^5  760  moggia  Napoletane  di  terreno  j  e  che  quando  vi 
si  aggiungesse  quella  del  Cervaro  potrebbe  portarsi  sino 
ad  oltre  le  moggia  3oo  000,  ^ 

Ma  che  convenga  valersi  di  tutta  questa  massa  d'  ac- 
qua non  parmi  j  imjjerciocchè ,  per  quanto  può  di  leg- 
gieri giudicarsi  ,  sarebbe  di  gran  lunga  la  spesa  maggio- 
re dell'  utile  che  potrebbe  trarsenej  essendo  troppo  grande 
e  dispendiosa  opera  (  a  non  parlare  delle  altre  )  il  ca- 
vare conserve  da  contenere  tanta  copia  d'acqua,  le  qua- 
li inoltre  dovrebbero  costruirsi  per  modo  da  impedire  per 
quanto  si  può  le  filtrazioni ,  ed  anderebbero  di  anno  in 
anno  espurgate. 

Epperò  ritorno  a  conchiudere  che  sarebbe  meglio 
destinare  per  la  irrigazione  alcuni  determinati  tronchi  de' 
diversi  fiumi  ,  come  ho  già  detto  ,    e  non, far  servire  il 


DI  UNA  NAVIGAZIONE  MEDITERRANEA  209 

Canaio  che  alla  navigazione  soltanto^  od  al  più  farlo  ser- 
vire ad  irrigare  le  dette  2'j3  moggia. 

CONCHIUSIONE. 

Ecco,  Signor  Presidente  e  dottissimi  colleghi,  tutto  ciò 
che  io  doveva  dirvi  intorno  alla  natura  de' fiumi  della  Ca- 
pitanata ,  alla  pretesa  navigazione  ed  irrigazione ,  ed  alle 
opere  necessarie  per  aprire  un  Canale  di  navigazione  da 
Foggia  a  Manfredonia.  E  parmi  che  queste  mie  memorie 
così  ordinate,  offrano  bastevoli  elementi  onde  possa  con- 
cbiudersi  della  convenienza  dell'  opera  j  che  sapete  ottima- 
mente come  male  si  avviserebbe  chi  credesse  doversi  man- 
dare ad  effetto  l' impresa  solo  perchè  possibile  ,  o  non 
doversi  solo  perchè  di  grave  spesa  ?  dovendosi  sempre  in- 
stituir  paragone  tra  i  capitali  da  impiegarsi  e  la  utilità  che 
da  essi  trarrebbesi  per  una  data  opera  ;  onde  poi  poter 
conchiudere  di  impiegarli  a  preferenza  per  essa,  od  esser 
meglio  volgerli  a  più  necessario  o  più  utile  impresa. 

Quanto  a  me  stimo  utile  la  cosa  ,  ma  non  conve- 
niente ,  almeno  per  ora  ,  mancando  ancora  quella  pro- 
vincia di  buone  e  regolari  strade  rotabih  j  le  quali  sorte 
di  comunicazioni  debbono  sempre ,  com'  è  generale  opi- 
nione ,  compirsi  prima  che  intraprenderne  di  altre. 


Tom.  ir.  W  ,  01 J  27 


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DEL    PRESENTE    FASCICOLO 


Di  ima  navigazione  mediterranea  in  Capi- 
tanata ira  Foggia  e  Manfredonia  ,  e 
del/a   irrigazione   di  quelli  terreni  ,    di 


Vincenzo  Antonio  Kos.<ìi 
Con  una  tavola  in  7'ame. 


3.12. 


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Prezzo  del  presente  fascicolo gr.  4^ 


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FASCICOLO  11  DEL  VOLUME  J[V 


L' nccadoniia  poulauiana  pubblica  i  suoi  alti  in  fascicoli,  iiUìiicliù 
pussatiu  ijollecitamcutu  cuuoscetsi  le  memorie  a  misura  che  sono  ap- 
provate. 

Ogni  fascicolo  si  pubblica  subito  che  si  ha  sufficiente  materiale  e 
senza  astringersi  ad  alcun  determinalo  periodo  o  numero  di  fogli. 

Terminati  i  fascicoli  ihe  debbono  comporre  un  volume,  si  dà  il 
frontespizio,  la  dedica  ,  la  storia  de'  lavori ,  ed  il  catalogo  digli  acca 
demici  da  premettersi  al  volume  medesimo. 


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TAVOLE  DI  MONETE 

DEL 

PRESENTATE  NEL  1839  ALL'  ACCADEMIA  PONTANIANA 


B^t  SOCIO  mtSIDSNTK 


SALTATORE  FCSCO 


k3ono  trascorsi  molli  anni ,  che  ho  rivolta  la  men- 
te a  trattar  delle  monete  del  nostro  Reame  ,  e  frugando 
Degli  Archivj  ho  durato  gravi  fatiche  in  raccogliere  no- 
tizie per  illustrarle. 

Fin  dal  1812  scrivendo  sul  Ducato  di  Re  Ruggieri, 
promisi  dare  per  le  stampe  un'opera  che  riguardalo  avesse 
le  zecche  del  nostro  Reame:  pel  <piale  disegno  nel  i8i5 
diedi  principio  alla  incisione  de'  rami  ,  e  cominciai  da 
quelle  monete  che  si  appartengono  alle  Ducee  ed  alla 
dinastia  Normanna ,  le  quali  sono  le  più  inleressanti  per 
essere  la  maggior  parte  non  conosciute. 

Questo  mio  proiionimeuto  ha  incontrato  sempre  de- 
gli ostacoli ,  per  cui  ho  dovuto  io  certo  modo  abbaodo» 
oarne  il  pensiero. 

Tom.  IV.  27* 


ai2  FUSCO 

Ora  le  premure  fallerai  dagli  amatori  delle  cose  patrie 
di  voler  io  almeno  ordinare  e  descrivere  le  monete  che 
in  queste  tavole  son  riportate ,  mi  hanno  determinato  a 
soddisfare  le  loro  brame,  sicuro  che  la  pubblicazione  di 
esse  possa  riuscire  di  gradimento  a'  cultori  di  questo  ramo 
di  numismatica. 


MONETE  DE'  DUCHI  DI  NAPOLI 
I,  Rame  (  Tav.  I.  N.  3.  ) 

Dr,  Busto  del  Santo  Protettore  col  libro  degli  Evan- 
geli :  ai  lati  S      I 
C     A 
N 
O 
yi  Nel  campo  -{-  NGAnOAIC. 

II.  Rame  {Tav.  I.  N.  i.) 

DI  STEFANO  f 

Dr.  Croce,  sotto  della   stessa  due  gradini,  ed  ai  la- 
ti S     X'  Stephanus 
^  Busto  del  Santo  Protettore  eoa  una  specie  di  pic- 
cola mitra:  ai  lati  I     S 
A    3 
N    S 


MONETE    DI   NÀPOLI    E   SICILIA  Sl3 

III.  Rame  (^Taif.  I.  N.  2.) 

DEL   MEDESIMO 

jJr.   Croce  come  nella  precedeate:  ai  Iati  S  T. 
^  Lo  stesso  busto   del  Santo    colla  testa  Duda  :    ai 
lati  S     I 
C     A 
S    N 
V 

£      IV.  Rame  (Tav.  1.  iV.  4.) 

DI  SERGIO 

Dr.  Effigie  del  Duca  cogli  abiti  gemmati  e  beretto 
ducale  :  asta  nella  diritta  ,  e  nella  sinistra  il 
globo  colla  croce  sopra  :  sotto  una  stella  :  ai 
lati  S     D 

E     V 
R     X 
G 
I 

V 
1^  11  Santo  cogli  abiti  episcopali,  pallio  ,  e   zucchet- 
to: porge  l'indice  della  diritta   sul  libro    degli 
evangeli  poggiato    sulla  parte  sinistra  del  petto  : 
ai  lati  S     I 
C     A 
S     N 
V 


dl4  FUSCO 

V.  Rame  {Tav.  I.  N.  5.) 

DEL   MEDESIMO 

Siinlle  alla  precedente ,  ma  di  godìo  diverso. 

VI.  Rame  (  Tav.  I.  N.  6.  ) 

DI  ATTANASIO 

Dr.  Busto  di  Attanasio  cogli  abiti  vescovili,  pallio, 
zucchetto   e  libro  degli  evangeli    nella  sinistra  : 
ai  Iati  della  testa  A  E 
H  P 

A  S  Athanasius  Episcopus. 
9*  Busto  del  Santo  parimente  con  zucchetto,  pallio  e 
libro  :  a'  lati  S    I 
C  A 
S  N 
V 

VII.  Rame  {Tav.  1.  N.  7.) 

DEL   MEDESIMO 

La  slessa  di  diverso  conio. 


MONETE    DI    NAPOLI    E   SICILIA  afS 

MONETE  DE'  DUCHI  DI  GAETA 

Vili.  {Tav.  111.  iV,  7.) 
DI  MARINO  I 

Dr.  Nel  centro  M  :   intorno    -|-    CON     T     DVX. 

Marinus  Consul  et  Dux. 
1j[  Una  testa    a    semplice  contorno  ,  rozzamente  de- 
lineala. 

IX.  Bame  (  Tav.  III.  iV.  8.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  M:  in  giro  -{-  CON  ET  DVX. 

1^  Alquanto  dissimile  dal  piecedeute. 

X.  Rame  (  Ta^>.  HI.  JV.  9.  ) 

DEL    MEDEilMO 

Dr.  Nel  mezzo  M,  come  nelle  altre,  e  nell*  epigrafe 

-{-     A     CON  ET  DVX. 
9f  Testa  come  quella  descrilla  nel  n.'  vili. 


2 1.6  FUSCO 

XI.  Rame  {Tav.  IL  N.   ii.) 

DI  MARINO  II 

Dr.  INel  mezzo  M  con  un  punto  sopra  ed  un  altro 
al  di  sotto  :  intorno  "i"  CONSVL  ET  DUX. 
Marinus  Consul  et  Dux. 

^  Croce  greca  che  interseca  I'  intero  campo,  e  ne- 
gli angoli  veggonsi  le  lettere  S  .  E  .  A  fi.  Saw 
ctiis  Erasmus  ,  nome  del  Santo  Protettore  di 
Gaeta,  Alfa  ed  Omega. 

XII.  Rame  (  Tav.  II.  N.  3.  ) 

DI   RICCARDO  I. 

Dr,  Croce  greca  in  mezzo  ad  un  cerchio  :  intorno 
Rie.  CON  e  T  DVX.  Riccardus  Consul  et 
Dux  :  Veggonsi  ripercosse  con  un  punsone  le 
lettere  DV  con  linea  sopra  e  stella  sotto, 

^  Simile  croce  nel  centro  colla  epigrafe  GAETa. 

XIII.  Rame  (  Tav.  IL  N.  i.) 
or    RICCARDO  II. 

Dr.   Lo  stesso  tipo  colla  leggenda  RIC  CON  et  duK.. 
^  La  croce  medesima    nel  mezzo    coli'  epigrafe     -|- 
GAETA  lì. 


MONETE    Di   NAPOLI  E   SICILIA  217 

XIV.  Rame  (  Tav.  II.  N.  ì.) 

DEL    MEDESIMO 

La  Stessa  colla  sola  varietà  di  leggersi  nel  rovescio , 
■\-  GAIETA  II. 

XV.  Rame  {Tav.  IL  N.  4.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  La  solita  Croce  nel  mezzo  coli'  epigrafe  RIC 
con  et  duX.  II.  Riccardus  Consul  et  Dux  Se' 
cundus. 

^  La  stessa  Croce:  intorno  -|-  AGETA  colla  mede- 
sima ripercussione  delle  lettere  DV. 

XVI.  Rame  (  Tav.  IL  N.  5.  ) 

DI  GUGLIELMO  re 

Dr.  Croce  greca  :  Intorno  P  epigrafe  -|-  W  DEI  Gra 

.     rEX. 
9f  Castello  :  intorno  -J-  ciVITAS  GAIETa. 

XVII.  Rame  (  Tav.  IL  N.  6.  ) 

del  medesimo 

La  stessa  di  tipo  diverso ,  che  nel  diritto  ha  la  cro- 
ce ornata  di  piccoli  cunei. 


ii8  rusco 

XVni.  (^Tav.  n.  N.  7.) 
DI  TANCREDI  RE 

Dr.  Croce  ornata  nel  mezzo  coli' epigrafe  -^  TAN 
(fEI  GRA  REX.  Tancridus  Dei  Gratta  Rex. 
Vedesi  la  ripercussione  di  uua  stelletta  a  cinque 
raggi  in  un  cerchietto. 

5f  Castello  colla  leggenda  -|-  CIVITAS  GAIETA. 

XIX.  XX.  XXI.  Rame  (Taf.  //.  N.  8.  10.  12.) 

MONETE  AUTONOME 

Dr.    Nel  mezzo  un  castello  :    intorno  [-|-  CIVITA  S 

CAieTA. 
1^  Croce  greca  in  un  cerchio  ornata    nelle  punte    e 

globetti  negli  angoli  :  in  giro  ,  SCS  ERASMVS. 

Si  credono  battute  dopo  la  morte  di  Federigo. 

MONETE  DE'  DUCHI  DI  AMALFI. 

XXII.  Rame  (  Tav.  XI.  N.   10.  ) 

DI  MANSONE 

Dr.  MANS 
...  CE 
.  .  X  Manso  Vice  dux. 

ÌS[  Castello.  .../:.  1 


MONETE    DI   NAPOLI   E   SICILIA  a  19 

XXIII.  Rame  (^Tav,  XI.  N.   ii.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.    .  .  NS. 
.   .  CED 

VX  Manso  Vice  dux. 
Vf  Busto  del  Duca  con  due  croci  ai  lali  :  Ripercossa. 

MONETE  DE  DUCHI  DI  SORRENTO 

XXIV.  Rame  (  Tav.  I.  N.  8.  ) 

DI   SERGIO 

Dr.  Nel  campo  SEr  CSI  et  DVX  et  PRINCe 
SIR.  Sergius  Consul  et  Dux  et  Princeps 
Sirrenti. 

^  Busto  di  un  Santo  Vescovo  col  bacalo  pastorale 
e  diadema. 

XXV.  Rame  (  Tav.  I.  N.  9.  ) 

DEL    MEDESIMO 

La  ttessa  di  conio  diverso. 

Tom.  IV.  a8 


aao  FUSCO 

MONETE  DE'  PRINCIPI  DI  SALERNO 

XXVI.  Argento  (^Tav.  III.  N.   i.) 

DI  GUAIFERIO 

Dr.Nel  campo  VVAIFERIVS  ^.TVaiferiusPrìnceps. 
^.   Croce  latina  coli' epigrafe  ARHANGELVS  M. 
Archangelus  Michael. 

XXVII.  ARGENTO  {Tav.  ir.  N.  7.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.   Un  cardo  colla  leggenda  -^  VVAIFERIVS  PRN. 

Waiferius  Princeps. 
9f  Croce  con  due  gradini    in  mezzo  a  due  globetti, 

coir  epigrafe  +  ARHANGELVS  MIA.  Arcìian- 

gelus  Michael. 

XXVIII.  Argento  (  Tav.  IV.  N.  6.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Nel  mezzo  una  piccola  croce,  intorno  alla  quale 
sono  disposte  le  ultime  quattro  lettere  della  leg- 
genda VVAIFERIVS  PRINCEPS. 

Yj.  Nel  centro  veggonsi  in  due  linee  le  lettere  ini- 
ziali della  uUinia  parola  dell'epigrafe  SANTVS 
MIHAEL  ARHN.  Sanctus  Michael  Archan- 
gelus. 


MONETE   DI   NÀPOLI   E   SICILIA  311 

XXIX.  Rame  {Tav.  HI.  ^.  2.) 
DI  GISULFO  I. 

Dr.  Busto  del  Principe  con  spada ,  o  asta  a  diritta, 
e  stella  a  sinistra ,  colla  leggenda  GISVLFVS 
PRINCEPS. 

^  La  città  lambita  dal  mare  ,  in  giro  della  quale 
OPVLENTA  SAhErno. 

XXX.  Oro  (  Tav.  III.  N.  5.) 
DI  GISULFO  li. 

Dr.  Nel  circolo  interiore  leggenda  cufica  :  nell'  este- 
riore 4-  GISVLFV  PRIN. 

^f  Nel  circolo  interno  altra  leggenda  cufica:  nell'ester- 
no GISVLFV  .  .  R. 

XXXL  Oro  (  Top.  ///.  N.  6.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Simile  alla  precedente    coli'  epigrafe  -|"  GISVL- 
FVS RPINC  .  .  . 
^  Leggenda  cufica  in  ambo  i  circoli. 


Ji--. 


a4»'  Al  j;T.3      FUSCO  ■'» 

XXXII.  (  Tav.  IH.  N.  3.  )    : 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Il  Principe  in  piedi  tenendo  il  labaro  colla  di- 
ritta ,  e  il  globo  colla  croce  sopra  nella  sini- 
stra :   in  giro  GISVLFVS  PRICE, 

9*  Nel  campo  -^  OPVLENTA,  SALERNO.  ' 

XXXIII.  Rame  (  Tav.  IIL  iV.  4.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Simile  alla  precedente  ,  minore  per  modulo  e  senza 
leggenda  intorno  all'  immagine  del  Principe. 

MONETE  DE'  PRINCIPI  DI  CAPUA 

XXXIV.  Rame  (  Tav.  IF.  N.  1 .) 
DI  RICCARDO 

Dr.   Nel  campo  -f-  RICHaRD.  PRIN  CA.  .  .  Rìchar- 

dus  P/inceps  Capuae. 

9"  Castello  coli'  epigrafe  -|-  CIVITAS N4  .  Civi- 

tas  Capuana, 

-J7cJ  ^  -]XXXV.  Rame  (  Tav.  IF.N.'Ò.) 

DI   ANFUSO 

Dr.  Testa  del  Re  coronala  :  ai  Iati  R .  .  Rogerlus Rex. 
ipf  li   Principe   in  piedi    con  cimiero  ,    ed   ai  lati  le 
lettere  A  P.    Jnfusus  Princeps. 


MONETE    DI    NAPOLI   E   SiaUA  aa3 

XXXVI.  Rame  (,Tav.  IV.  N.  i.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Il  principe  a  cavallo  armato  con  un'  asta  avente  uà 

elmo  con  piume. 
^  Una  croce  che  taglia  l' intero  campo,   negli  angoli 

delia  quale  vi  sono  le  lettere  AN.  PRI,   Anfusus 

Princeps. 

MONETE  DE'  CONTI  DI  TEANO 

XXXVII.  Rame  (  Tav.  IV.  N.  8.  ) 

Dr.   Testa  del  Conte  di  profilo  colla  leggenda 
...  AI  .  VI  .  lOAKN. 

5r  civ. 

TA. 

TEANI.  Ciifitas  Team. 

MONETE  DE'  PRINCIPI  NORMANNI 

XXX vili.  Rame  (  Tau.  F.N.i.) 

Questa  moneta,  la  quale  porla  il  nome  di  Roberto,  non 
appartiene  ad  alcuno  dei  prìncipi  Normanni^ 


aa4  FUSCO 

XXXIX.  Rame  (  Tav.  XL  N.  \y,) 

DI  RUGGIERI  Doga 

Dr.  ,  n  .  . 
PIO  . 

AOTS.  Pa)Y«pioff  Aou| 
5^  Effigie  del  Salvatore  colle  lettere  i  .  XC, 
cioè  IniTous  XptiJTos  . 

XL.  Rame  (Jav.  XI.  N.  i3.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  nr 

.  PIOC 

,  OY  .  Vasyeptos  Aou^ 

5f  Lo  stesso  della  precedente 

XLI.  Rame  (  Tai>.  F.  N.  3.) 

DEL    HEDESraO 

Dr.  Stella  :  ROGE 
.  .  V  . 

DUX  .  Rogerius  Dune. 
9"  Busto   del  Santo  col  nimbo  colle  lettere    S   .  M  . 
Sanctus  Matheus  protettore  della  Città  di  Sa^ 
leroo. 


UONETB    DI   NAPOLI    E    SICILIA  taS 

XLII.  Rame  (  Tav.  K  N.  4-  ) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Simile  stella  :  OG  . 
.  IV  . 
DVX 

pf  Come  nella  precedente  :  queste  monete  sono  riper- 
cosse sopra  altre  Costantinopolitane. 

1  ■  » 

XLIII.  Rame  (Tai>.  V.  N.  5.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  ROGE 
RIVS 
DVX 

ipf  EiUgie  del  Santo  colle  lettere  S.  M. 

XLIV.  Rame  (Tav.  V.  N.  6.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Una  stella  ROGE 
RIVS 
DVX 

ipf  Un  putto  colla  croce  nella  sinistra  poggiata  sol- 
la spalla  y  e  colla  destra  avente  unu  specie  di 
flagello. 


}36  FUSCO 

XLV.  Kame  (  Tav.  Vili.  N.  6.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.   Testa  del  Duca:  intorno  \  ROGERIVS  DVX. 

5^  Croce  alla  cui  estremità  s'innalzano  due  rami  & 
chiudere  la  parte  di  sotto  della  stessa  :  nella 
parte  di  sopra  IC     XG  ^i 

XLVI.  Rame  (  Tav.  T.  iV.   7.  ) 

DI  GUGLIELMO  Doca 

Dr.  Il  Duca  a  cavallo  con  spada  e  scudo  avendo  in 
testa  il  berelto  ducale  ,  colla  iscrizione  attorno 
-f  W.  DVX  APVLIE 

9*  L'  Apostolo  S,  Pietro  colle  mani  giunte  :  nella  de- 
stra una  croce  :  in  testa  la  tiara  e  nimbo  :  colla 
leggenda  BEATVS  PETRVS 

XLVII.  Rame  (  Tav.   V.   N.  8.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  In  mezzo  ad  un  giro  di  globetti  GV. 

DVX 
9*  La  testa  di  un  Santo  in  mezzo  a  due  stelle. 


MONETE   DI  NArOLI  E   SICILIA  227 

XLVIII.  Rame  {Tai>.  V.  N.  9.  ) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Una  Croce  agli  angoli  della  quale  vi  sono  le  let« 

tere  VV     DVX. 
^  Il  busto  di  S.  Matteo  che  tiene  la  destra  sul  libro 

degli  evangeli  :   nel  campo    S.  51. 

XLIX.  Rame  (  Tai>.  F.  N.  10.) 

DEL    MEDESIMO 

Simile  alla  precedente  ,  ma  di  modulo  più  piccolo. 
L.  Rame  (  Tai>.  FI.  JS.  i.) 
DI  RUGGIERI  CONTE 

Dr.  Il  Conte  a  cavallo  collo  scudo,  beretto  ducale  e 
vessillo  di  S.  Chiesa  pendente  sulla  spalla  diritta: 
attorno  le  lettere     ROGERIVS     COME  -^  S. 

5f  La  vergine  assisa  in  una  sedia  col  bambino  in  brac- 
cia :  in  giro  -[-  MARIA  MATER  DNI. 

LI.  Lll.  LUI.  Rame  (Tai^.  FI.  N.  2.  3.  e  4.) 

DEL    MEDESIMO 

Simili  alla  precedente  ,  ma  di  diversi  moduli. 
Tom.  JF.  29 


aaS  FUSCO 

LIV.  LV.  Rame  (^Tav.  VI.  N.  5.  e  6.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Croce  ornata   di  globetti ,    avente    negli    angoli 

ROGE  COM.,  cioè  Eogerius  Comes. 
9f  Nel  centro  un  T:  attorno  •{•  CALABRIE  SICILIE 

LVI.  Rame  (  Ta(^.  FI.  N.  7.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Croce  corae  nella  precedente  colle  lettere  ROGE 

COME. 
^  Cerchio  col  j^  :  croce  e  nastro  sopra. 

LVII.  Rame  (  Tav.  VI.  N.  8.  ) 

Dr.  Principe  stante  colla  corona,    tenente  colla  de- 
stra r  asta  e  il  mondo  :  a  dritta  R.  II. 
y.  H  Salvatore  seduto. 

LVIII.  Rame  (  Tav.  VI.  N.  9.  ) 

Dr.  Simile  al  precedente. 

9"  Croce  greca  con  ìc    XG    NIRA  in  giro. 


1^ 


MONETE    DI    NAPOLI   E    SICILIA  329 

LIX.  Rame  {Tw.  FI  N.  io.) 

Dr.  Principe  seduto  avente  nella  destra  l' asta,  e  nel 
Iato  sinistro  il  mondo:  a  sinistra  le  lettere  R.  II. 
9f  Busto  del  Salvatore  :  ai  lati  lESVS. 

Le  precedenti  tre  monete  debbono  addirsi  più  tosto 
ai  principi  di  Costantinopoli,  anzi  che  a  Ruggieri  secon- 
do,  come  da  taluno  si  è  tenuto. 

LX.  Rame  (  Ta^.  FIL  N.  i.) 

Dr.  Nel  campo 

+ 
KEBOH 
©EITojS 
«AOTAco 
PoiVrE 
PI*. 
Kupie  j8oT)3£c  rof  <5o^  5ouX<^  Poreptc^. 
Signore  soccorri  al  tuo  servo  Ruggieri, 
5f  La  vergine  in  piedi    su    di  un  globo   colle  mani 
alzate:  a'  lati  MP  ©y,  cioè  Mrirjip  0;ov,  madre  di 
Dio. 

Tal  moneta  va  nella  classe  di  quelle  dei  principi  di 
Aniiochia. 


a3o  rusco 

LXL  LXII.  LXIII.  LXIV.  LXV.  Oro 
(IW.  VII.  N.  2.  3.  4.  5.  e  6.) 

DEL    MEDESIMO 

Queste  cinque  monete  conispondono  dalla  64.'  alla 
68."  di  Adler  (1),  e  279  di  quelle  rapportate  dal  eh. 
Conte  Castiglione  (2) ,  in  cui  si  ha  in  caratteri  cufici: 
Ruggieri  Emiro. 

LXVI.  Oro  {Tav.  VII.  N.  8.) 

Così  nel  dritto  come  nel  rovescio  ha  in  giro  carat- 
teri cufici  :  è  la  69.'  di  Adler. 

LXVII.  Oro  (  Tav.  VII.  iV.  7.  ) 

Corrisponde  alla  70."  di  Adler  :  Il  eh.  Principe  di 
S,  Giorgio  la  esclude  dalla  serie  delle  monete  Sicule. 

LXVllI.  Oro  (^Tav.  VII  N.  10.) 

Dr.  Leggenda  cufica. 

5f  Croce  col  ìc  XC  NIKA  :  Nel  giro  leggenda  cufica. 


(1)  Museum   cuficum  Rorgianum  Veliiris. 

(a)  Monete  cuficlie  dell'I.  R.  museo  dì  Milano, 


MONETE    DI   NAPOLI   E   SICILIA  23l 

LXIX.  LXX  (  Tav.  VII.  N.   n.  e  12.) 

DI  RUGGIERI  KE 

Corrispondono  alla  71'  e  72°  di  Adler,  ed  alla  280 
del  Conte  Castiglione  che  così  la  descrive  : 

Dr.   Croce  Greca  :  nel  campo  ic    XC  Gesù  Cristo 

MKA  Vince. 
In  giro  :  battuta  nella  capitale  della  Sicilia  .... 
^f  II  He  Bi/ggieri  Augusto,  forte  coWajuto  di  Dio. 
In  giro  :'  nel  nome  di  Dio  battuta  .  .  . 

LXXI.  Oro  {Tav.  Vii.  N.   i3,) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Croce  ornala  di  quattro  punii  con  leggenda  cu- 
fica in  giro. 
I)f  Croce  latina,  negli   angoli  della  quale  le  ^^  NIKA 

LXXII.  LXXIII.  Argento  {Tav.  VII.  N.   14.  i5.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Il  Re  Ruggieri  e  suo  figlio  Duca  Ruggieri  soste- 
nenti una  croce  ,  colle  lettere  R  R  SIC.  =  R  . 
DX  AP  =  AN  R  X,  cioè  Eogerius  Rex  Si- 
ciliae  =  liogerius  Dux  Jpuliae  =  Anno  Re- 
gni X. 


aSa  FUSCO 

^i!"  Il  Salvatore  col  nimbo  in  lesta  e  il  libro  degli 
evangeli  nella  sinistra  :  In  giro  -{"  IG  .  XG  .  RE 
IN  iETRN.,  cioè  Jesus  Christus  regnai  in  ae^ 
termim. 

LXXIV.  Rame  (^Tai>.  VIIL  N.   i.) 

DEL    MEDESIMO 

Corrisponde  alla  7 5"  di  Adler,  e  281   di  Castiglio- 
ne che  legge 

Dr.  Negli  spazj  fra  due  linee  che  s' intersecano  :  Per 
ordine  del  Be  Bnggieri  augusto. 

1^  Sopra  tre  linee  intersecate:  Fu  battuta  in  Mes- 
sina l'anno  quinto  quarantesimo:  Negli  spa- 
zj fra  le  linee  e  cinquecentesimo. 

LXXV.  Rame  (Tat;.  FUI.  N.  4.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Il    Re   Ruggieri   impiedi  :    POrEP  PH| .    Roge- 

rius  Rex. 
J^H"  Croce  di  Malta  :  intorno  ic  XC  NIKA. 

LXXVI.  Rame  (  Tav.  Vili.  N.  5.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Ruggieri  sedente  :  POPE  ANa|  .  Rogerìus  Rex. 
5f  Croce  greca  :  ic  XC  NIKA. 


MOMETB   DI  NÀPOLI  E   SICILIA  233 

LXXVII.  Rame  (  Tav.  Vili.  iV.  7.  ) 


DEL    MEDESIMO 


,  Dr.  Testa  circondata  da  due  giri  di  punti 

9"  Nel  campo  r  rex.  Rogerius  Rex. 

LXXVIII.  Rame  (  Tav.  VIIL  N.  8.  ) 


DEL    MEDESIMO 

Dr.  Iq  un  cerchio  RO.  Rogerius. 
1^  Iq  un'  altro  cerchio  ^f.  Rex. 

LXXIX.  Rame  (Tai>.  FUI.  N.  9.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Nel    campo    una  croce    all'  intorno     RO    RX. 

Rogerius  Rex. 
9f  Busto   di  un  Santo  colle   lettere  s  S  a'  Iati ,  che 

possono  dinotare  S.  Stephanus. 

LXXX.  Rame  (  Tav.  FUI.  N.  10,  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  R  Rogerius. 
5f  RX.  Rex. 


234  FUSCO 

LXXXI.  Rame  {^Tav.  VIIL  N.  ii.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  R  EX.  Rogerìus  Rex. 

5f  Croce  di  Malta  con  quattro  punti. 

LXXXII.  Rame  {Tav.  V.  N.  2.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Rò  ^.  Mogerius  Rex. 
9"  Croce  greca  con  punii. 

LXXXIIL  Rame  {Tav.  FUI.  N.  12.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Croce  greca  colle  lettere  a'  lati  RO.  Bogerius. 
5f  Croce  latina  colle  lettere  RX,  Eex. 

LXXXIV.  Rame  (  Tav.  VIIL  iV.i3.  ) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Nell'area  una  stella:  in  giro  ROGERI . . . .  X. 

Rogerius  Rex. 
5(  Una  testa  dì  Leone. 


MONETE   DI   NAPOLI   E   SICILIA  235 

LXXXV.  Rame  (^Tav.  Vili.  iV.  14.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Pari  stella  :  ia  giro  ROGERIVS. 
ipf.Un  pesce. 

LXXXVI.  Rame  (  Tav.  Vili.  N.  i5.) 

DSL   MEDESIMO 


Dr.   ."s    -f^X,  Rogerius  Rex. 

V/i  Pesce    ia    mezzo    a  due  croci  j    è  lo  stesso  che 
1X0 YS    iniziali  del  nome  di  Ges,ù. 


LXXXVII.  Rame  (^Tav.  VUL  N.  16.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Croce  nel  campo  :   in  giro IVS     REX. 

Rogerius  Rex. 
1^  Una  mezza  luna  tra  due  stelle. 

LXXXVIII.  Rame  (Tau.   FUI.  ^'.   17.) 


DEL    MEDESIMO 


Dr.  Due  cerchi ,  intorno     ROGERIVS     REX. 

R'  Una  croce  con  due  rose  sopra,  e  due  stelle  sotto. 
Tom.  ly.  3o 


i36  FUSCO 

l^XXXIX.  Rame  {Tav.  Vili.  N.  18.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Croce  greca  :  RO  .  .  REX.  Rogerius  Rex. 
Kf  Un  agnello  movente  a  dritta  colla  croce  sul  dorso. 

LXXXX.  Rame  (,Tav.  Vili.  N.  ig.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.   Testa  di  Ruggieri    con   una  stella    nel   campo  : 

a'  lati  le  lettere  R  R.  Rogerius  Rex. 
^  Un  castello. 

LXXXXI.  Rame  (Tai^.  Vili.  N.  20.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Testa  di  Ruggieri  coronata. 
^f  Albero  di  dattilo  con  due  stelle  sopra,  e  sotto  R  R. 
Rogerius  ReX. 

LXXXXn.  Rame  (  Tav.  Vili  N.2\.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.   Testa  di  Ruggieri. 
Bf  Croce. 


MONETE   Di  NAPOLI  E   SICILIA  ^^J 

LXXXXIII.  LXXXXIV.  Argento  (^Tav.  VII.  iV.  16. 17.) 
DI  GUGLIELMO  L 

Dr.  II  Re  Guglielmo  che  con  una  mano  tiene  la 
croce,  coir  altra  il  mondo.  A  sinistra  il  figlio 
Ruggieri  tenente  con  una  mano  la  stessa  croce, 
e  coir  altra  la  spada:  in  giro  W  REX.  Nell'area 
^  DVX  FILIVS  ElVS. 

5f  Effigie  del  Salvatore  col  libro  degli  evangeli  a 
dritta  ,  ed  a'  fianchi  le  lettere  le  XC . 

LXXXXV.  Argento  {Tav.  X.  N.  5.) 

DEL    medesimo 

Dr.  Croce  nel  campo  :  in  giro  -|-  TERCIA  DVCALIS. 

Vf.  Leggenda  cufica. 

LXXXXVI.  Argento  {Tav.X.  N.\i.) 

DEL    medesimo 

Dr.  Nel  campo  W  .  ^f  :  intorno  caratteri  cufici. 
9f  MED  TERC  :   cioè  media  tercia. 

LXXXXVII.  LXXXXVIII.  Rame  (Tav.  IX.  N.  3.  4.) 

DEL    MEDESIMO 

Corrispondono  alla  ■j^,'  e  78.*  di  Adler. 

Dr.  Rex  PVilclnius  Au"xistus. 

5(  Croce  nel  mezzo  ;   in  giro  caratteri  cufici. 


238  FUSCO 

LXXXXIX.  Rame  (  Tav.  IX.  N.  5.  ) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.   Croce  negli  angoli  della  quale  W   REX    DVX 

PNG  .  Wilelmus  Rex ,  Dux ,  Princeps. 
9f  L'Agnus. 

C.  CI.    Rame  {Tav.IX.  N.  6.  e  7.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  REX  W  con  leggenda  cufica  Intorno. 
j^  La  Vergine  col  bambino:  a'  lati  le  lettere  MP  ©Y. 
MriTnp  0£où. 

È  riportata  dall'Adler  al  n."  79. 

CU.  Rame  (  Tav.  IX.  iV".  8.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.   Croce   che   taglia    l' intero  campo.    Ne'  lati  W 
REX  DVX  APV.  Wilelmus  Rex  Dux  Apuliae. 
5^  Un  gatto. 

Cin.  Rame  (  Tav.  IX.  N.g.) 

DEL    MEDESIMO 

Slmile  alla  precedente  pubblicata  sopra  una  moneta 
consumata  da  Gennaro  Chiarito  nella  su£i  opera  iatitola-  ^^ 

ta  :   Esame  di  ire  perdamene.  ^| 


MONETE    DI    NAPOLI    E    SICILIA. 


a39 


CIV.  Rame  (  Tav.  IX.  N.   io.  ) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Ili  un  cerchio  croce  ad  otto  raggi  :  Intorno  W 

Di  GRA  .  . .  ^.   FFilelmus  Dei  Gratia  Rex. 
V/i  Leone  movente  a  sinistra. 

CV.  Rame  (Tav.  IX.  N.  1 1 .) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  W  ed  ^^  rovescio.  TVilelmus  Rex. 
^  Un  albero  di  dattilo  con  frutta. 

evi.  Rame  (Taf.  IX.  N.  /a.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  \^  W.  Rex  FFilelmus. 
^  Calice  di  un  fiore. 

CVII.  Rame  {Tav.  IX.  N.  i3.) 

DEL    MEDESIMO 


Dr.  Si  vede  il  W  solamente. 

J/  Sembra  rap^iresentare   qualche  animale. 


24o  FUSCO 

CVIII.  Rame  (TVip.  IX.  N.  \k.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  In  giro  :  '-{^  GVLjeZffjVS  :  nel  centro  ^. 
5(  Una  croce. 

CIX.  Rame  {Tav.  X.  N.  x5.) 

BEL    MEDESIMO 

.  Dr.  Nel  carapo  W. 
5^  REX  in  mezzo  a  due  punti. 

ex.  Rame  (^Tav.  IX.  JS.  i6.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  w. 
5(  Effigie  di  un  santo. 

CXI.  Rame  (^Tav.  IX.  N.  17.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  W  R  con  quattro  punti  sopra  e  sotto. 
5(  Non  si  distingue  bene  cosa  siavi  impresso. 


MONETE   DI   NAPOLI  E  SICILIA  air 

CXII.  Oro  {Tav.  X.  N.  i.) 

DI  GUGLIELMO  IL 

Corrisponde  all' 80."  di  Adler,  ed  alla  286  del  Ca- 
stiglione che  la  dà  al  primo ,  o  al  secondo  Guglielmo. 

CXIIL  Oro  (^Tav.  X.  N.  2.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  W  con  due  giri  di  caratteri  cufici. 
9^  REX  con  due  altri  giri  dell'  istesso  carattere. 

CXIV.  Oro  {Tav.  VII.  JS.  9.) 

DEL    MEDESIMO 

Corrisponde  alla  fg."  di  Adler. 
Dr.   Wilelmus  secundiis. 
5f  Protector  christianorum. 

CXV.  Argento  {Tav.  IX.  N.   \.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  W.  9^  con  due  stelle  :  intorno  -]- 
SICIL  DVCAT  APVL  PRINC  GAP:  cioè 
IVilelmus  Rex  Siciliae ,  Ducatus  Apuliae^ 
Principatus  Capuae. 

^f  Un  albero  di  dauilo  colle  frutta  e  due  stelle  : 
in  giro  -]-  APVLIENSIS. 


2^2  FUSCO 

CXVI.  Argento  (  Tav.  IX.  N.  2.) 
Simile  alla  precedente. 

CXVir.  Argento  (Tav.  X.  N.  3.) 

.  DEL    MEDESIMO 

Dr.  Albero  di  dattilo  eoa  frutta  pendenti  :  con  sopra 
le  lettere  W.  ^. 

9*  Nel  centro  leggenda  cufica,  intorno  TERGI  APV- 
LIENSIS. 

.     CXVIII.  Argento  (  Tat^.  X.  N.  40 

DEL    MEDESIMO 

Simile  alla  precedente  ,  ma  nel  rovescio  leggesi 
TERGI  APVLTENSIS  :  I.  Corrisponde  al  n.°  78  e  74 
di  Adler. 

CXTX.  Argento  (Tav.  X.  N.  6.) 

DEL    MEDESIMO 

r>r.  Nel  campo  QVARTA  TERCENARIf. 
ìjL   Croce  ,   intorno  caratteri   cufici.     Corrisponde  alla 
loi,   di  Adler. 


MONETE   Di   NAPOLI   E   SICILIA  2 43 

CXX.  CXXI.  Rame  (^Tav.  W.  N.  4.  5.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  II  busto  di  S.  Nicola  colla  leggenda  AriOC 
NIKOAAoj.  Sanctus  Nicolaus. 

9f  EFINETO  £lC  THN  nOAIN  MECCHNHC  cioè  :  Ope- 
rata in  urbe  Messanae. 

CXXII.  Rame  (^Tav.  IL  N.  ^.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.   Come  nel  precedente, 
5^.  Leggenda  cufica. 

CXXIII.  Rame  (,Tav.  X.  N.  7.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.   Nel  campo  bEX  W  SCVS.     I^ex  Wilelmus  se- 

cunchts.  Intorno  4-  OPERATA  IN  VRBE  MESSANE. 

ff  Caratteri  cufici.   Corrisponde  al   n.°  83  di  Adler. 

CXXIV.  Rame  (  Tav.  X.  N.  8.  ) 

DEL    MEDESIMO 

È  r84.'  di  Adler,  e  289  del  Conte  Castiglione. 

Dr.   In  caratteri  cufici  : Guglielmo   secondo, 

9'  Testa  di  Leone. 
Tom.  ir.  3i 


a44  FUSCO 

CXXV.  Rame  (  Tav.  X.  N.  9.  ) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Testa  di  Leone. 

^  Albero  di  dattilo  con  frutta. 

CXXVI.  Rame  {Tav.  X.  N.  12.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  G  in  mezzo   a  due    stelle  ,    sotto  '^  II  :    cioè 

Guilelmus  Rex  II. 
5f  Albero  di  dattilo  eoa  due  stelle  a'  lati  del  tronco, 

e  due  punti  sopra. 

CXXVII.  Rame  (  Tav.  XI.  N.  9.) 

DEL   MEDESIMO 

La  stessa. 

CXXVIII.  Rame  {Tav.  X.  iV.  i3.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  W  in  mezzo  a  quattro  punti  surnoontati  da  un» 

mezza  luna  posta  in  mezzo  a  tre  stelle. 
5(    5(  ^^  co^  quattro  puQti. 


MOJSETE  DI  NAPOLI  E   SICILIA  i^S 

CXXIX.  Rame  (Tau.  XT.  N.  8.) 

DEL  MEDESIMO 

Dr.  In  un  riquadro  G.  Gnilelmus ,  sopra  II. 
9f  Croce  avente  agli  angoli  superiori    le  lettere  RE. 
Rex  j  e  sotto  due  punti. 

CXXX.  Rame  {Tav.  X.  iV.   io.) 

DEL    MEDESIMO  _a 

Dr.  W 

REX 
II. 

5^  Castello  colle  lettere  S.   A. 

CXXXI.  Argento  (  Tav.  XI.  N.  i.) 
DI  TANCREDI 

Dr.  Nel  campo  "ACD  REX  SICIL'E  :  In  giro  -f- 
DEXTERA  DNI  EXALTAVIT  ME.  Tancri- 
dus  Bex  S'iciUae:Dcxtera  Domini  exaltavit  m*. 

Rf  Leggenda  cufica. 

CXXXII.  Argento  (  Tav.  XI.  N.  7.) 

DLL   MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  ACD  REX  SICILIE. 
9'  Leggenda  cufica. 


a46  FUSCO 

CXXXIII.  Rame  {Tav.  XL  N.  2.) 

DEL   MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  REX  SICILIE. 
5/"  Leggenda  cufica. 

CXXXIV.  Rame  (Tav.  XL  N.  3.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Croce  che  occupa  l' intero  campo  colle  lettere 
in  giro  TANCRE. 

5f  Un  T  surmoutato  da  corona  :  in  giro  REX  SI- 
CILIE. 

CXXXV.  Rame  (Taf.  XI.  N.  4.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Nel  campo  TA.   ^    frammezzate  da  una  linea. 

Tancridus  Rex, 
5f  Un  Castello. 

CXXXVI.  Rame  (  Tav.  XI.  N.  5.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.    AC.   Tancridus. 
^     ^.   Rex. 


U 


MONETE   DI   NAPOLI   E   SICILIA  a47 

CXXXVII.  Rame  (Tav.  XL  N.  6.) 

DEL    MEDESIMO 

Dr.  Un  vase  con  una  palma,  e  la  lettera  T  nel  campo. 

Tancridus. 
9f  Caslello  colla  lettera  ^.  Rex. 

CXXXVIII.  CXXXIX.  Rame  {Tw.  Vili.  N.  2.  3.) 

DEL   MEDESIMO 

Simili  a  quelle  riportate  da  Adler  nei  n."  73.  74»  • 
dal  Conte  Castiglione  nel  n."  290. 

Dr.  Leggenda  cufica  che  dice  :  il  Re  Tancredi. 
9f  la  mezzo  REX.  la  giro  ROGERIVS. 


(.>•!< 


I]\DICE 

DELLE    TAVOLE 


249 


TAVOLA  I. 

TAVOLA  IV. 

N.» 

I. 

ir. 

N.° 

I. 

XXXIV, 

» 

2. 

III. 

» 

2. 

XXXVI. 

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3. 

j. 

» 

3. 

XXXV. 

ì) 

4. 

IV. 

» 

4. 

CXX. 

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5. 

V. 

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5. 

CXXI. 

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6. 

VI. 

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6. 

XXVIII. 

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j. 

VII. 

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7- 

XXVII. 

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8. 

XXIV. 

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8. 

XXXVII. 

» 

9- 

XXV. 

TAF  OLA  IL 

TAVOLA    V. 

N." 

I. 

XIII. 

N.° 

I. 

XXXVIII. 

» 

2. 

XIV. 

)l 

a. 

LXXXU. 

» 

3. 

xir. 

» 

3. 

XXXXI. 

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4. 

XV. 

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4. 

XXXXII. 

» 

5. 

XVI. 

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5. 

XXXXIII. 

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6. 

xvir. 

» 

6. 

XXXXIV. 

» 

7- 

xviii. 

» 

7- 

XXXXVI. 

» 

8, 

XIX. 

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8. 

XXXXVII. 

» 

9. 

CXXII. 

» 

9- 

XXXXVIII 

» 

IO. 

XX. 

n 

IO. 

XXXXIX. 

M 

it. 

XI. 

» 

12. 

XXI. 

TAVOLA  VI. 

TAVOLA  in. 

N.° 

I. 

L. 

K.o 

1. 

XXVI. 

» 

2. 

LI. 

» 

3. 

XXIX. 

» 

3. 

Lir. 

» 

3. 

XXXII. 

» 

4. 

LUI. 

» 

4. 

XXXIII. 

1) 

5. 

LIV. 

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5. 

XXX. 

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6. 

LV. 

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6. 

XXXI. 

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7- 

LVI. 

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Vili, 

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8. 

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8. 

IX. 

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9- 

LVIII. 

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9- 

X. 

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1». 

LIX. 

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TÀFOLA   VII. 

Il    " 

3. 

XCVII. 

» 

4. 

XCVIII. 

N.»  1, 

LX. 

» 

5. 

XCIX. 

n      2. 

LXI. 

» 

6. 

e. 

»    3. 

LXII. 

> 

7- 

CI. 

>•    4. 

LXIII. 

>J 

8. 

cu. 

»     5. 

LXIV. 

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9- 

CHI. 

»     6. 

LXV. 

B 

IO. 

CIV. 

*     7- 

LXVII. 

» 

II. 

CV. 

»     8. 

LXVI. 

» 

la. 

evi. 

»    9- 

CXIV. 

» 

i3. 

CVII. 

X         IO. 

LXVIII. 

K 

.4. 

CVIII. 

»     It. 

LXIX. 

» 

i5. 

CIX. 

•     la. 

LXX. 

n 

16. 

ex. 

V      i3. 

LXXI. 

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CXI. 

»      ,4. 
»     i5. 

LXXII. 
LXXIU. 

TAVOLA  X. 

»     16. 

xeni. 

N." 

I. 

CXII. 

»     17- 

xciv. 

» 

a. 

CXIII. 

TÀVOLA    vili. 

3. 

4. 

CXVII, 
CXVIII. 

^.•  I. 

LXXIV. 

» 

5. 

xcv. 

»     a. 

CXXXVIII. 

» 

6. 

CXIX. 

>.     3. 

CXXXIX. 

» 

7. 

CXXIII. 

»     4. 

LXXV. 

» 

8. 

CXXIV. 

.     5. 

LXX  VI. 

) 

9- 

cxxv. 

»     6. 

XXXX.V. 

» 

IO. 

cxxx. 

*     7- 

Lxxvir. 

» 

1 1. 

XCVI. 

»     8. 

LXXVIII. 

k 

I  2. 

CXXVI. 

»     9. 

-    LXX1\. 

n 

li. 

CXXVIII. 

»        IO. 

LXXX. 

»      II. 

Lxxxr. 

TATO  LA  XI. 

»        12. 

LXXXIII. 

»     i3. 

LXXXIV. 

N.° 

I  . 

CXXXI. 

»     14. 

LXXXV. 

» 

•1. 

CXXXIII. 

»      i5. 

LXXXVI. 

» 

3. 

CXXXIV. 

»      1 6. 

LXXXVII. 

» 

4- 

CXXXV. 

»      17. 

LXXXVllJ. 

)) 

5. 

CXXXVI. 

»     18. 

LXXXIX. 

)) 

6. 

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»      10. 

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XXII. 
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DEL    PRESENTE    FASCICOLO 


Tavole  di  monete  del  reame  di  Napoli  e  Si- 
cilia, presentate  da  Saldatore  Fusco,    pag.   ai  i 
Coli  undici  tavole  in  rame. 


Prezzo  del  presente  Jascicólo t.  35 


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DELL'ACCADEMIA  PONT  ANI  AN  A 

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FASCICOLOJV  DEL  VOLUME  IV 


L' acca(]emia  pontanì.nia  pubblica  i  !>uoi  atti  in  f.iscicoli ,  afljaclic 
{)05sano  sollecil^mciite  conoscersi  le  memorie  a  misura  che  sono  ap- 
provate. 

Ogni  fascicolo  si  jiubblica  subito  che  si  Ita  sufficiente  materiale  e 
scQza  astringersi  ad  ale-..  J^lcrminato  periodo  o  numero  di  fogli. 

Terminali  i  fascicoli  <  lie  debbono  comporre  un  volujiic,  si  dà  il 
frontespizio,  la  dedica  ,  la  storia  de"  lavori ,  ed  il  catalogo  degli  acca 
demici  da  premettersi  al  volume  medesimo. 


SIÙ2PDIL3 

DA-  TORCHI    DEL    TRAU.\T£lf 


D*»  INTERPOLAZIONE 

PRESENTATA  ALL'  ACCADEMIA  PONTANIANA 

DAL  SOCIO  BISIDENTZ 


DISCUSSIONE 

INTORNO    ALLA   SCELTA   DELLA   FORMOLA   ADOPERATA 
NELLA    COSTRrzIONE    DELLA    TAVOLA. 

§.  I.  Neil'  appendice  alle  Effemeridi  di  Milano 
del  i83o,  l' illusive  astronomo  Oriani  ,  ragionando  di 
un'  antica  formola  d' interpolazione  inserita  negli  atti  di 
Berlino  ,  e  riprodotta  dal  chiaris.  prof.  Bessel  nel  gior- 
nale di  Schumacher ,  la  ricava  da  altra  formola  ripor- 
tata già  nelle  stesse  Effemeridi ,  ed  accenna  il  modo  di 
farne  uso  tenuto  dal  lodato  Bessel  ,  il  quale  prepara  a 
quest*  oggetto  una  tavola  de'  logariluii  di  alcuni  valori 
X,  X\  X"  etc.  funzioni  del  tempo.  L'  astronomo  di  Mi- 
lano osserva  che  la  formola  preferita  dal  sig.  Bessel 
Tom.IF.  3a 


20  2  AMANTE 

esige  un  calcolo  più  lungo  che  non   richiegga  la  formola 
delle  Effemeridi  ,  cui  dà  T  aspetto  seguente  j 

+  r(^"-f.^-'+ )0 

.+r^.(^- )q 

Intanto  per  calcolare  anche  questa  formola  più  sem- 
plice si  debbono  formare  con  le  differenze  J',  5",5"' j 

coefficienti  delle  potenze  del  tempo  — ,  aggiungere  i  lo- 
garitmi di  quelli  coefficienti  ai  logaritmi  delle  potenze  , 
trovare  i  numeri  corrispondenti ,  e  farne  la  riduzione. 

A  noi  sembra  che  ,  volendo  usare  i  logaritmi  ,  sa- 
rebbe più  utile  r  immediata  applicazione  delle  serie  d'in- 
terpolazione sotto  la  loro  forma  ordinaria  ,  siccome 

2  2.3 

la  quale  offre  il  vantaggio  che  il  coefficiente  del  termine 
seguente  ha  sempre  per  fattore  il  coefficiente  del  termine 
precedente.  Ma  è  chiaro  poi  che  1'  interpolazione  riusci- 
rebbe assai  più  facile  se  i  termini  dipendenti  dalle  diffe- 
renze seconda ,  terza  etc.  potessero  ottenersi  da  altret- 
tante tavole. 

Nella  Conoscenza   de'  tempi   si    trova    calcolata  da 


TAVOLA   GENERALE    d'  UNTERPOlaZIO-NE  2^3 

M.  Mathieu  una  tavola   d' interpolazione  ,  la    quale  tlà 
il  valore  del  termine  dipendente  dalla  differenza  seconda, 
con  r  argomento    dell'  ora  data  ,    e   per    la    semisomma 
delle  due  differenze  seconde  che  risultano  da  quattro  va- 
lori presi  nelle  tavole  astronomiche.  Pare  dunque  che  non 
rimarrebbe  se  non  ad  aggiungere  a  questa  tavola  un'  ap- 
pendice che  desse    i  termini    dipendenti    dalle    differenze 
degli  ordini  superiori.  Ma  la  cosa  non    è    tanto  semplice 
quanto  si  mostra   a  primo  aspetto  ,    poiché    la  tavola  di 
M.  Mathieu  suppone  che  si  adotti  per  differenza  seconda 
la  media  di  due  come   abbiamo    accennalo  ,    circostanza 
che  non  si  verifica  nella  formola  usata  comunemente  ^  e 
di  più  la  tavola  medesima  è  calcolata  da   io    in   io  mi- 
nuli  ,  il  che  sarebbe  sufficiente  per  1'  esattezza  de'  risul- 
tamenti  ,  ma  essendo  per  brevità  disposta  come   quelle  a 
doppia  entrata,  1'  uso  n'  è  incomodo  se  non  vi  si  aggiun- 
gono le  differenze,   e  dovrebbe  poi  contenere  i  centesimi 
per  dare  con  esattezza  i  decimi.    Per    questa  ragione  ,  e 
per  la  mancanza  de'  termini    dipendenti  ^ dalle    differenze 
degli  ordini  superiori,  pare  che  la  tavola   in  discorso  sia 
adoperata  dagli  astronomi    soltanto   nel    calcolo    approssi- 
mato de' luoghi  della  Luna.  Per  ottenere  dunque  una  ta- 
vola generale  d'interpolazione  mediante  la  quale  gli  ele- 
menti   lunari    fossero    calcolati    con    esattezza    e    facilità , 
conveniva    scegliere    una    formola   che   fosse    più    d'  ogni 
altra  accomodata  all'oggetto  per  la  sua  maggiore  conver- 
genza ,  ed  estendere  il  calcolo    della   tavola    sino  ai  ter- 
mini che  potessero  nelle  applicazioni  acquistare  un  valore 
apprezzabile.  Ecco  quanto    ci  siamo    proposti    di    fare  in 
questo  lavoro. 


254  AMANTE 

§.  II.  Rappresentino  J,  A,,  A,^  J^^  ^i-,  A,  \  di- 
versi valori  di  un  elemento  lunare  corrispondenti  a  tempi 
equidifferenti.  Se  l'intervallo  costante  di  tempo  viene  in- 
dicato con  r  unità  ,  e  si  chiami  h  il  tempo  dato  di  un 
termine  da  interpolarsi  fra  A, ,  ed  A^, ,  contato  dall'  i- 
stante  corrispondente  al  primo  termine  A^  il  termine 
richiesto  si  potrà  calcolare  con  la  formola  a  tutti  nota; 

2  2.3  ' 

2.3-4.  2.3.4..J 

dove  le  differenze  f/',  f/-,  Zi-,  5",  5»  sono  quelle  notate  nel 
seguente  quadro  ; 

^:  ^-  f  ^■■■ 
^^  3.  '" ....  '"  i^ 

Chiamiamo  t  il  tempo  che  ha  per  origine  1'  istante 
corrispondente  ad  A,^  e  cerchiamo  una  serie  in  cui  en- 
trino il  tempo  t  in  vece  di  h ,  onde  preparare  la  formola 
al  calcolo  di  una  tavola,  e  le  differenze  5>,  5-,  5'",  d" ,  5' 
in  vece  delle  d',d'\^"\...  Sarà  h=t-\-i  ed  inoltre,  ri- 
cordandosi che  ogni  differenza  si  ottiene  sottraendo  sem- 
pre il  termine  precedente  dal  seguente  in  ciascuna  serie 
verticale,  si  avrà  facilmente. 


TAVOLA   GENERALE  d'  INTERPOLAZlOiNE 


25! 


Sostituendo  ad  A^  A,  d\  d",  A'"  i  loro  valori   si  ot- 


terrà 


J2      -2  )S' 


+3  \S"  -  — r  12"' 

-2(/+2)  I  H-(/+2) 

(^+2X/+l)  (  _    (/+2)f/+l)1 

2  '  2 

(/+2)(<+l)/l 


+ 


2.3 


+ 


+ 


-(/+2) 
(<+2)f/+l) 
2 

f/-f2)(<+l)< 
~  2.3 

(l+2)(l+l)(t-l) 
2.34 


j..  ■  (<+2)(H-0<(<-i)(<-2)  ,, 


2.3.4-S 


e  riducendo  i  coefficienti  di  S',  S" ,  S'-,  e  S'"  con  l'avver- 
tenza che  tutti  debbono  avere  per  fattore  comune  t,  e 
gli  ultimi  due  hanno  anche  per  fattore  ^+1,  si  avrà  in 
fine  la  serie  che  si  cercava  , 


+ 


2.3.4.5 


§.  111.  Si  cerchi  inoltre   una  serie    che    contenga  le 


aSS  AMANTE 

differenze  5',  A",  5'",  A",  5',  e   sarà    facile   ricavarla   dalla 
precedente  riflettendo  che  3"=A"— J-»,  e  J-^sA-^— J» .  si  avrà 

(3)...^=^,+/5;+  'itili  A"  +  £f=2)J=i)  5.-,+  ^f^-i)r/-^)f/+i)  ^„ 

•  2  2. a  2.0.4 

+ iX4:3 ^  •  •  •  • 

Finalmente,  prendendo  la  semisomma  delle  serie  (2),  (3), 
se  ne  dedurrà  subito  la  seguente , 

"*"         SXI  i —  "*■  IJ4^  ^  ^'*=- 

L*  antica  formola  inserita  negli  atti  di  Berlino  ,  di 
cui  si  è  parlato  nel  §.  I.  si  desume  pure  prendendo  la  se- 
misomma delle  serie  (2),  (3),  ma  trasportando  I'  origine 
del  tempo  nella  metà  dell'  intervallo  compreso  fra  il  tem- 
po dì  A^f  e  quello  di  ./^j. 

5.  IV.  Il  terzo  termine  della  formola  (4)  dipendente 
dalle  differenze  2.° ,  è  quello  che  si  ottiene  dalla  tavola 
di  31.  Mathieu  ,  per  cui  la  serie  (4)  potrebbe  servire  a 
ricalcolare  questa  tavola  con  le  modificazioni  accennate 
nel  §.  I.  ed  a  eostruire  una  seconda  tavola  per  le  diffe- 
renze degli  ordini  superiori.  Ma  prima  di  adottare  la 
serie  (4)  per  la  costruzione  della  nuova  tavola  generale  , 
è  necessario  esaminare  se  debba  preferirsi  alle  preceden- 
ti (2)  e  (3)  ,  e  discutere  sino  a  quale  ordine  di  differenze 
i  suoi  termini  possono  acquistare  un  valore  apprezzabile. 

5.  V.  Da  un  esame  degli  elementi  lunari  registrali 
nelle  effemeridi  astronomiche   di  12    in  12  ore  ,   sembra 


TAVOLA   GEiNERALE   d'  INTERPOLAZIONE  257 

potersi  stabilire  che  le  differenze  terze  non  arrivano  mai 
a  4',  le  quarte  a  60",  e  le  quinte  a  20".  Partendo  da 
questo  dato  ,  calcoliamo  il  massimo  valore  che  possono 
acquistare  i  termini  dipendenti  dalle  differenze  suddette 
nelle  serie  (2),  (3)  e  (4)- 

Nella  serie  (3)  il  coefficiente  di  S"  è  ^^^"'j.g"''^  t   e 

ponendo    t{t—ì)  (i— 2)=F,    si    avrà  ,   F=V—3t'+2t  , 

e  —  =3t' — 6t+2  j  il  quale  coefficiente    differenziale  di 

1.°  ordine  fatto  eguale  a  zero  darà,  <:=i± Vf=|ó|/^227  " 

Di  questi  due  valori  di  t  il  primo  non  può  ammettersi, 
perchè  è  maggiore  dell'  unità  indicante  1'  intervallo  fra 
cui  si  vuole  interpolare  ,  ed  il  secondo  ,  sostituito  nel 
coefficiente  differenziale  di  2.°  ordine  6é — 6  lo  rende  ne- 
gativo ,  onde    per  esso    la  funzione    diviene    massima.   Il 

valore  di  ~l  -j — ^,  quando  ^=0,4227  è  o,o64i}  e  mol- 
tiplicato per  °"',  che  si  suppone  eguale  a  4S  ovvero  240", 
dà  o,oG4iX24o"=i5",38,  che  sarà  il  massimo  valore  di 
questo  termine  nella  serie  (3).  Il  termine  corrispondente 

nella  serie  (2)  è  ^  !  a  ^"'»  "^I  quale  operando  come 
qui    sopra,    si    farà  F=l  (J. —  1  )  (^-f- 1  )  =:  <'  —  <,  *^  ~/7  ^^ 

=3i'— 1=0,  e  quindi  <=± Vt=±o,:'>773.  Il  valore  po- 
sitivo di  t,  che  è  il  solo  die  possa  ammettersi  ,  rende 
positivo  il  coefficiente  differenziale  di  2.°  ordine  G/,  per 
cui  corrisponde  ad  un  minimo  ;  ma  rilletiendo  che  per 
essere  <<i,  la  funzione  t(t — i)(i+i)  è  sempre  negativa, 
è  chiaro  che    quel  valore  ,    il  quale    è   minimo    assoluta- 


258  AMANTE 

mente  considerato,  corrisponde  ad  una  massima  determina- 
zione numerica  col  segno  negativo.  Il  termine  '^^~^>(''^^)  s"\ 

facendo  in  esso  t'=o,5']'^3,  e  5"'=4',  diviene — 15",  38. 
Passando  alle  differenze  quarte,  il  coefficiente  del  ter- 
mine ad  esse  relativo  è  Io  stesso  nelle  tre  serie  (2),  (3),  (4). 
Si  faccia  F=i(t^i)(^t—2)(t+i)=t'^'—2t'—f+2t,  e  si 
avrà  , 

dF  d'F 

dt  '  (//^ 

Ora,  l'equazione  4^'— 6^-^2^+25=0 ,  ovvero  f'—H'-— 
—  5Ì4-s=o,  è  evidentamente  soddisfatta  dal  valore  ^=t, 
per  cui,  diviso  il  primo  membro  per  t—l,  si  avrà  l'e- 
quazione di  2.°  grado  t' — i — 1=0,   che    ha    per  radici 

t=  -=— — .  Questi  due  valori  di  t  debbono  rifiutarsi  per- 
chè uno  è  negativo  e  1'  altro  maggiore  della  unità;  e  però 
il  valore  che  rende  la  funzione  massima  sarà  t=h  come 
apparisce    dal    coefficiente    differenziale    di   2.°  ordine.   Il 

termine  ^(fz:iKfz±X±i2  3".  fatto  t=l ,   e  5"=6o",   risulta 
2.0.4 

di    i",4o,  che  è  il  massimo  valore  cui  può  giungere. 

Rispetto  alle  differenze  quinte  ,    nella    serie  (3)  ,  si 

faccia  , 

F=t(^t—i^{t—z){e—3){t+i)=i^-5l'i+^t^+^r—Gt  ■  sarà  , 

f/F 

—  =5/'5-— 20/34, i5i'+ IO/— 6=0,  ovvero  t'i-^4.l^-\-3l'^+2l—f=o. 

Per  risolvere  questa  equazione  osserviamo  che,  sostituendo 
successivamente  a  t  i  valori  o,  i,  2,  il  primo  membro 
cambia  sempre    di  segno  ,    e  quindi    si  può    conchiudere 


TAVOlA   GENERALE   d' L^TEa^OLAZIO^■E  2j(j 

che  vi  sono  radici  fia  o  ed  i,  e  fra  i  o  2.  Supponia- 
mo <=i,  e  i=l,  ed  approssimando  queste  radici  col 
metodo  di  Newton  ,  troveremo  due  valori  di  t,  di  cui 
la  somma  si  avvicina  molto  a  2.  Per  assicurarci  se  cfiet- 
tivamente  1'  equazione  proposta  ha  due  radici  la  cui  som- 
ma eguaglia  il  2  esattamente  ,  bisognerà  esaminare  se  , 
supponendola  soddisditta  da  un  valore  i'  dato  all'  inco- 
gnita, lo  sia  pure  da  2 — i'.  Sostituiamo  nel  primo  mem- 
bro dell'  equazione  medesima  2 — l'  in  luogo  di  t  ,  ed 
avremo  l'espressione 

(2_/'ji_4(2— 03+3(2-/7  +  2(2-0-f  > 
che  sviluppata  e  ridotta   diviene 

ciò  che  mostra  chiaramente  che  se  t'  è  radice  ,  2 — i'  lo 
è  pure.  Dunque  1'  equazione  proposta  lia  due  radici  la 
cui  somma  è  2  ,  e  poiché  la  somma  di  tutte  le  radici 
è  4j  come  apparisce  dal  coefficiente  del  secondo  termi- 
ne, anche  le  rimaneuli  due  radici  avranno  per  somma  2, 
Dopo  di  ciò  sarà  facile  di  sciudere  il  polinomio  i* — 4^'+ 
+3i'+2t — 1  in  fattori  di  2.°  grado,  che  dovranno  avere 
la  forma  t' — 2t+m,  V — 2^+72,  e  si  potrà  a  tal  fine  sta- 
bilire r  equazione  identica  , 

-f-i  J    — 2m) 

che  darà  le  relazioni,    3  =  n  +  ^+m,   2=— 2 w  — 272, 
Tom.iy.  33 


s6o  AMANTE 

—  jsssTnwj   ovvero  n  +  m=: — i,  nm=s— 5:5    e  perciò 

±Vf+l= — |±1Vt-  I^e  equazioni  di  2.°  grado  in  cui 
si  scompone  la  proposta  saranno  dunque,  t' — 2^=ì+ìVt? 
*  i' — 2^=5 — sVt?  6<1  i  quattro  valori  dell' incognita  ri- 
sulteranno come  segue, 

Ì    2,6444 
1,5439 
-0,6444 
o,456i. 

Il  solo  valore  o,456i  che  possa  ammettersi,  sostituito 
nel  coefficiente  differenziale  di  2.°  ordine  20;^'  — 6oi'  + 
+3o^+jio  lo  rende  positivo,  e  però  la  funzione  sarebbe  mi- 
xiima  j  ma  qui  pure,  riflettendo  che  F  è  sempre  negativa  , 
si  può  conchiudere  che  il  minimo  corrisponde  ad  una  mas- 
sima determinazione  numerica  negativa.  Si  ponga  t=Oj^56ì. 

e  ó' =20"  nel  termme  completo  -^ — '\  „   "  ^  '  S*  ^e 

si  avrà  — o",24  per  massimo  valore  negativo  di  questo 
termine. 

Nella  serie  (3)  l'equazione  da  risolversi  per  trovare  il  va- 

lore  di  t  che  rende  massimo  a  termine — '\  —  0' , 

è  i* — 3^'+  f  =0,  derivativa  dal  2 .°  grado  j  la  quale  ri- 
soluta, dà  t=ì\/6— 2  \/ ti  =0,5 f^Sg,  onde  il  massimo  va- 
lore di  quel  termine  è  -|-o",24. 

§.  VI.  Applichiamo  la  stessa  analisi  alla  serie  (4). 
Ed  esaminando  in  primo  luogo  il  termine  dipendente  dalle 
differenze   terze,   facciamo  /'=<(< — \)(t — I)=i{'— -ir +  1/ j 


TAVOLA  GENERALE  d'  INTERPOLAZIONE      a6^ 

sarà,  ~B»3«'— 3<  +  iwo,  ovvero  «•— <  +  J=oi   da  cui 
si  avrà  , 

'        '  (0,2114.! 

Del  quali  valori  di  <  il  secondo  0,2114  rende    la  fun- 
zione  massima  j   e   però  il   massimo  valore    del    termi- 

nQ^t:})^tll}  s"<,  supponendo  5'"=  4',  sarà  0,008x240"*. 

=i",92.  Il  valore  ^=0,7886  dà  un  minimo ,  ma  essen- 
do F  negativa  quando  <> J ,  il  minimo  si  cambia  in 
massimo  negativo  j  ed  in  fatti,  supposto  1^=0,7886, 
e  3"'=4'>  nel  termine  in  discorso,  esso  diviene — l'SQa. 
Il  termine  dipendente  dalle  differenze  quarte  non 
differisce  nella  serie  (4)  da  quello  già  esaminato  per  le 
altre  due  serie  ,  e  solo    può    modificarne   il  valore  ,  ne' 

casi  particolari,  la  semisomma — — — delle  differenze  u- 

sata  come  fattore,  in  vece  delle  differenze  A™,  o  S". 

Rispetto  alle  differenze  quinte,  si  faccia  i^=i(<^—i) 
(t — 2)(t+i){t — I),  e  si  prenda  il  differenziale  di  questa 
funzione  senza  svilupparla  j  sarà 

.W  1 

Sotto  una  tal  forma  sarà  più'  facile  riconoscere  se  questa 
equazione,  che  corrisponde  a  t^ — iV +  t — '  =0  ,  ha  due 
radici  la  cui  somma  eguaglia  un  numero  razionale ,  sic- 
come si  è  osservato  per  le  equazioni  esamiuate  più  sopra. 


262  AMANTE 

Imperocché  la  funzione  -7- dovrà  rimanere  la  stessa  se  o.t 

si  sostituisca   1—^,  ovvero  2 — t,  e  simili  j  e  fatto  il  sag- 
gio con   1 — t  si  ottiene 

dF 

■^  =/(i  +  l)(/_2)(^J)4.(<-l)(<+0(^_2)(;-|)  +  (/-l)  /(/-2)(/-i) 

clie  non  differisce  dalla  funzione  precedente  se  non  nel- 
l'ordine de' termini  che  la  compongono.  Questo  risulta- 
mento  dimostra  che  effettivamente  t  ha  due  valori  la  (ni 
somma  eguaglia  1'  unità  j  e  poiché  la  somma  di  tutte  le 
radici  dell'equazione,  i^ — ^.^-{-t — '=0  è  2,  le  rimanenti 
due  radici  avranno  anche  per  somma  1'  unità.  Si  potrà 
dunque  scomporre  il  primo  memhro  dell'  equazione  in 
fattori  di  2.°  grado  della  forma  V — t-\-m^  V — i+«,  come 
si  è  praticato  di  sopra  ,  e  si  avranno  le  due  equazioni 
di  2.°  grado,  f — <=i  +  iVfj  che  risolute  daranno  i  se- 
guenti quattro  valori  dell'  incognita  , 

L    0,7814. 

'-ih±V3±6vTH     ^'T^^ 
'    j  1,6920 

'—0,6920 

Rigettando  gli  ultimi  due  ,  il  primo  valore  o^')^\!\  so- 
stituito nel  coefficiente  differenziale  di  2.°  ordine  lo  rende 
negativo,  ed  il  secondo  0,2186  positivo  5  ma  perchè  la 
funzione  t[t — \){i — 2)(i5+i)(^ — ì)  è  negativa  quando 
Jf<|,  ambedue  questi  valori  corrisponderanno  ad  una 
massima  determinazione  numerica.  E  se  nel  termine  com- 

pleto,  -^^ — ~T-\^ 2",   si  facciano  successivamente 

*  '  2.d.4-5 


TAVOLA  CtNERALE  d'  INTDRPOLAZIOAE       263 

/=o,78i47  ^'' =  20",  e  ^^=0,2286,  S' =  20",  si  avianDo 
i  massimi  valori  positivo  e  negativo  di  quel  termine  ,  i 
quali  saranno  +o",oi7, — o",oi7. 

§.  VII.  L'  esame  in  confronto  delle  serie  (2),  (3),  (4) 
mostra  che  i  termini  relativi  alle  difterenze  d' indice  di- 
spari sono  nella  (4)  assai  più  piccoli  che  nelle  (2)  e  (3). 
Per  la  qual  cosa,  il  termine  dipendente  dalle  differenze 
terze ,  essendo  molto  piccolo  nella  serie  (4)  ,  si  potrà 
ottenere  con  gran  facilità  da  una  tavola  calcolata  a  que- 
6t'  oggetto  ,  e  in  molti  casi  sarà  trascurabile  j  ed  il  ter- 
mine relativo  alle  differenze  quinte  sarà  assolutamente 
nullo  nella  serie  (4)  ,  laddove  nelle  (2) ,  (3)  potrebbe 
giungere  ad  t  di  secondo. 

In  conseguenza  di  questa  disamina  la  Tavola  gene- 
rale d'interpolazione  esposta  qui  appresso,  è  stala  cal- 
colata sulla  formola  (4-)  limitata  alle  differenze  quarte. 
Essa  è  accompagnata  dalle  avvertenze  necessarie ,  e  dagli 
esempi  opportuni  a  facilitarne  I'  uso  j  i  quali ,  se  non 
e'  inganniamo  ,  mostrano  ancora  che  la  nostra  tavola  , 
specialmente  costrutta  per  calcolare  i  luoghi  della  Luna  , 
potrebbe  servire  per  qualunque  altra  specie  d'inter])olazione. 


TAVOLA  GE]\ERALE 


XBR  interpolare  fra  numeri  calcolati  da  12  in  12  ore  prendetene  lei  in  modo 
che  il  termine  da  interpolarsi  cada  ,  secondo  V  ora  data  ,  tra  mezzo  ai  due  nu- 
tneri  centrali  fra  i  sei  adottati.  Fate  le  differenze  1.»  ,  2."=  ,  3.»  e  4.»  sottraendo 
sempre  il  termine  precedente  dal  seguente  nella  stessa  colonna  verticale  ,  e  date 
alle  diflierenze  t  segni  che  risultano  da  questa  convenzione. 

Il  termine  cercalo  si  otterrà  facendo  la  somma  algebrica  del  terso  fra  i  sei 
numeri  scelti  ,  della  parie  proporzionale  calcolata  con  l'  ora  data  e  con  la  diffe- 
renza l.>  centrale  ,  e  delle  tre  correzioni  della  tavola. 

La  prima  correzione  della  tavola  è  relativa  alle  differenze  2.«  ;  essa  si  cal- 
cola con  l  argomento  dell'  ora  data  ,  e  per  i  minuti  ed  i  secondi  contenuti  nella 
semisomma  delle  due  differenze  2.'  centrali.  Siccome  i  numeri  della  tawla  sono 
calcolali  da  10  in  10  minuti  deli  argomento  ,  così  per  ottenere  facilmente  la  cor- 
rezione per  i  tninufi  intermedi  ,  si  sono  notale  in  carattere  corsivo  le  differenze 
fra  i  nnmeri  di  ogni  colonna.  Il  segno  di  questa  prima  correzione  sarà  tempre 
contrario  a  quello  della  semisomma  delle  differenze  2.'  indicate. 

in  seconda  correzione  della  tavola  dipende  dalle  differenze  3."  ;  essa  si  cal- 
cola con  l'  argomento  dell'  ora  data  ,  e  per  i  minuti  ed  i  «econdi  contenuti  nella 
differenza  3.»  centrale.  Il  segno  della  correzione  è  simile  a  quello  della  differenza 
terza  ,  se  l'  ora  data  è  minore  di  &•  ,  ed  è  contrario  ,  se  l' ora  data  è  maggiore 
di  tf*  . 

La  terza  rorreiione  dipende  dalle  differenze  4.'  ;  es.<a  si  calcola  con  l'ar- 
gomento dell'ora  data  e  per  i  secondi  contenuti  nella  temifomma  delle  due  diffe- 
renze k.'  ,  Il  suo  segno  è  lo  stesso  di  quello  della  semisomma  indicata. 

Quando  le  differenze  terze  sono  costanti,  in  cece  di  premiere  iti  termini  per 
t  interpolazione  ,  battila  pi-rnderiu  quattro. 


I."  CORREZIONE  differenze  seconde  (minuti.) 

Il  Hgno  (Idia  correxione  è  sempre  contrario  a  quello  della  semisomma  dell* 

due  dìjfcrcnze  seconde  cenlrali. 


SEMISOMMA  DELLE   DUE   DIFFERENZE   2.e  CENTRALI.      | 

ARGOMENTO 

ORA    DATA 

1 

1' 

2' 

3' 

4' 

5' 

G' 

7'.. 

8' 

9' 

10' 

0''  00' 

m  00' 

o"ooo 
■-/" 

"000 

o"ooo 

o"ooo 

1-644 

o"ooo 

2-054 

o"ooo 

2-465 

o"ooo 

2-S76 

o"ooo 

3-2.?7 

o"ooo 
3-6p,? 

o"ooo 

4- log 

•S22 

)-233 

10 

U  .  50 

°A" 

0,822 

1,233 

1,614 

2,o54 

2,465 

2,876 

3,287 

3,698 

4, '09 

'^90 

•75« 

.•(o<? 

i-Sri-; 

l'gnl 

2-396 

2-70J 

3-«54 

3-55./ 

3,093 

20 

40 

o,8io 

1,620 

2,4'3l 

3,241 

4,o5. 

4,S6i 

5,671 

6,481 

7,292 

8,102 

■3SS 

■776 

i-i63 

«•55/ 

l-r)3g 

2-327 

2-114 

3- '02 

3-4Sg 

3-*77 

30 

30 

1,198 

2,396 

3,59Ì 

4,792 

5,990 

7,188 

8.385 

9,583 

10,781 

■',979 

•376 

•752 

1-1 2S 

l'5o4 

l-h'v 

2-23(; 

2-633 

3-0)0 

3-3^6 

3-762 

-IO 

20 

I,5'^ 

3,148 

4,722 

6,296 

7,870 

9,444 

11,018 

12,593 

14.167 

15,74, 

■3fo- 

•723 

1-og4 

<-^5,9 

«•523 

2-  iSS 

2-533 

2-glC 

3-2,9, 

3-646 

SO 

10 

1,939 

3,877 

5,816 

7,7^^ 

9,693 

11,632 

13,571 

1 5.509 

'7,44» 

19,387 

■353 

•yoó 

i'05q 

1-412 

«■7(0 

2-ltS 

2-^7' 

2-S24 

3-<77 

3-53" 

1  .00 

11  .00 

2,292 

4,583 

6,875 

9, '67 

.1,458 

i3,75o 

16,042 

18,333 

20,625 

22,917 

■54, 

■es3 

1.024 

i-3C<5 

1-707 

2-o4() 

2-3nc 

2--32 

3-073 

3-4'4 

10 

10.50 

2,r>33 

5,266 

7,899 

IO, 532 

1 3,1 65 

'■^,799 

18,432 

21,065 

23,6y8 

26,331 

•.S3o 

•660 

■.990 

«■320 

i-65o 

)  -5170 

2-3og 

2- 630 

2-g6g 

3-2q<7 

20 

40 

2,963 

5,926 

8,889 

11,852 

i4,8"5 

17,778 

20,74' 

23,704 

26,667 

29,63o 

■3iS 

■63G 

•fl53 

<'273 

1-59' 

1-qog 

2-22,? 

2-546 

2-S64 

3-,.?2 

30 

30 

3.281 

6,562 

9,844 

13,123 

16,406 

19,687 

22,969 

26,25o 

29,53i 

32.812 

•307 

■614 

'g2n 

J-227 

'■534 

1-841 

2-14' 

2-454 

2-76f 

3 -06.? 

40 

20 

3,588 

7. '7'' 

10,764 

14,352 

■7,94" 

21,528 

25, 116 

28,70} 

33,292 

35,880 

■2,,5 

'5go 

■SS5 

i-tSo 

«•^73 

1-771 

2-oCC 

2-36: 

2-656 

2-95< 

50 

10 

3,883 

-,766 

'  '  ,6  Ì9 

■5,532 

•9>4'5 

23,299 

27,182 

3i,o65 

34,948 

38,83 1 

■2S4 

•567 

•55< 

1- 135 

i-4ii' 

i-yoi 

1  ■gS5 

2-26t« 

2-552 

2-836 

2.00 

10.  00 

4,iCn 

8,333 

I2;500 

16,667 

20,833 

25, 000 

29, 'C? 

33,333 

37,5oo 

41,667 

•272 

■544 

■Si6 

i.pSS 

r36o 

1-P32 

i-go4 

2-176 

2-44S 

2-720 

10 

9.50 

'1,439 

8,877 

i3,3i6 

17,755 

22,193 

26,632 

31,071 

3j,5o9 

3a.Q48 

44,387 

'2O0 

•J2< 

•7^' 

1-041 

1-302 

1-56  2 

1-S22 

2-oS4 

2-344 

2-604 

20 

40 

4  ,''^99 

9,398 

14,097 

18,796 

23,495 

28,194 

32,893 

37,593 

42,292 

46.991 

■24g 

■49S 

■747 

■^9'' 

1-245 

i-4g4 

«•742 

i'99" 

2-23^ 

2  -4S8 

30 

30 

4,94'» 

9,896 

i4>844 

'9,792 

24,740 

29,688 

34,635 

39,583 

44,53i 

49,479 

■237 

■474 

•712 

'd49 

i-iS6 

I-./23 

cffiS» 

i-Sqg 

2-<36 

2-373 

40 

20 

5,i85 

10,370 

1 5.556 

ì 

20,741 

25,926 

31,111 

36,296 

41,482 

46,667 

5i,853 

•226 

■452 

•677 

■qo3 

)'t2ò" 

1-354 

1-5S0 

i  'So  5 

2-03< 

2-S37 

BO 

10 

5,411 

10,822 

16,233  21,644 

27,054 

32,465 

37,876 

43,287 

48,698 

54,109 

■214 

■42S 

■642       -SSb 

1-0-1 

.  i-2.y5 

1-499 

.-7f3 

1-927 

2- 14' 

3.00 

9.00 

5,625 

ll,25o 

16,875   22,5oo 

28,125 

33,750 

39,375 

45,000 

50,625 

56,25o 

Àamecto  da  dars 

alle  difTerenze  òì 

quella  invola,  per  ciascun  minuto  contcnulo  ufi  complcmcnlo  a  io  del     1 

numero  dì  n 

aÌDUti  che  serve  a 

calei/Lire  U  pai  le  proporzioaule  ,  da  picndcrsi  sempre  oddili.a.                | 

•0006 

•OOfS 

•00(7 

•0023 

'002Q       'O0S5       'OO^i 

.0046 

-oo52 

•oo55| 

I .'  CORREZIONE  differenze  seconde  (secondi.) 

Jl  segno  della  correzione  è  sempre  contrario  a  quella  della  semisomma 
delle  due  differenze  seconde  centrali. 


SE511S0MMA    DELLE 

DUE  DIFFERENZE  2.o  clmuau. 

ARGOMENTO 

ORA    DATA 

IO" 

20" 

30" 

40" 

SO" 

C" 

7" 

8" 

9" 

OAOO' 

12*  00' 

o"oo 

o"oo 

o"oo 

o"oo 

o"oo 

o"oo 

o"oo 

o"oo 

o"oo 

•07 

■'4 

•21 

•27 

•24 

■04 

•05 

•o5 

•06 

10 

11.50 

0,07 

0,14 

0,21 

0,27 

0,34 

0,04 

o,o5 

o,o5 

0,06 

•07 

•<3 

•20 

■27 

•3.^ 

•04 

■04 

•06 

■06 

20 

40 

0,14 

0,27 

0,4' 

0,54 

0,68 

0,08 

0,09 

0,11 

0,12 

•06 

•<3 

'19 

■26 

•32 

■04 

•o5 

•o5 

■oC 

30 

30 

o,ao 

0,40 

o,Go 

0,80 

.,00 

0,12 

0,14 

o,.6 

0,18 

•06 

■12 

'IO 

•25 

•3. 

■04 

•04 

•o3 

■06 

40 

20 

o,j6 

o,5a 

0,79 

i,o5 

.,3i 

0,16 

0,18 

0,21 

0,24 

•06 

■li 

•»* 

■u4 

•3j 

■ui 

•o5 

•o5 

•o5 

SO 

10 

0,32 

o,C5 

0,97 

«,29 

1,62 

o,>9 

0,23 

0,26 

0,29 

■06 

■Il 

■iS 

•2^ 

'^9 

■04 

■04 

-05 

•05 

1.00 

11.  00 

o,38 

0,76 

.,.5 

.,53 

',9' 

0,23 
•o3 

0,27 

0,3. 

0,34 

■06 

■12 

■<7 

•23 

•04 

■04 

•05 

10 

10.50 

°Ai 

0,88 

,,32 

1,76 

2,'9 

0,26 

o,3i 

0,35 

0,39 

'o5 

'11 

•16 

•22 

•2* 

■04 

■o4i    -05 

•o5 

20 

40 

0.49 

"'99 

1,48 

'.98 

2,4-! 

o,3o 

0,35 

0,40 

0,44 

■Oli 

•fa 

■16 

*2f 

■26\ 

•o3 

•o3 

■04 

•o5 

SO 

30 

0,55 

>.09 

>,64 

a, '9 

2,73, 

0,33 

o,38 

0,44 

0,49 

■OS 

■// 

■15 

•20 

•26, 

•o3 

•04 

■04 

•o5 

40 

20 

0,60 

1,30 

',79 

a,39 

2,991 

o,3G 

0,42 

0,48 

0,54 

•05 

'"9 

•15 

•20 

•25^ 

•o3 

•o3 

■04 

■04 

SO 

10 

0.65 

1,29 

',94 

2,59 

3,241 

0,39 

0,45, 

0,52 

o,58 

■04 

•«0 

•«•^ 

■*9 

•23 

■ui 

•04 

■04 

•04 

2.00 

10.00 

o,Gg 

•,39 

a,o8 

2,78 

3,47 

0,42 

0,49 

o,56 

0,63 

•05 

■Og 

•f^ 

■18 

•23 

•02 

•o3 

•o3 

•05 

10 

9.50 

0.74 

1,48 

a,aa 

2,96 

3,70 

0,44 

0,52 

0,59 

0,67 

■04 

■«9 

•»3 

■«7 

•22 

•o3 

•o3 

■04 

•o3 

20 

40 

o,;8 

.,57 

2,35 

3,i3 

3,92! 

0,47 

0,55 

0,63 

0,70 

■04 

■0* 

•«2 

•<7 

•20 

•02 

•o3 

•o3 

•04 

30 

80 

o,8i 

1,65 

2,47 

3,3o 

4,.2 

0,49 

0,58 

0,66 

0,74 

■04 

•oS 

■12 

•«6 

•20' 

•o3 

•02 

•o3 

■04 

iO 

20 

o,8G 

.,,3 

2,59 

3,46    4,32l 

o,5a 

0,60 

0,69 

0,78 

■04 

•07 

•#2 

•«5       -«p 

•02 

•o3 

•o3 

■o3 

50 

IO 

0,90 

1,80 

3,7' 

3,6.     4.5'i 

0,54 

o,63 

0,72 

0,8. 

■04 

•07 

•«0 

•"^      ••<?, 

•02  ^ 

•o3 

■o3 

•o3 

3.00 

9.00 

0.94 

■  ,87 

a,8. 

3,75 j  4,69 

o,56 

0,66    0,75    0,841 

Tom.IF. 


34 


i."  GQRREZIONE  differenze  seconde  (minuti.) 

H  segno  della  correzione  è  sempre  contrario  a  quello  della  semisomma  delle 
due  differenze  seconde  centrali. 


SEMISOMMA  DELLE  DUE  DIFFERENZE  2.«  CENTRALI. 

ARGOMJiiVTC 

ORA    DATA 

_ 

l;          2' 

3' 

i6"875 

4» 

2a"5oo 

3' 

G' 

7' 
3q"375 

8' 
45"ooo 

9'         10' 
5o"625  56"25o 

jsAOO' 

9*00' 

5"62  5  ii"25o 

a8"i25 

33"75c 

I         ,n 

•2o3      •40'; 

•CoS 

•Sio 

<'o(3      /■2;3 

r^cS 

«•620 

«•<?23       2^025 

1         ^" 

S  .  50 

5,S3S  11,655 

'7,483 

23,3io 

29,138  34,965 

40,793  46,620 

52,448  58,275 

40 

■igi       -38^ 

•57- 

•764 

■g55     1-146 

»-337     1-52,? 

f7(n      ^•0<0 

20 

GjOig  12,037 

iS,oSG 

34,074 

30,093 

36,..  I 

43,i3o  48,148 

54,.67  6o,i85 

30 

■'73 

•355 

•538 

•71Ò 

■8gy 

1-o-n 

^.2  55 

1^435 

i'6i4\   i-7g4 

30 

6,198 

I2,3r)6 

i8,5ni 

24,792 

3o,99o 

37,188 

43,385 

49,583 

55,,8.|6.,979 

■i6S 

•3i5 

■5o3 

•6y, 

•<S35 

l'oo6 

<.<75 

1^343 

1^511 

1-678 

-io 

20 

6,366 

12,73. 

■  9.007 

25,463 

31,839 

38,194 

44.560 

50,936 

57,292 

63,657 

■156 

•3  li       -46g 

•523 

•7*/ 

•g3b 

1-og4 

f -250 

f4o6 

«■563 

SO 

10 

6,522 

i3,o44  19,566 

26,088 

32,610 

39,132 

45,654 

52,176 

58,698;65,22o 

S  .00 

■i45 

■^Sg        -434 

■575 

•723 

■868 

i-oi3 

i.i5y 

1^3o2 

'■-^■^7 

4  .  00 

0,00, 

i3,333 

20j000 

26,667 

33,333 

40,000 

46,667 

53,333 

60,000 

66,667 

•i33 

-261 

■3og 

'532 

-B66 

'190 

-g3< 

fo65 

l^lgS 

r33< 

10 

7  .  SO 

6, 800 

i3,6oo 

2o,39q 

27, '99 

33,999 

4o,799 

47.598 

54,398 

61,198 

67,998 

•121 

■243 

•363 

•486 

•607 

"ì-0 

•85 1 

•572 

1^og4 

»-2;5 

20 

40 

6,921 

13,843 

20,764 

27,685 

34,606 

41,538 

48,449 

55,370 

62,292 

6g,2i3 

•110 

•2lg 

•33o 

■44" 

■5j-o 

'ij'jg 

■770 

■8S0 

•q.Vo 

'-"99 

J 

30 

30 

7,o3i 

14,062 

21,094 

28,125 

35,106 

4c;,l8; 

49,2'9 

56,25o  63, 381 

70,3.3 

i 

'°09       'iQJÌ 

•295 

•3r,:/ 

'4in 

■jgi 

■6i'ò' 

.   -787 

•*?6 

•3*4 

40 

20 

7,1  io 

l4,25g 

2., 389 

a8,5i9  35,648 

42,778 

49,907 

07,037 

04,167 

7'. 296 

•0S6 

■i74 

•260 

•3^7      -.^3./ 

•52) 

■tio8 

•6g5 

•7Ó'/ 

■S6S 

SO 

10 

7,216 

.4,433 

21,049 

23,866  36, 082 

43,299 

5o,5i5 

57,732 

64,948 

72,164 

•076 

■i5o 

•220' 

•3oi 

•3ytì 

•45» 

•527 

■601 

•677 

•753 

s.oo 

7  .  00 

7>292 

.4,583 

21,875 

29.'<57 

36,458 

43,750 

•3'f2 

5.,o42 

58,333 

65,6i5 

72,917 

•o65 

•lìS 

•igl 

•25.<? 

'5ig 

■445 

■Sto 

■573 

■636 

10 

6.50 

7,355 

14,71. 

22,066  29,421 

36,777 

44,132 

51,487 

58,843  66,198 

73,553 

•o52 

•104 

■156        •2on 

•2G0 

•3<2 

•365 

•4*6      '4^9 

•52/ 

20 

40 

7.407 

l4,8l5  83,222 

29,63o 

37,037 

44.4f4 

5i,852 

59,359  66,667 

74.074 

- 

•041 

■0S1          -«22 

•162 

•203 

•24'4 

•s53 

■32^ 

•364 

•.^05 

30 

30 

7.448 

14,896  22,344   29,792 

37,240  44,688 

52,135 

59,583 

57,o3i 

74,479 

*0  2g 

•058       -oSy       •iiS 

■144      •lyS 

•203          ^232 

•261 

40 

20 

7.477 

.4,954  32,43i  29,907 

37,38^  44,801 

52,338  59,Si5  ( 

>7.292 

74,768 

•017 

•034       'o52       •oyo 

•oó'7l      -104 

■121         ■l3q 

•<50 

•<7^ 

SO 

10 

7,494 

14,988  22,483  29,977 

37.'i7'j44.9*^^ 

62,459  59,954  67,443 

74.9't2 

•006' 

•012       •o/y      '023 

'02n\       •o35 

■041       ^046       •052 

r 

6.00 

ì 

6  .  00 

7',5oo 

(5,000  22,5oo  3o,ooo  37,5oo'45,ooo! 

53,5oo  60,000  67,500 

75,000 

Àaojpnto  da  darsi  alle  dìfFercnzo  (li  questa  Invola  per  cia^icua  miuuto  contenuto  nel  complom'^nto  a  io  Mi 
niiiaerii  di  minuU  che  serre  a  calcolare  la  paite  proporzionale  ,  da  preoderai  seujprq  additila. 


I .'  CORREZIONE  differenze  seconde  (secondi.) 

n  tegìio  della  correzione  è  sempre  contrario  a  quello  della  lemiiomma 
delle  due  differenze  seconde  centra^'. 


SEMISOMMA 

DELLE 

DCE  DIFFERENZE  2.o 

CEKTKALI.         1 

ARGOMENTO 

ORA    DATA 

10" 

20" 

30" 

40" 

50" 

6" 

7" 

8" 

9" 

V'   00' 

9''  ou' 

u";)i 

i"S; 

2"8l 

3"75 

4"<-'9 

o"5G 

o"66 

o"75 

o"84 

■o.J 

•o; 

•IO 

■^4 

*'7 

•02 

•02 

'o-ì 

•o3 

10 

8.50 

o>9^ 

':94 

2,9' 

3,8y 

4,8G 

o,58 

0,68 

0,78 

0,87 

■o3 

•07 

•io 

'12 

•>c 

■02 

•02 

•02 

•o3 

20 

40 

I  ,no 

a, 01 

3,01 

4,01 

5,02 

o,Go 

0,70 

0,8., 

0,90 

■o'i 

•06 

■Op 

•(s 

•'^ 

■02 

•02 

•o3 

■Oj 

30 

30 

l,o3 

2,07 

3,10 

4, ,3 

5,16 

0,62 

0,72 

0,83 

0;93 

•0.3 

■O'j 

•0,S 

'ì  1 

',4 

•02 

•02 

•02 

■02 

40 

20 

i,oG 

•i,XJ. 

3,iS 

4,^4 

5,3o 

o,Gi 

0,71 

e, 85 

0,95 

•o3 

•05 

•o.S 

-<  < 

•i3 

•01 

-02 

•02 

.o3 

50 

lo 

i,"9 

2,17 

3,-^fi 

4,35 

5, ',3 

0,05 

0,76 

0,8; 

0,98 

•02 

■o5 

•07 

•0,, 

■l'i 

■02 

•02 

'02 

•02 

i  .00 

8  .  00 

1,11 

2,22 

3,33 

4,44 

5,56 

0,67 

0,78 

o,S9 

1,00 

•o; 

•05 

•07 

•09 

•;f 

•01 

■oi 

...- 

•02 

10 

7.50 

1,1 3 

2,27 

3,4c, 

4,53 

5,G7 

0,G8 

0,79 

0,91 

1,02 

•OS 

•0^ 

■06 

■oS 

•*o 

•01 

•02 

•o< 

•02 

20 

40 

i,.5 

2,3/ 

3.40 

4,Gi 

2>77 

0,69 

0,81 

0,92 

1,04 

•02 

•o3 

•oO 

•o,y 

■"fl 

•o« 

•01 

■02 

•o) 

30 

30 

1,17 

2,34 

3,5'. 

4.«y 

5,86 

0,70 

0,82 

0.94 

i,o5 

•02 

•0^ 

■04 

■06 

•OcV 

•01 

■01 

•o< 

•02 

'40 

20 

'.'9 

2,38 

3.56 

\o'-> 

5.94 

0,7' 

0,83 

0,95 

1,07 

■01 

•o3 

•05 

■06 

•07 

•0( 

•0. 

•0( 

•0( 

50 

10 

1,20 

2,4, 

S,Gi 

4.8. 

6,01 

0,72 

0,84 

0,9(3 

1,08 

•OS 

•02 

•0^ 

•o3 

•07 

'01 

■o< 

.0< 

•01 

S.  00 

7  .  00 

1,-ìl 

=  .43 

3,65 

4,8(j 

6,08 

0,73 

0,85 

0.97 

».09 

■oi 

■02 

•o3 

•0^ 

•oj 

■01 

•ot 

•01 

•o« 

lo 

0  ,50 

1.23 

2,i5 

3,G8 

4>9" 

6,.3 

0.74 

0,86 

0,98 

1,10 

'on 

'02 

■02 

•0^ 

•04 

•00 

•00 

•Of 

•o( 

20 

40 

.,23 

3,47 

3,70 

4.91 

6,17 

0.74 

0,80 

0,99 

1,11 

•01 

•o( 

•02 

•o3 

•0.^ 

•00 

•o( 

•00 

■of 

30 

30 

i,-ì!i 

2,48 

3,7^ 

4,97 

6,21 

0,74 

0,87 

0,99 

1,12 

'01 

•0/ 

•oj 

•0» 

•02 

•o( 

■00 

■01 

•00 

40 

20 

t,t'j 

2,i9 

3,74 

4,9S 

6,23 

0,75 

0,87 

1,00 

1,12 

■00 

•o> 

•0/ 

•02 

•OS 

■00 

•00 

•00 

•00 

50 

10 

1,25 

I,5o 

3,75 

5,00 

6,25 

0,75 

0,87 

1,00 

1,12 

•00 

MO 

•00 

■OD 

•00 

•00 

■0(ì 

■oo 

•on 

>.  00 

6.00 

1,25 

2,5o 

3,73 

5,00 

6,25 

0,75 

0,8; 

1 ,00 

i,ia 

_^ 

2,'  CORREZIONE  differenze  terze. 

//  segno  della  cornsìone  è  simile  a  quello  Mia  differenza  terza  centrale 
se  V  ora  è  minore  di  6 ,  e  contrario  se  l'  ora  è  maggiore. 


ARGOMENTO 


)/'  on/ 
IO 
20 
30 
40 
50 

1  .00 


IO 
20 
30 
40 
50 
,  00 


IO 
20 
30 
40 
50 
00 


12''  00' 
Il  .  50/ 
40 
30 
20 
lo 
U  .00 


lo  .  50 
40 
30 
20 
lo 

lo  .00 


.30 
40 
30 
20 
10 
00 


lo 

20 
30 
40 
50 
.00 


IO 

?0 
30 
40 
50 

,  00 


.  .IO 
40 
30 
20 
lo 

,  00 


IO 
20 
30 
40 
50 

00 


.50 
40 

30 
20 
IO 
00 


.50 
40 
30 
20 
IO 

,  00 


DIFFERENZA   3.»  cektbale: 


l'=GO" 


0,07 
o,  i3 
o,  18 

O,  33 

o,  28 

O,  32 


2' 


0,35 
0,38 
o,4i 
0,43 
0,45 
0,46 


o>47 
0,48 
0,48 
o,  48 
0,48 
o>47 


o,  46 
0,45 
0,43 
0,41 
o,  3g 
0,3, 


0,35 

O,  32 

0,29 

0,26 

0,23 
0,20 


0,17 
0,14 

O,  io 

0,07 

o,  o3 

O,  00 


o"oo 
o,  i3 
o,  26 

0,37 

0,47 
0,56 
0,64 


o>77 
0,82 
0,86 
0,90 
0,93 


0"00 
O,  20 

0,38 
o,  55 
0,70 
0,83 
0,95 


5' 


0"00 

0,27 

0, 5i 
o,;3 
0,93 


1,06 
I,  i5 

.,23 

i,3o 
1,35 
1,39  1,85 


.,4i 
54 
64 

1,73 


o"oo 
o,  33 
0,64 
0,92 

.,39 
1.59 


10" 


0,95 
0,96 
0,96 

0,95 
0.94 


1,42 

■,44 
',44 
1,43 
1,41 


0,92  1,38 

0,89  1,34 

0,86 

83 


79 

■^,74 


0,69 

o,f,4 
0,59 

o,  53 
0,47 

0,4 


',29 
1,24 


,9' 

,92 

,90 
'>87 


■,77 
■,92 

2,o5 
2,  16 
2,  25 
2,  3l 


2,36 
2,39 

2,4' 

2,40 

2,38 
2,34 


,34 
o,  27 
0,21 

o,  14 

0,07 

0,00 


1,04 

o,8S 

,79 
0,70 
0,61 


1,83 

7S 

72 

65 

1,57 

1,48 


2,29 

2,23 
2,  |5 
2,  06 
■,96 

1,85 


I,  39 
I,  28'i,tìo 
i,i7|i,46 
i,oO  1,32 

0,94  ',  ' 


o,Si 
0,41 
o,  3  j 
0,21 

O,  IO 

0,00 


0,68 
0,55 

0,4" 
o,  28 
0,  14 
o,  00 


0,85 
0,69 
o,  52 
o,  35 
0,17 


o,  02 
0,  o3 
0,04 
o,o5 
o,o5 


20" 


30" 


40" 


q"oo  o"oo  o"oo 
o,02,o,o3to,o4 
0,04  0,06  0,08 

06  O,  09   O,  12 
0,  12   O,  16 

0, 14  o,  19 
0, 16  0,21 


0,060,  12 

0,06  0,  i3 

4 


0,0 
o,  o 


0,08 


50' 


o,  18  0,24  0,29 


O,  l4  O; 23 
O,  l5  O, 22 

o, i5  0,23 


19  0,36 
O,  21    O,  37 


0"00 

0,06 

0,11 

o,  i5 
,■9 

,23 

0,27 


7" 


9" 


0,08  o,  16  0,34 
0,  08  o,  16  0,24 
0, 160,  24 
o,  160,  24 
o,  16  0,  24 
o,  16  0,  23 


0,08 

0,0 

o,oS 


oS 

07 
0,07 
0,0; 

O,  O'^ 

0,06 


0,29 

o,3o 
o,3i 


,3 
o,3^ 
0,36 
o,  3 
o,  3i 


o,  oG 
o,o5 
0,  o5 

4 

0,04 
o3 


o,  i5 

5 

0,14 
o,  i4 
o,  i3 
0,12  0,19 


0,23 

0,22 
0,22 

O,  21 
0,  20 


0,09 
0,08 
0,07 


32  0,^9 
0,32  o,4o 
0,32  o,4o 

32  0,4 


01 
02 

o,o3 

o3 

0,04 


o"oo 

O,  01 
0,02 
0,02 

o,o3 
0,04 

0,04 


04  o,  o5 
0,04  o,o5 


0,32 

o,  3 


0,06 

o,  o5 
o,o3 


0,  i3 
0,12 

O,  IO 


o,3i 
o,3o 

29 
0,28 
0,26 
0,25 


0,23 
0,21 

O,  30 
0,18 

o,  16 

0,14 


o,4n 
0,39 


,38 

,37 

,36 

0,  34 

o,  33 

3i 


oa 
o,o5 
o,o5 
o,o5 


0,  o5 
0,06 
0,06 
o,  06 


o"on 
O,  OJ 
0,02 

o,  o3 
o,  o3 
0,04 
o,  o5 


0,29 
0,27 
0,24 
0,  22 

0,17 


0,06  0,06 
0,06  0,06 
o,  06  o,  06 
06  o,  06 
0,06  0,06 
o,o5  0,06 


0,  o5 
0,06 
0,06 
0,06 
0,07 
0,07 


07 
07 

°, 
0,07 
0,07 
0,07 


o,o5  o,o6|o,o7 
o,o5  0,06  0,07 
o,o5  0,06  0,06 
o,  o5  0,06  0,06 
o,o5  o,  o5  0,06 
0,04  o,o5  0,06 


0,09  0,1 

o,o7|o,09 
0,050,07 
o.  o3(0,  o5 
o, 03  o,  o3 
0,00  0,  00 


0,14 
0,11 
0,09 
0,06 
o,o3 
00 


0,04  o,  o5 
0,04  o,o4 
o,o3io,o4 
o,o3[o,o4 
o,o3  o,o3 
0,02  o,o3 


o,  o5 
o,  o5 
o,o4 
0,04 
04 
o,  o3 


0,02:0,02 
02  o,  02 

o,  01  O,  CI 
0,01  0,01 
o, 00  0,00 
o,  00  0,00 


o,o3 

0,02 

0,02 

0,01 

o,oil 

o.ool 


3.'  CORREZIONE  differenze  quarte. 

H  segno  della  correzione  è  sempre  lo  itesso  di  quello  della 
lemisomma  delle  due  differenze  quarte. 


SEMISOMMA    UELLE    DCE    DII'TEUEKZL    4." 

/VRGOMEMO 

OBA    DATA 

10" 

20" 

30" 
o"oo 

40" 
o"oo 

50" 
o"oo 

eo" 

o"oo 

7" 
o"oo 

8" 
o"oo 

9" 

o"or 

Oh  00' 

12h  00 

'o"oo 

o"oo 

lo 

11  .  SO 

O,  01 

0,02 

0,  o3 

0,  o5 

0,06 

0,07  lo.  01  lo,  01 

0,01 

20 

40 

0,02 

i),  o5 

0,07 

0,09 

0,  Il 

0,14 

0,02.0,02 

0,02 

30 

30 

o,  o3 

0,07 

0,  Io 

0,14 

0,17 

0,20 

o,o2'o,o3 

o,o3 

40 

20 

0,  o'i 

0,  09 

o,i3 

0,18 

0,22 

0,27 
0,33 

0,  o3 

0,04 

0,04 

bo 

10 

o,oG 

0, 1  I 

0,17 

0,22 

0,28 

o,o4 

0,04 

o,o5 

1  .00 

11  .00 

0,07 

0,1 3 
o,.5 

0,20 

0,23 

0,26 
o,3i 

0,33 

o,4o 
o.-iG 

o,o5 
o,o5 

o,o5 

0,06 

lo 

10 .  so 

0,08 

0,38 

0,06 

0,07 

20 

40 

0,0(| 

0,17 

0,26 

0,35 

0,43 

0, 52 

0,06 

0,07 

0,  of- 

30 

30 

0, '9 

0.29 

o,3S 

0,48 

o,58 

0,07 

0,08 

0,09 

40 

20 

[o,.. 

0,21 

0,32 

0,42 

0,53 

o,63 

0,07 

0,08 

0,  IO 

50 

10 

0,  I  I 

0,23 

0,34 

0,46 

0,57 

0,69 

0,08 

0,09!  0,10 

2  .  00 

10  .  00 

0,12 

0,25 

0,3; 

o,5o 

0,62 

0:74 

0,09 

0,  IO 

0,  I  I 

10 

9.  so 

0,  i3 

0,26 

0,40 

0,53 

0,66 

0,70 

0,09 

0,  Il 

0,  12 

20 

40 

0,1^ 

0,28 

0,42 

0,56 

0,70 

o,8Ì 

0, 10 

0,11 

0,  i3 

30 

30 

^0,  i5 

0, 3o 

0,45 

0,60 

0,74 

0,89 

0, 10 

0,  12 

0,1 3 

40 

20 

,0,16 

o,3i 

0,47 

o,63 

0,78 

0,94 

0,  Il 

o,.3 

0,14 

SO 

lo 

o,.G 

0,33 

0,49 

0,66 

0,82 

0,98 
1,03 

0,  II 

o,i3 

0,  0 

3.00 

9.  00 

0,  ij 

0,34 

0,  5i 

o,;C8 
o,7' 

o,85 
0,89 

0,12 
0. 12 

0,14 
0,14 

o,i5 
0,  i( 

10 

8.  so 

0, 18 

o,36 

0,53 

1,07 

20 

40 

0,  18 

0,37 

0,55 

0,7't 

0,92 

I,  IO  0,  i3 

0,  i5 

0,17 

30 

30 

0,19 

o,38 

^4? 

0,76 

0,95 

1,1/1 

0,  i3 

o,.5 

0,17 

40 

20 

0,20 

0,39 

0,59 

0,78 

0,98 

1.17 

0,14 

0, 16 

0,  I» 

SO 

lo 

0,20 

0, 4o 

o,Go 

0,80 

1,00 

1,21 

0,14 

0, 16 

0,1» 

i  .00 

8.  00 

0,21 

n,2l 

0,41 
0,42 

0,62 
0,63 

0,82 
0,  84 

i,o3 
i,o5 

1,23 

1,26 

0,14 
0,  i5 

0, 16 

0,17 

0,  •<, 
o.if. 

lo 

7.  SO 

20 

40 

0,21 

0,43 

0,64 

0,86 

1,07 

1,29 

0,  i5 

0,17 

0,  is 

30 

3'» 

0,  22 

"'4h 

0, 65 

0,87! 

')09 

i,3i 

o,i5 

0,  17  0,2C 
0,  18   0,20 

40 

20 

0,22 

0.41 

0,66 

0,  89 

1,11 

1,33  0,16 

so 

10 

0,22 

,,45 

0,67 

0,90 

1,  12 

1,35  0,  iR 

0,  l8lO,2< 

S  .00 

7.  00 

o,23 

0,45 

0,68 

0.9' 

i,i4 

,,35 

0, 16 
0, 16 

0,18 
0,18 

0,  2C 
0,21 

lo 

6.  so 

...3 

0,46 

o,6<) 

0)9^ 

1,  i5 

.J, 

20 

40 

0,23  0,46 

0,69 

0)92 

i,.6 

1,39  0,16 

o,i8|0,2i! 

30 

30 

0,23  0,47 

0,70 

0,93 

ì,  16 

i,4o  0,16 

0,  19  0,2ll 

40 

20 

0,23  0,47 

0,70 

0,93, 

'.  '7 

1,40;  0,16 

0,  lo  0,3ll 

BO 

lo 

0,23  0,4, 

0,70 

o,q4 

■,"7 

i,4i||o,i6o,i90,2i| 
'.4',  o> '6  0,19  o,ai| 

C  .00 

6  .  00 

o,23|0,47  0,70:0,94  1,17 

273 


N.B.  —  La  (avola  precedente  è  slata  dopo  la  stampa  confrontala  con  l' origi- 
nale ,  e  si  è  trovata  esente  da  errori  tipografici. 


!!««Er^^ 


APPLICAZIONI 


Esempio  I.  Si  cerca  la  declinazione  della  Luna  il 
24  gennajo  i834  alle  ore  8''.i3'.i7",  7  tempo  vero  di 
Napoli.  La  longitudine  di  Napoli  da  Parigi  ,  secondo  i 
dati  del  Real  OfEcio  Topografico  è  47''4'0"5  4  j  P^^  cui 
l'ora  corrispondente  di  Parigi  sarà  7''.  25'.  87",  3  ,  e  la 
Conoscenza  de'  tempi  di  quell'  anno  darà  , 


Deci.  J)  il  24  Gcn. 
najo  a  o'' 

Differenze  i .' 

Diff.  2." 

Dif.  3.° 

Diff.f 

Diff.:..' 

Ora  data 

23<'7'52"4 

+  3  7,0' '8 

-■9.34,5 

-43.11,3 

-1°.  G.35,3 

—  1 .28.30, 1 

-23'i5"3 
-23.36,8 
— 23.i4,o 
-22.  4,8 

— 2I"5 

+  22,8 
+  ''•    9>a 

+4V'3 
+46,4 

+  »"' 

=7.25,62 

Si  avrà  dunque,  ArgOTnento=']^ .iS'  fi2.,  0'=— 43'.i  i",3, 
^-^  =-23'.25",4, 3"'=+22",8  i:i±^  =45",35  j  e  però 
la  parte  proporzionale  dipendente  dalla  differenza  prima, 
e  le  correzioni  della  tavola  si  calcoleranno   come  segue  j 


574  AMANTE 

ptr  11'' — (i3'll"3  Differenze  %.'  Differenze  l.°         Differenze  4. e 

per    e*" —21 .35,65  Arg."  j^'.So'..  per  2o'..,+i4o"62  j.,,per  20"..— o"io...pcr  4o"..+o"88 

1 3.35,94  p.p.  per— 4,38 rf« ars ." 86 

30' I.iii98  Arg."  iiem...  fet    3' 2I1OS 

5 17,99  p.p.... idem i3 

3o" 1,80  Wrj.o  idem...  per  ao" 2,35 


—0,11 


5 

0,35.. 


01 


+  1)00 


6 0,36 

^fl 0|07 

0,1 0,01 

p.p —26.43, 80 

Correzioni .+  2.46,59 

Vecl.'i  a  o*" ^3°.  7.52,40 

Decl.)i  all' ora  dala.. 22. 43. 55, 19 


idem., 
idem., 


5 

0,4.... 


59 
o5 


+165,70 

— O,  l£ 

-4-1, 00 
-i-i66, 59 


Troviamo  lo  stesso  elemento  lunare  per  mezzo  della 
formola  (M)  (J.  !•)  commendata  da  Orfani ,  ed  avremo, 
1.°  temine  2°  3°  h°  5." 


S'=— 43'ii"3 
5'=—  2591,30 


S"=-23'36"S 


S"'=:+22"8    S'>'=-t-44"3 

.  5" 


'^gTs    -f5-=-^.,.5|L'=      ,,85,jll=+o.o2 


—  ij"=+  708,40 -^S"=—      3,69  — iS»=— o,5a 


-|5"'=- 

+^5'=+ 


3,80 
3,69 
0,07 


—  1420,49 

i=—    710,24 


+  o,i3 

c-=+  0  ,02 


a=  — 1882,94 
N 


%^=9,79.G339...;.(^)' =9,58326,8..... 
Ì0j5<i=;3,27482;3  fog  i=2,85i4ii2 

^2  "4346^ 

—3,0664704 

— ii65,4o 

■      —273,07 

+0.37 

jToude—  1437,20 

=— 23'55"2o 

23.  7.5a  ,40 

Deci,  J  ^32.43.55  ,20  come  sopra 


l.  J-  5'v=o,267i7 
9,433;i 


IV=7''25'37"3 
=  445.37  ,3 
=  26737  ,3 
JV_  26737  ,3 
'*"  43200 
?05ÌV=4 ,427 1)27 

49 
c.i.l2''=5,3645i63 

'•— =9.79'6339 
9,7916339 

?©  =9.58326,8 
9,7916339 

:.^j^y=9.3749<"7 
9,7916339 

//£y=9,,665356 


•^•1i 


2^5 


TAVOLA  ge:(erale  d'  interpolazione 
Esempio  II.  Si  cerca  la  declinazione  del  Sole  il  dì 
11   Agosto    1842  a   i4\i3'.i7",4  leinpo'niedio  di  Napoli. 
L'ora  corrispondente  di  Parigi  sarà  1  3\25', 87",  e  la  Co- 
noscenza  de  tempi  darà  , 


Dcd.  Sole  il  di  1 1  Agosto  a  o'' 

D,ff:  i.' 

D.ff.  Q.' 

i5<'jo'49"4 

-'7'38"D 
-17.53  ,G 
—8.  7,9 

_1  j(/n 

-'i,3 

Il  luogo  del  termine  da  interpolarsi  è  indicato  da 
iS*".  25'.37"  nell'intervallo  di  a^.*",  e  siccome  la  tavola 
d'interpolazione  suppone  l' intervallo  di  la*",  così  per 
avere  l'  argomento  della  tavola ,  bisognerà  prendere  la 
metà  dell'ora  data  ,  che  sarà  6''.42'.  4^'S  ^'  Con  questo 
argomento  e  con  la  semisomma  delle  differenze  seconde 
•'—il\"^S  si  troverà  subito  nella  tavola  la  correzione 
-j-i",  78  da  applicarsi  alla  parte  proporzionale  ottenuta 
con  la  differenza  prima  j  la  quale  èssendo, — io'.o",63, 
la, cercata  declinazione  risulterà  i5''kio'.5o",5.5. 
e!  Esempio  III.  Si  cerca  la  distanza  della  Luna  da 
Aldcbaraa  il  giorno  21  Febbrajo  iS/ja  a  G*" .  39'.  17",4 
tempo  medio  di  Napoli — L'ora  di  Parigisarà  4''-5jV37" 
ed  il  luogo  del  termine  da  interpolarsi  ,  nell'  intervallo 
di  3''  consideralo  nelle  effemeridi,  sarà  i"".  5i'.3j"j  il 
quale  dovrà  moltiplicarsi  per  4  per  ottenere  V argomento 
della  tavola,  che  suppone  l'  intervallo  di  la"".  Si  prendano 
dalla  Conoscenza  de'  tempi  i  seguenti  dati  , 

Tom.iy.  35 


ajS 


AMANTE 


Distanza  della  Luna  da  Aldebaran  il  21 
Febbrajo  a  3l>  di  Parigi 

Diff.  i.« 

Diff.  ».= 

35°53'io" 

+r44'ib" 

+1.44.58 

+..45.37 

+42" 
+39" 

esarà,^r^.°=7'.26',5,5'=+i.''44'.58",^^?=+4o",5 
e  quindi 


per 


31-.. 


41  ■ 


per  l*" +    34'5g"33 

3o' . 729  ,67 

20 11.39  ,78 

1 34,99 

3o" 17  ,49 

6 3  ,5o 

1 o,58 


Differenzi  3.' 

Arg."  7h.3o'...  per  40"— 4"69 

p.p.  per— 3,5  di  arg." 2 

uÌTg."  idem...!  per    o"5..      6 

-4~ 


+1°  5.  5  ,34 

—4.77 
35.53.10 


Dia,  Luna  cercata=36.58.io  ,67 


iti     ÒU    tl^  ,».l-f 

Esempìo  IV.  Si  potrebbe  proporre  il  problema  in- 
verso cioè ,  trovare  1'  ora  di  Parigi  del  giorno  2 1  Feb- 
brajo 1842  corrispondente  alla  distanza  della  Luna  da 
Aldebaran  36''.58'.io",57.  In  tal  caso,  ricordandosi  che 
la  tavola  è  calcolata  sulla  serie 


y 
si  avrà , 


J  ^,V^  'f'-')     ^^^±^'  4-  ^^^-^^^^--^  5 


etc. 


/— r      3"+A" 


TAVOLA  GENERALE  d'  INTERPOLAZIONE       277 

ed  indicando  con  2  la  somma  delle  correzioni  date  dalla 
tavola ,  sarà 

y — ^a=M2'-J 1,  onde 


#       y — -^a 

'^—x  W 

0  +  7 

Questa  formola  servirà  a  calcolare  il  luogo  t  del 
dato  termine  mediante  le  approssimazioni  successive.  Nell'e- 
sempio proposto  sarà,  y=36°.58'.io",57,  ^,=35\53'.io", 
5'=+ 1°. 44'. 58",  e  si  avrà  y— /^,=  i°.5'.o",57=39oo",57, 
l'  =  6298"  ■,    e   però   il   primo   valore   approssimato   di  t 

sarà)    g^ '„  =  0,61933.    Riducendo   questa    frazione    iu 

tempo  con  supporre  l'unità  eguale  a  la*",  secondo  la  ta- 
vola, si  avrà  V  argomento  n^.^G'  per  calcolare  la  somma 
2  delle  correzioni.  Questa  somma  divisa  per  <=:o,Gi933 
s' introdurrà  nella  formola  (^)  per  avere  un  secondo  va- 
lore di  t  più  approssimato  j  che  potrà  servire  a  trovarne 
un  terzo ,  e  così  di  seguito.  Il  calcolo  per  la  data  di- 
stanza lunare  è  come  segue  , 


27°  AMANTE 

Los.{y~-A,  )=hs  3900,57=3,591120»  Mrg.'  ^Kioi...  per  4o"...-4"65  ^ 

78  p.p.,.  —  ^ j] 

per   0,5 6 


c,/,S'^c./.  6298. ...=6,2007973 


'".?' =9.7919254 


^—-i  ,77 
*=a),6t933=7b.a6'pcr  la  tavoli  /05  2=0,6785 184 

c./.(:=o, 5080745 


12 


133866 


2 


6.933  %— =0,8865930 

7|  43196  — =  — 7,7oa 

6  J'=6i98 


i'-\ =0290,3 


los(,r—At  )= 3,5911281 

c.l.f  5'+  —  l 6,2oi3a87 

io?  i'=9.79»4i68 
J'=o,6ao09=i''5i'37" 
3    3 

j|  86027    4-51.37  Ora  di  Parigi  «ertala 

6    '^"'~"' 


t 


36|97a 


Riducendo  il  primo  valore  di  f=s=o,6i933  ia  parti 
dell'  iutervallo  S""  delle  effemeridi  ,  si  sarebbe  ottenuto 
i''.5i'.28",8,  e  quindi  un  errore  di  8", a  di  tempo,  non 
comportabile  nella  determinazione  di  una  longitudine  ^ 
laonde  1'  uso  delle  differenze  seconde  pare  indispensabile. 

Esempio  V.  La  nostra  tavola  può  servire  anche  ad 
altre  interpolazioni.  Si  voglia  trovare  il  seno  naturale 
dell'arco  decimale  2°,ii3  con  dieci  cifre,  facendo  uso 
delle  tavole  di  Callet  calcolate  da  decimo  in  decimo  di 
grado.  Queste  tavole  ,  tenendo  conto  anche  dell'  unde- 
cima cifra  ,  daranno  , 


TAVOLA  GENERALE  D  INTERPOLAZIONE 


279 


SCll    -j",  I 

Z>#.  i.' 

DiJT-  2.« 

Dif.  ì.' 

0,0329807409.1 

+15699818.4 
+  .5099004.8 
+15698152.1 

-81 3.8 
—852  5 

-38.7 

n  luogo  del  termine  da  interpolarsi  è  0,1 3,  che  si 
moltiplicherà  per  la*"  per  avere  V  argomento  della  tavo- 
la ,  il  quale  risulterà  i''.33',6.  Si  avrà  inoltre 

i'=.+  i56990o4..6  ,  Ì-t^'  =-833. i  ,  ^'"=-38.7  ; 


e  per  trovare  le  correzioni  della  tavola  ,  si  supporrà  che 
queste  due  ultime  differenze  esprimano  secondi ,    per  cui 

tara  — i —  = — i3'.53",i  ,  ed  il  calcolo  procederà  come 


segue  , 


i5«99o  o4,6 

o,i3 

470970  i3« 

1569900  46 

«040870.598 

+  47.08 

—0.37 

9,0329807409.1 

o,o33l8^»3^6.5l=«n3", 

Il3 

Dif.  s.« 

Jrg.'  i''3o'...  per  io»...+3i"8i 

p.  p.,.+  3,6 I  ,10 

idtm 3' 9  ,84 

P-P 33 

idem 5o" a  ,73 

PP 9 

idem 3 i' 

idem c,i  ..         ■ 


Dijf.  3< 


47  .08 


Questo  risullamento  combina  sino  alla  decima  cifra 
con  quello  che  vien  riportato  nella  introduzione  alle  ta- 
vole di  Callet  pag.   116,  ottenuto  per  altra  via. 

Esempio  VI.  Si  cerca    il  log.    seno   di  3o'.i2",35 


aSo  AMANTE 

cou  dieci  cifre  decimali ,    servendosi  delle    grandi  tavole 
di  IJlacq.  Da  queste  tavole  si  hanno  i  seguenti  dati  j 


log.  sen.  So'.io" 


;,9l3247863o 


Diff-.   I.' 


+24i9')i3o 
+24060084 
+23927513 
+23796397 
+23666707 


Dif.  a.» 

Diff.  3.' 

Diffi." 

Dff.5.' 

—  13404.6 
— 13257.1 
— i3iii.6 
—12969.0 

+.47.5 
+145.5 
+.42.6 

— a.o 
—a  9 

—0.9 

Il  luogo  del  termine  da  interpolarsi  è  o,235 ,  da 
cui  si  ricava  per  argomento  della  tavola  2^.^g',2.  E  se 
i  numeri  indicanti  le  differenze  2.°,  3.%  4-%  e  5.°  si  sup- 
pongono esprimer-e  decimi  di  secondo ,  sarà 


-2",5i 


per  la  qual  cosa  il  calcolo   del  logaritmo    cercato   proce- 
derà come  qui  appresso. 


23927  5i3 
0,235 

119637  565 
71782539 
47855026 

5622965.555 
11S61.3 
7,9l3a47868o 


Diff-.  a.«  Dif.  S.»        Dif.  4.' 

Arg."  i^.^a' per  loo' .M...+ 5i8,52)  ..  per   a'...  0,95...— o,o3 

p.p.  per   9,a 30,76j  ao'/...o,i6  i 

'per  100' 539,28  5,5 4     J^ 

*°' ^^'9^  +.,.5 

9 48.54 

40" 3,60 

4 36 

0,35....  3 


7.9}38 11 3506.9  =  /og. sen.  3o'.i2'',35 


+  ii85,oa 

+  I,M 


Troviamo  lo  stesso  log.  seno  per  mezzo  della  serie  (2), 
che  non  è  se  non  la  (il/)  sotto  la  forma  ordinaria.  Tra- 


TAVOLA    GENERALE   d'  INTEUPOLAZIOKE  a8l 

scriviamola  per  norma  del  calcolo  ,    al  quale   potrà  darsi 
r  andamento  che  segue  ,  già  da  noi  accennato  nel  §.  I  j 

"'       '       '  'a  '  a.3  '  2.3  4  '  2.3.4  ^ 

i'=239J7  5i5        J"=-i3i57i         «'"=+1455  i"=— 20  J'=-<, 

1=          0,235    0  235X— Oi^GS              1,235      ,          ,  — 1,76:';  2,23i 
=a,a.-j-=h,        b.~ =c,                           c.-^ 

-1782539  '•<>.' ■75=9,0700379       +0,41167  —0,441                                        +Oi447 
4^85502  6     '-0,765  =a^8_36G^ 

5622965.555  -89536993 8.95370 

11862.24         '•5"— 5,1224453      +961455 

■rf'=7,9Ì324;8G3o  3^      _8,50325 -8,56825 

y=7,9438ii35o7  8                  +4.o:6i479      +3,i6i86  -9.64Ì44 

+11916,48         _,  _3,,,  ,      +8,2.269... +8,21269 

_2fÌ:2^_         —53,84  — i,3oio3                                     +9,65r'3i 
+11862,24                     33  _^3~                               ~l^ì± 
L  -0.33                                       -8,8. 72Ì 


—54,24  —0,07 

Questo  risultamento  differisce  soltanto  di  un'  unità 
nella  decima  cifra  da  quello  ottenuto  per  mezzo  della  ta- 
vola. Il  quale  piccolo  errore  dipende  da  che  nel  calcolo 
della  1 .'  correzione  le  differenze  della  tavola  non  sono 
costanti ,  e  quando  la  correzione  medesima  è  molto  gran- 
de,  la  parte  proporzionale,  corrispondente  alla  frazione 
del  dato  argomento  ,  non  risulta  esaltissima.  Nel  calcolo 
degli  elementi  astronomici  in  cui  la  semisomraa  delle  dif- 
Jerenze  seconde,  anche  per  la  Luna,,  non  giunge  mai 
a  3o',  l'errore  in  discorso  riesce  insignificante  j  ma  esso 
potrebbe  pure  eliminarsi  da  qualunque  altra  interpolazio- 
ne ,  applicando  alle  differenze  della  tavola  1'  Aumento 
indicalo  in  piedi  di  essa.  Cosi  nell'esempio  precedente  la 
correzione  per  io',  con  1' argomento  2'',4o'  è  5i,85a  , 


282  AMANTE 

e  la  parte  proporzionale  deve  calcolarsi  moltiplicando  il 
decimo  della  differenza  della  tavola  per  i  miauti  dispari 
q'jS.  Prima  di  eseguire  quella  moltiplicazione  si  accre- 
scerà la  differenza  2,257  ^°^  prodotto  o,oo58  xo',8=o,oo5, 
che  è  quello  dell'  Aumento  o,oo58  ,  registrato  in  piedi 
della  colonna,  pel  complemento  o',8  del  numero  de' mi- 
nuti 9', 2  cJie  seive  a  calcolaT'e  la  parte  proporziona- 
le. La  differenza  aumentata  risulterà  2,262  ,  e  la  parte 
proporzionale  sarà  0,2262^9,2=2,081.  Laonde  la  cor- 
rezione della  tavola  per  100'  con  1'  argomento  2''. 49', 2 
sarà  539,33,  e  la  correzione  totale  riguardante  le  diffe- 
renze 2.'  ascenderà  aji85,i2  j  dove  si  vede  corretto 
r  errore  annunziato  qui  sopra  di  uq'  unità  nella  decima 
cifra  decimale. 

Se  r  argomento  in  vece  di  essere  2''. 49', 2  fosse  stato 
9\io',8,  si  sarebbe  proceduto  nel  modo  seguente  per 
giungere  allo-  stesso  risultamenlo.  ;  Affinchè  la  parte  pro- 
porzionale riesca  sempre  additiva,  si  dovrà  prendere  nella 
tavola  Idi icorrezìojie  5i,852  corrispondente  all'argomento 
prossimamente  maggiore  9''.2o!  j  la  quale  dovrà  essere  ac- 
cresciafia  del  decimo  della  differenza  della  tavola  molti- 
plicato per  9', 2.  Questo:  numero  di  minuti,  che  serve 
a  calcolare  la  parie  propoi'zionale  ,  ha  per  comple- 
mento, o', 8,  per  cui  V  aumento  della  differenza  della 
tavola,  secondo  l'indicazione  posta  in  piedi  di  essa,  sarà, 
o,8xo,oo58=o,oo5  ,  e  la  parte  proporzionale  risulterà  dal 

prodotto  di  ±1-IÌ2£±1  XQ,2,   e,  sarà    2,081    come   so- 

pra  —  Ripeliamo  ,    che  nel  calcolo    d^li   elementi    astro- 
nomici le  difi'evenze  della  tavola  potranno  sempre  adope- 


TAVOLA    GENERALE    d'  INTERPOLAZIONE  a83 

rars'i  quali  soiioj  eri  osserviamo  anche  che,  se  non  aves- 
simo avuto  Io  scopo  ili  far  servire  la  nostra  tavola  a 
qualunque  specie  d'interpolazione,  sarebbe  bastato  ripor- 
tare con  tre  cifre  declinali  i  soli  numeri  contenuti  nelle 
prime  due  colonne  della  i .'  correzione^  onde  aver  ri- 
guardo al  massimo  valore  che  possono  acquistare  le  (ìif- 
ferenze  2.'  per  la  Luna.  E  però  chi  volesse  limitare  Tuso 
della  tavola  al  solo  calcolo  degli  elementi  astronomici  , 
potrà  rendere  più  semplici  i  due  quadri  riguardanti  i 
minuti  delle  differenze  seconde. 

Esempio  VII.  Sia  al  contrario  proposto  di  trovarsi 
r  arco  corrispondente  al  log.  seno  trovato  qui  sopra  con 
dieci  cifre,  7,94381  i35o8.  Dalle  tavole  di  Ulacq  si  ha 
che  il  seno  prossimamente  minore  è  7,918247^^^^  ■>  ^^ 
quale  corrisponde  all'arco  3o'.  10".  Per  trovare  i  secondi 
dispari ,  e  le  frazioni  di  secondo  ,  bisognerà  applicare  .1 
formula  (jfiT)  menzionata  nell'  Esempio  IV  \  al  quale 
oggetto  ,  fatto  il  quadro   delle  differenze  ,   si  avrà  , 


y-^a=5634S28,  a'=239275i3  ,  ^-t^  =«_2i9'.M".35  , 


d"'=+2'.25",5  .  """*"  ^"   =— z".'^  i 


e  però  il  calcolo  di  t  sarà  come  segue  , 


Tom.lV.  36 


284  AMANTE 

Oiff-  »••  Diff.  S."       Diff.  4.» 

'«IffCr— ^')=6.j5o88o7  Ars?  ^.!\°' ••■  per  ioo'+5iS,5i, ^ —o^l\ 

C./.{/=2,6jiio24  p.p 21,67^  16 

/05. 1=9,371^  looi.... 540,19  4 

«=»,»355 2h.49',6  '° ^4.02 

„  9'--  48,Gj 

40"..  3,60 
4...  36 
0,35         3 


i.iS 


4710 
a355 


3J8260  +1187,01 

6  +1,11 

49156 


S=ii8S,i2 


'"^rCr— ^.^=6,7508807  /oirSz=3,o748Ga3 

S'+y)=^ì<'20i876  C.f./=o,6a8oi69 

■  V 

fo^  ('=9,3710683  105-^=3,702877» 

«'=o,a35oo  4 

i'=2",35  come  ,opra  — =5o45.3 

'^^'^""^  J':z:a39i75i.3 

S'+  —  =23977965 

Esempio  Vili.  Per  ultima  applicazione,  cerchiamo 
ii  logaritmo  di  un  numero  dato  con  dieci  cifre  decimali, 
ed  il  numero  di  un  dato  logaritmo  ,  servendoci  defla  ta- 
vola di  Callet  iù  cui  sono  registrati  i  logaritmi  de'  nu- 
meri da  1  sino  a  1 200  con  20  decimali.  Si  voglia  il 
logaritmo  del  rapporto  del  diametro  alla  circonferenza 
3,1415926536  con  dieci  cifre  decimali.  Moltiplichiamo 
o  dividiamo  questo  numero  per  un  numero  di  una  sola 
cifra  ,  ad  oggetto  di  poterci  servire  de'  logaritmi  dei  nu- 
meri il  più  che  si  può  vicini  al  massimo  laoo  della  ta- 
vola ,  pei  quali  le  differenze  seconde  non  sono  molto 
grandi.  Eseguendo  la  moltiplicazione  per  3  ,  avremo 
9,4247779608  ,  e  ricaveremo  dalla  tavola  i  seguenti  dati 


TAVOLA    GENERALE    D' INTERPOLAZIOKB 


28S 


lon  9,4a 

X>#.  i." 

D/r.  2.' 

D,J.  ì.' 

0,9740509017.9 

+4612793,6 
+4G07899.5 
+46o3oi5.6 

-48911 
-4883.9 

+  10.1 

Il  luogo  del  termine  da  interpolarsi  essendo  0,4778, 
r  argomento    corrispondente    della    tavola    si    troverà    di 

5\44',o2.  Si  avrà  inoltre  ^^^±^  =—4889"=— 81 '.29", 

3"'=-f.io",2  ;  ed  il  calcolo  del  logaritmo  cerca  o  sarà  come 
segue 

Dif-  <••  Dif.  i.«  Diff:  3.« 

46078995  per  80' 598"i5J  o.oiJ 

80697774  p.p 0,56) 

184315980  ' '>'i8 

31255296  »" ">'Ì9 

3i»553o  9....^.^^2;^ 

3i255i                           ■  +609.80 

4 '470  0.01 

1764  1201636. 3a 

37  0,9740509027.9 

3ioi636.3a  0,9742711274.0 

log  3=0,4771212547.2 

'05  »=o,497 1498726.8 


Sia  dato  ora  il  logaritmo  0,497149^726-8  e  si  cer- 
chi il  numero  corrispondente.  Si  tolga  dal  log.  proposto 
il  logaritmo  di  3  ,  e  si  avrà  il  resto  0,0200286179.6, 
di  cui  il  prossimamente  minore  della  tavola  di  Callet 
corrisponde  ad  1,047  j  ^  P^*"^  si  avrà  il  seguente  quadro , 


»S6 


AMANTE 


Ing   'Mi             j      ^ff-   '■" 

0#.  5  -^ 

o-/r  3'| 

o,oi9y466Si6  8 

+4iil<)97'-5 
+4i!(6)oi0  7 
-(-4pÌ2o55.j 

-3;)!ìi.6 
-3y-.l  ■> 

+70  1 

^ =—3958 

=— e-HJS/' 

J 

ed   applicando  la   forniola   (/i)  sarà  , 


y=o 

,0500286 r79  6 

A,=o 

o.99lG6^!i6  8 

4ilG|.-x).7^J' 

Jrg'- 

Dijr.  -,.« 

.t^.ial  per  &>(... •s8l  9'|l 
j  ,9 3  4^5 

o.^f:  J." 

819362.8 

0,06 

40476 
3i6ii 

mGooS 
ii3jo 

o,i9;ò3...-2''.g^.',29 

1-2 

395  a5 
197«3 
a]  37156 

5....  a3  4<) 

5."..     3.y2( 

8"..        63 

6 
al) 3916 

3i3,8o 
r  06 

•s 

t 
81936381 

4''>4^'^3  f»2o 

>  1 3 1 9  2 1 S  j 
»38S  o33' 

=41460097 
=      15S8.1 

S=3i3,86 

1 16  1^0 

i7  4i5o 
1  6o:153 
33i5o 
37971 

o,i97r.3=:f 
i688.i->=  — 

r-^'=. 

(41475978 

1 _ 

'  0,197551 17 

0 

I 

ai-a  j345oo 

A  854 

Sioo 

707 

)I230 

393a534>o 

«=1,0471975511  7 


«t:3, 1415936535.1 


JLlXSTRAZfONE 

NEL  SALENTINO 

Del  Pk.  0-G.    COSTA 

LETTA   NELLA    TORNATA    DE'  18   DICEMBRE    18i2. 


1.  Jr  linio  ,  in  quel  suo  copioso  inventario  di  opere 
prodigiose  della  natura,  registrava  il  Fonte  diManduria, 
cui  dava  il  nome  di  lago  (i).  In  Salentlno  iuxta  op- 
pidum  Mandiirìam  laciis  ad  margines  plenus,  ncque 
exhaustis  aquis  miimitur,  neque  inj'usis  augetuv  (2), 
Sono  (piesle  1'  espressioni  dello  storico  ,  le  quali  non  po- 
tevano eh'  eccitar  meraviglia  appo  l'universale,  non  cono- 
scendosi in  natura  alcun  fonte,  lago,  o  ristagno,  che  sog- 
getto non  sia  a  mutar  di  livello  ^  or  crescendo  per  le  ac- 
que che  vi  accorrono  ,  ora  abbassandosi  per  i  tanti  modi 
che  la  natura  e  1'  arte  adoprano  per  consumarle.  Laonde 
il  fonte  di  cui  palliamo  fu  sempre  tenuto  come  porten- 
toso ,  e  visitato  religiosamente  da  ogni  dotto  straniero. 


(1)  Se   Plinio    vcdulo    avesse  quel  cipieDle  di  acqua  evidentemente  arte- 

foDle  ,    certo  non  lo  avrebbe  con    tal  fatto  ,    e  d'  una  iì  picciola  capacità  , 

nome  indicalo.  Impcrciocchò    sarebbe  con  uo  Iago  ,  per  picciolo  che  qucst» 

un  privarlo  aflatlo  di  buon  senso  ere-  suppor  si  volesse, 

dcndolo  capace  di  confondere    ud  re-  (1)  Plia.  libr.  II.  cap.  CVI. 


288  COSTA 

a.  D*  altra  banda,  la  tendenza  comune  degli  uomini 
di  elevare  e  magnificare  tutte  quelle  cose  ,  che  loro  ap- 
partengono in  modo  più  o  meno  esclusivo,  ha  fatto  sì  che 
la  celebrità  accordata  da  Plinio  a  quel  fonte  venisse  fer- 
mata ed  accresciuta  da'  suoi  commentatori.  Tra'  quali  pre- 
cipuamente con  ardenza  si  accinse  a  ciò  fare  un  dotto 
cittadino  della  stessa  Manduria ,  quasiché  delle  cittadine 
dovizie  fosse  quella  la  migliore,  e  forse  la  sola  in  tal  ge- 
nere. Al  d.'  Gregorio  Schiavone  appartiene  la  dotta  ed 
eruditissima  scrittura  sul  Fonte  di  Manduria,  inserita  nel 
Giornale  Enciclopedico  di  Napoli  (3).  In  essa  trovasi 
raccolto  quanto  è  stato  pensato  e  scritto  intorno  al  feno- 
meno di  quelle  acque j  cercando  poi  l'autore  nell'analisi 
etimologica  del  nome,  nella  mitologia,  e  nelle  tradizioni 
di  meglio  addentrarsi  nel  mistero ,  e  svelarlo. 

3.  Non  è  mio  proponimento  tener  dietro  alle  orme 
da  quel  dotto  battute,  per  dir  se  bene  o  male  siasi  avvi- 
sato, nello  spiegare  il  fenomeno  dello  stabile  livello  delle 
acque  di  quel  fonte.  Di  lunga  e  nojosa  diceria  usar  do- 
vrei per  dimostrare  ex  indircelo  V  inganno  :  la  qual  cosa 
io  penso  conseguire  per  via  diretta ,  esibendo  la  descri- 
zione di  quel  fonte,  quale  spontaneamente  si  mostra  a  chi 
straniero  nou  giungesse  nelle  fisiche  discipline,  e  nell'  ar- 
chitettura idraulica.  Mi  permetterò  solamente  notar  poche 
cose  intorno  alla  condizione  geologica  del  luogo ,  onde 
chiarire  la  idea  del  sig.  Schiavone ,  il  quale  vedeva  ia 
tutta  quella  provincia  un  suolo  vulcanico. 

4.  È  veramente  un  fatto  costante  ,    che  la  celebrità 

(3)  Vedi  «questo  periodico  lavoro  ,       Ann.  2.  n.  n  ,  pag.   a86. 


ILLUSTRAZIONE    DEL    FONTE    DI    MANDURU  289 

degli  uomini  si  liga  con  quella  delle  cose.  Così ,    i    vul- 
cani che  han  somministrato  argomento  da  far  che  molti  uo- 
mini si  distinguessero  ,  si  sono  visti  fin  là,  dove  regnava 
r  opposto  elemento  ;  ed  è  bastata  una  briciola  di  zolfo  , 
una  scaglia  di  scoria  ,  o  pochi  frammenti  di  pomice,  per 
vedervi  le  lave  incandescenti  ,    i    crateii    avvampanti ,    i 
sollevamenti  de' monti,  la  scomparsa  delle  acf[ue,e  tutto 
il  formidabile  treno  degl'ignivomi    focolari.  Laonde  pen- 
sava il  sig.  Schiavone ,    che  le  voragini   frequenti  ad  in- 
contrarsi sulla  intera   estensione  della  provincia   di  Terra 
d'  Otranto ,    non  fossero  che  focolari  di   vulcani  estinti  , 
da'  quali  sia  da  ripetersi  il  sollevamento   intero  della    pe- 
nisola. E  poiché    la    frequenza    degli    avanzi   organici    di 
animali  marini  ben  l' avvertiva  esser  quel   suolo   positiva- 
mente letto  abbandonato  dal  mare  ;  suppose ,  e  qui  noa 
senza  fondata  ragione ,  che  per   opera   de'  sottoposti  vul- 
cani fosse  slato  allontanato   il  mare ,   e  rimasta    a    secco 
la  terra  ,  con  tutti   que'  marini  corpi ,    quali  al   presente 
racchiusi  si  trovano  nelle  viscere  sue.  Gli  davano  ancora 
maggior  forza,  per  sostener  la  sua  ipotesi,  le  scorie  di  ferro, 
che  ivi  presso  quel  fonte  abbondevolmente    si   osservano. 
Ma  queste  appartengono  evidentemente  a  ferro  fuso,  tro- 
vandosi sovente  con  la  impronta  de'  crogiuoli  in  fondo  de' 
quali  rimasero,  o  spumacciose  come  cavar  si  sogliono  dalla 
superficie  del  metallo  già  liquido.   Stanno  tali    scorie   cosi 
sparpagliate  ed  erranti   sul  suolo   ed   alla  superficie  di  es- 
so,  oppure  involte  nella  terra  vegetale.  Certo  esse  addi- 
mostrano essersi   stata   colà    una    fucina  j    ma    quando   e 
perchè  fosse  stata  stabilita  lasciar  conviene    cercarlo    agli 
Storici  ed  agli  Archeologi. 


290  COSTA 

5.  Il  suolo  è  tutto  tufaceo  e  concbiglifeio  ;  e  cosi 
corre  per  tutta  quella  estesa  pianura.  E  sovente  inter- 
secato da  banchi  di  marna  e  di  creta  ,  o  da  burroni 
di  materie  d' alluvione  ^  o  da  monticoli  di  calcare  ap- 
pennino  ,  costituenti  le  così  dette  Murge.  Con  ispecia- 
lità  poi  il  piano  su  cui  siede  Manduria  è  sì  ricco  di 
avanzi  di  testacei  marini  ,  che  tutto  quel  tufo  sembra 
coslituIt(j  da  tritumi  di  questi.  Le  bivalvi  de'  generi  Pe- 
cten  e  Caràium  sopra  ogni  altro  predominano  -,  né  man- 
cano denti  di  Squalus  charcarias  ed  altri  ictioliti. 

6.  Non  è  difficil  cosa  spiegare  la  provenienza  delle 
pomici  e  di  quei  ciottoli  dilava,  de' quali  parla  il  conte 
Milano  nel  III  Capitolo  de' suoi  Cenni  geologici  sulla  pro- 
vincia di  Teiera  dj  Otranto.  Le  prime  son  dal  mare  riget- 
tate, essendo  cosa  ovvia  il  vederne  tutte  le  spiagge  occi- 
dentali della  provincia  ripiene,  dopo  gli  sconvolgimenti  del 
mare  accompagnati  da  venti  occidentali  (4).  I  secondi  , 
che  jiiù  facilmente  si  trovano  presso  Ginosa  ,  sono  stati 
trasportati  dal  Bradano  ,  quando  il  suo  letto  era  grande- 
mente più  elevalo  e  più  esteso,  come  sta  da  noi  dimostrato 
in  altro  luogo  (5)  ;  ed  i  quali  ciottoli  io  penso  provenire 
dal  Vulture.  Or,  sebbene  è  vero  che  tutta  la  penisola  Ita- 
liana sia  dominata  da  vulcani  già  estinti  ,  oltre  i  semi- 
spenti, ed  il  Vesuvio  che  arde  tuttofa  \  pure,  nello  spazio 
compreso  nella  provincia  Otrantina ,  non  vi  ha  vestigio 
veruno    di   focolajo    vulcanico.    Ma  quando    pur    ve    ne 

(4)  Di  queste  pomici  si  fa  commer-  specialmente  dopo  le  tempeste. 

ciò  nella    rroviucia.    Vi    sono    delle  (5)  Vedi  —  Prime  linee  di  Geologia 

persone  clie  scorrono  quolidianamentc  del  regno  di  Napoli  — BIS. 
le  ipiagge  erenoie  per  raccorle  ;  e  ciò 


ILLCSTRAZIO.NE   DF.L    FONTE    DI    MANDUP.U  29 1 

fossero  molti  ,  si  vedrà  non  aver  essi  alcuna  relazione  col 
fenomeno  che  presenta  il  fonte  di  Manduria  ,  né  aversi 
bisogno  del  loro  intervento  per  ispicgarlo. 

7.   Premesse  queste  brevissime  osservazioni  ,  passo  a 
descrivere  1'  antro  ,   il  fonte,  e  quanto  a  questi  si  attiene. 

Uscendo  dal  recinto  attuale  di  Manduria,  a  pochi 
passi  verso  il  N-E,  e  fra  l'attuale  e  1' antica  sua  circo- 
scrizione ,  si  trova  un  antro  sotterraneo  ,  nel  quale  si 
scende  per  una  scala  tagliata  nella  stessa  roccia  tufacea, 
di  n.  36  gradini,  della  larghezza  di  7  palmi,  e  divisa 
in  due  tese  ^  come  rappresentata  si  vede  nella  pianta  da 
GGG.  Il  taglio  verticale  delia  roccia  addimostra  esser 
prodotta  da  depositi  marini  di  epoche  diverse  ^  la  qual 
cosa  apertamente  palesano  i  generi  e  le  specie  diverse 
di  testacei  che  in  ciascuno  degli  strati  si  trovano.  Gli 
strati  tufacei  altronde  si  lasciano  distinguere  dalla  inter- 
posizione di  strati  più  sottili  di  creta  e  di  marna  ,•  essen- 
dovene  uno  fra  gli  altri  ,  dell'  altezza  di  un  palmo  ,  di 
marna  polverosa  bianca  j  ed  è  quello  precisamente  per  lo 
quale  1'  acqua  del  fuimicello  sotterraneo  scorre.  I  diversi 
strali  tufacei  si  lasciano  inoltre  distinguere  per  la  diver- 
sità de'  grani  e  de'  tritumi  ,  e  pel  grado  di  compattezza 
del  loro   cemento   calcare. 

9.  Il  piano  dell'  antro  AAA  ha  figura  irregolare,  ma 
che  però  si  accosta  al  cerchio.  Nel  bel  mezzo  di  esso  vi 
sta  una  vasca  V  di  figura  circolare,  la  quale  si  eleva  dal 
piano  dell'  antro  per  quattro  palmi  e  mezzo  :  e  per  più  di 
j)almi  dieci  è  profonda  allo  interno  (6).   Il  suo  diametro 

(6)  La  vera  profondili  non  può  de-       brato  da  macerie,  sassi   ec,  che  la  o- 
K-rminiirsì ,   essendo    il   fondo    itijjora-       struiscono  sovente  del  lutto. 

Tom.iy.  3; 


2g2  COSTA 

è  di  palmi   7  j  e   la  doppiezza  del  muro  e  che  ne  costi- 
tuisce la  cinta  è  di  palmi  2  %. 

10.  In  un  lato  della  grande  vasca  ve  ne  sta  un'  al- 
tra picciola  ,  il  cui  orlo  si  eleva  appena  dal  ])ian  terreno 
dell'  antro  :  è  anch'  essa  circolare,  intersecando  col  suo  j)eri- 
metro  un  poco  quello  della  vasca  maggiore  j  nel  cui  centro 
però  ve  n'  è  scavata  una  seconda  v  di  figura  rettangolare. 
Il  fondo  di  questa  ultima  comunica  con  la  gran  vasca  per  lo 
mezzo  di  un  tubo,  che  si  termina  in  grondaja,  sboccando 
nel  cavo  della  prima  e  maggiore. 

11.  La  volta  dell'antro  rappresenta  quasi  un  emi- 
sfero concavo ,  un  poco  ineguale  ed  irregolare.  Nel  suo 
centro  superiore  vi  è  un'  apertura  quadrata  ,  larga  palmi 
4  ,  la  quale  corrisponde  a  perpendicolo  alla  gran  vasca  , 
e  per  essa  1'  antro  tutto  viene  illuminato  a  meraviglia,  ed 
il  fenomeno  di  cui  or  ora  dirassi  rendesi  ad  ognuno  patente. 

12.  A  chi  dunque  in  questo  antro  discende,  senza 
altro  cercare  che  lo  apparente  livello  delle  acque,  che  nella 
vasca  centrale  e  maggiore  pervengono,  vedrà  di  fatto  ch'es- 
se staranno  sempre  al  medesimo  sito,  malgrado  il  perenne 
loro  sgorgare  dalla  grondaja  della  piccola  vasca.  Ma  per- 
lustrando queir  antro  si  troverà  sul  lato  N  -  E.  un  muro 
MMM  (3,  3  dello  spaccato)  fabbricato  di  tufo ,  con  uno 
sportello  F,  costantemente  chiuso  j  aperto  il  quale  si  scuo- 
pre  il  rigagnolo  n  n  di  acque  perenni,  causa  primitiva  del 
fenomeno  di  cui  si  ragiona.  Risulta  questo  da  più  venuzze 
di  acqua  sorgiva  ggg  ^  che  stilla  e  trasuda  dall'  intervallo  o 
straticello  marnoso  che  lascia  l'ultimo  letto  di  tufo  sopra- 
stante al  penultimo.  L'acqua  che  da  quelle  venuzze  proviene 
si  raccoglie  in  un  acquidoccio  comune  ,  per  lo  quale  va 


ILLt'STRAZIO.NE    DEL    FOiNTE    DI    MANnUntA  393 

a  deporsi  nella  vaschetta  W,  che  corrisponde  precisamente 
dietro  lo  sportello  F  ,  superiormente  menzionato.  Dalla 
vaschetta  lo  acque  discendono  per  un  condotto  masche- 
rato o  nascosto  dalla  fabbrica  stessa  j  e  per  un  altro  e  e 
sepolto  nel  piano,  passano  alla  vasca  V;  d'onde  sgorgano, 
come  si  è  detto,  nella  maggiore  e  Centrale, 

i3.  Fin  qui  la  sorgente  ed  il  cammino  delle  acque 
è  chiarissimo  :  siccome  è  facil  cosa  comprendere,  eh'  es- 
sendo perenne  lo  sgorgo,  mancar  quelle  non  deggiono  ne' 
recipienti  descritti.  Ma  come  mai  col  continuo  versarsi  in 
quel  fonte  il  livello  dell'  acqua  non  cresce  giammai  •,  né 
sminuisce  per  quanta  se  ne  voglia  sottrarre?  Ecco  il 
problema  che  si  chiede  risolvere. 

i4-  A  ben  intendere  il  meccanismo  di  quel  fonte  è 
a  sapersi,  che  la  gran  vasca  centrale  è  costruita  di  pezzi 
rettangolari  di  tufo  ben  cementati  e  solidamente  con- 
nessi. La  gran  parte  ed  inferiore  di  essa  sta  nel  suolo 
medesimo  incastrata.  La  sua  interna  superficie  è  smaltata 
fino  a  certa  altezza,  oltre  la  quale,  nella  parte  superiore, 
restano  i  pezzi  di  tufo  nudi  e  scoperti.  Quindi  è  ciiiaro  , 
cha  r  acqua  fino  a  quella  linea  cui  giunge  lo  smalto  non  è 
per  alcun  modo  assorbita;  ma  dopo,  incontrando  le  com- 
messure della  fabbrica,  alcune  delle  quali  a  bell'arte  sono 
lasciate  senza  cemento  ,  per  esse  si  fa  strada  a  traverso, 
e  riprende  il  naturale  cammino  del  •  ruscelletto.  Né 
r  occhio  imperito  si  accorge  di  tal  fatto  •,  perciocché  1'  arte- 
fice ebbe  la  destrezza  di  lasciare  libertà  al  passaggio  delle 
acque  nel  punto  opposto  a  ([nello  ,  da  cui  la  gronda ja 
precipita  le  sue  acque.  Per  la  qual  cosa  le  onde  ingenerate 
dal  cadere  dell' ac<[ua  sgorgante  si  confondono  con  la  cor- 


294  COSTA 

rente  dell'  acqua  che  afìluisce  ver  le  rime  aperte  che  le 
stan  di  rincontro,  e  non  lasciano  perciò  vedere  la  dire- 
zione della  corrente  all'  occhio  non  prevenuto.  Ma  fatta 
attenzione  a  lutto  ,  e  sceverando  le  onde  circolari  che  si 
espandono,  da  quelle  della  corrente  che  si  vanno  restrin- 
gendo ,  è  facile  avvedersi  del  punto  in  cui  esse  affluisco- 
no. Allora  r  illusione  svanisce ,  e  più  non  si  vede  che 
1'  arte  ingegnosa  la  quale  lutto  seppe  sì  bene  mascherare 
e  disporre.  E  per  ben  osservare  un  tal  fatto  conviene  che 
Io  spettatore  si  ponga  più  eh'  è  possibile  dappresso  alio 
sgorgo ,  e  non  mai  a  quello  di  fronte. 

i5.  Con  ciò  per  tanto  s'  intende  solamente  il  per- 
chè le  acque  non  si  elevano  al  di  là  della  linea  dallo 
smalto  od  intonaco  segnata ,  ma  non  spiegasi  ugualmente 
il  non  vedersi  giammai  al  di  sotto  di  quella.  Imperoc- 
ché ,  s'  è  facile  calcolare  la  quantità  dell'  acqua  che  in 
tempo  dato  sgorga  dalla  gronda  per  far  sì  che  pari  (juan- 
lilà  escir  ne  possa  per  uno  spazio  dato  :  lo  stesso  far 
non  si  può  pel  suo  mancare.  In  elFetti  ,  non  la  sola  di- 
spersione e  la  evaporazione  calcolar  si  doveva,  come  cause 
ordinarle  che  sminuiscono  1'  acqua  de' fonti  3  ma  era  d'  uopo 
determinare  quella  oh'  estrar  se  ne  poteva  in  un  tempo 
dato  ,  con  lutti  i  mezzi  dell'  arte.  La  quale  valutazione 
è  di  sua  natura  impossibile  ,  variando  questi  elementi  a 
seconda  de'  bisogni  ,  e  de'  mezzi  adoperati  più  o  meno 
efficaci  e  solleciti.  Ad  ischi varne  quindi  1'  errore  ecco  in 
qual  modo  1'  Architetto  vi  rimediava. 

16  Si  è  dal  bel  principio  avvertito,  che  l'apertura  A 
superiore  e  centrale  dell'  antro  è  minore  del  diametro 
interno  della  sottoposta  vasca.  Quindi  una  secchia  o  due 


ILLUSTRAZIONE    DEL    FO>TE    ni    MANDORIA  agS 

lutto  al  più  scender  possono  dall'  apertura  sudetta  in    un 
medesimo  tempo.   Egli  è  chiaro  dunque,  che    per  questa 
via  non  può  l'acqua  del  fonte  sminuire  più  di  quinto  la 
gronda  ne  versa  ,  calcolando  il  tempo  necessario  per  ab- 
b.'issare  e  tirar  su  la  secchia  ,    durante    il  quale    rifluisce 
nel  fonte  assai  piìi  di  acqua  di  quella  che  se  n' estrae.  Schi- 
vava altronde  il  costruttore  che  attigner  sene  potesse  dallo 
interno  dell'antro,  col  rendere  l'orlo  oo  del  (onte   doppio 
oltremodo,  e  tagliato  a  piano  inclinato.   Per  lo  che,  uè  so- 
pra   dell'  orlo  medesimo  star  potrebbe  poggiato    co'  piedi 
chi  estrar  volesse  dell'acqua^   né   le  braccia  stender     j)uò 
tanto  da  superare  la  spessezza  del  muro,  restandogli   forza 
da   tirar  sopra  la  secchia  o    qualunque    altro   vaso    a  iiìwe 
pendente.   Laonde   non   rimane  altra  via  da  usare  di  quel- 
l' acqua,  che  immergendo  qualche  vase  nella  vasca  mino- 
re 7",  o  ponendolo  sotto  la  gronda  che  a  quella    la  ver- 
sa, ed  attendendo  che  si  riempisse.  Dopo  ciò  egli  è  chiaro, 
che  dallo  interno  del    fonte    non    potendosi     estrarre    un 
sol  ghiozzo  di  acqua  ,  il  suo  livello  menomar  non  si  può 
né  punto  uè  poco. 

17.  E  però,  il  portentoso  fenomeno  svanito,  ne  ri- 
mane il  pregio  dell'  architettura  idraulica  ,  che  certo  dal 
fui  qui  detto  è  facile  ad  ognuno  apprezzare.  Nò  solo  il 
calcolo  ,  la  previdenza  ,  ed  il  genio  dell'  architetto  si  am- 
mirano in  questa  opera  j  ma  il  magistero  ancora  col  quale  è 
stata  compiuta.  Ed  in  vero,  qualunque  stato  fosse  1'  oggetto 
per  lo  quale  quel  fonte  fu  costrutto  ,  l'  epoca  certo  non 
ne  viene  fissata  ,  e  si  perde  nella  oscurità  de'  temjìi.  Non 
pertanto  lo  smallo  od  intonaco  della  gran  vasca  è  tanto  fer- 
mo, che  nò  per  vicissitudini  de'  tempi  ,   né  per  successioni 


296  COSTA 

violente  della  terra,  né  per  lo  continuo  gittar  de'  macigni 
allo  interno  di  quella  si  è  menomamente  rotto  o  crcpacciato. 
Ben  di  sovente  si  trova  quella  vasca  colma  di  macigni 
per  modo,  che  a  farne  osservare  il  fenomeno  si  è  costretto 
sgombrarla  j  senza  che  per  questo  alcuna  lesione  si  fosse 
occasionata.  Pregio  egli  è  questo  comune  degli  antichi 
serbatoi  di  acqua  ,  che  lasciansi  tutl'  ora  ammirare  (7)  ^ 
ma  che  ugualmente  desiderare  si  fa  nelle  opere  de'  mo- 
derni. 

18.  Dalle  cose  discorse  chiaro  n'emerge,  essere  il 
fonte  di  Manduria  un'  opera  idraulica  molto  ingegnosa  j 
e  che  perciò  ben  le  conviene  il  nome  di  Ingegno  o  Sce- 
gno  ,  come  quegli  abitanti  lo  appellano:  nome  (jigiegno) 
col  quale  indicato  viene  dal  popolo  nostro  ogni  macchina- 
mento  destinato  a  sollevare  acque,  od -a  mettere  in  moto 
checchessia  (8). 

ig.  Rimarrebbe  ora  a  statuire  quale  stato  fosse V  og- 

(7)  Olire  le  famose  piscine,  che  ia  (8)  Il  sig.  Schiavoiie  impiega  tuUo 
diversi  luoghi  del  regno  s' incontrano,  il  suo  filologico  sapere  per  far  deri- 
«ul  littorale  di  S.  Calaldo  in  Terra  vare  la  voce  Scegno  dall'  ebraiche 
d'Otranto,  sito  detto  Roca  Vecchio,  voci  Scheket,  Sceketh,  o  Sceka,  di- 
vi stanno  alcune  piscine  ora  scisse  notanti  acqua  slagnante,  vasi  da  ac- 
largamente  per  la  roccia  stessa  tufacea,  qua  o  canali.  Non  tace  però  che  tra 
tella  quale  sono  scavale  ,  che  per  i-  gli  slessi  abitanti,  e  dotti  ed  idioti, 
gnote  ragioni  si  è  divisa.  Ma  in  lutto  vi  sian  di  quelli  che  pensano  esser 
il  resto  lo  smallo  è  intierissimo,  nò  la  voce  Scegno  un  volgarizzamento 
si  riesce  a  distaccarne  un  sol  pezzo,  o  d'  ingeniam.  Ma  ,  parendogli  ignobile 
fenderlo  menomamenle  ,  adoprando  l'origine  di  questo  nome  ,  e  volendo 
r  acciajo  durissimo.  più  sempre  far  rilucere  la  sua  dotlri- 

Similmente  saldi  si  osservano  anco-  na  in  fallo    di  lingua  ,  vorrebbe   che 

ra  gli  acquedotti  di  Saturo  nelle  vici-  in  tal    caso    provenga    dallo    ebraica 

nanze  di  Taranto;  e  laute  altre  opere  Scebel  derivante  da  iScwfin/ eh' eqiii- 

dl  simil  natura.  vale  ad  ingenium  de'  Ialini. 


JLLLdTRAZlONE    DEL    TONTE    UI    MANDCRIA  297 

^elto  di  queir  arcliiiellura.  Ma  è  questa  1' oj)era  Ja  com- 
piersi dagli  storici  e  dagli  archeologi,  di  cui  la  Dio  mercè 
v' à  dovizia  tra  noi,  e  tengono  a  giusto  dritto  il  primato 
Ira  quanti  altrove  grandeggiano  in  questo  sapere  (9).  Dal 
canto  mio  ho  cercato  come  intendere  cjuel  neque  cxhau- 
sfis  aquis  minuituT\  neque  injìish  augetur^  senza  ricor- 
rere a  strane  conghietture,  ed  ipotesi  \  senza  1'  intervento 
de'  vulcani  j  e  senza  il  bisogno  di  quel  lago  circostante 
le  acque,  dal  quale  rifluendo  esse  nel  fonte  gli  restituis- 
sero quelle  perdute  j  ma  solo  rintracciandolo  nella  natura 
insieme  e  nell'arie  (io). 


(9)  lo  inchino  a  credere,  che  sialo 
sia  coslrnito  per  1'  uso  ordinario  e  co- 
luiiuc  di  provvedere  di  acqua  la  cillà  : 
e  che  tulla  quella  ìndustriusa  arclii- 
iellura sia  siala  suggerita  dal  hisuguo. 
Imperciocché  quei  luoghi  in  alcune 
stagioni  cotaulo  di  acqua  scarseggiano 
da  riseutirue  sensibili  danni.  Laonde 
se  ne  volle  limitar  1'  uso  prr  assicu- 
sarlo  a'  soli  bisogni  della  vita.  Non  è 
strano  quindi  il  supporre  ,  che  slato 
)ìa  consagralo  a  qualche  diviiiiih  ,  per 
lulelarne  1'  opra  con  la  riverenza  a 
quella  dovuta.  È  risaputo  che  i  fou- 
lì  furono  appo  gli  amichi  liguardali 
come  cosa  sacra  «  Kultus  eniin  fons 
non  sacer,  scriveva  Serv  o  sul  vcrs. 
73  ,  del  lih.  7  dell'Eneide.  »  Fontiuin 
memoria  ec.  Per  questa  parie  piova 
coDsuUare  il  dolio  lavoro  del  sulloda- 
lo  sig.  Schiavoue,  il  quale  non  ha 
tralasciata  alcuna  cosa  valevole  ad  il- 
Iiistr.ire  la  nobiltà  di  quel  foiitr.  E 
dopo  aver  tulio  raccolto,    la  menzio- 


ne d'  un  altro  fonte  sjcro  dilla  stt-ssa 
provincia  spettante  al  Tempio  di  Mi- 
n.rva  ,  ricoQosciut)  dal  cav.  Monti- 
celli nella  cos'i  delta  Grotta  della 
Zinzanusa  j  come  dalla  memoria  in- 
serita nello  slesso  Giornale  Enciclo- 
l'edico,  Anno  2.°,  n.  3.°  p  34' • 
Noi  discorreremo  ancor  di  questa. 
Grotta  in  altra  tornata. 

(10)  Che  questo  fonte  sia  un  oalu- 
rale  cammino  di  acque  sotterranee  fu. 
per  molti  ben  inteso.  Lo  stesso  loda^ 
tissiino  sig.  Schìavoiie  non  lascia  di. 
rammentare  come  ,  in  una  opera  dai: 
titolo  Brcvis  et  enucleata  descripIXo 
historico-phviica  Fonlis  Manduria- 
ni  ex  pluribus  aucloribus  excerpta^ 
cui  occf  $.<!/ Thomae  Dierham  disser- 
lalio  de  fonlibus ,  uno  degli  autori 
dicesse  «  esser  la  vasca  grande  situata 
in  mizzo  ad  un  gran  letto  di  acque 
perenni ,  comunicanti,  e  livellate  con 
quelle  della  vasca  medesima  :  quindi 
per  molte  che  in  questa  ne  corressero. 


298        COSTA  ,  ILLUSTRAZIONE  DEL  FONTE  DI  MANDIÌRIA 


non  mai  sormonteranno  il  solilo  letto, 
buliaiidosl  cioè  per  inosscrvale  fendi- 
ture su  le  acque  nascoste  che  corrono 
intorno  alla  vasca  »  £  continua  a 
dirci  pure  di  quel  che  ne  pensasse 
un  dolio  accademico  Leccese,  il  quale 
spiegava  il  fenomeno,  dimostiando  dap- 
prima la  esistenza  d'  una  circolazione 
di  acque  perenni -,  e  conchiudendo  che 
la  vasca  investita  da  queste  ripara 
alle  sue  perdile  ,  ricevendole  per  a- 
perture  poste  a  livello  delle  sue  ac- 
que, e  per  le  medesime  scaricando- 
sene ,  allorché  in  essa  piìi  del  biso- 
gno ne  corrono  :  quivi  citandosi  pure 
r  oppinione  dell'  inglese  Swin-Burn  , 
il  quale  ammetteva  per  quel  fonte  il 
passagio  d'  un  ruscello.  Dalle  quali  cose 
si  raccoglie,  che  le  oppinioni  conven- 
gono col  fallo  ;  ma  il  fenomeno  non 
fu  mai  spiegato  completamente.  Per- 
ciocché è  facile  intendere  come  non 
mai  le  acque  elevar  si  potessero  al 
di  sopra  del  naturale  loro  livello,  sia 
che  avveduti  si  fossero  del  modo  co- 


me assorbite  esse  vengano,  sia  che  lo 
divinassero  ;  ma  come  poi  non  israi- 
nuisscro  giammai,  per  quanta  estrar  se 
ne  volesse  ,  non  fu  loro  ugualmente 
facile  intenderlo.  Laonde  ricorsero  a 
riflusso  o  rilornc  delle  acque  ,  a  rias- 
sorbi.nenlo  delle  slesse;  il  che  vera- 
mente è  un  paradosso. E  da  ciò  n'emer- 
sero tante  strane  ipotesi,  e  tanto  eni- 
gmatico è  rimaslo  il  fenomeno,  che  ha 
dalo  luogo  alla  conghiettura  del  Sig. 
Scliiavone,  esser  quello  una  voragine 
vulcanica  abbellita  dall'  arte  ;  esser 
r  antro  un  tempio,  e  la  vasca  un  /onte 
sacro-Come  sostiene  questo  suo  assunto 
il  prelodalo  autore,  può  vedersi  nel  luo- 
gocitatodel  Giornale  Enciclopedico  di 
Napoli,  ammirandosi  in  tale  scrittura 
la  vasta  sua  erudizione  ;  ma  1'  igno- 
ranza in  fatto  di  geologia,  e  lo  inac- 
corgimento neir  opera  dell'  arte  ;  tutto 
essendo  preoccupalo  dal  pensiere  di 
sublimare  per  altre  vie  quel  feno- 
meoo. 


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DEL    PRESENTE    FASCICOLO 


Tavola  generale  ft  interpolazione  presentata 
da  Fedele  Amatìte pag.   a5i 

Illustrazione  del  Fonte  di  Munduria  nel  Sa- 
lentino  di  O-G.   Costa »   387 

Con  due  tavole  in  rame. 


Prezzo  del  presente  fascicolo. 


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